Vuoi essere la mia casa?

di Queen_Of_Love
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** Tra amore e attrazione? ***
Capitolo 3: *** Quando il gatto non c'è, i topi ballano ***
Capitolo 4: *** Il mio riflesso ***
Capitolo 5: *** I'm singing in the rain ***
Capitolo 6: *** Gelosia portami via ***
Capitolo 7: *** Tu che sei parte di me ***
Capitolo 8: *** 8. Anno nuovo, guaio nuovo ***
Capitolo 9: *** Attento a quel che desideri ***
Capitolo 10: *** Una Canzone d'amore per farti ricordare ***
Capitolo 11: *** Il bacio sospeso ***
Capitolo 12: *** 12. Tra giusto e sbagliato ***
Capitolo 13: *** 13. Hai il coraggio di dire quello che vuoi? ***
Capitolo 14: *** 14. I won't let you go ***
Capitolo 15: *** 15. Se hai amato in amore, non è mai un errore ***
Capitolo 16: *** 16. I'll stand by you ***
Capitolo 17: *** 17. Tutto quello che ho ***
Capitolo 18: *** How wonderful life is now you're in the world ***
Capitolo 19: *** Resta con me ***



Capitolo 1
*** L'inizio ***


1.L'inizio

 

< Val, Sei pronta? Dobbiamo andare o faremo tardi! >

< Si Mamma! Sono pronta! > Valery scese presto le scale, cercando di non inciampare con quei trampoli che si era messa ai piedi. Si specchiò un'ultima volta per sistemarsi i capelli color cioccolato.

< Non ci posso credere che la mia bambina stia per fare 18 anni >

< Mamma! Ma che, stai piangendo? > Valery abbracciò sua madre < Ho già fatto 18 anni, almeno da..> Valery guardò l'orologio del salone < ..mezz'ora! Sono adulta ormai! >

< Rimarrai sempre la mia bambina, lo sai vero? > Raisa le accarezzò la guancia e partirono per il ristorante. La madre aveva organizzato una bella festa in un ristorante vicino Firenze, gli invitati non erano ancora arrivati, fortunatamente l'invitata era la prima. Il ristorante si trovava immerso nel verde, c'era tutto il giardino intorno, con siepi e cespugli di qualunque forma. Il posto era illuminato da luci colorate bianche, rosa e blu, che donavano al giardino un aspetto quasi magico. Entrando all'interno del locale Raisa e Valery cominciarono a sistemare le ultime cose, aiutate dalle amiche che arrivarono poco dopo. Dopo un'oretta la sala iniziò a pienarsi e la festa poteva dirsi cominciata.

< Te l'ha ancora detto nessuno che sei bellissima stasera? >

< Amore! Pensavo mi dessi buca! > Valery abbracciò Alberto, il fidanzato.

< Scusa, ritardo al lavoro > le accarezzò la guancia dolcemente, sperando di farle passare quella piccola scintilla di rabbia che le vedeva negli occhi.

< hm..perdonato! >

< Auguri amore! > sussurrò. Mentre si abbandonavano a un dolce bacio, la migliore amica Meredith la strattonò via per un braccio.

< Non so se hai notato ma stavo.. >

< Si si, c'è sempre tempo per scambiarsi la saliva con i ragazzi, ma adesso non è il momento, perché c'è qualcosa che devi vedere > Meredith trascinò Valery in mezzo alla sala, dove la fece sedere su una poltroncina. Le luci si spensero e un video di foto correlate a frasi poetiche sulle note di "She's the one" si proiettò sul video proiettore, nella sala. La sala era verniciata di un giallo caldo, agli angoli della sala vi erano appesi dei vasi, assemblati a dei ganci, con delle rose rosse e arancioni, in una combinazione da sei, che donavano al luogo un'aria molto romantica. C'erano due tavole imbandite. In una erano accomodati i parenti e nell'altra gli amici e i compagni di classe di Valery. Erano almeno  cinquanta persone.

Dopo aver cenato con un misto di antipasti e pizza, portarono la torta.

< Esprimi un desiderio! > urlavamo i parenti e gli amici. Valery si guardava intorno, imbarazzata di essere il soggetto della loro attenzione. Scavò dentro di lei e chiuse gli occhi per esprimere un desiderio.

Soffiò e tutti applaudirono.

Buffa la vita se ci soffermiamo a riflettere.

Un attimo prima sei un'adolescente e un attimo dopo ti ritrovi donna, almeno così una ragazza pensa quando arriva al traguardo dei diciotto anni. Si pensa di poter cambiare il mondo, di riuscire a fare tutte quelle cose che mamma e papà ti avevano vietato fino a quel momento, anche Valery la pensava così. Infondo era una ragazza semplice, con tanti progetti. Aveva deciso di intraprendere l'università, di trascorrere la sua  vita con Alberto e aveva una famiglia che l'amava, sua madre Raisa. Era tutto perfetto, a parte il fatto che con lei non c'era suo padre, ma non lo pensava mai, per lei ormai lui era morto e si era abituata a vivere senza di lui. Dicono che dopo i diciotto anni, tutto è in discesa, ma per Valery, ancora non lo sapeva, sarebbero cambiate tante cose.

< Scusa, sei tu la festeggiata? > Valery si girò e degli occhi verdi la rapirono. Davanti a lei un bel ragazzo, alto, moro, riccio, occhi languidi e verdi che si rivolse a Valery mentre era intenta a parlare con la sua amica Meredith, fuori al giardino del ristorante.

< Si, sono io, perché? > balbettò Valery titubante.

< Piacere Jackson > disse sorridendo.

< Valery > rispose, sorridendo timidamente, scostano la coccia di capelli dietro l'orecchio.

< Sono il cameriere. Ehm..il tuo ragazzo mi ha detto di darti questo > le porse un biglietto che Valery aprì elettrizzata, anche se distratta ancora da quegli occhi che l'avevano stregata.

Il sorriso le scomparve subito dal volto, alla lettura di quel foglietto.

“Scusa piccola, sono dovuto scappare. Ti amo”

Valery sbuffò e accartocciò il biglietto, stretto in pugno. < Come al solito.. >

Alberto non era un ragazzo cattivo. Valery lo conobbe a quindici anni a scuola di danza.  Era conosciuto come “il ballerino sexy”, tutte le ragazze selezionate per un duetto del saggio mensile speravano di ballare con lui. Era un bel ragazzo biondo, occhi azzurri, muscoloso e aveva una buona nomina. Qualunque ragazza che aveva avuto a che fare con lui, non aveva di che lamentarsi. Valery era l'unica ragazza della scuola che non perdeva il suo tempo a fantasticare su di lui. Diceva che era un esibizionista e si dava troppe arie. Un giorno, però, l'insegnante di danza contemporanea, scelse proprio lei per il duetto di fine anno. Tutte le sue compagne si congratulavano, ma lei avrebbe ceduto volentieri il posto a qualcun'altra. Non le piaceva stare al centro dell'attenzione. I giorni seguenti alla notizia, l'insegnante le fece incontrare il suo partner, che appena la vide, l'accolse con un gran sorriso. Provarono insieme, quasi giornalmente. Col passare del tempo si ricredette riguardo a come lo aveva dipinto. Lo aveva giudicato male, era professionale, simpatico, alla mano e sì, sexy da morire. Durante le prove si creò un legame tra loro, un legame di fiducia. Il duetto, al momento del saggio, fu strabiliante e tutti si complimentarono con i ballerini protagonisti. Da quel momento, tra Alberto e Valery nacque una certa complicità e si sa, a quindici anni tutto ti sembra perfetto e per lei lui lo era. I problemi vennero dopo, quando la magia scomparve dopo le mille delusioni e la poco attenzione che Alberto le dava. Il vaso si era riempito d'acqua, aspettava di scrosciare, bastava qualche altra goccia e dopo sarebbe traboccato.

< Dai.. non te la prendere. Avrà avuto sicuramente una motivazione valida per andarsene > Meredith cercava di consolarla cingendole le spalle, ma Valery era stufa di lui. Non trovava mai tempo per lei. Ogni scusa era buona per andarsene. “Sono dovuto scappare” Balle. Un modo carino per dire “sono al bar con i miei amici per divertirmi un po'”, perché per un ventiquattrenne è troppo noioso stare qui, con la sua ragazza, il giorno del suo compleanno.

La rabbia le salì fino alla punta dei capelli.

< Jackson, giusto? > Valery si rivolse al cameriere, voleva divertirsi e l'assenza del suo ragazzo non avrebbe influito minimamente sul suo umore, era il suo compleanno, dannazione. < Portaci qualcosa da bere, per favore >

< Val.. non mi sembra il modo giusto di affrontare la tua frustrazione >

< Non affronto proprio niente, lui se n'è andato, lo fa sempre, ma io sono qui e mi voglio divertire, tu puoi stare qui a predicare il modulo della ragazza perfetta oppure.. > continuò Valery direzionando il braccio verso il bar < ..divertirti con me >. Meredith la guardò studiosa, aveva paura di accondiscendere alla richiesta, ma sapeva che se non l'avesse fatto, la sua amica si sarebbe ritrovata senza ragazzo e senza migliore amica, il giorno del suo compleanno, e questo non lo avrebbe permesso.

< Ehi bel fusto! L'hai sentita la festeggiata? Diamo inizio alla festa > disse Meredith ammiccando al cameriere.

< Sarà fatto > Jackson sorrise e ubbidì alla richiesta.

Valery non si era mai lasciata andare con l'alcool, infatti non sapeva qual era il suo limite massimo di birre  che non le avrebbe causato la perdita della ragione. Era sempre stata la figlia modello, la fidanzata perfetta, non sgarrava mai. Quella sera decise di non pensare. Dopo aver ballato ore sulla pista da ballo si ritirò al bancone bar, alquanto ubriaca.

< Vedo che procede bene la festa! > urlò Jackson per farsi sentire da Valery sopra il rumore assordante della musica. Valery alzò la testa e lo guardò ammaliata. Era ancora più bello di quando l'aveva visto tre ore fa. Possibile? Si chiese. Forse era l'alcool. < Che dirà la mamma adesso? > Valery non riusciva a mettere due parole insieme, ci mise un po' per metabolizzare le parole di Jackson.

< Fai troppe domande > Valery sorrise tenendosi la testa tra le mani.

< Te ne ho fatta una sola a dire il vero > Jackson prese un bicchiere e vi versò un po' d'acqua. < Tieni questo, ti farà stare un po' meglio >

< Guarda che non sono stupida, sono leggermente brilla ma ti posso assi..cu..rare che sono perfett..amente in grado di.. riconoscere quando qualcuno come te, si sta approfittando di..me > Valery ci mise almeno dieci minuti per comporre il discorso e il risultato fu soltanto una fragorosa risata da parte di Jackson.

< Zitta e bevi, è acqua! Non mi approfitto delle ragazzine >

< Ehi! Ragazzina..a chi? > Valery si alzò, posando i gomiti sul bancone, per guardarlo negli occhi e lui si avvicinò a sua volta, sorridendo.

< Che c'è? Non sei d'accordo? > Valery lo prese per la cravatta e lo attrasse a sé.

< Guarda che quelli come te me li mangio a colazione > Jackson sentì per la prima volta il suo profumo, Lavanda. Valery posò, inconsciamente, lo sguardo sulle sue labbra e Jackson sorrise maliziosamente pensando a quanto fosse sexy quella misteriosa ragazza. Aveva tutto al posto giusto. A occhio e croce una quarta, snella, bel viso dai lineamenti morbidi e tondeggianti, si soffermò sugli occhi color nocciola, così grandi che sembrava gli leggessero dentro l'anima. Jackson si avvicinò ancora di più, sfiorandole la guancia, sorpassò la bocca e posò le sue labbra all'orecchio. < È meglio che ti porto a casa, mamma si starà preoccupando > si staccò e per quanto possibile, nel suo stato di confusione mentale, Valery si sentì mancare il respiro e cadde sullo sgabello quasi in tilt. Jackson sorrise alla sua reazione e si allontanò. 

La tenne d'occhio per tutta la notte, non sapeva niente di lei, eppure era misteriosamente attratto da quella ragazza.

Spero che questo primo capitolo possa esservi piaciuto e possa avervi dato un motivo per seguirmi e tornare a leggere i capitoli successivi!
Leggete, leggete e leggete per scoprire l'evoluzione della storia!
 Scrivo senza alcuna pretesa professionale, con l'unico scopo di trasmettere qualcosa attraverso la scrittura, sperando di far sognare, almeno un po'!
Un saluto da Queen_OF_Love e dai miei figlioletti: Val, Mer, Alby e Jake! <3
P.S.: a breve vi mostrerò i loro volti, se riesco a inserirle! Accetto aiuto! :D
Kiss Kiss!  :)

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Capitolo 2
*** Tra amore e attrazione? ***



2. Tra amore e attrazione?

 

La mattina seguente Valery si ritrovò sul letto, in camera sua, avvolta dalle coperte. Non si ricordava minimamente come ci fosse arrivata a casa. Non si ricordava niente. Si ricordava solo che aveva bevuto qualche birra con Meredith e sicuramente, ritrovandosi in quelle condizioni, per giunta con un mal di testa allucinante, la birra aveva preso il sopravvento su di lei. Una cosa però se la ricordava, il motivo per cui aveva iniziato a bere: Alberto. Subito la rabbia repressa della sera prima si fece sentire dentro di lei ma troppo debole fisicamente lasciò perdere quel sentimento e si alzò dal letto, accompagnata da giri di testa continui.

< Ben alzata miss birretta! > Raisa la prese per mano dalle scale e la fece sedere al tavolo della cucina, dandole un bicchiere d'acqua e un'aspirina. < Tieni! Per il post-sbronza è ottima > Valery guardò Raisa confusa. < Non..non sei arrabbiata? >

< Lo ero ieri sera, ma Meredith è stata così gentile da spiegarmi il motivo della tua bravata così.. ho lasciato correre. Avrei alzato il gomito anch'io al tuo posto. >

< Già.. vorrei che fosse diverso a volte, vorrei che ci mettesse più impegno per il nostro rapporto, vorrei.. >

< Non ci pensare, riposati ok? > disse Raisa interrompendola. Valery si lasciò prendere da quella malinconia che ormai l'aveva invasa, tristezza a cui non aveva lasciato spazio la sera prima. Adesso tutte le emozioni a cui non aveva dato modo di uscire, la stavano avvolgendo completamente.

< Quindi mi ha accompagnata Meredith a casa > collegò, cercando di ricordare almeno l'ultima parte della serata.

< No > Valery si stupì della risposta, credeva che avesse passato tutta la serata con Meredith. Allora chi l'aveva accompagnata a casa? Si chiese.

< No? E.. allora chi? > Raisa si alzò da tavola farfugliando qualcosa di incomprensibile su un ragazzo che era stato talmente cortese da portarla a casa prima che iniziasse a vomitare per strada.

< Un ragazzo? Chi è? > Valery non si ricordava di aver parlato con un ragazzo in modo così confidenziale da farsi portare a casa. Non avrebbe potuto nemmeno dare indicazioni stradali, quindi si trattava di qualcuno che la conosceva, sapeva dove abitava. Un compagno di classe forse.

< No non era un tuo compagno di classe, altrimenti l'avrei riconosciuto. Era un bel tipo, alto, moro, brizzolato. è stato molto gentile >

< E tu ovviamente non ti sei posta qualche domanda sulla sua esistenza! > esclamò Valery roteando gli occhi.

< Pensavo lo conoscessi.. > Raisa guardò Valery con aria interrogativa. < non è così? > Valery continuò ad interrogarsi sull'individuo che l'aveva portata a casa quella notte, non riusciva a ricordarsi nulla. Probabilmente aveva conosciuto qualcuno che gentilmente l'aveva riportata a casa, ma non ricordarsi minimamente di chi si trattasse era frustrante. Blackout totale. Come se qualcuno le avesse estirpato parte della memoria. Questo significava anche che avrebbe potuto fare qualcosa di cui pentirsi, qualcosa di cui avrebbe dovuto chiedere scusa, cosa era successo? Decise di chiamare Meredith, doveva assolutamente sapere qualcosa.

< Ehi Val! Ti sei ripresa? > Meredith ridacchiava e Valery non capiva da cosa fosse scaturita la risata.

< Mer.. arrivo al punto.. cos'è successo ieri? Ho come un vuoto mentale e mia madre sostiene che ieri notte mi abbia accompagnato un “bel tipo” a casa. Chi cavolo era questo tizio? > disse Valery tutto d'un fiato. Al momento un altro sentimento col quale doveva fare i conti era l'ansia. E se avesse tradito Alberto?

< Val calmati! Respira! Non è successo niente di cui preoccuparsi! Hai alzato un po' il gomito, hai ballato un po', ti sei divertita e hai fatto amicizia col cameriere > Il cameriere? Valery ebbe un flashback, le apparvero dinanzi due occhi verdi che la guardavano, iniziò a ricordare il suo volto. Poteva corrispondere alla descrizione, ma non rimembrava di averci parlato ancora durante la serata.    < Siccome sapevo che una brava ragazza come te non avrebbe retto abbastanza alcool da risultare sobria durante la serata, ho chiesto a Jackson di accompagnarti a casa >

< Ma sei pazza? Mi hai fatto accompagnare a casa da uno sconosciuto? > Meredith sorrise < Fidati.. non lo trattavi come uno sconosciuto > e continuò a ridacchiare. < È un bravo ragazzo, l'ho osservato, non ti avrebbe fatto nulla, anche perché prima di farti portare a casa l'ho minacciato di una morte lenta e dolorosa se solo ti avesse toccata > Valery era rimasta ancora all'allusione dell'amica. Che aveva combinato? Si chiese. Chiuse la chiamata con l'amica e cercò in tutti modi di ricordare. Prese il telefono: 5 chiamate da Alberto. Non rispose, era ancora arrabbiata. Il problema era che non sapeva se ne aveva il diritto, e se avesse fatto qualcosa di sbagliato con questo Jackson? Solo al ricordo di quel viso sentì una scossa per tutto il corpo, un senso di eccitazione che la immerse. Era successo sicuramente qualcosa. Aveva intenzione di scoprirlo.

 

Sua madre sarebbe dovuta andare a pagare il resto della quota d'affitto del locale e decise di andare con lei. Finalmente avrebbe saputo cos'era successo. Alberto chiamava ancora ma lei non rispondeva, era troppo presa dalla vicenda. Arrivate a destinazione Valery, titubante, aveva paura di scoprire qualcosa che non avrebbe giovato né a lei né alla sua storia con Alberto.

Entrarono nel locale, i camerieri erano tutti in sala, stavano preparando i tavoli, ci sarebbe stato un battesimo e tutto doveva essere pronto. Raisa andò a destra dell'entrata per cercare il titolare e pagare la serata, Valery intanto scrutava i volti dei camerieri per capire se ci fosse anche questo, ormai famoso, Jackson; dei cinque nemmeno uno corrispondeva al suo ricordo.

< Posso aiutarti? > Valery sentì una bella voce maschile e si girò di scatto, per scoprire chi mai possedesse una voce così armoniosa; andava matta per le voci baritonali. Il suo sogno nel cassetto, da quando era piccina, era di stare con un cantate come John Legend.

Alla sua vista, nel volto di Jackson, si accese un sorriso. Posò i tovaglioli che aveva in mano sul bancone e la osservò da capo a piedi, mordendosi le labbra divertito. < La festeggiata.. sei qui perché.. > cercava di comrendere il motivo della sua venuta, intanto a Valery si era gelato il sangue. Quegli occhi verdi le erano rimasti impressi. Li sentiva addosso a sé, l'attraevano come il ferro viene attratto da un magnete.

< Ehm..sono qui perché.. > Valery si guardò intorno, schiarendosi la voce, gli si avvicinò e parlò sottovoce. < ..volevo sapere se l'altra sera, avevo fatto qualcosa di..particolare > Valery abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore e Jackson sorrise malizioso per il ricordo che aveva di lei.

< Particolare, dici? No.. > Valery annuì ma Jackson sembrava divertito. Sapeva che le stava nascondendo qualcosa. Si avvicinò al cameriere ancora di più con tono minaccioso, colpendogli con l'indice il petto al suono di ogni parola.

< Senti “caro barista” so che è successo qualcosa e considerando il modo in cui ridi sotto i baffi, esigo di sapere cosa, intesi? > mantenne lo sguardo di sfida su Jackson. Lui le prese la mano con cui gli aveva puntato il dito contro e gliela strinse, accorciando ancor di più la distanza tra i loro volti. Valery sentì un brivido e deglutì cercando di non far trapelare alcuna emozione che provava per lui in quel momento. Sorrise beffardo sentendo il suo respiro farsi più corto. Aveva una certa reputazione come latin lover.

< Mi hai raccontato del tuo ragazzo, hai bevuto, hai filtrato con me e ti ho accompagnato a casa perché la tua amica mi ha disperatamente implorato di farlo, ti ho presa in braccio perché non ti reggevi in piedi e poi.. > Jackson si interruppe cercando di ricordare il continuo, alzando gli occhi al cielo.

< E poi.. > chiese Valery spingendolo a continuare. Lasciò per un attimo scivolare lo sguardo sulle sue labbra per poi ritornare sugli occhi.

< E poi..tua madre ha aperto la porta, mi ha accolto in casa e ti ho portata in camera > Jackson sorrise e le lasciò la mano.            < Soddisfatta del resoconto? > e se ne andò ad apparecchiare i tavoli, lasciandola lì come uno stoccafisso senza neanche degnarla di un saluto. Valery rimase ferma, con la stessa espressione, non riusciva a capire l'attrazione che provava per lui. Era forte, troppo forte. Non aveva mai provato qualcosa del genere. Era attratta da Alberto, ma quel ragazzo la stregava.
Si voltò verso di lui e lo rincorse. < Grazie > Jackson la guardò interrogativo.
< Per cosa esattamente? >
< A quanto ho capito, mi hai sopportato da ubriaca, non dovrebbe essere facile. Inoltre mi hai accompagnata a casa e nessuno ti aveva costretto, quindi grazie, sei stato molto gentile > si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Era un gesto che faceva sempre per timidezza. 
< Non c'è di che.. > strizzò l'occhio e tornò a lavoro.

Era normale provare attrazione per un ragazzo che non era il tuo ragazzo? Possibile provare attrazione per un ragazzo sconosciuto? Valery chiuse gli occhi per ritornare in sé, e un'immagine annebbiata le tornò alla mente. Le loro labbra che si sfioravano. Si sfregò gli occhi immediatamente, interrompendo quel ricordo. Non era successo niente, gliel'aveva detto lui, e lui non avrebbe avuto motivo di mentire, perché allora avrebbe voluto che fosse successo qualcosa?

 

A casa,Valery si sprofondò sul letto,pensò insistentemente a Jackson e alla sera del suo compleanno. Tutto quello che ricordava erano immagini sfocate che la confondevano di più di quanto già non fosse. Jackson aveva accennato a un flirt ma non ricordava nulla a riguardo. Prese il telefono e compose il numero di Alberto. Le solite conversazioni di sempre in cui non si dicevano niente. Non accennò all'altra notte. Non gli disse che si era ubriacata perché ci era rimasta male della sua dipartita. Non nominò né Jackson né il flirt che c'era stato tra loro. Decise di lasciar perdere, da lì a poco avrebbe dimenticato. L'importante era tenere in piedi il loro rapporto perché lei amava Alberto. Questa era l'unica cosa che contava.


 

Ciao bei cornetti nutellosi! Non so in quanti leggeranno questo secondo capitolo, quanti mi seguiranno, quanti mi malediranno per la schifezza che sto scrivendo o quanti mi ameranno per questo ma a tutti dico che sono contenta se spendete un po' del vostro tempo per leggere ciò che scrivo! :D Spero che il secondo capitolo vi piacca! Ce ne saremmo molti altri, e ancora non avete visto niente (e meno male ahahah). Un bacione e ve prego non lapidateme! Vogliatemi bene! ;) 
Un saluto a tutti dai miei personaggi, a cui ho deciso di dare un volto! Ve garbano? Io me li sono immaginati così:

 

 

Il fascinoso Jackson



Il ballerino Alberto



La tenera Valery


La bella Meredith

 

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Capitolo 3
*** Quando il gatto non c'è, i topi ballano ***


 


3. Quando il gatto non c'è, i topi ballano

 

«Indovina amore, indovina!» Alberto prese in braccio Valery facendola girare in tondo.

«Cos'è successo?» chiese Valery euforica, ansiosa di sapere cosa rendesse felice il suo ragazzo. Le prese le mani e la guardò entusiasta.

«Andrò in tournée con la compagnia di ballo del teatro!» Valery gli si buttò al collo dalla felicità. «Ci pensi Val? Andrò a Londra un mese intero! Non è fantastico?» Subito Valery cambiò espressione. Non si immaginava che Alberto potesse stare via così tanto tempo.

«Un mese? Wow.. un mese» Era contenta per lui, un po' meno per loro.

«Sarà solo un mese bimba, poi torno da te» le sorrise rassicurandola e le accarezzò la guancia. Il volto di Valery si riaccese quando condivise con lui la sua idea «Potrei venire con te! Che ne dici? Io e te a Londra, ci pensi?» gli gettò le braccia al collo ma si accorse che non ricambiò il suo abbraccio «Che hai? Non vuoi che venga con te?» chiese stranita.

«Certo che voglio ma..» Alberto le prese le mani posate sul collo e le tenne nelle sue «..sarò impegnato molto con il teatro. Prove su prove, esibizioni. Non voglio che ti annoi» Valery sorrise e lo baciò.

«È per questo? Non m'importa se sarai impegnato a ballare giorno e notte! Sai quanto amo vederti ballare! Mi accontenterò di qualche fugace attenzione, ogni tanto.. sai.. soli in una camera tutta nostra..» alluse Valery maliziosamente, divertita, riportando le mani intorno al collo. Alberto sembrò gradire, ma subito dissentì.

«Bel programmino ma.. preferirei che tu restassi a casa. Non voglio che ti senta trascurata, non avrò tempo sufficiente da dedicarti. Lavorerò tutto il giorno, trascorrerò tutto il mio tempo con i ragazzi della compagnia..» A Valery sembrava come se stesse cercando più scuse possibili per andare a Londra da solo.

«Ti ho detto che non m'importa!» urlò Valery.

«Ma a me si!» altrettanto urlò Alberto. Stavolta fu Valery a lasciar scivolare le sue mani verso il suo petto per poi ritirarle. Non riusciva a capire perché non la voleva tra i piedi. “È questo che fanno i fidanzati infondo, no? Stanno insieme! Hanno il desiderio di stare sempre insieme, che sia in Italia, in Pakistan o in Burundi! Perché per Alberto non era mai così?” Pensò.

Alberto le alzò il mento con le dita e la guardò negli occhi sorridendo «Non volevo urlare, scusa, preferisco solo che tu stia a casa. Non voglio che tu faccia tanti chilometri per stare da sola.» le prese il viso tra le mani e la baciò delicatamente. Valery annuì, guardando per terra, ma non rispose. «Lo faccio per te, piccola» a quelle parole alzò la testa, irritata. Avrebbe voluto dirgli tutto quello che pensava, che si teneva dentro da tre anni a quella parte, ma non parlò. Incrociò i suoi occhi e le parole le si spezzarono in gola. Riuscì solo ad annuire ancora, con un sorriso debole. «Lo sapevo che avresti capito! Ci vediamo dopo allora!» disse per poi baciarla frettolosamente prima di andare a preparare i bagagli. Sarebbe partito due giorni dopo.

Valery sapeva che sarebbe dovuta essere felice per lui, era una bella opportunità per Alberto ma sentiva un brutto presentimento. Una lacrima le rigò il viso, si sentiva respinta, ancora una volta. Quella conversazione le fece capire che forse la loro storia era più vicina alla fine di quanto non fosse già. Cercò si scacciare quella sensazione, ma sul cuore si era posato un altro macigno e non sapeva quanti altri ancora ne avrebbe potuti reggere.

 

«Sai cosa si fa in questi casi, tesoro? Mollare! All'istante! Lascia la patata bollente a qualcun'altra e cercatene un altro» Meredith camminava impettita verso il bar della città mentre Valery aveva lo sguardo perso nel vuoto. «Mi hai sentita?»

«Non è una patata, Mer! È il mio ragazzo! Non posso lasciarlo dopo averci passato insieme tre anni della mia vita. Avrà tutti i difetti del mondo ma.. lo amo! Non so se immagino la mia vita senza di lui»

«Comincia a farlo!» Rispose secca Meredith, trascinandola verso il tavolino del bar «Siediti e chiudi gli occhi» Valery la guardò torva, ma Meredith non volle sentire ragioni. «Ho detto chiudi-gli-occhi!» A quell'ordine, Valery non osò replicare. Chiuse gli occhi e seguì le istruzioni di Meredith. «Adesso immagina un posto che ti piace come.. la spiaggia! Sei su una spiaggia, al tramonto, seduta sulla sabbia. C'è una brezza leggera che ti scompiglia i capelli. Lascia andare tutta la rabbia, il rancore e tutto ciò che ti fa stare male, compreso l'amore che provi per Alberto. Cosa provi?»

Valery sentì una sensazione strana, che non aveva mai provato. Inspirò per poi rispondere «Pace..»

"In questa spiaggia sei sola. Alberto non esiste, non è mai esistito."

Quella fantasia le sembrava così reale che sentiva realmente il vento scompigliarle i capelli, l'acqua del mare bagnarle i piedi e l'odore del mare entrarle nelle narici. Era sola. Nessuno si poteva introdurre in quel mondo. Si sentiva libera.

Quando aprì gli occhi si trovò davanti l'aperitivo e Meredith che parlava, mangiando le noccioline che aveva ordinato. Si svegliò come ci si sveglia dopo un bel sogno. Valery rimase in silenzio. Non aveva mai passato del tempo con sé stessa, l'idea di stare sola la spaventava, ma forse Meredith aveva ragione.

Esisteva una vita senza Alberto.

L'aveva appena vista.

Mentre rifletteva, posò lo sguardo sul ragazzo che puliva i tavolini. Aveva un'aria familiare, forse lo conosceva, ma la voce dell'amica la distolse dai suoi pensieri.

«Sei stata con Luca?» esclamò Valery sbarrando gli occhi.

«No! Sono uscita con Luca, Val! Ma mi ascolti? Poi..mi piace Alessandro, lui sì che è un tipo affascinante, sempre con la battuta pronta. Vogliamo parlare dei pettorali?» disse mordendosi il labbro inferiore con aria sognante lasciando il discorso a metà.

«Ohi!» la scosse, riportandola alla realtà. «Ma quali pettorali!?» soffocò una risata prima di continuare il discorso «Come fai?» chiese disturbandola dal sogno.

«A fare cosa?»

«A non avere voglia di stare con qualcuno, a non innamorarti»

Meredith scosse la testa contorcendo la bocca in una smorfia di disappunto per poi rispondere «Per me l'amore è una cosa troppo romanzata. È solo una gabbia in cui tenere prigioniero qualcuno. Come la cara Holly in Colazione da Tiffany, non voglio farmi imprigionare da nessuno. Non appartengo a nessuno.»

