She is the only one, she keeps me safe.

di TeenAngelita_92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo; ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Prologo; ***


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Prologo:
"Mi dispiace signora Rivas, ma credo di non poterle essere d'aiuto. Neanche la mia tanta esperienza lavorativa servirà per riuscire a capire ciò di cui ha bisogno suo figlio." le aveva detto, dispiaciuto e sincero, lo psicologo che da qualche mese aveva iniziato a seguire suo figlio. Ma in realtà non era la prima volta che se lo sentiva dire, le aveva contate tutte le volte in cui si avvicinavano e con sguardo del tutto sincero e dispiaciuto, dimostravano rassegnazione. 
"Capisco dottor Scott, capisco" si era ormai abituata a rispondere, senza neanche tanto stupore.
"Ha mai provato a pensare che forse un quasi coetaneo di suo figlio potrebbe essere molto più bravo di qualunque altro adulto o anziano psicologo dal quale è stata?" le aveva chiesto e a differenza di tutti gli altri, sembrava essere davvero interessato ed intenzionato ad aiutarla.
"No dottore, non ci ho mai pensato." aveva risposto sinceramente la donna.
"Bene, allora forse posso aiutarla ancora in qualche modo. Da poco, nel nostro studio, abbiamo assunto una giovane ragazza che già da alcuni anni lavora come psicologa. Alcuni dei miei pazienti, di cui non posso occuparmi, li ho affidati e ancora li affido a lei rendendomi conto dei risultati eccezionali che riesce ad ottenere. Forse non avrà sicuramente l'esperienza di tutti gli psicologi dai quali è stata, ma ha studiato e ripongo in lei la mia totale fiducia. Ed inoltre credo che essendo giovane, possa instaurare più facilmente un rapporto con suo figlio. Dopotutto è solo una prova e credo ne valga la pena."
"Si, ha ragione. Provare non costa nulla, dopotutto sono stata dai migliori che mi erano stati consigliati." aveva ammesso con una punta di tristezza.
"Bene, allora ecco il suo biglietto da visita. Basterà chiamare a questo numero per poter fissare un appuntamento. Inoltre sarò io stesso ad anticiparle qualcosa riguardo alla situazione. Mi assicurerò di averla informata di tutto, non si preoccupi."
"La ringrazio infinitamente dottor Scott. E' il primo che si sia spinto più in la per aiutarmi." gli aveva confessato, dopotutto era vero.
"Non mi ringrazi signora, qualunque cosa può contare sul mio aiuto."

E lui era Andres Rivas.
Un diciannovenne di origini spagnole catapultato da un momento all'altro nella grande America del nord per problemi familiari. Ma a lui non piaceva dare questa definizione quando gli chiedevano perchè si fosse trasferito, in fin dei conti l'espressione "Problemi familiari" ha sempre compreso tante, forse troppe cose e sembrava quasi una di quelle frasi convenzionali che si tirano fuori in situazioni sconvenienti, nelle quali non hai la minima voglia di parlare o di far sapere i tuoi problemi agli altri. 
In realtà era a causa di suo padre. Egli qualche anno prima aveva scoperto di avere un tumore, il quale all'inizio non sembrava essere grave o dare tanti problemi, ma con il passare del tempo la situazione era peggiorata. 
Si trovava li ora, con la sua famiglia, nell'accogliente villetta di sua zia Beatriz, che ormai da anni viveva li dopo essersi separata da suo marito.
Ma quel suo improvviso trasferimento, quell'improvvisa vita nuova, quell'improvvisa novità, non furono d'aiuto al suo già 'particolare' carattere, bensì lo invogliarono a cambiare, cambiare radicalmente, ma non in meglio. 
"L'ennesima sigaretta in una giornata" pensò tra se e se. 
Aveva solo 19 anni e fumava peggio di un cinquantenne fumatore "esperto", come si poteva definire. Ma a lui piaceva vedere quel fumo grigio e sgradevole uscirgli dalla bocca, mentre gli passavano davanti agli occhi immagini di bambini e genitori che giocavano felicemente nel parco.
Ogni pomeriggio verso le 16:00, amava passeggiare nel parco, poco distante dal centro: amava vedere quelle famiglie felici, quei bambini che correvano a perdi fiato rincorsi dai propri cani e addirittura aveva notato che la maggior parte delle razze che era riuscito riconoscere, appartenevano tutte ai Labrador. 
Era sorprendente come fosse attento ad ogni più piccolo particolare, ogni sorriso, ogni abbraccio e forse non lo dava a vedere, ma avrebbe tanto voluto anche lui quella vita. E chissà se questo era il motivo per il quale ogni pomeriggio, come un appuntamento ormai fisso e quotidiano, quasi irrinunciabile, si trovava li, con la sua sigaretta tra le mani, a contemplare quella tanto felice realtà. 
Ma pensandoci, ora iniziava a ricordarsi come aveva iniziato a fumare. 
Era stato un giorno come un altro, a scuola: alcuni dei suoi amici gli avevano chiesto di fare un giro per saltare il compito di matematica e lui aveva accettato. 
Bastò solo fare attenzione a quel semplice ma per lui "nuovo" gesto di prendere un accendino, una sigaretta tra le dita e accenderla. E lui in un certo senso sapeva che era sbagliato ma il suo sguardo verso quei suoi compagni, sembrava dare tutta l'idea di ammirazione, anche se forse questo è il termine più sbagliato. Ma lui "ammirava" come sorprendente riuscissero a sembrare più grandi di almeno 10 anni solo fumando, e aveva intuito che forse era proprio per questo che lo facevano. 
"Tu fumi?" gli chiese uno del gruppo.
"No." gli rispose, quasi timoroso di sembrare fuori moda o addirittura "anormale".
"Questo è il tuo giorno fortunato. Ho una sigaretta in più oggi." e a lui era sembrato quasi un ordine più che un invito. Il ragazzo del gruppo gli porse una sigaretta con un enorme sorriso stampato sulle labbra. 
"No... Io..." cercò di farfugliare qualcosa ma il solo sguardo del suo compagno lo intimorì.
"Non ti hanno insegnato che rifiutare un'offerta è maleducazione?" gli chiese ridendo.
E in realtà non ci volle molto ad imparare, quasi niente. 
Una, due, tre sigarette ogni volta che aveva bisogno di rilassarsi.
Una, due, tre sigarette ogni volta che aveva bisogno di distrarsi.
Una, due, tre sigarette ogni volta che aveva bisogno di allontanarsi da tutti e da tutto, confondendo quel fastidioso insieme di voci a lui familiari che continuavano a parlargli e parlargli nello stupido e vano tentativo di cambiarlo, nel fumo di quelle sue sigarette. 
Ma ad interrompere i ricordi della sua tanto 'amata' adolescenza, fu lo squillo del cellulare. Seccato, spense la sigaretta ormai diventata un mozzicone e rispose.
"Pronto."
"¡Hijo! Dove sei? Ti ho cercato dappertutto! Tra meno di mezz'ora hai l'appuntamento con la nuova psicologa!" gli gridò una voce femminile dall'altra parte. Riconobbe subito l'accento spagnolo ed il suo modo di chiamarlo: era sua madre. Era ormai abituata a chiamarlo "¡Hijo!" ovvero "Figlio", anche se a lui dava un enorme fastidio.
"Por Dios mamá, perchè stai urlando? Ci sento benissimo!"
"Mi avevi promesso che stavolta ti saresti impegnato a darmi una mano per aiutarti, che ci saresti andato, ma come sempre sparisci. Quando deciderai di smetterla con questa storia?"
"Te l'ho promesso e lo farò. Ora lasciami in pace."
"D'accordo, d'accordo! Vuoi... vuoi che venga con te?" gli chiese, quasi timorosa di cosa avrebbe risposto. Sapeva che gli avrebbe detto di no, come tutte le volte che aveva provato a chiederglielo, ma dopotutto sperava sempre di sentire un "Si", un tanto atteso e bisognoso "Si".
"No mamá, non ho bisogno che tu venga con me." le rispose, forse più freddo e distaccato del solito.
"Va bene, come sempre. Ora va e non fare tardi. Te quiero." gli rispose, con una punta di rassegnazione nella voce, e staccò.
Ormai sembrava essere una delle sue doti più 'forti' quella di essere freddo e distaccato con le persone, soprattutto con sua madre, e questo faceva parte dei quesiti che gli psicologi dai quali era stato si ponevano. Ma a quanto pare nessuno di loro era ancora riuscito a darsi e a dare a sua madre una risposta. 
Ma a lui non sembrava importare di sua madre, del suo brutto comportamento, ne di quello che gli psicologi pensavano di lui. Non gli era mai importato e ad ogni seduta sapeva solo stare zitto, giocherellare con una sigaretta tra le dita, che subito dopo avrebbe sicuramente fumato, e ridere, quasi come se stesse vivendo in una barzelletta.
Diede un ultima occhiata al suo tanto amato parco, notando che ora iniziava a farsi molto più affollato di prima e ciò non lo rallegrava, odiava la folla. Ormai deciso ad andare, si incamminò verso la sua moto, poco distante, e partì.


Spazio Autrice:
Bene, se siete arrivati alla fine di questo prologo significa che lo avete letto tutto, e se lo avete letto tutto significa che un pochino ino ino vi interessava, e se... No, d'accordo, cercherò di smetterla e fare la seria. Beh avevo promesso che a breve avrei pubblicato una nuova fanfic ed eccola qui. Certo, questo è solo il piccolissimo inizio di tantissime idee, o come ben sapete, scleri di fantasia che mi stanno passando per la testa. Vi dirò, riguardo alla trama ho provato ad immaginarmi una Demi Lovato del tutto differente, voglio dire, non nei soliti panni della famosa cantante ma di... No ma questo se non lo avete ancora capito, lo scoprirete. 
Beh, ci terrei tantissimo a leggere vostre opinioni o consigli perchè come sapete, non sempre posso essere brava e spero tanto che seguirete questa nuova fanfic come le altre.
Un bacio graaande graande!
TeenAngelita_92


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


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1.
17:00
Era arrivato giusto in tempo. 
Ciò risultava essere alquanto sorprendente per lui, poichè era suo solito arrivare sempre con almeno mezz'ora di ritardo ad ogni appuntamento. 
Spense il motore e lentamente tolse il casco. Si ritrovò davanti ad uno di quei tanti palazzi che aveva già visto molte volte ed inevitabilmente il suo umore, già cattivo, peggiorò. 
Non c'era sicuramente niente di nuovo in quello che oggi avrebbe fatto, pensò: entrare in uno di quei bianchi e spaziosi studi vuoti, dove uno 'strizza cervelli' ti fa gentilmente accomodare iniziando a farti il terzo grado. Si, dopotutto sembrava essere diventata un'abitudine o un' "attività" da svolgere almeno una volta alla settimana per lui.
Rise tra se e se a questo pensiero, ripensando a tutti gli psicologi che aveva preso in giro facendo perdere loro del tempo prezioso. 
Deciso ad andare, si incamminò verso l'entrata. 
Si ritrovò subito davanti ad una quasi infinità di scale, che sembravano portare tutte a stanze o comunque studi differenti. 
"Posso aiutarti ragazzo?" interruppe i suoi pensieri un anziano signore. Sembrava dare tanto l'idea di un portiere, o comunque qualcuno che si occupa di dare informazioni. 
"Si. Ho un appuntamento con la Dottoressa Lovato. Sa dirmi tra quest'infinità di studi qual è quello giusto?" chiese con aria scocciata.
"Terzo piano a destra." gli rispose e senza neanche un minimo segno di gratitudine, si avviò per le scale. 
Arrivato al terzo piano, si ritrovò in un atrio alquanto piccolo e leggermente affollato.
"La giornata non poteva iniziare meglio" pensò. Odiava la folla, ed il solo pensiero di dover aspettare il suo turno, gli faceva saltare i nervi. 
Si avvicinò allora alla piccola reception, dietro la quale una giovane ragazza bionda, con un camice bianco, avrebbe potuto aiutarlo ad avere informazioni.
"Mi scusi. Ho appuntamento con la Dottoressa Lovato per le 17:00. Potrebbe dirmi cortesemente dove andare?"
"Attenda in sala d'aspetto. La dottoressa sarà da lei il prima possibile."
Attendere in sala d'aspetto? Per quale motivo avrebbe dovuto attendere se il suo appuntamento era stato fissato per le 17:00? Cos'era, uno scherzo?
"Per quale motivo dovrei aspettare? Il mio appuntamento era stato fissato per le 17:00 e se il mio orologio non mi prende in giro, ora sono le 17:00" ribattè, leggermente irritato.
"Sa, non è l'unico come vede che ha bisogno di aiuto e i pazienti non possono avere un tempo limitato per i loro bisogni. Ora, se vuole si siede e attende altrimenti nessuno la trattiene." rispose decisa la ragazza. Cosi decisa da zittirlo e mandarlo a sedere, seppur frustrato, su una di quelle solite sedie rosse tutte attaccate tra loro. 
Dopo solo qualche minuto, il cellulare prese a squillare.
"Si, pronto!" rispose, ma già sapeva che quell'ennesima telefonata in un solo giorno, apparteneva ancora a sua madre.
"¿Entonces?"
"¿Dios mio mamá, que quieres ahora?" le aveva quasi gridato sottovoce.
"Voglio solo sapere se sei già li! Conoscendoti so per certo che saresti stato capace di non presentarti neanche a questo appuntamento!"
"Si, sono già qui, d'accordo? Ora vuoi chiamarmi anche durante la seduta? Almeno cosi partecipi anche tu, che ne dici?"
"Sai che ti chiamo continuamente solo perchè voglio essere sicura che tu non mi prenda in giro dopo le innumerevoli volte che lo hai fatto!"
"Cosi facendo, di certo ricomincerò a farlo!" le aveva risposto e se anche quelle sue parole sembrassero cosi cattive e fredde verso sua madre, lei ormai si era abituata, quasi non le faceva più male subire quel comportamento dal suo stesso figlio. 
"¡Està bien, està bien! Dopotutto non è una novità che non fai altro che prendermi in giro e da ciò che riesco ad intuire, non smetterai mai di farlo."
Senza neanche che lui se ne rendesse conto, la sua discussione con sua madre sembrava essere diventata ormai disponibile all'orecchio di tutti. 
"D'accordo, hai finito? Ora avrei un appuntamento da levarmi dalle scatole." le disse e senza neanche darle il tempo di rispondere, riattaccò.
Prese a fissare le sue mani che improvvisamente avevano iniziato a sfregare l'una contro l'altra con rabbia ed agitazione. Forse non lo dava a vedere ma odiava litigare con sua madre, seppur lo faceva molto spesso, non era una cosa che gli faceva piacere, ma ogni volta sembrava inevitabile. 
"La dottoressa è pronta per riceverla." la voce della giovane ragazza alla reception lo fece sobbalzare. Era il suo turno ora.
Si alzò e titubante si avvicinò. Bussò, gli bastarono solo due o tre colpi per attirare la completa attenzione della dottoressa.
"Si, avanti." l'aveva invitato una voce che poteva definire quasi rassicurante e dolce, dall'altra parte della porta. Nessuna voce, di tutte quelle che nella sua intera vita aveva udito, era mai riuscita a fargli quell'effetto.
"Salv.." cercò di dire entrando del tutto e chiudendosi la porta alle spalle. Ma le ultime lettere di quel semplice saluto gli morirono in bocca, quando il suo sguardo potè vedere l'identità della dolce voce che aveva udito pochi istanti prima. 
Capelli lunghi e mossi. Erano castani e leggermente più chiari verso le punte. I suoi occhi scuri. Il suo viso giovane e luminoso. Indossava anche lei un camice bianco. Notò le sue gambe coperte solo da un sottile strato di calze, evidentemente indossava una gonna sotto quel convenzionale abito bianco. Lei era giovane, molto giovane e di certo non se lo sarebbe mai aspettato.
Quanti anni avrebbe mai potuto avere? Lui era ormai abituato a quegli adulti o addirittura "anziani" psicologi per niente simpatici e leggermente brutti. Ed inoltre non era mai stata una donna a seguirlo, mai.
"Non ha mai visto una psicologa in vita sua?" chiese lei con fare ironico, e un piccolo sorriso sulle labbra.
Certo che ne aveva visti psicologi in vita sua, tanti e forse anche troppi, pensò tra se e se. Ma qualcosa in lei era diverso, non sapeva ancora con esattezza cosa, ma era diverso.
"Ne ho visti anche abbastanza in vita mia" rispose, con quel suo solito tono freddo e distaccato.
"Accomodati. Posso darti del tu?" chiese gentile, sedendosi sulla sua scrivania. 
Lui annuì, quasi disinteressato, e si sedette sulla piccola poltrona bianca poco distante.
"Io sono la Dottoressa Lovato" iniziò presentandosi "Ma questo tu già lo sai."
Lui annuì ancora, ormai aveva iniziato a fare ciò che faceva con tutti gli altri, tutte le volte. 
"Il dottor Scott mi ha molto parlato di te, Andres." lo informò, ma lui non sembrò molto interessato. Prese dalla sua tasca una sigaretta e con leggerezza iniziò a giocherellarci. 
"Tu fumi?" chiese lei, ma stranamente non sembrava essere sorpresa.
"Si" le rispose dopo qualche secondo.
"Quante al giorno?" gli chiese ancora, alludendo al numero di sigarette.
"Beh non ne ho idea, non le ho mai contate." rispose scrollando le spalle e ridendo.
"Sul serio non ne hai idea?" 
"Ho bisogno di fumare, non di contare le sigarette che fumo ogni giorno" rispose, ma ora il suo precedente sorriso era sparito, e quelle strane domande iniziavano a dargli un certo fastidio.
"Quindi hai bisogno di fumare." disse, quasi come fosse un pensiero detto ad alta voce "Cos'è che ti da il fumo che gli altri non riescono a darti?"
Restò in silenzio e notò che il suo sguardo non si era mosso un solo attimo da lui, neanche per distrazione. Nessuno lo aveva mai guardato cosi attentamente, cosi... No, non sapeva spiegarlo. 
"D'accordo. Quanto tempo mi da per rispondere al terzo grado che inizierà a farmi?" le chiese, abbassando lo sguardo verso le sue mani che avevano ripreso a sfregare come dopo la discussione con sua madre. Non riusciva a guardare i suoi occhi come lei stava ormai facendo dall'inizio della conversazione. Perchè?
"Io non do un limite di tempo ai miei pazienti e non è mia abitudine fare il terzo grado"
"Ah.. Ma certo." rispose, ancora ridendo, come ormai faceva sempre.
Passarono solo alcuni attimi di puro silenzio e lui ebbe tanto la sensazione di essere osservato, studiato in ogni più piccolo particolare. 
"Prova a guardarmi un attimo negli occhi" gli chiese, e quella sua richiesta sembro imbarazzarlo. Perchè gli stava chiedendo di guardarla negli occhi?
"Che significa?" chiese, ma il suo sguardo era ancora basso. E lui ancora si stava chiedendo il perchè.
"Continui ad evitare il mio sguardo. Di cosa hai paura?" gli chiese ancora. Quella sua voce rassicurante e quelle sue parole che sembravano contenere tanta dolcezza e bontà.
"Che ne dice di fare semplicemente come tutti gli altri?" cercò subito di cambiare discorso, scacciando quei stupidi pensieri dalla sua testa. 
"Io non sono 'tutti gli altri'." rispose lei, ed ora sembrava essere seria, molto più di prima, seppur tranquilla e per niente irritata da quel suo comportamento.
"Tra lei e tutti quelli da cui sono stato non c'è molta differenza, siete tutti uguali."
"Sei tu ad essere uguale con tutti. In questo modo tutti saranno uguali per te." e quella semplice affermazione sembrò zittirlo. La seconda volta in un giorno, pensò, nessuno ci era mai riuscito.
"Sa, forse ha ragione. A differenza di tutte le altre volte, oggi è molto più divertente."
"Non ti sto raccontando nessuna barzelletta, ne una battuta per la quale ridere a crepapelle. Non capisco perchè tu ti diverta cosi tanto." ribattè sicura "E vorrei che tu rispondessi alla mia domanda: Cos'è che ti da il fumo che gli altri non riescono a darti?" gli ripetè e stavolta sembrava voler davvero ricevere una risposa. 
E lui avrebbe benissimo potuto stare zitto e continuare a giocherellare con quella sua sigaretta tra le dita, oppure continuare a rispondere alle sue "provocazioni", ma invece no, decise di fare tutt'altro.
Si alzò bruscamente dalla poltrona sulla quale era seduto, prendendo il casco che aveva appoggiato ai suoi piedi. Si diresse velocemente alla porta. Bastò solo il suono della sua voce a fermarlo, solo quella sua voce. 
"Non è cosi che risolverai i tuoi problemi, sai. Potrai scappare, evitarmi ed evitare le mie domande o i miei tentativi di aiutarti, ma non risolverai niente" gli disse, e nonostante non potesse vedere il suo viso poichè di spalle, sapeva perfettamente l'identità della sua espressione: sapeva che i suoi occhi stavano bruciando di rabbia, fissi su un qualunque punto della stanza, il suo respiro pesante e forte mentre una delle sue mani sembrava stringere un po' troppo forte il suo casco.
"Domani." gli disse infine "Domani ti aspetterò. Abbiamo un altro incontro e so che verrai." 
Dette quelle ultime parole, uscì velocemente, sbattendo forse un po' troppo forte la porta alle sue spalle. Si diresse frettolosamente alla sua moto e quasi come un segno di rabbia, diede un calcio ad una ruota, gettando con forza il casco da qualche parte intorno a lui.
Era incredibile come la sicurezza di quella donna potesse dargli cosi tanto fastidio. 
"So che verrai"
Quelle parole continuavano a martellargli la testa. Cos'era, una sfida? Voleva metterlo alla prova? Era un test?
"¡Maldita sea!" gridò a se stesso mentre cercava invano di accendere la sua sigaretta.
Per la prima volta, a differenza di tutti gli psicologi dai quali era stato, quella donna era riuscita a provocargli qualcosa. Seppur si trattasse di rabbia e fastidio, ci era riuscita e sembrava essere cosi sicura di ciò che diceva. Come poteva essere certa del fatto che l'indomani ci sarebbe sicuramente andato? E perchè voleva tanto sapere cosa gli dava il fumo che gli altri non riuscivano a dargli? 
Restò li, seduto sulla sua moto a pensare per un tempo che gli sembrò quasi infinito. Provò a darsi rispose che in realtà non risolvettero i suoi dubbi. Quell'incontro lo aveva confuso completamente. Quella donna lo aveva confuso completamente. Ma forse, anche se l'idea non lo allettava, lei sarebbe potuta essere l'unica in grado di aiutarlo ad eliminare completamente quella sua confusione.
Ormai rassegnato, decise di andare. Si sistemò sulla sua moto, accese il motore e nel momento in cui provò ad indossare il casco, leggermente danneggiato dopo essere stato gettato da lui stesso a terra, la vide uscire. Si, la dottoressa Lovato.
Involontariamente iniziò a seguirla con lo sguardo, i suoi occhi sembravano volerlo riportare forzatamente a lei. Non indossava il suo camice bianco, e Andres si sorprese di vedere quanto stesse bene senza. La vide avvicinarsi ad un'auto poco distante. Notò un uomo all'interno, forse leggermente più grande di lei ma non troppo. La vide entrare e regalargli un dolce e lungo bacio, uno di quelli che aveva potuto vedere solo nei film. 
E per un solo attimo, desiderò essere al posto di quell'uomo, o di qualunque altro uomo nell'intero pianeta che avesse avuto al suo fianco qualcuno da amare. 


