punto felice

di Scottature
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giov ***
Capitolo 2: *** Sole.1 ***
Capitolo 3: *** Ebbid e Frank ***
Capitolo 4: *** Nene.1 ***
Capitolo 5: *** Nene.2 ***
Capitolo 6: *** Nene.3 ***
Capitolo 7: *** Nora ***
Capitolo 8: *** Angy e Andy ***
Capitolo 9: *** Zeta e Angy ***
Capitolo 10: *** Grow ***
Capitolo 11: *** 7:35 - 8:12 - 12:27 ***



Capitolo 1
*** Giov ***


Giov.1
 
 


La scuola gli si stagliava di fronte e, in quel momento, il suo metro e novanta di altezza sembrava poco in confronto all’immensa struttura di mattoni, ricordi, sofferenze e persone che la tenevano miracolosamente in piedi.
Qualche metro e sarebbe rientrato in quell’edificio che mai avrebbe voluto abbandonare, che aveva odiato e contro cui aveva imprecato tantissime volte, ma che allo stesso tempo era diventata una seconda casa.
Giov, dopo una settimana di assenza a scuola, aveva deciso di tornare in circolazione. Una settimana può sembrare un lasso di tempo molto breve quando non si ha niente da fare, ma si era annoiato così tanto che gli era mancata anche la professoressa di tedesco che alle interrogazioni non si risparmiava mai di rifilargli "un bel tre", come lo definiva lei.
Era certo che i suoi compagni si fossero rattristati senza di lui. Era una persona abbastanza modesta, ma doveva ammettere che il suo carisma e il suo fascino fossero ineguagliabili. E inoltre con una spalla rotta e ingessata le attenzioni che solitamente gli riservavano sarebbero incrementate molto.
Quell’aggeggio, che gli rendeva difficile persino rollarsi una sigaretta, era un bel problema in realtà e, ripensandoci, la colpa era tutta della sua ragazza. Precisamente la causa della ferita del ragazzo aveva come componenti un litigio, lui, non molto lucido, la sua ragazza, che continuava a lamentarsi, e una bici senza portapacchi condivisa in due. Si potrebbe descrivere come il miglior modo per farsi male senza troppa difficoltà, ma non era da lui cadere e schiantarsi violentemente sull’asfalto, anche in situazioni del genere.
E Nora, tuttavia, non si era fatta nulla: gli avrebbe dovuto ripagare i danni morali e fisici che l’incidente gli aveva causato e lui aveva già un’idea di come avrebbe potuto ottenere un riscatto molto piacevole dalla ragazza.
Osservò l’ingresso di quella che era solitamente la sua aula, dimora di grandi personaggi che avrebbero fatto la storia – pensando, per esempio, a se stesso – e di molte preoccupazioni a vuoto, tipiche di Sole, la ragazza col sorriso più bello che avesse mai visto e che da una settimana non rallegrava più le sue giornate.
Giov inspirò e si gonfiò il petto, pronto ad ricevere tutte le dovute attenzioni dei compagni di classe.
Appena varcata la porta, i presenti smisero di occuparsi di libri o cellulari e si voltarono ad osservare lui e ciò che si trasportava addosso. Di conseguenza, trovando riscontro positivo a ciò che aveva previsto, sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi strafottenti e con tranquillità disarmante si andò a sedere vicino a Sole.
Quanto le era mancata. E mai l’avrebbe ammesso senza dirlo con un po’ di ironia di fondo.
Trovava che il suo nome definisse alla perfezione quel sorriso “luminoso” che tanto amava, lo stesso che fece capolino sul suo volto appena lui le si mise vicino.
Tuttavia scomparve subito per lasciare il posto ad uno sguardo corrucciato e delle braccia incrociate, segno che l'umore della ragazza non era dei migliori. Giov si indispettì per questo, ma non lo diede a vedere: non ci avrebbe messo molto a farle risollevare gli angoli della bocca.
Mantenne quindi intatto il suo sorriso sghembo, leggermente accentuato, un po' a causa delle attenzioni, un po' per l'atteggiamento restio e apprensivo di Sole ed esplose in: 
"Me lo dai un bacio?" 
Le parole giuste con lei potevano avere l’effetto di una bomba altamente esplosiva e lui le aveva calcolate accuratamente per abbattere la muraglia eretta dalla ragazza.
Sole, inizialmente sorpresa, sbatté più volte le ciglia lunghe sgranando gli occhi: Giov aveva colpito il bersaglio. Lo sguardo corrucciato e confuso si mosse dagli occhi di Giov al gesso sulla spalla, per poi abbassarsi e fissare un punto indefinito sul pavimento. Infine, i lineamenti di Sole si addolcirono e scosse la testa, scacciando un pensiero di cui solo lei certamente conosceva il contenuto e gli occhi tornarono a puntare quelli del ragazzo.  Giov era in attesa, ma non aveva fretta: il crollo delle difese del bersaglio era imminente.
Poi, molto attenta a ciò che faceva, si avvicinò leggermente scoccandogli un piccolo bacio sullo zigomo destro.
Giov si lasciò sfuggire un sorriso soddisfatto. Bersaglio affondato.
La ragazza, subito dopo, ritornò ad osservare la fasciatura che ricopriva la spalla. 

"Come hai fatto?"

La risposta era molto semplice e Giov era certo che lei già la sapesse. 
Non era la prima volta che a causa dei litigi con la sua ragazza, Nora, e del suo modo di fare - che pure i suoi amici spesso criticavano - lui finiva per cacciarsi nei guai. 
La storia era sempre la stessa: per l'ennesima volta, Nora lo aveva tradito e si era giustificata dicendo di essere ubriaca. E ciò che infastidiva Giov non era legato alla sua infedeltà. Non poteva biasimarla da quel punto di vista, lui era il primo a non farsi sfuggire delle “occasioni”. Tuttavia, ogni volta si sentiva in colpa perché sapeva che lei ci soffriva e per questo stava veramente migliorando, impegnandosi a rinunciare e trattenere più o meno i suoi bisogni fisici. La rabbia che gli scaturiva quando veniva a sapere (molto spesso per via indiretta) che lei lo aveva tradito era dovuta al fatto che si sentiva protettivo nei suoi confronti e poteva dire di conoscerla come pochi. Nora era fragile, molto più di ciò che dava a vedere. Ci teneva a lei e il fatto che le venisse così semplice buttarsi tra le braccia di altri ragazzi la rendeva una preda facile, non solo ai suoi occhi. Era preoccupato che questo in futuro le potesse riservare una cattiva reputazione in una città come la loro dove il perbenismo dettava legge. Con una cattiva reputazione nessuno l’avrebbe più guardata con gli stessi occhi e nemmeno gli uomini più sporchi l’avrebbero desiderata. E lui non ci sarebbe stato a difenderla, a suo malgrado.
Per questo, quando Giov venne a sapere che lei ancora una volta l’aveva tradito con un altro, si era arrabbiato tanto da non volerle più parlare. Lei era tornata da lui in lacrime chiedendogli di perdonarla, ripetendogli che l’alcol le aveva offuscato, oltre alla vista e alla capacità di ragionare, anche l’amore che provava per lui, che nemmeno si ricordava di aver fatto un tale gesto e che proprio non voleva.
Per motivazioni verosimili, dopo ulteriori discussioni violente e baci rubati, una sera avevano deciso di rimettere i pezzi apposto e chiudere un capitolo di tradimenti scegliendo di stare finalmente e seriamente insieme, come ogni volta si promettevano di fare.
E quella fu la sera in cui Giov cadde e si fratturò la clavicola.
Il ragazzo non era certo che Sole sapesse tutti i dettagli di questa storia (ed era meglio così), ma certamente era al corrente della sostanza dei fatti.
Quando, quindi, Giov stava per risponderle scherzosamente che erano stati i suoi rifiuti a concedersi a lui a causare una ferita tanto grave, gli si piazzarono davanti due ragazzi che non persero tempo a deriderlo instaurando una serie di battute tra di loro. E Giov odiava essere interrotto nei pochi momenti intimi che riusciva a ritagliarsi con Sole.

"Che hai combinato, sfigato?"

"Ma come, Grow, non lo sai che quel deficiente è caduto dalla bici con la sua tipa?"

"Quindi non sai nemmeno più pedalare, Giov? Trav, mi sa che quello lì in questo modo se le fa scappare le donne!" 

I due scoppiarono in una fragorosa risata, seguita dallo sguardo truce di Giov, non contento dell'accoglienza di quelli che sarebbero stati i suoi amici, Grow e Trav e che così facendo avevano appena ricevuto la possibilità di ottenere un occhio nero e qualche osso rotto. Mentre quelli sghignazzavano, a Giov venne in mente una piccola vendetta più interessante e raffinata da attuare contro coloro che, oltre ad interromperlo, avevano tentato di metterlo in ridicolo di fronte alla sua Sole.
Gli era venuto in mente, infatti, che, pochi giorni prima, proprio quel chiacchierone di Grow aveva bevuto troppo per poi finire a litigare con la sua Astra davanti agli occhi di tutti durante la festa al Cavour: Giov non avrebbe potuto sfruttare occasione migliore per rinfacciarglielo, contornando il tutto con il suo tono sfacciato e arrogante.

"Non avete idea di come Nora si sia presa cura di me dopo e, Grow, mi pare che invece con Astra le cose non vadano così bene, ricordando, per esempio, ciò che è successo al Cavour."

Grow non se l'aspettava, abbassò gli occhi e assunse uno sguardo cupo per qualche secondo. Anche se si riprese subito, Giov sapeva che l’amico ci era rimasto male per quello che era accaduto. Dopo gli avrebbe risollevato il morale, ma prima doveva vendicarsi.

"Ancora con questo discorso? Ma hanno fatto pace quasi subito..."

A interromperli era stata una voce femminile leggermente svogliata e dal tono irritato per la conversazione che avevano intrapreso i ragazzi. 

"E aggiungo che quando fate questi discorsi sembrate delle quattordicenni che litigano per vantarsi di chi ha il fidanzatino migliore."

"Ehi Nene, buongiorno anche a te! Com'è che difendi Grow oggi?" 

Nene roteò gli occhi e ignorò la frecciatina del ragazzo. Giov aveva notato che tra i due amici c'era qualcosa, come qualunque altra persona a cui fosse concessa la capacità di vedere avrebbe colto, e per questo si divertiva a sottolinearlo puntualmente con una delle sue solite battutine. Eppure quelli negavano sempre ogni allusione al fatto che potessero essere qualcosa più di due semplici amici e sembravano ingenuamente molto sicuri del fatto che le cose fossero normali tra di loro.
Giov ci avrebbe scommesso su quei due e su certe cose non sbagliava mai.
Grow cogliendo la battuta e dando un ulteriore conferma ai sospetti dei loro amici, con un sorrisetto malizioso stampato in faccia, abbracciò la ragazza soffocando il volto nei suoi capelli corvini e bofonchiando una specie di "Perché mi vuole bene."
Nene arrossì violentemente, ma reagì prontamente guardando male il ragazzo e cercando di scacciarlo spingendolo via con una mano senza troppa convinzione.
Giov, dunque, poté finalmente riportare la sua attenzione sulla ragazza al suo fianco: stava disegnando un mandala molto complicato e ogni tanto si fermava ad osservare il suo lavoro con uno sguardo abbastanza soddisfatto, talvolta arricciando il labbro superiore o appoggiandovi sopra la matita. 
Aveva delle labbra così piene, carnose e maledettamente invitanti che Giov aveva ormai perso il conto delle volte in cui si era imbambolato a fissare anche solo semplicemente quella parte del suo corpo.
In quei momenti, non poteva trattenersi dal pensare quanto lei fosse bella.
E quanto –purtroppo - non potesse farla sua.
E la questione non riguardava solo il fatto che lui era impegnato, anche se “impegnato” forse non era il termine corretto per definire il suo ruolo nella relazione con Nora. 
Lui e Nora si conoscevano dalla fine delle scuole medie e stavano insieme da tre lunghi anni in cui si erano mollati circa una volta al mese, se non di più e ogni volta i pretesti erano futili. Lei lo tradiva e lui si arrabbiava e si stancava, ma poi lei tornava e a lui non sembrava più una buona idea distruggere tutto per delle nottate che lei diceva di non ricordare.
Per quanto ci tenesse a Nora, Giov stentava a parlare di amore, quello che tanti film o libri cercano di rappresentare con tutte le varianti possibili, ma sapeva di provare solamente un forte affetto, che gli piaceva e trovava azzeccato definire “fraterno”.
Con Sole, con labbra del genere e gli occhi grandi che lo guardavano in quel modo, era tutto diverso: lei era una sorta di droga, in grado di corroderlo dall’interno, di privarlo della capacità di ragionare lucidamente, facendogli provare, tuttavia, un intenso, inevitabile e incontrollabile piacere.
Il suo sorriso, il suo profumo dolce, le sue mani morbide e il suo tocco leggero, la sua risata e la sua arroganza, tutto di lei lo attraeva e ammaliava, lo faceva stare bene e lo faceva fremere dal desiderio, lasciandolo completamente senza fiato.
E non avrebbe mai voluto smettere di provare tutto questo.
L'avrebbe fatta sua in un attimo, se solo avesse avuto la certezza che non le avrebbe fatto del male... E sapeva che gliene avrebbe fatto. 
Era convinto di avere la capacità di distruggere tutto quello che teneva tra le mani: era stato così con la sua famiglia, che si era visto sgretolare sotto gli occhi, con il suo ex migliore amico e con Nora, la quale sapeva che il loro rapporto era basato sulle suppliche della ragazza, sulle voglie momentanee di Giov e su un affetto dovuto all’abitudine di vivere uno affianco all’altra.
E l'ultima cosa che voleva rovinare era lei, Sole. 
Non poteva, non se lo sarebbe mai perdonato.
E pur di non farle del male, l'avrebbe tenuta lontana quanto possibile, anche se per lui era impossibile riuscire ad allontanarla da sé definitivamente.
Avrebbe messo da parte tutto il suo egoismo per lei, che era stata per lui l’eccezione in una vita ordinaria e monotona, e avrebbe fatto questo per saperla felice, anche se vederla tra le braccia di un altro l'avrebbe portato alla follia.
O forse sarebbe finito in carcere per tentato omicidio, almeno le sbarre l'avrebbero trattenuto dal picchiare tutti quelli che si avvicinavano a lei.
Giov rise di se stesso, rendendosi conto che se lei avesse potuto percepire i suoi pensieri l’avrebbe trovato a dir poco ridicolo.
In quel momento, avrebbe voluto solamente stringere Sole a sé e non lasciarla andare più. Tuttavia, sapeva di non potere e di doverla difendere da se stesso. E l’avrebbe fatto.
Lei era tutto tranne che “sua” e non doveva diventarlo.
La sua infelicità avrebbe permesso a Sole di vivere felice.  
La ragazza, come se si fosse resa conto di essere l’oggetto d’interesse dei pensieri di Giov, alzò lo sguardo e gli chiese se andava tutto bene.
Lui non rispose.
Si limitò a prendere una cuffietta, appoggiarsi a lei e lasciare che la musica e il profumo dolce e inebriante della ragazza lo trasportassero lontano da quella realtà tanto crudele, che l’aveva fatto innamorare di chi non avrebbe mai potuto avere.

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Capitolo 2
*** Sole.1 ***


 Sole.1
 

Anche appena scesa dall’autobus cantava, lo faceva sempre.
E sorrideva, il suo sorriso era così spontaneo e allegro che stupiva e meravigliava chiunque lo vedesse.
Sole era fatta così.
Le piaceva la musica, la ascoltava sempre.
Sapeva far ridere chiunque, ma stava bene solo con pochi.
Non si fidava delle persone, tutti però si affidavano a lei.
Affezionarsi a Sole era davvero troppo facile; quelli che la conoscevano poi, raccontavano di quanto fosse meraviglioso e dolce quel suo sorriso e di quanto fosse bella.
E la bellezza che descrivevano non era quella che si può trovare nelle copertine delle riviste di moda o nelle discoteche dove i vestiti sono ormai un optional, ma era come se quella ragazza brillasse di luce propria.
Aveva un qualcosa che attraeva e colpiva, qualcosa per cui non si poteva non rimanere imbambolati a guardarla.
I suoi occhi, un’altra sua particolarità, erano sempre lucidi, sembrava costantemente sul punto di piangere; ma nessuno sarebbe mai stato in grado di capire se le sue erano lacrime di tristezza o di gioia.

E, infine, c’era un dettaglio non meno importante: Sole era innamorata.

Quel sorriso almeno una volta al giorno lo dedicava a lui.
Con quegli occhi cercava lui.
Non se lo sarebbe mai aspettato, ma quel ragazzo era diventato un chiodo fisso nella sua mente, una presenza costante nelle sue giornate.

Suonò la campanella e qualcuno avvolse Sole in un abbraccio. Si girò e trovò Nene particolarmente allegra che le si era piazzata davanti con un sorrisone enorme.

“Buongiorno!”
“Ehi Nene, strano vederti così attiva la mattina.”
“In realtà… è successa una cosa.”
“Racconta, ORA.”
“Allora… Hai presente quel ragazzo molto figo della 4E che ho conosciuto al mare? Oggi mi ha visto in corridoio, mi ha parlato e… Mi ha invitato alla festa che fa a casa sua!”
“Ma… è quello a cui sbavano dietro tutte le ragazzine del secondo anno?”
“Certo e non ho finito. Mi ha detto di portare qualcuno: OVVIAMENTE sai già chi farò venire con me.”
“NO, Nene, ti prego…”
“Non puoi tirarti indietro, sei obbligata! E comunque mi ha salutato dandomi un bacio sulla guancia… Avessi visto le facce delle bimbette che gli stavano intorno!”.

Sole prima fece uno sguardo sconvolto, poi scoppiò a ridere in faccia all’amica, che fece altrettanto.
Grow, che era dietro le ragazze e aveva ascoltato tutto, sbuffò rumorosamente e si andò a sedere.
Sole lo notò, quei due per lei erano proprio incomprensibili, ma preferì non peggiorare la situazione.
Nene, accortasi del ragazzo e leggermente infastidita, arricciò le labbra e continuò il suo discorso con tono malizioso.

“Allora, ci stai? Dopo puoi venire a dormire da me, anche se non credo che andremo a casa tanto presto…”.

Sole non rispose perché in quel momento entrò il professore della prima ora, ma la sua testa era da tutt’altra parte.
Guardava fuori dalla finestra sperando di veder arrivare lui.

Il loro era stato fin da subito un susseguirsi d’incomprensioni.
Il giorno in cui si conobbero, Sole aveva il rossetto rosso, Giov aveva litigato con la sua ragazza e la conclusione fu un “troia” di lui e un “coglione” di lei.
Dopo poche settimane per caso finirono in banco assieme: per quella volta stettero entrambi zitti, preferendo il silenzio agli insulti.
Poi fu questione di giorni e i litigi e battibecchi continui si trasformarono in risate e confessioni dette sottovoce.

Fu così che nacque quella che si può definire un’amicizia.

Per Sole però non era mai stato solo questo.
Lo capì quando lui per la prima volta le raccontò dei problemi che aveva con Nora. Sentiva come se avesse un sapore amaro in bocca e la rabbia le ribolliva dentro.
Non lo faceva vedere, aiutava il ragazzo e si comportava come qualsiasi amica avrebbe fatto.
Il cuore però aveva preso a batterle più forte quando lo vedeva.
Lei lo sapeva, ma non poteva accettarlo.
Sapeva che era qualcosa di dannatamente sbagliato.
Cercò di evitarlo, ma quando lui non c’era le sue giornate le sembravano più vuote; quando lui si sentiva triste o abbattuto, lei si sentiva impotente e voleva vederlo sorridere.
I suoi sentimenti erano diventati più forti della ragione.
Quello che provava ormai era diventata l’unica certezza e il seguito le faceva paura.
Che sarebbe successo se lui l’avesse scoperto?
L’avrebbe perso, per sempre.
Allora Sole decise di nascondere il suo amore dentro uno scrigno, in un angolo profondo nel suo cuore.
Andava avanti facendo finta di essersene dimenticata, ma più passava il tempo, più quei sentimenti dentro di lei urlavano e cercavano di uscire allo scoperto.
Lei era in balia di tutto questo, aveva il terrore che l’avrebbe uccisa: lo sapeva troppo bene, non si può guarire da certe ferite.

Passò la prima ora e Giov non era ancora arrivato.
Per quel giorno avrebbe smesso di aspettarlo, sarebbe stata una giornata un po’ sola.
Per fortuna c’erano Nene, Andy e gli altri e a guardarli si sentì un meglio.
 
 
 
 
 


Sole stava ferma e guardava le persone e le macchine passare.
Stava ferma ed era come se solo per lei il tempo non esistesse più, mentre tutto il resto scorreva veloce.

Era da due giorni che quel deficiente non veniva a scuola e non aveva idea di dove si fosse cacciato. Grow le aveva detto che sicuramente non era nulla di grave e che se non fosse tornato a scuola il giorno seguente, gli avrebbe scritto lui.
Lei però non riusciva a non preoccuparsi.

Si mordicchiò le unghie, quella mattina tutti i suoi amici avevano deciso di lasciarla da sola. Molto probabilmente sarebbero entrati l’ora dopo a causa delle parecchie interrogazioni di quel giorno, ma lei gliene avrebbe dette tante comunque.
Proprio mentre pensava a come avrebbe potuto vendicarsi, comparve Andy che salutò la ragazza da lontano.
Le fece un grosso sorriso e accennò un “ciao” mettendosi affianco a lei.
Quella alzò un sopracciglio, fingendo di essere arrabbiata.

“Ah, stamattina non mi abbracci?”

Il ragazzo scosse la testa leggermente e l’abbracciò forte.
Erano amici da così tanto tempo e lui sapeva tutto su Sole.
Lei adorava parlare con lui e sfogarsi, Andy aveva la capacità di ascoltare e leggere le persone come nessuno e, prima di rispondere a ogni cosa importante che gli si diceva, ci pensava molto.

Lo schermo del cellulare che Sole teneva tra le mani s’illuminò, segno che qualcuno la stava cercando. Alzò gli occhi, sbuffò, pensando che come sempre fosse qualcosa di poco importante, ma…:

Giov: Sto di merda.
 
In quel momento perse un battito.
Le aveva scritto e quelle poche volte che lo faceva, ogni volta si sentiva come se avesse il cervello appannato e una voragine sotto ai piedi.
Merda, e ora? Che era successo?
Non riusciva a trovare una risposta alle sue domande, così digitò velocemente sulla tastiera.

Sole: Dimmi tutto.

Andy la guardò leggermente preoccupato. Tutto d’un tratto, infatti, il sorriso della ragazza si era spento e le braccia erano tenute incrociate.

“Sole, tutto bene?”
“No. Mi ha scritto.”
“E cosa vuole?”

Sole non rispose.
Neanche lei lo sapeva che cosa volesse e, soprattutto, che cosa stesse succedendo.
Era raro che non si facesse sentire per giorni interi e poi comparisse dicendo di stare male.
E aveva il terrore che la questione avesse a che fare con Nora.
Non voleva più sentir parlare di lei, non la sopportava.
Aveva trattato Giov in maniera terribile molte volte e non glielo avrebbe mai perdonato.
Non gli aveva mai fatto del bene e per quanto sapesse che era lei quella che lui aveva scelto, non riusciva ad accettarlo.
Doveva ammetterlo, Nora era bellissima.
Solo che a pensarli insieme le si stringeva il cuore: sapeva che lei lo aveva ferito e che lo avrebbe fatto ancora e Sole non poteva fare nulla per impedirglielo.

Lo schermo si accese nuovamente, lui aveva risposto.

Giov: Non vengo a scuola fino a lunedì, ti racconto quando torno.

Sole fece un profondo respiro.
Forse era successo qualcosa di parecchio grave e un altro litigio con Nora non era un pretesto abbastanza valido da fare addirittura dei giorni di assenza a scuola.
Ora era davvero molto preoccupata.

Sole: Okay, ti aspetto.

Anche se non fosse più tornato, l’avrebbe aspettato.
E – merda, ne era certa - l’avrebbe aspettato per sempre.

