Green Man

di CrisBo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Un luogo per tutti ***
Capitolo 2: *** 2. Ogni sera ***
Capitolo 3: *** Un grande respiro prima del balzo ***
Capitolo 4: *** 4. Come un giorno normale ***
Capitolo 5: *** 5. Amori vecchi e amori nuovi ***
Capitolo 6: *** 6. Obbligo o verità? ***
Capitolo 7: *** 7. Preparazioni ***
Capitolo 8: *** 8. Marina Ventina ***
Capitolo 9: *** 9. Qualcosa sta cambiando ***
Capitolo 10: *** 10. Non tutto è un male ***
Capitolo 11: *** 11. Le mie romanticherie ***
Capitolo 12: *** 12. Che abbia inizio ***
Capitolo 13: *** 13. Cheers! ***
Capitolo 14: *** 14. Uccidi la balena bianca ***
Capitolo 15: *** 15. La felicità è silenziosa ***



Capitolo 1
*** 1. Un luogo per tutti ***


Capitolo 1.
Un luogo per tutti



Niente odora di caciotta e umidità come il bancone del Green Man.

È oblungo, scuro e coperto da crepe e cicatrici informe di sigarette e sigari abbrustoliti. Colpa dei passanti che ci hanno riversato sopra lacrime e risate, grida e lamenti, chi per una partita del Manchester finita male e chi per una donna fatale senz'anima. Quanti bicchieri di whiskey e amaretto consumati, rotti e martoriati, quante storie hanno avvolto il legno composto e un po' rustico di quel locale casalingo. Se ogni uomo ha una sua storia allora il Green Man – che di uomo ha almeno il nome – ne ha contate più di diecimila.

È un locale solitario che si erge in una zona residenziale, lontano dallo smog cittadino e dal fracasso dei sabati pomeriggi di shopping.
È appisolato davanti ad un bosco di funghi e cervi, richiamando qualche autobus rosso e le macchine dei lavoranti frettolosi.
Molti passano e molti vanno, ma chi rimane lo fa per sempre.

Ne ha viste più lui di cose che il talk-show televisivo di Barbie Kenna, la regina di tutte le tragedie umanitarie. Non sono una grande fan di Barbie Kenna, preferisco i programmi di Balù Balsamo – chiamato così per quell'apparente retrogusto di cocco e sudore che sono convinta si porti dietro – che si diverte e a far esplodere barili di cianfrusaglie per far divertire i bambini davanti alla televisione.

Amo le cose che esplodono, ma giuro che non sono una piromane. 
Molte volte ho provato a immaginare che tipo di fiamma avrebbe potuto creare un'esplosione di tutti i sandwich alla cipolla di Locke, con tutta quella patina di prodotti chimici che rendono quel formaggio così arancione.

Locke odia quando parlo così del suo pranzo e ogni volta, durante il suo break, si rintana nel suo ufficio grigio e marrone e si ingobbisce davanti alle sue sitcom americane.
Quella povera anima pia che vuole salvarlo dall'ingerire i prodotti vegetariani di Sainsbury's sono io.

Mi chiamo Grace e sono una parte integrante dello staff lavorativo di questo locale. Mi piace farmi chiamare First Supervisor Consultant quando parlo nei miei raduni di barman, ma diciamo che io sono quella che fa ubriacare la gente e li infagotta di piadine ripiene e piatti oleosi. Questo posto, oltre un'allegra compagnia di gente abituale, offre anche una varietà di cibi iper-calorici, che se per sbaglio ti spari due piatti di peperonata finisce che ti pianti sulla sedia per due giorni e non ti alzi più.

Molte volte sono stati avvistati, con occhiali da sole e cappelloni russi anche attori, o gente famosa televisiva da queste parti.
Avevamo un calendario per tali eventi; lo chiamavamo “Make my famous”, anche se non ero sicura che avesse un vero significato.
Abbiamo avuto Gionni Solo, vecchio cantante di cetra del sud della Scozia.
Bertuccio il panettiere del lievito nella commedia “Dammene un altro”
Frank Stozzi, famoso per la sua prestanza fisica nelle soap-opera italo-americane.
E infine uno che assomigliava moltissimo a George Clooney, quindi lo abbiamo dato per buono.

Ma mentre le fanciulle profumate aspettavano il loro Johnny Depp o il loro Michael Fassbender, io ero in fremito per una sola e unica giunta che ancora non mi aveva deliziato con la sua presenza: Simon Pegg.

Penny, la mia migliore amica, mi chiedeva spesso cosa ci trovassi in quello strano smilzo rossiccio inglese dall'aria un po' troppo british. La verità è che non lo so neanche io, è stato un amore platonico a prima vista. L'apparenza di un uomo colto, dall'aria un po' da bibliotecario nerd, simpatico e permaloso.

Molti la chiamano “assuefazione da Big Bang Theory”, io lo chiamo semplicemente “il muscolo non mi piace quindi mi sono adattata”.
Ho aspettato con impazienza l'apertura della porta e la sua entrata con aria un po' assorta e spavalda ma non sono mai stata fortunata.
Ma un giorno ho potuto conoscere un sosia molto sosia di John Cho; un poco sorridente cassiere del market-Snaps. Sono stata l'unica che ha salutato mentre ero in coda, e questo me lo porto dietro come una vittoria personale. Un autografo o un sorriso che non ho mai avuto.
Che non sia una grande fan del sosia di John Cho poco importa, in questi casi non c'è da fare gli schizzinosi.

Un altro mio impavido amico che mi accompagna in questo percorso di vita è un tale Alex, il mio socio in affari nella zona del bar. È un ragazzo scaltro, piacente e simpatico; è riuscito a dar fuoco a dieci shots di rum, a far roteare sette bottiglie di vino e a baciare la più brutta della festa. È uno di quei tipi di cui ti ricordi, nel bene e nel male, anche per via del suo impeccabile sorriso dietro la più ardua e focosa irritazione che sopraggiunge quando vede la sua Pollonia immersa in un tête-à-tête con un bel giovane adescatore.
Pollonia non è altro che Penny, la mia pettegola e bellissima amica di malefatte.

C'è da dire che tutti amano Pollonia, ma Pollonia non ama nessuno.

Lei ama provare l'ebrezza del piacere fisico e poi ognuno a casa propria, il giorno dopo. È una filosofia di vita che condivido, nonostante non sia brava come lei a esorcizzare ogni senso di colpa quando li abbandona alle fermate dell'underground come piagnucolanti cuccioli d'uomo. L'unico corteggiatore a cui riserva un trattamento speciale è proprio Alex.

Non ha mai condiviso il suo sentimento amoroso ma almeno non ha mai tentato di strappargli il cuore dal petto e ucciderlo con una tacchettata di troppo.

Il nostro amato Cole, che altro non è che Locke. Il nostro Orso Bruno. La nostra pantera nera. Il guru della Montagna. Il pisolo della coperta. Insomma, è il nostro Manager. Colui che vede e provvede, e alle volte pure sclera intonando le più colorite terminazioni blasfeme per via della sua anima un po' stressata dai clienti esigenti. È un grande fan dei Led Zeppelin ma si rifiuta di farli passare in sottofondo mentre si destreggia nel spillare le sue amate birre del cuore.

Non conosco il vero motivo, ma credo che sia una vendetta personale verso di me.

Il fatto è che durante il mio primo colloquio, quindi ben cinque anni orsono, ho citato nella mia poca scaltrezza il fatto che assomigliasse a Locke di Lost.
Lui odia Lost e, per mia sfortuna, da allora non c'è nessuno che non ha preso a chiamarlo così.

Questo disastroso fatto mi è costato caro; ha deciso di evitare qualsiasi piacevole meditazione musicale nel pub durante i miei turni. Sono graziata nelle serate importanti o durante i concerti di musica live del Belgo con la sua band Indie-rock “La Zattera Bruciata”.

Sono molto amante della musica rock e di tutti i generi che fioriscono da questa radice, anche se ho periodi musicali come Picasso con la sua pittura, e spazio da Bach a “Quattro giovani al bar” di Pinna Svelta – un guru delle canzoni sulle sbronze - quando sono immersa nel lavaggio dei piatti. Questa insana passione a crearmi una colonna sonora solitaria mi ha portato a trovare conforto in uno strano hobby che nessuno mi condivide.

Vicino alle radici del Wimbledon Park si erge una zona un po' nascosta, dietro il camioncino del gelato e una pittoresca esposizione di bidoni colorati della differenziata.

Gli autisti delusi dall'acquisto di un cd musicale si divertono a lanciarli fuori dal finestrino, incuranti di distruggere crani con musica scadente.
A costo zero e nuovi di zecca si può trovare la classifica delle peggiori canzoni mai cantate: musiche strozzate, cantanti biascicanti, arpeggi d'oca, cori di faine e complessi da far regredire la durata della vita. Mi piace andare lì e scegliere la mia musica, sono riuscita a finire un intero CD di Lorella la Pazzerella almeno due volte, una giovanissima ragazzina dai capelli arancioni che parla del perché il ragazzo liceale non la guarda nonostante si sia rifatta le tette.

I testi sono un accumulo di urletti, di “Uuuh baby love me” e “Tell me why you find me ugly”; ha una voce un po' da topo con problemi alla tiroide, ma d'altronde durante l'adolescenza siamo state tutte un po' così.

Alle volte ho portato questo mio vizio al Green Man ma Locke mi ha minacciato di farmi trovare tramezzini di gamberi gialli ad ogni pranzo e così ho smesso. Ma in segreto, grazie all'aiuto di Alex che controllava se l'Orso era in agguato, ho donato al mio Green Man un po' di suono, inserendo qualche traccia solitaria. Questo locale che racchiude i più ebbri e profondi segreti del cuore ha bisogno di una sua melodia e un giorno avrei trovato quella giusta; solo per lui.

Oltre questo, posso considerarmi una grande amante delle cose da nerd, anche se non mi considero una Sheldon Cooper.
Fumetti, film, libri, telefilm e giochi di ruolo.
Alcuni mi chiamano “Mosca Bianca” ma adesso ci stiamo espandendo; conosco ben altre tre ragazze con le mie stesse passioni, e sto convertendo anche Penny al lato oscuro della forza.

Il giorno in cui la mia vita ebbe una svolta totale significativa, ovviamente, pioveva.

Non è vero che i colli inglesi sono sempre zuppi d'acqua di pioggia, ma diciamo che siamo costretti a vestirci come l'omino Micheline se intendiamo donare al mondo la nostra presenza. Il clima cambia rapidamente, il vento si porta via le nuvole e ci regala il sole, e poi ci riporta le nuvole che sia mai che ci mancano.

Il locale, quel giorno, era completamente vuoto.
Vedevo Penny rubare l'ultima patatina fritta dal piatto e Alex gironzolarle intorno come una lepre silenziosa.

So che lei era in fremito di darmi una notizia succulenta, di solito ci sono due indizi essenziali che non cambiano mai; i capelli in ordine – segno che era stata dalla parrucchiera di recente – e ordinare sempre patatine fritte per festeggiare la sua dose di sapienza.
Penny è famosa per essere una rubrica delle più hard e pompose notizie che riguardano il mondo dello spettacolo, teatro, cinema, e del quartiere. Non c'è nulla che lei non sappia; è così che ho scoperto di aver avuto un flirt con Russò, un ragazzo di origini francese, senza che nemmeno io sapessi di averlo avuto.

Vedo che ha la gambetta che le trema e gli occhi chiari e vispi da gatta.
Mentre pulivo con ardore un boccale di birra feci il prima passo.

«Spara.»
«Alcuni attori di quel film che piace tanto a te sono immersi in un'opera teatrale; pare che alcuni di loro alloggiano nelle vicinanze.»
«Ah-ah?.» Feci io, continuando quella rifinita pulizia del boccale.
«Magari è la volta buona che giunge il tuo inglesotto.»
«Aspetta e spera; Grace ha i sintomi della sfiga.» Disse Alex, facendo un verso.
Evitai di lanciare il bicchiere in testa ad Alex solo per non ucciderlo, ma la tentazione fu tanta.
«Cuor mio fatti capanna, sono speranzosa.» Dissi con impeto.
Lo ero in ogni modo, anche se la maggior parte delle volte entravano uomini bitorzoli o donne vertiginose.
«Ma io spero che arrivi quel gran tocco di manzo di Richard Armitage.»
Fu in quel momento che mi bloccai, restando a guardare Pollonia con aria da pesce. Una delle mie arie migliori quando vengo presa alla sprovvista.
«Mi ripeti, un attimo, di che film parli?»
«Lo Hobbit, grilla. Se ci scappa Martin Freeman magari si porta l'amico, così io mi rifaccio gli occhi e tu ti prepari per le nozze.»
Penny scherza sempre. Io avevo smesso di pulire il boccale perché avevo le mani poco prensili in quel momento.
Era cosa nota che io avessi una particolare predilezione per ogni elemento basato sui romanzi di Tolkien. Non che fosse l'unico “genere” di sostanza nerd-iana che io amassi quanto la cioccolata fondente, ma Tolkien era il mio preferito. E lo sapevano tutti, anche i muri.

Nei miei pomeriggi di avventure, mentre portavo il mio bavoso Walter a fare le sue gettate di demarcazione, mi perdevo tra le fronde irsute degli alberi del Parco sperando di imbattermi in qualche piccolo hobbit della Contea. Magari in Sam.
Lui e i suoi tuberi.
Per fortuna Walter non mi ha mai giudicato per questo. Non lui perlomeno.

Lui è il mio cane, un incrocio tra un american bulldog e qualcos'altro di poco definito. È un po' tozzo ma maculato e sbava quanto un giaguaro alla vista del cibo. Ha un modo tutto suo per comunicare con me e ama seguirmi a lavoro, troneggiando su uno sgabellino di legno che Locke ha comprato giusto per lui. Se ne sta lì a fissare i clienti e sbuffa, di tanto in tanto, pensando quanto sia stancante stare seduti tutto il giorno. Non ha molta flemma, rispetto a me, ma ci sono giorni in cui la luna gli gira bene e vuole andare a scoprire nuovi mondi.

«Martin Freeman.» Ripeto.
«Sì.»
«Richard Armitage.» Ripeto con il medesimo tono.
«Oh, magari.» Sospirò lei, già con le ciglia ballerine.
Fu in quel momento che la porta del Green Man intonò la sua scampanellata d'invito e tutti ci voltammo verso questo col cuore in subbuglio.
A Penny sfuggì un rantolo di delusione; un debole sbuffo che le faceva sventolare il ciuffo rosso da davanti al volto.
Ad Alex partì una parolaccia in cui c'entravano due cocorite e un cammello sputacchioso.
Io ero riuscita a non far partire il boccale dalle mani uccidendo i nuovi giunti, ma bastava lo sguardo a dare adito ai miei pensieri.
Non era il mio bel rampollo dai capelli rossicci venuto a salvarmi dalla realtà quotidiana, ma due uomini.
Uno era molto alto, magro e dall'aspetto un po' troppo composto: indossava un cardigan verde mela da cui spuntava una camicia a quadri. Aveva i capelli ingrigiti e spettinati, un po' di barba sul volto e due occhi scuri che – sfortunatamente per il mio cuore – conoscevo molto bene.
L'altro era molto più giovane, biondo, pettinato e dall'aspetto piacente. Era una sorta di Alex però più fascinoso. Indossava una t-shirt nera, coperto da una giacca verde militare. Una di quelle che vanno tanto di moda adesso, solo che lui non aveva il pelo sul cappuccio e quindi gli stava bene.
«Salve.»
Entrambi ci salutarono con un sorriso e il mio cuore fece una piroetta nel petto, distruggendomi ogni capacità di interloquire.
Davanti a me c'erano James Nesbitt e Dean O' Gorman.


 


 


 


 


 


 

 

 

 

 

 

NA.
Buongiorno a tutti :)
Spero che questa intro vi piaccia o che vi stimoli qualcosa (spero qualcosa di positivo e non cose...ecco sì v.v). Voglio subito premettere una cosa: non prendetemi sul serio. So che è una di quelle storie già lette, stra-lette, rilette e super lette. Volevo togliermi questo sfizio e scrivere qualcosa anche io a riguardo e, per discostarmi un po', gestirò la storia in maniera un po' particolare. Spero solo che vi piaccia e che vi faccia divertire, in realtà, perché il mio intento è quello :) quindi perdonatemi se leggerete cose nosense, se la troverete un po' irreale e un po' troppo “fiabesca” per essere considerata seria. Non ho idea di che tipo di carattere abbiano gli attori quindi andrò molto a "ispirazione personale" e spero di non offendere nessuno in questo. Ah, ho messo il rating arancione perché - effettivamente - non ho idea di che cosa uscirà e quindi mi paro già le mani. Nel caso cambierò una volta finita la storia :) E niente, grazie se siete arrivate fin qui, per me vuol dire già tanto.
A presto, un saluto a tutti.

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Capitolo 2
*** 2. Ogni sera ***


Capitolo 2.
Ogni sera

 

Non ero del tutto convinta di star vedendo proprio ciò che i miei occhi stavano vedendo.

Di solito, nella mia testa, gli eventi di tale portata si svolgono in maniera molto più pirotecnica. Mi immagino fuochi d'artificio, spruzzi di scintille, prosecchi che vengono infranti, cappellini impazziti e qualche canzone adatta per l'occasione.

Credo che in questa ci potesse stare bene “Sex Bomb” di Tom Jones, il mio amato Sir del Galles. Non so perché ma, le entrate in scena, le rivedevo nella mia testa con una musica di sottofondo.

Peccato che la mattina avessi ascoltato la traccia di uno dei miei particolari CD brutti e mi ronzava in testa solamente “Bruciami il menestrello” di Pernicotta, il pizzaiolo che ha sempre voluto fare il cantante ma che nella vita ha trovato la sua strada tra il pomodoro e il parmigiano.

Per nostra fortuna non venimmo invasi subito da una flotta di urlanti ragazzine fluenti proprio dietro di loro. Era capitato, in passato, che ci fossimo ritrovati immersi tra scatti flashanti, selfie imbizzarriti e autografi negli scolli del seno. E quello era solo il sosia di George Clooney.

Almeno loro sembravano due persone normali. Ma avevo già visto Pollonia immergersi nella sua classica postura da “questa volta mi accontento” ed ero convinta avesse già puntato il biondo Dean.

I miei occhi erano, però, verso l'altro tizio che già s'era impuntato contro il bancone e ci fissava con aria un po' seriosa e un po' sorridente.

«Tutto bene ragazzi?»

Eh no che non va bene, caro James, perché ho il cuore impazzito che sta facendo harakiri e penso di aver assimilato una lingua che è inquietantemente simile al Shyriiwook, la lingua degli Wookie. Quindi nella mia testa si affollavvano latrati, grugniti e ululati che non avevano nessun tipo di senso.

Forse stavo dicendo “Va tutto bene, molte grazie. Volete qualcosa da bere?

Ma ero più che sicura che stessi dicendo qualcosa come “Porca vacca d'una gianduia storta!” ma in fondo chi ne poteva essere sicuro?
Alex era già in modalità gelosa andante e guardava Dean con occhi di fuoco. Per fortuna lui non lo notò; Alex assomigliava ad un lemure quando si prodigava in quegli sguardi.

«Va tutto bene, grazie. Volete qualcosa da bere?»
Alla fine ce la feci e abbozzai un sorriso che mi stava su per miracolo mentre i miei occhi continuavano a restare incollati a James Nesbitt.
Dannazione se reagivo così per Bofur e Fili, non osavo immaginare per il mio vero e unico amore attoriale.
«Due stout grazie. C'è Cole?»
Ah, tormentosa natura, infausto destino, delizioso incanto, vai a vedere che il mio Manager dai sandwich chimici e le sit-com, ancora in lutto per la morte di Bonzo, è amico di questo fascinoso e sorridente irlandese.

Nella mia testa cominciò a suonare “Il mio cuore fa zump-zamp” del gruppo nordico dei Chelly-Shelly.

«Sta rispondendo ad alcune e-mail ma viene giù subito. Intanto possiamo – mh – offrirvi anche la specialità della casa. Oggi ci sono le “Piadine Last Night”, sia per carnivori che per vegani, così i salutisti sono contenti.»
Pollonia strizzò un occhio e rubò un sorriso a Dean che la guardò con aria pacata.
Alex, che stava spillando due boccali, per poco non fece un disastro atomico.
«Il vecchio ha tenuto su molto bene questo posto, me lo ricordo agli esordi.»
«Sì, James, non dovresti vantarti della tua vecchiaia.» Lo schernì Dean.
«Stai zitto, che sei un finto giovane.»
Tutti e tre li osservavamo con aria un po' stupida e un po' concentrata. Io stavo fingendo di pulire il bancone perché stare ferma non ci riuscivo. Pollonia era seduta oltre il bancone e sorrideva splendente e Alex aveva servito i due, anche se aveva sbattuto con troppa veemenza il boccale davanti al naso di Dean.

Entrambi però sorrisero e fecero scoccare i boccali con un cheers vigoroso e poi giù a bere.
Il fatto che fosse passato mezzogiorno da circa un'ora non era importante.

Non ero sicura di dover far sapere loro che io sapevo chi loro fossero, se pensavo al da farsi venivo bloccata da un senso di smarrimento, misto ad una tamburata epocale nel petto che – di solito – mi coglieva poco prima di fare qualcosa di incredibilmente stupido.

Dean era molto più bello visto dal vivo. Nonostante le fattezze un po' troppo impostate, il suo sguardo emanava sicurezza e determinazione. Un po' come i cuccioli non svezzati di Labrador, che zampettano e inciampano perché non sono capaci. Ma era la sua voce il lato che più mi piaceva di lui. Era calda e fluida, un po' sibilante in alcuni punti e amichevole.

Capivo il motivo dell'ossessione di alcune ragazze nei suoi confronti.
Ma io ero per un magnetismo diverso.

James non era bello, non per i canoni standard di bellezza (che io boicottavo perché due tette e due muscoli può averceli pure il panettiere giù all'angolo ma se non hai il fascino di portarli, allora non servono a niente) ma aveva l'aria di uno sicuro di sé. Un po' pragmatico e ironico, di quelli pungenti e sottili. Aveva lo sguardo furbo e quel dannato sorriso che proprio mi ammaliava.

Sapevo che Pollonia sapeva. Lei mi guarda e capisce sempre tutto.
«Siete arrivati da poco?»
«Due giorni fa. Siamo qui per uno spettacolo teatrale di un nostro amico, staremo per qualche settimana e poi ci sposteremo a nord.»
Ed ecco che cominciava il classico questionario di Penny.
Lo faceva per marcare il territorio, studiare la preda, osservare con discrezione e attaccare solo nel momento giusto. Era una tattica che le riusciva sempre.
«Che spettacolo è?»
«”Quattro amici e un pallone”.»
«Di cosa parla?»
«Di quattro amici che vogliono diventare professionisti del football ma uno di loro ha un incidente e, per curarlo, fanno un sacco di sacrifici. In pratica però-»
«Non dirmi il finale, magari lo vedo.»
Dean le sorrise e lei fece altrettanto. Era una gatta ammaliatrice, anche James ne era rimasto affascinato. Alex stava strozzando le forchette e le posate che stava asciugando; i vapori non uscivano solo dalla lavastoviglie.
«E chi sarebbe questo amico?»
Penny già stava sfarfallando le ciglia quando, da dietro l'arco che separava la sala principale dall'area per fumatori, per i giocatori di biliardo e per il tiro a freccette, apparvero Cole con Walter. Il mio botolo bavoso stava facendo scodinzolare la coda per aria e aveva già la lingua di fuori per salutare i nuovi clienti del posto.
Cole sgranò gli occhi e allargò le braccia.
«Non ci credo.»

Qua non ci credeva nessuno.

«Stupido ubriacone da quattro soldi, ma allora sei venuto sul serio.»
Vidi James alzarsi dalla sedia per avventarsi su Cole e abbracciarlo stretto, dandosi vigorose pacche da “siamo uomini quindi l'affetto ce lo diamo a manate”.
«Sono venuto sì, volevo vedere quanto eri diventato brutto.»
«Ma fottiti, razza di nano.»
Intanto Dean e il mio cane si erano trovati e ora Walter stava sbavando litri di saliva sulla faccia linda del povero attore neozelandese. Pollonia già si stava mordendo il labbro inferiore e Alex aveva smesso di parlare, nonostante sorridesse da psicopatico.

Io ero impigliata in due situazioni divergenti: da una parte controllavo che il mio cane non venisse rapito dal biondo (era una strana fobia che mi portavo dietro) e dall'altra ero attenta come una lepre a ciò che si stavano dicendo i due vecchi amici di bevute.

Era strano constatare che Locke e James erano sì simili ma estremamente diversi.
Locke era pelato, prima di tutto.

«I miei pulcini hanno fatto i signori di casa?»
«Sì, ci hanno offerto un'ottima birra. Sapevo che avevi la Stout, ma sto ancora aspettando la Harp Lager.»
«Non stai parlando con un dilettante, vecchio scorfano. Vieni che ti mostro.»
E Locke lo portò nel retro bancone nel mostrargli una sfilza di birre alla spina che neanche il barman ufficiale della Regina poteva vantare. Locke aveva una smisurata sapienza nei confronti della birra. Ne produceva quanto ne beveva e sapeva delineare ogni retrogusto di ciascuna di essa e saperti indirizzare il tipo di pietanza adatta.

Un somelière del luppolo

«Per il potere di Grayskull.» James piantò una mano sulla spalla di Locke.
«E ho anche i vini.»
Io, nel frattempo, avevo lasciato Penny agli sguardi focosi con Dean e mi ero immersa dietro al bancone con Alex. Sentivo la sua aura malvagia come Junior la sente di qualsiasi nemico e lo avevo lasciato alla sua pulizia, mentre osservavo di sottecchi Locke e James.

L'esclamazione su Greyskull (He-man per quelli che non se lo stavano chiedendo) mi aveva fatto riflettere.
Si da il caso che nel secondo film della trilogia del Cornetto, dove il mio amato Simon Pegg impersona un agente di polizia di una cittadina di campagna, questa esclamazione viene detta per ben due volte.

Non poteva essere un caso.

«Una delle sue migliori è la Founders. Io la proverei.»
Ce la feci, mi immersi nella conversazione, elogiando la birra di Locke come non avevo mai fatto in tutti quegli anni. Locke lo notò e per poco non si strozzò con la saliva e James si voltò e mi sorrise.
Non deve più farmi questi agguati.
«Con pesce affumicato poi, è perfetta.» Aggiunsi.
«Mi sa che la provo, oggi mi aspetta una bella scarpinata. Non è un disturbo vero?»
«Mhnr.»
No, niente Wookie Grace.
«Eh già, con tutti questi clienti.» Locke mi diede una mano e io feci finta di aver bloccato uno starnuto sul nascere.
«Ma dove sono? Non è che te li sei mangiati tutti?» James gli diede una manata sulla pancia e io mi misi a ridere.
Non è saggio ridere del proprio Manager ma lui non mi metteva la musica, questo era più ingiusto.

Locke si defilò per preparare il pranzo, confermando che Dean avrebbe preso lo stesso, prima di lasciarci in balia dei due attori. Dean continuava a giocare con la palla di pelo, Walter era fin troppo a suo agio con lui.
Forse ne fui gelosa.

Aveva cominciato a fare conversazione con Penny mentre Alex tentava di interromperli ogni tre secondi. Penny non lavora con noi ma è una cliente più che abituale. Ha abbastanza soldi per potersi permettere di pranzare con noi ogni giorno, anche cenare quando non lavora. Locke l'ha adottata come Customers Service e quindi ci fa da mascotte.

Molti tornavano grazie a lei e al suo bel sorriso e non li biasimavo.
Penny è bellissima e simpatica, sveglia e furba. Fin troppo furba per degli uomini sempliciotti. Da quando la conosco non credo di averla mai vista innamorata di nessuno; lei aspetta qualcuno che riesca a fregarla come lei fa con gli altri. Se questo qualcuno esiste spero che si faccia vivo, un giorno.

Io ero rimasta a fare cose non definite mentre aspettavo il pesce affumicato. Non si erano accomodati al tavolo perciò avevo James davanti al naso. Alle volte messaggiava, alle volte si guardava in giro, alle volte tamburellava le dita sul bancone e aveva un modo particolare di intrecciare le dita tra loro.
Sapevo alcune cose della vita di questo attore ma non molte. Avrei dovuto chiedere alla regina dei gossip.

«Da quanto lavori qui?» Lui spezzò il silenzio che io stavo tenendo ben saldo volutamente.
«Cinque anni, più o meno.»
«Sembri giovane. Quanti anni hai?»
«Ventotto.»
Nella mia testa s'azionò il vinile di Ramble on. Mi stavo deconcentrando.
«E vivi qui?»
«Sì.»
«È un bel posto.»
«Sì.»
Stavo mettendo a disagio persino il disagio con quelle risposte e James smise ben presto di farmi domande, volgendo gli occhi altrove. Io avevo le mani che tremavano come nacchere e mi ero già maledetta in seimila modi diversi.
«Non si riempie molto di giorno.»
Con un coraggio sovrumano presi parola e lui tornò a guardarmi. Io stavo pulendo dei boccali di vetro presi dalla lavastoviglie vaporosa.
Era un modo gratuito di farmi la sauna, almeno.
«Ma di sera è il momento più vitale di questo posto. Se alloggiate qua intorno vi consiglio di passare. Ci sono i clienti abituali ma anche molti nuovi avventurieri, tutti che ci raccontano storie e ridono, piangono e si sfogano con noi. È un bel modo di conoscere la gente.»

E dopo essermi sbloccata gli raccontai dei nostri amici, quelli che facevano parte integrante del Green Man da tempi immemori. Per esempio: c'è Russò, un ragazzo francese un po' più grande di me, di quelli belli e con l'accento moscio.

Il Belgo che suona in una band chiamata “La zattera bruciata”, è molto bravo e il venerdì sera è sempre da noi a suonare con altri tre smilzi che lo accompagnano.
Shan, un uomo d'affari cinese che va matto per le scarpe grosse.
Mya, donna bellissima, ex attrice, si è data al decoupage e aiuta gli anziani.
Jacq, una ragazza molto floreale, ama qualsiasi pianta e credo abbia una cotta anche per il il Belgo.
Poi c'è Paul, è il super nerd ma odia Star Wars e per questo è stato bandito dal forum dei “Pace e Prosperità”, ma ogni volta ci prova.
Qualche volta si aggiunge qualche nome ma po sparisce perché il loro lavoro li sposta o trovano tesori altrove. A me piace pensare che qualcuno abbia regalato loro una nuova avventura e li immagino vagare nei sentieri, mentre al Green Man si raccontano le sue gesta.

Nel frattempo era arrivato il pesce affumicato ed era giunta una scolaresca affamata. James e Dean li avevamo spostati in una zona più tranquilla per evitare l'assalto, anche se una ragazzina riuscì a cogliere il profilo di Dean con una zoomata del cellulare degna di un tele obiettivo della Nasa.

«Adesso dobbiamo andare. Ma sono proprio curioso di ascoltare qualche avventura.»
Mi disse James prima di alzarsi e porgermi il piatto, una volta finito di mangiare.
«Qua se ne raccontano molte.»
«Ogni sera?»
«Ogni sera.»
Non avevo mai aspettato il mio turno serale come quel giorno. 











NA.
Rieccome! Prima di tutto qua cito la mia Dil che mi sta seguendo e mi ha già recensito peggio di flash <3 Sappi che mi hai reso felice come una bimba, quindi ti ringrazio infinitamente. E per chi sta leggendo: andate a leggervi le sue storie che sono fantastiche! Altro che ste scemate che scrivo io! 
Per chi mi legge in silenzio o capita qua per caso, spero che questa storia vi stia piacendo. 
Mi sto inventando bellamente mille cose, da come potete notare xD Ma preferisco così, piuttosto di citare sempre cose troppo reali, perché la mia storia ha ormai preso questa piega. Un'opera teatrale che si chiama "Quattro amici e un pallone" per fortuna non esiste v.v non so come potrebbe essere. 
Intanto vi ringrazio tantissimo *-* e vi auguro una buona giornata.

 

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Capitolo 3
*** Un grande respiro prima del balzo ***


Capitolo 3.
Un grande respiro prima del balzo

Il giorno era passato veloce portandosi via i colori del giorno, regalandoci un po' di riverbero arancione e rosato.

Mi piace il cielo quando il sole decide di andare a dormire dietro la linea d'orizzonte, creando sfumature rosse a tutti i capelli. Penny sembra sempre un fuoco che brucia sotto gli ultimi riflessi, questo ovviamente aumenta la libidine di Alex che divampa più della speranza di Gandalf.

Dopo aver portato Walter a marcare qualche alberello innocente sono tornata per preparare il “Menu Special” della serata. Di solito lo chef del Green Man si diletta a creare arzigogolati architetture di panini e grattacieli di panna cotta, nuvole di insalata e cascate di soia. Tutti i clienti sono contenti ed è contento anche lui perché la sua vena creativa viene ampliamente soddisfatta.

Lo chef è una figura mitologica che non vede mai nessuno, credo che Penny non abbia la minima idea di che faccia abbia.

È aiutato da due fedeli esseri che vagano per le cucine come anime in pena, spadellando e inforchettando salsicce e pancette. Due fantasmi silenziosi e devoti al cibo. Io e Alex abbiamo tentato più volte di esorcizzarli ma loro non la prendono mai sul ridere.
Non sono persone molto auto ironiche e guai far notare loro qualche errore sul piatto. 
Una volta Alex ha provato a dir loro che il bordo del piatto era sporco di olio ed è successa l'Apocalisse.

Fuochi che scintillavano, fornelli che impazzivano, arance che sfrecciavano come bombe a mano e una fucilata di datteri sparsi ovunque. Ero anche sicura di aver visto Cartman spuntare da sotto il carrello dei piatti e condire l'aria con insulti a Barbra Streisand. 
Sono morti egregi viveri quella sera, che ora giacciono sotto chissà quale terra, a rinascere nella polvere, rifiorendo come nuove anime dell'orto.

Ma oltre questo, lavorare con loro è piacevole, specie quando si è tutti di buon umore come quella sera.

L'insegna brillava davanti alla porta d'ingresso e nella zona esterna erano state accese delle fiaccole, dentro lanterne di vetro opaco. 
Il Green Man vantava anche di un piccolo giardinetto dietro al locale, aperto solo nelle belle giornate di primavera e in estate. 
Anche lì le fiaccole erano state accese quella sera.
Locke amava quest'atmosfera un po' rustica e un po' casalinga, io gli feci notare che faceva molto Lost e lui mi ha spedito dentro a pulire i boccali come punizione.

In verità non è una punizione per me. Mi piace pulire la mia postazione, controllare che gli spillatori sono puliti e pieni, che le bottiglie sono in ordine e le luci dietro al bancone illuminano tutta la zona creando una piacevole atmosfera.
I clienti sembrano apprezzare questa situazione un po' da saloon e si sentono più aperti a confidare i loro più intimi segreti, consumando un bicchiere di whiskey.

Penny non era ancora tornata e Walter era stato lasciato nel retro a giocare con gli scoiattoli. S'era già fatto due amici: Roger e Pernacotto. 
Il secondo nome, ovviamente, era di mia invenzione.

Mentre lucidavo il boccale da litro nella mia testa prese vita “Over the Hill And Far Away”, e cominciai a canticchiarla a insaputa del grande Orso. 
Alex stava sistemando i tavoli e alcuni solitari clienti s'erano già appostati in tavoli oscuri, controllando cellulari e bevendo la loro prima birra serale.

Il locale pieno è una festa continua ma quando è ancora agli sbocchi della serata non mi dispiace.
C'è calma e tranquillità, un grande respiro prima del balzo.

Ancora non ero del tutto sicura di avere ben assimilato la novità di quel giorno. 
Mi sembrava un onirico sogno il fatto di aver visto Fili e Bofur in persona.

Magari ero stata deviata dai vapori della mia lavastoviglie-sauna personale.
Magari avevo inalato troppo prodotti chimici.
O un panino al sandwich di Locke.
Come poteva, nella grandezza della mia città, la fortuna aver girato dalla mia parte e aver fatto entrare due nani della Terra di Mezzo?

Il fatto era che l'emozione mi bloccava, mi rintronava ed era già venti minuti che stavo lucidando lo stesso boccale. 
Non mi accorsi di Alex che mi sventolava una mano davanti.

«Ti svegli, socia?»
«Non sono sicuro di esserlo. Qualcuno mi ha drogata.»
«No, sei solo scema. Finiscila di torturare il boccale e versami una Trafalgar. Ma Penny ti ha scritto?»
«Arriverà. Oggi doveva fare una missione.»

Gli porsi la bottiglia della doppio malto e cominciai a rovistare per un apri bottiglia.
Ognuno di noi ne ha uno personale, come un piccolo tesoro. Il mio si chiama Han, è verde brillante e un po' eccentrico. 
Il nome è stato studiato attentamente.

«Grace che faccio con lei? Io non ce la faccio più. Nelle serate normali non mi faccio problemi, gli allocchi sono allocchi e posso sopportare che finisca tra le lenzuola di un altro. Ma adesso ci si mettono pure gli attori di Hollywood.»
«Non sono attori di Hollywood.» Dissi io.
«Sì Grace, hai capito.»
«Alex io te l'ho detto mille volte: trattala diversamente. Non schiumare dalla bocca per la gelosia e non seguirla come un cagnolino. Lei lo odia.»
«Ma io la tengo d'occhio, non sopporto tutte quelle mani che...»
«Fidati di me, panzone. Oh, c'è il Belgo.»

Non amo ribattere le stesse cose al mio povero amico e, tantomeno, interrompere un suo sfogo. Capita puntualmente ogni volta che Penny non è nelle vicinanze e, come al solito, ripeto le stesse cose da almeno due anni.

C'è una classica filosofia da seguire per pensare di poter conquistare Penny, non è molto difficile. Ovvio poi c'è il fattore fortuna, momento propizio, e una sfilza di astri allineati e santi da pregare. Ma non è molto difficile sul serio.

1) Niente nomignoli come tesoro, bellezza, peperoncino, pulcina e Hamtaro. Pollonia è l'unico soprannome che sopporta, perché gliel'ho dato io e io sono il suo vero per sempre.
2) Niente promesse, di qualsiasi genere. Nessun “ti chiamerò tutti i giorni per sempre” o “ti prometto che ti farò vedere le stelle, baby”, e già con questa s'infrange la regola numero uno. No, lei è per il “vivi il momento e non mandarmi messaggini che non ti rispondo neanche per sbaglio”.
3) Adulala solo se il tuo intento è quello di portarla a letto. Se aspiri a qualcosa di più allora devi ignorarla, come se neanche esistesse.
Su questo punto è molto simile agli uomini.

Intanto il Belgo aveva fatto scampanellare la campanella d'arrivo e già s'era avvinghiato al suo sgabello, cercando il mio cane con lo sguardo.

«Ehi guys, che si dice da queste parti? Grace dimmi la playlist del giorno.»
Alex gli aveva già piazzato davanti al naso un boccale di birra chiara e un piatto di patatine.
«Stasera siamo graziati da alcuni attori di quel film sui nani. Locke è amico di uno di loro, siamo tutti in fremito.»
Alex lo disse con poca convinzione, quel siamo era molto un “sono”.
«Ma lo Hobbit?» Chiese il Belgo. «Che figata! Stasera festa, allora.»
«Sì, Grace non capisce più niente da stamattina.»
«Ma piantala.» Sgomitai il socio e poggiai i gomiti sul bancone. «Intanto segnati queste: “Bellu de Sole” di Frank Zampogna, “Cha cha cha” delle Calliopi e “Brand? No!” di Pompeidu.»

Il Belgo già aveva tirato fuori un taccuino e scritto con la velocità di una ghepardo. 
Quando prende appunti assomiglia molto a Light di Death Note. Non sono ancora sicura se la cosa mi inquieta o mi fa ridere.

«Già dai titoli immagino che pezzi.»
«Sono i peggiori della settimana.» Dissi io.

Il Belgo, che di musica ne sa come un dizionario, aveva trovato stranamente interessante la mia propensione a collezionare CD brutti. 
È l'unico tra tutti. Aveva deciso che il suo passatempo sarebbe stato quello di riuscire a unire almeno tre canzoni, delle peggiori tra le peggiori, e remixarle così da creare un pezzo unico e passabile.
È impossibile arrivare a più di “passabile” con quelle robe.

«Grazie.» Mi ringraziò lui e rimise tutto il suo armamentario da guerra in tasca. Poi prese il boccale. «A che ora arrivano i divi?»
«Non si sa. Magari cambiano idea e non vengono più.»
Da un lato ci speravo, lavorare in quelle condizioni era una tortura. 
Per non eccedere al nervosismo continuavo a cantare nella mia testa e non riuscivo a concentrarmi.

Il campanello d'entrata scampanellò e il mio cuore fece un balzo.
Era Locke.

«Walter ha pisciato nel vaso dei tulipani.»
«È una protesta. Vuole che tu metta la musica a questo locale.» Dissi io, guardando verso Walter che trotterellava dietro con la coda bassa e le orecchie penzolanti. Era stato sicuramente sgridato da poco, il suo senso di colpa non dura mai più di due minuti.
«Dopo faccio partire Space Oddity. Ciao Belgo.»

Il Belgo alzò braccio per salutarlo e tirò su il pollice come apprezzamento alla scelta musicale.
Facebook nella vita reale.
Un'altra scampanellata mi fece voltare di scatto verso l'ingresso. Quel giorno il Green Man mi torturava con il suo suono.
Era Mya.

«'Sera dolcezze.»
Ed eccola qua, una delle donne più belle che io abbia mai visto. Mya è un po' più giovane di Locke e ha lunghi capelli biondi e due occhi nocciola profondi e grandi. Magra e con un fisico invidiabile, che rivestiva con vestitini un po' attillati ma eleganti. A differenza di Penny lei la sua bellezza non la esaltava, ed è questo il vero fascino di quella donna.

«Ma come sei bella stasera, Grace. Evento importante?»
«No.» Risposi secca con un sorriso bugiardo.
«Locke me lo ha detto pulcina, arrivano i tuoi attori oggi.»
Sentivo già la pelle ribollire di vergogna. Non sono solita mostrare scoppi di imbarazzo alla volta degli altri, a differenza di Penny io – semplicemente – mi annoio. Mi piace avere amici maschi ma è difficile che qualcuno mi ispiri più di questo e le nuove emozioni sono un disastro da controllare.
Avrei voluto essere come Super Vicky, in quel momento, e spegnermi.
«Eh, ti piaceranno Mya.» Dissi io, ormai scoperta.
«Ma c'è anche quello che fa il nano coi capelli neri?»
«Kili?»
«Quello della ghianda con Bilbo.» Ripeté lei e la vidi sorridere già suadente.
«Non lo so. Ma già Pollonia ha fatto apprezzamenti.»
«Dai ma Polly può puntare sui giovani.» Disse lei, scostandosi la chioma dalla spalla.

Vidi Walter zampettare verso lo sgabello adibito per lui, dietro al bancone, già dimentico di tutto il male che aveva fatto ai tulipani. 
Locke urlò qualcosa allo chef e spuntò nella sala, facendo volteggiare un cucchiaio di legno.

«Ciao Mya, come sta la signora Adelina?»
Mya si occupa anche degli anziani in una casa di riposo, facendo volontariato nei giorni dispari. Li fa giocare a bingo ed è amata da tutti, porta sempre loro i biscotti. Alle volte lo fa anche con noi quando si ricorda.
«Bene, ha detto che vuole ripassare a mangiare i tortellini che le erano tanto piaciuti.»
«Quando vuole, io ospito tutti qui.» Disse Locke prendendomi poi per le spalle. «Anche i casi umani, non vedi?»
«Locke, non dovevi andare a cercare una botola tu?»
Quello mi grugnì qualcosa tra il divertito e l'offeso e si dileguò verso i pochi clienti della sala.

La porta scampanellò di nuovo e io sentivo già le gambe tremare.
Erano Penny e Shan, il nostro cinese affarista di fiducia. Oggi indossava due scarpe enormi tutte rifinite in oro. 
Erano curiosamente imbarazzanti. Glielo dicevamo tutti e lui, ogni volta, si sentiva rinvigorito da ciò.

