Haaveilla (Dreaming)

di K anonima
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


"Caro Amico,

è passato molto tempo dall'ultima volta che ti ho scritto e non so perché io abbia aspettato così tanto prima di farlo.

Forse ho pensato che non ne avessi più bisogno, ma ho troppe cose da farti sapere.

Penso ancora molto alla nostra ultima discussione, ci penso talmente tanto che mi sembra di sentire la tua voce anche adesso.

Perchè mi hai lasciato qui? Perché mi hai lasciato ad affrontare la vita da sola?

Da quando non ci sei mi sento persa, qualcosa dentro di me è cambiata. Tu l'hai portata via con te.

Mi mancano i tuoi sorrisi, la tua risata e la tua presenza.

Mi manca l'effetto che facevi alla gente.

Mi mancano i giri in bicicletta d'estate e i film d'inverno.

Da quando non ci sei anche gli altri sono cambiati. Il mondo è diventato grigio e noi non siamo più gli stessi.

Ieri, per la prima volta, mi sono fatta coraggio e sono andata al cimitero. Mi ha messo ansia scegliere i fiori da portare sulla tua tomba. Quando sono arrivata ho incontrato tuo padre, piangeva.

Sulla lapide c'è la foto che ti ho scattato, quella che ti piaceva tanto. Mi ha fatto piacere, è giusto che le persone possano vederti così per sempre. Come sei.

Mi dispiace, ma non ce l'ho fatta. Essere forte non mi è mai riuscito bene. Ho pianto.

Ho pensato al fatto che io non ti abbia mai detto grazie. Eppure tu eri mio amico lo stesso, senza che ti fossero riconosciuti i meriti.

Grazie perché è merito tuo se adesso vivo la vita come voglio viverla.

Grazie perché quando ti penso, sorrido.

Grazie perché mi hai fatto amare.

Grazie perché nonostante tutto tu c'eri ed io, te lo assicuro, non ti dimenticherò mai.

Rammenta, questo non è un addio, è solo un arrivederci."

Posai la penna e fissando il vuoto aspettai che la sveglia suonasse .

Anche quella notte era passata insonne.

Mi trascinai verso lo zaino, ci infilai un tacuino, delle matite e scesi le scale. Creepers con la suola da 5 cm, pantaloni neri strappati e strettissimi, maglia degli Architects, felpa nera e via.

Ma chi cazzo me lo fa fare?

«Anna dove stai andando?»

«A scuola, come ogni fottuto giorno del cazzo»

«Quante volte ti ho detto che in questa casa le parolacce non sono ammesse?!»

«Fanculo»

Uscii di casa e con la mia solita lentezza mi incamminai verso quel luogo di tortura.

La terza liceo, decisamente ambientato nell'inferno di Dante. Forse è per questo che lo si studia proprio quell'anno.

Varcai il grande cancello che recintava quella prigione autoimposta e mi sedetti sotto un albero. Mi guardai intorno.

«Sfigata, ti ha aggredito un orso per caso? Quei pantaloni sono così chic». Francesca, colei che la mattina fa colazione con pane e cattiveria. Di ricca famiglia, bella e popolare. Chiunque avrebbe voluto essere sua amica, a parte me. All'età di sei anni eravamo inseparabili tanto che ci scambiavano per sorelle, ma questa è un'altra storia.

Feci una smorfia infastidita e tornai ai miei pensieri.

Se mangiasse un po' del trucco che si spalma sulla faccia sarebbe più carina dentro. O forse sarebbe colpita da un'intossicazione.

Scarabocchiai sul mio taccuino per qualche minuto.

«Amica, già nervosa stamattina?»

«Hai schivato l'incontro con madame perfidia, Andrea».

Lui, amico dai tempi delle elementari. Nonostante ascoltasse musica di merda, avevo apprezzato la sua compagnia dal primo incontro. Compagni di banco dalla seconda media, un'amicizia d'acciaio.

«C'è un novellino» mi disse facendo un cenno con la testa verso il cancello.

Davanti a quella visione sbarrai gli occhi.

Altro che novellino, un bronzo di Riace. Lo osservai attentamente: i lunghi capelli biondo cenere gli cadevano sulle spalle in modo perfetto, la maglietta nera era talmente attillata da lasciare poco all'immaginazione, i jeans neri e strettissimi e la giacca in pelle nera, la mascella squadrata e guance scavate.

«Anna, è suonata la campanella. Quando avrai finito di spogliarlo con gli occhi fammi un fischio»

«N-no aspettami arrivo. Non dire cazzate, stavo solo...»

«Ok ok è bello lo ammetto anche io»

«Sai di che anno è?»

«Non lo so, ma immagina se lo assegnano alla nostra classe. L'infarto di tutte le nostre compagne»

«Già, che cavolata.»

Arrivammo in classe e appoggiai lo zaino sul banco. "Oh no, la mia penna è in giardino".

Mi girai e mi misi a correre, sarei arrivata in ritardo alla lezione di nuovo.

"Ahi!", sbattei contro qualcosa. Una porta forse?

«Stai bene? Non ti avevo visto arrivare» mi disse una voce calda e virile.

«Coglione, dopati di meno. Non sei una persona, ma un muro» ero stesa per terra, il mio equilibrio era già abbastanza precario senza che mi imbattessi in armadi umani.

«Scusami ancora. Sai dov'è la 3^D?»

Alzai la testa e non potei credere ai miei occhi. Rimasi a bocca aperta. Da vicino era ancora più bello. Mi alzai e mi sentii affogare in quei grandissimi occhi blu.

«Mi sai rispondere o devo chiedere a qualcun'altro?» chiese alzando un sopracciglio.

Non feci a tempo ad aprire la bocca che un'altra voce esclamò «Te lo dico io, non badare a questa idiota. Metti gli occhi su di me, ti ci porto io in 3^D»

Francesca non si sarebbe fatta scappare l'occasione e il suo ghigno lo confermava.

Rimasi con gli occhi fissi su i suoi e lui ricambiò il mio sguardo.

La sua espressione sembrava serena e cortese, mi senti quasi imbarazzata. Sul mio viso apparve un piccolo, dolce sorriso.

«Sono Alex» disse piano porgendomi la sua mano.

Io la strinsi e risposi «Anna, piacere». La sua stretta era vigorosa e avvolgente, le sue mani, morbide e grandi.

«Bambolina stupida sei rossa come un pomodoro, non voglio vedere mentre te la fai addosso. Alex, io sono Francesca e sono sicura che diventeremo grandi amici o anche di più...» lo prese per un braccio e lo trascinò lontano.

Io distolsi lo sguardo, imbarazzata.

Di che classe aveva parlato prima? Non mi ricordo, caspita.

Recuperai la mia penna e tornai in classe.

«Signorina, non può continuare ad arrivare tardi alle mie lezioni» disse la professoressa di italiano vedendomi entrare.

«Scusi, cause di forza maggiore» risposi a testa bassa.

Prima di sedermi al mio posto alzai lo sguardo e lui era lì, un po' spaesato e stretto in mezzo a Francesca e le sue oche da compagnia.

Cercai non pensarci, ma mi fu difficile.

Stupida, stupida, stupida.

L'incognita che ormai abitava la mia mente era riguardo il suo carattere. Bello avevo appurato che lo fosse, ma come era nel profondo? I tempi in cui ero una ragazza superficiale erano finiti da molto tempo. Ero più spensierata, ma molto più sciocca.

Appoggiai la testa sul banco e mi lasciai cullare dalle onde dei miei pensieri.

«Anna, sono passate tre ore. Se sei viva dammi un segno» bisbigliò Andrea.

«Sì. Cosa. Che c'è?» chiesi... troppo forte.

«Voi due. State zitti per favore, non potete disturbare sempre le mie spiegazioni» esclamò la prof.

Feci una smorfia e tornai a navigare in un grande mare desolato.

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Capitolo 2
*** 2 ***


Tornai a sedere all'ombra di quell'albero.

La pausa pranzo era solitaria e traquilla per me.

Aprii il mio taccuino e cominciai a disegnare lui. Disegno per non dimenticare.

Curai ogni particolare: le sopracciglia ordinate, gli occhi grandi e le ciglia scure, il naso fino e la bocca carnosa.

«Sono davvero così bello?»

Mi spaventò a morte e cambiai pagina frettolosamente.

Alex si sedette vicino a me, appoggiandosi al tronco. Cercò il mio sguardo e sorrise.

«Ah io disegno e basta. Non ne faccio nulla di personale, disegno e basta»

«Mi hai migliorato allora»

Ma non scherziamo, la mia tecnica non avrebbe mai potuto nulla sulla sua bellezza.

«Grazie, ma non sono poi così brava»

«Posso vedere?»

Mi sfilò il taccuino dalle mani e cominciò a sfogliare, pagina per pagina.

«Sono stupendi, dico davvero» disse ed io sorrisi a testa bassa.

Riuscii soltanto a fissare le sue mani maneggiare quella carta fina. Ero muscolose e le vene erano in rilievo fin su tutto l'avambraccio.

Un tatuaggio si intravedeva sotto la maglia, tirata su fino al gomito.

«Posso?» e spostai leggermente la manica.

«Certo»

Non riuscii a vedere il disegno per intero.

«Che cos'è?»

«Davvero è così brutto?» ed alzò il sopracciglio.

«No, solo che non si vede tutto» affermai con una piccola risata. Lui scoppiò a ridere in un modo così bello che avrei potuto ascoltarlo per ore.

«Un corvo... su un ramo su uno sfondo stellato. Arriva fino alla schiena, nessuno l'ha mai visto intero».

Anche io risi.

Mi immaginai il suo tatuaggio, grande e posato alla perfezione sul suo corpo. Su quelle spalle muscolose, fondendosi con la sua candida pelle... Ho caldo mannaggia.

Mi levai la felpa rimanendo con la maglietta.

Cercai di riprendere il taccuino.

«E quello cos'è?» chiese afferrandomi il polso con decisione, fissò per un minuto buono l'acchiappasogni che era tatuato sul mio avambraccio.

Non feci a tempo a rispondere e la campanella suonò.

«Acid-Anna smettila di importunarlo, è troppo bello per te» gridò qualcuno alle nostre spalle. La riconobbi subito, Francesca.

Sospirai e mi accorsi che anche lui aveva una punta di delusione negli occhi. Ne fui quasi contenta.

Alex si alzò e venne trascinato via da quella arpia e il suo parlare del nulla riempì l'aria.

«Hai fatto colpo, amica» Andrea apparì e mi spaventai.

«Dovreste smettere di arrivare di soppiatto, mi verrà un attacco di cuore» replicai seccata.

«Scusami principessa, ma ormai ha messo gli occhi su di te. Ho sempre detto che le ragazze con i tatuaggi rimorchiano».

«Cosa stai dicendo?!» chiesi con un'espressione più ingenua possibile.

«Lascia stare e andiamo».

Lasciai passare le ore, o almeno ci provai. I ragazzi nella mia vita erano stati tanti, troppi, ma lui aveva attirato la mia attenzione fin da subito.

C'era qualcosa nel profondo della mia mente che voleva scoprirlo, volevo sapere di più, volevo sapere tutto di lui.

E lui sembrava ricambiare il mio interesse, o forse io stavo immaginando tutto. Anna, tu e le tue idee strampalate.

«Finalmente, non potevo resistere un minuto in più oggi» esordì all'improvviso Andrea, risvegliandomi dal mio stato comatoso. La campanella aveva già fatto due squilli ed eravamo liberi di tornare a casa.

«Per la cronaca quel tipo non mi piace, non lo conosco nemmeno» affermai dal nulla, aprendo il discorso.

«Ma tu interessi a lui» replicò lui con troppa sicurezza.

Sbattei gli occhi più volte per potermi rendere conto se la scena davanti a me fosse reale. «Si è anche Francesca» dissi in un sospiro, nel constatare che la sua mano era rintanata nella tasca posteriore dei jeans di Alex. E che facevano ora? Si stavano baciando?

«Come ti ho detto qualche secondo fa, non è il mio genere» dissi con un tono deluso. Avevo sperato davvero che la fortuna potesse essere dalla mia parte, che magari questa volta avrei potuto provare a fare le cose bene.

«Per la Te del presente, ricordi?»

«Taci»

«Come pensavo»

Mi incamminai verso casa e potei riflettere sulle parole di Andrea.

Il nuovo arrivato era perfetto per la parte menefreghista che viveva dentro di me, forse questo era il motivo per cui mi interessava così tanto. I ragazzi così avrebbero dovuto svanire dalla mia vita, come il mio passato.

Cercai di essere il più ragionevole possibile, ma avrei comunque voluto fargli mille domande: sei così davvero o per fama? Scuola nuova e vita diversa? La persona posata che avevo percepito era vera o l'avevo solo immaginata? Tu sei vero o no?

Avrei voluto provare a salvarlo dalla fine che avrebbe fatto in poco tempo, ma sapevo bene che quando credi di avere il mondo insieme a te non vuoi essere salvato.

Entrai in casa, salii in camera e cominciai a leggere un libro dimenticando di pensare.

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Capitolo 3
*** 3 ***


La sveglia mi spaventò. Avevo letto tutta la notte?

Un'altra noiosa giornata stava per cominciare.

Mi alzai dal letto e mi bloccai davanti al portafoto sul comodino. Sprofondai negli occhi del ragazzo nella foto. «Perchè mi hai lasciato qui? Perché mi hai lasciato ad affrontare la vita da sola?» dissi, come se lui potesse rispondere.

Mi buttai sotto la doccia, triste.

You've got to watch your back
You've got to swallow fear
Cover your tracks, or you might disappear

I brani degli Architects erano adatti ad ogni occasione e sentimento.

Mi asciugai e mi vestii: maglione nero, jeans stretti e anfibi.

Scesi le scale, addentai una mela e andai alla porta.

«Ah mia figlia non mi dice nemmeno ciao»

«Sì, come ti pare» dissi sbuffando ed uscii.

Andrea mi aspettava già pronto sul vialetto. Grazie al cielo aveva la moto, la mia voglia di camminare fino a scuola era pari a zero.

«Andiamo prima che mia madre ci aggredisca» esclamai divertita sferrandogli una pacca sul sedere.

«Sei di buon umore oggi?» chiese lui perplesso.

«Ah oggi sei più carino del solito. Hai i capelli sexy... da cattivo ragazzo» dissi ammiccando. Lui schioccò la lingua e si mise il casco.

La mia fissazione per i suoi capelli era palese. Come non amarli: neri come la notte, sempre spettinati e sempre tirati indietro in modo naturale.

Gli occhi poi... contenevano l'oceano, il ghiaccio ed il cielo tutti insieme. La sua pelle era chiarissima ed il labret e l'eyebrow che aveva fatto due anni fa lo rendevano quasi irresistibile.

Se non gli salti addosso lo faccio io. Zitto cervello.

Non mi capacitavo di come io avessi potuto resistere a stargli vicino con i pensieri poco casti che mi affollavano la mente.

Notevole la mia perplessità riguardo il perchè non avesse una ragazza.

«Parti prima che ti stupri, playman» dissi scherzosamente.

Lui rise di gusto, ma avrei tanto voluto poterlo fare.

Arrivammo in quel luogo di tortura, più comunemente chiamato scuola.

Mi levai il casco, mi passai una mano tra i capelli corvini e mi accorsi di Alex.

«Ciao. Anna, giusto? Posso parlarti?»

«Sì ok, ma staccati, ho bisogno del mio spazio vitale». Era a dieci centimetri dal mio viso, mi mancò l'aria. Quanto sei perfetto?

«Scusami» abbassò la testa e si allontanò.

Porsi il casco ad Andrea, perplesso quanto me, e seguii Alex.

Facemmo quasi tutto il giro della scuola. Ci fermammo in un angolo in cortile, sul prato.

«Salvami» sussurrò, quasi inesistente.

«Hai detto qualcosa?» avevo sentito molto bene, ma feci finta di nulla.

«Per qualche ragione che non so spiegare volevo vederti»

«Certo, e io sono babbo natale» replicai seccata.

«Dai, non riesci proprio ad essere cattiva con me. Ti ho visto ieri mattina, mi spogliavi con gli occhi. Come ogni altra ragazza di questa scuola d'altronde»

«Che cazzo dici?»

«Il punto è questo», fece una piccola pausa e si avvicinò pericolosamente. Chiusi gli occhi e sentii le sue nocche sul mio viso. Trattenni il respiro.

«Ti confido un segreto, non voglio che mi spoglino, vorrei amarne una»

Aprii gli occhi stupita, non mi aspettavo una conclusione del genere.

Lui era terribilmente vicino. Sentii la sua mano accarezzarmi il collo e cercai di controllare i miei istinti.

«Fai le fusa, come un gattino. Interessante» esordì lui, fissandomi «Avere questo potere, o influenza come vuoi chiamarla, sulle donne è pericoloso a volte» continuò ghignando.

Alzai il sopracciglio «Perchè?».

«Finisci per ritrovarti con le persone sbagliate».

«Una cosa mi sfugge, perchè me lo stai raccontando?».

«Forse per giustificarmi in anticipo di molti errori che commetterò» sussurrò vicinissimo al mio viso. Deglutii forzatamente.

«Beh» continuò separandosi da me «Non scappare, principessa», il sorriso sul suo viso era provocatorio. Strinsi i denti per non agire in maniera scomposta e lui di tutta risposta mi fece l'occhiolino.

«I-io torno alla realtà, scusa eh» dissi quando il mio cervello ricominciò parzialmente a funzionare.

Stupida, stupida, stupida.

Cercai di rimettere insieme tutto il corpo, comprese le parti che avrebbero voluto restare con Alex.

Mi stampai un sorriso sul viso e ricomparii davanti ad Andrea.

«Cosa voleva?» mi chiese alzando un sopracciglio.

«Nulla, una boiata su come siano strutturati i corsi», fu la prima scusa che mi passò per la testa.

Lui schioccò la lingua «Ah Anna sei sempre stata una pessima bugiarda. Se vuoi il mio parere, lui non fa per te».

«Cos'è sei geloso amore?!» chiesi io con una smorfia.

Lui rise, nervoso.

Mh, strano.

«Andiamo, non ho voglia di sedermi davanti a biologia» esclamai.

Prendemmo i posti migliori, in fondo all'aula. Quelli peggiori, a dire il vero, perchè la mia partì per la tangente.

 

 

"«Beh, non scappare, principessa»".

Principessa? Avevo sentito bene?

Io non avevo mai avuto un aspetto da principessa, nè dentro nè fuori. Sono sempre stata bassina ed in carne. I miei capelli non avevano senso, come il mio modo di essere.

Tatuaggi su un braccio e cicatrici sull'altro. Un casino nel vestire, un macello nella testa.

Era colpa dei miei occhi azzurri e delle guance bianche. Troppo innocenti, poco forti.

«Anna, sveglia. Vieni con me» mi sussurrò Andrea, poggiando delicatamente la mano sul mio braccio.

«Prof, non si sente tanto bene. Possiamo uscire un attimo?» chiese poi, alzandosi in piedi.

«Sparite dalla mia vista, tanto non fareste nulla neanche qui. Vedete di passarci più tempo possibile» esordì il professore con tono ironico e noi lo prendemmo alla lettera.

«Che succede?» domandai perplessa per quella fuga improvvisa.

«A te lo chiedo, piuttosto. Da quando Marco non c'è più non ci stai con la testa» affermò lui, serio.

«Cosa dici... sto bene» mi giustificai poco convinta.

«Ti prego, è stato difficile per tutti. Non aggravare le cose. Gli scrivi ancora?». Come. Come faceva a sapere sempre ogni cosa.

«Forse. Mi aiuta, sarei già al manicomio se non lo facessi» dissi più convincente.

«Sì, ma intanto dovresti cercare di riprenderti, mica cercare di scoparti il primo biondone emo che ti capita a tiro» il suo tono era quello di un rimprovero ed io non lo digerii.

«Taci. Ci ha già pensato Francesca a lui. Io non lo voglio e non voglio nemmeno la tua pena» esclamai. Falsa.

Mi coprii il viso con le mani. Stavo per scoppiare a piangere. Sembrava la scena di un film, o di un libro. Sarebbe mancato solo il bacio a tradimento e saremmo stati al completo. Ci avevo sperato anche questa volta. Avevo sperato che facesse una di quelle azioni azzardate che salvano tutto, che chiudono con una dissolvenza a cuoricino.

«Dai, perchè dobbiamo sempre litigare? Scusami. Vieni qui, principessa» disse dolcemente Andrea abbracciandomi forte.

Principessa. Perchè oggi mi chiamano tutti così.

«Fidati delle mie parole. Quel tipo non mi interessa, sto cercando di mettere la testa a posto» sussurrai sperando che non mi sentisse. Non mi fidavo nemmeno io di quelle parole. Sapevo che non era vero. Alle persone come Alex non si può resistere e si rimane incastrati.

«Brava la mia piccola» bisbigliò lui con dolcezza. C'era troppo miele nell'aria e mi sentivo a disagio.

«Torniamo in classe per favore» dissi sganciandomi da quell'abbraccio strano.

 

Ed era arrivata, anche se un po' a fatica, l'ora di tornare a casa.

«Ti accompagno a casa. Non puoi vagabondare per la città tutti i giorni, i tuoi voti ne risentiranno» asserì Andrea appoggiandomi una mano sul fianco.

«Certo, i miei voti sono bassi per questo» e scoppiai a ridere.

«Anna!» gridò una voce alle mie spalle. Mi girai impaurita e stupita.

Alex ci corse incontro «Ah sto interrompendo qualcosa?»

«No» esclamai io, lasciando un eterna delusione negli occhi del mio amico.

«Bene, vuoi un passaggio? Ho la macchina» chiese ammiccante.

Non feci a tempo ad aprire bocca per rifiutare che Andrea mi anticipò «Ma certo. Visto che ci sei galoppate verso il tramonto. Io qui non servo». Era seccato e triste, senza motivo. Si allontanò in fretta e non potei dirgli nulla.

«Vieni allora?» e Alex mi porse la sua mano.

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Capitolo 4
*** 4 ***


«Ti sei divertita?!» domandò Andrea con tono sarcastico.

«Che?» io cercai di fare la persona vaga per non far trapelare nulla.

«Anna sei sempre stata una pessima bugiarda, non rovinare tutto» aggiunse lui con una punta di delusione nella voce.

«Cosa starei rovinando?!» sbottai.

«Lascia stare. Non ho voglia di litigare adesso» sembrava triste. Lo fissai per qualche secondo per poi accorgermi del suo sguardo affranto, aveva pianto.

Era a causa mia? Perchè? Che succede?

Ero talmente piena di quesiti irrisolti che non mi accorsi che era già sparito in mezzo alla folla.

La campanella suonò e io feci un gran respiro.

Che giornata di merda.

«Anna!» gridò una voce alle mie spalle. Lo riconobbi subito: Alex.

Alzai gli occhi e il corridoio era deserto.

Dov'è?

«Buongiorno principessa» bisbigliò lui dietro di me. Sentii il suo respiro sul mio collo e cercai di mantenere la calma.

Serrai gli occhi e trattenni il fiato, ma il suo inebriante profumo aveva già invaso le mie narici.

«Ah oggi brucio» sussurrai a me stessa.

«Allora vengo con te» esclamò entusiasta.

Perchè. PERCHE'.

Mi rassegnai al peggio.

Mi diressi verso l'uscita con lui dietro come un cagnolino.

«Mettiamo in chiaro un paio di cose: uno, non chiamarmi principessa, due, dimenticati di ieri. Non è successo nulla» dissi più per convincere me stessa.

«Difficile da dimenticare come mi sei saltata addosso» ghignò divertito.

