Una storia come tutte le altre - la mia peggior idiozia

di Woland Mephisto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di vecchietti incavolati e giornate deprimenti ***
Capitolo 2: *** Di adorabili cretini incompresi e non-abbracci gratis ***
Capitolo 3: *** Di zuccheri indispensabili e follie quotidiane ***
Capitolo 4: *** Le mirabolanti avventure di Bat-Kaulimper ***
Capitolo 5: *** Di velocità supersoniche e poteri della (s)figa ***



Capitolo 1
*** Di vecchietti incavolati e giornate deprimenti ***


-  Attenzione: la seguente storia contiene argomenti al 200% demanziali e idioti. I deboli di vescica sono pregati di leggere direttamente sulla tazza del water, perché la lettura potrebbe causare incontinenza. Si consiglia, inoltre, di staccare lo sguardo dallo schermo di tanto in tanto, giusto per prendere aria e non morire soffocati dalle risate provocate da questo testo.
In caso di morte per soffocamento, cadute accidentali dalla sedia con conseguenti ematomi, attacchi di ridarella impossibili da trattenere e apocalisse zombie durante la lettura, la sottoscritta dichiara di non avere alcuna responsabilità.
Detto ciò: divertiamoci insieme!




 
Una storia come tutte le altre


- Di vecchietti incavolati e giornate deprimenti -

 


 
In una calda, ma fresca, giornata di dicembre, il nostro caro protagonista, Bill Trümplitz, che per l’occasione “indossa” questo magnifico cognome, dato che non ha voglia di cambiarlo a ogni capitolo tra il suo solito, Kaulitz, e quello del patrigno, Trümper, appunto; dicevo, in quel giorno di dicembre, scegliete voi quale, stava camminando, miracolosamente salvo e sano come un pesce guizzante, per le strade della città di Berlimburgo, dopo essere stato ripetutamente bastonato da un vecchietto a cui stava antipatico solo perché quel trucco e quei capelli “sparati” gli sembravano da checca isterica, tastandosi la faccia piena di lividi che gli facevano un male cane e con in testa soltanto il pensiero di passare inosservato.
Ma ora, caro il mio Bill Trümplitz, dimmi esattamente come pensi di passare inosservato se hai dieci chili di stucco sul tuo faccino angelico e serafico e i capelli che sono frutto della lite furibonda tra le mani bagnate subito dopo la doccia e la corrente elettrica che alimenta l’asciugacapelli.
Ergo, sei spacciato.
Sarebbe arrivato a scuola con quei lividi visibilissimi e tutti lo avrebbero preso in giro, come al solito, ignari del suo orribileangoscioso e tormentato passato, fatto di uccisioni, molestie, stupri, violenza, delitti, fantasmi, droga, alcool e fumo a manetta, e se avete in mente qualche altra cosa di brutto, metteteci pure quella, tanto non guasta. Perché, sì signore, il suo caro papà era un orco cattivo, certamente più cattivo e pauroso di Shrek, che gli aveva fatto prendere una sbronza a soli due anni, causandogli un’iperattività frenetica momentanea che lo aveva spinto a correre per la casa come un missile finché non era andato a sbattere contro il tavolino poggia televisore, che gli era caduto rovinosamente addosso, quasi ammazzandolo. E quando il suddetto padre lo aveva recuperato, gli aveva pure dato il resto delle mazzate perché aveva osato rompere il suo prezioso televisore che, a detta sua, costava sicuramente più di quello stesso sciagurato figlio. E ora, ogni volta che lo vedeva truccato, gli rimproverava di essere diventato scemo a causa della botta subita durante l’incidente di quel giorno, menandolo conseguentemente perché non sopportava quel trucco marcato, e nemmeno i panda dei documentari della National Geographic che glielo ricordavano, da quando gliel’aveva visto in faccia per la prima volta.
E tutto questo per il sommo gaudio di suo fratello Tom Kaulimper, anche lui con un super mega Gesù-mi-invidia nuovo cognome per non cambiarlo come il gemello lesionato, autolesionista e cerebroleso, il quale gemello maggiore era sempre il più figo di tutti, intelligente, simpatico, menefreghista, ma tanto sensibile e dolce, perfetto, gnocco, brillante, coi suoi cool-oh-so-cool dreadlocks che lo facevano sembrare il Tarzan più figo del mondo. Naturalmente, tutte gli cadevano ai piedi e lui poteva scegliersi una qualunque di quelle squinzie  con un solo schiocco di dita, poi abbandonarle e magari tornare da loro quando gli pareva e piaceva, perché tanto era talmente strafigo che sarebbero state loro a chiedere scusa a lui per essersi fatte abbandonare in quel modo meschino e infame.
Ma tornando al nostro caro Bill Trümplitz, ecco che stava per varcare la soglia della scuola cercando in tutti i modi di non farsi vedere, anche se in effetti uno che non vuol farsi vedere non si concia come un darkettone al concerto di Alice Cooper, con jeans talmente attillati da non capire come faccia a metterci dentro le gambe, magliette tanto striminzite che appena pensava anche solo di alzare un poco le braccia già si ritiravano su pure quelle e stivali al limite del gotico e dell’aggressivo, magari pure coi tacchi tra i quindici e i diciotto centimetri, così poteva passare ancora più inosservato con il “tac tac tac” che questi ultimi producevano al suo passaggio; e quindi, ecco che stava per varcare la soglia della scuola, quando un tizio qualunque, che lo tormentava non si sa bene perché da quando era arrivato in quella scuola, gli diede uno spintone facendogli cadere lo zaino vuoto che aveva su un spalla e tutti i libri che portava in mano, dato che metterli nello zainetto era troppo mainstream.
In un momento, tutti quelli che erano nel corridoio si girarono per fissarlo, perché ovviamente non avevano nulla di meglio da fare che guardare uno sfigato scemo che raccoglie i libri che gli sono stati fatti cadere, e risero di gusto per la figuraccia che aveva fatto. Allora, per l’enorme umiliazione subita, subito Bill pensò che sarebbe stato meglio se si fosse suicidato e scoppiò a piangere come un bambino a cui cade il gelato per terra subito dopo averlo leccato la prima volta, facendo, di conseguenza, ridere gli altri ancora di più e sbavare il trucco di piombo che aveva sugli occhi, così che avrebbe dovuto passare le successive sei ore con le guance completamente rigate di nero come se fosse un musicista dei Gorgoroth.
E allora suonò la campanella e tutti si defilarono per entrare in classe prima di lui, perché arrivare a lezione dopo Bill Trümplitz era come essere battuti a calcio dal secchione della scuola che non aveva mai fatto educazione fisica in vita sua, ergo: la morte sociale.
Che poi, cosa ci fosse di societario o sociale in una scuola, Bill non l’aveva mai capito, ma sapeva che era così e basta e che lui era sfigato e basta, perché suo fratello era un gran figo e quindi lui, per logica, doveva essere quello sfigato.
Si avviò in classe a seguire una lezione qualunque, perché tanto una valeva l’altra dato che i professori lo odiavano pure loro, cercando di rifilargli sempre voti bassissimi a tradimento, sgridandolo anche se lui non faceva assolutamente niente e aiutando i suoi compagni di classe e tutto il resto della scuola a farlo sentire più schifoso della cacca di cane appiccicata sotto le scarpe perché non si è fatti attenzione a dove si mettevano i piedi.
E puntualmente, appena si sedette al suo banco, lo trovò costellato di scritte infamanti e minatorie, come “Bill Trümplitz merda”, “Bill Trümplitz sodomizzato da un supereroe a pile”, “Bill Trümplitz gay, arcigay e notoriamente gay”, “Bill Trümplitz col culo più montato della panna per dolci”, “Bill Trümplitz verrà sodomizzato, preso a randellate e poi andrà a fuoco dopo la scuola” (e altre che al momento mi scoccia ripetere, tanto il refrain l’avete inteso), che gli facevano venire voglia di buttarsi giù dalla finestra anche se erano al primo piano, oppure di recidersi seduta stante le vene con un pezzetto di legno che avrebbe staccato dal proprio banco.
In tutto ciò riuscì soltanto a battere più volte la testa contro il banco, al che quella baldracca indiavolata della professoressa di turno lo riprese dicendogli che gli metteva due perché aveva disturbato il corso della lezione, anche se la lezione non era ancora cominciata; in realtà tutti sapevano che lo faceva solo perché era invidiosa che Bill si truccasse meglio di lei, che era una vecchia decrepita, grassa come un bue, bassa e tozza, ma che andava a scuola conciata come una Drag Queen di second’ordine, con minigonne striminzite da far venire un infarto solo perché gli si vedeva fin troppo bene tutta la cellulite, camicette super scollate sul seno, pieno di cellulite pure quello, i capelli rosso semaforo portati corti e a spazzola e un trucco da far invidia a Moira Orfei in persona.
La giornata era cominciata proprio bene per il povero, cuccioloso, fesso più di Lucia Mondella, moscio Bill Trümplitz. Perché, si sa, la Fortuna è bendata, ma la Sfiga ci vede benissimo.
 
