Transformers Fusion-First Contact

di Darik
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1° Capitolo-C'era una volta... ***
Capitolo 2: *** 2° Capitolo ***
Capitolo 3: *** 3° Capitolo ***
Capitolo 4: *** 4° Capitolo ***
Capitolo 5: *** 5° Capitolo ***
Capitolo 6: *** 6° Capitolo ***
Capitolo 7: *** 7° Capitolo ***
Capitolo 8: *** 8° Capitolo ***



Capitolo 1
*** 1° Capitolo-C'era una volta... ***


C'era una volta...


Il vento fischiava forte tra i ruderi di quella che un tempo era stata una gigantesca città, estesa in tutto il pianeta, in parte sulla superficie e in parte nel sottosuolo.

Se un visitatore esterno avesse visto quelle rovine, illuminate costantemente dalla luce chiara ma non forte di un sole azzurro, avrebbe potuto solo immaginare come fossero prima della grande guerra.

I palazzi che si elevavano dal suolo fin quasi a voler raggiungere il cielo, erano ora ridotti a scheletri anneriti, piegati da infinite esplosioni e dimezzati, se non di più, dai colpi di chissà quali armi.

Le strade, che riempivano l’intero orizzonte in modo apparentemente caotico mentre invece era un intrico di matematica e complessa armonia, erano ora ridotte a cumuli di terra ferita quasi ad ogni metro dalle buche di deflagrazioni immani.

I livelli sotterranei, arditi e riusciti capolavori di architettura, erano crollati quasi tutti su se stessi.

La vita, la vita che scorreva copiosa, non esisteva più.

Persino i corpi erano quasi impossibili da trovare, dilaniati da quelle armi che avevano distrutto il pianeta.

Sarebbe stato davvero difficile pensare che quello in un epoca ormai remota, quasi mitica, era stato uno dei mondi più ricchi e progrediti dell’universo.

I suoi abitanti erano cosi avanzati, che erano stati in grado di cambiare la struttura del loro sole, in modo che la sua energia potesse venir totalmente incanalata e usata da loro.

Ed erano anche riusciti ad arrestarne il processo degenerativo che avrebbe finito altrimenti per trasformarlo in un buco nero che avrebbe risucchiato il pianeta.

Questo processo aveva causato la trasformazione del sole giallo in azzurro, sacrificando cosi il giorno e la notte.

Ma per loro non era stato un problema rinunciarvi in cambio di una eterna notte luminosa.

Erano anche stati in grado di dominare i venti del loro pianeta, sfruttandoli per gli enormi impianti di raffreddamento e altro ancora.

Con la guerra, era tutto finito, e il vento era tornato libero.

Da tanto, troppo tempo, era ormai l’unico che faceva sentire la sua voce.

E infine, quella notte, un nuovo rumore rovinò il suo dominio.

Un veicolo grigio dalla forma sottile e allungata volando svettò sopra le strade devastate.

Si muoveva a zig zag, come per evitare degli ostacoli invisibili.

Si fermò in mezzo alla strada.

Per un po’ il rumore del vento tornò a dominare.

Il veicolo si rimise in moto, dirigendosi dentro i resti di un palazzo, e attraversandone altri quattro stando sempre nel sottosuolo.

Infine si fermò davanti ad un muro.

E si trasformò.

In un robot umanoide piuttosto grande, con testa, due gambe e due braccia.

Due vispi occhi illuminati di azzurro svettavano sul suo viso.

Si avvicinò al muro, e dalla sua bocca, posta dietro una griglia di forma circolare, uscì un suono molto acuto.

Il muro si aprì, la figura vi si infilò e subito quella misteriosa apertura si richiuse.

Un ascensore lo condusse in profondità.

Durante il tragitto, intravedendo tra le pareti di fortuna dell’ascensore i resti dei livelli sotterranei, le componenti meccaniche che formavano il suo volto si contrassero in una smorfia di dolore.

Ma si ricompose subito quando arrivò a destinazione.

La porta si aprì, rivelando quella che sembrava una sala di controllo.

C’erano molti monitor, alcuni palesemente rovinati e rimessi in funzione alle bene in meglio.

Però erano ormai alla fine della loro esistenza, in quanto sembravano sempre più sul punto di spegnersi per sempre.

Al centro della sala, una mappa olografica del loro pianeta.

A consultarla, un altro robot umanoide, più grande di quello appena arrivato.

Nel vederlo, il primo robot ebbe un fremito.

Erano ormai molti gli anni che lo conosceva, e aveva avuto l’onore di combattere con lui.

Eppure ancora non gli sembrava essere vero.

Optimus Prime, il grande leader, il più saggio dei governanti che il pianeta Cybertron avesse mai avuto.

Più che un comandante, un padre e un amico.

Che condivideva tutti i rischi dei suoi soldati, anzi, cercava di affrontarli il più possibile lui, per ridurre i rischi dei suoi soldati.

Di fronte al grande Optimus, non poteva non provare ancora soggezione.

“Bumblebee, rapporto” ordinò Optimus.

“Signore, nessuna traccia del nemico. Dopo aver perlustrato tutti i settori della zona, ho tentato un’ultima esca: mi sono mosso stando in bella vista, però nessuno mi ha seguito o attaccato”.

Prime sembrò restare contrariato da quella azione. “Tu sei solo un in filtratore. Dovevi consultarmi, non dovevi correre un simile rischio”.

“A volte bisogna correre dei rischi per una giusta causa, come ci ha insegnato lei col suo esempio. Comunque, nulla da segnalare”.

“Va bene, ma cerca di fare in modo che non succeda mai più. Allora, quello che hai riferito mi inquieta assai. Perché i Decepticons sono scomparsi all’improvviso? Fino a poco tempo fa sembrava che fossimo ormai prossimi all’estinzione, perché continuavamo a combattere pur essendo rimasti in pochissimi. E dopo, calma assoluta. Non mi piace affatto”.

“Forse se ne sono andati dal pianeta”.

“Per andare dove? Questa guerra ha distrutto tutti gli archivi e le mappe stellari. Avventurarsi nello spazio significherebbe diventare naufraghi. Inoltre Jazz dalla sua postazione controlla costantemente i cieli, e nessuno finora ha lasciato la nostra orbita. Per non parlare del fatto che Megatron non rinuncerebbe mai all’Allspark. Solo io conosco l’ubicazione del suo nascondiglio. E lui lo sa”.

“E se si fossero stancati di combattere?”

“Se questo dovesse succedere, varrebbe per i seguaci, ma non per Megatron. Solo la morte potrebbe fargli cessare di cercare l’Allspark”.

“E allora, non so proprio cosa dire”.

“Non angustiarti, vecchio mio. Non abbiamo nulla su cui basarci. Possiamo solo continuare a cercare. Dobbiamo farlo, perché sento che i Decepticons hanno in mente qualcosa”.

Dei passi risuonarono rumorosamente nella sala, e un altro robot entrò di corsa. “Optimus, Bumblebee, venite presto!”

“Ratchet, che succede?”

“Optimus, non posso spiegarvelo, dovete vederlo con i vostri occhi!”

I tre robot si recarono con passo svelto in un'altra stanza, con al centro un’altra mappa olografica.

Le immagini proiettate erano di scariche energetiche di colore rosso.

“Stavo controllando le emissioni di energia sulla superficie del pianeta, alla ricerca dei Decepticons. Sapete bene che quelli quando hanno qualcosa di grosso tra le mani, si fanno prendere dalla frenesia e ignorano cosa sia la prudenza. E infatti ho rilevato delle strane emissioni. Eccole!”

Optimus osservò quelle scariche energetiche e le sfiorò con la mano metallica. “Non avevo mai visto questo tipo di energia”.

“Infatti, neppure io. Temo che i Decepticons stiano facendo qualcosa di nuovo e sicuramente molto pericoloso”.

Prime osservò le scariche, poi i suoi sottoposti: quella situazione sembrava terribilmente nuova, quindi molto pericolosa, per lui e specialmente per i suoi soldati. Quindi sarebbe stato saggio andare da solo.

Ma proprio perché era una situazione nuova, avrebbe anche avuto bisogno di tutto l’aiuto possibile. Alla fine decise.

“Hai le coordinate?” domandò a Ratchet.

“Affermativo”.

“Chiama Jazz e Ironhide. Dobbiamo recarci subito lì!”


La grande piramide era stata creata come centro e simbolo della civiltà di Cybertron.

Per costruirla e abbellirla, erano state impiegate le migliori tecnologie e le migliori menti del pianeta.

E da tutto questo era venuto fuori uno spettacolo di indicibile bellezza.

Alta migliaia di metri, la piramide aveva ospitato la sede dei governanti del pianeta, l’altare dedicato al dio Primus e l’oggetto considerato la sua materializzazione, l’Allspark.

L’Allspark aveva portato la vita, in epoche remotissime, sul pianeta e per simboleggiare tale atto la piramide di Primus era anche diventata il centro di raccolta dell’energia del sole azzurro, che poi irradiava in tutto Cybertron.

La piramide era stata quindi il principale luogo di produzione energetica di quest’ultimo.

Dopo la guerra, l’imponenza della piramide era stata risparmiata.

Ma a causa degli enormi danni, adesso era diventata il simbolo in stato di abbandono della morte di Cybertron.

Però quel giorno, doveva accadere qualcosa.

Scariche energetiche di colore rosso illuminarono la punta della piramide.

Sembrava che volessero falciare il cielo, tanto erano violente.

Quelle scariche illuminarono con una intensa luce rossa tutti i dintorni.

E, attraverso delle enormi finestre ormai sfondate, anche la sala triangolare che un tempo fungeva da centro del governo.

Quanto tempo è passato.

Quanto tempo dall’ultima volta che sono stato seduto qui.

Lo ricordi, fratello?

Eravamo i governanti di Cybertron, tu quello saggio, io quello guerriero.

L’epoca leggendaria della pace.

Cosa riuscimmo a fare, insieme.

Perché eravamo tra i migliori sovrani della storia del nostro pianeta.

E la nostra razza era tra le migliori dell’universo.

E allora perché è successo tutto questo?

Durante le stasi, me lo chiedo.

In fondo, il passaggio dall’essere tra i migliori all’essere i migliori in assoluto, non è una ovvia conseguenza?

E’ l’evoluzione delle cose.

E l’Allspark può rendere questo fattibile.

Anzi, può potenziarlo all’infinito.

Credi davvero che Primus ci abbia mandato quel dono per farlo restare chiuso in un sacrario a coprirsi di polvere?

I nostri antenati lo credevano giusto, ma loro erano il passato.

Le cose evolvono.

E io ho scoperto cosa dovevamo fare.

Avevo avuto l’illuminazione.

Perché tu no?

Perché hai dovuto ostacolarmi?

Perché non hai voluto collaborare con me?

Col potere dell’Allspark, avremmo potuto crescere all’infinito, espanderci, diventare i sovrani dell’universo.

I migliori della migliore razza dell’universo al comando di quest’ultimo.

Non era un modo perfetto per avere la pace eterna ed universale?

Adesso sto toccando il tuo trono, fratello, uguale al mio.

L’ho sempre trovato giusto.

Perché hai deciso allora di prendere una strada diversa dalla mia?

Hai cominciato a fare quei discorsi sulla pace che si costruisce insieme, senza imporla.

Dicevi che la libertà è il diritto di tutti gli esseri senzienti.

Che pazzia!

Essa è un diritto che appartiene ai puri, come noi, non a tutti.

E poi, quell’ultima cosa.

Come hai osato?!

Come hai osato dirmi che ritenersi i migliori di tutti, era un sintomo di follia?!

Io cerco di portare la nostra specie verso il suo destino ultimo, seguendo il vero volere di Primus!

E’ follia ostacolarmi.

Ma l’hai fatto!

E per farlo, hai scatenato una guerra che ha quasi spazzato via la nostra razza.

Questo dimostra che sei tu il vero ‘cattivo’, fratello.

Sei tu il folle!

E per questo, Optimus Prime, dovrò distruggerti, come ora la mia mano stritola il tuo trono.

“Lord Megatron”.

La voce metallica distolse il gigante di colore grigio chiaro dai suoi pensieri. “Spero che tu abbia un buon motivo per avermi disturbato, Soundwave”.

Il Decepticon di colore nero non si scompose.

La sua faccia era un blocco unico, privo di lineamenti meccanici comuni invece a molti dei suoi simili. Solo il visore rosso che aveva come occhio e che si illuminava maggiormente quando parlava, poteva indicare i suoi stati d’animo.

E non ci furono cambiamenti di luminosità.

“Si, mio signore. Il portale è stato ultimato, abbiamo accumulato l’energia necessaria. Siamo pronti”.

“Scendi dagli altri, io vi raggiungo subito”.

Rimasto solo, Megatron osservò il cielo e poi il trono che aveva distrutto.

“Visto, fratello? Se Primus non fosse stato dalla mia parte, non mi avrebbe mai concesso tale opportunità”.


Un grosso mezzo volante si spostava a bassa quota, rasentando le macerie di molti palazzi.

Era parecchio danneggiato, a giudicare dai numerosi squarci sul suo scafo rettangolare.

Anche la sua andatura non era molto stabile, dato che sbandava pericolosamente da ogni lato, spesso raschiava col fondo sulle cime dei palazzi distrutti.

Comunque la sua meta era chiara: la grande piramide.


Quattro antenne, sospese in aria e posizionate in modo da formare un quadrato, crepitavano di energia, energia che veniva convogliata verso il centro della figura geometrica formando un ammasso energetico informe.

Megatron osservò compiaciuto il portale che avevano costruito. “Ah, chi avrebbe mai pensato che le ricerche per costruire un rilevatore capace di scovare l’Allaspark, avrebbero portato questo?”.

Un Decepticon controllava preoccupato i dati che gli forniva un sensore manuale. “Ormai abbiamo accumulato l’energia necessaria, ma dobbiamo sbrigarci. Abbiamo montato tutto usando attrezzatura di fortuna, non reggerà a lungo”.

Megatron sorrise soddisfatto. “Non preoccuparti, Blackout. Primus è con noi! Non dimenticarlo!”

Megatron si piazzò davanti al portale, per poi girarsi verso i suoi fedelissimi, in tutto sei, che si raggrupparono.

“Siamo sopravvissuti solo noi! E’ un segno del destino! Siamo i migliori della nostra specie! E ora, miei Decepticons, andiamo a conquistare il potere che ci spetta di dritto!”

“PACE ATTARVERSO LA TIRANNIA! PACE ATTRAVERSO LA TIRANNIA!” gridarono in coro i suoi seguaci.

In quel momento, una forte esplosione scosse l’edificio.

E l’energia delle antenne diminuì di parecchio.

“Cosa è successo?” domandò Megatron impassibile.

Gli altri Decepticons indietreggiarono davanti all’apparentemente calma reazione del loro leader.

Che spesso in passato aveva schiacciato nemici e alleati con la stessa impassibilità con cui si calpesta il suolo.

Solo Soundwave rimase al suo posto. “E’ ovvio che ci stanno attaccando”.

“Maledetti Autobots! Brawl, Bonecrusher, Starscream! Andate fuori e respingete gli attaccanti! Soundwave, Blackout, Barricade, rifornite di energia il portale!”

“Ma… ma se dovessero arrivare fino a qui in qualche modo?” obbiettò Barricade.

Megatron osservò glaciale il suo soldato, che sembrò farsi piccolo piccolo.

“Se dovesse accadere, ci penserò io!”


I tre Decepticons arrivarono in superficie.

Bonecrusher identificò la nave nemica, che sparava colpi contro l’antenna, ormai distrutta, e la cima della piramide.

“Ci stanno attaccando con una vecchia corazzata”.

“Sono stati abbastanza abili a rimettere in sesto quel catorcio, ma entrare sarà uno scherzo. Guarda quante brecce nello scafo” .

“Prima agiamo, meglio sarà, Brawl. All’attacco!” ordinò Starscream.

Si lanciarono addosso alla grande nave, penetrando attraverso gli squarci dello scafo.

Bonecrusher corse lungo i corridoi vuoti e in rovina.

Non si aspettava attacchi.

Ormai gli Autobots erano rimasti in cinque, quindi dovevano per forza essersi nascosti nella plancia.

Lui conosceva bene quel tipo di corazzata e raggiunse subito quel luogo.

Davanti alla porta chiusa, caricò le armi ad energia nel suo braccio.

Infine entrò sfondando la porta con un possente calcio.

“Fattevi sotto, Autobots, la mia corazza non vi teme!”

E restò interdetto, perché la plancia era vuota.

Il pavimento sembrò squarciarsi ed arrivò anche Brawl.

I due robot si guardarono.

“Pilota automatico. Ci hanno fregato!” commentò rabbioso Brawl.

“Dov’è Starscream?” domandò Bonecrusher, che poi udì qualcosa. “Ehi, cos’è questo ticchettio?”

Pochi attimi dopo, la corazzata esplose in una enorme e fragorosa palla di fuoco che si schiantò a terra davanti alla piramide, investendola con rottami infuocati.

Tutto sotto lo sguardo di Starscream, che osservava impassibile stando sospeso a mezz’aria.


“A giudicare dalle vibrazioni, direi che i nostri compagni ce l’hanno fatta”.

Sentendo cosa aveva detto Barricade, gli altri Decepticons fecero per esultare.

“Niente affatto!”

L’esclamazione di Megatron sembrò gelarli.

E pochi istanti dopo, una delle pareti esplose.

“Autobots! All’attacco!”

Optimus Prime emerse dallo squarcio armato di fucile, sparò dei colpi contro dei supporti del soffitto, che crollarono davanti ai Decepticons sollevando un muro di polvere.

I quattro compagni di Prime ne approfittarono e si nascosero dietro alcune colonne, aprendo un fuoco a raffica contro i loro nemici.

Ma prima che potessero venire raggiunti, Megatron si frappose tra loro e il fuoco del nemico.

I proiettili e i laser degli Autobots erano come punture di spillo per la corazza del leader Decepticon.

“Finite il lavoro. Questi insetti li schiaccio io” comandò.

“La vedo male” disse Jazz.

“Tu te la vedrai con me, Megatron!”

Prime con un salto si piazzò davanti al suo acerrimo nemico.

Approfittando di quella copertura gli Autobots uscirono dai loro nascondigli per attaccare i Decepticons indaffarati a riattivare il portale.

I due leader si scrutarono mutamente per qualche istante.

“Ti ostini sempre ad ostacolarmi, fratello”.

“Qualunque cosa tu abbia in mente, è senz’altro qualcosa di nefando.”

“Non ho il tempo di giocare con te, Prime!”

Megatron tirò indietro il braccio, per colpire.

Prime fece per schivare quel colpo, ma neanche un istante dopo Brawl e Bonecrusher, piuttosto bruciacchiati, piombarono con tutto il loro peso su di lui sbattendolo al suolo.

Megatron rimase assai soddisfatto da quella azione inaspettata. “Sembra che la tua trappola di prima non abbia funzionato, fratello”.

Prime tentò di dire qualcosa senza riuscirci, bloccato a terra da due nemici grossi quasi quanto lui che lo bersagliavano con pugni e calci.

Megatron gli diede le spalle. “Prima di ucciderti con le mie mani, ti farò assistere alla morte dei tuoi amati seguaci”.

Il capo degli Autobots fece per reagire, ma Brawl sparò un colpo sul pavimento, sfondandolo e facendo finire tutti e tre nel piano sottostante.

Gli Autobots si erano avvicinati al portale difeso strenuamente dagli altri Decepticons, che avevano persino divelto grosse porzioni del pavimento piazzandole in verticale, in modo da formare una barriera intorno al loro portale.

Ma ora la barriera non serviva più, perché gli Autobots dovettero indietreggiare davanti a Megatron.

Il leader Decepticon li sovrastava, la sua sola imponenza era minacciosa.

Una delle sue braccia si trasformò in un cannone che cominciò a sparare raffiche laser di colore viola.

In breve quell’ambiente si trasformò in un inferno di fuoco.

Gli Autobots si fecero coraggio: uno solo di quei colpi avrebbe potuto ucciderli se li avesse centrati in pieno.

Ma a volte la migliore difesa è l’attacco.

Ironhide mise via la sua pistola e trasformò le sue braccia in due cannoni cominciando a correre in avanti ed evitando per un soffio i colpi di Megatron.

L’Autobot rispose al fuoco mirando agli occhi di Megatron.

Quest’ultimo non ebbe nemmeno bisogno di evitarli: due placche corazzate istantaneamente coprirono i suoi occhi proteggendoli da quei colpi.

Proprio quello che volevano Ratchet e Bumblebee: per pochi secondi il nemico era accecato, essi quindi si posizionarono dietro di lui e colpirono contemporaneamente le sue ginocchia, che arrivavano alla loro testa.

Megatron perse leggermente l’equilibrio, ma ci voleva ben altro per farlo cadere.

“Ora!” esclamò Ironhide afferrando Jazz, più piccolo di lui, con le braccia e scagliandolo in avanti.

Jazz ruotò su se stesso due volte, per darsi maggiore velocità, tese le gambe e colpì in pieno volto Megatron.

Quest’ultimo rimase sbilanciato ulteriormente, ma ancora non cadde.

Ironhide rabbioso si lanciò allora contro di lui con tutto il peso, saltò e piombò sul suo ventre.

Megatron finalmente finì a terra.

I quattro Autobots salirono sul suo petto. “Presto, colpiamo la sua scintilla vitale!” esclamarono insieme puntando in contemporanea le loro armi.

Fecero fuoco, e sul petto di Megatron si ebbe una grossa esplosione.

“Niente male” commentò impassibile Megatron.

“Chissà perché ma me l’aspettavo” commentò Jazz, prima che un braccio si avventasse su di lui e i suoi compagni spazzandoli via tutti con un colpo solo.

Gli Autobots si sparpagliarono lungo la sala atterrando malamente, mentre Megatron si rialzò senza problemi, scrollandosi un po’ di polvere dal suo petto.

“Un buon gioco di squadra, non c’è che dire” riprese l’enorme robot “Naturalmente sono io che vi ho permesso di attuarlo. Ho sempre apprezzato, lo devo ammettere, il cameratismo di voi Autobots. E’ l’unico pregio che voi blasfemi avete”.

Megatron prese ad avanzare contro di loro, Jazz spiccò un salto verso una colonna in alto.

Voleva forse usarla per lanciarsi in un altro attacco contro la testa di Megatron?

In ogni caso il nemico non gli diede la possibilità di fare alcunché: Megatron trasformò la sua mano in una mazza ferrata, estremamente lunga, che come una frusta intercettò in aria l’Autobot facendolo schiantare a terra.

“Siete pronti a morire l’uno per altro” continuò Megatron.

Bumblebee mirò di nuovo alle ginocchia del capo Decepticon, che però col suo cannone sparò un primo colpo sul pavimento proprio davanti all’Autobot, sbalzandolo in aria.

E un istante dopo, sparò un secondo colpo contro l’Autobot stesso.

Bumblebee ruotò istintivamente su se stesso, cosi la raffica di energia gli disintegrò solo una gamba anziché la testa

Ironhide fece nuovamente fuoco con i cannoni delle braccia, Megatron lanciò ancora la sua mazza, con alla sommità la sua mano: quest’ultima si aprì, intercettò in aria i colpi di Ironhide, lo raggiunse afferrandolo per le braccia e lo trascinò con se fino al braccio da cui era partita.

Megatron si portò all’altezza del viso l’Autobot, che penzolava dalla sua mano. “E siete pronti a seguire Optimus Prime sin nella morte per rispetto. Una cosa che invece i miei Decepticons farebbero solo perché mi temono come la morte stessa. Altrimenti mi avrebbero tradito da un pezzo”.

Megatron chiuse a pugno la mano, stritolando le braccia di Ironhide come niente e lasciandolo cadere a terra inerte.

Ratchet si avvicinò di soppiatto e puntò il suo fucile su una colonna che stava proprio sopra Megatron.

Che lo anticipò e senza neppure voltarsi sparò fulmineo un unico colpo verso l’alto, facendo cadere sull’Autobot un’intera porzione del soffitto.

“Un comportamento che ammiro e che ho voluto vedere in azione un’ultima volta. Ora, addio valorosi insetti!” concluse Megatron puntando il suo cannone sulla testa di Ironhide per cominciare da lui l’esecuzione.

E fu allora che il Decepticon venne colpito alle spalle da Brawl.