«Ma.. alla fine del film non si mette con Paul?» puntualizza Valery.

«Non è questo il punto! Il punto è che nel momento in cui lasci spazio all'amore, non ne puoi più fare a meno. È più semplice prendere quello che si vuole quando si vuole, senza tanti rompimenti di scatole.» si avvicinò a Valery parlando sottovoce «dovresti provarlo anche tu bambolina, con quel bel moretto dietro di me per esempio» strizzò l'occhio e si alzò dirigendosi verso il bagno. Meredith era una ragazza alquanto particolare. Aveva due anni in più, si conobbero, con Valery, a scuola di danza, come con Alberto; Valery passava lì la maggior parte del tempo prima di smettere. Meredith ovviamente era nella classe più grande, e un giorno, a causa dell'assenza della loro insegnante, avvenuta all'ultimo secondo, si ritrovò a sostituirla nella classe di Valery. Non l'aveva mai vista di buon occhio, era una tipa tosta, senza peli sulla lingua, a Valery non piaceva molto, sembrava sempre arrabbiata, acida. A fine lezione andarono tutte a cambiarsi ma Meredith rimase lì per ballare da sola. Valery mentre saliva le scale degli spogliatoi sentì la musica e senza fare rumore si appoggiò alla porta. Faceva dei movimenti puliti ed eleganti, sembrava un angelo, pensò Valery. Finita la musica, si accovacciò a terra con la testa tra le ginocchia e Valery entrò in sala per congratularsi. Meredith si girò dall'altra parte sfregandosi gli occhi, per poi girarsi verso di lei. Aveva gli occhi lucidi e sorrise ringraziandola. Da lì a poco iniziarono a frequentarsi e presto divennero inseparabili. I suoi genitori la diedero in adozione quando nacque. Restò in orfanotrofio fino a otto anni, crescendo con la rabbia verso i suo genitori. Era abbastanza grande per capire i vari motivi che avrebbero potuto spingere i suoi genitori a darla in adozione, ma non lo era abbastanza per capire il motivo per cui l'avevano lasciata lì, da sola. Ancora non aveva trovato la risposta. La famiglia Bercelli, quella che l'adottò, era composta dalla signora Sara e il signor Giorgio, una coppia molto dolce. Appena videro quella bambina dal colorito pallido e i capelli rosso acceso, raccolti in due treccioline arruffate, si innamorarono. Giocava in disparte sull'altalena, lontana dagli altri bambini. Alzò gli occhi e li guardò, alzatosi, gli andò in contro per chiedergli di giocare con lei. Reputava tutti i bambini, noiosi. Quella bambina li rapì e capirono che era lei quella che stavano cercando.

Meredith si sentì, per la prima volta parte di una famiglia. Imparò a volergli bene, a trattarli come una madre e un padre, anche se non sapeva come si facesse. Crescendo, anche se amava quelle persone, aveva un tumulto dentro, colmo di interrogativi. Non lo dava a vedere ma ogni tanto i suoi occhi si riempivano di speranza. Avrebbe voluto conoscerli.

Valery e Meredith, erano così diverse che nessuno avrebbe mai scommesso sulla loro amicizia, ma forse era proprio la loro diversità a tenerle unite. “Non esiste prospettiva, senza due punti di vista”.

Dopo il commento di Meredith, Valery osservò di nuovo il barista di prima, era ancora girato di spalle. Rimase a fissarlo finché non si girò. Si gelò. Aveva sicuramente visto male, non è possibile, pensò. Si nascose sotto il tavolino, facendo finta di raccogliere qualcosa. Si vergognava. L'avrebbe dovuto salutare? E se non si ricordava di lei? E se si ricordava di lei, invece? Era meglio che non ricordasse? Perché si era nascosta sotto il tavolino? Perché si vergognava? A volte era veramente strana. Una cosa era certa: non poteva stare sotto il tavolino per troppo tempo. Alzò la testa lentamente spiando ogni mossa intorno a lei e con estrema velocità, afferrò la borsa e si nascose in bagno. Valery entrò spalancando la porta, una signora la guardò irritata alzando gli occhi al cielo. «Scusi..» e se ne andò immediatamente.

«Ti scappa forte eh?» ridacchiò l'amica.

«Meredith! Oh mio Dio! Non immagini chi c'è fuori!»

«Aspetta! Non dirmelo.. » tamburellava le dita sulla fronte in cerca di qualche personaggio. «Robert Downey!» Valery si portò la mano alla fronte spiegandosi come erano potute diventare amiche.

«No! Jackson!» Meredith la guardò interrogativa. «il cameriere del mio diciottesimo..» ancora non ebbe alcun ricordo. «..il bel tipo che mi portò a casa!»

«Aaaah! Potevi dirlo subito! Qual è il problema?»

«È imbarazzante! Non ricordo ancora cosa ho detto o fatto quella sera e pensare solo che lui si sia fatto un'idea sbagliata di me credendomi una bambina psicopatica mi urta»

«Tu cara amica mia, ti fai troppi problemi! Stacca quel cervello ogni tanto! Adesso usciamo, andiamo a pagare e lo saluti, con totale disinvoltura!»

«E se..» Meredith la interruppe mettendole la mano davanti alla bocca.

«Niente ma e niente se. Culo dritto, spalle in fuori e esci dal cesso» Valery uscì spinta, letteralmente, dall'amica e andò a pagare, a braccetto con Mer. Alla cassa non c'era Jackson. Valery prese un sospiro di sollievo, pagarono e mentre Valery rimetteva il portafoglio in borsa, non vedendo, si scontrò con la schiena di un ragazzo. Lo sguardo di Jackson schizzò immediatamente sul suo. Non si aspettava che avrebbe rivisto quella pazza.

«Sei già ubriaca? Sono appena le nove» quel sorriso smagliante la tranquillizzò.

«Avevo paura di non fare in tempo! Meglio cominciare presto» Valery rispose al sorriso mentre il bel cameriere la squadrava attentamente e rimasero in silenzio finché Meredith, furbamente, diede buca all'amica, inventando di aver disertato per sbaglio una cena coi parenti a casa, lasciandola lì. Senza macchina. Da sola.

«Scusami devo andare tesoro! Tanto c'è lui no? Ti dispiace accompagnarla a casa? Tanto ricordi dove abita giusto?» disse schiettamente a Jackson strizzandogli l'occhio in segno di saluto, senza neanche aspettare una risposta.

«No! Mer, aspettami, vengo con te!» Meredith stava già camminando verso l'uscita. Valery la rincorse cercando di non inciampare davanti a Jackson. «Mer! Ehi!» la prese per un braccio facendola girare.

«Ti sto facendo un favore! Dimenticati di quel verme del tuo ex e fiondati da quel bel fustacchione!» Valery rimase un po' perplessa, obbiettando.

«Guarda che il fidanzato ce l'ho ancora!»

«E allora?» chiese Meredith facendo spallucce. «Non ci devi mica fare qualcosa! Ti godi una serata diversa, è un tipo ingamba, cosa ti farà mai?»

«Ho un fidanzato Mer.. io non posso uscire con..»

«Poche storie» alzò la mano, interrompendola, come se avesse una paletta da vigilante «Quel tipo ti piace, si vede da un chilometro, non me lo devi nascondere.» Valery avvampò «Dimmi che quello che vuoi non è entrare in quel bar» la faccia di Valery assunse un colore simile allo scarlatto, sentendosi beccata.

«Mer..» Meredith se ne andò ed entrò in macchina, sfrecciando nel buio della sera. Valery considerò l'idea di andare in pullman, ma era tardi, ormai non passava nessun pullman. Alzò gli occhi al cielo, sapendo di essere costretta a dover chiedere un passaggio a Jackson.

«Ti ha mollata qui?» Valery si sedette sullo sgabello del bancone, con aria imbarazzata.

«Mi offri un drink consolatorio?» Jackson sorrise e le versò da bere. Parlarono tutta la sera, lanciandosi sguardi d'intesa tra un cliente e l'altro, fino a che non arrivò mezzanotte e il suo turno finì. Valery gli diede una mano a pulire i tavolini e il bancone mentre Jackson ogni tanto la guardava in silenzio, ammaliato. Era felice che fosse rimasta.

«Grazie dell'aiuto»

«Ho solo ricambiato un favore» rispose timidamente Valery guardandosi i piedi mentre si avvicinavano alla macchina. “Proprio oggi mi dovevo mettere queste dannate zeppe, adesso sembrerò una papera col culo ritto, speriamo di non inciampare, porca miseria.” Pensò.

«Quindi poi sarai di nuovo in debito con me, supponendo che ti devo accompagnare a casa?» Jackson la guardò di sottecchi.

«A questo non avevo pensato, vorrà dire che mi inventerò qualcosa»

«Per esempio.. un'uscita al cinema? Saresti costretta ad accettare dovendomi ricambiare il favore, giusto?» Jackson sorrise maliziosamente, con occhi desiderosi di un sì. Valery non riuscì a dire di no, l'idea di stare con lui le faceva sentire una scossa elettrica per tutto il corpo.

«Ti farei un favore se ti dicessi di sì?»

«Più che altro mi farebbe piacere» Valery abbassò la testa, scostando la cioccia di capelli dietro l'orecchio e poi annuì.

«Allora verrò»

«Perfetto, andiamo! Preferenza di un film?» Valery sbarrò gli occhi. Non si aspettava un'uscita immediata.

«Adesso intendevi? Stasera?» Sentì vibrare la borsa. Un messaggio di Alberto.

“Ehi bimba, ceni a casa mia dopo?” La solita domanda carina che maschera la realtà: mi prepari la cena? Fissò il messaggio storcendo la bocca in segnò di disappunto, finché Jackson non si insediò nei suoi pensieri.

«Ti ho presa in contropiede? Se avevi altri impegni..»

«Tomorrowland va bene? O è troppo da femminucce?» interruppe Jackson con un gran sorriso, che approvò in pieno il film.

“Scusa, ho preso già impegni con Meredith. Ci vediamo domani. Ti amo.”

Era la prima volta che mentiva ad Alberto così spudoratamente. Neanche sapeva perché lo aveva fatto. Per istinto di sopravvivenza, forse. Aveva bisogno di staccare dalla realtà e il fatto che c'era Jackson lì con lei, rendeva la fuga perfetta. Solo lei e un tizio di cui in realtà non sapeva nulla, ma era l'ingrediente ideale per fuggire. Non le piaceva mentire, si sentiva in colpa, ma sentiva anche di dover cambiare aria. Almeno per una sera.

 

Si sedettero sulle poltrone vecchie e sciupate del cinema e la proiezione del film cominciò. Ogni tanto durante il film i loro occhi si incrociavano; riuscivano a malapena a distogliere il loro sguardo sul film. Valery sentì lo stomaco sottosopra quando Jackson per sbagliò posò la mano sul bracciolo su cui c'era la sua. Un brivido lo fermò e tolse la mano, poggiandosi dall'altra parte.

Ai cinque minuti di intervallo, Valery ebbe quasi un attacco di panico.

«Merda!» si abbassò, sedendosi per terra rivolta verso Jackson, che la guardò interdetto.

«Che stai facendo?» disse sorridendo.

«Lo vedi quel ragazzo, due file più avanti a noi, capelli ritti e ciuffo in piena faccia, biondo?» Jackson studiò con discrezione i ragazzi davanti a sé e adocchiò il soggetto della loro conversazione, annuendo a Valery. «È il fratello del mio ragazzo» imprecò guardando tra una sedia e l'altra, spiando il fratello di Alberto, sperando di essersi sbagliata. Il ragazzo voltò la testa verso la sua direzione facendo girare Valery di scatto che si ritrovò a un passo di distanza da Jackson che intanto si era seduto accanto a lei. Quando vide il suo viso vicino al suo, balzò. Erano così vicini che sentivano l'uno il respiro dell'altra.

«Quindi riepilogando...hai paura che il tuo ragazzo scopra che sei qui con me» bisbigliò Jackson, guardandola dritta negli occhi.

«È complicato. Non volevo mentirgli ma dovevo. Per me stessa. Volevo fare una cosa senza sentirmi in colpa. Lui lo fa continuamente. Esce quando vuole, con chi vuole. Ti sembra giusto?» Jackson la studiò e sorrise. «Non fraintendermi non sono quel tipo di ragazza che mente al suo ragazzo e fa i comodi suoi! Volevo solo..»

«Staccare» disse concludendole la frase. «Non sopporti come si comporta ma continui a stare con lui perché lo ami. Ma tu, a differenza sua, ti senti tremendamente in colpa per aver agito alle sue spalle e questo ti fa arrabbiare perché non vorresti sentirtici affatto.» Valery lo ascoltava dar voce ai suoi pensieri. Era come se le avesse letto la mente e guardandolo negli occhi provò un qualcosa di nuovo: fiducia. «Ho detto qualcosa di sbagliato?» Valery lo fissava sorpresa da come potesse aver letto tutto quello che aveva dentro.

«No..» le luci della sala si spensero e delle voci in sottofondo cominciarono a schiarirsi e a farsi sempre più forti. L'intervallo era finito. «Usciamo di qui» le sussurrò. Jackson la prese per mano e uscirono con discrezione, senza dare nell'occhio.

 

«Psicologia?» chiese Valery.

«Si! Ho fatto un anno, poi mi sono dedicato al negozio d'ottica dei miei genitori. Sai come vanno queste cose.. la vita, il lavoro, i problemi! Non è il caso di affibbiarsi anche quelli degli altri» disse sorridendo. Jackson aveva intrapreso questa carriera, avendo il padre che lavorava come tale nel negozio di famiglia. Avevano una buona nomina in città. Faceva parte di una famiglia benestante, ma i suoi divorziarono quando era piccolino. I genitori cominciarono a farsi guerra accaparrandosi il suo affetto con giocattoli sempre più costosi, facendogli mancare la cosa più importante: l'amore.

«Sapevi esattamente cosa provassi. È... disarmante!» disse Valery.

«Si leggeva dagli occhi, dai movimenti delle mani. Eri arrabbiata, ma non per il tuo ragazzo. Ormai ti sei stancata di arrabbiarti per lui.  Me lo ricordo al tuo compleanno. Dovresti farti una camomilla» le consigliò ridendo.

«Ti ricordi tante cose di me» disse Valery con piacere.

«Sai.. tendo a ricordarmi ciò che mi incuriosisce» la guardò fugacemente malizioso, facendola arrossire.

«Quindi ti incuriosisco eh?» Jackson si limitò a sorridere mordendosi il labbro inferiore, poi cambiò argomento.

 

La portò a casa e come un vero gentiluomo l' accompagnò al portone.

«Non è necessario che scendi» non fece in tempo a dirlo che Jackson le aprì la portiera dell'auto.

«Non vorrei che inciampassi sugli scalini come l'altra volta» Jackson sorrise rimembrando quella scena di tre mesi fa.

«Ti prego, non dirmi che sono caduta!» Valery si coprì il viso con le mani dalla vergogna che provava per sé stessa ma Jackson continuava a ridere nonostante Valery lo pregasse di smetterla, divertita anche lei dall'immagine di sé stessa.

«Dovevi vederti! Non riuscivi a salire, ti ho dovuto prendere in braccio!» continuò il racconto con le lacrime agli occhi.

«Molto divertente! Non è che adesso ti devo portare io in braccio?» disse colpendolo con una gomitata. Valery diede il via a una guerra.

«Adesso ti faccio vedere io!» Jackson la prese di peso e se la mise in spalla portandola su per le scale.

«Mettimi giù!» arrivati sul pianerottolo Jackson la posò a terra e rise divertito, quando Valery lo colpì con un pugno sul braccio. «Non psicanalizzarmi più, altrimenti questa è l'ultima volta che mi vedi!» esclamò Valery, scherzando, ovviamente.

Jackson le scompose i capelli scherzosamente, avvicinandosi. «Mi dispiace. Le sedute non sono finite qui. Le serve uno psicologo come me. Ne ha davvero bisogno signorina» disse con tono da intellettuale, alzando le sopracciglia.

Valery prese le chiavi dalla borsa, giocherellandoci. Chi sa se sapeva che se una donna gioca con le chiavi quando un uomo la riaccompagna a casa, è perché si aspetta qualcosa. Lei non sapeva cosa si aspettava, sapeva solo che non avrebbe voluto che se ne andasse.

«Vedremo per le prossime sedute allora» disse quasi in tono speranzoso. Jackson chinò il capo in segno di assenso. «Bene allora.. buonanotte»

Le baciò la guancia delicatamente e si ritrasse allo stesso modo, quasi a volerle lasciare il segno delle labbra. «Buonanotte Val» le sussurrò.

Valery ebbe un brivido di piacere sentendo il suo fiato sul collo e incrociati i suoi occhi, si girò immediatamente verso il portone e infilò le chiavi nella serratura per poi entrare dentro casa e mettere spazio sufficiente tra di loro.

 

Jackson tornò a casa, ripensando a quel bacio.

Al bacio che si scambiarono quella sera quando la riaccompagnò a casa. Erano passati tre mesi però non se lo era dimenticato. Un bacio delicato, dolce, come una buonanotte o un buongiorno, veloce come il battito d'ali di una farfalla. 

 

Angolo Queen_Of_Love
Ciao piccole polpette di sesamo! Voglio dedicare questo capitolo pieno di robba a Sun_Ivan che ha recensito i primi due precedenti capitoli e mi ha rallegrato il cuore!
Spero che possa piacervi questo nuovo capitolo!
Ho voluto dare un po' spazio alla storia di Meredith per farvi capire la sua storia e anche accennare la storia del nostro Jackson che ancora ha tante sorprese da darci! 
Un bacione a tutti!
P.S.: Spero che siate arrivati qui senza esservi addormentati! Recensite, recensite e recensite!

 

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Capitolo 4
*** Il mio riflesso ***



4. Il mio riflesso


 

Un sogno si introdusse nella mente di Valery. Jackson la portava in braccio sul portico di casa. Era mezza addormentata, con la testa poggiata sulla sua spalla e prima che lui la posasse a terra, lei guardandolo, lo baciò.

In quel momento esatto vide una luce bianca accecante. Era sua madre che alzava la serranda. Si svegliò confusa, non capiva da cosa venissero quei pensieri. Erano ormai due settimane che lo stesso sogno le martellava la mente. Stesso sogno, stesse immagini. Nulla cambiava. C'era sempre Jackson con cui puntualmente si scambiava un bacio sul portico. Da cosa fosse nato quel sogno, a cosa fosse collegato, non se lo spiegava. Decise di lasciar perdere e andare di sotto da Raisa, probabilmente quel sogno significava semplicemente che era a corto di zuccheri. Seduta al tavolo, si lanciò sul cornetto al cioccolato appena sfornato e accese il Pc per controllare Skype. Nessuna chiamata da Londra. Ormai erano dieci giorni che aspettava una chiamata, ma a quanto pare aveva ragione Alberto. Non aveva tempo da dedicarle. Controllò WhatsApp. Forse del tempo per un messaggio lo aveva trovato. Infatti:

“Good Morning, Love! Here is beautiful! I thinking about you all time of every day! Miss u!”

«Hm.. dopo dieci giorni si è ricordato di avere una fidanzata» borbottò sottovoce Valery.

«Hai detto qualcosa scricciolo?» Raisa sbucò all'improvviso in cucina, sentendo la voce di Val. Il suo umore non era dei migliori, come ogni mattina da quando Alberto era partito. «Ti manca Alberto, vero?» Raisa le si avvicinò per consolarla. «Guarda che mancano solo una ventina di giorni! Poi sarà qui di nuovo!» l'abbracciò più forte ma sentì che non era quello il problema, la conosceva bene. I suoi occhi erano spenti, cupi, senza espressione. «Sei dispiaciuta perché volevi andare con lui? Se vuoi ti compro il biglietto, così gli fai una sorpresa..» Anche a quell'offerta Valery non mosse ciglio, si limitò ad alzare il sopracciglio pensando che probabilmente se fosse andata a Londra, Alberto avrebbe trovato il modo di farla ripartire lo stesso giorno del suo arrivo, per non averla tra i piedi. Sperava sempre che in un modo o nell'altro, sarebbero cambiate le cose tra di loro, ma più andavano avanti e più capiva che sarebbe accaduto qualcosa un giorno che l'avrebbe messa davanti a un bivio. Raisa non sopportava vederla star male, l'aveva vista troppe volte così. «Andiamo a fare shopping eh? Ti va? Poi andiamo a prendere un gelato e poi cinese! Dai! Che ne dici?» Valery, finalmente, abbozzò un sorriso, più per farla contenta che per spontaneità. «Dimmi di si!» chiese Raisa supplicante.

«Si va bene! Va bene! Vado a prepararmi!» rispose Val, con sorriso sincero. Forse era proprio quello che le ci voleva. Una bella giornata madre-figlia. Shopping e cibo. Le due più grandi consolazioni della vita!

 

Non erano neanche a metà strada che avevano già in mano tre buste a testa. Valery aveva deciso di lasciarsi andare allo shopping terapeutico e stava riuscendo proprio bene. Aveva comprato tre vestitini, adorava indossarli, un paio di scarpe col tacco, un paio di stivaletti estivi color cuoio, qualche sciarpina estiva e uno smalto color corallo.

«Come ti senti?» chiese Raisa vedendola raggiante, mentre si gustava il gelato.

«Ti voglio bene» rispose lanciandole le braccia al collo.

Sentì vibrare la tasca. Subito sbuffò, non le andava di parlare con Alberto, le era appena tornato il buonumore dopo giorni di frustrazione.

«Amore! Qui è meraviglioso! Che stai facendo?» Alberto sembrava pienamente felice, quindi anche Val cercò di sembrare entusiasta della chiamata, ma con scarsi risultati. Raisa la guardò capendo subito con chi stava parlando e facendo finta di non ascoltare la conversazione, si girò a guardare le vetrine degli altri negozi, stando sempre attenta a sporgere l'orecchio per origliare la conversazione.

«Shopping con mamma, ho comprato molte cose carine» Forse aveva chiamato perché le mancava seriamente, forse era il suo modo di farle capire che ci teneva a lei, pensò Valery. Continuò il discorso con più euforia, non voleva abbandonarsi al rancore. Era la regina delle seconde possibilità, anche se Alberto ormai ci aveva fatto il mutuo. «Ho quasi svaligiato metà dei negozi in città! Ci stiamo divertendo molto! Poi dopo ordiniamo cinese e..» in sottofondo si sentivano rumori assordanti provenire chi sa da quale posto e voci sovrastate che interloquivano con Alberto, nonostante lui stesse al telefono. «Alby.. ci sei?» sentì una risata assordante femminile dall'altra parte del telefono.

«Scusa love! Devo andare! Questi ragazzi mi fanno impazzire! Ci sentiamo dopo, promesso! Divertiti con Meredith! Ti amo!» Tic.

«Meredith?» Non si ricordava di aver nominato Meredith in quei due secondi di conversazione. Era più che sicura di aver detto mamma. La rabbia che aveva accantonato poco prima, ricominciò a farsi sentire. Sentì formicolare i palmi delle mani. Avrebbe voluto picchiarlo. Addio shopping terapeutico. Addio pace e tranquillità. Raisa la vide stringere il telefono con forza e prima che potesse scoppiare, da un momento all'altro, le cinse la schiena e la portò in macchina, per ritornare a casa. Appena chiusa la portiera dell'auto cominciò a imprecare contro ogni pedone e macchina che non rispettasse il codice stradale, prima di parlare di Alberto.

«Era meglio se non chiamava. Non ha ascoltato niente di quello che ho detto. Capisci? Niente! Non mi ha considerata proprio! Ma se non te ne frega niente di sapere quello che faccio, perché chiamarmi? Stai con i tuoi amici svampiti e non rompere!» Valery cercò di calmarsi, portandosi le dita alle tempie, per massaggiarsi la testa. Respirò profondamente e poi decise di uscire, non le andava di arrabbiarsi inutilmente con qualcuno che neanche si accorgeva di sbagliare.

“Ti va di uscire stasera? Cinemino. Stavolta rimaniamo per tutto il film” mandò un messaggio a Jackson, in attesa di una risposta.

Come se non stesse aspettando altro, rispose velocemente con un risonante si.

 

Jackson sarebbe andata a prenderla verso le otto. Il film cominciava alle 20.30. Stavolta lo aveva scelto lui: Jurassicworld. Fortunatamente avevano gli stessi gusti cinematografici, potevano sbizzarrirsi come volevano, entrambi avevano trovato un amico con cui passare il tempo, quando la casa era troppo affollata, di pensieri. Dopo la prima uscita continuarono a vedersi quasi quotidianamente. Le piaceva Jackson come persona, era affidabile, l'ascoltava, la capiva, sapeva cosa dire e quando. Era un bravo ragazzo e ci si trovava bene, parlavano di tutto, dalle cose banali, a quelle importanti. C'era un alchimia particolare che li univa, Valery non se la spiegava e nemmeno Jackson. Sapevano solo che si piacevano, andavano d'accordo e si stava instaurando un bel rapporto d'amicizia tra loro. Esistono persone che conosci da un sacco di tempo, eppure non ci hai mai costruito niente, poi all'improvviso, compare quel qualcuno che entra nella tua vita, come il polline ti entra in casa d'estate, velocemente, d'impatto, ma allo stesso tempo delicatamente, e tu non te ne accorgi nemmeno, quelle persone poi rimangono lì con te, come se avessero trovato il loro posto, come se avessero incontrato quello che stavano cercando. Ecco, Jackson e Valery erano pollini. Si erano introdotti dolcemente, l'uno nella vita dell'altra, come se si fossero sempre conosciuti. Da quando c'era Jackson, qualcosa era cambiato in lei. Riusciva a calmarla, a darle quel qualcosa che Alberto non le era riuscito mai a dare. Valery riconosceva che era attratta da lui, ma sapeva anche controllarsi, non avrebbe mai tradito Alberto.

 

Per l'uscita al cinema aveva optato per un vestito color verde acqua, che aveva appena comprato, rimaneva morbido appoggiandosi addosso, con scollo a U che non lasciava intravedere nulla, anche se la quarta di seno non le permetteva di passare comunque inosservata sul quel corpicino esule e minuto. Il vestito cadeva sui fianchi, all'altezza del ginocchio, rimanendo comunque semplice e non appariscente.

«Con chi esci?» Raisa, curiosa, entrò in camera sbirciando i vestiti posti sul letto.

«Jackson»

«Il bel tipo» Raisa socchiuse gli occhi leggermente per capire se fosse interessata a quel ragazzo.

«Sì, oggi non avevamo impegni, andiamo al cinema e Meredith aveva da fare quindi..» Valery continuava a guardarsi allo specchio, acconciandosi i capelli in una treccia laterale sbarazzina.

«Ci stai uscendo parecchio...» si sentiva aria di predica materna.

«Mamma..» sbuffò Valery «Non cominciare, siamo solo amici»

«Amici?» disse Raisa tenendo il suo sguardo su Valery per studiarla. Valery sbuffò ancora. «Non sarà troppo carino per essere solo un amico?»

«Non sto tradendo Alberto, se è questo che ti interessa» sbottò Valery.

«Non sto dicendo questo. Dico solo che è normale se ti piacesse. Sai, quando non vanno molto bene le cose in una coppia, è probabile che si incontrino persone che ci danno più attenzioni, di cui ci si può invaghire..»

«Mamma!» Valery si girò spazientita verso Raisa con il mascara in mano e fulminatola, tornò a truccarsi. Raisa si alzò dal letto e la guardò riflessa nello specchio. La prese per il braccio e la voltò verso di sé.

«Voglio solo che stai attenta. Non a Jackson, sono sicura che sia un bravo ragazzo, ma a te. Voglio che prima di fare qualcosa, qualsiasi cosa, ci rifletta su più volte. Lo so che con Alberto le cose non vanno bene, ma è facile passare dalla parte del torto in una relazione.»

«Jackson mi piace, e non nego che se non ci fosse Alberto probabilmente.. non so.. sarebbe già successo qualcosa, ma è questo il punto. Se non ci fosse. Lui c'è e non gli farei mai del male, nonostante lui mi ferisca ogni giorno. Ho solo bisogno di passare del tempo con qualcuno che mi faccia pensare ad altro, che mi faccia stare bene» Raisa l'abbracciò e le baciò la fronte. Sapeva quanto Valery fosse buona e leale, ma era anche fragile, ne aveva passate tante, non voleva che l'ultimo arrivato le rapisse il cuore.

 

Un colpo di clacson.

«Ehi bellezza! Pronta?» Jackson era in macchina aspettando Valery, che saltellando scendeva le scale del portico.

«Eccomi!» disse salendo in macchina. Raisa uscì di casa per controllare la situazione. Valery sembrava felice. Jackson la vide e la salutò da lontano con entusiasmo. Raisa rimase stupita dal gesto, sorrise ricambiando il saluto e rientrò in casa.

«Tua madre è molto giovane, quanti anni ha?»

«36» Jackson sgranò gli occhi e si rivolse ancora a Valery sbalordito.

«36? Wow, giovanissima! Ha scelto di averti a diciotto anni oppure è successo?»

Un aspetto di Jackson era questo: la curiosità. Amava fare domande, conoscere, sapere. A Valery piaceva questo lato di lui, perché ogni volta che faceva una domanda su di lei, capiva che era interessato a conoscerla, a scoprire qualcosa di lei. Non sapeva però che un giorno avrebbe anche fatto domande sulla sua famiglia. Era un argomento di cui non parlava mai volentieri, ma lui le ispirava fiducia, si sentiva a suo agio quando c'era lui. Dopo qualche attimo di titubanza rispose alla domanda «Mia madre mi ha avuto quando aveva 25 anni» Jackson la guardò confuso, scorse nel volto di Valery un velo di tristezza che si impossessò di lei. Capì che probabilmente era successo qualcosa, aspettò in silenzio, facendole capire che poteva anche crollare il discorso se voleva, ma lei parlò.

«Si chiamava Elsa. Avevo sei anni quando morì. Incidente stradale. Bum. Morta» Valery si fermò facendo un mezzo sorriso sarcastico. Non continuò, già sentiva gli occhi inumidirsi e Jackson non chiese, la prese per mano e stettero in silenzio.

 

Alla visione del film entrambi erano persi nei loro pensieri. Valery pensava di aver rovinato la serata parlando di sua madre morta, Jackson a sua volta si sentiva in colpa; forse se non avesse fatto domande riguardo alla sua famiglia non sarebbe successo nulla, Valery si starebbe divertendo e avrebbero passato una bella serata, pensò.

 

Finito il film e usciti dalla sala, Valery scoppiò a ridere.

«Perché stai ridendo?» chiese Jackson un po' perplesso. Valery faticò a rispondere, non riuscendo a trattenere la risata.

«Il film!» continuò a ridere «Non c'ho capito niente! È la seconda volta che veniamo al cinema insieme e non riusciamo a vedere il film!» trasportato dalla risata contagiosa, Jackson iniziò a ridere, sempre più forte.

«Certo che sei strana eh!» disse sbattendo la portiera dell'auto.

