Radici

di Gan_HOPE326
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quattro uomini e due donne in barca (per tacer della renna) ***
Capitolo 2: *** Avventura sull'isola dei giardini ***
Capitolo 3: *** Come l'arca di Noè ***
Capitolo 4: *** L'albero e il pirata ***
Capitolo 5: *** Scarpe pulite! ***
Capitolo 6: *** Invasione ***
Capitolo 7: *** Il frutto della vita ***
Capitolo 8: *** Come raggiungere Skypiea senza usare la Knock-Up Stream ***
Capitolo 9: *** Inferno nel Giardino di Eden ***
Capitolo 10: *** Come è profondo il mare ***
Capitolo 11: *** Ringraziamenti ***



Capitolo 1
*** Quattro uomini e due donne in barca (per tacer della renna) ***


Dieci anni fa

Nonostante ne sia un grande appassionato, fino ad ora non ho mai voluto scrivere una fanfiction su One Piece. La ragione è semplicemente che quando si scrive una fanfic, si finisce sempre per cambiare qualcosa dell’opera originale: e a me One Piece piace così tanto che non vorrei cambiarne nulla. Poi c’è stato il concorso di Rota23, “Il Frutto del Destino”. L’organizzatrice avrebbe inventato e assegnato un Frutto del Diavolo a ciascun concorrente, e l’obiettivo era scrivere una storia che raccontasse della persona che aveva mangiato quel frutto, del suo incontro con la ciurma di Luffy e di come la sua vita fosse cambiata in seguito a quell’incontro. Mi sono iscritto, e questa è la storia con cui partecipo. Perciò l’idea del Frutto di Woo Woo è di Rota23, e per questo la ringrazio. Il resto è la mia storia, che ho cercato di scrivere senza tradire il vero spirito di One Piece. Ogni tanto un po’ di tensione, persino di commozione, ma innanzitutto e soprattutto divertimento spensierato e leggerezza. Quest’avventura si ambienta tra il Davy Back Fight e l’arrivo a Water 7. Chi non legge il manga ma segue solo l’anime in italiano potrebbe trovare qualche discrepanza (prima fra tutte, il nome del capitano: è Luffy, non Rubber come dicono da noi!), ma non dovrebbe essere un grosso problema. Buon divertimento, leggete e commentate! 

 

 

 

Dieci anni fa

 

La borraccia era stata ricavata da una grossa anguria, aperta in due, scavata dalla propria polpa, essiccata e quindi rincollata insieme con un mastice naturale; piena d’acqua, sembrava incredibilmente pesante, ma la ragazzina la maneggiava senza troppo sforzo. Ne bevve un grosso sorso, e la frescura, in quel giorno assolato, era come un attimo di paradiso. Poi la lasciò cadere a terra accanto a sé. Stava appoggiata al tronco di un albero che le regalava un po’ d’ombra, teneva i piedi nudi sul terreno e aspettava, pigramente, che il pomeriggio si decidesse a finire. Sbadigliò.

-         Flea!

Tra le zolle mezze essiccate e i sassi, il vecchio avanzava correndo malamente, rovinando a terra, saltellando qua e là a gran passi. Era in preda a un’agitazione esagerata. Aveva a tracolla una vecchia borsa di cuoio. Ogni volta che sbatteva o cadeva, dalla borsa traboccavano viti, chiodi e tasselli, di cui stava lasciando una scia dietro di sé; e ogni volta che si rimetteva in equilibrio sputava, imprecava e mugugnava qualcosa di incomprensibile che suonava come “gnarr”. O una cosa del genere. La ragazzina sospirò e sorrise.

-         Flea! Gnarr! Ma dove ti sei cacciata?

-         Sono qui, papà.

-         Finalmente! Gnarr!

Il vecchio arrivò accanto all’albero, sfinito dalla foga della corsa. Era senza fiato: ansimava e gnarrava. Restò per quasi un minuto in quelle condizioni. Ansimo, sputo, ansimo, gnarr, sputo, ancora gnarr. Alla fine riuscì a parlare, e nel frattempo estraeva dalla borsa una sorta di involto, di carta giallastra di pergamena. Assieme a una ventina di chiodi che caddero a terra.

-         Flea, razza di peste, perché sei scappata come una matta dopo pranzo? Dovevo darti questa, gnarr!

-         E solo per questo ti sei ammazzato di fatica? – la ragazzina scosse la testa – Scusa, papà, ma non dovresti essere così scalmanato, alla tua età. Potevi darmela stasera.

Puntò gli occhi sull’involto, attratta.

-         Che cos’è? – chiese.

-         Sta’ zitta e ringrazia, gnarr! – sbottò il vecchio, sbattendole la pergamena in mano – Buon compleanno.

Flea si affrettò ad aprire la pergamena. Man mano che la svolgeva, scopriva nuove piegature; alla fine ebbe davanti a sé un foglio ampio quanto un lenzuolo. Era squadrato da linee orizzontali e verticali e coperto di disegni e scritte minute. Bisognava avvicinare gli occhi per leggerle. Nomi lontani, dai diversi sapori, esotici o inquietanti. Alabasta, arcipelago Shabondy, Elbaf. Altre linee, sinuose e variamente colorate, congiungevano i diversi punti contrassegnati da quei nomi, rappresentando le contorte rotte decise dai capricci del magnetismo. In alto, infine, accanto a una rosa dei venti, la scritta più grande di tutte. “Grand Line”, Grande Blu.

Alla ragazzina luccicarono gli occhi.

-         E’ una mappa, gnarr. – spiegò il vecchio – Non è mica facile trovarne una così, eh.

Flea corse ad abbracciarlo, felice. Lo strinse tanto forte da fargli perdere l’equilibrio; per poco non finirono a terra entrambi. Il vecchio lanciò uno gnarr allarmato.

-         Attenta! Sei forte come una quercia, tu, gnarr. Vedi di non ammazzarmi.

La ragazzina si sedette di nuovo a terra, a studiare la grande mappa. Mentre la fissava, senza alzare gli occhi, disse:

-         Papà, raccontami di nuovo la storia dei pirati.

-         Dei pirati, gnarr? Ancora?

Flea annuì, ma era sempre pensierosa, concentrata sui disegni.

-         Gold Roger! – cominciò il vecchio, ispirato – Lui sì che era un uomo. Era fortissimo, coraggioso, e sapeva cosa fosse l’onore; il più grande pirata di tutti i tempi, il Re dei pirati, gnarr! Ne nasce uno ogni cent’anni, così, te lo dico io. Non lo fermava niente. Gli dissero che era impossibile navigare fino alla fine del Grande Blu. Lui rise e decise che l’avrebbe fatto, allora, in barba a tutti quei codardi, gnarr. Visitò tutte le isole di questo mondo, tutte, persino le più strane.

-         Dimmene qualcuna. – chiese Flea, sorridendo.

-         L’Isola del Contrario, dove la gente cammina sulle mani, quando ti incontra ti dice “addio” e quando se ne va “che piacere, da quanto non ci vedevamo!”, gnarr. E l’Isola della Fortuna, dove gli abitanti sono così fortunati che il governo li ha banditi da tutti i casinò e le lotterie del mondo. E poi, gnarr, poi l’Isola dei Fabbri, dove si costruiscono le migliori spade del mondo, e ai bambini appena nati, anziché sonagli, regalano mantici e martelli, così imparano fin da subito il mestiere.

-         Papà, queste isole non sono vere. Te le sei inventate.

-         E tu che ne sai, gnarr! Va’ a navigare davvero e vedilo da te, se sono o non sono vere!

-         Non c’è bisogno di andare a vedere. E’ evidente che racconti frottole.

-         Allora non racconto nemmeno la storia, gnarr. Cavatela da te.

Flea scosse la testa. Certo, erano tutte frottole; ma d’altro canto a lei piacevano, le frottole.

-         D’accordo. – disse – Diciamo che sono vere. Continua, forza!

-         Hm, gnarr. Gold Roger viaggiò e viaggiò, ed esplorò tutto il Grande Blu. Poi però, un brutto giorno, quei vigliacchi del governo lo catturarono, gnarr.

-         Papà, non dovresti parlare così del governo. La Marina ci protegge dai pirati, in fondo.

-         Sono una manica di furfanti, gnarr! Gente senza spina dorsale! Cravatte e cartacce, conoscono solo questo, puah! Lo catturarono e lo portarono al patibolo, perché volevano dare l’esempio, gnarr, secondo loro avrebbero scoraggiato la gente dal mettersi in mare. E Gold Roger li ha fregati tutti, gnarr, lui sì che era furbo. Un attimo prima che gli taglino la testa, gli viene concesso un ultimo desiderio. Lui chiede di poter parlare. Glielo concedono, e lui che dice? Che il suo tesoro è nascosto in fondo al Grande Blu, e di andare a cercarlo, e a prenderlo. Lancia una sfida al mondo intero! E da allora in mare c’è tutta la gente più stramba, gnarr! Pagliacci e cuochi, domatori e giganti, uomini pesce e musicisti, e in più un sacco di tizi con i poteri dei Frutti del Diavolo, la roba più assurda! Chi si trasforma in fuoco, o in ghiaccio, o in pietra, e chi lancia raggi, gnarr, e chi diventa un animale! Tutti a cercare un tesoro che nessuno sa cosa sia. Tutti in mare. In barba al governo, gnarr!

-         Sai, papà, io penso di saperlo, cosa sia. Il tesoro “in un solo pezzo”. One Piece.

Il vecchio strabuzzò gli occhi, fissando la figlia. Uno “gnarr” gli si smorzò in gola.

-         Secondo me è il diario di bordo di Roger. E’ il racconto delle sue avventure, la storia più grande e bella di tutte.

-         E tu vorresti leggerla, gnarr?

-         Più di ogni altra cosa. – disse, sognante, la ragazzina.

-         Allora è facile. Lo trovi qua. – fece il vecchio, e puntò con un dito, sulla mappa, l’isola più a destra di tutte. Accanto c’era scritto “Raftel”. Flea scoppiò a ridere:

-         No, per carità! Sei pazzo? Io non mi metterò mai per mare. Mi piacciono le storie, tutto qui.

-         Cosa, gnarr? E allora questa mappa che te l’ho regalata a fare? Le mappe servono per viaggiare, gnarr!

-         E io infatti, guardandola, viaggio. Con la fantasia, però. Non mi va proprio di lasciare la nostra isoletta.

-         Che idiozia! Sei una cretina e una fifona, gnarr! Se deve servirti a questo, allora è sprecata. Dalla a qualcuno che la usi davvero per navigare, piuttosto.

-         Ma che dici? Tu me l’hai regalata, e io me la tengo.

-         Hmph. Gnarr. Cretina. Hm…

Borbottando tra sé, il vecchio si allontanò, più lentamente di come era arrivato, ma sempre inciampando ad ogni piè sospinto. Causava tanto trambusto da sollevarsi dietro una nuvola di polvere. A Flea venne di nuovo da ridere, poi si concentrò sulla mappa, studiandosela per bene. Leggeva i nomi delle isole e provava a immaginarsi come dovessero essere. Probabilmente non come quelle che le descriveva suo papà, pensò. Magari erano tutte abbastanza normali. Chissà quante di quelle storie erano tutte frottole. Quella faccenda dei Frutti del Diavolo, ad esempio. Gente con poteri impossibili, condannata a non saper nuotare. Non che fosse una grande condanna – in fondo, nemmeno lei sapeva nuotare, e la cosa non le era mai pesata più di tanto. Comunque, sembrava una cosa assurda. Mentre rifletteva su questo argomento, le venne voglia di uno spuntino, qualcosa di fresco, magari, che le alleviasse anche l’arsura. Pigramente, allungò i piedi nudi dentro il terriccio. Tese una mano davanti a sé. Le dita dei piedi le si allungarono, intrufolandosi sotto terra come tentacoli alla ricerca di nutrimento; la loro pelle divenne marrone e dura come corteccia fino alle caviglie. Dall’indice della mano tesa, come una goccia, scese un filo rosso che si ingrossò rapidamente e divenne quasi sferico, quindi si definì ulteriormente e prese la forma di una mela matura. Flea la staccò e la addentò voracemente, abbandonandosi al sapore dolce. Questa qui le era venuta particolarmente bene.

Tornò a pensare ai Frutti del Diavolo. Mah, chissà se era vera, quella storia.

 

 

Gan_HOPE326  presenta

 

una fanfiction di ONE PIECE

 

RADICI

 

 

Capitolo 1 – Quattro uomini e due donne in barca (per tacer della renna)

 

Oggi

 

-         EVVAI! CHE SPASSOOO!

A gambe incrociate sulla polena della Going Merry, Luffy urlava di gioia, esaltato come un ragazzino sulle montagne russe. In effetti, trascinata com’era dalle gigantesche onde che si sollevavano da ogni lato, la nave dava davvero la stessa sensazione di un vagoncino delle montagne russe. Con in più il rischio che potesse affondare annegando tutti quelli che si trovavano a bordo: il che, evidentemente, non preoccupava affatto il capitano. Anzi, rendeva il tutto parecchio più eccitante.

-         YUHUUU! – gridò ancora, poi allungò il braccio per afferrare il suo cappello di paglia, che gli era stato portato via da uno spruzzo d’acqua.

-         Luffy, non ti chiedo per forza di aiutarmi, ma per pietà, SMETTILA ALMENO DI GIOIRE COME UN BAMBINO IDIOTA! – ringhiò Nami, che nel frattempo stava tirando una cima con le mani ormai scorticate per lo sforzo, tentando disperatamente di tendere la vela e prendere un po’ di vento che li portasse fuori da quella turbolenza.

Non era una tempesta, perché il cielo era sereno. Era successo all’improvviso, senza nessun segno premonitore: in un attimo il mare aveva cominciato a turbinare, aveva formato gorghi e onde anomale, mosso da una forza sconosciuta. Nami si era ormai rassegnata agli assurdi fenomeni che infestavano le acque del Grande Blu e che, nonostante fossero del tutto naturali, sembravano congiurare malignamente per affondare ogni singola imbarcazione che tentasse di solcare quei mari. Si era abituata a considerare l’oceano come un nemico, e non si sarebbe stupita più di tanto nemmeno se avesse visto l’acqua sollevarsi in forma di pugni e prendere a cazzotti lo scafo.

Nei primi istanti della turbolenza la sua mente aveva formulato l’ipotesi che tutto quel bailamme potesse essere dovuto al movimento di qualche grossa massa nelle profondità; poi aveva smesso di pensare, essendo impegnata più che altro a impedire che lei e i suoi compagni finissero trasformati in spuntini per gli squali, o i mostri marini, o qualunque altra diavoleria dotata di denti e zanne si annidasse lì sotto.

-         Qualcuno vada alla barra del timone! Cercate di tenere la rotta stabile! E, ROBIN, PER L’AMOR DEL CIELO, VUOI DARMI UNA MANO?!?

-         Anche più di una. – disse l’archeologa, che seduta placidamente sul ponte superiore sfogliava un libro dall’aria antica.

Una decina di mani femminili e aggraziate spuntarono accanto a Nami, le fecero un grazioso cenno di saluto, dopodichè afferrarono la gomena e cominciarono a tirare.

-         Robin, il tuo potere è davvero molto utile – commentò acida la navigatrice – ma gradirei anche vederti un po’ più tesa, in situazioni come questa.

-         Ma io sono tesa. – ribatté quella, girando pagina – Questa storia della millenaria dinastia Sankesh è molto avvincente.

-         Lascia perdere, Nami. – intervenne Usopp – Dopotutto, c’è anche di peggio.

-         Ah, sì? Cosa c’è di peggio?

Usopp indicò un punto del parapetto. Appoggiato a una colonnina, a gambe incrociate, Zoro russava sonoramente. Quando la nave si inclinava violentemente sotto la spinta delle onde, il suo corpo barcollava fino quasi a toccare terra, ma in qualche modo manteneva l’equilibrio. Il suo sonno restava, comunque, assolutamente sereno.

-         Idiota di uno spadaccino. Meno male che ci sei tu, Sanji, a darmi una mano.

-         Per te qualunque cosa, mia dolcissima Nami! – esclamò il cuoco, in sollucchero – Potrei prenderti le stelle del cielo! Portarti l’acqua dell’eterna giovinezza! Raccogliere in un vaso i colori dell’arcobaleno e fartene dono! Trovare…

-         Sì, grazie, Sanji, sei molto gentile. Per ora mi basta che leghi quella fune da qualche parte. L’albero si sta inclinando.

Sanji corse ad ubbidire, sprizzando scintille d’amore.

-         Subito, bellissima! Ehi, tu, naso lungo. – fece poi ad Usopp, mutando istantaneamente espressione – Hai mica qualcosa per accendere?

Usopp prese dalla sua sacca un proiettile e glielo passò. Sanji lo schiacciò tra le dita, sprigionandone una debole fiammella. La avvicinò alla bocca e accese la sigaretta che già teneva tra le labbra.

-         Meno male. – disse – Le onde così grosse mi rendono nervoso, e quando sono nervoso ho bisogno di fumare.

-         E perché le onde così grosse ti rendono nervoso? – indagò Usopp.

In quella, i flutti percossero la Going Merry con più violenza del solito. Uno spruzzo d’acqua salata invase il ponte, annaffiando tutto da poppa a prua. Sanji prese tra le dita la sigaretta che aveva appena acceso: era ridotta a un moncherino umido e flaccido.

-         Per questo. – sibilò tra i denti.

Ora l’acqua cominciava a girare in tondo, e la nave era completamente bloccata. Sembrava non esserci speranza di farla uscire dal turbine, era già abbastanza difficile impedirle di ribaltarsi. Nell’acqua apparvero due sagome scure, che sembravano formare un cerchio e ruotare intorno allo scafo.

-         Avete visto? – esclamò SanjiCosa sono?

-         Non m’importa. Pensa alla fune. – ringhiò Nami.

-         Non m’importa. Cioè, mica ho pa-pa-paura! – balbettò Usopp.

-         Non m’importa. E’ TROPPO DIVERTENTE! – esclamò Luffy, al colmo del giubilo.

Le sagome si stringevano e ruotavano sempre più veloci. Contemporaneamente, il gorgo si faceva ancora più vorticoso, l’acqua pareva seguirli ed essere trascinata dalla loro furia. Le figure si fecero più distinte e affiorarono delle pinne che cominciarono a formare sottili scie di spuma sulla superficie.

-         Magari sono mostri marini… - mugolò Chopper, che era rintanato in un cantuccio con le lacrime agli occhi.

-         Non temere! – si impose Usopp, fiero – Tu fa’ esattamente quello che faccio io, e ti garantisco che non correrai alcun pericolo!

Chopper lo fissò, colmo di ammirazione e gratitudine. Il cecchino si ergeva immobile in mezzo alla furia dei marosi. Le sagome giunsero a pelo d’acqua e all’improvviso, in un tripudio di spruzzi d’acqua, squame variopinte e denti minacciosissimi, si rivelarono come due giganteschi Re dei Mari, specie famosa per le sue rigorose abitudini alimentari: poco sale sui cibi, molte verdure, e mai più di dieci marinai al giorno.

-         SONO MOSTRI MARINI! – strillò Usopp, che corse istantaneamente a nascondersi in un barile vuoto.

-         SONO MOSTRI MARINI! – ripeté, diligente, Chopper, prima di andare a nascondersi nel barile a fianco (che sfortunatamente per lui, però, conteneva i rifiuti della cucina).

-         PIANTATELA, RAZZA DI FIFONI! – gridò Nami, furibonda, riuscendo però solo a terrorizzare i due più di quanto non avessero fatto i mostri.

Poi non si sentì più nulla. Il fragore delle onde superò ogni cosa. I mostri ruggirono insieme e diedero una spaventosa frustata con la coda, sollevando una colonna d’acqua di metri e metri. La Going Merry venne squassata e si inclinò su un fianco; a Nami parve di intravedere, attraverso la muraglia d’acqua, qualcosa che assomigliava a una piccola isola tondeggiante con un alto palazzo al centro, e che si muoveva verso di loro. Ma era un’assurdità, probabilmente un’illusione. Il ponte ormai faceva un angolo retto con la superficie dell’acqua. L’intero equipaggio piombò in mare, barili compresi. Per un attimo terribile parve che la nave dovesse rovesciarsi del tutto. L’ultima cosa che Nami vide prima di svenire fu la fiancata che si abbatteva su di lei: poi sbatté la testa e perse i sensi.

Quando rinvenne era sul ponte della Merry, bagnata fradicia, distesa sulla sdraio di Robin. Intorno a lei, Sanji, Zoro e Usopp attendevano il suo risveglio. Mormorò qualcosa. Non riusciva ad aprire bene gli occhi.

-         Che è successo?

-         La nave si è quasi ribaltata. Ora va bene, il mare è tornato tranquillo. Riposati pure. – disse Sanji.

-         La nave si è quasi ribaltata. – ripeté tra sé e sé.

La cosa la disturbava. C’era qualcosa – un particolare – che la preoccupava, ma non riusciva a metterlo a fuoco.

-         Sentite, dite a Luffy che… - cominciò, poi spalancò gli occhi e saltò su in piedi – Luffy! Dov’è Luffy? E Robin? E Chopper? Loro non sanno nuotare, se sono finiti in mare…

Zoro non disse nulla e si allontanò. Sanji la prese delicatamente per le spalle e la costrinse a restare distesa.

-         Non lo sappiamo. – disse – Non sappiamo dove siano.

Nami si portò la mano alla bocca. Sentì di stare per scoppiare a piangere.

-         Senti, li cercheremo. Sono sicuro che stanno bene. Ma ora dobbiamo pensare a riparare la nave, prima di ogni altra cosa. Abbiamo subito un sacco di danni gravi, e conciati come siamo adesso non arriviamo da nessuna parte.

La ragazza annuì. Usopp, che intanto era corso a prua, annunciò a gran voce:

-         Vedo terra! C’è un’isola in vista!

-         Finché il capitano non è a bordo, direi che spetta alla navigatrice dare gli ordini. – disse Sanji con gentilezza.

-         D’accordo.

Nami si mise a sedere, ignorando il freddo e i brutti presentimenti.

-         Sbarchiamo, allora. Cerchiamo legname per le riparazioni.

-         Avete sentito gli ordini, teste di rapa? Naso lungo, spadaccino, vedete di lavorare! Dobbiamo approdare su quell’isola! Avanti, avanti!

Nessuno rispose nulla e le manovre iniziarono in un silenzio che la Going Merry conosceva molto di rado. La costa era sempre più vicina.

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Capitolo 2
*** Avventura sull'isola dei giardini ***


Capitolo 2 – Avventura sull’isola dei giardini

Capitolo 2 – Avventura sull’isola dei giardini

 

-         Calare l’ancora!

-         Ancora calata. Siamo fermi.

-         Perfetto, gente. Scendiamo a terra. Zoro, la passerella per Nami, disgraziato!

-         Lascia, Sanji, faccio da sola. Posso anche saltare giù.

-         Non se ne parla! Sei stanchissima di sicuro! Piuttosto ti porto in braccio io!

-         E piantala, cuoco. Sei una piattola, lo sai?

-         Zoro, non osare…!

-         Ragazzi, smettetela. Mi date il mal di testa.

-         Smetto subito! Subitissimo! All’istante! Non temere, che…

-         Sanji?

-         Sì, mia adorata?

-         Basta.

-        

-         Bene, siamo a terra. Ora non ci resta che trovare il legname per le riparazioni.

-         Sì, beh…

L’intero equipaggio tacque per un lungo momento, mentre ciascuno osservava il paesaggio da un lato all’altro. Era facile vedere anche punti molto distanti, perché tutto il terreno era perfettamente pianeggiante. In lontananza sembrava salire con una pendenza abbastanza ripida, ma non si vedeva altro, perché l’intero orizzonte era bloccato da una qualche specie di cortina, forse artificiale, come un muro che attraversava da parte a parte l’isola. Quel che era possibile vedere, però, era sufficiente a sconfortare tutti. Erano attraccati a cercare alberi da abbattere per procurarsi legname…

…su un’isola completamente spoglia.

-         Non c’è che dire. – commentò sarcastico Usopp – Lassù qualcuno ci odia.

-         Eneru, probabilmente. – suggerì Zoro.

Sanji fece una smorfia.

-         Risparmiati le scemenze, spadaccino. Ora come facciamo?

Il terreno era arido e sembrava non conoscere acqua da secoli. Si spaccava in zolle, le crepe lo solcavano fin dove era possibile vedere e il vento lo scavava. Usopp si chinò a tastarlo e scosse la testa.

-         Qualche alberello c’è. Qua e là. – osservò Nami, aguzzando la vista.

-         Sì, ma sono piccoli e secchi. Non ci faccio niente, non è legno adatto ai lavori che dobbiamo fare. E mi sa che su questo terreno non crescerà niente di meglio.

Tirò un calcio di rabbia al suolo. La terra si alzò in una nuvola di polvere.

-         E questa è la fine della nostra carriera di pirati. – commentò.

-         Usopp, non dirlo nemmeno per scherzo.

-         Piantala, Sanji. Non prendiamoci in giro. Siamo inchiodati qui. Senza nave. E soprattutto senza…

-         USOPP!

-         …senza capitano. – concluse il cecchino, lanciando uno sguardo amareggiato al cuoco.

Sanji lo afferrò per il colletto, gridando fuori di sé:

-         USOPP, BASTA COSI’! Luffy è vivo. E anche Chopper e Robin.

-         E questo chi te lo ha detto? – sibilò l’altro.

-         Dobbiamo avere fiducia in loro. E per non deludere la fiducia che loro avranno in noi, bisogna che facciamo il nostro dovere e ripariamo la nave. Per poter ripartire tutti insieme.

-         Sono d’accordo.  – intervenne Zoro – Basta liti e discussioni. Andiamo a cercare legname.

Usopp sospirò e assentì. Cercò di concentrarsi solo sul pensiero della Merry e di come rimetterla a nuovo.

-         Allora dividiamoci. – suggerì – L’obiettivo principale è trovare qualche albero ancora verde, che abbia del legno sufficientemente elastico da poter essere usato. Ne bastano tre o quattro, ma anche uno solo sarebbe d’aiuto, quindi chi lo trova lo taglia e lo porta qui. Come obiettivo secondario – continuò – mi pare di vedere laggiù un villaggio. Casomai non trovassimo nulla ci dirigeremo lì e vedremo se hanno del legname. Sarebbe meglio non spendere per questo parte dell’oro di Skypiea, ma…

-         …potremmo non avere scelta. – concluse Sanji.

-         Infatti.

-         Va bene. Andiamo.

Si allontanarono dalla nave. Nami e Zoro partirono in direzioni opposte, lungo i due lati della costa, mentre Usopp e Sanji si diressero nell’entroterra. Dopo qualche minuto erano già lontanissimi l’uno dall’altro, eppure Sanji aveva la sensazione di non essersi mosso affatto. Insomma, quella dannata isola era così monotona! Sassi e zolle, zolle e sassi, e qua e là solo qualche stecco buono sì e no per fare il fuoco. Non c’erano nemmeno dei punti di riferimento decenti con cui orientarsi. E neanche un rumore, o il verso di un animale. Magari stava camminando in cerchio.

-         Qui non combino niente. – si disse a voce alta, giusto per dimostrarsi che i suoni esistevano ancora.

E poi lo vide, e fu come una rivelazione, o un’oasi in mezzo al deserto. Un albero vivo, rigoglioso, bellissimo! Un po’ basso, a dire il vero, era alto più o meno quanto una persona, ma con foglie, corteccia, e persino frutti che scendevano dalle sue fronde e dondolavano al vento! Sanji non credeva ai propri occhi. Scattò in una corsa a perdifiato per raggiungerlo subito, temendo che fosse un miraggio – ma, decisamente, non lo era. Però, più lo vedeva da vicino, più quell’albero gli pareva alquanto anomalo. Aveva solo due rami, tanto per cominciare, messi da lati diametralmente opposti del tronco. Poi aveva delle forme piuttosto strane. Insomma, il tronco era tutto curvo, e all’altezza dei rami, da un lato, si rigonfiava, aveva come dei bozzi. Ma non proprio dei bozzi. Ricordavano piuttosto qualcos’altro. Ma, insomma, era proprio assurdo. Però…

-         Per essere un albero, sei sexy, tu! – esclamò Sanji, ridendo.

Ad ogni modo, decise di liquidare quel fenomeno come una semplice stranezza della natura. In altre circostanze avrebbe potuto anche mostrare cortesia a quel vegetale dalle sembianze tanto femminili, ma non era il momento di fare lo schizzinoso e, anche di fronte alla sua perfetta galanteria, un albero era pur sempre un albero. Sollevò una gamba preparando un calcio da mollare alla base del tronco per spezzarlo di netto.

-         Scusami, bellezza. – disse con un ghigno.

Tirò il calcio. E, quando colpì il legno, avvenne qualcosa di assolutamente incredibile.

 

-         Niente da fare, non ho trovato nessun albero decente, e sono esausta. – annunciò Nami, tornando al luogo dell’incontro con i compagni, che già la attendevano da qualche minuto.

-         Nemmeno io ho trovato alberi buoni. – disse Zoro – E devo ammettere che anch’io sono un po’ stanco.

-         Io ho trovato un esercito di diecimila uomini che mi ha sfidato, li ho sconfitti tutti in pochi minuti e sono ancora fresco come una rosa! – esclamò Usopp.

Gli altri due gli lanciarono un’occhiataccia.

-         Ma di alberi verdi nemmeno l’ombra. – concluse timidamente.

I tre si gettarono a terra, sospirando all’unisono. Restarono a lungo in silenzio, sdraiati al suolo, con gli occhi verso il cielo. Adesso bisognava solo sperare che Sanji avesse avuto più fortuna.

-         C’è una nuvola di polvere che si avvicina. – osservò Usopp.

In effetti, all’orizzonte si era formato una specie di tornado. Una furia che avanzava verso di loro a velocità impensabile.

-         Magari dovremmo spostarci. – suggerì Nami.

-         Magari no. – le rispose Zoro, poi fece uno sbadiglio e si addormentò.

La nuvola era sempre più vicina: ma, a ben guardare, c’era qualcosa di dorato, come una chioma bionda, che scintillava al suo interno, e in più urlava, e la voce sembrava quella di…

-         Sanji?

-         Ragazzi ascoltate mi è successa una cosa incredibile ho appena incontrato UN ALBERO CHE PARLA! – esclamò tutto d’un fiato il cuoco, arrestando la propria corsa folle.

Nami restò ammutolita. Usopp invece sbottò, sinceramente indignato:

-         E che cavolo, Sanji! Ti sembra una bella cosa rubarmi il mestiere?

-         Un albero incredibile! – continuò ad urlare l’altro, imperterrito – Era verde, volevo tagliarlo, gli ho mollato un calcio che avrebbe abbattuto un palazzo e quello non solo non ha fatto una piega, ma s’è pure messo a gridare! Ahia, fa male, diceva!

-         Che traditore. – commentò Usopp con disprezzo – Cioè, ci pensi a come ti sentiresti tu se io andassi in giro a cucinare e a dar calci alla gente?

-         Ma non è una bugia, Usopp! E’ tutto vero!

-         Sanji, un momento. – intervenne Nami, cercando di dare un senso alla discussione – Mi stai dicendo che vorresti farci credere di aver davvero incontrato un albero parlante?

Il cuoco annuì, ansimando per riprendere fiato dopo la corsa. Gli altri gli si strinsero intorno, compreso Zoro, che si era svegliato all’istante. Un buon samurai dorme con un occhio solo: l’altro gli serve per cogliere l’attimo nel caso si presentasse l’occasione di sfottere un certo cuoco-damerino-sopracciglia-a-tortiglione di sua conoscenza.

-         E quante fatine variopinte svolazzavano, intorno a questo albero? – chiese con un sorrisone a trentadue denti.

Il calcio che stava per fargliene saltare via alcuni venne però bloccato a mezz’aria dall’improvviso arrivo di una timida voce femminile:

-         Ehm, scusatemi, ma mi sa proprio che il vostro amico dice la verità.

Dalla stessa direzione da cui era arrivato correndo Sanji si stava avvicinando adesso una ragazza sui vent’anni, dall’aspetto piuttosto trasandato. Aveva capelli castani scarmigliati in mezzo a cui si intrecciavano qua e là dei fili d’erba e delle foglioline strappate, come se si fosse appena alzata dopo aver dormito con la testa appoggiata ad un prato; occhi larghi e verdi, carnagione scura. La cosa più curiosa era però il suo abbigliamento: indossava una camicetta rozza, tagliata in tessuto di juta, e stretta alla vita magra aveva una gonnellina di lunghe foglie intrecciate che le arrivava fino alle ginocchia. Portava a tracolla, con una cinghia che le passava sopra la spalla destra, una grossa anguria trasformata in borraccia e tappata con un turacciolo di sughero. Altre borracce, queste erano noci di cocco, le teneva alla cintola. Le volava intorno un grosso pappagallo verde, che a un certo punto si appollaiò sulla sua spalla. Gli sguardi di tutti si posarono su di lei, che parve piuttosto imbarazzata.

-         Ciao. – disse con un cenno leggero della mano – Ehm, io sarei Flea. Ma mi chiamano anche “la ragazza-albero”.

All’istante le comparve davanti un cartellino della dimensione di un piccolo quaderno con su scritto:

 

Abitante dell’isola di Eden

FLEA

La ragazza-albero

 

-         Che roba è? – fece lei, tastando l’apparizione incuriosita. Il cartello, al tocco, si dissolse in una nuvoletta.

-         Non farci caso. Ci succede sempre quando incontriamo gente nuova. – spiegò noncurante Usopp – Dopo un po’ ci si fa l’abitudine, e alla fin fine è anche comodo. Aiuta a rompere il ghiaccio e sveltisce le presentazioni.

Sanji, dal canto suo, era impallidito all’improvviso. Sudava  freddo.

-         La ragazza-albero? – balbettò – Vuoi dire che l’albero… parlante… quello che io…

-         Sì, beh, mi hai fatto un po’ male, sai? – disse Flea – Guarda qua, zoppico ancora. Mi sa che mi verrà un bel livido alla caviglia. Ehi, non ti preoccupare, non è niente. Ma che…?

L’altro non la ascoltava nemmeno più. Era in preda al delirio più completo. Ora piangeva ora rideva istericamente; si mordeva il colletto della camicia; saltava e correva tutt’intorno.

-         Ho dato un calcio a una donna! Ho dato un calcio a una donna! – ripeteva come un ossesso – ODDIO, VOGLIO MORIRE! HO DATO UN CALCIO A UNA DONNA!

-         Non… non credevo che… - fece Flea, imbarazzata.

Nami scosse la testa e sbuffò.

-         Lascia perdere, non è colpa tua. Quando fa così, bisogna ignorarlo per un po’. Alla fine smette.

Il pappagallo sulla spalla di Flea prese a sbattere le ali, attirando l’attenzione di Usopp:

-         Che bell’animale! E dice qualcosa?

-         Prova a chiederglielo. – fece Flea, con un sorrisino.

-         Ciao, pappagallo. Lo dici il mio nome? Mi chiamo Usopp. Usopp. Ripeti, dai!

-         NON SO PARLARE! NON SO PARLARE! – starnazzò l’uccello, così forte da far cadere a terra l’altro per lo spavento. Flea scoppiò a ridere.

-         Dice solo questo. – spiegò – Buffo, vero? Si chiama Paradosso, ce l’ha scritto su una targhetta appesa al collo. Deve essere scappato dal suo padrone, perché l’ho trovato qualche giorno fa che svolazzava davanti a casa mia. Mi ci sono subito affezionata.

-         Molto buffo. – confermò Usopp che, ancora con gli occhi strabuzzati, cercava di farsi rientrare il cuore in petto.

-         Potresti dirci qualcosa di questo posto? - chiese Nami - Noi siamo approdati qui per caso, cercando legname per riparare la nostra nave, e non ne sappiamo nulla.

-         Hm. – Flea si fece sospettosa e squadrò Nami con uno sguardo obliquo – Navigate, eh? Su quest’isola approdano solo due tipi di persone: i mercanti e i pirati. Voi cosa siete?

Nami, Usopp e Zoro si guardarono. Avevano vestiti stracciati, cicatrici, tatuaggi, bandane, armi varie e una bandiera con tanto di teschio sull’albero maestro. Non avrebbero comunque potuto mentire a lungo: meglio dire subito la verità, anche se poteva essere sgradita.

-         Pirati. – ammise Nami.

-         Meno male! Odio i mercanti. Sono dei tali ladri! – rise Flea, sollevata – Allora, ora vi do il benvenuto ufficiale. Signori pirati, siete appena approdati ad Eden, l’isola dei giardini, l’angolo più florido, lussureggiante e ridente del Grande Blu!

Il vento soffiò trasportando una palla di sterpi tra la polvere e i sassi. Da qualche parte, un ramo secco schioccò spezzandosi sotto il peso della sabbia che vi si era accumulata sopra. L’unica cosa ridente, in tutto il panorama, erano i teschi degli animali che mostravano le bocche spalancate in macabri sorrisi.

-         E questo nome ve lo siete inventato per attirare i turisti, o cosa? – chiese Usopp.

-         No, no! – si affrettò a spiegare Flea – Questo è il lato arido dell’isola. Ascoltate, vedete quel villaggio laggiù? E quello che sembra un muro, oltre il villaggio, che attraversa tutta l’isola?

-         Sì, certo.

-         Bene, oltre quel muro c’è il nostro meraviglioso Giardino. Eden è un’isola con poca acqua e clima desertico. Il Giardino fu realizzato da un re del passato, nessuno più ricorda nemmeno quando, ed è stato tenuto in vita per molti secoli dedicando la maggior parte della nostra acqua alla sua irrigazione. E’ un luogo meraviglioso, popolato da tutte le specie di piante del mondo, che sono state coltivate in una disposizione particolare, formando un labirinto di alberi e siepi. Per tutelare questa meraviglia, alcuni anni gli abitanti sono arrivati addirittura a importare acqua con navi cisterna da altre isole, spendendo montagne di soldi. Questo non era mai stato un grave problema, perché, fino a quando ero una bambina, l’isola era molto ricca, e poteva permettersi questi lussi. A quell’epoca anche questa metà di Eden in cui ci troviamo ora era abbastanza verde, anche se non bella come il Giardino. Circa vent’anni fa, però, sembra sia cominciata una grave crisi. Non ne so molto, a parte che l’isola è piombata in una grande povertà. Da allora sacrifichiamo ogni goccia d’acqua per mantenere in vita il nostro orgoglio, il Giardino, e questa metà è stata abbandonata. Ricordo che quando ero ragazzina c’erano ancora degli alberi verdi. Ora è soltanto un deserto.

-         Capisco. – commentò Nami – Però, se avete tanta scarsità d’acqua, come mai tu ne hai tanta dietro in quelle borracce?

-         Queste? – Flea sollevò leggermente una delle noci di cocco alla cintola. Sembrò vergognarsi – Io devo bere sempre molto. E’ come una malattia: se non lo faccio mi si rinsecchisce tutta la pelle e rischio di morire in poche ore. Per fortuna mio padre è un uomo importante e abbastanza ricco, spende un sacco di soldi per comprarmi quest’acqua.

-         Strano fenomeno. Forse è colpa del Frutto del Diavolo. – mugugnò tra sé e sé Usopp.

Flea lo guardò stranita:

-         Come hai detto?

-         Il Frutto, no? Il Frutto del Diavolo. Ti trasformi in albero, immagino tu ne abbia mangiato uno. – disse il cecchino – Magari si chiamerà “Frutto di Woo Woo”, o una cosa simile.

-         No, scusa. – replicò la ragazza, quasi piccata – Cosa credi, che sia una bambina? Non esiste una cosa come i Frutti del Diavolo, e certo io non ne ho mangiato uno. Sono così di natura, tutto qua.

-         Di natura? – Nami era piuttosto perplessa.

-         Beh, sì. Esistono i giganti, esistono gli uomini-pesce e le sirene. Che c’è di strano in una ragazza-albero?

Non faceva una grinza.

-         Però, scusa, i Frutti del Diavolo esistono eccome. – intervenne Usopp – Nel nostro equipaggio noi avevamo

Urlò di dolore quando Zoro gli pestò con violenza il piede.

-         …dicevo, noi abbiamo ben tre compagni che li hanno mangiati. E abbiamo combattuto un sacco di nemici con quei poteri.

-         Davvero? Beh, dovreste raccontarmi la vostra storia, allora! Sembra interessante. Ma io non li ho mangiati, vi ripeto. Mio padre me lo avrebbe detto di sicuro. E invece…

-         Flea! Gnarr! Razza di sfaticata! Dove ti sei cacciata, gnarr?

Il vecchio sembrò apparire dal nulla, tanto correva veloce; ma si fece notare subito travolgendo l’unico arbusto mezzo rinsecchito nel raggio di un chilometro, inciampandoci e sradicandolo, mentre le spine dei rami gli stracciavano la camicia di tela. Rotolò a terra per qualche metro, quindi si rialzò come niente fosse, furibondo come prima. Il suo passaggio era tanto rovinoso che, anche se quelle terre erano già desolate di loro, dove lui metteva piede lo diventavano un po’ di più, e faceva un tale chiasso che istintivamente tutti i pirati si misero sulla difensiva, impugnando chi la fionda, chi il bastone, chi le spade, pronti a fronteggiare l’attacco di quello che si sarebbe detto un intero esercito di feroci scimmie urlatrici. Flea si coprì gli occhi con una mano e scosse la testa.

-         Vi presento mio padre Madera. – disse sconsolata.

-         Flea! Gnarr! Chi è quella gente, gnarr! E che è sta roba, adesso?

La roba in questione era il solito cartellino. Gli si materializzò proprio davanti, con la scritta:

 

Abitante dell’isola di Eden

MADERA

Padre di Flea

 

Con un poderoso “gnarr”, Madera inciampò contro il cartello, lo fece praticamente esplodere, finì nuovamente a terra e scivolò fino a fermarsi con la punta del naso quasi sui piedi della figlia. Si rialzò e si spazzò via la polvere con gesti confusi. Fece un paio di giri su stesso per raggiungere un rametto secco che gli si era impigliato nel retro della camicia e toglierselo. Infine fronteggiò Flea.

-         Flea, dove accidenti ti eri cacciata, gnarr? Ho bisogno di te al cantiere!

-         Scusami, papà. Avevo messo radici e penso di essermi addormentata. Uno di questi ragazzi mi ha trovata ed ha cercato di abbattermi, così mi sono svegliata.

-         Addormentata! Puah! Gnarr! Che roba! Fila e vieni con me, avanti! Mi serve del legname!

A queste parole, Nami drizzò le orecchie: ma Madera aveva già afferrato la figlia per il braccio e ora la strattonava trascinandosela dietro verso l’entroterra. Corse a fermarlo.

-         Mi scusi! Del legname serve anche a noi! Come lo troviamo?

Il vecchio la guardò di sbieco. Stette un po’ a pensarci su.

-         Si compra. – sbottò.

-         Hm. – Nami restò piuttosto indisposta al sentire quella risposta. Avvertiva già lievi fitte all’altezza del portafoglio – E quanto ci costerebbe, più o meno?

-         Non si regala, gnarr! Almeno diecimila Beli a tavola, tavole da mezzo metro per tre!

La navigatrice fu quasi stroncata da un infarto; cadde all’indietro, e solo il sostegno di Zoro la salvò dall’impatto col suolo. Nella difficile trattativa subentrò Usopp:

-         Però, signore, noi ne abbiamo davvero bisogno. E non potrebbe aiutarci sua figlia?

Flea fece per scattare in avanti, ma il padre la trattenne e la zittì sibilando uno “gnarr” minaccioso. Squadrò il suo interlocutore con le palpebre strette:

-         E com’è che mia figlia dovrebbe aiutarvi, gnarr?

-         Ha detto di aver bisogno di lei per il legname. – osservò UsoppImmagino che sia capace di crearlo lei, grazie al potere del suo Frutto del Diavolo, quindi potrebbe…

-         Ancora con questa storia! – saltò su Flea, inviperita – Che testardo! Ti ho detto che non ho mangiato un Frutto!

Ma Madera si agitò molto più di lei:

-         Infatti! Che storie devo sentire! Gnarr! Gnarr! Frutti del Diavolo! Assurdo! A mia figlia, gnarr! Sapete che vi dico? Se volete comprarlo, il legname, adesso sono trentamila Beli a tavola. Gnarr!

-         Questo no! Quando è troppo è troppo! – gridò Nami, riavutasi dal malore.

Afferrò Madera per il colletto e i due cominciarono a strattonarsi, gridandosi in faccia numeri e percentuali carichi di una ferocia inaudita. Venticinquemila, ventinovemila; toglimi il venti per cento, no il dieci, almeno il quindici vecchio rimbambito, non più del dodici, strega pirata. Le contrattazioni cominciarono a farsi molto fisiche quando dai semplici strattoni si passò a qualche cazzotto. Flea, Usopp e Zoro assistevano allibiti alla scena, uniti dal terribile imbarazzo di fronte al disdicevole comportamento dei propri rispettivi parenti e compagni di equipaggio.

-         Sentite – chiese Flea a un certo punto, distogliendo lo sguardo da quello spettacolo poco dignitoso – Ma a voi serve davvero, questo legname?

-         Senza, non possiamo riparare la nave. – spiegò Usopp – Quindi siamo bloccati qui.