«Grace, patatine!» Esclamò subito lei.
Io scampanellai con l'ordine per attirare lo chef. Abbiamo campanelli per tutto, in fondo la sua colonna sonora ce l'ha.
Alex la salutò con uno dei suoi sorrisi migliori e diede a Shan la sua doppia reazione di shots per cominciare la serata con la giusta tensione.
«Spara!»
«Non ci sono tutti i membri del cast, pare che Martin Freeman e Richard recitino insieme in quello spettacolo degli uomini e la palla. Oltre Dean e James pare ci siano anche Aidan Turner, Adam Brown, Stephen Hunter, Graham McTavish e...Manu Bennett.»
Ascoltavo con l'aria di una che stava per avere un coccolone. Penny ero convinta che fosse morta dopo aver enunciato l'ultimo nome della lista. 
Manu Bennet non era solo l'Orco Pallido dalla parlata nera, ma era specialmente Crisso di Spartacus.
L'uomo dalle mille fantasie erotiche di Pollonia.
Ognuno di noi ne ha uno, d'altronde. Locke fantastica su Charlize Theron, Alex su Mila Kunis e io su Luke Evans.
Ero altamente contenta che non lo avesse nominato, non sarei riuscita a lavorare neanche con un miracolo in quel caso.
Ma non avevo tradito Simon Pegg. Lui è il mio male.

«Se entra Manu Bennett qui dentro io muoio.»
Alex già si era prodigato a salvarle la vita, nel caso. Mya aveva riso, essendo estremamente d'accordo con lei.
Shan già stava chiedendo un doppio boccale di Guinness e Il Belgo stava tamburellando sopra al bancone.
«Siete delle infoiate.»
«Ma smettila, che se entra Maria Brink ti vediamo ululare alla luna fino a domani.» Dissi io e quello già era diventato paonazzo.
«Io sono per Lucy Liu. Lei almeno apprezzerebbe il mio stile, ingratissimi.» S'intromise Shan, facendo schioccare un dito.
«Shan sembri un hobbit con quelle scarpe. Un hobbit che si veste male.» Disse Pollonia.
«Vorresti dire che sono basso?»
«Shan, tu sei basso.» Disse Alex, che già aveva cambiato umore.
Sorrideva sempre però, è il suo modo per dire che è geloso ma con stile.
«Io vi odio.»
Mya gli avvolse un braccio intorno alle spalle e gli diede un sonoro bacio sui capelli neri.
Aveva dimenticato tutto il rancore.

Un'altra scampanellata ci fece voltare tutti, il mio cuore non avrebbe retto ancora a tutte quelle emozioni.
Ancora nulla di nuovo. Pian piano che il locale cominciò a prendere vita, ci ritrovammo tutti lì.

Gli abituali c'erano tutti, tranne Jacq. 
Russò e Paul arrivarono insieme parlando dell'inutilità di Jar Jar nel film di Star Wars e – tutti – intrepidi aspettammo l'arrivo dei nostri eroi.

Locke si era già improvvisato in monologhi con ogni cliente nuovo. Alcuni già stavano cantando per festeggiare la promozione di un posto di lavoro, altre ragazze cinguettavano in allegria senza che nessuna di loro si ascoltasse sul serio. C'era anche una famigliola tranquilla, un paio di vecchietti arzilli e qualche uomo solitario al bancone.

Uno di loro mi raccontò la storia di questa ragazza che aveva avuto l'ardire di spedirgli un paio di reggiseni a casa per confermare il suo amore per lui. La moglie non aveva gradito molto e lo aveva cacciato di casa pensando ad un adulterio.

Mi aveva chiesto consigli su come fare per farsi perdonare e io gli dissi che, un buon modo, era non farsi spedire biancheria intima dalle ragazze.
La serata trascorse tranquilla e la mia anima si adagiò alla pace dei sensi quando la porta smise di suonare.

Walter era tornato a giocare con i suoi amici scoiattoli e Locke aveva cominciato a spegnere le fiaccole nel giardino quando i clienti cominciarono ad andarsene.

Pollonia era già sparita con un impavido pompiere dall'aria muscolosa, Alex s'era dovuto fare tre tazze di tè per calmarsi, ma erano earl grey quindi non funzionò molto.
Shan stava ronfando sul bancone e il Belgo aveva trascinato Paul verso la sua zona palco per parlare di casse, accordature e pedaliere.
Nell'aria suonava Cygnet Committee di David Bowie quando sentì la porta aprirsi.

«Non siete chiusi, vero?»
Mi voltai e feci per rispondere quando mi accorsi che era James. 
Mi partì via lo straccio con cui stavo pulendo il bancone e beccai Shan sulla testa.
Quello non si svegliava neanche con una mandria di bisonti impazziti quindi non mi preoccupai molto.
«No. No è ancora aperto.» Riuscì a rispondere, boccheggiando come un pesce. «Lui non è morto, giuro.»
Gli dissi indicando la testa di Shan.

Vidi James guardare le sue scarpe scintillanti e poi sorrise divertito, avvicinandosi al bancone.
«Meno male allora. Mi fai una Harp Lager? Cole è già andato a fare il suo pisolino?»
«Certo.» Poi sorrisi divertita. «Sta combattendo contro il fumo nero.»
«E speriamo che non incontra gli Altri o è la fine qui.» Rispose lui.
Mi bloccai come imbambolata. Non pensavo che avrebbe capito la mia battuta, in fondo non poteva sapere del nuovo nomignolo del suo amico. 
Lo guardai non aspettandomelo e lui lo capì, facendomi uno di quei sorrisi che mi fece partire ancora le mani verso tremori nuovi.
«Sì, assomiglia a Locke, me lo ha detto. Il fatto che lui lo detesti rende tutto più divertente.»
Mi fece ridere. Ecco che le mie difese crollarono come castelli di sabbia. 

 










 

NA.
Buongiorno. So che in questo capitolo non succede nulla d'interessante ma sono quei capitoli a intermezzo dove poi – da lì – succedono cose. Spero che vi piaccia ugualmente e che non vi annoi, anche se è molto semplice.
Ho voluto introdurre altri personaggi, ben presto cercherò di dare a tutti loro un loro posticino speciale :)Grazie comunque per seguirmi fin qui, a presto e buona giornata a tutti. 

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Capitolo 4
*** 4. Come un giorno normale ***


Capitolo 4.
Come un giorno normale

Alla fine James decise di graziarmi con la sua presenza fino alle due di notte, dopo quattro pinte e io tornai a casa con due occhi neri come un panda, tutto che mi faceva male per la stanchezza ma la testa felice.

Torno spesso da lavoro con aria spensierata ma quella sera era diverso e non ci volevano scienziati per capire perché.

Parlammo un po' di tutto e un po' di niente, conobbe Mya – e notai strani sguardi tra loro – e riuscì anche a scucire qualche parola con Shan. Non approvò le sue scarpe, dicendo che assomigliavano a due mattoni placcati. Shan gli disse qualcosa come “tu sei un nano e non apprezzi l'oro?” e uscì barcollando come suo solito.

Ma la cosa più divertente della serata fu il racconto che mi fece di Locke, in uno dei suoi momenti di gioventù.

Erano all'Oktoberfest nei loro anni migliori, quindi i vent'anni, e dopo una giornata intensa ad assimilare litri di birra nel proprio organismo decisero di andare in perlustrazione della zona.

Arrivarono ad una sottospecie di montagnola fatta di scalinate e collinette, tutti arrancavano con la flemma di un bradipo e l'anima ormai troppo ubriaca per rendersi conto che quella era una pessima idea a prescindere. Con gli stomachi di piombo e lo sguardo vacuo raggiunsero un misero spiazzo dove un solitario e triste alberello veniva smosso dal vento. L'unico contatto intimo di quella povera pianta.

Locke decise che era ora di evacuare almeno un litro di birra dal suo corpo e si lasciò trasportare dal vento verso il tronco, mentre James e un altro paio di altri amici temerari stavano lì ad aspettarlo con l'aria più malferma di quella di Locke.

Si da il caso che il mio caro Orso, che stava idratando le radici già tristi di loro, prese a pendere verso l'altro lato della scalinata, come una bandiera storta fino a che le sue scarpe si staccarono da terra.

E lì assistettero alla più bella e intensa caduta che io, in quasi trent'anni di vita, non avevo mai visto.

Locke cadde e cominciò a rotolare giù dalla montagnola come una ruota perfetta. Lo zaino che portava in spalla girava con lui e la sua urina – che ancora fuoriusciva dal suo batacchio – creava una perfetta ruota liquida mentre il mio povero manager rotolava come un peso morto, trascinato giù dalla forza di gravità.

Quando arrivarono giù, preoccupati e con le facce pallide come cenci, lo videro ridere come un ebete con ancora il serpentello di fuori e lo zaino più morto che vivo.
Fu un evento che ricordarono per anni, a quei tempi non esisteva ancora la moda dei video su youtube e questo se lo portarono dietro come un ricordo mentale.

Immaginai che sarebbe stata una caduta perfetta con “Right Round” di sottofondo.

Adesso che ero stata messa al corrente che Locke, quando non lavora, è una persona simpatica e involontariamente dedita al suicidio avrei portato la tradizione avanti nei secoli. Anche se James mi aveva fatto giurare di mantenere il segreto, che Locke poi diventa permaloso.

Decisi di non dire niente, almeno fino a che lui non se ne fosse andato. Sarebbe stata una storia perfetta per il Green Man.
Mi disse che sarebbe tornato il giorno dopo, probabilmente alla stessa ora, probabilmente con qualche amico.
E probabilmente non aveva capito che io non sapevo quanto avrei retto ancora una cosa del genere.

Non sono stata preparata psicologicamente prima ad un evento di tale portata e la mia testa mi giocava brutti scherzi.
Era ovvio che, quando si prova fascino verso un qualsivoglia attore, lo si vede con occhi differenti rispetto ad una normale persona. Forse lo si elogia fin troppo, si smussano i difetti, ci si concentra su quello che hanno di magnetico e interessante e si finisce con l'apprezzarli in maniera forse un po' onirica e sopravvalutata.

Credo sia normale.
Ma a me creava disagio questa sensazione e decisi che, quella sera, avrei usato i miei due free drinks della serata – io e Alex potevamo bere gratis fino a due liquidi a nostra scelta – e mi sarei ubriacata.

Da ubriaco tutto sembra più semplice e spensierato, quando non ti piglia la sbronza triste come ad Alex che si ostina a bere sempre quando Penny si insaliva con un altro ragazzo.
Quel giorno ero immersa in una pulizia del bancone che lo stavo lucidando peggio della pelata del Mastro Lindo.

Locke aveva notato che il mio sguardo nei suoi confronti era cambiato dalla sera prima e sentivo in lui il timore che James mi avesse detto cose proibite. Penny stava facendo prove di comunicazione verso il potenziale arrivo di Manu Bennett o Richard Armitage. Alex non lo vedevo da nessuna parte e c'era Jacq arrivata trafelata e con un paio di nuovi vasi da fiori.

Jacq è la nostra fioraia di fiducia, lei fa tutto con ornamenti floreali, anche i vestiti o le acconciature per capelli.
Ogni volta che gli arrivano troppi ordini o deve liberarsi di qualche vaso viene da noi e ci riempie di verde e profumi la nostra bat-caverna delle bevute.

Un piccolo passo per il Green Man e un grande passo per Walter che già scodinzolava per l'arrivo dei suoi bagni nuovi di zecca.

Ero un po' scombussolata anche per la mia mancata quotidianità di quel giorno. Di solito durante la settimana, poco prima del turno serale, rapivo il mio Socio e lo trascinavo verso nuove lande sconosciute alla ricerca del mio inglese rossiccio.

Lui un po' mi odia per questo ma io mi sorbisco le sue paranoie su Penny e tutte le fantasie andanti sulla loro futura relazione con figli e gatti persiani quindi me lo deve.

Mi preparo sempre con macchina fotografica, chiamata Misha in onore di Misha Collins e della sua “Caccia al Tesoro” dove, ogni volta che partecipo, perdo dignità, onore e invoco kale come un santino.
Mappa del tesoro con le X contrassegnate nei vari posti in cui Simon Pegg ha girato scene dei suoi film o s'è visto aggirare come un'ombra.
Occhialetti da sole, cappellino, snaks per non morire di fame, qualche bottiglia d'acqua, qualche pound per gli autobus, un quaderno, la lista della spesa così ne approfittavo e la mia runa portafortuna che, fin'ora, mi aveva portato solo sfighe.
O per lo meno prima di quel fatidico giorno.

Intanto non potevo rapire Alex perché non sapevo dove fosse e, in più, mi ero dimenticata di preparare il mio kit-di spionaggio-Simon e tutto era andato perduto.

«E così sono dei tipi simpatici?» Mi cinguettò Jacq con un sorriso dolce e curioso.
Jacq è molto graziosa anche se non posso definirla bella. Ha una dolcezza disarmante e questo fa invaghire molti gentleman della zona, profuma sempre di buono e quando sorride le si formano due graziose fossette sule guance rosa.
Mi mette sempre di buon'umore con la sola presenza.
«Sì accidenti, questo complica le cose.»
«Magari ci scappa una storia d'amore romantica. Come nei film: dove l'attore arriva e conosce una ragazza di umili origini e se ne innamora perché ama la normalità e poi vivono per sempre felici, in una casetta bianca e un cane che corre nel giardino. E si sposano in una spiaggia caraibica, con tutti gli amici intimi e le colombe.»
«Sì.» Risposi dopo diversi minuti di silenzio, molto scettica. «O magari tra una settimana se ne vanno e ognuno per la sua strada.»
«Ma perché non vedi il lato rosa delle cose?»
«E perché tu lo vedi?» Chiesi io mentre lanciai una crosta della pizza verso Walter che già stava puntando il nuovo vaso di orchidee.
Jacq stava tagliando qualche foglia marcita da una pianta, innaffiando un altro vaso e immergendo terra in un altro ancora.
«Perché è così romantico e dolce.»
«Sai, dovrei regalarti un CD di una ragazza che la pensa proprio come te. Si chiama Loletta Lolita e canta solo di questo amore verso un uomo già sposato, che vorrebbe che lasciasse la moglie per vivere con lei sulle sponde del mare, immersa nell'amore e nel lieto fine.»
«Ma non era l'uomo di mezza età quello innamorato di Lolita?»
«L'ho preso da Wimbledon Park.»
«Ah già, i tuoi CD.»
«Jacq non mi fare immaginare una velata storia d'amore con un attore, non sono brava con queste cose. Poi la mia mente viene scossa, vengo intrisa di illusioni, mi creo castelli d'avorio in aria, tradisco Simon Pegg. Non posso.»

In quel momento la porta d'ingresso scampanellò l'arrivo di un cliente e mi drizzai con la schiena, lanciando via il panno sporco.
Era di nuovo Dean O' Gorman e, questa volta, s'era portato dietro Aidan Turner e Adam Brown.
Non ero preparata a questo e rimasi come un'aliena ad osservarli con sguardo da tonno.
Jacq subito s'alzò come un folletto e volteggiò davanti a loro con una grazia di un fiore e li fece accomodare con un sorriso smagliante.
Ah Jacq, grazie di esistere.

«Benvenuti, benvenuti, volete il menù speciale del giorno? Una bibita? Qualche dolce?»
«Oh ma grazie, molto gentile signorina. Sappiamo che è un po' presto ma mi era piaciuto così tanto questo posto che ho voluto portare anche questi due a visitarlo.»
«Sì. Questi due hanno un nome.» Disse Adam, premendo le labbra inesistenti.
«Avevi ragione, è bello. Mi ricorda un po' casa.» Disse Aidan, tirando su quegli occhi nocciola. Aveva dei buffi capelli ricci, un po' esplosi per colpa dell'umidità del posto e un po' untuosi di chissà quale gel selvaggio.
Dean era sempre impeccabile, capelli pettinati, aria profumata e maglietta che un po' attillava sulla muscolatura.
Fra i due “fratelli” era quello che preferivo più di tutti.
Adam, invece, era vestito tutto composto. Giacca, camicia e cravatta e una chioma un po' scura e un po' storta sul cranio che pendeva verso sinistra.

Era molto diverso rispetto ad Ori, nel film, ma quella faccia da “non so cosa diavolo ci faccio qui” era onnipresente anche in quel momento.

«Io ho sempre ragione.» Rispose Dean, già accomodandosi al bancone.
Penny uscì dal suo monologo con il fantasma di Manu Bennett e li avvolse col suo fascino, facendo subito spostare tutti i loro sguardi su di lei.
Dean era quello più ammaliato di tutti e, da un lato, un po' lo odiai.

Mi metteva in una brutta situazione con Alex e non lo volevo; il mio socio si sarebbe sentito in competizione e non avrebbe mai potuto vincere, in questo caso.
«Non ci siamo ancora presentati, mi sembra.» Questo era Dean.
Maledetto lui e la sua voce ipnotica.
«Io sono Penny, molto piacere. E credo non ci sia bisogno di dirmi i vostri nomi; so tutto a riguardo.»
Pollonia mi ricordò molto Hermione in quel momento. Si mise a raccontare i suoi modi diligenti e discreti di conoscere particolari intensi delle vite degli attori – senza scendere nei particolari – e lasciò i tre un po' tramortiti e un po' imbambolati. Quando Penny voleva farsi notare ci riusciva con nessuno sforzo.
«E lavori qui da tanto?»
«Oh io non lavoro qui, sono solo la loro mascotte di fiducia. È Grace la schiava di Locke, io lavoro in un centro di bellezza in città.»

Gli altri tre si misero a guardarmi quando lei mi indicò e io alzai una mano tremante e sorrisi con l'aria da triglia.
Avevo troppi occhi puntati addosso, e non occhi qualunque, quindi decisi di defilarmi verso la zona dello Chef.
Penny notò subito il mio disagio e riuscì a far tornare l'attenzione su di sé spostando la chioma rossa da una spalla all'altra, snudando il collo.

Jacq l'aiutò portando un vasetto di fiorellini sopra al bancone, instaurando una conversazione molto floreale e profumata con Adam.
Mi sembrava proprio il tipo da apprezzare le cose naturali e semplici.

Io, invece, stavo per oltrepassare la porta d'ingresso quando mi ritrovai Walter in mezzo alle gambe, già con la coda bassa da senso di colpa – aveva sicuro evacuato da pochi secondi nel vaso delle cicorie – che gli inciampai sopra e finì a terra con un tonfo sordo.

«Grace, stai bene?» Jacq mi saltellò vicino, preoccupata.
Già sentivo gli sgabelli spostarsi e io speravo che non volessero fare i gentleman. M'ero sbucciata mezzo braccio e avevo picchiato il naso a terra.
«Walter malededdo.» Sibilai con occhi pungenti. 
Walter già era tornato per leccarmi la faccia in segno di scuse. Almeno un minuto di sensi di colpa extra. 

«Sì ma Grace, sei un caso umano.» Quello era Locke, spuntato da chissà dove, mentre mi fissava con aria ormai rassegnata. Salutò tutti e si dileguò ancora verso lidi sconosciuti.

Io sentivo il sapore del sangue sulle labbra e, in quel momento, scampanellò la porta.
«Salve.» Una voce fece capolino da dietro la porta e vidi Jacq sorridere raggiante. Io mi voltai di scatto e avvertì una scossa partirmi su tutta la schiena.
Era Martin Freeman.
Io avevo il naso che colava sangue, la faccia sporca di polvere e avevo davanti al naso Martin Freeman.

Penny venne in mio aiuto, scavalcandomi, e facendo movenze con le mani per ipnotizzare l'attenzione di Martin verso di sé. Ma quello stava sogghignando come un maligno mentre mi guardava di sottecchi.

«Ero venuto a cercare un trio di brutte persone ma vedo che qui ci si diverte, eh.»
Ah, Bilbo. Quanto amo odiarti.
«Vedi cosa combini? Arrivi tu e le persone muoiono.» Lo schernì Dean, che ora era dietro di me, insieme agli altri due.
Adam mi aveva cortesemente passato un fazzoletto imbevuto d'acqua e io gli sorrisi senza riuscire ancora spiccicare parola.
«Sei proprio il solito, non dovresti andare in giro che porti sfiga.» Disse Aidan.
«James mi ha detto che qui si beve bene, se non è vero me la prendo con voi, io vi avverto.»

Era strano come tutto questo sembrasse una conversazione assolutamente normale, di uomini normali, in un posto normale.
Io ero riuscita a rialzarmi e li guardavo tutti senza essere ancora riuscita a dire una parola.
Maledetti Wookie nella mia testa, almeno voi datemi una mano. Concedetemi un verso, un lamento, qualsiasi cosa.

«Se non ne sa lui di bevute, allora chi?» Disse Aidan.
«Anche tu non scherzi, è inutile che fai tanto lo splendido.» Lo rimbeccò Dean dandogli una gomitata.
«Chiedo scusa, signorine, mi potete dire dov'è il bagno cortesemente?»
Adam era stranamente simile a Ori, nella sua gentilezza, era forse l'unico fra tutti che non mi disagiava.

Jacq lo indirizzò verso la toilette e io li feci accomodare sugli sgabelli, di nuovo, ritornando dietro al bancone.

Avevo la testa che scoppiava, Penny mi stava dando una mano sostanziosa nell'attirare su di sé tutta l'attenzione, se non fosse che Martin Freeman non era deviato dal suo fascino.

Sapevo perché, almeno per lui. Martin è sposato con una donna bella, simpatica e intelligente. Quando trovi la tua anima gemella, tutte le altre donne non toccheranno mai più alcun punto giusto. Avevo sperato che venisse accompagnato da lei ma così mi bastava e avanzava.

Quel piccolo hobbit dai capelli un po' parruccosi e chiari era il mio tramite verso Simon Pegg.
Non facevo che pensare a questo, nonostante sentissi il naso pungermi dal dolore e il braccio bruciarmi, manco me lo fossi scorticata.

Preparai bevande, stuzzichini, piatti e patatine per tutti. Lo chef mi donò anche una salsa della casa speciale e li viziai un po' con quello, mentre i quattro  - Adam era tornato dalle latrine profumose di lavanda - continuavano a parlare di cose loro; simpatici e divertenti anche nella vita vera.

Questa cosa era un grosso problema.

«Sì ma ditemelo tra un'ora che siete qui, mi raccomando. Tanto ero solo dall'altra parte della città, ho pure fotografato una volpe da solo come un mongolo.»
Non m'accorsi minimamente della scampanellata, quindi quando mi ritrovai James davanti al naso ebbi un collasso definitivo. Sorrisi ma ero sicura di star facendo una cosa del tutto anomala con quelle labbra.
«Ciao Grace, sono un po' in anticipo.»
«Ah sì, avevi detto al mio break. Ce l'ho fra cinque ore, ma va bene, son dettagli irrilevanti.»
Risi nervosamente, che parve più un colpo di tosse rachitico.
«Ma tanto torno anche dopo.» E si sporse un pochino per parlare con voce più bassa. Lui biascicava quando parlava, il più delle volte dovevo immaginare che parole stesse dicendo. «Ne ho altre su Locke, ma mantieni il segreto.»
No ma continua pure Bofur, tanto è così normale.
«Oh ottimo.» E feci il gesto di cucirmi le labbra con pollice e indice.
Lui allungò una mano e io già la osservai come se mi stesse per trafiggere con una spada. Mi diede una pacca sulla spalla che mi fece malissimo, in verità, e poi mi premette un pollice sulla parte sopra al labbro.
«Sei sporca di salsa.»
«Ah no, è sangue.»
Lui sgranò gli occhi e mi guardò con aria un po' stralunata.
«Sangue?»
«Sì, sono tornata ora da una battaglia. Ne ho uccisi venti, Gimli mi ha battuto.»
E lui tirò indietro il braccio e cominciò a ridere. Rise proprio di gusto e scosse il capo, portandosi dietro in quella risata anche gli altri della mia Compagnia del cuore.
«D'accordo: sei diventata la mia preferita qui dentro, sappilo. Più di Locke.»
Io sperai di non essere arrossita come un peperone perché mi sentivo ribollire. Roba da buttarci il sale e cuocere la pasta.

«Piantala di fare il piacione, tu.» Lo sgomitò Aidan.
«Ma tu non devi chiamare la tua ragazza?»
«Oh porca.»
Vidi Aidan lanciarsi verso l'esterno – lì dentro non sempre prendevano tutti gli smartphone – col cellulare già in mano. Per poco non travolse Jacq che stava sistemando gli ultimi vasi.

Io avevo il cuore a mille e sperai in un miracolo che mi salvasse dalla morte certa. Vidi Alex arrivare di corsa da fuori, facendo gesti strani di saluto alla volta di Aidan e – dietro di lui – comincia a sentire degli urli.
Eccole; la flotta di ragazzine urlanti stava per piombare qui come Orchi nella notte.
Vidi Adam già arrossire, Dean prepararsi all'attacco e James sorridere come se fosse tutto normale. Martin fu l'unico a tenere il naso incollato al suo boccale di birra, come se manco le avesse sentite.
La porta s'aprì e mi ritrovai immersa nei flash.








 

NA.
Un altro capitolo un po' tranquillo, pian piano sto cercando di inserire tutti xD anche perché la mia ispirazione viene da sé e quindi non ho la più pallida idea di dove voglio andare a parare. Magari da nessuna parte, chi lo sa v.v Ah il racconto iniziale su Locke che cade dalla Montagna l'ho sentito giusto ieri mentre lavoravo; è successa veramente questa cosa ad un mio collega. Ho riso per mezz'ora e ho dovuto – assolutamente – inserire la cosa.
E niente, spero che chi legge si stia un po' divertendo e un po' spensierando. E io saluto qui Dil <3 che lei SA.
Una buona giornata a tutti quanti.

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Capitolo 5
*** 5. Amori vecchi e amori nuovi ***


Capitolo 5.
Amori vecchi e amori nuovi

Mi preparai alla flotta armata di iPhone, penne a sfera e scollature vertiginose.

Era un gruppetto di cinque ragazze in piena crisi ormonale, impomatate di profumi misti tra ciliegie e cetrioli, occhiali da sole, chioma mesches-ata, gomma da masticare, minigonne lombari e unghie laccate.

Belle come il sole e frastornanti.

Sono abituata a queste entrate in scena, il nostro calendario del “Make my famous” racchiude anche la classifica di quante nuove clienti riusciamo a far entrare grazie alle belle facce dei divi. Una sera eravamo arrivati a quattordici nuovi volti, tanti risolini e tanti cocktail alla frutta.

Era stata una piacevole serata; le ragazze come queste le trovo simpatiche ed esuberanti.
Avrei voluto avere il loro coraggio di mostrare tette e sorrisi smaglianti ma io preferisco che la gente non mi fissi troppo.

E così mi armai di cose da fare e assistetti alla scena come un'ombra nascosta.
Ero proprio curiosa di vedere i nostri impavidi eroi davanti a ragazze di questo genere.

Adam aveva bevuto a goccia il suo succo di frutta all'ananas – un vero uomo – e stava già firmando quaderni con un impeccabile sorriso timido.
Aidan era rientrato dentro il locale avvolto da due di loro alla quale smerciava sorrisi un po' spavaldi e piacenti, già firmando fluido ovunque capitasse.
Dean era rimasto seduto, calmissimo, e sorrideva e chiedeva “Come stai?” a tutte.

Alcune erano sul punto di svenire, io ero già pronta con una brocca d'acqua e il mio attestato di primo soccorso, in caso di bisogno.

Martin faceva selfie con tutte ma – avevo notato – che aveva la predisposizione a firmarsi in maniera diversa ogni volta. 
Lo notai quando vidi sul braccio di una di loro il nome “Gustavo”.
James era rimasto seduto, come Dean, comportandosi alla stessa maniera. Ma toccava, a differenza del biondo.
Qualche abbraccio, qualche pacca, qualche carezza, una foto insieme.

Insomma, era addirittura piacevole guardarli.
Offrii da bere a tutte, loro vollero fare una foto anche con me per la contentezza e alla fine cedetti.

La foto ce la fece James e io mi stavo sotterrando dietro fuochi e fiamme di vergogna. Jacq già parlottava con due di loro sulla particolarità floreale dei loro profumi e Penny stava scattando una foto a Dean e Aidan attorno a due ragazze euforiche. Alex si ritrovò accerchiato mentre provava a portare dei boccali vuoti sul retro e si ritrovò a firmare autografi anche lui, senza capire bene cosa stesse succedendo.

«Dai, facciamone una anche io e te.»
James mi prese per un braccio e piazzò in mano ad una ragazza, molto bionda e molto bianca, il suo telefono.
«Ma non posso. Le macchine fotografiche rubano l'anima.» Provai a difendermi da quell'agguato.
«È un telefono.»
«E se sono allergica?»
«E se non lo sei?» Disse lui, già sentivo il suo braccio sulla spalla e il suo viso pericolosamente vicino al mio.
Avrei potuto dargli una testata, magari, ed evitare tutte queste emozioni.
«Sorridete!»
Sorrisi nel modo più scemo che conoscevo e alla fine la foto fu scattata.

Non appena James si riprese il telefono rise di gusto, mostrandomi quell'opera fotografica. Involontariamente avevamo fatto due facce un po' da mongoli. Era carina come foto, faceva ridere.

«Cancella quello sgorbio.» Rimbeccai io.
«Ma non ci penso nemmeno.» Si rimirò la foto girando il telefono in tutte le angolazioni possibili. «Io sono venuto bene.»
E poi alzò gli occhi e mi sorrise e io ne fui subito contagiata.

Alla fine, tra scatti, autografi falsi e la proposta di matrimonio di una di loro verso Aidan la sera era giunta, portandosi via la luce e facendo accendere le fiaccole da un Locke che fu invaso, anche lui, da un paio di pulcine ancora strillanti. Una di loro gli chiese se fosse Locke di Lost e il mio ego divampò come i fuochi di Gondor.

Lui mi minacciò proibendomi la cheescake per una settimana e il mio stato di frustrazione s'adeguò alla stessa stregua del mio cane, che lo vidi trotterellare all'interno dopo aver constatato che non c'erano più vasi di tulipani fuori.

Ah mio piccolo bavoso, la vita dei cani senza tulipani è dura, io lo so.

Alla fine l'unico rimasto fu Dean, gli altri si erano dileguati quando il locale aveva cominciato ad animarsi un po', anche se la flotta di ragazzine era ormai fuggita e adesso erano stanziati ai tavoli personaggi tranquilli e solitari.
C'era una squadra di football già ubriaca intenta a giocare a biliardo, sul retro, e di tanto in tanto si sentiva qualche bestemmia vichinga e poi le grasse risate di uomini pompati.

James mi disse che mi avrebbe aspettato per il break e io passai tutta la serata a domandarmi perché.

Io non volevo diventare sua amica, non volevo dover essere costretta a raccontare la mia vita o ascoltare la sua. A parte il fatto che Penny mi aveva già prontamente detto fin troppe cose sui suoi presunti percorsi, e io non sono tipo da fare domande sulla vita privata di nessuno.
Sono della filosofia che se qualcuno vuole raccontarmi qualcosa, lo farà senza bisogno che io lo intervisti.

Stavo già immaginandomi la scena davanti ai miei occhi quando mi accorsi di Alex stranamente serio. Lui sorrideva a discapito di tutto, anche col cuore a pezzi, era uno dei motivi per cui alla gente piaceva così tanto. Quella era una novità.

«Ehi socio.»
«Mh.»

Ahia, questo è il classico suono da persona che non ha più le forze neanche di parlare. Lo conoscevo bene, sapevo a cosa stavo andando incontro, ma ero risoluta a trasformare quella smorfia.

«Senti, non hai di che preoccuparti. Pollonia ti vuole bene, sai che non lo fa con cattiveria.»
«Mh.»
«A lei piace divertirsi, non ha incontrato l'uomo della sua vita.»
«Mh.»

Avevo notato che si stava creando un Long Island abbastanza teso; non aveva nemmeno spillato la coca. Praticamente si stava per bere un bicchiere di benzina. Sospirai e portai lo sguardo verso il punto della sala in cui Dean s'era appartato, con un cappuccio in testa e il sorriso ben in vista, perché sia mai che ci risparmia.

Pollonia era seduta davanti a lui e parlavano con ardore e trasporto. Sapevo qual era lo scopo di Penny, non c'entrava né l'infatuazione né un presunto accenno di innamoramento. Se lo voleva solo portare a letto.

Mi chiedo chi non volesse portarselo a letto.

«Lei si diverte sempre con tutti, io invece sono qua che mi struggo per lei, mi preoccupo che nessuno la ferisca e lei non mi considera. Io ho anche già pensato al nome dei nostri futuri gatti, che cavolo. Mi chiedo chi me lo fa fare, perché non mi sono innamorato di te? Sarebbe stato più semplice.»
«Io non avrei mai potuto amarti, lo sai.» Tentai di sdrammatizzare io.
«Grace, rassegnati, il tuo inglese è già sposato, ha dei figli e non saprà mai della tua esistenza. Dovresti piantarla di comportarti come una bambina.»

Quando arrivava al punto da criticare la mia vita voleva dire che era meglio lasciarlo sfogare da solo. Anche perché non sono mai stata una da sopportare i giudizi, li trovo molto noiosi.

«Ti lascio al tuo “mh-mmhare”, mettici un po' di coca lì dentro o prendi fuoco.»
«Dai Grace, scusa.»
«Prepara il succo per Jacq, vado dal Belgo.»

Jacq mi passò affianco, dandomi una carezza alla spalla, e io mi diressi con un boccale di birra verso la postazione del Belgo. Lo vidi fissare Jacq mentre era intento a strimpellare con una chitarra acustica, seduto su uno sgabello.

Di solito la sua band musicale si esibisce al Green Man nei weekend, alcune volte ci graziano anche durante la settimana se ci sono eventi importanti. Passai di fianco a due uomini intenti a interloquire tramite due auricolari ficcati nelle orecchie e porsi la birra al Belgo.

Lui mi ringraziò con un occhiolino e tornò a fissare verso il bancone. Mi voltai e vidi Jacq parlare con Alex che non era in vena di ascoltarla.
Ah, quanti amori nascosti nell'aria. Non mi ci abituavo mai.

Il Belgo e Jacq si giravano intorno da quando li conoscevo e nessuno dei due aveva mai provato a fare il primo passo.

Le avevo provate tutte: lasciandoli soli nel bagno, chiudendoli a chiave dentro il ripostiglio, rovesciando su di lei dell'acqua proprio davanti a lui, facendo cantare al Belgo la canzone dei “Girasoli” che era la preferita di Jacq, regalando a lei la mia personale maglia della “Zattera Bruciata” così che la indossasse davanti a lui mentre suonava.

Niente, solo sorrisini, qualche parola, qualche sfioramento e basta.

«Oggi Locke mi ha detto che ha intenzione di far venire a suonare qualcun altro per la prossima settimana.»
«No dai, un altro tributo ai Led Zeppelin no.» Dissi io, tirando su gli occhi.
«Mi ha detto di fare da spalla perché c'è un evento importante. Dai, spoilerami.»

Io caddi dal pero, con tutte le pere. Non avevo la più pallida idea di che cosa stesse parlando ed era assai raro che Locke facesse suonare due band nella stessa sera. Di solito una bastava e avanzava, anche perché il gruppo del Belgo spaziava su molti generi, oltre l'indie rock, e faceva sempre divertire tutti.

Due tizi avevano provato, una volta, ad imitare Jack e Rose si Titanic con la giravolta della morte, durante un loro pezzo molto irlandese, e avevano ucciso due tavoli, rovesciato sedie e fatto versare non so quanti litri di birra. 
Locke li maledì e appese un cartello, vicino al palco con scritto: Non imitate Jack e Rose mentre ballate o il Titanic ve lo infilo dove so io.

Nessuno aveva mai più ballato così.

«Io non so niente.» Risposi.
«Come Jon Snow?»
Lo spintonai con aria divertita e a lui partì una corda della chitarra.

«Spero non sia un gruppo tosto, mi sentirei a disagio.»
«Ma smettila, sei bravo. Siete bravi, non hai nulla di cui preoccuparti.»

Ma lo vidi di nuovo guardare verso Jacq e sospirare d'amore e io decisi di lasciarlo ai suoi pensieri, ritornando nei pressi della sala principale. I giocatori di football stavano giocando col Green Man a tiro a freccette; in pratica il nostro bersaglio tende a penzolare da un lato o dall'altro, dipende da quanti alcolici si è bevuti. Di solito partono risse da bar per questo ma noi ce ne laviamo le mani come Ponzio Pilato.

I tizi con gli auricolari e la parlantina folle stavano ancora parlando tutti concitati, c'erano un paio di vecchietti intenti a giocare a carte, due coppie intente a ignorarsi coi rispettivi cellulari, Alex che martoriava di sguardi Dean e Penny, e Locke intento a girare per la sala inseguito dal mio cane.

«Locke, ma cos'è questa storia del gruppo nuovo?»
«Sssh, non dirlo ad alta voce, è una sorpresa. Avevo detto al Belgo di stare zitto. Si rincitrullisce con tutta quella musica.»
«Dai spara.»
«Non te lo meriti. Subirai la suspense come tutti gli altri.»
«E dai, mi hai già punito abbastanza. Non sento neanche la musica stasera.»
«L'ho messa, si tratta del “Canto del Grillo Silenzioso”, non lo senti?»
«No.»
«Perché è silenzioso.»

Decisi di lasciare Locke a godersi quella brutta battuta da solo, lo sentì anche sghignazzare, e mi diressi verso la postazione di Dean e Penny. Non volevo disturbarli ma sentivo l'aura malvagia di Alex anche da quella distanza e visto che ero io che dovevo lavorarci insieme avrei voluto smussarla un po'. E poi il servizio al cliente è sempre gradito, che siano amici o attori molto carini dall'aria simpatica e semplice.

Non volevo ammettere che stavo prendendo tempo ed evitare di guardare incessantemente verso l'orologio, evitando di controllare quanto mancasse al mio break.

«Salve, posso disturbavi?»
«Certo. Stavamo parlando del tuo film preferito.»
«Il Padrino?» Dissi io, inarcando un sopracciglio. Vidi Penny alzare gli occhi al cielo e Dean sorridere divertito.
«Lo Hobbit, scema.»
«Aaaah.»

Non è il mio film preferito, diciamo che lo è di più “Il Signore degli Anelli” ma adesso non mi sembrava il caso di rinfacciarlo davanti ad uno degli attori. In fondo una delle cose belle della seconda trilogia di Peter Jackson erano proprio i personaggi che ne facevano parte.

«Oh sì, bellissimo. Il secondo è il mio preferito, anche se nella prima pellicola ci sono certe scene tagliate che ho trovato divertentissime e m'è dispiaciuto che non siano state inserite.»
«Lo so, tutta questione di post-produzione. Cose complicate e lunghe da spiegare.»
«Ah non me ne parlare, ne so fin troppe di cose lunghe io.»

E dopo quella massima di Penny tutti giù a ridere. Risi anche io anche se non volevo farlo, in realtà, e le diedi una piccola pacca sulla testa rossa.

«Io invece ho amato molto la scena con Smaug. Tutto quanto, da Bilbo a quando il Drago vola verso Esgaroth.» Disse la mia amica tutta concitata.
«Sì, la mia preferita dopo quella dei barili.» Mi accodai a lei.

Dean non faceva che alternare lo sguardo tra me e lei e io volevo solamente dileguarmi da quella conversazione. Non potevo rimanerne imbrigliata o non ne sarei uscita mai più. Walter mi si affiancò con uno scodinzolamento folle e io capii che era il momento dell'avventura nel bosco.

Di solito Locke mi dona venti minuti di pausa extra per evitare che Walter usi il Green Man come gabinetto. Sono felici tutti di ciò, anche il Green Man e anche io che poi mi tocca pulire, altrimenti.

Penny o Jacq mi accompagnano spesso così non mi aspettano con aria preoccupata.

«Pollonia, devo fare evacuare Walter.»
«Adesso?»
«Sì, ha la coda a pendolo.»

Sia Dean che Penny si affacciarono verso il mio cane. L'attore subito gli donò carezze e paroline affettuose e il mio cane si fece viziare. Altro moto di gelosia; perché quel biondo era così piacente, dannazione?

«Portalo nel giardino, non ho molta voglia ora.» Mi rispose lei.

La fissai e lei mi fissò. Ci stavamo capendo e io abbandonai l'impresa di convincerla e mi allontanai verso la zona esterna. Forse non voleva solo portarselo a letto; Penny non mi snobbava mai per i suoi adescatori. Fin da quando la conosco tutti sono in secondo piano, rispetto all'amicizia.

Era una di quelle cose che non avrei voluto capire, anche perché mentire ad Alex non avevo proprio voglia.

Superai la soglia e vidi Walter sfrecciare tra le aiuole e perdersi tra i vasi di Jacq e le fiaccole ancora accese. La zona fuori era deserta ma non faceva freddo, i clienti amavano restare dentro per evitare che il vento portasse una nuvola molesta durante la serata.
Non è una cosa improbabile, da queste parti.

E fu allora che lo vidi.

Un uomo alto, dai capelli neri, vestito di scuro con una giacchetta di pelle, un po' di barba e il passo da uomo sicuro di sé. Nella mia testa stavano già suonando le note di “I'm sexy and I know it” e cominciai a vedere tutto a rallentatore.

La sua chioma smossa dal vento, un sorriso che già si accennava ad accendersi sul volto e gli occhi che brillavano sotto la luce calma delle fiaccole.
Porca d'una miseria, emanava charme da tutti i pori.
Mi ritrovai a guardarlo con aria inebetita e provai a sorridere anche se sentivo il cuore esplodermi nel petto.

«Buonasera, è questo il Green Man, giusto?»

Anche la sua voce era sexy, questo non era contemplato. E così mi ritrovai senza più salivazione a guardare il volto di Thorin Scudodiquercia in persona.
Richard Armitage era in piedi davanti a me, con le mani nelle tasche che mi fissava in attesa di una risposta.

«Oh sì, sì. Non...sì.»
«Stavo cercando il mio collega, non fanno che parlarmi di questo posto e finalmente ho trovato un momento dopo lo spettacolo.»
«Mh-mh.»

Alex mi contagiava in questi momenti, anche se il mio “mh-mh” era di una tonalità diversa. Era un più una mancanza di produrre suono con le corde vocali e quindi mi adattavo alla circostanza, instaurando un suono complementare che facesse capire che stavo seguendo il discorso, lo approvavo, consentivo e che andava tutto bene.
Un “mh-mh” universale.

«È un problema se rimango qui fuori? La serata è molto bella.»
«Oh sì, lo è. Non che sia un problema, la serata intendo. È...molto bella.» Sussurrai io con la voce un po' roca e lui mi sorrise, prendendo posto in uno dei tavolini fuori. Erano un po' sporchi di foglie, di terriccio ma c'era una candelina che illuminava dolcemente il tavolo.
«Ti...ti chiamo il collega, che è dentro, e...ti porto il menu? Una birra? Una...un dolce?»
«James è già arrivato?» Domandò inizialmente ma poi alzò leggermente una mano,scuotendo appena il capo. «Aspetto un attimo prima di bere, grazie.»
«No, parlavo...parlavo di Dean.»
«Sì grazie, chiamamelo pure.»

Non vedevo l'ora di entrare dentro e nominare la presenza di Richard alla volta di Pollonia, sapendo quanto stesse aspettando quel momento. Dean poteva essere dolce e bello, ma Richard era Richard, neanche io ero riuscita a sgusciare fuori dal suo alone magnetico.

Ma quando entrai dentro non vidi né Dean né Pollonia e il mio cuore ebbe un debole sobbalzo.
Guardai verso Alex e lo vidi più nero della Guinness che stava preparando per Paul.
Questa non ci voleva.

«Ehi Grace, sei pronta per il break?»

La voce di James mi fece sobbalzare e me lo ritrovai dietro alle spalle. Sembrava un po' sconvolto dal vento e aveva gli occhi un po' lucidi. La sua voce biascicava ancora di più.
«Non sei pronto tu. Fuori c'è Richard, mi ha detto di chiamare Dean ma...»
«Meglio che non lo chiami.» Mi fece lui un po' ammiccante. Provai a sorridere ma non ce la feci, l'aura di Alex mi avvolgeva come una spira. «Vieni con me, dico io a Locke che è colpa mia se non lavori.»
«Se la prende con me comunque.»
«Tu puoi ricattarlo con quello che sto per dirti.»

Ah, il mio eroe.

La porta scampanellò in quell'esatto momento ed entrò Mya più bella che mai. Aveva un vestito di fiori, un po' corto, e i capelli intrecciati. Notai James diventare un tronco ad osservarla e io ne approfittai per sgusciare a quella presa.

«Prima vado a riprendere Walter prima che cominci a produrre metanfetamina.»
«O finisca in un mondo alternativo.» Mi rispose James con aria un po' strana, mentre Mya mi salutava con un bacio volante e si soffermava a parlare con James.

Non restai a guardare molto quella scena, perché ritornai verso la porta di servizio per uscire fuori dal locale.
C'era qualcosa che non stava andando per il verso giusto, quella sera, e stavo provando strane sensazioni tutte insieme.

Avevo visto Locke fluire come una pallina impazzita per tutta la sala prima di vederlo fermarsi dall'amico irlandese e io volevo solamente ritrovare Pollonia e capire che cavolo mi stava succedendo.
Stavo provando del fastidio interno, una sorta di spina nel fianco, di stringimento del petto.
Fu allora che mi scontrai contro un tizio, bloccando così ogni mio pensiero.