«Sindrome premestruale!» Il sorriso di Valery scemò e continuò il discorso da dove lo aveva lasciato «Credo sia giunto il momento di dirlo ad alta voce. Sono dodici anni che evito l'argomento.» si voltò verso Jackson e iniziò a raccontare. «In macchina non c'era solo mia madre. C'era mio padre, Giorgio e mio fratello, Luke, aveva otto anni ed era il mio migliore amico. Giocavamo sempre insieme. Mi ricordo che una volta un suo amico mi aveva spinto perché avevo preso una macchinetta con cui stava giocando e mio fratello si arrabbiò moltissimo con quel ragazzino, lo cacciò via, poi venne vicino a me, mi accarezzò il viso, mi asciugò i lacrimoni e mi prese in braccio.» Jackson continuò a fissarla e abbozzò un sorriso vedendo i suoi occhi illuminarsi al ricordo di suo fratello. «Stavano venendo a prendermi all'asilo. Quella strada era sempre trafficata e mio padre specialmente non la percorreva mai volentieri» sorrise e riprese subito «Mio padre e mia madre stavano litigando. Mio padre voleva che mi iscrivessi a un asilo diverso e mia madre non era d'accordo. Mentre discutevano non si erano accorti di averlo sorpassato, quindi, per tornare indietro, guidarono più avanti, accostarono e quando erano certi che non venisse nessuno, mio padre fece inversione. In quel momento mio fratello si tolse la cintura e chiese a mamma di fermarsi a prendere un gelato. Mamma acconsentì ma papà disse che non c'era tempo. Erano già in ritardo per una cena a casa di amici. Nel momento in cui stava posizionando la macchina per fare manovra, una moto gli sfrecciò davanti sfiorando la macchina, papà andò indietro per schivarlo e la macchina si trovò in mezzo alla strada. Un camion non fece in tempo a fermarsi e li prese in pieno. La macchina ribaltò molte volte e finì sul campo di un agricoltore, prendendo una quercia. Mio padre si rianimò e cercò di far uscire mamma che era rimasta incastrata. Non riusciva a muoversi..» Jackson le strinse la mano mentre sentiva la sua voce farsi più flebile.

«Tuo fratello?» non era riuscito a trattenere la domanda.

«Luke..» sospirò «non era in macchina. L'impatto lo aveva catapultato fuori dal parabrezza. Lo portarono all'ospedale ma.. non ce la fece. Rimase in coma per una settimana e poi morì. Mia madre invece morì in auto, ebbe un'emorragia interna all'addome e un trauma cerebrale, l'ambulanza non arrivò in tempo per salvarla.»

«Anche tuo padre non ce l'ha fatta?» chiese con più tatto possibile.

Valery fece un sorriso beffardo. «Mio padre. Se l'è cavata con un paio di punti all'altezza del sopracciglio destro. Vide mia madre morire. Per una settimana intera dormì in ospedale affianco al letto di Luke. Dopo l'incidente, non è stato più lo stesso. Ricordo che non era mai a casa e quando c'era non parlava mai. Un giorno gli chiesi di prendermi in braccio ma lui non lo fece, non mi guardò nemmeno. Sembrava come se non riuscisse a guardarmi. Aveva perso l'amore della sua vita e suo figlio. Come poteva continuare a guardare me? Dopo qualche giorno dal funerale di Luke, alle undici di sera, sentii dei rumori provenire dal salotto, scesi per andare a bere e lo vidi davanti alla porta di casa, con una valigia. Quando gli chiesi dove stesse andando, si piegò in avanti verso di me e per la prima volta dopo l'incidente, mi accarezzò. Mi salutò dicendomi che doveva andare a fare un lungo viaggio e che sarebbe tornato presto, poi con totale distacco e nessun ripensamento chiuse il portone.» Valery aveva lo sguardo perso nel vuoto.

«Ma non è più tornato..» concluse Jake.

«No. L'ultimo ricordo che ho di lui è una porta chiusa in faccia. Una bugia. Io ero viva, si sarebbe dovuto prendere cura di me, ma lui era morto con loro. È come se mi avesse dato la colpa di essere viva. Aveva riversato su di me la colpa di quell'incidente. Pensare che me lo ha fatto credere anche a me.»

«Val..non è colpa tua! Come hai fatto a pensarlo?» il suo viso si incupì. Ancora pensava che se lei non fosse stata in quell'asilo quel giorno, loro non sarebbero mai passati per quella strada. Se lei non fosse stata lì, non sarebbero dovuti andarla a prendere. «Non è minimamente colpa tua Val! Non ci pensare nemmeno! La tua famiglia è stata soggetta a un incidente! Sarebbe potuto accadere ovunque e a chiunque! Puoi dare la colpa a quella moto, a quel camion, ma non a te stessa! Capito?»

Gli occhi di Valery erano intenti a fissare il cielo stellato fuori dal finestrino per non ceder alle lacrime ma una sfuggì al controllo e le rigò la guancia. «Stavano litigando per me..» Jackson l'abbracciò e la strinse a sé. Si rese conto che vederla star male gli faceva venire un magone nello stomaco, era straziante. «Non è colpa tua» le sussurrò. Valery si staccò dall'abbraccio ancora con gli occhi lucidi, per guardarlo in faccia. Le scostò le ciocche di capelli davanti al viso, mettendole dietro l'orecchio e le asciugò le lacrime, sorridendole.

«Non sono stata di gran compagnia oggi, scusa» rise fra le lacrime.

«Hai condiviso con me la tua storia, ti sono grato per questo» Valery rispose al sorriso e senza pensarci su due volte appoggiò le labbra alle sue, senza alcuna malizia.

«Io ti sono grata per avermi ascoltata, ora so che mi fido di te» Jackson rimase piacevolmente sorpreso da quel gesto ma non approfittò dell'occasione. Sapeva di avere una fama da rubacuori, ma quella ragazza aveva qualcosa di speciale e non voleva farsela scappare.

 

Val si accovacciò sul letto pensando e ripensando alla serata appena trascorsa. Le apparve un sorriso sul volto. Non aveva mai raccontato a nessuno la storia dell'incidente, neanche a Meredith, lei ne era venuta a conoscenza da Raisa che le raccontò la storia, ma non osò chiederle altro, sapeva che non avrebbe risposto.

Prese il telefono e vide un messaggio di Alberto.

“Sono sfinito, ti chiamo domani, promesso. Notte amore”

Un pensiero le sfiorò la mente.

Lo aveva mai raccontato ad Alberto? Subito trovò la risposta. Alberto si era limitato a sapere che il padre se n'era andato quando era piccola, non aveva fatto mai altre domande e a lei questo non le aveva mai dato fastidio, anzi, fino a quel momento non aveva mai sentito l'esigenza di raccontare quella storia. Cercava sempre di nasconderla, reprimerla, non amava ricordare. Non voleva ricordare che suo padre se n'era andato, l'aveva lasciata da sola.

Aveva così tanti pensieri nella mente che avrebbe voluto condividerli con qualcuno. Non Meredith, non Alberto, non Jackson e nemmeno Raisa, che si era sempre occupata di lei. Dopo tanto tempo, sentiva il bisogno di sua madre. Sentiva la nostalgia comprimerle il petto, avrebbe voluto che sua madre fosse lì. Aveva solo qualche ricordo di lei. Si ricordava la sua folta chioma bionda che si divertita a toccare perché era morbida e soffice. Si ricordava il suo profumo che le restava sempre addosso quando la prendeva in braccio e quando se ne andava, lo annusava, questo la faceva sentire vicina.

Ogni tanto, in sua memoria, cucinava i suoi biscotti preferiti, al cioccolato di pasta frolla, li mangiava sempre guardandosi un film, diceva che se li godeva meglio.

A volte le sembrava che quei ricordi però, appartenessero a qualcun altro. Erano così lontani che non li sentiva neanche più suoi. Si era dimenticata com'era realmente il suo profumo, se lo avesse risentito, probabilmente non lo avrebbe riconosciuto. I giocattoli di suo fratello erano in una scatola che teneva appositamente nell'armadio, erano anni che non osava guardarli. Aveva paura che se li avesse visti, non avrebbero significato nulla. I ricordi si stavano sbiadendo, piano piano. Quanto avrebbe voluto che qualcuno le raccontasse ciò che lei stava dimenticando. Strano a dirsi, ma dopo tutti quegli anni per la prima volta avrebbe voluto suo padre, non per urlargli contro o per odiarlo ma per aiutarla a ricordare.

Valery fissava fuori dalla finestra, sperando da un momento all'altro di ritrovare la vecchia macchina di suo padre parcheggiata sul giardino di casa. Lo cercava col pensiero, più che con gli occhi. Un groppo le si posò in gola e invece di resistere alle lacrime stavolta, le lasciò cadere.

Avrebbe voluto chiamare qualcuno e sfogarsi, ma era inutile, chi avrebbe potuto chiamare? Sentì vibrare il telefono.

Come stai? Domanda stupida. Volevo lasciarti in pace ma, so cosa significa perdere qualcuno, guardarsi allo specchio e sentirsi smarriti. Non posso sapere appieno come ti senti, ma posso rendermene conto. Spero che un giorno riuscirai a guardarti allo specchio e riconoscerti nell'immagine riflessa. Sei una donna forte, non hai bisogno di tuo padre. Notte Val.”

Le lacrime si arrestarono e gli occhi sorrisero. Non se lo aspettava. Quelle parole la colpirono, smise di piangersi addosso e spostò la tenda della finestra per oscurare il vetro. Suo padre non sarebbe tornato, e lei doveva imparare a conviverci, lo aveva fatto fin'ora, poteva vivere senza di lui anche per i prossimi cento anni. Si guardò allo specchio e capì che Jackson aveva centrato il punto. Non si riconosceva. Non sapeva chi fosse. Più si guardava e più si sentiva disorientata. Chi era Valery?

 

Aprì il cassetto della scrivania e prese una foto che aveva conservato tempo fa. Era una foto di famiglia. Una delle poche che li ritraeva tutti insieme. Tutti sorridevano. Accarezzò i loro volti e si strinse la foto al petto, chiudendo gli occhi. Se la portò sotto le coperte e si addormentò con quella foto tra le mani.

Non poteva averli con lei, ma quella notte decise di portarli nei propri sogni.



https://www.youtube.com/watch?v=rWfdu1mm8NU <---- "Quando il mio riflesso avrò, sarà uguale a me"

 

Angolo di Queen_Of_Love:
Salve a tutti miei piccoli fagottini al cioccolato! Dopo più o meno dieci giorni ho postato il quarto capitolo!
Spero che vi piaccia! 
Rispetto al precedente e più shalla come capitolo, ma anche questo ha il suo perchè e il suo racconto!
Vi ho collegato una canzone bellissima che esprime perfettamente lo stato in cui si trova Valery, e credo che a volte capita un po' a tutti di sentirsi fuori posto! La canzone che ho scelto è di Mulan - Il mio riflesso! Perfetta, ascoltatela!!
Jackson e Valery si avvicinano sempre di più e ci rendono partecipe dei loro casini! 
Che gioia al cuore! :3 
Saluto Sun Ivan che fin'ora ha recensito tutti i capitoli quindi un grazie speciale va a te
e inoltre un bacio a ladonnainvisibile che ha recensito il precedente capitolo
e alle persone che mi seguono, leggono o sbirciano soltanto!
Ci vediamo tra dieci giorni, non mancate!
KissKiss.

 

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Capitolo 5
*** I'm singing in the rain ***



I'm singing in the rain

 

Oggi sarebbe tornato Alberto, dopo un mese dal suo viaggio. Valery non sapeva cosa avrebbe provato, come avrebbe reagito. Era contenta del suo ritorno ma una parte di lei, nel suo inconscio le mandava segnali a intermittenza che le facevano capire chiaramente che quel tempo senza di lui, era stato piacevole. Dei segnali chiari a cui lei non dava ascolto. Come poteva sentirsi bene senza di lui se lo amava? Pensava.

“Oggi torna.. felice?” il messaggio di Jackson interruppe la lite con il proprio inconscio.

“Si.. contenta” rispose con poca, o per meglio dire, alcuna, euforia.

Jackson che intanto stava a casa sua, sdraiato sul letto, rispose quasi divertito alla risposta di Valery, come se avesse ricevuto la risposta che voleva. Sapeva che Valery soffriva per Alberto. Non capiva cosa la spingesse a restare con quell'elemento. Non capiva i suoi sentimenti, ma quando si accorgeva che anche lei titubava mentre parlava di Alberto, capiva che sarebbe stata una questione di tempo la fine di quella storia. Gli apparve un sorrisetto quasi soddisfatto sul viso che non riusciva a mandar via.

“Bugiarda, saresti più contenta a Mirabilandia con me oggi.” adorava stuzzicarla, e lei lo sapeva, aveva imparato a conoscerlo. Jackson aveva chiesto a Valery di andare con lei una decina di giorni prima ma rifiutò perché sarebbe dovuta andare all'aeroporto, per vedere Alberto. Jackson però non era stupido, aveva capito perfettamente che se fosse stata un'altra persona, se ne sarebbe fregata totalmente e sarebbe andata con lui. Per questo, però, le piaceva. Perché non agiva mai per egoismo. Perché pur di amare le persone che aveva accanto, rinunciava a quello che voleva veramente. Non aveva mai incontrato una persona così.

“Chi te lo dice che sarei più felice lì con te?” Valery guardava l'orologio insistentemente. Quasi sperava che il tempo si fermasse. Tra poco avrebbe rivisto Alberto e quei giorni senza di lui le avevano dimostrato che una vita senza di lui c'era veramente, come quella spiaggia che aveva immaginato. Cosa avrebbe dovuto fare? Si chiedeva. Riguardò le lancette dell'orologio e si rese conto che avrebbe voluto non essere là. Si sentiva a disagio, come se quell'attesa non le appartenesse. Cosa le stava succedendo? Non se lo spiegava. Si alzò dalla sedia e si diresse in bagno. Si guardò allo specchio e si lavò la faccia per rinfrescarsi.

Io amo Alberto. Io amo Alberto. Io amo Alberto.
Se lo amava perché non voleva vederlo?
Si appoggiò al lavandino, respirando lentamente. Sicuramente era perché in quel mese aveva preso una decisione. Una decisione che ancora non aveva detto ad alta voce. Che avrebbe cambiato tutto. E non sapeva se ne avrebbe avuto il coraggio.

“Ti stai chiedendo che ci fai lì, ad aspettare qualcuno che nell'ultimo mese è come se non fosse esistito, invece di goderti una giornata con il tuo migliore amico a Ravenna ;*”

“Ti sei autodefinito il mio migliore amico.. non sei un po' arrogante? :)”

“Lo sono! Ma sono anche perspicace. Sbaglio?”

Si che aveva ragione.

Tornò a sedersi per aspettare il volo, quando vide Alberto con i bagagli, che la salutava da lontano. In un primo momento sorrise debolmente, poi si concentrò su quel ragazzo, sul suo sorriso, sulla sua gioia e gli andò in contro, abbracciandolo, cercando di non mentire né a lui né a sé stessa, su quello che realmente provava. Lo abbracciò energicamente saltandogli addosso, incrociando le gambe intorno alla schiena e lui ricambiò incollando le labbra alle sue con passione, sentendo che le era dannatamente mancata. Si staccarono da quel bacio poco prima che i polmoni scoppiassero.
«Mi sei mancata piccola mia. Non ti lascio più» la guardò con occhi sinceri, tant'è che rimase stupita la stessa Valery da quella frase pronunciata, percepiva nella voce una leggera malinconia, ma non ci badò.
Il suo inconscio e la maggior parte delle particelle nel suo corpo la spingevano a staccarsi da lui, a farla finita di mentire che sarebbe andato bene, ma quella piccola parte dentro di lei, fatta di sogni e speranze le prometteva che sarebbe stato diverso, che lui sarebbe cambiato.
Lei lo amava, questo contava più di qualsiasi altra cosa.

“Forse non sbaglierai ma.. lui è accanto a me e sto bene adesso” rispose all'ultimo messaggio di Jackson per mettere fine a quella conversazione. Jackson faceva parte della tifoseria contro Alberto, lo sapeva, aveva espresso più volte il suo parere, ma nonostante Valery si fidava di lui, non riusciva a lasciar andare quel ragazzo che aveva significato tanto per lei.
Jackson lesse il messaggio e il sorriso svanì velocemente dal suo viso. Non capiva se gli dava più fastidio che Valery non si rendesse conto che chi aveva accanto non la meritava affatto o se gli dava fastidio che fosse lui a non meritare lei. Era una domanda che si ripeteva spesso in quei giorni.
Quel mese a stretto contatto con Valery, gli aveva fatto capire di quanto fosse incompleta la sua vita e di come affezionarsi a qualcuno fosse dannatamente facile.
Permetterei che stesse con me anche se non la meritassi ugualmente? Sarei uguale ad Alberto e lui non mi piace. Morale della favola: forse dovrei lasciarla perdere. Dovrei smetterla di pensare che con lei potrebbe essere diverso.


Valery riportò a casa Alberto, che non stava molto lontano dalla casa di lei, distava soltanto venti minuti a piedi.

«Che mi racconti love?» chiese Alberto.
«Mi sei mancato anche tu» disse dolcemente Valery. «Ti sei divertito a Londra? Hai conosciuto qualcuno.. hai avuto qualche aggancio per il ballo..» Alberto guardò fuori dal finestrino, rispondendo alla domanda con vaghezza, balbettando su qualcuno a cui era piaciuto lo spettacolo e avrebbe voluto rivederli altrove. Valery rimase un po' stranita e poi rise del suo comportamento.
«Stai bene.. si? Londra ti ha tolto la loquacità?»
«Sisi tutto..alla grande! Voglio solo stare con te, senza pensare a Londra, anche perché sono stanchissimo amore, scusa» poi le prese la mano e la baciò sorridendole.
«Ok.. riposati allor» ricambiò il sorriso ma c'era qualcosa nel volto di Alberto che non la convinceva. L'Alberto che conosceva avrebbe parlato tutto il viaggio di tutto ciò che riguardava Londra, fino a farle sanguinare le orecchie, ma Alberto era quasi come se non volesse parlarne, come se nascondesse qualcosa. Ritornò con lo sguardo fuori dal finestrino e si zittì.

Arrivarono a casa e Valery lo aiutò con i bagagli.
La casa di Alberto era abbastanza grande, viveva con sua madre, il padre e i due fratelli, Simone e Riccardo, che erano più piccini e si portavano tra tutti due anni di differenza, si somigliavano molto tra di loro come aspetto e carattere.
«Ehi Alby sei tornato!» Simone lo abbracciò dandogli una pacca sulla spalla e subito il suo sguardo si posò su Valery che stava posando il beautycase e lo zaino di Alberto sul pavimento. «Hai portato anche il tuo bocconcino!» ammiccò senza ritegno. Aveva sempre avuto un debole per Valery, lui non perdeva occasione per ostentarlo e Valery ormai ci aveva fatto l'abitudine, da tre anni a quella parte. Specialmente perché fin da quando erano piccoli amavano contendersi qualunque ragazza che si trovasse nel mirino, non era una cosa nuova.
«Finiscila. È solo mia» la prese in braccio e la portò in camera, mentre Simone lo malediceva sottovoce.
«Cosa ne hai fatto del mio ragazzo? Londra ti ha cambiato parecchio» sorrise Valery mentre Alberto la buttò sul letto. Alberto la raggiunse, riempiendola dolcemente di baci su tutta la faccia.
«Londra mi ha fatto capire una cosa importante»
«E cioè?»
«Che non posso stare senza di te. Ti amo così tanto» ricominciò a baciarla, sempre con più passione, perdendosi poi l'uno nell'altra. Valery era contenta di quel cambiamento ma non riusciva a capire da cosa fosse dovuto. Rimase quasi spiazzata. Pensava di dover mettere la parola fine, invece Alberto stava mettendo le virgole.

«Stasera ti porto in un posto speciale» disse Alberto accarezzandole i capelli.
«Che posto?» chiese Valery divorata dalla curiosità.
«Aaaah non te lo dico! È una sorpresa!» le toccò il naso e si alzò dal letto. Valery sorrise ripensando a tutto questo. Adesso anche una sorpresa? Forse l'avrebbe delusa. Forse sarebbe stata una sorpresa deludente. Non si spiegava come quel giorno poteva essere stato così perfetto, come se Alberto non fosse il solito Alberto, ma l'Alberto che aveva sempre voluto. Quello che le stava accanto senza chiedersi che ore sono perché avrebbe fatto tardi a vedere la partita con gli amici. Quello che non faceva mai sorprese, perché era troppo pigro per organizzare il necessario e le riteneva stupide. Quello che l'aveva lasciata la sera del compleanno per andare dai suoi amici. Tutto quello sembrava non esserci più. Ancora non aveva controllato il cellulare, non aveva nominato una festa, una partita a calcio, un gioco della playstation o un suo amico. Che gli era successo?
«Sei ancora lì? Guarda che con stasera intendevo le sette e mezza. Tu ci metti una vita a prepararti! Muoviti!» disse ammiccando. La distolse da quei pensieri e scese nel salotto dai suoi genitori che erano appena tornati. Alberto aveva ragione, Valery era molto lenta a prepararsi, erano le sei e sicuramente tra la doccia e il trucco ci avrebbe impiegato almeno due ore.
Si era portata il cambio perché Alberto le aveva detto che sarebbero andati a cena. Chi sa in quale posto. Forse l'avrebbe portata in un pub in cui ci sarebbero stati i suoi amici e lei si sarebbe arrabbiata facendo crollare le sue più rosee aspettative. Meglio non farsi film. Uscì dalla doccia e prese i vestiti, quando sentì un silenzio che in quella casa, non aveva mai sentito. Uscì dalla camera con l'accappatoio, cercando di capire se se ne erano andati tutto via e l'avevano lasciata sola. Si affacciò dalla rampa delle scale del piano e non vide effettivamente nessuno camminare, né sentì qualcuno parlare. Andò a cercare Alberto quando dal bagno uscì improvvisamente Simone che le fece spavento catapultandosi davanti a lei.
«Mi hai spaventata, cavolo Simo»
«Pensavo di piacerti, così mi offendi» rise Simone. Valery lo ignorò completamente come si ignorano i compagni di classe a cui vorresti volentieri sputare dritto in un occhio.
«Dov'è Alby?»
«Alberto? Non lo so. Forse è uscito»
«Dove sarebbe andato?» Simone fece il vago divertito e le si avvicinò di più, sbattendola allo stipite della porta. «Quando capirai che non sono un premio da contenderti con tuo fratello?»
«Quando ti accorgerai che se non posso averti io..non può averti neanche Alberto» rispose appoggiando il braccio muscoloso sulla porta chiusa.
«Finirai mai di giocare?»
«Si. Un giorno. Tu però, sei più di un gioco per me. Sai, quando Alberto mi disse che stava con te, ho pensato “Un'altra della lista che lascerà a breve” ma, quando ti ho conosciuta, mi sono accorto che non ti avrebbe lasciato andare così facilmente. Te l'ha mai detto che è stato a letto con la mia ragazza al liceo? Ecco, vedi, ho soltanto voluto mettere in atto la mia vendetta. La soddisfazione di ripagarlo con la sua stessa moneta. Conoscendoti ho capito che non eri una poco di buono come la mia ex ragazza perciò vi ho studiati attentamente, sapevo che Alberto avrebbe fatto qualche passo falso, diciamocelo, non sa tenere nemmeno un criceto, figurati una ragazza!» 
concluse sorridendo beffardo.
«Perché me lo racconti adesso?» chiese Valery con aria spaesata, mentre Simone sorrideva beffardo.
«Lo sappiamo entrambi che tra te e Alberto non funziona. Lui è l'unico a non accorgersene, ma se a te va bene così..» disse alzando le mani in segno di arresa.
«Tu non sai niente» ringhiò Valery, aggrappandosi alla sua maglietta. Simone le si avvicinò all'orecchio, toccandole il collo.
«Oh.. è qui che ti sbagli! So molte cose Val.. ciò che nascondi tu e ciò che nasconde Alberto» le sussurrò per poi annusarle il collo. «Hmm...Profumata» si staccò sorridente, ma sempre abbastanza vicino al suo volto.
«Che cosa vuoi?»
«Solo dirti che ho aspettato tre anni, ma manca poco ormai e lo vedrò finalmente soffrire come lui ha fatto soffrire me tradendo la mia fiducia. Fai attenzione tesoro, ti farà male»
«Grazie della raccomandazione» disse Valery strattonandogli il braccio per ritornare in camera.
«Non mi dai neanche un bacino?» Valery ritornò in camera, sbattendo la porta con violenza. Non capiva il senso di quella conversazione. Cosa doveva nascondere Alberto? E che ne sapeva lui del loro rapporto? Cosa voleva dire che mancava poco? A cosa mancava poco?
Guardò l'ora, era tardi, mancava mezz'ora e ancora era in altomare. Per tutta quella mezz'ora pensava a Simone. Non riusciva a toglierselo dalla testa. Più cercava di capire e più non capiva. Sapeva che quei due erano in competizione da quando erano coperti dalla placenta ma lei era solo una pedina che si trovava in mezzo ai loro giochi. Probabilmente Simone voleva solo impaurirla per qualcosa di inesistente. Alberto le avrebbe preparato una sorpresa e si sarebbero divertiti. Pensiero positivo.

Per fortuna ce la fece ad essere puntuale, sentì la voce di Alberto giù in cucina e quindi scese le scale per raggiungerlo. Per la serata si era vestita elegante, ma non troppo. Un vestito bordeaux che arrivava a metà coscia, con scollo a U, dei tacchi neri non troppo alti perché non ci sapeva camminare e si era raccolta i capelli in uno cignon sbarazzino.
Alberto sentì immediatamente il rumore dei passi di Valery e la bloccò per le scale.
«Amore eccoti! Dove sei stato?» chiese Valery un po' allarmata, vedendolo tutto emozionato.
«Stavo preparando una cosa. Vieni con me» la prese per mano, facendola scendere piano le scale, come un cavaliere e la portò in salotto. Alla vista di quel salotto, Valery rimase scioccata. Era pieno di decorazioni che pendevano dalle finestre, il tavolo era apparecchiato come al ristorante, con due candele al centro e delle rose rosse agli angoli.
«Sorpresa amore mio, questo è per te» le sussurrò Alberto abbracciandola da dietro. Valery rimase senza parole e come un gentiluomo la fece accomodare al tavolo. Quello che aveva fatto per lei, non poteva essere la fine, non poteva essere un campanellino d'allarme risonante.
«Wow. Hai fatto tutto tu?» Valery si guardava intorno, sentendosi catapultata in un'esterna di uomini e donne, ma se in un primo momento era emozionata da quella sorpresa, subito il sentore che Alberto le nascondesse qualcosa iniziava a pulsare, era sempre più evidente. 
«Mi ha aiutato Simone, da solo non ce l'avrei mai fatta» appuntò e Valery si agghiacciò per un istante. Perché Simone l'avrebbe aiutato? Mentre rifletteva al motivo per cui Simone avrebbe dovuto aiutarlo in qualcosa che riguardava lei e suo fratello, vide una cameriera portare le prime portate.

