Sei pronto?

di Agapanto Blu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ehilà!
Yep, sono io, quella orribile personcina che insulterete dall'inizio alla fine di questa storia e il cui nome appare accanto alla dicitura "Autore" per una mera coincidenza di nefaste cause dovute al fatto che avete versato il succo di mirtillo sul mantello preferito della Sfiga e lei ora si sta vendicando. 
A parte gli scherzi, che voi sapete mi riescono bene, probabilmente -se avete già letto qualcosa di mio- vi starete chiedendo "Ma che cosa ci fa lei qui, all'inizio? Di solito non lascia le sue note irritanti solo in fondo ai capitoli?" Sì, è vero, di solito lo faccio, ma questa storia è un po' particolare e quindi mi sono sentita in dovere di parlarvi un attimo prima. Secondo me, il motivo di queste note lo avete già capito, se avete letto l'introduzione alla storia:
M-Preg e Gender Bender.
Esatto.
Entrambi gli avvertimenti sono particolari ed estremamente delicati e l'unica cosa che mi sento di dire è che ho cercato di renderli come ho sempre fatto con tutte le realtà più particolari e delicate che ho trattato: con rispetto e serietà. Potrei aver "fallito".
Non lo dico per scherzare né per lavarmene le mani, semplicemente non sono un'esperta in materia e per quanto abbia cercato di informarmi, alcune cose ancora non le ho capite bene adesso. Per questo, alcuni punti di questa fic sono trattati in modo un po' vago, soprattutto quelli riguardanti il cambiamento di sesso, solo perché preferisco non descrivere una cosa piuttosto che descriverla scrivendo idiozie.
Non mi è mai capitato su questo sito, ma di recente su Tumblr ho avuto la spiacevole esperienza di scovare persone così limitate celebralemente da aver attaccato questo genere di cose - omosessualità, gravidanze inattese, genitori adolescenti, operazioni per il cambiamento di sesso etc...- in modo alquanto disgustoso e vergognoso e la cosa mi ha davvero delusa. Giudicare gli altri è sempre un po' troppo facile, ma a cercare le pagliuzze nei loro occhi rischiamo di vedere la trave nei nostri, come si suol dire.
Nulla, finita qui la nota seria e pesante che voleva dare una motivazione al mio spuntare dal nulla con questo bel mattoncino. Ovviamente, le note più irritanti e leggere saranno in fondo alla pagina.
A sotto.






Sei pronto?
 
- PROLOGO
 
“Sei pronto?”
“S-Sei-kun…”
“Shhh, fai piano, Tetsuya…” La risata bassa, sottile, di Akashi al suo orecchio è come la prima di un bambino: tintinnante come argento e fresca come il ghiaccio di una limonata. È dolce e gli fa il solletico mentre le dita delle sue mani si occupano dei suoi fianchi con altrettanta gentilezza. “Non vorrai mica che gli altri ci sentano, vero?”
“Se Sei-kun non fosse un pervertito, non ci sarebbe problema.” borbotta il fantasma, distogliendo lo sguardo per nascondere quel minimo di rossore sfuggito al suo controllo per fiorire sulle sue guance come papaveri in un campo, “Aspettare che tornassimo a casa era troppo, per sua maestà.”
“Sorvolerò su questo atteggiamento solo perché devo ammettere che hai ragione.” Ma Akashi ride ancora e la minaccia vale molto poco, specialmente con la punta del suo naso che si strofina contro il lobo dell’azzurro. “Tuttavia, ti prego di cercare di capirmi, Tetsuya. Sono quasi due settimane che siamo qui, da soli, in un bosco in mezzo alle montagne, con te che continui a passarmi davanti tutto sudato e ansimante e…”
“Non siamo soli, Sei-kun.” ricorda Kuroko, voltando tuttavia la testa per far combaciare i loro nasi, “Ci sono entrambe le nostre squadre. E questo è un ritiro sportivo, per forza sudo e ansimo.”
“Irrilevante.” Akashi scrolla le spalle, sollevandosi un po’ dalla sua posizione a quattro zampe su Tetsuya per ammirare quest’ultimo sdraiato sul suo futon. Kagami ha capito l’antifona e si è dileguato pur di non incappare nelle loro effusioni quindi, almeno per questa notte, hanno la camera tutta per loro. E dopo dieci giorni di astinenza con ancora cinque di fronte, Seijuro è determinato a fare tesoro di quelle ore. “Devi prenderti le tue responsabilità.”
Kuroko sbuffa, offeso, e il rosso sorride perché sa che solo con lui l’azzurro è così aperto, solo a lui mostra così tante sfumature del proprio viso.
Si baciano. Prima piano, delicatamente, con la mano di Seijuro che scivola piano sulla guancia di Tetsuya e nulla più, ma poi il fantasma avvolge le braccia al collo del rosso e le lingue iniziano a farsi più audaci, il calore a salire, i corpi a sudare finché, a corto d’aria, Akashi si stacca per portare la bocca all’orecchio dell’amante.
“Avrei una richiesta…” mormora.
Tetsuya sa solo che in questo momento gli darebbe anche la luna, se il suo fidanzato gliela chiedesse.
 
Kuroko gemette, scrollando la testa per scacciare quella memoria dalla mente. Il senso di colpa e la paura pulsavano nel suo petto con sempre più forza ad ogni secondo di quella notte che riviveva ed ogni gemito che gli era sfuggito era come una sferzata sulla schiena nuda, umiliante e doloroso.
Il telefono nella sua mano vibrò di nuovo – Kagami, per la terza volta – ma Kuroko lo ignorò ancora e riprese a fare avanti e indietro nel parcheggio del piccolo rifugio montano dove la Seirin e il Rakuzan si sono recati per il ritiro invernale congiunto. Controllò nervosamente la strada, ma ancora nulla e quindi sbirciò il cellulare solo per vedere l’orologio digitale far scattare i minuti una cifra più avanti, un metro più in fondo al burrone. Tetsuya sapeva che per certe cose la precisione non contava, che poteva essere davvero già troppo tardi come mancare ancora una vita, ma la sua testa aveva bisogno di aggrapparsi a qualcosa o sarebbe impazzito.
Non riusciva a credere di aver fatto ciò che aveva fatto, di aver acconsentito ad Akashi così idiotamente, superbo nella sua certezza di sapere esattamente come mettere a posto le cose dopo. Sentiva le lacrime cercare di salirgli agli occhi per l’ansia e la paura, ma cinque anni con addosso la maschera di un fantasma gli permettevano ancora di trattenerle.
Come aveva potuto essere così incosciente?!
Gemette di nuovo, senza sapere cosa fare per fermarsi, e si guardò di nuovo intorno. Già quarantacinque cifre di troppo erano trascorse.
Se solo non avesse dormito così tanto, se solo avesse pensato prima di dire di sì, se solo in quel maledettissimo posto dimenticato da dio ci fosse stata una maledetta farmacia come si deve e non solo una cosetta minuscola dall’inventario ridotto!
Si lasciò cadere seduto sul muretto del parcheggio e si prese la testa tra le mani mentre il suo telefono vibrava di nuovo, questa volta per un messaggio dalla coach che lo costrinse, illuminando lo schermo, a vedere un altro granello aggiungersi al lato sbagliato della sua clessidra.
Che cosa doveva fare?! Una parte di lui voleva chiamare Akashi e dirgli tutto, ma la sua mente gli urlava che in quella storia Seijuro non aveva proprio colpa. Era solo lui che aveva deciso di tenergli segreto quel piccolo particolare della sua vita quando si erano messi insieme per la prima volta alle medie, e poi di non dirglielo nemmeno alle superiori nonostante fossero una coppia ormai da due anni; il rosso non meritava di essere tirato in mezzo per la sua sola stupidità.
Kami-sama, ti prego…” scivolò fuori dalle sue labbra prima che potesse fermarsi, “Ti prego…!
La sua voce, rotta da un singhiozzo a malapena trattenuto, era ridotta ad un sussurro tanto basso che il ragazzo poté udire l’avvicinarsi di un’auto almeno quindici secondi prima che questa entrasse nel parcheggio e il suo corpo, istintivamente, saltò in piedi.
Quando la sagoma della macchina di sua madre si palesò, Kuroko sentì un infantile sollievo prendergli il petto, come se la sola presenza della donna potesse mettere tutto a posto. Strinse il cellulare nella mano con tanta forza da far sbiancare le proprie nocche e pregò che quarantasei minuti non fossero abbastanza, pregò di starsi facendo male per niente, pregò che tutto andasse a posto.
Ma appena la sagoma alta e longilinea, fine come un giunco, di Sakura Kuroko uscì dalla portiera, Kuroko sentì solo il peso di quei minuti schiacciarlo urlandogli tutti nella testa la stessa frase.
“È troppo tardi…” mormorò, senza sapere perché lo stesse ripetendo ma continuando a dirlo fino a che sua madre non gli fu in fronte e non lo ebbe stretto in un abbraccio, “È troppo tardi…”
 
Sakura aveva lunghi capelli azzurri, come il figlio, e gli stessi occhi grandi e color fiordaliso; la stessa pelle pallida su tratti sottili e femminei, ma aveva le labbra un po’ più carnose e rosse ed era alta, slanciata verso il cielo cui sembrava aver rubato i colori. Il suo viso, bello come quello d’una bambola, era rigido in un’espressione preoccupata mentre stringeva tra le mani tre sottili tubicini bianchi, eppure era ancora affettuoso e gentile. Quell’assoluta devozione fece vergognare Tetsuya ancora di più.
“Mi dispiace…” si ritrovò a singhiozzare, seduto con le ginocchia al petto, sul pavimento del bagno comune del rifugio, improvvisamente incapace di trattenersi dal piangere, “Mi dispiace!”
Sakura si inginocchiò davanti a lui e gli mise le mani sulle spalle, cercando i suoi occhi con i propri e tentando di mascherare la sua stessa ansia.
“Shhh, Tetsuya, calmati, ti prego…” mormorò, a voce bassa ma ferma, “Ascoltami, Tecchan, per favore.” La presa delle sue mani su di lui era lieve, ma Kuroko la sentiva rovente, come volesse sciogliergli la carne sulle ossa. “Ascolta, gli ermafroditi raramente sono fertili; la pillola era solo…una precauzione, va bene? Così come la pastiglia del giorno dopo. Sono tutte cose in più, per essere sicuri, ma se non hai…se non le hai prese non vuol dire nulla, d’accordo? Non preoccuparti…”
Ma le lacrime sul volto di Tetsuya non smisero di scendere; si limitarono solo a cambiare appena il loro corso quando lui scosse la testa con forza.
“Mamma…” gemette quel nome come una preghiera, una supplica così disperata da far spezzare qualcosa dentro Sakura. “Io… Io lo sento, mamma…” Era folle, non aveva senso, come poteva saperlo lui? Tetsuya non ne aveva idea ma era lì, al centro del suo stesso essere, come un puntino di luce all’interno di un buio eterno, e pulsava e faceva sì che tutto gli girasse attorno e… Cielo, come faceva a spiegarlo quando lui era il primo a non capire?! “Non so dire come o perché, ma…lo sento. Lo sento.” Tetsuya cercò gli occhi di sua madre al di là del muro di lacrime e sentì il petto stretto da un dolore assurdo, una vergogna che sembrava averlo marchiato a fuoco, ma aveva bisogno di farle capire, aveva bisogno di una risposta, una sola, perché così non poteva farcela. “Io lo so che è folle, però…” tentò di dire, ma la sveglia del cellulare di sua madre lo fece sobbalzare e gli strozzò le parole in gola con un guaito.
Sakura sapeva cosa suo figlio stava cercando di dire, ma si affrettò a controllare i test senza aiutarlo a spiegarsi.
I risultati davanti ai suoi occhi erano unanimi, ma lei avrebbe dato un braccio perché fosse diversamente.
Diamine, Tetsuya aveva compiuto diciotto anni solo tre giorni prima! Seijuro ne aveva fatti diciassette a malapena il mese precedente!
Chiuse gli occhi per un attimo, ma poi si voltò verso il figlio e quello sguardo terrorizzato, smarrito, così ferito e umiliato da far male, la costrinse ad afferrare quel corpo ancora mingherlino tra le braccia e a stringerselo al petto come fosse un bambino. Anche se, purtroppo, non era affatto più un bambino; anzi.
Kuroko era sul punto di chiedere una risposta, quando le parole di sua madre gli scivolarono nelle orecchie.
“Non è folle, Tecchan…” mormorava e, anche senza vederle, lui poteva sentire le lacrime nella sua voce, “Solo che…ci sono cose che una madre sa e basta.”
Tetsuya chiuse gli occhi mentre quelle parole lo spezzavano, lo scioglievano in forti e sonori singhiozzi come forse solo un bambino di cinque anni, lo spingevano a nascondere il viso contro il seno di sua madre e a stringerle la maglia con le mani con tanta forza da pensare vi avrebbe lasciato un buco.
Che cosa devo fare?!
Continuò a piangere per ore, senza riuscire a darsi una risposta.
 
Non sono pronto.




 
E voi avete creduto davvero che vi regalassi un prologo con tanto di più? Tsk, siete già fortunati, all'inizio volevo chiuderlo con ...eh...come dire?..."il concepimento!" e basta, ma poi ho pensato che non si sarebbe capito niente di quello di cui volevo trattare... v.v
Scherzi a parte, se avete saltato le note in alto LEGGETELE perché per me è importante, okay?
Questa storia, come già detto, tratterà di una gravidanza maschile, quella di Kuroko, ma anche -seppur più lievemente perché legata ad un personaggio più marginale- di un cambiamento di sesso da maschile a femminile -non vi dico chi ma, tranquilli, non castrerò Akashi, mi serve ancora v.v- quindi posso capire se qualcuno di voi non vuole leggerla.

Una nota:
ERMAFRODITA è la parola usata da Sakura per descrivere Kuroko. Letteralmente è la commistione dei nomi HERMES e AFRODITE perché era il nome di un antico dio greco che possedeva sia gli organi sessuali maschili che quelli femminili. NON si tratta di mitologia: sebbene il nome derivi dalla tradizione classica, è un fenomeno reale e individui con questa particolarità esistono davvero anche se, come dicono i personaggi, raramente sono fertili -anzi, solitamente sono sterili completamente-. È una caratteristica abbastanza frequente nel mondo animale, tra l'altro.

Basta, ho finito :) Mi resta solo da dirvi che la sottoscritta si è solo lievemente modernizzata e adesso ha un account Tumblr dal nome VivaLaFantasia Agapanto Blu dove posta le sue storie in inglese e da dove ACCETTA PROMPT anche se tra poco chiuderò l'AskBox per un mesetto circa, causa esami. Se siete interessati, da lì spero di riuscire a tenermi meglio in contatto con voi, soprattutto ora che io ed EFP ci vediamo giusto tre minuti quando devo aggiornare e fine -.-

Aggiornare! Giusto!
Questa storia, sono orgogliosa di dirvi, è COMPLETA anche perché partecipa al contest indicato nell'introduzione quindi non potrebbe essere altrimenti e perciò gli aggiornamenti saranno SETTIMANALI (alias: prossima Domenica, prossimo capitolo) e si tratterà di un totale di sette capitoli -prologo ed epilogo compresi- quindi durerà poco :)

'Stavolta ho finito davvero e vi lascio :)
A presto!


Agapanto Blu


P.S. All'ultimo capitolo cercherò di mettere il banner xD

 

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***







Sei pronto?
 
- CAPITOLO I
 
“Sei pronto?”
La voce sottile di Sakura stonò nel silenzio assoluto del rifugio vuoto. Kuroko prese un respiro profondo, si aggiustò la tracolla del borsone da viaggio sulla spalla e prese di nuovo un respiro profondo. Vagò con gli occhi sulla camera, ma senza vederla veramente, quindi si passò piano una mano sul ventre, senza notare quanto questa stesse tremando.
Alla fine, si voltò verso sua madre, sulla porta, e con un nodo in gola annuì, senza voce per rispondere a parole.
 
Per ragioni mediche, a poche settimane dalla fine del suo terzo anno di scuole superiori, Kuroko Tetsuya dovette abbandonare il ritiro congiunto della sua squadra di basket e di quella del Liceo Rakuzan per rientrare a Tokyo. Quattro giorni dopo, comunque, al ritorno degli altri ragazzi, era alla fermata dell’autobus per accoglierli al loro ritorno.
Sul suo viso, era calata di nuovo la sua maschera più spessa e impenetrabile.
 
Tetsuya, non so…
“Andrà tutto bene, Sei-kun, ti prego, non preoccuparti.” Kuroko scosse la testa, pur sapendo che il suo fidanzato non poteva vederlo.
La stanza attorno a lui non era né grande né piccola, con pareti di un bianco acceso e pavimenti di parquet scuro. La maglietta nera e bianca, con il numero undici in rosso luminoso, penzolava pigra da mollemente appesa all’angolo alto dell’alto dell’anta dell’armadio di legno e guardava in religioso silenzio al futon sfatto che le stava di fronte. Era mezzogiorno, ma Kuroko non si alzava da tre giorni; si rigirava tra le lenzuola, ora fissando la parete e ora il cielo oltre la finestra verso cui puntavano i suoi piedi, inseguendo fila e fila di pensieri senza capo né coda, incapace di dare loro un senso o quantomeno uno scopo. Aveva fatto correre i polpastrelli sulla superficie del cuscino immaginando fosse il viso di Akashi, aveva pianto contro la fodera fingendola il petto ampio e accogliente del fidanzato, ma ora che poteva parlare con il vero Seijuro invece che con un guanciale silenzioso non faceva altro che mentire.
Non si tratta di preoccuparsi o meno, Tetsuya.” ribatté immediatamente il rosso, testardo come sempre, “Non mi piace l’idea di lasciarti da solo in questo momento. Forse dovrei davvero posticipare la partenza: anche se perdo le prime lezioni, non è nulla che non possa recuperare studiando per conto mio e…
“Sei-kun, per favore, non dire sciocchezze.” Gli occhi azzurri di Kuroko scivolarono oltre il vetro per specchiarsi nel cielo stesso, “Mia madre si riprenderà in fretta, i dottori dicono che è stato solo un caso di anemia e che con un po’ di tempo e cure si rimetterà completamente. Non ha senso che tu rimandi la partenza e perda i primi giorni di college solo per colpa mia.”
Se la madre del mio ragazzo sta male, è mio dovere stare accanto a lui, Tetsuya.
“E se il mio ragazzo vuole fare una sciocchezza, è mio dovere impedirglielo, Seijuro.” Kuroko sospirò, suo malgrado intenerito dalla gentile protezione che Akashi gli dispensava continuamente, ma poi riprese a giocare con il bordo della coperta su cui si era sforzato di mettersi quantomeno a sedere e tornò al cellulare che teneva all’orecchio, “Sei-kun, ascolta, ormai sei in aeroporto e il tuo volo parte fra trenta minuti, non puoi tirarti indietro adesso. Vai, davvero, io starò bene.”
Il sospiro di Akashi, al di là della cornetta, gli fece alzare gli occhi al cielo.
D’accordo, ma promettimi che mi raggiungerai presto.
Kuroko deglutì, ma a fatica.
“Ti prometto” I suoi occhi si alzarono e incrociarono quelli silenziosi e gentili di sua madre, affacciata sulla porta della sua camera, “che verrò a New York appena potrò.” Non disse che questo non sarebbe mai accaduto.
Questo è il mio ragazzo.” mormorò Seijuro e Tetsuya poteva immaginarselo sorridere, coi capelli rossi illuminati dalla luce del sole che attraversava le vetrate dell’aeroporto, bellissimo mentre osservava la pista d’atterraggio come la possedesse, con il giacchetto di pelle nera stile motociclista che lui stesso gli aveva regalato per il suo diciassettesimo compleanno e con gli occhi scarlatti scintillanti e tentatori, “Non prenderla nel senso sbagliato, non voglio metterti fretta nel lasciare tua madre, ma non vedo l’ora di poter andare a vivere insieme. Sono certo che sarai una mogliettina fantastica…
“Sei-kun!” Kuroko rimproverò, ma debolmente. Qualcosa gli si era incastrato nella gola alla prima risposta evasiva data al suo ragazzo e si stava gonfiando sempre più ad ogni menzione di quel futuro attentamente programmato e aspettato così tanto ma che era ormai fuori portata, anche se Akashi non lo sapeva ancora, “Va’, ormai sarà quasi ora dell’imbarco.”
Sì, in effetti hanno già chiamato una volta, sarà meglio che vada. Ti telefono appena atterriamo.
“Sì, per favore, non farmi preoccupare.” Non avrebbe potuto sopportare anche quello.
Promesso. Ti amo, Tetsuya.
E Kuroko chiuse gli occhi, allentò la pressione dei singhiozzi lasciando scivolare lacrime silenziose lungo le proprie guance e lentamente, d’istinto, portò la mano sinistra ad accarezzarsi il ventre piatto.
“Ti amo anche io, Seijuro.” mormorò.
Dentro di sé, dentro il suo corpo, però, c’era ormai qualcuno che amava ancora di più.
 
Una telefonata al giorno non era molto, ma con la madre di Kuroko che continuava a stare male Akashi era determinato a non far pesare affatto al fidanzato quella lontananza forzata. Così stette zitto e accettò, come un umile postulante, quell’acqua che Tetsuya lasciava cadere nelle sue mani.
 
L’acqua divenne sempre più poca, sempre più lenta, sempre più sottile. Divenne un filo, poi gocce, poi una singola goccia così rara da far sentire Seijuro come un assetato nel bel mezzo del deserto.
Infine, arrivò la siccità.
 
…Tetsuya, temo di aver capito male.
“Hai capito perfettamente. Ti prego, non rendere tutto questo ancora più difficile.”
No, aspetta. Non voglio parlare di questo al telefono. Prendo il primo aereo per il Giappone e quando sarò lì…
“Non voglio che torni qui. Hai il college da portare avanti, sei a metà semestre, sarebbe una follia lasciare adesso.”
Cosa cazzo pensi che me ne freghi del college, Tetsuya?!” Kuroko non sobbalzò, anche se era in assoluto la prima volta che sentiva Akashi urlargli contro, per di più con parole tanto volgari. “Tetsuya, perdonami, scusa… È che…non… Tetsuya, tu non puoi voler davvero rompere con me, giusto? Dopo tutto quello che è successo e che c’è stato, dopo cinque anni insieme non riesco a credere che tu abbia cambiato idea così, in soli tre mesi.
“Mi dispiace.” Erano le sole due parole oneste che Tetsuya avesse detto dall’inizio di quella discussione e lui sorrise amaramente pensando a come si sarebbero perse nel caos di menzogne molto più grandi e dolorose. “Non avrei voluto che succedesse, ma mi sono davvero innamorato della ragazza che era in ospedale con mia madre. Non so spiegartelo, è successo all’improvviso. So che avevamo fatto dei piani e tutto il resto, ma…non voglio più farlo.” Perché lui mentiva ma tutte quelle bugie lo ferivano forse più di quanto non ferissero Seijuro stesso? Kuroko chiuse gli occhi e pensò a tutte le cose che avrebbe desiderato con tutto il cuore poter fare. Poi vi aggiunse una negazione. “Non voglio venire a New York, non voglio venire a vivere con te e non voglio continuare a stare con te. Perdonami, non era mia intenzione ferirti, ma non posso farci nulla.”
Tetsuya…
Per favore.” E Kuroko sapeva che la supplica in quelle due parole era troppo forte perché Seijuro la ignorasse, troppo disperata perché insistesse, troppo vera perché semplicemente non lo lasciasse andare come gli stava chiedendo di fare.
Il silenzio che seguì fu pesante e violento, come quello che segue uno schiaffo in pieno volto, ma Tetsuya non avrebbe saputo dire chi fosse la vittima e chi il carnefice. Alla fine, forse, erano entrambi la prima e non c’era un secondo.
Tetsuya…
“Sayonara,” mormorò, prima di riagganciare, “Akashi-kun.
 
Kuroko pianse ininterrottamente per i successivi tre giorni, con le mani saldamente strette al suo ventre lievemente arrotondato, ma non venne meno alla sua decisione.
Akashi non richiamò.
 
Tetsuya detestava le nausee. Detestava sentire l’acido bruciarlo da dentro, il gusto rovente in fondo alla sua gola, la sensazione di impotenza del suo corpo che si contorceva in spasmi che lui non aveva la forza di trattenere. Le detestava perché si sentiva debole e fragile; perché erano già dieci notti che non riusciva a dormire bene, perché era stanco e perché non riusciva a smettere di piangere, nemmeno quando iniziava senza alcun motivo. Nella sua mente, le malediceva in ginocchio sulle piastrelle bianche di ceramica del bagno, con la testa ciondolante sopra il sanitario e tutto il corpo che tremava e sobbalzava e cercava di resistere seppur allo stremo.
Allora, però, suo padre gli faceva portare delicatamente le mani al ventre rigonfio, gliele teneva lì e gli baciava la fronte assicurandogli che sarebbe andato tutto bene e all’improvviso lui non era più né debole, né stanco, né sporco.
Chiudendo gli occhi, poteva vedere il punto di luce dentro di sé crescere, lentamente ma inesorabilmente, e il suo corpo si scopriva ancora più inerme che per il vomito di fronte al sorriso che prepotente gli sollevava gli angoli della bocca. Tutto d’un tratto, Tetsuya sapeva di potercela fare.
La mattina dopo sarebbe stato di nuovo nello stesso stato, ma finché suo padre fosse stato lì per portargli le mani al grembo sarebbe andato tutto bene.
 
Akashi ci mise altri tre mesi per iniziare a cercare un coinquilino con cui dividere la casa che aveva comprato per sé e per Kuroko.
Era un appartamento abbastanza piccolo per due persone, con una cucina, un salotto e due camere da letto perché lui e Tetsuya avevano pensato di usare la seconda per accogliere gli amici che avessero fatto visita loro dal Giappone. Era un appartamento troppo grande per un ragazzo solo.
A rispondere all’annuncio fu un altro nippo-americano dai capelli neri e dal sorriso ampio, simpatico e gentile e consapevole della sua cultura madre a sufficienza per evitare contatti troppo esagerati con Seijuro e per dimostrargli un’educazione in cui il rosso aveva smesso di sperare, dal suo arrivo negli States. Era probabilmente il miglior candidato che potesse trovare.
“Koji-kun, mi dispiace. L’agenzia ha appena chiamato dicendo che hanno già fatto firmare il contratto ad un altro ragazzo; io non lo sapevo. Scusa ancora.”
Koji non se la prese. Con il sorriso ancora sulle labbra, uscì dalla casa salutando Seijuro con un inchino cui Akashi rispose sentendosi solo vagamente in colpa per la bugia appena detta.
Un mese dopo, il rosso vendette la casa e si trasferì nel dormitorio del college. Camera singola.
 
“Sembra tu abbia una palla da basket infilata sotto la maglietta.”
Momoi fu la prima a colpire la nuca di Aomine quando questi spezzò il pesante silenzio che era calato nel salotto di casa Kuroko, ma Midorima la seguì di poco.
Il blu era seduto per terra, tra la rosa e il verde, e di fronte a loro, oltre un basso tavolino, stava il corpo effettivamente sformato di Tetsuya. Kagami era seduto a destra dell’azzurro, tra Kise e Murasakibara, mentre alla sinistra stavano Takao, Kiyoshi e Hyuuga. Himuro era in piedi appoggiato al muro dietro Aomine e accanto a lui stava Mitobe, ma la più vicina in assoluto era Aida Riko. La coach era stata l’unica – dopo aver guidato quella piccola mal assortita combriccola fino a casa Kuroko per scoprire che fine avesse fatto il loro amico – ad aver avuto il coraggio di sedersi accanto al fantasma dopo aver appurato la sua palese condizione.
Tetsuya fece scivolare piano le dita sulla superficie tesa del ventre, coperto dall’enorme maglione blu sformato che era stato di suo padre e che a lui arrivava sino a metà coscia, e intanto annuì.
“Ma i palloni da basket non scalciano, Aomine-kun.” replicò apaticamente.
Riko e Momoi accennarono una risatina, ma Sakura interruppe la discussione portando tè per tutti gli ospiti. Solo quando la donna fu svanita in cucina, Midorima si decise a chiedere, a bassa voce, mentre si aggiustava gli occhiali sul naso.
“È di Akashi?”
Kuroko stava iniziando a chiedersi quando la domanda sarebbe arrivata, ma immaginò che ‘com’è possibile che tu sia incinto?!’ fosse una questione un po’ più pressante.
“Lui non lo sa.” disse immediatamente, serissimo nell’incrociare le iridi smeraldine dell’ex compagno di squadra, “E non dovrà saperlo mai.”
“Che cosa?!” L’esclamazione di Kagami fu messa a tacere da una gomitata allo stomaco direttamente da Kise, ma anche Takao non riuscì a trattenersi, pur rimanendo più calmo del rosso.
“Tecchan, ma ne sei sicuro?!” domandò, scioccato. Loro malgrado, la differenza e la stima reciproca avevano avvicinato lui e il fantasma nei tre anni di scuola superiore appena passati, “Se è suo figlio, allora forse dovresti…”
“Akashi-kun ha una vita perfetta ed una brillante carriera che lo aspettano.” Kuroko mormorò, abbassando la testa, “L’ultima cosa che merita è che io gli rovini tutto.” Momoi tentò di intervenire, ma Tetsuya la precedette. “Non ha nemmeno diciotto anni. Suo padre lo ammazzerebbe, se lo venisse a sapere.”
Ci fu un silenzio teso alla menzione di Akashi Seito, l’uomo che tutti ricordavano di aver visto alla cerimonia di chiusura della Winter Cup del primo anno di superiori, quando aveva schiaffeggiato il figlio davanti a tutti per essere arrivato solo secondo.
“Neh, Kuro-chin, ma allora cosa farai, tu?”
Kuroko sollevò la testa in direzione di Murasakibara senza un minimo di esitazione.
“Terrò il bambino.” rispose, “Da solo.”
Ancora non sapeva quanto poco solo gli sarebbe stato permesso essere da lì in poi.
 
Akashi era il migliore del college intero. Superava di gran lunga tutti per voti e molti dei senpai più anziani avrebbero venduto l’anima per avere la sua intelligenza; il coach della squadra di basket lo supplicava a settimane alterne di unirsi a loro, ma lui rifiutava puntualmente.
Si alzava, studiava e andava a letto intermezzando quelle tre azioni con pasti minimi e ormai privi di alcun gusto, per lui. Nessuno lo vide mai fare qualcosa di più.
Era come un corpo vuoto che andasse avanti solo per inerzia.
 
Passò un mese ancora e Kuroko iniziò a fare il conto alla rovescia di quei trenta giorni che lo separavano dalla nascita del bambino.
Ogni mattina si svegliava con qualcuno diverso in salotto, pranzava con qualcun altro e finiva per trovare qualcun altro ancora a preparagli la cena. Tra i Miracoli, gli aiuto-Miracoli – come aveva deciso di chiamare Momoi, Takao, Himuro e Kagami – e quei pochi ex-senpai del Seirin che erano venuti a conoscenza della sua particolare situazione, la sua casa era perennemente infestata e la sua privacy praticamente inesistente, ma andava bene lo stesso. Midorima aveva addirittura trascinato suo padre a visitarlo, sotto lo strettissimo giuramento del silenzio più assoluto.
Fu proprio con il verde – mentre pranzavano assieme davanti a due ciotole di riso bianco, perché un certo bambino sembrava determinato a non accettare altro, e i suoi genitori parlavano con il padre di Shintarou in cucina – che il conteggio raggiunse quota ‘meno ventotto’ e a Tetsuya si ruppero le acque.
L’unica cosa che l’azzurro realizzò con precisione fu di aver lasciato cadere la ciotola sul pavimento e di aver iniziato ad urlare come mai prima.
 
Non era diverso da quello di un animale, il respiro di Kuroko. Era lo stesso di un cavallo purosangue che stesse correndo disperato su di una pista o in una pianura. Rapido e pesante, affaticato, continuo, usciva dalle narici con forza di mantici perché le labbra del fantasma erano serrate in un vago tentativo di trattenere gli urli che risuonavano ovattati nella sua gola. Sdraiato sulla schiena, su un lenzuolo messogli sotto alla bell’e meglio, Tetsuya si rigirava a destra e a sinistra, ma stava attento a non contorcersi per non far male al bambino e non aumentare le contrazioni.
Il dolore era atroce, come non aveva mai sperimentato prima. Dentro il suo ventre, qualcosa si muoveva e si agitava, scavava nella sua carne, lo apriva in due, lo spezzava, lo lacerava, era tutto rosso, tutto rosso, tutto rosso, faceva male e faceva male e faceva male, faceva male, faceva male!
Oltre la nebbia dalle lacrime, cercò con gli occhi le sagome dei propri genitori, la macchia azzurra dei capelli di sua madre e quella nera di suo padre, ma trovò solo lo scarabocchio verde dei capelli di uno dei due Midorima. Gli occorse un attimo per realizzare che qualcuno lo stesse chiamando, quindi sbatté le palpebre e alla fine l’impalcatura rigida degli occhiali di Shintarou gli apparve netta.
Aprì le labbra, per chiedere, ma quella sfera d’acciaio nel suo stomaco prese a scavare con più forza, verso il basso, e a dilatargli ancora di più il ventre. Un urlo fu tutto ciò che la sua bocca lasciò uscire.
“Tecchan!” Sakura, inginocchiata alla sua destra, si piegò verso il suo volto e gli mise una mano sulla fronte, ma Tetsuya non sembrava in grado di sentirla mentre inarcava la schiena all’indietro e si aggrappava al lenzuolo con entrambe le mani. “Midorima-sensei!”
Midorima Aiato, il padre di Shintarou, si morse la lingua, ma forzò le ginocchia del ragazzino di fronte a lui ad allargarsi. Non era un ostetrico né un pediatra, ma anche un imbianchino avrebbe potuto dire che c’era davvero troppo sangue. Ignorando le suppliche della donna e facendo del suo meglio per non ascoltare i gemiti disperati del giovane, costrinse Kuroko padre e Midorima figlio a tenere ferme le gambe aperte del paziente e a trattenere le sue spalle sul pavimento per impedirgli movimenti bruschi, quindi si allungò a tastare il ventre. Alla prima minima pressione il flusso di sangue aumentò.
“È troppo stretto!” ringhiò, strappando un brandello del lenzuolo per tamponare i diversi liquidi e cercare di osservare meglio, “Degli asciugamani!”
“Che succede?!” esclamò Kuroko Haru, mentre Sakura correva a prendere il necessario, “Che cosa è troppo stretto?!”
“Tutto!” Aiato aveva la fronte imperlata di sudore e le maniche della sua camicia che stava arrotolando erano macchiate di rosso, “La placenta, il canale, l’apertura… Il ventre stesso di Tetsuya non è abbastanza elastico, non quanto quello di una donna, e non è riuscito ad ampliarsi abbastanza per il feto che cresceva. Dannazione, dev’essere per questo che il parto si è anticipato così tanto…!”
“Che cosa vuol dire?!” esclamò Sakura, scioccata, passando gli asciugamani al dottore.
L’uomo non le rispose. I suoi occhi smeraldini corsero al viso sottile di quello che era poco più di un bambino a sua volta tra le sue mani. Pallido, come mai prima, e sudato e ansante, aveva gli occhi e le labbra sigillati mentre lacrime silenziose gli correvano giù per le guance e ogni tanto singhiozzi fuggitivi lo facevano sobbalzare e tremare. Nella sua mente, due scenari opposti lottavano tra loro, ma Aiato sapeva che la decisione spettava solo a quel fragile ragazzino.
“Tetsuya, mi senti?!” lo chiamò, piegandosi su di lui, “Riesci a capire cosa sta succedendo?!”
Kuroko gettò la testa all’indietro, un gemito gli uscì dalle labbra improvvisamente schiuse, ma a metà del gesto, con la schiena inarcata, quel suono prese un flebile e tremulo senso. Era uno dei “No…” più sofferenti che Midorima avesse mai sentito.
“Ascoltami, Tetsuya, è importante!” cercò di dire con calma, allungandosi per mettere una mano sulla guancia del ragazzino e attirare la sua attenzione, pur tenendo fermi gli asciugamani con l’altra. Un paio di occhi azzurri allucinati e lucidi di lacrime, dalle sclere rosse, si puntarono esitanti su di lui. “Il bambino non riesce a uscire, capisci? Ti sta…ti sta strappando in due per aprirsi un passaggio e non può finire bene per nessuno dei due così.” Gli occhi di Kuroko si fecero grandi, enormi, per la paura e Aiato lo vide tentare di tirarsi a sedere, ma fortunatamente Shintarou e Haru riuscirono a tenerlo giù. “Ascoltami!” cercò di attirare nuovamente la sua attenzione afferrandogli il mento, ma all’improvviso quel ragazzino così fragile sembrava aver trovato una forza sovrumana e una determinazione assoluta nel reagire a ciò che si era appena sentito dire. “Tetsuya, ascoltami! Ti darò due opzioni, ma sei tu che devi scegliere, d’accordo? Ho bisogno che tu lo faccia in fretta, va bene?!”
Kuroko ansimava, il cuore nel suo petto batteva a mille e tra le onde del rosso mare in tempesta che gli annebbiava il cervello di dolore i pochi pensieri razionali che riuscisse a mettere insieme lo stavano spezzando ancora più del bambino nel suo ventre.
Non riesce a uscire… Non riesce a uscire, non riesce a uscire! Non riesce a uscire, perché state tutti fermi a non fare niente?!, la sua mente era un vulcano in eruzione, c’erano fuoco e fiamme e distruzione e non riusciva a capire. Nella sua gola esistevano solo grida e non riusciva a trovare il modo di pronunciare una sola frase. Due opzioni, aveva detto Midorima-san. Quali?!
Aiato vide negli occhi di Tetsuya l’istante in cui l’azzurro realizzò appieno le sue parole e tornò lucido a sufficienza da capire e ne approfittò subito. L’asciugamano tra le sue mani, ormai zuppo, fu sostituito da un altro.
“Tetsuya, dobbiamo tirare fuori il bambino, in un modo o nell’altro, prima che le tue lesioni diventino troppo gravi ed entrambi moriate, tu dissanguato e lui stritolato nella tua pancia.” disse, serissimo, “Abbiamo chiamato l’ambulanza, ma c’è stato un incidente stradale e a questo ritmo non arriveranno in tempo quindi dobbiamo fare qualcosa adesso.” deglutì, “Le possibilità sono queste. Posso provare a praticare un cesareo d’urgenza e tirare fuori il bambino; ho il necessario, ma è troppo precoce e dovrò lasciarlo attaccato al cordone ombelicale fino all’arrivo dell’ambulanza con un’incubatrice e questo significa che non so se e quando potrò ricucire te.” Un gemito diverso, sofferente ma più gutturale, scappò a Kuroko a quelle parole, ma Midorima tirò avanti, “L’altro caso è che io ti dia la precedenza, pratichi un’incisione chirurgica per l’estrazione del bambino e tagli il cordone sperando che l’ambulanza arrivi in tempo per salvare anche lui. Devo sapere che cosa vuoi che faccia perché se aspettiamo sarà troppo tardi per entrambi.”
Kuroko sgranò gli occhi e la sua bocca si aprì immediatamente, incurante delle urla nella sua gola. Che razza di domande erano?!, non era ovvia, la scelta?! Solo grida uscirono dalle sue labbra e la sua schiena si inarcò un’altra volta quando qualcosa si strappò ancora di più dentro di lui, causandogli uno spasmo alle gambe trattenute a forza.
Stava urlando a pieni polmoni, quando il viso familiare di Shintarou si parò davanti al suo. Aveva il volto pallido e sudato, gli occhi grandi che mostravano tutta la paura che invece lui stava cercando di nascondere sotto una maschera seria, gli occhiali che erano scivolati fino alla punta del naso, ma era la cosa più vicina ad Akashi che Tetsuya avesse e fu grato, suo malgrado, che il tiratore fosse lì.
“Kuroko, concentrati.” gli ordinò questi proprio in quel momento, lasciandogli la gamba e la spalla per prendergli il viso tra le mani. “Guardami e dammi una risposta, nanodayo, ma pensaci bene!” Le iridi verdi ebbero un lampo che Tetsuya non riuscì a identificare. “Kuroko, se…se anche il bambino morisse, tu…potresti tornare a com’era prima, capisci, nanodayo? Da Akashi e da tutti gli altri sogni a cui dovresti rinunciare andando avanti… Forse dovresti lasciare che…”
“NO!” Quel grido, Kuroko era certo fosse stato il più forte mai uscito dalle sue labbra e la forza nella sua voce si era trasmessa anche alle sue spalle perché riuscì a sottrarsi alla mano di suo padre, “NO! No, no, no! NO!”
Fu solo un attimo, ma anche dal suo mare di dolore Tetsuya poté vedere il lampo di sollievo nelle iridi di Shintarou, prima che questo si girasse verso il padre.
“Dimmi cosa devo fare.” ordinò, determinato, al genitore.
Aiato soppresse il pulsare doloroso nel suo petto che gli urlava che non poteva fare una cosa del genere ad un ragazzo di appena diciotto anni, quindi prese un respiro profondo.
“Altri asciugamani, la mia valigetta, acqua calda…di corsa.”
Shintarou schizzò senza aggiungere altro e Sakura prese il suo posto nel stringere la mano destra del figlio, mentre Haru si aggrappava alla sua sinistra.
Kuroko chiuse gli occhi, gettò la testa all’indietro e urlò ancora.
 
