a tales of brave women, and silly men

di vermissen_stern
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Non ho molto da dire su questa mini oneshot se non che doveva essere per il giorno di San Valentino, benchè io non l’ho mai festeggiato ( non è una festa ma una ricorrenza, e comunque se si è innamorati è San Valentino tutto l’anno ) ed ovviamente l’ho pure pubblicata in ritardo! Se avete letto Reignite non dovreste sorprendervi del regalo di fidanzamento che Robin ha fatto ad Alya, però volevo raccontare con i suoi occhi il motivo di quel regalo. Ecco tutto.  Ps: pensavo che da questa potesse nascere una raccolta  discontinua sulle lettere dell'alfabeto... ma non ne sono molto sicura.

 

 

 

Erano più o meno venti anni che non festeggiava più quella ridicola festa. E francamente parlando non ne aveva mai visto il motivo in tutti quegli anni di solitudine spesi ad allenare un figlio ingrato.

Nel corso dell’ultimo secolo la festa di San Valentino aveva gradualmente perso il suo significato originale a favore di una concettualistica molto più consumistica e… irrimediabilmente superficiale sotto ogni punto di vista. In fin dei conti che senso aveva per lui, un lupo solitario incattivito dalla solitudine e dall’aver commesso una serie di errori che avevano portato la sua dolce metà a lasciarlo in un modo piuttosto traumatico per un uomo come lui, continuare a seguire una ricorrenza a dir poco stupida se si considerava che doveva essere San Valentino tutti i giorni se si era davvero innamorati?

Robin Mask era fatto così, si dava la colpa di molte cose ma mai che lo ammettesse pubblicamente. E il fatto che quel giorno cadesse la festa degli innamorati non faceva altro che renderlo ancora più nervoso. Con Alisa aveva avuto modo più è più volte di festeggiare quella ricorrenza al tempo che fu decisamente piacevole per entrambi, ora però che era vecchio aveva deciso di non rimanere dentro la propria dimora ad ammuffire per il resto della sua vita come si era ripromesso dalla morte della moglie ma anzi, riprovare a vivere con una donna che poteva essere sua figlia.

Si sentiva un idiota, e tuttavia non riusciva a fare a meno di quel rapporto che era nato con la sua nuova compagna. La definiva così, non riuscendosene a vergognare nonostante l’ovvia divergenza di età.

Alya Nikolaevna Kalinina era una ragazza giovane eppure incredibilmente matura nonostante la sua età di quasi ventisei anni di vita, e in tutti quei mesi di frequentazione non aveva mai dato segno di essere interessata più ai suoi soldi che alla sua persona vera e propria. Era una creatura a suo modo fantastica sebbene il loro primo approccio fosse stato disastroso tanto che Robin era riuscito a far cacciare la dottoressa dalla Scuola di Ercole, era stato cieco a giudicarla una meretrice solo perché esponente di una razza aliena di sole donne, con tutte le chiacchiere che potevano esserci sulle Deva lui aveva sempre dato credito alle peggiori da sempre radicate nella sua famiglia, vergognandosi come un ladro di tutti quei misfatti anche dopo che era riuscito a farci amicizia nel vero senso della parola.

Un rapporto nato a poco a poco e con non poche difficoltà, andava detto anche perché il Mask aveva un pessimo carattere orgoglioso quando ci si metteva, ed invero a prescindere di un inizio alquanto dubbioso nessuno dei due si sarebbe aspettato un simile sbocciare di sentimenti.

Erano una coppia consolidata, nonostante i pettegolezzi tra i nobili d’Inghilterra non sempre molto gentili, in particolare con Alya tanto da farla desistere dall’andare al Club di Cricket per non subire altre velate insinuazioni che non fossero sull’adattabilità sessuale delle Deva compatibili con un cavallo.

Decisamente di cattivo gusto e Robin stesso doveva riconoscerglielo, neppure lui l’aveva presa bene tanto che aveva disdetto la sua donazione al club dopo aver trovato la giovane donna in lacrime per il troppo nervoso accumulato, eppure ora si sentiva un idiota al pari di quei nobilucci da due soldi.

Dopo mesi di frequentazioni aveva deciso di fare il “grande salto” chiedendole ufficialmente di essere la sua fidanzata, e dunque sua promessa moglie, senza tener conto di quello che magari lei avrebbe voluto veramente avendo dunque una certa percentuale di fallimento nella sua missione. E casualmente questa sua proposta cadeva proprio nel giorno del santo protettore degli innamorati senza che lui se ne fosse minimamente accorto.

L’ex lottatore si ritrovò a deglutire dentro l’elmo di metallo argentato, infilando di istinto la mano destra nella tasca dei pantaloni per poter stringere lievemente il piccolo cofanetto argentato contenente il suo pegno d’amore per lei, si… amore, anche se sembrava una parola inaudita per un uomo come lui, e trovare così un po’ più di tranquillità interiore.

Attualmente si trovava a casa della sua giovane compagna e avevano appena concluso una cena piuttosto soddisfacente, nonostante Alya stessa aveva confessato di non essere stata capace di cuocere decentemente l’aragosta, ed ora si era giunti alla degustazione di alcoolici anche se nella piccola casa londinese della dottoressa non è che ce ne fossero in abbondanza. In fin dei conti Alya era ospite di sua cugina Alana, e di conseguenza si doveva attenere alle, poche, regole di casa senza che queste le abbiano mai dato dei problemi.

La ragazza stava iniziando a frequentare poco la casa che l’aveva ospitata per tutto l’arco dell’università e molto tempo lo passava ormai nella dimora di Robin tanto da aver trasferito alcuni suoi effetti personali proprio lì, ma era anche giusto che qualche cena la consumassero anche in quel luogo visto e considerato che non si trovava certo in un quartiere malfamato. A parte quella piccola nota nostalgica era stata molto più preoccupata di aver in qualche modo sfornato manicaretti poco gustosi, non si reputava un’ottima cuoca quantomeno non di quella terrestre, e se proprio la cena aveva un pessimo sapore avrebbe cancellato il tutto con del cognac trovato in fondo alla vetrinetta degli alcoolici.

Ma a parte quella piccola, ed inutile, preoccupazione puerile doveva ammettere che probabilmente non era la cena ad aver colpito “negativamente” Robin Mask. Il suo compagno emanava un’aura piuttosto strana come se fosse preoccupato da qualcosa ignoto alla dottoressa, le era sembrato distratto durante la conversazione avvenuta a tavola e magari si stava sbagliando su tutta la linea ma magari il compagno stava macinando qualcosa di poco piacevole. Che stesse progettando di… lasciarla?

Per la Dea, sperava che non avesse una simile intenzione di spezzarle il cuore proprio adesso, per quanto mantenesse una certa “freddezza” ereditata dal padre sapeva gestirsi in una relazione sentimentale, anche perché in fin dei conti cosa c’era che non andava nel loro rapporto? La divergenza di età forse?

Per Alya non era mai stato un problema, in aggiunta era oltretutto un chojin e in quanto tale la sua età biologica era più vicina a quella di un quarantenne che a un sessantenne, per quanto ne avessero già discusso ampiamente già a inizio del loro rapporto lei non aveva mai mostrato segni di indecisione. E Robin, per quanto riguardava la sfera intima, non le sembrava poi così astioso nel possedere una ragazza piuttosto giovane nel proprio talamo. Quindi cosa le stava nascondendo ora l’ex lottatore?

– Ho trovato del cognac in fondo all’armadietto… ti va di berne un bicchierino, oppure sei troppo turbato da qualcosa? 

Era riuscita a beccarlo in flagranza di reato e lo vide chiaramente sussultare sul divanetto , senza però percepire in lui nulla che la portasse a concretizzare i suoi timori di una repentina separazione ma anzi… lo vide alzarsi titubante e fu quasi sicura che sotto l’elmo fosse addirittura arrossito.

– Uh… e-ecco, Alya… io…–

– Non c’è motivo che tu ti metta a balbettare, visto che non mi risulta che tu sia affetto da balbuzie –

Fu più gelida del normale nel pronunciare quelle parole, ma era già passata attraverso una cocente delusione sentimentale che le era quasi giocata la laurea e non voleva trovarsi nuovamente con il morale a terra per essere stata in qualche modo sfruttata proprio come per la terrestre di cui si era invaghita.

– Non è balbuzie la mia! – rispose seccato il chojin abbastanza indisposto a quel tono gelido – ma piuttosto non so decidere che parole usare per chiederti quello che vorrei… chiederti. Ecco tutto–

– Beh, prova a dirlo con parole semplici allora –

Lo disse con una punta perplessità anche perché tutto si aspettava meno che il compagno volesse chiederle qualcosa che sembrava metterlo davvero  in difficoltà. Poi fu ancora più perplessa quando lo vide seguire il suo consiglio infilando la mano destra all’interno della tasca dei pantaloni del suo completo rigorosamente firmato Armani. Elmo di ferro a parte era un uomo che ci teneva allo stile, contrariamente ad Alya che si vestiva sempre in modo sobrio, e anche ciò che estrasse da suddetta tasca avrebbe avuto il potere di sorprenderla non poco una volta scoperta la sorpresa contenuta.

Per un breve momento avvertì il proprio cuore sussultare lievemente di fronte a quella scatolina argentata che quasi scompariva nella grande mano del compagno. Aveva sentito dire, e visto anche nei film in televisione, che i terresti avevano l’usanza di regalare al proprio partner di vita un pegno che dimostrava il loro legame che sanciva il cosiddetto fidanzamento e poi il successivo matrimonio. Su Amazon, suo pianeta natale, il cosiddetto matrimonio non era una opzione contemplata dalle coppie preferendo altre forme di convivenza meno drastiche… ma era pur vero che sulla Terra funzionava in modo differente a come funzionava dalle sue parti, ed il matrimonio poteva essere sciolto con molta più facilità.

– Robin… Cosa…?–

– Prima che tu lo apra, sappi che rispetterò ogni tua decisione in merito… ma non voglio che tu ti faccia strane idee sul suo contenuto per via della sua, ehm, forma. Ok? –

Le sue parole suonarono alquanto sibilline per la Deva, sempre più confusa per quel gesto inaspettato, ma la sua aspettativa di trovare un anello che chiedeva di sancire un rapporto per lei piuttosto importante fu decisamente delusa.

Si ritrovò momentaneamente a trattenere il respiro, istintivamente e come una ragazzina alla sua “prima cotta”, quando sollevò il piccolo coperchio della scatolina per trovarci tutto fuorché un semplice anello. Inarcò un sopracciglio nel trovarsi quello che era un unico orecchino dalla forma inconsueta ma che assunse connotati ben conosciuti per la giovane dottoressa in quanto ne possedeva uno identico anche lei. Anche se meno prezioso.