Spazio Autrice:
BuoonSaalve (?) No, non fateci caso. 
Sono felicissima di aver ricevuto vostre opinioni sul prologo e beh, non vedevo l'ora di postare il primo capitolo. Inoltre entro oggi aggiornerò anche l'altra storia. Ultimamente ho cosi tanta voglia di scrivere, sarà perchè finalmente l'incubo scolastico è finito (finally!) e ho tutto il tempo per elaborare (che parolone) i miei scleri di fantasia. Buona lettura.
Un bacio graaaaande. 
TeenAngelita_92

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


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2.
"Hey, amico! Dammene un altro." urlò leggermente, rivolgendosi al barista.
Non era sua abitudine la sera girare per i vari locali della città. In realtà non ne era mai stato il tipo, e molti si stupivano di questo. Dopotutto, non per forza un ragazzo con un carattere come il suo doveva girare per tutti i locali della città ad ubriacarsi come se non ci fosse stato un domani. 
Ma quella sera sentiva di averne bisogno: sentiva il bisogno di dover dimenticare tutto, anche per un solo attimo. Sentiva il bisogno di dover dimenticare l'incontro con quella donna, bisogno di dimenticare quella donna. 
"Ecco a te" lo distrasse il barista, porgendogli l'ennesimo bicchierino con all'interno del liquido a lui del tutto sconosciuto, ma in fondo non gli importava.
"¡Dios!" esclamò strizzando gli occhi quando un sapore leggermente amaro gli invase la bocca. 
"Tutto bene?" chiese sorridendo, non sembrava davvero preoccupato per lui.
"¡Estoy bien!" gli rispose, ma il barista non capì.
Si allontanò, cercandosi un posto per sedersi in mezzo a tutta quella folla. L'alcool che aveva bevuto iniziava a fare il suo effetto.
"Hey imbranato! Guarda dove metti i piedi, maledizione!" gli gridò uno, spingendolo. Involontariamente gli aveva pestato un piede. Non riuscì subito a distinguere la sua figura, ma era ancora abbastanza lucido per rendersi conto delle sue più che grandi dimensioni, sicuramente uno di quei grandi e muscolosi palestrati che non fanno altro che darsi arie e mettere paura alla gente. 
"Non l'ho fatto apposta, d'accordo?" gli gridò a sua volta, la musica aveva iniziato a stordirlo.
"Levati dalle scatole prima che ti riduca in un ammasso di ossa rotte!"
"E' solo questo che sapete fare voi, no? Dire queste stupide frasi convenzionali che vi assicurano di avere la meglio su chiunque!"
"Senti, è meglio che tu te ne vada."
"Avanti, visto che ci sei perchè non provi a farmi paura come fai con tutti gli altri? Sono curioso di vederti!"
Lo stava chiaramente provocando, ma in realtà non ce l'aveva un vero motivo, non sapeva neanche il perchè, voleva solo picchiarlo o molto probabilmente farsi picchiare.
"Non mi metto a picchiare uno stupido imbranato completamente ubriaco!"
"Tu credi che io sia ubriaco? Sul serio? Avanti, prova a mettermi paura! Cosi grande e grosso ma con un cervello grande quanto una pallina da tennis." 
E quella fu l'ultima cosa che riuscì a dire prima che un pugno lo colpisse in pieno stomaco. Uno, due, tre pugni. Sono forti e l'aria inizia a mancargli. Prova a difendersi e sente le nocche della sua mano bruciargli, forse è riuscito a colpirlo. 
La gente intorno a loro non fa altro che incitarli e ammirarli senza fare niente. 
Tre, quattro, cinque pugni. Uno l'ha preso in pieno volto. Le labbra iniziano a bruciargli terribilmente. Sei, sette... Ed ancora, il suo corpo sembra essere diventato improvvisamente un bersaglio di gomma da poter colpire per sfogo. Otto, ed ancora... ancora, fin quando i suoi occhi, ormai stanchi e appannati si chiudono. E' buio ora.
-
"¡Andres, Andres! Soy tu mamá..." provò a svegliarlo sua madre.
Era stata lei a riportarlo a casa e a prendersi cura di lui, dopo che la polizia gli aveva praticamente salvato la vita. 
"Andres..." continuò. Si era svegliato ed aveva sentito la voce di sua madre chiamarlo, ma ogni tentativo di aprire bocca o di muovere un qualunque arto del suo corpo, sembrava essere vano.
"M-mamá..." riuscì solo a farfugliare, e quasi come una scossa, il solo movimento delle labbra, diede inizio al bruciare del suo corpo, quasi come se avesse dormito su un fuoco. 
"Dio ti ringrazio." esclamò lei, accarezzandogli delicatamente il viso.
"Come...Come sono arrivato qui?"
"Non importa tesoro, l'importante è che tu ora stia bene." lo rassicurò, continuando ad accarezzargli il viso, quasi come a voler alleviare le sue sofferenze. "Sai, ieri sera mi ha chiamato la tua nuova psicologa. Mi ha detto che il vostro primo incontro è andato bene, e che oggi avreste dovuto rivedervi, ma l'ho già chiamata per avvertirla che non ci saresti andato, non in queste condizioni." gli confessò, con un enorme sorriso sulle labbra.
Il loro primo incontro era andato bene? Le aveva davvero detto che era andato bene?
"C-cosa?"
"Si, e sono cosi felice che tu abbia deciso di impegnarti, e stavolta sul serio" continuò. Non aveva mai visto il suo sorriso cosi bello e vero.
"No, no mamá, yo.." provò, con l'intenzione di dirle la verità, ma per quanto lui potesse essere freddo e distaccato verso sua madre, non voleva rovinare quel meraviglioso sorriso che aveva, non ci sarebbe mai riuscito.
"Si hijo, créeme, es asi."
"Devo andare, d-devo andare all'appuntamento oggi, devo andarci." disse, affrettandosi ad alzarsi dal suo letto, nonostante il suo corpo non volesse proprio saperne.
"Andres ma non puoi! Non in queste condizioni!"
"Si, posso, devo andarci." continuò a ripeterle, mentre, con il viso tormentato da smorfie di dolore, provò a vestirsi. Sentiva di dover andare da lei, doveva chiederle spiegazioni, doveva sapere che cosa significasse tutto ciò che aveva detto a sua madre.
"Andres..." provò ancora a fermarlo, ma lui la interruppe.
"Ci vediamo dopo." le disse semplicemente, ed uscì.
In quelle condizioni non avrebbe sicuramente potuto guidare la sua moto, e deciso, si affrettò a prendere un taxi. Tutto quello che stava accadendo gli sembrava troppo strano. Perchè quella donna aveva detto a sua madre che il loro primo incontro era andato bene? Per quale motivo se in realtà era stato un disastro? Cosa ci avrebbe guadagnato a prenderla in giro? 
"Siamo arrivati" lo avvertì il tassista, distogliendolo completamente dai suoi pensieri.
Si affrettò a pagarlo e a scendere dall'auto senza neanche un minimo cenno di saluto.
"Dio... le scale." esclamò quando si ritrovò davanti all'infinità di studi che aveva visto il giorno prima. Era certo di non poter salire tutte quelle scale, ma per sua fortuna un'ascensore esisteva. Lo prese e nel giro di qualche secondo di ritrovò al terzo piano.
L'atrio sembrava essere molto meno affollato del giorno prima, questo lo sollevò. 
"Mi scusi" disse riferendosi alla ragazza bionda della reception. Lei si rese subito conto delle sue non buone condizioni. Si teneva il busto con una mano mentre di tanto in tanto provava a non sforzare troppo la bocca per parlare, poichè ogni lettera che pronunciava rappresentava bruciore, in ogni parte del suo corpo.
"La prego, ho bisogno di parlare con la Dottoressa Lovato." quasi la implorò, anche se l'idea di doverlo fare non sembrava piacergli.
"Si calmi, venga a sedersi, posso aiutarla a..." iniziò a dirgli la giovane ragazza, probabilmente con buone intenzioni.
"No, Dio.. non ho bisogno d'aiuto, devo vedere la Dottoressa Lovato!" 
E quasi come se l'avesse chiamata, solo pronunciando il suo nome, la porta del suo studio si aprì.
"Janet fai entrare il pross..." le ultime lettere gli morirono in bocca quando sotto la sua visuale arrivò Andres.
"Andres..." quasi sussurrò a se stessa, avvicinandosi a lui.
"A che gioco sta giocando? Eh?" le chiese alludendo a ciò che aveva detto a sua madre, non curandosi neanche delle persone presenti che ormai avevano preso a fissarlo.
"Andres, è meglio se entriamo nel mio studio."
"Ah, avanti che vuole fare? Ricominciare con quelle sue stupide domande alle quali non risponderò?"
"Ti prego, vieni." gli disse, non ascoltando minimamente le sue parole. 
Afferrò delicatamente il suo busto per aiutarlo ad entrare, e lentamente lo fece stendere sul piccolo lettino bianco poco distante. Lui non oppose resistenza, non ne avrebbe avuto la forza.
"Agh.." gemette per il dolore quando la sua schiena si distese completamente.
"Cosa diavolo avevi intenzione di fare? Farti uccidere per caso?" gli chiese, non appena ebbe chiuso la porta alle sue spalle.
"Perchè ha detto a mia madre che il nostro primo incontro era andato bene? Perchè vuole prenderla in giro?" le chiese, non curandosi minimamente della sua domanda.
Restò in silenzio per qualche secondo, solo il tempo di avvicinarsi e "studiare" tutte quelle ferite che ora stavano torturando il suo corpo.
"Ti ha sorriso mentre te lo diceva, non è cosi?" gli chiese improvvisamente.
Come faceva a saperlo? Come poteva essere possibile? 
"Cosa diavolo sta cercando di fare? Farmi credere che se mi impegnerò in ogni incontro andrà tutto bene? Che sarò finalmente felice? Eh? E' questo?"
"Ti ha sorriso. Certo che lo ha fatto." ripetè, cosi tanto sicura di se. 
"Ah, Dio! Cos'è questa? Una prova? Un test? Io.. Agh!" gemette ancora. La sua rabbia sembrava essere salita al massimo, ed ogni fibra del suo corpo dolente, sembrava volerlo incitare.
"Dovresti calmarti, tutta questa rabbia non ti farà stare meglio."
"Ah, certo." rise debolmente "Mi farà stare meglio darle ascolto? Credere alle promesse che inizierà a farmi non appena sentirò il bisogno di dover chiedere aiuto? Eh?"
Il suo respiro stanco e troppo veloce. Il suo cuore deciso ad uscirgli dal petto. Il suo corpo completamente inerme ed impotente. Per la prima volta sentiva di essere allo stremo delle forze, nella completa impossibilità di ribellarsi a qualunque cosa, come aveva sempre fatto e voluto fare.
"Voglio solo essere lasciato in pace, da tutti voi."