Megatron cadde in ginocchio, fece per alzarsi e si girò, in tempo per vedere anche Bonecrusher piombare su di lui.

Il colpo mandò il leader Decepticon a sbattere contro una parete, sfondandola.

I due robot non si erano certo scontrati volontariamente col loro leader.

“Non sottovalutarmi, fratello. Hai commesso abbastanza crimini” disse Prime emergendo dallo squarcio nel pavimento e recuperando il suo fucile.

Megatron si guardò intorno. “Te l’ho già detto, Prime. Adesso non posso giocare con te. Starscream!”

Delle sfere energetiche piombarono dall’alto, riempiendo il luogo con una luce accecante.

Megatron aveva previsto quella mossa non appena aveva visto Starscream piazzato sopra tutti loro, quindi aveva già adattato a quella luminosità i suoi sensori visivi, come pure i suoi seguaci.

Ma gli Autobots no, e per qualche secondo rimasero accecati.

Quando anche loro adattarono i propri sensori visivi, videro i Decepticons entrare uno dopo l’altro in un ammasso energetico sospeso a mezz’aria.

Blackout sembrò esitare. “Lord Megatron, ma siamo sicuri che…”

“Non discutere il volere di Primus!” tuonò Megatron, che con un pugno nella schiena spinse il suo soldato nel portale.

Ormai era rimasto solo Megatron, che guardò in faccia il suo rivale. “Quando ci rivedremo, per te sarà finita. Ma adesso ho altro da fare. Arrivederci, fratello”.

E scomparve anche lui.

Anche la luce accecante che aveva invaso quel luogo scomparve.

Rimase solo il portale, che iniziò a fluttuare e a rimpicciolirsi.

“Autobots, venite qui!”

I quattro robot malconci si rialzarono e zoppicando andarono dal loro leader.

Insieme si avvicinarono al portale.

Poi Prime guardò i suoi compagni e mise una mano sulla spalla di Bumblebee, che era sorretto da Ratchet.

Dagli occhi di Prime uscirono dei raggi che colpirono gli occhi dell’Autobot più piccolo.

“Ma… che significa?” domandò perplesso Bumblebee quando i raggi cessarono.

“Ti ho trasmesso le coordinate per trovare il nascondiglio dell’Allspark” rispose Prime.

“E perché l’hai fatto?” chiese Jazz.

“Perché ora che i Decepticons non ci sono più, potrete usare l’Allspark per ripopolare il pianeta senza correre il rischio di venire intercettati”.

Ratchet guardò Prime perplesso. “Perché usi il ‘voi’? Che cosa intendi fare?”.

“Andrò dietro ai Decepticons, per fermarli”.

“Ma è assurdo! Non sappiamo nemmeno a cosa serva questo congegno. Per quanto ne sappiamo, quei maledetti potrebbero pure essere stati vaporizzati!” obbiettò Ironhead.

“Forse. O forse no. Qualunque cosa avessero in mente, vanno fermati. E non posso correre il rischio che facciano del male ad altri”

“Allora lasciaci venire con te, potremmo aiutarti!” intervenne Ratchet.

“Giusto. Con l’Allspark, Bumblebee può ripopolare il pianeta anche da solo” incalzò Jazz, e Bumblebee annuì.

“Non se ne parla, è troppo pericoloso. Addio, miei Autobots, che Primus sia con voi”.

Prime saltò anche lui dentro il portale, un momento prima che si richiudesse.

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Capitolo 2
*** 2° Capitolo ***


2° CAPITOLO

Il cielo sopra Tokyo era incredibilmente splendido e azzurro.

Pochi si sarebbero aspettati un tempo simile dopo che per tutto il giorno precedente aveva piovuto.

Quel cielo bellissimo era perfettamente in sintonia con l’animo di Negi Springfield, che insieme a Kamo si stava recando verso la sua classe, la III A.

Il suo viso mostrava una grande eccitazione.

“Ehilà capo, mi sembri veramente su di giri” esordì Kamo.

“Ovvio, come posso non esserlo dopo aver ricevuto dal preside una notizia cosi splendida? Già mi immagino come saranno contente le ragazze!” rispose allegramente Negi.

“Mah, forse”.

“Che intendi dire?”

“Che non devi confondere i punti di vista. Tu sei inglese, è ovvio che una cosa del genere ti ecciti. Ma per loro potrebbe non essere cosi eccitante. Probabilmente ci sono già state, privatamente o con la scuola, dato che quella località è una meta canonica per le gite scolastiche. Come Kyoto”.

“Dici? Comunque lo sapremo tra un momento”.

Negi arrivò davanti alla porta della sua classe e si ricompose.


“ANDIAMO IN GITA AD OKINAWA?!”

Il coro di risposta lasciò interdetto Negi, che rimase immobile con il foglio dell’annuncio ancora in mano.

Le sue allieve, in vario modo, erano tutte stupite da quell’annuncio.

Ma come andava interpretato quello stupore?

“MA E’ FANTASTICO!!!” esultarono quasi tutte le ragazze, balzando addosso a Negi e cominciando ad abbracciarlo una dopo l’altra o tutte insieme.

“Grande, professore! Non ero mai stata ad Okinawa!”

“C’ero già stata ma con la mia famiglia. Che pizza! Ora potrò andarci con le mie amiche! Evviva!”

“Mi abbronzerò fin a diventare nera!”

Questi erano i commenti più frequenti.

“No… no… io non c’entro….” cercò di spiegare Negi mentre tentava di non soffocare a causa di tutti quegli abbracci.

“Adesso basta!” tuonò la capoclasse Ayaka.

Magicamente, le ragazze si calmarono.

“Il professore non ha ancora finito di parlare. Tornate ai vostri posti!”

E le ragazze di nuovo obbedirono.

Negi tirò un sospiro di sollievo. “Fiuuu… capoclasse, la ringrazio molto”.

Il volto di Ayaka si illuminò, e in modalità romanticheggiante si inginocchiò davanti a Negi. “Di nulla, professore. Io per lei sono disposta a qualunque cosa, compreso proteggerla da queste scalmanate. E sono pronta a proteggerla da qualunque pericolo. Io per lei…”

“Ehm, ehm” la richiamò Kazumi Asakura “Capoclasse, ti ricordo che il professore deve ancora finire di parlare”.

Ayaka si ricompose e tornò al suo posto.

“Grazie dell’attenzione” riprese Negi “Allora, ieri il preside ha ricevuto… ehi, ma dove sono Asuna e Konoka?”

Solo allora Negi si era accorto che le sue due compagne di stanza mancavano all’appello.

Quando si era svegliato la mattina, Asuna era già uscita per il giro di consegne dei giornali.

E aveva lasciato Konoka ancora a letto perché lui si era dovuto alzare un po’ prima del solito per andare dal preside.

Perciò perché adesso mancavano?

In teoria l’unica assente avrebbe dovuto essere la geniale Satomi Hakase, invitata a Osaka per un seminario dedicato ai ragazzi prodigio nel campo delle scienze.

“Non lo sappiamo, professore. Stamattina non si sono viste” rispose Yue Ayase.

Un secondo dopo, fuori dalla classe risuonò uno starnuto formidabile.

Ed entrarono Konoka e Asuna: la seconda era rossa in viso e si soffiava in continuazione il naso.

“Asuna! Che ti è successo?” domandò Negi preoccupato.

“Bamabbina un idioba bi ha babbo cabere…”

“Eeehhh?!” esclamarono insieme le altre ragazze porgendo un orecchio.

Intervenne allora Konoka. “Ve lo spiego io. Mi ha raccontato tutto prima di ritrovarsi con la pronuncia storpiata dal naso terribilmente otturato. Stamattina, durante la consegna dei giornali, qualcuno con una moto le è passato affianco. C’era una pozzanghera e l’ha bagnata tutta”.

“Ah, capisco” commentò Negi dispiaciuto.

“Ma non è finita” continuò ancora la nipote del preside “Infatti mentre stava tornando a casa per cambiarsi, l’abitante di un condominio ha avuto l’idea di svuotare l’acqua che aveva riempito la sua piscina gonfiabile buttandola dal terrazzo! E l’ha fatto proprio mentre Asuna stava passando lì sotto!”

“Oh no!”

“E questo è ancora niente! C’era una macchina che trasportava sul tetto una piccola barca, anch’essa riempita di acqua piovana. Asuna ha attraversato perché c’era verde, la macchina si è fermata, ma essendoci un gattino in mezzo alla strada si è fermata di botto. E l’acqua della barca è tutta finita addosso ad Asuna!”

“Ehm…”

“E come se non bastasse, dopo…”

“Va bene, Konoka, va bene. Abbiamo capito. Asuna, come stai?”

Asuna, seduta al suo banco, consumava fazzoletti ad una velocità impressionante. “Bto bene, Negi. E’ bolo un bemblice babbedore”.

E subito partì una raffica di super starnuti, che convinse le vicine di banco ad allontanarsi.

Negi si preoccupò davanti a quella vista. “Accidenti, Asuna. Conciata come sei, temo proprio che non potrai venire alla gita ad Okinawa”.

“Bome? Buale giba?”

“E’ stata organizzata oggi una gita ad Okinawa, solo per la nostra classe” spiegò Kaede Nagase.

“E abboba benbo anbhe io! Il bole di Obinawa bi barà bene!”

“Dove credi di andare? Non vorrai mica infettarci tutte!” replicò aspra Ayaka.

“Bome bi bermebbi? Bi baccio bebere io!” esclamò furente Asuna.

Si alzò in piedi mettendosi in posizione di combattimento, Ayaka fece altrettanto.

Partirono all’attacco.

E proprio allora Asuna fece un altro superstarnuto che le spinse la testa in avanti.

Proprio contro la testa della capoclasse.

Si diedero entrambe una testata tremenda, finendo per cadere all’indietro a gambe all’aria, ko.

“Eh si, decisamente Asuna dovrà restare qui” commentò Setsuna Sakurazaki.

Suonò la campanella.

Negi guardò l’orologio. “Va bene, ragazze, la lezione è finita ed è ora della ricreazione. Mi raccomando non fate confusione. Konoka, io, tu e Setsuna accompagneremo Asuna e la capoclasse in infermeria”.

Le ragazze rumorosamente uscirono dall’aula, tranne Evangeline e Chachamaru, che si avvicinarono a Negi.

“Evangeline, giusto a proposito, volevo comunicarti che…”

“Piantala, ragazzino! Non ho bisogno che me lo dica tu. Tanto già lo so cosa vuole dirmi quel vecchiaccio: che a causa della maledizione non posso venire!” sbottò Evangeline.

“No, è l’esatto contrario. Grazie ad una timbratrice automatica superveloce inventata da Chao, il preside potrà far autenticare tutte le carte necessarie per autorizzare la tua presenza. Insomma, potrai venire anche tu!”

“Davvero?” esclamò stupefatta Evangeline.

Le sue labbra furono combattute tra il piegarsi in un sorriso di gioia e il mantenere la compostezza propria del suo rango di maga vampira.

“Be, non so se ho tanta voglia di fare una gita con quelle idiote. Dì al preside che gli farò sapere” concluse infine con sufficienza.

Lei e Chachamaru uscirono dalla classe e chiusero la porta.

Però due secondi dopo Chachamaru la riaprì: proprio quando Evangeline prorompeva in un infantile grido di gioia.

“Chachamaru! Ma che diavolo fai?!” gridò furente e imbarazzata Evangeline.

“Pensavo che il professor Negi sarebbe stato contento della sua contentezza, padrona!”

Evangeline afferrò Chachamaru per i capelli trascinandola via. “Argh! Andiamocene, stupido robot!”

Finito lo spettacolo, Negi, Konoka e Setsuna non riuscirono a trattenere un risolino.

Poi l’ennesimo megastarnuto di Asuna richiamò la loro attenzione.


Chao Lin Shen stava consumando il suo pasto preparato da Satsuki Yotsuba, la bravissima cuoca della sua classe.

Squillò il suo cellulare, Chao prontamente rispose.

“Hallo, qui Chao!”

“Ciao, sono io”.

“Oh, Satomi. Chiami a proposito. Devo comunicarti una bella notizia: la nostra classe parteciperò ad una gita ad Okinawa di cinque giorni. La partenza è dopodomani. Comprati un costume a Osaka e cerca di tornare il prima possibile. Ci aspettano ore di sole, nuotate, shopping…”

“No, mi dispiace ma temo proprio che questa gita la perderò”.

“Eh? E perché?”

“Il seminario qui è molto interessante e…”

Chao rimase quasi scandalizzata. “E tu preferisci un seminario alle tue amiche!?”

“Lasciami finire” replicò l’altra “Questo seminario è interessante e ha attirato l’attenzione di molti fornitori tecnologici. Inclusi quelli del gruppo Yamashita. Te li ricordi, no?”

“Ovvio, sono un colosso dell’Asia e presto del mondo. La facoltà di ingegneria del Mahora cerca di avere da una vita un contratto con loro”.

“Ecco appunto. Penso di essere riuscita ad agganciarli. Tornerò tra tre giorni. Se tutto va bene, al mio ritorno porterò un bel contrattino firmato. Sono già riuscita ad ottenere alcune apparecchiature tecnologiche in prova. Sono molto ingombranti. Per questo ti ho chiamato: dovresti mandarmi il nostro auto-tir. C’è parecchia roba da caricare”.

“Uao, ti sei data molto da fare. Ti aspetto per valutare quella tecnologia”.

“No!” esclamò agitata Satomi.

Chao rimase interdetta. “Come sarebbe a dire ‘no’?”

“Oh, scusami. Il fatto è che non voglio che tu perda la gita per causa mia. Vai pure a divertirti e non preoccuparti per me”.

“Però…”

“Niente però. Cosa credi? So badare a me stessa e so fare quelle valutazioni anche da sola”.

“Ma io…”

“Non ci sono problemi. Quando tornerai, troverai tutto pronto e potremo avviare tutti gli esperimenti che vuoi. Va bene?”

“Va bene…”

“Allora ci risentiamo presto. Mi raccomando l’auto-tir”.

“Lo programmo e te lo invio. Sarà da te entro stasera”.

“Perfetto. Ciao”.

La telefonata finì e Chao ebbe la netta impressione che la sua amica le stesse nascondendo qualcosa.

Tuttavia rigettò quella sensazione. “E’ l’ultima persona che potrebbe nascondermi qualcosa. E poi ci rivedremo la prossima settimana”.


“Fammi vedere”.

Alla richiesta della professoressa Shizuna, Asuna le passò il termometro che teneva sotto l’ascella.

“Accidenti, 40 e mezzo. Mi dispiace, Asuna, ma temo proprio che non potrai andare alla gita”.

La ragazza era stata accompagnata dall’infermeria alla sua stanza, si era messa in pigiama con l’aiuto di Konoka e Setsuna, e ora quel verdetto la intristiva parecchio.

“Bo! Io boglio anbarci!” replicò Asuna tentando di alzarsi.

Ma un terribile mal di testa la costrinse a sdraiarsi di nuovo.

“Asuna, non devi fare sforzi” le disse allora Negi, che poi si rivolse alla professoressa Shizuna. “Professoressa, per quanto ne avrà?”

“Se prende una al giorno di queste supposte, guarirà in tre giorni”.

Setsuna rimase stupita. “Accidenti. In cosi poco tempo?”

“La vostra capoclasse mi ha fatto pervenire una confezione prodotta da una casa farmaceutica di proprietà del gruppo Yukihiro. E’ un nuovo medicinale che sembra fare miracoli. E’ stato testato e funziona, ma non è ancora in vendita. Quindi… “ la donna con innocente malizia mise un dito davanti alla bocca “…non ditelo a nessuno”.

“Stia tranquilla, non lo saprà nessuno” l’assicurò Konoka.

La donna se ne andò.

“Be, Asuna, sei stata fortunata. Cioè, purtroppo stavolta la tua immunità alla magia ti si è rivoltata contro, ci impedisce di usare incantesimi curativi. Ma almeno non dovrai passare troppo tempo a letto” la consolò Negi.

“Ba non bodrò anbare in giba!” ribatté lei.

“Forza e coraggio. Io e Konoka resteremo ad accudirti, anche durante la convalescenza”.

“Ma bobete anbare in giba…”

Konoka le accarezzò la fronte, che scottava. “Alla gita possiamo rinunciare per prenderci cura di te.”.

“Bo! Non bobete berbere la giba ber bolba bia! Anbabe, bi benberà la brobeboressa a be”.

Konoka rifletté. “Ma la professoressa sarà certamente piena di impegni. E in effetti se restiamo tutti e due può essere un problema, Negi”.

“Eh?”

“Ma la soluzione è facile: io resto con Asuna e tu andrai con il resto della classe. D’altronde sei un professore, e hai il compito di guidare le altre”.

“Un momento…”

“Del resto, gli altri professori non ci saranno. Questa gita è stata organizzata dal preside come premio per la sola III A, grazie ai suoi ottimi voti. Devi andarci”.

“E tu, Konoka?”

“Il mio mondo certo non finirà perché salto una gita ad Okinawa. Tu vai e fai il tuo dovere, e non preoccuparti per me. Ho parlato anche con Setsuna e l’ho convinta a partire. Qui al Mahora non può succedermi niente”.

“Veramente, Lady Konoka, io preferirei restare qui” replicò con rispetto la spadaccina.

“Eh no. Te l’ho detto e te l’ho ripeto. Sono stufa di vederti preoccupata per me 24 ore su 24. Voglio che ti rilassi. E se io non ci sarò, tanto meglio. Potrai riposarti pienamente. Qui sono al sicuro. E per favore, non chiamarmi più lady. Solo Konoka, va bene?”

Setsuna abbassò lo sguardo, imbarazzata. “Ecco… va bene”.

“Si! Cosi mi piaci!” esclamò Konoka abbracciando l’amica, che divenne quasi più rossa di Asuna.

Negi invece sembrava ancora dubbioso sull’opportunità di andare anche lui, e fu allora che Asuna lo fulminò con uno sguardo alla ‘vai a fare il tuo dovere e a divertirti e non preoccuparti per me’. Con una postilla: ‘se mi disubbidisci ti infetterò con i miei microbi e ti farò venire una febbre perenne!’.

A quel punto Negi si arrese. “D’accordo, parteciperò alla gita”.

Konoka lo applaudì. “Bravo, cosi mi piaci!” e abbracciò anche lui.

“Konoka, ti prego controllati” le disse Setsuna.

Konoka allora andò nella piccola cucina a preparare un brodo caldo per Asuna.

Setsuna andò nel bagno a preparare qualche impacco di acqua fredda per Asuna.

Negi cominciò a guardare nell’armadio cosa portarsi. “Ehi, Kamo, dammi una mano con i vestiti”

“Un momento, sto guardando una cosa su internet”.

Negi salì fino al suo ripiano, e vide Kamo davanti al computer portatile.

“Che stai cercando?”

“Informazioni sulla compagnia di viaggi. Si chiama Welker, e fu fondata da Frank Welker nel 1946. E’ una compagnia di viaggi americana fra le migliori al mondo. E’ un po’ caruccia, ma credo che riceveremo un trattamento di prima classe” spiegò l’ermellino.

“Be, meglio cosi”.

“Anche se…”

“Qualcosa non va?”

“No. E’ solo che questa agenzia si è fatta cosi insistentemente avanti quando il preside ha fatto un giro delle agenzie turistiche per regalarci questa gita. Non lo so… mi sembra un po’ sospetta”.

“Non essere paranoico, Kamo. Hai appena controllato, no? Dietro quel nome non c’è alcun mistero”.

“Penso che tu abbia ragione. Ok, vediamo cosa portarci” concluse Kamo.


I due giorni antecedenti la gita trascorsero nell’eccitazione e nell’andare in giro a fare shopping per procurarsi tutto il necessario da usare a Okinawa.

Negi e Konoka invece passarono il loro tempo a prendersi cura di Asuna, e la medicina fornita da Ayaka era veramente efficace.

Quando infine arrivò il giorno della partenza, la III A si era riunita all’aeroporto.

Molte delle ragazze erano entusiaste del fatto di prendere l’aereo, perché per loro era la prima volta.

Persino Evangeline, nonostante cercasse sempre di darsi un certo contegno, era chiaramente contenta all’idea di poter finalmente compiere un lungo viaggio.

Insomma, facevano un sacco di rumore.

Takamichi e Shizuna avevano accompagnato la classe fino all’imbarco, stando affianco a Negi.

“Mi raccomando, Negi, adesso la classe è nelle tua mani. Fatti valere” gli disse l’uomo.

“Farò del mio meglio, Takamichi”.

“E se dovesse aver bisogno d’aiuto, non esiti a chiederlo. Tutte le sue allieve sono in gamba” gli ricordò la professoressa.

“Certo. Ora facciamo l’appello”.

Negi si mise vicino all’ingresso del corridoio che conduceva all’aereo, già pronto sulla pista e tutto per loro.

Chiamò tutte le sue allieve e tutte risposero entusiaste.

Un filo di tristezza si disegnò sul volto di Negi quando dovette saltare i nomi di Asuna e Konoka.

Arrivò al turno di Chao. “Ehi, Chao, ci sono notizie di Satomi?”

“Rientrerà domani. I suoi impegni a Osaka sembrano comunque essere stati molto fruttuosi. La prossima settimana sarà davvero impegnativa per me”.

Negi sorrise. “Allora dovrai approfittare di questa settimana per caricare le batterie il più possibile”.

Da un altoparlante arrivò l’avviso ai passeggeri del loro volo.

“III A! Andiamo a far baldoria ad Okinawaaa!” esultò Haruna Saotome.

“SIIIII!” risposero insieme le altre, ad eccezione di quelle più calme, come Yue, Nodoka e Chisame, preoccupate più che altro degli sguardi delle altre persone.

E cominciarono l’imbarco.

****

La sera era ormai giunta e il Mahora era diventato buio e silenzioso.

Tuttavia, c’era qualcuno che si aggirava per l’enorme parco.

Questa persona si muoveva senza problemi tra alberi e cespugli, come se ci vedesse.

E il merito era di particolari occhiali per la vista notturna.

Quando raggiunse una radura, si guardò intorno, poi da una tasca tirò fuori un piccolo telecomando.

Premette dei pulsanti, ed ecco che silenziosamente il terreno iniziò ad aprirsi, rivelando la presenza di un grosso spazio nascosto.

Dopo un po’ si alzò un forte vento, che scosse fortemente la vegetazione circostante.

Il vento cessò all’improvviso, cosi come era iniziato.

E la misteriosa persona corse via non appena il terreno si fu richiuso.


Konoka aveva appena controllato nuovamente la temperatura di Asuna. “Accidenti, è davvero ottima la medicina di Ayaka. La febbre è scesa a 37 e mezzo. Entro domani sarai completamente guarita”.

“Meno male. Non ne posso più di stare a letto. E anche la mia parlata è tornata finalmente normale” rispose Asuna, alquanto sollevata.

Konoka guardò l’orologio. “Accidenti, sono le nove. Devo preparare la cena”.

La ragazza si alzò e andò in cucina.

Asuna la richiamò. “Ehi, ma Negi e le altre saranno arrivati ormai, non credi?”

“Penso di si”.

“E allora perché non chiamano?”

“Be, saranno impegnate con i bagagli e a guardarsi in giro”.

“Si, può essere”.

Asuna si sistemò meglio sotto le coperte, sperando che la chiamata di Negi non arrivasse troppo tardi.

Ma quella si sarebbe rivelata una preoccupazione inutile.

Purtroppo.

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Capitolo 3
*** 3° Capitolo ***


3° CAPITOLO

Il preside dell’istituto Mahora stava nel suo studio, da solo.

Le mani incrociate, l’aria afflitta.

Spesso spostava gli occhi dal telefono sulla scrivania alla porta e viceversa.

Davanti a lui, alcune lettere.

Qualcuno bussò.

Il preside, speranzoso, disse di entrare.

Ma il volto della professoressa Shizuna spense subito qualunque speranza.

“Nessuna novita, giusto?”

“No, preside, mi dispiace. Sono venuta solo per sapere se le serve qualcosa”.

“Eh, mia cara, l’unica cosa che potrebbe risollevarmi sarebbe ricevere una buona notizia”.

“Non deve perdere la speranza, preside. Sono passati solo tre giorni. Tutto è ancora possibile”.

“Lo so. Ma i segni che riceviamo purtroppo fanno pensare al peggio”.

“Non hanno trovato alcun relitto. Forse sono approdati su qualche isola”.

