Old Gods, forgive me

di MissHoney
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Lady Wolf ***
Capitolo 2: *** The Deer's Revenge ***
Capitolo 3: *** The Unbearable Silence ***
Capitolo 4: *** A Night With Wolves ***
Capitolo 5: *** Ghosts and secrets ***



Capitolo 1
*** The Lady Wolf ***


Old Gods, forgive me
 
1. The Lady Wolf
 

<< Posso entrare? >>

Arya alzò lo sguardo dal corpetto dell'abito e, dallo specchio, scorse il volto di Jon fare capolino dalla porta. Sorrise immediatamente, grata che gli antichi dei avessero ascoltato i suoi pensieri. Quel giorno, Jon Snow era l'unica persona che desiderava vedere, e aveva temuto non facesse in tempo.

<<  Lord Comandante... Ben arrivato. Accomodati. >> rispose, fingendo un tono formale. 

<< Lady Arya >>

Jon Snow si esibì in un doppio inchino, uno per lei ed uno per la sua ancella. 

<< Questa è Jalin. >> disse la ragazza, occupandosi delle dovute presentazioni << Jalin, lui è mio fratello Jon. >>

Impegnata ad osservare l'ancella che, con suo sommo fastidio, arrossiva vistosamente, non s'accorse che il ragazzo, anche se per un brevissimo istante, aveva cambiato espressione.

<< Piacere di conoscerla, lord comandante. Lady Arya parla sempre tanto bene di lei. >>

<< Davvero? >> ribatté Jon, divertito.

<< Jalin >> Arya assunse un tono sbrigativo << lasciaci soli, per favore >>

<< Ma, lady Arya, è quasi ora... >>

<< Sarà ora quando lo dirò io >>

Nessuno osò ribattere. 

Arya attese che la porta si chiudesse alle spalle dell'ancella, e poi si gettò tra le braccia di Jon. Inspirò il suo profumo e godette del tocco delle sue mani mentre le accarezzava i capelli.

<< Quanto mi sei mancato, Jon >>

<< Anche tu... sorellina >>

Non l'aveva detto nel solito tono. Era parso quasi... titubante, e questo impensierì Arya, ma sapeva che non poteva preoccuparsene, non in quel momento, non quel giorno.

"Sono tesa, ma non posso vedere stranezze ovunque."

<< Temevo che non venissi più... >> continuò.

Arya non ammetteva mai a voce alta di aver paura di qualcosa. "La paura ferisce più della spada." Ma, quando era con lui, non provava alcuna vergogna, perché Jon non rideva delle sue debolezze, anzi le insegnava come nasconderle. Era così da sempre e, nonostante gli anni trascorsi e le strade divisesi, il loro legame non era mutato. C'era sempre un castello in cui rincontrarsi, una promessa da mantenere, una verità da raccontarsi.

<< Credevi davvero che ti avrei lasciata sola oggi? >> le sussurrò all'orecchio. Arya non rispose. Jon sciolse l'abbraccio per guardarla negli occhi. 

<< Ci siam persi troppe cose l'uno dell'altra, sorellina. Non mancherò  più quando avrai bisogno di me. Mai. >>

Lei sorrise, un sorriso che era un ringraziamento, non solo per quelle parole, ma per il fatto stesso di esistere.

La guerra, in un modo o nell'altro, le aveva portato via troppe persone, ma sapeva di doversi ritenere fortunata, perché aveva ancora Rickon, Sansa e, soprattutto, Jon. 

I conflitti erano cessati ormai da anni, ma le ferite non si erano mai rimarginate davvero, e Arya sperava solo che quel percorso che stava per intraprendere non gliene procurasse altre. Sapeva che crescere significava anche giungere a compromessi, sapeva che, prima o poi, quel giorno sarebbe arrivato, come suo padre le aveva detto tanti anni prima, ma non poteva ignorare che tutto questo non era da lei, e Arya, che più di ogni altro aveva sperimentato quanto è terribile perdere se stessi, era sempre angosciata all'idea di discostarsi, anche minimamente, dalla sua natura.

Con espressione quasi rassegnata, tornò a guardarsi allo specchio. L'abito che Sansa aveva cucito per lei era bellissimo, elegante ma non sfarzoso, perfetto per una lady del nord. Era grigio, come i suoi occhi, come gli occhi di suo padre, come gli occhi di sua zia Lyanna, che tutti dicevano lei ricordava. Avrebbe voluto conoscerla. Se fosse stata ancora viva, forse tante cose sarebbero andate diversamente. Se fosse stata ancora viva, forse lei non si sarebbe trovata in quella situazione. 

<< Sei... >> cominciò Jon, alla sue spalle, distraendola dai suoi pensieri.

<< ... ridicola? >>

<< Bellissima. >>

Lo disse con assoluta serietà, l'espressione quasi di venerazione, ma Arya scoppiò ugualmente a ridere. << È solo perché non mi hai mai vista prima con un vestito, fratello. >>

<< E scommetto che non ti vedrò più, dopo oggi... Vero? >>

Arya si girò di nuovo per guardare il suo viso, e non il suo riflesso.

<< Ovviamente no. Non credi che sia già scesa sufficientemente a compromessi, conciandomi così? >> 

Jon scoppiò a ridere. La sua era una risata pura, genuina, che coinvolgeva gli occhi, quegli occhi così simili ai suoi, leggermente più scuri. 

<< Io credo... >> disse, scostandole dal viso una ciocca ribelle << che l'abito sia stato solo un piccolo sacrificio. Pensa che ti stai sposando a Grande Inverno. So che il re avrebbe preferito avvenisse tutto al sud, e sappiamo quanto il re sia testardo. >>

<< Sansa si è sposata a Grande Inverno! Era il minimo che potessi sposarmi qui anch'io! >> ribattè, e per un istante la sua voce sembrò quella della giovane bambina che era stata anni addietro, arrabbiata perché la stavano costringendo a lasciare la sua casa.

<< E da quando ti fa piacere imitare Sansa? >>

<< A me non fa piacere imitare Sansa. >> rispose, facendogli una smorfia. Sapeva che Jon stava solo giocando, per distrarla.

<< Grande Inverno è casa mia. Casa nostra. >> proseguì, con tono nostalgico, chiedendosi cosa sua madre avrebbe pensato nel vedere che, finalmente, anche la figlia ribelle aveva deciso di comportarsi da lady.

<< Grande Inverno non è realmente casa mia. Non lo è mai stata. >>

<< Già, ed io non sono tua sorella. >> rispose Arya, avvicinandosi alla sedia su cui era posato il suo mantello, il mantello con lo stemma degli Stark.

<< Cosa... Cosa vuoi dire? >>

Il tono di Jon era parso di nuovo strano, ma ancora cercò di non pensarci, continuando come se nulla fosse.

<< Bhe, se non consideri Grande Inverno casa tua, se non ti consideri uno Stark, allora non dovresti neanche considerarmi tua sorella, o sbaglio? >>

<< Lo sai che non è vero. >>

Jon prese il mantello dalle sue mani e, facendola voltare ancora verso lo specchio, glielo pose sulle spalle. << Quello che noi abbiamo... >>

Le diede una carezza sul collo, armeggiando con la spilla per fissare la stoffa. Arya chiuse gli occhi, godendosi quel momento di assoluta tranquillità, tra le braccia di uno dei pochi uomini di cui si fosse mai fidata. <<. .. è indistruttibile, e non dipende dai nostri nomi. Non sono legato a te perché sei la figlia di Ned Stark. Sono legato a te perché tu mi hai sempre considerato semplicemente Jon. Non Jon Snow, non Jon Stark, non Jon qualsiasi cognome, solo Jon. >>

Arya pose la mano sulla sua, mentre una lacrima solitaria le solcava la guancia. Non sapeva esattamente per cosa stesse piangendo, ma percepiva che c'era qualcosa di sbagliato in quello che stava per fare.

<< Ho paura, Jon >> ammise, tornando a guardarlo negli occhi.

<< Hai paura che ti faccia del male? Perché io... >>

<< No. >> si affrettò ad interromperlo Arya. << Non è questo. Mi fido di lui. C'è stato quando per me non c'era nessun altro. >>

Capì all'istante che quelle parole lo avevano ferito, quindi tentò di rimediare. << Voglio dire... ci siamo incontrati quando il mio incubo era appena iniziato. Ci siamo incontrati e sarei dovuta arrivare da te. La sua presenza in qualche modo mi faceva stare meglio, forse proprio perché ti somigliava, in un certo senso.

Completava le mie frasi come facevi tu... Io... Insomma non ho paura di sposare lui, ho paura di sposarmi e basta. Ho paura perché mi sembra di dover essere qualcuno, e, anche se probabilmente lui sarà il migliore tra i mariti che potrei avere, è sempre qualcosa che mi è stato imposto. >>

Adesso che aveva iniziato a dare sfogo a tutti i suoi pensieri, non riusciva più a fermarsi.

<< Cosa succede se, un giorno, mi sveglio e inizio a detestarlo? Cosa succede se ormai sarò intrappolata in quel tipo di vita? Sono stata intrappolata in troppe vite, Jon. Se questa volta non riuscissi ad uscirne? L'ultima volta... >>

Il ricordo di come era tornata ad essere Arya Stark la colpì così forte che le fu impossibile proseguire senza scoppiare a piangere.

Jon, come al solito, intuì cosa stava accadendo dentro di lei, e non esitò a stringerla di nuovo. 

<< Non pensarci >> le sussurrò, carezzandole i capelli << è passato tanto tempo, sorellina >>

Era vero, era passato del tempo, eppure certe volte gli incubi tornavano a torturarla. Incubi di una donna senza voce, senza cuore. Ancora una volta, fu grata di avere Jon nella sua vita. Lui era l'unico a cui aveva svelato il più inconfessabile dei suoi segreti, l'unico che poteva capirla, suggerendole "non dirlo a Sansa", consapevole che, però, in gioco non c'era soltanto una spada che all'età di nove anni non avrebbe dovuto possedere.

<< E poi, se proprio non vuoi sposarti, posso sempre portarti via. >>

Riuscì a farla ridere. << Via dove? Sei il Lord Comandante dei guardiani della notte, non un avventuriero. >>

Continuò ad abbracciarlo mentre parlavano. Non riusciva ad abbandonare quel luogo sicuro, non ancora.

<< Bhe, ti porto alla barriera. Ti vestiamo da maschio e ti facciamo fare il giuramento. Dopo nessuno potrà far nulla. >>

Sorrise a quella prospettiva. Una vita sulla barriera era considerata una punizione dai più, ma lei avrebbe di gran lunga preferito il nero ad essere una lady. E poi avrebbe visto Jon ogni giorno, e non qualche volta l'anno. 

<< Non sarebbe male >> disse, sciogliendo l'abbraccio. Si sentiva un po' più tranquilla, e non voleva che Jon si preoccupasse ulteriormente << ma non vorrei essere decapitata per aver fatto fuori dei confratelli. So che vanno fuori di testa se scorgono anche solo il profilo di una donna. >>

Non che lei si considerasse una vera donna. Insomma, aveva permesso ai capelli di crescere e, con gli anni, era diventata addirittura carina, ma non avrebbe mai, neanche lontanamente, retto il paragone con Sansa. 

<< Ti guarderei le spalle, e non ci sarebbe bisogno di fare fuori i miei uomini. >>

<< Ma sarei anche io un tuo uomo. >>

Scoppiarono a ridere entrambi, poi Arya scosse la testa. << Sarebbe bello, davvero, ma no, Jon, non scapperò. Una parte di me lo vorrebbe così tanto, ma un'altra sa che questo matrimonio avrebbe reso felice anche nostro padre. >>

Era la motivazione più forte a cui poteva attaccarsi. Inoltre anche Sansa aveva fatto la sua parte. Certo, per lei era stato più semplice, perchè, nel profondo, non aveva mai smesso di sognare un lord gentile e un matrimonio felice, ma in ogni caso non si era tirata indietro. 

<< Sei sicura? >>

Non era convinto, non lo sarebbe mai stato, ma, al contempo - Arya lo sapeva - avrebbe accettato qualsiasi sua scelta. 

<< Chiedimelo più tardi. >>

Gli porse il braccio, cercando di rassicurarlo con un sorriso. Era ora di andare.

<< E poi, già una volta è scoppiata una guerra perché un principe aveva rapito una fanciulla del nord. Non vorrai mica un simile peso sulle spalle.. >>

I loro occhi si incrociarono, ed Arya avvertì un brivido insolito lungo la schiena. In quel momento fu come se i loro silenzi valessero più di tutte le parole che si erano scambiati quel giorno.

Jon parve ingaggiare una dura lotta con se stesso, prima di rispondere semplicemente << Io però non sono un principe. >>

<< No, Jon, tu non sei un principe. >>

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Capitolo 2
*** The Deer's Revenge ***


 
Old Gods, forgive me
 
2. The Deer's Revenge

 
 

Quando misero piede nella Sala Grande, Jon si sentì mancare. La sala era gremita di gente, in attesa della sposa per uscire fuori e raggiungere il parco degli dei e il grande albero del cuore, dinanzi al quale, come da tradizione del Nord, il matrimonio sarebbe stato celebrato. Dopodiché avrebbe avuto luogo il banchetto, proprio nella sala in cui si trovavano in quel momento.

Forse perché non voleva pensare al futuro, a come tutto sarebbe cambiato una volta che Arya avesse pronunciato i suoi voti al cospetto degli dei di suo padre, forse perché voleva dimenticare quanto il tempo stesse correndo, e che presto sarebbe stato troppo tardi, fatto sta che Jon, guardando i tavoli già imbanditi, non riuscì a soffermarsi sul presente. La sua mente vagò nel passato, ad un altro grande banchetto a cui aveva preso parte a Grande Inverno, anni prima, quello in occasione della visita di Re Robert Baratheon, primo del suo nome. Quella sera, come in tutte le grandi occasioni, aveva osservato i lord e le lady a debita distanza, seduto con ragazzi che, come lui, non erano nessuno, che potevano bere fino ad ubriacarsi, senza temere di arrecare disonore alle loro famiglie. Quella sera aveva osservato i suoi fratelli, le sue sorelle, il lord suo padre e lady Stark interagire con la famiglia reale, e si era ritenuto fortunato nel non dover partecipare a quella farsa. Ad oggi, dopo otto anni, gli venne da chiedersi se le cose sarebbero potute andare diversamente, se lady Catelyn avesse mostrato una maggiore comprensione nei confronti del bastardo di suo marito, bastardo che, a differenza della maggior parte di quelli presenti nel reame, era comunque stato cresciuto come un legittimo figlio di un lord. 

Avrebbe bevuto una tale quantità di vino, al tavolo d'onore? Probabilmente no, conscio del privilegio concessogli. E poi, se avesse cenato al tavolo d'onore, avrebbe probabilmente avuto Arya accanto a lui, e nessun ragazzo, allora come ora, avrebbe necessitato di vino in compagnia di Arya, perché lei, con il suo carattere e la sua allegria, sapeva inebriarti più del miglior rosso di Dorne. Ma, se non avesse bevuto tutto quel vino, avrebbe comunque detto quel che aveva detto, quando suo zio Benjen gli si era seduto accanto? 

