a tales of brave women, and silly men di vermissen_stern (/viewuser.php?uid=234591)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 1 *** 1 ***
Non ho molto da
dire su questa mini
oneshot se non che doveva essere per il giorno di San Valentino,
benchè io non
l’ho mai festeggiato ( non è una festa ma una
ricorrenza, e comunque se si è
innamorati è San Valentino tutto l’anno ) ed
ovviamente l’ho pure pubblicata in
ritardo! Se avete letto Reignite non dovreste sorprendervi del regalo
di
fidanzamento che Robin ha fatto ad Alya, però volevo
raccontare con i suoi
occhi il motivo di quel regalo. Ecco tutto. Ps: pensavo che
da questa potesse nascere una raccolta discontinua sulle
lettere dell'alfabeto... ma non ne sono molto sicura.
Erano
più o meno venti anni che non
festeggiava più quella ridicola festa. E francamente
parlando non ne aveva mai
visto il motivo in tutti quegli anni di solitudine spesi ad allenare un
figlio
ingrato.
Nel corso
dell’ultimo secolo la festa
di San Valentino aveva gradualmente perso il suo significato originale
a favore
di una concettualistica molto più consumistica e…
irrimediabilmente
superficiale sotto ogni punto di vista. In fin dei conti che senso
aveva per
lui, un lupo solitario incattivito dalla solitudine e
dall’aver commesso una
serie di errori che avevano portato la sua dolce metà a
lasciarlo in un modo
piuttosto traumatico per un uomo come lui, continuare a seguire una
ricorrenza
a dir poco stupida se si considerava che doveva essere San Valentino
tutti i
giorni se si era davvero innamorati?
Robin Mask era
fatto così, si dava la
colpa di molte cose ma mai che lo ammettesse pubblicamente. E il fatto
che quel
giorno cadesse la festa degli innamorati non faceva altro che renderlo
ancora
più nervoso. Con Alisa aveva avuto modo più
è più volte di festeggiare quella
ricorrenza al tempo che fu decisamente piacevole per entrambi, ora
però che era
vecchio aveva deciso di non rimanere dentro la propria dimora ad
ammuffire per
il resto della sua vita come si era ripromesso dalla morte della moglie
ma
anzi, riprovare a vivere con una donna che poteva essere sua figlia.
Si sentiva un
idiota, e tuttavia non
riusciva a fare a meno di quel rapporto che era nato con la sua nuova
compagna.
La definiva così, non riuscendosene a vergognare nonostante
l’ovvia divergenza
di età.
Alya Nikolaevna
Kalinina era una
ragazza giovane eppure incredibilmente matura nonostante la sua
età di quasi
ventisei anni di vita, e in tutti quei mesi di frequentazione non aveva
mai
dato segno di essere interessata più ai suoi soldi che alla
sua persona vera e
propria. Era una creatura a suo modo fantastica sebbene il loro primo
approccio
fosse stato disastroso tanto che Robin era riuscito a far cacciare la
dottoressa dalla Scuola di Ercole, era stato cieco a giudicarla una
meretrice
solo perché esponente di una razza aliena di sole donne, con
tutte le
chiacchiere che potevano esserci sulle Deva lui aveva sempre dato
credito alle
peggiori da sempre radicate nella sua famiglia, vergognandosi come un
ladro di
tutti quei misfatti anche dopo che era riuscito a farci amicizia nel
vero senso
della parola.
Un rapporto nato
a poco a poco e con
non poche difficoltà, andava detto anche perché
il Mask aveva un pessimo
carattere orgoglioso quando ci si metteva, ed invero a prescindere di
un inizio
alquanto dubbioso nessuno dei due si sarebbe aspettato un simile
sbocciare di
sentimenti.
Erano una coppia
consolidata,
nonostante i pettegolezzi tra i nobili d’Inghilterra non
sempre molto gentili,
in particolare con Alya tanto da farla desistere dall’andare
al Club di Cricket
per non subire altre velate insinuazioni che non fossero
sull’adattabilità
sessuale delle Deva compatibili con un cavallo.
Decisamente di
cattivo gusto e Robin
stesso doveva riconoscerglielo, neppure lui l’aveva presa
bene tanto che aveva
disdetto la sua donazione al club dopo aver trovato la giovane donna in
lacrime
per il troppo nervoso accumulato, eppure ora si sentiva un idiota al
pari di quei
nobilucci da due soldi.
Dopo mesi di
frequentazioni aveva
deciso di fare il “grande salto” chiedendole
ufficialmente di essere la sua
fidanzata, e dunque sua promessa moglie, senza tener conto di quello
che magari
lei avrebbe voluto veramente avendo dunque una certa percentuale di
fallimento
nella sua missione. E casualmente questa sua proposta cadeva proprio
nel giorno
del santo protettore degli innamorati senza che lui se ne fosse
minimamente
accorto.
L’ex
lottatore si ritrovò a deglutire
dentro l’elmo di metallo argentato, infilando di istinto la
mano destra nella
tasca dei pantaloni per poter stringere lievemente il piccolo cofanetto
argentato contenente il suo pegno d’amore per lei,
si… amore, anche se sembrava
una parola inaudita per un uomo come lui, e trovare così un
po’ più di
tranquillità interiore.
Attualmente si
trovava a casa della
sua giovane compagna e avevano appena concluso una cena piuttosto
soddisfacente, nonostante Alya stessa aveva confessato di non essere
stata
capace di cuocere decentemente l’aragosta, ed ora si era
giunti alla
degustazione di alcoolici anche se nella piccola casa londinese della
dottoressa non è che ce ne fossero in abbondanza. In fin dei
conti Alya era
ospite di sua cugina Alana, e di conseguenza si doveva attenere alle,
poche,
regole di casa senza che queste le abbiano mai dato dei problemi.
La ragazza stava
iniziando a
frequentare poco la casa che l’aveva ospitata per tutto
l’arco dell’università
e molto tempo lo passava ormai nella dimora di Robin tanto da aver
trasferito
alcuni suoi effetti personali proprio lì, ma era anche
giusto che qualche cena
la consumassero anche in quel luogo visto e considerato che non si
trovava
certo in un quartiere malfamato. A parte quella piccola nota nostalgica
era
stata molto più preoccupata di aver in qualche modo sfornato
manicaretti poco
gustosi, non si reputava un’ottima cuoca quantomeno non di
quella terrestre, e
se proprio la cena aveva un pessimo sapore avrebbe cancellato il tutto
con del
cognac trovato in fondo alla vetrinetta degli alcoolici.
Ma a parte
quella piccola, ed
inutile, preoccupazione puerile doveva ammettere che probabilmente non
era la
cena ad aver colpito “negativamente” Robin Mask. Il
suo compagno emanava un’aura
piuttosto strana come se fosse preoccupato da qualcosa ignoto alla
dottoressa,
le era sembrato distratto durante la conversazione avvenuta a tavola e
magari
si stava sbagliando su tutta la linea ma magari il compagno stava
macinando
qualcosa di poco piacevole. Che stesse progettando di…
lasciarla?
Per la Dea,
sperava che non avesse
una simile intenzione di spezzarle il cuore proprio adesso, per quanto
mantenesse una certa “freddezza” ereditata dal
padre sapeva gestirsi in una
relazione sentimentale, anche perché in fin dei conti cosa
c’era che non andava
nel loro rapporto? La divergenza di età forse?
Per Alya non era
mai stato un
problema, in aggiunta era oltretutto un chojin e in quanto tale la sua
età
biologica era più vicina a quella di un quarantenne che a un
sessantenne, per
quanto ne avessero già discusso ampiamente già a
inizio del loro rapporto lei
non aveva mai mostrato segni di indecisione. E Robin, per quanto
riguardava la
sfera intima, non le sembrava poi così astioso nel possedere
una ragazza
piuttosto giovane nel proprio talamo. Quindi cosa le stava nascondendo
ora l’ex
lottatore?
– Ho
trovato del cognac in fondo
all’armadietto… ti va di berne un bicchierino,
oppure sei troppo turbato da
qualcosa? –
Era riuscita a
beccarlo in flagranza
di reato e lo vide chiaramente sussultare sul divanetto , senza
però percepire
in lui nulla che la portasse a concretizzare i suoi timori di una
repentina
separazione ma anzi… lo vide alzarsi titubante e fu quasi
sicura che sotto l’elmo
fosse addirittura arrossito.
–
Uh… e-ecco, Alya… io…–
– Non
c’è motivo che tu ti metta a
balbettare, visto che non mi risulta che tu sia affetto da balbuzie
–
Fu
più gelida del normale nel pronunciare
quelle parole, ma era già passata attraverso una cocente
delusione sentimentale
che le era quasi giocata la laurea e non voleva trovarsi nuovamente con
il
morale a terra per essere stata in qualche modo sfruttata proprio come
per la
terrestre di cui si era invaghita.
– Non
è balbuzie la mia! – rispose
seccato il chojin abbastanza indisposto a quel tono gelido –
ma piuttosto non
so decidere che parole usare per chiederti quello che
vorrei… chiederti. Ecco
tutto–
– Beh,
prova a dirlo con parole
semplici allora –
Lo disse con una
punta perplessità
anche perché tutto si aspettava meno che il compagno volesse
chiederle qualcosa
che sembrava metterlo davvero in
difficoltà. Poi fu ancora più perplessa quando lo
vide seguire il suo consiglio
infilando la mano destra all’interno della tasca dei
pantaloni del suo completo
rigorosamente firmato Armani. Elmo di ferro a parte era un uomo che ci
teneva
allo stile, contrariamente ad Alya che si vestiva sempre in modo
sobrio, e
anche ciò che estrasse da suddetta tasca avrebbe avuto il
potere di
sorprenderla non poco una volta scoperta la sorpresa contenuta.
Per un breve
momento avvertì il
proprio cuore sussultare lievemente di fronte a quella scatolina
argentata che
quasi scompariva nella grande mano del compagno. Aveva sentito dire, e
visto
anche nei film in televisione, che i terresti avevano
l’usanza di regalare al
proprio partner di vita un pegno che dimostrava il loro legame che
sanciva il
cosiddetto fidanzamento e poi il successivo matrimonio. Su Amazon, suo
pianeta
natale, il cosiddetto matrimonio non era una opzione contemplata dalle
coppie
preferendo altre forme di convivenza meno drastiche… ma era
pur vero che sulla
Terra funzionava in modo differente a come funzionava dalle sue parti,
ed il
matrimonio poteva essere sciolto con molta più
facilità.
–
Robin… Cosa…?–
–
Prima che tu lo apra, sappi che rispetterò
ogni tua decisione in merito… ma non voglio che tu ti faccia
strane idee sul
suo contenuto per via della sua, ehm, forma.
Ok? –
Le sue parole
suonarono alquanto
sibilline per la Deva, sempre più confusa per quel gesto
inaspettato, ma la sua
aspettativa di trovare un anello che chiedeva di sancire un rapporto
per lei
piuttosto importante fu decisamente delusa.
Si
ritrovò momentaneamente a
trattenere il respiro, istintivamente e come una ragazzina alla sua
“prima
cotta”, quando sollevò il piccolo coperchio della
scatolina per trovarci tutto fuorché
un semplice anello. Inarcò un sopracciglio nel trovarsi
quello che era un unico
orecchino dalla forma inconsueta ma che assunse connotati ben
conosciuti per la
giovane dottoressa in quanto ne possedeva uno identico anche lei. Anche
se meno
prezioso.