I capelli azzurri sembravano improvvisamente sfibrati e spenti, appiccicati alla fronte da un sudore ormai asciutto, e le palpebre pallide erano chiuse su di un volto ormai cinereo. Nel letto bianco dell’ospedale, tra le lenzuola candide e con i tubi trasparenti nei suoi gomiti, nel dorso della mano e nel naso, sembrava una statua di marmo le cui sfumature bluastre erano in realtà vene. Respirava appena, il petto sembrava non alzarsi nemmeno, e il macchinario alla sua sinistra mostrava un battito cardiaco lento, incostante ed esausto.
Eppure, quando la porta della camera si aprì e Haru entrò con cautela, due occhi azzurri scoloriti, con le sclere macchiate dal rosso dei capillari rotti, si aprirono lentamente su un minuscolo fagotto bianco. Un frammento di lenzuolo macchiato di sangue.
Quegli occhi si alzarono, supplicanti, e Haru rivolse loro un sorriso affaticato.
“Va tutto bene, Tecchan…” sussurrò, ma la sua voce era così lontana e Kuroko così stanco…
Tetsuya resistette abbastanza solo per sentire la mano del padre sulla fronte e la sua voce dire “È nell’incubatrice. Sta bene, Tecchan, è…” poi tutto si fece improvvisamente nero.
Il bip della macchina a fianco del letto divenne prolungato e fisso.
 
C’era tanta luce e il cielo fuori dalla finestra era limpido e rosato, con i rami degli alberi che si allungavano verso l’alto brillando di ori, di marroni e di rossi, come gioielli sulla pelle di una donna. Se il ‘fuori’ era un tripudio di colori e sfumature calde e accese, ‘dentro’ il prevalere di bianco – le pareti, i pavimenti, il soffitto, le lenzuola, i macchinari, ogni cosa – creava una sensazione di freddo e paralisi. Kuroko si sentiva come se avesse dormito per anni, quando finalmente aprì gli occhi.
Gli occorse un attimo per capire che il corpo fragile e sottile sotto le coperte fosse il suo così come le braccia smagrite attorno ai tubi delle flebo, che il suono continuo della macchina alla sua sinistra fosse lo specchio del cuore nel suo petto e che quella strana sensazione di perdita – come di qualcosa di importante che fosse improvvisamente venuto a mancare – fosse dovuta al suo ventre piatto.
Nell’istante in cui tutto ciò che era successo – il dolore, la paura per sé e per il bambino, i pochi flash prima di perdere conoscenza – gli crollò di nuovo addosso, Kuroko saltò a sedere gridando.
“Aspetta, nanodayo!”
Tetsuya sobbalzò, voltandosi di scatto, solo per trovare le mani di Shintarou sulle sue spalle e il volto un po’ smunto e spettinato, pallido e con pesanti occhiaie violacee, del verde di fronte al proprio.
…strappa con forza l’involucro di plastica di un…qualcosa…di affilato e sterilizzato
e lo passa ad Aiato stando attento a non toccarlo.
Il dottore prende l’oggetto, respira profondamente e poi lo avvicina a…
Una mano debole, incurante della flebo, si sollevò faticosamente e si aggrappò al colletto della camicia di Midorima.
“…Dov’è?!” supplicò Kuroko con voce roca e non aveva la forza di dire quella parola, bambino, ma sapeva che non era necessario perché l’altro avrebbe capito lo stesso, “Come sta?!”
“Sta bene.” si affrettò ad annuire Midorima di fronte al panico dell’amico, allentando attentamente con la propria la presa della mano sul suo colletto; la appoggiò delicatamente lungo il fianco del fantasma e costrinse quest’ultimo a sdraiarsi di nuovo, quindi si sedette sulla sedia accanto al materasso con i gomiti piantati sulle proprie ginocchia e le dita che si intrecciavano tra loro sotto l’analisi attenta dei propri occhi. Fece un verso a metà tra uno sbuffo e un sospiro, ma poi riprese a parlare. “È forte, nanodayo.” commentò, “Ha resistito fino all’arrivo in ospedale, quasi venti minuti in tutto. È un maschio, comunque. Adesso è in incubatrice a far impazzire le infermiere.”
Tetsuya sospirò di sollievo, quindi osservò Midorima con un piccolo sorriso di aspettativa sulle labbra screpolate.
“Com’è?” chiese piano, a bassa voce, quasi con referenza, come un fedele che parlasse di un miracolo. Forse, un po’ di un miracolo si trattava.
Mentre ancora pronunciava quella domanda, Tetsuya lasciò scivolare per istinto la mano sul proprio ventre piatto, sorprendendosi confuso dall’assenza di quella rotondità divenuta ormai familiare nel tempo. Si chiese quante volte avesse compiuto quel gesto immaginando come fosse il piccolo che cresceva dentro di lui, sognandone il momento della nascita o l’istante in cui l’avrebbe preso in braccio per la prima volta. E ora…
Midorima sbuffò, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
“Un demonio.” rispose seccamente, ma con una nota di tenerezza nascosta in mezzo all’irritazione che Tetsuya riuscì a notare solo grazie agli anni di allenamento come ombra, “Urla perennemente, non lascia vivere nessuno e l’unico che riesca a calmarlo almeno per un po’ è tuo padre. Ma solo per poco, poi ricomincia.” Shintarou gli rivolse un’occhiata vagamente isterica. “Dorme un’ora e ricomincia a urlare per altre due. Poi dorme un’altra ora e urla per altre due e mezza. Un’ora di sonno, una e mezza o due o due e mezza di strilli e così via, senza tregua. È il diavolo in persona, nanodayo.”
Tetsuya sorrise un po’ dello stress dell’amico, ma poi una lieve amarezza dipinse le sue labbra.
“Ha preso da Akashi-kun, allora…” mormorò pianissimo, come spaventato dalla sola idea di essere sentito.
“Ha preso da te, vorrai dire, nanodayo.” ribatté però Midorima, deliberatamente ignorando il riferimento al rosso come nulla fosse. Kuroko fu grato di quella silenziosa dichiarazione di schieramento. “È cocciuto.” stava continuando intanto il verde, “Mio padre dice che probabilmente ha già inconsciamente memorizzato il tuo odore e adesso questo sarebbe il suo modo di protestare per farsi portare da te.”
La macchina accanto al letto perse un battito a quelle parole, ma quando Shintarou si voltò Tetsuya aveva un sorriso dolce sulle labbra e le lacrime agli occhi. Iridi azzurre si sollevarono a cercarne di verdi.
“Voglio vederlo.” Kuroko sentiva il cuore battere impazzito nel suo petto, il bisogno di incontrare quella creatura uscita da lui correva nella sua mente che cancellava tutto il resto. Non era riuscito neanche a cogliere un minimo di lui, durante il parto, perché il dottor Midorima lo aveva sedato come possibile e tutto ciò che ricordava erano flash confusi e senza senso. Doveva assolutamente…
“No.”
Per un attimo Tetsuya fissò Midorima, poi la parola lo raggiunse veramente.
“Perché?!” esclamò, improvvisamente in panico. Per quale ragione non avrebbe potuto vedere il suo bambino?!
Shintarou prese un respiro profondo nel vedere l’espressione scioccata e terrorizzata dell’azzurro, ma poi sollevò il mento e sostenne il suo sguardo con serietà.
“I tuoi genitori stanno parlando con mio padre proprio adesso.” esordì, “Durante tutto il parto e il viaggio in ospedale, il tuo corpo è stato sottoposto ad uno sforzo immane. Il tuo cuore in particolar modo.” Deglutì, incerto se fosse suo diritto dare quella notizia, ma poi chiuse gli occhi, conscio di non potersi tirare indietro a quel punto, e li riaprì cupi sull’amico, “Poco dopo la fine del parto, hai avuto un arresto cardiaco.”
 
Passarono due giorni prima che a Kuroko fosse permesso lasciare la sua stanza e andare – anche se in sedia a rotelle – a visitare il suo bambino nel nido, ma ne valeva la pena.
C’era una sola incubatrice in quel momento e il piccolo al suo interno era il più bello che Tetsuya avesse mai visto. Che fosse suo, ovviamente, non influiva sul suo giudizio. Era piccolo, piccolissimo, ma agitava i pugni chiusi e i piedi nudi al cielo mentre urlava con tanta forza da essere ormai color rosso pomodoro, quasi a pretendere qualcosa; aveva il viso rotondo e paffuto, le palpebre ancora chiuse e due labbra sottili appena al di sotto di un naso piccolo e dalla forma inequivocabilmente ‘alla Akashi’, ma lo strato sottilissimo di capelli sulla testa era color biondiccio e non lasciava capire verso quale tonalità si sarebbe rivolto. Nella sua voce potente c’era comando e forse un po’ di rabbia, ma non tristezza: Kuroko non avrebbe saputo spiegarlo diversamente, ma sembrava che stesse chiedendo, anzi ordinando, qualcosa.
Il giovane padre era così preso dall’osservazione di suo figlio che neanche si accorse del camice azzurro che sua madre gli stava facendo indossare, almeno fino a che la donna non gli prese delicatamente il braccio per farglielo infilare in una delle quattro aperture della teca. Tutto d’un tratto, Kuroko sentì un calore immenso contro il dorso di un dito e sobbalzò nel realizzare che si trattava della pelle del pugnetto del piccolo.
Vagamente nel panico, si voltò verso la madre, ma Sakura gli sorrise solo, annuendo incoraggiante.
“Fagli sentire che ci sei.” consigliò un’infermiera abbastanza anziana, osservandolo da un’educata distanza ma con un sorriso sulle labbra, “Ti ha aspettato tanto, sai?”
Anche io., pensò Tetsuya, ma non trovò la voce per dirlo. Invece, si voltò verso la teca e osservò ancora una volta il piccolo. Lentamente, con esitazione, iniziò a strofinare il dorso del dito contro il pugnetto.
Il bambino abbassò un po’ il volume delle sue grida.
Kuroko ridacchiò un po’. Si fece appena più sicuro e con attenzione fece scivolare il dito nella mano chiusa del figlio, sentendo la mente accogliere con stupore il calore immenso proveniente da quel corpicino.
La presa del piccolo non poteva essere considerata forte, ma si strinse appena attorno al dito del genitore e il pianto, improvvisamente, smise.
Domo,” mormorò Tetsuya nel silenzio e ignorò le lacrime che iniziarono a scendere lungo le sue guance, “Seiji.”
Kuroko Seiji sventolò i piedi nell’aria a quel saluto, ma la sua manina rimase saldamente ancorata a quella del papà, quasi a volergli impedire di lasciarlo solo un’altra volta.
 
La prima volta che Kuroko tenne Seiji tra le braccia, finalmente senza il vetro dell’incubatrice tra loro, fu quasi un mese dopo la sua nascita e per l’ennesima volta il fantasma non riuscì a non farsi venire le lacrime agli occhi, però questa volta stette attento a non lasciarle cadere.
Seiji era un bambino perfettamente sano, senza alcuna ripercussione per la sua venuta al mondo così turbolenta. Aveva la pelle rosea e le guance tonde, due occhi grandi ma ancora chiusi e polmoni che non mancavano mai di provare la propria forza al giovane Shintarou; i capelli sulla sua testa stavano virando dal biondiccio al color carota, come Aomine gentilmente continuava a sottolineare a dispetto di tutti gli scappellotti che riceveva puntualmente da Momoi. Tra le braccia di Tetsuya, faceva sembrare l’azzurro ancora più minuto.
Al fantasma occorsero una decina di minuti per capire come tenere il piccolo, accettare che non fosse fatto di cristallo ma che la sua presa dovesse essere un po’ più salda e che non l’avrebbe assolutamente fatto cadere. Era certo di non aver mai portato un peso più importante, prima.
All’inizio lo cullò sussurrandogli gentilmente, ma presto fu chiaro che il piccolo non aveva alcuna intenzione di andare a dormire. Gorgogliava mezzi gemiti che sembravano borbottii, ma non piangeva. Non lo faceva quasi mai con il papà e la teoria di Kagami era che fosse un piccolo demonio doppiogiochista che voleva far impazzire con le sue urla tutto il resto del mondo per potersi tenere Kuroko tutto per sé. A sorpresa di tutti, Murasakibara e Momoi si erano dichiarati d’accordo.
Tetsuya avrebbe alzato gli occhi al cielo a quell’ennesimo sfoggio di stupidità della sua luce se le parole di Midorima Aiato non fossero state ancora forti nella sua mente come il giorno del suo risveglio in ospedale e gli impedissero di godere pienamente di quella gioia…
“Sei molto giovane, Tetsuya, ma un infarto è una cosa seria.
È stato provocato dal parto, è vero, ma questo non vuol dire
che tu ora sia completamente fuori pericolo.
Il tuo cuore è stato seriamente danneggiato ed è quasi certo che
d’ora in poi ti darà dei problemi, anche abbastanza grossi.
Per ora, tutto ciò che si può fare è prescriverti delle medicine, ma
dovrai cominciare a stare molto attento, capisci?
Niente sforzi fisici esagerati, niente sport estremi e cerchiamo
di evitare emozioni forti o improvvise.
So che sarà difficile, soprattutto in questa situazione,
nei tuoi primi passi da padre,” e Aiato aveva sorriso un po’,
lanciando un’occhiata a Shintarou appoggiato al muro,
“ma tieni bene a mente che qualsiasi sforzo potrebbe essere pericoloso
per il tuo cuore, d’accordo?”
Lui e Shintarou avevano parlato di quello e alla fine erano giunti alla stessa conclusione: Kuroko non avrebbe abbandonato lo ‘stile di vita’ dell’ombra nonostante il basket fosse ormai fuori portata per lui. L’apatia che aveva appreso poteva fare la differenza, in quella situazione, e lui non pianificava di lasciare da solo il suo bambino tanto presto.
Prese il biberon che gli veniva porto dall’infermiera e un po’ esitante diede da mangiare a suo figlio per la prima volta.
Nascose il sorriso nel vederlo ciucciare avidamente, ma questo non significava che, nel suo cuore malconcio, non si sentisse comunque l’uomo più fortunato della Terra.
 
Kuroko Seiji, alla tenera età di quattro mesi, era un piccolo tiranno dai capelli color fuoco e gli occhi azzurri.
In seguito alla sua e di Tetsuya dimissione dall’ospedale, la casa della neo-famiglia era perennemente invasa da ragazzoni grandi, grossi e in buona parte stupidi, ma il bambino non sembrava aver alcun problema nel comandarli tutti a bacchetta, pur essendo ancora incapace di parlare.
Da Kagami e Aomine non si lasciava prendere in braccio, iniziando subito a piangere disperato; aveva un’autonomia di tre minuti con Momoi e quattro con Riko, addirittura cinque con Kise, ma gli unici due tra le cui braccia era disposto a stare oltre i dieci erano Himuro e Mitobe; Murasakibara non aveva ancora avuto il coraggio di prenderlo in braccio per timore di fargli male e con Teppei il piccolo sembrava trovare sempre uno stimolo improvviso che costringeva ad un rapido cambio del pannolino. Hyuuga aveva riso della situazione fino a quando non si era scoperto che Seiji adorava vomitargli addosso. Con Midorima esisteva un rapporto reciproco di amore e odio perché il verde non sembrava mai molto entusiasta di prendere il piccolo, ma non passava giorno senza che l’avesse tenuto in braccio; e il bambino non faceva altro che strillare tra le braccia dell’aspirante medico, ma si metteva sempre a singhiozzare se gli veniva tolto prima che avesse avuto almeno il suo quarto d’ora di sfogo. Takao era diventato il buffone di corte ed era l’unico tra le cui braccia Seiji potesse qualche volta anche ridere. Però, di solito, le preferenze del piccolo erano tutte per il papà.
Con Tetsuya, il piccolo demonio diveniva improvvisamente un angioletto. Non piangeva spesso e quando lo faceva era sempre ad un livello di decibel accettabile, sembrava accontentarsi dello stringere un dito del genitore e, sin da quando aveva iniziato ad aprire i due grandi e meravigliosi occhioni e aveva finalmente iniziato a mettere a fuoco il distante volto del padre, sembrava divertirsi nell’osservarlo senza tregua, gorgogliando soddisfatto.
Kuroko lasciava cadere la maschera con lui e gli sorrideva sempre, incitando i mugolii fintamente gelosi di Momoi e Kise.
A vederli da fuori, o anche solo dalla prospettiva di Haru e Sakura, sembravano una banda di matti mal assortita, però Tetsuya li considerava la sua famiglia e ringraziava il cielo ogni sera per loro.
 
Verso il quinto mese, l’occhio destro di Seiji divenne rosso. Il sinistro rimase azzurro.
 
Seiji compiva otto mesi, una settimana e tre giorni quando una piccola task force composta da Midorima, Aomine, Kise, Takao, Mitobe e Himuro si presentò alla porta dell’appartamento dei Kuroko alle sei di sera.
Tetsuya, il figlio tra le braccia, rimase per un attimo imbambolato sulla porta, alla vista. Non che fosse strano che in tanti si presentassero a far visita, ma l’orario era inconsueto.
“Minna.” salutò comunque, educato, facendo spazio per lasciar entrare gli amici, “Come mai qui?”
Con sua sorpresa, Takao, Mitobe e Himuro si tolsero scarpe e giacche ed entrarono, ma Midorima, Kise e Aomine rimasero fermi sulla soglia.
“Molla l’adorabile bestiolina alle tre fate madrine e vestiti.” ordinò Daiki accennando con il mento ai tre mori, “Stasera esci con noi.”
Tetsuya si prese un attimo per elaborare e poi ne concesse un altro alla sua prima luce per rimangiarsi ciò che aveva appena detto, quindi, in mancanza di grida ‘Scherzetto!’, sbatté la porta in faccia agli ex-compagni di squadra e si voltò verso i tre che riteneva avessero più giudizio.
Non trovò comprensione negli occhi di nessuno di loro, solo tanta pena e determinazione.
“Non potete costringermi.” ricordò e quasi senza accorgersene strinse la presa su Seiji tra le sue braccia. Il bambino mugolò offeso.
“Non siamo qui per costringerti a fare nulla, Kuroko-kun.” assicurò Himuro, alzando le mani come in segno di resa, ma in realtà senza retrocedere di un passo, “Vorremmo solo che cercassi di capire…”
Prima che potesse finire, Mitobe mostrò a Kuroko una pagina del blocco per gli appunti che si portava sempre dietro per comunicare quando Koganei non era disponibile come traduttore simultaneo.
-Non sei uscito di casa una volta da quando è nato Seiji. Capiamo come ti senti e immaginiamo che, dopo quello che è successo, sia difficile l’idea di lasciarlo solo, però...-
Kuroko non riuscì a finire di leggere perché Takao gli mise le mani sulle spalle e reclamò la sua attenzione.
“Siamo preoccupati per te, Tecchan. Tutti quanti.” disse serio, ma poi azzardò un sorriso, “Consideralo un favore personale a dei vecchi amici, okay?”
Kuroko tentò di obiettare, portandosi Seiji al petto come temesse i tre gliel’avrebbero strappato via, ma poi Tatsuya fu più veloce di lui.
“Non devi preoccuparti di nulla.” assicurò, onesto, “Ci prenderemo cura noi di Seiji e giuriamo che non lo perderemo di vista neanche un secondo.” Piegò un po’ la testa di lato, implorante. “Solo un paio d’ore così che tutti possiamo metterci il cuore in pace. Uscite, mangiate qualcosa, quei tre fanno un po’ i cretini e poi tornate subito qui. Non accadrà nulla.”
Mentre Himuro parlava, Mitobe si avvicinò piano e allungò le braccia verso Tetsuya, chiedendo silenziosamente il bambino.
Kuroko indietreggiò istintivamente di un passo ma così facendo si accorse del bussare basso ma continuo alla porta e dei borbotti indispettiti dei Miracoli al di là di essa. Guardò Seiji.
Il piccolo aveva le palpebre semiabbassate sugli occhi e stava sbadigliando per la terza volta in un quarto d’ora. Aveva già mangiato e per tutto il giorno aveva giocato senza sosta con Kagami e Teppei quindi era probabile che sarebbe crollato presto e non si sarebbe svegliato per due o tre ore almeno. Forse…
“Usciamo, mangiamo, torniamo qui.” mormorò, “Niente deviazioni. E se succede qualcosa, se anche solo tossisce, mi chiamate immediatamente.”
“Sul nostro onore!” giurò Takao, solenne, osservando con un sorriso Mitobe sfilare il piccolo Seiji, in tutina rossa come i capelli, dalle braccia del padre.
Solo allora i tre si accorsero che l’azzurro indossava una tuta sgualcita e macchiata di bava e latte. Un’occhiata d’intesa corse tra Kazunari e Tatsuya, mentre Rinnosuke sospirava.
“Tecchan, ne hai più bisogno di quanto credessimo.”
 
Tetsuya riscoprì con meraviglia la sensazione di jeans sulla pelle, come non l’avesse indossato da anni, e quando si osservò allo specchio, con addosso una camicia bianca priva di macchie ed un giacchetto di pelle blu scuro, si chiese quasi chi fosse quella creatura nel riflesso.
Gli erano cresciuti i capelli e non se n’era accorto, era dimagrito perdendo i chili presi nella gravidanza e forse anche qualcosa in più senza realizzare neanche quello e aveva pesanti occhiaie che non aveva notato prima.
“Sei stato rinchiuso in casa quasi nove mesi, diciotto se contiamo il periodo della gravidanza, Kuroko-kun. È quasi un miracolo che non sia peggio.” commentò piano Himuro, mettendogli una mano sulla spalla, e l’azzurro gli annuì prima di uscire dalla sua camera e tornare a passo di marcia in salotto.
Seiji sembrava aver ripreso un po’ di energia nel vedere i suoi tre zii più ‘ben accetti’ e sul divano – nel salotto di fronte all’ingresso –, seduto sulle cosce di Mitobe rivolto verso di lui, giocava con le mani enormi del moro alzandole e abbassandole con un enorme sorriso soddisfatto sul volto. Kuroko aveva un brutto presentimento riguardo a ciò e si morse il labbro inferiore, esitante, ma un’occhiataccia da Takao lo trattenne dall’aprir bocca. Almeno fino a quando non ebbe preso le scarpe.
“Se succede qualcosa…”
“…chiamiamo.” concluse Takao per lui.
Kuroko gli rivolse uno sguardo supplice, ma Kazunari, da seduto a fianco di Mitobe, carezzò la testa del piccolo guadagnandosi una risatina e gli rivolse un sorriso incoraggiante.
Himuro, poi, lo ‘accompagnò’ alla porta spingendolo di peso e ripetendo rassicurazioni.
“Vai!” concluse, aprendo la porta e spingendolo in mezzo a tre ex-Miracoli palesemente offesi.
Kuroko esitò, sentendosi un po’ in colpa, ma poi la porta si chiuse alle sue spalle e lui si voltò di scatto.
Midorima, Kise e Aomine si scambiarono un’occhiata significativa, ma alla fine fu il biondo a mettere una mano sulla spalla dell’azzurro per convincerlo a muoversi.
“Andiamo, Kurokocchi.” incitò, “Saremo già di nuovo qui prima che tu possa accorgertene.”
Midorima annuì, aggiustandosi gli occhiali sul naso, e quando Tetsuya si voltò, fu il primo ad avviarsi con Ryouta verso il cancelletto della casa a due piani dei Kuroko.
Da quando era nato Seiji, il cane Nigou era andato a vivere con Riko Aida e l’appartamento inferiore era diventato la casa della nuova famigliola per permettere anche la permanenza degli invadenti protettori mentre Sakura e Haru vivevano in quello superiore quando era loro permesso dal lavoro che spesso invece li teneva occupati anche a ore improponibili, come quella notte. L’idea che i propri genitori non fossero presenti, non aiutava affatto Kuroko.
“Forse dovrei…” azzardò, senza nemmeno sapere cosa dire, ma Aomine lo agguantò mettendogli un braccio attorno alle spalle prima che potesse girarsi.
“Non lo fare.” ordinò, costringendolo a scendere i due gradini davanti alla porta, “Andiamo, vedrai che andrà tutto bene, d’accordo?”
Kuroko lo guardò, alto e forte nella sua maglietta nera a maniche corte, con gli occhiali da sole tenuti boriosamente alti sulla testa e con gli occhi e i capelli che svettavano contro il cielo ancora luminoso di Giugno. In quel momento, gli avrebbe anche creduto se un pianto potentissimo e disperato non li avesse raggiunti a neanche tre quarti del vialetto.
Midorima e Kise, a metà strada verso il cancelletto d’uscita, si paralizzarono e non osarono voltarsi.
Per un attimo nessuno ebbe il coraggio di muovere un muscolo e da dentro la casa Seiji urlò di nuovo, a pieni polmoni, con una sofferenza che Kuroko ricordava di avergli sentito solo quando gli erano venute le coliche.
Quando sentì la voce bassa e sofferente dell’amico raggiungerlo in un supplichevole “Aomine-kun…”, Daiki già sapeva di aver perso, però tentò lo stesso.
“Tetsu…”
Fece l’errore di voltarsi. Piccolo sotto il suo braccio, Tetsuya lo guardava dal basso con espressione apatica ma i suoi occhi erano un tumulto di disperata necessità.
Aomine sospirò, ma tolse il braccio dalle spalle dell’azzurro.
“Dovrai farti perdonare.” borbottò.
Kuroko gli rivolse un sorriso minuscolo, a malapena visibile, come quelli delle medie, prima di voltarsi e correre di nuovo verso la porta con le chiavi già in mano.
Mesto, Aomine raggiunse i due compagni.
“Non saremmo riusciti a portarlo in giro lo stesso, dopo che lo ha sentito piangere, Aominecchi.” assicurò Kise, battendo una mano sulla spalla del blu, “Ci riproveremo un’altra volta.”
“‘Kay…” borbottò questi, ma non pareva convinto.
Midorima si limitò a sospirare silenziosamente.
 
Dopo il terzo tentativo fallito, Midorima decise di tentare con una nuova soluzione: un’uscita pomeridiana con Seiji al seguito. Tutti concordavano che Tetsuya non si sarebbe rilassato poi molto portando suo figlio in giro praticamente per la prima volta, ma che entrambi rimanessero ancora bloccati in casa era fuori discussione.
Seiji aveva nove mesi quando Tetsuya gli avvolse una sciarpa rossa attorno al mento per proteggerlo dal vento settembrino, sorrise nel vederlo tutto infagottato nella sua tuta rossa e nella giacca beige e infine lo aiutò ad infilare le scarpette prima di prenderlo in braccio. Si avviò alla porta, ma esitò un attimo.
Si rendeva conto della follia assoluta nel suo comportamento fino ad allora, ma dentro di sé non riusciva a farne a meno. Aveva rischiato di perdere Seiji una volta e nella sua testa, da qualche parte, persisteva l’assurdo istinto che se lo avesse portato fuori, dove non poteva tenere tutto sotto controllo, qualcosa di brutto sarebbe accaduto. In verità, lo aveva portato a casa di Midorima, di Kagami, di Kise, di chiunque, ma mai erano andati in giro per le strade o al parco. Malintenzionati, macchine, germi…Tetsuya vedeva pericoli ovunque e per questo la mano sulla maniglia iniziò a tremare un po’ e l’altra strinse più forte al petto il piccolo. Senza contare il rischio che…
“Kuroko.”
L’azzurro si voltò, cercando Midorima con lo sguardo. Gli altri li aspettavano fuori, quindi erano rimasti solo loro in casa a preparare Seiji e la borsa con le cose per lui.
“Sì?” chiese, mascherando la sua esitazione.
“Akashi non torna dall’America, quest’estate. Anche se andassimo a Kyoto proprio di fronte a casa sua, non potrebbe vederci.”
Tetsuya sgranò gli occhi, ma fu lesto a recuperare la propria impassibilità. Si aggiustò Seiji tra le braccia chiedendosi quando lui e Midorima fossero diventati così uniti da permettere ad entrambi di capire i pensieri dell’altro così facilmente. Probabilmente mentre Shintarou aiutava suo padre ad aprirgli pancia, immaginò.
Comunque fosse, lasciò passare il verde e nascose la propria incertezza limitandosi a stringere il bambino mentre l’altro apriva la porta e gli faceva spazio per farlo passare.
“Grazie…” mormorò comunque passandogli davanti.
Quel nome non fu più pronunciato per il resto del giorno.
 
Seiji non aveva mai riso così tanto e Tetsuya sembrava aver dimenticato a casa la sua maschera di cera mentre, con le spalle contro un albero e le ginocchia sollevate, teneva il figlio seduto sul suo ventre e appoggiato alle sue cosce così da potergli stringere le mani e lasciare che questi si divertisse a scuoterle come maracas, un gioco che lo divertiva molto.
Takao rise a sua volta quando Seiji iniziò ad agitare i piedi e a concedersi una serie di urletti divertiti appena Midorima comparve nel suo campo visivo per lasciare al fianco dei due Kuroko una bottiglietta d’acqua e un vasetto di omogeneizzato. Il dottore era veramente d’ispirazione per l’ugola del piccolo.
Beh, non più così piccolo. Kuroko sapeva che nove mesi erano pochissimo, ma paragonato a quando era un fagotto uscito prematuramente dal suo ventre, Seiji era cresciuto parecchio. I tratti tondi da bambino si stavano paradossalmente già affievolendo, ma solo un po’. I capelli rossi si ergevano dritti e spettinati sulla sua testa, dopo che Kagami aveva osato passarvi una mano in mezzo, e lo facevano sembrare la versione appena nata del Cappellaio Matto interpretato da Johnny Depp. I due occhi eterocromi erano grandi e si guardavano attorno sempre scintillanti e pieni d’emozione: il sinistro, azzurro, e il destro, rosso, sembravano gioielli scintillanti della luce tipica dei bambini. Era un fagotto di un livello di dolcezza da diabete, come Kise continuava a commentare.
Un altro particolare di quella giornata pomeridiana al parco Ueno, sulle rive del fiume, era la presenza di un grosso bestione peloso attualmente seduto a fare buona guardia accanto al suo nuovo piccolo amico.
Nigou era scappato a Riko, che lo teneva al guinzaglio, per scacciare alcuni uccelli che si avvicinavano a Seiji e che Aomine, lasciato di guardia al bambino mentre l’azzurro salutava il suo cane, non aveva ritenuto pericolosi. Per un momento, vedendo l’enorme cane husky ormai adulto correre ringhiando verso il piccolo, il panico si era diffuso, ma l’animale aveva semplicemente scacciati i pennuti e subito dopo, voltandosi verso quello strano fagotto, aveva sostituito l’abbaiare con un’espressione confusa. Seiji era scoppiato a ridere e gli aveva afferrato le orecchie quando Nigou si era piegato ad annusarlo. Da allora, cane e bambino erano diventati inseparabili. Kuroko ne era contento, però, perché questo significava poter riprendere il bestione a vivere con loro. Riko ne sembrava altrettanto sollevata.
“Ohi, a che età iniziano a parlare i bambini?”
Tetsuya alzò gli occhi su Kagami nell’udire quella domanda, ma fu Midorima, professionale, a rispondere aggiustandosi gli occhiali sul naso.
“Tra l’ottavo e il nono mese, nanodayo.” disse, per poi voltarsi verso il piccolo, “In effetti, dovrebbe iniziare presto. Questi versi sono già i suoi primi tentativi di ricopiare le nostre parole.”
Tetsuya abbassò lo sguardo sul visetto intento di Seiji – che aveva sfilato una mano dalle sue per potersela portare alla bocca e provare ad ingoiarla intera, chiusa a pugno – e ignorò Aomine e i suoi lamenti sulla falsa riga di “Quando il mostriciattolo imparerà a parlare, ci renderà tutti i suoi schiavetti personali, vedrete!” per osservare il piccolo negli occhi.
Un’iride fiordaliso ed una color sangue si puntarono nelle sue con interesse e attesero, stranamente pazienti e concentrate.
Pa-pa.” scandì Kuroko piano, ottenendo tutta l’attenzione del bambino, “Seiji, papa.
Seiji fissò il genitore per un lungo istante…poi scoppiò a ridere di gusto, urlando e agitando gambe e braccia contemporaneamente.
Tetsuya rise un pochino a sua volta, pur sospirando.
“Qualcosa del genere…” lodò, annuendo al bimbo soddisfatto.
“Beh, come primo tentativo non è andato così male…” cercò di dare supporto Teppei, ma Hyuuga lo interruppe.
“Andiamo!” esclamò, indicando il bambino che piegò la testa per cercare di guardarlo, costringendo Kuroko a prenderlo in braccio così che fosse girato verso il centro del cerchio di ragazzi seduti sull’erba, “Non potete pretendere che da un momento all’altro impari a dire ‘Otou-san’ con tanto di onorifico come nulla fosse!”
“Giusto, è intelligente ma…”
‘To-tan.
Takao si zittì a metà frase e per un attimo tutti rimasero fermi, poi, lentamente, varie paia di occhi si posarono sul bambino che, l’indice di una mano vicino alla bocca e l’altra allungata verso l’alto in direzione del viso del papà che lo guardava con tanto d’occhi, valutava con serietà il risultato appena ottenuto con quel minimo di sforzo.
‘To-tan.” ripeté, cercando di rubare il naso di Tetsuya e poi ridendo quando si accorse del silenzio sbalordito in cui era caduto anche questi, “‘To-tan!
Nel silenzio scioccato e un po’ spaventato, Kuroko realizzò che suo figlio aveva appena imparato la sua prima parola e scoppiò a ridere.
 
“Non ci provare neanche!” ruggì Aomine, afferrando un intrepido gattonante Seiji prima che questi cercasse di scendere il gradino dell’ingresso che guidava alla porta e alla scarpiera.
Il bambino borbottò offeso prima di iniziare a urlare a gran voce: “‘Tou-tan!
“Sì, bravo, è inutile che ci provi.” borbottò il blu, appoggiandosi il piccolo su una spalla e reggendolo con un braccio solo per poi riportarlo sul tappeto del salotto, metterlo per terra e infine sedersi a gambe incrociate di fronte a lui. Gomito su un ginocchio e guancia sul pugno chiuso, Daiki scrutò il piccolo mostro. “Tuo padre è a farsi una doccia, puoi concedergli quindici minuti di tregua?” borbottò.
Seiji si tirò a sedere dalla sua posizione a pancia in giù quindi rimase fermo a squadrare il blu con un’attenzione alquanto inquietante per un bambino di dieci mesi e mezzo. Aomine aveva i brividi ogni volta. All’improvviso, qualcosa alle spalle di Daiki sembrò catturare l’attenzione del piccolo e il blu si voltò immediatamente, pronto a vedere una nube di forbici cadergli addosso.
Niente.
Aomine aggrottò la fronte.
“Di’ un po’, mi prendi per il…” La frase gli si mozzò in gola quando si voltò e scoprì che Seiji non era più seduto di fronte a lui. “Uh?”
Quando realizzò di avere davvero perso il figlio di neanche un anno del suo migliore amico, urlò.
 
Non poteva essere andato tanto lontano, Aomine ne era sicuro. Era un piccolo poppante neanche in grado di camminare e capace di dire giusto ‘Papà’, ‘pappa’, ‘pizza’ – pitta per essere precisi, cortesia di Kagami – e altre cose di basilari necessità. Aveva già un sacco di zii di cui ricordare il nome, probabilmente in quel suo cervelletto minuscolo non c’era spazio per parole più utili come ‘tette’, ‘basket’ e ‘nanna’, nonostante tutti i suoi sforzi per insegnargliele. Beh, comunque fosse, doveva trovarlo in fretta, prima che…
“Aomine-kun.”
Aomine sobbalzò, squittendo terrorizzato, e si voltò di scatto pronto a cercare di fermare con la supplica l’inferno che stava per essergli rovesciato in testa.
Seiji, avvolto in un asciugamano e con i capelli bagnati appiccicati alla fronte, ridacchiò indicandolo dalla sua posizione d’onore tra le braccia di suo padre.
Tai-tan!” gorgogliò felice, ma suo padre, a dispetto delle carezze che gli lasciava sulla testa, non sembrava condividere il sentimento.
“Aomine-kun,” ripeté e Daiki si ritrovò a mandare maledizioni mentali ad un bambino di neanche undici mesi, “perché mio figlio è spuntato all’improvviso in bagno anziché essere qui con te?”
Considerando che la sua morte era ormai inevitabile, Aomine decise di guardare il lato positivo della cosa.
“Bakagami avrà vita difficile con due ombre in giro.”
Kise riferì di non aver mai visto livido più grosso di quello che il blu portò a casa sul fianco, quella sera.
 