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Capitolo 3
*** Ebbid e Frank ***


Ebbid e Frank

 
Ebbid stava cercando di bere il suo caffè dopo tre lunghe ore di scuola e, come ogni volta che lo prendeva, prima di gustarselo, lo aveva lasciato raffreddare.
Doveva cercare Frank, il suo migliore amico, ma due ragazzine -non si ricordava neanche più i loro nomi- l’avevano fermato. Non era una cosa nuova per lui, ma aveva particolarmente fretta quel giorno e le loro vocine petulanti lo stavano parecchio infastidendo.
Neanche a ricreazione poteva starsene tranquillo, cazzo.
Si girò e fece per andarsene, ma una di quelle -la biondina con le tette in mostra e 2 kg di trucco sulla faccia- lo prese per la manica della felpa e lo guardò sbattendo più volte le lunghe ciglia.

“Ebb, te ne vai già? Resta ancora un po’ con noi.”
 
Il ragazzo roteò gli occhi e fece un sorriso malizioso.

“Avremo altre occasioni, piccola.”
“Oh, certo Ebb! Stasera hai qualcosa da fare? I miei sono via e…”
“Sì, stasera sono impegnato, sarà per la prossima.”

Scostò la mano della biondina, fece un cenno col capo e si infilò tra gli studenti per cercare il suo amico.
Merda, dov’era andato quel deficiente? Si erano messi d’accordo il giorno prima di trovarsi alle macchinette alle 11 e Frank non s’era presentato.
Ebbid sbuffò irritato e si passò una mano tra i capelli.
Per colpa sua aveva incontrato quelle due ragazzine che gli leccavano il culo da quando erano entrate nella scuola, come molte altre.  Non le sopportava, le ragazze “facili”.
Magari erano carine, magari moltissimi ragazzi avrebbero voluto passare una nottata con loro, magari facevano pure tutto quello che lui chiedeva, ma non erano interessanti.
Le considerava dannatamente vuote.
Erano tutte uguali, sembravano fatte con lo stampino: gambe magre, capelli lisci, ciglia lunghe, vestitini aderenti e smalti colorati. 
Vedeva ragazzine di quattordici anni che si atteggiavano da ventunenni e molto probabilmente osservandole in discoteca qualcuno avrebbe anche potuto scambiarle come tali.

Si appoggiò al muro del corridoio, prese un sorso del suo caffè e inspirò profondamente.

Lei, invece, era così diversa: lo incuriosiva e lo intrigava.
L’aveva capito subito che lei non era una qualunque, fin dalla prima volta che l’aveva vista: era in autobus dopo una giornata particolarmente noiosa e per fortuna la maggior parte delle ragazzine -quelle che gli stavano attorno solitamente- erano in stage lavorativo.
C’erano però due ragazze che facevano così tanto rumore da superare di gran lunga il volume della musica che usciva dalle sue cuffiette; una si era messa a cantare e l’altra le aveva tappato la bocca con le mani, per poi ridere insieme non facendo minimamente caso alle persone che avevano vicino.
Di solito, a Ebbid questa cosa avrebbe dato parecchio fastidio e si sarebbe girato per guardarle male e zittirle, ma la risata di una delle due l’aveva completamente catturato: era cristallina e dolce e, appena vide il suo sorriso, pensò immediatamente che fosse solare proprio come lei.
E quasi istintivamente gli venne voglia di assaggiare le sue labbra, di sentire di nuovo il suono della sua voce, di accarezzarla, di vederla sorridere ancora e di stringerla a sé.
Un brivido gli attraversò la schiena.
Questi pensieri non erano da lui. Forse si stava rammollendo.
A lui, di queste cose, non era mai importato.
Ebbid si divertiva con le ragazze ed era lui a suscitare questa sensazione su di loro.
Non era uno che perdeva tempo… Ma neppure questo strano forte interesse improvviso non era di certo “amore”.
Tutto quello che gli interessava era la soddisfazione di un rapporto carnale e questo non era affatto diverso con lei.
Il problema, però, stava nel fatto che una qualsiasi sconosciuta riusciva ad essere diversa da tutte le altre in un modo che lui assolutamente non capiva.
Lei riusciva a catturarlo e trattenere l’attenzione del ragazzo su di sé.
Non riusciva davvero a distogliere lo sguardo da lei: e il fatto che lo incuriosisse oltre misura la rendeva particolarmente attraente, più di tutte le altre ragazze.
L’aveva catturato e attirato a sé nello stesso modo in cui la luce di una lampadina attrae una falena.
E, per la prima volta in tutta la sua vita, era diventato lui la falena.

Conosceva la ragazza che le stava affianco nell’autobus, ci aveva fatto amicizia quell’estate al mare, e ben presto scoprì che le due erano in classe assieme nella sua stessa scuola.
Ogni tanto allora, con la scusa di salutare Nene –la ragazza della vacanza- poteva osservare di nuovo quel maledetto sorriso di quella che scoprì essere Sole.
Notò ben presto che c’era un ragazzo che le ronzava sempre attorno, rendendo la questione ancora più interessante.
Voleva assolutamente capire l’effetto che quella ragazza gli faceva ed era diventata una delle sue “prede” più intriganti.
Era certo che appena avesse soddisfatto i suoi desideri, tutto questo sarebbe finito e se la sarebbe scordata: prima di tutto, però, doveva risolvere “la questione” e stavolta non gli sarebbe per nulla dispiaciuto.
Doveva avere la possibilità di avvicinarla e conoscerla e il pretesto perfetto gli si era presentato davanti proprio quella settimana: i suoi genitori avevano lasciato casa libera e lui aveva deciso di dare un festino con Frank (non era la prima volta che ne facevano).
Nene gli aveva parlato già di quella ragazza “dal sorriso solare” e sapeva del loro forte legame ed era certo che, invitando lei alla festa, avrebbe trascinato con sé anche Sole.
Non avrebbe perso tempo, era l’ultima cosa di cui aveva bisogno.
Quel sabato –ne era certo- l’avrebbe fatta sua.
Con un sorriso sghembo stampato in faccia si ritrovò a rigirarsi nel bicchiere il restante caffè, sicuro dell’esito che avrebbe avuto il suo “piano”.
Almeno una questione si poteva dire risolta, non ci avrebbe più pensato fino a quella sera: aveva un problema più importante in quel momento.
Sbuffò guardando l’ora sul cellulare e riprese a camminare per il corridoio.
Frank non gli aveva neppure risposto e doveva tornare in classe. Non era preoccupato, ma piuttosto il suo umore vacillava tra la voglia di lasciargli un occhio nero (appena lo avesse visto) e il fastidio di dover aspettare e sprecare altro tempo.
Di certo, quello che si definiva essere il suo migliore amico gli doveva delle spiegazioni e se non fossero state abbastanza valide, questa volta non l’avrebbe perdonato tanto facilmente.
 



Frank stava seduto a gambe incrociate in tutta tranquillità sull’erba.
Si trovava nel parco dove andava sempre a giocare da bambino ed era nei pressi della stazione.
Aveva lasciato di nuovo il cellulare a casa e si era dimenticato di avvisare Ebb che quel giorno non sarebbe andato a scuola. Solo lui e sua sorella lo chiamavano così, fin da quando erano dei bambini petulanti, dato che “Ebbid” era decisamente troppo lungo da dire.
Sicuramente si sarebbe dovuto inventare una bella scusa per il fatto di non essersi fatto vivo, soprattutto perché dovevano ancora finire di accordarsi per la festa di sabato, ma ci avrebbe pensato dopo.
Era intento a guardare le persone andare avanti e indietro nel viale che gli stava di fronte, portandosi ogni tanto la sua Marlboro classica tra le labbra.
Camminavano veloci e, indaffarate nei loro impegni, sembravano essere in ritardo.
Chissà perché avevano tutta quella fretta, che lui aveva sempre cercato di evitare.
In quel momento, Frank, invece, stava davvero bene.
Quella giornata era perfetta per godersi un timido sole di Marzo, senza doversi preoccupare di tutti gli altri problemi; e lo divertiva notare di essere l’unico a pensare così in quella situazione.
Nella stradina che gli stava davanti, ce n’erano di tutti i generi: dagli uomini in giacca e cravatta con il telefonino in mano – che molto probabilmente usavano per organizzarsi incontri o eventi - alle donnine delle pulizie parecchio trascurate, con il trucco a volte sbavato e con le borse della spesa cariche.
C’erano anche i tipici vecchietti che guardano male chiunque si trovino davanti.
Da piccolo aveva giustificato la cosa ritenendo che lo facessero perché non ci vedevano molto bene e che, per questo, tenessero sempre quello strano broncio.
Era una cosa che faceva spesso: si fermava per un po’ e stava a guardare le persone, le osservava e cercava di immaginare cosa pensassero, quale fosse la loro storia o perché facessero determinate cose.

Fece un ultimo tiro dalla Malboro, si alzò e decise di fare qualcosa di utile almeno per quella giornata.
Non sapeva che ore fossero, ma ipotizzò di non avere abbastanza tempo prima che la marmaglia di bambini degli istituti vicini corressero verso il parco, disturbando così la sua pace in quel posticino per niente male.
Non era neanche molto distante dal liceo che frequentava sua sorella e anche lei avrebbe finito le lezioni tra non molto: per esempio, andare a prenderla a scuola non sarebbe stata una brutta idea.
E così, deciso su cosa fare, buttò via il mozzicone di sigaretta e s’incamminò verso il parcheggio dove aveva lasciato il suo motorino.
Poteva prendere una pizza ad asporto e mangiarla con sua sorella, Nora, per pranzo, dato che erano soli.
Nel pomeriggio invece sarebbe andato da Ebb, l’avrebbe affrontato e avrebbe finito i preparativi.  
Sicuramente avrebbe trovato il suo migliore amico più arrabbiato di tutte le volte precedenti, anche perché avevano un conto in sospeso con un tipo e avrebbero dovuto sistemarlo nella stessa mattinata.

Sospirò: quella si prospettava essere una lunga giornata.



 

 





















Salve a tutti, finalmente mi presento! Sono la pazza "scrittrice" di questa storia (la prima per me) e l'ho potuta aggiornare solo ora perché siamo in estate e la scuola è finita... così ora mi dedico a queste piccole cosucce e sfogo i miei drammi su personaggi inventati (o quasi eheh).
La storia si sta in qualche modo sviluppando e devo dire che i nostri poveri protagonisti sono davvero molti e davvero complicati! (credo che un giorno dovrò fare uno schemino per spiegare bene tutte le relazioni che intercorrono tra di loro ahah)
Ebbene sì, in questo capitolo avete scoperto che Giov ha un rivale in amore, ovvero Ebbid e che Nora, la ragazza di Giov, è la sorella di Frank, migliore amico di Ebbid (ve l'ho detto che è complicato!) e questi due nuovi ragazzuoli li conosceremo meglio più avanti, insieme ad altri di cui ancora non ho parlato. Questo pezzo è corto proprio perché mi serviva da introduzione.
Nel prossimo capitolo Sole e Nene (eh no, non mi sono dimenticata di lei)  andranno alla famosa festa di Ebb e ne accadranno di tutti i colori (tanto che dovrò dedicare due capitoli a tutti gli avvenimenti)
Sarei davvero felice di leggere qualche recensione, soprattutto quelle costruttive e di gradimento.
Quindi, per favore, ditemi cosa ne pensate, non vi mangio!
Spero di riuscire ad aggiornare presto e ringrazio tutti i lettori, baciiiii

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Capitolo 4
*** Nene.1 ***


Nene

 


La piccola stanza color lilla rimbombava di musica a tutto volume e i vestiti, prima riposti ordinatamente nell’armadio, erano sparsi ovunque.
Nene e Sole, stanche ma divertite dalla situazione, si erano buttate nel letto ridendo parecchio sguaiatamente dopo “alcune” mini-sfilate molto ridicole.
Il motivo di tutto il caos che aveva invaso la stanza era davvero semplice:

“Nene, non è possibile che, con tutta la roba che hai, non ti piaccia niente!”

La ragazza, come risposta, mise un finto broncio e sbuffò, convinta di avere troppi pochi vestiti da mettersi.
Sole accennò un sorriso e scosse la testa: la conosceva bene, non le sarebbe bastato nemmeno un intero centro commerciale.
Si alzò e si mise a frugare con calma tra i pochi resti ancora custoditi nell’armadio.
Erano ancora le cinque del pomeriggio, ma sicuramente il tempo sarebbe volato.
Nene osservò Sole mentre rovistava nel suo armadio: ogni volta con lei le risate erano moltissime e caratterialmente erano parecchio simili.
La loro amicizia era esplosa all’improvviso, come un fuoco d’artificio; da allora erano diventate inseparabili.
Avrebbero potuto fare una cornice grande quanto la parete di un grattacielo di tutti i momenti divertenti, imbarazzanti e folli che avevano passato insieme.
Ed era pienamente convinta che questo fosse solo l’inizio.

Quando Sole le lanciò un paio di pantaloni, Nene si riscosse dai suoi pensieri.

“Questi mi piacciono tanto! Perché non te li metti con la maglietta che hai preso la settimana scorsa con me?”

La ragazza, che era ancora stesa sul letto, prese tra le mani ciò che l’amica le aveva buttato malamente addosso, li mise sul letto e sbuffò prima di alzarsi per provare il nuovo coordinato.
Sole sorrise divertita dalla sua reazione e appoggiò la maglietta vicino ai pantaloni per vederne la resa.
Nene rimase alcuni secondi a guardarli, erano davvero… carini.
Sole conosceva i suoi gusti e lei era sicura che in fatto di vestiti non l’avrebbe mai delusa.
S’infilò prima i pantaloni neri attillati e, poi, la maglietta bianca pizzettata, che l’amica le aveva ordinato di comprare (sotto minaccia).
Non fece in tempo a guardarsi che Sole le diede subito il suo parere, facendole uno dei suoi sorrisi più raggianti.

“Nene, fidati di me, stai davvero bene!”

Quando vide il suo riflesso allo specchio, lo sguardo della ragazza, dapprima perplesso per l’affermazione dell’amica, mutò in uno più soddisfatto e convinto.
I pantaloni le fasciavano perfettamente le gambe, che solitamente apprezzava davvero poco, riuscendo addirittura a risaltarne le forme.
La maglietta lasciava intravedere un po’ di pelle, senza farla apparire esagerata, ma rendendo il completo quasi elegante e raffinato.
Girò attorno a se stessa per guardarsi meglio e le venne spontaneo pensare che quei vestiti (in qualche modo) le donassero.

“Sembro quasi sexy!”

Nene era fatta così, sdrammatizzava in molte cose e riusciva sempre ad alleggerire le situazioni; e, anche questa volta, l’affermazione della ragazza travolse entrambe in una grossa risata.

“Nene, seriamente, sei stupenda. Ti guarderanno tutti!”

Sole le fece l’occhiolino e lei si rimirò un’ultima volta allo specchio.
Chissà se qualcuno l’avrebbe davvero guardata e ammirata… Non che le importasse più di tanto – aveva una super serata programmata con tutti i suoi amici e gli sguardi dei ragazzi non erano il suo primo pensiero – ma le sarebbe piaciuto conoscere qualcuno che la potesse apprezzare e dedicarle un po’ di attenzioni, senza cercare un motivo per prenderla in giro per ogni cosa… Le sarebbe piaciuto incontrare qualcuno a cui stare abbracciata e sentirsi tranquilla e al sicuro, senza bisogno di niente e nessun altro…
Senza volerlo, le comparve in testa un volto con due occhi azzurri e un sorriso dolce: Grow, il suo compagno di classe nonché grande amico che la stuzzicava sempre e con cui aveva preso a passare tantissimo –forse troppo- tempo.
Chissà che le avrebbe detto lui se l’avesse vista vestita così…

Arrossì all’improvviso, ma si riprese subito, dopo aver scosso leggermente la testa, come per scacciare il pensiero fastidioso del ragazzo.
Inspirò profondamente e spostò il suo sguardo su Sole, la quale aveva appena raccolto lo zaino con le varie “attrezzature” per la serata.
Ne tirò fuori una piccola pochette nera e un vestito grigio con un profondo scollo a V sulla schiena che Nene approvò con uno “Strabello!”.
Anche Sole si vestì e, poiché restava solo un’ora per finire di prepararsi, le ragazze decisero finalmente di andare in bagno a truccarsi e acconciarsi i capelli.
“Come pensi che andrà stasera, Nene?”
“Secondo me ci divertiremo tanto, poi ho qualcuno da farti conoscere assolutamente!”
“Ah sì? Per esempio chi?”
“Dopo lo scoprirai, ma ora abbiamo cose più importanti a cui pensare… Quale ombretto mi dona di più? Nero o uno più chiaro?”

Sole alzò il sopracciglio, ma Nene, pur sapendo che l’amica esigeva una risposta, non le avrebbe detto nulla ed era convinta che la persona in questione si sarebbe fatta avanti durante la festa.
Il tempo restante lo passarono a finire di sistemarsi e a cantare e ballare canzoni a squarciagola usando una spazzola e un mascara come microfoni.
Poco prima di scendere (in ritardo e con il mal di pancia per l’agitazione) ridefinirono le labbra con un rossetto rosso accesso, si spruzzarono un po’ di profumo e presero le proprie borsette, come ogni volta facevano prima di uscire per qualche serata.
Una uscì di casa con il sorriso sulle labbra sicura della bellissima serata, l’altra pensierosa a causa di uno strano presentimento, ma entrambe pronte e decise a divertirsi.
 
 
La casa in cui si teneva la festa era enorme e un giardino altrettanto grande allestito apposta per l’occasione, la circondava.
Un grande gazebo ne ricopriva una parte e c’era molta gente che ballava ascoltando la musica remixata da un dj; un’altra zona era occupata da un piccolo bar improvvisato e alcuni ragazzi preparavano vari drink.
Era una serata tiepida e, pur essendo Marzo, si stava parecchio bene.
Le ragazze, appena oltrepassarono il cancello, rimasero a bocca aperta.
Non si aspettavano un posto così bello, così ben organizzato e nemmeno con così tanta gente.
C’erano moltissime luci e l’atmosfera era parecchio travolgente.

Sole strizzò gli occhi: era parecchio stupita, ma sicuramente quel posto era una di quelle villette che venivano affittate per feste di questo tipo.
Si senti tirare per la mano sinistra; era rimasta incantata e non si era accorta che l’amica stava trascinando velocemente in mezzo alla folla.
Qualcuno all’improvviso appoggiò la mano sulla spalla di Nene, costringendola a fermarsi e, per questo, Sole rischiò di finirle addosso.
Infuriata, Nene si girò per dirgliene quattro a chiunque l’avesse bloccata così bruscamente, ma si ritrovò davanti due occhi azzurri e un sorriso smagliante e tutti i suoi propositi svanirono nel nulla.

“Ehi, anche voi qui eh? Sole, Nene, da quanto!”

Le ragazze guardarono confuse Grow, il loro compagno di classe, che le aveva salutate con due baci e ciò non era molto da lui.
Forse aveva già bevuto qualcosa. Molte persone giravano con bicchierini vuoti, altre addirittura con bottiglie.

“Mi sono permesso di prendervi due drink per iniziare la serata, appena vi ho visto entrare dal cancello ho pensato che vi potessero servire.”

Sole scosse la testa, aveva sicuramente bevuto qualcosa.

“Ma come siamo gentili stasera! Come mai?”
“Nene, io sono sempre gentile! Se però ci tieni tanto, potresti ripagare la mia gentilezza in qualche modo…
Stasera sei parecchio bella.”

Grow fissò la ragazza con un sorriso furbo un po’ troppo a lungo, tanto che Nene arrossì di botto, ma si riprese subito, stampandosi sul volto un sorrisetto e strappandogli di mano il suo bicchiere, che non perse tempo a svuotare.

“Andiamo a ballare, Sole!”

La ragazza non fece in tempo a salutare l’amico e a finire di bere il suo drink; Nene le aveva ripreso la mano e l’aveva portata a ballare in mezzo alla folla di persone.
Chiuse gli occhi e si lasciò guidare dalla musica, lasciando che l’alcool appena assunto facesse il suo effetto.
Fece movimenti lenti, seguendo il ritmo e si lasciò andare muovendo il bacino e le braccia.
Passò alcuni minuti così. Si sentiva davvero bene: niente la infastidiva e nessun pensiero le occupava la mente.
La musica era l’unica cosa che le rimbombava in testa.
Appena finì la canzone, aprì gli occhi e vide che Nene stava salutando calorosamente una persona.
Era un ragazzo e non era sicura di conoscerlo, forse l’aveva visto a scuola.
La fissava, quasi come la stesse studiando e si ritrovò per sbaglio a guardare i suoi occhi.
A Sole si bloccò il fiato in gola.
Non aveva mai visto degli occhi così belli e così profondi, la spiazzarono.
Non riusciva a distoglierne lo sguardo, erano… magnetici.

Nene le fece un cenno e si avvicinò a lei insieme al ragazzo.
Molto probabilmente era quello di 4E che aveva invitato Nene alla festa.

“Ehi, sono Ebbid. Tu sei Sole, o mi sbaglio?”

Sole sentì un brivido attraversarle la schiena.
La sua voce era matura e bassa, la catturava.
Cercò di riprendersi, se non avesse risposto avrebbe fatto la figura dell’idiota.

“Sono io, non pensavo di essere così famosa!”

Sorrise, ma si bloccò appena lui si mise a ridere.
Come poteva avere una risata così… sexy?
Sole si morse il labbro. Quel ragazzo era davvero troppo, in tutti i sensi.
In quel momento capì perché aveva tante ragazzine che gli correvano dietro.

“Ragazzi, vi dispiace se vi lascio soli? Mi sono dimenticata di una cosa e ho bisogno di bere.
Sole, ti lascio in buone mani.”
Nene fece l’occhiolino a Sole, che per un istante si era quasi dimenticata della presenza dell’amica.
Ebbid, prima di presentarsi a Sole, aveva salutato Nene e le aveva chiesto se poteva presentarle la sua amica.
Lei non aveva perso tempo ed era certa che lasciarli soli non sarebbe stata una cattiva idea; la compagnia di Ebbid non sarebbe di certo dispiaciuta a Sole.
Si allontanò e tra i due calò un silenzio imbarazzante.
Sole si decise a parlare: infatti, dato che Nene l’aveva cacciata in questa cosa, non avrebbe potuto farci molto e comunque quel ragazzo sembrava parecchio simpatico.

“Ebbid, la festa è bellissima. La musica è stupenda e il posto è fantastico!”
“Grazie, devo dire che però vivere in una casa così grande sempre da solo è un po’ triste. Ho visto che la musica ti piaceva, ti muovi molto bene…”

Ebbid le fece l’occhiolino, Sole abbassò gli occhi e fece un sorriso imbarazzato, arricciando leggermente il labbro.
Poi ripensò alla sua frase…

“…Ma quindi tu abiti qui?! Casa tua è… Bellissima. Vorrei vivere io in un posto del genere!”

Ebbid si guardò intorno e si avvicinò al suo orecchio.

“Ti dispiace se ci spostiamo? C’è una parte che mi piace molto e vorrei davvero mostrartela. Poi lì ci saranno poche persone e così almeno riusciamo a parlare con più calma.”
Il fiato di Ebbid sul suo collo le procurò una serie di brividi.
Annuì leggermente, era difficile parlare in mezzo alla folla e preferiva stare in un luogo più tranquillo.
Ebbid la prese per mano con la scusa che si potesse perdere con tutte quelle persone.
Solo si sentì sprofondare e molto probabilmente le sue guance si stavano arrossando sempre di più.
Come diamine riusciva quel ragazzo a farle quell’effetto?
Non lo conosceva nemmeno, era la prima volta che ci parlava insieme, ma in qualche strano modo si sentiva terribilmente attratta da lui.
La testa un po’ le girava, si sentiva felice e allo stesso tempo confusa.
Si guardò la mano destra: le loro dita erano intrecciate e la cosa non la infastidì per nulla.
Ebbid aveva delle mani morbide e grandi, la sua presa era sicura e forte.

Nene l’aveva lasciata da sola e per questo non l’avrebbe perdonata, ma d’altra parte non le dispiaceva molto.
Provò a cercarla con lo sguardo tra la folla e vide Grow che stava abbracciando qualcuno…
Sole però non fece in tempo a pensare ad altro e Ebbid le mollò la mano.
Erano finiti davanti ad un laghetto circondato da tanti alberi e c’era piccolo gazebo sovrastato da un’enorme magnolia in fiore.
Si sedette vicino al ragazzo su una panchina sotto il gazebo: la vista era mozzafiato.
Quel posto sembrava quasi magico.

