Our Time Is Running Out

di Black Nana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Peso dell'Inverno ***
Capitolo 2: *** Una settimana di svolte nella routine quotidiana ***



Capitolo 1
*** Il Peso dell'Inverno ***


Our Time Is Running Out.


Capitolo 1 ---> Il peso dell'inverno.


Aprì gli occhi delicatamente ritrovandosi ad osservare i particolari di quella stanza quasi sconosciuta, anche se lì risiedeva qualcuno che conosceva fin troppo bene. Spostò delicatamente il sottile lenzuolo che le celava il corpo scoperto. Sul suo viso si dipinse un sorriso appena accennato, quando le tornarono alla mente i ricordi di quella notte appena trascorsa. Nessuno si sarebbe aspettato una cosa del genere da una donna come lei, eppure a lei non interessava. Ciò che stava facendo era comunemente etichettato come sbagliato, ma per gente come lei il concetto di giusto o sbagliato era molto variabile. Stare con un uomo che non conosceva granché bene ed era il suo più grande rivale, nonché capo del comitato disciplinare, non era una situazione socialmente accettabile e né tantomeno lo scenario ideale affinché nascesse qualcosa, eppure per la diretta interessata ciò non pareva costituire un grosso problema. Nonostante tutto però le restava la consapevolezza, nel profondo del suo cuore di ghiaccio, che invece avrebbe dovuto considerare quella "relazione" altamente problematica. Ripreso il controllo dei suoi pensieri, si alzò dal letto lasciando cadere completamente quel lenzuolo da lei spostato poco prima rivelando le forme generose, celate fino a quel momento. Raccolse i suoi indumenti e si diresse in bagno. Entrata in doccia lasciò che l'acqua scendesse leggera sul corpo, affinché lavasse via ciò che restava su di sé della notte di passione appena trascorsa. Non riusciva a trovare delle parole che fossero adatte a descrivere quanto era avvenuto.

Le lunghe dita sottili, dalle lunghe unghie perfettamente curate e laccate di nero, attraversarono con un tocco lievemente glaciale i punti che testimoniavano il passaggio del ragazzo senza tralasciarne nessuno. Quei segni non sembravano affatto descrivere un atto di piacere, quanto più la battaglia tra due demoni in perpetua lotta fra di loro. Infondo era quella la loro natura, lei una belva feroce che congelava chiunque si trovasse sul suo cammino, mentre lui era il demone per eccellenza, un vampiro che con le sue zanne colpiva a morte tutto e tutti senza distinzioni. Quella figura gli calzava decisamente a pennello vista la sua fissa per il mordere a morte, peccato che con lei non funzionasse perché puntualmente la loro lotta ricominciava. Adelheid adorava, anzi forse addirittura amava, trascorrere quei momenti così intensi accanto a lui. Ad ogni bacio, ad ogni carezza, ad ogni tocco che si concedevano si sentiva più leggera e forse anche lui provava quello stesso senso di piena libertà. Tra di loro non c'erano discorsi vuoti o sentimentalismi inutili che potessero complicare le cose, poiché la loro era una partita a scacchi segnata da mosse ben precise e meticolosamente studiate. Sull'algido volto della Regina dei Ghiacci di Namimori comparve nuovamente un accenno di sorriso, poiché sentiva dentro di sé che quei momenti, ormai parte di una routine ben definita, le davano un senso di completezza. Quella sensazione non l'avrebbe mai potuta provare con Julie, semplicemente perché lui non era capace di darle ciò che cercava. Invece in quel frangente si sentiva la donna più potente di tutte, nonostante colui con il quale aveva intrecciato quella storia bizzarra, non mostrasse alcuna emozione nei suoi riguardi. Neppure lei però mostrava di possedere un qualsiasi tipo di sentimento per il ragazzo, infondo non era affatto casuale che la sua fiamma della terra fosse quella del ghiaccio. Lei era la più fredda tra i membri della Famiglia Simon.