Spazio Autrice:
Buonaseraaa (?) Vi abituerete ai miei modi di salutare, tranquilli.
Beh tanto per iniziare, solo il primo capitolo e già 8 recensioni. Voi non potete immaginare quanto io ne sia felice, è un vero traguardo per me, è.. semplicemente fantastico. E sappiate che riprenderò a ringraziarvi costantemente, perchè, davvero... Grazie! Tengo anche a ringraziare (di nuovo, e so che forse avrò rotto tanto le scatole) eliss 17 per avermi fatto notare alcuni errori nel capitolo precedente. 
Eeeennulla (?) Nuovo capitolo e spero vi piaccia tanto quanto il precedente.
Un bacione graaande!
TeenAngelita_92

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


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3.
"Janet, si è fatto tardi. Va pure a casa, ci vediamo domani."
"Ne è sicura dottoressa? Potrei ancora restare, per me non è un problema."
"Sta tranquilla, appena avrò finito andrò a casa anch'io. Ora va."
"Va bene. A domani dottoressa."
"A domani Janet."
Si era appena svegliato, e il primo suono che aveva attirato la sua completa attenzione era stata la sua voce, la sua dolce e rassicurante voce. Sentì la porta chiudersi e intuì che Janet, probabilmente la giovane ragazza alla reception, se ne era andata. Provò con le mani a tastare il piccolo lettino dove ora si trovava, e capì che era ancora nel suo studio. Gli sforzi che aveva fatto quella mattina l'avevano evidentemente stancato, tanto da fargli perdere i sensi e chiudere gli occhi. Ma ripensandoci, l'idea di aver dormito per tutto quel tempo nel suo studio, non gli piacque affatto.
"Agh..." gemette quando provò ad alzarsi per andare via.
"Andres." lo chiamò, e per l'ennesima volta bastò solo la sua voce a fermarlo. 
Ma come poteva solo il suono della sua voce riuscire a fermarlo? A fermare tutte le sue imminenti azioni? Si voltò verso di lui e si avvicinò per fermarlo.
"Stenditi, per favore." e se quello doveva sembrare un ordine, per Andres non lo fu. 
Per Andres fu solo l'ennesima occasione che i suoi pensieri ebbero per tornare a confonderlo: quelle sue parole piene di preoccupazione e buone intenzioni. 
"Mi lasci in pace" le disse freddamente, ma forse voleva solo dirlo a quei suoi pensieri ancora intenzionati a confonderlo.
"Andres, guardami." gli chiese, e stavolta sembrava essere davvero un ordine. 
Ma perchè mai doveva guardarla? Perchè glielo stava chiedendo? Perchè ancora una volta?
"Perchè continua a chiedermi di guardarla?" le chiese, ma solo allora si accorse di avere lo sguardo basso, come ormai aveva iniziato a fare dal loro primo incontro. Ora forse capiva il perchè.
"Continui ad evitare il mio sguardo. Guardami." gli ripetè ancora, ma non servì a fargli cambiare idea.
"Devo tornare a casa.. D-Devo..." provò ancora ad alzarsi, già consapevole che non ci sarebbe riuscito. "¡Dios!" si stinse involontariamente il busto quando un dolore lancinante prese il completo possesso del suo corpo, con la disperata intenzione di poterlo alleviare e riuscire ad andarsene. 
"Andres!" richiamò il suo nome e stavolta obbligandolo a guardarla: gli prese stretto il viso tra le mani e lo alzò, quel poco che bastava per poter conoscere meglio i suoi occhi. I suoi occhi..
Quelli che ora, contro la sua volontà, le stavano mostrando ciò che davvero era, ciò che aveva sempre cercato di nascondere.
Quelli che ora sembravano spaesati, incapaci di fissare i suoi per qualche strano motivo.
Quelli che ora sembravano voler chiedere aiuto, contro ogni suo capriccio e intenzione di non farlo.
"Stenditi." gli ripetè con tono tranquillo e calmo, allentando la presa del suo viso. 
Distolse lo sguardo dal suo, quasi come se si fosse pentita di quella sua improvvisa reazione, quasi come se ciò che aveva visto nel suo sguardo le sembrasse strano, o la spaventasse. 
"Perchè mi ha lasciato dormire? Perchè non mi ha svegliato?" le chiese, cercando di cambiare completamente discorso.
"Eri stanco. Hai iniziato a gemere nel sonno. Qualcosa ti faceva terribilmente male ma non sono riuscita a capire cosa. Come avrei potuto svegliarti?" gli rispose, allontanandosi.
"E tutti i suoi..."
"I miei pazienti? Gli ho cortesemente chiesto di tornare a casa, cosi come Janet, la ragazza alla reception." lo informò, ancor prima che lui potesse chiederglielo.
"Cos'è? Una delle sue buone azioni quotidiane queste? Avrebbe dovuto svegliarmi e.."
"Tu vuoi a tutti i costi che le persone ti trattino male. No?"
"Sa perfettamente che ricominciare a farmi domande non la porterà da nessuna parte."
"Sono le tue risposte e questo tuo comportamento a non portarti da nessuna parte." gli rispose, e lui restò in silenzio, anzi, entrambi restarono in silenzio dopo quello scambio di battute alquanto provocatorie.
"Lascia che veda le tue ferite." gli chiese avvicinandosi. Perchè voleva vedere le sue ferite? A cosa gli sarebbe servito?
"Vuole farmi da medico ora?" rise a quella sua affermazione, ma in realtà il solo pensiero che lei potesse vedere il suo corpo sembrò spaventarlo.
"Voglio solo aiutarti."
"Non ho bisogno d'aiuto."
Lei si avvicinò, del tutto incurante di ciò che aveva appena detto. Prese le sue mani. Notò che una delle due sembrava bruciargli, era ferita.
"Sei stato tu ad iniziare?" gli chiese, accarezzando delicatamente con un dito le sue nocche.
"Che?" ritirò leggermente la mano alla nuova sensazione di bruciore e piacere che stava provando.
"La tua mano è ferita. Devi aver dato un pugno molto forte." notò, spiegandogli.
"Ma evidentemente è l'unica cosa che ho fatto per difendermi." le disse, alludendo al resto dei lividi.
"Stenditi. Lascia che controlli il busto. Ti fa molto male a quanto vedo." e lui, senza dire neanche una parola, obbedì. Stava davvero facendo ciò che gli stava chiedendo senza controbattere? si chiese tra se e se. Adagiò completamente la schiena al lettino, ma stavolta il dolore sembrava essere sopportabile. Lei prese tra le mani l'orlo della sua maglia e lentamente iniziò ad alzarla.
"Perchè sta continuando ad aiutarmi?" le chiese, afferrandole leggermente una mano per fermarla. Ma lei, senza rispondergli, continuò.
"Dio... Chi ti ha fatto questo?" esclamò quando i suoi occhi potettero vedere i segni di quell'insistente dolore. Sfiorò delicatamente la sua pelle, ora di un colore viola, scuro.
"Non ha ancora risposto alla mia domanda" le fece notare, afferrando di nuovo la sua mano.
"E' il mio lavoro." gli rispose semplicemente, rivolgendogli lo sguardo.
"Questo non è il suo lavoro. Se davvero lo fosse stato, a quest'ora mi avrebbe già sbattuto fuori da quella porta, avrebbe chiesto un incontro con mia madre e le avrebbe spiegato che non è in grado di aiutarmi, che neanche la sua tanta esperienza è abbastanza per capire ciò di cui ho bisogno, che..."
"E' quello che hanno fatto tutti gli altri, no? E' quello che tu ora vuoi sentirti dire." lo interruppe, e dopo una breve pausa riprese "Tu non lo sai, non puoi saperlo, ma io conosco tutti gli psicologi che ti hanno seguito. Mi hanno parlato di te, e ancor prima di incontrarti sapevo che ti saresti comportato cosi. Dopotutto è ciò che hai fatto anche con loro no? Con tutti loro."
"Lei non sa niente" rise, debolmente.
"So abbastanza. Quanto basta per non fare lo stesso errore che hanno fatto loro, per  non arrendermi subito alle prime tue provocazioni, per non lasciarti sprofondare ancora di più in questa tua idea di non aver bisogno di aiuto."
"Queste sono cavolate. Presto anche lei si comporterà esattamente come tutti gli altri."
"Sei tu che vuoi che io faccia come tutti gli altri, sei tu che mi stai portando a farlo. E' facile non affrontare le tue paure, le tue sofferenze, far finta che non esistano e dare la colpa agli altri. Si, cosi è facile no?"
"Ah, avanti questa mi è nuova, nessuno me lo aveva ancora mai detto."
"Ti aiuterei se mi comportassi come loro? Se dicessi quelle inutili quanto convenzionali frasi di profonda delusione a tua madre e me ne lavassi le mani?"
Già, sua madre. Sapeva che ormai si era abituata a sentirle quelle parole, ormai era abituata a tutto anche se ogni volta quell'espressione delusa, disperata e triste era sempre sul suo viso, ogni maledetta volta. Ed il sorriso che quella mattina era riuscito a vedere, pensò, quello era il primo suo vero sorriso, il primo che le avesse visto splendere sulle labbra. Non poteva deluderla ancora, per quanto egoista potesse essere, non voleva distruggere quel magnifico sorriso. 
"Fidati di me. Scegli tu per quanto tempo, ma prova a fidarti di me."
"Lei... Lei è cosi decisa a volermi aiutare a tutti i costi, come se sentisse di doverlo fare per forza, come..."
"Perchè so di poterti aiutare! Andres so di poterlo fare, ne sono certa."
E lui restò in silenzio, restò in silenzio a quelle sue parole che ora l'avevano convinto davvero. Si era accorto sin dal loro primo incontro che c'era qualcosa di diverso in lei, qualcosa che tutti gli altri non gli avevano dimostrato di avere, qualcosa che ancora non sapeva definire con sicurezza. 
"C-cosa... Cosa vuole che faccia?" le chiese, abbassando lo sguardo.
"Voglio solo che tu ti fidi di me. Permettimi di conoscerti, di aiutarti." gli rispose, avvicinandosi "E guardami. Sono una persona normale, ho due occhi anche io, prova a guardarli ogni tanto." continuò sorridendo, e lo stesso fece lui. 
Già, sorrise. Il suo primo sorriso, il primo che le sue labbra avessero sentito davvero dopo anni ed anni. 
"D.. D'accordo."
"Inizieremo da domani. Faremo finta di non esserci mai visti prima, ricominceremo da capo. Okay?" gli chiese ancora, e lui annui semplicemente. "Ora, prima che tu vada a casa, ti va di raccontarmi chi ti ha fatto questo?"
Lui si abbassò l'orlo della maglia, si alzò per mettersi a sedere e la guardò.
"E' importante per lei saperlo?"
"E' importante per me saperlo per non permetterti di ritrovarti ancora in queste condizioni." gli rispose, e si sedette accanto a lui.
"Già..." sussurrò, quasi come a se stesso "Semplicemente ero ubriaco. Non ero mai stato in uno di quei locali dove la musica ti rompe i timpani, non mi sono mai piaciuti. Stavo cercando un posto per sedermi ma ho involontariamente pestato il piede ad un palestrato grande e grosso con un cervello simile ad una pallina da tennis."
"Ed è solo per questo che ti ha ridotto cosi? Perchè per sbaglio gli hai pestato un piede?" chiese, ma forse già sapeva che non era solo per quello.
"Odio i tipi come quello."
"E..?"
"L'ho provocato."
"Volevi farti picchiare?"
"Io non..." cercò di spiegarle, ma in realtà forse era vero. 
"Mi hai detto che non sei mai stato in posti del genere, che non ti sono mai piaciuti, ma ci sei andato, hai bevuto ed hai cercato di farti picchiare e senza difenderti minimamente perchè se solo tu l'avessi voluto avresti potuto farlo. Cos'è che volevi dimenticare?"
"Di... di che sta parlando?" le chiese ed inspiegabilmente il suo cuore prese a battere. Come diavolo aveva capito che era andato in quel locale per pensare ad altro? Per dimenticare?
"Hai lasciato che ti riducesse cosi. Perchè non hai provato a difenderti?"
"Io.. Io ci ho provato ma lui era molto più forte di me! Di cosa sta parlando?"
"Tu stesso hai detto che quel pugno è stata l'unica cosa che hai fatto per difenderti."
Già, era stato lui a dirglielo. Quelle erano parole sue, ricordò.
"N-no, io..." provò a giustificarsi, ma in realtà sapeva che tutto ciò che stava dicendo era vero, maledettamente vero. Ma non avrebbe potuto dirle che era andato li per dimenticarsi di quel loro catastrofico primo incontro, per dimenticarsi di lei.
"E' successo è basta, è stato solo una delle tante cavolate che ho fatto nella mia vita e.. Avanti, smettiamo di parlarne" le disse, di nuovo freddo e lei sorrise leggermente. Ora forse inziava a capire a cosa era dovuto quel suo comportamento.
"Tiri fuori questa parte di te quando qualcosa ti da fastidio, in questo caso le mie domande, dico bene?"
"Questo è ciò che sono, non ci sono altre parti di me.  Mi danno fastidio le sue domande, la sua sicurezza e questo studio cosi..."
"Cosi solito, convenzionale, bianco... L'hai visto cosi tante volte."
"Posso ritornare a casa ora?" le chiese, chiaramente stanco ed irritato.
"Va bene. Per oggi è già abbastanza essere riuscita a parlare con te per più di cinque minuti." gli sorrise leggermente e lui sollevato, si alzò definitivamente per dirigersi alla porta. Il tempo di riprendere le sue cose e spegnere tutto ed anche lei lo seguì.
"Come tornerai a casa?" gli chiese una volta arrivati all'uscita dell'edificio. "Voglio dire, ce la fai?" continuò, sembrava davvero preoccupata.
"Sono venuto con un taxi e me ne andrò con un taxi" le rispose, di nuovo freddo e distaccato.
"Se ti offro un passaggio lo accetti?" gli chiese, e lui restò in silenzio per un attimo. Notò che la stessa auto che il giorno prima la attendeva davanti all'entrata era di nuovo li, e con lo stesso uomo.
"Non ne ho bisogno." rispose fingendosi del tutto disinteressato.
E forse lei capì che si era accorto di quell'auto, che si era accorto di quell'uomo che il giorno prima aveva baciato con tanta dolcezza e amore, ma non ci pose molta attenzione.
"Mi prometti che stasera ritornerai a casa?" gli chiese, cambiando completamente discorso.
"Avanti, mi bastava già mia madre." rise debolmente guardando altrove.
"Non sto scherzando. Promettimi che andrai a casa." gli ripetè, e lui voltò ancora la sua attenzione verso quell'auto.
"Sono troppo stanco per provocare di nuovo qualcuno e farmi picchiare." le rispose facendola ridere leggermente.
"A domani allora." lo guardò, quasi come implorando una sua conferma.
"A domani" le rispose, e la vide allontanarsi e dirigersi verso la sua tanto attesa auto. I suoi occhi non sembravano voler cambiare soggetto e contro ogni sua volontà restò a guardarla, mentre regalava a quell'uomo un altro dei suoi baci, cosi dolci e pieni d'amore. L'auto si era ormai allontanata, abbastanza da poterla confondere nel buio della sera, ma lui era rimasto li, fermo.
Decise di andare al suo amato parco, li avrebbe avuto la possibilità di pensare meglio e di riordinare un po' di cose. Quel giorno non era potuto andarci ed era stata la prima ed unica volta, pensò. Era una cosa importante per lui non mancare mai a quel suo appuntamento ormai quotidiano, ma ora avrebbe fatto un eccezione.
Arrivato, si sedette su una delle tante panchine e con grande piacere notò che di sera era molto più silenzioso e rilassante. L'aria leggermente fresca gli accarezzava la pelle mentre tra le sue dita un'altra delle sue tante sigarette stava producendo fumo, quell'odore sgradevole che rendeva il paesaggio davanti ai suoi occhi ancora più misterioso e rilassante di quanto già non fosse, grazie al confondersi del grigio e del nero. 
Ne era convinto, l'indomani sarebbe tornato in quello studio, sarebbe tornato a sedersi su quella bianca quando odiosa poltrona ed avrebbe cercato di fare del suo meglio. Per sua madre, per se stesso, e forse anche per lei. 


Spazio Autrice:
Sono ritornata, sono ritornata, sono ritornataaa *saltella stile canguro sorridente*
No, ma voi sapete che non dovete farci caso, no? Ma certo che lo sapete. Insomma, mi sono presa un bel po' di giorni per aggiornare poichè mi hanno dovuto resettare il computer... Resettare il computer = Io in vena di omicidi. E vi dirò, ero sul punto di diventare un killer (scheeerzo) ma per fortuna mi hanno poi riportato il mio amato computer e... Ho dovuto rifare tutto da capo. Capitoli nuovi sia di questa sia dell'altra fanfic andati persi per cui ho dovuto rifarli. (E Dio, mi erano venuti cosi bene, una volta tanto) Ma ora sono qui, nuovo capitolo e nuovi, infiniti e grandissimi "Grazie" per voi che continuate a sostenere la mia pazzia ed i miei scleri di fantasia. Ora sparisco, giuro. Buoonissima lettura.
Un abbraccio grande.
TeenAngelita_92

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


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4.
"Fidati di me. Scegli tu per quanto tempo, ma prova a fidarti di me."
"Lei... Lei è cosi decisa a volermi aiutare a tutti i costi, come se sentisse di doverlo fare per forza, come..."
"Perchè so di poterti aiutare! Andres so di poterlo fare, ne sono certa."
"C-cosa... Cosa vuole che faccia?"
"Voglio solo che tu ti fidi di me. Permettimi di conoscerti, di aiutarti. E guardami. Sono una persona normale, ho due occhi anche io, prova a guardarli ogni tanto." 


Il suono della sveglia lo fece sobbalzare, ma molto probabilmente non fu quello ad interrompere il suo sonno. Si era svegliato più volte quella notte, si era alzato per sciacquarsi il viso e poteva quasi essere certo del fatto di aver bevuto almeno un'intera bottiglia d'acqua fredda. 
"Cosa diavolo mi sta succedendo?" si chiese tra se e se strofinandosi il viso ancora assonnato. Le parole di quella donna continuavano a rimbombargli nella testa, come un eco a cui difficilmente avrebbe potuto mettere fine. Davanti ai suoi occhi, continue scene della sera prima: il suo sguardo, il suo sorriso, il modo in cui dolcemente gli aveva accarezzato la mano ferita.
"Smettila Andres! Smettila!" continuò a ripetersi sottovoce e affondò completamente il viso nel cuscino. 
"¡Buenos días!" la voce di sua madre lo distrasse per un attimo "Dormito bene?" gli chiese avvicinandosi e sedendosi accanto a lui.
"Mamá, lasciami dormire." le rispose, con il suo solito tono freddo e scontroso. 
"C'è Alicia giù che ti aspetta. Oggi dovevate vedervi, non te lo ricordi?"
"Già, Alicia." pensò. Lei era la sua migliore amica. Erano amici da molto ormai, l'aveva conosciuta appena arrivato nella sua nuova casa. Era stata sua zia Beatriz a presentarli con la speranza che potesse nascere qualcosa tra di loro, ma in realtà entrambi sembravano essere più propensi ad un'amicizia. Era riuscito subito a legare con lei e ciò l'aveva sorpreso sin dall'inizio. Forse perchè anche lei prima viveva in Spagna, o forse perchè sembrava essere l'unica in grado di capirlo in quanto i loro caratteri erano praticamente uguali, tanto che se non fosse stato per i loro cognomi, avrebbero potuto benissimo sembrare fratello e sorella. 
"¡Dale! Non farla aspettare troppo, sai che come te le da fastidio" gli ricordò sua madre prima di alzarsi e andarsene. 
Per niente allegro dell'idea di doversi alzare, iniziò a vestirsi per poi dirigersi verso il bagno. Si sciacquò il viso, come se non l'avesse fatto già abbastanza volte quella notte. Prese a guardare la sua figura allo specchio: i lividi e le piccole ferite, seppur ancora evidenti, sembravano fare molto meno male del giorno prima. 