«Stai zitto»

«Mhm decisa» e si morse un labbro.

Non puoi fare queste cose, non in mia presenza.

Quanto sei bello. Zitto cervello.

«Allora, dove andiamo per divertirci?» continuò malizioso.

«Oh conosco un bel posto dove andare!» e fui entusiasta della mia grande idea. L'unico posto tranquillo dove sarei stata al sicuro.

«Vieni con me» lo esortai.

Camminammo per quasi un chilometro.

«Stai scherzando? La biblioteca?» domandò fermandosi perplesso, spalancando la bocca.

«Sì, è uno dei miei posti preferiti. Non si vede? Io sono molto intellettuale» lo provocai riprendendo a camminare. Un sorriso sapavaldo comparve sul mio viso con la bieca e temporanea convinzione di essere salva.

«Avrei detto fossi una tipa più fisica» ridacchiò Alex e il mio sorriso si appiattì.

Entrammo e il profumo dei libri mi entrò nel naso. Lo adoravo.

«Praticamente vuota» mi sussurrò lui accarezzandomi il viso.

La fortuna dov'è quando serve?!

«Idiota. Siediti lì. Io vado là in fondo. Ci vediamo fra quattro ore» replicai seccata divincolandomi.

Afferrai il primo libro che addocchiai e sprofondai sulla poltroncina.

«Come faccio a conoscerti se siamo così distanti» esordì lui improvvisamente.

«Wow leggi libri d'amore?» chiese sfilandomi il volume dalle mani «E leggi pure al contrario» aggiunse ridendo.

Non mi ero accorta di avere il libro storto e tanto meno che fosse un romanzo rosa.

«Già... alleno la mente così» non potei inventare una scusa peggiore.

Alex si sedette sul tavolino di fronte a me e appoggiò il libro ancora aperto.

I suoi occhi erano fissi su di me.

Cercai nervosamente di guardarmi intorno alla ricerca disperata di un ancora di salvataggio.

«Dimmi» parlò all'improvviso «Cosa ci fa una come te in una biblioteca?» ed io alzai le spalle.

«Cosa vuol dire "una come me"?» chiesi infine.

«Non mi sembra il tuo genere» rispose lui. E si sbagliava, io leggevo, tanto anche. Vivevo nei libri, vivevo per qualche ora la vita di qualcun'altro prima di tornare nella realtà.

«E uno come te cosa ci fa qui con una come me?» avevo già iniziato con le domande banali, bene.

«Cerco di non essere il solito me» fece con aria seria, quasi mi stupì.

«Un po' mi piacciono i romanzi d'amore» gli confidai.

Lui sorrise.

«Detesto le smancerie, ma forse è perchè nessuno è mai stato romantico con me» continuai.

«Come mai?» alzò un sopracciglio.

«Non l'ho mai permesso»

«Capisco», rise, «A me piacciono i fumetti»

Io risi.

«Sono belli, davvero. Vado alle fiere tutti gli anni»

«Che cosa carina»

«Lo so» replicò lui fiero. Io gli sferrai un pugno sul braccio.

Sorridemmo insieme, sembrò quasi normale, come se l'avessimo fatto alle centinaia di volte.

«Hai detto di volermi conoscere, quindi è meglio che tu sappia che sono ossessionata dalla musica»

«Suoni?»

«Canto»

«Che cosa carina»

«Non rubarmi le battute» e gli sorrisi.

«Tieni, è tuo» dissi tirando fuori dallo zaino il ritratto che avevo disegnato due giorni prima «L'ho finito».

«Nessuno l'aveva mai fatto per me»

«Perchè?»

«Non l'ho mai permesso. Non mi piaccio così tanto» e queste parole scoppiai a ridere.

Risi finchè non mi vennero le lacrime agli occhi e male la pancia.

«Cosa hai da ridere così tanto? Cosa ho detto?» la sua espressione era a metà tra il confuso e lo spaventato.

«Tu? Tu non ti piaci? Hai un sorriso che fa venire i brividi, hai degli occhi che fanno impazzire, hai un corpo perfetto, sei addirittura divertente. Ma tu un difetto ce l'hai?» non riflettei molto prima di rispondergli e me ne pentii, ma ormai il danno era fatto.

Un grande sorriso malizioso comparì sul suo viso.

Iniziò ad avvicinarsi, avrei dovuto scappare, ma rimasi immobile.

Era vicinissimo, tanto che sfiorò le mie labbra con le sue. Il mio cuore accellerò pericolosamente il battito, sarei potuta morire lì, in quel momento.

Mi passò una mano tra i capelli e la appoggiò sulla mia spalla.

«E-e invece, ho molti difetti» sussurrò lentamente come si fosse incantato.

Si schiarì la voce e si allontanò.

«Per questo dovresti stare lontano da me» finì la frase alzandosi e camminando verso l'uscita.

«Che vorrebbe dire?!» esclamai sul punto di scoppiare.

«SHHHHHH»

«Scusate»

Corsi fuori, ma lui non c'era. Era sparito.

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Capitolo 5
*** 5 ***


«Ti sei divertita?!» domandò Andrea con tono sarcastico.

«Che?» io cercai di fare la persona vaga per non far trapelare nulla.

«Anna sei sempre stata una pessima bugiarda, non rovinare tutto» aggiunse lui con una punta di delusione nella voce.

«Cosa starei rovinando?!» sbottai.

«Lascia stare. Non ho voglia di litigare adesso» sembrava triste. Lo fissai per qualche secondo per poi accorgermi del suo sguardo affranto, aveva pianto.

Era a causa mia? Perchè? Che succede?

Ero talmente piena di quesiti irrisolti che non mi accorsi che era già sparito in mezzo alla folla.

La campanella suonò e io feci un gran respiro.

Che giornata di merda.

«Anna!» gridò una voce alle mie spalle. Lo riconobbi subito: Alex.

Alzai gli occhi e il corridoio era deserto.

Dov'è?

«Buongiorno principessa» bisbigliò lui dietro di me. Sentii il suo respiro sul mio collo e cercai di mantenere la calma.

Serrai gli occhi e trattenni il fiato, ma il suo inebriante profumo aveva già invaso le mie narici.

«Ah oggi brucio» sussurrai a me stessa.

«Allora vengo con te» esclamò entusiasta.

Perchè. PERCHE'.

Mi rassegnai al peggio.

Mi diressi verso l'uscita con lui dietro come un cagnolino.

«Mettiamo in chiaro un paio di cose: uno, non chiamarmi principessa, due, dimenticati di ieri. Non è successo nulla» dissi più per convincere me stessa.

«Difficile da dimenticare come mi sei saltata addosso» ghignò divertito.

«Stai zitto»

«Mhm decisa» e si morse un labbro.

Non puoi fare queste cose, non in mia presenza.

Quanto sei bello. Zitto cervello.

«Allora, dove andiamo per divertirci?» continuò malizioso.

«Oh conosco un bel posto dove andare!» e fui entusiasta della mia grande idea. L'unico posto tranquillo dove sarei stata al sicuro.

«Vieni con me» lo esortai.

Camminammo per quasi un chilometro.

«Stai scherzando? La biblioteca?» domandò fermandosi perplesso, spalancando la bocca.

«Sì, è uno dei miei posti preferiti. Non si vede? Io sono molto intellettuale» lo provocai riprendendo a camminare. Un sorriso sapavaldo comparve sul mio viso con la bieca e temporanea convinzione di essere salva.

«Avrei detto fossi una tipa più fisica» ridacchiò Alex e il mio sorriso si appiattì.

Entrammo e il profumo dei libri mi entrò nel naso. Lo adoravo.

«Praticamente vuota» mi sussurrò lui accarezzandomi il viso.

La fortuna dov'è quando serve?!

«Idiota. Siediti lì. Io vado là in fondo. Ci vediamo fra quattro ore» replicai seccata divincolandomi.

Afferrai il primo libro che addocchiai e sprofondai sulla poltroncina.

«Come faccio a conoscerti se siamo così distanti» esordì lui improvvisamente.

«Wow leggi libri d'amore?» chiese sfilandomi il volume dalle mani «E leggi pure al contrario» aggiunse ridendo.

Non mi ero accorta di avere il libro storto e tanto meno che fosse un romanzo rosa.

«Già... alleno la mente così» non potei inventare una scusa peggiore.

Alex si sedette sul tavolino di fronte a me e appoggiò il libro ancora aperto.

I suoi occhi erano fissi su di me.

Cercai nervosamente di guardarmi intorno alla ricerca disperata di un ancora di salvataggio.

«Dimmi» parlò all'improvviso «Cosa ci fa una come te in una biblioteca?» ed io alzai le spalle.

«Cosa vuol dire "una come me"?» chiesi infine.

«Non mi sembra il tuo genere» rispose lui. E si sbagliava, io leggevo, tanto anche. Vivevo nei libri, vivevo per qualche ora la vita di qualcun'altro prima di tornare nella realtà.

«E uno come te cosa ci fa qui con una come me?» avevo già iniziato con le domande banali, bene.

«Cerco di non essere il solito me» fece con aria seria, quasi mi stupì.

«Un po' mi piacciono i romanzi d'amore» gli confidai.

Lui sorrise.

«Detesto le smancerie, ma forse è perchè nessuno è mai stato romantico con me» continuai.

«Come mai?» alzò un sopracciglio.

«Non l'ho mai permesso»

«Capisco», rise, «A me piacciono i fumetti»

Io risi.

«Sono belli, davvero. Vado alle fiere tutti gli anni»

«Che cosa carina»

«Lo so» replicò lui fiero. Io gli sferrai un pugno sul braccio.

Sorridemmo insieme, sembrò quasi normale, come se l'avessimo fatto alle centinaia di volte.

«Hai detto di volermi conoscere, quindi è meglio che tu sappia che sono ossessionata dalla musica»

«Suoni?»

«Canto»

«Che cosa carina»

«Non rubarmi le battute» e gli sorrisi.

«Tieni, è tuo» dissi tirando fuori dallo zaino il ritratto che avevo disegnato due giorni prima «L'ho finito».

«Nessuno l'aveva mai fatto per me»

«Perchè?»

«Non l'ho mai permesso. Non mi piaccio così tanto» e queste parole scoppiai a ridere.

Risi finchè non mi vennero le lacrime agli occhi e male la pancia.

«Cosa hai da ridere così tanto? Cosa ho detto?» la sua espressione era a metà tra il confuso e lo spaventato.

«Tu? Tu non ti piaci? Hai un sorriso che fa venire i brividi, hai degli occhi che fanno impazzire, hai un corpo perfetto, sei addirittura divertente. Ma tu un difetto ce l'hai?» non riflettei molto prima di rispondergli e me ne pentii, ma ormai il danno era fatto.

Un grande sorriso malizioso comparì sul suo viso.

Iniziò ad avvicinarsi, avrei dovuto scappare, ma rimasi immobile.

Era vicinissimo, tanto che sfiorò le mie labbra con le sue. Il mio cuore accellerò pericolosamente il battito, sarei potuta morire lì, in quel momento.

Mi passò una mano tra i capelli e la appoggiò sulla mia spalla.

«E-e invece, ho molti difetti» sussurrò lentamente come si fosse incantato.

Si schiarì la voce e si allontanò.

«Per questo dovresti stare lontano da me» finì la frase alzandosi e camminando verso l'uscita.

«Che vorrebbe dire?!» esclamai sul punto di scoppiare.

«SHHHHHH»

«Scusate»

Corsi fuori, ma lui non c'era. Era sparito.

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Capitolo 6
*** 6 ***


"Caro amico,

come si sta là? Qui è un caos.

Ricordi quando ci importava solo di avere una bici? Sembrava che la vita fosse così semplice, saremmo potuti andare ovunque. Adesso le cose sono cambiate, la bicicletta non basterebbe più. Ci vorrebbe un'astronave per poter evadere da questo luogo infernale.

Avremmo dovuto affrontare tutto questo insieme, dove sei dannazione?!

Ora devo andare a scuola, ma tornerò presto."

Un'altra notte in bianco.

Raggiunsi la scuola con un passo strascicato e triste. Ero triste e ne ignoravo il perchè.

Niente panico.

Sarei entrata in classe, avrei ascoltato passivamente cinque ore di lezione e poi sarei tornata nel mio letto.

«Ciao» disse Andrea con tono indifferente passandomi davanti.

«Aspetta» cominciai, ma lui continuò a camminare.

Chiusi la felpa quando un brivido freddo mi trappassò.

Feci un respiro profondo e ripresi la mia strada verso l'aula. Qualcosa mi fermo, una poderosa stretta aveva avvolto la mia mano.

Non feci a tempo a capire cosa stesse succedendo che mi ritrovai in una stanza buia.

«Scusami per ieri». Alex accese la luce.

«Siamo nella stanza del bidello. Usciamo di qui per favore» sbottai io alquanto disgustata da quel posto angusto.

«Prima perdonami».

«Ok ok, ti perdono. Ora usciamo da qui».

Lui riaprì la porta, prendendomi per mano dolcemente, facendomi mancare il fiato.

Ripresi il controllo del mio cuore e domandai infastidita «Cosa vuoi? Lasciami andare».

«Cosa ci facciamo in giardino? Rispondi» esclamai finchè lui mi trascinava in quel percorso bizzarro.

«Sto cercando di non essere me. Va bene?! Ti agrada come risposta?!» si girò lui con uno sguardo terrificante.

«Non ti arrabbiare. Era solo una domanda» replicai alzando le spalle.

Lui mi aguantò le spalle con le sue potenti mani, immobilizzandomi.

«Invece mi arrabbio. La cosa peggiore che mi sia capitata è stata incontrarti. Mi fai fare cose totalmente insensate, mi fai impazzire. Ma che problema hai?!» stava urlando cose senza alcun senso. Intanto aveva mollato la presa, ma io ero rimasta rigida, come se lui fosse ancora vicinissimo.

«Io? E di te che mi dici? Sei la persona più insopportabile che abbia mai conosciuto e io convivo con me stessa!». Era ufficialmente iniziata la fiera di "Spara cazzate a volontà".

«Ti odio» bisbigliò.

«Io di più» replicai.

«Ti detesto. Schierati da una parte. O sei quello buono o sei quello cattivo, non entrambe le cose. Così mi...» non riuscii a finire di sfogarmi che Alex si fiondò sulla mia bocca. Il nostro rapporto stava prendendo una piega assai strana.

«Sei», dissi tra un bacio e l'altro «Un pazzo».

«Lo so» rispose lui prendendo un po' di respiro.

Il mio cuore voleva saltare fuori dal torace. Rimani lì ti prego, voglio vivere questo momento.

«Abbiamo», bacio, «Fatto un casino», mi morse il labbro inferiore con dolcezza, «Sì, insomma», bacio, «Se ci vede qualcuno».

Ricambiai con un morso più feroce «Ti importa?» domandò leccandosi il labbro dolorante.

«Adesso no» ripresi a baciarlo, trasportata dai miei ormoni febbricitanti.

Lo morsi ancora. «Sei aggressiva»

«Perchè ti odio»

«Anche io». Stavamo letteralmente impazzendo.

Infilai le mani tra i suoi bellissimi capelli biondi e lui cominciò a baciarmi sul collo. Dei potenti brividi attraversarono la mia schiena.

«Ops» sussurrò lui.

«Eh?» non ero pienamente cosciente di nulla. Se mi avessero chiesto dove fossi non avrei saputo rispondere.

«Non ti arrabbiare» supplicò Alex.

«Per cosa?» lo fulminai con lo sguardo.

«Dimmi che ti piacciono le maglie a collo alto» disse lui divertito.

«Le detesto. Perchè?!» mi stavo innervosendo.

«Allora ti consiglio una sciarpa» rispose indicandosi il collo.

No, non è quello che penso.

«Alex, cazzo» scoppiai a ridere dalla disperazione. Lui seguì la mia reazione con occhi increduli.

«Andiamo via, ti prego» proposi tra un sorriso e l'altro.

«Non sei arrabbiata?»

«No, ma ti ammazzerò quanto prima» e scoppiai ancora a ridere lasciandolo nella sua confusione interiore.

Mi sedetti sul marciapiede, davanti al cancello del liceo. Sentii lui fare lo stesso.

«Perchè l'hai fatto?» chiesi all'improvviso.

«Il succhiotto intendi?»

«No, idiota. Portarmi via»

«Ah. Volevo farlo»

«Ma ieri hai detto...» non mi lasciò finire.

«A volte non riesco a fare ciò che mi riprometto», aveva gli occhi vuoti.

«Non può essere successo davvero» ridacchiai.

«Perchè?» scattò lui confuso.

«Perchè queste cose a quelle come me non capitano. Non che tu sia proprio il principe azzurro. Ceh sei perfetto. No, insomma» feci un lungo respiro «Nessuno mi ha mai baciato a tradimento».

«Nemmeno io l'ho fatto, ce lo aspettavamo, lo volevamo» tornò a fissare un punto chissà dove sull'asfalto.

«Non si fa sempre quello che si vuole» bisbigliai.

«Pensa se si potesse, io non sarei apparso come un idiota. Tu, tu forse non saresti qui adesso», mi sembrò quasi saggio. Forse mi sbagliavo riguardo a lui, forse Andrea si sbagliava.

Passarono diversi minuti prima che qualcuno rompesse di nuovo il silenzio. Tra noi sembrava passare una sottile lastra di vetro che ci univa e ci separava sempre. Tanto vicini da far battere il cuore, abbastanza lontani da non sfiorarsi mai.

«Ti adrebbe, dico così per dire, di fare una cavolata con me?» chiesi sorridendogli.

«Cosa di preciso?» domandò con un luccichio negli occhi tra i più belli al mondo.

«Ok, chiudi gli occhi. Tienili chiusi mi raccomando» gli diedi istruzioni.

Quando riaprì gli occhi io ero già sparita. Non so perchè, non che volessi scappare.

Dovevo solo pensare.

Avevo bisogno di tempo.

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Capitolo 7
*** 7 ***


Mi stesi sul letto esausta. La settimana più assurda della mia vita.

Tirai fuori dalla tasca il cellulare e iniziai a digitare sulla tastiera: Ti prego, possiamo vederci?

Buttai la testa sul cuscino in attesa della risposta.

Quel "novellino" aveva mandato in tilt ogni mio radar. Cosa ti prende? Mi prende che avevo rovinato tutto fin dal principio. Chi bacerebbe uno sconosciuto dopo sole due ore? Evidentemente, io.

Sentii vibrare il telefono: Passo a prenderti fra dieci minuti.

Feci una corsa fino al bagno per sistemarmi: i capelli andavano legati e il trucco completamente rifatto.

Percepii la moto fermarsi nel vialetto. Eccolo. Presi coraggio e scesi velocemente le scale.

«Ciao» mormorò Andrea togliendosi il casco e passandosi una mano tra i capelli in quel modo che mi faceva impazzire.

«Dove vuoi andare?» domandò calmo.

«In un posto tranquillo, vorrei parlarti» dissi a testa bassa.

«Va bene, andiamo al parchetto» sentenziò lui dopo una piccola pausa.

«Tieni» continuò porgendomi il secondo casco.

Mi strinsi a lui con la speranza che non mi respingesse. Avevo il cuore che batteva a mille, lui, invece, pareva indifferente e impassibile. Quel grande sorriso mozza fiato con cui mi accoglieva era sparito ed ero stata io a toglierglielo.

Parcheggiò nello spiazzo davanti al parchetto, scese con disinvoltura e fece un respiro profondo coinvolgendo anche le spalle.

Quel posto era pieno di ricordi: io, Andrea e Marco ci ritrovavamo lì tutte le estati. Ci importava solo avere la nostra amicizia, il resto non contava.

L'altalena e lo scivolo erano stati vittima di vandalismo, ma ne eravamo abituati. L'erba era stata tagliata male dal comune e anche questo non ci coglieva di sorpresa.

«Non vengo qui da quel giorno» bisbiglio io, sperando di arrivare alle sue orecchie.

«Anche io. Sembra tutto come era» constata lui osservando.

«Ho un appuntamento fra poco, sbrigati. Di cosa volevi parlarmi?» domandò lui accigliato.

Deglutii. «Non capisco perchè sei arrabbiato con me» cominciai e notai del disappunto nel suo sguardo «O meglio, lo capisco. Secondo me però, non è per Alex. Non è così?».

«Mi chiedo solo come hai potuto farti ammaliare da uno così. Come, come dopo che Marco...». Non poteva riaprire l'argomento, non l'avrei sopportato.

«Un appuntamento?» chiesi repentinamente per cambiare discorso.

«Già»

«Lui non è come sembra. Alex non è così stronzo»

«Come puoi dirlo?»

«Lo dico perchè non salto subito alle conclusioni, cosa che invece fai tu» mi stavo innervosendo. Possibile che non capisci?

«Io non mi faccio influenzare da quei jeans stretti».

«Si basa tutto su questo?!». La sua argomentazione era totalmente insensata.

«Dovevo essere io» sussurrò quasi impercettibile.

«Davvero?» chiesi facendolo diventare paonazzo. Arrossì.

Non ero stupita, un po' me lo sarei aspettato. Perchè non ti sei fatto avanti?

«Credevo fossi cambiata, ma sei sempre la stessa» sbottò chinando la testa.

«Che vorresti dire?» domandai rabbiosa.

«Anna, sei una ragazza fantastica, ma sei troppo complicata per me» asserì rassegnato «Non posso» concluse.

Da una parte mi sentivo sollevata, non avrei sopportato di illuderlo più di così. Dall'altra ero triste, avrei voluto piangere all'infinito. Eppure non provo nulla per te, credo.

Lo osservai andare via, cercando di trattenere le lacrime.

Mi incamminai verso casa rimurginando sulle parole di Andrea.

«Puoi anche andare a fanculo. Non sono complicata. Sei tu che ti innamori della persona sbagliata, non è colpa mia» riflettei ad alta voce. Davanti a me c'era il fiume al tramonto, uno spettacolo stupendo. La natura mi circondava eppure non riuscivo a godere di quella scena sublime.

«Ciao principessa» bisbigliò una voce alle mie spalle. Io urlai per lo spavento, mi girai e sferrai un pugno alla cieca. Non me ne accorsi nemmeno.

«Sei forte per essere così minuta» la voce stavolta proveniva dal basso, dolorante e strozzata.

Chinai la testa.

«Mi dispiace tanto! Non volevo farti del male» esclamai vedendo Alex a terra con il sangue al naso.

«Non preoccuparti» fece una smorfia di dolore «Mi piacciono le ragazze decise».

Lo aiutai ad alzarsi ed esaminai il danno. Nulla di rotto, solo un po' di sangue.

«Chi ti ha fatto arrabbiare principessa?» chiese lui con voce nasale.

Io risi, era così buffo con quella voce da paperino.

«Nessuno di importante, non adesso» risposi ridendo ancora.

«Questa è la prima volta che ti sento ridere così» affermò inclinando la testa da un lato.

«Avevo bisogno di ridere, tutto qua» mormorai alzando le spalle.

«Se riderai così, potrai darmi tutti i pugni che vorrai» mi sorrise dolcemente, in un modo inaspettato, innocente. Abbassai la testa arrossendo.

«Sei una delle creature più belle che io abbia mai visto», dopo questa ennesima lusinga le mie guance presero letteralmente fuoco, o almeno così mi sembrava.

«Hai bisogno delle garze. Vieni con me» lo esortai prendendogli la mano e trascinandolo sulla strada.

Il sole era già tramontato quando arrivammo a casa mia.

Lo invitai ad entrare e lui sembrò spaesato.

«Siediti lì» gli indicai lo sgabello nel soggiorno e lui obbedì.

