Storie Perdute

di SagaFrirry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il bambino fra vulcani e terremoti ***
Capitolo 2: *** Il sussulto del cuore ***
Capitolo 3: *** La bellezza della morte ***
Capitolo 4: *** Amicizia ***
Capitolo 5: *** Generazioni ***
Capitolo 6: *** Aiutami ***
Capitolo 7: *** L'imperatore ***
Capitolo 8: *** Il drago di giada ***
Capitolo 9: *** Summertime madness ***
Capitolo 10: *** Fedeltà ***
Capitolo 11: *** Luce e ombra ***
Capitolo 12: *** Fra Terra e Mare ***



Capitolo 1
*** Il bambino fra vulcani e terremoti ***


La gente del paese aveva paura di quel bambino. Nonostante la pietà che suscitava, perché orfano dal terribile terremoto che aveva colpito il lato opposto della Sicilia, vi era in lui qualcosa che intimoriva. All’ombra di un giovane albero dal tronco attorcigliato, il piccolo osservava l’Etna, che si ergeva all’orizzonte. Da quando era stato portato in quel paesino sperduto, adottato da un’amica di famiglia, il suo unico desiderio era stato avvicinarsi il più possibile a quel vulcano. Ovviamente la madre affidataria non glielo concedeva.

“Vieni dentro” chiamò una voce di donna “Fa molto caldo, rischi di stare male”.

“Va bene, signora” rispose il bambino.

“Puoi chiamarmi Mamma, sai?”.

“Non sei la mia mamma..” commentò lui, dopo qualche istante di silenzio “..la mia mamma è morta accanto a me, quando la casa è venuta giù. La sua anima mi segue sempre”.

“Non fare questi discorsi. La sua anima è volata in cielo, in paradiso. È divenuta un angelo e ti proteggerà sempre”.

“No. Non credo”.

“Perché non credi?”.

“Perché io la vedo!”.

“Non si dicono le bugie! Lo sai che i bambini che dicono le bugie finiscono all’inferno?”.

“Non è una bugia!”.

La donna sospirò. Forse doveva cercare di capire quello strano orfano. Dopotutto, era rimasto sepolto sotto le macerie per giorni, accanto alla madre morta. Probabilmente quel che vedeva era una conseguenza del trauma subito. Aveva deciso di adottarlo, perché amica d’infanzia della madre, e lo aveva condotto lontano da quella valle, epicentro di quel terremoto disastroso. Erano trascorsi dei mesi ormai ma il piccolo si ostinava a dire che vedeva le anime dei morti, e non solo quelli della Valle del Belice.

“Forse dovrei accompagnarti da un prete..” pensò lei ad alta voce.

Il bambino inclinò leggermente la testa, senza capirne il motivo.

“Ma cambiando argomento..tra poco sarà il tuo compleanno! Il 24 giugno compirai 6 anni! Che cosa vuoi che ti regali? Ti farò una torta gigante con i gusti che piacciono a te e, se ti va, possiamo chiamare qui i tuoi amichetti a festeggiare. Che dici?”.

“Va bene. Però..mi porti a vedere il vulcano?”.

“L’Etna, dici? Ma non è un posto per bambini!”.

“Per favore! Come regalo! Ti prego, ti prego, ti prego! Giuro che non chiedo più niente, sarò buono, non parlerò più delle anime! Se vuoi ti chiamerò anche mamma! Ti preeeeeeeego!”.

“Smettila! Non è assillandomi che otterrai le cose!”.

Il piccolo si imbronciò. Poi sfoggiò il più convincente sguardo lacrimevole possibile e fissò la madre adottiva.

“Ci tengo tanto” piagnucolò “Cattiva..”.

“E va bene! Ti ci porto! Ma devi promettermi di fare il bravo, intesi?”.

“Sì! Sarò il bambino più buonissimissimo del mondo! Te lo prometto!”.

“Va bene. Ora va a sederti, che ti porto la merenda”.

 

Il giorno della gita, il bambino era agitato. La madre adottiva lo teneva per mano, per non perderlo fra i gruppi di turisti. Lui, a sua volta, stringeva la manina della sorellina acquisita.

“Perché la montagna fuma, fratellone?” domandò la piccola.

“Perché è un vulcano. Dentro c’è il fuoco”.

“Voglio vederlo!”.

“Non si può! Il fuoco brucia!”.

“Guardate!” indicò la madre, quando si riuscì a vedere un piccolo fiume di lava.

“Bello!” esclamò il bambino, spalancando gli occhi “Andiamo più vicino!”.

“No. È pericoloso”.

“Uffa..”.

“Non sbuffare. Non sei mai contento..”.

Una folata improvvisa di vento li avvolse ed al bambino parve di sentire una voce. Si girò verso la madre, che però non aveva parlato. Storse il naso, perplesso. Poi la sorellina si lagnò, perché il cappellino le era volato via. Il fratello acquisito non esitò un attimo e corse per riprenderlo, nonostante le grida di rimprovero della madre. Afferrò il capello, poco distante, ma quella voce..

“Mamma?” domandò il piccolo, notando un bagliore azzurro fra le rocce.

“Torna qui!” lo richiamò la madre adottiva “Obbedisci! È pericoloso!”.

Il bambino continuò a camminare. Si fermò, atterrito. Udiva chiaramente delle urla. Erano gemiti, suppliche e pianti. Riprovava le sensazioni sperimentate fra le macerie sotto cui era rimasto sepolto, in cui aveva percepito le vite di chi aveva attorno spegnersi.

“C’è qualcuno qua sotto!” gridò.

“Non c’è nessuno qua sotto, piccolo. Cosa dici?” tentò di rassicurarlo la madre adottiva ma il bambino non le credette ed iniziò a correre, avvicinandosi al punto da cui credeva provenissero quei gemiti.

Non facendo molto caso a dove poggiava i piedi, inciampò e sotto di sé il terreno cedette. Il caldo era insopportabile ed il fumo denso ma, nonostante tutto, riuscì ad intravedere una figura.

“Mamma?” chiamò il bambino.

“No di certo” rispose la figura, con profonda voce da uomo.

“Hai visto la mia mamma?”.

“No. E tu non dovresti essere qui”.

“Ma io..”.

Il piccolo ammutolì. Accanto alla figura che gli parlava, vedeva molte anime.

“Quelle persone! Le hai uccise tu?” domandò.

“Quali persone?”.

“Ah, capisco. Non le vedi nemmeno tu..”.

“Parli delle anime che stanno qui, marmocchio?”.

“Sì. Le vedi?”.

“Ovvio. Sei tu, piuttosto, che non dovresti vederle”.

“Da quando c’è stato il terremoto, le vedo. E per questo in molti hanno paura di me”.

“Mi pare più che normale. Quanti anni hai, moccioso? Dov’è tua madre?”.

“Mia madre è morta. Ed oggi è il mio compleanno. Faccio sei anni”.

“Oggi? Sei nato la notte di San Giovanni? Lo sai cosa si dice di quella notte? Che sia maledetta. Che le streghe danzino con il diavolo e che..”.

“Non credo a certe cose. E non mi fanno paura”.

“Nemmeno le anime che vedi ti fanno paura?”.

“No. Ma tu chi sei? Cosa ci fai qui?”.

“Non sono cose per bambini..”.

“Adranos! Chi è?” tuonò una voce profonda ed un’ombra si mosse.

“Solo un bambino..”.

“Cosa c’è in quella scatola?” domandò il piccolo, indicando una Pandora Box color oro.

“Nulla che ti riguardi!” sbottò l’ombra.

“Signore..” interruppe Adranos “..quel bambino vede le anime!”.

“Interessante!” ghignò l’ombra “Allora, mio caro piccolo ficcanaso, ti dirò solo questo: scoprilo. Non provi timore alcuno nello stare qui, segno di indomabile coraggio. O infinità stupidità. Chi può saperlo..”.

“Come lo scopro?”.

“Torna qui, la prossima notte di luna, e vedremo se il tuo è coraggio o stupidità!”.

“Ma..come faccio a venire qui di notte?!”.

“Hai paura del buio?”.

“No ma..non posso uscire di notte!”.

“Peccato. Allora cosa c’è in quella scatola non lo scoprirai mai!”.

Entrambe le creature risero ed il fumo si fece più fitto. Il bambino tossì e chiuse gli occhi, infastidito. Quando li riaprì, la madre adottiva lo stava guardando, terrorizzata. Il piccolo era steso in terra ed una piccola folla gli sta intorno.

“Dove sono Adranos e quell’altro strano tizio?” domandò, mettendosi a sedere.

“Adranos? Strano tizio? Cucciolo mio..sei caduto ed hai battuto la testa. Devi essertelo immaginato. Ma grazie a Dio stai bene”.

“Immaginato? Ma no, io..”.

“Andiamo a casa. Povero caro..”.

Prendendolo in braccio, la madre non ascoltò le proteste del bambino, che si guardò attorno. Non poteva essere stato tutto un sogno! E vide una luce azzurra...

 

La notte di luna illuminava l’aranceto. Il piccolo non poteva credere di essere uscito di casa di nascosto, al buio, per raggiungere il vulcano e seguire le parole di uno sconosciuto che forse si era sognato. La vegetazione si stava diradando, segno che il cratere attivo si stava avvicinando.

“Sei tornato” parlò una voce alle sue spalle.

Il bambino si girò e riconobbe l’ombra che aveva visto qualche giorno prima.

“Vieni con me” lo invitò ed il piccolo lo seguì “Spero per te che non mi stia prendendo in giro, e che le anime che dici di vedere non siano tutte una tua invenzione”.

“Se vuoi te le descrivo”.

“Buona idea. Ma prima vieni con me”.

I due camminarono fra le rocce nere finché dinnanzi a loro si mostrò un passaggio, celato agli occhi dei turisti e uomini comuni.

“Come mai qui ci sono tante anime?” domandò il bambino, seguendo l’ombra giù per le ripide scale, all’interno del vulcano.

“Hai mai sentito parlare dell’Oltretomba?”.

“Inferno e paradiso? Me ne parlano spesso..”.

“No, niente inferno e paradiso. Parlo di un regno antico esistente da ben prima che nascessero simili leggende cristiane”.

“Leggende?”.

“Sei piccolo. Immagino che di mitologia tu sappia ben poco..”.

“Cos’è la mitogia?”.

“Mitologia! Te lo insegnerò. Ora però dimmi: che cosa vedi?”.

Il bambino si guardò attorno. Faceva caldo e molte anime marciavano, una dietro l’altra, dirette verso un unico punto buio. Descrisse quanto visto e l’ombra sorrise.

“Lo sapevo che saresti venuto!” sorrise Adranos, avvolto dalle fiamme “Anche se non è normale che un bambino così piccolo disobbedisca alla madre..”.

“Non è mia madre e poi non è nemmeno normale che qualcuno viva in un vulcano. Chi siete? E perché vedete le anime come le vedo io?”.

“Io sono Adranos, demone delle fiamme che Efesto, Dio fabbro, ha sottomesso per creare la sua fucina. E lui è Tifone, a guardia dell’armatura d’oro e delle porte del Tartaro, dove tutte le anime si stanno recando. Quello che vedi è uno degli ingressi che conducono al regno dei morti, dove Hades regna”.

“Hades? Efesto?”.

“Imparerai ogni cosa. Ora dimmi: hai mai sentito parlare del Meikai?”.

 

Essere addestrato da un demone e da un gigante non era facile, ma il bambino dagli occhi color del sangue ed i capelli argento si sentiva a suo agio. Probabilmente chiunque altro sarebbe fuggito, in preda al terrore, ma non lui. Lui era rimasto e per anni aveva appreso le tecniche di combattimento dei cavalieri.

Quella mattina stava rientrando da scuola, che trovava sempre più noiosa, quando percepì una lieve scossa. Il vulcano stava dando segni di imminente risveglio, ormai ne riconosceva gli avvisi. Ma capì che non per tutti era così, perché un gruppetto di turisti si era avventurato ben oltre il limite di sicurezza.

“Tornate qui!” li chiamò, gridando “Il vulcano si sveglia!”.

I turisti lo ignorarono, credendolo solo un moccioso impertinente.

“Beh..crepate, allora” alzò le spalle il bambino, tornando sulla sua strada “Minchia mi frega?”.

Poi però i movimenti della terra si fecero più intensi e si udì un boato. Il bambino, accigliandosi, tentò con tutte le sue forze di ignorare quel che accadeva, ma qualcosa dentro di lui lo spingeva a fare il contrario. Qualcosa nel suo cuore fremeva e lo costringeva a reagire. Si voltò di scatto, vedendo chiaramente alcune rocce staccarsi dalla parete del vulcano. Non ci pensò a lungo. Con un singolo battito cardiaco era già sul posto, pronto ad agire. Spaccò alcune rocce a calci e saltò, con l’intento di fermarne altre lanciando il colpo che il suo cosmo era in grado di sprigionare. Qualcosa brillò nel cielo e si accorse che a proteggerlo era apparsa un’armatura color oro. Non avendo ancora il fisico adatto per indossarla, il bambino la vide ergersi davanti a lui e proteggerlo dal muro di roccia. I turisti, accecati dal bagliore provocato dal sole sul metallo, non capirono bene quel che stava accadendo e fuggirono, mettendosi in salvo. Adranos, sorridente fra la lava, aveva osservato la scena ed era fiero di quel piccolo allievo, che aveva appena superato un’importante prova.

“Ti chiameranno Demonio, sappilo” spiegò il maestro “Perché governi le anime e perché puoi vagare a tuo piacimento fra i regni degli inferi. Ma io so che demonio non sei, perché nel tuo petto batte cuore di cavaliere, nobile e buono”.

“Una parte di me non voleva salvare quelle persone..” ammise il bambino.

“Sei un bambino, hai solo nove anni. Hai ancora molta strada da fare ma non qui, non più al mio fianco. Il tuo posto ora è al tempio, dove imparerai tutto quello che io non sono in grado di insegnarti. Io, come demone, non conosco molti dei sentimenti che caratterizzano voi umani, come la compassione o l’amore. Diverrai un cavaliere nobile e valoroso”.

“E chi mi insegnerà ad essere nobile?”.

“Lo scoprirai quando sarai là. Preparati a partire”.

“Ma..la mia mamma? E la mia sorellina?”.

“Non sono la tua vera madre e la tua vera sorella”.

“No, ma..”.

“Ragazzo, devi imparare una cosa molto importante: per il bene superiore, a volte si è costretti a sacrificare qualcosa. Perdere una vita, per salvarne cento, o mille, a volte è necessario. Distaccarti dalla tua famiglia per poter proteggere l’umanità, è un sacrificio obbligato”.

“Ma io non voglio! Che si sacrifichi qualcun altro!”.

“Non essere ridicolo. Non sei più un poppante ormai”.

“Ma io..”.

“Informerò il grande tempio. vedremo quel che decideranno. Per ora, torna pure a casa. Lascia l’armatura qui, al sicuro da sguardi indiscreti”.

“Sì, maestro..”.

 

Raramente pioveva da quelle parti eppure quel giorno pioveva. Già questo, forse, doveva lasciar presagire al piccolo che qualcosa non andava. Ma non ci pensò. Era felice, perché finalmente aveva ottenuto l’armatura. Camminò soddisfatto verso casa, rubando un frutto succoso da un albero in strada, e raggiunse la sua dimora canticchiando canzoncine in dialetto. Si fermò, quando vide un uomo uscirvi, con un ghigno.

“Mamma?” chiamò il bambino.

“Oh, abiti qui tu?” domandò l’uomo.

Il piccolo lo guardò meglio e sobbalzò: era nel gruppo di persone che aveva salvato dal risveglio del vulcano!

“Ti ho intravisto, sul vulcano. Sei fortunato..io non li ammazzo i bambini” ghignò l’uomo.

“Ammazzo?” ripeté il bambino, girando la testa di scatto verso casa.

“È così che va la vita, picciotto. Quando ci si mette contro le persone sbagliate, si fa una brutta fine. La tua mamma non doveva sfidare quelli come noi, con il suo animo nobile e lo spiffero facile agli sbirri”.

“Ma..mamma!”.

“Non guardarmi così. Sono certo tu sei un bravo picciriddu!”.

Il bambino non ascoltò oltre e corse dentro casa. La madre adottiva era in terra, morta e ricoperta di sangue. Il primo pensiero del piccolo andò alla sorellina, che iniziò a chiamare a gran voce e cercare. Fortunatamente, la bambina era al piano superiore e si era nascosta, senza subire danni. La abbracciò, rassicurandola. Si sentiva in colpa. Era stato lui a salvare quell’uomo dal vulcano! Se non lo avesse fatto, sua madre si sarebbe salvata! Scoppiò a piangere e rimase in silenzio, non sapendo proprio che dire alla sorella.

 

Il funerale fu qualcosa di molto semplice, dato che era una donna sola e senza parenti. In molti si mostrarono disponibili nei confronti dell’orfana ma in ben altro modo si comportarono con il bambino. Avevano sempre provato paura nei suoi confronti. Era strano, inquietante.

“Tieni” parlò una donna, porgendo all’orfano una maschera “Questa è la maschera mortuaria di tua madre. Ora sei tu l’uomo di casa. Prenditi cura di tua sorella e proteggila”.

“Lo farò” annuì il bambino, prendendo la maschera e chinando il capo.

Accanto a lui, la sorellina gli stringeva la mano. Che regalo inquietante da dare ad un ragazzetto! Ma lui non sembrava farsi problemi.

“Ti difenderò io, sorellina. Mi occuperò di te. Nessuno ti farà male”.

Osservando le poche persone al funerale, il bambino notò subito quel giovane. Se ne stava in disparte, senza conoscere nessuno. Sospettoso, l’orfano lo tenne d’occhio e subito si parò davanti alla sorellina, quando lo sconosciuto si avvicinò.

“Sei tu  che hai ottenuto l’armatura d’oro del Cancro?” domandò il ragazzo, con uno strano accento.

“Chi lo vuole sapere? Tu chi sei?” si irrigidì l’orfano, accigliandosi.

“Un amico. Sono anch’io un cavaliere d’oro e sono venuto a prenderti, per portarti al tempio”.

“Hai un accento orribile..”.

“Non sono italiano. Chiedo scusa”.

“Dimostramelo!”.

“Cosa?”.

“Che sei un cavaliere d’oro! Dimostramelo!”.

Il giovane si concentrò qualche istante, espandendo il suo cosmo. Il bambino lo percepì e spalancò gli occhi.

“Tutto bene?” domandò lo sconosciuto, che assieme all’accento aveva pure un tono terrificante, perché era un adolescente a cui stava cambiando la voce.

“Sì..ma..io pensavo che il mio cosmo fosse potente mentre il tuo lo è di più!”.

“Hai ancora qualche anno per raggiungermi. Ma devi venire con me”.

“Può venire anche la mia sorellina?”.

“Certo. Troverò un posto anche per lei, a Rodorio, il villaggio che sorge accanto al tempio”.

“Va bene..vengo con te. Mi insegnerai tu ed essere più forte?”.

“Se lo desideri.. E ti insegnerò ad essere il difensore degli innocenti”.

“Esistono gli innocenti?”.

“Strana domanda..”.

“Comunque..qual è il tuo nome?”.

“Puoi chiamarmi Saga. E tu? Come ti chiami?”.

“Io?” mormorò il bambino, guardando la maschera della madre acquisita. Rialzò lo sguardo, che brillò di luce viva, e rispose: “Puoi chiamarmi Deathmask”.

Primo capitolino di una serie. Ho voluto iniziare con Deathmask perchè ho sempre desiderato raccontare la sua storia da piccolino. Chiedo scusa, perchè è un po' triste. Cercherò di rallegrare un po' i capitoli successivi. P.S. se fra voi ci sono dei "fan" dell'Olympus Chapter non preoccupatevi: sto lavorando al seguito ma al momento non ho molto tempo per dedicarmi ad una storia lunga

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Capitolo 2
*** Il sussulto del cuore ***


“E questa è una foto di papà con i Maori” spiegava l’uomo, indicando l’immagine al bambino che teneva sulle ginocchia.

“Che bello, papà! Hai visto tantissimi posti!” commentò il piccolo.

“È il mio lavoro!”.

“Anch’io voglio vedere tanti posti e conoscere tante cose”.

“Lo farai di certo, mon petit garςon!”.

“E quando mi porterete con voi, tu e la mamma?”.

“Beh..tu che dici, cara? Nel prossimo viaggio..”.

“Ma, Emile! La Russia non è un luogo per un bambino! Non ti sembra troppo piccino, ancora?”.

“Scherzi? Alla sua età mio padre mi portava ovunque! Il cervello dei bambini è una cosa spettacolare ed è meglio riempirlo il più possibile! Il nostro piccolo vedrai che si divertirà ed imparerà cose nuove”.

“Non lo so..sono dubbiosa..”.

“Sarà con noi, tesoro. Che pericoli potrebbe mai correre? Avanti, Giselle! Pensa a quante cose potrà vedere! Cose che sui libri non potrà mai trovare, per quanti ne legga!”.

“Già non è normale che legga cose del genere alla sua età..” borbottò la donna, indicando dei grossi volumi di vari autori francesi .

“Non essere noiosa..”.

Il bambino, sentendosi di troppo, sgattaiolo giù dalle ginocchia del padre e tornò dedicarsi ai libri.

 

“Ma..non hai freddo?” rabbrividì il padre.

“Non, mon père” sorrise il bambino, mentre la madre tentava di avvolgerlo per l’ennesima volta con una sciarpa pesante.

Il clima russo era rigido e, come si aspettavano i viaggiatori, nevicava. Al piccolo piaceva la neve e ci affondava volentieri con gli stivaletti. I genitori sorrisero, divertiti dal suo incedere goffo.

“Sembri un pinguino” ridacchiò Emile “Vuoi incontrarne uno? Con questo freddo..”.

“Ma papà! I pinguini non stanno su questo emisfero! Dobbiamo andare al Polo Sud per vederli!”.

“Come sempre hai ragione, piccolo esploratore! Allora vorrà dire che in questo momento sei l’unico pinguino del nord!”.

Il bambino mostrò la lingua e corse via, divertito.

“Non allontanarti!” lo richiamò la madre “Con la neve, non ti vediamo!”.

“Farò versi da pinguino, mamma!”.

“E che diamine di verso fa il pinguino?”.

Il piccolo lo imitò, emettendo uno stranissimo suono dalla bocca e ondeggiando qua e là. Tutti e tre risero. Chi li guidava, al contrario, non era per nulla divertito. Il tempo stava peggiorando ed il porto distava ancora qualche ora di cammino.

“Non so se sarà possibile la navigazione sul fiume” spiegò una delle guide “Con questo tempo..”.

“In qualche modo ci dobbiamo spostare” ribatté Emile “Se gli aerei non volano e le navi non partono, useremo i cani!”.