Il primo anno era sempre il più duro, così gli aveva detto sua madre.
Kuroko le aveva creduto e aveva stretto i denti per quei primi dodici mesi, ma quando aiutò suo figlio a spegnere la singola candelina della sua prima torta di compleanno, circondato da – quasi – tutti i suoi amici delle medie e delle superiori, si scoprì a pensare che, sì, ne era proprio valsa la pena.
Pensò ad Akashi in quell’occasione, a quanto bello sarebbe stato averlo lì con loro, ma scacciò in fretta l’immagine del ragazzo dalla sua mente e, ignorando la stilettata dolorosa che gli prese il cuore, sorrise a Seiji tra le sue braccia.
Il bambino lo guardò con attenzione e poi scoppiò a ridere.
“‘Tou-tan!”


 
Ehm...
Lo so, sembra inutile, ma giuro che mi serviva! Dovevo aggiustare la situazione con Akashi, iniziare a definire la personalità di Seiji, lasciarvi qualche indizio su cosa succederà nel prossimo capitolo... Era un sacco di roba!
Scusate se sparisco in fretta, ma sono un po' di corsa XD Vi ricordo solo che, se volete chiedermi qualcosa o mandarmi qualche RICHIESTA, da adesso potete farlo sul mio account Tumblr: Agapanto Blu
E poi che altro? Niente... Ricordate che questa storia partecipa al contest "Progetto: Ripopola Fandom - Seconda Edizione" assieme a anche "Crudele"
Basta, adesso me ne vado per davvero :) Ovviamente, se lasciate un commento non mi offendo, ma nemmeno vi tolgo il saluto se non lo fate ;) (
NdAkashi: Non che a qualcuno importi del tuo saluto, popolana.
NdMe: T-T Ma perché?! NdAkashi: Chiedo scusa? Hai realizzato quello che mi stai facendo passare?! NdMe: ... scusa...)
Okay, a presto allora!

Agapanto Blu

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***







Sei pronto?


 
-CAPITOLO II
 
“Sei pronto?”
Tetsuya indossava la sua espressione apatica con una giacca nera e un paio di blu jeans infilati in degli scarponcini neri. Inginocchiato sul marciapiede, finì di aggiustare i capelli rossi del bambino in piedi di fronte a lui, che attese pazientemente che l’operazione fosse finita prima di rispondere.
Nonostante il sole e il cielo azzurro, l’aria di Aprile era ancora fredda e si divertiva ad infilarsi nei pertugi delle due gemelle sciarpe bianche che avvolgevano protettive i colli di padre e figlio. Gli alberi di ciliegio del cortile accanto a loro allungavano verso l’alto i rami coperti di fiori rosa e sembravano voler così accogliere festosamente i bambini che, chi ridendo e chi con le lacrime agli occhi, superavano inesorabilmente l’alto cancello di ferro verde che li avrebbe protetti fino all’arrivo del pomeriggio e al ritorno a casa.
“Seiji non è preoccupato per la scuola.” disse all’improvviso l’interessato, la voce infantile salda come lo sguardo nelle iridi eterocrome e le mani strette – forse un po’ più del necessario – sulle spalline dello zaino rosso che portava sopra la sua giacchetta blu scuro, “È preoccupato per Otou-san.”
Kuroko sgranò gli occhi appena un pochino, sorpreso, ma poi posò le braccia sulle proprie ginocchia piegate e si concesse un mezzo sorriso.
“Per…Otou-san?” chiese.
Kuroko Seiji osservò il padre per un po’ prima di rispondere.
“Otou-san non è tranquillo se non vede Seiji.” borbottò, un’espressione seria e un po’ offesa sul viso piccolo, “Otou-san controlla sempre dov’è e come sta Seiji, anche se ci sono gli zii. Otou-san starà bene anche se Seiji è a scuola?”
Un soffio di vento frizzante scompigliò i capelli di padre e figlio, ignorandone la diversa colorazione, e portò sopra di loro uno stormo piccoli fiori di ciliegio dal rosa pallido e timido, ma i due continuavano a guardarsi e non vi prestarono troppa attenzione.
Tetsuya sorrise un po’ di più.
“Otou-san sarà preoccupato per tutto il giorno.” ammise e intanto allungò una mano a carezzare la guancia del bambino, “Perciò, Seiji deve fare una promessa al suo papà.”
“Cosa?” chiese immediatamente il piccolo, le iridi illuminate all’idea di avere un compito così importante, e Kuroko sorrise ancora.
“Seiji deve promettere a papà che starà attento.” ordinò, con una gentile fermezza nella voce, “Se Seiji promette questo, allora papà promette di portarlo a prendere un milk-shake dopo la scuola, va bene?”
A quella corruzione, Seiji scoppiò a ridere e alzò le braccia al cielo, festeggiando, poi scappò rapido nel cortile, voltandosi per salutare con un braccio il padre in attesa.
Kuroko rispose al gesto finché suo figlio non fu svanito oltre le porte dell’asilo, quindi sospirò. Si rialzò lentamente, sforzandosi di ignorare i sussurri interessati delle madri che attorniavano i cancelli della scuola, e infilò le mani in tasca voltandosi e sbrigandosi ad allontanarsi in direzione della fermata dell’autobus. Non risparmiandosi un paio di occhiate ansiose all’edificio che si stava lasciando alle spalle, ovviamente.
Attese il mezzo con la testa bassa e lo sguardo ostinatamente puntato sui propri piedi e quando questo finalmente arrivò, si affrettò a salire prima che gli altri avventori, praticamente ignari della sua presenza, lo spintonassero. Cercò il posto più lontano da tutti gli altri passeggeri e si sedette con il viso voltato verso la finestra, tentando di ignorarli. Una volta li avrebbe studiati con attenzione, allenandosi, ma ora l’unica cosa che gli importava era non essere notato e sparire in fretta dalla circolazione.
Sei fermate dopo, Tetsuya scese rischiando di essere spinto giù per i gradini da un’anziana signora munita di buste della spesa che non l’aveva notato. Borbottò delle scuse, ignorando il fatto che non fosse colpa sua, e si affrettò a sparire tra la folla, marciando inesorabile fino a raggiungere la sua meta, un locale dalle grandi vetrate e sopra la cui porta in legno capeggiava la scritta “The Clock – Butler Café”.
Kuroko sospirò.
Seiji aveva tre anni ora, ma solo uno quando Tetsuya aveva avuto un secondo attacco di cuore. Lui non lo ricordava bene, sapeva solo che suo figlio si stava divertendo a mostrare a tutti la sua nuova capacità di camminare, ridendo nel correre da Kise ad Aomine e viceversa mentre suo padre lo guardava da appoggiato allo stipite della porta, bevendo piano il proprio tè; poi all’improvviso un dolore allucinante lo aveva preso al petto, senza motivo, e tutto era diventato nero. Si era svegliato in ospedale il giorno successivo, solo per sentirsi dire da Midorima che il suo cuore si era fermato, esausto, un’altra volta e che, anche se per fortuna il massaggio cardiaco era stato sufficiente a rianimarlo, non era poi così scontato che le cose gli andassero bene in caso di un terzo attacco. In seguito a quel fatto, le cose erano andate sempre peggio.
Con le conseguenti spese mediche da affrontare – le visite continue dal cardiologo e i farmaci, in particolar modo – unite a quelle per il bambino che cresceva, la famiglia Kuroko aveva dovuto affrontare parecchie difficoltà che avevano spinto Haru e Sakura a riprendere ad accettare anche lavori di parecchi mesi all’estero e Tetsuya a trovarsi un impiego. Nonostante la storia della nascita di Seiji fosse stata tenuta pressoché segreta, l’azzurro aveva dovuto presto fare i conti con la sua condizione di padre single e sprovvisto di diploma, cosa che aveva limitato di molto le sue possibilità di lavorare. I suoi amici avevano tentato di permettergli di fare le scuole serali occupandosi loro di Seiji, ma la cosa non aveva funzionato perché le spese crescevano senza che lo facessero anche le entrate e alla fine era diventato inevitabile rinunciare. Lavorare al Butler Café “The Clock” non era certo mai stato il suo sogno, ma Tetsuya sapeva di non avere altra scelta: i proprietari non richiedevano titoli di studio particolari ma solo un aspetto piacevole e un’educazione impeccabile, gli avevano permesso di fare solo i turni serali nei due anni precedenti, così da passare il giorno con Seiji, e ora che il piccolo aveva iniziato l’asilo si erano detti disposti ad ampliargli il contratto alle ore del mattino.
Midorima aveva storto il naso a quell’aumento di stress, ma Kuroko aveva spostato la sua attenzione sul rispettivo aumento di stipendio, costringendolo a mettere a tacere le proprie obiezioni riguardanti il cuore dell’azzurro.
Sospirando un’altra volta, Tetsuya si avvicinò alla porta di ingresso, pronto a scivolare silenziosamente nei suoi panni da maggiordomo, ma la suoneria del suo cellulare lo interruppe.
Aggrottò la fronte leggendo il mittente, ma alla fine rispose.
“Midorima-kun, sto andando al lavoro. Se non è qualcosa di urgente…”
È urgente.
Tetsuya sollevò appena un sopracciglio, pur sapendo che l’altro non poteva vederlo, nell’essere interrotto a quel modo e iniziò a frugare nelle tasche con la mano libera fino ad estrarne le chiavi del locale.
“Sarebbe?”
Akashi. È tornato in Giappone.
Un tintinnio sottile accompagnò lo schiantarsi del mazzo sull’asfalto.
 
L’aria fredda gli scompigliava i capelli, ma Kuroko non riusciva proprio a preoccuparsene. Onestamente, non riusciva a preoccuparsi nemmeno dei rinnovati bisbigli delle madri alle sue spalle o degli sguardi dubbiosi, alcuni anche un po’ guardinghi, che si posavano sulla sua figura mingherlina ma chiaramente maschile ferma davanti all’asilo, troppo giovane per essere un genitore. Non riuscì a concentrarsi assolutamente su nulla che non fosse l’immagine di capelli rossi come fuoco, scompigliati dal vento come i suoi, quasi fosse lì, perché era tornato, fino a che il suono di una campana non gli fece rialzare gli occhi sul giardino di fronte a lui e infine un’altra massa di ciocche rosse arruffate attirò la sua attenzione completamente.
“Seiji!” chiamò, sollevando una mano per farsi notare, ben sapendo che altrimenti sarebbe stato difficile per il piccolo trovarlo.
Il bambino però, stranamente, aveva già gli occhi puntati su di lui e si aprì in un enorme sorriso nel vederlo. Un attimo dopo, già correva veloce verso il padre, con la cartella che gli ballonzolava sulla schiena ad ogni falcata.
Tetsuya si inginocchiò per terra e allargò le braccia appena in tempo perché suo figlio ci si gettasse dentro, allacciandogli le sue piccole dietro il collo e ridendogli dritto in un orecchio.
Kuroko lo strinse forte, d’istinto, mentre le parole di Midorima riprendevano a ronzargli nel cervello; si aggrappò al bambino come fosse la sua unica ancora di salvezza e, al contempo, come se temesse di vederlo sparire da un momento all’altro, con la sensazione che qualcuno avrebbe potuto portarglielo via senza lasciargli scampo.
“…Otou-san?” chiamò piano, sorpreso, Seiji nel notare che il padre non accennava a interrompere l’abbraccio.
Kuroko si scostò immediatamente, nascondendo dietro un piccolo sorriso dolce la propria preoccupazione, e con le mani sulle spalle del bambino si concesse un attimo per osservarlo dritto in volto.
“Gomen, Seiji. Papà non è riuscito a non preoccuparsi.” mentì – solo in parte, perché nessuno avrebbe potuto negare quanto fosse andato in panico dopo la notizia del ritorno di Akashi –, ma poi si affrettò a cambiare argomento, “Com’è andata?”
Il piccolo rosso sfoderò un enorme sorriso, lasciando che i propri occhi brillassero d’entusiasmo.
“Seiji ha giocato a nascondino e ha vinto sempre!” esclamò, chiaramente orgoglioso e impaziente di vedere la reazione del padre, “Seiji trovava sempre tutti, ma nessuno trovava Seiji!” Per un attimo si fece pensoso e sollevò gli occhi verso il cielo, chiaramente inseguendo i ricordi. “Seiji ha spaventato per sbaglio la maestra perché lei non lo vedeva…”
Kuroko sbatté le palpebre un paio di volte a quel marasma di informazioni che, onestamente, proprio non era in grado di accettare nella sua situazione mentale. Quella che Seiji potesse avere ereditato la sua scarsa presenza era una certezza più che una possibilità, ma l’idea che potesse in qualche modo avere ottenuto anche solo in minima parte l’Occhio dell’Imperatore che era di Seijuro… Tetsuya doveva ammettere che la prospettiva era un po’ inquietante.
“Che bravo.” lodò comunque, sorridendo al bambino mentre gli sfilava piano lo zainetto dalle spalle e si rialzava in piedi, “Adesso però dobbiamo andare: questa mattina papà ha promesso un milk-shake a qualcuno.” Si portò una mano al mento e alzò gli occhi al cielo, fingendo di stare pensando, “Non mi ricordo proprio a chi, però… Forse a Murasakibara-kun? A lui piacciono molto i dolci.”
“No!” Tetsuya abbassò la testa con un sorriso quando Seiji si aggrappò ridendo alla sua gamba, “A Seiji, a Seiji!”
“A Seiji? E chi è?” provocò l’azzurro. Midorima-kun gli aveva assicurato che non c’era nulla di strano nel fatto che il piccolo parlasse di sé in terza persona e che il contatto con altri bambini lo avrebbe presto aiutato a prendere dimestichezza con le varie coniugazioni verbali e così Tetsuya lo lasciava fare, ma a volte cercava comunque di stuzzicarlo per vedere come fosse capace di cavarsela.
“Io, io!” saltellò infatti il rosso e Kuroko lo premiò scompigliandogli i capelli, cosa che a Seiji faceva piacere quanto a lui dava fastidio.
“D’accordo, d’accordo.” annuì, prendendo il figlio per mano e incamminandosi con lui, “Gusto vaniglia?”
“Cioccolato!” scosse la testa il piccola, con una smorfia al sentir nominare l’altro sapore.
Kuroko sospirò, fintamente sconsolato, ma il sorriso fu rapido a rifiorire sulle sue labbra.
 
Come previsto, il frappè al cioccolato era finito ovunque oltre che nello stomaco di Seiji.
Tetsuya ignorò bellamente gli strepiti scioccati di Midorima, ormai ospite fisso di casa Kuroko ma in quell’occasione presente più per assicurarsi della salute mentale del padre che di quella fisica del figlio, e portò il bambino che ancora rideva con sé nel bagno.
“Kuroko…!”
“Midorima-kun, dopo.”
E la sua voce era così stanca e desolata che Shintarou non osò ribattere altro se non un ‘Torno alle nove’.  Un brivido corse giù lungo la schiena di Tetsuya a quelle parole, ma l’azzurro fece finta di niente e si limitò a vagare per la casa alla ricerca di abiti puliti con Seiji fedelmente appollaiato su un braccio.
Come aveva sempre fatto sin da piccolo – sin da più piccolo – Seiji dimostrava una capacità di attenzione al di fuori del normale e un’incredibile abilità nel cogliere le sfumature più nascoste delle emozioni delle persone, seppur spesso neanche lui riuscisse a comprenderle o anche solo a riconoscerle. Non era in grado di distinguere dolore o perdita o malinconia, ma sapeva coglierle come un falco e il suo istinto di bambino le catalogava tutte come tristezza spingendolo ad agire per cancellarle. L’ultima volta che Aomine e Kise avevano litigato, il rosso aveva cercato di regalare il proprio pallone da basket al primo ed era volontariamente salito in braccio al secondo per baciargli affettuosamente la guancia. Il blu e il biondo avevano fatto pace in meno di mezz’ora da quegli avvenimenti.
Per questo, Kuroko fu solo in parte sorpreso quando il figlio gli strinse più forte le braccia al collo e nascose il viso contro la sua scapola.
“Otou-san può fare il bagno con Seiji?” chiese piano.
Kuroko sorrise a quel blando tentativo di tirargli su il morale, quindi annuì, staccando un po’ il figlio da sé per sfregargli il naso con il proprio.
“Per forza, un piccolo mostriciattolo mi ha riempito di milk-shake al cioccolato.”
“Seiji non è un mostriciattolo!”
 
L’aria calda del bagno, il sottile strato di vapore e la sensazione dell’acqua sulla pelle riuscirono a rilassare un po’ i muscoli tesi del corpo di Tetsuya, lasciandolo accasciato nella vasca con la schiena contro un bordo e il piccolo Seiji tra le proprie gambe incrociate, intento a giocare con un pulcino di gomma azzurro e un mucchietto di schiuma.
Kuroko lo lasciò fare, limitandosi a tenergli le mani sui fianchi giusto per sicurezza e ad osservarlo in silenzio dalla sua posizione accasciata, e il piccolo rimase tranquillo senza schiamazzare né agitarsi nell’abbraccio largo del padre, forse consapevole della stanchezza di quest’ultimo.
Per essere un bambino di tre anni, era tanto maturo in certe cose quanto era infantile in altre: parlava di sé in terza persona, ma giocava nel più assoluto silenzio solo per permettere al papà di riposarsi; andava a scuola senza versare una lacrima e nascondendo abilmente la sua preoccupazione, ma poi non era in grado di bere il suo milk-shake senza rovesciarsene tre quarti addosso. In quei momenti, Kuroko vedeva in lui molto di Akashi, dalla forza intrinseca che il rosso aveva sempre indossato agli atteggiamenti a volte immaturi che sapeva tenere con lui, e non riusciva a fare a meno di immaginare come sarebbe stato se questi si fosse trovato con loro. Flash di Seijuro che si inginocchiava per augurare a Seiji una buona giornata all’asilo o che gli puliva la bocca sporca di cioccolato, che se lo caricava sulle spalle facendolo ridere o che gli lavava con cura i capelli…
Seijuro sarebbe stato un buon padre, Tetsuya ne era certo, ma non a diciotto anni, non con tutta una vita davanti da costruirsi e non con il suo, di padre, pronto a rovinargliela per aver ‘infangato’ il nome di famiglia con un figlio bastardo nato da un altro maschio che in realtà era solo uno scherzo di natura che non avrebbe dovuto potersi riprodurre.
Come al solito, quella catena di pensieri portò un pungolo di dolore al cuore dell’azzurro che iniziò a scuotere la testa con forza, deciso a cancellarla dalla sua mente. Di tutte le sere, proprio quella non poteva permettersi di pensare a quel genere di cose.
“Otou-san?” Tetsuya alzò gli occhi e Seiji rispose allo sguardo piegando un po’ la testa da un lato, confuso. “Va tutto bene?”
Kuroko annuì, fingendo tranquillità, e allungò una mano a scompigliare i capelli bagnati del figlio, ma così facendo aprì una breccia nel muro di bolle e il bambino protestò, offeso. Tetsuya si preparò ad un borbottio senza fine – troppo in stile Midorima, per i suoi gusti –, ma invece Seiji si interruppe prima ancora di iniziare a parlare, attirato da qualcosa sotto la superficie dell’acqua.
Stava per chiedere, quando suo figlio lo precedette.
“Otou-san, cos’è quello?”
Il dito indice di Seiji era piccolo e sottile mentre puntava ingenuamente, con curiosità infantile, il grosso segno bianco sul ventre pallido di suo padre, lo squarcio sottile e bitorzoluto che come una mezzaluna storta si incurvava docile sotto l’ombelico, la cicatrice di un taglio cesareo che sembrava il sorriso stilizzato di una faccina.
Tetsuya fece passare lentamente la propria mano, sotto la superficie dell’acqua, su quel marchio e il bambino alzò istintivamente gli occhi verso il suo viso, osservando attento il sorriso che gli stava incurvando un po’ le labbra.
“Qui” rispose l’adulto, prendendo il piccolo in braccio per portarselo a sedere su una coscia e poter incrociare le gambe e indicare meglio il segno, “è da dove sei uscito tu.” Le iridi cerulea e scarlatta seguirono il movimento della sua mano, ma poi si fermarono sulla cicatrice anche mentre le dita più grandi salivano a carezzargli la testa. “Gomen,” concluse Kuroko con un vago alone di amarezza nella voce, “papà non era molto bravo ad aiutarti e così zio Midorima ha dovuto tirarti fuori.”
Seiji accolse pensosamente quelle informazioni e per un lungo istante rimase in silenzio a contemplare la sua scoperta. Quindi, aggrottando la fronte, sollevò la testa e cercò con gli occhi il volto del padre.
“Se Seiji è uscito dalla pancia di Otou-san, questo significa che Otou-san è l’Okaa-san di Seiji?”
Per un attimo, Tetsuya fissò confuso il viso di suo figlio. Poi scoppiò a ridere.
“Immagino” commentò tra un riso e l’altro, portandosi una mano davanti alla bocca per non offendere con la sua ilarità il suo permalosissimo figlio, “che tu abbia ragione.”
“Allora chi è l’Otou-san di Seiji?”
Come era nata, la risata di Kuroko morì. I suoi occhi, grandi e cerulei, scivolarono sul viso rotondo di Seiji, ma portarono alla testa un’immagine completamente diversa. I capelli scarlatti più lunghi, gli occhi entrambi rossi, i tratti del viso affilati ed eleganti, il ghigno malizioso e soddisfatto, la pelle chiara…
Tuo padre è l’uomo migliore che abbia mai conosciuto, a volte testardo e un po’ prepotente, ma buono e protettivo, forte e determinato come crescerai tu.
Sarebbe stato bello poter dire quelle parole, poter mostrare al piccolo una foto dell’uomo che come lui lo aveva concepito, indicargli tutti quei tratti che avevano in comune e raccontargli che persona strana e impossibile eppure meravigliosa fosse Akashi Seijuro.
Sarebbe stato bello e Kuroko si era ripromesso, alla nascita di suo figlio, di farlo un giorno, ma quel giorno non gli riuscì di trovarne la forza dentro di sé. Non quando sapeva che da un paio d’ore a quella parte avrebbe avuto di nuovo di fronte il rosso in persona.
“Vuole vederci. Tutti.”
“Midorima-kun…”
“Kuroko, se non ci sarai, si insospettirà, lo sai, nanodayo.”
“…Non posso… Non posso, Midorima-kun, non posso! Non posso, io…!”
“Farà dei controlli, Kuroko, lo conosci anche tu! E non gli ci vorrà molto per scoprire del tuo indirizzo, forse addirittura…”
“…di Seiji. … Midorima-kun, Akashi-kun non deve sapere di Seiji! Assolutamente!”
“Kuroko…”
“Midorima-kun, ti prego!”
“…”
“Ti prego…”
“Akashi vuole vederci e se non vieni si insospettirà, ma se ti presenti e ti comporti normalmente…”
“Posso farlo.”
“No, non puoi, nanodayo. Chiamo Takao e gli dico di recuperare Mitobe-san o Himuro-san, meglio ancora se tutti e due. Non basterà a tenerti tranquillo, ma almeno sappiamo che si ricorderanno di mandarti un messaggio ogni ora per tenerti aggiornato su Seiji.”
“…E Takao-kun terrà aggiornato anche te.”
“Tsk, solo per prevedere le tue reazioni e sapere come agire per evitare che tu lo insospettisca, nanodayo.”
“Midorima-kun.”
“Cosa, nanodayo?”
“Grazie.”
“Non ringraziarmi, Kuroko. Non sarà una bella serata.”
“Lo so. Grazie lo stesso.”
Una morsa fin troppo debole per essere definita tale strappò Tetsuya ai suoi pensieri facendogli sbattere la schiena contro il bordo della vasca. Gli occorse un attimo, ma alla fine l’azzurro piegò la testa e abbassò lo sguardo sul proprio ventre, trovando Seiji premuto contro la sua pelle, le braccia corte che cercavano di circondargli la vita e il viso rivolto verso l’alto coperto da un’espressione spaventata. Gli occhi eterocromi si bagnarono in fretta di lacrime.
“Gomen, papa!” esclamò il piccolo, ricorrendo al nomignolo più affettuoso che usava solo in casi eccezionali, quando aveva combinato qualcosa di grave o quando voleva mostrare il suo affetto in modo particolare. Sembrava così spaventato che Kuroko non riuscì a comprendere cosa fosse successo finché la sequela di scuse non glielo spiegò involontariamente. “Seiji non voleva far diventare papa triste! Seiji è dispiaciuto! Seiji chiede scusa!”
Tetsuya capì. Immediatamente, avvolse la braccia attorno al figlio e se lo strinse al petto posandogli una mano sulla schiena ed una sulla testa e così, abbracciandolo, sospirò.
“Seiji, non devi scusarti per nulla.” assicurò sussurrando piano, cercando con la propria voce bassa e tranquilla di calmare il piccolo, “Papà stava pensando, non volevo farti preoccupare.” Un respiro profondo, un po’ di auto-delusione e un po’ per farsi forza, si aprì strada tra le sue labbra, ma l’azzurro alla fine allentò un po’ la stretta dell’abbraccio e cercò di osservare il volto del rosso staccandolo un po’ da sé, “Seiji, riguardo tuo padre…”
“Seij-…Io non voglio saperlo!” Kuroko rimase fermo, basito, di fronte al bambino che scuoteva la testa con forza e tentava di usare la prima persona, come per distrarre il padre dai suoi brutti pensieri offrendogli un nuovo traguardo da festeggiare. “Io non voglio saperlo.” ripeté poi più piano, posando entrambi i pugnetti sul petto di Kuroko e alzando lo sguardo per osservarne il viso, “Io ho un papà che mi ha fatto uscire dalla sua pancia come una mamma, quindi va bene così.”
E prima che Tetsuya potesse dire qualcosa, Seiji lo aveva di nuovo abbracciato e aveva nascosto il viso contro la sua pelle. Dopo un attimo, con un sorriso mesto sulle labbra, anche lui ricambiò la stretta.
“Ti voglio bene, Seiji.” mormorò contro la testa di suo figlio, baciandone i capelli rossi, “Come un papà ed una mamma messi assieme. Ti voglio tanto bene.”
Seiji ridacchiò nel sentirsi scompigliare le ciocche dal viso del padre.
“Anche Seiji vuole tanto bene al suo mamma-papà!” dichiarò, rivolgendo a quest’ultimo un’enorme sorriso luminoso quanto il sole stesso.
E Kuroko sorrise ignorando il ritorno della terza persona.
 
Quando il campanello di casa suonò una volta sola, Kuroko era già dietro alla porta, pronto ad aprire.
Salutò con un cenno del capo i tre ragazzi dai capelli neri che entrarono silenziosamente, ma poi prese per un braccio Takao.
“Dorme già.” sussurrò, “Gli ho detto che sarei dovuto andare al lavoro, quindi se si sveglia e chiede di me…”
“…gli diciamo che sei al locale, va bene.” annuì Kazunari con serietà, poi però rivolse all’azzurro una compassionevole pacca sulla spalla, “In bocca al lupo.”
Tetsuya annuì con un sospiro, salutò piano gli altri due e scoccò un’occhiata ansiosa alla camera da letto dove dormiva suo figlio, ma poi si affrettò ad uscire e a chiudersi l’uscio alle spalle, consapevole che altrimenti sarebbe corso indietro per rannicchiarsi accanto al bambino – che prima di andare a letto di era comportato in modo alquanto irrequieto – e tenerselo stretto fino a quando Akashi non fosse partito di nuovo chissà per dove.
Midorima lo aspettava oltre il cancello del giardino e lo fissò raggiungerlo con occhio critico.
“Ti sei messo la camicia.” commentò, “E la cravatta, nanodayo.”
Tetsuya azzardò un’occhiata al proprio out-fit. Scarpe da ginnastica nere, un paio di jeans con alcuni strappi qui e là sulle cosce, la camicia azzurra che faceva paio con i suoi occhi e una cravatta nera indossata larga. Strinse istintivamente la presa sul giacchetto nero, che portava a braccio approfittando dell’aria già tiepida della sera.
“Non sapevo cosa fare.” mormorò, un po’ sulla difensiva, “Il libro sacro di Kise-kun sulla moda non aveva un capitolo su cosa indossare per incontrare dopo tre anni il padre, che non sa di essere tale, del tuo figlio illegittimo e segreto.”
Midorima sospirò solo, in risposta, ma poi fece cenno all’altro di seguirlo e i due si avviarono lungo la strada che li avrebbe portati al locale dove Kise, organizzatore dell’evento, aveva dato loro appuntamento. Il biondo aveva scelto di proposito un luogo vicino a casa Kuroko, in modo che questi si tranquillizzasse sapendo che in caso di emergenza sarebbe potuto correre rapidamente dal figlio.
Avevano appena superato l’isolato, quando Tetsuya osò parlare.
“Seiji mi ha chiesto chi è suo padre, oggi.” rivelò, “Ha visto il segno del taglio cesareo.”
Midorima si paralizzò, fermandosi in mezzo alla strada, e Kuroko se ne accorse solo dopo averlo superato di un paio di passi. Se fermò e si voltò verso il verde.
“Cosa gli hai risposto?” chiese questi, rispondendo con uno sguardo serio ad uno apatico.
“Nulla. Si è accorto che non volevo parlarne e mi ha detto di non volerlo più sapere, che non ne aveva bisogno.” Le palpebre calarono sulle iridi dell’azzurro, nascondendone il dolore. “Sono un pessimo genitore, se mio figlio deve preoccuparsi così per me.”
“Baka, nanodayo.” Tetsuya aprì di nuovo gli occhi, ma solo per vedere il verde superarlo, riprendendo a camminare. Si voltò e si affrettò a raggiungerlo, ma Shintarou continuò a guardare avanti anche nel continuare. “Quel bambino è davvero come te.”
“Come me?”
“Osservante, intelligente e dannatamente altruista, nanodayo.”
Kuroko si concesse un piccolo sorriso, poi accettò il silenzio teso ma quasi complice che accompagnò lui e Midorima fino al locale dove lo attendeva l’inferno.
 
Il ristorante non era nulla di esagerato, con tavolini bassi di legno scuro e pareti di carta di riso ma nessuna musica di sottofondo se non lo sfrigolio basso dei fornelli, e, trattandosi di un giorno feriale, vi erano anche poche persone, così da creare un’atmosfera tranquilla e rilassata. Almeno per qualcuno.
Tetsuya, invece, strinse i pugni sulle cosce e prese un respiro profondo, l’ennesimo, per calmarsi. Midorima, alla sua sinistra, e Aomine, a capotavola alla sua destra, lo spiarono discretamente, ma non gli dissero nulla. Murasakibara, all’altro capo del tavolo mangiava nervosamente da un pacchetto di patatine, ma il più palese di tutti era certamente Kise, seduto di fronte all’azzurro, con il suo sorriso tirato sulle labbra, il viso pallido e le mani nascoste sotto il tavolo perché vittime di tremori infermabili.
Daiki grugnì sbattendo una mano piano sul tavolo. Nonostante la delicatezza, Tetsuya e Ryouta sobbalzarono lo stesso.
“Dove diavolo è?!” ringhiò il blu, nervoso, “Doveva essere qui dieci minuti fa!”
“Te l’ho già detto, nanodayo.” sibilò piano Midorima aggiustandosi gli occhiali sul naso, “Ha trovato traffico, sarà qui a momenti.”
“Neh, ma cosa facciamo se Aka-chin scopre di…” Murasakibara non poté finire la sua frase perché la porta del locale, alle sue spalle, si aprì facendolo voltare e attirando tutti gli sguardi del tavolo.
Anche Tetsuya sollevò gli occhi sul nuovo arrivato e mentalmente ringraziò il cielo per non aver mai smesso di nascondere le proprie emozioni.
Akashi Seijuro era cambiato nei tre anni che aveva speso in America. Era diventato più alto anche se non troppo, mantenendo il suo vantaggio di cinque centimetri sull’azzurro, e le sue spalle si erano allargate un po’; la pelle pallida era appena abbronzata, ma faceva comunque contrasto con la tinta fiammeggiante degli occhi e dei capelli. Le labbra sottili erano un po’ arrossate, forse per via del vento freddo che si era alzato improvviso, ma si aprirono comunque in un vago sorriso quando le sue iridi si posarono sui cinque ragazzi seduti al tavolo ad aspettarlo. Era meraviglioso, a dir poco; ancora più di quando fosse partito.
Iniziò a togliersi il giacchetto di pelle nera e Kuroko desiderò morire quando lo riconobbe, perché gliel’aveva regalato lui, anche se ormai addirittura quattro anni fa.
Sotto, Seijuro indossava una camicia rossa su un paio di jeans neri e una cravatta dello stesso colore portata larga.
Tetsuya puntò immediatamente gli occhi sul tavolo, rifiutando di continuare l’ispezione e sentendosi un grandissimo idiota.
Midorima si voltò verso di lui fingendo di sistemare il suo oggetto fortunato del giorno, un enorme peluche a forma di leone, mentre Kise si alzava e raggiungeva di corsa Akashi.
“Sembra che vi siate messi d’accordo, nanodayo.” disse piano, “Ha anche tenuto il giacchetto che…”
“Midorima-kun, per favore.” sussurrò pianissimo l’azzurro, interrompendo l’altro, ma poi il rosso raggiunse il tavolo ed entrambi si sentirono costretti a spostare gli occhi su di lui.
“Minna.” disse, la voce calma ed educata. Aveva un’espressione placida sul viso, come se fosse perfettamente a suo agio, come non provasse assolutamente nulla all’idea di trovarsi davanti l’amante con cui aveva progettato di andare a vivere assieme e che lo aveva tradito durante la sua lontananza, usando come scusa la madre malata. “Scusate il ritardo.”
E Kuroko quasi perse la propria espressione apatica in favore di una scioccata quando Akashi si accomodò dove prima era seduto Kise, proprio di fronte all’azzurro.
Un attimo di panico percorse tutti, ma il rosso sembrò, o finse di, non accorgersene e si limitò a sorridere a tutti.
“È passato del tempo.” commentò, “È bello rivedervi.”
I quattro Miracoli rimanenti si scambiarono un’occhiata, ma Kuroko mantenne il suo sguardo fisso e apatico su Seijuro. Non che potesse fare altro quando quest’ultimo a sua volta lo fissava così palesemente, il fantasma di un sorriso sulle labbra.
Non guardarmi. Non guardarmi così, ti prego., Kuroko sentiva il bisogno di scappare, uscire dal locale e correre fino a raggiungere casa, fino a trovare Seiji, fino ad avere di fronte il bambino e ricordarsi così del perché non potesse semplicemente allungarsi sul tavolo e reclamare per sé quella bocca pregando di non trovarvi sopra un gusto diverso.
Tre anni… Aveva trovato qualcun altro?, c’era stato qualcun altro in quel tempo?, chi era?, perché proprio quella persona? Centinaia di domande simili vorticavano nella mente del fantasma, ma Kuroko impedì loro di specchiarsi nei suoi occhi.
Invece, immaginò il sorriso luminoso di Seiji quel giorno nel bagno e disse: “Bentornato in Giappone, Akashi-kun.”
Probabilmente quella non era la risposta che Akashi aveva immaginato perché il suo sorriso tremò per un istante, come indeciso se rivolgersi verso il basso, ma così com’era nata l’esitazione scomparve.
“Grazie.” rispose, riservandogli un sorriso prima di rivolgersi agli altri.
“Aka-chin, non ti sei fatto vedere per tre anni.” stava borbottando Murasakibara, “Avresti almeno potuto chiamare.”
Seijuro voltò tutta la testa per rispondere al viola e lo spostamento d’aria di quel movimento gettò sul viso di Kuroko la più fievole delle tracce del profumo del rosso.
L’azzurro si trattenne appena dallo scuotere la testa. Non era possibile che da quella distanza e con tutti gli aromi della cucina avesse potuto sentire l’odore di Akashi, era sicuramente solo la sua mente che si divertiva a rendergli la vita difficile come punizione per aver lasciato Seiji solo a casa.
Istintivamente, Kuroko sfilò il cellulare dalla tasca e ne controllò la schermata, ma non erano passati nemmeno tre quarti d’ora da quando aveva lasciato casa quindi nessun messaggio dei tre baby-sitter era ancora arrivato. Sospirò, iniziando già a sentirsi ansioso, e rialzò la testa in tempo per sentire Akashi parlare con Murasakibara.
“Lo so,” stava spiegando, incrociando le braccia davanti al petto, “purtroppo le regole del convitto erano davvero severe. A malapena mi era dato il tempo per telefonare a mio padre, chiamare altri era completamente impensabile.”
Tetsuya aggrottò la fronte.
“Convitto?” chiese, confuso, ma la risposta di Akashi gli fece desiderare di essere rimasto in silenzio.
“L’appartamento che avevo comprato era troppo grande per una persona sola.” disse solo, ma con uno sguardo fisso e intenso. Non era accusatorio né di scherno, solo…sembrava in attesa di una reazione. Reazione che Tetsuya si costrinse a mascherare.
“Ho sentito che non sei tornato neanche una volta durante le vacanze.” cambiò – poco discretamente – argomento Aomine dopo un secondo, fingendo di sbirciare il menù prima di passarlo a Kuroko, che lo prese resistendo a malapena all’urgenza di nascondervisi dietro, “Che è successo? Non ti lasciavano fare neanche quello?”
“Ho lavorato per i rami americani di alcune delle aziende di mio padre, durante i giorni liberi.” spiegò il rosso, scuotendo la testa, “Era una buona occasione.”
“Immagino…” bofonchiò Daiki, ma prima che potesse aggiungere altro una cameriera si avvicinò per le ordinazioni e fortunatamente l’aria pesante di quell’ultima parte di dialogo fu spazzata via.
Quando la donna si fu allontana, Akashi si voltò verso il blu.
“Invece ho sentito dire che ti sei unito alle forze dell’ordine, Aomine.” disse, calmo, e Kuroko si sentì ancora più in tensione all’uso dei cognomi. Non che fosse strano, in realtà: dopo la scomparsa dell’Imperatore, il vero Akashi aveva ripreso quella consuetudine, ma aveva continuato a chiamare lui ‘Tetsuya’ dal momento che uscivano insieme. L’azzurro non era sicuro di come avrebbe reagito se si fosse sentito chiamare in…uno qualsiasi dei due modi, onestamente. Il primo lo avrebbe ferito facendogli sentire la distanza ma il secondo lo avrebbe fatto a pezzi costringendolo a crearne di nuova, quindi non riusciva proprio a scegliere per cosa pregare gli dèi.
Ascoltò solo per metà la discussione di Aomine e Akashi e mangiò distrattamente mentre Kise raccontava della sua carriera di modello e Murasakibara di come lui e Himuro continuassero a lavorare alla pasticceria. Quando infine ebbero terminato di mangiare, Midorima stava rivelando la sua intenzione di specializzarsi in ostetricia o pediatria alla fine del corso di studi di medicina generale.
“Questa è una sorpresa.” commentò Akashi, stranamente almeno all’apparenza non irritato dal non aver previsto quello scenario, sbattendo appena le palpebre, “Credevo che i bambini ti irritassero, Midorima.”
Gli occhi di Kuroko scivolarono discretamente sul verde, ma questi si stava aggiustando gli occhiali con la mano sinistra fasciata e non lo notò. O forse fece solo finta.
“Di recente, alcuni eventi mi hanno fatto cambiare idea.” fu la risposta diplomatica del verde che fece sollevare un sopracciglio scarlatto ad Akashi, ma il rosso non indagò oltre.
Invece, si voltò nuovamente verso Tetsuya.
“E tu?” chiese, fissandolo con serietà, “Tu cosa fai, ora?”
“Sarai un grande insegnate d’asilo, Tetsuya.”
“Sei-kun, se mi stai prendendo in giro, ti tirerò un cuscino in faccia usando il mio Ignite Pass Kai.”
“Ammettendo anche che la tua minaccia sia terribile, Tetsuya, posso assicurarti che non sto scherzando affatto. Lo penso davvero.” Il sorriso di Seijuro era caldo e accogliente quanto le sue braccia, “Dopo esserti preso cura di tutta la Generazione Dei Miracoli, un gruppo di bambini sarà certamente una passeggiata, per te.”
Kuroko deglutì.
“Lavoro part-time in un Butler Café.” E faccio la madre a tempo pieno.
Tetsuya abbassò gli occhi sul dolce ancora intatto nel suo piatto. Era sicuro che mai parole uscirono con più difficolta dalle sue labbra. Dopo tutti i suoi compagni, così pronti a realizzarsi nella vita, l’umiliazione crebbe nel suo petto e nella sua mente, tentando anche di arrossargli le guance. Ed era strano perché di fronte agli altri non si era mai sentito così, inutile e fallito e vergognosamente disperato, ma davanti ad Akashi… Avrebbe voluto mostrarsi diverso al rosso, più forte e più meritevole della sua attenzione.
Seijuro rimase in silenzio a fissarlo, come in attesa di altro, e quando finalmente comprese che altro proprio non c’era, sembrò spiazzato per un secondo.
“Credevo volessi…” iniziò, ma lo squillare improvviso del cellulare di Kuroko fece sobbalzare tutti, spezzando l’improvvisa tensione.
Nel leggere ‘Himuro-san’ sul display, Tetsuya afferrò immediatamente l’oggetto aprendolo di scatto e rispondendo lì, di fronte a tutti, prima di ricordare di non poter parlare di fronte ad Akashi.
“Scusate…” sussurrò frettolosamente, alzandosi e uscendo quasi di corsa dal locale per poter parlare.
Aveva appena messo piede sul marciapiede quando la voce calma di Tatsuya che diceva “Kuroko-kun, per prima cosa, non agitarti…” gli raggiunse le orecchie, preoccupandolo ancora di più.
“Che cosa è successo?!” domandò ansiosamente, pur sforzandosi di tenere la voce bassa. Sapeva che non sarebbe dovuto uscire, non avrebbe dovuto lasciare Seiji da solo! Per andare da Seijuro, per di più!
Il senso di colpa montò prepotente nel suo petto, portandogli quasi le lacrime agli occhi, anche se non aveva idea di cosa fosse successo per davvero.
Nulla! Nulla di grave, Kuroko-kun, te lo assicuro!” esclamò il moro dall’altro capo della cornetta, “Solo che siamo andati a controllare Seiji e potrebbe avere un po’ di febbre quindi abbiamo pensato fosse meglio dirtelo a voce, piuttosto che in un messaggio.
“… Febbre.” La mano di Tetsuya salì involontariamente alla camicia e la strinse, proprio sul petto, proprio sopra il cuore, nel tentativo di cancellare le stilettate di dolore che stavano iniziando ad accompagnare le pulsazioni. L’azzurro deglutì, tentando di calmarsi. “Quanto è alta?” chiese.
Non molto,” rispose immediatamente Himuro, “però sapendo come sei…
Tetsuya annuì, pur sapendo di non poter essere visto e si costrinse a prendere un altro respiro profondo.
“Tanto abbiamo finito di mangiare.” assicurò passandosi una mano sulla fronte, “Prendo le mie cose e arrivo. In una ventina di minuti dovrei essere lì.”
Non devi farlo per forza, Kuro-…
“Per favore.” Tatsuya tacque, in attesa, e così udì bene il tremolio nel respiro dell’azzurro, “Tra venti minuti sono a casa.”
…D’accordo.
Kuroko annuì, tra sé e sé, togliendosi il cellulare dall’orecchio e chiudendo la chiamata.
Era colpa sua, sapeva sin dall’inizio che quella serata sarebbe stata un disastro, ma una parte di lui desiderava vedere di nuovo Akashi così tanto che la sua avarizia si era fatta prepotente, insopprimibile, e lui era uscito lo stesso. E adesso suo figlio era a casa con la febbre senza di lui.
Si voltò, deciso a tornare dentro e prendere la sua roba e andarsene…e sobbalzò all’indietro quando si trovò davanti due grandi occhi scarlatti.
“Ti ho spaventato?” chiese Akashi piano, con un sorriso amaro sulle labbra e la mano istintivamente allungata verso il suo fianco per paura che cadesse. Kuroko si allontanò dal contatto, ma il rosso fece finta di niente. “Perdonami, non era mia intenzione.”
“No, no, è colpa mia…” mormorò Tetsuya, abbassando lo sguardo per sfuggire a quello del rosso. Strinse il cellulare al petto come a volerlo usare per difendersi e deglutì un’altra volta. “Non mi ero accorto fossi qui, ero preso dalla telefonata.”
Seijuro annuì, ma intanto ritrasse la mano con cui non aveva osato nemmeno sfiorare l’azzurro.
“Sì, ho sentito.” ammise, senza un briciolo di vergogna, “Tua madre non sta ancora bene?”
Kuroko si strofinò la fronte. Troppe, troppe cose tutte assieme, e Seiji che stava male…
“No, è…” Si morse la lingua appena in tempo prima di dire la cosa sbagliata, “…un’altra persona.”
La sua correzione dell’ultimo minuto non passò affatto inosservata a Seijuro e il sorriso del rosso si tinse di malinconia mentre le sue iridi correvano a nascondersi sotto le palpebre. Prima che potessero farlo, comunque, Kuroko riuscì a leggervi una vaga sofferenza.
“Quest’altra persona” mormorò il rosso, “è la ragazza di tre anni fa, vero?”
Per un attimo, uno solo, Tetsuya fu sul punto di mandare all’aria tutto chiedendo ‘Quale ragazza?’, ma fortunatamente la bugia utilizzata anni prima gli corse alla memoria, umiliante in quel momento come allora, e l’azzurro si sentì uno schifo ma la usò di nuovo ugualmente.
“Sì.” rispose, senza la minima esitazione, sforzandosi di tenere gli occhi puntati sul viso di Akashi anche se questi teneva i propri chiusi.
A quella parola, comunque, li riaprì.
“So che desideri andare da lei, quindi ti prometto che farò in fretta.” mormorò il rosso e la voce bassa, morbida, aveva una nota triste che costrinse Kuroko a rimanere in silenzio ad ascoltare, invece di correre a prendere le proprie cose e scappare da Seiji come una voce nella sua testa gli stava urlando di fare.
Seijuro esitò per un attimo e Tetsuya lo osservò prendere un respiro profondo, chiudere di nuovo gli occhi, sospirare ancora e poi, infine, come una farfalla che esce dalla crisalide, far fiorire di nuovo sulle proprie labbra un piccolo sorriso e riaprire le palpebre per mostrare i rubini attraverso cui guardava il mondo e il fantasma di fronte a sé.
Quando sentì le parole che uscirono dalle labbra di Akashi, Kuroko seppe che qualcosa dentro di sé si stava spezzando ancora.
 