Era un piercing. Dalla forma di una stanghetta semicurva e con due sfere di platino tempestate di diamanti, ciononostante non di aspetto pacchiano, principalmente usato per punti del corpo delicati come ad esempio sul seno… esattamente come nel suo caso.

– Oh… davvero un dono singolare – continuò ad avere un sopracciglio inarcato ma al tempo stesso iniziò a sorridere lievemente – suppongo che un anello sarebbe stato troppo consueto per un uomo come te, visto l’originalità di un solo orecchino–

Non era arrabbiata per quell’insolito regalo, che parlava più di mille parole e lasciava ben intendere perché  Robin Mask fosse così a disagio, quanto decisamente curiosa di sapere la sua spiegazione per un pegno d’amore così insolito e anticonvenzionale.

– Non fare quel sorrisetto malizioso, donna! Se ho deciso di farti questo regalo non è solo perché porti un piercing in un posto indecente…–

Lo disse senza reale convinzione e questo portò un sorriso ancor più sarcastico sul giovane volto della compagna, tanto che dovette schiarirsi la gola, incredibilmente secca per un momento piuttosto teso, prima di giustificarsi come si deve nei suoi confronti.

– …Ma per quello che simboleggia per te – lo disse piano, temendo di rivangare dei ricordi dolorosi per Alya visto che gli aveva raccontato il motivo di quel piercing al seno – so che te lo sei fatto fare subito dopo una delusione amorosa piuttosto squallida, e so che lo hai fatto per esorcizzare il dolore di un inganno tanto meschino qual è essere sfruttati unicamente per ottenere un fine ingiusto come… beh, cercare di rubarti la tesi di laurea. Un dolore fisico discreto e nascosto, vero, che in un certo qual modo ti ha dato la forza di continuare pur ricordandoti costantemente di quell’episodio… con questo dono non ti sto solo chiedendo di essere ufficialmente la mia fidanzata, ma di considerarlo come un nuovo inizio per entrambi… non deve significare per forza un ricordo doloroso, Alya–

Era una cosa sorprendentemente romantica per un uomo come lui da sempre poco disposto ad aprirsi sentimentalmente con qualcuno, quantomeno non da quando la prima moglie era venuta a mancare senza contare il pessimo rapporto con Kevin, e il fatto che le avesse chiesto di essere ufficialmente la sua compagna e di dare una nuova forma a quel dolore simile ad una freccia in un fianco non poteva che renderla più felice.

Il loro non era un rapporto idilliaco e perfetto ma normale, come quello di molte altre coppie, nella sua quotidianità e nei suoi battibecchi. Era lui che aveva scelto come proprio compagno nonostante tutte le difficoltà iniziali, ed era sempre lui che aveva deciso di compiere un passo coraggioso infischiandosene delle possibili malelingue che avrebbero continuato a giungere da ogni dove ogni qual volta i due avrebbero messo un piede fuori casa.

– Io credo… che forse il modo migliore di ringraziarti sia di indossarlo immediatamente, giusto? –

Lo disse con una punta maliziosa ritrovandosi a sorridere con una certa complicità al compagno, con quest’ultimo che colse al volo il suo “grazie” velato anche se pienamente soddisfatta della proposta fatta con un “si” silenzioso ma grande come una casa.

Robin si sentì di nuovo come venti anni fa, stranamente felice dentro e tutt’altro che imbarazzato per quella proposta fatta con il più inconsueto dei regali, tentato a più non posso di attirarsi la giovane compagna vicino a se passandole una mano dietro la schiena. I suoi timori si erano stemperati quasi subito e la sua spiegazione riguardo quel regalo a sorpresa decisamente aveva sortito il suo effetto nonostante l’ovvio imbarazzo iniziale. Quindi, la sua serata non poteva che concludersi con la giusta conclusione.

– Io esigo che tu lo indossa immediatamente, donna. E se qualcuno ti chiederà del tuo anello di fidanzamento digli pure che lo tieni vicino al cuore

E no, San Valentino qui non centrava proprio nulla.

 

( … )

 

A svegliarlo non furono i classici cinguettii dei fringuelli fuori dalla finestra ancora chiusa o i tenui raggi arancioni di un sole che stava nascendo oltre i tetti delle villette londinesi. A destarlo da quel sonno profondo fu il sentore di un odore a lui conosciuto che richiamava a momenti intimi vissuti neanche un’ora prima.

Forse era troppo vecchio per concedersi ai piaceri della carne con una intensità tale da proseguire per una lunga notte, ma quello era stato un avvenimento importante per tutti e due e non si era tirato indietro in un qualcosa che andava ben oltre il semplice divertimento.

Quando aprì gli occhi in quella stanza immersa in una scura penombra ciò che cercò fu la sagoma di Alya che riposava profondamente accanto a lui, riuscendo a girarsi lentamente sul fianco destro per poterla osservare meglio nel suo sonno profondo.

Avevano speso una notte a cercarsi tra quelle lenzuola umide, lottando in una danza primordiale persi l’uno tra le braccia dell’altra ove i segni ancora erano ben visibili sulla loro pelle.

La dottoressa gli aveva graffiato gli avambracci portandolo ad impazzire di desiderio ogni qual volta ella fingeva di volerlo allontanare da se per poi riaccoglierlo tra le proprie braccia, sentendolo respirare in un sibilo quasi animalesco mentre si spingeva in lei con gesti fluidi ed esigenti, venendo ricambiata in quel gesto di pura frustrazione in morsi decisi sulla sua candida pelle. Pur non essendo dolorosi ovviamente, avevano comunque lasciato dei piccoli segni rossi sulla sua carne giovane in particolar modo sul collo e sui seni.

No, non era pentito di essersi dato alla passione sfrenata in quella lunga notte, ma non si ritrovò comunque a sorridere come avrebbe creduto.

Con occhi velati di stanchezza, liberi da un elmo medioevale che ora riposava ai piedi del letto, l’ex lottatore si trovò a seguire il respiro della compagna così lento e ritmico mentre la sua pelle iniziava ad asciugarsi di quella patina di sudore formatasi dopo l’attività del loro ultimo amplesso.

Seguì la dolce curva dei suoi seni, dove su uno di essi spiccava il regalo che le aveva fatto quella stessa sera, poi proseguì verso il basso notando il suo ventre abbassarsi lievemente pure lui al ritmo di una respirazione dolce e rilassata, seguendo rapito le sue piccole gocce di sudore contaminarsi con altrettante gocce di candido seme che scivolavano via verso l’esterno del suo bacino. Rimasugli della passione del suo compagno, ora prosciugato dall’euforia e molto più concentrato verso il proprio futuro. Il loro futuro.

Lentamente poggiò una mano sul ventre della giovane Deva percependo con più intimità il suo dolce respiro risalendo poi delicatamente tutta la sua siluette, sfiorandola come se fosse stata un fiore delicato, fino a giungere ad accarezzarle una guancia con un paio di nocche riuscendo così a destarla da quel breve sonno.

Un velo di stanchezza circondava gli occhi di ghiaccio di Alya, lo stesso tipo di stanchezza ben visibile negli occhi di Robin seppur intrisi di una nota di appagamento, ma nonostante l’ovvia spossatezza fisica trovò comunque la forza di sorridergli lievemente nel mentre che si girava su un fianco scrutandolo senza aggiungere nessuna parola di buon giorno. Non ce n’era bisogno, ed il chojin poteva ben vedere come nei suoi occhi freddi vi era tutt’altro che un freddo astioso.

Robin Mask ancora non sapeva come dirlo a Kevin, che parole usare per comunicargli una notizia tanto importante come quella di un fidanzamento ufficiale, ma probabilmente quell’ostinato ragazzo, orgoglioso come suo padre, l’avrebbe saputo solo all’ultimo minuto dopo aver rifiutato le più elementari telefonate con il proprio vecchio.

Entrambi comunque, sia lui che la sua attuale compagna, erano ben a conoscenza del percorso in salita che ancora li attendeva da dopo quel loro risveglio. Ma l’importante era che da adesso in poi avrebbero avuto quella strada da percorrere rigorosamente assieme.

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Capitolo 2
*** 2 ***


Stava andando tutto secondo i piani. O quantomeno l’inizio era buono già per il suo primo incontro con il ragazzo avvenuto proprio in Inghilterra.

Quando voleva Warsman sapeva essere persuasivo, non che ci voleva molto per uno come lui dato che era un buon oratore, e convincere Kevin Mask a seguirlo nelle sue discipline si era dimostrato abbastanza facile.

Certo, aveva dovuto sfidarlo in combattimento perché il ragazzo, testardamente anche se tentato dalle sue parole, non aveva voluto seguirlo senza una dimostrazione a livello pratico delle sue conoscenze. Certo, aveva vinto senza non poche difficoltà vista la divergenza di età tra i due, lui sessantenne mentre il giovane allievo poco più che ventenne, ma aveva ottenuto la sua fiducia incondizionata ed era questo che contava più di ogni altra cosa.

Era logico che sotto la candida maschera, che portava al posto di quella nera, si celasse una espressione soddisfatta sul volto martoriato per aver ottenuto già la prima tappa nel ripagare Robin Mask per tutto ciò che aveva fatto per lui. Il primo passo era stato ottenuto, il secondo era di riuscire a mantenere la sua identità segreta con l’alias che si era creato ( come Lord Flash era risultato essere piuttosto convincente e non aveva destato sospetti ) e come ultimo avrebbe dovuto far vincere il titolo della Corona Chojin al suo pupillo per riportare lustro alla famiglia Mask.

Attualmente si erano appena trasferiti in Giappone, luogo in cui si sarebbe tenuta la competizione, e come da progetto si era fatto recapitare in un secondo momento i due manuali sulle tecniche di combattimento dei Mask. Un volume da sempre per suo stesso uso, un altro da consegnare a Kevin quando i tempi saranno stati abbastanza maturi e il ragazzo meno riottoso a seguire gli insegnamenti del detestato padre.

Tra l’altro… chissà come se la passava il suo vecchio maestro? Gli era sembrato di vederlo piuttosto sereno quando si erano incontrati a Londra per accordarsi su quella sua missione in incognito, che aveva stupito non poco Robin e questo bisognava ammetterlo, ma magari era semplicemente felice di sapere che il suo unico figlio a breve sarebbe stato riportato sulla retta via. Ad ogni modo nulla era paragonabile alla sua soddisfazione personale di avere finalmente tra le mani quei due preziosi libri ben protetti nella valigetta di metallo che attualmente stava trasportando verso casa.