°°°
 
Dopo sei ore di patemi e sofferenze atroci, per esempio l’interrogazione di matematica di suo fratello, in cui quest’ultimo si era dimenticato cosa stava dicendo e per questo si era arrabbiato, prendendo un gessetto e buttandolo in faccia a Bill per sfogarsi (tanto Bill non avrebbe detto niente comunque, se no si sarebbe alzato e gliele avrebbe suonate per bene, aiutato perfino da quel bestione enorme del professore), alla quale interrogazione, il menzionato gemello prese 10 comunque, perché lui era tanto perfetto e i professori lo sapevano benissimo; per esempio la lezione di educazione fisica, durante la quale il professore, un culturista alto due metri e venti e con i muscoli sviluppati perfino sulla faccia così da poter sollevare i pesi con gli zigomi, aveva detto che avrebbero giocato a rugby, con la massima disperazione di Trümplitz, che sapeva già che i compagni non solo l’avrebbero scelto per ultimo in una squadra, ma si sarebbero tutti gettati a mucchio su di lui (cosa che, in effetti, alla fine successe e quindi si trovò pure con un polso slogato), facendogli uscire perfino gli occhi fuori dalle orbite, per sfogare la rabbia immotivata che avevano nei suoi confronti e, diciamocelo, anche un po’ di testosterone dovuta alla loro latente omosessualità che li rendeva cotti a puntino del povero Bill, che era ignaro di tutto questo; per esempio, il grattare delle unghie sulla lavagna della professoressa di grammatica, perché non aveva nessuna intenzione di cambiare il gessetto quasi consumato con uno nuovo e più lungo, producendo uno stridio spacca timpani che faceva venire voglia al nostro angelico protagonista di farsi un paio di pilloline di LSD così poteva scambiarla per musica; per esempio, quando gli fu buttato addosso il pasticcio che aveva appena adagiato sul vassoio della mensa che stava portando al tavolo a cui doveva sedersi da solo come un appestato, facendolo puzzare tutto di non si sa bene cosa (non si sa mai cosa ci ficcano dentro i pranzi delle mense scolastiche, ma sicuramente di tutto e di più pur di rendere le pietanze assolutamente disgustose); per esempio, quando nel bagno gli avevano buttato addosso un secchio di cenere delle loro sigarette, meticolosamente preparato da settimane, apposta per far appiccicare il tutto allo spezzatino che ancora gli impastava i capelli e la maglietta; ecco, dopo sei ore di tutte ‘ste robe qua, Bill Trümplitz era finalmente libero di tornare a casa, dove lo aspettava il suo violentissimo padre orco e nessuna mamma, perché la sua era stata uccisa a colpi di mestolo da quello stesso padre (anche per questo Bill lo detestava a morte), perché lei aveva una relazione segreta con un certo Gordon Trümper (e chissà per quale motivo poi avrebbe dovuto tradire un marito così buono e pio), ma l’uomo in questione non era stato mai arrestato perché boh, evidentemente la polizia si scocciava di andare a prenderlo oppure non c’era posto in carcere e allora avevano deciso di lasciarlo crescere i due figli, tanto più male di così non poteva fare.
Tornando a casa a piedi, mentre il perfetto fratello ci tornava con la sua stupenda-oltre-ogni-immaginazione moto d’argento, oro e titanio, regalatagli da non si sa chi e non si sa perché, lo vide sfrecciare sulla strada a una velocità inaudita, perché tanto anche se andava fortissimo nessuno avrebbe osato fare un incidente con lui per paura di intaccare anche solo un minimo la sua perfezione perfettissima.
E quindi, sulla strada di casa trovò la banda di amici di suo fratello che, visto che non li portava mai a fare un giro in moto, se la presero con lui completamente a caso e lo pestarono a sangue, facendolo prima vomitare l’anima dopo svariati pugni e calci allo stomaco e poi colpendolo sul viso, senza però rompergli, miracolosamente, nessun osso, così poi potevano divertirsi a torturarlo ancora e ancora e ancora, e poi tenendolo fermo per stuprarlo a vicenda, ché tanto la cosa non guastava e di certo nessuno li avrebbe denunciati perché anche se li vedevano fare queste cose per strada, nessuno poteva sicuramente dargli torto, dato che l’intera città era contro Bill.
Un paio d’ore più tardi, quando quei bulli avevano finito di violentarlo e menarlo per bene, Bill riuscì senza nessuno sforzo ad alzarsi in piedi e camminare fino a casa, dove suo fratello e il loro padre non lo degnarono nemmeno di uno sguardo, impegnati com’erano a guardare una partita di calcio alla tv, perché tanto Tom non doveva fare i compiti, poiché i professori lo amavano e gli mettevano lo stesso voti altissimi senza controllargli i quaderni.
Bill se ne andò in camera sua maledicendo il suo destino avverso, prese la lametta dal suo comodino e cominciò a tagliuzzarsi facendosi disegnini dementi sulla pelle, così magari le cicatrici sarebbero venute carine e lui avrebbe riso almeno una volta nel guardarle, se no si sarebbe sentito troppo Lana Del Rey.
Rimase a digiuno, quella sera, perché gli altri due non si ricordarono di chiamarlo quando la cena fu pronta e lui si sentì talmente tanto male per questa cosa che pianse tutte le lacrime che aveva in corpo, pensando che perfino Gustav il cicciottello, come lo chiamavano e sfottevano tutti a scuola, aveva più amici ed era più felice di lui, che voleva soltanto essere amato dal suo fratellone bellissimo e perfetto come dio che fa surf sulle spiagge della California; in fondo non gli sembrava di chiedere tutto il firmamento.
Tom, intanto, quando fu in camera sua, pensò che suo fratello fosse proprio una bella fighetta e magari avrebbe potuto andare a rompergli un po’ le scatole prima di dormire, perché così dopo avrebbe potuto masturbarsi pensando agli occhioni da cerbiatto e alle labbrucce imbronciate di Bill, alle sue cosce belle come quelle delle ragazze e magre come quelle delle modelle anoressiche delle sfilate di New York, perché in fondo lui amava tanto suo fratello, ma nel modo sbagliato, anche se non voleva farlo sapere a nessuno perché questo, cari ragazzi, si chiama “incesto” e la legge, per la più nera e profonda disperazione di Tom Kaulimper, non lo approva per niente, no, no, no.
Ma lui se ne fregava di queste sciocchezzuole come la legge e le norme della società, così andò in camera di suo fratello, lo vide sul letto in stato catatonico dopo essersi tagliato sull’avambraccio destro (sul sinistro non poteva perché aveva un fighissimo tatuaggio tutto svolazzi e guai a rovinarlo!) e la cosa lo fece non tanto stranamente eccitare, così si avvicinò, gli diede due sberle sul viso, facendogli sanguinare le labbra, godendo appieno nell’essere guardato con lo sguardo più supplichevole e “ciccipuccioso” del mondo; la sua dolcezza era tale che gli fece venire voglia di baciarlo, e così fece, mentre l’altro rispondeva appassionatamente al suo bacio, pensando che fosse la cosa più bella che gli fosse mai successa in vita sua. Ma subito dopo il bacio finì e Tom gli diede altri due poderosi schiaffi che lo stesero sul letto, lasciandolo incapace di intendere e di volere, facendogli piangere le ultime lacrime della giornata senza sapere perché e come, mentre lui se ne andava bello tranquillo in camera sua a godersi il suo “momentino relax” della giornata.




Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti voi! Ho deciso di scrivere questa storia dopo aver letto molte assurdità che, purtroppo, compaiono in questo sito e penso proprio che molte di voi mi capiranno se me ne lamento. Eppure, proprio oggi pensavo: ma perché continuare a lamentarsene se si può guardare la cosa dal lato positivo, ovvero prendere tutte quelle cose assurde e concentrarle in una sola storia per ridere a crepapelle tutti insieme? Ebbene, eccomi qui, pronta a sfruttare tutto questo.
Vi dico solo che ho scritto questa roba assurda senza nemmeno pensarci (dico sul serio, ho scritto le prime cavolate che mi venivano in mente) e che non ho idea di quando aggiornerò, la cosa dipende dalla voglia che avrò di ridere e da quello che il mio malatissimo cervello tirerà fuori. Ovviamente tutti i capitoli saranno assurdi e totalmente nonsense come questo. Naturalmente ho messo l'avvertimento, ma lo dico di nuovo lo stesso.
Grazie a tutti coloro che leggeranno, che apprezzeranno nonostante la marea di stupidaggini che sparo e che, magari, avranno lo stomaco di ferro per commentare, se avranno voglia.
Detto ciò, al prossimo aggiornamento e alle prossime mirabolanti avventure di Bill 
Tr
ümplitz, Tom Kaulimper, Gustav "il cicciottello" Schäfer e Georg "quanto sò bello, ma mai quanto Tom" Listing (che ancora non ha fatto la sua comparsa, purtroppo per noi). Spero di non avervi uccisi tutti, davvero.
Con tanto affetto e tanta voglia di ridere, vostra

Sid.

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Capitolo 2
*** Di adorabili cretini incompresi e non-abbracci gratis ***


- Attenzione: la seguente storia contiene argomenti al 200% demenziali e idioti. Si consiglia ai deboli di vescica di procurarsi delle traversine dei nonni e sedervisi sopra. È, inoltre, sconsigliabile bere coca-cola o aranciata durante la lettura: le risate potrebbero farvi espellere il suddetto liquido dal naso provocandovi un assai fastidioso e frizzante formicolio.
In caso di strozzamenti causati dalla sbagliata mescolanza di saliva e fiato per ridere, dolore alla pancia dovuto alle risate sfrenate, cadute accidentali durante la lettura, pioggia di meteoriti ed eruzioni vulcaniche contemporanee in tutto il mondo, la sottoscritta dichiara di non avere alcuna responsabilità.
Detto ciò: divertiamoci insieme!


 

 - Di adorabili cretini incompresi e non-abbracci gratis -




 
 
Bill si svegliò nel suo letto morbido e profumato, macchiato del sangue che era provenuto dal suo braccio e si sorprese di nuovo di se stesso: non era ancora morto! Questa sì che era una notizia (quella di ogni mattina)!
Scese e andò alla toilette per togliersi il trucco sbavato del giorno precedente, perché, nonostante avesse avuto tutto il tempo del mondo per toglierlo la sera prima, era rimasto a piagnucolare e a strafarsi di tic tac (in mancanza di altre pillole) tutta la sera, così poteva somigliare ancora di più a Fenriz dei Darkthrone, anche se lui non aveva la minima idea di chi fosse perché non ascoltava Black Metal. O forse sì, ma dipendeva da quanti grammi di roba aveva fumato o sniffato.
Dopo aver finito di struccarsi, si truccò di nuovo e ancora più pesantemente, per poi sistemarsi i capelli nero pece con la piastra, lavarsi il resto del corpo e tornare in camera  a scegliere dei vestiti.
Possiamo tranquillamente dire che Bill Trümplitz era un ragazzo molto particolare che, quando si trattava di scegliere cosa indossare, non riusciva a non tirare fuori dall’armadio meno di venticinque capi d’abbigliamento, portarli alla finestra per fare gli accostamenti alla luce naturale, poi buttava tutto sul letto, si metteva davanti, coperto solo dai boxer neri e dall’accappatoio rosso e nero e piumato, e cercava di scegliere.
Quando gli veniva posta la domanda, che fosse da suo padre o da suo fratello: «Ti vuoi sbrigare?», Bill rispondeva: «Shh! Sto scegliendo!», alla quale risposta di solito seguiva un: «Non ti azzardare mai più a fare “shh!” a me, checca isterica!», al quale veniva replicato con: «Zitto, sto scegliendo!», finché al nostro carissimo Trümplitz non venivano suonate di prima mattina, così era costretto a piangere, facendosi sbavare il trucco e, conseguentemente, a rifarselo da capo.
Non vi racconto il dramma di scegliere le scarpe! Anzi, credo proprio che lo farò. Ne indossava due di diverso tipo, una per ogni piede ovviamente, e andava da suo fratello dicendogli qualcosa tipo: «Hey, Tom, che ne dici: verde acqua», restando in equilibrio sul piede che calzava lo scarpone verde acqua, «o verde bottiglia?» qui fece calare l’altro piede e alzò la gamba che precedentemente era in basso, come a voler imitare le galline dormienti; alla domanda l’altro replicava scioccato: «Che dico? Tu ti devi ricoverare!», facendo viaggiare la mente di Bill fino ad arrivare al pensiero “Oddio! Pillole gratis!”.
Quando finalmente il principesso si degnò di scendere a colazione, trovò suo fratello, che era già pronto da tre quarti d’ora, spaparanzato sul divano ad aspettarlo, con una fetta di pane e nutella che avanzava verso la sua bocca.
«Oh, pane e nutella, che buono! La mia fetta dov’è?», chiese speranzoso Bill al fratello. L’altro, per tutta risposta, rise a crepapelle.
Ci hai provato, Trümplitz, questo è l’importante.
 
°°°
 
A scuola, il bellissimo e truccatissimo protagonista stette malissimo perché ogni due secondi circa il suo stomaco brontolava, per via del fatto che non aveva assolutamente fatto colazione, dato che suo fratello si era mangiato tutto il pane con la nutella, e senza nemmeno mettere su un grammo! E ogni volta che il suo stomaco brontolava, c’era qualcuno che irrimediabilmente riusciva a far ridere tutti di lui, un’altra volta, come tutte le volte, dicendo: «Gente, Trümplitz soffre di flatulenze croniche!», e Bill era costretto a piangere davanti a tutti come un moccioso, dato che il professore di letteratura tedesca non aveva nessuna intenzione di mandarlo al bagno, perdendosi lo spettacolo.
«Tienila, Trümplitz, o fattela sotto, ma da quest’aula non uscirai prima della fine delle mie due ore» gli aveva detto.
E Bill non tenne chiuse le fontane che aveva per occhi, dando una scenata penosa su cui gli altri avrebbero potuto ridere, fratello compreso.
E non solo, nei corridoi, mentre stava tornando al suo armadietto per prendere il libro che gli serviva per la lezione successiva, quella di chimica, due ragazzi, tra cui Gustav il cicciottello, lo presero per le braccia, sollevandolo da terra (la dieta forzata che suo padre e suo fratello gli facevano fare dava i suoi frutti!) e gettandolo a testa in giù in un cassonetto, lasciandolo lì a dimenarsi, agitando per aria le gambe secche. Avete capito Gustav il cicciottello!
Quando lo tirarono fuori da lì era passata mezz’ora e i suoi capelli puzzavano di marcio, sudicio e spazzatura. Inutile dire che con il trucco sbavato, i capelli in disordine e quell’indicibile puzza che emanava poteva essere scambiato facilmente per un barbone transessuale, e infatti mentre stava camminando per strada per tornarsene a casa, un signore ben vestito gli allungò perfino un paio di euro.
Ora che cosa fa un ragazzo con due euro, normalmente? Niente, di solito niente. Ma lui no, perché lui era un ragazzo con l’animo semplice e dolce, quindi andò in un bar e comprò venti goleador da potersi gustare al parco, in compagnia delle puzzole. E pensare che il barista gli fece anche lo sconto di cinquanta centesimi per fargli lasciare immediatamente il bar, dato che la puzza allontanava i clienti.
 
