Oltre le stelle - scene di ellephedre (/viewuser.php?uid=53532)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Una gita al mare ***
Capitolo 2: *** 2 - Una cena in famiglia ***
Capitolo 3: *** 3 - Scoprire il potere ***
Capitolo 4: *** 4 - Antichi litigi ***
Capitolo 5: *** 5 - Troppo studio ***
Capitolo 6: *** Temporale ***
Capitolo 7: *** Sciolti ***
Capitolo 1 *** 1 - Una gita al mare ***
Oltre le stelle - scene
NdA del
Febbraio 2010: primo capitolo revisionato. Sistemato lo stile,
cambiati parti dei dialoghi (la gaffe di Ami soprattutto), aggiunto
alcuni particolari.
Grazie ancora per aver
letto.
Oltre
le stelle - scene
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Note:
- Temporalmente ambientata qualche giorno dopo la fine di "Oltre le
stelle". È necessario aver letto il capitolo 4 di quella
fanfic per
capire questa fanfic.
- Grazie a ISA1983, romanticgirl, luisina e jaj984 per l'idea di questa
scena. Le loro recensioni mi hanno fatto venire in mente di scriverla.
1 - Una gita al mare
La mattina, d'estate, si stava decisamente bene.
Mamoru inspirò a pieni polmoni e riprese a
camminare.
All'appuntamento con Usagi e le altre ragazze mancava ancora un quarto
d'ora, ma a lui piaceva arrivare in anticipo. Si sistemò
meglio sulle
spalle il grosso zaino che aveva preparato per i tre giorni che
avrebbero trascorso al mare. Avrebbe preferito
usare la propria macchina per il viaggio, ma non era abbastanza
spaziosa per sei persone
e due gatti, perciò il
treno si era rivelata l'unica soluzione adatta a tutti.
Di certo non gli sarebbe spiaciuto andare in viaggio solo con
Usagi, ma lei aveva insistito per andare tutti insieme, almeno per
quella volta. In fondo, aveva sottolineato con un sorriso, era un luogo
di
villeggiatura bellissimo e che motivo c'era per non
andarci tutti insieme?
Probabilmente le stesse ragazze
avrebbero preferito stare per conto loro, ma, alla fine, Usagi aveva
convinto sia loro che lui.
Comunque non aveva niente in contrario a passare del tempo con Ami,
Rei, Makoto e
Minako:
erano una
compagnia divertente e non le frequentava da un po'. Le aveva viste
solo un paio di settimane prima, in occasione del saluto alle
Starlights e
alla loro principessa, tuttavia, per via della sua assenza nei tre mesi
precedenti, non ci aveva realmente parlato da molto più
tempo.
Alzò lo sguardo. Il punto d'incontro era stato fissato a
poca distanza dal binario di partenza del loro treno. Proprio
lì si trovava già Ami, accanto un trolley scuro,
immersa nella lettura di un libro piccolo ma voluminoso.
Le arrivò accanto. «Ciao Ami-chan.»
Lei sobbalzò
appena.
«Ah... ciao Mamoru.»
Perché si era spaventata? Non
le era certo spuntato alle spalle. Hm, forse era stata solo
una sua impressione. «Anche questa volta ci hai
preceduti
tutti. Non credo riuscirò mai
ad arrivare ad un incontro prima di
te. »
Gli venne
rivolto un sorriso nervoso. «... sì.» I
grandi occhi blu iniziarono a
guardarsi attorno, a disagio.
C'era qualcosa che non andava? «Tutto bene?»
«S-sì.
Ehm...
pare che oggi sarà una bella giornata.»
«...
già.» Parlava
del tempo con Ami? Proprio con lei che ogni volta che lo vedeva si
illuminava
all'idea di poter
discutere di argomenti complicati?
... magari si stava immaginando problemi
inesistenti. «Hai poi pensato alla branca di
medicina
in cui ti piacerebbe
specializzarti? L'ultima volta mi avevi detto di essere indecisa tra
Cardiologia e Neurologia.»
«Ah, è vero!» Ami si lanciò
in un'appassionata
spiegazione sulle possibilità di ricerca offerte da
Neurologia.
Finalmente era tornato tutto a posto.
«Ehi!» Makoto arrivò di corsa,
salutandoli con la mano. Si era caricata sulle spalle un grosso zaino e
nella mano sinistra portava di peso un
contenitore termico.
Ami osservò proprio quello con aperta
curiosità. «Ciao,
cos'hai
lì dentro?»
«Sandwich ripieni per tutti. Più tardi mi
ringrazierete.»
Mamoru le sorrise. «Sicuramente, cucini sempre molto
bene.»
Makoto parve notarlo per la prima volta solo dopo
quel commento. Lo
fissò per un attimo, in imbarazzo.
E perché mai?
«Ah... ciao Mamoru.»
«Ciao.»
«Grazie per il complimento.»
«... Di nulla.» Grazie per il complimento?
Si conoscevano da anni o da due minuti?
«Che bella giornata, vero?»
Hm. «Sì.»
Ami si mise in mezzo a loro, alzando verso le loro facce il libro che
aveva avuto in mano. «Guardate, ho con me una cartina con il
nostro
itinerario.»
«Eccomi!» Rei apparve da dietro l'angolo,
trascinandosi dietro una
voluminosa valigia rossa.
«Ciao Rei!»
«Ciao Rei.»
«Ciao Rei.» Alzò anche lui la mano, in
segno di
saluto.
Quando gli occhi di Rei lo scorsero, il volto le si deformò
in una smorfia, le guance all'improvviso imporporate.
Ma che-?
Rei si riprese subito. «Ciao a tutti! Minako e Usagi non sono
ancora
arrivate?»
«No, non ancora.» Makoto appoggiò a
terra il contenitore.
«Le solite ritardatarie.»
«Beh, siamo noi ad essere in anticipo.» Ami
guardò il
proprio orologio.
Rei fece spallucce.
Mamoru cercò di attirare la sua attenzione. «Tuo
nonno sta
bene?»
Di nuovo quella strana espressione, anche se era più rivolta
alla colonna di cemento accanto a loro che a lui.
«Sìsì... dicono che oggi
farà
bel tempo, no?»
Hmm. «... così pare.»
Makoto tirò Rei per una manica. «Guarda, Ami ha
una
cartina da farci vedere.»
Mentre le ragazze guardavano la mappa, Mamoru si trovò a
rimuginare: qualcosa non gli quadrava.
«Ragazze!» Minako arrivò di corsa, per
quel che poteva con uno zaino e
un trolley appresso. Artemis era dietro di lei.
Si ripeté il giro di saluti e fu Mamoru a chiuderlo.
«Ciao
Minako.»
«Oh...»
E adesso cos'era quel sorriso? si chiese.
«Ciao Mamoru!»
Perché tanto entusiasmo?
«Tutto bene?» continuò lei.
«... sì.»
«Senti, è da un po' di giorni che voglio chiederti
una cosa.
Non è che per caso hai qualche amico da
presentarmi?»
Eh?
«Per uscirci insieme, si intende.»
Un amico da... presentarle? «Conosco qualcuno, ma
non penso che
sia il tipo di ragazzo che
cerchi.»
Lei gli mostrò un sorriso a trentadue denti. «Le
apparenze spesso ingannano.»
Rei la strattonò di lato, rivolgendo a lui una risatina
nervosa.
Qualcosa non gli quadrava proprio.
Percepì uno strofinio contro le gambe e abbassò
lo sguardo.
«Ehi, ciao.»
Artemis non poteva parlare in un luogo pubblico tanto
affollato, ma almeno lui lo
guardava con l'espressione amichevole di sempre.
Grato, Mamoru allargò le mani e Artemis gli
saltò in
braccio.
Poco dopo, arrivò in mezzo a loro Luna. Li salutò
tutti anche lei solo con
un cenno del capo.
«Ehi, sono arrivata anche io!» Usagi si
avvicinò con un
enorme zaino, un trolley e una gabbietta per gatti al seguito.
Come prima cosa gli si fece vicina, fino a stampargli un bacio
sulla guancia. «Ciao!»
«Ciao» Con
le altre a
guardarli, Mamoru si sentì lievemente in imbarazzo.
«Se mi avessi detto che avevi tutta questa roba,
sarei venuto a
prenderti in macchina.»
«Non ti preoccupare. Ciao anche a voi ragazze!»
«E così ora le amiche si salutano dopo.»
Makoto ridacchiava.
«Sei in anticipo, si sta preparando un evento
cosmico» la
punzecchiò Rei.
Usagi le rispose con una linguaccia.
Mamoru alzò gli occhi al cielo. «Ci siamo tutti,
possiamo salire sul treno.»
«Sì.» Usagi appoggiò
a terra la
gabbietta che
aveva portato nella mano sinistra. Si abbassò per sollevare
la porticina e
fece un cenno con la testa a Luna. «Su, dentro.»
Luna la fulminò con lo sguardo.
«Credevi l'avessi portata solo per bellezza?»
Luna annuì vigorosamente e le girò attorno,
indicando lo zaino rosa.
«Questa volta non ci stai. E poi l'ho portata apposta,
l'altra volta ti
sei lamentata di quanto eri stata scomoda. Guarda quanto è
spazioso qui invece.»
Luna ingaggiò una battaglia di sguardi con Usagi: in quella
scatola da gatti qualunque lei non ci sarebbe entrata!
Artemis gli scese dalle braccia e con un balzo spinse Luna dentro
la gabbietta. In silenzio, prese a ridere a squarciagola.
«Oh, ma guarda quanto spazio c'è
ancora!» esclamò
Minako. Si piegò e con un'unica mossa spinse Artemis dentro
la
gabbietta, proprio mentre Luna era sul punto di uscire. Prontamente,
Usagi applicò la chiusura.
Lei e Minako si scambiarono un sonoro cinque, prima di esclamare
contemporaneamente «E ora andiamo!»
Mamoru si trattenne a stento dal ridere: entrò nel treno
assieme a cinque ragazze e a due gatti fumanti di rabbia.
Si ricordò di chiedere delucidazioni ad Usagi solo quando
stavano ormai sistemando le loro cose nella stanza
d'albergo prenotata.
«È successo qualcosa alle
ragazze?»
Lei trafficò con la chiusura del trolley, tentando di
aprirlo. «In che senso?»
«Oggi mi hanno guardato tutte in modo... strano.»
Il trolley fu aperto con uno scatto improvviso. «Ah
sì?»
Era una punta di ferocia quella che le sentiva nella voce? si
domandò lui.
«Ne sai qualcosa?»
«Ma no. Sarà il caldo.»
Il caldo?
«Oggi si è discusso molto del tempo.»
«Eh?»
«Nulla.» Era ora di lasciar perdere. Non doveva
essere
niente di importante, in fondo le ragazze dopo avevano ripreso
rapidamente
a comportarsi in modo normale.
«Che sole!» Makoto allargò le braccia al
cielo.
«Sì, è bellissimo!» Minako
era ugualmente
entusiasta;
corse verso un punto quasi vuoto della spiaggia.
«Qui!» Mollò le proprie cose e si
diresse rapidamente verso l'acqua.
Usagi la
imitò senza pensarci due volte.
Arrivando con più calma, Rei ed Ami appoggiarono le
proprie borse sulla sabbia, accanto a quelle
delle altre, pensando come prima cosa a sistemarsi.
Mamoru prese a piantare l'ombrellone in pezzi che si era portato
dietro.
Makoto cominciò a fare lo stesso con uno suo, con una certa
fatica. «Ehi, Minako, Usagi! Scansafatiche,
venite qui ad
aiutare!»
Erano tutte e due già sul bagnasciuga, totalmente assorte.
«Scommetto che se adesso grido che chi non lavora non mangia,
tornano qui
in un istante.» Makoto sospirò e scosse
la testa.
A Mamoru scappò una risata. «Non ti preoccupare,
ti aiuto
io.»
«Ah, no no, ce la faccio da sola.
È...» Affondò
l'ombrellone
nel buco che aveva fatto nella sabbia, sbuffando per lo
sforzo. «...
il principio però.» Si allontanò dal
palo dritto
e quello cadde subito di lato.
Fu Mamoru a raccoglierlo da terra. «Anche io sbagliavo
così
all'inizio:
il buco deve essere più profondo. Ci vuole
questo.» Tirò
fuori la pala apposita che aveva comprato e iniziò a scavare
nella sabbia.
Lei gli mostrò un breve sorriso. «Allora
grazie e
scusa per il fastidio. Inizio a tirare fuori la roba da
mangiare.»
«Eccomi!» esclamò Minako, sbucata dal
nulla.
«Manco a dirlo» ridacchiò Makoto.
«Cosa?»
«Niente.»
«Voglio essere utile, in cosa posso aiutare?»
«Aiutami a mettere la crema solare sulla schiena»
Rei era già in
costume e aveva raccolto i folti capelli neri sul petto. «Se
la metto già ora, si sarà
completamente
assorbita per quando entrerò in acqua.»
«Agli ordini!»
Avendo finito di piantare l'ombrello di Makoto, Mamoru si
guardò
attorno. «Qualcuna di voi ha altri ombrelli da
piantare?»
«Io!» esclamò Minako e corse al borsone
gigante che si era
portata dietro. Tirò fuori l'ombrellone arancione e glielo
porse con
un mezzo inchino. «Grazie!»
Ami aveva appena finito di posizionare strategicamente borse e teloni
secondo l'inclinazione degli ombrelli già piantati: non li
avrebbe portati via il
vento e col passare delle ore sarebbero stati comunque coperti dal
sole. «Si chiama sfruttamento, Minako»
commentò, di sfuggita.
«Esagerata» obiettò lei, tornando alla
schiena esposta che doveva massaggiare. «E poi sappiamo bene
che a Mamoru
l'energia non manca.»
Mamoru sentì cadere un silenzio tombale.
Beh?
Si guardò intorno e scorse Makoto che ancora preparava i
sandwich, gli occhi fissi sull'insalata.
Ami giocherellava con un dito nella sabbia e osservava attentamente il
mare.
Minako stava ancora spalmando la crema solare a Rei.
Hmm... forse se l'era solo immaginato: in fondo quello di Minako era
stato un complimento qualunque. «Grazie.»
Rei affondò il viso tra le braccia conserte.
«Grazie a te per l'ombrello.» Minako gli sorrise
tranquilla. «Se ti
serve, posso aiutare anche te con l'abbronzante.»
«Che cosa?!?» Usagi le apparve dietro, emanando
un'aura minacciosa.
Minako scoppiò a ridere, alzando le mani in alto.
«Scherzavo, sapevo che stavi ascoltando.»
«Ah, ecco.» Usagi continuò a fissarla
con divertito sospetto. «Scusate se non sono venuta prima,
ma non riuscivo a staccarmi dall'acqua.» Si tolse i vestiti,
rimanendo in un costume a due pezzi e dirigendosi quasi subito da
Makoto. «Oh, questi panini ripieni
sembrano
buonissimi!»
«Lo spero. Serviti pure. Venite anche voi, è
pronto.»
Per divorare il cibo di Makoto non serviva né essere
stremati
né avere particolare fame.
Come al solito, gradirono tutti
ampiamente: Mamoru con un complimento alla cuoca, Ami e Rei col sorriso
dell'appetito saziato, Minako stiracchiandosi quanto più
poteva e Usagi con tre colpetti lesti alla pancia piena che aveva
accolto il bis.
Più tardi, con in mano un mazzetto di carte ripetutamente
usato, Usagi annuì soddisfatta. «Poker era troppo
complicato, uomo nero è il gioco adatto a
me.»
Rei alzò gli occhi al cielo e le rubò un tre di
cuori. «Veramente all'inizio ti ho preso il joker solo per
pietà. Sei un disastro a questo gioco, dalla tua faccia si
capisce tutto quel che pensi.»
Usagi si profuse in una linguaccia. «Non è vero! E
poi adesso non ce
l'ho mica io l'uomo nero.»
Ami tirò fuori
un nove di picche a Rei e lo sistemò nel giusto ordine di
numero e seme tra le proprie carte. «Non dovevi dircelo, in
questo gioco è importante mantenere il mistero.»
Il
commento portò Usagi a riflettere. «Beh, la mia
potrebbe essere una tattica per ingannare Rei.»
«Aspetta
e spera.»
Ami
sorrise sommessamente. «Se è così
avresti fatto meglio a non dire nulla comunque.»
«Stavo solo
cercando di farvi capire che non sono un'ingenua. E poi anche la
sincerità è un'arma.» Usagi
incrociò le braccia, infantilmente risentita.
Ami si ritrovò a studiare quell'ultimo commento, arrivando a
una conclusione interessante. «Hai
ragione. La sincerità può essere uno strumento
importante in talune occasioni, tuttavia vi sono casi in cui assumere
un'approccio di difesa sarebbe più efficace; rivelare tutto
non sempre è la strategia migliore. Ad
esempio l'altra volta ti sei pentita di non averci nascosto che tu
e-» Alzò lo sguardo su Mamoru e si interruppe di
colpo, portandosi le carte alla bocca. La pelle candida del viso
sembrò d'un tratto aver passato un intero pomeriggio a
rosolare al sole.
«Ah, mi riferisco a...»
Makoto corse a sfilarle una carta qualunque. «A quella volta
che Usagi
e il gelato hanno passato un'intera ora insieme.» Rivolse una
risatina a Mamoru. «Pensa,
se lo era finito tutto senza lasciarcene nemmeno un po' ed è
venuta a dircelo candidamente.»
Rei annuì con
ripetuta convinzione. «Ma è solo un esempio.
Un'altra volta ancora mi aveva strappato la pagina di un manga ed
è venuta subito a scusarsi.» Quella era
un'invenzione
troppo plateale e cercò subito di glissare.
«Dev'essere
stato per
tutte le volte che l'ho sgridata in passato.»
Gli angoli delle labbra di
Minako puntavano a tutta forza all'insù.
«Già. Non ci ha
nascosto queste e tante
altre cose.»
Makoto colpì il
suo mazzetto di carte col proprio, non curandosi di nasconderlo alla
vista.
Ami era sprofondata nell'imbarazzo.
Usagi sembrava pronta a commettere una qualche atroce violenza.
Mamoru non se la stava bevendo più.
Minako attirò la sua attenzione e gli mostrò il
retro del proprio mazzo. «Tocca a te, prendi una
carta.»
Non gli restò che annuire distrattamente: cosa gli stava
sfuggendo?
Per il resto della partita non riuscì più a
concentrarsi e alla fine solo lui e Usagi rimasero in gioco.
Lei raggruppò le ultime due carte che le erano rimaste in un
pugno, nascondendosele contro il petto. «Vero che mi
farai vincere, Mamo-chan?»
Erano alle solite. «Quindi va bene se invece perdo
io?»