 










NA.
Non ho molto da dire, qua le giornate si susseguono lente, calme e tranquille xD 
Volevo ringraziare come al solito le persone che mi leggono in silenzio e chi mi segue <3 e anche Dil, che è sempre con me.
Una buona giornata a tutti. Ah, spero che i miei riferimenti a *Walter siano stati capiti ahahahah. 

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Capitolo 6
*** 6. Obbligo o verità? ***


Capitolo 6.
Obbligo o verità?

Ci sono molte cose che fanno presagire il cambiamento.

Per Zeus è stato imprigionare i Titani sotto terra, per i Goonies è stato trovare il tesoro di Willy l'Orbo e per Fantàsia è stato sconfiggere il nulla, per me fu una portentosa craniata. E mentre pensavo a quanto avessi voluto avere anche io un fortuna drago da cavalcare per andare a lavoro mi ero ritrovata tramortita e bernoccolata contro il tavolo, dopo aver impattato, in un incrocio tra il bagno e la cucina, contro un giovane dai capelli ricci e la camicia a quadri. Non lo avevo mai visto ma già fu antipatia.

Entrambi barcollammo all'indietro e ci fu un coro di lamenti che nemmeno le opere liriche.

Non feci in tempo a citarlo per danni morali che mi ritrovai soccorsa da una Mya tutta preoccupata e un James che era corso a chiedere del ghiaccio al mio socio. E così mi ritrovai seduta su una panca, con un occhio monco e una confezione di piselli schiaffata in faccia da Bofur; quel gran burlone di Alex aveva deciso che andavano bene come ghiaccio. Avevano tentato di salvare anche il ragazzo misterioso ma era prontamente scomparso verso altri lidi e io ne approfittai per chiedere a Locke una break più lungo di venti minuti. Non so se era per fare colpo su Mya o perché era già ubriaco ma mi diede il fine turno e mi piazzò un boccale di birra davanti al naso.

Qualcosa stava cambiando.

Il locale s'era fatto più silenzioso, le fiaccole e le candele illuminavano le pareti e le nostre ombre sembravano dei sinuosi ballerini scuri sul pavimento. Sentivo nell'aria la voce di Freddie Mercury che intonava “Don't stop me now” e subito mi tornò alla mente la scena in cui Simon Pegg uccideva zombie a ritmo di questa canzone. Il mio cuore s'innamorò per un istante e m'accorsi di sorridere come un ebete da sola. Presi il mio boccale di birra e lì successe; James Nesbitt si sedette di fronte a me, con una Guiness, e mi ritrovai spiazzata e senza vie di fuga.

«Tutto bene?»
«Se non sei un'allucinazione va tutto bene.»
«Non credo di esserlo.» Disse lui con un sorriso divertito.
«Meno male.» Sospirai. «Una cosa buona l'ha fatta quel ragazzo, Locke mi ha dato il resto della serata libera. Ho un break molto intenso fino a domani.»
«Oh, perfetto. Il vecchio ora sta parlando con Richard per la festa, sarà una cosa intensa.»
Io caddi dalle nuvole e mi ritrovai a pressare di più la confezione surgelata di piselli sulla faccia. Ormai era congelata per metà, una parte del mio volto non si muoveva più.
«Quale festa?»
James si ficcò una mano davanti alla faccia e strizzò gli occhi. Non so perché mi ricordò molto Bofur in quel momento; e col senno di poi era un pensiero un po' scemo visto che lui è Bofur.
«Forse non dovevo dirtelo.»
«Ormai è fatta.»
«Richard vuole festeggiare la prima dello spettacolo con Martin e vuole fare una festa proprio qui. Li ho obbligati io, così Locke poi mi deve un favore.»
Io avevo sicuramente assunto un'espressione da lucertola al sole e mi ero impietrita. Presi il mio boccale di birra e riuscì a berne a goccia più di metà; mi faceva un effetto strano bere in questo modo, finiva che i miei sensi s'annebbiavano in fretta. Altro che Legolas.
«Una festa?»
«Eh sì, sai. Musica, gruppo musicale, alcol, belle donne.» E ammiccò spavaldo mentre dietro di noi passò Mya, guardandomi come se fossi la signorina Guendalina e portandomi uno di quegli scialli di seta. Me lo mise sulle spalle, mi diede una carezza sulla testa e fece un sorriso a James che era da colpo di fulmine immediato.
Mi accorsi che lui la fissò a lungo prima di vederla scomparire dietro il bancone.
«Va che non è un pezzo di prosciutto.» Dissi io con un mezzo sorriso già brillo. Lo scialle mi stava scaldando le spalle ed era assai piacevole.
«Accidenti.» Lo sentì biascicare prima di voltarsi verso di me e sorridere. «Ho paura che se ne bevo un'altra comincio a flirtare, è meglio che smetto.»
«Non provarci con Mya, il suo cuore è già impegnato.» Lo vidi fare una strana espressione e così mi voltai verso il resto della sala.
Non erano rimasti molti; i due vecchietti, uno dei due centralinisti ed era arrivato anche Paul con un sorriso raggiante che voleva dire solo una cosa “il forum di Star Wars lo aveva re-integrato” a costo che non usasse più di due parolacce per esprimere le sue opinioni nel post. Era un giusto compromesso.

All'improvviso mi parve di vedere il ragazzo dai capelli ricci vicino al lettore dei CD ma venni deviato da un paio di risatine molto femminili. Due donne dai capelli lunghi e il sorriso da joker erano immerse in qualche conversazione femminile e così le puntai con un cenno.
«Ecco: Isabella e Rossella, si dice siano stato due modelle famosissime per le più grosse compagnie di moda, cacciate dopo intensi trascorsi a boicottare il sistema. Erano le uniche che mangiavano carboidrati.»
«Oooh.» James mi seguiva interessato.
«Vedi come ridono? È un segnale, significa che possono accettare nuove conoscenze senza che venga loro offerto da bere. Donne d'altri tempi, che ci vuoi fare.»
«Non ho ancora finito la birra, dammi tempo.» Mi disse James con un sorriso e io venni trafitta da un sentimento diverso. Quell'aura strana che s'era insidiata dentro di me come un sopravvalutato sentimento adesso si stava trasformando in qualcosa simile all'affetto. Forse ero disposta a diventarci amica e rischiare cosa questo ne comportava.
Lorella Pazzerella, nella mia testa, cantava “Amami adesso che mi sono rifatta il sedere” e riuscì a contrastare il mio iniziale imbarazzo fino ad equilibrarlo, ora era un miscuglio tra divertimento e rossore. E avere metà faccia congelata stava aiutando quel mio stato d'animo.

«Obbligo o verità?» Incalzai io, ricordandomi del film “Birdman” e giocando questo a mio vantaggio.
«Non farlo.»
«Obbligo o verità?»
James mi guardò per diversi secondi e poi sorrise un po' malizioso, bevendo tutta la sua birra.
«Obbligo.»
«Vai da quelle due ragazze e dì loro di essere un mormone.»
James cominciò a ridere come un ossesso e scosse il capo, lo vidi calare la faccia verso il tavolo e io non riuscì più trattenermi. Ero strana perché metà delle labbra non si muovevano.
«Io ti odio.»
«Dai. Sei un attore, no? Voglio vedere cosa succede.»
«Io ti odio.»
Lo rimarcò con un altro sorriso, piazzò il boccale sul tavolo e s'alzò tutto spavaldo, mentre lo vedevo ciondolare verso il tavolo delle due ragazze-modelle. Ero già intenta a farmi tante di quelle ghignate che mi si piazzò davanti Penny con l'aria sconvolta, il trucco un po' sbavato e i suoi indomiti capelli rossi un po' arruffati.

Oh no.

Guardai verso Alex ma lo vidi voltato di spalle così m'alzai di gran fretta, presi Penny per un polso e la trascinai fuori. Evitai accuratamente di dirigermi verso la postazione di Locke e Richard e la portai nell'altro spiazzo all'aperto, che era più al buio così che nelle notti di Halloween potevamo aspettare che i morti viventi s'alzassero dalle loro tombe.
«Passi che non mi hai accompagnato a portare Walter a Hobbivile ma almeno non farti vedere conciata così da Alex.»
«Non ho fatto sesso con Dean.»
«Anche perché sono io che poi devo vederlo così, non sono brava con le parole, poi finisce che lo vedo stare...ah. No?»
«No.»
Rimasi a guardarla ancora per un po' e corrugai la fronte. Lei se ne accorse e fece uno sbuffo, facendo fluire la sua chioma da una parte della spalla.
«È fidanzato.»
«Oh.»
«E non l'avrei mai fatto, con lui.»
«E allora che cavolo t'è successo?»
«Dean ha ricevuto una chiamata dall'altro suo amico riccio, Aidan, e io stavo per venire a cercarti ma ho ritrovato per la strada quel simpatico pompiere di ieri e così...»
«Vieni dentro, stupida pigna che non sei altro.»
La ripresi per il polso, le sistemai un po' i capelli, le misi a posto la maglietta e chiesi ad Alex di portarci due Malibu. Lui osservò con minuzia Pollonia e lei sfoderò un sorriso così bello che Alex perse sei anni di vita in un colpo solo.

«Te lo posso dire adesso, ma preparati psicologicamente perché è successo così di fretta che pure io sono stata uccisa. E poi sono risorta come Gesù. Lui è qui.»
«Oddio.»
«Sì.»
«Chi dei due? Richard o Manu?»
«Indovina.»
«O mio...»

E la vidi perdersi con la mente verso chissà quali pensieri erotici e impuri, così che non notò che – proprio dalla porta – fecero la loro comparsa sia Locke che Richard. Credo che nella sua mente si stava formando la stessa immagine che aveva attanagliato la mia poco prima. Tutti gli ormoni erano in subbuglio e sia io che Pollonia ci scolammo il Coca&Malibu preparato da Alex con una sola tirata di cannuccia.

Mi salì al cervello prepotentemente e cominciai a vedere immagini un po' sfalsate.
In quel momento partì una strana ruota di eventi in cui mi ritrovavo ad osservare dal di fuori.

Richard e Pollonia si guardavano e vidi già le scintille partire come fuochi d'artificio fino a scoppiettare sulle nostre teste, Locke parlava ad Alex di striscioni da festa e un gruppo musicale che verrà a suonare da noi, che chi canta è molto Pippin, e vidi Jacq e il Belgo arrivare con passo da felini mentre già sfrecciavano idee su composizioni floreali, castelli di boccali di vetro, DJ post concerto live e cocktail dai colori sgargianti. Paul s'intrufolò nel discorso dicendo di poter creare degli inviti adeguati alla festa con le immagini di Gandalf e la scritta “You shall not pass!” così avrebbe fatto ridere tutti.

Rispuntò anche Dean, a sorpresa, dicendo di voler creare dei cartonati di Bilbo e indurre a giocare al “trova quello vero” così che ci sarebbe stato una sorta di caccia al tesoro verso Martin Freeman, epocale.

Io non riuscivo a capire più niente e a stento seguivo i discorsi. Avevo chiesto ad Alex con la forza del pensiero un altro cocktail e lui mi aveva schiaffato davanti un Long Island potentissimo, dall'odore di bomba atomica, e io avevo cominciato a berlo senza vergogna.

Ormai i miei pensieri stavano procedendo verso inconsueti luoghi dove tutto quello non stava realmente accadendo, ma era solo una proiezione fantasiosa della mia testa. Mi ritrovavo a pensare ad alcune copertine dei miei CD brutti dove c'erano lande e colline con photoshoppati strani individui pigiati agli alberi e con la pancia di fuori. Di solito, in questii momenti, sento mio padre strimpellare una chitarra scordata per accompagnare la mia colonna sonora personale; lui colleziona strumenti musicali rotti, ha creato un museo antico in salotto e perde tempo a fingere di aggiustarli. Sarà per questo che nostra madre ha deciso di cercare qualcuno con un hobby meno noioso del suo. O del mio d'altronde.

Qualche volta mi spedisce cartoline quando parte per il mondo alla ricerca di sé stessa con uno stallone spagnolo di nome Behlo. Il fatto che io lo chiamassi “Beeeelo” imitando il belato della pecora aveva indotto mia madre a smettere di chiamarmi, così non è costretta a sentire le mie prese in giro.

Vidi Walter trotterellare verso di me con l'aria di uno che aveva fatto la pipì sulle ruote della macchina di Locke e m'abbassai per accarezzarlo, sfuggendo a tutte quelle voci. Sentii la porta scampanellare e vidi Locke in preda ad un attacco d'attore che lo vedeva intento ad inscenare un incendio nelle cucine. Scacciò via gli ultimi clienti rimasti e quando vidi sgambettare fuori dalla porta Isabella e Rossella – oltrepassando Aidan Turner che era appena entrato con occhiali da sole, vista la potente luce del locale, e capello riccissimo – mi ricordai di James.

Non feci in tempo a voltarmi che me lo ritrovai inginocchiato davanti a me con un sorriso fin troppo spavaldo e l'occhio lucido.

«Indovina chi ha dato il numero di telefono al mormone?»
«Oooooh.»
«Esatto. Credo che le accompagnerò a prendere il taxi.»
«Aspetta James.» Era la prima volta che lo chiamavo col suo vero nome, mi faceva uno stranissimo effetto. Alzai un attimo lo sguardo per vedere Aidan fare uno scherzone da infarto a
Dean e poi tornai su James. «Obbligo o verità?»
«Verità.»
«Ti hanno dato veramente il numero di telefono?»
James rimase a guardarmi con aria un po' stralunata e poi fece un sospiro che non si capiva se era rassegnazione, rabbia, sconforto o semplicemente per respirare.
«No.»
«Ah!»

Risi molto alla faccia sua e lui mi diede una spinta con una mano, facendomi cadere da un lato. Walter, che come cane da difesa è un po' un disastro, lo prese come un gioco e mi ci fiondò sopra con tutti i suoi 45 chili di grasso. James aveva ripreso a ridere e s'era messo dritto, piazzando una mano sulla spalla di Richard e l'altra su quella di Locke.

Mentre ero intenta dal salvarmi da sola dai litri di bava che Walter mi stava riversando addosso mi resi conto che, quei tizi, stavano regalando alle mie serate qualcosa di diverso.
«Allora è deciso, domani cominciamo. Sento io Billy e poi parliamo per il catering e tutto il resto.»

Sentì dire da Richard con voce che avrebbe messo incinta chiunque e già vedevo come i suoi occhi cercavano quelli di Pollonia senza sosta. Mi rialzai giusto per vedere se Alex era ancora tra noi ma lo vidi estremamente calmo, addirittura sorridente, mentre s'era messo a parlare di macchine volanti (?) con Paul, Dean e Aidan.
Quattro amici al bar. Poteva essere l'inizio di una nuova opera teatrale.

«Vieni.»
Non feci in tempo a pensare all'indomito inizio che avrebbe potuto avere il mio futuro successo di Broadway che mi ritrovai tirata per un braccio da James Nesbitt, superammo Shan che stava dormendo con una scarpa sulla testa – quello era sicuramente stato Alex con i suoi scherzoni – e Mya intenta a leggere un libro rubato dal nostro scaffale per i bevitori solitari. Walter ci stava seguendo ma smise ben presto di farlo quando Dean lo richiamo a sé con voce piacente.

Maledetto biondo dallo sguardo da Labrador, mi stava rubando l'amore del mio cane.

Non feci in tempo a pensare di ingelosirmi che mi ritrovai fuori, tra le fiaccole e le candele ancora accese, mentre la musica dei Queen non era che un suono lontanissimo. Era insolito come da fuori la musica sembrava non esistere, come se il Green Man fosse un portale a parte.

«Ho bisogno di un favore.» Fece James una volta che si fu seduto su uno dei tavolini all'aperto, notai solo ora che aveva ancora preso da bere. Io barcollavo, ero in uno stato che era meglio se non mi sedevo ma neanche che stessi in piedi. Quindi optati per appoggiarmi al muro e fare finta di essere solamente stanca.
«Ne possiamo parlare domani? Credo di non avere molto la testa-»
«No.»
Poi indicò il boccale che aveva preso per me e sgranai gli occhi.
«Se bevo un altro sorso potrei cominciare a fare cose strane, come arrampicarmi sui lampadari...grazie del pensiero ma-»
«Dai bevi, giuro che se ti arrampichi sui lampadari ti seguo a ruota.»
James sorrise, indicandomi il boccale e io mi staccai dalla parete e con un equilibrio precario raggiunsi la mia postazione. Di nuovo ero di fronte a James Nesbitt per la seconda volta di fila e avevo il cuore in subbuglio.
«Voglio fare un regalo a Locke ma ho bisogno che tu mi dia una mano in questo. Siamo stati molto amici quando eravamo più giovani e adesso che lavoriamo entrambi in ambiti completamente diversi riusciamo a vederci di rado.»
«Che tipo di regalo vuoi fargli? Un trapianto di capelli?»
James sghignazzò, scuotendo il capo. «Sei malefica.»
«Non credo di essere Malefica, mi dicono che assomiglio più a-» mi bloccai perché stavo per dire la cretinata del giorno e lui lo notò, aspettando che finissi. Non gli diedi questa soddisfazione.
«Non lo so, ho un'idea in mente ma è complicata.»
«Spara.»
«Regalargli un viaggio e farlo venire in Irlanda. Ha sempre voluto visitarla ma non è mai riuscito a staccarsi da questo posto una volta presa la gestione, è un dannato stacanovista.»
«Beh insomma...»
«Il punto è che non posso regalargli un viaggio o troverebbe mille scuse per non partire.» E camuffò la voce, diventando estremamente simile a Locke. «Ma sei pazzo? Che se lascio il locale incustodito mi prende fuoco e vengono ad abitarci dentro i castori. No no, il viaggio te lo fai da solo.»
«Riportalo in un posto molto importante della vostra infanzia, allora.»
Io già mi immaginavo in che tipo di luogo si fossero conosciuti quei due. Locke magari aveva ancora i capelli sulla testa; avrei dato oro per vederlo.
«Mh.»
«Eh, va che idee.»
«In effetti non è male, posso portarlo in quel villaggio in cui lui ha conosciuto Frida.»
«Frida?»
«Lunghissima storia, è stato il weekend più intenso e alcolico della nostra vita.»
«Oh non lo metto in dubbio.»

Ero riuscita, non so come, a bermi un'altra metà del boccale e ora avevo la testa che ciondolava pericolosamente da una parte all'altra. James se ne accorse e m'afferrò una spalla per tenermi ferma. Guardai la sua mano, poi guardai lui e lui guardò me e poi la sua mano.
«Sì ma non dovevi andare ad accompagnare le ragazze al taxi?»
«Non mi hanno lasciato il numero, non mi meritano.»
«Oooooh mi scuuuusi allora, signor Nesbitt “ce l'ho io e ce l'ho bellooo”» Mi stavo per rialzare, non riuscendo a capire il fatto che avessi detto una frase violentemente ambigua e quello si mise a ridere divertito, piazzandosi le mani sulla faccia. Mi faceva un po' ridere; aveva l'aspetto disordinato, la cosa mi piaceva e non mi piaceva il fatto che mi piacesse.
«Io vado sior, che poi Locke pensa che faccio le cosacce con te.»
«Aspetta che adesso cadi.» Lo sentì rialzarsi e prendermi per le spalle, indirizzandomi verso l'interno del locale e subito fui invaso da un coro di risate. Non erano più tutti al bancone. Dean e Aidan stavano facendo strane cose con dei boccali di birra, impilandoli una sopra l'altro, con Alex che coordinava le mosse.

Mya stava parlando – cinguettando – con Locke e vidi Penny venire verso di me con un sorriso a così tanti denti che ora gli esplodevano le labbra.
«Domani mangiamo insieme. Ti rendi conto? Mangerò con Richard Armitage. Oh mio...non ci posso credere.»
«Sessoooo!» Esclamai io, alzando un pugnetto di vittoria.
Pollonia arrossì violentemente e alzò lo sguardo verso James.
«E' ubriaca, non preoccuparti..»
«Sì lo so, la conosco.» Stizza di gelosia da parte di Penny, come consueta routine, prima di sentire lo schiocco di un suo bacio sulla guancia e vederla sfilare via lasciando nell'aria l'odore di rosa.
Fu allora che Alex mi richiamò, facendomi cenni e quegli altri due nani si voltarono verso di noi. Aidan si piazzò sui ricci gli occhiali da sole.
«Abbiamo avuto l'idea del secolo: mettiamo dentro la torta un fuoco d'artificio e gliela facciamo esplodere in faccia a Martin non appena tenta di affettare una fetta.»
Io scoppiai a ridere così forte che svegliai persino Shan.

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Capitolo 7
*** 7. Preparazioni ***


Capitolo 7.
Preparazioni

Il giorno dopo andai in perlustrazione nella mia zona di riciclo con Walter e mi portai al Green Man due nuovi CD nuovi di zecca, uno era ancora ricoperto dalla pellicola trasparente. Probabilmente qualche dono di compleanno che non era stato apprezzato abbastanza; non conoscevo l'artista, era una sorta di tizio munito di baffi e ukulele, dalla camicia hawaiana e col nome in codice di “Bali”, che è anche una nota meta turistica per chi ama molto i gamberetti.

Approfittai dell'assenza di Locke per immergermi nelle note pizzicate molto caraibiche del suonatore baffuto – assomigliava molto a mio padre, era inquietante – e mi immersi in una pulizia solitaria del mio bancone.

Avevo ancora i rimasugli del mal di testa della sera precedente e non aiutava il fatto che avessi il cellulare che trillava ogni tre secondi.

Era Pollonia, ovviamente, che mi mandava foto sui suoi completi vestiari per la cena con Richard.
Aveva anche provato a riempirmi di note vocali con svariate prove per dire determinate frasi, così che mentre ascoltavo “Bali” parlare delle Balene fosforescenti, sentivo anche svariati “Sì, vorrei altro vino Richard”, o “Molto divertente, parlamene ancora” o “No, quel vestito non ti fa assolutamente sembrare grasso.”

Mi chiedevo in che razza di conversazione s'aspettasse di incappare Penny con Richard ma non m'azzardai a pormi domande e la lasciai continuare a mandarmi queste perle di saggezza. Alla fine le dissi che il suo vestito porpora era perfetto e la frase “Grazie per la cena, è stata bellissima” sarebbe stata la più gettonata, quindi alla fine si convinse e mi lasciò definitivamente da sola, smettendo di trillarmi con messaggi ansiosi.
Anche se qualche volta m'arrivavano punti esclamativi pieni di angoscia.

Solo allora mi resi conto, effettivamente, di quello che era successo la sera precedente. Penny non l'avevo mai vista così agitata e aiutarla mi risultava difficile visto che era una novità, Locke mi sembrava molto più solare e permissivo del solito, Alex era uscito con Aidan e Dean come se fossero amici da sempre e io m'ero fatta accompagnare a casa da James.

Mi bloccai come una pera davanti ad una fila di tavolini con le poltroncine e cominciai a rimuginare sull'accaduto.

Mi ricordavo di lui che tentava di non farmi scontrare contro gli alberi – per inserirmi nella mia porta d'ingresso devo superare degli alberi in fiore, fa molto Minas Tirith nei suoi tempi d'oro – e mi ricordo d'aver interloquito di ghiande e castagne con una volpe dagli occhi un po' fantasmagorici.
Mi ricordo di James che rideva, che mi teneva per le spalle e mi raccontava cose che riguardavano “Eh ai miei tempi” ma poi avevo il buio. Forse mi ha dato una pacca sulla testa ma chi può mai dirlo.

Ripresi a pulire mentre ballavo un po' a ritmo della nuova canzone del tizio baffuto; questa parlava di barche a vela che vengono travolte da una tormenta di neve.
Forse non aveva ben chiaro il clima, il povero Bali, ma alla fine a me non importava.
Avevo la mente deviata verso il mio subconscio quando sentì lo scampanellìo della porta d'ingresso.

C'è da dire che il locale non si riempie mai prima di cena, nonostante riserviamo spesso aperitivi mastodontici e lo chef ci grazia con odori di cibo non indifferenti.
Di solito veniamo invasi dalle masse solo dopo le nove e durante la settimana è cosa rara che occupiamo tutti i tavoli.

Io me la prendevo sempre comoda con le pulizie anche per questo e permettevo a Walter di gironzolare per il locale facendolo sentire un po' il padrone del posto; quel giorno s'era adagiato su una delle poltroncine vicino alla libreria e, colta da un momento di demenza, gli ficcai cappello tra le orecchie e pipa in bocca – dimenticati da Shan nei suoi deliri sulle scarpe troppo costose – e cominciai a interloquire con lui fingendo di essere Watson.
Lui ovviamente era Sherlock Holmes.

Era ancora conciato così quando mi ritrovai davanti un nuovo cliente. Non l'avevo mai visto e aveva l'aria di un tipo conosciuto, ma non riuscivo a cogliere. Anche lui senza capelli – era proprio un vizio – ma aveva una folta barba grigia che gli prendeva anche la basette.
Era piuttosto alto e ben piazzato, sembrava avesse appena finito di pomparsi il fisico.
Rimasi un attimo in silenzio, ma sorridente.

«Salve. Per caso cucinate?»
«Oh sì, certo. Abbiamo lo speciale del giorno, oppure posso chiedere se-»
«Speciale del giorno, va bene.»
Secco e conciso si levò la giacca di pelle e si ficcò subito al bancone, guardando il mio cane con sguardo che non lasciava sfuggire neanche mezzo sorriso.
Aveva prepotentemente l'aria di uno che avevo già visto da qualche parte ma non riuscivo a ricordarmi.

Magari era un amico di Locke o uno di quei clienti che arrivano un po' come fantasmi e quando se ne vanno lo fanno in silenzio, lasciando solo cospicue mance.
Gli chiesi se voleva da bere e lui mi indicò una tranquilla Foster's e mandai allo chef la comanda.

La cucina era invasa dalla nebbia dei fumi e così riuscì a comunicare con lui tramite gesti e segnali di fumo prima di ritornare verso il bancone.
La distanza non è troppa ma abbastanza da isolare entrambe le zone.
Non appena ritornai alla postazione assistetti alla scena più bella della mia vita.

«Dovresti smetterla di riempirti di oppio e cercare di disintossicare la mente, Sherlock, questo compito non ha nulla di irrazionale.»
Il mio cane guardò verso l'uomo con la sua solita aria annoiata e lo sbuffo facile. Gli colava un po' il naso mentre sbavava sulla pipa di Shan.
«No. No, non andremo a saccheggiare tombe, questo se lo scorda.» Disse l'uomo agitando un dito.
Aveva l'accento scozzese e il volto gli era diventato un po' rosso.
Il mio cane fece un rantolo.
«Io sapevo che mi sarei cacciato in una brutta storia, perché non imparo mai a non darti retta?»
Il mio cane sbuffò e voltò la testa dall'altra parte.
«Ah adesso sarebbe colpa mia?»
Il mio cane diede una zampata al bracciolo della poltrona.
«No, questo è troppo. Io me ne vado.»
E dopo quest'ultimo atto mi ritrovai l'uomo a fissarmi, afferrando il suo boccale e sorridendo con aria molto addolcita.
Io stavo ridendo da un quarto d'ora per quella scena e scossi il capo, piantando le mani sulla faccia.
«Non ci credo: io parlo con lui tutti i giorni e non c'è mica verso di farlo ragionare. Adesso vedrà che si metterà a suonare il suo violino.»
«Che ce ne scampi, beviamoci su.» Mi disse lui e alzò il boccale prima di bere con gusto.
Io ripresi a ridere. Era uno di quei casi in cui l'apparenza ingannava, non era per niente scorbutico. Il mio telefono trillò di nuovo e quando lo presi vidi un selfie dall'alto dove c'era Penny con una strana bocca a papera e un cappello oscenamente grosso.

Le scrissi subito di togliersi quel gazebo dalla testa e lei mi vocalizzò un “guastafeste” un po' isterico.
«Problemi?» Mi chiese l'uomo mentre uno degli aiuti chef spuntò dal nulla, piazzò il piatto davanti al naso dell'uomo e tornò e verso il fumo nero scomparendo dalle nostre viste.
«Una mia amica ha un appuntamento con un attore, non so neanche io come sia possibile. E ora è agitata come non l'ho mai vista.»
Lui sorrise e cominciò a mangiarsi le bistecca come se non mangiasse da due secoli.
Era vorace, fin troppo, mi ricordò ancora di più qualcuno ma non riuscivo a cogliere il punto. Odiavo quella sensazione, come quando non ti ricordi il titolo di un film o di una canzone e passi tutto il giorno a rimuginarci senza più riuscire a pensare ad altro.
«Posso sapere che attore sarebbe o è un segreto?»
«Non so se lo conosce, è un certo Richard Armitage. Ha fatto Thorin nello Hobbit e... » sospirai, un po' sconfortata «Anche Guy in Robin Hood. Ma quello è un brutto trascorso che tendo a dimenticare nei meandri della mia mente.»

Lui stava sghignazzando come pochi mentre tranciava via la carne con i denti.
«Fa sempre il mandrillo, è proprio un caso disperato.»
Corrugai la fronte, un po' sconvolta. «Lo conosce?»
«Eh sì.»
Rimasi a fissarlo come un gufo, sperando di cogliere in lui un dettaglio che mi avrebbe fatto scattare la lampadina sulla testa ma niente, avevo un vuoto totale.
Diedi tutta la colpa alla sbronza del giorno prima e non m'azzardai a fare altre domande.
Odiavo dover risultare indiscreta, anche se morivo dalla curiosità.

Intanto il mio nuovo amico Bali prese a suonare anche il bongo, nel suo CD, e decisi che era il caso di cambiare musica così Locke non mi avrebbe punito negandomi la cheescake dopo il turno.
Era una tradizione, ed era solito vendicarsi con me distruggendomi il languorino da fine lavoro.
«Mi ha detto lui di venire qui, lui e quegli altri pazzi che – purtroppo – sono venuti a trovarli. James mi ha detto di chiedere di una certa Grace, una bella ragazza dall'imbarazzo facile e la propensione a fare cose strane, come vestire il cane da Sherlock Holmes.» Poi sorrise un po' spavaldo. «Scommetto che sei tu, eh?»

Ero diventata paonazza e mi bloccai come un Troll a guardarlo.
James aveva detto a questo qui di chiedere di me?
Una bella ragazza? Cosa?
«Ho capito chi sei!» Esclamai io senza più controllare i pensieri. «Sei tu!»

«E meno male che lo sono!» Rise lui.
Io boccheggiai per qualche istante e poi la porta scampanellò. Entrò Alex con degli striscioni e delle scatole abnormi, salutò il cliente e andò a conficcarsi dentro il magazzino.
Dietro di lui comparve Paul con le cuffie alle orecchie e la maglietta di X-files – una delle tante cose che avrei voluto rubargli – e Aidan e Dean. Tutti erano provvisti di scatole, trombette, palloncini, sacchetti della spesa, cappelli imbarazzanti e un paralume.

La serata non era neanche cominciata che già non capivo più niente.
La festa per Martin Freeman era stata programmata per il venerdì successivo, mancavano due giorni e tutti s'erano prodigati ad aiutare Locke con la preparazione.
Mi chiesi se fossero tutti in vacanza o, semplicemente, non avevano niente da fare durante le loro giornate.

Il mio Sherlock-cane piombò giù dalla poltrona con un salto olimpionico e si tuffò su Dean, cosa che lo fece cadere di sedere sul pavimento.
Volevo ridere di quella scena ma la mia gelosia da padrona mi aveva ripreso e mi ritrovai a fissarli mentre giocavano a terra, con Dean che rideva come un pazzo e Aidan che gli piantava calcetti sul braccio.

«Ma smettila di fare robe coi cani e vieni a darci una mano.»
«Non è colpa mia se mi amano tutti.»
«Sta tentando di mangiarti, non ti ama.»
Mi trovai d'accordo con Aidan senza volerlo e, questa volta, risi.
Lui mi guardò e mi fece un occhiolino e scomparve nel magazzino con Alex. Dean era ancora a terra col mio cane che gli leccava la faccia.

«Sempre il solito imbecille.» Gracchiò il mio nuovo amico pelato e Dean alzò la faccia su di lui con un sorriso a mille denti.
«Ma guarda un po' chi è uscito dal suo antro oscuro!»
«Sssh, che quell'altro non mi ha ancora notato.»
«SIGNOR DWALIN!» Urlò Aidan, sbucando di nuovo come un canarino e saltellando verso di lui. Aveva i ricci che sbandavano in ogni dove, sembravano avessero vita propria, come i capelli di Medusa.
Il potere di impietrire la gente li avevano davvero però.
«No, levati!» Già tirò su una mano Graham McTavish, ossia Dwalin, cercando di bloccarlo.
Aidan se ne fregò altamente e gli piombò addosso abbracciandolo con una stretta da vero uomo.
Decise anche Dean di fare parte di quell'abbraccio e saltò su di loro con un urlo da guerra, facendo cadere il povero disgraziato giù dallo sgabello.
Un tonfo sordo e il rumore assordante del piatto di carne che calò su di loro.
Io m'affacciai un po' sconvolta e li vidi lagnarsi mentre rotolavano a terra.

«Siete due deficienti totali, io non ho parole, davvero.» Disse Graham.
«Ammetti che ci vuoi bene.» Aidan s'era già rialzato, risistemandosi la chioma scura, leccandosela all'indietro.
«No!» Sbottò Graham.
Dean lo seguì a ruota. Aveva il capello biondo un po' sbarazzino e la barba poco curata; era veramente bello.

Mi accorsi che lo stavo fissando e distolsi subito lo sguardo, tossicchiando con nochalance.
Intanto il CD aveva una track speciale e ora c'era Bali che stava cantando una nenia veramente terribile sui fuochi fatui che s'accendono con gli accendini del nostro cuore.
«Grace, adesso arriva James coi cartonati, vai ad aiutarlo? Dov'è Penny?»
Questo era Alex, che sbucò con la testa e io subito avvertì una scossa di quelle che fanno bzzzz a tutti gli organi.
Il mio cane andò a salutare il mio socio con allegria prima di elemosinare altro amore da Dean, e io ero in panico.
«Penny viene dopo. Io...aspetta, cos'è che devo fare?»
Da fuori giunse una voce biascicante e conosciuta, che sovrastò Bali mentre pizzicava gli ultimi suoni dell'obbrobrio musicale.
«Siete dei dementi cronici ragazzi!»

I dementi cronici presero a ridere, Graham si stava ancora ripulendo e Alex mi incitò ad uscire, così che mi ritrovai fuori dalla porta, immersa nello spazio verde del Green Man a guardare James sommerso da cartonati di Bilbo Baggins intento a sfoggiare il dito medio in ogni posizione esistente in natura.

La visione era talmente eclatante che presi a ridere come un'ossessa, non riuscendo più a smettere. Sentivo i crampi alla pancia e le lacrime agli occhi; quell'altro mi seguì a ruota e continuammo a ridere per almeno venti minuti.
«Chiunque abbia avuto l'idea è stato un genio.»

Da dietro spuntò Aidan tutto sorridente che mi piantò le mani sulle spalle. Adesso quelle spalle le avrei potute vendere su Ebay dicendo che me le aveva toccate Aidan Turner, sarei diventata ricca come Paperone.
«Tutte le idee geniali le ho sempre io.»
Arrivò pure Dean che gli diede una sgomitata folle.
«Veramente sono stato io.»
S'intromise pure James, scacciando via Aidan e le sue mani da me, facendo un broncio strano.
«No, sono stato io.»
«Ma se tu neanche lo sapevi!»
Presero a litigare con insulti sottili e meno sottili su chi fosse l'artefice delle idee più belle avute, stillando una lista di genialate pensate. E così scoprì che, una volta, avevano fatto lo scherzone a Richard incollandogli un cappello da clown sulla parrucca di Thorin (ed era stato costretto a girare un'intera scena così, facendo ammattire le costumiste!) e avevano fatto credere ad Adam Brown che il suo personaggio sarebbe diventato un Elfo durante il terzo film. Una volta avevano anche disegnato un monociglio a Graham dopo un'ubriacatura folle di San Patrizio e, il giorno dopo, li aveva inseguiti per tutti i camerini minacciando di raderli a zero.

E fra tutte quelle storie la sera giunse e io mi ritrovai ad assaporare la mia serata con un buon umore incalzante.

Aidan e Dean avevano deciso di tornare più tardi, scappando dai gridolini delle ragazze, mentre venne a trovarci di nuovo Adam Brown, che mi raccontò di come – una volta – aveva ripreso col cellulare uno spogliarello di Bombur.
Proprio Bombur, truccato da Bombur.
Dopo averlo pregato in mille lingue diverse di mostrarmi tale opera – giurando che non lo avrei mai detto a nessuno – mi ritrovai ad assistere ad un corteggiamento da parte di una donna, bella ma non bella come Mya, verso James.

Lui doveva essere abituato a tali effusioni perché sembrava a suo agio, sapevo cosa dire, come dirlo e come farla ridere nei momenti giusti. Anche se lei non stesse già pensando di alzare la gonna, probabilmente l'avrebbe pensato in quel momento.

Decisi di evitare di guardarli concentrandomi sulla creazione di un nuovo cocktail dal colore dei fiori lilla, così che Jacq sarebbe stata contenta, mentre Shan mi diceva quanto era super-trendy il nuovo paio di Nike dalla punta arrotondata; era sorprendente come riuscisse a parlarmi di questo mentre inviava mail di lavoro col suo i-pad.
Altro che “gli uomini non riescono a fare due cose contemporaneamente”.

Ero io quella che non riusciva a farlo.
«Ciao.»
Una voce sconosciuta mi fece alzare la testa di scatto e mi ritrovai un paio di occhi verdi, un bel sorriso e dei capelli ricci. Era il famoso ragazzo con cui m'ero scontrata il giorno prima. Aveva un livido sulla fronte; anche lui si portava ferite di guerra come un vero guerriero.
«Ciao.»
«Credo di essermi perso.»
«I viaggiatori non si perdono mai.» Dissi io, sorridendo.
Lui mi sorrise di rimando e mi sentii a mio agio.
«Mi ispira il colore di quel cocktail, posso assaggiarlo?»
«È in fase di lavorazione, non l'ho ancora testato. Di solito provo tutto su di me e ne osservo gli effetti. Una volta ho provato a mischiare strani liquidi e ho creato un cervello di crema irlandese di caffè. Era buonissimo ma un solo bicchiere e parlavi con i morti, proprio.»
Lui rise e piantò una mano sul bancone. «Ora voglio un cervello.»
«Sicuro?»
«Ti chiederei un appletini, ma se tu non cogliessi la citazione poi mi ritroverei in un silenzio imbarazzato.»
Io colsi e provai un moto di orgoglio.
«Te lo farei ma andrei molto piano col “tini”.»
Lui allargò gli occhi e rimase a guardarmi con aria un po' stralunata.
Forse ci stavamo guardando nello stesso modo e fece per dire qualcos'altro, quando mi si parò davanti Locke con aria sorridente al massimo.
«Vieni, ti devo presentare una persona.»
«Locke, sto creando.»
«Alex pensaci tu.» Diede il comando al mio socio e non feci in tempo neanche a salutare il ragazzo riccio che mi ritrovai tirata per un braccio.
Volevo approfittarne per osservare la zona di flirtaggio con James e la sconosciuta ma non feci in tempo.

Locke mi bloccò proprio davanti ad una donna molto bionda e sorridente.
La riconobbi immediatamente, era la moglie di Martin Freeman. Riuscì a sorridere e a salutarla balbettando un ciao in una lingua sconosciuta.
Lei mi salutò con entusiasmo e mi perlustrò.
«Eccola qua, sei tu la fan numero uno del mio amico Simon Pegg, quindi.»

Qualche stella, lassù, stava guardando quaggiù e mi stava facendo il miglior regalo di primavera del mondo.







NA.
Non so bene cosa io stia facendo con questa storia ma va bene lo stesso xD sì tratta di capitoli in cui succedono cose soft, lo ammetto.
Visto che non farò durare la mia storia due secoli e mezzo sicuramente concentrerò i momenti YO più avanti, anche perché mi sono immersa in una festa (?) da cui non posso fuggire.
Perché faccio ste cose? Maledetta improvvisazione. Comunque sia grazie a voi che mi state seguendo in silenzio <3 spero di non starvi annoiando, so che è una storia piuttosto idiota.
E grazie a te Dil, che tu sai <3 Buona giornata a tutti.

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Capitolo 8
*** 8. Marina Ventina ***


Capitolo 8.
Marina Ventina

Qualcuno, da qualche tavolo più avanti, fece partire dal suo ultimo cellulare trillante deluxe placcato, levigato, raffinato una voce roca e un po' da ghetto che disse “Bullshit fuckwad?" e un branco di ragazzi con le magliette del Manchester United presero a ridere sguaiatamente. Io mi sentivo un po' come se mi avessero appena detto la più grande castroneria della storia. Mi voltai verso Locke con occhi fuori dalle orbite e l'incapacità corporea di reagire ad una tale frase.

Volevo rispondere alla donna qualcosa tipo: “Sì, sono io. Fai di me ciò che vuoi.
Ma risultava troppo indiscreta e forse leggermente ambigua quindi mi limitai ad annuire con un sorriso un po' inquietante.

Lei mi prese a braccetto.
Ripeto: la moglie di Martin Freeman – Amanda – mi prese a braccetto e io mi ritrovai seduta al suo tavolo.

Locke ci aveva prontamente portato due cheescake.
Di sicuro quello non era il Locke che conoscevo e che mi rimpinzava di lattughe per depurarmi lo spirito e mi invogliava a farmi l'orto nel balcone.

Lo guardai come si è soliti guardare un alieno che ti entra dalla finestra e lui mi diede una pacca sulla testa come per dire “Non abituarti” e io mi ritrovai ad assistere ad un monologo pieni di gesti, sorrisi e frasi un po' ironiche di Amanda Abbington.
Mi parlò di quanto Simon Pegg ami la satira, i fumetti, farsi scampagnate alcoliche con Nick Frost e occupare casa loro durante il weekend per il branch.

Io a stento non ricordavo più neanche come mi chiamavo quindi seguire quella conversazione si rivelò un'impresa titanica.
Quella conversazione era il mio Everest e pregai il gran dio della Nutella di infondermi un po' di coraggio, di spigliatezza, prontezza, anche solo una briciola di vitalità così che io potessi anche solo pensare di poter rispondere a tutta quella manna che mi scendeva dal cielo.

Il dio Nutello non lo fece e io mi ritrovai solamente a sorridere per venti minuti, ad annuire, a finire le sue frasi con svariati “Aaaah” e “Ma davvero?” o “Ma dai!” e lei cinguettava con quella sua invidiabile propensione ala dialettica mentre Alex scampanellava l'ultimo giro di drink.
Un po' ringraziai quella sorte ma un po' anche no.

Oltre tutto questo, il colpo di grazia effettivo fu quando mi disse che avrebbe fatto di tutto pur di farlo venire alla festa per suo marito.
Tralasciando il colpo al cuore iniziale, in quell'occasione il mio cuore riprese a battere e io mi ritrovai con una temperatura corporea normale; mi concentrai principalmente sul modo in cui il suo sguardo cambiò quando mi nominò Martin Freeman.

Non sono una ragazza romantica, anche se un po' lo sono ma cerco di tenere questo mio vizio segreto, e una tale sensazione di sentimentalismo estremo mi capitava di rado.
Quindi non piangevo per i film d'amore ma mi struggevo per quei rapporti che si creavano tra personaggi un po' particolari.
Un po' come Astrid e Walter Bishop.
Un po' come Charlie - non è la nave di Penny – e Desmond.
Un po' come il cane di Fry che lo aspetta davanti alla pizzeria.
Un po' come il panettiere Figaro con il nonno macellaio nella sit-com “Dammi un prosciutto”.
Ma mi bastò vedere come le sue guance ancora arrossivano per lui, come il suo sguardo s'ammorbidì incantato, come la sua voce riusciva a focalizzare tutto il suo amore nel modo in cui pronunciava solamente il suo nome.

La cosa mi fece tenerezza e, tutto il nervosismo, mi scivolò via come la cheescake dal mio piatto, prontamente ingurgitata con una velocità illusionistica pari a David Copperfield.
Le dissi che avrei fatto del mio meglio per quella festa e la ringraziai infinitamente.

Lei addirittura mi abbracciò stretta e il mio rifiuto per il contatto umano evaporò in quell'istante, sentendomi in pace con me stessa.
Ritornai zompettante e felice verso il bancone e trovai Adam Brown in uno stato alticcio conversare allegramente di telefonini a forma di scarpa con Shan.
Paul mi chiese l'ultimo giro di coca – come un vero duro – e in quel momento mi ricordai di tutto ciò che avevo lasciato in stallo prima di quella fuga dalla realtà.