Tetsuya corse via, lungo la strada, senza giacca e senza nulla. Non si fermò una volta, a malapena prestava attenzione al traffico nell’attraversare gli isolati, e per quanto Akashi fosse rimasto fermo a fissarlo diventare sempre più piccolo e sfocato, fino a sparire dalla sua vista, non si voltò mai indietro.
Seijuro sospirò.
“Ti riconosco il tentativo,” Il rosso si voltò, incrociando le iridi smeraldine che lo fissavano dall’alto, ma Midorima non si zittì, “però se ti aspettavi di ottenere qualcosa, sarei deluso dalla tua ingenuità, nanodayo.”
Akashi sorrise amaramente a quella constatazione.
“Immagino che avrei dovuto aspettarmi di essere scoperto da te.” ammise, annuendo come non fosse una gran cosa. “Ho tentato.” continuò scrollando le spalle, “Vuoi biasimarmi per questo?”
Shintarou rimase in silenzio, senza offrire una risposta.
Onestamente, era sorpreso che gli altri non avessero notato il palese obiettivo dietro al comportamento strano di Seijuro, il suo mostrarsi aperto, disponibile, fin troppo amichevole trattandosi di lui, e tutto quanto. L’abbigliamento che gli donava e il giacchetto che Kuroko gli aveva regalato anni prima, ormai consumato al punto da stonare con la perfezione del resto, uniti al fatto che avesse messo della colonia, cosa che non faceva mai, erano stati indizi più che chiari per lui, ma che Aomine, Kise e Murasakibara non sembravano aver colto.
Quanto a ciò che Tetsuya aveva appena detto al rosso… Beh, poteva essere giustificato. Midorima non riusciva nemmeno ad immaginare in che stato fosse la mente dell’azzurro. E nonostante questo, chi lo preoccupava di più in quell’istante era proprio il ragazzo di fronte a lui.
Di fronte al silenzio dell’amico, Akashi sospirò, ma annuì.
“Non preoccuparti, Midorima.” offrì, come un sacrificio a qualche crudele divinità, “Sapevo di non potermi aspettare troppo e avevo comunque già deciso che se questa sera non avessi ricevuto alcun segnale da parte sua, mi sarei tirato indietro definitivamente. Certo non mi aspettavo questo finale, ma non cambia molto le cose. Non mi accade spesso, ma so riconoscere quando perdo.”
Shintarou non se la sentì di annuire né di fare nulla. Kuroko aveva preso la sua decisione, aveva scelto di proteggere Seiji e Seijuro tenendoli lontani l’uno dall’altro, difendendoli entrambi dallo stesso mondo e dalla stessa persona, Akashi Seito, rinunciando a parte della propria felicità e lui non aveva diritto di interferire.
Nel silenzio che li avvolse dopo quell’ultima dichiarazione, un’auto nera e chiaramente costosa accostò a fianco del marciapiede e l’autista che ne uscì rivolse loro un inchino prima di aprire la portiera del passeggero, in attesa.
Seijuro si concesse un minimo ‘tsk’ amaro, ma poi oltrepassò Midorima per dirigersi alla macchina.
“Le cose di Tetsuya.” mormorò, fermandosi per un attimo.
“Gliele porterò io, nanodayo.”
“Siete diventati molto uniti, un’altra cosa che non mi sarei mai aspettato oltre alla tua recente scelta di specializzazione.”
Midorima si irrigidì, conscio dell’errore. Nell’istante in cui Akashi lo spiò con la coda dell’occhio, il verde seppe che il rosso stava forse collegando quella nuova amicizia alle sue parole sul diventare un pediatra. Seijuro era sempre stato troppo bravo nel leggere le persone.
“Io e Takao ci siamo trasferiti nell’appartamento sopra il suo.” mentì, “Ci vediamo molto spesso, è solo logico che sia io a restituirgli le sue cose, nanodayo.”
Akashi non disse niente a lungo e Shintarou non osò aggiungere nulla, per paura di essere scoperto. Alla fine, il rosso riprese a camminare verso l’auto.
“Alla prossima volta.” salutò a bassa voce, ma quando Shintarou trovò il coraggio di rispondergli, di rispondere a quell’amico a cui stava tenendo segreta l’esistenza di un figlio, questi se n’era già andato.
 
Quando Takao sentì la porta aprirsi e richiudersi, vi si avviò in fretta pronto per chissà quante domande ansiate da un certo padre iperprotettivo, ma certo non aspettandosi di trovare Tetsuya con la schiena pesantemente appoggiata alla porta e la testa bassa al punto che i capelli gli nascondevano il viso.
Kazunari sbatté le palpebre, scioccato, poi Tetsuya tremò e lui scattò.
“Cos’è successo?!” esclamò andando incontro all’azzurro, mettendogli una mano sulla spalla, ma questi scosse la testa per prendere tempo.
Con sgomento, il moro piegò la testa per spiare oltre le ciocche azzurre e quello che lo accolse furono calde lacrime che scivolavano sulle guance del viso pallido di Kuroko.
Mitobe e Himuro accorsero in quel momento, scioccati, appena in tempo per sentire Tetsuya mormorare: “Ha detto che mi perdona… Ha detto che mi perdona!
“Volevo solo che sapessi che ti perdono.”
“Perdonarmi…?”
“Per quello che è successo mentre ero in America, per aver trovato un’altra persona.” Un sorriso di sole labbra, elegante con le palpebre socchiuse, ma amaro fiorì sulle labbra di Akashi. No, per favore, no… “Anche se ‘perdonare’ non è il termine giusto, dal momento che non mi hai veramente ‘tradito’, anzi sei stato onesto nel dirmi la verità prima di scegliere definitivamente lei.” Uno sguardo caldo, gentile, fu tutto ciò che Tetsuya registrò quando gli occhi di Seijuro cercarono i suoi. Per favore, cosa vuoi dire? “Volevo solo che sapessi che non sono tornato per renderti la vita difficile o cose simili. Abbiamo sbagliato entrambi. Io, tra tutti, avrei dovuto capire che avevi bisogno di me, nonostante tutte le tue parole, e sarei dovuto rimanere quando tua madre è stata male.” Seijuro, ti prego, no… “La cosa peggiore è che sapevo che partire era la scelta sbagliata, ma l’ho fatto lo stesso e ti ho lasciato solo quando avevi più bisogno di me.” No, no, no! Non dirlo, non lo fare, per favore, no! “Per questo riconosco che è anche colpa mia. Sono stato egoista, anche se mi ci è voluto un po’ per capirlo e accettarlo.” No… No… “Quindi, vorrei solo chiederti di poter quantomeno restare amici. Il legame con te è uno dei più cari che abbia mai avuto, anche prima che diventasse di tipo romantico. Perderlo sarebbe molto triste, per me.” Seijuro… Per favore, per favore, no… “Allora? Kuroko?”
“… Mi dispiace, Akashi-kun.” Perché? Perché mi costringi a fare anche questo?! “Purtroppo, non riesco più a vederti come un amico, dopo quello che c’è stato tra noi. Sei stato il primo, per me, quando ancora ero forse troppo piccolo per capire bene cosa stessi facendo, ma ora che sto con una donna, il solo vederti” Perdonami. “mi” Perdonami. “disgusta.” Seijuro.
Nessuna esitazione, nella voce o nel viso, ma il cuore nel suo petto si contorse dolorosamente.
C’era tanto stupore, tanta sorpresa, ma anche tanto dolore sul viso di Akashi e Kuroko dovette voltargli le spalle per non gettarsi ai suoi piedi supplicando per quello stesso perdono che gli aveva appena tirato in faccia, un secondo dopo averlo ricevuto per le ragioni sbagliate.
“Capisco.” mormorò Seijuro dopo un attimo troppo lungo di silenzio.
Tetsuya non poteva più voltarsi, perché sentiva già le lacrime sul viso.
“Vorrei potessimo essere ancora amici, ma non ci riesco.” mentì e la sua voce, come una presa in giro, suonò apatica e indifferente nel recitare quella menzogna, “Mi dispiace.”
Poi non poté più trattenersi e si mise a correre.

Kuroko si era appena calmato quando il campanello di casa suonò piano, una volta sola.
L’azzurro era seduto sul divano accanto a Mitobe e Himuro, quindi fu Takao ad andare ad aprire, dal momento che era già in piedi, e onestamente non fu poi così sorpreso nel trovarsi davanti Midorima.
Il moro annuì.
“Prendo le mie cose e andiamo…” disse, ma poi abbassò la voce, “È stato davvero così terribile?”
Shintarou scosse la testa.
“Kuroko ha dovuto renderlo tale, nanodayo,” mormorò, “e questo l’ha fatto a pezzi.”
Kazunari non se la sentì di chiedere ancora e si voltò per raggiungere la cucina mentre Midorima entrava e si avvicinava al divano. In fretta, Mitobe e Himuro seguirono il terzo babysitter e i due ex-Miracoli rimasero soli.
“Che cosa ha detto?” domandò piano Tetsuya, la voce fragile di un uccellino, passandosi una mano sul viso per cancellare le tracce di pianto dalle guance.
Shintarou si aggiustò gli occhiali sul naso.
“Che si aspettava il tuo rifiuto, che non ti disturberà più e che gli siamo sembrati stranamente molto uniti.” Per un momento, aggrottò la fronte. “Non penso vorrà controllare, ma se dovesse chiederti qualcosa, io e Takao ci siamo trasferiti qui.” Kuroko aggrottò la fronte e Midorima sbuffò, “Mi serviva una scusa per giustificare il fatto che fossi io e non quell’imbecille di Aomine a riportarti le tue cose.”
“... Perché avreste fatto una cosa del genere?” Possibile che Akashi non si fosse insospettito?
Shintarou sospirò ancora di fronte a quella domanda, ma si avvicinò e si sedette sul divano, accanto all’azzurro.
“Mia madre…beh, non andrei fino al punto di dire che è ‘omofobica’ però…fatica molto ad accettare l’idea di me e Takao come coppia.” spiegò piano, serio ma senza drammaticità. “Credimi, si sta sforzando, e molto, quantomeno per fingere che non le dia fastidio, solo perché sa che così sono felice, ma noi due sappiamo che ci sta male quindi evitiamo di presentarci spesso a casa mia. La famiglia di Takao vive tutta in un appartamento minuscolo quindi non possiamo stare nemmeno molto lì. Akashi è un amico che rispetto profondamente e prima che partisse, quando mi ha detto che volevate andare a vivere assieme, gli avevo accennato la possibilità che anche noi facessimo una cosa simile, vista la situazione.”
Kuroko mantenne un’espressione apatica, sebbene un po’ arrossata dallo sfogo di poco prima, ma tacque per un lungo istante a quella confessione. Midorima sbuffò, aggiustandosi gli occhiali sul naso, e aprì bocca per dirgli di non preoccuparsi, quando invece fu preceduto.
“Fatelo davvero.” Shintarou aggrottò la fronte e, confuso, si voltò ad osservare Tetsuya, ma questi si limitò ad annuire di nuovo. “Venite a vivere qui.” spiegò con calma, per poi alzare una mano e interrompere Midorima a metà del suo confuso “Kuroko…?!” con un sospiro pesante. “I miei stavano comunque pensando di vendere l’appartamento qui sopra perché mantenerli entrambi durante l’inverno è troppo costoso, specialmente ora che Seiji ha iniziato la scuola.” Lentamente, l’azzurro si alzò in piedi. “Fino ad ora non l’hanno fatto perché l’idea di prendere in casa degli sconosciuti non li faceva sentire molto tranquilli,” spiegò piano, “ma se si trattasse di Midorima-kun e Takao-kun…”
Kuroko non finì la frase perché Kazunari rientrò in quel momento dalla cucina e lui ritenne opportuno lasciare che fosse Shintarou ad accennare l’idea al fidanzato per poterne poi discutere assieme, ma Midorima continuò a fissarlo con tanto d’occhi per un po’.
“Kuroko…” tentò di nuovo di dire, ma Tetsuya era deciso e lo interruppe di nuovo.
“Midorima-kun e Takao-kun hanno fatto molto per noi in questi anni. Se possiamo aiutare, nessuno di noi si tirerà indietro.” sussurrò piano ma con decisione, scuotendo la testa, quindi, senza aspettare una risposta, si avviò alla porta per accompagnare gli ospiti.
Salutò tutti piano, a bassa voce, ma Midorima gli scoccò un’occhiata che chiariva quanto la conversazione fosse ben lontana dall’essere conclusa, infine anche il verde scivolò fuori dalla porta chiudendosela alle spalle.
Il fantasma sospirò.
Silenzioso, come sempre era stato, scivolò attraverso il salotto e oltre la propria camera da letto, fermandosi di fronte alla porta della cameretta di Seiji. La aprì con delicatezza, stando attendo a non fare alcun rumore, e in un primo momento si limitò a spiare dentro facendo capolino con la testa.
La lama di luce dal corridoio carezzò piano l’involtino di coperte blu sopra il piccolo letto all’occidentale, posto con un lato contro il muro antistante l’entrata, e Kuroko, suo malgrado, sorrise appena nel vedere quest’ultimo alzarsi e abbassarsi al ritmo di un sottile respirare.
Sempre lentamente, entrò e si chiuse la porta alle spalle, dipingendosi lievemente il viso di amarezza nell’attraversare il campo di battaglia ora illuminato solo dalla luce della luna che faceva capolino dalla finestra sulla sinistra. Camminando sul tappeto morbido, si fermò ogni tanto a raccogliere qualche giocattolo o qualche peluche apparentemente caduto in combattimento, consapevole che quel genere di disastro suo figlio lo compiva solo quando malato mentre normalmente era invece ligissimo nel rimettere ogni cosa al proprio posto dopo averla usata, e infine raggiunse il lettino.
Dal pavimento proprio accanto al materasso, raccolse delicatamente il pupazzo di un cucciolo di leone dal pelo color miele, i grandi occhi dorati e un’orecchia strappata per metà da un litigio con Nigou e si fermò un attimo ad osservarlo. Kise, Momoi e Riko lo avevano portato in ospedale il giorno della dimissione di padre e figlio, come regalo per festeggiare l’arrivo ufficiale a casa di Seiji, e il piccolo vi si era talmente affezionato da non averlo più abbandonato. A meno che questo non gli cadesse dal letto durante il sonno.
Con un nuovo piccolo sorriso, più intenerito ma sempre un po’ malinconico, Tetsuya infilò di nuovo il peluche sotto le lenzuola, nell’abbraccio goffo di Seiji che vi si aggrappò immediatamente, seppellendo il volto nella sua pelliccia e mugolando tristemente nel sonno.
“…Papa…” chiamò un paio di volte e l’uso di quel nomignolo così infantile al posto del solito ‘Otou-san’ sconfisse subito Tetsuya, che con attenzione oltrepassò il piccolo per sdraiarsi al suo fianco, tra lui e il muro.
Immediatamente, nel sentire il calore della madre, Seiji smise di lamentarsi e rotolò per nascondere il viso nel petto di lui anziché nell’arido pupazzo. Che però tenne stretto a sé.
Tetsuya ridacchiò appena, ma posò la testa sul proprio braccio e questo sul cuscino appena sopra quella del figlio e allungò l’altra mano per posarla sul suo corpicino, guadagnando un mugugno soddisfatto in risposta. Gli baciò delicatamente la fronte, stando attento a non svegliarlo, e intanto pensò di nuovo ad Akashi, ma questa volta in modo diverso.
Con Seiji tra le braccia, capì di poterlo dimenticare di nuovo.
Per quanto avesse amato e amasse ancora Seijuro, pensò carezzando i capelli di suo figlio, dopo averlo visto così forte e realizzato e dopo averlo sentito parlare del college e di aziende e del lavoro che avrebbe fatto da lì a poco, poteva ribadire ancora la propria scelta. Nascondergli l’esistenza di suo figlio gli aveva permesso di diventare quello che era adesso – un uomo meraviglioso – e quindi, seppur con l’amaro in bocca, Kuroko accettò finalmente, definitivamente, di rinunciare a lui.
Si piegò in avanti e baciò la nuca scarlatta del suo bambino.
Dire la verità a quel punto, dopo tre anni, a cosa sarebbe servito? Il padre di Akashi non era cambiato e non avrebbe perdonato a suo figlio l’aver macchiato il nome di famiglia: Seijuro avrebbe perso tutto comunque, vanificando ogni singolo giorno che Tetsuya aveva speso da solo, nel segreto di un grembo che non avrebbe dovuto poter portare figli ma che l’aveva fatto e che l’azzurro ringraziava continuamente. E poi come avrebbe potuto rivelare tutto ora?, andare dal rosso e raccontargli quel segreto così grande, dirgli di Seiji, del parto, di quei trentasei lunghissimi mesi che aveva rubato a loro, a Seijuro e a suo figlio, senza permettere che si conoscessero? Akashi non l’avrebbe perdonato, anzi lo avrebbe odiato senza dubbio e a ragione – ma perché lui era fatto così, perché non avrebbe mai potuto accettare che qualcun altro decidesse per lui e lo proteggesse – e a quel punto sarebbe diventato tutto più miserabile, per lui ma anche per Seiji che avrebbe conosciuto entrambi i genitori solo per vederli odiarsi, anche se non a vicenda.
No, per dire la verità era ormai troppo tardi, farlo avrebbe solo distrutto quel fragile equilibrio così faticosamente costruito.
“Possiamo farcela anche da soli, non è vero?” sussurrò, a malapena udibile, Kuroko abbassando lo sguardo sulla testolina rossa che ancora accarezzava.
Seiji mormorò qualcosa nel sonno, ma tutto ciò che Tetsuya riuscì a comprendere fu il finale “…Papa…” che lo fece sorridere nonostante i pensieri cupi.
Sarebbe andato tutto bene, ne era certo. Non avrebbe più rivisto Seijuro, avrebbe reso quell’incontro e quella bugia crudele che gli aveva detto gli ultimi ricordi che avrebbero avuto l’uno dell’altro e da lì in poi avrebbe rifiutato tutti gli inviti, fingendo di non essere in casa o di avere degli impegni; avrebbe evitato l’altro come la peste, impedendo al proprio cuore di vacillare e alla propria mente di porgli domande di cui non voleva conoscere le risposte, mettendo ancora in pericolo la felicità di quelle due teste rosse per cui avrebbe venuto l’anima al diavolo e gli organi al mercato nero. Sarebbe andato tutto bene.
Finalmente chiuse gli occhi per dormire, accanto a quel figlio di cui ormai aveva assoluto bisogno.
 
Cinque mesi dopo, Seijuro divenne CEO di una filiale bancaria estera dell’Akashi Group e si trasferì a Londra, in Gran Bretagna, in modo permanente.



 
Scusate! Scusate, scusate, scusate! Sono in ritardo mostruoso -.-
Lascio delle note veloci perché sono proprio di corsa comunque non credo ci sia molto da dire... Seiji è un amore, Seijuro sparisce di nuovo e Tetsuya è il solito masochista; tutto nella norma XD
Scherzi a parte, ricordo come sempre che per qualasiasi cosa, visto che ultimamente su EFP appaio proprio di rado, potete contattarmi su Tumblr e farò del mio meglio per rispondervi, okay? ;) 
Tra l'altro, ho scoperto che ieri era la data designata e "ufficiale" -almeno per il fandom- per il matrimonio di Akashi e Kuroko! Congratulazioni! :D
Nel prossimo capitolo, prevedo di far apparire di nuovo Seijuro se non sbaglio, comunque vedrete ;)
Come sempre, grazie mille a tutti coloro che recensiscono, preferiscono, seguono, ricordano...LEGGONO in generale XD
A presto!


Agapanto Blu

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***







Sei pronto?

 
-CAPITOLO III
 
“Sei pronto?”
Kuroko non aveva bisogno di vedere suo figlio per sapere che stava alzando gli occhi al cielo. Il suo sbuffo esasperato e pesante era un indizio alquanto chiaro.
“Per la quinta volta, sì.” rispose infatti il ragazzo, ma senza girarsi – per la quinta volta, anche qui – per rivolgere al padre un’occhiata ammonitrice. Ormai aveva imparato quanto fossero inutili.
Tetsuya sorrise un po’, asciugandosi le mani nello straccio che si era portato dalla cucina – un piccolo gesto che tradiva la sua inquietudine –, e osservò il ragazzo quindicenne chiudere il proprio borsone da viaggio per caricarselo in spalla – con una grazia incredibile per un adolescente – e finalmente girarsi verso il padre appoggiato allo stipite della porta con una spalla.
Seiji sollevò lo scarlatto sopracciglio destro, rendendo ancora più luminosa l’iride rossa, e si avvicinò all’azzurro che, seppur chiaramente di malavoglia, si staccò dalla porta per farlo passare.
Lo scetticismo di Tetsuya era palese perfino da sotto la sua maschera di impassibilità perciò il ragazzo sospirò seguendolo quasi al trotto fino in cucina.
“Sai che non vado in guerra, vero, mamma?” chiese, usando con tranquillità l’epiteto femminile per l’azzurro che a sua volta, trafficando con i fornelli, non vi badò nemmeno.
Il piccolo Seiji aveva iniziato ad usare quel termine sin dal giorno in cui aveva scoperto che suo padre lo aveva partorito e fargli smettere quell’abitudine era ormai impossibile. Non che Kuroko se ne sentisse offeso, ad essere sinceri.
“Kyoto è una grande città.” obiettò comunque, afferrando il piatto con gli onigiri appena terminati e voltandosi a posarlo sul bancone per iniziare ad infilarli in un contenitore da viaggio.
“Così è anche Tokyo.” ricordò Seiji astutamente, rubando una pallina di riso prima che il padre potesse fermarlo.
“Ma qui ci siamo io, i nonni e tutti gli zii.” ribatté Tetsuya, allungandosi a colpire con uno schiaffetto inutile la nuca del figlio.
“L’ultima volta che ho chiesto indicazioni stradali allo zio Taiga sono finito a Kabukichou*.” sfidò questi mentre si massaggiava fintamente la testa.
Kuroko gli scoccò un’occhiata apatica.
“Nessuno chiede indicazioni stradali a Kagami-kun, Seiji, e c’è un motivo per questo.” replicò, poi aggrottò la fronte, “E smettila di nominare quel posto.”
Seiji ridacchiò, appoggiandosi al bancone con le braccia incrociate. Aveva ancora la borsa sulle spalle, ma non sembrava curarsene minimamente e Kuroko sorrise, pensando che fortunatamente suo figlio sembrava non aver ereditato la sua scarsità fisica.
“Mamma, non è mica una parolaccia e io ci sono finito solo per sbaglio.” I tratti del viso del ragazzo si addolcirono quando si allungò in avanti per baciare la guancia della ‘madre’, con tutta l’espansività che la presenza degli americani Kagami e Himuro gli avevano trasmesso per osmosi. “L’unica donna della mia vita sei tu.”
“Baka.” sbuffò Tetsuya, scansandosi scherzosamente, ma alla fine sorrise e porse al figlio il contenitore con il pasto che aveva appena finito di assemblare per lui.
Questi rise, posando la borsa sul tavolo da pranzo oltre il bancone per aggiungere l’ultimo pezzo, e Kuroko si fermò ad osservarlo.
Ormai il ‘piccolo bambino’ non era più né piccolo né un bambino. Seiji era più alto di Tetsuya, anche se forse non ancora come Seijuro, e sul corpo magro e snello poteva vantare muscoli sottili che guizzavano ad ogni movimento sotto la pelle pallida, quasi candida. Indossava dei blue-jeans e una maglietta a maniche corte rossa come i suoi capelli, che ora portava corti ma con il ciuffo lungo sul viso a nascondere l’iride sinistra e la sua tonalità azzurra, lasciando invece scoperta quella scarlatta.
“Voglio che sia il mio segreto.” aveva detto a Tetsuya dopo aver chiesto allo zio Junpei quel taglio, “Voglio poter scegliere a chi lasciarlo vedere e a chi no. È l’occhio di mia madre, per me è importante.”
I tratti del viso si erano fatti raffinati, eleganti come quelli di Seijuro, ma se il volto e la forma degli occhi era certamente quella del padre, le labbra e la sagoma definita delle sopracciglia erano decisamente della ‘madre’. In definitiva, era bello e magnetico come il peccato della lussuria e l’idea di quello che sarebbe potuto accadergli da solo in un’altra città aveva tenuto Tetsuya sveglio per tutto l’ultimo mese, sin da quando suo figlio gli aveva chiesto il permesso di studiare a Kyoto. Di fronte al suo sguardo esitante e alla sua espressione preoccupata per la reazione, Kuroko non aveva potuto rifiutare, ma si era pentito della propria scelta circa tre secondi dopo aver dato la sua risposta.
Il suonare del campanello fece sollevare entrambe le teste verso la porta, ma fu Seiji, con un’enorme sorriso, a correre ad aprire.
Tetsuya sospirò, limitandosi a mettere a posto la cucina poiché ben conscio dell’identità dei visitatori.
Il giorno prima, al mattino Momoi e Riko erano passate a salutare il giovane in partenza, mentre a pranzo avevano avuto ospiti Hyuuga, Teppei, Mitobe e Kagami – quest’ultimo vero autore delle prelibatezze offerte – e nel pomeriggio Aomine e Kise mano nella mano avevano tolto un paio d’ore dal loro anniversario di dieci anni come coppia fissa per passare l’uno a dare i propri inutili consigli e l’altro per piangere lacrime di coccodrillo al collo del suo nipotino. Murasakibara e Himuro erano appena andati via dopo aver lasciato come regalo un’enorme scatola di biscotti – la cui metà era finita immediatamente tra le scorte per il viaggio – e durante la loro visita era arrivata anche la telefonata dei nonni Sakura e Haru. Tutto ciò lasciava poco spazio all’immaginazione su chi fossero gli ultimi della lista.
Midorima entrò in cucina lasciandosi alle spalle le risa di Seiji e Takao, che avevano combinato – o stavano per combinare – sicuramente qualcosa, e si appoggiò con le mani al bancone per osservare Kuroko che riordinava.
“I lunghi viaggi in treno sono sconsigliati per la cervicale, nanodayo.” borbottò all’improvviso, dal nulla, “Non vanno bene per i ragazzini. Non che mi interessi, nanodayo.”
“Se riesci a fargli cambiare idea, Midorima-kun, potrei considerare l’idea di iniziare a seguire Oha-Asa.” rispose apatico Kuroko, continuando il suo lavoro, ma prima che il verde potesse dire altro due esuberanti uragani entrarono in cucina.
“Tecchan, siamo pronti!” esclamò Takao, sventolando le chiavi della propria macchina, “Sicuro di non voler venire anche tu?”
Tetsuya sorrise nel vedere la luce euforica negli occhi di suo figlio, incastrato sotto il braccio del moro, e annuì.
“Devo andare al lavoro tra una quindicina di minuti.” mormorò, per l’ennesima volta scoccando un’occhiata dispiaciuta a suo figlio, che però gli rispose con un sorriso d’incoraggiamento.
“Non importa, mamma.” assicurò affettuosamente, prima di aprirsi in un ghigno malefico che a Tetsuya ricordava tanto, forse troppo, Seijuro, “Tanto ti saresti solo messo a piangere e a pregarmi di non partire, quindi forse è meglio così.”
Sia Seiji che Takao risero quando Kuroko tirò la prima cosa che gli capitò a portata di mano – fortunatamente una presina da forno – in testa al figlio, dimostrando come la sua mira non fosse diminuita nonostante gli anni di astensione dal basket.
“Fuori da qui.” borbottò, ma era chiaro che non lo intendesse minimamente, perciò Seiji raccolse l’arma che gli era stata lanciata e scivolò via dalla presa dello zio per restituirla al padre e nel contempo rubargli un abbraccio, conscio che la rigida etichetta giapponese e la necessità di fare da buon esempio erano le uniche cose che stavano trattenendo l’azzurro dal fare lo stesso.
Ti voglio bene, mamma.” sussurrò piano e Kuroko non poté fare altro che stringerlo forte ripetendosi nella mente che rinchiuderlo nella sua camera per il resto della sua vita non era una bella idea come poteva sembrargli in quel momento.
“Stai attento, per favore.” dovette però almeno supplicare. Non voleva tenere Seiji segregato in casa – come aveva fatto nel suo primo anno di vita, in pratica – ma era terrorizzato all’idea di non averlo più con sé.
La risata di Seiji risuonò cristallina nelle sue orecchie.
“Non seguirò nessuno dei consigli di zio Daiki, mi fiderò di zio Taiga solo per il cibo, non dirò a nessuno che conosco zio Ryouta, non esagererò con i biscotti di zio Atsushi e guarderò ogni mattina Oha-Asa come zio Shintarou.” scherzò il ragazzo staccandosi, “Contento?”
“Lascia perdere Oha-Asa, per favore.”
“Ehi, nanodayo!”
La risata di Takao fu così forte da riempire tutta la casa.
 
Seiji aspettò che suo padre stesse guardando attentamente prima di legarsi la cintura di sicurezza e tra sé e sé alzò gli occhi al cielo quando lo vide annuire.
“Tecchan spesso esagera, ma bisogna aver pazienza con lui.” commentò Takao con finta casualità, sporgendosi su di lui per salutare rapidamente dal finestrino Tetsuya e Shintarou sulla porta di casa, “Il suo problema è che ti ama moltissimo.”
“Lo so.” assicurò il rosso, sbirciando il padre mentre lo zio metteva in moto.
Kuroko gli sorrise, uno dei suoi rari sorrisi, grandi e accoglienti, che lui soltanto aveva il diritto di vedere a proprio piacimento, e Seiji dovette trattenersi dall’appoggiarsi al finestrino per vederlo ancora, fino all’ultimo istante possibile prima che la macchina svoltasse. Fu forte e non lo fece, ma si lasciò cadere pesantemente contro lo schienale del sedile e appena la casa fu svanita dalla sua visuale permise che l’espressione entusiasta lasciasse il posto ad una apatica mentre i suoi occhi bicromatici scivolavano sul paesaggio che presto iniziò a correre fuori dal finestrino.
Case, strade e negozi che conosceva come le sue tasche e in mezzo a cui era cresciuto cercando di imprimersi ogni dettaglio nella mente, come faceva sempre così facilmente suo padre…tutto spariva velocemente, lasciando posto a scenari sempre meno familiari, ma Seiji se ne curò solo vagamente perché la sua mente era fissa su quelle due frasi scambiate con suo zio Kazunari poco prima.
Lo sapeva davvero, da tempo, quanto suo padre l’amasse. Da quando aveva undici anni e, svegliatosi nella notte, lo aveva sentito parlare con suo zio Shintarou e aveva pensato che sarebbe stato divertente fare loro uno scherzo, spuntando all’improvviso in cucina.
“Kuroko, non c’è nulla su cui scherzare, nanodayo.”
“Non ho mai avuto senso dell’umorismo, Midorima-kun, lo sai. Non sto affatto scherzando.”
“Le analisi non sono buone, Kuroko. Il tuo cuore è peggiorato di nuovo, non al livello delle altre volte ma poco ci manca e ti ho già detto che le possibilità che tu sopravviva ad un altro infarto sono bassissime. Un trapianto…”
“Un trapianto costa, Midorima-kun, e troppo perché io possa permettermelo. Sono andato avanti con questo cuore per ventinove anni, me lo farò andare bene ancora per un po’.”
“Con i turni che fai adesso è impensabile, nanodayo.”
“I turni che faccio adesso mi permettono di mandare Seiji a scuola, Midorima-kun.”
“Ti uccideranno.”
“Non puoi saperlo.”
“…”
“…”
“Kuroko, se solo chiedessi…”
“No. Non offenderti, Midorima-kun, ma non voglio né la tua carità né quella di nessuno degli altri. Posso farcela da solo, Seiji ha bisogno di me.”
“Seiji ha bisogno di te, non del tuo orgoglio, nanodayo.”
“Midorima-kun, basta così. Sono già un peso per tutti voi, non lo sarò anche per mio figlio.”
“…”
“…”
“Per…Seijuro…, non eri un peso.”
“Questo perché me ne sono andato in tempo, prima di diventarlo.”
Seiji chiuse gli occhi, scacciando quella scena dalla mente.
Sì, decisamente sapeva quanto suo padre l’amasse. Takao aveva detto moltissimo, ma lui avrebbe detto troppo.
 