“Disgraziatamente l’area che stavano sorvolando quando sono scomparsi era priva di isole. Ipotizzano che l’aereo che trasportava la nostra classe sia esploso in aria, disintegrandosi. E che i frammenti siano affondati”.

La donna tacque.

Poteva rispondere che si trattava di ipotesi.

Che non c’erano certezze sulla tragica sorte delle alunne della III A.

Quante volte questo era stato detto ai genitori che in tre giorni, direttamente o tramite lettere, avevano tempestato il preside di accuse per aver voluto quella gita a sorpresa.

E quante volte lei aveva dovuto dirlo al preside stesso, che sembrava diventato la personificazione del senso di colpa.

A furia di ripeterlo, era quasi diventato nauseante. E cominciava pure a suonare come falso.

Certe ipotesi vengono confermate dallo scorrere del tempo.

E questo sembrava proprio il loro caso.

La professoressa allora fece un inchino e lasciò il preside solo.


“Andiamo, Konoka, non puoi continuare cosi”.

Asuna, ormai completamente ristabilitasi, osservava la sua amica seduta per terra, davanti al televisore. Al suo fianco un telefono portatile.

Da quando era avvenuta quella sparizione, Konoka si era chiusa in se stessa: passava il tempo davanti al televisore, a guardare solo i telegiornali.

E quando il telegiornale finiva, se ne stava per ore a fissare il telefono.

Le uniche volte che si muoveva da lì era per mangiare e andare al bagno.

E cercava persino di dormire il meno possibile.

Spesso Asuna l’aveva beccata a bere una decina di lattine di caffè la sera e altre al mattino presto.

Come risultato, le stavano venendo le occhiaie.

Decisamente, non poteva continuare cosi.

Asuna si chinò davanti a lei. “Konoka, ascoltami. Perché non vai fuori a prendere una boccata d’aria? E’ una splendida giornata. Se ci sono novità, ti informo io. Non dimenticare che il professor Takahata, Kotaro e diversi altri professori si sono recati ad Okinawa per indagare”.

“No, preferisco restare qui” rispose impassibile l’altra.

“Ma non puoi comportarti in questo modo. Se fai cosi, l’ansia ti distruggerà. Dai, vieni”.

Asuna tentò di sollevarla, inutilmente.

Konoka era come un peso morto.

Asuna allora sospirò e uscì dalla stanza.

Rientrò dopo qualche minuto e andò a sedersi davanti alla sua amica.

Poi squillò il telefono.

Konoka fulminea mosse la mano per rispondere.

Però Asuna fu ancora più veloce e afferrò lei la cornetta.

“Dammela!” ordinò Konoka.

“Non se ne parla!”

“Come osi? Dammela subito!”

Konoka saltò addosso ad Asuna, cercando di toglierle il telefono.

Le due ragazze lottarono per un po’, rotolando sul pavimento, con Konoka che sembrava quasi volersi arrampicare sul corpo di Asuna per strapparle dalle mani quella cornetta.

“Vedo che se vuoi sai ancora reagire!” commentò allora Asuna.

Konoka la guardò storta. “Che… che vuoi dire?”

“Che devi smetterla di deprimerti! Reagisci! Passare tutto il tempo in attesa di notizie che chissà quando arriveranno potrebbe portarti alla paranoia! Fai qualcosa! Qualunque cosa! Ma reagisci!”

“Sta zitta! Non capisci niente!”

“Cosa non dovrei capire, eh?”

Asuna piegò le gambe e spinse via Konoka, facendola finire incolume sul letto.

Fatto questo, parlò al telefono. “Grazie per avermi fatto questo favore. E scusa il disturbo”.

Konoka capì e la guardò impietrita.

Asuna si rimise in piedi fissandola negli occhi. “Guarda che io ti capisco benissimo. Cosa credi? Quelle sono anche le mie compagne, le mie amiche. E se tu sei preoccupata particolarmente per Setsuna, io lo sono particolarmente per Negi. Anche io odio questa attesa, dovermene stare qui anziché aiutare le squadre di ricerca. Ma non possiamo per questo limitarci ad aspettare soltanto. Dobbiamo continuare a vivere. Altrimenti finiremmo per impazzire!”

“Non…. Non è questo il mio problema…” mormorò Konoka.

“E quale sarebbe allora?”

“Io… io mi sento in colpa”.

“E perché?”

“Se fossi… se fossi andata con loro…”

“Saresti scomparsa anche tu. Non sappiamo cosa è successo. Cosa ti fa pensare che avresti potuto fare la differenza?”

“E cosa ti fa pensare… che non avrei potuto farla? Dicono che il mio potenziale magico è unico… magari potevo salvarli…”

“E’ inutile angosciarti con queste domande, Konoka. Ti infliggerai solo dolore”.

“Forse è inutile… questo. Ma c’è dell’altro…. E questo è sicuramente colpa mia…”

“Ovvero?”

Konoka piegò la bocca in una smorfia e scoppiò a piangere.

Asuna prontamente andò da lei e l’abbracciò.

“Setsuna… e Negi… io… sono io che li ho convinti a partire! Forse ho condannato le altre… e loro due li ho condannati con le mie mani!!” esclamò Konoka tra i singhiozzi.

“Non dire cosi. Ti prego! Vedrai che stanno bene. Devono star bene” disse Asuna con gli occhi lucidi.


Il citofono sulla scrivania del preside suonò.

“Chi è?” domandò l’anziano uomo.

“Preside, ci sono due uomini che chiedono di lei. Dicono di essere investigatori assoldati dalla compagnia di viaggi” spiegò la voce di un segretario.

“Ah si? Li faccia passare”.

Dopo un po’ entrarono due uomini occidentali, piuttosto robusti e vestiti in modo casual.

Uno dei due si presentò porgendo la mano al preside. “Piacere di conoscerla, signor Konoe. Io sono Jess Harnell. E lui è il mio collega Jim Wood”.

L’altro salutò con un cenno del capo.

Il preside strinse la mano di Harnell. “Piacere di conoscervi, signori. Cosa posso fare per voi?”

Harnell si schiarì la voce.“Be, innanzitutto vogliamo farle sapere che ci dispiace molto per quello che è successo. E’ certamente un evento davvero tragico la scomparsa di tutte quelle persone”.

“Ah, capisco. Voi due siete l’aiuto extra che la compagnia Welker ci ha promesso quando ci ha telefonato per comunicarci che avrebbero ufficializzato la sparizione”.

“Esatto. Non ci aspettiamo di fare miracoli, comunque siamo due professionisti che tenteranno il tutto per tutto. Anche nella peggiore delle ipotesi”.

“Non ci sono ancora prove che siano morti” ribatté il preside.

“Naturale. Tutti noi lo speriamo, mi creda. E infatti io mi riferivo ad un’altra ipotesi”.

“Ovvero?”

Harnell si guardò in giro, per poi avvicinarsi ulteriormente al preside. “E’ un ipotesi che da noi circola ultimamente. Forse si renderà conto che non tutte le agenzie viaggi mandano investigatori in un altro continente, se non per casi veramente gravi. E’ questo potrebbe essere un caso grave: un sequestro”.

“Un sequestro? E per opera di chi?”

“Se lo avessimo scoperto, le sue allieve sarebbero già ritornate qui. Ma non è una ipotesi cosi improbabile. Non si dimentichi che su quell’aereo c’era Ayaka Yukihiro, ereditiera di una della famiglie più ricche del mondo. Nonché Chao Lin Shen, ereditiera altrettanto ricca di una famiglia cinese. C’è quanto basta per organizzare un sequestro, non le pare?”

“Ma non sono arrivate richieste di riscatto” replicò ancora il preside.

“Per il momento no. Ma è ancora possibile. E inoltre, chi dice che i sequestri debbano per forza servire per un riscatto? I sequestratori possono avere miriadi di motivazioni. E per essere riusciti a far sparire cosi un aereo, devono essere veri professionisti”.

Il preside era dubbioso. “Lei è davvero convinto di questa ipotesi?”

“Assolutamente. Non mi risulta che un aereo possa sparire cosi, senza lasciare alcune traccia”.

Il preside rimuginò su quella possibilità: in effetti prima non l’avevano considerata perché data la presenza di soggetti fortissimi in quella classe, un rapimento era davvero improbabile. Tuttavia, proprio la presenza di quei soggetti fortissimi poteva aver portato dei nemici altrettanto forti a compiere quel rapimento.

Quindi era una possibilità concreta.

“Va bene, signor Harnell” disse il preside mettendosi in piedi “Come possiamo aiutarvi?”

“Per cominciare, vorremmo parlare con una delle ragazze rimaste di quella classe, Satomi Hakase. Qualunque indizio potrebbe esserci utile”.

“Ma certo, chiamo la professoressa Shizuna e vi faccio accompagnare da lei”.


Asuna e Konoka stavano passeggiando per il parco.

Konoka era ancora abbattuta, ma almeno un po’ di aria fresca le avrebbe fatto bene.

“Ehi, Konoka, mi è venuta un’idea. Perché non andiamo a trovare Hakase? Deve essere preoccupata quanto noi”.

“Però da quando è tornata due giorni fa, non è mai venuta a trovarci”.

Asuna notò un certo astio nella sua amica. “Non giudicarla. Hakase vive in un mondo tutto suo. Di conseguenza, ha un modo tutto suo di preoccuparsi. Andiamo a trovarla in laboratorio, parlando con qualcuno potremmo aiutarci a vicenda”.


La professoressa Shizuna e i due investigatori entrarono nel laboratorio di Hakase, un bizzarro concentrato di tecnologie di ogni epoca: dai modernissimi computer ad un orologio a pendolo.

Tuttavia il laboratorio era deserto.

La donna rimase un po’ stupita. “Strano. Dato che non era nella sua camera, ho pensato che fosse qui. Vi chiedo di aspettare qui, signori, mentre io vado a cercarla. Tornerò subito”.

Quando Shizuna se ne fu andata, i due uomini diedero prima un’occhiata a quell’ambiente.

Poi si guardarono l’un l’altro.


“Computer, ricomincia”.

Satomi Hakase sedeva davanti ad un grosso monitor di forma rettangolare, in un enorme spazio sotterraneo pieno di apparecchiature ancora più tecnologiche di quelle del suo laboratorio ‘ufficiale’.

In quel momento si trovava infatti nel laboratorio segreto che aveva costruito insieme a Chao per testare un tipo di tecnologia decisamente troppo futuristica per quell’epoca.

Sullo schermo, circondato da molti altri schermi più piccoli, apparve una ricostruzione di parte della costa giapponese.

Si aprì poi un riquadro puntato sulla zona di Okinawa.

“Dunque è qui che il loro aereo è scomparso. A quando risale l’ultima comunicazione?”

Un numero apparve in un riquadro più piccolo.

“Calcolando la rotta e la velocità, e il momento in cui sono cessate le comunicazioni, in quale punto esatto potrebbero essere caduti?”

L’immagine della zona di Okinawa compì uno zoom, puntandosi su una zona in mare aperto.

“Sempre lì. Ormai è assodato: dopo ben dodici ricostruzioni, la zona è sempre quella. Ma se sono caduti, dove sono i rottami dell’aereo? Qualcosa che galleggia rimane sempre”.

Hakase represse un brivido.

Gli occhi da tempo ormai le bruciavano, tanto era il tempo passato davanti a quei monitor per ricostruire la dinamica dell’incidente.

E ogni volta era sempre lo stesso risultato.

Che però non portava da nessuna parte.

Se l’aereo era esploso o si era inabissato, dov’erano i rottami?

Forse era stato dirottato?

Ma quell’aereo non aveva un’autonomia molto lunga, non era in grado di allontanarsi troppo dalle coste giapponesi.

E poi per quale motivo farlo?

Senza contare che a bordo c’erano delle persone potentissime nella magia, che di conseguenza avrebbero sicuramente potuto fare qualcosa.

Già Evangeline valeva quanto un esercito.

Ma se l’aereo, per un qualunque motivo, era caduto in mare ai margini della sua autonomia, la situazione si complicava ancora di più, perché la zona dove cercare si espandeva a tutta la fascia oceanica a ovest del Giappone.

Hakase si tolse gli occhiali per massaggiarsi gli occhi.

Si attivò una spia sonora.

Hakase su uno schermo più piccolo fece apparire una mappa del laboratorio segreto.

Una sezione, denominata S-1, era illuminata di rosso.

“Ora non ho tempo per quella cosa. Devo scoprire cosa è accaduto alle mie compagne di classe. Di qualunque cosa si tratti, può aspettare” pensò distaccata.

Si rimise gli occhiali e ricominciò il suo lavoro.

Dopo un po’, risuonò ancora la spia sonora.

La ragazza rimase infastidita. “Ancora?”

Ma quando richiamò nuovamente la mappa del laboratorio, vide che l’avviso riguardava l’uscita di emergenza e l’accesso principale.

“Ma che succede? Nessuno conosce l’ubicazione del laboratorio, e specialmente quella della uscita d’emergenza!”

La ragazza cercò di inquadrare i due accessi per scoprire di chi si trattava.

Ma i monitor delle telecamere mostravano solo scariche.

E lo stesso valeva per tutte le altre telecamere.

Stando al computer, si trattava di un disturbo causato da un misterioso segnale esterno.

Preoccupata, Hakase premette un pulsante con su scritto ‘SECURITY’.

Subito dopo, tutta la struttura fu sconvolta da due esplosioni.

Il fumo di quest’ultime riempì gli ampi corridoi che conducevano al laboratorio centrale.

Hakase andò a nascondersi dietro un generatore, mentre i robot della sorveglianza, in tutto venti e piuttosto grossi, alcuni di forma umanoide e altri dalla forma vagamente ragnesca, uscirono da scompartimenti celati nelle pareti per dirigersi rapidamente contro gli intrusi nei due corridoi.

Si udirono alcune piccole esplosioni, raffiche laser, tonfi e rumori di lamiera piegate.

Infine, grossi pezzi metallici furono scagliati dai corridoi dentro il laboratorio, quasi sparati.

Hakase si affacciò e riconobbe terrorizzata i resti dei robot di sorveglianza.

“Mio Dio! Quei robot valevano quanto un piccolo esercito! Chi può averli distrutti cosi rapidamente?!”

Dal corridoio dell’entrata principale arrivò un terribile fracasso accompagnato da un mucchio di polvere che andò ad aggiungersi al fumo della prima esplosione.

Mentre dal secondo corridoio si sentirono dei passi, regolari e molto pesanti.

Hakase si rannicchiò in un angolino nascosto tra le tante apparecchiature, sbirciando per vedere il nemico.

Poi il soffitto del corridoio centrale crollò, e il responsabile era un enorme robot antropomorfo, di colore marrone chiaro.

La giovane scienziata calcolò che doveva essere alto almeno sette metri.

Troppo per il corridoio, quindi era avanzato distruggendo il soffitto.

Dall’altro corridoio arrivò un secondo robot antropomorfo, di circa cinque metri e di colore nero.

A lui per attraversare il corridoio doveva essere bastato chinare la testa.

Hakase era sia spaventata che affascinata.

Quei misteriosi robot non avevano certo buone intenzioni e sulle loro facce imperscrutabili perché non troppo composte secondo una fisionomia umana, svettavano degli occhi illuminati da una maligna luce rossa.

Però il suo io scientifico non poteva non tentare di analizzare quegli esseri, perciò la ragazza si muoveva, stando sempre dietro il suo nascondiglio, per trovare una buona visuale che le permettesse di esaminare meglio quei corpi quasi interamente corazzati. Che solo in alcuni punti, come le ginocchia, lasciavano intravedere qualche meccanismo interno.

I due invasori si guardarono intorno, poi cominciarono ad avanzare: proprio verso di lei!

“Dannazione! Devono avere dei sensori di rilevamento!” pensò allarmata.

I due giganti si fecero strada facendo a pezzi come niente tutto il materiale del laboratorio.

Hakase attese il momento giusto, e quando i due robot furono proprio davanti al suo nascondiglio, cercò di scappare scattando in avanti e passando sotto le gambe del gigante marrone.

Ma l’altro gigante la intercettò e con la mano le diede una spinta che la fece volare contro una parete.

La ragazza cadde a terra svenuta.

Il gigante marrone si rivolse al suo compagno. “Le informazioni erano esatte, Barricade. Ed è stato veramente facile”.

“Bonecrusher, cosa ti aspettavi da questi mucchietti di carne organica?” rispose Barricade. “Cercare di fermarci con questa tecnologia primitiva… una sciocchezza. Per usare i loro termini, è come sfidare un carro armato usando una bicicletta”.

Bonecrusher afferrò Hakase per le gambe e la sollevò, lasciandola penzolare dalla sua mano. “Guarda quanto sono fragili. Ormai li conosciamo da tanto tempo, eppure mi chiedo ancora come facciano ad essere in vita da millenni”.

“Tu non sei fatto per pensare, Bonecrusher. Prendiamola e andiamocene” lo incalzò Barricade.

“In fondo è una fortuna non dover usare l’altro mezzo”.

“Lei ci serve per se stessa. Ma dubito che gli umani considerino una fortuna la marchiatura”.

“Intendevo dire che è una fortuna per me. Quell’altro metodo mi provoca sempre un tremendo ribrezzo” replicò Bonecrusher.

“Ehi, luridi mostri lasciatela stare!”

I due Decepticons si voltarono verso uno degli ingressi.

A parlare era stata Asuna, con in mano la sua spada gigante.

Barricade e Bonecrusher si guardarono.

Poi Asuna rabbrividì: perché pur non riuscendo a capire bene come fosse composta la faccia di quegli esseri, ebbe la netta impressione che stessero sogghignando.

“E’ arrivato il bersaglio successivo. Bonecrusher, portala pure via” disse Barricade.

Il robot marrone incominciò ad avviarsi con Hakase verso l’altro ingresso.

“Dannazione! Lasciala andare subito!” gridò Asuna lanciandosi contro i due nemici con un fendente.

Un fendente che Barricade parò semplicemente mettendo davanti un avambraccio.

E nell’impatto la spada di Asuna si sbriciolò come se fosse di vetro.

“Asuna!” gridò spaventata Konoka, che stava nascosta dietro alcune grosse macerie.

Asuna rimase sbalordita. “Eehhh?! Ma come… Konoka! Ti avevo detto di restare fuori. Vai a chiamare aiuto, presto!”

Barricade sferrò un pugno contro Asuna, che mise le mani in avanti e venne scagliata contro Konoka.

La spinta del pugno fu tale che entrambe le ragazze sbatterono violentemente contro un muro, rimanendo tramortite.

Barricade si avvicinò e le esaminò. “Asuna Kagurazaka è abbastanza in gamba. Ha accompagnato il mio colpo in modo da ridurre i danni. Comunque ci hanno fatto un favore, lei e Konoka Konoe, venendo loro da noi”.

“Allora possiamo rinunciare alla copertura. Io sistemo questa, tu mettile dentro di te, cosi le portiamo alla base” ordinò Bonecrusher.

“Un momento!” esclamò Barricade.

“Che succede? Sbrighiamoci ad andarcene, questo ambiente cosi umano mi sta dando la nausea”.

“I miei sensori di movimento rivelano qualcosa dietro quella parete”.

Barricade indicò una parete blindata, simile ad una paratia, che stava dietro di loro.

“Io non sento niente, immagino perché impegnato nel processo. Ma anche se fosse, di che ti preoccupi? Sarà un altro degli pseudo-robot creati dagli umani” replicò Bonecrusher alquanto seccato.

“No, è qualcosa di più grosso, quanto noi, anzi di più”.

“Ti preoccupi per niente” ribatté Bonecrusher, che lasciò cadere Hakase e trasformò un braccio in una sorta di cannone.

Sparò alcuni colpi contro la paratia, già il primo perforò come niente il metallo corazzato, e altri sette piombarono dentro quella stanza.

Ci fu un rimbombo di esplosioni.

“Ecco, qualunque cosa fosse, è andata” concluse il Decepticon.

Lasciatele andare” ordinò una voce proveniente dall’interno di quel locale.

Barricade e Bonecrusher rimasero impietriti.

Non per le parole in se o per la loro provenienza.

Ma perché quella voce aveva parlato in cybertroniano.

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Capitolo 4
*** 4° Capitolo ***


4° CAPITOLO

I colpi di Bonecrusher avevano riempito il locale blindato di fumo.

Tuttavia i sensori visivi suoi e di Barricade percepirono una grossa figura muoversi in mezzo al fumo.

Poi apparvero due luci azzurre.

Si udirono dei passi pesanti.

Infine il loro nemico uscì lentamente dalla parete squarciata.

Barricade indietreggiò. “Ma…. Ma è….”

“Optimus Prime!!” ringhiò Bonecrusher.

Senza perdere tempo, quest’ultimo si lanciò contro il nuovo venuto con tutto il suo peso, prendendolo in pieno e cadendo con lui nella stanza blindata.

Barricade velocemente afferrò Konoka, Asuna e Hakase con un braccio e fece per correre via dando le spalle al nemico.

Dietro di lui udì un rumore fortissimo, poi un lieve scoppio e neanche un attimo dopo il suo braccio che teneva le ragazze venne staccato di netto dalla spalla.

Barricade urlò per il dolore, si voltò e vide Prime che sporgeva dallo squarcio reggendo col braccio destro una sorta di fucile.

Bonecrusher era steso ai suoi piedi.

Imprecando il Decepticon nero recuperò il suo braccio e corse via.

Il suo compagno invece si riprese, si scagliò di nuovo contro Prime bloccandogli le braccia contro il muro.

Poi dalla sua schiena fece uscire un terzo braccio, simile a quello di una gru, con alla sommità una tenaglia.

Mirò alla testa di Prime, che rispose dando al nemico un calcio fortissimo al ventre.

Bonecrusher si piegò in due per la forza d’urto e il dolore, lasciò le braccia di Prime che lo afferrò per il collo e iniziò a sbatterlo contro le pareti blindate più e più volte.

La potenza di quegli impatti fu incredibile, l’acciaio si piegò come plastilina e si squarciò come carta.

Prime infine lanciò fuori Bonecrusher, che cadde rumorosamente vicino al corridoio dell’uscita d’emergenza.

Proprio quello che ormai faceva a caso suo.

Il Decepticon scappò via inoltrandosi nel corridoio e distruggendo anche di quest’ultimo il soffitto.

Prime uscì dalla stanza blindata facendo rientrare il fucile in uno scompartimento posto nella spalla destra e guardandosi attorno.

I suoi sensori esplorarono quell’ambiente pieno di tecnologia, tuttavia molto più primitiva della loro.

Ma la sua attenzione si concentrò sulle ragazze stese a terra.

Si avvicinò e le scandagliò.

Non conosceva l’anatomia di quel tipo di esseri, tuttavia sembravano vive.

Toccò delicatamente con la punta di un dito la testa di Asuna.

Che mugugnò qualcosa socchiudendo gli occhi.

Poi i sensori uditivi dell’Autobot percepirono del movimento, parecchio, provenire dall’esterno.

Ritenne che non era prudente farsi trovare senza neppure sapere dove si trovava.

Quindi se ne andò con passo svelto, passando per la stessa via di Bonecrusher che gli aveva ampiamente spianato la strada.


La professoressa Shizuna rientrò velocemente nel laboratorio di Hakase, dove aveva lasciato i due investigatori privati.

I pochi minuti erano diventati mezz’ora dopo che era stata chiamata d’urgenza perché nel parco era successo qualcosa di strano.

Nel parco la donna aveva trovato un grande assembramento di professori e studenti, il preside le aveva spiegato molto sinteticamente cosa era successo, ordinandole di recarsi appena possibile in infermeria.

E solo dopo un po’ la professoressa si era ricordata dei due ospiti.

“Signori, scusate l’attesa… ma cosa è successo!?”

I due uomini erano presenti, ma sembravano alquanto malconci: Harnell stava seduto su uno sgabello, era madido di sudore e si reggeva una spalla come se gli facesse un male cane.

Mentre Wood era cosi pieno di lividi che sembrava un pugile uscito da un incontro di almeno cinquanta round.

La donna si avvicinò per prestare soccorso. “Oh cielo… signori… ma cosa vi è accaduto?!”

“Siamo… siamo stati aggrediti” rispose a denti stretti Harnell.

“Che cosa?!”

“Si… erano in cinque, sono entrati e hanno cominciato a picchiarci. Siamo riusciti a difenderci e li abbiamo messi in fuga, ma quante ne abbiamo prese” spiegò Wood.