°°°
 
Intanto, Tom Kaulimper, dopo la scuola, andava a trovare il suo migliore amico Georg “quanto sò bello, ma mai quanto Tom” Listing, che abitava in un quartiere super lussuoso e aveva un’Audi stupenda con cui andava all’università, dato che era di due anni più grande del suo amico. Studiava chimica farmaceutica e per questo procurava sempre pillole di ogni sorta per lui e per Tom: provavano sempre a sballarsi con qualcosa di diverso, tranne quando si era presentato con dell’aspirina in polvere da sniffare. Quella aveva fatto loro piuttosto male.
Prima di riuscire a prendere dalla tracolla per l’università una qualsiasi delle cose che aveva preso al laboratorio, Tom lo abbracciò forte e gli diede due poderose pacche su una spalla, e Georg, tutto contento che il suo più grande amore (sì, perché il più grande amore di Georg era Tom. Così come era il più grande amore di chiunque) lo avesse abbracciato, disse: «Yo, bello, hai novità?».
Tom lo guardò tutto raggiante, esclamando: «Preparati, fratello, perché ho una notizia sensazionale per te! Non pensavo proprio che potesse succedermi!».
«Dio, Tom, davvero? Voglio sapere tutto!», rispose subito l’altro, tutto curioso e ansioso.
«Sì, beh, però non devi dirlo a nessuno, capito?», gli fece il gemello maggiore di rimando, con uno sguardo d’intesa che Georg trovò assolutamente sexy.
«E se no perché sarei il tuo migliore amico?», affermò Georg, sicuro di sé.
«Giusto! Beh, tieniti forte, eh!», cominciò Tom, mordendosi il labbro dall’entusiasmo.
Chiuse gli occhi, prese un bel respiro e poi, sorridendo e tutto d’un fiato disse: «Georg, io sono lesbica!».
All’altro cadde quasi la mascella a terra.
«Ma…Tom, tu sei un maschio!», gli disse, cercando di fargli rendere conto quanto fosse così adorabilmente cretino.
«Lo so! Per questo non pensavo che potesse succedermi! Non è forte?», affermò il ragazzo, tutto sorridente e soddisfatto.
L’altro lasciò perdere, tanto che fosse etero o lesbica, la cosa non volgeva comunque a suo favore, quindi annuì e fece un’alzata di spalle. Almeno poteva abbracciarlo con la scusa dell’essere amico!
«Hai portato qualcosa di interessante? E ti prego, niente aspirina! Non ne voglio mai più vedere una in vita mia!», affermò il ragazzo coi rasta, rabbrividendo visibilmente. E Georg rabbrividì con lui.
Si ricordavano solo due cose di quella terribile esperienza: la prima, era la casa di Georg poco prima di infilarsi quella robaccia su per il naso, ovvero un posto accogliente, pulito, ordinato e con soli loro due in giro (perché, ovviamente, i genitori non ci sono mai, se no che sballo sarebbe? Una villa è una villa, e lui deve tenersela tutta per sé!); la seconda era un futon scomodissimo, in un monolocale sporco e puzzolente, con una cicciona coi capelli corti e verdi a dividerli sul materasso, i loro tre corpi nudi e un dolore insopportabile alle gambe e alla schiena per entrambi.
Inutile dire che erano fuggiti come dei ladri e non hanno nemmeno voluto sapere cosa esattamente fosse successo, sperando e scongiurando di non aver fatto niente con quella…roba traumatizzante con cui si erano ritrovati.
No, decisamente niente più aspirina per Tom e Georg.
 
°°°
 
Dopo aver finito le sue ottime goleador tutto da solo, Bill cominciò a saltellare di qua e di là in cerca di qualcosa da fare, nonostante fosse tutto sporco e puzzolente, perché non aveva ancora voglia di tornare a casa da suo padre e farsi sporcare/menare anche da lui.
Incontrò per caso Gustav, per strada, e cercò di nascondersi il più in fretta possibile, ma, come abbiamo già detto, la Fortuna è cieca, mentre invece la Sfiga ci vede benissimo, così come il cicciottello che stava passando di lì.
«Abbracci gratiiiiiiis!», andava gridando Gustav, però, quando vide Bill proruppe in un: «E no, che schifo, te non ti abbraccio!», passando oltre.
Bill, tremando perché non voleva finire di nuovo in un cassonetto, era però anche curioso di sapere perché Gustav distribuiva abbracci gratis.
Allora lo pedinò pian piano, cercando di non farsi notare, anche se il suo tanfo arrivava fino alle narici dei cinesi dall’altra parte del mondo, e riuscì a scoprire che in realtà Gustav era generoso e gentile. Abbracciava chi ne aveva bisogno: bambini che avevano perso per strada la mamma e ne approfittavano per rubare würstel o caramelle dai botteghini, vecchietti e vecchiette soli e sole che non avevano nessuno con cui parlare e quindi stordivano di chiacchiere il primo che capitava, cagnolini con la scabbia che tutti allontanavano e perfino un barbone sul ciglio della strada che viveva in uno scatolone di cartone poco più grane di lui.
Bill si commosse e cercò di parlare con Gustav della cosa, ma l’altro ragazzo lo evitava come la peste, finché il moro, scocciato, non cominciò a gridargli dietro: «E che cavolo, perché non vuoi parlarmi?», mettendo su il broncio da bambino indifeso, davanti al quale perfino Tom riusciva a smettere di menarlo.
E Gustav si fermò. Già, perché non gli parlava?
«Perché tu puzzi!», fu la risposta che fece deprimere tanto Bill, che, dato che non si sa mai cosa può succedere, afferrò il kit per il tagliuzzamento d’emergenza e si fece un paio di graffi profondi sulle braccia, al che Gustav lo guardò e disse: «Non dovresti fare queste cose!», e subito si precipitò a fermarlo.
Bill, che aveva le lacrime agli occhi, prima per il dolore di essere preso in giro e poi per la gratitudine e forse per aver trovato qualcuno che gli volesse bene per la prima volta nella sua vita, lo guardò con gli occhioni dilatati come quando cominciava a farsi di meta anfetamine e allora Gustav incontrò i suoi occhi e, serissimo, concluse: «Il sangue è difficilissimo da lavare via, poi ti puzzeranno i vestiti per sempre!».
E allora, il cuoricino di Bill fece “patatrac” e il giovane ragazzo si accasciò a terra a piangere, incurante perfino della gente che lo calpestava mentre passava per strada.

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Capitolo 3
*** Di zuccheri indispensabili e follie quotidiane ***


Attenzione: la seguente storia contiene argomenti al 200% demenziali e idioti. 

Si consiglia ai deboli di vescica di tenere un catetere a portata di mano per eventuali espulsioni di liquido urinale. È, inoltre, consigliabile leggere questo testo a stomaco vuoto, al fine di non ruttare troppo forte mentre si ride per via del fatto di aver ingerito aria durante l'atto stesso del ridere. 

In caso di reflusso di succhi gastrici per via dei rutti troppo forti causati dalle risate, innalzamento della temperatura corporea in seguito alla circolazione più veloce del sangue verso le guance, salti di tre metri dalla sedia durante la lettura e infezioni virali di malattie incurabili che si diffondono in tutto il mondo, la sottoscritta dichiara di non avere alcuna responsabilità.
Detto ciò: divertiamoci insieme!


 

- Di zuccheri indispensabili e follie quotidiane -

 
Forse nessuno ha mai spiegato al nostro caro Kaulimper che quando si vedono elefanti rosa che suonano il sassofono non bisogna nemmeno provare a camminare. E invece no, il nostro perfettissimo Tom voleva a tutti i costi fare un bel giretto coi rollerblades sul terrazzo della villa di Georg, accompagnato sempre da quest’ultimo. Peccato che, appena i due tentavano di mettersi in piedi e fare due passi, si ritrovavano a cadere rovinosamente con la faccia per terra. E, visto che non sentivano assolutamente nessun dolore, ridevano anche col naso che sanguinava e i lividi su varie parti del corpo.
Ma forse dovremo fare un passo indietro per capire come si arrivi a nasi sanguinanti, risate ebeti e cervelli in panne.
Dopo la shockante dichiarazione di Tom, Georg aveva tirato fuori dalla sua borsa per l’università due lecca-lecca. Ma attenzione, non erano proprio quelli che si dicevano normalissimi lecca-lecca, perché erano completamente fatti di morfina. Ergo, dopo le prime due leccate i due hanno cominciato a sorridere come degli imbecilli e a guardarsi in faccia senza capire veramente che si stavano guardando, e man mano che i lecca-lecca rimpicciolivano e la sostanza si faceva spazio nel loro corpo, diventavano ancora più istupiditi.
«Fooorte, non mi sento più la mano!», aveva esclamato Tom a un certo punto, sventolandosela davanti alla faccia.
«E la mia testa è d’acciaio!», aveva risposto Georg sbatacchiando la suddetta parte del corpo di qua e di là e poi sbattendola contro il muro senza sentire alcunché.
E dopo un’ora di scempiaggini, i due, comodamente stravaccati sul divano rosso, in pelle, del salotto, avevano cominciato a parlare (anche se forse sarebbe più corretto scrivere “a biascicare”) senza nemmeno rendersi conto di quello che si stavano reciprocamente dicendo.
«Vorrei proprio provare cosa si prova ad essere stuprati, sai?», diceva Tom in preda alla ridarella e con lo sguardo assente, subito seguito dalla risposta di Georg: «Sei proprio un figo, bacerei la terra su cui cammini!». Ovviamente, nemmeno si stavano reciprocamente ascoltando, tanto erano in oca i loro cervelli, già di per sé non molto attivi.
«Tom, io voglio che tu mi picchi forte, qualche volta, lo sai?», aggiunse il ragazzo con lo sguardo vacuo e sognante diretto a qualche punto imprecisato sulla spalla di Tom, tanto che non ci vedeva bene.
«Ho trovato una nuova specie di elefanti, Ge, e suonano anche il sax! Guarda, hanno le orecchie luuuuunghe e sono tutti rosa a pois verdi!», disse l’altro, per tutta risposta, indicando un punto da qualche parte sul muro di fronte a lui, dove un enorme quadro d’arte moderna pieno di colori sgargianti decorava una parete altrimenti spoglia.
A un certo punto, però, il ragazzo aveva visto dei rollerblades abbandonati in un angolo (diciamo pure che Georg non era un campione di ordine in casa propria) e aveva cominciato a voler assolutamente usarli per fare un giro sul terrazzo.
Ed eccoci, dunque, arrivati alla situazione descritta prima, ovvero con Georg e Tom lungo distesi per terra a ridere a crepapelle senza motivo, pieni di contusioni e con il naso sanguinante a causa di una brutta caduta di faccia sul pavimento, prima perché Tom aveva tentato di alzarsi, senza risultato, e poi perché Georg aveva tentato di tirarlo su con l’unico esito di finire anche lui ad abbracciare il pavimento. Beh, poverino, anche lui ha bisogno di affetto, si sente così solo!
 