“Ma questo renderà il viaggio molto più lungo e pericoloso!”.

“L’alternativa qual è?”.

“Raggiungere il paese e rimanervi finché non cessa la tempesta”.

“Non abbiamo molto tempo..”.

“Caro..potremmo lasciare il bambino al villaggio e partire io e te, così da farti rispettare i tempi e non far correre rischi al piccolo” propose Giselle.

“Come sempre, amor mio, hai ragione”.

 

“Dove sono la mia mamma ed il mo papà?” domandò il bambino.

Era stato lasciato in una taverna e si stava preoccupando. Il tempo passava e nessuno sapeva dargli notizie. Quasi nessuno comprendeva la sua lingua e lui di russo sapeva solo poche frasi. Poi sentì un gran abbaiare e, affacciandosi, riconobbe uno dei cani da slitta. Cosa ci faceva lì? Doveva essere successo qualcosa!

“Qualcuno mi capisce?” gridò il piccolo “Aiuto, per favore! на помощь!”

Un paio di autoctoni tentarono di avvicinarsi, ma non capivano che problemi avesse quel moccioso francese. Lo invitarono a tornare in camera, senza risultato. Guardando il cane, il bambino prese coraggio e lo seguì. Sapeva che era una cosa sconsiderata e stupida ma doveva farlo, perché qualcosa gli diceva che era successo qualcosa. Si avvolse in un mantello e camminò nella neve. Il cane lo precedette, guidandolo. Lo condusse fino ad un ampio spazio bianco. Con i fiocchi che continuavano a cadere, il piccolo chiamò i genitori.

“Père! Mère!” gridò.

Ma la sua voce si perdeva nella tormenta e non vedeva altro che bianco. Si strinse nel mantello, cercando di ripararsi dal vento gelido.

“Ah, devo calmarmi!” si disse “Agitarmi non mi aiuterà a trovare mamma e papà”.

Camminò ancora ed il cane guaì.

“Cosa c’è?” domandò il bambino, guardandolo.

Sotto i suoi piedi, si accorse che non vi era più neve ma ghiaccio. Riprese a camminare, percependo che ad ogni passo era solido e rigido sotto gli stivali. Poi intravide qualcosa di familiare. Riconobbe la borsa di suo padre. La raggiunse correndo e la prese fra le mani.

“Père!” chiamò ancora.

Intravide un ombra e riprese la corsa. Il padre si era aggrappato al bordo del ghiaccio. Era ferito e riuscì a fatica ad aprire gli occhi.

“Mon petit garςon..” mormorò, riconoscendo il figlio.

“Père..”.

“Vai via da qui. È pericoloso!”.

“Ma io devo aiutarti! Adesso corro a chiamare qualcuno!”.

L’uomo tentò di risalire. Il bambino non sapeva che cosa fare. Fu preso dal panico. Sentì una lacrima scivolargli sulla guancia e poi uno scricchiolio. Un grido gli si arrestò in gola, quando si accorse che il ghiaccio si stava sciogliendo. Cedette di scatto e il piccolo chiuse gli occhi, preso dal panico. Credeva di ritrovarsi in acqua ma non fu così: qualcuno lo teneva sollevato da terra.

“Calmati, ragazzo” gli parlò una voce maschile “Sono le tue emozioni incontrollate a sciogliere il ghiaccio”.

“Le mie..emozioni?” si stupì il bambino.

“Non te ne sei accorto? Controllavi il gelo sotto i tuoi piedi ma, appena ti sei agitato, questo potere lo hai perso”.

“Ma..i miei genitori..”.

“Sono stati inghiottiti dal lago”.

“Che?! No! Non è vero! Questa è la borsa di mio padre..e mio padre era..”.

“Temo che per loro non ci sia nulla da fare..l’acqua gelata non lascia scampo”.

L’uomo si chinò, mostrandosi al bambino da sotto il pesante cappuccio. Era anziano e la sua lunga barba era piena di ghiaccio e neve.

“Ma no!” protestò il bambino “Papà era lì!”.

“Il ghiaccio ha ceduto”.

“E allora vai a riprenderlo!”.

“Già è scomparso. Non possiamo fare nulla”.

“No! Mère! Père!”.

“Smettila..”.

Il bambino rimase in silenzio. Cercò di trattenere le lacrime. Era tutta colpa sua, si ripeteva dentro di sé. Se non si fosse agitato, il ghiaccio sarebbe rimasto intatto e quel signore avrebbe salvato suo padre. Si rannicchiò su se stesso, incapace di smettere di piangere.

“Su. Alzati” lo rimproverò l’uomo “Piangere non serve proprio a niente”.

“Mamma..papà..”.

“Piangerli non li farà tornare. Muoviti, o finirai assiderato”.

“Lasciami in pace! Chi sei? Che cosa vuoi?”.

“Mi chiamano Borea, in onore dell’antica divinità del vento del nord. Vieni con me, piccolo. Capirai presto perché gli Dei mi hanno condotto qui da te..”.

“E se ti dicessi di no?”.

“Resteresti qui, da solo, nella bufera. Vieni con me, ho tante cose da insegnarti”.

“Ma è vero quello che hai detto? Che io controllavo il ghiaccio?”.

“Non sarei qui se non fosse stato così. É stato il tuo cosmo a chiamarmi”.

“Cosmo?”.

“Sì. Ti spiegherò anche questo. Oltre a come sfruttare le tue capacità. Vieni?”.

Borea si girò ed iniziò a camminare. Il bambino rimase qualche istante fermo. Aprì la sacca del padre e vi trovò un libro. Aveva un segno su una pagina ed una frase sottolineata.

 

Nella profondità dell'inverno, ho imparato alla fine che dentro di me c'è un'estate invincibile”

Albert Camus

 

 

“Camus! Sei pronto?” domandò Borea.

“Certo, maestro” annuì il bambino.

“Oggi dovrai dimostrarmi di essere degno dell’armatura d’oro”.

“Lo sarò”.

Ora il giovane allievo aveva sette anni. Solo da due era rimasto per l’addestramento in quella terra gelida ma fin da subito si era dimostrato all’altezza del compito. Seguendo il suo mentore, il bambino che ora si faceva chiamare Camus non si era accorto di dove quel cammino lo aveva condotto. Poi capì: quello era il luogo dove i suoi genitori avevano perso la vita.

“Dimostrami che sai controllare le tue emozioni, mio allievo” mormorò Borea, indicando un punto del lago.

“Che devo fare?” domandò l’apprendista, stringendo i pugni.

“L’armatura è in fondo a questo lago. Va a prenderla. Controlla il gelo e non affogare”.

“Io..”.

“Non avere timore, non titubare o tentennare. Sii fermo nelle tue azioni e controlla i sussulti del tuo cuore. Sii tu stesso il gelo, Camus, e torna qui da me con l’armatura”.

L’allievo annuì. Dopo pochi attimi, in cerca dell’assoluta concentrazione, il bambino saltò e si tuffò nel lago. Subito l’acqua gelida lo avvolse. Questo non fermò il piccolo, che continuò a nuotare verso il fondo. Qualcosa scintillava laggiù. Eccolo lo scrigno della sua armatura! Nuotò ancora e raggiunse la meta. Fece per indossare la pandora usando le spalline quando si voltò. Sobbalzò, lasciandosi sfuggire un po’ dell’aria che tratteneva. Qualcosa si era mosso nell’acqua ed aveva capito cos’era. I cadaveri dei suoi genitori, tenuti ancorati al fondo dalle cinghie della slitta, fissavano il vuoto. Erano messi in modo tale da sembrar proteggere l’armatura, custodirla per il proprio figlio. Il bambino iniziò a tremare, provando di colpo un gran freddo. Panico, quello era panico! Mise rapidamente lo scrigno sulle spalle e tentò di ritrovare la superficie. I suoi pensieri però erano appannati ed i suoi movimenti incerti. Risalendo troppo in fretta, con ormai pochissima aria nei polmoni, capì di avere una parete di ghiaccio sulla testa. Si agitò, disperato ma poi, di colpo, si fermò. Si morse il labbro, fortissimo, e strinse i pugni. Doveva controllare le sue emozioni! Ma come poteva farlo in un momento del genere?! Si concentrò e si scosse. Non poteva e non voleva morire così!

“Mère, père..je le fais pour vous!” si disse, e riuscì a riemergere, trovando il punto da cui si era tuffato.

Ansimando, uscì dall’acqua gelida. Con sé, aveva lo scrigno dell’armatura dell’Acquario.

“Tutto bene?” domandò il maestro.

“Sì..”.

L’allievo non mentiva. Sentiva una gran calma nel cuore, una gran pace. Sentiva come se, ottenendo quell’armatura, avesse donato la pace ai suoi genitori.

“Loro volevano che imparassi tante cose, che fossi qualcuno. Lo sono. Mamma, papà..sono un Saint!”.

 

“Maestro?” domandò Hyoga, perplesso nel vedere Camus perso nei suoi pensieri.

“Che stai facendo, Hyoga? Perché non ti alleni?” sbottò l’Acquario.

“Lo stavo facendo ma..il vostro sguardo..”.

“Sei troppo distratto. Se vuoi diventare cavaliere, non devi perdere tempo con simili sciocchezze”.

“Ma state bene?”.

“Certo. Sta tranquillo”.

Il bimbo biondo tornò ad i suoi allenamenti. Camus guardò l’orizzonte. Erano di nuovo su quel lago. Chissà quante vite giacevano sotto la sua coltre ghiacciata!

“Hyoga..spero che un giorno il tuo cuore possa essere più gelido del mio, che a volte ancora sussulta per i mali del mondo..”.


Ed ecco anche Camus. Ho voluto creare un collegamento fra maestro ed allievo. Spero sia gradito. A presto, con il prossimo piccolo Saint!

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Capitolo 3
*** La bellezza della morte ***


“Queste rose sono splendide” commentò l’uomo, annusandone il profumo “Da dove vengono, bella bambina?”.

“Io..non sono una bambina!” arrossì il piccolo.

“Oh! Sei un fanciullo, dunque? Chiedo perdono per lo sbaglio. È che il tuo aspetto è incantevole come queste rose”.

“Nessun problema. Mi scambiano spesso per una femmina..”.

“Il tuo accento è strano. Da dove vieni?”.

“Dalla Svezia”.

“Ti sei fatto un bel viaggio..”.

Il mercato era pieno di colori e tingevano come l’arcobaleno il bianco suolo della Groenlandia. Quella fiera cadeva una volta l’anno ed era fra le più grandi del mondo. Tutti i più bei tipi di fiori venivano esposti per le vie del paesino e gli abitanti si accalcavano per ammirare bellezze che quel luogo naturale non permetteva.

“Ogni anno veniamo alla fiera” spiegò il bambino “Papà era di qui vicino”.

“Ecco perché parli il kalaallisut così bene. Ma ora tuo padre dove sta?”.

“Non lo so, signore. È andato via, ricordo poco di lui”.

“Capisco. E tua madre? Ti lascia qui da solo a vendere fiori?”.

“Non sono semplici fiori! Sono diverse specie di rose, molte anche rare, che la mamma ha trovato il modo di far crescere rigogliose anche con il clima rigido della Svezia. Sono rose speciali”.

“Non ne dubito. Ma tu sei comunque un bambino da solo in un mercato..”.

“Mia mamma è malata” ammise il piccolo, leggermente infastidito “Purtroppo è costretta a letto e quindi ha pregato me di stare qui. Sono in grado di farlo!”.

“Non ti offendere. La mia non è un critica. E mi dispiace per tua madre. Spero stia meglio e mi auguro non sia qualcosa di grave..”.

“Ma a te che importa?”.

“Non imbronciarti! Rovini il tuo bel viso”.

“Un momento..sei uno di quelli che fa cose brutte ai bambini, vero? Uno di quelli da cui mamma dice che devo stare lontano!”.

“Ma che dici!? No! Sono solo preoccupato per te. Tieni..questi soldi usali per comprare delle medicine alla mamma. Con quello che resta, fai ciò che vuoi! Un bel giocattolo, un vestito, un dolce..quello che vuoi! Sarà il nostro segreto. E se lei dovesse peggiorare, fammelo sapere. Starò in paese per tutto il periodo della fiera e ti aiuterò volentieri”.

L’uomo si allontanò ed il piccolo svedese lo fissò un po’ perplesso. Che strani erano gli adulti!

 

I giorni passarono. Il tempo era buono, anche se il freddo si faceva sentire. Il bambino, quando ormai calava la sera, si stava preparando a rientrare. La notte a quelle latitudini durava poco in estate. Sbadigliando, il piccolo intravide una figura familiare lungo la via.

“Come sta la tua mamma?” domandò l’uomo, avvolto in un mantello chiaro.

“Non bene” ammise lo svedese “E tra poco dobbiamo tornare a casa..”.

“Posso? In farmacia cosa ti hanno detto?”.

“Mi hanno dato una medicina ma non è servita. Vuoi vederla? Però ti avverto: se hai brutte intenzioni, difenderò la mia mamma!”.

“Sei coraggioso, ma puoi stare tranquillo. Non voglio fare del male né a te né alla tua mamma”.

La donna riposava a letto. Il suo respiro era affannoso e bruciava di febbre. L’uomo si avvicinò e si guardò attorno. Subito notò una bellissima rosa rossa in un vaso, accanto al letto. La prese fra le dita e l’annuso, posandola poi immediatamente.

“Da dove viene questo fiore?” domandò, allarmato.

“Non te lo posso dire..” mormorò il bambino “Perché ti serve saperlo?”.

“Questa rosa..il suo profumo..è veleno!”.

“Veleno?!”.

“Sì. Per colpa sua, tua madre si è ammalata. Però..anche tu dormi in questa stanza! Ma tu stai bene!”.

“Sì..ma..”.

“Indagheremo dopo sul perché..”.

L’uomo, coprendosi metà del volto con il mantello, afferrò la rosa e la gettò in un cumulo di neve, attento a non pungersi con le spine.

“Ora la mia mamma guarirà?” chiese il piccino, preoccupato.

“Non lo so. Ormai ha il veleno in corpo..”.

“E tu non puoi fare niente?”.

“Ci provo..ora però devi dirmi da dove viene questa rosa. È molto pericolosa! Pensa a quanta gente potrebbe rischiare la vita, se ce ne fossero altre!”.

“Non ce ne sono altre..credo..”.

“Credi?!”.

“Le altre rose al mercato, quelle del mio bancone, erano velenose?”.

“No, certo che no”.

“E allora non ce ne sono altre”.

“Che mi nascondi, piccolo?”.

“Io..ecco..”.

Il bambino si guardò attorno, imbarazzato e spaventato. Poi una lacrima scese dal suo volto.

“È colpa mia..” gemette.

“Colpa tua? Cosa intendi dire?”.

“Quando ero più piccolo, guardavo sempre la mamma e le sue rose. Erano belle ma molto delicate e, con la stagione fredda, morivano. Io la volevo tanto aiutare. Bagnavo, piantavo, curavo..facevo tutto ma i fiori con il freddo morivano. Anche se erano nella serra, si indebolivano. Mi diceva sempre che le piante sentivano l’amore che gli trasmettevi e così una sera andai in serra. Mi concentrai, cercando di far capire alle rose che io volevo intensamente che fiorissero e rimanessero sempre belle. E fra le mie mani è spuntata una rosa”.

“Una rosa?”.

“Non è uno scherzo. So che pensi sia una balla..”.

“No affatto. Vai avanti”.

“Al mattino, mamma ha trovato tutta la serra fiorita. La rosa fra le mie mani era divenuta una bella pianta che non appassiva mai. Da quella volta, viaggiamo per le fiere e vinciamo tanti premi. Il giorno in cui siamo arrivati qui, era il compleanno di mamma. Per farle un regalo, ho deciso di creare una delle mie rose, davanti a lei, per farle una sorpresa. Ma non capisco..le altre non erano velenose..”.

“C’era qualcos’altro di diverso, oltre al veleno?”.

“La prima rosa era più piccola. E non era cattiva..”.

“Le rose sono simbolo di vita e morte. I loro fiori sbocciano ed incantano perfino gli spiriti dei defunti. Resti estasiato guardandone i petali ed assaporandone il profumo, così la cogli. Ma ci sono le spine.  Se ti pungi con una rosa, è perché essa non è destinata a te. E poi la rosa china il capo quando viene colta e muore”.

“Ma questo cosa vuol dire?!”.

“La prima volta, la tua rosa era ancora acerba, incompleta. Ora invece è maturata ed ha acquisito il suo potere: il veleno!”.

“Cosa stai dicendo? Non capisco?”.

“Hai mai sentito parlare dei cavalieri d’Atena?”.

Il piccolo scosse la testa. L’uomo sorrise: aveva molto da dire a quel fanciullo dai boccoli d’angelo!

 

“Ditemi la verità: mamma è morta solo per colpa mia” pianse il bambino.

“Non potevi sapere certe cose” cercò di consolarlo l’uomo, accarezzandogli la testa.

Il piccolo osservò in silenzio la bara e poi si allontanò. L’uomo lo seguì.

“Potrei uccidere anche te. Stai attento” commentò lo svedese.

“No, non puoi. Il tuo veleno non è ancora abbastanza potente”.

“Vuoi provare?”.

“No, grazie..”.

I due camminarono ancora un po’. La fiera era terminata ed i negozianti stavano togliendo tutti i fiori dalle strade. Così facendo, il bianco aveva di nuovo il sopravvento.

“Ma quindi io..ora che faccio?” si chiese il bambino, solo al mondo.

“Io già ti ho spiegato il tuo destino”.

“Ma pensi sul serio che il mio futuro sia al grande tempio?”.

“Certo..”.

“Per via del mio sangue velenoso?”.

“Esatto”.

“Ma perché il mio sangue è così?”.

“Il tuo cosmo è così. Ci sei nato perché venuto al mondo sotto l’influenza delle stelle e di Atena”.

“E perché, visto che il veleno nel sangue lo hai pure tu, non ti prendi l’armatura dei Pesci e vai tu in Grecia?”.

“Perché io sono solo un custode, che tramanda la conoscenza dei cavalieri dei Pesci del passato. Ma il mio cosmo non è così potente da farmi creare le rose necessarie ad avere quel ruolo. Ma il  tuo sì. Ti consiglio di provarci..”.

“Non voglio un potere così terribile!”.

“Devi imparare a controllarlo, o farai del male ad altre persone”.

“E se poi diventa più forte? Non voglio uccidere innocenti!”.

“Ma non lo dovrai usare contro gli innocenti! Il tuo potere è un dono per poter aiutare i deboli e punire i malvagi!”.

“Non sono Superman! Mi hai guardato? Sono un bambinetto che tutti scambiano per una femmina! Non posso combattere!”.

“Il combattimento non è solo forza fisica, ragazzo! Conosci la Dea greca Aphrodite?”.

“No..”.

“Lei non combatteva. Eppure, con la sua bellezza, ha cambiato il corso di molte battaglie”.

“E come?”.

“Uno scontro non è solo brutalità e violenza. Vedilo piuttosto come una danza. Come una rosa, devi essere bellissimo ma allo stesso tempo pericoloso. Splendido, ma con le spine”.

“E come faccio?”.

“Te lo posso insegnare. Però prima devi venire con me. Se davvero sei convinto, devi far tua l’armatura”.

 

Insieme, i due raggiunsero una grotta, ben nascosta fra il bianco della Groenlandia. Il bambino spalancò gli occhi. Le pareti di quel luogo erano tappezzate di rose rosse. Il loro profumo dava leggermente alla testa.

“Ecco l’armatura” spiegò l’uomo, indicando un punto.

Fra le rose, seminascosta, si intravedeva l’oro della Pandora Box.

“Le rose la difendono” riprese “Per me il loro veleno è troppo potente ma, se tu riuscirai a raggiungerla, sarai degno di indossarla”.

“E se non ci riesco?”.

“Allora non uscirai vivo da qui..”.

“Oh..”.

Il piccolo prese coraggio. Affondò i piedi nelle rose e sorrise. Non sembrava una cosa difficile! Subito però vide degli scheletri fra quei fiori. Quante persone avevano tentato? Probabilmente molti erano poveri stolti che, vedendo il luccichio dell’oro, si erano addentrati nella grotta, morendo all’istante. Il fanciullo si stupì nel trovare incredibilmente bello l’effetto che creavano le ossa bianche fra le rose color del sangue. Era quella dunque la bellezza della morte? Passò oltre. Altri scheletri si mostrarono. Un cranio scricchiolò sotto i piedi del bambino, senza però infrangersi. Delicato ed aggraziato, il piccolo svedese si fermò. Le gambe gli bruciavano, graffiate dalle spine. Con le vesti ormai piene di strappi,  strinse i denti e riprese il cammino. Lo scrigno ormai era vicino e cercò di ignorare il dolore e lo stordimento. Il veleno delle rose era forte ed appannava la mente.

“Ci siamo!” si incoraggiò il bambino e sorrise.

Allungò la mano verso l’armatura ma sentì le gambe cedergli. Cadde in ginocchio, quasi svenendo.

“No!” disse “Non devo arrendermi! Devo imparare a controllare il mio potere!”.

Per un attimo la lucidità prevalse e riuscì a toccare lo scrigno. Questi si illuminò e si aprì, bagnato dal sangue velenoso del suo nuovo padrone. Ma poi si fece tutto nero..

 

Quando riaprì gli occhi, il piccolo svedese trovò il profumo di quelle rose inebriante. L’armatura lo stava proteggendo e si accorse che molti dei fiori si erano spostati, creando un varco per far uscire dalla grotta il ragazzino. Lo avevano riconosciuto come padrone di quelle vestigia. Appena ne fu in grado, con la pandora sulle spalle come uno zaino, lo svedese uscì e raggiunse colui che lo aveva condotto fino a lì.

“Bravissimo” sorrise l’uomo “Ora, se permetti, sarò il tuo maestro fin quando ne sarò in grado”.

“In grado?”.

“Quando non avrò nulla di insegnarti, sarà il grande tempio a prendersi cura di te”.

“Va bene..maestro”.

“Andiamo. Mio sarà il compito di esaltare il tuo potere e la tua bellezza”.

“Bellezza?”.

“In ogni cosa, perfino nella morte, vi è la bellezza. Se riuscirai a cogliere questo aspetto, le tue rose colpiranno sempre il bersaglio”.

“E perché?”.

“Perché non c’è nulla di più bello di un cuore che batte trafitto da spine!”.

 

Il sole di Grecia era caldo, anche troppo. Il piccolo si incamminò cauto verso l’anfiteatro. Con lo scrigno sulle spalle, cercò di raggiungere al più presto le scale del tempio, per nascondersi nella casa. Temeva di fare del male a qualcuno e quindi sperò di non incontrare nessuno.

“Hei!” però gridò una voce di fanciullo “Dove vai? Chi sei?”.

“Io?”.

Era strano capirsi. Ma il suo maestro gli aveva insegnato la lingua del tempio.

