Anche se reciti seguendo il copione...

di Tayr Seirei
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** C'è modo e modo di guadagnarsi la pagnotta ***
Capitolo 2: *** Anche se solo per mezz'ora ***
Capitolo 3: *** Un buon piano ***
Capitolo 4: *** Voglio Il Mondo ***



Capitolo 1
*** C'è modo e modo di guadagnarsi la pagnotta ***



Anche se reciti seguendo il copione...



C'è modo e modo di guadagnarsi la pagnotta





Iwaizumi guardò a destra.
Piante. Alberi. Foglie secche. Un cervo in fuga.
Guardò a sinistra.
Altre piante. Altri alberi. Altre foglie secche. Altro cervo in fug- wait.
Si era di nuovo perso.
Nel bosco dietro casa. (D'accordo, dietro la città in cui si trovava casa sua, ma in linea d'aria sempre dietro stava.)
E lui stava prendendo in seria considerazione l'ipotesi di dar fuoco all'intero bosco, ergersi in mezzo alle macerie e ridere.
Drastico ma efficace - o soddisfacente, quantomeno.
Peccato dubitasse di poter attuare il suo piano geniale con solo una pietra focaia e qualche sterpaglia...
Sospirò: forse sarebbe stato meglio soffermarsi e sbocconcellare quel poco di pane che gli era rimasto.
A pancia piena avrebbe ragionato meglio.
... O sarebbe stato più reattivo qualora, per caso, fosse esploso un brutale incendio. Ops.

Aveva fatto giusto in tempo a buttarsi per terra nell'incavo fra due radici.
I pochi secondi per rilassare appena la schiena contro il tronco, augurarsi da soli un buon appetito, aprir la sacca - semivuota - dove conservava il cibo e trovarsi pizzicati da un leggero odore d'olio e rosmarino. L'ultima rimasta ed era pure quella aromatizzata, doppia fortuna.
Dopodiché, aveva infilato una mano nella sacca.
E la terra aveva preso a tremare.
Non un terremoto epico, quel genere di tremore leggero che fa volar via gli uccelli dagli alberi - schivò una ghianda - e preannuncia più l'arrivo di qualcosa di grosso.
Di solito, oltre che grosso, era anche zannuto e affamato.
Ma cos'era, stavolta? Un orso? O un orco?
Sospirò di nuovo; sapeva che l'interruzione avrebbe dovuto irritarlo, ma... occhieggiò la sua spada, lì accanto. D'altronde quello era il suo lavoro, no? Un lavoro che apprezzava molto.
La pagnotta avrebbe potuto aspettare, lui aveva... un piccolo appuntamento. Non ci avrebbe messo molto.

Decisamente un orco, sì.
Per quanto non fosse ancora apparso nel suo campo visivo, un orso era alquanto meno chiassoso.
... e meno puzzolente, per la verità.
Per il momento se ne stava a lato di una quercetta: ancora non enorme come le sue sorelle maggiori, ma offriva un discreto riparo. Tanto avrebbe deciso lì per lì se fosse il caso di rimanere nascosti e studiare una migliore strategia o attaccare subito. C'era da dire anche che prima avesse fatto e prima sarebbe tornato dalla sua pagnotta... (Okay l'attesa, senza esagerare, però.)
Immobile, in penombra, il respiro inudibile; solo il suo odore avrebbe potuto allertare la bestiola, ma girovagava da tanto là in mezzo che l'aroma di legno appiccicatoglisi sarebbe servito a coprirlo... almeno per poco.
Aspettò; il tremore aumentava e vi si aggiungeva anche il rumore di rami piegati - strappati - con poca grazia e le proteste degli animali che popolavano il sottobosco - tanto piccoli da non potergli interessare. Non mancava così tanto e...
Qualcuno gli sfrecciò davanti, sparendo nel giro di due secondi e mezzo.
Sbatté le palpebre.
Non l'aveva sentito arrivare. Né percepito in alcun altro modo.
Un... ragazzo? Aveva a malapena intravisto una folta chioma castana e un sacchetto della spesa.
Una sciagurata vittima in fuga dall'oni - non più così sciagurata né così vittima, visto che c'era lui...?
Si mosse fra tronchi e arbusti, rimanendo al coperto, nella direzione in cui presumeva fosse andato il tizio. Poco più avanti si apriva una sorta di spiazzo dove gli alberi si facevano meno folti; giusto tre alberelli al centro. Ed eccolo là: il fanciullo (?) si era arrampicato sull'albero centrale dei tre... probabilmente usufruendo di agilità da scoiattolo, dato che il ramo su cui si era appollaiato stava abbastanza in alto e il tronco si presentava liscio e compatto, dunque privo di appigli.
O forse era stata la forza della disperazione. Essere inseguiti da un oni portava ad incredibili sfoggi di forza nascosta - nessuno lo sapeva meglio di lui...
Comunque, ora lo vedeva bene; era un ragazzo, forse della sua età, probabilmente più alto di lui - strizzò le palpebre -, spalle larghe...
Ottima costituzione, forse avrebbe potuto perfino dedicarsi al suo stesso lavoro. (Deformazione professionale, avrebbe dovuto smetterla di cercare compari e rivali-)
Soltanto, a giudicare dai miseri abiti che portava - maglia e pantaloni semplicissimi di una stoffa che pareva tanto juta sbiadito - e dal fatto che avesse i piedi nudi, doveva essere un semplice servo.
Tra l'altro si era premurato di appendere il sacchetto che aveva con sé in un ramo ancora più in alto, dunque, o aveva molta fame, o doveva rischiare botte qualora al cibo fosse successo alcunché.
Oh, be'...
In tutto ciò, anche l'oni che tanto attendeva aveva avuto il tempo di raggiungerli; doveva aver fatto un giro più largo di quanto s'aspettava, perché apparve quasi dall'altro lato dello spiazzo. Un oni con tutti i crismi: alto, largo, azzurro, cornuto, una grossa clava al seguito.
Arricciò il naso. E sempre più puzzolente. A giudicare dai miasmi che gli arrivavano, doveva essergli rimasta qualche pezzo di carogna impigliato nei capelli...
Non era il caso di far gli schizzinosi, comunque; stava puntando dritto dritto al ragazzo sull'albero.
Meglio spicciarsi, o a far merenda sarebbe stato l'oni e non lui.
L'oni si fermò, forse per giudicare fosse meglio prendere a clavate tutto l'albero o lanciarla direttamente nella speranza di un fruttuoso tiro al bersaglio.
Portò un piede avanti, pronto a scattare, le mani strette sull'elsa della spada. Ora...
― Oh, sparisci!
...?
Il ragazzo aveva parlato.
E non gli pareva molto spaventato. Seccato, piuttosto.
Non si aspettava una voce così limpida, poi.
― Niente salame, oggi! ― Il ragazzo agitò un dito in segno di diniego ― Non ce n'era. Non ho niente per te!
Stava... uhm... conversando con l'orco.
Per carità, non che non avesse mai visto qualcosa del genere, ma erano per lo più suoi colleghi che si esibivano in minacce di morte e discorsi da macho - di suo preferiva lavoretti veloci e silenziosi, era un professionista, lui. - però...
L'oni, per tutta risposta, alzò un poco la clava e la puntò verso il ragazzo, con fare interrogativo.
Ah, ricambiava pure. Ottimo...
― No che non puoi mangiarti me! ― Saltò su il ragazzo ― Io... ― diede un'occhiata a destra e sinistra, esitante, forse sperando in un suggerimento dalla regia; non avendone, improvvisò: ― Non si direbbe, ma mangio pochissimo! Poca polpa. ― Lisciò i poveri vestiti che indossava. ― Sono tutto stoppaccioso. Quindi...
Silenzio.
Poi la clava dell'oni fu sollevata in alto, pronta per essere lanciata. Non doveva aver trovato l'argomentazione troppo convincente.
― Sei un rompiscatole. ― Il ragazzo gonfiò le guance, piccato, e si voltò a tirar giù il sacchetto della spesa; una volta recuperato, ne estrasse... un melone...?
Anche il melone fu alzato in alto, sopra la testa del ragazzo... che poi lo scagliò contro l'orco con un poderoso servizio.
Sbatté le palpebre - laddove non necessario - per la seconda volta nel giro di un quarto d'ora.
L'orco, contrariamente a tutte le aspettative, si portò una mano al punto leso, arretrò d'un passo, scioccato... e caracollò via, uggiolando - e sradicando un paio di alberelli nel passaggio.
Oh, giusto, il melone era semiliquido. E gli orchi erano allergici all'acqua. Gli avesse lanciato pure del sapone...
Riportò lo sguardo al ragazzo: stava sventolando con forza la mano, le lacrime agli occhi e i denti stretti.
Era duro era duro era durissimo-
L'improvviso sventolare si fermò; l'altro osservò la sua stessa mano, fece una smorfietta, contrasse le dita... e provò a piegare il polso.
Crack.
Ahia, doveva aver fatto male. Sentito nitido come se l'avesse avuto accanto.
― Ha pure fatto crack... ― piagnucolò quello, tastandolo con cautela.
Poi si bloccò, rimanendo perfettamente immobile, come fulminato da chissà quale pensiero.
In tutto ciò, era ancora in precario equilibrio sul ramo, sì.
Arraffò il suo prezioso sacchetto, guardò all'interno, lo scosse.
― ... ho tirato il melone. ― Realizzò, piano: ― ... la signora mi ucciderà. E forse non lo riporteranno fino alla settimana prossima...
Bizzarro fosse più preoccupato per il melone che non per l'aver appena affrontato un orco, ma d'accordo...
L'altro deglutì. Poi strinse i pugni - UN pugno -, presumeva per darsi coraggio. ― Il resto della spesa è salvo, però! Il pranzo... ... sono in ritardo per il pranzo!
E, con mosse tanto rapide che onestamente faticò a seguirle, il ragazzo si calò giù dal ramo e poi dall'albero, atterrando come se nulla fosse e concludendo il tutto lanciandosi in una nuova corsa in mezzo agli alberi.
Sparì subito dalla sua vista, ma non dal suo campo uditivo.
... curiosa, quella mattinata.
Iwaizumi rinfoderò la spada.
L'orco se n'era andato, inutile inseguirlo ora.
Anche perché quel ragazzo forse rappresentava la sua possibilità di fuga (?) da quel dannato bosco. E magari anche trovare la casa che andava cercando, che nel bosco c'era andato in primo luogo per QUEL motivo...
Ma avrebbe dovuto seguirlo in fretta: era veloce.
Buona corporatura, agilità, equilibrio...
Era un poco curioso, adesso.
Soprattutto di quale tragedia avesse mai innescato la perdita del melone.
La pagnotta avrebbe dovuto aspettare ancora un po', pareva.

Due buone notizie, una cattiva.
La cattiva era che aveva perso di vista il ragazzo.
Le buone erano, in ordine di importanza: 1. Essere uscito dal dannato bosco e, 2. aver trovato la dannata casa.
Una casetta di mattoncini e pietre che se ne stava proprio lì, al limitare del bosco, quasi immersa negli alberi...
Mattoncini e pietre, per quanto si vedeva, almeno. Enormi cespugli sistemati alla base delle pareti arrivavano fin troppo in alto, quasi oscurando le finestre; mentre lunghi stralci d'edera raggiungevano le zone inarrivabili ai cespugli mutanti. Dal tetto, che assumeva in più punti curve pericolose, pendevano altre piante non meglio identificate. Tutta la casa era soffocata dalla vegetazione e, probabilmente, pareva più piccola di quanto non fosse. Avrebbe potuto avere perfino due o tre piani, ma sull'unica parete visibile le finestre erano disposte a caso, anziché sulla stessa linea, e non aiutava molto...
Dal tettuccio pericolante, poi, spuntavano anche tre caminetti, disposti senza apparente criterio logico, tutti ad altezze diverse.
Il tutto era circondato da un basso muretto di sassolini e calcestruzzo, forse per segnalare dove finiva il bosco e iniziava il giardino.
... Altrimenti sarebbe stato difficile dirlo, sì.
Nel bel mezzo del giardino avevano sistemato una sedia a sdraio... di traverso, come un muro di protezione; una signora di mezz'età se ne stava accovacciata là dietro, del tutto intenta a guardarlo male.
Spuntavano solo la testa con la sua crocchia di capelli grigio topo e le mani dalle dita adunche, strette alla sdraio. Erano così lunghe e sottili da sembrare tanti insetti stecco.
La sua futura cliente, presumeva. Che ora si stava tirando indietro con tutta la sdraio.
Si trattenne dall'alzare gli occhi al cielo: non si era soffermato a pensare come avrebbe preferito fosse il suddetto futuro cliente ma, se l'avesse fatto, era abbastanza sicuro che avrebbe tracciato un quadro un po' diverso. Oh, be', non era il momento di far gli schizzinosi...
Si avvicinò. ― Qualche problema, signora?
La donna trasalì. ― Sì... ― E lo sguardo si fece sospettoso: ― Io vorrei stare in giardino a prendere il sole...
Ringraziò sentitamente chiunque provvedesse alla sua buona sorte per non averla trovata intenta a spalmarsi la crema solare.
― Ma c'è quello lì. ― E, con un colpo del mento, indicò un punto imprecisato alla loro sinistra.
Si voltò... ah, ecco. Laddove gli alberi cominciavano a farsi più fitti e il bosco più scuro, s'intravvedeva appena un'ombra un po' troppo grande e un po' troppo azzurra.
Quell'oni aveva avuto la geniale idea di mettersi controvento di modo che il suo odore venisse portato via. Peccato solo dai cespugli più bassi ai suoi piedi spuntasse la sua grossa clava spinata...
(E a voler ben vedere, nell'ombra i suoi cornini luccicavano.)
Il guizzo di un sorriso: ora poteva cominciare a lavorare sul serio.
Tuttavia, prima c'erano alcune cose da pattuire.
Tornò a rivolgersi alla signora: ― Potrei... aiutarla io.
Estrasse con lentezza la spada dal fodero, lasciando che il leggero sibilo del metallo riempisse l'aria.
― Dietro compenso, ovviamente. Ma...
D'improvviso, la signora parve farsi tutt'altra opinione di lui: ― Ma che bravo ragazzo!
La donna si mise in ginocchio e batté le mani; ora poteva vedere i quattro strati di scialli in cui si era avvolta - tutti di seta e altre stoffe dall'aria pregiata - e le tre grosse collane di perle e perline che le adornavano il collo. Come gli avevano riferito, la padrona di quella casa non era una povera contadina.
Avrebbe potuto già valutare cosa richiedere come "compenso"...
― Vuoi aiutare una signora in difficoltà. Un giovanotto prestante che ci darà una mano! ― La voce era garrula, ma parlava con la sicurezza di chi è abituato a farsi obbedire. ― Allora... ― Piegò la testa: ― Ci sarebbe quello appostato lì, altri due qui dietro casa, e non so quanti nell'area est del bosco. Non posso uscire un momento in giardino senza subire un agguato! ― Sospirò, affranta ― Le mie amiche, poi, devono buttarsi giù dalla carrozza e rotolare direttamente dentro casa. Un vero strazio, glielo dico io. Tra l'altro... ― Portò l'indice su una guancia rugosa: ― Ci sarebbe anche mio figlio, qui. Potrebbe essere una buona idea fare una disinfestazione totale, quindi...
Ammirevole come del figlio si fosse ricordata a fine discorso...
― Visto che si è offerto così gentilmente, mi sento di tirare la corda e chiederle, se possibile, uno sterminio di massa. Arriva l'estate e sarebbe piacevole potersene stare tranquilli, non crede? ― E si rialzò, trascinandosi dietro un sinistro numero di gonne e robi appesi alle gonne: ― Ci aiuterà, vero?
Per come l'aveva detto, era suonato più come un "Ci aiuterai. E basta."
Ebbe di nuovo voglia di sorridere.
Senz'altro, li avrebbe aiutati. Con molto piacere.
― Certo, signora. Farò tutto il possibile per liberarvi di questo fastidio. Solo, considerando il numero, potrebbe volerci qualche giorno. Perciò mi vedo costretto ... ― Costretto, proprio. ― A chiederle di poter soggiornare qui fino a lavoro concluso. Consideriamolo un anticipo del pagamento...
― Come preferisce! Stanze ne abbiamo e il cibo non scarseggia. ― La donna agitò una mano con noncuranza. ― Ma... se vivremo sotto lo stesso tetto, dovrò almeno conoscere il suo nome! Come si chiama, giovanotto?
Stavolta, il sorriso, per quanto appena accennato, scappò sul serio. ― Iwaizumi. Iwaizumi Hajime.
Seguì le reazioni della signora passo passo: le braccia ricaddero lungo i fianchi. La sua espressione si fece piatta. Dopodiché, ogni centimetro di pelle sul suo viso sbiancò.
Oh, allora aveva sentito parlare di lui. Iwaizumi Hajime, uno dei migliori cacciatori di mostri della regione...
O forse, da come stava strizzando le labbra, aveva piuttosto sentito parlare delle sue tariffe: le più esorbitanti della regione.
Eh, già.
Abbassò lo sguardo sulla sua spada. Era il momento di guadagnarsi la (un'altra) pagnotta.

Non ci era voluto molto, per quella prima parte: aveva solo provveduto all'oni che faceva la posta alla signora.
Poi si era preso una decina di minuti per ripulire per bene la spada, che il sangue di quei cosi macchiava. Se si fosse incrostato e la spada avesse cominciato a raschiare contro il fodero, non sarebbe stato molto carino... - né professionale, perdiana.
La signora lo aspettava vicino al cancelletto del giardino; tuttavia, in quel minuscolo spazio di tempo, era riuscita a far sparire nel nulla due collane, tre scialli e delle gonne che aveva addosso. Probabilmente le aveva ficcate sotto la sedia a sdraio, ora di nuovo nella posizione in cui sarebbe dovuta essere. La cosa aveva del tenero.
― Quale velocità! ― Lo accolse, appena tornò verso la casa. ― Abbiamo davvero avuto fortuna nell'incontrare un giovane così efficiente... ― Nonostante le parole amichevoli, però, si teneva a distanza di sicurezza; prima che potesse arrivare a meno di due metri, la donna si voltò con un gran - pericoloso - svolazzare di scialli, gonne e ciocche sfuggite alla crocchia, per poi dirigersi alla porta d'ingresso a passo di marcia.
Appoggiato allo stipite, un ragazzo... il figlio? Era alto, ma il viso dai tratti ancora leggermente morbidi - come se avessero appena iniziato a definirsi meglio - gli fece pensare che avesse qualche anno meno di lui.
I capelli erano sistemati in un caschetto ordinatissimo, tutti tagliati alla stessa altezza; la pignoleria dell'insieme, però, si interrompeva sulla fronte, dove i capelli si raccoglievano in un unico ciuffetto di frangia che ricadeva sul naso. Gli occhi, nella penombra, erano sassolini di un blu cupo.
La schiena dritta, le braccia strette al petto, il viso serio.
Di primo acchito, una persona integerrima.
Si scambiarono un'occhiata.
― Tobio, caro, fa' gli onori di casa... ― disse solo la donna nel superarlo, per poi entrare e sparire in una porta qualsiasi di quelle che intravvedeva da lì.
Si portò accanto al ragazzo. ― Salve.
L'altro continuò a guardarlo.
Per un po'.
― Buongiorno. ― Disse infine, dopo quella che doveva essere stata un'attenta (intensa) riflessione. ― Iwaizumi... ― Quei venti, trenta secondi di riflessione. ― ... san.
Altra lunga occhiata.
― Faccio strada. Mi segua.
Come se nulla fosse, con tutta la disinvoltura del mondo, si voltò di scatto e partì anche lui a passo di carica; se avesse avuto un mantello, gli si sarebbe schiantato in faccia.
Ma non lo aveva, per sua fortuna.
Integerrimo forse non era la parola più precisa per descriverlo.
― Porta. ― Disse... Tobio?, entrando e procedendo a passo spedito. ― Primo soggiorno. Stanza vuota. Altro soggiorno. ― Ad ogni voce dell'elenco, indicava una nuova porta con gesto metodico, ma senza rallentare, né fermarsi.
No, integerrimo non andava bene.
Iwaizumi lo seguì ad ampie falcate in quel corridoietto stretto; le mura, verso l'alto, si curvavano leggermente, dando l'impressione di potersi richiudere sul malavventurato da un momento all'altro.
― Bagno. Dispensa. Stanza inutile. Stanza del pianoforte. Altra dispensa. ― E il suo accompagnatore continuava a tirare dritto, senza far caso alle sue occhiate curios- stanza inutile?
Ma il fatto che ogni tanto il pavimento andasse in salita, come costruito su delle montagnole, o che il soffitto si abbassasse (i famosi bozzi che si vedevano da fuori...) e, più inquietante, che la strada percorsa non fosse dritta ma comportasse, al momento, almeno tre svolte - destra/destra/sinistra, gli pareva. Forse. Sperava. - lo distolse dalla sua approfondita analisi degli ambienti (sempre la deformazione professionale...) e spinse a concentrarsi solo sulla schiena del ragazzo, ancora qualche metro di fronte a lui.
― Biblioteca. Stanza vuota... ― Tobio si fermò di botto davanti ad una porta che sembrava appesa ai cardini: ― Altra stanza quasi vuota, è quella degli ospiti, quindi la sua. ― Si volse per guardarlo in viso, sempre compassato, un braccio semi-teso ad indicare la porta. ― Se si perde, segua la striscia di muschio sul soffitto, la condurrà direttamente in sala da pranzo. Verrà servito fra poco, perciò si può avviare. Buona permanenza, Iwaizumi-san.
E con lo stesso passo di carica con cui l'aveva condotto fin lì, se ne andò.
Iwaizumi rimase fermo per un momento.
Sul soffitto c'era effettivamente un lungo filo di muschio. Forse non l'avrebbero ritrovato a girovagare lì dentro una settimana dopo.
Diede un'occhiata alla porta della sua futura stanza... si sarebbe limitato a lasciare le sue sacche e la spada, per ora.
Adesso lo aspettava un'entusiasmante sfida con se stesso per vedere se fosse in grado di perdersi seguendo le frecce.
Poteva sperare che l'unica cosa buona e normale di quella casa fosse il pranzo, vero?
... ma poi, se il pranzo era quasi pronto, perché non l'aveva accompagnato direttamente lì, piuttosto che in camera...?
E nella sua mente, l'integerrimo fu sostituito da un "malefico". Avrebbe dovuto verificare, però.