Una volta terminata la doccia, si asciugò e si rivestì con estrema cura. Nonostante fosse iscritta all'ultimo anno del liceo di Namimori, indossava sempre la divisa nera della Simon così come tutto il resto della famiglia, con la sola aggiunta della fascia del comitato disciplinare, in cui tra l'altro, risultava essere la sola donna presente. Quella sua condizione aveva provocato lo scalpore degli studenti che temevano fortemente la diabolica alleanza tra lei ed il presidente. Fortunatamente nessuno immaginava che tra di loro ci fosse una tresca ed era necessario, visti i loro ruoli, che nessuno nutrisse sospetti sul loro rapporto. Una volta pronta lasciò la camera da letto per dirigersi in cucina. Scese con grazia ed eleganza le scale che collegavano il piano superiore con quello inferiore, dove si trovava la cucina. Non appena vi giunse trovò ad aspettarla un biglietto lasciato sul bancone. Raramente Adelheid aveva potuto ammirare la curvilinea ed elegante scrittura del ragazzo, che l'avvisava della presenza di un caffè e di un croissant pronti per lei. Era abbastanza certa che loro non fossero assolutamente tipi da prendere un caffè insieme al mattino, poiché difficilmente le avrebbe dimostrato una qualunque emozione. Tuttavia si era premurato di lasciarle un biglietto e questo denotava che si fosse interessato a lei, seppure nel suo modo alquanto contorto. Probabilmente era stato un semplice atto di cortesia, nulla di così eclatante.

La bruna fece il suo solito ingresso a scuola sotto gli occhi di tutto il corpo studentesco, che la osservava con ammirazione e timore. I tacchi a stiletto scandivano il passo deciso ed elegante della giovane rendendo i suoi movimenti simili a quelli di una pantera nera. Una volta giunta davanti all'ufficio del Demone di Namimori, aprì la porta in modo tutt'altro che gentile. "Sei in ritardo."  La voce fredda e noncurante del suo interlocutore non la scalfiva affatto, visto quello che c'era tra loro. Lei glaciale come sempre appoggiò una pila di documenti sulla scrivania, per poi voltarsi verso il ragazzo rivolgendogli uno sguardo che avrebbe fatto gelare il sangue di chiunque, ma forse non quello del demone dinnanzi a lei. "Se il mio ritardo ti arreca tutto questo disturbo potresti tranquillamente prenderti la briga di svegliarmi. Non ho altro da riferirti, perciò prendi questo e trascorri una buona giornata. Il pacchetto è per ringraziarti della serata. Ultimo appunto non azzardarti a pensare che io possa provare del rimorso per quanto c'è stato, perché non è così." Fredda e provocatrice, come solo lei sapeva essere, colpì nel segno il suo avversario che non poté ribattere. Uscì dall'ufficio senza voltarsi indietro, ben consapevole dello sguardo di lui che la seguiva.

Sapeva che a breve sarebbe cominciata la prima lezione del mattino e decise di non prendervi parte. I ragazzi del comitato disciplinare non sarebbero stati in giro, pertanto valeva la pena cogliere l'occasione. Si recò sul tetto della scuola e si accomodò in un angolo nascosto sotto il sole. Si soffermò ad osservare il cielo limpido nel quale risplendeva un sole caldo e gentile. In un angolino vi era una nuvola solitaria che vagava. Osservò per qualche minuto il vuoto che la circondava ed ebbe la sensazione che persino quello potesse essere più completo di lei. Si era autoconvinta che quella tresca le desse un senso di completezza, ma in realtà non era così. Probabilmente persino quella piccola nuvola solitaria era più amata di lei. Chi mai avrebbe potuto amare la Regina dei ghiacci? Credere nella remota probabilità in cui qualche stolto potesse provare qualcosa per lei equivaleva alla possibilità, praticamente inesistente, che Hibari si umiliasse pubblicamente. Sospirò debolmente cercando di allontanare dalla mente quei pensieri fastidiosi.