“Sì, tu. Sei un bambino o una bambina?”.

“Sono un bambino! E sono pericoloso, perciò vai via”.

“Che scorbutico! Come mai saresti pericoloso?”.

“Il mio cosmo è velenoso”.

“Il mio apre la porta del regno dell’oltretomba”.

Il nuovo arrivato rimase qualche istante in silenzio. Che strano bambino aveva di fronte! Aveva in sé il potere del sonno eterno eppure sorrideva felice. Fosse quella la bellezza della morte?

“Come ti chiami?”.

“Mi faccio chiamare Deathmask. E tu?”.

“Io? Io..Aphrodite”.

“Ah..benvenuto al grande tempio. Ma..sei sicuro di essere un maschio?”.

 

 

Ecco anche il piccolo Aphrodite. Sotto certi aspetti è inquietante, chiedo venia. In Lost Canvas viene detto che i Pesci si passano il sangue con il patto di sangue ma non sapevo quale cavaliere potesse esserci dopo Albafika. Quindi ho deciso di fare così, immaginando un luogo misterioso in attesa del “prescelto”. Che ne pensate? Alla prossima avventura dei mini Saint!

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Capitolo 4
*** Amicizia ***


“Fratellone..” mormorò il piccolo, seduto a tavola “..c’era un bambino fra gli alberi”.

“Aiolia, questa zona dell’isola è riservata al tempio, chiusa al pubblico. Non ci sono bambini” ribatté il Sagittario.

“In realtà..” si intromise l’anziano custode “..c’è un bambino da queste parti. Ogni tanto si fa vedere. Non ha mai voluto entrare qui, si limita a rubare cibo e vestiti. Ovviamente compriamo cose appositamente per lui e le lasciamo in punti strategici”.

“Pare parliate di un selvaggio” sorseggiò una bibita il giovane cavaliere “Non certo di un bambino che vive in Grecia”.

“È di sicuro orfano ma è un tipetto niente male. Tosto al punto giusto”.

“Tosto? È solo un povero bambino! Quanti anni ha?”.

“Parlate come un vecchio! Meno male che siete solo un ragazzino..seppur con l’armatura d’oro!”.

“E non avete mai sentito parlare quella gran piaga di Saga..” ridacchiò Aiolos “Ma..tornando seri..dobbiamo fare qualcosa per quel bambino! Avrà bisogno di cure, vestiti decenti, istruzione!”.

“Se volete, potete provate a catturarlo. Non sarebbe male come prima missione, Sagittario”.

Aiolos aveva appena ricevuto la sua armatura ed era stato mandato su quell’isola per verificare le condizioni delle vestigia  custodite su quell’isola. Il Gran Sacerdote era impaziente: era ora che tutti i cavalieri d’oro si risvegliassero!

“Posso andare a giocare fuori, fratellone?” domandò timidamente Aiolia.

“Sì, va bene. Ma se ti chiamo, devi correre qui!”.

 

“Il bambino diventerà cavaliere?” domandò l’anziano, una volta che Aiolia fu uscito dalla stanza.

“Lo spero. Lo sto addestrando io..”.

“Ma siete così giovane! Non è un impegno troppo grande?”.

“No, affatto. Cancro, Pesci e Capricorno sono più piccoli di me ed hanno già l’armatura d’oro”.

“Ma nessun fratello di cui prendersi cura”.

“Mio fratello non è un peso. Anzi, è una continua fonte d’orgoglio”.

Nella sala entrò una giovane che arrossì leggermente, temendo di aver interrotto qualcosa di importante. Portava un vassoio con qualche fetta di dolce e l’anziano le sorrise.

“Lei è la mia nipotina Sophia. Aiuta a non sentirmi troppo solo in questo posto sperduto. Un giorno sarà lei a fare la guardia all’armatura dello Scorpione, quando io non ci sarò più”.

“Spero di no” sorrise Aiolos “Spero che il cavaliere che la dovrà indossare per l’imminente guerra santa si faccia vedere e la porti via dall’isola!”.

“Ma è proprio sicuro che ci sarà questa guerra santa?” si preoccupò la fanciulla.

“Sì, assolutamente”.

“Che paura..meno male che ci sarete voi, forti cavalieri, a proteggerci”.

Aiolos arrossì leggermente. Non era abituato a sentirsi fare i complimenti dalle ragazze.

 

Aiolia camminò fra i meli. Ne osservò i frutti. Ne voleva tanto uno e quindi si arrampicò. Sedette fra i rami ed addentò una mela, soddisfatto. Poi sobbalzò. Qualcuno lo osservava.

“Sei il bambino che vive qui?” ipotizzò il piccolo ed udì un piccolo ringhio.

Aiolia non sapeva che fare e si sentì molto a disagio.

“Non volevo darti fastidio” parlò ancora “Questa mela era tua?”

Calò di nuovo il silenzio ed ecco che udì una risata divertita. Dall’ombra spuntò un bambino dai capelli scompigliati ed il viso leggermente sporco di fango.

“Sei un fifone!” lo derise e Aiolia si imbronciò.

“Non è vero!” si offese l’aspirante Leone “È che tu sei nascosto e mi spii. Che cosa vuoi?”.

“Niente. Sei bravo ad arrampicarti”.

“Grazie. Sono un aspirante cavaliere”.

“Cioè? Vai a cavallo?”.

“No, i cavalli non c’entrano!”.

“E allora perché usi il termine cavaliere?”.

“Non lo so..”.

I bambini rimasero in silenzio qualche istante e poi scoppiarono a ridere.

“Io sono Aiolia. Tu?”.

“Mi chiamano tutti Milo”.

“Ma vuol dire “mela”! Perché ti chiamano così?”.

“Non lo capisci?” ghignò Milo, addentando un frutto.

“Forse l’ho capito..”.

“E poi..tu hai il nome di un’isola, proprio come me!”.

“Sì, è vero. La mitica isola di Aeolia. Mio fratello mi racconta spesso questa storia. Mi chiamo così perché è il nome dell’isola dove ha la casa Aiolos, il dio del vento. Mio fratello viene chiamato Aiolos e quindi io ho preso questo nome”.

“E perché tuo fratello si chiama come Eolo, il Dio del vento?”.

“Che ti importa? E poi..perché secondo me Aiolos suona meglio di Eolo, che mi fa pensare ai sette nani!”.

Milo non capì del tutto quel ragionamento ma finse di comprendere e rise.

“Perché tu e tuo fratello siete qui?” domandò poi.

“Siamo qui per sorvegliare una cosa molto importante”.

“Che cosa?”.

“Non te lo posso dire. È un segreto”.

“Un segreto?”.

“Sì. Roba da grande tempio che non puoi capire”.

“Ah..ok..”.

“Devi stare lontano da quel posto che custodiamo, capito? È proibito!”.

“E se no che mi succede?”.

“Verrai punito!”.

Per nulla convinto, il piccolo abitante dell’isola finse disinteresse. Parlò ancora un po’ con l’aspirante Leone e poi lasciò che rientrasse a casa, dopo il tramonto. Doveva capire che cosa di così prezioso stavano sorvegliando. Non pensava che su quell’isola ci fosse qualcosa di valore! Attese il buio e poi si addentrò nel giardino. Teoricamente era custodito ma nessuno notò quel bimbetto nell’ombra. Fra i rovi ed i cespugli, riuscì ad intravedere una strana scatola d’oro. Com’era bella! Fece per avvicinarsi ma di colpo qualcuno spuntò e lo afferrò saldamente.

“Preso!” sibilò Aiolos “Cosa pensavi di fare?”.

“Lasciami! Aiuto!” protestò Milo.

“Piccolo ladro! Volevi portar via l’armatura, eh?”.

“Lasciami! Va via!”.

Il bambino si dimenò ed infine Aiolos lasciò la presa. Milo, preso alla sprovvista, incespicò e scivolò, cadendo addosso allo scrigno d’oro.

“Vieni subito via!” minacciò Aiolos “Qui non ci puoi stare!”.

“Sì, me lo hanno detto” ghignò Milo, accarezzando la pandora con aria di sfida.

“Ringrazia gli Dei che sei solo un bambino, altrimenti ti avrei punito duramente!”.

“Prova a prendermi!”.

Il bambino fece una boccaccia e rise. Aiolos, sospirando, tentò di afferrarlo di nuovo. Appena si avvicinò troppo però, lo scrigno brillò e l’armatura ne uscì.

“Che succede?” si spaventò il Sagittario, riuscendo a tirare a sé il piccolo Milo “L’armatura è adirata? L’abbiamo disturbata?”.

La coda delle vestigia dello Scorpione sferzarono l’aria, in cerca di un bersaglio. Aiolos indietreggiò, con il bambino stretto fra le braccia. Milo non era contento di quel trattamento e si dimenò, tentando di riconquistare la libertà. Ci riuscì mordendo il braccio del giovane cavaliere che, preso alla sprovvista, lo lasciò.

“Non mi fa paura!” rise il piccolo, dando le spalle all’armatura.

“Stai attento!” si allarmò Aiolos, provando a portarlo lontano da quel luogo e richiamando a sé le vesti del Sagittario.

La coda dello Scorpione scattò e brillò. Il piccolo gridò ed il cavaliere lo afferrò. Questa volta non lo lasciò andare e fuggì, lasciandosi alle spalle l’armatura. Questa reagì, lanciando con la sua coda una raffica di Cuspidi. Il Sagittario si coprì con le ali delle vestigia e riuscì a raggiungere la piccola casa del custode. Lo Scorpione desistette.

“Siamo in salvo!” ansimò Aiolos “Spero che starai attento la prossima volta!”.

Senza ricevere risposta, il giovane guardò il bambino che teneva fra le braccia e trasalì. Il piccolo era ferito e gemeva dal dolore.

“Ah! Ti ha colpito una Cuspide!” esclamò Aiolos, spalancando gli occhi “Io..io..perdonami! Non sono stato abbastanza bravo da riuscire a proteggerti! Che razza di cavaliere che sono..”.

L’anziano custode e la nipote raggiunsero i due, svegliati dal frastuono. Subito capirono ciò che era successo al bambino.

“Aiutatelo!” parlò il Sagittario “Ci deve essere un modo!”.

“Purtroppo il veleno dello Scorpione è potente, specie per un bambino così piccolo. Non esiste cura! Solo il cavaliere dello Scorpione può guarire il suo stesso veleno”.

“Quindi questo bambino morirà per colpa mia?”.

“Signor Aiolos..non colpevolizzatevi per..”.

“Tacete! Trovate piuttosto un rimedio!”.

“Non esiste! Non vedrà l’alba di domani..”.

Aiolos rimase in silenzio, sentendosi tremendamente in colpa.

“Cercate di riposare. Darò al piccolo delle erbe che lo faranno dormire. Non si accorgerà di niente. Non soffrirà. È l’unica cosa che possiamo fare” parlò l’anziano.

“Ma io..”.

“Giovane cavaliere, avete ancora molto da imparare..”.

“Lo so..”.

 

Quando spuntò il sole, Aiolos non aveva il coraggio di entrare in quella stanza. Immobile lungo il corridoio, guardava la porta dietro cui il piccolo ferito era stato messo a letto. Non voleva vederne il cadavere, ma qualcuno doveva prendersi cura di quel piccino nel suo ultimo viaggio.

“Cosa fai?” domandò Aiolia, facendo sobbalzare il fratello.

Il bambino stava mangiando biscotti e riempiendo di briciole tutta la casa.

“Cosa fai in piedi a quest’ora?” rispose il Sagittario.

“Avevo fame..”.

Senza dire altro, l’apprendista Leone corse e spalancò la porta che Aiolos tanto temeva di varcare. Il fratello maggiore tentò di fermarlo, non volendo assolutamente che il fratellino vedesse il cadavere di un bambino come lui! Non ci riuscì ed udì Aiolia gridare.

“Fratellino!” lo raggiunse il Sagittario, temendo il peggio.

“Hai mangiato tutti i biscotti!” urlò l’aspirante cavaliere.

“Scusa. Avevo fame” rispose una voce da bambino.

“Ma..tu..” si stupì Aiolos, nel vedere il piccolo ferito seduto sul letto con un grande sorriso stampato sulla faccia.

“Ma erano i miei biscotti!” protestò ancora Aiolia.

“Ti ho fatto un favore” ghignò Milo “Hai bisogno di stare a dieta, che sei ciccione!”.

“Non è vero!”.

Il Sagittario tirò un sospiro di sollievo. Il piccolo era vivo e stava bene. Era riuscito a sopravvivere all’armatura dello Scorpione! Ma questo voleva dire che..

 

“Com’è stato il tuo primo viaggio come cavaliere del Sagittario?” domandò Saga, con l’armatura di Gemini che scenograficamente scintillava al sole.

“Non saprei” ammise Aiolos “Commetto moltissimi errori. Non capisco come potrò io addestrare mio fratello, viste le mie lacune”.

“Oh, ma che dici? Nessuno nasce perfetto! Devi imparare, no?”.

“Sì ma ho rischiato di far morire un bambino per la mia incompetenza! Devo assolutamente migliorare”.

“Perfetto. Ti va un po’ di allenamento assieme a me?”.

“Tu non hai bisogno di allenamento. Tutti ti considerano una sorta di divinità”.

“Mica lo sono per davvero, Los! Solo perché ho ottenuto l’armatura per primo, non significa che sia il migliore di tutti!”.

“Diventerai Gran Sacerdote. Ed io sarò lieto di servirti. È quel che vogliono tutti”.

“Non dire cose che..”.

Saga si zittì, perché Shion si stava avvicinando. Entrambi i cavalieri fecero un inchino rispettoso al Sacerdote e questi sorrise.

“Mi è giunta voce, Aiolos, che hai trovato il portatore dell’armatura dello Scorpione” parlò.

“Sì, sull’isola di Milo”.

“Ottimo lavoro. E come lo hai capito?”.

“Il piccolo è quasi morto per colpa della Cuspide lanciata dalle vestigia, che io non sono stato in grado di parare. È sopravvissuto e poi, quando si è avvicinato di nuovo all’armatura, questa lo ha riconosciuto come suo padrone”.

“Splendido! È un bambino? Ora dov’è?”.

“Ha l’età del mio fratello minore. Ed è rimasto sull’isola per apprendere qualche tecnica in più. Poi giungerà qui, presto”.

“Ottimo lavoro! Sono fiero di te. Ora continua l’addestramento di Aiolia”.

“Io..veramente..”.

Il Gran Sacerdote si allontanò. Aiolos sospirò e si voltò, fissando Gemini. Lo sguardo di Saga aveva qualcosa di strano ma preferì non indagare: aveva ben altro per la testa!

 

 

Volevo ringraziare Korin 2B (è su devianart, come me. Date un’occhiata!) per l’ispirazione. Così si conclude anche il capitolo su Milo. Spero che sia di vostro gradimento, anche se è forte la presenza di “estranei” come Aiolos ed Aiolia. Mi piaceva sottolineare il fatto che sul sagittario grava una responsabilità non da poco e non farlo sembrare il solito “invincibile stile superman”. Milo fra le mele era una scelta quasi “obbligata”. A presto, con la prossima avventura!

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Capitolo 5
*** Generazioni ***


“Mi annoio” ammise il bambino, guardando altrove.

“Concentrati!” sbuffò Shion “Quel che ti sto spiegando, è molto importante!”.

“Ma sono sempre le stesse cose!”.

“Che devi imparare bene”.

“Uffa..”.

Non riusciva proprio a concentrarsi. Fuori il tempo era così bello! Voleva giocare!

“Guarda il piccolo Aiolia!” lo rimproverò ancora, velatamente, Shion “Si sta allenando con suo fratello e non si lamenta!”.

“Ma sono stanco! Questi cosi sono pesanti!”.

“Sono indispensabili per riparare le armature e solo tu puoi imparare come fare”.

“E perché? Non puoi insegnarlo a Saga, che è grande ed ha già l’armatura? Così la smette di fare strane facce quando nessuno lo guarda?”.

“Non so di che parli ma, ad ogni modo, sei tu quello che lo deve imparare! E adesso fammi vedere quel che hai capito”.

Il bambino sospirò rassegnato. Davanti a sé aveva un’armatura di bronzo danneggiata. Quando era più piccolo, quegli oggetti lo affascinavano. Shion lo teneva in braccio e gli diceva che sarebbe stato un grande cavaliere con un ruolo fondamentale e lui si sentiva importante. Ora però, che erano trascorsi degli anni, fare la stessa cosa ogni giorno era diventato troppo noioso. Inoltre sentiva la mancanza di casa. Chissà come stava la sua mamma? A volte andava a trovarla, ma era triste senza di lei. Guardò quasi con fastidio quell’armatura ed iniziò a lavorarci, con gli strumenti che aveva davanti e un po’ di polvere stellare. Il danno era lieve e quindi non dovette usare il sangue. Le vestigia brillarono e ripresero la forma originale. Shion sorrise, orgoglioso del suo piccolo allievo.

“Sei quasi pronto..però ancora ti manca qualcosa per poter essere un cavaliere”.

“E che cosa?” domandò il bambino.

“Lo scoprirai”.

“E se non lo scopro?”.

Shion non rispose. Passò una mano fra i capelli lilla dell’allievo e continuò a sorridere. Il piccolo lo fissò perplesso. Perché non rispondeva? Poi il sacerdote tornò serio.

“Devi fare ancora esercizio” parlò l’uomo.

“Ma ci sono riuscito! Ho riparato l’armatura!”.

“Sì, ma ancora devi raggiungere lo stato ideale per divenire cavaliere. Esercitati. Ora torno alle mie mansioni e spero per te che non ti metterai a giocare appena distolgo lo sguardo”.

“No. Farò esercizio” sospirò di nuovo il bambino, fingendo entusiasmo.

Non appena rimase da solo, il piccolo si esercitò ancora un po’. Poi si distrasse. Pensò a quanto fosse bello giocare con gli altri bimbi, se solo al tempio ci fosse qualcun altro oltre a lui e Aiolia! Aiolos e Saga erano grandi e noiosi, sempre seri. Deathmask, Aphrodite e Shura stavano per conto loro e lo ignoravano. Pensò fosse meglio andare a fare un giro e si teletrasportò a casa.

“Mamma!” sorrise, raggiungendo la donna “Sono qui!”.

“Oh, piccolo mio!” lo accolse lei, abbracciandolo “Ma..Shion sa che sei qui?”.

“No. Non crede che io possa teletrasportarmi fino a qui”.

“Sei un piccolo fenomeno. Ma devi tornare subito al Grande Tempio!”.

“Ma no, mamma. Lasciami stare qui almeno un po’. Sai, oggi sono riuscito a riparare un’armatura!”.

“Ah, allora sei pronto”.

“Shion dice ancora di no..”.

“Sei piccolo. Hai solo sette anni..”.

“Non voglio diventare cavaliere, mamma”.

La madre guardò il bambino, non aspettandosi quella frase. Gli accarezzò i capelli, cercando di consolarlo.

“Perché non vuoi, piccolo mio? Non essere triste..”.

“Io voglio stare qui con te. Aiutarti. Voglio stare qui..”.

“Piccolo, sono fiera che tu ami così tanto il tuo luogo d’origine, ma il tuo destino non è qui”.

“Ma perché io? Perché proprio io devo diventare cavaliere? Non è giusto che un bambino stia senza mamma”.

“Sei stato scelto dalle stelle. Dovresti esserne felice”.

“Che si estinguano le stelle!”.

“Non dire così! Anche io sono triste se sei lontano da me, ma sono così orgogliosa del fatto che il mio bambino sia il prossimo cavaliere d’oro di Atena che..”.

“Ad Atena cosa serviamo? Perché noi Lemuriani dobbiamo riparare le armature?”.

“Perché solo noi, fin dal tempo del mito, abbiamo imparato certe cose. Ed uno solo di noi ha l’onore di divenire cavaliere e servire la Dea”.

“E morire..”.

 “Smettila di fare i capricci! E segui la tua strada. Io ti voglio bene, ma sarei la donna più felice del mondo se un giorno tu venissi qui con indosso l’armatura d’oro”.

“Anche tu vuoi questo..”.

Il bambino era deluso. Perché tutti volevano la stessa cosa? E se non ne fosse stato in grado?

“Dove vai?” chiese la madre, vedendo il piccolo che si allontanava.

Non volendo tornare al tempio, l’apprendista camminò per il piccolo villaggio. Loro Lemuriani erano in pochi e molti di loro vivevano solitari. Forse doveva farlo pure lui..rifugiarsi in qualche montagna del Tibet ed ignorare il Mondo! Al centro della piazza, una statua si ergeva, leggermente coperta di neve. La fissò.

“Sai chi è quello?”domandò un uomo, avvolto da un pesante mantello, avvicinandosi.

“No e non mi interessa”.

“Quello è il primo Lemuriano a servizio di Atena. Lui per primo ha difeso tutti noi”.

“Difeso?”.

“I cavalieri di Atena combattono per difendere i deboli. Quando scoppia la guerra santa, i cavalieri di Atena difendono l’umanità. E pensa come mai sarebbe possibile questo se non ci fosse uno di noi in grado di riparare e costruire le armature! Tu sei il bimbo scelto per servire il santuario. È un compito fondamentale”.

“Fondamentale, tu dici?”.

“Certo. Pensavi forse di no?”.

“Al tempio c’è Shion. È più forte e bravo di me. Io non servo”.

“Shion è anziano, ormai. E stanco. Quando lui non ci sarà più, tuo sarà il compito di sorvegliare la casa dell’Ariete dai nemici e riparare le sacre vestigia”.

“Tutto da solo?”.

“Non ti spaventare. Ne sarai di certo all’altezza, perché Atena stessa ti ha scelto”.

“Capisco. Però..mi manca tanto la mamma”.

“Tua madre è viva ed è qui, che ti aspetta. Vienila a trovare tutte le volte che vuoi, ma ricorda sempre il tuo ruolo. Come rappresentate del popolo Lemuriano, non puoi scoraggiarti”.

Il bambino osservò con più attenzione la statua. Che sguardo fiero aveva!

“Ci proverò” disse, a se stesso ed all’uomo che aveva accanto.

“Bravo” si sentì rispondere e l’incappucciato gli spettinò i capelli.

Il bambino ridacchiò e poi si voltò. L’uomo non c’era più.

 

“Geia sas!” salutò Milo, sorridendo a chi aveva di fronte.

“Bonjour..” rispose il nuovo arrivato.

“Io sono Milo, cavaliere d’oro dello Scorpione. Sono appena arrivato. Anche tu?”.

“Camus. Sì, sono appena arrivato”.

“Sei un cavaliere?”.

“Sì. Acquario”.

“Andiamo a cercare gli altri” sorrise lo Scorpione.

 

Tornato al tempio, con un po’ più di convinzione, il piccolo si rimise al lavoro su alcune armature. Poi sentì un rumore e si fermò.