«Ma certo» gli confermò lei,
riempiendosi
il volto del piccolo sorriso che gli ricordava Chibiusa. Ne veniva
puntualmente
intenerito proprio per quel motivo, anche se
renderne partecipe Usagi sarebbe equivalso a morte certa.
Comunque la carta che lei gli stava indicando con poca sottigliezza
era appoggiata su una superficie molto morbida e in bel rilievo che lo
faceva pensare sempre e solo a Usagi.
Sospirò e afferrò per un angolo proprio la carta
indicata, trovandosi tra le mani il joker.
Usagi gli buttò le braccia al collo.
«Grazieee!»
Rei sbuffò di nuovo. «Usagi, non dovresti
approfittartene così. E tu Mamoru non dovresti darle queste
soddisfazioni.»
«Lascia
perdere.»
Makoto sbatté in aria una mano
noncurante. «Sai quante gliene avrà
già fatte avere mentre tu non eri lì a
vedere?»
Le teste di Rei, Ami e Minako si voltarono in un lento unisono
verso di lei, con identiche espressioni stupefatte.
Makoto spalancò la bocca. E scattò in
piedi. «C'è da buttare la spazzatura!»
Era scappata meno di un secondo
dopo.
Mamoru si alzò anche lui, togliendosi la maglietta che aveva
avuto indosso fino a quel momento. «Usagi, vieni in
acqua.»
«Hmm... sì.»
Mentre solcava la spiaggia dietro di lui, Usagi trovò il
tempo di girarsi e imitare uno strozzamento feroce con le mani.
Mamoru entrò in mare fino a che non fu certo di trovarsi
abbastanza
lontano da tutte le persone che si divertivano in acqua.
Solo lì si voltò verso Usagi.
«C'è qualcosa che dovrei
sapere, credo.»
«Che cosa?» Al tono mieloso si accoppiò
uno sguardo innocente.
Non se ne lasciò giocare. «Non sei una brava
attrice.»
«Cattivo, non ricordi come ho interpretato bene la strega di
Biancaneve?»
«Se stai cercando di fare la parte dell'offesa, non sta
funzionando.»
Usagi prese a scalpitare, lanciando occhiate ai dintorni.
«Niente vie di fuga. E sono più veloce di
te.»
Lei lo osservò piccata, ma non disse nulla.
«Allora?»
Era lì ferma a rimuginare.
«La verità è la risposta
giusta.»
«In molti casi, no.»
«Questo è uno di quelli?»
Si sollevarono sopracciglia speranzose. «Se dico di
sì, lascerai correre?»
«No.»
«Allora... non so. Forse sì, forse no. Chi lo
sa.» Portò le mani dietro la schiena e prese a
dondolare da una parte all'altra, in volto il sorriso di poco prima.
«Non sta funzionando.»
Dopo uno sbuffo, l'espressione di lei cambiò repentinamente.
Gli
si fece vicina,
fino a mettergli le braccia attorno al collo e le labbra vicine alla
guancia.
Il bacio lento che appoggiò lì lo distrasse per
un istante, ma fu lo sguardo che lei gli aveva regalato in ben altre
occasioni a minacciare di fargli dimenticare di cosa stavano parlando.
Passò al contrattacco stringendola e
abbassando la testa fino a poterle sfiorare il collo con la bocca. Le
provocò un brivido e, all'orecchio, le mormorò,
«Non sta funzionando.»
«Uffa!»
Usagi si staccò di colpo, affondando le mani nell'acqua.
«Quanto sei testardo!»
Lui le sorrise solamente: senti chi parla.
«Posso dirti che non ti guarderanno mai più
così.
È quello che conta, no?»
Le fece capire di no con un singolo movimento della testa.
«Non ti fidi di me?»
«Di nuovo la tattica della ragazza offesa?»
Gli occhi di lei si socchiusero in segno di sfida. «Non ti
dirò nulla. È inutile insistere.»
«Invece posso assicurarti che me lo dirai.»
«Ah sì?»
«Sì.»
«E come farai?»
Ci pensò su un attimo. «Se non me lo dici,
inviterò Luna e Artemis ogni volta che
verrai a studiare da me. O le tue amiche. Male non ti
farà.»
Nelle due precedenti settimane avevano provato a dedicare qualche
pomeriggio allo studio: ogni nuova volta avevano passato un po'
più di tempo sui libri, ma ancora non ammontava a neanche la
metà delle ore trascorse insieme. E l'inizio del nuovo anno
scolastico per lei era alle porte.
Come aveva sperato, Usagi si fece visibilmente nervosa. «Non-
Non resisterai.»
«Sbagli, sarebbe per il tuo bene: ti concentreresti sullo
studio senza alcuna
interruzione. Quindi sì, resisterò.» Se
proprio lei voleva costringere entrambi a un periodo di astinenza
forzata
pur di non rivelargli qualcosa, lui di certo non si sarebbe tirato
indietro.
I profondi occhi blu scrutarono i suoi in cerca di un'inesistente
traccia di indecisione. Poi si abbandonarono ad un'incondizionata resa.
«Sei cattivo! Va bene, prima però le mie
attenuanti.
Innanzitutto, non ho fatto capire loro nulla. Le ragazze c'erano
arrivate da sole.»
«Ah-ha.» Poteva immaginarlo.
«Seconda cosa: mi hanno assillato.»
«Sì.» Immaginava bene anche questo.
«Terzo: ho solo dato un paio di numeri.»
«Okay.» Che tipo di numeri esattamente?
«Quarto: è stato per prevenire un battaglia senza
fine.»
«Cosa?» Battaglia?
«Tra Rei e Minako. Quinto-»
«Ora me lo dici.»
Nel volto di lei si fece viva la smorfia di chi era stato
beccato con la mano nel
vasetto di biscotti.
«Ho solo casualmente, vagamente, generalmente...
menzionato... quante
volte...» Alle guance rosse seguirono occhi bassi.
«Cosa?»
«Quante volte noi... insieme... quel primo giorno...
sai?»
Che?
«Insomma, quante volte abbiamo fatto l'amore quel primo
giorno!»
Lui sprofondò nel silenzio.
In altro silenzio.
In ancora più silenzio.
E in ulterior silenz- Scoppiò.
«COSAA?!?»
Lei fece brillare i denti in un sorriso. «Non ti
arrabbiare.»
Mamoru le prese i codini bagnati con entrambe le mani.
«Che fai?»
«Sto progettando di strozzarti con i tuoi stessi
capelli.»
«Nooo! Avevo minacciato la stessa cosa se te l'avessero fatto
capire!» Partì a piagnucolare.
Lui le tirò i capelli di quel tanto che bastava ad
attirare la sua attenzione. «Usa, con che faccia mi
presenterò di nuovo davanti a
loro?»
«Non sarà necessario: ora torno in spiaggia e le
uccido» ridacchiò lei, prima di tornare un
pochettino seria. «Semplice: fai finta
di non
sapere nulla. Loro
dimenticheranno presto e fine della storia.»
Era un suggerimento sensato, ma... «Comunque lo sapranno
sempre.»
«Sì, sapranno che ci amiamo tanto. E
che ho un ragazzo con molta molta energia.»
Il commento di Minako. Arrossì. «Non sta
funzionando.»
«Bugiardo, sta funzionando eccome. Mi farò
perdonare.»
Come no. «Ti dovrai far perdonare ancora tra molti
anni.»
«Hmm... secondo me, no.» Usagi si
avvicinò di
nuovo col viso al
suo e portò la bocca all'altezza del suo orecchio.
Lì sussurrò solo poche ma efficaci parole,
allontanandosi poi
con uno sguardo molto soddisfatto.
Gli tese una mano e lo invitò a tornare a riva.
Mamoru la seguì senza una sola altra parola.
«Era un urlo quello?» Minako cominciò a
scrutare l'orizzonte pieno di bagnanti, una mano a ripararle gli occhi
dal sole.
«Sì... sembrava Mamoru»
commentò Makoto. Si era
disfatta del sacchetto della spazzatura e ora stava terminando di
spalmarsi la crema solare con energiche passate.
«Cavolo, dite che l'avrà scoperto?»
«Penso di sì. Per quale altro motivo dovrebbe
urlare?»
«Mi dispiace.» Increspò le labbra in un
sorriso che non nascose.
«Tu lo facevi apposta» sbuffò Rei,
sistemandosi
meglio sul telone steso, gli occhiali neri sopra i capelli.
«Ma Ami e Makoto no. Stavo per morire dal ridere.»
«E si vedeva.» Con un piede, Makoto le
tirò addosso un po' di
sabbia.
«Andiamo, ragazze. Non è divertente?»
«Non sei tu che forse litigherai con lui» la
redarguì Ami,
che già si sentiva in colpa.
«Ma figurati se litigano, quello è cotto! Guarda
là.»
Seguirono tutte con lo sguardo il punto indicato da Minako: Usagi
camminava
nell'acqua
tenendo per mano Mamoru, lei davanti e lui dietro.
«Che dolci.» Makoto si lasciò vincere da
un sorriso intenerito.
In lontananza, Mamoru trattenne Usagi per un braccio e si
abbassò a dirle qualcosa all'orecchio. Lei
iniziò a gettargli addosso dell'acqua. Lui fece altrettanto,
ma
pochi secondi dopo si stavano già baciando.
«Altro che cotti, sono flambè.» Rei
trattenne a stento la smorfia.
Makoto imitò l'espressione. «Ritiro
tutto, troppo
zucchero
per i miei gusti. E se li guardo ancora finisce che schiatto
dall'invidia.»
«Macché invidia!» Minako le
invitò con la mano a
guardarsi intorno. «Abbiamo un'intera spiaggia di materiale
interessante da visionare, non trovate?»
Guardandosi dietro le spalle, Makoto adocchiò un possibile
sosia del senpai che le aveva spezzato il cuore.
Fingendo disinteresse, Rei scambiò una singola occhiata con
uno niente male che la fissava da dieci minuti.
Ami valutò rapidamente che avrebbe preferito passare il
tempo
con un giovane Albert Einstein e che la biografia della sua vita era un
degno sostituto.
Minako la squadrò e sbuffò. Rivolgendosi alle
uniche due sane di mente, puntò la spiaggia. «Diamoci
da fare, ragazze!»
In definitiva, un'ottima idea.
Una gita al mare - FINE
Note dell'Autore (aggiunte in seguito e aggiornabili in futuro): grazie
a luisina, bunny1987, fasana, ISA1983, jaj984, chichilina e maxia per
le recensioni.
Sono davvero felice di essere riuscita a divertire come volevo e anche
di aver suscitato da parte vostra commenti sul carattere dei
personaggi. Addirittura parlare di 'ottima qualità della
narrazione' ed
'eleganza' mi fa quasi arrossire :) A volte mi capita di leggere cose
(libri, più che altro) che mi fanno capire che ho ancora
diversa strada
da fare, anche dal punto di vista dello stile. Ma al momento riesco a
scrivere testi che riesco ad apprezzare (e che rileggo io stessa per
divertimento :) ) e a far apprezzare e questo è
già un ottimo passo
avanti.
Grazie mille anche alle altre cinque persone che mi hanno inserita tra
i preferiti.
Ciao
ellephedre
|
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Capitolo 2 *** 2 - Una cena in famiglia ***
Oltre le stelle - scene 2
NdA
dell'Agosto 2010:
ho revisionato anche questa scena, sistemando pesantemente lo stile e i
punti di vista e aggiungendo qualche piccolo particolare alla
narrazione.
Oltre
le stelle - scene
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Note:
Per capire al meglio questa scena, è meglio leggere il
capitolo cinque di "Oltre le stelle" (anche se non è
totalmente indispensabile).
La storia dell'infanzia di Mamoru l'ho inventata, non so se sia andata
effettivamente così.
Nella storia tengo conto del sistema scolastico giapponese, nel caso vi
venissero dei dubbi in merito (sei anni di elementari, tre di medie,
tre di superiori e inizio anno scolastico in Aprile).
Grazie a chiunque vorrà lasciare un commento;
risponderò aggiornando questo stesso capitolo, in fondo.
In questa raccolta inserirò un'ultima scena, prima di
chiuderla (riguarderà i primi tentativi di allenamento di
Sailor Moon col proprio potere senza il cristallo, aiutata appunto da
Tuxedo Kamen).
2 - Una cena in famiglia
«Cosa gli piace mangiare?»
«Un po' di tutto... aspetta, le zucchine no.»
Ikuko annuì e rimase a contemplare sua figlia: davanti al
proprio
armadio, Usagi era impegnata alla ricerca di qualcosa da indossare.
Ikuko la osservò valutare attentamente un
completino rosa solo per rimetterlo al proprio posto, in fondo a
diversi altri capi che non le aveva più visto indossare
da... molto?
Un tempo sua figlia aveva adorato il rosa. «Perché
non quello?»
Usagi si voltò verso sua madre, sorpresa: era già
insolito
averla in camera sua, ma non l'aveva mai sentita
commentare il suo guardaroba. «Ahh... non so, non
mi sembra adatto. È carino, ma un po' infantile.»
Le
sorrise,
girandosi e
rimettendosi a cercare. Quella maglietta azzurra doveva essere da
qualche parte...
«Usagi. È da un po' di tempo che voglio
parlarti.»
Quando sua madre sceglieva quel tono, in genere non si
trattava mai di nulla di buono. Eppure, non le sembrava di aver fatto
nulla di male
durante le vacanze. Sfoderò un sorriso.
«Cosa c'è mamma, perché quell'aria
seria?»
Prima di iniziare, Ikuko sospirò, cercando le parole giuste.
«Usagi... va tutto bene? Mi sei sembrata
diversa
negli
ultimi tempi. Non in senso cattivo, però...»
Scosse la
testa. «È successo qualcosa?»
Nel viso di Usagi si dipinse un'espressione tra il sollievo e la...
tenerezza? Ikuko ricevette un sorriso tranquillo e un sereno diniego
col capo. «Mamma, ti
preoccupi troppo: io sto bene. Non mi è
successo nulla di particolare. Ecco,
forse... credo di sentire
un po' la mancanza di Chibiusa, tutto qui.»
Chibiusa? Oh, già!
«È vero, dobbiamo chiamarla, è da tanto
che
non la sentiamo. Lo facciamo più tardi tutti
insieme.»
Usagi arricciò le labbra. «Uhh, meglio domani. Tra
poco devo uscire con Mamoru, ricordi?»
«Giusto, che testa che ho.» Doveva mettersi a
preparare la cena. Si alzò. «Allora ricordate di
essere puntuali, per le sette e
mezza.»
«Nessun problema!»
ridacchiò Usagi.
Uscendo dalla stanza, Ikuko rimase a riflettere, poco lontano dalla
porta.
Già. Chibiusa poteva essere una spiegazione: lei e Usagi
erano sempre state molto legate e sua figlia aveva cambiato
atteggiamento più o meno da quando la piccola era tornata a
casa.
Sospirò: quella bambina mancava tanto anche a lei.
Però aveva la sensazione che non fosse stata solo la sua
partenza a cambiare la vita di Usagi. Era successo qualcos'altro,
qualcosa che le sembrava di poter afferrare fino al momento stesso in
cui il pensiero spariva. La sensazione era frustrante, destabilizzante.
Fissò il legno bianco della porta.
A Usagi era accaduto qualcosa di importante. E lei voleva saperlo,
perché sua figlia l'aveva appena guardata come faceva un
genitore col proprio figlio, quando si rendeva conto di averlo fatto
preoccupare per cose più grandi di lui, per cose
che erano una sua esclusiva responsabilità.
La sua Usagi-chan aveva appena sedici anni.
Non era più
piccola, ma era ancora giovane e niente avrebbe dovuto farla crescere
in quel modo.
Seduta sulla panchina e appoggiata alla spalla a Mamoru, Usagi
continuò col suo racconto. «Ieri
pomeriggio sono andata con Minako a fare compere
e ho preso dei pantaloncini
davvero carini. Di jeans, forse un po' attillati, però per
una
volta mi andava di provare qualcosa di diverso. Ah, sempre ieri Makoto
mi ha
detto che per il compleanno di Ami vuole organizzare un'uscita fuori e
naturalmente sei invitato
anche tu. Ami come al solito si sta preparando per una delle sue
simulazioni di ingresso all'università, non si stanca mai.
Sapessi che
ridere, ha detto che
magari
un giorno dovrei provarci anche io. Mi ha visto con un po'
più
di voglia di studiare e già mi vede accanto a lei a questo
esame.» Rise. «E
poi Rei-» Si
interruppe.
Mamoru fissava con occhi vacui un cestino della spazzatura che stava
dall'altra
parte del sentiero.
Non la stava ascoltando.
Usagi si morse la lingua: se avesse sbraitato, sarebbe sembrata una
ragazzina. E va bene, vada per il silenzio: gli avrebbe trapassato il
cranio col solo sguardo.
«Ah.»
Mamoru si voltò di
colpo. «Scusa.»
Lei si voltò con uno sbuffo platealmente offeso:
fece finta solo per metà.
«Non ti stavo
prestando attenzione, lo so. Perdonami.»
Usagi persistette nel guardare dall'altra parte.
«Stavo pensando
alla cena coi tuoi di stasera.»
Come? «Perché?»
«Non mi sento tanto sicuro
di me.»
Oh, che sciocchezza. Però... «Detto
da te, è
un'affermazione leggendaria.»
Sorridendo, gli accarezzò una guancia. «E
carina.» Tanto
carina.
«Carina?»
Sì, perché doveva ripeterglielo con questo tono
perplesso? «Sai
che ti trovo tenero quando sei insicuro.»
Mamoru trattenne un sospiro. Da qualche
settimana lui e Usagi erano entrati molto più in
confidenza e, se già da prima Usagi aveva manifestato la
tendenza a dirgli sempre quasi tutto quello
che
pensava, ora finiva col riferirgli anche commenti che
probabilmente prima aveva riservato solo alle sue amiche.
Era divertente, ma
anche imbarazzante a volte: lui non era una ragazza e non poteva
comportarsi come tale, specie nei momenti in cui parlavano proprio di
lui.
«Mamo-chan, non
fare quella faccia! Ho detto che sei tenero, non mostruoso.»
Sarebbe stata quasi meglio la seconda. «Al
mio posto, preferiresti altri aggettivi.»
Lei rimuginò con gli occhi al cielo, le labbra
arricciate. «No,
a me piacerebbe se tu dicessi che mi trovi tenera.»
Solo perché aveva sbagliato esempio. «Per
fare un buon paragone devi usare una parola
diversa. Ad esempio... caruccia.
Sei caruccia, Usagi.»
Lei fece una smorfia. «Così
sembra che parli di una
bambina di cinque anni.»
Ecco. «Esatto.
Per me 'tenero' non è così
diverso.»
