Saint Seiya: The Golden Age - by Lisaralin

di Lisaralin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Eyes of time ***
Capitolo 2: *** A day in the life ***
Capitolo 3: *** Albireo ***



Capitolo 1
*** Eyes of time ***


Io e whitemushroom proprio non resistiamo all'idea delle raccolte. Ci siamo divise i Cavalieri d'Oro a metà, tramite sorteggio, e adesso il nostro arduo compito è scrivere una flashfic/oneshot per ciascuno di loro. Per il momento non saranno presenti i Gold Saint di Next Dimension, dato che Kurumada ancora non si è degnato di svelarceli tutti. Ma non è detto che non li recuperemo in futuro.
Che Athena ci assista nell'impresa!

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Personaggio: Virgo Asmita
Serie: Saint Seiya - The Lost Canvas; riferimenti alla serie classica e a Episode G
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic
Rating: verde
Avvertimenti: la canzone nel testo è Eyes of Time di Ayreon.



Eyes of time

I cannot see with these eyes
my world is dark
like a cold eternal night


Si contemplano migliaia di mondi possibili dalla mano del Buddha.
Nelle fessure tra le sue dita baluginano frammenti di universi. È la vertigine, l’abisso che guarda dentro di te. È l’illuminazione.
È anche l’unico mondo che i tuoi occhi sono in grado di vedere.

I could not tell you no lies
my words are lost
in a shroud of mystery


La meditazione è ricerca.
Spesso cerchi i colori, quelli che non hai mai potuto conoscere: il verde intenso delle foglie, l’azzurro accecante del cielo solcato dal bianco soffice delle nuvole. Preghi perché colino come sangue sulla tela della tua notte.
Altre volte cerchi risposte. Risposte ai piedi incrostati di fango e piagati di ferite. A quei cumuli di stracci sul ciglio della strada che una volta erano persone. Come può il Buddha ostentare quel sorriso sereno di fronte a tanta aberrante miseria?

Tell me what you see
I cannot tell you now
I see the world through the eyes of time


Le risposte che trovi non sono sempre quelle che stavi cercando. Le labbra che proferiranno le loro domande non sono ancora carne, ma solo sogni nelle menti degli dèi.
Arrivano a te attraverso gli occhi del tempo, immagini, frammenti, visioni. Sogni di un mondo giovane, figlio del tuo. Non sai dare loro un posto. Non sai trovarvi un ordine, né comporne un quadro armonioso.
Puoi solo danzare al ritmo vorticoso dei colori del futuro.

Tell me what you feel
I wouldn't know how
I cannot free my mind
from the eyes of time


Gli occhi del tempo ti hanno mostrato tante cose.
Hai visto le fiamme di una salamandra estinguersi tra le lacrime di una regina di pietra.
Hai visto una freccia d’oro, un fiore scarlatto sbocciato su un campo bianco.
Hai visto una maschera dagli occhi vuoti come i tuoi, abbandonata in un campo di rose.
Hai visto una fanciulla dai capelli colore del ghiaccio, colonne possenti come braccia di giganti innalzarsi dal fondo del mare, farfalle arcobaleno tra le schiere putride del regno dei morti.
I colori sanguinano sul manto del buio.

I do not know where I am
I'm lost in time
drifting in eternity
I cannot tell if it's real
or fantasy
or a view of things to come


Ora sei in un luogo diverso, una distesa d’erba. Soffice, odorosa. I petali nell’aria hanno il profumo della quiete, del sorriso enigmatico e sereno del Buddha. La comunione autentica dell’anima con il mondo, l’armonia che è al di là, appena oltre la punta delle tue dita. Forse, rifletti adesso, in fin dei conti non l’hai mai cercata davvero.
Non ti servono gli occhi per riconoscere gli alberi gemelli, l’ultimo santuario terreno del beato Shakyamuni. Ora un’altra anima è in procinto di trasmigrare sotto la loro ombra. Un’anima d’oro, un Cosmo di luce caldo e avvolgente come quello del Buddha. Eppure, non sai spiegartelo, è come se quell’anima respirasse all’unisono con la tua.
Prima di partire dove neanche tu potrai seguirla affida un ultimo messaggio ai petali e al vento.
Arayashiki.

I'm still trying to understand
why do I see the things I see
could it be a future world
that's warning us through me
I'm still trying to understand
why do I know the things I know
does it mean I'm a god
will nobody tell me so?