Inevitabilmente l'occhio cadde sul suo anello dalla pietra color ghiaccio, che sotto la luce del sole risplendeva come un diamante. Non avrebbe mai immaginato che un giorno quell'anello sarebbe stato gravato dal peso di un'alleanza tra la sua famiglia e quella che ne aveva causato la distruzione anni orsono. Volente o nolente Daemon Spade faceva parte dei Vongola ed era l'uomo che l'aveva ingannata sfruttando le sue debolezze. Quell'anello portava anche il peso del ruolo che si era affibbiata. La Regina dei ghiacci dal cuore freddo ed incapace di provare emozioni. Neppure quando tentava di flirtare, cosa impensabile per una come lei, era capace di mostrare qualcosa di differente dalla sua caratteristica freddezza. A volte era decisamente frustrante essere sé stessa. Resasi conto dell'ora si recò verso la propria aula giusto in tempo per il suono della campana che annunciava l'inizio della seconda ora.

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Capitolo 2
*** Una settimana di svolte nella routine quotidiana ***


Capitolo 2 ---> Una settimana di svolte nella routine quotidiana.


In una settimana la routine era stata sempre la stessa, nonostante avessero avuto quella specie di litigio. In sette giorni si era ripetuto lo stesso atto, ormai privo di qualsiasi traccia d'innocenza, semmai ve ne fosse stata nel Demone di Namimori. Gli pareva quasi di sentire la pressione delle unghie di lei che si conficcavano nella sua pelle, riempiendolo di graffi. Quello era il freddo e spietato marchio di una donna gelida, da lui provocata senza esitazioni. Era incredibile quanto Adelheid Suzuki potesse essere meno algida di quanto s'immaginasse. Kyoya acquisiva questa consapevolezza scoprendo, ad ogni bacio, quanto il ghiaccio potesse bruciare. Per quanto fredda potesse essere, nei loro momenti insieme si rendeva conto della potenza della fiamma emanata dalla ragazza. Quella fiamma per quanto in quel frangente potesse essere bollente, era in grado di gelare perfino l'inferno. Non riusciva a capacitarsi di come fossero in grado di passare dalla freddezza che si dimostravano quotidianamente in pubblico, alla passione bruciante che sprigionavano in privato.

I loro erano degli scontri alquanto feroci che non li lasciavano sempre indenni. Ogni volta che gli artigli della ragazza lasciavano tracce del suo passaggio, lui ringhiava sommessamente e quando poteva si vendicava azzannandole il lungo collo. Il loro era un eterno duello tra un lupo solitario ed una feroce pantera nera. A perdere lo scontro sarebbe stato il primo a soccombere al piacere di quell'atto peccaminoso che li aveva uniti. Avevano trovato un modo alquanto bizzarro per sfogare la frustrazione e la rabbia dovute alla loro rivalità. Era come se in quel peccaminoso frangente di scontro i loro cuori fossero congelati. L'attrito creato dalla loro lotta pareva scioglierli, riscaldandoli e guarendoli da quella fiamma che prima pareva quasi opprimerli. Perché anche Kyoya Hibari poteva sentirsi ferito nell'animo, anche se non lo avrebbe mai ammesso neppure a sé stesso figurarsi se avrebbe mai potuto farne parola con lei o con altri. Non era una ferita fisica, ma qualcosa di molto più profondo ed assillante a turbarlo. Quella ferita si faceva sentire soprattutto quando trascorreva il proprio tempo in compagnia di Adelheid. Magari avrebbe potuto curarla in modo indolore, continuando ad osservare la ragazza che riposava al suo fianco e pareva funzionare. Quando però arrivava per lui il momento di fuggire, il calore lasciava il posto ad un gelo che riapriva vecchie ferite. Probabilmente il dolore provocato dai legami che si spezzano per lasciare il posto all'abbandono, lo spingevano a fuggire da lei e dalla situazione da lui stesso creata. La solitudine gli era stata sempre compagna. Fin da ragazzino si era abituato a sentirsi superiore a coloro i quali lo avevano abbandonato al proprio destino. Gli avevano insegnato che al mondo vi erano prede e predatori; se lui avesse voluto trionfare e sopravvivere avrebbe dovuto imparare ad essere uno spietato predatore. L'idea di contare su qualcuno, che per quanto potesse sentire affine, non fosse lui, gli provocava maggior dolore, più di qualsiasi altra cosa. Quell'immagine era fin troppo irrealistica perfino per uno come lui che i sentimenti li aveva seppelliti da tempo immemore. In realtà quelli erano demoni che sapeva lo avrebbero inseguito per tutta la vita ed era giunto il momento che gli rendessero la vita un inferno.