<< Sei un ragazzo di quattordici anni. Non sei ancora un uomo. E fino a quando non saprai che cos'è una donna, non puoi capire a che cosa rinunceresti. >>

<< Non mi importa! >>

<< Potrebbe importarti, se sapessi cosa significa. >>

Jon aveva poi scoperto cosa significava, e, successivamente, per molto tempo aveva desiderato non averlo mai fatto, perché, alla fine, a quella donna aveva dovuto rinunciarci comunque, come aveva dovuto rinunciare a suo padre e a Robb. Non aveva potuto aiutare nessuno di loro, perché era un guardiano della notte, e, in quanto guardiano della notte, Eddard e Robb Stark non erano più la sua famiglia, se mai lo erano stati, ed Ygritte era addirittura un nemico. Ygritte, baciata dal fuoco. Ygritte la coraggiosa, Ygritte, che era stata sua e che, al contempo, non era mai appartenuta a nessuno. "You know nothing, Jon Snow." Il ricordo della sua frase preferita assumeva una sfumatura tutta nuova, adesso. Quanto avrebbe voluto che fosse lì per dirle che aveva sempre avuto ragione, che lui davvero non sapeva niente.

Si ritrovò a sperare che, ovunque si andasse dopo la morte, Ygritte e la persona che aveva rappresentato per lui, in un certo senso, la luce nell'oscurità si fossero incontrate. Riusciva quasi ad immaginarsele insieme: entrambe bellissime ai suoi occhi, anche se in modo così diverso, entrambe forti guerriere, entrambe baciate dal fuoco.

Avvertì il tocco di una mano delicata sul braccio, e fu come uscire da uno stato di trance. Arya lo stava fissando attentamente, l'espressione tra il preoccupato e l'incuriosito, eppure, fino a quel momento, non gli aveva detto nulla, come se avesse saputo, fin da quando vi avevano messo piede, che quel luogo l'avrebbe condotto sul viale dei ricordi. Ma quel viale era troppo lungo, e non era il caso di ripercorrerlo tutto in un giorno. Tre erano le donne che avevano svolto un ruolo fondamentale nella sua esistenza, ed Arya era l'unica ancora in vita, l'unica e la più importante. Arya, con cui aveva giocato tra quelle stesse mura. Arya che aveva perso per così tanto tempo, Arya che aveva temuto di perdere per sempre. Arya a cui aveva pensato così spesso, negli anni della guerra. Arya che aveva ritrovato negli atteggiamenti di Ygritte, la prima volta che l'aveva incontrata, e nello sguardo di Alys Karstark. Arya, che non era mai apparsa dalle fiamme della donna rossa, Arya che non era mai tornata alla barriera con Mance. Arya che era stato il suo primo pensiero, mentre vedeva la sua famiglia morire e la verità affiorare. Arya, che adesso stava per sposarsi.

<< Scusami… io… >>

<< Lo so. >>

Ancora una volta, lo sguardo che gli rivolse rese inutili le parole. << E' solo che Sansa sta venendo verso di noi, e non permetterà che tu abbia quella faccia al mio matrimonio >> continuò, divertita.

Jon si voltò, appena in tempo per scorgere Sansa che gli si avvicinava con un gran sorriso stampato sul volto. Aveva tentato, ma ancora non era riuscito ad abituarsi all'accoglienza che ormai gli riservava la maggiore dei figli di Ned e Catelyn Stark ancora in vita. Sansa aveva i tratti dei Tully, i tratti di sua madre, come un tempo li aveva avuti Robb, e proprio da sua madre aveva imparato, da bambina, a trattare il suo fratello bastardo con freddezza.

Non avevano mai legato, quando vivevano sotto lo stesso grande tetto, ma poi le disgrazie che si erano abbattute su ognuno di loro sembravano aver cambiato tutto, e, quando si erano rincontrati, Sansa sembrava aver dimenticato qualsiasi muro invisibile eretto nell'infanzia. 

<< Jon, ben arrivato! >> lo abbracciò. Fu un abbraccio caloroso, anche se diverso da quelli che lui scambiava con Arya, Jon non poté far a meno di pensarlo. << Come è andato il viaggio? >>

<< Benissimo, Sansa, grazie. Ti trovo bene >> rispose, sorridendo a sua volta. << Lord Edric. >>

Abbassò il capo in segno di saluto. Il marito di Sansa era un ragazzo robusto, dai folti capelli neri e dagli occhi azzurri. Lo aveva incontrato soltanto due volte e non avevano interagito granché, ma gli era parso un bravo ragazzo, e, soprattutto, sembrava rendere Sansa felice. Una parte di lui sperava che anche ad Arya toccasse la stessa sorte, un'altra parte, invece...

<< Cosa ne pensi del vestito di Arya? Ho fatto del mio meglio. >> Guardò la sorella con orgoglio, e chi non le avesse conosciute sin da bambine, non avrebbe mai detto che, un tempo, era pericoloso tenere quelle due nella stessa stanza.

<< Lo trovo splendido, così come quello che indossi. Tua madre sarebbe fiera di te. >>

Avvertì un brivido in Arya, ma nessuno ci fece caso. Sansa sorrise ancora di più, se possibile, un sorriso colmo di gratitudine, che nascondeva qualsiasi tristezza il pensiero della madre potesse procurarle. Aveva imparato a celare le sue emozioni molto tempo prima, durante la lunga prigionia presso i Lannister. << Grazie, Jon. A Roccia del Drago ho delle stoffe stupende. Potrei prepararti un nuovo mantello, così avresti una scusa per venirci a trovare. Cosa ne dici, Edric? >> 

<< La trovo un'idea fantastica. Oltretutto, lord Comandante, credo dovresti visitare il castello. Dicono sia uno dei più affascinanti dei Sette Regni. >>

<< Ne sarei onorato. >>

Roccia del Drago. Aveva desiderato andarci, ma poi Sansa aveva sposato Edric, e Jon l'aveva preso quasi come un segno del destino. Aveva ricordato la proposta che Stannis Baratheon gli aveva rivolto molto tempo prima: essere legittimato, rialzarsi come Jon Stark, diventare il padrone di Grande Inverno. All'epoca aveva risposto che Grande Inverno apparteneva a sua sorella Sansa, Sansa che, alla fine, si era insediata in un castello più a sud, come se il fato si divertisse a prenderlo in giro. Ma, del resto, lui era un guardiano della notte, e castelli e donne non avrebbero dovuto importargli, qualsiasi fosse il suo nome.

<< Jon! >>

Riconobbe all'istante la voce, anche se i maggiori ricordi legati al ragazzino dai capelli ribelli riguardavano il periodo in cui ancora non era capace di parlare. 

<< Rickon! >> lo salutò stringendogli la mano. Ormai era un lord, l'erede di Grande Inverno e, nonostante restasse un ragazzo difficile, anche lui aveva accettato, come Arya, che il loro nome comportava il peso di scendere a compromessi.

<< Ciao Cagnaccio >> sorridendo, diede un buffetto sul capo del metalupo.

<< Dov'è Spettro? Mi piacerebbe vederlo. >>

<< Sta giocando con Nymeria >> fu Arya a rispondergli, che era stata in silenzio fino ad allora, come se la tensione fosse riuscita a zittire persino lei. << O meglio, sta lottando con Nymeria. In ogni caso, è meglio che usciamo anche noi. E' ora. >>

Jon lasciò che Sansa, Edric e Rickon li precedessero, e si voltò verso la sorella, mimando con la bocca le parole "come lo sai?". Arya, di tutta risposta, gli strizzò l'occhio, e lui cercò di reprimere una risata. Era il loro piccolo segreto, per così dire. Non che Sansa e Rickon non ne fossero a conoscenza, in realtà, ma preferivano non parlarne in loro presenza, soprattutto perché il più giovane degli Stark era molto suscettibile al riguardo. Crescendo, l'affinità tra Rickon e il suo metalupo era aumentata, ma, per quanto non si trattasse del banale rapporto tra padrone e cucciolo, non era mai andata oltre. Rickon non era mai riuscito a diventare Cagnaccio, come invece accadeva ad Arya con Nymeria e a Jon con Spettro. Il metamorfismo apparteneva agli Stark, come Jon spesso si ripeteva quando i dubbi e il peso dei segreti lo assalivano, ma questo non implicava che tutti gli Stark manifestassero il gene. Per quanto ne sapevano, dei sei ragazzi che, anni prima, avevano preso con se i cuccioli orfani di una metalupa uccisa da un cervo, soltanto tre possedevano quel dono: Arya, Jon e il loro fratello Bran, le cui capacità lo avevano portato lontano, in un luogo che probabilmente mai avrebbero saputo raggiungere. Al contempo, mentre la situazione del più piccolo della famiglia era piuttosto chiara, oscura sarebbe sempre stata quella di Sansa, che aveva perso la sua Lady troppo presto, e di Robb, in quanto né l'uomo né il lupo erano sopravvissuti per raccontare alcunché. Jon, però, aveva udito le storie sul Giovane Lupo e sul suo temibile compagno, Vento Grigio, e ogni tanto pensare che avessero affrontato letteralmente insieme anche la morte lo faceva sentire meglio.

 

Nel mentre, avevano raggiunto il parco degli dei, e, quando Arya si fermò sulla soglia, Jon provò una sensazione di vuoto. Era il momento di separarsi da lei. Era il momento di affidarla a Rickon, che l'avrebbe consegnata all'uomo a cui, a partir da quel giorno, sarebbe appartenuta.

Qualsiasi legame avessero lui ed Arya, qualunque fosse l'intensità del loro affetto, non aveva alcun valore agli occhi degli altri. Non era suo fratello legittimo, eppure non era neanche uno sconosciuto qualsiasi, ma, soprattutto, era un guardiano della notte, il Lord Comandante dei Guardiani della Notte. Per tutte queste ragioni, non poteva vantare alcuna pretesa su di lei. Doveva lasciarla andare.

Delicatamente, sciolse il nodo delle loro braccia, e si voltò a guardarla negli occhi. Vi lesse paura, ma anche coraggio, timore, ma determinazione. Una parte di lui, probabilmente, ci aveva sperato sino all'ultimo istante, ma Arya non si sarebbe ribellata, non questa volta. E forse era proprio questo che Jon adorava di lei: nel bene o nel male, con Arya era sempre un salto nel vuoto. Cercò di comunicarle questo e tanto altro. Cercò di comunicarle tutto quello che era superfluo dire e tutto quello che non poteva dire. E, nonostante la gente attorno, nonostante vi fosse, a qualche passo di distanza, il suo futuro marito che la attendeva sotto l'imponente albero diga, per un lungo istante sembrarono essere soli al mondo. Le accarezzò i capelli, scostando una ciocca dietro l'orecchio.

<< Devo andare. >> sussurrò lei, quasi con tono di scuse.

<< Lo so. >> rispose e poi si calò appena su di lei, sfiorandole la guancia con le labbra. La sentì trattenere il respiro, e avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere cosa stesse pensando in quel momento, mentre decise di fregarsene degli altri e delle idee che potevano starsi formando nelle loro menti. << Ricordati, in ogni caso, che la Barriera non è così lontana, ed io neppure. >> aggiunse e, prima che potesse dire alcunché, si allontanò a testa bassa, unendosi a Sansa, Edric e alla folla di lord del nord e del sud che eran giunti sin lì assieme alle loro lady. 

Jon alzò lo sguardo verso le foglie rosse dell'albero del cuore, chiedendo agli antichi dei forza per se e per sua sorella, poi si soffermò sul volto scolpito nel tronco e, per un attimo, gli parve di scorgervi gli occhi di Bran. "Era lui o l'ho soltanto immaginato?"

<< Chi viene? >>

La voce di Gendry Baratheon, figlio di un re e nipote di un altro, lo riportò alla realtà e Jon si costrinse a prestare attenzione a quel che stava avvenendo. Avvertiva che qualcuno lo stava fissando, ma, volontariamente, non si voltò in quella direzione.

<< Arya della casa Stark, figlia minore di Eddard e Catelyn Stark, una donna fertile, in salute e di nobile lignaggio. >> rispose Rickon, con sicurezza, avanzando con la sorella al fianco. << Chi viene a prenderla in sposa? >>

<< Gendry della casa Baratheon, lord di Harrenhal, figlio di Robert Baratheon e nipote di Stannis Baratheon, primo del suo nome, re degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, signore dei Sette Regni e protettore del Reame. Chi viene a consegnarmela? >>

<< Rickon della casa Stark, figlio di Eddard e Catelyn Stark, suo fratello, lord di Grande Inverno e protettore del Nord. >>

Rickon si rivolse alla sposa << Lady Arya, intendi prendere quest'uomo come tuo sposo? >>

Jon vide Arya voltarsi e osservare tutti quelli che se ne stavano lì, immobili, in attesa della sua parola. La vide scambiarsi uno sguardo con Sansa, che la incoraggiò con un grande sorriso. La vide fissare il volto dell'albero del cuore dinanzi a cui suo padre aveva così tante volte pregato. Poi la vide voltarsi verso di lui, gli occhi grigi persi nei suoi, anelanti una risposta a chissà quale domanda. Jon non seppe dargliela, e lei, alla fine, tornò a guardare Gendry Baratheon, il ragazzo che c'era stato per lei quando non c'era nessun altro, e sorridergli mentre diceva << Prendo quest'uomo. >>

Lui le afferrò le mani, e Jon si sorprese nel notare che non erano quelle di sua sorella a tremare. I due si inginocchiarono dinanzi all'albero diga. Si domandò se Arya stesse pregando davvero per la loro felicità e quant'altro o se stesse soltanto aspettando il momento opportuno per rialzarsi. 

Quando furono di nuovo in piedi, Gendry allungò le mani verso la spilla che le fissava il mantello con lo stemma degli Stark, quel mantello che Jon le aveva allacciato poco prima, nella sua stanza. "La sua pelle tremava mentre la sfioravo." si ritrovò a pensare. 

Suo marito le pose sulle spalle il mantello raffigurante il cervo incoronato della sua casa e Jon chiuse gli occhi, per evitare che quel gesto potesse spazzare via il ricordo di uno dei loro ultimi momenti insieme. Ma, prima che qualcuno potesse accorgersene, li riaprì. Il rituale era concluso, ma lo sposo pareva aver ancora qualcosa da dire. Jon lo vide girarsi verso qualcuno dietro di lui e prendere un mazzo di fiori che consegnò alla sua nuova moglie.