«Anche i camerieri?» con espressione del tutto stupita chiese ad Alberto.
«Servizio catering. Volevo che fosse speciale» rispose sorridendo. Il telefono di Alberto squillò e il suo viso si incupì di colpo, facendo percepire a Valery un certo disagio da parte sua. «Ehm...vado un attimo di là a rispondere. Giuro che torno subito» Valery annuì senza obiettare, anche se tutto quello che stava accadendo non la faceva stare tranquilla. Sentiva un presentimento premerle il petto e non sapeva da cosa provenisse.
«Tutto apposto?» chiese appena Alberto si risedette al proprio posto un po' agitato.
«Si.. mangiamo?» propose con un gran sorriso. Quegli sbalzi d'umore proprio Valery non li capiva. La serata scorreva tra prime, seconde portate, musica in sottofondo e chiacchierate tra fidanzati, ma più l'orologio segnava i minuti e più il presentimento si faceva più forte. Nonostante Valery chiedesse ripetutamente di Londra, Alberto evitava l'argomento, e ciò faceva credere a Valery che a Londra fosse successo qualcosa. Un qualcosa che lo aveva cambiato, ma non in senso buono, quell'aria cupa se l'era portata dall'aeroporto fino a quel momento. C'era qualcosa che lo preoccupava e Valery era intenzionata a capire cosa fosse.
«Hai fatto qualche foto di Londra?» lo sguardo di Alberto balzò dal piatto del dolce all'iphone che aveva accanto.
«Qualcuna..»
«Ti spiace se le guardo?» Prima di attendere una risposta Valery si era già impossessata del telefono. Alberto aveva l'aria preoccupata, anche se cercava di non darlo a vedere.
«No..ehm..figurati» Era determinata a capire cosa avesse e un telefono nasconde sempre qualcosa che si vuol tenere segreto, piccolo o grande indizio che sia. Galleria, Chiamate, Whatsapp. Da qualche parte doveva esserci un indizio.
«Sono un sacco carine! Bella Londra eh!» cercava di metterci più euforia possibile mentre scorreva le foto velocemente ma in realtà non gliene fregava niente delle strutture inglesi, i parchi, la cultura, l'arte e le coreografie che avevano messo in scena per i vari spettacoli, aveva bisogno di volti, gesti imprigionati in una foto qualsiasi. In alcune foto apparivano ragazzi nuovi che non conosceva con cui probabilmente aveva stretto amicizia là, ma c'era una ragazza molto carina, bruna con gli occhi azzurri, che ricorreva in molte foto e con cui sembrasse ci fosse un certo legame, notando la quantità di foto che li ritraeva da soli.
«Hai fatto nuove amicizie!» gli mostrò una delle tante foto di gruppo e lui sorrise modestamente annuendo.
«Si.. ho conosciuto un po' di ragazzi italiani che erano lì per lo stesso motivo e si sono aggregati alla nostra troupe» spiegò gesticolando per poi passarsi una mano tra quei capelli biondi e posare lo sguardo sul piatto.
Una spia rossa iniziò a lampeggiare nella sua mente, ma non volle farci caso, strisciò il dito per l'ultima volta e apparve una foto che le fece mettere in discussione tutte le precedenti. Erano loro due soli. Lei che gli baciava la guancia con foga e lui che sorrideva. Non c'era niente di male in un casto bacio sulla guancia, ma che ci poteva fare se quel bacietto le causava gelosia?
«Carina questa..» disse alzando lo sguardo per incrociare il suo.
«Qual è?» chiese inconsapevole della foto che Valery le stava per mostrare. Girò il telefono verso di lui e lo vide arrossire, cercando subito di spiegare chi fosse. «Oh.. Angela! È una ballerina che ho conosciuto al teatro. Faceva parte del gruppo di ragazzi che si sono aggregati con noi. È simpatica, ti sarebbe piaciuta» durante la spiegazione si alzò per sparecchiare e andò in cucina per porgerli nel lavello. Valery approfittò della sua assenza per sbirciare altrove. Nei messaggi non c'era nulla. Su whatsapp nemmeno. Aveva cancellato tutte le chat. Le venne in mente che prima aveva ricevuto una chiamata, guardò velocemente nelle chiamate ricevute. Angela. Cosa voleva Angela? Scorse lo sguardo più giù e vide nuovi nomi come Michele, Alfredo e Sign. Claudio. Contatti che per lei non avevano significato. Aveva fatto nuove amicizie quello era sicuro, ma perché tutto quel mistero? Lasciò il cellulare sul tavolo. Era assurdo pensare che Alberto l'avesse tradita, pensò. Non l'aveva mai fatto, perché farlo ora? E poi.. era solo un bacetto innocente sulla guancia, non significava nulla. Probabilmente aveva qualcos'altro che lo tormentava. Scrollò la testa e decise di raggiungerlo in cucina, ma in quel momento arrivò un messaggio ad Alberto. La scritta Angela grandi a caratteri cubitali attirò la sua attenzione e curiosità e invece di alzarsi riprese il telefono in mano e controllò il messaggio.
Si alzò in fretta dalla sedia e si catapultò in cucina, portando con sé il cellulare.
«Ehi tesorino! Quando hai fatto con la tua ragazza chiamami.. Ho delle informazioni da darti riguardo al T.M. ti piaceranno vedrai! P.S.: Quando vieni a trovarmi a Roma? Manchi a tutti» lesse ad alta voce, scandendo ogni parola con espressione, davanti alla porta verso Alberto, per poi fissarlo con aria interrogativa. «Non so se rimanere interdetta per il nomignolo “tesorino” o perché ho la prova chiara che mi nascondi qualcosa. Voglio sapere cosa. Che significa?» Alberto si appoggiò al lavello, fissando il pavimento. Si girò incrociando le braccia sempre con lo sguardo verso il basso. «Alberto? Rispondimi!» disse avvicinandosi «Mi hai tradita?» chiese con la voce balbuziente. Alberto subito alzò gli occhi e le andò incontro, posandole le mani sulle spalle.
«Certo che no!»
«E allora mi dici che hai? È da quando sei tornato che sei strano. Eviti continuamente l'argomento Londra come se avessi vissuto un trauma in quel posto!» Alberto si ritrasse passandosi le mani tra i capelli e sedendosi al tavolo. Con una mano si massaggiava la fronte e con l'altra tamburellava sul tavolino. Valery lo raggiunse e si sedette accanto.
«Mi hanno offerto un'opportunità di studio a Londra» disse tutto d'un fiato per poi guardare la reazione di Valery, che non sembrava affatto scossa.
«Cavolo! È una bellissima occasione! Dovresti essere contento!» l'espressione di Alberto si fece stupita, non aspettandosi minimamente quella reazione.
«Val.. potrei andare a studiare a Londra..» cercava di spiegarle ma Valery sembrava non arrivarci da sola. «per due anni. In una scuola inglese che mi permetterebbe di lavorare accanto ai migliori ballerini del teatro inglese e viaggiare per il mondo» Valery finalmente capì. «Ci sono venuti a vedere molti agenti importanti e quando ci hanno visto ballare solo alcuni di noi sono stati contattati da questi agenti. Mi hanno dato del tempo per pensarci.»
«Quanto tempo?»
«Un'altra settimana. Cominciano i corsi a Settembre e devo fare l'iscrizione se voglio andarci»
«Un'altra? Quando te l'hanno detto?» disse Valery corrugando la fronte.
«Qualche giorno dopo che ero lì..» Valery lo guardò negli occhi e sentì la voglia che aveva di urlare sì a quella offerta. Lo sentiva fremere.
«Tu hai già deciso, vero?»
«No, che dici..volevo prima parlartene» rispose subito, mettendosi sulla difensiva. Valery si alzò dalla sedia e andò verso il salotto per prendere la borsa. «Dai Val.. dove vai?» Alberto la seguì e bloccò l'uscita di casa per evitare di farla andare via.
«Spostati!» urlò.
«Che diavolo ti prende?» Valery cercava di trattenersi ma un vomito di parole uscì prima che potesse fermarlo.
«Tu non volevi parlarmene Alberto! Tu me lo volevi nascondere perché hai già deciso di accettare! E tutta questa.. messa in scena lo dimostra! Da quando sei stato lì non hai fatto altro che mentire e.. riempirmi di balle! Perché altrimenti hai aspettato che lo scoprissi da sola? Sono sicura che non devi scavare dentro te stesso per capire cosa realmente vuoi. Si vede dalla superficie. Evapori egoismo. Adesso lasciami passare, non ho più voglia di vederti.» Alberto si scostò leggermente verso destra e Valery violentemente gli passò accanto sbattendoci la spalla per poi uscire da quella casa.
Fuori faceva caldo ma dentro sentiva un gelo che gli contorceva gli organi. Casa sua era vicina ma sapeva che Alberto sarebbe andato a trovarla, optò per il paese e si orientò verso la piazza mentre i pensieri si facevano sempre più opprimenti. La piazza era semi vuota. Probabilmente faceva troppo caldo anche per uscire a prendere un po' d'aria visto che era assente. Si sedette sulla panchina, c'era troppo silenzio intorno a lei, prese le cuffie e si immerse nella musica del suo smartphone. Le piaceva accompagnare ogni giornata ad una canzone. Scelse Blow me, one last kiss di Pink. Le piaceva la combattività del pezzo. Una donna che decide di averne avuto abbastanza di lui e delle sue bugie, di meritarsi di meglio, di vivere perché la vita è breve. Il ritmo della canzone era bello carico e per non perdere quel ritmo, mise la canzone a palla, ripetendola continuamente. Dopo la quarta ripetizione si sentì togliere una cuffietta.
«Non dirmelo! Sei scappata dal tuo fidanzato inglese!» disse ironicamente Jackson con un sorriso mozzafiato. Forse era la stanchezza ma quel sorriso le irradiò gioia pura.
«Eccolo.. sei tornato già?» si fece posto sulla panchina spostando Valery più a destra e mettendosi comodo con le braccia appoggiate dietro di lei.
«Ebbene si! Non è un buon momento? Che ascolti?» Jackson le prese una cuffietta e si mise a ballicchiare facendola ridere. «Hmm Pink! Arrabbiata, inferocita ma decisa, mi piace...per quale motivo?»
«Tie a knot in the rope, trying to hol, trying to hold, but there's nothing to grab so I let go. Mi ritrovo nelle sue parole» Valery si riportò la cuffietta all'orecchio e posò la testa sulla sua spalla. Jackson comprese il senso della frase e non aggiunse altro, poggiò a sua volta la testa sulla sua accarezzandole la guancia. Stettero così per un po' finché non le stacco il filo delle cuffie dal cellulare. «Ehi! Ma che modi sono?» Le prese il cellulare e rimise la canzone a palla, mettendolo in tasca.
«Balliamo?» si alzò e le porse la mano.
«No!» rispose ridendo.
«Oh su! Non c'è nessuno!» La prese per il braccio e la tirò a sé ballandole intorno e canticchiando. «I think I've finally had enough, I think I maybe think too much, I think this might be it for us, blow me one last kiss!» Valery arrossì per gli sguardi indiscreti dei passanti ma Jackson era così contagioso che la trasportò in un mondo in cui esistevano solo loro due. Lasciò stare tutti quegli sguardi e iniziò a ballare a ritmo di musica, cantando a squarciagola con Jackson, che rise divertito da quella trasformazione. La musica finì e ad un tratto iniziò a piovere ma non curanti della pioggia stettero lì a ridere come matti. Jackson rimase colpito da quanto fosse bella quando ridesse e s'incantò a fissarla sorridendo. Forse era il vestito, il caldo, la pioggia o il suo sorriso ma era attratto da lei più di prima.
«Sai non ho mai ballato un lento» disse Jackson inchinandosi per chiederle di ballare. Valery accettò divertita, posò le braccia intorno al collo e cominciarono ad oscillare da destra a sinistra girando su sé stessi, mentre la pioggia si faceva sempre più forte. Valery alzò la testa, con lo sguardo rivolto verso il cielo e chiuse gli occhi.
«Adoro la pioggia» Jackson rimase a fissarla, ad osservare ogni goccia che le cadeva sul viso e le bagnava gli occhi, le guance, le labbra. Avrebbe voluto essere una sola goccia di quella pioggia. Chiuse gli occhi sospirando; forse la pioggia aveva anche il potere di togliergli quelle emozioni, pensò. Lei li riaprì e sorrise all'immagine del suo viso bagnato da tutte quelle goccioline, sembrava fosse cristallo.
«È bellissimo» disse Jackson riferendosi alla pioggia.
«Si..bellissimo..» rispose Valery intenta a guardarlo, come se non ne potesse fare a meno. L'attrazione che aveva fatto da cornice alla loro conoscenza, che aveva assistito al loro primo sguardo, al primo incontro, era come riemersa, l'aveva accantonata in quel mese, ma era sempre stata lì, cibandosi di piccole speranze, di sogni nascosti, di desideri inconsci, aspettando il momento giusto per riapparire, ma questo non era il momento giusto, lei sentiva che tra loro c'era qualcosa, qualcosa che andava oltre a quella splendida amicizia, ma non poteva abbandonarsi alle sue tentazioni, doveva essere razionale.
Jackson riaprì gli occhi, posando lo sguardo sul suo e capì che erano esattamente sulla stessa lunghezza d'onda. Le scostò il ciuffo bagnato dietro l'orecchio e la guardò incantato, capì che bastava un gesto per farla diventare sua.
«Non te la cavi male» disse Valery per rompere quel silenzio. Jackson l'allontanò, facendola piroettare e poi la riportò a sé, stringendola ancor di più.
Il respiro di Valery si spezzò. Guardò le sue labbra e inghiottì, sentendo il cuore pulsare più veloce mentre Jackson era a pochi centimetri da lei.
«Merito tuo» tutto quello che la sua bocca voleva fare era rispondere alla chiamata delle labbra di Jackson. Lo spazio tra loro sembrava rimpicciolirsi. L'attrazione magnetica che c'era tra loro non avrebbe voluto altro che dare sfogo al fenomeno. Per Valery non esisteva più nessuno, non esisteva più giusto o sbagliato. C'erano solo lei e Jackson, il resto non contava. Jackson lesse nei suoi occhi il suo stesso desiderio e in un attimo deciso, le prese il volto tra le mani e adagiò le labbra sulle sue, intrappolandole in un bacio. Valery sentiva un fuoco dentro di lei che non aveva mai provato con Alberto. Non avrebbe voluto staccarsi da quel bacio, che esprimeva tutto ciò che provavano l'uno per l'altra.
Le labbra si staccarono e per un attimo si dimenticarono chi e dove fossero. Valery ritornò in sé e si staccò, ricordandosi di Alberto e di quanto fosse diventato importante Jackson per lei.
«Ehm..forse è meglio se vado..È stato bello, Il ballo, intendevo! E tutto il.. resto!» riuscì a balbettare Valery mentre riordinava le sue cose per andare a casa. «Adesso però devo andare»
«Lascia che ti accompagni! Ho la macchina» esclamò Jackson.
«Tranquillo.. abito qui vicino. Ci vediamo..» iniziò a incamminarsi verso casa quando Jackson la rincorse da lontano.
«Val!» Valery non voleva fermarsi. Si sentiva tremendamente in colpa. Alberto era tornato da neanche un giorno e lo aveva tradito. “Bello schifo, val” pensò. La raggiunse e la bloccò per strada. «Val! Ti chiedo scusa. Mi sono fatto prendere dall'impulso del momento, tutto qui.. non dovevo! Sono stato un coglione, perdonami! Abbiamo un bellissimo rapporto e non voglio rovinarlo per questo.. non voglio che mi odi o che ti senta incolpa a causa mia» Valery non riusciva a guardarlo in faccia. Sapeva che non era stata colpa sua. «Quindi.. fatti riaccompagnare a casa, è buio e piove» Valery annuì e si recarono silenziosamente verso l'auto. Intanto Valery ripensava alle sue parole e rifletteva.
«Non devi darti la colpa, sai? Le cose si fanno in due. Non prendiamoci in giro, è da quando ci conosciamo che c'è quest'attrazione pazzesca che ci accompagna ogni santo giorno e oggi non abbiamo resistito. Sai ad un certo punto mi sono detta: perché resistere? È quello che voglio. Non mi sento incolpa per aver tradito Alberto, la nostra storia è finita e aspetta solo di essere archiviata; mi sento incolpa perché mi sono sentita bene! Dannatamente bene. Pensavo di dover sistemare le cose con Alberto, di rattoppare, cucire e incollare ma sai che c'è? Non ho più voglia. E ti ringrazio per avermi dato il coraggio per farlo. Grazie» Jackson si fermò davanti casa sua e Valery scese.
«Di niente..»
«Amici, come prima?» sorrise Valery.
«Amici.. ma ricorda, se vorrai baciarmi, puoi farlo, non mi opporrò!» un grande sorriso smagliante gli comparve sul viso e Valery gli pose le labbra sulla fronte.
«Ti adoro, buonanotte»
La vide dirigersi verso il portone di casa e non poté fare a meno di sorridere.

 

Valery aprì la porta e si diresse in cucina, accese la luce e trovò Alberto, seduto al tavolo.
«Madò! Alberto! Che ci fai qui? Mi hai fatto paura!»
«Ti ho aspettata. Credevo di trovarti qui ma Raisa mi ha detto che non eri tornata. Dove sei stata?» chiese con aria investigativa alzandosi dal tavolo.
«In piazza» rispose Valery aprendo il frigorifero.
«Da sola..fino a quest'ora? Con la pioggia? Ma hai visto che ore sono?» sentendo il tono accusatorio di Alberto, Valery sbattette la porta del frigo e rispose a tono.
«Non te n'è fregato niente di quello che ho fatto un mese senza di te e adesso vieni qui a sindacare come se te ne fregasse veramente qualcosa di me e di quello che mi capita intorno?»
«Ero impegnato! Avevo da fare con la compagnia! Lo sai!»
«Oh ma certo! Quindi non avevi neanche dieci minuti al giorno da dedicarmi per chiamarmi, vero? A chi la vuoi far bere? Dì piuttosto che stavi bene lì, da solo, a pensare a te stesso! Fai più bella figura, credimi!»
«Vale ti prego, non voglio litigare! Sono tornato nemmeno da 10 ore e già stiamo qui a discutere per cose stupide!» Valery lo guardò torva e si appoggiò al tavolo, per evitare di tirargli qualsiasi arnese le fosse capitato tra le mani.
«Ok.. non litighiamo. Stiamo qui, a guardarci nelle palle degli occhi come la gente matura, facendo finta di risolvere i problemi, mettendoli sotto al tappeto, invece di affrontarli! Perché infondo è tempo perso no? Litigare per cose così stupide! Come la totale indifferenza del mio ragazzo nel dirmi che desidera studiare a Londra per due anni oppure oh oh.. non essere calcolata per un mese perché ovviamente era impegnato e quando è tornato sai cosa mi ha detto? “Londra mi ha fatto capire una cosa importante. Non posso stare senza di te” sai cos'era questa? Un'enorme balla! Ma..hai ragione stiamo qui a far finta di niente, cosa vuoi fare? Vuoi farmi le treccine?»
«Perché mi tratti così? Perché ti arrabbi così tanto Val? Londra mi ha veramente fatto capire che voglio stare con te. Ma.. mi ha dato anche un futuro e lo sai che questa è una bella opportunità per me» Alberto si avvicinò dolcemente a Valery.
«Lo so! Ed è per questo che voglio che tu l'accetti! Non sono arrabbiata perché hai ricevuta questa borsa di studio, sono arrabbiata perché tu non hai condiviso con me questa notizia, te la sei tenuta per te, come fai con tutte le cose da tre anni a questa parte; non mi includi in niente. Hai voluto decidere per conto tuo, come se io non contassi niente per te, come se.. non valessi nella tua decisione. Sono tre anni che stiamo insieme Alby e in tre anni di fidanzamento, credevo di essere importante per te ma..in questi tre anni sono io ad averti supportato, ad aver trovato sempre un compromesso, ad aver sacrificato sempre qualcosa per te! Tu? Niente! Hai sempre fatto quel che cavolo ti è parso meglio fare, sei sempre andato dove volevi senza chiedermi niente! Dopo tre anni, non mi hai ancora chiesto un parere su qualcosa! Questo secondo te significa essere una coppia?» Alberto tenne lo sguardo basso senza guardarla, con le mani conserte.
Valery alzò la mano e si sfilò l'anello dall'anulare. «Questo me l'hai regalato al nostro anniversario cinque mesi fa, mi dicesti che avresti voluto condividere la tua vita con me e io ci ho creduto, ci ho creduto sul serio, sai?» camminò verso di lui, tenendosi stretta quell'anello tra le dita. «Solo ora mi rendo conto che..non mi va più. Non voglio vivere la mia vita a metà» le scappò una lacrima che asciugò immediatamente con le dita. Gli prese la mano poggiandoci l'anello. «Credo sia giunto il momento di mettere fine a questa storia.» Disse ancora con gli occhi lucidi e la voce spezzata. Alberto sentiva gli occhi pungere, non riusciva a credere di averla persa veramente, si sentiva stupido, avrebbe voluto tornare indietro, cambiare le cose, scusarsi, ma era tutto inutile.
« Mi sento come se.. avessi comprato un giocattolo e l'avessi riposto sulla mensola, trascurandolo, dando per scontato di tenerlo lì per sempre, poi un giorno mia madre scocciandosi di vederlo star lì a prender solo polvere, lo butta via. Poi entro in camera e non lo vedo più. L'ho perso. Non c'è più. Mi sento vuoto e smarrito. Mi sento come se mi fossi svegliato dopo tre anni e avessi capito che ho sbagliato in...tutto, praticamente. Ti ho persa. Per colpa mia.» Mentre realizzava quello che era appena successo, non si era accorto di aver dato sfogo alle lacrime. Fissò l'anello, poi posò lo sguardo su di lei e per la prima volta lo vide piangere. Le si strinse il cuore e lo abbracciò.
Spesso l'aveva lasciata da sola a cena coi suoi amici, perché si annoiava; a volte era partito senza dirle niente perché voleva starsene per conto suo, per non parlare dei giorni in cui si rinchiudeva in casa senza voler vedere nessuno per giocare ai videogiochi.
Sapeva che un giorno sarebbe successo, si sarebbe scocciata di lui, ma lui non ce l'aveva fatta a cambiare in tempo. In quel momento, si sentì un cretino, perché sapeva che quella ragazza, che stava per uscire dalla sua vita, era l'unica ragazza che era stato capace di amare e l'unica che l'aveva amato veramente, peccato che era ancora molto lontano dal concetto “amore”, era troppo egoista per amarla come lei meritava.
Non le chiese di tornare insieme, non obiettò, forse sbagliava, ma andarsene sembrava la scelta giusta in quel momento. Forse era l'unico gesto che dimostrasse davvero quanto l'amasse, l'unico gesto privo di ogni egoismo. Il suo volto era irrigato di lacrime. Non ricordava l'ultima volta che aveva pianto per qualcuna. Lasciarla andar via era la scelta più dolorosa che avesse mai fatto.
Era difficile per entrambi, rinunciare a un pezzo della loro vita. Lasciare andare ricordi, emozioni e sentimenti, ma sapevano anche che era la cosa più giusta da fare.
Alberto si staccò da lei e la guardò dritta negli occhi per l'ultima volta, asciugandole la guancia «Ti amo tanto piccoletta» sussurrò Alberto, abbozzando un sorriso.
«Ti amo tanto anch'io» rispose al sorriso e gli diede un ultimo bacio.


Si appoggiò alla porta e si lasciò cadere giù sul pavimento. Ripensava alla loro storia, alle loro vicende, alle difficoltà che avevano affrontato. Iniziò a respirare affannosamente e si affacciò alla finestra della cucina per cercare di regolare il respiro. Per lei, Alberto, era sempre stata quella figura assente, che le era mancata per gran parte della sua fanciullezza, adesso però, non c'era più. Si era dissolta. Alzò la testa, scrutando nel buio, sperava di vederlo comparire tra i cespugli a braccia aperte ma Alberto non c'era più. Chiuse la finestra dopo aver realizzato che non sarebbe tornato da lei, che se n'era andato un altro pezzo della sua vita.
"Fai attenzione tesoro, ti farà male."
Simone ci aveva preso.
Salì le scale e andò in bagno. Il riflesso nello specchio non era dei migliori. Matita e mascara sbafati, occhi arrossati, capelli umidi e crespi. Sprofondò sul letto e fissò il soffitto per il resto del tempo. Quel giorno erano successe troppe cose da poter metabolizzare in una notte sola. Una nuova emozione prese il sopravvento. Non sapeva ancora cosa realmente provava. Un senso di tristezza misto a una strana forma di liberazione. Quasi le veniva un sospiro di sollievo, come se per tre anni avesse camminato sulle uova, trattenendo il fiato per evitare di ferirsi con i gusci; adesso aveva scelto un altro percorso, aveva scelto di camminare per terra, senza uova, libera di respirare, libera di vivere, libera.

Si addormentò dopo aver preso coscienza che aveva fatto la scelta giusta. Era una battaglia continua. Lui un eterno bambino e lei una madre apprensiva che aspettava di vederlo crescere.

Ora iniziava un nuovo capitolo.

Una nuova Valery.

Un nuovo tutto.

 

Angolo Queen_Of_Love:
Ciao piccoli lettoriiiii! E' da un botto che non aggiornavo: chiedo ammenda,
ma ero in vacanza e se la meritava anche il libro una piccola pausetta, no?
Per farmi perdonare ho riempito questo capitolo fino all'estremo! Forse anche troppo! Ma volevo zepparlo di robba! 
Spero non mi odierete ma arriverete a fine capitolo sazi e soddisfatti della lettura!
Nel caso vi piacca o nel caso vi faccia venire l'ulcera potete commentare e consigliare!
Saluto chi mi segue, chi commenta, chi mi sostiene e anche chi soltanto dà una piccola sbirciatina!
Ve amo na cifrona! :*
P.S.: Ho trovato queste immagini ed erano perfette!! :D

 



 


 

 

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Capitolo 6
*** Gelosia portami via ***



Gelosia, portami via

 

< Come stai, tesoro? > chiese Raisa, accarezzandole i capelli, mentre Valery era intenta a fare colazione.

< Bene, mi passi i biscotti? > rispose tranquillamente. Si sentiva leggera quella mattina.

< Sei sicura? Alberto come ha reagito? > Raisa rimase un po' perplessa, non pensava che sarebbe stato così facile.

< Ci siamo lasciati di comune accordo, e per quanto possiamo soffrirne, è la scelta migliore per entrambi >

< Stai dicendo che.. non lo ami più? > Raisa faticava a capire quella sua ostentata disinvoltura e calma.

< Farà sempre parte di me mamma. È stato il mio primo amore, mi ci vorrà un po' ad abituarmi alla sua assenza ma, era una scelta che ho rimandato da così tanto tempo che, adesso che l'ho fatta, è come se non avessi aspettato altro che questo. > Raisa la guardava, se prima con aria studiosa, poi il suo sguardo cambiò, nei suoi occhi c'era una luce particolare, che la faceva sorridere.

< Perchè mi guardi in quel modo? >

< Stai crescendo > Valery sorrise e si alzò per tornarsene in camera. Si accorse immediatamente che almeno l'80% delle cose in quella stanza erano regali di Alberto o cose condivise con lui. Decise di dover cambiare la camera. Non voleva chiamare Jackson, dopo ieri sera era meglio che stessero un po' separati, pensava. Prese la giusta decisione di chiamare Meredith, ancora non le aveva annunciato la notizia, sarebbe stata felice, e poi era da tempo che non la vedeva, in quel periodo aveva sempre da fare.

“Mer, ho bisogno di te, vieni a casa mia?”

“Certo gnoccona, arrivo. 10 minuti.. smettila.. 20 ok 20 minuti e sono da te.. basta..” C'erano voci in sottofondo che Valery non riusciva a distinguere.

“Ma chi c'è lì con te?”

“Nessuno.. sssh.. un amico. Arrivo tra un po', sono all'uni.”

Mentre aspettava, andò a prendere un sacco e iniziò a togliere dalle mensole, dall'armadio, dal letto, dalla scrivania, tutto ciò che riguardasse Alberto. Era stato importante, sì, ma avere quelle cose in camera sua, lo faceva sembrare lì con lei, come se non se ne fosse mai andato, invece voleva il contrario. Voleva lo spazio che non aveva più.

< Eccomiiiii > disse cantinelante, Meredith. < Ehi.. ma cosa.. stai facendo? Butti tutto? Mica ti starai trasferendo? > domandò prendendo possesso di un peluche e sedendosi sul letto. < So che è da tanto che non ci vediamo ma potevi almeno dirmelo. Dove vai? >

< Ho lasciato Alberto. Sto.. cercando di buttare tutta la sua roba, i suoi regali, quello che mi ricorda la nostra storia > Meredith scattò dal letto in men che non si dica.

< Momento, momento, momento! > le andò davanti, agitando il peluche a ritmo delle sue parole < mi stai dicendo che tu hai lasciato Alberto. Cioè.. definitivamente? >

< Hmmm.. si! > sul viso di Meredith apparve un gran sorriso e si mise a ballare, dimenando il sedere a destra e a sinistra, senza alcun contegno. < Sei tremendamente dispiaciuta a quanto vedo > sorrise Valery.

< Non sai da quanto tempo ho aspettato questo momento! Finalmente! Lo senti l'odore della libertà? > Valery guardò la camera ormai spoglia di quelle cianfrusaglie accantonate lì da anni, e si sentiva.. bene. Si sentiva diversa, nuova.

< è una gran bella sensazione >

< Oh si amica mia!! E adesso sai cosa ci vuole? Una bella festaaa!! Wuuuu > Valery scoppiò a ridere non riuscendo a capire la sua euforia.

< Dimmi un po'.. questa gioia che ti inonda stamattina, non dirmi che è tutto merito mio, c'entrerà il tuo nuovo amico? > Meredith accennò un sorriso malizioso, arrossendo. < Oh mio Dio, stai arrossendo? > disse stupefatta.

< Ma cosa dici? E' solo un amico, tutto qui > le stampò un bacio sulla guancia e sbirciò dentro il sacco per trovare qualcosa di carino. < Butti anche questo? Peccato. >

< Bisogna dare un taglio netto >

< E l'orologio? > le indicò quello che aveva al polso, incuriosita.

< Bhè.. è troppo bello per buttarlo via.. non credi? > scoppiarono a ridere e portarono fuori il sacco per andarlo a buttare.

< Ma.. questa rottura per caso ha a che fare con un bel morone dagli occhi verdi? > le chiese maliziosamente. Valery sorrise e poi ripensò a ieri, arrossendo.

< Ma no.. diciamo che avevo già deciso di lasciarlo e poi è capitato che ci è scappato un bacio > Meredith aprì la bocca sorpresa emettendo ultrasuoni e gioendole intorno saltellando.

< Lo sapevo che la mia bambina aveva fatto colpo su quel figaccione! E poi? È successo qualcos'altro? > chiese facendo braccino.

< E' possibile che pensi sempre a una cosa sola tu? > l'amica non rispose, incoraggiandola a continuare a parlare. < No! Non è successo nient'altro. Siamo troppo diversi. Non funzionerebbe mai >

< Non deve funzionare per andare a letto insieme > concluse ironicamente Meredith. Valery le diede uno scapaccione e si misero a ridere. < Ma smettila! > Meredith aveva una luce particolare negli occhi, che l'amica non faticò a notare. < Dimmi un po' tu.. cos'è successo in quest'ultimo periodo che ti rende così...solare? > sul volto di lei apparve un gran sorriso e arrossì.

< Nulla.. è che.. > il discorso venne interrotto dallo squillo del cellulare di Meredith. Sorrise alla lettura del messaggio e frettolosamente comunicò all'amica che aveva un impegno urgente.

< Quando si dice le amiche > disse buttando il sacco della spazzatura. Tornando a casa prese il cellulare e le mandò un messaggio.

“Non me la racconti giusta.. tu hai conosciuto qualcuno. Voglio sapere tutto!”

La pettegola che era in lei aveva voglia di emergere in quel momento. Era buffo vedere Meredith in quel modo. Era sempre allegra e frizzante ma quel giorno era particolarmente pimpante. Era arrossita. Da quando la conosceva non l'aveva mai vista arrossire per nessuno. Le stava sicuramente nascondendo un ragazzo, ma non uno qualunque, un ragazzo importante e forse chissà, le piaceva veramente stavolta.

Rimaneva il fatto che non vedeva l'ora di saperne di più. Le mandò un altro messaggio.

“Cavolo! Non ce la faccio più, voglio sapere tutto!! Chi è? Come si chiama? Anni? Lo conosco? Oh mio Dio, lo conosco, vero? È per questo che non mi dici chi è! Ok, aspetto... no! Ti prego, anticipazioni!” Dopo una mezz'ora abbondante rispose al messaggio.

“Alessandro. 25 anni. Bello da paura. Non lo conosci. Per ora accontentati :P”

Meglio di niente, pensò. Chissà perché tutto questo mistero.

 

Jackson intanto era a casa, stava aggiornando il blog del negozio di famiglia, erano arrivati nuovi articoli da mettere in rete per gli acquisti. L'idea degli acquisti online gli era venuta in mente per incrementare le vendite e portare qualche novità al negozio di famiglia.

< Jake! È pronto! > la mamma lo chiamò dalla cucina e Jackson si staccò dal pc. < Come va? È da un po' che non parliamo noi due > disse la madre mentre mangiavano.

< Si. Almeno 15 anni > rispose irritato, con poca voglia di esprimersi. La madre le appoggiò una mano sul braccio ma Jackson si alzò da tavola, riponendo il piatto vuoto nel lavello.

< Jake.. non fare così. Ci provo ogni giorno a riallacciare un rapporto con te, ma tu non me ne dai occasione! >

Jackson si appoggiò al lavandino, facendosi scappare un risolino sarcastico. < Ogni giorno.. certo. Così adesso sarei io il problema! Ovviamente non consideri il fatto che tu abbia preferito spassartela con chiunque invece di fare la madre! > Diletta non ci vide più, sentendosi ferita nell'orgoglio e gli diede uno schiaffo risonante in faccia.

< Non ti permetto di parlarmi in questo modo, sono pur sempre tua madre > urlò puntandogli l'indice contro.

< Si, quando te lo ricordi. Per me sei solo una donna che viene a trovarmi una volta l'anno > serrò la mascella e uscì da casa, sbattendo fortemente il portone.

Non aveva un bel rapporto con la madre, tanto meno con il padre. Aveva sofferto molto l'abbandono dei suoi genitori quando divorziarono, non gli avevano dato quell'attenzione che tutti i genitori, quando mettono al mondo i figli, devono dare, sia che stiano insieme o che siano divorziati, i figli sono i figli.

Scese in garage, accese la moto e partì per andare da suo nonno. L'unica persona al mondo da cui non si sarebbe mai staccato. L'unico posto in cui aveva voglia di andare per condividere la sua gioia, la sua tristezza, la sua rabbia e le sue giornate.