Era un piercing.
Dalla forma di una
stanghetta semicurva e con due sfere di platino tempestate di diamanti,
ciononostante non di aspetto pacchiano, principalmente usato per punti
del
corpo delicati come ad esempio sul seno… esattamente come
nel suo caso.
–
Oh… davvero un dono singolare –
continuò ad avere un sopracciglio inarcato ma al tempo
stesso iniziò a
sorridere lievemente – suppongo che un anello sarebbe stato
troppo consueto per
un uomo come te, visto l’originalità di un solo
orecchino–
Non era
arrabbiata per quell’insolito
regalo, che parlava più di mille parole e lasciava ben
intendere perché Robin
Mask fosse così a disagio, quanto
decisamente curiosa di sapere la sua spiegazione per un pegno
d’amore così
insolito e anticonvenzionale.
– Non
fare quel sorrisetto malizioso,
donna! Se ho deciso di farti questo regalo non è solo
perché porti un piercing
in un posto indecente…–
Lo disse senza
reale convinzione e
questo portò un sorriso ancor più sarcastico sul
giovane volto della compagna,
tanto che dovette schiarirsi la gola, incredibilmente secca per un
momento
piuttosto teso, prima di giustificarsi come si deve nei suoi confronti.
–
…Ma per quello che simboleggia per
te – lo disse piano, temendo di rivangare dei ricordi
dolorosi per Alya visto
che gli aveva raccontato il motivo di quel piercing al seno –
so che te lo sei
fatto fare subito dopo una delusione amorosa piuttosto squallida, e so
che lo
hai fatto per esorcizzare il dolore di un inganno tanto meschino qual
è essere
sfruttati unicamente per ottenere un fine ingiusto come…
beh, cercare di
rubarti la tesi di laurea. Un dolore fisico discreto e nascosto, vero,
che in
un certo qual modo ti ha dato la forza di continuare pur ricordandoti
costantemente di quell’episodio… con questo dono
non ti sto solo chiedendo di
essere ufficialmente la mia
fidanzata,
ma di considerarlo come un nuovo inizio per entrambi… non
deve significare per
forza un ricordo doloroso, Alya–
Era una cosa
sorprendentemente romantica
per un uomo come lui da sempre poco disposto ad aprirsi
sentimentalmente con
qualcuno, quantomeno non da quando la prima moglie era venuta a mancare
senza
contare il pessimo rapporto con Kevin, e il fatto che le avesse chiesto
di
essere ufficialmente la sua compagna e di dare una nuova forma a quel
dolore
simile ad una freccia in un fianco non poteva che renderla
più felice.
Il loro non era
un rapporto idilliaco
e perfetto ma normale, come quello di molte altre coppie, nella sua
quotidianità e nei suoi battibecchi. Era lui che aveva
scelto come proprio
compagno nonostante tutte le difficoltà iniziali, ed era
sempre lui che aveva
deciso di compiere un passo coraggioso infischiandosene delle possibili
malelingue che avrebbero continuato a giungere da ogni dove ogni qual
volta i
due avrebbero messo un piede fuori casa.
– Io
credo… che forse il modo
migliore di ringraziarti sia di indossarlo
immediatamente, giusto? –
Lo disse con una
punta maliziosa
ritrovandosi a sorridere con una certa complicità al
compagno, con quest’ultimo
che colse al volo il suo “grazie” velato anche se
pienamente soddisfatta della
proposta fatta con un “si” silenzioso ma grande
come una casa.
Robin si
sentì di nuovo come venti
anni fa, stranamente felice dentro e tutt’altro che
imbarazzato per quella
proposta fatta con il più inconsueto dei regali, tentato a
più non posso di
attirarsi la giovane compagna vicino a se passandole una mano dietro la
schiena. I suoi timori si erano stemperati quasi subito e la sua
spiegazione
riguardo quel regalo a sorpresa decisamente aveva sortito il suo
effetto
nonostante l’ovvio imbarazzo iniziale. Quindi, la sua serata
non poteva che
concludersi con la giusta conclusione.
– Io esigo che tu lo indossa immediatamente,
donna. E se qualcuno ti
chiederà del tuo anello di fidanzamento digli pure che lo
tieni vicino al cuore –
E no, San
Valentino qui non centrava
proprio nulla.
( … )
A svegliarlo non
furono i classici
cinguettii dei fringuelli fuori dalla finestra ancora chiusa o i tenui
raggi
arancioni di un sole che stava nascendo oltre i tetti delle villette
londinesi.
A destarlo da quel sonno profondo fu il sentore di un odore a lui
conosciuto
che richiamava a momenti intimi vissuti neanche un’ora prima.
Forse era troppo
vecchio per
concedersi ai piaceri della carne con una intensità tale da
proseguire per una
lunga notte, ma quello era stato un avvenimento importante per tutti e
due e
non si era tirato indietro in un qualcosa che andava ben oltre il
semplice
divertimento.
Quando
aprì gli occhi in quella
stanza immersa in una scura penombra ciò che
cercò fu la sagoma di Alya che
riposava profondamente accanto a lui, riuscendo a girarsi lentamente
sul fianco
destro per poterla osservare meglio nel suo sonno profondo.
Avevano speso
una notte a cercarsi
tra quelle lenzuola umide, lottando in una danza primordiale persi
l’uno tra le
braccia dell’altra ove i segni ancora erano ben visibili
sulla loro pelle.
La dottoressa
gli aveva graffiato gli
avambracci portandolo ad impazzire di desiderio ogni qual volta ella
fingeva di
volerlo allontanare da se per poi riaccoglierlo tra le proprie braccia,
sentendolo respirare in un sibilo quasi animalesco mentre si spingeva
in lei
con gesti fluidi ed esigenti, venendo ricambiata in quel gesto di pura
frustrazione in morsi decisi sulla sua candida pelle. Pur non essendo
dolorosi
ovviamente, avevano comunque lasciato dei piccoli segni rossi sulla sua
carne
giovane in particolar modo sul collo e sui seni.
No, non era
pentito di essersi dato
alla passione sfrenata in quella lunga notte, ma non si
ritrovò comunque a
sorridere come avrebbe creduto.
Con occhi velati
di stanchezza,
liberi da un elmo medioevale che ora riposava ai piedi del letto,
l’ex
lottatore si trovò a seguire il respiro della compagna
così lento e ritmico
mentre la sua pelle iniziava ad asciugarsi di quella patina di sudore
formatasi
dopo l’attività del loro ultimo amplesso.
Seguì
la dolce curva dei suoi seni,
dove su uno di essi spiccava il regalo che le aveva fatto quella stessa
sera,
poi proseguì verso il basso notando il suo ventre abbassarsi
lievemente pure
lui al ritmo di una respirazione dolce e rilassata, seguendo rapito le
sue
piccole gocce di sudore contaminarsi con altrettante gocce di candido
seme che
scivolavano via verso l’esterno del suo bacino. Rimasugli
della passione del
suo compagno, ora prosciugato dall’euforia e molto
più concentrato verso il
proprio futuro. Il loro futuro.
Lentamente
poggiò una mano sul ventre
della giovane Deva percependo con più intimità il
suo dolce respiro risalendo
poi delicatamente tutta la sua siluette, sfiorandola come se fosse
stata un
fiore delicato, fino a giungere ad accarezzarle una guancia con un paio
di nocche
riuscendo così a destarla da quel breve sonno.
Un velo di
stanchezza circondava gli
occhi di ghiaccio di Alya, lo stesso tipo di stanchezza ben visibile
negli
occhi di Robin seppur intrisi di una nota di appagamento, ma nonostante
l’ovvia
spossatezza fisica trovò comunque la forza di sorridergli
lievemente nel mentre
che si girava su un fianco scrutandolo senza aggiungere nessuna parola
di buon
giorno. Non ce n’era bisogno, ed il chojin poteva ben vedere
come nei suoi
occhi freddi vi era tutt’altro che un freddo astioso.
Robin Mask
ancora non sapeva come
dirlo a Kevin, che parole usare per comunicargli una notizia tanto
importante
come quella di un fidanzamento ufficiale, ma probabilmente
quell’ostinato
ragazzo, orgoglioso come suo padre, l’avrebbe saputo solo
all’ultimo minuto
dopo aver rifiutato le più elementari telefonate con il
proprio vecchio.
Entrambi comunque, sia lui che
la sua
attuale compagna, erano ben a conoscenza del percorso in salita che
ancora li
attendeva da dopo quel loro risveglio. Ma l’importante era
che da adesso in poi
avrebbero avuto quella strada da percorrere rigorosamente assieme.
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Capitolo 2 *** 2 ***
Stava andando
tutto secondo i piani.
O quantomeno l’inizio era buono già per il suo
primo incontro con il ragazzo
avvenuto proprio in Inghilterra.
Quando voleva
Warsman sapeva essere
persuasivo, non che ci voleva molto per uno come lui dato che era un
buon
oratore, e convincere Kevin Mask a seguirlo nelle sue discipline si era
dimostrato abbastanza facile.
Certo, aveva
dovuto sfidarlo in
combattimento perché il ragazzo, testardamente anche se
tentato dalle sue
parole, non aveva voluto seguirlo senza una dimostrazione a livello
pratico
delle sue conoscenze. Certo, aveva vinto senza non poche
difficoltà vista la
divergenza di età tra i due, lui sessantenne mentre il
giovane allievo poco più
che ventenne, ma aveva ottenuto la sua fiducia incondizionata ed era
questo che
contava più di ogni altra cosa.
Era logico che
sotto la candida
maschera, che portava al posto di quella nera, si celasse una
espressione
soddisfatta sul volto martoriato per aver ottenuto già la
prima tappa nel
ripagare Robin Mask per tutto ciò che aveva fatto per lui.
Il primo passo era
stato ottenuto, il secondo era di riuscire a mantenere la sua
identità segreta
con l’alias che si era creato ( come Lord Flash era risultato
essere piuttosto
convincente e non aveva destato sospetti ) e come ultimo avrebbe dovuto
far
vincere il titolo della Corona Chojin al suo pupillo per riportare
lustro alla
famiglia Mask.
Attualmente si
erano appena
trasferiti in Giappone, luogo in cui si sarebbe tenuta la competizione,
e come
da progetto si era fatto recapitare in un secondo momento i due manuali
sulle
tecniche di combattimento dei Mask. Un volume da sempre per suo stesso
uso, un
altro da consegnare a Kevin quando i tempi saranno stati abbastanza
maturi e il
ragazzo meno riottoso a seguire gli insegnamenti del detestato padre.
Tra
l’altro… chissà come se la
passava il suo vecchio maestro? Gli era sembrato di vederlo piuttosto
sereno
quando si erano incontrati a Londra per accordarsi su quella sua
missione in
incognito, che aveva stupito non poco Robin e questo bisognava
ammetterlo, ma
magari era semplicemente felice di sapere che il suo unico figlio a
breve
sarebbe stato riportato sulla retta via. Ad ogni modo nulla era
paragonabile
alla sua soddisfazione personale di avere finalmente tra le mani quei
due
preziosi libri ben protetti nella valigetta di metallo che attualmente
stava
trasportando verso casa.