°°°
 
Nun, liebe Kinder, gebt fein Acht1, perché dopo essere stato pestato dai tacchi delle ragazze e dalle suole degli uomini di quasi tutta la città di Berlimburgo, il nostro amato protagonista Bill Trümplitz si era reso finalmente conto di essere solo d’intralcio sul marciapiedi e, alle sei di sera suonate, si avviò verso casa scricchiolando un pochino per via delle ossa un po’ disfatte a causa dei tacchi e anche con qualche livido di troppo sulla faccia e sul resto del corpo. E Bill che si rende conto di qualcosa è una cosa veramente degna d’attenzione!
Appena rientrato a casa, aveva provato a sgattaiolare in cucina senza farsi vedere per prendere qualcosa da mangiare da portarsi su in camera, ma quando fu sulla porta del salotto di casa si fermò come un’antilope che sente il fruscio dell’erba che segnala la presenza di un leone in agguato: il papà era in casa.
Allora fece molto lentamente dietrofront, camminando all’indietro come un granchio e al rallentatore perché non voleva né farsi sentire né vedere e poi anche per essere sicuro di guardarsi le “spalle” da suo padre, in modo da sapere subito se fosse stato sgamato o meno e filare a tutta birra in caso di necessità, a costo di perdere la milza; e uscì alla volta di un supermercato in cui sgraffignare degli orsacchiotti gommosi da poter mangiare di nascosto.
Sfortuna volle, però, che i buttafuori davanti alle porte scorrevoli del detto supermercato lo presero per il bavero e lo buttarono fuori di peso per via del fatto che (cito testuali parole) “la puzza allontanava i clienti e faceva marcire tutto quello che l’assorbiva”. E così il caro Trümplitz si ritrovò di nuovo a cercare di escogitare un piano per non rimanere a digiuno un’altra volta.
Peccato che la materia grigia del nostro amato protagonista non connettesse poi così tanto bene, dato che, come ben sappiamo, il televisore cadutogli addosso aveva ucciso i due neuroni di cui la natura era stata ampiamente prodiga nei suoi confronti, quindi non gli venne in mente nessun’altra idea se non quella di entrare in un bar/tabacchino (eh, aveva proprio finito anche le sigarette!), prendere al volo le prime cose che gli capitavano a tiro e poi uscire cercando di non farsi notare e correndo a più non posso.
Però, anche qui, nessuno avrebbe potuto non notarlo a causa del puzzo tremendo che emanava, per il quale un’anziana vecchina che stava comprando un magazine per il lavoro ai ferri commentò: «Signore iddio, questi barboni! Sono sempre più sporchi! Ma dico, almeno l’igiene personale dovrebbero curarla!», lanciando occhiate al limite dell’indignazione verso Bill, che era arrossito come un pomodoro e aveva gli occhi umidi che minacciavano di lasciar cadere un fiume di lacrime da un momento all’altro.
E, avendo tutti gli occhi puntati addosso, non poté far altro che ringraziare (mentalmente, ovvio!) la bambina che aveva cominciato a piangere proprio in quel momento, attirando l’attenzione di tutti, così che lui fu libero di sgraffignare: due pacchetti di patatine (anche se non sapeva di che gusto), un pacchetto di liquirizie, due pacchetti di caramelle gommose assortite e dei chewing-gum. Per le sigarette, temette di dover scassinare la macchinetta posta fuori dal negozio, ma non appena ebbe realizzato che il proprietario della tabaccheria era entrato nel retro bottega, allora si avvicinò furtivamente al banco e pescò un paio di pacchetti di sigarette a caso, cercando di nascondere anche quelli sotto la maglietta striminzita ormai rigonfia come se fosse incinto, se non che la vecchina di cui sopra lo vide e cominciò a urlare come una disperata che sta per essere sgozzata viva, dando contro ai ladri, ai malfattori e ai senzatetto, come se fosse stato un allarme ben poco educato e decisamente chiuso di mente.
Quindi, in un nanosecondo, il padrone del bar uscì dal retro brandendo una scopa e Bill, con la rattezza di un missile, cominciò a correre come un indemoniato, inseguito dall’uomo armato della suddetta scopa per almeno un chilometro, prima che l’altro si arrendesse all’idea che quel matto coi capelli alla Einstein era più veloce di lui. Eh, non aveva più il fisico di una volta!
Bill, dal canto suo, quasi non si sentiva più la milza e le piante dei piedi (infilati in scarpe con tacco 12) per via della corsa. Ma, quando si rese conto che il vecchio signore era stato seminato, si fermò un momento per riprendere fiato e, tirando il suo bottino fuori dal nascondiglio che si era creato tra la maglietta e la sua stessa pancia, cominciò ad analizzare tutto ciò che aveva rubato. Non era niente di che, ma non poteva fare lo schizzinoso, pena: un altro giorno completamente a digiuno.
«Vabè, dai! Sono sporco, affamato, stanco, con la milza spappolata e mio padre vuole uccidermi di botte. Cosa può esserci di peggio?», esclamò.
Le ultime parole famose.
Infatti, dal nulla e completamente a caso, come nei migliori cliché da film di serie A, serie B e serie C, cominciò a piovere così furiosamente che il ragazzo si trovò inzuppato fino alle ossa in soli dieci secondi, e la pioggia era così spessa, fitta e forte che faceva anche male addosso.
Con la stessa faccia di grumpy cat, dunque, Trümplitz si avviò verso casa.
 