-         Capisco. Ascolta, anche se ti sbagli sulla storia del Frutto, io in effetti il legno posso crearlo davvero. Vedrò di darvi una mano di nascosto, d’accordo?

-         E con tuo padre come ci mettiamo?

In quel momento, la lotta aveva raggiunto il suo apice. Si udì un crepitare di scariche elettriche mentre Nami urlava “Fulmine Tenpo!”. Madera aveva messo mano a martello e sega estratti dalla sua borsa e li mulinava in aria con la grazia di un gorilla che abbia appena deciso di costruire un armadio.

-         Sarà meglio che lui non sospetti assolutamente nulla. – concluse Flea.

-         Meglio. – confermò Usopp, sudando freddo.

-         UCCIDIMI!

Quest’ultima voce, disperata, straziante, era quella di Sanji, appena tornato dal suo confuso vagare alla ricerca di occasioni suicide. Purtroppo, l’isola era perfettamente piatta, priva di burroni o anfratti, gli occasionali alberelli secchi e rincagnati non erano adatti per una buona impiccagione più di quanto non lo fossero per la carpenteria navale e le bestie più feroci a cui ci si poteva gettare in pasto erano delle misere lucertoline.

-         UCCIDIMI TU, ZORO! – urlò Sanji, piangendo – HO DATO UN CALCIO A UNA DONNA! SFODERA LA TUA SPADA E PONI FINE A QUESTA MISERABILE VITA SENZA PIU’ SENSO!

-         Piantala, cuoco. – disse l’altro – Nulla potrebbe mai convincermi a fare una cosa del genere a un mio compagno.

-         UCCIDIMI, CAPELLI AD ALGA!

-         E va bene… - sospirò Zoro, iniziando ad estrarre una delle sue katane.

Flea lo fermò con un gesto della mano, come a dire “a lui ci penso io”. Si avvicinò lentamente e si chinò accanto a quello che ormai non era niente più che un relitto d’uomo.

-         Ascolta – disse – quel calcio nemmeno lo sento più, davvero. Guarda, sto anche meglio. Proprio quella caviglia me l’ero lussata qualche tempo fa, e mi doleva di continuo. E invece ora niente! Mi sa che me l’hai rimessa a posto tu, sai?

-         Lo dici solo per farmi piacere. – mugolò Sanji, tirando su col naso.

-         Ma no, sono sincera! E poi, senti, non devi buttarti giù così. Diciamo che ti perdonerò, ma tu devi essere un po’ gentile con me. Mi stai facendo sentire in colpa.

-         Questo mai. – bisbigliò l’altro, e si asciugò le lacrime.

-         Ecco, vedi? Sei più bello così. Guarda, ti dirò un’altra cosa: tu sei uno che ha stile. Quel calcio, wow, non solo era fortissimo, ma l’hai dato molto bene. Un movimento perfetto. Sul serio, tutto sommato, se proprio dovevo prendere un calcio, mi ha fatto piacere prenderlo da te.

Gli occhi di Sanji si illuminarono. Li sollevò e incontrò quelli verdi, profondi, di Flea.

-         Da me? Solo da me? Non avresti voluto prenderlo da nessun altro? – mormorò, rapito.

-         Da nessun altro. – confermò Flea, con sicurezza.

Il cuoco si rialzò, cancellò ogni traccia di pianto dal suo volto e si risistemò la giacca nera, tornando ad essere un uomo con una certa dignità. Nel frattempo, Flea aveva avuto un’intuizione:

-         Ho trovato! Perché non vieni tu, domani, al cantiere? Mio padre non ti ha visto e quindi non avrà niente contro di te. Ti faccio vedere un po’ l’isola, poi tu mi conduci qui alla nave e io vi preparo il legname che serve. Che ne dici?

-         Giusto! Facciamo così. – esclamò entusiasta Usopp – Ascolta, Sanji, ti spieghiamo tutto poi, ma serve davvero il tuo aiuto. Sei disposto a fare come ha appena detto Flea, incontrarla da solo domattina, visitare l’isola in sua compagnia e poi tornare con lei alla nave?

Dicesi “domanda retorica” una domanda che non necessiterebbe di alcuna risposta, in quanto tale risposta è comunque tanto banale e scontata che persino un pollo con gravi disturbi dell’apprendimento saprebbe prevederla con facilità.

-         Ma certo! – disse Sanji.

Per l’appunto.

-         Allora è deciso. Segui la costa in quella direzione, e poco prima del muro che delimita il Giardino vedrai una grande torre di legno a picco sul mare. Non puoi sbagliarti, il cantiere è lì. Ci vediamo domani mattina. Adesso vado a prendere mio padre e lo porto via prima che riesca a vederti.

-         A domani.

Pochi minuti dopo, grazie all’intervento di Flea, la battaglia in corso ebbe finalmente termine. Nami tornò dai suoi amici piuttosto malconcia, zoppicante e con un chiodo che le spuntava da una gamba, ma continuava a ripetere che andava tutto bene, di non preoccuparsi per lei. E finalmente, un po’ più sereni grazie alla speranza di poter riparare la nave, i pirati tornarono sulla Going Merry, mentre ormai il sole si abbassava sul mare e scendeva la sera.

 

Nella sua cucina, il regno in cui nessun altro doveva mettere piede, Sanji era abituato ad una confortevole solitudine, che lo aiutava a immergersi nella giusta condizione mentale per le sue creazioni. Oggi non era così. C’era, nella stanza, intorno, aleggiante, qualcos’altro, una presenza di cui non riusciva a sbarazzarsi. Era ovunque. Prese un coltello dal ciocco apposito, un coltello di ottimo acciaio, dalla lama lucida e scintillante – scintillante come i suoi occhi – e dopo averlo soppesato si mise al tagliere, a sfoltire e pulire un cespo di insalata – foglie verdi, rigogliose, come quelle che crescevano sui suoi rami – appena lavato, tanto che su una foglia, proprio in punta, tremolava una gocciolina d’acqua – come quella che era rimasta sulle sue labbra, dopo che aveva preso un sorso da una borraccia. Lei era ovunque. Non è mica colpa mia, pensò Sanji, è questa dannata cucina che non fa altro che parlarmi di lei. I sacchi di juta uguali alla sua camicetta, o l’orzo dello stesso colore dei suoi capelli. Tutto quanto, tutto non faceva altro che gridare un solo nome.

Flea.

Sanji si sedette, fermandosi, e si premette la testa tra le mani. Era un’ossessione. Sinceramente, lo trovava preoccupante. In una vita intera passata a pensare sempre alle donne, non gli era mai capitato di pensarci così sempre: e a una donna sola, poi. Provò a restare perfettamente immobile, senza fare nulla, senza causare rumori. Immerso in un silenzio perfetto.

Ma il silenzio gli ricordava così tanto lei, quando taceva dopo aver detto qualcosa di meraviglioso e prima di dire qualcos’altro di altrettanto splendido!

Basta, non si poteva andare avanti così. Se voleva cucinare, Sanji decise che aveva bisogno di levarsi Flea dalla testa, almeno per il momento. Aveva bisogno di qualcosa che fosse assolutamente impossibile ricollegare a lei, qualcosa che deviasse i suoi pensieri. Aprì la porta della cucina e si affacciò nel corridoio.

Zoro sonnecchiava in un angolo vicino.

-         Spadaccino! – gridò – Dimmi qualcosa!

-         Che cosa? – mugugnò quello, socchiudendo un occhio.

-         Una cosa qualunque!

-         Se venissero srotolate, le tue sopracciglia coprirebbero l’intera lunghezza del Grande Blu.

-         Grazie!

Finalmente libero dalla sua ossessione, Sanji rientrò in cucina. Si rimise a tagliuzzare l’insalata, fischiettando allegramente. Ora nel cespo di lattuga non vedeva più le foglie della bella ragazza-albero: solo i capelli di un idiota.

 

-         Chi mi lecca?

Il sonno di una persona con i poteri di un Frutto del Diavolo che abbia avuto la disgrazia di cadere in mare è profondo, senza sogni e simile alla morte. Svegliarsi da questo tipo di sonno è un’esperienza molto spiacevole, fatta di nausea e lunghi momenti di semi-incoscienza, e finché non si torna perfettamente in sé è difficile capire cosa stia succedendo tutto intorno.

-         Chi mi lecca? – borbottò di nuovo Luffy, rigirandosi.

Ricevette uno schiaffo in volto, che gli fece finalmente aprire gli occhi. Vide la mano che lo aveva colpito svanire nel nulla.

-         Scusami, capitano. – disse sorridendo Nico Robin – Ma ho creduto giusto svegliarti.

-         Ah, sì, Robin. Ma chi mi lecca? – chiese, tornando al dunque.

Abbassò gli occhi. Nel frattempo anche Chopper si riprendeva, grazie alle energiche attenzioni di Robin. Luffy scosse le gambe, scacciando gli animali che gli stavano placidamente lappando le piante dei piedi. Quelli scapparono via e si radunarono con i loro simili. Ce n’erano una cinquantina, in tutto, in quella stanzetta piccola e senza finestre in cui erano chiusi.

-         Sono cani. – bisbigliò Chopper, ancora mezzo addormentato.

In effetti, si trattava di cani di piccola taglia dall’aspetto truce, minuscoli bulldog ringhiosi e con le guance cascanti. Ma non era tutto.

-         Sono cani col cappello! – esclamò Luffy, entusiasta.

Ogni bulldog portava, calcato in testa e tenuto da un piccolo elastico, un cappello bianco. Un cappello bianco cilindrico, con la tesa sul davanti, dalla forma ben nota, che faceva capire fin troppo chiaramente di chi fosse la nave su cui si trovavano e che preoccupò molto Nico Robin.

-         Sono cani col cappello della Marina. – disse la donna.

Gli animali li circondarono e cominciarono a spingerli, lentamente ma con decisione, verso la porta della stanza che si stava aprendo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Secondo capitolo della fanfic – ancora manca un po’ d’azione, ma presto spero di compensare XD. Un paio di notizie. Primo, il concorso “il Frutto del Destino” si è concluso, ma è finito un po’ in una bolla di sapone. Purtroppo, anche con proroghe e tutto il resto, a consegnare in tempo siamo stati solo io e un’altra concorrente, quindi non si è fatta nemmeno una classifica. Pazienza. Poi una curiosità: tempo fa, dopo aver già creato e definito per bene il personaggio di Flea, ho provato a fare una ricerca su Google per il termine “ragazza-albero”, tanto per sondare quanti e quali personaggi simili esistessero. Ed ho scoperto che non solo ce n’è un’infinità (anche di immagini, alcune delle quali sono identiche a come io mi immagino la mia eroina), ma esiste addirittura un sito in inglese (basta cercare “tree girl” e si trova subito) dedicato alle ragazze/ragazzi-albero, cioè a chi sente di amare la natura e gli alberi tanto da sentirsi come uno di loro. La realtà non fa che superare la fantasia, sembra XD.

Grazie a tutti quelli che hanno letto e commentato, a lale16, Smemo92, meg89, Bastet17 e un grazie e un saluto particolari a Senboo (felice che ti sia piaciuto Madera. Aspetta il prossimo capitolo per un nuovo personaggio adattissimo alla tua galleria XD) e ad ayachan (bentornata! E felicissimo che tu sia diventata una nakamanon ci posso far nulla, ormai in me la passione per One Piece ha superato quella per ogni altro manga. Non so se stai leggendo i capitoli spoiler, ma con tutto quello che sta succedendo al momento, li attendo con trepidazione sempre maggiore). Ciao a tutti, al prossimo capitolo!

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Capitolo 3
*** Come l'arca di Noè ***


Capitolo 3 – Come l’arca di Noè

Capitolo 3 – Come l’arca di Noè

 

Via via che vi si inoltravano, sempre guidati dalla torma di bulldog che trotterellava loro intorno, Luffy, Robin e Chopper scoprivano che quella a bordo della quale si trovavano era una nave del tutto particolare, al punto che, se non fosse stato per l’inconfondibile sensazione di rollio dovuta alle onde del mare, avrebbero potuto benissimo credere di trovarsi in un edificio sulla terraferma. Innanzitutto, nessuno degli ambienti era in legno. Le pareti erano fatte di lastre di metallo imbullonate, il pavimento piastrellato in marmo lucido. Camminarono per quasi dieci minuti senza mai incontrare un solo oblò; salirono e scesero scale ma non trovarono alcuna distinzione tra i vari ambienti. Non c’erano né ponti né stiva, solo lunghi corridoi e stanzoni quadrati. All’inizio trovarono la visita piuttosto spiacevole. Chopper scivolava continuamente e finiva a gambe all’aria perché non riusciva ad abituarsi a camminare con i suoi zoccoli su quel pavimento troppo liscio, e Luffy sbadigliava a ripetizione, annoiato dalla monotona regolarità di quel posto. Poi incontrarono le prime stanze.

-         Guardate! – esclamò Luffy vedendo un’indicazione sulla parete – “Mensa”! Si mangia!

-         Sarà una mensa militare. – commentò Robin – Non dimenticarti che questa nave sembrerebbe essere della Marina.

Raggiunsero la porta indicata e diedero un’occhiata all’interno. Accucciati davanti a bassi banconi, decine e decine di grossi felini, leoni, tigri e pantere, tutti con indosso i lunghi cappotti tipici degli ufficiali della Marina, si nutrivano leccando placidamente il latte da piccole scodelle. Tra i banconi si aggiravano aggraziate delle mucche con in testa un cappello a bustina: di tanto in tanto una belva che aveva vuotato la propria scodella ringhiava sommessamente per chiamarle. Allora una mucca si avvicinava al suo posto e il felino, con molta grazia, stringeva una delle sue mammelle tra le zampe anteriori spruzzando un getto di latte nella propria scodella. Quindi la mucca si allontanava, e la bestia feroce (o che tale avrebbe dovuto essere) tornava a leccare.

Chopper si strofinò gli occhi.

-         Questo non ha senso. – mormorò.

-         Sono certamente molto ben educati. – si limitò a dire Robin.

Luffy stava già cercando di entrare la mensa, interessato a mangiare, più che il latte, le mucche, o in mancanza di meglio anche i leoni, ma i bulldog si misero fermamente sulla soglia spingendolo indietro. Altri andarono avanti nel corridoio e restarono in attesa. Robin si accostò a Luffy:

-         Chiaramente vogliono che noi continuiamo a seguirli. Andiamo, capitano.

Sbuffando, il ragazzo si allontanò dalla porta della mensa. Chopper lo seguì, capitombolando di nuovo a terra.

Dopo la mensa, venne la sala d’addestramento. In una grande palestra attrezzata con pesi, punching-ball e spalliere alle pareti, una schiera di agguerritissimi conigli, con anelli alle orecchie e piccole giacchette di pelle borchiata, si allenavano alla lotta cercando di sopraffare un canguro armato di guantoni da boxe. Indomiti, non cedevano se un cazzotto li spediva a qualche metro di distanza, e finirono per organizzare un attacco di gruppo; quando Luffy e gli altri li persero di vista erano appena riusciti ad atterrare il canguro e sembravano volerlo azzannare alla giugulare.

-         Speriamo che si fermino. – disse Robin, un po’ turbata – Dopotutto, dovrebbe essere solo un addestramento.

Alcuni metri più avanti, l’armeria pullulava di solerti bradipi che montavano, pulivano e caricavano i loro moschetti in dieci secondi esatti. C’era una sala comunicazioni in cui picchi marconisti trasmettevano messaggi in codice Morse con i lumacofoni e un dormitorio in cui decine di cavalli in pigiama e babbucce da notte dormivano comodamente adagiati sulle proprie brande.

-         Ma i cavalli non dormono in piedi? – chiese Chopper, perplesso.

-         Forse questi non lo sanno. – suggerì Robin.

La renna restò poco convinta.

-         Mi sa che in questa nave c’è qualcosa di innaturale. – disse.

Adesso il corridoio era finito e i pirati si trovarono di fronte a una rampa di scale. I bulldog si disposero ai lati, si accucciarono sulle zampe posteriori e si misero sull’attenti. Perfettamente a suo agio, Robin avanzò con passo tranquillo tra le due file di marziali cagnolini; Luffy e Chopper la seguirono un po’ titubanti. In cima alle scale c’era una porta a due ante dall’aria solenne. Dietro quella porta c’era sicuramente qualcuno ad aspettarli.

-         Dev’essere un tipo molto importante – osservò Chopper – visto che ha anche i gorilla.

-         Molti VIP hanno delle guardie del corpo.

-         Sì, Robin, però…

I gorilla che stavano di guardia ai due lati della porta erano, letteralmente, due gorilla. Grossi scimmioni insaccati in completi neri con giacca e cravatta troppo stretti per i loro muscoli e con tanto di occhialetti a specchio. Quando si videro davanti i pirati si scambiarono un cenno di assenso e aprirono la grande porta. Oltre c’era una sala da pranzo, molto grande, con una vetrata in fondo e una tavola rettangolare al centro, e in piedi, esattamente di fronte all’ingresso, li aspettava l’unico essere umano che avessero incontrato finora sulla nave.

-         Lei è il capitano della nave? – chiese Robin.

L’uomo li fissò a lungo senza rispondere. Certamente aveva l’atteggiamento autorevole tipico di un ufficiale della Marina, ma nient’altro faceva pensare che fosse un militare. Non indossava nulla che somigliasse anche solo vagamente a una divisa, il suo abbigliamento non era altro che un’accozzaglia di accessori e indumenti accostati senza logica e accomunati dal solo fatto di essere, tutti, di origine animale. Aveva un berretto di pelo di procione, alla Davy Crocket, un manto di pelliccia sulle spalle, una maglia di lana, cintura di cuoio, scarpe di coccodrillo, pantaloni di pelle nera e occhiali bordati di tartaruga di cui, evidentemente, non aveva un reale bisogno perché mancavano le lenti. Alla vista di quello spettacolo quantomeno originale Robin, educatamente, trattenne il riso e si limitò a sorridere lievemente, coprendosi la bocca con la mano. Luffy ignorava cosa fosse l’educazione e, molto semplicemente, prese a sghignazzare come un matto. Chopper, invece, era inorridito. Il pensiero di quante vite di poveri animali fossero state stroncate per vestire quel tipo gli dava il capogiro. Il suo guardaroba doveva aver fatto più vittime di una piccola guerra.

Finalmente, parve che l’uomo si fosse deciso a parlare. Dischiuse le labbra, e i pirati ebbero un sussulto, trepidanti nell’attesa di avere, finalmente, delle risposte. Anche Luffy smise di ridere. Adesso avrebbero saputo. Quell’uomo era un amico o un nemico? Loro erano ospiti o prigionieri? Li aveva salvati o catturati? E che razza di nave era quella su cui si trovavano? Perché era popolata solo da animali? Un’infinità di dubbi che si sarebbero finalmente chiariti grazie a ciò che il misterioso individuo avrebbe detto loro, alle parole che stavano per uscire dalla sua bocca…

-         Bau! – esclamò il tipo, gioviale – Bau, caì, grrr, bau!

-         Eh? – fecero i tre pirati, in coro, sgranando gli occhi.

L’uomo parve confuso, restò immobile, poi, illuminato, si batté la mano sulla fronte come chi si è appena accorto di una grossa distrazione e disse:

-         Oh, accidenti… scusatemi, scusatemi! E’ così tanto che non parlo con esseri umani che ho perso l’abitudine a usare la giusta lingua. Dicevo: io sono il vice ammiraglio Whip, della Sezione Ricerche della Marina. Piacere di conoscervi!

-         Piacere nostro. – ricambiò sorridente Nico Robin.

-         Scusa – bisbigliò Luffy all’orecchio di Chopper – ma tu non avresti dovuto capirlo? Pensavo conoscessi la lingua degli animali.

-         In teoria sì. Ma lui ha una pessima pronuncia.

-         Benvenuti a bordo della mia nave, la “Turtle-o-pia”. Vi prego, vogliate accomodarvi a tavola e farmi compagnia durante la cena. Parleremo e risponderò a tutte le domande che vorrete farmi e che, sono sicuro, saranno molte.

Whip indicò agli ospiti la grande tavola, e tutti si avvicinarono. Robin e Chopper si scambiarono un segno di assenso: sembrava un tipo cordiale, ma era meglio stare in guardia. Comunque, era possibile che semplicemente ignorasse che loro tre erano pirati – nel qual caso sarebbe stato sufficiente non farglielo scoprire, e tutto sarebbe filato liscio.

Luffy corse avanti a tutti raggiungendo la tavola. Era apparecchiata, ma i piatti erano ancora vuoti; il servizio, in argento, prometteva con ammiccanti luccichii di riempirsi presto di pietanze succulente. Luffy era già in estasi.

-         Mancano le sedie. – notò.

-         Ah, giusto. Ragazzi, le sedie! Mmmarr mgnan!

In risposta a quei ringhi disarticolati, quattro panda uscirono da una sala laterale, portando ciascuno una poltroncina. Le posarono ai quattro lati della tavola, un po’ goffamente, poi si ritirarono.

-         E’ uno spasso, la tua nave! – disse Luffy, fissando i panda con gli occhi che luccicavano.

-         Diciamo di sì. – fece l’ufficiale, compiaciuto – Quelli sono i miei facchini tuttofare. All’inizio li avevo presi per addestrarli al combattimento, in realtà. Ho cercato di insegnar loro il kung-fu, ma pare non siano proprio portati…

Si sedettero a tavola. Con un battito di mani, Whip richiamò uno stuolo di pinguini camerieri che, scivolando sul pavimento con dei pattini a rotelle, portarono vivandiere, pane, bevande e tovaglioli. In pochi secondi fu tutto al proprio posto sulla tavola e i pinguini uscirono, allineandosi in una fila perfetta. Luffy batteva le mani e rideva, entusiasta dello spettacolo; l’entusiasmo si smorzò un po’ quando abbassò lo sguardo sul cibo con cui era stato riempito il suo piatto.

-         Brodo di cavolfiori? – fece, con un lieve moto di disgusto.

-         Naturalmente. – disse Whip – Buono, molto salutare e, mi sia concesso, poco costoso. Il budget di una nave militare è quello che è.

-         Avrei preferito qualcosa di più gustoso. – mugolò il ragazzo, rimestando il brodo col cucchiaio, poco convinto.

-         Per esempio? Se sarà possibile, sarò lieto di accontentare tutte le sue richieste.

-         Non si potrebbe avere un po’ di carne? – chiese speranzoso Luffy.

Il volto del vice-ammiraglio si trasfigurò. Si deformò, semplicemente, in un’espressione di inenarrabile orrore.

-         Lei… – balbettò – …lei mangerebbe carne di animali?

-         Perché, tu no? – fece l’altro.

-         Per carità! Io non potrei mai… no, mio Dio, no! Io amo gli animali!

-         A vederti, non si direbbe. – mugugnò Chopper.

C’era un accento molto polemico nella sua voce.

-         Cosa intende dire? – chiese Whip, confuso.

-         MA GUARDATI! – gridò la renna, furibonda – INDOSSI LA PELLE E IL PELO DI CHISSA’ QUANTE POVERE BESTIE INNOCENTI!

-         Cosa? No, no, la prego, lei ha frainteso tutto! – rispose quello, agitando le mani – Questi animali sono morti tutti in modo naturale! Se ne indosso le vestigia, è solo per serbare un caro ricordo di loro. Ognuno di questi capi ha una storia sua.

La furia di Chopper si placò, ma la renna restò comunque sospettosa. Non avrebbe creduto tanto facilmente a quella storia.

-         Ognuno? – disse – Anche la cintura di cuoio?

Whip annuì tristemente:

-         Il cuoio viene dalla povera Rosina. Era una mucca addetta al servizio mensa, ma un giorno la pantera Leyla perse il senno e la divorò. Da ciò che restava di lei ho potuto ricavare solo questo.

-         E i pantaloni di pelle? – continuò Chopper.

-         E’ la pelle di Leyla. – sospirò Whip, con una lacrima che gli scendeva dall’occhio. – Rosina era troppo grassa, e lei ha finito per morire di indigestione.

-         E la pelliccia sulle tue spalle? Quella deve essere stata fatta con decine e decine di ermellini!

-         Non ermellini! – gridò l’altro, e scoppiò a piangere a dirotto – Lemming! I miei poveri piccoli lemming! Io lo sapevo, che avevano dei problemi. Ne avevamo parlato, li avevo pure portati in terapia! Chi poteva immaginare che sarebbero giunti a compiere l’insano gesto?

Il vice-ammiraglio non riuscì più a parlare, sopraffatto dal dolore,  e si prese il volto tra le mani, singhiozzando e gridando. Robin fece cenno a Chopper di smetterla di fare domande e di non essere così insensibile. Stava soffrendo così tanto, quel pover’uomo.

Luffy raccolse un pezzo di cavolfiore dal piatto e se lo ficcò in bocca. Cominciò a masticare poco convinto.

-         Comunque, – riprese a parlare Whip, dopo essersi finalmente asciugato le lacrime – come vi ho detto, io amo gli animali, e questa nave unica al mondo di cui sono il capitano è la massima espressione di questo amore!

Robin sorrise.

-         Abbiamo visto. Una nave il cui equipaggio è composto da soli animali, dico bene?

-         Non solo, signorina. La nave stessa è un animale! Guardi fuori da quel finestrone e capirà.

Lanciando un’occhiata oltre il vetro, la donna capì quello che Whip intendeva dire. Non si trovavano a bordo di una vera nave; piuttosto, si trattava di un palazzo costruito sul guscio di un’enorme tartaruga, grande quasi quanto una piccola isola.

-         Sorprendente. – mormorò.

-         E questo è il meno. Per il mio equipaggio ho recuperato animali di ogni tipo, dagli angoli più remoti della terra. Anzi, osservate l’esemplare più raro e incredibile di tutti. Sylvia, vieni qui! Roarr, miao!

Con passo felpato, si avvicinò alla sedia del vice-ammiraglio un grosso felino dal pelo giallastro e leggermente ispido. Ringhiava sommessamente. Non era né un leone, né una pantera, o un leopardo, o alcun tipo di belva conosciuto. La sua stazza era maggiore, e dalla mascella superiore gli spuntavano due enormi zanne ricurve.

-         Scommetto che un animale così non lo avete mai visto. – disse Whip, pregustando lo stupore dei propri ospiti – E non indovinerete mai dove l’ho trovato!

-         E’ una tigre dai denti a sciabola. – osservò placidamente Robin, per niente turbata – E viene da Little Garden, immagino. L’unica isola dove specie così antiche esistono ancora.

Whip si strozzò quasi con un cavolfiore che aveva appena messo in bocca. Tossì e sputò, poi, ripresosi, balbettò, senza riuscire a celare un filo di irritazione:

-         Oh, beh, abbiamo un’esperta… ma che brava, che brava… lei è una naturalista, per caso?

-         Archeologa. – rispose la donna, facendo un cenno di ringraziamento col capo.

Luffy, intanto, si era affrettato a chiamare Sylvia e aveva cominciato a giocare con lei. Ridendo, le grattava la pancia e il pelo sotto il mento, sotto lo sguardo terrorizzato di Chopper, che sudava freddo al solo vedere quei denti enormi.

-         Archeologa, eh? Questo mi fa pensare che non vi siete ancora presentati. Vi prego, ditemi, ditemi i vostri nomi!

-         Io mi chiamo Nico Robin, e come le ho già detto sono archeologa.

-         Io sono Tony Tony Chopper e sono un medico.

-         E io sono Monkey D. Luffy, e sono il capitano della famosa ciurma pira…

In un secondo, Chopper e Robin capirono cosa stava per succedere e intervennero. Un braccio sbucato dal tavolo diede una gomitata al capitano, mentre Chopper si affannava a cercare di parlargli, usando il codice segreto appositamente studiato per questo genere di circostanze.

-         Luffy! – disse sottovoce – Efè ufun ufuffificiafalefe defellafa Mafarifinafa!

-         Eh? Ah, giusto! – fece l’altro, con un lampo di comprensione. Non poteva presentarsi in quel modo a un vice-ammiraglio!

Si alzò in piedi e si mise goffamente sull’attenti.

-         Io sono Monkey D. Luffy, e sono il capitano della famosa ciurma pirata di Cappello di Paglia, signore!

Tra capitani esiste un’etichetta da rispettare.

Tornò a sedersi, soddisfatto. Robin non riuscì a trattenere un risolino, Chopper gridò disperato “siamo spacciati!” e si ficcò sotto il tavolo. Dove trovò ad attenderlo gli occhi minacciosi e le zanne di Sylvia, che ci si era accucciata in attesa che le venissero gettati gli avanzi del pasto, quindi decise di tornare fuori. Whip era scoppiato a ridere.

-         Oh, non preoccupatevi! – disse – Che siete pirati lo sapevo già. I manifestini delle taglie li ricevo anch’io, sapete? Non c’è bisogno di allarmarvi, non ho intenzione di arrestarvi.

-         Uh? Perché? – chiese Chopper, un tantino deluso.

Non amava l’idea di finire in prigione, ma non gli piaceva nemmeno essere snobbato a quel modo. Poteva anche sembrare un tenero animaletto col nasino blu amante dello zucchero filato, ma era pur sempre un pericoloso criminale, che diamine!

-         Non sono interessato molto ai pirati. – spiegò Whip – In verità, degli ordini del Governo mi importa abbastanza poco. Come vi ho detto, sono parte della Sezione Ricerche della Marina. Oltre agli animali, il mio altro grande amore è la scienza. Il fatto che siate pirati mi lascia indifferente. Quello che mi interessa in voi è altro, il che mi porta a spiegarvi come siete finiti qui.

Si sporse sul tavolo, fissando a turno ciascuno dei tre commensali.

-         Voi – disse – avete tutti e tre i poteri dei Frutti del Diavolo, vero?

-         Come ha fatto a scoprirlo? – esclamò sorpreso Luffy, ritirando il braccio che aveva allungato di tre metri per cercare di soffiare un po’ di cibo dal piatto di Chopper.

-         Ah, beh, ho i miei metodi. In realtà, quando vi ho pescati, vi stavo proprio cercando.

-         Stava cercando noi? – Robin si sentiva a disagio. Forse la situazione era più pericolosa di quanto non apparisse.

-         Voi o altri come voi. Vedete, io sono uno studioso dei Frutti del Diavolo, dei loro poteri e caratteristiche. Conduco diverse analisi e sono sempre in cerca di soggetti che mi possano aiutare in queste ricerche.

-         Sarebbe a dire, cavie. – mormorò la donna.

-         Non vorrei metterla così. Cerco solo di osservare coloro che hanno i poteri dei Frutti. Voi di che tipologia siete?

-         Io paramisha. – disse Robin – E anche Luffy. Chopper, invece, è zoan, ovviamente.

-         Ovviamente! – rise Whip – Impossibile sbagliarsi, basta vederlo. Un uomo che ha mangiato il Frutto della Renna, giusto?

-         Veramente – lo corresse Chopper – sono una renna che ha mangiato il Frutto dell’Uomo.

-         Davvero? – il vice-ammiraglio era sinceramente sorpreso – Incredibile, non lo avrei mai pensato. Quindi lei era in origine un animale? Interessante, interessante… Sapete, anch’io ho mangiato un Frutto. E scommetto che non indovinerete mai quale!

Gli occhi di Robin si illuminarono.

-         Ah, ma certo! – disse – Il Frutto di Tame Tame, che consente di dominare il regno animale. Chi lo mangia può impartire ordini agli animali, ed essi obbediranno, per quanto strani questi ordini possano essere. Ecco perché tutti gli animali a bordo di questa nave si comportano in modo così innaturale: obbediscono in tutto a lei.

-         Argh! – Whip si strozzò nuovamente – Lei ci gode proprio a rovinarmi tutti i colpi di scena, eh? E’ brava, davvero brava

-         Avevo sentito parlare di questo potere. – si limitò a rispondere lei, schermendosi.

-         Sì, certo. Lasciamo stare e passiamo oltre. Come vi dicevo, cerco gente che abbia i vostri poteri. Per questo ho addestrato alcuni esemplari particolari. Innanzitutto Tim e Tom, i miei due mostri Re dei Mari, dotati di una sensibilità particolare che consente loro di individuare le navi che trasportano persone con i poteri dei Frutti. Una volta che le trovano, cominciano a smuovere l’acqua e ad agitarla finché le persone in questione non cadono in mare. A quel punto per salvarle e portarle qui interviene Beniamino il Bagnino…

-         Beniamino il Bagnino? – fece Chopper, incredulo. Soprattutto all’idea che qualcuno potesse inventarsi un nome tanto stupido.

-         Sì. Lo guardi pure, è giusto dietro di lei.

Chopper si voltò e lanciò uno strillo terrorizzato. Alle sue spalle era appena arrivato un grosso coccodrillo in canotta a strisce bianche e rosse, che sorrideva e ammiccava.

-         Un momento! – Luffy saltò su furibondo – Vuoi dire che sono stati due dei tuoi scagnozzi a rovesciare la Going Merry? I miei compagni erano a bordo! MA IO TI PICCHIO! TI FACCIO A PEZZI!

In un istante saltò sul tavolo e afferrò Whip per il collo, pronto a mettere in atto i propri propositi omicidi. Il vice-ammiraglio cominciò a fargli disperatamente segno di no, di fermarsi, e mormorava qualcosa con la poca voce che riusciva a tirar fuori. Luffy allentò un po’ la presa.

-         Ah, aria… i suoi compagni stanno bene, capitano Luffy. Tim e Tom strapazzano un po’ la nave, ma stanno attenti a non ribaltarla o affondarla. Sono sicuro che ormai i suoi amici saranno approdati sulla terraferma. – Luffy lo lasciò andare – Del resto, anche noi ci stiamo dirigendo lì. C’è un’isola, qui vicino, un’isola molto interessante per chi, come me, cerca notizie sui Frutti del Diavolo. Naturalmente, voi non potete conoscerla, ma…

-         L’isola di Eden. – disse Robin tra sé e sé.

Stavolta Whip non tossì, dal momento che non stava masticando nulla che potesse andargli di traverso. Restò semplicemente interdetto; dopodichè incrociò le braccia, fece il muso e disse:

-         D’accordo! Visto che la signorina-so-tutto vuole parlare, lo dica pure lei, cos’è l’isola di Eden e perché mi interessa. Probabilmente lo saprà meglio di me!

E tacque. Robin non si fece pregare e iniziò a spiegare:

-         In realtà pochi lo sanno, ma i Frutti del Diavolo nascono dalle comuni piante. E’ un processo casuale ed estremamente raro, ma capita che alberi e arbusti normalissimi producano, tra i loro normali frutti, un solo Frutto del Diavolo. E’ una cosa che accade solo nel Grande Blu, e perciò si crede che sia correlata alla presenza delle correnti magnetiche generate dalle isole di questo mare, anche se probabilmente c’entrano anche altri fattori, come l’acidità del terreno e il clima. Di solito non è possibile prevedere il verificarsi di questo fenomeno, ma esiste un’eccezione.

-         L’isola di Eden? – chiese Chopper, che cominciava a capire.

-         Precisamente. – confermò Robin con un sorriso – Ho letto tempo fa su un libro di questo luogo, un’isola sulla quale da secoli esiste un Giardino florido e fertilissimo. Sembra che lì la nascita dei Frutti avvenga con incredibile regolarità. Una volta ogni vent’anni, una delle piante del Giardino, non si può prevedere quale, genera un Frutto del Diavolo. E’andata così per secoli. L’isola è molto arida, ma è sempre stata ricca grazie a questo fatto. La vendita dei Frutti è talmente redditizia che uno solo basta a mantenere la ricchezza dell’intera isola fino alla nascita del successivo.

Robin tacque. Whip, a questo punto, sorrise trionfante:

-         Ma questa è solo parte della storia, signorina mia. Allora lei non sa proprio tutto! Ascolti. Vent’anni fa, quando era prevista la sua nascita, il Frutto non è arrivato, non si sa cosa sia successo. Da allora Eden è ridotta in povertà. Gli abitanti sono finiti in miseria e metà dell’isola è inaridita, tutto perché le poche risorse presenti sono state spese per mantenere in vita il Giardino. Proprio in questi giorni scade il termine. Il Frutto, questa volta, nascerà di sicuro. Mi sto recando sull’isola in occasione di questo grande evento.

-         E perché non ci siamo già arrivati? – chiese Luffy.

-         Prima di sbarcare, attendo l’arrivo di certi documenti e autorizzazioni dal Governo centrale. – spiegò, non senza una punta di noia – Sono abbastanza indipendente, ma anch’io ho dei vincoli a cui obbedire, purtroppo. Ad ogni modo, ho già una mia presenza sull’isola. Quando arriverò, tutto sarà pronto.

Batté nuovamente le mani, e i pinguini camerieri tornarono. I piatti sulla tavola, ormai vuoti, vennero raccolti e portati via, impilati uno sull’altro, con una notevole dimostrazione di equilibrismo. Gli altri pinguini si dedicarono a sparecchiare.

-         Se non vi dispiace – disse Whip ai pirati – ora vi farò accompagnare ai vostri alloggi. So che vi siete appena svegliati da un lungo sonno, ma resta il fatto che questa è una nave militare, e devo mantenere una certa disciplina a bordo. Nessuno circola nelle ore notturne.

I bulldog di prima ricomparvero e circondarono Luffy e Robin. Cominciarono a spingerli verso la porta.

-         Vi guideranno alle vostre stanze. Spero saranno di vostro gradimento.

-         Un momento! – esclamò Luffy, cercando di resistere alla torma di cagnolini che lo trascinava – Chopper non viene con noi?

-         Purtroppo le stanze per gli ospiti hanno solo due letti. Il dottor Chopper avrà un alloggio separato. Lei è d’accordo, dottore?

-         Sì, mi va bene. – rispose la renna.

-         Ma…

Le obiezioni di Luffy vennero stroncate dai battenti della porta del salone, che si richiusero non appena lui e Robin furono nel corridoio. Cominciarono a camminare, sotto la guida dei bulldog. La strada era diversa da quella che avevano preso prima.

-         Capitano – sussurrò Nico Robin – credo che dovremmo stare in guardia.

-         Perché mai? Anche se è della Marina, questo tizio mi sembra simpatico.

-         E’ fin troppo simpatico, infatti. Ma ci sono delle cose che non mi piacciono. Se studia i Frutti del Diavolo, perché ha bisogno di noi? Per fare esperimenti. E perché non ci ha chiesto di mostrargli i nostri poteri?

Luffy si portò la mano al mento, pensieroso.

-         In effetti hai ragione. – disse.

-         Ora ci sta mandando negli alloggi, ma ci ha separati da Chopper. Come mai? E perché Chopper ha reagito in quel modo quando lui glielo ha detto?

-         Che c’è di strano? Se le stanze hanno solo due letti, bisognava fare così.

-         Non parlo di quello, Luffy. Whip lo ha chiamato “dottore”…

Entrarono nell’alloggio. Era una piccola stanza ben arredata, con mobili di legno dall’aria antica e due letti a baldacchino.

-         perché lui non si è imbarazzato come fa sempre? – concluse Robin.

I bulldog uscirono dalla stanza e richiusero violentemente l’ingresso. Il rumore prodotto fu forte e sordo; dava l’impressione di una porta esageratamente pesante. Rimbombò in tutta la stanza. Come se le pareti propagassero e amplificassero quel rumore.

Come se fossero fatte di un metallo molto denso e spesso.

-         Robin – disse Luffy, sbadigliando – lo so che dormivo fino a un’ora fa e ho appena mangiato, ma mi sento un po’ giù. Credo che farò un pisolino.

Si gettò sul letto. Voleva spegnere la luce e tese il braccio in direzione delle lampade ad olio attaccate alla parete. Cercò di raggiungerle invano. Il braccio non si allungava.

-         Che razza di stanza è questa, Robin? – chiese con la bocca impastata.

Robin si avvicinò alla parete. Era di metallo, ma diverso dall’acciaio dei corridoi. Questo sembrava più massiccio, non aveva segni di saldature né bulloni, e splendeva di riflessi azzurri se lo si guardava in controluce. Provò a toccarlo. Lo sentì freddissimo sotto la pelle, e avvertì un brivido propagarsi dalle dita che lo sfioravano, su per il braccio, fino al petto, dove si sentì stringere i polmoni e mancare il fiato. Staccò immediatamente la mano.

Agalmatolite marina.

-         Questa – disse lentamente – è una cella, Luffy.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo scritto in preda alle visioni, questo XD. Spero che vi sia piaciuto. Sto aggiornando abbastanza velocemente, perché, ovviamente, visto che la storia è già tutta scritta non ho ragione di attendere. Ma mi raccomando, recensite, che la volta scorsa siamo stati un po’ scarsini XD…

 

X Smemo92: alla tua ultima domanda ho risposto in questo capitolo. Per le altre, invece, dovrai attendere parecchio, ma ovviamente le risposte ci saranno e saranno plausibili e sensate (seee… come no…XD).

 

X Senboo: quando ho inventato il personaggio di Flea volevo che fosse capace di entrare nelle simpatie di chiunque in una decina di righe, quindi non potevo proprio farne una Mary Sue… le cose si contraddicono XD. Sanji l’ho voluto caratterizzare con grandissima attenzione sia perché è uno dei miei personaggi preferiti, sia perché è uno dei più divertenti e adatti a gag di varia natura. Mi piace tanto che in questa fic l’ho praticamente promosso a protagonista (tra i pirati di Cappello di Paglia, il ruolo più importante lo avrà proprio lui…).

 

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Capitolo 4
*** L'albero e il pirata ***


Capitolo 4 – L’albero e il pirata

Capitolo 4 – L’albero e il pirata

 

-         Ci dispiace, signore. Lei non può entrare.

Sanji digrignò i denti, aspirò una boccata dalla sigaretta e la soffiò con rabbia sotto forma di nuvoletta di fumo dal naso. La sua espressione ricordava in modo inquietante quella di un toro cui abbiano appena imbrattato di vernice rossa la macchina nuova di zecca. Le due guardie che piantonavano l’ingresso del cantiere, però, non parvero per niente scosse da quell’atteggiamento minaccioso. Erano addestrate ad affrontare ogni tipo di minaccia, dal perditempo qualunque allo scocciatore abituale, e avevano una precisa procedura da seguire. Erano personale altamente specializzato: per la precisione, uno dei due parlava, l’altro si limitava ad agitare un grosso randello.

-         Circolare, prego. – insisté quello dotato del dono della parola – Lei non può entrare.

-         Questo me lo avete già detto dieci volte. – sibilò Sanji – Ora vorrei anche capire il perché.

-         Nessuno entra senza il permesso del signor Madera. – fu la laconica risposta.

-         Io sono stato invitato dalla signorina Flea! E’ praticamente la stessa cosa, non credi, zucca pelata?

La guardia, che effettivamente aveva la testa più lucida di una palla da biliardo, si ritrasse con espressione sconvolta. Tremava e sembrava stesse per scoppiare a piangere; ma alla fine si ricompose e riuscì a rispondere, anche se con voce incerta:

-         Signore! – esclamò indignato – Le pare bello prendersi gioco di un povero menomato? I capelli li ho persi in un tragico incidente di lavoro.

-         Un incidente? – fece Sanji.

Non era molto convinto.

-         Che incidente?

L’uomo non rispose. Per pochi secondi, le immagini di un passato scioccante gli scorsero davanti agli occhi. Si rivide mentre il secchio di colla gli cadeva in testa; mentre i compagni, disperati, si affaccendavano intorno a lui esclamando che era assolutamente impossibile sfilarglielo; e poi sentì di nuovo la voce del signor Madera, che diceva che non era affatto impossibile, gnarr, bastava tirare forte, forte, forte…

-         Preferirei non parlarne. – disse finalmente, tornando in sé – Piuttosto, sinceramente, dubito che lei sia stato realmente invitato dalla signorina.

-         E perché, di grazia?

-         Insomma… - fece la guardia, gesticolando ampiamente, come a cercare le parole giuste.

Lo squadrò da capo a piedi. Un biondino pulito e sistemato, viso raffinato, giacchetta nera, camicia, pantaloni ben stirati, scarpe di vernice, nemmeno uno strappo o una macchia, da nessuna parte.

-         Lei non sembra un tipo molto raccomandabile. – concluse.

-         IO COSA?

In quella arrivò un energumeno alto due metri e largo tre, con una barba ispida in cui si annidavano residui ormai fossilizzati di pasti consumati secoli fa, meno denti in bocca che dita nelle mani, e comunque non è che avesse proprio tutte le dita, vestito di cenci e che emanava una puzza di alcol da stendere un rinoceronte a due chilometri di distanza. La guardia lo salutò cordialmente, si scambiarono pacche e risate, anche il tizio col randello gli diede di gomito e lo fecero passare senza problemi.

-         LUI PUO’ ENTRARE E IO NO?!? – urlò Sanji.

-         Le porte del cantiere sono sempre aperte per Jimmy il Lercio. – ribatté la guardia con sussiego.

Se c’era un limite alla pazienza di Sanji, lui lo aveva già superato, lo aveva ridisegnato dieci chilometri più in là per poi superarlo di nuovo, e nel frattempo si era anche preso un caffé. Pensare che avrebbe potuto stendere quei due imbecilli solo con la punta dell’alluce destro! Si tratteneva per una sola ragione, e cioè che era lì per incontrare Flea, e si sa che alle ragazze piace se non commetti omicidi al tuo primo appuntamento con loro. Le donne sono fatte così.

-         Sanji! Sei arrivato!