Solo una cosa poté superare la sua gioia dell'essere, in effetti, riuscito ad arrivare sano e salvo alla sala da pranzo: la manciata di profumi molto invitanti che venivano da quella stanza.
Non si sarebbe precipitato là dentro come un morto di fame, però. Ci teneva alla sua immagine.
Diede una vaga rassettata ai vestiti, si schiarì la gola... d'accordo, bastava così, bussò appena sul battente per annunciare il suo ingresso e aprì.
Una stanza luminosa. E larga. Finalmente non c'era più quel senso di soffocamento.
Entrò.
I mobili erano pochi - due credenze una di fronte all'altra, un mobiletto basso sotto la finestra, il grosso tavolo da pranzo, le sedie attorno - ma di ottima fattura e pulitissimi; soltanto, neanche la più accurata delle pulizie avrebbe potuto salvarli dai segni che l'usura e il tempo avevano lasciato. E la finestra, con la sua larghezza che prendeva quasi l'intera parete, la illuminava a giorno, oltre a fornire una rassicurante visione del bosco là fuori.
Okay, quella stanza gli piaceva.
Le ottime cose che vedeva sulla tavola, poi, gli piacevano ancora di più-
Carne arrosto che non si distingueva più cosa fosse ma dal profumo doveva essere buona, formaggio sempre arrosto, poi patate, pomodori, pane... due bottiglie di vino la cui visione gli riempì il cuore di gioia. Tutto con un certo retrogusto rustico, ma andava benissimo così. Fece per sedersi...
― Aspetti, per favore! ― ... ma una voce nota - non familiare, solo... già sentita - alle sue spalle lo fermò.
Si voltò e tutto fu chiaro: a pochi passi di distanza c'era il ragazzo... quello che l'aveva incuriosito e condotto fin lì. Era pure quello che aveva steso un oni con una melonata, nondimeno.
Non si spiegava da dove fosse apparso, visto che prima la stanza gli era parsa decisamente vuota - forse si era sistemato a lato di una credenza...? -, ma d'accordo.
Capacità di celare la propria presenza... mh...
E ora se ne stava lì, fermo davanti a lui; non lo guardava negli occhi, eppure aveva un sorriso cortese sulle labbra.
Un secondo dopo, fu tutto ancora più chiaro: l'aveva visto correre in quella direzione. Quella era l'unica casa così stupidamente vicina al bosco di tutto il circondario. Era vestito da servo.
... faceva da servo lì.
Profondo moto di compassione.
― Scusi se ho interrotto la sua... contemplazione.
Se lo stava immaginando o il sorriso aveva assunto una sfumatura ironica? Tutto il moto di compassione se ne andò.
― Ma le darò fastidio solo un momentino, promesso! ― Il ragazzo alzò entrambe le mani: ― Poi mi levo subito di torno. Soltanto... ― Indicò una sedia dal lato opposto a quello dove si stava dirigendo. ― Il suo posto.
Annuì soltanto, per poi seguirlo intorno al tavolo. L'altro, in tutto ciò, non l'aveva ancora guardato negli occhi, né pareva intenzionato a farlo. Anche se nulla in lui gli comunicava timidezza o pudore, anzi; quando guardava altrove, teneva la testa alta. I movimenti erano disinvolti, come aveva avuto modo di vedere anche prima...
Una volta davanti alla sua (sua e di nessun altro, c'era da specificare) sedia, il ragazzo la scostò, sempre col suo fare garbato, e lo invitò a sedersi con un gesto della mano.
D'improvviso, si rese conto che la persona più normale in quella casa pareva pure quella che si era messa a discutere con un orco come se fosse routine quotidiana. C'era qualcosa che non tornava.
Fece per sedersi - di nuovo.
E la signora piombò nella stanza di gran carriera, in un frullio di gonne e scialli, producendo tintinni e cozzare metallici non si sapeva bene come - che avesse il borsellino, sotto le sue sette, otto gonne...?
― Tu! Te l'ho già detto mille volte! ― L'indice puntato contro il ragazzo, la voce che da garrula era passata all'essere stridente e aggressiva: ― Devi farlo in contemporanea! Con-tem-po-ra-nea! Vuoi un disegno? Quando una persona STA per sedersi, tu sposti la sedia e gliela metti sotto! Non prima! Intesi?
Ma era fisicamente possibile, una cosa del genere...?
Vabbé, si sedette comunque.
Dette un'occhiata al ragazzo, sopra la sua spalla: al momento, gli occhi erano precipitati ancora più giù, al pavimento, uno quasi nascosto dalla folta frangia.
― Ah, giusto... mi scusi. ― Ancora poco e avrebbe faticato a sentirlo perfino lui che gli era accanto:
― Lo terrò presente per domani. ― Nonostante tutto, però, sorrideva ancora. Un sorriso un po' piccolo, ma c'era.
Uno sbuffo, poi la megera (non gli pareva più una definizione imprecisa, a 'sto punto) si guardò intorno. ― Ad ogni modo, questo soggiorno fa schifo. Vedi di ripulirlo, dopo pranzo.
Perché aveva l'impressione che il suddetto soggiorno fosse stato già più che pulito quel mattino?
L'altro, però, annuì. ― Subito dopo pranzo, certo. Come desidera...
Al seguito della madre era arrivato anche il figlio, ma con maggior discrezione: lui si limitò ad entrare, gettar loro un'occhiata apatica e dirigersi al suo posto senza dir nulla. La sedia se la spostò da solo, però.
Una volta che tutti si erano accomodati - beh, quasi tutti -, si poteva cominciare, infatti il ragazzo si adoperò subito; recuperò la forchetta da arrosto, un grosso coltello, e si volse nella sua direzione.
Ah, giusto, un ospite andava servito per primo...
― Cosa preferisc-
― NON DARE FASTIDIO ALL'OSPITE!
La signora stava sbattuto uno dei suoi coltelli sul tavolo. E ora lo stringeva con tanta forza che, se non fosse stato troppo anche per lei, gli avrebbe seriamente fatto pensare volesse lanciarlo.
Il ragazzo, dal canto suo, era sobbalzato. E basta, era rimasto fermo così.
― La parte croccante. ― Rispose, spezzando quell'attimo di silenzio venuto a crearsi. Gli costò un'occhiataccia della signora, ma non gli importava granché; l'unica cosa che voleva da lei era una mancia per il suo lavoro. Per il resto...
Un grosso pezzo di carne arrivò subito nel suo piatto e, da quello, poté concludere che le sue parole erano bastate per tranquillizzare l'altro. In qualche modo, se ne compiacque.
Fosse stato anche solo per irritare la megera.

La carne, per quanto non si fosse ancora capito di quale bestiola fosse, aveva effettivamente una bella doratura croccante.
Il pane, le patate, il vino... tutto si era rivelato buono come si era augurato.
C'era una sola cosa che non gli era piaciuta: il ragazzo era rimasto nella sala, appoggiato ad una parete, finché non avevano finito. Dopodiché aveva sparecchiato ad... ammirevole velocità, trotterellando via infine carico di un considerevole numero di piatti sporchi. D'accordo che era piuttosto prestante, ma...
Lui si era preso quei due minuti per riflettere, intanto che la signora finiva una mela e Tobio, in apparenza, se ne stava ben barricato nei suoi pensieri.
Intrecciò le dita, vi posò il mento sopra e si decise a parlare. ― Non è un po' crudele? Mangiare davanti a qualcuno che potrà farlo solo dopo, intendo.
La signora annuì con veemenza. ― Senz'altro, e oggi sarà ancora più crudele! ― Abbatté un pugno sulla tavola. ― Quel disgraziato s'è perso il mio melone. Può sognarsi il pranzo per i prossimi tre giorni!
Sollevò la testa. ― ... per del melone. ― Disse, piano, quasi per accertarsi di aver capito bene.
La donna lo scrutò, occhietti neri lucenti nella penombra: ― Avrei dovuto farci merenda, con quel melone, stasera. ― Prese un profondo respiro, strinse i denti. ― Avvolgerlo nel prosciutto. Invece no. Come farò, ora, mi dica? Eh?
― ... capisco.
Iwaizumi si alzò dalla tavola. Non c'era altro da dire.
Solo, ora che ci pensava...
... come faceva il ragazzo a sapere che stava contemplando i cosciotti arrosto, prima, se non l'aveva mai guardato in viso?
... mh.
La cucina non doveva essere così lontana.

In effetti non ci era voluto molto per raggiungere la sua meta: prima era bastato seguire l'odore di arrosto, dopo il tintinnio delle posate e il cozzare dei piatti di ceramica gli uni contro gli altri.
Quando entrò, trovò una stanza piccola, ma accogliente allo stesso modo del soggiorno; ben illuminata da una finestrella rotonda, tutti i mobili di un legno scuro e spesso... il taglio era grossolano, come se li avessero reperiti in una capanna o casa comunque più povera. Al soffitto erano appesi mazzetti d'erbe e alcuni sacchetti, l'aria sapeva... be', di quello che avevano mangiato per pranzo. E salvia, c'era un buon odore di salvia.
Era più nel suo stile.
Il ragazzo era lì, impegnato davanti ad un grosso lavandino su cui erano impilati almeno il triplo dei piatti che aveva visto in soggiorno prima. (Da dove-)
Dette un colpetto di tosse per annunciarsi, il cigolio della porta doveva essere stato coperto dalla spugnetta che sfregava sulle pentole.
Il ragazzo voltò la testa verso di lui... per tornarsene precipitosamente alle pentole appena lo vide. Si schiarì la gola. ― Le serviva qualcos'altro...?
Sempre gentile, ma... lo era di natura o per costrizione?
― Posso sapere perché non mi guardi in faccia? ― Molto diretto, d'accordo, forse troppo, ma non era tipo da lenti preamboli.
― Oh. ― La mano con cui stava energicamente strofinando un piatto rallentò. ― Scusi. La signora non vuole che...
― La signora non è qui, ora. ― Fece notare, e il sottinteso era evidente.
― ... mpf.
Era stato un principio di risata, quello?
Il ragazzo si voltò di nuovo... ma, stavolta, un paio di occhi marroni incontrarono i suoi. ― Così va meglio? ― sorrise.
Sì, andava meglio.
A farci caso, poi, il ragazzo era tutto color castagna... abiti a parte che erano più sul beige e non dovevano nemmeno aver avuto dei tempi migliori.
Iwaizumi acchiappò una sedia vicina al tavolo e la girò; ci si sedette al contrario, appoggiando le braccia incrociate al bordo dello schienale.
― E puoi parlarmi in modo più colloquiale. Gli onorifici sono noiosi. ― Sospirò, abbandonando la testa sulle braccia. Sebbene non avesse fatto così tanto, quel giorno, cominciava ad avvertire la stanchezza pesare... più che sulle spalle, sulla sua mente. Sospettava non fosse proprio fatica fisica.
La risposta tardò di qualche secondo. ― Allora va bene... Iwaizumi. Solo quando siamo da soli, però. ― Poteva ben immaginare che se si fossero parlati con confidenza davanti alla megera sarebbero seguite urla raccapriccianti. ― Cosa... fai qui in cucina?
― Mi serviva un posto tranquillo. ― Risposta parzialmente vera e senza dubbio credibile.
L'altro annuì. ― Capisco. Beh, potrò farti compagnia per un po'! ― Piccola pausa ― ... Certo ― Un sospirino, ma non era amaro; pareva più... rassegnato ― Giusto finché non ho finito con i piatti, qui. Dopo ci sarà il soggiorno, dopo ancora lavare le tende, poi innaffiare il muschio e riparare la porta sul retro... per il primo pomeriggio. Dopodiché...
Il muschio? Quello sul soffitto? Lo innaffiavano pure?
― ... ma ― Interruppe senza scrupoli la sua lista che doveva comprendere ancora quindici o venti voci ― Non potresti mangiare qualcosa, adesso, piuttosto?
Il ragazzo rimase un momento immobile. ― ... ti ha detto del melone. Beh... ― Riprese a sciacquare i bicchieri, ma con più lentezza: ― In realtà, non ho proprio fame! E poi ― scrollò le spalle ― La signora controlla tutti i giorni qualunque cosa ci sia in cucina. Se mancasse una briciola, lo saprebbe. E i tre giorni diventerebbero una settimana...
Lui, invece, cominciava a capire quali ragioni mistiche gli avessero impedito di mangiare la sua benedetta pagnotta per tutto il giorno. Fortuna che prima di passare in cucina aveva ben pensato di fare un salto nella sua stanza.
Recuperò la sua sacca da terra.
Il ragazzo intanto continuava il discorso, preso: ― Una volta sparì mezzo cracker e la signora si arrabbiò moltissimo. Poi scoprimmo che era stata una lucertola, e allora...
E si voltò a guardarlo, forse per dar più enfasi al racconto; tuttavia, appena lo fece, tacque.
Fissava la pagnotta che aveva appena messo sul tavolo.
Iwaizumi la spinse verso di lui con due dita.
― N-no. ― Il ragazzo fece un passo indietro, si appiattì contro il lavandino: ― Se la signora lo sapesse...
― ... ma la signora non è qui. ― Ripeté allora, con assoluta calma. ― E neanche verrà. Mi ha visto mentre entravo. E ho come il sospetto che preferisca tenersi il più lontano possibile da me...
... e dalle sue eventuali richieste di pagamento.
Tra l'altro, signora qui, signora là: ma come si chiamava? Si era pure presentata, fra una cosa e l'altra, ma se n'era scordato all'istante.
Il ragazzo tentennava, gli leggeva l'esitazione in viso. Doveva rincarare la dose.
― Tanto... ― Scosse la sua sacca, ormai vuota. ― Era l'ultima cosa che avevo con me, se nessuno la mangia andrà comunque a male fra un paio di giorni. Quindi...
Non pareva del tutto convinto. La megera lo terrorizzava a tal punto?
― ... perché lo stai facendo? ― Volle sapere infine l'altro. Insomma, ci conosciamo da dieci minuti e...
Iwaizumi lo guardò.
Rilassò le spalle.
La risposta poteva essere soltanto una.
― Odio il melone col prosciutto.
Il ragazzo sbatté le palpebre.
Lentamente, si avvicinò al tavolo e prese la pagnotta.
Poi la mangiò, o meglio sbranò; la teneva con due mani e divorò a grandi morsi, manco fosse la cosa più buona che avesse mai mangiato.
― Non avevi detto di non aver fame, prima?
L'altro mandò giù l'ultimo boccone. ― Ah-ha. Mentivo!
Inarcò un sopracciglio: in qualche modo, la frase l'aveva irritato, seppure un minimo. E qualche oscuro presentimento gli suggeriva che quella NON sarebbe stata l'unica volta in cui il tizio l'avrebbe irritato.
Ad ogni modo, ora che si erano occupati delle questioni di vitale (letteralmente) importanza...
― Comunque... ― Si alzò. ― Posso sapere come ti chiami, ora?
L'altro arraffò uno strofinaccio e vi si ripulì le mani dall'olio della pagnotta. Sorrideva fra sé e sé.
― ... era da un pezzo che non... ― Scosse con forza il capo. ― Mi chiamo Tooru. ― Guardò la sua stessa mano e... ― Posso? Piacere! ― ... gliela porse.
La strinse: la pelle era dura, callosa. Come la sua.
― ... piacere mio. ― Gli scappò l'accenno di un sorriso, piccolo piccolo.
Forse stare in quella casa per i prossimi giorni non sarebbe stato così massacrante come si era prospettato all'inizio.






... ero seriamente indecisa se salutare con "yoh" o "yohoo" che sono le mie formule tipiche, quindi buonsalve. ☆
Dato che ci tengo sempre a presentarmi, qualora qualcuno non abbia presente chi sono, potete chiamarmi Tayr/Tailu/Tailuchan/Comemeglioviaggrada. *O*/ Ho pubblicato due cosettine qualche mese fa e letto un po' di cose dietro le quinte, ma per il resto questa sezione per me è territorio inesplorato, LOL.
Venendo all'ordine del giorno: sì, sono Tayr Soranance Eyes e sto pubblicando una long.
Sì, avevo detto che non avrei più pubblicato long in corso di scrittura. (Questo lo sapranno i miei aficionados (?))
No, questa fanfiction non l'ho ancora conclusa - ne ho altri due capitoli pronti, però!
Perciò, per chi non mi conosce ancora: onestamente, sono davvero lenta con gli aggiornamenti delle long. Non so se questa andrà a seguire anche le altre mie, ma mi sono resa conto che rimandare la pubblicazione/pubblicare solo sul mio blog è giusto un simpatico modo per aggirare il problema, non risolve niente. Dunque chiedo venia in anticipo se mai ritarderò, ma a pubblicare puntualmente, o qualcosa di simile, voglio almeno provarci-
Ora, piuttosto, passiamo alla fanfic in sé e per sé...
Actually, davvero non ricordo come mi sia saltata per la testa all'inizio. So solo che Cenerentola è una delle mie favole preferite e che, quindi, tutti i miei personaggi preferiti hanno la grandissima sfiga di ritrovarsi me che li immagino a farci remake e parodie. Tooru è giustappunto uno dei miei personaggi preferiti nell'universo intero, la IwaOi la mia OTP di Haikyuu e nel periodo in cui ho iniziato a scriverla avevo appena tradotto, o forse l'ho tradotta dopo ma comunque l'avevo sentita, una canzone Vocaloid a tema (Itsuka, Cinderella ga - di cui voglio il video damn it-). Plus, Haikyuu Quest mi ispira alquanto. Sì, insomma, tutto ciò è venuto fuori da me che scleravo fangirlando. *Fa gesto vago*
La fanfic non è demenziale. Non sempre, almeno. E' solo tanto scema, senza alcuna pretesa di coerenza e allegramente anacronistica. Ah, sì, siamo in Giappone, in teoria. In pratica è un curioso mondo high fantasy, ovvero pseudo Europa medievale. Qualcosa di simile. Ma un buon high fantasy demente non sarebbe la stessa cosa, senza idromele e case a graticcio <3
Noooon dovrebbe essere lunghissima. Conto in, boh, da dieci a quindici capitoli. Spero.
E sì, appariranno anche altri PG di Haikyuu, sebbene non tantissimi. E il buon Tobio-chan dovrebbe essere il personaggio che ritorna più spesso a parte i due protagonisti ùwù (No ok non si direbbe ma Kageyama è uno dei miei personaggi preferiti di Haikyuu, ve lo assicuro! x° E no, non è un antagonista, WTF)
Il titolo è una mezza citazione dalla canzone Crazy ∞ Night. Che, tra l'altro, è una delle mie cit. preferite di sempre e vedere anche come finisce la frase potrebbe dare qualche idea in più su cosa verterà la fanfic. *O*/
Eeee... questo è tutto, direi. E io non ho ancora messo l'html, quindi credo ora andrò a farlo. *Guarda inquieta il tag br...*
Alla prossima, si spera presto ma chissà!
Bye!

P.S.: tutto calcolato, e anche le cose più dementi troveranno spiegazione, un giorno.
Tranne il muschio sul soffitto, però fa scena.



Extra - Colonna Sonora

* "Anche se reciti seguendo il copione..." = "'Daihon-doori yatta' koto dake ga..."
Crazy ∞ Night
[Miku Hatsune, Rin & Len Kagamine, Meiko, Kaito, Gumi, Gakupo Kamui, Luka Megurine + Hitoshizuku-p & Yama; Night ∞ Series]
* La vera Canzone di questa storia, però, sarebbe più Death should not have taken thee-! / Shinde shimau to wa nasakenai! [Rin & Len Kagamine + Wonderful Opportunity]
* Itsuka, Cinderella ga [Len Kagamine + Hitoshizuku-p & Yama] Ci sarebbe da chiedersi esattamente come una canzone Così Allegrissima mi abbia ispirato una fanfiction tanto idiota, lol.


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Capitolo 2
*** Anche se solo per mezz'ora ***





Anche se solo per mezz'ora





Il primo giorno, Tooru correva qui e là.
Alla fine, Iwaizumi lo ritrovò in una stanzetta, a notte fonda, intento a ripulire un caminetto.
― Vedi... ― aveva detto, alzando il viso sporco di cenere. ― Devo farlo quando tutti dormono, altrimenti alla signora vengono le bolle sotto i vestiti e inizia a rotolarsi per terra. Dice che è allergica ai caminetti puliti di giorno!
... ma era fisicamente possibile che...?

Il secondo giorno, Tooru correva qui e là.
Alla fine, Iwaizumi lo ritrovò in un salotto, circondato da tappi di sughero.
A quanto pareva, appartenevano alla signora ed era una straordinaria collezione di tappi con incise le teste di tutti i re degli ultimi cento anni. Contando anche i pezzi extra in diverse colorazioni - shiny - la collezione vantava ben millesettecentonovantratré pezzi.
Solo che la signora e le sue amiche avevano pensato di usarli come palline da badminton, due giorni prima.
Perciò ora lui doveva risistemarli in ordine alfabetico inverso. Tutti e millesettecentonovantratré.

Il terzo giorno, Tooru correva qui e là.
Alla fine, Iwaizumi lo ritrovò in cucina, spalmato sul tavolo.
Neanche dormiva, era solo troppo stanco per muoversi.
Lo aveva acchiappato per la collottola e spedito in camera sua - l'intenzione sarebbe stata di spedircelo a calci, ma era così esausto che si era fatto qualche scrupolo perfino lui.

Il quarto giorno...