“Chi c’è?” domandò.

Fuori dal tempio, due grandi occhi azzurri lo fissavano. Rispose allo sguardo ed inclinò la testa.

“Aiolia? Sei tu?” insistette e qualcuno rise.

“Non paragonarmi a lui! Io sono molto più bello” ghignò Milo, mostrandosi.

Dietro di lui, Camus si guardava attorno con curiosità.

“Che cosa fai?” chiese proprio l’Acquario all’apprendista di Shion.

“Io? Mi esercito. Così imparo a riparare le armature”.

“Davvero?! Mi fai vedere?”.

L’allievo annuì, stupito da quella richiesta. Riparò un piccolo pezzo di un’armatura e Camus lo osservò con grandi occhi ammirati.

“Sei bravissimo!” commentò ed il Lemuriano arrossì.

“Sei un cavaliere d’oro?” si aggiunse Milo.

“No, non ancora. Ma ci provo, così la mia mamma sarà fiera di me”.

“Mamma? Hai ancora la mamma?” parve stupito lo Scorpione.

“Sì. Voi no?”.

Acquario e Scorpione scossero il capo.

“Io non me la ricordo” ammise Milo “Non so nemmeno il suo nome”.

“Nemmeno tu ricordi la tua mamma?” chiese educatamente l’apprendista, guardando Camus.

L’Acquario distolse lo sguardo ed i due bambini capirono che era meglio non entrare di nuovo in argomento. Il Lemuriano fissò i suoi strumenti. Saga, Aiolos, Aiolia, Milo, Camus..erano tutti senza la mamma! Eppure erano lì, con l’armatura d’oro! Solo in quel momento il bambino si rendeva contro di quanto fortunato era perché, infondo, aveva sempre una mamma che non vedeva l’ora di vederlo con addosso le sacre vestigia! E lo incoraggiava, lo consolava e lo sosteneva.

“Perché hai quelle strane sopracciglia?” si incuriosì Milo, toccandole “Perché sono tonde?”.

“Sono tipiche del mio popolo. Io sono Lemuriano”.

“Coloro che vivevano nel mitico continente Mu?” si stupì ancora Camus.

“Sì. Ora stiamo fra le montagne della catena dell’Himalaya. Ma non posso dirti dove, perché è segreto”.

L’apprendista arrossì, imbarazzato. Mai nessuno lo aveva guardato con simile ammirazione e curiosità!

“Scusatemi..” sorrise il Lemuriano “Devo andare adesso. Ma torno subito!”.

 

“Maestro!” chiamò l’apprendista “Maestro, siete qui?”.

Entrò cautamente alla tredicesima dimora, quella del Gran Sacerdote e vi vide un uomo incappucciato.

“Maestro!” lo riconobbe il bambino “Eravate dunque Voi? Voi mi avete spiegato la storia legata a quella statua al villaggio!”.

“Sì, piccolo mio” ammise Shion, togliendosi il pesante mantello.

“Ma quindi..sapevate che andavo da mamma teletrasportandomi? E non mi avete sgridato?”.

“Una madre è un dono prezioso, mio caro. Il suo amore è importante. Non posso certo sgridarti se vuoi vederla, anche se preferirei che non mi tenessi nascoste le cose”.

“Non lo farò più. Io..diventerò un cavaliere d’oro! Ora ho capito!”.

“Hai capito?”.

“Sì. Ho un ruolo importante. Io devo divenire cavaliere d’oro e difendere il Mondo, affinché non ci siano più i cattivi. Diventerò cavaliere d’oro per impedire che ci siano altri orfani. Voglio che tutti i bambini possano ricevere l’abbraccio di una mamma. Inoltre, trasmetterò il sapere della mia gente, che in tempi antichi ha giurato fedeltà ad Atena!”.

Shion sorrise. Si avvicinò al bambino ed annuì.

“Hai capito. Sei un vero cavaliere” commentò.

“Davvero?” mormorò il piccolo, piuttosto stupito.

“Sì. L’Ariete d’oro”.

“Maestro io..io..può il mio nome da cavaliere essere Mu?”.

“Mu?”.

“Sì, come il continente mitico da cui veniamo”.

“Mi piace. Mu, cavaliere d’oro dell’Ariete. Suona bene”.

 

“Un fratello, dici? Che bella notizia” sorrise Aldebaran.

“Non lo è affatto” scosse la testa Mu “Io ho solo dodici anni! E mia madre è morta per colpa di quel bambino..”.

“Questi discorsi mi disgustano. Non me li aspettavo da te” si intromise Aiolia, fissando l’Ariete d’oro con rimprovero “Anche mia madre è morta in seguito alla mia nascita, ma mio fratello Aiolos si è preso cura di me”.

“Aiolos il traditore?” sbottò Deathmask “Non è un gran bell’esempio”.

“Quel bambino innocente non ha colpa” ringhiò Aiolia “Merita di ricevere affetto come tutti gli altri bambini. E tu, Mu, sei il suo fratello maggiore! Hai l’obbligo di prenderti cura di lui!”.

“Ma sei un drogato?! Tu avevi l’aiuto di Shion. Io che dovrei fare? Sono un adolescente, dopotutto, e dalla notte degli inganni il mio maestro non è più lo stesso”.

“Siamo tutti adolescenti ma, prima di questo, siamo cavalieri. Ed è nostro compito prenderci cura degli indifesi. Per quel che riguarda il maestro Shion..”.

“Vi mancano i baci e gli abbracci di Shion?” sfotté il Cancro, che sapeva bene che in realtà il posto di Gran Sacerdote non era più occupato da Shion da anni.

“Non è quello il punto!” sbottò Mu “Dico solo che quel bambino ha ucciso mia madre”.

“Ma è tuo fratello!” protestò ancora il Leone “Vai almeno a vederlo! Poi decidi. Fra i Lemuriani ci sarà chi si prenderà cura di lui, se tu proprio non ci riesci”.

 

L’Ariete, seppur controvoglia, raggiunse il suo popolo. Appena arrivato, udì subito il vagito di un neonato. Era qualcosa di strano e raro per quel luogo.

“Ben arrivato” lo salutò un’anziana “Vieni. Il tuo fratellino ti aspetta”.

Mu tentennò ma la signora era piuttosto insistente e lo tirò per il braccio, trascinandolo in casa. Dentro una semplice culla, si udiva un pianto disperato.

“Ah, fa casino come un Orco!” storse il naso Mu.

“Un orco dalle nobili origini” ridacchiò un’altra donna, che stava in piedi accanto alla culla.

“Un orco terribile. Che uccide le donne venendo al mondo..”.

“Non dite queste cose, Signor Mu!”.

L’Ariete si avvicinò alla culla ed il piccolo smise di piangere, di colpo. Tutti i presenti, i curiosi del paese, si stupirono. Lo sguardo dei due fratelli si incrociò e Mu tacque. Rimase fermo, in silenzio, ad osservare quel minuscolo bambino dai capelli arancio.

“Ha gli occhi di vostra madre” commentò l’anziana.

“Sì, lo vedo” ammise Mu.

Il ragazzo raccolse il coraggio e prese in braccio il fratellino. Era impacciato, perché mai prima d’ora aveva avuto a che fare con bambini così piccoli, e si sentiva decisamente imbranato. Quello sguardo..così innocente! Quella creaturina così vulnerabile aveva bisogno di qualcuno che la proteggesse e chi meglio di lui, cavaliere d’oro, poteva farlo? Ma capì che non lo avrebbe portato al grande tempio.

“Non è posto per te, quello” commentò Mu “Vi è qualcosa di strano, anche se non capisco che cosa. Troverò un posto solo per me e te e ti insegnerò tutto. Tu che dici? Ti piace l’idea, fratellino?”.

Kiki ovviamente non aveva capito quanto detto dal fratello maggiore e rimase a guardarlo con la stessa espressione.

“Lo farò per la mamma. E per il maestro Shion”.

 

Mu aveva sentito parlare di un luogo, fra le montagne del Tibet, dove il suo maestro da giovane si ritirava. Era stata una gran fatica ma, alla fine, era riuscito a scovare quella torre senza porte.

“Ti piace, Kiki? Qui ti terrò al sicuro, anche se qualcosa mi dice che diventerai un piccolo furfante. Ti insegnerò quel che so e chissà..magari un giorno sarai cavaliere pure tu!”.

 

 

 

Piccolo Mu terminato. Chiedo perdono se a questo cavaliere non ho fatto affrontare prove particolari, se non quella di accettare il fatto di essere nato per fare il cavaliere. Mu l’ho sempre visto come un tipo pacifico e tranquillo, con poca voglia di fare. Per quanto riguarda la definizione che dà di Kiki, deriva dal significato del nome. Kiki infatti significa (secondo certe interpretazioni) “nobile orco” (o “terrificante/terribile”). Solo nella versione italiana è il fratello di Mu ma amavo troppo l’idea di “imparentarli”

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Capitolo 6
*** Aiutami ***


“Ma..ancora si sta allenando?” si domandò una delle guardie.

Pioveva forte ed ormai era calata la sera, ma quel bambino continuava a correre lungo le scale deserte del Grande Tempio.

“Dicono che Shion si aspetti grandi cose da quel ragazzetto..” rispose un collega.

Entrambi si stavano riparando dall’acquazzone sotto il pronao della deserta quinta casa. L’apprendista invece continuò a correre. Giungendo fino alla prima casa, era già pronto a risalire quando udì un rumore.

“Chi è là?” domando, fermandosi.

Completamente zuppo, strinse i pugni con aria minacciosa.

“Chi c’è?” ripeté “Fatti vedere. Non ho paura!”.

Aspettandosi un nemico, il piccolo si mise sulla difensiva. Poi però, nel buio, vide apparire qualcosa di ben più piccolo del previsto. Era un bambino, avvolto da un mantello ormai inutile perché grondante d’acqua.

“Ti sei perso? Cosa ci fai qui?”.

Non ricevette risposta. Pensando che forse quel fanciullo sconosciuto non capisse il greco, l’apprendista tentò di salutare in più lingue possibile. Ora capiva perché Shion ci tenesse tanto a fargli imparare gli idiomi del Mondo..

“Sono greco. Capisco quel che dici” finalmente parlò l’intruso “Questo è il Grande Tempio?”.

“Non so se posso dirtelo..chi sei?”.

“Ho bisogno di aiuto. Devo vedere Shion”.

“Shion? Ma io..”.

“Per favore!”.

Solo in quell’istante, l’apprendista notò che fra le braccia quel bambino sconosciuto stringeva  qualcosa che si agitava.

“Cos’hai lì? Qualcosa di pericoloso?”.

“Ma che stai dicendo?! È il mio fratellino neonato. Abbiamo bisogno di aiuto..”.

“Capisco. Vieni con me. Ce la fai a salire le scale? Che cosa ti è successo?”.

Lo sconosciuto non rispose e si lasciò guidare lungo le case.

“Vuoi che ti dia una mano? Lo tengo io il tuo fratellino, se pesa” si propose l’apprendista.

“No. Ce la faccio”.

Insieme, i due bambini raggiunsero la tredicesima dimora, quella del Gran Sacerdote.

“Dietro questa porta c’è Shion..” spiegò il bambino che aveva interrotto i suoi allenamenti “..però ti avviso: non aspettarti da lui grandi gesti d’affetto. E credo che il pianto disperato del tuo fratellino possa disturbarlo”.

“Non importa. Lo devo vedere”.

Aprendo la porta della dimora, si udì un cigolio. Shion, come sempre, era seduto sul trono ed alzò lo sguardo. Leggeva un libro e si accigliò leggermente.

“Saga..” disse “..cosa fai qui? Dovresti essere fuori ad allenarti. Fra poco dovrai affrontare la prova per l’armatura d’oro. Non vorrai mica mostrarti impreparato..”.

“No. Ma..” iniziò il bambino, subito interrotto dal Sacerdote.

“Aiolos!” lo riconobbe l’uomo, alzandosi.

“Se vi piace chiamarmi così..” mormorò il piccolo, sfinito.

“Come mai sei al Tempio? Cosa è successo?”.

“Io..la mamma..il mio fratellino..” provò a spiegare l’intruso, ma scoppiò a piangere.

Il Gran Sacerdote si avvicinò e si chinò sul piccolo, abbracciandolo per calmarlo.

“Ora sorridi. Va tutto bene” parlò Shion “Sei al sicuro ora. Ed anche il tuo fratellino”.

Saga, rimasto immobile e sull’attenti come un soldato, ebbe un sussulto nel vedere quella scena. Decise che era meglio congedarsi ed uscì dalla tredicesima, senza dire nulla.

“È successo qualcosa?” domandò una delle guardie, subito fuori la dimora del Sacerdote.

“Dove eravate nascosti voialtri?” alzò un sopracciglio Saga.

“Noi..”.

“Tornate al lavoro. Non dovreste sorvegliare il Tempio?!”.

Gli uomini non risposero. Rimasero fermi, osservando quel bambino d’un tratto impertinente e riprendeva la sua corsa lungo la scalinata di pietra.

 

“Raccontami tutto, piccolo Aiolos” lo incoraggiò Shion sedendosi in terra, accanto al bambino,e  prendendo fra le braccia il neonato.

“Io..ricordo quando siete venuto a casa nostra. Avevate detto che, se avevamo bisogno di aiuto, potevamo in ogni momento venire a cercarvi al Grande Tempio”.

“Lo ricordo bene..”.

“Papà era appena stato dato per disperso in mare..”.

“Lo ricordo. Cosa ti ha portato qui? Con un neonato, poi..”.

“Mamma non si è svegliata. La levatrice dice che è morta per permettere al mio fratellino di vivere”.

“Morta di parto, dunque..è un destino che accomuna molti di noi..”.

“Noi?”.

“Ricordo la prima volta che ti ho visto. Eri un bambino che correva come il vento”.

“E mi avete chiamato Aiolos, in onore del Dio del vento..”.

“Sì. Usai proprio quel nome e tuo padre sorrise”.

“Potete chiamarmi così, se volete. Da quel giorno, mamma mi ha sempre chiamato con quel nome..”.

“In te percepii un fortissimo cosmo. E lo percepisco ancora, potente e limpido”.

“Cosmo? Non capisco..”.

“Non te lo spiego ora. Sei molto stanco. Vieni con me. Hai bisogno di dormire”.

“Ed il mio fratellino?”.

“Me ne prenderò cura io. Non avere più alcun timore..”.

Aiolos ancora piangeva ma si sentì più tranquillo quando il Gran Sacerdote sorrise al neonato.

 

Aiolos sospirò. Alzò lo sguardo dal libro su cui era chinò e si voltò verso Saga. Appoggiato contro una colonna, il cavaliere dei Gemelli sembrava davvero concentrato. Poi però girò gli occhi ed Aiolos sobbalzò.

“Che c’è?” domandò Saga.

“Niente..andiamo ad allenarci? Voglio anche io l’armatura d’oro. Aiutami..”.

“Io ero qui al tempio da ben prima di te, nulla di strano se io l’ho ottenuta e tu ancora no. Non serve avere fretta. Anche perché..tanto non mi serve! Sono troppo piccolo e non riesco ad indossarla”.

“Sì ma è tua. Ed è così bella..io ti invidio, sai?”.

“Anch’io..” ammise Saga, facendosi malinconico.

“Ah sì? E perché?”.

“Non importa. Andiamo..se no mi sa che Shion ti becca addormentato sul libro!”.

 

Il piccolo Aiolia stava in braccio a Shion ed entrambi osservavano Aiolos durante gli allenamenti. L’aspirante cavaliere stava svolgendo alcuni esercizi all’arena ed il Gran Sacerdote suggeriva miglioramenti e posture.

“Devi concentrarti, Aiolos! Devi sentire quel che trasmette il tuo cosmo. Lui sa quel che devi fare per sprigionare al massimo la sua potenza”.

“Ma..come faccio, maestro? Io mi concentro ma..quel bersaglio mi risulta comunque difficile da colpire!”.

“Perché non hai la giusta motivazione a colpirlo”.

“La giusta motivazione? Dove dovrei trovarla?”.

 

“Fratellone..” sorrideva Aiolia, correndo fra gli alberi “..è vero che diventerai un cavaliere d’oro? E che poi lo diventerò pure io?”.

“Al momento non lo sono, ma faccio del mio meglio”.

Aiolos sospirò. Invidiava profondamente Saga. Era considerato un cavaliere buono e forte, tutti lo rispettavano e lo amavano. Lui invece non era ancora stato capace di trovare la giusta motivazione per ottenere le vestigia che tanto desiderava.

“Dove corri, Aiolia?” sorrise, vedendo il fratellino nascondersi fra l’erba alta.

“Non essere così serio!” rispose il piccolo “Oggi non pensare all’armatura! Divertiamoci, solo io e te”.

I due avevano avuto il permesso di allontanarsi dal Tempio per svagarsi un po’ ed avevano deciso di trascorrere la giornata in quel boschetto, al fresco.

“Sento il rumore dell’acqua, fratello!” corse Aiolia “Ho una sete..”.

Il futuro Leone d’oro affondò le manine nel torrente limpido e bevve alcuni sorsi. Poi alzò lo sguardo e si accorse che un uomo vestito in modo strano lo stava fissando, con un’aria di rimprovero sul volto.

“Hem..ciao!” salutò il piccino.

L’uomo non rispose ma la sua espressione si fece più minacciosa.

“Che succede? Aiolia!” si allarmò Aiolos, avvicinandosi.

Non lo raggiunse in tempo però, perché l’uomo aveva già afferrato il piccolo aspirante Leone.

“Hai commesso un errore, moccioso” ringhiò l’uomo.

Aveva lunghi capelli mori ed era vestito come un antico greco, con solo alcuni dettagli in più come un’armatura scura che ne copriva le spalle e la vita.

“Sei un cavaliere?” domandò Aiolia “Anche mio fratello lo diventerà”.

“Cavaliere?” si stupì lo sconosciuto, fissando Aiolos “Sì, è vero. Percepisco in te un potere notevole. Chi servi? Quale divinità ti comanda?”.

“Io..sono un’apprendista cavaliere di Atena”.

“Atena, eh? Interessante. Potremmo definirci quasi colleghi..”.

“Perché? Chi sei?”.

“Mi chiamo Dedalo, Angelo di Artemide”.

“Hem..ok..piacere. Potreste mettere giù mio fratello ora, signor Dedalo?”.

“Questa fonte è sacra. Tuo fratello non doveva metterci le mani”.

“Va bene. Chiedo perdono da parte sua. È solo un bambino, cercate di essere comprensivo! Andiamo..”.

“Le regole sono le regole. Valgono per tutti, cavaliere d’Atena”.

“Non sono un cavaliere e, se proprio dovete punire qualcuno, allora punite me”.

Dedalo parve pensarci qualche istante, ma scosse la testa. Afferrò saldamente Aiolia, che si lamentò e tentò la fuga, senza successo.

“Sei energico, marmocchio! Ti dibatti come un’anguilla!” si stupì l’angelo.

“Lascialo andare! O sarò costretto a..” Aiolos non terminò la frase. A fare cosa? Non lo sapeva bene nemmeno lui.

“Dovrai purificare con il sangue la sacra fonte di Artemide, mortale!” minacciò Dedalo, mettendo le mani attorno al collo di Aiolia.

“Aiutami, fratellone!” gemette il futuro Leone.

“Lascialo!”.

Aiolos era nel panico ma poi una frase balenò nella sua mente: cosa avrebbe fatto Saga?

“Lascia mio fratello” scandì bene l’aspirante Sagittario e strinse i pugni.

“Altrimenti?”.

“Ti trapasserò! Non è giusto sacrificare la vita di un bambino innocente, anche se ha commesso uno sbaglio. Come potrai definire ancora sacra quella fonte, se in essa sgorgherà il sangue di un infante? La tua Dea non può approvare questo!”.

“La mia Dea lo approva eccome! È stata lei ad ordinarmi di eliminare chi osa profanare questo luogo. La tua Dea non farebbe lo stesso?”.

“No. La mia Dea non permetterebbe mai un simile atto”.

“Mi sa che tu non hai capito chi servi, ragazzo. Parliamo di Atena, Dea della guerra”.

“E della saggezza! E ora lascia subito mio fratello!”.

Aiolos si mostrava sicuro ma, nella posizione in cui si trovava Aiolia, non era affatto sicuro di riuscire a colpire il nemico senza ferire il fratello. Dedalo però stringeva il collo del piccolo sempre di più.

“Devo agire” si disse il fratello maggiore “Ho promesso a mia madre che lo avrei protetto e lo proteggerò! Avanti, mio cosmo, dimmi come agire!”.

Di colpo, avvertì una strana forza dentro di sé, che prima d’ora non era mai riuscito a percepire così chiaramente. Spalancò gli occhi è gridò.

“Infinity Break!”.

Il cosmo del Sagittario brillò ed assunse la forma di centinaia di frecce che trapassarono il corpo del nemico, senza nemmeno sfiorare il piccolo Aiolia. Il futuro Leone corse dal fratellone e l’abbracciò, ancora spaventato. Aiolos lo abbracciò, confortandolo.

“Meglio tornare al Tempio. Di corsa” commentò il maggiore.

 

“Vi fate troppi problemi, signor Aiolos” sorrise una delle guardie.

“Lo so, forse hai ragione” sorrise il Sagittario.

Ormai aveva ottenuto l’armatura da diversi anni eppure aveva ancora dubbi, paure. Soprattutto dopo quanto gli erano stato detto da Shion.

“Saga?” domandò, entrando alla terza casa “Ti disturbo?”.

“Aiolos..”.

“So che tardi però..non riesco a dormire. Tu?”.

“Veramente sono un po’ stanco..”.

“Non sei in collera con me, vero?”.

“In collera? Perché dovrei?”.

“Per quello che ci ha detto il sommo Shion..”.

“Hei, non posso essere arrabbiato. Ha scelto te come suo successore..ok. Non posso essere arrabbiato con te. Un po’ deluso, lo ammetto. Ma che vuoi farci? Lui è il Gran Sacerdote. Sa di certo meglio di tutti chi deve prendere il suo posto”.

“Ma io non sono come te! Tu sei sempre così sicuro, forte, serio..”.

“Davvero mi vedi così?!”.

“Tu sei così!”.

“Se lo dici tu..”.

“C’è gente che ti crede la reincarnazione di un Dio! Sei il più adatto a guidare il Tempio!”.

“A molti dei piccoli tu piaci e loro saranno coloro che andranno guidati nella guerra santa. Non importa se un gruppo di paesani pensa che io sia una specie di divinità!”.

“Sta di fatto che io non mi sento affatto pronto”.

“Shion non è mica morto. Rilassati..e cerca di dormire! Non ha nemmeno dato la notizia ufficialmente..”.

“Hai ragione, come sempre. Forse è meglio che vada”.