Dall’interno del cantiere, correndo graziosamente con la gonnellina di foglie che ondeggiava al vento, arrivò Flea. La seguiva a ruota il pappagallo Paradosso, che le svolazzava dietro.

-         Grazie al cielo. – sospirò Sanji.

-         Ragazzi, fatelo passare! E’ un amico!

I due si guardarono, preoccupati.

-         Signorina, è sicura? Non ci sembra il caso che…

-         Hai sentito la signora. Fammi passare.

A malincuore, le guardie lasciarono entrare Sanji. Flea gli corse incontro entusiasta e lo salutò con una pacca sulla spalla. Lui ricambiò con un sorrisino, mentre quasi si sentiva mancare a starle vicino. Strano malore, pensò. Come quello della sera prima. Ma tutto sommato non era nemmeno del tutto spiacevole.

-         Finalmente sei arrivato! Allora, ora ti faccio vedere cosa stiamo costruendo qui. Però prima devo portare una cosa a mio padre, ti dispiace?

La ragazza si avvicinò a una grossa trave di legno posata lì vicino su cui era appoggiata una borsa di utensili da carpentiere. Sanji si affrettò a precederla.

-         Figurati! – disse – Anzi, ti do una mano. Non potrei mai lasciare che una donna fatichi quando ci sono io che posso aiutare.

E raccolse la borsa, mettendosela a tracolla. Flea fece un risolino.

-         Beh, sei molto gentile. Ma comunque non era quella che dovevo portare.

Con noncuranza, la ragazza si chinò e mise le mani sotto la trave di legno. Diede uno scossone e, senza il minimo sforzo, sollevò l’asse. Sanji restò paralizzato. Quella roba doveva pesare almeno cento chili.

-         Sei forte. – balbettò.

-         Sì, credo di sì. – fece Flea, mettendosi l’asse sulle spalle e costringendo Paradosso, che vi si era appena posato, a una precipitosa fuga – Penso sia merito delle borracce. Giro fin da quando ero bambina con trenta o quaranta chili d’acqua addosso, immagino sia stato un buon esercizio per i miei muscoli. Ho sentito che chi studia arti marziali spesso si allena così.

-         Già, anch’io ho sentito queste storie.

Camminarono per un po’, dirigendosi verso il cuore del cantiere, una gigantesca struttura in legno, una specie di torre poliedrica alta almeno una trentina di metri e cerchiata di ferro a intervalli regolari, come una botte. Tutto il posto brulicava di operai che trasportavano materiale, martellavano, urlavano; il sole, impietoso, rendeva l’aria bollente e il lavoro dieci volte più faticoso. Tuttavia, in fondo, la confusione, il rumore e il caldo non erano così insopportabili. Solo che ogni tanto ti facevano rimpiangere la tranquillità di un campo di battaglia, il silenzio di un mattatoio o la dolce frescura del cratere di un vulcano.

-         Quegli uomini stanno piallando il fasciame per lo strato esterno della torre. E’ come lo scafo di una nave, in pratica. E quegli altri, invece…

Sanji annuiva alle spiegazioni di Flea, ma non le ascoltava realmente. Innanzitutto perché, in mezzo a tutto lo schiamazzo di quel posto, era comunque difficile riuscire a sentire le sue parole, ma soprattutto perché la sola vista della ragazza bastava a distrarlo completamente. Non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. La sua camminata spigliata, i suoi gesti intriganti, la grazia con cui si portava in spalla un quintale di legno. Irresistibile.

-         …e tutto quello che costruiscono viene portato qui, dove viene montato secondo i progetti di mio padre. Ecco, siamo arrivati! – concluse Flea, tendendo la mano libera a mostrare la grande torre.

Ormai erano arrivati ai piedi dell’edificio. La sua altezza dava il capogiro.

-         Allora, hai capito tutto? – chiese la ragazza, sorridendo.

-         Tutto, tranne una cosa.

Sanji guardò in alto, verso la cima della torre.

-         In sostanza, che cos’è? – chiese.

-         Semplice. E’ un desalinatore.

-         Un desalinatore?

-         Sì, una specie di filtro per il sale. In realtà la cosa è più complessa. Raccoglie l’acqua dall’oceano, la convoglia in cima grazie a dei grossi tubi e pompe particolarmente potenti, quindi la fa scendere attraverso i vari piani della torre e la priva di tutto il suo sale. Così facendo, alla base otteniamo acqua dolce, perfettamente potabile, utilizzabile per l’irrigazione, in enormi quantità e totalmente gratuita. Potremo bere e irrigare il Giardino senza spendere un soldo, a parte la manutenzione dei macchinari. Non è fantastico?

-         Davvero. – assentì Sanji – Questo risolverà per sempre i problemi della vostra isola.

Tacque.

-         E anche i tuoi. – aggiunse poi, a voce più bassa.

Flea annuì, sorridendo.

-         La verità è che mio padre ha inventato tutto questo pensando proprio a me. E’ un uomo geniale, e anche molto affettuoso. Anche se a prima vista può sembrare un po’, per così dire…

-         FLEA, GNARR! CHI E’ QUEL TIZIO! QUANTE VOLTE DEVO DIRTELO DI NON PORTARE ESTRANEI NEL CANTIERE, GNARR!

-         …difficile di carattere. – concluse la ragazza in fretta.

Lasciò scivolare la trave di legno lungo la spalla, facendole toccare terra rumorosamente. Madera, che era arrivato con una delle sue solite entrate rocambolesche, rischiò quasi di farsi spiaccicare un piede da quel peso. Cominciò a sbraitare proteste confuse.

-         Che accidenti è questa roba, adesso? Gnarr! Quasi mi ammazzavi!

-         E’ la trave che mi avevi chiesto, papà. – sospirò Flea – E quanto all’ammazzarti, dovresti davvero stare più attento. Specie quando sei qui al lavoro.

-         Hmm, gnarr, sì, sì. Non sto a prendere lezioni da una mocciosa, io. Hm…

Il vecchio fissò Sanji con occhio indagatore. Anche se non è che poi avesse molto da indagare: tutto sommato, aveva già deciso che quel damerino nel suo cantiere lui non ce lo voleva.

-         E chi sarebbe questo, gnarr? – mugugnò.

-         Uno che cerca un lavoro. – mentì prontamente Flea.

-         Un rappresentante di vernici. – mentì altrettanto prontamente Sanji.

Purtroppo, due menzogne dette prontamente non sono più efficaci di una sola. Specie se sono diverse tra loro.

-         Uno che cerca lavoro o un rappresentante di, gnarr, vernici? – chiese Madera, poco incline a credere a entrambe le versioni.

Sanji provò a immaginare cosa avrebbe detto Usopp nella sua situazione.

-         Un rappresentante di vernici che si è stufato della propria occupazione precedente e adesso cerca lavoro in questo magnifico cantiere. – concluse.

-         Siamo al completo, gnarr. Sparisci.

Sanji si finse tremendamente mortificato e guardò Flea, che fece spallucce e sorrise. In fondo, dovevano comunque uscire dal cantiere.

-         Vai avanti tu. – gli sussurrò – Io ti raggiungo appena riesco ad allontanarmi.

-         Arriva il sindaco Lopez! Arriva il sindaco!

Il grido improvviso dell’operaio trasformò la confusione e il movimento del cantiere in altra confusione e altro movimento, con la differenza che stavolta essi erano finalizzati non alla costruzione della torre ma alla preparazione di una buona accoglienza per l’autorità in visita. Madera prese le redini della situazione: i suoi “gnarrsi imposero sul caos e cominciarono a scandire il movimento dei carpentieri che adesso si organizzavano in file parallele, sgomberavano la strada dal materiale e cancellavano la scritta “il sindaco Lopez è un coglione” che qualcuno aveva fatto su di un muro la notte precedente.

-         Arriva il sindaco? Che fortuna! – esclamò Flea.

-         Fortuna? Perché?

-         Sta’ a vedere, Sanji. Eccolo.

Il sindaco avanzava con sussiego, salutato dagli operai che, in un curioso picchetto d’onore, si erano disposti ai due lati della strada e stavano sull’attenti tenendo al fianco seghe, vanghe e pialle come fossero fucili.

-         Ma, insomma, che tipo è questo Lopez? – chiese Sanji.

Flea restò a pensarci su per un po’.

-         Mettiamola così. – rispose infine – Le scritte sui muri possono essere un po’ troppo schiette, ma talvolta contengono delle grandi verità.

Lopez giunse di fronte a Madera. Aveva un aspetto abbastanza comune, di quelli che non restano troppo impressi nella memoria: l’impressione che se ne ricavava, di primo acchito, era quella di una grossa palla con un paio di baffi e, appena sotto, un largo sorriso smagliante.

-         Madera, mio caro amico! – esclamò il sorriso, allargandosi mentre i baffi si muovevano su e giù – Come procede la costruzione? Avanti, dimmi, dimmi! I miei elettori vogliono sapere!

-         Venga, sindaco Lopez, le faccio vedere. Gnarr, da questa parte, prego.

Madera fece gentilmente strada al sindaco e lo portò alla base della torre. Lì i due cominciarono a discutere delle caratteristiche del progetto e dei tempi di costruzione. O meglio, Madera ne discuteva, Lopez annuiva, poi chiedeva nuovamente le stesse cose, perché i suoi elettori volevano capire, e Madera, gnarr, le ripeteva pazientemente.

-         Incredibile. – mormorò Sanji, sbalordito a quella scena – Sinceramente, credevo che tuo padre lo avrebbe buttato fuori a calci, un tipo così. Com’è che è diventato mansueto tutto ad un tratto?

-         Chi lo sa? – rise Flea – Non ho mai capito perchè, ma quei due sono amici per la pelle. Dai, andiamo, ora che è distratto è il momento buono per filarcela di qui. Voglio farti vedere il Giardino.

Si allontanarono discretamente dalla scena, poi, una volta che furono abbastanza distanti, cominciarono a correre. Raggiunsero il muro che delimitava il Giardino, una parete di mattoni bruni alta come un palazzo di tre piani.

-         Da qui seguiamo il muro – spiegò Flea – e fra qualche minuto troveremo un ingresso.

-         Non serve. Salta su.

La ragazza guardò stupita Sanji, che le faceva segno di saltargli in braccio. Alla fine acconsentì e gli si aggrappò al collo.

-         Vediamo che sai fare. – disse.

-         Tieniti forte.

Il salto fu tanto rapido da mozzarle il fiato, si sentì sparata in aria come una palla di cannone, col vento che le schiaffeggiava il volto e le braccia tanto tese che quasi perse la presa. Anche Paradosso, sulla sua spalla, restò sorpreso e riuscì solo a starnazzare un misero “non so parlare”. Durò solo un attimo, e quando finì Flea scoprì che erano finiti in cima al muro.

-         Wow. – disse ansimando.

Sorrise.

-         Hai delle gambe incredibili. Che razza di salto!

Paradosso, ripresosi dalla shock ma ancora con uno sguardo stravolto, spiccò il volo e scappò via, abbandonando l’insensibile padrona che lo sottoponeva a quegli strapazzi.

-         Il tuo pappagallo se ne va. – annunciò Sanji.

-         Non importa, lo fa spesso. – disse Flea – Gli piace svolazzare sul Giardino. Ora scendiamo?

-         Sì. Sta’ attenta.

La ragazza annuì e strinse gli occhi. Strinse anche le braccia, un po’ più forte di prima. Prese un gran respiro. Quando fu pronta, fece un cenno a Sanji.

E si lanciarono.

 

Madera si accorse che la figlia e il biondino ex rappresentante di vernici ora disoccupato erano spariti quando li cercò un attimo con lo sguardo tra la gente intorno e non li trovò più. Avrebbe voluto occuparsene, dato che la cosa lo insospettiva, ma aveva poco tempo per pensare ad altro, con il sindaco Lopez che lo teneva impegnato. In quello stesso momento, ad esempio, stava spiegando in dettaglio le prestazioni della sua invenzione.

-         E quando sarà a regime, gnarr, potrà produrre più di mille metri cubi di acqua potabile al giorno. – disse.

Il sindaco fece una faccia turbata.

-         Ma Madera, amico mio – chiese preoccupato – cos’è questa storia di acqua potabile? A noi serve acqua che si possa bere, bere, i miei elettori hanno sete!

-         Potabile significa appunto che si può bere, gnarr. – spiegò Madera, paziente.

-         Ah, certo! Potabile! Beh, ovviamente! Vuoi che i miei elettori non sappiano una cosa del genere? Dai, continua, continua…

 

Il Giardino era di una bellezza travolgente. Non c’era altro modo per definirlo. Appena ci si ritrovò dentro, Sanji sentì come un capogiro, un po’ per l’intensissima mescolanza di profumi vegetali, fiori e frutti di ogni tipo, dalle fragranze lievi delle rose all’intenso olezzo dolciastro del legno marcescente, un po’ perché in quel luogo anche la vista si confondeva, gli occhi si perdevano nell’intrico di piante, seguivano un arbusto per incontrare un albero, quindi scivolare lungo le cascate di foglie fino ai petali sparsi sul terreno, e ancora risalire su altri tronchi, viticci, liane, tralci, radici, rampicanti. Era puro caos, eppure aveva una sua armonia segreta, come se tutto fosse stato disegnato secondo un progetto preciso, come se qualunque elemento estraneo che avesse potuto stridere con il resto fosse stato accuratamente eliminato.

Perciò veniva da chiedersi che ci facessero tre uomini brutti, sporchi e visibilmente ubriachi seduti sull’erba a giocare a carte.

-         Stai barando. – borbottò il primo, che era basso, grasso e con una gamba di legno.

-         Io no. Lui sta barando. – ribatté il secondo, di corporatura media e con un uncino al posto della mano destra.

-         Non scherziamo. Io non so nemmeno come si fa a barare. – protestò il terzo, alto e con una benda nera sull’occhio sinistro.

Da dietro la benda faceva capolino un asso di cuori.

Flea corse verso i tre uomini agitando le mani:

-         Ciao, ragazzi! Come va la vita?

Quello basso sollevò gli occhi:

-         Ehi, guardate chi c’è! La signorina Flea! Coraggio, figli di una cagna, salutate!

Il tipo medio fece un gesto con la mano. Quello alto si limitò a ruttare, però con molta cortesia.

-         Allora, tutto bene? – Flea si voltò indietro – Sanji, ti presento i nostri specialissimi Giardinieri Capo. Loro dirigono la squadra dei Giardinieri che si occupa, beh…

-         …del Giardino. – intervenne il tipo basso.

-         Piacere. – fece Sanji, anche se dava l’impressione di non stare provando esattamente questo sentimento – Io sono Sanji.

-         Piacere nostro. – disse il tizio alto – Io sono Rum, quello un po’ più piccolo di me è Gin, e il più basso di tutti è Champagne.

-         Champagne?

-         Lo chiamiamo così perché è il più raffinato di noi. Quando si mette le dita del naso, dopo non se le pulisce mai sui vestiti.

Rum stette un po’ a pensarci su.

-         Beh, almeno non sui vestiti degli altri. – concluse.

-         Qui fila tutto liscio come l’olio, signorina Flea. Piuttosto, il suo amico non mi sembra di Eden. Cosa è venuto a fare qui?

-         Lui, Champagne? Beh, lui è venuto perchè… diglielo tu…

-         …beh, insomma, sono un rappresentante…

-         …ecco, sì, un rappresentante di… di vernici…

-         … di vernici che cercano lavoro. – concluse il cuoco.

I cinque occhi dei Giardinieri si fecero molto scettici.

-         Signorina Flea, queste panzane le racconti a suo padre. – disse Champagne, aprendo la bocca sdentata in un sorriso che voleva essere rassicurante – Con noi non ce n’è bisogno.

-         Oh. – Flea fece uno sguardo un po’ deluso – In questo caso, è un mio amico. Un pirata.

-         Pirata, eh?

Gin pronunciò quella parola con un moto di sospetto. Champagne girò lo sguardo, e Rum puntò l’unico occhio addosso a Sanji.

-         Non è che mi piacciano tanto i pirati. – continuò il monco, agitando l’uncino di ferro – E non mi va che un pirata ronzi intorno alla signorina.

Sanji ebbe uno scatto d’ira, ma prima che potesse dire nulla intervenne Champagne:

-         Gin, ti prego. La signorina Flea è bella grande e saprà scegliere le sue compagnie. Non ha certo bisogno di uno come te a farle da balia! E poi saprebbe difendersi da sola, anche da un pirata.

Nonostante avesse tentato di calmare gli animi, il giardiniere non aveva potuto evitare di sputare quell’ultima parola in un modo aspro, con un certo disprezzo. Sanji non riuscì più a trattenersi.

-         E’ strano che non vi piacciano i pirati. – disse critico – Perché con i vostri nomi e il vostro aspetto, avrei giurato che lo foste anche voi tre.

-         Ma che dici? – sbottò Champagne – Siamo giardinieri in piena regola, noi, corpo d’una balena! Non vedi che indossiamo le salopette verdi?

In effetti, le indossavano.

-         Siamo giardinieri in tutto e per tutto! Assolutamente devoti al nostro lavoro! – rincarò la dose Gin – Ci toglieremmo l’acqua di bocca pur di irrigare una sola di queste piante!

Rum e Champagne annuirono convinti e si diedero il cinque, ma il contraccolpo li fece barcollare e quasi piombarono a terra. Avevano tutti e tre i nasi rossi come peperoni. A Gin venne il singhiozzo.

-         Non credo che comunque beviate molta acqua. – commentò ironico Sanji.

-         Cos’è, attacchi briga? – intervenne Flea, ridendo – Dai, piantatela, tutti quanti. Loro sono a posto. Li ha assunti mio padre scegliendoli di persona. Ok, ragazzi, volevo solo vedere come ve la passavate. Io e il mio amico andiamo a farci un giro.

-         Vada pure, signorina! – le gridò dietro Champagne, mentre già lei e Sanji si allontanavano – Che a tenere in riga queste teste di polpo ci penso io!

-         Chi è che terresti in riga, tu? – protestò Rum.

-         Zitto e dà carte. E levati quell’asso da sotto la benda.

-         Asso? Quale asso?

Le voci dei Capo Giardinieri si facevano sempre più lontane via via che i due si addentravano nel cuore del Giardino.

-         Che gentaglia. – mugugnò Sanji.

-         Sono solo un po’ troppo protettivi. Mi vogliono bene, tutto qua. Non pensarci più e guarda che meraviglia!

Il Giardino copriva un lato dell’isola in forte pendenza, che saliva abbastanza ripidamente fino a concludersi con una scogliera a picco sul mare. Perciò, per poterlo coltivare, lo si era dovuto spianare a terrazze; ogni piano era organizzato in modo differente. Subito a ridosso del muro, al livello più basso, c’era una zona in cui alle piante era stato permesso di crescere in assoluta libertà, dando vita a quel folle intreccio che Sanji e Flea avevano appena lasciato. Bastava salire una breve scaletta per trovarsi però di fronte a uno spettacolo completamente differente.

-         Il Campo Arcobaleno. – annunciò la ragazza con un sorriso.

Qui l’ordine era perfetto. Non c’era né selciato né terra nuda, ma solo un perfetto prato inglese, raso a pochi centimetri di altezza. E in mezzo a tutto quel verde, qua e là, un’infinità di altri colori. Erano siepi di rose, tutte, e tutte di varietà differenti. Rose rosse, bianche, gialle, persino blu e nere, e ovviamente rose rosa. Le siepi avevano un profilo perfettamente squadrato e si snodavano attraverso il prato non secondo percorsi rettilinei, ma con tragitti sinuosi e variamente curvi, come lettere scritte in calligrafia elegante. Formavano così sentieri ritorti e spiazzi tondeggianti.

-         E’ la mia zona preferita. – spiegò Flea – Che ne dici di fermarci qui per un po’?

-         Sì. Fermiamoci.

Sanji si sedette prudentemente sul prato. Quel luogo era così bello che gli dava la stessa sensazione che avrebbe provato trovandosi in un museo o un negozio di antiquariato: la terribile paura che un solo movimento brusco potesse bastare a mandare in frantumi qualcosa di molto prezioso.

-         Scusami, mi metto un po’ comoda, se non ti dispiace.

La ragazza si sedette a terra e si sfilò i sandali di cuoio che aveva indossato fino a quel momento. Infilò i piedi nel terreno; poi, appoggiandosi sulle mani, lasciò entrare nel suolo anche quelle. Con un fremito, le sue dita si allungarono e la pelle le si ispessì diventando corteccia fino a polsi e caviglie. Buttò la testa all’indietro, fino ad avere il sole in faccia. Tra i capelli, qua e là, spuntò qualche fogliolina, e il verde degli occhi si illuminò improvvisamente di riflessi particolari.

-         Ah, finalmente. – sospirò – Così va meglio.

A metà della trasformazione, Sanji distolse imbarazzato lo sguardo. Gli parve di stare osservando qualcosa di personale, di intimo, e temette di stare mancando di rispetto a Flea. Si sentì come se la stesse spiando mentre si spogliava, il che gli provocò un certo disagio.

Tra l’altro, normalmente non avrebbe provato alcun disagio a spiare una donna mentre si spogliava, e questo gli provocò un disagio ancora maggiore. Provò ad attaccare discorso per distrarsi:

-         Questo posto è fantastico. Avete anche alberi da frutto?

-         Sì, certo. C’è un livello dedicato solo a quelli. Molto più in alto, quasi in cima. Come mai me lo chiedi?

-         Deformazione professionale. Sono il cuoco di bordo, sulla mia nave, e di fronte a un luogo come questo è la prima cosa a cui ho pensato.

-         Capito. – rise Flea – Ma se ti va di mangiare qualcosa… ecco, guarda.

La ragazza estrasse una mano dal terreno e la scosse, liberandola dal terriccio, mentre le dita, da affusolate radici che erano diventate, stavano tornando al loro aspetto normale. Poi la allungò verso Sanji e dal palmo nacque, dapprima piccola, poi sempre più gonfia e rossa, una mela. Quando fu completa la porse all’uomo.

-         Grazie. – disse lui, raccogliendola.

La addentò. Era buonissima. E ciò che era più strano era che, a ben pensarci, era come se fosse una parte di lei, qualcosa che Flea aveva staccato da sé e consegnato a lui. A quel pensiero, Sanji si sentì rabbrividire. Era un legame strano, incredibile, di cui non avrebbe mai potuto sperimentare l’uguale, con nessun’altra. La ragione gli diceva che per Flea, abituata alla sua strana natura, quello doveva essere un gesto normale. Ma non riusciva a scacciare l’impressione che, ad ogni morso, loro due fossero un po’ più vicini, un po’ più come una cosa sola.

-         E’ deliziosa.

-         Lo so. Sono brava.

Rimise la mano sotto terra. Ebbe un tremito e diventò un po’ più vegetale.

-         Ci vieni spesso, qui? – chiese Sanji.

-         Appena posso. Mi piace.

-         In effetti è molto bello.

-         Non è solo questo.

Flea prese un respiro profondo.

-         E’ una cosa che non puoi capire appieno. – disse – Mi piace sentire il sole in faccia e tra i capelli. Quando mi illumina, ho come un pizzicore, e d’un tratto è come se fossi piena di energia. Mi piace il vento che mi soffia addosso. Mi piace lasciarmelo scorrere tutto intorno, e io ferma, sicura che non potrà smuovermi. Mi piace questo terreno, è buono. Gustoso e saporito, molto più del resto dell’isola. Come un piatto ricco di spezie. Mi piace abbandonarmi qui, stare ferma, anche per delle ore, e sentirmi perfettamente immobile, lasciarmi andare. Dormire. Come un albero. In fondo, è quello che sono. Beh, almeno per metà.

Rise.

-         Dimentico tutto, resto ferma, e immagino delle cose. Questa è una cosa da umana, o almeno credo. Forse anche gli alberi sognano: ma comunque faranno sogni da albero, sogni di rugiada e humus. Io immagino storie. Una volta mio padre mi regalò una mappa del Grande Blu, la tengo ancora appesa a una parete della mia stanza. Ci penso e immagino di viaggiare. Oppure me ne sto semplicemente a guardare le nuvole, come sto facendo adesso.

Spalancò gi occhi, le iridi verdi verso l’azzurro macchiato di bianco del cielo.

-         A chiedermi come sarebbe trovarcisi in mezzo. – concluse.

Sanji sorrise. Fino a quel momento aveva tenuto una sigaretta in bocca, ma la prese e decise di spegnerla. Gli alberi, pensò, non devono gradire molto il fumo. Si avvicinò a Flea.

-         Questo, se ti interessa saperlo, – le disse – posso raccontartelo io.

 

Quasi due ore dopo, quando lui e Flea arrivarono alla Going Merry, Sanji ancora raccontava. La passione della ragazza per le storie, specialmente quelle di pirati, pareva infinita. Dopo Skypiea aveva dovuto parlarle di Alabasta, e dopo ancora dei dinosauri di Little Garden, della gigantesca balena Laboon, della vertiginosa salita sulla Reverse Mountain. All’inizio aveva cercato solo di descriverle i luoghi, pensando che sangue e battaglie fossero argomenti troppo crudi per una persona tanto solare e entusiasta; ma dopo aveva scoperto che, invece, Flea andava pazza per i racconti d’azione. Ferite, atrocità e momenti di angosciante tensione non erano mai abbastanza per lei. Si fece descrivere in dettaglio ogni cosa, dallo squarcio sul petto di Zoro aperto dalla spada di Mihawk al tremendo potere di Eneru. Andò in visibilio a sentire di come Crocodile avesse passato Luffy da parte a parte con il suo uncino.

-         C’è solo una cosa che non mi torna. – disse infine, ancora scossa dall’emozione per quell’overdose di avventure.

-         Sentiamo.

-         Beh, ecco qua. Vi siete trovati in mezzo ad ogni genere di situazioni pericolose. Avete affrontato nemici che definire spietati è poco. Siete finiti in mezzo ad una guerra civile…

-         Due – la corresse Sanji – se conti anche quella tra la Milizia Divina e gli Shandia.

-         Meglio ancora, due guerre civili. E come si spiega che in tutto questo caos, alla fine, tra amici e nemici, non è mai morto nessuno?

La domanda colpì Sanji come una folgore. Apriva dubbi abissali, e considerazioni esistenziali dalle spaventose conseguenze. Era vero. Tutte le avventure che avevano vissuto erano state guidate come da una mano divina – una divinità ben più potente di quel misero Eneru – che, pur divertendosi a condurli in mezzo a vere e proprie orge di sangue e distruzione, allo stesso tempo aveva protetto i suoi piccoli burattini, lasciando che uscissero indenni da quei pericoli. Forse per troppo affetto nei loro confronti, o forse per potersi divertire con loro in seguito, rendendoli protagonisti di altre storie, altre avventure. Ma certe cose è meglio non sforzarsi di capirle: la mente umana non è fatta per tollerare tali conoscenze.

-         Dev’essere stata una coincidenza. – balbettò Sanji, emergendo ancora scosso da quel momento di illuminazione.

-         Hm. Forse hai ragione.

-         Perché non vieni con noi, Flea?

Sanji ebbe l’idea in un attimo; senza nemmeno pensarci, fece la domanda.

-         Cosa? – disse Flea, un po’ confusa.

-         Vieni con noi in mare! Queste storie potresti viverle, invece di limitarti a sentirle raccontare. Sai, noi avremmo proprio bisogno di un carpentiere. E poi con i tuoi poteri saresti utilissima, a bordo. Ti divertirai un mondo!

-         No, senti, intanto non sono poi questo granché come carpentiere. – fece la ragazza, agitando le mani davanti a sé – E poi non fa proprio per me. Non credo che avrei il coraggio di andarmene da qui. Il mare è troppo vasto.

-         E’ per questo che è bello. Il primo passo è sempre difficile, Flea, ma una volta che salpi non vuoi più tornare indietro. Credimi.

-         Mi dispiace, non mi convincerai. Lo hai dimenticato, Sanji? Io sono un albero. – disse ridendo, ma con una risata che suonava un po’ meno allegra del solito – Gli alberi mettono radici in un posto e non si muovono più. Gli alberi non salgono sulle navi.

Sanji posò con dolcezza una mano sotto il mento di Flea e le sollevò il viso, fino a farle guardare il ponte della Going Merry. Proprio dietro l’albero maestro, gli aranci di Bel Mel crescevano rigogliosi.

-         Gli alberi vanno un po’ dove vogliono. – disse – Come le persone.

La ragazza distolse lo sguardo bruscamente e si accovacciò a terra.

-         Quanto legname hai detto che vi serve? – chiese.

-         Usopp ha parlato di tre o quattro alberi. Fa’ un po’ il conto.

-         Capito.

Le mani di Flea, infilate sotto terra, si trasformarono ancora una volta, ricoprendosi di corteccia. Stavolta però il processo fu più veloce di quanto era stato nel giardino, quasi violento. In pochi istanti il terreno venne smosso; qualcosa serpeggiava appena sotto la superficie. Si crepò, si spaccò, e a pochi metri di distanza cominciarono a spuntare, bucando il suolo con violenza, assi di legno massiccio. Una, due, tre, alla fine erano una ventina. Flea ritirò le mani.

-         Ecco. – disse – Dovrebbe bastare.

-         Oh. Grazie.

-         Ci vediamo, Sanji.

Senza aggiungere altro, la ragazza se ne andò. Sanji rimase solo, con il compito di staccare dal terreno e accatastare tutto quel legname e con la brutta sensazione di aver detto qualcosa di sbagliato.

 

A cena, sulla Going Merry, regnava un’atmosfera surreale. Nami, Sanji, Zoro e Usopp erano seduti ai quattro lati di una tavola solitamente molto più affollata, e pescavano con i loro cucchiai nel brodo per poi sorbirlo senza dire una parola. Non c’era Luffy ad agitare una ciotola vuota chiedendo il bis (o il tris, o magari il poker) di zuppa. Non c’era Chopper a duettare con Usopp. Non c’era Robin a ricevere i complimenti di Sanji. E, in un certo senso, non c’era nemmeno Sanji.

Alla prima cucchiaiata di brodo, Nami fece una faccia strana, Usopp una faccia ancora più strana e Zoro non fece una piega.

Sanji sospirò, senza assaggiare nulla.

Alla seconda cucchiaiata, Nami ebbe un moto di disgusto, Usopp un conato di vomito e Zoro non fece una piega.

Sanji sospirò ancora, e ancora non aveva assaggiato nulla.

Alla terza cucchiaiata, Usopp esplose:

-         Insomma, se nessuno ha il coraggio di dirlo, lo dico io! SANJI, QUESTA ROBA FA SCHIFO!

Il cuoco sollevò gli occhi.

-         Davvero? – chiese incuriosito. Sembrava che la cosa non lo riguardasse.

-         In effetti… - ammise Nami.

-         Un vero spadaccino – intervenne Zoro, abbandonando la sua totale apatia – non dovrebbe mai lamentarsi del cibo: ma visto che si tratta di aiutarti con una critica costruttiva, cuoco, farò un’eccezione.

Assaggiò un altro cucchiaio, assaporandolo lentamente e tenendolo a lungo in bocca, per cogliere ogni sfumatura del suo gusto, come un sommelier con un vino pregiato.

-         E’ una merda. – concluse.

Sanji prese pigramente una cucchiaiata di brodo e se la fece scorrere davanti agli occhi, versandola di nuovo nel piatto.

-         Usopp, ma è proprio così orrenda? – chiese.

-         E’ terribile, Sanji. E’ troppo annacquata. C’è poca carne. Ed ho il sospetto che tu abbia usato lo zucchero al posto del sale.

-         Sì, può darsi. Capita anche ai migliori, di sbagliare.

-         Capita? – Nami era incredula – Sanji, non ti ho mai sentito parlare così. Sei sempre stato un perfezionista. Ma si può sapere che accidenti ti prende?

-         Ma niente…

-         Dai, diccelo. Stai male?

-         Ma no…

-         E su, dimmelo, fallo per me...

-         TI HO DETTO CHE NON HO NIENTE, MALEDIZIONE! MA SEI SORDA O CHE?

Nami si ritrasse con un gridolino spaventato, come fosse stata scottata dal fuoco. Sanji non la degnò di uno sguardo e tornò a poggiare la testa sul gomito, a non mangiare niente e a sospirare. I suoi compagni lo fissavano stralunati, come fosse una bestia rara. Molto rara. Tipo un unicorno a tre teste, avete presente? Ma con la coda di serpente, che sputa fuoco dalla bocca, e pattini a rotelle al posto degli zoccoli.

-         Sanji, tu hai qualcosa che non va. Non hai mai trattato Nami così. – disse preoccupato Usopp – Devi dirci tutto, Sanji. Possiamo aiutarti. Possiamo risolvere i tuoi problemi alla radice.

-         Che c’entrano le radici? Lascia stare Flea! – protestò il cuoco.

-         A-HA! Ora è tutto chiaro!

Lo sguardo di tutti e tre i pirati passò dalla sorpresa alla perfida malizia.

-         Beh, che c’è? Che ho detto?

-         Abbastanza, hai detto abbastanza. Adesso si spiega ogni cosa. Flea, eh? Eh eh

-         CHE HAI DA RIDACCHIARE, USOPP?

Usopp trattenne il risolino, ma continuava a gongolare e a fare il superiore:

-         Ma niente, niente… in fondo, prima o poi doveva succedere. Stai sempre a ronzare intorno alle belle ragazze, doveva arrivarne una che avrebbe finito per rubarti il cuore… ah, l’amour

-         Ma quale amour? MA CHE CAVOLO TI PASSA PER LA TESTA?

-         Eppure è così chiaro… sempre intorno alle donne… come si dice: la mela non cade lontano dall’albero.

-         Che cosa? – fece Sanji, furibondo.

-         Ah, in fondo ti capisco. – intervenne Nami, con un sorriso da intrigante – Dopotutto, l’uomo non è di legno.

-         CHE COSA?

-         Innamorato della figlia di un falegname, cuoco… – Zoro scosse la testa – Lo vuoi un consiglio? Fatti una sega.

A Sanji finirono le parole per esprimere la sua rabbia. Era rosso in volto e fissava i suoi compagni con aria incredula. Cercò di dire qualcosa, boccheggiò a vuoto e corse all’ingresso della stanza, spalancandolo.

-         Ma vaffanculo! – esclamò infine, ed uscì, sbattendosi la porta alle spalle

 

 

 

 

 

 

Quarto capitolo, uno dei miei preferiti, principalmente per la scena del giardino. E con il sindaco Lopez e i tre Giardinieri Capo è completo anche il parco dei personaggi (assurdi e non – ma principalmente assurdi XD). Chiedo scusa per il turpiloquio di Sanji, ma quando ci vuole…

Ringraziamenti in velocità a lale16, a Senboo (e auguri di guarigione veloce! Spero che quando leggerai queste parole la febbre ti sia già passata) a Smemo92 e a tutti quei timidoni che leggono e non recensiscono… lo so, che ci siete XD… naah, scherzi a parte, al prossimo capitolo! Ciao!

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Capitolo 5
*** Scarpe pulite! ***


5 – Scarpe pulite

Capitolo 5 – Scarpe pulite!

 

Ogni sera Flea restava sveglia, sdraiata sul suo letto, ad aspettare che tornasse Paradosso. Il pappagallo non stava con lei tutto il giorno; prima o poi capitava che se ne andasse per conto proprio, a svolazzare sul Giardino o chissà dove. Lo faceva sempre, e sempre più spesso e più a lungo. Però ogni notte tornava nella stanza di Flea, sul trespolo che lei gli aveva preparato, per dormire. Non si allontanava mai troppo, ormai sembrava essersi affezionato alla propria casa.

Proprio come me, pensò Flea.

Aspettava sdraiata sul suo letto, che in realtà non era altro che un giaciglio abbastanza rozzo fatto con quattro travi di legno inchiodate a formare un rettangolo e un pagliericcio come materasso. Altre persone lo avrebbero trovato scomodissimo, ma lei non riusciva a dormire senza la sensazione piacevole della paglia che pizzicava e frusciava sotto la pelle. Accanto, sul pavimento, teneva una botticella in legno piena d’acqua; ne spillò un poco in un bicchiere e la bevve. Aveva ancora nella testa le parole di Sanji di quella mattina. Gli alberi vanno un po’ dove vogliono, come le persone, aveva detto. Facile a dirsi. Facile quando non ti senti più a casa tra gli alberi e con i piedi piantati nel terreno anziché tra le persone. Facile quando non sei costretto a svegliarti di notte ogni tre ore in preda a una sete feroce, impossibilitato a dormire dalla sera alla mattina perché significherebbe la morte per disidratazione. Flea sentì salire di nuovo la rabbia che le aveva fatto tagliare bruscamente il discorso quella mattina. In mare, in mare, anche suo padre non faceva che ossessionarla con quella storia, fin da quando lei era bambina. Che avrebbe mai potuto fare in mare? Lei che non sapeva nuotare, circondata da una distesa sterminata d’acqua, per di più salata, e quindi inutile anche per placare la sua inestinguibile sete. Il mare non era mica la soluzione a tutti i problemi. E tutto sommato lei stava benissimo lì dov’era.

Guardò la parete alla propria destra, dove la mappa del Grande Blu le raccontava le sue storie – e gliene nascondeva chissà quante altre, promettendo misteri e avventure.

-         O forse mi sto solo inventando delle scuse. – si disse a voce alta.

Solo allora si accorse che Paradosso era già arrivato, probabilmente anche da un bel po’. Era sul davanzale della finestra e la guardava con occhietti curiosi.

-         Tu che dici? – gli chiese Flea – La verità è che sono una fifona?

-         Non so parlare! – rispose il pappagallo.

La ragazza scoppiò a ridere. Aspettò che Paradosso si posasse sul suo trespolo, poi spense la lampada a olio che illuminava la stanza e si lasciò andare al sonno.

 

Allora, tu come te la passi?

Non c’è male, signore. Anche se lei mi ha appena dato fuoco.

Lascia perdere il “signore”. Diamoci del tu.

D’accordo, coglionazzo.

Sanji fissò il suo interlocutore con un’espressione che, partendo dallo stupore, passò in pochi istanti alla rabbia per poi scivolare nella rassegnazione. Sentì di essere caduto molto in basso. Quando anche una fragile cosina che si riesce a tenere tra indice e medio della mano destra si permette di insultarlo, è il momento che un uomo cominci a farsi delle domande. Del tipo: che ci faccio alle cinque del mattino seduto sulle macerie di un bar circondato da un mucchio di tizi agonizzanti a immaginarmi di parlare con una sigaretta, per di più piuttosto scurrile?

In realtà, poi, la risposta era abbastanza semplice. Dopo aver abbandonato la nave, Sanji aveva girovagato furibondo per l’isola, senza riuscire a trovare pace. C’era poco da fare: quando era arrabbiato  le uniche cose che gli permettevano di sfogarsi erano le sigarette o prendere a calci qualcuno. Alla fine era entrato in un locale, un posto abbastanza malfamato. Uno di quelli in cui non ti fanno domande, non ti chiedono chi sei, come ti guadagni i soldi o perché hai tutte quelle macchie di sangue sulla camicia e un coltello in mano. Aveva solo intenzione di bere qualcosa, ma lì dentro aveva trovato un mucchio di cretini che avevano cominciato a prenderlo in giro per le sue sopracciglia.

La rabbia era aumentata.

Quelli avevano continuato a ridere.

Lui aveva sentito, sempre più prepotente, il bisogno di sfogarsi.

E nei locali pubblici è vietato fumare.

Una mano afferrò l’orlo dei pantaloni di Sanji, facendolo voltare. Il cuoco guardò indifferente l’uomo che lo aveva afferrato, un tizio coperto di sangue, polvere ed evidenti ferite da calci.

-         Ahh… – balbettò il moribondo – Acqua… acqua…

-         Ne avresti bisogno, in effetti. – commentò SanjiSei parecchio sporco.

Tornò a concentrarsi sulla sigaretta e sulla loro conversazione. Cercò di riaccenderla (la conversazione: la sigaretta era già accesa).

Dunque, secondo te che devo fare con i miei amici?

Quello che si fa con gli amici di solito in questi casi, deficiente. Vai a chiedergli scusa.

Io scusa a loro? Mi hanno insultato!

Lo fanno sempre. Non sai stare allo scherzo?

Mi hanno insultato più del solito.

Ma per favore!

No, senti, non dovevano trattarmi in quel modo. Insomma, i miei sentimenti sono una cosa seria!

Sì, beh, se cerchi un ambiente serio, non penso che tu possa trovarlo a bordo di una nave con la polena a forma di testa di capretta sorridente.

E su questo devo ammettere che hai ragione.

Per non parlare del fatto che vi trovate in una situazione spaventosa. Anche se adesso avete il legname per riparare la nave, siete sempre senza capitano, senza medico e senza archeologa. Beh, anche se questo non è che sia un ruolo poi così fondamentale. Comunque, in poche parole, se non li ritrovate siete col culo per terra. Spacciati. Finiti. Non vi muoverete più da questo sputo di isola, oppure vi scioglierete e ve ne andrete ognuno per i fatti suoi. E tu corri dietro alle gonnelle?

Bada, sigaretta. La mia pazienza ha un limite.

Oh-ho. Il signorino si sta arrabbiando… di nuovo. Quante volte fanno oggi? Io sarò pure accesa, ma tu hai la testa molto più calda di me.

Questo è troppo. Te la faccio pagare.

E che mi fai? Mi fumi? Io mi vendico e ti faccio venire un bel cancro ai polmoni. Fine ingloriosa per un pirata, non credi? Ehi, che fai…?

Sanji si alzò e si rivolse al tizio agonizzante di prima, che ancora tendeva la mano verso di lui.

-         Ehi, tu. Prima mi stavi chiedendo qualcosa?

-         Sì… - mormorò quello -  Acqua, per favore…

-         Davvero? Vuoi fumare?

-         No… Voglio acqua… acqua

-         Beh, oggi è il tuo giorno fortunato. Tieni.

Gli ficcò la sigaretta in bocca e se ne andò. Il moribondo tentò vanamente di protestare, poi fece spallucce e decise di accontentarsi di quello che la sorte gli aveva concesso. Tirò una boccata. Tossì. Svenne.

Sanji nel frattempo se ne era già accesa un’altra, di sigaretta.

-         Spero che tu sia meno loquace. – borbottò.

Da qualche parte, dietro di lui, ci fu del trambusto. C’era pochissima luce, ancora il sole non era sorto, e Sanji non riuscì a distinguere bene chi stesse arrivando. Vide solo tre sagome che arrancavano tra le macerie del bar, aiutandosi l’un l’altra ogni volta che incontravano qualche ostacolo. Le loro voci erano rauche e stonate, e il vento che soffiava dalla loro direzione portava un inconfondibile sentore alcolico.

-         Ehi, ma che ci fanno tutte queste assi spaccate ammucchiate in mezzo alla strada? Qui non c’era la taverna “All’amichevole rissa”?

-         Si vede che oggi la rissa non è stata tanto amichevole.

-         Andiamo! Questo posto è stato demolito! Che razza di rissa può fare tutto questo danno? Ci vorrebbe un mostro!

-         E sta’ zitto, porco squalo. Non siamo qui per preoccuparci della taverna. Abbiamo un appuntamento.

I tre tipi si fecero avanti. Sanji riuscì a distinguerli più chiaramente. Li conosceva.

I Giardinieri Capo. Che ci facevano in giro a quell’ora?

Istintivamente, il cuoco si defilò velocemente nell’ombra di un vicolo vicino. Gli uomini avevano un atteggiamento piuttosto sospetto e, notò, quelli che portavano alla cintola non sembravano esattamente attrezzi da giardinaggio. A meno che uno non trovi più pratico potare i cespugli con una sciabola anziché con un falcetto.

-         Occhio, gente! – esclamò Rum, sistemandosi la benda – Con tutte queste macerie, c’è rischio di cadere.

-         Ehi, ragazzi, aspettate! – chiamò Gin, agitando l’uncino – Datemi una mano!

-         Piantatela, femminucce. – brontolò Champagne, picchiando a terra il piede di legno con disappunto – State zitti e fate come me. Vi insegno come se la cava un uomo in gamba.

I tre si diressero verso un vicolo vicino a quello in cui si era nascosto Sanji, che dal canto suo cercò di continuare a spiarli con discrezione. Non che temesse di incontrarli, ma era abbastanza sicuro che se lo avessero visto quei ceffi avrebbero smesso di fare ciò che stavano facendo. E invece lui voleva proprio capire dove andavano a parare. Non gli erano piaciuti dal primo momento in cui li aveva visti.

-         Guardate! Eccoli là.

-         Andiamo.

Gin aveva indicato un punto imprecisato in un vicolo vicino, e tutti e tre i Giardinieri si mossero decisi in quella direzione. Le armi appese alle loro cinture tintinnavano minacciosamente. Scivolando alle loro spalle, Sanji cercò di vedere chi fossero le persone verso cui si stavano dirigendo. Si avvicinò più che poteva e intravide, in lontananza, due figure di persone che stavano discutendo e sembravano non essersi ancora accorti di chi stava arrivando. Uno dei due era basso, magro e un po’ incurvato, l’altro era tondo come un cocomero. I Giardinieri misero mano alle sciabole. Le estrassero. Furono addosso agli altri due in un istante, non diedero loro nemmeno il tempo di fare un movimento.

-         Merda. – sibilò Sanji affrettando il passo.