Alla fine Dean e Aidan erano veramente tornati ed erano stati accolti da Alex con grandi pacche sulle spalle e già un giro di birra offerto.
Locke era tornato a salutare quella bella donna bionda e poi era sgusciato verso Mya, parlando e gesticolando parole che non comprendevo.

Il ragazzo riccio degli appletini non colti era scomparso di nuovo e la cosa un po' mi intristì; ma sarà che nell'aria vibrava la voce di Robert Plant con “Thank you” e io mi sentivo estremamente portata verso il contatto umano in quel preciso momento.
«Hanno fatto un altro contest su Star Trek, chi partecipa vince le orecchie da Spock.» Mi disse Paul, portandomi alla realtà.
«Paul se non sai fare il saluto non varranno niente.»
«Lo so fare il saluto.» Mi disse lui già sbronzo di zuccheri e anidride carbonica, alzando la destra e provando a separare le dita a metà.
Era una pace e prosperità un po' monca ma poteva andare bene.
«Ma bravo, stai migliorando. Ma per il forum di Star Wars? Novità?»
«Hanno imbastito una conversazione su Jar Jar; Obi Wan salvaci tu.»
Unghie sulla lavagna, stoviglie che strillavano sui piatti e denti digrignati. Jar Jar era l'emblema di tutto il fastidio esistente al mondo ed entrambi non potevamo sopportarlo. Lui non andava pazzo per la saga di Lucas ma almeno si sforzava di fingere che qualcosa di buono ci trovasse; Jar Jar non meritava nemmeno la menzogna.

«Sì ma tu te le cerchi, Paul.»
«Ma almeno parlassero di Padme, qualcosa di buono avrei da dire. Poi guai se faccio paragoni; non sai che lotte ogni volta, ogni cosa è paragonata alla tua trilogia del cuore.»
«La Trilogia del Cornetto?» Esclamai già in fase di guerra.
«Non del tuo inglese, parlo dei tuoi hobbit.»
Avvampai fin sopra le orecchie perché, in quell'esatto momento, i Led Zeppelin si presero la pausa da traccia successiva, il silenzio calò e tutti i “nani” lì presenti si voltarono verso di noi con un sorriso a mille denti.
Solo in quel momento m'accorsi che l'unico nano che mi interessava non era più presente, e nemmeno quella donna dallo charme incalzante. M'accorsi di provare un velato e succinto fastidio e la cosa non mi piacque per niente.

«Cosa succede agli hobbit?»
«Stanno parlando di Star Wars, Aidino, cose che tu non comprendi.» Rispose Dean ad un po' brillo Aidan Turner. Quello gli fece un verso strano.
«A me piace Star Wars ma solo la prima trilogia. La seconda è una piaga da decubito.» S'intromise anche Shan.
«Noi abbiamo Gandalf, altro che Obi Wan.» Disse Aidan.
«Occhio a quello che dici.» Lo sgomitò Dean.
«Il problema è che Gandalf viene sempre paragonato a Silente per la barba, ma è molto più Obi se vogliamo proprio dirla. Però no la barba è più da Silente. Però Silente non ha un bastone. O ce l'ha? Ha un bastone?» Adam cercò la sua risposta nelle facce di tutti e solo io scossi la testa, appiattendo le labbra. 
Parlare di bastoni dai Gandalf o di Silente mi faceva alquanto ridere.
«Voi avete la fortuna di essere provvisti di entrate in scena con stile. Capello sporco, abiti logori, sangue e sudore; è una roba forte.» Disse Alex.
«Questa cosa avrei dovuta dirla io, maschione.» Presi in giro il mio socio e lui mi diede una gomitata.
«Oh, io vado pazza per Aragorn. Han Solo è un po' come Indiana Jones fantasy, ma Aragorn...di Aragorn ce n'è uno solo.» Era spuntata anche Mya e sorrideva.
«Sono meglio i nani.» S'impettì Aidan col riccio ribelle.
«Oh sì, i nani sono i migliori. Barbuti e bassi, chi non li vorrebbe?» Locke spuntò dietro di loro, piazzando due mani sulle spalle ad Adam.
«Io non sono basso. Quello basso è lui.» Disse Adam e indicò Dean senza troppi fronzoli.
«Io sarò pure basso ma sono bello.»
«Tu non sei bello, è che ti disegnano così.» Disse Aidan.
«Avete notato come i Nazgul siano simili ai Dissennatori?» Domandò Paul, finendo a goccia la sua coca.
«Non bestemmiare, per Mahal Supremo!» Esclamai io, prendendogli la testa tra le mani.
«Una volta ho incontrato un uomo vestito da Dissennatore mortuario che m'ha inseguito per tutta la street, cercando di rubare la mia felicità risucchiandola con una cannuccia a forma di spada laser. Alle volte mi chiedo se tutto ciò è successo davvero o se avevo bevuto troppi amaretti.»
Tutti ci voltammo a guardare verso Shan con aria un po' inebetita e lui si mise a ridere, finendo per far chiudere gli occhi ancor di più di quello che già erano.

«Shan tu vedi la morte, non i Dissennatori.»
«Ma ficcatela nel ficcatoio, la Morte da me fugge.» E mi fece le corna, scivolando giù dallo sgabello con un tonfo. Si levò un lamento dal basso. «Mi sono rotto il coccige.»
«Allora ragazzi, parlando di cose serie – no Paul non ti farò venire vestito da Barbalbero mi dispiace – domani dobbiamo sistemare tutto, preparare il locale e scrivere la chiusura per venerdì, a meno che non si ha l'invito prontamente creato da Paul. Chi non può passare, può passare: tutto chiaro?»
Dopo la chiarissima spiegazione di Locke decidemmo che non avevamo voglia di sentirlo imbastire ordini dopo la chiusura quindi decidemmo che era tutto chiaro e ognuno di noi si prodigò nei suoi compiti.

Dean e Aidan mi chiesero se potevano rapire Alex per portarlo a bere in un locale notturno, Adam provò ad unirsi a loro ma venne richiamato da un'altra conversazione con Shan e Mya e alla fine il locale si svuotò del tutto, lasciandoci soli me, Locke e una presunta giacca di James, abbandonata dal suo padrone.
Walter era ritornato da una dormita durata quattro ore e aveva deciso di farsi una passeggiata tra gli sgabelli e le poltrone.
La passeggiata durò la bellezza di cinque minuti e – ben presto – si ritrovò adagiato sulla sua poltrona del cuore, dove qualcuno aveva lasciato aperto un libro di Oscar Wilde.
Visto che non volevo che il mio cane diventasse dandy decisi di cambiargli lettura e gli misi davanti un manuale per imparare a usare la macchina dei pop-corn.

Locke stava già facendo le prove per gli ospiti, stava sbracciando e parlando da solo come se dirigesse un'orchestra immaginaria mentre pensava a dove mettere la torta, i piatti, il buffet, gli striscioni, i cartonati -ditomedio- di Bilbo.

Controllai il telefono e m'accorsi che Penny non mi aveva scritto neanche mezza emoticon, un classico tentativo di comunicazione veloce della nostra epoca, e provai un po' di apprensione.

In quel momento scampanellò una porta e alzai lo sguardo, sperando fosse lei.
Era James, col fiatone e una mano piantata nel petto.
Sembrava fosse appena sfuggito ad una maratona, o ad un inseguimento di replicanti.

«Ma buongiorno!» Lo salutai io con un sorriso.
«Meno male che siete ancora qui, ho lasciato tutto su...quella sedia.» E indicò quella sedia con un dito, vedendolo arrancare verso questa.
«Chi ti insegue?» Gli domandai un po' ironica e lui afferrò la giacca e venne verso il bancone.
S'abbandonò su questo, praticamente morendoci sopra, facendo calare la faccia sul legno.
Oggi quel legno odorava ancora più di caciotta, umidità e un miscuglio di lime.
«Una ventosa.»
«Le ventose sono delle persone un po' strane, in effetti. Hai mai sentito la leggenda della Marina Ventina?»
Lui alzò gli occhi verso di me e già sorrideva. Scosse il capo.
«Scampa dalle leggende di Grace, James, o non ne esci più.» Urlò Locke dall'altra parte della sala, mentre stava facendo finta di ballare con un lume da parete.
«Ma è una storia di Brook!» Rimbeccai io, affacciandomi, prima di decidere di ignorare il mio manager fingendo che fosse inesistente.
Tornai a guardare James e lui mi fissava in attesa.
M'accorsi di star facendo una cosa che non avevo mai fatto prima d'ora, non volutamente almeno.
Controllai dei segni addosso a lui; a parte il capello un po' briccone e lo sguardo perennemente lucido non aveva strani graffi, morsi o chissà quale altra voracità la ventosa avrebbe potuto imbastire.


«In pratica una volta esisteva questa donna, una tale Armonia, era un'arzilla signora di mezza età che fingeva di avere vent'anni e si infilava sempre nei gruppetti di ragazzi per andare a ballare nei locali chic, quelli dove ti sparano le luci in faccia e ti alcolizzano con il ghiaccio nei cocktail.» Incominciai io, gesticolando con un cucchiaio e una bottiglia di curaçao in mano. «Era proprio scaltra, perché le bastava incipriarsi la faccia, arrossire le labbra, far ballare le ciglia ed era fatta. Ammaliava i ragazzi, faceva invidiare le ragazze, quelli più grandi volevano averla, quelli più piccoli la sognavano di notte. E lei continuava questa sua vita notturna, quando di giorno era una apri-porte d'un negozio d'abbigliamento. Ma un giorno qualcosa andò storto, dopo l'ennesimo cocktail al ghiaccio e l'ennesima palpata da parte del ragazzo di turno si ritrovò davanti lei. Marina Ventina. Sessant'anni, trucco perfetto, capello tinto e minigonna così vertiginosa che le si vedevano le tonsille. Lei sapeva che Marina Ventina non era una giovane, perché fra loro si riconosco sempre, e allora decise di partire all'attacco. Lei sola aveva il primato di corteggiamento convulsivo e aveva deciso che ne sarebbe sopravvissuta una sola. Ma non aveva fatto i conti con Marina Ventina, trent'anni d'esperienza nel settore, tanti giovani mastini sotto le lenzuola e tante ragazze invidiose che la utilizzavano come Santino Guida nelle loro serate un po' porche. Ci fu una guerra come non se n'erano mai viste.»

Presi una pausa e m'accorsi che James mi guardava completamente assorto e attento, mi incitò a continuare col solo sguardo.

«Armonia provò così a portarsi nei bagni tre ragazzi insieme, riuscì a fidanzarsi per quattro volte consecutive quella sera, ne fece svenire uno con un'alzata di gamba improvvisa e ad uno scoppiò la cintura dai pantaloni all'ennesimo ancheggiare. Ma Marina era di un'altra pasta, lei non aveva bisogno di combattere. Lei sapeva di essere la migliore. Aveva deciso che il numero non contava, contava la qualità. E così prese la signora Armonia e gli indicò Lui.» E nel farlo indicai proprio James e lui si auto indicò come se si fosse sentito preso in causa.

Io sorrisi e continuai.

«Lui non era altro che l'uomo più vizioso, infastidito e cinico del mondo. Si divertiva a perlustrare quei posti di peccato per poter scrivere sul suo blog, il giorno dopo, quanto la razza umana stava decadendo in una stato di Sodoma e Gomorra del millennio. Era impossibile plagiarlo, nessuna era mai riuscita a farsi lasciare il numero, a farsi sorridere, accarezzare, offrire anche un solo cubetto di ghiaccio. Armonia deglutì ma Marina era tranquilla e soave, e come in un mezzogiorno di fuoco caricò il suo grilletto. Andò prima Armonia e le tentò tutte; alzata di coscia, sfioramento con le dita, l'infallibile risata da conquista, domande da interessata, l'ancheggiare, far fluire la chioma. Niente, Lui non si fermò neanche a guardarla. Scivolava col suo pennino tricolore su un foglietto per stillare il suo fastidio interiore in un posto del genere e Armonia se ne andrò via sconfitta.»

Mi resi conto che Locke ci aveva preparato due creme di rum irlandese e un piatto di patatine fritte. Anche Walter attirato da quegli odori invitanti s'era avvicinato e aveva spalmato le sue zampe ciccione sulle gambe di James; quello lo accarezzava tutto contento, non staccando gli occhi da me.
Mi sentivo leggermente a disagio ma continuai, imperterrita.

«E così tentò Marina e Armonia già sapeva che sarebbe finita in pareggio, Lui non era corruttibile. Sospirò, attendendo il suo verdetto, ma alla fine tutto si ruppe. Vide Lui alzarsi dalla sedia, lo vide toccare una spalla di Marina e quella specie di crepa sul suo viso rugoso era un sorriso. Un vero sorriso, la rarità del secolo, il miracolo dell' “Osannami” - il famoso locale di perdizione – e così Marina vinse e quella sera divenne una leggenda. Armonia aveva perso altri vent'anni di vita in un colpo solo e decise che era ora di mettere la minigonna al chiodo. Adesso insegna decoupage insieme a Mya.»

James tirò dentro l'aria nelle labbra e sgranò gli occhi.
«Ma come ha fatto a conquistarlo questa Marina?»
«Alle volte il non fare niente è la migliore arma che si possa avere. Tu stasera hai trovato un'Armonia e non una Marina. Le ventose sono così, hanno il potere di portare gli ormoni in fibrillazione ma quando si tratta di conquistare, allora non ci sono cosce e sederi che tengono. Si tratta di talento, capisci? Un po' come il saper recitare. O saper parlare in pubblico. O saper infilzare i pomodorini con la forchetta senza spararli come proiettili fuori dal piatto.»

Lui mi sorrise con una dolcezza diversa e si mangiò un paio di patatine prima di annuire.
«Quindi tu sei una Marina.»

Io rimasi un attimo bloccata a guardarlo senza sapere bene cosa dire e lui rimase con questa patatina in mano a fissarmi.
Pregai tutti gli dei conosciuti che Walter vomitasse sulle sue gambe così che lui spostasse lo sguardo perché io non riuscivo a farlo.
M'accorsi di avere il cuore leggermente stant-puf-pant e mi bevvi quel liquore al rum a goccia, dopo aver fatto una risata che non sapeva di niente.

«No. Io sono quella che racconta le storie, non le vive.»
«Sei una specie di tartaruga?»
«Esatto. Una specie di: ”Vivere? Sarebbe già qualcosa”.» Gracchiai con una voce presa da chissà cosa mentre lui mi guardava sempre con quel sorriso sulle labbra.
Qualcuno doveva avergliele cucite in quel modo, non era possibile che non smettesse mai di farlo.

«Domani ti porto in un posto al tuo break, e non voglio sentire un no.»
«Domani Locke non mi farà neanche andare in bagno, figuriamoci il break.»
«Locke? Domani posso rapire Grace? A fine turno!» Urlò James verso un Locke intento a strimpellare con la chitarra “All my love”. Era un po' romantico quella sera, probabilmente.
«NO!»
«Perfetto, domani andiamo!» Come se non l'avesse neanche sentito James continuò a mangiare le sue patatine fritte e il mio cellulare trillò in quel momento.

Una note vocale lunga sei secondi, direttamente da Pollonia.
Feci partire la voce e, nella sala, si spanse un urlo da velociraptor senza precedenti.
Tutti ci prendemmo un colpo al cuore e io non feci in tempo a chiamare un'ambulanza, la polizia, i pompieri e i ghostbusters che entrò Penny, di corsa, correndo verso di me con un aspetto così raggiante che non le avevo mai visto.
Mi si avvinghiò al collo in un abbraccio fortissimo, fregandosene del fatto che aveva travolto James con la sua vitalità.

«Grace! Devo raccontarti tutto! Non hai idea di quello che è successo! Sto tremando!»
Io la strinsi mentre ridevo e guardai verso James che era stato dirottato su un altro sgabello, e mi guardava con lo stesso sorriso.
«Locke portaci un altro rum, sarà una serata lunga.» Urlò l'irlandese.










 

NA.
Non sono brava a “inventarmi” le leggende da pub, me ne rendo conto. Non chiedetemi da dove mi sia uscita questa cosa perché non lo so neanche io. Questo capitolo non mi piace tanto, ma d'altronde a me non piace mai niente di quello che scrivo quindi bom, a posto così xD
Grazie come al solito per leggermi <3 chiunque voi siate, mi rendete felice.
Vi auguro buona giornata.

 

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Capitolo 9
*** 9. Qualcosa sta cambiando ***


Capitolo 9.
Qualcosa sta cambiando

Mi immersi nella classica posizione da ascoltatrice; anni di esperienza in cui mi ero prodigata per colpa delle sedute terapeutiche d'amore di Alex e degli insegnamenti floreali e romantici di Jacq.

Così mi ritrovai seduta al tavolo insieme a James e a Penny, gomiti piantati sul legno, volto retto dalle mani per evitare il cedimento della mascella e occhi fissi e sbarrati sulla mia migliore amica.

Niente gambe incrociate, sotto al tavolo, mi facevano sentire stretta.
Ero tutta pendente contro il bordo del tavolo, tanto da distruggermi lo sterno.
Ma non importava, ero avida di sapienza quella sera.

Penny non era molto contenta di dover cominciare il suo monologo con James davanti al naso, intento a mangiare e a bere - senza ben sapere dove infilasse tutti quei carboidrati -  ma lui non sembrava disposto ad andarsene.

La curiosità aveva spinto anche Locke ad avvicinarsi, lasciando al domani tutte le lavorazioni e aveva donato un po' di atmosfera facendo partire “Love me tender” e tutti ci sentimmo un po' più docili.

«Mi ha portato in questo ristorante un po' rustico e isolato, lontano da qualsiasi attacco da parte di ragazze assassine. Non hai idea di quanto fosse bello, Grace. Stavo sognando, non m'importava neanche del fatto che avessi la spallina del vestito che cedeva ogni tre secondi.» Cominciò Penny con sguardo sognante e la voce da infatuata.
Di solito i suoi racconti sulle serate erano molto più concisi, pieni di frecciatine ironiche, quasi annoiati.
Elvis aiutava a mantenere alto quel momento di cuori e amore. Io già cominciavo a sentirmi a disagio in tutto ciò.

«Chiede al cameriere un tavolo isolato e ci danno un tavolo bellissimo, che dava su una veranda aperta con un giardino enorme, pieno di candeline e lumi. Mi sentivo in un sogno e non riuscivo nemmeno più a credere che mi stesse accadendo sul serio.»
«In pratica siete stati fuori tra i moscerini, il vento e gli ubriachi molesti che passavano per strada?» Domandò Locke con un ghigno malefico e Penny lo fulminò con lo sguardo.
«Dai Locke, non vedi che stai rovinando un momento romantico?» Incalzò James di fianco a me, e sentì che mi diede una gomitata un po' ironica.
Io gli sorrisi e tornai a guardare verso Penny, smuovendo la mano come per dire “stringi”.
«Insomma, era tutto perfetto. Ordina un vino pregiatissimo, un antipasto degno di questo nome, primi, secondi, contorni, dolci. Mi ha viziato come non ha mai fatto nessuno in vita mia e ...e poi è successo.»
Io ero curiosa di sapere cose fosse successo ma mi salì uno strano moto fastidioso nel mio interno petto.

Lei è sempre stata viziata così da una persona, uno che non ha un conto in banca invidiabile e senza chioma nera e occhi da rapace.
Alex, molte volte, le aveva fatto trovare colazioni, pranzi e cene preferite quando sapeva che sarebbe stata troppo impegnata per cucinarsi da sola.

Le fa trovare sempre il suo dolce preferito e ogni volta che Locke si dimentica di rifornire il frigo del Green Man ci pensa lui ad andare a comprarlo per far sì che non manchi mai.

«Ci sei andata a letto, fine.» Concluse Locke, azzardando il finale.
«Locke non rompere il ritmo.» Disse James, rubando una patatina e inzuppandola in una salsa rosa dall'aspetto molto chimico.
«La volete piantare di interrompermi? Se non vi va di ascoltarmi allora andatevene.»
«In verità ci va di ascoltarti Polly, come tutte le sere a questa parte. Le tue storie non hanno finali alternativi.»
«Sì, ma questa sera sono uscita con Richard Armitage non con un cuoco polacco.»
«Cambia qualcosa?» Disse Locke, sedendosi fiaccamente vicino a lei.
«Grace possiamo uscire fuori?» Penny mi guardò come una felina inviperita e io mi ritrovai immersa nei loro sguardi.
Intanto Elvis aveva preso a cantare “Don't” e io mi ritrovai a distruggere la mia faticosa posizione da ascoltatrice filosofa e sospirai, appiattendo la schiena sulla sedia.
«A me non danno fastidio.» Dissi, alzando le spalle. «Cioè: lui non mi da fastidio.»
E indicai James con un cenno del mento e quello sorrise, indicandosi col pollice alla volta di Locke.
Locke mi fece colare la sua salsa vegana rosata sopra le mie patatine per vendetta.
«Oh e va bene. Va bene. Ma piantatela di interrompermi.»

Sia James che Locke fecero il giuramento da giovani marmotte e Penny riprese a sorridere come se niente fosse, puntando i suoi occhi da cerbiatta su di me.
«Mi ha preso la mano e ha cominciato a dirmi quanto fossi bella quella sera, mi ha chiesto molte cose su di me, sulla mia vita, sui miei...amori passati.»
Sia io che Locke ci mettemmo a ridere – consapevoli che i suoi amori passati non duravano più di una tormentosa notte tra le lenzuola – ma lei la prese come un'offesa personale e s'imbronciò.
«Perché ridete? Gli ho raccontato di quel ragazzo, Seamus, il muratore.»
«Quello che aveva dimenticato a casa tua una scarpa ed è tornato a riprenderla il giorno dopo?»
«Esatto! Gli avevo anche lasciato il numero, era una cosa seria. Due giorni consecutivi.»
Io e Locke ci guardammo un po' scettici mentre James s'affacciò sul tavolo, interessato.
«Dai su, continua. Che cos'è successo? Vi siete baciati? Ti ha sfiorato i capelli? Ti ha detto che con quel vestito non sembri grassa?» Incalzai io, guardandola.

Indossava un bel vestito rosso, un po' a tubino ma largo sul fondo, che le aggraziava le forme.
I capelli rossi erano raccolti in una sensuale acconciatura, con qualche ricciolo che cadeva ai lati delle tempie.
Se Richard era da considerarsi bello, Penny era da considerarsi bella per uno bello.

«In pratica eravamo posti vicino ad un camino e Richard ha chiesto al cameriere se poteva accenderlo.» Gesticolò lei tutta in preda a sorrisi luminosi. «Eravamo già alla terza bottiglia di vino e io mi sentivo accaldata e non riuscivo più a frenare la lingua, e sappiamo tutti cosa succede quando bevo troppo.»
«Oh sì, lo sappiamo.» Incalzò Locke con voce maliziosa.
Penny grugnì qualcosa verso di lui e James cominciò a ridere.
«E va bene, vi porto via l'Orco cattivo, ho capito che vi stiamo rovinando un momento speciale.»
James, il salvatore della storia di Penny, s'alzò e tentò di trascinare via Locke che, in verità, non voleva andarsene.
Ci riuscì dopo attimi di guerra infantile.
James, passandomi accanto, mi lasciò una lieve carezza sui capelli e provai una strana sensazione a riguardo.
Gli sorrisi come se avessi avuto una paresi facciale e tornai su Penny.
Lei s'accorse, non aveva bisogno che parlassi.

Elvis cominciò “Can't Help Falling In Love” e l'atmosfera si fece strana.
«Che cosa c'è tra te e quella specie di insetto stecco?»
«Piantala.» L'ammonì io, sospirando. «Puoi continuare? Non mi va di sentire ancora parlare di voi che bevete e mangiate, era una cosa che m'aspettavo facesse in un ristorante.»
Penny si ridestò, tornando di buonumore in un batter d'occhio.
«Mi ha chiesto se poteva cantare una canzone per me. Proprio una canzone, di quelle vere. Dove si canta.»
«Di solito le canzoni sono-»
«Si è alzato e mi ha portato vicino al camino e, accidenti Grace, avrei voluto troppo che tu ci fossi. Ti ricordi quella scena nel primo film de “Lo Hobbit”? Dove i nani sono davanti al camino di Bilbo? Dove c'è Th-»
«Pollonia, stai parlando con me.»
«Già, è vero. C'erano due poltroncine graziose davanti al camino e quando ci siamo seduti lui ha cominciato a cantare.» Penny sospirò incantanta. «Era una canzone dolce e un po' triste, parlava di una casa perduta e di nebbie e luci che scomparivano nell'ombra.»

Io cominciai a sorridere e rimasi a guardarla mentre mi raccontava le sue mille sensazioni a riguardo.
Un po' la invidiai per la canzone in diretta di quella che sembrava proprio una scena con Thorin Scudodiquercia, ma dall'altra parte m'accorsi di provare una sensazione un po' egoista e un po' altruista insieme.
Avevo sperato che le cose, quella sera, le sarebbero andate male da un lato.

Mi odiai per quel pensiero ma, forse, il suo dispiacere per una tragedia serale poteva essere superato dopo qualche nuovo cuoco polacco, qualche bevuta e qualche seduta dal parrucchiere.
Il cuore spezzato di Alex era una cosa che non sarebbe guarita facilmente e, se dovevo scegliere, avrei preferito il male minore.
Come mi rammenta sempre un noto Jack Aubrey.

«...e alla fine mi ha fatto ballare davanti al camino. Per fortuna eravamo lontani dal resto dei clienti, stavo morendo d'imbarazzo. E non siamo stati interrotti neanche una volta, neanche quando una cameriera l'ha riconosciuto e ha tentato in tutti i modi di toccarlo. Lui le ha sorriso e quella poverina per poco non sveniva ai piedi del nostro tavolo.»
«Anche io non resisto a quel sorriso, credo che sia una malattia che contagia tutti.»
«Grace sta succedendo qualcosa, forse...forse mi sta piacendo sul serio. Forse mi sto innamorando.»
«Penny, ci sei uscita per una sera soltanto. E lui è un attore, insomma non bisogna innamorarsi degli attori.»
«Ma nessuno è mai stato così con me. Non in questo modo.» Cinguettò lei, piegando le labbra.
«In verità sì, Penny.»
«E chi? E non mi dire Tuco, perché regalarmi una macchina rubata non è un pegno d'amore che posso accettare.»
«Alex.» Dissi io con un sospiro.
Lei si bloccò all'istante e corrugò la fronte.
La vidi martoriarsi le dita laccate e smaltate e un riverbero del suo profumo m'arrivò alle narici.
Sembrava regredire e tornare una piccola adolescente quando veniva colta dai sensi di colpa.
È una cosa che capita solamente quando l'argomento della discussione è Alex.
«Grace, lui sa cosa provo per lui...io non posso evitare di vivere la mia vita perché lui mi...lui mi... insomma, io gli voglio bene, è l'unico ragazzo a cui tengo davvero ma non posso ricambiarlo. Non sento quello che lui sente per me e non voglio prenderlo in giro.»
«E come puoi dire di sentire amore verso Richard Armitage, Penny? Capisco che è infatuazione da idolo, lo capisco, io stessa la provo e mi appanna la mente. Avere tutti questi nani al Green Man ha cambiato molte cose e-»
«Mi ha baciata, Grace.»
Io rimasi a guardarla con il fiato in gola.
Stavo provando ad immaginarmi la scena e, prontamente, Elvis mi fece danzare la testa con “Viva Las Vegas”.
Non era proprio la canzone giusta, perché mi ritrovai a immaginarmeli in un bacio un po' rocambolesco.

«Mi ha detto che vuole rivedermi, che è stato davvero bene, che non si sentiva così da tanto tempo.»
«Sicura che non lo dice così di tutte quelle con cui esce?»
«E perché mai dovrebbe farlo?»

Guardare troppi film dove l'amore non trionfava sempre mi fa sempre diventare scettica su questi argomenti.
Ma la risposta, in realtà, ce l'avevo.Visto che James era rimasto a portata di mano potevo sfruttarlo per spulciare un po' di informazioni a riguardo.
Penny capì al volo il mio ciclo di pensieri e m'afferrò il polso, sgranando gli occhi.

«Non ci provare neanche. Non mi fido di quello lì, mi sembra una specie di Locke ma con la mente ancora più ambigua.»
«Ma se non lo conosci neanche.»
«Quello è uno che corre da una parte all'altra per guardare sotto le gonne delle donne, e tu dovresti stare attenta a dargli confidenza.»
Io sospirai e ruotai la testa per andare a guardare verso i due amici.
Erano al bancone a provare un paio di nuove birre artigianali, con Walter che gironzolava tra le loro gambe curioso di poter assaggiare anche lui.
«Mica lo devo sposare; parliamo solamente, ogni tanto.»
«Ah, quindi immagino che il tuo rossore sia dovuto al caldo del Green Man e non al fatto che quando ti sorride non capisci più nulla.»
Provai a controbattere ma non riuscivo bene a trovare le parole esatte.

Quando Penny vuole zittirmi ci riesce sempre.
Tentai di alzare un indice per cominciare una contro risposta - più o meno all'incirca - sensata quando mi sentì due mani sulle spalle.
Pregai Zeus che non fosse James ma quando sentì la sua voce biascicante e un po' ebbra socchiusi gli occhi.
Vidi Penny sorridere con quel ghigno un po' saccente e io tossicchiai.

«Locke mi ha detto di interrompervi perché ha intenzione di sbatterci tutti fuori di qui.»
«Tanto io stavo per andare.» Disse la mia amica, infilandosi uno scialle e alzandosi con la grazia di un'elfa.

Io, che avevo la grazia di un bradipo, mi tirai su sperando che quell'irlandese tirasse via le mani dalle mie spalle.
Lo fece, per cara grazia divina, e mi voltai a guardarlo con un sorriso un po' criptico.
Penny mi salutò con un bacio volante, mi guardò con aria indagatrice e se ne uscì sventolando una mano.
James tirò un sospiro e lo vidi ammorbidirsi, come se con l'uscita di Penny si liberò da un disagio che tratteneva da troppo.

«Scusami per prima, non volevo farmi gli affari vostri.»
Io sventolai una mano per aria, in un chiaro segno che voleva dire “non preoccuparti” ma non riuscì a spiccicare altre parole.
Solo una specie di risata che si bloccò nell'istante in cui Elvis cominciò “Always on my mind”.
Io volevo sprofondare per l'eternità e James, a discapito di tutto, lo vidi sorridere senza sapere bene cos'altro dire.
Eravamo lì a guardarci come due tonni; io che mi distruggevo le dita e lui che continuava a spalmarsi le mani sui fianchi.

«Insomma, allora, buonanotte.»
E s'avvicinò veloce, baciandomi una guancia.
Poi sgusciò via, la porta scampanellò la sua uscita e io rimasi lì bloccata senza sapere bene cosa dire, cosa fare, cosa provare.
Locke mi lanciò contro la mia felpa blu notte e mi prese in pieno volto.
«Vestiti pelandrona o ti chiudo dentro.»

Dopo una tormentata notte in cui dormì la bellezza di due ore e cinque minuti decisi di cominciare a lavorare ad un orario indigesto per far soccombere tutte quelle sensazioni.

Ero un po' arrabbiata con Penny, sia volutamente che no, e dovevo trovare una buona dose di buon senso per evitare di dover dire troppo ad Alex senza, per forza, avvalermi di qualche bugia.
Sarebbe stato tutto più semplice se non avessi avuto la mente occupata dal ricordo di quello stupido bacio sulla guancia di James.
Era capitato un sacco di volte che qualcuno mi baciasse una guancia, in teoria la tragedia non doveva sussistere

Una volta Alex, in una serata particolarmente alcolica, mi aveva persino dato un bacio a stampo perché aveva sbagliato mira.
Entrambi ci prendevamo ancora in giro per quello.
Avevo avvolto Walter in una felpa col simbolo della Dharma e gli avevo ficcato in testa un berretto con la visiera.
Era molto più simile ad un Paul che ad un Alex ma decisi che non dovevo fare la schizzinosa a riguardo, in quel momento.
Mentre cominciavo a riassettare il locale e cominciare a pensare a qualche frase da dire, m'accorsi di una figura losca che tentava di sbracciarsi da dietro la porta finestra della veranda del Green Man.

Non feci in tempo neanche a iniziare la mia conversazione con Alex-alternativo che mi lanciai verso questo ma non feci in tempo ad aprire la porta che lo vidi correre a perdifiato in cerchio, agitando le braccia, urlando strani insulti in una lingua che non capivo.
Di gran fretta uscì fuori e vidi Aidan Turner sfuggire via ad un branco di api, urlando come un ossesso.
Sentivo il ronzare di quelle maledette e subito spalancai la porta, sgranando gli occhi.

«Vieni qui!»
«Oddio ce l'ho nei capelli! Nei capelli!!!»
Urlò quello, saltando su una panca e infilandosi dentro al Green Man mentre io chiudevo la porta di gran fretta, allontanandomi da lì.
«Ma che cavolo...?»
«Alex mi ha chiesto se gli davo una mano con il retro e volevo ripulirlo da delle fogliacce morte, ma ho ucciso un alveare. Avevate un dannato alveare tra gli alberi, ma siete folli?»
«Non è che lo abbiamo messo noi!» Squittì io che ero più in panico di lui.
Aidan continuava a muovere le braccia, mentre si arruffava i ricci e si lagnava in continuazione.
«Che schifo, che schifo, credo che mi abbiano punto. Ce l'ho nei capelli? Le vedi?»
«Se stai fermo magari le ved-»
«Le sento ronzare, sono qui!»

E lo vidi agitarsi di nuovo mentre io, che già non ero nella mia giornata migliore, mi ritrovai a bloccarlo per le braccia e fermare il suo agitarsi.
«Stai fermo. Le api non ti pungono se tu non ti muovi.» Lo rassicurai, senza essere sicura che fosse davvero così.
Ma d'altronde alle volte era dovuto mentire per placare una situazione.
«Come i t-rex?»
«Sì. Per fortuna le api non ti mangiano vivo però.»
«Questo perché non hai visto “Le api assassine”.»
«Dai, sei sopravvissuto ad una battaglia di Orchi, puoi benissimo farc-» mi bloccai, ricordandomi che Kili – nello Hobbit – effettivamente era morto. Appiattì le labbra e lui mi guardò con un sorriso un po' ebete, ma dolce.
«Sono morto in realtà.»
«Oh, non importa, nessuno è perfetto.»
E detto questo cominciai ad infilare le dita tra i suoi ricci per controllare che non ci fossero nemici all'interno – capelli di Aidan Turner, la mia ricchezza si sarebbe espansa ancora di più - e dopo lo rassicurai che era al sicuro. Anche se uno ronzio improvviso ci fece scattare entrambi sugli sgabelli, come due folletti, ed è così che Dean ci trovò non appena fece il suo ingresso insieme ad Alex.
«Che state facendo? Il pavimento si scioglie?»
Dean, stando al gioco, s'arrampicò su uno dei tavoli e Alex – con una mezza risata – fece altrettanto.

Così ci ritrovammo tutti sopra qualcosa, senza capire bene perché l'aria primaverile e soleggiata di quel giorno aveva il potere di alimentare il delirio mentale.

«Grace, ho cominciato a preparare il castello di boccali, è sul retro. Il problema è che volevo dipingerli.»
«Chiedi a Jacq, lei è brava con queste cose.» Dissi io, piazzandomi una mano di fianco alle labbra.
«La mia ragazza è un'artista, se fosse venuta avrebbe fatto dei capolavori.» Rispose Aidan, scattando da un lato per chissà quale rumore molesto.
«Si può sapere perché siamo tutti sopra dei tavoli?»
«Stiamo evitando di morire.» Risposi io e Aidan confermò il mio dire, annuendo con vigore.
«Anche perché la mia ragazza non sarebbe contenta.»
«Sì, lo abbiamo capito che la tua ragazza è onnipresente ma ora abbiamo problemi più seri.» Dean decise che quel gioco non era più tanto simpatico, anche perché Walter era già lì pronto per il suo saluto giornaliero, e così sia lui che Alex scivolarono dal loro tavolo.

Io e Aidan ci guardammo per un secondo e decidemmo che non correvamo rischi, così cominciammo tutti e quattro a tenerci occupate le mani, la mente, tutto quanto.

Come una brava circense volteggiai da un posto all'altro per evitare accuratamente di restare da sola con Alex; non avendo fatto le prove con Walter ero sicura che il mio discorso sarebbe uscito raschiato e privo di consistenza. Non sono per niente brava con le parole, spezzo sempre tutto con qualche battuta simpatica, anche quando non è il caso che lo faccia.

«Grace!»
Una voce tuonò il mio nome e io sbucai da sotto al bancone, ritrovandomi un Locke furibondo davanti.
Subito la mia mente provò a immaginare che cosa avessi fatto per instaurare in lui una simile espressione facciale e la mia mente spulciò una lista un po' azzardata.

1) Avevo rovesciato il limoncello nel water pensando che fosse un nuovo liquido per le pulizie dall'odore del – cosiddetto - Limoncello.
2) Avevo creato una cronologia dettagliata in cui lui si scopriva padre di Charlie Brown.
3) Aveva scoperto che io sapevo della sua caduta dal monte degli ubriachi all'Oktoberfest.

Lui mi fissò con sguardo pieno e infuocato e io mi ritrovai a balbettar senza riuscire a scucire una sola parola.
«La prossima volta che Walter decide di marcare l'ennesimo vaso di tulipani e far morire i miei fiori giuro che ti proibisco di portarlo a lavoro ancora una volta. Oh ma forse è troppo difficile per te capire che il tuo cane, di tanto in tanto, ha bisogno di sgambettare nella natura per concimare la terra con i suoi bisogni. Non vorrei mai che ti dessi troppo da fare tra un break e l'altro.»

Io avevo lo sguardo sconvolto e mi sentii sprofondare. Lui vuole bene a Walter, è uno dei suoi clienti preferiti d'altronde, e non è solito sgridarmi per colpa sua.
Ed era forse la prima volta nella storia del Green Man che mi parlava in questo modo.

«Scusami Locke, non-»
«Piantala di chiamarmi con quello stupido nome e vai a pulire!»

Annuì senza più avere più parole da dire, in completo imbarazzo e il cuore martellante nel petto. Avevo gli occhi di tutti puntati su di me e questo aumentava il mio mutismo. Uscì dal locale senza più guardare in faccia nessuno e mi ritrovai Walter dietro di me, con la coda tra le gambe e un senso di colpa più duraturo del solito.
Guaì delle scuse in risposta e gli diedi una grattata dietro le orecchie penzolanti, sorridendogli.

«Non è colpa tua, botolino. Locke è un po' stressato ultimamente.»
«Buongiorno mia cara, siamo venuti a dare una mano.»

In quell'istante mi accorsi del motivo per cui Locke non era per niente di buon'umore. Mya era arrivata, bella e leggiadra come sempre, accompagnata da un timido e sorridente Adam. Il suo volto doveva aver risucchiato le labbra, accidenti, non riuscivo a vedergliele.

«Oggi Locke è nervoso?» Mi chiese, corrugando la fronte.
«Sì, deve aver dormito poco. Oppure ha sognato Ben Affleck.»
Era noto a tutti quanto lui odiasse quell'attore, anche solo nominarlo per sbaglio in una conversazione dava il via ad una guerra mondiale senza precedenti.

Lei mi passò vicino e mi diede una carezza sulla spalla, con dolcezza.
«Se ti bacchetta ci penso io a farlo rigare dritto.»

Mia cara Mya, quando l'amore geloso si mette in mezzo allora non ci sono ramanzine che tengano.
Tutto questo stava cominciando a sfuggirmi di mano.
Se da un lato ero contenta di quella settimana di cambiamenti, dall'altro lato avevo paura che non sarebbe finita lì.

Decisi di allontanarmi, con Walter, lasciando il mio amato Green Man in preda ai deliri di un'organizzazione da festa.
Dal boschetto sembrava una casetta bianca e dall'aria docile, dove le storie raccontate regalavano emozioni e facevano sognare i viandanti.
Mi immersi nel sentiero e sparì nel bosco, in cerca della mia amata Contea. 

 

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Capitolo 10
*** 10. Non tutto è un male ***


Capitolo 10.
Non tutto è un male

Dopo aver affrontato un viaggio temerario in mezzo ai mirtilli e ai rovi spinosi, mi accinsi a lasciare la natura selvaggia e ritornare nella civiltà.
Non avevo idea di quanto tempo fossi rimasta da sola, con Walter, a rimuginare nel mio silenzio.

C'era stato un momento di distacco dalla mia realtà, dove ho cominciato a creare casette per volpi e a vedere quanto fossi brava ad arrampicarmi sugli alberi.
Mi sono scoperta incapace di fare entrambe le cose e Walter ha confermato questa mia mancanza con sguardi un po' impietositi.

Sta di fatto che dopo aver corso dietro alle fate e aver, invano, cercato la casa di Bilbo Baggins – alla fine - abbiamo constatato che faceva troppo freddo per restare fuori ad ammalarsi.
Ancor di più mi aveva convinto, oltre l'arietta fredda che colpiva dritto lo stomaco, il fatto che mi fossi dimenticata il telefono al Green Man.

Avevo un po' paura di constatare quante maledizioni sulla mia testa erano calate durante la mia assenza, ancor di più quando mi resi conto che avevo perso gran parte del pomeriggio lontano dal mio amato locale.
Avevo già pronta una sfilza di scuse degne di nota per giustificare la mia assenza e, facendo tante corna, alcune riguardavano anche un attacco di dissenteria da parte di Walter.

Lui non approvava questa mia idea ma, d'altronde, era pur sempre il mio bodyguard di fiducia, quindi doveva penare un po' anche lui.
Sbucai dal sentiero di foglie rosate e attraversai la strada, arrivando proprio davanti al Green Man.
Il sole stava per tramontare e sentivo un soave profumo nell'aria.

Nessuna caciotta e nessuna umidità; sembrava un profumo di successo, un po' come quando qualcuno scalda la cioccolata o inforna il pane.
Le fiaccole erano già accese all'esterno, facevano brillare i tavoli con ombre filamentose e io mi immersi dentro con lentezza, già pronta ad una sfuriata apocalittica.
Ma quello che vidi mi lasciò esterrefatta, bloccata davanti alla porta d'ingresso.
Anche Walter rimase stordito come me.

Un afflusso di gente mai vista e già vista serpeggiava da una parte all'altra della sala, spostando sedie, impilando tavoli, lanciando palloncini, trombette, stelle filanti. La musica era tenuta abbastanza alta da creare quel piacevole suono di persone che, per sentirsi, hanno bisogno di urlare come i predicatori da strada e – quindi – mi ritrovai immersa in un portentoso, frizzante, energico caos andante.

La musica, a differenza dei miei stimabili CD da discarica, era allegra.
Avvolgeva e faceva ballare un po' i fianchi.
Era un gruppo che mi ricordava molto “La Zattera Bruciata” del Belgo ma – a differenza loro – questi tizi partivano con assoli fulminei e batterie da battaglia. La voce, d'un giovane uomo nasale, andava a ritmo mentre un flauto – o una cornamusa – o qualunque cosa fosse sfrecciava fino al soffitto, facendo traballare i lampadari.

C'erano proprio tutti, lì dentro.
E non solo tutti, ma anche gente mai vista prima.

Locke stava portando immense scatole da una parte all'altra, seguito a ruota da Alex, da Paul e da Shan che – in confronto agli altri – sembrava un piccolo hobbit dalle scarpe enormi.
Mya e Jacq stavano sistemando dei vasi pieni di fiori profumati e giganti, che mi facevano sentire un po' lillipuziana.
Penny era intenta a creare un'atmosfera piena di lucine, candele, fuochi e lumi in ogni dove.
Dean e Aidan stavano sistemando i cartonati di Bilbo praticamente ovunque, e continuavano a spostarne uno ogni qualvolta Adam Brown si muoveva per appendere qualche striscione, facendogli venire un colpo ogni volta che si voltava.
James aveva un ridicolo cappello da festa in testa ed era in piedi sopra ad un tavolo mentre impilava un boccale di birra sopra un castello di vetro, che sapevo al minimo tocco sarebbe crollato giù.
Graham girava con aria un po' scorbutica mentre rovistava dei fogli, uscendo ed entrando nella cucina, sentendo di tanto in tanto strani versi da chef.
Il Belgo stava strimpellando con la sua chitarra cercando di stare al passo dell'uomo nasale che cantava nel CD.
M'accorsi anche di un tizio un po' cicciottello e dall'aria simpatica e i capelli rossicci, stava spulciando da alcuni piatti lasciati sul bancone, mentre trotterellava da una parte all'altra senza sapere bene cosa fare.