Frugai nei cassetti del bagno «Trovate!».

Mi avvicinai cauta a lui, al suo viso. Tagliai un piccolo pezzo di garza e tamponai il sangue rappreso al bordo delle narici.

«Che spirito materno» disse Alex con fare beffardo.

«Zitto o ti rompo davvero il naso» lo esortai al silenzio.

Gettai nel cestino le garze sporche e mi riavvicinai. «Fammi vedere, non dovrebbero esserci danni gravi».

«Non ce ne sono» mormorò. In un gesto simultaneo mi afferrò i polsi e mi immobilizzò tra le sue gambe facendomi mancare l'aria.

Deglutii più volte in preda all'agitazione.

«Cosa» deglutii di nuovo «Ci facevi sul fiume?».

«Ero andato lì per riflettere, poi tu sei arrivata» spiegò avvicinandosi pericolosamente.

«Ah, tu rifletti?» lo incalzai, provocandolo.

«Spesso. In questo momento non molto. Sai, ho perso molto sangue» asserì con tono provocatorio, quasi seducente.

Io sorrisi al pensiero di lui steso a terra a causa del mio gancio.

«Non ridere di me, Anna» mi sembrò addirittura autoritario nel pronunciare quelle parole.

«Per esempio, so che non dovrei, ma vorrei disperatamente le tue labbra» continuò con tono più dolce e ipnotico.

«Hai perso una relativa quantità di sangue, non sai quello che dici» ribattei io passandomi la lingua sulle labbra, secche da morire.

«Parli troppo principessa» mormorò, sorrise tranquillo e lasciò liberi i miei polsi.

Io rimasi immobile, stretta a lui, corpo contro corpo.

Mi prese il mento con la mano e mi baciò lentamente.

«Sei libera di scappare via se vuoi» chinò la testa.

«Non posso, questa è casa mia» non mi lasciai finire che mi precipitai sulla sua bocca come fossi impazzita. Effettivamente lo ero, pazza, pazza delle sue labbra, dei suoi occhi, delle sue braccia intorno a me, di lui.

«Ahi, ahi ahi! Attenta, sono ferito» esclamò portando indietro la testa.

Scoppiai a ridere, ma lui ricambiò con un altro bacio.

Mi balenarono nella mente le parole di Andrea, pienamente in torto. Alex, invece, aveva ragione: sarei stata libera di andarmene, libera di buttarlo fuori di casa, ma non lo feci. Avevo deciso, avevo deciso di rimanere.

Gli infilai le mani tra i capelli, mia passione segreta. Erano così morbidi e seducenti.

Iniziai a riempirlo di baci sul collo sentendo il suo magnifico profumo. I miei ormoni ormai avevano spento le candeline, era festa.

Io lo desideravo perdutamente e le sue mani ovunque sul mio corpo indicavano che anche lui mi desiderasse.

«La. Vuoi. Fare. Una. Cavolata» tra un bacio e l'altro «Con me?» chiesi.

«Hai. Intenzione. Di. Lasciarmi. Come» baci, baci e baci «Come. Ieri?» domandò lui, giustamente.

«Questa volta no» risposi tranquilla, stranamente.

Avevo il controllo della situazione, nonostante i brividi.

«Vieni» lo presi per mano e salimmo le scale.

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Capitolo 8
*** 8 ***


«Buongiorno principessa» sentii sussurrare.

«Buongiorno» sorrisi senza aprire gli occhi, per catturare il momento. Mi sentivo così riposata, come se avessi dormito per giorni e giorni.

«Mi hai sognato stanotte?» chiese quella voce.

«Perchè?».

«Perchè ti ho sentito dire "Alex" finchè dormivi» rispose come a sottolineare un'ovvietà.

Sbarrai gli occhi. Non può essere vero.

Girai lentamente la testa verso destra, sperando che fosse tutto frutto della mia fantasia. E invece no, una persona vera era vicino a me, nel mio letto. Non una persona qualsiasi, Alex era steso su un fianco, a petto nudo, con un sorriso beffardo stampato in faccia.

«Io e te abbiamo...?!» non riuscii a finire la frase, l'imbarazzo mi aveva fatto bruciare le guance.

«No, non volevo...». Ero incantata, tanto che mi persi la fine della frase. Il suo petto, così perfetto era a venti centimentri dal mio. Mi venne un impulso, un grande desiderio di toccarlo, giusto per capire se non stessi ancora sognando.

«Fai pure, è tutta roba naturale» mi schernì lui capendo il mio pensiero.

Scossi la testa. «Eh? Cosa?» riuscii a sussurrare a malapena.

Lui mi prese la mano dolcemente e se la appoggiò sul petto, sul cuore.

Il mio mancò un batto, stupito di fronte a tanta bellezza. Trattenni il respiro cercando di tenere a bada i miei ormoni. Anna dai, quando ti ricapita? Zitto cervello.

Il suo battito accelerò leggermente. «Adoro la passiflora che hai tatuata sul fianco» bisbigliò piano.

«Come sai?» cominciai. Staccai a fatica gli occhi dal suo corpo per passare delusa al mio. Ero in intimo. Che figura.

Incrociai le braccia davanti al seno per non farmi vedere, ma ormai era tardi.

«Io e te abbiamo...?!» ripetei ancora con un filo si voce. Ero paonazza e le mie guance erano in fiamme.

«No, ripeto. Non volevo rovinare tutto» fece una pausa e poi aggiunse «Mi piaci troppo». Il mio cuore si fermò del tutto, mi mancò il respiro.

Ehi, aspetta un attimo. Non mi vuole? Il mio sguardo divenne smarrito.

Per sdrammatizzare e rompere il silenzio imbarazzante che lui aveva creato, si alzò in piedi «Ecco svelato il segreto del mio tatuaggio».

Si girò facendomi vedere la schiena ed sollevò il braccio destro fino ad angolo retto. I muscoli della spalla e del braccio modellavano alla perfezione quel disegno magnifico. La notte stellata sfumava deliziosamente sulla sua pelle chiara ed il corvo, con la testa china, sembrava inchinarsi a me.

«Posso?» chiesi timidamente scendendo dal letto.

«Bellissimo» sussurrai poi, sfiorandogli la pelle passando sui contorni scuri di quell'uccello maestoso.

I miei occhi si posarono poi sul suo fianco sinistro. Una scritta era dolcemente adagiata sulla sua pelle. "Voglio, se posso, odiarti e se non posso per sempre amarti."

«Ovidio» bisbigliai stupita.

Cogliendo la sorpresa nella mia voce sbottò «Non pensavi potessi conoscerlo?».

«Non mi sembravi il tipo da letteratura» risposi senza riflettere.

«Neanche tu, ma l'hai riconosciuto» ribattè lasciandomi senza argomenti.

Si girò di scattò, poggiando le sue mani sui miei fianchi.

Era pericolosamente vicino. Non farmi questo, non ora che ho ripreso fiato.

«Noto quando sei nervosa, sappilo» disse spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

«Mi piace l'effetto che ti fa» aggiunse mordendosi il labbro. I miei occhi erano fissi su di lui, allerta ad ogni sua mossa.

Presi coraggio, nella speranza di non sembrare ridicola.

«Che fortuna, è domenica. Ci vediamo fra un po', vado a farmi una doccia» mormorai slacciando il reggiseno e lasciandolo cadere a terra. Il suo sguardo cambio radicalmente: la furbizia si tramutò in stupore, il divertimento in desiderio.

Non puoi vincere sempre tu.

Dentro di me gli applausi si fecero assordanti e mi allontanai serena ed orgogliosa. Avevo appena compiuto il gesto più audace di tutta la mia vita e l'avevo fatto con disinvoltura.

L'acqua mi scivolava sul corpo raffreddando le mie guance ancora bollenti. Finalmente un po' di pace, i miei nervi non avrebbero resistito ad un altro colpo.

«Dimmi una cosa, fai spesso così?».

«Ma cosa...» esclamai rischiando di scivolare per lo spavento, tanto che mi aggrappai alla tenda.

«Ti sembra educato entrare così?» sbottai arrabbiata.

«E a te sembra educato stuzzicarmi così?» replicò Alex. Un punto per te, ok.

«Rispondi alla mia domanda, non farne un'altra» esclamai.

«Dai, sembriamo una coppia sposata. Come siamo carini» mormorò lui.

«Perchè?» chiesi mettendo fuori la testa dalla doccia per poter vedere con quanta tranquillità si fosse tirato su i boxer e avesse tirato lo sciacquone.

Urlai potentemente al cambio improvviso della temperatura dell'acqua.

Questa me la paghi.

Mi avvolsi nell'accappatoio, preparando un discorso di ammonimento.

«Sei un cretino» sbottai. Ottimo Anna, perfetto. Un po' conciso, ma efficace. Persino il mio cervello si era dato al sarcasmo dalla disperazione.

«Sei adorabile così» sorrise.

«Stai zitto» sbottai lanciandogli l'accappatoio. Uscii dalla stanza alla ricerca di vestiti puliti.

«Ok, uno pari principessa» lo sentii urlare.

Trovai per caso dei pantaloni della tuta e una maglietta, li infilai in tutta fretta e trornai in camera.

Mi sedetti sul letto con aria seria. «Cosa c'è?» chiese sedendosi a sua volta, ancora in boxer.

«Adesso dovremo conoscerci davvero, mi hai visto nuda e io ti ho visto... oh non farmici pensare» mormorai con rassegnazione.

«Lo so, sono irrestibile» replicò soddisfatto.

Io risi. «Non ne azzecchi una» lo provocai.

Notai finta delusione nel suo sguardo.

«Stasera. Palace, è un ristorante economico, ma carino. Otto e trenta. Ed è una concessione quella che ti sto facendo» scandii per dargli modo di recepire tutte le informazioni. Sembrò recuperare allegria sfoderando il suo sorriso perfetto.

«Ora vestiti ed esci da casa mia» continuai sorridendogli a mia volta.

Lo accompagnai alla porta. «A stasera piccola» sussurrò stampandomi un leggero bacio sulle labbra.

Feci mente locale di cosa avevo combinato. Stranamente non mi sentivo imbarazzata, ero solo divertita.

Volevo conoscerlo davvero, volevo scoprirlo.

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Capitolo 9
*** 9 ***


Mi guardai allo specchio, ero sempre io, ma con qualcosa di diverso.

Avevo trovato un vestito non troppo provocante nell’armadio che stranamente mi stava perfettamente. Mi sforzai di indossare le scarpe con il tacco.

Guardai nuovamente la mia immagine riflessa nello specchio.

No, non è un appuntamento galante. Penserà che voglio fare colpo se mi vesto così.

Il bottone delle paranoie ormai era stato premuto, maledizione.

Mi sciolsi i capelli, indossai una maglietta dei Metallica, i jeans neri e le solite vans. Mi truccai alla svelta e afferrando la borsa mi fiondai fuori dalla porta.

Mi incamminai lentamente verso il luogo incriminato. Stava accadendo davvero. Mi sentivo tranquilla, come se stessi per incontrare un vecchio amico, eppure qualcosa turbava il mio animo.

La mia razionalità andava in standby quando era con me, il mio autocontrollo era andato a sotterrasti in giardino quella mattina. Eravamo soli, io e il mio orgoglio.

Talmente assorta nei miei pensieri, quasi non mi accorsi di essere arrivata al locale.

Lui era già lì, ad aspettarmi ansioso.

Mi nascosi dietro ad un alberello che incorniciava la tettoia. L’atmosfera intima di quel luogo era perfetta… e poi eravamo in pubblico. Un punto per me.

Tirai un sospiro di sollievo nel notare che anche lui non si fosse messo in ghingheri. Indossava dei pantaloni neri strappati e una camicia bianca. Sotto il tessuto candido erano ben visibili i tatuaggi e la stoffa aderiva ai suoi muscoli in modo perfetto.

Arrossii leggermente davanti a quel bronzo di Riace, lì per me.

Mi avvicinai lentamente per godermi la vista senza essere costretta a parlare. Appena lo guardai negli occhi il rumore all’interno del locale, le persone intorno a noi e tutto il resto del mondo scomparirono.

«Buonasera principessa» disse sorridendomi.

«Ciao» risposi sorridendo a mia volta.

«Vogliamo entrare?» chiese con garbo. Ero sollevata di non aver ancora fatto figuracce, ma infondo eravamo insieme da meno di cinque minuti.

Alex aprì la porta e mi fece cenno di passare. La lasciò chiudere alle sue spalle, poggiandomi una mano sul fianco.

Al suo tocco sulla pelle mi sentii più tranquilla.

«Ciao Anna, è un sacco che non ci vediamo» salutò calorosamente Giorgio, cameriere al Palace da tempo immemore.

«Ciao Gio, ti trovo bene» risposi cordiale.

«Lo conosci?» sussurrò Alex al mio orecchio.

«Ho lavorato qui per un periodo quest'estate» ammisi.

Ci sedemmo al tavolo avvolti da un'atmosfera tranquilla e delicata. Il nostro tavolo era posizionato davanti ad una parete a vetri, permettendoci di godere delle luci della città nel buio.

Alex si guardava intorno con sguardo esaminatore e io non vedo altro se non il suo viso illuminato dalla luce delle candele. I tratti squadrati venivano messi in rilalto dalle ombre, ma i suoi occhi... i suoi occhi sembravano brillare di luce propria.

Sentendosi, forse, osservato sfoderò uno dei suoi sorrisi mozzafiato. Tanta bellezza dovrebbe essere proibita.

«Qualcosa da bere?» sentii provenire dalla bocca di Giorgio.

«Dell'acqua, grazie» mormorai con un filo di voce, ancora incantata dall'azzurro di quegli occhi.

«Anche per me» disse lui rompendo l'incantesimo ipnotico che aveva fatto su di me.

«Dimmi, perchè proprio qui?» chiese poi girandosi verso di me.

«Trovo che sia un posto accogliente» risposi alzando le spalle «E tu perchè qui?» aggiunsi.

«Sono a cena con te principessa» replicò a sottolineare l'ovvietà.

«Intendo perchè proprio questa città. Dopotutto frequenti la mia scuola da poco più di un mese» e sentendo uscire quelle parole dalla mia bocca, mi riempì la mente un senso di confusione. Un mese? Davvero è passato tutto questo tempo?

«Mia madre ha divorziato con il marito» mi fece tornare sulla Terra.

«Tuo padre?»

«No, il quarto marito. Un certo Paul, francese credo» esordì facendo una smorfia che mi fece sorridere.

«I tuoi?» chiese dopo una piccola pausa.

«Mio padre è partito due anni fa per un viaggio spirituale, ogni tanto mi arrivano delle lettere da posti con nomi impronunciabili» sospirai. "Almeno lui è felice".

«E tua madre?» domandò.

«Lei viaggia per lavoro, non ci vediamo mai» mormorai sconsolata.

«E vivi da sola?» chiese con una punta di stupore nella voce.

«Più o meno. Mia madre sta via per mesi e mi manda regolarmente dei soldi, mi arrangio» notai che forse era deluso dal sapere che nemmeno la mia situazione familiare era delle migliori.

«Una domanda mi ronza in testa da quando ti conosco, come fai ad avere la macchina?» domandai inclinando la testa di lato.

«Oh occhioni belli, è il privilegio di avere diciannove anni» esclamò con tranquillità, come se fosse normale. Mi soffocai quasi con la mia stessa saliva.

«E cosa ci fai al liceo?» chiesi alzando un sopracciglio.

«Ho perso degli anni. Sai, i viaggi con mia madre e Paul» un'altra smorfia «gli ultimi tre anni sono passati così».

«Mi dispiace... che tu non abbia potuto farti degli amici intendo» cercai di essere il più empatica possibile, caratteristica che non mi si addice.

«Non sono uno che si fa degli amici. Sai, ho la reputazione del ragazzo cattivo» rise finendo la frase.

«Non sei cattivo» feci un grande respiro «Hai bisogno di tempo per essere capito» aggiunsi.

Il suo sguardo si fece più serio, ma poi si rilassò «Forse. Tu ci stai riuscendo»

«Non lo so, ho informazioni contrastanti sul tuo conto» replicai cercando di provocarlo.

«Mm una detective, e quali sarebbero? Sono innocente, vorrei far luce sui tuoi dubbi se ne avessi» il suo tono era scherzoso e al suo ennesimo sorriso mi sciolsi.

«Sembri un ragazzo talmente sicuro di te, tanto che mi chiedo cosa ci faccia tu qui con me, adesso. Sei intelligente, conosci Ovidio. Poi ti vedo con Francesca, guancia a guancia. Ora sei qui con me e sembri un ragazzo diverso. Troppe versioni di te, qual è quella vera?» mi irrigidii nello scoprire quanta schiettezza ero capace di dimostrare. Lui fece lo stesso.

«Mi descrivi come un mostro a mille teste, principessa» disse con espressione indecifrabile.

Mi strinsi nelle spalle «Scusami, vorrei solo sapere» mormorai.

«Non devi scusarti, probabilmente è quello che sono. Ammetto di non essere mai stato sicuro di cosa volessi, a parte ora» abbassò la voce nell'ultima parte della frase, avvicinandosi. Poggiò la mano sulla mia facendomi sussultare.

«Anna, tua madre sa che sei qui?» chiese Giorgio irrompendo prepotentemente.

«Non vedo mia madre da settembre, cosa dici» sbottai infastidita, portando la schiena fino alla sedia.

«Non approverebbe»

«Non sono affari tuoi, mi pare» si intromise Alex.

«La conosco più di quanto tu non possa fare» replicò Giorgio rabbioso. Mi presi il viso tra le mani, sprofondando nell'imbarazzo.

«Sono il suo ragazzo, la conosco abbastanza da sapere che ora vuole andarsene» sbottò il mio cavaliere alzandosi in piedi.

Mi porse la mano ed io, ringraziandolo mentalmente, gliela strinsi forte.

«Andiamocene» aggiunse lanciando un'ultima occhiataccia al cameriere interdetto.

«Non ti piace che si parli della tua famiglia, vero?» mi chiese fermandosi sul vialetto.

«No» risposi io a testa bassa.

«Non hai mangiato nulla, se vuoi andiamo a casa e ti preparo qualcosa» mormorò con voce dolce e premurosa. Il suo sorriso questa volta era diverso, era cordiale ed affettuoso, nulla di vagamente sessuale.

 

Arrivammo a casa mia. Scoppiai a ridere rumorosamente scoprendo il frigo completamente vuoto.

«Ci accontenteremo dell'amore» sdrammatizzò lui con un grande sorriso.

«Non ne azzecchi una» scoppiai a ridere di nuovo.

«Come? Mi avevano detto che i musicisti vivono solo di amore e musica» replicò indicando il pianoforte addossato alla parete.

«Ti comunico che viviamo con acqua e cibo, prima di tutto» ribattei scioltamente.

«Suoni qualcosa per me?» chiese dolcemente porgendomi la mano.

«Va bene, ma solo questa volta»

Io mi sedetti al piano e lui sprofondò sul divano.

Iniziai a suonare, lo sentii sussurrare «Chopin» e ciò mi fece sorridere. Conosce qualsiasi cosa. Sto sognando, non può essere vero, non può essere una persona vera.

Dopo aver finito il malinconico valzer di Chopin, mi girai verso di lui.

Alex si era addormentato tra le note. Sorrisi, recuperai una coperta dalla cima di un armadio e gliela stesi sul corpo.

Quanto sei bello, senza imbarazzo, senza smorfie. Rilassato e immerso nei sogni.

«Buonanotte principe» sussurrai baciandogli la fronte.

Lo osservai per un altro minuto e poi sgattaiolai in camera mia, sdraiandomi sul letto con ancora i vestiti addosso.

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Capitolo 10
*** 10 ***


«Pronto?» risposi al telefono strofinandomi gli occhi, ancora assonnata.

«Ciao, piccola. Sono papà!» esclamò entusiasta la voce dall'altra parte. Quella telefonata alle sei del mattimo mi aveva colto di sorpresa, mi lasciò quasi perplessa.

«Papà? Pensavo fossi sul Narga Parbat» mi misi a sedere, confusa.

«Infatti, ma mi mancate. Sono sceso dall'aereo e sarò a casa fra due ore. Anna, ho tante cose da raccontarti... è strano essere tornati alla normalità» così entusiasta. Rilassai le spalle, delusa. Avrei rivisto mio padre dopo un anno e mezzo e non avrei avuto nulla da raccontare.

Del resto, mi mancavano le sue storie su posti straordinari, sulla sua meditazione all'alba e la solitudine. Mi affascinava come potesse essere così in pace con se stesso, nonostante tutto.

«Anna ci sei ancora?» chiese ditraendomi dalla scia dei pensieri.

«Sì papà. Mi troverai a casa quando arriverai, ti voglio bene».

«Ti voglio bene anche io, bambina mia» e riattaccò. I miei occhi si gonfiarono di lacrime e non resistetti molto prima di scoppiare a piangere. Mi colpì una tale paura, come sarebbe stato rivederlo? Come è adesso? Mi troverà cambiata o sarò sempre la sua bambina?

«Principessa stai bene?» sentii Alex accarezzarmi dolcemente la spalla. «Mi hai lasciato dormire, grazie» continuò.

Si sedette sul letto di fronte a me e la sua espressione cambiò quando vide il mio viso rigato dalle lacrime. «Che succede?» domandò passandomi il pollice sulla guancia per asciugarmi.

«Mio padre è tornato» mormorai con un filo di voce. «E non è una cosa bella?» chiese protendendosi in avanti, verso di me. «Sì che lo è» esclamai con un singhiozzo potente e mi fiondai tra le sue braccia alla ricerca di un abbraccio.

«Oh piccola, devi ridere adesso, non piangere» sussurrò accarezzandomi i capelli. «Ho un'idea: facciamo la spesa e gli prepariamo qualcosa, io ti darò una mano e me ne andrò prima che arrivi» mi sorrise dolcemente. Io annuii con gli occhi gonfi e arrossanti per il pianto.

Tornammo a casa in mezz'ora e Alex, abile ed esperto, mi mise ai fornelli. «Dovrei essere io a farlo» mormorai seguendolo con lo sguardo, attenta. «Ma non lo sai fare, lasciamelo fare. Consideralo un regalo» replicò seccamente.

«Dove hai imparato?» domandai dopo averlo osservato attentamente.

«Esperienza, bado a me stesso da tempo» disse alzando gli occhi dalla padella. Io gli sorrisi vedendolo così indaffarato e concentrato.

«Finito!» esclamò spegnendo il fuoco «Meglio che io vada, fra poco arriverà» aggiunse dando un'occhiata all'orologio.

«Puoi restare se vuoi» bisbigliai «Sì, insomma, mi terrorizza l'idea di rivederlo da sola. Puoi restare... e poi sarebbe contento di sapere che ho un amico» mi strinsi nelle spalle.

«Va bene, principessa» le sue labbra si piegarono in un leggero sorriso.

Io scoppiai a ridere, per il nervosismo, forse. «Ridi di me?» chiese avvicinandosi e prendendo le mie mani con le sue.

«Non lo so, ho voglia di ridere» ribattei poggiando la testa sul suo petto.

Sentii bussare la porta, feci un respiro profondo e aprii.

«Bambina mia!» esclamò mio padre abbracciandomi. Lasciò cadere il borsone sul pavimento e mi abbracciò tanto forte da sollevarmi da terra.

Davanti a me c'era un uomo diverso dall'ultima volta: la barba lunga e grigia gli cadeva sul petto e i capelli brizzolati erano tirati indietro in un codino. Indossava una tunica, dei pantaloni di lino e dei sandali di sughero. Era così diverso, eppure era così familiare.