Quotidianamente non appena si svegliava, si alzava in modo tale da sedere accanto alla Regina dei Ghiacci ancora addormentata. Gli piaceva prendersi del tempo per osservarla nella sua tranquilla bellezza, nella quale pareva quasi fosse un angelo. Vedendola così nessuno si sarebbe mai aspettato di trovarsi davanti alla donna più terrificante che si potesse incontrare sul proprio cammino. Mentre si perdeva ad ammirare quella figura e ad imprimerla nella sua mente, sul suo volto compariva qualcosa di molto simile ad un sorriso. Quell'espressione appariva nei momenti in cui si trovava solo con il suo canarino, mentre ne ascoltava le splendide melodie. Ma quel sorriso in quell'occasione era rivolto alla sua rivale. Lei nel frattempo si rigirava tra quelle soffici coperte, cercando inconsciamente qualcosa o meglio cercando di rilevare se lui fosse accanto a lei o meno. Lui non si lasciava mai trovare, bensì si alzava e si rivestiva senza indugio. Una volta pronto, quasi a volersi far perdonare per non essersi lasciato trovare, si soffermava ad osservarla ancora un momento, ma stavolta da lontano.

Funzionava così tra di loro. Lui andava sempre via per primo e non perché quella faccenda fosse spiacevole, anzi tutt'altro, il problema stava nel suo non sapere come comportarsi al risveglio di lei. Come avrebbe reagito vedendolo mentre si soffermava ad osservarla? Sicuramente si sarebbe trovato in una posizione scomoda. Mentre lo immaginava si rendeva conto di quanto fosse meglio evitarlo, per non trovarsi in una situazione decisamente complicata. Era ridicolo fuggire in quel modo, ma non aveva altra scelta. Assolutamente ridicolo per uno come lui. Sapeva che con una parola sbagliata avrebbe potuto mandare tutto a puttane e non ne aveva la benché minima intenzione di compromettere irrimediabilmente il loro più intimo legame. Era semplicemente assurdo e di ammetterlo non se ne parlava affatto, ma ad Hibari piaceva molto l'idea di averla per sé. Allo stesso tempo era frustrante pensare che si stessero semplicemente usando per soddisfare un desiderio o semplicemente per sfogare una qualche specie di tensione. Eppure quello era stato il tacito accordo che avevano stabilito soprattutto per sua volontà. Tenersi alla larga da un qualsiasi coinvolgimento emotivo per non compromettere la loro posizione e l'alleanza fra le famiglie. Per un assurdo scherzo del destino le cose tra lui ed Adelheid stavano cambiando ed il concetto di scambio di favori era stato totalmente travisato. Sbuffando tra un pensiero e l'altro, lasciò l'appartamento per dirigersi nel suo ufficio del liceo Namimori. Ad attendere Hibari vi era una pila di documenti che lo avrebbero tenuto occupato fino a quando lei non si fosse mostrata.