Il Sagittario si congedò. Saga lo osservò mentre risaliva le scale del tempio.

“A..Aiolos..” gemette,  accasciandosi al suolo.

Era di nuovo lui! Quel lato di lui che inutilmente aveva tentato di cacciare in tanti anni! Stava ormai prendendo il sopravvento e non sapeva che fare per impedirlo. Perché? Perché stava accadendo questo?

“Aiolos..” mormorò “..amico mio..aiutami..”.

 

 

Eccoci qua. Posso dirvelo: il prossimo sarà Saga (per dover di “intreccio”). Ci sono delle cose che qui non sono state spiegate e dovrete attendere il prossimo capitolo. Per il resto..non so, mi viene facile descrivere Aiolos come un insicuro e Shion come un tizio che fa favoritismi..alla prossima!!

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Capitolo 7
*** L'imperatore ***


“Signorina Ileana..” mormorò il piccino, timidamente “..scusi se la sveglio ma..il mio fratellino non è più nella stanza con me e non so dov’è”.

“Ma come non sai dov’è?” biascicò la donna, rigirandosi nel letto.

Aprì un occhio e capì che bimbo aveva di fronte. Lo guardò con tenerezza. Sapeva di avere a che fare con un fanciullo ben educato e che non l’avrebbe mai disturbata per niente.

“Sicuro non sia al bagno o in cucina a cercare da mangiare?” ipotizzò Ileana.

“Ho già guardato. E poi..non c’è il suo zaino”.

“Non può essere lontano. Non piangere! Cerchiamolo insieme”.

Il piccolo, con fra le braccia un pupazzo di pezza grande quasi quanto lui, seguì la direttrice dell’orfanotrofio lungo i corridoi della struttura. Fuori albeggiava e tutti i bambini ospitati ancora dormivano. Le inferriate alle finestre proiettavano sul muro ombre inquietanti, che un pochino turbavano il piccino in cerca del fratello.

“Che succede?” domandò la cuoca, svegliata dal frastuono.

“Kanon non si trova” spiegò la direttrice “Temo sia scappato..”.

“Scappato?! Ma com’è possibile?!”.

“Non me lo so spiegare. Avverto subito la polizia. Non sarà di certo andato lontano!”.

La donna non ebbe il tempo di comporre il numero. Proprio la polizia stava bussando alla porta. Un agente, piuttosto scocciato per la perdita di tempo, riconsegnò in fretta il bambino fuggito e se ne andò, dopo una breve predica.

“Oggi fili dritto in punizione!” sbottò Ileana, afferrando Kanon per la mano.

Il piccolo non aprì bocca e finì rinchiuso in una stanzetta. Ma non rimase a lungo da solo.

“Fratellone..” mormorò, riconoscendo il viso del fratello dall’altro lato della finestra.

Arrampicato sulle sbarre, il piccolo guadava dentro.

“Perché sei andato via, Kanon? Volevi lasciarmi da solo?”.

“Voglio una mamma..”.

“La signorina Ileana dice che io e te non avremo mai una mamma o un papà finché non ci faremo adottare separati..”.

“Io non voglio una mamma diversa dalla tua..”.

“Ma..forse è meglio una mamma diversa che nessuna mamma..”.

“Vuoi stare senza di me?”.

“No! Kanon..non importa! Non voglio una mamma, se questo vuol dire stare lontano da te”.

“Ma la signoria Ileana dice sempre che mai nessuno ci adotterà insieme. E più passano gli anni e più diventa difficile”.

“Siamo come cani, dunque..”.

 

Ileana era seriamente preoccupata. Quei bambini, gemelli, erano stati abbandonati da neonati sull’uscio dell’orfanotrofio e, per alcuni anni, aveva tentato di farli adottare insieme. Ma era una cosa così difficile! E ormai quei due avevano quasi quattro anni. Ogni anno trascorso, diminuiva le possibilità di adozione.

“Non ti crucciare, mia cara” sorrise Padre Nestor, il sacerdote ortodosso che si occupava dell’educazione dei bambini “Le vie di Nostro Signore sono infinite”.

“Lo spero. Vorrei che tutti i bambini sotto questo tetto trovassero una famiglia..”.

“E la troveranno, vedrai. Abbi fede”.

 

“Padre Nestor, chi è quella signora lì?” domandò il gemello più grande, indicando la statua della madonna che si trovava nella piccola cappella dell’orfanotrofio.

“Lei è Maria, la madre di Nostro Signore” rispose il sacerdote.

“Io..una volta ho sognato una donna..aveva uno sguardo proprio quello di Maria. Era pieno di..non so..ma mi guardava ed io ero felice. Mi sentivo come in un abbraccio”.

“Forse hai sognato proprio lei. Com’era vestita?”.

“Non lo ricordo. C’era tanto bianco..”.

“La ricordi la preghierina per Maria?”.

“Sì..”.

“Bravo bambino!”.

“Padre Nestor..posso dire una cosa?”.

“Parla. Ma ricorda che sei nella casa del Signore..”.

“Vorrei vedere da dove suonano le campane”.

“Le campane?”.

“Sì. Sento suonare le campane ma non so da dove suonino”.

“Ah, ho capito! Vuoi vedere la cattedrale del paese! Va bene..chiedo alla direttrice”.

 

La cattedrale era magnifica. Il piccolo rimase senza fiato.

“Le campane!” esclamò, sentendole suonare.

Il sacerdote sorrise, vedendo quell’entusiasmo fanciullesco. Era bellissimo vederlo sorridere. All’orfanotrofio era spesso imbronciato o triste, per via delle continue vessazioni da parte dei bambini più grandi. Era troppo buono per rispondere a tono, troppo perso nei suoi sogni per affrontare la realtà. E proprio sognando ad occhi aperti, il bambino finì addosso ad un uomo che si girò di scatto, infastidito.

“Scusi” si affrettò a dire il piccolo.

“Non ti allarmare, è solo un bimbo” parlò una voce, proveniente da un altro uomo, pochi passi più indietro del primo.

“Sì, Sacerdote” si scusò l’urtato, evitando di far del male all’orfano.

Il bambino non capiva. Chi era quell’individuo che si stava avvicinando? Vestito di bianco, con dei paramenti che parevano familiari ma non ortodossi. Si fermò ad osservarlo e, per qualche istante, si fissarono immobili.

“Come ti chiami, piccolo?”.

“Perché dovrei dirvelo, scusi?”.

“Hai ragione. Io, comunque, vengo chiamato Shion e sono il Gran Sacerdote d’Atena”.

“Sacerdote? Come Padre Nestor?” domandò il bambino.

“Possiamo dire di sì..” rispose Shion, incrociando lo sguardo del sacerdote ortodosso alle spalle del piccolo.

“Dov’è la tua cattedrale? Così posso venire a sentire le tue campane..”.

“La mia cattedrale?”.

“Andiamo!” interruppe l’ortodosso “Dobbiamo tornare in orfanotrofio oppure si preoccuperanno tutti”.

 

“Kanon..” domandò il gemello più grande, svegliando il consanguineo a bassa voce.

“Cosa c’è?” mormorò questi, sbadigliando.

“Vieni qui vicino a me. Alla finestra. Dimmi..la vedi anche tu la statua lassù?”.

“Statua? Dove?”.

“Lassù! La statua di quella signora con lo scudo e il bastone. Non l’avevo mai vista prima..”.

“Non la vedo, fratello. La stai sognando?”.

“No! Io la vedo! Ed è la signora che sogno sempre. Io..devo andare là! Vieni con me?”.

“Dove?”.

“Dalla statua! Sento che mi chiama. Poi torniamo qui..”.

“Ma è lontana?”.

“No. Non credo..”.

“Se ci tieni tanto..però io non la vedo. Ci sono solo stelle dove dici tu”.

“Kanon, credimi. Io so che è là che devo andare”.

 

Nel buio della notte, i due fratelli attraversarono le strade deserte fino a giungere alle porte del Grande Tempio.

“Dove siamo?” domandò Kanon.

“Vieni!”.

Salirono le scale. Le case erano deserte e quindi le attraversarono senza problemi. Le porte della tredicesima erano chiuse ma i due bambini le aprirono. Passarono oltre e finalmente raggiunsero la statua di Atena.

“È lei! È quella del mio sogno!” sorrise il gemello più grande.

“Sei contento adesso? Torniamo a casa” sbottò Kanon, leggermente agitato.

“Ma guardala! È così bella! Credi sia Maria?”.

“Non mi interessa. Io voglio tornare a casa”.

Il gemello più piccolo si voltò. Vide qualcosa muoversi nel buio e d’istinto si nascose. Si voltò verso il fratello, che però si ostinava a fissare la statua.

“Sei Maria?” domandava alla statua.

“No, non è Maria” parlò una voce da uomo.

Il piccolo intruso si voltò di scatto, spaventato.

“Sei il sacerdote che ho visto..” capì il bambino “Sei Shion?”.

“Sì. E tu come ci sei arrivato quassù?!”.

“Io..volevo vedere la statua. Ho fatto le scale”.

“Così piccolo, hai risalito tutte le scale del Grande Tempio?!”.

“Sì..”.

“Notevole..”.

“Sogno sempre questa signora. Chi è?”.

“Atena. La sogni? Che ti dice?”.

“Niente. Ma la sogno”.

“Anche io la sogno, sai? Mi ha parlato di te”.

“Di me?”.

“Di un bambino. Credo proprio che sia tu”.

“Veramente? Cosa ti dice su di me?”.

“Che già ti vuole bene. E tu, le vuoi bene?”.

“Io..non so..è una statua!”.

“È molto più di una statua! È una Dea”.

“Una Dea?”.

Il bambino alzò lo sguardo. Sì, riusciva a sentirlo. C’era qualcosa che lo avvolgeva, come una carezza. Il suo cuore palpitò. Voleva bene a quella signora, sì. Forse..riusciva perfino ad amarla!

 

 “Cosa stai guardando?” domandò Shion.

“Niente..” mentì il piccolo.

Il Sacerdote di Atena, dopo quanto visto al Tempio, aveva preso con sé il gemello più grande. Il bambino non era per nulla convinto. Trascinato via quasi con la forza, si era ritrovato in quel luogo praticamente deserto. Kanon lo aveva seguito, senza però che nessuno al Tempio se ne accorgesse.

“Smettila di fissare quella donna” lo rimproverò ancora Shion.

“Io..”.

Il bambino la osservava perché quella donna teneva per mano un figlio, che le sorrideva e la chiamava “mamma”. L’apprendista del Tempio provò invidia.

“Devi concentrarti. Lascia perdere certe cose” continuò Shion, camminando ancora per le vie del paese “Tu diventerai cavaliere, lotterai per salvare il Mondo dai malvagi e prenderai il mio posto”.

“Il Vostro posto?”.

“Il tuo cosmo è potente. Nessun’altro al Tempio ha una forza pari alla tua perciò, al momento, sei l’unico che può ambire ad un simile incarico”.

“Gran Sacerdote?”.

“La strada è lunga e sentimenti come l’invidia infangano un cuore puro e degno. Devi ergerti al di sopra di cose simili. La bontà e la misericordia sono fondamentali, non scordarlo mai. Dovrai essere d’esempio a tutti coloro che verranno”.

 

“Ti sei divertito in paese?” domandò, vedendo arrivare Kanon.

“Sì. Ci sono le giostre” ammise il gemello “Vieni anche tu?”.

“Non posso. Io devo uscire dal Tempio solo assieme al Sommo Shion”.

“Che noia! Passi la giornata ad allenarti  e studiare! Che palle..”.

“È la vita che ho scelto..”.

“È la vita che ti hanno imposto! È da anni che siamo qui e non ti vedo né felice né in pace con te stesso”.

“Non lo faccio per me. Lo faccio per un qualcosa di superiore. E lo faccio per Atena”.

“Atena? L’hai mai vista? E se fosse tutta una favola? Una storia che ti ha raccontato un vecchio rincoglionito dai capelli verdi?”.

“Può anche essere ma dimmi, che alternative ho? Pensi forse che qua fuori, a questo mondo, ci sia qualcuno disposto a prendersi cura di noi? Qualcuno a cui importi della nostra vita?”.

“Che stai dicendo..?”.

“Qui ho uno scopo. Ed anche se Shion non mi ha mai riservato gesti d’affetto, come un abbraccio o una carezza, alla fine qui ho un tetto sulla testa”.

“Anche all’orfanotrofio avevamo un tetto. E là nessuno ti pestava dalla mattina alla sera per renderti più forte”.

“Mi pestava dalla mattina alla sera per divertimento..”.

“Questo posto è una trappola. È un inganno. Non sarai Gran Sacerdote, vedrai. Un giorno arriverà qualcuno a cui Shion vorrà bene veramente e tu finirai nel dimenticatoio, piccolo bambino prodigio”.

“Non è vero! E poi, se ti fa tanto schifo stare qui, vattene!”.

“Non lo vuoi veramente..”.

“Io..”.

“Pretendono troppo da te, fratello. Cerca di..”.

“Non ho bisogno di consigli. A questo mondo sono tutti fin troppo bravi a parlare. Sai di cosa c’è bisogno, invece? Di fatti. Di azioni. Io, quando sarà il momento, sarò pronto. Stringerò le mani attorno al collo ad ogni singola creatura che proverà a farle del male..”.

“Parli di Atena?”.

“Ucciderò chiunque voglia ferirla. Difenderò lei e questa umanità, così debole e indifesa. Io sarò al di sopra di essa e nessuna guerra santa potrà mai sconfiggermi”.

“Sei strano..”.

“Ma per fare questo, mi devo allenare. Devo diventare più forte. È per questo che Shion non mi dona mai nemmeno un sorriso. Perché non sono abbastanza forte. E non sono abbastanza buono”.

Quella notte di pioggia giunse Aiolos. Assieme al neonato Aiolia, il futuro Sagittario giunse al cospetto del Gran Sacerdote. L’aspirante cavaliere dei Gemelli non capì subito quel che stava accadendo. Qualcosa in luì gridò, selvaggiamente e con rabbia, quando vide quanto amore in realtà riuscisse a trasmettere Shion. Pianse, sicuro che tanto nessuno lo avrebbe notato mentre correva per le scale sotto la pioggia. “Perché?” si chiedeva. Perché nessuno gli voleva bene? Perché nessuno lo comprendeva? Era stanco di essere solo! Kanon passava sempre più tempo lontano dal Tempio, le guardie lo temevano e Shion lo ignorava.

“Mi impegnerò di più. Sarai fiero di me!” promise a se stesso “Diventerò buono! Buono come vuoi tu, Sommo Shion! Voglio che tu mi sorrida! Voglio che tu..mi voglia bene!”.

Con nel cuore ogni buon proposito per divenire il più giusto fra i cavalieri, nell’animo al contrario qualcosa ringhiava, piena di rancore.

“Sei così schifosamente patetico e sentimentale!” parlò, senza capire come, a se stesso.

 

Era nervoso ma non doveva ammetterlo né tantomeno farlo capire. Molti erano i curiosi giunti all’anfiteatro. L’aspirante cavaliere li osservò, fingendo indifferenza.

“Saga..” chiamò Shion.

Il bambino alzò lo sguardo. Non capiva molto bene perché il Sacerdote lo chiamasse così. Gli era stato detto che era un nome di una famiglia nobile, nonché di un imperatore giapponese. Il Kanji con cui era scritto quel termine poi, richiamava una dualità che sapeva perfettamente d’avere. Saga inoltre era una divinità nordica e questo lo collegava al nome del gemello Kanon, che sempre in oriente era una creatura divina, protettrice dei marinai e dalle mille braccia per raccogliere i desideri dei mortali.

“..sei pronto, Saga?”.

“Sì” annuì l’apprendista.

“Bene. Corri a prendere la tua armatura”.

“Prego?”.

“Segui quel che il tuo cosmo ti dice e raggiungila”.

La voce del Sacerdote pareva infastidita. L’aspirante cavaliere lasciò l’arena e si concentrò, cercando di capire verso dove il cosmo lo guidava. Ma che strano quel cosmo! Voci discordanti gli suggerivano posizioni diverse. Quale doveva seguire? Alla fine una delle due voci prevalse. Era quasi minacciosa e lo spingeva verso la terza casa. Davanti ad essa, il bambino si fermò. C’era qualcosa di strano o forse si sbagliava? Ma che poteva esserci di strano?! La terza casa era deserta da secoli! L’aveva attraversata tante volte. Non aveva mai visto alcuna armatura all’interno! Si stupì dunque ma decise di seguire il suo cosmo. Tutto sembrava tranquillo, senza cambiamenti di alcun tipo. Poi la casa si fece buia. Che scherzo era mai questo?

“Chi c’è?” domandò il bambino, sentendo rumori.

Qualcosa brillò dietro di lui ed il piccolo si voltò.

“Chi sei tu?” scandì una voce, altalenante e strana.

“Io? Io..sono Saga”.

“Chi sei tu?” ripeté la voce.

Un’armatura camminava, avvolta dalla nebbia nera in cui galleggiava l’aspirante cavaliere.

“Sono Saga” rispose ancora, questa volta più convinto.

“Chi sei tu?”.

A fianco dell’armatura, ora si vedeva un fanciullo. Era nudo e con i capelli neri che ne coprivano parte del volto. Ghignò di colpo, spaventando l’apprendista del Tempio.

“Chi sei tu?” domandò questa volta Saga.

“Chi sei tu?” gli fece quasi da eco il ragazzino sconosciuto.

“Perché mi somigli? Chi sei? E perché sei vicino all’armatura dei Gemelli?”.

“Io sono te. Io sono il vero te”.

“Non è vero!”.

“Tu non sei Saga. Non è quello il tuo nome”.

“E tu come lo sai?!”.

“Perché io sono te”.

“Non è affatto così! Va via, è pericoloso !”.

“Non puoi sfuggire da te stesso. Io sono parte di te. Il cosmo che ci avvolge appartiene a me”.

“Questo immenso cosmo oscuro è tuo?!”.

“È nostro. E non potrai lottare ancora a lungo contro la tua natura”.

“Ti sbagli. Il mio cosmo è luminoso e buono. Non so chi tu sia ma te ne devi andare! Quell’armatura la indosserò io ed apparterrà a me. Purificherò il tuo cosmo malvagio”.

“Non dire idiozie”.

Il bambino sconosciuto scoppiò a ridere. Una risata inquietante, che fece vibrare la nebbia nera che amplificò quel suono come in un eco multiplo.

“Chi sei tu?” si udì ancora, per l’ennesima volta.

“Io sono il cavaliere dei Gemelli!” gridò Saga, correndo verso l’armatura vuota.

Il bambino senza vestiti lo intercettò e lo colpì.

“Vattene!” gridarono entrambi i bambini.

Iniziarono a lottare.

“Quell’armatura appartiene a me!” ringhiò Saga “Fatti da parte!”.

“E chi lo ha stabilito?”.

“La indosserò. E Shion sarà fiero di me”.

“Per Shion non sei altro che una pedina. Nella prossima guerra santa, ti manderà al macello a morire. Tu non sei nulla per lui!”.

“Stai zitto! Tu non sai niente!”.

“Sei tu che sei accecato dalla stupidità. Per quell’uomo sei solo l’ennesimo cavaliere che morirà in nome di Atena. Devi combattere per te stesso. Ottenere quell’armatura perché TU lo vuoi, non perché Shion lo vuole. La vuoi per te? O solo per far felice quel vecchio sadico?”.

“Sì..io..la voglio per me! La voglio per essere forte e per difendere..lei!”.

“Lei?”.

Il bambino dai capelli neri parve perplesso. Poi una luce squarciò la nebbia nera e questa iniziò a dissolversi.

“Atena vuole la mia vittoria. L’armatura è mia e tu rimarrai qui, nelle tenebre” sorrise Saga, allontanandosi con lo scrigno dei Gemelli.

“No, ti sbagli” ghignò il bambino nudo, indicandosi la testa “Io sarò sempre qui”.

Saga rimase un po’ turbato da quelle parole ma riuscì a trovare la forza di allontanarsi.

“Non ti libererai mai di me! Ricordatelo!” gridò il piccolo dai capelli neri “Ricordatelo, Aristotles!”.

“Nessuno mi chiama più così! Io sono Saga!”.

“Buon per te. Io sono Arles”.

 

Ansimando, Saga tornò all’arena. Tutti i presenti si zittirono. Quello scrigno..era per davvero d’oro? Dopo tutto quel tempo, finalmente un nuovo cavaliere di quel rango abitava il santuario?

“Bravo!” sorrise Aiolos, rompendo il silenzio.

“Grazie..” rispose Saga, senza sapere che altro dire.

Shion rimase in silenzio. Osservò dall’alto e si fece serio. Colui che indossava quelle vestigia ai suoi tempi era stato un cavaliere assai temuto ed altrettanto pericoloso. Il Sacerdote fece un cenno con il capo, come a voler dire che aveva capito quanto era successo. Poi si ritirò nelle sue stanze ed Aiolos lo seguì. Saga, sfinito ed un pochino deluso da quella reazione, raggiunse di nuovo la terza dimora. Era la sua casa ora e vi entrò, lieto di non vederci ombre nere. Udì un rumore e si voltò, convinto di vedere il bambino di prima. Con sollievo, vide invece Kanon.

“Vieni, fratellino” lo chiamò.

“Davvero? Posso entrare anche io alla terza casa?” si stupì il gemello.

“Certo. Io e te sempre insieme, giusto?”.

Kanon sorrise e raggiunse il fratello, che poggiò in terra il pesante scrigno e sedette, esausto.

“Ma..cosa è successo? Chi era il tuo avversario?” domandò il gemello più piccolo.

Era preoccupato però capì subito che non avrebbe ricevuto risposta, perché il nuovo cavaliere dei Gemelli già si era addormentato, accoccolato contro la propria Pandora Box.

 

“Posso chiederti un consiglio?” parlò il Sagittario.

“Di che tipo?” rispose Saga, ormai adolescente.

“Beh..ecco..mi vergogno un po’ ma..sull’isola di Milo, dove ho scovato il nuovo cavaliere dello Scorpione, ho conosciuto una ragazza”.

“E con ciò?”.

“Si chiama Sophia. È davvero bellissima e dolce. È..speciale!”.

“Continuo a non capire cosa questo abbia a che fare con me..”.

“Vorrei un consiglio. Tutti ti amano e ti apprezzano, ti considerano quasi un dio! Diventerai Gran Sacerdote! Sai per forza cos’è l’amore quindi, ti prego, dammi qualche consiglio”.

“Mi spiace ma..non posso davvero aiutarti”.

“Ma..che dici?!”.

“Io non conosco l’amore. Sono stato gettato come spazzatura appena nato, perciò nemmeno mia madre ha mai provato amore per me”.

“Come può il tuo cuore concepire una cosa così triste? Se tua madre ti ha abbandonato, un motivo di certo c’era! Forse era troppo giovane o povera ed in questo momento ti pensa, chiedendosi dove tu sia e pregando per la tua felicità”.