“D’accordo!” esclamò Kazunari, sorridendo sulla banchina della stazione quando il treno si fermò lì di fronte ed una porta si aprì a soli due passi da loro, “Immagino dovrei farti qualche raccomandazione, ma scommetto che tuo padre te ne ha già fatte abbastanza, eh?”
L’unica risposta di Seiji mentre si aggiustava il borsone sulla spalla e tirava fuori il biglietto dalla tasca fu uno sguardo eloquente e ciò fu abbastanza per far ridere Takao.
“Mi raccomando, cerca anche di divertirti!” disse il moro, lasciandogli una pacca sulla spalla.
“Vedrò di trovare il tempo!” ribatté il rosso, con un sorriso, già salendo i gradini, “Tieni d’occhio papà e zio Shin-chan per me.”
Kazunari fece un saluto militare mentre già le porte si chiudevano e Seiji sorrise, prima di dirigersi verso il suo posto. Scoprì di essere in uno scompartimento vuoto e, messa a posto la valigia, si sedette accanto al finestrino e prese un respiro profondo.
Rakuzan High School, sto arrivando., pensò, determinato.
 
Kyoto era enorme, ma Seiji era sveglio e abituato ad osservare attentamente, a ragionare, a mettere le cose insieme e a trovare soluzioni. L’indole naturale ereditata da suo padre, l’allenamento con una banda di zii casinisti e un QI sufficientemente superiore alla media gli avevano garantito una capacità di adattamento notevole che gli permise di adeguarsi alla nuova città con una velocità impressionante, al punto che a soli due mesi dall’inizio del suo primo anno di superiori nel prestigioso istituto Rakuzan, il giovane Kuroko aveva già una raccomandazione della scuola per un impiego in una importante multinazionale.
Nulla di troppo complicato, nella descrizione dell’impiego più che altro gli veniva chiesto di fare commissioni e fotocopie o di portare caffè a destra e a manca, ma gli era permesso assistere al lavoro degli impiegati, di imparare come gestirsi gli impegni e di entrare a contatto con il mondo lavorativo. Inoltre, era il lavoro part-time che accettasse minorenni senza diploma più pagato della città.
L’azienda aveva chiesto alla scuola uno studente ben dotato, Seiji aveva partecipato al concorso indetto ed era arrivato primo con il massimo del punteggio, staccando di un paio di decine di punti il ragazzo del terzo anno classificatosi secondo, pertanto si ritrovava, in quel preciso istante, di fronte alle porte scorrevoli di un enorme grattacielo completamente in vetro contenente la sede amministrativa di vari rami, anche di diversa natura, della stessa compagnia.
Leggendo distrattamente le targhe accanto alla porta, più per farsi un’idea che per vero interesse, spiccava la presenza della sede direttiva di una casa editrice, una società bancaria, due aziende agricole, una società assicurativa e due importanti marche di articoli sportivi, una specializzata in abbigliamento e l’altra in strumenti e materiali vari.
Sbruffoni., catalogò mentalmente il ragazzo, ma poi scrollò le spalle. Non era lì per giudicare, solo per farsi sfruttare come uno schiavetto o un paggio di corte per i prossimi tre anni della sua vita in cambio di un compenso che avrebbe sperabilmente alleggerito un po’ la pressione sul cuore di suo padre.
Come ogni volta che quel pensiero gli sfiorava la mente, infilò la mano nella tasca dei jeans neri e strinse la presa sul cellulare, tentato di chiamare per sapere come stesse quella povera e super-iperprotettiva anima del suo papà senza il figlio a casa, ma si costrinse a non farlo. Nei due mesi passati, tornando a casa tutti weekend era riuscito a creare un equilibrio che aveva portato suo padre a calmarsi almeno un po’, ma le chiamate senza motivo e/o ad orari strani continuavano a far salire alle stelle le pulsazioni del povero Kuroko-san, minacciando la sua integrità visti i suoi problemi di cuore, e pertanto erano da evitare.
Sforzandosi di non diventare paranoico come Tetsuya, Seiji si avvicinò alla porta, attese che si fosse aperta ed entrò senza esitazione, a testa alta e senza guardarsi attorno con aria sperduta, ma anzi mostrando assolutamente nessuna emozione, solo un viso vuoto.
Non lasciare che nessuno ti guardi dall’alto in basso, non esiste persona al mondo che abbia il diritto di farlo., era solo uno dei tanti consigli ricevuti da suo padre, ma era tra quelli cui il rosso si era sempre aggrappato di più, quindi si diresse al bancone di quella che sembrava a tutti gli effetti una reception senza curarsi degli sguardi curiosi degli impiegati che esaminavano le sue scarpe nere da ginnastica, la sua camicia bianca con il gilet nero e soprattutto i suoi appariscenti capelli rosso fuoco. L’unica cosa, si assicurò di aver ben coperto l’occhio sinistro, nascondendone la sfumatura cerulea, prima di rivolgersi alla segretaria seduta al computer.
“Chiedo scusa, sono Kuroko Seiji, dalla scuola superiore Rakuzan.” si presentò, serio, accennando un educatissimo inchino, prima di dichiarare, completamente apatico, “Sono il vincitore del concorso per lo stage qui all’Akashi Group.”
 
“Oh, Kuroko-kun, hai già fatto le fotocopie…”
“Sono sulla sua scrivania, Tachibana-san, accanto al computer.”
“Kuroko-kun, la relazione…”
“…dei conti del terzo gruppo. L’ho già portata all’ufficio economia. Ringraziano e Sou-san dice che passerà entro tre giorni per portare la copia firmata e autorizzata, Takahashi-san.”
“Kuroko-kun…”
“Un caffè macchiato con tre zollette. Sa che non sono autorizzato a portarglielo, Watanabe-san, perché le sue analisi erano un po’ disequilibrate. Le ho lasciato una bevanda energetica accanto alle fotocopie delle liberatorie per l’intervista di ieri, la prego di firmarle il prima possibile.”
Watanabe Shou sbatté le palpebre un paio di volte a quella risposta completamente apatica e osservò a bocca lievemente aperta il ragazzino di quindici anni, capelli e occhi rossi e faccia completamente priva d’espressione, che scivolava come aria tra le scrivanie del loro piano, lasciando fogli, ordinazioni e risposte con la stessa indifferenza con cui qualcuno può scarabocchiare su un foglio durante una conversazione telefonica particolarmente noiosa.
La cosa più inquietante era che, guardando a lato del computer, l’uomo trovò effettivamente sia la bevanda che le liberatorie. Quando però alzò gli occhi per cercare il ragazzo, questi era già svanito nell’ascensore, diretto a chissà quale altro piano.
“Se non fosse per quei suoi capelli, penso non lo vedrei nemmeno quando passa.” commentò Takahashi Yuuto, responsabile delle relazioni, osservando a sua volta le porte chiuse dell’ascensore, “È inquietante, non sbaglia mai.”
“E fa anche più di ciò che dovrebbe.” aggiunse Tachibana Kaito, avvicinandosi ai due colleghi, “Mi chiedo come faccia anche a studiare e a mantenere quella media allucinante pur lavorando qui ben più di quanto originariamente pattuito.”
“Però è gentile, su.” intervenne Watanabe, interrompendo la conversazione incredula dei colleghi.
“Certo, niente da dire!” si affrettò a commentare Takahashi, “Però devi ammettere che…è un po’ strano. Io non l’ho mai visto…sorridere o…fare una qualsiasi espressione! È completamente apatico!”
“Dev’essere una di quelle persone che nascono vecchie dentro.” scherzò Tachibana, ma sorridendo verso l’ascensore in cui era sparito il ragazzo, “Chissà, magari è così solo qui e fuori dal lavoro è uno scapestrato incredibile.”
“Chi è uno scapestrato?”
I tre uomini si voltarono di scatto, sorpresi dalla voce apatica che li aveva apostrofati, solo per trovarsi di fronte un uomo alto, impeccabile nel suo completo blu scuro con cravatta grigia, nel pieno dei suoi fiorenti trent’anni che gli avevano allungato e legato in una coda i candidi capelli alle spalle, ma avevano conservato i suoi apatici occhi grigi, la pelle pallida e un’incredibile capacità di passare inosservato.
“Oh, è lei, Mayuzumi-san.” sospirò Watanabe, “Ci ha spaventati come al solito.”
“Non è colpa mia se vi distraete facilmente in faccende ben poco legate al vostro lavoro.” ribatté Chihiro con uno sbuffo appena accennato, avvicinandosi ai tre con la propria onnipresente cartellina sottobraccio, quindi i suoi occhi corsero all’ascensore portatore di tanto interesse, “Chi era l’oggetto della discussione, questa volta?”
“Lo stagista dalla Rakuzan.” spiegò Tachibana, facendo un cenno con la testa verso il solito ascensore, “Kuroko Seiji.”
Per un attimo ci fu silenzio, assoluto e pesante, quindi Mayuzumi si concesse di sollevare un sopracciglio, ma di poco.
“…Kuroko-kun?” chiese, per conferma, e tutti e tre gli uomini, sebbene un po’ confusi, annuirono.
Che possa essere un parente di…?, Chihiro aggrottò la fronte ma non parlò.
Non era mai stato tipo da congetture affrettate e apprezzava le trame complicate solo nei libri, non certo quando rovinavano la sua perfetta e organizzatissima vita reale, quindi, per la prima volta da quando lavorava a quell’agenzia, scioccò tutti lasciando la sua cartellina con gli appuntamenti del grande capo nelle mani di una segretaria che passava per caso, ordinandole di portarla immediatamente a Mibuchi-san. Quindi, a passo di marcia si diresse verso il fantomatico ascensore e lo chiamò premendo il tasto con la stessa forza con cui avrebbe potuto schiacciare crudelmente uno scarafaggio.
Mentre i numeri scorrevano sopra la sua testa, la sua fronte si aggrottò ancor di più.
Se questo Kuroko-kun si fosse dimostrato anche solo vagamente simile a quel Kuroko-kun, avrebbe dovuto riorganizzare completamente i piani sulla sua cartellina per non ritrovarsi faccia a faccia con un capo depresso, irritato e pericoloso.
 
Seiji ignorò i borbottii confusi dell’ennesimo gruppo di segretarie e passò, completamente inosservato, in mezzo a due impiegati della sede bancaria che parlavano assieme, lasciando sulle pile di documenti nelle loro mani anche le fotocopie che avevano richiesto poco prima.
Normalmente, evitava di fare le cose a quel modo – suo padre gli diceva sempre che era maleducazione spaventare la gente, anche se zio Taiga e zio Daiki facevano eccezione – ma era in ritardo di quindici minuti per colpa di un guasto alla macchinetta del caffè – che lui aveva dovuto riparare ringraziando mentalmente la bravura di zio Teppei con le cose meccaniche e le ore passate a guardarlo riaggiustare in continuazione quel catorcio di televisione a casa loro – e aveva ancora da finire una relazione di biochimica per il giorno dopo quindi non aveva proprio tempo da perdere.
Fortunatamente si trovava già al primo piano, quindi gli bastò raggiungere solo la fine del corridoio e svoltare a sinistra per trovarsi di fronte l’appendiabiti con la giacca bianca con il logo della scuola e la sua borsa con i libri, per ripassare durante la pausa e in autobus. Dopo la prima settimana aveva capito che portarsi dietro il materiale per studiare in ogni minuto libero e rinunciare a cambiarsi in abiti comuni invece che tenere la divisa scolastica erano passi necessari per mantenere la media ineccepibile di cui aveva un assoluto bisogno, perciò si era rassegnato a girare per l’ufficio con gli eleganti pantaloni neri come le scarpe, la camicia grigia e la cravatta nera. Tutto ciò lo rendeva così simile ad uno dei dipendenti che più di una volta dei clienti lo avevano fermato chiedendo informazioni. Watanabe, Tachibana e Takahashi avevano reagito con stupore nello scoprire che era stato in grado di rispondere perfettamente a tutti.
Scrollando le spalle tra sé e sé, indossò la propria giacca e si chinò a raccogliere la propria borsa.
Qualcosa, un movimento appena accennato alle sue spalle, attirò la sua attenzione ma non si fermò né esitò, fingendo di non averlo notato. Quando si voltò e trovò di fronte a sé un uomo alto e con lunghi capelli grigi che lo fissava come a volergli strappare l’anima, non sbatté nemmeno le palpebre.
“Buonasera, Mayuzumi-san.” salutò semplicemente, apatico ma con un educato inchino.
Chihiro sollevò un sopracciglio.
“Non credo ci siamo mai incontrati.” commentò, ignorando l’etichetta, “Ci conosciamo?”
Seiji non batté ciglio.
“Tutti conoscono il segretario personale del CEO di questo posto, signore. Da ciò dipende la metà dei contratti in questo edificio.” ribatté semplicemente, aggiustandosi la tracolla sulla spalla, “Se non desidera nulla, dovrei rientrare a scuola prima del coprifuoco.”
Chihiro si fece da parte senza una parola e lasciò che il ragazzo lo oltrepassasse con un saluto appena accennato e si dirigesse silenziosamente verso l’uscita. Quando fu finalmente sparito, il grigio si concesse di buttare fuori il respiro che aveva trattenuto fino ad allora.
È…identico!, ma non poteva essere. I capelli, le iridi, i tratti del viso, l’altezza, l’aura, il modo di sollevare il mento e il tono di voce, tutto era assolutamente identico a Seijuro quando aveva quindici anni! Perfino l’età combaciava con… Non dire idiozie!, si rimproverò da solo, scuotendo la testa, Non è possibile, Akashi e Kuroko sono entrambi maschi! Stupido, come potrebbe essere successa una cosa simile?
Era da dire che con la Generazione dei Miracoli spesso tutto era possibile, però…
Chihiro sospirò pesantemente.
Non era pagato per preoccuparsi dei problemi personali del suo ex-capitano, lui doveva solo organizzare appuntamenti e assicurarsi che il suo capo non ne saltasse neanche uno. Basta, non aveva firmato per nient’altro e nient’altro avrebbe fatto. Punto.
 
“Dov’è Kuroko-kun?”
Seiji trattenne l’impulso di alzare gli occhi al cielo nel sentirsi chiamare per l’ennesima volta mentre ancora stava facendo le fotocopie per altri, ma invece, apatico, si voltò alla ricerca della voce, non troppo conosciuta ma già sentita in effetti, che lo aveva evocato con tono quasi annoiato, vagamente irritato.
Non fu poi troppo una sorpresa incontrare lo sguardo grigio di Mayuzumi Chihiro, impeccabile nel suo completo, perché quella particolare inflessione di voce gli era tipica, ma non era nemmeno normale vederlo apparire al secondo piano – quando normalmente viveva all’ultimo, quasi – e chiedere dello stagista di turno. Di solito, lui era pagato per fare le fotocopie e portare il caffè al suo capo.
Ma Tetsuya aveva insegnato a suo figlio che a volte bisogna solo lasciare che gli eventi si evolvano da soli, quindi Seiji si limitò ad un “Sono qui.” mentre si avvicinava a Watanabe per consegnargli i fogli richiesti.
Mayuzumi lo fissò con espressione illeggibile, ma Seiji sostenne lo sguardo senza crepe nella sua facciata perfetta. Per un attimo ci fu silenzio, ma alla fine, con sorpresa di tutti, Chihiro allungò un grosso bicchiere di caffè, ancora fumante, verso il ragazzino.
Kuroko continuò a fissarlo anche mentre prendeva l’oggetto.
“Portalo al grande capo, ultimo piano; io ho delle commissioni da sbrigare.” borbottò il grigio, oltrepassando il ragazzino per raggiungere il dannato ascensore, senza curarsi degli occhi di quest’ultimo fissi sulla sua schiena.
Quando finalmente le porte si chiusero, Chihiro vi sbatté la fronte contro.
Era sicuro di essere fin troppo buono per il proprio stesso bene, con quei disastri dei suoi ex-kohai.
 
Seiji non era uno stupido, ma anche se lo fosse stato gli sarebbe risultato impossibile non notare la stranezza del comportamento di Mayuzumi.
Innanzitutto, quell’uomo non delegava mai ad altri il suo preziosissimo lavoro; in secondo luogo, se aveva del tempo libero leggeva, non andava a fare commissioni – probabilmente non l’aveva mai fatto in tutta la sua vita –; per finire, quale imbecille di segretario personale affidava i suoi incarichi ad uno stagista di quindici anni?! Un caffè era un caffè, ma si parlava di concedere l’accesso all’ultimo piano ad un ragazzino!
Tale ragazzino pensò tutte queste cose, ma poi scrollò le spalle e premette il tasto trentasette sul pannello di controllo dell’ascensore – considerando distrattamente l’idea di farsi dare il domicilio in quel cubicolo –, quindi attese in silenzio con il caffè tra le mani.
Non era nervoso, l’idea di incontrare il ‘grande capo’ non gli faceva né caldo né freddo. Lui era lì solo per i soldi del lavoro, non gli interessava né imparare né assicurarsi un’occupazione per quando avrebbe finito gli studi. Per essere onesti, non aveva alcuna intenzione neppure di restare a Kyoto, dopo la scuola; anzi sarebbe immediatamente tornato a Tokyo, appena possibile: l’unico motivo per cui aveva accettato di frequentare la Rakuzan era che questa, pur di assicurarsi il suo cervello, gli aveva offerto una borsa di studio che gli avrebbe coperto anche vitto, alloggio, trasporti e libri oltre alla retta scolastica normale. Per quanto Seiji avesse sognato di frequentare il liceo Seirin vicino a casa, dove già suo padre aveva lasciato traccia di sé nel club di basket, la prospettiva di poter togliere di dosso al genitore quasi tutte le spese del suo mantenimento era apparsa troppo allettante per rifiutare.
Di fatto, comunque, il rosso si trovava in quella città di malavoglia e non provava alcun desiderio di ingraziarsi nessuno, quindi il capo dietro quella porta nera a due ante che gli si parò di fronte all’aprirsi dell’ascensore non gli incuteva nessuna inquietudine. Casomai, la persona alla scrivania di fronte alla porta lo fece.
Non per i capelli neri lunghi alla vita o le unghie laccate di rosso, né per l’abito attillato ed elegante e i tacchi a spillo visibili da sotto la sua postazione, non per gli ammalianti occhi verdi o per le morbide labbra, non per le gambe chilometriche né per la grazia intrinseca nel modo in cui queste erano accavallate. Onestamente, non fu nemmeno per il fatto che, al di là della perfezione assoluta del travestimento, l’occhio allenato di Seiji avesse già compreso che quella donna così bella da far invidia ad una top-model fosse quantomeno stata un uomo alla nascita.
Davvero, che fosse un transessuale o comunque un travestito non turbava affatto Seiji, soprattutto dal momento che era cresciuto in mezzo a due coppie gay – Aomine e Kise così come Midorima e Takao – e ad una lesbica – sua zia Satsuki usciva da anni con la più grande Alexandra Garcia – e che il suo stesso padre era omosessuale, però il modo in cui quella persona sgranò gli occhi, spalancò la bocca e lasciò cadere la penna che aveva in mano nel momento stesso in cui lo vide lo fece effettivamente sentire un po’ a disagio, sebbene non lo mostrasse apertamente.
In tutto il tempo che gli occorse per percorrere il corridoio, la ‘donna’ continuò a boccheggiare con le iridi verdi fisse su di lui, neanche fosse un fantasma. Per un attimo si chiese il perché di un tale comportamento, ma poi decise che non gli importava; lui voleva solo consegnare il caffè e tornare alle fotocopie per Takahashi-san.
“Mayuzumi-san mi ha chiesto di consegnare questo al capo.” disse quindi apaticamente, senza nemmeno sentirsi imbarazzato all’idea di non conoscere il nome del proprio datore di lavoro, e porse il caffè alla segretaria, “Glielo può portare?”
La frase sembrò scuotere la mora dal suo stato di trance, perché questa saltò in piedi scuotendo la testa.
“Oh, ma no, ma no!” esclamò, aprendosi in un sorriso che era ben più falso del suo travestimento, e prima che Seiji potesse aprire bocca si trovò spinto da una mano sulla spalla verso la porta. Voleva obiettare ma fu distratto dalla scoperta che la donna con i tacchi probabilmente superava i due metri e, irritato dalla sua stessa statura, perse l’occasione perché questa riprese a parlare senza sosta, “Hai fatto tanta strada fino a qui, almeno fatti vedere dal capo!”
Non sono particolarmente interessato e comunque ho preso l’ascensore., pensò di dire il rosso, ma la mora aveva già spalancato uno dei battenti della porta nera e lo stava spingendo dentro.
Riuscì solo a sbattere le palpebre e a guardare avanti a sé.
L’ufficio in cui si trovava era grande e luminoso, con i muri tutti di vetro e un’elegante marmo blu scuro sul pavimento che portava fino ad una grossa scrivania lucida, nera anch’essa, su cui capeggiavano un portatile, una lampada, ordinatissimi fogli e un vaso con un mazzo di fiori rossi, gialli, arancio, così colorati ed ‘esuberanti’ da far pensare immediatamente che fosse opera della segretaria. Ma tutto ciò, perfino i fiori, non attirò l’attenzione del ragazzo come l’uomo che sedeva oltre il computer, leggendo con attenzione i fogli su una cartellina molto simile a quella di Mayuzumi.
Kuroko-chan stesso, con tutta la sua indifferenza a chiunque fosse al di fuori della sua famiglia, sgranò gli occhi per un istante, uno solo, nel posare lo sguardo sui capelli di media lunghezza, rossi come fuoco, e sulle iridi scarlatte e sottili, con qualcosa di felino, per nulla nascoste dalle lenti rettangolari degli occhiali dalla sottile montatura rossa; sul naso piccolo e sulla forma degli zigomi, sulle labbra chiare e sul mento appuntito, sulle spalle larghe, sul corpo di altezza media ma in qualche modo slanciato e vagamente muscoloso sotto la giacca nera e la camicia candida con cravatta pece e fazzoletto avorio nel taschino.
Da qualche parte nel suo apatico petto, il cuore di Seiji perse un battito.
Non è possibile…, pensò confusamente e per poco non lasciò cadere in terra il caffè.
Lo scivolare minimo del bicchiere tra le sue mani lo risvegliò dal suo stupore, mettendo in moto tutti i neuroni del suo incredibile cervello in un colpo solo, focalizzando ognuno di essi sulla singola domanda: Cosa faccio?!
La voce della segretaria alle sue spalle tagliò notevolmente il suo tempo.
“Sei-chan, per te!” gridò, prima di sbattere in fretta la porta e sparire.
 
“Sei-chan, per te!”
Nel sentire la voce mielosa di Reo, Akashi Seijuro sospirò pesantemente e si chiese per l’ennesima volta perché avesse deciso di assumere l’ex-compagno di scuola come proprio segretario.
Una voce nella sua testa gli ricordò che l’aveva fatto perché Mibuchi si era rivelato il migliore tra tutti quelli a cui aveva sottoposto il lavoro e poi che non meritava di vedersi riversata addosso tutta l’irritazione del suo capo per via delle tante scartoffie, specialmente quando aveva già dovuto subire per troppo a lungo quella di un compagno bastardo ed egoista che l’aveva addirittura spinto alla scelta del cambio di sesso. Akashi sosteneva che era certo un bene che si fossero lasciati, ma forse sarebbe meglio accadesse prima dell’operazione. Reo non ne parlava mai e andava in giro con il suo nuovo corpo come nulla fosse, sempre allegro ed esuberante, ma il rosso dubitava avrebbe fatto tale scelta se non fosse stato per l’altro.
Comunque fosse, Seijuro prese un respiro profondo e si sfilò gli occhiali da lettura – divenuti necessari dopo la scomparsa dell’Imperatore –, quindi si costrinse a mantenere la calma per non mettersi per l’ennesima volta a contemplare l’idea di dare la caccia al maledetto e finalmente alzò gli occhi su Reo per vedere cosa volesse.
Solo che di fronte alla sua scrivania non c’era Reo, bensì un ragazzino. Un ragazzino incredibilmente, impossibilmente, inquietantemente simile a lui, ma apparentemente immune alla loro somiglianza perché assolutamente impassibile.
“Il suo caffè, signore.” disse solo, la voce completamente prima di intonazione, mentre posava delicatamente, accennando un inchino rispettoso, un bicchiere di plastica sulla sua scrivania.
Akashi si riscosse e finse indifferenza come il giovane.
“Grazie.” annuì, prendendo il bicchiere e portandolo alle labbra ma senza staccare gli occhi dal ragazzino, lasciandogli intendere che ancora non gli era permesso andarsene. Dopo un sorso e un momento per chiarirsi le idee, continuò. “E tu saresti?”
Il ragazzo rimase imperturbabile, ma esitò un secondo prima di rispondere.
“Kuroko Seiji, signore.” ammise alla fine, sempre apaticamente, “Lavoro qui come stagista.”
Akashi bevette di nuovo, per nascondere lo shock.
Kuroko. Come era possibile? Era forse un caso di omonimia? Ma d’altra parte, Tetsuya aveva sposato una donna quindi poteva benissimo aver avuto un figlio da lei e l’apatia, la forma delle labbra, la tinta chiara della pelle e la sagoma del viso lasciavano intuire una vaga somiglianza con l’azzurro. Magari sua moglie era rossa di capelli e così…
Il ragazzino continuava a fissare Seijuro dritto negli occhi e questi realizzò di dover rispondere qualcosa.
“Oh, mi ricordo…” in parte mentì e in parte disse onestamente. Mayuzumi gli aveva accennato il pomeriggio prima allo stagista della Rakuzan e lui ovviamente ricordava il bando di concorso, ma non si era mai preoccupato di controllare il nome del prescelto, aveva troppi impegni. “Sei diventato quasi una mascotte, qui, non è vero?” chiese, sforzandosi di suonare indifferente nonostante il tumulto dei suoi pensieri, “Mi hanno parlato molto di come lavori sodo e la tua scuola narra meraviglie sulla tua intelligenza.”
Seiji non sembrò affatto toccato da quelle parole, rimase assolutamente illeggibile, proprio come – Akashi ne era certo – avrebbe fatto Tetsuya.
“Sono onorato, signore, ma non ci sono né molto lavoro sodo né intelligenza da lodare nel portare cose da un piano all’altro.” replicò infatti, sulla difensiva pur rimanendo educato, e Akashi si scoprì a sollevare un angolo della bocca.
“Saggio.” commentò soddisfatto, quindi annuì, più alla decisione presa nella sua mente che al ragazzo di fronte ai suoi occhi, “Bene, ti lascio tornare al tuo lavoro.”
Seiji fece un inchino educato e si voltò per andarsene, forse anche troppo in fretta, ma Akashi lo fermò sulla porta.
“Kuroko-kun,” chiese, aggrottando la fronte, “posso sapere il nome proprio di tuo padre?”
Per un momento ci fu silenzio, assoluto e penetrante, mentre Seiji fissava dritto negli occhi il rosso e una scintilla di ammonimento, quasi si fosse messo in guardia, gli si accendeva nelle iridi.
“Non credo sia rilevante al fine della mia permanenza qui, signore.” rispose infine, appena un briciolo minaccioso nella voce altrimenti apatica, “La pregherei di astenersi dal chiedere ancora. Le auguro buona giornata.”
Un altro inchino educato e in un attimo il ragazzino era sparito fuori dalla porta, senza lasciare ad Akashi la possibilità di ribattere.
Seijuro sbatté le palpebre un paio di volte.
È così, dunque?, pensò, vagamente soddisfatto di fronte a quella sfida, e la sua mano corse quasi da sola al telefono alla sua destra, digitando il numero dell’interno.
La voce di Reo non si fece attendere.
Allora, Sei-chan?!
“Scopri tutto quello che puoi su di lui.”
…Legami con il Kuroko-chan a cui penso io inclusi?
“Ovviamente.”
 
Appena le porte dell’ascensore si chiusero, Seiji buttò fuori il respiro che aveva trattenuto per tutto il tempo e poco mancò che si accasciasse in ginocchio, ma solo perché riuscì ad appoggiarsi alla parete di fronte a sé con una mano. L’altra corse al petto, stringendo la camicia proprio sopra al punto dove sentiva il cuore battere impazzito, senza ritmo, dolorosamente. Strinse i denti e chiuse gli occhi, respirando pesantemente dal naso, e dalla sua gola si sentivano gemiti a stento trattenuti, come fosse in preda di un dolore fisico immane.
In un attimo, com’era iniziato, tutto finì. Seiji rilassò i muscoli del corpo uno ad uno, lentamente, e riprese un respiro normale, ma continuò a tenere una mano premuta sul proprio petto. Aveva imparato da tempo che, a differenza di Tetsuya, lui non era assolutamente in grado di tenere le proprie emozioni sotto controllo costantemente, ma che aveva bisogno di sfogarle ogni tanto, come una pentola a pressione, e quando ciò accadeva tentava di non farsi notare da nessuno, specialmente da suo padre.
Suo padre. Tetsuya però non era suo padre, o almeno non strettamente. Biologicamente parlando, forse era davvero più corretto dire che era sua madre. Ma quindi suo padre…chi era?
Seiji ricordava confusamente le poche conversazioni che aveva mai sentito sul quell’uomo per lui misterioso, sprazzi di dialoghi rubati ad altri e un’espressione, marchiata a fuoco nella sua mente, di Kuroko con gli occhi improvvisamente…vuoti – e non apatici, ma vuoti, come se prima avessero portato qualcosa che poi era stato strappato loro – e i tratti del viso modellati da una tristezza immensa.
Seiji non aveva mai sentito la mancanza dell’altro genitore, si era sempre accontentato del padre che aveva e della massa infinita di zii e zie con cui non condivideva nemmeno una goccia di sangue senza che a nessuno fosse mai importato. Per meglio dire, non aveva mai voluto sapere nulla dell’uomo che aveva prestato il suo seme alla sua nascita: per lui era solo sinonimo di abbandono, tristezza e problemi finanziari che avevano quasi ammazzato suo padre di infarto, per quanto insensato potesse sembrare.
Suo padre.
Un respiro e il corpo si raddrizzò, un altro e la mano lasciò la presa sulla camicia, al terzo il viso tornò apatico e al quarto gli occhi nascosero le loro luci completamente. Seiji era di nuovo assolutamente illeggibile quando si voltò in tempo per vedere le porte aprirsi sul quarto piano.
Senza una parola uscì dall’ascensore e riprese il suo lavoro.
Suo padre era Kuroko Tetsuya e basta. Non aveva nessun altro genitore e non ne aveva bisogno. Lui, Kuroko Seiji, aveva tutto ciò che potesse desiderare.
Non gli serviva nient’altro e se anche questo altro fosse comparso sulla sua strada, lui l’avrebbe ignorato e avrebbe continuato a camminare facendo finta di nulla.
 