Non si era fidato di portarseli dietro per il suo arrivo a Tokyo assieme al proprio pupillo, preferendo sviare possibili pedinamenti, la prudenza non era mai troppa anche se al limite della paranoia, facendoseli recapitare ad una casella di posta ben impacchettati come un “bagaglio a mano smarrito”. E appena ricevuta la telefonata dell’arrivo di quel prezioso bagaglio aveva ben pensato di ritirarlo quella sera stessa così da potersi mettere fin da subito all’opera. Tra l’altro non aveva neppure dovuto inventarsi una scusa da usare con il proprio allievo nel momento che usciva di casa per una cosa, in fin dei conti, genuinamente vera.

Ma a Tokyo non possedeva un mezzo di locomozione personale come ce li aveva ad esempio Kevin, guai a separarsi dalla proprio motocicletta, pertanto era stato un po’ difficile trovare un autobus alle sette e mezza di sera che non andasse in deposito. A quanto pare il traffico si regolava in base ai quartieri che si attraversava, ma logicamente non era intenzionato di farsi tutta la strada di casa a piedi e men che meno mettersi a correre per le strade con una valigetta in mano. Non voleva attirarsi l’attenzione addosso già per il fatto che le strade della città sciamavano di chojin e pertanto c’era una certa tensione nell’aria quantomeno per il primo periodo della competizione, quindi era il caso di comportarsi come un gentiluomo inglese qual era e di prendere l’ultimo autobus disponibile presso la prima fermata vicino al magazzino in cui aveva ritirato il pacco.

Si trovava in una zona piuttosto periferica di Tokyo, piena di magazzini e qualche palazzina disabitata… per quanto possa essere “degradato” un quartiere della capitale nipponica forse quello era da ricondurre ad un posto da non frequentare la sera per quanto non ci fosse praticamente nessuno nei paraggi, abbastanza lontana dalla zona residenziale in cui ora viveva assieme a Kevin. Un bel posto rispetto a quello dov’era ora, non che avesse paura di malintenzionati dato che sapeva difendersi, e la compagnia disponibile nell’attesa di un autobus che non si decideva a giungere non era affatto delle più gradevoli.

I sensori olfattivi di Warsman registrarono con un certo disgusto il pungente profumo della “signora della notte” che attendeva sotto il lampione poco lontano a dove si trovava lui l’arrivo di possibili clienti, se ne era dato troppo e apparteneva ad una marca scadente, e in generale tutta la sua persona aveva un aspetto decisamente vissuto.

Avrà avuto più o meno la sua età e al massimo gliene dava sessantacinque, ed indossava un top rosso fuoco ed una minigonna nera che non riusciva ad esaltare le esili forme della donna. Una ricrescita scura lasciava intendere che la donna non era veramente bionda e tutto il trucco che aveva in volto le stava rovinando la pelle rendendola secca e disidratata.

Probabilmente a devastarla fisicamente ci aveva pensato il suo lavoro piuttosto “usurante”, ma il suo sguardo era fiero e gli occhi castani brillavano di una luce cinica pronta alla battuta facile… proprio come si apprestò a fare una volta che si accorse che Lord Flash la stava analizzando di sottecchi.

– Fanno 4068 yen tesoro… se vuoi il pacchetto completo sono 6780 yen senza sconto, eh! –

– Uh… no, no grazie. Vado di fretta, signora

Non aveva voglia di iniziare una conversazione con quella attempata lavoratrice notturna, che ora si era voltata per osservare meglio un possibile cliente o più semplicemente un uomo da sfottere visto il modo critico con cui l’aveva scrutata, ma l’autobus tardava ad arrivare e quella aveva ancora voglia di chiacchierare dopo averlo osservato ben bene. Soffermandosi in particolare sulle natiche messe ben in forma dalla calzamaglia grigio chiaro.

– Ehi… ma io ti conosco! – affermò lei, aspirando velocemente dalla sigaretta accesa poco prima – sei vestito in modo strano, eh! Però sei tu

Per un momento l’ex lottatore russo rimase interdetto da quelle parole, guardandola con un velo di confusione negli occhi e lasciando che un imbarazzante silenzio calasse tra i due interrotto solamente dal rumore del traffico distante qualche isolato da loro. Come faceva quella vecchia megera a conoscerlo? Probabilmente lo stava semplicemente provocando per vedere se riusciva ad accalappiare un possibile cliente, tuttavia con lui non avrebbe funzionato poiché non aveva tempo da perdere ne voglia di spendere soldi inutilmente. Aveva un compito da portare avanti e farsi deridere da una anziana prostituta era l’ultima cosa in cui voleva imbattersi se non voleva perdere la pazienza.

– S-senta, lei si sta sbagliando. Non la conosco affatto e non ho tempo da perdere… quindi buona serata–

– Nah, ma si che ci conosciamo! Era trenta anni fa, giusto? Si, è così… io avevo freddo e tu sei stato così carino da scaldarmi cedendomi la tua coperta – rise a quel ricordo lontano, aspirando nuovamente dal filtro di una sigaretta ormai finita e vedendo il chojin irrigidirsi ulteriormente – era la tua prima volta se non sbaglio… comunque dì quello che ti pare, ma quelle chiappe non si dimenticano tanto facilmente! –

Nella sua vita piuttosto trasandata il russo aveva solo avuto una compagna di vita che gli aveva pure dato una figlia prima di lasciarsi per sempre. Poi aveva passato anni e anni di solitudine spesi a combattere nella tundra siberiana per cercare di perfezionarsi e controllare la propria furia omicida risvegliata anni or sono da Robin Mask. Non c’era stato posto per nessun’altra donna nel suo cuore per il semplice fatto che temeva costantemente di poter essere un pericolo prima per gli altri che per se stesso.

Eppure…

Eppure forse quella attempata prostituta non stava dicendo propriamente una menzogna per vederlo in difficoltà, in quanto nelle recondite memorie del chojin ricordava qualcosa di simile a quanto gli era stato appena detto. Per carità, quella donna poteva anche aver dato una informazione volutamente generica giusto per metterlo nel pallone, eppure ricordava che un giorno nella caserma in cui si allenava, quando ancora in Russia esisteva il SKGB che allenava i super uomini come lui, i suoi superiori avevano deciso di premiare i più forti dando loro in premio qualche giovane donna prelevata dai villaggi vicini alla base militare. Che fossero delle volontarie o meno a Warsman non fu dato saperlo, ma ciò che si trovò in camera quella sera era una ragazza che evitava di guardarlo in faccia e diceva di avere troppo freddo anche a causa degli abiti leggeri che le avevano fatto indossare.

La guardia armata che gliela aveva buttata tra le braccia aveva ridacchiato qualcosa e probabilmente aveva pure pronunciato il nome della giovane, risultando incomprensibile visto che era ubriaco, e anche se in un primo momento il chojin non aveva osato toccarla alla fine non aveva saputo resistere.

Le aveva pure ceduto la sua coperta di lana, ma questo non aveva fatto desistere la ragazza dall’avvicinarsi a lui e iniziare ad approcciarsi come le era stato insegnato in precedenza. Probabilmente le avevano promesso qualcosa in cambio di quelle prestazioni sessuali, oppure era semplice riconoscenza verso quello che sembrava un bravo ragazzo?, ma a parte queste premesse Warsman non aveva saputo tirarsi indietro di fronte agli istinti sopiti per troppo tempo.

Era giovane in fin dei conti, quindi come si poteva chiedere di fargli vivere una vita di clausura e castità?! Ma a parte quell’episodio eccezionale in cui aveva perso la verginità, la donna era stata poi trascinata via l’indomani mattina senza che potesse salutarla, non aveva avuto altre relazioni ad eccezion fatta per la madre di sua figlia.

Smise tuttavia di rivangare cupi pensieri di vita passata nell’esatto momento in cui l’autobus che stava aspettando, grazie al cielo, giunse alla sua fermata aprendo le proprie porte con un sibilo meccanico e inondando di luce la figura massiccia dell’ex atleta.

– Senta, cara signora – ora stava iniziando a spazientirsi e questo portò l’anziana donna a sorridere – come vede il mio autobus è arrivato e dunque non ho più tempo per sentire le sue storie. Devo dirle addio e buona serata!–

– Beh, ci si vede in giro chiappe d’oro! –

Quel saluto un po’ volgare lo disse a voce alta in modo che il pover uomo, forse pure un po’ bigotto visto che l’aveva guardata e giudicata senza troppe remore, la sentisse chiaramente tanto da fargli girare la testa e attirare anche l’attenzione dei pochi passeggeri presenti che ridacchiarono a quelle parole profetiche.

Poi l’autobus ripartì in tutta fretta lasciando la signora della notte nuovamente sola anche se per poco. Difatti, dopo pochi secondi dalla partenza del mezzo ecco che un individuo basso e piuttosto grassoccio cercò di rincorrere l’autobus ormai lontano dalla sua portata.

– A… Aspetta! Maledizione! – sbuffò l’anziano kinnikku, la cresta ornamentale che portava era quella dell’eccentrica razza aliena, poggiando le mani sulle ginocchia per riprendere fiato – fra tutti gli orari che potevano scegliere per riconsegnarmi il mio bagaglio a mano proprio a quest’ora fuori mano?! –

Che cosa ci facesse li Vance MacMadd poteva essere un mistero, ma le sue parole erano già un indizio più che soddisfacente sui preparativi per la competizione sportiva che già adesso si stava rivelando alquanto caotica e con un afflusso di tifosi ben più maggiore delle sue aspettative. Un buon evento per le sue tasche, certo, ma per i suoi nervi tesi non erano esattamente delle notizie che lo rincuoravano . senza notare il bagaglio a mano smarrito prima della sua partenza dal pianeta Kinnikku e suo figlio Ikimon che si stava dimostrando un vero idiota su molte cose…

Ma a parte questi pensieri funesti, una volta ripreso fiato si accorse di una presenza femminile che ora lo stava guardando con una cinica curiosità nonostante i vestiti che indossava richiamavano al mestiere più antico del mondo. Una situazione alquanto imbarazzante per un uomo anziano come lui, perché divenne il nuovo bersaglio di una signora che aveva decisamente voglia di prenderlo in giro. Forse.

– Ehi… ma io ti conosco! –

 

 

 

Questa oneshot doveva essere prettamente comica e invece è saltato fuori qualcosa di un po’ meno serio, ma forse è meglio così visto i temi trattati. Ad ogni modo spero abbiate apprezzato, e ci si vede alla prossima!

