Storie Perdute di SagaFrirry (/viewuser.php?uid=819857)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il bambino fra vulcani e terremoti ***
Capitolo 2: *** Il sussulto del cuore ***
Capitolo 3: *** La bellezza della morte ***
Capitolo 4: *** Amicizia ***
Capitolo 5: *** Generazioni ***
Capitolo 6: *** Aiutami ***
Capitolo 7: *** L'imperatore ***
Capitolo 8: *** Il drago di giada ***
Capitolo 9: *** Summertime madness ***
Capitolo 10: *** Fedeltà ***
Capitolo 11: *** Luce e ombra ***
Capitolo 12: *** Fra Terra e Mare ***
Capitolo 1 *** Il bambino fra vulcani e terremoti ***
La
gente del
paese aveva paura di quel bambino. Nonostante la pietà che
suscitava, perché
orfano dal terribile terremoto che aveva colpito il lato opposto della
Sicilia,
vi era in lui qualcosa che intimoriva. All’ombra di un
giovane albero dal
tronco attorcigliato, il piccolo osservava l’Etna, che si
ergeva all’orizzonte.
Da quando era stato portato in quel paesino sperduto, adottato da
un’amica di
famiglia, il suo unico desiderio era stato avvicinarsi il
più possibile a quel
vulcano. Ovviamente la madre affidataria non glielo concedeva.
“Vieni
dentro” chiamò una voce di donna “Fa
molto caldo, rischi di stare male”.
“Va
bene,
signora” rispose il bambino.
“Puoi
chiamarmi Mamma, sai?”.
“Non
sei la mia
mamma..” commentò lui, dopo qualche istante di
silenzio “..la mia mamma è morta
accanto a me, quando la casa è venuta giù. La sua
anima mi segue sempre”.
“Non
fare
questi discorsi. La sua anima è volata in cielo, in
paradiso. È divenuta un
angelo e ti proteggerà sempre”.
“No.
Non
credo”.
“Perché
non
credi?”.
“Perché
io
la vedo!”.
“Non
si
dicono le bugie! Lo sai che i bambini che dicono le bugie finiscono
all’inferno?”.
“Non
è una
bugia!”.
La
donna
sospirò. Forse doveva cercare di capire quello strano
orfano. Dopotutto, era
rimasto sepolto sotto le macerie per giorni, accanto alla madre morta.
Probabilmente quel che vedeva era una conseguenza del trauma subito.
Aveva
deciso di adottarlo, perché amica d’infanzia della
madre, e lo aveva condotto
lontano da quella valle, epicentro di quel terremoto disastroso. Erano
trascorsi
dei mesi ormai ma il piccolo si ostinava a dire che vedeva le anime dei
morti,
e non solo quelli della Valle del Belice.
“Forse
dovrei accompagnarti da un prete..” pensò lei ad
alta voce.
Il
bambino
inclinò leggermente la testa, senza capirne il motivo.
“Ma
cambiando argomento..tra poco sarà il tuo compleanno! Il 24
giugno compirai 6
anni! Che cosa vuoi che ti regali? Ti farò una torta gigante
con i gusti che
piacciono a te e, se ti va, possiamo chiamare qui i tuoi amichetti a
festeggiare. Che dici?”.
“Va
bene.
Però..mi porti a vedere il vulcano?”.
“L’Etna,
dici? Ma non è un posto per bambini!”.
“Per
favore!
Come regalo! Ti prego, ti prego, ti prego! Giuro che non chiedo
più niente,
sarò buono, non parlerò più delle
anime! Se vuoi ti chiamerò anche mamma! Ti
preeeeeeeego!”.
“Smettila!
Non è assillandomi che otterrai le cose!”.
Il
piccolo
si imbronciò. Poi sfoggiò il più
convincente sguardo lacrimevole possibile e
fissò la madre adottiva.
“Ci
tengo
tanto” piagnucolò “Cattiva..”.
“E
va bene!
Ti ci porto! Ma devi promettermi di fare il bravo, intesi?”.
“Sì!
Sarò il
bambino più buonissimissimo del mondo! Te lo
prometto!”.
“Va
bene.
Ora va a sederti, che ti porto la merenda”.
Il
giorno
della gita, il bambino era agitato. La madre adottiva lo teneva per
mano, per
non perderlo fra i gruppi di turisti. Lui, a sua volta, stringeva la
manina
della sorellina acquisita.
“Perché
la
montagna fuma, fratellone?” domandò la piccola.
“Perché
è un
vulcano. Dentro c’è il fuoco”.
“Voglio
vederlo!”.
“Non
si può!
Il fuoco brucia!”.
“Guardate!”
indicò la madre, quando si riuscì a vedere un
piccolo fiume di lava.
“Bello!”
esclamò il bambino, spalancando gli occhi “Andiamo
più vicino!”.
“No.
È
pericoloso”.
“Uffa..”.
“Non
sbuffare. Non sei mai contento..”.
Una
folata
improvvisa di vento li avvolse ed al bambino parve di sentire una voce.
Si girò
verso la madre, che però non aveva parlato. Storse il naso,
perplesso. Poi la
sorellina si lagnò, perché il cappellino le era
volato via. Il fratello
acquisito non esitò un attimo e corse per riprenderlo,
nonostante le grida di
rimprovero della madre. Afferrò il capello, poco distante,
ma quella voce..
“Mamma?”
domandò il piccolo, notando un bagliore azzurro fra le rocce.
“Torna
qui!”
lo richiamò la madre adottiva “Obbedisci!
È pericoloso!”.
Il
bambino
continuò a camminare. Si fermò, atterrito. Udiva
chiaramente delle urla. Erano
gemiti, suppliche e pianti. Riprovava le sensazioni sperimentate fra le
macerie
sotto cui era rimasto sepolto, in cui aveva percepito le vite di chi
aveva attorno
spegnersi.
“C’è
qualcuno qua sotto!” gridò.
“Non
c’è
nessuno qua sotto, piccolo. Cosa dici?” tentò di
rassicurarlo la madre adottiva
ma il bambino non le credette ed iniziò a correre,
avvicinandosi al punto da
cui credeva provenissero quei gemiti.
Non
facendo molto
caso a dove poggiava i piedi, inciampò e sotto di
sé il terreno cedette. Il
caldo era insopportabile ed il fumo denso ma, nonostante tutto,
riuscì ad
intravedere una figura.
“Mamma?”
chiamò il bambino.
“No
di
certo” rispose la figura, con profonda voce da uomo.
“Hai
visto
la mia mamma?”.
“No.
E tu
non dovresti essere qui”.
“Ma
io..”.
Il
piccolo
ammutolì. Accanto alla figura che gli parlava, vedeva molte
anime.
“Quelle
persone! Le hai uccise tu?” domandò.
“Quali
persone?”.
“Ah,
capisco. Non le vedi nemmeno tu..”.
“Parli
delle
anime che stanno qui, marmocchio?”.
“Sì.
Le
vedi?”.
“Ovvio.
Sei
tu, piuttosto, che non dovresti vederle”.
“Da
quando
c’è stato il terremoto, le vedo. E per questo in
molti hanno paura di me”.
“Mi
pare più
che normale. Quanti anni hai, moccioso? Dov’è tua
madre?”.
“Mia
madre è
morta. Ed oggi è il mio compleanno. Faccio sei
anni”.
“Oggi?
Sei
nato la notte di San Giovanni? Lo sai cosa si dice di quella notte? Che
sia
maledetta. Che le streghe danzino con il diavolo e che..”.
“Non
credo a
certe cose. E non mi fanno paura”.
“Nemmeno
le
anime che vedi ti fanno paura?”.
“No.
Ma tu
chi sei? Cosa ci fai qui?”.
“Non
sono
cose per bambini..”.
“Adranos!
Chi è?” tuonò una voce profonda ed
un’ombra si mosse.
“Solo
un
bambino..”.
“Cosa
c’è in
quella scatola?” domandò il piccolo, indicando una
Pandora Box color oro.
“Nulla
che
ti riguardi!” sbottò l’ombra.
“Signore..”
interruppe Adranos “..quel bambino vede le anime!”.
“Interessante!”
ghignò l’ombra “Allora, mio caro piccolo
ficcanaso, ti dirò solo questo:
scoprilo. Non provi timore alcuno nello stare qui, segno di indomabile
coraggio. O infinità stupidità. Chi
può saperlo..”.
“Come
lo
scopro?”.
“Torna
qui,
la prossima notte di luna, e vedremo se il tuo è coraggio o
stupidità!”.
“Ma..come
faccio a venire qui di notte?!”.
“Hai
paura
del buio?”.
“No
ma..non
posso uscire di notte!”.
“Peccato.
Allora cosa c’è in quella scatola non lo scoprirai
mai!”.
Entrambe
le
creature risero ed il fumo si fece più fitto. Il bambino
tossì e chiuse gli
occhi, infastidito. Quando li riaprì, la madre adottiva lo
stava guardando,
terrorizzata. Il piccolo era steso in terra ed una piccola folla gli
sta
intorno.
“Dove
sono
Adranos e quell’altro strano tizio?”
domandò, mettendosi a sedere.
“Adranos?
Strano tizio? Cucciolo mio..sei caduto ed hai battuto la testa. Devi
essertelo
immaginato. Ma grazie a Dio stai bene”.
“Immaginato?
Ma no, io..”.
“Andiamo
a
casa. Povero caro..”.
Prendendolo
in braccio, la madre non ascoltò le proteste del bambino,
che si guardò
attorno. Non poteva essere stato tutto un sogno! E vide una luce
azzurra...
La
notte di
luna illuminava l’aranceto. Il piccolo non poteva credere di
essere uscito di
casa di nascosto, al buio, per raggiungere il vulcano e seguire le
parole di
uno sconosciuto che forse si era sognato. La vegetazione si stava
diradando,
segno che il cratere attivo si stava avvicinando.
“Sei
tornato”
parlò una voce alle sue spalle.
Il
bambino
si girò e riconobbe l’ombra che aveva visto
qualche giorno prima.
“Vieni
con
me” lo invitò ed il piccolo lo seguì
“Spero per te che non mi stia prendendo in
giro, e che le anime che dici di vedere non siano tutte una tua
invenzione”.
“Se
vuoi te
le descrivo”.
“Buona
idea.
Ma prima vieni con me”.
I
due camminarono
fra le rocce nere finché dinnanzi a loro si
mostrò un passaggio, celato agli
occhi dei turisti e uomini comuni.
“Come
mai
qui ci sono tante anime?” domandò il bambino,
seguendo l’ombra giù per le
ripide scale, all’interno del vulcano.
“Hai
mai
sentito parlare dell’Oltretomba?”.
“Inferno
e
paradiso? Me ne parlano spesso..”.
“No,
niente
inferno e paradiso. Parlo di un regno antico esistente da ben prima che
nascessero
simili leggende cristiane”.
“Leggende?”.
“Sei
piccolo. Immagino che di mitologia tu sappia ben poco..”.
“Cos’è
la
mitogia?”.
“Mitologia!
Te
lo insegnerò. Ora però dimmi: che cosa
vedi?”.
Il
bambino
si guardò attorno. Faceva caldo e molte anime marciavano,
una dietro l’altra,
dirette verso un unico punto buio. Descrisse quanto visto e
l’ombra sorrise.
“Lo
sapevo
che saresti venuto!” sorrise Adranos, avvolto dalle fiamme
“Anche se non è
normale che un bambino così piccolo disobbedisca alla
madre..”.
“Non
è mia
madre e poi non è nemmeno normale che qualcuno viva in un
vulcano. Chi siete? E
perché vedete le anime come le vedo io?”.
“Io
sono
Adranos, demone delle fiamme che Efesto, Dio fabbro, ha sottomesso per
creare
la sua fucina. E lui è Tifone, a guardia
dell’armatura d’oro e delle porte del
Tartaro, dove tutte le anime si stanno recando. Quello che vedi
è uno degli
ingressi che conducono al regno dei morti, dove Hades regna”.
“Hades?
Efesto?”.
“Imparerai
ogni cosa. Ora dimmi: hai mai sentito parlare del Meikai?”.
Essere
addestrato
da un demone e da un gigante non era facile, ma il bambino dagli occhi
color
del sangue ed i capelli argento si sentiva a suo agio. Probabilmente
chiunque
altro sarebbe fuggito, in preda al terrore, ma non lui. Lui era rimasto
e per
anni aveva appreso le tecniche di combattimento dei cavalieri.
Quella
mattina
stava rientrando da scuola, che trovava sempre più noiosa,
quando percepì una
lieve scossa. Il vulcano stava dando segni di imminente risveglio,
ormai ne
riconosceva gli avvisi. Ma capì che non per tutti era
così, perché un gruppetto
di turisti si era avventurato ben oltre il limite di sicurezza.
“Tornate
qui!” li chiamò, gridando “Il vulcano si
sveglia!”.
I
turisti lo
ignorarono, credendolo solo un moccioso impertinente.
“Beh..crepate,
allora” alzò le spalle il bambino, tornando sulla
sua strada “Minchia mi frega?”.
Poi
però i
movimenti della terra si fecero più intensi e si
udì un boato. Il bambino,
accigliandosi, tentò con tutte le sue forze di ignorare quel
che accadeva, ma
qualcosa dentro di lui lo spingeva a fare il contrario. Qualcosa nel
suo cuore
fremeva e lo costringeva a reagire. Si voltò di scatto,
vedendo chiaramente
alcune rocce staccarsi dalla parete del vulcano. Non ci
pensò a lungo. Con un
singolo battito cardiaco era già sul posto, pronto ad agire.
Spaccò alcune
rocce a calci e saltò, con l’intento di fermarne
altre lanciando il colpo che
il suo cosmo era in grado di sprigionare. Qualcosa brillò
nel cielo e si
accorse che a proteggerlo era apparsa un’armatura color oro.
Non avendo ancora
il fisico adatto per indossarla, il bambino la vide ergersi davanti a
lui e
proteggerlo dal muro di roccia. I turisti, accecati dal bagliore
provocato dal
sole sul metallo, non capirono bene quel che stava accadendo e
fuggirono,
mettendosi in salvo. Adranos, sorridente fra la lava, aveva osservato
la scena
ed era fiero di quel piccolo allievo, che aveva appena superato
un’importante
prova.
“Ti
chiameranno Demonio, sappilo” spiegò il maestro
“Perché governi le anime e perché
puoi vagare a tuo piacimento fra i regni degli inferi. Ma io so che
demonio non
sei, perché nel tuo petto batte cuore di cavaliere, nobile e
buono”.
“Una
parte
di me non voleva salvare quelle persone..” ammise il bambino.
“Sei
un
bambino, hai solo nove anni. Hai ancora molta strada da fare ma non
qui, non
più al mio fianco. Il tuo posto ora è al tempio,
dove imparerai tutto quello
che io non sono in grado di insegnarti. Io, come demone, non conosco
molti dei
sentimenti che caratterizzano voi umani, come la compassione o
l’amore. Diverrai
un cavaliere nobile e valoroso”.
“E
chi mi
insegnerà ad essere nobile?”.
“Lo
scoprirai quando sarai là. Preparati a partire”.
“Ma..la
mia
mamma? E la mia sorellina?”.
“Non
sono la
tua vera madre e la tua vera sorella”.
“No,
ma..”.
“Ragazzo,
devi imparare una cosa molto importante: per il bene superiore, a volte
si è
costretti a sacrificare qualcosa. Perdere una vita, per salvarne cento,
o
mille, a volte è necessario. Distaccarti dalla tua famiglia
per poter
proteggere l’umanità, è un sacrificio
obbligato”.
“Ma
io non
voglio! Che si sacrifichi qualcun altro!”.
“Non
essere
ridicolo. Non sei più un poppante ormai”.
“Ma
io..”.
“Informerò
il grande tempio. vedremo quel che decideranno. Per ora, torna pure a
casa. Lascia
l’armatura qui, al sicuro da sguardi indiscreti”.
“Sì,
maestro..”.
Raramente
pioveva
da quelle parti eppure quel giorno pioveva. Già questo,
forse, doveva lasciar
presagire al piccolo che qualcosa non andava. Ma non ci
pensò. Era felice, perché
finalmente aveva ottenuto l’armatura. Camminò
soddisfatto verso casa, rubando
un frutto succoso da un albero in strada, e raggiunse la sua dimora
canticchiando canzoncine in dialetto. Si fermò, quando vide
un uomo uscirvi,
con un ghigno.
“Mamma?”
chiamò il bambino.
“Oh,
abiti
qui tu?” domandò l’uomo.
Il
piccolo
lo guardò meglio e sobbalzò: era nel gruppo di
persone che aveva salvato dal
risveglio del vulcano!
“Ti
ho
intravisto, sul vulcano. Sei fortunato..io non li ammazzo i
bambini” ghignò l’uomo.
“Ammazzo?”
ripeté il bambino, girando la testa di scatto verso casa.
“È
così che
va la vita, picciotto. Quando ci si mette contro le persone sbagliate,
si fa
una brutta fine. La tua mamma non doveva sfidare quelli come noi, con
il suo
animo nobile e lo spiffero facile agli sbirri”.
“Ma..mamma!”.
“Non
guardarmi così. Sono certo tu sei un bravo
picciriddu!”.
Il
bambino
non ascoltò oltre e corse dentro casa. La madre adottiva era
in terra, morta e
ricoperta di sangue. Il primo pensiero del piccolo andò alla
sorellina, che
iniziò a chiamare a gran voce e cercare. Fortunatamente, la
bambina era al
piano superiore e si era nascosta, senza subire danni. La
abbracciò,
rassicurandola. Si sentiva in colpa. Era stato lui a salvare
quell’uomo dal
vulcano! Se non lo avesse fatto, sua madre si sarebbe salvata!
Scoppiò a
piangere e rimase in silenzio, non sapendo proprio che dire alla
sorella.
Il
funerale
fu qualcosa di molto semplice, dato che era una donna sola e senza
parenti. In molti
si mostrarono disponibili nei confronti dell’orfana ma in ben
altro modo si
comportarono con il bambino. Avevano sempre provato paura nei suoi
confronti. Era
strano, inquietante.
“Tieni”
parlò
una donna, porgendo all’orfano una maschera “Questa
è la maschera mortuaria di
tua madre. Ora sei tu l’uomo di casa. Prenditi cura di tua
sorella e proteggila”.
“Lo
farò”
annuì il bambino, prendendo la maschera e chinando il capo.
Accanto
a lui,
la sorellina gli stringeva la mano. Che regalo inquietante da dare ad
un
ragazzetto! Ma lui non sembrava farsi problemi.
“Ti
difenderò io, sorellina. Mi occuperò di te.
Nessuno ti farà male”.
Osservando
le
poche persone al funerale, il bambino notò subito quel
giovane. Se ne stava in
disparte, senza conoscere nessuno. Sospettoso, l’orfano lo
tenne d’occhio e
subito si parò davanti alla sorellina, quando lo sconosciuto
si avvicinò.
“Sei
tu che hai ottenuto
l’armatura d’oro del Cancro?”
domandò il ragazzo, con uno strano accento.
“Chi
lo
vuole sapere? Tu chi sei?” si irrigidì
l’orfano, accigliandosi.
“Un
amico. Sono
anch’io un cavaliere d’oro e sono venuto a
prenderti, per portarti al tempio”.
“Hai
un
accento orribile..”.
“Non
sono
italiano. Chiedo scusa”.
“Dimostramelo!”.
“Cosa?”.
“Che
sei un
cavaliere d’oro! Dimostramelo!”.
Il
giovane
si concentrò qualche istante, espandendo il suo cosmo. Il
bambino lo percepì e
spalancò gli occhi.
“Tutto
bene?”
domandò lo sconosciuto, che assieme all’accento
aveva pure un tono terrificante,
perché era un adolescente a cui stava cambiando la voce.
“Sì..ma..io
pensavo che il mio cosmo fosse potente mentre il tuo lo è di
più!”.
“Hai
ancora
qualche anno per raggiungermi. Ma devi venire con me”.
“Può
venire
anche la mia sorellina?”.
“Certo.
Troverò
un posto anche per lei, a Rodorio, il villaggio che sorge accanto al
tempio”.
“Va
bene..vengo
con te. Mi insegnerai tu ed essere più forte?”.
“Se
lo
desideri.. E ti insegnerò ad essere il difensore degli
innocenti”.
“Esistono
gli innocenti?”.
“Strana
domanda..”.
“Comunque..qual
è il tuo nome?”.
“Puoi
chiamarmi Saga. E tu? Come ti chiami?”.
“Io?”
mormorò il bambino, guardando la maschera della madre
acquisita. Rialzò lo
sguardo, che brillò di luce viva, e rispose: “Puoi
chiamarmi Deathmask”.
Primo capitolino di una serie. Ho
voluto iniziare con Deathmask perchè ho sempre desiderato
raccontare la sua storia da piccolino. Chiedo scusa, perchè
è un po' triste. Cercherò di rallegrare un po' i
capitoli successivi. P.S. se fra voi ci sono dei "fan" dell'Olympus
Chapter non preoccupatevi: sto lavorando al seguito ma al momento non
ho molto tempo per dedicarmi ad una storia lunga
|
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Capitolo 2 *** Il sussulto del cuore ***
“E
questa è
una foto di papà con i Maori” spiegava
l’uomo, indicando l’immagine al bambino
che teneva sulle ginocchia.
“Che
bello,
papà! Hai visto tantissimi posti!”
commentò il piccolo.
“È
il mio
lavoro!”.
“Anch’io
voglio vedere tanti posti e conoscere tante cose”.
“Lo
farai di
certo, mon petit garςon!”.
“E
quando mi
porterete con voi, tu e la mamma?”.
“Beh..tu
che
dici, cara? Nel prossimo viaggio..”.
“Ma,
Emile!
La Russia non è un luogo per un bambino! Non ti sembra
troppo piccino, ancora?”.
“Scherzi?
Alla
sua età mio padre mi portava ovunque! Il cervello dei
bambini è una cosa
spettacolare ed è meglio riempirlo il più
possibile! Il nostro piccolo vedrai
che si divertirà ed imparerà cose
nuove”.
“Non
lo
so..sono dubbiosa..”.
“Sarà
con
noi, tesoro. Che pericoli potrebbe mai correre? Avanti, Giselle! Pensa
a quante
cose potrà vedere! Cose che sui libri non potrà
mai trovare, per quanti ne
legga!”.
“Già
non è
normale che legga cose del genere alla sua età..”
borbottò la donna, indicando
dei grossi volumi di vari autori francesi .
“Non
essere
noiosa..”.
Il
bambino,
sentendosi di troppo, sgattaiolo giù dalle ginocchia del
padre e tornò dedicarsi
ai libri.
“Ma..non
hai
freddo?” rabbrividì il padre.
“Non,
mon
père” sorrise il bambino, mentre la madre tentava
di avvolgerlo per l’ennesima
volta con una sciarpa pesante.
Il
clima
russo era rigido e, come si aspettavano i viaggiatori, nevicava. Al
piccolo
piaceva la neve e ci affondava volentieri con gli stivaletti. I
genitori
sorrisero, divertiti dal suo incedere goffo.
“Sembri
un
pinguino” ridacchiò Emile “Vuoi
incontrarne uno? Con questo freddo..”.
“Ma
papà! I
pinguini non stanno su questo emisfero! Dobbiamo andare al Polo Sud per
vederli!”.
“Come
sempre
hai ragione, piccolo esploratore! Allora vorrà dire che in
questo momento sei l’unico
pinguino del nord!”.
Il
bambino
mostrò la lingua e corse via, divertito.
“Non
allontanarti!” lo richiamò la madre “Con
la neve, non ti vediamo!”.
“Farò
versi
da pinguino, mamma!”.
“E
che
diamine di verso fa il pinguino?”.
Il
piccolo
lo imitò, emettendo uno stranissimo suono dalla bocca e
ondeggiando qua e là. Tutti
e tre risero. Chi li guidava, al contrario, non era per nulla
divertito. Il tempo
stava peggiorando ed il porto distava ancora qualche ora di cammino.
“Non
so se
sarà possibile la navigazione sul fiume”
spiegò una delle guide “Con questo
tempo..”.
“In
qualche
modo ci dobbiamo spostare” ribatté Emile
“Se gli aerei non volano e le navi non
partono, useremo i cani!”.