Picchiettò le dita sul tavolo, preda di un'irrequietezza diventata difficile da gestire. In quei giorni poi si era manifestata in modo ancor più devastante per i nervi del presidente del comitato disciplinare. Riusciva a malapena a contenere quella furia distruttiva e quell'impazienza, ormai divenute così forti da rendergli quasi impossibile svolgere il lavoro quotidiano. Tutto a causa di quella donna, la quale non era neppure in ritardo. Gli risultava difficile attendere con calma i quarantacinque minuti di distanza tra il momento in cui usciva di casa e l'arrivo a scuola di lei, annunciato dal rumore dei suoi tacchi a stiletto. Una volta arrivata gli consegnava lo scatolo del pranzo insieme ai soliti documenti, dopo ciò usciva dal suo ufficio senza proferire parola alcuna se non in qualche raro caso. Quotidianamente Adelheid gli preparava il pranzo come a volersi sdebitare del tempo da lui trascorso in sua compagnia. Quella mattina in particolare, nel suo ufficio, era entrato soltanto Kusakabe per portargli il solito caffè. Di certo sarebbe stata l'unica occasione in cui non lo avrebbe sterminato, visto il nervosismo. Se il suo vice non si fosse presentato all'orario stabilito, sarebbe stato costretto mordere a morte uno qualsiasi degli idioti in circolazione nei corridoi. Fosse stato possibile avrebbe sfidato Rokudo come si conveniva e poi lo avrebbe pestato, ma in sua mancanza avrebbe potuto accontentarsi dell'erbivoro idiota con gli occhiali. Un essere la cui utilità si era rivelata solo nel momento in cui Daemon Spade se lo era trovato davanti, decidendo di utilizzarlo come contenitore. Quell'individuo era un inutile illusionista con il complesso del padrone del mondo. Non era molto diverso dal suo discendente dell'attuale famiglia vongola. Entrambi soffrivano di uno strano disturbo. Il nobile coglione aveva scatenato un inutile putiferio per una donna morta, secondo lui, a causa del Primo Vongola e dei suoi guardiani.

A lui quella faccenda non era mai interessata, ma la sfida con Adelheid era stata l'unica nota positiva di quella seccatura. Si erano scontrati per la prima volta sul tetto della scuola media dopo un acceso confronto avvenuto proprio nel suo ufficio. Era stato un nulla di fatto, ma durante la cerimonia di successione era stato sconfitto senza neppure combattere. Lì il suo orgoglio era andato in frantumi e fu allora che giurò vendetta contro la sua avversaria. Nel loro secondo confronto, quello vero, le aveva dimostrato la superiorità del proprio orgoglio sconfiggendola. Quella era stata una vittoria effimera poiché in realtà aveva perso un confronto ben più grosso. Aveva ceduto all'impulso dettato dall'istinto cedendo ad una misteriosa forza che lo aveva attirato fin dall'inizio verso la bruna. Effettivamente la ragazza si rivelò essere un bel pezzo di carne su cui sfogarsi, dimostrandole la netta superiorità della sua determinazione. Però da quel confronto la scintilla che era scoccata nel loro primo scontro si era tramutata poi nell'incendio devastante in cui si ritrovavano coinvolti. Sì, poteva tranquillamente affermare che il Primo Guardiano della Nebbia avesse fatto una sola cosa buona nella sua lunghissima ed inutile esistenza, portare la Famiglia Simon nella SUA città. Quella strana malattia li aveva portati a non riuscire ad allontanarsi da due donne. Se il primo aveva scatenato l'inferno per una donna morta, il secondo aveva sviluppato una forma di ossessione per la sua ex posseduta, Chrome Dokuro colei con cui, in quel branco di erbivori, ricopriva il ruolo di Guardiano della Nebbia. Le stava sempre tra le costole anche se non sempre fisicamente. Spesso utilizzava le sue illusioni per farla spostare da Namimori a Kokuyo facendole perdere numerose lezioni. Ogni volta la ragazza veniva nel suo ufficio per chiedergli timorosamente il permesso di raggiungere il suo innamorato. Le concedeva il permesso semplicemente perché il solo fatto che riuscisse a tollerare Rokudo, dopo tutto ciò che le aveva fatto passare, era ammirevole. Tuttavia non riusciva proprio a capire cosa la ragazza ci trovasse in quel pallone gonfiato. Pur essendo un'erbivora aveva dimostrato di essere una persona quasi interessante con cui avere a che fare. A quanto pare i loro stessi adulti avevano sviluppato una sottospecie di “amicizia”, pertanto anche nel loro tempo erano riusciti ad instaurare un rapporto civile. Gli risultava impossibile comprendere come l'innocente Chrome si fosse innamorata del più sadico ed idiota degli illusionisti. Probabilmente derivava tutto da quella stessa forza misteriosa che lo spingeva verso la Regina dei Ghiacci. Ormai non erano più dei marmocchi. Tutto attorno a lui stava cambiando. Tutti compreso lui stavano crescendo. Persino quell'imbranato di Sawada ed il suo inseparabile Arcobaleno erano cresciuti.