“E’… bellissimo.”

Sole rimase incantata a guardare il panorama che le si piazzava davanti.
La luce della luna si rifletteva sulla superficie d’acqua, donandole un colore particolare.
I fiori della magnolia emanavano un ottimo profumo e i petali caduti creavano una specie di tappeto intorno alla panchina.
Il ragazzo sorrise e Sole pensò che forse c’era qualcosa di ancora più bello.

“Te l’avevo detto! A volte rimango anche mezz’ora qui fermo a guardare, mi rilassa tantissimo.
E se ho un problema o mi sento giù, vengo qui e non penso a nulla.
E funziona, poi sono molto più tranquillo e penso di poter affrontare tutto.”
“Credo sia qualcosa d’indescrivibile…
Prima hai detto che sei sempre solo, giusto?”

Ebbid fece un sospiro e si mise a giocherellare con un petalo.

“I miei sono sempre via per lavoro e mio fratello va all’università e non è mai in casa.
Ogni tanto passa qualcuno a salutarmi o viene qualcuno per pulire, ma… quando non c’è nessuno, questa casa diventa troppo grande e vuota anche per me.”

Sole ritornò a rimirare l’acqua.
Doveva essere terribile vivere in un posto così grande e non avere mai nessuno.
Forse Ebbid si sentiva parecchio solo.
Però…

“Io forse non so come ti senti, ma sono spesso sola a casa, fin da quando ero bambina.
C’ho fatto un po’ l’abitudine, ma a volte ci sto ancora male.
Sai, credo che stare da sola mi abbia in qualche modo allo stesso tempo rafforzato e indebolito.”

“Intendi che sappiamo stare bene da soli?”

“Sì. Sappiamo stare bene da soli, non abbiamo bisogno di circondarci di persone.
Però… le persone con cui ci sentiamo veramente bene, sono molto importanti e non riusciamo più a starne senza.”

Pensò al sorriso sghembo di Giov e a quanto le era mancato in quei giorni.
Era preoccupata per lui, non si era fatto più sentire e lei non aveva idea di cosa fosse successo.
Perché ogni volta ci stava così male per lui?
A lui non importava assolutamente nulla di lei…
Sospirò e ricacciò indietro le lacrime che minacciavano di uscire.
Perché pensava a quell’idiota invece di godersi il momento con lo splendido ragazzo che aveva appena conosciuto?
Sentì che due braccia forti la circondarono.
Il profumo di Ebbid era intenso e le pervase la mente, riuscendo a tranquillizzarla.
Sole lo guardò stupita: perché l’aveva abbracciata?

“Che succede? Ho visto che avevi le lacrime agli occhi e mi è venuto spontaneo abbracciarti.”
“Niente… Solo un idiota che mi fa preoccupare continuamente… Non ne voglio parlare, ma grazie, sei stato gentile.”
“Se qualche idiota ti fa del male, dovresti lasciarlo perdere. Oppure chiami me e ci penso io a picchiarlo!”

Sole spalancò gli occhi e scoppiò a ridere, come se prima non fosse successo nulla e non fosse stata triste.
Ebbid si sentì colpito in pieno. Quella risata stava diventando il suo punto debole.

I ragazzi sentirono delle urla provenire non lontano da lì.
Nene era di fronte a Grow, le lacrime le rigavano le guance e stava sbraitando contro il ragazzo.
Sole si preoccupò, doveva raggiungere Nene prima che la situazione degenerasse… Ma era troppo tardi: Nene tirò uno schiaffo a Grow.
Lui non fece nulla e lei scappò via.
Sole si alzò, doveva andare da lei e doveva capire cos’era accaduto.
Non aveva mai visto Nene così infuriata e aveva paura che l’amica potesse fare qualcosa di stupido.
Che diamine era successo a quei due?!

“Sole!”

Ebbid si alzò, la fermò bloccandola per un polso e la portò delicatamente verso sé.
La ragazza si girò e, senza rendersene conto, si ritrovò le labbra morbide del ragazzo a sfiorare le sue.
Era come se il tempo e il suo respiro si fossero fermati, mentre il cuore di Sole aveva preso a battere all’impazzata, sembrava una bomba a orologeria pronta a scoppiare.
Ebbid la guardò negli occhi e poi, abbassò lo sguardo sulle sue labbra… E la baciò.
E il suo cuore - ne era certa - esplose.
Chiuse gli occhi e si lasciò andare.
Lui l’aveva catturata, fino all’ultimo.
Lei non avrebbe potuto resistere neanche se l’avesse voluto.
E quel bacio fu come uno spiraglio di luce nel buio pesto.
Forse qualcuno avrebbe potuto farle dimenticare quell’idiota.
Forse avrebbe smesso di soffrire per un po’.
Forse si sarebbe sentita amata per davvero.
Quando riaprì gli occhi, tornò alla realtà: Nene aveva bisogno di lei.

“Io… Devo andare.
Grazie di tutto.”

Ebbid le sorrise e Sole corse via con in testa mille pensieri e due paia di occhi marroni capaci di mozzarle il fiato.

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Capitolo 5
*** Nene.2 ***


Nene
 

Ebbid la lasciò andare, era giusto che corresse da Nene se stava male.
Sembrava anche a lui molto strano quello che era successo, ma sapeva che qualcuno sicuramente lo avrebbe informato.
Mezza popolazione della scuola che frequentavano era presente alla festa e le voci giravano anche troppo velocemente.
Forse qualcuno aveva visto il bacio che prima aveva dato a Sole, ma non lo preoccupò più di tanto.
Ripensò alle labbra di Sole con un sorriso sghembo stampato in faccia.
Erano proprio come se le aveva immaginate: calde e morbide, al sapore di lampone.
Non se le sarebbe dimenticate tanto facilmente.
Era stato strano passare del tempo con lei e la loro conversazione non era caduta sul banale o ridicolo.
Lei non lo infastidiva, per nulla.
Sembrava tutto tremendamente naturale e giusto.
Essere lì con lei, su quella panchina a parlare di sé e ad osservarsi sembrava ciò che di più sbagliato in un modo terribilmente giusto ci potesse essere in quel momento.
E – merda – pure quel bacio gli era parso così adatto, quasi doveroso, eppure così frettoloso e fastidiosamente piacevole.
Doveva ammetterlo, baciarla era stato un piccolo sfizio, un segno che aveva sentito il bisogno di lasciarle, quasi come non volesse farle dimenticare.
E fu di certo il bacio più avventato e fugace che avesse mai dato, ma ne valse la pena.
Quella serata ne valse totalmente la pena.

Un petalo che gli cadde sulla spalle fermò lo scorrere dei suoi pensieri.
Ebbid si sedette di nuovo sulla panchina, osservando con particolare attenzione il riflesso della luna sull’acqua.
Lo prese in mano e si mise a giocherellarci, come spesso faceva, come anche prima.
Lo faceva perché sapeva di averne il controllo.
Odiava, infatti, non poter avere il controllo su qualcosa: la situazione con Sole, ad esempio, gli stava parecchio sfuggendo di mano.
Non poteva provare quel genere di emozioni, non doveva.
Non era sicuro però di riuscire a distruggere tutto in quel momento, non gli era bastato.
Aveva ancora degli spazi vuoti da riempire, domande che si era posto su di lei e su come riuscisse quasi ad addolcirlo la sola visione di quel suo sorriso.
Se voleva capire e riuscire a controllare la situazione, doveva rischiare.
L’aveva sempre detto: la curiosità l’avrebbe portato a morire e impazzire per una ragazza non era nei suoi piani.
Ormai, però, era troppo tardi.

Fece un sospiro e si passò una mano tra i capelli.
Doveva tornare alla realtà e pensare a gestire la festa.
C’era un po’ di gente che aveva dei conti in sospeso con lui e non gli sarebbe dispiaciuto divertirsi un po’ con qualche bicchiere di Jack Daniel’s, i suoi amici con cui fare cazzate e i cuori spezzati delle ragazzine stupide che ci provavano con lui rendendosi quasi ridicole.
Questo era il vero Ebbid.
Ed era ora di dare inizio alla vera festa.


 
 
 

Nene non riuscì a fermarsi.
La sua testa era come un palloncino, non riusciva a pensare a nulla e, ciò che aveva appena vissuto, le occupava totalmente la mente.     
Grow… era solo un idiota.
Sapeva che aveva sbagliato ad aver fiducia in lui, a dirgli cose che avrebbe dovuto tenere solo per se stessa.
Grazie a quella serata aveva scoperto che quello sguardo era tutt’altro che dolce e buono.
Fanculo a lei stessa, che si era fidata e che c’era cascata.
Fanculo al suo cuore che le martellava in petto e che ultimamente aveva preso a sciogliersi un po’ per lui.
Fanculo a quegli stupidi che l’avevano guardata come se loro fossero dei santi e come se invece lei avesse fatto qualcosa di dannoso per l’intero Universo.
E fanculo soprattutto e di nuovo a Grow, l’unica persona in grado di farla sentire - in meno di 10 minuti - come se ogni cosa andasse davvero bene e subito dopo come se il pavimento le stesse crollando sotto ai piedi.

Senza volerlo si ritrovò davanti al bancone degli alcolici.
Afferrò una bottiglia: non sapeva cosa contenesse, ma ne mandò giù il contenuto a grandi sorsi, svuotandola completamente.
La gola le bruciava e l’alcol le aveva lasciato subito sul palato un gusto dolciastro e nauseante.
Si rese conto che aveva finito una bottiglia intera solo quando, portandosela alla bocca, non ne uscì più nulla.
Sicuramente quella cosa che aveva scolato, insieme a tutti gli altri drink liquidati piuttosto velocemente, non le avrebbe fatto un bell’effetto, anche se di solito reggeva abbastanza bene l’alcol.
Si guardò intorno, ma non vide nessuno che conosceva.
Forse era un bene, più che un male.
Sole molto probabilmente era ancora con Ebbid e se erano ancora insieme allora sicuramente si erano trovati parecchio bene.
Ebbid secondo lei era una persona… difficile.
Certo, non quanto uno che pensi tuo amico e poi alla prima occasione ti sputtana davanti a tutti… che stronzo.

Nene tirò su col naso, sapeva che pensare di nuovo a lui non le avrebbe fatto bene.
Non doveva pensare e basta, non poteva farlo.
E riconfermò a se stessa che Grow era solo un idiota egoista.
Stavolta si era davvero sentita ferita da quell’idiota, aveva esagerato e soprattutto aveva tradito la sua fiducia.
Nene ricacciò indietro le lacrime, non poteva piangere, non per lui.
Doveva darsi un contegno e trovare qualcuno con cui passare la serata e divertirsi.
Solo così non si sarebbe rattristata e il pensiero del ragazzo non l’avrebbe più infastidita.
La testa però cominciò a girarle vorticosamente.
Si sentiva quasi schiacciare e la musica al massimo volume non la aiutava.
L’alcol stava facendo il suo effetto.
Si annotò mentalmente di non bere un’intera bottiglia la prossima volta che avrebbe cercato di distrarsi da qualcosa.
Forse aveva esagerato, ma sentiva di averne avuto il bisogno.
Non doveva assolutamente pensare a quello che era successo o i suoi buoni intenti di non piangere sarebbero andati a farsi fottere.
E in quel caso, lui l’avrebbe vista e non si sarebbe risparmiato di prenderla di nuovo in giro e magari di darle pure della bambina.
Per quella sera ne aveva davvero avuto abbastanza.
Una cosa era certa: doveva cercare di sedersi o di trovare un appoggio stabile o le sue gambe molto probabilmente non avrebbero retto molto a lungo.
Riusciva a fatica a camminare.
Con qualche passò un po’ sbilenco raggiunse una panca accostata ad un muro fortunatamente vicino a lei e si sedette.
Da lì riusciva a vedere tutta la folla di persone ammucchiate che si muovevano cercando di ballare quasi decentemente e fallendo.
Alcune ragazzine avevano dei vestitini molto corti e sicuramente qualche ragazzo ne aveva approfittato.
I suoi occhi si rabbuiarono per qualche secondo.
Erano solo delle stupide.
Nene spostò la sua attenzione su una sagoma che si stava velocemente avvicinando a lei, non riusciva bene a distinguerne i contorni.
Era possibile che l’alcol agisse così velocemente?
O forse aveva la vista appannata a causa delle… no, le lacrime no.
Non poteva piangere.

“Nene, ma che hai fatto!?”

Sole la strinse forte a sé, si vedeva che era terribilmente preoccupata.
Era davvero contenta che Sole fosse con lei, aveva bisogno che qualcuno le stesse vicino.
Nene però non riuscì a sorridere e non si sforzò nemmeno di farlo.
Sentiva caldo, ma era sicura che stesse sudando freddo.
La nausea e il mal di testa la stavano uccidendo lentamente.
L’alcol, come un martello, continuava a batterle in testa e tutto ciò che avrebbe voluto era un letto comodo su cui stendersi.
Forse doveva dirle cos’era successo, ma non ne aveva proprio voglia.
Si sentiva distrutta e continuava a ripetersi di non pensare e di non piangere.
E raccontare a Sole ciò che era accaduto le avrebbe rovinato la serata e avrebbe portato Nene sia a pensare, sia a piangere.
Sapeva che Grow era ancora alla festa e avrebbe potuto vederla e questa, di certo, sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe potuto desiderare.

“Mh… Niente, abbiamo solo litigato un po’…”

La sua voce era strascicata e flebile e nemmeno il suo sguardo doveva essere stato dei migliori, perché Sole la osservò leggermente alterata e ancor più preoccupata.
Nene cercò di rialzarsi, ma si ritrovò a vacillare pericolosamente in un equilibrio molto precario.
Sole la prese per il braccio e la fece risedere, aveva intuito la situazione.
Fece un respiro profondo e la guardò negli occhi cercando di non arrabbiarsi troppo.

“Nene, sei ubriaca! Quanto hai bevuto? Non ti lascio neanche più un secondo da sola e dopo mi devi delle spiegazioni.”

Nene fece uno sguardo un po’ confuso, come se non sapesse di cosa stesse parlando.
E forse doveva essere così, non sapeva neanche se era riuscita a capire metà di quello che aveva detto Sole.
Stava per risponderle, ma un conato di vomito fece diventare la nausea quasi insopportabile.

“Io… devo andare… al bagno, subito.”

Anche tentare di pronunciare una frase con un minimo di logica le risultava difficile.
Si mise una mano sulla bocca per cercare di soffocare la nausea e di resistere abbastanza.
Sole la aiutò ad alzarsi, capì che era meglio lasciare le domande da parte e se Nene fosse riuscita a vomitare subito, forse il resto della serata l’avrebbe passato alla meno peggio.

I bagni non erano molto distanti per loro fortuna ed erano stati allestiti all’esterno dentro ad una specie di cabina di modeste dimensioni, adatta per tutte le persone che quella sera si sarebbero scolate litri di Vodka e Malibu.
Nene riuscì a raggiungerli solo grazie al sostegno di Sole, che non perse tempo poi a legarle i lunghi capelli corvini in una coda, in modo che non se li sporcasse.
La ragazza cercò di sostenersi da sola inutilmente sul water, ma dovette ricorrere all’aiuto di una paziente Sole che le tenne la testa.
Sole l’avrebbe uccisa sicuramente il giorno dopo e lei l’avrebbe come minimo sposata per dimostrarle la sua gratitudine.
La testa non le smetteva di girare e l’odore nauseante del bagno la faceva sentire peggio.
Non riusciva a pensare a nulla, nemmeno sforzandosi.
Non poteva nemmeno chiudere gli occhi perché sarebbe potuta collassare, dato lo stato in cui si trovava.
Aveva qualche conato, ma non riusciva a buttare fuori nulla.
Si sentiva lo stomaco sottosopra e le gambe le tremavano.
Come diavolo si era cacciata in quella merda di situazione?
Cosa pensava di risolvere scolandosi una bottiglia di alcol insieme ad una svariata serie di bicchieri?
La gola continuava a bruciarle, il gusto dolciastro dell’alcolico che aveva ingerito le dava il voltastomaco e la situazione rendeva il tutto più drammatico.
Si rese conto, proprio in quel momento, che, anche cercando di dimenticare con l’alcol, pur passando una nottata d’inferno, non ci sarebbe riuscita.
Grow l’aveva tradita e ciò che sapeva di più importante e intimo di lei l’aveva sbandierato ai quattro venti… Come aveva potuto farle questo?

Una lacrima veloce le scivolò sulla guancia, l’odore acre a nauseante si faceva sentire ancor più prepotentemente.
Era colpa di lui se ora si trovava in questo schifo.
Voleva dare tutta la colpa a lui, perché lei stava male solo per causa sua.
E la cosa peggiore era che con la morosa che si ritrovava, proprio a lei doveva rompere i cogl…
In quel momento lo stomaco di Nene non resse più e la ragazza credette per un momento di vomitare perfino l’anima.
Lei accucciata sul water a buttare fuori tutto quello che si era scolata non doveva essere di certo una bella visione.
Si chiese anche come riusciva Sole a stare lì in piedi a tenerle la testa, molto probabilmente lei non ce l’avrebbe mai fatta.

Quando ebbe finito, Nene  si sentì quasi schifosamente bene.
Si reggeva in piedi a stento, ma almeno la sensazione terribilmente nauseante e fastidiosa era in parte passata.
Si lavò il viso e Sole l’aiutò a uscire dal bagno e a trovare un posto in cui distendersi.
Prese il cellulare di Nene e scrisse un messaggio al fratello della ragazza chiedendo di venirle a prendere dalla festa.
La testa le pulsava tanto che sembrava in procinto di scoppiare, ma sapeva che una profonda dormita avrebbe risolto anche questo.

“Grazie Sole… Dopo quando arriviamo a casa ti spiego tutto…”
“Tu non hai idea di quanto io fossi preoccupata. Poi quando ti ho visto tirare uno schiaffo a Grow e scappare via… Mi devi delle spiegazioni.”

Nene lo sapeva: avrebbe dovuto ripensare a tutto quello che era successo per motivare a Sole cosa era accaduto, ma delle spiegazioni erano più che doverose e se le meritava tutte.

“Però anche tu avrai qualcosa da raccontarmi… Vi ho visti, tu e Ebbid. Sembravate così carini insieme…”

Nene fece un sorrisetto malizioso, ma comunque meno accentuato dei suoi soliti.
Sole arrossì vistosamente e fece un sorriso un po’ timido, abbassando lo sguardo e trovando tutto d’un tratto il suolo particolarmente interessante da guardare.

“Non tantissimo, Nene.”

La ragazza non riuscì a spiegarsi meglio a causa del cellulare si mise a squillare insistentemente; era Ben, il fratello di Nene, che le informò di presentarsi il più velocemente possibile fuori dal cancello.
L’arrivò del ragazzo salvò Sole da una situazione decisamente scomoda e leggermente imbarazzante.
Sapeva che però nei giorni seguenti, quando l’amica si fosse ripresa, l’avrebbe tappezzata di domande di ogni tipo e ripensare a ciò che c’era stato con Ebbid, le faceva battere il cuore all’impazzata.

Le due quindi, evitando incontri indesiderati, raggiunsero abbastanza velocemente la macchina e Nene si appoggiò al finestrino socchiudendo gli occhi, ignara del fatto che qualcuno con una manata stampata sulla guancia la stesse osservando da lontano, parecchio preoccupato.

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Capitolo 6
*** Nene.3 ***


Nene

 
 


Nene si guardò la mano.
Il palmo era leggermente arrossato e un po’ le faceva male.
Attraverso quel gesto aveva buttato fuori tutta la rabbia e l’odio che aveva provato per Grow.

Lo specchio del bagno rifletteva il volto pallido di una ragazza troppo stanca e confusa.
A stento riusciva a riconoscersi.
Il trucco era sbavato, i capelli scompigliati.
Gli occhi arrossati avevano perso la luce che solitamente li caratterizzava.
Inspirò profondamente, le serviva per calmarsi.
Qualcuno bussò alla porta, ma Nene non dovette fare nulla.
Sole in pochi secondi si fece avanti.
“Come stai Nene?”

Non si girò a guardare la ragazza che era appena entrata, decise che cercare un sostegno sarebbe stato meglio.
Alla fine si sedette per terra appoggiandosi alla vasca.
Sapeva che di lì a poco avrebbe dovuto parlare di quello che era accaduto e l’insieme dei ricordi di quella serata le metteva la nausea.
Come stava?
Sinceramente non lo sapeva nemmeno lei.
Di poche cose era certa: era arrabbiata con se stessa e delusa da Grow, era triste e confusa per tutto quello che era successo e aveva paura delle conseguenze.
Dopo un altro respiro profondo, decise di buttar fuori la voce.

“Male, credo.”

Non aveva detto molto, ma aver ammesso di non essere in ottime condizioni era già tanto per lei.
Sole fece un sospiro, quella sera avrebbe dovuto tirar fuori tutta la sua pazienza.
Si sedette vicino a Nene, sapeva che la ragazza aveva bisogno di metabolizzare e che poi avrebbe parlato da sola.
Certamente era conciata male e sembrava pronta a crollare da un momento all’altro.
Doveva essere successo qualcosa di davvero terribile per ridurla così.
Nene era sempre stata una persona così sicura e forte, nemmeno nelle situazioni più drammatiche si era lasciata scalfire.
Molto spesso era in ansia per le cose più banali, ma poi riusciva sempre a distruggere la paura e trovava una soluzione anche per ciò che sembrava impossibile a tutti.
Sole l’aveva sempre ammirata per questo.
Ora doveva solo aspettare che la ragazza parlasse: pure questa volta avrebbero risolto tutto.
Nene si tenne la testa con una mano e cercò di elaborare mentalmente un discorso.

“Grow è un idiota.
Io… lo odio.
E mi dispiace averti rovinato una bella serata, ti stavi divertendo.”

“Non importa Nene, non pensare a me.
Mi dispiace vederti così.
Vorrei solo che mi raccontassi quello che è successo… Buttare fuori tutto ti farà bene.
Io sono qui con te.
Ti ascolto e ti prometto di non dire nulla finché non hai finito.”

Nene stette zitta per un po’.
Poi scosse leggermente la testa e guardò negli occhi Sole, che le sorrise per rassicurarla.
Aveva ragione, doveva tirare fuori tutto per chiarirsi le idee e per cercare di stare almeno un po’ meglio.