“Ma
questo
renderà il viaggio molto più lungo e
pericoloso!”.
“L’alternativa
qual è?”.
“Raggiungere
il paese e rimanervi finché non cessa la tempesta”.
“Non
abbiamo
molto tempo..”.
“Caro..potremmo
lasciare il bambino al villaggio e partire io e te, così da
farti rispettare i
tempi e non far correre rischi al piccolo” propose Giselle.
“Come
sempre, amor mio, hai ragione”.
“Dove
sono
la mia mamma ed il mo papà?” domandò il
bambino.
Era
stato
lasciato in una taverna e si stava preoccupando. Il tempo passava e
nessuno
sapeva dargli notizie. Quasi nessuno comprendeva la sua lingua e lui di
russo
sapeva solo poche frasi. Poi sentì un gran abbaiare e,
affacciandosi, riconobbe
uno dei cani da slitta. Cosa ci faceva lì? Doveva essere
successo qualcosa!
“Qualcuno
mi
capisce?” gridò il piccolo “Aiuto, per
favore! на
помощь!”
Un
paio di
autoctoni tentarono di avvicinarsi, ma non capivano che problemi avesse
quel
moccioso francese. Lo invitarono a tornare in camera, senza risultato.
Guardando
il cane, il bambino prese coraggio e lo seguì. Sapeva che
era una cosa
sconsiderata e stupida ma doveva farlo, perché qualcosa gli
diceva che era
successo qualcosa. Si avvolse in un mantello e camminò nella
neve. Il cane lo
precedette, guidandolo. Lo condusse fino ad un ampio spazio bianco. Con
i
fiocchi che continuavano a cadere, il piccolo chiamò i
genitori.
“Père!
Mère!”
gridò.
Ma
la sua
voce si perdeva nella tormenta e non vedeva altro che bianco. Si
strinse nel
mantello, cercando di ripararsi dal vento gelido.
“Ah,
devo
calmarmi!” si disse “Agitarmi non mi
aiuterà a trovare mamma e papà”.
Camminò
ancora
ed il cane guaì.
“Cosa
c’è?”
domandò il bambino, guardandolo.
Sotto
i suoi
piedi, si accorse che non vi era più neve ma ghiaccio.
Riprese a camminare,
percependo che ad ogni passo era solido e rigido sotto gli stivali. Poi
intravide
qualcosa di familiare. Riconobbe la borsa di suo padre. La raggiunse
correndo e
la prese fra le mani.
“Père!”
chiamò ancora.
Intravide
un
ombra e riprese la corsa. Il padre si era aggrappato al bordo del
ghiaccio. Era
ferito e riuscì a fatica ad aprire gli occhi.
“Mon
petit
garςon..”
mormorò, riconoscendo
il figlio.
“Père..”.
“Vai
via da
qui. È pericoloso!”.
“Ma
io devo
aiutarti! Adesso corro a chiamare qualcuno!”.
L’uomo
tentò
di risalire. Il bambino non sapeva che cosa fare. Fu preso dal panico.
Sentì una
lacrima scivolargli sulla guancia e poi uno scricchiolio. Un grido gli
si
arrestò in gola, quando si accorse che il ghiaccio si stava
sciogliendo. Cedette
di scatto e il piccolo chiuse gli occhi, preso dal panico. Credeva di
ritrovarsi in acqua ma non fu così: qualcuno lo teneva
sollevato da terra.
“Calmati,
ragazzo” gli parlò una voce maschile
“Sono le tue emozioni incontrollate a
sciogliere il ghiaccio”.
“Le
mie..emozioni?” si stupì il bambino.
“Non
te ne
sei accorto? Controllavi il gelo sotto i tuoi piedi ma, appena ti sei
agitato,
questo potere lo hai perso”.
“Ma..i
miei
genitori..”.
“Sono
stati
inghiottiti dal lago”.
“Che?!
No! Non
è vero! Questa è la borsa di mio padre..e mio
padre era..”.
“Temo
che
per loro non ci sia nulla da fare..l’acqua gelata non lascia
scampo”.
L’uomo
si
chinò, mostrandosi al bambino da sotto il pesante cappuccio.
Era anziano e la
sua lunga barba era piena di ghiaccio e neve.
“Ma
no!”
protestò il bambino “Papà era
lì!”.
“Il
ghiaccio
ha ceduto”.
“E
allora
vai a riprenderlo!”.
“Già
è
scomparso. Non possiamo fare nulla”.
“No!
Mère!
Père!”.
“Smettila..”.
Il
bambino
rimase in silenzio. Cercò di trattenere le lacrime. Era
tutta colpa sua, si
ripeteva dentro di sé. Se non si fosse agitato, il ghiaccio
sarebbe rimasto
intatto e quel signore avrebbe salvato suo padre. Si
rannicchiò su se stesso,
incapace di smettere di piangere.
“Su.
Alzati”
lo rimproverò l’uomo “Piangere non serve
proprio a niente”.
“Mamma..papà..”.
“Piangerli
non li farà tornare. Muoviti, o finirai
assiderato”.
“Lasciami
in
pace! Chi sei? Che cosa vuoi?”.
“Mi
chiamano
Borea, in onore dell’antica divinità del vento del
nord. Vieni con me, piccolo.
Capirai presto perché gli Dei mi hanno condotto qui da
te..”.
“E
se ti
dicessi di no?”.
“Resteresti
qui, da solo, nella bufera. Vieni con me, ho tante cose da
insegnarti”.
“Ma
è vero
quello che hai detto? Che io controllavo il ghiaccio?”.
“Non
sarei
qui se non fosse stato così. É
stato il tuo cosmo a chiamarmi”.
“Cosmo?”.
“Sì.
Ti
spiegherò anche questo. Oltre a come sfruttare le tue
capacità. Vieni?”.
Borea
si
girò ed iniziò a camminare. Il bambino rimase
qualche istante fermo. Aprì la
sacca del padre e vi trovò un libro. Aveva un segno su una
pagina ed una frase
sottolineata.
“Nella
profondità dell'inverno, ho imparato alla fine che
dentro di me c'è un'estate invincibile”
Albert
Camus
“Camus! Sei pronto?”
domandò Borea.
“Certo, maestro”
annuì il bambino.
“Oggi dovrai dimostrarmi di essere
degno dell’armatura d’oro”.
“Lo sarò”.
Ora il giovane allievo aveva sette
anni. Solo da due era rimasto per l’addestramento in quella
terra gelida ma fin
da subito si era dimostrato all’altezza del compito. Seguendo
il suo mentore,
il bambino che ora si faceva chiamare Camus non si era accorto di dove
quel
cammino lo aveva condotto. Poi capì: quello era il luogo
dove i suoi genitori
avevano perso la vita.
“Dimostrami che sai controllare le tue
emozioni, mio allievo” mormorò Borea, indicando un
punto del lago.
“Che devo fare?”
domandò l’apprendista,
stringendo i pugni.
“L’armatura è in
fondo a questo lago. Va
a prenderla. Controlla il gelo e non affogare”.
“Io..”.
“Non avere timore, non titubare o
tentennare. Sii fermo nelle tue azioni e controlla i sussulti del tuo
cuore.
Sii tu stesso il gelo, Camus, e torna qui da me con
l’armatura”.
L’allievo annuì. Dopo pochi
attimi, in
cerca dell’assoluta concentrazione, il bambino
saltò e si tuffò nel lago. Subito
l’acqua gelida lo avvolse. Questo non fermò il
piccolo, che continuò a nuotare
verso il fondo. Qualcosa scintillava laggiù. Eccolo lo
scrigno della sua
armatura! Nuotò ancora e raggiunse la meta. Fece per
indossare la pandora
usando le spalline quando si voltò. Sobbalzò,
lasciandosi sfuggire un po’ dell’aria
che tratteneva. Qualcosa si era mosso nell’acqua ed aveva
capito cos’era. I cadaveri
dei suoi genitori, tenuti ancorati al fondo dalle cinghie della slitta,
fissavano il vuoto. Erano messi in modo tale da sembrar proteggere
l’armatura,
custodirla per il proprio figlio. Il bambino iniziò a
tremare, provando di
colpo un gran freddo. Panico, quello era panico! Mise rapidamente lo
scrigno
sulle spalle e tentò di ritrovare la superficie. I suoi
pensieri però erano
appannati ed i suoi movimenti incerti. Risalendo troppo in fretta, con
ormai
pochissima aria nei polmoni, capì di avere una parete di
ghiaccio sulla testa. Si
agitò, disperato ma poi, di colpo, si fermò. Si
morse il labbro, fortissimo, e strinse
i pugni. Doveva controllare le sue emozioni! Ma come poteva farlo in un
momento
del genere?! Si concentrò e si scosse. Non poteva e non
voleva morire così!
“Mère, père..je
le fais pour
vous!” si disse, e riuscì a riemergere, trovando il
punto da cui si era tuffato.
Ansimando, uscì dall’acqua
gelida. Con
sé, aveva lo scrigno dell’armatura
dell’Acquario.
“Tutto bene?”
domandò il maestro.
“Sì..”.
L’allievo non mentiva. Sentiva una
gran calma nel cuore, una gran pace. Sentiva come se, ottenendo
quell’armatura,
avesse donato la pace ai suoi genitori.
“Loro volevano che imparassi tante
cose, che fossi qualcuno. Lo sono. Mamma, papà..sono un
Saint!”.
“Maestro?” domandò
Hyoga, perplesso
nel vedere Camus perso nei suoi pensieri.
“Che stai facendo, Hyoga?
Perché non
ti alleni?” sbottò l’Acquario.
“Lo stavo facendo ma..il vostro
sguardo..”.
“Sei troppo distratto. Se vuoi
diventare cavaliere, non devi perdere tempo con simili
sciocchezze”.
“Ma state bene?”.
“Certo. Sta tranquillo”.
Il bimbo biondo tornò ad i suoi
allenamenti. Camus guardò l’orizzonte. Erano di
nuovo su quel lago. Chissà quante
vite giacevano sotto la sua coltre ghiacciata!
“Hyoga..spero che un giorno il tuo
cuore possa essere più gelido del mio, che a volte ancora
sussulta per i mali
del mondo..”.
Ed ecco anche Camus. Ho voluto
creare un collegamento fra maestro ed allievo. Spero sia gradito. A
presto, con il prossimo piccolo Saint!
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Capitolo 3 *** La bellezza della morte ***
“Queste rose sono splendide”
commentò
l’uomo, annusandone il profumo “Da dove vengono,
bella bambina?”.
“Io..non sono una bambina!”
arrossì il
piccolo.
“Oh! Sei un fanciullo, dunque? Chiedo
perdono per lo sbaglio. È che il tuo aspetto è
incantevole come queste rose”.
“Nessun problema. Mi scambiano spesso per
una femmina..”.
“Il tuo accento è strano. Da
dove vieni?”.
“Dalla Svezia”.
“Ti sei fatto un bel viaggio..”.
Il mercato era pieno di colori e tingevano
come l’arcobaleno il bianco suolo della Groenlandia. Quella
fiera cadeva una
volta l’anno ed era fra le più grandi del mondo.
Tutti i più bei tipi di fiori
venivano esposti per le vie del paesino e gli abitanti si accalcavano
per ammirare
bellezze che quel luogo naturale non permetteva.
“Ogni anno veniamo alla fiera”
spiegò il
bambino “Papà era di qui vicino”.
“Ecco perché parli il kalaallisut così
bene. Ma ora tuo padre dove sta?”.
“Non
lo
so, signore. È andato via, ricordo poco di lui”.
“Capisco.
E tua madre? Ti lascia qui da solo a vendere fiori?”.
“Non
sono semplici fiori! Sono diverse specie di rose, molte anche rare, che
la
mamma ha trovato il modo di far crescere rigogliose anche con il clima
rigido
della Svezia. Sono rose speciali”.
“Non
ne
dubito. Ma tu sei comunque un bambino da solo in un
mercato..”.
“Mia
mamma è malata” ammise il piccolo, leggermente
infastidito “Purtroppo è
costretta a letto e quindi ha pregato me di stare qui. Sono in grado di
farlo!”.
“Non
ti
offendere. La mia non è un critica. E mi dispiace per tua
madre. Spero stia
meglio e mi auguro non sia qualcosa di grave..”.
“Ma
a
te che importa?”.
“Non
imbronciarti! Rovini il tuo bel viso”.
“Un
momento..sei uno di quelli che fa cose brutte ai bambini, vero? Uno di
quelli da
cui mamma dice che devo stare lontano!”.
“Ma
che
dici!? No! Sono solo preoccupato per te. Tieni..questi soldi usali per
comprare
delle medicine alla mamma. Con quello che resta, fai ciò che
vuoi! Un bel
giocattolo, un vestito, un dolce..quello che vuoi! Sarà il
nostro segreto. E se
lei dovesse peggiorare, fammelo sapere. Starò in paese per
tutto il periodo
della fiera e ti aiuterò volentieri”.
L’uomo
si allontanò ed il piccolo svedese lo fissò un
po’ perplesso. Che strani erano
gli adulti!
I
giorni
passarono. Il tempo era buono, anche se il freddo si faceva sentire. Il
bambino, quando ormai calava la sera, si stava preparando a rientrare.
La notte
a quelle latitudini durava poco in estate. Sbadigliando, il piccolo
intravide
una figura familiare lungo la via.
“Come
sta la tua mamma?” domandò l’uomo,
avvolto in un mantello chiaro.
“Non
bene” ammise lo svedese “E tra poco dobbiamo
tornare a casa..”.
“Posso?
In farmacia cosa ti hanno detto?”.
“Mi
hanno dato una medicina ma non è servita. Vuoi vederla?
Però ti avverto: se hai
brutte intenzioni, difenderò la mia mamma!”.
“Sei
coraggioso, ma puoi stare tranquillo. Non voglio fare del male
né a te né alla
tua mamma”.
La
donna riposava a letto. Il suo respiro era affannoso e bruciava di
febbre.
L’uomo si avvicinò e si guardò attorno.
Subito notò una bellissima rosa rossa
in un vaso, accanto al letto. La prese fra le dita e
l’annuso, posandola poi
immediatamente.
“Da
dove viene questo fiore?” domandò, allarmato.
“Non
te
lo posso dire..” mormorò il bambino
“Perché ti serve saperlo?”.
“Questa
rosa..il suo profumo..è veleno!”.
“Veleno?!”.
“Sì.
Per colpa sua, tua madre si è ammalata.
Però..anche tu dormi in questa stanza!
Ma tu stai bene!”.
“Sì..ma..”.
“Indagheremo
dopo sul perché..”.
L’uomo,
coprendosi metà del volto con il mantello,
afferrò la rosa e la gettò in un
cumulo di neve, attento a non pungersi con le spine.
“Ora
la
mia mamma guarirà?” chiese il piccino, preoccupato.
“Non
lo
so. Ormai ha il veleno in corpo..”.
“E
tu
non puoi fare niente?”.
“Ci
provo..ora però devi dirmi da dove viene questa rosa.
È molto pericolosa! Pensa
a quanta gente potrebbe rischiare la vita, se ce ne fossero
altre!”.
“Non
ce
ne sono altre..credo..”.
“Credi?!”.
“Le
altre rose al mercato, quelle del mio bancone, erano
velenose?”.
“No,
certo
che no”.
“E
allora non ce ne sono altre”.
“Che
mi
nascondi, piccolo?”.
“Io..ecco..”.
Il
bambino si guardò attorno, imbarazzato e spaventato. Poi una
lacrima scese dal
suo volto.
“È
colpa mia..” gemette.
“Colpa
tua? Cosa intendi dire?”.
“Quando
ero più piccolo, guardavo sempre la mamma e le sue rose.
Erano belle ma molto
delicate e, con la stagione fredda, morivano. Io la volevo tanto
aiutare.
Bagnavo, piantavo, curavo..facevo tutto ma i fiori con il freddo
morivano.
Anche se erano nella serra, si indebolivano. Mi diceva sempre che le
piante
sentivano l’amore che gli trasmettevi e così una
sera andai in serra. Mi
concentrai, cercando di far capire alle rose che io volevo intensamente
che
fiorissero e rimanessero sempre belle. E fra le mie mani è
spuntata una rosa”.
“Una
rosa?”.
“Non
è
uno scherzo. So che pensi sia una balla..”.
“No
affatto. Vai avanti”.
“Al
mattino, mamma ha trovato tutta la serra fiorita. La rosa fra le mie
mani era
divenuta una bella pianta che non appassiva mai. Da quella volta,
viaggiamo per
le fiere e vinciamo tanti premi. Il giorno in cui siamo arrivati qui,
era il
compleanno di mamma. Per farle un regalo, ho deciso di creare una delle
mie
rose, davanti a lei, per farle una sorpresa. Ma non capisco..le altre
non erano
velenose..”.
“C’era
qualcos’altro di diverso, oltre al veleno?”.
“La
prima rosa era più piccola. E non era cattiva..”.
“Le
rose sono simbolo di vita e morte. I loro fiori sbocciano ed incantano
perfino
gli spiriti dei defunti. Resti estasiato guardandone i petali ed
assaporandone
il profumo, così la cogli. Ma ci sono le spine. Se ti pungi con una rosa,
è perché essa non è
destinata a te. E poi la rosa china il capo quando viene colta e
muore”.
“Ma
questo cosa vuol dire?!”.
“La
prima volta, la tua rosa era ancora acerba, incompleta. Ora invece
è maturata
ed ha acquisito il suo potere: il veleno!”.
“Cosa
stai dicendo? Non capisco?”.
“Hai
mai sentito parlare dei cavalieri d’Atena?”.
Il
piccolo scosse la testa. L’uomo sorrise: aveva molto da dire
a quel fanciullo
dai boccoli d’angelo!
“Ditemi
la verità: mamma è morta solo per colpa
mia” pianse il bambino.
“Non
potevi sapere certe cose” cercò di consolarlo
l’uomo, accarezzandogli la testa.
Il
piccolo osservò in silenzio la bara e poi si
allontanò. L’uomo lo seguì.
“Potrei
uccidere anche te. Stai attento” commentò lo
svedese.
“No,
non puoi. Il tuo veleno non è ancora abbastanza
potente”.
“Vuoi
provare?”.
“No,
grazie..”.
I
due
camminarono ancora un po’. La fiera era terminata ed i
negozianti stavano
togliendo tutti i fiori dalle strade. Così facendo, il
bianco aveva di nuovo il
sopravvento.
“Ma
quindi io..ora che faccio?” si chiese il bambino, solo al
mondo.
“Io
già
ti ho spiegato il tuo destino”.
“Ma
pensi sul serio che il mio futuro sia al grande tempio?”.
“Certo..”.
“Per
via del mio sangue velenoso?”.
“Esatto”.
“Ma
perché il mio sangue è
così?”.
“Il
tuo
cosmo è così. Ci sei nato perché
venuto al mondo sotto l’influenza delle stelle
e di Atena”.
“E
perché, visto che il veleno nel sangue lo hai pure tu, non
ti prendi l’armatura
dei Pesci e vai tu in Grecia?”.
“Perché
io sono solo un custode, che tramanda la conoscenza dei cavalieri dei
Pesci del
passato. Ma il mio cosmo non è così potente da
farmi creare le rose necessarie
ad avere quel ruolo. Ma il tuo
sì. Ti
consiglio di provarci..”.
“Non
voglio un potere così terribile!”.
“Devi
imparare a controllarlo, o farai del male ad altre persone”.
“E
se
poi diventa più forte? Non voglio uccidere
innocenti!”.
“Ma
non
lo dovrai usare contro gli innocenti! Il tuo potere è un
dono per poter aiutare
i deboli e punire i malvagi!”.
“Non
sono Superman! Mi hai guardato? Sono un bambinetto che tutti scambiano
per una
femmina! Non posso combattere!”.
“Il
combattimento non è solo forza fisica, ragazzo! Conosci la
Dea greca
Aphrodite?”.
“No..”.
“Lei
non combatteva. Eppure, con la sua bellezza, ha cambiato il corso di
molte
battaglie”.
“E
come?”.
“Uno
scontro non è solo brutalità e violenza. Vedilo
piuttosto come una danza. Come
una rosa, devi essere bellissimo ma allo stesso tempo pericoloso.
Splendido, ma
con le spine”.
“E
come
faccio?”.
“Te
lo
posso insegnare. Però prima devi venire con me. Se davvero
sei convinto, devi
far tua l’armatura”.
Insieme,
i due raggiunsero una grotta, ben nascosta fra il bianco della
Groenlandia. Il
bambino spalancò gli occhi. Le pareti di quel luogo erano
tappezzate di rose
rosse. Il loro profumo dava leggermente alla testa.
“Ecco
l’armatura” spiegò l’uomo,
indicando un punto.
Fra
le
rose, seminascosta, si intravedeva l’oro della Pandora Box.
“Le
rose la difendono” riprese “Per me il loro veleno
è troppo potente ma, se tu
riuscirai a raggiungerla, sarai degno di indossarla”.
“E
se
non ci riesco?”.
“Allora
non uscirai vivo da qui..”.
“Oh..”.
Il
piccolo prese coraggio. Affondò i piedi nelle rose e
sorrise. Non sembrava una
cosa difficile! Subito però vide degli scheletri fra quei
fiori. Quante persone
avevano tentato? Probabilmente molti erano poveri stolti che, vedendo
il
luccichio dell’oro, si erano addentrati nella grotta, morendo
all’istante. Il
fanciullo si stupì nel trovare incredibilmente bello
l’effetto che creavano le
ossa bianche fra le rose color del sangue. Era quella dunque la
bellezza della
morte? Passò oltre. Altri scheletri si mostrarono. Un cranio
scricchiolò sotto
i piedi del bambino, senza però infrangersi. Delicato ed
aggraziato, il piccolo
svedese si fermò. Le gambe gli bruciavano, graffiate dalle
spine. Con le vesti
ormai piene di strappi, strinse
i denti
e riprese il cammino. Lo scrigno ormai era vicino e cercò di
ignorare il dolore
e lo stordimento. Il veleno delle rose era forte ed appannava la mente.
“Ci
siamo!” si incoraggiò il bambino e sorrise.
Allungò
la mano verso l’armatura ma sentì le gambe
cedergli. Cadde in ginocchio, quasi
svenendo.
“No!”
disse “Non devo arrendermi! Devo imparare a controllare il
mio potere!”.
Per
un
attimo la lucidità prevalse e riuscì a toccare lo
scrigno. Questi si illuminò e
si aprì, bagnato dal sangue velenoso del suo nuovo padrone.
Ma poi si fece
tutto nero..
Quando
riaprì gli occhi, il piccolo svedese trovò il
profumo di quelle rose
inebriante. L’armatura lo stava proteggendo e si accorse che
molti dei fiori si
erano spostati, creando un varco per far uscire dalla grotta il
ragazzino. Lo
avevano riconosciuto come padrone di quelle vestigia. Appena ne fu in
grado,
con la pandora sulle spalle come uno zaino, lo svedese uscì
e raggiunse colui
che lo aveva condotto fino a lì.
“Bravissimo”
sorrise l’uomo “Ora, se permetti, sarò
il tuo maestro fin quando ne sarò in
grado”.
“In
grado?”.
“Quando
non avrò nulla di insegnarti, sarà il grande
tempio a prendersi cura di te”.
“Va
bene..maestro”.
“Andiamo.
Mio sarà il compito di esaltare il tuo potere e la tua
bellezza”.
“Bellezza?”.
“In
ogni cosa, perfino nella morte, vi è la bellezza. Se
riuscirai a cogliere questo
aspetto, le tue rose colpiranno sempre il bersaglio”.
“E
perché?”.
“Perché
non c’è nulla di più bello di un cuore
che batte trafitto da spine!”.
Il
sole
di Grecia era caldo, anche troppo. Il piccolo si incamminò
cauto verso l’anfiteatro.
Con lo scrigno sulle spalle, cercò di raggiungere al
più presto le scale del
tempio, per nascondersi nella casa. Temeva di fare del male a qualcuno
e quindi
sperò di non incontrare nessuno.
“Hei!”
però gridò una voce di fanciullo “Dove
vai? Chi sei?”.
“Io?”.
Era
strano
capirsi. Ma il suo maestro gli aveva insegnato la lingua del tempio.
“Sì,
tu. Sei un bambino o una bambina?”.