I suoi occhi caddero subito sull'imponente fisico di Alex. Risposi alla sua domanda inespressa «Sono contenta di rivederti papà. Lui è Alex, un mio amico».

«Piacere di conoscerla signore» rispose il mio "amico" porgendogli la mano.

Mio padre gliela strinse «Tujay-chay».

Alex alzò un sopracciglio, confuso dalla sua risposta. Mi affrettai a chiarire «Vuol dire grazie nel dialetto di Lhasa... Tibet» sorrisi.

«Brava la mia piccola che se lo ricorda ancora» disse entusiasta mio padre accarezzandomi la guancia con le nocche.

«Sei il fidanzato di mia figlia?»

«Papà!» esclamai con tono sorpreso.

«Tashi delek, ragazzo. Tashi delek» disse rivolto a lui. Io alzai gli occhi, ma sorrisi nel vedere la perplessità sul viso di Alex.

«Tashi delek significa buona fortuna» tradussi «Papà che ne dici se mangiassimo? Il mio amico è anche un bravo cuoco» aggiunsi rivolto a mio padre.

«Certo, vedo che è tutto pronto. Solito posto?» chiese sedendosi a capotavola, come sempre nella mia infanzia.

«La mamma come sta?» a questa domanda sbiancai. Come avrei potuto digli che mia madre, l'amore indiscusso della sua vita era alle Maldive con un altro uomo? Sull'Himalaya queste notizie non arrivano, non potevo parlargliene per lettera. Il momento fatidico era arrivato.

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Capitolo 11
*** 11 ***


«Io...» riuscii a dire con un filo di voce, guardando il piatto vuoto. Chiusi gli occhi cercando di fermare le lacrime. Era così contento, tranquillo e in pace, con che coraggio glielo avrei detto?

«Signore, ho sentito che è appena tornato da un viaggio spirituale. Lei medita?» Alex, comprendendo forse il mio nervosismo, venne in mio aiuto. Io lo ringraziai mentalmente.

«Hai mai sentito parlare della meditazione nel qui e ora, ragazzo?» fortunatamente mio padre non vedeva l'ora di poter parlare della sua esperienza e questo mi salvò momentaneamente.

«Certamente. Medito ogni mattina» sbarrai gli occhi alla sua affermazione.

Ero pienamente consapevole di non conoscere a fondo Alex, ma non avrei mai detto fino a quel punto. Conviveva con talmente tante personalità che mi era difficile stargli dietro.

«Sono contento di sentirlo» e cominciò a raccontarci del suo lungo viaggio sulle montagne e nella sua spiritualità. I saggi monaci, la solitudine, il freddo, la gioia della primavera... e ai miei occhi lui diventava un eroe fantastico che combatte mille battaglie e che ne esce sempre illeso. Mi mancava la sua pacatezza e il suo cipiglio. Mi sei mancato papà.

«Quanto rimarrai qui?» chiesi all'improvviso.

«Non moltissimo, devo mettere a posto alcune cose e speravo di vedere tua madre». Oh no. Avevo involontariamente riaperto la questione mamma.

«Ecco a proposito... c'è una cosa che devo dirti. La mamma...» mi alzai da tavola scostando la sedia. Mi accasciai sul pavimento del corridoio, in lacrime.

«Lo so, non sono stato un gran compagno, ma non potevo costringerla ad aspettarmi» mi misi in ascolto.

«Non si deve giustificare con me, signore. La capisco perfettamente» replicò Alex tranquillo ed impassibile.

«Ragazzo promettimi una cosa: non mollare con lei se ti piace davvero. Non rimarrò qui per molto tempo e vorrei che fosse in buone mani» nella sua voce c'era rassegnazione, delusione, verso se stesso forse.

«Certo, ho tutte le migliori intenzioni». Davvero? Che cosa significa? Piace davvero a mio padre, il suo fascino e il suo pragmatismo ha colpito anche lui. L'unico che non aveva subito il suo effetto era stato Andrea, perchè? No, non è il momento di pensare a lui.

Avevo lo sguardo fisso nel vuoto quando nel mio campo visivo apparvero le Vans nere di Alex «Perchè piangi principessa?»

«Dov'è mio padre?» chiesi ignorando la sua domanda «Lava i piatti, ho cercato di insistere, ma non c'è stato verso. Hai un padre eccezionale, non dovresti piangere ora che è qui» si inginocchiò davanti a me, con le nocche mi asciugò le guance e mi fece una leggera carezza. «Avrete tante cose da dirvi, io vado a casa. C'è il mio numero sul blocconote della cucina, chiamami se vuoi che torni» il suo sorriso era stranamente dolce e affettuoso, mi sentii per un attimo fuori dal mondo. Il tempo si fermò per potermi dare il tempo di fotografare il suo sorriso con gli occhi, così da non dimenticarlo mai.

Mi posò un leggero bacio sulle labbra e mi lasciò lì seduta sul pavimento, frastornata.

«Bambina mia, vieni a sederti con me, voglio sentirti raccontare della tua vita, cosa ti piace, cosa è cambiato finchè ero via» mi prese per mano e ci sedemmo sul divano nel salotto. Parlammo per minuti, ore, non lo so. Ridemmo e scherzammo su come fosse cambiato tutto il mondo in sua assenza. Ascoltai le sue storie sull'inverno himalayano e io gli raccontai dei progressi con il pianoforte e con i disegni. Il sole ci aveva già salutato da un pezzo quando mio padre troncò la conversazione.

«Penso che andrò a dormire nella capanna in giardino»

«Non sei più abituato alle case?» mormorai e la sua risposta mi stupì «Quando vivi per tanto tempo nella semplicità non serve altro se non se stessi», oh quanto è saggio.

«Chiama quel ragazzo, non resisterà a lungo lontano da te» mi esortò accarezzandomi il viso.

Gli importa davvero? La sua non è solo cortesia? Eppure oggi è stato così premuroso, quasi una persona diversa. "Chiamalo. Lo vuoi anche tu". Zitto cervello.

Girai per la cucina con il telefono in mano per diversi minuti fino a che non premetti il tasto di chiamata «Principessa?». «Chiariamo una cosa: io non sono una principessa... e tu non mi manchi» feci una piccola pausa per rendermi conto di ciò che mi era uscito dalla bocca.

«A me sì. Sarò da te fra poco».

"A me sì", gli manco per davvero? Il mio cuore si riempì di gioia davanti a quello spiraglio di speranza. Il campanello suonò.

«Ormai non ci speravo quasi più. Tuo padre?» chiese lui lasciandomi di stucco.

«Dorme in giardino» lui rise «Entra, prima che io cambi idea» e mi spostai per farlo passare. Oh, ci sperava. Aspettava una mia chiamata. Arrossii leggermente facendo questo pensiero.

«Mi piacciono le tue guance rosse» mormorò con un sorriso malizioso. «Ho caldo, va bene?» sbottai cercando di fare la persona infastidita, con scarsi risultati.

Sbadigliai più volte, la stanchezza accumulata in quella giornata iniziava a farsi sentire. «Dovresti andare a dormire» mi ammonì.

«Sì, forse. Anche tu dovresti. Insomma... dovremmo» riuscivo a fare solo frasi corte con concetti semplici forse a causa della stanchezza o forse per il suo sguardo attento su di me. Arrossii di nuovo.

«Andiamo allora. Ehm... io dormo sul divano. Ti accompagno» il demone dell'imbarazzo aveva catturato anche lui, che consolazione!

Salimmo le scale al buio. «Oh!» esclamò inciampando sull'ultimo gradino «Non vedo niente».

Scuotei la testa e lo presi per mano. Riuscii a sentirlo sorridere e stringermi forse nel suo palmo.

«Eccoci, grazie» bisbigliai un po' amareggiata. "Resta qui con me". Le luci erano ancora tutte spente e il suo viso era illuminato dalla luce fioca del lampione filtrato dalle tende. Non avevo mai visto nulla di così bello, i suoi occhi erano chiari risplendevano di luce propria, le sue labbra scolpite creavano una leggera ombra sul mento e i capelli gli oscuravano la fronte. Mi incantai davanti a quella visione splendida.

«Sei bellissima adesso. Sai, gli occhi gonfi per il pianto, la pelle chiara alla luna...» avrei giurato che fosse arrossito nell'oscurità e nella sua voce qualcosa si era addolcito.

«Senti, è solo un idea» feci un grande respiro «Puoi restare qui se vuoi, così se mio padre entra in casa non ti sveglia. Solo per comodità» mi giustificai.

«Con piacere... non vorrei disturbare tuo padre» ribattè con tono compiaciuto. Mi prese per mano e mi fece sedere sul letto.

Seduti là, uno di fianco all'altro, scattò una scintilla. Ci guardammo negli occhi, quasi increduli di essere lì nel bel mezzo della notte. «Ah...» non riusci a dire nulla. Lui era sulle mie labbra con una tale passione che quasi mi spaventò. Nella mia mente era cominciata la festa e i miei ormoni già ballavano a ritmo dei miei battiti, velocissimi.

Scoppiai a ridere e per sbaglio gli morsi la lingua. «Ti fa ridere?» chiese lui con le labbra serrate e la fronte corrucciata per il dolore. «Scusami, ma sono felice» e con queste parole mi buttai sul cuscino.

Lui si sdraiò vicino a me posandomi una mano sul fianco. «Vieni qua» mi esortò portando un braccio sotto la mia testa e spingendomi verso di lui. Io mi appoggiai al suo petto e cullata dal battito del suo cuore, in sincrone con il mio, mi addormentai subito.

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Capitolo 12
*** 12 ***


Era ora di tornare a scuola. Se avessi saltato anche solo un altro giorno la bocciatura non me l’avrebbe evitata nessuno.

 

Mi svegliai tra le braccia di Alex, che ancora dormiva. «Svegliati, dobbiamo andare a scuola» sussurrai stampandogli un leggero bacio sulla guancia. Lui fece una smorfia e mimò un debole sorriso. «Dobbiamo proprio?» chiese assonnato.

 

Quanto puoi essere sexy? Il suo sorriso era ancora perfetto, i suoi occhi lucidi e i capelli spettinati, una visione magica. La sua voce era deliziosa alle mie orecchie.

 

Potresti abituarti. Zitto cervello.

 

Gli scostai un ciuffo di capelli dal viso e rimasi a guardarlo per qualche altro secondo. Cercai di fotografare nella mia mente quella scena immacolata ed eterea.

 

«Muoviti. Siamo in ritardissimo» gridai quando il mio sguardo incontrò l’orologio. «Ritardissimo?» domandò in tono di scherno strofinandosi gli occhi.

 

Devo farmi la doccia, che capelli indecenti. Non ho tempo, li lego. Non badai alla sua domanda e continuai a guardarmi allo specchio.

 

«Andrea cosa penserà?» a questa domanda mi bloccai nel bel mezzo della stanza, ancora senza maglietta. «Non deve pensare nulla» sbottai sperando di chiudere il discorso.

 

«Non mi sopporta» affermò seccato. «Non è per te. Cercava solo di difendersi» la mia saggezza di mattina non è delle migliori.

 

Alex si alzò di scatto, prendendomi i fianchi, e facendomi sedere di nuovo sulle sue gambe. Io, tesa e a disagio, lui era tranquillo e divertito.

 

«Ti voglio» mormorò baciandomi la spalla «Voglio fare le cose come si deve. Non voglio fare cazzate» aggiunse ed io in un attimo mi sentii sollevata. Arrossii leggermente.

 

«Andiamo» esclamai appena finii di vestirmi. Scendemmo le scale e trovammo mio padre in cucina.

 

«Ragazzi, mi raccomando» esclamò vedendoci sgattaiolare nell’ingresso.

 

Non fui mai tanto felice nel vedere il sole e sorrisi raggiante. Lui, contento e rilassato, mi prese per mano, come se fosse la cosa più spontanea al mondo.

 

«Andiamo a casa mia» asserì lui serio «Non ho lo zaino» continuò. Fortunatamente non eravamo troppo lontani e in qualche minuto arrivammo.

 

Rimasi quasi scioccata nel vedere il maestoso palazzo che avevamo davanti. Abita qui?

 

«Vieni, non c’è nessuno» sussurrò girando la chiave dell’appartamento all’ultimo piano. Mi guardai intorno e mi stupì la quantità di libri sugli scaffali, ma nessuna foto, nessun oggetto che potesse ricordare qualcosa.

 

«Ho buttato tutto, se te lo stessi chiedendo» mormorò rispondendo alla mia domanda inespressa. Le stanze non erano molto grandi, gli scaffali e i mobili artigianali dominavano gli spazi. Non avevo mai visto un appartamento così saturo ed accogliente.

 

«Vivi da solo? Tua madre non…?» chiesi seria quando tornammo in strada.

 

«Non vedo mia madre da un po’, potrai capire se non voglio…» affermò guardandosi i piedi con tono frastornato.

 

«Poniamo un limite, ci stai?» chiesi cercando di riportargli il sorriso «Non chiedere mai nulla riguardo le nostre famiglie, sarà l’unica cosa segreta tra noi» sorrisi debolmente sperando di riaccendere il suo sorriso, con scarsi risultati.

 

«Ci sto, principessa. Siamo arrivati» rispose con un grande sorriso prendendomi per mano. Come ho fatto a non accorgermi? Quanto abbiamo camminato?

 

Lui riempie ogni centimetro dello spazio intorno al mio corpo e non capisco più nulla. Colpa sua, mi distrae.

 

Andrea, come mi aspettavo, ci guardò da lontano con uno sguardo truce. Gli lanciai un’occhiataccia veloce a mo' di sfogo.

 

Mi voltai ed Alex mi accarezzò una guancia con e nocche «Non penso che abbia molto tempo per odiarci» ridacchiò indicandolo.

 

Mi voltai di nuovo e una ragazza era seduta sulle sue gambe, la lingua nella sua bocca. Che schifo.

 

Feci una smorfia e scrollai le spalle. «Nulla di cui preoccuparsi allora» sorrisi svogliatamente e gli posai un bacio veloce sulle labbra.

 

Camminando per il corridoio non potei fare a meno di notare le facce sconvolte delle ragazze della scuola. Mi sentii a disagio per tutti quegli occhi addosso, o forse guardavano Alex e la sua formidabile maglietta dallo scollo a v, i muscoli premuti contro il tessuto.

 

«Guarda quei due… perché uno così non capita mai a me, che fortuna» riuscii a percepire questa sola frase e mi riempii di orgoglio. Certo, era stata una fortuna, un’enorme fortuna che uno come lui potesse interessarsi a me.

 

Mi bloccai, ferma e immobile, quando constatai che la ragazza attaccata al collo di Andrea era proprio Francesca. Mimai il gesto di un conato di vomito e li sorpassai cercando di ignorarli al meglio. Alex appariva divertito, ma non ne ero sicura.

 

«Ora ci credi che non fosse interessata a me?» chiese seccamente. «Avevi ragione, perdonami» risposi sommessamente.

 

«Non ti perdono principessa. No. No.» ribattè con un sorriso malizioso.

 

«Mi stai sfidando?» lo tirai verso di me e lui in tutta risposta mi afferrò i fianchi e mi baciò con passione. La campanella suonò, portandoci di nuovo alla realtà.

 

«Devo sfidarti più spesso» mormorai ancora premuta sulla sua bocca. Gli lasciai un altro bacio innocente sulle labbra e mi precipitai in aula.

 

Le ore mi parvero infinite, ma fortunatamente avevo una buona distrazione.

 

«Fuori di qui! Se sento le vostre voci ancora impazzisco!» urlò il prof facendoci sussultare. Uscimmo come dei cani bastonati, ma con un'idea ben diversa.

 

Ci rifugiammo sotto il mio albero preferito, al confine del cortile. Il sole, la pace e un bellissimo ragazzo tra le mie braccia, sto sognando.

 

«Quindi tu mediti, citi Ovidio... c'è qualcos'altro che dovrei sapere?» chiesi pettinandogli i capelli con le dita. Vederlo steso, con la testa sulle mie gambe e i suoi occhi azzurri come il mare puntati su di me, mi provoco un'enorme scarica di felicità che mi invase il corpo.

 

«Beh principessa... Non c'è molto da dire. Leggo molto, mi rilassa» mi fece un sorriso smagliante e il mio cuore mancò un battito «Ascolto musica di tutti i tipi e il mio colore preferito è l'indaco» fece una breve lista.

 

«Mhm, l'indaco» mormorai annuendo, appuntandomi ogni informazione nella mente.

 

«Madame, tocca a te» mi sorrise ancora e le mie guance presero quasi fuoco.

 

«Mi piace disegnare, dipingo da quando avevo quattro anni. A sei sono caduta dalla bici e mi sono rotta un braccio. Da quando ti ho incontrato mi sembra che il mondo giri al rovescio» non riflettei troppo sull'ultima frase, lasciai correre, ma lui no. «Per me è lo stesso» arrossì.

 

«Cosa? Ti sei rotto il braccio andando in bici?».

 

«No» scoppiò in una risata contagiosa «Il mio mondo ha smesso di girare a causa tua» rise ancora e poi continuò «Sei piacevolmente devastante» toccandosi il naso, proprio dove l'avevo colpito.

 

Quasi non mi accorsi che era arrivata l'ora di pranzo. Alex si precipitò a recuperare il suo zaino ed io mi guardavo intorno, appoggiata al muretto di recinzione.

 

«Che stai cercando di fare?!» gridò una voce alle mie spalle. Oh no.

 

«Di che parli?» sbottai infastidita e confusa.

 

«Ti sei messa con quello?!» domandò Andrea, furioso. Il suo viso, rosso di rabbia, mi impaurì.

 

«Non conosci per niente Alex, non è come pensi, ma non mi pare di doverti spiegazioni. Vedo che ti sei ripreso in fretta, ti sei buttato sulla prima che ha aperto le gambe o hai scelto con criterio?!» mi stupii di me stessa e della mia schiettezza, ma dopo averglielo chiesto mi sentii meglio, come se mi fossi liberata da un peso.

 

«Ti ricordo che eravate amiche una volta»

 

«Una volta. E tu non la sopportavi, ma a quanto pare le cose cambiano in fretta. Avresti potuto trovare una tipa migliore da sbattermi in faccia, con lei non fa effetto» sbottai capendo a scoppio ritardato le sue vere intenzioni.

 

Lui mi afferrò il polso e si avvicinò al mio orecchio «Io ti amo, lui no» sussurrò. Era troppo vicino, pericolosamente vicino.

 

Tutte le mie paure si fecero concrete quando mi baciò violentemente. Oh no, che casino.

 

Lo sentii staccarsi da me, io ero paralizzata dallo shock.

 

Vidi Alex trascinarlo per la maglia fuori dalla mia zona di confort, ampiamente violata, e sferrargli un pugno sul naso. Andrea si lasciò cadere a terra con le mani sul viso.

 

«Andiamo» mi ordinò Alex con tono severo e la mascella contratta per la rabbia. Io mi limitai ad obbedire, terrorizzata.

 

«Non è come credi» mormorai con un filo di voce, sperando di non scatenare la sua ira. «Lo so, l'ho visto» i suoi occhi erano fissi sulla strada e mi stringeva fortissimo la mano.

 

«Allora rallenta per favore, non riesco a tenere il tuo passo!» esclamai fermandomi.

 

«Andiamo a casa per favore, mio padre voleva pranzare con noi» continuai con tono falsamente calmo.

 

«Bene» replicò accigliato. Con uno scatto fulmineo si chinò verso di me e mi prese in spalla con una facilità disarmante.

 

«No ehi! Fammi scendere» protestai dandogli dei pugni sulla schiena. Lui non rispose ma mi mollò uno schiaffo sul sedere talmente forte che non riuscii a dire più nulla.

 

«Ecco» mi lasciò andare solo sul vialetto di casa «Puoi andare».

 

«No, tu devi venire con me» asserii, deglutii sperando di non farlo arrabbiare. I suoi tratti spigolosi si ammorbidirono disegnando un sorriso forzato.

 

«Sei arrabbiato con me?» domandai lentamente. «No, con lui. Non ci ho visto più quando ti ha baciato» mi sentii sollevata e grata per le sue parole.

 

«Hai una bella lingua, gli hai fatto più male tu che io colpendolo» scoppiò a ridere rilassandosi notevolmente.

 

«Sono curioso... cosa ti ha sussurrato?» chiese poi tornando serio.

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Capitolo 13
*** 13 ***


«Ne parliamo dopo» sviai entrando in casa. «Non scappare principessa» sussurrò con tono severo Alex, scostandomi i capelli dal viso.

Notai subito il borsone nero, gonfio e pieno di cose, parcheggiato all'ingresso «Dove vai?» chiesi intuendo già la risposta. Mi lasci di nuovo da sola?

E mio padre, con uno sguardo tranquillo e dolce, rispose alla mia domanda inespressa «Non ti lascio sola, ho visto che sei in buone mani» lanciò una rapida occhiata verso il ragazzo alle mie spalle «Hai la mano che sanguina» mormorò infine squadrandolo a capo a piedi.

«Non me ne ero reso conto» ammise guardando la pelle rotta sulle nocche. Alzai gli occhi al cielo «Solito sgabello, ci penso io» gli ordinai andando a cercare le garze.

«Niente di grave, non servono punti. Guarirai in fretta» affermai dopo un'attenta osservazione. «Come sai queste cose?» chiese stupito, ma mio padre fu più veloce di me a rispondere «Quando era piccola ha imparato a medicarsi da sola, non ha mai avuto bisogno di nessuno» il suo tono era quasi fiero, ma io non potevo dire lo stesso. Avevo imparato solo perchè non avevo avuto nessuno ad aiutarmi.

«La mia piccola bimba è sempre stata forte, so che si sa difendere» continuò gonfiandosi di orgoglio.

«Ne sono sicuro» replicò Alex sfiorandosi il naso con le dita. Io ridacchiai al ricordo della notte passata insieme a causa di quel pugno e le mie guance presero fuoco al pensiero del suo petto nudo. Cercai di cacciare in fretta quell'immagine distraente dalla mia mente notando i loro sguardi confusi.

«Il mio aereo parte fra due ore, è meglio che mi avvii. Aspetto le tue lettere» disse l'uomo che mi aveva cresciuto, più o meno in parte, baciandomi la fronte. Riuscii a trattenere a stento le lacrime nel vedere mio padre lasciarmi ancora. «Non vedo l'ora di ricevere le tue. Ti voglio bene, papà» mormorai con la voce che mi si fermava in gola, stavo per scoppiare a piangere, non avrei resistito ancora per molto.

«nga kayrâng la gawpo yö, piccola. Spero di rivederti ragazzo» e unì le mani in segno di saluto.

«Che significa?» mormorò Alex sperando che traducessi.

«Ti amo in tibetano» mi lasciai cadere sulle ginocchia, piangendo. Il grigio del cemento del vialetto si scurì sotto le mie lacrime.

«Torniamo in casa» mi circondò le spalle con il suo braccio, mi accompagnò fino alla mia camera e solo allora riprese «Non sei abituata a vederlo andare via?» mormorò sommessamente. «Non sono abituata a vederlo tornare, è diverso». Lui mi abbracciò forte ed io potei solo appoggiare la testa sul suo petto, inspirando lentamente il suo profumo. Mi accarezzò i capelli e per diversi minuti rimanemmo stretti in mezzo alla stanza, isolati da tutto.

Lasciò la presa e accese l'ipod collegato alle casse, scelse attentamente la canzone e premette play: la voce roca e profonda di George Ezra riempì la stanza.

«Adoro questa canzone, amo la sua voce» iniziai a canticchiare il brano ondeggiando la testa, gli occhi chiusi ancora arrossati e gonfi. Cercai di fare un riassunto della giornata: mio padre era partito di nuovo, Alex aveva rotto il naso ad Andrea dopo una scenata clamorosa. Troppo per una sola mattinata, fortunatamente la musica aveva un effetto terapeutico su di me.