Arrabbiato, sfrecciava tra le strade della città e ben presto arrivò a casa del nonno. Se fosse dipeso da lui sarebbe andato a vivere col nonno, ma purtroppo la casa era piccina e il nonno non si poteva occupare di lui e dei suoi problemi.

Parcheggiò velocemente sul vialetto di casa e corse verso l'entrata aprendo la porta con le chiavi che gli aveva lasciato il nonno, in caso di necessità; ormai ne faceva un uso abituale, come fosse casa sua.

< Ciao nonno! > nonno Franco fece capolino dal divano e salutò il nipote con la mano, intento a guardare la televisione.

< Che guardi? > disse spaparanzandosi sul divano insieme a lui.

< Titanic > Jackson sorrise e gli prese il telecomando, cambiando canale.

< Vena romantica oggi eh? >

< E' un film bellissimo. Un film che intreccia la storia, il disprezzo dell'alta borghesia verso le classi sociali più basse che ha causato tutto quello che poi è avvenuto. Fa riflettere. > nonno Franco era un grande appassionato di cinema e non amava quando qualcuno criticava i suoi film preferiti. Jackson lo sapeva e amava stuzzicarlo.

< Basta non soffermarsi al fatto che Jack muore congelato nell'oceano, mentre la sua fidanzata canta su una porta di legno. >

< E' un atto di coraggio. L'amore che supera la loro diversità sociale, le critiche della famiglia, la loro stessa vita. Un amore, più forte di qualsiasi cosa, se hai il coraggio di viverlo, ovviamente. > gli rubò a sua volte il telecomando e rimise sul 5. Jackson sbuffò e rovistò tra gli scaffali della cucina per prendere le patatine. Ritornò sul divano e appoggiò la testa allo schienale, per rilassarsi. Il nonno capì subito che fosse successo qualcosa e abbassò il volume della tv. < Vuoi parlarne? > Jackson sospirò.

< Ho.. litigato con mamma >

< Ma non era in Grecia? >

< E' tornata ieri sera e abbiamo pranzato insieme. Durante il pranzo ha cercato di parlarmi per riallacciare il rapporto, dice, ma.. >

< Le hai risposto male e te ne sei andato > concluse il nonno. Jackson annuì. Come al solito il nonno era sempre un passo avanti a lui. Il nonno sospirò e lo guardò preoccupato < Non ti dico di dare un'altra chance ai tuoi genitori, perché è un sentimento che deve nascere da te, e te soltanto. Posso consigliartelo, questo sì. Spero che un giorno riuscirai a perdonarli. >

< E' difficile nonno. Ci ho provato. Per anni. Ho cercato di giustificarli, di capire il senso della loro assenza ma.. la verità è che l'unica cosa che vedo e ho sempre visto è che non hanno voluto esserci per me, e questa cosa proprio.. non riesco a comprenderla > il nonno andò in camera, per poi tornare con una medaglietta d'oro, appesa ad una catenella.

< Tieni > gli porse la medaglietta e l'aprì. Dentro c'era incisa una frase. “La cosa più grande che tu possa imparare, è amare e lasciarti amare. -Sissi”

< Ma questa è.. >

< Di tua nonna. Me la regalò quando ci fidanzammo, in onore di Moulin Rouge, il nostro film preferito. Sai, ci incontrammo proprio alla visione di questo film. Eh.. che ricordi > Jackson rileggeva compulsivamente la frase cercando di afferrarne il senso. < E' tua adesso > il nipote ribattette, ma il nonno ancora più insistentemente decise che sarebbe servita più a lui che a sé stesso. < Tua nonna era come te. Cinica riguardo a qualsiasi cosa. Quella medaglietta.. la più bella dichiarazione di sempre. >

< Voi siete stati fortunati. Vi siete amati tutta la vita. Però l'amore non fa per tutti > il nonno stette un attimo zitto e poi indicò la televisione.

< Guarda quei due > esclamò indicando Jack e Rose in televisione. Jackson non riuscendo a intendere dove il nonno volesse andare a parare scosse il capo, inarcando le sopracciglia. < La vita è anche questo. L'amore fa parte di ognuno di noi, ma dipende da noi se viverlo o meno. È come una lezione di matematica: c'è chi l'apprende subito, a chi non piace ma si impegna lo stesso e chi la odia e cerca i prendere la sufficienza, indispensabile per passare all'anno successivo. > Jackson lo guardò con occhi socchiusi, assimilando la metafora. < Voglio dire.. > proseguì il nonno, capendo di non essere stato compreso < Ognuno di noi ha abbastanza materia grigia da poter comprendere la matematica, è l'impegno e l'attitudine ad essa che contraddistingue una buona comprensione da una pessima, portando quindi ad un buon risultato. L'amore è la stessa identica cosa > il nipote lo guardava ancora confuso. < Sostituisci “matematica” con “amore” vedi che ti torna > esclamò spazientito, mentre si alzava dal divano. Così fece, sostituì le parole, e in effetti un certo senso ce l'aveva, ma non cambiò idea, alzò le spalle e seguì il nonno per la cena.

< Nonno.. devi trovarti una donna.. hai il romanticismo represso da quando non c'è più nonna! > disse Jackson sorridendo.

Passarono la serata tra giochi da tavola, cibo accuratamente preparato dal nonno e birra.

< Allora, qualche ragazza all'orizzonte? >

< Direi di no > Jackson fece spallucce e continuò a guardare il telefono.

< Non c'è veramente nessuna ragazza che ti interessa? > Jackson si fermò per un secondo a pensare a Valery e alla scorsa sera e sorrise senza accorgersene. < Oh.. direi di si > bisbigliò il nonno cantilenante quando lo vide, sembrava si fosse incantato e Franco per riportarlo sulla terra gli gettò lo straccio dei panni bagnato in faccia.

< Cosa c'è? >

< Vai da lei. Vuoi davvero trascorrere il venerdì sera con un vecchio rimbambito come me? > rispose ridendo. Jackson annaspò, cercando di resistere e rimanere su quella sedia.

< Non credo sia il caso > disse infine.

< Perché? > chiese confuso.

< Non fa per me > il nonno lo guardò torvo cercando una giustificazione a quella sua risposta.

< Se non fosse il tuo tipo non staresti qui a parlare di lei, ma te ne saresti già andato a prendere un'altra > Jackson corrugò la fronte, aspettando che il nonno aggiungesse qualcosa. < Ti piace, vero? > chiese il nonno con occhio malizioso; questo fece sorridere Jackson. Era difficile ammetterlo ad alta voce. Aveva avuto tante ragazze ma, appena aveva conosciuto Valery non aveva più avuto bisogno di nessun'altra.

< Si > rispose deciso < Ma.. non la merito. Non posso stare con lei, non ne sono capace, finirei per rovinare tutto. Lei, nonno, è diversa, non è solo una che mi piace, ci esco e finisce lì; lei è.. >

< Diversa > concluse il nonno, ripetendo l'aggettivo che non riusciva a trovare < E' per questo che devi andare da lei > per aggiungere poco dopo.

 

Uscì di casa, ancora indeciso se seguire o meno il consiglio del nonno. Non si erano sentiti tutto il giorno e un po' le mancava. Per giustificare la mancanza, si disse che tra amici, la mancanza era normale. Aveva deciso di guidare senza pensare, quando sarebbe arrivato nei dintorni di casa sua, avrebbe deciso il da farsi.

 

Valery aveva quasi finito la doccia che sentì citofonare ma Raisa non c'era; prese il primo asciugamano che trovò e lo avvitò al corpo per andare a rispondere.

< Chi è? >

< Jake, mi fai salire? > al suono della sua voce sentì una fitta al cuore e senza pensare che fosse in accappatoio rispose di botto.

< Si, sali > Valery aprì il portone, lasciò la porta aperta e andò a vestirsi.

Mentre era di sopra, sentì Jackson entrare. < Val? Ci..sei? >

< Sono di sopra, scendo subito! > chiuse la porta e continuò a vestirsi. Fece in tempo a mettersi il reggiseno quando Jackson aprì la porta e la trovò in lingerie. Si coprì in fretta con l'asciugamano e Jackson con un sorrisetto imbarazzato andò fuori e chiuse la porta, appoggiandosi alla parete accanto. Realizzò che era bellissima. Rimase impietrita per diversi secondi, alzò gli occhi al cielo e s'infilò in fretta la tuta. Uscì dalla camera piena di imbarazzo e appena vide Jackson lo fulminò con lo sguardo senza neanche dirgli una parola e scese le scale seguita da lui che lo supplicava di perdonarlo, mentre rideva per la situazione.

< Credimi, non sapevo che ti stessi vestendo.. non l'ho fatto apposta >

< Bussare è un optional a casa tua? >

< Vivo da solo > ironizzò, cercando di strapparle un sorriso, ma senza successo < Hai un bel fisichino comunque, non c'è che dire > continuò, compromettendo ancora di più la sua posizione. Valery si girò acidamente verso di lui. < Ok.. dai scusa.. totalmente fuori luogo. Scusa. Facciamo pace? > allargò la bocca in un sorriso da orecchio a orecchio e le si avvicino mentre sedeva sul divano, iniziando a solleticarle la pancia da dietro il divano, finché non accettò le sue scuse e fecero pace. Le diede un bacio sulla guancia e guardarono insieme la tv.

Valery sentendo freddo, si alzò per prendere la coperta.

< La voglio anch'io, condividi > se la tirò a sé per coprirsi, scoprendo di conseguenza Valery.

< Ehi! > disse tirando l'altro lato della coperta. Per esasperazione, Jackson le tirò le gambe e le posò sulle sue ginocchia, in modo che la coperta potesse coprire entrambi. Colpita da quel gesto improvviso, non si rese subito conto di quanto fossero vicini, finché non le cinse le spalle con un braccio.

< Contenta? > lo guardò negli occhi e sorrise, sentendo una pace assoluta che non provava da tempo e si appoggiò sulla sua spalla per stare più calda. Jackson l'abbracciò, per stare più comodo, si disse, e a sua volta poggiò la testa sulla sua. Averla accanto gli faceva un effetto strano. Era un'amica per lui, le voleva bene, non avrebbe mai voluto ferirla, ma quel desiderio di averla con sé aumentava ad ogni suo sguardo. Sapeva che l'amore, i fidanzati e tutte quelle cose che fanno parte di una relazione stabile, non facevano per lui, come sapeva che quelle stesse cose erano pane quotidiano per lei. Due persone completamente diverse, l'uno l'opposto dell'altra. Forse era quello il motivo per cui l'attraeva così tanto? Forse era un masochista, si divertiva forse a desiderare ciò che non poteva avere. Sicuramente il sex appeal non gli mancava, e fare colpo su una ragazza non era mai stato un problema, ma da quando c'era lei, tutte le altre erano sparite, e non aveva nemmeno dovuto fare un grande sforzo, semplicemente non gli interessava più nessun'altra che non fosse lei. Il problema era che gli piaceva l'unica ragazza che non gli sarebbe mai dovuto piacere.

Tutto quel pensare gli fece venire in mente nonno Franco e dopo di lui, sua madre. Troppi pensieri per contenerli in una testa sola. Valery notò distrazione nei suoi occhi.

< Sei silenzioso oggi. È successo qualcosa? > chiese stranita, interrompendo quel flusso eterno di pensieri.

< No.. è tutto apposto > rispose mentendo.

< Non hai imitato nessun attore del film che abbiamo appena visto, nessuna battuta, non mi hai ancora preso in giro e non hai fatto nessun accenno ad Alberto. C'è qualcosa che non va > si voltò verso di lui e lo fissò dritto negli occhi. < Che cos'hai? > gli accarezzò la guancia e lui la guardò. Mai nessuna donna si era mai accorto dell'oscurità che lo teneva imprigionato, di quel buio che era dentro di lui da così tanto tempo che era diventato un tutt'uno con sé stesso, con la sua personalità. Abbassò gli occhi facendo un mezzo sorriso e la prese per mano. < Vuoi parlarne? > lo incalzò.

< Mia madre è tornata dal viaggio in Grecia. Con.. Jero, credo si chiami > iniziò a raccontare mentre le accarezzava le dita < è da quando ho 8 anni che non fa altro che viaggiare. Prima non che non lo facesse, ma almeno faceva la madre..e la moglie, eravamo una famiglia. Poi, un giorno, ha deciso che la sua vita le stava stretta e ha lasciato papà e me, andandosene con un tizio di cui non ricordo il nome. Papà per motivi di lavoro, come mamma, viaggiava spesso, ma dal divorzio.. non c'è quasi più stato a casa; se prima passava un mese a casa e due settimane fuori, da quel momento, passava due mesi fuori e una settimana a casa. Diceva che non avevo bisogno di lui, ormai ero abbastanza grande per cavarmela. A 8 anni? > s'interruppe corrugando la fronte e alzando gli occhi al cielo < In realtà soffriva molto, voleva continuamente evadere e stando con suo figlio, come poteva farlo? > la guardò negli occhi, facendo spallucce < Mia madre si ricordava di me solo quando tornava a farmi visita, molto raramente, e mio padre, ha più rapporto con la segretaria che con me. Sono cresciuto da solo, i miei nonni si sono presi cura di me e ho imparato a vivere senza di loro, e sai sono stato bene! > serrò la mano in un pugno, colpendo il guanciale del divano < Però adesso, dopo 15 anni, mia madre torna, e vuole parlare. Par-lare. Capisci? > scuote la testa in segno di disappunto e rabbia < Di cosa vuoi parlare? > disse come rivolgendosi a lei < Di quanti amanti hai avuto negli ultimi anni? Dei tuoi viaggi? Assurdo > appoggiò la testa sulla testata del divano, portandosi la mano alle tempie. < Scusa. Di solito non parlo molto della mia famiglia >

< Sono contenta che tu me ne abbia parlato > riuscì a dire a malapena Valery. Sospirò e riprese a parlare < Non so cosa significhi avere due genitori separati. Ma sicuramente so cosa significa non averli, o meglio dire, averli ma con l'attitudine dell'abbandono. Non so dirti cosa farei se mio padre tornasse, forse continuerei ad odiarlo, lo allontanerei ancora di più per paura che se ne potesse andare un'altra volta, o forse chissà.. lo perdonerei > Jackson alzò lo sguardo su di lei e continuò ad ascoltarla, interessato alla sua opinione. < Insomma non lo so ma.. spero che qualunque cosa decidessi di fare, mi facesse stare bene con me stessa. Continuare a odiare credo fermamente che faccia più male a noi che a loro. Non credi? > gli prese il mento sballottandolo, per farlo ridere.

< Mi ricordi una persona > le disse sorridendo.

< Chi? > rispose curiosa, in attesa di sapere chi fosse.

< Mio nonno > intrecciò la mano nella sua e sorrise nel vuoto pensando a quanto fosse simile il discorso di Valery con quello dell'uomo del quale aveva più stima al mondo.

Nei suoi occhi, vide cambiare qualcosa, per un po' quei pensieri che gli avevano attanagliato la mente se n'erano andati, lasciando il posto a pensieri più piacevoli. Da quel sorriso, capì che suo nonno doveva essere una persona veramente importante per lui, e il fatto che l'avesse messa a confronto, la faceva sentire speciale.

Ritornò in sé e spontaneamente la tirò di più a sé e l'abbracciò, sempre più forte, quasi a farle smettere di respirare. Valery sentì le sue braccia forti stritolarle la schiena, i suoi muscoli contrarsi ad ogni stretta, sentiva il suo cuore battere sempre più velocemente con il suo, come se avessero lo stesso ritmo cardiaco. Non si era mai resa conto di quanto fosse muscoloso e di quanto questo le piacesse. Rimasero stretti per qualche minuto, quando si aprì la porta e sbucò Raisa, che guardandoli si costruì già castelli per aria su una loro ipotetica storia.

< Oh scusatemi! > si staccarono dall'abbraccio un po' imbarazzati e sorrisero timidamente. < Io vado a letto, buonanotte > disse chiudendosi in camera, per non disturbarli. Vedendo la faccia di Raisa, i due scoppiarono a ridere.

< Mi sa che ha pensato che noi due.. > disse Valery non riuscendo a trattenere la risata. Jackson la seguì, ridendo a crepapelle insieme a lei, il riso svanì nel momento in cui, con un gesto involontario le scostò la ciocca di capelli dietro l'orecchio, seguendo la lunghezza della ciocca tra le dita, per poi posare la mano sulla guancia; poi si avvicinò lentamente e le diede un bacio delicato sulla guancia, senza avere fretta di staccarcisi. Sentì il suo profumo intenso inebriarle le narici e il cuore le batté ancora più velocemente. Si distaccò, annaspando e i loro occhi si incontrarono, come se avessero un conto in sospeso e richiamassero le reciproche labbra ad unirsi, ma Jackson si ricordò di quello che aveva deciso. Valery non era roba sua. Strinse la mascella e con tutta fretta scivolò via dal divano e salutò Valery per tornare a casa. Dopo aver chiuso la porta di casa, si poggiò su di essa sbuffando, si schiaffeggiò la faccia per resistere alla tentazione di rientrare in casa sua. Dopo quel bacio era difficile starle lontano, più di quanto non avesse mai fatto prima. Valery rimase sul divano, ancora ipnotizzata da quegli occhi. Sentiva un fuoco ardere dentro che non riusciva a contenere. Si alzò di scatto e andò alla porta, posò la mano sopra la maniglia e aspettò di cambiare idea, sentiva che era troppo presto per impelagarsi in una storia; Jackson era importante, non poteva rovinare quell'amicizia, era quell'amico che aveva sempre dimostrato di esserci, sarebbe stato giusto rischiare tutto? Si sarebbe innamorata, e non era pronta per questo. Allo stesso tempo Jackson serrò i pugni e si girò con l'intenzione di suonare il campanello. C'era una grande intesa tra di loro, un'intesa che non aveva mai avuto con nessuna ma di cui non riusciva a coglierne l'identità. Per non sbagliare, corse per le scale , andandosene. Valery guardò nello spioncino, pensava di aver sentito dei passi, ma fuori non vide nessuno, quasi delusa lo prese come un segno del destino e andò a dormire, decisa di togliersi Jackson dalla testa. Era solo un amico.

 

“Che ne dici? È una buona idea? C'è una coppia di amici che ci vuole andare, ho detto che ci saremmo andati, quindi devi venire”

disse Jackson al telefono.

Ma non li conosco! Mi sentirei in imbarazzo” rispose Valery, poco convinta.

“Dai Val! Ma quale imbarazzo! Sono molto simpatici, te lo garantisco!”

“Sono sicura.. non potrebbe essere altrimenti. Sono amici tuoi!” scherzò sarcastica.

“Gentile! E dai! Porta Meredith! Ci divertiremo al mare.” Jackson cercava di convincerla in tutti i modi, e dopo svariati tentativi, la persuase.

Per Valery era imbarazzante conoscere gli amici di Jackson, gli aveva parlato di loro ma non li aveva mai visti. Li aveva dipinti come i suoi amici d'infanzia molto alla mano e affidabili e in qualche modo si sentiva in competizione, come se fossero migliori di lei, se fossero degli amici posti più in alto nella scala dell'amicizia, nel caso esistesse, e dovesse fare una bella impressione. Non sapeva bene neanche lei da dove venisse tutta questa agitazione, eppure era una persona amichevole. Cercò di convincere Meredith ma con scarsi risultati.

 

< Dai, ti prego! > disse supplicandola.

< Non posso venire Val, devo studiare, ho un esame tra poco > disse un po' malinconica. Valery colse la nota dispiaciuta nella voce dell'amica e cercò di approfittarne per convincerla.

< Tu adori il mare e poi è solo un giorno.. >

< Val.. è ottobre! Quale sano di mente va al mare ad ottobre? >

< Chi ha una villa lì! E poi non fa freddo, in spiaggia c'è gente > disse cercando di metterci più enfasi possibile. Meredith si alzò dalla sedia per prendere un bicchiere d'acqua. < Dimmi un po'.. non è che vuoi che venga come diversivo mentre tu te la spassi con Jackson? > Valery fece paonazza e corrugò la fronte.

< Ma cosa dici? Io e Jake siamo solo amici. Ficcatelo in testa! > si girò e mostrò un sorriso smagliante per nascondere a sé stessa che quello che era successo a casa sua la scorsa settimana non significasse nulla, era solo una debolezza.

< L'unica che devi convincere sei tu > le sorrise maliziosamente e si mise a studiare per l'esame mentre Valery si preparava per andare al mare.

 

Alla fine, sarebbero andati loro due e una coppia di amici di Jackson, quest'ultimo era entusiasta all'idea, non vedeva l'ora che i suoi più cari amici si incontrassero. Aveva un entusiasmo particolare, un'euforia negli occhi che non riusciva a contenere.

< Siamo pronti? > disse togliendosi il casco in sella alla sua bellissima Honda, sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi. Valery guardò il suo vestitino svolazzante e l'infradito che aveva ai piedi. Scocciato di aspettare, le porse il casco e la invitò a salire.

< Non andremo davvero con la moto? > chiese preoccupata.

< Si, sali dai, aggrappati > la preoccupazione la invase totalmente < Andrò piano, promesso > la incalzò, incitandola a muoversi. Valery salì in sella e si aggrappò a Jackson. Quando partì, lo strinse ancora di più e Jackson, accortosi della stretta, andò ancora più veloce per sentirla più vicina.

Arrivati, Jackson parcheggiò davanti alla villetta di Jessica. < Questo si chiama andare piano? > urlò Valery in preda a una crisi d'ansia, dandogli un pugno sul braccio. In tutta risposta, Jackson si limitò a sorridere e si tolse il casco. < Non ridere! Mi hai fatto morire! >

< Dai, Val! Sono prudente quando guido > Valery alzò gli occhi al cielo e s'incamminò verso la casa. < Non ti farei mai del male scema > la raggiunse e le cinse le spalle, abbracciandola. Davanti alla porta c'erano già Alex e Jessica, in attesa del loro arrivo. Alex era alto, atletico, moro con occhi color nocciola e molto simpatico e loquace, era quasi la fotocopia di Jackson, con la differenza che era molto più spontaneo; la fidanzata, Jessica, era molto bella, alta, bionda con gli occhi azzurri, con delle piccole lentiggini sul naso e sulle guance, molto dolce e socievole, erano proprio una bella coppia. Valery ne ebbe una bella impressione e si sentì subito a suo agio in loro compagnia.

< Non sapevo avessi una casa qui > esclamò sorpresa Valery.

< Eredità dei miei nonni. La mia famiglia ci passa l'estate da decenni ormai. Quando possiamo io e Alex veniamo qui e ci passiamo i weekend > sorrise maliziosamente al suo fidanzato e Valery per togliersi di mezzo tossì fintamente e si distanziò da loro, cambiando angolazione della stanza.

< Allora, Valery! Che mi dici di Jackson? È da un po' che non lo vedo...esce sempre con te > rise sotto i baffi, facendo un cenno verso l'amico, intento a prendere un telo da mare dal borsone.

< Ma taci! Semplicemente sei tu che stai sempre con la tua fidanzata e quindi sono costretto a trovarmi altre amicizie > rispose Jackson in modo diplomatico, per togliere ogni dubbio.

< “Sono costretto”? > esclamò Valery girandosi verso di lui < Quindi io sarei un ripiego? > inarcò le sopracciglia e incrociò le braccia, in attesa di una risposta soddisfacente. Jackson le si avvicinò, rassicurandola.

< Un ripiego molto piacevole > le disse sollevandole il mento.

< Aw.. peccato che non possa dire lo stesso > gli diede due schiaffetti sulla guancia e sul suo volto si fece spazio un sorrisetto compiaciuto.

< Oooh! Finalmente una donna che non cade ai tuoi piedi Jake! > disse Jessica ridendo in sintonia col fidanzato. Jackson rise, mentre osservava Valery che usciva dalla porta per andare in spiaggia. Quando Valery si allontanò, Alex prese subito la palla al balzo per stuzzicare l'amico. Aveva capito che gli piaceva. Si conoscevano da quando erano coperti di placenta, sapevano tutto l'uno dell'altro, era impossibile che a uno dei due potesse sfuggire qualcosa dell'altro. Erano una bromance perfetta.

< Valery.. è propria una bella ragazza > conseguì Alex, chiedendo un parere anche a Jessica, che annuì rafforzando l'affermazione del fidanzato. < Anche molto simpatica > aggiunse Jessica < Mi piacerebbe conoscerla meglio; qualche volta potremmo uscire insieme > ipotizzò strizzando l'occhio al fidanzato. Jackson li guardò cercando di capire cosa gli passasse per la mente e rise, afferrando l'asciugamano.

< Glielo riferirò > disse con fermezza senza lasciar trapelare alcuna emozione < Vado in spiaggia > chiuse la porta e raggiunse Valery, che intanto si era seduta a riva, tenendo il viso alto contro il sole.

Era bel tempo per essere ottobre. C'era un sole accecante e l'acqua era una tavola, quasi richiamava il desiderio di farsi un bagno; si avvicinò a riva e toccò l'acqua con le dita dei piedi.

< Fremevi di fare un bagno? > chiese Valery, guardandolo bagnarsi i piedi.

< Più che altro volevo lasciare intimità ai due piccioncini. Penso che questa giornatina la passeremo da soli > essendo troppo fredda si sedette sulla sabbia, accanto a Valery, osservando le piccole onde del mare che si infrangevano a riva. < Perché pensi che ti abbiano invitato? > Valery socchiuse gli occhi, cercando di capire. < Per non farmi stare da solo > Jackson sorrise e Valery lo spintonò scherzosamente. Valery si guardò intorno, notò con sua grande sorpresa che c'era molta gente ancora al mare. Jackson notò lo stesso, ma il suo sguardo si posò su una sua vecchia conoscenza, la ragazza che stava guardando, si girò riconoscendolo e sorridente gli andò incontro, salutandolo con la mano.

< Ma non mi dire.. Jackson! Sei tu? > disse raggiungendolo.

< Sara! Sei.. cambiata molto > rispose alzandosi in piedi per salutarla. Si abbracciarono e Valery, per la prima volta, provò una certa gelosia nei suoi confronti. Era una bella ragazza, con capelli lunghi e ricci, occhi verdi e fisico mozzafiato; mentre Valery la studiava, cercava di capire chi fosse e perché conoscesse Jackson. Dopo qualche minuto di conversazione Valery aveva ascoltato abbastanza da capire che era un'amica di vecchia data, al tempo del liceo, non sapeva che tipo di rapporto avevano avuto, ma sembravano molto intimi nei comportamenti. Sara spostò lo sguardo su Valery e si presentò giovialmente.

< E' la tua fidanzata? > chiese felicemente a Jackson, indicandola.

< No, un'amica > Jackson rispose freddamente e deciso alla domanda, facendo quasi rimanere male Valery che non capiva il motivo della sua gelosia. Le venne un formicolio alle mani e un groppo in gola al pensiero che Jackson potesse dare attenzioni a qualcuno che non era lei.
“Sei proprio una persona egoista Val. Falla finita” Si disse.

< Niente fidanzata... Non sei cambiato affatto, vero? > Valery aguzzò le orecchio.

< Mi ritrovi così come mi hai lasciato > Sara fece un cenno a dei ragazzi un po' distanti da lei e Jackson notò l'anello che aveva al dito, realizzando che fosse fidanzata.

< Sarà meglio che vada, è stato bello rivederti.. > gli accarezzò il viso e lo salutò.

< Anche per me, ciao > le diede un bacio sulla guancia e l'amica si allontanò, tornando tra le braccia del suo fidanzato. Jackson si risedette mentre era ancora intento a seguirla con gli occhi e Valery capì che non era solo una semplice vecchia amica, ma per togliere ogni dubbio, iniziò ad indagare senza dare nell'occhio.

< Bella la tua amica >

< Lo è > Jackson sorrise, quasi orgoglioso di lei. Valery non sapeva come chiedergli se fosse un'amica o qualcosa di più, quindi tentò di farglielo dire senza che fosse lei a chiederglielo. Dopo vari tentativi, tentò la strada del “cercasi ragazza per il mio migliore amico”.

< Sembra simpatica e sembra che andiate d'accordo. Perché non le chiedi di uscire? > Valery cercò di dialogare in modo più naturale possibile, cercando di non far emergere quella strana gelosia che le stava logorando lo stomaco, ma Jackson scoppiò a ridere.

< Chiederle di uscire? > scuoteva la testa come se gli avesse proposto qualcosa di improponibile. < Non posso, sarebbe imbarazzante >

< Perché? > chiese corrugando la fronte.

< Siamo stati insieme, due anni fa >

< E perché l'hai lasciata? > Jackson si girò verso di lei con un grande interrogativo sulla faccia.

< Perché pensi che sia stato io a lasciarla? > chiese ancora con grande stupore. Per Valery era scontato che fosse stato lui a lasciare Sara. Non aveva pensato nemmeno per un secondo il contrario, le era venuto naturale pensarlo.

< Bhè.. sembri più il tipo che molla, che quello che viene mollato.. non so se mi spiego > rispose. Jackson aveva ancora lo sguardo immerso nello stupore per quell'affermazione, quando considerò che forse non aveva tutti i torti.

< Mi ha lasciato lei. Eravamo diversi, volevamo cose diverse. Lei era innamorata, voleva un rapporto stabile, serio e duraturo e io.. non cercavo nessuna di queste cose >

< E' quello a cui alludeva quando ti ha detto che non sei cambiato affatto? > Jackson annuì e sospirò. < Non eri innamorato di lei? >

< No > rispose < queste cose non fanno per me > aggiunse poco dopo. Valery sapeva che Jackson era piuttosto famoso per la durata minima delle sue relazioni, ma sentirglielo dire, le faceva realizzare quanto fossero realmente diversi. Sapeva che nel mondo non tutti fossero uguali, e che non tutti sognavano l'amore come lei, ma il fatto che Jackson, il suo Jackson potesse pensarla in un modo così differente dal suo, la mandava fuori di sé. L'idea che Jackson la pensasse come Meredith, che bastava avere un pene e una vagina per essere felici, non sapeva perché ma, non le andava giù.

< Credo di provare una certa repulsione per quelli come te > disse Valery tutto d'un fiato.

< Ehm.. grazie? > Jackson emise un risolino per poi farlo svanire subito dopo.

< Ma dico.. non ti senti di giocare con i sentimenti delle persone? > chiese con tono quasi arrabbiato. Jackson rimase sorpreso dal tono della sua voce, cercando di risponderle sempre gentilmente.

< Sono sempre stato sincero con ogni ragazza con cui sono stato, non ho mai voluto ferire nessuna in alcun modo > rispose mettendosi sulla difensiva.

< Certo che no, tu prima le fai innamorare di te e poi scappi > Valery sentiva che la stava prendendo sul personale, ma non riusciva a trattenere le parole.