<< Ti dono queste rose blu, mia lady, le preferite di tua zia Lyanna, di cui tu hai ereditato la forza e la bellezza, come affermano coloro che l'hanno conosciuta. E prometto di amarti, proteggerti e di combattere sempre in difesa del nostro legame, sicché, con questa unione, ci sia permesso anche di rendere onore a tua zia e a mio padre, il cui amore non è potuto sbocciare per la crudeltà di un uomo. >>

Jon si irrigidì, provando il feroce desiderio di strappare le rose ed Arya stessa dalle mani di quell'uomo che non ne era degno, di condurre lei via, lontano da tutto e tutti. Ma non gli era possibile. Lui non era un principe, era solo un guardiano della notte. Deglutì, e, ancora una volta, decise di spostare altrove la sua attenzione. Nel voltarsi, incontrò lo sguardo di Stannis Baratheon, che lo stava fissando, una strana espressione sul viso di solito impassibile.

In passato aveva trascorso del tempo con l'attuale sovrano dei Sette Regni, quando lui e il suo esercito avevano usufruito del Castello Nero e degli altri fortini come sede momentanea, ma Jon non seppe leggere nulla nei suoi impenetrabili occhi azzurri. 

Il re, che fino ad allora non aveva proferito parola, si rivolse alla folla.

<< Il rito è concluso. Direi che possiamo entrare a brindare per lord Gendry Baratheon e lady Arya Stark, della cui unione siamo tutti felici. >>

In quel momento, un lupo ululò nel silenzio della sera.


 

Prima di tutto, se avete deciso di seguirmi anche in questo secondo capitolo, vi ringrazio, e spero di avervi allietato e di allietarvi anche nei successivi.
Non ho scritto nulla la volta scorsa, ma mi è sembrato opportuno utilizzare questo spazio per chiarire dei possibili dubbi che potrebbero venirvi nel corso della lettura.
Nella mia storia considero per avvenuto, e in alcuni casi vi faccio riferimento, tutto ciò che è stato raccontato nell'opera originale sino ad adesso. L'unico evento che ho "cancellato" è l'ultimo capitolo di Jon di ADWD, nel caso ve lo foste chiesto.
Detto questo, ancora grazie per il passaggio.

 
Miss Honey

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Capitolo 3
*** The Unbearable Silence ***


Old Gods, forgive me
 
3. The Unbearable Silence
 
A tutti coloro che mi seguono, scusate! Ho aggiornato dopo un sacco, e non è venuto fuori neanche il capitolo che desideravo scrivere, ossia quello della prima notte di nozze, che, a questo punto, sarà il prossimo.
E nulla, spero vi piaccia ugualmente, anche se a me non convince. 
Sempre grazie del passaggio!
 

<< Era tutto buonissimo, complimenti! Peccato solo che non ci fosse il cinghiale... >>

Arya si voltò di scatto a quelle parole, sorpresa e indispettita al contempo. 

Marian, una delle cuoche, che non aveva colto in quella frase nulla di offensivo, si era limitata a sorridere e a ringraziare Jon. Neanche suo marito, impegnato a chiacchierare con Rickon, pareva avervi fatto caso, fortunatamente. Arya gettò un'occhiata lungo tutto il tavolo, notando come ogni conversazione fosse proseguita normalmente, senza interruzioni. L'unico che se ne stava in silenzio e che teneva gli occhi fissi sul Lord Comandante era il re, ma Stannis Baratheon aveva trascorso quasi l'intera serata ad ascoltare, più che parlare, e a fissare suo fratello, quindi, probabilmente, non aveva afferrato il doppio senso del suo commento. Ma c'era poi davvero questo doppio senso o era lei che iniziava ad immaginarsi le cose?

"A Jon non è mai piaciuto il cinghiale, non particolarmente almeno" si disse, quasi a volersi convincere della malafede del ragazzo.

La verità era che si sentiva profondamente ferita. 

Continuava a pensare a quello che Jon le aveva detto, appena prima che iniziasse il rituale, e al modo in cui l'aveva guardata, mentre le accarezzava i capelli piuttosto che arruffarglieli. 

Per un attimo aveva davvero valutato l'idea di abbandonare tutto e tutti e scappare con lui, ma, adesso, quasi era felice di non averlo fatto. "La Barriera non è poi così lontana, ed io neppure." Si trattava della verità? Come poteva considerarlo sempre vicino quando era bastato che lei pronunciasse una frase dinanzi all'albero diga per farlo allontanare? 

Si era inginocchiata come Arya Stark e, quando si era rialzata come Arya Baratheon, tutto era mutato, proprio come aveva temuto. Aveva portato così tante maschere, ma il pensiero di Jon l'aveva, anche nei periodi più bui, aiutata a non smarrirsi completamente. Non importava quante leghe intercorressero tra loro, Arya non aveva mai davvero perso la speranza di ritrovarlo, così come sosteneva non averla mai perduta lui. 

Jon non l'aveva mai giudicata per il suo percorso e per gli uomini - e le donne - che aveva ucciso. Jon l'aveva accettata, sempre, o almeno fino a quel momento. Ed era per questo che, quando, rientrati all'interno per il banchetto, Arya lo aveva visto accomodarsi così distante da lei, aveva provato una sensazione di abbandono totale, incapace di comprendere cosa avesse fatto per meritarsela.

"Si aspettava forse che mandassi tutti all'inferno e scappassi via dal mio matrimonio, via dalla mia casa?"

Quel comportamento non era da Jon, assolutamente. Non era da Jon evitarla, non era da Jon perdere un'occasione per darle supporto. Jon era suo fratello, il fratello che aveva sempre assecondato i suoi istinti ribelli, senza rimproverarla, il fratello che le aveva regalato una spada quando tutti gli altri continuavano a dirle che avrebbe dovuto interessarsi alle bambole ed ad un diverso tipo di aghi. Jon era colui che aveva deciso di credere nei bruti e sacerdotesse rosse pur di ritrovarla, pur di riabbracciarla. Jon era l'unica persona di cui si era fidata sino in fondo, l'unico a cui aveva raccontato di sua madre, di cosa aveva provato quando, con gli occhi di Nymeria, aveva visto cos'era diventata, e di quanto lunga era stata la notte trascorsa in completa solitudine dopo averle concesso il dono e permesso di riposare, finalmente, in pace. Jon era l'uomo della sua vita, e adesso, in una sera, si era trasformato in qualcuno che stentava a riconoscere. E perché poi? Soltanto perché lei aveva fatto il suo dovere? Poteva lui contestarle questo? Se non fosse stato per i suoi di doveri, le cose tra loro avrebbero potuto essere diverse. Se non fosse stato per il ruolo che lui ricopriva, forse Arya gli avrebbe confessato anche l'ultimo e il più pericoloso dei suoi segreti…

"No, non è possibile." Come aveva fatto a non pensarci prima? 

In effetti vi era stato qualcosa di insolito durante la cerimonia, qualcosa che né Arya né Jon avrebbero potuto prevedere, qualcosa che, per un lungo istante, le aveva fatto provare una tale rabbia e un tale desiderio di correre nelle sue stanze, dove, da ormai troppo tempo, teneva nascosto l'unico oggetto che avrebbe potuto far scoppiare una nuova guerra nei Sette Regni. E poi, dopo il gesto di Gendry, c'erano state le parole del re, e l'ululato di un lupo. Ma non era un lupo qualsiasi, era Spettro, che esprimeva la sofferenza che il suo padrone era costretto a tacere.

Tornò a guardare Jon, ma lui continuava ad ignorarla, immerso totalmente in una conversazione con Edric. Fissò i suoi capelli scuri, le mani che si aggrappavano al tavolo, quegli occhi così enigmatici, che però, per lei, non avevano mai rappresentato un mistero. Possibile che sapesse? E, se sapeva, perché non gliene aveva parlato? "E perché io non l'ho fatto?" si ritrovò a domandarsi.

"Per paura." Era una risposta che detestava, ma era l'unica che riusciva a darsi. Per paura di perderlo, per paura che, una volta venuta fuori la verità, sarebbe cambiato tutto, e, al contempo, per paura che non sarebbe cambiato nulla. Qualunque fosse la sua casata, Jon restava un Guardiano della Notte, e il miglior ruolo che Arya potesse ricoprire nella sua vita era quello della sua sorellina, nulla di più.

<< Mia Lady >>

Si voltò e, per un momento, fu sorpresa di vedere Gendry seduto accanto a lei. Poi ricordò che Gendry era suo marito adesso e che, da quel giorno, le sarebbe stato accanto praticamente sempre. Non era un pensiero che le dava conforto, in realtà. << E' il momento della danze >> proseguì.

<< Oh, io… >>

<< Non hai scuse >> le prese la mano, costringendola ad alzarsi, e la trascinò in pista. Ma quando avevano iniziato i cantastorie? Non se n'era accorta. Immediatamente, la maggior parte delle lady e dei lord seguirono gli sposi, e la folla creatasi rese Arya un po' più bendisposta. Odiava stare al centro dell'attenzione, ma sapeva che non poteva sottrarsi. Non avrebbe potuto sottrarsi a nulla, quel giorno. 

Strinse più forte la mano di Gendry, posando la sinistra sulla sua spalla, mentre lui, tenendola per il fianco, la avvicinava di più a se. << C'è qualcosa che non va, mia lady? >> le chiese, muovendosi un po' goffamente. Arya, al contrario, era più aggraziata di quanto ci si aspettasse da lei. Aveva sempre preferito un'altro tipo di danza, certo, tuttavia ballare era di gran lunga più interessante del ricamo.

<< No, ma potrebbe esserci, se continui a chiamarmi in questo modo. >> ribattè, con una smorfia. Era uno di quei battibecchi che facevano sin da quando si eran conosciuti, tanti anni prima. Era una di quelle cose che gli ricordava che Gendry non era un estraneo.

<< E come dovrei chiamarti? >>

<< Arya, solo Arya. Oppure Arry, se preferisci. >>

Scoppiarono a ridere insieme e, mentre lui la faceva volteggiare per la sala, si sentì un po' più serena. Aveva sposato Gendry, semplicemente Gendry. La conosceva meglio di molti altri in quella stanza. Certo, non era Jon, ma non era neanche uno dei tanti lord sconosciuti e vecchi che avrebbero potuto chiedere la sua mano.

La strinse un po' di più. << Stasera… >> le sussurrò all'orecchio << finalmente avrò la prova che sei una ragazza. >>

Arya avrebbe voluto godersi la battuta, ma si irrigidì di nuovo, senza volerlo. Fortunatamente, arrivò Edric a salvarla da quella situazione imbarazzante. << Cambio cavaliere? >>

<< Certamente! >> 

Cercò di sorridere nel modo più convincente possibile, mentre Gendry cercava un'altra donzella da far danzare.

<< Dove hai lasciato Sansa? Ero sicura ti costringesse a ballare per ore, conoscendola. >>

<< Ci ha pensato Jon a sostituirmi. >> rispose, indicandole con il capo i suoi due fratelli. Arya provò una fitta di gelosia nel vederli insieme, eleganti e bellissimi. Jon stava sorridendo, probabilmente per la prima volta da quando erano cominciati i festeggiamenti. Stava sorridendo mentre guardava con affetto la maggiore delle ragazze Stark. Sansa, sempre così composta. Sansa dai capelli perfetti. Per un attimo le tornò alla mente l'unica volta in cui Jon, spontaneamente, le aveva parlato di quella donna dei bruti, Ygritte. Aveva nominato i suoi capelli, definendola "baciata dal fuoco". E se anche i capelli di Sansa gli avessero fatto quell'effetto? Se un giorno li avesse guardati in modo diverso? E se, a quel punto, l'indifferenza reciproca mostrata nell'infanzia avesse costituito un vantaggio? 

Stava impazzendo, decisamente. Quelli non erano pensieri normali, e soprattutto non erano pensieri che una donna avrebbe dovuto formulare nel giorno del suo matrimonio. 

Per non destare sospetti, si costrinse ad ascoltare Edric, che le stava chiedendo di Harrenhal.

<< Oh, dovremo recarci lì appena sarò pronta. Ho chiesto a Gendry di restare per un po' qui. E' sempre triste per me andar via. >>

<< Eppure Harrenhal è stata una tua richiesta. >>

Arya ci pensò su. Era stata una sua richiesta, effettivamente. << Si, è vero. Grande Inverno appartiene a Rickon e, se proprio dovevo mettermi a capo di un castello, mi piaceva l'idea che fosse Harrenhal. Ho intenzione di far tornare il luogo quello di un tempo. >> "Sposerai un re e governerai sul suo castello." le aveva detto suo padre, un tempo. La sua predizione non era stata del tutto sbagliata, anche se Gendry aveva scarsissime probabilità di salire al trono. "Jon, invece…"

<< E magari, entro il prossimo anno, potreste organizzare un torneo da far invidia al celebre. >> 

Ma non era la cosa giusta da dire, non in quel momento. Era come se, quella sera, i fantasmi di un passato che, al tempo stesso, non le apparteneva e le apparteneva così tanto, avessero deciso di porgerle i loro personali auguri, infilandosi nei pensieri e nelle parole dei discendenti Baratheon. Le guerre erano terminate, eppure alcuni conflitti sembravano non avere mai fine. Sua zia Lyanna riposava nelle cripte sotto di loro da più di due decenni, eppure continuava a vivere nei ricordi della gente, gente che magari neanche l'aveva conosciuta, che la rimembrava al solo scopo di sottolineare, ancora una volta, la crudeltà dei Targaryen, di tutti i Targaryen. Ma la sorella di suo padre aveva il sangue di lupo, proprio come lei, e Arya sapeva che, nonostante il fuoco, il lupo non soggiace al drago, a meno che non lo desideri. E lei? Cosa desiderava per se stessa?

<< Arya… mi hai sentito? >>

Che qualcuno smettesse di farle mille domande, per prima cosa. << Oh, scusa Edric. Un torneo, si, sarebbe un'ottima idea… >>

<< Lord Edric, permette? >>

Un terzo pretendente era giunto a chiederle un ballo, il Primo Cavaliere del Re. << Ser Davos >> si esibì in un mezzo inchino che avrebbe reso Sansa davvero fiera di lei, e anche sua madre.

<< Lady Arya >>

Con un sorriso, si lasciò condurre da lui. Era un buon ballerino, migliore dei due giovani che lo avevano preceduto. Pensò fosse carino dirglielo. << Danzi molto bene, ser Davos. >>

<< Ti ringrazio, mia lady. Diciamo che saper ballare è uno dei miei compiti. Il Primo Cavaliere del Re deve sostituire il re in proprio tutte le occasioni. >>

Arya ridacchiò, lanciando un'occhiata al tavolo d'onore. Stannis Baratheon, ovviamente, non aveva lasciato il suo posto. << Ti confesso che ne sono felice. Sarebbe stato molto imbarazzante per me avere la mano del re sul fianco. >>

Davos Seaworth ricambiò la risata. Aveva degli occhi buoni, ed Arya lo aveva sempre considerato un uomo d'onore. Per certi versi, le ricordava suo padre.

<< Ed io non ti imbarazzo, mia lady? >>

<< Oh no, tu mi sei simpatico. >>

<< Confesso di essere deluso. Ho sempre sognato di incutere timore alla gente. >>

Ancora una risata, unita a qualche passo di danza. Quello si stava rivelando il miglior momento della serata.