Lui si sedette sul letto e mi osservò attentamente fino a che la sua attenzione non fu attirata dalla foto sul comodino. «Chi è?» chiese riportandomi alla realtà.

«Era un mio amico» mormorai sperando che non facesse altre domande. «E ora?» le mie speranze non furono prese in considerazione.«Il funerale è stato poco più di un anno fa. Non mi va di ricordare... non oggi» sentii le lacrime scalpitare per poter uscire.

«Va bene principessa, basta domande per oggi» lo ringraziai mentalmente per la sua comprensione.

Mi sedetti vicino a lui con lo sguardo fisso sulle mani. Delicatamente, lui mi prese il mento con le dita costringendomi a guardarlo negli occhi. Il mio cuore mancò un battito e la vocina nella mia testa rimase definitivamente senza parole. Quell'avvolgente azzurro sarebbe dovuto essere illegale o ci sarei affogata presto. Il suo sguardo però era indecifrabile, fino a che le sue labbra non disegnarono un sorriso innocente.

«Mi devi un bacio» sussurrò avvicinandosi e mi lasciò perplessa «Perchè?». «Perchè sono stato bravo» ciò mi scatenò una forte e fragorosa risata. Annuii timidamente e posai le mie labbra sulle sue.

Qualcosa cambiò immediatamente, la passione si impadronì di noi, senza lasciarci scampo. Tra un bacio e l'altro riuscii a chiedere «Non. Andare. Via. Ti. Voglio», pronunciai quelle parole d'impulso senza riflettere, ma era proprio quello che volevo senza omissioni.

«Sono. Tutto. Tuo». Tre parole che mi fecero sciogliere il cuore. Poche settimane fa ero una ragazza qualsiasi, con una vita qualsiasi. La noia conduceva le mie giornate con maestria e io la lasciavo fare.

E quel ragazzo dagli occhi color del mare aveva cambiato tutto in poco tempo, glielo avevo permesso, l'avevo lasciato entrare nella mia vita senza riflettere sulle conseguenze. Quali sarebbero poi? No, non posso pensarci adesso.

«Cosa ti turba?» chiese vedendomi distratta. Aveva smesso di baciarmi, si era staccato da me, ma io ero talmente immersa in quei pensieri sabotatori che non me accorsi.

«Nulla, è tutto a posto» risposi abbassando lo sguardo. Incrociai le braccia sul petto, stringendomi nelle spalle.

«Comprendo che ci sia qualcoa che ti turba» mi scostò una ciocca dal viso cercando il mio sguardo.

«Smettila» sussurrai. «Di fare cosa?» il suo tono innocente non mi stupì. «Di farmi questo effetto... devastante» ormai la mia lingua era partita per la tangente, qualsiasi cosa pensassi sarebbe uscita dalla mia bocca sotto forma di parole. Feci un respiro profondo e mi immersi nel blu dei suoi occhi e notai un luccichio nuovo, mai visto prima, di desiderio.

«Vieni qui» mormorò facendomi sedere sulle sue gambe e baciandomi ancora. I brividi lungo la mia schiena aumentarono, bacio dopo bacio. Afferrai i suoi capelli lasciandomi via libera sul suo collo per la mia bocca.

Sorrisi e mormorai «Ora siamo pari» passai l'indice sulla sua pelle arrossata per il miei baci.

«No» scoppiò a ridere in modo genuino e spontanteo, in modo così bello che io mi sciolsi. «Se è questo il gioco a cui vuoi giocare» lasciò questa frase a metà per prendermi in braccio e buttarmi sul letto. Mi posò un altro bacio sulle labbra per buttarsi sulla cerniera dei miei jeans. Con un movimento fluido me li fece scorrere lungo le gambe. Che biancheria intima ho messo stamattina? Oh grazie al cielo, il completo celeste, uno dei più belli.

Mi depositò un bacio leggero sulla pancia e iniziò a tirarmi sfilarmi la maglietta. «Ehi fermo fermo. Non vale, sei troppo vestito» lo sentii sorridere compiaciuto con le labbra ancora sulla mia pancia.

Mi affrettai ad afferrare la cintura dei suoi pantaloni. «Mhm decisa» mormorò e io ribattei guardandolo fisso negli occhi «Questo l'hai già detto» gli feci un sorriso smagliante nonostante gli occhi arrossati e le labbra gonfie.

L'attesa mi stava uccidendo. Ti voglio. Ti voglio. Ti voglio.

Gli abbassai pantaloni e boxer con un gesto di una grazia sorprendente e non riuscii a trattenere un mugolio di approvazione. «Tocca a me» esclamò entusiasta con un sorriso mozza fiato tutto per me. Lanciò via la mia maglia e cercò di slacciare il reggiseno, con scarsi risultati. «Allora c'è qualcosa in cui non sei bravo» ridacchiai aiutandolo. Finalmente potei togliergli la tshirt scoprendo la mia parte preferita del suo corpo.

Davanti a me c'era un bellissimo ragazzo, nudo in tutto il suo splendore e mi manco quasi il fiato. Non ero imbarazzata, ero solo tanto felice che fosse tutto per me.

«Ti prego, diventa mia» sussurrò sul mio collo e un brivido potente mi attraverso tutto il corpo facendomi contorcere.

«E tu diventa mio» mormorai sorridendo raggiante.

Il momento che aspettavo da giorni era arrivato, veloce e devastante, e me lo sarei goduto fino in fondo. Sarebbe cambiato tutto, in bene o in male non lo sapevo, ma la mia mente era totalmente offuscata e concentrata su quel ragazzo bellissimo e sexy su di me, dentro di me.

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Capitolo 14
*** 14 ***


«Domenica vengo a prenderti e andiamo al mare, ci stai?» propose Alex uscendo dalla porta.

«Va bene. Mare, non ci sono mai stata» gli sorrisi ingenuamente. Davvero non ero mai stata al mare, troppo lontano da casa. La distanza mi aveva sempre spaventato e dopo la partenza di mia madre non avevo avuto il coraggio di andare da nessuna parte.

«Dobbiamo rimediare» mi baciò dolcemente sulle labbra e mi abbracciò forte, come se non volesse lasciarmi andare. Quando mollò la presa mi fece l'occhiolino e si allontanò.

Vederlo andare via, nel buio, mi rese triste. Mi pareva un addio, anche solo per qualche ora.

Rientrai in casa e mi preparai un tè. Mi sentivo leggera e tranquilla, la vita non mi era sembrata così semplice. In pochi mesi il mio intero mondo aveva iniziato a girare intorno ad Alex e andava bene così. Fanculo Andrea, Francesca e ogni altro essere umano sul pianeta.

 

«Buongiorno principessa» soffiò sul mio collo con quella voce seducente, provocandomi brividi incontrollati. Feci una smorfia compiaciuta, mi voltai e mi fiondai sulle sue labbra. Alex, per quanto fosse stupido, ricambiò il mio entusiasmo cercando la mia lingua con la sua.

Quando ci scollammo per riprendere fiato «Scontrarmi con i tuoi occhi azzurri quasi mi fa affogare ogni volta» sussurrò ancora sulla mia bocca con voce roca. «Sei masochista allora» ridacchiai io.

«Morirei mille e più volte per te» ribattà e io mi sciolsi. Tanto romanticismo non me l'aveva mai dedicato nessuno.

Passammo quattro ore noiose, cercando di non chiudere gli occhi. Lui seduto accanto a me ed io appoggiata con la testa sulla sua spalla.

Andrea ci guardava con un ghigno poco amichevole dal fondo dell'aula, ma ormai non mi interessava.

«Ti va di partire oggi?» mormorò dolcemente. Io alzai la testa e lo guardai fisso negli occhi. «Respira» aggiunse. Non mi ero accorta di stare trattenendo il fiato. Stavo nuotando dentro quel blu, di sicuro.

«D-dove?» chiesi timidamente. «Al mare, tre giorni di vacanza» mi accarezzò delicatamente i capelli e continuò «Pensaci».

«Ci ho già pensato... E non credo che ci sia idea migliore» sorrisi entusiasta, uno di quei sorrisi a trentadue denti rarissimi per me.

«Perfetto, passiamo a prendere le cose e ce ne andiamo in un angolino di paradiso tutto per noi» bisbigliò posandomi un bacio sulla guancia. Feci una smorfia divertita e mugugnai un «Adorabile».

L'ultima ora di lezione passo abbastanza in fretta, dominata dall'idea del mare, lui e quell'angolino di paradiso. "Chissà cosa ha in mente".

Mi aprì la portiera della macchina per farmi salire e poi si mise alla guida. Ci fermammo a casa mia e cercai in fretta e furia uno zaino e ci infilai il minimo indispensabile. Mi soffermai solo a scegliere l'intimo, sperando di fare una bella sorpresa. "Evviva, finalmente inizi a mettere intimo abbinato, miracolo!". Zitto cervello.

«Il mio zaino è nel bagagliaio, pronta a partire?» domandò appena risalii in macchina.

«Non vedo l'ora» gli sorrisi dolcemente e partimmo.

L'ipod collegato alle casse dell'auto suonava Hold Back The River di James Bay e mi scappò un leggero sorriso nel sentire quella canzone stupenda. La voce del cantante era così limpida e mi cullò per gran parte del viaggio.

«Siamo arrivati principessa» mi picchiettò sulla spalla e io mi svegliai, non mi ero nemmeno accorta di essermi assopita.

Appena scesì mi guardai intorno. Mi cadde la mascella nel vedere il bungalow davanti a noi. Tutto quel legno, in mezzo al verde, nulla di più bello. Ormai il sole era già tramontato e quando lui accese le luci all'interno mi sembrò di sognare. Il salotto era tutto in legno raffinato, il caminetto era opposto alla porta e i divanetti scuri contrastavano con il pino del parquet. «Entra, casa dolce casa» mi incitò ed io feci qualche passo con esitazione. Mi accorsi della vista. Fuori dalla finestra, tra gli alberi scuri si scorgeva la spiaggia e il mare illuminato dalla luna.

«Come conosci questo posto?» chiesi meravigliata. «L'ha costruito mio padre prima di andarsene. Ora ci vengo solo io» il suo tono sembrò scoraggiato.

«Bellissimo... e anche tu» affermai voltandomi. Lo vidi in piedi, illuminato dalla luce fioca, metà del viso buia. Un'aria così sensuale.

«Sono contento che tu apprezzi» scoppiò a ridere ammorbidendo i lineamenti rigidi.

«Che si fa qui per divertirsi?» domandai con fare euforico.

«Una cosa c'è. Vieni con me» mi porse la mano e io la strinsi. Mi portò in una camera bellissima, pareti bianche, mobili bianchi, un grande letto dalle lenzuola candide e ordinate.

«So quello che stai pensando...» non feci a tempo a finire la frase che lui si fiondò sul letto, si tolse le vans e iniziò a saltare sul letto. «Oh sì questo è anche meglio» esultai neanche avessi cinque anni. Mi sfilai anche io le creepers e lo raggiunsi. Non l'avevo mai fatto, nella mia infanzia questo non c'era mai stato.

«Aiuto» esclamò inciampando nel copriletto e cadendo sul pavimento. Fece un urlo strozzato sbattendo con il sedere sul legno chiaro.

«Aspetta ti do una mano ad alzarti» scesi e cercai di aiutarlo «Che botta» scoppiai a ridere e contagiai anche lui che però, fece una smorfia di dolore stringendo gli occhi in una fessura.

Lo feci stendere con il viso sul cuscino e corsì in cucina alla ricerca di qualcosa di freddo. Trovai dei fagioli scaduti da chissà quanto nel congelatore e tornai in camera. Glieli posai sul fondo schiena e gli sussurrai vicino all'orecchio «Forse era più sicuro il sesso» e scoppiai ancora a ridere.

«Ridi di me bambolina?» chiese ruotando il viso liberando la bocca e il naso. «Solo un pochino» risposi continuando a ridere. Mi stesi al suo fianco e cominciai ad accarezzargli i capelli con un movimento ripetitivo e massaggiante, tanto che Alex si addormentò, ancora con il sacchetto di fagioli sul sedere. Un classico della comicità.

Mi alzai lentamente per non svegliarlo e tornai nel soggiorno. Mi diressi verso il bancone della cucina e aprii il frigo. Nulla. "Ci toccherà fare la spesa".

Ispezionai con lo sguardo ogni angolo dell'ambiente, così spazioso ed accogliente. All'esterno poteva sembrare piccolo, quasi la casa dei nani di Biancaneve e poi all'interno era qualcosa di così lussuoso ed intrigante.

Mi soffermai ad osservare lo scorcio di mare fuori dalla piccola finestra. "Non esiste nulla di più bello" e sorrisi senza riuscire a smettere.

Con molta calma tornai in camera ed Alex dormiva beato e rilassato, nonostante la posizione scomoda. Mi liberai del sacchetto di surgelati e mi stesi vicino a lui spegnendo la luce.

Sentii il suo braccio avvolgermi nell'oscurità e mi fece sussultare. Il calore del suo corpo, il suo petto contro la mia schiena mi dava un tale senso di sicurezza. Intrecciai le sue dita con le mie e chiusi gli occhi.

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Capitolo 15
*** 15 ***


Mi svegliai all'alba accanto ad Alex, ancora addormentato. Mi scostai dal suo abbraccio con cautela e uscii dalla stanza. Mi affrettai a mettere le scarpe, il giubotto e ad uscire.
Ebbi la tentazione di raggiungere la spiaggia per vedere finalmente il mare, ma resistetti e mi incamminai verso il paese.
Percorsi per circa due chilometri una stradina sterrata e mi ritrovai nel bel mezzo del paesino. Alcune case erano posizionate caoticamente vicino ad una piccola piazza. Dei signori anziani bevevano del vino seduti ad un tavolino.
Girovagai per altri dieci minuti alla ricerca di un supermercato, finchè non mi ritrovai davanti ad un piccolo negozietto di alimentari.
Ne uscii dopo venti minuti con tutto quello che mi occorreva e a passo svelto mi riavviai verso il bungalow.
«Dove sei stata? Ti ho cercato dovunque» esclamò uscendo dalla porta, paonazzo in volto, con un espressione che avrei volentieri evitato.
«Non hai cercato bene direi. Calma, sono andata a comprarti da mangiare» cercai di rassicurarlo alzando le piccole borse della spesa.
«Ci sei andata a piedi? Quanto hai camminato?» la bocca spalancata, sorpreso. "Almeno non ha più quell'espressione omicida".
«Avrò fatto due o tre chilometri, non è nulla. Smettila di preoccuparti o ti farà male il culo» ridacchiai cercando di alleggerire la tensione che io stessa avevo creato. Che mi era saltato in mente, avrei dovuto avvisarlo.
«Sono davvero così divertente? Ridi spesso di me» mormorò abbassando lo sguardo con tono colpevole. Mi venne un nodo alla gola nel vederlo così affranto, per una stupidaggine. «Sei bizzarro a volte, ma presumo che sia per questo che mi sono innamorata di te» mi resi conto in un secondo momento della gravità di ciò che avevo ammesso. "Anna sei un idiota, complimenti". La mia vocina interiore smise di farsi i fatti suoi e rincarò la dose.
A risposta della mia espressione di terrore, la sua si ammorbidì. Un enorme sorriso comparve sul suo viso e negli occhi un luccichio di speranza.
«Dolci parole» sorrise malizioso. Si avvicinò lentamente e iniziai ad agitarmi. Che vuole fare?
«Respira piccola, non ti faccio niente» e con una mossa fulminea mi prese in braccio, senza la minima fatica mi riporto nel bungalow, io con ancora in mano i sacchetti della spesa.
«Appoggia le borse sul bancone» mi ordinò ed io obbedii silenziosamente «Spero non ti dispiaccia se al mare andiamo oggi pomeriggio» continuò. "Cosa? Che vuoi fare? Aiuto!" entrai letteralmente nel panico. Ero consapevole di aver fatto scattare qualcosa in lui con la mia dichiarazione impulsiva, ma non avevo avuto alcuna conferma da lui. Portarmi a letto, non era certo una grande certezza sui suoi sentimenti verso di me. I miei occhi gridavano "Aiuto", ma lui sembrò non farci caso, le labbra curve in un sorriso lascivo.
Nel corridoio passammo davanti alla porta della camera da letto, ma la superammo. "Dove mi sta portando?".
Con un piede aprì un'altra porta in legno scuro. Al di là della soglia un enorme vasca da bagno era già piena di acqua. Un bagno grande quanto casa mia, wow.
«Fuori fa freddo, ma il bagno lo possiamo fare lo stesso» il suo tono arrivava così sensuale alle mie orecchie. Le mie pupille si dilatarono e dei brividi mi attraversarono la schiena velocissimi.
Finalmente mi lasciò mettere i piedi per terra e si fermò ad osservarmi. «Cosa c'è?» chiesi alzando un sopracciglio. «Nulla» fece una smorfia divertita e si passò una mano tra i capelli biondo cenere. Mi fissò attentamente per qualche altro secondo e poi si sfilò le scarpe in un solo movimento. Ero immobile, non sapevo che fare, cosa dire o come comportarmi. Avevamo già fatto l'amore, o forse era solo sesso. Perchè tutto questo imbarazzo?
Con dei piccoli movimenti con le dita si alzò la maglietta aderente fino alla testa e la sfilò, mostrandosi in tutta la sua bellezza. Un altro tatuaggio era apparso sulla sua pelle, il viso di una donna bellissima trionfava sul costato. Mi soffermai a guardarla, incuriosita.
«Mia nonna... non prendermi in giro per favore» spiegò percependo il mio interesse. «Non potrei mai. La bellezza è di famiglia, capisco» considerai i tratti delicati, gli occhi chiari come quelli del nipote e le labbra carnose.
«Vuoi una mano?» mi riportò alla realtà, lui ormai aveva solo i boxer ed io avevo ancora la felpa. Deglutii a fatica «Beh» riuscii a dire solo questo.
«Ci penso io» si avvicinò con cautela. Mi scostò una ciocca di capelli dal viso e fece scorrere la cerniera del maglione. Infilò le mani nella stoffa e lo fece scivolare dalle spalle, finendo a terra. Si soffermò ad accarezzarmi le braccia e il viso, delicatamente, poi posò le sue mani sui miei fianchi. Sussultai e feci un passo indietro premendomi contro la parete. Lui non sembrò far caso al mio disagio e alzò cautamente la maglietta. «Alza le braccia» ordinò con tono fermo. Obbedii e mi sfilò del tutto la maglietta lasciandola cadere sul pavimento. Dopo qualche secondo si inginocchiò sfiorandomi la pancia con il naso facendomi sussultare. "Che vuole fare?" deglutii e feci un respiro profondo.
Mi accorsi che era alle prese con i lacci delle mie creepers e mi tranquillizzai. Me le sfilò tenendomi una mano sulla caviglia e si rialzò. Senza le scarpe ero notevolmente più bassa e i suoi pettorali erano l'unica cosa che mi era dato vedere. Mi posizionò nuovamente le mani sui fianchi, calde e piacevoli.
Fece salire le dita sulla schiena fino al reggiseno e io cercai di respirare normalmente, ma ormai ero in iperventilazione. Slacciò un gancetto del reggiseno, poi l'altro e lo lasciò morbido tenuto sù solo dalle spalline. Si chinò quel che bastava per guardarmi dritto negli occhi e sussurrò «Perchè sei agitata?» il suo sguardo era diventato apprensivo, e io non sapevo come dare una spiegazione delle mie paranoie. Deglutii nuovamente e lui aggiunse «Mi piace l'effetto che ti fa» e mi accarezzò la pancia con un dito facendomi rabbrividire piacevolmente. Chiusi gli occhi per assaporare il momento, nonostante l'imbarazzo. Il suo respiro sul mio viso, il solletico sui miei fianchi. «Presumo che sia per questo che mi sono innamorato di te» riaprii gli occhi immediatamente, per poter vedere la sua espressione. Mi prende in giro?
Gli occhi pieni di sincera allegria, con quel luccichio di speranza. "Ma sei vero?". Mi avvicinai con cautela e lo baciai piano. «Principessa» sussurrò sulle mie labbra finchè con dita esperte mi sbottonava i jeans.
Tutto il disagio, le paranoie e l'imbarazzo andarono a nascondersi da qualche parte, lasciandomi sola con lui e nostri sorrisi. Mi fece sussultare per la velocità con cui mi fece scivolare i pantaloni sulle gambe. Con un dito fece cadere una spallina del reggiseno «Sei bellissima». Me ne liberai in fretta e lo abbracciai forte. Lui mi prese in braccio di nuovo e depositandomi un ultimo bacio sulle labbra mi immerse lentamente nell'acqua.
Si fermò in piedi davanti alla vasca e chinò la testa di lato con un espressione fanciullesca. «Cosa c'è ti vergogni?» lo incalzai io. "Oh da che pulpito viene la predica". Le sue labbra si incurvarono in un sorriso malizioso ed io chinai la testa, divertita.
Sentii qualcosa atterrarmi sulla faccia. Aprii gli occhi e riconobbi il verde dei suoi boxer, scoppiai a ridere «Questo è poco cortese». Li lanciai sugli altri vestiti dall'altra parte della stanza e mi accorsi che lui era vicino a me, seduto.
Afferrò il bagnoschiuma e ne versò un po' vicino al getto d'acqua che stava riempendo la vasca da bagno. In meno di un minuto tutta al superficie era ricoperta di schiuma vaporosa. «Perchè? Erano puliti» ribattè sinceramente divertito.
Feci una smorfia di assenso, sapevano di sapone da bucato e di lui. Mi sfilai gli slip facendo oscillare il livello dell'acqua. Glieli lanciai colpendolo sul petto.
«Magari questi me li tengo» affermò racchiudendoli in un pugno. Eh?
«Vieni qui» ordinò con un sorriso enorme sul viso. Ricambiai con un altro sorriso e mi avvicinai, poggiando la testa sul suo petto. Senza rifletterci molto, posai le mani sulle sue cosce facendolo trattenere il fiato. «Che succede?» chiesi maliziosa. «Speravo di fare l'amore nel letto gigantesco che ci aspetta nell'altra stanza» fece una pausa facendo un respiro profondo quando gli sfiorai l'addome «Ma se continui così sarò costretto a delibarla qui signorina» il suo sorriso era andato a mischiarsi con le smorfie di desiderio che non riusciva a controllare.
«Nemmeno mio nonno parla più così» asserii facendo un ghigno ammiccante «Peccato, avremmo potuto giocare più round» lo sfidai, sorpresa della mia stessa sfacciataggine. Lui spalancò la bocca, stupito anche lui.
Mi appoggiai all'altro capo della vasca alzando gli occhi al cielo, toccandolo per l'ultima volta sull'interno coscia. Alex fece un respiro profondo si avvicinò gattoni al mio corpo. «Mi stai sfidando?» annuii sorridente «Ti sei messa contro la persona sbagliata» continuò mordendosi il labbro.