"Voglio solo che tu ti fidi di me. Permettimi di conoscerti, di aiutarti." 

Riprese ancora a pensare a quelle sue parole, ma stavolta volontariamente. Sembrava cosi sollevato e felice di quella sua proposta d'aiuto, anche se non lo dava a vedere. Per l'intera notte non aveva fatto altro che ripetere a se stesso quella frase, quasi come fosse l'unica cosa al mondo in grado di poterlo aiutare.
Si strofinò ancora il viso, forse per cancellare di nuovo quei suoi pensieri che ancora sembravano confonderlo. Uscì dal bagno e prese il suo tanto bisognoso pacchetto di sigarette prima di uscire dalla sua camera.
"Ma cosa diavolo stavi facendo per averci messo tutto questo tempo, deficiente?" gli chiese Alicia, appena lo vide scendere le scale.
"Buongiorno anche a te, idiota." le rispose. Insultarsi a vicenda ormai sembrava essere diventato il loro miglior modo di esprimere affetto.
"Tua madre mi ha raccontato come ti ha ridotto in un mucchio di ossa rotte il palestrato del locale. Perchè sei cosi stupido?" rise.
"Perchè tu sei cosi idiota."
"Sempre cosi affettuosi voi due eh?" notò sua madre, impegnata alla cucina.
"Ma tanto lui sa che gli voglio bene, signora Rivas."
"Ma non io a te." le rispose, aprendo la porta per uscire.
"Sei cosi stronzo." gli disse sottovoce seguendolo "Arrivederci signora Rivas" urlò leggermente per farsi sentire e la risposta non tardò ad arrivare.
"Mi raccomando, non fate tardi! Andres, hai l'appuntamento con la psicologa alle 16:00!" gli ricordò prima di chiudere la porta.
"Appuntamento con la psicologa? Mi sono persa qualcosa?" gli chiese Alicia.
"Niente, lascia perdere" le rispose, accendendo quella che sarebbe stata la sua prima sigaretta nell'arco della giornata.
"Avanti, hai fregato anche lei?" gli chiese ancora. Lei sapeva di tutti gli psicologi che era riuscito a "fregare", ogni volta era lui stesso a raccontarle tutto ed insieme si divertivano a scherzarci su prendendoli in giro. 
"Lascia stare, non mi va di parlarne."
"Avanti Andres, sono la tua migliore amica! Com'è andato il primo incontro? Per la prima volta è una donna!" disse, con un certo entusiasmo verso la parola "donna".
"Come tutti gli altri." le rispose, quasi disinteressato.
"E allora? Ha chiamato tua madre per dirle che non è in grado di aiutarti?"
Lui non rispose, restò in silenzio, ancora troppo occupato a guardare il fumo della sigaretta uscirgli dalla bocca.
"Hai ceduto, non è cosi?" gli disse sorridendo "Andres Rivas ha ceduto ad una donna!" quasi urlò.
"Cosa diamine stai dicendo?"
"Oggi ci andrai di nuovo, questo significa che non l'hai fregata come di solito fai sempre."
"Voglio solo divertirmi ancora un po', se smetto subito di andarci che gusto c'è?" le disse, in realtà mentendo completamente a lei e a se stesso, a tutto ciò che ora si stava tanto impegnando a fare.
"Non è vero. Stronzo, so che non è cosi, credi davvero di potermi prendere in giro?"
"Pensa ciò che ti pare."
"Com'è? Almeno è carina?" gli chiese ed inspiegabilmente lui arrossì. Non gli era mai capitato, nulla l'aveva mai imbarazzato tanto quanto quella domanda.
"E'.. E' molto giovane." le disse solamente.
"Si ma io ti ho chiesto se è carina!" gli ripete, ma lui stette zitto. "E' carina, si è carina... E pure tanto." affermò ridendo.
"Cosa c'è di cosi divertente?"
"Stai arrossendo. Deve essere una bella ragazza, eh?"
"D'accordo, smettila idiota."
"Se non fosse per il tuo apparente menefreghismo direi che ti sei innamorato."
"Ma ti senti? Ti rendi conto delle cavolate che stai dicendo?"
"Bene, allora non ti dispiacerà se oggi ti accompagno dalla tua amata psicologa."
"C-Cosa? Ma che.."
"Hai detto che sono cavolate, per cui non c'è nulla di male se vengo per conoscerla, no? Dopotutto sei il mio migliore amico."
"Tu sei completamente fuori di testa."
"E tu sei innamorato."
Senza neanche accorgersene, erano già arrivati al parcheggio dove Andres aveva lasciato la sua moto.
"Sali, muoviti."
"Si ma oggi vengo con te, voglio conoscerla."
"Va bene, fa quello che ti pare." le disse, e partì.
Almeno due o tre volte alla settimana, ad Alicia piaceva accompagnarlo al parco che lui tanto amava. Trascorrevano la giornata insieme, mangiavano qualcosa al solito bar poco distante dal parco e si sedevano insieme sulla solita panchina a guardare la realtà delle cose davanti a loro. Parlavano molto tra di loro e la maggior parte degli argomenti che Alicia cercava sempre di affrontare con lui, erano rivolti al suo stato d'animo. Sapeva che era la sola alla quale avrebbe sempre detto la verità, anche se a volte l'aveva respinta, rifiutandosi di parlarne. 
"Come stai oggi?" gli chiese. Aveva già acceso la sua seconda sigaretta.
"Sto bene." le rispose semplicemente.
"Sul serio? Quando smetterai di fumare cosi tanto?"
"Quando tu smetterai di farti filmini mentali su di me e la mia psicologa." le rispose sorridendo, come per voler cambiare argomento.
"Ma ti senti? 'La mia psicologa'." disse, imitando la sua voce. "Sai che non la smetterò, tu sei cotto e stra-cotto caro mio."
"Avanti, finiscila con questa storia."
"Che ti ha detto per far cedere cosi miseramente il tuo titolo da "Divoratore di psicologi"? Eh?"
"Tu ancora pensi che io abbia ceduto?"
"Certo che si. Avanti, ti conosco troppo bene per non rendermene conto." ed aveva ragione, lo conosceva fin troppo bene per far finta di niente. "Andiamo Andres, parliamoci seriamente, stavolta qualcosa è diverso." era riuscita a colpire nel segno.
"E' quello che ho sempre cercato di pensare ad ogni incontro con un nuovo psicologo, ma in realtà tutti loro hanno fatto la stessa cosa."
"Lei può essere l'eccezione."
"D'accordo. Sembra cosi diversa dagli altri. Sembra voler davvero acquistare la mia fiducia, aiutarmi e... Come ha detto lei, non lasciarmi sprofondare nella mia idea di non aver bisogno d'aiuto. Ma per quanto potrà durare tutto questo? Due, tre? Massimo quattro appuntamenti ancora? Poi si accorgerà di non essere all'altezza per aiutarmi e bla, bla, bla..." finalmente aveva confessato, si era arreso davanti alla sua testardaggine poichè sapeva che prima o poi, seppur senza il suo aiuto, lo avrebbe capito.
"Avevo ragione! Avevo ragione!" iniziò a saltellare di gioia lei. 
"Alicia, sto solo cercando di accontentare mia madre. Per me incontrarla non ha nessuna importanza. Voglio solo cercare di impegnarmi per la prima volta, e dimostrare a tutti che ho cercato di fare del mio meglio!" si alzò, leggermente irritato.
"Ah si si, certo Rivas, certo. Intanto mancano solo cinque minuti al tuo appuntamento, sbrighiamoci altrimenti arriverai in ritardo." lo provocò, seguendolo verso la sua moto.
"¡Maldita sea!" esclamò. Non si era minimamente accorto del tempo che passava. "Smettila Alicia, okay?" la rimproverò e partì.
Per quanto lui potesse essere bravo e veloce nel guidare la sua moto, arrivarono allo studio con precisamente quindici minuti di ritardo. Non sapeva ne come ne perchè, ma il suo cuore aveva preso inspiegabilmente a battere ad una velocità anormale, quasi come fosse preoccupato di non arrivare puntuale, quando non gli era mai importato di tutte le volte che lo aveva fatto con gli altri.
"Muoviamoci." disse, togliendo il casco e dirigendosi velocemente verso l'entrata.
"Cosi impaziente di vederla?"
"Alicia, basta!"
Sali cosi velocemente l'infinità di scale davanti a lui, dimenticandosi completamente dell'esistenza dell'ascensore e dei dolori al busto a causa dei lividi ancora evidenti. 
"Ho l'appuntamento con la dottoressa, sono in ritardo." disse quasi senza fiato a Janet, la ragazza alla reception.
"La dottoressa la sta aspettando, era l'ultimo cliente per oggi a quest'ora." gli spiegò e lo invitò ad entrare. 
"E cosi siete soli eh?" gli sussurro all'orecchio Alicia.
"Potrei anche lasciarti qui fuori a morire dalla curiosità, lo sai?" le rispose, avvicinandosi alla porta.
"Non lo faresti mai."
"Mettimi alla prova."
Bussò leggermente alla porta. Bastò solo qualche tocco prima di ricevere una sua risposta.
"Avanti." lo invitò. Ancora quella sua voce rassicurante e dolce che per l'intera notte non aveva fatto altro che accarezzare i suoi pensieri. Ma ora sembrava essere leggermente diversa, come proveniente da emozioni come ansia e preoccupazione riguardo a qualcosa di cui lui ancora non sapeva niente. 
"S-Salve."


Spazio Autrice: 
Ed eccomi qui, dopo tipo non so quanti giorni, alle 6:00 di mattina ad aggiornare. Sarò cosi strana io? Bah. Solo che non riuscivo a prendere sonno e quindi, quale miglior modo di scrivere? E poi la mia piccola testa è stata invasa da tantissime nuove idee riguardo a questa fanfic che presto potrò mostrarvi.
Come ho già spiegato nello spazio autrice dell'altra mia fanfic, ultimamente non ero di buon umore, e quando è cosi tendo a rovinare tutto ciò che scrivo, non mi piace niente e cancello e ricancello tutto un milione di volte. Ed in effetti non credo di aver dato il meglio di me neanche ora, ma non volevo farvi aspettare ancora molto o farvi pensare che avevo abbandonato tutto. Ne approfitto per ringraziare infinitamente serengleepity ed eliss17 per avermi fatto notare alcuni errori. Grazie davvero. E poi tutti per l'immensa pazienza con la quale continuate a seguirmi, specialmente drewsjde. Ora posso andare a dormire. Buona lettura.
Un bacio graaaaande!
TeenAngelita_92

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


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5.
"S-Salve" riuscì solo a farfugliare appena aprì la porta. E lei che fino a quel momento sembrava essere troppo occupata a sfogliare quelle infinite carte e scartoffie sulla sua scrivania, alzò lo sguardo al solo suono della sua voce.
"Andres" pronunciò il suo nome con una tale leggerezza e dolcezza, quasi sospirando. Il suo viso sembrò rianimarsi cosi come la sua voce che prima ad Andres era sembrata strana, completamente diversa dal solito.
"Le chiedo scusa per il ritardo, io..." iniziò a spiegarle, ancora in disperata ricerca delle parole giuste. Lui non era mai stato il tipo da chiedere scusa, soprattutto non lo aveva mai fatto con nessuno dei suoi precedenti psicologi prima. Lui semplicemente si limitava a sedersi e far finta di niente, con quel suo sguardo divertito sulla faccia, fregandosene altamente del tempo che aveva fatto perdere a quelle persone. 
Ma ora qualcosa era diverso, lui lo riteneva diverso.
Anche Alicia sembrò completamente sorpresa di vedere negli occhi del suo migliore amico quasi un senso di colpa, il bisogno di scusarsi che non l'aveva mai neanche sfiorato nelle circostanze in cui avrebbe dovuto sentirlo.
"Per un attimo ho..." iniziò lei abbassando lo sguardo e ridendo debolmente "Ho creduto che non saresti più venuto." gli confessò. Probabilmente quella sua espressione alquanto strana e preoccupata era dovuta a questo, pensò lui. Ma perchè mai avrebbe dovuto preoccuparsi di un maleducato, freddo e scontroso ragazzo come lui che le sole volte che aveva cercato di aiutarlo, l'aveva trattata uno schifo?
"N-No, io solo..." abbassò lo sguardo, quasi sentendo il bisogno di rassicurarla della sua presenza, quasi a volerle dire "Sono qui ora."
"Solo non mi sono reso conto del tempo che passava" si giustificò, scacciando quegli strani pensieri dalla testa. Prese a guardare i suoi occhi, in quell'imbarazzante silenzio che si era creato nel vuoto di quella stanza. Ma in realtà per loro non sembrò essere tanto imbarazzante quanto per Alicia, ancora ferma accanto a lui, ammirando il radicale cambiamento che nel giro di poche ore aveva fatto, solo incontrando quella donna. 
"Ah, lei è Alicia." le disse, indicando la sua compagna. Probabilmente se lei stessa non gli avesse dato un pizzico, si sarebbe completamente dimenticato della sua presenza.
"Piacere." tese gentile la mano.
"Piacere mio." rispose sorridendo.
"Io credo di dover andare ora, ero solo venuta per accompagnarlo. Sa, tanto per essere sicura che non scappava." affermò sorridendo. "Andres, io ti aspetto giù." lo avvertì con un'espressione divertita sulla faccia, una di quelle che lui sapeva benissimo capire senza bisogno di parole. "E' stato un piacere conoscerla."
"Anche per me." sorrise la dottoressa.
"Cerca di non stancarti troppo a fissarla Rivas, mi raccomando." gli sussurrò infine ridendo, prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle. 
"Beh, accomodati." lo invitò lei, e si sedette al lato opposto della sua scrivania. "Sembra molto simpatica la tua ragazza." gli confessò poi sorridendo.
"La mia ragazza?" ripetè per essere sicuro di aver capito bene. "N-No, no. Lei è solo la mia migliore amica. Noi non stiamo insieme, non è la mia ragazza."
"Ah. Quindi hai una migliore amica?" chiese, alquanto sorpresa.
"E' troppo sorprendente da credere?" le rispose, alludendo alla sua espressione.
"No, assolutamente. Mi chiedo solo se con lei parli. Voglio dire, riguardo a ciò che ti passa per la testa, il tuo stato d'animo, i tuoi problemi."
"Vuole fare il terzo grado anche a lei?"
"Sai bene che io non faccio il 'terzo grado'. Semplicemente mi piacerebbe sapere se almeno a lei chiedi aiuto." gli rispose, e ciò sembrò bastare a zittirlo. Stava succedendo un po' troppo spesso ultimamente, notò.
"Io non..."
"Tu non hai bisogno di aiuto e bla, bla, bla..." lo interruppe, già sapendo perfettamente cosa avrebbe detto. Si alzò dalla sua sedia e prese a camminare per la stanza. La cosa che lui più odiava di tutti gli psicologi, pensò. 
"L'Andres di ieri dov'è finito?"
"L'Andres di ieri era solo stanco" le rispose con tono seccato.
"Si? Quello che mi ha detto che si sarebbe fatto aiutare? Quello che per la prima volta mi ha guardato negli occhi senza doversi sforzare di nascondere le sue vere emozioni?"
"Cos'è che vuole da me? Eh?" le chiese, ma lei sembrò non ascoltarlo. 
"Voglio capire cosa è cambiato da ieri ad oggi. Voglio sapere cosa ti ha fatto cambiare idea."
E a quel punto, avrebbe dovuto dirle della notte passata a pensare? A sciacquarsi il viso per cercare di sciacquare via anche l'immagine del suo volto? E delle sue piccole carezze, e delle sue parole cosi credibili e... "No, non posso." pensò lui.
"Dio, tu non sai quanto ora mi piacerebbe poter entrare in quella testa e poter conoscere ciò che tanto ti sta tormentando. Parlami, dimmi ciò a cui stai pensando ora!" gli disse, avvicinandosi. "Parlami Andres. Non possiamo restare all'infinito in silenzio con gli sguardi bassi a far finta che tutto vada bene. Per favore, parlami." e quella sembrò quasi essere una supplica, un'insieme di meravigliose parole che lo spinsero a guardarla negli occhi, rimanendo completamente colpito.
Nessuno mai aveva mostrato cosi tanto interesse e volontà nel conoscere i suoi problemi ed i suoi tormenti. Nessuno. 
"Perchè vuole cosi tanto aiutarmi? Perchè sta perdendo tempo dietro al mio stupido comportamento?"
"Perchè è esattamente questo che tutti gli altri non hanno fatto, o non hanno voluto fare. Hanno preferito credere che tu fossi un caso troppo difficile da aiutare quando dovevano solo cercare di capirti e provare ad acquistare la tua fiducia poco a poco. E neanche tu hai provato ad opporti a quel loro comportamento. Hai creduto senza tante esitazioni a ciò che loro volevano farti credere, al fatto che tu fossi un caso senza speranze che nessun altro avrebbe potuto aiutare." gli spiegò, sedendosi poco distante da lui. L'intensità delle sue parole e di quel suo sguardo mentre parlava di cose della sua vita che sembrava conoscere da anni... "Invece non è cosi Andres, credimi. Io posso aiutarti, cosi come tante altre persone che forse non hai ancora neanche conosciuto o a cui non hai dato molta importanza. Sei un ragazzo come tanti, con dei problemi personali che non sempre riesce a gestire. Chiedere aiuto a qualcuno non è nulla di orribile o vergognoso." e senza neanche accorgersene, aveva lentamente avvicinato una mano al suo viso, sfiorandolo leggermente. Ed Andres, ancora sconvolto e del tuo rapito dalla meraviglia di quelle sue parole, trattenne il respiro al solo contatto con la sua pelle, quasi come se avesse paura di quel semplice gesto d'affetto.
Per un attimo si sentì felice, come mai prima di allora. Si sentì leggero e compreso finalmente, dall'unica persona che sembrava conoscerlo da una vita quando in realtà l'aveva conosciuto solo da qualche giorno. Tutto questo era nuovo per lui, strano, nuovo, meraviglioso quanto pauroso. Pauroso come quella donna riuscisse a cambiarlo radicalmente, come davanti a lei, lui spegnesse completamente la sua freddezza e la sua rabbia. 
"Fidati di me, okay? Parlami di ciò che vuoi ora. Tutto ciò di cui senti il bisogno di parlare." gli disse allontanandosi, forse un po' troppo velocemente, quasi come pentita di quella dolce carezza che gli aveva appena regalato. 
Ed allora, seppur ancora imbarazzato e completamente senza parole davanti a quella sua più che esplicita proposta d'aiuto, iniziò a parlare. Lei ne approfittò per conoscerlo meglio con domande riguardanti i suoi generi musicali, i suoi hobby, le sue passioni, della sua nazionalità spagnola, e lui le parlo persino della sua tanto amata abitudine di passare il pomeriggio al parco, di tanto in tanto in compagnia di Alicia. Sembrò essersi sciolto rispetto a tutte le altre volte ed inoltre la conversazione iniziò a risultare molto più fluida e piacevole per entrambi. Si rese conto che era da tempo che non faceva una chiacchierata del genere con qualcuno, da molto tempo.
"Magari un giorno potremmo incontrarci al parco allora, e non in questo triste e vuoto studio." gli propose sorridendo.
"E' una buona idea." sorrise anche lui, apparentemente contento di quella sua richiesta.
"E magari mi piacerebbe anche sentirti parlare la tua lingua."
"Será un placer."
"Beh magari però dammi prima il tempo di munirmi di un dizionario" gli disse, ed entrambi scoppiarono a ridere.
"Credo sia ora che vada, le ho rubato abbastanza tempo arrivando in ritardo e..."
"Inizia a convincerti del fatto che non mi hai rubato, non mi rubi e non mi ruberai tempo. Oggi avevamo un appuntamento e ti sei presentato, punto. Il tempo sarai tu stesso a stabilirlo, io non do limiti." gli spiegò, sorridendogli.
"Ama molto fare questo lavoro, giusto?" le chiese alzandosi mentre lei iniziò a raccogliere le sue cose.
"Abbastanza da poter sopportare i tipi duri come te" gli rispose, ancora occupata. 
"Ah beh..."
"Sto scherzando. Lo amo davvero, è la mia vita." alzò lo sguardo sorridendogli ancora.
Il tempo di spegnere tutto ed insieme si diressero verso l'uscita, esattamente come la sera prima.
"Beh, allora a domani." gli disse lei, notando la figura di Alicia che ancora lo stava aspettando con pazienza seduta alla sua moto. 
"Già, a domani." le rispose lui, notando invece poco lontano l'auto che ogni sera la aspettava, l'uomo che ogni sera la aspettava.
"Ah, beh sono felice che tu abbia deciso di fidarti di me e mi ha fatto piacere che tu mi abbia dato la possibilità di conoscerti. Spero che questa tua scelta durerà ancora per un bel po'." gli confessò.
"Lo stesso è stato per me e... Cercherò di farla durare."
"Bene" sorrise "Allora ciao." lo salutò un ultima volta prima di andare.
"Ciao" quasi sussurrò a se stesso vedendola allontanarsi. 
Si diresse verso Alicia mentre con tutte le sue forze cercò di dissuadere la sua mente dal desiderio di seguirla con gli occhi, come ormai faceva ogni volta.
"Ma cosa avete fatto per averci messo tutto questo temp..." iniziò a chiedergli Alicia appena lo vide arrivare, ma si fermò appena notò l'auto poco distante da loro. "Hey hey, chi è l'uomo che sta baciando?" gli chiese.
"Non sono affari che ci riguardano." le rispose, quasi infastidito.
"Guarda, sembrano cosi dolci." continuò lei, invitandolo a guardare.
"Alicia, se non ti dispiace vorrei tornare a casa. Sono stanco."
L'auto partì ed Andres riuscì solo a vederla allontanarsi e scomparire tra il fumo grigio del motore.
"Qualcosa mi dice che tu lo hai già visto quell'uomo, non è vero?"
"Alicia cerca di smetterla, d'accordo? Andiamo a casa ora." le ripetè deciso un'ultima volta, prima di porgerle il casco e partire. 