Usagi sembrò finalmente capirlo. «Hmm,
allora... dolce?»
Appena meglio, ma sempre- Scosse la testa.
«Carino?»
Ah, ma questo lo sapeva già. Sorrise. «Puoi
fare di più.» Da lei aveva
ricevuto
complimenti migliori.
«Beh, ma certo.»
Usagi gli circondò la testa con le
braccia. «Potrei
dire che sei bellissimo, che baci molto bene, che mi
fai impazzire quando-»
Mamoru le tappò la bocca: non era il caso di completare
quella frase nel bel mezzo di un parco.
Usagi si ritrasse. «Quando
mi prendi in giro»
finì. Ma cosa aveva creduto lui? Ah. Gli si
avvicinò con un sorriso malizioso.
«Però
poi sai così bene come...»
Terminò la frase bisbigliandogliela
all'orecchio. «Ecco,
era questo che non volevi che dicessi ad alta voce?»
Si
scostò e lo
colpì sul petto. «Anche io so essere
discreta!» Il movimento del braccio le fece scorgere il
quadrante del suo
nuovo orologio: glielo aveva comprato proprio Mamoru come regalo di
compleanno, quello
che non aveva avuto occasione di darle.
Erano le sette.
«È ora,
dobbiamo
andare.»
Mamoru guardò il cielo ancora chiaro: era
arrivata l'ora della fine. Era peggio di un colloquio di lavoro, peggio
di... ma chi stava prendendo in giro? Era peggio di tutto, non era mai
stato così nervoso.
Si sentì tirare per un braccio e incontrò la
risata di Usagi. «Sai,
credo che se
continui così potrei divertirmi molto
stasera. Però ci tengo ad averti tutto intero per
la
fine. Riprenditi, su!»
Di malavoglia, Mamoru si lasciò trascinare verso
la macchina.
«Oh, benvenuto
Mamoru» lo salutò la madre
di Usagi, sulla porta.
Il sollievo gli uscì come fumo dalle
orecchie. «Grazie
signora.»
Ikuko Tsukino si fece benevolmente da parte, invitandolo a entrare.
Mamoru mise cautamente piede nell'ingresso, fino ad entrarci
completamente. Tolse le scarpe con calma circospetta: del
padre di
Usagi
ancora nessuna
traccia.
... forse aveva avuto un impegno di lavoro improvviso?
Un'intervista dell'ultimo minuto. Forse-
La madre di Usagi si dileguò in
cucina. «Andate pure in salotto, sono
di là.»
Sono? Shingo e-
Usagi lo aveva già trascinato nell'altra stanza.
Mamoru inspirò profondamente. «Buonasera
signore.» Riuscì a
non balbettare.
Seduto minacciosamente sul divano, simile ad un re che riceveva il
più umile dei sottoposti, Kenji Tsukino lo fissò
senza tradire alcuna emozione. «'sera.»
Spezzettò la parola come avrebbe voluto fare con lui, Mamoru
non ebbe dubbi in merito.
«Ehilà!»
Abbassò lo sguardo. «Ehi,
Shingo.»
Il fratellino di Usagi era cresciuto un po' dall'ultima volta
che lo aveva visto, ma non aveva ancora cambiato voce. Negli occhi gli
brillò una luce furba. «Sai, se ti fossi scelto
una ragazza
più carina e
intelligente ora non saresti qui a dover parlare con mio
padre.»
«Shingo!»
Usagi lo colpì alla testa.
La signora Ikuko entrò in salotto.
«Sarà pronto tra dieci
minuti.» Si pulì le mani
nel grembiule. «Mamoru, mettiti pure comodo nel
frattempo.» Gli indicò il
divano e, contemporaneamente, lanciò uno sguardo di
avvertimento a suo marito.
Per fortuna aveva un'alleata. Peccato che dieci minuti
dentro quella stanza stessero cominciando a sembrargli un'etern-
«Usagi, vieni a darmi una
mano di là.»
Cosa?
Fu sul punto di afferrare la mano di Usagi, ma si trattenne prima di
iniziare il movimento. Lei lanciò un'occhiata perplessa
prima a lui e poi a suo padre, quindi si diresse in cucina.
Regnò un momento di calma apparente.
«Puoi
sederti»
esordì Kenji Tsukino.
A Mamoru non restò che sistemarsi sulla poltrona libera. Il
fratello di Usagi sprofondò allegramente accanto a suo
padre, proprio come se non vedesse l'ora di poter assistere alla scena.
Non ci sarebbe stata nessuna scena, lui non si sarebbe comportato male
e il signor Tsukino... Era meglio non fare ipotesi.
Optò per guardarlo solo nel momento in cui avesse avuto
qualcosa da dire e iniziò a pensare in silenzio.
Nel silenzio.
E in altro silenzio.
Un paio di scarpe iniziarono a battere ritmicamente sulla moquette.
Mamoru abbassò lo sguardo e si affrettò ad
immobilizzare i piedi.
Doveva dire qualcosa. Qualunque cosa, era sufficiente che non se ne
stesse lì, zitto come un'idiota, ad aspettare che fosse il
padre di Usagi a iniziare la conversazione.
Un argomento, un argomento...
Voltò la testa e aprì la bocca per parlare.
Fermò il movimento delle labbra nell'istante stesso in cui
incrociò gli
occhi di
Kenji Tsukino.
Il padre di Usagi lo stava annichilendo con lo sguardo.
Aveva pensato di non piacergli, ma era stato ottimista. Se solo il
signor Tsukino avesse avuto una qualche idea su tutto quello che c'era
stato tra lui e Usagi, su quello che ci sarebbe stato,
allora forse- Già. Non c'era nessun forse a riguardo: il
padre di Usagi avrebbe dovuto imparare ad andare d'accordo con lui,
volente o nolente.
La consapevolezza lo rese sicuro, perciò si
limitò ad appellarsi alle conoscenze ricavate da un'intera
vita passata a dialogare con successo con adulti di ogni tipo.
Sfoderò un sorriso cortese. «La ringrazio per
l'ospitalità di questa sera.» Fu
compìto e
formale, impeccabile.
Spiazzò Tsukino-san, che si ritrasse lievemente sul divano
prima di offrirgli un cenno dubbioso del capo. «È
stata mia
moglie a proporre
l'idea. Ed è stata Usagi ad insistere, però ora
sono
convinto anche io che fosse giunto il momento di parlarci.»
Mamoru si limitò ad annuire.
Kenji Tsukino si sporse in avanti, acquisendo l'attenzione di un falco.
«Tutto ciò che so di te lo so per interposta
persona,
perciò ho delle domande.»
Non stava richiedendo risposte, le pretendeva.
«Quanti anni hai di
preciso?»
Come? «Diciannove, compiuti da qualche giorno.» Non
glielo aveva detto
nessuno?
«Giorno? Non hai iniziato il terzo anno di
università?»
Sì e poteva sembrare un'incongruenza, ma la spiegazione era
semplice. «Quando avevo nove anni ho saltato un anno di
scuola.»
La risposta non ricevette l'accoglienza gradita che si era aspettato.
Ora era una
cosa negativa essere intelligenti?
«So che non hai i genitori. Come sei cresciuto?»
Era una domanda che nessuno aveva mai avuto il coraggio di porgli, a
parte Usagi. Troppo personale. «In una casa famiglia. Non
sono mai
stato adottato perché ho
sempre dimostrato di preferire quel luogo ad altri. Ho ottenuto
l'emancipazione legale a quindici anni. Da allora vivo da
solo.»
«Come ti sei mantenuto?»
Ancora troppo sul personale. «Perché vuole
saperlo?»
«So che hai una casa e una macchina. Queste cose non si
comprano con
poco e troppo denaro alla tua età può
rappresentare un
problema.»
Abbastanza logico, non poteva biasimarlo. «Mi sono mantenuto
con
l'eredità dei miei genitori, anche se l'ho usata
principalmente
per
comprare cose che avrei avuto comunque se avessi avuto una famiglia.
Per le altre spese, cerco di limitarmi a quello che guadagno col mio
lavoro. Conosco il valore del denaro.»
«Hai seriamente intenzione di diventare medico?»
Quello era un tasto dolente. «Ho deciso quest'anno di
cambiare
facoltà.»
«Cambiare? Al terzo anno?»
Si era atteso sia l'incredulità che la velata
disapprovazione. «Ho chiesto il trasferimento al dipartimento
di
Economia Politica.»
«Perché?»
Perché non mi
serve sapere come operare su un corpo umano per fare il re. Peccato
che non potesse dare una simile risposta. «Perché
medicina
richiede impegno e dedizione totali da parte di una
persona. Per gli anni di studio, ma soprattutto per gli anni di
pratica, fino al termine della carriera. In particolare per chirurgia,
l'unica branca che interessava a
me. Ho capito che non è più questo che voglio per
la mia
vita. Non aver incontrato difficoltà negli studi non mi ha
aiutato a capirlo prima.»
La risposta l'aveva preparata, ma in effetti aveva scelto medicina
prima di incontrare Usagi. Prima di immaginare che la sua vita potesse
essere riempita da qualcosa di diverso dallo studio e dal lavoro. Anche
se, se la situazione fosse stata diversa, non avrebbe certo abbandonato
il sogno di diventare medico. Guardò il pavimento,
pensieroso. «Comunque non avrò problemi a
recuperare i due
anni persi.» Probabilmente era l'unica cosa che interessava
al padre di
Usagi.
Kenji Tsukino rimuginò tra sé prima di squadrarlo
di nuovo da capo a piedi, col preciso intento di intimidirlo.
«Per ora
è tutto quello che volevo sapere.»
Per ora?
L'interrogatorio avrebbe avuto un seguito quindi. Le obiezioni del
padre di Usagi erano tutt'altro che esaurite ovviamente; forse si stava
solo prendendo il tempo di elaborare quel che aveva sentito.
Mamoru si permise un sorriso: comunque andasse, si era aggiudicato quel
primo round.
Cercò di non palesare troppa soddisfazione.
Facendo attenzione a non rompere niente, Usagi posò
rapidamente sul tavolo la pila di piatti che sua madre le aveva chiesto
di tirare fuori dalla parte alta della credenza.
«Perché vuoi che ti aiuti proprio adesso? Sai che
dovrei
essere di là ora.»
«No, vuoi
essere
di là» chiarì sua madre, spegnendo il
fuoco della
cucina. «Ti ho chiamata perché è meglio
che si parlino un po' da
soli.»
Usagi tese un orecchio: insomma. Non aveva udito ancora nessuno alzare
la voce, ma questo la innervosiva quasi più di urla vere e
proprie.
«E poi con loro c'è Shingo.»
Come se questo fosse d'aiuto! «Mamma, Shingo ha tredici anni
e in tutti
i suoi videogiochi preferiti
scorre sangue.»
Sua madre rifletté per un momento di troppo. «Non
arriveranno a tanto.»
Non ne era convinta nemmeno lei. «È il meno di
tanto che mi
preoccupa.»
«Non stare in ansia, Usagi-chan. Conosci tuo padre, sai che
alla fine
è innocuo.»
Di solito sì, ma quell giorno le era sembrato pronto a dar
battaglia fin dal primo mattino.
Sospirò. Fortuna che in casa non sapevano nulla del periodo
in cui lei e
Mamoru si erano lasciati, altrimenti... No, non voleva immaginare l'altrimenti.
Sospirò di nuovo.
Kenji lanciò uno sguardo a Shingo, che gli sorrise furbo di
rimando.
Con suo figlio lì non poteva parlare liberamente.
«A
quest'ora c'è il telegiornale» disse e, preso il
telecomando, accese la tv.
Fece finta di concentrarsi sulle notizie.
... e così non c'erano neanche tre anni di differenza tra
quel ragazzo e Usagi. Lui aveva
pensato a quasi quattro, piuttosto. Non che l'età in
sé contasse qualcosa: a
guardarlo quello gli sembrava più adulto dei suoi anni; non
tanto di aspetto, ma di... carattere. In altre circostanze avrebbe
potuto quasi apprezzarlo, supponeva, però lì
c'era in ballo sua figlia.
Più ci pensava e meno
capiva come facessero quei due a stare assieme: cos'avevano in comune?
Quello lì era serio, impegnato nello studio e... calmo.
Usagi
invece era allegra, iperattiva, sbadata e - senza voler fare un torto
a sua figlia - molto poco seria. Forse negli ultimi tempi era un po'
cambiata, ma non così
tanto da assomigliare a quel ragazzo.
Kenji non aveva mai creduto che gli opposti si attraessero,
né che
grosse differenze di carattere potessero essere la base
per una buona relazione, se
non ad un livello puramente temporaneo e probabilmente solo... fisico.
«È pronto! Venite pure!»
gridò sua
moglie dalla
cucina.
Kenji spense la tv e si diresse in cucina, seguito da Shingo e... Mamoru. Gli
risultava difficile persino pensare al nome dell'essere che avrebbe
voluto
schiacciare come uno scarafaggio.
A tavola, durante la cena, non fece nulla per nascondere il suo
pensiero su di lui.
Il ragazzo poteva pure starsene seduto, perfettamente composto, a
mangiare con ottime maniere, ma se pensava di ingannarlo si sbagliava
di grosso.
«È molto buono, signora.»
Lo fulminò con lo sguardo. Ruffiano.
«Ah, grazie mille.»
Ikuko non sapeva neanche riconoscere quando veniva adulata con secondi
fini.
«Io invece
preferirei un po' più di sale» si
intromise
Usagi. «Papà, è vicino a te, me lo
passi?»
Kenji afferrò la saliera e si sporse in avanti, allungandosi
verso l'altro capo del tavolo per passarla.
Mamoru Chiba si alzò per prendergliela dalle mani. Si
trovava più vicino rispetto ad Usagi e Kenji fu costretto a
cedergli il sale, ma non riuscì a
trattenersi dal tirare un po' prima di lasciare la presa.
Alla sua sinistra, Shingo sghignazzò. Kenji lo
zittì con un'occhiata ben assestata.
Ikuko tossicchiò. «Ah Mamoru, vorrei
ringraziarti per aver preso a dare una mano tutti i giorni ad Usagi con
i compiti.»
Kenji si strozzò col boccone di cibo. Co-Co-Co-?!? Si
batté il petto.
«Caro, stai bene?»
Un colpo più violento lo aiutò a deglutire. Compiti?!?
Afferrò un bicchiere d'acqua, mandandola giù. Tutti i giorni?! Con i compiti?
In tutti quei giorni Usagi era uscita per andare da Chiba?
Sua figlia lanciò un'occhiata felice verso la propria
destra. «Grazie a Mamoru finalmente capisco bene cose che
prima proprio
non mi entravano.»
L'acqua gli andò di traverso.
«Caro, insomma!»
Lui tossì e scattò in piedi. «Ho
bisogno di un
attimo.» Si diresse di corsa in bagno.
Non poteva ammazzare quel verme a tavola, doveva calmarsi, calmarsi!
Fu raggiunto da Ikuko. «Kenji!» Lo spinse dentro il
bagno,
chiudendo la
porta dietro di loro. «Si può sapere che
cos'hai?»
«Io? Cos'hai tu!»
Lo bisbigliò più forte che
poteva. «Sapevi che Usagi stava andando tutti i giorni a casa
sua e
non hai detto nulla? Hai creduto alla frottola dei compiti?»
Gli occhi di sua moglie si fecero sottili. «Sì, ci
ho
creduto. Usagi mi fa vedere tutti i giorni quaderni pieni di
esercizi risolti di matematica e inglese. Sei pieno di pregiudizi verso
quel
ragazzo, ma non lo conosci come me. Come madre io
mi
fido del fatto che rispetterà i tempi di Usagi, ne sono
assolutamente sicura.»
Come madre? Quando Ikuko la metteva giù così, non
si poteva discutere: scoppiava un litigio alla minima critica.
«Kenji, calmati e dà loro una
possibilità. Credo
che
sia davvero importante che tu almeno ci provi.»
Portò una
mano
sotto il getto del rubinetto appena aperto e gli bagnò
delicatamente la
fronte. «Su, torniamo di là.»
Mamoru era stufo di sentirsi come un criminale dentro una stazione di
polizia: per tutta la durata della cena il padre di Usagi era
parso pronto a portarlo in una stanza buia, puntargli in faccia una
lampada e gridargli 'Confessa!'
Lui non aveva fatto niente di male! E non aveva dato ragione a nessuno
di venire a intromettersi tra-
... intromettersi? Il padre di Usagi aveva il diritto di preoccuparsi e
sapere.
Sospirò: senza aver mai avuto genitori, non era abituato a
sentirsi valutato e tenuto d'occhio tanto da vicino.
Riusciva anche a comprendere perché a metà cena
il padre di Usagi si fosse alterato tanto, ma non gli andava comunque
di sentirsi... accusato.
«Ehi, che ne dite di uscire in giardino?»
suggerì
Usagi,
dopo avergli lanciato un'occhiata. «È rimasto
qualche fuoco
d'artificio dalla festa di Tanabata, sarebbe un peccato aspettare il
prossimo anno per sfruttarli.»
«È una bella idea» commentò
la signora
Ikuko,
alzandosi. «È rimasta qualche bacchetta luminosa e
mi pare
anche un razzo, non
è vero caro?»
Kenji Tsukino annuì di malavoglia, ma sua moglie lo
ignorò. «Vado di sopra a prendere quel che ci
serve. Voi
uscite pure intanto.»
«Ah, aspetta mamma!» Usagi la raggiunse sulle
scale,
superandola. «Le
bacchette luminose sono in camera mia, le prendo io.»
Sparì
al piano di sopra.
A tavola rimasero in tre.
Si alzarono, uscendo dal salotto ed entrando nel corridoio. Mamoru
infilò le scarpe in silenzio. Non fu il solo.
Shingo iniziò a scalpitare. «Non ce la faccio
più, devo andare in bagno!
Torno subito, voi due aspettatemi!» Schizzò via.
Il padre di Usagi aprì con decisione la porta di casa,
dirigendosi fuori.
Mamoru lo seguì a ruota. O adesso o mai
più. «Lei vuole rompermi una gamba.»
Kenji Tsukino si voltò, sorpreso. L'attimo di confusione
svanì
immediatamente. «È così.»
Già. «Me la romperei io stesso piuttosto che fare
del
male ad Usagi in un qualunque
modo.»
Il sorriso beffardo non sembrava convinto. «Non credo che
'male'
significhi la stessa cosa
per me e per te.»
Forse no, però poteva esserci un punto d'incontro tra le
loro due visioni. «Nemmeno la costringerei a fare nulla che
non
volesse, né la
spingerei mai a fare qualcosa per cui non fosse pronta.» Fece
una
pausa. «Mi
riferisco esattamente a quello a cui stava pensando.» Era
vero: non aveva mai costretto
Usagi a fare nulla, lei era stata pronta a ciò che avevano
condiviso,
lo aveva desiderato almeno quanto lui.