< Mi è dispiaciuto quando lei mi ha lasciato. Molto. Ma tu non sei la persona con cui devo giustificarmi per il mio stile di vita > Jackson offeso dalle parole di Valery, si alzò e, gettando i vestiti sulla sabbia, si tuffò a capo fitto in acqua. Valery era cosciente di aver esagerato. Non era suo diritto correggerlo e imporgli dei principi che non gli appartenevano. Passeggiò per schiarirsi le idee, iniziò ad alzarsi il vento verso le sei, tornò nella casetta dove aveva lasciato i due piccioncini e stette con loro, fin quando non vide Jackson che si preparava per partire. Uscì dalla casa, andandogli incontro.

< Andiamo via? > chiese con la coda tra le gambe, avvicinandosi a Jake, il quale rispose annuendo con la testa e porgendogli il casco, senza guardarla. Alex e Jessica, sarebbero rimasti al mare, quindi li salutarono e partirono. Valery si avvinghiò stretta a Jackson, e per la prima volta sentì l'esigenza di non volersi staccare da quell'abbraccio. Avevano litigato per la prima volta e sentiva che non poteva sopportare l'idea di essere in lite con lui. Jackson, arrabbiato dall'altra parte, non si spiegava il motivo di tanta aggressione da parte sua, ma allo stesso tempo il fatto di dovercela avere con lei, lo faceva star male. Si fermarono al semaforo dell'incrocio, Valery lo vide molto serio e per scioglierlo un po' e rendersi conto di quanto fosse realmente arrabbiato, gli tirò il doppio mento delicatamente, per farlo sorridere, per chiedergli scusa, Jackson sorrise debolmente, ma non gliela volle dar vinta, scattato il verde ripartì e andò più veloce possibile. Valery si strinse più forte a Jackson, sapendo che lo stesse facendo apposta per fargliela pagare e poggiò la testa sulla sua schiena chiudendo gli occhi, pensando alle scuse migliori che gli venissero in mente.

La riaccompagnò a casa che erano le nove. Scesero entrambi dalla moto e gli porse il casco. < Scusa > gli occhi di Jackson schizzarono su Valery < sono stata irrispettosa. Non sono nessuno per dirti come devi comportarti e come devi vivere la tua vita. Quello che fai non sono affari miei...Mi perdoni? > chiese con un gran sorriso persuasivo. Non parlò, si tolse il casco e le si avvicinò con una serietà che Valery non gli aveva mai visto prima.

< Si che ti perdono sciocchina! > le scompose i capelli e gli riapparve un grande sorriso sul volto, poi continuò < so che non approvi quello che faccio, e non ne trovi il senso, ma per me.. è l'unico senso che conosco >

< Disse il figlio di due genitori divorziati >

< Sarcastica > ammise complimentandosi.

< Ho imparato da te >

< Ammetto che l'ambiente in cui sono cresciuto.. mi abbia influenzato. Se in bene o in male è tutto da vedere > esclamò corrucciando la bocca.

< Secondo me, sei solo un gran fifone > ipotizzò Valery ridendo, facendo scattare Jackson per farle il solletico.

< Forse è solo una tecnica che uso con le ragazze per farle innamorare di me. Lo sappiamo tutti che le ragazze sono patologicamente attratte dai ragazzi senza speranza, misteriosi.. come se fossero cagnolini con la zampetta rotta. Magari ti sto usando, potresti cadere nella mia trappola. > disse ironicamente collegandolo a quello che poco prima aveva detto Valery su di lui.

< Sono sicura che sei tanto presuntuoso da credere di poterci riuscire, però > gli toccò il petto con l'indice, colpendolo più volte < sarebbe un gioco pericoloso, ti ricordo che ne so molto più io di te sull'argomento, sono più brava > concluse ammiccando per poi prendergli il viso tra le mani e dargli un dolce bacio sulla guancia. Le fissò le labbra e Valery sorrise, accorgendosene < Visto? Sono più brava > Jackson sorrise, mordendosi il labbro inferiore.

< Brava! Crudele da parte tua sedurre un ragazzo che non è il tuo fidanzatino > applaudì e si rimise il casco, per mettere in moto.

< Ci siamo lasciati veramente.. non te l'avevo detto? > Jackson rimase atrofizzato. La guardò, contenendo un sorriso e diede gas, fissandola ancora negli occhi.

< Adesso sei libera > non riuscì a trattenere un sorriso e mostrò tutti i denti, ostentando la sua gioia. Le strizzò l'occhio e poi abbassò la visiera, per poi partire. Avrebbe voluto sparare fuochi d'artificio.

Mentre si dirigeva verso casa, Valery vide la siepe del giardino muoversi rumorosamente, non ci badò, essendo stanca della giornata. Sentì un secondo movimento e si avvicinò titubante.

< C'è qualcuno? > chiese, inghiottendo a fatica. Si girò per tornare a casa, quando sentì il fruscio delle foglie che la portò a camminare più velocemente verso il portone.

< Non volevo spaventarti > la voce di Alberto risuonava sotto quel fruscio. Era da qualche giorno che non lo vedeva e con sua grande sorpresa, non avvertì alcuna nostalgia. < Pensavo fossi a casa, poi ti ho vista con quel tizio e mi sono nascosto dietro l'albero > disse cercando di spiegare.

< Non capisco.. > indicò il nascondiglio, cercando di comprendere il motivo per cui si fosse nascosto < Perché? > chiese facendosi scappare una risatina. Alberto le si avvicinò e sorrise, tenendo le mani nelle tasche dei jeans.

< Non volevo.. disturbare > rispose trovando la prima scusa che gli venne in mente. Non aveva mai visto quel tipo, era curioso di sapere chi fosse e perché frequentava Valery. Un'idea se l'era fatta, e non era molto contento. < Comunque.. sono venuto per dirti che partirò per Londra e volevo fartelo sapere. Non so perché.. ma volevo dirtelo > disse nervoso. Valery rimase stranita dal suo comportamento. Alberto non era mai stato nervoso, era una persona sicura di sé, determinata, invece era davanti a lei, con gli occhi bassi, le mani in tasca e la voce balbuziente. Conseguì che quell'atteggiamento era dovuto in seguito alla loro rottura e che probabilmente ciò che non provava lei, lo provasse ora lui.

< Alby.. sono contenta per te! È una grande notizia! > Alberto la guardò interdetto, aspettandosi di più. < Sono sicura che.. andrai alla grande e che diventerai un ballerino di successo mondiale! Quando parti? > ci mise tutta l'enfasi possibile in quelle frasi, tanto che sembrò finto, anche se era quello che realmente pensava, senza ipocrisie.

< Stanno decidendo se farmi rientrare nel trimestre o farmi partire da gennaio > le sorrise e lei ricambiò, gli toccò il braccio col pugno in segno di buona fortuna.

< Adesso.. vado, sono molto stanca, fammi sapere quando parti allora, notte > gli fece un mezzo sorriso e si allontanò per rientrare in casa. Alberto la vide allontanarsi e gli si formò un groppo in gola. Da quando si erano lasciati, si era reso conto di quanto non le piacesse la sua assenza.

< Se passi da Londra, fammi uno squillo! > le disse con tono più alto, per farsi sentire dal portico.

< Volentieri.. > rispose accennando un sorriso poco convinto, aprì la porta e la richiuse. Corrugò la fronte, non capendo il motivo per il quale fosse venuto fino a casa sua per darle quella notizia. Non ce n'era motivo, pensò. Mentre andava in camera, un pensiero divertito le sfiorò la mente. Forse finalmente, la sofferenza, l'ansia, la preoccupazione che aveva provato per la maggior parte della loro storia e che si erano del tutto affievolite in lei, erano fioriti in lui. Le scappò un sorrisetto sadico sul volto, e subito dopo si sentì male di averlo pensato.

Senza motivo scoppiò a ridere e ad un tratto si rese conto che quella libertà la rendeva totalmente felice.


 

Angolo di Queen Of Love:
Salvia a tutti!!
Sono tornata con il sesto capitolo, spero vi piacca, ci ho messo una vita a postarlo,
chiedo perdono! Comunque sia, accorrete numerosi a leggere ques'altra schifezzuccia!
Leggete e recensite, in bene, in male, con un bignè o un pasticcino! :*
Grazie a chi legge, a chi mi segue, a chi guarda sbuffando lo scherzo ad ogni oscenità che scrivo,
grazie soltanto della vostra visualizzazione!
Al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 7
*** Tu che sei parte di me ***



7. Tu che sei parte di me

 

“Che dici, Val verrebbe con noi alle terme?” chiese Alex dall'altra parte del telefono.

“ Non lo so, penso di si. Quando?”

“ Domani!” s'intromise Jessica ridacchiando.

“Cosa state architettando?” chiese Jackson scuotendo la testa.

“Niente Jake! Dai chiediglielo, ci farebbe piacere averla con noi, ok?”

Jackson riattaccò, mentre faceva colazione, e richiamò subito Valery per convincerla ad andare alle terme.

“Basta che non si mettono a limonare nell'idromassaggio, mi sentirei a disagio” disse scherzando, ma non troppo.

“Tranquilla! Al massimo li emuliamo” Jackson rise per poi aggiungere “così quelli a sentirsi a disagio saranno loro” concluse alludendo ad un bacio passionale.

“Stupido! Ci sarò, ma farai bene a tenere quelle labbra lontano dalle mie” entrambi riattaccarono e Jackson si sentì un formicolio alla bocca dello stomaco. L'idea di stare con Valery lo riempiva di gioia.

 

Arrivarono alle terme, dove li aspettavano gli amici, entrarono subito dentro per iniziare il trattamento relax. Entrarono nell'idromassaggio, passandosi i cocktail che avevano ordinato. A Valery faceva sempre più piacere passare il tempo in loro compagnia.

< Val! Tu che fai, studi? > chiese sorridente Alex

< Si, tra poco inizierò l'università a Siena in scienze del servizio sociale > Alex annuì essendo sorpreso < Voi invece che fate ragazzi? >

< Io studio moda a Perugia, sono qui solo nel weekend purtroppo e non vedo Alex molto spesso > rispose Jessica intristendosi. Cercava conforto in Alex che però era perso nel suo mondo, fissando il bicchiere che delicatamente faceva girare nella sua mano. Valery per richiamare la sua attenzione gli chiese dove e cosa studiasse lui a sua volta, togliendolo sotto lo sguardo stranito della fidanzata.

< Io? Studio medicina qui a Firenze > disse alzando il bicchiere con un sorriso sulle labbra. Jackson, mentre scorreva la conversazione, guardava i suoi amici con aria soddisfatta, piacevolmente sorpreso che andassero così d'accordo.

< Amore, che dici per natale andiamo in montagna? > chiese d'un colpo Jessica al fidanzato, che stranamente non le dava le attenzioni del ragazzo dolce e premuroso che era solito essere. < Amore.. > ribadì richiamandolo all'attenzione, interrompendo i suoi pensieri.

< Cosa? Scusa stavo pensando a un'altra cosa.. > disse distratto.

< Basta che non pensi ad un'altra donna e poi va bene > sorrise e bevve il drink rimanente nel suo bicchiere. Jackson e Valery si accorsero del mezzo sorrisetto nervoso che gli spuntò dopo l'affermazione di Jessica, quel giorno non era pienamente in sé, l'unica ad accorgersene sembrava proprio Jessica che, nonostante la poca voglia di Alex nel fare progetti, insisteva sul da farsi, facendo irritare pian piano Alex, che stava per perdere la pazienza.

Valery e Jackson si scambiarono un'occhiata e pensarono che era meglio uscire dall'idromassaggio prima di venire risucchiati in una loro lite suicida.

< Guai in paradiso > commentò Valery, prendendo l'occorrente per la doccia. Jackson non rispose, dubbioso, facendo capire a Valery che c'era qualcosa che non andasse. < Che c'è? >

< Alex è strano > investigò Jackson.

< Avrà una giornata no. Capita anche alle persone solari come lui > ipotizzò Valery, mentre entrava in doccia. Jackson non ne fu molto convinto, prese l'occorrente ed entrò in cabina. Quando entrò, Valery aveva già iniziato e non poté fare a meno di guardare il suo corpo bagnato, esile, ma formoso e proporzionato, le andò accanto e per non farsi accorgere di essere suo oggetto d'osservazione, smise di guardarla con dispiacere. Valery si accorse della presenza di Jackson e girandosi verso di lui, si ritrovò davanti a sé degli addominali ben scolpiti e i suoi occhi furono presto catturati dall'intero corpo che gli era accanto. Notò che aveva due tatuaggi, uno sotto la spalla sinistra e l'altro sulla parte destra del torace, ma non riuscì a capire bene cosa fosse, per non farsi beccare, si girò dall'altra parte della cabina, chiudendo gli occhi sotto il getto d'acqua, cercando di rilassarsi e non pensare a quella splendida visione. Jackson aprì gli occhi e le pizzicò un braccio, dando così il via ad una lotta amichevole.

< Smettila, non mi sto rilassando per niente > disse Valery, ridendo a crepapelle. Jackson continuò a darle noia e a farle il solletico, Valery si girò, cercando di fermargli le mani, ma questo non fece altro che spingerla verso la parete. Jackson si rese conto di averla stretta tra le braccia, di averla sotto le dita, come qualche sera fa, sotto la pioggia. Il sorriso di entrambi si trasformò in pensieri. Le mani di Jackson toccarono delicatamente la schiena di Valery, analizzando col suo tocco quello che aveva sognato, facendola rabbrividire, per poi salire e toccarle il collo, incontrò i suoi occhi color nocciola che lo fissavano con desiderio. Ogni centimetro dei loro corpi era attratto l'uno dall'altra. Valery sentiva lo sguardo di Jackson su ogni particella del suo corpo, non l'aveva mai guardata così.

< Perché mi guardi così? > chiese in un sussurro, inclinando la testa, con gli occhi fissi sulle labbra. Jackson seguì il suo spostamento e le sfiorò le labbra, sorridendo.

< Sei.. > sospirò, mentre seguiva con gli occhi il suo corpo, per poi ritornare sognante sul suo sguardo < bellissima >. Le labbra stavano per incontrarsi nuovamente, ma la suoneria del cellulare di Valery li interruppe. Si guardarono imbarazzati e Valery uscì dalla cabina, mentre si scrollava di dosso quello sguardo penetrante. Vide sul display il nome di Meredith.

< Mer? > sentì dei suoni in sottofondo, non riuscì a capire bene dove fosse. < Mer? Dove sei? Stai bene? > ad un tratto, riuscì a distinguere la sua voce spezzata tra un singhiozzo e un altro.

< Val.. sono in ospedale > Valery rimase pietrificata e le iniziarono a tremare le mani. < Mio padre ha avuto un infarto! Sono sola, mamma è in viaggio per lavoro e.. >

< In che ospedale sei? > chiese subito interrompendola, mentre prendeva lo zaino per andarsi a cambiare. Jackson sentendo la parola ospedale, la prese per un braccio con la fronte corrugata.

< Ok... arrivo! Stai tranquilla, sarò lì il più velocemente possibile! > chiuse la conversazione e prese i vestiti per cambiarsi frettolosamente nello spogliatoio.

< Cos'è successo? > chiese preoccupato Jackson. Valery gli spiegò la situazione e lui si propose di accompagnarla appena avesse finito di vestirsi. Si cambiarono frettolosamente e dopo poco tempo, con uno strappo in moto arrivarono in ospedale. Meredith era in sala d'attesa, da sola, facendo avanti e indietro per la stanza nervosamente. Appena vide Valery, l'abbracciò e pianse.

< Hanno detto qualcosa i dottori? >

< Lo stanno operando > si abbracciarono ancora e Jackson andò a prendere due cioccolate calde per le ragazze. < Scusate se vi ho rovinato la serata >

< Ma scherzi? Non ci pensare neanche! > esclamò Jackson con un sorriso consolatorio e sincero. < Non vedevamo l'ora di passare un po' di tempo con te > strizzò l'occhio, facendole scappare un sorriso e si alzò per andare a parlare con un infermiere. Meredith ne rimase piacevolmente sorpresa.

< Wow. E tu cosa aspetti a metterti con questo bocconcino? > gli occhi di Valery passarono dalla contemplazione per Jackson allo stupore per Meredith.

< E' incredibile! È possibile che tu voglia accoppiarmi come fossi un animale in calore? > Meredith rise debolmente.

< Pensaci, è perfetto per te e poi mio padre ha appena avuto un infarto, devi ascoltarmi! > il sorriso le svanì dal viso e appoggiò la testa sulla spalla dell'amica, aspettando che i medici portassero altre notizie.

Intanto Jackson, avendo amicizie nell'ospedale, chiamò un suo amico infermiere e gli chiese di prendere informazioni sul padre di Meredith, per riferirle alla figlia.

< L'operazione sta andando bene, ma non possiamo dire se sia fuori pericolo o no ancora. Mi dispiace, appena so qualcosa, ti avverto immediatamente >

< Grazie Luca, ci vediamo in giro > Jackson tornò dalle ragazze e gli riferì ciò che Luca gli aveva detto. Rimasero lì per tutta la notte, addormentandosi l'uno sull'altro.

 

< Ehi Jake! Jake! > sentì una mano scuoterlo e si svegliò di soprassalto. Era Luca. < Abbiamo notizie: il padre della tua amica, ho sentito che è fuori pericolo ma stanno facendo degli accertamenti, e quindi dovrete aspettare ancora per entrare in stanza > Jake ringraziò di cuore l'amico e lo congedò. Poggiò la testa contro il muro e si sgranchì la schiena, si accorse che Valery si era addormentata su di lui e che avevano dormito con le mani intrecciate. Sorrise per quella scena e le accarezzò il viso, delicatamente. Guardò l'ora: erano le 6 del mattino. Svegliò con dispiacere Meredith, per rassicurarla sul padre e subito chiamò sua madre per darle la notizia. Jackson tornò con lo sguardo su Valery e sulla pace che vedeva sul suo volto; le accarezzò ancora i capelli, portandoglieli indietro.

< Ti piace proprio l'amica mia eh? > chiese Meredith beccandolo in flagrante, indicando le loro mani intrecciate.

< A chi non piacerebbe? > rispose evasivo, ma a Meredith bastò.

< Mia madre sarà qui tra cinque minuti. > Jackson annuì < Quindi se volete andare, potete, vi ringrazio per essere stati qui stanotte e ieri sera.. davvero, grazie >

< Non c'è di che, l'abbiamo fatto con piacere > rispose Jackson, parlando anche per Valery, sapeva che era il suo stesso pensiero. Meredith scosse gentilmente Valery, che si svegliò e con imbarazzo staccò la sua mano da quella di Jake.

< Potete andare, a breve sarà qui mamma > Valery ribattette ma Meredith insistette, avendo la meglio.

Usciti dall'ospedale Jackson la portò a casa.

Con tutto quel trambusto non avevano neanche avuto modo di riflettere su quella che era successo la sera prima. Entrambi stanchi, entrati in casa, si buttarono letteralmente sul letto, addormentandosi, ringraziando il cielo che fosse domenica.

 

< Val.. è ora di pranzo, dai svegliati > Valery percepiva confuse le parole di Raisa. Aprì debolmente gli occhi e guardò l'orologio appeso al muro. < Le 14:00? > schizzò dal letto tutta scompigliata e si precipitò giù in sala per mangiare. Prese il cellulare e vide un messaggio di Meredith che le diceva che suo padre era ancora a fare gli accertamenti e non avrebbe potuto ancora vederlo. < Che lentezza > sbuffò Valery pensando alla sanità. Dopo aver mangiato e aver aggiornato Raisa sulle condizioni del padre di Meredith, si lasciò cadere sul divano e quei pensieri che non avevano avuto modo di essere protagonisti, presto vennero alla mente. Si ricordò immediatamente della sera scorsa alle terme e ne concluse che si sarebbero baciati sicuramente se non le fosse squillato il telefono. Non capì se la fitta che sentì allo stomaco, significasse “Me la sono cavata per un pelo” o “Porca miseria, eravamo così vicini”. Si mise la mano in fronte tenendosi la testa, con aria assorta nel vuoto.

Non può succederti. No. Non può piacerti Jackson. Jackson è un tuo amico, e a te va bene così. E poi non sarebbe nemmeno il tuo tipo. Quindi finiscila. Smettila. Basta.”

Mentre ripeteva ciò che era diventato un mantra da settimane ormai, non si accorse di averlo ripetuto ad alta voce.

< Stai cercando di convincertene? > ironizzò Raisa dietro di lei. Valery non rispose, posò la testa sul divano in modo quasi disperato, sbuffando. Se ne andò in camera e si fece una doccia, che automaticamente le ricordò ciò che non avrebbe voluto ricordare. Chiuse gli occhi, respirando lentamente, e le apparvero i tatuaggi che aveva intravisto disegnati sul corpo di Jackson. < Oh ma è una tortura! > stufa di non riuscire a pensare ad altro, cambiò il verso della manopola della doccia, facendo uscire acqua fredda. Non resistendo a lungo, per lo shock uscì e si avvolse nell'accappatoio. Si accasciò sul letto, decisa a non voler pensare a Jackson per i giorni seguenti.

 

“Come sta tuo padre?”

“Gli accertamenti sono finiti, oggi possiamo andare a visitarlo, ma ho un esame, quindi potrò andarci solo stasera”

“Non preoccuparti, fai l'esame e pensa che il tempo passerà velocemente” La voce di Meredith era alquanto malinconica, Valery cercò di darle la carica, ma riuscì solo a strapparle qualche sorriso.

“Senti, parliamo d'altro. Devo distrarmi. Jackson?” Valery sorrise per poi sbuffare subito dopo. Si era ripromessa di non volerlo pensare, e parlarne con Meredith rientrava nel piano, il problema è che non poteva farne a meno. “Dai.. ho visto come vi tenevate per mano.. cos'è successo tra voi due?” Dopo averle raccontato l'accaduto, Meredith finalmente rise.

“Gli piaci da morire Val. Perché non ammetti a te stessa che siete fatti l'uno per l'altro e la fai finita di reprimere i tuoi sentimenti?”

“Quali sentimenti? L'uno per l'altro cosa? Non provo assolutamente niente per Jackson se non.. una profonda stima” cercò di spiegare diplomatica “e una grande intesa.. dovuta alla nostra amicizia” aggiunse poi, volendo giustificare la loro alchimia. Meredith rise ancora, prendendosi gioco di lei.

“Oddio Val.. come fai a non renderti conto?”

“Meredith non ti capisco! Cosa ne è stata della mia amica che come principio ha quello di non innamorarsi mai e poi mai? E adesso mi dici che devo buttarmi tra le braccia di Jackson?”

“Dico solo di.. lasciarti andare!” Meredith sentì Valery sbuffare dall'altra parte del telefono “Non devi mica sposartelo! Dico solo che.. siete perfettamente opposti, questo non ti dice niente?

“Si! Mi dice che è letteralmente impossibile che tra me e Jackson potrebbe esserci qualcosa di.. serio e stabile. E poi se ti piace tanto perché non te lo prendi?” a quella domanda assurda, detta senza pensarci, le prese una fitta di gelosia allo stomaco, immaginandoli insieme. Meredith rise.

“Forse andrebbe bene per una notte passionale ma.. credimi se ti dico che è pazzo di te.. e tu nemmeno te ne accorgi perché sei troppo presa dal mettere divieti e dire no ad ogni piccola opportunità che ti si presenta davanti! Hai paura che diventi il tuo punto debole, la tua vulnerabilità! Ma perché non vuoi vedere?” rispose tutto d'un fiato, per evitare che potesse interromperla. Valery si soffermò a pensare che Meredith forse aveva ragione. Provava qualcosa per Jackson, ma ammetterlo a sé stessa era talmente difficile che l'avrebbe represso per anni pur di non darlo a vedere.

“Mer.. lui è come te! Non vuole quello che voglio io e questa è una ragione più che sufficiente per lasciar perdere. Neanche ne dovremmo parlare” Meredith roteò gli occhi e poi sorrise.

“Credo che tu ti meriti tutto l'amore di questo mondo”.

“A proposito di Jackson” disse, cambiando argomento. “Per capodanno da una festa, a casa sua, ti ha invitata, ci tiene che tu venga. Che dici?”

“Ci sarò!”

 

Valery si sdraiò sul divano, a pensare a Jackson. Tentativo del giorno andato. Ormai si rassegnò a quei pensieri e lasciò libera la mente di vagare in qualunque direzione volesse. Quel ragazzo la mandava in tilt. Forse Meredith aveva ragione. Doveva lasciare che le cose, le situazioni e i sentimenti, andassero dove volevano andare.

Per la prima volta forse doveva smetterla di pensare e pianificare tutto.

 

Per il mese successivo si dedicò totalmente all'università. Il “lasciarsi andare” era una decisione che ancora non si sentiva di prendere. Per distaccarsi, almeno fisicamente, da Jackson si diede allo studio, anche perché aveva cominciato l'università e doveva impegnarsi, non poteva permettere che un ragazzo la distraesse proprio all'inizio del percorso universitario. Era in un ambiente nuovo, con persone nuove, in una città nuova. Era un po' terrorizzata, ma pian piano riuscì ad integrarsi, gli studi andavano bene e il primo esame lo passò con 28. Più i pensieri andavano nell'unica direzione non voluta e più studiava. Era convinta che non volesse affatto nessuna sorta di relazione con quel ragazzo, e più cercava di convincersene, più mentiva a sé stessa.

Jackson d'altro canto, continuò a cercarla, ad andarla a trovare a casa, aiutandola a studiare, il che rendeva i propositi di Valery molto più difficili da rispettare.

< Vale! C'è Jake! > urlò Raisa dal salotto.

< E' incredibile! > disse esasperata dalla sua presenza < Quel ragazzo è incredibile! > si poggiò le mani sulla fronte per qualche secondo, poi alzò lo sguardo e vide il suo riflesso alla finestra. < Oddio ma sono orrenda! > fuggì in bagno, cercando di rendersi presentabile. Legò i capelli in uno chignon sbarazzino, mise il fondotinta e il correttore sulle occhiaie stanche. Sentì la porta aprirsi, era arrivato Jackson. Si picchiettò la faccia, cercando di darle vita, si sentiva vecchia, brutta e stanca. Rassegnata si rimise gli occhiali. Si guardò allo specchio e sbuffò. “Hai detto che non vuoi Jackson. Conciata così, non corri alcun pericolo.” Uscì dal bagno e lo salutò freddamente, senza farsi vedere la faccia. Si sedette alla scrivania e ricominciò a leggere. Jackson la vide un po' scombussolata.

< Tutto ok? > in attesa di risposta prese una sedia e le si mise accanto. In quel movimento, il profumo che si era spruzzato arieggiò e invase le ghiandole olfattive di Valery che la mandarono in visibilio ipercinetico, non riuscendo a capirci più un H nella lettura del libro.

< Si.. tutto bene, è che ho un altro esame a breve quindi devo studiare > continuò a leggere persistendo sulla frase a cui si era fermata da quando Jackson si era seduto lì accanto.

< Mi piace la tua secchionaggine, lo sai? > Valery sapeva che stava sorridendo, per questo non lo guardò.

< Secchionaggine non esiste > puntualizzò.

< E anche bacchettona! > il sorriso si allargò ancora di più, ma Valery sembrava non volerne sapere. < Dai, non sapevo che fare a casa allora ho fatto un salto da te, sapevo che ti avrebbe fatto piacere > la stuzzicò e questo ebbe successo.

< Cosa te lo fa pensare? > rimase ancora più spaesata quando lo guardò. Il verde nei suoi occhi si accese e lei non se lo spiegava: pure standogli lontana, lo desiderava sempre di più.

Si avvicinò gli occhiali agli occhi e ritornò a leggere, persistendo sempre su quel paragrafo.

< Perché senza di me non puoi far niente ormai > ironizzò e le fece spuntare un mezzo sorriso che dopo brevi secondi si trasformò in uno smagliante sorriso.

< Facciamo un patto: tu mi lasci finire di studiare ed io.. ricambierò il favore in qualche altro modo > ritornò sul libro mentre Jackson pensava alla richiesta. Una lampadina si illuminò.

< Affare fatto. Tu studia e io ti lascio in pace, ma sappi che ti sei impegnata per aiutarmi nei preparativi della festa per capodanno! >

< Già è vero! Ok. > lo guardò alquanto soddisfatta. < Affare fatto > le porse la mano, che lui strinse sorridente.

< Bene adesso vado > si alzò dalla sedia e poi indicò il libro che teneva in mano < anche perché stai leggendo la stessa pagina da almeno mezz'ora > le diede un bacio sulla guancia e le fece l'occhiolino, mentre scendeva le scale canticchiando, contento di essersi assicurato la sua compagnia per la preparazione delle festa.

Chiuse il libro, e sorrise facendosi invadere totalmente dal pensiero che Jackson fosse dannatamente bello in tutte le sue sfaccettature, in tutte le sue caratteristiche, rimase con un sorriso ebete sulla faccia, toccandosi con i polpastrelli il punto esatto in cui aveva posato le labbra, quando Raisa entrò e si sedette sul letto.

< Carino Jackson che ti viene a trovare a casa mentre studi > si accorse della presenza di Raisa, solo quando parlò, ma Valery sembrava incantata, mentre guardava il suo riflesso alla finestra. < Val? > la chiamò ridacchiando.

< Si? > si girò e si tolse gli occhiali. < Quando sei entrata? >

< A quanto pare nel momento in cui hai iniziato a fantasticare.. > si alzò dal letto e aprì la porta < smetti di studiare o ti rincitrullirai, esci un pochino, svagati! >

Guardò il libro che aveva tra le mani, combattuta tra la voglia di uscire e il dovere dello studio. Sbuffò e lo gettò sul letto con totale disprezzo. Andò in bagno e si sistemò alla meglio, un tocco di eyeliner e mascara, blush ed era pronta. Afferrò la sciarpa, il cappotto e s'infilò gli stivaletti.

Arrivata al portone le vibrò il cellulare. Il nome di Jackson sul display la fece trasalire per un minuto.

“Ti ricordo che hai il dovere di rispettare la parola data. Tra mezz'ora sotto casa mia, dobbiamo andare in centro.”

Un sorriso le comparve sul volto e una fitta al petto le fece capire quanto fremesse di passare del tempo con Jackson.

Esisteva una ragazza più contraddittoria?

Prese l'auto e si recò a casa di Jackson che l'aspettava, sicuro che l'avrebbe raggiunta.

Dopo un quarto d'ora, Jackson sentì il citofono e aprì la porta mentre andava in bagno per guardarsi allo specchio. Valery non era mai stata a casa sua, era quasi emozionata. Appena entravi, ti trovavi in sala, collegata a sinistra con la cucina, mentre dalla parte opposta c'era un bagno. Valery cominciò a curiosare in giro e vide Jackson, alle prese con la cera.

< Aggiustatina ai capelli? > chiese poggiandosi allo stipite della porta.

< Non si può mai sapere cosa ti possa capitare fuori dalla porta di casa. Meglio essere pronti > sorrise e le scompose i capelli con una carezza < Sapevo che saresti venuta > disse sorridendo. Valery incrociò le braccia e socchiuse gli occhi seguendolo mentre s'incamminava per la cucina.

< Ah si? Come facevi ad esserne così sicuro? > Jackson aprì il frigo ed estrasse una birra già cominciata.