Non si era
fidato di portarseli
dietro per il suo arrivo a Tokyo assieme al proprio pupillo, preferendo
sviare
possibili pedinamenti, la prudenza non era mai troppa anche se al
limite della
paranoia, facendoseli recapitare ad una casella di posta ben
impacchettati come
un “bagaglio a mano smarrito”. E appena ricevuta la
telefonata dell’arrivo di
quel prezioso bagaglio aveva ben pensato di ritirarlo quella sera
stessa così
da potersi mettere fin da subito all’opera. Tra
l’altro non aveva neppure
dovuto inventarsi una scusa da usare con il proprio allievo nel momento
che
usciva di casa per una cosa, in fin dei conti, genuinamente vera.
Ma a Tokyo non
possedeva un mezzo di locomozione
personale come ce li aveva ad esempio Kevin, guai a separarsi dalla
proprio
motocicletta, pertanto era stato un po’ difficile trovare un
autobus alle sette
e mezza di sera che non andasse in deposito. A quanto pare il traffico
si
regolava in base ai quartieri che si attraversava, ma logicamente non
era
intenzionato di farsi tutta la strada di casa a piedi e men che meno
mettersi a
correre per le strade con una valigetta in mano. Non voleva attirarsi
l’attenzione
addosso già per il fatto che le strade della
città sciamavano di chojin e
pertanto c’era una certa tensione nell’aria
quantomeno per il primo periodo
della competizione, quindi era il caso di comportarsi come un
gentiluomo
inglese qual era e di prendere
l’ultimo
autobus disponibile presso la prima fermata vicino al magazzino in cui
aveva
ritirato il pacco.
Si trovava in
una zona piuttosto
periferica di Tokyo, piena di magazzini e qualche palazzina
disabitata… per
quanto possa essere “degradato” un quartiere della
capitale nipponica forse
quello era da ricondurre ad un posto da non frequentare la sera per
quanto non
ci fosse praticamente nessuno nei paraggi, abbastanza lontana dalla
zona
residenziale in cui ora viveva assieme a Kevin. Un bel posto rispetto a
quello
dov’era ora, non che avesse paura di malintenzionati dato che
sapeva
difendersi, e la compagnia disponibile nell’attesa di un
autobus che non si
decideva a giungere non era affatto delle più gradevoli.
I sensori
olfattivi di Warsman
registrarono con un certo disgusto il pungente profumo della
“signora della
notte” che attendeva sotto il lampione poco lontano a dove si
trovava lui l’arrivo
di possibili clienti, se ne era dato troppo e apparteneva ad una marca
scadente, e in generale tutta la sua persona aveva un aspetto
decisamente
vissuto.
Avrà
avuto più o meno la sua età e al
massimo gliene dava sessantacinque, ed indossava un top rosso fuoco ed
una
minigonna nera che non riusciva ad esaltare le esili forme della donna.
Una ricrescita
scura lasciava intendere che la donna non era veramente bionda e tutto
il
trucco che aveva in volto le stava rovinando la pelle rendendola secca
e
disidratata.
Probabilmente a
devastarla fisicamente
ci aveva pensato il suo lavoro piuttosto
“usurante”, ma il suo sguardo era
fiero e gli occhi castani brillavano di una luce cinica pronta alla
battuta
facile… proprio come si apprestò a fare una volta
che si accorse che Lord Flash
la stava analizzando di sottecchi.
– Fanno 4068 yen
tesoro… se vuoi il
pacchetto completo sono 6780 yen senza sconto, eh! –
– Uh…
no, no grazie. Vado di fretta, signora–
Non aveva voglia
di iniziare una
conversazione con quella attempata lavoratrice notturna, che ora si era
voltata
per osservare meglio un possibile cliente o più
semplicemente un uomo da
sfottere visto il modo critico con cui l’aveva scrutata, ma
l’autobus tardava
ad arrivare e quella aveva ancora voglia di chiacchierare dopo averlo
osservato
ben bene. Soffermandosi in particolare sulle natiche messe ben in forma
dalla
calzamaglia grigio chiaro.
–
Ehi… ma io ti conosco! – affermò
lei, aspirando velocemente dalla sigaretta accesa poco prima
– sei vestito in
modo strano, eh! Però sei tu–
Per un momento
l’ex lottatore russo
rimase interdetto da quelle parole, guardandola con un velo di
confusione negli
occhi e lasciando che un imbarazzante silenzio calasse tra i due
interrotto
solamente dal rumore del traffico distante qualche isolato da loro.
Come faceva
quella vecchia megera a conoscerlo? Probabilmente lo stava
semplicemente
provocando per vedere se riusciva ad accalappiare un possibile cliente,
tuttavia con lui non avrebbe funzionato poiché non aveva
tempo da perdere ne
voglia di spendere soldi inutilmente. Aveva un compito da portare
avanti e
farsi deridere da una anziana prostituta era l’ultima cosa in
cui voleva
imbattersi se non voleva perdere la pazienza.
–
S-senta, lei si sta sbagliando. Non
la conosco affatto e non ho tempo da perdere… quindi buona
serata–
– Nah,
ma si che ci conosciamo! Era
trenta anni fa, giusto? Si, è così… io
avevo freddo e tu sei stato così carino
da scaldarmi cedendomi la tua coperta – rise a quel ricordo
lontano, aspirando
nuovamente dal filtro di una sigaretta ormai finita e vedendo il chojin
irrigidirsi ulteriormente – era la tua prima volta se non
sbaglio… comunque dì
quello che ti pare, ma quelle chiappe
non si dimenticano tanto facilmente! –
Nella sua vita
piuttosto trasandata
il russo aveva solo avuto una compagna di vita che gli aveva pure dato
una
figlia prima di lasciarsi per sempre. Poi aveva passato anni e anni di
solitudine spesi a combattere nella tundra siberiana per cercare di
perfezionarsi e controllare la propria furia omicida risvegliata anni
or sono
da Robin Mask. Non c’era stato posto per
nessun’altra donna nel suo cuore per
il semplice fatto che temeva costantemente di poter essere un pericolo
prima
per gli altri che per se stesso.
Eppure…
Eppure forse
quella attempata
prostituta non stava dicendo propriamente una menzogna per vederlo in
difficoltà, in quanto nelle recondite memorie del chojin
ricordava qualcosa di
simile a quanto gli era stato appena detto. Per carità,
quella donna poteva
anche aver dato una informazione volutamente
generica giusto per metterlo nel pallone, eppure ricordava che un
giorno nella
caserma in cui si allenava, quando ancora in Russia esisteva il SKGB
che
allenava i super uomini come lui, i suoi superiori avevano deciso di
premiare i
più forti dando loro in premio qualche giovane donna
prelevata dai villaggi
vicini alla base militare. Che fossero delle volontarie o meno a
Warsman non fu
dato saperlo, ma ciò che si trovò in camera
quella sera era una ragazza che
evitava di guardarlo in faccia e diceva di avere troppo freddo anche a
causa
degli abiti leggeri che le avevano fatto indossare.
La guardia
armata che gliela aveva
buttata tra le braccia aveva ridacchiato qualcosa e probabilmente aveva
pure
pronunciato il nome della giovane, risultando incomprensibile visto che
era
ubriaco, e anche se in un primo momento il chojin non aveva osato
toccarla alla
fine non aveva saputo resistere.
Le aveva pure
ceduto la sua coperta
di lana, ma questo non aveva fatto desistere la ragazza
dall’avvicinarsi a lui
e iniziare ad approcciarsi come le era stato insegnato in precedenza.
Probabilmente
le avevano promesso qualcosa in cambio di quelle prestazioni sessuali,
oppure
era semplice riconoscenza verso quello che sembrava un bravo ragazzo?,
ma a
parte queste premesse Warsman non aveva saputo tirarsi indietro di
fronte agli
istinti sopiti per troppo tempo.
Era giovane in
fin dei conti, quindi
come si poteva chiedere di fargli vivere una vita di clausura e
castità?! Ma a
parte quell’episodio eccezionale in cui aveva perso la
verginità, la donna era
stata poi trascinata via l’indomani mattina senza che potesse
salutarla, non
aveva avuto altre relazioni ad eccezion fatta per la madre di sua
figlia.
Smise tuttavia
di rivangare cupi
pensieri di vita passata nell’esatto momento in cui
l’autobus che stava
aspettando, grazie al cielo, giunse alla sua fermata aprendo le proprie
porte
con un sibilo meccanico e inondando di luce la figura massiccia
dell’ex atleta.
–
Senta, cara signora – ora
stava iniziando a spazientirsi e questo portò
l’anziana
donna a sorridere – come vede il mio autobus è
arrivato e dunque non ho più
tempo per sentire le sue storie. Devo dirle addio
e buona serata!–
– Beh,
ci si vede in giro chiappe d’oro!
–
Quel saluto un
po’ volgare lo disse a
voce alta in modo che il pover uomo, forse pure un po’
bigotto visto che l’aveva
guardata e giudicata senza troppe remore, la sentisse chiaramente tanto
da
fargli girare la testa e attirare anche l’attenzione dei
pochi passeggeri
presenti che ridacchiarono a quelle parole profetiche.
Poi
l’autobus ripartì in tutta fretta
lasciando la signora della notte nuovamente sola anche se per poco.
Difatti,
dopo pochi secondi dalla partenza del mezzo ecco che un individuo basso
e
piuttosto grassoccio cercò di rincorrere l’autobus
ormai lontano dalla sua
portata.
–
A… Aspetta! Maledizione! – sbuffò
l’anziano
kinnikku, la cresta ornamentale che portava era quella
dell’eccentrica razza
aliena, poggiando le mani sulle ginocchia per riprendere fiato
– fra tutti gli
orari che potevano scegliere per riconsegnarmi il mio bagaglio a mano
proprio a
quest’ora fuori mano?! –
Che cosa ci
facesse li Vance MacMadd
poteva essere un mistero, ma le sue parole erano già un
indizio più che soddisfacente
sui preparativi per la competizione sportiva che già adesso
si stava rivelando
alquanto caotica e con un afflusso di tifosi ben più
maggiore delle sue
aspettative. Un buon evento per le sue tasche, certo, ma per i suoi
nervi tesi
non erano esattamente delle notizie che lo rincuoravano . senza notare
il
bagaglio a mano smarrito prima della sua partenza dal pianeta Kinnikku
e suo
figlio Ikimon che si stava dimostrando un vero idiota su molte
cose…
Ma a parte
questi pensieri funesti,
una volta ripreso fiato si accorse di una presenza femminile che ora lo
stava
guardando con una cinica curiosità nonostante i vestiti che
indossava
richiamavano al mestiere più antico del mondo. Una
situazione alquanto
imbarazzante per un uomo anziano come lui, perché divenne il
nuovo bersaglio di
una signora che aveva decisamente voglia di prenderlo in giro. Forse.
–
Ehi… ma io ti conosco! –
Questa oneshot doveva essere
prettamente comica e invece è saltato fuori qualcosa di un
po’ meno serio, ma
forse è meglio così visto i temi trattati. Ad
ogni modo spero abbiate
apprezzato, e ci si vede alla prossima!