La bocca di Kenji Tsukino rimase immobile, ferma in una
linea unita.
Mamoru proseguì. «Per la verità,
arriverei
persino a lasciarla se pensassi che
è la cosa migliore per lei.» Lo aveva fatto in
passato, non
stava mentendo. In ogni caso, ormai era fermo su punto.
«Però, finché Usagi mi
amerà
quanto la amo io, non
andrò da nessuna parte.»
Il padre di lei sbuffò pesantemente, voltandosi. Per un po',
rimase in silenzio.
«Perché proprio mia figlia? Siete completamente
diversi.»
Quell'affermazione si basava sull'apparenza. «Non lo siamo
poi
così tanto. E dove siamo diversi... ci aiutiamo,
completandoci.» Già. «Usagi mi completa.
E io
faccio lo
stesso per lei. Usagi è...»
Tutto il mio mondo. Ancora
una volta, non poteva dire una cosa del
genere. «La
ragazza migliore che abbia mai conosciuto. Da quando stiamo insieme,
sono felice solo quando lo
è lei.»
Sollevò lo sguardo. Non valeva forse la stessa cosa anche
per un padre?
Sì. Per questo dovevano tentare di trovare un punto
d'incontro. «Io non pretendo nulla da lei signore,
ma voglio che capisca che per me Usagi viene prima di me... prima di
qualunque altra cosa.»
... aveva esagerata, ma la frase gli era uscita di bocca prima che
riuscisse a fermarla.
Udì l'improvviso sospiro rassegnato di Kenji Tsukino,
pesante e non del tutto felice.
Si ritrovò a guardarlo in faccia.
«Allora, per me... per adesso... va bene
così.»
«Va bene cosa?» domandò Shingo,
arrivando di corsa
con una
frenata rapida.
Kenji ridacchiò. «Niente che ti
riguardi.»
Usagi e Ikuko uscirono in giardino.
Usagi sorrise nel notare la mancanza di tensione tra suo padre e
Mamoru. Finalmente.
«Uffa! E io che speravo almeno in una spintarella»
si
lamentò Shingo.
Usagi lo accontentò. «Eccola!» Con un
colpo dei
fianchi, lo
buttò a terra, scappando rapidamente dietro Mamoru.
Suo fratello sbatté un piede sul suolo e si diresse dai loro
genitori.
«Caro, tu sai come sistemare questo fuoco
d'artificio?»
Kenji annuì e si allontanò verso un
punto abbastanza pulito del terreno, col piccolo razzo in mano.
Con la coda dell'occhio, guardò dietro di sé:
Usagi stava accendendo una delle sue
bacchette. Ne aveva passato una anche al suo... fidanzato.
«Accendiamo la tua con la
mia» gli disse, sorridendo dolcemente. Poi, come la bambina
che era
stata, iniziò a far volteggiare
in aria il bastoncino che sprizzava luci.
Kenji spostò lo sguardo su Mamoru Chiba e
comprese ancora meglio perché Ikuko si
fidasse tanto di lui.
«Oh, andiamo Mamo-chan, non stare lì fermo!
Muovilo un po'
anche tu!» Usagi gli saltellò accanto.
«Okay, vediamo se riesci a riconoscere cosa faccio.»
Osservando i movimenti in aria del bastoncino di Chiba, Kenji
iniziò a notare una forma precisa. Era un...
kanji?
Il ragazzo di sua figlia completò il segno.
Amore.
Usagi lo guardò come poteva fare solo una
ragazza innamorata.
Kenji si voltò, ritrovandosi a guardare l'erba.
Aveva sempre pensato che avrebbe avuto ancora tempo per arrivare
ad una consapevolezza simile, ma quel momento era già
lì e lui non poteva più far finta di niente:
Usagi ormai grande, quasi adulta.
Sentì la mano di Ikuko sulla spalla e riprese a concentrarsi
sull'accensione del fuoco d'artificio.
Shingo si unì a lui, entusiasta. «Facciamolo
volare questo
razzo!»
Sì... lasciamolo volare.
Una cena in famiglia - FINE
Note finali: grazie a chichilina, luisina, bunny1987, USA1983, fasana,
m00nlight e romanticgirl per le recensioni. Grazie a luisina per la
particolarità delle sue recensioni. Per quanto riguarda la
tua
domanda, fasana, sì, ho intenzione di scrivere un giorno di
quando i genitori di Usagi scopriranno la verità sulla
doppia
vita della loro figlia. Però lo farò nel sequel
vero e
proprio di 'Oltre le stelle'. Penso che sia una scena che richiede una
buona trama dietro. Questo sequel comunque lo pubblicherò
dopo
la fine di questa breve raccolta e anche dopo aver completato una
one-shot su Ami, simile a quella che ho scritto su Rei (qui per Ami ho
scelto un personaggio originale, inventato da me).
Grazie a tutti per i complimenti e per aver letto le mie chiacchiere
finali. Ciao a tutti,
Ellephedre
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Capitolo 3 *** 3 - Scoprire il potere ***
Oltre le stelle - scene
NdA: questa è l'ultima scena di questa raccolta. Ci
sarà sicuramente il sequel di 'Oltre le stelle' (con un
titolo diverso, ancora da decidere), però prima
metterò online una one-shot su Ami. E forse anche altre
cose, di cui però non sono ancora sicura.
Grazie a tutti coloro che hanno recensito e seguito questa storia e che
continuano a seguire 'Oltre le stelle', mettendo la storia tra i
preferiti. Come al solito, risponderò ai commenti aggiornando questo stesso capitolo, in fondo.
Ciao, ellephedre
Appoggiò il piede sul bordo e saltò verso l'altro
tetto.
Il balzo sarebbe stato impossibile per un normale essere umano. In quel
momento infatti la sua figura era avvolta dal costume bianco
di Sailor Moon.
Sentì il sibilo solo nell'istante in cui la rosa le
schizzò vicino ad un braccio. Atterrando sull'altro tetto,
lanciò in aria il proprio diadema.
In aria l'oggetto si scontrò con un'altra rosa lanciata
nella sua direzione, distruggendola.
"Yu-huuu!" l'esclamazione di gioia le uscì spontanea.
Un paio di secondi dopo la raggiunse Tuxedo Kamen. "Sei stata
davvero brava."
"Non è vero?" Sailor Moon continuò a saltellare
sul posto.
"Quell'altra era troppo vicina. Scusami."
"Ma dai, non ti preoccupare. Più fai sul serio,
più l'allenamento
funziona. Hai visto, no? Non ero così veloce e precisa
qualche settimana fa."
Lui però non sembrava condividere il suo entusiasmo.
Il suo problema era che a volte pensava troppo. "Anche se mi avessi
colpita, sai che la ferita sarebbe guarita
abbastanza rapidamente. Succede sempre così quando mantengo
la
trasformazione."
"Sì, ma cercherò di lanciare più
lontano."
"Se non mi sento in pericolo, non rendo allo stesso modo."
"Credo sia importante che tu riesca ad
utilizzare al meglio le tue capacità anche quando non ti
senti
minacciata."
Sì, sì, tutto molto logico. "Dici così
solo perchè non vuoi rischiare."
"In parte sì."
Le faceva sempre piacere vederlo ammettere quanto tenesse a lei. Non
riuscì a trattenersi e andò ad appoggiargli le
labbra su
una guancia, dove schioccò un rapido bacio.
Approfittò
del suo momento di distrazione per levargli la maschera bianca che
portava
sempre.
"Allora facciamo qualcosa di meno pericoloso. Ora aiutami ad allenarmi
con ... l'evasione, si dice così, giusto?"
"Vuoi scappare?"
"Esatto. " Gli sventolò giocosamente la maschera davanti
agli
occhi. "Con questa. Vediamo per quanto riesci a non prendermi."
Ridendo, schizzò via, sul tetto di fianco.
Lui le fu subito dietro, ma ben più di qualche minuto dopo
Usagi correva ancora libera.
Vero, lui era ormai sul punto di raggiungerla, ma si sentiva vittoriosa
comunque: un tempo l'avrebbe presa in meno di un minuto.
Tuttavia pregustava anche il momento della cattura: non guastava che
quel tipo di gioco mettesse addosso a entrambi una scarica adrenalinica
che non si limitava alle attività di combattimento.
"All'allenamento della settimana prossima, farò polpette
delle ragazze."
Mamoru era così stanco che l'ascoltò solo con un
orecchio e con metà cervello spento.
Ma sì, sapeva che probabilmente sarebbe stato come diceva:
le
ragazze avevano programmato un allenamento speciale in comune dopo aver
saputo che lui ed Usagi avevano preso ad allenarsi insieme da qualche
settimana.
Usagi aveva insistito per intensificare il proprio allenamento proprio
durante quel weekend, in vista di quell'evento. Si erano allenati
anche la notte prima, per diverse ore.
Per fortuna il giorno dopo era
domenica, così poteva dormire.
Usagi in quel momento sembrava invece non sentirne la
necessità:
la sua voce era limpida e ben sveglia. Non capiva come potesse avere
ancora tutta quell'energia.
"Stai morendo di sonno." la sentì dire.
"Sì."
"Allora buonanotte."
Usagi lo abbracciò e appoggiò la testa contro il
suo petto, preparandosi a dormire anche lei.
Qualche secondo dopo però gli parlò ancora, "Sai
una cosa?"
Mamoru sospirò. "No, cosa?"
"Questa è la prima volta che dormiamo insieme senza ... hmm
...."
Sentì il bisogno di aprire gli occhi e alla luce della luna
vide il sorriso imbarazzato di lei.
Nonostante la stanchezza, non riuscì a non sorridere a sua
volta. "Beh ... mi hai già stremato ieri sera."
"Così mi fai passare per un'assatanata. Non mi
stavo lamentando. Era solo .."
Le accarezzò con una mano la schiena, "Lo so. Comunque se
dormo ora domani sarò riposato."
La sentì ridere e lasciò che quel suono lo
cullasse. "Buonanotte." le disse.
Registrò vagamente e solo dopo qualche attimo che non aveva
ricevuto risposta.
Passò ancora qualche istante e poi sentì un bacio
leggero sulla bocca. "Ti amo Mamo-chan. Dormi bene."
C'era ancora una parte di lui che non smetteva mai di sorprendersi
quando gli diceva dire una cosa del genere.
Forse era quella parte che ogni notte era andata a dormire in
solitudine, andando avanti con la sola speranza che un giorno ...
sarebbe stato diverso.
Quel giorno e lei ora erano lì.
La strinse fino a non sentire altro che il suo corpo, il suo respiro,
il suo odore.
Poi crollò.
La mattina dopo si svegliò col letto vuoto.
Si alzò e la trovò in salotto, seduta
sul divano e intenta a fissare la propria mano.
"Cosa fai?" le chiese, incuriosito.
Usagi si girò di scatto verso di lui, sorridendo. "Oh, sei
sveglio! Ho preparato la colazione. Te l'avrei portata di
là, ma
non avevi un vassoio adatto. Devi comprarne uno. Anzi no ... lo
comprerò io."
Lo raggiunse sul bancone, sedendosi davanti a lui mentre iniziava a
mangiare.
"Stavo ... " portò la mano in mezzo a loro, col palmo
rivolto
verso l'alto. "Stavo pensando che ancora non sono riuscita a fare
qualcosa di davvero magico da sola. Non riesco ancora a utilizzare il
potere del cristallo d'argento senza trasformarmi. E anche in quel
caso, riesco a manifestare il mio potere solo grazie a degli oggetti.
Non come le altre guerriere."
"Non sono passati neanche tre mesi."
"Sono impaziente?" sorrise. "Sì ... beh, stavo provando a
concentrarmi su una luce, una qualunque. Pensavo ... c'è
sempre
tantissima luce quando uso il mio potere, perciò magari
posso
cominciare da lì. Dal crearne una."
"E' un buona idea. Ma non sforzarti per ottenere subito un risultato
simile, non sembra facile."
Mamoru notò che lo squadrava con interesse. "Per te
sì."
Non capì. "Non riesco a creare luci."
"Già ... solo rose." Nel tono di lei era evidente l'enfasi
sull'ultima parola.
Curioso.
Certo, lui usava le rose, ma ... non aveva mai pensato di 'crearle'. Le
utilizzava, le prendeva ... era questo quello che aveva in mente quando
aveva bisogno di averne una in mano.
Crearle però ...
Usagi interruppe i suoi pensieri, "Fanne apparire una. Una rosa."
Mamoru appoggiò il braccio sul tavolo e alzò la
mano in mezzo a loro, stringendola a pugno. Quando la
aprì, girandola velocemente verso l'alto, la rosa era
lì.
L'unica cosa che sapeva su quel suo potere era che gli era
incredibilmente facile farne uso quando si trattava di Usagi.
Lei prese ad accarezzarne i petali, sorridendo. "Tu non hai bisogno di
nessun cristallo per fare una cosa del genere."
"Sì, ma il mio potere non è paragonabile al
vostro."
Lei si mise a riflettere. "Non saprei ... a queste rose fai fare un po'
quello che vuoi, in fondo. E poi ... ci sono state volte in cui mi sono
sembrate davvero potenti. Credo che la loro forza dipenda da te."
Prima che potesse pensarci, Usagi gli prese dalle mani il fiore e si
girò. Provò a lanciarlo a terra, imitando il
movimento
che gli aveva
sempre visto fare. La rosa cadde sul pavimento senza particolare forza,
perdendo parecchi petali. Lei si alzò a raccoglierla.
"E' una cosa
straordinaria quella che fai." Tornò da lui e gli porse uno
dei
petali che si erano staccati. "Questa rosa
è un essere vivente. Non è un raggio di luce, del
fuoco,
dell'acqua, un fulmine o chissà cos'altro. Non è
un
oggetto. E' ... vita." Se la portò al naso, dove ne
inspirò l'odore. Il profumo tipico di una normalissima rosa.
Ma già lo sapeva. "Ed
è anche una semplice rosa; solo tu
riesci ad usarla come fai. Credo che non sia altro che un mezzo che usi
per espandere il tuo potere."
Il suo potere? Mamoru sapeva di poter fare molto poco: la sua fortuna
era solo
quella di essere agile e forte. Erano capacità che venivano
incrementate ulteriormente quando si trasformava in Tuxedo Kamen,
così da non essere davvero umane in quella sua forma. Ma ...
"Sai che ho incominciato a trasformarmi e a venire ad aiutarti senza
neanche rendermene conto. Io penso che il mio potere sia strettamente
collegato a te. Non credo di riuscire ad espanderlo. Ci ho provato in
passato."
Usagi non commentò, ma continuò a giocare con la
rosa che aveva appoggiato sul
bancone. Poi lo guardò, "Ti sei mai chiesto
perchè ...
perchè proprio una rosa?"
"Sì. E' per via di una cosa che è successa quando
ero un
bambino, quando i miei genitori ... Era successo da poco e io ... non
avevo più nulla, ero solo. E' stata una rosa
a rappresentare per me l'inizio di una nuova speranza." Sorrise. "In
ospedale incontrai una bambina che me ne diede una. Le aveva prese per
darle a sua madre che aveva appena partorito. Me la regalò
per
farmi stare meglio. Da allora la rosa ...
ha sempre rappresentato l'amore per me. La possibilità di
non
essere
soli."
Usagi si mise a riflettere, colpita all'improvviso da un pensiero. "In
quale ospedale stavi?"
Glielo disse e la vide spalancare gli occhi.
"Quando sei stato là?"
"Perchè?"
"Perchè Shingo è nato il 23 Ottobre. E io ... la
mamma
ricorda ancora che papà mi aiutò a scegliere
delle rose
per lei. E a me sembra di ricordare che ..."
I suoi genitori erano
morti nella seconda settimana di Ottobre.
Mamoru focalizzò all'improvviso un'immagine. La bambina
aveva avuto due codini biondi ... e gli occhi blu. E
ricordò anche una voce infantile, dai meandri della memoria,
che
diceva: 'Usagi-chan ha avuto un fratellino ... '
"Eri ... tu."
Era sorprendente e così ... giusto.
Era sempre stata presente per lui, anche quando non lo aveva saputo.
Usagi gli parlò con gli occhi lucidi. "Non sai quanto ... ho
sempre desiderato poter avere la
possibilità di essere lì con te durante quei
momenti. Pensare a
quanto eri stato solo, quando eri così piccolo, mi spezzava
il
cuore. E ora so che ad un certo
punto sono stata con te. Sono riuscita a fare qualcosa che ti ha
aiutato."
Lui fece per alzarsi e andare da lei, ma Usagi lo precedette girando
intorno al bancone e abbracciandolo. "Sono felice."
E lo era anche lui. Gli sembrava di vedere un tassello della sua
esistenza tornare al
proprio posto. Anche da bambino non era mai stato veramente solo.
"A pensarci è così logico. Da dove altro mi
poteva venire quella forza?"
Lei lo guardò negli occhi. "Da te. Se ti ho dato speranza,
comunque tu hai una forza tua."
Quella poca forza che aveva l'avrebbe usata fino alla morte, se fosse
servito a proteggerla.
Ma non sarebbero morti. Sarebbero stati insieme per
un'eternità.
Non c'era un modo davvero adatto a dimostrare quanto la amasse in quel
momento.
Ma Usagi sembrò ritenere adatto cominciare con un bacio.
Giusto cominciare.
Sicuramente non c'era luogo più adatto del santuario di Rei
per
un allenamento tra Sailor. E dell'oscurità della notte.
Il boschetto che circondava il santuario era grande e non c'era
pericolo che li sentisse nessuno, inclusi il nonno di Rei e Yuichiro,
che dormivano in casa.
"Ciao, Usagi. Mamoru." li salutò Rei, già
trasformata in Sailor Mars.
Anche le altre guerriere li salutarono. Poi Makoto chiese, incuriosita:
"Partecipi anche tu, Mamoru?"
Lui scosse la testa. "Sono solo venuto ad assistere."
"Beh," iniziò Minako. "Potresti fare da arbitro. Che ne
dite,
ragazze?" Annuirono tutte. Lei gli sorrise furba. "Perfetto. Ricordati
solo che se favorirai in un qualunque modo Usagi, tutte quante faremo
in modo che tu non esca da qui intero."
"Io veramente-"
"Zitta Ami."
Ami alzò gli occhi al cielo, sospirando, e Mamoru
annuì divertito. "Sì, non vi preoccupate."
"Avete già deciso cosa fare?" chiese Usagi.
"Sicuro," Rei indicò gli alberi che li circondavano. "Faremo
un
combattimento sugli alberi, una contro una. Chi cade per primo perde."
"Andiamo a eliminazione?"