“Va bene, ci provo…
Quando ti ho lasciato da sola con Ebbid, sono andata a prendermi un mojito e ho trovato gli altri: c’erano Andy, Bet, Alex, un amico di Ebbid che non conosco e Grow, con i suoi stupidi amichetti.
Così mi sono messa a parlare con loro.
Uno mi fissava parecchio e ha cercato di farsi vedere mostrando i muscoli e dicendo che andava i palestra e cose così.
Io stavo per rispondergli a tono perché secondo me non aveva molto di cui vantarsi.
Proprio in quel momento però, quel coglione di Grow mi ha abbracciato da dietro dicendogli che non m’interessano certe cose.
Io… non me l’aspettavo e devo essere arrossita perché lui ha fatto uno di quei suoi stupidi sorrisetti maliziosi…
L’ho guardato malissimo e poi Bet, per fortuna, mi ha portata a ballare.
Eravamo molto allegre e ci siamo abbastanza lasciate andare.
Ci stavamo divertendo insomma, andava tutto bene.
A un certo punto, un ragazzo molto carino si è avvicinato a me e abbiamo ballato insieme.
Dovevi vederlo, si muoveva benissimo e aveva un sorriso da mozzare il fiato.
Ovviamente però doveva arrivare l’idiota a rovinare tutto, come sempre.
Quindi, Grow ha preso il ragazzo per il polso allontanandolo da me e gli ha detto qualcosa all’orecchio.
Quello l’ha guardato male, ma non ha detto niente e se n’è andato.
Con la musica alta non ho sentito nulla e non ho neanche capito bene cosa sia successo.
Però… ero parecchio incazzata.
Per una volta che un ragazzo ci provava con me e mi potevo divertire anch’io un po’, perché quel coglione doveva comportarsi così?!
Allora gli ho chiesto spiegazioni e tutto quello che mi ha detto è stato:
«Dai, ti meriti di meglio»
E stava ridendo, quello stronzo.
Credo di essere esplosa in quel momento.
Come si permette di decidere per me?! Chi è lui per sentirsi in dovere di comportarsi così!?
Si vedeva sicuramente che me l’ero presa.
E non lo so… Un po’ per l’alcol, per il fatto che ero su di giri e per vecchi ricordi e incazzature varie con Grow… Mi sono lasciata troppo andare.
Così gli ho risposto parecchio male, dicendogli:
«Tu non hai il diritto di decidere chi merito o non merito! E non stavo facendo nulla di male, mi stavo solamente divertendo.
Perché devi sempre ficcarti negli affari degli altri e rovinare tutto?!
Che poi non mi sembra che tu sappia scegliere così bene chi ti meriti, dato che la tua ragazza l’ha data a metà scuola!»
Mi sono resa subito conto di aver esagerato, anche se stavo dicendo la verità.
Non so cosa mi fosse preso in quel momento, ma era come se tutta la rabbia che mi aveva assalito prima, mi avesse annebbiato completamente la mente e le parole mi sono uscite di bocca da sole.
Ero fuori controllo, non volevo dire tutte quelle cose e so che gli dà fastidio quando sparlano della sua ragazza, anche se nessuno la sopporta.
Per quanto sapevo di aver sbagliato e oltrepassato il limite, gli avrei addirittura chiesto scusa, ma lui… Ha peggiorato tutto.
Io non mi ero accorta che stavo urlando, ma lui ha superato di gran lunga anche il volume della musica.
L’hanno sentito tutti.
Avrei preferito che dicesse qualsiasi cosa, ma non questo.
Non me lo sarei mai aspettato da lui… Pensavo che un po’ ci tenesse a me…
Ha urlato davanti a tutti che la mia prima volta è stata in discoteca con un ragazzo che neanche conoscevo.
Ha detto che dovrei sentirmi io la troia.
Sole… è stato orribile.
Lo sapevate solo tu e lui, cazzo.
Lo sai quanto mi sia odiata per questo.
Ho passato notti a tentare di dimenticare o perlomeno a perdonarmi.
Se potessi tornare indietro e cancellare tutto, lo farei subito.
E lui c’era quella sera.
Lui è stato la spalla su cui ho pianto quando mi ero resa conto della cazzata che avevo fatto.
Mi aveva promesso che non l’avrebbe mai detto a nessuno…
Mi sono sentita… tradita.
E ovviamente in quel momento con tutti quegli sguardi addosso, quei suoi occhi e i ricordi che ho sempre cercato di cancellare… Il mondo mi è crollato addosso.
Sono scappata via, non sarei riuscita a resistere ferma in quel posto un secondo in più.
Grow… l’ho veramente odiato.
Mi sono messa a piangere come una bambina correndo il più lontano possibile.
Avevo il cuore in gola.
E ho desiderato con tutta me stessa che lui non mi seguisse, non avrei più voluto vederlo.
E invece, indovina chi mi ha raggiunto?
Quel coglione di Grow.
Non ce l’ho fatta a resistere.
Lui mi guardava, come se si aspettasse qualcosa da me.
Che dovevo fare?! Pensava che l’avrei ringraziato per avermi distrutto la vita?
L’ho mandato a fanculo, l’ho urlato.
Mi sentivo come se la rabbia mi bruciasse dentro, la mia mano si è mossa da sola.
Gli ho tirato uno schiaffo, ma è niente in confronto a quello che lui ha fatto a me.
Grow è rimasto immobile e io… sono scappata di nuovo.
Ero confusa, incazzata.
Appena ho visto una bottiglia, non c’ho pensato nemmeno un secondo.
Ho chiuso gli occhi e ho buttato giù tutto.
E beh, il resto lo sai...”

Nene aveva gli occhi gonfi e colmi di lacrime, la voce roca e affaticata, qualche singhiozzo aveva cercato di interrompere il suo discorso.
E Sole capì che in quel momento non poteva fare nulla.
Le sarebbe solamente rimasta vicino, qualsiasi cosa fosse accaduta.
Guardò il cellulare, sullo schermo era presente un messaggio che aveva volutamente ignorato e a cui non aveva intenzione di rispondere:


Grow
Come sta Nene?


Sole sospirò e spense il cellulare.
Accarezzò i capelli di Nene e le diede un bacio in fronte.
Avrebbe dovuto riposare, poteva solo immaginare quanto avesse sofferto.
E sapeva anche quanto in realtà ci tenesse a quel ragazzo.
Quella appoggiò la sua testa sulla spalla di Sole e socchiuse gli occhi.
Non sapeva come stava, ma per quella notte aveva deciso di non pensarci più.




 
 




Grow si sentiva terribilmente intontito.
Guardava il cellulare come un ossessionato e sperava che Sole gli rispondesse.
Almeno aveva la certezza che Nene era tornata a casa, se fosse rimasta alla festa si sarebbe preoccupato per tutta la sera e non l’avrebbe nemmeno potuta aiutare.

“Ehi vecchio mio, fa ancora male la sberla?”

“Più o meno.
Frank… Conosci qualcuno che può ospitarmi stanotte?
Se mi presento a casa adesso, i miei mi uccidono.”

“Non c’è problema, puoi venire da me.
Praticamente casa mia è un albergo.”

Frank era sempre stato un ragazzo allegro, uno di quelli con un sorriso da sbruffone costantemente stampato in faccia.
Lui e Grow si conoscevano dalle medie ed erano rimasti buoni amici, anche dopo molto tempo.
Frank si accese una Malboro e porse il pacchetto a Grow, che rifiutò scuotendo meccanicamente la testa.
“Deve essere grave se addirittura non vuoi fumarti una sigaretta in buona compagnia.
Quella ragazza… è così importante per te?”
“Lei… credo di sì.
Sono stato un coglione e me ne rendo conto.
Ho sempre detto che non mi sarei mai comportato come Giov, con quei maledetti tira e molla e fare il perfetto stronzo con una delle ragazze più importanti per me…
E ora sono peggio di lui.”

“Sei stato parecchio stronzo, è vero.
Cerca di rimediare, vecchio mio.
Forse dovresti farle capire quanto ci tieni a lei.
A proposito di Giov, l’hai sentita l’ultima?”

“Certo, non me l’aspettavo neanch’io.
Deve essere stato un brutto colpo per Nora.”

“Se la caverà.”

Grow diede un’altra occhiata al cellulare.
Astra gli aveva scritto, ma non aveva per nulla voglia di sentirla.
Tutto ciò che aveva in mente erano delle lentiggini e un paio di occhi neri che quella sera lo avevano fissato per la prima volta con vero odio.
Nene non lo avrebbe mai perdonato, ne era certo.
Doveva per forza evitarla: se le avesse parlato di nuovo, avrebbe rischiato solamente di peggiorare le cose.
Digitò velocemente sulla tastiera, ma cancellò quello che aveva appena scritto e si mise in tasca il cellulare.
Non poteva cercarla, doveva aspettare che Sole gli rispondesse.

“Frank, passami il pacchetto.”

Frank gli allungo la confezione e un accendino e Grow ne sfilò una sigaretta, se la portò alla bocca molto lentamente.
Chiuse gli occhi e assaporò il primo tiro, ma lo sguardo deluso e arrabbiato di Nene continuò ad occupargli la mente.
Forse avevano ragione gli altri, quando dicevano che gli importava un po’ troppo di quella ragazza.
Forse anche di più di Astra… Lui però non ci aveva mai voluto pensare seriamente.
E litigare con lei non era il modo migliore per iniziare qualcosa tra loro.
Nene gli era sembrata bellissima quella sera, molto più bella del solito.
L’aveva vista felice e lui era riuscito a farla piangere: meritava il primo premio per il miglior idiota dell’anno.

Sospirò e fece un altro tiro.
Per quella sera non ci voleva più pensare.








 

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Capitolo 7
*** Nora ***


Nora




Il ragazzo – avrà avuto 20 anni - la spinse contro il muro e Nora sorrise maliziosamente, sapeva le sue intenzioni.
E sapeva cosa doveva fare.
Si mise a ballare addossata alla parete, come se la cosa non la infastidisse per niente.
Per lei era un gioco e non avrebbe accettato una sconfitta.
Lo fissava, dieci secondi e quello avrebbe ceduto.
La musica era alta e le persone euforiche: si trovava in una delle migliori discoteche della città e, poiché aveva parecchie conoscenze, non aveva dovuto pagare nulla.
Con quel ragazzo era successo tutto in fretta, come spesso capita in situazioni del genere.
Nora stava ballando con le sue amiche, quando il ventenne – lei non lo conosceva - aveva deciso di provarci con lei.
E così si era ritrovata ad aspettare una sua mossa, cercando di porsi in maniera più sensuale possibile.
Le piaceva stuzzicare i ragazzi, ci cascavano sempre.
Le piaceva sentirsi desiderata, “amata”, anche solo per una mezz’ora.
Sentiva, in cuor suo, che nessuno l’avrebbe più amata veramente e per questo cercava di crearsene l’illusione uscendo con alcuni e facendo “cazzate” di questo tipo, come suo fratello le definiva.
Lui, Frank, era il suo angelo custode, l’unica persona che le avrebbe voluto bene sempre e comunque.
Il ragazzo si avvicinò a lei e le mise una mano sul bacino.
Nora fece uno sguardo confuso e stupito, lasciando le labbra semiaperte.
Sapeva che facendogli credere di avere la situazione in pugno, non sarebbe più tornato indietro, quando, in realtà, lei avrebbe potuto solamente gestire le carte in tavola ancora meglio.
Nora gli sorrise, era parecchio più alto di lei ed era costretta ad alzare lo sguardo per potergli osservare il volto: doveva ammetterlo, era davvero carino.
Il ventenne non perse altro tempo; con la mano libera le accarezzò la guancia, per poi avvicinarla velocemente a sé e rubarle un bacio.
Nora socchiuse le labbra e approfondì il contatto, muovendo sensualmente il bacino verso quello del ragazzo.
Sapeva bene la reazione che avrebbe ottenuto da quel suo gesto.
Lui s’irrigidì per un attimo, ma si riprese subito per seguire i movimenti della ragazza e stabilirne il ritmo.
Lei spostò le labbra lascive verso il suo collo, lasciandogli piccoli segni rossi e ritornando poi di nuovo alla bocca.
Il loro movimento stava aumentando insieme al loro desiderio.
Nora non l’avrebbe mai immaginato, ma quel ragazzo ci sapeva davvero fare.
Sapeva stare al suo gioco.
E anche stavolta avrebbe vinto la partita.

“…Nora!”

Giov la stava fissando, sembrava disgustato.
Che ci faceva lui lì?!  Non era partito?!
Nora si bloccò di colpo e si coprì il petto con le mani, come se fosse nuda.
Non voleva che lui la vedesse così e le lacrime le rigarono il volto.

“Perché sei tornato? Perché adesso?”

“Perché mi mancava qualcosa… Ma ho capito che non eri tu.”

Nora sentì che le gambe non le ressero più.
La testa le girava e aveva come una strana nausea.
Giov si stava allontanando, lei non poteva lasciarlo andare: sapeva che se lo avesse fatto, sarebbe stato per sempre.
Aveva bisogno di lui.
Si scostò di dosso il ragazzo che prima la stava baciando e si mise a correre, ma lui era davvero troppo distante.
Lasciò che un’ultima lacrima le bagnasse la guancia e urlò il suo nome con tutto il fiato che aveva in corpo.
Giov si fermò per un attimo, ma non si girò.
E Nora, stanca e abbattuta, si butto a terra.
Solo lui riusciva a demolirla in questo modo.
Era riuscita a fidarsi solo di lui, dopo suo fratello.
Era una delle persone più importanti della sua vita, era cresciuta con lui.
E sapeva che con lui, purtroppo, era lei a perdere.
Contro di lui avrebbe perso sempre.




Nora aprì gli occhi e osservò il soffitto bianco e triste.
La luce era filtrata nella sua camera, si era dimenticata di chiudere i balconi il giorno prima.
Allungò le braccia per sgranchirsele e si lasciò sfuggire uno sbadiglio.
Girò lo sguardo a destra, ritrovandosi il bordo del materasso: stava per cadere dal letto e le coperte erano già finite sul pavimento.
Aveva fatto un altro incubo, maledizione.
Ultimamente, a causa della notizia che le aveva dato Giov, erano diventati frequentissimi.
Espirò profondamente e decise di alzarsi, non sarebbe riuscita a riaddormentarsi se fosse rimasta a letto.
Andò in bagno e si rimirò allo specchio; il giorno prima era andata a dormire tardi e non si era nemmeno struccata.
Gli occhi, infatti, avevano uno spesso contorno nero, mentre alcune ciocche ricce le ricadevano in maniera disordinata sul volto, coprendole leggermente la visuale.
Raccolse i capelli con un elastico e si pulì il viso lavandoselo con acqua fredda.
Era un rito che ormai ripeteva ogni mattina e le serviva per riprendere lucidità velocemente.
Si sentiva già meglio così, anche se le parole e lo sguardo di Giov che aveva visto e sentito nel sogno le erano rimaste impresse in mente.
Nora sentì dei rumori provenire dalla cucina e non perse tempo ad andare a vedere chi ci fosse.
Nel divano c’era un ragazzo, non lo conosceva bene, ma sapeva che era amico di suo fratello e di Giov, e stava dormendo profondamente.
In cucina, invece, suo fratello stava rovistando nella dispensa e teneva in mano una confezione di latte.

“Buongiorno fratellino!”

Nora gli stampò un bacio sulla guancia e gli rubò il latte, per poi andare subito a sedersi versando il contenuto della confezione su un bicchiere.

“Ehi piccola peste! Non pensavo fossi già sveglia.”

Frank scelse un pacco di biscotti con gocce al cioccolato, i loro preferiti, e si sedette vicino a Nora dandole delle piccole pacche sulla testa.

“Ho fatto un incubo e non riuscivo più a dormire…
Voi invece avete festeggiato stanotte? Il tuo amico sta dormendo come un angioletto!”
“C’era la festa a casa di Ebb e siamo tornati tre ore fa.
L’angioletto mi aveva chiesto un favore perché non voleva tornare a casa e io l’ho portato qui.
Che incubo hai fatto?”

Nora sperava che non glielo chiedesse.
Buttò giù un sorso di latte e si prese il tempo per pensare a cosa dire.
Non voleva di nuovo finire a parlare di Giov, si sarebbe solamente rattristata.

“Non me lo ricordo bene…
Un tipo ci stava provando con me in discoteca e all’improvviso è arrivato Giov… gli ho chiesto perché fosse tornato, sembrava deluso e ha detto che gli mancava qualcosa, ma che quella cosa non ero io. E poi se n’è andato.
Tutto qui.”

“Nora… Senti già la sua mancanza adesso che deve ancora partire…
Almeno il ragazzo che ci provava con te era carino?”

Nora dovette tossire, poiché le andò di traverso il latte.
Suo fratello era davvero… impossibile.
Fece finta di prendersela e bofonchiò un “idiota” tirandogli un pugnetto sulla spalla.

“… Comunque, era molto carino.”

Frank scosse la testa e si alzò dirigendosi verso l’ingresso.

“Io esco, vado a vedere se è tutto apposto da Ebb.
Tu sei via a pranzo?”
“No, esco il pomeriggio… forse. A dopo.”

Frank alzò la mano come saluto e uscì di casa, lasciando Nora immersa nei suoi pensieri.

Lei sapeva che il sogno che aveva fatto rappresentava tutte le sue paure.
Aveva il terrore – e la certezza - che quando Giov fosse partito per andare con suo padre a Milano, le cose tra loro sarebbero cambiate.
Lui l’avrebbe dimenticata e la loro storia sarebbe precipitata come un aeroplano di carta.
Quando glielo disse per la prima volta, aveva pensato che stesse scherzando.
Stava fumando una sigaretta e sembrava abbastanza rilassato.
Era stato preciso e schietto, solo due parole: “Devo partire.”

Nora inizialmente non ci credeva, sembrava un’assurdità.
Al padre di Giov non era mai importato molto di lui, aveva in testa solo il lavoro e non si era molto preoccupato nemmeno del divorzio con la moglie, erano affari dell’avvocato secondo lui.
Gestiva un’importante azienda e avevano deciso di allargare il loro mercato trasferendosi a Milano.
Giov non sapeva nulla di tutto questo e aveva sempre cercato di stargli lontano, ma il padre - dal nulla - aveva deciso che suo figlio avrebbe dovuto seguire le sue orme e che per farlo avrebbe dovuto studiare a Milano in una scuola d’élite sotto il suo controllo.
Giov all’inizio aveva cercato di ribellarsi, non voleva andare a vivere lontano da sua madre e dai suoi amici con quello stronzo.
Lui lo odiava: suo padre gli aveva sempre detto che la colpa era sua se la loro famiglia si era divisa e che era un fallito.
Non aveva mai creduto in lui.
Non gli era mai stato vicino nella sua vita.
Lui si era trovato in trappola e nessuno avrebbe potuto tirarlo fuori dai guai.
L’aveva anche ricattato con delle minacce e avrebbe distrutto la sua vita e quella delle poche persone a cui Giov teneva, se non fosse andato con lui.

Nora purtroppo questo lo sapeva, ma lui non poteva abbandonarla così.
Non poteva andare a Milano, buttando all’aria tre anni di ricordi e progetti.
Ripensare al loro passato non era facile e il suo rapporto con Giov era stato sempre molto strano.
Si erano mollati un’infinità di volte, lei lo aveva tradito da ubriaca, lui pure e – diversamente da lei - anche da sobrio, ma alla fine erano sempre tornati insieme a tenersi per mano, a cercare di migliorare un po’.
Erano cresciuti insieme, conoscevano le rispettive debolezze: sapevano quando ci volevano i silenzi e quando invece gli abbracci forti.
Nora, però, era sicura che lui non la amasse, non più.
Vedeva i suoi occhi, erano diversi.
Lui era cresciuto ancor più e lei non era riuscita a stare al passo.
Forse lui si era innamorato di un’altra o forse aveva capito – e lei lo sapeva – che erano più come amici d’infanzia che facevano del sesso occasionale che amanti.
Non poteva lasciarlo andare per questo, non voleva.
Lei era ancora innamorata di lui, aveva ancora impresse le sue cicatrici e i suoi baci.
Mai si sarebbe dimenticata di ciò che le ha fatto provare, delle prime volte insieme e delle piccole guerre che avevano dovuto affrontare.
Lui c’era sempre stato per lei.
E per lei era come se la sua felicità dipendesse da lui.

C’era un libro che a Nora piaceva molto e che da piccola si faceva leggere ogni sera da sua mamma: si era innamorata di tutti i personaggi e soprattutto di una volpe molto saggia.
Questa aveva chiesto ad un piccolo principe di addomesticarla, perché, se ci fosse riuscito, lei sarebbe stata l’unica per lui e lui il solo per lei.
Sarebbero diventati diversi, “speciali” ai loro occhi rispetto a tutti gli altri.
Ad un certo punto la volpe diceva: “Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare delle ore aumenterà la mia felicità.
Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità!”.

Nora si sentiva così per Giov, riusciva a renderla felice…
E ora anche lei, come la volpe aveva fatto col principe, avrebbe dovuto dirgli addio.
Tutto quello che aveva costruito con lui sarebbe andato in frantumi per sempre.
E anche se lui le avesse ripromesso di tornare, lei sapeva che non l’avrebbe fatto.
Giov è una di quelle persone che se gli si permette di voltare le spalle, torna solo per far sentire la sua mancanza e per poi sparire di nuovo.
Per questo non aveva mai mollato.
Per questo fino all’ultimo l’aveva amato, anche se lui aveva smesso.
Nora avrebbe ricominciato la sua vita senza di lui, ma non poteva cancellare Giov come se fosse uno scarabocchio sul foglio.
Avrebbe sbagliato senza di lui, ma sarebbe cresciuta da sola.
Se però avesse rivisto il suo principe, sarebbe rimasto il più bello ed importante tra tutti.
Se lui fosse tornato, lei l’avrebbe accolto con il sorriso stampato in faccia e una mano tesa, pronta a stringere la sua.
Avrebbero potuto ricominciare tutte le volte che avessero voluto, lasciando la loro partita senza vincitori e perdenti.
E lei si sarebbe potuta sentire ancora una volta davvero felice. 

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Capitolo 8
*** Angy e Andy ***


Angy e Andy




Un altro nuovo giorno di scuola stava cominciando.
Non l’avrebbe mai pensato, ma le sembrava passata una vita dall’ultima volta in cui c’era andata.
Quel weekend era stato parecchio impegnativo e con tutte le cose che erano successe, ad Angy sembrava quasi strano che fossero passati solo due giorni.
Sabato pomeriggio sua madre l’aveva portata a fare shopping perché non aveva un vestito adatto per andare a teatro.
Aveva promesso alla sua migliore amica, Zeta, che si sarebbe vestita elegante per lo spettacolo di quella sera: non avrebbe potuto fare una promessa peggiore.
E, appena sua madre lo seppe, ovvero due ore prima dell’evento, decise che sarebbe stata una buona cosa comprarle qualcosa adatto all’occasione, dato che non era nel solito stile della ragazza.
Tornata dai negozi, si dovette vestire e preparare in fretta e non ebbe neppure il tempo di mangiare.
Con addosso un tubino rosso bordeaux, delle scarpe nere con un tacco 10cm (dovette prendere anche quelle), un copri spalle nero e tanta fame, riuscì ad arrivare stranamente in perfetto orario per l’inizio dello spettacolo.
Zeta era la sua migliore amica e una delle più brave ballerine di danza classica che conoscesse.
Ballava praticamente da tutta la vita, ci metteva passione e sembrava quasi che fosse la musica a controllare i suoi movimenti.
Angy un po’ si commosse a guardarla quella sera a teatro, quando danzava tirava fuori tutta la sua bellezza e si riusciva a cogliere quanto amasse farlo.
Appena terminò lo spettacolo, non poté fare a meno di correre ad abbracciarla.
Si sostenevano da sempre e non avrebbero smesso di farlo per nulla al mondo.

La serata però non si concluse così: dopo non molto, infatti, andarono a mangiare al McDonald, poiché neanche Zeta aveva cenato ed entrambe erano piene di fame.
Non si sarebbero mai aspettate di trovarsi di lì a poco a parlare e consolare una loro compagna di classe con cui raramente si trovavano ad avere a che fare.
Si accorsero, infatti, di due persone che avevano alzato il tono della voce e si stavano dirigendo verso l’uscita.
Riconobbero la ragazza: era una loro compagna di classe, Nora.
Stavano uno di fronte all’altra; lei aveva le lacrime agli occhi, ma non piangeva e il ragazzo con cui era si passò una mano tra i capelli guardandola leggermente preoccupato.

“Lasciami qui, Giov, mi viene a prendere mio fratello.
Ho bisogno di stare sola.”

Il ragazzo, insicuro su cosa fare, provò ad insistere, ma lei lo supplicò di lasciarla stare, che stava bene e non doveva preoccuparsi.
Lui sospirò, le diede un piccolo bacio sulla guancia e le voltò le spalle, uscendo dal fast-food.
Solo allora, dopo che il ragazzo se ne fu andato, Nora si coprì il volto e lasciò andare le lacrime.

Angy e Zeta si guardarono, entrambe pensavano la stessa cosa.
Anche se non parlavano molto con lei, si vedeva che non stava per niente bene e avevano finito di mangiare da un bel pezzo.
Si alzarono e, quasi avessero paura della sua reazione, si avvicinarono molto lentamente.

“Ehi Nora… Va tutto bene?”

Quando si girò, aveva gli occhi gonfi e lucidi e si vedeva che era parecchio sorpresa di vederle.

“Io e Zeta abbiamo visto che hai litigato con quel ragazzo e… non sembri in gran forma.
Se hai bisogno, possiamo parlare o ti possiamo fare solamente compagnia.”
Angy cercò di fare uno dei suoi sorrisi più rassicuranti, ma Nora la guardava con occhi vacui, sembrava… spenta.
Abbassò lo sguardo e tirò fuori dalla felpa un pacchetto di sigarette, cercando di sorridere alle due ragazze.

“Grazie ragazze… Però… Andiamo fuori, per favore.
Comunque non abbiamo litigato, è stata più una discussione poco amichevole.”

Uscite dal ristorante, si sedettero sul bordo del marciapiede.
Nora con una mano si portò la sigaretta tra le labbra, con l’altra cercò l’accendino nella tasca.
Gliene porse uno Angy, che aveva intuito cosa Nora cercasse.

“Volete?”