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Capitolo 3
*** 3 ***


– Davvero un posto incantevole… non ero mai entrata qui prima d’ora–

– Davvero Suguru non ti ci ha mai portato? Strano, questo locale è piuttosto rinomato tra la classe nobile–

– Mio marito mi ha sempre portato al chiostro di gyuudon a qualche isolato di distanza dal palazzo reale… quando eravamo giovani era anche romantico–

C’era una nota di velata nostalgia nelle parola della regina Belinda, ma anche la volontà di non rivangare troppo certi ricordi che attualmente avevano preso una sfumatura malinconica dopo molti anni di matrimonio e una giovinezza che ormai non c’era più. Più gli anni avanzavano e più Belinda era stata messa gradualmente da parte dapprima con la nascita di Kid, un bambino fortemente desiderato ma che purtroppo era arrivato in ritardo, e poi dall’avanzata dell’età del suo stesso marito che iniziava a dimenticarsi molte cose importanti di loro due. King Muscle non aveva altri occhi a momenti che per il suo unico figlio con cui continuava a giocare e a viziare nonostante non fosse più un bambino, e per sua moglie ormai aveva solo un bacio del buon giorno e uno della buona notte. Fine della storia.

Per cui, non ci sarebbe stato da sorprendersi che Suguru si fosse dimenticato per la decima volta consecutiva l’anniversario del loro matrimonio.

Non lo aveva mai perso ed ogni volta che correva quel giorno la portava sempre in quel piccolo chiostro. Beh, a dire il vero sua maestà ci andava ogni volta che poteva una volta al giorno, ma era tutt’altra cosa quando erano giovani e il fatto che fossero innamorati portava a sorvolare sugli aspetti estetici di un determinato luogo di appuntamento. Ed ora, che i quasi trenta anni di matrimonio erano superati abbondantemente si era ritrovata nuovamente con di fronte un ignaro marito messo alle strette dalla sua innocua domanda su che giorno fosse oggi.

Disgraziatamente quella piccola conversazione avvenne nell’ufficio del re, con un Suguru messo in estrema difficoltà dalla domanda e dallo sguardo truce della moglie, e sempre disgraziatamente Ataru si trovava li per discutere di lavoro con il proprio sovrano.

Il fratello maggiore del re aveva un’ottima memoria,  e a quella domanda sapeva dare la sua ovvia risposta silenziosa limitandosi a guardare la propria regina. Fu uno sguardo breve e complice, in cui il soldato si dimostrò dispiaciuto per quella dimenticanza piuttosto imbarazzante del regnante, e solo quando Belinda uscì fuori dall’ufficio con fare giustamente stizzito decise di seguirla per farci due chiacchiere.

Poche parole a dire il vero, poiché il soldato non era bravo ad esternare i propri sentimenti e se fosse stato per lui avrebbe dato una sonora lezione ad un fratello che, fisicamente parlando, non avrebbe certo retto un pugno in pieno volto da parte di un consanguineo molto più allenato di lui.

L’aveva colta sull’orlo di una crisi di pianto nervosa, ormai stanca di sentirsi messa sempre più da parte da una famiglia che continuava ad amare nonostante la sempre più precoce invisibilità. Per Ataru la regina non era mai stata invisibile e pertanto, in quanto soldato reale, era tenuto per dovere a dare conforto a Belinda anche se in fin dei conti il suo non era semplicemente dovere di fronte alla propria signora.

Pertanto, era a conoscenza di un posticino che tra la nobiltà del pianeta era rinomato per l’alta cucina oltre che per la gran classe della sua tappezzeria… si, insomma, roba da nobili “squattrinati”. Tuttavia, per quanto il vecchio soldato non sopportasse quei nobili che avevano persino paura di sporcarsi le punte delle loro scarpette scamosciate, aveva preso a cuore l’ennesima delusione di Belinda chiedendole senza indugi di venire con lui quella sera a cena fuori.

“Forse posso sembrarti fuori luogo, mia signora, ma gradirei averti come mia ospite a cena. Anzi… lo esigo!”

Se ne sorprese lui, ma se ne sorprese anche la consorte del regnante di un intero pianeta che, per qualcosa che scattò nel suo stanco cervello, oppure semplicemente per fare un dispetto al marito sempre più sbadato riguardo la loro sfera sentimentale, accettò di buon grado l’invito di Ataru. E la regina non si limitò semplicemente ad accettare quell’invito senza battere ciglio, ma anche a farsi bella infilandosi un abito nero che non indossava più da tanto tempo oltre che a rispolverare il barattolo della cera per darsi una bella rinfrescata a tutta la pelle.

Una rinfrescata notata anche dallo stesso soldato che non aveva potuto fare a meno di farle un innocente complimento sulla sua bellezza, ben accolto dalla donna logicamente che ben pensò di irrigidire di più la schiena per sembrare più orgogliosa nel mentre entrava nel lussuoso locale, una volta che furono arrivati, tenendosi a braccetto con il militare nel mentre che alcuni nobili si ritrovarono a riconoscerla ad ogni suo passo elegante.

Ma ora, ormai giunti alla fine di quella cena squisita e con il suono di un pianoforte poco distante a riempire il mezzo minuto di silenzio tra i due kinnikku ora intenti a degustare vino, sembrava inevitabile che tutta l’atmosfera piacevole che si era creata si stemperasse con la dura realtà che reclamava la donna.

– Belinda… posso farti una domanda? –

– Hm? –

Di solito non era da lui darsi troppe confidenze con la moglie di suo fratello, ma proprio non riuscì ad evitare quella domanda spinosa che stava per porgerle e che sentiva venirgli dal più profondo del suo animo.

– Hai mai avuto rimpianti a… si insomma, a sposarti? –

Quella domanda detta con una punta di imbarazzo lasciò per un breve momento pietrificata la povera regina, e il calice di vino rosso che stava degustando per un breve momento traballò tra le dita sottili.

– Io.. no. Ovviamente no, Ataru! Certo, alle volte vorrei che Suguru si ricordasse un po’ più spesso di noi due, ma suppongo che sia l’età ormai…–

“Allora perché hai tentennato prima di darmi una risposta?”

Non era desiderio di Ataru mettere il seme della discordia tra i due coniugi, ma era preoccupato per la propria regina più che per il fratello che attualmente aveva altri interessi oltre il proprio lavoro di regnante. E tuttavia, era altrettanto vero che neppure lui capiva tutto questo interessamento verso gli affari privati della donna. Era sempre stato distante da questioni sentimentali e sapeva di non essere bravo a gestire i propri sentimenti positivi nei confronti di chi voleva bene, ma forse la vecchiaia, oppure vedere Belinda “spegnersi” un poco per volta all’incontrario di Suguru che sembrava tornare bambino, lo aveva spinto ad aprirsi più del dovuto per un lupo solitario come lui.

Ataru aveva rifiutato il trono a causa di genitori particolarmente stronzi che non gli avevano mai lasciato il suo spazio fin da bambino, programmandogli la vita come futuro regnante senza tener conto di cosa volesse fare per davvero nella vita, ed anche se per un breve periodo della propria vita aveva rimpianto di aver abbandonato casa e perso il trono non era comunque dispiaciuto nell’essere diventato quello che era ora.

Ma si era aperto con lei, rispecchiandosi in parte in quel suo stato d’animo di totale incomprensione e frustrazione, sorprendendosi non poco per quella domanda che poteva suonare quasi irrispettosa. Non fu così ovviamente, poiché anche la regina era consapevole di aver approfittato di quell’invito per staccare la spina facendosi addirittura bella per lui.

Magari per ingelosire un marito che non la ricopriva più di attenzioni come prima, oppure per tornare ad essere sulla bocca di tutti i nobili per dimostrare che era ancora affascinante nonostante l’età avanzata. Oppure…

Oppure niente, poiché proprio in quel momento di imbarazzo il telefono della regina iniziò a vibrare insistentemente per avvisarla che un messaggio le era giunto, e pertanto si apprestò un po’ seccata ad estrarre lo smartphone dalla borsetta per visualizzare qualcosa di sorprendentemente insolito. Che la fece finalmente sorridere.

– Aww… Kid e Suguru mi hanno appena fatto una torta di anniversario! Un gesto piuttosto tardivo ma comunque carino… guarda anche tu! –

Quella piccola foto fatta con l’autoscatto ritraeva padre e figlio con il loro solito sorriso ebete e in compagnia di una torta fatta veramente molto male e con una scritta con la glassa rosa che recitava più o meno un “buon anniversario mamma”. Abbastanza per tirare su il morale a Belinda e far inarcare un sopracciglio ad Ataru. Con tutta probabilità era stato Kid a ricordare al padre che giorno era oggi, e il suo vecchio per non fare altre figuracce doveva aver ben pensato di fare una torta alla donna che ancora amava.

– Beh, pare che quei due buffoni si siano ricordati di te alla fine! Che dici, torniamo a casa adesso? –

– mmh… no – fece a sorpresa la regina, dopo aver posato il cellulare e riprendendo in mano il calice di vino– conosco i miei polli! Probabilmente avranno voglia del mio riso con manzo e dunque si sono “ricordati” del mio anniversario di nozze per cui… lasciamoli a disperarsi ancora un po’! –

lo disse con un sorriso quasi spietato, molto affine all’ideologia di pensiero del vecchio soldato che avrebbe ben dato una strigliata ai due consanguinei, e pertanto Ataru decise di dare una occhiata al menu dei dolci.

 

 

Boh, non chiedetemi il perché di questa oneshot ma l’ho scritta comunque. Non so a chi potrà piacere, ma volevo mostrare che… il matrimonio perfetto non esiste neppure nella fantasia di questo manga xD per il resto alla prossima!

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Capitolo 4
*** 4 ***


Attenzione! In questo capitolo sono presenti solo degli OC ( miei e di _Dracarys_ ) e quindi per conoscere bene il personaggio di Uriel vi conviene aver letto Reignite, mentre per farvi una idea di Spectrus Specter vi conviene leggervi Reignite2. Per il resto ringrazio nuovamente _Dracarys_ per la sua disponibilità di “prestarmi” anche l’amica innominata di deSanta, e spero possiate fare ugualmente buona lettura!

 

 

“è da più di venti minuti che sta rileggendo quella lettera… non è che vuole contare tutte le fibre di cui è composto quel foglietto?”