°°°
 
Una volta arrivato a casa, tutto trafelato, sudato, fradicio e ancora più puzzone, Bill si diresse, con molta cautela, camminando sulle punte dei piedi per non far rumore coi tacchi, al piano di sopra, in camera sua, dove poté posare nell’incavo sotto il materasso e la rete del letto la sua “cena” e poi farsi tranquillamente una doccia (finalmente!!!).
Dopo essersi sentito del tutto rigenerato grazie alla doccia ristoratrice, Bill tornò  nella sua stanza completamente avvolto dal suo accappatoio piumato, stendendosi sul letto con i capelli ancora bagnati e fresco come una rosa appena sbocciata nonostante fuori ci fosse la minaccia di una grandinata coi fiocchi.
Nel frattempo, Tom era rientrato in casa, ridendo come un povero deficiente, salutando il padre, che ovviamente non si era assolutamente accorto che il figlio era sia drogato fino al midollo, sia zuppo di sangue semi-rappreso sulla faccia e sui vestiti e anche pieno di lividi, perché in tv c’era un programma di spogliarelliste su playboy tv che non si sarebbe perso per nessuna ragione al mondo.
Allora il gemello maggiore, sbatacchiando un po’ di qua e un po’ di là, cadendo due volte dalle scale, cercando di salire a gattoni mentre sbatteva ripetutamente la testa contro la balaustra (perché, naturalmente, niente di tutto ciò avrebbe potuto intaccare o urtare il suo mirabilissimo cervello perfettamente acuto), riuscì finalmente ad arrivare al piano di sopra.
Ma prima ancora di dirigersi verso la sua camera da letto, si diresse verso quella del fratello, ghignando come un famelico lupo che sta per agguantare e sbranare il piccolo agnellino indifeso.
Aprì la porta così di scatto che barcollò un pochino e fece fatica perfino a mettere a fuoco la scena che gli si parò davanti: Bill semicoperto dal suo accappatoio, con i capelli ancora molto umidi, che tentava di sniffare lo zucchero delle caramelle gommose che ne erano provviste, infilandosi queste ultime su per il naso. Speriamo solo che non intendesse anche mangiarle, poi.
Tom, tutto curioso, si avvicinò al gemello cercando di apparire il meno sospetto possibile, dato che non voleva che l’altro si accorgesse che era fatto e che poteva sopraffarlo facilmente. Però, per le Fantastiche Leggi della Sfortuna (che non ho inventato io, esistono davvero, gente!), il cervello di Bill che era di solito l’equivalente di una nocciolina spappolata, compensato però da tantissima sensibilità e un gran cuore (che gli valevano sempre dei pianti infiniti e dei patemi indissolubili), si attivò all’improvviso come il movimento degli arti di Frankenstein dopo essere stato urtato dal fulmine, con il conseguente grido del professore “È viiiiivoooooo!”, che però il ragazzo fu abbastanza cauto da non imitare, dato che non voleva che suo padre salisse di sopra a menarlo con la gamba del tavolo.
E quindi, accorgendosi che il gemello maggiore era completamente sbarellato, divenne subito invidiosissimo del fatto che lui avesse potuto prendere chissà cosa per sballarsi, mentre lui che non aveva un soldo bucato doveva accontentarsi dello zucchero che riusciva a cavar via dalle caramelle. Senza contare il fatto che si ritrovava quasi sempre col naso appiccicosissimo!
Tom, dal canto suo, non si era assolutamente reso conto dello sguardo assassino di Bill e gli sorrideva ebete di rimando, facendolo incavolare ancora di più.
«Che diavolo vuoi?», gli disse il minore, acido.
L’altro aggrottò le sopracciglia, un po’ offeso dalle parole e dal tono usati dal fratello, e, con voce strascicata per via della morfina che lo rimbambiva, rispose: «Dovresti essere un po’ più gentile, stronzetto, se no ti do una bella lezione!»
Al che l’altro, che si alzò furioso dal letto, replicò: «E tu chi diavolo sei per parlarmi così? Sono stufo del fatto che fai sempre l’arrogante!»
L’altro, sbalordito da questo scatto mai visto in Bill, disse, tutto furente e sputacchiante: «Io chi sono? Mi chiedi io chi sono??? Sono Batman, brutto cretino!»
E poi lo buttò sul letto con una sola mano, strappandogli contemporaneamente di dosso l’accappatoio, lasciandolo assolutamente nudo, così che, per ripararsi le pudenda, l’altro mise le mani davanti a quelle intime parti, e così Tom poté correre via dalla stanza usando l’accappatoio del fratello come mantello da batman.

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Capitolo 4
*** Le mirabolanti avventure di Bat-Kaulimper ***


Capitolo extra



 

- Le mirabolanti avventure di Bat-Kaulimper -

 
 
La notte era buia e spaventosa, la pioggia batteva all’impazzata su tutto e tutti, senza curarsi di cosa stesse colpendo con le sue gocce spesse e pesanti come proiettili, mentre il nostro Tom Kaulimper guardava fuori dalla finestra.
Sì, era ora di agire!
Si staccò dalla finestra, sul davanzale della quale era seduto, e andò dritto all’armadio, dentro al quale teneva nascosta la sua identità non poi tanto segreta. Ebbene sì, perché il nostro giovane Kaulimper era davvero Batman!
Un Batman molto speciale, potremmo dire.
Prese dall’ultima fila di pantaloni in basso dei jeans neri extra extra large e poi una maglietta nera XXL anche quella, con il simbolo giallo e nero di Batman stampato sul davanti. Infine ne tirò fuori anche una maschera nera con due orecchie puntute, che, per onestà del racconto, dobbiamo dire che era più da Catwoman che da Batman.
Si mise, poi, delle sneakers completamente nere ai piedi e prese l’accappatoio precedentemente sottratto al fratello per renderlo il suo grandioso Bat-mantello.
Si incamminò, quindi, verso la sua Bat-mobile, che altro non era se non un vecchio monopattino molto usato a cui erano stati aggiunti alcuni gadget, e uscì nella tempesta, reggendo con una mano il manubrio del detto monopattino e con l’altra un ombrello onde non bagnarsi la testa, anche se era quasi inutile, dato che di sotto riusciva a bagnarsi fino alla vita.
Vagò per le strade di Berlimburgo in cerca di cattivi da punire e persone da salvare, ma forse il suo cervello perfettissimamente imbecille non aveva ancora compreso che con un temporale del genere nessuna persona sana di mente sarebbe uscita di casa, nemmeno se fosse stato un killer seriale.
A un certo punto, però, all’entrata di un parco trovò un uomo completamente vestito di nero, verosimilmente uno spacciatore, che stava parlando con una donna con abiti molto succinti seminascosta dal suo enorme ombrello color rosso Chanel, e quindi il nostro amato protagonista, pensando con chissà quali giri mentali che l’uomo la stesse importunando, si fermò di botto, premendo anche per sbaglio un pulsantino sul manico del monopattino.
Non l’avesse mai fatto!
Appena aveva premuto il tasto, dalla parte davanti del monopattino, a cui era attaccata una scatola chiusa, quest’ultima si aprì, facendo partire una molla a cui era stato incollato un guantone da boxe, come nei migliori cartoni animati.
Al rumore assurdo che l'oggetto fece, lo spacciatore e la donna si voltarono con delle espressioni a metà tra l’incuriosito e l’insospettito.
«Cerchi della roba, ragazzo?», chiese lo spacciatore a Tom, che aveva appena notato quanto fosse grosso. Sembrava davvero un incrocio tra un armadio a quattro ante e un portone gotico.
«Ti ordino di lasciar stare immediatamente quella bella fanciulla…signore!», esclamò l’altro in tutta risposta.
Lo spacciatore rise di gusto, pensando che probabilmente era già strafatto e che non riusciva nemmeno a capire cosa gli stesse dicendo. Quindi si voltò di nuovo a parlare con la donna, che pure aveva riso un po’ del ragazzino, facendole una carezza sul viso con la mano coperta da un guanto di pelle nero.
«Vedo che non mi hai capito! Tu…non puoi…passaaaareeee!», gridò Tom in preda alla rabbia e alla sete di Giustizia (quale giustizia, poi, non si è ancora capito), accorgendosi poi di una cosa, sotto lo sguardo allibito degli altri due.
«Uhm, no. Non era questa la frase», asserì rivolto più a se stesso che agli altri, portandosi una mano al mento e assottigliando gli occhi nello sforzo di pensare, mentre gli altri due cominciavano, non a torto, a pensare che fosse pazzo. Poi il suo viso si illuminò, a un tratto.
«Vengo a rubare ai ricchi per dare ai poveri!», esclamò, tutto convinto, gettando via l’ombrello e mettendo avanti i pugni a mo’ di boxeur. Ma poi si arrese guardando gli occhi spalancati dei due soggetti di fronte a lui.
«Accidenti, non era manco questa», disse, facendo seguire a queste parole una sonora imprecazione.
«Insomma, sono qui per punirti in nome della luna!», gridò nella notte, puntando il dito contro l’uomo, che si stava visibilmente irritando, guardandolo di traverso.
«Oh, ma vaffanculo, io sono Batman!!!», gridò indispettito alla fine, gettandoglisi contro, nonostante il losco tizio fosse immensamente più grosso, nonché più alto, di lui. Gli diede un pugno dritto sulla spalla, al che l’altro non fece una piega, se non che lo guardò con occhi minacciosi e tirò fuori dalla giacca un coltellino.
«Sei venuto a cercare grane, stronzetto?», disse quasi in un sussurro, avvicinando il coltello a serramanico al collo di Tom, il quale era diventato strabico per tenerlo d’occhio.
«Ehm…ma…la ragazza…», farfugliò lui in risposta, tremando visibilmente.
«Chi, lei? Lei sta con me, ma se non lo capisci così, penso che userò un altro modo per imprimere bene il messaggio», gli sussurrò avvicinando di più la punta del coltello al suo collo, sfiorandolo col freddo metallo.
Qualcosa nel cavallo dei pantaloni di Tom divenne molto più caldo e bagnato del previsto, nonostante la pioggia, mentre il ragazzo tremava visibilmente. Meno male che stava piovendo, pensò, altrimenti avrebbe anche fornito un bello spettacolino di cabaret per il tipo col coltello!
«E adesso sparisci, imbecille!», gli urlò contro quegli, ritirando il coltello nella tasca alla vista degli occhi sbarrati dallo spavento di quel ragazzo decisamente matto da legare.
«Sì, signore, certo, signore!», si affrettò a dire il gemello maggiore tutto d’un fiato correndo all’indietro e inciampando, poi, sul monopattino lasciato lì per terra.
Rialzandosi sotto lo sguardo divertito dello spacciatore e della, ormai l’aveva capito, prostituta, si mise a cavallo della sua “Bat-mobile” e, con una sfacciataggine che solo il suo cervello bacato poteva conferirgli, asserì tutto serio: «Per stavolta ti lascio andare, losco individuo! Ma sappi che la mia clemenza ha un limite e la prossima volta ti costeranno un bel po’ queste tue malefatte!».
L’altro diede letteralmente in escandescenze.
«Ma brutto moccioso…!», ma Tom non riuscì a sentire altro, perché subito si voltò e premette un altro pulsantino sul suo monopattino, quello che azionava il turbo motorino da lui stesso installato, che lo fece schizzare via come un razzo nella notte, mentre suonava il mini clacson, anch’esso installato sul mezzo di trasporto, se così possiamo chiamarlo.
E fu così che terminò una delle tante avventure per riportare ordine e giustizia del nostro Batman dei poveri.