“Accidenti, ma chi può essere stato?” domandò Shizuna allarmata.

“Lo scopriremo. Ora se permette, dobbiamo andare all’ospedale” disse Harnell.

“Anche qui abbiamo un’ottima infermeria. Potete curarvi qui” propose la donna.

“Preferiamo andare in ospedale” concluse bruscamente Wood scostando la professoressa.

I due uomini uscirono dal laboratorio velocemente.

Quasi come se scappassero.

Comunque la donna doveva andare lo stesso in infermeria.

Per accudire le tre ragazze superstiti della III A.


Asuna si risvegliò in una stanza dell’infermeria, separata dal resto da una tendina.

Si sentiva un po’ intontita ma nulla più.

Si girò affianco e vide Konoka e Hakase, anche loro su dei letti e ancora addormentate.

Però cominciarono a riprendersi proprio in quel momento.

La prima ad aprire gli occhi fu Konoka. “Uhn… dove… dove mi trovo?”

“In infermeria” le rispose Asuna.

“Eh? Ah si, ora ricordo! Quei robot giganti! Avevano preso Hakase! Dove sono? E dov’è lei?”

“Loro non lo so, ma Hakase è affianco a te” la tranquillizzò l’amica.

“Oh mamma, che mal di testa” mormorò la giovane scienziata.

“Allora, mie care, come vi sentite?” domandò una voce anziana.

Il cui proprietario scostò la tendina.

“Preside!” esclamarono Hakase e Asuna.

“Nonno!” gridò felice Konoka scendendo dal letto per abbracciare l’anziano parente.

“Oh oh oh, piano nipotina, non vorrei che la tua presa mi rompesse qualche osso”.

“Nonno, ho avuto tanta paura”.

“Su, adesso è passata. Avete solo qualche livido, adesso riposatevi e poi venite in studio per raccontarmi cosa è successo”.

“Non serve, possiamo parlare anche qui” disse Asuna.

“Siete sicure?”

Hakase e Konoka annuirono.

“Oh be, allora, ditemi cosa è successo”.

“Io e Konoka stavamo facendo una passeggiata nel parco” spiegò Asuna “Quando abbiamo visto un buco nel terreno: sembrava che ci fosse un entrata segreta, e che qualcuno avesse divelto la copertura di questa entrata piegandola come niente. Da quell’accesso iniziava un corridoio, e da questo corridoio arrivava un frastuono orribile, come di esplosioni e lamiere che si contorcevano. Io e Konoka ci siamo fermate fuori, abbiamo pensato di chiamare aiuto. Ma quando il frastuono è cessato, ho detto a Konoka di restare nascosta fuori mentre io col mio artefatto scendevo a controllare. Ho percorso il corridoio occupato da detriti di ogni genere e ho visto questi due robot enormi e sicuramente pericolosi. Avevano catturato Hakase, li ho attaccati ma la mia spada si è frantumata come un vaso di ceramica contro il braccio di uno quei mostri. E non l’ho neppure scalfito. Poi è arrivata Konoka”.

“Ero troppo preoccupata per Asuna. Con quello che è successo, non sopportavo l’idea che accadesse qualcosa anche a lei” si giustificò Konoka.

“Poi uno di quei robot, che mi aveva chiamato bersaglio, mi ha dato un pugno mandandomi per aria. E per il resto… buio” concluse Asuna.

In realtà la ragazza aveva il sentore di un altro ricordo, un immagine, ma non riusciva a identificarla in nessun modo

Se ci pensava, l’unico dettaglio che gli veniva in mente era il colore azzurro.

Che in pratica non aveva alcun significato.

Il preside guardò verso Hakase. “E tu, Hakase, non hai niente da dirmi?”

La ragazza allargò le braccia. “Che vuole che le dica, preside. Ero lì che cercavo di risolvere il mistero della scomparsa della nostra classe. Poi dal nulla piombano quei due mostri, robot incredibilmente potenti e sofisticati, demoliscono tutto e cercano di rapirmi. Non so proprio che cosa potessero volere da me”.

“Tuttavia c’è qualcosa che potresti spiegarmi comunque. Ad esempio, perché ci hai tenuto nascosto il laboratorio dove ti hanno attaccata”.

Hakase distolse lo sguardo. “Be… quello… quello è, anzi era, il luogo dove io e Chao collaudavamo una tecnologia che rischiava di essere troppo pericolosa per provarla in pubblico”.

Il preside si massaggiò la lunga barba. “E’ la verità?”

“Certo. Perché dovrei mentirle?”

“Uhm… e sai dirmi cosa c’era in quella stanza blindata che abbiamo trovato del tutto sfondata?”

“Cosa? Di che parla?”

“Nel tuo laboratorio segreto c’erano diverse camere blindate, tutte chiuse e vuote. Però una era aperta, e dentro era devastata come se due giganti ci avessero combattuto”.

“Non lo so. Uno di quei robot mi ha stordita facendomi volare contro una parete. Per quanto ne so, quella stanza era vuota”.

Il preside scrutò attentamente Hakase, che sembrò volersi quasi nascondere sotto le coperte del letto.

“Un’ultima domanda. In quel laboratorio non ci sono telecamere? Potrebbe aiutarci sapere che aspetto avevano i vostri aggressori”.

“Di starci ci stanno. Ma quei due robot le avevano messo fuori uso” fu la risposta.

“Questo allora, unito al fatto che eravate tutte e tre svenute, aggiunge pure un nuovo mistero: chi vi ha salvate? Apparentemente non c’era nessun motivo per cui quei robot non potessero portarvi via”.

Le tre ragazze si strinsero nelle spalle.

“Comunque stanno accadendo troppe cose strane. E dato che quei nemici sono penetrati come niente nel Mahora, temo che anche questo luogo non sia più sicuro per voi. Entro stasera partirete tutte per Kyoto. Sarà Eishun a prendersi cura di voi, almeno finché non capiremo cosa sta succedendo. Vi avverto sin da ora che non accetto obbiezioni. Andate subito a fare i bagagli” ordinò seccamente il preside lasciando l’infermeria.

“Cavoli, non l’avevo mai sentito usare un tono cosi severo” commentò Asuna.

“Fa cosi quando è veramente molto preoccupato” le spiegò Konoka.

Hakase invece ignorò le due compagne, troppo presa dai suoi pensieri.


Il preside, dopo aver ascoltato anche la professoressa Shizuna tornò nel suo ufficio, si sedette davanti alla sua scrivania e tirò fuori un cerchietto.

Lo poggiò sul tavolo e recitò una breve formula magica.

Il cerchietto si illuminò e apparve l’immagine in formato ridotto di Eishun Konoe, genero del preside, padre di Konoka, capo dell’associazione magica del Kansai. Nonchè uno dei più potenti maghi guerrieri del Giappone.

In realtà il preside era solito usare il telefono come tutti gli altri, ma le telefonate si potevano intercettare.

Cosa estremamente più difficile da fare con le comunicazioni magiche.

L’immagine di Eishun fece un cenno di saluto. “Konoemon, che piacere sentirti. Ci sono novità riguardo la sparizione?”

“Purtroppo no, genero. Anzi, ci sono delle novità, ma niente affatto piacevoli”.

Il preside spiegò brevemente a Eishun gli ultimi sviluppi.

“Davvero inquietante” commentò Eishun “E tu pensi che questi misteriosi robot centrino con la scomparsa della III A?”

“Temo proprio di si” rispose il preside massaggiandosi ancora la barba “Sono riusciti in qualche modo ad entrare e ad andarsene dal Mahora senza che nessuno se ne accorgesse. Quindi potrebbero benissimo aver colto di sorpresa la classe.

E volevano Hakase. Potevano andare dove volevano, prendere quello che volevano, invece sono andati direttamente da lei. Poi hanno indicato Asuna come prossimo bersaglio, e sicuramente avrebbero preso anche Konoka se qualcosa o qualcuno non li avesse dissuasi. Insomma, sembra proprio che volessero finire quello che avevano iniziato. Perciò dobbiamo proteggere le ragazze, almeno finché non avremo capito cosa sta succedendo”.

“Capisco. Ma non dimenticare che in quella classe c’erano guerrieri fortissimi, in particolare Evangeline. Quanto possono essere forti questi robot?”

“Non lo so, ma il fatto che la spada di Asuna si sia frantumata come niente, senza neppure scalfire il nemico, non mi sembra un buon segno. Anche per questo voglio che le ragazze vengano da te a Kyoto. Tu hai a disposizione molti guerrieri che non fanno uso della magia, ma solo del Ki”.

“Mi hai parlato anche di investigatori privati. Che sarebbero pure stati aggrediti”.

“Quelli sarebbe meglio non coinvolgerli più. Sia perché questa cosa mi sembra decisamente troppo grossa per delle persone normali. Sia perché c’è qualcosa nel loro racconto che non mi convince. Mi suona tanto come una scusa”.

“In effetti hai ragione. Allora io metto in stato di allerta i miei uomini. Appena le ragazze sono pronte, inviale qui tramite un portale”.

“Non preoccuparti, so cosa fare. Ti richiamo più tardi, genero”.

Il preside terminò la conversazione e ripose il cerchietto.

Poi cominciò a pensare quali precauzioni prendere ulteriormente.


“Uff, è anche questa giornata è andata”.

Un uomo, in completo bianco, si distese sulla sua poltrona stiracchiandosi.

Si trovava in una sala piena di computer, controllati da altre persone vestite come lui.

Una donna, anche’essa vestita con un completo bianco, entrò nella stanza. “Buonasera, Takeo, Sono venuta a darti il cambio”.

“Oh, Nozomi, grazie al cielo. La giornata di oggi è stata veramente stressante”.

“Perché?”

“Prova a indovinare”.

“Ancora la scomparsa di quella classe dell’istituto Mahora?”

“Esatto. Magic-net è tutto un ribollire di ipotesi su quella sparizione”.

“Cosa ti aspettavi dalla scomparsa misteriosa del figlio del Thousand Master?”

Takeo si mise in piedi massaggiandosi la schiena. “Esattamente questo. Perciò sono distrutto. Però è incredibile come gli utenti del mondo magico in questo si dimostrino esattamente uguali agli utenti della normale internet”.

Nozomi prese il suo posto. “Intendi dire che le teorie cospirative abbondano?”

“Precisamente. C’è chi accusa i nemici della grande guerra tra maghi di venti anni fa e chi i governi. Quelli più gettonati sono il governo americano, quello cinese e il nostro. Altri parlano di demoni, di confraternite di maghi malvagi. E persino di alieni. Con tutto quello che ho visto oggi, si potrebbe scrivere un enciclopedia del complotto”.

“Immagino come ti abbia annoiato tutto questo ciarpame. Ma sai che il nostro dovere è questo: controllare Magic-net per impedire tentativi di infiltrazione, oppure che qualcuno trasmetta notizie pericolose di qualunque genere”.

“Lo so ma… ehi!”

Takeo si piombò davanti al suo schermo, scrutandolo con attenzione.

Nozomi si allarmò lievemente. “Che ti prende?”

“Mi è sembrato di vedere.. qualcosa… una specie di scarica attraversare lo schermo…”

“E allora? Anche agli schermi più sofisticati può succedere di essere attraversati da scariche elettromagnetiche. Pensa che una volta mi trovai di fronte ad un computer che aveva perso la modalità del colore. Mi sembrava di stare vedendo un film degli anni 30”.

“Lo so. Solo che questa scarica mi è sembrata diversa. Mi è parso di intravedere una specie di… geroglifici o qualcosa del genere. Di colore azzurro”.

“Secondo me, la spazzatura cospirativa ti ha stancato troppo il cervello”.

“Sarà. Comunque per sicurezza fai una scansione del sistema e chiedi agli altri se hanno rivelato qualcosa”.

“Certo, certo. Ora vai a dormire, qui ci penso io” gli disse Nozomi dandogli una spinta verso l’uscita.


Barricade e Bonecrusher entrarono titubanti nell’ampia sala vuota e immersa nell’oscurità.

Il braccio di Barricade si era già riattaccato e anche i danni del suo compagno si erano rigenerati.

Tuttavia ora temevano di ricevere danni migliaia di volte più gravi.

Barricade si fece coraggio. “Lord Megatron, veniamo a rapporto”.

Dal buio giunse un rumore di passi, i due Decepticons fecero per arretrare, poi si resero conto che non erano passi abbastanza pesanti per essere quelli del loro leader.

E infatti dal buio arrivò Soundwave.

“Che ci fai tu qui?” chiese Barricade.

“Il grande Megatron è a colloquio con Lui. Capirete quindi che non può essere disturbato” fu la risposta.

“Naturalmente” assentì Bonecrusher.

“Lord Megatron sa della vostra presenza, cosi come sa del vostro fallimento” continuò il Decepticon viola scuro.

“Non è stata colpa nostra” si difese Bonecrusher “Le avevamo prese, ma è intervenuto…”

Soundwave lo interruppe. “Optimus Prime. Megatron lo sa già. Lui lo ha avvertito”.

“E allora che facciamo adesso?” domandò Barricade.

“Lord Megatron ha detto che il piano deve proseguire come stabilito. Fa tutto parte di un disegno molto più vasto. Con ogni probabilità gli umani hanno trasferito i nostri bersagli a Kyoto. E quindi arrivato il momento di testare i prototipi”.

Soundwave disse loro chi dovevano utilizzare.

I due robot si ritirarono mentre Soundwave ritornò nell’ombra.

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Capitolo 5
*** 5° Capitolo ***


5° CAPITOLO

La sala da pranzo era semplicemente enorme.

Il palazzo sede dell’associazione magica del Kansai aveva molte sale da pranzo.

Ma in quell’occasione si era scelta quella principale, posta al centro dell’edificio.

Tale stanza risultava ancora più grande in quanto le uniche persone presenti erano Eishun, Konoka, Asuna e Hakase, tutti seduti per terra su dei cuscini.

Inoltre l’unico mobile presente era il lungo tavolo col cibo.

Il cibo era tanto e invitante, eppure le tre ragazze mangiavano senza molto appetito.

Eishun se ne accorse. “Cosa vi succede? Non è buono?”

“No, papà, è ottimo. Però ora come ora non abbiamo molta voglia di mangiare” spiegò Konoka.

“Comunque non deve credere che non siamo contente di trovarci qui, signor Konoe” ribadì prontamente Hakase.

“Questo posto è bellissimo e l’accoglienza squisita come sempre” continuò Asuna “Solo che…”

Eishun sorrise. “Capisco. Siete in apprensione per Negi e le vostre compagne. E come se non bastasse, ieri siete state aggredite da quei misteriosi robot giganti. Ma non dovete demoralizzarvi. Intanto l’aggressione di ieri ha un lato positivo: ci conferma che le altre possono essere vive. Se infatti qualcuno ha cercato di catturarvi, allora questo qualcuno potrebbe aver preso anche la III A. E se le vostre compagne sono vive, si possono salvare. Per questo la società dei maghi ha sguinzagliato tutte le sue risorse per trovarle”.

“Ma se sono vive, perché non andiamo a cercarle anche noi?” domandò Konoka.

“Col rischio di farvi catturare?” Eishun scosse benevolo la testa “Troppo pericoloso, figliola. La facilità con cui hanno sconfitto Asuna indica che potrebbero aver sconfitto altrettanto facilmente anche le altre. Finché non scopriamo con chi abbiamo a che fare, non dovete muovervi da qui. Qui siete più al sicuro che al Mahora. La barriera protettiva, dopo i fatti della gita scolastica, è stata potenziata. E abbiamo aggiunti sofisticati sistemi d’allarme, uniti a metodi più vecchiotti ma sempre efficaci, per non lasciare spazio ad alcuna intrusione. Inoltre il palazzo è pieno dei migliori guerrieri del Giappone, esperti nell’uso del Ki. Quindi, se quei robot dovessero avere qualche mezzo speciale contro la magia, con il Ki la faccenda potrebbe cambiare. Infine, nessuno sa che siete qui. Siete arrivate con un teletrasporto e al Mahora ci sono dei famigli con le vostre sembianze che fungono da esche”.

“Un’ottima organizzazione. Ci dispiace però di dovervi recare tutto questo disturbo” si scusò Asuna.

“Nessun disturbo, per carità. Su, adesso mangiare. E cercate di essere allegre. Le buone giornate arrivano a chi sa sorridere”.

Le tre ragazze allora ripresero a mangiare cercando di gustare quel cibo come meritava.


L’investigatore Harnell camminava tranquillamente in mezzo al bosco.

Raggiunse uno spiazzo dove gli alberi si diradavano, rendendo visibile il grande palazzo dell’associazione magica del Kansai.

Poi si chinò cominciando a cercare per terra.

Infine trovò, abilmente nascosto sotto un lievissimo strato di terra, un filo.

L’uomo spostò lo sguardo verso destra.

“Uhm, aveva ragione a dire che avrebbero usato vecchie trappole adattate per noi. Questo filo fa scattare una rete rinforzata che sopporterebbe anche pesi di dieci tonnellate. Niente male”.

Si rialzò contemplando il palazzo.

“E’ arrivato il momento di agire”.


Asuna, Konoka e Hakase erano nel grande bagno del palazzo.

Sebbene sembrassero sole, sapevano di essere circondate dalle guardie posizionate da Eishun.

Guardie abilissime, nascoste fuori dal bagno ma pronte ad intervenire in qualunque momento.

Asuna si versò una secchiata d’acqua sul capo per poi rivolgersi alle sue compagne. “Sentite ragazze, ma secondo voi perché ieri quei due robot non sono riusciti a portarci via?”

“Non lo so proprio” rispose Konoka.

Hakase invece cominciò a lavarsi le braccia.

E Asuna le lanciò un’occhiataccia. “Hakase, diccelo!” ordinò decisa.

“Eh? E cosa dovrei saperne io?” rispose quasi scandalizzata la scienziata.

“Non mi incanti” replicò duramente Asuna “E ti assicuro che non hai incantato nemmeno il preside. Non deve avere insistito perché siamo già sotto pressione, ma è evidente che ci nascondi qualcosa”.

“Non nascondo nulla!” ribatté Hakase.

Asuna non cedette. “Cosa c’era in quel locale blindato?”

“Niente!”

“Niente!?” Asuna emise una breve risata di scherno “Quei robot volevano noi, eravamo praticamente in mano loro. Eppure non ci hanno preso. Come mai? E come mai dentro quel locale blindato che per te era vuoto, si è combattuto cosi violentemente? Chi ha combattuto chi?”

“Forse i due giganti hanno cominciato a litigare tra loro, si sono fatti scoprire e sono dovuti scappare”.

“Bugiarda! Prima di partire il preside mi ha fatto chiamare in disparte e mi ha detto che avevano effettuato dei rilievi dentro il tuo laboratorio segreto. Sul pavimento c’erano tre tipi diversi di impronte, lasciate da piedi giganteschi!”

Hakase ammutolì, sospirò e andò verso i suoi vestiti, raccolti sopra uno sgabello che stava vicino all’ingresso.

Konoka si avvicinò alla sua compagna di camera. “Asuna, quando mio nonno ti ha fatto chiamare?”

“Mai. Era un trucchetto. E ci ho preso” fu la risposta sussurrata.

“Oh”.

Hakase tornò da loro con in mano il suo orologio.

Aprì il quadrante, tirandone fuori un oggetto cosi piccolo che stava tranquillamente sulla punta di un dito.

Konoka si avvicinò incuriosita. “Che cos’è?”

“Questo è un proiettore olografico di foto. Le foto le ho scattate con una semplice macchina fotografica, poi per sicurezza le ho travasate qui” spiegò Hakase.

Asuna rimase alquanto perplessa. “Quel cosino… sarebbe un proiettore?!”

“E’ frutto della tecnologia ‘particolare’ che io e Chao sviluppavamo in quel laboratorio. Ora guardate”.

Hakase premette tra due dita il piccolo oggetto, lo posò per terra e dopo qualche secondo davanti a loro apparve un immagine a grandezza umana racchiusa in uno spazio rettangolare.

Hakase si sistemò gli occhiali. “Sono otto. Per guardare le altre, basta toccare quella che vedete”.

“Incredibile” mormorò Konoka.

Asuna osservò quella foto: riconobbe una scogliera, alquanto frastagliata. E in una insenatura c’era quello che sembrava un enorme corpo antropomorfo.

“Quello… è un robot?” chiese Konoka.

Hakase non rispose, toccò l’immagine facendo arrivare le altre: era sempre lo stesso corpo, chiaramente un robot, ripreso in maniera ravvicinata. Dalla posizione sembrava quasi sdraiato tra le rocce, con la schiena rivolta verso il basso.

“La sera prima della mia partenza da Osaka, passeggiando da sola sulla costa, avvertii uno strano cambiamento di pressione. Poi ci fu un flash improvviso, come se un lampo fosse scoppiato proprio davanti a me. Ma senza alcun rumore. E certo non era un lampo perché il cielo era sgombro. Io rimasi accecata e ci misi parecchi minuti per tornare a vedere. Una volta recuperata la vista, cercai la fonte di quel misterioso fenomeno” spiegò Hakase.

“Ma non potevi chiedere aiuto?” le domandò Asuna.

“Spesso il mio interesse scientifico ha la meglio” rispose la scienziata, che proseguì: “Cercando tra gli scogli, lo vidi: un enorme robot arrivato da chissà dove e inattivo. Scesi tra gli scogli e lo esaminai, trovando la sua tecnologia molto più sofisticata della nostra. Da qui ho ipotizzato che fosse un robot alieno”.

“Alieno?!” esclamarono sbalordite Asuna e Konoka.

“Si. La tecnologia attuale non può creare un robot cosi sofisticato. Persino i robot costruiti da me e Chao, come Chachamaru, al confronto sembrano quasi tentativi pionieristici”.

Asuna rimase perplessa. “E… e dopo cosa hai fatto?”

“Be, spesso la scienza è come una caccia al tesoro. Il primo che lo trova, se lo tiene. Poteva essere la scoperta del secolo. Quindi usai una serie di cappe mimetiche che avevo portato per sicurezza per ricoprirlo, in modo che nessuno lo scoprisse quella notte”.

Stavolta fu Konoka a restare perplessa. “Cappe… mimetiche?”

“Un’altra invenzione ‘particolare’ mia e di Chao. Sono abiti che rendono invisibili. Nascosi il robot e il giorno dopo chiamai Chao per dirle di mandarmi il nostro autoarticolato, un grosso camion volante con guida automatica. Tuttavia per sicurezza non dissi neppure a Chao di cosa si trattava. Glielo avrei detto al nostro rincontro. Attesi la sera, caricai il robot sull’autoarticolato grazie ad una gru montata su quest’ultimo e tornai al Mahora la sera prima della data prevista. Collocai la mia scoperta nel laboratorio e rimasi nascosta lì la notte. Cosi il giorno dopo avrei potuto presentarmi a tutti come appena arrivata. Ma a causa della sparizione, per tre giorni mi sono quasi dimenticata del robot. E’ ovvio pensare che nel frattempo si sia attivato e che ci abbia salvato”.

“Ma perché non l’hai detto a nessuno anche dopo la sparizione? Non dirmi che anche dopo la scomparsa della nostra classe, ti preoccupavi solo di avere ancora l’esclusiva!” accusò Asuna.

“No! Assolutamente no!” rispose prontamente Hakase “Però in questi ultimi giorni ero cosi concentrata nelle ricerche che mi sono pressoché disinteressata di quel robot. E dopo l’attacco… ho temuto che il preside se la prendesse con me. Forse l’attacco è collegato in qualche modo con quel robot. Insomma, poteva essere colpa mia… la sparizione, l’attacco…”

Asuna la schiaffeggiò. “Bastarda! E ti permetti di tacere?! Proprio perché le due cose potrebbero essere collegate avresti dovuto dire tutto e subito. Sei solo una sporca egocentrica!”

Hakase non disse nulla e scappò via afferrando al volo i suoi vestiti dallo sgabello.

Asuna era fuori di se. “Io quella lì la…”

Ma Konoka prontamente la bloccò. “Non farlo! Diamole il tempo di riflettere e andiamo piuttosto a parlare di questa cosa a mio padre”.

“Come sarebbe a dire? Vuoi fargliela passare liscia?!”

“Se deve essere punita, sarà punita. Ma non possiamo infierire su di lei. Me l’hai detto anche tu, no? Hakase vive in un mondo tutto suo e ha un modo tutto suo di reagire. Ma non è cattiva”.