È la pietra fredda del pavimento nella Casa della Vergine ad accoglierti dopo la visione.
I colori sono solo un ricordo, inghiottiti dalla coltre nera e fredda che ti soffoca da sempre.
Ma una scintilla continua testarda a brillare, malgrado l’assalto delle spire del buio.
Le hai viste chiaramente, ne hai percorso i contorni attraverso gli occhi del tempo, e ora sono impresse a fuoco dentro di te, senza possibilità di errore.
Centootto sfere. Centootto perle per altrettante anime impure.
Per una volta, forse, hai trovato una risposta per cui vale la pena sorridere.

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Note: malgrado io ami la canzone e Ayreon in generale la melodia non mi convince, non ha nulla di Asmita. Ma il testo, nonché la storia del bardo cieco che riceve visioni dal futuro, mi ha fatto pensare a lui, anche per via della grande tristezza e solitudine che caratterizzano il personaggio.

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Capitolo 2
*** A day in the life ***


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Personaggio: Pisces Amor
Serie: Saint Seiya Omega
Genere: Introspettivo, Slice of Life, Commedia
Rating: verde
Avvertimenti: io Omega lo immagino ambientato ai nostri giorni, anche se non so quanto la cosa sia canon. Quindi sì, per quanto mi riguarda esistono gli smartphone. Il titolo è un tributo ai Beatles, e l'autrice in persona fa una piccola comparsa, che vi sfido a trovare :)



A day in the life

Se lo era immaginato diverso, il suo primo viaggio in Italia.
Una gita in gondola tra i colori della Laguna all’alba, magari; o una prima alla Scala, con un completo Armani fresco di stireria e una fascinosa bellezza locale al braccio. E, se proprio la scelta doveva ricadere sulla Città Eterna, in cima alla sua lista dei desideri ci sarebbe stata la Cappella Sistina. Fuori dall’orario di visita, naturalmente, con una guida privata e lontano dagli insopportabili schiamazzi dei turisti. È possibile, se conosci le persone giuste. E Amor conosce sempre le persone giuste.
Di schiamazzi ne risuonano fin troppi nella bolgia sotterranea in cui è intrappolato. E dall’afa che gli incolla addosso la camicia gli sembra quasi incredibile che in fondo alla fiumana di gente non ci sia Minosse in persona ad attenderli, con la cosa serpentina avvolta intorno al corpo di demone. Fosse per lui avrebbe optato per un noleggio con conducente, interni in pelle e aria condizionata a volontà, ma sua sorella è stata decisamente categorica sulla questione del non dare nell’occhio. E dove Medea indica, Amor colpisce.
Ancora un paio di spintoni e riesce a saltare su un convoglio, evitando per un soffio una ragazzina che si è chinata di colpo per raccogliere da terra una monetina da due centesimi. A giudicare dalle condizioni del pavimento è un miracolo che non crolli all’istante, stroncata da un’infezione letale.
Di posti a sedere, ovviamente, neanche l’ombra. Amor si rifugia alla meglio in un angolo, ben attento a ridurre al minimo il contatto con qualsiasi superficie.
Tra sbuffi e gemiti di ferraglia finalmente il treno si mette in moto. Il vagone è una sauna, e puzza di umanità. Buona parte dello spazio è infestata da turisti vocianti, un’invasione da far impallidire la piaga delle cavallette. Accanto a lui, una signora di mezza età è troppo impegnata a litigare al cellulare per accorgersi della manina che sbuca dalla ressa e le si infila nella borsa a tracolla con l’agilità di un cobra. Probabilmente è l’unico ad averla notata: ovunque si giri le teste sono chine, le spalle curve, i visi illuminati dagli schermi degli immancabili smartphone. Da qualche parte, il cinguettio odioso di un Samsung replicato a getto continuo gli fa prudere le mani dalla voglia di annichilire lo scompartimento con un Bloody Waltz.