Nora allungò il pacchetto verso le due e Zeta scosse la testa, mentre Angy la ringraziò e prese una sigaretta.

“Non voglio intromettermi nei tuoi affari, ma non mi sembrava solo una discussione…
Sembra averti fatto male.
Se non vuoi dirci niente, posso capire.”

“Angy… conosci la sensazione che si prova quando la cosa che temi più di tutte capita e tu non puoi farci assolutamente nulla?”

“Io… No, non proprio.”

“Nora, quello è il tuo ragazzo? È successo qualcosa tra di voi per caso?
Spero di no…”

“No, Zeta… Però…”

“Io e Zeta siamo qui, ti ascoltiamo.
Ti prometto che non dirò assolutamente nulla, non ti giudicheremo.”

“Lui è il mio ragazzo, Giov, ed è anche una delle persone più importanti per me.
Va tutto bene tra di noi e ultimamente avevamo anche smesso di litigare così spesso.
È da circa tre anni che stiamo insieme, sono cresciuta con lui e difficilmente una persona è rimasta così tanto a lungo nella mia vita.
Finché lui resterà al mio fianco, so che in qualche modo le cose alla fine andranno bene.
Anche per questo ho sempre avuto tantissima paura di perderlo…
E ora invece…”

Nora si mise una ciocca di capelli dietro le orecchie e spense la sigaretta con la scarpa dopo averla gettata a terra.
Le ragazze la guardarono come per incitarla a continuare, ma lei era bloccata.
Fissava il mozzicone che aveva appena schiacciato e un silenzio intenso aveva pervaso l’intera zona.

“Io rimarrò qui sola.
Lui andrà a vivere a Milano tra pochi mesi, che in realtà potrebbero diventare poche settimane.
So che può sembrare una stupidaggine, ma sono certa che lui si dimenticherà di me.
E dovrò imparare a stare senza lui… Io…
Io non ce la posso fare senza Giov.”

Le lacrime minacciavano di nuovo di uscire e Nora abbassò lo sguardo.
Zeta non sapeva cosa dire e tantomeno Angy.
Non avevano mai vissuto una situazione del genere e certamente era impossibile immaginare un rapporto così importante come quello di Nora e Giov.
Si vedeva che le era difficile ammettere queste cose, magari non aveva neppure così tante persone con cui parlarne.
Angy la guardò un po’ perplessa, aveva paura di dire la cosa sbagliata e non ne aveva sicuramente bisogno.
Forse non la poteva capire, ma le sarebbe stata vicino.
Si avvicinò a lei e l’abbracciò, le sembrò la cosa più giusta da fare in quel momento.
Anche Zeta si unì a quell’abbraccio e Nora si accoccolò tra le due lasciando scorrere qualche lacrima sulle sue guance.

Le ragazze si fecero raccontare ancora della situazione di Nora, ma dopo non molto Zeta se ne dovette andare.
Quando le altre restarono sole, continuarono a parlare per ore e Angy cercò di tirare su di morale Nora, facendola ridere e raccontandole un po’ di sé.
Si trovarono d’accordo su molte cose, avevano gusti abbastanza simili e, ad Angy, Nora ricordò molto sua sorella.
Alla fine tornarono a casa a piedi insieme, il fratello di Nora non rispondeva al cellulare e dato che abitavano vicine, non furono costrette a fare molta strada da sole.
Se qualcuno avesse detto ad Angy tre giorni prima che lei e Nora sarebbero diventate amiche, non ci avrebbe creduto.
Però, grazie a quella sera, aveva completamente rivalutato la ragazza ed era felice di aver avuto la possibilità di farlo.
A volte, le persone a noi più affini sono quelle che notiamo di meno e che conosciamo meglio per caso.

Domenica si erano scritte per messaggio e Nora le aveva detto che non sarebbe venuta a scuola il giorno dopo a causa di qualche linea di febbre, così Angy le promise che il lunedì pomeriggio sarebbe passata a portarle i compiti e a vedere come stava.
La domenica era il giorno in cui poteva stare con sua sorella, Sole, e solitamente la passavano sempre insieme.

Loro non vivevano sotto lo stesso tetto.
Fin da piccole, dopo il divorzio dei loro genitori, erano state tenute separate: Angy viveva con la madre, mentre Sole stava dal padre, che nel frattempo si era risposato con un’altra donna.
Il legame delle due ragazze fu fin da subito così forte che decisero di vedersi comunque e di avere un giorno fisso solo per loro.
Avevano solo un anno di differenza e ci tenevano tantissimo l’una all’altra.
Per tutte le volte che i loro genitori le avevano trascurate e lasciate sole, loro c’erano state l’una per l’altra.
Quando si trovavano a casa da sole o avevano paura, anche delle cose più piccole, bastava pensare che anche l’altra molto probabilmente si era trovata in quella situazione ed era riuscita a superarla.
Si davano forza solamente pensandosi.
Erano essenziali l’una per l’altra e nessuno sarebbe stato capace di dividerle.

Quando si trovarono, il giorno prima, Sole sembrò terribilmente strana, quasi come se si trovasse in un altro mondo.
Angy lo notò subito, ma sapeva che doveva solamente aspettare che fosse la sorella a parlare.
Dopo non molto, Sole le disse quello che era successo tra Nene e Grow e ad Angy, che conosceva anche tutti gli amici di Sole, non fu difficile capire di chi si trattasse.
Poi finì anche per accennare qualcosa sulla questione “Ebbid”.

“Sole, quindi hai un nuovo ragazzo?”

Lo sguardo malizioso della sorella fece scoppiare a ridere Sole che la guardò sorpresa e indispettita, ma alla fine si trovò costretta a raccontare anche i minimi particolari.
Angy sapeva tutto di Sole e quest’ultima conosceva ogni cosa di Angy.
Non erano capaci di nascondersi nulla.
E se la sorella poteva essere felice con un nuovo ragazzo, lei l’avrebbe sostenuta.


Nell’aula entrò Zeta che si sedette vicino ad Angy gettando brutalmente per terra il suo zaino e ridestando l’amica dai suoi pensieri.
Angy, ripensando a quei due giorni precedenti, non si era accorta che l’aula si era già riempita e alcuni avevano cominciato a tirare fuori i libri.

“Ciao Zeta, che ti è successo?”

Zeta era arrossata e ansimava, molto probabilmente aveva dovuto correre: la campanella, infatti, era già suonata da un bel pezzo.

“Dopo… Dopo ti racconto!
Pensavo che il professore fosse già entrato in classe!”

“Sei stata fortunata, di solito Gerotto è sempre puntuale.”

Sicuramente era successo qualcosa, di solito Zeta non era mai in ritardo.
Angy scosse la testa e riprese a scarabocchiare il foglio, a ricreazioni le avrebbe chiesto spiegazioni.

Proprio in quel momento il professore entrò nell’aula.

“Buongiorno ragazzi, anche se oggi non ci sono buone notizie per voi: chi si offre volontario per una bella interrogazione?”

Le ragazze si guardarono terrorizzate, nessuno si aspettava un’interrogazione a sorpresa.
Dovevano solo sperare che quell’ora passasse molto in fretta.






 
 
 
 
 
 
Andy entrò nell’aula.
Stranamente c’era molto silenzio, da fuori avrebbe giurato che non ci fosse nessuno.
La situazione non era di certo migliore però di quello che avrebbe immaginato.
Sole e Nene erano sedute vicine, la prima, con una cuffietta sull’orecchio destro, guardava fuori dalla finestra, mentre l’altra scarabocchiava qualcosa su una pagina del diario e ogni tanto alzava lo sguardo per poi riportarlo subito al foglio.
Trav parlava con Grow, sembrava gli stesse raccontando qualcosa, ma lui non lo ascoltava, continuava a fissare Nene.
Andy ne era sicuro perché Grow si trovava due banchi più avanti della ragazza e guardava proprio verso di lei, che evidentemente stava cercando di evitare il suo sguardo.
Era certamente successo qualcosa tra quei due, non era normale come situazione.
Con sorpresa di Andy e di molti altri presenti nella stanza, entrò Giov dopo quasi un’intera settimana d’assenza.
Aveva il suo solito sorrisetto stampato in faccia e, poiché non ricevette attenzioni da Sole, si avvicinò alla ragazza.
Quella però lo liquidò velocemente con un “Ciao” e fece un sorriso radioso alla vista di una nuova figura sulla soglia della porta: Ebbid se ne stava in piedi appoggiato allo stipite con le mani in tasca e un sorriso rivolto esclusivamente a Sole.
Tutte le ragazze rimasero a guardarlo a bocca aperta, alcuni ragazzi invece borbottarono tra di loro.
Lui diede un bacio sulla guancia a Sole, non appena quella lo raggiunse, e la prese per mano per spostarsi in corridoio a parlare.
Andy si girò verso Giov: era rimasto paralizzato in mezzo all’aula e la sua espressione, da sorpresa, mutò in una molto più confusa e arrabbiata.
Digrignò i denti e si buttò sulla sedia di fronte a Trav.

Andy si avvicinò ai ragazzi e si sedette di fianco a Giov, quella mattinata si prospettava essere parecchio strana.
Si vedeva che il ragazzo al suo fianco era molto arrabbiato e quindi rivolse la sua attenzione alle uniche altre due persone vicine presenti.
 
“Ehi ragazzi, come va?”

“Andy! Tutto bene, tranne ‘sti due che proprio non li capisco: uno non mi ascolta, l’altro non mi ha nemmeno rivolto la parola.”

Come risposta Giov sbuffò, si mise le cuffiette e incrociò le braccia appoggiandovi sopra la testa, Grow invece continuò a guardare leggermente preoccupato Nene, ma poco dopo si alzò e uscì dalla porta.

“Tu non sai cosa sia successo?
…Sembrano diventati tutti pazzi.”

“Andy, ne so quanto te e non saprei neanche a chi chiedere…”

Nene si avvicinò ai ragazzi e diede un bacio ad entrambi per poi occupare il posto di Grow.

“Nene, almeno tu sei di buon umore! Puoi dirci cosa sta accadendo qui dentro?”

“Niente, a me sembra tutto normale, tranne per il fatto che Grow è diventato ancora più stupido di quello che era.
Ah, Sole ha un tipo parecchio figo che le va dietro!
E… Mi sembra che non ci siano altre nuove notizione.”

I ragazzi rimasero a guardarla per alcuni secondi, non sapevano cosa risponderle.
Forse non era poi così allegra e anche lei era coinvolta in quello che era successo.
Andy pensò che sarebbe stato meglio aspettare per chiederle altre informazioni su cosa fosse accaduto con Grow, così si concentrò sulla novità a cui avevano assistito poco prima.

“Quel ragazzo… da dove sbuca fuori?”

“Si sono conosciuti alla festa di sabato e credo si siano piaciuti molto.
Lui non è uno stronzo, come invece molti altri ragazzi di questa classe, e quindi sono felice per lei se le cose andranno bene.
Si chiama Ebbid ed è un gran figo, oltre che un ragazzo simpatico, dolce e single.”

Il sorriso perennemente stampato in faccia di Nene era sicuramente falso e tutte quelle cose non le stava dicendo a caso.
Trav e Andy non sapevano cos’altro chiederle o come cambiare argomento, ma furono salvati dall’entrata in classe della professoressa di storia, seguita a ruota da Sole e Grow.
Nene si andò velocemente a sedere al suo posto e si mise a parlare sottovoce con Sole, Grow si rimise a lanciarle qualche occhiata e Giov rimase con la testa appoggiata alle braccia.
Trav e Andy si lanciarono uno sguardo d’intesa e sbuffarono.
Quella sarebbe stata di certo una lunga giornata e entrambi avevano il timore che non sarebbe stata l’unica.


 

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Capitolo 9
*** Zeta e Angy ***


Zeta e Angy





Gli studenti seguivano svogliati la lezione di storia dell’arte che precedeva la ricreazione e, dopo l’interrogazione della prima ora, l’attenzione di tutti era calata a picco.
La “verifica orale” aveva raso al suolo l’intera classe e voti, come 5 e 4, erano fioccati dalla penna del professore. 
Era stata una vera e propria fucilazione di massa compiuta con ordine e precisione e il professor Gerotto era riuscito a chiamare l’intera classe. 
Il suo metodo di valutazione era molto semplice: la persona chiamata andava alla lavagna, gli veniva assegnato un quesito dal libro di “Matematica avanzata per piccoli geni” e lo studente interrogato aveva due minuti per svolgerlo. Sbagliare a trascrivere anche solo i dati voleva dire già sapere di potersi solamente sognare l’insufficienza meno grave. 
Le uniche persone che si salvarono quella mattina furono Lele con un 7, Luke che stranamente aveva raggiunto il 6, Angy con un 6- e Nora che era assente.
Voti di questo tipo avevano portato il professore a pensare che gli studenti andavano male per il semplice fatto che non si impegnavano abbastanza e così con un sorriso stampato in faccia e gli occhiali spessi calati sul nasone fissò una “verifichetta facile per farci venire la voglia” che avrebbe testato lo studio dei ragazzi la volta seguente. 

L’ora di storia dell'arte, a seguito del trauma causato dal professor Gerotto, fu per gli studenti ciò che di meglio potessero desiderare in quel giorno. 
Nei posti più distanti dagli occhi della professoressa, Lele usava tranquillamente il suo cellulare, mentre la sua compagna di banco, Zeta, lo guardava leggermente alterata, ma troppo assonnata per lamentarsene. A suo parere era stupido non prestare attenzione durante la lezione, lei imparava parecchio solamente ascoltando e inoltre riusciva a capire meglio l’argomento. 
Ovviamente occupare il tempo della spiegazione usando il cellulare era da persone poco intelligenti, eppure quel suo compagno di classe riusciva ad eccellere in quasi tutte le materie, pur non ascoltando nessuna lezione ed era questo a darle soprattutto fastidio. Come poteva quel deficiente prendere voti alti senza scrivere appunti e nemmeno sentendo per caso quello che i professori dicevano?
Per lei sarebbe rimasto sempre un dilemma irrisolto, come il quesito di matematica che aveva tentato invano di affrontare quel giorno. Che poi, appena era tornata al posto col suo 4 e un’espressione facilmente interpretabile da persona che non voleva essere infastidita, Lele aveva avuto la faccia tosta di chiederle com’era andata aggiungendo anche che, se avesse voluto, le avrebbe potuto dare ripetizioni alludendo a ben altro e accompagnando il tutto con un sorriso smagliante e un occhiolino. 
Lei lo aveva ignorato sbuffando; solitamente ci avrebbe riso sopra, ma ultimamente Lele le dava più fastidio del solito.

Zeta si rese conto che lei stessa però si era distratta pensando a quello che stava facendo il ragazzo e che forse non poteva biasimarlo più di tanto perché non seguisse: subito dopo si ritrovò a sbadigliare a conferma del fatto che quella lezione non era poi così interessante.
Decise di cambiare il suo oggetto di interesse e si mise ad osservare Angy reggendosi la testa con la mano: quella si trovava invece alla sua sinistra, anche lei aveva smesso di ascoltare le parole dell’insegnante e i suoi appunti erano diventati schizzi in penna di ritratti. Era davvero brava a disegnare e l’aveva imparato senza seguire alcun corso. 
Oltre ad avere questo talento, che lei continuava a cercare di sminuire quando gli altri glielo facevano notare, Angy amava l’arte in generale ed era molto appassionata di fotografia. 
Sosteneva che le foto le permettevano di fermare il tempo e di catturare le emozioni.
Zeta sospirò stanca e incrociò le braccia ripensando allo strano e buffo incontro che aveva avuto quella stessa mattinata: anche lei avrebbe voluto bloccare quel momento, le sembrava così impossibile tutto quello che era accaduto. E lei non era mai stata molto spontanea con i ragazzi, cosa le era saltato in mente di avvicinarsi a lui e... 
Arrossì all’improvviso e si coprì velocemente il volto con le mani, attirando così lo sguardo di Angy che la osservava confusa.
Anche il ragazzo al suo fianco alzò gli occhi dal suo schermo, ma scosse la testa e ritornò alla sua attività senza farsi troppe domande.

“Ragazzi, per venerdì dovete portarmi una ricerca sulla Nike di Samotracia. 
Vi metterò voto, quindi niente cose copiate e incollate da Internet.”

Alcuni studenti presero appunti sul diario, altri continuarono a parlare con i compagni vicini quasi come se la professoressa non ci fosse.
La campanella suonò proprio in quel momento e Angy si girò subito verso Zeta con un sorriso sornione stampato in faccia.

“Che avevi stamattina?”

Zeta la guardò dubbiosa, senza inizialmente capire cosa l’amica intendesse.
In poco tempo le sue guance si colorirono -di nuovo- di un vivo rosso porpora e rimase per qualche secondo a fissare Angy imbambolata.
Balbettò qualche parola sconnessa e ridacchiò senza alcun motivo apparente.
Sapeva che avrebbe dovuto parlare, ma non aveva idea da dove cominciare.

“Ma chi? Io? Non... Non ho assolutamente nulla!” 

“Non serve che mi nascondi le cose e poi deve essere successo per forza qualcosa perché stamattina sei arrivata in ritardo! Chi ti ha portato a scuola?” 

Angy riusciva a centrare la questione e, trovandosi le mani legate, Zeta si vide costretta a raccontare tutto all’amica.

“Allora… Sarà un racconto un po’ lungo. Intanto la mattina è iniziata malissimo: non ho sentito la sveglia, mi sono alzata dopo molto e ho dovuto fare tutto in fretta. 
Non sono riuscita a mangiare e lavandomi i denti mi sono sporcata la mia felpa preferita con il dentifricio e per questo mi sono dovuta pure cambiare i vestiti.
Sono uscita di casa tardissimo e mi sono messa a correre come una deficiente sperando di riuscire a prendere l’autobus… che ovviamente mi è passato davanti.
Quello era l’ultimo che potevo prendere e oggi era pure in anticipo, proprio l’unica volta che faccio tardi. 
Così ho cominciato ad insultarmi ad alta voce e a elencare la serie di sfortune di quella mattina, in quella strada a quell’ora non c’è mai nessuno e non mi sono nemmeno posta il problema.
Solo che giustamente l’unica volta in cui mi metto a parlare da sola DEVE esserci per forza qualcuno, altrimenti non sarei abbastanza sfigata. 
Infatti ho sentito la risata di un ragazzo e mi sono girata per capire e… C’era il mio vicino di casa figo in macchina con il finestrino aperto – perché giustamente bisogna girare con i finestrini aperti a Marzo! - che mi guardava ridendo senza neanche trattenersi troppo… Appena me ne sono resa conto mi sono sentita tantissimo in imbarazzo… Insomma… Solo io riesco a fare figure di merda proprio con un ragazzo così bello!”

Angy cercava di non scoppiare a ridere in faccia all’amica, coprendosi la bocca con le mani e cercando di rimanere seria, ma non le riuscì molto bene: quella, infatti, la guardò male, ma non si scompose.

“Che bell’amica che sei, ridi delle mie disgrazie! E comunque non ho finito…”

“Scusami Zeta, ma… è troppo esilarante!”

E, a quel punto, Angy non si trattenne più e scoppiò a ridere senza alcun ritegno, attirando su di sé gli sguardi dei compagni di classe che non capivano cosa fosse successo.

“Appena finisci dimmelo, che forse continuo.”

“Scusami dai, ma lo sai che sono fatta così. Comunque dicevi? Giuro che mi cucio la bocca finché non hai finito.”

Angy si mise una mano davanti alla bocca come ulteriore conferma del fatto che non avrebbe parlato e, anche se continuava a sogghignare, aspettò che l’amica continuasse il suo racconto.
Zeta in risposta sbuffò e cercò di riordinare i pensieri per riprendere il discorso.

“Allora… Si chiama Derek, io lo conoscevo solo di vista perché abita nella casa affianco alla mia ed è un amico di mio cugino di secondo grado, ma non ci avevo mai parlato insieme.
Comunque quando si è messo a ridere ci sono rimasta parecchio male e me ne stavo per andare veramente incazzata, ma lui mi si è accostato con la macchina e mi ha detto che gli dispiaceva di aver riso e mi ha fatto un sorriso così bello e paradisiaco … E la cosa che mi ha più sorpreso è che si ricordava il mio nome! Mi ha chiesto che scuola facevo e ci ho messo alcuni minuti per rispondere facendo un’altra figura di merda: non hai idea di quanto presa male fossi in quel momento. 
Mi sembrava di non riuscire più a parlare e avevo caldissimo, che idiota che sono.
Alla fine mi ha detto che doveva anche lui venire da queste parti e mi ha chiesto se, per farsi perdonare di avermi riso in faccia, poteva accompagnarmi a scuola.
Non avrei mai accettato un passaggio da un qualsiasi sconosciuto, ma data la situazione, il fatto che sapevo che era affidabile e quel suo sorriso smagliante… Non potevo dirgli di no!” 

“Certo che avresti potuto… Te l’hanno mai detto di non fidarsi degli sconosciuti?”

Angy e Zeta rimasero ammutolite e si girarono a guardare Lele, il ragazzo alla loro sinistra che pur sembrando tanto disinteressato dalla loro conversazione – non aveva staccato gli occhi dallo schermo che teneva tra le mani per nemmeno un secondo – si era intromesso nel discorso senza farsi tanti problemi.
Angy stava per parlare, ma Zeta non perse tempo a rispondere prontamente al ragazzo.

“E’ stato molto gentile con me e non era proprio uno sconosciuto… E comunque non stavo parlando con te.”

Quello sorrise non aspettandosi una risposta così pronta e sapendo bene di aver raggiunto con facilità il suo obiettivo: infatti, Zeta sbuffò e incrociò le braccia al petto, particolarmente infastidita dal commento del ragazzo.
Era risaputo che i battibecchi fra i due fossero frequenti e alcuni sostenevano che avrebbero potuto passare ore a rispondersi male e a darsi fastidio.
Sembravano costantemente in competizione: erano i migliori della classe a livello di voti in filosofia, storia e italiano e qualsiasi scusa diventava per Lele un pretesto per iniziare una delle tante loro liti, quasi come se lanciare sfide a Zeta fosse ciò che più lo divertisse. Spesso capitava che andassero anche d'accordo e, pur essendo vicini di banco, non si erano ancora scannati e probabilmente solo grazie alla pazienza della ragazza. 
Era sempre il ragazzo a cominciare le discussioni ed era più forte di lui stuzzicarla e farle venire quella specie di adorabile broncio che faceva quando lui la infastidiva. 
Espressione che aveva assunto anche in quel momento e che aveva catturato dal cellulare lo sguardo di Lele obbligandolo a posare gli occhi su quelli di lei. 

“Hai parlato con un tono così alto che credo ti abbia sentito anche la classe affianco.” 

Lele le parlò con un sussurro e uno sguardo soddisfatto, tenendo i suoi occhi azzurri fissi su quelli di lei, ben conscio di avere sotto controllo la situazione. 
Entrambi potevano sentire il respiro dell'altro tanto che erano vicini.
Zeta rimase ammutolita con la bocca schiusa e le guance dal rossore ancor più accentuato: era possibile che fosse la vicinanza di Lele a farle questo effetto? 

Abbassò lo sguardo lentamente, non aveva mai guardato da così vicino Lele: le sue iridi erano di un celeste chiarissimo, le sembravano fatte di ghiaccio e poi la sua bocca... Ma non poté pensare ad altro perché Angy si intromise tra i due e strappò via Zeta da quella strana situazione che si era creata. 
Senza neanche rendersene conto l'aveva trascinata in bagno e la fissava con un po' sguardo corrucciato: non era un buon segno.

“Cosa stavi facendo con Lele? Ma dico... almeno potevi dirmelo che eri attratta da lui! E poi così, davanti a tutta la classe!” 

Zeta guardava l'amica come se stesse delirando. A lei non era parso di aver fatto nulla di male.

“Angy, calmati. Eravamo solo vicini a discutere come sempre...”

“Troppo vicini!”

“Okay, forse tanto vicini, il che è strano, ma non è successo nulla di male no?” 

“Certo, perché ti ho portato via! Vi stavate per baciare! Davanti a tutta la classe!” 

“COSA? No, dai. No. Insomma... No! Angy, te lo sei sognato.” 

“Io ne sono sicura. Guarda, la prossima volta ti lascio lì così vediamo chi ha ragione! E comunque, cambiando discorso... Alla fine con Derek?” 