Asuna si calmò. “Si, hai ragione. Ora vestiamoci e andiamo a far vedere queste immagini a tuo padre”.

Intanto la quantità di vapore nel bagno aumentò discretamente.


Un grosso camion di colore rosso, con sopra disegnate delle fiammate blu e munito di rimorchio, viaggiava solitario lungo una strada poco illuminata che si inerpicava tra i boschi.

Improvvisamente i fari dell’automezzo illuminarono due persone con delle tute bianche che intimarono al conducente di fermarsi.

Cosa che puntualmente fece.

L’autista abbassò il finestrino. “Salve, c’è qualche problema?”

L’uomo in tuta illuminò con una torcia il volto dell’camionista: era un’occidentale, di mezza età, con i baffi.

Parlava bene giapponese, sebbene con uno spiccato accento americano.

“Questa è zona privata. Cosa sta facendo qui?” domandò l’uomo con la torcia.

“Sono qui per consegnare delle provviste a questo indirizzo” rispose l’autista porgendo un foglietto.

Una volta illuminato il foglietto con la torcia, l’uomo lo passò al suo compagno perché verificasse, mentre lui controllava i documenti del camionista e il contenuto del rimorchio.

Il secondo uomo in tuta tirò fuori un telefono portatile e digitò un numero. “Qui posto di controllo 47. Abbiamo un camion che è venuto a portare rifornimenti alimentari. Vi risulta?”

Dal piccolo apparecchio giunsero solo scariche.

“Che diamine gli prende?” sbottò in attesa.

Poi finalmente arrivò la risposta. “Scusa il ritardo. Si, è tutto a posto. Siccome abbiamo degli ospiti, e non sappiamo quanto durerà tutto questo, abbiamo preferito far venire altra roba”.

“Va bene. E cosa sapete dirmi sull’autista? Sul documento c’è scritto che il guidatore si chiama Peter Cullen”.

Ci fu ancora qualche breve scarica. “E’ a posto. Lavora per questa ditta da trent’anni ormai”.

“Ok” concluse il guardiano chiudendo il contatto e tornando dal suo compagno, che aveva appena guardato nel rimorchio e ora aveva in mano i documenti del guidatore del camion.

“Nel rimorchio c’è effettivamente solo del cibo, pure di qualità. Anche i documenti sono in regola. E’ libero di andare, signor Cullen” terminò l’uomo restituendo i documenti all’autista.

“Grazie mille” rispose quest’ultimo.

“Un’ultima cosa. Lei è un americano. Che ci fa come camionista in Giappone?”

Cullen fece spallucce. “Che posso dirle? Sono uno che viaggia molto”.

Il camion riprese la sua marcia, e quando fu passato oltre, i due guardiani fecero un cenno a qualcuno che stava nella foresta: si trattava di una decina di guerrieri del Kansai, nascosti e pronti a scattare nel caso fosse successo qualcosa con quel camion.

Passato il possibile pericolo, tornarono a concentrarsi sulla strada e i dintorni.


Hakase se ne stava in silenzio nella stanza che le avevano assegnato.

Le parole di Asuna e lo schiaffo che aveva ricevuto continuavano a rimbombarle nella mente.

Si rese conto che forse Asuna aveva torto.

Ma perché probabilmente lei era una vigliacca anziché un egocentrica.

Abituata ad avere tutto sotto controllo in laboratorio, non era in grado di reagire adeguatamente quando le cose non seguivano più lo schema prestabilito. E cosi si faceva prendere dal panico.

Ma forse quella era l’occasione giusta per rimediare, per appurare e assumersi le sue responsabilità, qualunque fossero le conseguenze.

O forse no?

Si coprì il viso con le mani. “Dannazione Chao. Perché in queste cose non riesco ad essere sicura come te?”

“Forse stasera potremo capirlo”.

“Chi è là?!” esclamò spaventata Hakase volgendosi verso la direzione da cui erano arrivate quelle parole.


Asuna e Konoka avevano appena finito di vestirsi.

“Forza, andiamo da tuo padre” disse Asuna mentre uscivano dal bagno.

Konoka mise le mani nelle tasche della gonna. “Ehi, non trovo più il mio cellulare”.

“Forse l’hai dimenticato nel bagno”.

Konoka tornò dentro il bagno. “Accidenti, quanto vapore”.

Con le mani cercò di allontanare il vapore per scrutare nell’ampio locale.

Infine vide il suo cellulare per terra, vicino ad una grossa pietra che fungeva da ornamento.

“Eccolo lì. Chissà come ci è finito in quel punto”.

Velocemente Konoka raggiunse il cellulare, si chinò per raccoglierlo.

E si bloccò quando un piede sbucò da chissà dove affiancandosi al telefono.

Qualcuno le parlò con voce calma. “Lady Konoka".

Konoka alzò lo sguardo e spalancò gli occhi vedendo a chi apparteneva quel piede. “Tu?!”


“Accidenti, ma quanto ci mette?” sbuffò Asuna rimasta sulla soglia.

Il vapore era aumentato a tal punto da formare quasi una barriera bianca.

“Ma guarda quanto vapore! Sembra di trovarsi in una sauna che vale per mille!”

Improvvisamente la ragazza sentì un brivido lungo la schiena.

Tutto quel vapore non era assolutamente normale!

Fece per mettere mano alla sua carta pactio.

E non la trovò!

“Merda!”

“Qualche problema, Asuna?”

Asuna si voltò di scatto.

E rimase a bocca aperta. “Ca… capoclasse?!”

Ayaka Yukihiro, con indosso un abito che sembrava fatto in pelle nera, stava proprio davanti a lei, sorridente e tranquilla.


Eishun Konoe stava controllando gli ultimi dati provenienti dai vari agenti del mondo magico impegnati nella ricerca della III A e dei misteriosi robot che avevano assalito il Mahora.

Alla fine i risultati erano sempre negativi.

Qualcuno bussò alla porta.

“Avanti” ordinò Eishun.

“Signore, è arrivato il camion con i rifornimenti alimentari” riferì una ragazza del personale.

“Quale camion?”

“Come quale camion? Il camion con le nuove provviste che avete ordinato. Non sapendo quanto durerà la permanenza delle nostre tre ospiti…”

“Non so proprio di cosa stai parlando”.

“Eppure all’ingresso del palazzo c’è un grosso camion, il cui autista dice di essere venuto proprio per questo”.

Eishun inarcò un sopracciglio, poi impallidì. “Isolate quel camion! E chiamate le ragazze, subito!”


Asuna era rimasta imbambolata.

Era davvero la sua amica quella che aveva di fronte?

Ayaka piegò la testa su un lato. “Che ti prende, Asuna? Sembra che tu abbia visto un fantasma”.

“B-be… un po’ è cosi… ma tu…. Tu… cosa ci fai qui?”

“Ho saputo che eravate tutti in pensiero per noi, e allora sono venuta per tranquillizzarvi. Su, fatti abbracciare”.

La capoclasse allargò le braccia per stringere Asuna.

Che andata completamente nel pallone, sembrava incapace di reagire.

Poi con la coda dell’occhio scorse qualcosa sul fondo del corridoio alla sua destra.

Era una mano insanguinata.

E la manica dell’abito indicava che si trattava di una delle guardie.

Asuna si riprese e diede col palmo della mano un colpo al ventre della capoclasse.

Che sbalzata all’indietro, andò a sbattere contro la parete e cadde in avanti.

Una specie di minuscola pistola con un ago le cadde dalla mano.

“Ayaka…. Tu…”

“Sei sempre stata la solita stupida! Rendi tutto più difficile!” esclamò Ayaka.

Che cominciò a rialzarsi e toccò un oggetto contenuto in una sua tasca anteriore.

Asuna notò quel gesto, ma non vide l’oggetto: una carta pactio.

Era simile a quella di Asuna, ma dietro l’immagine di Ayaka, sullo sfondo, c’era un inquietante volto inumano di colore viola.


Il grosso camion era fermo in attesa davanti al portone d’ingresso del palazzo.

E come per magia, da isolato qual’era, si ritrovò circondato da centinaia di guerrieri magici, alcuni posti tutt’intorno, mentre altri stavano sulle alte mura.

A guidarli c’era Eishun, che stava proprio sopra l’arco del portone.

L’uomo sfoderò una grossa spada.

“Tu, camionista! Scendi lentamente senza fare mosse strane!” ordinò puntando la lama contro Cullen, che dal finestrino osservava impassibile quegli avversari.

Improvvisamente Cullen sembrò puntare qualcosa, nonostante guardasse in direzione del muro.

“Bisogna agire” disse semplicemente.

E lasciando senza parole Eishun e i suoi, il rimorchio e lo stesso Cullen scomparvero.

Il camion in pochi secondi si trasformò in un robot alto una decina di metri.

La parte inferiore del viso era coperta da una specie di maschera.

Nessuno di loro aveva mai visto un robot di quell’aspetto, che comunque aveva mantenuto alcune caratteristiche del camion, come i colori, le ruote sulle gambe, il parabrezza e il radiatore sul petto.

Ai lati delle spalle c’erano i tubi di scappamento del camion.

Che si girarono verso il basso ed emisero una fiammata assai intensa.

Come risultato, il misterioso robot venne quasi sparato in aria, sotto lo sguardo allibito di Eishun e dei suoi.

Senza alcun rumore, il gigante metallico compì un salto di diverse decine di metri, scavalcò le mura e quando raggiunse la barriera, che partiva proprio dalle mura, l’attraversò come se non esistesse.

Eishun ebbe quasi l’impressione che l’energia della barriera, che avrebbe potuto persino resistere ad un attacco atomico, venisse non spezzata ma annullata, ritraendosi a contatto col misterioso invasore.

Che atterrò rumorosamente nel piazzale interno del palazzo e cominciò a correre diretto chissà dove.

“Inseguiamolo!” ordinò Eishun.


Asuna venne sbalzata dentro il bagno, atterrando in malo modo e strisciando fino alla parete in fondo.

La stanza era piena di vapore, ma due oggetti lunghi e neri, simili a serpenti, guizzarono attraverso il vapore e si avvolsero intorno alle gambe della ragazza.

Erano due fruste in pelle nera.

Le fruste sollevarono Asuna e cominciarono a sbatterla con violenza contro il pavimento più volte.

Quando si fermarono, qualcuno entrò nel bagno.

E con un gesto della mano, fece sparire il vapore.

Asuna dolorante fissò quella persona. “A…yaka… perché?”

La capoclasse la fissò sprezzante. “Perché cosi vuole il padrone, semplice no?”

In quel momento arrivarono altre due persone e Asuna sentì quasi mancarle il respiro.

“Se…Setsuna?! Chao?!”

Le due ragazze indossavano lo stesso abito di Ayaka e in braccio tenevano Konoka e Hakase, svenute.

“La trappola ha funzionato. Ora andiamo, ci aspettano fuori” disse con durezza Setsuna.

“Voi andate, io faccio una piccola iniezione a questa idiota e vi raggiunto subito” rispose la capoclasse.

Le due ragazze se ne andarono, mentre Ayaka richiamò nella mano la piccola pistola che le era caduta.


Nei cortili interni del palazzo, continuava l’inseguimento del gigante.

I guerrieri del Kansai saltavano di tetto in tetto e avevano scatenato una vera e propria pioggia di incantesimi e colpi sferrati con l’energia del Ki contro il gigante di metallo.

Che si dimostrava completamente immune alla magia.

Mentre i colpi del Ki li evitava dopo essersi voltato un solo attimo verso i suoi inseguitori.

Era incredibile la precisione e l’agilità con cui muoveva quel corpo enorme.

E ogni volta che si imbatteva in una costruzione del palazzo, la saltava con lo stesso metodo di prima, seppur con minore potenza.

Eishun notò comunque come l’invasore evitasse i colpi dati col Ki.

“Formate una barriera col Ki per sbarrargli il cammino” gridò il padre di Konoka.

Molti guerrieri obbedirono, giunsero le mani e da quest’ultime scaturirono come delle saette che si unirono per poi piombare proprio davanti al robot formando come una muraglia.

E riuscirono a fermarlo.

Il robot si trovò circondato dai guerrieri del Kansai.

Sembrò allora che volesse dire qualcosa, ma si trattenne.

Mosse le braccia verso la schiena, da dove uscirono dei fucili che si innestarono automaticamente sulle mani.

E cominciò a sparare sul pavimento, sollevando una montagna di polvere e detriti che costrinse i nemici a ripararsi.

Approfittando della loro distrazione, il gigante riprese la sua marcia oltrepassando sulla destra la muraglia.

Ma Eishun si fece largo tra i detriti e usando il Ki menò un fendente micidiale contro l’invasore.

Che da un avambraccio estrasse una lama e parò il colpo.

L’uomo e il robot si trovarono l’uno di fronte all’altro, e il secondo sembrava che potesse schiacciare il primo come niente.

Però Eishun non era intimorito, dato che aveva già affrontato avversari parecchio più grossi di lui.

“Maledetto, non so chi sei ma non arriverai mai a mia figlia!” esclamò il guerriero del Kansai.

“Mi chiamo Optimus Prime” rispose in perfetto giapponese il robot “e sono qui per salvare tua figlia”.

“Che cosa?!”

Prime spinse via Eishun e compì un altro salto.

Vedendolo andare via, Eishun si rese conto che quel misterioso Prime aveva un comportamento strano per un invasore: non distruggeva nulla nel palazzo e non uccideva o feriva nessuno.

Tutto il contrario dei robot che avevano attaccato il Mahora.

Però aveva anche detto che Konoka era in pericolo, quindi Eishun riprese l’inseguimento.


Ayaka sovrastava Asuna, stesa a terra.

“Ora non capisci, ma dopo mi ringrazierai. Saremo di nuovo insieme, gli alfieri del nuovo mondo” disse la capoclasse chinandosi sulla ragazza con la piccola pistola per le iniezioni.

Asuna allora fulminea afferrò un asciugamano lì vicino, lo avvolse intorno ad una gamba di Ayaka e la strattonò, facendo cadere la sua amica per poi saltarle addosso bloccandole le mani.

“Ayaka, maledizione! Sono io, Asuna! Asuna! Non mi riconosci?”

“Certo che ti riconosco, stupida! Sei Asuna Kagurazaka, ci siamo conosciute alle elementari e siamo sempre state come cane e gatto. Sei sempre venuta a trovarmi nell’anniversario della morte del mio fratellino e le nostre risse in classe sono roba quotidiana!”

Asuna non riusciva a crederci: quelle parole confermavano la sensazione che già aveva avuto, ovvero che quella fosse veramente la capoclasse.

Ma perché si comportava cosi?

E cosa era successo a Setsuna e Chao?

E a tutte le altre?

Per non parlare di Negi.

“Se sei davvero tu, perché mi hai attaccato? Siamo amiche!” continuò Asuna.

“Perché cosi vuole il padrone!” fu la risposta.

“E chi sarebbe questo padrone?!”

Asuna notò che da una piccola tasca di Ayaka pendeva una carta pactio, la sua.

Doveva averla rubata mentre facevano il bagno, dopo aver alzato tutto quel vapore.

Prontamente Asuna la afferrò, Ayaka ne approfittò e si liberò dandole una testata.

Le due ragazze fecero un balzo all’indietro pronte a fronteggiarsi.

“Ti farò tornare normale a suon di sberle!” esclamò Asuna attivando la sua carta ed evocando la sua spada.

“Provaci” rispose Ayaka, la cui ombra cominciò ad espandersi.

I contorni dell’ombra presero a fluttuare fino a trasformarsi in una miriade di lunghi tentacoli che schioccavano come tante fruste.

Da dietro l’orecchio di Ayaka spuntò senza preavviso una piccola antenna, e la ragazza sembrò mettersi in ascolto.

L’antenna rientrò e Ayaka lanciò un’occhiata sprezzante ad Asuna. “Il padrone ha deciso che 29 su 30 possono bastare. Tu ti riterrai fortunata, ma in realtà sei solo una sciagurata. Addio, Asuna!”

Ayaka corse via e proprio allora dietro Asuna qualcosa sfondò il soffitto del bagno.

Era Optimus Prime.

“Tutto bene?” domandò ad Asuna.

“S-si..” rispose la ragazza.

Che guardando bene in viso quel robot, ne vide gli occhi blu.

“Tu… ora ricordo! Sei tu che ci hai salvato al Mahora!”

“Esatto. Non preoccuparti, salverò anche le altre tue amiche in qualche modo”.

Prime fece per andarsene, ma Asuna saltò sulla sua spalla.

“Cosa stai facendo? Scendi!” ordinò Prime.

“Scordatelo! Quelli lì, chiunque siano, hanno rapito le mie amiche e chissà cosa gli faranno. Non sono inerme e intendo fargliela pagare. Tu stai andando da loro, giusto? Allora vengo anche io!”

“Non se ne parla! Scendi subito, è troppo pericoloso!”

Asuna guardò Prime con occhi di fuoco. “Stammi a sentire, lattina formato gigante: più restiamo qui, più vantaggio ottiene il nemico. Se vuoi inseguirli deve muoverti subito. Quindi o vai, oppure perdi tempo a parlare con me, decidi! Oppure vuoi farmi scendere con la forza? Perché dovrai usare la violenza per impedirmi di venire con te”.

Prime ci rimuginò sopra, poi mugugnò un ‘che incosciente!’ e con quella passeggera imprevista compì un altro mega salto, lasciando il palazzo dei maghi e raggiungendo il bosco sottostante.

Eishun e i suoi arrivarono giusto in tempo per vedere quei due atterrare nel bosco.

“Oh no! Konoka, Asuna, Hakase!” mormorò l’uomo.

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Capitolo 6
*** 6° Capitolo ***


6° CAPITOLO

Optimus Prime atterrò in mezzo al bosco.

Poi si guardò intorno.

Asuna era ancora saldamente attaccata alla sua spalla. “Cavoli, che volo!”

“Per l’ultima volta, scendi!” le ordinò Optimus.

“E io nuovamente ti rispondo di no! Hanno rapito delle persone a me molto care. Mi rifiuto di non fare nulla!” ribattè la ragazza.

Optimus irritato scandagliò la zona con i suoi sensori di movimento.

E rilevò la presenza di un’auto che fuggiva a grande velocità su una strada vicina.

Quel veicolo andava decisamente ad una velocità troppo elevata per un mezzo terrestre.

Quindi c’era una sola possibilità.

“Il nemico sta scappando con le tue amiche. Devo trasformarmi e seguirlo. Per questo devi scendere!”

“Mi sa che stai cercando di fregarmi” replicò Asuna.

“Non è vero. Io posso trasformarmi in un veicolo terrestre, ma tu devi scendere se non vuoi intralciare la trasformazione”.

Optimus e Asuna si guardarono negli occhi.

La giovane trovò incredibile quanto potessero essere espressivi quegli occhi meccanici.

“Ti prego, anche tu sai che il tempo stringe” incalzò Optimus.

Asuna rifletté e poi saltò giù.

E strabiliata vide il gigante di metallo trasformarsi in un grosso camion.

“Lasciami venire con te, per favore” chiese Asuna.

“No, è troppo pericoloso. Ci penserò io” rispose Optimus, la cui voce giungeva da un unto indefinito del camion.

“Ma potresti aver bisogno d’aiuto. Il nemico sa sicuramente della tua presenza, potrebbe tenderti una trappola”.

“Nessuno li conosce meglio di me, quelli. Non sono tipi da trappole, sanno solo distruggere”.

Detto questo, Optimus fulmineo partì al’inseguimento.

“Sapevo che sarebbe finita cosi. Bene, diamoci da fare e che Dio ce la mandi buona” commentò la ragazza massaggiandosi un momento le gambe.


Una Mustang nera sfrecciava ad una velocità pazzesca sulla strada.

I guidatori delle poche auto che incrociava facevano a malapena in tempo a vedere un lampo nero passargli accanto.

A bordo dell’auto c’erano Ayaka e Setsuna, sedute davanti, mentre dietro c’era Chao con Konoka e Hakase prive di coscienza.

Setsuna era al posto di guida, ma l’auto in realtà si guidava da sola.

“Avete fatto un buon lavoro, Dolls” disse una voce proveniente dal cruscotto.

“La ringraziamo per la lode, padron Barricade” rispose Setsuna.

“Mi dispiace però di non essere riuscita a catturare Asuna. Merito ogni punizione” si scusò Ayaka.

La voce di Barricade si lasciò scappare un divertito mugugno. “Lo meriteresti. Ma è stato il nostro leader a ordinare di non insistere con quella Asuna Kagurazaka. Le due che abbiamo appena catturato sono sufficienti. Quindi per stavolta lasciamo stare”.

“Padron Barricade, scusate” si intromise Chao “ma non c’è il rischio che Optimus Prime ci segua?”

“Megatron ha ordinato di lasciarlo fare. E noi ubbidiremo”.

“Assolutamente” risposero in coro le tre ragazze.


“Che cosa hai detto?!”

Lo stupore e l’orrore impregnavano la risposta del preside Konoe.

Eishun non ebbe il coraggio di guardare negli occhi l’immagine magica del suocero che stava davanti a lui. “Quello che hai sentito. Purtroppo siamo stati attaccati. Konoka e Saotomi Hakase sono state rapite. Mentre Asuna Kagurazaka… non lo so. Comunque è sparita”.

L’immagine del preside si mise le mani sul volto.

Poi l’anziano uomo sembrò ricomporsi. “Come è successo esattamente?”

“Ho interrogato le guardie. Per fortuna sono tutte vive, anche se molto malconce. Ma chiunque le abbia attaccate, ha agito con grande forza e abilità, senza lasciare alcun indizio sulla sua identità” rispose Eishun alzando lo sguardo.

“Non avete assolutamente nulla?”

“Probabilmente è stato qualcuno che conosce questo palazzo come le sue tasche, dato che gli intrusi sapevano esattamente dove colpire. Questo qualcuno doveva anche conoscere tutte le trappole che i guerrieri del Kansai possono escogitare. E abbiamo trovato i sistemi d’allarme disattivati. Perciò doveva avere anche conoscenze di elettronica. Ma anche sapendo questo, la lista dei possibili sospetti è lunghissima”.

“E se fosse stata opera di un nemico del tutto nuovo?”

“Ti riferisci ai robot che hanno attaccato il Mahora? Penso proprio che tu abbia ragione. Infatti mentre le ragazze venivano rapite, io e molti dei miei uomini eravamo impegnati a bloccare un enorme robot di colore blu e rosso che era giunto fino all’ingresso” spiegò ancora Eishun.

“Una diversione?”

Il genero del preside scosse la testa. “Non credo. Se non fosse stato per lui, non ci saremmo mai accorti della scomparsa delle ragazze. Inoltre quel robot non ha fatto del male a nessuno, nonostante le armi non gli mancassero. Gli ho anche parlato e mi ha detto che era venuto per proteggere Konoka”.

Il preside si massaggiò la barba. “Mmh, e come hanno fatto a superare la barriera?”

“Questi robot, di qualunque cosa si tratti, sono vulnerabili ai colpi dati col Ki ma annullano la magia. Quel robot rosso e blu è entrato attraversando la barriera come se non ci fosse. O meglio, ho avuto l’impressione che l’energia magica si ritraesse a contatto col suo corpo. Questo spiegherebbe anche come abbiano fatto i robot che hanno attaccato il Mahora a sconfiggere cosi facilmente Asuna.

E come se non bastasse, questi misteriosi esseri meccanici sono pure mimetici”.

“Mimetici?”

“Il robot che ho visto io si era camuffato da camion con tanto di rimorchio. Penso che le cose possano essere andate cosi: i misteriosi aggressori hanno condotto uno di questi robot fino alla protezione magica evitando trappole e allarmi, il robot ha poi annullato la barriera permettendo cosi agli invasori di entrare e uscire indisturbati dopo aver compiuto il lavoro. Magari ha tenuto i suoi complici dentro di se trasformato in qualche tipo di veicolo”.

Il preside si scurì in viso. “Avevamo preso tutte quelle precauzioni. Eppure abbiamo fallito lo stesso. Ma che ne è stato di Asuna?”

“Non so proprio cosa dirti, Konoemon. Asuna l’ho vista andare via insieme a quel robot rosso e blu, ma non mi sembrava affatto prigioniera”.

“Diamo l’allarme. Questa cosa sembra persino più grossa di quanto temessimo. Tutto il mondo magico deve essere allertato” decise allora il preside.