“Sono
un bambino! E sono pericoloso, perciò vai via”.
“Che
scorbutico! Come mai saresti pericoloso?”.
“Il
mio
cosmo è velenoso”.
“Il
mio
apre la porta del regno dell’oltretomba”.
Il
nuovo
arrivato rimase qualche istante in silenzio. Che strano bambino aveva
di
fronte! Aveva in sé il potere del sonno eterno eppure
sorrideva felice. Fosse quella
la bellezza della morte?
“Come
ti chiami?”.
“Mi
faccio chiamare Deathmask. E tu?”.
“Io?
Io..Aphrodite”.
“Ah..benvenuto
al grande tempio. Ma..sei sicuro di essere un maschio?”.
Ecco
anche il piccolo Aphrodite. Sotto certi
aspetti è inquietante, chiedo venia. In Lost Canvas viene
detto che i Pesci si
passano il sangue con il patto di sangue ma non sapevo quale cavaliere
potesse
esserci dopo Albafika. Quindi ho deciso di fare così,
immaginando un luogo
misterioso in attesa del “prescelto”. Che ne
pensate? Alla prossima avventura
dei mini Saint!
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Capitolo 4 *** Amicizia ***
“Fratellone..”
mormorò il piccolo, seduto a tavola
“..c’era un bambino fra gli alberi”.
“Aiolia,
questa zona dell’isola è riservata al tempio,
chiusa al pubblico. Non ci sono
bambini” ribatté il Sagittario.
“In
realtà..” si intromise l’anziano custode
“..c’è un bambino da queste parti.
Ogni tanto si fa vedere. Non ha mai voluto entrare qui, si limita a
rubare cibo
e vestiti. Ovviamente compriamo cose appositamente per lui e le
lasciamo in
punti strategici”.
“Pare
parliate di un selvaggio” sorseggiò una bibita il
giovane cavaliere “Non certo
di un bambino che vive in Grecia”.
“È
di
sicuro orfano ma è un tipetto niente male. Tosto al punto
giusto”.
“Tosto?
È
solo un povero bambino! Quanti anni ha?”.
“Parlate
come un vecchio! Meno male che siete solo un ragazzino..seppur con
l’armatura
d’oro!”.
“E
non
avete mai sentito parlare quella gran piaga di Saga..”
ridacchiò Aiolos
“Ma..tornando seri..dobbiamo fare qualcosa per quel bambino!
Avrà bisogno di
cure, vestiti decenti, istruzione!”.
“Se
volete,
potete provate a catturarlo. Non sarebbe male come prima missione,
Sagittario”.
Aiolos
aveva appena ricevuto la sua armatura ed era stato mandato su
quell’isola per
verificare le condizioni delle vestigia custodite
su quell’isola. Il Gran Sacerdote
era impaziente: era ora che tutti i cavalieri d’oro si
risvegliassero!
“Posso
andare a giocare fuori, fratellone?” domandò
timidamente Aiolia.
“Sì,
va
bene. Ma se ti chiamo, devi correre qui!”.
“Il
bambino
diventerà cavaliere?” domandò
l’anziano, una volta che Aiolia fu uscito dalla
stanza.
“Lo
spero.
Lo sto addestrando io..”.
“Ma
siete
così giovane! Non è un impegno troppo
grande?”.
“No,
affatto. Cancro, Pesci e Capricorno sono più piccoli di me
ed hanno già
l’armatura d’oro”.
“Ma
nessun
fratello di cui prendersi cura”.
“Mio
fratello non è un peso. Anzi, è una continua
fonte d’orgoglio”.
Nella
sala
entrò una giovane che arrossì leggermente,
temendo di aver interrotto qualcosa
di importante. Portava un vassoio con qualche fetta di dolce e
l’anziano le
sorrise.
“Lei
è la
mia nipotina Sophia. Aiuta a non sentirmi troppo solo in questo posto
sperduto.
Un giorno sarà lei a fare la guardia all’armatura
dello Scorpione, quando io
non ci sarò più”.
“Spero
di
no” sorrise Aiolos “Spero che il cavaliere che la
dovrà indossare per
l’imminente guerra santa si faccia vedere e la porti via
dall’isola!”.
“Ma
è
proprio sicuro che ci sarà questa guerra santa?”
si preoccupò la fanciulla.
“Sì,
assolutamente”.
“Che
paura..meno male che ci sarete voi, forti cavalieri, a
proteggerci”.
Aiolos
arrossì leggermente. Non era abituato a sentirsi fare i
complimenti dalle
ragazze.
Aiolia
camminò fra i meli. Ne osservò i frutti. Ne
voleva tanto uno e quindi si arrampicò.
Sedette fra i rami ed addentò una mela, soddisfatto. Poi
sobbalzò. Qualcuno lo
osservava.
“Sei
il
bambino che vive qui?” ipotizzò il piccolo ed
udì un piccolo ringhio.
Aiolia
non
sapeva che fare e si sentì molto a disagio.
“Non
volevo
darti fastidio” parlò ancora “Questa
mela era tua?”
Calò
di
nuovo il silenzio ed ecco che udì una risata divertita.
Dall’ombra spuntò un
bambino dai capelli scompigliati ed il viso leggermente sporco di fango.
“Sei
un
fifone!” lo derise e Aiolia si imbronciò.
“Non
è vero!”
si offese l’aspirante Leone “È che tu
sei nascosto e mi spii. Che cosa vuoi?”.
“Niente.
Sei bravo ad arrampicarti”.
“Grazie.
Sono un aspirante cavaliere”.
“Cioè?
Vai
a cavallo?”.
“No,
i
cavalli non c’entrano!”.
“E
allora
perché usi il termine cavaliere?”.
“Non
lo
so..”.
I
bambini
rimasero in silenzio qualche istante e poi scoppiarono a ridere.
“Io
sono
Aiolia. Tu?”.
“Mi
chiamano tutti Milo”.
“Ma
vuol
dire “mela”! Perché ti chiamano
così?”.
“Non
lo
capisci?” ghignò Milo, addentando un frutto.
“Forse
l’ho
capito..”.
“E
poi..tu
hai il nome di un’isola, proprio come me!”.
“Sì,
è
vero. La mitica isola di Aeolia. Mio fratello mi racconta spesso questa
storia.
Mi chiamo così perché è il nome
dell’isola dove ha la casa Aiolos, il dio del
vento. Mio fratello viene chiamato Aiolos e quindi io ho preso questo
nome”.
“E
perché
tuo fratello si chiama come Eolo, il Dio del vento?”.
“Che
ti
importa? E poi..perché secondo me Aiolos suona meglio di
Eolo, che mi fa
pensare ai sette nani!”.
Milo
non
capì del tutto quel ragionamento ma finse di comprendere e
rise.
“Perché
tu
e tuo fratello siete qui?” domandò poi.
“Siamo
qui
per sorvegliare una cosa molto importante”.
“Che
cosa?”.
“Non
te lo
posso dire. È un segreto”.
“Un
segreto?”.
“Sì.
Roba
da grande tempio che non puoi capire”.
“Ah..ok..”.
“Devi
stare
lontano da quel posto che custodiamo, capito? È
proibito!”.
“E
se no
che mi succede?”.
“Verrai
punito!”.
Per
nulla
convinto, il piccolo abitante dell’isola finse disinteresse.
Parlò ancora un
po’ con l’aspirante Leone e poi lasciò
che rientrasse a casa, dopo il tramonto.
Doveva capire che cosa di così prezioso stavano
sorvegliando. Non pensava che
su quell’isola ci fosse qualcosa di valore! Attese il buio e
poi si addentrò
nel giardino. Teoricamente era custodito ma nessuno notò
quel bimbetto
nell’ombra. Fra i rovi ed i cespugli, riuscì ad
intravedere una strana scatola
d’oro. Com’era bella! Fece per avvicinarsi ma di
colpo qualcuno spuntò e lo
afferrò saldamente.
“Preso!”
sibilò Aiolos “Cosa pensavi di fare?”.
“Lasciami!
Aiuto!” protestò Milo.
“Piccolo
ladro! Volevi portar via l’armatura, eh?”.
“Lasciami!
Va via!”.
Il
bambino
si dimenò ed infine Aiolos lasciò la presa. Milo,
preso alla sprovvista,
incespicò e scivolò, cadendo addosso allo scrigno
d’oro.
“Vieni
subito via!” minacciò Aiolos “Qui non ci
puoi stare!”.
“Sì,
me lo
hanno detto” ghignò Milo, accarezzando la pandora
con aria di sfida.
“Ringrazia
gli Dei che sei solo un bambino, altrimenti ti avrei punito
duramente!”.
“Prova
a
prendermi!”.
Il
bambino
fece una boccaccia e rise. Aiolos, sospirando, tentò di
afferrarlo di nuovo.
Appena si avvicinò troppo però, lo scrigno
brillò e l’armatura ne uscì.
“Che
succede?” si spaventò il Sagittario, riuscendo a
tirare a sé il piccolo Milo
“L’armatura è adirata?
L’abbiamo disturbata?”.
La
coda
delle vestigia dello Scorpione sferzarono l’aria, in cerca di
un bersaglio.
Aiolos indietreggiò, con il bambino stretto fra le braccia.
Milo non era
contento di quel trattamento e si dimenò, tentando di
riconquistare la libertà.
Ci riuscì mordendo il braccio del giovane cavaliere che,
preso alla sprovvista,
lo lasciò.
“Non
mi fa
paura!” rise il piccolo, dando le spalle
all’armatura.
“Stai
attento!”
si allarmò Aiolos, provando a portarlo lontano da quel luogo
e richiamando a sé
le vesti del Sagittario.
La
coda
dello Scorpione scattò e brillò. Il piccolo
gridò ed il cavaliere lo afferrò.
Questa volta non lo lasciò andare e fuggì,
lasciandosi alle spalle l’armatura.
Questa reagì, lanciando con la sua coda una raffica di
Cuspidi. Il Sagittario si
coprì con le ali delle vestigia e riuscì a
raggiungere la piccola casa del
custode. Lo Scorpione desistette.
“Siamo
in
salvo!” ansimò Aiolos “Spero che starai
attento la prossima volta!”.
Senza
ricevere risposta, il giovane guardò il bambino che teneva
fra le braccia e
trasalì. Il piccolo era ferito e gemeva dal dolore.
“Ah!
Ti ha
colpito una Cuspide!” esclamò Aiolos, spalancando
gli occhi “Io..io..perdonami!
Non sono stato abbastanza bravo da riuscire a proteggerti! Che razza di
cavaliere che sono..”.
L’anziano
custode e la nipote raggiunsero i due, svegliati dal frastuono. Subito
capirono
ciò che era successo al bambino.
“Aiutatelo!”
parlò il Sagittario “Ci deve essere un
modo!”.
“Purtroppo
il veleno dello Scorpione è potente, specie per un bambino
così piccolo. Non
esiste cura! Solo il cavaliere dello Scorpione può guarire
il suo stesso
veleno”.
“Quindi
questo bambino morirà per colpa mia?”.
“Signor
Aiolos..non colpevolizzatevi per..”.
“Tacete!
Trovate piuttosto un rimedio!”.
“Non
esiste! Non vedrà l’alba di domani..”.
Aiolos
rimase in silenzio, sentendosi tremendamente in colpa.
“Cercate
di
riposare. Darò al piccolo delle erbe che lo faranno dormire.
Non si accorgerà
di niente. Non soffrirà. È l’unica cosa
che possiamo fare” parlò l’anziano.
“Ma
io..”.
“Giovane
cavaliere, avete ancora molto da imparare..”.
“Lo
so..”.
Quando
spuntò il sole, Aiolos non aveva il coraggio di entrare in
quella stanza. Immobile
lungo il corridoio, guardava la porta dietro cui il piccolo ferito era
stato
messo a letto. Non voleva vederne il cadavere, ma qualcuno doveva
prendersi
cura di quel piccino nel suo ultimo viaggio.
“Cosa
fai?”
domandò Aiolia, facendo sobbalzare il fratello.
Il
bambino
stava mangiando biscotti e riempiendo di briciole tutta la casa.
“Cosa
fai
in piedi a quest’ora?” rispose il Sagittario.
“Avevo
fame..”.
Senza
dire
altro, l’apprendista Leone corse e spalancò la
porta che Aiolos tanto temeva di
varcare. Il fratello maggiore tentò di fermarlo, non volendo
assolutamente che
il fratellino vedesse il cadavere di un bambino come lui! Non ci
riuscì ed udì
Aiolia gridare.
“Fratellino!”
lo raggiunse il Sagittario, temendo il peggio.
“Hai
mangiato tutti i biscotti!” urlò
l’aspirante cavaliere.
“Scusa.
Avevo fame” rispose una voce da bambino.
“Ma..tu..”
si stupì Aiolos, nel vedere il piccolo ferito seduto sul
letto con un grande
sorriso stampato sulla faccia.
“Ma
erano i
miei biscotti!” protestò ancora Aiolia.
“Ti
ho
fatto un favore” ghignò Milo “Hai
bisogno di stare a dieta, che sei ciccione!”.
“Non
è
vero!”.
Il
Sagittario
tirò un sospiro di sollievo. Il piccolo era vivo e stava
bene. Era riuscito a
sopravvivere all’armatura dello Scorpione! Ma questo voleva
dire che..
“Com’è
stato il tuo primo viaggio come cavaliere del Sagittario?”
domandò Saga, con
l’armatura di Gemini che scenograficamente scintillava al
sole.
“Non
saprei” ammise Aiolos “Commetto moltissimi errori.
Non capisco come potrò io
addestrare mio fratello, viste le mie lacune”.
“Oh,
ma che
dici? Nessuno nasce perfetto! Devi imparare, no?”.
“Sì
ma ho
rischiato di far morire un bambino per la mia incompetenza! Devo
assolutamente
migliorare”.
“Perfetto.
Ti va un po’ di allenamento assieme a me?”.
“Tu
non hai
bisogno di allenamento. Tutti ti considerano una sorta di
divinità”.
“Mica
lo
sono per davvero, Los! Solo perché ho ottenuto
l’armatura per primo, non
significa che sia il migliore di tutti!”.
“Diventerai
Gran Sacerdote. Ed io sarò lieto di servirti. È
quel che vogliono tutti”.
“Non
dire
cose che..”.
Saga
si
zittì, perché Shion si stava avvicinando.
Entrambi i cavalieri fecero un
inchino rispettoso al Sacerdote e questi sorrise.
“Mi
è
giunta voce, Aiolos, che hai trovato il portatore
dell’armatura dello
Scorpione” parlò.
“Sì,
sull’isola di Milo”.
“Ottimo
lavoro. E come lo hai capito?”.
“Il
piccolo
è quasi morto per colpa della Cuspide lanciata dalle
vestigia, che io non sono
stato in grado di parare. È sopravvissuto e poi, quando si
è avvicinato di
nuovo all’armatura, questa lo ha riconosciuto come suo
padrone”.
“Splendido!
È un bambino? Ora dov’è?”.
“Ha
l’età
del mio fratello minore. Ed è rimasto sull’isola
per apprendere qualche tecnica
in più. Poi giungerà qui, presto”.
“Ottimo
lavoro! Sono fiero di te. Ora continua l’addestramento di
Aiolia”.
“Io..veramente..”.
Il
Gran
Sacerdote si allontanò. Aiolos sospirò e si
voltò, fissando Gemini. Lo sguardo
di Saga aveva qualcosa di strano ma preferì non indagare:
aveva ben altro per
la testa!
Volevo
ringraziare Korin 2B (è su devianart,
come me. Date un’occhiata!) per l’ispirazione.
Così si conclude anche il capitolo
su Milo. Spero che sia di vostro gradimento, anche se è
forte la presenza di “estranei”
come Aiolos ed Aiolia. Mi piaceva sottolineare il fatto che sul
sagittario
grava una responsabilità non da poco e non farlo sembrare il
solito “invincibile
stile superman”. Milo fra le mele era una scelta quasi
“obbligata”. A presto,
con la prossima avventura!
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Capitolo 5 *** Generazioni ***
“Mi
annoio”
ammise il bambino, guardando altrove.
“Concentrati!”
sbuffò Shion “Quel che ti sto spiegando,
è molto importante!”.
“Ma
sono
sempre le stesse cose!”.
“Che
devi
imparare bene”.
“Uffa..”.
Non
riusciva proprio a concentrarsi. Fuori il tempo era così
bello! Voleva giocare!
“Guarda
il
piccolo Aiolia!” lo rimproverò ancora,
velatamente, Shion “Si sta allenando con
suo fratello e non si lamenta!”.
“Ma
sono
stanco! Questi cosi sono pesanti!”.
“Sono
indispensabili per riparare le armature e solo tu puoi imparare come
fare”.
“E
perché?
Non puoi insegnarlo a Saga, che è grande ed ha
già l’armatura? Così la smette
di fare strane facce quando nessuno lo guarda?”.
“Non
so di
che parli ma, ad ogni modo, sei tu quello che lo deve imparare! E
adesso fammi
vedere quel che hai capito”.
Il
bambino
sospirò rassegnato. Davanti a sé aveva
un’armatura di bronzo danneggiata. Quando
era più piccolo, quegli oggetti lo affascinavano. Shion lo
teneva in braccio e
gli diceva che sarebbe stato un grande cavaliere con un ruolo
fondamentale e
lui si sentiva importante. Ora però, che erano trascorsi
degli anni, fare la
stessa cosa ogni giorno era diventato troppo noioso. Inoltre sentiva la
mancanza di casa. Chissà come stava la sua mamma? A volte
andava a trovarla, ma
era triste senza di lei. Guardò quasi con fastidio
quell’armatura ed iniziò a
lavorarci, con gli strumenti che aveva davanti e un po’ di
polvere stellare. Il
danno era lieve e quindi non dovette usare il sangue. Le vestigia
brillarono e
ripresero la forma originale. Shion sorrise, orgoglioso del suo piccolo
allievo.
“Sei
quasi
pronto..però ancora ti manca qualcosa per poter essere un
cavaliere”.
“E
che
cosa?” domandò il bambino.
“Lo
scoprirai”.
“E
se non
lo scopro?”.
Shion
non
rispose. Passò una mano fra i capelli lilla
dell’allievo e continuò a
sorridere. Il piccolo lo fissò perplesso. Perché
non rispondeva? Poi il
sacerdote tornò serio.
“Devi
fare
ancora esercizio” parlò l’uomo.
“Ma
ci sono
riuscito! Ho riparato l’armatura!”.
“Sì,
ma
ancora devi raggiungere lo stato ideale per divenire cavaliere.
Esercitati. Ora
torno alle mie mansioni e spero per te che non ti metterai a giocare
appena
distolgo lo sguardo”.
“No.
Farò
esercizio” sospirò di nuovo il bambino, fingendo
entusiasmo.
Non
appena
rimase da solo, il piccolo si esercitò ancora un
po’. Poi si distrasse. Pensò a
quanto fosse bello giocare con gli altri bimbi, se solo al tempio ci
fosse
qualcun altro oltre a lui e Aiolia! Aiolos e Saga erano grandi e
noiosi, sempre
seri. Deathmask, Aphrodite e Shura stavano per conto loro e lo
ignoravano.
Pensò fosse meglio andare a fare un giro e si
teletrasportò a casa.
“Mamma!”
sorrise, raggiungendo la donna “Sono qui!”.
“Oh,
piccolo mio!” lo accolse lei, abbracciandolo
“Ma..Shion sa che sei qui?”.
“No.
Non
crede che io possa teletrasportarmi fino a qui”.
“Sei
un
piccolo fenomeno. Ma devi tornare subito al Grande Tempio!”.
“Ma
no,
mamma. Lasciami stare qui almeno un po’. Sai, oggi sono
riuscito a riparare
un’armatura!”.
“Ah,
allora
sei pronto”.
“Shion
dice
ancora di no..”.
“Sei
piccolo. Hai solo sette anni..”.
“Non
voglio
diventare cavaliere, mamma”.
La
madre
guardò il bambino, non aspettandosi quella frase. Gli
accarezzò i capelli,
cercando di consolarlo.
“Perché
non
vuoi, piccolo mio? Non essere triste..”.
“Io
voglio
stare qui con te. Aiutarti. Voglio stare qui..”.
“Piccolo,
sono fiera che tu ami così tanto il tuo luogo
d’origine, ma il tuo destino non
è qui”.
“Ma
perché
io? Perché proprio io devo diventare cavaliere? Non
è giusto che un bambino
stia senza mamma”.
“Sei
stato
scelto dalle stelle. Dovresti esserne felice”.
“Che
si
estinguano le stelle!”.
“Non
dire
così! Anche io sono triste se sei lontano da me, ma sono
così orgogliosa del
fatto che il mio bambino sia il prossimo cavaliere d’oro di
Atena che..”.
“Ad
Atena
cosa serviamo? Perché noi Lemuriani dobbiamo riparare le
armature?”.
“Perché
solo noi, fin dal tempo del mito, abbiamo imparato certe cose. Ed uno
solo di
noi ha l’onore di divenire cavaliere e servire la
Dea”.
“E
morire..”.
“Smettila di fare
i capricci! E segui la tua
strada. Io ti voglio bene, ma sarei la donna più felice del
mondo se un giorno
tu venissi qui con indosso l’armatura
d’oro”.
“Anche
tu
vuoi questo..”.
Il
bambino
era deluso. Perché tutti volevano la stessa cosa? E se non
ne fosse stato in
grado?
“Dove
vai?”
chiese la madre, vedendo il piccolo che si allontanava.
Non
volendo
tornare al tempio, l’apprendista camminò per il
piccolo villaggio. Loro
Lemuriani erano in pochi e molti di loro vivevano solitari. Forse
doveva farlo
pure lui..rifugiarsi in qualche montagna del Tibet ed ignorare il
Mondo! Al
centro della piazza, una statua si ergeva, leggermente coperta di neve.
La
fissò.
“Sai
chi è quello?”domandò
un uomo, avvolto da un pesante mantello, avvicinandosi.
“No
e non
mi interessa”.
“Quello
è
il primo Lemuriano a servizio di Atena. Lui per primo ha difeso tutti
noi”.
“Difeso?”.
“I
cavalieri di Atena combattono per difendere i deboli. Quando scoppia la
guerra
santa, i cavalieri di Atena difendono l’umanità. E
pensa come mai sarebbe
possibile questo se non ci fosse uno di noi in grado di riparare e
costruire le
armature! Tu sei il bimbo scelto per servire il santuario. È
un compito
fondamentale”.
“Fondamentale,
tu dici?”.
“Certo.
Pensavi forse di no?”.
“Al
tempio
c’è Shion. È più forte e
bravo di me. Io non servo”.
“Shion
è
anziano, ormai. E stanco. Quando lui non ci sarà
più, tuo sarà il compito di
sorvegliare la casa dell’Ariete dai nemici e riparare le
sacre vestigia”.
“Tutto
da
solo?”.
“Non
ti
spaventare. Ne sarai di certo all’altezza, perché
Atena stessa ti ha scelto”.
“Capisco.
Però..mi manca tanto la mamma”.
“Tua
madre
è viva ed è qui, che ti aspetta. Vienila a
trovare tutte le volte che vuoi, ma
ricorda sempre il tuo ruolo. Come rappresentate del popolo Lemuriano,
non puoi
scoraggiarti”.
Il
bambino
osservò con più attenzione la statua. Che sguardo
fiero aveva!
“Ci
proverò” disse, a se stesso ed all’uomo
che aveva accanto.
“Bravo”
si
sentì rispondere e l’incappucciato gli
spettinò i capelli.
Il
bambino
ridacchiò e poi si voltò. L’uomo non
c’era più.
“Geia
sas!”
salutò Milo, sorridendo a chi aveva di fronte.
“Bonjour..”
rispose il nuovo arrivato.
“Io
sono
Milo, cavaliere d’oro dello Scorpione. Sono appena arrivato.
Anche tu?”.
“Camus.
Sì,
sono appena arrivato”.
“Sei
un
cavaliere?”.
“Sì.
Acquario”.
“Andiamo
a
cercare gli altri” sorrise lo Scorpione.
Tornato
al
tempio, con un po’ più di convinzione, il piccolo
si rimise al lavoro su alcune
armature. Poi sentì un rumore e si fermò.
“Chi
c’è?”
domandò.