La manina riemerge dalla bosa carica di bottino per poi tornare a inabissarsi tra la folla, e Amor decide di cambiare scompartimento. Non è la paura di rimetterci il portafoglio: uno che sa muoversi alla velocità della luce non ha niente da temere da un banale ladruncolo di strada. Il fatto è che – Amor detesta ammetterlo, persino con se stesso – se indugia troppo a osservare certe cose, i contorni di queste prima o poi cominciano a trasformarsi. Succede ogni volta. È inevitabile, come respirare o sbattere le palpebre.
Anche ora, puntualmente, gli occhi della ladruncola di strada si tingono di azzurro, i suoi capelli sporchi mutano in onde acquamarina, e aggrappato al suo braccio ecco apparire un bambino ancora più gracile, cencioso, le labbra tremolanti di chi è sul punto di scoppiare in un pianto a dirotto.
Pensare a quei bambini lo disgusta. Il piccolo in particolare, se lo avesse davanti lo prenderebbe a schiaffi; perché è ridicolo, debole, talmente debole da temere il suo dono e cadere preda dello stesso terrore senza senso degli stolti che allontanano lui e sua sorella a suon di sassate.
Per fortuna il bambino pezzente non è davvero lì. Non tornerà più, ucciso dalla sua stessa debolezza. Ed è un bene.
Venti eterni minuti più tardi il viaggio volge al termine. Amor scansa una coppia di fidanzatini che ha scelto il luogo e il momento più sbagliati per scambiarsi effusioni e guadagna agilmente l’uscita attraverso i tornelli. Prima di imboccare la scala mobile verso la superficie si guarda intorno e in pochi secondi individua ciò che sta cercando. L’odore nella toilette maschile non è esattamente incoraggiante, ma dovrà farsela bastare. Si congratula con se stesso per l’idea di portare una camicia di ricambio: se c’è un’occasione in cui non transige su un aspetto impeccabile è un incontro di lavoro, prima ancora che un appuntamento galante.
Il tempo di cambiare l’indumento sporco di sudore ed è in strada, nel centro affollato di famiglie e turisti e inondato dalla luce accecante della domenica di maggio. Secondo la cartina, il suo contatto lo aspetta in un caffè all’aperto a pochi isolati di distanza.
Una donna che spinge una carrozzina a due posti lo costringe a compiere un largo giro per evitare di rimanere imbottigliato sul marciapiede affollato da una selva di motorini e bancarelle ambulanti.
Hanno tutte lo stesso sguardo le madri, riflette Amor. Diamanti negli occhi, la voce ridotta a un falsetto infarcito di smorfie inintelligibili. Proprio come Medea con il piccolo Eden. Deve essere qualche ormone instabile della maternità, perché sua sorella non è mai stata così frivola. E il piccolo Eden, a dirla tutta, non è davvero nulla di speciale.
L’ultima svolta lo porta lontano dalla strada principale e dalla calca, in uno dei suggestivi vicoletti lastricati di sanpietrini che sembrano usciti da un film d’epoca e rendono la capitale italiana tanto celebre e amata nel mondo. Il piccolo locale è incastonato all’angolo di una deliziosa piazzetta, all’ombra di un pergolato. Poco lontano, una fontana gorgoglia sommessamente. La folla e i turisti sono magicamente spariti, come se appartenessero a un altro pianeta.
Riconosce il suo uomo dall’immagine vista nella sfera di cristallo di Medea. È seduto a un tavolino d’angolo e sorseggia un cappuccino: i tratti del viso fini, capelli fulvi pettinati in onde sulle spalle e abiti che rivelano un gusto quantomeno dignitoso per la moda. Certo, avrebbe preferito una bella fanciulla, possibilmente meno schizzata dell’ultimo acquisto di Mars per la Casa dei Gemelli; ma non si può avere tutto dalla vita.
“Buongiorno” esordisce, prendendo posto di fronte all’uomo che Medea indica come candidato ideale per l’armatura del Cancro.
“Spero tu valga davvero il mio tempo, amico mio, perché non hai idea di che impresa sia stata anche solo arrivare fino a qui.”