“Infatti. Sono pronto a mettere a soqquadro il mondo intero pur di ritrovare Konoka, Negi e tutte le altre!” concluse Eishun.


Optimus Prime, correva in modalità veicolo lungo la strada seguendo le tracce lasciate da Barricade.

Nonostante l’enorme distacco, e nonostante il Decepticon non fosse più visibile, Optimus riusciva a seguirne la traccia energetica.

E anche lui andava ad una velocità incredibile, tanto che gli automobilisti incrociati facevano appena in tempo a scorgere un fulmine blu e rosso.

La traccia ad un certo punto lasciò la strada asfaltata per prenderne una in terra battuta.

Optimus rallentò e la imboccò, seguendola fino ad una spiaggia deserta.

Una volta sinceratosi che non c’era nessuno, si trasformò e si guardò intorno.

Le tracce dei pneumatici erano sulla sabbia, arrivavano ad un certo punto per poi interrompersi di botto.

E il punto in cui cessavano era circondato da un cerchio abbastanza largo disegnato sulla sabbia.

Optimus esaminò il cerchio, poi guardò verso l’alto.

“Queste tracce energetiche e quel cerchio lo dicono chiaramente: qualcuno ha compiuto un salto orbitale. I terrestri utilizzano dei congegni chiamati satelliti artificiali. I Decepticons devono averne messo in orbita uno loro, camuffato, per tele portarsi in ogni parte di questo pianeta”.

L’Autobot scandagliò quell’area: tra le tracce energetiche che percepiva, doveva anche esserci quella del segnale usato dal nemico per attivare il satellite.

Se fosse riuscito ad individuarla…

“Eccola! Ora mi connetto con quel satellite. Dovrebbero essere rimaste impostate le coordinate dell’ultimo salto”.

Pochi secondi dopo, un intensa luce arancione circondò il grosso automa, disegnando un cerchio sulla sabbia.

Tale luce tuttavia era in larga parte invisibile, tranne la parte che illuminava l’oggetto da trasportare

Optimus Prime svanì prima della luce arancione che lo aveva avvolto.

Per questo non si accorse di una figura che balzò dentro quella luce un attimo prima che svanisse anch’essa.


Un silenzio spettrale regnava nell’ampia sala quasi dominata dal buio.

Barricade vi entrò tenendo in un braccio Konoka e Hakase.

Dietro di lui c’erano Setsuna, Ayaka e Chao.

Il Decepticon depose bruscamente le due ragazze svenute per terra. “Eccole qui, Soundwave”.

Dal buio arrivò Soundwave.

Le tre ragazze chinarono il capo, ma il nuovo venuto le ignorò. “Bene. Il tempo di caricare i generatori e di leggere il loro dna e potremo procedere”.

Barricade sembrò preoccupato. “Optimus Prime arriverà sicuramente qui e trovo difficile credere che non ci causerà problemi. So che già da tempo sono stati presi provvedimenti, ma non dovremmo prenderne altri?”

Nel buio che stava davanti al Decepticon, un ombra massiccia sembrò staccarsi dalle altre. “Perché dovremmo?”

“Lord Megatron!” esclamò Barricade indietreggiando di un passo, mentre le tre ragazze rapidamente si inchinarono poggiando un ginocchio a terra.

Barricade rimase sorpreso dalla presenza del loro capo. Da quando erano in quella base, Megatron passava quasi tutto il suo tempo a colloquio con Lui, quindi era ormai una rarità incontrarlo.

Il leader Decepticon si mise in parte sotto una luce e in parte rimase nel buio, scrutò tutti i suoi sottoposti, poi diede loro le spalle. “Perché mai Optimus Prime dovrebbe preoccuparci? Lui è solo un insetto, che non potrà mai capire la svolta che stiamo per dare a questo e a infiniti altri mondi. Lui per i nostri piani è talmente insignificante che io voglio che venga, voglio che osservi la sua sconfitta causata dalla sua stessa debolezza. Mi dispiace solo che non potrà mai vedere il risultato finale, ma lui non merita di assistere a tanta magnificenza. Questo privilegio invece sarà concesso a voi, Dolls. Siatene orgogliose”.

“Si, Lord Megatron!” esclamarono le tre ragazze insieme ad un gruppo di altre voci femminili provenienti dal buio.


Una luce arancione si formò sopra alcune rocce, e subito dopo si materializzò Optimus Prime.

Si guardò intorno: era un’altra spiaggia, stavolta su un’isola.

L’isola aveva al centro un grosso cono vulcanico, molto alto e dalle pareti ripide, circondato da alcune bocche più piccole.

Optimus per il resto vide intorno solo mare.

Guardò le stelle e calcolò che doveva trovarsi nella zona centrale del continente chiamato America, in un area che i terresti avevano battezzato ‘triangolo delle bermuda’.

I dati che aveva raccolto setacciando in un lungo e in largo la rete informatica chiamata internet, riportavano anche che quell’area era considerata un luogo maledetto, teatro di misteriosi sparizioni.

C’erano dunque i Decepticons dietro tutte quelle sparizioni?

Ad Optimus venne per un momento il sospetto che le leggende su quel posto potevano essere state create apposta dal nemico per tenere i terrestri alla larga.

E anche il resto, la sparizione di quella classe, gli attacchi al Mahora e all’edificio dell’associazione magica del Kansai…

Tutte le informazioni prese da internet e dalla sua rete parallela, Magic-net, facevano pensare che i Decepticons non si limitavano a nascondersi e a distruggere tutto quando c’era da agire, ma avevano elaborato una vera e propria strategia.

Possibile che…

No, non poteva essere: i Decepticons erano buoni solo a distruggere tutto, non sapevano che farsene delle strategie.

Megatron un tempo era stato un grande stratega, ma dopo essere stato consumato dall’ossessione di trovare l’Allspark, si era sempre limitato a ordinare di cercarlo dappertutto a qualunque costo.

E i suoi servitori erano ben felici di scatenarsi.

L’unico lucido era Soundwave, intercettatore e all’occorrenza anche scienziato. Ma da solo non aveva mai potuto fare nulla.

No, doveva per forza trattarsi solo di coincidenze e stranezze.

In ogni caso Optimus doveva agire, c’erano degli esseri innocenti in pericolo.

Cercò nuovamente la traccia energetica del Decepticon, la trovò e riprese a seguirla.

La traccia conduceva verso una grotta nascosta dietro un anfratto roccioso.

L’acqua lambiva tale grotta, coprendone la parte bassa.

Optimus entrò nella grotta e i suoi piedi toccarono un pavimento roccioso immerso.

Se fosse stata una persona, l’acqua gli sarebbe arrivata alle ginocchia.

L’Autobot si inoltrò nella grotta, dalle pareti lisce e umide.

Era buio, quindi Optimus dovette regolare i suoi sensori visivi in modo che sfruttassero adeguatamente la scarsa luce dell’esterno.

Dopo una quindicina di metri, la grotta terminò davanti ad una parete.

Optimus la scandagliò e trovò un meccanismo camuffato perfettamente nella roccia e posto a cinque metri dal pavimento.

Prontamente il robot estrasse dalla schiena uno dei suoi fucili e premette quel meccanismo, le cui dimensioni erano state pensate apposta per i cybertroniani.

La parete si aprì con un leggero ronzio, scoprendo l’esistenza di un ampissimo e vuoto corridoio dalle pareti lisce e di colore verdastro.

Optimus entrò guardingo.

I suoi sensori non rivelavano alcun movimento, né porte o qualche sistema di allarme.

Percorse lentamente il corridoio, poi vide un apertura.

Si avvicinò e la controllò: dall’altra parte c’era un immenso spazio vuoto, di forma circolare, una specie di pozzo.

Le pareti erano rocciose e nere, le luci provenivano da un ponte che attraversava quello spazio collegando l’apertura con Optimus ad un'altra uguale posta dall’altra parte.

“Non so se sia saggio oltrepassare questo ponte. Se arrivasse qualcuno, sarei troppo scoperto”.

Improvvisamente i suoi sensori rivelarono qualcuno apparso come dal nulla dietro di lui.

Optimus si voltò, giusto in tempo per vedere un massiccio colpo al plasma piombargli addosso scagliandolo sul ponte.

Un momento dopo la porta si chiuse e l’Autobot fece appena in tempo a vedere chi gli aveva sparato: Soundwave.

Anche la porta dall’altra parte si chiuse.

Optimus tirò fuori l’altro suo fucile, e sparò diverse raffiche di colpi contro la porta.

Niente.

Allora si avvicinò alla porta e cercò di abbatterla prima con la sua spada, poi con calci e spallate.

Ancora niente.

Guardò sotto il ponte: un baratro oscuro e senza fondo.

Sopra di lui invece c’era un soffitto, formato da un enorme cumulo di rocce che erano come trattenute da delle grosse assi metalliche incrociate.

Era in trappola

“Salve, Prime”.

“Megatron!” esclamò Optimus guardandosi in giro.

“Sta tranquillo, non sono lì. Ti guardo da un posto sicuro e mi godo lo spettacolo” continuò il leader Decepticon, la cui voce giungeva da un punto indefinito.

“Pensavi che mi avresti affrontato personalmente” riprese Optimus.

“Ti dirò il perché di questa mia decisione dopo che avrai risposto ad una mia domanda”.

“Domanda?”

“Si. Vorrei sapere come ha fatto un idiota come te a sopravvivere fino ad adesso!”.

“Cosa intendi dire?”

Megatron rise. “Suvvia, voglio riconoscerti un po’ di intelligenza. Ho messo lì Soundwave apposta perché ho ritenuto che tu non potevi essere cosi stupido da cadere fino in fondo in questa trappola da solo”.

Optimum rimase stupito. “Trappola?! Vuoi dire che…”

“Esatto, esatto. Questa è proprio una trappola, e la facilità con cui ci sei caduto ha dello strabiliante. Altro che eroico leader!” Nell’ultima frase era evidente un certo disprezzo.

Optimus tentò di non lasciarsi dominare dallo stupore. “Devi ammettere però che per voi Decepticons questa è una novità assoluta”.

“Giusto” ammise Megatron “In effetti in passato penso proprio che fossimo noi Decepticons gli idioti. Come abbiamo fatto a non accorgerci dei tuoi punti deboli, cosi evidenti? Eravamo solo dei rulli compressori con poco cervello. Ma le cose sono cambiate adesso. Ci siamo evoluti”.

“Evoluti? Punti deboli?”

“Si. Contesto nuovo, regole nuove, Prime. Dopo la partenza da Cybertron è successo qualcosa, e ho capito che non potevo più sprecare i talenti che Primus mi aveva concesso. Avrei gradito che anche tu ricevessi finalmente l’illuminazione. Invece sei rimasto lo stesso, con i tuoi difetti”.

“Insomma, di che difetti parli?” domandò Optimus con un certo nervosismo.

“Di quali difetti parlo? Arrivaci da solo, riflettendo sulla facilità con cui ti ho messo in trappola. E anche sulla tua solitudine: come mai non sono con te i tuoi fidati Autobots? E come mai non ci sono neppure degli alleati umani?”

Optimus indietreggiò. “No… Cosa stai dicendo…”

“Ci stai arrivando, protettore degli inferiori? Bene, questa consapevolezza sarà la splendida punizione che ti accompagnerà nell’oblio. Addio, Prime!”

Un rombo cominciò a diffondersi, un rumore che proveniva dall’alto.

Le assi sul soffitto si aprirono.

E svariate tonnellate di rocce precipitarono sul ponte.

Qualcosa sfondò la porta aprendoci un varco nel mezzo.

Apparve Asuna. “Robot, presto vieni qui!”

“Attenta!” gridò Optimus quando vide un enorme roccia appuntita precedere le altre e, raschiando la parete, precipitare proprio sull’apertura con la ragazza.

Optimus attivò i dispositivi sulle sue spalle.

Poi le rocce travolsero il ponte.

E continuarono a scendere finché non riempirono completamente lo spazio del pozzo.

 

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Capitolo 7
*** 7° Capitolo ***


7° CAPITOLO

“E’ tutto finito”.

Megatron spense il monitor, uno dei tanti in quella grande sala di controllo.

Ormai le rocce avevano riempito completamente il pozzo vulcanico con il ponte.

All’ultimo era arrivato qualcuno, uno dei bersagli prediletti: Asuna Kagurazaka.

Aveva dimostrato una forza notevole, essendo riuscita in qualche modo a giungere fino alla loro base e a sfondare la porta che neanche Optimus Prime era riuscito ad abbattere.

Davvero un ottimo soggetto.

Peccato che fosse ormai andato perso.

Nella sala arrivò Soundwave insieme a Brawl e Blackout.

“Mio signore, si è concluso tutto positivamente?” domandò il primo.

“Ovvio, Soundwave. E’ andato tutto come Lui aveva profetizzato, il che non mi stupisce. Seguendo i suoi avvertimenti sul fatto che un giorno sarebbe arrivato qualcuno da Cybertron per fermarci, abbiamo costruito l’accesso principale alla nostra base in modo che risultasse anche una vera e propria trappola. E come immaginavo, Prime ci è caduto in pieno. Ora prepariamoci alla partenza!” ordinò Megatron.

“Spero che quel bastardo Autobot sia morto in maniera orribile e consapevole dei suoi fallimenti!” ghignò Brawl.

“Prime è morto da eroe!” replicò seccamente Megatron.

I tre Decepticons si fermarono, lasciando che il loro leader continuasse ad andare avanti.

Megatron se ne accorse ma li ignorò.


“Oh come è tardi! Accidenti!”

Asuna correva a perdifiato lungo il corridoio insieme a Konoka e Hakase.

Quando finalmente raggiunsero la porta della loro classe, tutte e tre tirarono un sospiro di sollievo.

La campanello suonò.

Hakase guardò l’orologio. “Abbiamo spaccato il secondo”.

Entrarono, le altre erano già tutte dentro, sedute in modo composto e sorridenti.

Anche loro tre andarono a sedersi.

Asuna notò che mancava Evangeline.

E Negi, stranamente, non era ancora arrivato.

La ragazza rimase alquanto perplessa. “Perché Negi non c’è? Ora che ci penso, dato che abitiamo nella stessa stanza, doveva venire insieme a me e Konoka”.

Si girò verso la sua amica. “Ehi Konoka, ma Negi non si è visto stamattina?”

Konoka alzò le spalle: non ne sapeva nulla.

“Che strano.” Asuna si voltò verso il banco dietro il loro. “Ehi Yue, hai visto Negi?”

Yue non disse nulla, rimase assolutamente immobile, con una faccia sorridente e lo sguardo fisso in avanti.

“Ma…. Ma che succede?”

Asuna chiamò le altre sue compagne: stavano tutte ferme, con la stessa espressione di Yue.

Prontamente la partner di Negi si alzò in piedi. “Che diavolo sta succedendo qui?!”

“Kyahhhh!”

“Cosa? Konoka! Hakase!”

Asuna vide le sue compagne venir strappate dai loro banchi e sollevate da qualcosa di invisibile.

Aguzzò lo sguardo e vide dei fili assai sottili avvolti intorno alle loro braccia e alle loro gambe.

“Aiutaci Asuna!!” gridarono le due ragazze.

Asuna mise mano alla sua carta Pactio, non trovandola.

Fece allora per saltare verso le sue due amiche, quando anche le altre ragazze vennero sollevate dai loro banchi, restando sempre con la stessa espressione.

Tutte le componenti della III A salirono fino a raggiungere un immenso spazio nero che aveva preso il posto del soffitto.

Era da quello spazio nero che provenivano i fili che avevano legato tutte.

Asuna inorridita osservò impotente quello spettacolo.

Poi notò la strana posizione delle sue compagne, che penzolavano inerti attaccate a quei fili come se fossero state …

“…marionette…”

Una strana voce giunse alle sue spalle.

Era strana perché era sia maschile sia femminile.

“Se non vuoi unirti a loro…. Allora muori!!”

Asuna si voltò, qualcosa di inconcepibile la assalì.

La ragazza gridò.


“Arghhhh! Vai via!!!” strillò Asuna agitandosi.

Si alzò di botto, col fiatone.

“Un… un sogno… ma dove sono?”

Intorno a lei, coperta di polvere, graffi e lividi, si intravedevano leggermente solo rocce.

Ed era parecchio buio, c’era solo una fievole illuminazione blu.

“Siamo sepolti sotto le rocce” disse qualcuno.

Asuna trasalì e alzò la testa.

Sopra di lei c’era quel misterioso robot, i cui occhi era la fonte di quella fievole luce.

Asuna riuscì a vedere che con la schiena e le braccia il robot reggeva degli enormi macigni.

Ma il resto del suo corpo era avvolto dall’oscurità, anche se di sicuro si trovava proprio davanti a lei.

“Scusa se non riesco a fare più luce, ma il 99% della mia energia è stata convogliata nelle braccia e nelle gambe per reggere tutto questo peso” riprese Optimus Prime.

“Non… non fa niente…” rispose Asuna alzandosi. “Ma dove siamo finiti? Cosa è successo?”

“Il nemico ci ha fatto cadere addosso svariate tonnellate di rocce”.

“E… e come mai non ci hanno schiacciato?”

“Tu sei entrata nel pozzo quando le rocce stavano per investire il punto in cui ti trovavi. Sono saltato sopra di te per proteggerti e raggiungere insieme la porta, ma siamo stati travolti. Non so per quanto siamo caduti, ma il fato ha voluto che cadessimo in un anfratto sul fondo del pozzo. Le strette pareti dell’anfratto hanno esercitato una pressione frenante sulle rocce, permettendomi cosi di sorreggerle. In caso contrario, saremmo morti schiacciati da un pezzo” spiegò Prime.

“Uh… si, certo. Un momento” Asuna guardò freneticamente in tutte le direzioni “mi stai dicendo che siamo bloccati qui? Sepolti vivi?!”

“Temo di si. E io purtroppo non potrò reggere queste rocce in eterno”.

“Forse l’aria si esaurirà prima della tua forza. E per me sarà un vero guaio. Maledizione! Le mie amiche! Quei cosi… chissà cosa gli hanno fatto! E chissà cosa faranno a Konoka e Hakase! Dobbiamo uscire da qui!” sbottò Asuna.

“Temo che non ci sia più niente da fare” disse Optimus.

“Ehi, robot, ti stai forse arrendendo? Ti credevo un tipo più intraprendente”.

“Io…”

Prime appariva abbattuto.

Asuna riconobbe quell’atteggiamento: era il comportamento di chi sembrava aver perso la voglia di fare, combattere. Vivere.

Ma era un comportamento che certo lei non condivideva.

“Usciremo di qui!” disse risoluta. “Allora, esaminiamo le possibilità: puoi chiedere aiuto?”

“C’è troppo materiale sopra di noi, nessun segnale passerebbe” rispose Prime.

“E allora…” Asuna cominciò a cercare nel buio le pareti dell’anfratto, trovandole presto.

Tastando, calcolò che l’anfratto doveva avere una forma allungata, e che probabilmente partiva da una base abbastanza larga per poi restringersi verso l’alto, esercitando cosi quella pressione frenante.

“Caspita. Beccare uno spazio cosi stretto in caduta libera e sovrastati da tonnellate di rocce. Se questo non si chiama culo…” mormorò la ragazza.

“Hai detto qualcosa?”

“Niente. Allora, dato che non possiamo salire né chiamare aiuto, scaveremo!”

“In quale direzione?”

“Verso il mare. Secondo te in quale direzione si trova?”

“Dietro di te. Ma io non posso scavare in questa condizione” obbiettò Prime.

“Non preoccuparti. Scaverò io”. Asuna spavalda tirò fuori la sua carta Pactio.

La sua spada era andata persa nella caduta, ma poteva rievocarla.

“Adeat!” esclamò.

Lo grossa spada apparve nella sua mano.

“Questo ti sarà d’aiuto” disse Prime.

Asuna sentì qualcosa cadere dietro di lei, si chinò e cercò al buio per terra.

Le sue mani afferrarono quello che sembrava essere un grosso cilindro metallico.

Non appena lo toccò, il cilindro emise una forte luce.

“E’ uno dei miei fari. Gli ho infuso abbastanza energia per avere tre ore di autonomia. Spero che ti bastino” spiegò l’Autobot.

Asuna sorrise. “Grazie”.

Posò quella specie di maxitorcia dietro di lei, andò verso la parete indicata e cominciò a scavare.

I suoi colpi erano ampi fendenti che tagliavano grosse porzioni di roccia sbriciolandole.

Asuna ci mise pochissimo a scavare una galleria, abbastanza grossa perché anche Prime ci passasse, magari a cavalcioni.

Certo la ragazza non sapeva se scavare in quella direzione era davvero la cosa giusta.

Potevano benissimo esserci chilometri di roccia tra loro e la libertà.

E nessuna libertà se avesse deciso di scavare verso il basso.

E se fossero sbucati sotto il livello del mare?

L’acqua avrebbe riempito la galleria all’istante.

Non credeva che quel robot potesse venir danneggiato dall’acqua, ma certamente lei si.

Tuttavia non avevano molta scelta.

Dopo parecchi minuti di scavo intervallati dal dover prendere la torcia per spostarla man mano che Asuna avanzava, e dopo aver penetrato almeno una quarantina di metri di pietra, la spada tagliò un'altra porzione di roccia e poi colpì il vuoto.

Asuna avanzò di qualche passo con le braccia in avanti e controllò quel vuoto nero.

Toccò i bordi della galleria che aveva scavato.

E oltre non c’era nulla.

Poi una leggera e fresca brezza le investì il viso.

Andò a prendere la torcia e si affacciò oltre il buco che aveva aperto: davanti a lei c’era una caverna, o meglio una galleria da dove in passato probabilmente scorreva il magma.

Raggiante, Asuna recuperò la torcia e tornò indietro da Prime. “Ce l’ho fatta! Ho trovato un’altra galleria. E’ sicuramente collegata con l’esterno, arriva aria. Io vado avanti, tu preparati a mollare quelle rocce per saltare nella galleria che ho scavato”.

“Sono contento che tu possa cavartela. Ma io non vengo” fu la risposta di Prime.

“Eh? Che intendi dire?”

“Quello che ho sentito prima, sul ponte, mi ha finalmente fatto capire i miei errori e la mia stupidità. Tu sei veramente abile, coraggiosa e altruista. Te la caverai meglio senza di me”.

Asuna rimase quasi scandalizzata. “Ti si è fritto il software?!”

Prime scosse la testa. “No. Semplicemente mi sono reso conto che non sono affatto diverso da chi combatto. Sul mio pianeta sono conosciuto come un protettore dei deboli, forte e coraggioso. Eppure pur partendo da motivazioni diverse, nei fatti ho sempre considerato quei deboli come degli inferiori. Proprio come il nemico. Troppo consapevole della mia forza e troppo timoroso per la loro incolumità, non ho mai accettato un consiglio, li ho sempre tenuti il più possibile lontani dall’azione.

Non ho mai avuto fiducia in loro.

Non mi sono mai veramente fidato dei miei compagni, e neppure degli umani come te.

Avrei potuto avvertirvi, elaborare insieme delle strategie.

E invece ho avuto troppa fiducia in me stesso, col risultato di voler fare tutto da solo, ignorando indizi cosi chiari sull’evoluzione del nemico. E sono caduto nella più banale delle trappole.

Se una cosa del genere fosse accaduta sul mio pianeta, avrei sicuramente condannato a morte tutti coloro che si fidavano cosi ciecamente di me.”

“Ma se lo facevano “ribatté allora Asuna “avranno avuto i loro motivi. Tu sei davvero forte e coraggioso. Lo hai dimostrato prima con me. Mi hai salvata dalla rocce, quando invece avresti potuto benissimo fregartene di me e cercare di raggiungere la porta soltanto. E mi hai aiutata adesso”.

“Posso anche essermi arreso, ma non per questo lascerò che qualcuno muoia per colpa mia” spiegò Prime.

“E allora dammi una mano. Non ti rendi conto che anche se esco da qui, dovrò combattere da sola contro dei mostri? Forse anche contro le mie compagne. E tu non vuoi aiutarmi?”

“Ti sarei solo di peso”.

Asuna allora si mise irritata una mano sul volto.

Poi piantò con forza la sua spada nel pavimento. “Stammi bene a sentire, giocattolone spaziale! Non so cosa avesse in mente il tuo programmatore o quello che era, ma resta il fatto che se in passato hai fatto la figura dell’idiota, la stai facendo anche adesso!”