Fuori
dal
tempio, due grandi occhi azzurri lo fissavano. Rispose allo sguardo ed
inclinò
la testa.
“Aiolia?
Sei tu?” insistette e qualcuno rise.
“Non
paragonarmi a lui! Io sono molto più bello”
ghignò Milo, mostrandosi.
Dietro
di
lui, Camus si guardava attorno con curiosità.
“Che
cosa
fai?” chiese proprio l’Acquario
all’apprendista di Shion.
“Io?
Mi
esercito. Così imparo a riparare le armature”.
“Davvero?!
Mi fai vedere?”.
L’allievo
annuì, stupito da quella richiesta. Riparò un
piccolo pezzo di un’armatura e
Camus lo osservò con grandi occhi ammirati.
“Sei
bravissimo!” commentò ed il Lemuriano
arrossì.
“Sei
un
cavaliere d’oro?” si aggiunse Milo.
“No,
non
ancora. Ma ci provo, così la mia mamma sarà fiera
di me”.
“Mamma?
Hai
ancora la mamma?” parve stupito lo Scorpione.
“Sì.
Voi
no?”.
Acquario
e
Scorpione scossero il capo.
“Io
non me
la ricordo” ammise Milo “Non so nemmeno il suo
nome”.
“Nemmeno
tu
ricordi la tua mamma?” chiese educatamente
l’apprendista, guardando Camus.
L’Acquario
distolse lo sguardo ed i due bambini capirono che era meglio non
entrare di
nuovo in argomento. Il Lemuriano fissò i suoi strumenti.
Saga, Aiolos, Aiolia,
Milo, Camus..erano tutti senza la mamma! Eppure erano lì,
con l’armatura d’oro!
Solo in quel momento il bambino si rendeva contro di quanto fortunato
era
perché, infondo, aveva sempre una mamma che non vedeva
l’ora di vederlo con
addosso le sacre vestigia! E lo incoraggiava, lo consolava e lo
sosteneva.
“Perché
hai
quelle strane sopracciglia?” si incuriosì Milo,
toccandole “Perché sono
tonde?”.
“Sono
tipiche del mio popolo. Io sono Lemuriano”.
“Coloro
che
vivevano nel mitico continente Mu?” si stupì
ancora Camus.
“Sì.
Ora
stiamo fra le montagne della catena dell’Himalaya. Ma non
posso dirti dove,
perché è segreto”.
L’apprendista
arrossì, imbarazzato. Mai nessuno lo aveva guardato con
simile ammirazione e
curiosità!
“Scusatemi..”
sorrise il Lemuriano “Devo andare adesso. Ma torno
subito!”.
“Maestro!”
chiamò l’apprendista “Maestro, siete
qui?”.
Entrò
cautamente alla tredicesima dimora, quella del Gran Sacerdote e vi vide
un uomo
incappucciato.
“Maestro!”
lo riconobbe il bambino “Eravate dunque Voi? Voi mi avete
spiegato la storia
legata a quella statua al villaggio!”.
“Sì,
piccolo mio” ammise Shion, togliendosi il pesante mantello.
“Ma
quindi..sapevate che andavo da mamma teletrasportandomi? E non mi avete
sgridato?”.
“Una
madre
è un dono prezioso, mio caro. Il suo amore è
importante. Non posso certo
sgridarti se vuoi vederla, anche se preferirei che non mi tenessi
nascoste le
cose”.
“Non
lo
farò più. Io..diventerò un cavaliere
d’oro! Ora ho capito!”.
“Hai
capito?”.
“Sì.
Ho un
ruolo importante. Io devo divenire cavaliere d’oro e
difendere il Mondo,
affinché non ci siano più i cattivi.
Diventerò cavaliere d’oro per impedire che
ci siano altri orfani. Voglio che tutti i bambini possano ricevere
l’abbraccio
di una mamma. Inoltre, trasmetterò il sapere della mia
gente, che in tempi
antichi ha giurato fedeltà ad Atena!”.
Shion
sorrise. Si avvicinò al bambino ed annuì.
“Hai
capito. Sei un vero cavaliere” commentò.
“Davvero?”
mormorò il piccolo, piuttosto stupito.
“Sì.
L’Ariete d’oro”.
“Maestro
io..io..può il mio nome da cavaliere essere Mu?”.
“Mu?”.
“Sì,
come
il continente mitico da cui veniamo”.
“Mi
piace.
Mu, cavaliere d’oro dell’Ariete. Suona
bene”.
“Un
fratello, dici? Che bella notizia” sorrise Aldebaran.
“Non
lo è
affatto” scosse la testa Mu “Io ho solo dodici
anni! E mia madre è morta per colpa
di quel bambino..”.
“Questi
discorsi mi disgustano. Non me li aspettavo da te” si
intromise Aiolia,
fissando l’Ariete d’oro con rimprovero
“Anche mia madre è morta in seguito alla
mia nascita, ma mio fratello Aiolos si è preso cura di
me”.
“Aiolos
il traditore?”
sbottò Deathmask “Non è un gran
bell’esempio”.
“Quel
bambino innocente non ha colpa” ringhiò Aiolia
“Merita di ricevere affetto come
tutti gli altri bambini. E tu, Mu, sei il suo fratello maggiore! Hai
l’obbligo
di prenderti cura di lui!”.
“Ma
sei un
drogato?! Tu avevi l’aiuto di Shion. Io che dovrei fare? Sono
un adolescente,
dopotutto, e dalla notte degli inganni il mio maestro non è
più lo stesso”.
“Siamo
tutti adolescenti ma, prima di questo, siamo cavalieri. Ed è
nostro compito
prenderci cura degli indifesi. Per quel che riguarda il maestro
Shion..”.
“Vi
mancano
i baci e gli abbracci di Shion?” sfotté il Cancro,
che sapeva bene che in
realtà il posto di Gran Sacerdote non era più
occupato da Shion da anni.
“Non
è
quello il punto!” sbottò Mu “Dico solo
che quel bambino ha ucciso mia madre”.
“Ma
è tuo
fratello!” protestò ancora il Leone “Vai
almeno a vederlo! Poi decidi. Fra i
Lemuriani ci sarà chi si prenderà cura di lui, se
tu proprio non ci riesci”.
L’Ariete,
seppur controvoglia, raggiunse il suo popolo. Appena arrivato,
udì subito il
vagito di un neonato. Era qualcosa di strano e raro per quel luogo.
“Ben
arrivato” lo salutò un’anziana
“Vieni. Il tuo fratellino ti aspetta”.
Mu
tentennò
ma la signora era piuttosto insistente e lo tirò per il
braccio, trascinandolo
in casa. Dentro una semplice culla, si udiva un pianto disperato.
“Ah,
fa
casino come un Orco!” storse il naso Mu.
“Un
orco
dalle nobili origini” ridacchiò un’altra
donna, che stava in piedi accanto alla
culla.
“Un
orco
terribile. Che uccide le donne venendo al mondo..”.
“Non
dite
queste cose, Signor Mu!”.
L’Ariete
si
avvicinò alla culla ed il piccolo smise di piangere, di
colpo. Tutti i presenti,
i curiosi del paese, si stupirono. Lo sguardo dei due fratelli si
incrociò e Mu
tacque. Rimase fermo, in silenzio, ad osservare quel minuscolo bambino
dai
capelli arancio.
“Ha
gli
occhi di vostra madre” commentò
l’anziana.
“Sì,
lo
vedo” ammise Mu.
Il
ragazzo
raccolse il coraggio e prese in braccio il fratellino. Era impacciato,
perché mai
prima d’ora aveva avuto a che fare con bambini
così piccoli, e si sentiva
decisamente imbranato. Quello sguardo..così innocente!
Quella creaturina così
vulnerabile aveva bisogno di qualcuno che la proteggesse e chi meglio
di lui,
cavaliere d’oro, poteva farlo? Ma capì che non lo
avrebbe portato al grande
tempio.
“Non
è
posto per te, quello” commentò Mu “Vi
è qualcosa di strano, anche se non
capisco che cosa. Troverò un posto solo per me e te e ti
insegnerò tutto. Tu che
dici? Ti piace l’idea, fratellino?”.
Kiki
ovviamente non aveva capito quanto detto dal fratello maggiore e rimase
a
guardarlo con la stessa espressione.
“Lo
farò
per la mamma. E per il maestro Shion”.
Mu
aveva
sentito parlare di un luogo, fra le montagne del Tibet, dove il suo
maestro da
giovane si ritirava. Era stata una gran fatica ma, alla fine, era
riuscito a
scovare quella torre senza porte.
“Ti
piace,
Kiki? Qui ti terrò al sicuro, anche se qualcosa mi dice che
diventerai un
piccolo furfante. Ti insegnerò quel che so e
chissà..magari un giorno sarai
cavaliere pure tu!”.
Piccolo
Mu terminato. Chiedo perdono se a
questo cavaliere non ho fatto affrontare prove particolari, se non
quella di
accettare il fatto di essere nato per fare il cavaliere. Mu
l’ho sempre visto
come un tipo pacifico e tranquillo, con poca voglia di fare. Per quanto
riguarda la definizione che dà di Kiki, deriva dal
significato del nome. Kiki infatti
significa (secondo certe interpretazioni) “nobile
orco” (o “terrificante/terribile”).
Solo nella versione italiana è il fratello di Mu ma amavo
troppo l’idea di “imparentarli”
|
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Capitolo 6 *** Aiutami ***
“Ma..ancora
si sta allenando?” si domandò una delle guardie.
Pioveva
forte ed ormai era calata la sera, ma quel bambino continuava a correre
lungo
le scale deserte del Grande Tempio.
“Dicono
che
Shion si aspetti grandi cose da quel ragazzetto..” rispose un
collega.
Entrambi
si
stavano riparando dall’acquazzone sotto il pronao della
deserta quinta casa. L’apprendista
invece continuò a correre. Giungendo fino alla prima casa,
era già pronto a
risalire quando udì un rumore.
“Chi
è là?”
domando, fermandosi.
Completamente
zuppo, strinse i pugni con aria minacciosa.
“Chi
c’è?”
ripeté “Fatti vedere. Non ho paura!”.
Aspettandosi
un nemico, il piccolo si mise sulla difensiva. Poi però, nel
buio, vide
apparire qualcosa di ben più piccolo del previsto. Era un
bambino, avvolto da
un mantello ormai inutile perché grondante d’acqua.
“Ti
sei
perso? Cosa ci fai qui?”.
Non
ricevette risposta. Pensando che forse quel fanciullo sconosciuto non
capisse
il greco, l’apprendista tentò di salutare in
più lingue possibile. Ora capiva
perché Shion ci tenesse tanto a fargli imparare gli idiomi
del Mondo..
“Sono
greco. Capisco quel che dici” finalmente parlò
l’intruso “Questo è il Grande
Tempio?”.
“Non
so se
posso dirtelo..chi sei?”.
“Ho
bisogno
di aiuto. Devo vedere Shion”.
“Shion?
Ma
io..”.
“Per
favore!”.
Solo
in
quell’istante, l’apprendista notò che
fra le braccia quel bambino sconosciuto
stringeva qualcosa
che si agitava.
“Cos’hai
lì? Qualcosa di pericoloso?”.
“Ma
che
stai dicendo?! È il mio fratellino neonato. Abbiamo bisogno
di aiuto..”.
“Capisco.
Vieni con me. Ce la fai a salire le scale? Che cosa ti è
successo?”.
Lo
sconosciuto non rispose e si lasciò guidare lungo le case.
“Vuoi
che
ti dia una mano? Lo tengo io il tuo fratellino, se pesa” si
propose
l’apprendista.
“No.
Ce la
faccio”.
Insieme,
i
due bambini raggiunsero la tredicesima dimora, quella del Gran
Sacerdote.
“Dietro
questa porta c’è Shion..”
spiegò il bambino che aveva interrotto i suoi
allenamenti “..però ti avviso: non aspettarti da
lui grandi gesti d’affetto. E
credo che il pianto disperato del tuo fratellino possa
disturbarlo”.
“Non
importa. Lo devo vedere”.
Aprendo
la
porta della dimora, si udì un cigolio. Shion, come sempre,
era seduto sul trono
ed alzò lo sguardo. Leggeva un libro e si
accigliò leggermente.
“Saga..”
disse “..cosa fai qui? Dovresti essere fuori ad allenarti.
Fra poco dovrai
affrontare la prova per l’armatura d’oro. Non
vorrai mica mostrarti
impreparato..”.
“No.
Ma..”
iniziò il bambino, subito interrotto dal Sacerdote.
“Aiolos!”
lo riconobbe l’uomo, alzandosi.
“Se
vi
piace chiamarmi così..” mormorò il
piccolo, sfinito.
“Come
mai
sei al Tempio? Cosa è successo?”.
“Io..la
mamma..il mio fratellino..” provò a spiegare
l’intruso, ma scoppiò a piangere.
Il
Gran
Sacerdote si avvicinò e si chinò sul piccolo,
abbracciandolo per calmarlo.
“Ora
sorridi. Va tutto bene” parlò Shion “Sei
al sicuro ora. Ed anche il tuo
fratellino”.
Saga,
rimasto immobile e sull’attenti come un soldato, ebbe un
sussulto nel vedere
quella scena. Decise che era meglio congedarsi ed uscì dalla
tredicesima, senza
dire nulla.
“È
successo
qualcosa?” domandò una delle guardie, subito fuori
la dimora del Sacerdote.
“Dove
eravate nascosti voialtri?” alzò un sopracciglio
Saga.
“Noi..”.
“Tornate
al
lavoro. Non dovreste sorvegliare il Tempio?!”.
Gli
uomini
non risposero. Rimasero fermi, osservando quel bambino d’un
tratto impertinente
e riprendeva la sua corsa lungo la scalinata di pietra.
“Raccontami
tutto, piccolo Aiolos” lo incoraggiò Shion
sedendosi in terra, accanto al
bambino,e prendendo
fra le braccia il
neonato.
“Io..ricordo
quando siete venuto a casa nostra. Avevate detto che, se avevamo
bisogno di
aiuto, potevamo in ogni momento venire a cercarvi al Grande
Tempio”.
“Lo
ricordo
bene..”.
“Papà
era
appena stato dato per disperso in mare..”.
“Lo
ricordo. Cosa ti ha portato qui? Con un neonato, poi..”.
“Mamma
non
si è svegliata. La levatrice dice che è morta per
permettere al mio fratellino
di vivere”.
“Morta
di
parto, dunque..è un destino che accomuna molti di
noi..”.
“Noi?”.
“Ricordo
la
prima volta che ti ho visto. Eri un bambino che correva come il
vento”.
“E
mi avete
chiamato Aiolos, in onore del Dio del vento..”.
“Sì.
Usai
proprio quel nome e tuo padre sorrise”.
“Potete
chiamarmi così, se volete. Da quel giorno, mamma mi ha
sempre chiamato con quel
nome..”.
“In
te
percepii un fortissimo cosmo. E lo percepisco ancora, potente e
limpido”.
“Cosmo?
Non
capisco..”.
“Non
te lo
spiego ora. Sei molto stanco. Vieni con me. Hai bisogno di
dormire”.
“Ed
il mio
fratellino?”.
“Me
ne
prenderò cura io. Non avere più alcun
timore..”.
Aiolos
ancora piangeva ma si sentì più tranquillo quando
il Gran Sacerdote sorrise al
neonato.
Aiolos
sospirò. Alzò lo sguardo dal libro su cui era
chinò e si voltò verso Saga.
Appoggiato contro una colonna, il cavaliere dei Gemelli sembrava
davvero
concentrato. Poi però girò gli occhi ed Aiolos
sobbalzò.
“Che
c’è?”
domandò Saga.
“Niente..andiamo
ad allenarci? Voglio anche io l’armatura d’oro.
Aiutami..”.
“Io
ero qui
al tempio da ben prima di te, nulla di strano se io l’ho
ottenuta e tu ancora
no. Non serve avere fretta. Anche perché..tanto non mi
serve! Sono troppo
piccolo e non riesco ad indossarla”.
“Sì
ma è
tua. Ed è così bella..io ti invidio,
sai?”.
“Anch’io..”
ammise Saga, facendosi malinconico.
“Ah
sì? E
perché?”.
“Non
importa.
Andiamo..se no mi sa che Shion ti becca addormentato sul
libro!”.
Il
piccolo
Aiolia stava in braccio a Shion ed entrambi osservavano Aiolos durante
gli
allenamenti. L’aspirante cavaliere stava svolgendo alcuni
esercizi all’arena ed
il Gran Sacerdote suggeriva miglioramenti e posture.
“Devi
concentrarti, Aiolos! Devi sentire quel che trasmette il tuo cosmo. Lui
sa quel
che devi fare per sprigionare al massimo la sua potenza”.
“Ma..come
faccio, maestro? Io mi concentro ma..quel bersaglio mi risulta comunque
difficile da colpire!”.
“Perché
non
hai la giusta motivazione a colpirlo”.
“La
giusta
motivazione? Dove dovrei trovarla?”.
“Fratellone..”
sorrideva Aiolia, correndo fra gli alberi “..è
vero che diventerai un cavaliere
d’oro? E che poi lo diventerò pure io?”.
“Al
momento
non lo sono, ma faccio del mio meglio”.
Aiolos
sospirò. Invidiava profondamente Saga. Era considerato un
cavaliere buono e
forte, tutti lo rispettavano e lo amavano. Lui invece non era ancora
stato
capace di trovare la giusta motivazione per ottenere le vestigia che
tanto
desiderava.
“Dove
corri, Aiolia?” sorrise, vedendo il fratellino nascondersi
fra l’erba alta.
“Non
essere
così serio!” rispose il piccolo “Oggi
non pensare all’armatura! Divertiamoci,
solo io e te”.
I
due
avevano avuto il permesso di allontanarsi dal Tempio per svagarsi un
po’ ed
avevano deciso di trascorrere la giornata in quel boschetto, al fresco.
“Sento
il
rumore dell’acqua, fratello!” corse Aiolia
“Ho una sete..”.
Il
futuro
Leone d’oro affondò le manine nel torrente limpido
e bevve alcuni sorsi. Poi
alzò lo sguardo e si accorse che un uomo vestito in modo
strano lo stava
fissando, con un’aria di rimprovero sul volto.
“Hem..ciao!”
salutò il piccino.
L’uomo
non
rispose ma la sua espressione si fece più minacciosa.
“Che
succede? Aiolia!” si allarmò Aiolos, avvicinandosi.
Non
lo
raggiunse in tempo però, perché l’uomo
aveva già afferrato il piccolo aspirante
Leone.
“Hai
commesso un errore, moccioso” ringhiò
l’uomo.
Aveva
lunghi capelli mori ed era vestito come un antico greco, con solo
alcuni
dettagli in più come un’armatura scura che ne
copriva le spalle e la vita.
“Sei
un
cavaliere?” domandò Aiolia “Anche mio
fratello lo diventerà”.
“Cavaliere?”
si stupì lo sconosciuto, fissando Aiolos
“Sì, è vero. Percepisco in te un
potere notevole. Chi servi? Quale divinità ti
comanda?”.
“Io..sono
un’apprendista cavaliere di Atena”.
“Atena,
eh?
Interessante. Potremmo definirci quasi colleghi..”.
“Perché?
Chi sei?”.
“Mi
chiamo
Dedalo, Angelo di Artemide”.
“Hem..ok..piacere.
Potreste mettere giù mio fratello ora, signor
Dedalo?”.
“Questa
fonte è sacra. Tuo fratello non doveva metterci le
mani”.
“Va
bene.
Chiedo perdono da parte sua. È solo un bambino, cercate di
essere comprensivo!
Andiamo..”.
“Le
regole
sono le regole. Valgono per tutti, cavaliere
d’Atena”.
“Non
sono
un cavaliere e, se proprio dovete punire qualcuno, allora punite
me”.
Dedalo
parve pensarci qualche istante, ma scosse la testa. Afferrò
saldamente Aiolia,
che si lamentò e tentò la fuga, senza successo.
“Sei
energico, marmocchio! Ti dibatti come un’anguilla!”
si stupì l’angelo.
“Lascialo
andare! O sarò costretto a..” Aiolos non
terminò la frase. A fare cosa? Non lo
sapeva bene nemmeno lui.
“Dovrai
purificare con il sangue la sacra fonte di Artemide,
mortale!” minacciò Dedalo,
mettendo le mani attorno al collo di Aiolia.
“Aiutami,
fratellone!” gemette il futuro Leone.
“Lascialo!”.
Aiolos
era nel
panico ma poi una frase balenò nella sua mente: cosa avrebbe
fatto Saga?
“Lascia
mio
fratello” scandì bene l’aspirante
Sagittario e strinse i pugni.
“Altrimenti?”.
“Ti
trapasserò! Non è giusto sacrificare la vita di
un bambino innocente, anche se
ha commesso uno sbaglio. Come potrai definire ancora sacra quella
fonte, se in
essa sgorgherà il sangue di un infante? La tua Dea non
può approvare questo!”.
“La
mia Dea
lo approva eccome! È stata lei ad ordinarmi di eliminare chi
osa profanare
questo luogo. La tua Dea non farebbe lo stesso?”.
“No.
La mia
Dea non permetterebbe mai un simile atto”.
“Mi
sa che
tu non hai capito chi servi, ragazzo. Parliamo di Atena, Dea della
guerra”.
“E
della
saggezza! E ora lascia subito mio fratello!”.
Aiolos
si
mostrava sicuro ma, nella posizione in cui si trovava Aiolia, non era
affatto
sicuro di riuscire a colpire il nemico senza ferire il fratello. Dedalo
però stringeva
il collo del piccolo sempre di più.
“Devo
agire” si disse il fratello maggiore “Ho promesso a
mia madre che lo avrei
protetto e lo proteggerò! Avanti, mio cosmo, dimmi come
agire!”.
Di
colpo,
avvertì una strana forza dentro di sé, che prima
d’ora non era mai riuscito a
percepire così chiaramente. Spalancò gli occhi
è gridò.
“Infinity
Break!”.
Il
cosmo
del Sagittario brillò ed assunse la forma di centinaia di
frecce che
trapassarono il corpo del nemico, senza nemmeno sfiorare il piccolo
Aiolia. Il
futuro Leone corse dal fratellone e l’abbracciò,
ancora spaventato. Aiolos lo
abbracciò, confortandolo.
“Meglio
tornare al Tempio. Di corsa” commentò il maggiore.
“Vi
fate
troppi problemi, signor Aiolos” sorrise una delle guardie.
“Lo
so,
forse hai ragione” sorrise il Sagittario.
Ormai
aveva
ottenuto l’armatura da diversi anni eppure aveva ancora
dubbi, paure.
Soprattutto dopo quanto gli erano stato detto da Shion.
“Saga?”
domandò, entrando alla terza casa “Ti
disturbo?”.
“Aiolos..”.
“So
che
tardi però..non riesco a dormire. Tu?”.
“Veramente
sono un po’ stanco..”.
“Non
sei in
collera con me, vero?”.
“In
collera? Perché dovrei?”.
“Per
quello
che ci ha detto il sommo Shion..”.
“Hei,
non
posso essere arrabbiato. Ha scelto te come suo successore..ok. Non
posso essere
arrabbiato con te. Un po’ deluso, lo ammetto. Ma che vuoi
farci? Lui è il Gran
Sacerdote. Sa di certo meglio di tutti chi deve prendere il suo
posto”.
“Ma
io non
sono come te! Tu sei sempre così sicuro, forte,
serio..”.
“Davvero
mi
vedi così?!”.
“Tu
sei
così!”.
“Se
lo dici
tu..”.
“C’è
gente
che ti crede la reincarnazione di un Dio! Sei il più adatto
a guidare il
Tempio!”.
“A
molti
dei piccoli tu piaci e loro saranno coloro che andranno guidati nella
guerra
santa. Non importa se un gruppo di paesani pensa che io sia una specie
di
divinità!”.
“Sta
di
fatto che io non mi sento affatto pronto”.
“Shion
non
è mica morto. Rilassati..e cerca di dormire! Non ha nemmeno
dato la notizia ufficialmente..”.
“Hai
ragione, come sempre. Forse è meglio che vada”.
Il
Sagittario
si congedò. Saga lo osservò mentre risaliva le
scale del tempio.
“A..Aiolos..”
gemette, accasciandosi
al suolo.