<< Posso chiederti una cosa, ser Davos? >>

<< Tutto quello che desideri, mia lady. >>

Lo disse in un modo così convincente, così paterno, che per un istante pensò di chiedergli davvero tutto quello che desiderava, ma soltanto per un istante. Era un brav'uomo, ma era pur sempre un uomo del re. << Cosa ne pensi di queste unioni? >>

Se il cavaliere rimase spiazzato dalla domanda, non lo diede a vedere. << Credo che sarebbe stato il sogno del lord tuo padre e re Robert. Stark e Baratheon, finalmente insieme. >>

<< E tu, credi sia giusto? >>

Stavolta sembrò pensarci prima di ribattere. << Tu credi che non lo sia, mia lady? >>

Lei non sapeva cosa credere, avrebbe voluto dirgli. Non sapeva se essere felice, triste, sollevata, disperata… Lei avrebbe voluto soltanto essere libera, ma questa era l'unica cosa che non poteva essere. << Non ho mai pensato di essere portata per i matrimoni, ser Davos, devo confessarlo. >>

Inaspettatamente, l'uomo sorrise. << Lady Arya, quello che senti… è comprensibile, ma tu, a differenza della maggior parte delle ragazze di nobili lignaggio, non hai sposato un estraneo. Tu e Gendry avete un legame molto forte, a quanto ho sentito. >>

Un legame forte, certo. A suo tempo, però, quel legame non era bastato. << Lo so. E' solo che… >>

<< Hai paura che non sia amore? >>

Arya lo fissò, sbalordita. Era proprio quello che stava per dire. 

<< Mia lady, permetti che ti dica una cosa. Potrai ascoltare ballate e potrai udire leggende, di eroi sacrificatisi e di grandi amori epici, ma l'amore non è questo. L'amore è quel di più semplice possa esistere al mondo. E' desiderare di ritrovare una persona quando l'hai perduta, il rivederla negli atteggiamenti e nelle parole di chi incontri sulla tua strada. Amare significa provare conforto nel pensare alla persona amata, non importa quanto sia difficile la situazione in cui ci troviamo. Amare significa sentirsi a casa perché c'è lui, o lei, anche se la nostra dimora è a leghe di distanza. >>

Arya lo ascoltò con attenzione, il cuore che le martellava nel petto.

<< Questo e solo questo, mia lady. Nulla di più semplice, nulla di più spontaneo. Non è molto diverso dall'amore per la famiglia, perché, alla fine, la persona che amiamo diventa la nostra famiglia. Hai mai provato qualcosa di simile? >>

Come guidati da quel discorso, i suoi occhi ritrovarono Jon nella sala. Stava ballando con una qualche figlia di un qualche lord, ma, stavolta, stava guardando nella sua direzione, quasi potesse udire quello di cui lei e il Primo Cavaliere stavano parlando, quasi volesse udire la sua risposta.

<< Credo di si. >>  disse, lottando per trattenere le lacrime.

 

 

Aveva perso il conto degli uomini che erano giunti da lei per chiederle un ballo. Aveva accettato di danzare con ognuno di loro, come ci si aspettava facesse, e, adesso, era il momento di Rickon, anche se, in verità, era la mano di un altro fratello che avrebbe voluto stringere. Jon, in ogni caso, era proprio dietro di lei, più vicino di quanto non fosse stato per tutta la sera, impegnato a far volteggiare la principessa Shireen, carinissima nel suo abito verde scuro. 

<< Ne abbiamo ancora per molto? >> domandò Rickon, sbuffando.

<< Ti prego, Rickon, risparmiami i tuoi capricci. Probabilmente sono ore che non mi siedo. Domani avrò calli ovunque. >>

<< E' da quando sei nata che hai calli ovunque >> ribattè una voce alle sue spalle.

Si voltò, sempre senza smettere di danzare, incerta su cosa dire. Optò per il sarcasmo. << Ciao Jon, non sapevo ci fossi anche tu. >>

<< Lady Arya, vuoi ballare con Jon? Posso darti il cambio, se preferisci. >>

Shireen Baratheon era una ragazzina dolcissima, completamente diversa da suo padre e sua madre, ed Arya non poté evitare di sorriderle, ma, prima che potesse valutare la sua proposta, Jon gelò entrambe le fanciulle con un secco << No. >>

Arya cercò il suo sguardo, ma lui, ancora una volta, non ebbe il coraggio di incrociare i suoi occhi. Aveva voglia di correre nella sua stanza e piangere dalla frustrazione, ma non era più una bambina.

 

 

E potrai odiarmi a volte perché dovrò partire,

potrai odiarmi perché mi chiamerà il dovere…

Uno dei cantastorie passò proprio accanto al loro gruppetto, e ad Arya venne naturale ascoltare le parole.

… o potrai odiarmi perché dovrò tacere

perché a volte anche tacere si deve per amore

 

Un brivido le corse lungo la schiena. Una strana sensazione la pervase e, anche se non avrebbe saputo spiegare il perché, era certa che anche Jon stesse provando lo stesso. Alle volte le sembrava che potessero sentirsi a vicenda, proprio come i loro metalupi. 

 

Ma ci sarò quando avrai bisogno,

ti riscalderò durante le notti d'inverno

e ti scompiglierò i capelli nei giorni d'estate.

 

Jon le scompigliava sempre i capelli, sin da quando era piccoli. Lo faceva con affetto, ma Arya, alle volte, si era ritrovata ad arrossire a causa di quel gesto, pur consapevole che non vi fosse nulla di sbagliato. 

E ti tratterò con la delicatezza che merita una lady,

e al contempo con la passione che merita un lupo.

 

"Con la passione che merita un lupo." Quella canzone doveva essere stata composta appositamente per il suo matrimonio, ma un cervo, per quanto furioso, non può reggere il confronto con un lupo. Nessuno può essere passionale quanto un lupo, eccetto forse un drago…

<< Jon >>

Senza pensarci, mossa da qualcosa che non poteva controllare, si separò da Rickon, voltandosi ancora una volta verso il suo fratellastro. Aveva semplicemente detto il suo nome, ma lei stessa aveva colto quasi una certa disperazione nel modo in cui aveva pronunciato quelle tre lettere, e doveva essersene accorto anche lui, poiché, incurante delle danze e del pubblico, lasciò andare la principessa, fissando Arya ad occhi spalancati, quasi impauriti. Fu un lunghissimo istante, un istante che, però, le cambiò la vita. Per la prima volta, non vide il ragazzino che aveva giocato con lei nei corridoi di quel castello, né il fratello che l'aveva stretta a se, anni dopo, mormorandole che andava tutto bene. Per la prima volta, Arya vide un uomo ma, soprattutto, per la prima volta si sentì donna. Probabilmente, se il re non avesse scelto quel momento per battere le mani, Arya avrebbe fatto qualcosa di veramente e meravigliosamente stupido, ma Stannis Baratheon la riportò alla realtà. 

<< Possiamo procedere con la messa a letto, direi. >>

Qualsiasi eccitazione svanì e Arya si ritrovò a desiderare altri cento cavalieri e altri cento balli. Avvertì qualcuno che la afferrava per il corpetto e, dimenticando qualsiasi parvenza di buone maniere, urlò << EHI, giù le mani! >>

<< Oh, nono. Mi scuso con voi, miei lord, ma sappiamo quanto la sposa possa mordere… >>

Arya avrebbe seriamente voluto staccargli la testa a morsi, in quel momento.

<< … quindi direi che, almeno per lei, possiamo semplificare la tradizione. >>

Niente messa a letto, quindi? Bene! Senza tanti complimenti, iniziò a muoversi verso le stanze che le spettavano, ma il re non aveva ancora finito.

<< Sarà il suo fratellastro, Jon Snow, a scortare Lady Arya. Chi meglio del Lord Comandante dei Guardiani della Notte per assicurarsi che non venga infastidita? >>

Il silenzio calò sulla sala, un silenzio innaturale. O forse era la sola a percepirlo in quella maniera? 

Jon si era immobilizzato, colto totalmente alla sprovvista. Sul suo volto non vi era neanche l'ombra di un sorriso, e persino Gendry, per un attimo, aveva dimenticato Sansa, Shireen e le altre lady che avevano il compito di accompagnarlo in camera, per osservare la strana reazione del ragazzo. 

<< Le sono grata per l'accortezza, sua maestà. >> Arya si esibì in un inchino, sperando di essere stata convincente e di attirare l'attenzione su di se. << Jon, andiamo. >>

Gli prese la mano, e quel contatto sembrò risvegliarlo da uno stato di trance. 

<< C-certo. >>

Con un solo, agile movimento la prese in braccio e si incamminò fuori dalla sala grande, guardando dritto dinanzi a se, incurante degli sguardi altrui. Non voleva lasciar trasparire le sue emozioni, ma non le rivolse la parola neanche quando furono soli. La sua insolita freddezza mise a disagio Arya, che si sentiva un sacco di patate da trasportare in cucina. La loro passeggiata, però, non si concluse nelle cucine, ma in camera da letto, la camera che era appartenuta ai suoi genitori.

Quando la mise giù, in un certo senso si sentì sollevata, ma poi lo vide dirigersi immediatamente verso la porta, e le venne di nuovo voglia di piangere.

<< JON! SI PUO' SAPERE COSA DIAMINE HAI? >> urlò, esasperata. Lui si fermò sulla soglia, ma non si voltò né rispose. Arya avrebbe voluto ammazzarlo, ma si limitò a lanciargli dietro una candela. Chi cavolo le aveva messo poi delle candele nella stanza? 

Accadde tutto troppo velocemente. Jon si voltò con uno scatto e le afferrò il polso, forte. Per un momento, le sembrò di scorgere nei suoi occhi il rosso di quelli di Spettro. Dopodiché, il ragazzo sbiancò, allentando la presa.

<< Non farlo mai più >> sussurrò, ancora visibilmente scosso.

Arya, al contrario, cercò di calmarsi. Sapeva che non voleva farle del male. "È un lupo, come me, è il nostro istinto naturale." << E allora tu smettila di ignorarmi! >>

<< Per gli dei, Arya, perché ti stai comportando così? >>

<< Perché io mi sto comportando così? Sei tu quello che mi ha promesso supporto eterno nel parco degli dei e poi non mi ha degnato di uno sguardo per tutta la sera. >>

Non avrebbe dovuto urlare. Gendry sarebbe arrivato a breve, e lei non voleva che qualcuno sapesse cosa l'aveva turbata durante tutto il banchetto.

Jon abbassò il capo. << Non rendere tutto più difficile, ti prego. >>

Stava implorando, e non solo nelle parole, ma nel tono con cui le aveva pronunciate, nell'espressione rassegnata che riusciva a cogliere, per quanto lui cercasse di nasconderla. Vederlo in quello stato le faceva male, ma anche lei soffriva, e non aveva alcuna intenzione di tenere le sue sofferenze per se.

<< Perché mi hai completamente ignorata stasera? >> chiese, con voce ferma.

<< Arya... >>

<< PERCHÉ NON MI GUARDI? >>

Il grido dovette spaventarlo a tal punto da fargli alzare la testa. Adesso era lei ad aver lasciato uscire la bestia.

Tutta quella situazione la turbava. Provò a scavare nei ricordi, ma non trovò alcuna memoria di un qualche litigio tra lei e Jon. Da bambina aveva litigato con Robb, a volte, con Sansa, sempre, con Bran, spesso, ma mai con Jon. Anche quando le giocava degli scherzi, non esagerava mai, perché la conosceva bene, e sapeva che detestava essere presa in giro.

Gli afferrò la mano, con dolcezza, e lui, almeno, non la ritirò. << Dimmi qualcosa, Jon. Dimmi anche che mi odi, ma non restare in silenzio, non con me. >>

<< Io non ti odio. >> 

Arya rabbrividì. Il modo in cui la guardava… la faceva sentire così… viva. 

<< Come potrei? >>

<< E allora perché te ne sei stato in disparte? Perché non ti sei seduto al mio fianco? >>

<< Quel posto spetta a tuo marito, e a tuo fratello. Io non sono nessuna di queste due cose. >> 

Si staccò da lei, di nuovo, e si diresse verso la finestra. Posò una mano sulla parete, mentre il suo sguardo si perdeva verso l'esterno. Quanto avrebbe voluto poter leggere i suoi pensieri, svelare quei segreti che tanto insisteva a mantenere nascosti. Desiderava rassicurarlo, come tante volte lui aveva rassicurato lei, eppure non ne era capace. Non si era mai sentita così impotente dal giorno in cui avevano giustiziato suo padre, ma a quel tempo era una bambina, coraggiosa e ribelle, ma pur sempre una bambina. Adesso, invece, era una donna, abbastanza adulta da sposarsi ma non da proteggere le persone che amava.

Prese coraggio e gli si avvicinò ancora. Non intendeva temere i suoi rifiuti. << Tu sei più di queste due cose, Jon >> sussurrò, accarezzandogli i capelli scuri. << Tu sei fratello, amico, compagno… tutto insieme. Tu sei il mio branco. Tu… >> esitò, incerta su come concludere. << … Tu non puoi abbandonarmi. >>

Jon la scrutò, sospettoso. Aveva colto la sua esitazione, ma Arya non riusciva a capire se avesse compreso o meno che c'era altro che voleva dire. 

Lui chiuse gli occhi, inspirando a fondo. << Tuo marito sarà qui a momenti. >>

Avrebbe voluto urlare di nuovo, e avrebbe voluto picchiarlo, ma non fece nulla di tutto ciò. Però perché continuava a cambiare argomento? << Allora dobbiamo sbrigarci. >>

Jon la guardò senza capire. << Sbrigarci? >>

<< La messa a letto. La cerimonia vuole che io sia pronta per il letto. Devi… >> cercò di mantenere un tono naturale, rifiutando di mostrarsi imbarazzata. << … aiutarmi a togliere il vestito. >>

Vide i suoi occhi dilatarsi, ma non gli avrebbe permesso di evitare anche quello. Gli diede le spalle, in attesa. 

Qualche secondo dopo, sentì le sue mani armeggiare con i lacci del corpetto, impacciate. Nessuno dei due osò parlare, mentre il ragazzo, piano piano, la liberava di tutta quella stoffa. Quando l'abito cadde ai suoi piedi, Arya trattenne il fiato. Sapeva di avere ancora la sottoveste, ma si sentiva incredibilmente nuda. 

Stava pensando a cosa dire, quando avvertì il corpo di Jon avvicinarsi al suo, il naso tra i suoi capelli, le labbra che le sfioravano appena l'incavo tra collo e spalla. 

<< Arya… >> 

Jon sussurrò il suo nome, quasi con disperazione. Non le disse altro, eppure, in quel momento, sembrò dirle tutto. 