Richard era intento a guardare tutto, dal centro della sala, dando suggerimenti a destra e a manca, sbracciandosi come un direttore d'orchestra.
Nessuno sembrava essersi accorto della mia assenza e la cosa mi lasciò sprofondare in qualcosa che mi ricordava molto la tristezza.

Dal nulla, dietro le mie spalle, spuntò un branco di uomini – e una donna – armati di telecamera, tele obbiettivo, macchine fotografiche, microfoni, telescopi, cannocchiali e binocoli e si avvicinarono alla volta di Richard, attirando la sua attenzione.

Mi resi conto solo in quel momento che, una festa del genere, avrebbe portato una pubblicità cospicua al mio Green Man.

Forse sarebbero arrivati forestieri da ogni dove per poter dire “io mi sono seduto proprio dove si è seduto Richard Armitage” oppure “Ho urinato nello stesso water di Aidan Turner”, e io avrei potuto imbastire storie, leggende e canti che avrebbero fatto sognare le dame e le principesse di ogni villaggio.
Ma, essendo in uno stato emotivo un po' di basso rilievo, m'accorsi di esserne estremamente gelosa.

Non volevo che diventasse un posto per tutti, non volevo che si perdesse la magia che il Green Man riusciva a sfoggiare senza bisogno di alcun aiuto.
E così, per la prima volta da quando misi piede lì dentro, mi sentì un'estranea nel mio posto preferito.

Dopo qualche flash stordente e un attacco di microfono alla volta di Richard, decisi che sarebbe stato meglio evitare di farmi vedere. Non volevo rovinare l'atmosfera che aleggiava lì dentro, li vedevo tutti felici e indaffarati.

Walter mi guaì un brontolo di protesta e io gli diedi una carezza sul pelo bianco, lasciandolo libero di andare a salutare i suoi amici.
Come immaginavo corse come un fulmine dietro alle gambe di Dean e, per l'ennesima volta, sprofondai in un sospiro mesto.

«Oh eccoti finalmente, è da tutto il giorno che ti sto cercando.»
Alzai la testa per incrociare lo sguardo di James. Per poco non mi ruppi l'osso del collo visto il profondo dislivello d'altezza.
Lui era ancora sopra al tavolo e calò giù con un saltello, ritrovandomelo davanti al naso.
Decisi di evitare accuratamente quel piccolo particolare della sua frase dove “è tutto il giorno che ti sto cercando” poteva voler dire troppe cose.

«Ero...mi sono persa.»
«Vieni con me.»
Mi prese per un braccio ma io opposi resistenza.
«No James, sono appena arrivata. Non ho praticamente fatto niente, oggi. Locke per poco non mi mangiava viva per la storia dei tulipani.»
«Vecchio?! Ti porto via Grace!» Urlò James guardando verso un punto della sala.
Locke spuntò da dietro una scatola di quelle che mi sembravano caramelle giganti.
«NO!»
«Perfetto, andiamo.»

Anche questa volta James fece finta di non sentirlo neanche e mi tirò fino a portarmi fuori dalla veranda del Green Man.

Non avevo molta voglia di restare da sola con lui, in quel momento, avevo l'umore sotto i piedi e mi sentivo incapace di reagire. Non mi capita spesso di tormentarmi con questi pensieri, sono una persona abbastanza allegra, ma quando mi capitano questi risvolti infausti allora ho bisogno di prendermi del tempo per me.
Per questo mi piace collezionare CD brutti, o chiamare mia madre solo per prendere in giro il suo Behlo.
Sapevo che era in Angola, in quel momento, vista la sua ultima cartolina piena di cascate e zone verdi.

«James di solito sono contenta quando mi eviti di lavorare ma in questo momento devo assolutamente fare qualcosa, sono abbastanza...»
La mia frase sfumò nell'aria e rimasi di sasso davanti a ciò che vidi davanti ai miei occhi.

Nella zona esterna tutti i tavoli erano stati spostati, il giardinetto era stato tosato e molti fiori penzolavano al vento regalando un profumo intenso e buono. V'era un enorme striscione sopra le nostre teste, un piccolo gazebo era stato tirato su per l'occasione e dei lumi arancioni pendevano da un filo conduttore che teneva in aria tutto quanto.
Era una grossolana e dolce trasposizione della famosa festa dei centoundici anni di Bilbo Baggins.
Non potevo credere ai miei occhi.
«...giù di morale.» Finì la mia frase interrotta come se stessi rantolando e, di fianco a me, James ghignava contento, guardando quell'operato con profondo orgoglio.

«Scommetto che non hai trovato la tua amata Contea nella tua perlustrazione nella natura. Quindi...eccola qui
Io non avevo più parole da esprimere. Avrei voluto dire tantissime cose insieme e non dire niente allo stesso momento.
Cominciai a muovermi in mezzo ai tavolini, tra il gazebo, e sotto lo striscione che diceva “Happy Birthday Bilbo Baggins”, e il fatto che non fosse il suo compleanno non importava.

La festa sarebbe stata l'indomani e tutti i suoi più cari amici si erano dati da fare per fargli passare una bella serata.
Una calda, piacevole e intima serata. Forse l'ultima che avrebbero potuto passare tutti insieme.
E mi resi conto in quel momento che, inconsapevolmente, ci stavano regalando qualcosa che era fuori dalla portata di molti.

Un qualcosa che il Green Man si meritava, dopo le sue innumerevoli serate all'insegna di storie tristi, felici e canti. Le storie le fanno le persone, d'altronde, e non sempre i cambiamenti significano qualcosa di brutto. Sono solo cambiamenti e, se fanno scaldare il cuore, allora non devono essere così male.

Mi ci sentì invasa e a stento riuscì a tenere per me quella sensazione.
Come avevo potuto pensare che quel posto non mi appartenesse più?

«Ti piace?»

Mi domandò James un po' titubante, sentendomi i suoi occhi puntati sulla schiena.
Quando mi voltai ero convinta di avere il sorriso più felice che il mio volto potesse mai sperare di regalarmi.

«Credo che sia la cosa più bella che io abbia mai visto.»
«Più di me, quindi?» Disse lui, facendo una smorfia.

Io m'accorsi che non controllavo più bene i miei atti motori, mi lanciai su di lui e lo strinsi in un abbraccio forte, con le braccia intorno al suo collo.
Speravo che nessuno dei miei amici avvoltoi mi stesse guardando, in quel momento, perché sapevo che sarebbero partite prese in giro, frecciatine, rubriche del cuore e annunci di matrimoni in un lasso di tempo paragonabile alla velocità della luce.
Non m'interessava in quel momento.
Quel tizio che stavo abbracciando mi aveva salvato la serata, forse addirittura qualcosa di più duraturo di un semplice malessere e gliene ero grata.
Lo sentì un po' rigido sotto quell'abbraccio ma poi m'accorsi delle sue braccia che scivolarono dietro la mia schiena.

Mi stava abbracciando anche lui.

«Questo è da considerare come un no?»
«Non rovinare questo momento con le parole, chiudi quella bocca.» Dissi io, con una confidenza che m'ero sgusciata via da chissà quale poro.

Lui lo sentì annuire solamente e restammo così, abbracciati come due sanguisughe, mentre da dentro sentì il Belgo intonare “I was born to love you” e mi sentì invadere da un imbarazzo incalzante.
Mi scostai con un po' d'irruenza e sorrisi come se niente fosse, guardandolo.

«Grazie.»

Dissi solamente, alzando le spalle.
Lui non sapeva bene cosa dire e lo vidi boccheggiare un paio di volte prima di allargare le mani.

«Di...niente?»
«Credo che ora tornerò dentro prima che Locke metta fine alla mia esistenza, e visto che non ho settanta vite come Sean Bean è il caso che non muoia.»
Lui si mise a ridere e annuì, andando a grattarsi la testa.
«Almeno Sean Bean muore da eroe.»
«Sì, ma muore. È una di quelle cose che vorrei evitare.»
Lui sorrise di nuovo e allungò un braccio per mettermelo intorno alle spalle.
«Dai andiamo, prima che gli venga una crisi da meno pausa.»

Una volta rientrati fu come se qualcosa – dopo quel momento – avesse ripreso un ciclo diverso.
Penny mi venne incontro raggiante, prendendomi per un polso e trascinandomi verso il bancone.
Tutti si voltarono a salutarmi. Jacq mi chiese se volevo un'acconciatura floreale per il giorno dopo.
Mya mi mise davanti al naso un paio de suoi vestiti dicendo di sceglierne uno per la serata.
Alex mi lanciò contro proiettili di salse ketchup e maionese, facendo sbellicare dalle risate anche Aidan.
Dean mi chiese se poteva rapire il mio cane, visto che se n'era innamorato.
Richard mi salutò prendendomi la mano, dicendomi che era un onore poter fare una festa in un locale del genere.
Adam mi salutò. Stephen – Bombur – Hunter si presentò. Graham mi chiese se potevo vestire Walter da Gandalf per la festa.
James ritornò sopra il tavolo per finire la sua opera di boccali e io mi sentii di nuovo a casa mia.

Cominciammo tutti a fare tutto e la serata fu talmente piacevole e divertente che finì in un batter d'occhio.

Locke aveva deciso di tenere chiuso per un intero giorno ma un pugno di ragazzine curiose era riuscita ad emergere dal cancello ed eravamo stati invasi da selfie ignobili, risatine, urli e altre promesse d'amore.
Mi chiedevo come, la vita di un attore, doveva essere preparata psicologicamente a tutto questo.

Nessuno di loro risultò scostante, antipatico o snob, nonostante l'immensa stanchezza.
Persino Shan e Paul si immersero tra le ragazze, fingendo di essere persone famose, inventandosi ruoli immaginari e prodezze nel mondo del cinema alla stessa stregua di un Johnny Depp qualsiasi.

«Scusami per prima, pungola. Ero un po' nervoso.»
Mi ritrovai Locke davanti al naso, con la faccia un po' paonazza e la stanchezza nello sguardo.
Era simile al mio personaggio di Lost preferito più di quanto io stessa potessi mai immaginare ma evitai accuratamente di farglielo notare proprio in quel momento.

«So perché lo eri.»
E feci sgusciare lo sguardo verso Mya, intenta a smistare i bigliettini “Tu non puoi passare” un po' a tutti.
Sorrideva soave, alcune ciocche le ricadevano davanti al viso e aveva fatto felice qualche ragazza permettendo loro di poter venire l'indomani.
«Hai paura che te la portino via, eh?»
«No milady, e smettila di tenere aperta quella bocca che ci entrano le mosche.»
«Non nascondere il tuo amore, Locke.»
Lui mi puntò un dito contro ma, nonostante il gesto intimidatorio, mi sorrise.
«Occhio Grace, che la cheescake viene bandita.»
«Posso sempre chiederla ad Alex.»
«Non oserai.»

Intanto Jacq era piroettata dietro di noi con un immenso vaso di rose bianche e aveva regalato alle birre un nuovo aroma.
Vidi il Belgo tenerla d'occhio ma presto fu avvolto anche lui da un paio di ragazze e smise di farlo.
«Tu invece cosa stai combinando con James?»
Locke mi spiazzò con quella domanda e Jacq spuntò come una farfalla dietro di me, con un sorriso talmente dolce da far sciogliere il miele stesso.
«La nostra Grace si sta innamorando, non lo vedi?» Incalzò lei, arrossendo.
Sia io che Locke la guardammo come se avesse appena detto che i fiori sono l'immondizia dell'universo e rimanemmo attoniti. Lei si sentì a disagio, lo percepì dal fatto che smise di fissarci e si toccò le dita sottili.
«Dai, non ho mica detto niente di male.»
«Hai solo detto la più immensa stupidata della storia, dopo quella volta che Paul disse che Dana Scully era stata la sua insegnante di aerobica.» Dissi io, bloccandomi per un secondo. «Paul che fa aerobica è impensabile.»
«Tu non ti accorgi minimamente di che cosa dicono i tuoi occhi quando lo guardi. Io ti osservo sempre.»
Jacq tornò a fissarmi intensamente, come una veggente farebbe con la sua sfera di cristallo e vidi Locke metterle una mano sulla fronte.
«Jacq tutti questi fiori ti stanno dando alla testa.»
Lei lo scacciò via con uno sbuffo.
«Ho ragione io. Riconosco ogni sintomo, non dovreste dubitare di me.»
«Spera che non sia così, non ho intenzione di lasciarla nelle mani di quello lì.» Penny si intromise, stringendomi per la vita con una presa un po' possessiva.
«Ma perché no? Sono così carini insieme.»
«Jacq stai varcando la linea, non esagerare.» Dissi io con una finta minaccia, sorridendole.
«Quando ti accorgerai che ho ragione io giuro che farò...che farò...»
Io guardai verso il Belgo, lo vidi guardare verso di noi nonostante la folla intrepida di lucidalabbra e chiome piastrate e tornai a guardare la mia amica dei fiori.
«D'accordo, scommettiamo. Se hai ragione tu, giuro che ti aiuterò con i fiori per un intero giorno. Ma se ho ragione io, tu dovrai chiedere al Belgo di uscire.»
Lei diventò rossa come un pomodoro e sgranò i suoi occhietti dolci.
«Cosa? No...no, no, questo è un ricatto bello che buono.»
«Ma come? Hai paura di perdere?»
Le sorrisi con un po' di malizia e lei sbuffò imbarazzata, dandomi una pacca sulla spalla. Non era molto brava a dare pacche, non mi spostò nemmeno di un centimetro.
«Sei proprio una peperina, tu.»
«Lo faccio perché ti voglio bene.» E le diedi uno bacio a schiocco sulla guancia, mentre guardavo oltre il bancone.
Scampanellai l'ultimo giro di birra – mi piace farlo anche quando non siamo aperti – e tutti s'avvicinarono al bancone.

Vidi Richard un po' in disparte, immerso davanti alla mia libreria nella zona delle poltroncine di Walter, e sgomitai Penny.
Lei mi sorrise, la vidi addirittura arrossire, sospirando.
«Non ora

Non mi lasciai andare a troppe domande e cercai Alex con la coda dell'occhio.
Lo vidi insieme a Dean davanti ad un paio di ragazze molto carine, intenti a parlare. M'accorsi di come Penny s'era soffermata a guardare proprio in quel punto ma non ci feci molto caso. La mia attenzione fu rapita da una torta gigantesca.
Era alta, a più strati, dove troneggiava un Drago di fuoco in tutta la sua magnificenza.
Uno degli aiutanti chef la stava trasportando chissà dove e lo vidi sparire oltre i vapori da sauna delle lavastoviglie, facendomi riportare alla realtà subito dopo che il suo incantesimo dolciario svanì alla mia vista..

Tutti bevevano, erano felici, erano estasiati e io mi sentivo finalmente in pace con me stessa.
Se il giorno prima ero piena di dubbi adesso erano scivolati via di dosso. Alle volte i cambiamenti possono fare paura, ma finché non li vivi non saprai mai quanto ti siano serviti, anche solo per capire qualcosa che prima avevi sempre davanti al naso e non riuscivi a vedere realmente.
Anche solo per confermare quanto l'affetto potesse essere importante, sia verso un luogo che verso gli altri.

«Siamo qui riuniti oggi per parlare del-»
Aidan ci provò a far ridere tutti ma gli altri cominciarono a dargli manate e a tirargli qualcosa addosso.
Il musicista nasale aveva smesso di intonare le sue canzoni e, ora, il Green Man era immerso in un silenzio musicale composto solo dalle risate e dal chiacchiericcio generale. Nella mia testa cantava “Cappuccino Cappellino”, che era un ragazzino che voleva imitare Justin Bieber cantando le cover dei cartoni animati della Disney.
Mi chiesi perché quel CD fosse stato buttato via, mesi fa. Era persino bravo a cantare.

«Grace, vieni?»
James mi spuntò davanti di nuovo, dopo aver bevuto a goccia una pinta intera di birra.
Era invidiabile la sua propensione a risucchiare ogni liquido con quella velocità.
Aveva ancora quel cappellino da festa sulla testa – color verde fluorescente – e indossava una camicia a quadri di 50 sfumature di color topo muschiato. Forse avrei dovuto chiedere a Mya di aiutarlo nel scegliere abbinamenti di moda meno da pensionato.
«Dove?»
«Te l'ho detto ieri, ti porto in un posto.»
«Ah già!»

Caddi dalle nuvole, m'ero del tutto scordata di quel piccolo particolare. Se me lo fossi ricordata forse avrei evitato di saltargli al collo qualche ora prima, evitando così di cadere nel buco nero di tutte le figure d'anguilla che avrei potuto fare in sua presenza.
Mi maledì mentalmente, ma d'altronde ero curiosa. E provavo l'insolita sensazione di voler restare da sola insieme a lui.
Questo non mi catalogava come persona innamorata, né invaghita, né simpatizzante.
Ero solo curiosa.

Vidi Jacq già guardarmi con aria da vittoria e io evitai di dargliela vinta.
Guardai verso Penny e la vidi concentrata mentre aiutava Locke a sistemare alcuni scaffali dietro di sé.
Mi sembrò un po' strana ma non ci diedi molto peso. In fondo sapevo che era dedita a cambiare umore velocemente, e collegai tutto alla stanchezza di quella giornata, così mi defilai dal bancone e seguì James.

«Belgo, ti rubo Priscilla!» Biascicò James.
Priscilla era la chitarra del Belgo. Il suo unico amore di legno acustico, veniva prima solamente a Jacq.
Lui lo guardò come se gli avesse chiesto di amputargli un braccio ma poi sorrise, facendo un cenno.
«Riportamela intera o non tornare neanche.»
«Tranquillo.»
Il fatto che James avesse preso la chitarra mi faceva presupporre qualcosa di molto più intenso di quello che m'aspettavo.
«Non starai mica pensando di farmi una serenata al chiaro di luna?»
Gli chiesi io, già in preda ad un finto attacco d'epilessia. Non ero a mio agio con cose così romantiche, specie se da parte di attori che, fino a una settimana prima, neanche sapevano della mia esistenza.
«Non esattamente

 









 

NA.
Ultimamente questi capitoli non mi fanno impazzire, ma ho avuto giornate intense a lavoro quindi sono usciti quel che sono usciti xD spero di riuscire a fare di meglio durante la settimana, anche perché sta dannata “festa”
si avvicina e ormai che mi sono presa questa responsabilità spero che esca una cosa almeno decente.

Grazie comunque a tutti quelli che mi leggono, eee un caloroso grazzzzissimo a leila91 (unbacionenorme) e a Magali_1982 che mi ha messo tra le seguite.
A presto e buona giornata <3

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Capitolo 11
*** 11. Le mie romanticherie ***


Capitolo 11.
Le mie romanticherie

 

 

 

 

È altamente innaturale il passaggio che compie una sola nota attraverso il tuo padiglione uditivo, riuscendo a concentrare una scarica di emozioni talmente alta da non riuscire a capire da dove essa provenga. Magari può venire scambiato per un'appendicite acuta, o per un crampo allo stomaco dopo aver mangiato una quantità sproporzionata di costine di carne. Ma poi qualcosa si scuote, si schiaccia dentro di te, ti immerge in una sensazione di benessere e ti fa incantare.

Alle volte ti perdi a ripensare al tuo amore passato, quando eri piccola e avevi la pelle forata dai brufoli, zaino pieno di scritte e diario placcato dalle peggior foto dell'idolo del momento.

Alle volte ti perdi a ricordare un luogo, un odore, una sola scena che ti si è impressa nella memoria e non se n'è più voluta andare, senza neanche sapere perché è rimasta così importante, lì nel profondo, a spuntare quando meno te lo aspetti.
Io mi accorsi di essere immersa in un posto che non credevo di ricordare più.

 

Ero molto piccola.

Mia madre non era ancora del tutto annoiata da mio padre, forse era il periodo in cui lo trovava addirittura una persona divertente. Faceva molto caldo e io ero vestita da pirata, mentre mi destreggiavo con la spada fendendo con colpi di plastica un paio di bambini della zona.

Nell'aria c'era odore di carne, di verdure grigliate, di brace che fuma. Davanti a noi si ergeva una piccola montagna che ci divertivamo a scalare, sbuzzandoci ginocchia e graffiandoci le dita, ma io pensavo solo a cercare il mio tesoro per spartirlo con la mia truppa di mozzi.

Ad un certo punto ci fu un fischio e tutti ci voltammo verso la valle erbosa che si espandeva davanti a noi come un grande mare verde, illuminato da una cascata di luce.
Tutti i nostri genitori stavano per gareggiare in una epocale e coraggiosa partita di football.

Le nostre madri cinguettavano ed esultavano ai bordi del fatidico campo – da cui ricordo spuntavano margherite e primule – mentre i nostri padri erano lì, sotto al sole, aspettando il fischio dell'inizio.

C'era solo un piccolo particolare che ci aveva tenuto incollati tutti a quella partita, senza che potessimo fare altro che guardarla fino alla fine. Tutti i nostri papà – e anche i papà di qualche bambino che non conoscevamo – erano vestiti da donna.

Si erano messi fiori in testa, veli come gonne, scialli, mele e pere sotto il top, ombelichi pelosi di fuori, rossetti e mascara. Era l'immagine più inquietante e divertente che la mia mente aveva mai visto, ed ero viva solo da pochi anni quindi non potevo vantare di un bagaglio visivo molto ampio.

Mio padre era il più brutto di tutti: aveva rubato un pareo da mia madre, color giallo canarino, e aveva deciso di giocare con un tacco vertiginoso che affondava nell'erba.

Fu la partita più disarticolata che avessi mai visto. Le mele sfuggivano dalle maglie, le pere venivano lanciate come armi, il pallone era diventato un foro vivente di tacchi a spillo e baci di rossetto. I parei sventolavano, le gonne ruotavano, le capigliature floreali divennero arbusti al vento e si levarono nell'aria tante bestemmie da camionista che mia madre fu costretta a tenermi le mani sulle orecchie per tutto il tempo.
Era stata una giornata fantastica, non mi ero mai divertita così tanto con i miei genitori come quel giorno.

 

Non so per quale motivo ripensai a quel momento della mia vita, ma mi accorsi di star ridendo da sola e James mi diede una spintarella sulla spalla.
Subito ritornai alla realtà senza riuscire a celare il mio sguardo un po' sbigottito.
James aveva smesso di strimpellare la chitarra e io mi ritrovai a fissarlo, rendendomi conto che, perdermi nei pensieri in quel momento, non era la miglior cosa da fare.

Eravamo poco distanti dal Green Man, immersi in una zona verdeggiante nel mio bosco fatato, e vedevo la facciata bianca del mio locale in lontananza, illuminato dal riverbero arancione dei lumini. Se mi concentravo bene forse – nell'aria – potevo sentire i rumori e le risate delle sue pareti, e i ricordi lontani delle sue storie.

In quella zona non c'erano lampioni e il cielo aveva deciso di regalarci qualche stella lontana, vicini ad una luna a spicchio d'arancia che ci sorrideva un po' storta.
L'erba era piena di denti di leone e io mi ero già divertita a soffiarne quanti più possibili, così che sia io che James eravamo coperti da soffioni bianchi sui capelli e sui vestiti.
«Pronta? Se ti perdi non finiamo più.»
«Vai, ce l'ho.»
Dissi io, drizzandomi con la schiena e prendendo un bel respiro.

Ciò che stavamo facendo era la cosa più stupida e insensata che le nostre menti avessero mai partorito. L'idea l'aveva avuta James e quando me la disse il mio cuore fece quel solito pa-tunf che non riuscì a controllare e mi ritrovai spiazzata davanti a lui, per la seconda volta in un giro di tempo molto breve.

Non avevo nessuna intenzione di darla vinta a Jacq ma cominciavo a sentire qualcosa di complesso per James e la cosa mi stava alquanto turbando.
James cominciò a suonare la chitarra, aveva gli occhi che passavano dalle corde al mio viso, e io tossicchiai per rischiarare la voce. E così cominciai la mia filastrocca.

 

Simon discese tra piccole foglie rosate /
senza più zombie da colpir con le posate /
un poliziotto agente che sta in campana /
anche se voleva essere Kermit la rana.



James smise di suonare e mi guardò con un sorriso che mi fece bollire il sangue.

Io evitai accuratamente di guardarlo, alzando gli occhi verso ogni dove fosse possibile evitarlo. Ma me lo sentivo addosso come lance puntate e mi ritrovai costretta a tornare su di lui, sorridendo in maniera un po' atipica. Probabilmente sembravo come una di quelle ragazze che sorridono nelle pubblicità perché si sono botulinate il viso, per farlo.

«Dovresti metterci più pathos. Questa non è una serenata d'amore.»
«Ma tutte le serenate d'amore migliori le ha già scritte Elvis. Ormai sono cose superate.»
Mi lagnai io, piegando le labbra. Lui si mise a ridere di nuovo e io mi fissai su di lui come un piccolo gufo avido di dettagli.

Qualcuno – e quel qualcuno era quel maledetto Lostiano di Locke – gli aveva annunciato della mia innaturale ossessione verso Simon Pegg e, sapendo che c'erano alte probabilità che il mio inglese sarebbe giunto domani alla festa, James aveva deciso di darmi lezioni di “corteggiamento” verso di lui. Non ero sicura che lo conoscesse ma credo che fosse un modo, tutto suo non c'è che dire, per ritrovarsi un po' di tempo per sé lontano dagli altri.

Il fatto che il suo tempo per sé lo volesse passare a sentirmi canticchiare oscenità da esorcismo mi riempiva la testa di illusioni che volevo scacciare, così decisi di non fare domande e crogiolarmi nel dubbio.

«Se vuoi ti insegno la mia danza sui tavoli.»
«No.» Alzo un palmo. «No, per carità. Non sono brava come te a stare in equilibrio, se per caso dovessi arrampicarmi su un tavolo – domani – spero che sia perché ho ingerito una quantità alcolica talmente cospicua da non ricordare nemmeno più come mi chiamo. E non per cantare una schifezza del genere davanti a Simon Pegg.»
«Secondo me lo conquisti. Magari decide anche di divorziare da sua moglie per te.»
«Sì certo. Magari poi scappiamo pure alle Bahamas, ci facciamo una nuova vita lì, facciamo un nido di bambini, apriamo una fattoria di cani e moriremo insieme con un cocktail al mango in mano, sulla spiaggia, mentre ci sventolano palme sulla testa.»

Lui rise e io risi insieme a lui, sentendomi stranamente a mio agio.
Fin troppo a mio agio, maledizione.
«So io cosa ti ci vuole adesso. Magari ti sprona la fantasia.»
«James io posso pure creare un'opera Dantesca per lui, ma se me lo ritrovo davanti io perdo anche l'uso dei vocaboli, lo capisci?»
«Ah, un po' come quando hai visto me per la prima volta.»

Con quella frase mi spiazzò e io rimasi a guardarlo con gli occhi fuori dalle orbite e senza sapere bene cosa rispondere. La mia mente decise che quella sua massima doveva essere – per forza - una battuta e così cominciai a ridacchiare, sperando che lui faccesse lo stesso, distogliendomi da questo tormento interiore.

Lui rise con me ma lo vidi abbassare lo sguardo, appoggiando la chitarra sull'erba.
In quel momento sentì il venticello che ci accarezzava, facendoci un po' rabbrividire, e mi strinsi un po' nelle spalle, sperando di trovare qualcosa da dire.

«Sì, come con te.»
Sussurrai infine, strozzando qualche filo d'erba per cercare di boicottare quell'imbarazzo fastidioso.
«E Dean. E Aidan, e Adam, Richard. Non parliamo di Richard proprio. E Martin.»
Quando rialzai lo sguardo, per pura curiosità di una sua reazione, lo vidi intento a soffiare un altro dente di leone proprio verso la mia faccia e una flotta di soffioni mi finirono sugli occhi e sui capelli, facendomi arricciare tutto il viso.
«Ma ora riesci a dire frasi di senso compiuto, visto che la paura non serve a niente? Andrà tutto bene domani, anche se gli canti questa sottospecie di martirio.»
Rimasi a guardarlo e sentì che il sorriso mi ritornò prepotente sul viso.
Lui mi fissò di rimando e poi lo vidi drizzarsi di colpo, come se avesse sentito un rumore molesto.

«Eccolo.»
«Cosa?» Domandai io, voltandomi giusto per guardare in punti sconosciuti.
E da lontano lo vidi.
Un camioncino bianco, dall'aria un po' vecchiotta ma che ricorda un po' le campagne, con ghirigori e disegni color pastello sulla facciata.
La musica che si diffuse nel sentiero era inconfondibile. Una specie di carillon con cassa surround abbastanza molesta, specie per un orario un po' notturno come quello, che canticchiava la sua melodia in tutta la zona.
Il camioncino dei gelati.

«Ma che...?»
«Avevo paura che non capisse bene dove arrivare, visto che gli ho detto che eravamo immersi nella foresta di Bosco Atro. L'autista s'è messo a ridere, ma io ero serio.»
Io ero in uno stato esaltato. James mi prese per mano – e già lì ero convinta che la mia sudorazione agli arti avrebbe copiosamente rovinato tutto – e mi trascinò verso il camioncino che si era proprio fermato davanti al sentiero ciottoloso.
Mi prese due cornetti e per lui un ghiacciolo e un magnum.

Invitammo l'autista a mangiare un gelato insieme a noi ma disse qualcosa a proposito di una “dieta” e “mia moglie poi divorzia” e si rimise in marcia, lasciandoci di nuovo da soli nella nostra desolazione erbivora.
Io ero felice come una bambina, guardavo verso le stelle luminose e pensai che quello era il gelato più buono che io avessi mai mangiato in vita mia.

Nessuno aveva mai chiamato il camioncino dei gelati solo per me, ed ero contenta che la mente un po' contorta di James partorisse tali idee invece che cene romantiche al lume di candela o parlare delle stelle del firmamento che brillano come i miei occhi, o di com'è bello passeggiar con Mary.
Mi stava venendo in mente Mary Poppins senza motivo così decisi di disturbare la mia mente tornando a guardare verso James. Gli sorrisi e lui fece altrettanto con me.

«Non si può pensare di fare una scampagnata nei boschi senza un gelato.» Disse lui.
«Sì, non è proprio ciò che uno pensa quando è in un bosco ma sono felice che la tua mente lo abbia fatto. Avevo un gran voglia di gelato.»
«Sei pronta a continuare la tua filastrocca?»
«In questo momento non m'interessa niente di Sim-»
Mi bloccai appena in tempo prima che il mio pensiero – avidamente tenuto per me per tutta la serata – scivolasse via creandomi in quello stato da buco nero senza fondo. Scostai di nuovo lo sguardo ma sentì James strusciare fino a sentirlo letteralmente spiaccicato contro di me, seduto, con il braccio pressato contro il mio.
«Sì, lo so. I gelati sono l'unico vero amore di una donna.»
«Già.» Risposi io senza più fiato.

Restammo in silenzio per un tempo che a me parve infinito. Mi piacevano i momenti in cui non parlavamo ma, da un lato, li sentivo ancora troppo opprimenti. Avrei voluto dire qualsiasi cosa, sentirlo parlare di qualsiasi cosa, avrei voluto un suono, un ricordo, un momento divertente di cui ridere e invece eravamo lì, seduti, a mangiarci un gelato in un prato ad un orario notturno indecifrabile, sotto le stelle, e m'accorsi che quella situazione stava scavando nel mio animo sensazioni incontrollabili. Sentivo prepotentemente caldo.

Cercai di pensare a qualche canzone stupida della mia collezione ma non mi venne in mente niente che non fosse qualcosa riguardante i film di Peter Jackson. Nella mia testa si palesò “The Last Goodbye” e lì mi sentì morire.
Ogni volta che Billy Boyd si destreggia con quell'uccisione di barriere altamente tenute salde per non piangere, io sono costretta a canticchiarla tutta o rimango irrequieta per tempi indefiniti.
Sentì che James stava percependo qualcosa e mi piazzò il suo magnum davanti al naso.

«Vuoi un po'?»
«Mh.»
«Non sto cercando di farti diventare grassa, lo giuro.»
«Mh.»
«Ehi. Va tutto bene?»

Si voltò a guardarmi e io feci lo stesso, sorridendo.

«Sì. Sì. Stavo ripensando ad una canzone e sto cercando di cantarla nella mia mente così tutto questo finisce e io smetterò di pensare solamente alla canzone, visto che sarebbe anche piuttosto...maleducato concentrarmi su una canzone mentre tu sei qui, con me, dopo che mi hai offerto un gelato e-»
«Credo che tu stia delirando, Grace.»
«Hai mai provato ad uccidere degli zombie mentre in sottofondo cantano i Queen?»
Sapevo che stavo delirando per colpa dell'imbarazzo e decisi d'attaccare con l'unica arma in mio possesso. L'unico modo per interrompere quel ciclo di paranoia che ho in testa è far delirare anche l'individuo posto davanti a me. Un po' mi dispiaceva che toccava per forza a James, ma d'altronde era lui il motivo per cui mi sentivo così, quindi doveva pagarla.

«Una volta, nell'87. Fu una serata molto intensa.»
«Devi iscriverti al mio albo di cacciatori, allora. Saresti un eroe.»

Sorrisi e lui fece altrettanto, mentre stava già scartando il suo ghiacciolo da un colore piuttosto fluorescente. Stava facendo un abbinamento di gusti un po' strani ma non volli dire niente a riguardo. Anche io alle volte mi ero ritrovata a mischiare degustazioni cibarie un po' improvvisate, non potevo dare lezioni in merito.

Mettere il ketchup nella pasta era stato l'errore più grande della mia vita, non avevo bisogno di farlo sapere al mondo.

«Grazie per questa serata. E' stata bella, e poi il gelato è un colpo di classe.» Mormorai con una vocina da adolescente. Lorella Pazzerella avrebbe cantato una canzone su di me, in quel momento, se ne avesse avuto la possibilità.
«Sapevo che ti avrei conquistato con un doppio cornetto.»
Io ero arrossita ma cercavo di non darlo a vedere. Non so se la cosa funzionava, ma d'altronde era buio sotto quel cielo stellato.

«L'altro giorno sono venuto a fare una camminata da queste parti e ho pensato che sarebbe stato divertente portarti qui. Poi ho pensato che, forse, tu qui eri già venuta ma non credo tu sia una di quelle che viene in posti del genere con altra gente. Mi sembri più una che si perde nei suoi sentieri, immergendosi nella propria mente, da sola. Magari con Walter. E che le piace così.»
James mi fece scivolare addosso quelle parole e io non seppi bene che cosa dire a riguardo.
«In verità ho saputo che Locke ti ha un po' trattato male e mi è dispiaciuto. Forse non avrei dovuto starti così appiccicato in questi giorni. So che venire qua ha scombussolato la vita di tutti quanti, è una cosa del tutto diversa per voi e... ho visto il tuo sguardo prima. Come se non ti sentissi più a casa. Non è mai bello quando le persone si sentono sole anche quando sono circondati da tante persone.»

«Io...no ma io, ecco, ero, sì ero...ma tu non dovevi...insomma-»
Grazie Wookie per essere sempre nei miei pensieri in questi momenti.
Avevo il cuore che stava facendo piroette triple lì dentro, ed era un po' preoccupante perché non avevo messo una rete di protezione, sia mai che cadesse dal suo trampolo e si rompesse.
Non potevo credere alle mie orecchie: James aveva capito il mio stato d'animo con uno sguardo? Che razza di maledizione era questa?
Forse quello non era James. Era un alieno. Un Sith. Un Osservatore. Un James-alternativo.

«Da quando ho divorziato da mia moglie non va tanto bene la mia vita, forse è per questo che sono venuto a trovare Locke. Volevo ricordarmi cosa significasse fare parte di qualcosa di bello, volevo sentirmi di nuovo come quando non avevo tanti pensieri, quando uscire con le ragazze e ubriacarmi erano le mie uniche responsabilità. In verità volevo solamente fuggire via da qualcosa, voglio...voglio fuggire via da qualcosa, ma non credo di poterlo fare e quindi...quindi voglio godermi appieno questi giorni prima di tornare a ricordarmi che la vita non è piena di gelati e canzoni, come vorrei che fosse.»

Io ero sicura che mi stessi per rompere le ossa della mano a forza di stritolarle ma il mio sguardo era puntato su di lui e, per la prima volta, mi apparve come un normale, complicato e fragile essere umano. Mi stava regalando i suoi pensieri più intimi.
Mi è sempre piaciuto sentir parlare le persone, ascoltarle veramente, guardare come una frase fa cambiare lo sguardo o abbozzi un sorriso o anche un riflesso di nostalgia lontana. Le parole, alle volte, servono a far capire proprio ciò che non si vuole dire.
Ero attenta e mi ritrovai a distendere ogni muscolo del mio corpo con un leggero sospiro.

Con un coraggio sovrumano allungai la mano e cercai la sua, andando a stringergli le dita. 
Lui sorrise debolmente e – fluido – intrecciò le dita con le mie e alzò lo sguardo su di me. Io m'appellai ad Aule per evitare di dire castronerie, banalità, stupidaggini in quel momento. 
La cosa non era per niente facile.

«Le persone che sorridono tanto di solito nascondono qualcosa di triste dentro di sé. E anche quelle che non sorridono tanto, presumo. Ma è naturale. Sono sicura che anche tutti questi poveri denti di leone siano tristi perché ora sono costretti a vivere sopra i nostri capelli che sono senz'altro un habitat molto più indigesto dell'erba.» Sorrisi e lui anche abbozzò un sorriso. «L'importante è non farsi sopraffare dalla tristezza. Le cose brutte capiteranno sempre, forse ancora di più di quelle belle. È il ciclo naturale delle cose. Ma se affronti tutto con un bel sorriso allora diventa più facile. No?»

«Non dovresti essere così saggia, potrei commuovermi.»
«Non farlo, non sono capace a consolare un uomo che piange.»
«Sono contento di averti conosciuto, sai? Sei così...reale.» Sussurrò lui sul finale.
«Meno male che lo sono, sennò come glielo dicevo a mio padre.»
E rido per evitare di sprofondare nella mia bollitura personale e lui forse s'accorge di questo.

Lo sento avvicinarsi, un po' troppo e io comincio a non capire più niente. Mi ritrovo in una di quelle situazioni da film dove – questo momento – si evolve in qualcosa come: un bacio.
Avevo il cuore a mille e il mio sguardo stava cedendo, di nuovo.
Stavo cercando di trovare dei pensieri che mi facessero tornare in uno stato emotivo pressapoco normale ma non riuscivo a fare altro che vedere scene romantiche in modi poco romantici.
Pensai alla mia coppia preferita, Jordan e Cox di Scrubs, in preda ad una fioritura di insulti su sederi grossi, noia, altri sederi grossi e manie ossessivo-compulsivo.
Decisi di abbassare lo sguardo sulle nostre mani intrecciate per regolare il mio battito cardiaco, sapendo che sarebbe stato qualcosa di vano.
Ed è lì che mi accorsi di qualcosa e corrugai appena la fronte. Alzai lo sguardo giusto per incrociare il suo e, con uno scatto, mi tirai indietro.

«Accidenti James, è tardissimo! Walter se non mi trova comincia ad uggiolare per due ore e Locke mi disintegra l'anima.»
Lui, con uno sguardo un po' stralunato, boccheggia un “sì” e si alza di scatto con me, afferrando Priscilla.
Sapevo di non aver proprio dedicato un finale degno a tutto questo ma sapevo di star facendo la cosa giusta, per quanto non ne fossi del tutto convinta. Odiavo la mia mente quando decideva per me.

Quando ci alzammo mi accorsi di come le nostre mani erano rimaste artigliate tra loro e non sapevo bene se trattenere la presa o sgusciare via, facendo finta di niente.
Lui prese a camminare senza lasciarmi e, così, ci ritrovammo a ripercorrere la strada di prima.
Passammo di fianco, anche, ad un misero parco – dove i bambini giocano di giorno – invaso da strane lapidi e massicci rialzi di pietra.

Quel luogo è sempre rimasto un po' tormentato, per me. Mi piace pensare che lì, sotto quelle lapidi un po' gotiche, siano seppelliti i tesori nascosti dei bambini. Penny lo trova un po' inquietante, non le piace pensare che sotto terra riposino in pace bambole rotte o strani robot dai raggi traenti.
Io so che, nelle notti di Luna Piena, quel luogo s'incanta e v'è pace e serenità, dove i tesori brillano nascosti tra le radici.Alex pensa che io guardi troppo Toy Story, ma non m'importa.
Dopo aver oltrepassato il cimitero dei giocattoli, sbucammo fuori dal sentiero per raggiungere il Green Man. Eravamo ancora mano nella mano e io sentivo di aver perso ogni facoltà di parola, per un totale di venti volte nell'arco di tempo di un'ora.

Meno male che la diagnosi diceva che ero guarita del tutto dalla perdita sull'uso della parola.
Proprio guarita.

Quando entrammo trovai solamente Alex intento a far giocoleria estrema con un paio di shaker e una bottiglia di Malibù. Non sapevo cosa stesse facendo ma m'accorsi che mi squadrò con un sorriso malizioso non appena ci vide e io sgusciai via dalla presa con James per avvicinarmi al mio amico.

Il locale era pronto per la festa dell'indomani, dovetti fare vari slalom per evitare di essere “mandata a quel paese” dai cartonati di Bilbo e evitai accuratamente di rubare alcuni biscotti lasciati sul bancone. I lumini erano stati spenti ma nell'aria c'era un soave odore di fiori e incensi indiani. Sicuramente Jacq aveva provato qualche sua nuova afrodisiaca essenza per estirpare l'odore di caciotta.

Un po' mi dispiaceva quando lo faceva, in fondo quell'odore era pur sempre qualcosa di caratteristico.
Mi avvicinai come una lepre salterina verso il mio migliore amico e lasciai andare James alla ricerca di Locke, mentre Walter piombava giù dal suo sgabello per venire a circondarmi d'amore e coccole.

«Dove sono finiti tutti quanti?» Chiesi, con un tono fin troppo allegro. «Alex: te li sei mangiati tutti?»
«Ah-ah-ah. Sono grasso. Che risate.»
«Ma se sei magro come un cencio.»
«Ti rendi conto che è un paragone alquanto stupido?»
Feci spallucce e lo circondai con un braccio sulle spalle, sospirando.
Lui s'accorse di questo mio mutevole umore e mi guardò circospetto, affilando lo sguardo.
«Prima ti vedo entrare mano nella mano con lui. Adesso sospiri. Grace... sei malata?»
«No.»
«Non vorrai mica dirmi che avete...?»
«No.»
«Hai deciso di non amare più Simon Pegg?»
«In realtà James mi ha aiutato a comporre una serenata in suo onore per domani.»
«Sì. Tanto quando ce lo avrai davanti smetterai anche di respirare, altro che serenata.»
«Tu sì che mi conosci come le mie tasche, fratello.»

Non volevo raccontargli ancora molto, su quella sera. Ero ancora in uno stato emozionale un po' allegro andante e avevo interrotto tutto per una stupidaggine.
Mi avrebbe preso in giro per secoli, non ero ancora pronta ad iniziare quel martirio.
Lui mi sorrise, passandomi un bicchiere di un nuovo drink dall'aria un po' da centrale nucleare ma lo bevvi tutto con una sorsata sola.

«Hai visto Penny?» Chiesi io.

Indagai su di lui dopo quella domanda un po' trabocchetto e lo vidi continuare quelle sue manovre da barman, mentre fece spallucce, riprendendo a creare un altro cocktail Chernobyl-iano per lui stesso.

«È andata via con il figlio di Durin.»
Io sfilai via da quella presa, guardandolo senza dire niente.

Ci sono ancora molte cose che mi sorprendono nei caratteri delle persone, la loro predisposizione a poter inserire sfumature essenziali in frasi, dettagli o sguardi che sono apparentemente innocui. Alex è sempre un libro aperto per me, riesco a captare dei piccoli scorci del suo turbamento o della sua gioia tramite dispersivi punti minuziosi.

Di solito, quando cerca di celare il malcontento, assume uno strano accento scozzese, senza sapere bene da dove esso provenga. Quando è molto felice, e cerca di mascherare anche questo, ha la predisposizione ad allungare le vocali delle parole finali fino a creare degli strani echi nella voce.

Quella volta non sentii niente di tutto ciò, aveva indurito leggermente la mascella e i suoi capelli sbarazzini lo seguivano ad ogni mossa. Quello poteva voler dire tante cose, ma decisi di restare in uno stato di studio per qualche secondo prima di intervenire per risolvere ogni mio dubbio.

«Vuoi parlarne?»

Lui non mi rispose, ma si voltò verso di me con un sorriso contento in volto. Alzò una mano e mi sventolò davanti un fazzoletto di carta con segnato sopra – col super rossetto extra resistente perlato – un numero di telefono.
Aveva tutte le cifre esatte, c'era una grande possibilità che fosse vero.