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Capitolo 3 *** 3 ***
–
Davvero un posto incantevole… non
ero mai entrata qui prima d’ora–
–
Davvero Suguru non ti ci ha mai
portato? Strano, questo locale è piuttosto rinomato tra la
classe nobile–
– Mio
marito mi ha sempre portato al
chiostro di gyuudon a qualche isolato di distanza dal palazzo
reale… quando
eravamo giovani era anche romantico–
C’era
una nota di velata nostalgia
nelle parola della regina Belinda, ma anche la volontà di
non rivangare troppo
certi ricordi che attualmente avevano preso una sfumatura malinconica
dopo
molti anni di matrimonio e una giovinezza che ormai non c’era
più. Più gli anni
avanzavano e più Belinda era stata messa gradualmente da
parte dapprima con la
nascita di Kid, un bambino fortemente desiderato ma che purtroppo era
arrivato
in ritardo, e poi dall’avanzata dell’età
del suo stesso marito che iniziava a
dimenticarsi molte cose importanti di loro due. King Muscle non aveva
altri
occhi a momenti che per il suo unico figlio con cui continuava a
giocare e a
viziare nonostante non fosse più un bambino, e per sua
moglie ormai aveva solo un
bacio del buon giorno e uno della buona notte. Fine della storia.
Per cui, non ci
sarebbe stato da sorprendersi
che Suguru si fosse dimenticato per la decima volta consecutiva
l’anniversario
del loro matrimonio.
Non lo aveva mai
perso ed ogni volta
che correva quel giorno la portava sempre in quel piccolo chiostro.
Beh, a dire
il vero sua maestà ci andava ogni volta che poteva una volta
al giorno, ma era
tutt’altra cosa quando erano giovani e il fatto che fossero
innamorati portava
a sorvolare sugli aspetti estetici di un determinato luogo di
appuntamento. Ed ora,
che i quasi trenta anni di matrimonio erano superati abbondantemente si
era
ritrovata nuovamente con di fronte un ignaro marito messo alle strette
dalla
sua innocua domanda su che giorno fosse oggi.
Disgraziatamente quella piccola
conversazione avvenne nell’ufficio del re, con un Suguru
messo in estrema difficoltà dalla domanda e dallo sguardo
truce della moglie, e
sempre disgraziatamente Ataru si trovava li per discutere di lavoro con
il
proprio sovrano.
Il fratello
maggiore del re aveva un’ottima
memoria, e a quella
domanda sapeva dare
la sua ovvia risposta silenziosa limitandosi a guardare la propria
regina. Fu uno
sguardo breve e complice, in cui il soldato si dimostrò
dispiaciuto per quella
dimenticanza piuttosto imbarazzante del regnante, e solo quando Belinda
uscì
fuori dall’ufficio con fare giustamente stizzito decise di
seguirla per farci
due chiacchiere.
Poche parole a
dire il vero, poiché il
soldato non era bravo ad esternare i propri sentimenti e se fosse stato
per lui
avrebbe dato una sonora lezione ad un fratello che, fisicamente
parlando, non
avrebbe certo retto un pugno in pieno volto da parte di un consanguineo
molto
più allenato di lui.
L’aveva
colta sull’orlo di una crisi
di pianto nervosa, ormai stanca di sentirsi messa sempre più
da parte da una
famiglia che continuava ad amare nonostante la sempre più
precoce invisibilità.
Per Ataru la regina non era mai stata invisibile e pertanto, in quanto
soldato
reale, era tenuto per dovere a dare conforto a Belinda anche se in fin
dei
conti il suo non era semplicemente dovere di fronte alla propria
signora.
Pertanto, era a
conoscenza di un
posticino che tra la nobiltà del pianeta era rinomato per
l’alta cucina oltre
che per la gran classe della sua tappezzeria… si, insomma,
roba da nobili “squattrinati”.
Tuttavia, per quanto il vecchio soldato non sopportasse quei nobili che
avevano
persino paura di sporcarsi le punte delle loro scarpette scamosciate,
aveva
preso a cuore l’ennesima delusione di Belinda chiedendole
senza indugi di
venire con lui quella sera a cena fuori.
“Forse
posso sembrarti fuori luogo,
mia signora, ma gradirei averti come mia ospite a cena.
Anzi… lo esigo!”
Se ne sorprese
lui, ma se ne sorprese
anche la consorte del regnante di un intero pianeta che, per qualcosa
che
scattò nel suo stanco cervello, oppure semplicemente per
fare un dispetto al
marito sempre più sbadato riguardo la loro sfera
sentimentale, accettò di buon
grado l’invito di Ataru. E la regina non si limitò
semplicemente ad accettare
quell’invito senza battere ciglio, ma anche a farsi bella
infilandosi un abito
nero che non indossava più da tanto tempo oltre che a
rispolverare il barattolo
della cera per darsi una bella rinfrescata a tutta la pelle.
Una rinfrescata
notata anche dallo
stesso soldato che non aveva potuto fare a meno di farle un innocente
complimento
sulla sua bellezza, ben accolto dalla donna logicamente che ben
pensò di
irrigidire di più la schiena per sembrare più
orgogliosa nel mentre entrava nel
lussuoso locale, una volta che furono arrivati, tenendosi a braccetto
con il
militare nel mentre che alcuni nobili si ritrovarono a riconoscerla ad
ogni suo
passo elegante.
Ma ora, ormai
giunti alla fine di
quella cena squisita e con il suono di un pianoforte poco distante a
riempire
il mezzo minuto di silenzio tra i due kinnikku ora intenti a degustare
vino,
sembrava inevitabile che tutta l’atmosfera piacevole che si
era creata si
stemperasse con la dura realtà che reclamava la donna.
–
Belinda… posso farti una domanda? –
– Hm?
–
Di solito non
era da lui darsi troppe
confidenze con la moglie di suo fratello, ma proprio non
riuscì ad evitare
quella domanda spinosa che stava per porgerle e che sentiva venirgli
dal più
profondo del suo animo.
– Hai
mai avuto rimpianti a… si
insomma, a sposarti? –
Quella domanda
detta con una punta di
imbarazzo lasciò per un breve momento pietrificata la povera
regina, e il
calice di vino rosso che stava degustando per un breve momento
traballò tra le
dita sottili.
– Io..
no. Ovviamente no, Ataru! Certo,
alle volte vorrei che Suguru si ricordasse un po’
più spesso di noi due, ma
suppongo che sia l’età ormai…–
“Allora
perché hai tentennato prima
di darmi una risposta?”
Non era
desiderio di Ataru mettere il
seme della discordia tra i due coniugi, ma era preoccupato per la
propria
regina più che per il fratello che attualmente aveva altri
interessi oltre il
proprio lavoro di regnante. E tuttavia, era altrettanto vero che
neppure lui
capiva tutto questo interessamento verso gli affari privati della
donna. Era sempre
stato distante da questioni sentimentali e sapeva di non essere bravo a
gestire
i propri sentimenti positivi nei confronti di chi voleva bene, ma forse
la
vecchiaia, oppure vedere Belinda “spegnersi” un
poco per volta all’incontrario
di Suguru che sembrava tornare bambino, lo aveva spinto ad aprirsi
più del
dovuto per un lupo solitario come lui.
Ataru aveva
rifiutato il trono a
causa di genitori particolarmente stronzi
che non gli avevano mai lasciato il suo spazio fin da bambino,
programmandogli
la vita come futuro regnante senza tener conto di cosa volesse fare per
davvero
nella vita, ed anche se per un breve periodo della propria vita aveva
rimpianto
di aver abbandonato casa e perso il trono non era comunque dispiaciuto
nell’essere
diventato quello che era ora.
Ma si era aperto
con lei,
rispecchiandosi in parte in quel suo stato d’animo di totale
incomprensione e
frustrazione, sorprendendosi non poco per quella domanda che poteva
suonare
quasi irrispettosa. Non fu così ovviamente,
poiché anche la regina era
consapevole di aver approfittato di quell’invito per staccare
la spina
facendosi addirittura bella per lui.
Magari per
ingelosire un marito che
non la ricopriva più di attenzioni come prima, oppure per
tornare ad essere
sulla bocca di tutti i nobili per dimostrare che era ancora
affascinante
nonostante l’età avanzata. Oppure…
Oppure niente,
poiché proprio in quel
momento di imbarazzo il telefono della regina iniziò a
vibrare insistentemente
per avvisarla che un messaggio le era giunto, e pertanto si
apprestò un po’ seccata
ad estrarre lo smartphone dalla borsetta per visualizzare qualcosa di
sorprendentemente
insolito. Che la fece finalmente sorridere.
–
Aww… Kid e Suguru mi hanno appena
fatto una torta di anniversario! Un gesto piuttosto tardivo ma comunque
carino…
guarda anche tu! –
Quella piccola
foto fatta con l’autoscatto
ritraeva padre e figlio con il loro solito sorriso ebete e in compagnia
di una
torta fatta veramente molto male e con una scritta con la glassa rosa
che recitava
più o meno un “buon anniversario mamma”.
Abbastanza per tirare su il morale a
Belinda e far inarcare un sopracciglio ad Ataru. Con tutta
probabilità era
stato Kid a ricordare al padre che giorno era oggi, e il suo vecchio
per non
fare altre figuracce doveva aver ben pensato di fare una torta alla
donna che
ancora amava.
– Beh,
pare che quei due buffoni si
siano ricordati di te alla fine! Che dici, torniamo a casa adesso?
–
–
mmh… no – fece a sorpresa la
regina, dopo aver posato il cellulare e riprendendo in mano il calice
di vino–
conosco i miei polli! Probabilmente avranno voglia del mio riso con
manzo e
dunque si sono “ricordati” del mio anniversario di
nozze per cui… lasciamoli a
disperarsi ancora un po’! –
lo disse con un
sorriso quasi
spietato, molto affine all’ideologia di pensiero del vecchio
soldato che
avrebbe ben dato una strigliata ai due consanguinei, e pertanto Ataru
decise di
dare una occhiata al menu dei dolci.
Boh, non chiedetemi il
perché di
questa oneshot ma l’ho scritta comunque. Non so a chi
potrà piacere, ma volevo
mostrare che… il matrimonio perfetto non esiste neppure
nella fantasia di
questo manga xD per il resto alla prossima!
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Capitolo 4 *** 4 ***
Attenzione! In
questo capitolo sono
presenti solo degli OC ( miei e di _Dracarys_ ) e quindi per conoscere
bene il
personaggio di Uriel vi conviene aver letto Reignite, mentre per farvi
una idea
di Spectrus Specter vi conviene leggervi Reignite2. Per il resto
ringrazio
nuovamente _Dracarys_ per la sua disponibilità di
“prestarmi” anche l’amica
innominata di deSanta, e spero possiate fare ugualmente buona lettura!
“è
da più di venti minuti che sta
rileggendo quella lettera… non è che vuole
contare tutte le fibre di cui è
composto quel foglietto?”