Lei chiuse gli occhi, e, in un attimo, rivide così tanti anni. Rivide Jon che le toglieva la neve dal viso, facendola arrossire. Lo rivide mentre le donava Ago e mentre, molto tempo addietro, l'aiutava a sellare sul suo primo cavallo. Rivide Sansa parlare di eroi e ballate, e loro due, insieme, alzare gli occhi al cielo. Robb che si allenava con una spada di legno, mentre Bran e Rickon lo osservavano ammirati. Gli sguardi rassegnati di sua madre, e quelli fieri di suo padre. Ma sarebbe stato altrettanto fiero di lei, in quel momento, se fosse stato vivo? Non l'avrebbe mai saputo, e probabilmente era meglio così. Poi udì la voce di Gendry, ma non nella sua testa.

<< Ragazze, siete state molto gentili, ma siamo arrivati. >>

<< Oh, di già! >> ribattè, delusa, una qualche lady di cui ad Arya non importava nulla. 

Tanto bastò per spezzare la magia. 

Prima che se ne rendesse conto, Jon era già quasi fuori della porta. Evidentemente non voleva che si ritrovassero tutti e tre nella stessa stanza. 

<< Jon! >> lo chiamò ancora. Lui si fermò sulla soglia, e si voltò. << Non lasciarmi sola. >>

I suoi occhi erano impenetrabili e, mentre fissava la sua schiena allontanarsi, Arya si ritrovò a sperare che non la abbandonasse.

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Capitolo 4
*** A Night With Wolves ***


Old Gods, forgive me
 
4. A Night With Wolves
 
Era la seconda volta che baciava qualcuno. Ricordava vagamente la prima e, fino a quel momento, unica occasione in cui le sue labbra avevano incontrato delle altre, ma non si trattava di una memoria piacevole. Il bacio era stato umido, troppo umido, ma era servito al suo scopo. L'ultimo bacio prima di morire, per la sua povera vittima. 

Stavolta, la situazione era molto diversa, eppure non riusciva a provare alcun tipo di entusiasmo mentre la lingua di Gendry s'intrecciava alla sua. Forse, semplicemente, non era portata per i baci, o magari non aveva ancora ricevuto il bacio che le avrebbe fatto cambiare idea.

<< Sei bellissima, mia lady >> le sussurrò suo marito, portando le labbra al suo collo. Arya se ne stava lì, immobile come una statua, alla sua mercé. Aveva imparato a muoversi come i danzatori dell'acqua, a cambiare volto, a uccidere… ma nessuno l'aveva mai preparata per quello. Era una lotta impari, una lotta in cui lei, abituata ad essere predatrice, in una vita e nell'altra, diveniva inesorabilmente vittima, inesorabilmente donna. 

Le mani di Gendry erano dappertutto, mentre le braccia della ragazza pendevano flosce lungo i fianchi. Si domandò se ogni sposa fosse così impacciata la prima notte di nozze o se lei rappresentasse un caso speciale. Per un attimo provò ad immaginare come doveva essere stato tra Sansa ed Edric, ma poi, dato che correva il rischio di vomitare, decise che preferiva non saperlo. 

<< Va tutto bene? >> 

Gendry, forse per la prima volta da quando le lady lo avevano condotto nella stanza, la guardò negli occhi. Doveva, alla fine, essersi accorto del suo silenzio. 

<< Si… io… >>

<< Bene, perché non vedo l'ora di saggiare tutta la forza e la passione della mia fanciulla lupo. >>

La strinse più forte a se, iniziando ad abbassarle le spalline della sottoveste. "Devo farlo. L'ho sposato e devo farlo." si disse e, mordendosi il labbro, allungò le mani verso le brache. L'uno con foga, l'altra un po' titubante, si spogliarono a vicenda. 

Quando Gendry l'adagiò sul letto, Arya si sentì al contempo terrorizzata e sollevata. Terrorizzata al pensiero che la sua verginità stesse per essere violata, sollevata perché suo marito sarebbe stato così preso dal suo corpo da non accorgersi che la sua mente - e il suo cuore - erano altrove. 

Le sorrise, torreggiando su di lei. << Sono così felice di averti sposata… mia lady. >> 

Arya non poté che ricambiare il sorriso, mentre sensi di colpa perpetravano in lei. Poteva sembrare un po' sbruffone, alle volte, e, crescendo, aveva dimostrato di amare il vino quanto suo padre, cosa che Arya non apprezzava, ma, alla fin fine, era lo stesso ragazzo, lo stesso uomo, che un tempo aveva lottato con lei nelle stalle di Lady Smallwood. Pur essendo stato legittimato, pur essendo divenuto un lord, non era cambiato, non più di tanto almeno e, soprattutto, non sembrava intenzionato a cambiare lei, nonostante fosse consapevole di non aver sposato la più malleabile delle lady. Era stato un buon amico, e sarebbe stato un buon marito - Arya non ne dubitava - ma, nel suo cuore, sapeva che il problema non stava in chi era Gendry, ma in chi non era.

Forse doveva soltanto dargli la possibilità di conquistare la donna, come un tempo aveva conquistato la ragazzina. Forse avrebbe potuto innamorarsi davvero, magari proprio a cominciare da quella notte. Bastava avere fiducia in lui, abbandonarsi tra le sue braccia, convincersi che poteva essere al sicuro anche lì. Bastava ripetersi che non occorreva evadere, fuggire altrove. Ma sarebbero state bugie, soltanto bugie.

Si irrigidì, mentre avvertiva una pressione sempre più forte nel basso ventre. Gendry stava per entrare in lei. Per un attimo, desiderò che fosse un po' meno cortese e la prendesse da dietro, perché, in questo modo, almeno avrebbe corso meno rischi di essere scoperta, ma ormai non poteva farci nulla. Non avrebbe di certo preso lei l'iniziativa. Sospirò, mentre lui affondava le labbra nel suo collo. Chiuse gli occhi…

… ed iniziò a correre. L'aria era fresca e piacevole e lei si sentì finalmente libera mentre il vento della sera le sferzava il muso. Il parco degli dei era deserto, e non avvertiva alcun rumore nelle vicinanze. Silenzio, soltanto silenzio. Si voltò a destra e a sinistra. Sapeva quanto lui fosse capace di arrivare di soppiatto, eppure non lo vedeva da nessuna parte, nè lo percepiva, il che era stranissimo, considerando che, in un modo o nell'altro, anche nei giorni che li avevano costretti più lontani, erano sempre riusciti a percepirsi. Era comunque fiduciosa che sarebbe venuto. Doveva venire, altrimenti sarebbe andata a prenderlo, e, dopo, non ne sarebbe stato contento.

Raggiunse lo stagno e si abbeverò. La luna era alta nel cielo e illuminava tutto lo spazio circostante, sicché non aveva problemi a scorgere il suo riflesso. Gli occhi del colore dell'oro liquido parevano tristi, ma chi era ad essere triste, il lupo o la ragazza? 

Nymeria era frustrata. Stava bene a Grande Inverno, soprattutto adesso che era arrivato Spettro, eppure, alle volte, si sentiva incompleta. Le mancava il suo branco, i suoi cugini più piccoli, dal pelo grigio e dal pelo nero. Come procedeva la loro vita senza di lei? Erano rimasti insieme o si erano separati? Riuscivano ancora a farsi valere contro gli uomini, senza la sua guida? 

E suo fratello, il suo fratellino che odorava d'estate, dov'era? L'avrebbe mai più rivisto? Ricordava così poco di lui! Le loro strade si erano divise troppo presto, due lunghi viaggi che avevano portato lei a Sud e lui all'estremo Nord, lì dove né uomini né lupi potevano raggiungerlo. Avrebbe tanto voluto rincontrarlo, ma, per adesso, le bastava sapere che era vivo, e che stava seguendo il suo destino, lì con colui che doveva proteggere. 

Il pensiero del fratello la condusse inconsciamente verso il grande albero dalle foglie rosse. Ad un certo punto, però, percepì di non essere più sola, e scattò di lato. L'altro suo fratello, il metalupo albino, era arrivato, come aveva sperato, ma il suo tentativo di sorprenderla non aveva funzionato. Non funzionava mai. 

Ringhiò, beffeggiandolo. Era quello più grosso, eppure, se loro e Cagnaccio avessero costituito un vero branco, come quello di cui lei era a capo nelle terre dei fiumi, l'alfa sarebbe stata Nymeria, perché era Nymeria ad avere quell'indole, come la regina guerriera da cui aveva preso il nome. Ma non c'era nessun branco, in realtà. Il loro legame era forte, eppure, inevitabilmente, il modo e i luoghi in cui erano cresciuti impediva loro di rimanere uniti e compatti. O forse era semplicemente troppo grande il vuoto causato dalle loro perdite. 

Ogni tanto le piaceva immaginare che Lady e Vento Grigio fossero ancora vivi, da qualche parte, e che un giorno sarebbero sbucati fuori. Magari tutti insieme sarebbero andati su, oltre la barriera, capaci insieme di raggiungere la loro estate anche nel cuore dell'inverno. Fantasie, nient'altro che fantasie, piacevoli quanto impossibili.

D'improvviso, una foglia solitaria venne giù dal cielo, fermandosi ai piedi di Spettro. Entrambi i metalupi la seguirono con lo sguardo. A volte, quando era a Grande Inverno e le mancava il suo compagno, le piaceva fissare il folto capo dell'albero diga, perché le sembrava di vedere gli occhi del lupo silenzioso e, in questo modo, si sentiva meno sola.

Si avvicinò e provò a dargli una zampata, ma lui la schivò, arretrando. Si aspettava un contrattacco, ma suo fratello evidentemente non aveva poi tanta voglia di giocare. I turbamenti del ragazzo lo avevano reso più inquieto del solito. Poco prima, mentre il matrimonio si celebrava, aveva addirittura ululato. Nymeria non ricordava di aver mai sentito Spettro ululare e, adesso, non era certa di voler ripetere l'esperienza. Dolore, semplice, puro e profondo dolore. Era riuscita ad avvertirlo anche lei e aveva desiderato placarlo in qualche modo, ma l'albino si era poi allontanato, probabilmente per leccarsi le ferite in solitudine. Sapeva che non si sarebbe fatto vivo se lei non lo avesse chiesto a lui. 

Nymeria provò una fitta in un luogo imprecisato. Non riusciva a capire da dove provenisse quella sensazione di malessere, poi comprese…

 

Arya portò le mani al volto, alla fronte imperlata di sudore. I suoi capelli dovevano essere più disordinati del solito. Di certo non avevano bisogno che qualcuno li arruffasse…

Sbattè le palpebre due volte, prima di ricordare in che situazione si trovava. Era stato il dolore a farla tornare in se e, adesso che era di nuovo nella sua pelle, era tutto assurdamente imbarazzante. Quanto tempo era passato? Quanto tempo aveva trascorso nel corpo della sua metalupa? A giudicare dalla posizione di Gendry, non molto. 

<< Oh, mia lady… >> la chiamò suo marito, che, però, non sembrava interessato ad una risposta. Forse aveva fatto il suo nome più volte, mentre Arya non poteva sentirlo. 

Chiuse di nuovo gli occhi, infastidita dal cigolio del letto. Inconsciamente, allungò la sinistra verso la testa di Gendry, accarezzandogli i capelli e il collo. Il tocco lo fece rabbrividire, e Arya avvertì che iniziava a muoversi diversamente, non più su e giù, un po' impacciato. Forse stavolta l'avrebbe davvero presa da dietro. Ma ad Arya non importava. Stava sognando altri capelli, un altro volto, altri occhi…

… e poi si ritrovò di nuovo sola, a vagare per corridoi bui, poggiando sulle sue quattro zampe. Era all'interno del castello e stava seguendo suo fratello, che, d'improvviso, era fuggito via. Ma per andare dove?

Sentiva che era vicino. Stava tentando di capire quanto vicino, quando notò a terra un pezzo di stoffa stracciata e, illuminata sulle intenzioni di Spettro, iniziò a correre. Temeva di non fare in tempo, ma poi scorse il suo pelo candido e, con uno slancio, gli arrivò addosso. Rotolarono per un po', finchè Nymeria, il cui turbinio di emozioni l'aveva resa più feroce e forte che mai, non lo inchiodò al suolo, poggiando una zampa sul suo petto. Lo fissò negli occhi, e quasi desiderò arretrare. 

C'era ancora una parvenza di rosso, certo, ma il grigio scuro, tendente al nero, sembrava sul punto di prevalere definitivamente, rendendo lo sguardo del lupo più inquietante di quanto fosse mai stato. 

Avvertì una stretta al petto. Quegli occhi soffrivano e, in quel momento, il suo stesso corpo le risultava stretto. Desiderava ardentemente abbracciare suo fratello, stringerlo a se, accarezzargli i capelli e sussurrargli a mezza voce che lo amava così tanto… 

Spettro però non aveva capelli e, soprattutto, Nymeria non aveva braccia. Soltanto la ragazza e il ragazzo avrebbero potuto interagire in quel modo, eppure, assurdamente, per mille e nessun motivo, non gli era possibile. Tutto quel che restava loro era infiltrarsi nelle loro controparti animali, tentare di trasformare il dolore in rabbia, in naturale brutalità. Nymeria avrebbe potuto ringhiare quando Arya avrebbe desiderato urlare, e Jon avrebbe potuto sfogare la sua frustrazione correndo per Grande Inverno, dato che anche il metalupo, proprio come lui, sembrava preferire il silenzio.

Una voce giunse a distrarli. Una voce maschile, proveniente alla stanza che l'albino aveva provato a raggiungere. Fu un attimo, un maledetto attimo di disattenzione, durante il quale la metalupa si lasciò scappare il fratello.

 

L'angoscia fece destare la ragazza, appena in tempo per notare Spettro che mandava a sbattere la porta della camera e saltava sul letto. D'istinto, Arya tirò le lenzuola fino al collo, imbarazzata dallo sguardo del lupo, mentre Gendry, il quale, finalmente soddisfatto, si era disteso al suo fianco, sobbalzava all'arrivo di quell'ospite inatteso. 

<< Ma cosa…? >> urlò, fissando intimorito l'animale. 

Spettro aveva l'espressione contratta in un ringhio, ma, al solito, non emetteva alcun suono. Una furia cieca poteva leggersi nei suoi occhi che eran tornati del colore del sangue, probabilmente perché l'istinto della bestia aveva preso il sopravvento. 

Incerta, per la prima volta spaventata dal metalupo di Jon - se non addirittura da Jon stesso -, Arya allungò la mano per accarezzargli la testa. << Calmo, Spettro. Va tutto bene. >>

<< No che non va bene. Perché Jon non tiene a bada questo maledetto coso? >>

Prima che potesse spiegargli che non era saggio parlare in quel modo, Spettro scattò verso suo marito. Arya, però, era pronta, e si frappose tra l'uomo e la belva. 