Improvvisamente gli passò per la mente il pensiero che Adelheid potesse trovarsi in compagnia di quella mandria di stupidi erbivori dei suoi compagni e del moccioso col viso truccato ed il casco da motociclista. Quel moccioso era fastidiosamente perverso, in quanto ogni volta cercava di appropriarsi dell'intimo della ragazza. Sarebbe stato molto divertente dargli una lezione e morderlo a morte assieme al suo compagno di bravate preferito, Julie Katou. Già che c'era avrebbe potuto darle di santa ragione a Dino lo sfigato, il quale aveva ben pensato di offrire ad Adelheid la possibilità di allenarsi con lui ed i suoi uomini. Lei per mandarlo su tutte le furie gli aveva anche detto di star considerando l'idea di accettare il suo cortese invito. Lo aveva trovato molto divertente e cortese quel biondo imbecille, che si spacciava pure per professore di inglese solo per attirare l'attenzione delle ragazze e forse pure quella dell'unica ragazza facente parte del SUO Comitato disciplinare. Quella donna sapeva rivelarsi una spina nel fianco non indifferente e soprattutto impossibile da estirpare. Perso nei suoi pensieri gli parve fosse trascorso un tempo alquanto lungo, quando in realtà non erano trascorsi neppure cinque minuti. La tentazione di spaccare l'orologio in mille pezzi era alquanto difficile da reprimere. Dovevano trascorrere ancora trentanove minuti prima che la ragazza lo raggiungesse. A causa di quell'immotivata rabbia feroce si azzannò il labbro superiore mentre cercava di immaginare cosa lei stesse combinando. Era una delle rarissime occasioni in cui lasciava trasparire il proprio stato d'animo, che in quel momento era palesemente nervoso. Nervoso in prospettiva dell'arrivo di qualcosa o meglio di qualcuno. Avrebbero potuto anche condannarlo alla dannazione eterna, tanto non gliene sarebbe fregato niente, ma in quel momento l'unica cosa che voleva era poterla vedere, poterla sentire e soprattutto poterla avere tra le sue grinfie. Sfortunatamente non gli restava altro che immaginare di sentirla arrivare e magari subirsi una delle sue sfuriate colossali, tipiche di quelle volte in cui si divertiva a giocare dei tiri mancini al piccoletto da ciuccio viola e al coglione occhialuto. Pur non sopportandoli erano membri dei Simon e nessuno poteva toccarli senza restare impunito, eccetto lei ovviamente. Era divertente farla incazzare e scoprire ogni volta cosa avrebbe escogitato per vendicarsi dell'affronto, quella ragazza sapeva davvero essere creativa nel rinfacciargli il prezzo delle sue provocazioni. Senza accorgersene si era ritrovato dietro la porta in attesa di aprirla personalmente e di incrociare lo sguardo di Adelheid. Trovarlo appostato in quel modo non prometteva nulla di buono, anzi risultava piuttosto inquietante. Sapeva bene che lei avrebbe capito il perché di tutto ciò. Infondo la nobile causa che lo spingeva a stare lì era proprio lei.