«Dean è un genio. È riuscito a farmi dare il numero di telefono di una ragazza bellissima. Mi ha detto di chiamarla per domani sera e io non so che fare.»

Io rimasi bloccata a guardarlo. Mi dilungavo tra il suo sguardo euforico e lo sventolio convulsivo di quel fazzoletto dall'odore di pesco.
Nessuna vena pulsante di gelosia per Penny, nessun sorriso fasullo e persino gli occhi non mentivano. Forse era la prima volta che lo vidi così sereno nei riguardi di una ragazza, visto che l'unica ragazza per cui lui aveva riguardi non lo voleva.

«Chiamala allora, panzone. Stai perdendo tempo a far levitare bottiglie di Merlot per cosa?»
«Non è Merlot. È Pinot Grigio.»

Decisi che non era il momento giusto per imbastire quella conversazione e confermare la mia ignoranza in fatto di vini, così gli feci scivolare di nuovo il mio braccio intorno alle sue spalle e lo guardai con un sorriso.

«Come si chiama?»
«Meredith.»
«Ha un bel nome. Tu digli di chiamarti Dottor Stranamore.»

Lui mi guardò non cogliendo la citazione – e forse da un lato fu meglio così – quando mi ritrovai di nuovo James davanti al bancone con un panino farcito tra le grinfie. Aveva l'aria reduce da uno che ha tentato la sorte entrando nell'antro oscuro dello chef.

«Non farlo; nelle prime stagioni quell'amore è tormentato.»
Disse James e mi guardò, facendomi un attimo temere del mio saldo autocontrollo. Doveva smetterla di cogliere ogni mia citazione, non ero più in grado di essere pronta psicologicamente per queste cose.
«Lo chef mi ha inseguito con un taglia patate.» Accodò James, sedendosi sullo sgabello.
«Non bisogna mai entrare nelle cucine.» Dissi io risoluta.
James fece uno sbuffo e addentò il suo panino, mentre da dietro la curva apparve Locke con una strana bandana in testa e il volto sporco di polvere.
«Ragazzi, non avete idea di che cos'ho trovato.»

Tutti ci fermammo a guardarlo con occhi un po' da spiritati, aspettandoci un colpo di scena con tanto di musica un po' Hitchcock-iana.
Lo vidi piegarsi e tirare su una scatola marrone, un po' ruvida e con delle strane incisioni caotiche che foravano il legno.
Pensai immediatamente al film dell'Esorcista e mi irrigidii di fianco ad Alex.
James strappò un estremo pezzo di panino, finendo col crearsi una dubbia protuberanza sotto la guancia.

Alex smise di far volare bottiglie e guardò verso Locke con uno sguardo che – sapevo benissimo - dove volesse andare a parare. Ogni volta che Locke spuntava con qualche novità sperava sempre che si trattasse di Jumanji.
Ma non il film. Il gioco. Quello vero. Era convinto che si sarebbe divertito molto a giocare con scimmie, ragni, insetti giganti e mandrie impazzite. 

«Ho il karaoke per domani!» Squillò Locke tutto contento.
Nella giungla dovrai stare finché un 5 o un 8 non compare.
Sì, avrei preferito la giungla.


 

 

 

 

 

NA.
Sì questo capitolo è...non lo so, non so come catalogarlo. Non succede molto ma qualcosa, in realtà, succede e visto che il mio prossimo capitolo sarà interamente dedicato alla festa ho voluto lasciar spazio solo per loro, come personaggi, perché dovevo prendere un bel respiro. Non ho idea di quando riuscirò ad aggiornare per la prossima volta perché ho casa invasa di gentA e trovare del tempo per scrivere mi è ardua adesso.
Intanto ringrazio le mie donzelle recensitrici che sono giunte tutte anche qui <3 e che sono la mia boccata d'aria fresca ogni volta. GRAZIE, a voi proprio voi, e voi sapete chi siete voi. VOI!
Okay, dopo questo delirio la smetto. Ringrazio tantissimo anche Syb81 e Adelasia__, che mi hanno messo tra le seguite/preferite. Davvero, grazie di cuore. Non sapete che gioia per me vedere che la storia viene apprezzata, anche se è un po' scema.
A prestissimo, una buona giornata a tutte voi <3

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Capitolo 12
*** 12. Che abbia inizio ***


Capitolo 12.
Che abbia inizio

Il grande giorno era arrivato e con esso anche l'ansia da prestazione.
Non che dovessi fare molto, durante la festa, ma in quello stato d'animo trovavo difficoltoso anche solo pensare e questo non era il modo migliore per prepararmi psicologicamente. Avevo passato tutta la giornata in fase analitica di me stessa per cercare di tranquillizzarmi. 
Non ero riuscita a rimanere a casa ad aiutare mio padre a dare nomi frizzanti ai suoi due nuovi strumenti: un banjo senza corde e due nacchere che sembravano due sotto bicchieri. 
Non aveva assunto la sua classica espressione dispiaciuta e mi aveva lasciato andare sventolandomi un plettro davanti al naso, instaurandomi un po' di fiducia.
Mi aveva suggerito di non passare da Wimbledon, quel giorno, e io lo avevo ascoltato.

Non c'era alcuna canzone imbarazzante a tormentarmi la testa né, tantomeno, sentivo altre cose che non fossero le note soavi di Bach. In realtà stavo tentando di placarmi con la musica classica ma aveva l'effetto di stordirmi ulteriormente. Non riuscivo a trovare un modo per annullare quello stato d'animo.

Provai a imbastire una conversazione sull'effetto serra con Walter ma dopo due abbai, da parte sua, avevo capito che non saremmo potuti andare oltre senza cadere nei classici cliché che questa conversazione comportava.

Ho provato a creare un'eccentrica torre di Mordor con i bicchieri ma ho fallito dopo che un bicchiere è crollato, portandosi giù tutti gli altri, creando un frastuono che ha fatto spaventare persino lo chef.

Ho tentato di scrivere un poema d'amore fatto di fiori e ghirlande per Jacq da parte del Belgo ma non mi sentivo in vena di aiutarli nei loro sentimenti.

Decisi che sedermi e non fare nulla sarebbe stato il metodo migliore per evitare di pensare.

La sera prima James aveva avuto l'ardire di accompagnarmi a casa, di nuovo.
Questa volta mi parlò di molte cose della sua gioventù, scoprì qual erano i suoi sogni, i suoi progetti prima di decidere di fare l'attore e mi chiese se io avevo intenzione di lavorare al Green Man per tutta la vita.

Fu una domanda trabocchetto, perché mi ritrovai senza una vera risposta.
In realtà, nella mia vita, speravo di incontrare un uomo abbastanza ricco da potermi mantenere così che io potessi prodigarmi nella scrittura, o nel finire tutte le serie tv che non riuscivo a portare avanti per mancanza di tempo.
Ma, in realtà, non avrei cambiato quel lavoro per nient'altro al mondo.

Ma questo non glielo dissi, la sera prima.
Mi fu d'aiuto il fatto che James, dopo aver cercato di rincorrere uno scoiattolo, mi strinse in un abbraccio e mi lasciò andare a dormire per prepararmi alla serata.

James mi stava facendo diventare matta.

Il fatto che non riuscissi più a nascondere ciò stava diventando un problema, per me, e non osavo immaginare come sarebbe andata a finire la sera, davanti a tutti quanti, in preda alla festa, all'alcol e alla musica del Belgo.

Non feci in tempo a illudermi su scene da film, dentro la testa, dove tutto ciò che poteva andare bene sarebbe andato bene – snobbando così la Legge di Murphy – che entrò Jacq dalla porta del Green Man con un paio di vestiti e un cesto di vimini pieno di cianfrusaglie colorate.

Era bella e raggiante, quel giorno, non potevo chiedere di meglio per tranquillizzarmi un po' l'anima.

«Non voglio sentire una sola parola. Stasera sarai bella come non lo sei mai stata, preparati Grace.»
«No Jacq, va bene i fiori nei capelli ma-»
«Cos'ho appena detto?»

Lei mi zittì con un indice alzato e un sorriso smaliziato sulle labbra. Aveva lo sguardo vittorioso, come di una che sapeva di aver vinto una scommessa. Io avevo evitato di dirle cose ambigue sulla serata con James ma credo che la mia faccia parlasse per me. Guardai verso i vestiti che aveva portato ed erano molto briosi: uno era giallo, con qualche fiorellino biancastro a spezzare quel colorito solare. L'altro era porpora scuro, più da donna raffinata, ma sempre delineato in tagli semplici.

Jacq mi conosce bene; almeno non s'azzarda a farmi indossare mini tubini senza spalline o minigonne ombelicali.

Nella cesta di vimini c'erano fiori, fermagli, piastre, pettini, elastici, pinze, mollette.
Non mancava niente. Neanche una parrucchiera professionista sarebbe stata così attrezzata.
Cercai di pensare a qualcosa che non mi facesse cadere nell'ennesimo stato d'agitazione ma fu Walter a salvarmi, questa volta, venendomi vicino per darmi affettuose testate sulla gamba.

«Quando ti vedrà deve rimanere abbagliato. Folgorato. Tramortito. Ipnotizzato. Amma-»
«Jacq.» La interruppi io, prendendole il viso tra le mani. «Ma di che cosa stai parlando?»
«Non preoccuparti tu e lascia fare a me.»

Con una rapidità pari a quella di Flash, Jacq aveva inserito un cantico celtico nel lettore e mi aveva portato nel retro, facendomi sedere su uno sgabello e preparando tutto l'armamentario. 
Ne vidi di tutti i colori lì dentro.

Polveri di borotalco, ciprie, mascara e forcine che danzavano tra le mani di Jacq, muovendosi con una grazia leggiadra. Mi sentivo molto come una hobbit, in quel momento, mentre mi tirava su i capelli ondulati e mi infilzava con gambi di fiori rossi e gialli. Non ero mai stata così profumata in tutta la mia vita, persino Walter venne ad accertarsi che la sua padrona non fosse stata sostituita con un roseto.

Alla fine Jacq decise che il giallo mi stava meglio, mi rendeva allegra. Mi avvolse il collo con una leggera sciarpa celeste e mi donò anche un paio di stivaletti. Quando mi prese per mano e mi mise davanti allo specchio non credevo ai miei occhi.

Nessuna maglietta sciupata o camiciola scozzese. Niente jeans strappati. Vans. Sciarponi da montagna o maglioni coi pinguini.
Non c'era stata la paura di assomigliare a Platina, una strana donna dal dubbio sesso con i capelli impomatati e il cerone sulla faccia.
Ero solamente diversa.

Dovetti concentrarmi molto per abituarmi a quell'immagine da donna di me stessa ma quando Jacq mi diede un bacio sulla guancia e mi disse che ero bellissima non riuscì a controllarmi. Mi sciolsi in un sorriso e la strinsi in un abbraccio.

In quel momento fece la sua comparsa Alex con Paul e Russò. Tutti e tre si fermarono a guardarci con aria un po' da pesce lessi, sgranando gli occhi.

«Qua c'è la festa e nessuno ci dice niente?» Disse Alex, spostando lo sguardo tra me e Jacq.
«Oh mon dieu!» Disse Russò, già avvicinandosi a me come un felino.
«Le mie due principesse. Ma come siete belle per stasera, ci volete fare ingelosire?»

Entrambe spintonammo Paul e ritornammo davanti al bancone per sistemare le ultime cose.

I cartonati di Bilbo erano ancora tutti al loro posto. Dalla cucina uscivano le imprecazioni da chi stava lavorando ad una torta mastodontica. L'architettura di boccali colorati splendeva sotto i lampadari. Le fiaccole erano pronte per essere accese. La veranda era stata aperta per permettere alla gente di potersi beare dell'allestimento per Bilbo. La zona del palco era stata riordinata e rifinita e, notai solo in quel momento, che erano presenti delle casse e delle pedaliere mai viste prima d'ora.

Sapevo che non erano del Belgo e la sua truppa di musicisti.

«Siete tutti carichi, miei prodi?»

Locke spuntò da dietro le nostre spalle e ci sorrise raggiante. Era di buon umore e, cosa assai importante, era vestito bene.
Indossava una giacca scura e una camicia stirata. Indossava un cappello che gli donava un aspetto colto e aveva rasato la barba.
Mi dispiaceva che l'avesse fatto; la barba da sempre un tocco in più.

«Complètement prêt.» Disse Russò.
«Stasera faremo una strage.» Disse Alex.
«Ho tutti i gadget pronti. Ho creato anche dei portachiavi.» Disse Paul infine, sfoderando una scatola piena di souvenir per la serata.

Ma Locke guardò verso di me e lo vidi sgranare gli occhi.
Stava già succedendo troppo spesso e io arricciai il naso, evitando di guardarlo.
«Cos'è successo a Grace? Chi sei tu? Dove l'hai infilata? Te la sei mangiata, vero?»
Io risi ma stavo letteralmente sprofondando dall'imbarazzo. Lui se ne accorse e mi cinse le spalle in un abbraccio.
«Jacq hai fatto un capolavoro con lei, finalmente si veste come una persona normale.»
«Grace non aveva bisogno di me, è lei a essere bella.»
«Bella è una parola grossa.» Rispose Locke, stringendomi più forte.
«Locke, anche se ti copri la testa con un cappello rimani sempre senza capelli.» Dissi io, maligna.
«D'accordo, questa me la sono meritata.»
Mi rispose lui e mi lasciò andare, dirigendosi verso la zona del palco.

Stava puntando l'ignobile macchinario per il karaoke ma si fermò giusto un paio di passi prima, girandosi di nuovo verso di noi.

«Chi ha messo la musica?»

Visto che non ero autorizzata a sentire la musica prima del suo arrivo – e solo se lui era consenziente – mi ritrovai a boccheggiare un paio di volte, cercando una scusa adeguata in cui non c'entrassero prove di danza col mio cane.
Jacq stava già per prendersi la colpa ma io la precedetti; non l'avrei mai data in pasto ai lupi.

«L'ho messa io. Ci vuole atmosfera e oggi ne abbiamo bisogno per incentivarci.»
Ci provai. Aspettai con impazienza una sua reazione ma lui mi sorrise e sventolò una mano, spezzando l'aria.
«Perfetto!»

Locke era ufficialmente impazzito, ma in meglio, quindi gli sorrisi felice e lo lasciai andare verso la sua postazione.

Jacq sorrise con me, sistemandosi qualche ciocca ribelle, prima di lisciarmi il vestito giallo e guardarmi un'ultima volta. Sembrava proprio soddisfatta del suo operato e io con lei. Non amo mettermi in mostra ma ero stranamente impaziente di vedere una particolare reazione a tutto ciò.

Il fatto che io stessi pensando a come avrebbe reagito James a vedermi conciata così non mi faceva assolutamente perdere la scommessa con Jacq.
Mentre quei pensieri mi tormentavano ripresi a fare qualsiasi cosa pur di non tenermi ferma.
Gironzolai con Walter verso ogni punto, ogni dove e ogni luogo.

Parlammo per molte ore, o meglio, io parlavo e lui mi ascoltava.
Mi aiuta molto farmi psicanalizzare dal mio cane, mi rendo conto che i miei problemi interiori non sono nulla rispetto a dover subire la mia voce per un quantitativo di ore non indifferente.
Decisi di smettere di torturare il mio cane con questo, cominciando solamente a cantare con lui una soave canzone sulle “paperelle che vanno al mercato” e lasciai fluire via dal mio corpo tutta la preoccupazione.

Ero riuscita a sopirla, così quando il Green Man cominciò ad animarsi mi sentivo pronta a cominciare quella folle e onirica serata.

Il sole era già calato da un paio d'ore e nell'aria c'era odore di cibo, di braci e di fiori.
Eravamo tutti belli e pronti, ognuno nella propria postazione tattica.

Paul e Shan si erano immersi in una conversazione concitata dietro un tavolo pieno di magliette e strani oggetti non identificati.
Il Belgo stava armeggiando con plettri e casse insieme ai suoi baldi componenti della “Zattera Bruciata” e Russò gironzolava come un adone tra i tavoli.
Locke stava impostando canzoni misteriose al suo karaoke. Jacq e Mya vorticavano, belle e profumate, da un tavolo all'altro per sistemare le ultime cose.
Alex continuava a rimirarsi allo specchio, sperando di non avere brufoli, macchie, capelli elettrici, bitorzoli, malattie strane sulla pelle.
Penny era bella come non mai, era rimasta stranamente in silenzio e s'era appostata su uno sgabello, mentre il suo vestito rosso e leggiadro fluttuava sulle sue gambe snelle. Non mangiava patatine, ma continuava a tamburellare le dita sul bancone con nervosismo.

Avrei voluto cantare per lei la canzone dei “piselli nel baccello” ma avevo già esaurito la mia fonte di sicurezza per quella serata, quindi diedi a Walter il compito di starle vicino per tranquillizzarla. Un po' servì, visto che si lasciò leccare le dita mentre lo accarezzava dietro le orecchie, con un sorriso.

Io continuavo a lisciarmi il mio vestito e sperare di non sembrare una bomboniera pirotecnica.

Ma non feci in tempo a domandarmelo per troppo tempo perché il Green Man, un po' maligno, cominciò a suonare i primi ingressi.
Io presi un respiro profondo e spensi la mente.

I primi ad arrivare furono Amanda e Richard.

Lei indossava un vestito chiaro, s'intonava perfettamente ai suoi capelli biondi e il suo spirito allegro. Entrando ci aveva salutati tutti con baci, abbracci e volteggi un po' da folletto. Non so come ce la fece, ma riuscì a mettermi a mio agio con la sola presenza.

Richard si era tolto i suoi occhiali da sole – mi chiedevo perché continuassero a indossarli fino a sera – e ci aveva abbagliato tutti con i suoi due occhi magnetici. Ma il suo sorriso enigmatico era per Penny; lo vidi fluire verso di lei e stringerle i fianchi con un abbraccio.

Subito andai a controllare che Alex non commettesse un omicidio colposo ma lo vidi intento a respirare piano, controllarsi il capello un po' ribelle e guardare incessante verso la porta. Mi venne da sorridere; qualsiasi potere avesse esercitato la sua nuova conquista su di lui aveva, senz'altro, fatto del buono.

«Martin sarà l'ultimo ad arrivare. Non ha la minima idea di cosa succederà stasera; pensa solamente che berremo una birra insieme.»

Ci disse Richard, mentre un ciuffo scuro gli cadeva sulla fronte. Commisi il fatale errore di guardarlo mentre se lo spostava con un palmo e mi sentì ipnotizzata. Ero sicura che tutte le figure di sesso femminile avessero avuto un mancamento estremo per quello ma non potei appurare la cosa perché mi ritrovai accerchiata da Dean e Aidan.

Aidan aveva tentato di sistemarsi i ricci con scarso successo. Dean era bello da far tremare le ginocchia e io mi ritrovai a boccheggiare cose ignobili, salutandoli con un cenno della mano.
Chiamai telepaticamente il mio cane che arrivò in mio soccorso, facendo deviare l'attenzione di Dean su di lui.

«Allora, siamo tutti pronti. Billy è arrivato? Allora, voi potete prendere posto laggiù. Io controllo che fuori il cibo non sia stato invaso dai moscerini. Belgo, tu non toccare il karaoke. Grace mangia la tua cheescake adesso che mi sembri pallida. Alex smettila di contarti le rughe e vieni a darmi una mano con il catering.»

Locke era piombato davanti a noi, gesticolando come un bravo direttore d'orchestra e io presi al balzo il suo ordine di mangiare. In effetti mi sentivo pallida, anche nell'anima, un po' come il nostro Orco.

Tra le altre cose era l'unico che ancora non avevo visto.

Tutti presero a muoversi all'impazzata, parlando, gesticolando, indossando strani cappelli, mantelli, vestiti, gingilli e io mi ritrovai con un ciondolo nanico al collo. Una vampata di farina di biscotti sui capelli e con un adesivo appiccicato al vestito che intimava a “Non passare”, appiccicato da Paul.

Tutto avvenne velocissimo; alcune ragazze entrarono euforiche dentro al Green Man e, poco dopo, Adam, Graham, Stephen e un muscoloso e possente Manu Bennet.

Mi voltai verso Penny per constatare le sue reazioni ma la trovai intenta a parlare ad un palmo dal naso dalla faccia di Richard, così presi un bel respiro e cominciai a creare boccali di pinte di ogni genere.

In meno di venti minuti riuscì a far bere tutti con ben due giri di birra, amaretti, cocktail molto elfici, biscotti alcolici.

Locke e Alex arrivarono anche con vassoi pieni di cibarie da fare invidia al matrimonio del Principe Pagnaccio, famoso per essere il più grande mangiatore del mondo, vincitore di dieci concorsi alla sagra della porchetta al chili e fagioli verdi.

La Zattera bruciata cominciò a suonare le sue prime canzoni allegro andante e tra ragazze, scatti fotografici, baci, abbracci e cheers da rompere i boccali tra di loro la festa stava iniziando.

Il fatto che non avessimo aspettato l'arrivo di Martin per ubriacarci faceva già intuire che tipo di serata sarebbe diventata e la cosa mi fece stare bene. La zona esterna adibita per la festa di Bilbo non era stata ancora toccata – Locke s'era prodigato come bodyguard per evitare che qualcuno la rovinasse – e Walter era trottato via senza scodinzolare, deluso dal suo cambio di gabinetto terreno.

Il mio povero botolo avrebbe dovuto fare molti sacrifici, quella sera, stando lontano dai tulipani.

La ragazza del mio socio Stranamore era arrivata e, quando la vidi, mi resi conto che poteva davvero cambiare le cose nel cuore di Alex. Capelli a caschetto, scuri, lentiggini e un vestito verde mela che la rendeva dolce.

Il sorriso sempre pronto sul suo visetto rosato e la consapevolezza che fosse perfetta per Alex.

Non riuscì a fare a meno di sgomitarlo, offrendogli due mie famosi cocktail passionali per farli parlare in santa pace, mentre io stavo pensando alla pazza opzione di iniettarmi, direttamente, del bailey's nelle vene.

Solo tre domande continuavano a suscitarmi strani scompensi interiori:
Chi era questo dannato Billy che tutti stavano aspettando?
Simon Pegg sarebbe venuto a darmi il colpo di grazia?
Dov'era James?

Mi ritrovai con un piatto di stuzzichini davanti al naso, lanciatomi da Locke mentre andava da una parte all'altra, intento a tenere a bada le ragazze strillanti, quando il Green Man fece il suo suono.
Il suono.
Era James.

E quando lo vidi qualcosa, in me, divenne ufficiale. Non ufficiale come potrebbe essere una relazione sui social network, dove il numero di “mi piace” aumenta il tuo successo..
Ufficiale come conferma. Senza dubbi. Senza pensieri.

Aveva l'aria di uno che aveva appena fatto a botte contro un lottatore di Sumo molto arrabbiato.
Indossava una camicia a quadri aperta, da cui spuntava una sottospecie di maglia scura. I jeans erano sporchi di terra – o almeno era quello che speravo che fosse – e non so che cosa gli fosse successo ai capelli.

Il mio cuore non batté forte, non mi lasciò in preda ad un attacco di epilessia, non mi si contorse lo stomaco.

Semplicemente mi sentì invasa da un sentimento completamente diverso. Uno di quelli che non si prova spesso, o forse nella vita non si prova mai, perché c'è gente che non lo permette. 
Con tutti che erano belli, profumati, pettinati e coi ciuffi spavaldi, lui era l'unico boscaiolo.

Mi versai in gola uno shots rosato – donatomi da Jacq in preda ad una creazione floreale alcolica – e scivolai via dal bancone per fronteggiarlo.
Lo vidi blaterare qualcosa mentre tentava di darsi un contegno e io già sorridevo.

«Mi spiace, ma non compriamo niente.»

Lui alzò gli occhi e rimase a guardarmi con un'aria che non seppi decifrare. Io continuavo a sorridere, convincendomi che non stavo assolutamente provando imbarazzo e che quel calore immenso fosse dovuto ad una menopausa precoce. In fondo i miei sbalzi di temperatura, ultimamente, stavano avendo picchi un po' insoliti.

Restammo a guardarci per un tempo che mi parve infinito e lui mi analizzò per un paio di volte, tentando di dire qualcosa.

«Stavo...non crederai mai a ciò che mi è successo.» Mi disse infine.

«Fammi indovinare: stavi venendo tranquillamente alla festa quando, ad un certo punto, un branco di opossum hanno deciso di accerchiarti. Hai provato a difenderti ma hai scoperto che uno di loro, un certo Abglak, famoso nella sua tribù, è un portentoso frequentatore di judo opossomico – indetto da Chuck Norris per incentivare le sue finanze – e ti ha steso con un paio di calci avvitati. Tu hai provato a vendicarti ma loro ti hanno legato ad un albero e ti hanno obbligato a guardare la soap opera “Le avventure del gelataio Fernando” dove le puntate si svolgono dentro una gelateria dove questo fantomatico Fernando, ottimo lavoratore in bianco, si prodiga nel riempire coni gelato al pistacchio e, il suo più grande tormento, è non riuscire a confidare i suoi sentimenti alla Joanna, che è una guidatrice di rimorchi per auto. Un donnone enorme e col carattere di un gorilla.» Presi un respiro. «Sei riuscito a liberarti perché, grazie a Mahal, sei bravissimo a sciogliere i nodi scorsoi ma sei inciampato nella tana del Bianconiglio e, purtroppo, la Regina ha deciso che era il caso di decapitarti.»

Questa volta fu lui a interrompermi, cominciando a ridere divertito.

«Ma come hai fatto a indovinare?»
«Ho del talento.»
«Ho provato a scappare dalla Regina, ho oltrepassato una strana fognatura dove un tricheco di nome Wando ha cercato di vendermi delle bustine di sale. Ma io ho smesso con quella roba.» James fa un gesto per aria. «Ho trovato un tunnel segreto ed eccomi qua!»
Io risi e scossi il capo, non riuscendo a trattenermi. Continuava a stupirmi il suo innaturale talento a starmi dietro a queste storie insensate.
«Meno male che sei arrivato, io non ce la faccio ad affrontare questa serata senza di te.»

Mi resi conto della frase appena detta un secondo dopo averla pronunciata e rimasi a guardarlo senza avere più difese a cui appigliarmi. Lui mi guardava con la stessa espressione ma, poi, lo vidi avvicinarsi. Intrecciò le dita con le mie e mi diede un bacio sulla guancia.
Probabilmente avevo raggiunto la temperatura del sole dopo tutto ciò.

«Sono qui.»
Mi sussurrò e tirò indietro la testa per guardarmi prima di alzare lo sguardo verso la sala. Gli altri impavidi amici avevano notato in quel momento il suo arrivo e gli erano piombati addosso con dei placcaggi mortali, trascinandolo verso i tavoli.

«Ma si può sapere chi ti veste, a te?»
«Non cominciamo con questa conversazione, Aidan. O devo cominciare a parlare di quel barboncino che hai al posto dei capelli.» Rimbeccò James, afferrando già un boccale.
Aidan si tastò i suoi capelli gellati con gelosia.
«Lascia stare la mia chioma, è bellissima.
«Un po' mocassino però lo sei.» Disse Dean, sghignazzando.
«Dean, parla per te. Tu sei biondo, non hai parola a riguardo.»
«Sì ma io sono più bello di te.»
«Oh senti...»

Una ragazza dall'aria minuta e dolce si avvinghiò al braccio di Aidan e gli spalmò sulla guancia un focoso bacio al lampone. Lui lo vidi sorridere come non lo aveva mai fatto in quei giorni e, mi resi conto solo dopo, che quella fanciulla mora doveva essere la sua fantomatica ragazza onnipresente.

Cominciai a farmi varie domande su come riuscisse a sopportare che molte ragazze dall'ormone impazzito volessero toccarlo, baciarlo, abbracciarlo. Forse, in quel mondo, queste cose sono all'ordine del giorno e uno ci si abitua. O forse non era una ragazza gelosa.

La vidi stritolare il suo braccio quando una ragazza tentò di fare un selfie con lui.
No, forse un po' gelosa lo era.

Passai di fianco a Manu Bennet, in preda ad una risata rauca, davanti ad un paio di ragazze e ad Alex con la sua nuova infatuazione. Vidi Graham lanciare un tortino di zucca in faccia a Stephen. Adam stava tentando di mettere a posto tutti i sottobicchieri lanciati come frisbee in ogni dove.

Shan stava parlando di quanto fosse bello il suo nuovo modello Adidas con le borchie a Richard e a Penny. Il Belgo continuava a cantare e a strimpellare note con la sua chitarra e vidi Jacq, con la coda dell'occhio, danzare allegra proprio davanti a lui, mentre il suo vestito roteava con grazia. Amanda, insieme a lei, stava facendo lo stesso.

Mi accorsi che io non facevo altro che gironzolare per i tavoli cercando sempre un pretesto per passare davanti a James.
Mi sentivo alquanto ridicola nel farlo ma, ogni volta, lui mi fermava. Mi sfiorava il braccio. O posava la sua mano sulla mia schiena.
Non erano più cose da cui volevo fuggire lesta come una zebra. Qua stava succedendo un finimondo, dentro di me.

«Scommettiamo che a Martin prende un colpo non appena arriva e si trova tutti i suoi cartonati.»
«Io non scommetto con te, perché sei un maledetto baro.» Disse Stephen, inforchettando una salsiccia.
«L'ultima volta è stato un errore di circostanze.» Biascicò James, facendo una smorfia.
«Se sviene però lo facciamo svegliare nel bosco e ci godiamo la scena da lontano.» Disse Aidan con un sorriso, mentre la sua ragazza gli avvinghiava il collo con le braccia.
«Ma perché vuoi farlo sempre morire di paura?» Chiese Dean, alzando gli occhi.
«Allora trova tu un'idea fantastica.»
«Rasiamolo e diciamogli che ha perso tutti i capelli con la caduta.»
Dopo quella massima di Graham tutti si misero a ridere.
«L'importante è che non vi azzardate a mettergli dei baffi, di qualsiasi natura essa siano.»

Amanda era apparsa dietro di noi come una lepre, non ero nemmeno riuscita a sentirla. Mi aveva messo una mano sulla spalla e aveva passato la mano sui capelli di Dean, per scombinarglieli.
«Ma uomo baffuto, sempre piaciuto.» Disse Graham.

«No
Ci ritrovammo tutti a rispondere all'unisono alla volta del nostro finto burbero Dwalin e, in quel momento sentii la mano di James tirarmi il vestito.

«Hai pronta la tua canzone d'amore?» Mi chiese, guardando di sbieco anche Amanda.
Io tentai di defilarmi da quella conversazione prendendo un qualsiasi bicchiere dal tavolo e bere – sentii Adam lagnarsi per averglielo rubato – Amanda mi passò vicino con un sorriso beato.
«Hai scritto una canzone d'amore per Simon Pegg?»
«No, non l'ho fatto. Lui mente.»
«Io non mento, l'hai fatto.»
«No!»
«Sì!»

Diedi a James una spinta sulla testa e lui mi tirò ancora di più il vestito, tanto che gli caddi addosso. Lui mi prese appena in tempo, evitandomi di finire con la faccia sul tavolo. Distruggermi il naso per la seconda volta in cui avrei visto Martin Freeman sarebbe stato un record.

«Ehi, occhio che se ti rompi il naso non te ne danno uno nuovo.»
«Davvero no? E io che ne volevo uno placcato per diventare come l'Uomo di Latta.»

Dissi io, cercando di tirarmi su. Ma lui mi stava trattenendo con le braccia e, così, mi ritrovai in braccio a lui e col viso pericolosamente vicino al suo. Il fatto che tutti ci stessero guardando non aiutava, mi sentivo un po' stordita.

«Sareste perfetti, tu in questo momento sei molto Spaventapasseri.»
Disse Dean, indicando James. Entrambi ci voltammo a guardarlo e io mi alzai in fretta dalle gambe di James, cercando di defilarmi dalla sua presa.

«Sì ma non glielo dire, James è permaloso.» Dissi io.
«Guarda che ti sento.» Mi disse James, tirandomi una pacca sul braccio.
«Non è diventato sordo come speravo, magari fra un paio d'anni.» Continuai io, parlando direttamente a Dean.
«Ehi!»
«Sta già diventando cieco, però.» Mi rispose Dean, annuendo.
«Non siete simpatici.» Rimbeccò James, continuando a fissarci.

In quel momento cominciammo a ridere divertiti, mentre l'ennesimo pezzo di tortino volava sopra le nostre teste. Questa volta la direzione che prese il pezzo di cibo venne deviato da una ventata provocata da una chioma fluente di una bionda che passò proprio in quel momento. Così, il piccolo pezzo di tortino, già indirizzato verso lidi pericolosi – ossia la faccia di Graham già intenta ad assumere connotati da serial-killer – deviò la sua traiettoria e si spiaccicò sulla mia faccia.

Ci fu un secondo di silenzio prima che tutti – e dico tutti – cominciarono a ridere come degli ossessi, sbattendo i palmi sui tavoli e brindando a quel perfetto colpo. Vidi Stephen, che imbracciava una forchetta come una catapulta, guardarmi con aria un po' mortificata.

Io non sapevo bene se ridere o non farlo, ma non ne ebbi il tempo.
Vidi Richard arrivare verso di noi velocissimo, richiamando la nostra attenzione.

«Tutti pronti ragazzi! Sta arrivando!»

Esclamò e tutti smisero di fare quello che stavano facendo, cominciando a nascondersi dietro i cartonati, sotto i tavoli, dietro le sedie, dietro i boccali.
Io venni presa per un polso da James e mi ritrovai sotto al tavolo, spiaccicata contro la sua spalla. Lui mi passò un pollice vicino alle labbra per levarmi via un pezzo di cibo.

«C'è una cosa che non ti ho detto.»
Mi sussurrò lui mentre io ero intenta a togliermi dalla faccia gli altri pezzi del tortino. L'egregio lavoro di trucco che aveva fatto Jacq ora era svanito sotto chili di pasta e zucchero.
«Non so se voglio sentirla.» Scherzai io, mentre arricciavo il naso.
«Sei bellissima stasera.»

Mi voltai a guardarlo di scatto, rossa in volto. Ecco che avevo perso di nuovo l'uso della parola.
Provai l'irrefrenabile impulso di agire senza pensare e fare la prima cosa che mi venisse in mente in quel momento.
Di nuovo quella sensazione piena, che mi avvolgeva, mi stava trasformando.

Lo fissai senza riuscire a dire niente, forse stavo persino sorridendo sotto quello strato di torta, prima di sentire lo scampanellio della porta.
Tutti trattenemmo il respiro.

 











 

NA.
Saaaaalve a tutti, scusate il mega super iper ritardo ma ho avuto una settimana schifida la scorsa e sono riuscita a scrivere solamente adesso. Questa è solo la prima parte della storia perché sennò veniva una roba lungaaaaa seicento pagine e non mi andava. La seconda parte, giuro, che sarà più bella di questa schifezza che ho scritto. Spero di riuscire ad aggiornare domani comunque sia :) come al solito vi ringrazio, mie prodi lettrici, perché siete voi che mi fate venire voglia di continuare ogni giorno a scrivere <3 non ve lo dirò mai abbastanza, credo.
Un bacione a tutte quante e vi auguro una buona giornata.
ps. Io e leila91 siamo d'accordo che Martin Freeman deve rimanere senza baffi xD Ho dovuto inserirla questa cosa.

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Capitolo 13
*** 13. Cheers! ***


Capitolo 13.
Cheers!

Nonostante tutti ci fossimo nascosti nel migliore – peggiore – modo possibile era alquanto innaturale che Martin Freeman ci cascasse.

Io stavo cercando di non sbucare fuori dal tavolo con la testa, trattenuta saldamente da una mano di James che mi teneva il polso. 
Con una fluidità pari a quella di un'anguilla ero riuscita a posizionarmi in maniera tale da riuscire a vedere l'ingresso.

Vidi Martin completamente bloccato sull'uscio della porta.

Era divertente vedere quanto fosse rimasto imbambolato come un Bronzo di Riace a osservare le sue fotocopie in cartonato, intento a mostrare il dito medio in ogni posizione esistente al mondo.

Lo vidi guardarsi in giro con aria smarrita.
Alzò un indice. Provò a dire qualcosa. Abbassò il dito. Non disse più niente.

Rimase fermo davanti alla porta, piegando la schiena in avanti per cercare d scovare qualsiasi essere che non fosse fatto di carta e – all'improvviso – qualcuno fece scoppiare un petardo di stelle filanti da una zona anonima e la prima a balzare fuori dal suo nascondiglio fu Amanda.

«Sorpresa!»

Urlò, allargando le braccia e subito dopo di lei uscimmo tutti quanti. Ci fu gente che applaudiva, altri che lanciarono striscioni, palloncini volanti, altri deturpavano l'udito con trombette da stadio, altri stavano facendo tintinnare i boccali, il Belgo aveva condito l'aria con un assolo di chitarra che ci fece elettrizzare tutti.

Martin Freeman era rimasto basito e stralunato davanti a quella baraonda. 
Vidi Amanda gettarsi al suo collo in un abbraccio stretto, baciandolo sul naso.

Martin divenne rosso e, finalmente, sorrise di gusto mentre stringeva la moglie e regalava a tutti i suoi amici – e a noi – sguardi da chi non sta capendo bene cosa stia succedendo.

«Il mio compleanno non è oggi, però.»
«Non è per il tuo compleanno.»
Richard sbucò da un lato, con passo cadenzato e sciolto, mentre gli posava una mano sulla spalla.
«Volevamo festeggiare con te il nuovo spettacolo. E poi sappiamo quanto ami le sorprese.» Disse Richard, guardandolo.
«Non amo le sorprese.» Rispose Martin, con un sorriso amplio.
«È per questo che ci piace fartele.»

Martin rise e Richard con lui e tutti si avvicinarono alla coppia di amici, chi stringendosi nelle spalle e chi abbracciandosi, già con un amplia dose di alcol nel sangue.
«È inquietante vedermi in stile cartonato, siete consapevoli?»
«Vedrai come sarà inquietante dopo che berrai questo!»
Aidan gli piazzò tra le mani un boccale di qualcosa di non identificato mentre Dean posò una mano sulla testa di Bilbo. 
Amanda cercava di trascinarlo verso la sala. Il Belgo riprese a suonare senza sosta, seguito a ruota dal suo complesso, e tutti tornarono nella loro degustazine di alcol e cibo.

La musica richiamava molto le terre di Arda e io ero in preda ad un ciondolare allegro del corpo, incapace di bloccarmi. 
Il fatto che avessi ancora James attaccato al polso delineava un processo di moto alquanto bizzarro. 
Ma lui mi fermò prima che io potessi cominciare a saltellare allegra e mi trascinò alla volta di Martin e tutti gli altri.

Io sapevo di avere ancora dei pezzi di zucca sulla faccia ma, in quel momento, stavo solo cercando in tutti i modi di non sprofondare nell'imbarazzo più totale.

«Visto che questa sarà la tua serata, dopo la mezzanotte, assisterai ad un evento di portata unica.» Biascicò James, già porgendogli un altro boccale di birra.

Martin non aveva più mani per tenere niente visto che era stato ricoperto di adesivi, cappellini, striscioni, un pupazzo, due boccali, un mantello, dei fiori e uno strano aggeggio a forma di drago.

Era piuttosto ridicolo e, così, cominciai a ridere. Mi sentivo una paresi facciale per quanto stavo consumando tutti i muscoli del viso per tenere quell'espressione.

«Spero che non sia una delle tue idee. Non voglio più vederti provare a saltare da un tavolo all'altro fingendo che ci siano dei Tremors sotto terra.» Disse Martin, sgranando gli occhi.
«Tu non sai divertirti.» Rimbeccò James. «Era un gioco meraviglioso.»
«Hai tentato di uccidermi con dei pomodori.» Continuò Martin, facendo una smorfia.
«Perché so che ti piacciono molto i pomodori.»
«Sì, non se me li lanci a trenta chilometri orari in piena faccia e con una fionda.»

James fece spallucce, Aidan e Dean cominciarono a ridere a perdifiato, seguiti a ruota da Amanda.

Io mi ero voltata verso James con uno sguardo stralunato, che lui notò perché mi rispose con un sorriso divertito.
Quell'uomo stava, inconsciamente, diventando perfetto ai miei occhi.
Sentivo il cuore che mi stava esplodendo nel petto.

«Prima di invitare queste belle fanciulle a ballare» disse Richard, guardando verso Penny, alzò il boccale e invitò tutti a porgere a lui l'attenzione. «Volevo dire due parole.»
«Che siano due, perché non ho voglia di ascoltare i tuoi discorsi.» Lo prese in giro Graham.
Richard lo guardò con un sorriso criptico che aveva già fatto svenire due donzelle che stavano cinguettando dietro di noi.

«Prima che tutto diventi sfocato, alcolico e molto rumoroso, volevo brindare a voi.»

Nonostante la musica ci avvolgeva come una spira colorata sentivo tutta l'attenzione della Sala verso Richard.
Molte sventolavano sottobicchieri per evitare di morire ad ogni suo sguardo.
Mya, Locke e Jacq mi si avvicinarono e io sentivo sempre più pressante la morsa nel polso di James. 
I miei polmoni stavano dicendo addio all'ossigeno una volta per tutte.

«Volevo ringraziare, prima di tutto, il Green Man e i suoi abitanti

Nel dirlo ci guardò e tutti fecero altrettanto. 
Io mi ero, inconsciamente, appolipata tra James e Alex, trotterellato fin lì con la sua nuova sorridente ragazza. Stavo arrossendo come una citrulla.

«Ci avete dato l'onore di poterci sentire a casa dentro queste mura e avete creato qualcosa di straordinario. Grazie per averci permesso questo, è un ricordo che mi porterò sempre nel cuore.»

La sua voce stava facendo sciogliere anche i cuori dei più temerari. 
Vidi Locke tentare di nascondere lo sguardo luccicante e Penny sorridere pienamente, stringendosi la vita. Alex mi sgomitò contento e io mi sentivo impazzire di gioia.
Il fatto che James avesse fatto scivolare le sue dita verso le mie stava creando altri vortici interiori complessi.

«E volevo brindare ai miei amici, ai miei Compagni di avventura. So che da quando il nostro viaggio è finito continuiamo a ripetere sempre le stesse cose. Ma credo che non saranno mai abbastanza.»

Sentì tutti alzare i boccali e gracchiare degli “oh” e “ehi” e “facci sognare, Richard”.

«Siete diventati la mia famiglia e, anche se momenti di questo genere non si ripeteranno spesso, non dimenticherò. Non lo farò mai.»

I miei occhi scivolarono inconsapevoli verso Martin e lo vidi guardare Richard con un sorriso molto dolce. 
Mi sembrava che i suoi occhi stessero cercando di trattenere delle lacrime. O un principio di cascate del Niagara.

Mi sentì invasa da una commozione totale, non osavo immaginare il cuore di questi impavidi nani di fianco a me che cosa potessero provare.

«E, infine, grazie a te Martin. Di nuovo. Per la centesima volta, grazie. So che avresti preferito una festicciola più intima, a casa, una scatola di scacchi e un buon sidro.»

Martin sorrise e Richard fece altrettanto. 
Quei due avevano un modo di sorridersi che nessuno dei miei autori incompresi avrebbe mai potuto descrivere. 
Mi tornarono alla mente le immagini del film, degli abbracci, dei pianti e delle belle parole.
Accidenti, quelle persone mi stavano facendo diventare ignobilmente sentimentale. Non andava per niente bene.

«Ma sai quanto mi piace renderti la vita difficile. E poi sei ridicolo conciato in questa maniera, non potevo perdermi uno spettacolo del genere.»

Tutti risero, alzando di nuovo i boccali, e vidi Richard scivolare verso di lui con passo un po' pesante. Lo tirò per una spalla e lo avvolse in un abbraccio stretto.

Alcune fanciulle si asciugarono qualche lacrima commossa e vidi anche Graham tirare su con il naso, mentre Stephen gli dava possenti pacche sulla spalla. 
Manu Bennet aveva pogato un paio di volte con un tavolo pur di assistere a quella scena.

«Sai che dopo questa le storie sul nostro conto quadruplicheranno, vero?» Disse Martin, stringendolo ancora.
«Basta che ricorderanno che, fra i due, sono io quello bello.» Rispose Richard.
Vidi Amanda scivolare verso di loro con un sorriso e tirare Martin per i fianchi.
«Richard so che me lo vuoi portare via, ma sei arrivato tardi.»
«No no, prenditelo, che non lo sopporto troppo a lungo.»

Tutti risero di nuovo, Martin gli diede un'ultima pacca sulla spalla e – alla fine – brindammo con una cospicua dose di alcol. Io mi sentivo già brilla andante.