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Capitolo 5
*** Di velocità supersoniche e poteri della (s)figa ***


Attenzione: la seguente storia contiene argomenti al 200% demenziali e idioti. I deboli di vescica sono pregati di munirsi di appositi vasini da porre sotto il corpo per non bagnare sedie o poltrone, perché la lettura potrebbe causare incontinenza. Si consiglia inoltre di munirsi di bombole d'ossigeno piene per prendere aria di tanto in tanto, poiché le risate potrebbero togliere il fiato.
Per morti causate da alitosi di chi ride di fianco a voi, comportamenti strani, inquietanti e disturbanti, attacchi epilettici e di panico per le troppe risate e Armageddon dovuta all'esplosione  della superficie terreste, la sottoscritta dichiara di non avere alcuna responsabilità.
Detto ciò: divertiamoci insieme!


 
- Di velocità supersoniche e poteri della (s)figa -
 


 
«Alzati, checchina!», gli disse Tom in preda all’euforia, dopo che gli effetti della morfina erano andati a farsi benedire. Detto ciò, artigliò con forza il materasso, lo ribaltò mentre la suddetta checchina ci stava ancora dormendo e sbavando sopra e lo fece cadere a oltre un metro di distanza, sommergendo l’altro sotto lenzuola, cuscini e materasso stesso. Tutto di un misto di fuxia, rosso e rosa shocking, naturalmente.
«Argh! Ghdasssflokkkggrrr!», fu il grido disperato dell’intrappolato.
Al che il gemello maggiore sorrise soddisfatto e sornione e, godendo come un riccio, se ne andò dalla stanza per combinare qualche disastro altrove.
Trümplitz riemerse dal groviglio di coperte con la faccia stravolta, i capelli più drizzati di quando se li conciava con la lacca e la piastra, un po’ di bavetta ancora gocciolante dalla bocca semi-aperta e dal mento e gli occhi mezzi arrossati.
«Dov’è il cannone?», chiese con la voce strascicata dal sonno, prima di tornare giù come una pera cotta, a dormire nell’intrico che erano i resti del suo letto. E lode ai sonniferi della scorta del paparino incosciente.
Intanto, al piano di sotto, Georg era arrivato alla porta e Jörg lo aveva fatto entrare con uno sguardo semi disgustato che suggeriva un certo timore che quello si sbattesse il suo unico figlio ancora abbastanza normale. Quello che non sapeva era che Georg se lo sarebbe sbattuto a destra e a manca molto volentieri, ma non lo faceva solo perché quell’altro non aveva capito una ceppa.
Tom vide l’amico alla porta e, con la velocità di uno Shuttle in orbita, passò davanti al padre, artigliò quello per la giacca di pelle e lo trascinò dentro, ululando: «Oggi la tua Audi la guido iooooo!!!», al che l’altro dovette solo seguirlo, impotente, perché altrimenti si sarebbe ritrovato schiantato con la faccia contro il muro per effetto d’inerzia.
«La mia piccola la guido solo io! Tu non mi hai mai fatto guidare la tua moto!», rispose l’altro, con la testa che gli girava, dopo aver barcollato un po’ per essersi fermato bruscamente. Realizzò che si trovavano in camera del ragazzo e lo guardò con un misto di vaga curiosità e divertimento, chiedendogli anche: «Ma che diavolo stai facendo?».
«Costruisco un mitrucile, che è un misto tra un mitra e un fucile», gli rispose quello, armeggiando con un sacco di pezzi di ferro, alcuni anche un po’ arrugginiti.
«Dovrai farti l’antitetanica se tocchi quella roba, lo sai?», fu il commento sarcastico del castano, che rise da solo perché, evidentemente, Tom non aveva capito niente di quello che aveva detto.
E infatti si voltò verso di lui sconcertato affermando: «Hey, no! Io non voglio niente che sia contro le tette!».
Silenzio imbarazzante per Georg e silenzio contemplativo per Tom.
«Okay, senti…», il bassista cercò di cambiare ancora discorso: «a che diavolo ti serve un mitra-coso o come diavolo si chiama?».
«Un mitrucile e mi serve per combattere i malvagi nel mondo, così avrò un sacco di belle pupe ai piedi, tutte pronte a farmi quello che voglio!», rispose l’altro, con uno sguardo malizioso che mandò Georg in estasi, con tanto di nosebleed estemporaneo.
Poi, riprendendosi, gli chiese ancora: «Ma non ti bastano quelle che hai già?», e qui un attento ascoltatore avrebbe potuto sentire un ringhio sordo, come di un cane il cui territorio è stato brutalmente varcato illecitamente.
«Amico, le tipe non bastano mai, lo sai!», Tom lo guardò come se fosse un alieno appena sceso sulla terra.
«Insomma, che diavolo hai, oggi?», aggiunse, con uno sguardo da bambino dell’asilo che faceva concorrenza a quello di Bill.
«Niente, Tom, solo che… è strano che ti serva quel coso per conquistare qualcuno», cercò di fargli un velato complimento, omettendo per bene la parola “ragazze”.
«Sì, lo so che sono favoloso, ma non c’è mai limite alla favolosità!», si pavoneggiò, dandosi arie d’importanza.
Georg avrebbe davvero voluto rispondergli qualcosa, ma per amor proprio decise che era meglio tacere e assecondarlo.
Intanto, dalla stanza accanto, cominciavano a sentirsi le urla belluine di Bill sul fatto che nessuno lo avesse svegliato, che era in ritardo, che sarebbe dovuto andare a scuola come un orrendo mostro senza trucco e… «Che diavolo ci fa il mio materasso per terraaaaaaahhh?!», chiese mentre ci inciampava sopra per via del fatto che stava correndo per tutta la stanza sbracciando gli arti superiori in aria, in preda a chissà qualche sconcerto psicotico.
Georg guardò Tom interrogativamente e quest’ultimo, con un’alzata di spalle da gnorri, rispose semplicemente: «Forse ha le mestruazioni di nuovo, questo mese». Il castano spalancò gli occhi e per poco non fece lo stesso anche con la bocca, ma poi decise per l’ennesima volta di non porre domande, per la sua sanità mentale.
Questo prima di capire che l’avrebbe persa comunque vedendo il detto gemellino androgino entrare in camera di Tom quasi completamente nudo, urlando: «Che diavolo di fine hai fatto fare al mio beauty case, brutto orco rastoso?», mentre guardava il gemello maggiore con un’aria di sfida, una mano su un fianco, indicandolo con l’indice dell’altra, mentre un boa di piume verde acido gli aleggiava intorno partendo dal collo.
Georg non si sarebbe mai più ripreso da quello shock.
Tom lo guardò stralunato, si coprì gli organi visivi come se fossero appena stati corrosi dall’acido e urlò pietosamente: «I miei occhi! I miei oooccchiiiiiii!», in una pessima imitazione di un moribondo.
«Ti ucciderò nel sonno con il mio eyeliner, squilibrato!», gli disse Bill, facendosi largo come se stesse passando la regina del mondo e aggiustandosi il boa al collo in un frusciante movimento altezzoso, per poi mettersi freneticamente a cercare il suo beauty case dei trucchi per tutta la stanza del gemello, mettendola a soqquadro. E meno male che lo trovò presto, perché avrebbe potuto sembrare un panzer della Wemacht più che un essere umano, talmente era distruttivo nelle sue ricerche.
E, più ratto di un torero completamente vestito di rosso che sta per essere infilzato da due corna non molto socievoli, sparì dalla stanza come per magia, lasciandosi indietro solo l’eco di un «addio!».
Tom si scoprì gli occhi e disse: «Meglio non assistere a certe scene!», mentre Georg aveva ancora lo sguardo fisso e inorridito sul punto in cui fino a tre nanosecondi prima si trovava Bill.
 