Le preoccupazioni di Nuala erano legittime, in quanto non aveva mai visto la propria collega di lavoro comportarsi così. Conosceva bene Uriel Truce deSanta e sapeva che quella donna aveva una sorta di squilibrio psichico forse dovuto alle “belle” esperienze avvenute in gioventù, e la sua voglia di sperimentare, chiamiamola così, ogni sorta di possibilità sul campo di battaglia ai danni dei nemici alle volte dava l’idea che volesse costantemente smentire le teorie di un’altra persona a lei fin troppo nota.

Uriel era cresciuta sulla Terra, al contrario di molte di loro, ed era uno tra i membri più giovani all’interno dell’inquisizione amazzoniana meglio conosciuta come la “Corte delle rose nere” dando prova fin da subito di una specie di sadismo che nascondeva, in realtà, una perversa voglia di sperimentare lo sperimentabile.

Di spiegare a tutti che la sua visione del mondo era quella più giusta e vera, per quanto non avesse torto sotto un certo punto di vista, smentendo ogni qual volta una possibile visione ottimista della vita o di una possibilità di cambiamento in essa compiendo costantemente i soliti processi quasi rituali della vita di ogni giorno.

Era matta, oppure era semplicemente troppo sveglia dinnanzi ad una realtà che fin da bambina non le aveva permesso di sognare e credere in qualcosa. Ad ogni modo ciò che c’era scritto su quella missiva che un emissario della Corte aveva recapitato loro quella mattina doveva essere alquanto importante.

Attualmente le due donne non erano in un luogo specifico di Amazon che valeva la pena menzionare, se non che erano in una piccola cittadina storica, e comunque sia era straordinario come i loro superiori riuscissero sempre a rintracciarle ovunque esse fossero.

– Sono ventidue minuti e undici secondi che il tuo naso appuntito è attaccato a quel pezzo di carta… suppongo sia una lettura interessante se paragonata a “guerra e pace” –

Non le ci volle molto per sentire la risposta da una collega che le stava dando le spalle, quasi affacciata alla finestra/balcone della piccola stanza in cui erano, lasciando che a parlare fosse il piacevole venticello primaverile che spirava dalla finestra aperta solo per qualche secondo.

– … è morto mio padre. La lettera mi dice solo questo, oltre che le condoglianze –

Lo disse con tono piatto, quasi basso in una strana forma di rispetto, tanto da sorprendere la donna dalle sei braccia che già si era preparata una sequela di battute sagaci riguardo il contenuto di quella misteriosa lettera. Per quanto Nuala ne sapesse la storia di Uriel era quasi come un libro aperto per quanti aneddoti sciorinasse riguardo il suo fantomatico passato, ma per l’appunto non era possibile definire qual era il confine tra realtà vera e propria con quella distorta al limite dell’aneddoto puro che spesso la giovane Deva si lasciava scappare.

Non che deSanta fosse una bugiarda patologica che necessitava di inventarsi delle storie per apparire più credibile, ma ogni sua esperienza di vita vissuta sempre pericolosamente ne traeva sempre un esempio che rasentava il didattico.

A parere della donna dalle insolite sei braccia, ereditate dal “padre”, Uriel aveva ricevuto un tipo di educazione puntato nell’apprendere importanti nozioni ad ogni azione compiuta.

Una azione, una conseguenza. Nel bene e nel male suo padre le aveva trasmesso una conoscenza feroce e diretta sul proprio stile di vita.

Testuale risposta venne accolta con un imbarazzante silenzio da Nuala, che per tutta risposta decise di ridestarsi da quel momento di stasi con un brusco colpo di tosse.

– Beh… suppongo che tu voglia prenderti un po’ di riposo… oppure andare in giro a massacrare un po’ di gente a random come sei solita fare quando ti annoi – proprio non riuscì a non essere sarcastica – ad ogni modo, sarei una ipocrita se dicessi che mi dispiace… vero? –

– Dannatamente vero, difatti penso che andrò a farmi un giro… sei gentile quando vuoi, sai?–

– E questo è un difetto?! Pensavo facesse parte della “civile convivenza” nonché alla base di una educazione civilizzata e non di una probabile dipartita dovuta alla tua scellerata anarchia…–

La Deva di tutta risposta rise piano, senza dare segni di irritazione come di solito faceva quando la collega faceva le sue battute al vetriolo, in uno stato emotivo quasi imperscrutabile che Nuala non le aveva mai visto sembrandole quasi… nostalgica.

La gentilezza ha condannato mio padre. Se fosse stato meno gentile forse io non sarei qui a sorbirmi le tue battutacce! – scavalcò agilmente la ringhiera della porta/finestra decidendo di dare un ultima occhiata alla sua collega, prima di sparire tra le file di panni stesi che si perdevano a vista d’occhio in quella antica “skyline” – ad ogni modo, vado a commemorare la sua morte come quella vìbora avrebbe voluto! –

E sparì così, portandosi appresso quel foglietto letto e riletto nei suoi punti più salienti nascondendo in essi le ultime volontà di uno tra i mercenari e chojin più sanguinari dell’intera galassia. Non attese il proverbiale “aspetta” dettato da una collega ancora in parte incredula per quella inaspettata rivelazione, a volte ci si scordava istintivamente che Uriel aveva avuto dei genitori, dileguandosi silenziosamente come un serpente, come quelli tatuati sul suo corpo, lasciando sbuffare seccata una Nuala presa alla sprovvista.

Precisina com’era la donna si sarebbe aspettata quantomeno una delucidazione di dove diavolo fosse andata quella collega scellerata, d’altra parte le era morto un parente… e anche se non propriamente gradito chissà come stava ora deSanta a livello emotivo, ma tutto ciò che aveva ricevuto in cambio erano delle parole sibilline e nulla di più.

– Si… certo! Sei stata tu la rovina di tuo padre… gne, gne – fece ella, con un sarcasmo forse non propriamente adatto alla situazione, ma non era una sprovveduta e conosceva l’inquisitrice da diversi anni – o magari è stato lui a condizionarti la vita fin dal principio! –

 

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A Spectrus Specter non piaceva quando una preda gli sfuggiva di mano. Era lui ad essere il cacciatore, mai l’incontrario, dunque ebbe emozioni piuttosto contrastanti quando rivide quella donna che lo aveva abbandonato come un fesso dopo quella che lui aveva definito come “una tra le sue migliori caccie”.

Quando la rivide lì, a danzare tra le luci soffuse di un rinomato locale di intrattenimento di tipo folkloristico, ebbe quasi l’impulso di saltare sul piccolo palco rialzato su cui era per poterla strattonare via da quel luogo rumoroso e darle una “sonora lezione” al suo solito modo. Uriel tuttavia si accorse di quello sguardo freddo come il ghiaccio di quello che era stato un passatempo piuttosto interessante, e invece di ritirarsi da quella danza sensuale per via di quegli occhi azzurri che facevano decisamente paura, si concentrò maggiormente lasciandosi aiutare dai propri serpenti tatuati sulla sua stessa pelle ambrata.

Il rumore era tanto e la gente guardava tutte le ballerine presenti lodandone la bravura, e nessuno trovò strano che quella Deva flessibile come l’acqua, con quei serpenti stilizzati che sembravano danzare assieme a lei dandole un’aria quasi mistica, fosse stata adocchiata dal cliente meno raccomandabile di tutta la folta clientela oltre che probabilmente il più ricco tra tutti i turisti su Amazon.

La prima volta che i loro sguardi si erano incrociati era stato sulla Terra, svariati mesi fa, e l’uomo fu piuttosto sicuro che neppure il loro primo incontro era stato un colpo di fortuna. Quella femmina non la si incontrava mai due volte nella vita se non era lei a volerlo, sfuggente come un serpente… velenosa come un serpente, e per quanto avesse deciso che doveva essere sua per quella notte fu piuttosto difficile “convincerla” a venire a letto con lui.

Gli affari spingevano Spectrus a viaggiare per mezza galassia, e per quanto non fossero propriamente legali era abbastanza potente da poter sottomettere anche il chojin più avventato senza troppe difficoltà. Quella femmina aliena si era rivelata molto più pericolosa di lui se possibile, con quei suoi tatuaggi stregati che avevano viaggiato anche sulla sua di pelle cercando di dilaniargli le carni inutilmente, eppure per quante parole irriverenti avesse usato nei suoi confronti si poteva dire che ne era uscita soddisfatta da quella notte di passione. Come tutte del resto… anche quelle che costringeva.

Ma quella sensazione di soddisfazione che lo aveva accompagnato per tutto quel pseudo inseguimento post ballo, proprio come era successo sula Terra mesi prima, al successivo amplesso dopo si stemperò con una visione mattutina che decisamente non gli piacque.

– Tzk… non mi pare di averti detto che potevi alzarti dal letto–

Erano giunti a godere della reciproca compagnia dentro la stanza di un albergo a cinque stelle, ossia quelle del pseudo “avvocato” Spectrus Specter che tanto uomo di legge non era, e al momento la Deva se ne stava seduta su di una poltroncina vicino ad una porta/finestra intenta a fumarsi una semplice sigaretta.

A quella frase severa la donna si limitò a sbuffare divertita e a spegnere la suddetta sigaretta fumata solo a metà sul pavimento di marmo nero della suite, per quanto all’uomo poco importò di quel gesto e molto più concentrato ad osservare una preda troppo distante da lui.

– Se è per questo non mi hai detto neppure di farmi una doccia e di rivestirmi… sono  piccoli gesti quotidiani che ci accompagnano ogni giorno Specter, o fai parte di quella categoria di uomini anticonvenzionali? –

– Si da il caso che tu sia mia ospite qui, e gradirei che tu ti attenessi alle mie regole – si alzò dal letto adoperando un tono freddo e piatto, che di solito funzionava con le sue vittime, ed incurante di coprirsi le nudità si avvicinò ad una donna tutt’altro che impressionata dal suo falso moralismo – ad ogni modo, di che diavolo stai parlando? –

Aveva intuito che deSanta non era esattamente euforica come quando l’aveva conosciuta, e per carità per quanto riguardava la sfera sessuale nulla di cui lamentarsi… era perfetta, per questo fu con un cenno di curiosità che decise di farsi i fatti suoi trovandola stranamente accondiscendente nel dare spiegazioni. L’inquisitrice si alzò dunque in piedi, allontanandosi volutamente da un uomo alto due metri e mezzo che molto probabilmente non aveva solo voglia di parlare e basta ( ma se avesse avuto cattive intenzioni non avrebbe avuto problemi a metterlo a posto ), e dando una spiegazione che quasi sicuramente avrebbe dato a Spectrus di che pensare.