Mi svegliai al tramonto tra le lenzuola candide di quel letto. Alex non c'era.
Ne approfittai e mi vestii, indossando il completino intimo di pizzo blu che avevo scelto con cura a casa. Tornai nel bagno e recuperai i miei vestiti, il reggiseno e... dove sono? "Non posso credere che le abbia tenuti veramente".
Indossai i vestiti puliti e iniziai a cercarlo in tutte le stanze. Mi avvicinai alla finestra che dava sullo scorcio con il mare e lo riconobbi in lontananza.
Chiusi la porta e mi incamminai, con le mani in tasca.
«No, non ho idea di dove sia. Parlane con JJ» era al telefono e proprio non riuscivo a capire con chi stesse parlando «Non ho tempo per queste cose» esclamò appena mi vide «Non sono più la persona di prima» e riattaccò senza ascoltare la risposta dall'altra parte.
«Tutto a posto?» chiesi perplessa e sincera, sembrava così teso.
«Tutto bene, non volevo svegliarti» mormorò colpevole... per essersene andato forse.
«Grazie. La vista qui è magnifica» affermai senza staccare gli occhi dai suoi. «Parli di me o del mare?» domandò con un piccolo sorriso. «Un po' tutti e due» e mi feci piccola piccola sotto il suo abbraccio. Il sole invernale stava tramontato sull'acqua con eleganza, creando una dolce danza di luce rosea. «Ti preparo qualcosa da mangiare, tocca a me questa volta» arrossii ripensando a quanto fosse bravo ai fornelli.
Quando mi allontanai lo sentii fare un altra chiamata, sempre con tono concitato. Qual è il problema? Se fosse qualcosa di grave? Sono solo io che lo freno dal tornare a casa?
Cosa mi nasconde?

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Capitolo 16
*** 16 ***


«Che succede?» chiese all'improvviso Alex rientrando nel bungalow, facendomi sussultare. «Che vuoi dire?» cercai di essere evasiva.

«Te ne sei andata pensierosa, è importante il tuo sorriso piccola» affermò guardandosi le scarpe con aria alquanto colpevole.

«Nulla. Faccende difficili da sbrigare?» domandai senza smettere di preparare la cena. Qual è il problema?

«Vecchie conoscenze. Tutto un casino perchè non rispondo al telefono da qualche mese, ma le persone cambiano» mormorò avvicinandosi. Mi afferrò la vita e me la circondò con le braccia. Mugugnò un apprezzamento, forse alla mia cucina.

«Ho quasi finito, vai a sederti» lo incoraggiai cercando di fare mente locale su dove fossero riposti piatti e posate.

«Allora, devo ammettere che non sei per niente male ai fornelli» disse facendo una smorfia compiaciuta.

«Dubitavi della mia bravura?» chiesi con fare saccente, prendendo un'altra forchettata di riso. Aveva qualcosa di strano, non era la stessa persona di stamattina, era più rigido e solenne, la mascella contratta e lo sguardo severo.

«Non ho più fame... di cibo» mormorò con un ghigno divertito. «Da quale libro hai preso queste battutacce?!» lo sfidai.

Mi alzai per lavare i piatti, ma dovetti abbandonarli nel lavabo. Alex mi caricò in spalla con disinvoltura e mi riportò in camera da letto. «Possibile che non riusciamo a fare cose normali?» chiesi ridacchiando appena mi buttò sul materasso.

«Non ti piace?» aveva gli occhi sbarrati e il suo tono trasudava delusione e sorpresa. Si era irrigidito, in piedi davanti a me.

«Non sia mai» replicai prendendogli una mano «Voglio solo conoscerti meglio, ci sono tante cose che non so di te. Sono una persona curiosa». Lui si rilassò notevolmente, accarezzandomi il viso con la mano libera dalla mia stretta.

Si sdraiò accanto a me «Che vuoi sapere?» chiese girando la testa, lo sguardo come quello di un bambino impaurito e divertito allo stesso tempo. «Non so nemmeno quale sia il tuo colore preferito» constatai. La sua espressione diventò perplessa, ma poi sorrise «Blu, il mio colore preferito è il blu» io sorrisi per il candore con cui aveva pronunciato quelle parole.

«E adesso dimmi» mi girai su un fianco, puntando un gomito sul cuscino e la testa appoggiata alla mano per guardarlo negli occhi «Libro preferito?» quella conversazione mi divertiva molto.

«L'alchimista» rispose sicuro della sua scelta, scegliendo il mio libro preferito, sorprendendomi. «Tu leggi queste cose?» domandai stupita. «Sei tu che leggi romanzi d'amore, ricordi?» scoppiai a ridere ricordando il giorno in cui l'avevo portato in biblioteca.

«Ho io una domanda per te» tornò serio con tutti i muscoli in tensione, potevo sentirlo. «Nella foto che c'è nella tua stanza, ci sei tu, Andrea e un ragazzo. Che storia c'è dietro quella fotografia? Mi ha incuriosito fin dalla prima volta che l'ho vista» quella domanda mi aveva decisamente spiazzato, speravo di non dover affrontare mai quell'argomento.

Feci un grande respiro profondo e cercai di attingere a tutte le mie forze «Eravamo amici sin dall'asilo. Un bel rapporto, non mi lamento.» feci un altro respiro profondo per cercare di non piangere a causa di tutti i ricordi che stavano affollando la mia mente. «Eravamo una compagnia più grande, eravamo circa dieci. Quando Marco si è ammalato siamo rimasti in tre. Nessuno era pronto per affrontare quella situazione, nemmeno noi, nemmeno lui. Noi siamo rimasti perchè glielo dovevamo, da amici» sentivo gli occhi pizzicare. «Quella foto risale al periodo subito prima della malattia. Io e Marco stavamo insieme e le cose sembravano andare bene, come se fossimo indistruttibili» guardai Alex per un istante e lui mi ascoltava interessanto e un po' triste. «Abbiamo accompagnato Marco alla prima seduta di chemioterapia circa tre settimane dopo. Fu una cosa dolorosa per tutti. Ho visto suo padre piangere e solo allora ho capito la gravità della cosa» le lacrime cominciarono a scendere, avevo resistito abbastanza. Era il peggior ricordo al mondo e riafforava nel peggiore dei momenti.

Alex mi strinse a sè in un abbraccio, asciugandomi le lacrime con il pollice. «Scusami, non volevo farti del male. Va bene così principessa» mormorò accarezzandomi i capelli. I miei singhiozzi divennero più forti e non riuscivo a controllarli, non riuscivo a fermare il mio pianto.

«Stare qui ora» sussurrai e lui si allontanò leggermente per potermi guardare «è strano per me» lui sorrise piano e riportò la mia testa sul suo petto.

Mi addormentai tra le sue braccia, con gli occhi gonfi e le guance rosse.

«Amore, sveglia» mi sussurrò Alex. Aprii gli occhi a fatica e notai che erano le otto del mattino. Mi strofinai il viso con le mani e depositai un bacio sulle sue labbra.

«Voglio farti conoscere una persona prima di tornare a casa, ma dovremo camminare un po'» mormorò premuroso.

Si alzò ed andò nell'altra stanza lasciandomi sola tra i miei pensieri. Chi mi vuol far conoscere? Come fa ad essere già arrivato il momento di andare a casa? Che poi quale casa? La mia era troppo silenziosa, troppo solitaria. Non aveva niente che assomigliasse vagamente ad una casa accogliente.

Mi vestii in fretta e lo raggiunsi all'esterno del bungalow. «Vieni» mi prese la mano e camminammo sul sentiero in mezzo agli alberi per circa tre chilometri. Lo spiazzo che ci trovammo davanti era qualcosa di stupendo. Una piccola casetta trionfava sulla spiaggia, sul mare. Un roseto non fiorito circondava la casa e una terrazza portava fino al bagna-asciuga.

«Ah Alessandro sei arrivato!» un vecchietto quasi in miniatura uscì dalla porta di legno. Chi è? Guardai Alex perplessa mentre lui mi sorrise, raggiante.

«Ciao nonno» lo salutò con riverenza quasi formale. Quell'anziano signore aveva qualcosa che ispirata molta tenerezza. I capelli e la barba bianca, una tunica di lino finissimo e dei sandali essenziali.

«Chi è questa bella fanciulla?» chiese posando gli occhi su di me, facendomi arrossire. «La mia ragazza. Mi sembrava d'obbligo fartela conoscere, è fantastica» tutte queste lusinghe mi stavano mandando a fuoco le guance.

«Molto piacere, signore» salutai con un cenno del capo. «Chiamami Sio, o nonno se preferisci» gli sorrisi dolcemente.

Ci invitò ad entrare. L'interno era sovraccarico di oggetti. "Come casa di Alex". Ci offrì una tazza di tè cinese e parlammo per quasi mezz'ora. Alex era intento a cercare qualcosa a me sconosciuta e Sio era un vecchietto davvero simpatico, con gusti letterari davvero singolari. «Nipote, se riesci a tenerle testa, tienitela stretta. Audace, acuta e brillante come tua nonna» esclamò stringendomi la mano appoggiata sul tavolo, facendomi arrossire di nuovo. «Farò buon uso di questo consiglio, nonno» esclamò a sua volta Alex ancora alla ricerca di qualcosa. Chiaccherai ancora venti minuti con Sio finchè non sentimmo urlare Alex dall'altra stanza «Eccolo!» tornò nel soggiorno con una copia di Siddharta di Herman Hesse. «Posso prenderlo in prestito?» chiese al nonno con entusiasmo.

«Certo» gli sorrise e, afferrando il bastone, Sio scomparve dalla nostra vista. «Tuo nonno è proprio simpatico» sussurrai e lui replicò «Eh ho preso da lui». Feci ondeggiare leggermente la testa alzando gli occhi al cielo.

«Questo è un cimelio davvero bello. Per te» mi avvicinò una scatola contenente una splendida collana di legno intagliato a forma di albero della vita, bellissimo. «Non posso accettare» asserii ritrovandomi una cosa così bella e preziosa tra le mani. «Devi invece. Se mio nipote ti ha portato a conoscere il nonno significa che sei molto importante per lui. Mi fido di Alessandro» mi sorrise in maniera davvero buffa, socchiudendo gli occhi. Poi, si girò verso Alex e continuò «Trattala come merita, abbi cura di questo gioiello così raro». All'inizio pensai che si stesse riferendo alla collana, ma probabilmente si stava riferendo a me. Arrossii violentemente.

«La amo, nonno. Non potrei fare altrimenti» improvvisamente mi venne da piangere, per la felicità questa volta.


 

Durante il tragitto per tornare a casa, in macchina sussurrai «Anche io». Alex mi rivolse un'occhiata perplessa. Come faccio a spiegarglielo adesso?

«Tuo nonno è davvero fantastico» cercai di cambiare discorso. «Lo adoro, è il mio eroe, da quando ero piccolo» mi fece una tale tenerezza, io non sapevo cosa volesse dire. Non avevo mai conosciuto i miei nonni. Sapevo solo che erano morti prima che io nascessi, non avevo avuto mai il modo di vedere delle fotografie o di sentire i miei genitori parlarne.

«Però so cosa stai facendo» mormorò scatenando la mia perplessitò questa volta. «Che?». «Cerchi di distrarmi. Che voleva dire "anche io"?». Mannaggia.

«Hai detto che mi ami» bisbigliai per non farmi sentire. Lui aggrottò la fronte e chiese «Eh?». «Che ti amo!» esclamai con troppa foga forse.

Sul suo viso apparve un sorriso raggiante, da un orecchio all'altro. Vedere quell'espressione era un piacere per i sensi.

«Ti ricordi la prima volta che sei salita sulla mia macchina?» domandò Alex divertito. «Sì, è stato imbarazzante. Ricordo con piacere il tuo tongue, comunque» alla mia risposta si limitò a fare un ghigno tirando fuori la pallina del piercing dalla bocca.

«Non me l'aspettavo, era una delle poche cose che non avevo notato di te» ammisi, in vena di confessioni. «A me hanno stupito i tuoi tatuaggi, sembravi così dolce. Invece sei una cattiva ragazza» scoppiammo a ridere per quella improbabile affermazione.

Arrivammo finalmente a casa.

«Non voglio che tu vada via» mormorai stringendomi nelle spalle, ancora seduta sul sedile della sua auto. «Nemmeno io voglio andarmene, ma ci vedremo ugualmente domani. Sarà difficile starti lontano piccola» mi posò un bacio sulle labbra e mi sorrise dolcemente. Mi forzai a scendere dalla macchina e ad entrare in casa, felice e radiosa.

Percepii un leggero rumore provenire dalla cucina.

«Cosa ci fai qui?».

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Capitolo 17
*** 17 ***


«Che ci fai qui?» chiesi alla persona girata di spalle davanti a me. Lo riconobbi subito, il suo profumo era inconfondibile.

«Ti sei già dimenticata di me? Così presto?» domandò saccente Andrea.

«No. Che ci fai in casa mia?» cercavo di rimanere impassibile trattenendo la rabbia. Come ti permetti di venire a casa mia?

«Dovresti imparare a chiudere a chiave» un ghigno terrificante trionfava sulla sua bocca. «Questo non ti da il diritto di entrare» asserrii con decisione.

Qualcosa nella sua espressione mi provocava dei brividi di terrore, ma d'altra parte era il viso del mio migliore amico. Mi veniva da piangere nel pensare che la sua cattiveria fosse a causa mia.

«Ora sono qui, questo conta. E tu dove sei stata? Ah già, Alex» ondeggiò le mani per sottolineare l'ovvietà della cosa.

«Non è affar tuo. Tu non lo conosci» le lacrime stavano per uscire, avrei sfogato tutta la mia rabbia su di lui. «Io ti amo perché non lo capisci? Lui ti usa come fa con tutti» esclamò afferrandomi il polso stretto fino a farmi male. «Non lo conosci» chiusi gli occhi per trattenere il pianto e feci un respiro profondo.

«Non è giusto per te. Io lo sono, farei di tutto per te, morirei per te» il suo tono si era addolcito. «Ho sempre pensato che ti saresti accorta di me» continuò avvicinandosi pericolosamente. Indietreggiai fino a sbattere la nuca contro il muro, imprigionata tra il suo corpo e la parete. «Amami, ti prego» sussurrò vicino al mio viso. Il suo profumo mi aveva invaso il naso e i suoi erano fissi nei miei. Posò con forza le sue labbra sulle mie. Venni travolta dalla sua passione improvvisa, il suo amore incondizionato. Mi venne in mente Francesca.

«Fermati. Non va bene. Io sto con Alex e tu con Francesca... dovrebbe essere giusto così» mormorai confusa dalle mie stesse parole e dai miei stessi pensieri. «Può cambiare tutto, noi possiamo» affermò lui con speranza.

Mi baciò di nuovo, con avidità. «Amami, ti prego» bisbigliò di nuovo sulla mia bocca. Le sue mani erano dovunque sul mio corpo, appassionate e bisognose di affetto.

«Vattene» esclamai spingendolo lontano da me. Non riuscivo più a trattenermi.

«Voglio essere tuo e ti voglio mia. Cerca di capirlo»disse con lo sguardo fisso sul pavimento, sul punto di crollare. Si strofinò il viso con le mani e si avviò verso la porta. Appena la sentii chiudersi mi rilassai.

Mi accasciai sul pavimento e scoppiai in un pianto disperato, sopraffatta da tutto questo casino.

Sfilai il cellulare dalla tasca e chiamai l'unica persona che volevo aver vicino. «Vieni qui ti prego» mormorai tra un singhiozzo e l'altro.

Dopo qualche minuto Alex mi raccolse dal pavimento. Mi prese in braccio e mi baciò una tempia dolcemente.

Mi depositò sul letto e si stese vicino a me. Posò una mano sulla mia pancia ed io sussultai, non ero pronta a sentire le mani di qualcuno su di me, nemmeno lui.

«Cosa è successo?» sussurrò puntando un gomito sul materasso. «Sei davvero turbata eh?» continuò sorridendomi dolcemente.

«Andrea» singhiozzai improvvisamente e mi rannicchiai contro il suo corpo. «Che ha fatto?» chiese pacatamente. «Era qui. Ha detto di amarmi. Ho male la testa. Ha detto che tu non mi ami. Mi vuole» singhiozzai ancora più forte. Mi sentivo violata dalle parole di Andrea e dal suo tocco, eppure c'era qualcosa che mi attirava verso di lui, nonostante la sua violenza.

Alex mi accarezzò i capelli e sussurrò «Tu gli credi vero? Almeno un po'. Io posso dirti solo che ti amo, come non ho mai amato nessun'altra. E tu non sarai mai sua se non lo vorrai» le sue parole erano così dolci.

«Io sono tua... sempre che tu mi voglia. Io mi sento tua» mormorai accarezzandogli il braccio muscoloso. «Oh principessa» la sua voce era tremolante, commossa.

«Mi sento le sue mani addosso» dissi con disprezzo, forse troppo poco.

«Ti ha messo le mani addosso?» Si tirò su a sedere e strinse i pugni, la mascella contratta.

«Non è importante» sussurrai tormentandomi le mani. «Si che lo è» affermò deciso, troppo deciso. Il suo sguardo era severo e mi metteva in soggezione.

«Non fargli del male, era sempre il mio migliore amico» mi facevano male le nocche a furia di strofinare. Lui mi avvolse il viso con le mani e mi baciò piano.

«Ci rifletteremo dopo una bella dormita va bene? Domani niente scuola» disse severo, più maturo della sua età. Io annuii in silenzio, non potevo discutere, non con quello sguardo su di me. Ero spaventata e intimorita da lui.

Alex mi abbracciò e si stese sul letto, portandomi con sè.

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Capitolo 18
*** 18 ***


 
Mi svegliai all'alba, accoccolata vicino ad Alex, con la testa sul suo petto.
Lui era già sveglio e mi stava accarezzando i capelli dolcemente.
«Che succede?» chiesi sbadigliando. Sapevo che aveva qualcosa su cui riflettere, sicuramente riguardante Andrea.
«Pensavo a cosa devo fare oggi. Continua a dormire piccola» mi sussurrò con tono severo, ma rassicurante.
«Non posso adesso, la tua presenza è invadente, mi distrae» gli depositai un leggero bacio sulle labbra e mi misi a sedere «Che devi fare oggi quindi?» continuai. A scuola non ci saremmo andati, per nessun motivo. Io, almeno, non ci sarei andata.
L'idea di sentirmi gli occhi addosso da ogni mio compagno mi faceva rabbrividire. Sentire quelli di Andrea su di me sarebbe stato anche peggio. Sussultai nel ricordare le sue mani che percorrevano il mio corpo, incontrollate.
«Nulla di importante. Tornerò appena possibile» mi abbracciò e mi costrinse a stendermi di nuovo sul letto. In un movimento fulmineo e fluido si posizionò cavalcioni su di me e mi baciò la fronte, soffermandosi qualche secondo.
«Voglio trovarti ancora qui al mio ritorno» il suo tono era diventato sensuale e un sorriso lascivo era comparso sulle sue labbra. Con un dito tirò dolcemente l'orlo della mia maglia «Senza questa» sussurrò ancora più piano.
Saltò giù da me e dal materasso, si infilò le scarpe e scomparì nel corridoio.
Non aveva voluto rivelarmi dove sarebbe andato. Perchè ho la sensazione che abbia qualcosa da nascondere?
Mi feci catturare dal pensiero malsano che stesse combinando qualcosa di sgradevole da qualche parte, ma dopo qualche minuto lo cacciai dalla mia mente per leggere un bel libro. Appena alzai gli occhi dalle pagine mi accorsi che ormai era mezzogiorno.
Avevo letto per circa quattro ore, il tempo era volato e il libro era quasi alla fine. Strofinai le dita sulla carta ruvida e mi decisi a chiuderlo.
Sentii bussare alla porta e mi fiondai ad aprire, contenta che Alex fosse tornato. Aprii con un gran sorriso, ma non c'era chi mi aspettavo.
Andrea era in piedi, illuminato dal sole invernale, bellissimo come sempre. I suoi occhi mi trapassavano e mi imprigionavano in quel grigio ghiacciato che li riempiva.
«Volevo chiederti scusa per ieri» mormorò torturandosi le mani «Non so come mi sono ritrovato qui» aggiunse.
«Entra» sussurrai fissando il pavimento, imbarazzata quanto lui. Quando gli occhi cadero sulle mie gambe nude arrossii violentemente. Mi fiondai nel salotto e mi avvolsi in una coperta di lana. Non lo feci per pudore, ma per Alex, per la sua reazione se mi avesse visto.
«Lui dov'è?» Andrea si guardava attorno nervosamente. «Aveva delle cose da fare. Perchè sei qui? Per scusarti?» domandai cercando di sembrare sicura di me e per niente turbata dal comportamento che aveva avuto il giorno prima.
«Circa. Non mi scuso per le cose che ho detto, ma per averti aggredito. Le cose che ti ho detto le penso ancora e speravo che ci avessi riflettuto» spiegò guardandomi fisso negli occhi. Mi resi conto di non averci riflettuto, ero scossa e una parte di me voleva essere aggredita di nuovo, sapevo solo questo.
Forse era sbagliato vivere con queste due idee così differenti, ma come decidersi su quale fosse quella più intelligente? Erano entrambe emotive ed impulsive, insolite per me.
«Non credo che tu abbia fatto una cosa saggia» commentai arrossendo.
«Perchè diventi così rossa? Ti vergogni con me?» si alzò in piedi e si avvicinò a me. Deglutii e feci un respiro profondo.
«L'ho lasciata, Francesca. Avevi ragione, era per infastidirti. E quando non ha funzionato sono scoppiato dalla rabbia. Sai anche tu che Marco avrebbe voluto questo» mormorò, sempre più vicino. «Non dovrei tirare in mezzo Marco. Non deve scendere in basso come siamo scesi noi» sussurrai sentendo le lacrime affollare i miei occhi. Come si permette di parlare così di lui? Non poteva avere l'esclusiva su di me facendo leva su un amico scomparso.
«Possiamo risalire però, insieme. Sei stata attratta da me fin da subito, lo so. Lo so perchè anche io sono stato attratto da te, amo tutto di te. Nel mio futuro mi vedo solo insieme a te» si avvicinò ancora, parlando sempre più piano. Ero paralizzata, una parte di me voleva assecondarlo ed avvicinarsi, l'altra stava gridando aiuto.
«Ti prego, non è saggio» mormorai prima che le sue labbra fossero sulle mie. Questa volta era tutto diverso, un bacio appassionato, ma non possessivo o aggressivo. Solo dolce e pieno di amore. Mi sentivo sciogliere sotto quella grande carezza.
Che stavo facendo? Alex sarebbe tornato e io ero lì impalata con quel ragazzo bellissimo. Stavo subendo il fascino di Andrea, di nuovo. Avevo il suo profumo nel naso. "Quello di Alex mi piace di più". Avevo il suo sapore in bocca. "Alex è tutta un'altra storia". In un attimo mi fu chiaro che cosa volevo.
Lo sentii staccarsi da me, ma quando aprii gli occhi non era davanti a me. Sentii la lampada cadere e andare in mille pezzi.
Alex lo sovrastava, gli aveva sferrato un pugno fortissimo e l'aveva bloccato a terra. "Cosa ho combinato".
«Fermi!» riuscii a gridare. Alex lo sbattè sul pavimento con forza e poi si staccò da Andrea. Il pensiero che tutto quel disastro era avvenuto a causa mia mi provocava la nausea, avrei potuto piangere per settimane.
«Cosa ci fa questo bastardo qui?» esclamò Alex alzandosi in piedi, massaggiandosi la mano. Era cupo e severo, mi faceva paura. «Era venuto a scusarsi» mormorai con un filo di voce. «E anche a metterti la lingua in bocca» affermò ancora più duramente.
Andrea intanto si era portato le mani sulla faccia, coperta del suo stesso sangue. Scattò in piedi e corse verso l'uscita. Prima di andarsene si svoltò un'ultima volta a guardarmi con occhi tristi facendomi venire un nodo strettissimo alla gola.
«Io...» riuscii a dire a malapena.
«Lo odio» la sua voce diventò tremolante, esitante «Ti ha baciato lui?».
«Sì, non l'avrei mai fatto io».
«Tu l'hai lasciato entrare» iniziarono a scendere le lacrime sul suo viso. Il nodo nella mia gola si fece ancora più stretto. In quei pochi secondi mi era stato tutto chiaro, ma forse era già troppo tardi.
«Non so perchè, era sempre un mio amico prima» cercai di giustificarmi.
«Tu l'hai lasciato fare. L'hai fatto entrare, ti sei lasciata avvicinare» si lasciò cadere in ginocchio.
Lo seguii e mi misi in ginocchio esattamente davanti a lui. «Ti amo» mormorai cercando di attirare la sua attenzione. Ci riuscii e i suoi occhi erano spalancati come se avessi detto qualcosa di grave. E forse lo era, feceva male a tutti e due.
«Non ho dubbi, non più. Non sono brava in queste cose, non ci capisco nulla. Ho capito solo che ti amo e non mi interessa altro» lui taceva, mi fissava singhiozzando, ma taceva.
«Ti prego, non piangere. Perdonami ti prego» scoppiai in un pianto disperato, come mai avevo pianto prima. Lui mi baciò istantaneamente, possessivo, stringendomi in un abbraccio quasi soffocante. Alex, a differenza di Andrea, non mi spaventava, le sue braccia erano la mia casa.
«Ho bisogno che tu sia mia» mormorò permettendomi di prendere fiato «Mi fai del male» aggiunse. Annuii e gli agganciai le braccia al collo.
«Andiamo» mi raccolse da terra portandomi in braccio sù per le scale. Mi lasciò sul letto e si tolse la maglietta con furia. Alzò la mia fino alla testa e mi diede leggeri baci sulla pancia.
La sua avidità di amore potevo capirla, ma mi stupii del fatto che volesse proprio il mio. Si posizionò cavalcioni su di me e appoggiò la testa sul mio petto.
Mi liberai della mia maglia e la lasciai cadere sul pavimento. Gli accarezzai la testa e le lacrime ricominciarono a scendere.
«Non posso» sussurrò sulla mia pelle. Era davvero arrabbiato, era stato superato ogni limite possibile ed immaginabile. Lo sentivo respirare esausto.
«Ti prego resta con me» replicai con un filo di voce, la mia supplica lo fece sorridere. «Perchè ridi?» domandai stupita.
«Credo sia la prima volta che qualcuno mi prega di rimanere» rispose divertito, sincero.
«Sei una scoperta per me, la cosa più bella che potesse succedermi» confessai e lui si portò con il viso alla mia altezza per guardarmi negli occhi. «Ah sì?» chiese.
«Certo. Il mio cuore si è fermato quando ti ho visto per la prima volta, poi sei stato sempre tu a farlo ripartire» continuai, aprendogli la strada verso i miei pensieri più intimi.
«Non credo che faccia bene» sccppiò a ridere. "Oh dolce suono".
«Non mi importa» sorrisi contagiata da lui.