Le
preoccupazioni di Nuala erano
legittime, in quanto non aveva mai visto la propria collega di lavoro
comportarsi così. Conosceva bene Uriel Truce deSanta e
sapeva che quella donna
aveva una sorta di squilibrio psichico forse dovuto alle
“belle” esperienze
avvenute in gioventù, e la sua voglia di sperimentare,
chiamiamola così, ogni
sorta di possibilità sul
campo di
battaglia ai danni dei nemici alle volte dava l’idea che
volesse costantemente
smentire le teorie di un’altra persona a lei fin troppo nota.
Uriel era
cresciuta sulla Terra, al
contrario di molte di loro, ed era uno tra i membri più
giovani all’interno
dell’inquisizione amazzoniana meglio conosciuta come la
“Corte delle rose nere”
dando prova fin da subito di una specie di sadismo che nascondeva, in
realtà,
una perversa voglia di sperimentare lo sperimentabile.
Di spiegare a
tutti che la sua
visione del mondo era quella più giusta e vera, per quanto
non avesse torto
sotto un certo punto di vista, smentendo ogni qual volta una possibile
visione
ottimista della vita o di una possibilità di cambiamento in
essa compiendo
costantemente i soliti processi quasi rituali della vita di ogni giorno.
Era matta,
oppure era semplicemente
troppo sveglia dinnanzi ad una realtà che fin da bambina non
le aveva permesso
di sognare e credere in qualcosa. Ad ogni modo ciò che
c’era scritto su quella
missiva che un emissario della Corte aveva recapitato loro quella
mattina
doveva essere alquanto importante.
Attualmente le
due donne non erano in
un luogo specifico di Amazon che valeva la pena menzionare, se non che
erano in
una piccola cittadina storica, e comunque sia era straordinario come i
loro
superiori riuscissero sempre a rintracciarle ovunque esse fossero.
– Sono
ventidue minuti e undici
secondi che il tuo naso appuntito è attaccato a quel pezzo
di carta… suppongo
sia una lettura interessante se paragonata a “guerra e
pace” –
Non le ci volle
molto per sentire la
risposta da una collega che le stava dando le spalle, quasi affacciata
alla
finestra/balcone della piccola stanza in cui erano, lasciando che a
parlare
fosse il piacevole venticello primaverile che spirava dalla finestra
aperta
solo per qualche secondo.
–
… è morto mio padre. La lettera mi
dice solo questo, oltre che le condoglianze –
Lo disse con
tono piatto, quasi basso
in una strana forma di rispetto, tanto da sorprendere la donna dalle
sei
braccia che già si era preparata una sequela di battute
sagaci riguardo il
contenuto di quella misteriosa lettera. Per quanto Nuala ne sapesse la
storia di
Uriel era quasi come un libro aperto per quanti aneddoti sciorinasse
riguardo
il suo fantomatico passato, ma per l’appunto non era
possibile definire qual
era il confine tra realtà vera e propria con quella distorta
al limite
dell’aneddoto puro che spesso la giovane Deva si lasciava
scappare.
Non che deSanta
fosse una bugiarda
patologica che necessitava di inventarsi delle storie per apparire
più
credibile, ma ogni sua esperienza di vita vissuta sempre
pericolosamente ne
traeva sempre un esempio che rasentava il didattico.
A parere della
donna dalle insolite
sei braccia, ereditate dal “padre”, Uriel aveva
ricevuto un tipo di educazione
puntato nell’apprendere importanti nozioni ad ogni azione
compiuta.
Una azione, una
conseguenza. Nel bene
e nel male suo padre le aveva trasmesso una conoscenza feroce e diretta
sul
proprio stile di vita.
Testuale
risposta venne accolta con
un imbarazzante silenzio da Nuala, che per tutta risposta decise di
ridestarsi
da quel momento di stasi con un brusco colpo di tosse.
–
Beh… suppongo che tu voglia
prenderti un po’ di riposo… oppure andare in giro
a massacrare un po’ di gente
a random come sei solita fare quando ti annoi – proprio non
riuscì a non essere
sarcastica – ad ogni modo, sarei una ipocrita se dicessi che
mi dispiace… vero?
–
–
Dannatamente vero, difatti penso
che andrò a farmi un giro… sei gentile quando
vuoi, sai?–
– E
questo è un difetto?! Pensavo
facesse parte della “civile convivenza”
nonché alla base di una educazione
civilizzata e non di una probabile dipartita dovuta alla tua scellerata
anarchia…–
La Deva di tutta
risposta rise piano,
senza dare segni di irritazione come di solito faceva quando la collega
faceva
le sue battute al vetriolo, in uno stato emotivo quasi imperscrutabile
che
Nuala non le aveva mai visto sembrandole quasi… nostalgica.
La gentilezza ha
condannato mio
padre. Se fosse stato meno gentile forse io non sarei qui a sorbirmi le
tue
battutacce! – scavalcò agilmente la ringhiera
della porta/finestra decidendo di
dare un ultima occhiata alla sua collega, prima di sparire tra le file
di panni
stesi che si perdevano a vista d’occhio in quella antica
“skyline” – ad ogni
modo, vado a commemorare la sua morte come quella vìbora
avrebbe voluto! –
E
sparì così, portandosi appresso
quel foglietto letto e riletto nei suoi punti più salienti
nascondendo in essi
le ultime volontà di uno tra i mercenari e chojin
più sanguinari dell’intera
galassia. Non attese il proverbiale “aspetta”
dettato da una collega ancora in
parte incredula per quella inaspettata rivelazione, a volte ci si
scordava
istintivamente che Uriel aveva avuto dei genitori, dileguandosi
silenziosamente
come un serpente, come quelli tatuati sul suo corpo, lasciando sbuffare
seccata
una Nuala presa alla sprovvista.
Precisina
com’era la donna si sarebbe
aspettata quantomeno una delucidazione di dove diavolo fosse andata
quella
collega scellerata, d’altra parte le era morto un
parente… e anche se non
propriamente gradito chissà come stava ora deSanta a livello
emotivo, ma tutto
ciò che aveva ricevuto in cambio erano delle parole
sibilline e nulla di più.
–
Si… certo! Sei stata tu la rovina
di tuo padre… gne, gne – fece ella, con un
sarcasmo forse non propriamente
adatto alla situazione, ma non era una sprovveduta e conosceva
l’inquisitrice
da diversi anni – o magari è stato lui a
condizionarti la vita fin dal
principio! –
- - - - - - - -
- - - - - - - - - - -
A Spectrus
Specter non piaceva quando
una preda gli sfuggiva di mano. Era lui ad essere il cacciatore, mai
l’incontrario, dunque ebbe emozioni piuttosto contrastanti
quando rivide quella
donna che lo aveva abbandonato come un fesso dopo quella che lui aveva
definito
come “una tra le sue migliori caccie”.
Quando la rivide
lì, a danzare tra le
luci soffuse di un rinomato locale di intrattenimento di tipo
folkloristico,
ebbe quasi l’impulso di saltare sul piccolo palco rialzato su
cui era per
poterla strattonare via da quel luogo rumoroso e darle una
“sonora lezione” al
suo solito modo. Uriel tuttavia si accorse di quello sguardo freddo
come il
ghiaccio di quello che era stato un passatempo piuttosto interessante,
e invece
di ritirarsi da quella danza sensuale per via di quegli occhi azzurri
che
facevano decisamente paura, si concentrò maggiormente
lasciandosi aiutare dai
propri serpenti tatuati sulla sua stessa pelle ambrata.
Il rumore era
tanto e la gente guardava
tutte le ballerine presenti lodandone la bravura, e nessuno
trovò strano che
quella Deva flessibile come l’acqua, con quei serpenti
stilizzati che
sembravano danzare assieme a lei dandole un’aria quasi
mistica, fosse stata adocchiata
dal cliente meno raccomandabile di tutta la folta clientela oltre che
probabilmente il più ricco tra tutti i turisti su Amazon.
La prima volta
che i loro sguardi si
erano incrociati era stato sulla Terra, svariati mesi fa, e
l’uomo fu piuttosto
sicuro che neppure il loro primo incontro era stato un colpo di
fortuna. Quella
femmina non la si incontrava mai due volte nella vita se non era lei a
volerlo,
sfuggente come un serpente… velenosa come un serpente, e per
quanto avesse
deciso che doveva essere sua per quella notte fu piuttosto difficile
“convincerla” a venire a letto con lui.
Gli affari
spingevano Spectrus a
viaggiare per mezza galassia, e per quanto non fossero propriamente
legali era
abbastanza potente da poter sottomettere anche il chojin più
avventato senza troppe
difficoltà. Quella femmina aliena si era rivelata molto
più pericolosa di lui
se possibile, con quei suoi tatuaggi stregati che avevano viaggiato
anche sulla
sua di pelle cercando di dilaniargli
le carni inutilmente, eppure per quante parole irriverenti avesse usato
nei
suoi confronti si poteva dire che ne era uscita soddisfatta da quella
notte di
passione. Come tutte del resto… anche quelle che costringeva.
Ma quella
sensazione di soddisfazione
che lo aveva accompagnato per tutto quel pseudo inseguimento post
ballo,
proprio come era successo sula Terra mesi prima, al successivo amplesso
dopo si
stemperò con una visione mattutina che decisamente non gli
piacque.
–
Tzk… non mi pare di averti detto che
potevi alzarti dal letto–
Erano giunti a
godere della reciproca
compagnia dentro la stanza di un albergo a cinque stelle, ossia quelle
del
pseudo “avvocato” Spectrus Specter che tanto uomo
di legge non era, e al
momento la Deva se ne stava seduta su di una poltroncina vicino ad una
porta/finestra intenta a fumarsi una semplice sigaretta.
A quella frase
severa la donna si
limitò a sbuffare divertita e a spegnere la suddetta
sigaretta fumata solo a
metà sul pavimento di marmo nero della suite, per quanto
all’uomo poco importò
di quel gesto e molto più concentrato ad osservare una preda
troppo distante da
lui.
– Se
è per questo non mi hai detto
neppure di farmi una doccia e di rivestirmi… sono piccoli gesti quotidiani
che ci accompagnano
ogni giorno Specter, o fai parte di quella categoria di uomini
anticonvenzionali?
–
– Si
da il caso che tu sia mia ospite
qui, e gradirei che tu ti attenessi alle mie regole – si
alzò dal letto
adoperando un tono freddo e piatto, che di solito funzionava con le sue
vittime, ed incurante di coprirsi le
nudità si avvicinò ad una donna
tutt’altro che impressionata dal suo falso
moralismo – ad ogni modo, di che diavolo stai parlando?
–
Aveva intuito
che deSanta non era
esattamente euforica come quando l’aveva conosciuta, e per
carità per quanto
riguardava la sfera sessuale nulla di cui lamentarsi… era
perfetta, per questo
fu con un cenno di curiosità che decise di farsi i fatti
suoi trovandola
stranamente accondiscendente nel dare spiegazioni.
L’inquisitrice si alzò
dunque in piedi, allontanandosi volutamente da un uomo alto due metri e
mezzo
che molto probabilmente non aveva solo voglia di parlare e basta ( ma
se avesse
avuto cattive intenzioni non avrebbe avuto problemi a metterlo a posto
), e
dando una spiegazione che quasi sicuramente avrebbe dato a Spectrus di
che
pensare.