Spazio Autrice:
Rieeeccoomii! BuonSaaalvee (?) Sapete che non dovete farci caso, no?
Beh 'nzomma stavolta sono ritornata moolto prima dell'ultima volta (Dai riuscirò a non far passare un'eternita, dai Alessia, puoi farcela) Ennulla (?) Devo ringraziarvi, ma non come di solito/sempre faccio. Grazie per il semplice fatto di esserci ancora, anche se vi fatto attendere un'eternità. Grazie davvero, non sapete quanto questo mi abbia reso felice.
Aw, devo dire che scrivere questo capitolo mi è piaciuto molto, si. Spero tanto vi piaccia, come sempre. Ora me ne vado, don't worry. (be happy). Buonissima lettura.
Un bacio graaaande graande!
TeenAngelita_92

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


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6.
"Oh Andres, per un attimo ho creduto che non saresti più venuto." continuava a ripetere ridendo Alicia, cercando di imitare la voce della Dottoressa Lovato. 
Erano già passate alcune ore da quando lei ed Andres si erano appisolati sul letto in camera sua. Era ormai una loro abitudine stendersi insieme e guardare il soffitto, iniziando quasi a fare una specie di "resoconto" della giornata.
"Alicia, cerca di smetterla." la rimproverò lui evidentemente stufo, mentre dalla sua bocca uscì una piccola nuvoletta di fumo. Era steso con le gambe incrociate a fissare il colore giallastro del soffitto, mentre tra le mani l'ennesima sigaretta della giornata. 
Riusciva quasi ad intravedere tra quel grigio colore accompagnato dall'aria, il suo volto. 
Non aveva fatto altro che pensare a lei da quando erano tornati a casa, ma dopotutto continuava a farlo dal loro primo incontro, ciò non avrebbe dovuto sorprenderlo più di tanto. In realtà era alla sua voce che pensava, a quelle sue meravigliose parole che con dolcezza erano uscite dalla sua bocca mentre una mano si era avvicinata al suo viso per regalargli una carezza. Perchè lei lo aveva accarezzato, lui non lo aveva sognato. No. 
"Oh avanti! Smettila di fare l'antipatico, piuttosto apri gli occhi!" gli rispose, forse un po' troppo entusiasta.
"Aprire gli occhi? Ma di cosa stai parlando?"
"Andiamo, non dirmi che non te ne sei reso conto!" si fermò e si sporse leggermente in avanti per cercare di vedere sul volto del suo migliore amico qualche reazione che potesse confermare la sua ipotesi, ma Andres appariva del tutto indifferente e disinteressato "Ma dico, l'hai sentita? Era preoccupata di non vederti venire all'appuntamento! E poi l'hai vista? Hai visto come sembrava essere sollevata appena sei entrato?" 
"Alicia, vuoi smetterla di farti tutti questi filmini mentali? E' solo la mia psicologa ed io il suo paziente, non i protagonisti di quei telefilm sdolcinati da cui sei ossessionata." le rispose, ma il suo tono sembrò essere un po' troppo freddo. Con lei non lo era quasi mai, con lei era del tutto diverso.
"Rivas, smettila di rispondere con questo tono. Da quando sei diventato freddo e stronzo anche con la tua migliore amica?"
"Semplicemente voglio che tu la smetta di vedere del tenero in tutto ciò che faccio o che lei fa!" alzò leggermente il tono di voce, alzandosi. 
"Semplicemente tu stai auto-convincendo te stesso! Avanti, ti sei per caso chiesto come mai ultimamente sei cosi diverso?" gli chiese lei, con il suo stesso tono "Appena ti ho detto che stavamo per arrivare in ritardo, ti sei preoccupato come non hai mai fatto prima, e ciò che più mi sorprende è che ti sei preoccupato per un appuntamento da uno psicologo!"
"Questo non significa che io provi qualcosa per quella donna e non giustifica i film mentali che ti stai facendo! Io ho solo deciso di impegnarmi stavolta."
"E' vero, ma vogliamo parlare di come ti sei "spento" appena l'hai guardata negli occhi? Andres ti conosco bene, troppo bene per non accorgermi di come sei cambiato in quei cinque minuti, di come sei cambiato con lei." gli disse ancora, ed entrambi restarono in silenzio. Presero a guardarsi come se non ci fosse alcun bisogno di parlare per potersi capire. Alicia era certa del fatto che ciò che stava dicendo era vero, ed Andres sapeva che continuare a risponderle sarebbe risultato completamente inutile davanti alla sua testardaggine. Un semplice sguardo gli sarebbe bastato, i suoi occhi gli sarebbero bastati. 
"Scusa idiota, scusa." prese a ripeterle e la tirò a se in un piccolo abbraccio. "E' tutto cosi nuovo e... Lei è cosi diversa dagli altri. Mi sto solo fidando di lei, sto cercando di impegnarmi stavolta, tutto qui. Smettila con queste tue stupide idee."
"Lo sai che non la smetterò mai, ma proverò a tenermi le mie 'stupide idee' per me." gli rispose sorridendo.
"Grazie." le sorrise lievemente per poi allontanarsi, forse troppo bruscamente. Non era una sua abitudine abbracciare le persone ed in un certo senso evitava sempre di farlo, quasi non pensava di esserne capace. 
"Però non permetterti mai più di fare lo stronzo e lo scontroso con me. Puoi farlo con gli altri, non con la tua migliore amica." gli disse seria, ma dopo neanche qualche secondo entrambi scoppiarono a ridere.
"Si signora. Farò lo stronzo e lo scontroso solo con gli altri." ripetè lui. Si alzò e si diresse verso il bagno per sciacquarsi il viso. 
"Sono convinta che quella donna riuscirà ad aiutarti. Ne sono certa." urlò leggermente lei per farsi sentire. 
"Non mi aspetto niente Alicia." le rispose uscendo, impegnato con una mano ad asciugarsi. "Non voglio illudermi e poi rendermi conto che farà esattamente ciò che hanno fatto gli altri. Mi fido di lei ora, continuerò a vederla e cercherò di impegnarmi ma niente più di questo."
"Perchè non provi a pensare per una sola volta in positivo? Mi hai detto che l'hai trattata malissimo la prima volta, per non parlare del vostro secondo incontro, eppure lei è ancora li che spera di vederti venire ogni giorno. La voglia di aiutarti sembra aver superato quella di mandarti al diavolo, non ti sembra?" gli chiese ridendo. 
Ed era proprio questo a dargli cosi tanto da pensare: più volte aveva provato a trovare una possibile spiegazione a quel suo comportamento cosi gentile, a quella sua grande volontà di aiutarlo e appunto cosi grande da poter superare la voglia di lasciarlo peggiorare nei suoi modi di fare e nella sua vita apparentemente cosi vuota d'affetto e amore, ma in realtà ciò l'aveva solo confuso ancora di più, molto più di quanto già non fosse. 
"Probabilmente molto presto lo farà." le rispose, cercando la scusa più credibile alla sua portata.
"No, non avrebbe alcun senso. Fare cosi tanto per acquistare la tua fiducia e poi mandarti al diavolo?"
"Forse è solo curiosa di un caso come il mio."
"Secondo me c'è dell'altro."
"Alicia..." la richiamò, notando sul suo volto un'espressione leggermente divertita e sognante che non gli piaceva affatto.
"Che c'è? Ora non posso neanche più pensare? Ma dai!"
"Lei stessa ha detto che è solo il suo lavoro."
"Allora glielo hai chiesto?" gli chiese, forse molto più entusiasta e curiosa di prima. "Ah, io lo sapevo! Anche tu lo hai notato, no?"
"D'accordo, si."
"E quindi?"
"Quindi vuole solo non commettere lo stesso errore che hanno commesso gli altri lasciandomi credere che fossi un caso senza speranze che nessun altro avrebbe più potuto aiutare." le rispose semplicemente, quasi come fosse indifferente a ciò che le stava dicendo e alla buona volontà che la dottoressa gli aveva dimostrato quel giorno, dicendogli quelle esatte parole. Ma in realtà sapeva che non gli erano state e non gli erano affatto indifferenti. Sapeva che aveva provato qualcosa li dentro, in quello studio che aveva sempre odiato sin dall'inizio. Sapeva che per la prima volta si era sentito bene e per quanto cercasse di mentire a se stesso, aveva maledettamente amato quella meravigliosa sensazione. 
"Ma tu perchè queste cose non me le dici?"
"Alicia, cosa avrei dovuto dirti?"
"Ah Dio, quanto vorrei essere in quella stanza a vedervi. Magari mi stai nascondendo molte cose che potrebbero confermare ciò che penso." affermò, ancora con aria sognante, come una ragazzina davanti alla scena più bella del suo telefilm preferito. 
"Mi hai promesso che avresti smesso."
"Ma io.. Si, d'accordo ma come faccio a stare zitta? E' tutto cosi..." le sue parole vennero improvvisamente interrotte dalla madre di Andres che quasi irruppe nella sua stanza con aria alquanto preoccupata.
"Andres! Andres, c'è la Dottoressa Lovato al telefono." gli spiegò sottovoce. Bastò solo pronunciare il suo nome per mandarlo nel panico più totale e dare inizio ad una corsa di pensieri e dubbi completamente negativi nella sua testa.
Perchè l'aveva chiamato? Aveva cambiato idea riguardo alla sua proposta di aiutarlo? Si era resa conto di non potercela fare? Voleva arrendersi? O magari mandarlo al diavolo?
"P-Perchè ha chiamato?" chiese balbettando a sua madre.
"Non lo so, rispondi, deve essere importante." gli rispose solamente porgendogli il telefono. Lui lo afferrò, quasi incapace di tenerlo stretto tra le dita ed avvicinarlo all'orecchio.
"P-Pronto?" provò a farfugliare. Si sarebbe sicuramente accorta della sua voce tremante, pensò. 
"Ciao Andres, sono la Dottoressa Lovato. Ti disturbo?" la sua voce appariva dolce e tranquilla dall'altra parte del telefono, e per un solo attimo Andres sembrò tirare un sospiro di sollievo.
"N-No, non mi disturba." le rispose "E'... E' successo qualcosa?" le chiese subito, forse senza neanche darle il tempo e la possibilità di spiegare il motivo della sua telefonata.
"No no, assolutamente. Volevo solo chiederti come stai. Oggi abbiamo parlato di tutt'altro e non ne ho avuto il tempo. Mi chiedevo come va la ferita alla mano e i lividi al busto." gli rispose intenzionata a rassicurarlo e lui restò in silenzio.
L'aveva davvero chiamato solo per sapere come stava?
Continuava ad avere lo sguardo fisso su Alicia quasi come se lei potesse dargli delle spiegazioni, magari una risposta più credibile alla sua domanda, ma per quanto lei potesse conoscerlo meglio di chiunque altro, non riusciva a decifrare la sua espressione. 
"Io sto bene, le... Le ferite sembrano aver smesso di fare tanto male." le rispose. 
"Bene." sembrò sospirare "Sai, ci stavo pensando. Oggi mi ha fatto molto piacere aver avuto la possibilità di parlare un po' con te. Io non credo tu sia uno abituato a parlare tanto con le persone."
"Già.. Io non parlo molto con le persone." ripetè, grattandosi nervosamente la testa.
"Domani ti andrebbe di vederci al parco?"
"C-Come?" chiese, quasi preoccupato di aver capito male.
"Si. Ho preso in considerazione l'idea di vederci qualche volta al parco invece che nel mio studio. Ne avevamo parlato, no?"
"Si... Si, ne avevamo parlato, certo." continuò a ripetere. "Ma non credevo dicesse sul serio." le spiegò.
"Io faccio sempre sul serio, Andres."
"D'accordo e... Come... Cioè quando..." provò a chiederle qualche informazione riguardo all'ora, ma dalla sua bocca uscì solo un insieme di parole senza alcun senso. Dopotutto Andres sapeva che lui non era il suo unico paziente, avrebbe avuto il tempo di andare e tornare per tutti gli altri?
"Tu sei l'ultimo appuntamento della giornata, non ci saranno problemi per gli orari. Ci vediamo come sempre alle 16:00" gli spiegò, come se avesse capito al volo ciò che lui stava tentando disperatamente di chiederle. Pensò: come ci era riuscita? 
"Si... Si, perfetto." le rispose solamente.
"Perfetto" ripetè "Allora a domani Andres."
"A domani." furono le ultime parole di senso compiuto che uscirono dalla sua bocca prima di riattaccare. 
"Allora?" chiesero quasi all'unisono Alicia e sua madre, con in faccia un'espressione preoccupata e curiosa.
"V-Voleva solo... Lei..." provò, ma in realtà non era a loro che stava pensando ora, ne a quello che avrebbe dovuto spiegargli. "Voleva avvertirmi di un cambiamento per l'appuntamento di domani." si limitò a dirgli. In realtà non capiva perchè improvvisamente sentiva il bisogno di mentirgli, ma forse quello non era mentire, era solo evitare di illudere troppo se stesso e loro.
"Ah." disse solamente Alicia, quasi delusa, ma Andres fu certo di aver visto per un solo attimo nei suoi occhi, qualcos'altro oltre alla delusione. "Beh credo si sia fatto tardi. Domani ho molto da fare." si alzò raccogliendo le sue poche cose.
"Alicia, aspetta..." provò a fermarla, voleva ancora restare a parlare con lei, ne aveva bisogno.
"Ti chiamo Rivas, dovrai raccontarmi tutti i dettagli, sappilo." gli rispose con un leggero sorrisetto sul viso.
"Buonanotte signora Rivas. Notte capoccione idiota." li salutò, prima di uscire dalla sua stanza e dirigersi verso la porta.
"Notte deficiente." sussurrò a se stesso, forse non l'aveva neanche sentito.
"¿Hijo mio, que pasa?" gli chiese sua madre, notando inevitabilmente la sua strana espressione.
"Estoy bien mamá, estoy bien." le rispose ed improvvisamente la abbracciò, forte, il più forte possibile tra le sue braccia. Non lo aveva mai fatto, o almeno dall'età di tredici anni. Non aveva mai sentito il bisogno di stringere forte sua madre dopo tutto ciò che aveva fatto e continuava a fare per lui, o forse non aveva il coraggio di dimostrarle affetto, non aveva il coraggio di reprimere quel suo senso di colpa ogni volta che guardava nei suoi occhi, che sentiva nelle sue parole quasi un senso di disperazione.
"Dios mio..." sussurrò lei, affondando il viso completamente nell'incavo del suo collo. "Mi stai abbracciando davvero?" gli chiese, quasi spaventata da una sua possibile risposta, timorosa di dover rendersi conto che era solo un sogno quello che le stava accadendo, solo uno stupido sogno. E lui si intenerì a quella sua affermazione e nonostante il suo senso di colpa si presentò ancora una volta intenzionato a rovinare completamente ciò che ora con tanto impegno stava costruendo, continuò a stringerla forte, perchè lui lo sapeva. Lui sapeva che sua madre aveva bisogno di quell'abbraccio, ne aveva sempre avuto bisogno. 
Quella notte, come ormai tutte quelle successive al primo incontro con la Dottoressa Lovato, non riuscì a dormire. Bicchieri e bicchieri d'acqua fredda che continuavano a scendergli lentamente giù per lo stomaco mentre ogni volta che i suoi occhi provavano a chiudersi, diventavano scenario dei momenti che fino a quella notte aveva passato in quello studio, con lei. L'acqua continuava a scorrere tra le sue mani, sul suo viso e ancora sulle sue mani. In realtà quella liquida sostanza non era in grado di lavare, oltre al suo volto, anche la sua mente dall'immagine di quella donna. No, non poteva farlo.
Ormai rassegnato si sedette a bordo del suo letto. Prese tra le dita un foglio ed una penna e senza neanche accorgersene iniziò a scrivere. Non sapeva esattamente cosa, ne perchè. Sapeva solo che l'indomani avrebbe sicuramente letto parole perfette a descrivere tutta quella confusione che aveva dentro, perfette ad incoraggiarlo ad andare a quell'incontro al parco, con lei. 