Era
di
nuovo lui! Quel lato di lui che inutilmente aveva tentato di cacciare
in tanti
anni! Stava ormai prendendo il sopravvento e non sapeva che fare per
impedirlo.
Perché? Perché stava accadendo questo?
“Aiolos..”
mormorò “..amico mio..aiutami..”.
Eccoci
qua. Posso dirvelo: il prossimo sarà
Saga (per dover di “intreccio”). Ci sono delle cose
che qui non sono state spiegate
e dovrete attendere il prossimo capitolo. Per il resto..non so, mi
viene facile
descrivere Aiolos come un insicuro e Shion come un tizio che fa
favoritismi..alla prossima!!
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Capitolo 7 *** L'imperatore ***
“Signorina
Ileana..” mormorò il piccino, timidamente
“..scusi se la sveglio ma..il mio
fratellino non è più nella stanza con me e non so
dov’è”.
“Ma
come
non sai dov’è?” biascicò la
donna, rigirandosi nel letto.
Aprì
un
occhio e capì che bimbo aveva di fronte. Lo
guardò con tenerezza. Sapeva di
avere a che fare con un fanciullo ben educato e che non
l’avrebbe mai
disturbata per niente.
“Sicuro
non
sia al bagno o in cucina a cercare da mangiare?”
ipotizzò Ileana.
“Ho
già
guardato. E poi..non c’è il suo zaino”.
“Non
può
essere lontano. Non piangere! Cerchiamolo insieme”.
Il
piccolo,
con fra le braccia un pupazzo di pezza grande quasi quanto lui,
seguì la
direttrice dell’orfanotrofio lungo i corridoi della
struttura. Fuori albeggiava
e tutti i bambini ospitati ancora dormivano. Le inferriate alle
finestre
proiettavano sul muro ombre inquietanti, che un pochino turbavano il
piccino in
cerca del fratello.
“Che
succede?” domandò la cuoca, svegliata dal
frastuono.
“Kanon
non
si trova” spiegò la direttrice “Temo sia
scappato..”.
“Scappato?!
Ma com’è possibile?!”.
“Non
me lo
so spiegare. Avverto subito la polizia. Non sarà di certo
andato lontano!”.
La
donna
non ebbe il tempo di comporre il numero. Proprio la polizia stava
bussando alla
porta. Un agente, piuttosto scocciato per la perdita di tempo,
riconsegnò in
fretta il bambino fuggito e se ne andò, dopo una breve
predica.
“Oggi
fili
dritto in punizione!” sbottò Ileana, afferrando
Kanon per la mano.
Il
piccolo
non aprì bocca e finì rinchiuso in una stanzetta.
Ma non rimase a lungo da
solo.
“Fratellone..”
mormorò, riconoscendo il viso del fratello
dall’altro lato della finestra.
Arrampicato
sulle sbarre, il piccolo guadava dentro.
“Perché
sei
andato via, Kanon? Volevi lasciarmi da solo?”.
“Voglio
una
mamma..”.
“La
signorina Ileana dice che io e te non avremo mai una mamma o un
papà finché non
ci faremo adottare separati..”.
“Io
non
voglio una mamma diversa dalla tua..”.
“Ma..forse
è meglio una mamma diversa che nessuna mamma..”.
“Vuoi
stare
senza di me?”.
“No!
Kanon..non importa! Non voglio una mamma, se questo vuol dire stare
lontano da
te”.
“Ma
la
signoria Ileana dice sempre che mai nessuno ci adotterà
insieme. E più passano
gli anni e più diventa difficile”.
“Siamo
come
cani, dunque..”.
Ileana
era
seriamente preoccupata. Quei bambini, gemelli, erano stati abbandonati
da
neonati sull’uscio dell’orfanotrofio e, per alcuni
anni, aveva tentato di farli
adottare insieme. Ma era una cosa così difficile! E ormai
quei due avevano
quasi quattro anni. Ogni anno trascorso, diminuiva le
possibilità di adozione.
“Non
ti
crucciare, mia cara” sorrise Padre Nestor, il sacerdote
ortodosso che si
occupava dell’educazione dei bambini “Le vie di
Nostro Signore sono infinite”.
“Lo
spero.
Vorrei che tutti i bambini sotto questo tetto trovassero una
famiglia..”.
“E
la
troveranno, vedrai. Abbi fede”.
“Padre
Nestor, chi è quella signora lì?”
domandò il gemello più grande, indicando la
statua della madonna che si trovava nella piccola cappella
dell’orfanotrofio.
“Lei
è
Maria, la madre di Nostro Signore” rispose il sacerdote.
“Io..una
volta ho sognato una donna..aveva uno sguardo proprio quello di Maria.
Era
pieno di..non so..ma mi guardava ed io ero felice. Mi sentivo come in
un
abbraccio”.
“Forse
hai
sognato proprio lei. Com’era vestita?”.
“Non
lo
ricordo. C’era tanto bianco..”.
“La
ricordi
la preghierina per Maria?”.
“Sì..”.
“Bravo
bambino!”.
“Padre
Nestor..posso dire una cosa?”.
“Parla.
Ma
ricorda che sei nella casa del Signore..”.
“Vorrei
vedere da dove suonano le campane”.
“Le
campane?”.
“Sì.
Sento
suonare le campane ma non so da dove suonino”.
“Ah,
ho
capito! Vuoi vedere la cattedrale del paese! Va bene..chiedo alla
direttrice”.
La
cattedrale era magnifica. Il piccolo rimase senza fiato.
“Le
campane!” esclamò, sentendole suonare.
Il
sacerdote sorrise, vedendo quell’entusiasmo fanciullesco. Era
bellissimo
vederlo sorridere. All’orfanotrofio era spesso imbronciato o
triste, per via
delle continue vessazioni da parte dei bambini più grandi.
Era troppo buono per
rispondere a tono, troppo perso nei suoi sogni per affrontare la
realtà. E
proprio sognando ad occhi aperti, il bambino finì addosso ad
un uomo che si
girò di scatto, infastidito.
“Scusi”
si
affrettò a dire il piccolo.
“Non
ti
allarmare, è solo un bimbo” parlò una
voce, proveniente da un altro uomo, pochi
passi più indietro del primo.
“Sì,
Sacerdote”
si scusò l’urtato, evitando di far del male
all’orfano.
Il
bambino
non capiva. Chi era quell’individuo che si stava avvicinando?
Vestito di
bianco, con dei paramenti che parevano familiari ma non ortodossi. Si
fermò ad
osservarlo e, per qualche istante, si fissarono immobili.
“Come
ti
chiami, piccolo?”.
“Perché
dovrei dirvelo, scusi?”.
“Hai
ragione. Io, comunque, vengo chiamato Shion e sono il Gran Sacerdote
d’Atena”.
“Sacerdote?
Come Padre Nestor?” domandò il bambino.
“Possiamo
dire di sì..” rispose Shion, incrociando lo
sguardo del sacerdote ortodosso
alle spalle del piccolo.
“Dov’è
la
tua cattedrale? Così posso venire a sentire le tue
campane..”.
“La
mia
cattedrale?”.
“Andiamo!”
interruppe l’ortodosso “Dobbiamo tornare in
orfanotrofio oppure si
preoccuperanno tutti”.
“Kanon..”
domandò il gemello più grande, svegliando il
consanguineo a bassa voce.
“Cosa
c’è?”
mormorò questi, sbadigliando.
“Vieni
qui
vicino a me. Alla finestra. Dimmi..la vedi anche tu la statua
lassù?”.
“Statua?
Dove?”.
“Lassù!
La
statua di quella signora con lo scudo e il bastone. Non
l’avevo mai vista
prima..”.
“Non
la
vedo, fratello. La stai sognando?”.
“No!
Io la
vedo! Ed è la signora che sogno sempre. Io..devo andare
là! Vieni con me?”.
“Dove?”.
“Dalla
statua! Sento che mi chiama. Poi torniamo qui..”.
“Ma
è
lontana?”.
“No.
Non
credo..”.
“Se
ci
tieni tanto..però io non la vedo. Ci sono solo stelle dove
dici tu”.
“Kanon,
credimi. Io so che è là che devo
andare”.
Nel
buio
della notte, i due fratelli attraversarono le strade deserte fino a
giungere
alle porte del Grande Tempio.
“Dove
siamo?” domandò Kanon.
“Vieni!”.
Salirono
le
scale. Le case erano deserte e quindi le attraversarono senza problemi.
Le
porte della tredicesima erano chiuse ma i due bambini le aprirono.
Passarono
oltre e finalmente raggiunsero la statua di Atena.
“È
lei! È
quella del mio sogno!” sorrise il gemello più
grande.
“Sei
contento adesso? Torniamo a casa” sbottò Kanon,
leggermente agitato.
“Ma
guardala! È così bella! Credi sia
Maria?”.
“Non
mi
interessa. Io voglio tornare a casa”.
Il
gemello
più piccolo si voltò. Vide qualcosa muoversi nel
buio e d’istinto si nascose.
Si voltò verso il fratello, che però si ostinava
a fissare la statua.
“Sei
Maria?” domandava alla statua.
“No,
non è
Maria” parlò una voce da uomo.
Il
piccolo
intruso si voltò di scatto, spaventato.
“Sei
il sacerdote
che ho visto..” capì il bambino “Sei
Shion?”.
“Sì.
E tu
come ci sei arrivato quassù?!”.
“Io..volevo
vedere la statua. Ho fatto le scale”.
“Così
piccolo, hai risalito tutte le scale del Grande Tempio?!”.
“Sì..”.
“Notevole..”.
“Sogno
sempre questa signora. Chi è?”.
“Atena.
La
sogni? Che ti dice?”.
“Niente.
Ma
la sogno”.
“Anche
io
la sogno, sai? Mi ha parlato di te”.
“Di
me?”.
“Di
un
bambino. Credo proprio che sia tu”.
“Veramente?
Cosa ti dice su di me?”.
“Che
già ti
vuole bene. E tu, le vuoi bene?”.
“Io..non
so..è una statua!”.
“È
molto
più di una statua! È una Dea”.
“Una
Dea?”.
Il
bambino
alzò lo sguardo. Sì, riusciva a sentirlo.
C’era qualcosa che lo avvolgeva, come
una carezza. Il suo cuore palpitò. Voleva bene a quella
signora, sì.
Forse..riusciva perfino ad amarla!
“Cosa stai
guardando?” domandò Shion.
“Niente..”
mentì il piccolo.
Il
Sacerdote di Atena, dopo quanto visto al Tempio, aveva preso con
sé il gemello
più grande. Il bambino non era per nulla convinto.
Trascinato via quasi con la
forza, si era ritrovato in quel luogo praticamente deserto. Kanon lo
aveva
seguito, senza però che nessuno al Tempio se ne accorgesse.
“Smettila
di fissare quella donna” lo rimproverò ancora
Shion.
“Io..”.
Il
bambino
la osservava perché quella donna teneva per mano un figlio,
che le sorrideva e
la chiamava “mamma”. L’apprendista del
Tempio provò invidia.
“Devi
concentrarti. Lascia perdere certe cose” continuò
Shion, camminando ancora per
le vie del paese “Tu diventerai cavaliere, lotterai per
salvare il Mondo dai
malvagi e prenderai il mio posto”.
“Il
Vostro
posto?”.
“Il
tuo cosmo
è potente. Nessun’altro al Tempio ha una forza
pari alla tua perciò, al
momento, sei l’unico che può ambire ad un simile
incarico”.
“Gran
Sacerdote?”.
“La
strada
è lunga e sentimenti come l’invidia infangano un
cuore puro e degno. Devi ergerti
al di sopra di cose simili. La bontà e la misericordia sono
fondamentali, non
scordarlo mai. Dovrai essere d’esempio a tutti coloro che
verranno”.
“Ti
sei
divertito in paese?” domandò, vedendo arrivare
Kanon.
“Sì.
Ci
sono le giostre” ammise il gemello “Vieni anche
tu?”.
“Non
posso.
Io devo uscire dal Tempio solo assieme al Sommo Shion”.
“Che
noia!
Passi la giornata ad allenarti e
studiare! Che palle..”.
“È
la vita
che ho scelto..”.
“È
la vita
che ti hanno imposto! È da anni che siamo qui e non ti vedo
né felice né in
pace con te stesso”.
“Non
lo
faccio per me. Lo faccio per un qualcosa di superiore. E lo faccio per
Atena”.
“Atena?
L’hai mai vista? E se fosse tutta una favola? Una storia che
ti ha raccontato
un vecchio rincoglionito dai capelli verdi?”.
“Può
anche
essere ma dimmi, che alternative ho? Pensi forse che qua fuori, a
questo mondo,
ci sia qualcuno disposto a prendersi cura di noi? Qualcuno a cui
importi della
nostra vita?”.
“Che
stai
dicendo..?”.
“Qui
ho uno
scopo. Ed anche se Shion non mi ha mai riservato gesti
d’affetto, come un
abbraccio o una carezza, alla fine qui ho un tetto sulla
testa”.
“Anche
all’orfanotrofio avevamo un tetto. E là nessuno ti
pestava dalla mattina alla
sera per renderti più forte”.
“Mi
pestava
dalla mattina alla sera per divertimento..”.
“Questo
posto è una trappola. È un inganno. Non sarai
Gran Sacerdote, vedrai. Un giorno
arriverà qualcuno a cui Shion vorrà bene
veramente e tu finirai nel
dimenticatoio, piccolo bambino prodigio”.
“Non
è
vero! E poi, se ti fa tanto schifo stare qui, vattene!”.
“Non
lo
vuoi veramente..”.
“Io..”.
“Pretendono
troppo da te, fratello. Cerca di..”.
“Non
ho
bisogno di consigli. A questo mondo sono tutti fin troppo bravi a
parlare. Sai
di cosa c’è bisogno, invece? Di fatti. Di azioni.
Io, quando sarà il momento,
sarò pronto. Stringerò le mani attorno al collo
ad ogni singola creatura che
proverà a farle del male..”.
“Parli
di
Atena?”.
“Ucciderò
chiunque voglia ferirla. Difenderò lei e questa
umanità, così debole e
indifesa. Io sarò al di sopra di essa e nessuna guerra santa
potrà mai
sconfiggermi”.
“Sei
strano..”.
“Ma
per
fare questo, mi devo allenare. Devo diventare più forte.
È per questo che Shion
non mi dona mai nemmeno un sorriso. Perché non sono
abbastanza forte. E non
sono abbastanza buono”.
Quella
notte di pioggia giunse Aiolos. Assieme al neonato Aiolia, il futuro
Sagittario
giunse al cospetto del Gran Sacerdote. L’aspirante cavaliere
dei Gemelli non
capì subito quel che stava accadendo. Qualcosa in
luì gridò, selvaggiamente e
con rabbia, quando vide quanto amore in realtà riuscisse a
trasmettere Shion.
Pianse, sicuro che tanto nessuno lo avrebbe notato mentre correva per
le scale
sotto la pioggia. “Perché?” si chiedeva.
Perché nessuno gli voleva bene? Perché
nessuno lo comprendeva? Era stanco di essere solo! Kanon passava sempre
più
tempo lontano dal Tempio, le guardie lo temevano e Shion lo ignorava.
“Mi
impegnerò di più. Sarai fiero di me!”
promise a se stesso “Diventerò buono!
Buono come vuoi tu, Sommo Shion! Voglio che tu mi sorrida! Voglio che
tu..mi
voglia bene!”.
Con
nel
cuore ogni buon proposito per divenire il più giusto fra i
cavalieri,
nell’animo al contrario qualcosa ringhiava, piena di rancore.
“Sei
così
schifosamente patetico e sentimentale!” parlò,
senza capire come, a se stesso.
Era
nervoso
ma non doveva ammetterlo né tantomeno farlo capire. Molti
erano i curiosi
giunti all’anfiteatro. L’aspirante cavaliere li
osservò, fingendo indifferenza.
“Saga..”
chiamò Shion.
Il
bambino
alzò lo sguardo. Non capiva molto bene perché il
Sacerdote lo chiamasse così.
Gli era stato detto che era un nome di una famiglia nobile,
nonché di un
imperatore giapponese. Il Kanji con cui era scritto quel termine poi,
richiamava una dualità che sapeva perfettamente
d’avere. Saga inoltre era una
divinità nordica e questo lo collegava al nome del gemello
Kanon, che sempre in
oriente era una creatura divina, protettrice dei marinai e dalle mille
braccia
per raccogliere i desideri dei mortali.
“..sei
pronto, Saga?”.
“Sì”
annuì
l’apprendista.
“Bene.
Corri a prendere la tua armatura”.
“Prego?”.
“Segui
quel
che il tuo cosmo ti dice e raggiungila”.
La
voce del
Sacerdote pareva infastidita. L’aspirante cavaliere
lasciò l’arena e si
concentrò, cercando di capire verso dove il cosmo lo
guidava. Ma che strano
quel cosmo! Voci discordanti gli suggerivano posizioni diverse. Quale
doveva
seguire? Alla fine una delle due voci prevalse. Era quasi minacciosa e
lo
spingeva verso la terza casa. Davanti ad essa, il bambino si
fermò. C’era
qualcosa di strano o forse si sbagliava? Ma che poteva esserci di
strano?! La
terza casa era deserta da secoli! L’aveva attraversata tante
volte. Non aveva
mai visto alcuna armatura all’interno! Si stupì
dunque ma decise di seguire il
suo cosmo. Tutto sembrava tranquillo, senza cambiamenti di alcun tipo.
Poi la
casa si fece buia. Che scherzo era mai questo?
“Chi
c’è?”
domandò il bambino, sentendo rumori.
Qualcosa
brillò
dietro di lui ed il piccolo si voltò.
“Chi
sei
tu?” scandì una voce, altalenante e strana.
“Io?
Io..sono Saga”.
“Chi
sei
tu?” ripeté la voce.
Un’armatura
camminava, avvolta dalla nebbia nera in cui galleggiava
l’aspirante cavaliere.
“Sono
Saga”
rispose ancora, questa volta più convinto.
“Chi
sei
tu?”.
A
fianco
dell’armatura, ora si vedeva un fanciullo. Era nudo e con i
capelli neri che ne
coprivano parte del volto. Ghignò di colpo, spaventando
l’apprendista del
Tempio.
“Chi
sei
tu?” domandò questa volta Saga.
“Chi
sei
tu?” gli fece quasi da eco il ragazzino sconosciuto.
“Perché
mi
somigli? Chi sei? E perché sei vicino all’armatura
dei Gemelli?”.
“Io
sono
te. Io sono il vero te”.
“Non
è
vero!”.
“Tu
non sei
Saga. Non è quello il tuo nome”.
“E
tu come
lo sai?!”.
“Perché
io
sono te”.
“Non
è
affatto così! Va via, è pericoloso !”.
“Non
puoi
sfuggire da te stesso. Io sono parte di te. Il cosmo che ci avvolge
appartiene
a me”.
“Questo
immenso
cosmo oscuro è tuo?!”.
“È
nostro. E
non potrai lottare ancora a lungo contro la tua natura”.
“Ti
sbagli.
Il mio cosmo è luminoso e buono. Non so chi tu sia ma te ne
devi andare! Quell’armatura
la indosserò io ed apparterrà a me.
Purificherò il tuo cosmo malvagio”.
“Non
dire
idiozie”.
Il
bambino
sconosciuto scoppiò a ridere. Una risata inquietante, che
fece vibrare la
nebbia nera che amplificò quel suono come in un eco
multiplo.
“Chi
sei
tu?” si udì ancora, per l’ennesima volta.
“Io
sono il
cavaliere dei Gemelli!” gridò Saga, correndo verso
l’armatura vuota.
Il
bambino
senza vestiti lo intercettò e lo colpì.
“Vattene!”
gridarono entrambi i bambini.
Iniziarono
a
lottare.
“Quell’armatura
appartiene a me!” ringhiò Saga “Fatti da
parte!”.
“E
chi lo
ha stabilito?”.
“La
indosserò. E Shion sarà fiero di me”.
“Per
Shion
non sei altro che una pedina. Nella prossima guerra santa, ti
manderà al macello
a morire. Tu non sei nulla per lui!”.
“Stai
zitto! Tu non sai niente!”.
“Sei
tu che
sei accecato dalla stupidità. Per quell’uomo sei
solo l’ennesimo cavaliere che
morirà in nome di Atena. Devi combattere per te stesso.
Ottenere quell’armatura
perché TU lo vuoi, non perché Shion lo vuole. La
vuoi per te? O solo per far
felice quel vecchio sadico?”.
“Sì..io..la
voglio per me! La voglio per essere forte e per
difendere..lei!”.
“Lei?”.
Il
bambino
dai capelli neri parve perplesso. Poi una luce squarciò la
nebbia nera e questa
iniziò a dissolversi.
“Atena
vuole la mia vittoria. L’armatura è mia e tu
rimarrai qui, nelle tenebre”
sorrise Saga, allontanandosi con lo scrigno dei Gemelli.
“No,
ti
sbagli” ghignò il bambino nudo, indicandosi la
testa “Io sarò sempre qui”.
Saga
rimase
un po’ turbato da quelle parole ma riuscì a
trovare la forza di allontanarsi.
“Non
ti
libererai mai di me! Ricordatelo!” gridò il
piccolo dai capelli neri “Ricordatelo,
Aristotles!”.
“Nessuno
mi
chiama più così! Io sono Saga!”.
“Buon
per
te. Io sono Arles”.
Ansimando,
Saga tornò all’arena. Tutti i presenti si
zittirono. Quello scrigno..era per
davvero d’oro? Dopo tutto quel tempo, finalmente un nuovo
cavaliere di quel
rango abitava il santuario?
“Bravo!”
sorrise Aiolos, rompendo il silenzio.
“Grazie..”
rispose Saga, senza sapere che altro dire.
Shion
rimase
in silenzio. Osservò dall’alto e si fece serio.
Colui che indossava quelle vestigia
ai suoi tempi era stato un cavaliere assai temuto ed altrettanto
pericoloso. Il
Sacerdote fece un cenno con il capo, come a voler dire che aveva capito
quanto
era successo. Poi si ritirò nelle sue stanze ed Aiolos lo
seguì. Saga, sfinito
ed un pochino deluso da quella reazione, raggiunse di nuovo la terza
dimora. Era
la sua casa ora e vi entrò, lieto di non vederci ombre nere.
Udì un rumore e si
voltò, convinto di vedere il bambino di prima. Con sollievo,
vide invece Kanon.
“Vieni,
fratellino” lo chiamò.
“Davvero?
Posso
entrare anche io alla terza casa?” si stupì il
gemello.
“Certo.
Io
e te sempre insieme, giusto?”.
Kanon
sorrise
e raggiunse il fratello, che poggiò in terra il pesante
scrigno e sedette,
esausto.
“Ma..cosa
è
successo? Chi era il tuo avversario?” domandò il
gemello più piccolo.
Era
preoccupato
però capì subito che non avrebbe ricevuto
risposta, perché il nuovo cavaliere
dei Gemelli già si era addormentato, accoccolato contro la
propria Pandora Box.
“Posso
chiederti un consiglio?” parlò il Sagittario.
“Di
che
tipo?” rispose Saga, ormai adolescente.
“Beh..ecco..mi
vergogno un po’ ma..sull’isola di Milo, dove ho
scovato il nuovo cavaliere
dello Scorpione, ho conosciuto una ragazza”.
“E
con ciò?”.
“Si
chiama
Sophia. È davvero bellissima e dolce.
È..speciale!”.
“Continuo
a
non capire cosa questo abbia a che fare con me..”.
“Vorrei
un
consiglio. Tutti ti amano e ti apprezzano, ti considerano quasi un dio!
Diventerai
Gran Sacerdote! Sai per forza cos’è
l’amore quindi, ti prego, dammi qualche
consiglio”.
“Mi
spiace
ma..non posso davvero aiutarti”.
“Ma..che
dici?!”.
“Io
non
conosco l’amore. Sono stato gettato come spazzatura appena
nato, perciò nemmeno
mia madre ha mai provato amore per me”.
“Come
può
il tuo cuore concepire una cosa così triste? Se tua madre ti
ha abbandonato, un
motivo di certo c’era! Forse era troppo giovane o povera ed
in questo momento
ti pensa, chiedendosi dove tu sia e pregando per la tua
felicità”.