"Lo stai proteggendo" sembravano rimproverarla gli occhi dell'albino. Per un momento, la ragazza provò l'irrefrenabile desidero di scoppiare a ridere per la frustrazione. Quella situazione era assurda, e biasimava se stessa per aver contribuito a crearla. Se non avesse fatto quella richiesta a Jon, se fosse stata coraggiosa come tante volte lo era stata nel corso degli anni…

E invece no. Lei, che aveva iniziato ad uccidere quando era solo una bambina, che aveva dimostrato una freddezza tale da arrivare ad assassinare la sua stessa madre - o quello che di lei rimaneva -, si era lasciata spaventare al solo pensiero di trascorrere una notte che tante altre ragazze prima di lei avevano, e che altrettante avrebbero, affrontato. 

Era stata egoista, semplicemente egoista, non rendendosi conto che i suoi capricci avrebbero sottoposto suo fratello ad un'ennesima sofferenza. L'indomani avrebbe dovuto chiedergli scusa. Anzi, lo avrebbe fatto subito. 

Lanciò un'occhiata a Nymeria, che se ne stava immobile sulla soglia, e gli occhi dorati della sua fedele compagna sembrarono suggerirle che anch'ella riteneva, adesso, la situazione più sicura. Certa che, nel caso di un ulteriore tentativo di attacco, la lupa sarebbe intervenuta all'istante, si alzò dal letto, che Spettro non dava segno di voler lasciare, e afferrò i primi vestiti che le capitarono sotto tiro. Infilatasi la vestaglia, tornò a rivolgersi alla fiera dalle rosse iridi. << Andiamo, Spettro. >>

La fissò confuso, ma fu Gendry a dare voce alla domanda inespressa. << Dove andate? >>

<< Lo riporto in camera di Jon. La sua vicinanza lo farà sicuramente calmare. >>

<< Ne sei sicura? >> 

Arya comprese perché al cervo non erano mai accostati aggettivi quali "coraggioso" o "audace". L'animale sullo stemma dei Baratheon le aveva sempre fatto pensare alla regalità, ma suo marito, che se ne stava con la schiena attaccata alla parete, terrorizzato, in quel momento non le appariva poi tanto regale. Quella semplice immagine bastò a farle dimenticare l'angoscia che aveva preceduto la sua prima notte di nozze. Adesso, il tutto sembrava essersi trasformato in una farsa da guitti.

<< Se sei preoccupato per me… >> cominciò la sposa, mentre Spettro balzava giù per seguirla. <<… puoi sempre accompagnarmi. >>

<< No, io… ti aspetto qui. >>

Aveva posto quella domanda non nutrendo alcun dubbio sulla risposta, e, sebbene si sentisse sollevata dal prevedibile rifiuto del suo novello sposo, non poté non domandarsi quanto di vero vi fosse nelle promesse che solo qualche ora prima aveva pronunciato dinanzi all'albero diga. Come avrebbe potuto proteggerla e vegliare su di lei se era bastato un animale di casa Stark a frenarlo?

"Forse ha semplicemente paura delle bestie" si disse. "E' comprensibile, considerando come è avvenuta la morte di Re Robert…" E poi, da quando necessitava di un uomo che la proteggesse? Era un lupo, e poteva cavarsela da sola. Doveva cavarsela da sola, anche perché tutti gli uomini che cercavano di proteggerla finivano per morire… tranne Jon. Jon era l'ultimo rimasto dei suoi salvatori, ma forse, per proteggerlo, sarebbe stato più saggio tenerlo a distanza. Alle volte Arya non poteva far a meno di pensare che lei e la morte fossero legate a doppio filo, sin da quando aveva ucciso quel ragazzo di stalla, innocente prima vittima della sua spada. 

Come sarebbero andate le cose se non avesse posseduto Ago? Sarebbe stata capace di difendersi anche a mani nude? Probabilmente no, e questo perché Ago rappresentava per lei molto più che una semplice arma. Ago era un oggetto, ma al tempo stesso non lo era. Era uno scrigno di ricordi, di un passato che era volato via troppo presto, portando con se la maggior parte dei protagonisti di quelle memorie. Ago era freddo metallo, freddo metallo che però le evocava calore, il calore della sua famiglia, dei camini accesi nelle notti d'inverno a Winterfell, degli abbracci di suo fratello, quel fratello che era passata dal guardare con affetto al guardare con ardore. Ago era un monito, un'esortazione a continuare a combattere perché, anche se in molti l'avevano lasciata, c'era ancora lui da poter raggiungere. Ma l'aveva poi davvero raggiunto, alla fine? Quando si eran ritrovati, aveva provato una gioia che credeva avesse abbandonato il suo corpo e il suo cuore, per non far più ritorno, nel momento in cui Ilyn Payne aveva staccato la testa di suo padre, ma, ora come ora, avvertiva tra loro una distanza incolmabile. Adesso che erano entrambi a casa, insieme, pareva che essere soltanto insieme non fosse più abbastanza. Era cambiato qualcosa tra di loro, o eran semplicemente loro ad essere cambiati, cresciuti? Immaginò di poter tornare indietro nel tempo e preannunciare alla se stessa ragazzina quello che, anni dopo, avrebbe provato per il taciturno fratello dai capelli neri. Le venne da ridere al solo pensiero.

<< Arya?! >>

La voce di Gendry arrivò come da molto lontano, fastidiosa interruzione del suo flusso di pensieri. Notò che il ragazzo e i due metalupi la stavano fissando confusi.

<< Ci vediamo dopo. >>

Senza dare spiegazione alcuna, si fiondò fuori dalla stanza, Spettro e Nymeria alle calcagna. Si rese conto di star procedendo a passo svelto, spinta forse dal desiderio di raggiungere la camera di Jon. Si sarebbe arrabbiato perché lo aveva coinvolto, anche se indirettamente, in quella assurda situazione? O sarebbe stato felice di poterla vedere ancora quella sera? Arya riteneva che, ormai, la discussione nata tra loro dopo il banchetto fosse acqua passata, ma se la passeggiata nella pelle dei lupi avesse fatto rimontare la collera nel ragazzo?

Stranamente, si sentiva fiduciosa. Se esisteva una persona in grado di placare Jon, quella era lei.

Mentre attraversava il castello, immersa nel silenzio e nel buio totale, ricordò un vecchio ricordo: una bambina di nove anni che, per inseguire un dispettoso gatto, si era persa nei meandri della Fortezza Rossa, tra scheletri di drago da cui, da subito, aveva provato a non farsi spaventare, e inquietanti stregoni che, anni e anni dopo, aveva capito di non temere. Adesso quella bambina era una giovane donna, una novella sposa, che, a causa degli eventi, era stata costretta ad apprendere tanto, ma a cui non avevano mai dovuto insegnare il coraggio, perché semplicemente le apparteneva. Era una fanciulla, ma era anche una fiera. Era diversa dai due che stava guidando, e al contempo uguale a loro. Non era nata con quattro zampe, ma in lei scorreva il sangue di lupo, cosa che, secondo suo padre, era un dono e una maledizione. "Il branco deve restare unito" pensò, mentre scivolava tra i corridoi come un fantasma, scortata dalle sue feroci guardie. Silenziosa come uno spettro, audace come una regina guerriera.

Un lupo, riflettè, si sceglieva il compagno che riteneva più degno, e quale compagno era più degno per una fanciulla del nord di un suo pari, di qualcuno del suo stesso sangue? Così legati da essere invincibili, non troppo legati da risultare dannati agli occhi degli dei.

Quando giunse dinanzi alla porta di Jon la trovò socchiusa, probabilmente in attesa del ritorno del metalupo.

Entrò. Suo fratello era disteso a letto, apparentemente immerso in un sonno profondo. Il suo sguardo passò dal ragazzo all'animale ma, nonostante le sue capacità da metamorfo, non riusciva a capire se Jon fosse tornato o meno nella sua pelle. 

Provò ad accarezzargli i capelli. Il contatto improvviso, in teoria, avrebbe dovuto risvegliarlo, eppure non si mosse, non ebbe alcun sussulto. Sembrava semplicemente addormentato.

"Ma come ha potuto addormentarsi sapendo che sarei venuta?" si domandò. Possibile che avesse lasciato il corpo di Spettro dapprima che questo irrompesse nella sua stanza? Non aveva senso. 

Dopo qualche istante trascorso a fissare il petto di Jon che si alzava e abbassava al ritmo del suo regolare respiro, comprese però che non avrebbe aperto gli occhi, a meno che non lo avesse destato in modo brusco. Delusa, accettò che la sua fuga era stata breve e non particolarmente intensa, e, dopo essersi abbassata per dare un buffetto al metalupo dal pelo color della neve, si decise a lasciarlo da solo col suo padrone. Era comunque il caso che anche lei riposasse un po' dopo quell'interminabile giornata. 

Fece un cenno a Nymeria e, pur con riluttanza, fanciulla e lupo, silenziose come un'ombra, lasciarono la camera. Non avrebbero mai saputo che, un attimo dopo che la porta s'era richiusa alle loro spalle, Jon Snow aveva sollevato le palpebre. 

 

Quanto tempo è passato dal mio ultimo aggiornamento? Sembrano passati SECOLI. 
Spero ne sia valsa la pena aspettare #_#
Come sempre, grazie del passaggio.

MissHoney
 

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Capitolo 5
*** Ghosts and secrets ***


Old Gods, forgive me
 
5. Ghosts and secrets



La notte era giunta e trascorsa, ma Jon non aveva chiuso occhio, non per dormire almeno. Era rimasto nella sua vecchia stanza per ore ed ore, immobile nel suo letto, a pensare e a rimuginare su quello che la passeggiata serale nel corpo di Spettro aveva provocato. "Non lasciarmi sola", lo aveva implorato Arya, e lui non aveva impiegato molto a capire cosa volesse intendere. Anche la frase più oscura, il più indecifrabile dei quesiti, sarebbe risultato a lui comprensibile, se fosse stata lei a porglielo. 

"Non lasciarmi sola", gli aveva chiesto. Lui non l'aveva fatto, e adesso ne stava pagando il prezzo. 

Chiuse la mano a pugno e digrignò i denti, mentre sentiva le unghie penetrare nella carne. Il ricordo di quel che aveva visto in quella camera, del grido soddisfatto di quell'essere, gli ritornò alla mente per l'ennesima volta. Quanto aveva desiderato fargli del male, sbranarlo, ridurlo in mille pezzi per il sol fatto di trovarsi in quel letto, di esser stato fino ad un attimo prima dentro di lei. "E' stato dentro di lei." Soltanto a pensarci gli venne voglia di urlare.

L'aveva presa, l'aveva resa sua, senza esserne degno. Non esisteva un uomo in tutti i Sette Regni o ad Essos, nelle città libere o ad Asshai che fosse degno di lei. Nessuno poteva capirla. Nessuno sapeva a quanti anni aveva montato il suo primo cavallo, quale fosse il suo piatto preferito, o quanto amasse le nevicate estive. Nessuno sapeva prevedere i suoi pensieri, leggerle l'anima, completare le sue frasi. Nessuno aveva atteso per anni il suo ritorno, sperando che fosse ancora viva, volendo credere che fosse ancora viva. E nessuno doveva convivere con la maledizione di essere suo fratello, e di non esserlo. Nessuno era Jon Snow e, alle volte, anche lui desiderava ardentemente essere qualcun altro.

Bussarono alla porta. Spettro, il quale, a differenza del suo padrone, era riuscito a riposare, drizzò le orecchie. Jon temendo per un momento che si trattasse di sua sorella, esitò a rispondere, poi, però, si disse che non poteva fuggire per sempre, e che, in ogni caso, probabilmente Arya non si era nemmeno svegliata, ammesso che avesse dormito.

<< Avanti >> disse, alzandosi e indossando il mantello.

Fu maestro Carrin a varcare la soglia. << Lord Comandante, mi dispiace disturbarti, ma è appena arrivato un corvo. Ho pensato potesse essere importante. >>

"Fa che sia successo qualcosa. Fa che io abbia un motivo per andarmene." << Grazie, maestro Carrin. >>

Prese il messaggio che l'uomo gli porgeva. Proveniva dal Castello Nero ma, dopo averlo srotolato e letto le prime righe, comprese che le sue speranze erano vane. Era solo un messaggio di Sam.

<< Normale amministrazione >> comunicò, infilandoselo in tasca. Quando non diede alcun segno di voler inviare una risposta, Maestro Carrin non fece alcuna domanda in merito; in realtà, sembrava concentrare tutta la sua attenzione su Spettro, che lo fissava a sua volta con interesse. 

<< Il tuo lupo è molto diverso dai suoi fratelli, Lord Snow. E' molto più… tranquillo. E' la sua natura, o è stato il clima della Barriera ad influire? >>

Jon si sentì colto abbastanza alla sprovvista: nessuno gli aveva mai posto una domanda del genere. << Oh, direi che è la sua natura, ma non lo definirei affatto tranquillo, piuttosto… silenzioso. Sa essere feroce più di Cagnaccio e Nymeria, se desidera. >>

<< E di solito lo desidera? >>

<< Solo se si tratta di proteggere qualcuno di cui gli importa. >>

Nel pronunciare quelle parole, non poté che rivolgere uno sguardo d'affetto al suo fedele compagno. Alle volte dava per scontata la sua presenza, eppure, se un giorno fosse stato costretto a separarsi da Spettro, Jon sapeva che avrebbe inevitabilmente perso una parte di se. Spettro era un lupo, mentre Jon era un essere umano, ma, spesso, eran semplicemente un'unica entità, una fiera con pensieri e sentimenti.

<< Non molto diverso dal suo padrone, quindi. >>

Maestro Carrin sembrava avergli letto la mente. 

<< Sono il Lord Comandante dei Guardiani della Notte. >> spiegò << Proteggere è il compito della nostra confraternita. >>

<< Certo, Lord Snow, sei il Lord Comandante dei Guardiani della Notte... >> 

L'uomo iniziò a gironzolare per la stanza; non pareva avesse intenzione alcuna di andar via. << … ma resti sempre uno Stark, non è così? >> proseguì, stavolta fissandolo dritto negli occhi.

Quello sguardo mise Jon profondamente a disagio ma, per quella domanda, possedeva una pronta risposta; l'aveva sempre posseduta. << Io non sono mai stato uno Stark, maestro Carrin. >>

Era un bastardo, soltanto questo. Qualunque fosse il nome della sua casata, quella realtà non mutava: era nato al di fuori di un matrimonio, da un'unione illegittima, da un'unione maledetta.

<< Qui, a Grande Inverno, e in svariati castelli dei Sette Regni, Lord Snow, c'è chi afferma senza problemi che tu sembri più Stark del nostro Lord, o di Lady Sansa, così Tully nell'aspetto e nel portamento. >>

Mancava un nome all'appello. << Ma non di Lady Arya, però. >>

<< Oh no, assolutamente. Nessuno oserebbe sostenere che qualcuno abbia più tratti Stark della nostra Lady Lupo. >> Seguì un silenzio d'attesa. Il ragazzo sapeva che il vecchio non aveva finito con lui. << Forse, Lord Snow, è proprio la tua somiglianza a lei che ti rende così Stark. Se foste nati Targaryen, la famiglia reale se ne sarebbe rallegrata tantissimo. "I gemelli che non furon" vi avrebbero chiamato. >>

"Se foste nati Targaryen." Quelle parole fecero sorridere Jon, ma si trattava di un sorriso amaro, tetro. D'un tratto un ricordo lo colpì in maniera fortissima, e si ritrovò scaraventato all'indietro, ad un tempo ormai andato.