"Sono stati i miei occhi a tradirmi?
Ciò che ho detto o la mia nervosa risata? E' questo ciò che mi ha tradito davanti a lei? Davanti al suo sguardo?
Ed io? Io ho sempre recitato? Nascosto sotto travestimenti che non mi appartengono, no. Nascosto dietro quelle frasi perfette, apparentemente spontanee ma in realtà studiate nei minimi dettagli. 
Ma non l'hanno ingannata, io non sono riuscito ad ingannarla. Solo... Sono stato solo, ho cercato di restare solo per troppo tempo. 
Lei vuole davvero entrare nei muri che per anni ho costruito intorno a me? 
Dio se lo voglio, io ne ho bisogno. Ho bisogno che qualcuno li abbatta, li bruci, li riduca in cenere. Lei può davvero farlo?
Lei mi prenderà la mano? Ed io gliela lascerò prendere sena ritrarla?
Ho camminato a testa alta per cosi tanto. Ho combattuto contro qualcosa che non conoscevo, che neanche ora so definire. Cos'era? Cos'è?
Lei può davvero aiutarmi in questa battaglia?
Abbatterà quei muri? Eliminerà quei travestimenti? Quelle frasi perfette?
Lei lo farà? Non mi abbandonerà?
Lei vuole vedermi domani, vuole vedermi al parco, il posto che amo. Non vuole vedermi in quello stupido studio senza alcun senso. Lei questo l'ha capito, ha capito che io odio quel luogo. Nessuno lo ha mai capito, nessuno si è mai impegnato a farlo. 
Ma lei lo ha fatto. Vuole aiutarmi ed io... Perchè? Mi chiedo. Perchè?
..."



Spazio Autrice:
Direi che iniziare questo spazio autrice con un "ARG!" di rabbia, è ciò che ci vuole. 
Voglio iniziare col dire che ci tenevo tantissimo a postare questo capitolo per il compleanno di drewsjde e fargli i miei inutili auguri, ma ovviamente no perchè io devo sempre fare l'esatto opposto di ciò che davvero ho intenzione di fare. Avete capito qualcosa? No, beh tranquilli, vi capisco. Perdonatemi.
Quindi, anche se con CLAMOROSO ritardo, io ci tengo a fare i miei auguri di buon compleanno a drewsjde e chiederle soprattutto SCUSA, davvero. Il fatto è che sono stata da poco operata al dito del piede (il mio amatissimo dito, ah) e poi sono partita per le vacanze. Quindi ho avuto un po' da fare con le valigie e tutte le tecniche possibili e immaginabili per non sentire dolore dopo i punti di sutura. Inoltre ero in disperata ricerca di una maledettissima wi fi (che grazie a Dio è arrivata, ah, respiro ancora) ed ora quindi, mi avete di nuovo tra le scatole. Rega' di me non vi liberate facilmente, sappiatelo. Ora mi dileguo, scompaio, scappo... Ennulla (?) come sempre dovete ancora una volta perdonarmi, anzi, mi farò perdonare io aggiornando molto più a breve. Buona lettura.
Un bacio graaaande!
TeenAngelita_92

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


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7.
Le 9:00, segnava la piccola sveglia nera sul suo comodino. 
Si strofinò il viso ancora assonnato e cercò, invano, di aprire leggermente gli occhi. Quello, per lui, era un orario completamente sconosciuto tenendo conto del fatto che era suo solito svegliarsi verso le 11:00, se non direttamente a mezzogiorno. 
Si sollevò leggermente, rendendosi conto di essersi addormentato al bordo del letto la sera prima. Aveva ancora tra le mani il foglio e la penna di cui si era servito per poter liberare la "confusione" che aveva dentro e seppur dopo molto tempo, verso le 4:00 del mattino era riuscito a chiudere gli occhi. 
"¡Buenos días Andres!" entrò, del tutto sorpresa sua madre che passava di li solo per dirigersi verso il bagno. Non era venuta per svegliarlo, sapeva che non si sarebbe mai alzato a quell'ora. "Come mai sveglio a quest'ora?" gli chiese avvicinandosi.
Andres, seppur non ancora completamente sveglio, notò sul suo viso una luce diversa, un sorriso che mai gli aveva visto indossare. Restò quasi incantato a guardarla senza dire una parola. "Per tutto questo tempo e questi anni." pensò tra se e se... Allora dipendeva davvero da lui il meraviglioso sorriso di sua madre?
"Andres?" lo richiamò, notando la sua espressione apparentemente confusa e stordita "¿Que pasa?" gli chiese. 
"Nada mamá, nada." le rispose, sorridendo. Si, dopo anni le stava sorridendo, di prima mattina e di buon umore. Cosa gli stava succedendo?
"Esta sonrisa tan hermosa..." sussurrò dolcemente, accarezzandogli il viso "Mi mancava cosi tanto." continuò, con sguardo amorevole e pieno di gioia. Sembrava volesse davvero piangere o saltare dalla felicità da un momento all'altro.
"Hai sentito Alicia?"
"No tesoro. Sono le 9:00, sai bene che anche lei odia svegliarsi a quest'ora e poi, se non mi sbaglio, oggi non dovevate vedervi."
"Si, ma ho bisogno di parlarle." le rispose, sollevandosi leggermente.
"Puoi chiamarla, ma rischi di essere mandato a quel paese senza neanche dire 'a'." lo avvertì ridendo.
"Ed io manderò a quel paese lei." allungò la mano verso il suo comodino per afferrare il cellulare e digitò il suo numero. Come succedeva sempre, ci vollero almeno sei o sette squilli prima di sentire la sua voce dall'altra parte.
"Andres Rivas, dimmi che hai un buon motivo per rompermi il cavolo alle 9:00 di mattina, altrimenti vengo li e ti uccido a suon di calci nel sedere." gli rispose la voce ancora assonnata ma chiaramente arrabbiata di Alicia.
"Buongiorno anche a te."
"Cosa diavolo ti succede? Da quando ti svegli alle 9:00 di mattina? Oltretutto di buon umore?" gli chiese, ma senza neanche dargli il tempo di rispondere "Ah no aspetta: da quando una certa Dottoressa Lovato ti ha mandato il cervello ed il cuore in fumo."
"Alicia cerca di finirla con questa storia."
"Va bene, va bene! Allora qual'è il motivo che ti ha spinto a svegliarmi, idiota?"
"Devo parlarti. Ci vediamo al parco?"
"Ma non dovevi andarci con lei al parco?"
"Si ma..." iniziò intenzionato a spiegarle, ma si accorse di una cosa: lei non doveva saperlo o almeno non poteva, non lo aveva detto a nessuno. "Tu come diavolo fai a saperlo?"
"Sembro cosi stupida da non saper spiare una telefonata?"
"Tu sei una stronza."
"Oh, grazie. Anche tu lo sei."
"Sto venendo. Fa in modo di uscire da quel letto prima che io arrivi, altrimenti lo faccio io a modo mio." le disse, prima di riattaccare.
"Siete sempre cosi affettuosi e dolci voi due, eh?" affermò sua madre che aveva udito l'intera conversazione.
"Ultimamente molto più delle altre volte." le rispose e si alzò per iniziare a prepararsi. 
In realtà non capiva il perchè di questo suo improvviso bisogno di parlarle, probabilmente doveva raccontare a qualcuno ciò che stava continuando insistentemente a girargli per la testa, o forse solo confidare a qualcuno il fatto che ancora non sapeva che fare o come comportarsi. Tra alcune ore l'avrebbe vista al parco e ciò lo agitava. Come poteva un luogo diverso dal solito mettergli cosi tanta agitazione? Forse era proprio questo: dall'inizio era sempre stato abituato a studi bianchi e vuoti, pieni solo di parole e pensieri di persone bisognose d'aiuto, solo di aria che sembrava quasi volerlo soffocare. Ed ora, invece, lei gli aveva chiesto di incontrarsi nel parco che amava, dove passava intere ore. Era forse solo una tattica? Una strategia, apparentemente geniale, volta ad abbattere quelle resistenti mura che per anni aveva sempre costruito e ricostruito attorno a se?
"Mamá, io vado." avvertì sua madre, uscendo.
"A dopo hijo." lo salutò lei.
Si diresse velocemente verso la sua moto, e dopo aver sistemato nella tasca il suo pacchetto di sigarette nuovo, partì. 
Alicia non viveva molto lontano da lui e calcolando la velocità di Andres nel guidare, non ci avrebbe messo molto ad arrivare. Lei era sola, o almeno lo era già da un paio d'anni. Lo era da quando i suoi genitori avevano deciso di lasciarla andare dopo gli svariati tentativi che, insieme alla madre di Andres, avevano fatto con numerosi psicologi per il suo ribelle carattere. Ma, mentre la madre di Andres non aveva per niente pensato di arrendersi, loro lo avevano fatto e senza alcuna esitazione avevano deciso di allontanarsi, pensando forse che senza la loro presenza, la loro bambina sarebbe stata finalmente felice. In realtà Andres sapeva che lei non lo era, lo notava ogni volta che provava a chiedergli di loro, ma aveva intuito che evidentemente non erano neanche più in contatto. 
Arrivò a casa sua solo una quindicina di minuti dopo. Scese, liberandosi del casco, e si diresse verso la porta.
"Dimmi che sei già in piedi altrimenti ci penso io." urlò leggermente per farsi sentire.
"Calma, calma! Ma che maniere!" esclamò lei aprendogli "Non si usa più suonare il campanello o bussare alla porta?"
"Ho mai suonato il campanello o bussato alla porta io?" le rispose entrando e chiudendosi la porta alle spalle.
"Beh, anche questo è vero." affermò, sedendosi su una delle piccole poltroncine che aveva in salotto. "Allora, ora mi dici per quale cosi 'importante' motivo mi hai voluto svegliare a quest'ora?"
"Sembra che tu già lo sappia" le rispose, accomodandosi poco lontano.
"Aspetta, aspetta." si sistemò meglio sul suo posto e la sua espressione, prima assonnata e stordita, si trasformò improvvisamente in sveglia e arzilla. "Mi stai dicendo che volevi parlarmi della sua proposta di vedervi al parco?"
"Non è questo... E' che non..."
"Non sai come comportarti? Sei in imbarazzo?" senza neanche dargli il tempo di spiegare, fu lei a finire il suo discorso.
"Può sembrare alquanto strano e stupido da parte mia, ma ci sono sempre andato da solo in quel parco, oppure con te. Ogni volta che vado li mi sento in pace con me stesso, non devo preoccuparmi del fatto che gli altri possano criticarmi o darmi troppa attenzione, mentre ora con lei... E' come se mi sentissi sotto esame, studiato in ogni minimo gesto che faccio. Questa cosa non mi piace."
"Perchè pensi che voglia studiarti? Magari vuole solo che tu ti senta a tuo agio e appunto, non sotto esame o studiato, come dici tu. Ha capito forse che tu non sopporti gli studi, ne hai visti fin troppi."
"A nessuno è mai importato di come mi sentissi io ad ogni appuntamento, perchè a lei dovrebbe importare? Sta facendo solo il suo lavoro."
"Lo hai detto tu stesso ieri, Andres. Se fosse davvero stato il suo lavoro, a quest'ora non avrebbe fatto niente del genere."
"E' solo il suo lavoro, Alicia. Vuole solo trovare la strategia giusta per farmi parlare e c'è da ammettere che lo sta facendo in modo geniale."
"Lo sai che non è cosi. Se ci tenesse davvero ad aiutarti? Ad aiutarti a stare bene?"
"Avanti, non dire cavolate." si alzò, ridendo leggermente.
"Intanto sta comunque funzionando la sua 'strategia', o sbaglio?" gli chiese, ma in realtà la sua era una domanda retorica. Lei sapeva già la risposta anche se non sarebbe mai stato Andres a dargliela. Lui solo si limitò ad abbassare lo sguardo, giù, verso le sue mani improvvisamente sudate e tremanti. "Sta funzionando, vero Andres?" chiese ancora lei con un leggero sorriso sulle labbra. 
"Devo andare." si giustificò ma fu un tentativo completamente inutile di evitare le parole di Alicia. Afferrò il suo casco e frettolosamente si diresse alla porta.
"Smettila di evitare anche me, Andres. Non lo hai mai fatto ed io non voglio che cominci ora." gli disse avvicinandosi e afferrandogli leggermente il braccio per fermarlo "Andres sono Alicia, la tua migliore amica. Puoi ingannare il mondo, ma non me."
"Ora non posso ingannare neanche lei." le rispose solamente, prima di liberarsi dalla sua presa ed uscire.
Ciò che Alicia gli aveva detto era vero: poteva ingannare il mondo intero ma non la sua migliore amica, questo lo aveva sempre saputo. Ma ora era ancora cosi?
Ora avrebbe potuto ancora ingannare o anzi, provare inutilmente ad ingannare anche lei come aveva fatto con tutti gli altri? La Dottoressa Lovato? 
E lui sapeva qual'era la risposta. Sapeva che ogni volta che ci avrebbe provato, non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose. Sapeva che sempre e comunque se ne sarebbe accorta. Sapeva che stavolta era sul serio, lui doveva fare sul serio. 
Si affrettò a sfrecciare lungo le strade della sua città per arrivare al parco, quel luogo che ancora non sapeva se amare o odiare, mentre davanti ai suoi occhi ancora passavano immagini del suo volto, del suo sguardo apparentemente cosi amorevole e gentile nel momento in cui le sue mani avevano accarezzato la sua guancia risvegliando la sua pelle, ora improvvisamente bisognosa e forse quasi insaziabile del suo tocco. 
Arrivato a destinazione, quasi volontariamente, fermò la sua moto facendo un rumore definibile assordante, forse intenzionato a spazzar via quello dei suoi pensieri. 
Mancava ancora qualche ora al loro appuntamento, decise quindi di sedersi alla sua solita e tanto amata panchina ed aspettare.
Quelle lunghe ed interminabili ore le aveva impiegate ad ammirare: ammirare il fumo della sua prima sigaretta giornaliera uscirgli dalla bocca, l'allegria dei bambini impegnati a correre dietro i loro cani, il sorriso dei loro genitori, le mani intrecciate dei dolci anziani mentre passeggiavano in cerca solo di un po' di tranquillità e le persone che, come lui, forse stavano aspettando qualcuno di importante.
Alzò leggermente la manica sul polso per poter leggere l'ora, accorgendosi con enorme stupore che il tempo era incredibilmente volato e anzi, la Dottoressa Lovato sembrava essere in ritardo.
Forse aveva trovato un po' di traffico? Forse il suo ultimo paziente aveva richiesto più tempo del previsto? Forse aveva avuto un contrattempo o forse...
"Dio, cosa mi prende!" fermò bruscamente le sue troppe domande, quasi rimproverando se stesso per essere arrivato a pensare che forse aveva cambiato idea, che forse non voleva più aiutarlo, che forse ne aveva abbastanza di lui, di tutto.
"Ragazzi, guardate chi c'è!" una voce apparentemente familiare interruppe i suoi pensieri. "Heilà Rivas!" continuò. Era Josh, il suo vicino di casa in compagnia del suo gruppetto di bulli apprendisti completamente ridicoli, come li aveva sempre definiti Andres. 
Da quando lui e sua madre si erano trasferiti nella villetta di sua zia Beatriz, Josh sembrava averlo preso di mira assieme al gruppetto di amici che si portava sempre dietro, cosi, all'improvviso e senza alcun motivo. Più volte avevano finito per litigare ed Andres, con il suo già ribelle e poco paziente e calmo carattere, lo aveva colpito procurandogli ferite apparentemente gravi su tutto il corpo. Certo era però che non era stato l'unico a darle, ma anzi era stato anche lui a prenderle.
"Cos'è? Tua madre e gli psicologi ti hanno lasciato un po' di tempo libero per passeggiare?" rise, mentre lui cercò di non dargli troppa attenzione. "Ah ragazzi, lo sapevate che ora c'è un nuovo psicologo a seguirlo? Dicci Rivas, com'è?"
"Smith, non ho alcuna voglia di dover spaccare la faccia a te e al tuo gruppetto di ridicoli bulli apprendisti. Cerca di levarti dalle scatole." gli rispose con tono più calmo possibile.
"Cos'è? Vuoi fare come l'ultima volta? Se non sbaglio alla fine hanno dato ragione a me, non ricordi?"
"Fossi stato al tuo posto, la ragione mi sarebbe servita a ben poco con il naso e le costole rotte, non credi?"
"Ha voglia di scherzare oggi il nostro Andres." sorrise quasi con sguardo di sfida, mentre nella testa di Andres continuavano a rimbombare come un eco le fastidiose e irritanti risate di quei bulletti. "Avanti perchè non ci racconti del tuo nuovo psicologo? O dovrei dire psicologa?" 
A quelle parole, Andres si pietrificò. Come faceva a sapere che era una donna? Come poteva averlo scoperto? Chi avrebbe mai potuto dirglielo?
Si alzò di scatto e bruscamente gli afferrò il colletto della giacca.
"Tu cosa diavolo ne sai?" gli chiese ed il suo respiro, prima calmo e tranquillo, diventò improvvisamente troppo veloce.
"Che c'è? Ti da fastidio il fatto che io abbia scoperto che è una donna?"
"Mi fai spiare da quel gruppetto di imbranati per caso?"
"Come? Tu non lo sai? Le nostri madri parlano molto, la tua è sempre venuta a sfogarsi dalla mia riguardo al suo povero figlioletto senza speranze." rispose, e quella punta di sarcasmo nelle sue ultime parole, scosse violentemente la rabbia di Andres che fino a quel momento aveva cercato di tenere buona e tranquilla in un angolo della sua testa.
"Almeno è carina?" continuò a parlare Josh con la sua fastidiosa voce. "Avanti, ci hai già fatto qualcosa? Con la storia strappalacrime della tua vita potrebbe essere tua in qualunque moment..." Andres fermò quelle sue schifose e ridicole insinuazioni con un pungo forte, in pieno viso. E si, avrebbe continuato a sferrargli pugni su ogni più piccola parte del corpo. Lo avrebbe fatto se non fosse stato per la sua voce, la sua meravigliosa voce.
"Andres!" Era lei, era lei che lo aveva chiamato mentre correva veloce verso di lui, era lei che con l'unico suono della sua voce era riuscito inspiegabilmente a fermarlo. 
"Oh eccola, è lei no? Cos'è? E' venuta a difenderti dai cattivi?" ebbe ancora fiato Josh per chiedere, mentre un'irritante risata continuava a stargli sul viso e piccole gocce di sangue gli scendevano dal naso con estrema lentezza. 
"Sta zitto Smith!" Andres si voltò di nuovo verso di lui, forse ancora intenzionato a sferrargli un'altro pugno ma lei, ormai già cosi vicina, glielo impedì.
"Andres!" urlò di nuovo il suo nome afferrandogli forse troppo bruscamente le braccia per fermarlo. Non aveva altra scelta. "Fermati. Basta Andres!" continuò, cercando mano a mano di allentare la presa e quasi, trasformarla in una carezza. "Fermati, ti prego!"
Ma quelle due semplici parole e quei suoi occhi che sembravano volerlo incolpare, per un attimo lo distrussero. Per un attimo si sentì perso al solo pensiero che lei aveva visto tutto, che forse lo riteneva colpevole, che forse non sapeva più chi aveva davanti. Lui non era questo, non lo era mai stato. 
"Cosa... Cosa diavolo ti è preso?" gli chiese, respirando un po' troppo velocemente a causa dell'inaspettata corsa. 
"Io non... Ah, Dio. Ora sono io il pazzo?"
"Andres io non ho detto quest..."
"Si invece! Mi... Mi stai guardando come se lo fossi, come se avessi picchiato quell'idiota senza un motivo!" le rispose senza darle il tempo di spiegare e per la prima volta, le diede del "tu".
"Andres, guardami io non..." riprovò ancora, alzando lentamente le mani verso il suo viso, quasi come bisognosa di accarezzarglielo.
"¡Déjame en paz!" fu l'ultima cosa che quasi gridò prima di afferrare leggermente i suoi polsi e allontanarla per dirigersi verso la sua moto.
Sembrò arrendersi e restò per un attimo a guardare Josh, mentre ancora sanguinava ed il suo gruppetto di amici lo soccorreva.
"Va tutto bene?" gli chiese preoccupata, avvicinandosi.
"Ah.. Si." rispose seccato, cercando di alzarsi. "Lei è la sua psicologa?" chiese, tenendo premuto sulla bocca il fazzolettino che uno dei suoi compagni gli aveva dato. 
"Si, perchè?"
"Spero vivamente che ora abbia capito chi è davvero Andres Rivas." rise, ma senza un apparente motivo. 
"So meglio di te chi è davvero quel ragazzo." rispose, dopo una breve pausa  "L'Andres Rivas di pochi istanti fa lo hai provocato tu, lui non è cosi e fareste meglio a smetterla tu ed i tuoi compagni di infastidirlo." Cosi, senza aggiungere nient'altro, si diresse verso Andres che da lontano sembrava cercare disperatamente di infilare in modo corretto le chiavi della sua moto, ma con nessun risultato. Le sue mani non riuscivano a stare ferme e tutto ciò che era riuscito a fare era solo stato procurarsi altri graffi sulla pelle già rossa e screpolata delle nocche. 
"Andres!" lo chiamò ancora, ormai poco lontana da lui, ma stavolta a differenza di tutte le altre la sua voce non ebbe alcun effetto su di lui. "Fermati!"
"¡Malditas llaves!" urlò lui gettando violentemente le sue chiavi a terra, quasi come disinteressato della presenza di lei. Sferrò il suo secondo pugno nell'arco di un giornata, ma stavolta contro un muretto poco distante da loro. 
Era davvero questa l'unica cosa che riusciva a fare? Si chiese lei: sentire le sue mani bruciare come un fuoco, i suoi muscoli contrarsi, il suo corpo fremere e farsi del male? Continuare insistentemente e costantemente a farsi del male?
"Stai mandando all'aria tutti i progressi fatti con me in cosi poco tempo solo a causa di quell'idiota, Andres!" iniziò a parlare, nella disperata speranza che la stesse ascoltando ma lui quasi sembrava insistentemente evitarla. 
"Dio, guardami per un maledetto attimo!" urlò, rendendosi ormai conto di non avere altra scelta. Afferrò forte il suo viso tra le mani. "Che c'è? Cos'è che ti fa tanta rabbia? Parlami! Mio Dio, sono qui, parlami! Smettila di prendere a pugni qualunque cosa ti capiti sotto tiro." strinse, involontariamente, ancora più forte la presa sul suo volto e lo guardò negli occhi. Restarono in quella posizione per un tempo quasi infinito, un tempo necessario a calmare il suo respiro ancora troppo veloce e la sua rabbia probabilmente salita a livelli troppo altri per poter ragionare.
"Andres..." sussurrò, mentre ancora cercava di capire cosa si celava da cosi tanto tempo dietro quegli occhi ora cosi lucidi e quasi sul punto di arrendersi all'ondata di lacrime che avevano disperatamente bisogno di uscire, e si sorprese. Lei si sorprese di vederlo cosi fragile per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, di vederlo cosi vulnerabile ed indifeso quando in realtà aveva sempre dimostrato l'esatto contrario. 
Ma Andres sapeva che non poteva permetterselo, sapeva che da quei suoi occhi sempre stati asciutti non poteva uscirne niente, ne emozioni, ne lacrime.
"Fallo" quasi gli ordinò lei. "Fallo Andres." ripetè.
"Di... di cosa sta parlando?" le chiese con voce sottile e tremante, quasi come temesse la risposta, come temesse che lei avesse capito tutto.
"I tuoi occhi sono asciutti da troppo tempo." 
E fu solo quella semplice frase a bastare. Una piccolissima lacrima iniziò il suo lento percorso giù per il suo volto e lui, li davanti a lei, inerme, senza neanche rendersene conto e nella completa impossibilità di evitarlo.
"Va tutto bene." gli sorrise, mentre una delle sue mani iniziò dolcemente a strofinare la sua guancia. "Va tutto bene Andres." rise, tanto felice e sollevata di quella sua reazione, di quella sua, seppur piccolissima, lacrima. Lo abbracciò forte, come mai aveva fatto prima e capì probabilmente che quel ragazzo che ora teneva cosi stretto tra le braccia, stava diventando una questione personale, una promessa fatta a se stessa che avrebbe mantenuto con tutte le forze che aveva a disposizione. Qualunque cosa sarebbe potuta accadere, lei lo avrebbe aiutato e lo avrebbe reso felice. 
E lui all'inizio si irrigidì, del tutto sorpreso di quel suo gesto completamente inaspettato, ma mentre le sue braccia lo stavano stringendo, quasi sostenendo il suo corpo improvvisamente trasformatosi in un ammasso di pezzi crollati tutti assieme in una frazione piccolissima di tempo, strinse gli occhi e affondò completamente il volto nell'incavo del suo collo. 
Perchè si sentiva al sicuro ora? Perchè sentiva di averne tanto bisogno? Perchè sentiva di aver aspettato per troppo tempo quel gesto? Perchè ora sentiva di non poterne più essere sazio di quella sensazione di pace e sicurezza, e di quel calore umano che il suo corpo emanava? E perchè lei? Perchè la Dottoressa Lovato?
"Tu non sei pazzo Andres, credimi io non l'ho mai pensato." sussurrò, a pochi centimetri dal suo orecchio, interrompendo quell'intenso silenzio che Andres aveva iniziato ad amare.
"Ho..." deglutì duramente "Giuro, ho cercato di controllarmi, non... Non volevo dargli quel pugno, io non volevo..." prese a ripetere, cercando disperatamente di spiegare, di spiegare che lui non era cosi, lui non lo era mai stato. 
"Shh..." sciolse dolcemente l'abbraccio per poterlo guardare negli occhi "Va tutto bene." sorrise e l'accarezzò ancora... Ancora. "Andiamo a casa ora. "
"Mi.. mi dispiace, io..."
"Di cosa ti dispiace? Stavolta sono stata io ad arrivare in ritardo, meritavo di correre un po', non credi?" lo interruppe sorridendo. 
"Può chiamare mia madre se vuole... E spiegarle che la sua esperienza non è abbastanza per..."
"Andres, ti prometto che ne parleremo e che ti aiuterò a controllarti. Ora andiamo a casa." gli spiegò infine, interrompendolo ancora e regalandogli un dolce sorriso, uno di quelli che forse mai sarebbe riuscito a dimenticare. 