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Capitolo 19
*** 19 ***


Mi svegliai da sola, con un brivido freddo che mi attraversava.

Sentii lo scrosciare dell'acqua nella doccia e mi tranquillizzai. «Vedo che i ruoli si capovolgono» ridacchiai tirando lo sciaquone. Un altro brivido gelante mi scivolò sulla schiena ripensando all'acqua fredda sul mio corpo.

«Non fare complimenti. Entra pure eh» replicò lui con tono saccente. Smisi di ridere, mi sfilai la maglietta e mi intrufolai nella doccia dietro Alex, in fondo era stato proprio lui ad invitarmi.

«Speravo venissi davvero» si girò di scatto e mi circondò con le sue braccia. La sua voce era suadente e le sue labbra erano piegate in un sorriso lascivo, una visione paradisiaca. I suoi blu erano scuri e pieni di un desiderio misterioso, per la prima volta mi sentii bella sotto il suo sguardo.

«Sai, ho sempre sognato una ragazza con dei tatuaggi» mormorò tra i miei capelli bagnati. «Quindi mi ami solo per questo?» cercai di fingere di essere offesa, con scarsi risultati.

Alex scoppiò a ridere «So benissimo che anche tu mi ami per quello» mi sfiorò la guancia con le nocche e feci una smorfia divertita.

Passammo quasi un'ora nella doccia per amarci, per rimediare a tutti i problemi, per sentirci ancora vicini.

 

Alex si fermò ad osservarmi mordendosi delicatamente il labbro. Ero rannicchiata sul divano con i capelli raccolti, gli occhiali, la sua maglia e un libro.

Appena mi resi conto di non essere sola nella stanza alzai lo sguardo. Un ragazzo bellissimo con solo i boxer, i capelli biondi ancora umidi, finalmente rilassato e felice, stazionava appoggiato al caminetto davanti a me.

«Non hai freddo?» chiesi portando gli occhiali alla base del naso, stupita e incantata dalla sua bellezza.

«La mia maglietta la indossi tu, posso resistere» mormorò con un leggero sorriso. «Te la restituisco» appoggiai gli occhiali sul tavolino e sfilai la maglia dalla testa. Gliela lanciai rimanendo in intimo.

«Non tentarmi principessa» mi ammonì scherzoso. Mugugnai il mio apprezzamento alzando le spalle.

«Non ti è bastato?» domandò quasi sorpreso e io in tutta risposta scuotei la testa maliziosamente. «Tu» si avvicinò puntandomi il dito contro con fare minaccioso, il suo corpo imponente si avvicinava sempre di più. La sua espressione però tradiva il suo corpo, le sue labbra erano piegate in un enorme sorriso sexy. «Tu mi metti davvero alla prova» sussurrò buttandosi su di me con tutto il suo peso. «Ah!» urlai sentendomi schiacciata.

«Ti ho fatto male?» puntò i gomiti sul divano per guardarmi negli occhi, il suo sguardo sembrava desolato e colpevole. "Non sono mica una bambola, non mi romperai con così poco".

«No» bisbigliai dolcemente. «Beh allora» tornò il bambino affamato di qualche secondo prima e cominciò a baciarmi il collo, una mano finì sulla mia coscia, poi tra le mie gambe. «Queste le togliamo» mormorò infilando un pollice nel tessuto delle mutandine lilla e abbassandole fino alle ginocchia.

Percepii a malapena il rumore delle chiavi sulla porta «Anna, sono tornata. Vieni ad accogliere tua madre» esclamò una voce familiare dall'esterno.

«Cazzo!» esclamai spingendo Alex, che finì sul pavimento. Mi misi a sedere e mi resi conto di avere addosso solo il reggiseno e di nascondere in casa un imponente ragazzo seminudo.

Prontamente lui raccolse la maglietta dal pavimento e me la lanciò, scappando su per le scale. "Perchè capitano tutte a me".

La infilai frettolosamente e sistemai i capelli. «Mamma ciao. Non torni da un po' di tempo» il mio tono ormai era impassibile, non avevo ragione di soffrire per la sua assenza.

«Sì cara, ma adesso sono qui» sorrise entusiasta, ma non mi contagiò. Continuavo a fissarla con un velato disprezzo.

«Maglietta nuova?» chiese indicandola. «No, non proprio» ribattei in un sussurro. «Un po' grande per te» replicò a sua volta, infastidendomi. Aprii la bocca, ma poi saggiamente la richiusi. Continuai a fissarla nei suoi movimenti frenetici nel sistemare le valigie nell'ingresso.

«Quanto hai intenzione di restare?» domandai dopo qualche secondo, una parte di me sperava di sbarazzarsi della sua presenza il più presto possibile, l'altra invece l'avrebbe voluta vicina, la madre che non mi era mai stata concessa.

«Ho qualche mese di libertà adesso, finalmente passerò il natale con mia figlia» il suo entusiasmo mi procurava la nausea, sarebbe stato il primo natale in famiglia da quando avevo otto anni.

«Voglio anche presentarti una persona, ti voglio vestita per le nove, andiamo a mangiare fuori. Ti piacerà» la osservai perplessa, sperando che non intendesse presentarmi un nuovo compagno. «Ti sei data ai profumi da uomo?» il suo fiuto per le fragranze maschili mi stupì e mi lasciò senza parole. "Che scusa mi invento adesso?".

«Anna, io vado» con il suo perfetto tempismo, Alex uscì da camera mia e scese le scale. Mi veniva da piangere. "Ecco ora si che conoscerà tutta la famiglia".

«Lui chi è?» mia madre parve esterrefatta nel vederlo avvicinarsi. «Mi chiamo Alessandro Giuli, ma tutti mi chiamano Alex» lui si presentò bene, meglio di quanto potessi fare goffamente io.

«Anna ha visto alla lotteria con te» ecco mia madre, sempre pronta a mettermi in imbarazzo. Arrossii violentemente e abbassai la testa per non vedere le loro espressioni. Lei mi sguardò e si giustificò «Anna si vergogna di sua madre, pensa che io la metta in imbarazzo. Sono Chiara» gli porse la mano e lui la strinse con disinvoltura.

Mi decisi ad alzare lo sguardo e Alex non sembrava imbarazzo, anzi, un sorriso divertito era fisso sul suo volto.

«Mi piaci... Alex. Vieni anche tu stasera, sempre se lei te lo permetta» gli lanciò uno sguardo d'intesa come se fossero amici da anni. In quel momento era tutto più chiaro, sempre per quello che conoscevo mia madre. Era la classica cinquantenne che giocava al sentirsi giovane, con vestiti da tredicenne, il toyboy e il gergo da ragazzaccia. Era certamente uno stile che non le si addiceva per niente. Finalmente capii come lei e mio padre non fossero anime compatibili e come fosse stato lui a lasciare lei, rifugiandosi tra le montagne dell'Asia.

Mi voltai all'istante e mi rifugiai in camera mia. Avevo così tanta voglia di piangere, mi sentivo in colpa per aver odiato mio padre per averci lasciate "sole", ma la realtà era che voleva salvarsi. Voleva salvare anche me dalle litigate e gli insulti, ricordo della mia infanzia.

«Posso entrare?» sentii la voce di Alex fuori dalla porta. «Vattene» esclamai in un impeto di rabbia, ma la verità era che non volevo che se ne andasse.

«Sai che non lo farò. Rimarrò qui fuori fino a quando non uscirai tu» ribattè con voce sicura. "Oh la mia roccia".

«Va bene, entra» mormorai rassegnata e sollevata. Mi spostai su un fianco e lui si stese accanto a me.

«Che vuoi fare?» sussurrò baciandomi i capelli e accarezzandomi il viso. Avvicinò la mia testa al suo petto, il suo cuore batteva così forte sulla mia fronte. «Non lasciarmi con lei, ti prego» singhiozzai premendomi contro i suoi muscoli.

«Non lo farò. Vuoi che rimaniamo a casa? O vuoi uscire con tua madre? Capisco come ti senti, ti senti abbandonata da lei. In effetti è quello che è successo, ma è sempre tua mamma. Le vuoi bene incondizionatamente» spiegò lentamente continuando ad accarezzarmi la nuca. "Come fai a sapere sempre tutto?".

«Va bene» singhiozzai ancora. «Se vuoi andiamo da me dopo» propose aprendo uno spiraglio di luce in quello schifo.

«Possiamo?» alzai la testa con sguardo speranzoso. «Certo, puoi rimanere quanto vuoi. Dimmi che ti serve e lo metto in uno zaino» era rassicurante sentirlo parlare, sembrava che fosse una soluzione scontata e semplice, quando per me era tutto complicato.

A zaino pronto indossai una gonna nera lunga fino alle caviglie e un maglione di lana bianca. Legai i capelli e raccolsi dal pavimento la giacca di pelle. Scendemmo le scale fino al salotto, dove mia madre sorseggiava un bicchiere di liquore.

«Siete pronti vedo, andiamo» il suo entusiasmo ricomparve come un fulmine a ciel sereno per me.

Alex posò un braccio intorno alla vita e mi strinse a sè, come per rassicurarmi che lui era vicino a me.

Mia madre salì nella sua Chevrolet e noi due nell'Audi di Alex. La seguimmo fino al ristorante.

Alex aveva guidato con una mano sul mio ginocchio per tutto il tragitto. Avvampai ricordando la prima volta che mi aveva toccato, in quella macchina, prima che io lo baciassi.

Lui mi fece un sorriso complice prima di scendere dall'auto per aprirmi la portiera. «Anche io me lo ricordo, è stato divertente» sussurrò sulla mia guancia. «Imbarazzante vorrai dire» bisbigliai la risposta, sorridendo.

«Ragazzi forza. Entriamo, Carlo ci sta aspettando» ci incitò mia madre, euforica.

«Almeno è entusiasta» Alex alzò le spalle cercando di sdrammatizzare. Lo ignorai ed entrammo in quel ristorante di lusso, ci sentimmo fuori porto, o almeno io. La sua stretta intorno alla mia mano mi fece capire che anche lui si sentiva a disagio.

Mia madre salutò il nuovo compagno, seduto al tavolo, con il suo solito entusiasmo fanciullesco.

Quel, Carlo mi pare che l'avesse chiamato, era un uomo sulla trentina con occhi grandi e scuri, capelli neri e eleganza disarmante. Mi avvicinai con circospezione, accompagnata dal mio cavaliere. Gli strinsi la mano cercando di sostenere il suo sguardo, inutilmente. Gli occhi di quell'uomo erano ipnotici, soffocanti.

Sorrisi leggermente nel constatare che io e mia madre avevamo gusti molto diversi in fatto di uomini, ne fui sollevata.

«Allora Anna, che fai nella vita?» Carlo cercò di approcciarsi con me, neanche fosse già il mio patrigno. Non potevo dirmi una persona molto cortese, ma chi era lui per parlarmi in quel modo? Un uomo più vicino alla mia età che a quella di mia madre.

«Studio, ancora» risposi passando le dita sulle posate perfettamente allineate sul tavolo.

«Sì a mia figlia non piace studiare, è ancora in prima liceo mi pare. A 16 anni non va affatto bene» intervenì lei arrotolandosi una ciocca di capelli tra le dita.

«Sono in terza... e ho quasi 18 anni» alzai gli occhi al cielo per quella palese dimostrazione di quanto non mi conoscesse.

Carlo sembrò quasi imbarazzato per lei, ma poi continuò «Che progetti hai per il futuro?».

«Spero di essere ammessa alla London University alla facoltà di psicologia. Lei che fa?» presi un po' di coraggio e alzai lo sguardo, venendo sopraffatta dall'oscurità dei suoi occhi «Non mi dica che studia ancora all'università» aggiunsi una frecciatina chiaramente diretta a mia madre, ma che non se ne curò.

Lui scoppiò a ridere «No cara, sono un chirurgo. Mi sono laureato da un relativo numero di anni. E dammi del tu per favore» aveva capito la mia ironia «In fondo siamo quasi coetanei» continuò. Mi scappò un piccolo sorriso e lui ne sembrò entusiasta.

«E tu?» si girò verso Alex che stava ascoltando attentamente «Sei il ragazzo di Anna?».

«Sono contento poter rispondere di sì» rispose con un sorrisetto. Alzai nuovamente gli occhi al cielo.

«Scommetto che è una donna esigente. Ti avrà fatto sudare questo titolo» si scambiarono un'occhiata divertita.

«Certo, ma ne è valsa la pena» ribattè Alex.

Smisi di ascoltare i loro discorsi, ormai dirottati sulle moto. «Mi dispiace» sentii dopo un po'.

Alzai gli occhi e mia madre mi fissava con sguardo triste. «Non avrei voluto essere così assente. Dovevo esserci nella tua vita, più di quanto io non abbia fatto» continuò a parlare cercando la mia comprensione. Ci riuscì per qualche minuto, finchè non nominò mio padre.

«Insomma, tuo padre non ha mai fatto nulla per te. Almeno io avrei dovuto esserci».

«Papà ha fatto molto di quanto tu abbia mai fatto in tutta la tua vita. Non permetterti di dargli la colpa» sbattei i pugni sul tavolo e alzai la voce abbastanza da attirare tutta l'attenzione su di me.

Mi alzai e uscii dal ristorante nel bel mezzo della cena. Mi sedetti su una panchina nel giardino in stile giapponese.

«Perdonala, sto ancora cercando di capirla» una voce calda e profonda pronunciò quelle parole alle mie spalle.

Sentii Carlo sedersi vicino a me. «Perchè stai con lei?» chiesi improvvisamente, lasciandolo interdetto.

«Non ti capisco. Come non capisco il resto dei compagni che ha avuto» mormorai rendendomi conto di averlo ferito.

«Tua madre è una persona fantastica... quando non cerca di essere qualcosa che non è» replicò lui, non troppo convinto.

«Tipo una buona madre» ribattei io seccata.

«Sì credo. Capiamoci, alle volte mi sgrida come se fosse MIA madre, quindi non so per certo che ricordi hai di lei in quel ruolo» aggiunse scatenandomi un altro sorriso.

«L'unico ricordo che ho è di lei che mi rimprovera, quindi so cosa vuoi dire. La cosa che mi preoccupa è che tu non sia suo figlio» mi strinsi nelle spalle. Mi accorsi dall'espressione del suo viso che le mie parole erano cannonate nello stomaco.

«Ho capito una cosa sola con Alex. In amore non valgono le regole che siamo abituati ad utilizzare. Non si può discutere su come si comportino le persone innamorate» sorrisi cercando di rassicurarlo. Il suo sguardo tornò ipnotico e intenso.

«Hai ragione. Sei forte, come lei. Sei anche calcolatrice, il che probabilmente l'hai preso da tuo padre. Dovremmo essere amici» affermò con una tale sicurezza che mi convinsi di ogni singola parola.

«Non se diventi il mio patrigno» mormorai rapita dal suo sguardo.

«Per quanto sarebbe un onore farti da patrigno, l'idea che quando sei nata io avevo dieci anni mi mette in soggezione» scoppiò a ridere.

«Vuoi dire che hai ventotto anni?» ero a dir poco sconvolta «Che ci fai con mia madre?».

Rimase un attimo in silenzio, stupido dalla mia sfacciataggine. «Ci siamo conosciuti a Berlino, sulla metropolitana. Per me la sua età non contava quando le ho chiesto di uscire» si giustificò.

«E adesso?» chiesi. Mi alzai lasciandolo in mezzo ai suoi pensieri su quella panchina.

Rientrai e recuperai il mio cavaliere, senza guardare mia madre negli occhi. Non poteva meritarsi la mia compassione.

«Andiamo a casa per favore» sussurrai e Alex si alzò all'istante lasciando quella donna, quasi sconosciuta per me, seduta da sola.

«Dov'è Carlo?» domandò lui frastornato.

«Nei suoi dubbi» sbattei gli occhi più volte. «Hai sonno, ti porto a letto» ridacchiò lui facendomi salire in macchina.

Appena arrivammo, Alex mi caricò in spalla e mi portò fino all'appartamento. «Riuscivo a salire le scale sai» lo ammonii superando la porta.

«Casa tua è accogliente» mormorai guardando gli oggettini caratteristici sugli scaffali. «Quando vivi da solo, non lo è più».

«So cosa vuoi dire» anche io vivevo sola per la maggior parte del tempo.

«Adesso lo è molto meno» sussurrò dietro di me, avvolgendomi con le sue braccia. «Andiamo, una cosa buona di questa casa è il letto» mi accompagnò fino alla camera da letto, dove finalmente si sganciò da me e si buttò sul materasso.

«Attento a non saltarci sopra» ridacchiai prendendo la ricorsa e buttandomi sopra di lui.

«Ah!» esclamò in un urlo strozzato appena gli atterrai sul petto.

«Non lamentarti, ora siamo pari. E ti ho fatto un favore, peso almeno venti chili meno di te» scoppiai a ridere.

«Mi stai dicendo che sono grasso?» fece il broncio, ma durò poco prima di mettersi a ridere.

Mi tirai su fino al cuscino e sbadigliando chiusi gli occhi. «Se vuoi approfittare del mio corpo puoi farlo ora. Io non ho la forza, voglio dormire» mormorai con un sorriso e gli occhi ancora serrati.

«Nah la necrofilia non fa per me, ma domani mattina sarà un risveglio brusco» si stese vicino a me, abbracciandomi.

Mi addormentai tra le sue braccia, impaziente che arrivasse il mattino seguente.

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Capitolo 20
*** 20 ***


Mi svegliai improvvisamente accecata dalla luce proveniente dalla grande finestra sulla mia destra. Mi allungai a spegnere la sveglia, accorgendomi che avevamo dormito troppo e si erano fatte le dieci. «Alzati idiota, siamo in un ritardo spaventoso» esclamai saltando giù dal letto.

La reazione di Alex fu molto diversa. Puntò i gomiti sul cuscino appoggiandosi, sbattè le palpebre più volte per abituarsi alla luce e sbadigliò.

Mi fermai davanti a lui con gli occhi spalancati mandandogli il chiaro messaggio di chi entro qualche secondo avrebbe fatto una strage, ma lui mormorò solamente un «Buongiorno principessa». Si mise a sedere e si strofinò gli occhi con i palmi delle mani.

«Sono le dieci. Non arriveremo mai a scuola, torna a letto con me dai» faceva tutto così facile. Nel suo parlare mi persi completamente nel suo sguardo assonnato, la voce roca e sensuale e i capelli scompigliati.

«So che lo vuoi, torna qui» esclamò supplicante protendendosi in avanti e afferrandomi i polsi. Mi tirò a sè e mi avvolse tra le sue braccia.

«Finiremo nei guai» mormorai anche se dentro di me non mi importava affatto. Lo sentii annuire sopra la mia testa, ma non sembrava turbato.

«Ho un'idea» si illuminò lasciandomi andare ed alzandosi dal letto. Rimasi sotto il piumone a gambe incrociate, con in dosso la sua maglietta.

«Ti piacerà piccola» si avvicinò allo stereo e inserì un disco. «Uno degli ultimi che ho comprato, uno dei miei migliori acquisti» aggiunse muovendosi nella stanza ritmicamente, seguendo la musica.

«Che cos'è?» mi concentrai sulle parole cantate da quella voce stupenda, accompagnata solo dalla chitarra. La semplicità della bellezza.

«Hozier, è un compositore irlandese. Come spiega lui le cose nelle sue canzoni non lo fa nessuno» affermò lui continuando a muoversi per la stanza. Io continuavo ad ascoltare quelle parole bellissime, con le lacrime agli occhi.

«Balla con me» mi tese la mano ed io la afferrai «Non piangere per favore» continuò con tono dolce e sincero. Volteggiammo a piedi scalzi sul tappeto per diversi minuti, ero affascinata ad Alex, dalle parole in quelle canzoni e dall'insieme delle due cose. In quanti potevano dire di aver ballato su brani stupendi con ragazzi talmente affascinanti. Arrossii al pensiero, ma in realtà nessuno avrebbe mai detto una cosa del genere. Le altre ragazze non potevano avere Alex e io non avevo nessun'altro con cui condividerlo.

"Non sei la sua prima ragazza, qualcun'altra l'ha già avuto". La mia coscienza aveva deciso di svegliarsi prima del solito quella mattina.

Cacciai lontano quel pensiero e mi accorsi che dietro la porta stazionava, coperta da uno strato di polvere, una chitarra.

«La suoni?» mi avvicinai allo strumento e lo osservai da più vicino. «Io no, tu sì per caso?» chiese lui con una punta di stupore nella voce.

«Certo» mormorai continuando ad ispezionare la chitarra, che poi spolverai velocemente ed afferrai.

Mi sedetti sul letto e la accordai con più di qualche difficoltà, non doveva averla toccata nessuno per anni.