– Dimmi hombre… cosa ricordi di tuo padre?! –

Una domanda che sembrava fuori luogo e che portò il giovane avvocato ad inarcare un sopracciglio nero come i suoi “scompigliati” capelli corvini, ma che prontamente rispose alla propria squisita ospite rimembrando una figura paterna che mai avrebbe odiato per nessun motivo al mondo.

– Ricordo che il mio vecchio era una persona… onorevole. Non è che andassi propriamente d’accordo con lui, ma a modo mio gli volevo bene e mai mi sarei permesso di tradirlo in qualche modo–

– Un ammirevole padre per un ammirevole figlio. Suppongo che non sia stato molto gentile nei tuoi confronti nei momenti più cruciali della tua esistenza –

– Hm, come fai a saperlo? –

– Chissà… magari perché mio padre ha peccato di gentilezza unicamente nei miei confronti?! Si, può essere–

Prese nuovamente le distanze dal maschio impudente che ancora non accennava a volersi rivestire, non che questo dava particolarmente fastidio alla Deva se non che le sembrava un po’ ridicolo, e si avvicinò al grande balcone della suite di lusso il cui sole nascente si intravedeva perfettamente nello scenario urbano in cui erano. Spectrus la seguì senza troppi problemi. Non che fosse un esibizionista ma era sempre dell’idea che gli altri non avrebbero fatto altro che apprendere qualcosa di utile da lui, anche se avesse deciso di possedere proprio li Uriel senza contare che qualcuno, magari, avrebbe potuto vederli dalle finestre dei palazzi vicini.

– Sono cresciuta sulla Terra… non ricordo molto di mia madre ma da quello che ho capito è morta quando io ero molto piccola, e mio padre decise di prendermi sotto la sua protezione e di istruirmi fin da bambina al suo squallido mestiere in compagnia dei suoi poco affidabili compagni di giochi – si girò lentamente verso di lui e appoggiò entrambi i gomiti sulla balaustra di marmo, sorridendo quasi amaramente – sono cresciuta in un ambiente merdoso di soldati mercenari… gli uomini di mio padre erano affidabili come un perro idrofobo, e in battaglia si macchiavano delle più disgustose nefandezze sotto lo sguardo compiaciuto del mio vecchio. Ma per loro non possedeva la stessa “gentilezza” che aveva con me –

Questa volta non si allontanò quando Specter la “incastrò” contro la balaustra del grande balcone, limitandosi a sorridere con una certa cattiveria accarezzandogli lievemente con una mano gli addominali tesi.

– La gentilezza è un’arma a doppio taglio, Specter. Ti porta ad abbassare la guardia e a sottovalutare anche la più singola cosa che tu credi di conoscere bene… e tutto si trasforma in una pazzia che ci si trascina per anni sperando che le cose cambino nonostante s continui a commettere lo stesso miserabile errore–

– Sei criptica oggi – fece lui, dopo averla ascoltata in silenzio, accarezzandole il mento con un paio di dita – mi stai forse dicendo che hai tradito tuo padre approfittando della sua gentilezza? Indubbiamente avrai colto l’occasione giusta… ma personalmente non apprezzo questo atteggiamento, tanto che ti meriteresti una punizione. Tu che dici? –

Francamente parlando deSanta non aveva voglia di farsi mettere nuovamente le mani addosso da quella specie di “maschio dominante”, francamente parlando aveva già dato, tanto che lo spintonò via in malo modo una volta che tentò di baciarla.

Spectrus cadde a terra ma fu lesto a rialzarsi in piedi, piuttosto infastidito da quell’atteggiamento riluttante e poco sottomesso, e con uno sguardo ancor più freddo del solito volle dare una lezione a quella Deva cercando di catturarla per i polsi. Il risultato che ottenne fu solo parziale, poiché la donna si lasciò catturare con facilità ma solo per potergli assestare un calcio al ventre abbastanza forte da farlo spingere, assieme a lei poiché decisamente non mollò la presa sulla propria preda, fino in camera da letto dove ci fu una breve collutazione.

Tale lotta tutt’altro che leggera si concluse con l’inquisitrice seduta a cavalcioni sopra di lui, e non sarebbe stata neanche una brutta posizione se non fosse stato per i tatuaggi della donna che ora viaggiavano anche sul corpo di Spectrus con una furia tale da fargli digrignare i denti seccato per non riuscire a muoversi come avrebbe voluto.

– La conosci la definizione di pazzia, Specter? Vuoi che ti faccia un disegnino così che tu possa comprenderla appieno – il tono di Uriel si ridusse ad un sibilo serpentino, ostentando sicurezza nonostante stesse facendo fatica a tenerlo fermo – la pazzia è fare e rifare le stesse identiche cose, ogni giorno della propria miserabile esistenza, sperando che qualcosa cambi! No fraintendermi, devo molto a mio padre a partire dai suoi tatuaggi che ho ereditato geneticamente e dagli insegnamenti che mi ha trasmesso…ma la sua gentilezza nei miei confronti ha sempre rappresentato uno ostacolo nella mia integrazione con l’intero gruppo! Forse il suo era un modo per proteggermi dal suo stesso mondo de mierda, e ciò che ne è conseguito è stata una frattura nella sua stupida pazzia di stagnazione–

La situazione si ribaltò ancora quando Spectrus riuscì a liberarsi di quegli infidi serpenti stilizzati con un colpo di reni, strappandoli via dalle proprie carni e provocando come del dolore a Uriel pur non badandoci troppo, riuscendo dunque a bloccare la guerriera sotto di se scrutandone la figura dalla pelle ambrata ora resa brillante da una lieve patina di sudore. Era una donna a dir poco bellissima e indisponente, che non stava ai suoi giochi e non vi era nessun modo di imbrogliare con false promesse di amore eterno.

Era un vortice di sensazioni primordiali, le stesse che lo colsero come un fiume in piena nel momento stesso in cui fu lei a prendere l’iniziativa di baciarlo prepotentemente ben ricambiata nell’atto, ed era abbastanza potente da fargli dimenticare brevemente tutto il suo sproloquio su cose che lui aveva compiuto solo in parte. Spectrus era un grandissimo bugiardo, ma mai che avesse ingannato il proprio vecchio approfittando della sua gentilezza nei suoi confronti.

 

La verità era un’altra. Più nascosta e volutamente non detta poiché faceva parte di quell’emisfero di intimità che Uriel non si sarebbe mai permessa di rivelare a nessuno ne alle proprie colleghe, ne tantomeno ad amanti occasionali che non l’avrebbero capita a fondo perché… forse se li cercava troppo simili al suo vecchio. Tipo quello che ora le stava sfilando via gli shorts, impaziente di ricominciare i proprio gioco preferito con tutta la complicità della Deva stessa.

Taurus Truce deSanta, detto la Vipera Nera, era morto in prigione maledicendo la stessa figlia che aveva deciso di tradirlo facendolo arrestare dalle autorità dopo tanti anni di latitanza e massacri. Il vero motivo del tradimento di Uriel tuttavia non andava cercato nell’eccessiva accondiscendeva del padre che le manteneva un trattamento di favore all’interno del gruppo, quanto a qualcosa che non era mai riuscita a spiegarsi se non lasciandole degli atroci dubbi lungo l’intero arco della sua vita.

La Deva un tempo possedeva una amica… l’unica vera amica che avesse mai avuto per quanto il loro rapporto in apparenza fosse tutt’altro che roseo quantomeno dal suo stesso punto di vista. Una totale diversità di caratteri e opinioni, come il giorno e la notte, con Uriel ad essere una pessimista totale e lei a essere fin troppo ottimista per i suoi gusti. Eppure per quanti battibecchi potesse avere con quella ragazza così solare non poteva fare a meno della sua presenza per sentirsi in qualche modo normale e consona al mondo che la circondava. Una sorta di velo nero che la rendesse cieca alle bruttezze del mondo, e che si stemperò in una sola notte di tremenda distruzione fatta di fiamme dolose.

Lo stabile dove lavorava la ragazza aveva preso fuoco durante una notte afosa, quasi impermeabile, e le lingue di fuoco che uscivano dalle finestre spaccate avvolgendo le mura con il loro caldo abbraccio non permettendo a nessuno di accedere al suo interno per scoprire se ci fossero sopravvissuti oppure solo vittime.

Chi aveva appiccato quell’incendio? Un corto circuito oppure la mano di qualcuno?

Era un pensiero che aveva tormentato per un po’ deSanta, nutrendo forti sospetti che le fiamme fossero state guidate dalla volontà di Taurus convinto che la propria figlia potesse spingersi tra le braccia di una vita normale che poco si addiceva ad una futura mercenaria.

Ma tra le mani aveva, e avrebbe sempre e solo avuto, delle chiacchiere buone solo da raccontarsi se non si aveva niente di meglio da fare e non una verità che in fin dei conti avrebbe voluto cercare solo per sfizio.

Una verità che l’aveva spinta a lasciare quel mondo marcio, quella cittadina piena di miseria e corruzione, proprio come aveva fatto la sua stessa amica perita tra le fiamme.

Forse avrebbero lasciato quella cittadina assieme se tutta quella pazzia stagnante e ripetitiva non si fosse spezzata in una notte di agosto inoltrato, forse era questo il timore principale di Taurus per quanto si fosse dissociato da quell’evento anche nell’ultima lettera che aveva scritto a Uriel, ma ciononostante la ragazza aveva avuto modo di agire e cambiare il proprio destino dopo aver fatto il più brutto sogno della propria vita.

Così vivido e reale mentre osservava la propria amica di infanzia cercare di parlarle con un sorriso simile ad un ghigno, a causa delle fiamme che le avevano mangiato le palpebre e le labbra rendendo la sua carne scura come un tronco, nel mentre che la sua roca voce le diceva che sarebbe andata via per sempre da quel lurido posto senza conservare nessun tipo di rancore.

Fino a quel momento Uriel aveva creduto che il rapporto che la legava con quella fantomatica amica fosse qualcosa di assolutamente fievole come il lume di una candela, eppure, per quanto si sentisse stupida per aver dato retta ad un sogno tanto vivido da esserle sembrato quasi vero, mai come quella mattina che si era risvegliata con un paio di occhiaie di tutto rispetto aveva capito che quel sogno macabro altro non era che il suo subconscio che le diceva di destarsi da quella pazzia di gentilezza e di ripetizione che da troppo tempo la assillava.

Doveva agire. Doveva mollare tutto e ricominciare per il verso giusto prima di perdere completamente contatto con la realtà. Doveva farlo per lei, perché se non le avesse detto di andarsene molto probabilmente non se lo sarebbe mai perdonato.