Il ciccione venne messo all’angolo da Rum e Gin, che gli puntarono le spade alla schiena. Uno sprazzo di luce gli illuminò il volto, che apparve essere quello del sindaco Lopez. Nel frattempo, Champagne aveva preso l’altro alle spalle, poggiandogli la lama contro la gola.

-         Salve, Madera. – disse ridacchiando – Siamo venuti a farti la pelle. Dì le tue preghiere.

Sanji scattò con un balzo. Non aveva alcuna intenzione di lasciare morire il suo... insomma, quello che avrebbe voluto diventasse suo suocero. Ma la spada ormai si stava muovendo, e lui capiva, era sicuro, che non ce l’avrebbe mai fatta in tempo.

 

Se fallisci una volta e ritenti sei perseverante.

Se fallisci dieci volte e ritenti sei testardo.

Se fallisci cento volte e ancora ritenti sei stupido.

Ma se fallisci milletrecentoventisei volte e ancora ti ostini a ritentare e a non capire che, quantomeno, c’è qualcosa di sbagliato nel tuo modo di fare…

-         UAAAARGGHHRGAGHHH!

…allora probabilmente sei Monkey D. Luffy.

Il capitano, dopo l’ennesima inutile carica a testa bassa contro le pareti della cella in cui lui e Robin erano stati rinchiusi si ritrovò, per l’ennesima volta, a gambe all’aria. La sola presenza dell’agalmatolite lo indeboliva parecchio, ma anche quelle poche forze che ancora conservava svanivano non appena i suoi pugni colpivano la porta che stava cercando di sfondare. Le sue braccia elastiche si rammollivano e finivano per afflosciarsi a terra; tutto il suo impeto gli serviva solo a dare una tremenda capocciata contro il pavimento.

Si rialzò, ansimante, con il viso coperto di sangue. Guardò la porta. Sul metallo c’era un minuscolo segno scuro.

-         Sta cedendo! – esclamò trionfante.

Il segno scuro si mosse, quindi spiccò il volo, ronzando un po’ a mezz’aria per posarsi sulla mano di Robin, che, pensierosa, scacciò via la mosca con un gesto leggero.

-         Ah, allora no. – disse Luffy, un po’ smontato – E va bene, riproviamo.

-         Lascia stare, Luffy. – intervenne Robin, abbandonando le sue riflessioni – Dobbiamo escogitare un piano migliore. Questo non è un problema che si possa risolvere con la forza bruta.

-         E chi lo dice? UAAAAARGHHH!

Robin si scansò leggermente per evitare il proprio capitano, che era appena rimbalzato contro la porta e stava piombando come un missile contro il letto. Lo sfasciò sollevando frammenti di legno e brandelli di lenzuola, quindi restò intontito in mezzo ai pochi resti del mobile. La donna afferrò al volo un pezzetto di stoffa che le ondeggiava vicino, sfregandolo tra indice e pollice.

-         Proprio come immaginavo. – mormorò – Insieme al cotone sono intessuti alcuni fili di agalmatolite. Non sono solo le pareti, allora.

Intanto, rialzatosi, Luffy aveva finalmente deciso di cambiare strategia. Anziché tirare pugni alla porta, adesso le tirava calci.

-         Capitano, credo che dovremmo fermarci un momento a riflettere. Facciamo il punto della situazione. Quali sono i nostri problemi in questo momento?

-         Questa dannatissima porta non viene giù! – gridò Luffy, un istante prima di ricevere in piena faccia la sua stessa pedata, rimbalzata contro il metallo.

-         Giusto. – annuì RobinDirei che è il nostro problema principale. Poi c’è il fatto che siamo stati privati dei nostri poteri, che siamo stati separati da Chopper e non sappiamo dove trovarlo e che, se anche riuscissimo a evadere tutti e tre, saremmo comunque in mezzo al mare. C’è altro?

-         Queshta dahnnathissima pohrta nohn vhienhe giù! – ripeté Luffy, che era passato ai morsi e addentava con ferocia i cardini nel tentativo di spezzarli.

-         Bene, allora è tutto qui. Andiamo con ordine. A Chopper direi che dovremo pensare in un secondo momento. Lui probabilmente sarà la cosa più difficile.

-         Uh? E perché? – chiese il capitano, sospendendo temporaneamente i suoi maldestri tentativi di scasso.

-         Perché direi che la ragione per cui Whip l’ha separato da noi è che è in grado di esercitare su di lui un controllo… particolare. Penso che dipenda dal Frutto di Tame-Tame. Chopper, in origine, è pur sempre un animale, quindi potrebbe essere costretto anche lui ad ubbidire ai poteri del Frutto.

-         Ma è terribile!

-         Davvero. – Robin scosse la testa – Gli farà indossare qualche indumento assurdo come a tutti gli altri animali che lo servono, temo.

Restarono entrambi in silenzio per un attimo, distrutti all’idea di ciò che aspettava il loro amico.

-         Ma prima di pensare a salvarlo, dobbiamo uscire di qui. – riprese la donna – Innanzitutto, direi che sarà meglio aspettare che la nave attracchi a Eden, in modo che una volta evasi possiamo fuggire direttamente sulla terraferma.

-         Buona idea! E come facciamo a capire quando stiamo attraccando?

-         Oh, beh, da tanti piccoli indizi. Ad esempio, ascolta: le onde fanno un suono leggermente diverso quando si infrangono, a causa del fondale più basso. E poi gli animali di bordo sembrano essersi messi in agitazione, probabilmente preparano lo sbarco. La temperatura sta leggermente cambiando, e poi…

Luffy guardava Robin con uno sguardo vacuo. Lei fece spallucce.

-         Insomma, diciamo che lo intuirò grazie alla mia magia. – concluse.

-         DAVVERO? Tu conosci la magia? Sei fantastica, Robin!

-         Modestamente… – la donna sorrise imbarazzata – Adesso pensiamo a come uscire di qui. Direi che avremo bisogno dei nostri poteri; o meglio, dei tuoi.

-         Ma c’è l’agalmatolite. – brontolò Luffy.

-         Infatti. Ma il suo effetto sarà minore se non la toccherai direttamente, giusto?

-         Sì. Ma come faccio a sfondarla se non la tocco?

-         Lascia fare a me.

Sotto lo sguardo perplesso di Luffy, Robin cominciò a ispezionare con cura tutto il mobilio della stanza. Prendeva misure ed esaminava i particolari. Infine, si fermò davanti a un alto armadio di legno massiccio.

-         Questo va bene.

Spingendolo da un lato, fece ruotare il mobile; dopodichè cominciò a farlo strisciare sul pavimento, portandolo infine davanti alla porta della cella. Spalancò le ante.

-         Adesso – disse, ansimando un po’ per lo sforzo – esattamente dietro il fondo dell’armadio, che è un solo strato di legno, c’è la porta che dobbiamo abbattere. Se colpisci il legno puoi rompere la serratura senza toccarla, e si aprirà. Ma avrai a disposizione un solo colpo. Pensi di farcela?

-         Lascia fare a me! – esclamò Luffy, ruotando il braccio per caricare un pugno.

Lanciò il colpo. Appena toccò il legno, il braccio si piegò su stesso a fisarmonica, per poi cadere a terra senza forze.

-         Ehi, Robin! Non funziona!

-         E’ colpa del pavimento. – rispose la donna – E’ anche quello in agalmatolite. Se vuoi abbattere quella porta, dovrai stare sospeso a mezz’aria. Comunque, non è ancora il momento, quindi è meglio così.

-         Sospeso? – disse Luffy, perplesso – E come faccio?

-         Servirebbe un supporto…

-         Sì, certo.

-         Qualcosa che ti sostenga…

-         Infatti.

-         Potrei…

-         Potresti?

-         Sì, beh, dovrò…

-         Dovrai?

-         Ma solo in quel momento! E giusto perché non ci vede nessuno.

-         D’accordo, dimmi che cosa!

Robin prese un respiro profondo. Aveva pensato ad ogni altra possibile soluzione, e quella era l’unica fattibile. Dopotutto, erano pur sempre in una situazione disperata.

-         Dovrò prenderti in braccio, Luffy. – disse.

 

Ci sono cose davvero impossibili da credere. Quando te le racconta Usopp, è tutto normale, nessun problema. Ma se le vedi con i tuoi occhi e le senti con le tue orecchie, diventa piuttosto preoccupante. Sanji se ne rese conto un istante dopo che Champagne aveva portato la spada alla gola di Madera, quando ormai era convinto che l’unico possibile esito di quella situazione fosse una drastica riduzione di statura del falegname e tutto ciò che ne conseguiva. La gente tende a morire se la si priva dei trenta centimetri superiori del suo corpo. Mancavano sì e no due decimi di secondo.

-         Piantala, Champagne, gnarr. Credevi che ci potessi davvero cascare? Smettila con i tuoi giochetti cretini.

Cosa?

-         Ah! Dovevo immaginarlo, signore. Dopo tutti questi anni, lei è sempre il nostro capitano.

Cosa-cosa-cosa?

Sanji frenò bruscamente la sua corsa e si tuffò dietro una vecchia cassa abbandonata lì vicino (ce n’è sempre in abbondanza, nei vicoli in cui si tramano cose losche; il che, a pensarci, è certamente un segno che il destino è benevolo e vuole dare una mano a chi desidera sventare questo tipo di malefatte) per origliare, sperando che non si fossero accorti di lui. L’atmosfera, comunque, era diventata sorprendentemente amichevole. Il cambiamento era stato repentino e assolutamente radicale. Com’era successo che l’omicidio di un falegname e un sindaco a opera di tre malfattori si fosse trasformato in una nostalgica rimpatriata?

-         A questo punto – disse il cuoco tra sé e sé – non mi stupirei nemmeno se vedessi un asino volare.

Un cliente di meno per lo spettacolo di Mr. Bombolon, sempre in tournée per il Grande Blu con il ciuchino Momò che, grazie ai poteri del Frutto dell’Usignolo, svolazza a bassa quota e lancia melodici ragli.

-         Accidenti, sono scherzi da farsi! – sbuffò Lopez, tirando fuori dal taschino un fazzolettone con cui si asciugò il sudore (freddo) dalla fronte – Avete quasi fatto venire un colpo ai miei elettori.

I tre Giardinieri, o quel che accidenti erano, si diedero di gomito e cominciarono a ridere. Da qualche parte scappò qualche frase poco comprensibile, che però assomigliava molto a “vecchio ciccione cacasotto”. Gli elettori del sindaco Lopez la trovarono una cosa molto offensiva ma non seppero bene che pesci pigliare. Furono proposte una raccolta di firme e una petizione.

-         Basta scemenze, gnarr! – si impose Madera – Vi ho chiamati qui perché il sindaco deve parlarvi di una cosa seria. Voi tre avete combinato proprio un bel casino.

Lopez, grato per essere stato soccorso, annuì vigorosamente e pescò dalle tasche della giacca un giornale che porse ai Giardinieri. I tre lo presero e lo tennero in modo da riuscire a vederlo tutti chiaramente. Non è che fossero analfabeti, solo che Gin sapeva leggere soltanto le vocali, Champagne le consonanti e Rum i segni di punteggiatura. Messi insieme avevano una certa cultura.

-         Ecco, guardate qua. – sospirò il sindaco.

-         Foto esclusive!  – lessero alternando le voci – Un nostro inviato, su Long Ring Long Land, ha catturato l’immagine dell’Ammiraglio Aokiji abbracciato a una deliziosa fanciulla dai capelli corvini e i lineamenti raffinati. E’ forse arrivata la donna che scioglierà il cuore più… glaciale della Marina?

-         Non il gossip, gnarr, razza di testoni! – urlò Madera – La cronaca giudiziaria.

I tre sfogliarono velocemente qualche pagina balbettando giustificazioni confuse.

-         L’arrembaggio della “Walrus Pride”, interamente depredata del suo carico, opera di un gruppo di pirati sconosciuti. Smentito il sospetto di un coinvolgimento di Barbabianca. Fonti della Marina dichiarano che nel colpo non è coinvolta alcuna delle bande di pirati finora note. Verranno effettuate ulteriori indagini nelle isole vicine.

-         E’ un dramma! – esclamò preoccupato il sindaco Lopez – Io lo sapevo che non la passavamo liscia! Verranno qui e scopriranno tutto, e i miei elettori…

-         I suoi elettori sono l’ultimo dei nostri problemi, gnarr. – sbottò bruscamente Madera – Voi tre, mi dite che cosa avete combinato? Dovevate adottare una bandiera fasulla e far ricadere i sospetti su qualche ciurma famosa. Perché siamo arrivati a questo?

-         E’ tutta colpa di Gin! – ribatté Champagne – Doveva disegnare il simbolo di Barbabianca, ma ha fatto la svastica al contrario. La Marina se n’è accorta ed ha fiutato l’imbroglio. Tutto perché questo idiota si ostina ad essere mancino!

-         Beh, non è che possa farci un granché. – si giustificò Gin, mostrando l’uncino che portava al braccio destro.

-         D’accordo, gnarr, lasciamo perdere. L’importante è che, se arrivano qui, non devono avere nessuna prova. Niente! Gnarr! Chi erano gli uomini che avete portato con voi?

-         Tutti Giardinieri come noi, capitano. Gente della vecchia ciurma, ragazzi fidati.

-         Va bene. La merce?

-         L’abbiamo nascosta nei magazzini sotterranei, capitano. Da lì possiamo portarla al cantiere con il cunicolo.

-         No, gnarr, meglio lasciarla lì finché non si calmano le acque. Maledizione, questa storia ci farà perdere tempo. E per la faccenda che riguarda Flea?

Sanji tese le orecchie al nome della ragazza. Aveva sentito abbastanza da capire che Madera non era certo l’onesto artigiano che voleva far credere; che i Giardinieri erano un mucchio di pirati; che quel fantoccio di sindaco, oltre che grasso, idiota e codardo era anche connivente con quella banda di gentaglia; ma che c’entrava Flea con tutto questo marciume? La lasciassero fuori, porco cane!

-         Per Flea è tutto pronto, capitano. Abbiamo preparato ogni cosa per domani.

-         Domani, eh? Gnarr, bene. Mi raccomando, non deve sospettare nulla.

-         Nulla sospetterà.

-         Mi dispiacerà non vederla più, ma è meglio così, gnarr. – concluse Madera, scuotendo la testa – Meglio per tutti.

Oddio. Non poteva essere. Non poteva essere.

-         BRUTTI STRONZI! – ruggì Sanji, saltando fuori dal nascondiglio – CHE VOLETE FARE A FLEA?

I cinque uomini si voltarono all’unisono, avvertendo un’ondata di furia omicida. Si trovarono a fissare il cuoco, fermo in mezzo alla strada, rabbioso, con gli occhi iniettati di sangue e il fumo che usciva dalle orecchie, dal naso e, ovviamente, dalla sigaretta che teneva in bocca.

-         E… e tu chi sei? – piagnucolò terrorizzato Lopez – Ti prego, non fare del male ai miei elettori!

-         Il rappresentante di lavoro che cerca vernici. – sogghignò Madera – Gnarr, lo sapevo che era una balla. Sindaco, lei venga con me. Ragazzi, di lui vi occupate voi.

-         Naturalmente, capitano. Vada pure.

I tre Giardinieri si scambiarono un cenno e circondarono Sanji, sfoderando sorrisi affilati e sciabole ancora più affilate. Gli altri due sparirono nella notte, e Sanji li lasciò andare. Ci sarebbe stato tempo per riprenderli più tardi. Adesso era di nuovo arrabbiato, aveva di nuovo bisogno di sfogarsi, stava pure fumando, ma cavolo, non bastava proprio per tutta la rabbia che aveva in corpo. Guardò a turno Rum, Gin e Champagne con lo sguardo del rigorista che fissa il pallone davanti a sé.

-         Hai delle brutte abitudini, amico. Abitudini poco salutari. – disse Champagne, minaccioso.

Sanji fece un sorriso di sfida.

-         Per esempio? – chiese.

-         Fumi. – azzardò Rum.

-         Non parlavo di quello! – intervenne Champagne, seccato. Poi tornò a guardare Sanji con occhi truci – Se vuoi vivere bene su quest’isola, devi seguire alcune regole. Non infastidire il capitano Madera, non infastidire la signorina Flea, e soprattutto non infastidire noi.

-         La signorina Flea, eh? – esclamò il cuoco – E cosa volete fare voi, domani, a Flea? E dire che lei si fida tanto di voi! E di suo padre! Non ci posso credere!

Rum si fece avanti con la spada tesa.

-         Queste cose non sono affari delle spie come te. – disse – E comunque, non ti serve saperlo. Adesso, vedi, noi ti faremo quello che da queste parti chiamiamo un servizio speciale. Non sarà piacevole, te lo garantisco. Ti conviene procurarti una bara, perché quando noi avremo finito con te, ti assicuro che ne avrai bisogno.

I tre Giardinieri risero sguaiatamente. Sanji non rideva, invece, ma trovava la cosa ugualmente divertente. Quei pirati da strapazzo non avevano idea di cosa li aspettava. Cominciò ad avanzare piano, a passi lenti e decisi. Si tolse la sigaretta di bocca.

-         Statemi a sentire, coglioni…

Gettò la sigaretta, che cominciò a ruotare a mezz’aria, volteggiando verso terra. Avanzò ancora. I Giardinieri cominciarono a sentire una vaga inquietudine.

-         …mi sa che non avete proprio capito.

Altri passi. Altri volteggi. Altra inquietudine.

-         Quando io avrò finito con voi, l’unica cosa di cui avrò bisogno…

La sigaretta toccò terra. Sanji si fermò. Un unico brivido salì all’unisono lungo le schiene di Rum, Gin e Champagne.

-         …sarà un paio di scarpe pulite.

E il massacro ebbe inizio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo cinque, giro di boa (visto che la fanfic ne conta dieci in tutto). Con un colpo di scena non da poco, credo… La battuta finale di Sanji, che dà il titolo al capitolo, l’avevo preparata in origine per un’altra fanfic mai scritta, di atmosfera più dark e “hard boiled”. In questo capitolo ho cercato di trasferire un po’ di quell’atmosfera, raffigurando un Sanji con una vera aria da duro XD. Mentre per l’imbarazzo di Robin, mi sono semplicemente ispirato a una certa scena… vi dice qualcosa “Pirate Docking Six” XDD? Chi ha letto i capitoli spoiler sa a cosa mi riferisco. E ora, risposte!

 

X Senboo: come hai visto già in questo capitolo, i Giardinieri avranno un ruolo molto importante, e anche il sindaco Lopez farà qualche altra apparizione, tra cui una veramente fondamentale… per non posso sbilanciarmi più di tanto XD. Tra un paio di capitoli se ne saprà molto di più su di loro.

 

X Smemo92: di nuovo, la tua domanda su Flea trova risposta più o meno all’inizio del capitolo… Avevo cercato di fare intuire le sue motivazioni già da prima, ma ho creduto bene inserire anche un pezzo che le rendesse abbastanza esplicite. Gli altri tornano, chiedi? Mah… forse sì, forse no… XD

 

X ayachan: yo! Ben ritrovata! Curioso incidente, il tuo XD. Ma mica hai bisogno di chiedere scusa: mi ha fatto piacere ritrovare i tuoi commenti e tanto basta. Sai, sull’intreccio (che sembra elementare, ma non lo è, ma magari un pochino lo è davvero XD) di questa storia ho avuto le mie brave perplessità, soprattutto perché l’ho pensata e scritta in fretta e furia (meno di due mesi per una fic di più di cento pagine in totale, la più lunga che abbia mai scritto!), per via dei tempi del concorso, e in più di un punto temo di essere stato troppo frettoloso o di aver fatto ricorso a stratagemmi un po’ ingenui. Insomma, non ti preoccupare, e anzi sii critica al massimo. Conto su di te XD. Riguardo al manga di One Piece, certo, se vuoi evitare motivi di angoscia, non è il momento giusto per dedicarcisi… ti dico solo che con tutto che in Naruto tira aria di battaglia finale, come tu ben saprai, e che anche Bleach pare agli sgoccioli, resta sempre il capitolo di Oda quello che aspetto di più ogni settimana. Sta dimostrando una capacità narrativa incredibile, raccogliendo fili e tracce disseminate qua e là in tutti i cinquecento capitoli precedenti per raccontare una saga che promette di essere epica più di Enies Lobby. Però, visto che quei disgraziati di Mediaset hanno sospeso la messa in onda dell’anime sul più bello (con la sconfitta di Lucci e i nostri eroi ancora bloccati in mezzo al fuoco delle navi del Buster Call! Pazzesco!) ti consiglio almeno di recuperare gli episodi immediatamente successivi che concludono la saga di Water 7 / Enies Lobby. Le vicende in questione io le ho lette solo nel manga, ma sono tutte interessanti, e in particolare c’è una certa scena che, solo leggendola, mi ha commosso praticamente alle lacrime… Oda è sempre il migliore XD.

 

L’ANGOLO DELLA PUBBLICITA’: Attenzione! A tutti gli appassionati / i lettori di Death Note dico che da poco ho messo online la drabble “Omelia di un assassino”, scritta per il concorso “It’s the fear”. Se vi interessa, vi consiglio di andare a leggerla – e se vi piace, di andare a votarla sul forum del sondaggio il cui indirizzo trovate dopo il testo della drabble. Sono solo 100 parole, anzi 101 XD, quindi vi ruberà davvero poco tempo. E nei prossimi giorni penso di pubblicare anche diversi altri lavori nel fandom di Naruto: vi informerò attraverso queste pagine. Ciao a tutti, al prossimo capitolo!

 

 

 

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Capitolo 6
*** Invasione ***


6 – Invasione

Capitolo 6 – Invasione

 

Il rum è una bevanda sana e ricca di sostanze nutrienti, con un potente effetto rinvigorente, che non può mancare nella dieta di ogni buon pirata che ci tenga alla propria salute. Presenta purtroppo anche alcuni spiacevoli effetti collaterali. Uno di questi è una leggera alterazione delle normali percezioni che può indurre lievi stati allucinatori. Perciò non è molto raro sentire i marinai di più lunga esperienza sproloquiare di incontri con fantomatici mostri marini lunghi cinquecento metri (quando è risaputo che, come riportato dall’Enciclopedia Universale dei Mari, anche gli esemplari più grandi non superano i trecento). Non tutto il male, comunque, viene per nuocere: questo piccolo inconveniente ha dato origine a una competizione sportiva tra le più in voga nel Grande Blu, ossia la gara a-chi-la-spara-più-grossa.

-         Era, ve lo giuro, un Re dei Mari spaventoso, con due file di denti in bocca, ogni fila almeno cento denti, ottocento denti in tutto!

-         No, scusa: in una bocca ci sono due file sopra, due file sotto, cento denti ciascuna, fa quattrocento denti, giusto?

-         Ma lui aveva due bocche!

Erano le finali dell’isola quelle che si stavano svolgendo alla taverna “Il buon diavolo”, al molo tre del porto di Eden. Con il suo racconto, Greg il Sincero aveva appena mandato a segno un colpo micidiale. Soddisfatto, si rinfrescò la gola con una sorsata di liquore.

-         Allora, Fisher? Tocca a te!

Fisher annuì e fece cenno di aspettare un momento, lasciare che raccogliesse le idee. Si scoprì a sudare freddo. La terribile verità, che tutti ignoravano, era che Fisher era perfettamente astemio. Quello nel suo boccale non era rum, ma semplice succo di mango. La sua fantasia, senza aiuti alcolici, non riusciva a sostenerlo più di tanto in quelle competizioni; ma non poteva fare brutta figura davanti ai suoi compagni di equipaggio, o tanto meno permettere che capissero come stavano davvero le cose. Disperato, in cerca di uno spunto qualsiasi, girò lo sguardo intorno a sé. Guardò il bancone, la gente, i tavoli. Guardò fuori dalla taverna, verso il mare.

-         Ricordo quella volta – disse – in cui vidi una tartaruga gigante. Era grande quasi quanto un’isola, e c’era una specie di palazzo costruito sopra, con le insegne della Marina. E dalle porte di questa casa sciamavano fuori animali di tutti i tipi, uccelli, leoni, cavalli, che si muovevano in formazione, come un piccolo esercito.

Gli altri restarono ammutoliti. Fisher sorrise imbarazzato e prese un sorso di succo di mango. Gli applausi partirono solo dopo qualche secondo, ma in un istante crebbero e diventarono un’ovazione scrosciante.

-         Bravo! Bis!

-         E’ un campione! Un vero campione!

-         Sono un impresario, ragazzo! Ho un contratto pronto per te!

Fisher fece un inchino e si godette quel trionfo senza precedenti. Non poteva però evitare di sentirsi un po’ preoccupato. Perché dalle finestre della taverna lo si vedeva ormai chiaramente, la tartaruga gigante si stava avvicinando sempre di più. E aveva davvero le insegne della Marina, che non portano mai niente di buono. E gli animali aumentavano.

“Speriamo che se ne vada senza farsi notare da nessuno, altrimenti addio vittoria” sperò Fisher.

E proprio in quel momento, a sottolineare quanto stupida fosse quella speranza, da una delle feritoie del palazzo che si ergeva sul guscio della tartaruga partì la prima cannonata.

 

Il suono della prima cannonata scosse le pareti della casa di Flea, che si svegliò di soprassalto, spaventata. Le ci volle qualche secondo per riprendere lucidità e cercare di capire cosa fosse successo.

-         Sparano? – mormorò tra sé e sé, ancora assonnata.

Come risposta, una seconda cannonata rimbombò sull’isola. Flea saltò giù dal letto e corse alla porta della stanza. Passando accanto al trespolo di Paradosso, notò che il pappagallo era sparito. Probabilmente era volato via spaventato. Chiamalo fesso.

-         Papà! – chiamò la ragazza, aprendo la porta – Papà, che succede? Stai bene?

Nessuna risposta. sì, né no, né gnarr. Madera non era in casa. Poteva essere già andato al lavoro? Ma il sole non era ancora sorto, era un po’ troppo presto per andare al cantiere. Flea ebbe una bruttissima sensazione. Prese in fretta una cintura di borracce da mettersi a tracolla e corse giù, fuori di casa, in strada. La gente arrivava da tutte le parti, tutti stavano abbandonando le abitazioni mentre continuavano a piovere cannonate. Alcuni edifici erano già crollati. Erano scoppiati degli incendi.

-         Papà! – chiamò ancora Flea, ma la sua voce si perse nel fragore delle esplosioni e nel tumulto della folla che scappava da ogni parte.

Sentì un fischio più vicino dei precedenti, l’esplosione invece non riuscì a sentirla, perché fu così vicina che le tolse l’udito per qualche istante. Si vide solo circondata da una nuvola di luce, si sentì spinta da una mano invisibile, ebbe l’impressione di stare cadendo, cadendo verso una sagoma umana, nera, che tendeva le braccia verso di lei.

 

Il suono della prima cannonata arrivò leggermente smorzato attraverso le pareti di legno della Going Merry, ma era comunque inconfondibile per degli esperti pirati.

-         Mi suonano come guai. – disse Zoro.

-         Mi sa che qualcuno sta attaccando l’isola. Chissà di chi si tratta! – sospirò Nami.

-         E’ un cannone della Marina. – fece Usopp, concentrato, con gli occhi chiusi – Calibro 250 mm. Fusto in bronzo, lungo tre metri e venti centimetri. Bombarde in piombo. Caricato con due etti di polvere da sparo. Montato su un carrello con sei ruote, ma quella anteriore destra cigola un po’. Il colore della vernice, purtroppo, non sono riuscito a capirlo.

I suoi due compagni lo guardarono con gli occhi sgranati, incapaci di spiccicare parola.

-         Che c’è? – ribatté piccato il cecchino – Mica posso sapere proprio tutto!

-         Sappiamo abbastanza. – affermò Zoro – Se si tratta della Marina, dobbiamo stare in guardia. Vado a dare un’occhiata fuori.

Lo spadaccino uscì. Nami e Usopp restarono in attesa. Dopo qualche istante, dal ponte esterno si udì un gran chiasso. Ruggiti, ringhi, soffi e sibili di spade.

-         Si direbbe – osservò Usopp, impassibile – che Zoro sia stato attaccato da un leone.

-         Già, hai proprio ragione, deve essere un leone. – confermò Nami, serena.

-         Povera bestia.

-         Davvero.

Un attimo dopo, Zoro rientrò. Aveva una delle sue katane in mano ed era coperto di sangue e peli di felino.

-         Ehi! – gridò – Qua fuori c’è una torma di animali selvaggi! Sbrigatevi ad uscire! Prendono d’assalto la nave!

Nami e Usopp scattarono in piedi e corsero fuori. Scavalcarono con prudenza la carcassa del leone ormai pronto per la dispensa e si affacciarono al parapetto.

-         Mio Dio. – mormorò la ragazza – Al confronto, la vecchia fattoria di zio Tobia non è niente.

Davanti a loro si stendeva una folla infinita di animali di ogni razza, che avevano occupato l’intera pianura desertica a perdita d’occhio. Nella luce ancora pallida dell’alba era difficile distinguerli tutti bene, ma certamente diventavano sempre di più. Ne arrivavano continuamente di nuovi, in colonne, da un punto imprecisato vicino al villaggio. Manifestavano anche degli strani comportamenti, osservò Usopp. Come gli elefanti che salivano in equilibrio sui colli delle giraffe per raggiungere il ponte della Going Merry.

-         Attento! – gridò Zoro.

Scattò in avanti e con un fendente fulmineo tagliò la proboscide ad un pachiderma che stava per aggredire il cecchino. Alla vista di un naso tanto lungo accorciato così bruscamente, Usopp ebebe un brivido.

-         Anche qui! – urlò Nami.

Gli elefanti si erano organizzati, e si appoggiavano con le zampe anteriori contro lo scafo della Merry, spingendo per rovesciarla. Il legno cigolava. La nave non sarebbe resistita a lungo.

-         Saltiamo giù! – propose ZoroFacciamoci seguire e combattiamo lontano da qui, altrimenti questa bagnarola finirà in pezzi!

Gli altri due annuirono e, tutti insieme, si lanciarono dal parapetto. Cominciarono a fuggire verso l’entroterra, inseguiti dagli elefanti, che erano innaturalmente veloci, per la loro stazza. Cercarono di approfittare del buio e della confusione per seminarli, ma sembrava che l’unica cosa che gli riuscisse di fare fosse attirare altri inseguitori. Adesso avevano alle calcagna tigri, struzzi, cavalli, pipistrelli, coccodrilli e un paio di ornitorinchi. I pirati provarono a scappare secondo traiettorie insolite, a infilarsi tra i rinoceronti, a passare tra le zampe delle giraffe; inutilmente, perché gli animali continuavano a individuarli senza errore.

-         Ma si può sapere come fanno a seguirci così bene? – gridò Zoro.

-         I pipistrelli. – mormorò Usopp – I pipistrelli ci possono localizzare con gli ultrasuoni.

Continuarono a scappare. Ma erano circondati, la costa era affollata di animali ostili, e quindi vennero spinti sempre di più verso l’unica via di fuga, verso l’entroterra, lontano dalla nave.

 

Il suono della prima cannonata venne amplificato fino a divenire un fragore intollerabile dentro la piccola cella di agalmatolite.

-         Bene, direi che siamo sbarcati di sicuro. – disse Nico Robin.

-         Davvero? – fece Luffy – E come fai a esserne certa?

-         Non ricordi? Magia.

-         Ah, già.

Il capitano stette a pensare per un po’.

-         Ehi! – esclamò poi – Ma questo significa che è il momento per il nostro piano!

-         Sì. – mormorò Robin, rassegnata – E’ proprio quel momento.

Sospirò e tese le braccia, pronta a fare la propria parte, eroicamente, con sacrificio.

 

Il suono della prima cannonata causò un brusco spostamento d’aria; l’onda di pressione si infilò tra i vicoli, perdendo via via potenza man mano che si allontanava dalla propria origine. A qualche centinaio di metri di distanza era già abbastanza debole da non fare niente di più che sollevare gonne e scompigliare capelli; a circa un chilometro, era appena sufficiente a spegnere un fiammifero.

-         Merda. E adesso che succede?

O una sigaretta.

Sanji si tolse dalle labbra il mozzicone spento. Guardò i tre Giardinieri che rantolavano distesi a terra, ormai pronti per la rottamazione, poi sollevò lo sguardo nella direzione da cui era provenuta l’esplosione. Una colonna di fumo si alzava tra le case; c’erano voci confuse, qualcuno gridava.

-         Notte piena di avvenimenti, questa. – commentò con un mezzo sorriso.

Seconda esplosione, stavolta più vicina. La gente cominciò ad uscire in strada e a infilarsi ovunque, in fuga, spingendo e dimenandosi per le strette vie del villaggio. Un fiume di gente si riversò anche nel vicolo dove si trovava Sanji, e il cuoco fu costretto a seguirne il flusso, trascinato dalla massa. Cercò con lo sguardo i corpi inerti dei Giardinieri, ma non li trovò. Quei disgraziati dovevano avere la pelle dura, si erano rialzati e se ne erano andati. O forse erano ancora lì, mescolati alla folla, ma sarebbe stato impossibile vederli, la confusione era troppa. Senza nemmeno capire come, Sanji si ritrovò in una piazza, in cui finalmente la massa di persone in fuga si diradò un poco grazie al maggior spazio disponibile. Le esplosioni continuavano, c’era fumo dappertutto. Poi accadde tutto in un istante assurdamente lungo. Lo scoppio fu vicinissimo, mancò poco che Sanji perdesse i sensi; nella luce vide una sagoma che correva e poi cadeva abbandonata a stessa come una bambola di pezza; si gettò in avanti, tese le braccia, la raccolse. Il tempo ricominciò a scorrere normalmente.

-         Flea! – gridò, scuotendo la ragazza, che aveva l’espressione inebetita e il volto coperto di fuliggine – Flea, stai bene?

-         Io sì. – disse lei, sorridendo e osservando il proprio salvatore, e in particolare le sue sopracciglia, con sguardo vacuo – Sto bene. Grazie per avermelo chiesto, Coniglietto Spiralino!

-         Coniglietto… Spi…? - balbettò Sanji.

Evidentemente la ragazza era ancora un po’ intontita. Normalmente un’onta simile si sarebbe dovuta lavare col sangue, ma visto che lei era così adorabile, con quel visino un po’ smarrito dovuto allo shock post-traumatico, Sanji accettò di buon grado di passarci sopra. Strinse la ragazza per essere sicuro che non potesse cadere a terra e cominciò a scappare, sperando di portarla al sicuro. Le esplosioni continuavano ovunque, illuminavano a giorno l’intera scena.

-         Dobbiamo andarcene da qui. – disse Sanji a denti stretti – Di questo passo, il villaggio finirà raso al suolo.

-         Guarda, caro Coniglietto! – esclamò Flea, ridendo estasiata e abbandonando la testa al dondolio della corsa – Ci sono le tue amiche paperelle!

-         Sì, certo, le mie amiche paper

Si fermò. Le paperelle, scoprì con una rapida occhiata, c’erano davvero; era sul fatto che fossero amiche che si potevano avere dei legittimi dubbi. Si presentavano come pennuti assetati di sangue che avevano becchi e ali decorati con teschi e altri simboli minacciosi. Cinque di loro si lanciarono, in formazione, contro Sanji, che dovette saltare di lato per scansarli. Tre degli assalitori riuscirono a cambiare rotta all’ultimo minuto riprendendo il volo, mentre gli ultimi due, trascinati dal proprio impeto, si schiantarono al suolo, sfracellandosi, con un misero “quack!”, in un tripudio di piume bianche.

-         Ma a che razza di deficiente può mai passare per la testa di addestrare delle oche kamikaze? – si chiese Sanji, riavutosi dalla sorpresa.

La risposta non tardò molto ad arrivare. Oltre alle papere, molte altre specie di animali popolavano ormai le vie del villaggio, che avevano perso ogni parvenza di normalità. Tra macerie, esplosioni, scene di panico, crolli, urla e giraffe con indosso caldi maglioni a collo alto, Eden era diventata l’apoteosi del caos. In mezzo a questo inferno, Sanji scorse qualcuno che avanzava lungo la strada circondato da un piccolo corteo. Un uomo su una portantina sostenuta da due ippopotami con tanto di cappellino da baseball. Accanto alla portantina, una squadra di oranghi in tenuta da banditori reggeva grossi megafoni che ripetevano in continuazione un messaggio registrato:

-         NON FATEVI PRENDERE DAL PANICO! QUESTA E’ UNA SEMPLICE OPERAZIONE DI POLIZIA! STIAMO DANDO LA CACCIA A DEI PERICOLOSI PIRATI! GLI ABITANTI SONO PREGATI DI RADUNARSI ENTRO UN’ORA NELLA PIAZZA PRINCIPALE DEL VILLAGGIO, DOVE VERRA’ DISCUSSA LA SITUAZIONE. GRAZIE PER L’ATTENZIONE. NON FATEVI PRENDERE DAL…

La parola “panico” si perse in un nuovo rumore di crolli. A poca distanza dalla portantina, una piccola casa a due piani stava bruciando, e un balcone era appena precipitato, in fiamme, davanti all’ingresso.

-         Il mio bambino! – gridava disperata una donna – Aiuto! Aiutatemi!

La portantina si avvicinò e l’uomo scese, informandosi premuroso:

-         Signora, che succede? Mi dica!

-         Il mio bambino! – ripeté quella, piangendo – E’ appena rientrato in casa! Eravamo riusciti a fuggire, ma lui insisteva a voler salvare il suo gattino, e mi è scappato di mano, e adesso…

La donna non riuscì a proseguire, sopraffatta dalle lacrime. L’uomo le poggiò una mano sulla spalla:

-         Signora, non si preoccupi. Noi siamo qui solo per proteggere la pace e l’ordine. La aiuterò.

-         Davvero? Oh, grazie, grazie! – disse la donna, illuminata dalla speranza – Ma lei chi è?

-         Sono un ufficiale della Marina, signora. Viceammiraglio Whip, al suo servizio. Rullo! – chiamò poi, con tono autoritario, rivolgendosi a uno degli oranghi del suo seguito – Pensaci tu!

La scimmia scattò sull’attenti e, con un’agilità formidabile, saltò su un palo di legno, quindi su un cornicione e infine dentro una finestra della casa in fiamme. La madre in lacrime restò per pochi, lunghissimi secondi a fissare l’ingresso, dove non si vedeva nulla, ancora nulla, poi un’ombra, una sagoma che si stagliava sulle fiamme, che teneva qualcosa in braccio…

-         Ce l’ha fatta! – gridò felice.

L’orango Rullo uscì dalla casa, illeso e sorridente, contento di aver salvato una vita e compiuto la propria missione.

Tra le braccia teneva il gattino.

-         Bravo, Rullo! Ben fatto! – si complimentò Whip.

-         E il mio… bambino… ? – balbettò la donna, accanto a lui.

In quel momento, qualcosa scappò fuori da una delle finestre del piano terra. Il piccolo, un po’ sporco di fuliggine, tossendo e sfregandosi gli occhi corse in lacrime dalla mamma, che finalmente sollevata lo abbracciò. Quanto a Whip, aveva occhi solo per il gattino.

-         Che magnifico animale! Come si chiama, signora? – domandò, carezzandolo deliziato.

-         SEI UN MOSTRO! MIO FIGLIO SAREBBE POTUTO MORIRE!

-         Eh? Accidenti, che permalosa. Era una semplice domanda. Bella gratitudine, per aver salvato il suo gatto.

Il viceammiraglio scosse la testa e si allontanò, pensando che certe volte la gente era davvero strana. Purtroppo, doveva constatare, gli capitava spesso di non essere ben accolto nei posti che visitava. Quest’isola non faceva eccezione. Adesso, per esempio, la sua portantina era stata circondata e bloccata da una decina di abitanti dal comportamento ambiguo: avevano espressioni furibonde ma continuavano a urlargli lusinghe e complimenti, chiamandolo “bestia”, “cane” o anche “maiale”.

-         Stronzo! – gridò uno dei facinorosi.

Va bene, questo non era un complimento.

-         Vi prego, ricomponetevi. Esponetemi le vostre rimostranze in modo il più possibile civile. – disse Whip, cercando di calmare i bollenti spiriti. Non ci riuscì.

-         Civili? Tu sei quello che ci sta bombardando le case! Stai radendo al suolo il nostro villaggio, e noi dovremmo essere CIVILI?  DICCI IL PERCHE’ DI TUTTO QUESTO! BASTARDO!

Whip ebbe un moto di sdegno. Come si permettevano, quei bifolchi, di offenderlo a quel modo? Fece cenno ai propri ippopotami di avanzare. I due bestioni spinsero e sfondarono il muro umano, mandando a gambe all’aria gli oppositori, la cui resistenza fu del tutto inutile.

-         Prima di tutto – ribatté Whip, mentre la sua portantina si allontanava – il mio pedigree è immacolato, e vi sfido a provare il contrario. Secondo, se desiderate saperne di più sulle ragioni del mio arrivo qui, vi invito a presentarvi come tutti all’incontro che si terrà tra un’ora nella piazza centrale. Lì vi spiegherò ogni cosa. Terzo, e con questo chiudo il discorso, io non vi sto bombardando le case. Temiamo la presenza di pirati in questo villaggio e i miei cannonieri stanno colpendo solo, e sottolineo solo, gli obiettivi strategici chiave. I civili non subiranno alcun danno. Addio, signori.

 

Bonga e Conga erano due scimpanzè cannonieri incaricati della manovra del pezzo di artiglieria numero 15 della Turtle-o-pia. Bonga era incaricata della carica, Conga del puntamento.

-         Uwaahwahwaah?!?

(Traduzione: Conga, perché hai appena fatto saltare quell’asilo nido?)

-         Owaah! Wahgah, rahha? Waah!

(Traduzione: Era segnato sulla mappa degli obiettivi strategici chiave, vedi? Proprio qui!)

-         Mugaaah! Ahw – ah! Yaahgahwahhah!

(Traduzione: Quella non è la mappa degli obiettivi strategici chiave! Quello è il mio sedere!)

Scuotendo la testa con disapprovazione, Bonga raccolse un altro proiettile di piombo e lo fece rotolare nella canna del pezzo. Pestò tutto per bene con lo scovolino. Conga aveva cominciato a ruotare il dispositivo di mira quando si sentì un fragore sordo, diverso da quello delle cannonate. Sembrava più il suono di una porta di agalmatolite che viene sfondata da un uomo di gomma.

-         Ugaaah! Wahwahmeeh?

(Traduzione: Bonga, e questo cosa è stato?)

-         Gaahgagh! Gah! Gah!

(Traduzione: Zitto e pensa a sparare, cretino!)

 

-         Attenzione a destra! Rondini assassine!

Luffy scartò bruscamente di lato, scansando i pennuti che saettavano con incredibile agilità, puntandolo con becchi cui era stata aggiunta una punta di metallo. Robin correva accanto a lui, ma sembrava affannarsi di meno. Era come se quella fuga la divertisse sottilmente.

-         A sinistra, Luffy! – avvisò – Talpe cecchino!

Partirono tre spari, che colpirono rispettivamente la parete del corridoio, una luce sul soffitto e una delle rondini di prima. Luffy e Robin passarono oltre senza problemi, mentre le talpe si scambiavano versi perplessi cercando di capire come avessero fatto a sbagliare.

-         Questa nave non finisce mai! – si lamentò Luffy – Ma quando ne usciamo?

-         Dovrebbe mancare poco. Attento ai topi paracadutisti!

Uno squadrone di sorci scavezzacollo si lanciò sui fuggiaschi da una presa d’aria del soffitto. Le mani di Robin sbucarono dal tetto e ne acciuffarono i paracadute, lasciandoli a penzolare e a squittire miseramente.

-         Questo posto è uno spasso! – esclamò Luffy, ridendo – Voglio proprio vedere chi ci si parerà davanti adesso!

Aveva appena finito di parlare che si trovò costretto a inchiodare i piedi a terra per frenare; la figura che era appena emersa da dietro l’angolo era molto più grossa di quella degli animali che li avevano attaccati fino ad allora. Era, inoltre, quasi umana. Un grosso omaccione peloso e pieno di muscoli, con in testa un familiare cappello rosa. Robin si mise sulla difensiva. Luffy deglutì.

-         Chopper… - mormorò.

La renna, lentamente, si avvicinava.

 

La piazza centrale di Eden era gremita quando Whip arrivò, seguito dal suo bravo corteo di bestiole assortite, per tenere il proprio discorso. Il villaggio non era nella sua forma migliore, ma, dopo che il cannoneggiamento era cessato, gli incendi erano stati spenti, i feriti portati in ospedali provvisori e si era fatta una conta degli abitanti trovando che tutti erano, più o meno, vivi. Certo, la gente radunata in piazza non era nel proprio umore migliore. Essere costretti ad alzarsi alle sette del mattino per partecipare a una riunione d’emergenza all’aperto già non è il massimo della vita; quando poi la sveglia arriva a suon di cannonate e versi di animali selvaggi mai sentiti prima, l’umore precipita drasticamente. Quindi, molte persone non si erano presentate in piazza col proposito di ascoltare e comprendere le ragioni del viceammiraglio Whip. Piuttosto l’avevano fatto pensando che sarebbe stata un’esperienza eccitante partecipare a un vero linciaggio.

-         E’ lui?

Flea indicò la curiosa figura del viceammiraglio, stringendosi a Sanji per un braccio. Era ancora un po’ indebolita, ma quanto meno aveva recuperato le proprie facoltà mentali. I due si erano messi in un angolo al limite della piazza, dove c’era un po’ più d’aria e un muro a cui la ragazza poteva appoggiarsi in caso di mancamenti.