Akashi lasciò vagare per un po’ lo sguardo sulla linea aguzza e tagliente del profilo della città, fatto di neri e bianchi, di ombre dense e luci scintillanti, senza via di mezzo. Quella vista notturna era sempre stata l’unica cosa che riuscisse ad alleviare un po’ la fatica di stare fino a mezzanotte in ufficio sapendo di non avere nessuno ad attenderlo a casa, ma in quell’occasione il rosso non riusciva a trarne nessun conforto, sebbene non sentisse nemmeno la forte stanchezza provata di solito.
Kuroko ha un figlio. Le possibilità che fosse tutto solo un grosso malinteso c’erano, ma in cuor suo Seijuro aveva riconosciuto ogni minimo tratto comune tra padre e figlio e sentiva che quel legame era vero, esistente, non solo un caso di omonimia.
Kuroko ha un figlio con una donna. Questa certezza era forte nella mente di Seijuro, naturale come l’aria e come il dato di fatto che per avere un figlio servissero una donna ed un uomo.
Kuroko ha un figlio con un’altra. Faceva male da pensare. Erano passati quasi sedici anni da quando loro due avevano rotto, quasi undici da quando Tetsuya gli aveva detto in faccia di essere disgustato dall’idea di aver avuto un rapporto con un uomo e di conseguenza anche da lui in persona; eppure quel rifiuto non aveva fatto così male. Certo, non era stato come camminare su un tappeto di petali di rosa, ma non aveva nemmeno bruciato come carboni ardenti infilati a forza nella sua gola, non lo aveva schiacciato come un rullo compressore, non lo aveva scuoiato solo per poi fargli indossare nuovamente la sua pelle rivoltata al contrario e costringerlo ad andare avanti per lunghissime, durissime ore senza che nessuno di accorgesse del cambiamento.
Il figlio di Kuroko mi assomiglia, tanto. Seijuro non era certo di come catalogare quell’ultimo fatto. Da una parte, la cosa più probabile era che la madre fosse in qualche modo a lui simile, ma quello scenario aumentava solo il dolore del rosso: era stato lasciato…per una copia di sé stesso però munita di seno e vagina?, davvero? Non voleva crederci, era forse la cosa peggiore di tutta quella situazione, ma quale altra spiegazione poteva esserci? Per quanto l’idea, la fantasia, lo facesse sentire strano in modo piacevole, come avvolto in un maglione di lana durante l’inverno o nascosto sotto le coperte abbracciato al proprio amante durante una notte di temporale, era consapevole dell’impossibilità del suo sogno che il ragazzo fosse suo.
Kuroko ha avuto un figlio poco dopo la nostra rottura. Che i tempi corrispondessero grossolanamente non poteva voler dire nulla, se non che Tetsuya aveva messo incinta una ragazza nel periodo subito successivo o – ma questo Akashi lo rifiutava completamente, conoscendo Kuroko e la sua integrità – addirittura precedente alla loro separazione. Una parte di Seijuro voleva leggere in quei tempi una spiegazione al perché Tetsuya lo avesse lasciato, voleva credere che con quella ragazza fosse stato…tutto un errore, era disposto ad accettarlo, pur di potersi illudere che l’azzurro avesse scelto di venir meno ai loro progetti assieme per senso del dovere nei confronti del bambino concepito. Un’altra parte, quella che sapeva che Kuroko non lo avrebbe mai tradito, si sentiva esausta, distrutta dal pensiero che pochi mesi dopo aver rotto con lui l’azzurro avesse avuto un figlio con la donna per cui aveva rifiutato tutti i sogni che avevano fatto in precedenza.
Akashi ha mal di testa.
Seijuro sospirò, esausto da tutti quei pensieri difficili, ma si voltò di scatto come ancora pieno di energie quando la porta del suo ufficio si aprì e il delicato tintinnare di tacchi sul marmo coprì il suono del suo cervello che fondeva.
Reo gli rivolse un sorriso mesto e comprensivo. Indossava un abito elegante, nero con le maniche a tre quarti e lungo fino alle ginocchia, e portava i capelli neri lunghi sciolti sulla schiena. Sul viso i tratti ancora un po’ mascolini erano camuffati con un’abile uso di trucco e le labbra erano messe in risalto con un denso rossetto scuro, a metà tra un viola e un marrone, mentre sugli occhi era appoggiato un ombretto sfumato, ombroso, che faceva risaltare la tinta verde acqua delle iridi. Era meraviglioso, ma Akashi continuava a sentire una sorta di pungolo, molto doloroso, ad un angolo della sua anima ogni volta che lo vedeva così. Se solo avesse avuto la certezza che il moro fosse felice in quel suo nuovo corpo, lo avrebbe accettato, ma conoscere tutta la storia gli impediva di sentirsi a suo agio con quella trasformazione.
“Hai trovato qualcosa?” chiese, facendo voltare la propria poltrona per fronteggiare il suo amico.
Reo annuì, ma non parlò. Sorprendendo Akashi, si sedette su una delle seggiole per gli ospiti, dall’altro lato della scrivania, e sospirò sistemando i fogli tra le sue mani.
“Lo sai, Sei-chan?” mormorò lentamente, trovando finalmente la risoluzione per passare i documenti al rosso, “Più leggevo di lui e più mi ricordava di te, per qualche motivo.”
Akashi prese i fogli, ma senza staccare gli occhi dall’amico. Non li osservò nemmeno, li pose davanti a sé quasi meccanicamente, e semplicemente attese che fosse Mibuchi a scegliere le parole per spiegare ciò che aveva scoperto e perché avesse avuto quelle sensazioni.
“È figlio suo?” chiese solo.
Reo rimase zitto, ma annuì.
Il mondo di Akashi si fermò per un lunghissimo attimo, spezzandolo, ma poi il rosso riprese a respirare. Se l’era aspettato, quindi poteva andare avanti, anche se faceva più male di quanto si fosse aspettato.
Il moro sospirò, probabilmente intuendo i sentimenti dell’amico. Fece lo sforzo di raddrizzarsi e riaprì gli occhi, chiaramente cercando di sembrare meno malinconico di quanto non fosse in realtà, quindi batté le mani una volta sola.
“Facciamola breve.” dichiarò, serio, “Kuroko Seiji, quindici anni. Sta frequentando il primo anno al liceo Rakuzan grazie ad una speciale borsa di studio per la sua intelligenza incredibile, ma in realtà viene da Tokyo e si è trasferito da solo giusto per studiare quindi vive attualmente nel dormitorio dell’istituto. Ha la media più alta dell’intera scuola, secondo e terzo anno compresi, e gli è stato richiesto di fare da Presidente del Consiglio Studentesco, ma lui ha rifiutato per poter allungare il turno del suo lavoro part-time, qui da noi, ottenuto grazie al suo cervello spaventoso.” Una piccola smorfia delle labbra colorate e Akashi si lasciò scappare un piccolo sorriso, intuendo la prima delle somiglianze trovate dal suo amico, che continuò subito a parlare. “È relativamente popolare nella scuola, ma pare preferisca mantenere un basso profilo e starsene per conto suo, tanto che non si può dire abbia alcun amico intimo. Ha una reputazione per la sua gentilezza, educazione e laboriosità, ma ci sono stati anche dei casi in cui alcuni compagni hanno tentato di approfittarne o di attaccarlo e ne sono usciti con la coda tra le gambe, mentre lui si dimostrava fermo e autoritario. Sembra che anche alcuni professori abbiano difficoltà ad imporsi su di lui: non crea disturbi ed è sempre ligissimo al dovere, ma pare che questa sua apatia continua, che nessuno gli ha mai visto spezzare, intimidisca alcuni dei membri più giovani del corpo docenti.” Un’occhiataccia che Seijuro finse di non cogliere e Reo, con un sospiro, riprese, “Per quel che riguarda il suo passato, ha frequentato la scuola media Teiko.”
A questo, Akashi sgranò gli occhi.
“Teiko?” chiese, per conferma, ma il moro annuì deciso.
“È sembrato strano anche a me,” ammise, “però è così. Anche qui, ha marciato su una borsa di studio per meriti accademici per tutti e tre gli anni, ovviamente” Era acidità, quella che Seijuro sentiva?, “di nuovo il migliore della scuola intera, sempre per tutti e tre gli anni. La differenza qui è che sembrava darsi anche ad attività da adolescenti comuni, era membro del club di letteratura e gli è stato chiesto di partecipare qualche volta in partite amichevoli della squadra di basket, ovviamente” Altra acidità. “provandosi un ottimo giocatore, anche se dallo stile, cito i suoi compagni, ‘particolare, quasi evanescente e vagamente psichico’, e non sono sicuro di voler sapere cosa vuole dire.”
“Degno figlio di Tetsuya.” commentò Akashi, senza poter trattenere un sorriso, ma Reo invece si fece più serio e ignorò il suo commento.
“È da qui, all’inizio del secondo semestre del primo anno, che inizia un po’ a cambiare atteggiamento nei confronti degli altri.” spiegò, “Ha cominciato a partecipare a tutti i concorsi possibili e immaginabili purché con un premio in denaro e ha smesso di prendere parte a tutti quelli che non comportassero un guadagno. La sua reputazione tra i suoi compagni ne ha risentito, ma non sembra che lui se ne sia curato molto così mi sono venuti dei sospetti e sono andato a controllare alcune cose.”
Akashi aggrottò la fronte, confuso dall’improvviso cambio nella storia e nell’atteggiamento del suo amico.
“Sospetti?” chiese, inquisitorio.
Reo sostenne lo sguardo con uno serissimo.
“Hanno problemi economici, Sei-chan. Grossi.” ammise, “Kuroko-chan ha lasciato la scuola a metà del terzo anno di superiori senza diplomarsi, probabilmente proprio per via della nascita di Seiji-chan, e lavora da anni solo come cameriere…”
“…in un Butler Café.” ricordò Seijuro, cupo, mentre la sua mente tornava all’unico incontro avuto con Tetsuya dopo la rottura.
Se la storia era vera, all’epoca il bambino era già nato e improvvisamente l’imbarazzo di Tetsuya prese tutto un altro aspetto, così come il suo continuo fissare il cellulare, il suo nervosismo e il modo in cui era corso via quando aveva ricevuto quella strana telefonata. Forse allora il malato era proprio Seiji? Contando ad approssimazione, Seijuro capì che doveva avere appena tre anni, quindi Kuroko era senza dubbio andato in panico nel sapere che suo figlio aveva la febbre. E Shintarou aveva comunicato, in quell’occasione, la sua decisione di diventare pediatra…
“Sei-chan, come…?”
“Reo,” lo interruppe Akashi, “hai trovato qualche legame con Midorima, l’ex-tiratore dello Shuutoku?”
Mibuchi sbatté le palpebre, sorpreso, ma poi sospirò.
“Posso arrivarci con ordine?” chiese.
Seijuro fece una smorfia, però annuì e fece cenno con una mano all’amico perché continuasse.
“Le informazioni sulla sua situazione economica erano private, quindi mi ci è voluto un po’ per ottenerle.” spiegò il moro, cupo, “In pratica, le difficoltà sono aumentate perché Kuroko-chan ha sviluppato dei problemi al cuore e ha bisogno di farmaci specifici e visite di controllo regolari che richiedono parecchi soldi. Ne ha evitate molte, ma ha rischiato altrettanto: ha all’attivo due infarti tra i suoi diciotto e i ventuno anni, ma poi sembra aver riportato tutto sotto controllo.” Akashi sgranò gli occhi, palesemente scioccato, ma Reo lo interruppe prima che potesse chiedere di Tetsuya. “Il punto è” disse, serissimo, “che credo Seiji stesse cercando di aiutare la sua famiglia, guadagnando qualcosa a modo suo.”
Seijuro tacque per un attimo, meditando. Gli occorse un po’ per metabolizzare l’idea che Tetsuya avesse avuto due infarti e che entrambi fossero avvenuti prima che lo rivedesse a quella cena. Sì, quella sera gli era sembrato strano e stanco, ma da lì a immaginare che avesse un figlio piccolo a casa e fosse reduce da due attacchi di cuore… Quante cose erano cambiate da quando si erano lasciati?
“Sei-chan, non è finita qui.”
Akashi alzò uno sguardo di fuoco sull’amico, pur sapendo che non era colpa sua.
“No?” chiese, vagamente minaccioso.
Reo, comunque, ignorò il pericolo e scosse la testa.
“Mi hai chiesto se Midorima-chan potesse avere qualcosa a che fare con tutta questa storia. Beh, secondo me sì.” rivelò, allungandosi sul tavolo per spostare i fogli più alti della pila che lui stesso aveva consegnato poco prima e liberare così un documento in particolare. Indicò deciso la firma sul fondo, un’espressione cupa sul viso. “È il certificato di nascita di Seiji-chan. Il padre è segnato come ‘sconosciuto’ e…”
“Che cosa stai dicendo, Reo?” lo interruppe Akashi, aggrottando la fronte nel leggere il documento, “Mi hai detto tu stesso che il padre è Tetsuya, anche il cognome corrisponde.”
“Sei-chan.” La voce del moro era così cupa che il rosso smise di leggere per guardarlo in faccia. C’era serietà, ma anche confusione, su quel viso morbido. “Mi sono sbagliato.” mormorò Mibuchi, ma poi scosse la testa, “O per meglio dire, è vero che Seiji-chan è figlio di Kuroko-chan, ma Kuroko-chan non è il padre di Seiji-chan.”
“Cosa diavolo stai…?!”
“È la madre, Sei-chan.” interruppe Reo, la voce un po’ tremula e scioccata, la mano allungata sulla scrivania in preda al tremore.
Silenzio. Un lungo, interminabile silenzio in cui entrambi i presenti attesero che l’altro dicesse qualcosa, ma senza che nessuno dei due osasse.
“Reo.”
Quando Akashi infine parlò, Mibuchi alzò gli occhi su di lui, sorpreso dal tono minaccioso con cui questi aveva pronunciato il suo nome.
“Cosa?”
“Tu ti rendi conto che Tetsuya è un maschio, vero?” chiese il rosso, furioso nella sua calma, appoggiando fin troppo lentamente il documento sulla scrivania.
Il moro non si fece intimidire, comunque, e scrollò le spalle.
“Questo è quello che dicono i dottori, Sei-chan, non io.” spiegò, sollevando le spalle, “Anche se sono così, so ancora distinguere tra ciò che il corpo di un uomo non può fare e ciò che non può fare quello di una donna.” Il colpo andò a segno e Akashi esitò per un attimo di fronte a quell’amara constatazione, pentendosi quasi di aver attaccato Reo in un simile contesto. Stava forse anche per scusarsi, ma quest’ultimo lo interruppe scuotendo una mano come a dire che non era importante. “Comunque ho cercato di ottenere altre informazione in ospedale, ma nessuno mi ha voluto rispondere.” Lo sguardo che rivolse a Seijuro fu eloquente. “Immagino possa interessarti sapere che si tratta di quello dove attualmente lavora come primario un certo Midorima Shintarou.”
Il rosso si rabbuiò immediatamente, un’aria di sfida attorno a sé.
“Mi interessa alquanto.” commentò, in un tono che prometteva morte e disastri per il verde traditore.
Reo annuì però poi spostò tutte le carte, facendo un disastro sulla scrivania, per estrarre l’ultimo foglio.
“Ancora una cosa: il padre del tuo amico ha firmato un’accettazione di Kuroko-chan in ospedale esattamente quindici anni fa. Leggi la motivazione.”
Seijuro aggrottò la fronte, ma prese il foglio e lo esaminò con attenzione. Era solo il documento di richiesta di check-in per il paziente Kuroko Tetsuya, diciotto anni, per via di…
Gli occhi rossi si sgranarono, scioccati, e poi corsero a quelli verdi di fronte a loro, ma Reo semplicemente annuì, greve.
Complicazioni cardiache e forte emorragia interna causate da parto cesareo d’urgenza.” citò a memoria, quindi sospirò, “Da quello che ho potuto capire, il cesareo era già stato eseguito a casa per via di qualche complicazione. Il dottor Midorima ha aperto Kuroko-chan e tirato fuori il nostro piccolo Seiji-chan; solo dopo i due sono stati portati in ospedale.”
Seijuro esitò.
“Quindi…è vero.” sussurrò, “Tetsuya è…la madre. Lui ha portato Seiji in grembo.” Come…?!
“Non so come sia possibile, purtroppo non sono riuscito a capirlo, ma non c’è dubbio che Kuroko-chan sia quello che ha effettivamente partorito il bambino. Il che lascia aperta un’altra irrisolvibile domanda.” sussurrò Reo, attirando su di sé gli occhi allucinati di Akashi, “Chi mai potrà essere il padre?”
Il mondo di Seijuro cominciò infine a girare all’indietro.
 
 
*Kabukichou = Quartiere a luci rosse di Tokyo


 
Scusatemi! Scusatemi, scusatemi, scusatemi!
Ho avuto dei problemi con la pubblicazione in inglese di questo capitolo e quando finalmente sono riuscita ad aggiustare tutto mi sono dimenticata di pubblicare il capitol italiano -.- Chiedo umilmente scusa -.-
Detto questo... Capitolo un po' movimentato, eh? Seiji si è trasferito a Kyoto e ha incontrato Akashi, Seijuro ha scoperto...se non tutto, quasi!, e Reo...è il motivo del GenderBender di questa storia. A proposito, di lui e del motivo della sua operazione si parlerà ancora più avanti, tranquilli, manca ancora tutta la MayuMibu, in fondo! ;)
Grazie mille per tutto e scusate ancora!
A presto!

Agapanto Blu

P.S. Come sempre, se volete parlarmi, farmi domande o chiedermi prompt, potete trovarmi su Tumblr QUI anche se ammetto che adesso con certi esamini in arrivo potrei avere qualche problema con le richieste :)

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***







Sei pronto?
-CAPITOLO IV
 
“Sei pronto? Sei pronto a tutto questo, Sei-chan?”
A Kyoto era difficile distinguere il giorno dalla notte, soprattutto nel centro. I neon delle insegne, gli schermi pubblicitari, i lampioni e la fiumana di persone che invadeva il marciapiede creava un caos di luci e rumori ben poco notturno. In mezzo a tutti quei corpi in movimento e a quei flash alterni, Akashi si sentiva strano, e non solo per le parole di Reo che continuavano a rimbombargli nel cervello.
Le rivelazioni di quella serata lo avevano scosso e, dopo un’ora passata a fissare il certificato di nascita di Seiji, aveva preso la propria giacca, era uscito dall’ufficio e si era infilato nella propria auto ignorando Mibuchi che gli correva dietro chiedendogli dove stesse andando. Onestamente, non lo sapeva neanche lui. Era inquieto, nervoso, e aveva bisogno di muoversi così aveva semplicemente lasciato che i semafori verdi decidessero il suo percorso mentre la sua mente cercava disperatamente di dare un senso ai pensieri sconnessi che la popolavano.
Aveva un figlio.
L’idea sembrava così folle, assurda, che Seijuro non riusciva ancora del tutto a credervi, pur avendone le prove. Aveva sempre pensato di non potere avere figli, quantomeno biologici, considerando il suo orientamento sessuale e il fatto che ancora, a quindici anni di distanza, non era stato in grado di dimenticare Kuroko.
Mise la freccia a destra e, con l’auto, svoltò anche il flusso della sua mente.
Si chiese perché Tetsuya non gliel’avesse detto. Non lo avrebbe mai lasciato per quello; gli sarebbe rimasto accanto, durante la gravidanza e il parto e…
Quindici anni…, le mani di Akashi strinsero così forte il volante da far sbiancare completamente le nocche.
Si era perso quindici anni della vita di suo figlio, tutti i ricordi della sua infanzia e buona parte di quelli della pubertà. Non lo aveva visto nascere, né piangere o dire la sua prima parola, non lo aveva accompagnato a scuola al suo primo giorno e non lo aveva aiutato a studiare per i test più difficili, non era andato a parlare con i suoi professori, non lo aveva portato da nessuna parte, all’acquario o ad una gita, non lo aveva visto alle prese con i primi batticuori o lamentarsi per questo o quello… Non lo aveva visto mai, per essere precisi, se non una volta soltanto e perfino per errore, per una coincidenza.
Un brivido strano gli percorse la schiena, quando si chiese, d’istinto, cosa sarebbe successo se Mayuzumi non avesse spedito Seiji a portargli il caffè. Lo avrebbe mai incrociato durante quello stage? Avrebbe mai notato la loro somiglianza, avrebbe mai chiesto il suo nome? Avrebbe mai scoperto la verità? Conosceva suo figlio a malapena da una ventina di ore, eppure già si sentiva come se perderlo lo avrebbe spezzato, strappandogli qualcosa di assolutamente vitale che pure non aveva mai saputo di avere.
Era come un cuore. Fino ad allora, Seiji aveva respirato, era esistito, era stato i battiti che avevano permesso a Seijuro di andare avanti, senza che lui nemmeno ci facesse caso; ora che aveva sentito quel pulsare basso, nascosto e inosservato, Akashi sapeva che era una parte di sé a cui non avrebbe mai potuto rinunciare senza perdere completamente tutto.
Un semaforo davanti a lui divenne improvvisamente giallo e poi rosso e Seijuro non fece in tempo a spostarsi sull’altra corsia così fu costretto infine a fermarsi. Il mondo sembrava avercela con lui.
Sospirò, sentendosi troppo confuso per continuare a cercare di rispondere a quelle domande, quindi decise di guardarsi attorno, orientarsi e tornare a casa. Dopo una doccia e un po’ di sonno, sarebbe tornato in ufficio e avrebbe convocato Seiji con una scusa. Gli avrebbe parlato, perché aveva bisogno di farlo, ma solo di cose triviali, semplici; solo per capire chi fosse, quel suo figlio. Poi avrebbe preso una decisione e, infine, in ogni caso, avrebbe telefonato a Tetsuya. Aveva diritto a delle spiegazioni, almeno.
Per via di questa determinazione nella mente, la sua sorpresa fu ancora più grande quando realizzò dove si trovasse.
Girando a sinistra, come lo obbligava a fare la freccia dipinta sulla sua corsia, avrebbe imboccato la strada a senso unico verso il parcheggio privato del Liceo Rakuzan.
Che ironia…, pensò, con un mezzo sorriso forse un po’ amaro sulle labbra, ma quando scattò il verde svoltò comunque verso l’edificio.
Erano le due di notte ormai e Seijuro sospettava che il coprifuoco della scuola fosse passato da un po’, ma ugualmente parcheggiò e scese dall’auto per appoggiarsi al cofano, fermandosi ad osservare la sagoma scura, imponente, del liceo che una volta aveva frequentato anche lui.
Ricordi dolce-amari di quei tempi gli tornarono alla mente. Di Reo nel suo corpo da uomo che però si faceva chiamare ‘Sorellona’, di Nebuya che mangiava come un maiale e rideva così forte che la sua voce baritonale faceva tremare le pareti, di Hayama che era più irritante di Kise e sembrava anche un animale selvatico con quei suoi canini a punta un po’ troppo lunghi, di Mayuzumi che faceva tanto l’insopportabile e poi di nascosto proteggeva i suoi kohai come una mamma chioccia, ma anche di Tetsuya che passava a salutarlo e di lunghe fughe dagli altri membri del club di basket che volevano scoprire dall’azzurro il suo segreto per tenere così al guinzaglio lo spaventoso Akashi Seijuro… Tanti momenti che sparirono di botto quando delle voci concitate e l’accendersi improvviso di tante luci sparse raggiunsero la mente del rosso, bucando la sua bolla personale.
L’uomo aggrottò la fronte, sorpreso, ma si staccò dall’auto per avvicinarsi, appena in tempo per vedere il portone d’entrata aprirsi e qualcuno correrne fuori, inseguito da grida arrabbiate e indignate. Dall’altezza e dal fisico, certo non era un insegnate. Probabilmente uno studente, ma il buio del vialetto mentre il fuggitivo lo percorreva di corsa rendeva difficile intuirne i tratti.
Seijuro si accostò al cancello di ferro che chiudeva la scuola ma i suoi occhi non si posarono che per un istante sui tre uomini adulti che arrivarono all’inseguimento del ragazzo.
Capelli rossi, viso sottile, altezza nella media, un pigiama scolorito addosso. Quando uno dei tre insegnanti lo afferrò per un braccio, il giovane iniziò a dimenarsi per toglierselo di dosso e il ciuffo fino ad allora adagiato sul suo viso si sollevò, rivelando l’eterocromia degli occhi, uno decisamente chiaro e l’altro…
L’altro era rosso, Akashi lo sapeva ma senza bisogno di vederlo.
“Seiji!” chiamò istintivamente quando anche un secondo insegnante mise le mani sul ragazzo, ma la sua voce risuonò minacciosa ed ebbe più effetto sugli adulti che sul quindicenne.
Questi, infatti, sollevarono gli occhi su di lui, mentre il giovane Kuroko continuava a dimenarsi per liberarsi dalla loro stretta, assolutamente incurante di quel nuovo arrivato.
“Akashi-san?” notò il terzo uomo, avvicinandosi al cancello e permettendo a Seijuro di riconoscerlo nei suoi anni numerosi, i capelli bianchi e gli occhialetti rotondi sul viso rugoso.
“Preside Hashimoto.” rispose freddamente, senza un vero e proprio saluto, prima di rialzare lo sguardo sulla lotta che suo figlio stava ancora ostinatamente cercando di sostenere nonostante l’inferiorità numerica, “Che cosa sta succedendo?”
L’uomo sospirò, voltandosi come lui verso i due insegnanti che sembravano aver infine immobilizzato il rosso bloccandogli le braccia dietro la schiena.
“Il padre di uno dei nostri studenti, purtroppo, è stato ricoverato d’urgenza pochi minuti fa.” spiegò, “Il ragazzo ha perso la testa quando glielo abbiamo comunicato e ha cercato di correre da lui.”
Il cuore di Akashi perse un battito. Il padre di Seiji, cioè…Tetsuya?!, Tetsuya era stato ricoverato?! Per cos-…?! Non finì nemmeno di porsi la domanda nella propria mente. In qualche modo, lo sapeva già.
Seiji si dimenò tentando di mordere uno dei due insegnanti che di contro gli urlò addosso rabbiosamente e Seijuro prese la sua decisione senza quasi accorgersene.
“Lasciatelo.” ordinò agli uomini con un’occhiata minacciosa, quindi si voltò verso il preside, “Mi prendo la responsabilità di accompagnare Kuroko-kun in ospedale.”
Uno dei due professori sgranò gli occhi.
“Ma quell’uomo si trova a Tokyo!” tentò di dire, incerto, però un gesto secco di Hashimoto lo fece tacere.
“Akashi-san, non posso acconsentire.” disse, serissimo, “Il ragazzo è minorenne e affidato alla scuola e…”
“Domattina, quando gli sarà permesso uscire perché il coprifuoco non varrà più, prenderà il primo treno per Tokyo e lei lo sa.” replicò Akashi altrettanto freddamente, “Preferisce che scompaia da scuola per giorni e che si diffonda lo scandalo che il prestigioso Liceo Rakuzan ha perso uno studente oppure che il ragazzo venga con me, sotto la mia responsabilità in quanto finanziatore generoso della scuola, e sia perfettamente sorvegliato così che lei non abbia nulla di cui preoccuparsi?”
Non era una vera domanda e lo sapevano entrambi gli uomini. Anche Seiji, nell’udire quelle parole, smise di lottare per voltarsi verso il rosso oltre il cancello e fissarlo ad occhi sgranati. Quantomeno quello visibile, dato che l’altro – quello chiaro – era nuovamente coperto dal ciuffo di capelli.
Akashi sostenne lo sguardo del preside con calma e autorità, nascondendo abilmente il tumulto nella sua testa fatto di immagini di Kuroko in ospedale e sofferente, solo. Alla fine, Hashimoto chiuse gli occhi e sospirò.
“Voglio la sua firma sul registro delle visite.” dichiarò, “Metterà per iscritto che il giovane sarà sotto la sua tutela fino all’istante in cui sarà di nuovo nelle cure o del genitore o della scuola.”
Seijuro non esitò nel disegnare gli eleganti kanji del proprio nome sul foglio che un insegnante gli porse poco dopo, quindi, finalmente, il cancello si aprì di uno spiraglio.
Seiji svicolò fuori in fretta, quasi timoroso di essere bloccato di nuovo dentro, e altrettanto rapidamente seguì Akashi fino alla macchina, ma al momento di salire, si fermò.
L’adulto lo guardò con sorpresa.
“Posso prendere un treno.” mormorò il ragazzo dopo un attimo, vagamente sulla difensiva, e Seijuro capì.
Seiji non era stupido e certamente sapeva di essere nato da Kuroko; doveva aver fatto le sue stesse considerazioni e raggiunto la conclusione, impossibile da ignorare, che anche lui era stato costretto a fronteggiare quella notte.
Per un secondo, i due fissarono, senza dirsi niente, da sopra il tettuccio della macchina. C’erano tante cose ancora incerte, tra tutte il perché Kuroko avesse cercato di tenerli lontani, ma c’era anche lo stesso Tetsuya in ospedale ad unirli inesorabilmente, e così, infine, Akashi sbatté le palpebre una volta sola.
“La mia macchina è più veloce.”
Seiji valutò in silenzio quella frase per lunghi istanti; infine, senza dire niente, aprì la portiera e si sedette al lato del passeggero.
Nell’istante in cui si sedette al posto dell’autista, Akashi sentì invece l’ansia montare. C’era come un brivido sotto la sua pelle che tremava ma non riusciva a scivolare via e allora giaceva lì, vibrante, facendolo sentire inquieto e nervoso. Già mentre faceva manovra, si rese conto che l’auto, per quanto veloce lui l’avesse spinta, non gli sarebbe parsa abbastanza.
In quel momento, desiderò poter usare l’elicottero privato della società, ma sapeva che l’ospedale non gli avrebbe dato il permesso di atterrare sul loro tetto.
“Midorima Hospital?” chiese piano, uscendo dal parcheggio, anche se onestamente già sapeva la risposta.
Seiji lo fissò senza mostrare emozioni, ma in realtà sorpreso che quell’uomo sapesse in quale ospedale si trovava suo padre.
A ben pensarci…
“Come mai eri fuori dalla mia scuola?”
Seijuro non batté ciglio al sospetto palese nella voce del ragazzino.
“Dove sono le buone maniere?” chiese invece, cercando di cambiare argomento. Lui era assoluto e da assoluto sapeva che rispondere con un ‘Facevo un giro in macchina per cercare di accettare il fatto che sei mio figlio’ non avrebbe aiutato la situazione.
La frase dovette colpire il ragazzino perché questi arrossì appena e Akashi pensò che l’indole educata di Tetsuya doveva aver lasciato la sua impronta su di lui.
“Non sei il mio capo, adesso.” borbottò comunque Seiji, cercando di avere l’ultima parola nonostante tutto, “E comunque sono qui con te solo per mio padre.”
La menzione di Kuroko sembrò riportare le menti di entrambi i rossi a quel fantasmino fragile che entrambi amavano disperatamente e che in quello stesso momento stava lottando con il suo cuore per restare in vita.
Akashi si infilò rapidamente nell’autostrada diretta a Tokyo e premette sull’acceleratore.
 
Ci volevano cinque ore e mezza d’auto per arrivare da Kyoto a Tokyo, ma dopo tre a ritmo spedito Akashi si trovò bloccato nel traffico di un incidente che solo gli dèi sapevano come e soprattutto perché fosse successo, lì e in quel momento.
Stringeva il volante come avesse voluto frantumarlo, ma non aveva ancora osato dire una parola. Il motivo, un semplice quanto infantile eppure naturale bisogno di trattenersi e dare il buon esempio davanti a Seiji.
Con la coda dell’occhio, lo sbirciò.
Nonostante fossero quasi le cinque del mattino, il ragazzo non aveva ceduto al sonno, ma sedeva dritto e composto sul sedile, con le mani elegantemente incrociate in grembo e gli occhi fissi sulla strada. Non aveva mosso un muscolo né detto una parola sin da quando erano partiti e la sua espressione era illeggibile più di quella di Tetsuya: con Kuroko, Akashi aveva fatto esperienza, imparato i trucchi per smascherarlo; di questo ragazzo, non sapeva nulla.
“Come mai copri l’occhio sinistro?” chiese, tornando con i propri alla coda che si era mossa lentamente e pesantemente avanti di un metro, “È diverso dal destro, giusto? Sono belli.”
Seiji fece come lui poco prima, lo sbirciò appena e poi tornò a fissare la strada, ma rimase completamente apatico.
“È dello stesso colore di quelli di mio padre.” spiegò, “Per me, è qualcosa di molto prezioso, l’unico tratto fisico che ho palesemente preso da lui. Mi piace l’idea di essere solo io a scegliere a chi lasciarlo vedere e a chi no.”
Akashi annuì, accettando silenziosamente quella spiegazione ma al contempo leggendo in essa più di quanto Seiji avesse voluto dire.
Il ragazzo era cresciuto con Tetsuya e Tetsuya soltanto, eppure quell’occhio era l’unica cosa che li accomunasse chiaramente, salvo alcune piccole somiglianze minori che sarebbero però potute passare inosservate. Per lui doveva essere stato strano crescere assomigliando a qualcuno che non aveva mai visto, che non sapeva come o perché avesse lasciato la sua vita prima che lui potesse incontrarlo, e probabilmente l’unico genitore che aveva si era preso cura di lui con tanto amore da rendere quella particolarità importante quanto l’aria stessa per lui. Per Seiji proteggere quell’iride doveva essere come proteggere Kuroko stesso, da tutto il male che il mondo e il suo stesso cuore gli avevano fatto.
È un ragazzino determinato e dal cuore grande., pensò Seijuro immaginando di avere davanti a sé il suo fantasma dai capelli azzurri, Proprio come te, Tetsuya.
“Kuroko ha sempre avuto degli occhi di un colore bellissimo, azzurro come il cielo terso.” commentò, azzardando un sorriso mesto, “Fai bene a custodirlo.”
Seiji sembrava confuso da quella conversazione, seppur fosse difficile dirlo con quella sua maschera, ma Seijuro iniziava a notare le crepe che la rendevano molto più imperfetta di quella di Tetsuya e si sforzò di aprirla a forza. Doveva capire quel ragazzo.
Fecero ancora un paio di metri prima che la coda si arrestasse di nuovo e questa volta, nel fermarsi di nuovo, Akashi sospirò.
“Saremmo dovuti andare a vivere assieme subito dopo il diploma, io e tuo padre. Negli Stati Uniti.” Seiji si voltò di scatto a quel mormorio basso ma deciso, ricco di una calma autoritaria eppure, in qualche modo, malinconica, ma Seijuro tenne gli occhi sulla strada e non ricambiò lo sguardo, perso nei suoi pensieri. “Avremmo frequentato lo stesso college, avuto una casa assieme, iniziato una nuova vita. Parlavamo anche di sposarci, un giorno, visto che là sarebbe stato legale e noi stavamo già insieme da cinque anni, anche se con i nostri alti e bassi come tutti.” ridacchiò un po’ a quella che dopo anni sembrava solo una follia infantile, ma che all’epoca era andata così vicina al realizzarsi, “Avrebbe dovuto essere ‘solo l’inizio’,” Il sorriso, già piccolo, svanì dalle labbra di Akashi, “ma all’ultimo secondo, Tetsuya mi disse che sua madre si era ammalata e che lui sarebbe dovuto rimanere in Giappone ancora un po’ per starle vicino. Io mi offrii di rimandare la partenza e rimanere ad aiutarlo, ma lui rifiutò dicendo che non aveva senso e così partii, sicuro che tanto mi avrebbe raggiunto appena possibile.”
Seiji fissò serio il più grande, ma senza ostilità. Quell’uomo stava cercando un contatto con lui, era palese, e stava cercando di raggiungerlo con delicatezza, offrendogli una strada che camminava sul sentiero che suo padre si era costruito prima del suo concepimento; e, in fondo, che male c’era? Akashi probabilmente voleva solo spezzare il silenzio per fargli sentire che c’era e che loro avevano qualcosa in comune, Tetsuya ma anche metà del codice genetico. Era una semplice richiesta, gentile e per nulla pressante; un basso e gentile ‘Per favore?’.
“Però non l’ha fatto.” mormorò a sua volta, intuendo il finale di quella storia che sembrava davvero troppo bella per appartenere a Kuroko.
Akashi chiuse gli occhi per un attimo, come in preda ad un qualche dolore, ma scosse la testa.
“Divenne sempre più freddo, distante. Alla fine, l’unico che telefonava ero io e lui non sempre rispondeva.” Le palpebre si sollevarono di nuovo e scarlatte iridi rosse fissarono l’orizzonte davanti a loro senza vederlo realmente. “Una notte mi chiamò e mi disse che si era innamorato di una ragazza mentre si prendeva cura di sua madre. Mi disse che non mi amava più e che voleva lasciarmi. Io ero in America, tentai di chiedere spiegazioni ma lui non me lo permise. Quando, passato un mese, tentai di chiamarlo ancora una volta, aveva già cambiato numero.” Scosse la testa, come tra sé e sé. “Tornai in Giappone quasi tre anni dopo e con una scusa riuscii a vederlo, ad una riunione di ex-compagni delle medie.” Spiò Seiji con fare complice, “C’era anche Midorima, quella sera.”
Il ragazzo intuì la domanda implicita.
“Anche Kise Ryouta?” azzardò di contro, come a non volersi dimostrare impreparato, “Aomine Daiki? Murasakibara Atsushi?”
Akashi sbatté le palpebre un paio di volte, sorpreso.
Aggiungere Kise, Aomine e Murasakibara alla lista di traditori da eliminare., si ripromise, quindi annuì.
“Sì, anche loro. Abbiamo fatto tutti le medie assieme, eravamo…”
“…nella stessa squadra di basket.” completò Seiji, sfregandosi appena le mani l’una con l’altra, “Zio Daiki me lo ha raccontato, anche se non ha mai fatto il tuo nome.”
Aomine con atroci torture.
Seijuro annuì, seppur irritato dall’essere stato brutalmente eliminato da quei racconti, come un’immagine indesiderata tagliata via con photo-shop da una fotografia altrimenti perfetta.
“Quella sera mi disse che, dopo aver scoperto l’amore con una donna, la sola idea di essere stato con un uomo lo ripugnava e che il solo guardarmi lo disgustava.”
Seiji sobbalzò, senza riuscire a trattenersi. Mamma gli ha detto queste cose?! Non riusciva a crederci, non era possibile! Sua madre non era quel genere di persona! Akashi, poi, aveva riferito quella conversazione come se nulla fosse, con la stessa calma di prima, ma il ragazzo era sicuro, al cento per cento, che almeno all’epoca quelle parole dovevano averlo ferito molto. Se fosse stato lui, ci avrebbe sofferto da morire.
Akashi sembrava completamente intoccato da quel ricordo e continuò a parlare, sempre piano, come in attesa di essere interrotto. A sorpresa, sorrise appena.
“Credo tu avessi la febbre, quella notte.” ricordò, “Tuo padre non faceva altro che controllare il cellulare ogni due secondi.” Un altro sospiro e il sorriso svanì ancora, “Poco tempo dopo partii per Londra e rimasi là per sei anni. Quando tornai qui, promisi a me stesso di non cercarlo, visto che Tetsuya aveva messo in chiaro di non volermi più vedere, e rimasi a Kyoto. Non credo di essere mai più tornato a Tokyo da allora, in effetti.”
Seiji rimase in silenzio, solo il soffio basso del motore poteva essere udito, ed entrambi gli uomini si chiusero nei propri pensieri.
La coda proseguiva lenta, estenuante come il ripercorrere quei momenti cercando di chiudere i buchi lasciati dalla versione – mancante – di Kuroko stesso e al contempo di non concentrarsi troppo sul pensiero di lui.
Akashi lasciò che quella notte, il modo in cui l’azzurro era corso via, gli dondolasse davanti agli occhi ancora per qualche istante. Alla fine, non riuscì a trattenersi.
“Mi sono detto che dovevi essere figlio suo e della ragazza per cui mi aveva lasciato,” ammise, “però, nell’istante in cui ti ho visto per la prima volta, ho pensato ‘Questo è l’aspetto che avrebbe un figlio mio e di Tetsuya…’. Poi mi sono dato dell’idiota: com’era possibile? Sia io che Tetsuya siamo maschi, non possiamo avere dei figli. Sicuramente, mi stavo semplicemente illudendo da solo.”
Seiji nascose abilmente il dolore per quel colpo.
“Capisco.” mormorò, spostando lo sguardo fuori dal finestrino per celare la propria espressione. Quindi, Akashi non sapeva della capacità di suo padre; per lui, la loro era solo una strana e inquietante coincidenza e probabilmente lo stava aiutando solo per quella e per l’amore che una volta provava per suo padre. Probabilmente, si stava autoconvincendo che ciò che i suoi occhi gli mostravano era solo un’illusione.
Le mani del ragazzo strinsero istintivamente la presa dell’una sull’altra e Akashi lo notò, ma non lo menzionò.
“Ho continuato a pensarlo fino a quando non ho letto sul tuo certificato di nascita che Tetsuya è tua madre.” disse invece.
Seiji si voltò di scatto verso di lui, l’occhio visibile sgranato e la bocca spalancata, la sua splendida maschera completamente in pezzi.
“Come hai…?!” boccheggiò, incapace di finire la domanda.
Akashi cambiò marcia e spinse l’auto avanti di un altro metro.
“I soldi non possono riportare il tuo fidanzato indietro da te, ma possono tranquillamente permetterti di investigare sul passato di suo figlio.” rispose placido Seijuro, gli occhi sempre sulla strada e questa volta un mezzo sorrisetto di vittoria sulle labbra.
“Tu non avevi alcun diritto di fare una cosa del genere!”
“E Tetsuya aveva il diritto di tenermi nascosto mio figlio?”
La replica velenosa di Seijuro cadde nel silenzio più assoluto, facendo sobbalzare entrambi.
Era la prima volta che quella verità veniva detta ad alta voce, la prima volta che Akashi faceva mostra di riconoscere Seiji come figlio suo, e per tutti e due fu una sensazione strana che richiese alcuni secondi per essere accettata.
Infine, l’adulto sospirò, chiudendo gli occhi.
“Seiji, non voglio intromettermi e rovinarvi la vita, d’accordo? Non sono così terribile.” dichiarò, a voce un po’ più alta, ma con un tono stranamente…sconfitto?, “Voglio solo…sapere.” La presa di Seijuro sul volante si strinse e Seiji abbassò il viso verso le sue mani, osservandole con espressione confusa. “Voglio sapere perché mi ha lasciato a quel modo, che cosa gli ha fatto pensare che non avrei mai potuto essere un buon padre e…perché non ha nemmeno pensato di dirmelo, in tutto questo tempo.”
“Lo avresti accettato?” Akashi si voltò, sorpreso, ma suo figlio sostenne lo sguardo con l’occhio rosso freddo come la propria voce, “Ti saresti preso la responsabilità di quello che era successo?”
Un’auto suonò, ma tutti gli altri la ignorarono.
Seijuro attese un attimo, ponderando bene la domanda e scegliendo accuratamente le parole prima di rispondere.
“Non posso dirti, ora, come avrei reagito all’epoca. L’idea di essere padre è così…strana.” ammise infine, determinato ad essere onesto, quindi si voltò di nuovo in avanti, “Però so che amavo troppo tuo padre per lasciarlo, non importa il motivo.”
Per un secondo, Seiji rimase a fissare il profilo del padre, così simile al suo, ma poi si girò verso il finestrino, fuggendo da quella vista perché incapace di sostenerla.
Akashi comprese e accettò il suo bisogno di tempo, così rimase in silenzio a sua volta e si concentrò solo sulla guida.
 