“Abbiamo parlato tantissimo in macchina e gli ho raccontato dei miei problemi con la matematica... Così lui si è offerto di farmi ripetizioni gratuitamente, ha detto che la mia compagnia è una ricompensa più che sufficiente.”

“Oh mio Dio, che dolce! Sei fortunata Zeta, questa è tutt'altro che una giornata sfigata!” 

Le due scoppiarono a ridere e la campanella suonò segnando la fine della ricrazione. 
Zeta ricordandosi poi di quando aveva salutato il ragazzo, abbassò lo sguardo e arrossì vistosamente.

“Comunque alla fine prima di scendere per ringraziarlo... Io... Gli ho dato un piccolo bacio sulla guancia.”

La ragazza sorrise e si compri il volto con entrambe le mani, mentre Angy la guardò abbastanza sorpresa. 
Zeta non era mai stata spontanea con i ragazzi e non era certo da lei farsi avanti in questo modo. Così decise di abbracciarla forte buttandosi letteralmente addosso a lei.

“Brava la mia Zeta rubacuori!” 

“Rubacuori? Ho solo dato un bacio sulla guancia a Derek, niente di più! E poi non è neanche detto che gli piaccia...” 

“Anche il nostro Lele sembrava molto preso da te prima! Comunque siamo già in ritardo, forza!” 

Le due si misero a correre per i corridoi della scuola, ma Zeta era perplessa per l'affermazione dell'amica: era mai possibile che a Lele piacesse lei? 
E si stavano davvero per baciare qualche minuto prima? 
Se così fosse stato... Zeta scosse la testa cercando di allontanare quell’assurdo pensiero, non sapendo che in classe un ragazzo dagli occhi celesti si stava ponendo le stesse domande.

























L’indirizzo era quello giusto e, avendola accompagnata qualche giorno prima a casa, sapeva bene dove abitasse Nora.
Fece un respiro profondo e si avvicinò alla scalinata che precedeva la porta dell’abitazione.
Nora abitava al piano terra di una serie di appartamenti collocati su un unico condominio, però la sua abitazione era leggermente rialzata per dividerla dalla porta d’ingresso di tutti gli altri condomini.
Angy salì la scalinata, l’amica non le aveva più risposto al cellulare e sperò con tutta se stessa che non si fosse addormentata.
Le aveva promesso che sarebbe passata a casa sua a salutarla, portarle i compiti e fare quattro chiacchiere e Angy cercava sempre di mantenere le sue promesse.
Aveva una strana sensazione alla bocca dello stomaco e non sapeva bene cosa fare. Di solito le veniva prima che accadessero cose inaspettate e particolari, ma decise di non darci troppo peso.
Alla fine, dopo aver guardato la porta per qualche secondo, bussò, ma probabilmente lo fece troppo piano poiché nessuno venne ad aprirla.
Angy si guardò intorno, magari qualcuno sarebbe fortunatamente accorso in suo aiuto… oppure no.
Sospirò un’altra volta e decise di metterci un po’ più di energia.
Passarono alcuni secondi e di nuovo si trovò da sola a fissare ciò che la divideva dall’interno dell’appartamento.
Forse Nora era dovuta andare via e non aveva potuto avvertirla.
Così Angy pensò che sarebbe stato meglio ripassare più tardi, non era molto distante da casa sua e non ci sarebbero stati problemi per lei.
Lanciò un’ultima occhiata alla porta e provò a ribussare senza molto entusiasmo: anche questa volta il silenzio fu l’unica risposta, così decise di girarsi e tornare a casa.

“Ma chi... Ehi ragazzina, ti serviva qualcosa?”

Angy si fermò spiazzata da quella voce adulta e bassa di qualcuno che molto probabilmente si stava rivolgendo a lei. Le era sembrata estremamente sensuale, ma non poteva farsi delle pare solo per una voce. 
Così si stampò un sorriso sul volto e imponendosi di essere cortese, si girò per presentarsi.

“Piacere, io sono...” 

La voce le si spezzò in gola e sentì il sangue colorarle le guance: non era tanto il ritrovarsi un alto bellissimo ragazzo dai capelli neri a guardarla intensamente appoggiato allo stipite della porta a farle questo strano effetto di paralisi fisica e mentale momentanea, ma soprattutto il fatto che aveva solamente un asciugamano addosso.

Angy si chiese perché non avesse minimamente pensato di vestirsi prima di venirle ad aprire alla porta, dato che ne aveva avuto tutto il tempo, ma i suoi occhi apprezzarono molto la cosa.

“Tu sei? Tranquilla, mica ti mangio!”

La ragazza rimase ancor più scandalizzata e non era più tanto sicura dell’indirizzo. 
Si era dimenticata di terminare la frase facendo una figuraccia orribile e non le era mai capitato prima. 
Inoltre non sapeva chi fosse questo ragazzo: Giov non era di sicuro perché aveva visto delle foto e poi le venne in mente... Se Nora avesse deciso di tradire Giov poiché lui voleva abbandonarla andandosene a Milano?! 
Questo sarebbe il suo “amante” e lei magari li aveva disturbati mentre stavano... 
Angy scosse la testa, non ci voleva nemmeno pensare, era troppo assurdo. Era sicura che Nora avesse la febbre e non farebbe certe cose in questo stato, inoltre non tradirebbe Giov quando sa che sta per venirla a trovare una sua amica, però... 
Però allora che ci faceva lì quel tipo così carino nudo? 
E quel ragazzo non sembrava nemmeno rendersi conto del fatto che la situazione per lei potesse essere un tantino imbarazzante.

Per capire la situazione doveva riprendersi e dargli una risposta, si sentiva già abbastanza stupida per essersi imbambolata in quel modo.

“Sono Angy, un amica di Nora! Le dovevo portare i compiti e sono venuta anche a vedere come sta.” 

Concluse la frase con un sorriso amichevole, cercando di guardare il ragazzo in faccia. 
Ora Angy era Angy e aveva ripreso il controllo su se stessa. 
Era abbastanza soddisfatta di essere riuscita a formulare una frase senza dire cose stupide o balbettare. 

“Perché Nora non mi presenta mai le sue amiche? Ah, comunque grazie, entra pure Angy. Fa come se fossi a casa tua! Io sono Frank, il fratello di Nora.” 

Se Angy avesse potuto prendersi a pugni, l'avrebbe fatto proprio in quell’istante. 
Come aveva potuto pensare quelle cose di una sua amica? Che stupida! 
Frank era solamente suo fratello... O meglio, il suo affascinante e praticamente nudo fratello.

Frank si spostò a lato per far passare la ragazza, Angy si sentì fin troppo osservata e la cosa la faceva sentire dannatamente in imbarazzo. Perché la guardava così? 
Entrò nell'appartamento: era piccolo e accogliente e la prima stanza a cui si aveva accesso direttamente dalla porta d'ingresso era il salotto al cui centro vi erano due grandi divani bianchi. La televisione posta di fronte ai divani era accesa su un canale musicale tenuto a volume molto basso. 

Angy non sapeva cosa fare o cosa dire e dopo essersi guardata intorno si fermò in piedi in mezzo alla stanza; poiché il ragazzo non si decideva a toglierle gli occhi di dosso, si sentì in dovere di “rompere il ghiaccio”. 

“Non sapevo che Nora avesse un fratello! Avrei una piccola curiosità, ti presenti sempre così alla porta?” 

“In realtà stavo aspettando visite, ma non penso ci sia niente di male... Non hai mai visto un ragazzo nudo?” 

Frank con un sorriso malizioso si avvicinò pericolosamente a lei e Angy si ritrovò nuovamente spiazzata e senza riuscire a rispondere qualcosa: certo che aveva visto un ragazzo nudo, ma il modo in cui la guardava la faceva andare completamente nel pallone. 
E poi le sembrava che si stesse prendendo gioco di lei e lei odiava essere presa in giro, ancor più da un ragazzo che non conosceva.

Angy incrociò le braccia e guardò di lato da evitare lo sguardo del ragazzo. 
Si doveva concentrare, voleva scappare da quella situazione imbarazzante. 
E non voleva farsi scalfire da delle stupide domande e da quel ragazzo con un corpo così... Doveva serialmente calmarsi o avrebbe fatto la figura della bambina stupida che si imbambola davanti al primo ragazzo nudo che vede.

“Certo e comunque dove posso trovare Nora?” 

“Non sembrava da come sei rimasta a fissarmi prima... Penso ci abbia sentiti, dovrebbe arrivare a momenti.”

Nora, infatti, non perse tempo a materializzarsi nella stanza, si vedeva che non stava bene, ma non sembrava molto influenzata.

“Frank, ti ho sempre detto di coprirti quando abbiamo ospiti, potresti spaventarla!” 

Nora ridacchiò della sua stessa affermazione, Frank le sussurrò qualcosa all’orecchio che Angy non riuscì a sentire e le diede un buffetto sulla fronte, ma qualcuno bussò alla porta interrompendoli. 
Frank sbuffò e andò ad aprire. 
Fece il suo ingresso un altro ragazzo, anche lui molto carino, dagli occhi azzurri e i capelli biondi e si mise a ridere vedendo l'abbigliamento dell'amico. 

“Aspettavi visite Frank?” 

“Vedrai poi, Grow, anche se quando arriverà la persona che sto aspettando ti chiederò non cortesemente di andartene.”

Ad Angy sembrò di aver già sentito quel nome, “Grow”... Poteva essere l'amico di sua sorella? Quello che aveva litigato con Nene... Però non si presentò e tenne le sue domande per sé.
Nora invece, sentendo le parole del fratello, sembrò ridestarsi e puntò l'indice contro Frank aggrottando la fronte.

“Ehi, io non voglio esserci in casa mentre voi due pomiciate qui in salotto!” 

“Dai Nora, per favore, fatti un giretto con la tua amica, tanto ti è passata la febbre no?” 

“Fanculo Frank! E solo per stavolta...” 

Angy osservava quel quadretto confusa e spaesata, mentre Frank stampò un bacio sulla fronte a Nora per ringraziarla. 
Stava per rivolgersi anche ad Angy, ma Nora la prese per mano e la trascinò fuori casa dicendo che sarebbe stato meglio lasciarli soli, accompagnando il tutto con un occhiolino.

Angy era davvero molto confusa. 
Era quel ragazzo dagli occhi azzurri la persona che Frank stava aspettando? 
E se era vestito così e Nora aveva parlato di “pomiciare”... Frank era gay
Angy non capiva nemmeno perché stesse pensando a quel ragazzo, ma la sua scoperta la rese ancor più confusa. 
Non le doveva importare nulla di lui, eppure si sentiva abbastanza triste dell'idea di non aver nemmeno un briciolo di speranza. Ma a che stava pensando? 
Era il fratello di una sua amica, non poteva farle questo! 
Sarebbe stato così strano... Però Frank... Dio, aveva qualcosa di così attraente quel ragazzo.

“Scusami se ti ho trascinata via in questo modo, non ti ho neanche presentata all'amico di mio fratello, ma non penso sia stato così fondamentale per te. 
Doveva solamente comprare della roba da lui, solo che dopo arriva una sua amica e beh... Sai cosa succede insomma. Madonna, quella tipa poi non la sopporto. È una specie di Barbie viziata: bionda, ricca e stupida! 
E io devo pure fare la carina e fingerci di andare d'accordo.” 

La testa di Angy era diventata una vera e propria trottola e le sembrava di essere sulle montagne russe, non ci stava capendo più nulla e aveva le idee più confuse di prima.

“Ferma ferma ferma, Nora... Tuo fratello non è gay!?”
“COSA!? Tu pensavi che mio fratello fosse gay!?” 

Nora dovette fermarsi in mezzo alla strada e tenersi la pancia per le risate, mentre Angy la guardava scandalizzata non pensando di aver detto qualcosa di così divertente. 

“Certo... Aspettava qualcuno mezzo nudo e poi è arrivato quel ragazzo e io ho collegato le cose... Oddio, scusa!”

“Andiamo a sederci su quelle altalene... 
Non devi scusarti con me, dovresti farlo con lui! 
Non è per nulla gay, nemmeno un po' e gira sempre per casa in mutande di solito, tanto che c’ho fatto l'abitudine. 
Però mi sa che questa gliela racconterò, vorrei vedere la sua faccia!” 

Le due ragazze entrarono nel parco giochi e occuparono le altalene iniziando a dondolarsi lentamente; Nora stava ancora ridendo per quello che aveva detto Angy, la quale aveva la fronte corrucciata e cercava di ignorare l'amica. 

“Ma sì, tanto ho già fatto abbastanza figure di merda con lui da rovinarmi la reputazione e poi non devo avere nulla a che fare con lui, giusto?” 

“Che altre figuracce hai fatto?” 

Nora tirò fuori dalla borsetta che teneva a tracolla un pacchetto di sigarette e, dopo averne sfilata una lo porse ad Angy.

“Te ne dovrò uno intero se continui ad offrirmele così! 
Beh, quando mi ha aperto la porta credo di aver lasciato a metà la frase... però è colpa sua, nessuno apre la porta praticamente nudo! 
E poi gli sarò sembrata un’idiota, forse anche perché lo sono, ma questa è un'altra storia.” 

Nora nascose un risolino con la mano e fece un tiro dalla sigaretta. 

“Fidati, non gli sei sembrata per niente un’idiota e conosco abbastanza bene mio fratello per potertelo dire. Spero non sia stato troppo molesto con te e comunque non preoccuparti per le sigarette, sono sue!” 

Nora fece l'occhiolino e Angy arrossì attirando su di sé lo sguardo dell'amica: la situazione le ricordò Zeta e il suo racconto di quella stessa mattina. 

Dio, si sentiva così patetica. 
Non poteva essersi presa una cotta per un ragazzo che nemmeno conosceva! 

“Ah l’amore! Se vuoi ti aiuto, tanto so bene cosa fa partire di testa mio fratello! 
Secondo me sei già a buon punto!” 

Angy sbarrò gli occhi, Nora aveva già capito tutto. E forse era anche inutile negarlo. 
Il rossore diffuso sul viso di Angy si era fatto sempre più evidente e il suo imbarazzo era stato sottolineato anche dal fatto che si arrotolava una ciocca di capelli tra le dita, cosa che faceva sempre quando diventava più nervosa. 

“Amore? Ma a me non piace tuo fratello e poi hai detto che è anche impegnato! Insomma, comunque non avrei speranze.” 

Tuttavia il sorriso che Nora le mostrò sembrava cercare di convincerla del contrario. 
E Angy capì che Nora non si sarebbe arresa finché non lo avesse ammesso.

“Mi sentirei in colpa, ma... Devo ammettere che è davvero affascinante. Però è una cosa di famiglia!” 

“Ti ringrazio per il complimento e, Angy, non ti devi sentire in colpa per nessun motivo. L'ho capito da come lo guardavi che ti piaceva, sembravi imbambolata.”

Nora rise ripensando all'espressione buffa dell'amica e sapeva che anche al fratello non era rimasta indifferente Angy. Quest'ultima arrossì ancor più e penso che certamente le sue speranze con quel ragazzo erano davvero molto limitate.

“Angy, tu non pensarci più, risolverò io la questione! Fidati di me. 
E poi sarà facile sbarazzarsi della bionda, loro due sono solo scopamici.” 

“Cosa? Scopamici? Ma quindi... Beh, dovevo immaginarlo che tuo fratello l'avesse già fatto. E poi se magari in realtà sono innamorati? 
E lei sicuramente è bellissima, mentre io... Io sono solamente io... Non gli piacerò mai...” 

“Ho capito, dobbiamo cambiare discorso, sei troppo testarda! Com’è andata a scuola? Ci sono delle novità?” 

“Sei stata fortunata a non venire, Gerotto ha interrogato facendo una strage e io mi sono salvata con un 6- perché mi ricordavo qualcosa dalla volta prima. 
Per il resto è stata una giornata normale e quella di arte ci ha dato una ricerca da fare. 
Ho portato gli appunti, ma ho lasciato la borsa a casa tua. 
Tu come stai adesso?”

“Niente febbre, avevo qualche linea ieri, ma nulla di grave. 
Più che altro ero stanca perché è da tre giorni che non dormo e faccio incubi e ieri ho pure dovuto fare da babysitter all'amico di mio fratello che abbiamo incrociato a casa. 
Era rimasto a dormire da noi e Frank se ne è andato lasciandomi da sola con lui che doveva gestire una post ubriacatura con mal di testa ecc. Ho deciso di prendermi una giornata di pausa da tutto e a quanto pare ho fatto bene.” 

“Mi dispiace per te, dev'essere brutto non riuscire a dormire e certamente ti ha fatto bene stare a casa un giorno in più. 
È per Giov che non dormi?” 

Angy sapeva che rischiava di farla star peggio facendole domande di questo tipo, ma sapeva anche che Nora doveva imparare ad affrontarlo e che non avrebbe mai tirato fuori il discorso da sola. 
Quella si passò una mano tra i capelli e sospirò; il suo volto si era improvvisamente rabbuiato e gli occhi erano spenti.

“In parte sì. 
Sogno che se ne va o che torna per dirmi che non ero importante per lui. 
Poi mi sveglio e non riesco più a dormire. 
Non lo sento da un po’ e oggi avremmo dovuto vederci, ma non credo si farà vivo. 
Gli ho scritto stamattina e non mi ha nemmeno risposto. 
Mi manca già.” 

Nora aveva gli occhi gonfi a causa delle lacrime e Angy si alzò e si avvicinò a lei abbracciandola forte e accarezzandole la testa. 
Era una cosa che a volte sua sorella faceva con lei quando la vedeva triste e la aiutava a calmarsi.

Questo “Giov” era proprio un disastro: non solo aveva scombussolato la vita di sua sorella Sole, che a lei teneva più di ogni altra persona, ma ora stava facendo star male anche una sua amica. 
Era assurdo tutto quello che stava accadendo e tutto per colpa di una sola persona. 
Ed Angy pensò che, in quel momento, forse era davvero un bene che Giov se ne andasse per un po’ dalla vita di tutti.

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Capitolo 10
*** Grow ***


Grow






“Allora Grow... Quanta ne vuoi?” 

Frank si buttò sul divano malamente, appoggiando i piedi sopra il tavolino in legno posto davanti a lui. Si mise una mano sopra la fronte e socchiuse gli occhi. 
Si sentiva un po’ accaldato, ma pensò che fosse a causa della doccia bollente che si era fatto poco tempo prima.

“Non troppa... fammi 10 dai.
Ma l'hai vista quella tipa? E tu che mi dicevi che le amiche di tua sorella erano tutte cesse! Secondo me lei è carina. 
Assomiglia parecchio ad una mia amica... Quella che frequenta Ebbid, l'hai vista alla festa no?” 

Grow si sedette tranquillamente nell’altro divano, mentre Frank tirò fuori da un cassetto del tavolino un barattolo di vetro chiuso contenente delle sferette verdi e un bilancino per misurarne precisamente la quantità. 
Mentre cercava di aprire il barattolo -che riscontrò di aver sigillato davvero molto bene provocandogli una serie di imprecazioni molto colorite- ripensò alle parole dell'amico, che non riteneva del tutto corrette.

Per lui quella ragazza – Angy, se ricordava bene il nome - era sembrata molto più che carina e dire così gli pareva quasi di sminuirla. 
Sembrava anche stranamente simpatica e Frank di solito non si spingeva a dare giudizi (e soprattutto positivi) ad una ragazza appena conosciuta.

Riuscì a svitare il tappo e si mise a misurare la quantità di “massa verde”. 

Perché diavolo si stava mettendo a pensare ad una ragazza appena conosciuta? 

Quella ragazzina poi si permetteva di criticare cosa “indossava” lui in casa sua, ma lei se ne andava tranquillamente in giro in gonna e camicetta a Marzo. 
Se lui fosse stato suo fratello non l'avrebbe mai lasciata andare in giro così, con le gambe lunghe completamente scoperte che cercavano di provocarlo insieme a quel sorriso così innocente da brava ragazza... 
Frank scosse la testa e inspirò profondamente: la situazione stava degenerando. 
Doveva lasciare da parte qualsiasi piccola fantasia su quella ragazzina. 

Tutti i suoi istinti e desideri carnali si sarebbero consumati con Liz dopo non molto e non aveva voglia di perdersi dietro ad una tipetta che magari cercava una storia seria, seppur l'oggetto in questione fosse molto invitante.
L'aveva vista per cinque minuti e già gli era entrata in testa così tanto. 
Doveva essere per forza il fatto che non si sfogava da una settimana. Frank non vedeva altra spiegazione, ma soprattutto non voleva cercarne altre. 

Fece un profondo respiro e, dato che l'aria non lo aiutava per nulla a rilassarsi, decise che farsi una sigaretta fosse la soluzione ideale.

Doveva concentrarsi su Liz e sulla roba per Grow, quella ragazzina non l'avrebbe rivista più.

Frank si alzò dal divano e si diresse in cucina, dove aveva lasciato l'ultima volta il suo pacchetto di Malboro e... Merda. 

“Grow, ce l'hai una cicca da offrirmi?” 

“Non è la tua giornata fortunata, le ho finite venendo da te. Ho solo cartine, ma penso che tu sia nelle mie stesse condizioni.” 

Frank sbuffò e tornò nel salotto sicuro che sua sorella anche questa volta fosse colpevole della scomparsa del suo pacchetto.
Chissà se anche la ragazzina fumava.

Frank si passò una mano sulla fronte e si ripeté di nuovo di non pensarci a lei. 

Magari anche lui come Ebb si stava rammollendo: sì, quella che aveva baciato era una bella ragazza, ma era strano che non gli fosse già passato. 
Il suo migliore amico sembrava quasi ossessionato da lei.

“Comunque l'ho vista di sfuggita. 
Ebb non me ne aveva parlato prima, ma sono certo che l'aveva già notata. 
Lui è fatto così, sceglie per bene la sua preda e poi... La divora, se capisci cosa intendo. 
Solo che è strano stavolta, sembra diventata una cosa quasi seria tra lui e...”

“Sole, si chiama così. 
Non pensavo Ebbid fosse uno da storie serie, stamattina è pure venuto in classe nostra a salutarla.” 

“Davvero? No infatti, è sempre stato il tipo da una scopata e via. 
Evidentemente quella ragazza ha qualcosa di particolare che lo intriga. 
E dimmi, con la tua tipa com...” 

Il cellulare di Grow si mise a squillare, interrompendo Frank che colse l'occasione per continuare a preparare ciò che l'amico gli aveva chiesto. 
Grow fissò lo schermo per qualche secondo: era Astra, ma nella sua testa c'era un altro nome. 
Premette il pulsante verde per rispondere, immaginando già cosa l'avrebbe aspettato. 

“Ehi amore... 
Da un amico... 
Sì lo so, hai già deciso dove ci vediamo? Bene... 
Astra, ma con chi sei? 
No, ho sentito la voce di un ragazzo... 
Ah okay.” 

Se la domanda che Frank voleva fargli era come andavano le cose con la sua tipa, ora una risposta ce l'aveva.

Grow spense la chiamata e lanciò il telefono sul tavolo. E la sua espressione prima tranquilla aveva assunto altri connotati, tutt'altro che sintomo di serenità. 

“Grow tutto bene? 
Ci sono problemi in paradiso?” 

“A quanto pare i diavoli si divertono a mettersi le ali e fingere di essere angeli. 
E il finto angelo in questione pensa pure che io sia stupido.
Frank, lascia stare per favore. Deve passarmi.”

“Okay, vecchio mio, sai che per qualsiasi cosa ci sono.”

Per qualche secondo ci fu silenzio in quella stanza, ma durò veramente poco. 
Frank aveva finito di preparare con della carta trasparente la quantità di Lemon Haze che Grow gli aveva chiesto e stavolta fu la porta a reclamare attenzione. 

Frank lasciò tutto a Grow che lo aiutò velocemente a ripulire il tavolo e riporre il bilancino e il materiale restante nel cassetto. 
Quando il ragazzo aprì la porta, un tornado biondo con un vestitino succinto rosa e una giacca del medesimo colore fece il suo ingresso senza porsi alcun problema e sistemandosi nel divano ignorando i presenti nella stanza. 

Grow si chiese anche solo come si poteva sopportare la vicinanza di una persona del genere. Si diresse verso la porta dove Frank era rimasto immobilizzato.

“Forse è meglio che io me ne vada, grazie comunque.” 