"No, pensavamo di combattere ciascuna contro tutte le altre. Poi
conteremo il numero di vittorie singole e in caso di pareggio andremo
alle eliminatorie."
Usagi guardò le altre. "Questa modalità a torneo
l'ha decisa Rei, vero?"
Minako sorrise a denti stretti. "E' così."
"Beh, che c'è di male?" si difese Rei. "Così ci
sarà maggior spirito di competizione. E poi abbiamo
caratteristiche diverse come guerriere, avere di fronte tutte le altre
potrebbe mettere in luce i nostri difetti e punti di forza."
"Sì, non è necessario spiegare Rei, siamo
già
d'accordo." si intromise Makoto. "Piuttosto cominciamo! Se non vi
spiace, vorrei iniziare io."
"Se ti va bene, andrei io contro di te." si propose Rei.
"Perfetto. Andiamo!"
"Vi seguo sugli alberi per guardare." disse Mamoru e saltò
via anche lui.
Minako sorrise. "Erano proprie entusiaste all'idea."
"E' una fortuna che Rei abbia imparato a spegnere il proprio fuoco,"
commentò Ami. "Altrimenti tra tutti questi alberi sarebbe
stato poco saggio usare il
suo potere."
Nei successivi cinque minuti osservarono attentamente lo scontro
serrato tra Sailor Mars e Sailor Jupiter. La seconda vinse di misura:
la potenza del suo fulmine rivaleggiava alla pari con
l'intensità del fuoco di Rei, almeno in quel frangente,
quando i poteri venivano lanciati in fretta e con più
attenzione per la precisione che per la potenza. Ma Makoto era
sicuramente
superiore in quanto a forza fisica e agilità.
Quando
riuscì ad avvicinarsi abbastanza a Mars, trovò il
modo di
farla cadere.
Tuxedo Kamen riuscì a impedire il contatto di Rei col suolo.
Makoto rise dall'alto, "Allora farai anche da materasso?"
"Se riesco sì. Siete molto veloci."
"Grazie Mamoru." Rei, tornata in piedi, puntò giocosamente
un
dito contro Makoto. "Un giorno avrò la rivincita. E ci sono
ancora quattro scontri, non è detta l'ultima parola."
"Infatti, ma stasera mi sento un leone!" Makoto portò i
pugni in aria.
Minako, arrivata ai loro piedi, rise. "Può darsi, adesso
però scendi. Abbiamo deciso che tocca a me e ad Usagi."
Makoto scese e assieme a Rei ed Ami guardò con grande
interesse
lo scontro tra Usagi e Minako; voleva proprio vedere se i suoi
allenamenti con Tuxedo Kamen fossero serviti a qualcosa.
Tre minuti dopo Minako cadde a terra, non molto lontano da
lì. "Ahi!"
Mamoru atterrò quasi contemporaneamente accanto a lei.
"Scusa,
non sono riuscito a raggiungerti." La aiutò con una mano a
rialzarsi.
"Ti sei fatta male, Minako?" chiese Usagi dall'albero accanto, con una
nota di preoccupazione nella voce.
"No, no." Minako si massaggiò il fianco e rise.
"Sei diventata forte, ragazza."
Minako aveva visto il diadema di Sailor Moon sviare più volte la
propria catena
dell'amore. L'aveva usata inutilmente nel tentativo di afferrarla e mandarla al
suolo.
Quando aveva capito che non avrebbe funzionato, era passata al
più semplice scontro fisico. Alla fine, si erano scontrate
in
aria battendo i tacchi l'una contro l'altra, ma lo slancio di Usagi era
stato più potente e aveva finito con l'avere la meglio.
"Ora tocca a me," disse Ami. "Contro chi vado?" si rivolse a Rei e
Makoto.
"Io me la sento ancora," si intromise Usagi. "E poi guarda
là Rei, è ancora stremata."
"Ha, figurarsi! Vuoi solo vantarti." Le due si scambiarono una
linguaccia reciproca. "Va e distruggila, Ami!"
Ami rise, "Tenterò."
E a vincere fu Sailor Mercury. Usagi si ritrovò a
sottovalutarne
l'acume e si maledì da sola per la propria arroganza.
Ritrovandosi in chiara superiorità, prese sottogamba la
nebbia
di Ami e le permise di coglierla di sorpresa.
Alla fine, Mercury riuscì in effetti a vincere solo contro
di
lei, ma impegnò tutte le altre in scontri molto impegnativi,
che
si decisero solo all'ultimo istante. Mancava di potenza e
velocità, ma la sua strategia di combattimento era
formidabile.
Venus riuscì a battere anche Jupiter e Mars. Col suo fascio
di
luce fu abbastanza veloce da riuscire a tagliare il ramo da sotto i
piedi di Makoto prima che questa riuscisse a spostarsi. Poi, pur
stremata dal lungo scontro, riuscì a cogliere alle spalle
Rei e
a buttarla di sotto. Anche con Ami fu decisamente la sua
agilità a
prevalere.
Jupiter piegò sia Mars che Mercury, ma non riuscì
a
battere nè Venus nè Sailor Moon, che non si
lasciò
cogliere in fallo nemmeno una volta.
Mars battè solo Mercury alla fine, ma il suo ultimo scontro
contro Sailor Moon fu memorabile. Fu la sua sola volontà di
non
perdere a far andare avanti avanti l'incontro per quasi un quarto d'ora.
Alla fine Rei era decisamente frustrata. "Che disastro! Non pensavo mi
andasse così male. Ti avevo contata tra le mie vittorie,
Usagi."
Usagi le fece vedere la lingua. "Hai fatto male."
Mercury si avvicinò a loro. "Sei molto migliorata Usagi.
In precisione, velocità e forza. Hai perso contro di me solo
per
sfortuna."
"No, perchè mi manca il cervello." Usagi si battè un
dito sulla
testa. "Non avevo proprio pensato a quello che avresti potuto fare. Tu
Ami sei la migliore a pianificare uno scontro."
"Può darsi, ma non è servito a vincere.
Dovrò
allenarmi di più, è chiaro che non ne ho bisogno
solo
nello studio."
Usagi sorrise, vedendo che Rei non aveva ancora smaltito la rabbia per
le sconfitte. "Non prendertela Rei. Questo non è stato
proprio
uno scontro tra i nostri poteri, altrimenti probabilmente avresti vinto
tu su Minako e Makoto. In concentrazione e determinazione è
difficile batterti."
"Sì, lo ammetto anche io, Rei." disse Makoto.
Rei scosse la testa, rilassandosi. "Mi secca ammetterlo, ma oggi
è venuto fuori che sono meno
veloce di voi. E meno forte di Makoto fisicamente, ma questa non
è una
novità."
Minako si mise le mani sui fianchi e ridacchiò soddisfatta.
"Io
invece sono a posto. Sono la perfetta combinazione di forza,
velocità e cervello. Non per niente sono diventata una
guerriera
prima di voi." Puntò un dito in alto, in segno di supremazia.
"Ma sentitela," Usagi rise divertita. "Io ho vinto il tuo stesso numero
di scontri, credo che abbiamo bisogno di uno spareggio."
"Eh? No, grazie!" Dopo la baldanza di prima, la sua improvvisa ritirata
fece
ridere tutti quanti. "Sono stanca morta e poi sono sicura che
vinceresti di
nuovo. Parlando seriamente, ho vinto contro Makoto
grazie ad un poco velocità in più e contro Rei ed
Ami mi
è stato molto difficile. Infatti è bastato
qualcuno che
avesse le mie stesse capacità ad un livello superiore,"
annuì verso Usagi. "E ho perso rapidamente." Scosse la
testa.
"No, non mi sento affatto sicura di me. Durante tutti gli altri scontri
ho
pensato più volte di poter perdere. Dovrò
allenarmi anche io."
"La stessa cosa vale per me," concordò Makoto. "Devo farti i
miei complimenti Usagi. Sei davvero migliorata tanto. Non avrei proprio
potuto batterti."
"Eh? Grazie mille!" Usagi si mise una mano dietro la testa, sorridendo
imbarazzata. "E' tutto merito di Mamo-chan! Mi mancavano
agilità
e forza fisica e allenandomi con lui nei weekend sono riuscita a
migliorarmi. Lui sotto questi aspetti non è inferiore a
nessuno
e io sono ancora lontana."
Mamoru colse nella sua voce il solito orgoglio che aveva nei suoi
confronti. "Ma manco quasi del tutto di potere. In un scontro al
massimo delle forze, mi distruggereste tutte quante."
"Solo se non ci colpissi prima." Usagi si rivolse alle amiche. "Non
dategli retta, ultimamente gli piace sottovalutarsi."
Le ragazze risero.
"Allora," riprese Ami. "Io andrei. Questi scontri mi hanno stremata e
ho bisogno di una bella dormita."
"Io pure." confessò Minako. Makoto annuì.
"Ah, Usagi, prima ha chiamato tua madre." le comunicò Rei.
Nessuno fiatò.
"Le ho detto che stavi facendo un bagno. Chiamala domani mattina."
Ciò che era implicito in quel discorso non venne detto.
"Grazie mille, Rei."
Rei sbattè una mano in aria. "Sì, sì.
Buonanotte a tutti allora." Detto questo, si diresse verso casa.
Minako saltellò su un albero. "Ciao ciao." Fece l'occhiolino
a Usagi. "E buon divertimento!"
Ami parlò prima di pensare, "Ma non è troppo
stanca per-" si portò una mano alla bocca. "Io vado, ciao."
Sparì in un secondo fra gli alberi, inseguita dalla risata
di Minako, che subito si unì a lei.
Makoto li salutò anche lei ridacchiando.
Rimasti soli, dopo un attimo di silenzio, sia Mamoru che Usagi
scoppiarono a ridere sonoramente.
Poi si avviarono verso casa.
Durante il tragitto, saltando di tetto in tetto, mentre seguiva Mamoru
a poca distanza, Usagi continuò a pensare.
Sì, era stata brava.
Ma era ancora troppo lontana da quello che voleva fare davvero: usare il
potere del cristallo d'argento senza averlo in mano.
Anche perchè, era una contraddizione: lei lo aveva addosso
il cristallo d'argento. Sempre. Era il suo seme di stella dopo tutto.
La cosa davvero straordinaria era che riuscisse a staccarlo dal proprio
corpo per utilizzarlo. Che non morisse senza avere la sua energia
dentro di sè.
Forse però ... ripensò al cristallo che aveva al
petto. Forse era proprio quel cristallo a non essere altro che un
guscio, un guscio che le serviva solo a utilizzare un potere che invece
era dentro di lei. Che le serviva a focalizzarsi. Proprio come la rosa
per Mamoru.
Ci aveva pensato a lungo ed era arrivata a quella conclusione.
Un'idea del genere sembrava non coincidere con quanto aveva saputo del
futuro.
La Regina Serenity che sarebbe diventata non era riuscita a contrastare
la Luna Nera senza il suo cristallo, preso da Chibiusa, inglobato dal
suo piccolo corpo.
Ma qualcosa non le quadrava neanche lì: nonostante
tutto, le sembrava di essere ad un passo dal riuscire ad utilizzare il
suo potere senza il cristallo. Non riusciva a capire come potesse non
esserne già capace in futuro. E, anche se non sarebbe
riuscita a spiegarne il motivo, sentiva che se avesse dovuto combattere
ora contro il grande Saggio, non avrebbe fatto fatica quanto in
passato.
Non dopo Galaxia, che era stata impregnata del potere di Chaos. Chaos,
il fulcro del male che aveva generato ogni altro male, grande Saggio
compreso.
Ad avvalorare la sua teoria poi c'era il passato: sua madre, la
precedente regina Serenity, aveva mandato sulla terra il proprio
cristallo d'argento. E così facendo era morta, proprio come
se fosse stata privata del proprio seme di stella.
Il cristallo d'argento che aveva usato contro il Regno delle Tenebre,
quello andato distrutto nello scontro finale ... era stato quello di
sua madre. Sua madre il cui spirito era sparito quando le
aveva fornito il nuovo cristallo d'argento.
Il proprio, questa volta.
Forse quello che rendeva speciali le regine della luna era la loro
capacità di separare il proprio potere in un cristallo, di
'rendersi' cristallo, in un certo senso.
Galaxia aveva avuto una capacità simile in fondo. Ma lei
aveva addirittura dato forma umana al suo seme di stella.
O forse ...
Sospirò. Forse stava solo facendo una gran confusione.
Qualunque fosse la verità, poteva comunque continuare a
provare a usare in modo autonomo il proprio potere.
Si trovavano su un edificio molto alto ora e calcolò
attentamente la distanza dall'altro edificio per calibrare bene il
salto da fare.
Appoggiando il piede sul limite del tetto, si sentì
rapidamente sbalzare in avanti e cadere nel vuoto.
Era scivolata!
Fu il pensiero di un secondo.
In quello dopo pensò, 'Non può finire
così.'
Ma ormai era a parecchi metri di distanza dal tetto, in caduta libera.
Vide il mantello di Mamoru sopra di lei, mentre si buttava anche lui,
ma era troppo lontano, troppo.
E non poteva finire così.
Non poteva.
No.
No!
Dev'essere ora, ora!
E successe.
Iniziò a fluttuare.
Fu superata in volo da Mamoru, che allungò il proprio
bastone giusto all'ultimo, per attutire, seppur violentemente, la
propria caduta.
Lei invece toccò terra, nel vicolo spazioso, in maniera
delicata.
"Ce l'ho fatta ..." lo mormorò piano a se stessa, piena di
felicità. E' vero, era ancora trasformata in Sailor Moon, ma
era riuscita a utilizzare il cristallo in modo incredibile con la sola
forza di volontà e senza avere di fronte chissà
quale nemico.
"Ce l'ho fatta." ripetè, vedendo Mamoru avvicinarsi
rapidamente a lei.
"Ce l'hai fatta?" Lo vide guardarla incredulo e scuotere la testa. Poi
iniziò a stringerla così forte da bloccarle quasi
il respiro.
Che stupida. "Non ti preoccupare. Sto bene, sto bene. Non è
successo niente."
Ma per un attimo risentì anche lei dentro di sè
quel senso di impotenza che aveva provato per qualche istante, quel
senso di terrore profondo.
"Sono qui, con te." Ma questa volta lo disse anche per tranquillizzare
se stessa.
Sentì i brividi nel corpo di lui, così forti da
arrivare a scuoterlo. No, se fosse crollato in quel momento sarebbe
crollata anche lei.
"Stai calmo, sono qui." Ma ormai aveva già le lacrime nella voce.
Stava per succedere e non-. "Portami a casa, amore."
Forse fu il singhiozzo che le udì nella voce o il fatto che
non l'avesse sentita quasi mai chiamarlo così.
Ma Mamoru si riprese e, cercando per quanto possibile di evitare i
tetti, la riportò nel suo appartamento.
Due ore dopo Usagi si svegliò col vento sul petto nudo.
Quando erano entrati avevano dimenticato di chiudere la finestra. Si
alzò a farlo.
Tornò nel letto, caldo dei loro corpi, e appoggiò
ancora una volta la schiena contro il petto di lui.
Guardò le proprie mani e si concentrò su di loro,
molto intensamente.
E, in modo quasi impercettibile, crebbe una minuscola luce.
"Ce l'ho fatta ancora," mormorò molto piano, sorridendo. E
ora non era nemmeno Sailor Moon. Ma ormai aveva capito a quale parte di
sè doveva attingere per usare quella forza.
A quella parte profonda, quella dove giacevano tutti i suoi sogni e
tutte le sue speranze. Tutto il suo amore. Era lì che
risiedeva tutta la volontà che le serviva per usare il
proprio potere.
Ma aprire quella parte di sè era come denudarsi, scoprirsi
totalmente. L'incidente di poco prima era servito solo a ricordarle che
più volte aveva temuto di perdere tutto quanto e che non poteva non aprire quella parte di sè, quando serviva.
L'unica sua forza stava davvero in tutto quello che per fortuna
aveva ancora.
La piccola luce crebbe, fino a diventare della dimensione di una
lacrima.
"Che cos'è?" sentì all'orecchio.
"Una luce. Ce l'ho fatta." Si girò appena verso Mamoru,
sorridendo. "Guarda." La portò appena più vicino
ai loro visi.
Poi lo vide allungare una mano, per fermarla a pochi centimetri dalla
luce. "Credi che bruci?"
"No." Ne era sicura.
La mano di Mamoru passò attraverso la fonte luminosa, che
andò ad illuminare persino
l'interno della sua pelle. Mamoru vide le ossa del proprio dito, i vasi
sanguigni, i nervi. E non sentì il minimo dolore.
"Ma è ... fenomenale."
"Sì." sorrise Usagi, sentendosi piena di soddisfazione. Poi
la sua contentezza svanì e assunse un'espressione
preoccupata.
Mamoru percepì il suo silenzio. "Cosa
c'è?"
Usagi richiuse la mano e la luce sparì. "Mi sento un po' ...
debole."
Mamoru rammentò le molte volte che era svenuta dopo aver
utilizzato il suo potere nella sua forma più pura. "Per ora
non sforzarti."
La sentì annuire contro il proprio viso.
La strinse ancora a sè e, addormentandosi nuovamente, si
ricordò ancora una volta che avrebbe potuto farlo per molto
altro tempo ancora.
FINE
Risposte alle recensioni: grazie dei commenti a romanticgirl, bunny1987, luisina ed Ami_Mercury. Sono felice che sia piaciuta la parte della 'rosa'; era un'idea che aveva in mente da un po'. Grazie come sempre a luisina dei commenti sui diversi pezzi, è bello vedere cosa ne avete pensato. Mille grazie ad Ami_Mercury: penso di aver corretto quegli errori, mi erano proprio sfuggiti e ora che mi li hai fatti notare la storia è finalmente a posto, come dovrebbe essere.
Grazie ancora a tutte e buon anno nuovo! |
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Capitolo 4 *** 4 - Antichi litigi ***
sailor moon
Note: in una delle puntate della prima serie, durante uno
dei soliti litigi infantili tra Usagi e Mamoru, ho avuto modo di
leggere il vero dialogo che era intercorso tra i due. Le parole di
Mamoru mi hanno fatto morire dalle risate :D Ringraziate quindi i
sottotitoli dei DVD della Dynit per questa one-shot.
Ho scelto di inserire questa storia all'interno della raccolta 'Oltre
le stelle - scene' perché volevo ambientarla dopo la terza
scena ma prima della prima scena di 'Interludio'. Questa piccola storia
mi sembrava adatta per questa raccolta, visto che parla di Usagi e
Mamoru e di un momento della loro relazione successivo a 'Oltre le
stelle'. Come periodo siamo nell'autunno o inverno del 1995, prima
dell'inizio di Acqua viva.