Prima di uscire di casa, a due passi dalla porta di ingresso, Iwaizumi sbadigliò, ma uno sbadiglio immenso che quasi gli slogò la mascella. Poi fece alcune circonduzioni per stirare le braccia, seguite ovviamente da del sano stretching: giù la schiena, le gambe divaricate, la testa pendente.
Infine si tirò su e sbadigliò, ma uno sbadiglio immenso che- sì, insomma, stava per (ri)addormentarsi in piedi.
La sua camera poteva pure avere una vasta gamma di funghi multicolor che crescevano sulle pareti, una finestra minuscola, l'illuminazione di una miniera a torce spente e una porta che doveva aprire/chiudere con molta cautela per evitare di divergerla ogni volta che passava, però gli conciliava il sonno che era una meraviglia. Per quanto non fosse del tutto sicuro che si trattasse di un cosa positiva: per quel che ne sapeva, avrebbero anche potuto essere eventuali spore tossiche dei funghi sul muro, quindi lo stavano lentamente avvelenando nottetempo. O magari era solo che odiava alzarsi così presto il mattino dopo una bella nottata, d'accordo.
Giusto per rimandare di altri due minuti il momento in cui avrebbe dovuto arrendersi, aprire la porta di casa e consegnarsi di sua spontanea volontà al gelo del primo mattino, decise di controllare che nella sacca ci fosse tutto il necessario.
I pugnali di scorta, il liquido incendiario, l'acciarino, le bistecche crude.
Sorrise - ghignò, vabbé - e dette una pacca affettuosa alla borsa, sentendo il liquido agitarsi nel suo contenitore. Per la mattinata, aveva in programma pulizia globale delle caverne degli oni che aveva trovato il giorno prima e, già che aveva il fuoco acceso e pronto, un bel barbecue.
E se gli fossero avanzati cinque minuti, avrebbe raso al suolo il dannato bosco, una buona volta.
Ma ora, a meno che non volesse tornare in camera sua a sradicare i funghi dal muro, non gli rimaneva proprio nient'altro da fare, perciò...
Proprio quando aveva, infine, teso la mano verso la maniglia, gli giunse un rumore di passi veloci in avvicinamento.
― Iwaizumi!
Molto veloci.
A dire il vero, così veloci che quando si voltò si ritrovò all'istante Tooru di fronte, sorridente anche se col respiro grosso. Doveva aver attraversato almeno tre corridoi in un lampo. E teneva stretta in pugno una pergamena tutta spiegazzata. Appena ebbe ripreso un pochino il fiato - forse erano sei corridoi - gliela porse con un gesto... non brusco, deciso. Quasi sapesse che non avrebbe rifiutato.
... e effettivamente Iwaizumi prese quella pergamena, perché non aveva davvero alcun motivo per rifiutare. Anzi, in fondo forse era pure un po' curioso. Pochino. E molto in fondo.
E poi avrebbe potuto cazzeggiare per altri cinque minuti, la qual cosa era più che benvenuta.
La aprì, buttò un occhio al contenuto...
...
Avrebbe voluto commentare, ma il suo cervello gli rimandò solo un religioso silenzio.
"Lavare tutti i pavimenti di casa. [Entro il mattino]"
― E' la mia lista delle cose da fare! ― La voce dell'altro era quasi trillante ma, vedendo quel che era annotato su quel foglio, come potesse essere tanto giulivo andava oltre la sua comprensione.
― Con gli orari!
"Lucidare tute tutte le pedine per giocare a dama - quelle inn edizione limitata, doppia passata. [h 09 a.m.]".
Cosa ca-.
― Non ti garantisco che li rispetterò con precisione, ma insomma, se vuoi parlare con me sai dove trovarmi! Possibilmente la mattina o il primo pomeriggio, dato che la sera sono troppo stanco per formulare frasi di senso compiuto. Poi vedi tu quando sei più comodo, senza fretta, dai pure la precedenza alle altre cose che hai da fare, comunque se ti va... ― Oltre ad essere riuscito a proferire tutto senza mai pausare per più di mezzo secondo, ora parlava sempre più in fretta e gesticolava pure: ― Ho pensato che volessi parlarmi, visto che vieni sempre a cercarmi e mi chiedi sempre come sto e quindi sì insomma credocheoratorneròdilà ― Una volta raggiunto quel che evidentemente era il culmine/massima velocità raggiungibile dalla sua lingua, tacque.
Si scambiarono un'occhiata: il viso pallido dell'altro, ora, non era proprio-così-pallido.
Non era arrossito, ma aveva le guance più colorite di quanto non fossero di solito.
Il ragazzo gli diede le spalle di botto e corse via - prima che il suo cervello recuperasse coscienza, sempre più basito - salvo fermarsi in fondo al corridoio, lanciargli un'occhiata da sopra la spalla e agitare con forza una mano. ― Buona giornata, Iwaizumi! ― Gli sorrise e sparì.
Rimase piantonato lì per un lungo secondo. Il suo cervello aveva, infine, tratto le dovute conclusioni.
Quel tipo era una mina vagante di umore variabile e con uno scandaloso tasso di energia, specie per una persona così impegnata da mane a sera. Per una qualche ragione, aveva l'impressione che stare con lui per più di cinque minuti fosse una cosa sfiancante. Non si spiegava, quindi, perché ora fosse così curioso di fare una prova.
Scosse il capo e aprì la porta, lasciandosi punzecchiare sul viso e le dita da quell'aria freddina. Forse stava davvero dormendo in piedi.
Fece per ripiegare la pergamena e riporla nella sacca insieme al resto... all'ultimo, la rialzò e le diede un'ultima occhiata.
"Ridipingere tutte le rose rosse di bianco per il cambio stagione primavera/estate [h 8:20 a.m.]." Nnnno.
"Prendere i funghi per il pranzo dalla cappa del camino dell'ala ovest - nel caso, aggiungere quelli nella camera di Iwaizumi. [Prima di pranzo]" Perché, quel posto aveva un'ala oves- cosa?
"Rastrellare le foglie secche in giardino [h 11 a.m.]". Okay, per le undici sarebbe stato libero dalle incombenze di disinfestazione e dal barbecue.
Magari la seconda bistecca avrebbe potuto portarla a Tooru? Non per altro, ma se avesse mangiato due bistecche intere a metà mattina poi si sarebbe rovinato l'appetito per il pranzo. Ovviamente.

Iwaizumi piombò di corsa nel giardino; un po' perché temeva di non fare in tempo, un po' perché, quando aveva visto in lontananza la casa, non gli era sembrato vero di essere riuscito a tornare da solo, senza neanche chiedere indicazioni a qualcuno o imprecare. Soprattutto senza imprecare.
Era stato puntuale. Come promesso, Tooru era lì, nel giardino, a rastrellare foglie cadute.
Le aveva pure suddivise in tre gruppetti ordinati secondo il colore. Quanta solerzia...
― ... ohi.
Era un saluto, sì.
― Iwaizumi! ― Il ragazzo mollò il rastrello, lo saltò - fortunatamente senza inciamparci, che sennò lui ci avrebbe riso e poi si sarebbe sentito una persona orribile. - e gli andò incontro a braccia aperte: ― Sei venuto davvero! Allora ho fatto bene a...
Questa volta fu lui a porgergli qualcosa: il cartoccio con la bistecca arrosto. E il suo, di gesto, era stato effettivamente brusco. Ma l'unica cosa importante, lì, era che l'altro si riempisse la pancia - e che lui potesse godere a dovere del pranzo, in seguito.
Tooru tacque e, forse per riflesso involontario, richiuse le dita, sorpreso, esitante.
Ci volle qualche secondo e uno sguardo di conferma da parte sua (sguardo che diceva pressappoco "Prendi, mangia e taci."), ma poi l'altro accettò l'offerta e gli sfilò piano il cartoccio di mano.
Rimase ad osservarlo un momento, quasi con... tenerezza - e lui si chiese seriamente se fosse commosso dal gesto o commosso dal vedere una grossa bistecca al sangue tutta per lui. Credeva più la seconda, in realtà.
Poi la scartocciò e, con ben meno tenerezza, la azzannò. Una volta. Due. Tre. E la bistecca non c'era più.
Con la fame che aveva, era strano non cercasse di addentare anche qualcuno dei residenti della casa - beh, oddio, la vecchiaccia in effetti non l'avrebbe digerita nemmeno un orco, ma...
― Mille grazie! ― Tooru sollevò un lembo della maglia e piegò le ginocchia in un inchino giocoso. ― Allora, adesso mi dirai perché sei qui...?
E teneva gli occhi fissi su di lui, carico di aspettativa. Gli ricordò tanto un bambino in procinto di spacchettare un grosso regalo o un grosso pony, perciò - in un improvviso slancio di bontà - decise di stare al gioco.
― ... non mi hai dato il tempo di rispondere, prima. ― Sospirò Iwaizumi (con un microscopico accenno di sorriso che di sicuro l'altro non avrebbe notato e solo lui poteva saperlo, certo), superando i mucchietti di foglie per avvinarsi. ― Ma, sì, vorrei parlarti. Anche se, prima... perché hai suddiviso le foglie per colore?
Un istante dopo averlo detto, si chiese perché l'avesse fatto. Un istante dopo ancora, si disse E perché no?. Era il buon vecchio far conversazione, in fin dei conti.
― Oh! Capisco che sembri strano, ma è per comodità. ― Tooru indicò il mucchietto verde. ― Quelle verdi sono per il mio cuscino. ― ... A ben pensarci, però, forse quel modo di dire riguardo felini ammazzati dalla troppa curiosità aveva il suo perché. ― Quelle secche, invece, le metto in una bustina per la signora. Dice che le piace schiacciarle e sentire come crocchiano! ― E, come a dir dimostrazione delle sue parole, Tooru se ne mise una sul palmo e poi strinse le dita con non necessaria violenza. Crack crack. ― Quelle rosse le usa Tobio-chan come decorazione per la sua scrivania. E' un po' fissato col rosso e l'arancio, sai... ― Se avesse dovuto associare un colore a Tobio, tutto blu e quasi sempre vestito di blu e di solito seduto in penombra (quindi più o meno sotto luce blu) sarebbe stato più il... ecco, insomma... magari, riflettendoci bene... il blu.
Annuì lentamente, non proprio sicuro di quel che avrebbe dovuto dire.
― Certo, a volte in mezzo a quelle verdi ci si trova qualche bruco e quando li ritrovo nel cuscino è un po' noioso... anche se quelli pelosi sono carini! Se provi ad accarezzarli ti si arrotolano intorno al dito.
Ad ogni modo, soggiornare in quella casa per Iwaizumi era stata un'esperienza istruttiva. Bruchi domestici..
― Comunque... ― Senza che ce ne fosse alcun bisogno, Tooru si allontanò un poco e indicò una sedia da giardino, un chiaro invito a sedersi. Tuttavia, la sedia era una e loro due, dunque era altrettanto chiaro come sarebbe andata a finire.
Scosse il capo. ― No, grazie. ― E gettò la sua sacca sull'erba, a distanza di sicurezza dalle foglie verdi, per poi seguirla a ruota. Non vedeva perché lui dovesse sedersi con comodo sulla sediola in vimini e l'altro sul terriccio.
Tooru non commentò, ma da come si era lanciato subito nel quadratino di terra accanto a lui, poteva supporre avesse apprezzato.
― Se continueremo a parlare, allora... ― Giunse le mani, deliziato ― Questa sarà una vera e propria conversazione!
Parola detta con gusto, e tanto. Come se avesse aspettato da sempre di pronunciarla.
― Uhm... sì, direi di sì. ― Faceva strano perfino a lui, ma era bello provare nuove esperienze, di tanto in tanto. (?)
L'altro annuì con forza, radioso. ― Se è una conversazione dobbiamo fare le cose per bene! ― E agitò un pugno per aria, lanciato. ― Tu fai una domanda a me... ― Si indicò ― E io ne faccio una a te! ― E gli sfiorò una spalla come se niente fosse. Non aveva certo problemi di espansività. ― Con ordine, come con le foglie. D'accordo?
Di fronte a cotanto entusiasmo non poté far altro che concordare. I bambini vanno lasciati giocare.
Tooru fece un largo cenno col braccio. ― Prego, inizia pure. Sei tu l'ospite!
― ... come sei finito incastrato qui?
... ecco, per quanto amasse la sua stessa impulsività, forse era una di quelle situazioni in cui avrebbe dovuto soffermarsi a riflettere prima di parlare. La domanda era venuta fuori da sola, non richiesta.
Eppure era quello che più gli aveva sempre dato da pensare di tutta quella faccenda: come c'era finito quel ragazzo lì? Non avrebbe saputo spiegarsi neanche da solo il perché, ma aveva come l'impressione che ci fosse un qualcosa di davvero, davvero sbagliato in tutto quello che vedeva nella casa...
Ma l'altro liquidò la domanda con uno sventolare della mano e un sorrisino: ― Oh, ci sono nato e cresciuto. Ora tocca a me!
Risposta poco soddisfacente. Che generava ancora altre domande.
In primo luogo... allora dov'era la sua, di famiglia...?
Ma non avrebbe insistito. Per ora.
L'altro non fece subito la sua domanda, però; forse selezionava quale curiosità preferiva togliersi per prima. Giunse le dita. ― Vediamo, vediamo un po'... quanti anni hai?
Una domanda che non si sentiva fare spesso. ― Diciassette.
― Anche io! Però... ― ... Tooru non disse altro, lo guardò in tralice e basta.
Lo invitò a proseguire inarcando un sopracciglio, in attesa.
― E' che... ― Si coprì la bocca con una mano, ma sentì benissimo la sua risata: ― Sono più alto di te! Sei proprio sicuro di aver fatto bene a lasciarmi quella bistecca...? Fanno bene alla crescita!
Tutto ciò in Iwaizumi provocò due reazioni distinte.
Una parte di lui desiderò procurargli dolore acuto e immediato - l'altezza non era il suo tallone d'Achille. No. Assolutamente no.
Un'altra parte di lui - piccolissima - doveva ammettere che, però, era molto meglio così, vederlo ridere e scherzare e non terrorizzato come il primo giorno o stanco morto come tutte le sere.
Ma tanto non avrebbe mai ammesso l'esistenza della seconda parte, quindi poteva soddisfare la prima senza alcun rimpianto.
Gli piantò una gomitata fra le costole con totale nonchalance. ― Ora è il mio turno, giusto?
― Ahia...! Uh, sì...
Iwaizumi si ridette un contegno; sbuffò appena - che fatica queste conversazioni, oh -, poi portò entrambe le mani sui fianchi e ruotò il busto quel che tanto che bastava per poterlo guardare negli occhi (con disapprovazione). ― Prossima domanda. ― Interloquì, cercando di mantenere l'aria più compassata possibile. ― Piatto preferito?
Il ragazzo sbatté le palpebre. Una, due volte. Un sorriso che fioriva per metà, aveva curvato solo un angolo della bocca. ― Sai... ― Si grattò il naso ― Tutto considerato, direi... tipo... qualunque cosa? ― Rise ― Ho sempre fame!
In teoria, non era un'uscita propriamente felice.
Ma detto così, con quella spensieratezza e quella risata...
Iwaizumi si trovò a ridere piano con lui. Non sapeva nemmeno come. Non ricordava nemmeno da quanto fosse che non rideva - di una risata che non fosse di pura e accorata malignità, si intendeva.
Aveva come la sensazione che, se anche fossero stati in un altro tempo e in un'altra casa, avrebbe risposto più o meno allo stesso modo.
― Ah...! ― Sospirò quello, deliziato ― Ma allora anche tu ridi, ogni tanto!
E lui si placò di colpo, giusto per sbottare: ― Perché, cosa credevi?
― Uhm... ― Tooru si passò le dita fra i capelli, portando la frangia indietro, e si accigliò: ― Sospettavo tu fossi una di quelle persone che... ― Parlò anche con una voce più bassa, contenuta, e si rese conto con due secondi di ritardo che lo stava scimmiottando. ― ... hanno sempre il muso lungo e, quando vanno a trovare i nipotini, dicono che hanno un forno abbastanza grande per cucinarci anche i bambini dentro. Quel genere di persona.
Uh, buona quella. E il forno a casa sua era anche di quelli con ampio spazio di manovr- aspetta.
Visto che l'aveva già quasi steso con una gomitata ed era deciso a dimostrare che lui era una persona pacata, si limitò ad acchiappare delle foglioline da terra e lanciargliele contro.
Ma l'altro lo ignorò - forse non c'erano bruchi - e distese anche la schiena sull'erba. ― Ah... - sospirò ancora, ma stavolta con tono sognante, gli occhi persi nel cielo. ― In realtà... ― Intrecciò le dita e se le sistemò sotto la testa a mo' di cuscino. ― Quand'ero piccolo, c'era una cosa che mi piaceva da morire: i panini al latte. Sono... delle grosse focacce dolci con crema di latte in mezzo. Tanta crema. E sono buonissimi!
― Crema... panna, intendi?
― No, no, una crema specifica. Uno strato di crema alto un pollice!
Iwaizumi lo imitò, ma senza distendersi del tutto. Puntellò i gomiti sull'erba, quel tanto che bastava per mantenere il busto sollevato. Davanti agli occhi aveva un bel cielo azzurro, nuvolette bianche e un bestione di pane spugnoso e crema ad alto contenuto calorico. Più crema che pane.
― Ma sono anni che non ne mangio uno...
Ora riusciva a spiegarsi com'era che, nonostante la sua attuale dieta a base di acqua e aria, fosse arrivato alla sua ampia apertura di spalle, l'abbondanza di muscoli e ad essere alto ben quattro risicati centimetri più di lui - e no, questa non gliel'avrebbe mai perdonata.
Probabilmente era alto un metro e ottanta già a sette anni, e il tempo successivo si era trattata solo di mera sopravvivenza.
― Non li producono più? ― Se tanto li amava e avevano detti effetti miracolosi, com'era che...?
L'altro sorrise appena, ma era più il sorriso di chi ha appena ricevuto una martellata su un dito e cerca di rassicurare tutti che ma sì, sto benone, non mi sono rotto una falange e non piangerò sangue-.
― Oh, no, no! Ci sono anche dal mercante dove vado a far la spesa per la casa ― Sospirò. Tutte e tre le falangi, forse. ― ...Ma la signora sa che mi piacciono, quindi ha ordinato di non comprarne nemmeno se fossero l'ultimo pezzo di pane disponibile nell'intera regione.
Un'improvvisa ondata di fastidio che gli fece strizzare le palpebre e scrollare appena il capo nel tentativo di levarsi la spiacevole sensazione di dosso - neanche avesse appena ingollato una fettina di limone.
Un improvviso impulso di fare qualcosa per il suo prossimo - e, ehi, questo era strano forte.
Un improvviso colpo di reni, un piccolo balzo e fu subito in piedi. Si chinò, porse la mano.
Non era stato un gesto brusco, ora. Solo... deciso. Tooru aveva sbattuto le palpebre.
La sua mano era lì e aspettava d'essere afferrata. Avrebbe aspettato, e stavolta non avrebbe sentito ragioni.
L'altro lo fissò... forse si stava chiedendo se avesse il permesso o il diritto di prenderla, o forse si preoccupava di tutte le porcherie che aveva dovuto toccare quel mattino. Se anche avesse avuto la mano sporca d'erba o detersivo, però, non sarebbe cambiato niente.
E proprio un istante prima che aprisse bocca e glielo facesse notare, il ragazzo si sporse e strinse la sua mano di rimando. Una presa salda... molto salda; ebbe la remota impressione che, più che altro, si fosse aggrappato. E sorrideva, stavolta sul serio.
Iwaizumi lo tirò su e l'altro lo lasciò fare. Quando se lo ritrovò a pochi centimetri di distanza si rese conto che in effetti sì, gli piaceva un sacco vederlo sorridere.
E forse se lo tenne a pochi centimetri di distanza per più tempo di quanto fosse legittimo, dato che lo guardò per abbastanza tempo da notare anche come lui lo stesse ricambiando.
Dette un loschissimo colpo di tosse e si voltò di scatto, ma senza lasciar andare quella mano.
Anzi, ne approfittò impunemente: prese a camminare a passo di marcia verso il limitare del giardino, o per meglio dire il cancelletto, trascinandoselo dietro.
― Ehm... Iwaizumi?
― Ti accompagno a far la spesa. Ora.
Ohi, ora, piano. Il suo essere più gentile con quel ragazzetto che con chiunque altro non voleva certo dire che gli stesse simpatico o che fossero d'improvviso diventati amiconi - o che mai lo sarebbero stati.
― Non vorrei dire, ma...
Soltanto - soltanto - a vederlo lì, tutto solo e abbandonato a far da Cenerentola in quella casetta col tetto sbilenco e la sola compagnia del muschio, di un hikkikomori e di una matrigna che... sì, insomma... la signora era un caso a parte. Un grave caso a parte.
Iwaizumi-
... gli era improvvisamente salita la voglia di fare qualcosa. Una qualunque cosa.
― Iwa... Iwaizumi! Sto camminando al contrario guarda che ti cado sopra rallenTAA-
Ormai correva e l'altro là dietro faceva del suo meglio per non schiantarsi, ma poco importava.
D'altronde... il suo lavoro era pur sempre salvare la gente dai mostri.
Anche se si trattava di mostri con lunghe unghie smaltate, collane con perle grosse come uova di fagiano e dodici sottane merlettate.
Anche se solo per mezz'ora, un po' di salvezza.