–
Dimmi hombre… cosa
ricordi di tuo padre?! –
Una domanda che
sembrava fuori luogo
e che portò il giovane avvocato ad inarcare un sopracciglio
nero come i suoi
“scompigliati” capelli corvini, ma che prontamente
rispose alla propria
squisita ospite rimembrando una figura paterna che mai avrebbe odiato
per
nessun motivo al mondo.
–
Ricordo che il mio vecchio era una
persona… onorevole. Non è che andassi
propriamente d’accordo con lui, ma a modo
mio gli volevo bene e mai mi sarei permesso di tradirlo in qualche
modo–
– Un
ammirevole padre per un
ammirevole figlio. Suppongo che non sia stato molto gentile nei tuoi
confronti
nei momenti più cruciali della tua esistenza –
– Hm,
come fai a saperlo? –
–
Chissà… magari perché mio padre ha
peccato di gentilezza unicamente nei miei confronti?! Si,
può essere–
Prese nuovamente
le distanze dal
maschio impudente che ancora non accennava a volersi rivestire, non che
questo
dava particolarmente fastidio alla Deva se non che le sembrava un
po’ ridicolo,
e si avvicinò al grande balcone della suite di lusso il cui
sole nascente si
intravedeva perfettamente nello scenario urbano in cui erano. Spectrus
la seguì
senza troppi problemi. Non che fosse un esibizionista ma era sempre
dell’idea
che gli altri non avrebbero fatto altro che apprendere qualcosa di
utile da
lui, anche se avesse deciso di possedere proprio li Uriel senza contare
che
qualcuno, magari, avrebbe potuto vederli dalle finestre dei palazzi
vicini.
– Sono
cresciuta sulla Terra… non
ricordo molto di mia madre ma da quello che ho capito è
morta quando io ero
molto piccola, e mio padre decise di prendermi sotto la sua protezione
e di istruirmi
fin da bambina al suo squallido mestiere in compagnia dei suoi poco
affidabili
compagni di giochi – si girò lentamente verso di
lui e appoggiò entrambi i
gomiti sulla balaustra di marmo, sorridendo quasi amaramente
– sono cresciuta
in un ambiente merdoso di soldati mercenari… gli uomini di
mio padre erano
affidabili come un perro idrofobo,
e
in battaglia si macchiavano delle più disgustose nefandezze
sotto lo sguardo
compiaciuto del mio vecchio. Ma per loro non possedeva la stessa
“gentilezza”
che aveva con me –
Questa volta non
si allontanò quando
Specter la “incastrò” contro la
balaustra del grande balcone, limitandosi a
sorridere con una certa cattiveria accarezzandogli lievemente con una
mano gli
addominali tesi.
– La
gentilezza è un’arma a doppio
taglio, Specter. Ti porta ad abbassare la guardia e a sottovalutare
anche la
più singola cosa che tu credi di conoscere bene…
e tutto si trasforma in una pazzia
che ci si trascina per anni
sperando che le cose cambino nonostante s continui a commettere lo
stesso
miserabile errore–
– Sei
criptica oggi – fece lui, dopo
averla ascoltata in silenzio, accarezzandole il mento con un paio di
dita – mi
stai forse dicendo che hai tradito
tuo padre approfittando della sua gentilezza? Indubbiamente avrai colto
l’occasione
giusta… ma personalmente non apprezzo questo atteggiamento,
tanto che ti
meriteresti una punizione. Tu che dici? –
Francamente
parlando deSanta non
aveva voglia di farsi mettere nuovamente le mani addosso da quella
specie di “maschio
dominante”, francamente parlando aveva già dato,
tanto che lo spintonò via in
malo modo una volta che tentò di baciarla.
Spectrus cadde a
terra ma fu lesto a
rialzarsi in piedi, piuttosto infastidito da
quell’atteggiamento riluttante e
poco sottomesso, e con uno sguardo ancor più freddo del
solito volle dare una
lezione a quella Deva cercando di catturarla per i polsi. Il risultato
che
ottenne fu solo parziale, poiché la donna si
lasciò catturare con facilità ma
solo per potergli assestare un calcio al ventre abbastanza forte da
farlo
spingere, assieme a lei poiché decisamente non
mollò la presa sulla propria
preda, fino in camera da letto dove ci fu una breve collutazione.
Tale lotta
tutt’altro che leggera si
concluse con l’inquisitrice seduta a cavalcioni sopra di lui,
e non sarebbe
stata neanche una brutta posizione se non fosse stato per i tatuaggi
della
donna che ora viaggiavano anche sul corpo di Spectrus con una furia
tale da
fargli digrignare i denti seccato per non riuscire a muoversi come
avrebbe
voluto.
– La
conosci la definizione di
pazzia, Specter? Vuoi che ti faccia un disegnino così che tu
possa comprenderla
appieno – il tono di Uriel si ridusse ad un sibilo
serpentino, ostentando
sicurezza nonostante stesse facendo fatica a tenerlo fermo –
la pazzia è fare e
rifare le stesse identiche cose, ogni giorno della propria miserabile
esistenza, sperando che qualcosa cambi! No fraintendermi, devo molto a
mio
padre a partire dai suoi tatuaggi che ho ereditato geneticamente e
dagli
insegnamenti che mi ha trasmesso…ma la sua gentilezza nei
miei confronti ha
sempre rappresentato uno ostacolo nella mia integrazione con
l’intero gruppo! Forse
il suo era un modo per proteggermi dal suo stesso mondo de
mierda, e ciò che ne
è
conseguito è stata una frattura nella sua stupida pazzia di
stagnazione–
La situazione si
ribaltò ancora quando
Spectrus riuscì a liberarsi di quegli infidi serpenti
stilizzati con un colpo
di reni, strappandoli via dalle proprie carni e provocando come del dolore a Uriel pur non badandoci troppo,
riuscendo dunque a bloccare la guerriera sotto di se scrutandone la
figura
dalla pelle ambrata ora resa brillante da una lieve patina di sudore.
Era una
donna a dir poco bellissima e indisponente, che non stava ai suoi
giochi e non
vi era nessun modo di imbrogliare con false promesse di amore eterno.
Era un vortice
di sensazioni
primordiali, le stesse che lo colsero come un fiume in piena nel
momento stesso
in cui fu lei a prendere l’iniziativa di baciarlo
prepotentemente ben
ricambiata nell’atto, ed era abbastanza potente da fargli
dimenticare
brevemente tutto il suo sproloquio su cose che lui aveva compiuto solo
in
parte. Spectrus era un grandissimo bugiardo, ma mai che avesse
ingannato il
proprio vecchio approfittando della sua gentilezza nei suoi confronti.
La
verità era un’altra. Più nascosta
e volutamente non detta poiché faceva parte di
quell’emisfero di intimità che
Uriel non si sarebbe mai permessa di rivelare a nessuno ne alle proprie
colleghe, ne tantomeno ad amanti occasionali che non
l’avrebbero capita a fondo
perché… forse se li cercava troppo simili al suo
vecchio. Tipo quello che ora
le stava sfilando via gli shorts, impaziente di ricominciare i proprio
gioco
preferito con tutta la complicità della Deva stessa.
Taurus Truce
deSanta, detto la Vipera
Nera, era morto in prigione maledicendo la stessa figlia che aveva
deciso di
tradirlo facendolo arrestare dalle autorità dopo tanti anni
di latitanza e
massacri. Il vero motivo del tradimento di Uriel tuttavia non andava
cercato
nell’eccessiva accondiscendeva del padre che le manteneva un
trattamento di
favore all’interno del gruppo, quanto a qualcosa che non era
mai riuscita a
spiegarsi se non lasciandole degli atroci dubbi lungo
l’intero arco della sua
vita.
La Deva un tempo
possedeva una amica…
l’unica vera amica che
avesse mai
avuto per quanto il loro rapporto in apparenza fosse
tutt’altro che roseo
quantomeno dal suo stesso punto di vista. Una totale
diversità di caratteri e
opinioni, come il giorno e la notte, con Uriel ad essere una pessimista
totale
e lei a essere fin troppo ottimista per i suoi gusti. Eppure per quanti
battibecchi potesse avere con quella ragazza così solare non
poteva fare a meno
della sua presenza per sentirsi in qualche modo normale e consona al
mondo che
la circondava. Una sorta di velo nero che la rendesse cieca alle
bruttezze del
mondo, e che si stemperò in una sola notte di tremenda
distruzione fatta di
fiamme dolose.
Lo stabile dove
lavorava la ragazza
aveva preso fuoco durante una notte afosa, quasi impermeabile, e le
lingue di
fuoco che uscivano dalle finestre spaccate avvolgendo le mura con il
loro caldo
abbraccio non permettendo a nessuno di accedere al suo interno per
scoprire se
ci fossero sopravvissuti oppure solo vittime.
Chi aveva
appiccato quell’incendio? Un
corto circuito oppure la mano di qualcuno?
Era un pensiero
che aveva tormentato
per un po’ deSanta, nutrendo forti sospetti che le fiamme
fossero state guidate
dalla volontà di Taurus convinto che la propria figlia
potesse spingersi tra le
braccia di una vita normale che poco si addiceva ad una futura
mercenaria.
Ma tra le mani
aveva, e avrebbe
sempre e solo avuto, delle chiacchiere buone solo da raccontarsi se non
si
aveva niente di meglio da fare e non una verità che in fin
dei conti avrebbe
voluto cercare solo per sfizio.
Una
verità che l’aveva spinta a
lasciare quel mondo marcio, quella cittadina piena di miseria e
corruzione,
proprio come aveva fatto la sua stessa amica perita tra le fiamme.
Forse avrebbero
lasciato quella
cittadina assieme se tutta quella pazzia stagnante e ripetitiva non si
fosse
spezzata in una notte di agosto inoltrato, forse era questo il timore
principale di Taurus per quanto si fosse dissociato da
quell’evento anche nell’ultima
lettera che aveva scritto a Uriel, ma ciononostante la ragazza aveva
avuto modo
di agire e cambiare il proprio destino dopo aver fatto il
più brutto sogno
della propria vita.
Così
vivido e reale mentre osservava
la propria amica di infanzia cercare di parlarle con un sorriso simile
ad un
ghigno, a causa delle fiamme che le avevano mangiato le palpebre e le
labbra
rendendo la sua carne scura come un tronco, nel mentre che la sua roca
voce le
diceva che sarebbe andata via per sempre da quel lurido posto senza
conservare
nessun tipo di rancore.
Fino a quel
momento Uriel aveva
creduto che il rapporto che la legava con quella fantomatica amica
fosse qualcosa
di assolutamente fievole come il lume di una candela, eppure, per
quanto si
sentisse stupida per aver dato retta ad un sogno tanto vivido da
esserle
sembrato quasi vero, mai come quella mattina che si era risvegliata con
un paio
di occhiaie di tutto rispetto aveva capito che quel sogno macabro altro
non era
che il suo subconscio che le diceva di destarsi da quella pazzia di
gentilezza
e di ripetizione che da troppo tempo la assillava.
Doveva agire.
Doveva mollare tutto e
ricominciare per il verso giusto prima di perdere completamente
contatto con la
realtà. Doveva farlo per lei, perché se non le
avesse detto di andarsene molto
probabilmente non se lo sarebbe mai perdonato.