Passarono quarantacinque minuti nel più completo silenzio, sempre incastrati in quella dannata coda che rendeva Akashi sempre più nervoso e la sua presa sul volante sempre più violenta, prima che Seiji parlasse.
“Papà è un ermafrodita.” Sussurrava a voce così bassa che Seijuro faticava a sentirlo e teneva gli occhi fissi oltre il finestrino, senza mai cercare quelli del padre. Sembrava…vergognarsi di qualcosa. “Ha sia gli organi riproduttivi maschili che quelli femminili, ma solitamente è pressoché impossibile per quelli come lui avere dei figli, sono perlopiù sterili.” scrollò le spalle, con un’indifferenza che male si accostava al suo tono di voce, “Ma il destino deve essersi divertito a fargli uno scherzo e lui si è ritrovato incinto all’ultimo anno di superiori.” Seiji chiuse gli occhi; nella sua mente danzavano tutti i frammenti di storie che aveva messo insieme negli anni, rubando un dettaglio a uno zio ed uno ad un altro, sempre fingendo di non avere capito quanto pesante fosse stata la sua nascita sulle spalle di Kuroko. “Ha lasciato la scuola per portare avanti la gravidanza – non voleva che la gente sapesse – e non ha mai potuto finire gli studi.” Fu il turno di un sorriso triste, quasi crudele, di salire sulle labbra del ragazzino, “Quando è venuto il momento del parto immagino la natura abbia cercato di rimediare al proprio sbaglio, ma lui era semplicemente troppo cocciuto per lasciare che morissi e si è fatto praticamente operare in salotto per farmi nascere.” Scosse la testa, scioccato come sempre dalla follia di suo padre. “Ha pagato con la sua salute, comunque: il suo cuore non è più stato in grado di sostenerlo, durante il travaglio si è indebolito troppo e adesso servirebbe un trapianto, ma papà non vuole farlo per via del costo.” Preferisce mandare a scuola il mostriciattolo ha rovinato la vita. “La nonna dice sempre che siamo stati molto fortunati e che per papà avermi è stato un miracolo.” la voce si abbassò, diventando quasi inudibile, “Io non sono sicuro che abbia ragione…”
“Tu prova a parlare di te stesso un’altra volta in questi termini e dovrai vedertela con me, chiaro?” Akashi non aveva idea di come gli fosse uscita quella frase, così lontana da lui. Un po’ dalla cupezza del discorso di Seiji, dal chiaro senso di colpa che il ragazzo provava per la vita dura di suo padre, e un po’ anche dal desiderio di alleggerire un minimo l’atmosfera, però il rosso sentiva comunque di credere veramente nel significato di quelle parole.
Seiji fece una smorfia indignata.
“Non ho cinque anni!” si lamentò, quindi alzò il mento in modo orgoglioso, sfidando l’altro rosso, “E anche se lo fossi, papà ti ammazzerebbe se osassi alzare un dito su di me.”
Non ne dubito. Kuroko era sempre stato molto protettivo nei confronti dei bambini.
“Sono pressoché certo che invece sarebbe d’accordo con me.” replicò Akashi, poi però tornò serio, “Tu sei molto più che uno scherzo del destino, Seiji,” Occhi rossi si incrociarono. “e dovresti averlo capito da tutto ciò che Tetsuya ha fatto per te. Se fossi stato anche solo un briciolo meno che la cosa migliore della sua vita, non sarebbe arrivato fino a questi punti.”
Seiji abbassò lo sguardo sulle proprie mani, imbarazzato, ma non sembrava convinto.
“Non puoi saperlo…” sussurrò infatti.
Seijuro costruì il suo miglior finto ghigno.
“Hai ragione,” disse, “ma ha rotto con me per te.”
Per un secondo, Seiji alzò lo sguardo e rimase immobile a fissare suo padre. Seijuro stava quasi per chiedergli se stesse bene quando, all’improvviso, il ragazzo si portò una mano alla bocca e iniziò a ridere.
Akashi non aveva mai visto spettacolo più bello. Seiji aveva un’espressione libera, non finta, e piccole rughe gli si formavano accanto agli occhi; il ciuffo scivolò all’indietro liberando anche l’occhio azzurro, seppur chiuso, e il suono della sua risata era limpido e cristallino.
“Papà non mi aveva detto che mio padre avesse un tale ego!” commentò il ragazzo tra le risa.
“E che cosa ti ha detto di lui?”
Seiji smise piano di ridere, mantenendo solo un sorriso mesto sulle labbra, ma non sembrò turbato dalla domanda improvvisa e anzi rispose con calma.
“Non parla molto di lui.” ammise, fingendo indifferenza e come Akashi parlando come di una terza persona, “Ricordo di aver chiesto, una volta quando ero piccolo, ma papà si è fatto immediatamente così triste che ho giurato a me stesso di non fare mai più domande. Ogni tanto è capitato che lui mi chiedesse se volessi sapere qualcosa, ma ho sempre fatto finta che non mi interessasse perché sapevo che ci stava ancora male, qualunque cosa fosse successa.” Rapido, rubò un’occhiata al viso di Seijuro, “Però non ha mai, mai, parlato male di lui, anche nei momenti più difficili.”
Akashi tenne gli occhi fissi sulla strada, ma sfiatò appena. Alla fine, Tetsuya aveva continuato a difenderlo anche negli anni che avevano passato separati.
“Grazie.” mormorò a bassa voce e Seiji annuì, ma poi gli scappò un altro risolino.
“Certo,” commentò con finta serietà, “avrei voluto mi mettesse in guardia dal suo ego, il suo caratteraccio da generale, il suo ghigno irritante, la sua dipendenza dall’avere sempre ragione e…”
“Ti ha mai detto nessuno che sei tanto irritante e diretto quanto tuo padre?”
“Lo zio Taiga lo fa più o meno una volta al giorno.”
“Sorprendente.”
 
Un’ora dopo, con quel briciolo di divertimento sparito e il nervosismo di nuovo al suo posto, avevano percorso il corrispettivo di mezz’ora senza traffico. Akashi sbatté una mano sul volante.
“Adesso basta!” ringhiò, portando le mani all’autoradio e armeggiando con essa.
“Cosa…?” provò a chiedere Seiji, ma la macchina si connesse alla rubrica del cellulare dell’adulto e un attimo dopo gli squilli del telefono furono udibili in tutto l’abitacolo.
Pochi secondi e una voce conosciuta si fece sentire.
Akashi, adesso non…
“Conterò fino a dieci, Shintarou.” sibilò Seijuro, senza dare al verde il tempo di finire la frase, “Se per allora sarai riuscito a fornirmi un resoconto completo sulle condizioni di Tetsuya, potrei considerare l’idea di risparmiarti la vita nonostante tu sia uno di quegli esseri infimi che mi hanno tenuto nascosta l’esistenza di mio figlio. E non pensare nemmeno di mentirmi. So già tutto.”
…Tutto cosa, nanodayo?
Tutto, Shintarou. In particolare, che Tetsuya è un ermafrodita, che ha avuto e cresciuto mio figlio, che sta avendo problemi di cuore e che tu e quegli altri traditori dei Miracoli eravate a parte di tutto questo e non. Mi. Avete. Detto. Niente. Ora, parla.
Per un secondo Seiji credette, con ansia, che suo zio fosse folle abbastanza da rifiutare l’ordine di Akashi, ma poi la voce di Midorima si fece sentire, chiara.
Ha avuto un altro attacco di cuore, il terzo ormai, e questa volta abbiamo dovuto rianimarlo con il defibrillatore. Adesso sta dormendo ed è sotto sedativi, ma è stabile. Avrà assolutamente bisogno di un trapianto, il prima possibile, ma finché non troviamo un donatore compatibile e lui non firma il consenso all’operazione, possiamo solo aspettare…
A quelle parole, Seiji non riuscì più a trattenersi.
“Ma adesso sta bene, vero?!” domandò, ansioso.
SEIJI?! Che cosa ci fai tu con Akashi, nanodayo?!
“Una riunione di famiglia.” rispose il ragazzo, sarcastico, ma Seijuro, vedendo finalmente un’uscita dall’autostrada, lo precedette prima che potesse continuare.
“Stiamo arrivando a Tokyo, dovremmo essere lì tra qualche ora.” dichiarò.
Non so se c’è qualcuno che possa stare a casa con Seiji…
“Starò in ospedale con papà!” “Starò io con lui.”
Seijuro e Seiji si fissarono per un attimo, sorpresi dall’aver parlato in sincrono, e un sospiro pesante arrivò chiaro dall’altoparlante.
Decideremo quando sarete qui.” La resa di Midorima fu totale.
 
Gli ospedali sono quasi tutti uguali, bianchi, sterili e puzzolenti di medicinali e morte.
Seiji lasciò indietro tutti senza riserbo, padre e zio, per correre alla porta bianca della stanza del suo papà nel reparto di cardiologia, spalancarla e gettarsi dentro; Seijuro, invece, si fermò subito fuori di essa e si voltò a fronteggiare Shintarou con un’espressione cupa.
“Come sta?” chiese.
“Male.” Midorima si aggiustò gli occhiali sul naso con la mano sinistra, bendata, rifiutandosi di indorare la pillola. “Non sopravvivrà ancora a lungo senza il trapianto, ma non c’è ancora nessun donatore che risulti compatibile, anche ammettendo che si decida ad accettare di sottoporsi all’operazione.”
“Questo vorrebbe dire che l’unica cosa che possiamo fare è restarcene qui ad aspettare?” ringhiò Seijuro, minaccioso, ma Shintarou lo guardò con freddezza, senza lasciarsi intimidire.
“Se pensi che stia facendo meno del mio meglio, ti sbagli di grosso, nanodayo.” dichiarò.
Akashi sospirò, irritato, ma sapeva che prendersela con Midorima non avrebbe risolto nulla, quindi scosse la testa.
C’era silenzio nel corridoio, era mattina presto e l’ala dove si trovavano era quasi deserta perché Tetsuya necessitava della tranquillità più assoluta. Il minimo stress poteva essergli fatale, questa volta.
“Avresti dovuto dirmelo.”
“Lo so, nanodayo.”
“Ma non l’hai fatto.”
“Kuroko mi ha chiesto di non farlo.”
Gli occhi di Seijuro cercarono debolmente quelli di Shintarou.
“Perché?”
“Dovresti chiederlo a lui.”
Akashi sospirò, sempre più esausto, e per un attimo osservò il cielo azzurro fuori dalla finestra che si apriva di fronte alla porta della camera di Tetsuya. Quel colore così familiare sembrava volerlo sbeffeggiare e alla fine gli diede le spalle per voltarsi verso un azzurro identico ma per lui molto più importante.
“Avresti comunque dovuto dirmelo.” sussurrò un’ultima volta, prima di entrare nella stanza.
Midorima lo osservò.
“Lo so.” ripeté, quando non poté più essere sentito.
 
I capelli rossi scarmigliati in modo assurdo fecero sorridere Seijuro, quando riaprì gli occhi dopo un secondo lungo un’ora passato a riposare sulla seggiola alla destra di un anonimo letto d’ospedale.
Lentamente, in silenzio, l’uomo si alzò in piedi e si tolse la giacca del completo elegante che ancora portava per posarla con delicatezza sulle spalle di Seiji – ben poco coperte dal suo solo pigiama – che, dal lato opposto del letto, si era addormentato seduto su una sedia ma con la testa sulle braccia incrociate, appoggiate sul materasso accanto alle ginocchia di Tetsuya.
Tetsuya su cui scivolarono piano gli occhi rossi di Seijuro. Tetsuya che era pallido e immobile, con le flebo nelle vene e le braccia smagrite; Tetsuya che era cresciuto, un uomo dai tratti fini ma comunque mascolini, eppure sembrava ancora così piccolo e fragile nella divisa dei pazienti dell’ospedale. Tetsuya che, ancora, non dava segno di svegliarsi.
Docile, Akashi tornò a sedersi, però piantò i gomiti sulle proprie ginocchia e appoggiò il viso sulle mani incrociate.
Osservò il viso di Tetsuya, sotto la maschera per l’ossigeno voluta da Midorima per limitare i rischi di un altro collasso, sicuramente mortale questa volta.
“Perché non me l’hai detto?” sussurrò, anche sapendo di non poter essere sentito, “Avrei gettato via tutto pur di stare con voi.”
E, realizzò allungando una mano a carezzare quella inerte di Kuroko, senza alcun rimpianto.
 
Kuroko non ricordava di essersi svegliato, né di essere andato a dormire, a dire il vero. Non ricordava nulla con certezza, ma ad un tratto si ritrovò davanti agli occhi Seijuro e non capì più nulla. Era in un letto, aveva dei tubi nelle braccia, c’era tanta, tantissima, confusione nella sua testa e il mondo sembrava distante un fondo di bottiglia. Ogni cosa era distorta, confusa, e quelle che non lo erano sembravano irreali.
Nascose la sua confusione dietro la propria maschera e Seijuro – perché era lì?! – non sembrò accorgersene.
Parlarono, Tetsuya non realizzò nemmeno bene di cosa ma si limitò a rispondere soltanto alle domande che riusciva a comprendere e che comunque sembravano svanire dalla sua memoria come sabbia in una clessidra. Solo poche frasi rimasero impresse nella sua mente, popolandola di immagini caotiche di scenari terribili in cui Akashi Seito si vendicava su Seijuro, su di lui, su Seiji.
Seijuro aveva incontrato Seiji?!  L’aveva visto e aveva capito! Lui non poteva permetterlo perché Seiji andava protetto!
“Non ti chiedo di rientrare a far parte della tua vita, se non mi vuoi, Kuroko.” sussurrò Seijuro, all’improvviso, stringendo la mano di Tetsuya e riuscendo finalmente a riportare la sua mente confusa e annebbiata dall’anestesia al presente almeno per un attimo, “Però ti prego, per favore, di permettermi di essere in quella di Seiji. È anche mio figlio, dopotutto.”
“No.”
Kuroko non realizzò nemmeno di aver parlato, i pensieri nella sua testa erano confusi e troppo rapidi, di corsa, incomprensibili, ma nel suo petto sentiva agitarsi delle sensazioni e decise di seguire quelle nel caos contorto che lo circondava.
“…Kuroko?”
“Non voglio che ti avvicini a lui!” esclamò. Con il fiatone, scioccato, deglutì. “Akashi-kun, io… io so che lui non tornerà” e Kuroko non riuscì a specificare chi fosse lui, ma era certo che Seijuro lo avrebbe capito lo stesso, “lo so, però… Non posso, Akashi-kun, non posso! Se provo anche solo ad immaginarti vicino a Seiji, ho paura che quel ragazzo dica qualcosa che possa farti arrabbiare – e lo farà, lo so, perché è così – e che tu ti farai di nuovo dominare da lui e…” Iniziò a scuotere la testa con violenza e tutto il mondo iniziò a vorticargli attorno. Si afferrò il cranio con le mani, disperato nel cercare di fermare la spirale attorno a lui. “Non posso lasciare che qualcuno faccia del male a Seiji! Lo amo troppo per metterlo in pericolo!” Akashi sgranò gli occhi, Kuroko li vide diventare così enormi da pensare gli avrebbero divorato la faccia, ma non si fece piegare. “Mi dispiace, Akashi-kun, mi dispiace! Vorrei fosse diverso, vorrei essere diverso io, ma… Mi dispiace!”
Kuroko non riuscì a capire cosa accadde dopo, perché un’infermiera gli si avvicinò di corsa e poi tutto divenne sfocato e infine nero.
L’ultima cosa che comprese, fu la voce di Akashi: “Non scusarti. Capisco.”
 
Seiji camminava piano, attento a non rovesciare nulla della colazione incredibile che portava sul vassoio destinato a suo padre, e quando infine entrò nella stanza sorrise vittorioso.
Tetsuya dormiva ancora e Midorima stava controllando i monitor cui era attaccato, per cui Seiji posò il cibo sul mobiletto accanto al letto e si guardò attorno.
Aggrottò la fronte.
“Dov’è…Akashi-san?” chiese, fingendo indifferenza e correggendosi prima di chiamare il rosso con qualche epiteto del tipo ‘padre’.
Midorima si irrigidì appena, ma scelse di non mentire.
“Akashi è partito per Kyoto poco fa.”
Silenzio.
“Capisco.” fu tutta la risposta di Seiji prima che questi si sedesse di nuovo accanto al padre.
Shintarou gli batté una mano sulla spalla prima di uscire.
 
Il cartello sopra la sua testa diceva “Benvenuti a Kyoto” e Akashi sentì il bisogno infantile di sputarvi contro, ma si trattenne.
Nel guidare piano verso l’ufficio, sentì un gusto amaro in fondo alla gola e una morsa dolorosa nel petto e, grazie a Tetsuya nei suoi anni di scuola superiore, sapeva che quello era il sapore della sconfitta.
 
Un’ora e mezza dopo, Kuroko si svegliò di nuovo. Dopo una settimana gli fu permesso di tornare a casa, in attesa di trovare un donatore. Seiji rimase con lui ancora tre giorni, prima di ripartire per Kyoto, per sistemare alcune cose con la scuola.
Anziché alla fermata per la Rakuzan, però, scese a quella vicina all’Akashi Group Building.
 
Quando la porta del suo ufficio si spalancò, Akashi si aspettava tutto – un Reo che veniva a fargli una scenata sulla stupidità della sua decisione, un Mayuzumi deciso a ricordargli quanto idiota fosse, qualcosa del genere – ma non un Kuroko Seiji furioso che camminava verso di lui a passo di marcia e con il ciuffo attentamente portato dietro l’orecchio, in modo che l’iride azzurra fosse ben visibile nella sua scintillante rabbia.
Evidentemente, pensò l’adulto, Reo e Mayuzumi avevano deciso che lasciare passare il ragazzo fosse la miglior punizione da infliggergli.
Seiji sbatté le mani aperte sulla scrivania, senza curarsi dei fogli che caddero da essa.
“Perché te ne sei andato a quel modo?!” esclamò, ma Akashi rimase calmo e freddo, appoggiato allo schienale della propria poltrona.
“Affari che necessitavano della mia presenza.” rispose semplicemente.
“Non provare a rifilarmi queste cazzate, non osare!” ringhiò Seiji, lasciando che tutta l’influenza di Aomine e Kagami prendesse il sopravvento, “Avevi detto che volevi parlare con mia madre e invece te ne sei solo andato?! Ma chi cazzo ti credi di essere?!”
“Sicuramente qualcuno con un modo di parlare più educato del tuo.” ribatté Seijuro con una smorfia nel sentire tale linguaggio, “Tua madre lo sa che usi certe parole?”
“Smettila di provare a cambiare argomento!” urlò Seiji. La sua voce alta e quasi isterica fece affacciare sia Reo che Chihiro alla porta, ma nessuno dei due osò intervenire. “Mi fidavo del fatto che almeno ti saresti dimostrato uomo abbastanza da parlare con lui e invece te la sei solo data a gambe!”
“Io ho parlato con tua madre e dopo me ne sono andato.” corresse Seijuro, impassibile, “E tu non dovresti parlare di cose che non sai.”
Seiji sgranò gli occhi, scioccato.
“Che cosa…” esitò, confuso. Non capiva più niente! “Che cosa vi siete detti?”
“Cose.” rispose Seijuro riabbassando gli occhi sui documenti che stava leggendo prima di essere interrotto, “Mi sono scusato per essermi intromesso nella vostra vita e abbiamo concordato che non accadrà nuovamente. Semplice.”
“… Semplice.”
“Esatto.” assentì Akashi, sempre senza alzare gli occhi dai suoi fogli.
Per lunghi istante ci fu il silenzio, senza che Seijuro osasse alzare gli occhi su suo figlio, ma alla fine Seiji scattò.
“Se sapevi fin da subito che te ne saresti andato di nuovo, avresti fatto meglio a non tornare affatto!” urlò, con tutto il fiato che aveva in gola e i pugni stretti fino a fargli tremare tutte le braccia.
Akashi alzò la testa di scatto nel sentire un tremore nel grido di suo figlio, ma riuscì solo ad intravedere le lacrime sul suo viso prima che questi scappasse fuori dall’ufficio.
“Seiji-chan! Aspetta!” provò a fermarlo Reo, ma il ragazzo fu più rapido di lui, evitò Mayuzumi e si infilò in ascensore. Il moro fissò il tutto paralizzato sulla porta, incapace di muoversi per lunghi istanti, e quando alla fine riuscì a voltarsi indietro verso Akashi, questi fissava ancora i documenti tra le sue mani, ma queste tremavano e i suoi occhi erano fuori fuoco. “Sei-chan…” mormorò avvicinandosi.
“Tetsuya ha paura dell’Imperatore.” Lo interruppe Seijuro seccamente, ma qualcosa nella sua voce faceva pensare che stesse parlando con sé stesso, “Non vuole che mi avvicini a Seiji perché ha paura che possa fargli del male.”
Reo abbassò un po’ lo sguardo, esitante, ma si fermò di fronte alla scrivania.
“Tu sei sicuro che lo pensi davvero?” mormorò piano, “Era sotto anestesia e delirava, mi hai detto, quindi forse non intendeva…”
“Reo.” Akashi appoggiò lentamente i documenti sulla scrivania poi, con altrettanta lentezza, sollevò gli occhi sul suo collaboratore e Reo si trovò sperduto in una landa fatta di carboni accesi, rossi di calore, ma privi di una qualsivoglia fiamma e destinati a morire. “Se avessi visto i suoi occhi, non me lo chiederesti.” Quell’espressione, quello sguardo di puro terrore negli occhi dell’azzurro, Akashi non lo avrebbe dimenticato mai; lo tormentava, senza sosta, da quando aveva lasciato Tokyo. “Aveva paura di me.”
Mibuchi esitò, abbassando lo sguardo sulle punte delle proprie scarpe. Da donna.
Provò il desiderio di farle a pezzi, ma si trattenne. Nella sua vita, aveva fatto un sacco di scelte folli per la persona che amava, e dalla quale almeno credeva di essere amato a sua volta; dopo aver rotto con Yoichi, aveva rimpianto moltissime di quelle decisioni, si era dato dell’idiota e aveva urlato con la faccia seppellita in un cuscino per ore, piangendo tanto da farsi male. Ogni volta che si faceva la doccia, sentiva il desiderio di affondare le unghie nella propria carne rimodellata e aprirne tagli lunghi e sanguinolenti che nascondessero quelle nuove curve, quel ventre diverso, tutto; nel vestirsi la mattina, si rendeva la donna più bella che potesse e poi lanciava i cosmetici contro lo specchio. Arrivava al lavoro e metteva sul viso il sorriso migliore che potesse fingere, faceva lo stupido con gli uomini che non sapevano la verità e rassicurava con calma quelli che invece, come Mayuzumi, erano a conoscenza della storia ed era un bugiardo perfetto. Aveva perfino ingannato lo psicologo della clinica, prima dell’operazione, convincendolo di essere lui a volere quel cambiamento, di esserne assolutamente certo, di sentirne la necessità, quando invece l’unica cosa di cui aveva bisogno era qualcuno che gli dicesse ‘Ti amo’ senza aggiungere un ‘ma’ subito dopo.
Tra tutti, solo Akashi continuava a non credere alle sue bugie. Reo lo sapeva, glielo leggeva negli occhi ogni mattina quando si incontravano davanti all’ufficio e il rosso lo scrutava sempre per un istante di troppo, come in attesa di vederlo andare in pezzi o di tornare improvvisamente come prima. Seijuro era quello che aveva avuto più pietà di lui, senza però mai mostrargliela; mentre tutti cercavano confusamente di consolarlo, lui gli aveva dato gli strumenti per provare a farlo da solo, un lavoro in cui era bravo e il segreto sul suo corpo e Mayuzumi come guardia personale quasi.
Sapeva di non essere ancora sceso a patti con quello che era successo e con sé stesso, ma riconosceva a Seijuro tutto l’aiuto che gli aveva dato. Perché, allora, di tutte le persone al mondo, meritava quel soffrire?
“Sei-chan…”
“Ho del lavoro da finire per la riunione di domani.” interruppe il rosso, nuovamente freddo, porgendogli dei documenti, “Mi servono fotocopie di questi.”
Reo rimase immobile, scioccato, ma Akashi continuò a scrivere su altri fogli e non lo guardò. Alla fine, il moro prese i documenti e uscì in silenzio dallo studio.
 
Seiji corse. Fino a non avere più fiato, fino a sentirsi così male da pensare avrebbe vomitato lì sul marciapiede, fino a non sapere più nemmeno quanto avesse corso. Spinse via passanti, ignorò le proteste alle sue spalle, e andò avanti finché, ad un tratto, si fermò.
Era nel bel mezzo di un parco, nemmeno avrebbe saputo dire quale, e non c’era assolutamente nessuno, ma non gli importava.
Senza pensare, tirò fuori il cellulare dalla tasca. Compose il numero a memoria e si portò il telefono all’orecchio mentre con l’altra mano stritolava il ciuffo di capelli davanti all’occhio sinistro.
I suoi singhiozzi, inarrestabili, erano così forti che coprirono il suono dell’interlocutore che rispondeva.
SEIJI?!” esclamò Tetsuya, sentendo il pianto di suo figlio al di là del ricevitore, “Cos’è successo?!
“Mamma…!” piagnucolò il ragazzo, incapace anche di capire che cosa volesse dire, “Mi…Mi dispiace, io…! Non ci riesco, non ci riesco… Mamma, è un bastardo! Stavo molto meglio senza di lui, perché ho dovuto incontrarlo?!” La voce non si alzò, ma rimase disperata, acuta e spezzata dai singhiozzi, “Perché?! È solo uno stupido bastardo egoista!... Mamma…!”
Seiji! Seiji, ascoltami, d’accordo? Ascolta p-mamma, va bene?
Seiji si lasciò scappare un risolino, un solo secondo, nel sentire Tetsuya accettare il soprannome e si costrinse a passare la mano libera sui propri occhi, asciugandoli con violenza, alla bell’e meglio. Con un verso, assentì.
Seiji, dove sei, adesso?
“…F-Fuori.” deglutì, passandosi il dorso della mano anche sulle guance e tirando su col naso, “Non voglio tornare in quell’ufficio, ma neanche a scuola e…”
Allora torna a casa.
Seiji sgranò gli occhi, ma nessuna smentita arrivò dal cellulare al suo orecchio.
“Ma…!” provò a dire, però Kuroko lo interruppe prima.
Seiji.” Lo chiamò con voce ferma, seria, ma per questo rassicurante e Seiji si appoggiò ad essa accettandola piano, lasciandosi cullare dalla sua calma e dal calore che sembrava emanare. “A volte abbiamo bisogno di chiuderci a tutto e di prendere un momento per mettere a posto le cose con noi stessi, prima di poterlo fare con gli altri. Nessuno di noi è perfetto, Seiji. Puoi permetterti di comportarti da egoista e da infantile, ogni tanto.
Seiji deglutì. Si passò di nuovo la manica sul viso, perché aveva pianto ancora, e poi ad occhi chiusi prese un profondo respiro, un po’ tremulo, cercando di calmarsi.
“Possiamo guardare il basket in TV stasera?”
Un basso risolino chiaramente sollevato gli raggiunse le orecchie e lo fece sorridere un pochino a sua volta.
Come ti sembra ‘gelato cioccolato e vaniglia sul divano’?
Poteva sempre contare su sua madre, almeno.
“Ma tu puoi mangiarlo nelle tue condizioni?”
Non inviterò Midorima-kun.
“Immagino sia una soluzione…” commentò piano Seiji, ridacchiando un pochino.
Lo è. Seiji?
“Sì?”
Ti aspetto.
 
Reo uscì dall’ascensore stringendosi con una mano i lembi del cappotto all’altezza del petto, ma continuò a guardare per terra anche quando si avvicinò a Mayuzumi.
“Com’è?” chiese questi, pur sapendo già la risposta.
“Dice che ha del lavoro da finire.” sussurrò Mibuchi, mesto.
“Ovviamente.”
Il moro rimase in silenzio e lasciò che il grigio si avviasse per primo verso l’uscita per seguirlo docilmente, solo un passo indietro. Le spalle di Chihiro davanti a lui gli apparivano come una montagna insormontabile nonostante in realtà, dal momento che stava indossando delle ballerine, fossero della stessa altezza. Sospirò, sapendo che non era veramente una questione di muscoli, quanto di essenza.
Mayuzumi era un uomo, un forte e perfettissimo uomo, mentre lui era qualcosa di indefinito e a metà, un antropico giocattolino della scienza e della sua stessa imbecillità.
L’albino si avvicinò al bordo del marciapiede e gli aprì la portiera del passeggero sull’auto nera che era andato a prendere mentre Mibuchi tentava ancora invano di staccare Akashi dalla sua poltrona. Per quanto sapesse che Chihiro stava solo cercando di essere gentile, il moro si sentì urtato da quel gesto. E quella sera, proprio, non riuscì a fingere di poterlo sopportare.
“Non farlo.” ordinò piano, pur sedendosi. Chihiro gli rivolse un sopracciglio aggrottato, ma poi chiuse la portiera e fece il giro della macchina, costringendo l’altro ad aspettare prima di poter concludere con quella frase che fino ad allora aveva tenuto dentro, senza la forza di pronunciarla: “Non sono una donna.”
“Davvero?” chiese Mayuzumi, sedendosi ma senza mettere in moto, “Credevo fosse quello che volevi diventare.”
“Smettila.” Reo strinse i denti e la presa delle mani sulla sua gonna, ma questo non fu sufficiente a sfogare la tensione abbastanza perché non gli si riflettesse nella voce.
“No, sei tu che devi smetterla, adesso.” Mibuchi si voltò verso l’albino a quella parole dure e gelide, solo per vedere questi sbattere una mano sul volante. Il moro sobbalzò, ma Chihiro si voltò con tutto il tronco verso di lui e gli impedì di parlare. “Devi smettere di fingere che ti stia bene tutto questo.” sibilò, rabbioso, protendendosi su di lui quasi a volerlo chiudere in un angolo. Reo indietreggiò fino a ritrovarsi schiacciato con la schiena contro la portiera, gli occhi sgranati e la bocca spalancata, incapace di interrompere il monologo dell’altro. “Devi arrabbiarti e urlare e rompere tutto e dirci quanto ti faccia male essere così e quanto vorresti tornare com’eri prima. Devi dirci che vuoi un aumento per rifare l’operazione o che vuoi che Akashi trovi quel figlio di puttana e lo faccia ammazzare da qualche killer professionista o che lo faccia lui in persona, e sai che muore dalla voglia. Fa’ quel che cazzo ti pare, non mi interessa, ma smettila di far finta che vada tutto bene! Altrimenti giuro che farò finta che tu stia bene così fino a che non mi manderai a fare in culo con quella tua vocina da gay.”
Stava tremando, Mibuchi sentiva di non avere il controllo sul proprio corpo. Aveva paura, ma non di Chihiro nonostante il suo sfogo completamente inaspettato. Aveva paura e basta.
“Smettila…” sussurrò, sentendo lacrime traditrici salirgli agli occhi, ma Mayuzumi lo incalzò.
“Perché?! Così puoi tornare ad andare in giro con quel sorriso più finto delle tue tette e pensare che siamo tutti dei deficienti?”
Reo scosse la testa, rifiutandosi di ascoltare ancora. Chihiro non sapeva niente, niente! Non aveva diritto di parlargli così! Sul punto di piangere, si voltò e afferrò la maniglia. La tirò con tanta forza da far pensare l’avrebbe staccata, perciò la sua sorpresa fu ancora più grande quando questa gli scivolò tra le mani senza che la portiera si muovesse di un centimetro.
Si bloccò.
Mayuzumi fissò il moro tentare ancora e ancora prima realizzare che la sicura era inserita. Appena lo vide voltarsi di nuovo verso di lui, probabilmente per ordinargli di lasciarlo scendere, scattò.
 
Mibuchi si girò verso l’albino già pronto ad urlargli contro di lasciarlo scendere, però riuscì appena a schiudere le labbra prima che quelle dell’altro piombassero sulle sue.
L’impatto gli schiacciò il labbro inferiore tra i propri denti e il volto irruente dell’altro, promettendo un gonfiore poco mascherabile, ma il passaggio di un’apologetica lingua fece scivolare il dolore in secondo piano.
Mayuzumi infilò una mano tra i suoi capelli, sfidò le ciocche fino a raggiungergli la cute per reggerla gentilmente, con le dita e il palmo a coppa, e con l’altra aderì delicatamente al suo collo, lì dove pulsava l’arteria, e chiese il permesso con la punta della lingua mentre con la pelle ascoltava il suo battito. Quel pulsare era sconvolto, frenetico, ma quando Chihiro mosse lentamente le dita, massaggiando con una carezza leggera, iniziò a rallentare. Seguendo quel ritmo, l’albino scivolò nella bocca del moro riempiendola e ne esplorò dolcemente ogni angolo, la morbidezza e il calore, poi si fece indietro, ma senza staccarsi.
Invece, stuzzicò la lingua di Reo affinché seguisse la sua e la portò nella propria bocca dove le lasciò libertà di scegliere, di guidare, di dominare. Rimase sottomesso, docile, mentre il moro prendeva lentamente confidenza, sicurezza, audacia, e poi…
Reo si staccò di botto.
Mayuzumi si limitò a tirarsi indietro con il volto, senza però allontanare le mani dal corpo dell’altro che, ansimante, lo fissava con tanto d’occhi. Il battito di Mibuchi sotto le sue dita accelerò di nuovo il ritmo, riprendendo a correre spaventato.
“Che…? Che cosa…?” boccheggiava il moro, scioccato, “Perché?!”
Chihiro alzò gli occhi al cielo.
“Ti assicuro che un bacio così ha lo stesso significato sia tra due uomini che tra un uomo e una donna.” sbuffò, ma il polpastrello del suo pollice prese a carezzare la gola dell’altro, proprio lì dove si sentiva il movimento del sangue, e tradì una dolce preoccupazione. Il moro sbatté le palpebre e lui sospirò. “Dannazione, sei così ingenuo in queste cose che mi viene voglia di nasconderti da qualche parte e impedire a chiunque di venirti vicino.”
Reo continuò a fissare l’albino con espressione paralizzata dallo shock.
Di tutte le cose possibili, che Mayuzumi fosse interessato a lui era la più scioccante. Non aveva mai notato quel genere di attaccamento da parte del senpai! Certo, era uno di quelli che aveva reagito con più sgomento alla sua scelta e con più furia alla scoperta della ‘fuga’ di Yoichi, ma lui aveva sempre creduto fosse per una sorta di rimasuglio di estinto da senpai, non vi aveva mai letto nulla di più!
Chihiro sospirò con vaga irritazione, ma fece scivolare anche la mano dalla nuca del moro al di lui collo.
“Sei così preso dal tuo non piacerti in questo corpo che non ti rendi conti di a quante persone piaci indipendentemente da esso.” sbuffò, piegandosi in avanti per portare le loro fronti a contatto.
“Non dirlo…”
“Perché?” ribatté ancora Mayuzumi, come poco prima, concedendosi un mezzo sorriso al tono piagnucolante di Mibuchi, poi gli portò le mani al viso per asciugargli le guance con i pollici, “È la verità. Sei bello, Reo-kun. Uomo o donna, non fa differenza.”
“…Reo-kun?!
Chihiro si staccò un attimo, fissando l’espressione allibita del moro con sguardo critico, quindi sollevò un sopracciglio.
“È tutto quello che ti è rimasto del mio discorso?” chiese, fintamente irritato.
E Reo provò a trattenersi, ma di fronte a quel broncio offeso su quel viso di solito così apatico si ritrovò a scoppiare a ridere, incapace di fare altro.
Chihiro lo fissò per un attimo, ma poi sorrise appena, felice di vedere il moro così, finalmente allegro, e se lo tirò addosso, facendogli posare il viso contro il suo petto e abbracciandolo stretto.
Reo continuò a ridere contro Mayuzumi, ma non solo per lui. Per tante cose, per essersi guardato attorno di chilometri senza notare ciò che aveva accanto, per aver cercato di compiacere un uomo senza accorgersi del fantasma che alle sue spalle era pronto ad afferrarlo se fosse caduto, per non aver ascoltato Sei-chan quando gli diceva che a volte era cieco in amore quanto lui, perché davvero esisteva qualcuno in quel mondo di persone intolleranti che lo accettava, così com’era.
Mayuzumi gli sorrise teneramente, sopra la sua nuca.
“Non ti tratterò come una donna, se non vuoi, Reo-kun.” gli sussurrò, accarezzandogli i capelli, “Devi solo dirmelo. Troveremo un equilibrio e starai di nuovo bene, vedrai.”
Reo smise di ridere e annuì, ma rimase stretto al suo petto.
“Voglio che mi tratti come un uomo.” pregò piano, “Almeno quando siamo fuori dall’ufficio.”
Chihiro annuì, ma aggrottò la fronte.
“Dentro no?” chiese, “Sei preoccupato per i colleghi?”
Reo scosse la testa, sospirando.
“No, non sono loro. Il padre di Sei-chan è un omofobo convinto e non sa che sono un trans, lui gli ha detto che sono una donna.” Scrollò le spalle, a metà tra l’irritato e il deluso. “Se sapesse che ho cambiato sesso, mi licenzierebbe. L’ha già fatto come un’impiegata perché girava voce fosse lesbica.”
“Uh uh…” commentò il grigio, sollevando un sopracciglio, “Immagino non sappia che suo figlio è gay, eh?”
“Ci manca!” mugugnò Mibuchi, sfregando il viso contro il petto di Mayuzumi per annusarne l’odore fresco e forte, di menta e liquirizia, “Sarebbe capace di ammazzarlo! Quell’uomo non potrebbe mai accettare che…Oh Dio!
Chihiro sgranò gli occhi quando Reo si tirò indietro di scatto, afferrandogli le spalle con le mani e mostrandogli due occhi verdi sgranati e una bocca spalancata.
“Cosa?!” chiese, ansioso.
“Non potrebbe accettarlo! È questo!” esclamò però il moro, ignorandolo e mettendosi le mani nei capelli, lo sguardo perso su immagini che Chihiro non poteva vedere, “Ecco perché Kuroko-chan non gliel’ha detto!”
“Ma cosa stai…Oh cazzo!” Mayuzumi sgranò gli occhi, arrivando alla stessa conclusione del moro. Voleva dire che…?! “Ma mi prendete per il culo!” esclamò, a qualcuno che non poteva sentirlo.
“Dobbiamo dirlo a Sei-chan!” iniziò Reo, “Sono certo che sia così!”
Chihiro, però, era già sceso dall’auto.
Maledetti kohai, mai una volta che si parlino chiaramente!

 

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Capitolo 6
*** Capitolo V ***







Sei pronto?

-CAPITOLO V
 
“Sei pronto, Akashi?”
Seijuro sorrise, ma non di un sorriso gentile né di uno triste. Sorrise con il suo ghigno di vittoria, di un Imperatore pronto a schiacciare sotto il proprio piede chiunque sulla sua strada, ridendo soddisfatto dello scricchiolare delle ossa che sarebbero andate in pezzi ad ogni suo passo.
“Ci vediamo tra poco, Mayuzumi. Non approfittare di Reo in mia assenza.”
“Sei-chan!”
Ma Seijuro era già sceso dalla macchina e a Mibuchi non restò altro da fare che fissarlo, dal finestrino del sedile posteriore, mentre si avviava a testa alta verso la mansione degli Akashi.
“Andrà bene.” lo rassicurò Mayuzumi dal posto dell’autista, anche lui tenendo gli occhi fissi sulla schiena sempre più piccola del rosso, “Quel mostriciattolo sa come giocare le sue carte.”
Reo si limitò ad annuire, in ansia.
 
Seiji camminò dalla stazione fino a casa, rifiutandosi di chiamare per farsi andare a prendere. Le strade di Tokyo erano stranamente calde e accoglienti attorno a lui, lo guidavano docili verso una meta ben precisa, rassicurandolo con sussurri lievi del vento tra le strade deserte della periferia in piena notte e l’odore della pioggia caduta sull’asfalto fino a poco prima.
Si abbassò il cappuccio della felpa nera dalla testa quando svoltò l’angolo del proprio isolato e alzò gli occhi sulla propria casa continuando a camminare lentamente. Al piano superiore le luci erano accese, segno che almeno uno dei suoi zii era in casa, ma a quello inferiore splendeva solo la finestra della cucina.
Alla fine era tornato. Aveva lasciato Kyoto senza pensarci due volte ed era corso indietro da sua madre appena le cose si erano fatte complicate. Si sentì un vigliacco, ma strinse i pugni nelle tasche e continuò ad avanzare. Non aveva niente con sé, se non il portafoglio nella tasca posteriore dei jeans slavati. La maglietta bianca che indossava era nascosta dalla felpa nera e ai piedi portava un vecchio paio di scarpe da ginnastica. Il ciuffo rosso era stato fatto scivolare piano dietro l’orecchio sinistro, lasciando libera l’iride azzurra.
Raggiunse il cancelletto d’entrata e lo aprì, quindi alzò la testa e finalmente si accorse della figura sui gradini.
“Mamma?!”
Kuroko era ancora pallido e si stringeva sulle spalle il maglione enorme e sformato che aveva indossato in gravidanza e che gli arrivava al retro delle ginocchia. Aveva i capelli azzurri spettinati e gli occhi stanchi, ma, con le mani strette l’una nell’altra, sedeva sul più alto dei tre gradini di fronte alla porta e si aprì in un piccolo sorriso quando vide la sagoma del figlio correre affannata lungo il vialetto.
“Che cosa ci fai qui fuori?!” esclamò Seiji, raggiungendolo di corsa e maledicendolo mentalmente per la sua stupidità mentre questi si alzava, “Fa’ freddo, vai dentr-…!”
Si interruppe perché appena arrivato a portata di mano suo padre allungò le braccia e lo tirò a sé. Era in piedi sul secondo gradino e, approfittando di essere più alto di suo figlio, gli cinse le spalle con un braccio e con l’altra mano gli fece nascondere il viso nel suo petto. Seiji sbatté le palpebre per un attimo, confuso, ma poi si arrese a quell’abbraccio e portò le mani sulla schiena del genitore.
“Non va affatto bene quando è il figlio a prendersi cura del padre, specialmente se è lui quello che sta soffrendo.” Tetsuya si tirò un po’ indietro, per osservare il figlio in viso con un sorriso mesto, “Vuoi parlarmene?”
Seiji scosse immediatamente la testa e tornò a seppellire il viso nel petto del padre in modo molto infantile.
“Non mi serve.” sussurrò, stringendo l’abbraccio e costringendosi a crederci, cacciando via l’immagine del volto apatico e disinteressato di Akashi dalla sua mente, “Finché ho te, va tutto bene, non mi serve nient’altro.” Piegò la testa di lato, adagiando l’orecchia contro lo sterno di Tetsuya e chiuse gli occhi, concentrandosi per un attimo, in silenzio, sul battito lento e confortevole di quel cuore così fragile. “Perciò, per favore,” deglutì il peso che gli si stava formando in gola, “non lasciarmi, mamma.”
Kuroko sorrise e lentamente, con cura, iniziò ad accarezzargli piano i capelli rossi, proprio come una madre, ben sapendo che poche cose al mondo rassicuravano Seiji quanto il sentire le sua mani tra le ciocche.
“Shhh…” sussurrò quando sentì il maglione sul suo petto iniziare ad inumidirsi e il corpo di suo figlio iniziò a tremare, scosso da sobbalzi difficilmente travisabili, “Va tutto bene, Seiji. Non vado da nessuna parte.”
 