-         Sì, è quel tipo. – confermò Sanji – Quello della Marina.

Intuendo il malcontento del suo pubblico, Whip aveva avuto la prudenza di portarsi dietro una buona scorta. Al suo fianco aveva Sylvia, la tigre dai denti a sciabola, i suoi due gorilla e qualche grosso felino, per ogni evenienza. La folla assetata di giustizia, meglio se sommaria, dovette rassegnarsi ad attendere migliore occasione e limitarsi, al momento, ad ascoltare.

-         Buongiorno a tutti, abitanti di Eden! – cominciò il viceammiraglio – Come già saprete, io sono il viceammiraglio Whip. Sono arrivato qui con l’incarico preciso, datomi dal Quartier Generale della Marina, di indagare sull’incresciosa vicenda dell’arrembaggio alla nave trasporto “Walrus Pride”. Alcuni giorni fa questo vascello, di proprietà del Governo Mondiale, è stato assaltato e depredato di tutto il suo carico da ignoti pirati. Abbiamo ragione di sospettare che alcuni di questi criminali possano trovarsi su quest’isola, perciò ho ricevuto il permesso di assumere formalmente il governo di Eden finché le indagini non saranno portate a termine. Quindi d’ora in poi io sono il vostro nuovo padrone! Siete contenti?

Il silenzio che seguì fu più eloquente di qualsiasi risposta. Da qualche parte, nascosto tra la folla, doveva esserci anche il sindaco Lopez, perché a un certo punto lo si sentì esclamare “I miei elettori non saranno affatto d’accordo!”. Whip cercò di assumere un’aria sorridente e cordiale:

-         Sentite, non dobbiamo cominciare così il nostro rapporto. Vedrete che vi tratterò benissimo, non avrete di che lamentarvi! Intanto vi aiuterò a sostituire queste case malridotte…

-         Sei tu che ce le hai ridotte male, STRONZO! – gridò qualcuno.

-         …queste case malridotte, dicevo, con ottime cucce ergonomiche. Avrete tutti i comfort. La pappa sarà alle dodici e alle otto di sera. E mi dedicherò anche alla vostra preparazione e al divertimento. Vi insegnerò dei bellissimi giochetti! Imparerete a riportare i bastoncini e a saltare il cerchio. Per quanto riguarda la riproduzione, poi, sceglierò gli esemplari migliori e organizzerò gli accoppiamenti in modo che…

C’era un gelo crescente nella piazza. Gli abitanti già sospettavano di avere a che fare con un tiranno, un idiota o un incapace; ora si rendevano conto di essersi imbattuti in un pazzo. E legittimato dal Governo, per di più. Quando la Marina si fosse decisa a introdurre dei test psicoattitudinali tra i moduli per il reclutamento sarebbe stato sempre troppo tardi.

-         Ma come fai a essere sicuro che i pirati che cerchi siano proprio qui? – chiese una voce, guidata dalla folle speranza di dirottare quella sciagura umana su qualche altra isola.

-         Oh, molto semplice. – rispose Whip – Me lo ha detto un uccellino…

-         CHE COSA? – ruggì un omaccione in prima fila – Vuoi dire che c’è un traditore tra noi? Una spia?

La tensione si tagliava con il coltello. Era un momento delicatissimo. Nella piazza si intrecciavano sguardi e sospetti, tutti dubitavano di tutti. Solo Whip avrebbe potuto, con una risposta accorta e ponderata, smorzare la tensione e scongiurare lo scoppio di una colossale rissa.

-         Beh, sì. – disse il viceammiraglio, sorridendo ingenuamente – E’ proprio quello che intendo.

Ci fu un rombo, ci fu un’esplosione di collera, insulti e rabbia, ci furono cazzotti che volavano da ogni parte, polvere sollevata, sangue e denti rotti, nel giro di pochi secondi. La piazza si trasformò in un’arena gladiatoria. Sanji e Flea, appena fuori dalla mischia, si videro costretti a un po’ di acrobazie per schivare i corpi dei primi sconfitti, che volavano via dal mucchio andando a schiantarsi contro il muro.

-         ORA BASTA! GNARR!

Con il suo brusco intervento, Madera portò istantaneamente la calma. Tutti gli occhi erano puntati su di lui quando si fece avanti, andando a piantarsi proprio davanti a Whip, che lo osservava curioso.

-         Lascia in pace questa gente e vattene dall’isola, gnarr. – disse il vecchio – Il colpevole che cerchi sono io.

-         Papà! No! – gridò Flea slanciandosi in avanti, ma venne trattenuta da Sanji, che le coprì la bocca con una mano e la tirò indietro.

-         Flea – le bisbigliò all’orecchio – è vero, è stato lui. Sono tutti pirati, sia lui che i Giardinieri.

-         Ma che accidenti dici? – mormorò la ragazza, piangendo – Anche tu sei un pirata! Lasciami!

-         Flea, loro volevano ucciderti. Oggi.

-         Cosa? No, ti stai sbagliando, no, no! Loro mi vogliono bene!

-         Li ho sentiti, stanotte. Complottavano in un vicolo con quella palla di lardo di sindaco. Hanno arrembato loro la “Walrus Pride”. Parlavano di fare qualcosa che ti riguardava, che doveva essere fatta per oggi. Dicevano che non dovevi sospettare nulla.

-         Sanjidisse Flea, liberandosi dalla stretta dell’uomo – oggi è il mio compleanno.

Scappò via, e Sanji non poté fare altro che restare, inebetito, a fissarla mentre si allontanava. Tutto ciò che aveva sentito cambiava di significato. Ma Madera aveva anche detto che gli sarebbe dispiaciuto non vederla più. Quello che significava?

-         Papà!

-         Flea, gnarr, stattene lontana! – gridò Madera, e poi, rivolto a Whip – Lei non c’entra, gnarr! Non provare a torcerle un capello!

-         Non mi è mai passato per la testa. La prego, continui il suo discorso.

Madera prese un profondo respiro.

-         Sono stato io a derubare la “Walrus Pride”. Solo io. Gli altri erano… mercenari che ho assunto qua e là, gnarr, non so più dove siano. Se vuoi una prova ti dirò una cosa che solo il colpevole può sapere, gnarr. Il carico della “Pride” non è stato reso pubblico: ma io so, gnarr, che si trattava di duemila lingotti di agalmatolite marina destinati alla costruzione di celle ad Impel Down. Visto? Sono stato io, gnarr! Voi l’agalmatolite la usate come nulla fosse, ma noi ne avevamo bisogno! Senza quella, gnarr, il desalinatore non avrebbe mai potuto funzionare! Voi del Governo ne avete a mucchi, gnarr, e noi qui a crepare di sete perché non possiamo pagarcela! Gnarr! Perciò l’ho rubata! Contento? Sei contento? EH? GNARR?!?

Tutti gli abitanti di Eden restarono paralizzati a sentire quelle parole. Non avrebbero mai sospettato fino a che punto Madera avesse rischiato di persona per il bene dell’isola; ed ora ecco che si sacrificava ancora per il bene di tutti. Whip, intanto, ascoltava con un’espressione di vivo interesse.

-         Dunque, c’era dell’agalmatolite sulla “Walrus Pride”? – chiese.

Madera restò interdetto.

-         Razza di imbecille, gnarr! – sbottò – Vieni qua ad indagare, gnarr, e non sai nemmeno questo?

-         Per niente. Trovo estremamente noioso leggere tutti i dossier prima di una missione.

-         Allora! – gridò il vecchio, furibondo – Allora, gnarr, vorrai sapere almeno questo! Riprenditi il bottino e vattene da questo posto! L’agalmatolite è nascosta nel…

-         Eh no, basta così! – esclamò il vice ammiraglio, facendo un rapido gesto.

Un orango scattò alle spalle di Madera e gli coprì la bocca con una mano. Il vecchio si dimenava e urlava ancora, ma riusciva a produrre solo suoni inintelligibili.

-         Mi dispiace, ma sarebbe poco conveniente per me se lei proseguisse questa frase. Vede, io non ho alcun interesse nel sapere dove si trova la merce rubata.

-         Che diavolo intendi, pazzo criminale? – gridò un uomo nella folla, esprimendo i sentimenti di tutti.

-         Quello che ho detto. In realtà, l’unica ragione per cui ho accettato questa missione era che volevo l’occasione di lavorare per un po’ su questa meravigliosa isola. Diciamo che la faccenda della “Walrus Pride” è stata un ottimo pretesto. Certo, dovrò risolvere il caso, o ne andrebbe del mio prestigio presso il Quartier Generale, ma non voglio farlo troppo in fretta. Il mio vero interesse è puramente scientifico, e riguarda il vostro bellissimo Giardino e la nascita ventennale del Frutto del Diavolo. Proprio in questo momento, la mia spia lo avrà certamente già localizzato e presto me ne comunicherà la posizione. Quando lo avrò, potrò condurre i miei esperimenti.

La folla fu scossa da un brivido a sentire quelle parole, vedendo il fantasma di altri vent’anni di miseria nel proprio futuro. Flea fu l’unica a restare smarrita. Lei non sapeva nulla di Frutti del Diavolo nel Giardino. Cos’era quella storia?

-         Chi è questo traditore? – urlò qualcuno – Che razza di uomo può essere tanto infame?

-         Temo che lei si stia sbagliando, signore… - cominciò Whip.

Da qualche parte si sentì un frullare di ali.

-         …io non ho mai detto che fosse un uomo.

Un grande uccello verde volò sulla piazza. Flea alzò lo sguardo e sentì una stretta al cuore.

-         Paradosso… – mormorò.

-         Buondì, capo! – starnazzò l’uccello – Ci si rivede! Che sollievo tornare a parlare normalmente!

Whip lo salutò con ampi gesti.

-         Paradosso, vecchio mio, mi sei mancato! Vieni qui!

Il pappagallo atterrò con precisione sulla spalla del viceammiraglio.

-         Allora, capo, come procede?

-         Tutto bene. Se tu hai trovato il Frutto…

-         Ho visto dov’è! Ti ci posso portare anche subito. E’ un po’ lontano, però.

-         Nessun problema. Ci muoviamo subito, stabilirò la mia base nel Giardino. Piuttosto, dimmi…

Whip e Paradosso continuarono a chiacchierare amabilmente. Nel frattempo, Flea era distrutta. Quanto era stata ingenua, quanto era stata stupida, pensava, stringendo i pugni. Aveva accolto in casa quella spia di un uccellaccio, l’aveva introdotto proprio nei luoghi in cui voleva arrivare. Al cantiere, nel Giardino. Per forza quel pennuto se ne andava sempre per i fatti propri, faceva le sue ricognizioni! Nessuno avrebbe potuto immaginare una cosa del genere trovando un uccello un po’ spennacchiato davanti alla propria casa, ma questo non aiutava la ragazza a sentirsi meno in colpa.

Un nuovo essere apparve sulla scena, all’improvviso, troncando il filo dei suoi pensieri e attirando l’attenzione dei presenti. Un omaccione peloso e nerboruto con un curioso cappello calcato in testa spuntò da una viuzza e corse al fianco di Whip. Un’apparizione che sorprese tutti, nella piazza, tranne una persona, che quell’essere lo conosceva bene.

-         Chopper! – esclamò SanjiSei vivo!

La renna non gli prestò la minima attenzione. Invece si mise sull’attenti e batté i tacchi (anche se scarpe, a dire il vero, non ne aveva) davanti al viceammiraglio.

-         A rapporto, signore! Le cavie sono fuggite!

-         Fuggite, dici? – fece Whip, sorpreso – E come hanno fatto?

-         L’uomo di gomma ha sfondato la porta della cella, signore. Hanno messo KO molte delle nostre truppe speciali. Ho cercato di fermarli, ma la donna dalle molte braccia mi ha immobilizzato e sono riusciti a scappare.

Sanji era corso vicino per sentire meglio, ma quello che sentiva non gi piaceva per niente.

-         Chopper! – gridò – Che stai dicendo? Parli di Luffy e Robin? Sono vivi anche loro? Se fai finta di essere così obbediente per paura di quel pazzo e delle sue bestiacce sta’ tranquillo, ci penso io a stenderlo!

Lo sguardo di Chopper era vuoto. Rispose con voce piatta:

-         Non so chi lei sia, ma la prego di non intralciarci. Questa è un’operazione di polizia.

-         Chopper…

Lo sguardo di Sanji passò dalla renna a Whip.

-         BASTARDO! – gridò, saltando contro l’uomo a gamba tesa, dritto contro il suo volto – CHE COSA GLI HAI FATTO?

Whip restò immobile al proprio posto, tranquillo. Dalle pieghe del suo ampio mantello di pelliccia guizzò fuori qualcosa che puntò dritto alla gamba di Sanji. Il pirata gridò di dolore e mandò il suo calcio a vuoto, per poi rotolare a terra, stringendosi il polpaccio tra le mani. Un serpentello minuscolo guizzò via e tornò ad annidarsi tra le vesti di Whip.

-         Brava, Lilly. – disse lui, sorridendo – Brava ragazza.

-         Stronzo… – balbettò Sanji, che già perdeva le forze a causa del veleno.

Conosceva quell’animale, il serpente giallo del deserto. Ricordava che, ai tempi di Alabasta, Bibi li aveva messi in guardia contro quei rettili. Diceva che erano la cosa più pericolosa che avrebbero incontrato nel suo paese, dopo le tempeste di sabbia, il sole cocente, gli scorpioni giganti, i coccodrilli banana, un altro centinaio di animali dotati di veleno, zanne o entrambe le cose, gli scagnozzi della Baroque Works e ovviamente Crocodile stesso. Comunque, come ciascuna delle cose sopra citate, anche il morso di quel serpente poteva essere mortale.

-         Le cavie sono scappate, eh? – fece Whip, pensieroso – E adesso che faccio?

-         Prendi quella ragazza, capo! – esclamò Paradosso, accennando con un’ala a Flea – Anche lei andrà benone. Fidati.

-         Paradosso! – gridò Flea, incredula a quel nuovo tradimento.

-         Davvero? Bene, signorina, venga con me, allora. Suvvia.

-         Neanche per sogno, MOSTRO! – gridò Flea, e corse, in lacrime, da suo padre Madera, ancora tenuto immobile dall’orango di prima.

-         Oh. E’ un problema. Come posso fare a convincerla? Ah, ecco! Signorina, la prego di seguirmi, o sarò costretto ad abbattere il vecchietto a cui sembra affezionata. Che ne dice?

L’orango che stringeva Madera si portò una mano alla gola e fece un gesto molto eloquente. Flea, incredula, chinò la testa e acconsentì a seguire Whip senza più dire una parola.

-         Col cazzo che ti lascio portar via anche lei, stronzo!

Sanji, furibondo, saltò contro il viceammiraglio con le sue ultime forze, ma venne aggredito e azzannato dalla tigre Sylvia. In condizioni normali si sarebbe sbarazzato di lei facilmente, ma il veleno gli stava togliendo tutte le forze. Altri animali gli saltarono addosso, sempre di più.

-         Flea! – gridò – FLEA!

-         Bravi, ragazzi, continuate così. – disse compiaciuto Whip – Tenetelo buono.

-         Sai, capo, - cominciò Paradosso – mi stupisce sempre vedere quanto tu possa essere crudele con la gente. Con noi sei molto gentile e comprensivo.

Il viceammiraglio rise cordialmente.

-         Beh, mi sembra ovvio! – rispose – In fondo sono solo esseri umani.

Il suo piccolo corteo si allontanò, con Chopper, Madera e Flea. Sanji continuò inutilmente per qualche minuto a lottare contro la massa di animali che tentava di sopraffarlo, poi le ultime forze lo abbandonarono e lui cedette. Smise di resistere al dolore e perse conoscenza.

 

-         Uh? Devo solo mangiare questo… coso?

In uno dei terrazzi più alti del Giardino, un’incredula Flea era stata messa di fronte a una scelta curiosa. Mangiare un buffo frutto con la buccia a ghirigori o lasciare che suo padre venisse ucciso. Beh, non credeva che salvarlo sarebbe stato così facile.

-         Lo faccio subito. – disse – Poi tu però lascerai andare mio padre, vero?

-         Naturalmente, signorina. – annuì Whip – Per un ufficiale, ogni promessa è debito.

Flea si accinse ad addentare il frutto. Insomma, pensava, perché aveva dovuto costringerla con quelle maniere a fare una cosa tanto semplice? Sicuramente, mangiare un semplice frutto non poteva comportare alcun rischio. Il fatto che Whip l’avesse coperta di elettrodi e misteriosi strumenti di misura e che fosse immediatamente corso al riparo non appena lei aveva accennato a dare il primo morso non scuoteva questa sua solida convinzione.

-         Non farlo, Flea! – gridò improvvisamente Madera. Dimenandosi furiosamente, era riuscito a inciampare trascinandosi dietro il suo orango carceriere, e quindi si era temporaneamente liberato – Quello è un, gnarr, Frutto del Diavolo!

-         Vuol dire che se lo mangio acquisterò dei poteri speciali? – disse Flea, squadrando il frutto – Forte!

-         No, Flea! Gnarr! Non devi mangiarlo! Chi ha già mangiato un Frutto esplode se ne mangia un altro, gnarr!

-         Stia zitto, razza di… vecchiaccio! – intervenne Whip, allarmato.

-         Beh, che vuol dire? – fece Flea – Io mi trasformo in albero, è vero, ma sono sicura di non aver mai mangiato un Frutto del Diavolo, quindi…

-         TU HAI MANGIATO UN FRUTTO DEL DIAVOLO, GNARR, RAZZA DI CRETINA! COM’E’ CHE HAI VENTIDUE ANNI E ANCORA NON L’HAI CAPITO, GNARR?

Flea restò sbigottita e lasciò cadere il Frutto. Più della morte orribile che aveva appena sfiorato la lasciava di stucco quella rivelazione del tutto inaspettata.

-         Io… cosa…? – mormorò – Papà, perché non me lo hai mai…

-         E’ una lunga storia, gnarr. – sospirò Madera, sfinito – Tu hai mangiato il Frutto di Woo Woo, che permette, gnarr, di trasformarsi in albero. E’ successo vent’anni fa… gnarr

L’orango che stava per afferrare Madera e tappargli nuovamente la bocca si fermò senza una ragione precisa. Anche Whip, stranamente, non disse più nulla. Mentre il vecchio cominciava a raccontare, il bordo delle vignette si fece nero e partì il solito, immancabile, flashback.

 

 

 

 

 

 

 

 

Spero di non essere stato troppo sbrigativo in questo capitolo – c’erano un sacco di fatti da raccontare e il limite del concorso mi imponeva di non superare le dieci pagine, che ho raggiunto proprio giuste giuste. Quindi qua e là ho dovuto sintetizzare. Grazie, come al solito, a chi ha letto e a chi ha commentato!

 

X Smemo92: le tue ipotesi non le confermo né le smentisco, scoprirai tutto nel prossimo capitolo che, come penso sia ormai chiaro, svelerà tutti i retroscena e la vera storia di Madera. Notate le tre frasi, eh XD? Oda si diverte sempre a giocare con le parole, e spesso si tratta di giochi purtroppo intraducibili; ho voluto fare qualcosa di simile anch’io.

 

X lale16: bentornata e grazie moltissime dei complimenti. Il dialogo con la sigaretta era un pezzo da veri intenditori XD. Sinceramente, quello che mi è piaciuto di più scrivere nel quinto capitolo. Mentre in questo sesto mi sono divertito praticamente con tutto. Comunque, buona fortuna col campionato… di qualunque cosa si tratti… XD

 

E torna l’angolo della pubblicità: sono online una drabble su Naruto (a proposito, Senboo, se leggi, grazie per i tuoi commenti alle mie drabbles. Se fai il cosplay annunciato, mandami una foto XD), comica, dal titolo “La vera ragione – Pain’s version”, seguito ideale de “La vera ragione”, pubblicata più di un anno fa, e soprattutto le prime due poesie della raccolta (sempre dedicata a Naruto) “Ma il silenzio urla sempre più forte”, raccolta ispirata addirittura alla “Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters. Ciao a tutti, alla prossima!

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Capitolo 7
*** Il frutto della vita ***


Capitolo 7 – Il frutto della vita

Capitolo 7 – Il frutto della vita

 

Vent’anni fa

 

All’apice dell’albero maestro sventolava furiosamente, sotto i colpi del vento, una bandiera nera; dalla bandiera un cranio demoniaco, senza mandibola, con corna d’osso e canini lunghi come zanne, spalancava le orbite vuote sul mare circostante, in cerca di una preda.

-         Técchio! – esclamò la bambina, puntando il dito contro la bandiera.

-         Non “técchio”, Flea, porca balena! Si dice “teschio”! Te-schio! Ma com’è che non lo capisci, disgraziata?

-         Diggaziata? – fece l’altra, con aria dubbiosa.

-         Di disgraziato qui non c’è nessuno. A parte quell’ubriacone che non sa come si trattano i bambini.

La donna raccolse la bimba dall’impiantito lercio del ponte e se la prese in braccio. Era molto alta, e Flea dovette avere un momento di vertigine a guardare il mondo da lassù, perché si strinse a lei afferrando i capelli neri che le scendevano lungo il collo fino al seno e poggiandole la testa sul petto. Rassicurata, sorrise e si rilassò.

-         Mi scusi, signora Lilia. – balbettò il marinaio – Le giuro che non volevo mica far male. E’ che noi siamo un po’ così. Rozzi, come dice lei.

-         Non preoccuparti, Champagne. – rise l’altra – Sono io che ho accettato di crescere una figlia su una nave pirata, dopotutto. Sei scusato.

-         Grazie, signora. Non lo dica al capitano.

-         Tranquillo.

-         TERRA! TERRA!

Dalla coffa il grido giunse istantaneamente a tutta la nave. Un centinaio d’occhi si voltarono in direzione della prua; all’orizzonte cominciava a delinearsi il profilo di un’isola dalla forma obliqua, che usciva dall’acqua per alzarsi rapidamente e poi finire con una scogliera a picco sul mare, dall’altro lato. Iniziarono i preparativi per lo sbarco. Flea, eccitata, agitava le braccia e faceva su e giù in braccio alla madre, gridando “teiia, teiia!”, come sentiva fare ai grandi.

-         Siamo arrivati, capitano. Eden in vista.

-         Hm. Bene.

Madera uscì da sottocoperta e raggiunse la prua. Camminava dritto e orgoglioso, col portamento di un vero capitano pirata, e aveva un aspetto giovanile, tradito solo da qualche capello bianco.

-         Spariamo un colpo d’avvertimento, capitano?

-         Perché dovremmo, Champagne? – fece Madera, sogghignando – Noi siamo qui per una semplice transazione commerciale.

-         Non dire così. – intervenne Lilia – Come se fosse una cosa onesta.

Il capitano fece un gesto di stizza.

-         Ora non voglio discutere con te. Sono pur sempre un pirata; non puoi pretendere che sia anche onesto!

-         Lo so che non puoi esserlo. – rispose calma la donna – Ma se vieni qui a rubare, chiama le cose col loro nome.

Madera scosse la testa e si allontanò. Raggiunse gli uomini che stavano calando le scialuppe in mare, per controllare che tutto andasse bene e, soprattutto, per allontanarsi dalla donna prima di perdere le staffe. L’isola, intanto, si era fatta più vicina, e rivelava tutta la sua meraviglia. Eden era una gemma verde sull’azzurro dell’oceano, splendida sotto la luce del sole. Flea, in braccio a Lilia, spalancò gli occhi per guardarla, ipnotizzata.

 

-         Uomini, posate qui i cofani!

Quattro pirati si fecero avanti con due forzieri e li lasciarono cadere sul selciato con un tonfo, quindi li aprirono. Erano pieni di monete d’oro, gemme e gioielli dall’aspetto antico.

-         Questi – disse Madera, in piedi di fronte a quei tesori – valgono più o meno cento milioni di Beli. E’ il prezzo che sono disposto a pagare per il vostro Frutto del Diavolo.

L’ intera cittadinanza di Eden era riunita davanti ai pirati appena sbarcati, in una piazzetta del porto. Alle parole di Madera si diffusero brusii sommessi tra la gente, e dopo qualche minuto si fece avanti il sindaco Lopez, a nome di tutti.

-         Mi dispiace – disse – ma i miei elettori la ritengono un’offerta assai scarsa. Vent’anni fa abbiamo venduto il Frutto per almeno cinque volte tanto, e da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. L’inflazione e tutto il resto. Sinceramente, non possiamo accettare. I soldi dovranno servirci a sopravvivere e importare acqua per il Giardino per altri vent’anni, e non possiamo permetterci di vendere a un prezzo così basso. I miei elettori la pregano di presentare un’offerta più sostanziosa o di andarsene dall’isola.

Il capitano annuì, come se si aspettasse di sentire quelle parole già da tempo. Sorrise e cominciò a passeggiare, lentamente, davanti alla folla radunata. Ogni tanto si fermava a osservare qualcuno da vicino. Le persone, al suo passaggio, si ritraevano intimorite.

-         Bel bambino. – disse all’improvviso, di fronte a una madre con in braccio il figlio – Deve volergli molto bene, vero?

La donna accennò di sì con la testa e strinse il bimbo a sé con più forza di prima.

-         Siete coraggiosi a sfidarmi. Io potrei – continuò Madera, spostando lo sguardo dal bambino alle ragazze, ai vecchi, a tutti gli uomini e le donne del villaggio, uno dopo l’altro – potrei fare molte cose spiacevoli a ciascuno di voi. Sono un pirata, dopotutto. Potrei distruggere il vostro villaggio.

La sua voce si abbassò, divenne insinuante, minacciosa. I suoi occhi si socchiusero.

-         Potrei uccidere i vostri figli.

Nessuno osava respirare.

-         Ma! – esclamò il capitano, tornando all’atteggiamento di prima – Io non faccio più di queste cose, da molto tempo, ormai. Vi posso assicurare che la vostra incolumità non è a rischio. Questo però non vuol dire che io non sappia essere persuasivo, o che non desideri ancora acquistare il vostro Frutto.

-         I miei elettori non hanno niente contro di lei! – intervenne il sindaco Lopez – Ci paghi di più e avrà il suo Frutto!

-         Di più? Volete essere pagati di più? – Madera batté la mano su uno dei due cofani d’oro – Questi sono i tesori che ho accumulato in dieci anni di scorrerie. Molti dei miei uomini sono morti per conquistarli. Pensate a quanto valga per me questo oro, ogni moneta bagnata dal sangue di un caro compagno! Non basterebbero la mia vita e tutte quelle dei miei pirati per guadagnare la cifra che volete. Questa è la mia offerta, non di più.

Si piantò di fronte al sindaco Lopez, guardandolo dall’alto in basso:

-         Avrò il mio Frutto, costi quel che costi.

-         Il Frutto è nascosto! – si affrettò a spiegare Lopez – Se mi uccide, non saprà mai dove si trova! Io non tradirò la fiducia che i miei elettori hanno riposto in me!

-         Ma non ce ne sarà alcun bisogno, caro sindaco! – disse il capitano, ridendo – Voi mi consegnerete il Frutto di vostra spontanea volontà. Io sono un uomo capace di grande pazienza. Io e i miei pirati, d’ora in poi, vivremo qui tra voi. Non vi faremo nulla di male, saremo come semplici turisti in visita nella vostra isola. Ma la nostra nave rimarrà di guardia al porto. Nessun altro sbarcherà ad Eden finché noi saremo qui.

Dalla folla si levarono brusii preoccupati.

-         Signori, - annunciò Madera – questo è un embargo! Nessuno approderà e nessuno andrà via. Niente rifornimenti, niente acqua, e soprattutto niente altri compratori per il frutto. Finché noi saremo qui, non potrete venderlo a nessun altro; ma noi non ce ne andremo da qui finché non ce l’avrete venduto. La soluzione a questo dilemma, mi pare, è semplice. Decidetevi in fretta, vi conviene.

Al che si rivolse a Lopez e fece un mezzo inchino.

-         E adesso, signor sindaco, se lei fosse così gentile da indicarci una buona locanda... – chiese con garbo – Sa, io e la mia signora vorremmo rinfrescarci e riposarci del lungo viaggio.

 

La signora Pickwater, la grassa, anziana e gentile ortolana del mercato di Eden, provava una simpatia istintiva per i bambini. Quando aveva visto per la prima volta gli occhi larghi e curiosi di Flea se ne era subito innamorata; adesso, due settimane dopo, si era praticamente auto-nominata zia adottiva della bambina, e ogni volta che Lilia veniva a fare la spesa nel suo negozio ne approfittava per dare sfogo a tutto il proprio istinto materno.

-         Mela! – esclamò Flea, additando il frutto che la signora le sventolava davanti.

-         Bravissima! E’ intelligente questa piccola, guarda quanto impara in fretta…

-         Therése! – brontolò il signor Pickwater, al banco accanto – Smettila di chiacchierare con i clienti!

-         FACCIO QUELLO CHE MI PARE, CARO MIO! Lo scusi – disse poi, rivolta a Lilia – è un po’ scorbutico al vostro riguardo. Perché siete assieme ai, insomma…

-         …pirati. – completò la donna, sorridendo – Capisco benissimo.

-         Io glielo dico sempre che lei è una brava persona. E la bambina non c’entra niente, che ne sa lei di queste storie di pirati! Ma gli uomini possono essere molto testardi.

-         Peggio dei muli. – confermò Lilia.

Raccolse il sacchetto degli acquisti con la mano libera e si avviò all’uscita. Appena fuori dalla bottega, Champagne, che faceva il palo accanto alla porta, le corse accanto:

-         Tutto bene, signora? Vuole aiuto?

-         Grazie, faccio da sola.

Camminarono tra la gente che parlava e faceva affari in strada senza che nessuno prestasse loro attenzione. La presenza dei pirati era diventata ormai usuale e quasi normale, gli abitanti di Eden non ci facevano nemmeno più molto caso. Ma certo non tutti erano cordiali come la signora Pickwater, e questo Lilia lo avvertiva benissimo. Bastava cogliere un sussurro o un’occhiata per capirlo. Intorno a lei c’erano freddezza e indifferenza – odio, a volte. Le provocava ancora un po’ di disagio. Non sono ancora abituata ad essere un pirata, pensò.

Passarono accanto al tavolo di una taverna dove quattro uomini giocavano a carte; qualcuno disse qualcosa; ci fu uno scatto, e l’uomo si trovò a terra, con Champagne che gli teneva un coltello alla gola.

-         Pezzo di merda! – urlò – Tu non sei degno di vivere!

Il coltello si mosse, l’uomo era sbiancato in volto, ma il colpo fatale non arrivò. Lilia aveva fermato la mano del pirata.

-         Lascialo, Champagne. Ti proibisco di fargli del male. Aveva detto qualcosa su di me, vero? Di che si trattava?

-         Signora, io non potrei ripetere una cosa simile. – balbettò Champagne, rosso in volto, mentre si rialzava e rimetteva il coltello nel fodero.

-         Allora dimmelo tu. – disse Lilia, rivolta al tipo sdraiato a terra – Se sei abbastanza uomo da offendere qualcuno faccia a faccia anziché alle sue spalle.

Quello si rimise in piedi e sputò a terra, levandosi la polvere di dosso con le mani.

-         Ho detto che per essere costretto a portarsi dietro una donna e una bambina, il capitano Madera deve averti messa incinta in un bordello.

Lilia trasalì e chinò il capo, con un’espressione indecifrabile tra la vergogna e la rabbia. L’uomo davanti a lei continuava a guardarla con aria di sfida, sorridendo. Tutto tacque per qualche secondo.

-         Boddéllo! – trillò Flea, giuliva, rompendo il silenzio.

-         Se tu avessi detto queste stesse parole davanti a Madera – mormorò Lilia, sempre con gli occhi bassi – avresti potuto decretare la fine del tuo villaggio.

-         E tu adesso che farai, andrai a riferirgliele? – fece l’altro.

-         Sei uno stupido. Non lo farei mai.

Si allontanò, lentamente, come immersa nei propri pensieri; l’uomo, intanto, tornava al proprio tavolo da gioco ridendo e vantandosi con i compagni, tronfio di quella che considerava una sua vittoria. Champagne, rimasto indietro, fremeva. Guardò Lilia, che era ormai abbastanza distante, poi si accostò al tavolo.   

-         Ehi, tu. – disse rivolto al giocatore, che ancora rideva – Come ti chiami?

L’altro sollevò di malavoglia gli occhi dalle sue carte.

-         Hecker. – rispose bruscamente, prima di tornare al gioco.

-         Bene, Hecker. Sei stato molto fortunato. La signora mi ha ordinato di non farti nulla.

-         Già. – sghignazzò l’altro – Bei pirati che siete, tenuti in riga da una donna!

-         Ma adesso la signora non c’è.

All’istante, Champagne sfoderò nuovamente il coltello e gettò Hecker giù dalla sedia. L’uomo lanciò un’imprecazione, ma si zittì quando si ritrovò tenuto fermo al suolo, con la punta della lama a pochi millimetri dal suo occhio destro. Nessuno dei suoi tre amici riuscì a muovere un dito.

-         Lo sai com’è che il capitano ha incontrato la signora? – disse Champagne – Te lo racconto, così capisci esattamente quanto sei stato fortunato. Non ne hai nemmeno l’idea. L’hai visto il nostro simbolo, Hecker? Hai mai sentito parlare dei “Demoni dei mari”?

-         Qualche volta. – balbettò l’uomo – Si raccontano delle storie… hanno devastato molte isole e ucciso un sacco di gente. So solo questo.

-         Bene, quelli eravamo noi. Molte isole, dici tu: il numero esatto è ventitrè. Ci conoscevano di fama, ormai, il solo apparire del nostro simbolo seminava il terrore. Alla ventiquattresima, quando sbarcammo, imponemmo un ultimatum. Non come a voi, all’epoca andavamo un po’ più per le spicce. Gli abitanti avevano tre giorni di tempo per darci tutte le loro ricchezze, dopo di che li avremmo uccisi tutti. Dal primo all’ultimo. Capisci?

Hecker annuì tremando e, se possibile, divenne ancora più pallido.

-         La signora Lilia era del villaggio, discendente da una famiglia nobile. La notte del terzo giorno si intrufolò nella nostra nave, raggiunse la camera del capitano e gli si piazzò davanti, con una spada dall’impugnatura ingioiellata tra le mani. Pronta ad ucciderlo. Sai perché non l’ha fatto?

-         Non saprei. Non ne ha avuto il coraggio?

-         Per niente. La signora non è una vigliacca come te. Semplicemente, lasciò cadere la spada e disse al capitano che quello era un tesoro della sua famiglia, se lo prendesse pure e se ne andasse dall’isola. Disse che l’oro valeva comunque meno della vita di un uomo. Ma poi gli disse anche che, se solo avesse provato a torcere un capello a qualcuno del villaggio, allora gli prometteva che sarebbe tornato di persona a tagliargli la gola, con una spada meno preziosa ma ugualmente affilata.

Champagne avvicinò ancora di più il coltello all’occhio dell’uomo, che cominciò a piangere e implorare pietà. Il pirata lo ignorò e concluse il suo racconto:

-         Il capitano ne fu così impressionato che accettò di andarsene subito, a patto che lei lo seguisse. La signora accettò. Da tre anni viaggia insieme a noi; da tre anni il capitano è cambiato, e non ha più ucciso nessuno, garantito, e nemmeno noi l’abbiamo più fatto. Per questo ti dico che sei stato fortunato, imbecille. Perché, lo sai quanta gente ho ammazzato io, in tutta la mia carriera di pirata?

-         No. – balbettò Hecker, distrutto – Non lo so.

-         Ecco, nemmeno io. Ho perso il conto. – mugugnò Champagne.

Si rialzò, rinfoderò il coltello, lasciò libera la sua vittima e se ne andò. Hecker strisciò fino al tavolo senza avere nemmeno la forza di rialzarsi, tra le risate dei suoi compagni di gioco. Tornò a sedersi rimuginando su quell’umiliazione, su quei pirati, su quella donna.

 

-         Madera, credo che dovremmo lasciar perdere.

Il capitano ignorò le parole della moglie. Afferrò una coscia di pollo dal piatto davanti a sé e ne staccò un grosso pezzo con un morso. Lilia posò forchetta e coltello e si protese in avanti.

-         Davvero, Madera, dovremmo andarcene. Questa è brava gente. Se gli togliamo il Frutto, resteranno in miseria per vent’anni. Io non ce la faccio più a sentire che ci odiano, ci disprezzano, me e persino Flea, e il peggio è che hanno ragione. Non lo reggo.

Madera masticava la carne, furiosamente, e senza inghiottire afferrò il bicchiere e prese un sorso di vino. Continuò a non rispondere.

-         Domani ammazzo qualcuno. – disse infine – Devo dare l’esempio, o non si decideranno mai.

Lilia saltò in piedi e sbatté via il piatto davanti all’uomo, mandandolo a infrangersi a terra.

-         MADERA! – gridò – La promessa che ti ho fatto tre anni fa è ancora valida. Tu fa’ del male a qualcuno, e io…

-         Tu cosa? IO NE HO BISOGNO, LILIA! – urlò in risposta Madera – Mi serve quel Frutto! Non posso andare nel Nuovo Mondo così come sono, non ce la farò mai. Sono vecchio, Lilia! Ho più di  cinquant’anni! Senza un potere non arriverò mai a Raftel, e la mia vita, e tutte quelle dei miei compagni andranno sprecate! Non voglio farlo neanch’io, ma non ho scelta! E sono sicuro che tu non oserai uccidermi! Non ne avresti il coraggio. Almeno per nostra figlia.

-         I miei sentimenti sono una cosa. – mormorò la donna – Il mio dovere, un’altra. La promessa è ancora valida. Se dovessi farlo, anche a costo di soffrire e di lasciare Flea orfana, ti ucciderò. Stanne certo.

Madera scosse la testa. Conosceva la sua donna abbastanza da poterle credere, quando diceva una cosa simile.

-         E va bene, niente violenza. Ma restiamo qui ad oltranza. – concluse – Il Frutto deve essere mio.

 

Alla quarta settimana di occupazione, la situazione su Eden era ancora di stallo. Ormai anche i primi moti di ostilità degli abitanti verso i pirati si erano acquietati, e la vita dell’isola procedeva quasi normale, in una sorta di strana simbiosi. Predoni e depredati camminavano fianco a fianco; i mozzi della nave di Madera si ubriacavano e giocavano con gli uomini del villaggio, il cuoco riforniva la cambusa facendo i suoi acquisti al mercato, il fabbro aveva fatto amicizia con i colleghi del luogo e passava ore nelle loro botteghe, dove scambiava i propri segreti del mestiere con i loro. Fu in quest’atmosfera che, di punto in bianco, Lilia espresse il desiderio di visitare il Giardino e mostrarlo a Flea. Fino ad allora nessun pirata aveva potuto entrarvi, né se ne era interessato. Ma lei disse che non voleva perdere l’occasione di vedere una delle meraviglie del Grande Blu e che era sicura che alla bambina sarebbe piaciuto moltissimo. La cosa non fu troppo difficile da organizzare. L’indomani il sindaco Lopez incontrò il capitano e la signora davanti al cancello principale del Giardino, pronto a fare loro da cicerone per una visita guidata. Ovviamente, il suo compito era anche quello di controllare che i visitatori non arrecassero danno alla vegetazione. ma questa era praticamente una formalità.

-         I miei elettori vi danno il benvenuto! Vi prego, seguitemi, sarò il vostro accompagnatore in questi luoghi. Oh, ciao, bambina! – fece poi, rivolto a Flea, tenuta in braccio dalla madre – Quanto sei carina! Lo sai come mi chiamo io?

-         Palla di làddo! – rispose prontamente la bambina, contenta di potere far sfoggio delle proprie conoscenze.

Seguì un lungo silenzio imbarazzante.

-         Chissà dove le sente certe cose, la piccoletta. – borbottò Madera.

-         Già, chissà. – ripeté Lilia, alzando gli occhi al cielo.

-         Oh, non preoccupatevi. I miei elettori sono molto comprensivi, e adorano i bambini. Venite, venite, non perdiamoci in chiacchiere! Andiamo a visitare quello che, senza esagerare, potremmo definire un incommensurabile tesoro di verdeggiante vegetazione, un angolo di paradiso degno degli déi, una gemma di flora e biodiversità che risplende come uno smeraldo nel cuore di quel meraviglioso diadema che è il Grande Blu!

-         Cosa andiamo? – chiese Flea, perplessa e un po’ intimorita all’idea che la loro destinazione avesse a che fare con tanti inquietanti paroloni.

-         Dove andiamo, Flea. – la corresse Lilia – Andiamo nel Giardino. Ti piacerà. E’ un posto molto colorato, e con un sacco di profumi buoni. Ci sono piante e alberi che non hai mai visto.

-         Àbbei?

La bambina ci pensò un po’ su.

-         Técchio! – esclamò infine, illuminata. Lilia rise.

-         No, Flea, quello con la bandiera è l’albero maestro. Sta sulle navi: si chiama albero anche quello, ma è una cosa diversa. Questi sono alberi con foglie e fiori, e ben radicati nella terra. Sono esseri viventi, come me e te. Anzi, più forti sia di te che di me. Lo sai? Gli alberi sono molto forti, molto più degli uomini. Quando crescono possono diventare enormi, altissimi, e vivere anche per millenni. E niente li abbatte: né vento, né acqua, a volte sopravvivono anche al fuoco. Restano lì, invincibili, per sempre.

-         Sì, certo! – sghignazzò Madera – Finché non passa il primo taglialegna, s’intende.

Lilia scosse la testa, rassegnata.

-         Tu devi sempre rovinare tutta la poesia, eh?

-         Prima ancora che un pirata, io sono un carpentiere. La nostra nave l’ho costruita io, e legno e alberi li conosco bene. Poesia o non poesia, non voglio che a mia figlia si contino frottole!

Flea scoppiò a ridere come una matta.

-         E adesso che succede?

-         Credo sia per quello che hai detto tu… – azzardò Lilia, perplessa – Qualche parola…

-         Una parola? Che parola? Frottole?

-         Fòttole! – ripeté Flea, e ricominciò a ridere, più forte di prima.

-         Ma che carina, ancora più carina quando ride! – gongolò Lopez, ansioso di essere notato in qualche modo – Signori, siamo arrivati. Adesso le guardie ci apriranno il cancello e saremo ammessi nel nostro santuario verde.

Le due guardie, vestite con divise verdi e nere e armate di spadino al fianco, spalancarono ognuna una delle ante del cancello e si misero ai lati, sull’attenti, salutando i visitatori. Madera e Lilia passarono in mezzo ai due uomini. Lilia, sulla destra, era a pochi centimetri dalla guardia, ma, distratta dalle risate della figlia, non la vide, non la riconobbe. La guardia, invece, riconobbe benissimo lei.

Avrebbe potuto fare tante cose, a quel punto. Poteva lasciar tutto così com’era. Comportarsi come doveva fare una buona guardia e lasciarla passare tranquillamente. Ma era così vicino a lei da poterla toccare, e aveva una spada in mano, e l’umiliazione bruciava ancora. E dire che di coraggio non ne aveva mai avuto molto. Mai fatto nulla di avventato. Nulla di memorabile. Nulla per cui nessuno potesse ricordarlo. Beh, per questo lo avrebbero ricordato di certo. Liberare il villaggio da quegli schifosi pirati; e allo stesso tempo vendicarsi di quella sgualdrina e della vergogna provata.

Il coraggio può non venire per tutta una vita, e poi arrivare nel momento più sbagliato.

La spada scivolò fuori dal fodero.

-         Hecker! – gridò il sindaco Lopez, voltandosi indietro – Che diavolo…?

Il fendente partì in orizzontale, verso Lilia, dritto al petto, verso Flea, che le stava in braccio. Nei pochi secondi che ebbe per rendersi conto della situazione, Lilia ruotò il corpo di poco, cercando di fare scudo alla bambina, per quanto poteva. La lama colpì e affondò nel suo fianco, poco sotto il braccio, così come nella testa di Flea.

-         LILIA! FLEA!

Madera scattò un secondo più tardi, mise mano alla spada e tirò con rabbia, quasi alla cieca. La testa di Hecker rotolò al suolo. Il suo corpo si accasciò insieme a quello della donna. Restarono sdraiati a terra uno accanto all’altro, in un lago di sangue.

-         LILIA! FLEA! – gridò ancora Madera, correndo ad inginocchiarsi vicino alla donna.

Posò le dita sul collo prima dell’una, poi dell’altra. Flea aveva la testa spaccata fino in profondità; i capelli erano intrisi di sangue, respirava affannosamente. Il suo battito era debole, debole.

Quello di Lilia, invece, non c’era più.

 

Niente da fare.

L’aveva detto il dottore, era semplice da capire: non c’era niente da fare. Nessuna speranza. La bambina non avrebbe passato la notte, con tutto quel sangue che aveva perso, e visto come la ferita le aveva ridotto il cervello, era già incredibile che fosse ancora viva. Madera gli aveva tirato un cazzotto, al dottore, poi era uscito fuori. S’era seduto. Un capitano pirata non dovrebbe mai piangere; lui cominciò a farlo, disperatamente, senza vergogna.

Chi se ne fregava della dignità. Tanto, non c’era più niente da fare.