“Non so come tu faccia a vedere del buono in tutto. Gli esseri umani sono anche malvagi e menefreghisti sai, Aiolos?”.

“Non una madre. Io non credo che una madre possa essere così”.

“La mia sarà stata di certo una che non vedeva l’ora di sbarazzarsi di me. L’amore non è una cosa in cui credo e che comprendo, se non quello che mi porta ad avere fede nella nostra Dea. Buon per te che ritrovi questo sentimento in una semplice femmina”.

“A volte penso che tu non sia normale. Nel senso..che in te ci siano due persone diverse. Ad ogni modo..vorrei somigliarti. Il tuo distacco di certo ti aiuterà nell’imminente guerra santa. E saprai guidarci tutti, di certo meglio di quanto potrei fare io. Shion sceglierà te come successore legittimo però..non è corretto quel che dici. Shion ci vuole bene..”.

“Per Shion non sono altro che l’ennesimo cavaliere che morirà in guerra. Non prova affetto alcuno per me. Basti pensare al fatto che tu e Aiolia per anni siete rimasti al sicuro nelle sue stanze, mentre io fin da piccolissimo stavo con le guardie o per conto mio. Vi ha abbracciati, tenuti in braccio, incoraggiati, lodati..”.

“Dunque è di questo che sei geloso? Una volta mi dicesti che mi invidiavi. È per questo?”

Saga non rispose. Seduto fra le colonne, fissò l’orizzonte. Aiolos scosse la testa: era meglio tornare ad allenare Aiolia.

 

Diversi anni erano trascorsi e molti altri cavalieri d’oro erano apparsi. Quando Shion lo mandò a chiamare, Saga non sapeva cosa aspettarsi. Entrò alla tredicesima e già Aiolos era al cospetto del Sacerdote e sorrideva. Che aveva tanto da sorridere?

“Guarda, Saga! Finalmente è giunta fra noi!” parlò il Sagittario.

“Chi?”.

“Atena! Guarda!”.

Shion stringeva fra le braccia una bambina di pochi giorni. Saga avvertì un tuffo al cuore. Era una notizia meravigliosa! Subito però qualcosa lo preoccupò. Aiolos parve percepirlo ma non disse nulla. Seguì il compagno fuori dalla tredicesima e, quando il Sacerdote non fu più a portata d’orecchio, lo interpellò.

“Cosa ti turba? Ho notato qualcosa di strano nei tuoi occhi”.

“Quella bambina..non ha il cosmo di colei che sogno!” ammise Saga “Non ha il potere che mi aspettavo”.

“È solo una neonata..”.

“Una Dea! Che ci deve difendere dai nemici. Come può farlo, con un cosmo così debole?”.

“Pensi veramente che il sommo Shion si sia sbagliato?”.

“Shion è anziano ormai. Non pensi possa sbagliare?”.

“Mi fido ciecamente di lui. Però..le tue parole un po’ mi fanno riflettere. Forse dovremmo avvicinarsi di più a lei, per verificare. Dici sia solo una specie di prova, per noi che siamo stati addestrati a sostituirlo?”.

“Tecnicamente solo io sono stato addestrato per questo, ma credo che la tua idea sia buona. Come pensi di fare?”.

“Basta entrare ed avvicinarsi. Nulla ci vieta di farlo!”.

“Shion non ammette che io entri in determinate sale!”.

“Davvero? No, a me no. Forse perché ho trascorso tanti anni alla tredicesima con lui ed il mio fratellino. Ti fidi? Controllerò io e poi ti farò sapere”.

Saga annuì ma in realtà non si fidava per niente. Decise dunque di raggiungere le stanze della piccola da solo. La guardò e lei rispose a quello sguardo.

“Ne sono certo..” mormorò Gemelli “..questo non è lo sguardo della donna che sogno. Tu non sei Atena e, se lo sei, la tua reincarnazione è debole. Come potrai salvarci tutti, mia signora? Con questo cosmo, saremo noi a dover salvare te!”.

“Saga!” esclamò Shion, entrando nella stanza “Cosa ci fai lì? Allontanati!”.

“Io..volevo solo vedere se stava bene”.

“Certo che sta bene! Perché non dovrebbe?”.

“Io..perché vi arrabbiate?! Non sto facendo niente di male!”.

“Maestro..” tentò di riportare la calma Aiolos, come sempre poco distante dal Sacerdote.

“Sparisci, Aiolos! Non ho bisogno di essere difeso!” sbottò Saga, capendo che il suo autocontrollo stava venendo meno.

Per evitare questo, guadagnò l’uscita, riuscendo a tornare se stesso.

“Maestro, perché siete così severo con Saga?” si chiese il Sagittario.

“Perché tu non sai quanto possa essere pericoloso il cosmo doppio dei Gemelli. Già in passato ho avuto a che fare con lui..”.

“Ma è di Saga che stiamo parlando, non dell’uomo che indossava quell’armatura prima di lui!”.

“Forse hai ragione. Ma è meglio prevenire..”.

 

Qualche tempo dopo, Kanon rientrò al santuario. Era di splendido umore e fischiettava.

“Fratellone!” chiamò, felice “Indovina un po’ con chi è uscito stasera il tuo gemellino? Con quello schianto di cameriera del locale giù in paese. Ovvio, non la conosci. Sei troppo impegnato a fare il santo quassù! Fratellone! Ma..dove sei?”.

Kanon si guardò attorno.

“Sento il tuo cosmo!” ridacchiò “Vuoi giocare a nascondino, eh? Guarda che ti trovo!”.

Si concentrò qualche istante e poi camminò convinto.

“Trovato!” esclamò, sbucando da dietro una colonna e scoppiando a ridere.

Si fermò subito però perché si accorse che il fratello, seduto in terra, non aveva proprio l’aria di essere in vena di scherzi.

“Ma..che succede? Fratellone..piangi?”.

“Sai che novità..va via, per favore”.

“Certo che no! Sei mio fratello e devi dirmi cosa c’è”.

“Niente. Lasciami stare”.

“Ti prendo a sberle, stupido!”.

Kanon tentò di fare il minaccioso ma nemmeno quella tecnica funzionò. Una lacrima rigò la guancia del gemello e il più giovane non sapeva che fare.

“Qualsiasi cosa sia successa, siamo fratelli. Ed io ti voglio aiutare. Avanti, che mai potrà essere?”.

“Kanon..io..a cosa servo?”.

“In che senso? Sei un cavaliere d’oro e difendi la pace del Mondo, o almeno questo è quel che mi è stato detto. Ecco a che servi”.

“Io credevo di essere speciale. Di essere..diverso. Fin dal primo momento, mi è stato detto che io farò grandi cose..”.

“E le farai. Dicono tutti che sarai Gran Sacerdote”.

“No, non lo sarò. Shion ha scelto Aiolos”.

“Cosa?! Io l’ho sempre pensato che quel vecchio fosse un rincoglionito ma ora ne ho la certezza! Come si fa a scegliere Aiolos?! Mister insicurezza, che ha paura di agire e chiede sempre consiglio. Con lui a guida del Tempio, la guerra santa è persa in partenza. Siamo fottuti!”.

“Ha ragione Shion, invece! Io..io non sono in grado di controllarmi!”.

“Controllare cosa?! Dai, andiamo! La gente ti considera un Dio! Quando eravamo bambini, a volte restavi a digiuno pur di far mangiare me o altri bambini affamati. Hai sempre aiutato chi lo chiedeva ed hai sempre servito fedelmente questo posto. Tu meriti di veder realizzati i tuoi sogni!”.

“No, invece! C’è qualcosa in me che non va. Te ne sei accorto pure tu. Faccio sempre più fatica a controllare quel lato di me che..”.

“Quel lato è frutto di una vita intera di frustrazione e repressione. Uno non può essere fottutamente buono sempre, ventiquattro ore su ventiquattro! E poi qui stiamo parlando di guerra. Credi possa essere più adatto a difendere il Mondo quell’insicuro lecchino di Aiolos oppure quel tuo lato che saprà essere spietato con i tuoi nemici?”.

“Che domanda fai?! Quella parte di me non deve mai avere il sopravvento, chiaro?”.

“Ma prima o poi lo farà. Il demone nel tuo cuore prima o poi uscirà. E forse è giunto il momento..”.

 

Kanon aveva ragione. Il gemello più piccolo, dopo quanto detto da Saga, aveva deciso di agire. Raggiunse le stanze del Sacerdote, tentando di ghermirne la vita. Così facendo, avrebbe consentito al fratello di veder realizzato il suo sogno. Ma Saga stesso era intervenuto, sventando quel tentativo e rinchiudendo il gemello a capo Suion.

“Vuoi divenire davvero come lui?” aveva urlato Kanon, mentre la marea si alzava “Tu non sei così! Tu sei angelo e demone allo stesso tempo e qualcosa in te freme perché vuole prendere il giusto posto! Non essere come loro vogliono che tu sia! Sii come tu sei nato per essere!”.

Il demone, quel bambino nudo dai capelli neri, ora era un uomo pronto a prendere il controllo. Per troppi anni aveva sacrificato tutto senza ottenere nulla ed era tempo di reagire. Uccidere il Gran Sacerdote non era stato un problema e nemmeno sbarazzarsi di Aiolos. Osservando la statua di Atena, con addosso le vesti da Gran Sacerdote, Arles sorrideva da sotto la maschera.

“Quella incarnazione era debole” parlò “Ci penserò io a difendere questo Mondo. Nessun Dio oserà sottomettere l’umanità perché io sarò al di sopra di qualunque divinità possibile! Io sono pronto. Affronterò ogni singola guerra santa, Atena. In nome tuo..”.

Rientrando, trovò un bambino alla tredicesima.

“Aiolia?” domandò, vedendolo.

“Posso dormire qui oggi?” piagnucolò il piccolo aspirante Leone.

“Non sei un po’ grande?”.

“Mi manca il mio fratellone..”.

“Capisco..”.

“Dicono che adesso portate la maschera per nascondere le lacrime di delusione per il tradimento del vostro cavaliere prediletto, il Sagittario. E per Gemelli, che è sparito. Io..non so se il mio fratellone ha fatto del male anche a Saga ma..vorrei chiedere scusa da parte sua”.

“Scusa?”.

“Sì. Il mio fratellone ha sbagliato, ha tradito. Non so se sia vero, ma dicono così. Vorrà dire che io combatterò anche per lui e diventerò un cavaliere doppiamente fedele ad Atena ed al Santuario”.

“Come proposito è molto nobile, Aiolia..”.

“Grazie..”.

Il bambino fece per andarsene, a capo chino.

“Aiolia..” lo richiamò Arles “..puoi dormire nelle mie stanze stanotte. Io non ho sonno..”.

Nello stesso momento, da qualche parte sotto la superficie dell’oceano, Kanon si era risvegliato al cospetto del Tempio di Poseidone. Se suo fratello non aveva il coraggio di prendere ciò che poteva ottenere, lui non avrebbe commesso lo stesso errore!

 

 

Scusate, questo capitolo è un po’ più lungo degli altri ma ho tentato di dare spazio ad entrambi i gemelli. Ammetto di non essere del tutto convinta di essere riuscita ad esprimere a pieno quel che volevo. La mia idea è che Saga abbia avuto fin da bambino un sogno imposto e che da sempre lo abbia inseguito. Un unico e solo scopo nella vita che gli è stato tolto e non è stato in grado di reagire nel modo corretto, perché incapace di vedere uno scopo diverso nella sua vita. Alcune scene le ho raccontate in modo leggermente diverso in “Reborn”, che essendo una storia lunga offre molto più spazio per spiegazioni di sorta. P.S. il mio Arles ha i capelli neri come nel manga! A presto!

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Capitolo 8
*** Il drago di giada ***


Correndo fra le molte statue di Buddha del tempio a Henan, due ragazzini si inseguivano fra il disappunto degli adulti. In quel luogo non erano ammessi schiamazzi e l’abate più volte aveva ripreso i due più giovani abitanti di quell’edificio sacro, senza risultato.

“Dai, prendimi!” incitò uno dei due e l’altro accettò la sfida.

Entrambi finirono addosso ad uno dei monaci, che li sgridò aspramente ed ordinò loro di tornare ad allenarsi. Sospirando, i giovani obbedirono.

“Tenetevi pronti” parlò loro l’abate “Il nemico sta arrivando e dovrete spostarvi lungo il versante opposto del monte Songshan. Là sarete al sicuro”.

“Ma..maestro!” si lamentò quello un pochino più anziano “Noi siamo pronti! Vogliamo combattere!”.

“Sei impetuoso e forte, ragazzo. Ma non ancora pronto ad affrontare uno scontro. La tua tecnica deve essere perfezionata e sarebbe un peccato se perissi prima. Nel tuo futuro vedo grandi cose”.

“Lieto di sentirvelo dire, abate. Però vorrei comunque combattere”.

“Tu obbedirai ai miei ordini, chiaro? E proteggerai questo fanciullo appena giunto al tempio, con cui vedo che già hai fatto amicizia. È più piccolo di te e molto inesperto, ma anche lui con grandi potenzialità. Te lo affido. È un compito importante”.

“Grazie per la fiducia”.

 

Salendo lungo la montagna, con due sacche sulle spalle, i due ragazzi erano in cammino verso il rifugio situato quasi in cima. Dovevano portare in salvo alcuni oggetti sacri, nel caso il nemico fosse riuscito a sconfiggere il tempio.

“Ma da chi fuggiamo?” domandò il più giovane.

“Non fuggiamo! Mettiamo in salvo preziose proprietà del tempio! E non ti preoccupare. Più volte i Manciù hanno tentato di distruggerci ma non ci sono mai riusciti”.

“Ah, io mi fido”.

“E fai bene. Dai, coraggio! La strada è ancora lunga”.

La notte trovarono rifugio fra gli alberi. Accesero un fuoco e si rifocillarono. Già si preparavano a riposare quando, nel buio, udirono un rumore. Subito pensarono a qualche animale e si allarmarono. Per fortuna loro, spuntò solo un’anziana.

“Va tutto bene?” domandò il più grande dei due “Vi siete persa?”.

“No, mi sono solo attardata un po’ troppo. Posso stare qui accanto al fuoco con voi, giovanotti?” rispose lei, appoggiandosi ad un bastone e camminando piano.

“Prego” invitò il più giovane.

“Allora..” parlò ancora l’anziana, dopo qualche istante di silenzio, guardando il maggiore “..dove andate? Qual è la vostra meta, fanciullo dallo sguardo di tigre?”.

“Tigre?!”.

“I tuoi occhi trasmettono la stessa forza e fierezza della tigre”.

“Noi stiamo portando al sicuro alcune cose dal tempio Shaolin. I manciù ci stanno per attaccare”.

“Siete aspiranti monaci? Ci vuole tanta dedizione e coraggio. E anche pazienza. Spero che l’imperatore Qianlong si faccia presto valere anche su questi ribelli..”.

“Di politica ammetto di non averci mai capito molto..”.

“Non sei più tanto piccolo. Potresti ritrovarti presto nell’esercito dell’imperatore. Quanti anni hai?”.

“Undici. E lui ne ha dieci”.

“Sei quasi un uomo. Se tu fossi una donna, saresti già in età da marito!”.

“Me ne farò una ragione”.

Il ragazzo rise, offrendo all’anziana un po’ di riso.

 

La mattina seguente, i due giovani si apprestarono a riprendere il cammino.

“Siate prudenti” si raccomandò l’anziana.

“Lo saremo” assicurò il più piccolo.

“E tu, tigre..vedo lungo il tuo cammino qualcosa di speciale. Vedo..un drago. Un drago di giada”.

“Un drago di giada? Che significa? Un pericolo?”.

“Ma no. Anzi. Sarà per te motivo d’orgoglio”.

Il ragazzo tentò di chiedere altro ma l’anziana non parlò. I due apprendisti allora proseguirono, correndo lungo lo stretto sentiero.

“In cima a questa ripida scalinata, c’è la nostra meta” ridacchiò il maggiore, di buon umore.

“Ottimo! Stavo iniziando a stancarmi di vedere solo alberi!”.

Il codino biondo del più piccolo ondeggiava ad ogni scalino ed il più grande lo osservava divertito. Saltellando da uno scalino ad un altro, erano quasi giunti in cima quando il maggiore fece segno di fermarsi.

“Qualcosa non va..” mormorò “C’è troppo silenzio..”.

“Silenzio?”.

Perfino il vento sembrava essersi fermato.

“Scappa. Mi hanno detto di proteggerti perciò lo farò. Scappa e non guardarti indietro”.

“Ma..io..”.

“Nasconditi!”.

Il più piccolo fu spinto fra la vegetazione dal più grande, che si preparò a combattere.

“Mi hanno detto che ho lo sguardo fiero della tigre..” si disse “..quindi vi combatterò come una tigre!”.

Si ritrovò circondato da nemici sconosciuti.

“Ma che carino..” lo sfotté uno di loro “..si è messo nella posizione della tigre! Moccioso, sei solo un gattino! Fatti da parte!”.

“Non lo sottovalutare” lo ammonì un altro dei nemici “Potrebbe essere uno di quelli del tempio Shaolin”.

“Non ho paura di voi! Fatevi sotto!” gridò il bambino.

“Datti una calmata! Noi dobbiamo impedire l’accesso a questo luogo a chiunque, compreso a te!”.

“E perché mai? Lasciatemi passare, subito! O ve la vedrete con me!”.

“Ma sentitelo..”.

Il ragazzino si scagliò contro i nemici, cercando in ogni modo di passare e proseguire il suo cammino.

“Io sono la tigre!” ringhiò il giovane.

Anche se i nemici erano numerosi, non si tirò indietro e continuò a combattere. Gli avversari però erano in molti e per un solo bambino non era facile.

“E questo chi è?” sentì dire.

Purtroppo, uno di quegli sconosciuti era riuscito a scovare l’altro bambino del tempio.

“Mettimi giù!” protestò questi, sollevato per la sciarpa.

“Perché altrimenti cosa mi fai?” sorrise l’uomo.

Il fanciullo, di tutta risposta, si mise nella posizione della gru.

“Divertente! Combattiamo!”.

“Basta!” tuonò una voce e gli avversari si fermarono, allarmati “Lasciate stare quei bambini”.

“Si..signor Hakurei!” balbettò uno degli uomini “Noi..”.

“Avete obbedito agli ordini. Ora sparite”.

Hakurei, cavaliere del santuario di Atena, era apparso dall’alto della scalinata. Con un cenno, invitò i due piccoli a salire.

“Aspetta! Non ci dobbiamo fidare..” storse il naso il più grande.

“Non ha l’aria cattiva” rispose invece il più piccolo e continuò a salire, raggiungendo lo sconosciuto.

L’altro allora fece lo stesso, perché aveva giurato di proteggere quel bambino.

 

“Ho visto come combattete” iniziò Hakurei, una volta all’interno dell’edificio e con davanti una tazza di tè caldo “Siete futuri monaci Shaolin?”.

“Sì. E voi? Chi siete e cosa ci fate qui?”.

“L’abate, il tuo mentore, è uno di noi. Siamo qui per dare manforte. Abbiamo portato cibo e acqua e una squadra dei nostri sta combattendo a fianco dei monaci”.

“E tu perché sei qui?”.

“Aspettavo te..”.

“Me?!”.

“Il tuo maestro mi ha parlato di te. Ed in effetti ci ha visto giusto: tu possiedi un forte cosmo. Ed anche tu, anche se sei più piccino”.

I due ragazzini si fissarono, senza capire di che stesse parlando quello sconosciuto.

“Inoltre..” riprese Hakurei, guardando il più giovane “..tu non sei cinese, dico bene? Io e te abbiamo qualcosa in comune..”.

“Noi due?”.

La conversazione fu interrotta dall’ingresso di un bambino più o meno della loro età. Aveva i capelli verdi e sedette accanto ad Hakurei.

“Lui è Shion” spiegò l’uomo”Possiede un cosmo, come voi”.

“Cos’è un cosmo?” domandò il più grande.

“Ve lo spiegherò. Ma prima dovete farvi un bagno, cambiarvi e mangiare qualcosa”.

“Uffa..”.

“Coraggio. Non vi dirò niente finché  non sarete di nuovo presentabili”.

“Vai prima tu” sorrise il più piccolo.

“Possiamo fare il bagno insieme. Il fiume è qui vicino, lo ricordo bene” rispose il maggiore.

“No, va pure tu. Io faccio dopo”.

“Ma perché?”.

“Non posso fare il bagno con te!”.

“E perché?”.

“Perché è una femmina, deficiente” borbottò Shion, sorseggiando tè.

“Che?!”.

La piccola arrossì e chinò il capo.

“Perché non mi hai detto che sei una femmina?!”.

“Perché al tempio Shaolin possono combattere solo i maschi ed io non sapevo dove altro andare”.

“E quanto tempo pensavi di tenerlo nascosto?!”.

“Non molto, in effetti. Sto iniziando a crescere..”.

Hakurei sorrise. Quei tre bambini erano avvolti da un cosmo speciale ed avrebbero vissuto grandi avventure assieme, se lo sentiva!

 

Non passò molto tempo prima che il nemico raggiungesse anche quel luogo. I tre giovani osservarono con ammirazione la forza con cui Hakurei, apparentemente un vecchio, riusciva a respingerli.

“Non voglio restare qui a guardare” si lagnò la bambina “Scendiamo in battaglia!”.

“Ma è rischioso!” l’ammonì Shion.

La bambina non lo ascoltò e nemmeno l’altro ragazzino del tempio Shaolin. Hakurei non riuscì a fermarli per tempo. Vide solo due piccoletti sfrecciare fra i nemici vestiti di nero.

“E voi due mocciosi cosa volete?” sibilò un uomo.

“Non siamo mocciosi! Chiamaci per nome, così che sia l’ultima cosa che dici prima di morire” replicò la giovane.

“E quale sarebbe il tuo nome?”.

“Nella mia lingua, sono sempre stata definita tagliente e pericolosa come una lama. Yuzuriha vengo chiamata. E ora muori!”.

Hakurei alzò lo sguardo. La giovane, con estrema facilità, aveva sconfitto un gran numero di nemici ed alle sue spalle brillava, a sua difesa, l’armatura della Gru. Il bambino le dava le spalle e, sulla schiena nuda, ora era apparso il muso di una bellissima tigre.

“Io sono Dohko” parlò “Io sono Tigre” e già su di lui vegliavano le vestigia della Bilancia.

 

Per oltre duecento anni Dohko si era chiesto e richiesto cosa volesse dire quell’anziana con la sua profezia sul drago di giada. Si era quasi convinto che fossero tutte stupidaggini. Ma poi un giorno capì..

“Maestro” si sentì chiamare.

Eccolo il drago di giada! Sirio, fiero possessore dell’armatura verde del drago, era davvero per il suo maestro un motivo d’orgoglio.