Prime restò sorpreso da quel commento. “Che intendi dire?”

“Intendo dire” riprese Asuna “che continui a fare gli stessi errori. Prima da solo avevi deciso di non aver bisogno di nessuno e non ti fidavi degli altri. E ora ti sei autocondannato, da solo hai deciso di non saper fare nulla e non ti fidi di chi ti dice che non è vero. Be, io ora andrò a salvare le mie amiche, a qualunque costo. Spero di poter contare sul tuo aiuto. Se invece vuoi restartene lì come una bella statuina, fai pure, mi arrangerò in qualche modo.

Ma lascia che ti dica solo una cosa: gli eroi non sono quelli privi di difetti, ma coloro che sanno riconoscere di aver sbagliato e si impegnano per non commettere più gli stessi errori. Tu la prima cosa l’hai fatta, spero che riuscirai a compiere anche la seconda. Ora è meglio che la pianti o comincerò a sputare sentenze”.

Asuna si avviò lungo la galleria che aveva scavato.

Lasciando Prime solo e nel silenzio.


Konoka e Hakase erano chiuse prive di sensi in due capsule.

I raggi di alcuni scanner attraversavano il loro corpo.

Soundwave supervisionava l’operazione.

Si girò verso la porta percependo qualcuno dietro di lui. “Starscream. Cosa stai facendo qui? In questo laboratorio possiamo entrare solo io e lord Megatron”.

“Quelle sono le nostre future schiave. Voglio semplicemente vederle” rispose Starscream.

“E’ una strana spiegazione. Sembra di più una scusa”.

“Scusa per fare cosa? Le ho viste e ora me ne vado” concluse Starscrem indietreggiando e andandosene.

Soundwave non lo perse di vista finché non scomparve dentro un ascensore.

Quando fu certo di non essere più visto, Starscrem fece rientrare una minuscola antenna parabolica in un piccolo scomparto nascosto tra i meccanismi della spalla destra.

“Soundwave, tutti questi anni come scienziato ti hanno davvero rammollito come intercettatore”.


Quella galleria sembrava non finire mai.

E Asuna non sapeva neanche che ore fossero, dato che l’orologio le si era rotto durante la caduta nel pozzo.

Anche per la direzione poteva solo limitarsi a seguire la corrente d’aria, sperando che la fortuna l’assistesse.

In fondo l’aveva già fatto più volte in quella giornata: le aveva permesso di seguire quel robot trasformato in camion.

Asuna aveva usato l’energia potenziante del pactio e aveva cominciato a compiere balzi di decine e decine di metri per stare dietro al gigante meccanico.

E c’era riuscita, anche se più volte aveva rischiato di perderlo.

La fortuna l’aveva aiutata ancora quando il misterioso robot era scomparso in una specie di raggio tele portante.

Lei era riuscita a infilarsi in quel raggio poco prima che si esaurisse.

E anche se poi l’aveva fatta riapparire in mare a centinaia di metri dall’isola, era comunque arrivata.

Inoltre era riuscita a seguire di nascosto il gigante e a trovare l’accesso mimetizzato prima che si chiudesse.

E infine si era salvata da quella caduta di rocce.

Perciò la fortuna poteva pure concederle qualcos’altro.

Dalla direzione opposta alla sua arrivò un forte rumore accompagnato da una luce altrettanto forte.

Asuna sguainò la sua spada.

Le pareti della galleria erano troppo lisce per offrire nascondigli.

Perciò poteva solo fronteggiare la fonte di quel rumore.

Una luce abbagliante sbucò da dietro una leggera curva.

Asuna si coprì gli occhi e indietreggiò mentre il rumore si avvicinava.

Quando i suoi occhi si furono abituati alla luce, la ragazza vide di cosa si trattava e si spostò a destra.

Un grosso camion rosso e blu si fermò affianco a lei.

Una portiera si aprì e Asuna salì prontamente sedendosi dentro l’abitacolo.

La giovane picchiettò sul volante, che aveva al centro un volto vagamente umano e di colore rosso. “Hai visto che non era poi cosi difficile?”

“In effetti si” disse una voce proveniente da un punto indefinito. “Ora usciamo da questa galleria e diamoci da fare. A proposito, mi chiamo Optimus Prime”.

“E io Asuna Kagurazaka. Senti, mentre cerchiamo l’uscita, che ne diresti di spiegarmi l’antefatto di tutto questo casino?”


Megatron contemplava i tre enormi cerchi che aveva davanti a se.

C’era voluto molto tempo per riuscire, con le risorse locali, a costruirli e adesso erano finalmente pronti.

Presto, molto presto, i cybertroniani avrebbero dimostrato a intere moltitudini di essere la razza superiore per eccellenza.

Ma per farlo avrebbero prima dovuto abbassarsi ad usare i migliori delle razze inferiori.

Un piccolo prezzo che valeva la pena pagare per ottenere il trionfo assoluto.

Lo stesso valeva per il sacrificio che aveva appena dovuto compiere Megatron stesso.

Che toccò la robusta e spessa piastra pettorale posta a protezione della sua Scintilla vitale.

E anziché di uno, era meglio parlare di due sacrifici.


“Wow, che storia, sembra davvero un film di fantascienza. E hai pensato a come tornare? I tuoi Autobots saranno in pensiero per te”.

La narrazione di Optimus sulla sua storia aveva chiaramente eccitato Asuna.

“Non lo so. Non ci ho pensato ancora. Prima dovranno essere sconfitti i Decepticons. Se non sarà possibile, mi adatterò a vivere qui” fu la risposta.

Era ormai da mezz’ora che correvano in quella lunga galleria.

Ma ne sarebbero usciti sicuramente, dato che i sensori di Optimus aveva già rilevato l’uscita.

“Tra poco saremo fuori” avvertì l’Autobot “Abbiamo il vantaggio della sorpresa, i Decepticons ci credono morti. Quindi potremo usare la stessa entrata di prima. Troviamo le tue amiche e chiamiamo rinforzi”.

“E come? “ domandò Asuna.

“Io ho bisogno di un terminale per collegarmi ad internet e a Magic-net. Ma se raggiungiamo i computer dei Decepticons potremo non solo avvertire i maghi, ma anche inviare loro tutto il materiale sul nemico, in modo che sappiano cosa aspettarsi”.

“Però come faremo ad entrare dallo stesso punto? Il ponte è crollato, il pozzo ostruito”.

“Penso che non avremo problemi invece. Siamo arrivati”.

La galleria terminò vicino alla costa e finalmente Asuna rivide il cielo.

Prontamente scese dal camion, Optimus si trasformò e se la caricò sulle spalle.

Poi cominciò agilmente a correre lungo la scogliera frastagliata, fino a raggiunge la grotta leggermente sommersa da cui erano entrambi entrati la prima volta.

Optimus premette il pulsante nascosto, la porta si aprì e si inoltrarono nuovamente in quel corridoio.

“Ricordati” disse Prime alla sua compagna “che quasi sicuramente la magia non funziona su noi cybertroniani. Ma le analisi sull’energia chiamata Ki che ho compiuto su Magic-net, indicano che questo tipo di energia funziona. Se attacchi, dovrai usare il Ki”.

Asuna annuì ed evocò la sua spada, Optimus la fece scendere ed estrasse uno dei suoi fucili.

Non incontrarono nessuno e raggiunsero l’ingresso al pozzo.

Ostruito dalle rocce che avevano riempito quest’ultimo.

Asuna si guardò in giro. “E adesso?”

Optimus fece scorrere la mano libera lungo la parete che precedeva la porta bloccata. “Prima che tu arrivassi, dietro di me era sbucato dal nulla uno dei Decepticons, Soundwave. Mi ha colpito e spinto sopra il ponte. Megatron le ha davvero pensate tutte. Ci deve essere una porta mimetizzata qui.. ed eccola infatti. E’ nascosta molto bene, la capti con i sensori tattili ma è invisibile ai sensori a lungo raggio. Per questo la prima volta non l’ho notata”.

La mano del robot scorse da sopra a sotto su una porzione del muro.

Optimus tirò fuori la sua spada, la conficcò nel muro.

E una grossa porzione del muro scivolò via.

“Ho distrutto la serratura. Ora muoviamoci”.

I due percorsero un altro corridoio e infine arrivarono in una stanza gigantesca con le pareti ricoperte da macchinari con strane forme.

Optimus e Asuna si addentrarono in quel nuovo luogo.

“Cos’è questo posto?” domandò la ragazza.

“E’ un laboratorio” rispose Prime. “I miei sensori indicano che la materia è di origine terrestre, ma la tecnica di costruzione è cybertroniana”.

Asuna osservava quelle astruse apparecchiature.

Non si azzardò neppure a immaginare la loro funzione.

Erano già impressionanti le loro dimensioni.

Quello era chiaramente un luogo frequentato da giganti: le pareti e i congegni dovevano essere alti almeno una ventina di metri.

Guardandosi attorno, notò alcuni oggetti che le erano familiari, ovvero tavoli in metallo e sedili.

Alti tuttavia almeno tre metri.

E alcuni ancora di più.

Evidentemente quei Decepticons non avevano tutti la stessa altezza.

“Ho trovato un terminale per chiamare rinforzi” disse Prime dirigendosi verso una poltrona che stava davanti ad un grosso schermo.

La poltrona era parecchio alta, eppure Optimus ci si sedette sopra senza problemi, prese Asuna e la poggiò sulla consolle.

Poi con sicurezza cominciò a premere i pulsanti di una enorme tastiera.

Lo schermo si accese, riempiendosi di scritte simili a geroglifici, incomprensibili per Asuna.

Che suggerì: “Oltre a chiamare qualcuno, sarà meglio cercare di scoprire cosa vogliono fare i Decepticons”.

“infatti” disse Prime, che iniziò a scandagliare il contenuto del computer.

Intere colonne di misteriose scritte apparvero succedendosi a gran ritmo.

Asuna trovò fastidiosi quei segni cosi veloci. “Hai il tempo di leggere quelle scritte?”

“Si, il nostro tempo di lettura è minore del vostro” spiegò Prime “Userò i termini che usate voi umani per i vostri computer e il vostro calendario. I file più vecchi portano la data del 1910, ovvero quando hanno cominciato a costruire questa base”.

Asuna emise un fischio. “1910!? Cavolo, ma da quanto tempo quei Decepticons sono sulla Terra?”

“I dati sulla zona in cui sono caduti indicano che si trovava in Siberia. Era una località chiamata Tunguska. Ed era il 1908. Ho dei dati su Tunguska. Un enorme e sconosciuto corpo luminoso esplose vicino al terreno di una foresta. L’esplosione rase al suolo chilometri di alberi creando anche un piccolo lago. Gli studiosi terrestri pensano ad un meteorite o ad una cometa”.

“E invece si trattava della violenta entrata in scena del nemico. Ma tu hai detto di essere entrato in quel portale poco dopo che vi erano entrati loro. Allora come mai sei arrivato adesso e in maniera molto più silenziosa?”

“Posso ipotizzare che per qualche misterioso principio fisico, il minuto trascorso tra la loro partenza e la mia si è trasformato in decenni sulla Terra. Inoltre io sono partito quando il portale stava per esaurirsi, quindi la poca energia rimasta mi ha fatto compiere un arrivo più tranquillo”.

Prime riprese a digitare sulla tastiera. “Questo è molto interessante. C’è una sezione sui mutamenti fisiologici provocati dalle energie del portale”.

“Mutamenti fisiologici?!” commentò perplessa Asuna.

“Si, è davvero incredibile! Le energie del portale hanno modificato la struttura molecolare dei Decepticons, permettendo loro di fondersi fisicamente con gli esseri umani. In un rapporto simbiotico. E la procedura è semplicissima: basta far toccare alla vittima la Scintilla che noi cybertroniani abbiamo nel petto, il nostro cuore. Una volta fatto questo, i Decepticons possono passare dal loro aspetto originale ad un aspetto umano e viceversa. Possono mimetizzarsi alla perfezione tra gli umani. Non oso pensare cosa provano le vittime fuse con quei malvagi. Per cambiare l’aspetto umano devono fondersi con un’altra persona il cui dna va a sostituire quello precedente”.

Asuna rabbrividì. Perché le venne un sospetto. “E il processo può essere invertito?” domandò ansiosa.

“Non lo dicono. Non devono essersene preoccupati. Deve essergli bastato sapere che potevano ripetere quell’operazione a loro piacimento. Comunque non credo che abbiano usato questo sistema con le tue compagne. Loro sono 28, più quel Negi. I Decepticons sono solo sette” la tranquillizzò Prime. “Comunque c’è una stranezza. Dentro questo programma c’è un sotto-file criptato. Hanno usato la chiave Omega per coprirlo”.

“Chiave Omega?”

“E’ un particolare codice di sicurezza, impossibile da decriptare. Soltanto io e Megatron lo conosciamo. Lo usavamo per dati particolarmente preziosi”.

Optimum usò quel codice. “Ah, i Decepticons sanno di essere immuni alla magia. Ma la loro refrattarietà alla magia gli impedisce anche di usarla. Però il file nascosto dice che se un Decepticon si fonde con un mago, allora potrà usarne i poteri. Anzi, in questo modo annullerà persino l’immunità propria dei cybertroniani”.

Asuna si accigliò. “E allora perché questi dati sono nascosti?”

Optimus ci rimuginò sopra. “Probabilmente perché Megatron non voleva correre il rischio che i suoi seguaci diventassero più forti di lui. I Decepticons, tranne Soundwave, seguono Megatron per paura. Se potessero, non ci penserebbero due volte a ribellarsi”.

“Capisco. Ma quei dati non dicono niente sulle mie compagne?”

Il leader Autobot riprese la ricerca. “Ne parlano eccome. I Decepticons hanno selezionato la tua classe dopo aver controllato nel mondo magico quali fossero gli umani col maggior potenziale. E la III A è risultata essere il maggior concentrato di potenziale magico del mondo”.

Asuna sentì un altro brivido lungo la schiena. “Oh mio Dio! Allora cosa gli avranno fatto?”

Altri file vennero aperti da Optimus, che si bloccò.

Asuna si preoccupò ancora di più. “Che… che succede?”

“Ho trovato una cosa davvero strana. In questo file è contenuta la voce ‘Marchiatura’. L’ho aperta e come fonte mi indica… questo!”

Sullo schermo apparve un qualcosa che Asuna non si sarebbe mai aspettata: un albo a fumetti.

Non riusciva a leggerlo bene, perché scritto in inglese.

Optimus continuò a leggere i dati. “E’ un fumetto americano. I Decepticons si sono concentrati sulla vicenda della protagonista, tale Rachel Summers. In questo numero si narra di come un cattivo del futuro, Ahab, abbia sottoposto questa Rachel e altre persone ad un processo chiamato marchiatura. Il processo consiste nel riscrivere il dna delle persone, in modo da inserirvi un’obbedienza assoluta nei confronti di Ahab. Non è come l’ipnosi o il lavaggio del cervello. Non è una questione di forza di volontà. Per la vittima obbedire al suo aguzzino diventa naturale e necessario quanto il mangiare o il respirare. E sembra che i Decepticons siano riusciti a replicare questa invenzione fumettistica”.

“Però non capisco cosa c’entra con i Dece…”

Asuna impallidì.

Era cosi ovvio.

“Marchiatura…. Marchiate…. Come se fossero schiave… o bestiame…”

La giovane cadde in ginocchio, cominciando a piangere.

Silenziosamente, a capo chino.

Optimus la guardò, non sapendo cosa fare.

Non le aveva detto tutto, e cioè che stando a quei dati i Decepticons neanche stavolta si erano preoccupati di stabilire se quella marchiatura era un processo reversibile o meno.

La possibilità di rimediare, e quella di non poter fare nulla, andavano quindi di pari passo.

E non le aveva detto neppure dell’ennesima stranezza: secondo quei file, Megatron aveva ordinato a Soundwave di far credere morti Evangeline MacDowell e Negi Springfield.

Improvvisamente i suoi sensori di movimento rivelarono qualcosa che si stava avvicinando.

Optimus spense i dati dal computer, prese Asuna e si riparò dietro alcune colonne vicine al corridoio da cui erano arrivati.

Se avesse provato a correre, chi stava arrivando lo avrebbe sicuramente rilevato.

Quindi abbassò al minimo i suoi flussi di energia.

La luminosità dei suoi occhi diminuì.

Era una procedura rischiosa, ci volevano quindici secondi per riportare l’energia al massimo.

E in quindici secondi un Decepticon poteva fare molte cose.

Si aprì una porta ed entrò Soundwave.

Nelle mani teneva due capsule, con dentro Konoka e Hakase addormentate.

Asuna sussultò a quella vista.

I suoi occhi da disperati divennero rabbiosi.

Optimus se ne accorse e allora emise un sottilissimo raggio olografico dagli occhi, un raggio che si fermò proprio davanti ad Asuna, formando una frase in giapponese sospesa in aria.

“Non muoverti e non fare rumore. Stai calma e vediamo cosa succede. Quello è Soundwave”.

Asuna si trattenne, mentre Soundwave premette i pulsanti di una tastiera sul muro.

Il muro si aprì rivelando la presenza di due croci a X, con dei blocchi alle sommità.

Dietro le croci c’era una specie di griglia rossa.

Con grande attenzione Soundwave poggiò le due capsule a terra, prese le ragazze e le mise sulle croci.

I blocchi scattarono intorno ai polsi e alle caviglie delle prigioniere.

Soundwave tirò fuori una sorta di telecomando e lo attivò, la griglia cominciò ad emettere energia, energia che poi passò alle croci.

Konoka e Hakase gridarono per il dolore.

“NOOOO!!” gridò Asuna.

“Allarme!” esclamò sorpreso Soundwave, che fece uscire dalla sua spalla destra un cannone.

Prime riportò al massimo la sua energia.

Ma per farlo gli occorrevano quindici secondi.

E Soundwave fece in tempo a colpirlo con una scarica al plasma, scaraventandolo contro una parete che poi gli franò addosso.

Asuna però era già scesa dalla sua mano, e si lanciò contro Soundwave con la sua spada.

Il Decepticon la afferrò al volo con la mano sinistra. “Sciocca umana. I poteri magici di voi terrestri non possono nulla contro di noi. E non puoi fare più niente per loro due, il processo è istantaneo. E tra poco lo proverai di…”

Uno strano segnale sonoro arrivò dalla griglia.

Il volto di Soundwave non poteva assumere espressioni.

Ma la sua voce indicava uno stupore totale. “Non può essere! Che significa?!”

Lo stupore gli fece allentare la presa mentre controllava il telecomando.

Asuna ne approfittò per liberarsi le braccia e lanciare come un boomerang la sua spada.

Ma non contro il nemico, bensì contro una colonna metallica che stava dietro di lui.

Che venne tranciata in pieno e cadde.

Soundwave se ne accorse e si lanciò in avanti evitandola per un soffio.

Ma ad attenderlo più avanti c’era Optimus Prime, ripresosi del tutto.

L’Autobot menò un fendente con la sua spada che tagliò la mano del nemico liberando Asuna.

E con un altro fendente gli tagliò in due il cannone al plasma.

Soundwave urlò per il dolore e la sorpresa.

Dalla gamba destra tirò fuori una pistola e fece per afferrarla.

Asuna furiosa gli saltò addosso piazzandosi proprio davanti alla sua faccia e gli menò un pugno fortissimo sulla visiera che fungeva da occhio, danneggiandola parecchio.

“Bastardo! Marchiati questo!” esclamò rabbiosa la ragazza.

Senza una mano, la sua arma principale e con i sensori visivi danneggiati, Soundwave optò per la fuga, passando per dove era arrivato e chiudendo la porta.

“Una volta era più letale. Ma i mini-Decepticons che teneva nel petto sono morti da tempo” commentò Optimus.

Asuna corse da Konoka e Hakase, liberandole a mani nude dai blocchi.

“Notevole” pensò Prime mentre recuperava il telecomando che Soundwave aveva lasciato cadere.

Sopra un pulsante c’era un piccolo schermo.

Asuna scuoteva le sue amiche. “Ragazze! State bene? Rispondetemi, vi prego! Optimus!”

“Stanno bene. Qui c’è scritto che il processo è fallito. La taratura genetica è stata sbagliata, quindi il meccanismo di marchiatura non è stato reso compatibile col loro dna” rispose Prime.

“Grazie a Dio!”

Optimus si chinò sulle due ragazze e le scandagliò. “Devono avergli somministrato un sedativo. Aspetta”.

L’Autobot con due dita toccò le teste di Konoka e Hakase.

Che furono attraversate da una piccola scarica energetica.

“Tra qualche minuto si riprenderanno. Resta con loro, io inseguo Soundwave”.

Optimus corse dietro il nemico sfondando la porta col suo peso.

Attraversò un enorme corridoio di forma ottagonale, con al centro una passerella.

Improvvisamente avvertì un cambiamento di pressione nell’aria.

Ci furono tre esplosioni di luce, simili a lampi, all’altra sommità del corridoio.

Prime rallentò il passo tirando fuori uno dei suoi fucili.

E quando uscì, si ritrovò in una smisurata caverna: addossati sulla parete più esterna c’erano tre grossi cerchi, collegati ciascuno con delle passerelle ad una pedana centrale, che un’altra passerella collegava al corridoio dove si trovava lui.

Prime notò una piccola figura incappucciata ferma sulla pedana centrale.

Era chiaramente un essere umano, gli dava le spalle, ma dalle dimensioni non poteva certo essere un adulto.

“Chi sei?” domandò Prime.

La figura si girò: era un ragazzo, che avrà avuto quindici/venti anni, secondo i calcoli terrestri.

Il giovane sorrise alla vista di Optimus.

Quest’ultimo controllò nella sua memoria se c’erano dati sull’identità di quel terrestre.

E non c’erano.

Però la sua memoria lo avvertì che alcuni tratti corrispondevano a quelli di una persona ben conosciuta.

Optimus effettuò le dovute modifiche, ringiovanendo il volto dello sconosciuto.

E ottenne la risposta. “Tu sei Negi Springfield!” esclamò.

Negi piegò la testa su un lato.

Poi il suo sorriso si trasformò in un ghigno.

E i suoi occhi divennero rosso fuoco.

“Non esattamente, fratello”.

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Capitolo 8
*** 8° Capitolo ***


8° Capitolo

Optimus Prime rimase impietrito. “Come mi hai chiamato?”

Negi fece qualche passo in avanti. “Hai sentito benissimo, fratello. Posso capire il tuo stupore, sono molto, troppo diverso rispetto all’ultima volta che ci siamo visti. Ma ti assicuro che sono proprio io. E poi anche io sono stupito, ti credevo ormai morto. Evidentemente Primus vuole che ti dia una sonora lezione alla vecchia maniera”.

Prime si ricordò dei dati visionati poco prima nel database Decepticon. “Lo hai fatto… ti sei fuso con Negi Springfield”.

“Esatto. Un sacrificio necessario, fondermi con questi miserabili ammassi di carne per poter usufruire di quella strana e potentissima energia che loro chiamano magia. Forse te ne sarai accorto anche tu, che noi cybertroniani siamo per qualche ragione completamente immuni. Ma non possiamo neppure usarla. Orbene, con questa fusione ho eliminato l’handicap e mantenuto il vantaggio. Lascia che te lo dimostri”.

Megatron/Negi alzò un braccio e decine di scariche energetiche simili a fulmini partirono dalla sua mano raggiungendo in un istante Prime e facendolo schiantare contro una parete.

Prime stramazzò al suolo, gli cadde il fucile, la vista e l’udito cominciarono a venir meno e sentì i suoi arti sempre più deboli.

Effettuò una scansione interna: l’energia magica era penetrata nel suo corpo e interferiva col suo sistema energetico.

La fusione con Negi aveva raggiunto i suoi scopi.

“Ti senti male, debole, vero?” riprese Megatron/Negi “Ora non solo posso usare la magia, ma se la faccio emettere dalla mia Scintilla, posso annullare l’immunità degli altri cybertroniani. L’ho usata anche su di me, quell’aspetto da bambino non mi andava affatto. E guarda cos’altro posso fare!”

Sotto il Decepticon dalle fattezze umane si creò un buco nero, vi cadde dentro e si materializzò dietro Prime. “E c’è pure un’altra cosa” aggiunse: si lanciò contro Prime, gli tirò un pugno sul viso. E il pugno fece volare l’Autobot per qualche decina di metri.