Arya doveva avere sei anni o giù di lì, e Jon l'aveva accompagnata a letto come consuetudine di molte sere, poiché sembrava l'unico in grado di placare la sorellina e di convincerla che, prima o poi, giungeva l'ora di andare a dormire e di smettere di scorrazzare per il castello.

 

 

<< Jon, se ti faccio una domanda, prometti di dirmi la verità? >>

<< Tutto quello che vuoi, sorellina >> rispose, rimboccandole le coperte.

<< Sono anche io una bastarda? >>

<< Perché me lo chiedi? >>

<< Si somigliano tutti! Robb, Sansa, Bran… persino Rickon. Si somigliano tutti ed io no. Io somiglio a te >> confessò le sue paure, mordendosi il labbro.

Di tutta risposta, il suo fratello bastardo scoppiò a ridere, osservandola con affetto. << Tu… >> cominciò, avvicinandosi per baciarle la fronte, innocentemente, scompigliandole intanto i capelli. << … sei una nobile, come Sansa e gli altri. Sei una Stark, una vera Stark. Un giorno sarai una lady meravigliosa, e tutti ti tratteranno con il massimo rispetto. I lord si sfideranno a duello per avere la tua mano. >>

<< Non voglio essere una lady. Io non sono Sansa. Io voglio essere un cavaliere. E voglio avere una spada, per difendere le persone che amo. >>

Ancora una risata; così raro che quel suono fuoriuscisse dalle labbra del cupo ragazzo. Così raro, tranne che con lei.

<< Non occorrerà difenderle. Saranno loro a proteggere te. >>

<< Davvero? >> 

Gli occhi di Arya si illuminarono. << E tu, Jon? Tu mi proteggerai? Non mi importa degli altri lord. Mi basti tu. Sarai al mio fianco? >>

<< Sempre, sorellina. Fino alla morte >> promise.

Le accarezzò i capelli, stavolta con delicatezza, restandole accanto fino a quando, tranquilla, sprofondò nel mondo dei sogni.

 

 

<< … visite, stanotte. >>

La voce del maestro lo riportò al presente, ma colse soltanto un pezzo della sua frase. Aveva forse detto "visite notturne"? Possibile che sapesse?

<< Perdonami, maestro Carrin. Credo di essermi perso in qualche pensiero >> 

<< Parlavo delle impronte nel corridoio. E' chiaro che Spettro ha ricevuto delle visite, stanotte. >>

"Nymeria. Ha riconosciuto le orme di Nymeria."

<< Ah, certo. Spesso lui e Nymeria si fanno visita a vicenda, quando sono nello stesso posto >> spiegò.

Il metalupo, come se avesse afferrato che stavano parlando di lui, si avvicinò al suo padrone, alzando il collo e bramando silenziosamente una carezza.

<< E pare adorino le passeggiate nel parco degli dei, ma senza Cagnaccio. >>

Jon avvertì un brivido salirgli lungo la schiena e si morse la lingua. Non riusciva a capire dove volesse arrivare l'anziano con le sue parole, ma quel parlare per enigmi iniziava ad infastidirlo. Melisandre di Asshai era solita parlare in quel modo, e a Jon non era mai piaciuta la donna rossa. 

Carrin poteva anche essere il nuovo maestro di Casa Stark, ma non era Luwin, e lui non era più un ragazzino. 

<< Mi scuso nuovamente, maestro... >> esordì, il tono freddo quanto il suo nome da bastardo <<… ma proprio non capisco. >>

Quel che lo rendeva ancor più nervoso, oltretutto, era l'incapacità di decifrarne l'espressione. Per un momento gli ricordò Stannis Baratheon, e la tesa atmosfera che l'attuale re sapeva far sorgere in una stanza. Ma il maestro si calò per dare un buffetto a Spettro, e una qualsiasi analogia con Stannis sfumò, distrutta dalla nuvola di un gesto che mai il "sovrano imperturbabile" avrebbe compiuto.

<< Avete mai pensato… di farli accoppiare? >>

Jon, per un momento, valutò l'idea di esibirsi in una fragorosa risata, ma riuscì a trattenersi, anche perché, ancora una volta, l'anziano pareva non aver parlato a caso.

<< Sono fratelli. Sarebbe un abominio agli occhi degli dei. >>

Immagini di una zampa candida che si allungava sul tronco dell'albero del cuore gli attraversarono la mente. Non era una sensazione nuova, ma non poteva dirsi davvero abituato a quelle improvvise memorie dell'esistenza del metalupo che, di tanto in tanto, gli si materializzavano dinanzi agli occhi.

<< Il metalupo è lo stemma dei signori di Grande Inverno e gli Stark non sono i Targaryen… o i Lannister. L'incesto è roba da dannati, che sia tra uomini o animali. Questo anche un bastardo lo sa. >>

"E il bastardo farà bene a ricordarselo" pensò.

Si avvicinò alla finestra, poi tornò sui suoi passi; afferrò un paio di brache, irrequieto. Bramava la solitudine e sperava che quei gesti lo rendessero chiaro quanto bastava per ottenerla.

Fortunatamente, fu così.

<< Immagino tu abbia da fare, lord Snow. Del resto, a breve lady Arya si sveglierà, e ci sarà la prima colazione dei novelli sposi. >>

Jon strinse ancora una volta la mano a pugno, le unghie che gli penetravano nella fredda pelle.

<< In ogni caso… >> proseguì il maestro, appropinquandosi alla porta dopo un'ultima occhiata a Spettro. << … Ricorda le mie parole: nei vostri lupi scorre lo stesso e diverso sangue al contempo. Lo stesso e diverso, lord Snow. >>

E, con l'ennesimo enigma fin troppo semplice da decifrare per il comandante della Confraternita in nero, lo lasciò solo.

 

 

 

Il freddo attraversava la pietra: era pungente, lì sotto, ma non per qualcuno che aveva trascorso gli ultimi otto anni della sua vita sulla Barriera. Al gelo, quello esterno, Jon Snow ci aveva fatto l'abitudine; non poteva dire lo stesso, però, del ghiaccio solidificatosi attorno al suo cuore. 

Quasi tutte le persone che avrebbero potuto aiutarlo a scioglierlo erano morte, e all'ultima, la più importante, toccava scaldare qualcun altro.

Uno scorcio della notte precedente gli attraversò ancora la mente. Quanto avrebbe voluto dimenticare: dimenticare quella serata, dimenticare il segreto di suo padre, dimenticare che lei era sopravvissuta.

Aveva sofferto per anni, ma, prima dell'arrivo di quel fatidico messaggio, si era arreso, in qualche modo. Non era forse meglio saperla morta, piuttosto che ritrovarsi costantemente in preoccupazione per lei? Non era forse preferibile pensarla preda di vermi che non potevano toccarle l'anima, piuttosto che alla mercè di uno che avrebbe potuto spezzarla dentro?

"Egoista."

Quella parola doveva esser venuta fuori dalla sua coscienza, eppure gli sembrò che fosse la statua dinanzi a se a sussurrarla. 

Mai, durante la sua infanzia e prima giovinezza a Grande Inverno, si era recato lì sotto mosso dall'intenzione che lo aveva adesso condotto giù per quelle scale: osservare quella che, fino a quel momento, per lui era stata una tra le tante figure di pietra.

Nel farlo, non poté che ricordare e comprendere a pieno quello che aveva sentito dire tante volte, da lord Eddard Stark e non solo, e cioè quanto l'indomita figlia del Primo Cavaliere di Robert Baratheon somigliasse alla sua sorella perduta, fanciulla tanto amata proprio dal re in questione.

L'attaccatura dei capelli, la forma degli occhi, l'espressione fiera…

Un brivido gli corse lungo la schiena, e si disse che, probabilmente, quella visita nelle cripte era stata soltanto un'altra pessima idea. Doveva cercare di non pensare ad Arya, e di certo il modo migliore per raggiungere il suo obiettivo non era starsene a fissare quella che pareva una sua così ben riuscita riproduzione.

Eppure Jon Snow aveva semplicemente bisogno di sua madre: la madre che non aveva mai avuto, la madre che non avrebbe avuto mai.

<< Mi dispiace di non essere venuto prima. >>

La sua flebile voce riecheggiò nei solitari corridoi di pietra come un grido, ma non temeva di essere udito, né da lei, né da nessun altro. Era solo; era sempre stato solo, sin dal momento della sua nascita, quando Lyanna Stark aveva esalato l'ultimo respiro per darlo alla luce. E tutto in nome di cosa? Di una stupida profezia che non si era mai avverata? 

Daenerys gli aveva assicurato che, pur avendo conosciuto il suo amato fratello quanto Jon aveva conosciuto suo padre, sentiva che Rhaegar Targaryen era un brav'uomo e che, se aveva fatto ciò che aveva fatto, non era stato in virtù di un calcolo assurdo, ma in virtù di una passione.

<< In noi Targaryen scorre il fuoco, Jon. Il fuoco è l'elemento della distruzione, ma anche della rinascita. >>

Gli sembrava che fosse lì, di nuovo, con gli argentei capelli bruciacchiati mossi dal vento, mentre il suo sguardo vagava in cerca del mostro che amava più di ogni essere umano. 

Ricordava la lacrima che le aveva solcato il viso mentre udiva il lamento, spaventata più dalla morte del drago che dalla propria, e poi il sorriso che era seguito, al pensiero che, forse, entrambi sarebbero stati più felici nel mondo che seguiva.

Jon aveva allungato una mano verso il suo viso, verso quei capelli ipnotici. << Hai un pezzo di ghiaccio… >>

<< Non togliermelo, ti prego. Potrò così sentirmi anche io ghiaccio e fuoco. >>

E poi non gli era rimasto altro che tenerle la mano mentre si apprestava a lasciarlo. Non gli era rimasto altro che ringraziarla per avergli regalato quella risposta agognata da sempre, la quale, però, al contempo era arrivata con così tante domande e dubbi.

<< Grazie a te, Jon Snow. Grazie per avermi permesso di conoscere Rhaegar. Era un desiderio che pensavo mai si sarebbe avverato. >>

Queste erano state le ultime parole della madre dei draghi, di colei che era nata e morta da una tempesta, di colei che riteneva che il bastardo, pur essendo nato Snow, pur essendo cresciuto Stark, ricordasse decisamente il suo padre naturale. 

Dal canto suo, Jon non sapeva cosa pensare al riguardo. Il memorabile principe non era mai stato uno dei suoi eroi da bambino, forse perché il vuoto da lui lasciato, nella storia dei Sette Regni, era allora troppo recente perché diventasse leggenda. 

Tutto quel che aveva appreso concerneva il suo essere un uomo gentile, solitario, in cerca del suo posto nel mondo: tutti elementi che, riflettendoci adesso, gli si adattavano benissimo.

<< E' questo il nostro destino, madre? >> domandò, alla desolazione che lo circondava.

<< E' questo il destino mio e di Arya? Ripercorrere la strada da voi già battuta… e per arrivare a cosa, poi? Ad ottenere lei una statua al tuo fianco ed io una preghiera pronunciata dai miei confratelli mentre già si apprestano a sostituirmi? >>

"Neanche nella morte potremo stare insieme" realizzò, con triste consapevolezza. "Il suo posto è accanto agli altri Stark, e non con un bastardo che ha preso il nero. Neanche i nostri spiriti potranno riposare insieme, a meno che…"

Fu un attimo, e si ritrovò, involontariamente, ancora nella pelle di Spettro. Stava pensando troppo intensamente al suo lupo. Era da qualche parte attorno alle cucine, e Jon, approfondendo le sue emozioni, captò una certa tristezza, dovuta anche al fatto che il ragazzo non l'aveva voluto con se. 

Ritornando nelle sue vesti, il Lord Comandante si disse che non c'era spazio per i sensi di colpa, non in quel momento, perché, volente o no, spaventato o meno, quella era un'esperienza che aveva rimandato per troppo tempo, e che gli toccava vivere da solo.

Cercò di chiudere la mente il più possibile, di concentrarsi sulla cupa atmosfera che gli premeva attorno, e recuperò quel pensiero che lo aveva condotto fuori, lontano di lì. 

Esisteva una soluzione ai suoi problemi, un modo che gli avrebbe permesso di tenere Arya con se per sempre, di proteggerla e amarla con dedizione e passione, senza doversi preoccupare di reprimere i suoi istinti. Aveva sentito storie al riguardo e conosceva almeno una persona che l'aveva sperimentato, ma, al contempo, sapeva anche che si trattava di qualcosa di molto pericoloso.

Ma non era forse lui pronto a correre il rischio? Avrebbe corso qualsiasi rischio per lei, per la possibilità di essere insieme padroni del proprio mondo, anche se in un modo inconsueto. L'amore che provava per la sua sorellina, ormai donna, nasceva da dentro, dal profondo del suo cuore; il loro era un legame tra anime, e nulla sarebbe cambiato, neanche al mutare dei loro corpi. Bastava soltanto mostrare un po' di quel coraggio di cui entrambi erano in ampio possesso, e poi… e poi cosa? Quanto era disperato per poter soltanto ipotizzare una tale eventualità?

C'erano Sansa e Rickon e Bran, in qualche lontana parte dei Sette Regni; c'erano i sopravvissuti di Grande Inverno, che rivedevano nei suoi occhi lo sguardo del tanto da loro amato Lord mai ritornato dal sud; c'era la gente di Harrenhal, che attendeva con ansia la Lady che avrebbe scacciato via i fantasmi del passato. Chi era Jon per privarla di tutto ciò? Chi era per privarla di quella vita che tanto si era guadagnata? 

Arya aveva iniziato a lottare per la sua sopravvivenza a soli nove anni, mentre il mondo attorno a lei esplodeva; aveva iniziato a lottare con il suo Ago, con le unghie, con i denti e con tutto ciò che le capitava sotto mano, mentre, ad uno ad uno, le persone a lei più care morivano e casa diveniva sempre più lontana.

Arya meritava quell'esistenza; meritava quegli anni che il destino le aveva tolto; meritava di gioire e soffrire per qualcosa che si confaceva alla sua età, e non per essersi ritrovata assurdamente sola in città a lei sconosciute. Arya meritava la vita, e Jon avrebbe preferito strapparsi il cuore in mille pezzi piuttosto che proporle di togliersela, perché l'amava. L'amava con ogni fibra del suo essere, con ogni più piccola parte di se. L'amava sin da quando aveva visto per la prima volta quella minuscola creatura tra le braccia di Catelyn Stark, e, nonostante tutti i loro trascorsi, nonostante tutti i modi con cui avrebbe potuto definirla, quel sentimento mai sarebbe mutato. C'era solo l'amore, sempre l'amore. Purtroppo, però, Jon non era mai stato fortunato con le persone che amava. 