Richard s'era di nuovo ricongiunto con Penny e tutti cominciarono a vorticare in ogni posto e in ogni luogo. 
Vidi il mio Walter gironzolare per ritrovare Dean e quando vidi il biondo chiedergli se voleva ballare con lui cominciai a ridere.

Ero ancora gelosa del mio quadrupede ma sapevo che era in buone mani.

La Zattera Bruciata aveva cominciato a suonare “Cottone eye-joe” e tutti cominciarono a ballare come degli ossessi. 
In tutto ciò io non mi ero ancora staccata da James e la cosa stava diventando quasi ufficiale, per le nostre mani.

«Giochiamo a trovare il vero Bilbo!»

Urlò Aidan alla volta di tutti, alcuni gli lanciarono contro dei tovaglioli colorati e altri accettarono con esuberanza la sua proposta.
Io ero una di quelle.

Fecero bere a Martin un altro bicchiere a goccia – e data la sua altezza avevo paura che non riuscisse più ad accumulare altro alcol dentro al suo corpo – e lo fecero nascondere in posti segreti.

Le luci si dissiparono alquanto e tutti cominciammo quel gioco.
Scoprimmo che come passatempo era, di certo, divertente ma piuttosto stupido. 
Nel mentre riuscì a spillare altre dieci birre, quattro shot, sedici cocktail e degli strani pasticcini al rum.

Una vampata di vapore al cioccolato ci fece tutti voltare da un lato e, dal suo antro oscuro, uscì anche la figura dello chef.
Molti rimasero abbagliati e altri persero l'uso della parola.

Lo chef non ha un nome in codice, tutti lo chiamano “Chef” anche nella vita reale. Non è magro e non è grasso, è un po' robusto e ha un paio di baffi talmente curati e possenti da far invidiare quel portamento perfetto alla volta degli altri maschi della sala. Per quanto non sia un Apollo è di certo piacente e ha un paio di occhi ambrati da far innamorare chiunque al suo sguardo.

Ha il carattere, però, di un irlandese dopo che ha perso una scommessa quindi è difficile instaurare con lui un rapporto amichevole.

«Lo chef!» Mormorarono alcuni.
«La figura mitologica è uscita dal suo tempio.» Questo era Locke.
«Oh, santa spatola, sei finalmente giunto fra noi.»

Lo chef si scricchiolò le dita e ci fece l'occhiolino. Due ragazze si erano già innamorate all'istante.

«Vi straccio tutti a questo gioco, plebei.»

E fu così che cominciammo a gironzolare tra i cartonati, tra risate, prese in giro, qualche cazzotto e gli inciampi da persone poco sobrie. 
Dean aveva sperato di vincere per almeno due volte.
Aidan era convinto di aver trovato quello vero perché stava palpando il braccio di Paul che, in quel momento, era proprio dietro uno dei cartonati.
Io avevo placcato un Bilbo con ben due dita medie davanti alla faccia e James ne aveva sollevato uno per picchiare in testa Stephen – con finto attacco da guerrafondaio – perché gli aveva rubato un tortino.
Amanda si era portata dietro Jacq e roteavano come due fiori da una parte all'altra. 
Locke continuava a maledire ogni cosa in gerghi turchi ma bastava uno sfioramento con Mya per quietarsi.
Penny e Richard erano due angeli a parte, che giravano intorno, guardandosi negli occhi e sorridendo pieni.

«L'ho trovato!» Urlò Dean.
«Ehi, non toccarmi con quelle mani, quello è il mio sedere!» Urlò Aidan di rimando.
«Ma perché sei sempre in mezzo, tu?»
«L'ho trovato io!» Da una parte Graham stava sollevando Shan, che era già brillo ma in pieno sventolamento delle proprie scarpe da Gulliver.
«Io non sono un hobbit, sono un affarista importante.»
«Hai dei piedi enormi, però.»
«Oh, ma grazie.» Rispose Shan.
«Qualcuno l'ha visto? Continuo a sentirmi indifeso davanti a tutti questi cartonati. Mi mettono agitazione.» Si lagnò Aidan. 
La sua ragazza gironzolava dietro a lui con aria allegra. Dietro di lei ce n'erano altre tre con cellulari in mano e lucida labbra brillanti.

«Richard attento!»

Urlò una voce dal nulla. Vidi Richard voltarsi di scatto e trovarsi avvolto da un filo volante attorno al collo. 
Martin gli aveva agguantato la schiena e lo stava intrecciando. La cosa doveva trovarla molto divertente visto che rideva all'impazzata.

«Maledetto Scassinatore.» Sibilò Richard, incespicando in avanti.
«L'ho trovato!» Urlò Aidan, di nuovo, tirando su un altro cartonato.
«Ma se è qui!» Sbraitò Richard. «Mi ha legato! Salvatemi.»
«Ma allora questo qui chi è?»
Aidan ruotò il suo cartonato e si ritrovò davanti la faccia di Bilbo Baggins mentre sorrideva con una mano. L'altra era impegnata nella solita graziosa posizione.
«Questi cartonati mi mentono.»
«Aidan, smettila di bere che stai diventando scemo.»
«Non ho ancora bevuto abbastanza, fratello.»
«Tieni allora!» Dean, con una mossa da kung fu, gli rovesciò sulla chioma riccia una cascata di birra chiara. 
Quello cominciò a lagnarsi, sbracciando verso il neozelandese. Il biondo prese a ridere, scappando via dalle sue grinfie.

«D'accordo: chi ha voglia di un karaoke?»

Locke era spuntato da dietro un tavolo con un microfono in mano e l'aria di uno che si stava divertendo molto. 
Avevo sperato che, infine, una qualche calamità naturale avesse impedito lui di porre una domanda del genere a questa festa.
Un'invasione di locuste. Una riunione anonima dei Clown del quartiere. L'arrivo inaspettato di Ben Affleck e del suo strano mento.

«Locke, forse è meglio non-»

Ci provai ad evitare il disastro atomico che si sarebbe scatenato ma, nella degenerazione di quel momento, si levarono urla e battiti di mani di pieno assenso. 
Tutti erano entusiasti della cosa. Io guardai verso Alex e Penny ma nessuno dei due era pronto a mostrarmi attenzione.

«Voglio cominciare io! Canto “Prendimi amore mio, che nel burrone non voglio cadere”.» Incalzò Aidan.
«Oh, è una canzone romantica per me?» Cinguettò la sua ragazza.
«Ma certo.» Aidan non sembrò molto convinto della risposta.
«No, io! Canto “L'hangover fa male dopo i cinquanta”.» Esclamò Dean alzando una mano.
«Ma piantatela con queste schifezze. Vado io che ne ho una degli AC/DC perfetta.»
«No Graham, tu non sai cantare. Sembra sempre che uccidi qualcuno quando ci provi.» Intervenne Adam, pigiando le labbra.
«Posso cantare io con il “Ballo della pannacotta?”» Questo era Stephen.
«Io ne so una sulle scarpe della Regina d'Inghilterra.» Disse Shan, alzando una mano.
«Shan no, altrimenti poi devono farmi cantare “Jar Jar smettila di vivere”, inventata da me medesimo.» Intervenne Paul.

Russò cominciò dei volteggi di voce francese da sembrare un divo di hollywood, Jacq aveva azzardato a mettersi in mezzo ma poi si era ritratta, Penny e Richard confabulavano cose, Alex non sapevo neanche se stesse seguendo tutta quella conversazione. Alcune ragazze chiesero di cantare una canzone dei Nirvana, ma poi successe ciò che più temevo.

James barcollò verso di me con una grazia di un elefante monco e mi prese per le spalle.

«Perdonami.» Biascicò lui.
«Per cosa?»

Mi guardò per diversi istanti , senza rispondermi, prima di defilarsi via da me e andare a prendere Richard per un braccio. 
Li prese tutti in realtà, con lo sconforto di alcune ragazze e anche del Belgo che era stato costretto a pigiarsi dall'altro lato del palco per non venire invaso.

Io feci un slalom tra i tavoli per finire proprio davanti a loro e vidi Jacq e Penny correre verso di me, affiancandomi.
Io non sapevo bene cosa pensare.

Continuavo a guardare James e lo vidi intento a parlare sottovoce a tutti quanti, dire qualcosa al Belgo, indicare verso di me – cosa che mi procurò vortici interiori possenti, cosa che il Triangolo delle Bermuda non era niente a confronto – e aspettai la fatidica ascia mortale sulla mia testa.

Erano tutti allegri e sciolti, io stavo evitando di attaccarmi all'ennesimo boccale per non perdere l'uso della memoria. 
Sentivo le mani sudarmi dal nervosismo e il cuore uccidermi il petto. Avevo ancora il volto appiccicato di tortino, accidenti.
Non osavo guardare in che condizioni fossi.

«Prima che il mio amico Billy arrivi, il mio caro amico James mi ha proposto di cantare una canzone.»

Billy. Billy. Billy. Ma di quale Billy stavano parlando?

«Una canzone che ci unisce tutti, cantata in un luogo che è casa per molti.»

Smisi di pensare e mi concentrai sulle parole di Richard. 
In un attimo persi l'uso della salivazione e andai a guardare verso James, sgranando gli occhi. Lui mi guardò con un sorriso pieno e io, in quel momento, capì.

Il Belgo prese a strimpellare delle note acustiche con la chitarra e Richard abbassò la voce, cominciando a intonare una canzone che conoscevo fin troppo bene. 
Una di quelle da ascoltare davanti ad un camino. In una piccola ma confortevole casa. Mentre dei nani nostalgici ricordano delle mura di pietra e dell'oro sepolto sotto le spire di un Drago.

Chiusi gli occhi e mi lasciai beare dalla sua voce.

 

Lontano su nebbiosi monti gelati /
in antri oscuri e desolati /
Partir dobbiamo, l'alba scorfiamo /
per ritrovare gli ori incantati.

 

E la voce di tutti gli altri si legò a quella di Richard e sapevo che stavo sorridendo pienamente, sentendomi dentro quella scena com'era successo la prima volta che l'avevo vista, seduta su una poltroncina d'un cinema sperduto, a mangiare pop corn e a godermi, dopo troppi anni, di nuovo l'immersione nella mia amata Terra di Mezzo. 
Continuavo a rivedere le loro facce, sentendomi in casa Baggins, davanti al calore del fuoco.

Non potevo credere che mi stesse succedendo una cosa simile, adesso, proprio davanti a coloro che mi avevano regalato così tanto, stando dietro ad uno schermo.
 

Ruggenti pini sulle vette /
dei venti il pianto nella notte /
Il fuoco ardeva fiamme spargeva /
alberi accesi, torce di luce.

 


Riaprì gli occhi una volta che smisero di cantare e li sentivo stranamente lucidi. 
Avevo tutta la pelle arricciata per i brividi che mi erano saliti su per la schiena. 
Se non fossi certa che quello era un momento magico avrei pensato che mi stava per venire una strana malattia.

Tutti applaudirono, altri levarono in aria dei boccali, alcune ragazze piansero sul serio, altri accerchiarono i nostri eroi con risate e esulti da stadio.

Jacq mi aveva preso per un braccio, contenta, dicendomi qualcosa che non riuscì a capire pienamente. 
Penny fece la stessa cosa ma io avevo il cuore in subbuglio dall'alcol e dalle emozioni che ero diventata sorda a tutto ciò di esterno.

M'accorsi di vivere in uno stato di rallentamento del tempo, vidi qualche boccale passarmi davanti al naso. 
Alex che mi faceva bere un cocktail e Dean venirmi a dire qualcosa riguardo al mio cane che, diligente, era rimasto ad ascoltarli davanti al piccolo palco per tutto il tempo.

Io continuavo a fissare James e quando lo vidi scendere e venirmi incontro fui invasa da una consapevolezza nuova. 
Sapevo che stavo sorridendo come il joker ma non riuscivo a smettere.

«Eccolo lì.» Mi disse, indicandomi le labbra. «Era proprio quello che volevo.»
«Come facevi a sapere che-»
«Oooh, io so sempre tutto. Anche io odio il karaoke, ma nel male c'è da vedere il buono, giusto?»
«G-giusto.»
Stavo balbettando. La cosa stava perdendo il controllo.
«E non è ancora finita.» Mi sussurrò lui con un sorriso e io pensai che, se voleva uccidermi, doveva farlo in fretta perché non resistevo più.

Quante altre cose sarei riuscita a sopportare quella sera?
Il mio cuore non poteva reggere ancora. Lo sentivo battere come mai mi era successo, tanto da fare male al petto. 
Le gambe erano molli e non riuscivo a spiccicare più parole.

Pensai disperatamente a qualcosa che mi potesse calmare, in quel momento, ma James mi prese – di nuovo – per mano e lo lasciai fare, senza opporre resistenza.
Qualcuno avrebbe scritto un bruttissimo CD su questa situazione e sarebbe uscito il capolavoro di Wimbledon Park, ne ero sicura.

«Obbligo o verità?» Mi chiese lui, furbo.
«Obbligo.» Risposi io, senza pensare.
«Devi creare il tuo capolavoro assoluto alcolico, per me e per te, e poi vieni fuori. C'è una festa che sta aspettando.»

Sorrisi, sfilando via dalla sua presa, andando verso il bancone. 
Non avevo ancora scampanellato la mia adorata campana, ma mi ero armata con il mio apri-bottiglia Han portafortuna. 
Non riuscivo a tenerlo bene visto che mi tremavano le mani.

Incrociai Alex con due occhi di fuoco e le guance arrossate. La ragazza coi capelli a caschetto non era nelle sue vicinanze perciò gli sorrisi un po' maliziosa.

«Mandrillo, come sta andando?»
«E a te, mandrilla?»
«Te l'ho chiesto prima io.»
«Aaaah, Grace. Come ti sembra Meredith?»
«Mi sembra perfetta per te.»
«Sì lo è. Ma ha...solo un difetto.»

Lo vidi appoggiarsi sul bancone, che quel giorno ospitava leccornie molto profumate, così che la caciotta era stata abolita per un po'. 
Il legno martoriato dai graffi e dalle bruciature ora reggeva i gomiti del mio migliore amico, così come aveva fatto per molti altri.

«Che difetto?»
Lo guardai, mentre ero intenta a versare alcolici e analcolici e spicchi d'arancia dentro i miei cocktail della morte.

«Non è Penny
Sussurrò lui, alzando gli occhi su di me. Io rimasi senza parole per qualche secondo e rimasi a guardarlo. Per quanto fosse così bravo a nasconderlo, il suo cuore non era mai stato deviato dalle sue attenzioni primarie. Guardai verso Penny e la vidi intenta a danzare davanti al Belgo con Jacq, come due ragazzine felici, e sospirai.

Ero stata un'egoista a non capire quanto lui stava cercando di tenere dentro di sé. 
Ero stata così deviata da tutte quelle novità che avevo perso di vista il mio socio e la sua propensione a sorridere sempre, anche quando dentro avrebbe voluto gridare.

«Tieni.»

Gli porsi il mio cocktail, tralasciando il fatto che gli stavo offrendo quello che avrei dovuto dare a James. 
Alzai lo sguardo per cercare l'irlandese e lo vidi intento a ridere con Locke di qualcosa che non potevo decifrare da quella distanza.

«Non voglio rovinarti la serata, ho visto come sei...diversa, stasera.»
«Non sono diversa.»
«Sì lo sei. Ma tu non lo vedi.» Mi disse lui con un sorriso.
Io gli sorrisi di rimando e alzai il mio cocktail, per brindare con lui.
«Cheers, amico. Non perdere mai il sorriso, anche perché ci sono io qui, specialmente quando pensi di essere solo. Ricordatelo sempre.»
Lui mi guardava con occhi un po' da cucciolo bastonato e un po' da bevitore accanito di rum e mi strinse in un abbraccio stretto.

Durò pochi secondi e poi lo vidi venire braccato dalla ragazza con le lentiggini. Lo lasciai andare con lei e io ripresi a preparare un altro cocktail.

Fu in quel momento che mi trovai davanti al naso il ragazzo dai capelli ricci e gli occhi verdi. 
Era seduto davanti a me e mi fissava in modo strano. Forse stavo facendo lo stesso con lui.

«Posso invitarti a ballare?»
Mi chiese, puntando i palmi sul bancone.
«Ma tu da dove diavolo sbuchi?»
«Da un buco. Nel terreno.» Mi rispose lui, sorridendo.
«Non posso ballare, io non sono capace.»
«Neanche io, ma credo che nel mondo debba esistere gente che non sa ballare perché è molto più divertente roteare per la pista sapendo che potresti inciampare, scontrarti, sgomitare e finire a gambe all'aria. Non trovi anche tu che i balli romantici siano molto più noiosi?»
«S-sì...sì lo trovo anche io.»

Non sapevo bene cosa rispondere perché quel ragazzo continuava a sorridere e a guardarmi con un'aria del tutto smaliziata. 
Senza che potessi neanche pensare di rispondere ancora una volta un “no” mi ritrovai presa per un braccio e tirata verso la zona del palchetto.

Dovetti dire addio ai miei cocktail per il momento.

«Io non so neanche come ti chiami, te ne rendi conto?»
«È importante?»
«Potresti chiamarti Usberdolo, non credo che vorrei ballare con uno che si chiama così.»
«Mi chiamo Will.»

Avrei dovuto rispondere presentandomi ma, in quel momento, non seppi dire perché non mi venne di farlo. 
Il fatto che, insieme, formavamo l'improbabile coppia di Will&Grace fece scattare, nella mia testa, una strana sigla d'apertura che riguardava me e quel ragazzo. 
Bere troppo alcol stava cominciando a farmi divagare.
Sentì la sua mano prendermi la mia e l'altra ficcarsi dietro la mia schiena.

«Non è un ballo romantico. Il Belgo sta suonando “Hound dog”.» Dissi io, allargando gli occhi.
«Allora reggiti

Strizzai gli occhi e finì per stringermi a lui.


 


 


 

NA.
Sì la mia festa durerà ancora un altro capitolo in teoria xD la sto portando per le lunghe, I know v.v ma mi diverto così che ci posso fare.
Ah la scena dell'abbraccio Richard-Martin la dedico a leila91 perchè SO quanto ami queste cose, ma in fondo la dedico a tutte quante <3
Eeeeh niente, non ho molto da dire. Succedono cose, non succedono cose, chi lo saaa.
Okay sto impazzendo. Intanto spero di aggiornare presto per la prossima volta. Un bacione a tutte e grazie sempre sempre sempre a chi mi segue e a chi mi legge e a chi tutto.

 

 

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Capitolo 14
*** 14. Uccidi la balena bianca ***


Capitolo 14.
Uccidi la balena bianca

Fu il ballo più sconclusionato, scalpitante e idiota della storia dei balli.

La Zattera Bruciata aveva cominciato a impazzire con generi diversi e, così, eravamo passati da un Elvis in piena forma ad una sonata di Hevia, senza la cornamusa. 
Non era la stessa cosa, ma il Green Man si adegua ad ogni suono e noi con lui.

Intorno a noi vorticavano Penny con Jacq – molto più romantiche di noi – mentre Mya stava costringendo Locke a farle fare una piroetta avvitata.
Locke riuscì a farla roteare per mezzo giro e poi si erano stretti in una specie di abbraccio che li aveva fatti ridere entrambi.

Io continuavo a calpestare i piedi a Will. 
Gli andavo addosso. Avevo sgomitato, per sbaglio, lo sterno di Adam che era intento a danzare da solo un'improbabile danza fatta di schiocchi di dita e movimento fluido del bacino.

Sembrava molto Cartlon ma non ebbi il coraggio di fare questo paragone con lui. Nè tantomeno volevo rendere partecipe Will.

Non volevo constatare che quel misterioso ragazzo, che era riuscito a finire addosso a Graham mentre giravamo come due trottole davanti ad una Priscilla accordata, poteva cogliere citazioni di questo genere.

Eppure il suo modo di sorridere e di guardarmi mi faceva sentire a mio agio, per quanto non riuscivo a capire se mi fosse simpatico o meno. 
Alle volte sfuggiva dalla presa e poi mi riprendeva, facendomi girare e saltellare come un grillo per tutta la sala, finendo addosso a Penny, a Russò e anche a Paul che stava cercando di spiegare ad una ragazza che “Star Trek” poteva diventare una religione a sé stante.

Io non avevo smesso di ridere per un secondo.

L'alcol mi era salito ignobile fino alla testa e ora mi sentivo leggera come una piuma e in una piena crisi di ridarella.
Ero contenta di non possedere dei poteri magici, ed essere solo una semplice Babbana, perché avrei fatto cose alquanto bizzarre in quello stato.

Mi venne in mente di trascinare Will sopra un tavolo per tuffarci in mezzo alla gente e, solo in quel momento, mi tornò in mente che io avevo una cosa da sbrigare.

Pensare ai tavoli mi faceva venire in mente solamente una e una sola persona.
Dovevo finire un cocktail. Per James.

James.

Feci fermare Will con una sterzata di piedi e, per la sorpresa, finimmo col placcare Amanda e Martin che stavano ballando allegri, con in mano bicchieri fluorescenti. 
Io finì su Amanda e Will su Martin e ci ritrovammo in una sorta di orgia di alcol, capitombolando a terra come delle pere cotte.

«Io non ci esco vivo da questa festa.» Piagnucolò Martin, tirandosi su. Aiutò sia me che Amanda a ritornare dritte.
«Lo dicevi anche dopo ogni puntata di Sherlock.» Disse Amanda, strizzando il naso.

«Scusatemi, è stata...è che...non ho i freni a queste dannate scarpe. Non so ballare. Il pavimento è di cera lacca. Credo di aver immesso una lastra di ghiaccio per pattinare con Snoopy. Non sono stata io.»

Biascicai quelle scuse, sicurissima di me, e vidi Amanda sorridermi con aria addolcita e Martin guardarmi come se fossi un'aliena.
Will, che si era tirato in piedi come una molla, cominciò a ridere, prendendomi per le spalle.

«Scusatela, ha una grave malattia che si chiama: “brillallera”.»
«Ehi! Io non sono ubriaca.» Tirai su un indice.
«E io sono Gionni Solo.» Rispose Martin con un sorriso furbo.

Io non feci in tempo a sorprendermi della cultura di Martin su Gionni Solo perchè mi ritrovai accerchiata da Dean che teneva Walter per un guinzaglio. 
Il mio cane aveva un insolito pareo sulla testa, una sorta di velo da sposa fiorito.

«Porto Walter a fare un giro, mi sta chiedendo un po' di intimità.» Mi disse Dean con un sorriso.
«Tu passi troppo tempo col mio cane, occhio che ti curo.» Dissi io, assottigliando lo sguardo.
«Non è vero. Walter, dille che non è vero.»
Il mio cane fece un abbaio e io mi resi conto che mi aveva appena risposto. La cosa un po' mi turbo ma li lasciai andare, incapace di replicare.

Mi voltai giusto per ritornare a cercare il mio irlandese quando m'accorsi di avere una Jacq con aria un po' spiritata davanti alla faccia. 
Aveva i capelli un po' ribelli per il troppo ballare.

«Tesoro, il tuo James è appena uscito dalla porta.»
«Cosa?!»
Esclamai con fin troppa foga. Non feci caso a Martin e ad Amanda che mi avevano guardato con occhi aperti.

«Ah, caro, non ci siamo presentati. Io sono Jacq; vieni che ti presento ai miei amici.»

Jacq, che era piccola, dolce, furba e intelligente prese Will per un braccio e se lo trascinò via. 
Poi mi guardò con aria eloquente e io le feci un solo cenno. Cercai Penny con lo sguardo e la vidi guardarmi con un debole sorriso.
Poi mi fece cenno di andare, con le dita, e io mi voltai in gran fretta arrancando verso la porta.

In quell'esatto momento, dopo che avevo boicottato la Legge di Murphy per quella sera, piombò sulla mia testa con una velocità inaudita.

Aidan e la sua ragazza mi fermarono per chiedermi un cocktail d'amore. 
Una ragazza mi disse se poteva fare una foto con Dean e il mio cane. 
Graham mi aveva placcato per introdurmi in una conversazione con Stephen riguardo i Pink Floyd. 
Locke mi stava tentando con una gigantesca cheescake posata sul tavolo principale. 
Mya voleva costringermi a cantare una canzone con lei al karaoke. I
l Belgo aveva cominciato a suonare “House of the Rising Sun” sapendo quanto mi piacesse.

Io volevo solamente uscire da quella porta e cercare James.

Dopo essere riuscita a defilarmi con scuse improbabili – che stranamente riguardavano una svendita di lollipop proprio fuori dal locale – uscì fuori.
Mi accorsi subito di come l'aria fosse fredda.

Non mi ero messa niente così la mia pelle divenne una buccia d'arancia unica e cominciai a correre verso il bosco davanti al Green Man. 
L'aria di festa mi avvolgeva ancora, sentivo la musica farsi sempre più sopita, così come le luci. 
Non so perché il mio istinto mi disse di andare proprio in quel punto ma notai che avevo fatto bene.

Vidi James di schiena, si stava martoriando la fronte con la mano e camminava svelto.

Con uno scatto da maratoneta riuscì a raggiungerlo, senza più fiato in corpo.
Correre dopo ben dieci anni che non lo facevo più era un suicidio.

«James! Aspetta, dove...non è quella la strada giusta! Ti stai addentrando nel fitto. Potrebbero esserci i lupi mannari. O gli Unicorni!» Mi bloccai per un istante col dire, corrugando la fronte. «Forse gli unicorni no, sono solo cavalli con una spada in test-»

«Grace, è tutto sbagliato

Lui si fermò di scatto, voltandosi e io dovetti frenarmi di colpo per non finirgli addosso. 
La sua voce era un misto tra delusione, rabbia e qualcosa che non riuscì a definire quindi, nel mio stato alcolico, venni sopraffatta da un moto di agitazione.

Possibile che fosse colpa mia?

Mi ritrovai a guardarlo con aria sconcertata, boccheggiando qualcosa che non fossero stupide parole di circostanza, ma mi limitai a corrugare la fronte e stringermi le braccia alla vita. 
Ero sicura di non aver detto niente di insolito e imbarazzante, eppure, provai a pensare a cos'avessi fatto di sbagliato per arrivare a questo.

L'aria mi sembrava ancora più fredda, quella sera, eppure mi sembrava così vicino il fuoco di quel camino, in una casa nel terreno.

«Non va bene, non va bene per niente. Uno pensa che sia facile dover ricominciare, ma la verità è che dopo vent'anni ti ritrovi a dover fare i conti con qualcosa che pensavi di aver superato da tempo. Non mi voglio più fare carico di questo, non lo voglio pretendere da te e non voglio dover sopportare ancora il crollo di qualcosa, perché non ne ho le forze.»

James continuò quel suo discorso un po' biascicante e io non riuscivo a smetterlo di fissarlo. 
Non capivo assolutamente dove volesse andare a parare, colpa anche del fatto che l'alcol mi impediva di intrufolarmi nelle sfaccettature di quelle frasi, ma era anche colpa del Green Man che mi richiamava con le sue liane verso di sé.

Perché eravamo lì? Non era il nostro posto. 
Noi dovremmo essere ad una festa, in mezzo agli amici e ad attori fantastici, a bere, mangiare e a utilizzare i ricci di Aidan per spolverare le mensole.

«James io...»

Ci provai a parlare ma stavo cadendo nel classico cliché del: parlo anche se non so bene cosa dire. 
Così lasciai sfumare la frase volutamente, scuotendo il capo. 
Lui rimase in silenzio per molto tempo, fissandomi, continuando a bisticciare con le proprie dita.
Notai solo in quel momento che era propenso a gesticolare molto in questi casi.

«Tu mi piaci, Grace. Mi piaci tanto. E non è quel tipo di piacere da “accidenti, potresti muovere di più quelle anche? Sei una bomba!” e neanche al livello di una foto sui social network con ventimila pollici alzati e commenti che neanche nei più scabrosi siti porno troveresti. Tu mi piaci in maniera molto più pericolosa

Io, in quel momento, esplosi.
Se avevo ancora un cuore era schizzato via dal mio petto come un Alien.

«Il problema è che potrei essere tuo padre e non è giusto che io ricalchi ancora su questi punti, dopo tanto tempo. Non ce la faccio a dover ripercorrere di nuovo qualcosa che pensavo di aver lasciato alle mie spalle. Sento che potrei davvero smetterla, per una buona volta, e vivermi questo mio errore da solo, senza dover incatenare nessuno alle mie paranoie. Non voglio chiederti nulla e non voglio dover assistere, per l'ennesima volta, ad uno sguardo deluso e sofferto. Ma so che lo farò, lo so, perché sono umano e procurerò ancora dolore. Capisci...capisci cosa voglio dire?»

Lui prese un respiro tremante. 
Lo vidi guardare altrove, verso gli alberi, e la luna luminosa gli faceva luccicare lo sguardo.
Io ero in stato di infermità mentale da molto tempo.
Il mio cervello mi aveva detto addio, il mio cuore era scoppiato, il mio stomaco era diventato un wormhole.

Stavo subendo qualcosa, nel mio io, che non avevo mai provato con niente. 
Forse neanche la vigilia di Natale, sapendo che il giorno dopo avrei aperto i regali e, forse, avrei trovato finalmente il pupazzo di Hobbes che non era mai arrivato.

Scossi il capo, comunque, alla sua domanda.
In tutto questo, non avevo la più pallida idea di che cosa volesse dire.
Ma forse lo sapevo ma non volevo ammetterlo a me stessa.

«Quando sto con te mi sento me stesso. Non mi viene in mente di pavoneggiarmi, non recito, non ho bisogno di essere piacente.»

Prese un'altra pausa.

«Sei quella boccata d'ossigeno quando mi accorgo di non riuscire più a respirare perché mi mancano le mie bambine. E...mi sono accorto che io non devo provare questo, non per te, ma sta diventando difficile reprimerlo.»

Mi aveva colpito e affondato.
Si stava, veramente, dichiarando? Gli piacevo sul serio?
Ma in quale mondo, in quale universo, in quale galassia una cosa del genere sarebbe mai stata concepita?

Io non ero pronta psicologicamente ad una cosa del genere.

Non lo ero mai stata, in tutta la mia vita. 
Non avevo mai dato niente di più di quel che mostravo, ai ragazzi, e loro non avevano mai forzato la mano. 
Forse ero stata troppo cieca, o troppo intenta a preoccuparmi di difendermi da qualcosa di questo genere.

«Ti prego, dimmi qualcosa...insultami, prendimi in giro, fai la Grace, ma smettila di guardarmi così.»

Ecco che venivo chiamata in causa. 
Era una cosa che dovevo aspettarmi, visto che stava parlando con me, ma non riuscivo proprio a inserirmi dentro quella conversazione.

Mi ero bloccata, irrigidita, mi sentivo la testa scoppiare e il fatto che fossi poco sobria non aiutava a pensare lucidamente. 
Ero in balia di impulsi e torture psicologiche intense. Sentivo che le mie labbra volevano muoversi e dire tutto quello che stavo provando ma prendevo solo aria.

Accidenti, Locke ha ragione quando dice che entrano solo le mosche dentro la mia testa bacata.

E James mi guardava in quel modo.
Uno sguardo che non mi meritavo, per niente.

«Mi dispiace di averti rovinato la festa. Vedi, ho già cominciato male. Ti-ti lascio andare e io è meglio se mi allontano per un po'. Torna da quel ragazzo, non preoccuparti.»

Mi disse lui, con aria abbattuta, e si voltò di schiena per procedere di nuovo nel fitto del bosco.

Questa volta non avevo tempo per pensare. 
Dovevo flettere i muscoli delle gambe e fare quel dannato passo, per una buona volta. 
Chiusi gli occhi fino a strizzarli e provai ad immaginare qualcosa che mi desse la carica.

Non so perché ma vidi una galletta di mais, gigantesca, che mi guardava con due occhi enormi.
Chissà perché proprio una galletta di mais, poi.

“Noi siamo obbligati ad essere felici, Grace. Prenditela e non lasciarla andare, o potrai prendertela solo con te stessa.”

La galletta di mais scomparve dopo quella sua perla di saggezza e io trovai il coraggio di fare, finalmente, il passo. 
Stavo abbattendo il mio muro. Avevo ucciso la mia balena bianca.

«James, anche tu mi piaci.»

Lo dissi veloce e con un pizzico di tonalità da papera ma mi bastava che lui sentisse.
Lo vidi voltarsi verso di me, di nuovo.

«Sì è vero, potresti essere mio padre – e meno male che non lo sei o sarebbe un po' inquietante – ma non m'importa. Mi piaci da morire. E non da morire come “oh mai gAd, non potrò andare a vedere il gruppo dei Biscotti Ribelli, voglio morire” ma nel senso che stai facendo un lavoro di prestigio, dove ciò che non si vedeva ora si vede e provo cose complesse. E ho paura, ho tremendamente paura che sia tutta colpa del fatto che io ti idealizzo come vorrei che tu fossi, perché io sono una tua fan e questo complica le mie vere percezioni in materia. Non so se fidarmi e, nello stesso tempo, vorrei farlo e rischiare. Ma ho la propensione a difendermi, a creare barriere, ho i cancelli di Mordor chiusi. Ma tu...tu...»

Dopo quella valanga di parole mi accorsi di essere completamente avvolta in un'aura di imbarazzo epocale e ripresi a balbettare.
James mi stava fissando come non aveva mai fatto, in quei giorni, e ritornai a vedere Chewbecca parlarmi con i suoi gargarismi.

«Capisci...capisci quello che voglio dire?»

Lui aveva le labbra schiuse e gli occhi ingigantiti. Scosse la testa lentamente e io presi un sospiro.
Non eravamo molto bravi con una chiara sintassi.

«Mi piace come mi fai sentire, mi piace sentirmi così per te. E vorrei davvero smetterla di vivere dentro al mio guscio e permetterti di farmi male, se è così che deve andare.»
«Io non voglio farti del male.»

Mi sussurrò lui, infine. 
Finalmente stavamo avendo un riscontro ma io sentivo solamente dei tamburi da guerra dentro la testa e forse stavo abbrustolendo sotto tutto quel caldo.
L'aria non mi stava più aiutando.

«Ma non voglio che mi riempi di promesse dove dici che non succederà. Perché succederà e io forse lo farò di rimando.»

Chiusi le labbra e rimasi a guardarlo ancora. Lui fece lo stesso con me ma, adesso, lo vidi fare un passo in avanti. 
Era lento nelle movenze.
Aveva smesso di gesticolare e ora gli vedevo le dita chiudersi e aprirsi tra loro, come in un tic nervoso.

«Tu sei ancora innamorato di tua moglie.»
Dissi io, di botto. Lui bloccò il passo e corrugò la fronte, affilando appena lo sguardo.

«Perché lo pensi?»
«Non lo penso. Ma l'ho visto.» E detto questo allungai le dita per indicare le sue.

Lui alzò le mani per guardarsele e fece un sospiro.

Ecco il motivo per cui, quella sera nel bosco, a cantare stupide filastrocche e a mangiare un cornetto, mi ero bloccata ed ero voluta fuggire da quella situazione.

Aveva ancora la fede al dito. 
Gliela sentivo ogni volta che lui mi prendeva la mano e bruciava, per quanto non volessi ammetterlo. 
Dovevo smetterla di preoccuparmi per quelle cose, ma in quel momento tutto stava fluendo via. 
L'alcol è un nemico astuto, in questi casi.

Alle volte ti fa prendere in mano il cellulare per scrivere messaggi d'amore sapiente ad una tua vecchia fiamma, altre volte non blocca più alcun pensiero e ti fa diventare vulnerabile e fragile. 
Ma se c'è qualcuno pronto a raccoglierti prima che tu possa cadere e romperti, allora può diventare un ottimo alleato.

Io ero in bilico, ma l'avevo scelto da me. 
Se mi rompevo avrei sempre avuto un cane bavoso e un branco di matti a cercare di rimettermi in sesto.

Sarei diventata un Picasso.

«Io e mia moglie ci siamo separati consapevoli che dovevamo farlo. L'ho amata tantissimo e, sì, è vero: non volevo che finisse così. Ma è successo, perché io ho fatto tanti errori e non ho saputo salvare il salvabile. La tengo qui per ricordarmi ciò che ho perso, ogni giorno.»

Lui tornò a guardarmi, dopo aver accarezzato l'anello, e io chiusi gli occhi, cercando di pensare.

«Non sei il mio contentino, va bene? Non voglio che tu pensi questo.»
«In questo momento c'è una galletta di mais gigante che sta cercando di dirmi qualcosa e non mi permette di pensare.»

Lui si bloccò per un istante e poi si mise a ridere. 
Non era una risata sentita, era più un fluido suono un po' roco.

«Cosa ti dice?»
«Mi dice di abbassare la musica della radio perché non riesce a sentire la partita.»
«Oooh, chi gioca?»
«Chelsea contro Manchester.»
«Non posso perdermi una partita del genere! Forza Manchester!»
«La galletta di mais ti ha appena detto di rosicare

Lui si stava avvicinando sempre di più.
Lento, troppo lento. Era una tortura, come al solito.

Io, intanto, ero imbambolata come una pera cotta e non riuscivo né a muovermi avanti né indietro. 
Il Gran Passo – e non stavo parlando di Aragorn – mi aveva annullato il collegamento tra cervello e azioni motorie muscolari.

«Non mi sta molto simpatica, te lo devo dire.» Mi disse James e, intanto, era giunto talmente vicino da riuscire a cogliere mille e più dettagli del suo volto.
«Forse...dovremmo tornare alla festa. Anche perché potrebbero pensare che siamo scappati per andare in cerca dell'Area 51. E il fatto che i miei amici lo penserebbero sul serio un po' mi preoccupa.»

Stavo di nuovo tentando di defilarmi da quella situazione. Era bello come non riuscivo mai a essere coerente con le mie decisioni.
Lui, intanto, mi fissava in un modo strano. Lo sentivo respirare e lo vidi muovere una mano verso di me, ma poi si bloccò.

«Ti ho vista ballare, prima. Con quel ragazzo.» Premette le labbra tra loro e io percepì, per la seconda volta, una nota disturbata nella sua voce. 
Se quello era il suo modo per dirmi che era geloso allora: apriti cielo. «Mi sei sembrata così felice e in pace. È una di quelle cose che le persone tendono a dimenticare.»

Ero egregiamente riuscita a evitare l'imbarazzo in quei dieci secondi di conversazione demenziale ma, come una lepre, era tornato all'attacco.
Tutte quelle sensazioni erano deleterie per i miei organi interni.

«La festa...non è ancora finita. Posso essere sorridente e felice anche...anche per te. Non...non c'è una sorpresa? Ancora una?»

La mia voce stava scandendo note sussurrate e balbettanti. Se non fosse così vicino a me lui non sarebbe riuscito neanche a sentirmi, probabilmente.

«Sì, dovremmo tornare dentro. Ma in questo momento sono impossibilitato a muovermi perché ho la testa piena di rum, whiskey, birra e uno strano intruglio alla pera che mi ha offerto Locke. Quindi passo da uno stato ragionevole ad uno stato altamente impulsivo da un secondo all'altro. In questo momento...» mi sussurrò lui, facendo un altro passo. Mi accorsi di averlo letteralmente appiccicato allo sterno. «...vorrei fare una di quelle cose da cui non si torna indietro facilmente, ma il lato che ancora mi permette di parlare con tempi verbali giusti non mi aiuta.»

Adesso ero letteralmente in trappola.
Decisi che la festa sarebbe stata ancora lì, al nostro ritorno. 
Razionalmente forse non era vero, ma d'altronde ero diventata improvvisamente ottimista.

«Obbligo o verità?»
«Obbligo.» Lui mi rispose senza esitare un secondo.
«Non pensare

Non feci in tempo a sussurrare quelle parole che lo vidi avvicinarsi col volto e premere le sue labbra contro le mie. 
Dentro la testa avevo le campane di Notre Dame intente a suonare tutte insieme all'unisono. 
Il mio cuore stava ballando un “Alleluja” con il cervello e io avevo lasciato andare paranoie, dubbi, gallette di mais e scongiuri e mi ero abbandonata a quel bacio.

Non fu un bacio dolce e soave. Lo sentivo bisognoso.

Mi aveva raccolto prima che io potessi crollare a terra e rompermi. Sentivo che avevo avuto bisogno, di quelle mani, dal primo momento in cui mi ero accorta di provare qualcosa per lui. Forse sarebbe stato un veleno pericoloso, lasciarsi andare così, ma era così dolce come sensazione che non mi preoccupai di questo. Volevo solo continuare a sentirlo.

Alzai le mie mani verso i suoi capelli e incastrai le dita tra i ciuffi, tirandomelo verso di me. 
Lui aveva fatto scivolare le mani dal mio viso, fino al mio vestito e aveva stretto i lembi, tirandomi verso di lui.

Continuavamo a baciarci con morsi e qualche sorriso, nel mezzo, prima di sentirlo spingermi con un po' di prepotenza verso un tronco bitorzoluto. 
Evitai di cacciare un'esclamazione colorita quando un ramo mi si conficcò nella schiena, ma lui lo notò e rise sulle mie labbra, finendo poi col plasmarsi contro di me come una cozza.

Io cominciavo a sentire un caldo che neanche una distanza ravvicinata col Sole avrebbe potuto eguagliare. 
Lui continuava a muovere le mani su di me e non smetteva, un secondo, di baciarmi.

Io abbassai le mani e mi arpionai alla sua camicia, tirandolo ancora.

Potevo sentire battere il suo cuore, contro il mio e stavo raggiungendo vette di felicità immense. 
Neanche un gallo sarebbe stato così felice di svegliare tutti col suo canto alle sei del mattino come lo ero io in quel momento.

«James...» Provai a chiamarlo.
«Mh.» Mi rispose lui, staccandosi per un secondo, prima di riprendere a baciarmi. Se continuava così lo avrei divorato, me lo sentivo.
«James...» Riprovai.
«Mmmh.» Questo era un mugolio di protesta.
Si staccò dalle mie labbra giusto per prendere a baciarmi il mento e scivolare giù, arrivando al collo. 
Il mio corpo stava subendo un martirio di brividi poco pudici.
«James se continui così...» Avevo la voce un po' roca e quando me ne accorsi mi venne da arrossire. Funzionavo un po' in ritardo, in quel frangente.
«Mi è venuta improvvisamente fame.» Mi rispose lui, sul mio collo, prima di provare a morderlo. 
Io mi misi a ridere, rialzando le mani per prendergli il volto e cercare di allontanarlo da me.

«Non mi far perdere la festa dei 111 anni di Bilbo!»

Mi lagnai io, con un sorriso divertito, prima di guardarlo negli occhi.
Lui mi guardò con aria un po' delusa ma poi fece uno scatto all'indietro, prendendomi per mano, cominciando a tirarmi in una corsa lungo il sentiero.

«Oh cavolo! Cavolo cavolo cavolo cavolo cavolo...»

Questo suo gergo un po' da vegetariano continuò finché non mi arrivammo, di nuovo, dentro al Green Man. 
Lui mi stava letteralmente trascinando, con passo veloce, e io non ci stavo capendo più niente.

Il mio amato locale mi sembrava ancora più caldo, adesso. 
Le fiaccole mi sembravano più accese, l'odore più buono e io ero in uno stato di stordimento generale.

Quando arrivammo Locke stava facendo tutti uscire nella zona della veranda. 
Fuori brillava lo striscione sotto le luci del fuoco e c'erano delle lanterne volanti, già accese, che stavano per prendere il volo.

«Ma dove eravate finiti voi due? Ci manca solo che Grace si perde questa cosa e non me la perdona per il resto della sua vita. Non ho voglia di sentirla ciarlare esorcismi verso di me.»

Ci disse Locke, spingendoci letteralmente fuori.
Io e James, senza neanche consultarci, tentammo di rispondere all'unisono.

«Eravamo in bagno.»
«Abbiamo raccolto dei funghi.»

Ci bloccammo e ci fissammo, guardandoci con aria stralunata. Locke fece altrettanto.

«Eh?»

«Abbiamo raccolto dei funghi.»
«Eravamo in bagno.»

Ripetemmo la stessa cosa, ma all'inverso. 
Di nuovo ci guardammo e ci mancò poco che scoppiassimo a ridere. 
Locke, che per fortuna nostra aveva Mya vicino che ci guardava con un sorriso da una che aveva colto tutto, decise che non era il caso di indagare e ci sventolò una mano davanti.

«Oooh Grace, guarda! Ci sono dei fuochi d'artificio!»

Penny venne verso di me con un sorriso raggiante e la chioma rossa di fuoco. 
Io sorrisi fin troppo pienamente e lei colse qualcosa. 
Mi guardò con aria indagatrice, poi guardò verso James. 
Entrambi eravamo un po' sconvolti e io avevo pezzi di albero conficcati nel vestito.

«Questa me la dici dopo.» Mi sussurrò, prima di darmi un bacio sulla guancia e scivolare via. 
Jacq mi salutò con una mano e vidi Alex, poco più avanti, imboccare con un tortino la ragazza con le lentiggini.