E poi venne la rabbia. Si rialzò e cominciò a correre per le vie del villaggio. Era sempre stato un uomo atletico, dai gesti coordinati e armoniosi, ma via via che andava avanti i suoi passi divennero sempre più scomposti e disordinati. Iniziò a mulinare le braccia in aria, come fossero ali, come volesse volare. Inciampò, cadde, non gli era mai successo prima, e finì faccia a terra. Quando si rialzò, gli mancava un dente e perdeva sangue dalla bocca.

Ma che importanza poteva avere quando ormai non c’era niente da fare?

-         RIDATEMELA! – gridò mentre correva, più veloce, più goffo, tanto da non sembrare nemmeno un pirata, piuttosto un vecchio strambo e un po’ pazzo – RIDATEMI FLEA! BASTARDI!

Urlò contro il villaggio. Le case erano tutte serrate. In tutte ci doveva essere un bambino che dormiva sereno, senza che la sua vita gli fuggisse via da una spaccatura del cranio. Che rabbia.

-         RIDATEMELA O VI AMMAZZO TUTTI! GIURO CHE VI AMMAZZO TUTTI!

Il grido fu così violento che Madera si sentì straziare i polmoni, sentì come uno strappo, dentro, e respirare gli divenne più difficile. Ora, quando parlava, veniva fuori un suono, un rantolo, un ansito, un rumore strano, come gnarr, gnarr, ma non ci fece nemmeno caso. Era un particolare.

Niente da fare.

Niente da fare.

-         VI HO DETTO! GNARR! CHE VI AMMAZZO! LO SAPETE CHI SONO IO, EH?

Nessuna risposta.

-         SONO MADERA! IL CAPITANO DEI “DEMONI DEI MARI”! GNARR! NON AVETE IDEA DI COSA POSSO FARVI! RIDATEMI FLEA! E ANCHE LA MIA LILIA! RIDATEMELE! GNARR!

Inciampò di nuovo, rotolò a terra, stavolta ci restò, rannicchiato come un neonato, a urlare e mordere la polvere, dannandosi, chiamando i suoi uomini, perchè bisognava raderlo subito al suolo, quel villaggio di ribelli, che si ostinavano a non esaudire le sue richieste, non gli ridavano Flea, non gli ridavano Lilia.

-         Capitano Madera…

Il sindaco Lopez si avvicinò prudentemente, temendo qualche reazione avventata del pirata, ma non accadde nulla. Fece qualche passo in più e allungò le braccia: tra le mani teneva un piccolo cofanetto di ferro. Lo aprì.

Dentro c’era un frutto dalla buccia intrecciata di spirali e arabeschi.

-         Abbiamo deciso di dartelo. – disse.

Madera gli saltò addosso, lo gettò a terra e gli mise le mani al collo.

-         E ADESSO CHE ME NE FACCIO, STRONZI? GNARR! CHE VOLETE CHE, GNARR, ME NE FACCIA?

-         Dallo… dallo a Flea. – balbettò Lopez.

Madera lo lasciò, incredulo. Il sindaco si rimise in piedi.

-         Dallo a Flea. – ripeté – Io… noi… insomma, i miei elettori pensano che non sia giusto che la bambina muoia. Voi pirati non siete stati crudeli con noi, e una bambina è sempre una bambina. Per questo, se c’è una possibilità… insomma, una minima speranza che il Frutto la renda in qualche modo più forte e la aiuti a sopravvivere… Ci sono un sacco di poteri diversi. Alcuni potrebbero salvarla. Se c’è una minima possibilità, vale la pena di provare.

Il capitano raccolse il cofanetto metallico e fissò il Frutto del Diavolo, poi lo richiuse di scatto.

-         I miei elettori desiderano che questa faccenda si risolva per il meglio. – concluse Lopez.

-         Grazie. – mormorò Madera – Giuro che, gnarr, vi ripagherò. In qualche modo. Gnarr. Giuro.

Salutò confusamente, si ficcò il cofanetto sottobraccio e, a passi irregolari, corse via, indietro, lungo la strada che aveva appena percorso.

Perché, finalmente, aveva qualcosa da fare.

 

Oggi

 

-         Tua madre aveva ragione, gnarr, Flea. Gli alberi sono davvero forti. Quando tu, gnarr, hai mangiato il Frutto, le tue condizioni si sono stabilizzate immediatamente. Gnarr, poi hai cominciato lentamente a migliorare. Dopo un po’ abbiamo finalmente capito la natura dei tuoi, gnarr, poteri e ti abbiamo messa con i piedi nel terriccio. Ti sei ripresa in una decina di minuti.

Madera, finalmente, tacque, con la voce ormai rauca per tutto quel parlare. Flea dovette riflettere per un po’, assimilare bene tutto, prima di riuscire a formulare una frase qualunque. Era stato abbastanza sconvolgente apprendere tutte quelle cose in una volta. Di sua madre, ad esempio, non ricordava assolutamente nulla. Poteva essere stata colpa della ferita alla testa, che le aveva causato una sorta di amnesia, o poteva semplicemente essere che lei all’epoca fosse troppo piccola per ricordare. In realtà, Flea non aveva mai nemmeno pensato di aver avuto una madre. Da piccola aveva sentito dire che i bambini nascerebbero spuntando sotto i cavoli e, vista la sua particolare fisiologia, aveva trovato un simile fenomeno perfettamente credibile da un punto di vista scientifico.

-         Quindi – disse infine, raccogliendo da terra il Frutto del Diavolo e rigirandoselo tra le mani – se adesso mangiassi questo esploderei, giusto?

-         Lo spero bene! – sbottò, irritato, il viceammiraglio – Sono venuto fino a quest’isola apposta, ho sbrigato un sacco di pratiche, organizzato l’invasione, adesso mi sono sorbito la tirata melodrammatica di questo vecchio, vorrei anche avere dei risultati! Desideravo solo osservare il fenomeno dell’esplosione per interferenza in modo da poter raccogliere dati sul funzionamento e le frequenze dei poteri dei Frutti, ma qui mi pare si andrà per le lunghe.

-         Aspetta un momento! – esclamò Flea – Tu saresti disposto a lasciare che io muoia, senza battere ciglio, solo per vedermi esplodere?

-         Per l’esattezza, io non la vedrei esplodere. Non la guarderei direttamente. Sa, temo che la luce eccessiva possa danneggiarmi le retine.

La ragazza sgranò gli occhi, poi decise che, se voleva che la discussione acquisisse una minima parvenza di sensatezza, era meglio cambiare interlocutore ed argomento.

-         Ma insomma, papà – domandò – perché questo fatto del Frutto non me lo hai mai raccontato prima?

-         Io, gnarr, non volevo che tu ti sentissi in debito verso la gente di Eden. – disse il vecchio – Questo debito lo stiamo già pagando io e la mia ciurma, che siamo rimasti qui a proteggere il Giardino e a costruire la torre di distillazione, gnarr. Io volevo che tu partissi e completassi il sogno che non ero riuscito a realizzare! Che raggiungessi la fine del Grande Blu, gnarr! Fin da quando eri piccola, gnarr, ho visto che volevi viaggiare, sognavi storie e avventure, ma non avevi il coraggio di tua madre, gnarr. Senza una spinta ti saresti, gnarr, adagiata, avresti rinunciato. Ho pensato che se ti fossi sentita in debito con quest’isola, gnarr, non te ne saresti andata mai. Non volevo che succedesse questo, gnarr! Nonostante tutto, tu non sei un albero, sei una persona, gnarr, e le persone devono muoversi, viaggiare, scoprire nuove cose! Io non volevo che tu restassi immobile! Non volevo, gnarr, che tu mettessi radici!

Madera parlò con toni sempre più alti, in un crescendo di foga e passione che culminò con quell’esclamazione e lasciò il vecchio stremato. Flea, dal canto suo, si arrabbiava sempre più via via che sentiva le parole di suo padre.

-         Ecco, lo sapevo! – esplose infine – Sempre la solita storia! Questa tua fissazione di mandarmi in mare, e viaggiare, e fare la pirata, o che so io! Ma lo vuoi capire che non mi interessa? NON MI VA! Non mi interessano queste fantasie! Non mi importa nulla del Grande Blu, di Raftel, del favoloso tesoro One Piece, di quell’incredibile eroe che è stato Gold Roger, di tutte le magnifiche avventure che potrei vivere, delle isole desertiche… o di quelle nel cielo, con il loro mare bianco… o delle foreste primordiali… o di giganti… e sirene…

La ragazza sospirò, con lo sguardo perso. Suo padre, Whip e persino l’orango carceriere di prima la fissavano molto scettici. Quando se ne accorse, Flea si riscosse e concluse:

-         …insomma, di tutta questa roba non me ne frega niente! Io vivo bene in quest’isola!

E poi, dopo un attimo di riflessione, aggiunse:

-         Anche se magari è un po’ noiosa.

Sospirò di nuovo, scuotendo la testa. Davvero, non era proprio brava a mentire. Non riusciva a convincere nemmeno sé stessa. Le sarebbe dispiaciuto rinunciare a tutto ciò che sognava. Ma se si trattava di scegliere tra tutto quello e l’affetto per suo padre... Beh, bisognava portare pazienza. Nella vita talvolta si devono fare dei sacrifici.

-         Viceammiraglio – esclamò ad un tratto, rivolgendosi a Whip – se io acconsento a mangiare quel frutto, mi giuri solennemente che libererai mio padre e non lo importunerai mai più?

-         FLEA! SEI PAZZA, GNARR?

-         Glie l’ho già detto prima, signorina. Per un ufficiale, ogni promessa è debito. – asserì il viceammiraglio con solennità – Lo lascerò libero e non lo incriminerò per la faccenda della “Walrus Pride”. Potrà anche tenersi l’agalmatolite.

-         Bene. – mormorò Flea.

Sollevò il Frutto del Diavolo, che teneva ancora in mano, portandolo davanti al volto. Le tremava il braccio, anzi tutto il corpo, e ad ogni centimetro che lo sollevava le sembrava che il Frutto diventasse più pesante.

-         FLEA! GNARR! NON FARLO! – urlò Madera, disperato.

-         Io non ci riuscirei comunque ad arrivare a Raftel, papà. Se vuoi scoprire cos’è One Piece, mi sa che dovrai rimetterti in mare tu.

-         NO! NON SE NE PARLA, GNARR! LASCIA CHE MI AMMAZZI, CHE TI FREGA DI UN VECCHIO COME ME?

-         E piantala, papà. – disse Flea, sorridendo verso di lui – E’ da quando ero bambina che mi chiami fifona, e per una volta che faccio una cosa coraggiosa, reagisci così?

Prese un respiro profondo. Whip era già corso ai ripari, pronto a registrare i suoi dati. La ragazza chiuse gli occhi e cercò di immaginare che quello che aveva in mano fosse semplicemente un frutto normale. Una delle sue mele, ecco. Lo sollevò, lo portò alla bocca, staccò un morso.

 

 

 

 

 

 

 

 

Un capitolo, questo, un po’ diverso dagli altri per atmosfera… spero non vi sia dispiaciuto, ma mi sono inserito nel filone di Oda anche in questo senso: i flashback, per regola, devono far piangere XD. Beh, magari esagero, ma certo questo è il capitolo più drammatico della fic. Tra l’altro, dalla frase di Madera (“Io non volevo che tu mettessi radici!”) viene il titolo di tutta la fic. Questa frase l’ho pensata fin da subito come la “chiave” di tutta la storia. Ok, ringraziamenti generali e risposte:

 

X Smemo92: come vedi, su Madera ci avevi azzeccato! Ma la ragione per cui Flea ha mangiato il frutto, e quella per cui suo padre non le ha mai detto niente, erano un po’ diverse.

 

X Senboo: uhm… ti ricorda qualcosa… non saprei, ma tu dì pure apertamente il titolo che hai in mente, non mi offendo anche se scopro di aver commesso un plagio XD. Sicuramente non lo ricordo direttamente (e non è che abbia letto tanti libri di pirati in vita mia), ma chissà che non sia una cosa che ho letto, dimenticato e adesso involontariamente copiato. Sono cose che succedono. Nel caso, basta dire che è un’affettuosa citazione e nessuno ha più nulla da obiettare XD. Mi dispiace invece che il capitolo appena trascorso non abbia risolto nessuno dei tuoi dubbi sulla sorte degli altri personaggi (in realtà non mi dispiace affatto XD. E’ uno sporco stratagemma, tutto qua. L’ho scritta così, questa storia, proprio per lasciare i lettori sulla corda…!), il prossimo prometto che non ti deluderà.

 

X lale16: se leggo Rat-Man? Se conosco Leo Ortolani? Ma CERTO CHE LO CONOSCO! E’ uno dei miei miti! Anzi, una volta gli ho pure dedicato una storia (la fanfic di Naruto “Qualcuno pensi ai bambini”, in cui mi sono ispirato al suo stile ancor più che qui). E scommetto che a fartelo venire in mente è stata la scimmia Bonga (“Brava Bonga! Un bel sette! Rat-Man? Quattro meno meno. E smettila di copiare da Bonga!” XD Cito a memoria da “La gabbia”, spero di non sbagliarmi). Uno degli affettuosi omaggi di cui dicevasi sopra.

P.S. Le paperelle le puoi adottare, ma ti serve il porto d’armi, prima XD.

 

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Capitolo 8
*** Come raggiungere Skypiea senza usare la Knock-Up Stream ***


Capitolo 8 – Come raggiungere Skypiea senza usare la Knock Up Stream

Capitolo 8 – Come raggiungere Skypiea senza usare la Knock Up Stream

 

Quando riprese coscienza, lentamente e con fatica, Sanji si rese conto di non ricordare molto di ciò che gli era accaduto prima di addormentarsi; anzi, non ricordava niente del tutto. Provava solo una serie di sensazioni estremamente spiacevoli. Cercò di catalogarle e razionalizzarle, in modo da ricavarne un quadro della propria situazione. Tanto per cominciare, si trovava in un letto, disfatto e sudaticcio. La testa gli faceva male come se gliela avesse presa a calci… beh, come se se la fosse presa a calci da solo. E si sentiva fisicamente stremato. Doveva esserci una spiegazione plausibile che giustificasse tutto questo.

Per esempio, poteva essere che la sera prima avesse incontrato tre bellezze stratosferiche, che le avesse affascinate col proprio irresistibile charme, che avessero bevuto fino a ubriacarsi e poi fossero corsi tutti a letto, per una travolgente notte di passione.

-         Ciao, damerino. Ti sei svegliato.

Sanji guardò chi aveva parlato. Accanto al letto, tre ceffi, uno monco, uno guercio e uno senza una gamba lo fissavano ghignando con sorrisi inquietanti.

Ok, meglio lasciar perdere la notte di passione.

-         Mi pare un po’ confuso. Lasciate fare a me.

Questa era una voce di donna. Sanji non riusciva ancora a mettere tutto bene a fuoco, comunque vide che era una bella ragazza, formosa, probabilmente una quinta, e con dei bei fianchi, e una vita molto stretta. Ah, e aveva i capelli arancioni.

-         Lo sapete? Dicono che, per far riprendere qualcuno che si trova in stato di shock, si debba fargli provare un’esperienza molto piacevole o molto dolorosa.

Il cuoco pregò fervidamente che scegliesse la prima; e, come se una divinità benevola stesse esaudendo quelle preghiere, vide la ragazza che si chinava davanti a lui e gli prendeva, dolcemente, il mento con una mano, portandolo verso di sé.

-         Non te lo ho mai detto – sussurrò – ma hai proprio una bella barba.

Sanji chiuse gli occhi, pregustando il paradiso.

-         Ora, hai mai sentito parlare di una cosa chiamata ceretta?

L’urlo raggelante che seguì ruppe tre finestre, fece esplodere un paio di bicchieri e traumatizzò a vita un povero esemplare di mostro marino che incrociava nelle acque vicine.

 

-         Come ti senti, tutto bene? Passata la confusione?

-         Sì, Nami, assolutamente.

-         Ah, bene. E’ stata una fortuna che sia riuscita a riconoscere il morso di quel serpente e che avessi ancora un po’ dell’antidoto che ci aveva dato Bibi. Sei sicuro di stare bene?

-         Senza dubbio.

-         Ti fa male qualcosa? Perché continui a massaggiarti il mento…

-         Nami, per favore, non infierire.

Sanji prese un sorso di caffé bollente, preparato da Usopp secondo quella che lui aveva definito una sua ricetta speciale. Era indubbiamente una formula eccezionale. Pensò che avrebbe dovuto proporgli di usarla per i proiettili della sua fionda: nessun nemico avrebbe resistito dopo essere stato bombardato con quella roba. Probabilmente era anche corrosiva.

-         D’accordo, ricapitoliamo. – fece il cuoco posando la tazza. – Innanzitutto, voi due siete vivi, ma eravate stati presi prigionieri. Giusto?

-         Così pare. – commentò Robin sorridendo.

-         Bene. Voi tre, invece, eravate pirati, e quel vecchio falegname scorbutico di Madera era il vostro capitano. Siete arrivati qui vent’anni fa per rubare…

-         Acquistare. – lo corresse Champagne.

-         …va bene, acquistare il Frutto del Diavolo. Che invece è stato mangiato da Flea. Ho capito bene?

Champagne, Gin e Rum annuirono all’unisono.

-         E Chopper è caduto sotto l’influenza di quella sottospecie di freak della Marina, che pare abbia il potere di controllare gli animali. Tutto esatto?

-         Esatto. – confermò Robin.

Sanji si lasciò andare sulla sedia con espressione sfinita.

-         Ok. Allora, ci sono altre rivelazioni scioccanti che devo ricevere?

-         In realtà noi due siamo fratelli gemelli separati alla nascita. – intervenne Zoro.

-         Grandioso. – il cuoco si portò una mano alla testa – Scusatemi, ma adesso devo vomitare.

-         Vuoi altro caffé? – propose Usopp.

-         Era solo sarcasmo, naso lungo. Non facciamolo diventare realtà.

Usopp si ritirò offeso, mentre il trio dei Giardinieri Capo si accostava a Sanji con atteggiamento umile.

-         Senti, ti chiediamo scusa per quel piccolo malinteso di prima. – fece Champagne, in qualità di portavoce – Ma sai com’è, dopo la faccenda della “Walrus Pride” eravamo tutti molto tesi, vedevamo spie dappertutto, e quindi…

-         Oh, non è niente.

Dopo essersi guardato intorno, Sanji si alzò e disse:

-         Allora, questo è il “magazzino sotterraneo” in cui dicevate di aver portato la “merce”, giusto?

-         Quest’uomo è un genio! – esclamò Gin – Ma come ha fatto a capirlo?

-         Beh, da quello. – disse indicando il soffitto, che era chiaramente una volta scavata nella roccia viva – E poi da quella. – concluse, additando una cassa di legno.

Sul coperchio era ben visibile la scritta “WGS Walrus Pride – Maneggiare con prudenza”, e che contenesse agalmatolite lo si poteva facilmente evincere dal fatto che Luffy, incuriosito, ci aveva ficcato la testa dentro e adesso il suo corpo privo di forze penzolava lungo il lato dell’imballaggio.

-         Hm, sì, hai ragione. – confermò Champagne – Questo posto è stato scavato sotto la parte più alta dell’isola. Praticamente, si stende al di sotto di tutto il Giardino. In origine era un rifugio anti-pirati. Gli unici accessi sono un passaggio segreto che conduce al cantiere e alcune botole che danno sul Giardino. Conducono solo ai terrazzi più bassi, però.

-         Molto bene, ora è tutto chiaro. Adesso, un’ultima cosa che non capisco.

Sanji si guardò intorno. Luffy, Robin, Nami, Usopp, Zoro; tolto Chopper, la ciurma era radunata al completo.

-         Com’è che siamo finiti tutti qui?

-         Ci hanno radunati loro, Sanji. – rispose Nami – Prima hanno trovato te e ti hanno portato qui, poi sono venuti a cercare anche noi. Se non fosse stato per loro, io non ti avrei potuto curare e saresti morto.

-         Ok. E come hanno fatto a trovarvi sull’isola, che oltre ad essere grande è stata invasa dagli animali?

-         Oh, è stato semplice! – spiegò Champagne – Per il gruppo in cui c’era lo spadaccino, è bastato seguire la scia delle carcasse di animali sventrate a colpi di katana.

-         D’accordo, ho capito. E Luffy e Robin, come li avete rintracciati?

-         Con loro è stato ancora più semplice. – intervenne Rum – Nel loro caso, le carcasse erano completamente spolpate, restava solo lo scheletro.

-         E a proposito! – esclamò Luffy, accorso a prendere parte alla discussione – Sanji, devi assolutamente inserire nei tuoi menu qualche pietanza a base di carne di leopardo. E’ davvero deliziosa!

-         Direi che non fa una grinza. E… perché ci avete radunati tutti qui?

Champagne si fece scuro in volto.

-         Il nostro capitano Madera è stato preso in ostaggio, e Flea è stata costretta a seguire Whip nel Giardino. Quel maledetto ha anche rintracciato il Frutto, e visto che aveva bisogno come cavia di un essere umano che avesse già i poteri, l’unica spiegazione è che voglia provare a farglielo mangiare.

-         COSA? – Sanji era allarmato – Ma se quello che dicono su chi mangia due Frutti del Diavolo è vero…

-         Lo è. – disse placida Robin – Il botto si sente a diversi chilometri di distanza, e di solito il pezzo più grande che rimane è la punta del dito mignolo.

-         ROBIN! COME FAI A PARLARNE RESTANDO COSI’ CALMA! SE E’ VERO, IN QUESTO MOMENTO FLEA POTREBBE…!

 

Flea morse il Frutto del Diavolo. Non successe niente.

Masticò ben bene la polpa. Non successe niente.

Inghiottì. Ancora, non successe niente.

-         E che cavolo! – esclamò – Se proprio devo esplodere, risparmiatemi almeno tutta questa suspence!

-         No, lei sarebbe già dovuta esplodere. – disse Whip, avvicinandosi con cautela – Qualcosa deve essere andato storto.

Flea fece spallucce.

-         Io ho mangiato normalmente. Magari il Frutto non ha voglia di esplodere.

-         Mi parrebbe una spiegazione quantomeno curiosa. Forse ha sbagliato qualcosa…?

-         Ho detto che ho mangiato normalmente! – protestò la ragazza – Sta’ a vedere che è colpa mia!

-         Non volevo offenderla.

-         Beh, l’hai fatto! Come se non sapessi mangiare, o esplodere! Sono sicura che saprei esplodere meglio di te, IO!

-         Oh, la prego, non ci accapigliamo. Piuttosto – il viceammiraglio allungò la mano – mi farebbe vedere bene quel Frutto da vicino?

 

-         Un falso?

-         Proprio così. – confermò soddisfatto Champagne – Temevamo una cosa simile, e ci eravamo preparati. Dopotutto, vent’anni fa noi siamo venuti qui per la stessa ragione di Whip… ehm… Insomma, quando abbiamo capito cosa stava succedendo, siamo scappati via, anche se eravamo ancora mezzi morti per i tuoi calci, e siamo corsi a sostituire il vero Frutto spuntato nel Giardino con un falso. Il vero Frutto è qui, nascosto in un posto sicuro. Quello che ha Whip è solo un’arancia con la buccia dipinta.

-         Oh. – Sanji tirò un sospiro di sollievo – Allora abbiamo ancora un po’ di tempo.

-         Già. E visto che questo Whip a voi ha rubato un compagno, e a noi il nostro capitano…

-         E non dimentichiamoci di Flea! – gridò Sanji, furibondo.

-         …e non dimentichiamoci di Flea, che le vogliamo tutti bene, e alcuni più di altri, direi che possiamo allearci e considerarci in guerra con quel carciofo. Tutti d’accordo?

I pirati lì radunati risposero all’unisono con un solo, poderoso sì.

 

-         Un falso! Un falso, maledizione! PARADOSSO!

-         Sì, capo? – fece il pappagallo, scendendo in volo e raggiungendo il viceammiraglio.

-         Paradosso, come hai fatto a cascarci? Questo frutto è fasullo!

-         E’ fatto molto bene. – osservò l’altro.

-         Bene? Guarda qui! – Whip prese il frutto nella mano destra e lo sfregò col pollice, cancellando le spirali disegnate sulla scorza – Viene via! E’ facile da capire!

-         Facile per chi ha il pollice opponibile. – ribatté Paradosso.

-         Oh, lasciamo perdere.

Per qualche minuto, il viceammiraglio, furibondo, fece avanti e indietro, camminando senza sosta e rimuginando possibili soluzioni a quell’intoppo. Alla fine puntò il dito contro Flea:

-         Lei! – esclamò – Scenda al villaggio, trovi coloro che hanno sostituito il Frutto e se lo faccia dare.

-         Ma io non so chi… – provò a protestare Flea.

-         Oh, lo sa benissimo. Cerchi coloro che si occupano del Giardino. Chi altri può essere stato? Li cerchi e si faccia consegnare il Frutto autentico. Dopodichè tornerà qui e finiremo il nostro piccolo esperimento. Altrimenti, sa cosa succederà a suo padre.

La ragazza annuì e scappò via, ignorando le urla di Madera che continuava a ripeterle di smetterla di preoccuparsi di lui e non tornare più indietro. Paradosso osservò la scena con curiosità.

-         Sai, capo, non credo sia stata una buona idea. – disse – Chi ti assicura che lei tornerà? O che non chiederà aiuto?

-         Oh, non lo farà. Perché mai dovrebbe?

-         Capo? – fece l’uccello, dubbioso – Se torna quassù col Frutto, tu glielo fai mangiare e lei salta in aria. Mi sembra una buona ragione perché cerchi di svignarsela.

-         Ma no, guarda, ho qui il vecchietto a cui tiene tanto. Ormai ha accettato di mangiare il Frutto. Vedrai che tornerà, avrebbe troppa paura di fare diversamente.

-         Però non mi convince.

-         Tranquillo, io un po’ gli esseri umani li capisco. Sono fatti così, gli devi promettere un premio e mettergli paura. Così pensano di non avere altra scelta, anche quando ce l’hanno. E’ facile prevederli. La paura è un ottimo modo per ammaestrarli.

Paradosso non rispose. Tanto, pensava, se le cose si metteranno male potrò sempre volarmene via.

 

-         Allora si trattava di questo.

Sanji ammirava stupefatto lo spettacolo di ciò che aveva trovato dietro quella che sembrava una semplice porticina del nascondiglio sotterraneo. Un ampio bacino navale, scavato interamente nella montagna, con una volta altissima e acqua abbastanza profonda per ospitare una piccola nave. Sul fondo si trovava una sorta di chiusa o di saracinesca che doveva comunicare con il mare esterno, e in mezzo all’acqua c’era…

-         E’ davvero incredibile. L’avete costruita voi?

-         Su progetto del capitano Madera. – disse soddisfatto Champagne – E’ questo ciò che dovevamo dare a Flea oggi, e che doveva restare segreto a tutti i costi. Il nostro regalo di compleanno.

-         Adesso è tutto chiaro. Mi sa che ho un tantino equivocato le vostre parole. Credevo che voleste ucciderla!

-         Oh, beh, noi credevamo che tu fossi una spia venuta a denunciarci per spedirci tutti sulla forca!

Scoppiarono a ridere insieme, al pensiero di quel divertente equivoco a causa del quale si erano quasi ammazzati a vicenda. Ancora con le lacrime agli occhi per il gran sghignazzare, Champagne chiuse la porta e nascose nuovamente lo spettacolo che avevano appena ammirato. Sanji lanciò un’ultima occhiata a quella meraviglia, e l’unica cosa che gli dispiacque fu che ai lettori non era ancora stato dato di capire di che diavolo si trattasse, ragion per cui non potevano condividere la sua ammirazione per un tale capolavoro. Comunque, prima o poi l’avrebbero scoperto.

-         E’ tornata Flea! E’ tornata Flea!

A gridare era stato Gin. Sanji e Champagne corsero a vedere e trovarono gli altri radunati a capannello vicino a una delle botole che davano sull’esterno. Rum stava aprendo la botola e aiutava Flea a scendere, mentre la ragazza si guardava intorno piuttosto disorientata. Fu portata giù e aiutata a sedersi. Era affaticata da quella che doveva essere stata una lunga corsa a perdifiato, e la pelle le si era lievemente seccata. Era coperta di rughe, come quella di un vecchio. Provò ad aprire bocca, ma aveva la lingua impastata e non riuscì a parlare.

-         Dell’acqua, presto!

Fu portato un barilotto e Gin aiutò Flea a bere, versandole un fiotto d’acqua direttamente sulla bocca. Quando le sue labbra ripresero più mobilità, la ragazza le accostò al barile e cominciò a ingurgitare larghe sorsate.

-         Credevo non conoscesse questo posto. – bisbigliò Sanji a Champagne – Altrimenti perché ci avreste nascosto il suo regalo?

-         Lo conosceva, ma non ci era mai entrata. Suo padre glielo aveva sempre proibito, con la scusa che era zona di lavori.

Flea posò il barilotto, ormai vuoto, e tirò un sospiro. Nami le si accostò:

-         Ehi, stai bene? Tutto a posto?

La ragazza annuì:

-         Sto bene. Ma che ci fate voi, qui?

-         Storia lunga. – disse Nami – Piuttosto, tu come hai fatto a liberarti da Whip? Che ne è stato di tuo padre?

-         Giusto! – esclamò la ragazza, come se si fosse ricordata improvvisamente di qualcosa, poi si rivolse a Champagne – Presto, devi darmi il vero Frutto del Diavolo! Dov’è?

-         Uh? – fece l’altro, sorpreso – Beh, ce l’ho qui, ma…

-         Dammelo! Subito!

-         Va… va bene, signorina, aspetti un momento che lo prendo.

Champagne si ficcò una mano nei pantaloni, frugò per qualche secondo e infine tirò fuori, trionfante, il vero Frutto, con la sua tipica (e stavolta autentica) buccia dal disegno a spirale.

-         Lo tenevi nascosto nelle mutande? – domandò Sanji, stranito.

-         Beh, sì. Come avevo detto, era in un posto sicuro.

-         MA CHE SCHIFO! Ora non lo mangerei nemmeno se possedesse il potere dell’eterna giovinezza!

-         Oh, quante storie, signor damerino. – fece Champagne con sufficienza – Come se tu non le avessi, le mutande.

-         MA NON CI TENGO I FRUTTI DENTRO, ACCIDENTI!

-         Tenga, signorina. – disse il Giardiniere, porgendo il Frutto a Flea e ignorando lo sbraitare di SanjiE’ tutto suo.

-         Oh, finalmente! Adesso potrò tornare dal viceammiraglio Whip, lui me lo farà mangiare e finalmente libererà mio padre!

Champagne fermò la mano. Tutto tacque per qualche secondo.

-         Lei è pazza, signorina! – gridò Champagne, riprendendosi il Frutto – Ma lo sa che succederà se lo mangerà?

-         Certo! Succederà che mio padre verrà liberato!

-         Non parlavo di questo! Non può mangiare il Frutto! Se lo facesse, esploderebbe!

-         Giusto! E in più è stato nelle sue mutande! – rincarò la dose, disperato, Sanji.

-         Lo so già! – urlò in risposta Flea – Ma è l’unico modo per salvare mio padre! Sono pronta a questo!

-         Non se ne parla, signorina! Suo padre non lo vorrebbe mai! E non mi perdonerebbe se io ora le dessi il Frutto!

-         Se ti importa di mio padre, DAMMI QUEL FRUTTO!

-         NO! Suo padre è il nostro capitano, e i suoi ordini sarebbero di proteggere lei, signorina!

-         Mio padre non è più il vostro capitano! Voi non siete più pirati!

-         Non funziona mica così, signorina! CAPITANO UNA VOLTA, CAPITANO PER SEMPRE!

-         E ALLORA IL VOSTRO CAPITANO ORA NON C’E’! IO SONO SUA FIGLIA E QUINDI ADESSO IO SONO IL VOSTRO CAPITANO! E VI ORDINO DI DARMI QUEL FRUTTO!

Flea, in quel momento di furia, si impose con la stessa fierezza che Champagne ricordava di aver visto tanto spesso in suo padre. Provò un sentimento di nostalgia.

-         Lei, signorina – mormorò – sarebbe stata un ottimo capitano.

Nonostante non volesse farlo, allungò la mano e porse il Frutto a Flea. La sua logica era inoppugnabile: i suoi ordini non potevano essere discussi.

La ragazza stava per prendere il Frutto in mano quando lo vide, da un istante all’altro, infilzato da una spada, come su uno spiedino. Non fece in tempo ad afferrarlo che la spada si levò e glielo tolse da sotto il naso.

-         Questo Frutto non lo mangerà nessuno. – annunciò Zoro, che della spada era il proprietario.

Fece un movimento rapido; dalla lama partì un lampo azzurro che finì a schiantarsi contro una parete di roccia, con gran spargimento di polvere e ciottolate vario. Nella furia del colpo, ovviamente, il Frutto andò completamente disintegrato.

Tutti guardarono lo spadaccino, paralizzati.

-         Sistemato. – si limitò a dire Zoro.

Un altro gesto brusco, e puntò la spada contro Flea, che lanciò un gridolino vedendosi quella lama davanti agli occhi.

-         E’ impazzito! – ruggì Sanji – L’ho sempre detto che prima o poi sarebbe successo! Lasciatelo a me, ci penso io!

-         Fermo, cuoco! Tu, ragazzina. Vuoi morire?

-         Io? – balbettò Flea – No, certo che no! Levami questa spada da davanti!

-         Molto bene. Così ci siamo.

Zoro abbassò la lama.

-         Allora, mettiamo in chiaro un concetto. Fino a poco fa tu eri pronta a morire per salvare tuo padre. E’ una cosa coraggiosa, secondo te?

-         Beh, sì.

-         E INVECE NO!

Flea fece un saltello indietro, intimidita dal grido improvviso di Zoro, che oltretutto era stato sottolineato da un minaccioso agitar di spada.

-         Non è coraggioso. Tu avevi soltanto scelto la soluzione più rapida e semplice. Hai accettato l’idea di morire ed hai pensato che tanto valeva farla finita subito, perché comunque non avevi speranze di uscirne in altro modo. Finché eri sola lassù, avrei potuto anche darti ragione. Ma adesso, quel Whip è stato abbastanza idiota da darti tempo e modo di riorganizzarti. Qui abbiamo uomini e armi. Quale ti sembra la soluzione più logica a questo problema?

-         Ma certo! – esclamò Flea – Bisogna combattere!

Zoro sorrise, soddisfatto dell’efficacia dei propri metodi educativi.

-         Bisogna fargliela pagare a quel maledetto maniaco degli animali! Liberare mio padre e dargli una bella lezione! E mandare all’aria tutte le sue bestiacce! E’ un’ottima idea! Quindi…

Sul volto della ragazza si dipinse un’espressione decisa. Ogni traccia di paura era scomparsa, e si rivolse a Luffy e la sua ciurma, schierata in fila, con il fare di una vera condottiera.

-         …voi sembrate gente forte. Potreste per favore pensarci voi? – chiese con molta cortesia e un po’ di timidezza.

Nami sospirò. Su quella ragazza c’era ancora un po’ da lavorare.

-         A me non va! – esclamò Luffy, mettendosi seduto con le braccia conserte.

Gli altri si scambiarono una strizzata d’occhio. La politica del capitano, probabilmente, era quella giusta. Solo Sanji non si capacitava di quel rifiuto.

-         Ma che dici, Luffy? Una povera ragazza indifesa… Dobbiamo aiutarla!

-         Io non posso. Devo lucidare le spade. – annunciò Zoro con uno sbadiglio.

-         Io devo studiare la rotta. – aggiunse Nami.

-         Io… ehm… ho promesso agli ottomila uomini del mio esercito che avrei offerto da bere a tutti. – spiegò Usopp.

-         A ottomila persone? – fece Flea, molto scettica.

-         Per questo non ho tempo. Devo sbrigarmi a trovare qualche tesoro per avere abbastanza soldi.

-         Ma insomma, ragazzi, che vi prende? – gridò Sanji – Siete disumani! Robin, almeno tu!

-         Io sono un’animalista. – obiettò la donna – Non potrei mai prendere parte a una battaglia del genere. Sarebbe contro i miei principi.

-         NON E’ POSSIBILE! FLEA, SAPPI CHE IO SARO’ CON TE FINO ALLA MORTE!

Ma la ragazza non lo ascoltò, assorta com’era.

-         Ho capito quello che volete dirmi. Sono sempre la solita fifona, eh? – mormorò a testa bassa.

Alzò lo sguardo, e stavolta era deciso sul serio. Sorrise ed esclamò:

-         E va bene, vuol dire che combatterò io! Ho i poteri, ho la forza e ho un buon motivo. Non posso perdere, giusto?

-         Ben detto, signorina! E noi la aiuteremo! – annunciò Champagne – E raduneremo anche un po’ degli altri ragazzi! La vecchia ciurma torna in battaglia!

-         E ci sono io! Non ti lascerò mai da sola! Sarò sempre al tuo fianco!

-         Grazie, Sanji. – disse Flea – Sei un grande amico!

-         Sì, certo. Un amico… – mormorò il cuoco, cercando di trattenere una lacrima.

-         Allora andiamo!

-         ANDIAMO!

Flea, Sanji, Champagne, Rum e Gin corsero furiosamente alle botole e si riversarono fuori. In un paio di secondi il magazzino sotterraneo tornò silenzioso.

-         Di sicuro non gli manca lo spirito combattivo. – commentò Robin, serafica come sempre.

-         Se la caveranno. Piuttosto, tu! – Nami puntò il dito contro Zoro – Mi spieghi che bisogno c’era di distruggere il Frutto del Diavolo? Avresti potuto fare comunque il tuo discorsetto a Flea. Hai idea di quanto valesse quell’oggetto?

-         Se non lo avessi distrutto, Flea avrebbe avuto comunque la tentazione di ridarlo a Whip. – rispose Zoro – Mi è parsa la soluzione più logica.

-         LOGICA UN CORNO! E’ logica solo per uno che non sa fare altro che usare le spade per qualunque cosa!

-         Gnognè vehro. – ribatté Zoro.

Parlava così perché si era appena scoperto un residuo di cibo incastrato in un molare e stava risolvendo il problema servendosi di una delle sue katane come stuzzicadenti.

-         Ora cosa pensate di fare? – chiese Robin.

-         Ma mi pare ovvio! – esclamò Luffy, che già faceva esercizi di riscaldamento, piegandosi rapidamente sulle gambe – Andiamo a dare una mano! Quel Whip deve assolutamente restituirci Chopper!

-         Giusto. Però non dobbiamo farci vedere da Flea. Li seguiremo a una certa distanza. Saremo i suoi angeli custodi. Se lei e Sanji si trovassero in difficoltà, interverremo noi.

-         Eh? Dici sul serio, Nami? – fece Usopp – Lo sai, quella che ho detto io non era una scusa… dovrei davvero andare…

-         Piantala, naso lungo! Sii uomo! – si impose Zoro.

-         Ma ci sono i leoni! E le tigri! E le pantere! Io sono allergico ai felini, specie se assetati di sangue!

-         Niente piagnistei! Vieni anche tu!

Usopp  sospirò e scosse la testa.

-         Oh, beh. – disse – Magari combatterò contro gli animali più deboli…. Se ci fossero dei conigli…

-         Ci sono. – confermò Robin – Io e Luffy li abbiamo visti. Whip li ha addestrati al combattimento, e adesso potrebbero sgozzarti in un istante, se tu abbassassi la guardia.

-         Che bella notizia. – commentò Usopp, sull’orlo di una crisi di pianto.

Insieme, chi più convinto chi meno, i pirati abbandonarono il magazzino, che restò completamente vuoto.

 

-         Ecco a lei, signorina. Il fior fiore della pirateria dei cinque oceani. La ciurma dei “demoni del mare” al gran completo! Questi uomini, signorina, sono il meglio del meglio!

La folla di Giardinieri, ex pirati, radunata lì davanti era un mucchio disordinato di ceffi dall’aria truce. Gin, Champagne e Rum non erano gli unici ad essere afflitti da delle mutilazioni; in effetti, in mezzo a una cinquantina di persone, era tanto se si riuscivano a contare sessanta mani. Molte facce erano coperte di cicatrici, alcune semplicemente di lerciume. Tutti i presenti erano impegnati in attività varie, che testimoniavano la grande versatilità di quella gente: alcuni, infatti, stavano scolando rum da una bottiglia, altri si grattavano, un paio ruttarono. La maggior parte stava semplicemente con lo sguardo fisso nel vuoto e non molto lucido. Intorno alla folla aleggiava un forte sentore di alcol.

-         Oh, bene! Se lo dici tu, Champagne, mi fido. – esclamò Flea, allegramente.

-         Certo, se lo dice Champagne, fidiamoci. – commentò Sanji, non senza una punta di sarcasmo.

Si trovavano al primo terrazzo del Giardino, e l’ambiente era sgombro. Bastava guardare verso l’alto, però, per capire come tutti i livelli superiori brulicassero letteralmente di animali ostili. Whip era in cima. Sarebbe stata una lunga salita.

-         Signorina Flea, i ragazzi ci terrebbero che lei dicesse qualche parola. – suggerì Champagne – Sa, era una vecchia usanza. Prima di scendere in battaglia, il capitano dovrebbe fare un discorso. Per caricare un po’ gli animi.

-         Oh, va bene, ci provo. Mi inventerò qualcosa.

La ragazza si portò avanti, assunse una posa marziale, gambe larghe e mani sui fianchi e gridò:

-         PIRATI! MIEI PRODI! ASCOLTATEMI!

Tutti gli occhi, o le bende che ne facevano le veci, si voltarono verso di lei.

-         Oggi stiamo per affrontare una battaglia pericolosa. Molto pericolosa. Sinceramente, è tanto pericolosa che io un po’ di paura ce l’ho. Voi no? Nel caso, insomma, non c’è da vergognarsene. E’ normale. I nostri nemici sono le belve più feroci, potrebbero squartarci, sbranarci, avvelenarci, infilzarci, farci a pezzetti e divorarci uno per uno. Sono cento volte più di noi, più forti e probabilmente anche più sobri. Perciò, sinceramente, vi capirei se aveste paura. Detto fra noi, io ho proprio una fifa boia.

La folla mormorò perplessa. Sanji si prese la faccia tra le mani.

-         Ma noi dobbiamo combattere! – continuò Flea – Dobbiamo affrontare questo nemico perché ce lo impongono… beh, l’onore, la libertà, e tutta quella roba lì. Dobbiamo difendere… i nostri ideali che lui vuole distruggere, ecco!

Nella folla si alzò una mano.

-         Sì? Dì pure.

-         Mi scusi, signorina, di che ideali si tratta? – chiese una voce.

Flea ci pensò un po’ su. Ricostruì mentalmente l’immagine di Whip, dal cappello di pelo in testa alle scarpe di cuoio ai piedi, passando per occhiali, mantello e pantaloni di pelle.

-         Il buon gusto nel vestire, ad esempio! – rispose infine.

La perplessità della folla aumentò.

-         E poi non abbiamo bisogno di ragioni per combattere contro questo Whip! Lui è un viceammiraglio della Marina, e noi siamo pirati! Ci può essere una ragione migliore? E questo trascurando il fatto che, fino a ieri, io ero convinta che quelli della Marina fossero i buoni e solo oggi ho scoperto di essere la figlia di un pirata e quindi in realtà di pirateria non so proprio un tubo.

Gli uomini cominciarono a rumoreggiare. Sanji faceva gesti disperati a Flea per cercare di farle capire che la smettesse subito, visto che con ogni parola riusciva a peggiorare le cose. Di quel passo, sarebbe entrata nel Guinness dei primati come il capitano che era riuscito a scatenare un ammutinamento nel minor tempo possibile.

-         Ma mi sa che sto parlando a vanvera. – concluse, con una risatina imbarazzata – Il fatto è che io non ho esperienza di discorsi più di quanta ne abbia di battaglie. E in questo momento non riesco proprio a parlare perché ho la testa altrove, sono preoccupata per mio padre. Voglio salvarlo ad ogni costo. E’ anche il vostro capitano, quindi credo che possiate capirmi. Se ci tenete a lui, allora venite con me a combattere. Tutto qui.

Il dissenso svanì in un istante. Commossi al ricordo del proprio capitano, delle belle scorribande, delle belle sbronze, insomma dei bei tempi trascorsi insieme a lui, i pirati lanciarono un selvaggio grido di battaglia e levarono le spade al cielo.

-         Perfetto, vedo che avete trovato lo spirito giusto! – disse Flea.

Si chinò a disegnare sul terreno una schematica mappa del Giardino.

-         Ora elaboriamo una strategia di battaglia…

Alzò gli occhi. I pirati, inclusi Champagne, Gin e Rum, erano tutti spariti. Dal terrazzo seguente venivano già versi animaleschi, suono di spade e qualche sparo. La ragazza ci restò un po’ male.

-         Ma… ma… – balbettò.

-         Oh, non preoccuparti. – fece Sanji, ultimo rimasto al suo fianco – Va bene così. Loro ci spianeranno un po’ la strada, e noi ci occuperemo di Whip. Che ne dici?

-         Oh. Immagino che possa funzionare.

-         Perfetto. Ora, se dobbiamo combattere fianco a fianco, voglio conoscere bene le tue capacità. Che cosa sai fare?

-         Uhm. – Flea si poggiò un dito sulla bocca – Allora, la cosa importante è che devo sempre avere i piedi piantati nel terreno. Comunque, so creare il legno, e l’hai visto. So ricoprirmi di corteccia, in pratica mi serve da corazza. Poi so fare le mele.