Le porte del supermercato del bosco si aprivano e richiudevano con deboli sibili; ogni volta veniva fuori una poderosa, quanto piacevole, zaffata di... beh, c'erano senz'altro salame, pancetta, caffé e verdure fresche. Poi arrivava l'odore di pesce e tutto il resto impallidiva.
Iwaizumi doveva ammettere che era stata una buona idea mettere un supermercato nel bel mezzo del bosco, veniva incontro alle esigenze di tutti. Certo, c'era da chiedersi come fosse possibile che ne fosse venuto al corrente dopo... uhm... diciassette anni - ovvero la durata complessiva della sua vita - di scorribande fra la vegetazione.
A sua discolpa, poteva dire che non aveva mai capito nemmeno dove fosse l'entrata e dove l'uscita del bosco - ma tanto lui avrebbe dato fuoco ad ogni singolo alberello, quindi la cosa aveva una qualche importanza? No, ecco.
Si rigirò fra le mani i ricci di castagna che aveva ottenuto dal gashapon vicino alle porte. L'ultima volta che ne aveva preso uno aveva dieci anni in meno e una spada molto più piccola. (Più piccola ma ce l'aveva. Anche a sette anni. Hai. Era stata un'infanzia relativamente piacevole.) Però osava dire che, stavolta, la situazione lo consentisse.
E alla fine, anche Tooru riemerse dalle porte. Con tre grosse buste al seguito, e in una ci intravvedeva un melone. O forse erano due, a giudicare dalla grandezza complessiva.
Basta Col Melone-.
Si avvicinò al ragazzo e gli levò una delle buste dalle mani, senza dir niente - e se anche l'altro avesse protestato, l'avrebbe fatto comunque. O gli avrebbe dato un pugno e l'avrebbe fatto comunque.
Ad ogni modo, lasciò uno dei ricci di castagna sulla mano vuota, quasi come pagamento.
Tooru portò all'altezza degli occhi la pallina puntuta, stranito...
― ... spaccalo ― Si affrettò a spiegare e non capiva proprio perché di punto in bianco si sentisse lui quello infantile. ― Basta mettere due dita a circa metà del diametro, sopra e sotto, e premere.
― Oh, sì, sì. ― L'altro parve riprendersi all'improvviso e annuì, quasi con foga: ― Lo so. E' solo che non ne ho mai comprati... e non me ne hanno mai comprati e mi sono... ― La frase si concluse così, senza parole, solo lui che sorrideva con fare di scuse e si stringeva nelle spalle. Non seppe come prenderlo: scusa per la sorpresa - e okay - o scusa, ma non mi interessa? (... Magari la prossima volta ci avrebbe pensato due volte, prima di fare quello che avrebbe fatto con il suo fratellino minore.)
Mentre lui cogitava, Tooru era andato a sistemare le buste al sicuro fra le radici di un grosso albero - ma lui non avrebbe appoggiato la sua. Non era così pesante.
Il ragazzo studiò il riccio ancora per qualche secondo, girandolo e girandolo di nuovo fra le dita. Beh, sì, aprirli senza spaccarli in mille pezzi, o senza far esplodere l'interno, non era così facile; occorrevano svariati anni di deliberata pratica, e-
Tooru spaccò il riccio in due metà perfette.
Okay, non ci credeva che non ne avesse mai preso uno in mano.
― Oh... oh! ― L'altro fece due saltelli sul posto ma poi si bloccò all'istante, forse ricordandosi di avere una veneranda età o forse notando il suo sopracciglio inarcato; rise appena e tese le mani a coppa verso di lui. ― Guarda, Iwaizumi! Ci ho trovato un onigiri! Di quelli al salmone!
Un piccolo, carino, perfetto onigiri al salmone, rosa e bianco.
Onigiri. Salmone.
Salmone...
Salmone...
Inspirò. Davvero un buon profumo, dovevano essere freschi di quel mattino.
Proprio un istante prima che potesse allungare la mano, fregargli l'onigiri e ficcarselo in bocca - per poi allontanarsi fischiettando come se niente fosse accaduto - il ragazzo ebbe la buona idea di tirare indietro le braccia, osservando il suo nuovo tesoro. ― Grazie, Iwaizumi! Ma... ― Gli scoccò un'occhiata allusiva ― Nooon apri il tuo?
Abbassò gli occhi. Oh, giusto, ne aveva preso uno anche per sé.
Lui non aveva bisogno di tante scene: era un professionista in vari campi, soprattutto quelli che richiedevano la forza bruta. Ovviamente, spaccare il riccio della castagna ci rientrava in pieno.
Lasciando il riccio in una mano sola, lo racchiuse da pollice e medio e... pop! il riccio si aprì, spaccato alla perfezione.
Tooru aprì appena la bocca per lo stupore e lui percepì una punta di soddisfazione. Anche se non era del tutto sicuro che l'altro fosse davvero stupito e non stesse teatrando. Ma...
Nel suo riccio c'era un minuscolo palazzo in miniatura. Tutto blu e bianco, con tante finestrine e quello che, perfino in scala, era un abnorme portone d'ingresso.
― ... oh. L'Aobajousai. ― La miniatura del loro sacro (?) palazzo reale era un pezzo piuttosto raro e anche carino dal punto di vista estetico... ma lui avrebbe di gran lunga preferito qualcosa di commestibile, aveva mangiato una bistecca sola quel mattino e l'onigiri di quell'altro disgraziato aveva proprio un buon profumo-
Tooru guardò la miniatura, poi lui, poi il suo onigiri, poi il suo stomaco, poi tornò a lui.
― ... vorresti scambiare? ― Fece, tentatore, agitandogli l'onigiri sotto il naso.
Riuscì di nuovo a riportarlo indietro prima che potesse mangiarselo - anche se in questo caso, forse, fu un bene; visto quant'era appetitoso, era probabile che nello sporgersi e morsicarlo/azzannarlo gli avrebbe amputato anche un dito o due. E' veloce...
― No, non lo voglio il tuo onigiri al salmone. Mangiatelo. ― Si concentrò su un a dir poco interessantissimo buco nella corteccia di un albero sulla sua sinistra. Tanto per levarsi sia il bocconcino che il rompiscatole dal campo visivo.
Eppure l'onigiri tornò di nuovo sotto il suo naso, terribilmente vicino. La mano al di sotto era callosa, quasi crepata alcuni punti, delle piccole pellicine seguivano il bordo di alcuni dei calli.
Fece per arraffarlo una buona volta... e si fermò all'ultimo, le dita sospese poco sopra la fettina di salmone.
Quella mano non si mosse. Rimase lì, invitante, in attesa. E aveva come la sensazione che non si sarebbe spostata nemmeno se avesse aspettato di più. Non lo guardò, ma sapeva anche che quello lì stava sorridendo, come al solito.
Con tutta la compostezza e la dignità del mondo, inspirò, prese tranquillamente l'onigiri e se lo ficcò in bocca tutto intero. Masticò a lungo, con calma, lasciando che il leggero sale del salmone gli si sciogliesse sulla lingua. Buono, sì. Proprio come pensava.
Una volta sminuzzatolo per bene, lo mandò giù e seguì un lungo momento di silenzio in cui lui pensò a cosa fosse il caso di dire.
Che buono - era superfluo. Odio anche le miniature - certo adeguato all'occasione ma, per un qualche motivo che proprio non riusciva a spiegarsi, ogni qual volta lui diceva "Io odio XXX" la conseguente replica era sempre: Ma tu odii tutto?
Grazie sarebbe potuto andare bene, forse. Però.
Quel lungo momento di silenzio fu infranto dall'eco del boato di un tuono in lontananza.
Che per essere un tuono in lontananza, era sembrato straordinariamente vicino.
Guardò Tooru, il quale invece stava guardando la propria pancia con occhi sgranati.
― ... era il tuo stomaco. ― Realizzò, incredulo.
L'altro annuì e basta, le guance di una sfumatura appena appena più accennata - che avrebbe potuto anche essere causato da un gioco di chiaroscuri, lì, nella penombra del bosco.
― Avevi (di nuovo) fame ma me l'hai dato lo stesso...? ― Il ragazzo era così...
L'altro annuì di nuovo, stavolta impegnato a tastarsi con cautela lo stomaco.
... così.
Non avrebbe saputo esprimerlo a parole, ma sapeva che gli faceva saltare i nervi. E, allo stesso tempo, lo trovava apprezzabile.
Quel sentimento era più curioso che il suo "odio completo e totale per qualsiasi cosa esistente" - cit. dai suoi colleghi. Che poi non era vero, a lui piacevano un sacco di cose. Tipo la carne arrosto. E tanti soldi. E del buon vino/birra/alcolici. E stare in santa pace. L'ultima, nello specifico.
Era il momento giusto per darglielo.
Cacciò il riccio con il palazzo imperiale nelle mani del ragazzo e poi, con la mano nuovamente libera, si mise a pescare nella sua sacca.
Meditava di conservarlo per quella sera, che tanto l'altro sarebbe stato di sicuro reduce da una cena mancata, tanti piatti da lavare e chissà quale altra assurdità - gli pareva che fra le sue attività di quella sera figurasse anche il ripulire il tetto dalle lumache, che ultimamente c'era stata una brutta infestazione - ma...
Lo tirò fuori. Sentì l'altro trattenere il fiato all'improvviso.
Eccolo: il panino al latte.
Con ancora meno pane di quanto pensasse e più crema di quanta pensasse.
Glielo porse. ― Ho detto che quand'avessi finito con la spesa mi avresti trovato qua fuori. ― Si sentì in dovere di aggiungere, di fronte ai suoi occhi a palla. ― Ma non che non sarei entrato anche io nel frattempo.
Tooru, stavolta, non si fece attendere né pregare; accettò il panino fra le mani, ma non lo strinse.
Anzi, lo prese con delicatezza, nemmanco fosse una sacra reliquia.
E lo stava guardando con occhi piuttosto languidi.
Il panino, diceva, non lui.
Fin troppo languidi.
Un singhiozzo.
― Ehi, ehi... ― si mise subito sull'attenti, facendo per dargli una pacca sulla spalla ― Frena, non è che ora ti metti a-
Tooru morsicò il panino e, nello stesso istante, gli vennero giù due lucciconi grossi così.
Cos-.
Dal canto suo Iwaizumi stava per sentirsi atterrito e/o una persona orribile (e due), ma dato che l'altro stava continuando ad azzannare il panino e piagnucolare per conto suo, forse non era così male...?
Beh, sì, piangeva, eppure i suoi occhi gli parevano luccicanti per tutt'altro motivo.
― Stai piangendo perché... ― azzardò ― ... il panino è buono?
Come da copione, l'altro annuì per la terza volta, con vigore.
Iwaizumi si accigliò.
― Ho capito tutto. ― Se ne uscì quello, non appena ebbe la bocca libera - ovvero dopo aver sterminato almeno metà del panino in un colpo. ― Tu sei la mia fata madrina e sei venuto qui per farmi un regalo bellissimo per il mio compleanno!
Pareva seriamente convinto.
Fra tutti gli insulti che gli avevano rivolto in vita sua, fata era davvero il più-
Tooru alzò entrambe le mani in segno di resa, una ancora stretta sul panino. ― Suvvia, suvvia, scherzavo!
Oh, quando aveva estratto la spada e quando l'aveva puntata verso di Tooru? Era stato così rapido da non accorgersene nemmeno da solo.
La mise giù con un lungo sospiro, l'altro che abbassava lentamente le braccia.
― Però, sai...
Rialzò la spada, ma di poco.
Un gran sorriso, nonostante tutto: ― Anche se non sei una fata e non puoi fare miracoli, sono felice di essere qui con te, ora!
La spada tornò giù di botto.
Non era più tanto sicuro di avere il diritto di sentirsi offeso.
E non avrebbe mai pensato che il tizio se ne uscisse con una frase del genere. O forse piuttosto che gli avrebbe fatto tanto piacere sentirla.
Tossicchiò. ― Perché, il tuo compleanno è questi giorni...? ― Sì, stava solo deviando l'argomento, ma tant'era.
― No no! E' fra due mesi!
Okay, ORA la gomitata nel fianco ci stava tutta.
Anche se... - ahi! - lui non poteva fare miracoli... però qualcos'altro sì. Aveva già incominciato, del resto.

Iwaizumi fu la sua ombra per tutta la giornata.
Lo vide sbucciare patate e lavare verdure; lo vide ripulire tutti i vetri di ogni finestra della casa; lo vide lucidare i cardini di ogni porta, battente e credenzina. E oliarli, perfino.
E ridipinse il cancelletto d'ingresso e innaffiò il muschio sul soffitto e sturò un lavandino e piantò un abete in giardino e preparò una torta a tre piani e...
Vide anche la signora lanciargli una secchiata d'acqua da una finestra del piano di su.
Senza apparente motivo, poi piantò i gomiti sul davanzale e rimase lì a... boh, forse si godeva la sua espressione sconvolta.
Lui, invece, sempre calmo e ragionevole, tese il suo arco e ci incoccò una freccia, pronto a lanciare.
Per quanto in teoria facesse parte delle cosiddette brave persone, al momento...
L'arco tremò.
Oh, ma tanto - scrollò le spalle. Era risaputo avesse un caratteraccio; nessuno si sarebbe stupito se avesse-
La finestra si richiuse di botto. Dannazione.
E Tooru, dopo lunghi secondi di shock in cui non fece altro che sgocciolare sulle gardenie già ben innaffiate, riprese a lavare i vetri come se nulla fosse successo. Dopo ancora, iniziò a fischiettare. Non si era neanche asciugato.
Insomma, Iwaizumi l'aveva seguito proprio per tutta la giornata.
E quello - quel tipo - era riuscito a fare tutta quelle... cose e rimanere sempre di buonumore. Sorrideva, scherzava fra sé e sé, non si lamentava.
Chissà perché, ma avrebbe trovato molto più rassicurante e comprensibile un pianto isterico contenuto ma continuo.
Ormai si era incuriosito. Voleva capirci qualcosa.

Quando, al tramonto, Iwaizumi si era deciso ad interrompere le sue attività di stalkering spionaggio studio/ricerca sociale e rientrare in casa, aveva trovato Tobio seduto vicino alla porta.
Che stava lì. E lo fissava.
Lui lo fissò di rimando.
E si fissarono per quelli che dovevano essere stati due minuti abbondanti.
Stava giusto cominciando a chiedersi se sarebbe stato maleducato tirar fuori dalla sacca un panino e cominciare a sgranocchiarlo mentre ancora si scrutavano, che era pur sempre quasi ora di cena, quando una voce squillante li fece sobbalzare entrambi.
― Tobio-chan! Smettila di spaventare la gente con la tua faccia fosca! ― Tooru che era provvidenzialmente, o qualcosa di simile, arrivato da una delle stanze a lato. ― Hai salutato, almeno, spero?
― Certo che ho salutato! ― Saltò su l'altro, vivace come mai l'aveva visto.
Tooru, con faccia piatta, si voltò verso Iwaizumi per lanciargli una rapida occhiata e indicò l'altro ragazzo con il pollice, come a chiedergli conferma. Beh, in effetti... No.
Viva la sincerità, d'altronde.
Non ebbe il tempo di tradirlo, però, che Tobio continuò, ancora infervorato: ― Stavo per farlo. ― Sbuffò. ― Se qualcuno mi avesse lasciato il tempo...
Prese un bel respiro, forse per ritrovare la compostezza perduta, spinse il mento in su e proferì, solenne: ― ....'era.
... ah?
Tooru mosse le mani, facendogli cenno di andare avanti. Incoraggiandolo, ecco.
― ... -uonasera...
Ma noooo, Tobio-chan! ― Prese (di nuovo) un colpo a lui e, a giudicare da com'era sussultato (di nuovo), anche a Tobio; Tooru aveva una voce davvero alta. O forse era più la sua veemenza? ― Che mi combini? Più spigliato, più spigliato! Parla chiaro e basta con quella faccia che... che... ― ... Il ragazzo si soffermò un momento, un dito sulle labbra. ― ... diciamo sembra ti abbiano appena ammazzato il gatto, il che non è credibile visto che tu nemmeno ce l'hai mai avuto, un gatto. Per fortuna. Del gatto, dico. Aaaad ogni modo... ― Tooru tornò a rivolgersi ad Iwaizumi, con un sorriso a trentadue denti: ― Si fa così. Buonasera, Iwaizumi-san!
...
Nessuno di loro trovò qualcosa di sensato da replicare.
Da parte sua, Iwaizumi era tutto preso in due profondi quesiti esistenziali: in primo luogo, era normale che tutta quella farsa gli avesse fatto venir voglia di ridere - ridere di gusto e non perché era malvagio - ...? (Ma non avrebbe riso, nossignore.)
In secondo luogo, come cacchiarola faceva, il tipo, ad avere una dentatura perfetta? La signora non pareva proprio la tipa da prodigarsi per le cure mediche e l'assicurazione sanitaria dei suoi servitori - e non avrebbe scommesso nemmeno sul figlio.
Tobio, invece, dopo averci riflettuto per quei due/tre minuti...
Si rialzò, guardando avanti, in fondo al corridoio. ― Buonasera, madre.
Tooru si irrigidì di colpo e ci sarebbe stato da chiedersi anche com'era che non gli si fossero drizzati tutti i capelli sulla testa; si girò lentamente, molto lentamente, per dare un'esitante occhiata dietro di sé...
Ma il corridoio era vuoto.
Si voltò di scatto, alzando i pugni stretti. ― Tobio-chan! ― S'imbronciò ― Così non vale, però!
Tobio lo superò e tirò dritto per il corridoio; aveva sempre la solita espressione neutra, ma lui avrebbe giurato di aver visto una minuscola luce di soddisfazione nei suoi occhi.
L'altro fece un gesto vago con la mano. ― Anche tu bari. ― E se ne andò, tranquillo.
Se avesse avuto un mantello, era probabile che in quel momento avrebbe svolazzato per tutto l'ambiente.
Tooru abbassò con lentezza i pugni, senza scioglierli. Anzi, li stringeva. Doveva star piantando le unghie nei palmi.
― Così non vale. ― Un mormorio. ― Così ce l'ha sempre vinta lui.
E Iwaizumi si stupì appena, ma non avrebbe saputo dire se per le sue parole o se per il tono sommesso con cui le aveva pronunciate.
Il ragazzo si voltò a guardarlo e, come sempre, sorrideva. Non pareva convintissimo, però. ― Allora, ho una cena da preparare. Vuoi farmi compagnia?
Si ritrovò ad annuire e basta, quasi senza accorgersene.
O forse era stato più il suo viso.

Una volta finita la - molto buona - cena a base di pesce e verdurine, Iwaizumi si richiuse la porta della cucina alle spalle, com'era diventata usanza in quei tre giorni... no... come sarebbe diventata usanza, quei tre giorni, se fosse mai riuscito a beccare l'altro ragazzo in tempo.
Stavolta, invece, Tooru era effettivamente lì e lo aspettava. Tuttavia, Iwaizumi pensava che si prospettasse loro davanti una lunga serata passata a chiacchierare e lavare una pila di piatti ogni giorno più alta - e che ci faceva quel paiolo lì. Perché era incrostato di roba viola. - non che Tooru, al vederlo, gli sarebbe corso incontro e gli avrebbe afferrato il polso per poi trascinarlo... boh? Cos'era, la porta sul retro?, senza spiegare niente. Solo un dito davanti alle labbra incurvate, un sorriso che arrivava fino agli occhi lucenti nella penombra.
... e va bene, si disse, lasciandosi trasportare. Si meritavano una vacanza entrambi, in fin dei conti.
Aprirono pian piano la porta, camminando in punta di piedi, i respiri trattenuti - oddio, forse Tooru non stava respirando proprio. Se fosse diventato blu, gli avrebbe dato una botta in testa - e sgusciarono nel giardino buio. Sebbene fossero in primavera inoltrata, non c'era il minimo rumore, come se non ci fosse neanche un insetto.
In effetti, forse non c'erano insetti e basta. Non ricordava di averne visti - a parte i bruchi di cui avevano parlato quel mattino. Né altri esseri viventi. Nel raggio di dieci chilometri.
... dunque solo gli orchi (e i bruchi) hanno il coraggio di avvicinarsi alla signora questa catapecchia.
Si chiese d'improvviso, forse inopportunamente, se i bruchi pelosi fossero così soffici come diceva Tooru. Quei giorni aveva sempre più voglia di sperimentare cose nuove.
L'altro attraversò il praticello sguisciando come un'anguilla tra la sdraio della signora, il tagliaerba a pedali e l'ombrellone, sempre trascinandoselo dietro - e fu il primo a chiedersi come fosse riuscito a non inciampare - per poi fermarsi davanti a quella che pareva tanto una parete ricoperta dai rami/foglie/fiori violetti di un gigantesco bouganville.
Tooru si mise a... frugare nella pianta, spostando i rami centrali con quelli che parevano gesti esperti . E facendo volar via svariati petali viola. Il tutto in perfetto silenzio, solo lui sapeva come.
Però, in effetti, quand'ebbe scostato abbastanza rami...
... non vide comunque niente perché c'era il ragazzo in mezzo.
Si scambiarono una rapida occhiata.
Tooru aprì appena la bocca e dopo si spostò, emettendo un... soffio? che forse era stato l'accenno di una risata. Forse.
Finalmente poté vedere cos'era stato tanto ben nascosto lì: una scalinata. Una scalinata segreta (?). Soltanto, il bouganville era cresciuto anche all'interno, ricoprendo gradini e pareti ai lati. Quindi pareva più di infilarsi in un corridoio ricavato a forza in un intrico di legno e roccia.
O meglio, lì c'era effettivamente un passaggio segreto ricoperto di rami/foglie/fiori violacei. Aveva un suo fascino, tutto sommato.
― L'ultimo a salire chiude ― sussurrò Tooru, a voce così bassa che avrebbe potuto perfino esserselo immaginato. E si infilò nel corridoio vegetale.
Lui, invece, si guardò a lato. L'ultimo a salire chiude. Eh, certo. I primi a salire la facevano sempre facile. Tanto non era mica problema loro.
Individuò una grossa pianta in vaso e la trascinò - silenziosamente - fino all'ingresso del corridoio... e ora, una mossa da maestri: salì sul primo gradino senza nemmeno voltarsi, al contrario. E tirò la pianta il più possibile, fino a metterla proprio di fronte all'entrata.
Un'enorme pianta che prima non stava lì di fronte ad un bouganville mezzo divelto.
... Be'...
Aveva comunque visto cose più insgamabili. (Coff, coff).
Insomma, non proprio un qualcosa di raffinato e di totale copertura, ma sfidava chiunque non avesse avuto le sue braccia d'acciaio a smuovere i seicento chili di vaso, terra e pianta e bruchi. Tornando a loro...
Si voltò. In fondo al corridoio, le piante incorniciavano un quadratino di cielo stellato e Tooru che lo stava aspettando.
Si lanciò su per le scale, sperando solo che tutti gli insetti del giardino non si fossero nascosti proprio lì, pronti a lanciarsi in picchiata su qualunque malcapitato di passaggio.
Quando arrivò in cima e il cielo stellato si inarcò sopra di lui, si rese conto che quella era, come nella più classica delle tradizioni, una torretta. Una torretta il cui pavimento era ricoperto di soffice muschio - su cui Tooru già si era accomodato - e dal cui parapetto spuntavano ancora rami del bouganville. Sul bordo di pietra, invece, era cresciuta dell'erbetta. Per il resto, quel poco di roccia che ancora non era stato soffocato dalle piante anche al buio pareva così vecchio... Ci passò un dito: pietra levigata dopo chissà quanti anni di vento, sbiadita dopo chissà quanti anni di sole. Gli rimase una leggerissima patina di polvere sul polpastrello.
Andò a sedersi vicino al ragazzo cercando di fare il più piano possibile, non sapeva più nemmeno lui se per non svegliare l'idra addormentata - strano che la signora non avesse tre teste, in effetti, ma diceva abbastanza idiozie per tre - o se solo per non infrangere quel silenzio che era venuto a crearsi.
Era quasi... piacevole. Il silenzio di quando non c'è granché da dire però, sì, va bene così.
Occhieggiò le stelle sopra di loro: tante, luminose. Nei suoi viaggi aveva visto anche cieli più belli di quello, in teoria, ma non gli pareva la stessa cosa, al momento. Non davano la stessa sensazione.
Forse era solo che quelle volte non ci si era soffermato granché, preso com'era a sbudellare mostriciattoli d'acqua - cosa più complicata di quanto sembrasse, davvero. - o organizzare attacchi a sorpresa in accampamenti nemici.
Okay, forse lo sbudellare aveva rovinato la poesia del momento. Appena appena.
― ... mio padre mi portava sempre qui. ― Fece Tooru, dopo un po', neanche avesse potuto leggergli nel pensiero e rendersi conto di come stesse sciupando quell'attimo pieno di pathos. Per una volta, forse, avrebbe persino avuto ragione: ― Nessuno si ricorda più di questo posto, ma io sì.
Sapeva che si sarebbe dovuto sentire toccato - e un pochino lo era, in fondo, fosse stato anche solo perché l'altro gli stava facendo una confidenza su quell'argomento che si ostinava a schivare - eppure, chissà come mai, piuttosto si insospettì. No, era solo che...
― ... sai, mi piacciono un sacco le stelle! ― Tooru si lasciò ricadere all'indietro, come quel mattino, e gli venne il dubbio che approfittasse semplicemente di ogni momento possibile per riposarsi. Senz'altro il muschio al di sotto era morbido e adeguato al rilassamento dei muscoli. ― Perciò ogni tanto vengo quassù a guardarle...
Oh, no.
Assolutamente no.
― Frena i cavalli. ― Iwaizumi tese le mani avanti: ― Non starai per metterti a fare un raccontino lacrimevole sul tuo passato in toni melodrammatici, spero?
― Eh? ― L'altro aggrottò la fronte, preso in contropiede. ― Ma no, no! ― Accompagnò ogni no con lo scuotere del capo.
― Con tutto il rispetto per il tuo eventuale background tragico e se vuoi possiamo parlarne come persone ragionevoli, ma io il melodramma proprio non...
Tooru lo interruppe con una leggera risata: ― Oh, tranquillo! Casomai cercherò di farla passare impunemente come una storiella allegra. Ma le stelle mi piacciono sul serio! ― Agitò una mano per aria, quasi stesse cercando di acchiapparle: ― Il motivo è molto semplice. Se vedo le stelle, vuol dire che posso andare a dormire! ― E stiracchiò le braccia. ― Certo magari non subito-subito, ma almeno un pisolino ino ino...
Si ritrovarono a ridacchiare piano entrambi.
― In realtà ― Quando Iwaizumi si fu placato. ― A me la notte non piace molto. Preferisco il giorno.
Il ragazzo piegò la testa verso di lui. ― Oh? Perché?
― Perché la notte mi annoio. ― Non si poteva dire non avesse senso pratico. ― O dormo e non potrei fare altrimenti se voglio avere la forza di muovermi il giorno dopo, o capitano quelle notti che non riesco a dormire e mi annoio. A volte mi pare una perdita di tempo...
― Capisco. ― Annuì l'altro. ― Sei sempre felice per quello che farai il giorno dopo e l'aspetti. Beh, anche questa è una buona cosa! Vuol dire che le tue cose da fare sono piacevoli. O la maggior parte, almeno. ― Sorrise, ma pareva più... rassegnato? ― Qualche volta, mi chiedo anch'io... come sarebbe se...
... avessi una vita normale?
Iwaizumi si sedette alla scriba, che dava un'aria seria, e portò le mani sulle ginocchia. ― Beh, ogni tanto potresti provarci anche tu, sai? A fare le cose piacevoli. Quando capita. Non è così male.
Tooru sbuffò appena, guardando altrove. ― Sì, quando avrò tempo libero. Forse fra cent'anni...
― Dico sul serio. Potresti...
Nessuna risposta: le palpebre del ragazzo calarono dolcemente e non si mosse più, solo il petto che si alzava e abbassava, placido. Un po' come se si fosse...
... no, no ― Lo scosse ― Non pensare nemmeno di addormentarti. Non ci provare. Io non ti riporto di sotto. Guarda che...
... ti mollo qui?
Davvero? Non era così sicuro che, nel caso, avrebbe lasciato l'altro a dormire sul muschio, con la prospettiva di non lavare i piatti sporchi abbandonati in cucina e, dunque, doversi sorbire le urla della megera di primo mattino. Nessuno al mondo avrebbe meritato di trovarsi di fronte quella cosa - ancora in camicia da notte, la crema sul viso e i cetrioli appena tolti dagli occhi stretti in pugno - che urlava frasi di non-proprio senso compiuto. E vedersi pure tirare contro i cetrioli.
Si sporse per tirargli una ciocca di capelli, un minimo di soddisfazione.
Un sorriso sornione: ― Sono sveglio, eh.
... accidenti a te e ai tuoi soffici capelli color castagna-
― Comunque... ― Nemmeno riaprì gli occhi. ― ... non so se potrò mai, però... credo sarebbe divertente vedere queste cose di cui parli. Le cose belle da fare di giorno. ― La sua voce andava abbassandosi... ― Non mi dispiacerebbe se me le mostrassi...
... e si spense, come se si fosse davvero addormentato.
Ma ora sapeva che entro cinque minuti sarebbe balzato in piedi, pronto a tornare obbedientemente ai piatti sporchi e i suoi doveri (?). Magari avrebbe potuto aiutarlo con i piatti. Non troppo, lavarne giusto due o tre.
Osservò il ragazzo accoccolato sul muschio, accanto a lui.
La notte sarebbe stata ancora lunga e forse non tutta così piacevole.
Ma ora - anche se solo per un momento - avrebbero potuto godersi ancora quel silenzio, mh?