< Perché eri evidentemente fusa con quel libro in mano > la indicò, sorseggiando la birra, mentre le si avvicinò. < avevi un aspetto orribile > disse inarcando gli occhi, sorridendo. Valery spalancò la bocca e gli diede un pugno sul braccio.

< Sei una persona orrenda > gli scippò la birra e bevve tutta d'un sorso, mentre lui rideva. < Insomma, è la prima volta che mi inviti a casa tua, credo che mi farò un giro > gli restituì la birra ormai vuota e cominciò a gironzolare per la casa. Non era molto grande, ma era spaziosa, andando avanti, oltre la sala, c'era una camera da letto matrimoniale, accanto a pochi metri, una camera degli ospiti a destra, e uno sgabuzzino.

< Dov'è la tua camera? > si voltò e si spaventò trovandosi Jackson proprio dietro di lei.

< Perché? Vuoi sedurmi in casa mia? Sei poco originale > disse ammiccando scherzosamente. Sentiva il suo respiro sul viso e quel sorriso le faceva smuovere lo stomaco.

< Non potrei fare altrimenti.. sei irresistibile > si morse le labbra e gli posò le braccia al collo, per stare allo scherzo e maliziosamente lo spintonò alla parete, facendolo divertire.

< Attenta.. potrei abituarmici a queste attenzioni > le sollevò il mento, attirandola a sé.

< Non ti ci abituare > con tutta la forza di volontà possibile si staccò dal suo corpo e intraprese una scala a chioccola che portava ad un altro piano. Trovò una mansarda, con un cucinino, un bagno e un letto. Una piccola casetta. Rimase ammaliata, era accogliente, le pareti erano rosse e l'arredamento rispecchiava la personalità di Jackson: passionale, dolce e determinata.

< Questa è.. la mia casa si può dire >

< E' bellissima > disse ancora girellando per la mansarda. C'era una botola nel mezzo della stanza e la curiosità prese il sopravvento. < Cosa c'è qua sotto? >

< Sai.. ho degli hobby particolari > si avvicinò a Valery pericolosamente < Uccido le persone > Valery si girò verso di lui cercando di capire cosa stesse dicendo < Poi le spezzetto e le ripongo là sotto > le si avvicinò ancora di più, sperando di riprenderla ancora tra le braccia. Le labbra di Valery sii allargarono in un gran sorriso e scoppiò a ridere. < Che hai da ridere? Dico sul serio >

< Si certo! E io sono un rapitore di bambini! Che accoppiata > lo superò si accovacciò per terra per aprire la botola. < Dai che c'è qua sotto? Un passaggio segreto? Oh! No non dirmi che... è un sentiero che porta agli spogliatoi femminili della palestra! > si accovacciò a sua volta, accanto a lei, mentre armeggiava con l'apertura.

< Non sono un guardone, se voglio vedere una donna nuda.. me la porto a casa >

< Sei sempre disgustoso > gli sorrise e Jackson aprì la botola.

< Porta al garage, è un'uscita e un'entrata diversa, che non conosce nessuno > un velo di ricordi gli oscurarono lo sguardo.

< Rievoca brutti ricordi? > chiese Valery curiosa da quel cambiamento nel suo sguardo.

< I miei genitori non lo hanno mai scoperto. Tutte le volte che volevo uscire e non me lo permettevano.. uscivo da qui e non se ne accorgevano mai. Non so nemmeno cosa significa farsi mettere in punizione, o essere sgridato dai miei per qualcosa di sbagliato > il sorriso gli ritornò sul volto e si alzò da terra, chiudendo la botola. Porse la mano a Valery, aiutandola ad alzarsi.

< Ecco perché sei così indisciplinato > disse accettando il suo aiuto. Il suo sorriso si allargò ancora di più e si recò verso le scale < comunque.. nonostante ti manchi totalmente la disciplina.. sei un ragazzo meraviglioso > lo accarezzò, percependo quanto soffrisse per i suoi genitori. < e questo lo devi solo a te stesso > Jackson rimase ammaliato dalla dolcezza delle sue parole e Valery si scostò, accorgendosi che non avrebbe voluto altro che restare con lui per tutto il tempo possibile < Adesso però muovi le chiappe e andiamo a fare spese per questa festa! > lo superò e aprì il portone d'ingresso.

Presero la macchina e andarono in centro, girovagando per i negozi, tra lustrini, decorazioni, alcolici, cibo spazzatura e un grande stereo. Mentre facevano rifornimento Jackson rifletteva su quanto avesse bisogno di quella ragazza, delle sue idee, delle sue opinioni, della sua dolcezza mista alla durezza delle sue parole, sempre dosate con la giusta quantità e sempre al momento giusto, della sua ironia e del suo sarcasmo che sapeva usare per smorzare la sua malinconia.

< Quanti pacchi di patatine prendiamo? Saremo molti? >

< Una cinquantina penso >

< Una cinquantina? > Valery sbarrò gli occhi. < E chi ci sarà? >

< Bhè.. amici di Alex, di Jessica e poi lo sai come vanno queste feste.. amici che invitano altri amici; non si può sapere in quanti verranno > disse, riponendo nel carrello, altri venti pacchi grandi di patatine. < Poi se rimangono.. li possiamo sempre consumare guardando un film > le fece l'occhiolino e senza rendersene conto la prese per mano. Forse era la situazione intorno a loro, che li faceva sentire come una coppietta a fare la spesa domenicale, ma ne sentiva il bisogno e Valery non obiettò, avere le dita intrecciate con le sue, la faceva stare a suo agio.

 

Dopo aver fatto rifornimento che sarebbe bastato per non uno, ma ben due eserciti pieni di uomini affamati, andarono all'euronics per comprare uno stereo decente. < Vado a chiedere al commesso > disse Jackson. Un altro commesso, che era rimasto colpito da Valery, si avvicinò dopo che Jackson si allontanò.

< Posso esserti utile? Ti vedo spaesata > chiese con un sorriso disarmante un ragazzo alto e con un certo fascino.

< Oh ehm.. in effetti si, cercavo uno stereo, ma non uno qualunque, abbastanza potente, per una festa in casa, solo che non ci capisco un gran ché di tecnologia > ricambiò il sorriso imbarazzata.

< Ecco perché ci sono io > disse indicandosi < Perché quando una bella ragazza come te si trova in difficoltà, io le corro in aiuto > aveva dei bei capelli nero corvino, tirati indietro alla Elvis Presley e uno sguardo languido, di cui Valery si accorse subito, che incastonava due begli occhi azzurri limpidi.

< Dimmi.. questa è una tecnica di vendita oppure.. fa parte solo del tuo modo di lavorare? > chiese onorata da quelle attenzioni.

< Una tecnica che uso solo per delle clienti speciali > non poté fare a meno di notare che le belle labbra carnose del commesso, erano molto simili a quelle di Jackson; quel pensiero le causò un brivido per tutta la schiena e si concentrò sul commesso che la stava rimorchiando palesemente.

< Ammetto che potresti riuscirci ma.. dovresti prima aiutarmi a trovare uno stereo per entrare nelle mie grazie >

< Sono Matteo comunque e ti aiuterò nell'impresa > le porse la mano mentre si presentava a sua volta. La condusse nel reparto stereo, e non cercava affatto di nascondere il suo interesse per lei, mentre l'aiutava a scegliere uno stereo. Mentre passeggiavano balzando da uno stereo all'altro, si trovarono davanti Jackson con un altro commesso.

< Jake! > Valery lo chiamò < che ne dici di questo? Secondo me è perfetto >

< Il fidanzato? > chiese con voce sommessa.

< No > sorrise più per la sua espressione dispiaciuta che per la domanda < un amico > e il sorriso gli ritornò sul volto.

< Oh siete insieme? > chiese il commesso a cui aveva chiesto assistenza Jackson. Annuirono e il commesso lasciò la vendita a Matteo, che continuò a parlare con Valery come se Jackson non esistesse, causando la sua gelosia.

< Fidati di me, è perfetto per la festa, non te ne pentirai > la incitò con un grande sorriso, a cui Valery non restò indifferente e nel frattempo continuò a rimarcare il proprio interesse per lei e Jackson non lo sopportò ulteriormente, la gelosia lo stava logorando. Mentre il commesso le mostrava le funzioni dello stereo le poggiò la mano sulla spalla e in quel preciso istante, lo sguardo fulmineo di Jackson schizzò sul commesso. Sentì le mani formicolare, strinse i pugni, cercando di trattenersi dal non fare scenate.

< Lo prendiamo > deciso della propria scelta < è perfetto, andiamo? > Valery corrugò la fronte vedendolo fremere spazientito.

< Bene, lo prendiamo > disse Valery a Matteo, il quale andò dietro al magazzino per prenderne uno nella scatola. Jackson sbuffò, guardandolo andar via, incuriosendo Valery. < Che ti succede? Sei.. strano >

< Niente.. mi sta antipatico, non vedo l'ora di togliermelo di torno >

< Perché? Non ha fatto niente di male >

< Ci stava provando spudoratamente. Gli ho visto anche la bava alla bocca > quella sincerità così spontanea la fece sorridere e arrossì impercettibilmente.

< Geloso? > chiese socchiudendo gli occhi. Fece un risolino e si agitò appena lo vide avvicinarsi.

< Io? E di chi? Di un tizio coi capelli gelatinati che vende stereo? > fece una smorfia < Pff. Sono solo.. disgustato dal suo comportamento poco professionale > Valery cercò di trattenere un sorriso e lo guardò speranzosa che la sua risposta non fosse del tutto sincera. Si recarono verso la cassa, per fare la fila. Matteo, approfittando della situazione, cercò di concludere un altro tipo di “affare”.

< Come vedi sono stato all'altezza della situazione > la guardò malizioso < posso ritenermi graziato? > Valery guardò con la coda dell'occhio Jackson, che malediva la cassiera per la sua lentezza, mentre origliava la loro conversazione.

< Graziato > le prese il polso e con un pennarello indelebile le scrisse il suo numero di telefono. < Dai il numero a tutte le ragazze a cui vendi uno stereo? > chiese ironica.

< Solo a quelle a cui voglio chiedere di uscire >

< E cosa ti fa pensare che io sia così sfacciata da chiamarti? >

< Non lo farai infatti > Valery lo guardò confusa < Però potremmo incontrarci casualmente sabato sera al locale qui accanto alle 9 e sempre casualmente potremmo passare la serata insieme > chiese flirtando con tono sensuale e del tutto disinvolto. Valery sorrise e abbassò lo sguardo, toccandosi il dorso della mano su cui aveva scritto il numero.

< Chissà.. potrei casualmente esserci in quel locale sabato sera > mentre Valery rispondeva, la cassiera finì la transazione e Jackson frettolosamente, prese la busta e raggiunse Valery, cingendole il fianco destro.

< Sabato sera? Sei già impegnata > la guardò e l'attrasse a sé come per marcare il suo territorio e Valery rimase talmente sorpresa che non badò minimamente che stava cercando di distruggerle la possibilità di un eventuale appuntamento < mi dispiace > disse rivolgendosi a lui con finta aria corrucciata ricolma di dispiacere < sarà per un'altra volta > lo congedò freddamente e la portò via, quasi spingendola, senza neanche farglielo salutare.

< Cos'era quello? > chiese Valery dopo essersi liberata dalla presa.

< Di cosa parli? >

< Hai appena boicottato un appuntamento tra me e quel tipo > disse scioccata.

< Tu straparli > rise mentre riponeva le buste della spesa e lo stereo in macchina, cercando di cambiare discorso mentre Valery era talmente scioccata da non riuscire a ribattere. Entrarono in macchina e dopo aver riordinato le idee riprese a parlare.

< Tu-hai-boicottato-il-mio-appuntamento > disse con tono duro, fulminandolo.

< Anche se fosse? > non spostò gli occhi dalla strada. Non voleva che Valery uscisse con quel tipo. Cercava di giustificare il suo comportamento dicendosi che a pelle percepiva che non era il ragazzo giusto per lei, insomma chi lo dice che era un tipo apposto? Lo aveva fatto per proteggerla. < l'ho fatto per te > Valery incrociò le braccia e guardò fuori dal finestrino, accigliata. < Chi te lo dice che era un bravo ragazzo? Poteva essere uno stupratore, un pedofilo o chissà cos'altro, non puoi fidarti del primo che passa > aggiunse con tutta la premura possibile.

< Magari invece era soltanto un ragazzo che ci stava provando con una ragazza e voleva passare una serata con lei > Jackson rimase confuso da quella costatazione.

< E tu vuoi questo? Vuoi che.. un ragazzo qualsiasi ti rimorchi in un negozio per spassarsela con te una notte? Non ti meriti questo > Valery roteò gli occhi e sbuffò, rivolta sempre verso il finestrino, mentre Jackson confuso ripensò a quel giorno in cui Valery ostentò la propria repulsione nei suoi confronti per lo stesso comportamento < Wow. Vedo che passando troppo tempo con me i tuoi principi morali non sono più tanto vitali. Ricordatelo la prossima volta che decidi di farmi la predica sul mio modo di relazionarmi con le donne > Valery si sentì ferita nell'orgoglio e sentì la rabbia crescere dentro di lei. < Se vuoi torno indietro. Sarà contento. > gesticolò e continuò < non so dirti però se sei ancora in tempo, sai? > fece un ghigno < Potrebbe essere troppo tardi. Credo che si sia già consolato > esclamò beffardo, facendo irritare Valery ancora più di quanto già non fosse.

< Smettila! Il fatto che sia o meno un cretino non ti autorizza a immischiarti nella mia vita sociale, prendendo decisioni al posto mio, non sei nessuno per farlo! > Jackson si arrabbiò e strinse il manubrio con le braccia tese, guardando dritto di fronte a sé. Arrivati a casa, sgommò, parcheggiando incauto. Scesero dalla macchina, scuri in volto e con neanche la minima voglia di scambiarsi una parola. Salirono in casa e sistemarono la roba della festa nello sgabuzzino. Mentre Valery usciva, Jackson l'anticipò e chiuse la porta, incastrandola dentro con lui. Prima che potesse ribattere cominciò a parlare.

< Hai ragione. Non sono “nessuno” > disse marcando la parola < per prendere decisioni al posto tuo > prese il cellulare e le afferrò la mano, digitando il numero del tizio del negozio < Tieni > e glielo porse.

< Cosa? No! > disse sbigottita, scuotendo la testa in segno di negazione. Mentre sentiva il cellulare squillare, rispose una voce. Jackson le mise una mano dietro il collo e l'attirò più vicina a sé per porgerle il telefono all'orecchio. Jackson la guardava incitandola a rispondere, ma Valery riusciva solo a sentire batterle il cuore dentro al petto per quella vicinanza. Mentre realizzava che aveva le mani di Jackson addosso, sentì in sottofondo Matteo e si rese conto che avrebbe dovuto rispondere.

“Pronto? Pronto!”

“Ehi ciao Matteo.. sono Valery.. non so se ti ricordi di me, sono..”

“Valery! Certo che mi ricordo di te, come potrei dimenticarmi” Jackson teneva gli occhi fissi nei suoi, serrando la mascella duramente.

“Mi stavo chiedendo se..” Valery continuò a fissare gli occhi di Jackson e si lasciò distrarre dalla profondità del suo sguardo, non riuscendo quasi a mettere due parole in fila “l'invito casuale sabato sera era ancora valido”

“Io ci sarò. Ti aspetto” la salutò e chiuse la chiamata, mentre Valery non riusciva a distogliere gli occhi da Jackson, che anche se distrutto da quell'invito, era la cosa giusta.

Avendo ascoltato la telefonata, si congratulò con Valery e le diede le spalle uscendo dallo sgabuzzino, lasciandola là dentro. Quando restò sola, fece fatica a restare in piedi e si appoggiò alla parete, cercando di ricordare come si facesse a respirare. Jackson era come la sua bombola d'ossigeno personale. Senza di lui, le sembrava di stare sott'acqua senza riserva d'aria nei polmoni. Tornò in sala e vide Jackson aprire la scatola dello stereo e lo raggiunse. Gli toccò un braccio ma non si girò, così gli abbracciò la schiena accarezzandogli la pancia.

< Non voglio litigare con te > Jackson non rispose e continuò a leggere le istruzioni, più per sembrare occupato, che per cultura personale. < Jake... > le staccò le braccia e si recò verso la cucina per buttare la plastica in cui era contenuto lo stereo e la varia carta in eccesso. Valery sapeva che ci era rimasto male, più di quanto ci fosse rimasta male lei. Lo aveva ferito facendogli intendere che per lei non era importante, era uno dei tanti con cui passare il tempo. Non era nessuno, ma per Valery non era affatto così. Ogni Matteo del pianeta confronto a Jackson erano nessuno. Prese il cellulare e il cavetto usb dello stereo e lo attaccò ad esso, aprì il lettore musicale e mise una delle sue canzoni preferite: Tu che sei parte di me – Gianna Nannini. Era una canzone d'amore ma era più che perfetta per loro. Alzò il volume dello stereo e lo prese per mano, costringendolo a girarsi, mentre la Nannini cominciava a intonare la canzone < Balli con me? > chiese teneramente e Jackson si lasciò scivolare tra le sue mani, ancora non del tutto convinto di averla perdonata. < Tu sei l'uomo del quale mi fido di più al mondo, non potresti mai essere nessuno per me > gli mise le braccia intorno al collo e si mossero in lenti passi di danza mentre Jackson teneva lo sguardo basso < sei troppo importante per me, per essere considerato niente e ti chiedo scusa per aver detto quello che non pensavo > gli alzò il mento con le dita e finalmente la guardò < Ti fidi di me? > le sorrise e non rispose, come se la risposta fosse scontata; l'abbracciò e la sollevò da terra facendola girare, per poi riposizionarla a terra. Più la guardava e più si rendeva conto di quanto bene le facesse la sua compagnia. Poggiò la fronte sulla sua, chiudendo gli occhi.

< Uscirai con quel tipo, vero? > ancora non contento della sua decisione.

< Si, uscirò con quel tipo, ma ti prometto che sarò prudente e non dovrai preoccuparti che mi faccia del male o qualsiasi cosa brutta pensi che possa farmi > le diede un bacio sulla fronte e Valery si posò sul suo petto. Avrebbe potuto uscire con chiunque ma sapeva dentro di lei, anche se lo reprimeva, anche se mentiva a sé stessa, che Jackson sarebbe stato sempre l'unico e il solo con cui avrebbe condiviso tutto.

Stando sul suo petto sentiva i suoi battiti regolari pulsargli nell'orecchio e per quegli attimi, si sentì veramente parte di lui.

< È bellissimo ascoltare un cuore che batte > chiuse gli occhi e si concentrò su quelle pulsazioni, che sentì accelerare.

< È bellissimo fare pace con te.. > canticchiò quella canzone tra le labbra e la strinse più forte. < Tu che sei parte di me, e sciogli i fili, le resistenze, le mie mani chiuse.. Tu che sei parte di me, stai nei sogni e mi fai sorridere >

< E mi fai sorridere.. > la canzone che seguiva i loro passi, finì e lì, tra le ultime note, arrivarono ad una conclusione che era già cresciuta nei loro cuori:
Erano parte l'uno dell'altra.


 

Angolo di Queen_Of_Love:
Salve miei piccoli lettori! 
Ho finito un altro pastrocchio! Questo capitolo, che dirvi, mi piace particolarmente!!
Spero piaccia anche a voi!! 
Recensite, leggete, commentate, recensite, rileggete e riccommentate!!
Ve amo na cifraaa!

Cià Cià!

 

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Capitolo 8
*** 8. Anno nuovo, guaio nuovo ***


8. Anno nuovo, guaio nuovo

 

Il mese scorreva velocemente e i preparativi per la festa erano pronti, mancava solo il vestiario adatto. Valery decise quindi di uscire un po' con Raisa per il negozi della città, alla ricerca di un vestito per capodanno. Raisa la osservò per la maggior parte del tempo, si era accorta che era da un po' di tempo che Valery aveva una particolare luce negli occhi, una luce che non aveva mai avuto.

< Insomma! Si può sapere che hai da guardare? > chiese spazientita < E se dici niente, giuro che me ne vado e ti lascio qui da sola > disse ridendo.

< Penso che.. ti faccia bene stare con quel Jackson > gli occhi di Valery si sbarrarono, sorpresa da quelle parole.

< Cosa? >

< Hai notato che da quando lo conosci percepisci tutto in modo differente? Non lo so, ti rende diversa > disse sorridendo < in senso buono, intendo > puntualizzò, notando lo stupore di Valery. Dopo aver recepito il messaggio, scrollò la faccia.

< Stupidaggini. Il freddo non ti fa ragionare > continuarono a passeggiare quando Valery si fermò di colpo < Eccolo! È lui > Raisa non capiva a cosa si riferisse < Il vestito! Entriamo! > si catapultarono dentro il negozio e Valery scelse il vestito che stava tanto cercando. Era rosso principalmente, con scollo a U, spalline larghe e corto fino a metà coscia con degli ornamenti di pizzo neri che rimanevano sulla scollatura, sulle spalline e infondo, inoltre era decorato con qualche strass qua e là per dargli un effetto brillante, era semplice ma d'effetto. Si specchiò più e più volte e riusciva a pensare soltanto se sarebbe piaciuto o meno a Jackson.

< Le sta benissimo! > commentò la commessa. < è molto sensuale sa? Il suo fidanzato rimarrà ipnotizzato > disse facendole l'occhiolino. Valery arrossì. < Non è troppo.. sexy? >

< Sei tu a renderlo sexy. Guarda quel manichino > indicò il manichino in vetrina che indossava quel vestito < Ti sembra sexy? > Valery scosse la testa < Ecco. Tu sei sexy > ammiccò e Valery si convinse e lo comprò, accostandoci una stola nera sempre in pizzo e delle scarpe col tacco alto e grosso, comode da starci tutta la sera.

Dopo aver fatto acquisti si ricordò che essendo sabato, sarebbe dovuta uscire con Matteo e tornò a casa a prepararsi per la serata.

Mandò un messaggio a Meredith, dicendole che aveva trovato il vestito adatto. Il padre di Meredith si era finalmente ripreso dall'infarto e Meredith non poteva che essere più felice.

“Beata te! Com'è? Io sono ancora in alto mare, manca pochissimo e non trovo niente che mi piaccia! Oh stasera uscita con il tipo? Tienimi aggiornata mi racc ;) non bere troppo, sai che effetto ti fa!”

Dopo l'infarto del padre, Meredith si era finalmente ripresa, continuava ad essere la stessa ragazza solare che era sempre stata, con una luce diversa negli occhi, che non aveva mai avuto e questo Valery non aveva capito a cosa fosse dovuto. Anche se, qualche idea ce l'aveva.

Quel giorno, era giornata di shopping anche per Jackson e Alex. Si provarono qualche camicia che la commessa gentilmente gli portava.

< Questa ti piace? > chiese la ragazza, porgendogli una camicia blu a quadri bianchi, celesti e turchesi. Senza vergogna, si sbottonò la camicia che aveva provato precedentemente e la restituì alla ragazza, che per un paio di secondi rimase attratta dai suoi addominali messi in bella vista. Lui parve non accorgersi di nulla, prese la camicia e la indossò. La ragazza non gli tolse gli occhi di dosso e Alex rise, facendo braccino all'amico e tossì, schiarendosi la voce.

< La commessa ti sbava dietro, magari riesci a ottenere lo sconto per tutti e due > disse sottovoce ridacchiando. Jackson si accorse di come la ragazza non gli togliesse gli occhi di dosso e sorrise. < Ma che gli farai mai alle donne tu? >

< Sex appeal > ammiccò e gli diede una pacca sulla spalla < Comunque, questa è perfetta > si studiò attentamente < si, la prendo > urlò verso la ragazza, che non perdendolo di vista un istante, lo raggiunse subito < Mi consiglia anche una cravatta oppure.. è meglio casual per una festa in casa? >

< Casual, ti consiglio > rispose decisa < Anche se sono sicura che staresti benissimo con qualsiasi cosa > flirtò con lui incontinente e si morse il labbro sperando di suscitargli qualche emozione. Alex rideva sotto i baffi, mentre Jackson cordialmente le sorrise e tornò dall'amico, stufo delle sue attenzioni.

< Amico che ti prende? È carina > lo spintonò con una manata.

< Non è il mio tipo > Alex sorrise mentre biascicava maleducatamente la gomma ormai insipida.

< Certo.. > disse masticando < tu punti ad altro > si tolse la camicia e si rimise la felpa.

< Altro? > si rimise il cappotto e aspettò l'amico mentre si rivestiva.

< Non fare il finto tonto > Jackson lo guardava senza capire < Valery, stupido > gli diede uno scapaccione e lo superò per andare alla cassa < comprendo che ti piaccia. È molto carina, attraente, simpatica. Insomma piacerebbe anche a me > Jackson lo guardò torvo < Ma sono felicemente fidanzato! > alzò le mani ponendosi sulla difensiva < Non capisco che aspetti, tutto qui, non hai mai avuto problemi con le ragazze.. perché con Valery non ci provi se ti piace? > Alex pagò i suoi acquisti, lasciando spazio a Jackson.

< Perché è diversa da tutte le altre. Ecco perché. Non ci prova con il primo che passa > la commessa si sentì imbarazzata e cercò di velocizzarsi. < Mi piace sul serio > Alex rimase impietrito e un sorriso gli apparve sul volto.

< Mi stai dicendo che ti sei innamorato? > batté le mani mentre Jackson ringraziò la commessa e uscirono dal negozio. < Non ci credo! Questo è un miracolo di natale! > urlò allegramente per la strada.

< Vacci piano con l'entusiasmo > lo arrestò < non ho detto questo > si fermò per raccogliere le idee < dico solo che è la prima ragazza con cui mi sia legato in questo modo e.. non ho alcuna intenzione di rovinare tutto solo per avere qualcosa che so che porterà ad una rovina assicurata. Lei si merita molto più di me > Alex scoppiò a ridere.

< Aspetta aspetta > rise ancora prima di continuare, mentre Jackson si fumava una sigaretta < sei talmente cotto di lei che.. la lasci andare? > disse intento ad accendere la sigaretta che aveva tra le labbra. < Sei più idiota di quanto pensassi > fece un primo tiro e lo spintonò per rimarcare quello che aveva appena detto < Valery non rimarrà ad aspettarti per sempre, se non ti muovi, si muoverà qualcun altro > Jackson alzò gli occhi al cielo e sibilò tra le labbra un suono scocciato. Entrarono nel pub, quando ad Alex arrivò un messaggio. Mentre leggeva, Jackson si accorse il sorriso a ebete che aveva stampato sul viso.

< Jessica? > Alex digitò qualche tasto e poi lo spense, tornando con lo sguardo su Jackson. < Due birre per favore >

< No > rispose Alex, mentre si sedeva sullo sgabello. Jackson corrugò la fronte e studiò la sua espressione < figurati, io e Jessica abbiamo litigato oggi, non mi va nemmeno di parlarle > era troppo contento per essere uno che aveva bisticciato con la fidanzata. Alex era una persona trasparente, un libro aperto. Jackson sapeva esattamente cosa pensava il suo migliore amico prima che aprisse bocca. Era una delle persone più sincere mai conosciute e più capibili. Se era triste non faceva finta di essere allegro. Se era arrabbiato, lo stesso. Non era ipocrita da nessun lato dell'ipocrisia. Ecco perché a Jackson parve strano quando gli disse con totale disinvoltura che aveva litigato con Jessica, perché era come se non gli importasse.

< Litigate spesso ultimamente.. è tutto apposto? > chiese indagando.

< Le birre > disse il barista, posandole sul tavolino.

< Si, tutto apposto > bevve un sorso di birra e spense il mozzicone di sigaretta nel posacenere < sarà il ciclo >

< Un ciclo molto lungo > Alex alzò le spalle e riprese il cellulare, sembrando ansioso di ricevere un messaggio, iniziò a tamburellare le dita sul tavolino, mentre fissava il display.

< Si può sapere cos'hai? > chiese spazientito, dandogli un pugno sulla mano ballerina. < Stai attaccato a quel telefono come se fossi un adolescente mentre aspetta che la ragazza lo chiami per limonare sotto casa! > esclamò tracannando birra. Alex scoppiò a ridere e si scusò con l'amico per il suo comportamento, ma non rispose.

Jackson distolse lo sguardo dall'amico, guardando dietro di lui. Mise a fuoco e intravide Matteo e Valery al tavolino infondo al locale, che parlavano scambiandosi occhiate d'intesa, s'irrigidì come un tronco secolare.

 

Nello stesso momento Valery incrociò lo sguardo di Jackson. In quel momento Valery si sentì come in trappola. Come in una puntata di alta infedeltà di Real Time. Come se Jackson l'avesse scoperta e avrebbe dovuto inventarsi qualche scusa plausibile per la quale fosse in compagnia con un altro.

Jackson abbassò gli occhi e prese un'altra sigaretta. Valery collegò che il ragazzo brizzolato davanti a lui dovesse essere Alex. Ebbe l'istinto naturale di andarli a salutare ma si frenò subito dopo quando si ricordò che la settimana prima l'incontro tra Matteo e Jackson non era stato poi così florido e amichevole.

< Tutto bene? > chiese soavemente Matteo.

< Si si, vorrei solo un'altra birretta > Matteo si alzò e andò al bancone per ordinarne altre due.

 

< Sarebbe meglio se andassimo via.. > disse ad Alex, alzandosi dalla sedia. Guardò Matteo al bancone ed ebbe voglia di dargli un pugno in faccia. Con tanti bar in quella città dovevano ritrovarsi lì entrambi? Neanche a farlo apposta.

< Ma ancora non ho finito la mia birra > si lamentò Alex.

< La finisci per strada > la pigrizia dell'amico lo fece irritare. Avrebbe voluto andarle incontro e salutarla, togliere di mezzo quel tizio e stare al suo posto. Avrebbe voluto, ma non lo fece. < Muoviti, dai! > lo sollevò per il braccio e lo trascinò fuori, senza voltarsi verso Valery, che sperava, intimamente, in quella parte nascosta di lei, che lo facesse. Intristitasi, per averlo fatto andar via, non si accorse nemmeno che Matteo era tornato e le stava parlando. Sentiva solo una vocina nella sua testa che ripeteva “Ma che ci fai qui con questo tipo se la tua mente e il tuo cuore sono da tutt'altra parte?” ma non le diede ascolto e continuò la serata tra un discorso e un altro, mettendo da parte Jackson, almeno per quella sera.

< C'era il tuo amico > a quanto pare ogni volta che si proponeva di non pensarlo, l'universo le dimostrava che non era lei a dover decidere per la propria vita. < L'ho visto andarsene, quando ero al bancone >

< Ah.. si? > chiese fingendosi sorpresa < Se l'avessi visto, sarei andata a salutarlo > sbattette un pugno contro il tavolino, fingendosi dispiaciuta ma non troppo < mannaggia! > esclamò finendo di recitare. Matteo sorrise sotto i baffi e Valery non poté fare a meno di accorgersene. < Che c'è? >

< Non è che ti piace? > si sentì uno sguardo confuso addosso < il tuo amico intendo >

< Cosa? > rise istericamente e scosse la testa, buttando giù quanta più birra possibile < Non riesco a capire perché mi facciano tutti la stessa domanda. È stressante. Siamo solo amici > chiarì le cose con tono duro e deciso, quasi a convincere sé stessa che il suo accompagnatore.