“Maestro! A che state pensando?”.

“A nulla, Sirio. Non ti preoccupare, drago di giada”.

Sirio non comprese quelle parole ma sorrise, tornando ad allenarsi.

 

È un po’ corto, chiedo perdono. Questo racconto è nato da un sogno (io faccio sogni strani) quindi ho dovuto faticare per riordinare le idee..

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Capitolo 9
*** Summertime madness ***


“Guarda! Un tuo simile!” ridacchiò Aphrodite, indicando un paguro.

“Guarda! Tua madre!” ribatté Deathmask, indicando un’orca gonfiabile per bambini.

“Bastardo!”.

“Femminuccia!”.

Shura ruotò gli occhi al cielo. I giovani cavalieri erano in spiaggia.

“Cos’è quello sguardo, killer di Sagittari?” lo apostrofò il Cancro.

“Non infierire!” si sentì rispondere.

La notte degli inganni era ancora viva nella mente degli abitanti del santuario ed il piccolo Capricorno era uno degli ultimi che voleva parlarne.

“Suvvia, rilassati! Il Gran Sacerdote ci ha detto di divertirci e noi lo faremo” continuò Deathmask “Per oggi, siamo persone comuni”.

“Sì, non pensiamo al santuario per oggi” sorrise Milo “Chi mi offre un gelato?”.

“Sei uno scroccone” rispose Camus.

“Tu potresti farmelo gratis il gelato e non lo fai, perciò stai zitto”.

Shaka sospirò. Aldebaran scoppiò a ridere.

“Ma..” domandò Mu “..Aiolia dov’è?”.

 

Arles respirò profondamente. Che pace! Aveva concesso ai bambini e ragazzini del tempio una giornata di svago. Ufficialmente per prendere fiato e rallegrare la mente, realmente per levarseli dai piedi. Non era adatto a fare la baby sitter e quei mocciosi erano invadenti. Ma non doveva preoccuparsene, perché ora è solo al tempio. Tutto solo!

“Maestro..?” mormorò una vocina.

“E che palle!” sibilò Arles, mordendosi la lingua per non parlare.

Il piccolo Aiolia entrò alla tredicesima. Vi stupì di trovarvi il sacerdote spaparanzato in modo poco elegante sul trono. L’uomo non comprese subito il suo sguardo interrogativo ma poi realizzò e sedette composto.

“Che succede, Aiolia?” parlò, tentando di trovare la calma “Non sei in giro come tutti gli altri?”.

“Gli altri mi trattano male. Dicono che sono il fratello del traditore”.

“Fanno tutti così?”.

“No, ma tanti lo fanno ed a me non piace”.

“E..che fai qui?”.

“Ho bisogno di compagnia”.

Il lato buono del sacerdote si commosse, davanti agli occhi dolci e tristi dell’apprendista Leone. Di tutt’altro avviso era il lato malvagio, che lanciava frasi nella mente del buono che ordinavano “Mangialo!” e “Another dimensionalo!” a ripetizione e a raffica.

“Aiolia..” si sforzò di dire Arles “..io ho molte cose da fare. Non posso aiutarti”.

“Ma se eravate stravaccato sul trono a fare nulla?!”.

“Stavo meditando”.

“Non è vero”.

Arles digrignò i denti. Per fortuna, da sotto la maschera, il bambino non lo notò. Si alzò, fingendo di avere tantissimi compiti importantissimi da svolgere. Aiolia lo seguì.

“Santa pazienza..” si disse Arles “..è irritante quasi quanto suo fratello”.

Il bambino lo prese per mano e il sacerdote dovette arrendersi: quel bambino non si sarebbe tolto di mezzo tanto facilmente.

“Cosa fai?” domandò Aiolia, mentre Arles prendeva fra le mani alcuni documenti.

“Cose che non capisci” fu la risposta. E, per intenderci, nemmeno Arles capiva. Semplicemente voleva fingere di fare qualcosa di spaventosamente noioso, nel tentativo di allontanare il bambino.

“Cosa c’è scritto? Scrivi proprio male..”.

“Scrivo meglio di te..”.

“Io sono piccolo”.

Arles sospirò. Aiolia continuava a seguirlo ovunque e non sapeva come liberarsene.

“Maestro..a te manca Aiolos?”.

“Ma certo” rispose Arles, sapendo di doversi fingere Shion.

“Anche se è stato cattivo ed ha tentato di ucciderti?”.

“In tanti cercano di uccidermi..”.

“Anche se è stato cattivo ed ha tentato di uccidere Atena?”.

“In tanti cercano di uccidere Atena!”.

“E ti manca il cavaliere dei Gemelli? A me sì e non capisco perché sia andato via”.

“Ti manca?” si stupì Arles.

“Sì. Era buono e forte, come il mio fratellone. E mi mancano entrambi..”.

“Non devi sentirti legato al passato, giovane aspirante cavaliere. La tua armatura deve risplendere di luce, non di tenebra. Credi in un futuro sereno e la paura non ti fermerà”.

Ma che ho detto? Saga..sei un sentimentale del cazzo! Sembri un impasticcato!

“Ma io ho tanta paura. Senza il mio fratellone, io mi sento tanto solo. E non so cosa fare!”.

E vuoi l’aiuto mio? Ma lo hai visto come sto messo, dannato moccioso?!

“Cosa posso fare, maestro?” continuò Aiolia “Che devo fare per ritrovare la motivazione?”.

“La motivazione non è qualcosa che posso darti io. Devi trovarla in te perché dovrai affrontare molte battaglie e non potrai mai farlo se hai paura”.

“Ma io non sarò mai valoroso come lui!”.

“Valoroso? Ha attentato alla vita di Atena! Non dovresti tentare di somigliarli”.

“Ma io non capisco..non capisco il perché del suo gesto”.

Ed io non capisco perché tu sia qui a sdrucivergarmi le palle ma guarda come sono bravo a reprimere gli istinti omicidi! E, pensa te, perfino ti ascolto.

“Sei solo un bambino ed il gesto di Aiolos ha turbato tutti quanti. Ora puoi tornare ai tuoi allenamenti”.

“E se..”.

Arles sospirò, di nuovo, all’ennesimo tentativo fallito di liberarsi di quel fastidio.

“E se non fosse veramente un traditore? Se avesse agito perché posseduto da una qualche entità malvagia?”.

“Interessante teoria ma non saprei come provarla”.

Il sacerdote continuava a camminare di buon passo. Si stupì della testardaggine dell’aspirante Leone, che si ostinava a pedinarlo.

“Non devi perdere la speranza, Aiolia. Tuo fratello ha agito come ha agito, ma tu non sei lui”.

“Però tutti non fanno che rinfacciarmi quel che ha fatto lui..”.

“Ed allora tu dimostragli che sei diverso da come ti descrivono. Che non sei solo il fratello di un traditore ma qualcosa di più”.

“E come?”.

“Prendendoti l’armatura d’oro, per esempio”.

“Altri la vogliono..”.

“E allora? Altri vogliono il mio posto ma qui ci sto io! Devi farti valere, piccolo! E prenderti quel che desideri. Sei un Leone oppure no? Il leone non chiede permesso prima di mangiarsi la sua preda!”.

“Il leone è un animale feroce..”.

“E tu sii lo stesso. Smettila di fare il micino cieco alla ricerca di latte”.

“Ma..io..”.

“Ma, ma sempre ma! Non sai dire altro? Tira fuori le palle!”.

“Le palle?”.

Il bambino era lievemente a disagio. Che strano era il maestro Shion!

“Ti aiuto!” si offrì poi, vedendo il sacerdote alle prese con vari documenti.

Arles represse una bestemmia.

 

“Guarda! Una stella cadente! Esprimi un desiderio!” sorrise Aphrodite, indicando il cielo.

“Voglio un gelato” piagnucolò Milo.

“Ancora?!”.

“Sì..”.

“Ah, ragazzi..si sta troppo bene qui! Non mi va di tornare al Grande Tempio” ammise Cancer.

“Ma dobbiamo!” si affrettò a dire Shaka.

“Sì, lo so, biondino guastafeste!”.

“Si è fatto pure tardi..” si aggiunse Mu “Forse è meglio rientrare”.

“Il Tempio è la nostra casa. Dobbiamo onorare le armature che indossiamo e..”.

“AH! Un ragno!!” gridò Aphrodite, interrompendo i pensieri filosofici di Shaka e fuggendo via dalla bestia che il Cancro stringeva fra le mani.

 

“Ma se io sarò il cavaliere del Leone..” continuava il logorroico Aiolia “..poi gli altri mi tratteranno meglio?”.

“Non lo so..” e non mi importa.

“Mi abbracci?”.

NO!

Aiolia abbracciò il sacerdote, con gli occhi lucidi.

“Senti..Aiolia..io non posso aiutarti. Però posso dirti una cosa: se sei nato sotto l’influsso della costellazione del Leone, allora indosserai quell’armatura. Non avere timore..”.

“Fuori è buio..”.

“Fuori è notte!”.

“Non mi piace la notte”.

Certo che sei proprio piagnucoloso! Peggio di Saga senza antidepressivi..

Arles non voleva dire altro a quel bambino petulante. Però  quegli occhi da micino impaurito in un certo modo lo intenerivano.

“Posso vedere Atena?” domandò il piccolo.

“La statua tutte le volte che vuoi. La vera Atena no. Sei troppo piccolo”.

“Quando la potrò vedere? Il mio fratellone mi ha detto che è tanto bella”.

“Lo è ma tu ora sei piccolo. Quando sarai più grande”.

“Ma piange la notte? E beve il latte dal biberon?”.

“No..la allatto! Certo che beve dal biberon..ma che domande fai?!”.

“Boh. Forse una Dea fa cose diverse. Fa come tutti i bambini piccoli?”.

“Piange, dorme, rompe le palle..”.

La velata allusione a quanto stressante fosse non fu colta da Aiolia, che si strusciò contro la veste del Sacerdote. Arles fissò la cosa, perplesso.

“Sei io prenderò l’armatura, poi mi manderai a combattere contro i mostri?”.

“I mostri? Quali mostri, Aiolia?”.

“I cattivi. Se io avrò l’armatura, mi manderai contro tutti i cattivi più cattivi? Così dimostrerò il mio valore e le mie zanne puniranno i malvagi”.

“Ti manderò contro tutti i cattivi che vuoi”.

“Grazie!”.

E dopo sono io lo psicopatico..

 

“E così..te la sei goduta qui, tutto da solo” ghignò Deathmask, al cospetto del Gran Sacerdote.

“Fidati..NO!” rispose lui, sorseggiando vino.

“Vacci piano con quella roba. Vuoi guastarti il fegato prima dei vent’anni? Già hai i capelli grigi..”.

“Pensa per te, Deathmask!”.

“Mmm..ok..mi sa che oggi sei nervoso”.

“Ma non mi dire..”.

“Cosa ti ha fatto innervosire tanto? Avevi il Tempio tutto per te! Vino, donne e rock and roll!”.

“E marmocchi appiccicosi in crisi depressiva”.

“Andiamo..Saga non è un marmocchio. È in crisi depressiva ma..”.

“Non parlavo di Saga!”.

“Ah! Scusa! Pensavo avessi passato la giornata ad insultarti da solo. Dev’essere interessante avere la doppia personalità. Specie se le personalità fra loro si odiano..”.

“Vuoi che ti uccida?”.

“Ma no. Tanto so che non lo fai..”.

“E cosa te lo fa credere?”.

“Perché mi vuoi tanto bene”.

Deathmask scoppiò e ridere. Arles sospirò, per l’ennesima volta quel giorno.

“Beviamoci su..” si disse “..è la vita che ho scelto”.

Nel frattempo, un giovane aspirante cavaliere di nome Aiolia guardava le stelle. Convinto più che mai, riprese ad allenarsi alla luce della luna. Avrebbe dimostrato a tutti quel che valeva!

“Le zanne del Leone proteggeranno per sempre Atena!” disse “E un giorno io sarò cavaliere d’oro!”.

 

Leoncino time! Sì, non c’è descritto come questi si piglia l’armatura. Il motivo? In episode G viene descritto perciò ho sorvolato :P ho preferito fare un piccolo siparietto un pochino idiota, per smorzare la depressione XD alla prossima!

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Capitolo 10
*** Fedeltà ***


“Coraggio, piccolo. Andiamo a casa” mormorò una donna, sfiorando le spalle del bambino.

Questi scosse la testa. Guardava smarrito la bara che veniva portata via.

“Fratellone..” gemette, ancora incapace di crederci.

Ora era solo il mondo. Un incidente stradale gli aveva portato via il fratello maggiore. Non poteva crederci e non voleva farlo. Non sapendo che altro fare, si mise  a correre.

 

Tutti si scostavano quando quel cavaliere scendeva in arena. Era l’unico d’oro e quindi incuteva anche un certo timore. Il cavaliere in questione trovava la cosa piuttosto fastidiosa, perché preferiva allenarsi con qualcuno, ma finiva sempre col restare da solo. Quella mattina però qualcosa cambiò. Un bambino gli si avvicinò, con aria seria.

“Torna qui!” lo rimproverò qualcuno “Non infastidire quel cavaliere d’oro!”.

“Cavaliere d’oro, eh?” parlò il piccolo “Qual è il tuo nome?”.

“Saga” rispose il saint.

“Perché non indossi l’armatura?”.

“Perché non mi serve..”.

“Ti alleni?”.

“Sì. Vuoi guardarmi?”.

“No. Combatti con me”.

Saga si stupì e sorrise a quel bambino coraggioso. Annuì. Questo provocò allarme fra i presenti, che tentarono in ogni modo di far cambiare idea al bambino. Saga si mise in posizione, sorridendo,  ed il bambino fece lo stesso ma rimanendo serio. Fu proprio il bambino a scattare in avanti per primo. Saga non ebbe difficoltà alcuna a difendersi ma dovette ammettere che quel piccoletto era veloce.

“Sei forte” commentò il bambino “Però..io ancora ho degli assi nella manica”.

“Sono curioso. Me li mostri?”.

“E tu? Sei un cavaliere d’oro. Di certo non sai solo saltellare e parare!”.

“Non spingerti troppo in là, piccolo. Sei dotato, te lo riconosco, ma non potrei mai combattere nel pieno delle forze contro di te”.

“Tu mi sottovaluti!”.

“E tu sottovaluti me..”.

Il bambino si accigliò. Con un grido, saltò e sollevò il braccio destro.

“Excalibur!” esclamò.

Saga ebbe un sussulto. Riuscì a parare il colpo e guardò con stupore il piccolo che aveva davanti.

“La spada sacra!” commentò “Dunque tu sei..un cavaliere d’oro?”.

“Shura. Io sono Shura del Capricorno!”.

“Shura, eh? Bel nome. Volevo usarlo pure io, un tempo. Ma alla fine ho preferito Saga. Sai che significa "il sanguinario"?”.

“Anche "assassino","demone" oppure "guida". Dipende..”.

“E tu cosa sei ti tutte queste cose?”.

“Mostrami il tuo colpo” cambiò argomento il bambino.

“Non te lo lancio contro. Ti farei male”.

Shura non gradì quella risposta e ricominciò ad attaccare, saltando e gridando. Saga schivò e si mosse alla velocità della luce, spostandosi alle spalle del bambino ed afferrandolo. Con delicatezza, bloccò il piccolo e sedette, ridendo. Gli spettinò i capelli.

“Hei, calmati! Saltelli come un giocattolo a molla!”.

Shura alzò lo sguardo. Incrociò gli occhi verdi di Saga e si intristì. Quello sguardo, così dolce e premuroso, gli ricordava quello del fratello deceduto. D’un tratto, scoppiò a piangere.

“Ma..” si preoccupò Saga “..che succede? Ho forse detto qualcosa che non va?”.

Shura affondò il capo fra le braccia del cavaliere dei Gemelli, che gli accarezzò la testa, non sapendo che altro fare.

“Che cosa ti è capitato, giovane cavaliere? Perché versi queste lacrime?”.

Un uomo abbronzato e sulla mezza età posò in terra lo scrigno dell’armatura del Capricorno.

“Se permettete..” parlò “..sarò io a raccontare la storia di questo fanciullo”.

 

Da quel funerale, Shura era fuggito via. Non voleva parlare con nessuno. Non voleva vedere nessuno. Le frasi di circostanza, quelle di cordoglio che parevano quasi registrate, non voleva proprio sentirle pronunciare. Correva, senza sapere dove andare.

“Fratellone..” gemette, con le lacrime che gli rigavano il viso.

Con rabbia, prese a calci e pugni tutto quel che trovava. Si era allontanato dal paese e ora era circondato dagli alberi. Faceva un po’ freddo, si trovava nei Pirenei. Si fermò, cadendo in ginocchio.

“Oh, fratellone..io adesso, cosa faccio? Sono da solo!”.

Non si aspettava di ricevere risposta. Sedette sotto un albero e pianse ancora.

“Que pasa, pequeño?” si sentì chiedere.

“Porque preguntas esto? Qui eres tu?” sbottò Shura, infastidito.

L’uomo gli si sedette accanto.

“Vattene! Non ho bisogno di sentirmi dire che sono un povero bambino!”.

“Che caratterino che hai! Ma lo sai che a volte questo è utile..mentre a volte è pericolosissimo?”.

“Continuo a non capire cosa importi a te, che non mi conosci!”.

“Allora conosciamoci. Qual è il tuo nome?”.

“Desaparece!”.

“Desaparece? Nombre curioso..”.

“Lasciami in pace..”.

“Piccolo! Coraggio..”.

“Smettetela tutti di dirmi che devo avere coraggio! Non mi interessa di avere coraggio! Coraggio per cosa?! Per vivere in questo posto orribile, dove i buoni muoiono ed a nessuno importa?!”.

“Perché non aspetti un attimo e..”.

“E cosa?! Prego?! Già sentita questa!”.

“Oh, per Atena, no! Pregare non serve a nulla. Però potresti stringere i pugni e combattere. Non perché gli altri te lo dicono, ma perché tu senti che è la cosa giusta”.

“Combattere?”.

“Sì. Vuoi che altri buoni non muoiano? Perché non combatti, per impedire che questo accada?”.

“Lo posso fare?”.

“Certo. Io posso insegnarti”.

“Ma tu chi sei?”.

“Sono un cavaliere di Atena, a guardia di una delle armature in attesa del suo padrone. Per molti quelli come me sono dei demoni pagani ma sai che ti dico? Sono al servizio di una divinità buona e giusta perciò..sono fiero di essere un demone!”.

 

Dopo qualche tempo trascorso fra le montagne, il bambino si sentiva ancora molto confuso. Camminava lungo le rive di un fiume, cercando legna per il fuoco, quando udì una voce.  Un ragazzetto, di qualche anno più piccolo, stava giocando vicino alla riva.

“Torna qui!” lo richiamò la madre “Non avvicinarti troppo all’acqua. È pericoloso”.

“Ma dai, mamma! Non succede niente!”.

“Torna qui, ho detto!”.

Il piccolo si girò di colpo e scivolò fra i sassi, finendo in acqua. La corrente era forte e subito fu trascinato.

Immediatamente, Shura lasciò cadere la legna raccolta e corse. Doveva essere più veloce della corrente!

“Aiuto!” gridò il piccino.

“Resisti!” rispose l’aspirante cavaliere.

Saltò, da una roccia ad un’altra, cercando in ogni modo di raggiungere il fanciullo in difficoltà. Una delle pietre però cedette e l’equilibrio di Shura  vacillò. Decise allora di cambiare strategia e si buttò in acqua, afferrando il piccolo. Insieme vennero trascinati via dal fiume.

“Stai tranquillo! Ti aiuto io!”.

“Voglio la mamma!”.

“Ti ci riporto io dalla mamma, fidati!”.

Shura non era affatto convinto di riuscirci.

“Ah! Che qualcuno mi ascolti” mormorò “Non è giusto che accada questo! Se è destino che oggi sia presa una vita, fa che sia la mia e non quella di questo piccolo, che ha una mamma che piange per lui! Prendi la mia di vita, destino, così che io possa rivedere la mia di mamma..”.

“Oh, giovane cavaliere..”.

Una voce femminile pronunciò quelle parole.

“Mamma?” pensò Shura, ma capì subito che non era sua quella voce.

 “Chi sei?” domandò allora.

“Giovane cavaliere..”.

“Non sono ancora cavaliere..”.

“Sei cavaliere nell’animo e nel cuore. Se davvero sei pronto ad immolarti per salvare una vita, in tuo spirito non può essere altro che quello di un cavaliere”.

“E tu..tu chi sei?”.

“Mi conoscerai, cavaliere. Un giorno, ci incontreremo.. Ora fidati di me. Leva il tuo braccio al cielo e avrai salva la vita, assieme a quella di quel bambino che stringi a te”.

“Il mio braccio?”.

“Fidati di me”.

Non sapendo che altro fare, non vedendo alternative, Shura sollevò il braccio. Mosso da una forza mai percepita prima, lo mosse e una luce si sprigionò da esso. Un albero, sul ciglio del fiume, fu colpito da quella luce e cadde, tagliato in due. Bloccando in parte il flusso dell’acqua, quel tronco fu la salvezza dei bambini. Shura vi si aggrappò e riuscì a condurre in salvo se stesso e l’altro giovane.

“Piccolo mio!” gridò la madre del piccino, terrorizzato, e corse ad abbracciarlo.

Shura ansimava, sfinito. Era felice, però. Il suo braccio splendeva ancora di luce dorata.

 

“Ci rivedremo..” ripeté Shura.

“Come dici?” domandò Arles, non comprendendo quel borbottio.

“Niente. È solo che..a volta mi viene in mente una cosa..”.

“Cosa tormenta il tuo animo?”.

Il Gran Sacerdote, seduto sul trono, osservava il Capricorno, in silenzio.

“A volte mi chiedo..se le cose potessero andare in modo diverso”.

“Ti riferisci alla faccenda di Aiolos?”.

“Io so cosa significa perdere un fratello. Ed ero amico di Aiolos. Mi chiedevo se si potesse fare altro..”.

“Qualcosa di diverso dall’ucciderlo? Shura..metti forse in dubbio i miei ordini? Credi forse che Atena non avrebbe fermato la tua mano, se non fosse stato giusto quel che è stato fatto?”.

“Immagino che..sì, in effetti, Atena avrebbe fermato la mia mano. Ma quella bambina..”.

“Intendi rinnegare la tua fedeltà?”

“No. Ma..credete che Aiolos potrà mai perdonarci?”.

“Perdonarci?”.

Per qualche istante, la volontà del lato malvagio de Sacerdote vacillò.

“Perché mai dovrebbe perdonarci?” sibilò poi, riprendendo il controllo “Lui ha tradito il tempio! E tu lo sai bene!”.

“Però la bambina..”.