Quello era il
suo piccolo segreto, la
sua scomoda verità, e mai si sarebbe permessa di rivelarla
nella sua interezza quantomeno
per quanto riguardava il suo coinvolgimento emotivo in quel sogno
funesto. Aveva
tradito suo padre sfruttando gli stessi insegnamenti che le aveva
donato, e
sfruttando quella sua gentilezza che persino nelle ultime righe della
missiva
che le aveva inviato traspariva con la sua volontà di non
condannarla del tutto
ma anzi, di complimentarsi con lei per averlo incastrato a dovere e
colpirlo
dove gli altri non lo avevano colpito.
Ma ora non era tempo di
rivangare
ulteriormente una infanzia tutt’altro che rosea, e il suo
tributo alla vita lo
avrebbe consumato a dovere anche, soprattutto, in onore del proprio
vecchio. Molto
probabilmente Specter non avrebbe gradito risvegliarsi in un letto
dalle
lenzuola sfatte e tutto solo, dopo tutta la fatica che aveva fatto per
trovarla, ma quello non era un problema che riguardava Uriel.
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Capitolo 5 *** 5 ***
Ormai
l’aveva lo aveva capito fin
troppo chiaramente. Niamh stava cercando di evitarlo deliberatamente,
nonostante quei due mesi di frequentazioni, per quanto lo avesse
definito
simile ad un… “amico” da molto tempo a
questa parte, senza avere un senso
logico per il giovane chojin.
Probabilmente
Kevin Mask avrebbe
lasciato perdere quella giovane un po’ strana, molto schiva e
riservata ad
essere onesti, se l’avesse incontrata quando ancora militava
nella d.m.p e
dunque quando ancora era preda di sentimenti tipicamente
adolescenziali… ma
attualmente la faccenda era diversa. Ad un certo punto della sua
esistenza il
giovanotto di origini inglesi aveva sentito la necessità di crescere e di non essere costantemente
arrabbiato con il mondo, oltre che con suo padre, per non ritrovarsi
per
davvero a finire in mezzo ad una strada come aveva fatto
all’età di otto anni.
Crescere lo
aveva portato a guardare
i suoi vecchi ideali con un’ottica diversa e a scrutare le
persone con un
occhio più incline ad osservarne le sfumature. Sia gli
avversari che doveva
affrontare sul ring durante la Corona Chojin, intenzionato a vincerla
ad ogni
costo, che quelle persone che lo circondavano quotidianamente.
Niamh era una
ragazza fin troppo
normale, anzi qualcuno avrebbe anche potuto pure prenderlo in giro
perché si
era invaghito di una fanciulla piuttosto “curvy”, e
tuttavia quella sua
normalità nell’affrontare la vita di tutti i
giorni era stato il massimo
catalizzatore per il ragazzo.
Non le sue forme
generose, lo sguardo
dolce o il carattere goffo e gentile. Ma quel suo silenzio teso, quel
suo
mandar giù ogni volta le brutture di questo mondo solo
all’apparenza a testa
china e sottomessa. Non era l’impressione che ne aveva avuto
durante il suo
primo incontro avvenuto nel grande mercato ortofrutticolo di Tokyo,
ovviamente,
e per quanto si fosse sentito in dovere di intervenire
nell’episodio a cui
aveva assistito la sua opinione nei suoi confronti non era cambiata.
Da
quando Lord Flash, il suo attuale allenatore, era entrato nella sua
vita molte cose erano cambiate. Si era già imposto di
smetterla di fare il
ragazzino pieno di rancore e paturnie varie, pur restando fermamente
convinto
nel non dare confidenza al proprio padre, ma se stava rigando dritto
anche in
fatto di alcoolici era anche grazie al sedicente nobile inglese che lo
stava
seguendo come un tutore.
Per
quanto fosse severo era un uomo giusto e sapeva dargli i suoi spazi
oltre che consigli saggi, tipo decidere di non essere
“diretto” con Niamh fin
dalla loro prima uscita e doveva ammettere che era stato meglio
così, e se
aveva reagito in modo onorevole al loro primo incontro senza ammazzare
nessuno
doveva tutto all’autocontrollo che quell’uomo gli
aveva insegnato.
La
prima volta che l’aveva incontrata era stato proprio nel suo
attuale
posto di lavoro, ossia nel chiostro di frutta e verdura che gestiva la
sua
famiglia, e se si trovava al mercato era per fare la spesa che Lord
Flash gli
aveva commissionato. In pratica solo roba fresca e tutto il cibo
spazzatura
mangiato fino a quel momento sarebbe stato solo un “triste
ricordo”.
Quel
giorno c’era solo lei a lavorare dietro il bancone, come
avrebbe
appreso più avanti di norma c’era sempre uno dei
genitori o tutti e due, e i
clienti prima di lui si stavano dimostrando alquanto molesti verso una
ragazza
che stava semplicemente facendo il proprio lavoro con una certa
gentilezza.
“Dimmi
un po’, ma riesci a muoverti li dietro senza andare a
sbattere
contro le casse?”
“Ma
come? Non hai pensato di dimagrire da dopo la scuola?!”
“ahaha!
Che culona!”
I
tre teppisti da quattro soldi, ossia della razza che di norma scappa a
gambe levate quando
qualcuno di più
forte li fronteggia, erano degli ex compagni di classe della sventurata
fanciulla che con una certa forza d’animo continuava a
ignorarli mandando giù
il nervoso. Il fatto che, una volta finita la scuola superiore, ognuno
di loro
avesse intrapreso strade diverse e diverse università non
aveva impedito di
perseverare nelle vecchie abitudini.
Abitudini
queste che disgustarono profondamente il giovane Mask, che
nella giovane fruttivendola vedeva solo una ragazza graziosa dallo
sguardo indurito
da quegli insulti gratuiti. E fu quello sguardo a sorprenderlo
più di tutto il
resto, nel suo essere dannatamente umano tra disgusto per quegli
insulti
ingiustificati e il
senso di colpa quasi
istintivo nell’essere nata nel corpo, secondo i canoni
estetici attuali,
sbagliato. Fino a quel momento Kevin non si era più di tanto
soffermato
nell’osservare meglio una persona normale, in fin dei conti
perché avrebbe
dovuto farlo se delle altre persone non importava nulla?, ma grazie al
fatto
che stesse crescendo soprattutto con la testa aveva isto in lei tutta
l’umanità
che aveva rischiato di lasciarsi da parte fin da bambino.
Un
senso di impotenza che in lui lo aveva portato quando era piccolo e
“indifeso” di fronte ad un padre che non lo
ascoltava e su cui solo lo sguardo
duro di un figlio perfetto doveva dimostrargli tutto il suo dissenso, e
che ora
riconosceva in quello di Niamh decisamente impossibilitata ad avere
ragione di
tre teppisti che avrebbero potuto aggredirla da un momento
all’altro.
Decise
dunque di fare la sua mossa, anche in vece di componente della
Muscle League, e di coprire con la propria ombra quei tre buoni a nulla
che
continuavano imperterriti nella loro opera demoralizzante. Anche se poi
la
ragazza li avesse cacciati via, e di questo Kevin era sicuro, quei tizi
figli
di papà sarebbero ritornati alla carica senza che qualcuno
non avesse dato loro
una sonora lezione. Logicamente non ci impiegò molto ad
attirare l’attenzione,
ed i tre logicamente sbiancarono dinnanzi a quello sguardo dorato
piuttosto
minaccioso.
“Perché
non provato ad indovinare il mio di peso…? Su, coraggio! Dai
che
ci divertiamo assieme”
Immediatamente
i tre teppistelli con la faccia da bravi ragazzi
impallidirono nel trovarsi di fronte una minaccia ben più
maggiore di una
semplice fruttivendola inerme.
“uh…
s-senti, amico! Noi non vogliamo guai, ok?!”
“io
non sono vostro amico e per giunta mi state dando noia con la vostra
codardia…– si avvicinò ulteriormente e
questi ultimi si allontanarono dalla
bancarella sotto lo sguardo stupefatto della giovane – vedete
di andarvene e di
non darle più fastidio, altrimenti sarò
“costretto” – ma anche no – a
spezzarvi
tutte le ossa presenti in corpo”
I
tre non ci misero molto a darsela a gambe levate come da previsione,
qualcuno urtò persino una casa di rape marziane prendendosi
gli insulti del
venditore, e dopo quella patetica scenetta si rivolse alla venditrice
per
vederla… timidamente riconoscente quanto timorosa della sua
forza.
“s-suppongo
che dovrei ringraziarti… quindi si, ok…”
Niamh
si maledì per la balbuzie che le era sopraggiunta dopo
quella
scarica di adrenalina nell’osservare la scena oltre che per
gli insulti
ricevuti, e forse proprio per quella sua tensione fin troppo evidente
Kevin
Mask decise di correre ai ripari temendo che il proprio gesto venisse
frainteso.
“non
c’è bisogno di ringraziarmi, non sopporto i
gradassi e ora non ti
daranno più fastidio. Quindi… non
c’è problema se vengo sempre qui a fare la
spesa, giusto?”
No, non
c’era stato nessun problema
nel volersi rifornire da lei quasi tutti i giorni, consumava parecchia
verdura
in base alle calorie consumate, ma ora il giovane lottatore iniziava a
temere
che quella sua dimostrazione di “forza” avesse
terrorizzato la giovane tanto da
renderla guardinga. Pertanto, ciò che stava leggendo al
momento sul display del
cellulare era un altro cortese “no” ad una semplice
richiesta di uscire a bere
qualcosa quella stessa sera.
Questo lo
portò a grugnire in maniera
sottile, anche perché da tempo la giovane di origini
irlandesi aveva occupato
un posto speciale nella sua testa e da quel giorno la sua
curiosità verso quella
donna si era tramutato in altro, e con una certa stizza
buttò il telefonino sul
tavolo della cucina meditando che la faccenda non sarebbe finita li.
Attualmente
Kevin si trovava
all’interno della propria casa, che condivideva con il suo
allenatore, presa a
Tokyo giusto per disputare tutto il torneo che si stava protraendo
assai a
lungo tutto a favore di un turismo crescente. Ormai era quasi
mezzogiorno, ora
di preparare il pranzo, e come se non bastasse oltre alle paturnie di
un
giovane innamorato c’era anche da mettere in considerazione
il comportamento
strano di mister Flash che ultimamente sembrava fare le ore
piccole… alla
faccia di chi gli faceva la morale su come comportarsi!
Dubitava che
passasse tutto il suo
tempo in compagnia di Turbinskii, altro lottatore che partecipava alla
Corona
Chojin e suo futuro sfidante con cui era meglio non dare confidenze, e
stava
iniziando a pensare che la compagnia che il suo allenatore frequentava
fosse di
tipo femminile.
Una prova? Gli
era sembrato di vedere
della biancheria femminile, delle mutandine di pizzo,
all’interno del cestone
della biancheria da lavare, proprio sotto una delle giacche del
gentiluomo
inglese. Ma poiché Lord Flash aveva tolto velocemente di
mezzo tutta quella
roba con la scusa di portarla alla lavanderia presente
all’inizio della strada,
forse intuendo che Kevin aveva notato qualcosa di strano da come
osservava il
cesto di vimini, la questione era morta li. Ah, senza contare quel
piccolo
episodio delle “pulizie straordinarie” in cucina su
cui il giovanotto inglese
aveva meditato a lungo senza ricavarci nulla. Aveva sentito dei rumori
strani
provenire dalla cucina, ma non si era dato pena di controllare come si
deve ed
era partito sgommando con la propria motocicletta con questioni
più urgenti da
risolvere.