°°°
 
Mentre i due migliori amici prendevano l’auto di Georg, che alla fine aveva ceduto facendola guidare a Tom anche se era senza patente – tanto era talmente perfetto che non lo avrebbero mai fermato per un controllo e quindi poteva chiudere un occhio – Bill dovette andare a scuola a piedi, praticamente di corsa, perché era in ritardo e sarebbe arrivato ancora più in ritardo.
E in più, mentre correva a perdifiato con la milza in fiamme e i piedi – che stavano urlando pietà - infilati in un paio di Jimmy Choo tacco diciassette, miracolosamente spuntate fuori dal suo armadio, un autobus pieno di ragazzi diretti al suddetto liceo gli sfrecciò davanti e lo schizzò tutto di acqua fangosa di una pozzanghera che, non si sa come né perché, si trovava lì per terra.
E, bagnato com’era, scivolò anche un bel po’ di volte e si scorticò le mani nel tentativo di salvare la faccia.
Eh, il trucco prima di tutto!
Arrivò a scuola fradicio dalla vita in giù, con le Jimmy Choo rovinate – quello sarebbe stato il suo unico pensiero per tutto il giorno! – e mezzo spellato sulle mani, sulle ginocchia e sugli avambracci.
Un bulletto a caso gli passò di fianco, lo urtò facendolo sbattere contro il muro e poi crollare per terra in lacrime, non prima di aver colpito anche il secchio della spazzatura con la testa spinosa.
Sempre piangendo e con il trucco ormai sfatto – maledizione, ci aveva messo così tanto impegno a tenerlo intatto! – si precipitò al suo armadietto, vi posò lo zainetto e i libri che gli servivano per le ore successive e prese quello della prima ora.
Mentre stava andando in classe con il passo di uno zombie sotto sedativi, sentì un “Psssst! Pssssssst!” alla sua destra e si voltò a controllare.
Gustav era appoggiato all’angolo tra il muro e gli armadietti, in penombra, e lo guardava con sguardo abbastanza truce. Bill rabbrividì impercettibilmente, si guardò intorno nel corridoio deserto e poi indicò se stesso con aria interrogativa.
Il biondo annuì, sorridendo famelico, e con un dito gli fece cenno di avvicinarsi. Al che Bill, la cui vescica non resse a quel sorriso inquietante, scappò in bagno e ci rimase per dieci buoni minuti. Ma non aveva affatto calcolato che Gustav lo avrebbe seguito fin là e avrebbe picchiato il pugno sulla porta del gabinetto gridandogli dietro: «E fammi entrare, cretino!».
«Ma sto facendo cose private!», s’indignò l’altro, ben intenzionato a rimanere lì finché il biondo non se ne fosse andato.
Cosa che non successe per quasi un’ora e mezza e, alla fine, Bill fu “provvidenzialmente” salvato dall’arrivo di un nuovo insegnante, il signor Jost, che spedì Gustav in presidenza e, più per pietà e compassione che per giustizia, riportò Bill in classe, mentre tremava come una foglia al vento.
Una volta che il ragazzo si fu seduto, più o meno al sicuro, al suo banco, fu bersagliato da una miriade di palline insalivate che gli finirono dappertutto: tra i capelli, sulla faccia, sulla maglietta, una perfino dentro la maglietta, passando dalla nuca.
In effetti avevo scritto più o meno al sicuro.
Voltandosi di scatto e sibilando dalla rabbia, con la faccia chiazzata di rosso, cercò di inveire contro tutti quelli che gli capitavano a tiro, quando un ceffone calò sulla sua guancia facendo girare la sua testa di centottanta gradi esatti, riportando il suo sguardo sulla lavagna.
Lo shock fu talmente forte da fargli spalancare la bocca e inumidire gli occhi, proprio mentre il professore si voltava e gli rivolgeva velenose parole: «Trümplitz, lo sanno tutti benissimo che non capisci un’acca di quello che sto spiegando, ma addirittura fare quell’espressione stralunata mi sembra troppo», e poi gli mise una bella nota d’ammonizione sul registro.
La giornata era cominciata davvero alla grande. (Prego, notare il sarcasmo)
Passò tutto il resto del tempo a togliersi dai capelli e dal corpo tutte quelle palline di carta umidicce che lo facevano sembrare un albero di natale monocolore e fantasticando sul professor Jost.
Era stato carino con lui, in fondo! Lo aveva salvato dal sadismo di Gustav, quindi poteva considerarlo un alleato, addirittura un eroe!
All’ora successiva, però, tutto tornò alla normalità e Bill non ebbe, ancora una volta, un attimo di pace. La vecchia megera della professoressa di chimica, infatti, lo aveva chiamato alla lavagna per un’interrogazione a sorpresa, chiedendogli un argomento a cui non erano ancora arrivati, con la conseguenza che Bill fece scena muta.
«Un altro due per Trümplitz! Davvero, Betty, se tu fossi appena un po’ più lenta andresti all’indietro!1», disse l’arpia.
«Ma io mi chiamo Bill e sono un maschio!», cercò di difendersi lui con la forza della disperazione, almeno su quel fatto che tutti sembravano ignorare bellamente.
«Sì, sì, certo, Bethany, ora torna al tuo posto», concluse quella, con una risata generale della classe.
Depresso più di prima, Bill se ne tornò al banco, cominciando a raschiarlo tutto con le unghie affilatissime, cercando comunque di non guastare il french, che gli era costato più di sessanta euro dall’estetista. Sessanta euro che aveva rubato da Tom, ben inteso, altrimenti non avrebbe mai potuto permetterselo.
A un certo punto, però, suo fratello cominciò a dargli fastidio punzecchiandolo con la penna sulla schiena e lui, irritato, si girò – a suo rischio e pericolo, dato che l’arpia-Moira-Orfei sembrava ancora più incattivita dalla menopausa, quel giorno – e gli gridò a pieni polmoni: «Ma la vuoi piantare, brutto rimbecillito?».
Al che, con tutta la nonchalance del mondo, il gemello maggiore rispose: «Io non sono per niente brutto, Coso. E poi, se dici che sono brutto io, sei brutto anche tu, perché siamo gemelli: difetto in uno, difetto nell’altro!», e sfoderò un sorriso sornione a cui nessuno degli esseri femminili presenti, insegnante compresa, riuscì a resistere, sciogliendosi in un coro di sospiri frementi.
Bill non rispose, più per il cortocircuito mentale che gli aveva provocato la risposta intelligente di suo fratello che per il fatto di essere a corto di argomentazioni, ma si limitò a uno sguardo molto perplesso e a piegare di lato la testa sgranando gli occhi al massimo, come un cagnolino che non capisce.
Ma poi l’arpia si risvegliò dalla sua trance e lo prese per la collottola, trascinandolo dritto dritto in presidenza, dove Gustav lo stava aspettando, affamato come un lupo a digiuno da tre settimane e, vedendolo, si pregustava già la sua libbra di carne, mentre Bill inorridiva al solo pensiero di quello che gli avrebbe fatto.
E intanto, in classe, Tom messaggiava Georg per ringraziarlo della dritta su cosa rispondere a suo fratello gemello, dicendogli che la cosa aveva attirato ancora più figa del solito. E Georg si diede mentalmente del dannato perché aveva permesso al ragazzo più figo del mondo di avere altre donne a disposizione.




Unica nota presente nel testo:

1. Frase detta da Draco Malfoy a Goyle nel film (se non vado errata) "Harry Potter e la Camera dei Segreti".

 

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