Yohoo!
Okay, sono le due, ho sonno, devo ancora finire di mettere l'html e probabilmente mi metterò a piangere sul tag I-. Quindi cercherò d'esser stringata. A parte questo, oggi abbiamo una cosa alquanto importante da dire...
Tanti auguri, Iwa-chan! *A*/ Di solito non faccio mai gli aggiornamenti ai compleanni (troppo scostante/memoria orribile) ma visto che il tag di Tooru su tumblr ha provveduto a ricordarmi che oggi era il 10 giugno, beh... (Sarai felicissimo, Iwa-chan. Una Iwaoi tutta per te al tuo compleanno! <3 *Si butta sotto la scrivania per scansare una pallonata alla velocità della luce*) Coff, dicevamo.
Questo capitolo è lunghino e sapete cosa? E' il mio standard. Di solito i miei capitoli di long sono così lunghi. Il prossimo capitolo, che come avevo detto è già scritto, è curiosamente più corto, ma quelli dopo ancora... *fa gesto vago* Beh, vedranno loro. Quando la voglia di delirare è tanta, non vedo perché dovrei porci freno.
... poi, sapete, nelle mie idee la storia non era così gaia. Non sono ben sicura di quel che stia succedendo, ma okay, sono pucci, lasciamoli fare. Tooru in particolare è scandalosamente puccio. Poi penso a come sarà in futuro e rido. (Semplicemente, con il tempo tornerà ad essere del tutto IC. Non so se Iwa sia d'accordo. Per carità, a me pare puccio a prescindere, ma...)
Miiii spiace un pochino che forse Tobio-chan non ci faccia proprio una gran figura, in questo capitolo, ma anche per lui abbiamo ancora tante cose da dire. In futuro si rifarà. à__à
Comunque, ormai il meccanismo è in moto, e dal prossimo capitolo si vedrà quanto. Una svolta (forse piccola, forse no), ecco.
Ora sto provando un profondo conflitto di interessi a causa delle zanzare che vogliono uccidermi e dello zampirone che invece vuole soffocarmi, perciò chiudo che mi rifugerò sotto un sacrosanto lenzuolo.
Ma prima di farlo, un momento per ringraziare magic mellah, Nazori chan, Amaya Mai, little_astrid e Mitsuri no Kaze per recensioni e/o aggiunte agli elenchini. Molto obbligata~ E tante grazie anche ai lettori, naturalmente!
E ora vi saluto.
Bye!



* Hai: Sì.
* Gashapon: per chi se le fosse perse, le macchinette che vendono le palline con la sorpresa all'interno - o anche la pallina stessa.
L'idea di sostituire le palline con una castagna me l'ha indirettamente suggerita la mia coinquilina, a causa di un nostro piccolo scambio di battute mentre esploravamo bancarelle di prodotti sardi: riassumendo, lei si faceva domande fisiologiche sul ripieno (?) dei ricci di mare, e io ho spiegato che dentro non hanno la sorpresa dell'Ovetto Kinder.
Il resto del dialogo l'abbiamo poi impiegato sulle castagne, e così è andata.
* Aobajousai: ... be' *gratta nuca* l'Aoba è un castello (Aoba-jou) a tutti gli effetti presente nella prefettura di Miyagi, cui probabilmente la scuola (e squadra) deve il nome. Mi sembrava una cosa simpatica *coff* infilarcelo *coff*.
* Sì, in teoria Tooru scrive in kanji/hiragana com'è giusto che sia, quindi il pezzo dove ho cambiato font è da vedere in via metaforica. (?)


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Capitolo 3
*** Un buon piano ***





Un buon piano





Iwaizumi si morse un labbro - non con violenza solo perché era il suo, di labbro. Aveva cercato di trattenersi. Ci aveva provato, davvero. E il fatto che la megera fosse ancora viva, vegeta, in buona salute e al momento stesse uscendo in carrozza per andare a far shopping ne era prova lampante.
Ma...
Tirò un pugno contro la parete. ― E no, adesso basta, dannazione!
... a tutto c'era un limite e lui proprio non riusciva a trattenersi più di così.
Si lanciò fuori dalla sua camera e sbatté qualsiasi porta gli si parò davanti; attraversò i corridoi come una furia e scavalcò una finestra cercando di non sradicare la tenda che gli si era impigliata ad un piede. Per poi ritrovarsi nel giardino nemmeno lui sapeva come, ma non era importante il modo - calciò via un vasetto vuoto prima di inciamparci sopra, che gli avrebbe un po' rovinato la foga del momento. L'importante era il perché; Tooru che stava lì, tranquillo tranquillo, tutto preso nella potatura artistica di un cespuglio, e per artistico intendeva che lo aveva tagliato a forma di polpo. Se l'avesse potato lui, furioso com'era, sarebbe venuto fuori un piranha in procinto di sbranare un'incauta nuotatrice.
Magari una signora di mezz'età con dodici collane di dubbio gusto.
La sua distruttiva entrata in scena si guadagnò subito l'attenzione dell'altro, che si volse per dargli un'occhiata interrogativa.
Ascolta. ― sibilò e doveva (ancora) trattenersi per non urlare. ― Credo sia giunta l'ora di farla finita. ― Si avvicinò di un passo, minaccioso. ― A tutto c'è un limite...
Tooru, dal canto suo, fece un passo indietro, giusto per buona norma.
... Okay, forse era tutto un po' fraintendibile, perciò aggiunse subito: ― ... e il mio è stato ampiamente raggiunto e superato dopo aver visto quella vecchiaccia passare tutta la colazione a tirarti contro pop-corn.
E soprattutto, dove cacchiarola li aveva presi, lei, i pop-corn?
― Ah! ― Tooru sospirò di quello che pareva proprio tanto un sospiro di sollievo. ― No, sai, per un attimo ho quasi pensato volessi compiere qualche gesto inconsulto...
― Potrei farlo in seguito, se assistessi ad un'altra scena simile. ― Guardò di lato; la voce era tornata calma, almeno un poco. Non voleva spaventare il ragazzo. Ma si sentiva ancora alquanto irritato. ― Voglio sapere perché ti ostini a restare qui. ― 'Fanculo alla discrezione, c'era momento e momento e quella non era più una situazione in cui ci si potesse concedere il lusso di essere educati o ritrosi. ― Tutto questo non è normale.
Tooru lo guardò, esitante. Poi guardò le cesoie da potatura che aveva ancora in mano.
Si allontanò e le ripose in alto, sul tetto del piccolo capanno degli attrezzi... fuori dalla sua portata...?
Dopodiché tornò esattamente nello stesso punto in cui era prima come se niente fosse, esibendo un'incredibile nonchalance.
Oh, andiamo, se avesse voluto fare del male a qualcuno/cosa si sarebbe portato dietro la sua spada, di sicuro non si sarebbe ridotto a fregargli le cesoie. Ci voleva classe anche in quelle cose.
― Quindi... ― L'espressione più amena che gli avesse mai visto in volto: ― Iwaizumi si preoccupa per me!
Splut.
― Chiunque si preoccuperebbe, a vedere una persona trattata così! ― L'aveva sbottato più che altro per nascondere che gli fosse appena andata di traverso la saliva (lui non si preoccupava.)(Di nessuno.)(Men che meno di quel marmocchio.), ma... non era forse vero?
L'altro sogghignò appena. ― Oh, sì, sì, immagino. Ma... ― E sorrise, un sorriso perfetto senza neanche un'ombra: ― Anche se ti ringrazio tanto, non devi preoccuparti per me. Va bene così.
Ora gli avrebbe tirato un pugno e mandato in frantumi quel sorriso ingannevole - ma chi ingannava? Gli altri? O se stesso?
― Non credo proprio. ― Si sedette di schianto sulla nuda terra, appoggiandosi alla prima fontana che trovò alle sue spalle (?), e indicò accanto a sé con un gesto imperioso. ― Ora ti siedi qui e mi fornisci un più che valido motivo del perché non sei ancora fuggito nel paese più lontano e remoto possibile. O perlomeno non hai cercato di trovare lavoro come servo anche nella città qui accanto.
Tooru socchiuse gli occhi, il sorriso che andava affilandosi e, chissà perché, ora gli risultava molto più credibile: ― E' una sfida, per caso?
Iwaizumi annuì soltanto, in attesa.
E l'altro sbuffò, divertito, portando le mani sui fianchi. "Fin troppo facile", diceva il suo atteggiamento.
Ma quello era tutto da vedere. Se ne sarebbe dovuto uscire con qualcosa di davvero incredibile, per convincerlo che non-
Tobio-chan è mio fratello! ― Buttò fuori l'altro tutto d'un fiato, quasi per migliorare l'effetto sorpresa.
E, in effetti, ci riuscì.
― ... prego?
― Tobio-chan. Il tipo coi capelli nero-blu. E la faccia spaventosa. Io e lui. Siamo fratelli. ― Sospirò ancora, sedendosi finalmente vicino a lui davanti alla fontana. ― So che a vederci non si direbbe, insomma, io sono molto più carino e cordiale, ma...
― ... aspetta solo un attimo. ― Alzò entrambe le mani, che era sicuro di essersi perso un qualche passaggio di fondamentale importanza. ― Se siete fratelli, com'è possibile...
― ... che io lavi i pavimenti e lui sia il rampollo della famiglia, quando tra l'altro sono ovviamente il maggiore? ― Tooru annuì. Era una domanda prevedibile. ― Se ricordi la storiella che ti avevo promesso...
Si fece più vicino a lui... ― Devi sapere che nostra madre è morta molto, molto tempo fa. ― ... E iniziò di colpo a parlare a mezza voce, sebbene il tono fosse molto più coinvolto; era tutta una gran confidenza. ― Non è morta di parto, ma la lasciò così debilitata da morire alcuni mesi dopo. O quantomeno, così ci hanno detto. Mio padre mal sopportava la solitudine e quindi, qualche anno dopo, si sposò di nuovo con una donna nobile... o qualcosa del genere... della capitale...
― Magari una nobile decaduta che sembrava vecchia pure dieci anni fa. E che era già sposata con il signor "soldi". ― Non poté impedirsi di intervenire, ma quasi quasi aveva la scena davanti agli occhi: un povero pirla, la maliarda con un vestito attillato che scopriva gambe sottili come ossi di pollo... e magari un orrendo cappellino ornato di piume viola e nere...
― Come sei perspicace, Iwaizumi! ― Rise Tooru, annuendo di nuovo. ― Sì, è andata proprio così. Mio padre, per quanto gli volessi bene, non era altrettanto perspicace. Abboccò senza problemi. Poi è morto anche lui.
― Tasso di mortalità alto, nella tua famiglia... ― commentò Iwaizumi, con casualità.
― Vero? E sì che mio padre è sempre stato sano come un pesce...
Lui e Tooru si scambiarono un'occhiata.
― ... suvvia ― disse infine il ragazzo. ― Quello, almeno, credo non sia stata colpa sua. O nel caso, non è stata cosa volontaria. Non per altro... ― Alzò gli occhi al cielo: ― Se fosse stata lei ad ordire un piano tanto geniale, se ne sarebbe vantata.
Si ritrovò a concordare. Aveva pure ragione. Il solo passare dieci minuti in compagnia della racchia, lì, avrebbe potuto spingere il malcapitato ad evocare nella sua mente dozzine di epiteti - meritatissimi e poco lusinghieri - con cui definirla. Eppure, fra i tanti di sicuro non figurava un "loscaggine fatta a persona".
― Ad ogni modo, poco dopo il funerale, la signora venne a parlarmi. ― Tornò a narrare Tooru, rapito dalle sue stesse parole. ― Mi spiegò che c'erano ancora tre cose di cui occuparsi. ― Alzò tre dita. ― Me, mio fratello e il nostro patrimonio. Ovvero una cosa che voleva e due che non voleva. Non è difficile indovinare cosa fosse cosa, vero?
... e, d'un tratto, Iwaizumi ebbe l'impressione di aver già capito prima ancora che finisse di raccontare. Avrebbe voluto sperare che fosse solo un suo brutto sospetto, ma aveva la risposta davanti agli occhi. Ce l'aveva avuta per tutto il tempo.
― Voleva i nostri soldi e non voleva occuparsi di due mocciosi. Però... ― Strizzò le palpebre, il viso che si induriva: ― Dato che, come disse lei stessa, quel giorno si sentiva magnanima... mi spiegò che, in effetti, forse qualcosa per mio fratello avrebbe potuto farla; d'altronde era ancora abbastanza piccolo da poterlo crescere come preferiva e un figlio senza la scocciatura del parto e del marito sembrava "un affare da non perdere". Però voleva anche qualcosa in cambio... ― Piccola pausa scenica. ― Non le andava di avere servi veri e propri in casa. Sarebbe stata costretta a pagarli e trattarli bene, poi c'era sempre il rischio di incorrere nei pettegolezzi. Per non parlare dell'assicurazione sanitaria! Io, invece, non avrei potuto toccare l'eredità fino ai miei diciotto anni, quindi...
Iwaizumi si tirò su. Non c'era bisogno di finire la frase. Eppure, in qualche modo, sembrava - sapeva - che l'altro avesse bisogno di andare fino in fondo, perciò non lo fermò.
― ... avrei potuto farlo io. Solo fino ai diciotto anni, ovviamente. Altrimenti, se non ci fossi stato io in giro, chissà che sbadata com'era non potesse capitare qualcosa di strano e altamente pericoloso al mio fratellino, ancora così piccolo...?
Tooru inspirò, lo sguardo perso più avanti, nell'intrico dei rami del cespuglio a forma di polpo. ― Avevo otto anni, mio padre era appena morto e non avevo davvero idea di cosa fare. Ho accettato.
Avrebbe preferito che fosse tutta una sua ipotesi molto fantasiosa, quella. ― ... non avresti potuto chiedere aiuto a qualcuno? Doveva pur avere degli amici o conoscenti, tuo padre. ― Doveva pur esserci...
L'altro scosse il capo. ― Ogni tanto, quand'ero più piccolo, capitava che la signora mi dicesse di stare in camera mia per tutta la giornata, e quasi non mi sembrava vero potermi riposare un po', anche se non potevo nemmeno uscire in giardino. ― Sorrise, ma era un sorriso un po' strano, sbilenco: ― Certo, poi ho scoperto che erano i giorni in cui venivano a trovarci i vecchi amici di famiglia. A quanto pare, ha raccontato a tutti che sono scappato e probabilmente mi hanno mangiato i coccodrilli. Perciò risulto anche io come "morto" da almeno sette anni.
... una scappatoia.
Lo guardò per un lungo momento. ― E tu... ― parlò piano, dando peso ad ogni singola parola: ― Credi davvero che, quando compirai diciotto anni, la megera ti metterà in mano le chiavi di casa, i pochi spiccioli rimasti in banca e ti chiederà scusa per gli ultimi dieci anni di angherie?
Magari adducendo che non c'era da darci peso, in fondo era solo un po' scorbutica, giusto?
Sbagliato.
― No! ― Tooru quasi saltò su: ― ... no. ― Ma si ridiede un contegno subito. ― Ma... farò qualcosa. Non starò qui per sempre, insomma. Devo solo...
Iwaizumi sentì quasi le spalle cedergli, nel rendersi conto di quello che non gli stava dicendo. ― ... Tu non hai tutt'ora idea di cosa fare.
― Ci sto pensando, però!
― Da dieci anni.
― E' una cosa complicata. Sono giustificato. ― S'imbronciò l'altro, piegando le braccia sul petto.
... no, non era una cosa "complicata". Non soltanto, almeno. Era solo che, stando a quelle regole, non c'era proprio nulla che lui potesse fare.
E il fatto che la signora, in quei dieci anni, lo avesse probabilmente traumatizzato più di una volta e ora lo terrorizzasse non era d'aiuto.
Il ragazzo aveva le gambe distese sul terreno, in quel momento; i pantaloni erano pieni di aloni e macchie che stavano lì da chissà quanto, più alcuni piccoli buchi qui e là. Sulle ginocchia, la stoffa era consumata, sul punto di strapparsi. Veniva da chiedersi come facessero a stare ancora insieme.
Il suo sguardo si spinse ancora più in basso, laddove i pantaloni terminavano sui piedi nudi. Aveva schizzi di fango fino alle caviglie, una lunga cicatrice sul dorso del piede sinistro.
D'improvviso, le ginocchia si piegarono buttando le gambe a lato, al di là del suo campo visivo.
L'altro si era accorto di come lo stava studiando.
― ... sono ripetitivo, ma tu non te ne devi preoccupare. ― E sorrideva ancora, ma non ci credeva più nessuno. ― Va tutto bene, va tutto bene... ― ... solo una cantilena fasulla.
Giust'appunto, a tutto c'era un limite.

Quello che c'era da fare era chiaro, ormai.
Rimaneva poco chiaro il come. E, soprattutto, il tempo era quasi scaduto: dopo la loro chiacchierata di quel mattino e il suo successivo giro per il bosco, Iwaizumi si era reso conto di come avesse disorchizzato tutta quell'area. Probabilmente sarebbero ritornati, dopo, ma se ne sarebbe parlato per la primavera successiva. Lui aveva finito il suo lavoro e dunque anche la sua permanenza; Tooru, invece...
Beh, non avrebbe potuto intraprendere una carriera come la sua se non fosse stato bravo anche ad organizzare qualche piccolo escamotage diplomatico. Una soluzione che permettesse ad entrambi di uscirne in piena legalità, per risparmiarsi scocciature anche dopo - e poi aveva una reputazione da "buono", lui. Tipo.
Doveva giusto sperare che l'idea giusta gli venisse entro il mattino successivo.