“Non
so
come tu faccia a vedere del buono in tutto. Gli esseri umani sono anche
malvagi
e menefreghisti sai, Aiolos?”.
“Non
una
madre. Io non credo che una madre possa essere
così”.
“La
mia
sarà stata di certo una che non vedeva l’ora di
sbarazzarsi di me. L’amore non
è una cosa in cui credo e che comprendo, se non quello che
mi porta ad avere
fede nella nostra Dea. Buon per te che ritrovi questo sentimento in una
semplice femmina”.
“A
volte
penso che tu non sia normale. Nel senso..che in te ci siano due persone
diverse. Ad ogni modo..vorrei somigliarti. Il tuo distacco di certo ti
aiuterà
nell’imminente guerra santa. E saprai guidarci tutti, di
certo meglio di quanto
potrei fare io. Shion sceglierà te come successore legittimo
però..non è
corretto quel che dici. Shion ci vuole bene..”.
“Per
Shion
non sono altro che l’ennesimo cavaliere che morirà
in guerra. Non prova affetto
alcuno per me. Basti pensare al fatto che tu e Aiolia per anni siete
rimasti al
sicuro nelle sue stanze, mentre io fin da piccolissimo stavo con le
guardie o
per conto mio. Vi ha abbracciati, tenuti in braccio, incoraggiati,
lodati..”.
“Dunque
è
di questo che sei geloso? Una volta mi dicesti che mi invidiavi.
È per questo?”
Saga
non
rispose. Seduto fra le colonne, fissò l’orizzonte.
Aiolos scosse la testa: era meglio
tornare ad allenare Aiolia.
Diversi
anni
erano trascorsi e molti altri cavalieri d’oro erano apparsi.
Quando Shion lo
mandò a chiamare, Saga non sapeva cosa aspettarsi.
Entrò alla tredicesima e già
Aiolos era al cospetto del Sacerdote e sorrideva. Che aveva tanto da
sorridere?
“Guarda,
Saga! Finalmente è giunta fra noi!”
parlò il Sagittario.
“Chi?”.
“Atena!
Guarda!”.
Shion
stringeva
fra le braccia una bambina di pochi giorni. Saga avvertì un
tuffo al cuore. Era
una notizia meravigliosa! Subito però qualcosa lo
preoccupò. Aiolos parve
percepirlo ma non disse nulla. Seguì il compagno fuori dalla
tredicesima e,
quando il Sacerdote non fu più a portata
d’orecchio, lo interpellò.
“Cosa
ti
turba? Ho notato qualcosa di strano nei tuoi occhi”.
“Quella
bambina..non
ha il cosmo di colei che sogno!” ammise Saga “Non
ha il potere che mi aspettavo”.
“È
solo una
neonata..”.
“Una
Dea! Che
ci deve difendere dai nemici. Come può farlo, con un cosmo
così debole?”.
“Pensi
veramente che il sommo Shion si sia sbagliato?”.
“Shion
è
anziano ormai. Non pensi possa sbagliare?”.
“Mi
fido
ciecamente di lui. Però..le tue parole un po’ mi
fanno riflettere. Forse dovremmo
avvicinarsi di più a lei, per verificare. Dici sia solo una
specie di prova,
per noi che siamo stati addestrati a sostituirlo?”.
“Tecnicamente
solo io sono stato addestrato per questo, ma credo che la tua idea sia
buona. Come
pensi di fare?”.
“Basta
entrare ed avvicinarsi. Nulla ci vieta di farlo!”.
“Shion
non
ammette che io entri in determinate sale!”.
“Davvero?
No,
a me no. Forse perché ho trascorso tanti anni alla
tredicesima con lui ed il
mio fratellino. Ti fidi? Controllerò io e poi ti
farò sapere”.
Saga
annuì
ma in realtà non si fidava per niente. Decise dunque di
raggiungere le stanze
della piccola da solo. La guardò e lei rispose a quello
sguardo.
“Ne
sono
certo..” mormorò Gemelli “..questo non
è lo sguardo della donna che sogno. Tu non
sei Atena e, se lo sei, la tua reincarnazione è debole. Come
potrai salvarci
tutti, mia signora? Con questo cosmo, saremo noi a dover salvare
te!”.
“Saga!”
esclamò Shion, entrando nella stanza “Cosa ci fai
lì? Allontanati!”.
“Io..volevo
solo vedere se stava bene”.
“Certo
che
sta bene! Perché non dovrebbe?”.
“Io..perché
vi arrabbiate?! Non sto facendo niente di male!”.
“Maestro..”
tentò di riportare la calma Aiolos, come sempre poco
distante dal Sacerdote.
“Sparisci,
Aiolos! Non ho bisogno di essere difeso!” sbottò
Saga, capendo che il suo
autocontrollo stava venendo meno.
Per
evitare
questo, guadagnò l’uscita, riuscendo a tornare se
stesso.
“Maestro,
perché
siete così severo con Saga?” si chiese il
Sagittario.
“Perché
tu
non sai quanto possa essere pericoloso il cosmo doppio dei Gemelli.
Già in
passato ho avuto a che fare con lui..”.
“Ma
è di
Saga che stiamo parlando, non dell’uomo che indossava
quell’armatura prima di
lui!”.
“Forse
hai
ragione. Ma è meglio prevenire..”.
Qualche
tempo
dopo, Kanon rientrò al santuario. Era di splendido umore e
fischiettava.
“Fratellone!”
chiamò, felice “Indovina un po’ con chi
è uscito stasera il tuo gemellino? Con quello
schianto di cameriera del locale giù in paese. Ovvio, non la
conosci. Sei troppo
impegnato a fare il santo quassù! Fratellone! Ma..dove
sei?”.
Kanon
si
guardò attorno.
“Sento
il
tuo cosmo!” ridacchiò “Vuoi giocare a
nascondino, eh? Guarda che ti trovo!”.
Si
concentrò
qualche istante e poi camminò convinto.
“Trovato!”
esclamò, sbucando da dietro una colonna e scoppiando a
ridere.
Si
fermò
subito però perché si accorse che il fratello,
seduto in terra, non aveva
proprio l’aria di essere in vena di scherzi.
“Ma..che
succede? Fratellone..piangi?”.
“Sai
che
novità..va via, per favore”.
“Certo
che
no! Sei mio fratello e devi dirmi cosa
c’è”.
“Niente.
Lasciami stare”.
“Ti
prendo
a sberle, stupido!”.
Kanon
tentò
di fare il minaccioso ma nemmeno quella tecnica funzionò.
Una lacrima rigò la
guancia del gemello e il più giovane non sapeva che fare.
“Qualsiasi
cosa sia successa, siamo fratelli. Ed io ti voglio aiutare. Avanti, che
mai
potrà essere?”.
“Kanon..io..a
cosa servo?”.
“In
che
senso? Sei un cavaliere d’oro e difendi la pace del Mondo, o
almeno questo è
quel che mi è stato detto. Ecco a che servi”.
“Io
credevo
di essere speciale. Di essere..diverso. Fin dal primo momento, mi
è stato detto
che io farò grandi cose..”.
“E
le
farai. Dicono tutti che sarai Gran Sacerdote”.
“No,
non lo
sarò. Shion ha scelto Aiolos”.
“Cosa?!
Io
l’ho sempre pensato che quel vecchio fosse un rincoglionito
ma ora ne ho la
certezza! Come si fa a scegliere Aiolos?! Mister insicurezza, che ha
paura di
agire e chiede sempre consiglio. Con lui a guida del Tempio, la guerra
santa è
persa in partenza. Siamo fottuti!”.
“Ha
ragione
Shion, invece! Io..io non sono in grado di controllarmi!”.
“Controllare
cosa?! Dai, andiamo! La gente ti considera un Dio! Quando eravamo
bambini, a
volte restavi a digiuno pur di far mangiare me o altri bambini
affamati. Hai sempre
aiutato chi lo chiedeva ed hai sempre servito fedelmente questo posto.
Tu meriti
di veder realizzati i tuoi sogni!”.
“No,
invece! C’è qualcosa in me che non va. Te ne sei
accorto pure tu. Faccio sempre
più fatica a controllare quel lato di me che..”.
“Quel
lato
è frutto di una vita intera di frustrazione e repressione.
Uno non può essere
fottutamente buono sempre, ventiquattro ore su ventiquattro! E poi qui
stiamo
parlando di guerra. Credi possa essere più adatto a
difendere il Mondo quell’insicuro
lecchino di Aiolos oppure quel tuo lato che saprà essere
spietato con i tuoi
nemici?”.
“Che
domanda fai?! Quella parte di me non deve mai avere il sopravvento,
chiaro?”.
“Ma
prima o
poi lo farà. Il demone nel tuo cuore prima o poi
uscirà. E forse è giunto il
momento..”.
Kanon
aveva
ragione. Il gemello più piccolo, dopo quanto detto da Saga,
aveva deciso di
agire. Raggiunse le stanze del Sacerdote, tentando di ghermirne la
vita. Così facendo,
avrebbe consentito al fratello di veder realizzato il suo sogno. Ma
Saga stesso
era intervenuto, sventando quel tentativo e rinchiudendo il gemello a
capo
Suion.
“Vuoi
divenire davvero come lui?” aveva urlato Kanon, mentre la
marea si alzava “Tu
non sei così! Tu sei angelo e demone allo stesso tempo e
qualcosa in te freme perché
vuole prendere il giusto posto! Non essere come loro vogliono che tu
sia! Sii come
tu sei nato per essere!”.
Il
demone,
quel bambino nudo dai capelli neri, ora era un uomo pronto a prendere
il
controllo. Per troppi anni aveva sacrificato tutto senza ottenere nulla
ed era
tempo di reagire. Uccidere il Gran Sacerdote non era stato un problema
e
nemmeno sbarazzarsi di Aiolos. Osservando la statua di Atena, con
addosso le
vesti da Gran Sacerdote, Arles sorrideva da sotto la maschera.
“Quella
incarnazione era debole” parlò “Ci
penserò io a difendere questo Mondo. Nessun Dio
oserà sottomettere l’umanità
perché io sarò al di sopra di qualunque
divinità
possibile! Io sono pronto. Affronterò ogni singola guerra
santa, Atena. In nome
tuo..”.
Rientrando,
trovò un bambino alla tredicesima.
“Aiolia?”
domandò, vedendolo.
“Posso
dormire qui oggi?” piagnucolò il piccolo aspirante
Leone.
“Non
sei un
po’ grande?”.
“Mi
manca
il mio fratellone..”.
“Capisco..”.
“Dicono
che
adesso portate la maschera per nascondere le lacrime di delusione per
il
tradimento del vostro cavaliere prediletto, il Sagittario. E per
Gemelli, che è
sparito. Io..non so se il mio fratellone ha fatto del male anche a Saga
ma..vorrei chiedere scusa da parte sua”.
“Scusa?”.
“Sì.
Il mio
fratellone ha sbagliato, ha tradito. Non so se sia vero, ma dicono
così. Vorrà
dire che io combatterò anche per lui e diventerò
un cavaliere doppiamente
fedele ad Atena ed al Santuario”.
“Come
proposito è molto nobile, Aiolia..”.
“Grazie..”.
Il
bambino
fece per andarsene, a capo chino.
“Aiolia..”
lo richiamò Arles “..puoi dormire nelle mie stanze
stanotte. Io non ho sonno..”.
Nello
stesso
momento, da qualche parte sotto la superficie dell’oceano,
Kanon si era
risvegliato al cospetto del Tempio di Poseidone. Se suo fratello non
aveva il
coraggio di prendere ciò che poteva ottenere, lui non
avrebbe commesso lo
stesso errore!
Scusate,
questo capitolo è un po’ più lungo
degli altri ma ho tentato di dare spazio ad entrambi i gemelli. Ammetto
di non
essere del tutto convinta di essere riuscita ad esprimere a pieno quel
che
volevo. La mia idea è che Saga abbia avuto fin da bambino un
sogno imposto e
che da sempre lo abbia inseguito. Un unico e solo scopo nella vita che
gli è
stato tolto e non è stato in grado di reagire nel modo
corretto, perché incapace
di vedere uno scopo diverso nella sua vita. Alcune scene le ho
raccontate in
modo leggermente diverso in “Reborn”, che essendo
una storia lunga offre molto
più spazio per spiegazioni di sorta. P.S. il mio Arles ha i
capelli neri come
nel manga! A presto!
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Capitolo 8 *** Il drago di giada ***
Correndo
fra le molte statue di Buddha del tempio a Henan, due ragazzini si
inseguivano
fra il disappunto degli adulti. In quel luogo non erano ammessi
schiamazzi e
l’abate più volte aveva ripreso i due
più giovani abitanti di quell’edificio
sacro, senza risultato.
“Dai,
prendimi!” incitò uno dei due e l’altro
accettò la sfida.
Entrambi
finirono addosso ad uno dei monaci, che li sgridò aspramente
ed ordinò loro di
tornare ad allenarsi. Sospirando, i giovani obbedirono.
“Tenetevi
pronti” parlò loro l’abate “Il
nemico sta arrivando e dovrete spostarvi lungo
il versante opposto del monte Songshan. Là sarete al
sicuro”.
“Ma..maestro!”
si lamentò quello un pochino più anziano
“Noi siamo pronti! Vogliamo combattere!”.
“Sei
impetuoso e forte, ragazzo. Ma non ancora pronto ad affrontare uno
scontro. La
tua tecnica deve essere perfezionata e sarebbe un peccato se perissi
prima. Nel
tuo futuro vedo grandi cose”.
“Lieto
di
sentirvelo dire, abate. Però vorrei comunque
combattere”.
“Tu
obbedirai ai miei ordini, chiaro? E proteggerai questo fanciullo appena
giunto
al tempio, con cui vedo che già hai fatto amicizia.
È più piccolo di te e molto
inesperto, ma anche lui con grandi potenzialità. Te lo
affido. È un compito
importante”.
“Grazie
per
la fiducia”.
Salendo
lungo la montagna, con due sacche sulle spalle, i due ragazzi erano in
cammino
verso il rifugio situato quasi in cima. Dovevano portare in salvo
alcuni
oggetti sacri, nel caso il nemico fosse riuscito a sconfiggere il
tempio.
“Ma
da chi
fuggiamo?” domandò il più giovane.
“Non
fuggiamo! Mettiamo in salvo preziose proprietà del tempio! E
non ti
preoccupare. Più volte i Manciù hanno tentato di
distruggerci ma non ci sono
mai riusciti”.
“Ah,
io mi
fido”.
“E
fai
bene. Dai, coraggio! La strada è ancora lunga”.
La
notte
trovarono rifugio fra gli alberi. Accesero un fuoco e si rifocillarono.
Già si
preparavano a riposare quando, nel buio, udirono un rumore. Subito
pensarono a
qualche animale e si allarmarono. Per fortuna loro, spuntò
solo un’anziana.
“Va
tutto
bene?” domandò il più grande dei due
“Vi siete persa?”.
“No,
mi
sono solo attardata un po’ troppo. Posso stare qui accanto al
fuoco con voi,
giovanotti?” rispose lei, appoggiandosi ad un bastone e
camminando piano.
“Prego”
invitò il più giovane.
“Allora..”
parlò ancora l’anziana, dopo qualche istante di
silenzio, guardando il maggiore
“..dove andate? Qual è la vostra meta, fanciullo
dallo sguardo di tigre?”.
“Tigre?!”.
“I
tuoi
occhi trasmettono la stessa forza e fierezza della tigre”.
“Noi
stiamo
portando al sicuro alcune cose dal tempio Shaolin. I manciù
ci stanno per
attaccare”.
“Siete
aspiranti monaci? Ci vuole tanta dedizione e coraggio. E anche
pazienza. Spero
che l’imperatore Qianlong si faccia presto valere anche su
questi ribelli..”.
“Di
politica ammetto di non averci mai capito molto..”.
“Non
sei
più tanto piccolo. Potresti ritrovarti presto
nell’esercito dell’imperatore.
Quanti anni hai?”.
“Undici.
E lui
ne ha dieci”.
“Sei
quasi
un uomo. Se tu fossi una donna, saresti già in
età da marito!”.
“Me
ne farò
una ragione”.
Il
ragazzo
rise, offrendo all’anziana un po’ di riso.
La
mattina
seguente, i due giovani si apprestarono a riprendere il cammino.
“Siate
prudenti” si raccomandò l’anziana.
“Lo
saremo”
assicurò il più piccolo.
“E
tu,
tigre..vedo lungo il tuo cammino qualcosa di speciale. Vedo..un drago.
Un drago
di giada”.
“Un
drago
di giada? Che significa? Un pericolo?”.
“Ma
no. Anzi.
Sarà per te motivo d’orgoglio”.
Il
ragazzo
tentò di chiedere altro ma l’anziana non
parlò. I due apprendisti allora
proseguirono, correndo lungo lo stretto sentiero.
“In
cima a
questa ripida scalinata, c’è la nostra
meta” ridacchiò il maggiore, di buon
umore.
“Ottimo!
Stavo iniziando a stancarmi di vedere solo alberi!”.
Il
codino
biondo del più piccolo ondeggiava ad ogni scalino ed il
più grande lo osservava
divertito. Saltellando da uno scalino ad un altro, erano quasi giunti
in cima
quando il maggiore fece segno di fermarsi.
“Qualcosa
non va..” mormorò
“C’è troppo silenzio..”.
“Silenzio?”.
Perfino
il
vento sembrava essersi fermato.
“Scappa.
Mi
hanno detto di proteggerti perciò lo farò. Scappa
e non guardarti indietro”.
“Ma..io..”.
“Nasconditi!”.
Il
più
piccolo fu spinto fra la vegetazione dal più grande, che si
preparò a
combattere.
“Mi
hanno
detto che ho lo sguardo fiero della tigre..” si disse
“..quindi vi combatterò
come una tigre!”.
Si
ritrovò
circondato da nemici sconosciuti.
“Ma
che
carino..” lo sfotté uno di loro “..si
è messo nella posizione della tigre!
Moccioso, sei solo un gattino! Fatti da parte!”.
“Non
lo
sottovalutare” lo ammonì un altro dei nemici
“Potrebbe essere uno di quelli del
tempio Shaolin”.
“Non
ho
paura di voi! Fatevi sotto!” gridò il bambino.
“Datti
una
calmata! Noi dobbiamo impedire l’accesso a questo luogo a
chiunque, compreso a
te!”.
“E
perché
mai? Lasciatemi passare, subito! O ve la vedrete con me!”.
“Ma
sentitelo..”.
Il
ragazzino si scagliò contro i nemici, cercando in ogni modo
di passare e
proseguire il suo cammino.
“Io
sono la
tigre!” ringhiò il giovane.
Anche
se i
nemici erano numerosi, non si tirò indietro e
continuò a combattere. Gli
avversari però erano in molti e per un solo bambino non era
facile.
“E
questo
chi è?” sentì dire.
Purtroppo,
uno di quegli sconosciuti era riuscito a scovare l’altro
bambino del tempio.
“Mettimi
giù!” protestò questi, sollevato per la
sciarpa.
“Perché
altrimenti cosa mi fai?” sorrise l’uomo.
Il
fanciullo, di tutta risposta, si mise nella posizione della gru.
“Divertente!
Combattiamo!”.
“Basta!”
tuonò una voce e gli avversari si fermarono, allarmati
“Lasciate stare quei
bambini”.
“Si..signor
Hakurei!” balbettò uno degli uomini
“Noi..”.
“Avete
obbedito agli ordini. Ora sparite”.
Hakurei,
cavaliere del santuario di Atena, era apparso dall’alto della
scalinata. Con un
cenno, invitò i due piccoli a salire.
“Aspetta!
Non ci dobbiamo fidare..” storse il naso il più
grande.
“Non
ha
l’aria cattiva” rispose invece il più
piccolo e continuò a salire, raggiungendo
lo sconosciuto.
L’altro
allora fece lo stesso, perché aveva giurato di proteggere
quel bambino.
“Ho
visto
come combattete” iniziò Hakurei, una volta
all’interno dell’edificio e con
davanti una tazza di tè caldo “Siete futuri monaci
Shaolin?”.
“Sì.
E voi?
Chi siete e cosa ci fate qui?”.
“L’abate,
il tuo mentore, è uno di noi. Siamo qui per dare manforte.
Abbiamo portato cibo
e acqua e una squadra dei nostri sta combattendo a fianco dei
monaci”.
“E
tu
perché sei qui?”.
“Aspettavo
te..”.
“Me?!”.
“Il
tuo
maestro mi ha parlato di te. Ed in effetti ci ha visto giusto: tu
possiedi un
forte cosmo. Ed anche tu, anche se sei più
piccino”.
I
due
ragazzini si fissarono, senza capire di che stesse parlando quello
sconosciuto.
“Inoltre..”
riprese Hakurei, guardando il più giovane “..tu
non sei cinese, dico bene? Io e
te abbiamo qualcosa in comune..”.
“Noi
due?”.
La
conversazione
fu interrotta dall’ingresso di un bambino più o
meno della loro età. Aveva i
capelli verdi e sedette accanto ad Hakurei.
“Lui
è
Shion” spiegò l’uomo”Possiede
un cosmo, come voi”.
“Cos’è
un
cosmo?” domandò il più grande.
“Ve
lo
spiegherò. Ma prima dovete farvi un bagno, cambiarvi e
mangiare qualcosa”.
“Uffa..”.
“Coraggio.
Non vi dirò niente finché
non sarete di
nuovo presentabili”.
“Vai
prima
tu” sorrise il più piccolo.
“Possiamo
fare il bagno insieme. Il fiume è qui vicino, lo ricordo
bene” rispose il
maggiore.
“No,
va
pure tu. Io faccio dopo”.
“Ma
perché?”.
“Non
posso
fare il bagno con te!”.
“E
perché?”.
“Perché
è
una femmina, deficiente” borbottò Shion,
sorseggiando tè.
“Che?!”.
La
piccola
arrossì e chinò il capo.
“Perché
non
mi hai detto che sei una femmina?!”.
“Perché
al
tempio Shaolin possono combattere solo i maschi ed io non sapevo dove
altro
andare”.
“E
quanto
tempo pensavi di tenerlo nascosto?!”.
“Non
molto,
in effetti. Sto iniziando a crescere..”.
Hakurei
sorrise. Quei tre bambini erano avvolti da un cosmo speciale ed
avrebbero
vissuto grandi avventure assieme, se lo sentiva!
Non
passò
molto tempo prima che il nemico raggiungesse anche quel luogo. I tre
giovani
osservarono con ammirazione la forza con cui Hakurei, apparentemente un
vecchio, riusciva a respingerli.
“Non
voglio
restare qui a guardare” si lagnò la bambina
“Scendiamo in battaglia!”.
“Ma
è
rischioso!” l’ammonì Shion.
La
bambina
non lo ascoltò e nemmeno l’altro ragazzino del
tempio Shaolin. Hakurei non
riuscì a fermarli per tempo. Vide solo due piccoletti
sfrecciare fra i nemici
vestiti di nero.
“E
voi due
mocciosi cosa volete?” sibilò un uomo.
“Non
siamo
mocciosi! Chiamaci per nome, così che sia l’ultima
cosa che dici prima di
morire” replicò la giovane.
“E
quale
sarebbe il tuo nome?”.
“Nella
mia
lingua, sono sempre stata definita tagliente e pericolosa come una
lama.
Yuzuriha vengo chiamata. E ora muori!”.
Hakurei
alzò
lo sguardo. La giovane, con estrema facilità, aveva
sconfitto un gran numero di
nemici ed alle sue spalle brillava, a sua difesa, l’armatura
della Gru. Il bambino
le dava le spalle e, sulla schiena nuda, ora era apparso il muso di una
bellissima tigre.
“Io
sono
Dohko” parlò “Io sono Tigre” e
già su di lui vegliavano le vestigia della
Bilancia.
Per
oltre
duecento anni Dohko si era chiesto e richiesto cosa volesse dire
quell’anziana
con la sua profezia sul drago di giada. Si era quasi convinto che
fossero tutte
stupidaggini. Ma poi un giorno capì..
“Maestro”
si sentì chiamare.
Eccolo
il drago
di giada! Sirio, fiero possessore dell’armatura verde del
drago, era davvero
per il suo maestro un motivo d’orgoglio.
“Maestro!