Fu dunque solo a
mezzogiorno che il
suo allenatore si svegliò da quello che doveva essere stato
un sonno piuttosto
inquieto, anche se era al piano di sopra i suoi lamenti gli arrivarono
solo
lievemente attutiti e questo lo preoccupò un poco, e in poco
tempo lo sentì
scendere per le scale di legno con un passo decisamente prudente.
E la
preoccupazione del giovane Mask
si trasformò in perplessità quando il suo tutore
entrò all’interno della
cucina, vestito con la sua solita divisa anche se la giacca era un
po’
sgualcita, segno che era andato a letto vestito, quasi zoppicando nel
mentre che
prendeva un sacchetto di ghiaccio dal freezer per poi sedersi con un
lamento al
tavolo della cucina.
Ed infine la sua
perplessità si
trasformò in indignazione vera e propria
nell’osservare l’uomo portarsi
delicatamente il ghiaccio ai genitali e li lasciarsi andare ad un
prolungato
sospiro di sollievo. Che vecchio
porco…
ma come? Prima gli fa tanto la morale sul non correre troppo con la
ragazza che
gli piace e poi eccolo li reduce da una serata fin troppo passionale
dato che a
malapena riusciva a reggersi in piedi! Ma stavolta lo avrebbe sentito,
era
tempo di chiarire tutti i misteri. O almeno quelli che interessavano un
ragazzo
preda degli ormoni e dei sentimenti.
– Tzk,
vedo che te la sei spassata
alla grande ieri sera! – fece aspramente Kevin Mask
incrociando le braccia al
petto – e poi dici a me di tenere placati i bollenti spiriti!
Da che pulpito
viene la predica! –
Per un breve
momento Lord Flash
guardò come estraniato il proprio allievo, tenendosi
comunque la borsa del
ghiaccio sui gioielli di famiglia infiammati, e dal momento che la
mente era
ancora offuscata dal troppo dolore volle chiedere chiarimenti
all’allievo
furioso.
–
Figliolo… n-non capisco di cosa tu
stia parlando! Sii più chiaro e urla di meno per
piacer…–
– Tu
hai fatto sesso! Ecco cosa
c’è! Dici a me di non alzare troppo la posta con
Niamh e poi tu chissà con che donna vai per star fuori tutta
la notte e
ritornare con il pacco in fiamme!–
La voce di Kevin
Mask fuoriuscì aspra
e tagliente attraverso l’elmo metallico di foggia medioevale
sempre ben calcato
in testa, e per quanto fosse adirato con il proprio maestro era
riuscito
comunque a non incappare in epiteti poco carini che gli sarebbero valsi
qualche
dolorosa punizione. Tuttavia tutto quel lungo rimprovero dettato
velocemente
lasciò per un breve momento come basito un Warsman con
indosso abiti diversi
dal solito, questo perché aveva una missione in
“incognito” da svolgere, e si
ritrovò dunque a sbattere più volte le palpebre
nell’atto di comprendere meglio
tutto quel pericoloso discorso. Per un attimo il chojin aveva temuto
che Kevin
lo avesse scoperto e che dunque non avrebbe più potuto
insegnargli le tecniche
della famiglia Mask, ma poi comprese che si trattava di un imbarazzante
equivoco
dato il suo stato di salute piuttosto ambiguo.
–
Che… che cosa?! Oh, andiamo! Io non
ho fatto sesso con nessuno! Su che basi dici una simile fesseria?!
–
“A dir
la verità ho fatto sesso l’altra
sera…”
– E
pretendi che ti creda?? – ora la
voce del giovanotto inglese si fece più isterica pensando ad
un’ovvia presa in
giro– guarda come sei ridotto! Dimmi allora come fai ad avere
i genitali in uno
stato così pietoso da doverci mettere del ghiaccio sopra! E
per di più mancano
dei profilattici nella scatola in bagno… fai un
po’ tu su cosa dovrei credere! –
“Ho
fatto cose che non ho mai
immaginato di fare neppure con Katya! Mi duole ammetterlo ma ne sono
uscito
soddisfatto”
Benchè
comprendesse il risentimento
del povero Kevin, quasi “costretto” a rimanere a
secco tra allenamenti e
insegnamenti che lo stavano portando ad essere più
cavalleresco anche con le
ragazze, proprio non riusciva a non fare pensieri piuttosto bastardi
riguardo
al fatto che avesse trovato una compagnia piuttosto irriverente quanto
dannatamente
divertente sotto certi punti di vista. Si, aveva trovato anche lui una
ragazza
a Tokyo… ma si trattava prettamente di una partner di ballo,
piccolo hobby che
il russo aveva sempre adorato, anche se qualche volta finivano col fare
altro in via privata. E poi non era
niente di che a parte il fatto che la si poteva definire come una
inimicizia
con risvolti professionali oltre che carnali… indispensabile
insomma, ma fino
ad un certo punto.
–
Ehm… Kevin, lascia che ti dica una
cosa – ora lo sguardo dell’anziano lottatore si
fece più tranquillo nell’aver
compreso la gelosia del proprio
allievo – con tutta probabilità se mancano dei
preservativi alla tua scatola è perché
c’è crisi e dunque i produttori ne mettono di meno
– no, balle. Ne aveva scroccati
un paio lui – e se sono in queste condizioni è
perché… mi imbarazza dirlo, ma
ieri sera al pub ho provato ad assaggiare l’urina di
drago…–
Il suo breve
discorso parve
convincere Kevin Mask delle sue buone azioni, a riprova che Warsman
fosse un
buon oratore, arrivando ad abbassare il livello di collera tanto da
accantonare
da un lato tutta la questione “uscite galanti” per
saperne di più su quella
misteriosa bevanda.
–
Urina di drago? Stai scherzando spero…
non ho mai sentito parlare di qualcosa di simile! –
Il russo si
lasciò andare ad una
stanca, e ironica, risata prima di dare delucidazioni ad un giovanotto
quasi
del tutto ammansito – ragazzo mio vorrei non averne sentito
parlare nemmeno io
a questo punto… ma la mia curiosità mi ha spinto
a provarlo, dato che il
barista mi ha detto che era appena arrivato un nuovo acquisto dalla
nebulosa di
Orione, e ti posso garantire che ha il suo perché del
nome… uff…– si premette
maggiormente il ghiaccio contro i genitali, ritrovando poi la forza di
parlare
nuovamente – in pratica è un liquore potentissimo
che invece di bruciarti lo
stomaco ti brucia la vescica… e come puoi intuire non
è piacevole quando poi
devi andare in bagno! –
Questa volta non
aveva mentito al
proprio allievo, per quante cose imbarazzanti stesse nascondendo al
figlio
primogenito di Robin Mask, suo ex maestro, stavolta non aveva nulla da
nascondere e
pertanto tanto valeva
raccontare per davvero la bravata che aveva combinato durante la sera e
che lo
aveva poi tormentato per tutta la notte con forti dolori tanto da
portarlo a
prendere sonno solo verso la tarda mattinata.
–
Dunque… è così che è
andata? Nient’altro?
–
–
Nient’altro Kevin… solo, ho bisogno
urgentemente di una tisana alla malva prima che la mia vescica scoppi!
–
Vedendo
l’ex lottatore per davvero
sofferente al rampollo di casa Mask non rimase altro da fare che
accontentarlo
immediatamente per evitare che la situazione si aggravasse ancora di
più. Ma se
avesse saputo la verità molto probabilmente qualche sporco
epiteto lo avrebbe
lanciato contro il proprio allenatore.
- - - - - - - -
- - - - - - - - - - -
- - - - - - - - - - -
Il volo diretto
da Tokyo a Londra
stava viaggiando spedito tra gli sconfinati cieli terrestri senza che
una
turbolenza che fosse una disturbasse i passeggeri presenti. Merito
della
tecnologia di casa Lancaster e del fatto che l’aereo fosse di
proprietà della
marchesa Emerald Lancaster, figlia del famoso miliardario
nonché ex lottatore,
e per tal motivo si trattava di un veicolo con tutti i confort
necessari per i
suoi esigenti passeggeri.
Passeggeri molto
particolari in
effetti, in fuga da una città divenuta improvvisamente
inospitale per i
lottatori della Muscle League e tutti diretti verso Londra per
assistere, in
via ufficiale, alle nozze del secolo di una vecchia leggenda del
wrestling.
Ma non tutti i
passeggeri si stavano
dilettando con le vivande gentilmente offerte dalla proprietaria
dell’aereo, e
due individui piuttosto cupi erano seduti in disparte, l’uno
di fronte all’altro
separati unicamente da un basso tavolino con sopra due calici di
champagne
frizzante, nell’atto di contemplare il panorama di alcune
vette innevate che si
intravedevano dal finestrino.
–
Tzk… “non faccio sesso con nessuno,
Kevin” diceva… “non ti ho preso i
preservativi” diceva…–
– Oh,
senti! Siamo o non siamo vivi
grazie a lei? Direi che questo dovrebbe essere la tua ultima
preoccupazione–
Per ovvi motivi
Lord Flash si sentiva
a disagio, oltre che in profondo imbarazzo, dinnanzi ad un allievo che
aveva
scoperto in malo modo la sua sottospecie di relazione che aveva con la
Lancaster, che attualmente stava ridendo vedendo Kid Muscle fare il
cretino in
compagnia di tutti gli altri che o ridevano o lo rimproveravano
bonariamente,
ma che sembrava solo lievemente deluso anziché incazzato a
morte con lui.
– Hm,
suppongo che tu abbia ragione…
in fin dei conti ci ha salvato la vita e devo ammettere che
è una ragazza n
gamba – il giovanotto di nobili origini accavallò
le gambe ed osservò anche lui
l’atipica scenetta vicino all’angolo bar
– devo ammettere che mi sarei
aspettato pure io una maggiore incazzatura nei tuoi confronti, ma alla
fine devo
riscontrare che su certi aspetti sei simile a mio padre...
cioè un vecchio porco
che sbava dietro alle ragazzine–
Lo disse con
tono un po’ cinico oltre
che ironico, proprio mentre la risata scema di Emerald Lancaster
arrivava fino
a loro due e causata da una esibizione piuttosto grottesca del principe
dei
kinnikku, e a quel punto il russo potè trarre un piccolo
sospiro di sollievo notando
che Kevin gli aveva tollerato quel suo piccolo segreto a causa delle
loro vite
salvate in extremis da una eccentrica ereditiera.
Restava un altro
segreto celato al
rampollo di casa Mask… e Lord Flash pregò
interiormente che anche quello sulla
sua vera identità non cadesse precocemente così
come era caduto quello su
Emerald e sulle loro serate brave. Ma per il momento era il caso di
berci sopra
lo champagne che due minuti prima era stato generosamente offerto loro
dal
sommelier di volo.
Un po’ di nostalgia
time per questo
capitolo :D avevo bisogno di scrivere qualcosa di più
leggero, ma prometto di
riprendere anche con la longfic!
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