Quando le iridi grigio-azzurre del demonio incontrarono quelle scarlatte della donna di ghiaccio, nell'aria parve essere tornata la calma. Con un sorriso appena abbozzato la invitò ad entrare richiudendole la porta alle spalle. Lei ricambiò con altrettanta cordialità posando la pila di fogli che teneva tra le mani insieme al solito scatolino contenente il pranzo. Prima di andarsene lo salutò rivolgendogli un sorriso sincero ed un occhiolino che le provocò una risata soffocata prontamente. Decisamente voleva vedere la sua reazione, ma preferì restare in silenzio ad osservarla. Lei si allontanò sui suoi stivali a stiletto, richiudendo la porta dietro di sé con delicatezza. Hibari rimasto solo fissò per qualche minuto il pacchetto per poi aprirlo con calma. Una volta scopertone il contenuto sul suo volto si dipinse un'espressione di soddisfazione. Lei lo conosceva meglio di quanto credesse. Una sfilza di piccoli onigiri perfetti ordinati in maniera impeccabile insieme alla classica selezione di verdurine, proprio come piaceva a lui. Accanto alle immancabili bacchette trovò qualcosa di inaspettato. La bruna gli aveva lasciato un bigliettino nel quale lo invitava a cena da lei la sera successiva alle 7 e mezza. Avrebbe atteso una risposta entro il mattino seguente. Ovviamente avrebbe accettato l'invito poiché apprezzava particolarmente la cucina della padrona di casa.

Quella sera al solito orario la bruna si presentò da lui verso ora di cena. Appena arrivata la fece accomodare in sala per comunicarle il responso in merito all'invito ricevuto, che fu ovviamente positivo. Non aveva però previsto di aver irritato la sua ospite che quella sera seppe come punirlo. La regina dei ghiacci lo aveva riempito di profondi segni rossi, mentre lui l'aveva afferrata alle spalle e le aveva azzannato una clavicola con inaudita ferocia lasciandole un segno profondo. Prima di darsi ai piaceri della carne scatenavano sempre una rissa, che era il loro brutale modo di allenarsi e comunicare. Hibari non riusciva proprio a capire perché entrambi fossero così violenti e soprattutto perché i segni che gli lasciava, gli ricordassero i graffi che il gatto della tempesta lasciava al suo stupido padrone. Probabilmente perché entrambi erano felini. La sua era una pantera dei ghiacci mentre l'altra una gattina irritante, fastidiosa e rompipalle come il suo padrone. Il mattino seguente cercò di dare un senso alle assurde riflessioni del giorno prima. In qualche modo quella routine, ormai degenerata, andava spezzata e rimessa in carreggiata. L'algida ragazza che dormiva accanto a lui ogni volta cercava qualcosa nel sonno. In realtà cercava di stabilire un contatto con lui dal quale si ritraeva sempre. Quel giorno decise di non ritrarsi e di lasciarle trovare la sua mano. Lei ne parve contenta e rivolse il volto verso di lui sorridendogli. Non sembrava affatto la donna fredda e quasi incapace di provare emozioni temuta da tutta Namimori, ma una semplice ragazza di diciannove anni spensierata e giovale. L'esatto opposto di colei che aveva conosciuto, sfidato e sconfitto e dalla quale era fatalmente attratto. Lei si prodigava molto per lui preparandogli il pranzo ogni mattina ed il minimo che potesse fare era cercare di ricambiare in qualche modo il favore. Lasciandosi trovare aveva mosso un piccolo passo verso l'annientamento di quel circolo vizioso in cui erano precipitati. Provò ad imporsi di restarle accanto finché non si fosse svegliata, ma non ne fu capace. Tuttavia andò via proprio mentre lei si apprestava ad aprire gli occhi. Infatti fu costretto a darsi alla fuga passando per la finestra della sua camera, dando un'occhiata fugace alla ragazza che si era appena alzata.

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