Oltre
le stelle - scene
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
4 -
Antichi litigi
Chi va con lo zoppo impara a zoppicare
Ogni pentola ha il suo
coperchio
L'immondizia va al suo
posto
A ogni testolina a
odango il suo perdente.
Tre anni dopo Usagi si svegliò nel suo letto, gli occhi
spalancati.
Legò il sogno a un chiaro ricordo.
Si dipinse il volto di un sorriso pieno di malvagissimo amore.
Quello stesso pomeriggio, come da accordi, andò a
trovare Mamoru Chiba.
Ex-principe Endymion, futuro sovrano, futuro padre di sua figlia e suo
attuale fidanzato nei guai.
«Ciao» le disse lui sulla porta, felice. In passato
per salutarla si
era limitato spesso alle sole parole, ma da quando si erano... ehm,
scoperti, lui era diventato molto più affettuoso.
La baciò sulla guancia, indugiando per un tenero momento col
respiro sulla sua pelle.
Riempiendosi le narici del profumo di lui, un magnifico odore naturale
che
avrebbe dovuto essere imbottigliato e venduto per il bene
dell'umanità, Usagi iniziò a pensare
che il passato fosse passato, che i rancori erano una cosa negativa,
che tante cose erano cambiate e che-
Mamoru andò in cucina. «Se non ti dispiace oggi
avrei
bisogno di comprare una nuova pentola.» Con una smorfia
stizzita,
profondamente scocciata, lui ne tirò fuori una annerita.
«Ieri
ho bruciato la migliore che avevo.»
Dang!
Il gong nella sua testa diede inizio alla battaglia.
Peggio per lui che in tre anni non aveva cambiato faccia! «Ma
certo»
gli sorrise melliflua. «Andiamo!»
«Ne preferisco una col fondo più basso»
disse Mamoru,
esaminando attentamente l'interno di una pentola lucente.
Alle sue spalle Usagi trafficò con una confezione chiusa,
strappando le chiusure e aprendola. «Mi sa che questo
è il
suo coperchio!» Fece volare il braccio in un arco.
Completamente per caso, Mamoru si beccò una sonora
coperchiata
alla nuca.
«Oh! Scuuusa!»
«Ti fa ancora male?» gli chiese lei una volta fuori
dal negozio, non del
tutto pentita.
«No... non preoccuparti.»
Non è che lei si stesse proprio preoccupando. Lo aveva visto
prendere in pieno attacchi mostruosi, ondate di energia e una volta,
per errore, persino l'Aqua Shine di Sailor Mercury - era stata lei a
deviarlo e poi si era scusata in un modo che le aveva tolto ogni
secondo di colpa - perciò sapeva che la testa di lui era
fatta di ferro inossidabile e infrangibile. Poteva prendersi qualche
colpetto in più, soprattutto se ampiamente meritato.
«Ah!» fece Mamoru, inciampando in avanti.
Riuscì a non
cadere e si guardò indietro. «Un sasso.»
Ma allora, pensò Usagi, lo faceva apposta.
Riprese a camminare e osservò per bene il marciapiede che
stavano percorrendo. Costeggiava il parco, ma niente più
sassi nelle vicinanze.
Mamoru la raggiunse. «Cerchi qualcosa?»
«No no» fischiettò lei. «Che
ne dici se andiamo a mangiare
in quel posto?» Indicò con un braccio largo un
ristorante
dall'altra parte della strada.
Lui si voltò. «Va bene.»
Iniziò ad avanzare.
Lei allungò una gamba.
Lui inciampò e, tentando di riprendere
l'equilibrio, bilanciò il peso portando avanti velocemente
la gamba opposta. Col ginocchio colpì un palo.
«Ahia!»
«Oh no! Scusa!»
Attraversarono la strada con lui che quasi zoppicava.
«Usa...»
Lei trasformò l'espressione in innocenza.
«Hm?»
«Per caso... c'è qualcosa che non va?»
«Ma no!» ridacchiò lei.
«Piuttosto non ti fa più
male niente, vero? Oggi sono stata così sbadata.»
«... già.»
«Che ti prende?» gli chiese, curiosa.
«Nulla.»
«Bene.» Sorrise.
Lo lasciò coi suoi dubbi. Per quanto la riguardava poteva
tenerseli vita natural durante.
Sarebbe finita così.
Sarebbe veramente finita così, senza più feriti.
Ma, verso la fine del loro pranzo, Mamoru guardò malamente
le zucchine che aveva separato dal resto del cibo. «Non
l'avrei
ordinato se avessi saputo che c'erano anche queste. Sono da
buttare.»
Lo faceva apposta!
«Non mi sembrano così brutte.» Lei si
sporse sopra il
tavolo, in pugno i bastoncini con cui aveva mangiato. «Hanno
anche loro una loro
dignità, no?» Le
trascinò all'interno del piatto.
Fuori dal piatto e sopra i pantaloni di Mamoru.
Lui scattò in piedi.
«Ah!» si coprì la bocca lei, con
entrambe le mani. «Perdonami!»
«Usako.»
«Sì?»
«Cosa c'è che non va?»
Erano entrati nel parco. Lei adocchiò un chioschetto mobile
per il tiro a segno e si illuminò.
«Giochiamo!»
«Cosa?»
«A quello!» lo afferrò per un braccio.
«Dai!»
«Ma perch-»
Lei lo trascinò di corsa verso il suo destino.
«Devi sbagliare, Mamo-chan.»
Lui abbassò il fucile giocattolo e la guardò come
se non capisse più nulla. «Non vuoi quel coniglio
gigante?»
Oh, era tentata perché il coniglio era bellissimo: rosa,
morbido, con una faccina adorabile, ma... no! «Devi
perdere.»
«Perdere?»
«Sì!» Perché a ogni testolina
a odango il suo
perdente, no? Era ora per lui di dimostrarglielo.
«Usako...»
Lei incrociò le braccia e gli diede la schiena.
«Non ti
guarderò più in faccia se non perdi!»
Dopo un momento di silenzio sentì dietro di sé
una serie di colpi rapidi - sparati a caso, pensò.
Si girò per fare pace.
«Ma sei fortunatissimo ragazzo!» Il gestore del
chiosco si
accucciò sotto il bancone. «Tiri senza guardare e
ti
becchi lo
stesso un premio.» Gli porse una piccola custodia trasparente.
Usagi spalancò la bocca e marciò via.
«Usa!»
Lei accelerò il passo. «Oggi non ti voglio
più vedere!»
«Non l'ho fatto apposta!» gridò lui.
«Non mi interessa!»
Maledizione, qual era la strada per uscire?!?
«Usa.» Si sentì prendere un polso.
Non ebbe la forza di strattonarlo via. Iniziò a
piagnucolare. «Uffa....» Avanzò di un
passo e
riuscì ad appoggiarsi contro il petto di lui, del suo
fidanzato che avrebbe dovuto difenderla dal cattivo che l'aveva fatta
piangere o almeno, almeno!, punirlo per bene.
«Uffa...» Lo
colpì con un pugno debole. Perché lui e il
cattivo erano la stessa persona?
«Usa?» Esitando, Mamoru le massaggiò le
spalle. «Non ho
capito niente. Cosa c'è che non va oggi? Dimmelo.»
Lei tirò su col naso e deglutì. Si
tirò indietro, per guardarlo in faccia. «Beh...
Stamattina
non me l'ero presa molto.» Erano passati tanti anni in fondo.
«Per cosa?»
Il tono innocente la fece sbottare. «Per quanto eri
antipatico! Lo sai
cosa mi hai detto?»
Lui sussultò. «Eh?»
Ora glielo faceva ricordare! «Quando ti avevo detto che mi
piaceva un
ragazzo che poi era Motoki e lui mi aveva detto che ero
speciale!»
«Eh?» ripeté lui, confuso e
più attento.
«Tu mi hai detto-» Lo scimmiottò al
meglio delle sue
possibilità, assumendo la stessa aria altera e antipatica
che l'aveva fatta stare male. «Chi va con lo zoppo impara a
zoppicare,
ogni pentola ha il suo coperchio, l'immondizia va al suo posto, a ogni
testolina a odango il suo perdente.» Nel ripetere tutte
quelle
cattiverie ad alta voce si riempì di furia. «Tutte
quelle
frasi pronte per parlare male di chi si sarebbe messo con me!»
Fu colpita, letteralmente colpita, da un'intuizione geniale,
meravigliosa. Cambiò espressione. «Per caso... eri
geloso?»
Mamoru si era rabbuiato. «No.»
Lei espirò via una nuova ondata di rabbia. «Allora
eri solo
cattivo.»
«Ero stupido. Scusa.»
Lei abbassò lo sguardo. «Non basta.» Ma
bastava, era quella
la cosa peggiore. Erano passati tre anni da quando lui si era
comportato in modo tanto infantile, ma sembravano passati secoli con
tutto quello che era successo da allora. Lei se l'era presa solo
perché era ancora una sciocca, ma... «Mi
sarebbe bastato che
perdessi al gioco di prima per dimenticare tutto quanto.»
«A ogni testolina a odango il suo perdente?»
comprese lui.
Lei annuì, mogia.
«Scusa.»
Lei non riuscì a dire 'Va bene' e si sentì
stupida.
Udì un suono e le parve, forse, un sorriso.
«Sai cosa farei se potessi? Tornerei indietro nel tempo e
direi al me
stesso di allora di piantarla. Si stava rendendo ridicolo.»
Usagi aggrottò la fronte, ma manenne lo sguardo basso.
«Non ero geloso di te, Usa. Solo invidioso, te l'avevo
detto.»
Invidioso della sua allegria, della sua spensieratezza, della sua vita
tranquilla e felice, come quella che lui non aveva mai avuto.
Alzò lo sguardo, sentendosi meschina non in passato ma in
quel preciso momento. «Scusa.»
«Me l'hai detto spesso oggi» sorrise lui.
«Dopo tanti incidenti.»
Lei scrollò le spalle.
«Me li meritavo» concordò Mamoru.
«Già.»
«Lo vuoi?» si sentì chiedere.
Abbassò lo sguardo. «Cos'è?»
Lui aprì il premio che aveva vinto al chioschetto. Da una
confezione di plastica minuta estrasse un anello di plastica
altrettanto minuto ma molto grazioso.
«In segno di pace» fece lui, prendendole una mano.
«Immagina che abbia
voluto dartelo dopo il ballo in maschera a cui avevamo partecipato. Era
passato poco tempo da quando avevo insultato il tipo che sarebbe
diventato
il tuo ragazzo, perciò mi sembra una bella vittoria per te:
a
quel ballo ero io a seguirti dappertutto, non il contrario.»
Per non sorridere troppo lei si morse le labbra. Quando ebbe al dito
l'anello azzurro sollevò in aria la mano e rimirò
la graziosa lucentezza del gioiello di plastica. «Beh, ma ero
trasformata. Era merito della penna lunare.» Inoltre, se non
fosse
stato lui a seguirla, lei lo avrebbe braccato senza lasciargli un
attimo di respiro.
«Ti faceva sembrare un po' più grande.»
Lui seguì
con lo sguardo l'anello. «Meno di adesso però.
Chiariamo che io ora sarei felice di
chiamarmi zoppo, coperchio, immondizia e anche perdente se servisse a
stare con te.»
Lei cercò di non saltargli al collo. Fu uno sforzo tremendo.
«Ti se molto evoluto in
questi anni. Dalle stalle alle stelle.»
«Diciamo così» sorrise lui, tranquillo,
dolce e di nuovo
solo e solamente il suo Mamo-chan.
Usagi si morse le labbra. «Te la prendi se interrompiamo il
nostro
appuntamento e torniamo a casa tua?»
L'espressione di lui iniziò a intuire.
«Per farmi perdonare» aggiunse lei.
Mamoru annuì. «No. Stranamente non me lo
prendo.»
Usagi intrecciò le dita con le sue e sorrise al cielo.
«Andiamo allora!»
FINE
NdA : spero che questa piccola storia vi abbia fatto divertire
:)
Ogni commento è sempre graditissimo.
Se aspettate nuove per la terza parte del capitolo 26/2 di 'Verso
l'alba', volevo solo farvi sapere che sono un po' bloccata, ma
è normale: sapevo che sarebbe stata
complessa da scrivere. Per questo ho scelto di prendermi un'oretta di
pausa e buttare giù questa storiella semplice.
Alla prossima!
ellephedre
|
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Capitolo 5 *** 5 - Troppo studio ***
Oltre le stelle scene 5 - Troppo studio
Episodio 5 -
Troppo studio
Era impossibile. Facendo del suo meglio aveva imparato i
domini, le
derivate prime, le derivate seconde, che cos'erano i punti di massimo,
di minimo, di flesso... Era stato tremendamente complicato!
Adesso non le si poteva chiedere di studiare anche la funzione
di 'e' elevato alla x! Lei non sapeva da dove cominciare!
Sollevò gli occhi dal foglio.
Oltre il tavolo Mamoru studiava sereno. Si fidava.
Lei non poteva arrendersi senza aver nemmeno
cominciato. Le risposte stavano nel libro, no?
Poteva consultarlo, quello era solo un esercizio. Poteva
saltare fuori
all'esame di ammissione, e se lei non scriveva neppure mezza parola...
Rabbrividì e cominciò a sfogliare le pagine.
«Va tutto bene?»
Si morse un lato della bocca. «Solo un ostacolo.
Adesso lo
supero.»
«Se vuoi un aiuto, sono qui.»
Evitò di guardarlo. Quando vedeva gli occhi gentili
di lui
aveva
sempre voglia di buttarsi tra le sue braccia, per chiedergli di
risolverle tutti i problemi che aveva.
Era sbagliato, all'esame sarebbe stata sola.
Se non capiva nulla dell'esercizio, era chiaro che doveva
ricominciare
dal principio.
Da qualche parte c'era scritto sicuramente qual era il dominio di
quella brutta lettera 'e'.
... forse aveva sbagliato a saltare dei pezzi nelle scorse
settimane,
ma non aveva tempo. Oltre a matematica, aveva un'enormità di
materie da studiare per essere ammessa alla Todai.
Ce la stava mettendo tutta, ma non era ancora in pari.
«Usako?»
Respirò a fondo. Come avrebbe fatto a dirgli che
non lo
aveva
ascoltato quando lui le aveva spiegato la funzione
esponenziale? Si ricordava qualcosa del logaritmo naturale,
che forse era il
contrario, però...
«Usa.»
Lo guardò. «Voglio farcela da
sola.»
Mamoru strisciò attorno al tavolo, raggiungendola.
«Che esercizio è?»
«Quello che mi hai spiegato l'altra
volta.»
Lui vide la funzione. «Ah, sì. Te lo
rispiego?»
Gli stava facendo perdere tempo, anche lui aveva da studiare.
«Cosa c'è?»
«Forse... forse mi serve trovare... un mio metodo?
Per
ricordarmi
come si procede in questo caso. Adesso leggo per bene il libro e
faccio
degli schemi, come mi hai insegnato tu.»
Pregò che non insistesse, ma Mamoru la conosceva
abbastanza
da capire che era nervosa.
«Non vuoi che ti aiuti?»
«Non voglio disturbarti.»
«Sei venuta a casa mia per studiare.»
Sì, e lo faceva tutti i giorni, da quasi un mese.
Alcuni
pomeriggi erano migliori di altri, imparava di più. In altri
momenti invece guardava il cielo e pensava solo... 'Voglio uscire da
qui.'
Lo studio le stava annebbiando la testa, ma arrendersi era
fuori
discussione. Aveva fatto troppi progressi.
La prima volta che aveva completato un esercizio complesso da
sola, si
era sentita così fiera. E Mamoru? Lui le aveva sollevato le
braccia per aria. 'Verrai ammessa!'
Non poteva deluderlo, assolutamente no!
«Usagi, non ragionarci su per un'ora.
Così perdi tempo. Adesso ti rispiego tutto,
tranquilla.»
«Okay.» Si arrese e cominciò ad
ascoltare.
Prestare attenzione la portò solo a confondersi.
Perché
un tizio di nome Euler si era inventato quel numero? E
perché
equivaleva a 2,71 qualcosa? Che significava 'irrazionale'?
La teoria matematica per lei era come la scienza
aerospaziale,
roba da geniacci ultraterreni. Riusciva a fare solo gli esercizi,
perciò le interessava esclusivamente il trucco
per risolverli in fretta.
Mamoru non se ne rendeva conto.
Ovviamente, aveva ragione lui. Al livello a cui era arrivata,
oramai le toccava capire decentemente anche la teoria. Le serviva per
fare i
disegnini sul grafico, no? Le piacevano i disegni. Almeno
davano un senso a tutti quei
numeri.
«Hai capito?»
Colta in flagrante, deglutì. «Ho...
bisogno di una
pausa.»
«Devi andare in bagno?»
«... No.»
«Ci siamo messi a studiare da dieci
minuti.»
Ecco il tono che la faceva sentire male. Lui lo aveva usato ai
tempi in
cui
lei si era trovata ad un livello completamente diverso dal suo, nei
panni
della studentessa ignorante che a stento avrebbe preso il
diploma. Quasi si mangiò un'unghia.
«Mamoru...
Oggi posso
andare a casa?»
Lo sorprese. «Non devi chiedermi il permesso.
Però...»
Non voleva sentire l'obiezione. «Allora vado a
casa.»
«Usa.» Si sentì afferrare un
braccio.
«Usa.»
Dovette fermarsi mentre si alzava.
«Sì?»
«Perché non mi stai guardando?»
Aveva paura di tradirsi. Ma poteva dirgli una parte
della verità.
«Quando non capisco le cose, mi innervosisco.»
Incontrò i suoi occhi, per non farlo preoccupare.
«Oggi le
parole mi entrano da un orecchio e e mi escono dall'altro.»
Ridacchiò come una stupida. «Ho la testa
vuota!»
«... Sei stanca?»
Sì, ma non perché aveva sonno. Aveva
bisogno di
una giornata senza aprire libri. L'indomani si sarebbe
pentita, però...
«Puoi rimanere a dormire qui, se vuoi.»
No. Al risveglio se lo sarebbe trovato accanto, con un sorriso
incoraggiante che la invitava a una sessione di studio
pre-cena.
Lui le lasciò la mano. «Non vuoi
restare.»
Lo stava ferendo. «Non voglio studiare.»
Si
sentì enormemente bene nel dirlo.
«In effetti è da un mese che...
Già,
prenditi un pomeriggio. Così domani sarai in
forze.»
Per studiare di nuovo. Giusto, inevitabile.
Ma era sbagliato da parte sua volere più di
ventiquattro
ore? Voleva una settimana intera di vacanze, anzi, un mese!
Era una stupida ragazzina: sapeva benissimo di non poter
chiedere a nessuno tanto tempo, neppure a se stessa. La data dell'esame
non si sarebbe spostata per far spazio ai suoi bisogni.