L'aveva annunciato alla cena di quella sera. "Il mio lavoro qui è concluso; gli orchi non vi daranno più alcun disturbo (per i prossimi nove mesi, dopo non mi assumo alcuna responsabilità)".
La megera aveva applaudito, deliziata - salvo stringere convulsamente una mano sulle sue collane per il resto della serata; perfino Tobio aveva alzato lo sguardo dal suo piatto, con quella che forse era ammirazione. Forse. Ci somigliava, da lontano. Tooru era stato l'unico a non dar nemmeno segno di aver sentito, ma... lo sapeva. Non era forse quello che ascoltava con più attenzione qualsiasi cosa dicesse?
E l'aveva cercato, dopo. Per parlargliene. Eppure non era riuscito a ritrovarlo in cucina, né in giardino, né sulla torretta - dopo quei venti minuti per salirci... - né... da nessuna parte, in effetti.
Stava per arrendersi e tornarsene in camera sua. La giornata era finita, non aveva salutato il ragazzo e nessuna idea geniale si era affacciata sulla sua mente. La situazione all'apparenza non versava proprio bene, ma confidava che la notte avrebbe portato consiglio e- balle, si augurava caldamente solo che dopo una lunga notte di sonno potesse venirgli più ispirazione. (
Insomma, sperava che gli venisse il lampo di genio negli ultimi dieci minuti disponibili, ancora rimbambito dal sonno. La situazione non versava così male, nooo...)
Ma venne fermato pochi passi prima della porta della sua stanza.
― Ehi. ― Abituato com'era alla sua voce squillante, Iwaizumi quasi non lo riconobbe, con quel mezzo tono. Tooru era dall'altra parte del corridoio e stringeva forte i lembi della sua maglia. Che stava anche fissando, all'apparenza interessatissimo.
Aspettò il seguito, non sapendo cosa dire.
― ... perciò domani te ne vai. ― L'altro rialzò la testa ma, per quanto si fosse aspettato di vederlo in lacrime, sembrava la persona più tranquilla del mondo; niente occhi lucidi, un sorriso pacato sulle labbra e parlava con voce bassa, ma non lentamente. Giusto la stretta delle dita sulla stoffa lo tradiva.
― Beh... grazie. Ora non avrò problemi quando andrò a fare la spesa, il melone sarà sempre in salvo...
E tacque, forse non proprio sicuro di come continuare. O forse nemmeno a lui importava un accidente del melone.
Lo sguardo ripiombò giù. ― ... grazie per tutto, direi. E' stato un piacere stare con te. E parlarti. Anche se hai un caratteraccio.
Ammirevole come riuscisse a fargli venir voglia di spaccargli la faccia anche in un momento, in teoria, commuovente.
Però... non sapeva cosa rispondere, come...
― Quando ripasserai da qui... ― Un respiro più profondo degli altri e gli parve che in realtà stesse tirando su col naso di nascosto. ― Ricordati di passare a salutarmi, va bene?
E Tooru tornò a guardarlo per quella che, secondo il copione, sarebbe dovuta essere l'ultima volta.
― Allora... ― Se la luce crepuscolare che regnava nel corridoio non lo ingannava, ora aveva gli occhi lucidi. ― Buonanotte, Iwa-chan!
...
― ...
Cosa.
Cazzo.
Chan.
Chan a chi.
Non era esattamente quello che si aspettava di sentire durante un addio.
Tooru rimase paralizzato per un istante, che si era basito da solo; poi alzò una mano, piano, quasi volesse coprire la bocca... o le guance pallide, che cominciavano ad assumere una decisa sfumatura rossastra... e infine girò i tacchi e gli diede le spalle.
― Sì, insomma, menetornodilà- ― La voce che ora andava facendosi acuta, i pugni stretti lunghi i fianchi. ― Buonanotte!
E fuggì di gran carriera, lasciando Iwaizumi lì, impalato in mezzo al corridoio, ancora incerto di aver sentito bene.
Ma gli pareva proprio di sì.
... seriamente...?
Davvero. Prima fata, ora quello.
Mai persona al mondo era riuscita ad essere più insolente nei suoi confronti - e fuggire tutta d'un pezzo.
Per un qualche assurdo motivo che non avrebbe potuto comprendere neanche con tutto il suo impegno, aveva una mezza voglia di sorridere. Non poteva certo lasciare il ragazzo laggiù, no? Come si sarebbe potuto vendicare, altrimenti?
Sapeva anche come fare; il metodo perfetto, quello a cui nessuno avrebbe potuto dir di no. Gli era balzato in testa d'improvviso. Il tanto atteso lampo di genio dovuto, con buone probabilità, allo shock del momento.
Non temere, non temere. Di questo ne riparliamo poi.
Era proprio il tipo di persona da legarsi le cose al dito, lui.

Iwaizumi precedette la signora nel suo studio; le pareti erano tutte ornate dalla famosa collezione di tappi di sughero incisi, stavolta in bell'ordine alfabetico. Sulla scrivania, una piantina rinsecchita, ma ornata da piume violette appese ai rami - allora c'erano sul serio, le piume. Kami-sama, dammi la forza...
La signora entrò dopo di lui, si richiuse la porta alle spalle e non si mosse più da lì, la mano stretta con forza alla maniglia. Forse voleva costringerlo in quella stanzetta. O forse, più probabile, voleva solo assicurarsi di avere l'unica via di fuga tutta per sé.
Che dilettante. Anche l'enorme finestra sulla parete opposta, affacciata com'era sul giardino, avrebbe costituito un'eccellente via di fuga. Certo, avrebbe implicato buttarla giù con un gran fracasso di vetri infranti, ma...
E poi, quante storie. Erano lì per concludere il loro affare. Aveva tutto il diritto di reclamare la giusta ricompensa per il suo onesto lavoro.
Quasi gli scappò un minuscolo sorriso, che dissimulò in un colpetto di tosse, guardando a lato. Neanche lui credeva a quel che pensava di proporle...
― Dunque, giovanotto... ― esordì lei, senza nemmeno un tremolio nella voce, sebbene le nocche della mano aggrappata alla maniglia fossero sbiancate: ― Quanto le devo, per i suoi puntuali servigi?
Oh, sì. Davvero, si stava sbigottendo da solo. Da quando era diventato così buono? Era sicuro di aver sempre e solo fatto finta.
Lasciò vagare lo sguardo lontano... non così tanto, oltre la scrivania, oltre i vetri della finestra tanto lucidi da potercisi specchiare... ecco, il giardino con le sue piante perfettamente curate, i suoi cespugli potati a mo' di creature marine, il muschio di un bel verde cupo in piena fioritura.
Tooru passò di lì proprio in quel momento, affaccendato come sempre, una grossa bacinella piena di panni lavati fra le braccia.
― Ho scelto il mio pagamento. ― E alzò il braccio, indicando il ragazzo che passava di lì per caso.
Quello, neanche avesse potuto sentirlo, si fermò, voltandosi con aria perplessa. Eh?, aveva scritto in fronte.
O, piuttosto, doveva aver sentito i loro sguardi di fuoco appuntarsi su di lui.

Poco dopo, trascinava via Tooru tirandolo per il polso; non stringeva, ma non l'avrebbe neanche lasciato andare. E ignorava tutte le sue proteste, lo strepitare e i calci sugli stinchi - finché non gli avesse lanciato contro un melone, sarebbe andato tutto bene. E nel qual caso, avrebbe dovuto assicurarsi di stenderlo, perché se si fosse rialzato avrebbe passato cinque brutti minuti. Parlava del ragazzo, non del melone.
Il suo cavallo li stava aspettando al limitare del bosco; straordinario come sempre, era bastato un fischio per farlo arrivare al galoppo. Inequivocabile l'occhiata seccata lanciatagli al vedere il nuovo ospite che aveva portato con sé. Quel cavallo era un gran compagno di venture, l'unico che davvero lo capiva... (?)
― Iwaizumi! Cosa credi di fare?! ― Protestò ancora Tooru quando lo lasciò andare, ormai di fronte al cavallo. Ritirò il braccio, massaggiando il polso con aria indignata.
Che attore...
― Ti avevo detto di non preoccuparti. Ti avevo detto che non...
Iwaizumi mise un piede sulla staffa e poi montò in sella, auto-approvando come fossero stati tutti gesti fluidi nonostante la mancata pratica dell'ultima settimana. Lo guardò dall'alto, mantenendo una faccia neutra. ― Non puoi fare niente. E lo sai anche tu. ― Parole dure, ma era l'ora di fargliele entrare in testa. Anche con la violenza.
― ... io non me ne posso andare... ― Quelle proteste erano diventate lamenti. Iwaizumi vedeva l'esitazione sul suo volto. E la paura, sottile, che non riusciva a lasciarsi alle spalle.
― E se... me ne andassi e poi non potessi più tornare...? ― Un pigolio atterrito.
Respirò. Si prese un attimo prima di rispondergli. Capiva - alla larga - come doveva sentirsi l'altro. Ma di una cosa era sicuro: non poteva continuare in quel modo. C'era tanto da dire e lui, con la sua impulsività/impietosità, non era la persona più tagliata per rassicurare un bambino spaurito.
... Ci poteva provare, però.
― ... Tooru. ― Non lo chiamava quasi mai per nome e solo allora gli venne da chiedersi perché. ― Adesso, così, non potresti fare niente. Comunque la vuoi mettere, è una battaglia persa in partenza. Puoi solo riposare... ― Si chinò, abbassando anche la voce. ― ... e ricominciare da capo. Un'altra partita, e se vorrai stavolta avrai dell'aiuto. ― Non era necessario specificare da parte di chi. D'altronde, a quel punto era diventata quasi una faccenda personale. E tutto per del melone col prosciutto. ― Perciò...
Qualche secondo di silenzio.
L'altro girò la testa di scatto, improvvisamente imbronciato. ― ... non pensare neanche per un attimo che ti farò da servetto.
― L'hai fatto per dieci anni a quella befana. ― Replicò Iwaizumi, senza scomporsi.
― ... quella non era proprio la stessa cosa...
Iwaizumi si tirò su, mettendo una mano su un fianco. ― Ma non ho mai pensato niente del genere. Comunque, la scelta è tua. Giusto per evitare ti venga qualche crisi mistica in futuro, ci tengo a specificare che io come pagamento ho richiesto che ti lasciasse andare, non te. ― Inspirò. ― Sei libero, ora. Puoi fare quello che preferisci.
E Tooru lo guardò per qualche istante, con un'espressione indecifrabile...
― ... sai ― Alla fine, sorrise ancora, per quanto fosse un sorriso molto abbozzato: ― Io avrei solo voluto sistemare le cose, nient'altro. La mia casa, mio fratello...
― Come ho detto, la scelta è tua. ― Anche Iwaizumi guardò la casetta oltre il recinto. A pensarci, sembrava impossibile potersi affezionare ai suoi tetti storpi, le finestre messe a caso e le porte che a volte si incastravano, tenendo i presenti in ostaggio. Ah, quella d'ingresso bisognava prenderla a spallate, per chiuderla del tutto. Eppure...
... perfino qui deve avere avuto qualche ricordo felice, allora?
Se era ciò che desiderava, avrebbe potuto aiutarlo.
Ma avrebbe avuto bisogno di una pausa, prima. E di un... riassetto. Anche i guerrieri più temprati si prendevano tutto il tempo necessario, prima delle battaglie peggiori - almeno, lui lo faceva, e lui era una persona intelligente.
― Puoi restare qui e aspettare che il già alto tasso di mortalità della tua famiglia si alzi ancora. ― Perché era abbastanza sicuro che la megera non l'avrebbe lasciato arrivare così serenamente ai suoi diciotto anni. ― Oppure puoi provare a vivere nel bosco e aspettare il ritorno degli orchi. O, ancora, potresti fuggire lontano, lontano, tentare la fortuna altrove. Altrimenti... ― Gli tese la mano. ― Puoi venire con me. E prepararti. Dopo, potrai fare qualunque cosa.
Il ragazzo diede ancora un'occhiata alla sua casa. Provando ad immaginarla con i suoi occhi, alla fin fine, non pareva nemmeno così storpia.
... e poi, Tooru si voltò di colpo e afferrò la sua mano con una grinta che non si aspettava. ― E sia. Vengo con te!
... forse ora avrebbe potuto lasciarlo andare quel sorrisino, eh?
Dopodiché rimasero così per qualche secondo, lui in sella e Tooru lì davanti, le mani strette.
― ... stiamo aspettando qualcosa? ― Si informò, giusto per.
― Sì, che mi spieghi cosa devo fare. ― Rise appena l'altro. Si grattò il naso con fare di scuse. ― Non sono mai andato a cavallo!
Ah, giusto.
Ci sarebbero state tante, tante cose da spiegargli. E insegnargli.
Si prospettava una faccenda lunga.
Ma non così male, in fondo.


― A proposito... come mi hai chiamato, ieri notte?
― Iwa... Iwa.
― No, non è vero.
― ... L'abitudine con Tobio-chan...
― Sì, certo. Intendi continuare?
― Beh, se a te non dà fastidio...
Pausa che fu impiegata per pensare se sguainare la spada o
se buttarlo direttamente giù da cavallo.
― Oh, quindi non ti dà fastidio? Okay, allora vada per Iwa-chan!
― Non è quello che ho detto!








TANTI AUGURI
TANTI AUGURI
TANTI AUGURI A TOORU \*A*/
^ Come qualcuno potrà sagacemente intuire, è un pochino su di giri perché oggi è una giornata beeellissima!
Sì, insomma, oggi è il compleanno di Tooru e il mondo è un posto migliore; poi, sapete una cosa?
Dopodomani è anche il mio compleanno. La coincidenza mi procura un'insana gioia *A*
Per festeggiare, ecco l'aggiornamento!
... che era pure l'ultimo capitolo già pronto, coff. Spero, spero, spero tanto si non cominciare a tardare con questa. Ma voglio impegnarmi, anzi, preferirei aggiornarla un po' prima e___e (Che, oddio, nel prossimo capitolo ci sono cose molto carine e molto simpatiche e confido mi spingeranno a scriverlo il prima possibile.)
Trovo il capitolo attuale particolarmente adatto ai festeggiamenti in quanto accade una bella cosa; il piccolo (?) può andarsene da quel posto orribile - anche se, si è capito, a lui non sembra proprio così orribile. Ci fosse giusto un inquilino di meno...
Perciò, sì, ora si trasferirà in tutta allegria a casa di Iwa-chan e seguiranno le loro magiche avventure. No, Tobio-chan non sparirà, anzi. Magari è la volta buona che viene fuori dalla caverna anche lui. à.à
Ah, sì: colpone di scena, sono fratelli. Ovvio. Di mio (in quanto sorella maggiore di fratello che odio di purissimo odio tsundere) ho sempre trovato che Tooru e Tobio-chan si comportassero come due fratellini imbecilli, quindi... *Questa storia ne sarà la dimostrazione perfetta* Sì, poi specificherò anche come fanno di cognome, ma essendo io dovrebbe essere perfino... scontato lol. Però c'è una spiegazione, lo giuro!
Mi dicono dalla regia che il tutto diventa sempre più gaio, e vabbé. Sono pucci *A*/
Oh, dal prossimo finalmente ci sarà anche il punto di vista di Tooru - anche per il bene della mia sanità mentale, non posso farmi tutta la fic nella testa di Iwa. Non oso (?) immaginare cosa arriverà a pensare in seguito, che sarà così stimolato. Anyway.
Altro da dire...? Uh... no, non mi pare. Vado a scolarmi quei due-tre litri di tè freddo celebrativi.
Bye bye chu! ☆



Note
- In Giappone si diventa maggiorenni a vent'anni, tuttavia nella storia non volevo sfasare troppo le loro età, quindi andiamo per i classici diciotto à_à
- Sì, siete autorizzati ad immaginarvi la megera come Izma delle Follie dell'Imperatore. Tuttavia, io me la figuro più come la versione vecchia e racchia della matrigna nel live action di Cenerentola di quest'anno ♡ (A proposito, che film puccino!)

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Capitolo 4
*** Voglio Il Mondo ***






Voglio
Il
Mondo



Non voglio andarmene.
Voglio andar via, il più lontano possibile.
Quella è casa mia
Ma ora non lo è più.
Quello è mio fratello,
ma lui non si ricorda di me.
Voglio andar via, il più lontano possibile.
E tornare, dopo.
Sono stanco, tanto stanco.
Posso... riposare, ora, vero?
Solo un poco, lo prometto!
E poi... e poi...
... Iwa-chan ha promesso che mi aiuterà.
Non so nemmeno perché lo stai facendo -
devi odiarlo davvero, il melone col prosciutto.
Ma
ti dico
grazie.




Tooru non era felice, no, come dire...
Disperso in quel gran viavai che era la strada principale della città - ed era un po' come se fosse da solo, con Iwaizumi che camminava a passo di marcia qualche metro più avanti, il mento in su e l'espressione fosca. Era tutto impegnato a fingere di essere una persona cupa e violenta, quindi lui aveva supposto fosse meglio lasciarlo fare. Insomma, si divertiva tanto quando metteva in fuga i bambini e i piccioni con le sue occhiate torve! - aveva avuto già vari tipi di esperienze.
Ridere di come un mangiafuoco - con i vestiti in fiamme. - fosse corso a gettarsi in una fontana, ad esempio. Ma non ridere perché stava andando a fuoco, povero! Solo, come aveva sospirato di gran sollievo una volta riemerso dall'acqua... - e come un bambino fosse andato a fargli un gentile pat-pat sulla schiena, mettendosi sulle punte per arrivare il più in alto possibile.
Poi aveva rincorso per qualche metro dei bambini che giocavano alle gare di corsa sulle loro pentole a ruote; a parte rimirare le loro capacità meccaniche nell'aver creato un mezzo di locomozione così sofisticato - insomma, una pentola con le ruote! Ci si poteva sia muovere che cucinare dentro! Certo magari prima di cucinare era preferibile scendere dalla pentola, ma... - si chiese come avrebbe potuto convincere Iwaizumi a procurargliene una. Un calderone, magari, così ci sarebbe stato. Forse se l'avesse resa più attraente anche per lui, come proposta... e se gli avesse suggerito un calderone con le ruote, gli alettoni e le lucine ad intermittenza? Eh? Come avrebbe potuto dirgli di no? Anche il suo cavallo sarebbe stato felice di avere delle ferie, ogni tanto!
Però forse per il momento chiedergli una cosa del genere sarebbe stato da approfittatori. Stava pur sempre andando ad accamparsi a casa sua e... quanti dilemmi, quanti!
Infine aveva aiutato una vecchina a caricare tre grosse buste della spesa sulle scale mobili fuori di casa. Perché gli architetti della città dovevano aver ritenuto che con le casette a graticcio ci stessero bene le scale esterne, molto medievali, ma perché non fare una cosa pratica e metterle mobili? La città poteva vantare una fulgida tecnologia!
... Certo, casette a graticcio... bancarelle... tettini a punta coperti di tegole... era tutto così...
― ... europeo...? ― Fece per tirare la manica di Iwa-chan, ma quello stava cercando di avvicinarsi di soppiatto ad un altro piccione (e neanche li spaventava, stava lì a fissarli finché non se ne andavano, atterriti). Dunque alzò la voce: ― Ehi, Iwa-chan! Ma sei sicuro che siamo in Giappone, sì?
Iwaizumi raddrizzò la testa. ― Non ne sono mai stato troppo convinto, no. ― E inforcò le braccia sul petto con un sospiro dubbioso. ― Perciò una volta mi sono spinto fin sulla costa e ho chiesto a dei pescatori. Da quanto affermavano, siamo su una grossa isola di un grosso arcipelago che presumibilmente è il Giappone. Più di così non ti so dire.
A parte tutta l'ammirazione e la curiosità per l'infinità di viaggi che l'altro sembrava aver compiuto, be', se lo dicevano i signori pescatori non vedeva perché non fidarsi. Comunque, le case a graticcio facevano sì molto Nord Europa, ma sicuramente erano tanto carine da vedere! E lui era così, aveva un po' l'animo da edonista. O ce l'avrebbe avuto se negli anni passati avesse potuto esercitare qualche capriccio estetico sulla sua stanza e i suoi vestiti, e non dormire per terra e vestirsi di stracci con la sola compagnia di qualche bruco peloso. Ma ora, ah, ora...
Strinse il pugno e quasi tremò per la forza con cui l'aveva fatto - e l'emozione repressa, forse.
... potrò finalmente avere le lenzuola arancioni che ho sempre desiderato! Con le cuciture gialle! Oh, e il comodino con quattro cassetti, il porta-bicchieri e un tritaghiaccio!
Fosse mai che gli venisse voglia di tritare ghiaccio prima di dormire.
Era una persona con delle priorità, lui.
... certo, comodino a parte, non aveva smesso di pensare a tutto il resto. Ma aveva smesso di preoccuparsi o, almeno, aveva lasciato che quei pensieri cadessero in fondo alla sua mente.
In primo luogo, perché Iwa-chan aveva minacciato di lanciargli in faccia uno slime. O gellino, come lo chiamava lui. Sì, proprio uno di quei cosi gelatinosi che attaccavano i viandanti lanciandogli contro gelatina di frutta - con la frutta a pezzettoni. A pezzettoni. - e da cui lui fuggiva sempre a gambe levate o c'era il rischio di ritrovarsi gelatina alla frutta nei capelli per settimane.
Quindi era una minaccia seria.
In secondo luogo, perché...
... si guardò intorno. Il mangiafuoco che aveva ripreso con i suoi esercizi, il bimbo a fare il tifo per lui lì accanto; pentoloni che sfrecciavano per la strada; laggiù, al mercato, signore sorridenti che minacciavano di tirare contro gli astanti delle mirabolanti forme di formaggio della larghezza - e forse peso/durezza - di grossi sassi. Le case a graticcio così anormali ma così carine, profumo di pane e carne e fumo, chiacchiere, risate, urla e maledizioni mortali in lingue ignote, ma dette in modo inequivocabile...
Oh, Iwa-chan là di fronte che lo scrutava e forse si stava facendo qualche domanda.
Quasi da far girare la testa.
Questo mondo è bellissimo!
Quindi, no, Tooru non era felice, era felicissimo.
Poteva lasciar cadere quelle preoccupazioni. Il tempo di godersi quel mondo così colorato. E di capire, di riposarsi un po'. A pensarci ora, sembrava proprio una gran bella idea.
― ... comunque, non ti allontanare troppo. ― Iwaizumi sorvolò sulla sua distrazione, forse intuendo a cos'era dovuta, e lui gli fu grato che non cercasse di approfondire perché voleva gustarsi quella gioia tutta da solo, almeno per ora. Dopo, magari, l'avrebbe reso partecipe. ― Con quei vestiti, qualcuno potrebbe scambiarti per un servo in fuga e io non ho davvero voglia di ribaltare tutta una prigione o occuparmi di un rapimento o pagare un riscatto. Perlomeno ― si massaggiò una tempia: ― Potrei anche farlo, solo non... ora. Magari domattina se ne riparla. Quindi...
― Oh! Capisco, sì. ― ... E Tooru si torse le mani. ― Però...
― Vuoi andare al mercato. ― Indovinò l'altro.
Sospirò, ma sorrideva. ― E' così palese...?
― Il fatto che tu stia camminando di lato tipo granchio e ti ci stia pian piano avvicinando o le occhiate fameliche che gli stai dando potrebbero essere una specie di indizio. ― Iwaizumi annuì alle sue stesse parole e lui ammirò come fosse tanto sicuro di sé da annuirsi da solo: ― Per carità, non che non mi sembri comprensibile... dopo dieci anni a fare la spesa solo in un super-market dove non vendono nemmeno lo sgombro al cioccolato... per non parlare del fatto che sta in mezzo al bosco... quel bosco...
Da come l'aveva pronunciato pareva intendesse nello specifico Quel DANNATO bosco.
Poi era arrivato a bofonchiare e lui non ebbe cuore di fargli notare che, tutto sommato, aveva pure senso che in un bosco non vendessero pesce di mare. Sempre che per sgombro ricoperto di cioccolato si intendesse lo sgombro (pesce) ricoperto (azione del riversare qualcosa su qualcos'altro) di (preposizione) cioccolato (buono) - e parola sua, che cosa orribile! Perché fare così del male a del povero cioccolato?
Ad ogni modo, escludendo le signorine violente con i loro formaggi, il mercato pulsava di vita e sembrava lanciare richiami irresistibili; già da lì poteva vedere morbidi tappeti su cui ci si sarebbe rotolato più che volentieri - anche se forse i padroni della bancarella avrebbero cercato di prenderlo a scopettate -, alambicchi colorati, persone ammantate di strani vestiti che aveva visto solo nei libri e, dunque, dovevano venire da molto lontano, anche più del Nord Europa. Soprattutto, dei cosi che somigliavano a dei panini al latte e, sì, li aveva individuati perfino a cinquanta metri di distanza.
Ecco, nnno, andare al mercato nooon gli sarebbe dispiaciuto... giunse le punte delle dita, cercando una qualche scusa convincente che...
... oh, lo sapeva, sembrava un bambino. Ma non gliene importava daaavvero un accidente!
E l'altro, dimostrando grande empatia e capendo al volo come lui dovesse sentirsi, gli diede le spalle e se ne andò.
No, momento.
Gli scappò un "wah!" di disappunto.
― I-Iwa-chan! ― Gli corse dietro, una mano tesa: ― Non potremmo, anche solo un pochino-
― Ho detto di non allontanarti. ― Un gesto brusco della mano bastò per interrompere anche le sue parole. ― Ma intendevo per i prossimi dieci minuti. Stiamo andando a recuperare dei vestiti decenti per te.
Si sentì in diritto di spalancare la bocca. Vestiti decenti? Intendeva - nel suo solito modo di fare brutale ma pratico - che voleva comprargli dei vestiti nuovi?
― Aspetta, Iwa-chan, aspetta! ― Improvvisamente gli salì l'agitazione... o, come sperava, era in nome della buona educazione... ― Ma non c'è bisogno che spendi tanto per me! Se mi procuri della stoffa qualsiasi posso farmeli da solo!
... Iwaizumi si fermò e si voltò, tutto insieme, e tanto di botto che quasi gli si schiantò addosso.
Non era ben sicuro di come fosse riuscito a fermarsi in tempo - cosa che comunque era un bene perché avrebbe rischiato di spiaccicarlo e, nel caso non fosse morto sul colpo, avrebbe preteso una vendetta immediata quanto violenta. -, ma ora aveva davanti gli occhi color granito di Iwaizumi: ― Voglio comprarti dei vestiti. Ho soldi da buttare. D'accordo? D'accordo.
E riprese per la sua strada.
Suppose che quello fosse il fantomatico tono che non ammetteva repliche, quindi non protestò oltre.
... Anche se... ora avrebbe dovuto indagare sul perché quelle parole - e il tono con cui erano state dette, per non parlare dello sguardo omicida - gli avessero scaldato il cuore.
Doveva essere il sole di mezzogiorno, abbastanza caldo da colpire sotto la pelle.