Quando la luce del mattino entrò dalla finestra del salotto e si posò sui corpi aggrovigliati di padre e figlio, non svegliò assolutamente nessuno. Lo squillo del telefono, invece, ci riuscì pienamente.
Seiji sobbalzò, confuso, e si guardò attorno solo per scoprirsi sdraiato sul divano – la televisione ancora accesa nonostante la videocassetta delle partite delle medie di suo padre fosse ormai finita – tra il corpo di suo padre e il bordo, mentre questi era su un fianco, spiaccicato tra lui e lo schienale e borbottava sottovoce minacce incoerenti per chiunque stesse chiamando.
“Rispondo io?” chiese il rosso strofinandosi l’occhio azzurro con la mano, ma suo padre scrollò la testa, peggiorando ancora di più lo stato spaventoso della sua capigliatura…selvaggia.
“Se è uno dei tuoi zii e scopre che sei qui, ce li ritroveremo tutti in casa senza via di scampo e vorrei evitare di rompere la mia promessa finendo in prigione per omicidio.”
Seiji ridacchiò tra sé e sé all’acidità mattutina di suo padre, ma si tirò a sedere e lo aiutò ad alzarsi, quindi Kuroko, sempre borbottando, si avviò fino al cordless abbandonato tristemente sul pavimento. Con uno sbuffo se lo portò all’orecchio, ma poi la sua voce risuonò apatica e illeggibile come al solito.
“Pronto?”
KUROKOCCHI, LE NEWS!” Kuroko aggrottò la fronte quando la voce di Kise gli si riversò nelle orecchie a volume inaccettabile, ma il biondo continuò a parlare, “ACCENDI LA TV, SUBITO! GUARDA IL TELEGIORNALE!
“Non urlare, Kise-kun, mi stai danneggiando i timpani.” chiese, raccogliendo sconfitto anche il telecomando perché conscio che tanto Kise non lo avrebbe lasciato in pace fino a che lui non avesse assecondato quel suo ennesimo capriccio. “Quale telegiornale?”
UNO QUALSIASI!
Tetsuya sospirò, sotto lo sguardo curioso di Seiji, ma premette i tasti per un canale di notizie e attese un secondo che la televisione passasse dal nero traballante della cassetta finita a…
Il cordless scivolò via dalla sua mano e cadde per terra, diffondendo nella stanza la voce alta e frenetica di Kise come fosse solo un sussurro, facilmente coperto dalla voce concitata della giornalista che si affrettava a dare la notizia più contesa del giorno: il ripudio del giovane genio dell’economia Akashi Seijuro.
“Ma cosa diavolo…?!” provò a dire Seiji, gli occhi sgranati quanto quelli del padre, ma si interruppe da solo quando venne aperto un collegamento con quella che sembrava in tutti i sensi una conferenza stampa presieduta da nientemeno che Akashi Seito in persona.
L’uomo alto e austero, dai capelli neri e gli occhi piccoli e freddi dietro gli occhiali squadrati, sedeva eretto e impassibile nel suo completo elegante di fronte ai microfoni e alle telecamere, all’apparenza per nulla turbato dai fatti che lo avevano portato lì in quel momento.
Il comportamento di Seijuro” stava dicendo, “è stato inaccettabile per troppo tempo. Ho voluto chiudere un occhio e tollerarlo perché si trattava di mio figlio, ma per me non è più possibile fare lo stesso in seguito ad alcuni recenti avvenimenti, sui quali sono costretto a mantenere il massimo riserbo. Seijuro è stato sollevato da tutti gli incarichi a lui affidati e…
Kuroko smise di ascoltare realmente dopo la prima frase.
Akashi…ripudiato?! Non era possibile, non poteva essere! Perché?! Che cosa era successo?!
“Cosa…Cosa vuol dire, questo?” sussurrò all’improvviso Seiji, alzando uno sguardo confuso sul padre, ma Kuroko non riuscì a trovare nulla da rispondergli.
Rimasero fermi, in silenzio con gli occhi fissi sulla televisione, fino a quando Midorima e Takao non fecero pressoché irruzione in casa loro.
 
Tetsuya spostò appena la tendina bianca della finestra della cucina, quella che dava sul giardino, e si concesse un attimo per osservare Seiji che giocava con Numero Tre, l’husky primo cucciolo di Nigou rimasto l’unico cane di casa da ventiquattro mesi, quando suo padre era venuto a mancare, placidamente e nel sonno, per la vecchiaia.
Cane e ragazzino sedevano sull’erba del prato e tiravano i due lati di un pezzo di corda, in un ridicolo tiro alla fune sotto lo sguardo attento di Kazunari, mentre Midorima si era recato in ospedale per un’emergenza. Kuroko aveva detto di non sentirsi molto bene, dando la colpa al recente attacco di cuore, ed era stato messo a riposo sul divano mentre tutti gli altri uscivano dalla casa per lasciarlo tranquillo.
Era certo che anche Seiji fosse inquieto quanto lui per ciò che era successo quella mattina, ma il ragazzino sembrava determinato a fingere che non gli importasse, forse per non preoccuparlo ancora di più, e Tetsuya sapeva che alla fine, quella volta, toccava a lui farsi avanti.
Osservò il quindicenne ancora per un attimo, dubbioso, ma alla fine premette il tasto di chiamata sul cellulare che teneva tra le mani da quasi quindici minuti e se lo portò all’orecchio con un sospiro profondo.
Non squillò che una volta prima che una voce ben nota, calda e profonda quanto frizzante e piacevole, rispondesse.
Tetsuya.” Nessun saluto né esitazione, il nome proprio dell’azzurro gli scivolò lungo la schiena facendolo tremare.
“…Akashi-kun.” sospirò, chiudendo gli occhi. Si sentiva già così stanco e non era certo di avere la forza di resistere alla battaglia che sicuramente Seijuro lo avrebbe costretto ad ingaggiare. Iniziò immediatamente a pentirsi della sua scelta, ma ormai era costretto ad andare avanti. “Cosa stai facendo?”
Non so di cosa tu stia parlando.” commentò placido Seijuro e Kuroko quasi, quasi, gli credette.
“Non sono un eremita, Akashi-kun.” ribatté, serio, “Ho la televisione e guardo il telegiornale.”
Oh, quello.” minimizzò il rosso e l’azzurro per qualche motivo lo immaginò scacciare la sua affermazione con un gesto elegante della mano, “Mio padre ha messo su un bello spettacolo, vero? Non ho ancora avuto il piacere di vedere l’intervista, ma Reo mi ha assicurato che si è giocato tutte le sue carte migliori.
Tetsuya esitò.
Quindi era vero, Akashi non aveva ancora visto la notizia in televisione, però sapeva che l’intervista era stata rilasciata eppure sembrava così…calmo. Quasi strafottente nel suo tono di voce soddisfatto e indifferente all’attacco vizioso del suo stesso padre.
“Perché…” esitò ancora un attimo – aveva davvero diritto di chiedere? – ma ormai aveva chiamato e il terrore che tutto quello fosse colpa sua fu più forte del pudore e lo portò a sussurrare, “Perché ti ha ripudiato?”
Per qualcosa per cui avrebbe dovuto ripudiarmi quasi sedici anni fa, anzi probabilmente anche prima dal suo punto di vista, però credo che cacciare di casa un ragazzino di tredici anni avrebbe forse potuto essere troppo anche per lui.” fu la tranquilla e immediata risposta del rosso.
Kuroko ci mise poco a capire a cosa facesse allusione, ma questo non lo fece sentire meglio. Alla fine, era davvero colpa sua.
“Ti avevo detto…”
E io ti ho ignorato.” lo interruppe Akashi senza alcuna difficoltà, in quel suo modo al contempo arrogante ed elegante, al di sopra del resto del mondo, “Adesso, Tetsuya, sai cosa sto facendo?
“…Ti comporti da idiota e rovini la tua vita per sempre?”
Molto divertente.” Non sembrava che lo pensasse davvero. “Sto guidando, invece.
Kuroko si trattenne a stento dall’aggrottare la fronte, confuso.
“Guidando?” chiese, fallendo miseramente nel trovare il collegamento tra quella risposta e il discorso iniziale.
Verso Tokyo.
“Cosa?!”
Seiji alzò gli occhi, sorpreso, nel sentire la voce di sua madre alzarsi un pochino, ma Tetsuya scosse la testa da oltre la finestra, facendogli capire di non doversi preoccupare, e quindi tornò a giocare con il cane, unico rimedio efficace per il caos nella sua mente.
Sono quasi lì.” continuò Akashi, ignaro della situazione, ma la sua voce si fece più seria, “Noi due dobbiamo parlare e tu farai meglio a smettere con tutte le tue irritanti bugie o altrimenti ci saranno conseguenze. Sono stato chiaro?
“Akashi-kun…”
A dopo, Tetsuya.
“Aspetta, Akashi-kun!”
Il ‘bip-bip-bip’ ritmico della chiamata interrotta gli risuonò nelle orecchie per parecchi secondi prima che lui riuscisse a trovare il coraggio di riagganciare. I suoi occhi si focalizzarono di nuovo su Seiji.
Anche dopo tanti anni senza vedere Seijuro, Kuroko sapeva che c’erano guai in arrivo.
 
Quando sentì suonare il campanello della propria porta, Kuroko sapeva che si trattava di Akashi così andò ad aprire a passo lento e sconfitto, per niente entusiasta della discussione in arrivo. Con la mano già sulla maniglia, pensò per un attimo di fingere di non essere in casa: Midorima era ancora in ospedale, Takao aveva portato via Seiji con una scusa appena Tecchan gli aveva detto che Akashi era in arrivo e Kise e Aomine erano stati avvisati di rimanere a distanza di sicurezza per un po’ e avrebbero fatto da ostacoli nel caso Seijuro si fosse trattenuto più a lungo del previsto e fosse stato necessario tenere il piccolo Kuroko fuori di casa ancora per un po’; nessuno avrebbe aperto al rosso e lui sarebbe stato costretto ad andarsene, no?
“So che sei lì dietro, Tetsuya. Non costringermi di nuovo ad arrampicarmi sul pergolato del retro, non ho più sedici anni.”
Con un sospiro sconfitto, Kuroko aprì la porta.
Di fronte a lui, splendente in un paio di jeans, una camicia bianca e quella maledetta giacca di pelle vecchia di diciassette anni che era stata l’ultimo regalo di Tetsuya e che l’azzurro ormai iniziava a credere portasse sfortuna, stava un ghignante Akashi Seijuro con le mani placidamente infilate in tasca e il peso del corpo bilanciato su una gamba sola. Tale ammaliante creatura sollevò un sopracciglio.
“Non avrai pensato di fingere di non essere in casa, voglio sperare.” commentò e Kuroko si chiese quando mai si sarebbe esaurito il suo potere di leggere nella mente delle persone.
“Sai che non mi arrendo fino alla fine, Akashi-kun.” ribatté solo, apatico, ma intanto si fece da parte per lasciar entrare il rosso, che si tolse educatamente le scarpe prima di guardarsi un attimo intorno.
“Sono cambiate un po’ di cose dall’ultima volta che sono stato qui…” commentò distrattamente.
Kuroko era confuso da quel comportamento così tranquillo, ma la sua mente stabilì che stare al gioco era meglio che iniziare la conversazione per la quale il rosso era lì nel suo soggiorno.
“I miei si sono trasferiti all’estero e Midorima-kun e Takao-kun sono andati a vivere al piano di sopra.” spiegò, “Abbiamo dovuto riaggiustare un po’ tutto.”
Akashi annuì, riconoscendo la situazione, e con tranquillità si avvicinò alla libreria del salotto, oltre il divano, per osservare la fila di fotografie che faceva bella mostra di sé nello scaffale centrale. Tetsuya rimase a guardarlo senza permettere ad alcuna espressione di posarglisi sul viso, ma il suo cuore si strinse un pochino quando il rosso prese con delicatezza una delle cornici, la prima della fila, e si aprì in un tenue sorriso.
“Il giorno della sua nascita?” azzardò Seijuro, tenendo gli occhi fissi sull’immagine di un giovanissimo Kuroko, nemmeno diciannovenne, che in una tunica da ospedale, seduto in un lettino rigido e circondato dal bianco teneva tra le braccia incrociate un bambino minuscolo, tutto rosso, che a giudicare dall’espressione e dall’apertura della bocca stava certamente piangendo a tutta forza.
“Qualche settimana dopo.” corresse Kuroko, ma anche lui si mise a guardare quell’immagine, “È dovuto stare in incubatrice per un po’, prima che potessi prenderlo in braccio. È nato di otto mesi.”
Akashi sembrò assorbire quelle parole una ad una, come una spugna, ma non staccò mai gli occhi dalla foto.
“Sembri felice.” commentò dopo un attimo.
“Lo ero.” assicurò l’azzurro, senza un secondo di esitazione, “Lo sono ancora.”
“E allora perché hai pensato che io non lo sarei stato?”
Kuroko si irrigidì.
Alla fine era arrivato il momento, la discussione che avrebbe voluto evitare per sempre, ma quando Seijuro alzò gli occhi rossi sui suoi e riappoggiò la fotografia, seppe che questa volta non gli sarebbe stato permesso scappare.
A sorpresa, però, Akashi, non attese la sua risposta.
“Ma non è stato solo per questo, vero?” lo incalzò, ma a bassa voce, senza aggressività, negli occhi la calma e la serenità di chi ha capito e non porta rancore nonostante tutto, “Avevi paura di mio padre, sapevi com’era e che non avrebbe accettato una cosa del genere, che sarebbe potuto arrivare a fare qualsiasi cosa, e così hai scelto di andartene e tenere il segreto perché pensavi fosse la cosa migliore per tutti. Per me, per te e soprattutto per il bambino. Sbaglio?”
Tetsuya provò a sostenere lo sguardo di Akashi, ci provò a lungo e per alcuni minuti ci riuscì anche, ma poi il silenzio e quelle parole e la notizia di quella mattina nella testa gli abbassarono le palpebre e la testa.
“È stato inutile, alla fine.” mormorò, “Non ha cambiato nulla.”
“Ha cambiato moltissimo, invece.” scosse la testa Seijuro, questa volta girandosi verso di lui apertamente, “Ha cambiato che sei riuscito a far nascere nostro figlio e a crescerlo in un ragazzo meraviglioso. Con mio padre alle calcagna, non sarebbe stato così semplice.”
Kuroko aggrottò la fronte a quelle parole e senza quasi accorgersene alzò la testa, alla ricerca dell’espressione di Akashi per potervi leggere un’emozione che desse loro un senso, ma ciò che trovò fu un Seijuro troppo vicino.
Il rosso era a meno di un passo da lui e Tetsuya provò ad indietreggiare, ma questi si spostò e lo costrinse a chiudersi con le spalle contro il muro, privo di vie di fuga. Sul viso un’espressione seria, Akashi lo fissò dritto negli occhi, dall’alto di quei suoi sette centimetri di vantaggio.
“Ho detto a mio padre di avere un figlio illegittimo da un altro uomo, che per caso si è scoperto in grado di avere figli.” raccontò, calmo ma non per questo noncurante, “E che non rimpiangevo nulla se non il non essere stato con loro in questi passati quindici anni. Adesso, dico lo stesso a te.” Un piccolo ghigno gli salì alle labbra, spezzando il momento, “Comunque, ho intenzione di cambiare qualcosa, in tutto ciò.”
Tetsuya sentì il cuore accelerare pericolosamente i battiti quando Seijuro gli si avvicinò ancora di più e d’istinto gli mise le mani sul petto, cercando di allontanarlo, ma solo finendo per percepire, sotto la stoffa sottile della camicia, il calore e la robustezza del suo corpo e il suo battito forte e regolare, stabile.
“Akashi-kun…” Pessimo errore, pessimo.
“Prima di tutto,” lo precedette però il rosso, arrivando anche a mettergli un indice sulle labbra per farlo tacere, mentre poggiava l’altra mano al muro accanto al fianco dell’azzurro e su di essa reggeva tutto il suo peso, arrivando ancora più vicino alla sua preda, “ho detto a Reo di farmi avere i documenti per il riconoscimento di Seiji entro domattina. Ovviamente ne parlerò con lui e, se preferisce, aspetteremo a farli ufficializzare, ma comunque li avrò con me.” Più vicino, ancora un po’, e le punte dei loro nasi si sfiorarono. “Secondo passo, al primo momento possibile io, te e Seiji salteremo su un aereo e andremo a quella maledettissima chiesa gay in America, quella dove parlavamo di sposarci quando saremmo dovuti andare al college, e finalmente ti renderò mia moglie così da essere sicuro che non cercherai di scapparmi un’altra volta come ti sei divertito a fare fino ad ora.” La mano di Akashi che prima tappava la bocca di Kuroko scivolò via, cancellando l’ultimo ostacolo tra i loro visi, per andare a posarsi sul fianco dell’azzurro, possessiva, “Come terzo punto, torneremo a casa e lasceremo Seiji con Shintarou per una notte e tu sai cosa significa. Infine, in quarto luogo, la mattina successiva noi tre ce ne andremo da qualche parte, da soli, lontano da tutto e tutti, e passeremo la giornata assieme con te e Seiji che mi raccontate tutto ciò che mi sono perso in questo tempo.” Un ghigno improvviso e malizioso fiorì sul viso del rosso. “Ovviamente, sempre che tu riesca a camminare, altrimenti dovremo rimanere a casa a rispolverare le vecchie foto di famiglia.”
Tetsuya sentiva le lacrime agli occhi, ma nonostante gli anni a fare da ombra non riusciva a ricordare come potesse nasconderle. Le immagini che Seijuro gli aveva dipinto con maestria nella mente, come il più raffinato dei pittori, erano meravigliose e tentatrici, ammalianti nella loro semplicità calda e intima, nella gioia docile che gli preavvisavano, ma lui esitava nel concedersi ad esse e all’uomo che con così tanta costanza stava lottando per lui. Nella sua mente, le vecchie paure faticavano a morire.
“E…” la voce gli si spezzò, deglutì, continuò a tremare ma fece finta di niente, “…tuo padre?”
Akashi alzò gli occhi al cielo, sorprendendolo.
“Io non ho più un padre, Tetsuya, l’hai visto.” rispose, di nuovo…maleficamente soddisfatto, avrebbe detto l’azzurro. Uno stre-gatto compiaciuto di sé. “E anche se l’avessi, reputo la mia paternità molto più importante della sua.” Via il sorriso, su uno sguardo serio, ma Seijuro non si allontanò di un passo e la sua mano sul fianco dell’azzurro rimase salda e tiepida, rassicurante. Chiudendo gli occhi, il rosso appoggiò la fronte su quella del compagno, che non poté far altro che mugolare qualcosa e abbassare a sua volta le palpebre, lasciandosi cullare da quella voce. “Tetsuya,” sussurrò questi, quasi malinconico, “so per esperienza personale quanto male faccia vedere il proprio padre preferire il nome di famiglia a suo figlio. E mi rifiuto di fare lo stesso.” Kuroko aprì gli occhi, sorpreso da quella ‘debolezza’ svelata, solo per vedere Akashi fare lo stesso, nel medesimo istante. Entrambi sorrisero un pochino a quella sincronia. “Mi rifiuto anche,” mormorò Seijuro, spostando la mano dal muro alla guancia di Tetsuya, “di lasciare te di nuovo. L’altro ‘me’ lo ha fatto e ne è finito distrutto, io ho ripetuto l’errore e ho passato sedici anni della mia vita a sentire la tua mancanza: non lascerò che accada una terza volta.”
Kuroko deglutì. Cosa poteva fare? Di fronte a tutte quelle parole, di fronte a quell’amore, cosa gli restava? Cosa poteva dire ancora?
“Mi dispiace…” gli scivolò dalle labbra, come una lacrima di aria e voce, “Quello che ti ho detto l’ultima volta, io non l’ho mai, mai, neanche una volta, pensato davvero. So chi sei, mi fido della persona che sei, e scommetterei la mia vita che non faresti mai del male né a me né a Seiji.”
Akashi sorrise di più, luminosamente, e annuì anche se ancora con la fronte premuta contro quella del fantasma.
“Lo so.” lo rassicurò, sentendolo vicino alle lacrime, e piano gli carezzò la guancia, “Però, per favore, smettila di provare a proteggermi da mio padre. Lui non è niente per me, se paragonato a quanto tengo a te e a Seiji.”
Kuroko scosse un po’ la testa, ma senza riuscire veramente a trovare la volontà di staccarsi dalla fronte e dalle mani di Akashi.
“Però…cosa farai adesso?” tentennò, ancora esitante dopo tanto tempo.
Seijuro ridacchiò appena, di una battuta che solo lui riuscì a capire.
“Nel prossimo futuro, mi occuperò della mia azienda personale, che per tua informazione sta andando avanti già da cinque anni, fiorente e assolutamente libera da ogni minimo legame con mio padre; quindi, appena avrò firmato quelle famose carte, rilascerò un’intervista per dire al mondo intero che sono un gay felicemente sposato con un ermafrodita e orgoglioso del suo splendido figlio legittimo.”
“Che cosa?!”
“In questo preciso momento, invece, mi limiterò a baciarti.”
“Akashi-kun, aspett-…!”
Ma prima delle parole di Kuroko, arrivò la lingua di Akashi. Tra le sue labbra schiuse, si insinuò nella caverna della sua bocca e iniziò a tastarla con cura, esplorandola con voracità, riscoprendo ogni millimetro che già in passato aveva reclamato come suo e suo soltanto e che tale era rimasto anche in tutti quegli anni.
Tetsuya voleva rifiutarlo, trovare la logica che aveva smarrito, pensare seriamente a quante difficoltà tutto quel disastro avrebbe creato, ma invece si limitò a schiudersi ancora di più, come un fiore, allargando le braccia per avvolgere il rosso, divaricando un po’ le gambe per lasciargli infilare un ginocchio tra esse, reclinando un po’ la testa dal lato per garantirgli un migliore accesso.
Quel bacio, oh, quel bacio lui lo avrebbe potuto riconoscere tra miliardi. Era Akashi, solo Akashi poteva farlo così, come se stesse comandando e venerando allo stesso tempo, facendolo sentire un soldatino obbediente e la creatura più bella del creato senza mai esagerare né pretendere troppo, senza diventare prepotente né stucchevole. Caldo come l’inferno e accogliente come il paradiso.
La gioia era così forte in lui che alla fine spezzò la sua poca resistenza lasciando cadere le lacrime dai suoi occhi alle sue guance. Era tutto così perfetto…
La bocca di Akashi si staccò di botto dalla sua, ma lo fece con violenza, come fosse stata strappata via, e Kuroko aprì gli occhi di scatto, sgomento, quando sentì Seijuro lamentarsi debolmente.
In piedi tra lui e il rosso, in una posa difensiva, pronto a proteggere sua madre, Seiji fissava con furia il padre a cui aveva appena tirato un pugno in faccia.
“Ma chi cazzo ti credi di essere, tu?!” gli urlò contro, furibondo, e prima che Kuroko potesse fermarlo, appena Akashi voltò il viso verso di lui tenendosi una guancia con la mano, il ragazzo si gettò di nuovo verso il padre, tentando di colpirlo ancora.
“Fermati, Seiji!” urlò Tetsuya, scioccato, ma il rosso più grande afferrò il ragazzino per i polsi con abilità e poi scoccò all’azzurro un’occhiata che gli diceva di lasciarlo fare.
“Sei un bastardo! Vattene da qui!” gridava Seiji, dimenandosi con la stessa foga che aveva usato per scappare dagli insegnanti della Rakuzan, e Seijuro lo lasciò fare, ignorando gli insulti, fino a quando non riuscì a lasciargli i polsi e ad afferrargli le spalle.
Mentre ancora il ragazzino imprecava e cercava di colpirlo, Akashi se lo strinse al petto, bloccandogli il corpo con un braccio e istintivamente mettendogli l’altra mano a coppa sulla nuca, carezzandola piano.
Tetsuya sentì un brivido strano all’idea che Seijuro, senza neanche farlo apposta, avesse indovinato il punto debole di suo figlio.
Figlio che continuava a colpirlo con pugni sempre più fievoli, mentre gli insulti venivano via via spezzati da singhiozzi tremuli e malamente nascosti.
“…S-sei un bastardo…” sussurrò Seiji alla fine, ma le mani questa volta si chiusero sulla stoffa della sua camicia, come a volergli impedire di andarsene di nuovo, “Ti…Ti odio…”
“Lo so, lo so.” lo rassicurò Seijuro, senza quasi far caso a quelle parole, solo stringendolo cercando di tenere a mente tutte le volte in cui, sapeva, un abbraccio di suo padre sarebbe bastato a liberarlo dal suo inferno, “Sono qui apposta per farti cambiare idea.”
Seiji strofinò il viso contro il suo petto, come la sera prima aveva fatto con Tetsuya, e cercò il suo odore come fosse stato un cucciolo, ma non smise di piangere.
“…Odio questo tuo ego…” borbottò comunque.
Tetsuya ridacchiò, anche lui in lacrime, nell’osservare quella scena e Akashi gli sorrise e allargò un braccio perché si unisse alla stretta. L’azzurro avvolse il figlio e si strinse al compagno, cercandone il calore, e Akashi rafforzò la presa su entrambi.
“Temo che questo sia qualcosa che non può essere cambiato.” finse di sospirare.
Seiji tirò su col naso.
“Sei fortunato che mamma mi abbia insegnato a non essere capriccioso.” ribatté, sagace nonostante la voce roca.
Akashi ridacchiò, scoccando un’occhiata a Kuroko.
“Beh, dovremo proprio premiarla per questo, allora.” commentò, quindi cercò il viso di Seiji per incrociare i suoi occhi e sorridergli, “Che ne dici di cucinare il pranzo per lui?”
“Akashi-kun, tu non sai cucinare.” si intromise Kuroko, suo malgrado temendo per la propria cucina.
Seijuro sollevò orgogliosamente il mento in direzione del compagno.
“Ma la rosticceria all’angolo della strada sì.” replicò, come fosse un suo grande vanto, e il rosso più giovane si staccò un po’ da lui, pur mantenendo l’abbraccio con una mano, per asciugarsi il viso con l’altra.
“Fanno anche i milk-shake…” aggiunse, per prendere in giro Tetsuya e cercare di convincerlo ad accettare quella proposta.
Akashi alzò gli occhi al cielo.
“Vaniglia?” provò ad indovinare, l’irritazione per quel gusto palese nella sua voce.
Seiji rispose con una smorfia disgustata.
“Puah! Cioccolato!” corresse, scuotendo la testa, “Solo mamma mangia quella schifezza!”
“Questo è mio figlio.”
Kuroko sbuffò alla complicità dei due.
“Perché non ve ne andate a comprare il pranzo per voi e non ve lo mangiate sul portico? Perché io sto per chiudervi fuori entrambi.”
Seijuro ghignò. All’improvviso si tirò Tetsuya più vicino e accostò le labbra al suo orecchio, con fare malizioso.
“Attento a non tentarmi.” sussurrò, invitante, “Sto già pensando fin troppo a come chiudere te da qualche parte…”
“SEIJURO!” esclamò immediatamente Tetsuya, utilizzando ogni oncia del proprio autocontrollo per non arrossire vistosamente di fronte al figlio, tradendo le sconcezze appena dettegli dal padre.
Seiji sollevò un sopracciglio, ma invece che verso l’azzurro si volse verso il rosso.
“Dovrò abituarmi a sentire mamma chiamarti per nome?” chiese.
Akashi sorrise, affettuoso.
“Preferirei ti abituassi a chiamare me ‘papà’.” replicò arruffandogli i capelli con una risata.
 
Punto uno. Punto due. Punto tre. Punto quattro. In quanto poco Akashi mantenne tutte quelle promesse fatte al suo Tetsuya.

Un ragazzino dai capelli rossi e gli occhi di due colori, uno scarlatto ed uno turchese però nascosto dal ciuffo, sorrise al suo primo giorno nella nuova scuola, il liceo Seirin di Tokyo, e alzò il mento con orgoglio presentandosi come Akashi Seiji.


 
Sono di corsa, chiedo scusa, quindi queste saranno note veloci.
Mi riservo di dire ciò che devo nel prossimo capitolo, che sarà l'epilogo, quindi questo è solo un ringraziamento per tutti voi che siete arrivati fin qui.
Detto ciò, un po' di informazioni: -Ho pubblicato una Rating Rosso dal titolo "Terapia di Gruppo" (IzukiXKurokoXTakao);
                                                              -Dovrei pubblicare a breve una KuroAka dal titolo Dolcezze di prime volte
                                                              -Pubblicherò a breve una One-shot dal titolo "Il sogno pacato di un Fantasma e Dama Morte" ma non so ancora quando riuscirò a tradurla (forse il titolo resterà in Inglese, "The peaceful dream of a Ghost and Lady Death" ma ancora non so) :)
Come al solito, potete trovarmi su Tumblr, QUI.
A presto allora!

Agapanto Blu

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Capitolo 7
*** Epilogo ***











Sei pronto?

 
-EPILOGO
 
Sei pronto? È il momento della verità!
Akashi Seiji aveva diciotto anni, capelli rossi, occhi eterocromi e due padri quando aprì la lettera dalla facoltà di Medicina della Tokyo University e scoprì di essere stato accettato.
Lesse con avidità ogni singola parola, assorbì orari e nomi di professori che già aveva sentito nominare, quindi aspettò ancora un po’, per puro sadismo, ghignando mentalmente nel sentire gli sguardi fissi sulla sua schiena.
 
“Ohi, non spingere, Kise!”
“Allora?! Allora?! Riesci a vederlo in faccia, Aominecchi?! Lo hanno accettato?!”
“Ma come cazzo faccio a saperlo, io?!”
“Anche se lo vedesse in faccia, non capirebbe lo stesso, nanodayo.”
“Seiji-chin è come Kuro-chin, però non mi viene voglia di distruggerlo.”
“Kuroko-kun distruggerebbe te se solo ci provassi, Atsushi.”
“Ben detto, bro. Ohi, non spinget-…Ugh!”
“Bakagami, togliti di mezzo! Usiamo l’Occhio di Falco di Takao per leggere cosa c’è scritto sulla lettera!”
“Eh?! Aspettate, non funziona così!”
“Hyuuga, così lo uccidi.”
“Kiyoshi-san, è meglio se lo lasci passare. Ho abbastanza informazioni su di lui per sapere che potrebbe ucciderti tranquillamente, in questo momento.”
“Momoi, non dargli corda!”
Come on, calmati, Riko-chan! You’re no cute at all when you get angry!
“Ragazzi, date retta ad Alex-san e lasciate passare Reo-nee!”
“La tua ipocrisia mi stupisce ogni volta, ‘amore’.”
E mentre Kagami, Aomine e Kise si spintonavano, mentre Hyuuga cercava di trascinare per la collottola Takao verso il vetro e Teppei cercava di impedirglielo, mentre Momoi e Riko bisticciavano tra loro con Alex che tentava di fermarle, mentre Himuro e Murasakibara parlavano piano tra loro e mentre Reo battibeccava offeso con Chihiro e Midorima se ne stava appoggiando al muro, tutti spiando – chi apertamente e chi fingendo disinteresse – in modo ben poco discreto da dietro la tendina della finestra del salotto – l’unica con vista cassetta delle lettere –, Kuroko sospirò desolatamente.
Una piccola risatina lo raggiunse assieme al braccio che gli cinse le spalle.
Quando alzò gli occhi su di lui, Seijuro gli sorrise.
Sedevano entrambi sul divano, osservando lo spettacolo dei loro idiotissimi amici – nonché autoproclamati zii del ragazzino oggetto di tutta quell’attenzione –, ed entrambi apparivano calmi, tranquilli, a differenza di tutti gli altri. Kuroko sbirciò suo marito, elegante con ancora i pantaloni del completo e con una camicia bianca, e tra sé e sé si scoprì sorpreso per l’ennesima volta, così abbassò istintivamente gli occhi sulla fede nuziale che portava alla propria mano sinistra.
Akashi notò il suo sguardo e sorrise, intenerito. Tetsuya sembrava sempre meravigliarsi di quell’anello, la prova della loro vita coniugale, ed era comprensibile, ma per lui quel simbolo era solo uno dei tanti miracoli da venerare ogni volta che posava lo sguardo sulla figura minuta di suo marito.
Abbassò lo sguardo sul suo petto. Non poteva vederlo, ma sapeva che era lì dentro: il nuovo cuore di Kuroko, risultato di un’operazione di circa sei ore avvenuta un anno e mezzo prima, era una meraviglia nascosta e silenziosa, ma grazie al cielo forte ed efficiente.
Abbassò ancora un po’ gli occhi. Quella invece era una meraviglia impossibile da non notare.
Delicato, Seijuro allungò una mano ad accarezzare il ventre rotondo e rigonfio del marito e lo accarezzò piano fino a sentire un movimento del piccolo all’interno, all’incirca sul fianco sinistro dell’azzurro.
Kuroko alzò immediatamente gli occhi su di lui.
“Hai sentito?” chiese piano, ma con una scintilla viva e ammaliata negli occhi.
Akashi sorrise e annuì.
“Sta dicendo anche lui che gli zii sono degli imbecilli.” dichiarò, rubando un bacio dalle labbra del più piccolo, “Ovviamente il suo fratellone è stato accettato.”
Ovviamente.” ripeté Kuroko, alzando gli occhi al cielo ma aprendosi in un piccolo sorriso, “Dopotutto, è figlio tuo.”
“Appunto. È assoluto come me.”
Tetsuya scosse la testa, sospirando di nuovo ma tutto sommato divertito dall’arroganza del rosso, quindi tornò ad osservare la finestra.
Il giorno dopo, sarebbe stato ammesso in ospedale e sottoposto ad un taglio cesareo programmato per mettere al mondo senza rischi il suo secondo figlio, Akashi Tetsuhiko, – il ripetersi del miracoloso concepimento non garantiva il ripetersi anche del miracolo della sopravvivenza di padre e figlio senza trattamenti adeguati, aveva detto Midorima brontolando – ma per quel momento almeno si sarebbe concentrato solo su Seiji e se lo sarebbe tenuto stretto prima che la nascita del fratellino e la sua partenza per l’Università lo allontanassero da lui sensibilmente. Si sarebbe anche trasferito, dicendo di essere pronto a vivere da solo e costringendolo ad ammettere che una casa con un bambino appena nato sarebbe stata ben troppo poco tranquilla per permettere ad un futuro dottore di studiare bene.
“Andrà bene.” Kuroko sobbalzò, sorpreso, e riportò gli occhi su Akashi, ma questi continuò a sorridergli come avesse letto perfettamente i pensieri nella sua mente, “Seiji è intelligente, saprà cavarsela. Tu preoccupati per Tetsuhiko, che avrà tutta questa gente attorno per i prossimi diciotto anni della sua vita almeno.”
Tetsuya sorrise a quelle parole e si appoggiò al fianco del marito posando la testa alla sua spalla, sospirando docilmente nel calore del suo corpo, ma non rispose. Si sarebbe preso il diritto di preoccuparsi ancora per un po’, indipendentemente da cosa dicesse Seijuro.
Seiji entrò in quel momento dalla porta d’ingresso e si fermò sulla soglia del salotto. Si godette ancora un po’ la sofferenza e le espressioni trepidanti degli zii e solo quando Kise arrivò in punto di morte si aprì in un sorriso vittorioso e alzò la lettera di ammissione al cielo in segno di trionfo.
Quindi, fu investito da una calca di corpi.
Il coro di due sospiri fu coperto dalle voci entusiastiche di quella folla.
“Seijuro?”
“Sì?”
“Potresti gentilmente andare a salvare nostro figlio?”
Akashi ridacchiò, ma si alzò in piedi e si diresse verso la massa di zii che attorniavano il festeggiato rischiando di soffocarlo o calpestarlo probabilmente. Tetsuya lo osservò con un sorriso, quindi passò la mano sul proprio ventre in una carezza leggera ma amorevole.
“Non preoccuparsi, Tetsuhiko.” mormorò piano, attento a non farsi sentire, “Anche se tutti sono un po’ matti, stai per nascere in una famiglia meravigliosa.”
Tetsuhiko tirò un calcetto delicato alla madre e Tetsuya sorrise nel decifrare quella risposta.
Lo so., diceva, Sono pronto.
 
FINE

 
E il grazie più grande del mondo va a __Bad Apple__ per il meraviglioso banner e il commento alle storie: Grazie mille, sono stata felicissima di poter partecipare ad entrambe le edizioni del "Progetto: Ripopola Fandom" e sarò felice di continuare per una eventuale terza edizione! :D
Detto ciò... Finita!
Non ho molto da dire, ciò che volevo l'ho scritto prima ancora dell'Epilogo e spero l'abbiate letto perché per me era molto importante.
Detto ciò, se vi interessa, sul mio Blog Tumblr,
QUESTO, ho postato alcuni disegni di Seiji che delle lettrici sono state tanto gentili da fare :)
Che altro? Niente... Storia finita, Agap sparisce e fine della fiera (seh, vi piacerebbe!) ;)
L'unica cosa che mi resta da dirvi è che sull'account Tumblr riprenderò ad accettare PROMPT e RICHIESTE dal 3 Luglio: fandom, originali, all'incirca qualsiasi ship :)
A presto allora!


Agapanto Blu

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