Mamoru la stava valutando. «Sei sotto stress. Okay,
prenditi
il tempo che ti serve.»
«Può essere solo questo pomeriggio. Non
abbiamo
ancora
iniziato con Fisica. Non so niente di Fisica.» A scuola non
aveva ancora
smesso di prendere sufficienze rosicate. Se anche si impegnava
a
studiare le basi, il programma scolastico era molto più
avanti,
e lei ancora incredibilmente indietro. Solo con matematica
aveva avuto qualche successo, ma alla
fine, anche
lì...
«Usa...»
Tratteneva a stento le lacrime.
«Perché ora piangi?» Mamoru
provò a tirarla giù, ma lei resistette.
Le veniva da piangere perché, anche dopo mesi di
sacrifici,
non aveva smesso
di sentirsi un'incompetente. Più andava avanti e imparava,
più la massa di cose da sapere faceva un balzo in avanti,
aprendole
interi mondi che lei non era in grado di capire, che non voleva
capire.
Era solo una sciocca ragazza a cui interessavano i manga, i
drama, le
canzoni... Ma da un mese a stento guardava la tv!
Una futura regina non si poteva permettere di restare
ignorante.
Mamoru riuscì a farla sedere. «Usagi. Fai
un bel
respiro.»
Accolse il consiglio solo quando anche lui inspirò
a fondo,
per farsi imitare.
Espirando l'aria, Usagi rise piano
e si stropicciò una guancia umida.
Mamoru annuì. «Se non vuoi studiare,
possiamo non
studiare. Basta dirlo.»
Non era così semplice, per troppe ragioni.
«Ti
faccio
perdere tempo quando mi aiuti. Se non devi assistermi con lo studio, mi
sento ancora più in colpa a distrarti dai tuoi
libri.»
Mamoru era perplesso. «Pensavo che fossi tu a voler
studiare
tanto. Stavo seguendo i tuoi ritmi.»
Che voleva dire? «Non posso studiare di
meno!»
«La cosa più importante è uno
studio di
qualità, Usa. Lascia perdere i tempi. Se devi scegliere, il
tuo motto dev'essere 'Poche
cose, ma buone'.»
Ahh, quelli erano i consigli che la facevano
sprofondare! Quando lui parlava così aveva l'aria
del
professore, e al
suo cospetto lei era solo una somara.
Mamoru la guardava, attento. «... Non devo
più
parlare di studio?»
Sì. No. «È meglio se vado a
casa.»
Venne stretta in un
abbraccio. «Aspetta.»
Non si staccò.
«Stiamo litigando?»
Sospirò contro il suo collo.
«No.» Era
lei il problema: si sentiva come una corda tesa, pronta a spezzarsi.
Mamoru non parlò più. La
sistemò
meglio contro di sé, sopra le proprie gambe, e Usagi si
appoggiò a lui, in cerca di parole che non aveva.
Sul viso percepì dei piccoli respiri.
Poiché lo conosceva, sorrise a occhi chiusi: a
volte anche
Mamoru, che era tanto intelligente, non sapeva cosa dire.
Adagiò la testa sulla spalla di lui.
Cominciò a permettersi di riposare, di sentire.
La camicia di Mamoru era soffice contro la sua guancia.
Profumava come
le lenzuola del letto di quella casa - di lui e di serenità.
Le poche volte che lei si svegliava lì, si arrotolava tra le
coperte, per prolungare il momento. Guardava la luce del giorno
attraverso le lenzuola bianche e sorrideva, cercandolo. Si accucciava
contro il fianco caldo di lui, a volte si addormentava di nuovo.
Erano i suoi attimi di gioia infinita, piccoli e continui,
forse meno
frequenti di un tempo.
Da quanto non assaporava un abbraccio come quello?
Non ebbe subito una risposta e, mesta, lo strinse un poco
più
forte.
«Ti sono cresciuti i capelli.»
«Hm?»
Si senti prendere una coda.
«Ti arrivano alle ginocchia...»
Sorrise. «Può darsi.» Si era
dimenticata
quando era stata l'ultima volta che li aveva tagliati.
Mamoru continuava a strofinare una ciocca con le dita.
Lei si girò. «Cosa
c'è?»
«Niente.» Lui li portò alla
faccia.
«Mi ricordavo che fanno il solletico quando stanno sul
naso.»
Si agitò sotto i fili biondi, facendola ridere.
Mamoru le lasciò andare la coda. La
guardò
e
posò la fronte sulla sua.
Avvicinandosi ancora, Usagi mischiò i loro respiri.
«A volte, non ti sembro... io, vero?»
Lei si scostò, per capire.
Lui pensava. «Ti comporti come se io fossi una
persona che
può dirti qualcosa che non ti piace.»
Suonava - pensò Usagi - tremendamente vero.
«Mi conosci. Che cosa potrei dirti, Usa?»
«Sei molto più studioso di me.»
Mamoru non capì se era un problema. «In
questo
mese mi hai superato.»
«Per me è uno
sforzo così
grande. Mentre... a te piace.»
Lui provò a capire qual era il nodo da districare.
«Mi sento... come quando ci siamo
incontrati.»
Usagi cercò di spiegargli. «Tu intelligente, io
stupida.»
Mamoru si adombrò. «Non lo penso
più.»
Lei apprezzò che non la smentisse sul passato.
«Il
problema è tutto quanto, non solo tu. Mi impegno a studiare
e capisco, ma...»
«Hai fatto passi da gigante. Sono fiero di
te.»
Questo le dava un mondo di felicità. Al contempo...
«È una responsabilità. Ora mi vergogno
molto di più quando vengo a dirti che, in alcune materie,
non ce la faccio proprio, anche studiando.» Era in imbarazzo
con lui più che con i suoi genitori: loro si erano
rassegnati, non si aspettavano più niente da lei, a
differenza di Mamoru.
Lui stava scuotendo la testa. «È normale,
hai-»
«-delle lacune» terminò lei.
«Ho delle voragini. In dieci anni non ho mai studiato bene.
Ora devo recuperare tutto in pochi mesi.»
«Devi solo fare del tuo meglio.»
L'incoraggiamento le metteva tanta pressione.
«No, Usa. Devi fare del tuo meglio, ma questo non
significa
che devi
riuscire a tutti i costi. Scegli tu qual è il tuo meglio.
Con calma, coi tuoi tempi.» Il sorriso di lui fu amaro.
«Mi sembrava che stessi andando troppo in fretta, ma... Non
è necessario impressionarmi. Sono già
impressionato.»
Per forza,
bofonchiò lei.
«Cosa?»
Parlò a voce alta. «Rispetto al disastro
che ero
agli inizi, per forza ora ti sembro...»
«Una persona che si impegna.» Lui le
sfiorò la guancia con le dita. «Agli inizi mi
sembravi irraggiungibile, sai?»
«Eh?»
Mamoru quasi sorrise. «Tu eri normale rispetto a me,
Usa. Per
te era facile vivere.
Io dovevo pensare a ogni parola, a ogni mossa. Mi chiedevo se, standoti
vicino, sarei migliorato.» Le accarezzò la testa.
«Mi chiedevo se un giorno ti sarei sembrato meno
strambo.»
Lei provò a protestare, ma si zittì.
Come lui,
non sarebbe stata disonesta, ma non era piacevole.
Mamoru annuì. «Oggi mi guardavi nello
stesso
modo.»
«No.»
«Sì. Come se fossi troppo strano per te,
e
perciò tu non potessi starmi vicino.»
«Era senso di inferiorità!
Perché sei
troppo intelligente.»
Mamoru la osservò. «Non so tante cose.
Quella di
cui voglio essere sicuro è che... ti faccio sentire bene. La
prossima volta, dimmi in faccia cosa c'è che non
va.»
Suonò come un rimprovero. Usagi si sentì
in colpa.
Mamoru abbassò le braccia. «Non ti
riconosco.» Sorrideva. «In passato, quando ti
sentivi così non mi davi contro?»
In passato non le era importato dell'opinione di lui. Ora era
tutto per
lei.
«Dammi contro, Usa. Crea un bel match.»
Eh?
«Li trovavo divertenti.»
Anche lei. «Adesso?»
Mamoru scosse la testa. «Affrontami quando senti di
nuovo che
ti sto dando fastidio, in qualunque cosa. Preferisco lo scontro alla
fuga.»
Ah. «È solo che ho paura di farti male.
Sei
diventato così delicato quando si tratta di me...»
Lo colpì sul vivo, e si guadagnò un
sorriso
incredulo.
«Mai quanto la tua pancia» disse lui.
In che sen-?
Usagi saltò in aria. Il solletico no!
Si dimenò, ma non riuscì a scappare.
«Basta basta ba-!»
Si appoggiò sul tavolino e sgusciò via.
«Ehi! Antipatico!»
«Codarda.»
«A me?» Afferrò il
bicchiere da cui
aveva bevuto. Era ancora mezzo pieno.
«No.»
Sorrise a trentadue denti. «Paura di un po' d'acqua,
Mamo-chan?»
«Usa...»
Indietreggiare non gli servì. «Ti
prendo!»
Rinvigorita, saltò sul tavolo come una folle,
disegnando un
arco in aria. Mentre volteggiava sopra la testa di lui, gli
buttò l'acqua dritto sui capelli. Atterrò al
suolo a ginocchia piegate, in equilibrio perfetto.
Fradicio, Mamoru spalancò la bocca.
Lei pure. «Ah... io...» Guardò
il
bicchiere vuoto. Aveva usate le sue capacità Sailor
per bagnarlo!
Lui scoppiò a ridere.
Lei mollò il bicchiere sulla mensola dell'ingresso.
«Scusa!»
Mamoru la tenne lontana con un dito, muovendosi verso il
corridoio.
«Adesso so cosa ci manca! Un allenamento!»
«Mamo-chan...»
Seguì le risate di lui verso il bagno.
Lo raggiunse mentre Mamoru prendeva un asciugamano.
«Non te la sei presa, vero?»
«No, Usa. Mi rifarò quando ci alleneremo.
Preparati.»
Se la metteva così... «Come vuoi. Non
sarò clemente.»
«Brava.»
Lui la premiò con un bacio rapido, ma lei lo
premiò trattenendolo. Con le mani sui suoi capelli bagnati,
premette la bocca contro la sua, nella maniera più dolce che
conosceva.
Si staccò. «Usciamo.»
Lo aveva reso felice. «Dove?»
«In giro. Forse al cinema?» Lo
trascinò
in un girotondo. «Oggi festeggiamo!»
«Che cosa?»
«Io e te. Senza motivo.»
Lo intenerì, e per dargli un momento per
riprendersi, si
abbassò a recuperare il phon per
lui. «Tieni. E sappi che un giorno potrai fare lo
stesso.»
«Hm?»
«L'acqua sulla testa. Io non mi
lamenterò.» Si mise una mano sul cuore.
Mamoru attaccò la presa alla corrente.
Esitò ad
accendere il phon. «Scelgo oggi.»
«Impaziente.»
«Più tardi, quando torniamo.»
Che stava pianificando?
Lui indicò la vasca alle loro spalle.
«Sotto la
doccia. Siccome dovrò essere io a versare l'acqua, meglio se
ci togliamo entrambi i vestiti.»
In silenzio, lei indietreggiò verso la porta.
«Che
maniaco.»
«Parla quella che sta ridendo.»
Si finse offesa. «Ho imparato dal
migliore.»
E, siccome per quel giorno aveva deciso di mettere in pausa lo
studio -
di qualunque tipo - chiuse piano la porta. «Datti una
mossa.»
Tornò felice in salotto e mise via i libri.
Per far pace anche con loro, li baciò sulle
copertine.
«Mmuah! Non preoccupatevi, ci rivediamo domani! Questo
pomeriggio vado in giro con Mamo-chan, poi torniamo qui a fare gli
hentai insieme...» Ridacchiò. «Dedico la
giornata all'amore, capite?»
«Parli da sola?!»
Oltre il rumore del phon, gli lanciò una
linguaccia.
«Muoviti, o me ne vado senza di te!»
Sospirando di gioia, si abbandonò felice sulla
moquette.
NdA: Sono arrivata ad avere un'idea per questa raccolta, dopo anni che
non la riprendevo, per processi mentali troppo contorti per essere
spiegati :D
Spero che vi sia piaciuta. A me è piaciuto
riscoprire anche
Usagi e Mamoru, dopo tanto tempo che non mi dedicavo a loro in momenti
felici e spensierati come questi (NdUsagi: insomma!)
ellephedre
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Capitolo 6 *** Temporale ***
Oltre le stelle - scene 7
Episodio 7 - Temporale
Stava per diluviare.
Il vento spazzava l’aria a ondate, facendo tremare
la
finestra. Lo scroscio di una pioggia lontana si avvicinava, incombeva e
ancora non cadeva.
Stava per colpirli l’inferno della natura, e loro
erano
chiusi in una stanza ad aspettare che li risparmiasse.
La finestra era aperta, l’anta tirata in avanti sul
bordo superiore, per lasciar
correre un soffio d’aria durante la notte calda.
Non stava arrivando un tifone, ma quel temporale produceva
suoni di terrore - uno spavento melodico, ritmico, persistente, che
teneva ad annunciarsi.
Nel letto, Usagi non si mosse.
Era solo pioggia, si disse. Solo elettricità
generata da nuvole
cariche. Ma le faceva paura.
Sembrerà
così la fine.
Non sapeva da quale parte della sua coscienza venisse
quell'idea.
Credeva nel bene, nella gioia, nella speranza che ogni persona creava
per sé, ma percepiva con tutta se stessa che esisteva
qualcosa di diverso e maligno, inevitabile, a cui non voleva
avvicinarsi. Forse un giorno avrebbe conosciuto tali orrori.
Per questo mi fanno paura i
temporali.
Aveva timore dei suoi stessi incubi, anche se a diciotto anni
compiuti
non era più una bambina.
Si strinse nelle braccia all’arrivo del primo lampo,
una luce
nell’oscurità del mattino plumbeo.
Dietro di lei, Mamoru mosse un braccio contro il suo stomaco.
Il tuono fece tremare il cielo sopra le loro teste.
«Usa?»
Fu un sollievo sentirlo parlare.
«… ciao.»
Sveglio, lui
ascoltò il rumore della tempesta. «…
piove. Vuoi che chiuda la finestra?»
Sì. No.
Mamoru teneva la mano sul suo fianco, le dita vigili.
«Sei
rigida.»
«Sono suoni spaventosi.»
Lui si mise a sedere. «Basta
chiudere.»
Lei afferrò una manica della sua maglietta.
«Aspetta.»
Vide nel volto di lui il riflesso di un
nuovo lampo.
Si aggrappò al suo pigiama, in attesa del rimbombo.
Mamoru tornò a sdraiarsi accanto a lei mentre colpiva.
«Vuoi avere paura, Usako?»
Si concentrò sulla voce calda di lui, morbida.
«No.
Voglio sentirlo passare.»
Mamoru guardò il cielo. «Da quanto
è
cominciata?»
«Non lo so. Mi ha svegliato il vento.»
Gli occhi di lui erano paziente. «Potrebbe passare
un’ora.»
Ne era consapevole, ma…
«Per favore. Puoi… aspettare con
me?»
Mamoru la guardò. La studiò.
«Che
cos’hai?»
Lei scosse la testa. «Voglio sentirlo
andare via.» Non aveva senso, ma lo desiderava.
In silenzio, lui contemplò i rumori della pioggia
che
iniziava a cadere, un acquazzone violento, furioso.
«È la città che si fa il
bagno.»
«Cosa?» Sorrise.
«Ha fatto un gran caldo. Tokyo si scioglieva al sole
ma era
testarda, non ne voleva sapere dell’acqua. Perciò
eccola, tutta insieme in una volta.»
Usagi ebbe in testa l’immagine di una matrona in
kimono che,
sotto il getto della doccia, metteva il broncio e si agitava.
Rise.
Mamoru era contento. La abbracciò, premendo
le labbra contro la sua fronte.
Lei fu scossa da un brivido quando sentì
l’eco di
un nuovo tuono, ma non ci badò. Era al sicuro, a posto. Le
dita di Mamoru le sfioravano la base della nuca, creando piccoli
tremolii di piacere.
Come una gatta, arricciò le dita dei piedi.
«Non sforzarti di affrontare tutto, Usagi. A volte
puoi
distrarti.»
Lei provò a pensare. «Questa è
un'inquietudine che mi porto dentro da tanto.»
«Forse fa parte di te.»
Non voleva pensarlo, anche se lui non lo aveva inteso in
maniera negativa.
Mamoru cercò di farsi guardare. «Va bene
anche se non diventi matura in tutto.»
Il vento fuori dalla stanza creò un soffio rabbioso
e Usagi inspirò col naso, per inebriarsi dell'odore di lui e
dimenticare.
Lo stava facendo di nuovo. Stava scappando.
«Vuoi che non cresca troppo, Mamo-chan?»
Era una cosa tenera. «Così puoi ancora
consolarmi.»
«No. Non mi piace che tu ti senta in colpa se non
riesci a superare proprio tutte le paure che hai. Piano piano, Usa.
C'è tempo.»
Sì, forse aveva ragione lui.
In un moto di coraggio, si voltò verso la finestra.
«Voglio vedere il cielo azzurro che torna.»
Per un po', Mamoru fece silenzio. «Sai, in
realtà non se n'è mai andato.»
«Hm?»
«Il cielo chiaro è sopra di noi, oltre le
nuvole. Su un
aereo, vedresti il sole che brilla e sotto di te una distesa
grigio-bianca che si estende per chilometri. Ne vedresti anche la fine.
È tutto... relativo, solo una questione di dove ci si trova
quando uno guarda. Anche questo temporale è bagnato dal sole
sulla schiena. Solo che noi siamo troppo in basso per
vederlo.»
Lui era così
logico.
«Perché ridi?»
«Mi piacerebbe avere la tua mente.» Non
sempre, ma a volte sì. Mamoru non aveva mai paura di nulla.
«Io non ti vorrei tanto razionale. Tu hai paura
perché sei capace di sognare. I sogni a volte sono incubi.
Ma con l'immaginazione tu vai in posti dove io non posso
arrivare.»
Non era vero. «Mi hai raccontato di bellissimi
sogni, Mamo-chan. Questa notte ne hai fatto qualcuno?»
«Non ricordo. Quando dormi da me, sogno
poco.»
Ehi. Era una frecciata? «Mi dispiace.»
Lui udì il suo tono piccato. «Guarda che
il motivo è semplice. I miei sogni sono già reali
quando sei qui, perciò...»
Oh. Quella era una cosa così
dolce... Una folata di vento freddo la colpì
alla schiena e lei si rifiutò di darla vinta al temporale.