Frank sembrò riprendersi sentendo la voce di Grow e si impose di salutarlo decentemente e comportarsi da amico e non da stronzo. 
Sapeva che era l'ultima cosa di cui aveva bisogno Grow in quel momento.

“Ma dimmi, vecchio mio, devi fare la scorta per l'inverno con tutta questa roba? O la devi vendere a qualcuno? 
Non che me ne freghi molto, ma dopo quello che è successo con la tua amichetta e la conversazione con la tua tipa non vorrei che facessi cazzate...”

“No tranquillo Frank, ho solo voglia di svagarmi un po’. 
Non mi ammazzo di certo per una ragazza...”

“Va bene, ci vediamo allora.” 

Grow gli voltò le spalle e sentì chiudersi la porta dietro di sé. 
Perfino da lì riusciva a sentire il profumo della ragazza ed era così forte da risultare sgradevole e nauseante: era odore di finto. 
Era odore di sesso. 

Iniziò a camminare senza una meta precisa. 
Non si sarebbe mai spiegato come Frank riusciva a vedersi con una sua ex solo per scopare e senza provare alcun sentimento per lei o per la stessa situazione in cui si trovavano. 
Frank riusciva a tenersi distaccato da tutto e in parte lo invidiava per questo. 

Grow si ricordava bene di quella ragazza, anche se lei sembrava ignorare la cosa. 
Liz, il tornado biondo, era una ex di Frank e a quei tempi (quando quei due stavano ancora insieme) era una delle ragazze più simpatiche che conoscesse. Era bella e intelligente. 
Aveva tutto quello che si può desiderare da una ragazza.

Il problema delle persone come lei è che quando vedono le loro potenzialità e cosa ce ne possono fare, diventano terribili e terribilmente finte. 
Si svuotano della loro autenticità, ciò che le rendeva veramente belle.
E anche lei, un bel giorno, se ne rese conto. 

Da quel momento decise che la sua massima aspirazione era diventare superficiale e ricca e così fu. Frank però non lo accettò e decise di tenersi fuori dal suo mondo.

Liz era diventata la donna degli uomini ricchi, le compravano di tutto solo per convincerla a passare una notte o più con loro. 

Liz, però, come tutte le persone che si rendono conto di cosa hanno perso, ogni tanto faceva un salto nel passato e pensava all’unico uomo che l'avesse amata veramente, Frank. 
Tornava da lui e faceva l'amore con lui, illudendosi che lui ancora l'amasse. 

L'amore per lei però si era sciupato da tempo. 
Per Frank ora era solo sesso.

Grow abbandonò i pensieri sui due –non era affare suo e aveva altre mille cose a cui pensare- e prese in mano il cellulare. 

Le strade erano deserte, anche se erano le quattro del pomeriggio, e si stava allontanando dal centro. 
Inspirò l'aria fresca e guardò gli ultimi messaggi che aveva inviato.

Sole non gli aveva più risposto al messaggio che lui le aveva inviato sabato sera. 
In classe l'aveva volutamente ignorato, ma lui sapeva bene il perché. Una volta, quando lui e Nene avevano litigato per una scemenza, Sole gli aveva chiaramente detto che non avrebbe più fatto da mediatrice “ nelle loro cose”. 
E provare a scrivere a Nene direttamente sapeva che avrebbe soltanto complicato le cose o comunque non le avrebbe cambiate, anche se gli sarebbe piaciuto sapere come stava e cosa pensava.

Abbassò lo sguardo ripensando alle parole della ragazza durante la festa e al “Vaffanculo Grow” che gli aveva urlato con le lacrime agli occhi prima di tirargli la sberla. 
Se la meritava tutta, ne era sicuro. 
Era riuscito a farla piangere distruggendole il trucco che si era messa alla perfezione per quella sera.
E pure col trucco sbavato, le lacrime a rigarle le guance e gli occhi arrabbiati e feriti, pure così lui aveva pensato che fosse bellissima. 

Per lui non era una ragazza qualunque, una delle tante che incontri e poi scordi il nome. Era una sua amica e quello tra loro era un legame stabile e solido: lui era riuscito a minarne le fondamenta in una sola serata. 

Non aveva idea di cosa fare con lei, con loro e sapeva che era incazzata. 
Era stato un vero coglione e il livido ancora presente sulla guancia glielo ricordava ogni volta che si guardava allo specchio. 
Non avrebbe dovuto dire quelle cose su di lei e, soprattutto, non doveva dirle in quel momento davanti a tutti.

C'era lui con lei la sera in cui perse la verginità in quella discoteca di merda. 
Si ricordava tutto: lei era uscita dal bagno, camminava storta e la spallina destra del suo vestitino le era caduta. 
Guardava in basso e Grow non sarebbe andato da lei se non avesse visto quella lacrima, che cercava di nascondere, solcarle la guancia. 

Senza rendersene conto era corso da lei e l'aveva fermata obbligandole ad alzare lo sguardo. 
Il rossetto e la matita erano sbavati, i capelli leggermente scompigliati. 
Grow non aveva mai visto Nene così fragile e triste. 

La mise a sedere sul primo divanetto vicino e le diede la sua felpa. 
Poi non perse tempo a cercare il ragazzo con cui era andata in bagno: l'aveva intravisto prima, molto più grande di loro e ubriaco. 
Grow era sicuro che lei non avesse saputo costa stesse facendo –aveva bevuto più del solito- e che lui se ne fosse approfittato troppo. E quel “troppo” a lui non stava bene. 
Gli dava fastidio e lo innervosiva e, come un martello che continuava a battergli in testa, lo convinceva sempre di più che quell'uomo meritasse una lezione. 
Non voleva lasciare Nene sola per altro tempo, quindi doveva sbrigarsi a trovarlo. 

Non ci mise molto, il “ragazzo” stava mettendo le sue luride mani su un'altra, anche lei molto probabilmente non del tutto cosciente. E chissà quante altre se n’era fatto quella sera. 
Grow si avvicinò mentre l’ira gli ribolliva dentro; prese un profondo respiro e, prima che l’uomo capisse cosa stesse accadendo, gli tirò un pugno sul naso con tutta la rabbia che aveva in corpo. Quello collassò in ginocchi, non ci provò neppure a rispondere. 
Grow lo lasciò lì con un “non farti più vedere, stronzo” detto a denti stretti. Poi non perse tempo a tornare da Nene. 

Nene, la sua Nene, stava rannicchiata nel divanetto con le mani a coprirsi il volto e la felpa appoggiata sulle sue spalle. 

La stessa Nene tanto forte che gli urlava in faccia tutto quello che pensava, quella sera l'aveva vista veramente debole e vulnerabile. 

Grow si sedette di fianco a lei e l'abbracciò, accarezzandole i lunghi capelli corvini e cercando di tranquillizzarla.

“Promettimi che non lo dirai a nessuno.” 

Grow la fissò negli occhi, per qualche secondo. 
Sapeva che le aveva fatto male e che si sentiva una stupida per quello che aveva fatto e in quel momento pensò che non avrebbe voluto che nessun altro le facesse del male. 
Non avrebbe più voluto vederla così.

“Te lo prometto.”

Questo era accaduto tanto tempo fa e lui, dopo così tanto, solo tre giorni prima alla festa di Ebbid era riuscito a distruggere quella promessa e la loro amicizia. 
Era riuscito lui a farle del male.

Grow sapeva quanto Nene si odiasse per quella notte con quel ragazzo in discoteca. 
Era lui ad averla consolata e tranquillizzata, dopo quello che era successo. E da bravo coglione proprio perché sapeva che quello era un suo punto debole, lui l'aveva colpita ritirando fuori quella storia davanti a tutti solo perché lei aveva ferito il suo orgoglio. 
Che bravo coglione.

Avrebbe voluto andare da lei e chiederle scusa, dimenticare tutto e tornare ad essere quello che erano prima. 
Odiava saperla così distante.

Nene, infatti, a scuola aveva passato il tempo ad evitarlo e lui l'aveva guardata per tutta la mattina sperando che per miracolo lo perdonasse.
 Anche lui era incazzato con lei, aveva insultato Astra pur sapendo quanto gli desse fastidio, ma aveva detto in parte delle verità.

Lui e Astra... Erano in crisi da un bel po'. 

Al Cavour, non molto tempo prima, lui aveva bevuto molto più del solito e senza pensarci molto si era messo ad abbracciare Nene, dicendole che era speciale
Astra, che era gelosa da sempre della ragazza, aveva trovato il pretesto adatto per poter fare l’offesa e la vittima, quella che andava dagli altri perché il suo ragazzo la trascurava e stava con ragazze più speciali di lei. 
Era lui lo stronzo agli occhi di tutti, per cui era più che giusto che Astra andasse a piangere da altri ragazzi.

Astra aveva, appunto, questa peculiarità: passava molto tempo con tanti ragazzi diversi e tutti –a suo detto- rigorosamente (e solamente) suoi amici. 

Grow aveva sempre voluto fidarsi di lei, perché non doveva credere alla propria ragazza che si era dimostrata così gelosa di lui? 

Poi però ci furono delle voci di corridoio: quei ragazzi non sembravano più soltanto amici e Astra un po’ meno casta e pura di quello che mostrava. 
Prima passava il pomeriggio a fare i compiti con uno, poi andava al cinema con un altro. 
E poverina, all'inizio era giusto così.
Loro erano solo suoi amici e il suo ragazzo stronzo la trascurava, doveva pur avere qualcuno a prendersi cura di lei. 

Poi la questione... Prese delle pieghe più piccanti: passare dalla scrivania al letto non fu difficile.
Non erano cotte momentanee o piccoli compromessi d'amore. 
Proprio il suo nome rappresentava il suo più grande difetto: come una stella, brillava, ma si accecava con la sua stessa luce. 
E non le bastava un uomo per nutrire il suo ego smisurato. Ne voleva sempre di più, di tutto. 

Queste però erano solo voci di corridoio e a chi doveva credere Grow, se non alla sua ragazza?

E Grow era terribilmente stanco di tutto questo, solamente Nene gli permetteva di non pensare ad Astra e alle voci su di lei, quelle stesse voci che facevano sembrare Grow uno che non sapeva tenersi la ragazza. 
E lui aveva buttato sul cesso pure l'unica possibilità che aveva per resistere ancora: la sua amicizia con Nene. 
E che forse, solo amicizia, non era mai stata...

Si fermò davanti ad una piccola villetta recintata. 
Era strano che, camminando a caso, fosse arrivato proprio in quel punto.

Il sorriso di Nene gli tornò in mente.
Il suo sorriso era l'unico in grado di farlo stare veramente bene, era il suo scaccia-preoccupazioni personale. 
E se solo avesse suonato il campanello della casa di fronte alla quale era arrivato, avrebbe potuto rivederlo e sentirsi bene all'istante.
Sapeva però che se Nene avesse visto lui, non sarebbe stata bene per nulla. 

Guardò alla sua finestra, le tende erano tirate e non riusciva a vedere dentro.

Lei stava meglio senza di lui, perché era stato lui a rovinare tutto. 
Lei doveva stare meglio senza di lui. 
E lui doveva imparare a stare bene senza di lei.

Grow girò di nuovo le spalle e sospirò: ora sapeva dove andare.




























Giov sentì il campanello suonare. Si era addormentato guardando un noiosissimo documentario sugli squali, cosa non molto da lui. 
Andò ad aprire sapendo già chi di lì a poco avrebbe fatto il suo ingresso. 

“Ce ne hai messo di tempo, pensavo ti fossi perso.” 

“Ehi Giov. L'autobus era in ritardo e poi mi sono fermato più del solito da Frank.” 

Grow salutò l'amico dandogli un pugno - senza metterci alcuna forza - sulla spalla “ sana” e andò in cucina disponendo il materiale sul tavolo. 
Tirò fuori l’accendino rosso, la Lemon che gli aveva venduto Frank, le cartine lunghe e i cartoncini e si mise a preparare e rollare gli spinelli. 

Lui e Giov avevano programmato da tempo di passare un pomeriggio “in scialla”, fumando, ascoltando musica, guardandosi la televisione e parlando del più e del meno. 
Con i vari avvenimenti dell'ultimo periodo entrambi sentivano davvero il bisogno di stare da soli e staccare la spina per un po’. 

Giov prese una sedia, la girò e si sedette storto incrociando le braccia sullo schienale. Lasciò che fosse Grow a rollare, non era ancora molto bravo e doveva “affinare la tecnica”. 

“E hai visto Nora? Era in casa?” 

“È uscita con una sua amica... Anche perché Frank aveva ospiti in casa, si vede ancora con Liz.
Dovevi trovarti con lei?” 

“No, alla fine non le avevo più detto nulla.” 

Giov sospirò e chiuse gli occhi appoggiando la testa sulle sue braccia. 

Nora gli aveva scritto e lui non le aveva risposto volutamente. 
Più velocemente si allontanava da lei, più facile sarebbe stato per lei dimenticarlo. Dovevano vedersi quel pomeriggio, ma a Giov di fingere non andava più.

Il rapporto con Nora non era più abbastanza per lui e a starci insieme gli pareva di prenderla in giro. 
Con il fatto che sarebbe dovuto partire per Milano a vivere lì aveva trovato la scusante perfetta per chiudere definitivamente. 
E la scena di quella mattina lo aveva infastidito tanto che, se si fossero visti, Nora sarebbe diventata solamente uno sfogo per lui e Giov non voleva trattarla come uno straccio. 

Non amava Nora, questo per lui – e forse anche per lei- era ormai più che ovvio, ma era geloso alla follia di Sole. E quel damerino da quattro soldi che era venuto a salutarla in classe... Se lo avesse trovato per strada lo avrebbe picchiato sicuramente.

Sole poi non l'aveva nemmeno salutato decentemente e l'aveva evitato tutto il giorno. 
E Giov... C'era rimasto male, doveva ammetterlo. 
Non si era mai comportata così con lui e lo faceva proprio adesso che lui... 
Sì, aveva avuto i suoi momenti in cui lui sbagliava qualcosa e lei non gli parlava per giorni, o lui cercava di avvicinarsi a lei e lei scappava, ma mai gli aveva dato così poca considerazione come in quel giorno. 

Strinse i pugni e i denti e sperò che Grow non avesse notato questa sua reazione improvvisa. 

Era arrabbiato con Sole, lo era veramente tanto.
Proprio quando lui aveva deciso di farsi avanti con lei, di ricominciare e lasciare Nora, lei lo trattava di merda e si trovava un ragazzo mettendolo così all’improvviso da parte, come fosse un vecchio giocattolo che non era più interessante e divertente. 

Tutta questa situazione gli dava veramente fastidio. 
E se Sole voleva la guerra, lui gliel’avrebbe data. 
Altro che farsi avanti con lei, le avrebbe mostrato cosa fosse la vera indifferenza. 
Anche se sapeva bene che questo avrebbe distrutto anche lui. 

E per fortuna che non aveva visto quei due baciarsi... 

“Ho fatto Giov, fumiamo qui in cucina?” 

Giov cercò di rilassarsi e si stiracchiò le braccia per sciogliere la tensione che aveva in corpo; annuì e prese in mano lo spinello, mentre Grow si alzò e aprì le finestre. 

“La forma non è male, stai migliorando Grow… Anche se non riuscirai mai a battere il maestro.” 

Giov fece un sorriso beffardo e Grow scosse la testa in segno di resa: non sarebbe cambiato mai.
E sperò che almeno la loro amicizia restasse integra. 

Giov osservò la “sigaretta” che teneva in mano; fumare almeno gli avrebbe permesso di non pensarci per un po’, né a Sole e quel ragazzo, né a Milano e suo padre.
Poi, prese l'accendino e bruciò la parte finale, si mise in bocca lo spinello e lo accese. 
Fece un grosso tiro, inspirò l'aria e trattene il fumo in bocca per qualche secondo. 

Il gusto era dolce e l’aroma ricordava vagamente gli agrumi. 
Sentì la gola bruciare leggermente, ma era abbastanza abituato. 
Chiuse gli occhi assaporandosi la sensazione: poi aprì la bocca piano per lasciar uscire lentamente il fumo bianco e denso.
L'odore della carta che bruciava insieme alla sostanza si diffuse subito nell'aria.

Per lui quella sensazione di leggerezza era meravigliosa. 
Fece un secondo tiro e passò la canna a Grow, che non perse tempo a fumare. 

Giov chiuse gli occhi lasciando che la sua mente si svuotasse completamente. 

C'era un'unica questione (e un fottutissimo sorriso) che però non riusciva a togliersi dalla testa. 

“Grow...” 

“Dimmi Giov.” 

“Stavo pensando che…
Ho due settimane per dire addio a Sole.”

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Capitolo 11
*** 7:35 - 8:12 - 12:27 ***



7:35

Sole stava seduta nel solito punto del corridoio della stazione, aspettando che i suoi amici la raggiungessero. 
Faceva più freddo del solito, anche se quello inizialmente si era prospettato essere un mese caldo. 

Guardò il cellulare annoiata. 
Di lì a poco Nene l'avrebbe raggiunta e come al solito avrebbero preso la navetta con la quale sarebbero arrivate a scuola. 

Sole chiuse gli occhi cercando di ripercorrere i quattro anni precedenti che l'avevano portata a questo. 
Le venne spontaneo sorridere pensando a come queste piccole cose - come aspettare Nene alla stazione e prendere la navetta insieme, andare a scuola e vedere gli altri - fossero diventate parte della sua quotidianità riuscendo anche a non stancarla più di tanto. 
Sì, in certi momenti aveva bisogno di qualcosa di diverso per bloccare la monotonia, ma in fondo vivere in questo modo le sue giornate non le dispiaceva affatto.

I suoi amici ormai erano la sua famiglia e nelle festività ne sentiva spesso la mancanza: il padre la costringeva a stare dai nonni per trascorrere un po’ di tempo con i parenti e ogni volta rimpiangeva di accettare la sua proposta. 
Adorava sua nonna e spesso le raccontava storie molto divertenti sul suo passato, ma le sue cugine più piccole e sua zia sapevano diventare molto pesanti dopo una settimana insieme. E Angy, poiché stava dalla “mamma”, non era mai stata la benvenuta a questi ritrovi, anche se non l'aveva scelto lei dove andare a vivere.

Poi la scuola era per lei un ottimo motivo di distrazione, le piaceva studiare e, in particolare, amava imparare cose nuove... Anche se doveva ammettere che certe giornate avrebbe preferito passarle a letto chiusa in camera sua, soprattutto quando si era dimenticata di avere compiti da fare il giorno prima e non era per nulla pronta a ricevere voti negativi segnati in penna rossa sul registro, come se non bastasse il fatto che fosse un numero sotto il 5 ad evidenziare la gravità della questione.

Guardò il suo orologio: segnava le 7:35 e Nene non era ancora arrivata, ma a Sole pareva di non aver nemmeno sentito annunciare l'arrivo del suo treno, quindi non si preoccupò più di tanto.
In realtà Nene non abitava lontana dal centro e con una camminata di un quarto d'ora l'avrebbe raggiunta senza problemi. 
Il vero problema consisteva nel fatto che l'amica fosse parecchio pigra e certamente non si sarebbe mai messa a fare camminate di mattina appena sveglia, così il treno era una comodità. E poi la casa di Nene era nella zona dalla parte opposta della città rispetto alla scuola e lei e Sole avevano deciso già dal secondo anno di trovarsi a metà strada (ovvero la stazione) e raggiungere il loro istituto insieme. 

I binari di quella specie di metropolitana in superficie occupavano tutta la parte più esterna della città circondandola e lasciando le vie del centro (già strette di per sé) libere dai mezzi ingombranti, percorrendone solo alcuni luoghi superficialmente. 
Infine si riunivano tutte in un unico punto, ovvero la stazione. 
Così i più fortunati avevano le fermate vicine alle loro abitazioni, come Nene, e in cinque minuti arrivavano alla stazione (posta vicino al centro, tre minuti a piedi da dove si trovava Sole in quel momento) e, più in generale, ogni punto della città poteva essere raggiunto velocemente e facilmente. 
Più che “treni” veri e propri, erano vagoni di modeste dimensioni, simili a dei tram come aspetto, ed era stata un’idea per i mezzi di trasporto in città definita “geniale e funzionale” da uno dei migliori giornali del Paese. 
L'opera era stata creata dalla Corps, un'azienda locale, che, dopo un accordo studiato a tavolino con il sindaco, era riuscita a sfondare con la realizzazione di questa idea “stupefacente” agli occhi di tutti. 
Quindi il progetto era stato messo a punto dal sindaco solo qualche anno prima, molti l'avevano ammirato per aver lavorato e portato avanti la sua idea con così tanta forza di volontà e ora era stato chiamato a Milano a svolgere lì il suo ruolo da capo dell’amministrazione cittadina. 
Era scontato il fatto che il sindaco avrebbe portato con sé la piccola azienda permettendogli di sfondare su un mercato molto più grande e sviluppato.
Entrambe le parti avevano guadagnato molto, oltre ad aver agevolato notevolmente il traffico della loro città spendendo una barca di soldi.

Sole sapeva bene tutto ciò che c'era stato dietro alla realizzazione di questo “straordinario” progetto e, anche se ne ammetteva la comodità, dal suo punto di vista non era così meritata tutta questa ammirazione verso il sindaco e la Corps.
E lei di certo non avrebbe abbandonato la sua amabile e tranquilla quotidianità per seguire le aspirazioni del “sindaco” a Milano: suo padre non sarebbe mai riuscito a portarla via con sé e lo sapeva pure lui, anche se Sole era certa che di lì a pochi giorni gliene avrebbe parlato cercando di rendere la sua proposta più allettante possibile e mettendo in ballo l'opportunità di realizzare i suoi sogni.

Sole scrollò le spalle e si stiracchiò le mani, cercando di indirizzare i suoi pensieri da tutt'altra parte. 
Avrebbe affrontato la questione quando le si sarebbe presentata l'occasione. 

La canzone lenta che rimbombava nelle cuffiette di Sole si fermò e per lasciare il posto ad un'altra: Sole sorrise sentendo una melodia molto più ritmata e ballabile di quelle precedenti. 
Non era tanto la canzone in sé a scatenarle quel sorriso, quanto il ricordo legato ad essa.
“Another you” era stato infatti il sottofondo musicale di quando aveva conosciuto Ebbid, un bellissimo ragazzo dagli occhi verdi, lo sguardo magnetico e uno dei sorrisi più luminosi e belli che avesse mai visto. 
Quel ragazzo era riuscito a conquistarla in pochissimo e aveva cominciato fin da subito ad occupare i pensieri di Sole, riuscendo anche a distrarla da Giov... Più o meno.

Era strano il loro rapporto, ma era comunque presto per poter pensare a quel che erano e cercare di dargli un nome. 
Avrebbe voluto l'occasione di passare del tempo da sola con lui per conoscerlo meglio e parlarci tranquillamente senza avere l’occhio attento e furioso di altre persone sempre puntato addosso. 
Dopo quel bacio a stampo che si erano dati durante la festa, non c'era stato altro, eppure si erano visti e lui era stato così dolce con lei.
Era da due giorni che, prima che iniziassero le lezioni, Ebbid veniva a salutarla in classe, le dava un bacio in fronte e rimanevano fuori dalla porta dell'aula a chiacchierare un po’. 
Poi, prima che lei rientrasse in classe, lui la stringeva forte per qualche secondo e la lasciava andare con un sorriso stampato in faccia per almeno un’altra ora abbondante.

Il fatto di vedersi comunque durante l'orario scolastico li limitava terribilmente e a Sole sembrava di essere controllata in ogni cosa da certi individui della sua sezione. 
In ogni caso, queste attenzioni e questo atteggiamento non se lo sarebbe mai aspettato da uno come lui, che era conosciuto per molto altro da tutta la scuola e la parola “dolce” raramente aveva a che fare con cose che Ebbid faceva nei diversi racconti. 
Da quanto ne sapeva e le avevano detto, non si era mai comportato così con una ragazza e questo, doveva ammetterlo, la faceva sentire speciale. 

Quanto sarebbe durato però? 

Se realmente a lui interessava solo una ragazza da portarsi a letto non ci avrebbe messo molto a farsi avanti e a proporglielo e lei non si sentiva così pronta... 

Le venne un groppo allo stomaco: non era per nulla pronta. 
Già, lei a 17 anni era ancora vergine. 

Per quelle della loro età sembrava essere diventato strano non aver ancora fatto sesso a diciassette anni, a lei invece sembrava più che normale decidere di farlo solo quando l'avrebbe voluto veramente. 