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Note: ho preso per buona la storia sull'infanzia di Medea e Amor che lui stesso racconta in un episodio. La nega subito dopo, ma ho deciso di far valere il principio secondo cui in ogni buon racconto c'è sempre un fondo di verità.
Tempo di calciomercato al Santuario, ma la campagna acquisti del nuovo presidente Mars fa davvero acqua da tutte le parti.
 

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Capitolo 3
*** Albireo ***


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Personaggio: Aquarius Dégel
Serie: Saint Seiya - The Lost Canvas
Genere: Introspettivo, Malinconico
Rating: verde
Avvertimenti: ho palesemente barato in quanto la storia non è tanto incentrata su Dégel quanto su un altro personaggio. Ma erano secoli che volevo scrivere di lui e così ne ho approfittato :P



Albireo

Unity maneggia il telescopio come se fosse una reliquia. È l’ultimo ritrovato dell’ottica: obiettivo a tre lenti acromatiche, un metro e mezzo di fuoco, e sette mesi imballato in una stiva prima che il mercantile inglese trovasse il tempo – e l’interesse - di fare tappa a Bluegrad durante il suo giro tra i porti dell’Atlantico settentrionale.
Un tempo Unity aveva detestato vivere in un paese sperduto oltre i confini del mondo e reso inaccessibile dai ghiacci per la maggior parte dell’anno. Un tempo non capiva perché suo padre si limitasse a un sospiro rassegnato quando gli altri reali d’Europa non ritenevano opportuno convocarli per concili o occasioni solenni, o quando l’invito alle nozze dell’imperatore d’Austria era giunto ai loro lidi ghiacciati a cerimonia ormai compiuta da settimane. Un tempo non si capacitava che i più grandi intellettuali del secolo si radunassero nell’insignificante Weimar e facessero i loro grand tour a Roma e tra le rovine della Grecia quando Bluegrad possedeva una delle biblioteche più vaste e ricche del continente.
Un tempo, il principe Unity aveva osato sognare un avvenire di gloria e riscatto per il suo paese.
Sono i gesti meccanici di ogni giorno a impedirgli di ripiombare in certi pensieri. Ancorare il telescopio al cavalletto, manovrare le rotelline d’ottone per portarlo all’inclinazione giusta, guardare attraverso le lenti per verificare il fuoco. I pensieri non spariscono mai veramente, ma la disciplina e la routine aiutano a tenerli sotto controllo.
Il principe se ne vergogna. Non era così che aveva giurato di onorare il sacrificio del suo migliore amico, della persona che ha dato la vita per donare a lui e a Bluegrad una seconda possibilità. Ma le notti sono buie a Bluegrad, e piene di fantasmi. La solitudine comincia a pesare troppo per un unico, fragile paio di spalle.


Non gli piaceva il ragazzino nuovo. Una parte di lui sapeva che era ingiusto, perché in fin dei conti non si erano mai parlati se non per augurarsi buongiorno e buonanotte, ma era una questione di istinto, di antipatia a pelle. Diceva di essere stato mandato dal Santuario in Grecia, ma i modi compiti e l’accento gorgheggiante, che sporcava la bella e severa lingua di Bluegrad con i suoi miagolii patetici, tradivano un’origine diversa. Puzzavano di parrucche incipriate e calzamaglie di seta, di ricevimenti in saloni ricoperti di specchi dorati, di gite in carrozza tra le campagne verdeggianti del sud. Il fatto che Seraphina impazzisse per lui, poi, non faceva che renderglielo ancora più odioso.
Così come era odiosa la sua abitudine di sederglisi accanto in biblioteca per studiare. A suo onore andava detto che non disturbava mai, si limitava a salutare e chiedere il permesso di sedersi e poi restava assorto sui libri per ore senza emettere un fiato, tanto da chiedersi se fosse ancora vivo. A volte Unity lo sorprendeva con lo sguardo perso fuori dalla finestra e una mano poggiata sul mento, all’inseguimento di chissà quali pensieri. Lo osservava per un po’ senza che l’altro se ne accorgesse e poi si riscuoteva a sua volta, tornando agli studi e maledicendosi per aver degnato lo straniero di tanta parte della propria attenzione.



Il cielo è terso, le nevicate sono ancora incredibilmente contenute quest’anno. Solo l’aria pungente, come una cascata di piccoli spilli sul viso, parla già con la voce dell’inverno. Ormai puntare il telescopio in direzione del Triangolo Estivo è diventato un automatismo, e il suo sguardo, al di sopra della lente, scorre senza fermarsi da Altair a Vega e approda infine a Deneb, la coda luminosa del Cigno. La contempla con gli occhi lucidi, indugia a lungo sulle ali che si librano oltre la fenditura oscura nella Via Lattea. Trova una certa voluttuosa malinconia nel pensare che il cielo rifletta le cicatrici della nostra anima, magnificate e rese eterne dal moto perpetuo degli astri.
Dopo qualche attimo asciuga le lacrime sulla manica e punta ancora il telescopio. Non termina mai un’osservazione senza dedicare almeno un paio di minuti ad Albireo.
Albireo è una stella particolare. A occhio nudo non è degna di nota, un puntolino luminoso come tanti abbandonato nel mezzo del Triangolo Estivo e oscurato dallo splendore delle sue vicine più arroganti. Eppure Albireo è la testa del Cigno, e la sua vera bellezza si rivela solo a chi è capace di guardare al di là delle apparenze.