Spazio Autrice:
Bene, non è come sembra, credetemi... (Ma perchè sto parlando come se avessi un amante e qualcuno mi avesse scoperto? Io non ho un amante ma...) No, tralasciamo. Questo è l'effetto che fa non aggiornare per cosi tanto tempo. A proposito, quando è stata l'ultima volta che l'ho fatto? Correva l'anno mille... No okay, basta, la smetto. D'accordo, stavolta prendetevela con la mia graziosa testolina che non ha più voluto saperne di produrre qualcosa di decente e sensato e credetemi, sono arrivata a pensare che non sapevo più scrivere (è orribile, si). Ma come sapete, io vi voglio troppo bene per abbandonarvi cosi e quindi, anche se questo capitolo vi risulterà essere il più orribile di tutti, io volevo e dovevo aggiornare. Perciòcuiquindi (?) vi chiedo perdono e spero che almeno ne sia valsa la pena. Ma passando ad altro, ho un paio di novità: tranquilli, a breve continuerò anche l'altra mia fanfic ed inoltre, magari scrivendolo nelle recensioni che lascerete (perchè tu la lascerai una recensione, no? Una piccola, piccola.... si? *faccia da cucciolo*) vorrei sapere chi seguiva o chi ancora segue e ancora aspetta che io aggiorni, la mia prima fanfic (Now i'm a warrior, thank to you.) perchè ho intenzione di dargli un finale, ma ho intenzione di farlo in un altro modo che mi piacerebbe spiegarvi. Bene, ho scritto la Divina Commedia ma ora mi levo dalle scatole, promesso.
Buona lettura ed un bacione gigantesco.
TeenAngelita_92


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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