“Anche mantenendo l’aspetto umano, sono in grado di utilizzare la mia forza fisica originaria” spiegò sogghignando.


Asuna aveva adagiato Konoka e Hakase ad una parete.

Le ragazze sembravano stare bene e iniziarono a riprendersi.

“Uh… dove…. Dove sono?” mormorò Konoka.

“Sei al sicuro” la tranquillizzò Asuna.

“A… Asuna… sei tu?” domandò Hakase socchiudendo gli occhi.

“Si. Ora vi porterò via da qui”.

Dalla porta sfondata giunse l’eco di un forte schianto.

Asuna si voltò agitata. “Optimus!!”


Megatron aveva afferrato Prime per una gamba. E aveva cominciato a sbatterlo più volte contro il pavimento.

Era una scena sia surreale che terribile vedere un ragazzo adolescente sollevare come niente un gigante metallico di almeno dieci metri.

Infine lo lanciò lontano e Prime atterrò in piedi: i suoi sistemi interni aveva finalmente smaltito l’energia magica.

Prontamente recuperò il fucile e sparò alcuni colpi mirando non a Megatron ma vicino.

Non voleva fare del male all’ospite umano, intendeva creare un diversivo per potersi ritirare da Asuna.

Forse insieme avrebbero avuto più possibilità.

Ma Megatron alzò la mano: i colpi di Prime si infransero contro una barriera invisibile.

“Questo è un incantesimo che si chiama Deflexio. E’ persino più comodo dei nostri scudi protettivi” spiegò soddisfatto Megatron.

“Dannazione” pensò Prime cercando un altra strategia. Nella sua memoria cominciarono a scorrere le possibili tattiche, ma nessuna risultò utile, almeno al solo Optimus.

Il già enorme potenziale di Megatron unito all’altrettanto enorme potenziale della magia sembravano averlo reso davvero imbattibile sul piano tattico.

Megatron lo intuì. “Non sai come reagire, vero? Ovvio, come reagire di fronte ad un nemico che può fare questo!”

Il Decepticon si moltiplicò, ne apparvero dieci come lui, che si lanciarono velocissimi contro Prime bersagliandolo con pugni e calci devastanti.

Una copia gli strappò di mano il fucile, e un altra squarciò il compartimento sulla spalla che custodiva il secondo fucile, prese quest’ultimo e lo stritolò con le mani.

Infine tutte le copie diedero a Prime un calcio sulla testa, facendolo schiantare sul pavimento.

Su quest’ultimo rimase la maschera facciale di Prime.

L’Autobot si rialzò e il nemico con un nuovo calcio lo fece finire con la schiena a terra.

Le copie di Megatron sparirono. “Ti vedo in difficoltà, Prime. E pensare che non ti ho ancora mostrato tutto il mio nuovo potere. Le umane che abbiamo rapito possedevano un incredibile potenziale magico. Ma in quella classe c’erano in particolare quattro soggetti che mi interessavano: Negi Springfield, Evangeline McDowell, Konoka Konoe e Asuna Kagurazaka. Ah, ti ringrazio per avermi riportato il quarto soggetto”.

Prime si sforzò di rialzarsi. “Non mi dirai che…”

Megatron alzò un braccio: sopra di lui apparve una ragazzina con lunghi capelli biondi, quasi evanescente come un fantasma.

“E guarda cosa sa fare questa cosiddetta vampira!” esclamò Megatron puntando le mani verso Prime.

Quest’ultimo venne sollevato in aria da una forza invisibile.

E subito quella forza cominciò a sbatterlo sulle pareti della caverna e a farlo roteare in aria come un pupazzo, il tutto seguendo il movimento delle mani di Megatron, che ghignava soddisfatto.


“No…” mormorò Asuna.

La ragazza, nascosta vicino all’ingresso della caverna, osservava sbigottita quello spettacolo.

Non aveva creduto ai suoi occhi quando aveva visto Negi massacrare Optimus.

Negi aveva l’aspetto da adolescente utilizzato durante il loro finto appuntamento, per aiutarla ad uscire con Takamichi.

Riavutasi dalla sorpresa, la ragazza stava per intervenire.

Quando sopra Negi era comparsa Evangeline!

Questo aveva totalmente frastornato Asuna, che non sapeva proprio cosa fare.


Megatron fece cadere Prime a terra di botto.

L’Autobot era devastato: il suo corpo era ammaccato in più punti, alcuni pezzi della corazza erano divelti lasciando intravedere i meccanismi interni, parecchio danneggiati.

Eppure Prime tentò ancora di alzarsi.

E il suo nemico inarcò un sopracciglio meccanico.“Sono contento che ce la fai ancora, Prime. Se adesso usassi tutti i poteri di Evangeline, moriresti troppo presto. Invece io voglio che tu soffra a lungo. Osserva questo!”

Megatron mutò ulteriormente, aumentò le sue dimensioni, gli abiti sparirono, la pelle si trasformò in metallo.

Il leader dei Decepticons aveva riacquistato il suo aspetto originale di gigantesco robot.

Proprio in quel momento Optimus si rimise con difficoltà in piedi.

E Megatron sembrò svanire per poi riapparire faccia a faccia col suo nemico.

Optimus rimase stupefatto. “C-cosa?! Come hai…”

La risposta giunse sotto forma di pugno sul petto che sollevò ancora Prime dal suolo per una ventina di metri.

Stavolta però anche Megatron saltò e lo raggiunse, dandogli un calcio che lo scagliò a sinistra.

Megatron sembrò sparire ancora e ricomparve davanti alla parete rocciosa verso cui era diretto Prime.

Lo intercettò con un secondo calcio e lo mandò nella direzione opposta.

Di nuovo Megatron scomparve e apparve ancora dietro Prime anticipandolo.

E lo colpì ancora.

E ancora.

Optimus sembrava quasi un pallone che un gruppo di giocatori si passavano l’un l’altro calciandolo.

Solo che i giocatori in realtà erano uno solo.

Il quale decise di concludere il tutto afferrando Prime per la testa e tuffandosi verso il basso tenendo l’Autobot in avanti.

I due giganti impattarono al suolo con un tremendo fracasso e aprendo un enorme voragine.


“Basta….” disse Asuna impietrita.

Doveva fare qualcosa.

Ma cosa?

Se quell’essere di metallo, probabilmente Megatron, aveva assorbito i poteri di Negi ed Evangeline, allora sarebbe stato troppo forte per chiunque, anche per lei.

E fu allora che si ricordò di una cosa.


Megatron in piedi osservava soddisfatto Optimus Prime immobile a terra.

Ormai non c’era componente interna ed esterna che non fosse danneggiata gravemente.

Scintille e scariche energetiche erano emesse dal corpo di Prime, i cui occhi avevano cominciato a perdere luminosità.

“Ecco l’altra cosa che volevo farti vedere. Anche se torno al mio aspetto originale, mantengo la velocità e l’agilità degli umani. Che sono nettamente superiori alle nostre, devo ammetterlo. Per quest’ultimo attacco non mi sono teletrasportato, mi sono mosso cosi velocemente da risultare invisibile. Notevole, non trovi?”

Prime non rispose.

Megatron si chinò su di lui. “I tuoi circuiti vocali sono rimasti distrutti, Prime?”

Fu allora che dal braccio di Prime uscì fuori una lama che scattò verso la testa di Megatron.

Quest’ultimo evitò per un soffio il colpo indietreggiando.

Dalla sua mano scaturì una spada di energia magica.

Che spezzò quella di Prime.

Megatron si toccò la fronte.

Era scheggiata.

“C’è mancato poco. Se non fosse stato per la mia nuova velocità, mi avrebbe tagliato in due la faccia”.

Megatron afferrò Prime per sotto le spalle e lo sollevò. “Quello che hai fatto adesso, dimostra che non ti sei arreso. Sei coraggioso, fratello. Quindi ti darò un ultima chance: unisciti a me. Potrai ottenere anche tu un potere come il mio, e cosi potremo di nuovo servire insieme Primus”.

Optimus parlò, con una voce molto flebile a causa dei danni. “Non…. mi…. unirò mai a te….”

Megatron lo tenne in piedi con una mano, mentre con l’altra afferrò le sue piastre pettorali e le staccò, portando alla luce la Scintilla vitale dell’Autobot.

Ancora lucente, sebbene la sua luminosità avesse dei disturbi.

Megatron scosse la testa. “Stupido! Stupido! Perché ti ostini a rifiutare l’evidenza? Io agisco per conto di Primus. Dammene la possibilità e te lo dimostrerò concretamente! Tu non sai cosa è successo su Cybertron. Quel portale che tutti abbiamo attraversato, in origine l’intento era quello di sondare il nostro pianeta per trovare l’Allspark.

Quando ecco che all’improvviso abbiamo scoperto la possibilità di viaggiare presso altre dimensioni per trovare versioni alternative del Cubo.

Primus ci aveva finalmente indicato la via.

E ne ho avuto la conferma, Optimus.

Ho sempre avuto ragione io!

Il viaggio su questo mondo e’ stato necessario per prepararsi adeguatamente all’adempimento del volere di Primus. Io e le mie schiave con i loro poteri magici, le Dolls, apriremo il multi verso al nuovo avvento.

E sarà Primus a guidare la nostra razza verso la dominazione di tutti gli abitanti di tutte le dimensioni.

Vieni con me, ti concederò un onore che neanche i miei Decepticons hanno mai avuto: parlare col nostro dio, il dio che ci ha affidato l’Allspark perché eravamo i migliori. Perché dominassimo su tutto e tutti!”

Megatron mise la mano libera sulla Scintilla di Optimus. “Se non accetti, allora dovrò proprio distruggerti!”

Optimus aveva ascoltato quel monologo con la testa piegata di lato. Anche volendo, non poteva tenerla dritta. Aveva qualcosa di rotto nel collo.

Ci provò comunque e guardò Megatron negli occhi. “Ti stai illudendo…. Ti stai ingannando… Primus ci affidò….l’Allaspark affinché lo proteggessimo dal male. Ed egli è un dio giusto…. Non può ammettere… quello che stai facendo… Schiavizzare innocenti…. Conquistare mondi…. Distruggere…. Quello che dici di aver incontrato…. Non può essere Primus!”

Megatron ruggì la sua rabbia e lanciò lontano Optimus. “Non dovevo illudermi! Credevo che sapessi essere ragionevole, che potessimo tornare a lavorare insieme come una volta! Ma hai dimostrato la tua vera natura ancora una volta! Sei tu, il male!”

Il capo dei Decepticons sollevò le braccia, l’energia cominciò ad accumularsi crepitando sopra le sue mani.

“Questa è una delle tecniche più potenti di quella Evangeline: il drago di ghiaccio. Il tuo corpo si trasformerà in ghiaccio e man mano si scioglierà! Un’agonia atroce che meriti interamente. Addio!”

Dalle mani di Megatron eruppe, attraverso un mare di folgori, un enorme e terrificante drago di ghiaccio, che ruggendo si gettò contro Optimus, ormai immobile e col petto e la Scintilla vitale scoperti.

Le folgori creavano molte ombre sulle pareti della grotta.

E tra queste sembravano esserci ombre sfuggenti munite di vita propria.

Un attimo dopo, il drago di ghiaccio colpì, ricoprendo una vasta porzione di caverna con una spessa coltre di ghiaccio, incluso Optimus.

Megatron fissò severamente quel cumulo di ghiaccio. “Stavolta è proprio finita, fratello. Addio!”

Megatron si diresse verso l’uscita della grotta.

C’era un problema da risolvere. Soundwave lo aveva informato che qualcosa era andato storto con le ultime due schiave.

Ma la Konoe doveva comunque essere marchiata, in modo che lui potesse poi assorbirla in se.

Prima di questo però Konoka avrebbe dovuto stringere un cosiddetto Pactio con l’altra ragazza da marchiare, Hakase, in modo da conferirle dei poteri magici che avrebbe usato come agente singolo.

Tanto chi stipulava quel contratto magico non doveva essere per forza un mago ufficiale, bastava che ne avesse il potenziale.

Avrebbe potuto farlo lui con la forma di Negi Springfield, ma quella cosa chiamata… bacio… cosi diffusa tra quei luridi sacchi di carne, lo ripugnava.

Proprio per questo aveva prima fatto siglare il Pactio a tutte le altre schiave da Negi, e dopo lo aveva assorbito.

E c’era ancora Asuna Kagurazaka da marchiare, in modo da fonderla con la sua Scintilla.

Poi c’era quel caso particolare…

E infine sarebbe andato incontro al suo destino glorioso.

Megatron era appena arrivato all’ingresso della grotta, quando improvvisamente si voltò.

Avvertì dietro di lui una energia intensissima, accompagnata da una luce azzurra altrettanto forte, talmente forte che il vasto strato di ghiaccio sembrò cambiare colore, da bianco ad azzurro.

E si riempì di crepe.

Megatron istintivamente indietreggiò. “Cosa sta succedendo?!”

Il ghiaccio esplose, una pioggia di frammenti investì Megatron, senza fargli nulla.

Ed esauritasi tale pioggia, Megatron vide la causa di tutto.

“Tu?!” esclamò stupefatto e furente. “Ma che significa?!”

Optimus Prime non rispose.


Hakase e Konoka, se ne stavano rannicchiate in un angolo nascosto del laboratorio.

Erano ancora abbastanza scosse e si guardavano in giro smarrite in quell’ambiente fatto per giganti.

Rammentavano di essere in pericolo, senza però ricordare i dettagli.

Asuna aveva detto loro di nascondersi lì mentre lei andava da un certo Optimus.

Ma ormai era passato diverso tempo.

Forse Asuna e quell’Optimus erano stati catturati.

O forse erano morti.

Tutto ad un tratto Hakase avvertì qualcosa di famigliare: uno strano cambiamento di pressione nell’aria.

“Konoka, chiudi gli occhi!” gridò Hakase abbassando le palpebre della sua compagna e facendo altrettanto.

Ci fu una forte luce, simile ad un flash.

Tutto finì istantaneamente come era iniziato.

“Ma cosa…. Cosa è stato?” domandò Konoka riaprendo gli occhi.

“Non lo so” rispose Hakase “ma quel fenomeno l’ho già visto. E non penso indichi qualcosa di buono. Forse dovremmo cercare un luogo più sicuro”.

Le due ragazze sgattaiolarono via da quell’angolo, indietreggiando e strisciando per terra, fino a passare sotto un piccolo arco formato da due colonne metalliche.

Però Hakase notò che quelle colonne avevano qualcosa di strano: avevano tutta l’aria di essere semmai le gambe di un enorme robot.

E quando guardarono in alto, videro degli occhi robotici puntati su di loro.

Indietreggiarono precipitosamente, ma altri robot sbucarono fuori come dal nulla, circondandole.


Prime restava immobile.

Megatron si accorse che tutti i danni subiti erano spariti.

E che il suo nemico appariva più in forma che mai.

“Prime, che storia è questa?” volle sapere il Decepticon.

Prime lo ignorò.

“Che cosa hai fatto?”

Ancora niente.

“Dannazione, Prime! Rispondimi!!”

Finalmente l’Autobot sembrò accorgersi del suo avversario. “Ero impegnato in una discussione, che proseguiremo dopo. Ora mi prenderò la rivincita, Megatron!”

“Non farmi ridere. Non potresti mai essere potente quanto…”

Megatron non finì di parlare che un calcio fenomenale piombò sulla sua testa, scaraventandolo lontano.

“Devo ringraziarti per le tue spiegazioni sulla fusione, fratello. Ci hanno permesso di sapere molte cose” continuò Prime avanzando verso di lui.

Passo dopo passo cominciò a correre, Megatron scagliò altri fulmini magici contro l’Autobot.

I fulmini colpirono Prime.

E non sortirono effetto.

Come se fossero stati annullati.

Megatron saltò verso l’alto, Optimus fece altrettanto: il Decepticon sferrò un colpo con la mazza incorporata nel braccio, Prime parò afferrando la mazza al volo.

Fu allora che una copia di Megatron apparve dietro Prime, sferrando un secondo colpo con una lama magica.

Che a contatto con la schiena di Prime, si annullò.

Prime poggiò le mani sulle spalle di Megatron e contemporaneamente diede un calcio all’indietro alla copia: ottenne cosi la spinta e il punto d’appoggio necessari per sollevarsi velocemente, girare su se stesso e con grande agilità sferrare un doppio calcio dall’alto sulla testa del suo nemico.

E stavolta fu il turno di Megatron di schiantarsi contro il pavimento.

Prime atterrò senza problemi, Megatron si rialzò furente.

“Non capisco! Non capisco! Avevo il potere! Questo potere non può andare a te! Tu sei il male!” sbottò quasi indignato il leader dei Decepticons.

“Adesso siamo praticamente pari: tutti gli incantesimi che hai rubato a Negi ed Evangeline sono ora inutili contro di me. E possediamo delle capacità atletiche davvero notevoli, come hai appena visto. Spero solo che questo possa farti riflettere, Megatron. In caso contrario…” Prime sfoggiò la sua spada.

Non era solo tornata integra, era diventata più lunga e con un aspetto più minaccioso.

“Se uccidi me, ucciderai anche i due organici che ho assorbito” obbiettò Megatron.

“E chi ha detto che ti uccideremo? Possiamo benissimo neutralizzarti senza bisogno di eliminarti. A te questo può sembrare impossibile, ma io lo faccio da una vita ormai” replicò Prime.

Megatron mugugnò qualcosa, poi improvvisamente si aprì un buco nero nel pavimento, vi scomparve dentro e ricomparve davanti ad uno dei grossi portali. “Questo non era assolutamente previsto. Non voglio correre rischi combattendo contro di te. Ma ho ancora un modo per eliminarti: il meccanismo di autodistruzione di questa base. E’ istantaneo, quindi non potrai né fuggire né trovare le cariche. E non potrai neppure seguirmi, questo portale si attiva solo se lo voglio io. Spero dunque che questo sia veramente l’addio definitivo, fratello!”

Una luce azzurra si formò davanti a Megatron, e non appena la attraversò, essa scomparve insieme a lui.

Prime corse verso il corridoio che conduceva al laboratorio: se Megatron aveva detto il vero, bisognava tentare di salvare Konoka e Hakase.

Mentre correva, ad un tratto si fermò. “Hai ragione. Se l’esplosione doveva essere istantanea, allora come mai non è successo nulla?”

“Perché hanno disattivato il detonatore” disse qualcuno.

Un qualcuno che parlava cybertroniano.

E che Prime mai si sarebbe immaginato di sentire ancora. “Ma questa voce…”

Dall’altro lato del corridoio arrivarono sette figure, piuttosto grandi, anche se meno di Prime.

E tutte avevano gli occhi illuminati da una luce azzurra.

“Prowl!?” esclamò Optimus in cybertroniano.

“In persona” rispose l’altro “E come vedi, intrepido leader, non sono solo”.

“Bumblebee! Ratchet! Jazz! Ironhide! Ma come può essere?!”

Prowl era in testa al gruppo, mentre Ratchet stava in fondo, quasi nascosto dagli altri.


Altri due giganti robotici, con gli occhi azzurri, stavano perlustrando il laboratorio dei Decepticons.

“Sai Hot Rod, era da tempo che non vedevo un laboratorio cosi” esordì uno dei due.

L’altro annuì. “Proprio vero, Sunstreaker. Chissà quali malefatte hanno compiuto quei maledetti qui dentro. Ehi, guarda lì”.

Hor Rod indicò una porta a livello del terreno, che si differenziava dalle altre perché più piccola.

Sunstreaker prudentemente esaminò la porta, individuò un sensore nascosto e lo toccò, facendo aprire l’accesso appena trovato.

“Che mi prenda un cortocircuito!” esclamò l’Autobot.

“Di che si tratta?” domandò Hot Rod affiancando l’amico.

Dietro la porta c’era un corpo meccanico sezionato: braccia, gambe, tronco, erano l’uno affiancato all’altro.

Dalle dimensioni, quel corpo doveva essere grande più o meno quanto quello dei due esseri non meccanici che avevano soccorso poco prima.

Sopra quei pezzi, c’era una testa, con gli occhi chiusi, dalla quale pendeva un lungo materiale biondo, simile a fili.

E affianco alla testa, c’era una piccola gabbia con dentro una minuscola e bizzarra creaturina bianca a quattro zampe.


“Andiamo Optimus” disse Ironhide al suo stupito leader “ti sei dimenticato cosa hai fatto prima di partire per questo pianeta? Hai detto a Bumblebee dove era custodito l’Allaspark, in modo che ricostruissimo il pianeta. E lo abbiamo fatto, anzi, lo stiamo ancora facendo. E per farlo abbiamo riportato alla vita i nostri, o almeno quelli di cui era rimasto abbastanza. Ora il comando di Cybertron è affidato a Ultra Magnus”.

“Ma potevamo dimenticarci del nostro eroico capo? Ovviamente no” continuò Jazz “E allora abbiamo ricostruito, con maggior cura, il portale dei Decepticons, ti abbiamo localizzato ed eccoci qui”.

“E’ magnifico! Magnifico!” esclamò raggiante Optimus “Non posso esprimere la gioia che provo nel vedervi, compagni. E’ anche provvidenziale il fatto che siate venuti qui. La minaccia dei Decepticons è più forte che mai!”.

“Lo abbiamo immaginato vedendo questa base. A tal proposito, sai chi sono questi esseri?” domandò Ratchet facendosi avanti.

Nel palmo delle mani teneva Konoka e Hakase, che osservavano timorose quei giganti di metallo.

“Gli abitanti di questo pianeta si chiamano terrestri, o umani. Queste due ragazze sono delle vittime dei Decepticons. Ma soprattutto molte loro amiche sono state schiavizzate dai nostri nemici. Quindi dobbiamo aiutarle. E per farlo ci servirà anche la collaborazione degli umani” spiegò Prime.

“Che cosa? Vuoi coinvolgerli? Ma non può essere troppo pericoloso?” obbiettò Prowl “Se non ricordo male, tu sei sempre stato restio a coinvolgere altri. E’ cambiato qualcosa mentre ero morto?”

“Sono già stati coinvolti dai Decepticons. E sono già stati commessi diversi crimini contro la libertà dei terrestri a cui bisogna rimediare. E inoltre non dovete farvi ingannare dall’aspetto degli umani. Anche in loro c’è più di quello che vedi” chiarì Optimus.

“Il capo sei tu” concluse Prowl alzando le spalle.

“A proposito. Prowl” Optimus gli andò vicino “prima hai detto che i detonatori sono stati disattivati. Non siete stati voi?”

Prowl scosse la testa. “Lo sappiamo solo perché mentre ci guardavamo in giro nel laboratorio là dietro si è acceso un allarme. Avvertiva che l’ordine di autodistruzione non poteva essere eseguito perché i detonatori erano stati scollegati dalle cariche”.

Optimus si portò una mano sul mento. “Mmh. Un evidente sabotaggio. E un nuovo mistero. Ci sarà bisogno di un mucchio di spiegazioni, sia per voi che per gli umani quando li avvertiremo. Speriamo che i computer dei Decepticons ci dicano tutto”.

“Ehm… scusate…”. Konoka alzò timidamente la mano. Lei e Hakase non avevano capito nulla di quella discussione in una astrusa lingua aliena. Però quei robot non sembravano voler fare loro del male, quindi voleva tentare un qualche approccio. “Ehm…. Signori robot, spero che possiate capirmi. Nessuno di voi ha visto una ragazza con i capelli rossi raccolti in due lunghi codini? Si chiama Asuna Kagurazaka e sono sicura che è qui”.

“Asuna è qui” rispose allora Prime in giapponese e indicandosi il petto.

Konoka e Hakase rimasero perplesse.

“Be… questo sarà una sorpresa anche per voi, miei Autobots” avvertì Prime.

Che cominciò a trasformarsi: le sue dimensioni si ridussero, il metallo cambiò forma fino a diventare muscoli e pelle umana.

Si trasformò in Asuna, nuda solo per un secondo, poi anche degli abiti apparvero.

Sia gli Autobots che Konoka e Hakase rimasero a bocca aperta.

“Dunque sarebbe questa l’olomateria? Molto utile” esordì Asuna. Poi si rivolse alle sue amiche: “Sono qui Konoka, e sto bene. Spero di riuscire a spiegarti tutto e spero che capirai, sia tu che gli altri”.

Asuna si voltò verso la grotta. “Ci aspetta un lungo viaggio. Anzi, dei lunghi viaggi”.

 

Continua…

 

 

 

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