Appena le corde mi sembrarono quantomeno equilibrate fra loro iniziai a suonare una delle ultime canzoni che avevo imparato. Senza rendermene conto stavo già cantando sopra quel giro di accordi.

«Canti anche?» smisi appena Alex me lo domandò, facendomi tornare alla realtà. Quel brano diceva talmente tanto di me, significava talmente tanto per me, che era automatico estraniarsi dal mondo.

Fissai il tappeto, imbarazzata. «Hai una voce ammaliante piccola, continua pure» disse per sdrammatizzare. Spense rapidamente lo stereo, si sedette a gambe incrociate sul tappeto e chiuse gli occhi.

Io presi coraggio e ricominciai a cantare.

Come on and let it go

Just let it be

Why don't you be you

And I'll be me

Everything it's broke

Just let it breeze

Why don't you be you

And I'll be me

And I'll be me

 

«Ehm forse la chitarra non è accordata alla perfezione» mormorai schiarendomi la voce. «Mai sentito nulla di così bello» Alex aprì gli occhi e fece un enorme sorriso.

«Cretino» alzai gli occhi al cielo e scoppiai a ridere. Lasciai la chitarra sul letto e mi fiondai su di lui, facendogli il solletico.

«Basta, basta, basta ti prego» esclamò lui cercando di fare la persona seria, con scarsi risultati.

Sentimmo il campanello suonare. Io ero sorpresa, ma mai quanto Alex. Sembrava veramente sconcertato da quel fatto, come se fosse completamente nuovo per lui. Mi guardò con fare interrogativo e poi si alzò per rispondere.

«Cazzo che ci fai qui?» lo sentii esclamare.

Mi affacciai sul corridoio e vidi una donna altissima davanti a lui. I capelli rovinati dalle troppe tinte, la pelle bruciata dal sole e i vestiti troppo grandi.

«Cosa hai fatto» la voce di Alex era così delusa che mi si strinse il cuore. Sua madre? Che aspetto terribile, non deve passarsela bene.

"Mettiti dei vestiti". Il mio cervello mi avvisò in tempo e mi infilai i jeans. Mi misi nuovamente in ascolto.

«Ho bisogno di soldi» disse lei con voce strozzata, sul punto di piangere.

«Non ti darò un centesimo, guarda come sei ridotta» mormorò lui triste.

«Non mi serve molto».

«Vattene via».

«Sono tua madre non puoi lasciarmi per strada».

Mi affacciai ancora nel corridoio per vederla meglio e potermi ricordare di lei. Quella donna che aveva addirittura la faccia tosta di chiedere così spudoratamente i soldi al figlio. Le sue condizioni più che pietose e il tanfo di alcol che emanava. Capivo bene perchè Alex avesse così tanto casino in testa e perchè lo nascondeva con il suo super controllo.

«Lei chi è?» chiese la donna indicandomi. Mi spaventai a morte e mi resi conto di essermi fatta scoprire.

«Voglio vederla» continuò con quella voce rauca che mi fece accapponare la pelle.

«No, non puoi. Non ti lascerò rovinare tutto anche questa volta. Vattene» anche il tono di Alex mi spaventava, era troppo distaccato e severo, non sembrava stesse parlando con sua madre.

«Sono a casa mia, faccio quello che voglio» esclamò lei. Mi rannicchiai vicino al letto, quasi disgustata di essere stata in quella casa dopo di lei, ma forse quando ci viveva le cose erano diverse. Mi portai le mani sulle orecchie per evitare di sentire qualsiasi cosa, ma urlavano troppo.

«Questa è mia, me l'ha lasciata papà dopo che l'hai spinto giù» era ancora indifferente anche se era chiara la sua tristezza e la morsa che gli teneva stretto il cuore.

«Non è come credi» sua madre gesticolava parecchio con le braccia, lo sentivo dal tintinnare dei braccialetti da pochi soldi che aveva appesi ai polsi.

«Lo sanno tutti, è per questo che sei stata dentro sei anni. Io ancora mi nascondo per quello che hai fatto. Vai via» Alex alzò la voce ancora di più.

«Se i figli non ti aiutano è meglio non farli nascere» replicò lei indignata. Mi venne la nausea nel sentire quella frase così incurante di ogni cosa. La sentii girare i tacchi ed uscire.

Le lacrime iniziarono a scendere sul mio viso. Mi sentivo male per lui, lui che mi aveva consolato nonostante tutto quello che aveva passato. "Sono una cattiva persona".

Come aveva fatto a portarsi tutto questo dentro senza mai scoppiare? Come poteva nascondere tutto questo dolore che sentivo provenire da lui dietro quello splendido sorriso? Come avrei recuperato la spensieratezza di quel ragazzo con cui avevo ballato circa un'ora prima?

«No, ti prego. Stai bene? Ti prego dimmi che stai bene?» esclamò correndomi incontro ed inginocchiandosi di fronte a me.

«Credo di sì» sussurrai tra un singhiozzo e l'altro. «Mi dispiace, non dovrei piangere. Dovrei starti vicino» continuai a fatica cercando di sforzarmi di guardarlo negli occhi.

«Ma tu sei qui, sei qui adesso. Se vorrai andare via dopo averla vista lo capirò, ma mi sei già vicina, sei qui» mi cullò tra le sue braccia.

«Non vado via» gli accarezzai dolcemente il petto. «Mi dispiace, non avresti dovuto vederla» mormorò lui sinceramente preoccupato per la mia reazione.

«Va bene» paragonare tutto questo alla cafonaggine di mia madre era impossibile, quella donna mi aveva fatto rimpiangere la mia, improvvisamente il menefreghismo che aveva mia madre nei miei confronti non sembrava così male.

«Ti ho portato ovunque nel tentativo di non farvi incontrare, ma oggi ho fallito» si scusò. Mi balenò in mente il weekend al mare, era per quello che era così preoccupato al telefono? Per lei?

«Non importa, tu non sei così, io lo so» lo rassicurai dandogli un leggero bacio sul collo.

«Insomma siamo messi davvero bene» scoppiò in una risata amara, ma contagiosa.

Mi asciugai le lacrime e sussurrai «Se vorrai parlare... di qualsiasi cosa, io ci sono, lo sai». Lui si limitò ad annuire sorridendomi.

 

«Pronto?» risposi al telefono con voce assonnata. Avevamo dormito tutto il pomeriggio? Quell'incontro non gradito era stato estenuante.

«Sono la mamma, vi vogliamo a cena stasera» il suo solito entusiasmo strideva alle mie orecchie, o forse era un interverenza, non lo so.

«Perchè dovremmo?» chiesi con poco garbo.

«Carlo ha tanto insistito, vuole conoscerti meglio. Porta anche Alessandro, è un piacere parlare con lui. Vi aspettiamo» e riattaccò senza darmi il tempo di rispondere in qualche modo.

Come potevo chiedergli una cosa simile dopo quello scontro con sua madre?

«Ci saremo stasera» mormorò Alex, appoggiato alla porta del bagno. Come poteva essere così bello appena sveglio quando io sembravo appena uscita da una centrifuga?

«Ha riattaccato» ribattei pensando che volesse dirlo a mia madre.

«Non lo stavo dicendo a lei, ma a te. Finchè tu puoi ancora sistemare il rapporto con tua madre, non perdiamo tempo» disse con un tono che non ammette discussioni, con le braccia conserte. E dopo quella mattina non avrei mai più potuto replicare a nulla riguardo ai rapporti familiari fallimentari.

«Se proprio devo» mi strinsi nelle spalle. «Certo che devi» esclamò tornando nel bagno per farsi la barba.

Mi alzai di scatto e lo seguii. Le nostre immagini riflesse nello specchio mi fecero sentire strana. Lui, alto e bellissimo, e io... beh non c'è molto da dire.

«Mi piace questo accenno di barba» sussurrai passandogli le dita sulle guancie.

«La tengo, solo per te».

In fondo era la scelta giusta, gli stava benissimo. Aveva l'aria di un uomo d'affari quella sera, con la camicia bianca e la giacca, ma non troppo formale con una leggera barba ispida. Per quanto bionda faceva risaltare gli zigomi e la mascella squadrata. I capelli li aveva tirati all'indietro in un codino molto indie, una delle cose più belle del mondo per me.

Lo aspettavo già pronta nell'ingresso, dove c'era ancora odore di alcol stantio dalla mattina. Rimasi a bocca aperta alla vista di quel ragazzo perfetto e sexy... e mio.

«Quanti anni mi dai?» chiese Alex facendo un giro su se stesso.

«Che uomo d'affari. Direi venticinque» e scoppiai a ridere per la domanda bizzara.

«Sembro vecchio» sul suo viso apparve un'espressione di finto terrore. Risi ancora più forte, tanto che mi venne un leggero male alla pancia.

Lui fece un cenno con la testa, sempre sorridente, e uscimmo.

 

Mia madre ci aspettava fuori di casa, bellissima devo ammettere. Indossava un vestito lungo color pesca, troppo elegante per una cena in famiglia.

Ci accolse con la sua solita euforia e appena entrammo notai Carlo in cucina, in veste più informale.

«Ti fa lavorare?» chiesi affacciandomi nella stanza. «Più o meno, mi sono offerto io» ridacchiò Carlo in un pullover grigio antracite e jeans scuri. "Mia madre almeno ha scelto bene". Mi venne in mente il compagno precedente, un pervertito cinquantenne con più capelli che buon senso, ed era tutto dire per un uomo calvo.

A pensarci mi venne da ridere.

«Gli uomini sono bravi in cucina a differenza di quello che credono le donne» mormorò continuando a mescolare qualcosa nella pentola. «Non credo ai classici stereotipi. Alex ha cucinato per me e mio padre qualche mese fa ed è un cuoco provetto» affermai con una punta di orgoglio per il mio principe azzurro.

«Te lo devo chiedere, dove si ordina un ragazzo così? L'hai preso su un catalogo per caso?» risi a questa domanda, ma non potei fare a meno di ripensare a quella mattina. In effetti Alex era davvero perfetto, aveva solo alcuni scheletri nell'armadio che non riusciva a lasciar andare.

«Nulla del genere» replicai torturandomi le mani. «Scusa, forse era una domanda inopportuna» cercò di scusarsi lui pensando di avermi urtata. «Tutto ok» lo rassicurai.

La cena passò tranquilla, a differenza della sera prima. Qualche battuta, qualche risata e sembrava tutto a posto.

«Anna, credo che sia il caso che tu torni a casa» esordì mia madre nel bel mezzo della cena.

«Non parliamone adesso, stiamo passando una bella serata» Carlo venne in mio aiuto. Io annuii con lo sguardo fisso sul piatto.

«Ha solo sedici anni, non può stare fuori» continuò mia madre senza badare alle sue parole.

Feci a tempo solo ad aprire la bocca, ma Carlo intervenì di nuovo «Sono diciotto». Persino lui ricordava la mia età, ma mia madre no.

«Quel che è» mormorò lei alzando gli occhi al cielo. «No, non va bene. Resta sempre tua figlia, non puoi comportarti così. Cerca di capirlo» il suo tono era davvero severo.

Osservai Alex sorridere e corpirsi la bocca per non farsi notare.

Gli mollai una pacca sulla coscia.

Riangraziai mentalmente Carlo per avermi salvato e per la sua comprensione.

Appena arrivò l'ora di andarsene mi tranquillizzai. Presi un'altro zaino e recuperai degli altri vestiti e dei libri.

«Finchè tu sarai qui, non credo che vivrò in questa casa» affermai nell'ingresso dopo aver salutato calorosamente Carlo.

«Sei mia mamma e... io non so più cosa fare. Io sono diventata adulta e quando lo capirai forse lo diventerai anche tu» aggiunsi prima di raggiungere Alex all'auto.

Durante il tragitto continuavo a tormentarmi le mani per il nervosismo. Il terribile dubbio che Alex non mi volesse a casa sua si era insidiato nella mia testa, soprattuto dopo quella mattina. «Vivere con te mi piace. Sono più tranquillo» mormorò posandomi una mano sul ginocchio. Come faceva a capire sempre quali fossero i miei pensieri?

«Anche a me piace» il mio tono mi tradiva. Mi piaceva davvero, ma non ero convinta che per lui fosse lo stesso. «Sei terapeutica, riesco a dormire se ci sei tu. E poi devo ammettere che voglio toglierti questo vestito dal primo momento che te l'ho visto addosso» sorrise in quel suo modo che toglie il fiato.

Giocherellava con l'orlo del vestito azzurro che avevo deciso di indossare. Era aderente e di pizzo, lungo fino a sopra il ginocchio e mi piaceva particolarmente.

«Non penso che farò resistenza» gli feci l'occhiolino cercando di ristabilire la spensieratezza di quando ci eravamo svegliati.

«Ti amo Alex» mormorai accarezzandogli le nocche.

«Ti amo principessa».

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Capitolo 21
*** 21 ***


Avevo quasi dimenticato quanto potesse noiosa la scuola.

Da: Alex Giuli

Ieri ho passato la migliore notte della mia vita.

 

Da: Anna Rivelli

Così mi distrai. Biologia non ammette distrazioni.

 

Da: Alex Giuli

Ormai è diventato il mio hobby, distrarmi con te principessa.

 

Cullata dalle sue parole, riposi il cellulare nella tasca e cercai di seguire la spiegazione. La verità era che la vera distrazione per me era lo sguardo di Andrea su di me.

Era là appoggiato con la schiena al muro, mordicchiando il tappo della penna, guardandomi con uno sguardo torvo.

Come potevo biasimarlo, probabilmente era confuso quanto me. Il bacio, il sangue, la vergogna... troppe cose da gestire per una persona sola.

Iniziava a farmi male la testa.

Notai in un secondo momento che Andrea era sparito dalla mia vista.

«Dobbiamo parlare» mormorò una voce alle mie spalle. Era una voce talmente familiare e calda che mi sciolsi.

Mi voltai, ma non era chi mi aspettavo. Alex era seduto in fondo alla classe a braccia incrociate. Aveva la fronte corrucciata e lo sguardo severo nel vedere quel ragazzo vicino a me. «Dico sul serio, dobbiamo parlare, non posso più aspettare» sussurrò Andrea afferrandomi un polso.

Si alzò e mi trascinò con sè fuori dall'aula senza dare spiegazione alla professoressa, che ci guardò uscire con aria basita.

«Non puoi trattarmi così» si fermò nel bel mezzo del corridoio.

«Che vuoi dire?» non capivo, proprio non capivo. Io non potevo trattarlo come? Fino a prova contraria era stato lui ad intrufolarsi in casa mia, mi aveva baciato e si era fatto picchiare dal mio ragazzo. In fondo era un finale anche troppo scontato.

«L'hai voluto anche tu. Eppure il tuo ragazzo ha picchiato me» cominciò agitando le mani in aria, rabbioso.

«Non ho voluto niente. Devi solo lasciarmi in pace» mormorai tormentandomi le mani in preda all'imbarazzo.

Andrea aveva capito tutto: avevo sperato per anni che mi baciasse, ma l'aveva fatto nel momento sbagliato.

«Tu mi vuoi, lo vedo» si avvicinò all'improvviso, pressandomi contro il muro. La parete fredda sulla mia schiena e il suo fiato caldo sul mio viso. Un brivido attraversò in un lampo la mia schiena.

«Io ti voglio, quando lo capirai? Stai con me, vivi con me. Non posso pensare ad altro. Non mi vedo con nessun'altra nel mio futuro, ti prego».

Finchè lui fantasticava sul suo futuro con me, io non avevo riflettuto su niente. Vivevo alla giornata, senza progetti e senza speranze.

Dopo qualche secondo quegli occhi grigi si staccarono da me. Non ero più stretta dal quel bellissimo corpo e finalmente potevo respirare.

«Stai lontano dalla mia ragazza, quante volte te lo devo dire?!» esclamò Alex girando l'angolo. La sua voce, il suo sguardo pieno d'ira mi fecero ribollire il sangue. Non l'avevo mai visto così arribbiato, nemmeno con sua madre.

«Non sei il ragazzo giusto per lei» gridò Andrea mosso dalla rabbia.

«Non sei tu a doverlo decidere» esclamò Alex. Quelle urla mi rendeva nervosa, non riuscivo a ragionare, la testa mi faceva male.

«Nemmeno tu» replicò Andrea.

«Tocca a lei» esordì Alex con uno scatto d'ira. A quelle parole mi misi a correre, fino ad arrivare a casa.

Avevo corso per quasi due chilometri, cosa che per me era un miracolo, ma non mi importava avevo altro a cui pensare. Non volevo essere io a decidere.

Mi rifugiai in camera mia, chiusi la porta a chiave e scoppiai a piangere. Le mie tempie pulsavano e la testa minacciava di scoppiare.

Sentii bussare alla porta.

«Posso entrare?» chiese la voce all'esterno. Alzai le spalle e girai la chiave.

Mia madre entrò in pigiama, sempre stupenda e ordinata.

«Cosa ti tormenta piccola mia?» chiese abbracciandomi, premurosa per la prima volta. «Non lo so, ho solo male la testa» confessai sorpresa dal suo improvviso approccio materno.

«Capisco, è per Alessandro?» domandò per tre volte prima che mi decidessi a rispondere. «Sì. No. Non lo so, è complicato».

Mi addormentai in lacrime tra le sue braccia.

 

Il giorno dopo non pensai a truccarmi e indossai pantaloni della tuta e una tshirt qualsiasi. Non avevo voglia di pensare a come vestirmi, ero troppo impegnata a riflettere su come evitare Alex ed Andrea.

Accesi il cellulare prima di uscire di casa: 8 chiamate perse e 3 messaggi.

Presi coraggio e iniziai a leggere: "Mi dispiace per quello che ho detto. La decisione è chiaramente tua. Tuo, Andrea". Aprii quello dopo: "Dove sei finita? Sono venuto a casa tua e tua madre mi ha detto che non c'eri. Sono veramente spaventato. Alex". "Ti prego rispondi alle mie chiamate. Ti amo, Alex". "Cosa è cambiato da ieri sera? Dove è finito quell'amore? Alex".

Mi girava la testa. "Sì Anna, cosa è cambiato da ieri?". Zitto cervello.

Non credevo fosse cambiato qualcosa, dovevo solo trovare un modo per spiegare. Sentivo freddo, un brivido gelido.

Scesi le scale e mi imbattei nell'imponente figura di Carlo in pigiama. «Anna, stai bene?» domandò vedendo la mia faccia, visibilmente abbattuta.

«Non lo so» mormorai uscendo.

Arrivai a scuola dopo una ventina di minuti e già volevo tornare nel mio letto. Alex già mi aspettava, appoggiato alla sua auto con le braccia conserte.

«Parlami, ti prego» disse avvicinandosi.

«Credo di amarti» sussurrai con un filo di voce, ma non ero più così sicura. «Non sembri convinta» sembrava triste, affranto.

Lo sorpassai e mi avviai verso la classe. Mi abbandonai sulla sedia e mi infilai le cuffiette. L'intero disco di Hozier, che avevo prontamente scaricato dopo averlo ascoltato a casa di Alex, suonava in riproduzione casuale.

La classe si riempì, ma io non potevo sentire altro se non quella splendida voce cantare per me.

Forse avevo raggiunto una conclusione, forse era quella sbagliata, o forse era giusta. E probabilmente avevo anche abusato della parola "Forse".

«Rivelli, voglio il suo commento a questo sonetto di Petrarca» percepii il professore solo vagamente.

«Ehm...» non sapevo nemmeno quale fosse, come potevo fornire la mia opinione?

«Prof, posso rispondere?» intervenì Francesca, salvandomi e sorprendendomi.

«Sì, forza Carrioli. Rivelli sei salva per adesso» replicò il professore con il solito tono arrogante.

 

«Non puoi continuare così, finirai per farti bocciare» esordì Francesca al suonare della campanella. Alzai la testa, stupita per questo nuovo interesse nei miei confronti.

«I maschi... alle volte sono esseri inutili, ma non puoi vivere senza» commentò la situazione, di cui era chiaramente al corrente.

«Sì, credo» mormorai come risposta. «Non sono la persona più indicata per dare dei consigli, ma sono ragazzi fantastici. Tu hai la grande fortuna che siano entrambi follemente innamorati di te. Dipende solo da te, tu cosa senti?» ero sbalordita della sua incredibile saggezza.

«Penso di essere sicura, ma...» comiciai a spiegare, ma lei mi fece segno di smettere con la mano «Non devi spiegarlo a me, io so che sarà la scelta migliore comunque. In amore non bisogna avere rimpianti scricciolo» fece un sorriso amorevole e si dileguò in mezzo alla folla in corridoio.

Francesca aveva sorprendentemente ragione, io avevo già scelto, tanto tempo fa.

Buttai nello zaino tutti i libri e corsi fuori dalla classe. Rincontrai Francesca solo nei bagni.

«Ti piace vero?» domandai finchè lei aggiungeva un'altro strato di rossetto rosso sulle labbra.

«Chi?» ribattè con fare perplesso.

«Andrea, si vede lontano un miglio» l'avevo notato nelle settimane precedenti, quando Andrea guardava me, lei guardava lui. Mi sembrava una cosa così triste e non gliene avevo dato peso. La seconda ragione, più importante, da cui avevo dedotto fosse cotta di lui era stata la relazione sospetta che avevano intrapreso per farmi ingelosire. Francesca non avrebbe mai accettato se non fosse stato così.

«No, che dici. Che stupidaggine» il rossore improvviso sulle sue guance era la terza ragione. Si sentiva colpevole, come se fosse stata colta con le mani nel sacco.

«Non devi convincere me, non ce n'è bisogno. Eravamo amiche una volta, so che non sei una persona cattiva e appunto per questo so che lo conquisterai» le feci un grande sorriso e la lasciai a far sbollire le guance.

Iniziai a cercare Alex, con un sorriso ebete stampato in faccia. La sicurezza di poter mettere a posto le cose si stava facendo spazio nella mia mente e mi rendeva felice.

Mi imbattei in Andrea, che a malapena riusciva a guardarmi in faccia.

«Scusami» mormorai bloccandogli il passaggio. «Ci hai pensato?» un barlume di speranza era apparso nei suoi occhi, ma non sarebbe durato a lungo.

«Non posso, dico davvero. Non è così che doveva andare» cercai di spiegare, vedendolo piegarsi sotto le mie parole.

«Ti voglio bene, sei mio amico. Sempre» aggiunsi stampandogli un bacio sulla guancia.

Sentii squillare il telefono.

«Pronto?» rispondei.

«Anna, dove sei?» domandò Alex con tono preoccupato.

«Stavo venendo a cercarti. Tu piuttosto, dove sei?».

«Fuori da scuola, nella tabaccheria qui di fronte».

«Arrivo» non riuscivo quasi più a trattenere l'entusiasmo. Mi erano mancati i suoi abbracci seppur per un giorno e mezzo.

Uscii dal cancello del liceo e lo vidi dall'altra parte della strada. Lo salutai con la mano, sorridente.

«Devo dirti una cosa» gridai sorridendo ancora di più.

«Dimmi» esclamò lui, contagiato dalla mia ritrovata allegria. Era quasi arrivato vicino a me, sul marciapiede.

«Ti amo, ti amo tantissimo» urlai allargando le braccia per poterlo accogliere di nuovo. Ero felice, felicissima di poterlo avere per me. Avremmo sistemato ogni cosa, ne ero più che certa.

Qualcosa mi scuotè. Non c'era nessuno davanti a me, un silenzio agghiacciante mi aveva avvolto e aveva ricoperto ogni cosa.

Notai una persona stesa sull'asfalto, priva di sensi. Sentii le gambe cedere nel riconoscerlo.

Mi fiondai sulla strada con un solo pensiero in testa. "Tutto questo è colpa mia".

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