<< O forse dovevamo soltanto ristabilire l'equilibrio, pagare quel debito sorto nei confronti dei Baratheon quando siete fuggiti via. >>

Le storie parlavano di rapimento, ma lui aveva deciso di credere alle parole e alle sensazioni di Daenerys, perché voleva pensare di essere nato da un atto puro, sincero, e non da un tradimento, come aveva creduto per anni, né tantomeno da una violenza. Voleva pensare di essere stato amato, anche se soltanto per un misero istante.

<< Mi dispiace, madre. >>

L'immaginazione e la follia dovevano star prendendo il sopravvento su di lui, perché gli parve di scorgere una nuova espressione nel volto immutabile di Lyanna Stark, come se non comprendesse il motivo delle sue scuse. 

<< Mi dispiace di essere venuto al mondo, privandoti della vita. Mi dispiace di essere stato un sacrificio inutile, evitabile >> proseguì, la voce sull'orlo delle lacrime.

<< Ti ho privato della possibilità di stare con i tuoi fratelli, di veder crescere i tuoi nipoti. A quest'ora, forse, saresti con Arya fuori a cavalcare o a duellare dinanzi all'albero del cuore. >>

Le immaginò insieme: due candide bellezze del nord, pronte a sfidare il mondo pur di far vincere la giustizia. 

<< Mi dispiace così tanto. >> 

Crollò in ginocchio, ormai in singhiozzi, il volto tra le mani. << Ho usurpato il tuo posto, senza alcun diritto. SARESTI DOVUTA TORNARE TU, MADRE, DALLA TORRE DELLA GIOIA, NON IO. Non conta quale sia la verità, perché io sarò sempre solo un bastardo che non appartiene a nessun luogo, men che mai a Grande Inverno. 

Sei morta per nulla, madre. >>

 

<< Questo non è vero. >>

 

Jon sollevò il capo, titubante. Per un brevissimo momento, pensò che le sue visioni fossero divenute persino uditive, ma poi capì: c'era qualcun altro lì sotto.

Probabilmente, prima di quel giorno, non aveva mai compreso fino in fondo quanto lei avesse imparato da Syrio Forel e dagli uomini senza volto. "Infilzali con la punta" pareva una lezioncina da nulla, a confronto.

Si alzò, piano, vergognandosi dello stato in cui l'aveva scovato, non osando però voltarsi a guardarla, non fin quando non avesse ripreso il controllo dei suoi respiri. Da quanto era lì? E quanto aveva sentito?

<< Sei silenziosa, tremendamente silenziosa. >>

Non poteva vederla, ma era sicuro avesse abbozzato un sorriso.

<< Scalini, cripte, buio… era tutto così alla Casa del Bianco e del Nero, e fin troppe orecchie ad ascoltare. >>

Percepiva la sua voce avvicinarsi, ma non i passi. Era quasi inquietante ma, lo sapeva, non era la paura a mozzargli il fiato, bensì la consapevolezza di essere a così poca distanza da lei.

Chiuse gli occhi. Magari, se l'avesse ignorata, sarebbe andata via. Uno, due, tre. Cinque, dieci, quindici secondi. Niente: non un suono, non una parola. 

Sentendosi un po' più sicuro, decise di riaprirli… e vide una bellissima rosa blu poggiata ai piedi di Lyanna Stark. Si girò di scatto, ed eccola lì: luminosissima come solo lei sapeva essere, nonostante il mantello grigio.

Jon avvertì un tuffo al cuore nel constatare che aveva raccolto i ribelli capelli in una treccia laterale, pettinatura che gli era così familiare. "Oh, Arya!" pronunciò mentalmente il suo nome. "Come siamo arrivati a questo? Quando ti sei trasformata dalla mia bambina alla donna di un altro?"

Restarono così a fissarsi, per un tempo indefinito. Cosa avrebbe dovuto dire? Nonostante l'età, aveva ormai accettato di non essere il più coraggioso tra i due. E, difatti, fu lei a rompere quel frustrante silenzio. << Lei non è morta per nulla. >>

Lo aveva affermato con sicurezza, con quella convinzione che era sempre capace di mostrare; l'aveva affermato con semplicità, come se stessero facendo una chiacchierata a colazione, come se non fosse per nulla scossa dall'aver sentito il bastardo di suo padre chiamare "madre" la di lui sorella.

Abbassò il capo, di nuovo, ed un'ennesima lacrima, solitaria, si fece strada lungo la sua guancia. Era un vigliacco, troppo vigliacco per dire alcunché, ma furono i sensi di colpa a parlare per lui. << Invece si >> bisbigliò.

Con la coda dell'occhio la vide muoversi e si irrigidì di scatto, ma Arya non sembrava intenzionata ad avvicinarglisi, non troppo almeno. 

<< Sin da quando ho memoria, ricordo di aver sempre desiderato conoscere zia Lyanna. >>

Jon non sapeva se stesse parlando a lui, alla muta statua o a se stessa, ma non poteva fare a meno di ascoltarla. 

<< Tutti mi paragonavano a lei: mio padre, i lord che l'avevano vista anche solo una volta, zio Benjen… >> proseguì. << Di tanto in tanto, quando nessuno mi vedeva, te compreso, scendevo qui sotto e iniziavo a parlare con lei. Le dicevo che le volevo bene, pur non avendola mai conosciuta, e che ero certa che, se fosse stata qui, di sicuro avrebbe convinto la lady mia madre a farmi smettere con il ricamo e con tutte quelle cose da femmine. >>

Riusciva ad immaginarsela perfettamente mentre faceva valere le sue ragioni dinanzi a qualcuno che non poteva risponderle.

<<… E le parlavo di te, di quanto fossi la mia salvezza, già da allora.

Ho sempre amato i miei fratelli, persino Sansa, ma tu… tu eri diverso. >>

Si interruppe per un attimo, lasciandolo lì, in attesa. Adesso che aveva trovato la forza di sollevare la testa, non riusciva a smettere di osservarla, benché lei non incrociasse il suo sguardo, fisso sul suo riflesso di pietra. 

<< Tu eri il mio fratello, la mia metà, la mia ancora. Tu eri così indispensabile, ed io ti amavo. Ti amavo e, quando venivo qui, cercavo di convincere Lyanna che anche lei ti avrebbe amato, se avesse potuto vederti, e le confessavo che avrei voluto trovare tua madre, chiunque ella fosse, non perché tu potessi andar via con lei - non l'avrei sopportato - ma perché avvertivo il tuo bisogno di amore, e ritenevo che il mio affetto non fosse sufficiente, non con tutto il peso che dovevi portare sulle tue spalle. >>

E, adesso, non era più il solo a dare libero sfogo a lacrime silenziose. 

Non ricordava quando l'aveva vista piangere l'ultima volta, eppure non poté fare a meno di notare che, anche con quell'espressione triste, malinconica, era semplicemente bellissima.

<< E invece, assurdamente, tua madre è sempre stata qui. >>

Le sfuggì una risata amara e, finalmente, portò gli occhi su di lui, pur non avvicinandosi. << E tua madre ti ha amato, Jon. Ti ha amato abbastanza da convincere suo fratello a rinunciare alla cosa a cui teneva di più: il suo onore. >>

Jon rabbrividì e provò l'impulso di allontanarsi, mentre Arya, adesso, muoveva qualche passo nella sua direzione. << E tutto ciò non è stato "per nulla". Tu ritieni di non meritare questa occasione, ma pensa, per un attimo, a cosa sarei io senza di te. Pensa che fine avrei fatto se tu non avessi rappresentato la mia meta, sempre. >>

Non rideva più, ora. Era lì, con lui, in quelle cripte, ma la sua mente era altrove, ai giorni più bui della sua esistenza, a quei giorni che nessuno poteva cancellare. 

Si sentì un idiota per essere incapace di far uscire dalle sue labbra anche una sola parola, ma era come paralizzato, inerme, impotente dinanzi al flusso dei di lei pensieri, alcuni mai confessati prima.

<< Io non posso sapere quante cose sarebbero cambiate per noi Stark se zia Lyanna fosse tornata a Grande Inverno, viva, senza l'ombra di un figlio. Non posso sapere se Robert Baratheon sarebbe, alla fine, salito sul trono di spade, sposando ugualmente Cersei Lannister. E non posso sapere se il destino avrebbe o meno portato Eddard Stark a sud con me e Sansa. L'unica mia certezza è che se, per un qualsiasi motivo, la mia famiglia fosse caduta in disgrazia, come è accaduto, ed io mi fossi ritrovata completamente sola, mi sarei semplicemente arresa, se tu non fossi esistito. >>

<< Questo non è vero. >> Finalmente aveva ritrovato la voce. << Avresti avuto sempre il desiderio di vendetta a spingerti, la tua lista. >>

Arya scoppiò a ridere, ancora. << La mia lista, certo. I nomi dell'odio >> disse, scuotendo poi il capo. << Nessun nome spuntato da quell'elenco mi hai mai procurato anche un solo istante di felicità. Appagamento, forse, ma null'altro. 

Era l'amore a tenermi in vita, Jon. L'amore e il pensiero che, da qualche parte all'estremo Nord, un ragazzo con un metalupo albino mi aveva promesso che strade diverse avrebbero portato allo stesso castello. >>

Il sorriso che gli riservò riscaldò il suo cuore esattamente come quello che gli aveva donato anni prima, il giorno del loro temporaneo addio.  

<< Il lord mio padre ha perso una sorella alla Torre della Gioia, ma mi ha donato il compagno di una vita. E, per quanto soffra per tutti i miei morti, non smetterò mai di essere grata di questo >> concluse, allungando una mano verso il suo viso, fidandosi adesso di toccarlo. 

Il ragazzo rabbrividì, chiudendo gli occhi. Desiderava ardentemente che il tempo si fermasse, che vi fosse la possibilità di vivere in quelle cripte per sempre, senza doversi preoccupare di tutti quelli che stavano al di là di quelle mura. Ma era un sogno irrealizzabile, e Jon, pur apprezzando quelle parole, pur essendo certo che provenissero dal profondo del cuore di lei, sapeva che non avrebbero mutato la triste realtà che li circondava. 

Con calma, posò la mano sulla sua, tentando delicatamente di scostarla dal proprio volto. << Il tuo compagno di vita è tuo marito, nessun altro, e di certo non io. >>

Era consapevole di starla ferendo e, anche se gli faceva male, cercò di sostenere il suo sguardo. 

<< Con Gendry è diverso. Lui… >>

<< E' tuo marito >> ripetè. 

<< Sì, ma… >>

<< Non esistono "ma", Arya. E' tuo marito, ed io sono il tuo fratello bastardo. >>

<< Tu non sei mio fratello. Non più. Noi… >>

Lo osservava spaesata, come se non riuscisse a capirlo. Conosceva bene quell'espressione, perché più volte l'aveva vista riservarla ad Eddard Stark, quando, per un qualunque motivo, aveva disatteso le sue aspettative, dopo aver ascoltato e apparentemente condiviso le sue ragioni. 

<< Arya, ascoltami. >>

Le mani sulle sue spalle, adesso aveva bisogno che lo lasciasse parlare. << Questo… >> indicò la statua di sua madre, silenziosa spettatrice della loro tragedia. << … non cambia nulla. Io sarò sempre il bastardo di tuo padre, poco importa che adesso siamo a conoscenza del suo segreto. >>

<< MA TU NON CAPISCI! >> ribattè lei, divincolandosi. << Io ho delle prove… il diario… mio padre teneva un diario. E' così che l'ho scoperto, e loro non potranno ignorarlo. >>

C'era una prova scritta, un documento. Jon permise alla speranza di trionfare per un istante, non oltre. << O magari potranno, proprio come Cersei Lannister ignorò il testamento di Robert Baratheon. >>

<< Ma il re… >>

<< Il re ha il potere, sorellina. E il nostro segreto è in grado di sottrarglielo. >>

Stannis poteva professare giustizia quanto gli pareva ma, quando si accomoda su quella maledetta sedia di ferro, anche il più retto uomo dei Sette Regni muta.

E poi, in ogni caso, esisteva un impedimento più grosso, ancor più difficile da eludere.

<< E comunque anche convincere tutti non ci basterebbe, non mi basterebbe. >>

Deglutì, prima di proseguire. << Sono il lord Comandante dei Guardiani della Notte. Ho fatto un giuramento, davanti a un albero del cuore. Ho pronunciato delle parole dinnanzi agli antichi dei, e non posso dimenticarle, né rinnegarle. >>

Non esisteva un modo perfetto in cui la ragazza potesse ribattere, ma Jon era abbastanza sicuro che non avrebbe mai, in futuro, dimenticato lo sguardo deluso che Arya gli rivolse in quel frangente. E non avrebbe mai scordato il tono gelido con cui la giovane lady del Nord aveva proferito la sua secca risposta: << Di' pure che non vuoi rinnegarle, Jon Snow. Di' pure che non vuoi rinnegarle per me, perché sappiamo entrambi che sai come si dimentica un giuramento. >>

 

Non ebbe nemmeno il tempo di comprendere il peso delle sue parole, di aprire bocca, di fermarla… che lei era già scappata via, veloce come solo chi ha imparato a fuggire la morte sapeva essere. 

<< ARYA! >>

Sentì le proprie labbra urlare il suo nome. << ARYA TORNA QUI! >>

Ma non sarebbe tornata. Non sarebbe tornata, e a poco serviva continuare ad invocarla; eppure lo fece, ancora e ancora, forse per ore o forse per giorni. Adesso non gli importava che qualcuno lo udisse, perché nulla avrebbe potuto ferirlo più del leggere odio, disgusto, negli occhi della persona che più amava, negli occhi dell'unica persona che lo aveva davvero mai amato.

 

"Fino a quando non saprai che cos'è una donna, non puoi capire a che cosa rinunceresti."

Le parole di suo zio Benjen lo colpirono all'improvviso, dritte al cuore. 

<< Avevi ragione >> sussurrò, lasciandosi scivolare lungo il muro. << Avevi ragione. >>

E, quella notte, qualcuno avrebbe potuto udire un fantasma che singhiozzava nelle cripte di Grande Inverno.

 

Ieri per la fretta di postare il capitolo, ho dimenticato le mie "due paroline". Prima di tutto, scusatemi per l'attesa. Erano circa 5 mesi che non postavo nulla. Avevo iniziato questo capitolo quest'estate, ma poi tra le cose ho ritardato. Lo avevo iniziato con tutta un'altra idea sulla conclusione ma, come spesso accade, durante la corsa ho cambiato idea. ( Se ve lo state chiedendo, sì, la conclusione a cui avevo pensato era più dolce e appagante. ) Voglio comunque ringraziare chiunque spenderà qualche minuto per leggerlo e per lasciarmi un saluto. Grazie, e prometto che non farò passare secoli per il seguito!

- MissHoney

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