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8.
"E' qui, può fermarsi."
Il suono improvvisamente flebile della voce di Andres, interruppe quel cosi intenso e fitto silenzio che si era ormai creato dall'inizio del viaggio.
La dottoressa Lovato aveva preferito offrirgli un passaggio per tornare a casa, piuttosto che saperlo guidare la sua moto ad una velocità alquanto alta ed in quello stato emotivo. Certo era che ci aveva messo molto per convincerlo, ma alla fine poteva ritenersi soddisfatta di esserci riuscita.
Per l'intero tragitto verso casa nessuno dei due si era minimamente azzardato a parlare, ed in realtà chi avrebbe dovuto davvero farlo era Andres, ma cosi non fu.
Lei sapeva perfettamente che se avesse iniziato una conversazione su ciò che poco prima era accaduto, lui si sarebbe richiuso in se stesso tornando ad essere quel freddo, distaccato e tanto arrabbiato ragazzo che era sempre stato o che aveva sempre voluto sembrare all'apparenza. Capiva che non poteva di certo obbligarlo a parlare di qualcosa che non voleva, che sembrava procurargli reazioni del tutto negative e sapeva che lei stessa non avrebbe retto ad un'altra di quelle conversazioni nelle quali avrebbero sicuramente finito per litigare.
Lei solo si impegnò a scrutare ogni suo più piccolo gesto, ogni espressione diversa che nel giro di pochi attimi sembrava dipingersi sul suo viso. Solo restò in silenzio, ad ascoltare il suo respiro irregolare mentre più in basso le sue mani erano improvvisamente impegnate a strofinare forte l'una contro l'altra.
"La ringrazio." solo disse, con finto sguardo distratto. Il suo tono improvvisamente indifferente, cosi come il suo volto.
Fece per uscire ma lei lo fermò, ancora, con la sua sola voce.
"Andres." il tempo di spegnere l'auto e poggiare le mani sul volante e dopo una piccola pausa riprese "Mi piacerebbe parlare con te."
"Lunedì abbiamo un altro appuntamen..." si affrettò a ricordarle, ma lei lo interruppe, chiarendo la sua precendente affermazione.
"Ora, Andres. Mi piacerebbe parlare con te ora." ripetè.
"Io non..." cercò di farfugliare qualcosa, non sapendo ancora cosa dirle o quale scusa inventarsi stavolta, ma fu l'improvviso squillo del cellulare di lei a salvarlo.
Tuttavia, Andres notò con stupore che quel continuo e probabilmente fastidioso squillare non la distrasse minimamente, quasi come non esistesse.
"Dovrebbe rispondere, potrebbe essere importante."
"Chiunque sia, non sarà più importante di ciò che sto facendo ora." gli rispose subito.
Del tutto impreparato a quella sua affermazione e quasi piacevolmente sorpreso, Andres prese a fissarla, come mai prima aveva fatto.
"Dios, sus ojos tan lindos." sussurrò silenziosamente tra se e se chiudendo per un istante le palpebre, sicuro che lei non avrebbe potuto sentire ne tantomeno capire, ma dall'espressione che vide sul viso di lei appena riaprì gli occhi, capì che probabilmente aveva udito qualcosa.
"Sono un paziente come tutti gli altri, e come loro ho un regolare appuntamento nel suo studio per poterle parlare. Non vedo la necessità di farlo ora." il suo tono ora era tornato completamente freddo e distaccato, e lei sapeva bene che sarebbe successo.
Uscì dall'auto e si diresse alla porta, del tutto disinteressato di aver lasciato dietro di se la donna. Il suo cellulare aveva ormai smesso di squillare da molto ma lei neanche se ne era accorta.
"Cos'è? La punizione che vuoi far pagare a me per averti visto per la prima volta fragile e debole? Oppure a te stesso?" ormai uscita anche lei dalla sua auto ed intenzionata più che mai a fare ciò che istanti prima gli aveva detto, si trovò a fronteggiarlo, poco lontano dall'entrata. "Eh Andres?"
"Lei non capisce." un debole e triste sorriso si disegnò sulla sua bocca e si voltò nuovamente alla porta per aprirla.
"Se non capisco allora aiutami a farlo!" alzò leggermente il volume di voce e dopo una breve pausa continuò "Aiutami tu a farlo allora perchè credimi, io capirei." gli spiegò.
Passarono solo alcuni secondi di silenzio da quella che apparentemente dava tanto l'idea di una supplica, dopo di chè Andres si decise ad entrare e sospreso da se stesso, invitò anche la dottoressa a fare lo stesso.
Notò l'assenza di sua madre e pensò che probabilmente fosse andata a sbrigare alcune faccende con sua zia Beatriz. Poggiò le chiavi sul tavolo della cucina dopo essersi chiuso la porta alle spalle e si voltò verso di lei.
"Dove preferisce parlare?" le chiese, scrollando le spalle.
"Ovunque tu voglia, non è importante." rispose, osservando il nuovo ambiente intorno a lei.
"Venga." la invitò a salire le scale che portavano alla sua camera.
"Questa è la tua camera, suppongo."
"Già." tossì  "Dovrei scusarmi per il disordine ma non è mia abitudine ospitare qualcuno qui."
"Non preoccuparti." sorrise lievemente.
"Si accomodi dove vuole." le disse prima di sedersi a metà del suo letto.
"Qui andrà bene." si avvicinò a lui e si sedette invece ai piedi del letto.
In attesa delle sue imminenti domande a cui era ormai abituato, Andres allungò una mano verso il comodino per afferrare una sigaretta. La inserì tra le labbra leggermente schiuse, fece per prendere il suo accendino ma lei lo fermò.
"Questa non ti serve." afferrò dolcemente la sigaretta stretta tra le sue labbra e la ripose esattamente dov'era prima. "Vero Andres?" sorrise. "Prova a sostituirla con un'abitudine migliore, che non sia un vizio."
"Impedirmi di fumare una sigaretta non mi indurrà a smettere."
"Avanti, prova. Pensa a qualche altra abitudine, che sia migliore." ripetè.
"Non ne ho idea." le rispose, ma il sorriso che piano iniziò a dipingersi sulla sua bocca indusse la dottoressa a pensare che la conversazione stesse diventando più fluida e piacevole, cosi come lui iniziava ad essere più tranquillo e calmo.
"Vediamo..." si fermò a pensare "Potresti sostituire quella sigaretta con un'abitudine piacevole per te, qualcosa che ti provochi ciò che secondo te solo il fumo riesce a provocarti, qualcosa che ti piaccia e che riesca a calmarti e a farti sentire al sicuro." gli spiegò ed Andres, in cuor suo, iniziò a sentire di esserne certo: lui sapeva perfettamente qual'era la giusta "abitudine" che meglio rispettava quella sua descrizione cosi dettagliata, ma sapeva anche che non poteva, non poteva permetterselo.
"Allora?" chiese quasi impaziente lei.
"No, non ne ho." rispose serio, spostando lo sguardo su un qualunque elemento della sua stanza che potesse salvarlo dal leggero rossore in viso.
"So che ne hai una, ne sono certa." si fermò, riprendendo dopo pochi secondi "Andres, qualcosa che puoi fare ogni volta che ne hai bisogno. Prova a pensare: tre sigarette al giorno equivarranno a tre volte la tua nuova abitudine, ogni giorno." provò ancora, nella disperata speranza di convincerlo ma la sua espressione non sembrò cambiare poi molto. "Mostramela. Se non vuoi dirmela, mostramela allora." gli disse infine, come ultimo e probabilmente vano tentativo.
Ma con sua enorme sorpresa, furono proprio quelle parole a convincerlo e di scatto si alzò in avanti, verso di lei. In una frazione piccolissima di secondo si ritrovò tra le sue braccia, stretta dolcemente al suo corpo.
Seppur troppo sorpresa e confusa per poter comprendere a pieno quel suo gesto o per potergli semplicemente chiedere spiegazioni, non lo respinse. Pose attenzione al suo respiro di nuovo irregolare ed al cuore quasi intenzionato ad uscirgli dal petto. Pareva spaventato, terribilmente preoccupato da qualcosa ma lei non capiva, non riusciva a capire. Seppe solo stringerlo a sua volta, il più forte che poteva.
"Hey, va tutto bene." gli sussurrò dolcemente quando capì di dover fare qualcosa. Poggiò delicatamente una mano sulla sua testa, strofinando la folta chioma scura.
"Va tutto bene, respira." continuò. "Cosi, bravo." sollevata dalla terribile preoccupazione di non sapere cosa gli stesse succedendo, lei sorrise quando si accorse che piano, il suo respiro stava tornando regolare cosi come i battiti del cuore.
"Andres" lo allontanò leggermente per poter guardare i suoi occhi. "Che succede?"
"Io non..." deglutì duramente "Non fumo tre sigarette al giorno. Arrivo a quattro, massimo cinque. Ed io non... Non credo che questa nuova abitudine possa..."
"Se abbracciare una persona riesce a calmarti o a farti sentire al sicuro, credimi è la miglior abitudine che tu possa prendere, che siano cinque o dieci volte al giorno." gli spiegò, con un grande sorriso sulle labbra.
Ma in realtà non era "abbracciare le persone" che riusciva a calmarlo, a farlo sentire al sicuro. Era "abbracciare lei".
"Mi scusi." si allontanò bruscamente e prese inspiegabilmente a camminare su e giù per la stanza.
"Andres, che succede? Un attimo fa avevi difficoltà a respirare e..." tentò di chiedergli lei, ma lui la interruppe.
"Sono solo un po' stanco." si giustificò "Potremmo parlare di ciò che è accaduto al parco qualche altro giorno? La prego." La dottoressa annuì comprensiva e si avvicinò.
"Certo Andres, certo. E' abbastanza per oggi." sorrise lievemente "Riposa, va bene?"
"Va bene." sforzò un piccolo sorriso, dopo di chè la vide allontanarsi e lentamente sparire dietro la porta.
Tirò un sospiro definibile "di grande sollievo", mentre con le mani si strofinò il viso ancora impadronito da un'espressione confusa e preoccupata dopo ciò che aveva appena fatto.
"Cosa diavolo mi salta in mente!" quasi urlò a se stesso, rimproverandosi.
Ma senza neanche darsi il tempo di pensare a ciò per cui davvero si stava rimproverando, si mise alla ricerca del foglio e della penna di cui la notte prima si era servito per svuotare la mente ormai piena zeppa di pensieri e dubbi.
Trovò entrambi e senza aspettare più un solo attimo, iniziò a scrivere:
"L'ho abbracciata. Dio, se l'ho fatto.
L'ho stretta a me come mai prima d'ora, come non ho mai fatto con nessuno.
L'ho stretta al mio corpo ed ho potuto sentire il suo profumo, il suo meraviglioso profumo.
Ho potuto sentire il suo respiro entrarmi fin sotto la pelle e la sua voce mandarmi in paradiso.
Ho sentito la sua mano accarezzarmi la testa mentre l'altra mi teneva stretto.
Ho sentito cosa si prova a desiderare dispertamente di vivere in un paio di braccia, con la testa nell'incavo di un collo.
Ho sentito la sua voce dirmi che tutto andava bene.
Ho sentito il suo corpo riuscire a calmare il mio, in un attimo.
Ma io non posso, lei deve solo aiutarmi ad essere felice. Lei non può essere la mia felicità.
Lei deve solo aiutarmi a calmarmi, ma non può essere il mio calmante.
Lei deve solo aiutarmi a stare tranquillo, ma non può essere il mio tranquillante.
E so di aver desiderato disperatamente le sue braccia attorno a me, ancora e ancora e ancora...
So di aver sentito il bisogno di affondare la testa nell'incavo del suo collo e di chiudere gli occhi.
So di aver voluto che il suo respiro riscaldasse la mia pelle.
So di averla desiderata ma so anche di aver sbagliato, di aver confuso tutto.
Ma questo non succederà ancora, non lo permetterò."


"Tesoro, svegliati." continuava a sussurargli con estrema dolcezza la voce di sua madre. "Andres, avanti." sorrise.
Erano appena le 10:00 del mattino e lei aveva iniziato a preoccuparsi quando si era sera conto che il giorno prima, Andres aveva dormito per tutto il pomeriggio ed ancora non sembrava volersi svegliare, come caduto in un sonno intenso e profondo.
"¡Dale Andres! Tienes que levantarte." continuò.
"Uhm... ¿Mamá, que quieres?" le rispose seccato, intento a cambiare posizione sul cuscino.
"Ma finalmente! Hai dormito un po' troppo per i miei gusti, Rivas." lo rimproverò.
"Giù c'è la Dottoressa Lovato che vuole vederti." continuò con fare tranquillo e sereno, ma la reazione di Andres al solo suono di quell'affermazione fu l'esatto contrario.
"Cosa?" si alzò di scatto, facendo distrattamente rotolare giù dal letto il foglio e la penna che aveva usato il giorno prima. "Perchè è venuta? Perchè vuole vedermi?" le chiese frettolosamente, iniziando quasi a farle un interrogatorio senza neanche darle il tempo di rispondere.
"Aspetta, dammi il tempo di rispondere!" lo guardò, scrutando la sua espressione per cercare di capire qualcosa "E' venuta chiedendomi di te ed io le ho chiesto se andasse tutto bene, o se magari tu avessi fatto qualcosa di sbagliato ma mi ha tranquillizzato dicendomi che tra di voi va tutto bene e che stai iniziando ad aprirti." gli spiegò "Andres, non è che devo preoccuparmi? Hai fatto qualcosa..."
"No, certo che no!" la interruppe prima che potesse finire. "Non so perchè voglia vedermi." si alzò e si diresse verso il suo armadio.
"Beh allora sbrigati." gli disse prima di alzarsi e dirigersi verso la porta. "Andres." lo chiamò e continuò solo quando capì di aver attirato la sua completa attenzione "Sono felice che stia andando tutto bene con... Con la nuova psicologa, magari è quella giusta." gli sorrise, con espressione serena e sollevata.
"Ho solo deciso di impegnarmi stavolta, niente di speciale." le rispose indifferente "E... Per favore, vorrei che tu smettessi di parlare con la madre di Josh."
"C-Cosa? Che vuoi dir..."
"Te lo spiegherò più tardi ma per favore, fidati di me." gli disse infine, e ritornò a porre l'attenzione sui suoi vestiti.
Mentre quasi "sfogliava" i suoi indumenti come fossero fogli di giornale, la sua mente sembrava essere da tutt'altra parte: ancora si stava chiedendo come mai fosse venuta a casa sua, come mai avesse chiesto di vederlo. Ancora si stava chiedendo come mai avesse voluto vederlo di Domenica, il suo unico giorno libero. Cosa la spingeva a fare tutto questo per lui? Ad esserci costantemente per lui? Dopotutto era solo un paziente come tutti gli altri, perchè perdere tempo proprio con lui? Perchè perdere tempo quando lui non l'avrebbe mai ripagata abbastanza? Quando in realtà avrebbe continuato a rispondere male, ad essere scontroso ed arrabbiato? Ne valeva davvero la pena?
Finì di vestrirsi e fu il rumore della porta che si apriva ad interrompere i suoi pensieri.
"Posso?" non ci mise poi molto a riconoscere la sua voce. Si voltò ed annuì semplicemente.
"S-Salve." riuscì solo a farfugliare, mentre un treno zeppo di domande sembrava partire dalla sua testa e dirigersi a gran velocità verso la sua bocca.
"Ti chiedo scusa per questa mia improvvisa irruzione a casa tua." rise "E so che ci siamo già visti solo ventiquattro ora fa e che oggi è Domenica e non abbiamo nessun appuntamento..." si fermò per un breve attimo, come per trovare le parole giuste "Ma ieri, mentre ritornavo a casa, ho ripensato a ciò che è successo al parco e ad alcune cose che non ho potuto non notare." gli spiegò "E sono qui oggi perchè mi piacerebbe farti conoscere un luogo che penso potrebbe aiutarti."
"Perchè sta facendo tutto questo per me?" le chiese, quasi senza darle il tempo di finire e si accorse di averla probabilmente colta di sorpresa.
"E' il mio lavoro, Andres."
"Se davvero fosse il suo lavoro, non le salterebbe neanche in testa di perdere tempo con uno come me anche l'unico giorno libero che ha."
E lei restò in silenzio, sorridendo lievemente come per pensare un istante a ciò che avrebbe dovuto dire.
"Hai ragione sai, probabilmente no, non lo farei...." rispose semplicemente.
"Ho ragione? Nient'altro?" chiese estremamente stupito da quella sua risposta. "Cos'è? E' a corto di parole oggi, Dottoressa Lovato? Come minimo ad una domanda del genere avrebbe risposto iniziando a parlare del fatto che..." iniziò lui, intento ad elencare tutto quell'inutile mucchietto di cose che aveva sentito e risentito più volte da tutti gli altri psicologi, e forse anche da lei.
"Hai ragione, in effetti su ciò che hai appena affermato avrei molto da dire, ma mi piacerebbe parlarne con te in auto, mentre ti porto a conoscere il luogo di cui ti parlavo prima." disse, estremamente serena e sorridente, quasi come fosse sicura che lui avrebbe accettato.
"Ma, ovviamente, sei libero di rifiutare la mia proposta e goderti questa meravigliosa giornata di sole. Il nostro solito appuntamento è comunque domani." proseguì, infine.
Dopo un ultimo, forse speranzoso sguardo, si voltò verso la porta intenta ad uscire ma non ne ebbe il tempo.
"Va bene." rispose, quasi in tono di sfida "Mi porti dove vuole se crede che ciò possa aiutarmi." alzò le braccia fin sopra la testa, in segno di resa.
"Bene." sorrise "Ti aspettò giù." fu l'ultima cosa che disse, dopo di chè uscì e Andres la vide sparire dietro la porta. La segui con lo sguardo, prima di stringere forte le palpebre e respirare profondamente. Afferrò il pacchetto di sigarette dal suo comodino e dopo averlo sistemato per bene nella tasca destra del jeans, uscì.
-
"Allora? Ora mi piacerebbe ascoltare il suo sicuramente lunghissimo discorso riguardo alla questione "Qual è davvero il suo lavoro"." quasi con aria di sfida ed estrema curiosità, la voce di Andres interruppe l'ormai inevitabile silenzio che ogni volta si creava tra loro. Erano in macchina da circa 10 minuti e nessuno dei due sembrava avere intenzione di parlare.
"Lunghissimo?" chiese con fare sorpreso lei, ponendo estrema attenzione alla strada.
"Si, lunghissimo. Avanti non mi dica che ha poco da dire al riguardo." si fermò per una breve pausa, intento a cercare di captare un possibile risposta solamente dalla sua espressione "Non mi dica che ho rinunciato ad una Domenica cosi bella e calda come questa solo per perdermi uno dei suoi lunghi e troppo articolati discorsi!" disse ancora, con fare ironico. "Lei ha sempre cosi tanto da dire, questa non può essere un'eccezione." proseguì, infine.
"Stavolta direi cose che già sai."
"No, non credo. Io voglio semplicemente sapere perchè me, perchè io. Ciò che sta continuando a fare supera di molto il limite del suo lavoro e lei lo sa bene."
Ancora una volta lei restò in silenzio, per qualche minuto, probabilmente solo per pensare a cosa dirgli e a come dirglielo.
"Lascia che ti racconti una cosa..." Inizio, sistemandosi meglio sul sediolino dell'auto. "Sono riuscita a far parlare anche il più duro che mi sia mai capitato. Promisi a lui ed ai suoi genitori che lo avrei aiutato, che avrei fatto l'impossibile per far si che stesse bene e fosse felice. E sai, non ci volle poi molto a convincerlo che stesse evidentemente sbagliando qualcosa. Si lasciò aiutare, buttò nel cestino le sue brutte abitudini e il suo brutto e freddo comportamento. Ora, ogni volta che torna a trovarmi è sempre cosi sorridente e non sa quanto mi renda felice il semplice fatto di essere riuscita ad aiutarlo." si fermò, e questo diede il tempo ad Andres di chiederle:
"Perchè mi sta parlando di un suo paziente che neanche conosco quando ciò che voglio sapere e tutt'altro?"
"Per lui non ho fatto neanche la metà di ciò che sto facendo per te eppure è bastato." continuò il suo racconto, incurante della sua domanda "A tutti sembra bastare ciò che faccio per loro e si lasciano sempre aiutare, ma tu no. Tu continui a non fidarti di nessuno, a non lasciarti aiutare da nessuno. Hai cambiato cosi tanti psicologi che Dio solo sa perchè tu abbia voluto che accadesse. Ho promesso a te e tua madre che ti avrei aiutato e lo farò, che sia il mio lavoro o no."
"Quindi è per questo?" rise tristemente lui "Una promessa? Come lo hanno promesso tutti gli altri."
"Quei "tutti gli altri" si sono limitati a fare ciò che fanno sempre, ciò che di solito funziona: promettono ma in realtà forse neanche loro sanno cosa fare. Con te sapevano in partenza che non poteva funzionare e hanno lasciato che tu credessi di non poter essere aiutato o di non avere nessun'altra speranza. Ma Dio, se solo tu ti lasciassi aiutare da me e ti fidassi io..." si fermò, accorgendosi di stare stringendo un po' troppo forte il volante tra le mani e concentrò la completa attenzione sulla sua indecifrabile espressione quando un semaforo fermo al colore rosso gliene diede la possibilità.
"Io potrei aiutarti Andres." finì sospirando. 

Spazio Autrice:
SONO TORNATAAAA *grido superultramegafelice*
Credevate che vi avessi abbandonato, eh? Ebbene si, io, TeenAngelita_92, sono tornata, con la mia Demina ed il mio Andres, a rompere le scatole. E' passato tipo quanto dall'ultima volta che ho aggiornato? Un anno? Si, forse, ma sapete, è stato un anno pieno zeppo di cambiamenti: cambio di paese, cambio di scuola, cambio abitudini, traslochi, eccetera eccetera... Di conseguenza l'ispirazione per scrivere qualcosa di almeno decente era inesistente. Sono tanto felice di essere tornata e di poter continuare tutto tutto tutto ciò che ho lasciato in sospeso, davvero, soprattutto sono tanto felice di poterlo far leggere a voi (se ancora siete disposte a leggere i miei "scleri di fantasia" e a perdonarmi per l'infinità di tempo che sono mancata.)
Credetemi, non mento quando dico che tutto questo mi è mancato taaaantissimo! 
Bene, come sempre mi prolungo troppo, trasformando un semplice "spazio autrice" nella Divina Commedia. 
Spero siate contenti di questo mio improvviso ritorno, e spero vi soddisfi ancora leggermi.
Un abbraccio grande! Ed a molto molto presto.
TeenAngelita_92

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