Tutti parlavano, ridevano e scherzavano. 
Anche il Belgo aveva smesso di suonare e s'era prodigato in una finta camminata da ragazzo pacato alla volta di Jacq. 
Vidi lei voltarsi e sorridergli come non faceva con nessun altro e io mi sentì felice.

Martin Freeman era al centro di tutti e guardava verso una piccola zona adibita per una persona sola. 
C'era una sedia, un cavo e un microfono.
Forse Locke aveva intenzione di turbarci col karaoke anche in quel momento.

«Conosco la metà di voi soltanto a metà e nutro per meno della metà di voi metà dell'affetto che meritate.»

Martin si prodigò in quella massima di Bilbo Baggins e tutti risero. 
Anche se lui era, effettivamente, l'unico hobbit lì presente ci sentivamo tutti un po' mezz'uomini.

«Non si può amare un nano a metà. Un nano lo ami tutto!» Esclamò Dean.
Lo vidi intento a mangiare un pezzo di qualcosa di non identificato. Il mio cane era dietro di lui e scodinzolava allegro.
Feci un piccolo schiocco con la lingua – il mio richiamo segreto per Walter – e lui, quando mi vide, mi venne incontro gioioso.

«Monello, la smetti di amare Dean? Io sono gelosa, sai?» Dissi al mio cane. 
Lui mi slinguazzò la faccia e poi si prodigò in feste anche verso James. Lui gli fece qualche smorfia un po' scema e lo coccolò con carezze sapienti.

«Mi dispiace che non ci sia il tuo Simon Pegg.»
Mi disse James, ad un certo punto. Io caddi dalle nuvole e mi voltai a fissarlo. Mi ero del tutto scordata di Simon Pegg e della sua presunta venuta.

Fino a una settimana prima sarei sciolta come una cascata di cioccolato a quel pensiero e, adesso, speravo – addirittura – che non venisse. 
Non che avessi smesso di amarlo a livello cinematografico, non rinnegavo il mio primo vero amore. 
Ma adesso non facevo altro che pensare a cosa sarebbe successo una volta finita quella festa.

Volevo ancora baciare quello strano spaventapasseri che tenevo per mano.
Volevo sentirlo contro di me. Volevo che mi facesse ridere, ancora e ancora.
Accidenti, dopo questa avrei dovuto davvero passare una giornata ad aiutare Jacq con i fiori. Per quanto potessi provarci non avrei mai potuto nasconderlo.

Feci per rispondere ma venni deviata da un'altra cosa, che mi distolse l'attenzione.

«Oh, finalmente ti sei degnato a venire. Sei solo in ritardo di due ore, e meno male che gli scozzesi sono puntuali.»
«C'era traffico!» Rispose stizzita una voce che conoscevo.

La conoscevo non per via diretta ma l'avevo sentita molte volte. Negli speciali del Signore degli Anelli. In Master and Commander. In dei brani musicali.
E nella canzone. La canzone. L'ultimo Addio.
Ero riuscita a ricollegare ogni cosa, adesso. Il Billy di cui parlavano da giorni era proprio uno dei miei hobbit preferiti.
Alzai di scatto la testa e per poco non svenni sul colpo.
Pipino Tuc era proprio davanti a me.

«Nessuno mi offre una pinta?»
«Tieni primadonna

Martin gli passò un boccale di vetro che per poco non gli frantumò il naso e lo scozzese lo prese con entrambe le mani. 
Ne bevve una gran quantità prima di sorridere, contento.

«Avete fatto un ottimo lavoro, è bellissimo qui! Accidenti Bilbo, i tuoi centoundici anni li porti davvero...male
«Tu sei venuto con il gonnellino, non hai il diritto di dirmi niente.»

Rispose Martin, mentre Amanda gli stringeva un braccio.
Allungai la vista e vidi Billy attrezzato con un kilt scozzese davvero ridicolo.

Dovevo averlo assolutamente.

Intanto Locke gli si era avvicinato e dopo tutte le presentazioni – mi indicò e io evitai accuratamente il suo sguardo – lo fece sedere e gli piazzò una chitarra acustica in mano.

Io stavo per avere un attacco di cuore immediato.
James mi strinse le dita tra le mie. Non capivo più niente. 
Passò Alex giusto per donarci un paio di cocktail – quelli che io prima avevo abbandonato – ora più colorati e molto alcolici. 
Mi fece un occhiolino e sparì di nuovo.

«Cheers, Grace.»

Mi sussurrò James. Brindai con lui e poi alzai il gomito e mi lasciai invadere di nuovo.

Fu in quel momento che Billy cominciò a cantare.

The Last Goodbye prese vita in mezzo alle lanterne di fuoco che volavano sopra le teste di tutti i presenti. 
La voce di Billy era magica e io non sapevo più controllare nulla. Sentivo le lacrime agli occhi per la felicità e mi vergognai per questo.

Io, io che non ero riuscita a piangere nemmeno quando mi avevano detto che il programma di “Mariah Pinah e Donne in Tailleur” sarebbe finito per sempre, stavo per scoppiare in un pianto di gioia totale. Emisferico. Da scioglimento dei ghiacciai.

Ci provai con tutte le mie forze a controllarmi.
Ma poi i miei occhi si spostarono verso gli altri.

Vidi Alex e la ragazza stringersi in un abbraccio e danzare lenti, su quella canzone, ma i suoi occhi – lo sapevano – cercavano altrove un calore diverso.
Penny e Richard stavano guardando verso Billy. Lei sorrideva e lui continuava a passarsi una mano sui capelli, tirandoseli indietro.
Aidan e la sua ragazza erano seduti e si stringevano la mano, facendo strusciare i nasi tra loro in continuazione.

Locke e Mya stavano ridendo, nascosti, per chissà che cosa e vidi Stephen gesticolare a Graham qualcosa. 
Ero convinta che Stephen stesse cantando: “La pannacotta è buona / la pannacotta è sana / è ciò che noi vogliamo per una settimana.*
Adam era di fianco a loro intento ad ascoltare Billy e a provare a ignorarli. Era bravo in questo.
Dean aveva sicuramente perso l'orientamento, tra i tavoli, perché lo vidi continuare a girovagare senza meta.
Will era scomparso di nuovo, in chissà quale nascondiglio segreto.

Poi mi soffermai su Martin e Amanda. 
Si stringevano in un abbraccio. Lei gli aveva preso il volto tra le mani e lo stava schiacciando un po', ridendo felice e baciandolo sulle labbra.
Era tutto ciò che, per me, l'Amore incarnava. Niente cose arzigogolate o promesse da film.

In fondo, come un recente Simon Pegg mi aveva fatto capire, la felicità si trova quando si è amati per quello che si è.
Mi accorsi di volere, esattamente, qualcosa di simile da provare.

E mentre Billy continuava a cantare e io rivedevo, nella mia testa, tutto ciò che più amavo al mondo mi sentì stringere la vita da due braccia forti. 
Socchiusi gli occhi e mi abbandonai a quel contatto, tirando un po' indietro la testa.

James tirò su la mano che reggeva il cocktail e mi fece bere un altro sorso. Il suo era stranamente più buono.
O forse la mia percezione, in quel momento, me lo faceva credere. Non m'importava: ero veramente in alto a livelli di euforia.

«Credo che dopo ti ruberò per il break.»

Mi sussurrò all'orecchio e, di nuovo, tutti quei brividi mi salirono fino alla testa, facendomi incassare il collo.

«Ma dopo non posso. Ho un altro appuntamento.»
Dissi io con un sorriso maligno. Lui mi strinse ancora di più la vita.

Da ubriaca diventavo una sorta di romantica-maliziosa, dovevo smetterla di bere se quello era il risultato.

«Ah sì? E con chi?»
«Si chiama Bofur, non è un tipo molto alto ma è davvero simpatico.»

Lui mi diede un altro bacio sul collo, ridendo, e io persi ancora l'uso di ogni vocabolo.
Chiusi gli occhi e lasciai che Billy finisse di cantare, prima che si levasse nell'aria una canzone fatta di cornamuse e flauti.
E ripresi a godermi la mia felicità.






*Una perla creata in un attacco di sclero-time da didi_95. Amatela per questo.



NA.
Oggi va così, capitolo super mega iper romantico. Ma ci sta, perché inizia il week-end della morte lavorativo, per me, e quindi avevo bisogno di scaldar "ilmiocuordiTuscaloooosa".
Spero vi piaccia, non so bene che cosa mi sia uscito con questo capitolo, ma dopo averlo rilletto seicentocinquantanove volte ho deciso che andava bene e l'ho pubblicato. Eeee sta festa sta finendo -olèèè- ma la storia non è ancora finita, anche perché sono autolesionista e mi è già venuta un'altra mezza idea da fare prima del finale, ma vedremo.
Spero di strapparvi, come al solito, un sorriso e vi ringrazio sempre per sguirmi, leggermi e recensirmi. Ah tra l'altro, mi ero scordata perché sono bacatissima, ringrazio Eriz per avermi aggiunto alle seguite. Davvero, graziemillissime.
E' per voi che scrivo, oltrre che per me, quindi spero di farvi finire sta storia con un bel "aaaaaaaah finalmente!" <- inteso di giUoia, spero v.v 
A prestissimo girls-mie, spero di riuscire ad aggiornare in brevi tempi. 

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Capitolo 15
*** 15. La felicità è silenziosa ***


Capitolo 15.
La felicità è silenziosa

L'ufficio di Locke sembrava essere stato colpito da una testata nuclerare, dallo sbarco in Normandia, da un'invasione di turisti giapponesi.

Tutto ciò che poteva essere fuori posto lo era.

Scartoffie in giro, penne rovesciate, lampadario storto, delle mutande su una mensola, i libri abbattuti da una grave forma di gravità terrena e Walter che dormiva a pancia all'aria, sopra quelle che dovevano essere i mocassini da passeggio del mio Grande Orso.

Un po' se lo meritava, quei mocassini color prato macchiato di escrementi di pecora erano orribili e dovevano essere nascosti alla vista.

Io avevo l'aria di una che non sapeva più bene da che parte sbattere la testa, in tutti i sensi possibili.

Qualcuno, dentro al cervello, stava roteando un sacco pieno di mattoni dentro e non riuscivo a capacitarmi di ciò che era successo.

Non riuscivo a trovare il mio vestito giallo da nessuna parte e, così, dovetti avvolgermi con un poster dei Led Zeppelin per cercare di coprire quei luoghi segreti del mio corpo.

La faccia di Jimmy Page era proprio ad altezza censura ma non potevo preoccuparmene in quel momento. 
Scavalcai Walter con un grande passo e cominciai a girare come una trottola, lanciai per aria un paio di bandane piratesche, un libro sulla vita degli Albatros, una gigantografia di Locke coi capelli e – infine – quella che doveva essere la maglia di James.

Il mio caro irlandese stava poltrendo senza vergogna sulla scrivania di Locke, avvolto da un amasso di coperte dal colore un po' stantio. 
Da quando mi ero svegliata, contro di lui, non riuscivo a pensare a nient'altro. 
Ero rimasta ad osservarlo dormire per un tempo che rasentava la follia e avevo deciso che era il caso di non farmi trovare in quelle circostanze.

Lo vedevo immerso in un sonno un po' tormentato; forse non stava avendo dei bei sogni, ma forse era anche colpa della luce divina che cadeva dalla finestra, colpendolo dritto in faccia.

Il sole mi sta simpatico, ma non quando filtra dal vetro per ricordarti che lui brilla e scalda, alla faccia tua che vuoi dormire. 
Provai ad aprire un'antina dell'armadio per bloccare quei raggi di fuoco ma riuscì, solamente, a bloccare la luce per metà. 
L'ombra arrivava fino al collo di James. La faccia era alla mercé dellla luce, senza via di scampo.

Rimasi per diversi secondi a cercare soluzioni alternative per evitargli un'abbronzatura ridicola e, decisi, di coprirgli la faccia con la prima cosa che trovai a portata di mano. 
Era uno strano centrino di pizzo.

Non mi domandai del perché Locke ne fosse in possesso. Continuai la ricerca del mio vestito giallo, mentre nella testa tentavo di riordinare i pensieri.

Ma faceva troppo male tutto, avevo la nausea, mi sentivo completamente immersa nell'odore di quel tizio che dormiva sulla scrivania ed ero incapace di fare mente locale.

«Walter, ho bisogno di una seduta.» Sussurrai al mio cane.
Quello continuò a dormire, incurante dei miei problemi esistenziali.
«Ah, bravo. Fai pure il finto tonto, eppure io c'ero quando quella cagnolina non ti ha voluto annusare il sedere e sei rimasto in lutto per un giorno. E ti ho anche permesso di innaffiare i tulipani quando-»
«Ehi...»

La voce di James interruppe il mio dialogo col quadrupede e mi voltai di scatto a guardarlo. 
Si stava spremendo il volto con una mano, cercando di tirarsi su. Il centrino gli era rimasto incollato alla faccia; era alquanto buffo.

«Che cosa mi è cresciuto in faccia?»
«Sei diventato un mutante.»

Risposi io, provando a sorridere. Lui fece un sorriso che mi lasciò un po' rintronata e ripresi a muovermi frettolosa dentro l'ufficio.

Non era molto grande ma era pieno di cianfrusaglie. Per poco non caddi come una pera cotta su un'aspirapolvere rosso fuoco di nome Henry.

Henry è il mio migliore amico dopo serate come quelle della festa. 
Aspira tutto con la sua lunga proboscide nera e sorride, incurante di ciò che è costretto a pulire.

«Buongiorno
Mi disse James con troppa dolcezza. Perché doveva complicarmi ancora di più la vita? 
«Perché indossi un poster?» Aggiunse, con voce un po' roca.

Non era da classificare come una cosa da psicopatici il fatto che volevo che parlasse ancora.
Mi piaceva il suono della sua voce, il modo in cui pronunciava le parole, il fatto che biascicasse un po'.

«Ho perso il mio vestito.»
«Credo di averlo trovato io.»

Io mi voltai verso di lui. 
Lui stava indicando un punto ignoto, su una piccola trave in legno che sbucava sopra la porta d'ingresso. 
Il mio povero vestito penzolava inerme e, guardandolo bene, sembrava aver combattuto contro intemperie funeste.

Fu come un lampo a ciel sereno, tutto ciò che era successo la sera prima mi tornò in mente così prepotentemente che ebbi le vertigini.
Mi sentì invasa da un calore atroce su tutto il corpo ed evitai di guardare verso James. Anche solo guardarlo negli occhi mi creava del disagio, adesso.

«Forse sono stato un po'...»

Lui cominciò a parlare e io stavo facendo mosse di judo pur di riuscire a prendere il mio vestito evitando che il poster dei Led Zeppelin scivolasse via dal mio corpo. 
Non era molto pratico come tubino.

«...Tu ti ricordi qualcosa

Mi voltai verso di lui dopo quella domanda e rimasi a fissarlo a lungo.

Sapevo di avere uno sguardo un po' da allupata ma non potevo controllarmi. 
Rimasi a osservare i suoi dettagli; i capelli spettinati, la barba rada, il fatto che avesse le guance arrossate e gli occhi un po' gonfi, ma accesi.
Feci una foto mentale di quel momento prima di scuotere il capo.

«Mi ricordo qualcosa...ina. Insomma, ciò che è successo è successo ma io credo di avere dei buchi neri nella memoria.»

Stavo mentendo.
Mi ricordavo ogni cosa, anche dei particolari che avevo paura avrei dimenticato, visto il mio stato alcolico della sera precedente.

Dopo che Billy aveva finito di cantare c'era stato un po' di pianto e molti abbracci. 
Lo scozzese dallo sguardo da bambino aveva creato la giusta dose di commozione nostalgica, ampliata dal fatto che eravamo tutti brilli e andanti. 
Molti rimasero a ballare, mentre altri ripresero a bere e a mangiare. E mangiarono eccome, anche se lo chef era ormai migrato dalle cucine da un bel pezzo. 
Si era portato due ragazze al centro dello spiazzo e s'era destreggiato in piroette e avvitamenti che neanche il ballerino Tippo-Pat col suo flamenco era riuscito a eguagliare.

Poi era stata la volta della musica dei flauti, delle cornamuse e dei tamburelli.

James mi aveva stretto e mi aveva trascinato a ballare con lui.

Sapevo che tutti ci guardavano ma forse era solo una mia impressione. 
Mi ricordo di lui che mi stringeva, mi faceva girare,mi allontanava e mi riprendeva. 
Io ero riuscita a calpestare i piedi a tutti, avevo travolto di nuovo Martin Freeman – il quale mi aveva consigliato un'assicurazione per tamponamenti – ed ero inciampata su James almeno dieci volte.

Ma lui ridevaa, continuava a farmi perdere la dignità con quel ballo e io ridevo con lui.

Quel bacio si era infilato nei nostri punti vuoti e li aveva riempiti con qualcosa che piaceva a tutti e due. 
Non mi preoccupavo più di quale altre ferite avrebbe aperto. 
Volevo godermi ogni piccola parte di quella sensazione e portarmela nella mente come qualcosa per cui sorridere.

Ci fu un momento in cui qualcuno provò, di nuovo, la mossa di Titanic e Locke s'era eretto come difensore della causa, indicando il foglio del divieto assoluto su quella mossa omicida. Aveva smerciato manate, blocchi, braccia incrociate e minacce in ogni dove.

Poi Richard volle brindare con noi ancora una volta – era diventata leggendaria la sua propensione a non sembrare minimamente ubriaco- e scontrammo i nostri bicchieri così forte che a Stephen gli scoppiò tra le mani e tutta la birra gli esplose addosso.

Ridemmo fino a farci mancare l'aria, anche se io non avrei dovuto ridere troppo visto che sarebbe toccato a me pulire. 
Dopo qualche insulto gratuito alla sua persona decidemmo che, ognuno, poteva andare in pace ovunque volesse.

Dean fu circondato da alcune ancelle dalla chioma fluente e lo vidi sparire in chissà quale orizzonte, un po' giù di morale perché Walter non lo aveva seguito.
Il mio quadrupede non si separava mai da me dopo certi orari. Gli avevo impostato alcuni obblighi canini come coprifuoco e aveva imparato a rispettarli tutti.

Tranne quello del: non mangiarmi i calzini mentre dormo.

Ogni volta che mi sveglio ho un calzino bucato, insalivato o sparito.

La ragazza di Aidan aveva salutato il suo riccio con un bacio passionale ed era fluita via, lasciando l'irlandese in preda ad uno sguardo un po' spento.
Locke e Mya stavano già per brindare ancora una volta.

Cercai Alex ma non riuscì a vederlo, in compenso c'era Penny – mi sembrò un po' turbata - e Richard alle prese con una presa in giro verso Martin.

Non riuscì a sentire il finale della sua frase “I tuoi capelli sembrano una moffetta mort...” che venni presa per un polso da James e trascinata via da lì.

La musica ancora si sperdeva nell'aria. 
Superai Shan intento a parlare in cinese contro il jukebox, 
Adam parlare con Jacq, il Belgo lanciare fuochi e fulmini dagli occhi e Russò cantare da solo con in mano una delle scarpe di Shan come microfono.

Paul era intento a raccontare a Billy la storia del famoso Fenicottero Dorato del Green Man e io gli urlai un “Deportatelo!” prima di sentire Paul urlarmi qualcosa.

Ma non seppi mai cosa. 
Dopo vari metodi per evitare di finire addosso ai tavoli mi ritrovai spiaccicata contro la porta dell'ufficio di Locke.

Ero bloccata e avevo James proprio davanti a me. 
Mi sorrideva in quel modo che mi faceva sentire come Gollum col suo tesssoro e il mio cuore cominciò a esplodermi nel petto.
Lui si avvicinò piano e mi posò la mano sulla guancia, carezzandomela.

«L'appuntamento col tuo Bofur è arrivato.»

E, con quella frase, io avevo tradito l'amore per Simon Pegg. Mi ero lasciata andare ad un sorriso senza più difese, ostacoli e blocchi. Poteva leggermisi in faccia la felicità che aveva sgomitato tanto per uscire così, come un fuoco d'artificio. Non m'interessava più di niente, volevo solo che continuasse a guardarmi in quel modo, a parlarmi in quel modo e a farmi sentire come un piccolo segreto nascosto.

Gli presi i lembi della camicia fra le mani e lo tirai verso di me, ma lui già mi si era plasmato addosso.
Senza più dire niente cominciò a baciarmi, sentendolo sospirare sulle mie labbra.

Smisi di pensare a qualsiasi cosa e mi concentrai su quel bacio. 
Avevo il cuore impazzito e, di nuovo, quella sensazione che mi stava invadendo.

Quel bacio ci portò ad aprire la porta, a intrufolarci dentro e dare il via ad una guerra mondiale senza fine.

Mi aveva preso in braccio e posto sulla scrivania di Locke, dopo aver fatto cadere tutto ciò che c'era sopra con una manata. 
C'era stato un rumore di rombi e tuoni ma non ci preoccupammo molto di essere stati sentiti.

Ci spogliammo a vicenda, senza smettere un secondo di baciarci e ci abbandonammo a quella notte passionalmente alcolica.

Per essere in uno stato che superava il livello limite consentito eravamo riusciti a restare svegli, attivi e pieni di energie per un tempo infinito.
Avevo ancora addosso quelle sensazioni. 
Le sue mani su di me, la sua bocca che mi mordeva e mi baciava ovunque. Il calore del suo corpo e il suo respiro.

Il suo odore.

Non aveva mai smesso di guardarmi e continuava a sorridermi.

Trovavo quel connubio di cose talmente estasiante che ancora mi sentivo scossa dai brividi, al solo pensiero. 
Neanche se avessi avuto le parole per descrivere ciò che sentivo sarei riuscita a creare l'esatta scala di emozioni che avevo provato quella notte.

Sapevo solo che avrei voluto che il tempo si fermasse e sentirmi così anche il giorno dopo. E quello dopo ancora.

«Mi sta scoppiando la testa, forse ho leggermente esagerato ieri sera.»

La sua voce mi interruppe ancora. 
Senza rendermene conto me lo ritrovai vicino, mi stava scostando alcune ciocche dal viso e mi fissava con un sorriso.

Doveva aver immesso del silicone dentro il volto per far sì che le sue labbra restassero sorridenti per così tanto tempo. 
Nemmeno io riuscivo in quell'impresa, ed ero campionessa olimpionica in questo.

«Non sembra.»
«Sono irlandese. Sono abituato.»
«Ah, mi scusi allora, signore.»

Lo presi in giro, con uno strano accento, e lui ridacchiò dandomi uno sbuffo sul naso. Solo in quel momento m'accorsi di come lo avevo ridotto.
Aveva graffi ovunque. Sulle braccia, sul collo e – lo sapevo – anche sulla schiena. Forse avevo un tantino esagerato.

«Credo di averti usato per rifarmi le unghie.»

Feci un ringhio da felino, alzando le mie dita piegate, prima di guardargli le braccia.
Lui abbassò lo sguardo e si controllò. 
Alcuni graffi li accarezzò col polpastrello e io avrei pagato oro per sapere cosa stesse pensando in quel momento.

Si comportava normalmente. Non aveva cambiato carattere.

Non era fuggito via.

Non so perché fossi preoccupata di una sua possibile fuga, forse perché dopo la partenza di mia madre verso giungle caraibiche sono sempre stata invasa da una strana paura. Per quanto non sia una persona avvezza al contatto umano per molto tempo, la possibilità di restare sola è una fobia che mi porto dietro come un fardello.

Il fatto che James presto se ne sarebbe andato via per sempre mi creava dei problemi interni non indeffernti ma non volevo pensarci in quel momento. 
Non volevo pensarci e basta.

«Dovresti vedere come sei ridotta tu, scimmietta

Feci una strana smorfia e zompettai fino ad uno specchio.
In realtà non è uno specchio ma una fender lucida appesa alla parete, dove probabilmente Locke si specchia per lucidarsi la pelata.

Avevo il collo ricoperto di morsi e segni. 
Sgranai subito gli occhi e controllai altrove. Avevo anche aperto il mio poster musicale per osservarmi con minuzia.
Feci un paio di piroette prima di voltarmi verso James.

«Ne ho uno anche sul sedere!»

Esclamai, facendo strusciare il mio poster-vestito.

«Mi metti incredibilmente fame. Non è colpa mia.» Mi rispose lui, innocente.
«E adesso come li nascondo? Non posso dire che sono punture di zanzare, non ci crederebbe nessuno.»
«Puoi sempre dire che erano mosconi enormi.»
«Il moscone enorme era solo uno.»

Dopo quella mia massima, che non voleva essere ambigua ma è uscita così, lui scoppiò a ridere. 
S'avvicinò a me di nuovo e mi prese il viso tra le mani.

Quando lo faceva dimenticavo ogni paranoia, era un tocco un po' da illusionista.

«Se non vuoi dirlo a nessuno, non lo diciamo a nessuno.»
«Credo che lo sappiano già tutti. Pure mio zio Harnold, che vive su una scogliera insieme ad uno sputacchiere.»
«Amo le scogliere.»
«E le scogliere amano le scogliere.»
Dissi io, non sapendo bene cosa stessi dicendo. Ormai ero conscia del fatto che quell'uomo mi turbava il raziocinio.
«Pensavo che le scogliere amassero me.»
«Purtroppo il vostro sarebbe un amore tormentato.»
«Come Romeo e Giulietta?»
«Sì, o come Thorin e Bi-»

Mi bloccai appena in tempo, stavo per rivelare un mio dubbio in merito ad un nano ed un hobbit di mia conoscenza e sulla loro presunta tensione sessuale.
James colse come una faina il mio riferimento, e già stava per sghignazzare, ma io lo bloccai sul nascere con una manata sul petto.

«Oh, ma non importa. Stiamo zitti. Non è successo niente. Se ci fanno domande ci inventiamo scuse, siamo bravi con le scuse. E, specialmente, quest'ufficio noi non lo abbiamo visto neanche da lontano, chiaro? Se Locke scopre che ho fatto cadere le sue penne placcate per terra mi rinchiude nello strozzatoio
«Credo di averti anche cosparso di maionese, ad un certo punto.»
«Farà il lancio del giavellotto con me!»
Continuai io, disperata - tralasciando volutamente il discorso sulla maionese - ,e lui mi schiacciò un po' la faccia con le mani. 
Mi venne una strana faccia da papera e lui sghignazzò, crudele.

«La Trinciabue non ti farà nulla, ti proteggo io.»

Io provai a sorridere ma in quella morsa le mie labbra erano bloccate a cuore, o a sedere di neonato, perciò alzai le mani per fare la stessa cosa con il suo volto.
Lui tentò di mordermi le dita.

«Ora capisco perché mi sono svegliata con una voglia di patatine fritte.»
«La senape non l'ho trovata.» Si giustificò lui.
«Tu invece odori di cocco.»
«Sì, ti sei messa in testa che io fossi un cocktail ieri sera.»
«Eri un cocktail al Malibu, il mio preferito.»
«Ooooh bè, allora.»

Mi schiacciò ancora di più la faccia, fino a spemermi le guance. 
Rise di gusto e s'avvicinò a me, appoggiando le labbra sulle mie. 
Mi lasciò respirare il viso e infilò le dita tra i miei capelli. Io, invece, le feci scendere fino al suo petto.

Questa volta niente irruenza o morsi o sospiri d'eccitazione. 
Era un bacio dolce, da assaporare con calma e sentire, lento, il benessere farsi strada nel corpo. 
Cominciai ad accarezzarlo piano e sentivo le sue dita scivolare sul mio collo, accarezzandomi i segni che lui stesso mi aveva lasciato.

Si staccò da me lentamente e rimase a fissarmi. 
Io avevo l'aria di una che si era perduta su molte strade. Non lo trovavo il mio sentiero.

Non avevo i palmipedoni ad aiutarmi.

«Mi è tornato l'appetito.»

Mi sussurrò con voce un po' bassa, avvicinando le labbra al mio orecchio, fino a scendere più giù.
Io presi a respirare con una fatica immane e sorrisi, sentendomi scottare.

«Le mie unghie si sono smussate ancora.» Risposi con voce altrettanto bassa. 
E stavo già per abbandonare la faccia di Jimmy Page al suo triste destino col pavimento quando sentimmo dei rumori provenire da fuori.

Ci voltammo col cuore in gola e ci bloccammo di colpo.

«Si può sapere perché c'è una gelatina gigante sopra le mie birre?»

La voce di Locke ci invase come la grande onda di Kanagawa e ci rivestimmo alla velocità della luce. 
Ci fu una catapulta di vestiti lanciati in ogni dove. James riuscì a infilarsi la maglietta al contrario e la sua camicia a quadri come un turbante. 
Io avevo infilato il vestito un po' storto e avevo delle mutande sulla testa.

Riuscimmo, in un qualche modo ancora sconosciuto, a rimetterci a posto e io uscì come una furia dalla stanza. 
Avevo ancora il sapore di James sulle labbra quindi ero in uno stato poco attivo. 
Per non parlare dei segnali che il mio corpo mi mandava, giusto per aiutarmi in quell'impresa.

Il fatto che quell'uomo mi faceva diventare una molecola vagante senza cervello non andava del tutto bene.

Non appena uscì fuori dalla porta per poco non sbattei contro Locke.
Anche lui non aveva un bell'aspetto; sembrava avesse sbucciato quintali di cipolle visto il suo sguardo gonfio, lucido e arrossato.

«Non ti chiederò perché stai uscendo dal mio ufficio ancora vestita come ieri. Ma che cavolo hai fatto al collo?»

Dannazione. 
Mi ero del tutto dimenticata di poter essere affetta da domande di questo genere, in fondo avere delle incisioni dentali addosso non era cosa da tutti i giorni.

Cominciai a boccheggiare senza riuscire a trovare una scusa adeguata.
Poi mi ricordai di avere una salvezza canina a portata di mano e decisi di sfruttarla.

«Walter! Mi è...ha passato tutta la notte a mordermi. Per gioco. Ieri si è sentito un po', ecco, solitario. In solitudine. Era come quando, lo sai no?»
«Devi smetterla di fare cose strane col tuo cane. A forza di usarlo come psicanalista lo stai facendo diventare scemo come te.»
«Ah-ah-ah.»

Non stavo ridendo sul serio ma d'altronde neanche lui era in ottima forma, sapevo che non avrebbe fatto domande. 
O almeno lo speravo con tutto il cuore.

Ero rimasta appiccicata alla porta, sperando che non avesse intenzione di entrare lì dentro proprio in quel momento. 
Se avesse trovato James le scuse sarebbero state alquanto ridotte.
Non credo che avrebbe creduto alla storia di lui che entra dalla finestra per salvarmi dall'arrivo di un venditore di bonghi.

«Sta per arrivare Jacq a darci una mano. Alex non mi risponde al telefono e Mya è dovuta correre a salvare un'anziana al bingo. C'è stata una rissa nell'ospizio.»
«Oh, è Guendalina?»
«Ma non lo so. Tra l'altro Dean e il riccio hanno dormito qui. Tu hai visto James?»

Cercai accuratamente di non far spuntare il sorriso sul mio viso a quella domanda.
Mi veniva difficile non sciogliermi in un ammasso di dolcezza melensa ogni volta che ripensavo a ciò che era successo. Odiavo sentirmi come una Bridget Jones innamorata ma stavo perdendo il controllo di me stessa. O lo avevo già perso.

D'altro canto ero risoluta a fare andare via da lì il Grande Orso, anche se il mio atteggiamento da mastino da porta poteva destare sospetti.

«Perché avei dovuto vederlo? È tuo amico. Non ho un localizzatore per ogni volta che James è...via.»

Fare l'indifferente poteva essere la mia salvezza. 
Locke mi fissava con aria un po' scettica e io cominciai a gesticolare, per ipnotizzarlo.

«Vado a chiamare Alex, sono sicura che a me risponde. Ah, prima ho visto fuori dalla finestra un piccolo baracchino che vendeva delle birre artigianali.»
«Cosa? Criminali. Quella è una mia specialità, come osano vendere birra artigianale nel mio quartiere. Gliela ficco su per il-»

Avevo colpito un punto debole. 
Lo vidi fiondarsi verso l'uscita insultando le zone lombari dei presunti criminali e io ripresi a respirare, aprendo la porta veloce.
Vidi James intento a rimettere tutto a posto. Non so come aveva fatto ma era riuscito a far sembrare quella stanzina quasi decente.

«Perché Cole ha dei centrini di pizzo?»
«Me lo sono chiesta anche io.»

Lui fece una strana faccia e poi sgusciò fuori, il mio cane insieme a lui.

«D'accordo io ora esco per non destare colpi mortali al nostro pelato. Torno dopo.»
«Esci dallo spiazzo, l'ho mandato fuori a uccidere la concorrenza. Non ci vorrà molto prima che si accorga che non esiste. A meno che non si sia messo a inveire contro il venditore di burrito, giù all'angolo.»
«Li ho assaggiati una volta, sanno quasi di burriti veri.»

Io sorrisi e gli diedi una spintarella. Lui ritornò davanti a me e mi diede un altro bacio, promettendomi di tornare.
Le farfalle nel mio stomaco frullavano le loro ali dappertutto.
Assaporai quei due secondi di bacio prima di lasciarlo andare. Lo guardai uscire e rimasi in quello stato comatoso per molto tempo.
Passarono almeno due ore prima di riuscire a farmelo passare, e neanche del tutto. 

Ero riuscita a riordinare quasi tutto l'interno, avevo fatto sparire la gelatina gigante, mi ero cambiata, avevo fatto i codini ai capelli di Aidan e ora c'era solo Dean intento a sorseggiare il mio miracoloso intruglio da scuoti budella e lo vedevo di uno strano colorito verdognolo.

Walter, dopo aver marcato gli ultimi vasi di Jacq, gli aveva appoggiato il muso sulla gamba e lo assisteva con apprensione. 
Avrei dovuto concedergli il nuovo brevetto di assistente malati. Magari con una percentuale di pagamento per ogni guaito di incoraggiamento.

«Cara, ho sistemato fuori. Ho lasciato lo striscione però, mi piace davvero molto. Ah, e tra l'altro c'è fuori Billy che sta dormendo sopra una panca.»
«Ma c'era anche prima?»
Domandai io, sgranando gli occhi.
«Non lo so. Qualcuno gli ha disegnato uno strano cono gelato sulla guancia. Dean, vuoi una coperta? Ti vedo un po' pallido.»

Dean sventolò una mano, facendo una strana smorfia e riprese a bere quel liquido dal colorito un po' decomposto. 
Non aveva ancora detto una sola parola, forse non era abituato a eccedere così tanto.

«Mi dici, però, cosa ti è successo? Sembra che qualcuno ti abbia mangiato. Non è che è stato il nostro James?»
Continuò lei, tornando a perquisirmi con lo sguardo. Lei e la sua scaltrezza.
«È stato Walter. Stanotte era...irrequieto.»
«Non pensavo si chiamasse così, ora, James. Io lo sapevo che succedeva. Lo sentivo nell'aria. Siete carinissimi insieme.»

Dean si voltò verso di noi con uno strano sorriso malizioso e io stavo già per sprofondare nel mio solito buco nero.

«Jacq, non è...non è successo niente con James. Con James poi. Insomma, tra tutti proprio lui?»
«Non mi dirai che è stato quello Will?»

Non volevo mentire a Jacq ma, nello stesso tempo, non volevo che vincesse la sua scommessa. 
Non mi andava di passare un'intera giornata in mezzo ai fiori. I fiori sono maligni: attirano le api. 
Pregai che una salvezza cadesse dall'alto e interrompesse quella conversazione.

«Salve!»

Billy era sbucato dal suo antro. 
Aveva ancora indosso il kilt scozzese – non era così bello come lo avevo immaginato la sera prima – e I capelli chiari tutti sparati da un lato. 
Faceva quasi tenerezza.

Il famoso cono gelato disegnato sulla sua guancia non era un vero cono.
La mente genuina di Jacq non aveva colto riferimenti sessuali a quella specie di fallica opera d'arte ma io sì. 
Riuscì a non scoppiargli a ridere davanti alla faccia ma fu un'impresa titanica.

«Credo che sto per vomitare.» Disse lui, facendo una smorfia.
«Non farlo qui, per favore.» Esclamai io, già in panico.
«Vieni, ti accompagno. Grace prepara la tua medicina.»

Jacq era piroettata verso di lui e l'aveva diligentemente portato verso i bagni.
Lei non sembrava reduce di una festa apocalittica, mi chiesi se la sua vicinanza col mondo della natura alleggeriva gli effetti di tutti quegli alcolici afrodisiaci.
Tornai a guardare verso Dean, mentre preparavo l'ennesimo intruglio. Lui mi fissava con lo stesso sorriso di prima e io non sapevo bene cosa dire.

«Non ho detto niente, io.»
Si difese subito lui, neanche avesse letto nella mia mente qualche velata minaccia alla sua persona.
«Non pensare neanche.»

Dal nulla sentimmo il rantolo di Aidan, intento ad abbracciare uno sgabello, e poi tornare a ronfare come se nulla lo sclafisse.
Io avevo già mandato messaggi di S.O.S a Alex e a Penny ma nessuno dei due mi aveva risposto.

«Sai, James è sempre stato un po' così. Gli piace farsi piacere, gli piace farci ridere e insieme a quell'altro hobbit non hai idea di quanto ci tormentavano. Durante le scene di Bosco Atro abbiamo riso così tanto che, alla fine, le allucinazioni le avevamo sul serio.»
«Stai dicendo che sono allucinogeni loro?»
«Oh sì.»

Dean annuì e poi fece una smorfia, appoggiando il bicchiere sul bancone. Lo vidi perdersi in chissà quale pensiero, o quale ricordo. Sorrise da solo e rimase in silenzio per un po'. Probabilmente la festa era servita più a loro che a tutti gli altri, per ricordare com'era sentirsi di nuovo insieme, come se il tempo non fosse passato.

«Tu devi piacergli molto.»
Mi scossi dai miei pensieri e trovai lo sguardo di Dean.

Sorrisi ma non sapevo bene cosa rispondere, quindi cominciai a fare strani gesti con le dita. 
Dovevo smetterla di imbarazzarmi per ogni cosa, il mio corpo aveva bisogno di una tregua. Anche il mio cuore. Il mio cervello.
Il mio fegato.

Tutto.

«Ti ha anche marchiata.»
«Non è stato James.»
«Già, e io sono Robin Hood.»
«Potresti anche esserlo, io non conosco la tua presunta doppia vita.»

Lo presi in giro e lui ridacchiò divertito. Non volevo continuare quella conversazione e, per fortuna mia, entrò Locke tutto trafelato dalla porta.
Non sapevo se si era perso o si era messo a cercare, realmente, il baracchino di birre artigianali. 
Lo vidi trasportare un paio di sacchi di carta igienica dai colori insoliti.

«Grace, vieni con me! Buongiorno Dean.»
«Non hai trovato il baracchino?»
«No, deve aver fiutato la mia aura malvagia ed è fuggito. Entra dentro il mio ufficio e aspettami lì, ti devo parlare.»

Mi venne in mente una di quelle scene da film dell'orrore, senza sapere bene perché. Forse aveva capito qualcosa.
Non mi chiamava mai dentro al suo ufficio per parlare, di solito mi diceva le cose davanti a tutti, senza vergogna.
Solo un paio di volte avevo avuto un confronto particolare: quando decidemmo di vestire Alex come un coniglio pasquale per utilizzarlo come mascotte primaverile a sua insaputa e quando mi disse la ricetta segreta della sua birra Locckiana preferita. 
Ancora adesso non potevo nominare la mia sapienza verso ignoti, ero legata ad un vincolo specifico che mi proibiva di rivelare il segreto della birra buona.

Locke è un po' come il creatore della Coca Cola.

Non appena rientrai lì dentro fui, di nuovo, invasa dai ricordi della sera precedente. 
Faceva un po' ridere il fatto che poche ore prima, su quella scrivania io e James avevamo fatto di tutto
Controllai con minuzia che non ci fossero indizi, ma poi mi ricordai che Locke non era Sherlock Holmes e ritornai tranquilla.

Quindi col cuore a mille, le mani sudate, il sorriso da psicopatica e un tremolio gambale non indifferente.
L'unica cosa a cui stavo pensando era il fatto che volevo rivedere James. 
Avevo una voglia matta di stare con lui, di baciarlo ancora, di toccarlo.

Ero un miscuglio di troppe cose insieme, non riuscivo neanche a pensare a nessuna di quelle canzoni della salvezza.
Provai Lorella Pazzerella ma niente da fare.

«James me lo ha detto.»

Esordì lui con un tono che non riuscì a decifrare. Io lo guardavo con aria un po' stralunata e provai a tenere il controllo sulle mie parole. 
La mia mente non mi aiutava, mi allineava lettere a caso. Avevo un vocabolario elfico nel cervello.

«Detto...cosa? Io non...»
«Dai, lo sai. Mi serve qualcuno di fidato quindi ho pensato a te. So che non mi concedo mai una vacanza ma, questa volta, ho accettato. Probabilmente tornerò qui dentro e troverò il locale bruciato, una voragine di terra al posto del Green Man e I miei giardini essiccati ma sono disposto a rischiare.»

Ripresi a respirare dopo un'agonia violenta. Stava parlando del fatidico regalo di James.

«Quindi ritorni da Frida?» Chiesi io, sgranando gli occhi.
«Cosa?!»
«Niente.»

Mi cucì le labbra. 
Non era saggio dire a Locke che sapevo i segreti della sua gioventù, avrebbe dato la colpa a James. 
Non che la cosa non fosse divertente uguale ma ora, per James, provavo cose molto più reali, mi sentivo quasi protettiva nei suoi confronti.

«Vado in Irlanda. Non adesso, sia chiaro, prima ti devo istruire ma credo che tu saresti perfetta. Tanto lo so che ti spacci come una Supervisor nelle tue conferenze da barman.»
«Io? Io non ho mai-»
«Vuoi diventare la mia Supervisor, Grace?»

Io non riuscivo più neanche a pensare, avevo perso l'uso dei vocaboli per l'ennesima volta. 
I fuochi d'artificio nel mio stomaco erano diventati petardi nucleari, sentivo il cuore rimbombare e chiedermi pietà.
Era da tempo che speravo di poter avere più responsabilità, muovermi all'interno del mio Green Man sapendo che potevo decidere anche io. 
Finalmente potevo dare al mio locale il suo suono e la mia felicità ebbe spicchi indecenti, tanto che mi ritrovai ad alzarmi di scatto e ad abbracciare Locke.

Non era una cosa solita. Non succedeva mai, quindi rimanemmo un po' perplessi entrambi.

«Oddio Grace, hai cambiato analista?»
«No, Walter ha una tariffa economica.»

Mi abbracciò stretta, nonostante tutto, e io gli sussurrai un “grazie” prima di sgusciare via e sorridergli contenta.

Da quando James e gli altri balordi erano venuti al Green Man stava tutto cambiando. 
E la mia paura che stesse cambiando tutto in peggio era stata vana.

Non c'era più niente di terrificante nel cambiamento, era solo diverso. 
Sapevo che il mio Green Man ora spuntava nei giornali come pub storico. 
Qualcuno aveva scattato foto della festa. Molti sapevano. 
Molti sarebbero arrivati per constatare di persona ciò che quelle mura contenevano e avevano da raccontare.

Ma la nostra storia continuava, anche di nascosto, sotto il rumore del legno e nell'odore della birra.
I miei amici stavano cambiando e io con loro.

Nel mio animo si instaurò la consapevolezza che essere ottimisti non era una brutta cosa. 
Ricordai un discorso fatto con Mya, tempo prima, in cui era bene che la felicità non venisse urlata. 
Doveva fluire silenziosa, come un segreto, perchè alcune orecchie non sono fatte per sentire.

Ma io mi sentivo così e volevo urlarlo davvero: cosa poteva andare storto, adesso?


 


 


 


 


 


 

NA:

Scusate il vergognoso ritardo ma ho passato una settimana piuttosto piena di impegni e abito in una città dove non hai tempo neanche di respirare che è già finita la giornata quindi mi scuso per l'attesa ç_ç come capitolo non è un granchè, I know, ma è una via di mezzo che porterà a quelli finali. Ormai non manca molto, nella mia testa è tutto impostato. Mi sto anche dedicando ad altre robbbbe quindi se ci metto molto ad aggiornare è anche per questo. Chiedo veniaaaa. Intanto ringrazio le mie fanciulle bellissime che mi seguono e mi leggono sempre e mi recensiscono <3 E' specialmente a voi che chiedo scusa per il ritardo, odio farvi attendere. E ringrazio tantissimo anche BlackandLupin che mi ha messo nelle ricordate. Grazie di cuore!
​Un bacio a tutti e buona giornata <3 spero a presto.


 

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