A
che state pensando?”.
“A
nulla,
Sirio. Non ti preoccupare, drago di giada”.
Sirio
non
comprese quelle parole ma sorrise, tornando ad allenarsi.
È
un po’ corto, chiedo perdono. Questo racconto
è nato da un sogno (io faccio sogni strani) quindi ho dovuto
faticare per
riordinare le idee..
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Capitolo 9 *** Summertime madness ***
“Guarda!
Un
tuo simile!” ridacchiò Aphrodite, indicando un
paguro.
“Guarda!
Tua
madre!” ribatté Deathmask, indicando
un’orca gonfiabile per bambini.
“Bastardo!”.
“Femminuccia!”.
Shura
ruotò
gli occhi al cielo. I giovani cavalieri erano in spiaggia.
“Cos’è
quello sguardo, killer di Sagittari?” lo apostrofò
il Cancro.
“Non
infierire!” si sentì rispondere.
La
notte
degli inganni era ancora viva nella mente degli abitanti del santuario
ed il
piccolo Capricorno era uno degli ultimi che voleva parlarne.
“Suvvia,
rilassati! Il Gran Sacerdote ci ha detto di divertirci e noi lo
faremo”
continuò Deathmask “Per oggi, siamo persone
comuni”.
“Sì,
non
pensiamo al santuario per oggi” sorrise Milo “Chi
mi offre un gelato?”.
“Sei
uno
scroccone” rispose Camus.
“Tu
potresti farmelo gratis il gelato e non lo fai, perciò stai
zitto”.
Shaka
sospirò.
Aldebaran scoppiò a ridere.
“Ma..”
domandò Mu “..Aiolia
dov’è?”.
Arles
respirò
profondamente. Che pace! Aveva concesso ai bambini e ragazzini del
tempio una
giornata di svago. Ufficialmente per prendere fiato e rallegrare la
mente, realmente
per levarseli dai piedi. Non era adatto a fare la baby sitter e quei
mocciosi
erano invadenti. Ma non doveva preoccuparsene, perché ora
è solo al tempio. Tutto
solo!
“Maestro..?”
mormorò una vocina.
“E
che
palle!” sibilò Arles, mordendosi la lingua per non
parlare.
Il
piccolo
Aiolia entrò alla tredicesima. Vi stupì di
trovarvi il sacerdote spaparanzato
in modo poco elegante sul trono. L’uomo non comprese subito
il suo sguardo
interrogativo ma poi realizzò e sedette composto.
“Che
succede, Aiolia?” parlò, tentando di trovare la
calma “Non sei in giro come
tutti gli altri?”.
“Gli
altri
mi trattano male. Dicono che sono il fratello del traditore”.
“Fanno
tutti così?”.
“No,
ma
tanti lo fanno ed a me non piace”.
“E..che
fai
qui?”.
“Ho
bisogno
di compagnia”.
Il
lato
buono del sacerdote si commosse, davanti agli occhi dolci e tristi
dell’apprendista
Leone. Di tutt’altro avviso era il lato malvagio, che
lanciava frasi nella
mente del buono che ordinavano “Mangialo!”
e “Another dimensionalo!”
a
ripetizione e a raffica.
“Aiolia..”
si sforzò di dire Arles “..io ho molte cose da
fare. Non posso aiutarti”.
“Ma
se
eravate stravaccato sul trono a fare nulla?!”.
“Stavo
meditando”.
“Non
è vero”.
Arles
digrignò i denti. Per fortuna, da sotto la maschera, il
bambino non lo notò. Si
alzò, fingendo di avere tantissimi compiti importantissimi
da svolgere. Aiolia
lo seguì.
“Santa
pazienza..” si disse Arles “..è
irritante quasi quanto suo fratello”.
Il
bambino
lo prese per mano e il sacerdote dovette arrendersi: quel bambino non
si
sarebbe tolto di mezzo tanto facilmente.
“Cosa
fai?”
domandò Aiolia, mentre Arles prendeva fra le mani alcuni
documenti.
“Cose
che
non capisci” fu la risposta. E, per intenderci, nemmeno Arles
capiva. Semplicemente
voleva fingere di fare qualcosa di spaventosamente noioso, nel
tentativo di
allontanare il bambino.
“Cosa
c’è
scritto? Scrivi proprio male..”.
“Scrivo
meglio di te..”.
“Io
sono
piccolo”.
Arles
sospirò.
Aiolia continuava a seguirlo ovunque e non sapeva come liberarsene.
“Maestro..a
te manca Aiolos?”.
“Ma
certo”
rispose Arles, sapendo di doversi fingere Shion.
“Anche
se è
stato cattivo ed ha tentato di ucciderti?”.
“In
tanti
cercano di uccidermi..”.
“Anche
se è
stato cattivo ed ha tentato di uccidere Atena?”.
“In
tanti
cercano di uccidere Atena!”.
“E
ti manca
il cavaliere dei Gemelli? A me sì e non capisco
perché sia andato via”.
“Ti
manca?”
si stupì Arles.
“Sì.
Era
buono e forte, come il mio fratellone. E mi mancano
entrambi..”.
“Non
devi
sentirti legato al passato, giovane aspirante cavaliere. La tua
armatura deve
risplendere di luce, non di tenebra. Credi in un futuro sereno e la
paura non
ti fermerà”.
Ma
che ho detto? Saga..sei un sentimentale del
cazzo! Sembri un impasticcato!
“Ma
io ho
tanta paura. Senza il mio fratellone, io mi sento tanto solo. E non so
cosa
fare!”.
E
vuoi l’aiuto mio? Ma lo hai visto come sto
messo, dannato moccioso?!
“Cosa
posso
fare, maestro?” continuò Aiolia “Che
devo fare per ritrovare la motivazione?”.
“La
motivazione non è qualcosa che posso darti io. Devi trovarla
in te perché dovrai
affrontare molte battaglie e non potrai mai farlo se hai
paura”.
“Ma
io non
sarò mai valoroso come lui!”.
“Valoroso?
Ha
attentato alla vita di Atena! Non dovresti tentare di
somigliarli”.
“Ma
io non
capisco..non capisco il perché del suo gesto”.
Ed
io non capisco perché tu sia qui a
sdrucivergarmi le palle ma guarda come sono bravo a reprimere gli
istinti
omicidi! E, pensa te, perfino ti ascolto.
“Sei
solo
un bambino ed il gesto di Aiolos ha turbato tutti quanti. Ora puoi
tornare ai
tuoi allenamenti”.
“E
se..”.
Arles
sospirò, di nuovo, all’ennesimo tentativo fallito
di liberarsi di quel
fastidio.
“E
se non
fosse veramente un traditore? Se avesse agito perché
posseduto da una qualche
entità malvagia?”.
“Interessante
teoria ma non saprei come provarla”.
Il
sacerdote
continuava a camminare di buon passo. Si stupì della
testardaggine dell’aspirante
Leone, che si ostinava a pedinarlo.
“Non
devi
perdere la speranza, Aiolia. Tuo fratello ha agito come ha agito, ma tu
non sei
lui”.
“Però
tutti
non fanno che rinfacciarmi quel che ha fatto lui..”.
“Ed
allora
tu dimostragli che sei diverso da come ti descrivono. Che non sei solo
il
fratello di un traditore ma qualcosa di più”.
“E
come?”.
“Prendendoti
l’armatura d’oro, per esempio”.
“Altri
la
vogliono..”.
“E
allora? Altri
vogliono il mio posto ma qui ci sto io! Devi farti valere, piccolo! E
prenderti
quel che desideri. Sei un Leone oppure no? Il leone non chiede permesso
prima
di mangiarsi la sua preda!”.
“Il
leone è
un animale feroce..”.
“E
tu sii
lo stesso. Smettila di fare il micino cieco alla ricerca di
latte”.
“Ma..io..”.
“Ma,
ma
sempre ma! Non sai dire altro? Tira fuori le palle!”.
“Le
palle?”.
Il
bambino
era lievemente a disagio. Che strano era il maestro Shion!
“Ti
aiuto!”
si offrì poi, vedendo il sacerdote alle prese con vari
documenti.
Arles
represse
una bestemmia.
“Guarda!
Una
stella cadente! Esprimi un desiderio!” sorrise Aphrodite,
indicando il cielo.
“Voglio
un
gelato” piagnucolò Milo.
“Ancora?!”.
“Sì..”.
“Ah,
ragazzi..si sta troppo bene qui! Non mi va di tornare al Grande
Tempio” ammise
Cancer.
“Ma
dobbiamo!” si affrettò a dire Shaka.
“Sì,
lo so,
biondino guastafeste!”.
“Si
è fatto
pure tardi..” si aggiunse Mu “Forse è
meglio rientrare”.
“Il
Tempio
è la nostra casa. Dobbiamo onorare le armature che
indossiamo e..”.
“AH!
Un
ragno!!” gridò Aphrodite, interrompendo i pensieri
filosofici di Shaka e
fuggendo via dalla bestia che il Cancro stringeva fra le mani.
“Ma
se io
sarò il cavaliere del Leone..” continuava il
logorroico Aiolia “..poi gli altri
mi tratteranno meglio?”.
“Non
lo
so..” e non mi importa.
“Mi
abbracci?”.
NO!
Aiolia
abbracciò il sacerdote, con gli occhi lucidi.
“Senti..Aiolia..io
non posso aiutarti. Però posso dirti una cosa: se sei nato
sotto l’influsso
della costellazione del Leone, allora indosserai
quell’armatura. Non avere
timore..”.
“Fuori
è
buio..”.
“Fuori
è
notte!”.
“Non
mi
piace la notte”.
Certo
che sei proprio piagnucoloso! Peggio di
Saga senza antidepressivi..
Arles
non
voleva dire altro a quel bambino petulante. Però quegli occhi da micino
impaurito in un certo
modo lo intenerivano.
“Posso
vedere Atena?” domandò il piccolo.
“La
statua
tutte le volte che vuoi. La vera Atena no. Sei troppo
piccolo”.
“Quando
la
potrò vedere? Il mio fratellone mi ha detto che è
tanto bella”.
“Lo
è ma tu
ora sei piccolo. Quando sarai più grande”.
“Ma
piange
la notte? E beve il latte dal biberon?”.
“No..la
allatto! Certo che beve dal biberon..ma che domande fai?!”.
“Boh.
Forse
una Dea fa cose diverse. Fa come tutti i bambini piccoli?”.
“Piange,
dorme, rompe le palle..”.
La
velata
allusione a quanto stressante fosse non fu colta da Aiolia, che si
strusciò
contro la veste del Sacerdote. Arles fissò la cosa,
perplesso.
“Sei
io
prenderò l’armatura, poi mi manderai a combattere
contro i mostri?”.
“I
mostri? Quali
mostri, Aiolia?”.
“I
cattivi.
Se io avrò l’armatura, mi manderai contro tutti i
cattivi più cattivi? Così dimostrerò
il mio valore e le mie zanne puniranno i malvagi”.
“Ti
manderò
contro tutti i cattivi che vuoi”.
“Grazie!”.
E
dopo sono io lo psicopatico..
“E
così..te
la sei goduta qui, tutto da solo” ghignò
Deathmask, al cospetto del Gran
Sacerdote.
“Fidati..NO!”
rispose lui, sorseggiando vino.
“Vacci
piano con quella roba. Vuoi guastarti il fegato prima dei
vent’anni? Già hai i
capelli grigi..”.
“Pensa
per
te, Deathmask!”.
“Mmm..ok..mi
sa che oggi sei nervoso”.
“Ma
non mi
dire..”.
“Cosa
ti ha
fatto innervosire tanto? Avevi il Tempio tutto per te! Vino, donne e
rock and
roll!”.
“E
marmocchi appiccicosi in crisi depressiva”.
“Andiamo..Saga
non è un marmocchio. È in crisi depressiva
ma..”.
“Non
parlavo
di Saga!”.
“Ah!
Scusa!
Pensavo avessi passato la giornata ad insultarti da solo.
Dev’essere
interessante avere la doppia personalità. Specie se le
personalità fra loro si
odiano..”.
“Vuoi
che
ti uccida?”.
“Ma
no.
Tanto so che non lo fai..”.
“E
cosa te
lo fa credere?”.
“Perché
mi
vuoi tanto bene”.
Deathmask
scoppiò
e ridere. Arles sospirò, per l’ennesima volta quel
giorno.
“Beviamoci
su..” si disse “..è la vita che ho
scelto”.
Nel
frattempo,
un giovane aspirante cavaliere di nome Aiolia guardava le stelle.
Convinto più
che mai, riprese ad allenarsi alla luce della luna. Avrebbe dimostrato
a tutti
quel che valeva!
“Le
zanne
del Leone proteggeranno per sempre Atena!” disse “E
un giorno io sarò cavaliere
d’oro!”.
Leoncino
time! Sì, non c’è descritto come
questi si piglia l’armatura. Il motivo? In episode G viene
descritto perciò ho
sorvolato :P ho preferito fare un piccolo siparietto un pochino idiota,
per
smorzare la depressione XD alla prossima!
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Capitolo 10 *** Fedeltà ***
“Coraggio,
piccolo. Andiamo a casa” mormorò una donna,
sfiorando le spalle del bambino.
Questi
scosse la testa. Guardava smarrito la bara che veniva portata via.
“Fratellone..”
gemette, ancora incapace di crederci.
Ora
era
solo il mondo. Un incidente stradale gli aveva portato via il fratello
maggiore. Non poteva crederci e non voleva farlo. Non sapendo che altro
fare,
si mise a correre.
Tutti
si
scostavano quando quel cavaliere scendeva in arena. Era
l’unico d’oro e quindi
incuteva anche un certo timore. Il cavaliere in questione trovava la
cosa
piuttosto fastidiosa, perché preferiva allenarsi con
qualcuno, ma finiva sempre
col restare da solo. Quella mattina però qualcosa
cambiò. Un bambino gli si
avvicinò, con aria seria.
“Torna
qui!” lo rimproverò qualcuno “Non
infastidire quel cavaliere d’oro!”.
“Cavaliere
d’oro, eh?” parlò il piccolo
“Qual è il tuo nome?”.
“Saga”
rispose il saint.
“Perché
non
indossi l’armatura?”.
“Perché
non
mi serve..”.
“Ti
alleni?”.
“Sì.
Vuoi
guardarmi?”.
“No.
Combatti con me”.
Saga
si
stupì e sorrise a quel bambino coraggioso. Annuì.
Questo provocò allarme fra i
presenti, che tentarono in ogni modo di far cambiare idea al bambino.
Saga si
mise in posizione, sorridendo, ed
il
bambino fece lo stesso ma rimanendo serio. Fu proprio il bambino a
scattare in
avanti per primo. Saga non ebbe difficoltà alcuna a
difendersi ma dovette
ammettere che quel piccoletto era veloce.
“Sei
forte”
commentò il bambino “Però..io ancora ho
degli assi nella manica”.
“Sono
curioso. Me li mostri?”.
“E
tu? Sei
un cavaliere d’oro. Di certo non sai solo saltellare e
parare!”.
“Non
spingerti troppo in là, piccolo. Sei dotato, te lo
riconosco, ma non potrei mai
combattere nel pieno delle forze contro di te”.
“Tu
mi sottovaluti!”.
“E
tu
sottovaluti me..”.
Il
bambino
si accigliò. Con un grido, saltò e
sollevò il braccio destro.
“Excalibur!”
esclamò.
Saga
ebbe
un sussulto. Riuscì a parare il colpo e guardò
con stupore il piccolo che aveva
davanti.
“La
spada
sacra!” commentò “Dunque tu sei..un
cavaliere d’oro?”.
“Shura.
Io
sono Shura del Capricorno!”.
“Shura,
eh?
Bel nome. Volevo usarlo pure io, un tempo. Ma alla fine ho preferito
Saga. Sai
che significa "il sanguinario"?”.
“Anche
"assassino","demone"
oppure "guida". Dipende..”.
“E
tu cosa
sei ti tutte queste cose?”.
“Mostrami
il tuo colpo” cambiò argomento il bambino.
“Non
te lo
lancio contro. Ti farei male”.
Shura
non
gradì quella risposta e ricominciò ad attaccare,
saltando e gridando. Saga
schivò e si mosse alla velocità della luce,
spostandosi alle spalle del bambino
ed afferrandolo. Con delicatezza, bloccò il piccolo e
sedette, ridendo. Gli
spettinò i capelli.
“Hei,
calmati! Saltelli come un giocattolo a molla!”.
Shura
alzò
lo sguardo. Incrociò gli occhi verdi di Saga e si
intristì. Quello sguardo,
così dolce e premuroso, gli ricordava quello del fratello
deceduto. D’un
tratto, scoppiò a piangere.
“Ma..”
si preoccupò
Saga “..che succede? Ho forse detto qualcosa che non
va?”.
Shura
affondò
il capo fra le braccia del cavaliere dei Gemelli, che gli
accarezzò la testa,
non sapendo che altro fare.
“Che
cosa
ti è capitato, giovane cavaliere? Perché versi
queste lacrime?”.
Un
uomo
abbronzato e sulla mezza età posò in terra lo
scrigno dell’armatura del
Capricorno.
“Se
permettete..” parlò “..sarò
io a raccontare la storia di questo fanciullo”.
Da
quel
funerale, Shura era fuggito via. Non voleva parlare con nessuno. Non
voleva
vedere nessuno. Le frasi di circostanza, quelle di cordoglio che
parevano quasi
registrate, non voleva proprio sentirle pronunciare. Correva, senza
sapere dove
andare.
“Fratellone..”
gemette, con le lacrime che gli rigavano il viso.
Con
rabbia,
prese a calci e pugni tutto quel che trovava. Si era allontanato dal
paese e
ora era circondato dagli alberi. Faceva un po’ freddo, si
trovava nei Pirenei.
Si fermò, cadendo in ginocchio.
“Oh,
fratellone..io adesso, cosa faccio? Sono da solo!”.
Non
si
aspettava di ricevere risposta. Sedette sotto un albero e pianse ancora.
“Que
pasa,
pequeño?” si sentì chiedere.
“Porque
preguntas esto? Qui eres tu?” sbottò Shura,
infastidito.
L’uomo
gli si
sedette accanto.
“Vattene!
Non ho bisogno di sentirmi dire che sono un povero bambino!”.
“Che
caratterino che hai! Ma lo sai che a volte questo è
utile..mentre a volte è
pericolosissimo?”.
“Continuo
a
non capire cosa importi a te, che non mi conosci!”.
“Allora
conosciamoci. Qual è il tuo nome?”.
“Desaparece!”.
“Desaparece?
Nombre curioso..”.
“Lasciami
in pace..”.
“Piccolo!
Coraggio..”.
“Smettetela
tutti di dirmi che devo avere coraggio! Non mi interessa di avere
coraggio!
Coraggio per cosa?! Per vivere in questo posto orribile, dove i buoni
muoiono
ed a nessuno importa?!”.
“Perché
non
aspetti un attimo e..”.
“E
cosa?!
Prego?! Già sentita questa!”.
“Oh,
per
Atena, no! Pregare non serve a nulla. Però potresti
stringere i pugni e
combattere. Non perché gli altri te lo dicono, ma
perché tu senti che è la cosa
giusta”.
“Combattere?”.
“Sì.
Vuoi
che altri buoni non muoiano? Perché non combatti, per
impedire che questo
accada?”.
“Lo
posso
fare?”.
“Certo.
Io
posso insegnarti”.
“Ma
tu chi
sei?”.
“Sono
un
cavaliere di Atena, a guardia di una delle armature in attesa del suo
padrone. Per
molti quelli come me sono dei demoni pagani ma sai che ti dico? Sono al
servizio di una divinità buona e giusta
perciò..sono fiero di essere un demone!”.
Dopo
qualche tempo trascorso fra le montagne, il bambino si sentiva ancora
molto
confuso. Camminava lungo le rive di un fiume, cercando legna per il
fuoco,
quando udì una voce. Un
ragazzetto, di
qualche anno più piccolo, stava giocando vicino alla riva.
“Torna
qui!” lo richiamò la madre “Non
avvicinarti troppo all’acqua. È
pericoloso”.
“Ma
dai,
mamma! Non succede niente!”.
“Torna
qui,
ho detto!”.
Il
piccolo
si girò di colpo e scivolò fra i sassi, finendo
in acqua. La corrente era forte
e subito fu trascinato.
Immediatamente,
Shura lasciò cadere la legna raccolta e corse. Doveva essere
più veloce della
corrente!
“Aiuto!”
gridò il piccino.
“Resisti!”
rispose l’aspirante cavaliere.
Saltò,
da
una roccia ad un’altra, cercando in ogni modo di raggiungere
il fanciullo in
difficoltà. Una delle pietre però cedette e
l’equilibrio di Shura vacillò.
Decise allora di cambiare strategia e
si buttò in acqua, afferrando il piccolo. Insieme vennero
trascinati via dal
fiume.
“Stai
tranquillo! Ti aiuto io!”.
“Voglio
la
mamma!”.
“Ti
ci
riporto io dalla mamma, fidati!”.
Shura
non
era affatto convinto di riuscirci.
“Ah!
Che
qualcuno mi ascolti” mormorò “Non
è giusto che accada questo! Se è destino che
oggi sia presa una vita, fa che sia la mia e non quella di questo
piccolo, che
ha una mamma che piange per lui! Prendi la mia di vita, destino,
così che io
possa rivedere la mia di mamma..”.
“Oh,
giovane
cavaliere..”.
Una
voce
femminile pronunciò quelle parole.
“Mamma?”
pensò Shura, ma capì subito che non era sua
quella voce.
“Chi
sei?” domandò allora.
“Giovane
cavaliere..”.
“Non
sono
ancora cavaliere..”.
“Sei
cavaliere nell’animo e nel cuore. Se davvero sei pronto ad
immolarti per
salvare una vita, in tuo spirito non può essere altro che
quello di un
cavaliere”.
“E
tu..tu
chi sei?”.
“Mi
conoscerai, cavaliere. Un giorno, ci incontreremo.. Ora fidati di me.
Leva il
tuo braccio al cielo e avrai salva la vita, assieme a quella di quel
bambino
che stringi a te”.
“Il
mio
braccio?”.
“Fidati
di
me”.
Non
sapendo
che altro fare, non vedendo alternative, Shura sollevò il
braccio. Mosso da una
forza mai percepita prima, lo mosse e una luce si sprigionò
da esso. Un albero,
sul ciglio del fiume, fu colpito da quella luce e cadde, tagliato in
due. Bloccando
in parte il flusso dell’acqua, quel tronco fu la salvezza dei
bambini. Shura vi
si aggrappò e riuscì a condurre in salvo se
stesso e l’altro giovane.
“Piccolo
mio!” gridò la madre del piccino, terrorizzato, e
corse ad abbracciarlo.
Shura
ansimava, sfinito. Era felice, però. Il suo braccio
splendeva ancora di luce
dorata.
“Ci
rivedremo..”
ripeté Shura.
“Come
dici?” domandò Arles, non comprendendo quel
borbottio.
“Niente.
È
solo che..a volta mi viene in mente una cosa..”.
“Cosa
tormenta il tuo animo?”.
Il
Gran
Sacerdote, seduto sul trono, osservava il Capricorno, in silenzio.
“A
volte mi
chiedo..se le cose potessero andare in modo diverso”.
“Ti
riferisci alla faccenda di Aiolos?”.
“Io
so cosa
significa perdere un fratello. Ed ero amico di Aiolos. Mi chiedevo se
si
potesse fare altro..”.
“Qualcosa
di
diverso dall’ucciderlo? Shura..metti forse in dubbio i miei
ordini? Credi forse
che Atena non avrebbe fermato la tua mano, se non fosse stato giusto
quel che è
stato fatto?”.
“Immagino
che..sì, in effetti, Atena avrebbe fermato la mia mano. Ma
quella bambina..”.
“Intendi
rinnegare la tua fedeltà?”
“No.
Ma..credete
che Aiolos potrà mai perdonarci?”.
“Perdonarci?”.
Per
qualche
istante, la volontà del lato malvagio de Sacerdote
vacillò.
“Perché
mai
dovrebbe perdonarci?” sibilò poi, riprendendo il
controllo “Lui ha tradito il
tempio! E tu lo sai bene!”.
“Però
la
bambina..”.