 

Quello era il suo piccolo segreto, la sua scomoda verità, e mai si sarebbe permessa di rivelarla nella sua interezza quantomeno per quanto riguardava il suo coinvolgimento emotivo in quel sogno funesto. Aveva tradito suo padre sfruttando gli stessi insegnamenti che le aveva donato, e sfruttando quella sua gentilezza che persino nelle ultime righe della missiva che le aveva inviato traspariva con la sua volontà di non condannarla del tutto ma anzi, di complimentarsi con lei per averlo incastrato a dovere e colpirlo dove gli altri non lo avevano colpito.

Ma ora non era tempo di rivangare ulteriormente una infanzia tutt’altro che rosea, e il suo tributo alla vita lo avrebbe consumato a dovere anche, soprattutto, in onore del proprio vecchio. Molto probabilmente Specter non avrebbe gradito risvegliarsi in un letto dalle lenzuola sfatte e tutto solo, dopo tutta la fatica che aveva fatto per trovarla, ma quello non era un problema che riguardava Uriel.

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Capitolo 5
*** 5 ***


Ormai l’aveva lo aveva capito fin troppo chiaramente. Niamh stava cercando di evitarlo deliberatamente, nonostante quei due mesi di frequentazioni, per quanto lo avesse definito simile ad un… “amico” da molto tempo a questa parte, senza avere un senso logico per il giovane chojin.

Probabilmente Kevin Mask avrebbe lasciato perdere quella giovane un po’ strana, molto schiva e riservata ad essere onesti, se l’avesse incontrata quando ancora militava nella d.m.p e dunque quando ancora era preda di sentimenti tipicamente adolescenziali… ma attualmente la faccenda era diversa. Ad un certo punto della sua esistenza il giovanotto di origini inglesi aveva sentito la necessità di crescere e di non essere costantemente arrabbiato con il mondo, oltre che con suo padre, per non ritrovarsi per davvero a finire in mezzo ad una strada come aveva fatto all’età di otto anni.

Crescere lo aveva portato a guardare i suoi vecchi ideali con un’ottica diversa e a scrutare le persone con un occhio più incline ad osservarne le sfumature. Sia gli avversari che doveva affrontare sul ring durante la Corona Chojin, intenzionato a vincerla ad ogni costo, che quelle persone che lo circondavano quotidianamente.

Niamh era una ragazza fin troppo normale, anzi qualcuno avrebbe anche potuto pure prenderlo in giro perché si era invaghito di una fanciulla piuttosto “curvy”, e tuttavia quella sua normalità nell’affrontare la vita di tutti i giorni era stato il massimo catalizzatore per il ragazzo.

Non le sue forme generose, lo sguardo dolce o il carattere goffo e gentile. Ma quel suo silenzio teso, quel suo mandar giù ogni volta le brutture di questo mondo solo all’apparenza a testa china e sottomessa. Non era l’impressione che ne aveva avuto durante il suo primo incontro avvenuto nel grande mercato ortofrutticolo di Tokyo, ovviamente, e per quanto si fosse sentito in dovere di intervenire nell’episodio a cui aveva assistito la sua opinione nei suoi confronti non era cambiata.

 

Da quando Lord Flash, il suo attuale allenatore, era entrato nella sua vita molte cose erano cambiate. Si era già imposto di smetterla di fare il ragazzino pieno di rancore e paturnie varie, pur restando fermamente convinto nel non dare confidenza al proprio padre, ma se stava rigando dritto anche in fatto di alcoolici era anche grazie al sedicente nobile inglese che lo stava seguendo come un tutore.

Per quanto fosse severo era un uomo giusto e sapeva dargli i suoi spazi oltre che consigli saggi, tipo decidere di non essere “diretto” con Niamh fin dalla loro prima uscita e doveva ammettere che era stato meglio così, e se aveva reagito in modo onorevole al loro primo incontro senza ammazzare nessuno doveva tutto all’autocontrollo che quell’uomo gli aveva insegnato.

La prima volta che l’aveva incontrata era stato proprio nel suo attuale posto di lavoro, ossia nel chiostro di frutta e verdura che gestiva la sua famiglia, e se si trovava al mercato era per fare la spesa che Lord Flash gli aveva commissionato. In pratica solo roba fresca e tutto il cibo spazzatura mangiato fino a quel momento sarebbe stato solo un “triste ricordo”.

Quel giorno c’era solo lei a lavorare dietro il bancone, come avrebbe appreso più avanti di norma c’era sempre uno dei genitori o tutti e due, e i clienti prima di lui si stavano dimostrando alquanto molesti verso una ragazza che stava semplicemente facendo il proprio lavoro con una certa gentilezza.

“Dimmi un po’, ma riesci a muoverti li dietro senza andare a sbattere contro le casse?”

“Ma come? Non hai pensato di dimagrire da dopo la scuola?!”

“ahaha! Che culona!”

I tre teppisti da quattro soldi, ossia della razza che di norma scappa a gambe  levate quando qualcuno di più forte li fronteggia, erano degli ex compagni di classe della sventurata fanciulla che con una certa forza d’animo continuava a ignorarli mandando giù il nervoso. Il fatto che, una volta finita la scuola superiore, ognuno di loro avesse intrapreso strade diverse e diverse università non aveva impedito di perseverare nelle vecchie abitudini.

Abitudini queste che disgustarono profondamente il giovane Mask, che nella giovane fruttivendola vedeva solo una ragazza graziosa dallo sguardo indurito da quegli insulti gratuiti. E fu quello sguardo a sorprenderlo più di tutto il resto, nel suo essere dannatamente umano tra disgusto per quegli insulti ingiustificati  e il senso di colpa quasi istintivo nell’essere nata nel corpo, secondo i canoni estetici attuali, sbagliato. Fino a quel momento Kevin non si era più di tanto soffermato nell’osservare meglio una persona normale, in fin dei conti perché avrebbe dovuto farlo se delle altre persone non importava nulla?, ma grazie al fatto che stesse crescendo soprattutto con la testa aveva isto in lei tutta l’umanità che aveva rischiato di lasciarsi da parte fin da bambino.

Un senso di impotenza che in lui lo aveva portato quando era piccolo e “indifeso” di fronte ad un padre che non lo ascoltava e su cui solo lo sguardo duro di un figlio perfetto doveva dimostrargli tutto il suo dissenso, e che ora riconosceva in quello di Niamh decisamente impossibilitata ad avere ragione di tre teppisti che avrebbero potuto aggredirla da un momento all’altro.

Decise dunque di fare la sua mossa, anche in vece di componente della Muscle League, e di coprire con la propria ombra quei tre buoni a nulla che continuavano imperterriti nella loro opera demoralizzante. Anche se poi la ragazza li avesse cacciati via, e di questo Kevin era sicuro, quei tizi figli di papà sarebbero ritornati alla carica senza che qualcuno non avesse dato loro una sonora lezione. Logicamente non ci impiegò molto ad attirare l’attenzione, ed i tre logicamente sbiancarono dinnanzi a quello sguardo dorato piuttosto minaccioso.

“Perché non provato ad indovinare il mio di peso…? Su, coraggio! Dai che ci divertiamo assieme”

Immediatamente i tre teppistelli con la faccia da bravi ragazzi impallidirono nel trovarsi di fronte una minaccia ben più maggiore di una semplice fruttivendola inerme.

“uh… s-senti, amico! Noi non vogliamo guai, ok?!”

“io non sono vostro amico e per giunta mi state dando noia con la vostra codardia…– si avvicinò ulteriormente e questi ultimi si allontanarono dalla bancarella sotto lo sguardo stupefatto della giovane – vedete di andarvene e di non darle più fastidio, altrimenti sarò “costretto” – ma anche no – a spezzarvi tutte le ossa presenti in corpo”

I tre non ci misero molto a darsela a gambe levate come da previsione, qualcuno urtò persino una casa di rape marziane prendendosi gli insulti del venditore, e dopo quella patetica scenetta si rivolse alla venditrice per vederla… timidamente riconoscente quanto timorosa della sua forza.

“s-suppongo che dovrei ringraziarti… quindi si, ok…”

Niamh si maledì per la balbuzie che le era sopraggiunta dopo quella scarica di adrenalina nell’osservare la scena oltre che per gli insulti ricevuti, e forse proprio per quella sua tensione fin troppo evidente Kevin Mask decise di correre ai ripari temendo che il proprio gesto venisse frainteso.

“non c’è bisogno di ringraziarmi, non sopporto i gradassi e ora non ti daranno più fastidio. Quindi… non c’è problema se vengo sempre qui a fare la spesa, giusto?”

 

No, non c’era stato nessun problema nel volersi rifornire da lei quasi tutti i giorni, consumava parecchia verdura in base alle calorie consumate, ma ora il giovane lottatore iniziava a temere che quella sua dimostrazione di “forza” avesse terrorizzato la giovane tanto da renderla guardinga. Pertanto, ciò che stava leggendo al momento sul display del cellulare era un altro cortese “no” ad una semplice richiesta di uscire a bere qualcosa quella stessa sera.

Questo lo portò a grugnire in maniera sottile, anche perché da tempo la giovane di origini irlandesi aveva occupato un posto speciale nella sua testa e da quel giorno la sua curiosità verso quella donna si era tramutato in altro, e con una certa stizza buttò il telefonino sul tavolo della cucina meditando che la faccenda non sarebbe finita li.

Attualmente Kevin si trovava all’interno della propria casa, che condivideva con il suo allenatore, presa a Tokyo giusto per disputare tutto il torneo che si stava protraendo assai a lungo tutto a favore di un turismo crescente. Ormai era quasi mezzogiorno, ora di preparare il pranzo, e come se non bastasse oltre alle paturnie di un giovane innamorato c’era anche da mettere in considerazione il comportamento strano di mister Flash che ultimamente sembrava fare le ore piccole… alla faccia di chi gli faceva la morale su come comportarsi!

Dubitava che passasse tutto il suo tempo in compagnia di Turbinskii, altro lottatore che partecipava alla Corona Chojin e suo futuro sfidante con cui era meglio non dare confidenze, e stava iniziando a pensare che la compagnia che il suo allenatore frequentava fosse di tipo femminile.

Una prova? Gli era sembrato di vedere della biancheria femminile, delle mutandine di pizzo, all’interno del cestone della biancheria da lavare, proprio sotto una delle giacche del gentiluomo inglese. Ma poiché Lord Flash aveva tolto velocemente di mezzo tutta quella roba con la scusa di portarla alla lavanderia presente all’inizio della strada, forse intuendo che Kevin aveva notato qualcosa di strano da come osservava il cesto di vimini, la questione era morta li. Ah, senza contare quel piccolo episodio delle “pulizie straordinarie” in cucina su cui il giovanotto inglese aveva meditato a lungo senza ricavarci nulla. Aveva sentito dei rumori strani provenire dalla cucina, ma non si era dato pena di controllare come si deve ed era partito sgommando con la propria motocicletta con questioni più urgenti da risolvere.