Iwachan gli aveva anticipato che visitare la sartoria sarebbe stato pericoloso. Ma non ci aveva creduto, lui.
E ora, in quell'angusto negozietto illuminato a malapena da mezza candela, l'aria pregna di un forte odore di biscotti alla nocciola, un'ombra cupa appostata dietro il bancone...
IWAIZUMI! ― Quel grido aveva tagliato l'aria e Tooru poteva annunciare ufficialmente e tristemente di aver appena detto addio ad entrambi i timpani.
Poi un lampo - o forse era una persona che somigliava molto ad un lampo e si muoveva alla velocità della luce - scavalcò il bancone e si lanciò a missile verso di loro, inducendo Tooru ad augurarsi che quel rombo di sottofondo se lo stesse solo immaginando; mezzo secondo dopo, non sapeva bene come, si ritrovò di fronte ad Iwa-chan... ah, l'altro l'aveva afferrato per le spalle e trascinato davanti a sé... ovvero proprio dove il lampo-tizio stava puntando.
Oh. Lo stava usando come scudo.
Un attimo prima che potesse proferire le sue ultime parole, indignato - "Iwa-chan sei una persona orribile e NON PUOI USARE LA GENTE COME VITTIMA SACRIFICALE AL POSTO TUOOO", pressappoco, e mai parole sarebbero state più veritiere - e un secondo prima che il tipetto riuscisse a schiantarglisi addosso (e ucciderlo sul colpo o fare qualsiasi altra brutta cosa avesse pensato), quello inchiodò - puntellandosi sui talloni - e si fermò a pochi centimetri da lui, le braccia tese come se stesse per buttargliele al collo.
Si concesse di respirare: non era un lampo. E nemmeno un tifone tropicale fatto a persona. Solo un ragazzino con la pelle scura, gli occhi scuri e i capelli (scuri) raccolti in una coda che ondeggiava con furia, dopo il movimento repentino.
Ah, ah... ah, che esagerato, via! Spaventarsi per un ragazzino. Poi era sicuro che Iwa-chan non l'avrebbe mai davvero utilizzato come scudo umano... non avrebbe mai... non l'avrebbe mai fatto, vero...?
― ... Tu. ― Quel dito che il ragazzino gli aveva puntato contro e la soddisfazione in quelle poche lettere risultarono la cosa più inquietante, in tutto ciò.
Poi il ragazzino si rivolse ad Iwaizumi, ancora bello bello al sicuro dietro di lui (ed era davvero una persona orribile.), con un sorriso scandalosamente ampio: ― Sai che quando vieni a trovarmi illumini le mie giornate, Iwaizumi caro?
Iwaizumi lasciò andare le sue spalle - non si era accorto che ancora le stesse stritolando e, tutto sommato, doveva essere l'unico motivo per cui non era fuggito a gambe levate. - e sbuffò. ― Piuttosto dovresti illuminare qua dentro. Due candele, un fuocherello, una lavalamp di quelle alla gelatina di frutta neon, qualcosa. Non si vede un accidente.
― Oh, ma io ci vedo e vi vedo benissimo! ― Il ragazzino batté le mani e il modo in cui sottolineava certe parole rimaneva poco rassicurante: ― Ed è questo l'importante, giusto?
― Finché mi dai ciò che ti chiedo... ― Iwaizumi alzò lo sguardo al soffitto, esasperato, ma pareva anche... abituato? E Tooru pensò che, considerando la loro apparente confidenza, per quanto riguardava lui avrebbe anche potuto camminare pian piano verso la porta - raso muro, magari - e lasciarli ai loro affari.
La mano di piombo di Iwaizumi calò di nuovo sulla sua spalla non appena si mosse di mezzo millimetro in quella direzione. Perbacco.
― So già cosa vuoi chiedermi. ― Un passo indietro, forse per soppesarlo meglio, e il ragazzino portò una mano sotto il mento con fare sognante. ― Ma sì, ma sì, vuoi qualcosa per il tuo nuovo amico. Sempre in ottima compagnia, ti trovo!
Tooru si sarebbe risentito per come l'altro lo stesse studiando con la stessa faccia che faceva lui davanti ai panini al latte - almeno i panini al latte non ne erano consapevoli! - ma...
... quella frase implicava ci fossero altre ottime compagnie e di quali altre ottime compagnie parlava.
No, no, niente gelosia, macché. Mica aveva l'esclusiva. Ma... non aveva un caratterino un po' difficile, Iwa-chan...? (Insomma, faticava ad immaginarselo in mezzo a larghi e felici gruppi di amici che si facevano grandi risate... o quantomeno, se proprio si sforzava, poteva immaginarselo come Quello Che Sta Nell'Angolo Oscuro E Minaccia Di Stendere Con Una Bottigliata Chiunque Si Avvicini.)
― Ah-ha. Due paia di pantaloni, camicie, stivali... il solito. ― Iwaizumi fece un cenno sbrigativo ed era ammirevole come i due stessero parlando di lui (e del suo futuro guardaroba) senza nemmeno chiedergli lumi in merito; avrebbe pure protestato, ma visto che pagava Iwaizumi forse non...?
― Capito. ― ... e il ragazzo tese fra le mani un metro da sarto - recuperato non era ben sicuro dove, ma era probabile non lo volesse davvero sapere - con uno schiocco secco. ― Ora posso misurarti tutto, sì? ― Cinguettò, avvicinandosi piano.
Da quello, e dalla sua espressione - sempre settata su quel che lui identificava come "panino ora sei mio e ora ti mangio" - si poteva trarre una sola impressione concreta: che volesse legarlo con il metro.
Ma c'era Iwaizumi lì, e la sua mano sulla sua spalla che non gli permetteva di muoversi, non poteva succedere nulla di... bizzarro. Sì. Ne era sicuro.
Credeva.
Sperava.
Poi si perse in una tempesta.
No, era solo il ragazzo con i suoi capelli neri che gli volteggiava intorno ad una velocità improponibile, rischiando di schiaffeggiarlo con la sua lunga coda - e invece no, perché ogni volta arrivava a mezzo centimetro da lui e... tornava indietro - il metro giallo che si allungava, stringeva, schioccava, volava; se lo ritrovò intorno alla vita e in posti che non era ben sicuro del perché dovessero essere misurati da un sarto, ma fintanto che Iwa-chan non diceva una sola parola contraria... certo non sarebbe mai riuscito a spiegarsi perché gli avesse misurato la circonferenza dell'alluce destro, ma...
La tempesta di nero e giallo finì, rapida com'era iniziata, e lui soffiò per levare una ciocca di capelli che gli era ricaduta sull'occhio.
― Fatto! ― Il ragazzino portò le mani sui fianchi, palesemente orgoglioso del suo operato: ― Trenta minuti tondi tondi e ti preparo dei vestiti più carini. Che mi piange il cuore a vederti con quegli stracci! ― Senza dargli il tempo di replicare... o anche solo di pensare ad alcunché di sensato da dire, si portò indietro di qualche passo e proseguì imperterrito... ― Così starai meglio, no? Lascia che ti aiuti a... sentirti a tuo agio. ― Stavolta, il sorriso del ragazzino fu... caloroso, quel genere di sorriso che aveva visto un paio di volte di sfuggita sul viso di Iwa-chan (perché si impegnava a fondo per nasconderli, il disgraziato) e... gli sembrava di ricordare di averlo visto anche prima, molto tempo prima. Non da chi, però. Anche le parole erano state piacevoli e calde da sentire, come quel sole che c'era fuori.
― Qual è il tuo colore preferito?
― Eh? ― Tooru quasi sobbalzò nel ricevere una domanda diretta, ma non c'era bisogno. Non ricordava chi glielo avesse chiesto per ultimo, la risposta sì. ― Direi... celeste? Il colore che ha il cielo adesso...
― Quanto mi sei già simpatico... ― Il ragazzino fece l'occhiolino ad Iwa: ― Ecco, vedi? Lui sì che è una persona a modo!
Iwaizumi, per tutta risposta, tirò fuori la spada con molta casualità.
Non del tutto, il tanto da lacerare l'aria con un minaccioso sibilar di metallo. Corredando la cosa con una delle sue occhiate truci, la specialità della casa.
Secondo il suo modestissimo parere, per quelle scene si preparava in anticipo.
E il sarto tossicchiò. ― Sì, insomma, il celeste è anche il mio colore preferito. ― Gli tese la mano con un gesto fluido e non vide perché non ricambiare: ― Io sono Sora. Il piacere è tutto tutto tutto mio! ― Sorrise ancora... - no, d'accordo, proprio non ci riusciva. Quello era un ghigno nascosto alla bell'e meglio.
... Sora?
Gli venne comunque da ridere, nel ricambiare quella stretta: aveva appena arbitrariamente deciso che, sue stranezze a parte, Sora gli stava simpatico!
― Tooru! Posso dire che è anche piacere mio!
E... oh, voglia di ridere e poterlo fare. (Senza rischiare che qualcuno lo minacciasse con un oggetto contundente, un'arma impropria o un oggetto contundente e improprio.) Daaa quanto tempo che non si vedevano.
Ma che bello era, mh? Eh, eh~

La porta della sartoria si richiuse con un lento cigolio e Iwaizumi sospirò di sollievo.
Poi la porta si riaprì, lasciando vedere Sora che - a due passi dalla porta, il tanto per rimanere nell'ombra - agitava le mani in segno di saluto.
Iwa-chan gliela richiuse in faccia, poi rimase aggrappato alla maniglia.
Tooru se la rise perché, onestamente, non vedeva cos'altro avrebbe dovuto farci.
― Su, su... ― Si arrischiò a dargli una pacchetta sulla spalla. ― Non litigate, adesso!
Prestandogli lo zero per cento della sua attenzione, lasciò andare la maniglia...
E il battente tornò ad aprirsi, silenzioso, un millimetro alla volta...
Una venuzza pulsante sulla tempia di Iwa-chan.
D'accordo, forse sarebbe dovuto intervenire in prima persona per il bene di Sora, della sartoria e della quiete pubblica.
Tooru trascinò via Iwa prima che potesse buttar giù la porta con un calcio e, dopodiché, scaraventarla contro il sarto dispettoso. ― Suvvia. ― Non sapeva se stupirsi più del suo enorme talento - nascosto fino a quel momento - nel camminare all'indietro trattenendo una persona per le ascelle o se della straordinaria calma che sapeva mantenere perfino in circostanze simili: ― E' un po' strano, ma sembra simpatico!
Strano... ― Un sibilo. ― Rompiballe, piuttosto. Però... ― Sembrò calmarsi di botto, forse perché, trascina trascina, ora la sartoria non rientrava più nel loro campo visivo, e Tooru lo lasciò andare prima che pensasse di sfogare suoi eventuali istinti violenti su qualcuno più vicino - come lui, per fare un esempio del tutto casuale. ― Almeno è competente con il suo lavoro...
E voleva ben sperare, visto che gli aveva appena commissionato i suoi vestiti-
Iwaizumi dette un colpo di tosse sul pugno chiuso, poi si spolverò con cura gli abiti. Come se nulla fosse successo. ― Anche il principe viene a commissionargli qualcosa, di tanto in tanto. Almeno per i vestiti ci sa fare. Suppongo che questo lo giustifichi... un minimo.
... principe?
Tooru si soffermò a pensarci, cercando di figurarsi la scena: ― E il principe... ― Che non aveva idea di come fosse in nessun senso, perciò si figurò una grossa gelatina che entrava nella sartoria riempiendo il pavimento di roba budinosa: ― Prende bene il suo atteggiamento...?
Sincerissima curiosità. A parte il suo profondo desiderio di andare alla Scoperta Del Mondo, visto quel modo così allegro e spensierato che aveva Sora di porsi nei confronti delle altre persone si sentiva legittimato a porsi qualche domanda. Per come si era sempre figurato i reali - persone serie, composte e con molta poca benevolenza verso qualsiasi battuta che non fosse da tennis -, avrebbe pensato che l'incontro fra un tipetto del genere e un principe sarebbe finito con una rissa o con il sarto gettato nella più cupa e interrata e ammuffita delle celle dell'Aobajohsai. Certo che la muffa avrebbero potuto levarla, però. (Non bastava stare in cella, pure una cella ammuffita?)
Ma Iwaizumi pareva di altro avviso. Scrollò le spalle, indifferente: ― In realtà, il principe è uno dei pochi eletti con cui si comporta da... persona normale, se capisci quel che intendo. ― Non parlava di misurazioni utilizzando un lessico ambiguo, quindi? ― Perché lui dice che tanto è solo un tappo iperattivo.
― Lo dice il principe di Sora...?
― No, Sora del principe!
... ma non è anche lui un...? Oh, be'.
Però ora aveva una nuova informazione: il principe del loro ridente paese, che fosse il Giappone o un Nord Europa dove tutti avevano delle idee molto confuse riguardo la linguistica, era di statura non elevata (ma, alla fin fine, anche Iwa-chan non-) e forse andava in giro saltellando.
Forse i reali erano più simpatici di quanto avesse ponderato - ma era giustificato, dato che la sua unica fonte di informazioni finora erano stati i libri sopravvissuti in casa e quelli che fregava a Tobio-chan.
Si massaggiò il mento. Voleva eseguire degli studi più approfonditi.
― Ohi, Iwa! Iwaizumi!
Okay, e quella era la fine del suo interrogatorio - detto così che era più carino - di Iwa-chan. Uffa.
Si voltarono entrambi: se non fosse bastato l'allegro richiamo, bastava il gran fracasso di qualcuno che arrivava di corsa per suggerire la giusta direzione...
Un ragazzino - Iwa-chan era evidentemente circondato di ragazzini che correvano in giro alla massima velocità - con tutti i capelli dritti, un ciuffetto ribelle - ribelle perché biondo mentre gli altri erano castani, perché quello stava basso e gli altri no, quindi un disertore - e pezzi di armatura messi a caso.
Uno schiniere sulla gamba destra, una placca sulla spalla sinistra. E un... beh, guanto, che non ricordava più il nome vero e proprio... nella mano opposta. Il mantellino svolazzante nero gli stava bene, però.
― Buonsalve, Iwaizumi! Da un bel po' che non ci si vedeva, eh? ― E il tipo (lui che era un tifone tropicale fatto a persona) prese a dare energiche pacche sulla schiena di Iwa; non per dire, ma gli pareva di aver sentito un sottile crack venire dalla spina dorsale dell'altro.
Tooru si scansò di lato con tutta l'eleganza e la nonchalance possibili, onde evitare di venir coinvolto nelle... entusiastiche manifestazioni di giubilo del tipo.
Ma Iwaizumi era un uomo temprato dalle difficoltà della vita (?), un guerriero di tutto rispetto e neanche cambiò espressione. ― Nishinoya, Asahi... ― Modo di accogliere i nuovi arrivati molto semplice e incisivo.
... momento, erano in due.
Tornò a voltarsi: in effetti, c'era anche un altro ragazzo... uomo...? Un armadio alto due volte quando Nishinoya - supponendo che Nishinoya fosse quello spaiato -, con le spalle larghe, tanti muscoli e una faccia inquieta. Camminava piano e aveva alzato appena un braccio verso l'altro. ― Noya... ― Proferì, senza troppa convinzione, forse nel debole tentativo di placcarlo.
Che accoppiata curiosa.
Quello più piccolo, sebbene tale, avrebbe - e stava. - attirato l'attenzione dell'intera strada solo... beh, camminando; l'altro era del tutto avvolto in un gran mantello nero e sembrava cercasse di farsi piccolo piccolo - ma vista la sua stazza non avrebbe potuto nascondersi neanche in un armadio di medie dimensioni.
Sentiva che già quella giornata sarebbe stata molto istruttiva.
― Cominciavamo a pensare ti fossi di nuovo perso nel bosco! ― La risata di Nishinoya riecheggiò tutt'intorno, ma per quanto chiassosa era più un suono coinvolgente, che spiacevole: ― Che sarebbe la... ottava volta? Nona? Abbiamo perso il conto! Tu ricordi, Asahi?
― La nona. Ma... ― Asahi lanciò un'occhiatina ad Iwaizumi. ― Non credo sia il caso di ricordarglielo...
Oh, forse Asahi era solo preoccupato per la faccia che stava facendo Iwa-chan in quel momento.
Quella di quando aveva scritto in fronte "Darò fuoco a voi e a tutto quel dannato bosco", fra occhi socchiusi e labbra strette. Beh, comprensibile, gli istinti piromani dell'altro risultavano inquietanti pure per lui. Comunque...
― Ma stiamo scherzando, oh! Anche se è la pura verità. ― Nishinoya fece un gran sorriso, come se non avesse davanti un Iwaizumi assetato di sangue - del suo sangue -, poi diede un colpetto di lato con la testa: ― Allora, questo ragazzo qui? Il tuo nuovo protetto?
Misterioso piacere di Tooru nel sentirsi definire così.
Poi realizzò che se era nuovo dovevano esserci stati anche dei vecchi.
Misteriosa irritazione nel capirlo.
La fronte di Iwaizumi si rifece liscia: ― .. Nah. In questo caso direi più che è un mio ospite...
... tornò al misterioso piacere.
― Avrai un soggiorno a cinque stelle, quindi! ― Nishinoya... Noya e basta, che era più corto... gli rivolse il segno dell'okay. ― Certo, sempre se riesci a sopravvivere. ― ... e rise. ― Il nostro drago a sette teste non è così famoso per i suoi modi di fare amichevoli! Ad ogni modo, Iwaizumi... ― Iwa-chan cercò di tirargli un calcio sullo stinco, ma in meno di mezzo secondo il ragazzino stava già dall'altro lato. ― Ti cercavo. Asahi, qui, ha fatto un eccellente lavoro nel reperire informazioni di prima mano! E come al solito, direi. Sono sicuro che quel che ha da dire ti interesserà...
― ... potrebbe, sì. Cos'altro hai da aggiungere?
Noya tese la mano. ― Che fanno duecentocinquantamila yen. Sgancia!
La pelle di Asahi andò sfumandosi in varie tonalità; dal color carne ad un delicato rosa sbiadito, dal giallo semi-trasparente al bianco candido. ― Noya! ― Quasi si strozzò: ― Scusalo, Iwaizumi-san. Sai che è così irruente che...
Iwaizumi scosse il capo. ― Bah. Se fai un buon lavoro, mi pare ovvio richiedere un giusto compenso.
― Sì, ma... ― Asahi sospirò. ― Diciamo che ci sono modi più gentili per farlo. Ora ― e piazzò una mano sulla bocca di Noya prima che quello potesse continuare a dire cose sconvenienti: ― Parliamone con calma, va bene? D'altronde tu e questo ragazzo avrete altro da fare, ora, immagino. ― Sorrise mentre il ragazzino si divincolava, di sotto: ― Domani, okay?
― Sì, domani andrebbe benissim-
― AHIA! NON MORSICARE LA GENTE!
― E TU NON SOFFOCARMI!
Tooru giunse le mani, affascinato. Anche Asahi e Noya parevano due persone simpatiche che avrebbe avuto piacere di conoscere.
Iwa roteò gli occhi. ― Sì, ok. A domani. Andiamocene, va'.
Diede le spalle ai due, che non se lo stavano più filando - Asahi troppo preso a ripulirsi la mano nel mantello, Noya a dimostrargli quant'era offeso (?) - e se ne andò a passo di carica, come suo solito.
Gli tenne dietro, cercando di non ridacchiare perché intuiva come non fosse proprio il momento migliore: ― Quindi che si fa, ora?
― Recuperiamo del cibo. Poi torniamo dall'altro rompiscatole a prendere i tuoi vestiti. E dopo... ― Iwaizumi si voltò appena per esibire da sopra la spalla quello che, in controluce e di sfuggita, sembrava proprio un sorriso: ― Ho appena detto che sei mio ospite, no? Ti mostrerò la tua nuova casa.
Oh.
Oooh...
Meglio correre, allora.