“Shura..pensi che, se fosse stata Atena, non avrebbe trovato il modo di fartelo capire?”.

“Io mi fido di quel che dite. Siete voi il Gran Sacerdote, non io. Ma mi dispiace comunque per il piccolo Aiolia”.

“Non è più tanto piccolo. Ora ha l’armatura d’oro proprio come te e ti conviene sperare che non stia a rimuginare troppo su quanto successo, perché vi ritrovereste a lottare uno contro l’altro”.

“Quando ero bambino, qualcosa mi ha portato a credere che mio fratello mi avesse affidato a voi, Saga”.

“Eri solo un bambino anche tu, quando ti ho affidato il compito di uccidere il traditore. Chiedo perdono, forse non eri ancora pronto..”.

“Ma..no, non è così!”.

“E allora smettila di farti domande, Shura. Ricordati che Atena ha scelto te. Ha affidato a te la spada sacra. Se tu non fossi nel giusto, questo non sarebbe successo. Non saresti altro che un uomo qualunque. E invece sei Shura del Capricorno, con la sacra Excalibur nel braccio destro! E questo, per quel che mi riguarda, chiude la questione. Atena ti guida. Come puoi avere dubbi? Non credi in lei?”.

“Io credo ciecamente in lei!”.

Shura annuì. Doveva essere vero, dopotutto. Quella spada apparteneva a lui. Atena lo aveva scelto fra moltissime altre creature viventi. Lo aveva benedetto e perciò non doveva avere timore alcuno: era nel giusto! Però..

“Quella volta, quando la spada si risvegliò in me, udii la voce di Atena. Sono certo che fosse lei! Però..ultimamente la sua voce non riesco a sentirla”.

“Shura..Atena non è la tua compagna di penna o di merende! Non puoi pretendere che sia disposta continuamente a chiacchierare con te”.

“Forse è vero”.

Shura sorrise. Che sciocco era stato! Lasciò la tredicesima con un mezzo ghigno sulla faccia che subito mutò. Aiolia lo stava fissando. I due non si parlarono. Si osservarono in silenzio qualche istante e poi ognuno andò per la sua strada. Chissà come mai il Leone era stato convocato..

“Un giorno chissà..magari combatteremo fianco a fianco senza lanciarci certi sguardi, Aiolia..”.

 

 

Shura!! Finito il caprettino coccoloso. Ora ne mancano solo due e..che dire..poi dovrò per un po’ dedicarmi a cose allegre e meno “pucciose” :P

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Capitolo 11
*** Luce e ombra ***


I due bambini si incrociarono lungo le strade affollate e per qualche istante qualcosa nel loro animo sussultò.

“Perché la tua vicinanza mi turba? Chi sei tu?” domandò uno dei due, quello di qualche anno più piccolo.

L’altro non rispose. Non sapeva cosa dire. Scosse la testa e riprese a camminare. Il piccolo tentò di dimenticare quella sensazione ma questa si ripresentò, più forte, quella sera.

“Smettila di stare sempre lì davanti a quella statua. Vieni a mangiare” protestò un monaco, chiamando il fanciullo che però non si mosse.

“Stai cercando di morire di fame?” si aggiunse una voce giovane.

“Sei il bambino di questa mattina?” domandò il richiamato.

“E tu cosa ci fai qui?”.

“Potrei farti la stessa domanda. Io sto qua da anni”.

“Davanti ad una statua? A fare cosa?”.

“A parlare con Buddha”.

“E ti risponde?”.

 “Solitamente sì”.

 

“Ho mangiato anche la tua parte. Tu mi sa che finirai col morire di fame per davvero, biondino!” sorrise il ragazzetto dai capelli scuri “Ma..tu sei cieco?”.

“No” rispose il più piccolo.

“E allora perché tieni gli occhi chiusi?”.

“Per elevare il mio spirito”.

“Verso dove?”.

“L’illuminazione. Tu non credi in Buddha?”.

“Sono induista. Ci credo, ma in modo diverso da te”.

“Cioè?”.

“Per me è una delle reincarnazioni di Vishnu”.

“Chi è Vishnu?”.

“Il preservatore di questo mondo”.

“Quindi..io e te crediamo nella stessa cosa, ma con nomi diversi?”.

“Non sono quasi tutte le religioni così?”.

“E come mai sei qui in questo tempio?”.

“Avevo fame..”.

“Sei orfano?”.

“Anche tu?”.

Il biondo sorrise leggermente. Era sempre piacevole conversare un po’ con qualcuno che non fosse un adulto o una statua!

“Ti va di fare un giro?” propose il più grande dei due, porgendo la mano al piccolo seduto.

 

“Sai che il Gange sono i capelli di Shiva?” parlò il moro, sulle rive del fiume sacro.

“TI ho già spiegato che non sono induista. Non conosco i tuoi Dei..” sbuffò il biondo.

“E questo fa sì che io sia più forte di te” rise il maggiore “Perché tu hai un Dio solo mentre io ne ho una schiera! Un piccolo esercito nascosto in ogni dove!”.

“Che stupidaggine. Il divino si cela in ogni cosa ma non certo perché in ogni cosa dimora un Dio!”.

“Comunque per me il Gange resta la capigliatura di Shiva!”.

“Shiva gira con i cadaveri in testa?”.

“Vogliamo parlare delle orecchie di Buddha?!”.

Il biondo incominciò a camminare e l’altro bambino sorrise, certo di averlo offeso. La statua di Shiva danzante e quella di Buddha si fissavano, sulle due sponde del fiume. Illuminate dalle candele votive, nella notte proiettavano riflessi inquietanti sull’acqua. Sempre ridendo, il più grande dei due bambini raggiunse correndo il biondo e gli diede una piccola spinta, invitandolo a giocare.

“E apri gli occhi, dai! Solo per stasera!”.

Rincorrendosi, per qualche ora entrambi dimenticarono quanto dura era la vita in quel mondo per due orfani. Che importanza aveva a quale Dio i due si rivolgevano? Il cielo era lo stesso per entrambi e in quella notte era pieno di stelle!

Poco dopo, però, delle grida interruppero le loro risate.

“Che succede?” domandò il biondo, non riuscendo a vedere oltre il piccolo muro dietro a cui parevano venire quelle urla di rabbia.

Due uomini si stavo affrontando ed i loro colpi emettevano luci e scintille. Indossavano armature di colori diversi e sembravano intenzionati ad ammazzarsi l’un l’altro.

“Meglio andare via” rispose il bambino dai capelli scuri.

“Tornatene all’inferno, demone!” ordinò un uomo.

“Non ci verrò da solo..” ghignò il suo avversario, spalancando le ali delle sue vestigia e dirigendosi verso i due piccoli.

“Corri!” esclamò il più grande dei due, prendendo per mano il piccolo, che incespicò nella sua stessa veste.

L’uomo dall’armatura alata li raggiunse in fretta. Il maggiore si mise a difesa del piccolo biondo, spalancando le braccia. A poco servì. Con gli artigli delle sue vestigia, il nemico si preparò a dilaniarli. Fortunatamente l’altro uomo, la cui armatura scintillava più della luna piena, sopraggiunse in tempo. Un forte lampo illuminò il cielo ed i bambini finirono in terra.

“Stai bene?” domandò il piccolo biondo.

“Sì. Ma ora andiamo via!”.

“Chi sono quei due uomini?”.

“Mettiamoci in salvo. Ci pensiamo dopo!”.

“Quello cattivo vince..”.

Il più grande annuì, preoccupato. In effetti, l’uomo che li aveva salvati sembrava in difficoltà. Per proteggerli era stato ferito gravemente ed ora non riusciva più a reagire come prima.

“Lo dobbiamo aiutare!” continuò il biondo.

“Ma ragiona! Che potremmo fare noi? Cerchiamo, piuttosto, qualcuno che ci aiuti!”.

“Sarà tardi! Facciamo qualcosa! Ci ha salvato la vita!”.

Sospirando, il ragazzino dai capelli scuri capì che doveva intervenire in qualche modo. Si guardò attorno e poi corse verso la grande statua di Shiva. Ne prese delle candele ed incendiò un fascio di rami. Un po’ a fatica poi, corse verso i due uomini in armatura, con l’intento di colpire l’alato. Questi si girò e lo fissò, con fiammeggianti occhi minacciosi. Parve titubante per qualche istante, dinnanzi il grido di quel moccioso. Poi ghignò e scattò in avanti.

“No! Fermo!” tentò di reagire l’altro uomo.

Colui che indossava l’armatura alata era stufo e respinse il suo avversario, scagliandolo contro la statua del Dio induista. Poi rise e corse ad afferrare il bambino dai capelli scuri. Questi tentò di reagire ma senza successo.

“Vieni con me, stella oscura” sorrise lo sconosciuto.

Anche se sanguinava copiosamente, riuscì a svanire, portando il ragazzino con sé.

Il bambino biondo spalancò gli occhi, non sapendo che cosa fare.

“Non far tremare in quel modo il tuo cosmo, piccolo” mormorò qualcuno.

“Cosmo?” domandò il fanciullo, girandosi e vedendo in terra l’uomo dall’armatura come la luna.

Lo raggiunse, piangendo.

“Lo ha portato via!” gemette “Ti devi alzare ed aiutarlo!”.

“Non sono in grado di farlo, mi spiace..”.

L’uomo sanguinava ed arrancava, tentando inutilmente di rialzarsi.

“Ma allora..cosa faccio?”.

“Niente. Quello Specter ormai lo avrà già portato nel regno di Hades”.

“Quindi è..morto?”.

“La morte è solo un passaggio. Sono certo che vi incontrerete ancora”.

L’uomo sorrideva, nonostante le ferite. Fra le mani stringeva qualcosa: il motivo della contesa fra lui e lo Specter. Lo porse al bambino. Era un rosario con 108 grani.

“Quel servo di Hades se ne voleva impossessare. Ma sono riuscito a preservarlo dai suoi artigli”.

“Che dovrei farci?” si accigliò il bambino, ancora con gli occhi azzurri spalancati.

“Proteggere il mondo dai demoni, come Shakyamuni”.

“Il saggio della stirpe dei Shakyas? Siddharta?!”.

L’uomo sorrise ancora, nonostante il rivolo di sangue che ormai gli scorreva dalla bocca.

“Finalmente ti ho trovato!” riuscì a dire ancora, prima di morire.

“Trovato?! Ma..che dici?! Non ti capisco!”.

Il piccolo prese fra le mani il rosario e lo guardò. Che strana sensazione trasmetteva! Come avvolto da un’improvvisa ed insperata pace, il bambino chiuse di nuovo gli occhi. Una luce d’oro lo circondò, mentre l’armatura della vergine guardava il cielo, a mani giunte, alle sue spalle.

 

“Shakyas? Io ti chiamerò Shaka, è più facile” furono le prime parole che qualcuno gli rivolse una volta giunto al tempio.

Chissà perché proprio in quel momento, in cui camminava per il regno di Hades con Athena a fianco, ricordava quel dettaglio! Lo trovò quasi divertente,anche se in quel momento non c’era proprio alcun motivo per cui ridere.

 

Il bambino dai capelli scuri era cresciuto. Nonostante il suo rapitore fosse morto pochi instanti dopo averlo condotto nel regno di Hades, la stella oscura che brillava nel cuore del fanciullo lo aveva condotto verso il suo destino.

“E così..” sorrise, accarezzando il bracciale della sua armatura “..a quanto pare, non sei morto di fame, biondino! Shaka di Virgo..ma non eri buddista?!”.

“Con chi parli?” alzò lo sguardo Radhamante, seduto a gambe incrociate a sorseggiare alcolici.

“Con nessuno in particolare..”.

“Sei pronto? Pandora diventa fastidiosa quando la si fa aspettare!”.

“Rilassati”.

Riuscì a lasciarsi fuggire un sorriso e poi si incamminò per le strade del regno del suo signore Hades. Gli artigli della sua armatura, gli stessi che avevano tentato di graffiarlo quanto era bambino, ticchettavano sulla pietra. Spalancò le ali. Un gruppo di Specter si inchinò dinnanzi al proprio generale Aiaco di Garuda.

Garuda, la creatura in parte uccello che fungeva da cavalcatura a Vishnu, era pronto alla nuova guerra santa!

 

BUUUM SHAKA BUM! Eccoci qua. È spaventosamente corto, me ne scuso, ma ho preferito non divulgarmi in cose inutili. Alla prossima..l’ultimo mini saint!

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Capitolo 12
*** Fra Terra e Mare ***


Non sopportando la vista di indifesi vessati dai soliti bulli, il bambino intervenne, mettendo in fuga il gruppetto di ragazzetti fastidiosi. Era il bello di essere più grosso rispetto agli altri! Con un sorriso affettuoso, rassicurò la vittima e la invitò a rialzarsi. Non era servito alcun atto di forza: semplicemente aveva incrociato le braccia, facendo capire che di lì non si sarebbe mosso.

“Ti hanno fatto male?” domandò gentilmente.

“No. Grazie per l’aiuto. Si sono solo presi la mia merenda”.

“Oh, mi spiace. Forse sono arrivato un po’ tardi”.

“Ah no, vedi?” il piccolo mostrò una monetina “Questa non l’hanno presa. Ed ora vado a prendermene un’altra di merenda. Grazie!”.

Il salvatore lo vide allontanarsi e sorrise ancora, felice della buona azione fatta. Decise pure lui di tornare a casa. Un uomo però lo fermo. Da sotto il pesante mantello, non si poteva scorgere molto. Il bambino lo prese per pazzo perché solo un pazzo poteva girare per Rio de Janeiro con vesti simili.

“Ho visto come hai difeso quel ragazzino. Sei stato molto coraggioso”.

“Grazie. Ma non ho fatto niente di che. Non mi piace quando prendono in giro i piccoli”.

“Sei un bambino molto buono”.

“Troppo. Me lo dicono sempre. Ora, però,vorrei tornare a casa mia”.

“Ti accompagno”.

“No..cioè..non è necessario”.

“Devi stare molto attento. Altri vorrebbero avere il tuo potere”.

“Quale potere?”.

“Un potere che io percepisco e di cui forse tu non hai ancora consapevolezza”.

“Ma chi sei tu?”.

L’uomo scostò leggermente il mantello e qualcosa brillò sotto di esso: un’armatura.

“Un amico” rispose al piccolo.

“Bel costume. Sei qui per il carnevale?”.

“No!” ridacchiò l’uomo “Tu ci andrai?”.

“Chi potrebbe impedirmelo? Siamo in dittatura ma non fino a questo punto..”.

 

Alla grande parata il bambino si stupì, perché quell’uomo era riuscito a scovarlo di nuovo.

“Mi stai pedinando, per caso? Come fai a trovarmi sempre? Fra tutta questa gente..”.

“Te l’ho detto: il tuo potere! Io lo sento e mi chiama”.

“Sei inquietante..”.

Su uno dei carri, fra donne succinte e ballerini, sventolava la bandiera brasiliana.

“Sai che stelle ci sono sulla bandiera del Brasile?” domandò l’uomo.

“Tu non stai guardando le stelle..” sorrise il bambino, notando lo sguardo leggermente assente dell’uomo davanti al generoso fondoschiena della donna sul carro.

Questi ammise la sua colpa con un sorriso. Non indossava l’armatura, non volendo dare nell’occhio e cercando di non morire per il caldo.

“Perché eri vestito strano prima?” domandò il piccolo.

“Ero in missione. Ti spiegherò. Tu piuttosto..cosa fai qui tutto da solo?”.

“E con chi dovrei essere?”.

“Con tua madre?”.

“Io vivo nella favela. La strada è mia madre”.

“Che poetico..”.

Insieme continuarono a guardare i carri fino a quando l’uomo trascinò via il bambino, essendo ormai notte fonda e facendosi le strade un luogo non adatto ad un piccolo, seppur piuttosto grosso.

“Le stelle sulla bandiera..” riprese l’adulto, scortando il minore fino a casa “..sono:  Procione, Cane Maggiore, Carina, Virgo, Idra, Croce del Sud, Octante, Triangolo Australe e Scorpio”.

“Saperlo mi servirà?”.

“Alcune di esse sono presenti solo come singola stella e rappresentano i diversi stati. Al momento ce ne sono 21 ma chissà..potrebbe cambiare”.

“Questa lezione a cosa la devo?”.

“Era per conversare. Non ti affascinano le stelle?”.

“Sì. Però..come potrà aiutarmi nella vita sapere certe cose?”.

“Hai così poche speranze nel futuro?”.

“Quelli come me, poveracci senza famiglia, non hanno grandi possibilità. Di certo il mio futuro non sarà in una grande casa lussuosa con tanti soldi e un lavoro da favola”.

“Devi avere fede”.

“Diciamocelo: il Cristo redentore con le braccia aperte non potrà aiutarmi”.

L’uomo si girò verso la statua. Lassù in cima, aveva indubbiamente qualcosa in comune con la statua di Atena che stava al grande tempio. D’un tratto qualcosa brillò nel buio ed il cavaliere fece segno al bambino di allontanarsi. Il piccolo non si mosse, vedendo sopraggiungere un uomo con indosso un’altra strana armatura.

“Chi sei? Cosa ti spinge qui?” domandò il cavaliere d’Atena.

“Sono Carios, Dragone del Mare a servizio di sua maestà Poseidone”.

“Non pensavo che si fosse già risvegliato”.

“Non lo è infatti. Mio il compito di sorvegliare il suo riposo e radunare futuri generali marini. Quel bambino è molto promettente e lo voglio nel mio esercito”.

“Scordatelo! Il suo è un cosmo legato ad Atena, l’ho percepito chiaramente! Gira al largo!”.

“Quel cosmo diverrà di Poseidone, Ateniese!”.

“Gira al largo, pesciolino!”.

Il Marino scattò e lo stesso fece il cavaliere d’Atena. Il bambino rimase fermo, senza capire. Stavano litigando per lui? Ma che senso aveva?

“Ma che fate?” domandò “Io..non valgo un tale litigio! Io..sono solo un orfano! Sono niente, sono nessuno! Perché vi ferite per me?”.

I due uomini lo ignorarono e continuarono a lottare. Il generale marino, con strani capelli rossicci, sembrava avere la meglio. L’ateniese, ancora debole per la missione appena conclusa, tentennò. Lo sguardo spaventato del piccolo brasiliano però infuse in lui nuova forza e ricacciò indietro il nemico. Era pronto a sferrare il colpo di grazia ma il bambino lo fermò.

“Non intrometterti. I generali di Poseidone sono malvagi”.

“Non mi importa” ribatté il piccolo “Uccidere è sbagliato”.

“Quest’uomo ucciderà altre persone, se non lo elimino io”.

“No. Non lo farà, perché tu proteggerai le persone che vorrà uccidere. È questo quel che fa un uomo giusto. Protegge i deboli, non li elimina! Tu sei un guerriero esperto, si vede. Anche lui lo è ma lo hai sconfitto. Non è giusto però che tu prevalga e tolga la sua vita”.

“Le tue parole sono sagge. È Atena che parla nel tuo cuore..”.

Il bambino pareva splendere di luce oro, così come in oro splendevano le stelle nel cielo, ed il combattimento finì.

 

“Saga, mi allacci le scarpe?” domandò timidamente Milo “Ho chiesto a Camus, ma mi ha preso in giro”.

“Che cattivo” rise Saga “Vieni che ti spiego come si fa”.

Sollevando lo sguardo, il giovane cavaliere incrociò quello di un bambino mai visto prima d’ora.

“Chi sei tu, piccolo?” domandò, con un sorriso.

“Io..” mormorò il brasiliano “..porto l’armatura del Toro”.

“Ah, benvenuto”.

Il viso di Gemini piaceva al Toro. Gli trasmetteva una bella sensazione.

“Un nuovo cavaliere?” si unì Aiolos “Vieni, ti accompagno dal Gran Sacerdote!”.

Bambini curiosi sbirciarono ed il bambino li fissò a sua volta.

“Che nome hai scelto?” domandò Aiolia.

“Aldebaran. È il nome della mia stella, ed io ho capito che bisogna sempre guardarle, e non perdere mai la speranza per un futuro migliore”.

“E da dove vieni?” si aggiunse Milo.

“Dal Brasile”.

Deathmask, rimasto fin ora con aria indifferente, sorrise.

“Brasile?!” esclamò “Allora..io e te un giorno dobbiamo insegnare a questi qui come si gioca veramente a calcio!”.

“Con molto piacere”.

 

“Ma dunque..l’intruso è morto?” domandò Aldebaran.

“Non ti devi preoccupare. È stato respinto” lo rassicurò Aiolos.

“Ma era davvero un generale marino? Era davvero il dragone del mare?”.

“Perché lo chiedi con così tanta insistenza?”.

Toro non rispose. Gli dispiaceva che l’uomo che aveva aiutato solo poco tempo prima fosse morto, o comunque ferito gravemente. Sobbalzò vedendo apparire, nel buio, Saga.

“Non ti spaventare” rise Aiolos “Non vedi che è Gemini? Che probabilmente è stato richiamato al tempio inutilmente perché il pericolo è passato”.

“Shion mi ha appena fatto la predica, perdonatemi se non sono di buon umore” storse il naso Saga.

“Del resto..” incrociò le braccia Aiolos “..quel generale marino è entrato qui al tempio ed è tuo il compito di sorvegliare i confini delle terre di Poseidone. O sbaglio? Ti eri addormentato, per caso?”.

“E tu? Mi risulta sia stato Shura a fermarlo e non tu, grande e poderoso cavaliere..”.

Aldebaran guardò entrambi piuttosto smarrito. Gli occhi di Gemini avevano qualcosa di diverso. Dov’era quell’espressione angelica e buona che aveva visto appena giunto al tempio? Poi però si convinse che il tutto fosse dettato dalla stanchezza e tornò ai suoi affari.

In realtà era stato proprio Saga a uccidere il generale, per poi impossessarsi dell’armatura e tentare l’attacco al tempio. Debole però dopo lo scontro con il Marino, e ancora incapace di tenere a bada le due personalità altalenanti, aveva dovuto ritirarsi di fronte a Shura e gli altri cavalieri presenti. Aveva riposto l’armatura al posto di partenza, sicuro che non avrebbe più dato problemi. Ma proprio quell’armatura era quella che Kanon, da poco rinchiuso, avrebbe poi indossato. Però tutto questo il piccolo Aldebaran non poteva saperlo. Aveva solo sette anni e degli inganni del futuro gran sacerdote sarebbe venuto a conoscenza solo tantissimo tempo dopo.

 

Eccolo l’ultimo!! La parte riguardante il “dragone del mare” è contenuta in parte nella storia che parla di Excalibur (“la vera storia di Excalibur” mi pare si chiami in italiano, non ricordo) che qui ho voluto un pochino ampliare. Siamo giunti alla fine..finalmente! ora voglio sapere quale avete preferito ;) non vedo l’ora di scoprirlo! Alla prossima!

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