Una volta l'aveva immaginato: tra delle bianche lenzuola e le braccia del ragazzo che amava. 
Avrebbe voluto che la prima volta fosse con il ragazzo giusto... Ma Ebbid lo era? 

Sole chiuse gli occhi inspirando profondamente. 
Sapeva che s’illudeva a cercare una risposta alle sue domande. 
Lo conosceva così poco e sicuramente non lo amava, forse un giorno le cose sarebbero state diverse... 
Forse un giorno avrebbe potuto chiamare “amore” quello che prova per lui... 
O forse... 
Le sembrava tutto così strano in quel momento e sapeva che più ci pensava e più si complicava le cose da sola. E sapeva anche che se non riusciva a pensare solamente a lui il motivo era un altro...

L'unico ragazzo che riusciva ad immaginare insieme a lei tra quelle lenzuola che potesse farle battere così forte il cuore era uno sbruffone con i capelli sempre scompigliati, una cicatrice sul sopracciglio sinistro e quegli occhi dolci spesso segnati dalla stanchezza. 
La persona con cui avrebbe voluto che fosse la sua prima volta era Giov e riusciva ad immaginarlo a guardarla, come sempre faceva, con una mano a sostenergli la testa e quel sorriso sghembo che riusciva a toglierle il respiro e la lucidità per qualche secondo ogni volta che lo vedeva. 

Chi voleva prendere in giro? 

La sua mente era proiettata verso Ebbid e il suo modo di farla sentire così speciale, era il suo piccolo nuovo mondo sicuro e dolce, ma il suo cuore sembrava non seguirla (e soprattutto non aiutarla). 

Sapeva, tuttavia, che il cuore non avrebbe avuto la meglio: con Giov non poteva e non avrebbe mai potuto. 
E non doveva neppure pensarlo. 

Sospirò rassegnata e alzò lo sguardo sperando di riuscire a distrarsi per un po’: la fortuna era dalla sua parte e Nene stava camminando verso di lei con un sorriso radioso (forse troppo per il suo solito) e una busta di carta tra le mani. 

Non avevano più riparlato della festa ed era certa che ritirare fuori il discorso avrebbe solo peggiorato le cose. Poi quel giorno avevano più ore del solito e sopportare una Nene incazzata tutto quel tempo sarebbe stato troppo stressante anche per Sole.

Così preparò uno dei suoi migliori sorrisi per accogliere al meglio l'amica che appena fu abbastanza vicina la abbracciò e sospirò porgendole il pacchetto. 

“C'era tantissima coda oggi, però avevo fame e quindi oltre al solito cappuccino del mercoledì ho preso anche dei croissant. 
Uno è alla marmellata e l'altro alla Nutella, sai già quale voglio.” 

Le due si misero a ridere e Sole lasciò che il profumo dei croissant e del caffè caldo la inebriasse completamente. 
Adorava quando Nene le faceva queste sorprese ed era sorprendente anche per loro come ogni volta la pensassero allo stesso modo; infatti, Sole non aveva fatto colazione e stava morendo di fame. 
Era come se Nene fosse riuscita a leggerle nel pensiero, anche perché lei non le aveva detto nulla e non era la prima volta che capitavano cose del genere alle due.

Le ragazze occuparono una panchina per degustare con la giusta calma il loro piccolo sfizio mattutino. 
Le lezioni iniziavano alle 8:20 e non avevano nulla in programma per quella mattina.

“Oggi quale navetta prendiamo? 
Non ho voglia di arrivare troppo tardi e beccarmi le lamentele del prof.” 

“A me basta avere i nostri soliti posti, distante dalle persone che preferisco evitare. 
Io pensavo a quella delle 8:00, così abbiamo abbastanza tempo.”

“Nene... sei ancora arrabbiata con lui? 
Lo sai come la penso, però non potete andare avanti così per sempre... Se n’é resa conto tutta la classe. 
Comunque se non ti dispiace vorrei prendere quella prima, devo ripassare tedesco in caso decida di interrogare.” 

Sole si rese subito conto di aver appena buttato a puttane tutti i suoi buoni propositi di non innervosire l’amica ulteriormente, si era ripromessa di evitare l'argomento “Grow” e l'aveva tirato fuori da sola. 

Nene appoggiò il suo cappuccino e accartocciò la busta che conteneva la loro colazione formando una piccola pallina. 
Sole cercò il suo sguardo, sapeva che poteva reagire male dopo quello che aveva detto. 
Non voleva ferirla, ma la situazione in classe era intollerabile. 
Giov la evitava al massimo e se ne stava spesso in disparte con le sue cuffiette e la testa appoggiata alle braccia incrociate.
Grow era silenzioso, troppo per il suo solito, e ogni volta che loro due parlavano insieme lui le chiedeva sempre di Nene. Lei ovviamente evitava di rispondere, sostenendo che i due ne dovessero parlare direttamente tra di loro. E poi se Nene la vedeva parlare con Grow le teneva il muso per tutto il giorno e Sole si trovava in mezzo ad un problema che non era suo. 
E le cose erano diventate così dal lunedì dopo la festa. 

Nene si schiarì la voce attirando l'attenzione di Sole e voltò lo sguardo cercando di evitare i suoi occhi. 

“Sole, per favore. Non mi importa di lui e non vorrei doverne riparlare.
Okay, prendiamo quella prima.” 

Si alzò dalla panchina raccogliendo il suo zaino e aspettò l'amica in piedi dandole le spalle. 
Sole sospirò, sperando che in qualche ora le passasse: se l'era presa sicuramente. 
Entrambe le ragazze si diressero verso le navette abbastanza lentamente e Sole non sapeva cosa dire per non peggiorare la situazione. 

“Ehi ragazze! Aspettatemi!” 

“Andy! Credevo avessi preso le navette prima!” 

Sole gli sorrise pensando che anche questa volta era in debito col ragazzo per averla salvata da una situazione complicata. 
Andy si mise tra le due e diede un bacio prima a Sole e poi a Nene che gli rispose non troppo entusiasta. 
Sole lo guardò per qualche secondo sperando che cogliesse il segnale e decidesse di non approfondire la questione. 
Lui, dapprima confuso, si passò una mano tra i capelli e fece uno dei suoi sguardi comprensivi per far capire che aveva intuito come stavano le cose e che non avrebbe toccato le possibili questioni “delicate” di quella settimana. 
Andy, come al solito, aveva capito tutto.

“No Sole, oggi prendo questa perché mi sono svegliato tardi e non avevo ripassato nulla, così ne ho approfittato in treno.” 

Le navette dei loro istituti erano già per metà occupate e le espressioni degli studenti si assomigliavano un po’ tutte. 
Alcuni parlavano tra di loro con un tono più o meno controllato, altri ascoltavano musica, altri guardavano l'orizzonte in solitudine. 

Andy anticipò le ragazze e si lanciò dentro la prima superando la massa di studenti del primo anno che si stava pericolosamente avvicinando e che avrebbe rubato posti in cui sedersi e potersi riposare (sebbene ancora per poco) prima delle lezioni.

Il ragazzo si diresse nella zona a più lontana dall'autista, dove erano stravaccati altri loro coetanei e molti posti a sedere erano ancora liberi. 

“Ehi Alex, Grow! Vi vedo molto attivi oggi?”

“Ehi rappresentate di classe! 
Io abbastanza, invece il musone qui dietro non tanto...
Buongiorno bellezze.” 

Alex fece l'occhiolino a Nene e Sole e la prima non perse tempo a cogliere l’occasione sedendosi accanto al ragazzo e schioccandogli un rumoroso bacio sulla guancia. 

Calò subito il silenzio tra i presenti: Andy e Sole si sederono vicini e si guardarono preoccupati per la possibile reazione di Grow, il quale però sembrò non aver nemmeno notato la cosa. 

“Nene, non mi aspettavo un saluto del genere da te oggi. Dormito bene?” 

Nene stette in silenzio per qualche secondo e poi chiacchierò come se nulla fosse con Alex, ma Sole capì che anche lei si aspettava una reazione da Grow. 
Nene voleva vedere un minimo interesse nei suoi confronti da parte del ragazzo. 
E Grow non le dimostrava nulla perché pensava di peggiorare soltanto le cose mostrandosi interessato a lei. 

Sole sbuffò. 
Era assurdo il loro atteggiamento e sapeva che avrebbero potuto andare avanti così in eterno. 

Guardò Grow che se ne stava appoggiato al finestrino digitando qualcosa sul cellulare. 
Poi guardò Nene che si comportava in maniera forzatamente e fintamente civettuola con Alex, poiché i loro posti erano proprio davanti a quello di Grow.
E a Sole passò per la testa un’idea... 
Due tra i suoi migliori amici l'avrebbero odiata, ma questa storia doveva finire al più presto. 
Infine guardò Andy e gli sorrise decisa sul suo piano: anche questa volta il ragazzo colse al volo i pensieri dell'amica e ricambiò il suo sorriso.














































8:12

Giov superò svogliato la porta dell'aula. 
Aveva tentato di ignorare i due piccioni i che stavano teneramente a parlare proprio a venti centimetri dalla porta, ma la rabbia gli salì in corpo abbastanza velocemente da dover cercare subito uno sfogo. 

Andò a sedersi vicino a Trav e gli prese dalle mani il quaderno di tedesco. 
Ne strappò una pagina vuota ignorando le lamentele dell'amico e si mise a dividerla in tanti piccoli quadratini di forma più o meno regolare. 
Ne prese in mano uno, tirò fuori il suo accendino e lo fece bruciare tra le sue dita guardandolo sgretolarsi in cenere. 
Non gli dava fastidio il calore della fiamma e lo rilassava particolarmente poter distruggere quei pezzi di carta facendoli svanire per sempre. 
Avrebbe voluto fare così anche con i suoi ricordi. 

Sole nemmeno l'aveva guardato, troppo presa ad ascoltare le smancerie del coglione che la stringeva tra le braccia senza alcun diritto. E lei glielo lasciava fare. 

Solo lui poteva toccarla così. 
Solo a lui doveva dedicare quei sorrisi. 
Giov voleva che Sole fosse solo sua. 
Era geloso di lei in maniera quasi patologica e sapeva che non erano normali gli effetti che gli procurava la necessità di averla.

Suonò la prima campanella per avvisare gli studenti di recarsi alle proprie classi. 
E Giov li vide. 
Fu un attimo, un bacio casto e semplice a fior di labbra. 
E Sole sorrideva... 
Sembrava quasi... 
Felice.

Tirò un pugno sul banco, ma non gli bastava. 
Giov sarebbe impazzito a stare in quel banco fermo e zitto. 

Si alzò ed evitò di guardare Sole negli occhi quando uscì dalla classe. 
E non ci mise molto a raggiungere Ebbid e bloccarlo per la spalla. 
Non sentiva la voce di Sole e nemmeno le parole del ragazzo che non capiva cosa stesse accadendo. 
Aveva solo quel fottutissimo bacio in mente. 

Alzò il braccio, pronto a tirargli un pugno sulla faccia di quel bastardo.

Sole però era felice. 

E con lui non avrebbe mai potuto esserlo. 

Giov lasciò la presa su Ebbid e se ne andò senza dire una parola. 
Sole era sconvolta. 
Cosa avrebbe voluto fare? 

Corse da Ebbid e lo abbracciò lasciando che quello le accarezzasse dolcemente il capo. 

“Lui chi era?” 

“È solo Giov... Scusami Ebb, ne parliamo doposcuola.” 

L'aveva definito “Solo Giov”, ma per lei in quegli anni era diventato terribilmente importante. 
E Sole avrebbe mentito a se stessa dicendo che non le importava di quell’idiota e che quello che stava per fare era stato fin troppo anche per lui. 

Camminò verso il bagno dei ragazzi, sicura che l’avrebbe trovato lì: la sua previsione si realizzò, ma il ragazzo le sembrò tutt'altro che contento di vederla. 

“Che sta succedendo, Giov?”

“Sole... Me lo spieghi tu che sta succedendo? 
Da quando caschi tra le braccia del primo ragazzo che ti fa gli occhi dolci? 
Quello vuole solo portarti a letto e tu... Tu ci vai pure dietro.” 

“Spero tu stia scherzando. 
È vero, non lo conosco da molto, ma non sono così ingenua. 
E anche se volesse solo del sesso... Che problema c'è? 
Non mi sembra comunque il caso di uscire dal nulla e prenderlo a pugni per qualcosa che non ha fatto.” 

Giov strinse i denti e si avvicinò a lei. 
Sole... Era sua. 
Ad infastidirlo non era stato tanto il fatto che Ebbid avrebbe potuto prenderla in giro e starci insieme, fino a quando non avesse potuto scopare con lei e quindi approfittarsene.
Ancora di più lo faceva incazzare l’idea che Sole non fosse sua, che Sole baciasse altri ragazzi che non fossero lui. 
E Giov quelle labbra le voleva solo per sé.
Credeva che Sole fosse solo sua e che questo dovesse essere chiaro a tutti come lo era per lui. 
Tuttavia, Sole non lo capiva.
Quella ragazza l’avrebbe mandato ai pazzi, quella stessa che lo stava guardando spaventata e disorientata, come se avesse paura di lui. 

La guardò per qualche secondo. 
Anche in queste condizioni, con gli occhi lucidi, senza trucco e i capelli in disordine, e con questo sguardo, non riusciva a non pensare quanto fosse bella. E sarebbe rimasto a guardarla per sempre se avesse potuto... 
Ma non era lui ciò che lei voleva. 
E non era lui quello che avrebbe avuto il compito di proteggerla e di renderla felice. 
E tra due settimane sarebbe scomparso definitivamente dalla sua vita. 

Le prese il mento tra indice e pollice e avvicinò le sue labbra a quelle di lei. 
Sembrava quasi che Sole non respirasse più. 
Poi Giov la guardò negli occhi e si morse le labbra per resistere alla tentazione di assaggiarle.
Le lasciò un sussurro, nulla più. 

“Cerca di non diventare troia come tutte quelle che si è scopato.” 

Il ragazzo allontanò i loro visi e con le dita che tenevano il mento di Sole le accarezzò il collo candido. 

Sapeva di essere stato stronzo e sapeva che una sberla come minimo se la meritava. 
Doveva allontanarla da lui e questo era l'unico modo. 
Anche se avrebbe ferito entrambi. 

Sole però non disse una parola, non ci provò nemmeno a tirargli una sberla. 
Lo guardò negli occhi: odio. 

Lo guardò con tutto l'odio che aveva in corpo. 

Infine, Sole si girò e se ne andò in classe, prima di permettergli di vedere le lacrime che le scendevano copiosamente lungo le guance. 
E Giov rimase solo nel bagno. 

Due settimane e sarebbe finito tutto.















































12:27

“Non ho voglia di fare ginnastica!”

“Nene, non hai mai voglia di fare ginnastica.”

Bet, Nene e Sole camminavano lungo i corridoi degli spogliatoi dirette verso la porta di accesso alla palestra.
E tutte e tre stavano pensando a tutt'altro che fare la lezione di ginnastica. 
Non era mai stato un problema ed era sempre stata l'ora più tranquilla della settimana.
Di solito riuscivano a persuadere il professore e trascorrevano il tempo a non fare nulla sui gradoni. 
Quando però le ragazze raggiunsero la loro meta, intuirono che forse in quella giornata le cose sarebbero andate diversamente. 
Il professore, infatti, aveva un sorriso smagliante e appariva essere la persona più attiva e allegra di tutta la classe in quel momento. 

Fece sedere i ragazzi di fronte a lui e Andy ne approfittò per avvicinarsi a Sole e parlarle a bassa voce. 

“Dato che vi devo dare dei voti e non ho voglia di vedervi sdraiati sui gradoni come al solito, oggi ho una bellissima proposta da farvi!” 

“Sole, possiamo mettere in atto il nostro piano.”

La ragazza guardò Andy leggermente spaesata, ma capì subito a cosa si riferisse. 

“Hai ragione! E so già come...” 

“Va tutto bene? Mi sembri un po’ giù.” 

Andy era l'unico che se n’era accorto. 
Prima di entrare in classe, quella mattina, Sole si era asciugata le lacrime e si era stampata sul volto un finto sorriso. 
Non aveva voglia di dover dare spiegazioni a nessuno, tantomeno all'intera classe. 

Scrollò le spalle e la testa e cercò di fare al ragazzo uno dei suoi sorrisi più rassicuranti. 

“Più o meno, ma ti racconterò meglio dopo.” 

E lui annuì, capendo che era meglio lasciare Sole tranquilla per il momento.

“Oggi faremo una meravigliosa partita di... 
Palla avvelenata! 
Non potete opporvi, quindi niente lamentele o discussioni. 
Andrea, Elisabetta, formate voi le due squadre.” 

I ragazzi si alzarono in piedi e Nene sbuffò. 

“Okay, non poteva scegliere sport peggiore.” 

Sole la guardò divertita, Nene non immaginava nemmeno cosa l'avrebbe aspettata. 

“Ma non eri brava l'anno scorso Nene?” 

“Sì, ma sceglievano sempre le palle peggiori e poi nessuno sapeva le regole.” 

E Sole non poté che cogliere la palla al balzo che la sua stessa amica le aveva gentilmente offerto. 
Guardò Andy, che si avvicinò subito alle ragazze con Grow. 
Ormai i due erano in trappola. 

“Bene, perché allora non ci pensi tu a prenderle e... Grow! Così ti aiuta a portare i palloni!”

Sole sogghignava e sapeva che appena Nene ne avesse avuto occasione avrebbe fatto a pezzi l'amica. 
E Andy, d'altro canto, stava cercando di trattenere le risate per l'interpretazione pessima di Sole nel cercar di far apparire la sua scelta molto casuale. 

Sole prese Nene prese per il polso e la avvicinò a Grow, il quale a sua volta era stato trasportato da Andy e non sembrava troppo entusiasta della cosa. 
Poi i due li spinsero dentro e chiusero la porta senza permettergli di contestare. 

Nene e Grow si guardarono leggermente imbarazzati. 
Lo sgabuzzino degli attrezzi della palestra era particolarmente stretto e buio, ma non abbastanza, così da permettere di capire chi si poteva avere davanti. 

Nene cercò di concentrarsi ripetendosi che dovevano solo prendere i palloni per giocare… Ma quel buio pesto sembrava aver risucchiato la rete dei palloni oltre al suo respiro. 
E concentrarsi le sembrò quasi impossibile col fiato di Grow quasi sul collo e i suoi occhi azzurri a fissarla così intensamente. 

Si passò una mano tra i capelli e cercò di risucchiare la poca quantità di aria presente in quella stanza: le sembrò d’improvviso anche terribilmente calda. 

“Secondo me Sole si è sbagliata e i palloni sono in palestra da qualche parte, usciamo da qua Grow.”

La ragazza cercò di girare la maniglia, ma la porta non si apriva e sembrava bloccata dall'esterno. 
Se non si fosse aperta di lì a poco sarebbe scoppiata in una crisi isterica e non era di certo il massimo in uno sgabuzzino degli attrezzi con la sola presenza di Grow. 

“Nene... 
Come stai?”

La ragazza strabuzzò gli occhi e lo guardò come se fosse pazzo. 
Non le rivolgeva la parola da giorni e dal nulla nel momento più sbagliato cercava di mettere in piedi una conversazione con lei? 

“È inutile che forzi la maniglia, rischieresti solo di trovartela in mano. 
E non voglio chiacchierare, vorrei davvero sapere come stai.” 

Grow la fissò e non sembrava per nulla intento a muoversi da lì finché Nene non gli avesse dato una risposta. 
Le sembrò quasi inutile cercare di girare intorno al discorso. 
Sapeva benissimo cosa intendesse Grow, ma… Non voleva parlarne. 
L'aveva delusa e tradita e se non l'aveva capito magari non gliene era nemmeno importato poi così tanto. 

Nene abbassò lo sguardo lasciando che alcune delle sue ciocche le coprissero il volto insieme alle lacrime che stava cercando di trattenere. 
Non voleva rispondergli. 
Avrebbe potuto deriderla di nuovo, avrebbe potuto prendere i suoi sentimenti e accartocciarli come lei aveva fatto con la busta della colazione quella stessa mattina. 

Come poteva fidarsi di lui? 
Come poteva farlo di nuovo dopo quello che era successo?

Grow era inespressivo, solo il luccichio sui suoi occhi sembrava volerla convincere di credere ancora in lui. 

Nene sopirò. 
Non si sarebbe lasciata ferire di nuovo. 
Scosse la testa e allungò la mano per cercare di aprire di nuovo la porta, che si trovava dietro Grow: era l'unica sua possibilità di fuga. 

La sua mano però non raggiunse la maniglia, ma si trovò ad intrecciare le dita con quelle di una più grande e affusolata. 
Grow l'aveva presa per mano. 

Nene si sentì mancare completamente il respiro e alzò lo sguardò incastrando i suoi occhi, che ormai avevano lasciato scivolare sulle guance alcune lacrime, su quelli decisi e luminosi di Grow. 

“Ti prego, rispondimi.” 

Nene si ritrovò sbaragliata e tutte le possibili difese che si era creata diventarono solamente mura di sabbia a sgretolarsi sotto i suoi piedi. 
Ora non avrebbe potuto scappare. 

Grow la stava tenendo per mano, le sembrava assurdo.
E non erano mai stati così tanto vicini.
Non le sembrava una situazione normale per due amici, erano davvero qualcosa di più loro? 
Però “qualcosa” erano e la  sola concretezza di questo qualcosa la faceva sentire sollevata.
E non voleva rovinare tutto per colpa del suo orgoglio.
Non voleva perdere Grow.

“Mi manchi.” 

Le parole le sfuggirono dalle labbra. 
E si ritrovò a coprirsi la bocca sentendosi in colpa per quello che la sua mente aveva appena pensato e fatto sapere al ragazzo contro la sua volontà. 
Tra tutte le cose che poteva dirgli e tutta la rabbia che aveva nei suoi confronti e che avrebbe voluto riversargli contro, le era uscito ciò che più sbagliato potesse dire in quel momento. 

La reazione del ragazzo la lasciò spiazzata di nuovo. 
Le sorrise in modo dolce e l'abbracciò, teneramente, come mai aveva fatto prima, quasi a volerle far dimenticare tutto quello che era successo e a dirle “Ora ci sono io, sono qui con te.”.
Nene avrebbe voluto prenderlo a pugni, ma si sentì stanca e debole, troppo per reagire. 
Si lasciò cullare dal suo abbracciò appoggiando la testa sulla sua spalla e lasciando che il dolce profumo del ragazzo le inebriasse totalmente il cervello. 

“Anche tu, Nene.” 

Grow lo disse piano, quasi sussurrandoglielo. 
Nessuno però avrebbe potuto sentirli e nemmeno vederli in quello stanzino degli attrezzi. 
E Nene dovette ammettere amaramente che non se ne sarebbe mai voluta andare via da lì.

Sospirò e il ragazzo si staccò da lei lentamente, pur tenendole ancora la mano.

“Possiamo tornare ad essere quello che eravamo? 
Mi dispiace averti ferita, ma non voglio più vederti così. 
Ho capito che sono stato un coglione e puoi sbattermelo in faccia tutte le volte che vuoi se questo basta a farti stare meglio.” 

Nene gli sorrise forzatamente.
Ormai era cascato il palco e non poteva fare la stronza adesso. E, alla fine dei conti, nemmeno lo voleva..

“Lo farò. 
Andiamo adesso, Grow, che altrimenti gli altri ci danno per dispersi.” 

Allontanò di malavoglia la mano dalla sua e si sentì maledettamente fuori posto. 

“Pace?” 

Il ragazzo sfoderò uno dei suoi sguardi più dolci e le sorrise. 
Non era così che Nene voleva che finisse: sospirò e gli sorrise a sua volta.

“Pace.” 

Lui le diede un bacio sulla guancia e le voltò le spalle aprendo la porta e dirigendosi verso i ragazzi. 
Lei si asciugò le lacrime e lo seguì. 
Sentiva uno strano torpore dove Grow l'aveva baciata ed era ancora intontita per quello che era successo. 
La sua testa continuava a domandarsi qualcosa che era nato da quella domanda che aveva sempre cercato di nascondere a se stessa e che lui quasi ingenuamente le aveva sbattuto in faccia: 

“Possiamo tornare ad essere quello che eravamo?” 

Ma loro… Cosa erano veramente? 

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