-         Quelle direi che non servono un granché, in questa situazione. A meno di non tirarle in testa al nemico.

-         E, ah! Poi so fare questo! Osserva!

Flea infilò i piedi nel terreno e mise velocemente radici. Poi tese un braccio. Nel palmo cominciò a prendere forma qualcosa, che divenne rapidamente grande quasi quanto la sua testa.

-         Allora, che ne dici? – chiese infine, soddisfatta.

Nella mano teneva un ananas.

-         Mah… - commentò Sanji, perplesso – Essendo più pesante, immagino che a tirarlo faccia più male, però…

-         No, no! Guarda qui! – rise Flea.

Portò l’ananas alla bocca, strinse tra i denti una foglia del ciuffo alla sommità e la strappò, tirando forte. Poi lanciò il frutto in cielo, verso uno stormo di avvoltoi con occhialini da aviatore che giravano lì sopra da un po’ di tempo, evidentemente in ricognizione.

-         Tre… due… uno…

L’ananas deflagrò in un’esplosione gigantesca. Pochi secondi dopo, una pioggia di piume nerastre ricadde dolcemente su Sanji e Flea.

-         Fantastico! – esclamò il cuoco – Questo ci sarà di grande aiuto!

-         Vero? Di solito non lo uso, perché nella vita normale non serve a nulla, ma oggi è diverso.

-         Molto bene!

Sanji sfoderò un sorriso deciso e si accese una sigaretta. Era il momento di entrare in battaglia, e quindi di dire qualcosa di incredibilmente figo.

-         Adesso – annunciò – andiamo a trovare il nostro amico Whip e lo facciamo noi un esperimento. Sperimentiamo il modo di mandarlo su Skypiea senza usare la Knock Up Stream.

-         Uh? E come pensi di farcelo arrivare? – chiese Flea, con ingenua curiosità.

L’altro sospirò. Non gli piaceva spiegare le frasi da duro, ma visto che si trattava di Flea, avrebbe fatto un’eccezione. Soffiò una boccata di fumo a denti stretti.

-         A calci nel culo. – concluse.

 

 

 

 

 

 

 

 

Con questa battuta un po’ grossolana XD e con la promessa di un sacco di azione si conclude anche questo capitolo. Come vedete, Flea è sana e salva – non mi sarei mai permesso di farle accadere qualcosa, o lo spirito di One Piece andava a farsi benedire XD. Grazie a Smemo92, a Senboo e a tutti gli altri lettori. Ciao, alla prossima volta!

 

P.S. X Senboo: no, il libro che dici tu non lo conosco. Pensavo piuttosto a un libro della Tamaro che ho letto da bambino, “Un grande trambusto piratesco” o qualcosa del genere… c’era un’aria simile, e ho pensato che avrei potuto inconsciamente riprendere un’idea letta lì. Ormai quel libro non ce l’ho più, quindi non posso nemmeno controllare.

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Capitolo 9
*** Inferno nel Giardino di Eden ***


Capitolo 9 – Inferno nel Giardino di Eden

Capitolo 9 – Inferno nel Giardino di Eden

 

Paradosso volò brevemente al di sopra dei terrazzi superiori del Giardino, lanciando occhiate preoccupate verso la zona più bassa. La sua missione era di osservare e riferire; quando il corpo esanime di un castoro in armatura medioevale gli sibilò accanto decise che aveva osservato abbastanza. Tornò in tutta fretta dal viceammiraglio Whip.

-         Capo – gracchiò – io te l’avevo detto che finiva male.

-         Non essere così pessimista, Paradosso. Avevo previsto una possibilità simile, e non hanno speranza di raggiungerci. Piuttosto, goditi lo spettacolo: capita raramente di poter vedere tanti esemplari di essere umano impegnati in questo genere di lotte rituali. La mia ipotesi è che le inscenino per dimostrare la propria forza alle loro femmine.

Il pappagallo guardò in basso, dove una folla furibonda di pirati stava seminando la rovina nel Giardino. Al momento erano le truppe di minor forza ad affrontarli, roditori e piccoli carnivori, e stavano cadendo giù come birilli. Presto si sarebbero dovuti inviare orsi e grandi felini. Quei tizi si battevano come demoni assetati di sangue.

-         La mia ipotesi – commentò l’uccello – è che vogliano tirarti fuori le budella e impiccarti con quelle, capo.

-         Ma dai! Quanto sei macabro, non esagerare.

-         Capo, ti dico di prenderla sul serio, questa cosa. Libera il vecchio, – e gettò un’occhiata a Madera, ancora tenuto stretto dal suo amico orango – così gli dai quel che vogliono e magari si calmano.

-         Non se ne parla! – sbottò Whip – Ti ho detto di stare tranquillo. Ho approntato apposite contromisure per fronteggiare attacchi da parte degli esseri umani.

-         Tipo? – indagò, dubbioso, il pappagallo.

-         Sparse per il Giardino, ci sono decine di gabbiette che contengono pezzettini dei loro cibi preferiti e pronte a richiudersi su chi provasse a mangiarli. Poi… ehi, dove vai?

Con la maggior discrezione possibile, Paradosso stava cercando di allontanarsi per raggiungere un punto da cui spiccare il volo e svignarsela in tutta calma. Vistosi scoperto, proferì un verso inintelligibile che costituiva una delle più orribili bestemmie che un uccello possa pronunciare.

-         Paradosso! Torna qui!

A chiunque altri gli avesse dato un simile ordine in una simile situazione, il pappagallo avrebbe risposto con uno sberleffo. Ma l’ordine era stato impartito da Whip, e il suo potere era indiscutibile: impossibile disubbidire.

-         Maledetto Frutto di Tame Tame. – brontolò mentre tornava al suo posto, accanto al viceammiraglio.

 

Un cerchio di mucche assassine dal pelo nero si stringeva sempre più nella radura. Avanzavano poco a poco, lanciando occhiate minacciose. Alcune, più audacemente, si erano sollevate sulle zampe posteriori, roteavano dei nunchaku tra gli zoccoli e lanciavano acutissimi muggiti degni di Bruce Lee.

-         Flea, sbrigati…

-         Dammi solo un secondo, ok?

Al centro del sempre più piccolo spazio libero Sanji e Flea affrontavano i nemici spalle contro spalle. Un paio di bovini, troppo avventati, provarono a lanciarsi in avanti, ma vennero spediti via a suon di calci. Gli altri impararono la lezione. Si vinceva se si restava uniti. Avanzarono, compatti, di un altro passo.

-         Flea

-         Ci sono!

La ragazza si piegò bruscamente sulle ginocchia e infilò le mani nel terreno. Perplesse, le mucche videro il suolo crescere, lievitare, rigonfiarsi sotto di loro. Da un monticello di terra sbucò una minuscola fogliolina.

-         Muu? – fece uno degli animali, avvicinandosi incuriosito.

La fogliolina schizzò fuori dal terreno a velocità spaventosa, portandosi dietro un gigantesco tronco di legno che sparò via la povera mucca. Altri tralci di legno sorsero da punti vicini, crescendo con rapidità impressionante, attorcigliandosi, frustando l’aria e sbaragliando i bovini come birilli. Alla fine, quando la crescita si interruppe, i tronchi erano così grossi e intricati da costituire praticamente una muraglia che circondava completamente Sanji e Flea. La ragazza ritirò le mani dal suolo e lanciò uno dei suoi ananas contro la parete. L’esplosione aprì nel legno un foro abbastanza grande da permettere il passaggio.

-         Andiamo! – esclamò Flea, ritirando rapidamente le radici e cominciando a correre.

-         Sei di grande aiuto. – disse Sanji, correndo al suo fianco – E’ un peccato che tu non possa usare i tuoi poteri mentre sei in movimento.

-         Che ci vuoi fare, è un prezzo da pagare.

Avanzarono ancora un po’. Ogni volta che venivano attaccati da folti gruppi di nemici, Sanji guadagnava tempo mentre Flea metteva radici e si preparava a sferrare il colpo di grazia. Era un metodo lento ma efficace, e usandolo continuarono, incessantemente, a guadagnare terreno.

Raggiunsero una delle scarpate che segnavano il passaggio tra un terrazzo del Giardino e il successivo. L’unica via per salire era una stretta scaletta, ma non era indifesa.

-         Merda. – imprecò Sanji – Questo ci farà perdere del tempo.

Scendeva placidamente i gradini un enorme coccodrillo sorridente in canottiera. Beniamino il Bagnino. Era tanto grosso da occupare l’intera larghezza della scala. Sanji si fece avanti, preparandosi a combattere.

-         Ci penso io. Tu va’ avanti, poi ti raggiungo.

Flea annuì; ma, prima ancora che la battaglia potesse avere inizio, dai cespugli vicini emersero una sfera luminescente e alcuni proiettili.

-         Thunder Ball!

-         Colpo Fatale: Stella di Fuoco!

Il coccodrillo venne colpito in pieno, ma non sembrò risentire particolarmente né della scossa, né della piccola esplosione. Si voltò, con fare pigro ed espressione sempre sorridente, verso il cespuglio da cui erano provenuti i colpi.

Una ragazza dai capelli arancioni lo fronteggiava, impugnando un bastone di metallo.

-         Usopp, razza di codardo, VIENI FUORI! – gridò Nami, furibonda.

Una ragazza dai capelli arancioni e un tremebondo nasone lo fronteggiavano, impugnando l’una un bastone di metallo, l’altro una fionda.

-         Cosa? – fece Flea, perplessa – Credevo che voi non voleste aiutarci.

-         Infatti non vogliamo! – si affrettò a spiegare Nami – Io sto solo dando una mano al mio amico, che ha bisogno di racimolare soldi per quella famosa bevuta. Il coccodrillo è la nostra  preda! Lo sai quante borsette di valore ci si possono fare, con quella pelle?

Flea scoppiò a ridere.

-         D’accordo, ve lo lascio. Io e Sanji andiamo avanti, ok?

Saltarono oltre Beniamino, che cercò di azzannarli, ma venne colpito da un altro proiettile della fionda di Usopp.

-         I tuoi avversari siamo noi! – esclamò il cecchino a voce alta.

Purtroppo, aggiunse tra sé e sé.

Al terrazzo superiore l’ambiente era quello di una foresta di conifere, fitta, buia e umida. Correndo tra quegli alberi altissimi e il sottobosco, Sanji e Flea scoprirono presto che era particolarmente difficile riuscire a individuare i nemici là in mezzo. Gli attacchi a sorpresa si fecero più frequenti e pericolosi, anche perché sembrava che a quel livello fossero schierati animali più feroci. Avevano già sconfitto una pantera e un paio di linci quando Sanji sentì un ringhio che gli parve più basso e minaccioso di quelli precedenti. L’attacco fu istantaneo, e non era diretto a lui.

-         Flea!

L’animale davanti a lui era diverso da tutti gli altri visti fino ad allora. Sylvia, la tigre dai denti a sciabola, si era avventata sulla ragazza, che non aveva avuto il tempo di radicarsi a terra per usare i propri poteri. Per un istante, Sanji temette il peggio. Poi vide che la tigre era ferma a mezz’aria. Guardò meglio.

-         Flea, sei incredibile! – esclamò.

La ragazza teneva la belva sollevata da terra, stringendone con le mani le lunghe zanne.

-         Mica tanto. – disse ansimando – Pesa un accidente, questa cosa.

La lasciò cadere. Il felino, un po’ disorientato, scosse la testa, ma presto si mise di nuovo in posizione di attacco.

-         Non sarà facile, eh?

La tigre saltò in avanti, ma, anche se Sanji e Flea si erano preparati a riceverla, non ce ne fu bisogno. Ad arrestarla fu qualcos’altro. Le sue sciabole cozzarono contro delle vere spade.

-         Testa ad alga! – fece Sanji, sarcastico – E tu, non dovevi lucidare le tue spade?

-         Infatti! – gridò in risposta Zoro – E per farlo non c’è niente di meglio del sangue di un felino preistorico.

-         Ok, chiaro. Occupatene tu!

Di nuovo, corsero via, mentre alle loro spalle già si sentiva il sibilo delle spade.

-         Ma riuscirà a vincere? – chiese Flea.

-         Chi, la tigre? Purtroppo ne dubito. – sospirò Sanji, rassegnato – Altri migliori di lei ci hanno provato e hanno fallito. Dovrò sopportare lo spadaccino ancora a lungo, temo. Piuttosto, mi ero quasi dimenticato della tua forza. Così puoi cavartela anche senza i tuoi poteri, no?

-         Altrochè. – la ragazza sorrise – Non bisogna sottovalutarmi. Sinceramente, sta andando meglio di quanto sperassi. Non immaginavo che sarebbe stato così facile.

-         Meglio se stai zitta. Di solito, quando dici una cosa del genere, subito dopo succede qualcosa che ti smentisc

Un albero crollò davanti a loro, intralciandogli il cammino. Colui che l’aveva abbattuto, con passo pesante, si fece avanti. Sanji strinse i denti, infuriato.

-         I miei ordini sono di uccidervi se resisterete alla cattura. Siete pregati di arrendervi. – disse Chopper.

-         E questo cosa sarebbe, un gorilla parlante? Ci penso io!

-         No, Flea!

Flea scattò in avanti pronta a tirare un pugno poderoso alla renna, ma si fermò di colpo. Una decina di braccia, spuntate dal suo stesso corpo, l’avevano afferrata e bloccata facendo leva sulle sue articolazioni.

-         Robin!

-         Ci pensiamo noi. – disse Robin, emergendo dalla boscaglia.

-         E’ un nostro amico! – urlò Luffy – Non toccarlo!

Liberata, Flea indietreggiò e tornò al fianco di Sanji. Il cuoco guardò preoccupato il proprio capitano:

-         Mi raccomando, Luffy

-         Tranquillo. – lo rassicurò l’altro – Non gli farò troppo male.

-         E vedi di non fartene fare troppo nemmeno tu, idiota.

Ripresero ad avanzare. Ormai mancavano solo un paio di terrazze alla sommità del Giardino e alla resa dei conti finale con Whip.

-         Dove sono Champagne e gli altri? – chiese Flea, mentre prendeva una delle sue borracce per bere un sorso d’acqua.

-         Erano parecchio avanti a noi, mi pare. Potrebbero già essere arrivati. Spero che riescano almeno a inventarsi qualcosa e liberare tuo padre. Insomma, non è che siano gente troppo sveglia.

-         Oh, non preoccuparti! Se necessario, possono avere delle trovate davvero astute…

 

-         Champagne, secondo me ‘sta cosa non funzionerà.

-         Tu avevi un’idea migliore, Gin?

-         Per tua norma e regola, da trentasette anni a questa parte io non ho mai avuto nessuna idea!

-         E allora zitto e non portare sfiga.

-         Io non porto sfiga. Dico solo che finiremo per essere scoperti e verremo uccisi in qualche maniera orribile.

-         Io credo che l’idea di Champagne sia ottima, invece. Scommetto cento Beli che funzionerà!

-         Ah, sì, Rum? Accetto la scommessa. Se ce la facciamo, ti do cento Beli; se invece finiamo tutti ammazzati, sarai tu a darli a me.

-         Gin, Rum, state zitti, porco scorfano!

Il terzetto dei Giardinieri, seguito da tutta la ciurma, strisciava lentamente verso l’orango che teneva prigioniero Madera. Il viceammiraglio Whip, col suo fedele pappagallo sulla spalla, era a pochi metri di distanza, ma non li aveva notati grazie all’astuto stratagemma ideato da Champagne: i pirati, infatti, si erano gettati addosso le pellicce ricavate scuoiando un branco di pecore fuciliere sconfitte poco prima. In realtà, solo Whip non li aveva notati, dal momento che osservava assorto il Giardino sottostante dove ancora Sanji, Flea e gli altri stavano provocando un caos non indifferente; il fedele pappagallo invece li aveva visti benissimo, e si limitava a non dir nulla nella speranza che facessero fuori in fretta il suo capo e per lui si creasse una buona occasione per tagliare la corda.

Champagne fece cenno ai compagni di stargli dietro. Si avvicinò a Madera, che, cercando di apparire del tutto indifferente per non insospettire l’orango, fischiettava tranquillo sotto la manaccia scimmiesca che gli copriva la bocca. Le false pecore giunsero a venti metri di distanza, a dieci metri, a cinque. Ancora Whip non si era accorto di nulla.

Quando si trovano in momenti tanto cruciali, spesso i pirati si appellano al signore dei mari, Davy Jones, promettendogli offerte di cibo o ricchezze in cambio del proprio successo. Champagne, giunto ormai a tre metri dal capitano Madera, giurò mentalmente che se fosse riuscito a raggiungerlo senza essere notato da Whip avrebbe donato a Davy Jones cento pasticci di carne preparati con le proprie mani.

Immediatamente, il viceammiraglio si voltò a guardare verso di lui.

In effetti, i pasticci di carne preparati da Champagne facevano proprio schifo.

Whip osservò attentamente i pirati. Tutti cercarono di assumere un atteggiamento il più pecoresco possibile ma, sinceramente, non era possibile credere che un conoscitore tanto profondo del regno animale scambiasse per ovini un branco di omaccioni messi carponi con delle pelli gettate sulla schiena. Si prepararono alla battaglia e alla morte, se necessario.

-         Oh, Bianchina, sei tornata! – esclamò allegramente il viceammiraglio – Che notizie mi porti?

Champagne, incredulo per tanta fortuna, si trovò preso alla sprovvista. Ma la sua leggendaria prontezza di spirito gli consentì di affrontare la situazione.

-         Beee, beee! – rispose, cercando di rendere melodioso il suo vocione rauco da pirata ubriaco.

-         Il re di Pagaia si veste da donna e balla il tip tap? – fece Whip, stranito – Ma a me interessavano notizie sulla battaglia, veramente.

-         BeeeBeee, bee! – riprovò Champagne, perseverante.

-         Come sarebbe a dire, il Quartier Generale della Marina è stato trasformato in un circo equestre? Si può sapere che ti prende oggi, Bianchina?

Mentre Champagne continuava imperterrito la sua conversazione, un paio di uomini, alle sue spalle, scivolarono in direzione di Madera. In un istante, l’orango fu sopraffatto e il capitano liberato e nascosto sotto una pelle di montone. Whip non notò nulla, impegnato com’era ad apprendere sconvolgenti novità ed avvenimenti. Per esempio, lo sconnesso belare di Champagne gli aveva appena fatto sapere come eminenti scienziati del Governo avessero dimostrato che il pianeta non aveva forma sferica, bensì quella di un cono gelato gigante.

-         Oh, basta, è davvero troppo! – esclamò di botto – E’ impossibile venire a conoscenza di tante cose sorprendenti così velocemente. Ho bisogno di riflettere. Vi prego, Bianchina, ragazze, andate via, lasciatemi solo.

I pirati non credevano alle loro orecchie. Erano riusciti ad ingannarlo; avevano liberato il capitano; ed ecco che adesso avevano una scusa perfetta per allontanarsi indisturbati! Tanta fortuna era addirittura preoccupante. Il piano aveva avuto assoluto successo! 

-         EVVAI! – esclamò Rum, alzandosi in piedi in mezzo al gregge di pirati in incognito – Ho vinto la scommessa, Gin! Dammi i cento Beli che mi devi!

Gli altri restarono in silenzio, e Rum si zittì, con la brutta impressione di aver fatto qualcosa di orribilmente sbagliato. Whip, paralizzato dallo stupore, riusciva solo a balbettare:

-         Voi… voi…

Si avvicinò a Champagne, afferrò la pelle che lo copriva e la tirò via di botto. Il pirata gli rivolse un sorrisino e un saluto.

-         Voi… cosa… dove sono finite Bianchina e le altre?!? – gridò il viceammiraglio, sconvolto.

-         In un posto migliore? – suggerì Champagne.

-         Non ci posso credere! Le avete uccise! VOI LE AVETE UCCISE! MOSTRI!

-         Ho… ho fatto qualcosa di male? – mormorò Rum, confuso.

-         Mi hai appena fatto vincere la scommessa. – ghignò Gin – Ora tu devi cento Beli a me!

-         Mostri orribili! Come avete potuto! Ora conoscerete la mia ira! Vi scatenerò contro la più spaventosa torma che il mondo abbia mai visto! Vi farò bruciare tra fiamme calde come quelle dell’inferno! CHE SCENDA IN BATTAGLIA L’ARMATA DEI DRAGHI!

I pirati si sbarazzarono delle ormai inutili pelli delle pecore e si raggrupparono, pronti a fronteggiare la nuova minaccia, qualunque essa fosse.

-         Capitano Madera – disse gravemente Champagne – è stato un piacere combattere al suo fianco.

-         Io non posso dire altrettanto, gnarr! Che razza di salvataggio è mai questo, eh? Gnarr! Imbecilli!

L’Armata dei Draghi, fino ad allora rimasta nascosta nelle alte siepi circostanti, avanzò. Decine e decine di rettili orrendi, coperti di squame, dagli occhi minacciosi e le bocche irte di denti.

E nessuno più lungo di una cinquantina di centimetri.

-         Sono iguane! – esclamò Rum, ridendo sollevato – Ehi, ragazzi, sono solo iguane! Di che abbiamo paura?

Le iguane, con prudenza, si sollevarono sulle zampe posteriori. Le risate dei pirati andarono smorzandosi quando si videro chiaramente le armi che quei piccoli rettili impugnavano.

-         Hanno i lanciafiamme! Al riparo! – ordinò Champagne.

I pirati scapparono da ogni lato mentre le iguane cominciavano a innaffiare con getti di fuoco tutto intorno a loro. Whip, come impazzito, stava in mezzo alle fiamme e rideva sguaiatamente, rideva, rideva.

 

Incuriosito da quello spettacolo, il coccodrillo guardava verso la cima dell’albero, dove una piccola nuvoletta nera si era formata e adesso si addensava e si ingrossava sempre più.

-         Fulmine Tenpo!

Dalla nuvola si scaricò un fulmine dritto su Beniamino, che restò abbagliato per un istante. Poi scosse la testa violentemente e tornò in sé. Riprese a guardare verso la cima dell’albero, con la bava alla bocca. Le sue due prede stavano ancora nascoste in mezzo alla chioma e non si muovevano. Pazienza, poteva aspettare.

-         Dannazione! – gridò Nami, agitando con rabbia il Climatact – Questo coso non serve a niente, non è abbastanza potente! Quando hai intenzione di farmi quell’upgrade di cui mi hai parlato?

-         Non ho avuto tempo! – ribatté Usopp – Appena ce ne andremo da qui giuro che me ne occuperò.

-         Sì, certo. Se ce ne andremo da qui.

Il coccodrillo addentò il tronco dell’albero e cominciò, lentamente, a scuoterlo. La vibrazione fece quasi perdere l’equilibrio ai due pirati, che dovettero aggrapparsi forte ai rami per non cadere.

-         E va bene. – mormorò Usopp – Dovrò fare ricorso alla mia nuova invenzione. Fidati di me, Nami: ho un asso nella manica.

-         Usopp, come faccio a fidarmi? Tu non hai nemmeno le maniche!

-         Donna di poca fede! Osserva: quello che mi serve per sconfiggere quel coccodrillo ce l’ho proprio qui.

Tese il braccio destro verso Nami. Teneva la mano stretta a pugno, come se ci tenesse qualcosa di piccolo.

-         E dici che basterà a vincere, qualunque cosa sia?

-         Altrochè. Devo solo farglielo entrare in bocca. Sta’ a vedere.

Prima che Nami riuscisse ad obiettare nulla, Usopp saltò giù dall’albero e richiamò a gran voce il coccodrillo. Il rettile, infastidito, lasciò il tronco e si voltò verso di lui. Cominciò ad avanzare.

-         Ehi, bestiaccia, la vuoi la pappa? La vuoi? Vieni qua! Fatti sotto!

Usopp sfidava il coccodrillo come un esperto matador fa con il toro. Era incredibile quanto coraggio stesse dimostrando.

-         Ora ci siamo. – bisbigliò Nami, che, tesissima, osservava la scena.

Beniamino era a meno di un metro da Usopp. Da lì poteva raggiungerlo con un solo salto. Il pirata sventolò un’ultima volta la mano destra davanti al rettile, che balzò. Ci fu un istante di confusione, polvere, lotta, e alla fine il coccodrillo si allontanò, vivo e vegeto. Usopp si stringeva il braccio destro. Era ridotto a un moncherino sanguinante.

-         USOPP! – gridò Nami, scendendo dall’albero di corsa.

-         AAH! LA MANO! LA MIA MANO!

Nami corse a fianco del compagno, preoccupata, con il senso di colpa di averlo lasciato da solo a combattere contro quel mostro e di averlo condannato a quella mutilazione.

-         Oddio, Usopp, mi dispiace, mi dispiace tantissimo, è tutta colpa mia, dovevo…

-         Scherzetto!

Da un momento all’altro, Usopp smise di gridare e sfoderò un sorriso di trionfo. Dal moncherino sfilò fuori la mano destra, ancora perfettamente intatta.

-         Colpo Fatale: la Mano Morta di Usopp! – annunciò allegramente.

-         Non è che sia un granché, come nome… - commentò Nami.

-         Zitta. Osserva.

Beniamino se ne stava tranquillo in un angolo, a sgranocchiare la mano staccata. A un certo punto, però, fece una faccia strana, qualcosa esplose nella sua bocca, i suoi denti schizzarono fuori, in pezzi, e lui finì a pancia all’aria, con gli occhi bianchi e la lingua a penzoloni.

-         Una finta mano di gomma montata su quella vera. – spiegò Usopp – E dentro c’è nascosto un Dial Impact. Quando il coccodrillo l’ha masticata, ha attivato il Dial e, in pratica, si è fatto saltare in aria dall’interno! Che ne dici?

Nami tirò un sospiro di sollievo:

-         Meno male. Che razza di trovata. Per un po’ ho avuto paura…

L’altro la guardò con occhi malefici:

-         Cosa sento? Hai avuto paura?

-         Eh? No, io…

-         Senti un po’! Usopp combatte coraggiosamente contro il nemico, mentre gli altri hanno paura!

-         No, senti, non provarci.

-         Non sono più io il fifone dell’equipaggio. Perché tu hai più paura di me! Ah Ah!

-         USOPP, NON COSTRINGERMI A PICCHIARTI!

-         Sì, certo… paura… figurarsi…

 

Un autentico duello tra samurai è un’emozione che non conosce eguali al mondo. Un gioco mortale di destrezza, forza e astuzia, in cui i combattenti mettono in gioco tutto ciò che possiedono di più prezioso: il proprio corpo, la propria vita e soprattutto il proprio onore. Simili sfide elevano lo spirito di un uomo al livello di quello degli dèi.

-         Sei forte, ma io non ti sarò da meno. In guardia!

Roronoa Zoro amava provare quest’emozione. Ogni volta che ne aveva l’occasione non si lasciava sfuggire la possibilità di affrontare gli spadaccini più forti e pericolosi, sempre con coraggio, sempre a testa alta. Purtroppo, nel corso di quell’avventura, non era stato possibile per lui ingaggiare un duello del genere. Al servizio del viceammiraglio Whip non c’erano animali che sapessero maneggiare le spade. Quindi, quando si era trovato davanti una tigre dai denti a sciabola, aveva deciso di ripiegare su quel più modesto surrogato.

-         Non distrarti! Sono qua!

Ma, nonostante l’impegno messo nella lotta, non è che le emozioni fossero proprio le stesse.

Leggermente graffiata dalla punta di una delle katane, Sylvia si allontanò prudentemente, tenendo d’occhio l’avversario. Non capiva bene cosa stesse succedendo. Quell’umano si comportava in modo strano, ma certamente era molto pericoloso. Aveva delle zanne molto affilate. Ne impugnava una per mano.

-         Sto combattendo con due spade per adattarmi al tuo stile, – spiegò Zoro – visto che anche tu usi questa tecnica. Non deludermi e fammi vedere cosa sai fare!

La tigre squittì leggermente e si ritirò di un passo. Perché quell’umano era così deciso e continuava a prendersela con lei? Come filosofia di vita, Sylvia adottava un credo Zen. Poco prima aveva provato ad azzannare la ragazza e il biondino. Non c’era riuscita; ok, non era la fine del mondo, si sarebbe ritirata in buon ordine ammettendo la propria sconfitta. Non si sognava nemmeno di inseguirli, quelli ormai chissà quanto erano lontani, sarebbe stata una faticaccia. E allora perché quel tizio coi capelli verdi sembrava averla presa di mira e non volerla più lasciare in pace? Cercando di chiarire la situazione, Sylvia emise un ringhio sommesso.

-         Immagino che questa sia una sfida. – commentò Zoro con un ghigno – Considerala accettata. Fatti sotto!

Per carità. In realtà, con quel ringhio la tigre aveva inteso dire “cerchiamo di calmarci e risolviamo la questione da persone civili”. Ma si sa che gli umani non hanno molto talento per le lingue. Data la difficoltà nel farsi comprendere, Sylvia reputò saggio limitarsi a girare bordo e allontanarsi discretamente.

-         Ferma! Come osi fuggire? Non sai che voltare la schiena al nemico è un disonore, per un guerriero?

Il felino fece una specie di sospiro. Quello doveva essere un altro strano trip mentale degli umani. E dire che si reputavano la specie più intelligente del pianeta. Insomma, cosa c’è di intelligente nel restare lì a farsi menare quando si ha di fronte un avversario più forte? Eppure Sylvia sentì che era meglio ubbidire e fare come diceva lui. Non si sa mai come può reagire un esaltato del genere, se contraddetto. Meglio assecondarlo.

-         Molto bene, belva. Fino ad ora abbiamo scherzato…

Cioè, quelli per lui erano scherzi? Senso dell’umorismo piuttosto distorto, pensò Sylvia, leccandosi le ferite che sanguinavano e bruciavano da cani.

-         …adesso faremo sul serio.

L’umano tirò fuori una terza zanna e se la mise in bocca. La tigre provò un senso di nausea. Che schifezza. Il manico di quella cosa doveva essere pieno di germi.

-         Tecnica a Tre Spade!

E ora si metteva anche a gridare. Sylvia non era certa di cosa fosse peggio: i suoi attacchi o le urla balorde che li precedevano. Chiuse gli occhi e strinse i denti, sperando che non facesse troppo male.

-         Caccia alla Tigre!

Il tizio fu in un attimo su di lei, colpì in velocità e Sylvia sentì un dolore atroce al costato. Nonostante la sofferenza, la tigre si sentì felice: quella era l’occasione di cui aveva bisogno. Si lasciò cadere e restò a terra, immobile. Bastava che fingesse di essere morta, con quegli squarci in pancia era abbastanza credibile.

L’umano si avvicino cauto, squadrando il corpo riverso a terra.

Avanti, vai via. Io sono morta, non vedi? Va’ via!

Provò a tastarlo con un piede. Nessuna reazione.

Insomma, vai via! Ma che vuoi da me?

-         Sei ancora viva, a quel che vedo. – disse Zoro con un sorriso.

E CHE CAZZO! Ma questa si chiama sfiga!

-         Ti sei battuta bene, devo riconoscerlo. Come compenso ti lascerò vivere. E un giorno, forse, ci batteremo ancora!

Che Sandokan, Dio delle Tigri, me ne scampi e liberi, pensò Sylvia. L’umano si allontanò e sparì nella foresta. A questo punto si trattava di rimettersi in piedi. Con dolore e fatica la tigre ci riuscì. Restò ferma un momento a riflettere. Per lungo tempo, nella sua vita, non aveva mai visto esseri umani. Poi era arrivato Whip, e ora questo tizio. L’unica conclusione che poteva trarre da quegli incontri era che gli umani dovevano essere tutti pazzi. Bah, almeno aveva salvato la pellaccia.

 

-         Gum Gum Pistol!

Il cazzotto elastico spedì Chopper contro un albero. La renna scosse la testa riprendendosi dallo stordimento e partì nuovamente all’attacco. Spinta dalla cieca volontà di ubbidire agli ordini, era praticamente inarrestabile. Essendo un animale, Chopper non poteva sottrarsi al controllo di Whip; ma il suo lato umano lo rendeva più fedele e affidabile della maggior parte delle varie creature che servivano il viceammiraglio. Luffy cominciava ad avere il fiatone. Era difficile combattere dosando le forze per non ferirlo troppo gravemente e allo stesso tempo cercare di stordirlo o renderlo inoffensivo. Quello continuava a rialzarsi.

-         Lascialo a me, Luffy! Cerca di riprendere un po’ di fiato!

Robin entrò in battaglia piazzandosi davanti a Chopper a braccia incrociate.

-         Ochenta Fleur: Gaiola!

Le braccia sorsero dal terreno e dal corpo di Chopper, intrecciandosi in un unico viluppo rosa. Le mani si strinsero tra loro. La renna restò immobilizzata.

-         Smettete di resistere all’arresto! – gridò Chopper, scuotendosi per cercare di forzare il blocco.

-         Come no. L’ho già sentita, questa frase. – Robin era al limite, lo sforzo per mantenere tutte quelle braccia e tenere fermo l’avversario era eccessivo.

Chopper riuscì a liberare un braccio e a portarlo a una tasca dei pantaloni. Intuendo cosa stesse per accadere, Robin cercò di bloccarglielo, ma non riuscì a esercitare abbastanza forza. La renna si portò la mano alla bocca.

-         Rumble Ball!

La trasformazione muscolare, immediata, gonfiò il corpo di Chopper e spazzò via le braccia create da Robin. La donna cadde all’indietro, con un filo di sangue che le scendeva dal naso. Cercò di rialzarsi, ma finì per perdere le forze e svenire.

-         Horn Point!

Chopper si ingrossò ancor di più e le sue corna si allungarono a dismisura. Si lanciò con una carica contro il corpo inerme di Robin. Era a meno di due metri di distanza quando si scontrò con Luffy. Il ragazzo lo bloccò afferrandolo per le corna.

-         Levati di mezzo. – mugghiò la renna.

-         Neanche per sogno! Lascia in pace Robin!

-         Lasciami. Devo eseguire gli ordini del viceammiraglio.

-         TU DEVI ESEGUIRE I MIEI ORDINI! IO SONO IL TUO SOLO CAPITANO! SIAMO COMPAGNI, ACCIDENTI!

Con un violento movimento del collo, Chopper sollevò le corna e Luffy insieme a loro. Fece uno scarto brusco e lo spedì di volata contro un tronco. Il ragazzo si rialzò, dolorante. Se avesse voluto, lo sapeva, avrebbe potuto sconfiggere Chopper senza troppo sforzo.

Ma non aveva alcuna intenzione di farlo.

 

Quando erano stati circondati da un branco di iguane incendiarie, Madera e i suoi pirati avevano pensato di non potersi trovare in una situazione peggiore di quella. Ovviamente, si sbagliavano.

Perché adesso avevano un burrone alle spalle.

Ed erano ancora circondati da un branco di iguane incendiarie.

-         Siamo arrivati alla fine dell’isola, gnarr! – gridò Madera – Da qua possiamo solo saltar giù dalla scogliera! Gnarr, siamo spacciati!

-         Allora è il momento per provare quell’attacco. – disse Champagne, assumendo improvvisamente una fiera posa di combattimento.

-         L’attacco segreto? – chiese Rum.

-         L’attacco segreto. Il Respiro Mortale del Trio.

-         Ma che respiro mortale, gnarr! Che vaccate andate dicendo? Voi non avete nessun attacco segreto! – sbraitò Madera, furibondo.

Ma Champagne ammiccò:

-         Capitano, non creda che in questi vent’anni non abbiamo fatto nulla. Ci siamo duramente allenati, e adesso siamo molto più forti di un tempo. Osservi!

Davanti agli occhi stupiti di Madera e degli altri pirati, il trio dei Giardinieri Capo si esibì in una serie di complesse evoluzioni combinate che culminarono nell’assunzione di una spettacolare posa plastica. Per l’intera durata di quel balletto, le iguane cessarono il loro attacco e attesero. Più che altro per la paralisi causata dalla vista di uno spettacolo tanto ripugnante.

-         Gin! – esclamò Gin, estraendo una bottiglia di gin.

-         Rum! – esclamò Rum, estraendo una bottiglia di rum.

-         Champagne! – esclamò Champagne, estraendo una bottiglia di whisky. No, scherzo, ovviamente era di champagne.

Le bottiglie vennero levate al cielo.

-         Attacco Combinato Segreto: il Respiro Mortale del Trio!

I tre pirati si scolarono l’intero contenuto delle bottiglie in tre secondi e due decimi esatti. Dopodichè inspirarono a pieni polmoni.

-         Attacco! Respiro della Morte! – gridarono insieme, e soffiarono con forza verso le iguane.

Il puzzo era intollerabile. I rettili, uno dopo l’altro, caddero svenuti rantolando. I loro lanciafiamme restarono a terra, con misere fiammelle agli apici delle canne.

-         Imbecilli! Gnarr! Che cosa avete combinato! – urlò Madera, mettendosi le mani ai capelli.

-         Eh? Abbiamo vinto, capitano. Le abbiamo sconfitte.

-         Non parlo di quello! Gnarr! I vapori dell’alcol! I lanciafiamme! Gnarr! Imbecilli! Scappiamo via di qui, gente!

Illuminati da un lampo di comprensione, i pirati cominciarono a correre, ma non riuscirono ad allontanarsi abbastanza in fretta da evitare di risentire dell’esplosione. I gas alcolici alitati da Champagne, Rum e Gin formarono una miscela letale con l’aria; le fiammelle che ancora i lanciafiamme emettevano fecero il resto. Una colonna di fuoco si levò improvvisamente alle spalle dei pirati, salendo verso il cielo. L’onda d’urto li travolse e li fece cadere a terra; ma, a parte qualche contusione, nessuno subì danni.

-         Capitano – mormorò riconoscente Champagne – grazie a lei siamo salvi!

-         E grazie a voi tre cretini, gnarr, per poco non eravamo MORTI! – sbottò in risposta Madera – Ora togliamoci di qui.

Scapparono giù, verso la base del Giardino. Dietro di loro, erba e siepi bruciavano in seguito all’esplosione. Le fiamme, poco a poco, cominciarono ad estendersi.

 

-         Guarda, Sanji! Cosa succede?

Su richiamo di Flea, Sanji si voltò nella direzione indicata. Un’alta fiammata si sollevava tra la vegetazione del Giardino.

-         Non lo so, ma non credo che sia una buona cosa. Comunque, affrettiamoci.

Corsero su per l’ultima scalinata, più lunga delle altre, attraversarono un breve tratto di prato diviso in settori da siepi perfettamente squadrate e videro, in fondo, un uomo che dava loro le spalle. Spalle coperte da un manto di pelliccia.

-         E’ Whip! Andiamo! – gridò Sanji.

Il viceammiraglio si voltò. Vide il pirata e la ragazza che correvano verso di lui a tutta velocità.

-         Oh! – esclamò – Porco cane!

Sanji rallentò e sorrise:

-         Ma sentilo. Se imprechi solo a vederci, significa che hai proprio paura, eh?

-         Io non stavo imprecando. Stavo chiamando lui!

Spuntando da chissà dove, un enorme verro di qualche quintale corse allegramente verso Sanji e, prima che questi potesse reagire, gli saltò addosso, rovesciandolo a terra. Cominciò a leccargli la faccia, scodinzolando. Il pirata, dopo il primo attimo di sorpresa, gli tirò un calcio nelle parti basse. A quel punto il maiale, dolorante, si allontanò, col codino tra le gambe, uggiolando un po’.

-         Che razza di scherzo. – brontolò Sanji, rialzandosi e spolverandosi un po’ il vestito.

-         Senti, tu, vice coso! – esclamò Flea, tentando di fare la faccia da dura – Libera subito mio padre o noi ti… ti… ti faremo molto male! Dico bene, Sanji? Molto male, sì.

-         Spiacente, signorina. – fece Whip, allargando le braccia – Suo padre non è più qui. Qualche minuto fa, un branco di alcolisti travestiti da pecore lo ha già salvato. Anche se forse questo non è il termine più giusto, visto che a questo punto saranno stati già tutti abbrustoliti dalla mia Armata dei Draghi. Probabilmente sarebbe stato più al sicuro qui, come mio prigioniero. Strana la vita, eh?

Flea restò sconvolta. Cominciò a tremare, dopodichè si voltò verso il punto in cui poco prima aveva visto l’esplosione e scattò di corsa. Il braccio di Sanji la afferrò per la spalla e la fermò bruscamente.

-         Rimani dove sei, Flea. – disse il pirata – Andare a salvarli in questo momento sarebbe inutile. Dobbiamo fidarci di loro. Ma, quali che siano gli animali con cui se la stanno vedendo…

Puntò il dito contro Whip.

-         …se sconfiggiamo lui, quegli animali, così come Chopper e tutti gli altri, torneranno liberi di agire come meglio credono, e anche tuo padre e gli altri saranno salvi. Sicuramente se la sapranno cavare contro qualche bestiaccia priva di organizzazione militare. Dico bene, Whip?

-         Dice bene, signor pirata. – il viceammiraglio sorrise sinistramente – Se sarete in grado di battermi, ovviamente. Sarò sincero: di solito cerco di essere molto gentile con i miei simili umani, anche se non posso dire di capirli appieno. Sono molto comprensivo.

-         Comprensivo? – Flea si infuriò – Razza di delinquente! Volevi farmi saltare in aria! Hai minacciato di uccidere mio padre!

-         Era necessario, signorina. E ho fatto tutto con molto garbo, deve riconoscerlo. Ma voi vi siete comportati in modo imperdonabile. Avete invaso la mia base e, soprattutto, avete ucciso le mie care creature. Quindi, basta comprensione. Basta gentilezza. In questo momento desidero una sola cosa…

Con un gesto brusco, il viceammiraglio gettò via il manto di pelliccia. La sua espressione si tramutò, diventando dura, spietata.

-         e quella è farvi a pezzi con le mie stesse mani. – concluse.

-         Molto bene. Mi piace, Whippy. – fece SanjiE’ proprio quello che avevo in mente. Tu hai cercato di far del male a Flea e ti sei preso uno dei miei compagni, quindi anch’io sono piuttosto alterato. Questo sarà un duello alla morte.

-         Infatti. – confermò Flea, facendo sì con la testa – Alla morte.

Whip allargò le braccia. Obbedendo a quel gesto e al suo potere, gli animali sciamarono fuori dal Giardino a decine, a centinaia, a migliaia, muovendosi tutti verso il luogo dello scontro. Dalle pieghe degli abiti del viceammiraglio emersero non solo il serpente che aveva morso Sanji, ma decine di altri, creando una difesa impenetrabile per il corpo dell’uomo. Dalla scogliera, alle sue spalle, arrivarono volando uccelli e sciami di insetti e si fermarono a mezz’aria, pronti a piombare sugli avversari.

-         E morte sia. – disse Whip, con un sorriso.

 

 

 

 

 

 

Spero che vi sia piaciuto, questo capitolo – è uno dei miei preferiti, e in assoluto quello che mi sono divertito di più a scrivere. Con un paio di piccole citazioni: la pecora Bianchina di ortolaniana memoria (anche se non sono sicuro di ricordare la fonte precisa…) e il respiro alcolico mortale… questa è per veri intenditori del fumetto. Chi sa / si ricorda di Superciuk? XD Comunque, la prossima volta, Whip vs. Sanji & Flea e la conclusione della storia! Attendete con ansia XD!

 

X Slits: ben arrivata, e grazie per i complimenti. Quando scrivo storie dinamiche e narrative come questa in effetti lo faccio visualizzando sempre gli eventi come scene di un film (o di un cartone), e cerco di trasmettere quelle immagini “a pelle”, senza sprecarmi troppo in descrizioni, quando possibile. Sono contento di esserci riuscito XD. Alla filosofia di Oda che tu citi sono particolarmente affezionato, e non avrei mai fatto morire nessun personaggio, tanto meno la protagonista, al di fuori da un flashback. Poi, in questo caso, me lo avrebbe impedito anche il regolamento del concorso cui questa storia partecipava. In ogni caso, credo che la certezza del fatto che la morte non faccia parte del mondo di One Piece sia un ottimo modo per mantenere la leggerezza della storia, che altrimenti risulterebbe poco credibile, e di dare una seconda chance di risultare simpatici anche ai cattivi più irrecuperabili. Vedi l’intera CP9 e le sue ultime avventure (non so se tu stia seguendo i capitoli spoiler), o il mitico Buggy, o ancora Eneru, con quella fantastica rivelazione finale sul Fairy Vearth / Luna. Grazie ancora e ciao, spero di ricevere i tuoi commenti anche per questi ultimi due capitoli!

 

Grazie anche a Smemo92 per la recensione e a tutti quelli che hanno letto e non recensito, come al solito. Ciao!

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Capitolo 10
*** Come è profondo il mare ***


Capitolo 10 – Come è profondo il mare

Capitolo 10 – Come è profondo il mare

 

Sanji e Flea, immobili, fronteggiavano Whip e la sua immensa armata animale. L’aria si stava riscaldando, nel terrazzo più alto del Giardino, e non solo nel senso metaforico. L’aria si stava davvero riscaldando. C’era una luce rossa diffusa, in sottofondo si sentiva un crepitio e uno scoppiettare lontani, e ogni tanto qualche lapillo incandescente svolazzava a mezz’aria. L’odore di fumo era sempre più intenso. L’incendio, scoppiato poco prima, si stava propagando a tutto il Giardino e ormai aveva preso un intero lato dell’isola di Eden. Presto avrebbe finito per chiudere ogni via di fuga.