“Non ci è permesso usare il telescopio.”
Le prime parole che gli rivolse furono un divieto, e non poteva che essere così.
“Chiedo scusa, non lo sapevo.”
Dégel tornò subito a sedersi, ma il suo sguardo faticava a tornare sui libri, continuava a indugiare sullo strumento accanto alla finestra. Erano appena le quattro del pomeriggio, ma in autunno le notti iniziano presto a Bluegrad, e ci sono giornate in cui è impossibile rimanere concentrati sulla storia e sul diritto perché le stelle ti chiamano fuori, a bagnarti nella loro luce pallida sopra un tappeto di neve appena caduta.
“Sai” continuò Dégel poco dopo, ed era la prima volta che una loro conversazione non si esauriva dopo due battute, “volevo tanto vedere Albireo.”
“Ma che diavolo dici?”
Si morse la lingua un istante dopo aver parlato. Ecco, aveva fatto la figura dello stupido, di quello che non sa le cose. Ora il damerino di Versailles avrebbe inarcato un sopracciglio elegante e si sarebbe precipitato a colmare con saccenza le sue lacune culturali da troglodita del nord.
“L’ho scoperto appena adesso” disse invece Dégel, e per la prima volta c’era una nota di entusiasmo nella sua voce. Indicò il libro aperto sul tavolo davanti a sé, sulle cui pagine consunte si intravedevano disegni di mappe del cielo e schemi delle orbite dei pianeti. “Deve essere una stella bellissima, sembra insignificante, ma se la guardi attraverso un telescopio… “
Dégel si interruppe, uno strano sorriso comparso sulle sue labbra. Di colpo sembrava ancora più giovane, un bambino che ha appena avuto una di quelle idee che non devono arrivare per nessun motivo alle orecchie degli adulti. Unity odiava ammetterlo, ma a quel punto bruciava di curiosità.
“Perché non la guardiamo insieme?”



Subito dopo “l’incidente” si era ritenuto fortunato. In ginocchio davanti al trono di Athena, immerso nel suo Cosmo luminoso che scaldava persino i traditori come lui, aveva creduto che vivere fosse un onore immeritato. Continuare a respirare quando i sorrisi di Dégel e Seraphina si erano spenti per sempre era un dono troppo grande, una grazia troppo preziosa.
Solo in seguito aveva capito che vivere in realtà era la sua punizione.
Percorrere sale vuote, e con loro le vie tortuose del ricordo. Parlare con i fantasmi, e ricostruire. Ricostruire è immensamente più faticoso che distruggere. Chiudere gli occhi e dormire per sempre è più semplice che vegliare da soli nella notte e nel buio.
Sono anni ormai che Unity desidera chiudere gli occhi.
Ma la punizione deve continuare, il sacrificio di Dégel non può essere reso vano. Quando il guardiano solitario è sopraffatto dalla stanchezza, Albireo è lì per ricordargli il suo dovere. Per ammonirlo con severità, ma anche per confortarlo, come una piccola scintilla del Cosmo di Athena ancora impigliata nel suo cuore.
Albireo è lo sguardo di Dégel che veglia su di lui dalle distese nere e gelide del cielo.


“Sono un po’ invidiosa” ammise Seraphina. Unity provò una fitta di rimorso: era vero che da qualche tempo a quella parte stava trascurando molto la sorella.
“Dev’essere il cameratismo tra maschi, penso. Come fratelli di sangue. Temo di dovermi rassegnare.” Inaspettatamente un sorriso affiorò sul suo viso delicato, e Unity si sentì più leggero. C’era un mondo di calore e affetto nel tono dolce di Seraphina. La sua non era un’accusa, ma la semplice constatazione di un dato di fatto.
“Voi due siete come Albireo. Due stelle talmente vicine da sembrare una sola.”




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Note: se avete la possibilità di rimediare un telescopio vi consiglio tantissimo di osservare Albireo, una bellissima coppia di stelle dai colori contrastanti (azzurro e arancio). E' un po' difficile da beccare (almeno lo è stato per noi dilettantissimi alle prime armi), ma vale la pena :)
Il Triangolo Estivo è un gruppo di tre stelle molto luminose che si può osservare soprattutto in estate (ma và?), tutte e tre appartenenti a costellazioni diverse. Le tre stelle sono: Deneb (Cigno), Vega (Lira) e Altair (Aquila).
La "fenditura oscura nella Via Lattea" è la cosiddetta Fenditura del Cigno, una fascia di nebulose oscure che sembra tagliare in due la Via Lattea proprio in corrispondenza della costellazione del Cigno.
In mancanza di maggiori informazioni dal manga ho immaginato questa storia ambientata in un Settecento molto tardo, quasi a ridosso della Rivoluzione Francese. Quindi Goethe è già ministro a Weimar, che è diventata ritrovo di intellettuali e personalità, e i primi telescopi a lenti acromatiche sono stati diffusi sul mercato. Su questi ultimi ho spudoratamente copiato ciò che dice Wikipedia data la mia ignoranza pressoché totale in materia di ottica e fisica. Spero di non aver commesso errori!
Riguardo alla latitudine di Bluegrad ho preferito cautamente non pronunciarmi :P

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