Fu dunque solo a mezzogiorno che il suo allenatore si svegliò da quello che doveva essere stato un sonno piuttosto inquieto, anche se era al piano di sopra i suoi lamenti gli arrivarono solo lievemente attutiti e questo lo preoccupò un poco, e in poco tempo lo sentì scendere per le scale di legno con un passo decisamente prudente.

E la preoccupazione del giovane Mask si trasformò in perplessità quando il suo tutore entrò all’interno della cucina, vestito con la sua solita divisa anche se la giacca era un po’ sgualcita, segno che era andato a letto vestito, quasi zoppicando nel mentre che prendeva un sacchetto di ghiaccio dal freezer per poi sedersi con un lamento al tavolo della cucina.

Ed infine la sua perplessità si trasformò in indignazione vera e propria nell’osservare l’uomo portarsi delicatamente il ghiaccio ai genitali e li lasciarsi andare ad un prolungato sospiro di sollievo. Che vecchio porco… ma come? Prima gli fa tanto la morale sul non correre troppo con la ragazza che gli piace e poi eccolo li reduce da una serata fin troppo passionale dato che a malapena riusciva a reggersi in piedi! Ma stavolta lo avrebbe sentito, era tempo di chiarire tutti i misteri. O almeno quelli che interessavano un ragazzo preda degli ormoni e dei sentimenti.

– Tzk, vedo che te la sei spassata alla grande ieri sera! – fece aspramente Kevin Mask incrociando le braccia al petto – e poi dici a me di tenere placati i bollenti spiriti! Da che pulpito viene la predica! –

Per un breve momento Lord Flash guardò come estraniato il proprio allievo, tenendosi comunque la borsa del ghiaccio sui gioielli di famiglia infiammati, e dal momento che la mente era ancora offuscata dal troppo dolore volle chiedere chiarimenti all’allievo furioso.

– Figliolo… n-non capisco di cosa tu stia parlando! Sii più chiaro e urla di meno per piacer…–

– Tu hai fatto sesso! Ecco cosa c’è! Dici a me di non alzare troppo la posta con Niamh e poi tu chissà con che donna vai per star fuori tutta la notte e ritornare con il pacco in fiamme!–

La voce di Kevin Mask fuoriuscì aspra e tagliente attraverso l’elmo metallico di foggia medioevale sempre ben calcato in testa, e per quanto fosse adirato con il proprio maestro era riuscito comunque a non incappare in epiteti poco carini che gli sarebbero valsi qualche dolorosa punizione. Tuttavia tutto quel lungo rimprovero dettato velocemente lasciò per un breve momento come basito un Warsman con indosso abiti diversi dal solito, questo perché aveva una missione in “incognito” da svolgere, e si ritrovò dunque a sbattere più volte le palpebre nell’atto di comprendere meglio tutto quel pericoloso discorso. Per un attimo il chojin aveva temuto che Kevin lo avesse scoperto e che dunque non avrebbe più potuto insegnargli le tecniche della famiglia Mask, ma poi comprese che si trattava di un imbarazzante equivoco dato il suo stato di salute piuttosto ambiguo.

– Che… che cosa?! Oh, andiamo! Io non ho fatto sesso con nessuno! Su che basi dici una simile fesseria?! –

“A dir la verità ho fatto sesso l’altra sera…”

– E pretendi che ti creda?? – ora la voce del giovanotto inglese si fece più isterica pensando ad un’ovvia presa in giro– guarda come sei ridotto! Dimmi allora come fai ad avere i genitali in uno stato così pietoso da doverci mettere del ghiaccio sopra! E per di più mancano dei profilattici nella scatola in bagno… fai un po’ tu su cosa dovrei credere! –

“Ho fatto cose che non ho mai immaginato di fare neppure con Katya! Mi duole ammetterlo ma ne sono uscito soddisfatto”

Benchè comprendesse il risentimento del povero Kevin, quasi “costretto” a rimanere a secco tra allenamenti e insegnamenti che lo stavano portando ad essere più cavalleresco anche con le ragazze, proprio non riusciva a non fare pensieri piuttosto bastardi riguardo al fatto che avesse trovato una compagnia piuttosto irriverente quanto dannatamente divertente sotto certi punti di vista. Si, aveva trovato anche lui una ragazza a Tokyo… ma si trattava prettamente di una partner di ballo, piccolo hobby che il russo aveva sempre adorato, anche se qualche volta finivano col fare altro in via privata. E poi non era niente di che a parte il fatto che la si poteva definire come una inimicizia con risvolti professionali oltre che carnali… indispensabile insomma, ma fino ad un certo punto.

– Ehm… Kevin, lascia che ti dica una cosa – ora lo sguardo dell’anziano lottatore si fece più tranquillo nell’aver compreso la gelosia del proprio allievo – con tutta probabilità se mancano dei preservativi alla tua scatola è perché c’è crisi e dunque i produttori ne mettono di meno – no, balle. Ne aveva scroccati un paio lui – e se sono in queste condizioni è perché… mi imbarazza dirlo, ma ieri sera al pub ho provato ad assaggiare l’urina di drago…–

Il suo breve discorso parve convincere Kevin Mask delle sue buone azioni, a riprova che Warsman fosse un buon oratore, arrivando ad abbassare il livello di collera tanto da accantonare da un lato tutta la questione “uscite galanti” per saperne di più su quella misteriosa bevanda.

– Urina di drago? Stai scherzando spero… non ho mai sentito parlare di qualcosa di simile! –

Il russo si lasciò andare ad una stanca, e ironica, risata prima di dare delucidazioni ad un giovanotto quasi del tutto ammansito – ragazzo mio vorrei non averne sentito parlare nemmeno io a questo punto… ma la mia curiosità mi ha spinto a provarlo, dato che il barista mi ha detto che era appena arrivato un nuovo acquisto dalla nebulosa di Orione, e ti posso garantire che ha il suo perché del nome… uff…– si premette maggiormente il ghiaccio contro i genitali, ritrovando poi la forza di parlare nuovamente – in pratica è un liquore potentissimo che invece di bruciarti lo stomaco ti brucia la vescica… e come puoi intuire non è piacevole quando poi devi andare in bagno! –

Questa volta non aveva mentito al proprio allievo, per quante cose imbarazzanti stesse nascondendo al figlio primogenito di Robin Mask, suo ex maestro, stavolta non aveva nulla da nascondere  e pertanto tanto valeva raccontare per davvero la bravata che aveva combinato durante la sera e che lo aveva poi tormentato per tutta la notte con forti dolori tanto da portarlo a prendere sonno solo verso la tarda mattinata.

– Dunque… è così che è andata? Nient’altro? –

– Nient’altro Kevin… solo, ho bisogno urgentemente di una tisana alla malva prima che la mia vescica scoppi! –

Vedendo l’ex lottatore per davvero sofferente al rampollo di casa Mask non rimase altro da fare che accontentarlo immediatamente per evitare che la situazione si aggravasse ancora di più. Ma se avesse saputo la verità molto probabilmente qualche sporco epiteto lo avrebbe lanciato contro il proprio allenatore.

 

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Il volo diretto da Tokyo a Londra stava viaggiando spedito tra gli sconfinati cieli terrestri senza che una turbolenza che fosse una disturbasse i passeggeri presenti. Merito della tecnologia di casa Lancaster e del fatto che l’aereo fosse di proprietà della marchesa Emerald Lancaster, figlia del famoso miliardario nonché ex lottatore, e per tal motivo si trattava di un veicolo con tutti i confort necessari per i suoi esigenti passeggeri.

Passeggeri molto particolari in effetti, in fuga da una città divenuta improvvisamente inospitale per i lottatori della Muscle League e tutti diretti verso Londra per assistere, in via ufficiale, alle nozze del secolo di una vecchia leggenda del wrestling.

Ma non tutti i passeggeri si stavano dilettando con le vivande gentilmente offerte dalla proprietaria dell’aereo, e due individui piuttosto cupi erano seduti in disparte, l’uno di fronte all’altro separati unicamente da un basso tavolino con sopra due calici di champagne frizzante, nell’atto di contemplare il panorama di alcune vette innevate che si intravedevano dal finestrino.

– Tzk… “non faccio sesso con nessuno, Kevin” diceva… “non ti ho preso i preservativi” diceva…–

– Oh, senti! Siamo o non siamo vivi grazie a lei? Direi che questo dovrebbe essere la tua ultima preoccupazione–

Per ovvi motivi Lord Flash si sentiva a disagio, oltre che in profondo imbarazzo, dinnanzi ad un allievo che aveva scoperto in malo modo la sua sottospecie di relazione che aveva con la Lancaster, che attualmente stava ridendo vedendo Kid Muscle fare il cretino in compagnia di tutti gli altri che o ridevano o lo rimproveravano bonariamente, ma che sembrava solo lievemente deluso anziché incazzato a morte con lui.

– Hm, suppongo che tu abbia ragione… in fin dei conti ci ha salvato la vita e devo ammettere che è una ragazza n gamba – il giovanotto di nobili origini accavallò le gambe ed osservò anche lui l’atipica scenetta vicino all’angolo bar – devo ammettere che mi sarei aspettato pure io una maggiore incazzatura nei tuoi confronti, ma alla fine devo riscontrare che su certi aspetti sei simile a mio padre... cioè un vecchio porco che sbava dietro alle ragazzine–

Lo disse con tono un po’ cinico oltre che ironico, proprio mentre la risata scema di Emerald Lancaster arrivava fino a loro due e causata da una esibizione piuttosto grottesca del principe dei kinnikku, e a quel punto il russo potè trarre un piccolo sospiro di sollievo notando che Kevin gli aveva tollerato quel suo piccolo segreto a causa delle loro vite salvate in extremis da una eccentrica ereditiera.

Restava un altro segreto celato al rampollo di casa Mask… e Lord Flash pregò interiormente che anche quello sulla sua vera identità non cadesse precocemente così come era caduto quello su Emerald e sulle loro serate brave. Ma per il momento era il caso di berci sopra lo champagne che due minuti prima era stato generosamente offerto loro dal sommelier di volo.

 

 

 

Un po’ di nostalgia time per questo capitolo :D avevo bisogno di scrivere qualcosa di più leggero, ma prometto di riprendere anche con la longfic!

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