-         Mi pare che sia opportuno finire presto questa battaglia. – disse Whip, osservando il fuoco – Cercate di morire il più in fretta possibile.

-         Nei tuoi sogni, pagliaccio.

Sanji e Flea si strinsero, restando in guardia e a distanza di sicurezza dal viceammiraglio.

-         Flea – bisbigliò Sanji – a causa di quei maledetti serpenti, io non posso colpirlo direttamente. Devi darmi una mano. Tu radicati e lascia fare il resto a me.

-         Radicarmi? Ma così non potrò…

-         Fidati. Fallo e basta.

-         A che volete che vi serva complottare e mormorare, signori? - intervenne Whip – Lei, signor pirata, ha già fallito nel provare a combattermi, e anzi mi sorprende ritrovarla ancora vivo. E lei, signorina, è assolutamente impotente. Ha i poteri di un albero. I vegetali servono solo a ricavare sostanze nutrienti dalla terra e trasformarle in cibo per gli erbivori. Lei – e fissò Flea con un sorriso obliquo – non è niente di più che un anello della catena alimentare.

-         Questo lo vedremo! – ribatté piccata la ragazza.

Ficcò i piedi nel terreno Le dita si allungarono, le radici scavarono in profondità, la sua pelle si ricoprì di corteccia. La ragazza compì una trasformazione quasi completa. Da braccia e capelli spuntarono decine di foglie. Alla fine, saldo e inamovibile, c’era in mezzo alla radura che ospitava la battaglia un albero in tutto e per tutto, fatto salvo per le fattezze umane. Perfettamente immobile.

-         Psst, Sanji! – bisbigliò Flea – E adesso che faccio?

Whip accennò una risatina, divertito.

-         Ora vedi. Preparati.

Sanji cacciò un piede nel terreno, che si spaccò, si crepò intorno alla base del tronco di Flea. Con un movimento veloce, lo tirò su: Flea si staccò dal terreno, con un’intera zolla circolare attaccata alle radici. L’uomo teneva la zolla sul piede come fosse stato un pallone da calcio.

-         Armée de l’Air: Power Shoot!

Whip intuì quello che stava accadendo quando ormai Flea era già in volo, a velocità pazzesca, verso di lui. Si mise in posizione difensiva, tutti i serpenti schizzarono fuori pronti a colpire. L’albero gli si schiantò addosso, travolgendolo con la sua massa.

-         Maledetta! Lasciami! Serpenti miei cari, mordetela! Avvelenatela!

Contro la propria natura, obbedendo a quell’ordine, i serpenti morsero il tronco di Flea. I loro denti veleniferi si spezzarono contro quella durissima corteccia.

-         Ti dirò una cosa, Whip. - sussurrò Flea, guardando negli occhi l’avversario – Se anche fossero riusciti a mordermi, dal momento che ho questa forma il loro veleno non avrebbe potuto farmi nulla. Non si possono avvelenare gli alberi, no?

-         Fallo fuori, Flea!

La ragazza colpì il viceammiraglio con un poderoso pugno rivestito di corteccia. Peggio di una martellata. Dopodichè, restò col tronco poggiato a terra, immobilizzata. Whip si schiantò a qualche metro di distanza, contro una roccia. Si rialzò con i vestiti strappati e la furia dipinta sul volto.

-         Lo… lo so io cosa ci vuole per una signorina dalla pelle dura come lei. Venite, Valchirie! Zzz!

Al ronzio emesso da Whip rispose un altro ronzio, più potente, più sordo, come ripetuto da migliaia, milioni di voci. Dalla scogliera alle sue spalle emerse uno sciame verde. Una nuvola vivente che guizzò e puntò dritta su Flea.

-         Maledizione! Sono cavallette! Vengo ad aiutarti, Flea!

-         NO! Resta dove sei! – gridò la ragazza – Ti spolperebbero molto più in fretta di quanto farebbero con me, e poi ho ancora i serpenti attaccati addosso. Pensa a Whip!

Sanji annuì, colpito dal sangue freddo della ragazza, e corse verso Whip per dargli il colpo di grazia. Ma fu inutile, non riuscì a raggiungerlo. C’era un’infinità di animali, tutti intorno, su cui il nemico poteva contare per contrastarlo. In un secondo, Sanji si ritrovò circondato da elefanti e rinoceronti, che costituirono un’invalicabile muraglia di carne. Provò a prenderli a calci, ma erano troppo pesanti; nel tempo che ci metteva per sbarazzarsi di uno di loro, altri due prendevano il suo posto. Un pachiderma, colpito, rotolò da una scarpata e piombò giù dalla scogliera con un barrito lacerante; ma fu solo una piccola vittoria. La massa non si smuoveva, e Whip, al sicuro là dietro, se la rideva.

-         Aaaahhhh!

Il grido lancinante di Flea fu una delle cose più spaventose che Sanji avesse mai udito. Quando si voltò a guardare, la ragazza era in una condizione orribile. Le cavallette l’avevano travolta come un fiume, le strappavano a morsi le foglie e la corteccia. Ogni morso era una ferita, ogni strappo una  mutilazione, e Flea ormai era uno spettacolo grottesco e orrendo, un albero che si muoveva e sanguinava, mulinando i rami nel tentativo di scacciare quei maledetti insetti che tornavano sempre, urlando di dolore. Sanji non poteva sopportare oltre.

-         Ti aiuto! Resisti!

-         Non… non sono ferite fatali! – rispose Flea, a stento – Fanno solo male! Non avvicinarti!

Ma forse non era necessario farlo. Sanji cercò di fare qualche calcolo ad occhio, prese la mira e tirò un poderoso calcio a vuoto, in direzione di Flea. Aria e fumo, ormai mescolati insieme, turbinarono e furono spinti in un’unica folata, un proiettile invisibile che colpì lo sciame di cavallette, disperdendolo e disorganizzandolo. Flea sentì solo un leggero impatto, ma gli insetti schizzarono da ogni parte, alcuni morti, altri privati del senso dell’orientamento. Confuso ulteriormente dal fumo, lo sciame non riuscì a riaggregarsi.

-         Grazie, Sanji. Sei stato grande! Ora tocca a me aiutarti!

Flea si ritrasformò leggermente, assumendo una forma quasi umana, in modo da potersi in qualche modo rialzare e rimettere con i piedi nel terreno. A quel punto infilò le mani sottoterra.

-         Ecco che vado! Ehm… vediamo… Falegnameria Fatale!

Il nome delle tecnica, inventato lì per lì, lasciava un po’ a desiderare, ma l’efficacia no. Un enorme blocco di legno a forma di cuneo sorse dal terreno sotto le zampe di elefanti e rinoceronti, che, sbilanciati da quel piano inclinato, cominciarono a rotolare all’indietro, cadendo sugli altri animali alle loro spalle. In pochi secondi, una valanga di pachidermi di diverse tonnellate cadeva in velocità contro Whip. Il viceammiraglio urlò e scappò all’indietro, ma alle sue spalle c’era solo la scogliera. La valanga si abbatté sul terreno, in un caos di proboscidi e corni; quando tutto parve finito, Whip era scomparso.

-         E’ caduto giù dal burrone? – chiese Sanji.

Ci fu uno stridio acutissimo, assordante, e con un battito potente dall’abisso emerse una gigantesca aquila munita di finimenti dorati. Imbracato alla sua sella, Whip la cavalcava con sicurezza. Tirò le briglie e la portò a una decina di metri d’altezza. Era sconvolto: sotto di lui, in mare, erano precipitati molti dei suoi amati elefanti, che, come è risaputo, a differenza dei gatti non sono un granché bravi a smorzare le cadute.

-         VOI UMANI! – gridò indemoniato – Voi umani non capite mai! Non vi si può insegnare niente! Non vi si può… addomesticare! Capite solo la violenza! Ebbene, ecco, vi darò quello che volete!

Assieme all’aquila, si erano alzati stormi di uccelli di tutte le razze. Si lanciarono in un unico impeto contro Sanji e Flea. Restarono loro pochi secondi per elaborare una strategia.

-         Ti creo una passerella. – bisbigliò Flea – Tu pensa a farlo fuori.

-         Ce la fai a resistere da sola?

-         Sì, non preoccuparti. VAI!

Un tronco di legno con la superficie piatta spuntò velocissimo dal terreno e puntò verso Whip. Sanji saltò sulla superficie del tronco e cominciò a correre. La crescita era tanto rapida da essere molto più veloce della sua corsa. Whip si lanciò in picchiata con la sua aquila, ma Flea lo vide e, prontamente, cambiò la direzione di crescita. In uno strano inseguimento, il tralcio di legno continuava a tallonare l’aquila, per quanto il viceammiraglio si sforzasse di seminarlo.

-         Tu sei solo un pazzo! – gridò Sanji, che nella sua corsa era stato attaccato da gufi, falchi e altri rapaci, e si dimenava furiosamente per sbarazzarsene – Parli come se tu non fossi un essere umano!

-         So di esserlo, e me ne vergogno! – rispose Whip – Gli esseri umani sono stupidi e noiosi! Sono tutti uguali! Gli animali sono tutti diversi tra loro, e ognuno ha i suoi talenti particolari! Non c’è paragone! Possono mordere e azzannare…

Sanji si voltò. Alle sue spalle, una fila di ghepardi saliva la sua stessa passerella a gran velocità, con la bava alla bocca. Si fermò e ne mandò giù un paio a calci, ma poi capì che non poteva vincere, avrebbe perso troppo tempo. Riprese a correre verso su, cercando di essere più veloce di loro.

-         …o bucare il legno…

Uno stormo di picchi aveva preso di mira Flea e aveva cominciato a martellarle la corteccia. La ragazza, stoicamente, sopportava il dolore e restava concentrata sul suo unico obiettivo, guidare Sanji fino a Whip.

-         …e mi obbediscono in ogni mio volere! Perché mi riconoscono come uno di loro! Perché mi amano!

-         Ti mancano ancora più rotelle di quanto pensassi, citrullo! – fece Sanji, affannato, mentre si sbarazzava di un ghepardo che gli si era attaccato al piede – Robin mi ha spiegato tutto: loro ti obbediscono solo perché hai mangiato il Frutto del Diavolo! Come farebbero ad amare uno che li manda al massacro come stai facendo tu?

Ok, mancavano pochi metri. Whip era vicinissimo. Sanji spiccò un salto in direzione dell’aquila, intenzionato a colpire il nemico con un solo calcio e finire la battaglia.

-         Ora non hai più i serpenti a proteggerti! Sei spacciato!

Caricò il colpo, mosse la gamba, dritto verso la base del collo. Il viceammiraglio sorrise e sollevò la mano destra.

Afferrò la caviglia del pirata e bloccò il calcio senza alcuno sforzo. Sanji, incredulo, si ritrovò fermo a mezz’aria, tenuto in quella posizione dalla sola mano di Whip.

-         Mi ha sottovalutato, signor pirata. – disse quello, sorridendo – Ha creduto che io fossi un comune, debole essere umano e non ha usato tutta la sua forza in questo calcio. Io non amo lottare corpo a corpo, ma mi alleno ogni giorno con i gorilla e con gli orsi. Ho imparato i segreti della lotta selvaggia. Lei può dire altrettanto?

Sanji strinse i denti e non rispose. Bastardo fino all’ultimo, quel tizio. Guardò in basso. Sotto di lui si stavano radunando coccodrilli e iene. Se fosse caduto, non avrebbe potuto evitare di finirgli dritto in bocca.

-         Addio, signor pirata.

Whip lasciò la presa e Sanji cominciò a precipitare, inesorabilmente, verso le bestie feroci che lo aspettavano per dilaniarlo.

-         Sanji! L’ananas! – gridò Flea.

Il pirata capì e sorrise. Il frutto, lanciatogli dalla ragazza, veniva dritto verso di lui.

-         Ascolta una cosa, Whip. Dovresti capire almeno questo.

Il viceammiraglio era sempre più lontano, il suolo più vicino, l’ananas ormai a portata di piede.

-         Tu disprezzi gli esseri umani e ami gli animali. Però pensaci…

Dolcemente, Sanji accolse il frutto nell’incavo del piede. Prese la mira.

-         …anche gli esseri umani…

Tirò. L’ananas volò, con precisione millimetrica, come una fucilata, dritto contro Whip

-         …SONO ANIMALI!

L’esplosione avvolse l’uomo e l’aquila e lo spostamento d’aria accelerò la caduta di Sanji, sbattendolo con violenza al suolo. Le belve, però, non lo attendevano più. Erano confuse, sperdute. Cominciarono a vagare e si dispersero. L’aquila sbruciacchiata entrò in avvitamento e piombò in qualche punto del Giardino. Da ogni parte, gli animali si guardavano intorno perplessi, si sbarazzavano a morsi dei loro ridicoli vestiti, fuggivano, spaventati dal fuoco che ormai si era esteso a quasi tutto il Giardino.

 

-         Capitano! Guardi! Se ne vanno!

Madera e gli altri erano ormai presi tra due fuochi; o meglio, tra il fuoco e una folla di tori inferociti pronti alla carica. Pensavano di essere spacciati quando si sentì il boato di un’esplosione lontana e gli animali persero la loro baldanza e iniziarono a fuggire, terrorizzati dall’incendio.

-         Siamo salvi! – esclamò Rum.

-         Aspettiamo a dirlo, gnarr! C’è sempre questo dannato fuoco. Ma almeno, gnarr, adesso c’è qualche speranza. Tiriamoci fuori di qui.

 

Luffy giaceva a terra sanguinante e malconcio. Qualunque cosa succedesse, qualunque cosa, non avrebbe mai voluto fare del male a un compagno. Ma ormai, a furia di trattenersi, rischiava la vita. Chopper si avvicinava ancora una volta, spietato, del tutto privo di ragione, e ora si chinava su di lui, pronto a sferrare il colpo di grazia. Si sentì un’esplosione lontana.

-         Luffy! – strillò allarmata la renna – Sei ferito! Oddio, non muoverti, devo medicarti subito!

Il ragazzo spalancò gli occhi, incredulo, poi saltò su e abbracciò il medico, lo sollevò in aria e cominciò a girare su se stesso, piangendo e gridando felice.

-         Chopper! Sei tornato! Mi avevi fatto prendere uno spavento!

-         Luffy! Ho detto di non muoverti! …ah! Lasciami! Luffy! Ho le vertigini! METTIMI GIU’!

 

Quando finalmente ritornò in forma totalmente umana, Flea era coperta di graffi e ferite e ansimava per la gran fatica. Un po’ zoppicante, si avviò verso il punto in cui era caduto Sanji, e lo trovò, sdraiato a faccia in su, col sangue che gli scendeva da un taglio sulla fronte, immobile, che si accendeva una sigaretta. Anche lui col fiatone.

-         Ce l’abbiamo fatta, eh? – mormorò la ragazza.

L’altro rispose annuendo e sorridendo.

-         Ce l’abbiamo fatta. – ripeté Flea – Cioè, non ci avrei mai creduto. Non posso crederci adesso che lo sto dicendo. Ce l’abbiamo fatta. Ce! L’abbiamo! Fatta!

Cominciò a ridere, esaltata. Sanji si rialzò e raggiunse il suo fianco.

-         E’ grandioso, vero?

-         Più che grandioso! E’ incredibile! Abbiamo cambiato le cose! Abbiamo vinto! Non credevo fosse così bello! CE L’ABBIAMO FATTA!

Si slanciò contro Sanji e lo abbracciò, travolta dalle emozioni. Rideva di gioia. Prese l’altro per le braccia e cominciarono, insieme, a saltare e ballare. La sua allegria era contagiosa, e anche il cuoco si fece prendere dall’esaltazione del momento.

-         CE L’ABBIAMO FATTA!

-         CE L’ABBIAMO FATTA! CE L’ABBIAMO FATTA!

Sanji sollevò Flea a mezz’aria. Flea mise una mano nei capelli a Sanji e glieli sfregò, come si fa con i bambini.

-         CE L’ABBIAMO FATTA! CE L’ABBIAMO FATTA!

Sanji diede il cinque a Flea. Flea baciò Sanji sulla guancia. Sanji gettò via la sigaretta, afferrò Flea per la vita, la avvicinò a sé e la baciò sulla bocca.

Flea si fece seria all’improvviso e lo allontanò spingendo dolcemente con le palme delle mani.

-         Scusa, e questo cosa significa? – chiese perplessa – Cioè, vuoi dire che per tutto questo tempo tu…

-         Eh? Pensavo tu lo avessi… - fece Sanji, confuso quanto lei – Perché, tu invece non…

-         Beh, no. Voglio dire, sei un buon amico, ma…

-         Oh. Capisco.

-         Capisci, sì? Insomma…

-         Sì, sì, ti ho detto che capisco. Non ti preoccupare.

Restarono in silenzio, l’entusiasmo ormai un po’ raffreddato, uno accanto all’altro, davanti al Giardino in fiamme. Gli animali, ormai, erano tutti scappati chissà dove.

-         Magari è meglio se cerchiamo di andarcene da qui prima di finire arrosto, eh? – suggerì Flea.

-         Sì. E’ meglio. Andiamo.

 

-         …e allora io ho fatto cadere tutti quegli elefanti come fuscelli! Poi Whip è saltato fuori con un’aquila gigantesca! Non potete, davvero, non potete avere idea di quanto fosse grande! E io subito ho capito cosa bisognava fare, eh, non ho avuto dubbi! Ho cominciato a creare una passerella e…

Usopp, con i chiodi in bocca e una tavola di legno sulle spalle, cessò un momento il suo lavoro di riparazione della Going Merry per avvicinarsi, incuriosito, al capannello degli altri. Flea raccontava a fiume la battaglia appena combattuta. Intorno, il resto della ciurma ascoltava, senza troppo entusiasmo. Solo Sanji se ne stava in disparte, a fumare.

-         Ehi, Nami! – chiese Usopp – Ma da quant’è che va avanti così?

-         Almeno tre ore. – sbuffò lei, sfinita – Sinceramente, non so quanto potrò sopportarlo ancora. Questa è la decima volta che ci racconta tutto dall’inizio.

-         E’ naturale che faccia così. – intervenne Chopper – E’ uno stato di eccitazione dovuto alla sovrapproduzione di adrenalina. Il suo corpo non è abituato e reagisce in questo modo.

Gli altri lo guardarono speranzosi.

-         Non esiste un modo per accelerare lo smaltimento dell’adrenalina. – specificò il medico.

Gli sguardi, da speranzosi, divennero abbattuti.

-         Ne avrà ancora per un paio d’ore.

E da abbattuti, disperati.

-         …e allora Sanji gli fa “anche gli esseri umani sono animali!”, e BOOM!, lo fa saltare in aria, e lui che voleva far saltare in aria me, ben gli sta!

-         Bene, direi che abbiamo capito. – sospirò Nami – E adesso, che cosa hai intenzione di fare? A parte torturarci le orecchie con l’undicesimo racconto, ovvio.

-         Beh, naturalmente voglio salpare! – esclamò Flea – Se questa è la vita di un pirata, non ne avrò mai abbastanza! Ho deciso una volta per tutte. Prenderò il mare, alla ricerca di avventure!

-         Brava! – esclamò Luffy, applaudendo contento – Mi piaci, tu! Così si parla!

-         Sfiderò le onde e i pirati nemici! Combatterò contro la Marina! Cercherò tesori nascosti!

-         Ihihih! Sei fortissima! Vai così!

-         E infine, giungerò a Raftel, troverò One Piece e diventerò Regina dei Pirati!

-         QUESTO MAI, STREGA! – ruggì Luffy, con un improvviso mutamento di espressione, da “allegro buffone” a “maniaco omicida infuriato” – QUI C’E’ UN SOLO FUTURO RE DEI PIRATI, E QUELLO SONO IO!

Flea lo guardò incuriosita, senza scomporsi più di tanto.

-         Tu, Re dei Pirati? – chiese perplessa – Scusa, ma come pensi di fare? In questa battaglia non hai combinato praticamente niente. Non ho nemmeno capito se hai dei poteri o no.

-         Certo che ce li ho! Sono l’uomo di gomma, IO!

-         Ah, beh, allora… – Flea sorrise con tenerezza – E’ ovvio che io sono più forte di te. Lo sanno tutti che la gomma si ricava dagli alberi.

-         Ma che razza di ragionamento è? – chiese Zoro. Nami fece spallucce.

-         RE DEI PIRATI SARO’ IO! ARBUSTO RACHITICO!

-         REGINA DEI PIRATI SARO’ IO! PUPAZZO DA QUATTRO SOLDI!

Da un momento all’altro, dalle parole si passò ai pugni. Quelli di Luffy si schiantavano contro la salda corteccia di Flea; quelli di Flea affondavano nel corpo elastico di Luffy. Lo scontro procedette a lungo senza vincitori né vinti.

-         Sorprendente. – mormorò Usopp – Com’è che quella ragazzina timida e spaurita è diventata così violenta?

-         Mi sa che è un meccanismo di sfogo. – fece Nami, rassegnata – Dopo anni di repressione, la sua aggressività sta venendo fuori tutta in una volta. Troverà un suo equilibrio, prima o poi, vedrai.

-         Fermi, tutti e due! – Chopper si sbracciava disperatamente – Vi ho appena medicati! Siete feriti gravemente! Non potete! FERMATEVI!

Madera, in disparte, osservava soddisfatto la rissa. Finalmente qualche soddisfazione, pensò. Una ragazza che afferra senza paura un capitano pirata con una taglia di cento milioni di Beli sulla testa e gli morde una gamba solo perché hanno cominciato a litigare per una sciocchezza, quella sì che era sua figlia. Beh, magari poteva migliorare, ma comunque aveva fatto dei passi avanti.

Champagne si avvicinò al vecchio e gli bisbigliò all’orecchio:

-         Capitano, Rum, Gin e alcuni degli altri sono andati a prendere quella cosa. La portiamo qui?

-         Gnarr, sì, portatela. Visto il suo umore, gnarr, questo è il momento migliore per dargliela.

L’altro annuì e corse via ad eseguire l’ordine. Nel frattempo, vide Madera, la rissa si era calmata. Da qualche parte erano saltati fuori cibo e bevande; ora Luffy e Flea sedevano l’uno accanto all’altro e brindavano allegramente, del tutto dimentichi della baruffa di prima. Zoro scolava rum a boccali interi senza fare una piega, Usopp raccontava le proprie incredibili avventure, Chopper si era infilato le bacchette nel naso, Nami e Robin mangiavano più discretamente osservando il resto della ciurma, con sguardo l’una critico, l’altra sornione. Una scena che aveva qualcosa di familiare. Madera ricordò i banchetti sulla sua nave, ai tempi della vecchia vita. Pensò a quelli che avrebbe fatto Flea, in futuro. All’improvviso, in mezzo alla gioia di essere riuscito a convincere la figlia ad abbandonare la vita sull’isola e partire in mare, si intrufolò la consapevolezza che, probabilmente, non l’avrebbe più rivista. Ma non c’era nulla da fare. Come aveva detto la sera prima, in quel vicolo, era meglio così, meglio per tutti. Per tutti tranne che per lui. Ma quello che voleva lui non doveva importare, in quel frangente.

-         Forza, teste di calamaro! Forza! Tirate!

Da dietro un promontorio giunsero Champagne, Rum, Gin e una dozzina di altri, che con corde e funi trainavano lungo la costa un oggetto che galleggiava in mare. Finalmente erano arrivati.

-         Flea, gnarr, smettila di esaltarti! – esclamò Madera, correndo verso il luogo del festino – Sei sempre la solita cretina!

-         Uh? Che c’è, papà? Che ti prende adesso?

Prima di arrivare, Madera inciampò un paio di volte e travolse un povero gattino, probabilmente un disperso dell’esercito di Whip. Finalmente raggiunse la figlia.

-         Smettila, gnarr, di atteggiarti a grande pirata! Parli di salpare, salpare, ma non capisci niente, gnarr! A bordo di quale nave pensi di salpare, eh, gnarr?

-         La nostra, no? – disse Luffy – Abbiamo proprio bisogno di un carpentiere. Vieni con noi!

-         Neanche per sogno! – esclamò Flea – Te l’ho detto, ho delle ambizioni, io! Sono figlia di capitano, sarò capitano a mia volta!

-         E allora, gnarr, di che sarai capitano?

-         Beh… - la ragazza ci stette un po’ a pensare su – Insomma… non saprei…

-         Te lo dico io, gnarr! TU SARAI IL CAPITANO DI QUESTA!

E indicò la costa, dove, esausti, Champagne e gli altri avevano appena finito la loro sfacchinata. In mezzo al mare, proprio accanto alla Merry, galleggiava una nave di foggia incredibile. Era larga e bassa, come una chiatta, ma aveva grossi rinforzi a prua e a poppa. Al centro, al posto dell’usuale albero maestro, c’era una grossa torre cilindrica a cui era assicurata una vela quadra. Altre vele erano legate con le cime agli alberi secondari. Ma la cosa più insolita era il ponte: completamente rivestito di terriccio, ospitava un vero e proprio giardino in miniatura. Alberi e cespugli occupavano l’intera superficie. Il cassero di poppa e il castello di prua si affacciavano entrambi su quel campo.

-         Wow. – fece Flea, incapace di dire altro – E’… beh… fantastica.

-         Gnarr. Fantastica, certo. Non mi aspettavo comunque che tu cogliessi le finezze, gnarr, tecniche di un simile capolavoro. Questa è, gnarr, la prima Giardinave della storia della carpenteria! Una nave che può ospitare alberi e piante senza difficoltà. L’albero maestro, gnarr, in realtà è una replica in piccolo del desalinatore che stiamo costruendo qui a Eden, consente di produrre acqua per le esigenze dei marinai e della vegetazione. Questa è, gnarr, l’ottava meraviglia degli oceani! Gnarr! Ben più che “fantastica”!

-         Ti credo, papà. E com’è che l’avevi già costruita? – indagò la ragazza.

-         Era, gnarr, il tuo regalo. Gnarr, di compleanno, hai presente?

-         Oh. Vero. Beh, grazie.

Flea si avvicinò alla nave, esaminandola per bene. Certo che era grande, molto grande.

-         Ce la farò a governarla da sola, all’inizio? – chiese.

-         Da sola, signorina? Ma che dice? – intervenne Champagne – E’ chiaro che noi verremo con lei! Suo padre è il nostro capitano, ma se adesso acconsente…

-         Certo, gnarr, acconsento, acconsento.

-         …d’ora in poi il nostro capitano sarà lei! La ciurma dei “demoni dei mari” torna a solcare gli oceani! Io e gli altri ragazzi non vediamo l’ora!

-         Davvero? Farete questo per me? Lascerete l’isola e il lavoro di Giardinieri? – domandò Flea, felicemente sorpresa – Ma è meraviglioso! Allora possiamo salpare subito!

Champagne ridacchiò imbarazzato.

-         Beh, certo, lo facciamo per lei, signorina… ma c’è anche questa faccenduola… insomma, la gente del villaggio sarà mica contenta di quello che è successo al Giardino. – e indicò la metà dell’isola di Eden che, alle sue spalle, fumava ormai carbonizzata – Adesso sono impegnati a spegnere le fiamme, ma signorina, mi sa che fra poco cercheranno qualcuno con cui pigliarsela. Quindi forse è meglio che filiamo. Sennò va a finire che danno la colpa a noi, magari!

-         Ma la colpa è vostra, gnarr, bestie! – gridò Madera – E se vi linciassero farebbero solo un favore al genere umano. Selezione naturale, gnarr, l’avrebbe chiamata Whip.

-         Oh, beh, qualunque siano le motivazioni, il vostro è un gesto molto generoso. – rise Flea – Allora partiremo tutti insieme. Cominciamo a prepararci.

Flea e qualcun altro salirono sulla nave, per iniziare a conoscerla e decidere come sistemarsi per la partenza. Luffy e gli altri dell’equipaggio furono lieti di dare una mano. Solo Sanji, sempre in disparte, saltò nuovamente sulla Going Merry senza guardare nessuno.

-         Ehi, cuoco, che fai? Non saluti la tua amica? – gli gridò dietro Zoro.

-         Devo controllare le provviste della cambusa, capelli ad alga. O preferisci restare senza cibo in mezzo al mare? E comunque, ci siamo già salutati.

Si voltò un momento verso la Giardinave. Incrociò lo sguardo di Flea, che gli sorrise. Ricambiò velocemente il sorriso e, senza dire nulla, sparì sottocoperta.

 

-         Uahh. Meno male che il tempo è sereno! – esclamò all’improvviso Nami, stiracchiandosi – Non ce l’avrei fatta ad affrontare un’altra tempesta. Vado a farmi una doccia per rinfrescarmi.

Rientrò sottocoperta. Sanji, apatico, sembrava non averla nemmeno sentita. Se ne stava su una sedia sdraio, sul ponte, con un paio di occhiali da sole e una sigaretta spenta in bocca, a fissare il cielo. La nave dondolava leggermente spinta dalle onde, il vento era lieve e la navigazione procedeva perfettamente. Erano salpati ormai da alcune ore, ed Eden era sparita dalla loro vista. Pochi secondi dopo, Zoro uscì sul ponte.

-         Allora, hai intenzione di restare depresso ancora a lungo, cuoco?

-         Ma sta’ zitto.

-         Uh-uh. Il nostro cuoco che soffre le pene d’amore. E quale sarà il prossimo prodigio a cui assisteremo, un treno che cammina sul mare?

-         Ti ho detto di piantarla. Non sono in vena.

Senza dir nulla, Zoro si sedette, a gambe incrociate, accanto alla sdraio su cui stava Sanji. Posò le sue tre spade accanto a sé e si mise in posizione di meditazione.

-         Le passioni agitano l’animo umano e lo fanno soffrire. – cominciò a recitare – Sei sono i sensi dell’uomo: vista, udito, tatto, olfatto, gusto, pensiero. Tre sono i…

-         Dacci un taglio con ‘ste stronzate buddiste, ok? Quando fai il mistico sei peggio di quando sfotti.

Zoro tacque nuovamente.

-         Sai – disse alla fine – Una volta sono stato innamorato anch’io. Da bambino. Credo.

-         Non mi dire. – bofonchiò Sanji – E chi era la fortunata? Una katana?

-         No, una mia compagna di dojo. Brava. La detestavo, eppure mi piaceva combattere con lei.

-         Tipico. E com’è finita?

-         Lei è morta.

Stavolta, Sanji non rispose niente.

-         Per come la vedo io, innanzitutto c’è la tua strada. I tuoi obiettivi. Anche gli altri hanno una loro strada; e se ti capita che la tua strada corra parallela a quella di un’altra persona, beh, meglio. Non correrai da solo. Pensa a questa ciurma. Credi che le nostre strade saranno unite per sempre?

-         Non lo so. – disse l’altro – Non ci ho mai pensato.

-         Sicuramente no. Ognuno di noi segue i suoi obiettivi. E se questi ci portassero a separarci, in quel momento non dovremmo esitare a farlo.

-         Uh. E com’è che questa cosa dovrebbe consolarmi?

-         Voglio dire che se il tuo cammino non corre parallelo a quello di Flea, non puoi cambiare le cose. Se ci si forza a seguire il cammino di un altro, si trova solo infelicità.

-         Sei fatalista, spadaccino. – sbuffò Sanji, mettendosi in piedi – Pensavo che tu credessi nelle tue capacità e nella possibilità di cambiare le cose con la volontà.

-         Ci credo, infatti. L’unica cosa che non si può cambiare è la volontà di qualcun altro. Detta in quattro parole, dimenticala e vai avanti.

-         Facile a dirsi.

Sanji si appoggiò al parapetto e gettò lo sguardo sul mare. Lei, pensò, era da qualche parte là in mezzo. Ma tanto non l’avrebbe rivista più. Era impossibile. Questo senso di irrevocabilità, invece di acuire la sua sofferenza, la smorzò. Gliela fece affrontare in modo più sereno. Non l’avrebbe rivista, però lei c’era. Era una cosa che si poteva accettare. Dopotutto, aveva ragione Zoro, le cose vanno come devono andare.

-         Poi, se può servire a distrarti, – suggerì lo spadaccino, sempre in meditazione – poco fa mi è parso di capire che qualcuno è andato a farsi una doccia…

L’espressione di Sanji passò dalla malinconia alla sorpresa, per diventare infine la tipica faccia da porco impenitente. Si ricordò di quel piccolo foro che aveva scavato nella parete del bagno, proprio all’altezza giusta…

-         Grazie, Zoro! – gridò commosso, mentre rientrava in tutta fretta sottocoperta – Sei un vero amico!

Lo spadaccino sorrise e non rispose. Restò fermo, a meditare, con le sue spade accanto. L’istante successivo, tornò sul ponte Nami.

-         Accidenti. – disse seccata – Speravo di potermi fare una doccia, e invece è occupata da Chopper. Ma tu lo sapevi, Zoro?

Dall’interno della nave, spaventoso, si innalzò su tutto il mare un potentissimo urlo che trasportava insieme rabbia, sorpresa e profondo disgusto.

-         Sì. – rispose lo spadaccino – Scusami, mi sono dimenticato di dirtelo.

 

-         Ehi! Ma è ancora vivo, questo pezzo di merda?

-         Si direbbe di sì. Guarda, respira.

-         Ancora per poco, però.

-         Fermo, fermo, guarda: sta aprendo gli occhi.

Il viceammiraglio Whip si risvegliò a pancia all’aria, sdraiato su un suolo arido e duro. C’era come un puzzo di carne bruciata, nell’aria, e la luce era fortissima, fastidiosa. Tenne gli occhi socchiusi e vide, curvi su di lui, tanti visi poco allegri.

-         Buongiorno, signori. – iniziò – Potrei chiedervi dove mi trovo?

-         Ma ci prende per il culo? – esclamò uno dei visi.

-         Mi sa di no. Magari la botta di prima gli ha fatto perdere la memoria.

-         Lascia, che adesso gliela faccio tornare io.

Una manaccia afferrò per il bavero Whip e lo sollevò di forza. Un volto poco amichevole si piazzò a due centimetri esatti dal naso del poveraccio e cominciò a ringhiare:

-         Tu, lurido bastardo! Sei arrivato qui, ci hai distrutto le case, hai rapito il signor Madera, poi te ne sei andato nel Giardino, e non sappiamo bene cosa sia successo, fatto sta che adesso è distrutto pure quello, è andato in fumo. Ti è tornata la memoria, adesso? Spero di sì, perché cosi saprai esattamente la ragione per cui stiamo per tirarti il collo.

-         Oh, la prego, non sia… – balbettò Whip – …non sia così scorbutico… io non so…

-         Lasciatelo! Lasciatelo! I miei elettori non tollereranno certe barbarie! – intervenne una voce.

Un uomo pingue e con due gran baffoni si fece largo in tutta fretta attraverso la folla, fino a Whip.

-         Lasciatelo, vi dico! – insisté – Se davvero ha un’amnesia, sarebbe un’ingiustizia punirlo per qualcosa che non ricorda di aver fatto.

-         Oh. La ringrazio, signore. – mormorò riconoscente il viceammiraglio – Le sarò eternamente grato.

-         Anche se, devo ammettere – continuò l’altro – la perdita del Giardino è una vera sciagura…

Whip sentì la tristezza della gente intorno a lui. Sembrava che rimpiangessero qualcosa di caro. Lui non ricordava nulla di sé, ma sentiva di provare come un profondo affetto per tutte le creature viventi. Per gli animali e per gli uomini che, in fondo, sempre animali erano. Voleva aiutarli.

-         Scusate. – intervenne – Mi pare di capire che avete perso un qualche magnifico Giardino. Se il mio modesto aiuto può esservi gradito, che ne direste di rimpiazzarlo con uno Zoo?

 

Stanco, sempre più stanco, Paradosso volò per giorni e per notti nei cieli del Grande Blu, lasciandosi alle spalle Eden e quel pazzo di Whip. Si accorse, via via che si allontanava, che con il diminuire dell’influenza del potere del Frutto su di lui andavano svanendo pure tutte quelle capacità che dal viceammiraglio aveva innaturalmente imparato, prima tra tutte il raziocinio e la parola. Quando giunse finalmente in vista di un puntolino verde sull’oceano, un’ancora di salvezza, non era più diverso da un qualunque altro normalissimo pappagallo. Si lasciò cadere, esausto.

Piombò sul ponte della Giardinave proprio davanti ai piedi di Flea, che lo riconobbe sorpresa.

-         Ma guarda chi si rivede. Hai una bella faccia tosta a venire di nuovo da me.

-         Non so parlare. – starnazzò malamente l’uccello, sfinito.

Ridendo, la ragazza lo prese dolcemente e se lo adagiò sulla spalla. Ormai, non doveva più temerlo.

-         Sei perdonato. – gli sussurrò – Però non farlo più.

-         Signorina… ehm… capitano Flea! Capitano!

-         Sì, Champagne, cosa succede?

-         Guardi qui! Era nel giornale di stamattina! Terribile! Terribile!

Le porse un foglietto gialliccio. Flea lo afferrò e vide la propria foto, con la scritta “WANTED” e l’ammontare della taglia: cinque milioni di Beli.

-         Vedo. – commentò – In effetti, è un po’ bassina, ma non facciamone un dramma. Migliorerà.

-         Capitano! Ma che dice? La Marina non dovrebbe nemmeno conoscerla! E invece, guardi qui, sul giornale dice che considerano la sua ciurma colpevole dell’arrembaggio della “Walrus Pride”. Sembra che un informatore anonimo abbia dato questa notizia al Quartier Generale.

-         Hm. Sì. Mi sa che questo è un regalino di mio padre.

-         Cosa? Signorina, suo padre non farebbe mai…

-         Fidati, è un’idea sua. Una sorta di assicurazione sulla mia partenza. Con una taglia sulla testa, anche se mi prendesse un attimo di esitazione non potrei certo tornare a casa. Ormai si va fino in fondo. E poi, così, Eden non rischia di essere visitata da altri investigatori del genere di Whip. Due piccioni con una fava, no?

-         Mah. Se lo dice lei, signorina, cioè, capitano. A me non sembra una cosa bella da farsi.

-         Occupati della rotta, Champagne. Questo – e sventolò il manifestino – me lo appendo in camera mia. La foto mi piace, sono venuta bene.

-         Agli ordini, capitano.

Mentre Champagne andava a mettersi al timone, Flea si appoggiò al parapetto della nave, a guardare il mare. Quando suo padre glielo descriveva, da bambina, se n’era sempre fatta un’immagine paurosa: un luogo freddo e violento, pieno di tempeste, di mostri, così vasto e solitario da essere disperante. Ma non lo era affatto. Era accogliente, invece. Di fronte al mare, Flea scoprì di riuscire a sentirsi più serena di quanto non le fosse mai successo in vita sua. Anche la taglia, e la gente che da ora in poi le avrebbe dato la caccia, perdevano completamente importanza. E’ questo essere un pirata, pensò. Io sono un pirata. Noi siamo i pirati. Viviamo qui, questa è la nostra casa. Il mare non è un nemico, per noi, è una coperta che ci avvolge e ci nasconde, è una notte in cui sparire, un’aria da respirare, un terreno libero da montagne e altri ostacoli su cui tracciare la nostra strada in assoluta libertà. Legarsi alla terra è sciocco e limitante, quando si può avere così tanto spazio. E ci cerchino pure, i governativi e gli ufficiali, quella gente che capisce solo cravatte e cartacce, quanto aveva ragione mio padre. Ci cerchino, se lo desiderano. Tanto, loro hanno navi da guerra, quartier generali, prigioni sottomarine, isole giudiziarie, palazzi, cannoni, corazzate, fortezze e, a volte, anche tartarughe giganti: ma noi abbiamo il mare.

E finché avremo il mare, non potranno mai prenderci tutti.

 

E’ chiaro che il pensiero da’ fastidio,

anche se chi pensa è muto come un pesce, anzi è un pesce,

e come pesce è difficile da bloccare,

perché lo protegge il mare.

Come è profondo il mare…

 

“Come è profondo il mare”, Lucio Dalla (celebre pirata bolognese)

 

FINE

 

INIZIO

 

 

 

E così si conclude finalmente la storia di Flea e delle sue “radici” XD!  Scusate i ritardi nell'aggiornamento, ma ho avuto una sfilza di problemi col PC, un sacco di cose da fare all'università, poi sono stato impegnato con l'altra fic che sto pubblicando in questo momento e, insomma, ho finito per metterci più del previsto. Spero che questa conclusione vi sia piaciuta, anche se all'insegna del più classico “tutto è bene ciò che finisce bene”. Ma non potevo certo concluderla altrimenti, questa storia XD. Passo a saluti e risposte; forse fra qualche giorno aggiornerò un'ultima volta per rispondere agli ultimi commenti.

 

X Senboo: ben guarita! Sbaglio o è la seconda volta che ti ammali da quando ho cominciato a postare 'Radici'? Spero di non essere io a portare sfiga XD. Su Madera sei stata accontentata. Alla fine non ho avuto cuore di far morire nemmeno Whip (appunto: Oda style). E Bianchina, hai ragione, ho controllato, è proprio lei, la cara amica di Mister Meraviglia. Grazie per avermelo ricordato!

 

X Slits: sulla filosofia di Oda ci vorrei scrivere un libro XD. Al di là dell'apparenza superficiale di One Piece come 'fumetto', addirittura dall'aspetto più infantile di altri manga, c'è un pensiero molto interessante e originale. La fede nei sogni, l'importanza della libertà (è quello che ho voluto esprimere anche in questo capitolo, soprattutto nel dialogo tra Sanji e Zoro: i legami che privano della libertà sono negativi, perchè alla fine portano le due persone che si sono legate a odiarsi),  la necessità di riuscire sempre a “pensare in grande”, con l'ambizione (lo 'haki') che costituisce la vera forza di chi la possiede. E' questa la ragione che mi fa amare One Piece più di ogni altro manga. Comunque, grazie per i complimenti, e sono felice che la scena di Zoro vs. Sylvia sia quella che hai apprezzato di più – era anche la mia preferita XD. Curiosità: ma il tuo 'personaggio preferito' di cui parli è Sanji, Flea o magari Whip?

 

Grazie anche a Smemo92 e a chi ha letto e non recensito! Ciao a tutti, alla prossima storia!

 

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Capitolo 11
*** Ringraziamenti ***


Finalmente l’annunciata paginetta di ringraziamenti e saluti finali… vengo subito al dunque:

Finalmente l’annunciata paginetta di ringraziamenti e saluti finali… vengo subito al dunque:

 

X Smemo92: è stato difficile anche per me infliggere quel colpo al povero Sanji XD. Ma bisognava che la ciurma tornasse alla vita di sempre… poi nella vicenda di Flea c’è anche una piccola componente autobiografica… XD

 

X Slits: ok, su Oda adesso meglio che non cominci nemmeno sennò non finisco più davvero XD. Non devi preoccuparti certo per la recensione chilometrica, primo perché nelle recensioni mi piace avere di che leggere, secondo perché nel caso specifico di One Piece è praticamente inevitabile che noi fan sfegatati ci si dilunghi un po’… è la passione, tutto qua XD. Comunque sì, leggo gli spoiler, hai ragione su Nami e Hachi (io temevo molto peggio, all’inizio… alla fin fine, credo che il senso vero della vicenda sia che, ora che Nami è felice nella propria condizione, può guardare anche al passato con più serenità. Non è tanto una filosofia del perdono in senso assoluto, quanto del “non portare rancore”. Il che mi trova perfettamente d’accordo: legarsi i torti al dito serve solo a rosicare e a peggiorarsi la vita). Riguardo al mio personaggio preferito: se parliamo dei personaggi del manga, un tempo era Zoro, oggi devo dire che sono diventato un fan di Sanji anch’io XD. Anche se One Piece è l’unico manga in cui alla fin fine non ci sono personaggi che odio o che mi stanno sui nervi, quindi scegliere è difficile. Mi piace molto anche Usopp, specie dopo il suo scontro con Luffy su Water 7, quando ha mostrato di avere anche lui unghie da tirar fuori, se vuole. La sua crescita la trovo una delle cose più interessanti del manga. E poi Nico Robin con il suo fascino dark… lei e Sanji fanno una coppia formidabile, vorrei scrivere una fic solo su loro due.

All’interno di questa fic, comunque, alla fin fine il personaggio preferito per me è Flea, perché le ho dedicato così tanta attenzione che non potevo non affezionarmici. Insomma, come si fa a resisterle? E’ così adorabile… XD

 

X Senboo: ma dici davvero su Zoro? Non la sapevo ‘sta storia… comunque non credo di aver realmente fatto nulla che contraddica il pensiero del Maestro XD. Alla fin fine, Zoro all’epoca era ancora bambino e quell’innamoramento era qualcosa di abbastanza platonico. E poi Kuina era anche un po’ maschiaccio XD. Dopotutto, l’ultima discussione che fanno comincia proprio con lei che si lamenta del proprio destino di donna.

 

D’accordo, grazie ancora a tutti e saluti! Non credo di tornare a scrivere tanto presto sul fandom di One Piece (anzi, non credo di tornare a scrivere tanto presto punto e basta… con tutto il lavoro che ho in questo momento con l’università…), ma comunque… ci vediamo! Ciao!

 

(Saluta mettendosi di spalle e alzando al cielo il braccio destro su cui è disegnata una crocetta nera… i veri nakama capiranno… XD)

 

 

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