“Shura..pensi
che, se fosse stata Atena, non avrebbe trovato il modo di fartelo
capire?”.
“Io
mi fido
di quel che dite. Siete voi il Gran Sacerdote, non io. Ma mi dispiace
comunque
per il piccolo Aiolia”.
“Non
è più
tanto piccolo. Ora ha l’armatura d’oro proprio come
te e ti conviene sperare
che non stia a rimuginare troppo su quanto successo, perché
vi ritrovereste a
lottare uno contro l’altro”.
“Quando
ero
bambino, qualcosa mi ha portato a credere che mio fratello mi avesse
affidato a
voi, Saga”.
“Eri
solo
un bambino anche tu, quando ti ho affidato il compito di uccidere il
traditore.
Chiedo perdono, forse non eri ancora pronto..”.
“Ma..no,
non è così!”.
“E
allora
smettila di farti domande, Shura. Ricordati che Atena ha scelto te. Ha
affidato
a te la spada sacra. Se tu non fossi nel giusto, questo non sarebbe
successo. Non
saresti altro che un uomo qualunque. E invece sei Shura del Capricorno,
con la
sacra Excalibur nel braccio destro! E questo, per quel che mi riguarda,
chiude
la questione. Atena ti guida. Come puoi avere dubbi? Non credi in
lei?”.
“Io
credo
ciecamente in lei!”.
Shura
annuì.
Doveva essere vero, dopotutto. Quella spada apparteneva a lui. Atena lo
aveva
scelto fra moltissime altre creature viventi. Lo aveva benedetto e
perciò non
doveva avere timore alcuno: era nel giusto! Però..
“Quella
volta,
quando la spada si risvegliò in me, udii la voce di Atena.
Sono certo che fosse
lei! Però..ultimamente la sua voce non riesco a
sentirla”.
“Shura..Atena
non è la tua compagna di penna o di merende! Non puoi
pretendere che sia disposta
continuamente a chiacchierare con te”.
“Forse
è
vero”.
Shura
sorrise.
Che sciocco era stato! Lasciò la tredicesima con un mezzo
ghigno sulla faccia
che subito mutò. Aiolia lo stava fissando. I due non si
parlarono. Si osservarono
in silenzio qualche istante e poi ognuno andò per la sua
strada. Chissà come
mai il Leone era stato convocato..
“Un
giorno
chissà..magari combatteremo fianco a fianco senza lanciarci
certi sguardi,
Aiolia..”.
Shura!!
Finito il caprettino coccoloso. Ora ne
mancano solo due e..che dire..poi dovrò per un po’
dedicarmi a cose allegre e
meno “pucciose” :P
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Capitolo 11 *** Luce e ombra ***
I
due
bambini si incrociarono lungo le strade affollate e per qualche istante
qualcosa nel loro animo sussultò.
“Perché
la
tua vicinanza mi turba? Chi sei tu?” domandò uno
dei due, quello di qualche
anno più piccolo.
L’altro
non
rispose. Non sapeva cosa dire. Scosse la testa e riprese a camminare.
Il piccolo
tentò di dimenticare quella sensazione ma questa si
ripresentò, più forte,
quella sera.
“Smettila
di stare sempre lì davanti a quella statua. Vieni a
mangiare” protestò un
monaco, chiamando il fanciullo che però non si mosse.
“Stai
cercando di morire di fame?” si aggiunse una voce giovane.
“Sei
il
bambino di questa mattina?” domandò il richiamato.
“E
tu cosa
ci fai qui?”.
“Potrei
farti la stessa domanda. Io sto qua da anni”.
“Davanti
ad
una statua? A fare cosa?”.
“A
parlare
con Buddha”.
“E
ti
risponde?”.
“Solitamente
sì”.
“Ho
mangiato
anche la tua parte. Tu mi sa che finirai col morire di fame per
davvero,
biondino!” sorrise il ragazzetto dai capelli scuri
“Ma..tu sei cieco?”.
“No”
rispose il più piccolo.
“E
allora perché
tieni gli occhi chiusi?”.
“Per
elevare il mio spirito”.
“Verso
dove?”.
“L’illuminazione.
Tu non credi in Buddha?”.
“Sono
induista. Ci credo, ma in modo diverso da te”.
“Cioè?”.
“Per
me è
una delle reincarnazioni di Vishnu”.
“Chi
è
Vishnu?”.
“Il
preservatore di questo mondo”.
“Quindi..io
e te crediamo nella stessa cosa, ma con nomi diversi?”.
“Non
sono
quasi tutte le religioni così?”.
“E
come mai
sei qui in questo tempio?”.
“Avevo
fame..”.
“Sei
orfano?”.
“Anche
tu?”.
Il
biondo
sorrise leggermente. Era sempre piacevole conversare un po’
con qualcuno che
non fosse un adulto o una statua!
“Ti
va di
fare un giro?” propose il più grande dei due,
porgendo la mano al piccolo
seduto.
“Sai
che il
Gange sono i capelli di Shiva?” parlò il moro,
sulle rive del fiume sacro.
“TI
ho già
spiegato che non sono induista. Non conosco i tuoi Dei..”
sbuffò il biondo.
“E
questo
fa sì che io sia più forte di te” rise
il maggiore “Perché tu hai un Dio solo
mentre io ne ho una schiera! Un piccolo esercito nascosto in ogni
dove!”.
“Che
stupidaggine.
Il divino si cela in ogni cosa ma non certo perché in ogni
cosa dimora un Dio!”.
“Comunque
per me il Gange resta la capigliatura di Shiva!”.
“Shiva
gira
con i cadaveri in testa?”.
“Vogliamo
parlare
delle orecchie di Buddha?!”.
Il
biondo
incominciò a camminare e l’altro bambino sorrise,
certo di averlo offeso. La statua
di Shiva danzante e quella di Buddha si fissavano, sulle due sponde del
fiume. Illuminate
dalle candele votive, nella notte proiettavano riflessi inquietanti
sull’acqua.
Sempre ridendo, il più grande dei due bambini raggiunse
correndo il biondo e
gli diede una piccola spinta, invitandolo a giocare.
“E
apri gli
occhi, dai! Solo per stasera!”.
Rincorrendosi,
per qualche ora entrambi dimenticarono quanto dura era la vita in quel
mondo
per due orfani. Che importanza aveva a quale Dio i due si rivolgevano?
Il cielo
era lo stesso per entrambi e in quella notte era pieno di stelle!
Poco
dopo,
però, delle grida interruppero le loro risate.
“Che
succede?” domandò il biondo, non riuscendo a
vedere oltre il piccolo muro
dietro a cui parevano venire quelle urla di rabbia.
Due
uomini
si stavo affrontando ed i loro colpi emettevano luci e scintille.
Indossavano armature
di colori diversi e sembravano intenzionati ad ammazzarsi
l’un l’altro.
“Meglio
andare via” rispose il bambino dai capelli scuri.
“Tornatene
all’inferno, demone!” ordinò un uomo.
“Non
ci
verrò da solo..” ghignò il suo
avversario, spalancando le ali delle sue
vestigia e dirigendosi verso i due piccoli.
“Corri!”
esclamò
il più grande dei due, prendendo per mano il piccolo, che
incespicò nella sua
stessa veste.
L’uomo
dall’armatura
alata li raggiunse in fretta. Il maggiore si mise a difesa del piccolo
biondo,
spalancando le braccia. A poco servì. Con gli artigli delle
sue vestigia, il
nemico si preparò a dilaniarli. Fortunatamente
l’altro uomo, la cui armatura
scintillava più della luna piena, sopraggiunse in tempo. Un
forte lampo
illuminò il cielo ed i bambini finirono in terra.
“Stai
bene?”
domandò il piccolo biondo.
“Sì.
Ma ora
andiamo via!”.
“Chi
sono
quei due uomini?”.
“Mettiamoci
in salvo. Ci pensiamo dopo!”.
“Quello
cattivo
vince..”.
Il
più
grande annuì, preoccupato. In effetti, l’uomo che
li aveva salvati sembrava in
difficoltà. Per proteggerli era stato ferito gravemente ed
ora non riusciva più
a reagire come prima.
“Lo
dobbiamo aiutare!” continuò il biondo.
“Ma
ragiona! Che potremmo fare noi? Cerchiamo, piuttosto, qualcuno che ci
aiuti!”.
“Sarà
tardi! Facciamo qualcosa! Ci ha salvato la vita!”.
Sospirando,
il ragazzino dai capelli scuri capì che doveva intervenire
in qualche modo. Si guardò
attorno e poi corse verso la grande statua di Shiva. Ne prese delle
candele ed
incendiò un fascio di rami. Un po’ a fatica poi,
corse verso i due uomini in
armatura, con l’intento di colpire l’alato. Questi
si girò e lo fissò, con
fiammeggianti occhi minacciosi. Parve titubante per qualche istante,
dinnanzi
il grido di quel moccioso. Poi ghignò e scattò in
avanti.
“No!
Fermo!”
tentò di reagire l’altro uomo.
Colui
che
indossava l’armatura alata era stufo e respinse il suo
avversario, scagliandolo
contro la statua del Dio induista. Poi rise e corse ad afferrare il
bambino dai
capelli scuri. Questi tentò di reagire ma senza successo.
“Vieni
con
me, stella oscura” sorrise lo sconosciuto.
Anche
se
sanguinava copiosamente, riuscì a svanire, portando il
ragazzino con sé.
Il
bambino
biondo spalancò gli occhi, non sapendo che cosa fare.
“Non
far
tremare in quel modo il tuo cosmo, piccolo”
mormorò qualcuno.
“Cosmo?”
domandò il fanciullo, girandosi e vedendo in terra
l’uomo dall’armatura come la
luna.
Lo
raggiunse,
piangendo.
“Lo
ha
portato via!” gemette “Ti devi alzare ed
aiutarlo!”.
“Non
sono
in grado di farlo, mi spiace..”.
L’uomo
sanguinava ed arrancava, tentando inutilmente di rialzarsi.
“Ma
allora..cosa
faccio?”.
“Niente.
Quello
Specter ormai lo avrà già portato nel regno di
Hades”.
“Quindi
è..morto?”.
“La
morte è
solo un passaggio. Sono certo che vi incontrerete ancora”.
L’uomo
sorrideva, nonostante le ferite. Fra le mani stringeva qualcosa: il
motivo
della contesa fra lui e lo Specter. Lo porse al bambino. Era un rosario
con 108
grani.
“Quel
servo
di Hades se ne voleva impossessare. Ma sono riuscito a preservarlo dai
suoi
artigli”.
“Che
dovrei
farci?” si accigliò il bambino, ancora con gli
occhi azzurri spalancati.
“Proteggere
il mondo dai demoni, come Shakyamuni”.
“Il
saggio
della stirpe dei Shakyas? Siddharta?!”.
L’uomo
sorrise ancora, nonostante il rivolo di sangue che ormai gli scorreva
dalla
bocca.
“Finalmente
ti ho trovato!” riuscì a dire ancora, prima di
morire.
“Trovato?!
Ma..che
dici?! Non ti capisco!”.
Il
piccolo
prese fra le mani il rosario e lo guardò. Che strana
sensazione trasmetteva! Come
avvolto da un’improvvisa ed insperata pace, il bambino chiuse
di nuovo gli
occhi. Una luce d’oro lo circondò, mentre
l’armatura della vergine guardava il
cielo, a mani giunte, alle sue spalle.
“Shakyas?
Io
ti chiamerò Shaka, è più
facile” furono le prime parole che qualcuno gli rivolse
una volta giunto al tempio.
Chissà
perché
proprio in quel momento, in cui camminava per il regno di Hades con
Athena a
fianco, ricordava quel dettaglio! Lo trovò quasi
divertente,anche se in quel
momento non c’era proprio alcun motivo per cui ridere.
Il
bambino
dai capelli scuri era cresciuto. Nonostante il suo rapitore fosse morto
pochi
instanti dopo averlo condotto nel regno di Hades, la stella oscura che
brillava
nel cuore del fanciullo lo aveva condotto verso il suo destino.
“E
così..”
sorrise, accarezzando il bracciale della sua armatura “..a
quanto pare, non sei
morto di fame, biondino! Shaka di Virgo..ma non eri
buddista?!”.
“Con
chi
parli?” alzò lo sguardo Radhamante, seduto a gambe
incrociate a sorseggiare
alcolici.
“Con
nessuno
in particolare..”.
“Sei
pronto? Pandora diventa fastidiosa quando la si fa
aspettare!”.
“Rilassati”.
Riuscì
a
lasciarsi fuggire un sorriso e poi si incamminò per le
strade del regno del suo
signore Hades. Gli artigli della sua armatura, gli stessi che avevano
tentato
di graffiarlo quanto era bambino, ticchettavano sulla pietra.
Spalancò le ali. Un
gruppo di Specter si inchinò dinnanzi al proprio generale
Aiaco di Garuda.
Garuda,
la
creatura in parte uccello che fungeva da cavalcatura a Vishnu, era
pronto alla
nuova guerra santa!
BUUUM
SHAKA BUM! Eccoci qua. È spaventosamente
corto, me ne scuso, ma ho preferito non divulgarmi in cose inutili.
Alla prossima..l’ultimo
mini saint!
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Capitolo 12 *** Fra Terra e Mare ***
Non
sopportando la vista di indifesi vessati dai soliti bulli, il bambino
intervenne, mettendo in fuga il gruppetto di ragazzetti fastidiosi. Era
il
bello di essere più grosso rispetto agli altri! Con un
sorriso affettuoso,
rassicurò la vittima e la invitò a rialzarsi. Non
era servito alcun atto di
forza: semplicemente aveva incrociato le braccia, facendo capire che di
lì non
si sarebbe mosso.
“Ti
hanno
fatto male?” domandò gentilmente.
“No.
Grazie
per l’aiuto. Si sono solo presi la mia merenda”.
“Oh,
mi
spiace. Forse sono arrivato un po’ tardi”.
“Ah
no,
vedi?” il piccolo mostrò una monetina
“Questa non l’hanno presa. Ed ora vado a
prendermene un’altra di merenda. Grazie!”.
Il
salvatore
lo vide allontanarsi e sorrise ancora, felice della buona azione fatta.
Decise pure
lui di tornare a casa. Un uomo però lo fermo. Da sotto il
pesante mantello, non
si poteva scorgere molto. Il bambino lo prese per pazzo
perché solo un pazzo
poteva girare per Rio de Janeiro con vesti simili.
“Ho
visto
come hai difeso quel ragazzino. Sei stato molto coraggioso”.
“Grazie.
Ma
non ho fatto niente di che. Non mi piace quando prendono in giro i
piccoli”.
“Sei
un
bambino molto buono”.
“Troppo.
Me
lo dicono sempre. Ora, però,vorrei tornare a casa
mia”.
“Ti
accompagno”.
“No..cioè..non
è necessario”.
“Devi
stare
molto attento. Altri vorrebbero avere il tuo potere”.
“Quale
potere?”.
“Un
potere
che io percepisco e di cui forse tu non hai ancora
consapevolezza”.
“Ma
chi sei
tu?”.
L’uomo
scostò leggermente il mantello e qualcosa brillò
sotto di esso: un’armatura.
“Un
amico”
rispose al piccolo.
“Bel
costume. Sei qui per il carnevale?”.
“No!”
ridacchiò
l’uomo “Tu ci andrai?”.
“Chi
potrebbe impedirmelo? Siamo in dittatura ma non fino a questo
punto..”.
Alla
grande
parata il bambino si stupì, perché
quell’uomo era riuscito a scovarlo di nuovo.
“Mi
stai
pedinando, per caso? Come fai a trovarmi sempre? Fra tutta questa
gente..”.
“Te
l’ho
detto: il tuo potere! Io lo sento e mi chiama”.
“Sei
inquietante..”.
Su
uno dei
carri, fra donne succinte e ballerini, sventolava la bandiera
brasiliana.
“Sai
che
stelle ci sono sulla bandiera del Brasile?”
domandò l’uomo.
“Tu
non
stai guardando le stelle..” sorrise il bambino, notando lo
sguardo leggermente
assente dell’uomo davanti al generoso fondoschiena della
donna sul carro.
Questi
ammise
la sua colpa con un sorriso. Non indossava l’armatura, non
volendo dare nell’occhio
e cercando di non morire per il caldo.
“Perché
eri
vestito strano prima?” domandò il piccolo.
“Ero
in
missione. Ti spiegherò. Tu piuttosto..cosa fai qui tutto da
solo?”.
“E
con chi
dovrei essere?”.
“Con
tua
madre?”.
“Io
vivo nella
favela. La strada è mia madre”.
“Che
poetico..”.
Insieme
continuarono
a guardare i carri fino a quando l’uomo trascinò
via il bambino, essendo ormai
notte fonda e facendosi le strade un luogo non adatto ad un piccolo,
seppur
piuttosto grosso.
“Le
stelle
sulla bandiera..” riprese l’adulto, scortando il
minore fino a casa “..sono:
Procione, Cane Maggiore,
Carina, Virgo, Idra,
Croce del Sud, Octante, Triangolo Australe e Scorpio”.
“Saperlo mi
servirà?”.
“Alcune di esse
sono
presenti solo come singola stella e rappresentano i diversi stati. Al
momento
ce ne sono 21 ma chissà..potrebbe cambiare”.
“Questa lezione a
cosa la
devo?”.
“Era per
conversare. Non ti
affascinano le stelle?”.
“Sì.
Però..come potrà
aiutarmi nella vita sapere certe cose?”.
“Hai
così poche speranze nel
futuro?”.
“Quelli come me,
poveracci
senza famiglia, non hanno grandi possibilità. Di certo il
mio futuro non sarà
in una grande casa lussuosa con tanti soldi e un lavoro da
favola”.
“Devi avere
fede”.
“Diciamocelo: il
Cristo
redentore con le braccia aperte non potrà
aiutarmi”.
L’uomo si
girò verso la
statua. Lassù in cima, aveva indubbiamente qualcosa in
comune con la statua di
Atena che stava al grande tempio. D’un tratto qualcosa
brillò nel buio ed il
cavaliere fece segno al bambino di allontanarsi. Il piccolo non si
mosse,
vedendo sopraggiungere un uomo con indosso un’altra strana
armatura.
“Chi sei? Cosa ti
spinge
qui?” domandò il cavaliere d’Atena.
“Sono Carios,
Dragone del
Mare a servizio di sua maestà Poseidone”.
“Non pensavo che
si fosse
già risvegliato”.
“Non lo
è infatti. Mio il
compito di sorvegliare il suo riposo e radunare futuri generali marini.
Quel bambino
è molto promettente e lo voglio nel mio esercito”.
“Scordatelo! Il
suo è un
cosmo legato ad Atena, l’ho percepito chiaramente! Gira al
largo!”.
“Quel cosmo
diverrà di
Poseidone, Ateniese!”.
“Gira al largo,
pesciolino!”.
Il Marino scattò
e lo stesso
fece il cavaliere d’Atena. Il bambino rimase fermo, senza
capire. Stavano litigando
per lui? Ma che senso aveva?
“Ma che
fate?” domandò “Io..non
valgo un tale litigio! Io..sono solo un orfano! Sono niente, sono
nessuno! Perché
vi ferite per me?”.
I due uomini lo ignorarono e
continuarono a lottare. Il generale marino, con strani capelli
rossicci, sembrava
avere la meglio. L’ateniese, ancora debole per la missione
appena conclusa,
tentennò. Lo sguardo spaventato del piccolo brasiliano
però infuse in lui nuova
forza e ricacciò indietro il nemico. Era pronto a sferrare
il colpo di grazia
ma il bambino lo fermò.
“Non
intrometterti. I generali
di Poseidone sono malvagi”.
“Non mi
importa” ribatté il
piccolo “Uccidere è sbagliato”.
“Quest’uomo
ucciderà altre
persone, se non lo elimino io”.
“No. Non lo
farà, perché tu
proteggerai le persone che vorrà uccidere. È
questo quel che fa un uomo giusto.
Protegge i deboli, non li elimina! Tu sei un guerriero esperto, si
vede. Anche lui
lo è ma lo hai sconfitto. Non è giusto
però che tu prevalga e tolga la sua vita”.
“Le tue parole
sono sagge. È
Atena che parla nel tuo cuore..”.
Il bambino pareva splendere
di luce oro, così come in oro splendevano le stelle nel
cielo, ed il
combattimento finì.
“Saga, mi allacci
le scarpe?”
domandò timidamente Milo “Ho chiesto a Camus, ma
mi ha preso in giro”.
“Che
cattivo” rise Saga “Vieni
che ti spiego come si fa”.
Sollevando lo sguardo, il
giovane cavaliere incrociò quello di un bambino mai visto
prima d’ora.
“Chi sei tu,
piccolo?”
domandò, con un sorriso.
“Io..”
mormorò il brasiliano
“..porto l’armatura del Toro”.
“Ah,
benvenuto”.
Il viso di Gemini piaceva al
Toro. Gli trasmetteva una bella sensazione.
“Un nuovo
cavaliere?” si unì
Aiolos “Vieni, ti accompagno dal Gran Sacerdote!”.
Bambini curiosi sbirciarono
ed il bambino li fissò a sua volta.
“Che nome hai
scelto?”
domandò Aiolia.
“Aldebaran.
È il nome della
mia stella, ed io ho capito che bisogna sempre guardarle, e non perdere
mai la
speranza per un futuro migliore”.
“E da dove
vieni?” si
aggiunse Milo.
“Dal
Brasile”.
Deathmask, rimasto fin ora
con aria indifferente, sorrise.
“Brasile?!”
esclamò “Allora..io
e te un giorno dobbiamo insegnare a questi qui come si gioca veramente
a
calcio!”.
“Con molto
piacere”.
“Ma
dunque..l’intruso è
morto?” domandò Aldebaran.
“Non ti devi
preoccupare. È stato
respinto” lo rassicurò Aiolos.
“Ma era davvero un
generale
marino? Era davvero il dragone del mare?”.
“Perché
lo chiedi con così
tanta insistenza?”.
Toro non rispose. Gli
dispiaceva
che l’uomo che aveva aiutato solo poco tempo prima fosse
morto, o comunque
ferito gravemente. Sobbalzò vedendo apparire, nel buio, Saga.
“Non ti
spaventare” rise
Aiolos “Non vedi che è Gemini? Che probabilmente
è stato richiamato al tempio
inutilmente perché il pericolo è
passato”.
“Shion mi ha
appena fatto la
predica, perdonatemi se non sono di buon umore” storse il
naso Saga.
“Del
resto..” incrociò le
braccia Aiolos “..quel generale marino è entrato
qui al tempio ed è tuo il
compito di sorvegliare i confini delle terre di Poseidone. O sbaglio?
Ti eri
addormentato, per caso?”.
“E tu? Mi risulta
sia stato
Shura a fermarlo e non tu, grande e poderoso cavaliere..”.
Aldebaran guardò
entrambi
piuttosto smarrito. Gli occhi di Gemini avevano qualcosa di diverso.
Dov’era
quell’espressione angelica e buona che aveva visto appena
giunto al tempio? Poi
però si convinse che il tutto fosse dettato dalla stanchezza
e tornò ai suoi
affari.
In realtà era
stato proprio
Saga a uccidere il generale, per poi impossessarsi
dell’armatura e tentare l’attacco
al tempio. Debole però dopo lo scontro con il Marino, e
ancora incapace di
tenere a bada le due personalità altalenanti, aveva dovuto
ritirarsi di fronte
a Shura e gli altri cavalieri presenti. Aveva riposto
l’armatura al posto di
partenza, sicuro che non avrebbe più dato problemi. Ma
proprio quell’armatura
era quella che Kanon, da poco rinchiuso, avrebbe poi indossato.
Però tutto
questo il piccolo Aldebaran non poteva saperlo. Aveva solo sette anni e
degli
inganni del futuro gran sacerdote sarebbe venuto a conoscenza solo
tantissimo
tempo dopo.
Eccolo
l’ultimo!! La parte riguardante il “dragone del
mare” è contenuta in
parte nella storia che parla di Excalibur (“la vera storia di
Excalibur” mi
pare si chiami in italiano, non ricordo) che qui ho voluto un pochino
ampliare.
Siamo giunti alla fine..finalmente! ora voglio sapere quale avete
preferito ;)
non vedo l’ora di scoprirlo! Alla prossima!
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