Scaffali invasi dai libri - messi in ordine, messi in disordine, impilati uno sull'altro, aperti, chiusi e con grossi segnalibri che spuntavano dalle pagine.
Clessidre. Ampolle. Tre grossi bauli e uno non si chiudeva, una catena di perle che sporgeva fino a terra. Sacchi di quel che presumeva essere monete d'oro.
Ed era riuscito pure a farci stare un divano, un grosso letto, un tavolo, un fornello e due sediole che altrimenti pareva brutto!
Due intere pareti, poi, erano tutte a vetri, fornendo la casetta anche di piacevole panorama-turistico-sui-tetti-della-città.
Entrare nella casa di Iwa era come entrare fra i rami di un albero; tutto era pieno, tutto sporgeva, tutto sembrava venirti incontro.
... Eppure...
Provò a toccare un curioso aggeggio con una fila di palline appese: la prima sbatté contro le altre e, dal lato opposto, l'ultima pallina cominciò ad oscillare. Poi continuò a muoversi da solo. Ritrasse la mano di scatto - e controllò che Iwa-chan non fosse appostato lì intorno per mollargli uno scappellotto - ma rimase ad osservarlo, intrigato.
La casa era piena, eppure non dava una sensazione soffocante. C'era tutto lo spazio per muoversi con comodo, non si rischiava di sbattere contro qualcosa.
Ad Iwa-chan doveva semplicemente piacere circondarsi di tutti i suoi tesori...
... raccolse una manciata di conchiglie da uno scaffaletto e le esaminò tenendole fra i palmi delle mani: minuscole conchiglie rosate, bianche, sfumate di viola. Perlacee. Così sottili da doverle toccare con la massima cautela, per non rischiare si sfaldassero come la sabbia da cui venivano.
Tesori o forse, piuttosto, ricordi. Che dovevano essere la stessa cosa.
― Comunque, tu dormi sul divano. ― Fece Iwaizumi all'improvviso e, in teoria, avrebbe dovuto rovinargli l'idillio.
A lui, quello abituato a dormire su un pagliericcio con un cuscino di foglie e bruchi.
Sorrise soltanto e si avvicinò a passi leggeri, godendosi il legno levigato sotto i piedi, per poi lasciarsi ricadere sul divano... rimbalzò perfino e... ah, quant'era morbido...?
Sprimacciò i cuscini sotto le dita. La consistenza era delizia sotto i suoi polpastrelli.
Divano. Morbido. Caldo. Divano. Dormire su qualcosa di meno duro del pavimento, che in realtà era fatto di sassi perché nella sua vecchia stanza non c'era nessun pavimento. Ah.
― ... non ti starai già mettendo comodo? ― Riaprì gli occhi che non ricordava d'aver chiuso, notò come Iwa-chan stesse ghignando e pensò che, forse, avrebbe potuto far finta di essersi addormentato sul colpo.
Coma da divano, straordinario malore che coglie la gente non appena tocca i cuscini del suddetto e la costringe a poltrire là sopra per ore e ore, senza dare alcun segno vitale.
― Ehm... perché no?
Non era bello che stesse ghignando così. No. Davvero.
― Devi ancora farti la doccia e cambiarti, no?

Splash.
― AAAAAARGH L'ACQUA E' FREDDA E' FREDDA E' FREDDISSIMA-
c-cosa ci sono, i c-cubetti di g-ghiaccio!?
Le braccia strette sul petto nudo e scosso dai brividi di freddo, Tooru si voltò di scatto, giusto in tempo per vedere Iwaizumi afferrare una manciata di cubetti di ghiaccio da uno dei secchi ai suoi piedi e scaraventarli di sotto da una finestrella.
― Allora c'era d-davvero!? E non pensi nemmeno alla p-p-povera gente a cui hai appena tirato dei cubetti di g-ghiaccio in fronte!
Iwa-chan scosse le spalle e, parola sua, pareva si stesse davvero divertendo un mondo; mentre lui doveva lottare per il non mozzarsi la lingua da solo quando parlava.
Ora comprendeva quella fantomatica malvagità di Iwaizumi Hajime di cui parlavano.
Avevano ragione. Tutti quanti.
― Non ti lavavi con l'acqua fredda anche di là? ― La cosa spaventosa non fu tanto la calma con cui lo proferì, il suo ovvio divertimento nel torturarlo o che ancora stava sorridendo, ma il fatto che avesse preso un altro secchio da svuotargli addosso.
Arretrò, agghiacciato. ― Sì, m-m-ma non era C-COSI' fredda! ― Avrebbe messo la testa in un freezer pur di stare più al caldo, al momento.
― L'acqua fredda fa bene. ― Iwa scosse le spalle e si preparava a lanciare...
― N-no c-che non fa bene! Non ho bisogno di t-tonificare niente! Mi sta bene essere molliccio, sono carine le gelatine! E... e poi, ma che ci fai tu nella doccia con me!?
Iwa abbassò il secchio di mezzo millimetro. ― Come te la lavi la schiena?
― Incollo una s-spugna alla parete e mi ci strofino c-contro-
Splash.
― AAAAAH IWA-CHAN ME NE TORNO NEL BOSCO DA DOVE SONO VENUTOOOO!


Il perdono, per Iwa-chan, arrivò solo quando esibì un bellissimo ventaglio a pannelli solari con cui
Tooru poté asciugarsi. Ad ogni colpetto mandava aria bollente. Bollente.
Onore e gloria a chiunque l'avesse concepito; che invenzione meravigliosa. Giusto i trentasette giorni di ricarica in cui bisognava lasciare il ventaglio fermo su una finestra sotto il sole rischiavano di sciupare un po' quel piacere proibito, ma valeva l'attesa. Nel frattempo, esistevano comunque gli asciugamani - insomma, confidava Iwa non si facesse la doccia ogni trentasette giorni. Anyway.
I vestiti nuovi lo aspettavano.
Tra le sue infinite chincaglierie Iwaizumi nascondeva anche uno grosso specchio; ora l'aveva appoggiato sulla porta d'ingresso, il più lontano possibile dalle pareti a vetri, nell'angolino della casa con maggior spazio di manovra.
Su una delle sediole, lasciata là vicino, ci aveva già sistemato i suoi vestiti - non prima di averli sventolati col ventaglietto magico. Almeno per una volta nella sua intera esistenza voleva provare l'ebbrezza di indossare vestiti caldi e setosi.
Alla biancheria già aveva pensato, che non gli pareva... uh... bellino andare in giro per casa nudo.
Dopodiché.
Non si guardò intorno. Bastava tener gli occhi fissi sul suo riflesso obbediente.

... Non aveva mai amato troppo gli specchi...


La manica della camicia scivolò sulle sue braccia, leggera, tante piume sulla pelle - però non le piume esterne che erano rigide e impermeabili, quelle interne che rimanevano belle soffici. Anche se non aveva idea del perché ora stesse pensando alle piume interne degli uccellini. Comunque era molto acculturato riguardo l'ornitologia. -, pure l'altra manica era liscissima e, per dire la verità, tutta quella camicia era morbida e piacevole al tatto, tanto che rabbrividì quando la stoffa risalì la schiena.
Abbottonò con calma ogni singolo bottone.

... perché quel che di solito ci vedeva era soltanto un ragazzo stanco e coperto di cenere...


Dopo venivano i pantaloni... dei pantaloni che non erano troppo larghi... si adattavano alle forme. E non avevano la consistenza della carta vetrata, cosa per cui le sue gambe gli resero un sentitissimo grazie.

... non era il suo riflesso, quello, e nessuno l'avrebbe mai convinto del contrario...


Un minimo di tacco per gli stivali. Ma, come si rese conto quando si rialzò, non ne aveva bisogno.
Perché era davvero...
― ... alto. ― Tese la mano e incontrò quella del suo riflesso, anche se i suoi polpastrelli erano freddi, di vetro: ― Non mi ero mai reso conto di essere così alto. ― Sorrise e per metà fu un sorriso dolente, per l'altra un sorriso di gratitudine: ― Mi sembra di essere rimasto a quando avevo otto anni...
Qualche secondo di silenzio.
E una risposta che non si aspettava: ― Ti sembra?
Abbassò le braccia di scatto, piccato: ― Che cattiveria, Iwa-chan! ― Gonfiò le guance; il tono dell'altro era stato onestamente stupito. ― Mi hai rovinato l'attimo di raccoglimento interiore!
A parte Iwa-chan e i suoi palesi tentativi di sabotaggio, poteva affermare a giusta ragione che gli abiti nuovi gli stavano proprio bene.
Per qualche misteriosa ragione, aveva voglia di alzare la mano mettendo le dita a V. Non era forse una vittoria, quella?

... Ora cominciava a rivedersi.


Anche se avere di nuovo qualcosa fra i suoi piedi - che nel corso degli anni avevano sviluppato una pelle più solida della corteccia - e il pavimento lo disorientava...
Iwa mosse due dita nella sua direzione, un invito a seguirlo. ― Dobbiamo discutere, ora.
Oh, era quel momento. Iwaizumi andò ad... accomodarsi sulla sedia dall'altro lato del tavolo, nella sua amata Posizione Al Contrario - neanche a lui dispiaceva mettere la sedia al contrario, ma così non ci si poteva dondolare.
Lo seguì a ruota trascinandosi dietro la sedia che aveva usato come appendiabiti. Lui però si mise bello composto, la schiena dritta e le mani sulle ginocchia. Per dieci minuti voleva illudersi di essere una personcina per bene. (?)
Occhi negli occhi, Iwa intrecciò le mani e le tenne al di sopra delle labbra, come una coppa.
Avrebbero dovuto accordarsi, ora. Patti chiari e amicizia lunga, giusto?
― Dovremo stabilire alcune piccole linee-guida. ― Non distolse lo sguardo nemmeno per un secondo... ― Dato che vivremo insieme, ci sono cose da chiarire prima. ― ... e non sbatteva le palpebre. Iwa-chan si prendeva troppo sul serio. O forse aveva la membrana come i serpenti.
Comunque, Tooru annuì: ― Certo! Dimmi tutto!
― In primo luogo, se mai ti trovassi a pulire qualcosa, ti prenderei a scapaccioni. Perciò non ci pensare neanche.
... nel rendersi conto della premura nascosta dietro quelle parole così violente, Tooru si sentì molto lusingato; però, se glielo avesse fatto notare, non faticava ad immaginare come Iwa avrebbe sollevato il tavolo che li divideva per usufruirne come arma impropria. Tenne il piacere per sé.
― ... d'accordo, d'accordo. ― Si lasciò sfuggire un mezzo sorrisino, mezzo soltanto. Alzò le mani:
― Posso cucinare, almeno? Voglio aiutare anche in casa! Iwaizumi sbatté le palpebre per la prima volta dopo mezzo minuto. Socchiuse gli occhi e forse era solo per non far vedere che stavano lacrimando. ― ... faremo dei turni.
― Ma-
Turni.
Se poteva dir di no a lui, con la sua spada era un altro paio di maniche. ― Okay. Ma esigo quello di domenica!
― Posso concederti domenica e festivi. ― La spada tornò lentamente sotto il tavolo. ― Per il resto, fai come se fossi a casa tua. Cerca solo di non rompere niente. Non c'è bisogno di chiedermi il permesso per usare qualcosa o se ti servono soldi: prendili. Ne ho pure troppi.
Allora quei quattro sacchi dietro il letto erano davvero di monete d'oro. Si grattò una guancia. ― Ma non mi sembra il caso di prenderli così come se niente fosse...
Iwaizumi ghignò: ― Lo so. Secondo te perché ti do il permesso? So che non lo farai.
... psicologia inversa? Parlare con l'altro sarebbe stato sempre un vero e proprio scontro verbale, e a lui mancava l'allenamento. Ma era abbastanza sicuro di non essere nemmeno un caso così disperato. Ancora una carta da scoprire... ― Intendevo... non potrei guadagnarmeli in qualche modo?
Un'altra lunga pausa e seppe di aver toccato il tasto giusto.
Si concesse di insistere: ― So che avevi in mente qualcosa, quando mi hai portato qui. ― Scommessa azzardata? ― Quindi...
... era una persona gentile, Iwa-chan, e questo l'aveva capito. Ma era anche abbastanza intelligente da non fare niente per niente. E da parte sua, andava bene così; se avesse potuto aiutarlo in qualsiasi modo...
E Iwaizumi, che era stato leggermente chino in avanti fino ad allora, si tirò su. ― ... mi hai scoperto. In effetti, avevo già pensato a qualcosa. Hai tutte le carte in regola e per il resto non è niente che il tempo non possa risolvere...
Per un lungo istante si ritrovò a pendere dalle sue labbra, ansioso di sapere...
― ... voglio che tu diventi il mio partner.
― ... stai parlando del tuo lavoro, vero...?
Iwa-chan inarcò un sopracciglio. ― Di cos'altro dovrei stare parlando?
Tossicchiò. ― No, scusa, l'hai detto con una faccia che...
L'altro aprì la bocca per ribattere, ma poi forse dovette pensare di non voler davvero approfondire. ― Comunque, sì, vorrei che tu fossi il mio partner sul lavoro. Sei alto, muscoloso e veloce. Un po' di allenamento e dovresti già imparare almeno a tenere in mano una spada...
A tenere in mano, dunque era più questione di estetica che altro.
― ... e potresti scacciare chiunque con una pallonata. E' un lavoro pericoloso (ma ci sono io) e altamente remunerativo (ma ci sono io che prendo il settanta per cento minimo, finché non impari ad usare la spada). Garantite visite in posti esotici e rischiare la vita due volte a settimana. Che ne dici?
... due secondi due per riordinare le idee.
Lì c'era Iwa-chan che gli aveva appena proposto di diventare suo partner - in campo lavorativo, ovviamente - si offriva di insegnargli tutti... o quantomeno quelli che servivano per non morire all'istante... i trucchi del mestiere e voleva anche portarselo dietro nei suoi lunghi viaggi.
La schiena fu percorsa da un brivido, centimetro per centimetro, dal collo alla vita.
Però non era un brivido d'inquietudine, tutt'altro.
Si alzò. ― Sai, Iwa-chan, c'è solo una cosa che vorrei ora...
Espressione interrogativa sul volto dell'altro.
Tooru scavalcò la sedia stando bene attento a non inciamparci per non fare brutta figura proprio in quella e scattò verso una delle tante finestre; spalancò entrambi i battenti, premurandosi di stare in mezzo alla corrente. Le maniche della camicia si agitarono come sperava. Allargò le braccia: ― Voglio il mondo!
― ... come, scusa?
L'espressione di Iwa-chan era passata dall'interrogativo allo sconcertato e lui ci rise su. ― Quel che ho detto. Insomma... ci sono tante cose! Da qui si vede il mercato, che è pieno di roba interessante e la voglio vedere tutta. Nella vietta qui accanto ci sono ancora Asahi e Noya che discutono e cielo, che discussione lunga! E Sora era simpatico. ― Strinse i pugni con forza, gli occhi persi nella città che si estendeva di fronte a loro... ma anche più avanti, sul bosco in lontananza, sulle montagne ancora più lontane sfumate di violetto; e poi lì, dove si finiva sempre, nel cielo. ― Voglio imparare. Conoscere le persone. Voglio anche imparare a difendermi, così non avrò più problemi riguardo meloni, megere e orchi.
Volse solo la testa verso Iwa; non di scatto, un gesto fluido. Non sapeva come, ma voleva condividere quel sentimento con lui. ― Quindi, sì, voglio il mondo e lo voglio tutto quanto. E saprò anche cosa... fare. ― Non aveva smesso di pensarci, non l'avrebbe mai fatto, però avrebbe potuto farlo in modo diverso. ― Venire con te sarebbe il modo più veloce per ottenere quel che voglio e poi... sembra divertente! Dunque...
Avrebbe potuto farlo. Guardò il suo pugno stretto. Tremò appena.
― Dunque...
... avrebbe potuto farlo, dunque lo avrebbe fatto. ― Ci sto. Accetto! ― ... e gli porse la mano.
Iwaizumi esitò mezzo secondo, prima di stringerla di rimando. Scosse il capo, eppure.... sorrideva anche lui, divertito. Si compiacque di come sembrava felice. ― Sai che sarò un insegnante intransigente, vero?
Tooru mise tutta la sua forza nella stretta: ― Oh, sì. Ma anche io sarò uno studente molto esigente, promesso!


[Io voglio
vedere il mare,
io voglio
amare la gente.
]





Yohoo!
Sì, ce l'ho fatta ad aggiornare! *A*v Anche se devo dire che per i miei standard quattro capitoli in cinque mesi sono un record coff coff-
(Specifichiamo: io sono lenta ad aggiornare. In realtà, a scrivere sono alquanto veloce. Solo, scrivo molte cose.)
Ah, questo capitolo... ah, questo capitolo... *^*^*^*
C'erano alcune scene che stavo prooooprio aspettando e, a vederle scritte, oh gaudio, oh giubilo! <3 *Chi vota per Tooru che si doccia e si riveste davanti allo specchio? Complimenti, hai vinto!*
Poi ho potuto impelagarmi col PoV di Tooru per la prima volta in questa storia. E' stato... interessante. Al momento è ancora un po' timido, un po' esitante. Vuole essere se stesso, ma avrà da imparare, prima...
Però non c'è problema. Iwa ha promesso che gli insegnerà tutto. U.U *E lui non vede l'ora, davvero.*
Abbiamo potuto presentare anche un cambio di ambientazioni e personaggi! Come avevo detto, Tooru/Iwa/Tobio NON sono gli unici personaggi di Haikyuu presenti x° Asahi e Noya saranno due personaggi ricorrenti anche se non appariranno tantissimissimo - però è garantita la loro presenza nel prossimo capitolo - e ci sono altri due tizietti che dovrebbero apparire a breve sicuri. U.U Non escludo appaia anche altra gente, ma...
Parlando solo dei ricorrenti, questi. Di sfuggita dovremmo nominare altra gente ancora x°
Bon, visto che siamo in tema personaggi: Sora. Che è un mio OC nato appositamente per questa storia, ma assomiglia in modo curioso ad un personaggio di una mia storia originale...x° Non che siano uguali, diciamo che... potrebbero essere cugini di primo grado, lol. Ad ogni modo anche lui è un personaggio secondario, non prenderà parte alla trama vera e propria U.U' *Consideriamolo una sorta di... jolly.*
Ah! Ora che abbiamo definito il principe "tappo iperattivo" nessuno capirà mai chi potrebbe essere, eh? x°°D *Ma apparirà più avaaanti... alla fine, in pratica*
Il prossimo capitolo credo sarà ugualmente tutto dal punto di vista di Tooru - anche per scrollarmi Iwa dalla testa. -, poi passerò a farli alternati che mi piace di più!
Se qualche pezzo vi è sembrato ambiguo, no, tranquilli. E' tutto a senso unico. QUEL senso.
Tutta la bella gente che ha letto/legge, messo negli elenchini e recensito ha i miei più sentiti ringraziamenti! <3
Vi posso anche salutare, ora.
A preeesto!
Bye!



- "Voglio vedere il mare, voglio amare la gente" era una citazione che avevo visto nel manga Princess Resurrection, per quel che ricordo segnalata come "Ballata del mostro". Tuttavia su Google non la trovo proprio e mi è sorto il dubbio fosse una citazione inventata. Oh, be', è figa comunque.

- Si dovrebbe essere evinto dal capitolo, ma. Tooru non ha la minima concezione dello spazio... o meglio, di quanto spazio occupa lui; per qualche ragione ha registrato che Iwa-chan è "basso", ma finora non aveva la minima idea di essere alto. E non sa neanche di essere piuttosto prestante.
(Nel pezzo con Asahi, infatti, lo considera "alto"... ma lui e Asahi sono alti uguale.)

- Per chi non fosse pratico di RPG, gli slime/gellini sono quei mostriciattoli blob di livello infimo che si trovano sempre nelle primissime fasi dei videogiochi x° *Anche Haikyuu Quest ne è pieno*


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