Tirandosi su, si alzò. «Andiamo a fare
colazione.» Era una bella domenica mattina. Non si sarebbe
abbandonata alla tristezza solo perché fuori il tempo era
terribile.
Guardò Mamoru, sorrise. «Anche tu sei il
mio sogno, Mamo-chan.» Si avvicinò alla finestra,
la chiuse.
Spostò la tenda, per non guardare più
oltre il vetro.
«Cominciamo la nostra giornata insieme, su! Ho tanta
fame.»
Si diresse in cucina, felice.
Episodio 7 - Temporale - FINE
NdA:
Ogni tanto l'ispirazione giunge così, da un temporale
pomeridiano.
Avevo le sensazioni di Usagi. Le ho esplorate, mi ci sono
immersa. Ammetto che avevo una sorta di fascinazione per ciò
che provavo, perché il brutto tempo è in grado di
creare una colonna sonora davvero inquietante.
Volevo rendere la sensazione in una storia e così
è nata questa mini-one-shot, quasi una flash-fic :)
Grazie di aver letto!
ellephedre
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Capitolo 7 *** Sciolti ***
Sciolti
Episodio 6 - Sciolti
Erano biondi, morbidi, di solito profumati e lunghissimi. Ma
Mamoru non
li aveva mai visti completamente sciolti.
All'altro capo del tavolo Usagi smise di masticare il riso,
divertita
dalla sua attenzione. «Cosa c'è? Ho qualcosa nei
capelli?»
«No. Pensavo che non li lavi mai a casa
mia.»
Usagi rimuginò tra sé.
«Già.
Ma è
un'operazione lunga e non molto divertente. Ne faccio il mio momento di
relax personale.»
Per lui fu come una sfida. «Posso
assistere?»
Lei non credette alle sue orecchie. «Ti
interessa?»
«Mi è venuto in mente che non li ho mai
visti
fuori dalle code.»
«Davvero?» Usagi scoppiò in un
sorriso.
«Hai
ragione! Be', i miei capelli sciolti sono come una specie di manto.
Quando sono in vena mi metto a girare nella mia stanza e li
faccio svolazzare in tondo, come una principessa.»
A volte lei parlava come se nemmeno lo fosse mai stata.
Usagi si stava mordicchiando le labbra. «Mi troverai
molto
diversa senza le code. Ma se vuoi vedermi...»
Lui annuì.
«Allora prepara un film.»
Cosa c'entrava la tv?
«Ci metto tanto a pettinarmi. Di solito faccio
partire una bella musicassetta romantica... e
canticchio.»
Lui cercò di non sorridere.
«Vedi che mi stai già prendendo in
giro?» Ma Usagi
non era offesa, rideva con lui. «Okay, non conoscerai la
tua Usagi in veste di cantante.»
«Ogni tanto canticchi anche qui» le
ricordò lui.
«Eh, ma quando sono a casa da sola, e Luna non
c'è, mi
scateno in grandi interpretazioni!» Usagi portò
alla bocca
un inesistente microfono. «La-là!
Non urlo solo perché se no mi sentono tutti.»
Lui cominciò a ridere tanto che gli vennero i
crampi allo
stomaco.
Usagi tirò fuori la lingua. «HMM! Dispettoso!
Cattivo!»
«Voglio vederti!»
Lei scossa perentoria la testa.
Mamoru si calmò. «Ti prego. Per
favore.»
Usagi era allegra. «Be'... se me lo dici mille
volte...»
Così era esagerato.
Gli occhi di lei si accesero. «Te lo farò
dire mille volte.»
«Ah, sì? Come?»
Lei si strofinò le mani. «Mi
verrà in
mente.»
Felice per la prospettiva, Mamoru tornò a mangiare.
Quel sabato sera Usagi era ufficialmente a dormire a casa di
Rei -
così aveva detto a sua madre ed era quello che la
signora Tsukino doveva credere. Mamoru era segretamente convinto che
Ikuko-san conoscesse la verità e l'idea lo rassicurava: gli
sembrava di avere
una sorta di approvazione per il tempo che passava con Usagi. La
giornata piena che si concedeva insieme a lei - una volta ogni due o
tre
settimane - non nasceva da una completa bugia.
Anche quel sabato avevano trascorso il pomeriggio fuori, poi
avevano
scelto di cenare in casa. Erano le nove di sera e Usagi si preparava
all'operazione di lavaggio della propria chioma.
«Mi dispiace» gli disse lei mentre
approntava gli
asciugamani. «Se devo fare questa cosa, non possiamo fare il
bagno insieme.»
Era uno scherzo? «Perché?»
«Be', non riempirò la vasca d'acqua. Mi
limiterò a fare una doccia rapida per poi lavare i
capelli.»
Mamoru non capì. «Posso
aiutarti.»
«Quello non si chiama aiuto, Mamo-chan.»
Usagi
ridacchiò e sollevò una coda. «Sai,
c'è un motivo se questi sono
così belli. Mentre li lavo mi ci dedico completamente, non
posso
distrarmi. Altrimenti li annodo, li tiro, oppure li lavo
male.»
«Ah.»
Lei sorrise trionfante. «Preparo l'acqua calda per
te? Dopo
che
avrò finito ci vorrà una vita per asciugarli.
Mentre tu fai il bagno io starò qui col phon.
Così non perdiamo
tempo.»
Per cosa?
Ma invece di domandare, Mamoru annuì.
Aveva chiesto lui di assistere a quel rito privato. Voleva
osservarlo, perciò avrebbe lasciato a Usagi qualunque
decisione.
Quando aveva comprato la casa, si era assicurato che la vasca
da
bagno fosse più grande di quella del suo precedente
appartamento. Aveva pensato a se stesso - non era piacevole non poter
allungare completamente le gambe mentre si rilassava nell'acqua calda -
ma anche il pensiero di Usagi aveva avuto la sua parte. Ogni volta che
lei dormiva a casa sua facevano la doccia insieme e quella era
diventata una piccola e fantastica routine. Allargare l'esperienza a un
bagno in due, in una vasca in cui non fossero schiacciati come sardine,
non era una possibilità a cui lui aveva voluto rinunciare.
In quel momento Usagi era seduta su uno sgabello e separava le
ciocche
bionde con le dita, per asciugarle meglio. La maggior parte
dei suoi capelli era avvolta in un grosso
turbante. Dell'immagine che lei gli stava presentando per Mamoru era
piacevole soprattutto il senso di intimità. Faceva un bagno
e a
pochi passi di distanza Usagi asciugava i capelli guardandosi allo
specchio. Era come vivere già insieme a lei.
Non parlavano - Usagi non poteva sentirlo sopra il rumore del
phon - e
lui ne era quasi contento. Poteva osservarla mentre lei era assorta
e concentrata.
Non
è facile,
sei sempre in movimento.
Usagi indossava un accappatoio rosa pallido, le gambe che
uscivano
dall'apertura tra i lembi. Con le ciabatte disegnava inconsciamente
piccoli cerchi sul pavimento, le dita dei piedi che danzavano di vita
propria. Lei spostò una ciocca di capelli sollevandola in
aria,
sopra la testa, per asciugarla con l'aria calda da ogni lato.
Mamoru le guardò il viso nel riflesso dello
specchio. Usagi
era cambiata molto, riuscendo a rimanere sempre uguale.
Le sue labbra erano identiche a quando lui l'aveva
conosciuta,
tre
anni prima: rosa, un poco paffute, delicate nel disegno, sorridenti.
Eppure, in qualche modo, erano diverse nella maniera in cui le stavano
nel viso.
Osservando ancora, lui capì. I singoli tratti non
erano
cambiati. Era l'intero volto di lei a essere mutato nella forma,
leggermente. Usagi aveva meno guance e il suo mento sembrava
più
sottile. Gli zigomi erano maggiormente visibili e il naso si era
definito in angoli dolci, prima quasi inesistenti. Lei non era
dimagrita, ma un po' di grasso infantile era sparito dalla sua faccia.
Ora, più che graziosa, era bella, anche se per lui lo era
sempre stata.
Lei spense il phon. «Mamo-chan?»
«Hm?»
«Se non ti muovi a uscire dalla vasca, non
potrai aiutarmi a pettinare i capelli.»
«Eh?»
Lei si voltò. «Credevi di dover solo
assistere?
Non sai
quante volte ho sognato che ci fosse qualcuno ad aiutarmi coi nodi. E
ora...» Sollevò allusivamente le sopracciglia.
Sorridendo, Mamoru stiracchiò le braccia.
«Esco.»
Sistemandosi sul divano, in salotto, Usagi lo
invitò a
sedersi
accanto a lei. «Preparati» disse toccando i bordi
dell'asciugamano che aveva sulle spalle. «Ci sei?
Ta-da!»
Fece ricadere sulla schiena, quasi fino al pavimento, tutta la massa di
capelli che aveva tenuto raccolta, una lunga cascata dorata di
morbidezza.
Toccandola, Mamoru si sorprese. Era più come una
nuvola
vaporosa, non esattamente ordinata.
«Hai visto? Per questo li tengo legati. Sciolti
vanno
dappertutto.»
Lei stava già separando le ciocche e lui si
spostò in avanti, per guardarla in faccia.
Usagi sorrideva. Tirò via la frangia dalla fronte.
«Senza questa mi riconosceresti ancora?»
«Sì.» Non potendo farne a meno,
le diede
un bacio veloce. Si prese un momento per osservare il modo in cui i
capelli le cadevano ai lati del volto. «Così
sei...
più dolce.»
«Un altro motivo per legarli. Come faresti a
resistermi
altrimenti?» Usagi gli impedì di baciarla ancora
spazzandolo in
volto con un voluminoso ciuffo biondo. «Su, su,
c'è da poco da
scherzare. Al lavoro!»
Mamoru tenne in mano la ciocca che lei gli aveva passato.
Usagi lanciò un'occhiata alla tv spenta.
«Oh, non
hai messo il film.»
«Posso resistere senza.»
Divertita, Usagi contemplò la sua attenzione.
«Cosa ti prende oggi? Non fai che... guardarmi.»
«Hm. È un problema quando ti guardo
troppo, o
troppo poco...»
Lei gli premette un dito sul petto,
forte. «Ehi. Non
mi distrai, sai?»
Lui si arrese. «Voglio solo guardarti.»
Usagi lo valutò. Nell'accorgersi
dell'intensità
del suo
proposito prese colore sulle guance, giusto un poco.
«Okay.» Cominciò a passare la spazzola
sui capelli.
Si dimenticò per diversi secondi di quelli che lui teneva in
mano. «Ehm... se ci sono dei nodi, scioglili piano con le
dita.»
«Di là ho un pettine.»
«Può aiutare.»
Mamoru andò a recuperarlo.
Di ritorno, più che osservare,
lavorò. Divisi in due
code i capelli di lei erano ordinati e gestibili. Sciolti, il loro
reale volume si palesava in tutta la propria massa e
difficoltà.
«Tua madre mi ha fatto vedere delle foto di quando
eri
bambina» le disse. Ricordava di aver pensato che Usagi fosse
la
fotocopia di Chibiusa. «Avevi già i
tuoi...» Mini-odango.
«Chignon.»
«Sono stati un'idea di mamma. Non so se avrei fatto
crescere tanto i capelli se non mi avesse abituata a legarli qui
dietro sulla testa così in alto. In questo modo sono comodi,
non mi finiscono in faccia.» Per qualche momento Usagi non
disse
più nulla. «Alla fine, è tutta una
grossa
coincidenza, no? O forse destino.»
Mamoru non capì.
Usagi abbassò la spazzola. «Questa
è la
pettinatura della
mia vita passata. Anche ora tenere i capelli così
lunghi mi fa sentire... regale.»
Davanti al suo silenzio, Usagi spiegò.
«Non lo
faccio
per questo. Amo i miei capelli così come sono, ma... Ti ho
mai
detto che dopo le battaglie più importanti, per qualche
giorno, i capelli mi crescono più velocemente? Sono
costretta a
tagliarli da sola perché non arrivino fino al
pavimento.»
«Non me l'avevi detto.» Perché?
Usagi scrollò piano le spalle. «Non avevo
paura.
Era bello
sentirmi pervasa dall'energia che avevo usato, solo che... Non volevo
che nessuno di voi si facesse troppe speranze.»
«Su cosa?»
Usagi era quieta. «Sulla possibilità che,
per
magia, diventassi una raffinata
principessa. Andiamo, non ho nemmeno mai imparato a
pattinare.»
Lei sceglieva di concentrarsi su quel particolare inutile? In
ogni
caso... «Nessuno di noi ti vuole più
'principessa', Usa.» Non pensavano a quella pettinatura come
a qualcosa che la
legasse al passato. Per tutti loro quei due chignon erano
semplicemente una cosa da... Usagi.
Forse per lei era diverso,
perché aveva visto quel modo di tenere i capelli su un'altra
donna,
la sua antica madre.
Usagi era assorta. «Il paragone non è
inevitabile?
Voglio
dire... sono Serenity. Ho in me lo spirito di ciò che ero un
tempo e sento che io e lei siamo uguali. Mi piace perché
è stato come ritrovare una parte di me che non sapevo che mi
mancasse, ma... Non ho i ricordi di Serenity, o le sue esperienze. Nel
futuro
verso cui andiamo sarebbe stato utile per me
nascere più... regale. Più
nobile.»
Era un discorso che Mamoru non poteva sentire. «Non
so se mi
saresti piaciuta.»
Usagi comprese le sue intenzioni. «Sì
invece. Come
Endymion ti sei innamorato di me.»
«Di Serenity. Io - Mamoru - ero interessato a una
ragazza che
mi
faceva ridere.» Era nato anche lui diverso, forse apposta per
incastrarsi meglio con lei.
Usagi aveva arricciato le labbra, indecisa tra un sorriso e
una
smorfia. «Sarebbe un complimento?»
«Sì. Mi facevi ridere così
tanto che ti
pensavo più di quanto fossi disposto ad ammettere.»
«Questo è bello.» Lei si
girò
per
schioccargli un bacio sulla guancia. «Il tuo amore
è
basato sull'allegria.»
Su tante altre cose, troppe. Ma tornando ai capelli...
«Questi sono solo tuoi, Usagi. Li sto ammirando per
questo.»
Usagi rise. «Ammiri e non pettini. Non finiremo mai
così.»
Concordando, Mamoru riprese a lavorare.
«Allora...» mormorò lui.
I capelli di Usagi erano asciuti, pettinati e legati in due
code basse
da un paio di fiocchi che lei aveva tirato fuori dalla borsa.
Sistemata contro la sua spalla Usagi guardava la tv, rapita da
un film
che avevano scelto per caso girando tra i canali.
«Aspetta...» Usagi si concentrò
sul
bacio tra i due personaggi della pellicola. Batté felice le
mani. «Quanto mi piacciono queste cose!»
Lui era d'accordo: stava aspettando qualcosa di simile nella
realtà, per loro due. «Non avevi detto che mi
avresti fatto pregare?»
«Hm?»
«Prima. Poi abbiamo lavorato in tandem sui tuoi
capelli
per... be', per non perdere tempo.» Erano state le parole di
lei.
Usagi sbatté ripetutamente le palpebre, per un
attimo
confusa. «Giusto. Hm... Finiamo di vedere il film.»
Mamoru attese con pazienza.
Ai titoli di coda, Usagi spense la tv. «Bella
storia,
vero?»
Lui annuì per riflesso: non aveva seguito molto la
trama, ma
non gli era dispiaciuto starsene tranquillo a guardare la televisione
assieme a lei.
Usagi si era voltata per guardarlo. «Dobbiamo
parlare,
Mamo-chan.»
Interdetto dal tono serio, Mamoru ascoltò.
«Quando ti ho fatto quei discorsi invitanti... ecco,
mi
riferivo al futuro. Parlavo in generale. Non possiamo stare una sera
senza pensare a certe cose? Non apprezzi la mia compagnia senza altri
fini?»
Eh? «Ma...»
«Voglio dire, da quando la nostra relazione si
è
fatta così sessuale? Dov'è finita la dolcezza?
Non è bello stare semplicemente insieme?»
Incredulo, Mamoru cercò i suoi occhi.
«Non...
Io-... Cosa?»
Usagi lo ammonì con un dito. «Dobbiamo
risolvere.
Cominciamo da questa notte.» Si alzò dal divano e
camminò verso la stanza. «Dormirci su ci
farà bene.»
Mamoru rimase a fissare la moquette. Prima di seguirla
cercò
di nascondere una tonnellata di confusione.
Da dove era saltato fuori quel discorso? Metà delle
volte
era stata lei a cominciare!
O lui davvero era stato troppo insistente? Aveva
sbagliato da
qualche parte? O Usagi era affetta da qualche momentanea crisi ormonale
che-
Depresso cominciò a uscire dal salotto e la
trovò
in piedi sulla porta del corridoio. Lei stava provando con tutte le
proprie forze a non ridere. «Ci sei cascato.»
Lui spalancò la bocca.
Usagi saltellò e corse in camera. «Ci sei
cascato!»
Senza nemmeno pensare lui la inseguì. Rimbalzarono
insieme
sul materasso. «Era
questa la tua idea?»
Giocosa, lei mantenne le distanze. «No, me n'ero
completamente dimenticata! Ma tu hai sempre in testa la stessa cosa,
buh! Così impari!»
«Io?!» Ridendo, Mamoru ricadde con la
schiena sul
letto.
Dopo un momento Usagi lo solleticò sulla faccia con
la punta
di una coda. «Ehi.»
Lui le sfuggì col naso.
«Guarda cosa faccio per farmi perdonare.»
Mamoru aprì gli occhi proprio mentre un fiocchetto
gli cadeva sulla guancia. «Li sciogli?»
Lei annuì e gli riversò sul petto
metà
della propria chioma, salendogli sopra con le gambe, una da una parte
all'altra dei suoi fianchi. Andò a slegare l'altra coda.
«Dovremo stare attenti. Dovrai essere molto delicato con
me.»
Lui la fece chinare in avanti. Coi suoi capelli si
creò un
meraviglioso rifugio biondo, con un vago profumo di fragola.
Usagi stava sbottonando piano il pigiama. «Ti
piacciono?»
Come fa a
essere una
vera domanda? Non c'erano parole per esprimerlo. Si
sollevò col torso, le prese la testa tra le mani.
«Ti dimostro quanto.»
E per il resto della notte non parlarono.
Episodio 6 - Sciolti - FINE
NdA:
Per l'idea, ringrazio due recensioni di EricaB e cri88 rispettivamente
a 'Dentro di noi' e 'Red Lemon'.
Questa è una piccola storia che ho scritto un po'
per esercizio, un po' perché quando ho una bella idea che mi
ispira e fa contento qualcuno, sono felice di scriverla :)
Spero che vi sia piaciuta.
ellephedre
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