< Afferrato! > si porto la mano alla tempia in segno di comando.

Matteo era un ragazzo molto simpatico, aitante, per niente scorbutico ed egoista. Era tranquillo e spiritoso, gentile e premuroso.

La serata passò in fretta in sua compagnia, tra una risata e l'altra il tempo volò.

 

< Grazie della serata, è stato divertente passarla con te > disse Matteo con occhi dolci < se ti va.. possiamo fare il bis > la fece sorridere e si morse il labbro inferiore, sperando in un sì.

< Mi piacerebbe > disse contenendo l'entusiasmo. C'era qualcosa in Matteo che la portava a pensare continuamente a Jackson, il che la faceva innervosire. Prima che Matteo si comportasse da gentiluomo e se ne andasse, Valery lo tirò delicatamente per il giacchetto di pelle e lo baciò innocentemente. Matteo sorrise, le prese il mento e le sfiorò le labbra, le baciò prima il labbro superiore, poi quello inferiore, per poi entrare delicatamente con la lingua e incontrare la sua.

< E' da quando ti ho vista al negozio che avevo voglia di farlo > disse staccandosi da lei.

< Allora credo che dovrai ringraziarmi > continuò a fissargli le labbra carnose mentre sussurrava un delicato “grazie”.

Entrò in casa e vide Raisa alla finestra, capì che la stava spiando.

< Dimmi che non hai.. >

< Si, ho visto > rispose ancora prima di farle finire la domanda. Valery si coprì il volto con le mani e sprofondò nell'abisso della vergogna. < è moooolto carino > spostò due dita per intravederla da quello spazio.

< Tutto qui? > chiese, togliendosi le mani dalla faccia < Non hai altro da dire? > chiese sorpresa.

< Bacia bene? > la domanda la mandò in confusione. Non solo perché non era una tipica domanda da mamma ma perché non ci aveva ancora pensato. < Bacia così male? > Valery scosse la testa e sorrise.

< No.. bacia bene.. solo che.. > si rese conto che ciò che l'aveva spinta a baciare Matteo era togliersi dalla testa Jackson e questo non era affatto un pensiero nobile, e neanche molto utile considerando che non aveva fatto altro che pensare a lui mentre le loro lingue si attorcigliavano < niente. Vado a letto > mandò un messaggio a Meredith mandandogli il resoconto della serata, tralasciando il fatto di averlo baciato pensando ad un altro. Si scaraventò sul letto e aprì la chat di whatsapp di Jake. Sbuffò e la richiuse. Doveva essere contenta, si disse. Matteo era un ragazzo fantastico, senza problemi, sincero, non aveva problemi a dire quello che pensava. Era perfetto. E allora perché non sentiva niente?

 

Jackson era a casa, passeggiava agitato da una parte all'altra cercando di non pensare a cosa stesse facendo Valery. Il solo pensiero che stesse con un altro lo mandava fuori di testa. Si mise a tirare freccette al bersaglio, immaginando la faccia di Matteo.

Guardò l'orologio: mezzanotte e mezza. Forse era tornata. Resistette dal mandarle un messaggio, ma dopo dieci minuti quella vocina che lo incitava a farlo si fece forte, e cedette.

“Com'è andata la serata?” Valery aprì la chat e si alzò dal letto, scivolando per terra come una pera cotta.

“Alla grande...” premette invio “non sei venuto a salutarmi”

< Puntini di sospensione.. > sorrise < non sono mai un buon segno > si rasserenò.

“Non volevo disturbare.. non sembri molto entusiasta della serata, si è comportato male?”

“No, al contrario, è stato perfetto..” non voleva fargli sapere che era andata male per colpa sua, ma in un certo senso, avrebbe voluto che ne se accorgesse. Jackson, ricevuto il messaggio, pensava che forse quei puntini di sospensione, erano soltanto questo: dei puntini di sospensione, che non volevano dire assolutamente niente.

“Vi rivedrete?” chiese Jackson ansioso della risposta.

“Non lo so” non era una bugia. Non sapeva se l'avrebbe rivisto. Una cosa era certa: non era riuscito nemmeno lui a farle dimenticare Jackson. Nemmeno per una sera.

“Perché?”

< Perché mi piaci tu, idiota! > lanciò il cellulare sul letto e posò la fronte alla parete, sbattendola delicatamente. < Scema. Scema. Scema. Scema > restò con la fronte attaccata alla parete, quando si accorse di averlo detto ad alta voce. Lo aveva ammesso finalmente a sé stessa. Andò in bagno, preparandosi per andare a dormire, mentre Jackson fremeva in attesa di una risposta.

“Vado a letto. A domani.” spense internet e si coricò. Non aveva voglia di sentirlo, di parlargli, di iniziare a fantasticare su loro due. Non aveva alcuna voglia di rispondergli. Non avrebbe mosso un dito per fargli capire che le piaceva. Se la voleva, avrebbe fatto lui il primo passo, intanto lei avrebbe cercato di dimenticarselo. Era proprio il tipo di ragazzo da cui doveva stare alla larga.

Jackson non capì il motivo per cui non rispose alla domanda, ma lasciò perdere e andò a letto pensando a cosa fosse successo durante quella serata, ipotizzando che le avesse fatto del male, che non era andata bene come aveva detto o che invece era andato tutto bene e non aveva voglia di parlarne con lui perché era con Matteo e l'aveva disturbata. Con la mente piena di pensieri non riuscì a dormire. Si prese una sigaretta e uscì sul balcone. Tra una sigaretta e l'altra, guardò il calendario: era il 29 dicembre. A breve sarebbe passato il 2014.

 

< Che dici vanno bene le decorazioni messe così? > gli chiese Valery mentre era sulla scala. Voleva rendere la casa un po' più accogliente, in modo che si vedesse ci fosse una festa. Per questo tappezzò ogni angolo della casa con qualche decorazione natalizia.

< Perfette > rispose Jackson cingendosi i fianchi soddisfatto del lavoro. In realtà non gli importava molto delle decorazioni. Ne restava totalmente indifferente ma quando Valery si dispose, non poteva dirle di no, significava averla accanto a sé, e questo gli piaceva. Per sbaglio, prendendo una scatola sotto la scala, Jackson ci sbattette, facendola barcollare e di conseguenza Valery precipitò giù, ma Jackson la prese al volo. La paura di cadere lasciò il posto ad altri sentimenti, quando le braccia protettive di Jackson le tenevano stretta. Ormai non poteva più mentire a sé stessa. Lo aveva ammesso, aspettava solo di farsela passare, ma più gli stava vicino, più quel sentimento cresceva, e guardandolo negli occhi, ad un palmo di distanza, si rese conto di quanto le piacesse averlo accanto a lei.

< Bella presa > disse ancora con le braccia intorno al collo.

< Non c'è di che > rispose con un sorriso smagliante. La mise giù senza smettere di fissarla negli occhi e lei dopo un attimo di esitazione, prese altre decorazioni, per pensare a qualsiasi cosa non fosse lui. < Insomma.. con quel tizio com'è andata? Non mi hai raccontato niente > Valery sbuffò.

< Perché non c'è niente da dire >

< Avete... > Valery lo guardò corrugando la fronte cercando di comprendere a cosa si riferisse, quando lo capì gli tirò le decorazioni che si ritrovò per le mani.

< Non risponderò a questa domanda > disse dopo aver spalancato la bocca, per l'assurdità della domanda < Non ti ho mai chiesto se tu avessi fatto.. “roba” con le tue amiche civette, non vedo perché dovrei dirtelo io > sbottò infine < Roba da matti! > esclamò dirigendosi nell'altra stanza. Jackson cercava di indagare sulla serata, ma più cercava di farlo e più ne capiva meno.

< Ho l'impressione che non sia andata bene la serata > disse raggiungendola. Valery alzò gli occhi al cielo per l'esasperazione.

< Oddiooo, perché nei sei così ossessionato? > sbuffò ancora più forte, quasi perdendo la pazienza. Non voleva parlare di quell'argomento.

< Voglio solo sapere com'è andata > disse con aria innocente.

< Bene! È andata bene! > urlò prima di salire sulla sedia per decorare le mensole. Jackson le si avvicinò, l'aiutò passandole i nastrini colorati. Aveva un'aria strana, non la convinceva. Il tono della voce e l'espressione del viso non era in armonia con le parole che aveva appena pronunciato.

< Stai mentendo! > disse ad un tratto Jackson, facendola trasalire. Roteò gli occhi e scese dalla sedia.

< Jake! Basta! Ti prego! > disse in tono supplicante. Jackson si grattò la testa cercando di capirci qualcosa, ma non ce la fece a stare zitto.

< Non capisco perché non vuoi parlarmene.. siamo amici! > disse dandole un colpetto sulla testa. Le lo guardò torva, mentre raggiungeva un'altra stanza < Ok, amici che non parlano della loro intimità forse.. però sempre amici, no? > la inseguì fino a che non si girò verso di lui improvvisamente, facendolo quasi inciampare su di lei.

< E' complicato > riuscì malapena a dire perdendosi nel suo sguardo curioso. Ripensò a delle tecniche evasive e quella le sembrava l'unica adatta alla situazione.

< Cosa? > chiese inarcando le sopracciglia. Valery guardò altrove, in cerca di una verità. < Ok, non vuoi parlarne.. > le cinse le spalle teneramente < mi dici solo se ti ha fatto qualcosa di male? >

< E' stato un gentiluomo, ok? Non mi ha fatto del male. È un ragazzo molto dolce e spiritoso, premuroso, delicato ed è.. stabile e.. romantico e.. > continuò guardando tutto quello che aveva intorno tranne i suoi occhi < ...e quasi perfetto > concluse portando il suo sguardo sul pavimento, giocherellando con le dita.

< L'uomo dei sogni > fece un mezzo sorriso e le tolse la mani dalle braccia.

< Già.. > senza guardarlo, continuò a fissare le decorazioni e Jackson l'aiutò, senza ritornare sull'argomento. Ancora non capiva il motivo per cui se fosse andato tutto così bene, non lo lasciava trapelare, perché non era felice per questo? Si chiedeva. Scrollò la mente da quei pensieri e Valery ritornò a casa, taciturna, come lo era Jackson.

Entrambi avevano qualcosa a cui pensare, a cui non potevano dar voce.

 

Decise di farsi un giro in moto, scese giù in garage per salire in sella alla sua Honda. Stavolta la destinazione non poteva essere casa di nonno Franco, anche se era l'unico posto in cui sarebbe voluto andare in quel momento, ma era tardi e sicuramente gli avrebbe puntato contro il suo fucile da caccia, pensando che fosse un ladro. Senza una meta sicura, guidò per il quartiere per un'oretta scarsa. Pensò continuamente a Valery, per tutto il tragitto. Cosa aveva fatto con Matteo, cosa si erano detti, come l'aveva trattata.. non riusciva a togliersi dalla testa quella sensazione che gli diceva che si era comportato male con lei. Guidò ancora più veloce, quando il sonno si fece sentire e decise saggiamente di tornare a casa. Forse l'alcol l'avrebbe aiutato ad addormentarsi.

Parcheggiò la Honda in garage e mentre si toglieva il casco, sentì il garage, che era chiuso a metà, alzarsi. Si girò corrugando la fronte, per capire chi fosse stato ad alzarlo. Vide un ragazzo biondo e alto, con una birra in mano. Dal suo atteggiamento scontroso capì che non era lì per fare amicizia.

< Ehi, amico, ti sei perso? > domandò con calma.

< Tu > lo indicò minaccioso, avvicinandosi < Stai lontano dalla mia ragazza > Jackson confuso, non riusciva a capire chi fosse, non lo aveva mai visto.

< Calmati, non capisco di che parli > si avvicinò ancora, prendendolo per la felpa e la luce della lampadina che era sopra di lui, gli illuminò il volto. Aveva un viso familiare, ma non riusciva a collegare la sua faccia ad un nome.

< Mi spiego meglio: stai lontano da Valery o finisci male > riuscì a sentire l'odore dell'alcol provenire persino dai suoi capelli, neanche ci si fosse fatto il bagno. Dalla descrizione collegò che si trattava di Alberto e gli apparve un sorrisetto beffardo sul viso, lo strattonò togliendogli le mani di dosso e Alberto perse per un attimo l'equilibrio.

< Alberto, giusto? Dimmi un po', cosa ti porta qui? > chiese divertito. Provava una certa soddisfazione nel vederlo ridotto in quello stato. Aveva fatto soffrire Valery e questo non glielo faceva stare molto simpatico. Alberto, barcollante sotto l'effetto dell'alcol, cercò di rispondere senza balbettare.

< Vi ho visti sai? > disse protendendosi la birra alla bocca < Passate molto tempo insieme >

< Qual è il tuo problema? > lo incalzò Jackson.

< Il mio problema? > tirò su con il naso, guardò altrove e sorrise, guardandolo di nuovo. < Sei tu il mio problema! Lei appartiene a me> gli urlò andandogli al muso.

< Secondo lei no > rispose arricciando il naso. < Ti consiglio di tornare a casa, sei ubriaco fradicio > disse con aria disgustata. Si girò per tornare in casa ma Alberto lo spintonò, facendolo scattare d'ira. < Non voglio battermi con te > disse prima di perdere del tutto la calma, dandogli l'opportunità di uscirne a mani pulite, ma questo lo fece reagire ulteriormente, spingendolo ancora.

< Che c'è? Non hai il coraggio femminuccia? > prima che Alberto lo colpisse in faccia, Jackson lo schivò. Alberto iniziò a perdere la pazienza e velocemente cominciò a tirare pugni alla massima velocità, Jackson aveva fatto pugilato, sapeva come schivare e come colpire, ne schivò molti cercando di non colpirlo, non volendo ferirlo. Alberto lo colpì all'addome, mentre si contraeva, gli diede un pugno sulla mascella e un altro sull'occhio, procurandogli una ferita sopra il sopracciglio e una sotto lo zigomo. Jackson cadde a terra, mise a fuoco il suo volto, abbandonò i buoni propositi e lo fece cadere dandogli un calcio sul ginocchio; si mise sopra di lui restituendogli i pugni in misura ai suoi, lo alzò da terra prendendolo per la maglia e lo sbatté al muro.

< Adesso vai a casa, se non vuoi che ti riduco in poltiglia > gli sussurrò. Lo accompagnò bruscamente fuori dal garage e lo chiuse fuori. Stanco, si poggiò alla parete, cercando di riprendere fiato. Era da tanto che non si allenava. Tornò in camera e si guardò allo specchio. Nella ferita sullo zigomo si stava già formando un livido. Si medicò, sentendo le ferite pulsare sotto la pelle spaccata. Si recò in camera e si rese conto che non avrebbe potuto farsi vedere da Valery in quello stato. Se la sarebbe presa con Alberto e lui non voleva che ci ripensasse. Andò a letto, pieno di lividi sul volto. Forse essere una donna sarebbe servito, un po' di correttore avrebbe risolto la situazione, non del tutto probabilmente ma migliorata.

 

< Ma chi c'è a questa festa? > chiese Meredith euforica.

< Amici vari della comitiva di Jackson e degli amici suoi > rispose bevendo la cioccolata calda < Ah! > disse, ricordandosi di quello che le doveva dire < Jackson mi ha detto di dirti che se vogliamo far venire dei nostri amici, possiamo, la festa è aperta a tutti > Meredith annuì, continuando a sorseggiare la cioccolata che aveva tra le mani, rimanendo ferma sui suoi pensieri nascosti. < Hai intenzione di invitare qualcuno? > chiese Valery curiosa di sapere cosa le vagasse per la mente.

< Mha.. forse qualche amico dell'uni >

< Amico eeeh.. > commentò toccandole il gomito, maliziosa.

< Smettila > corrugò la fronte e rise per quel commento < in realtà.. non credo verrebbe > lo sguardo di Valery si accese ancora di più quando lasciò trasparire che si trattasse di una persona sola < ro! Verrebbero! > si corresse immediatamente, capendo il suo errore e sorrise, facendo finta di niente. Valery scosse la testa e non chiese nulla. È da un po' di mesi che si straniva sempre di più, aveva intuito che si trattasse di un ragazzo ma non comprendeva il motivo di tutto questo mistero.

< E perché credi che questi tuo amici non “verrebbero”? > chiese imitando le virgolette con le dita. Meredith sospirò e prese una scatola di cioccolatini dalla credenza.

< È complicato > il suo viso si abbuiò tutto d'un colpo e Valery era sempre più confusa sul suo comportamento.

< Oddio! Ti prego, mi dici cos'hai? È da mesi che hai questo comportamento evasivo e io non.. non riesco a capire perché un giorno hai la felicità a mille e il giorno dopo sei a terra! Che cosa ti prende, Mer? > Meredith sospirò ulteriormente e si coprì il viso con le mani non proferendo parola. < Con me puoi parlare, lo sai.. > si alzò e posò la tazza nella lavastoviglie.

< Vorrei parlartene ma.. non posso > disse girandosi verso di lei.

< Perché? Cos'è che non puoi dirmi? Ci siamo sempre dette tutto.. > Meredith combatteva con la voglia di urlarle il motivo dei suoi continui sbalzi d'umore e il dovere di frenarsi e rimanere più sul vago possibile. < Non voglio che tu mi dica niente se non vuoi.. so che l'amicizia non è questo, quindi.. non dirmelo. Qualunque cosa ti stia capitando, sappi che puoi contare su di me. Capito? > l'abbracciò e dopo averle dato un bacio sulla guancia, andarono su a cambiarsi per la serata che le aspettava.

 

Meredith, dopo tanti tentativi, riuscì a trovare un vestito adatto a lei. Era un vestito alla greca, che lasciava scoperta la spalla destra, di colore giallo, con delle decorazioni sull'arancione e sul rosso ai bordi del vestito, che richiamavano armoniosamente il colore caldo dei suoi capelli rossi. Era abbastanza corto, arrivava a più di metà coscia; Meredith sapeva di poter contare sulle sue gambe ed ogni occasione era perfetta per sfoggiarle con estrema sicurezza.

< Sei fantastica con questo vestito! > le ammiccò mentre si metteva le scarpe rosse col tacco a spillo. < belle scarpe! > rimase a bocca aperta quando le vide. < Ok... stasera credo che dovrò chiedere il passaggio a Jackson. Non credo tu rimarrai da sola a lungo > commentò Valery intenta a farsi uno smokey eyes, allo specchio.

< Non accadrà, stai serena > riuscì a cogliere una leggera malinconia nella sua voce, come se mancasse la speranza e Meredith era una delle persone più sicure al mondo, in qualsiasi cosa. Qualcuno le aveva tolto la sua corazza di ferro, l'aveva disarmata della sua spavalderia, della sua intraprendenza, della sua frivolezza e Valery non riusciva a vederla così. Prese un rossetto rosso dalla sua trousse e glielo porse.

< Ogni giorno è una sfilata e il mondo è la tua passerella! > Meredith sorrise, afferrò il rossetto convinta e se lo mise, più sensuale che mai.

 

Jackson era alle prese con il rasoio elettrico, per accorciarsi la barba, diventata incolta dopo una settimana ormai. “Bello essere uomini” si disse. Si acconciò un po' i capelli brizzolati e aprì l'armadio per prendere la roba. Erano passati due giorni e per non farsi vedere da Valery, aveva cercato di non farla passare da casa, di non farsi vedere in giro e non dirlo a nessuno, tranne che ad Alex, che si era messo a ridere dopo averlo saputo. I segni sul volto erano ancora vividi e si vedevano molto. Delle sfumature violacee e gialline facevano da cornice alle ferite che gli aveva causato Alberto. Al tocco facevano ancora male. Mancavano poche ore e lo avrebbe visto. Ormai nasconderlo era inutile. Per non pensarci, aprì l'armadio, prese lo spezzato che aveva intenzione di indossare: un pantalone color carta zucchero, con una giacca blu scura e la camicia che aveva comprato la settimana scorsa. Prese anche un cappello Borsalino dalla sua collezione e lo indossò, fiero di come si era vestito.

La sera si sarebbe svolta nel dopo cena. La casa non era aperta fino alle 10. Jackson offriva alcolici, patatine e musica. Il cenone era programmato ognuno a casa propria. Suonarono alla porta e Jackson fece entrare Alex che portò due pizze per mangiare insieme all'amico.

< Cappello! La tua passione, ne avrai almeno una ventina > commentò Alex indicandogli il copricapo.

< Che dirti.. ne vado matto > in attesa che arrivassero le 11, guardarono la televisione, sorseggiando birra e ascoltando musica a tutto volume, per immettersi già nella festa.

< Ma Jessica dov'è? Non doveva venire anche lei a mangiare con noi? >

< No è dai genitori, ci raggiunge stasera sul tardi per un saluto e poi ritorna a casa, domani ha delle commissioni da fare > il campanello suonò e le prime persone iniziarono a entrare. < Comunque con quella faccia gonfia, sembri veramente un figo > gli ammiccò scherzosamente e dopo arrivate una ventina di persone, suonò ancora la porta. Mentre Alex scherzava con Jackson, aprì la porta sorridente e si trovò davanti Valery e Meredith, in tutto il loro splendore. Il sorriso di Alex, senza un apparente motivo si spense in un secondo, trasferendosi sul volto di Jackson.

< Ciao Alex! Come va? > chiese Valery, baciandolo sulla guancia < Lei è la mia amica Meredith > Alex la guardò timidamente e la salutò tutto impacciato, come se la saliva gli si fosse seccata in gola.

< Piacere di conoscerti > disse Meredith sorridente, senza smettere di guardarlo.

< Piacere mio > rimase quasi stregato da lei, non riuscì a trattenere un sorriso. < Entrate pure > le invitò ad entrare e i loro occhi non si staccarono l'uno dall'altra, come se fossero legati da un filo conduttore e non riuscissero a fare nient'altro.

Valery troppo intenta a studiare i loro atteggiamenti, non notò il volto mal messo di Jackson. Se non avesse saputo che Alex fosse fidanzato e Meredith era l'anti-amore in persona, avrebbe sicuramente fatto due più due. Quando accantonò quella stupida ipotesi, raggiunse Jackson per prendere una birra e notò con sua grande sorpresa la sua faccia.

< Jake! Ma che cavolo hai fatto alla faccia? > urlò portandosi le mani alla bocca.

< Niente di che.. > disse la prima bugia che gli venne in mente < ho sbattuto.. > lasciandola piena di stupore e preoccupazione.

< E dove? Ma stai bene? > gli accarezzò le ferite, scrutandone ogni piccola lesione. Non le sembravano colpi da caduta.

< Si si, sto bene > le disse, spostandole le mani dal volto.

< Sembra quasi che tu abbia fatto a botte > chiese ironica.

< Cosa? Io? E con chi? Dai andiamo a ballare > la prese per le mani e la trascinò in pista. Non gliela raccontava giusta. Stava nascondendo qualcosa. Jackson che cade. Da un dirupo forse! Lasciò da parte la preoccupazione e cominciò a ballare con Jackson, che la guardò con occhi pieni di desiderio nel vederla in quel bellissimo vestito rosso di pizzo. < Ehi Alex! Mer! Venite! > gli chiese dimenando le mani nella loro direzione, mentre erano intenti a parlare tra di loro. < Sembra che vadano d'accordo! > gridò Jackson sopra la musica assordante.

< Si! Hanno fatto amicizia! > disse contenta Valery. Dopo poco Alex e Meredith li raggiunsero in pista e ballarono tutti insieme, tra un goccetto e l'altro di birra.

< Balli bene > commentò Alex all'orecchio di Meredith, che gli stava davanti. Gli sorrise maliziosa, intrecciandogli le braccia al collo.

< Anche tu non sei male > gli bisbigliò all'orecchio, superò la guancia e i loro occhi si incontrarono, proseguendo spavaldi verso le rispettive labbra e per un attimo non si resero conto di dove fossero e con chi. Istintivamente spostò lo sguardo in alto e incontrò gli occhi di Jackson che gli dicevano: che stai facendo?

< Credo..sia meglio che vada > le tolse le mani intorno al collo e se ne andò in camera di Jackson. Meredith rimase confusa, indecisa se inseguirlo oppure no. Si voltò con aria corrucciata e vide lo sguardo studioso di Jackson su di lei. Riguardò verso la direzione di Alex e poi si ributtò nella mischia come se niente fosse. Intanto Alex prese la scorta di tequila che Jackson usava tenere nel cassetto sotto il cucinino. Jackson spalancò la porta e lo vide tracannare tequila sorso dopo sorso, fissando fuori dalla finestra della mansarda.

< Alex.. che cos'era quello a cui ho appena assistito? > non rispose e continuò a bere trasudando disperazione < Hai bisogno che ti faccia uno di quei discorsi da migliore amico? > chiese preoccupato, posandogli la mano sulla spalla destra.

< Di che genere? > riuscì a dire con la gola infiammata.

< Che.. tradire è sbagliato e che.. hai una ragazza stupenda che ami, quindi non ti conviene correre dietro ad una qualsiasi minigonna se hai già tutto quello che hai sempre voluto > Alex si incantò su un punto della stanza, rimuginando sulle sue parole. Pensò a Jessica. A tutta la loro storia passata insieme. Non aveva mai avuto un'altra ragazza al di fuori di Jessica, lei era sempre stata la sola e l'unica, tutto quello che aveva sempre sognato e a lui andava bene così. Fino a qualche mese fa. Jessica era ormai come un'amica. Non c'era più quel legame speciale. Erano diventati come due vecchi amici di scuola che non hanno più niente da dirsi, da condividere. Rise beffardo e si voltò verso l'amico che lo guardava preoccupato.

< Sto facendo un casino. Enorme! > aprì le mani imitando l'aggettivo, continuando a ridere.

< Cosa ci trovi di tanto divertente? > chiese spegnendogli il sorriso < Mi spieghi cosa hai combinato? Giuro. Non ci sto capendo niente! > Alex riportò lo sguardo verso il panorama che vedeva dalla finestra. Forse era giunto il momento di confessare.

< La conoscevo già > Alex lo guardò per vedere se avesse capito ma Jackson aveva solo un grande interrogativo sulla faccia < Meredith, intendo. La conoscevo già > fece una breve pausa, sorridendo per il ricordo del loro primo incontro, poi continuò < Andiamo alla stessa università. L'ho conosciuta lì. Un giorno ci siamo scontrati e mi ha colpito. Era la più bella ragazza che avessi mai visto, divertente, frizzante. Nei suoi occhi c'era sempre giovialità e io.. >

< E Jessica in tutto questo? > interruppe i suoi sogni con una cruda realtà e Alex ritornò con i piedi per terra.

< Non credere che mi stia divertendo, Jake! > corrugò la fronte, teso e arrabbiato < Sto da cani! So che non se lo merita. È l'ultima persona sulla terra a cui avrei mai voluto far del male! > si poggiò al bancone della cucina e si accese una sigaretta. < Ma che sto facendo? > si coprì il volto con le mani e Jackson gli diede una pacca sulla spalla.

< Ma tu.. la ami ancora Jessica? > Alex sospirò ed espulse il fumo grigio che aveva nei polmoni.

< Jessica è il mio primo amore, l'ho amata dalla prima volta che l'ho vista e l'amo tutt'ora ma Meredith è.. > s'interruppe e sul suo viso si distesero dolci lineamenti < non è una “qualsiasi minigonna”.. capisci? > disse ripetendo le parole dell'amico < è la mia Meredith > finì la sigaretta e la spense nel posacenere. Bevve un altro goccio di tequila e guardò l'amico, più confuso di prima.

< Avevo capito che avevi qualcosa in questi ultimi mesi ma.. non ho pensato nemmeno un secondo che tu potessi avere un'altra donna > Alex annuì alle parole di Jackson e si sentì sprofondare < ma devi fare una scelta. Tu non hai mai preso in giro nessuno. Sei una delle persone più umili, gentili e rispettose che io conosca ed è per questo che devi pensarci bene, Alex. Pensa bene alla tua prossima mossa. Sei sicuro di voler rovinare tutto quello che hai costruito con Jessica, per Meredith? > fece una breve pausa e poi continuò < Insomma, comprendo la difficoltà della scelta, considerando la loro diversità. Nessuno mette in dubbio quanto Meredith sia dannatamente attraente ma.. amico, andiamo! È Jessica! Come.. >

< Meredith > urlò, puntandogli il dito contro < è una ragazza fantastica! Le sue qualità non si fermano alla bellezza! Lei è molto di più di questo, chiaro? Non.. provare a sminuirla, amico! Non ci provare! Ti fermi a considerare la sua bellezza e non ti soffermi nemmeno a pensare quanto possa essere dolce, sensibile, meravigliosa in tutto quello che fa e che è! Tu non la conosci! > sbottò irritato e Jackson capì quello che ancora non aveva compreso. Il tassello che gli mancava. Quella ragazza le piaceva veramente.

< Dimmi la verità. Non ti sarai mica innamorato di lei? > gli poggiò una mano sulla spalla e Alex s'irrigidì.

< Non so più niente Jake. Non riesco a non pensarla. Non riesco a starle lontano.. io non sono più sicuro di niente. >

Jackson stava ancora metabolizzando il tradimento di Alex. Adesso gli stava dicendo che quel tradimento si era trasformato in qualcosa di più. Lui e Jessica erano sempre stati insieme. Erano la coppia di amici innamorati. La coppia che era sempre rimasta insieme, nonostante tutti i loro problemi. Erano il suo esempio. Alex, però, era il suo migliore amico e sarebbe stato dalla sua parte, qualunque decisione avesse preso.

 

Mentre Alex tornava al piano di sotto, Meredith notò il suo viso triste e il suo sguardo perso nel vuoto e decise di andargli incontro, alle sue spalle sentì una voce femminile che chiamava il nome di Alex. Vide una ragazza bionda sorpassarla e andargli incontro. Con gli occhi ancora sugli scalini che stava scendendo, si rese conto di Jessica solo quando lo abbracciò con entusiasmo. Nel suo stato confusionale finse un gran sorriso, Jessica posò le labbra sulle sue per un bacio fugace e in quell'istante Alex si accorse che Meredith li stava guardando. Sapeva che era fidanzato, sapeva tutto, ma non aveva la più pallida idea di trovarsela davanti la sera di capodanno. Rimasero pietrificati entrambi, continuando a guardarsi dritti negli occhi, mentre Jessica parlava con i suoi amici che erano accanto a loro. La musica sparì, c'era solo un gran rumore. Meredith si scostò da quell'immagine e barcollando, arrivò al bancone per prendere una birra e lasciarsi alle spalle quella scena devastante. Si sedette sullo sgabello. Gli occhi le pizzicavano. Li chiuse più forte che poté e li riaprì poco dopo. Bevve la birra e ne prese un'altra. Non era il momento di cominciare a piangere per un ragazzo. La festa, oltre alla sala, proseguiva giù nel garage. Meredith andò giù per le scale e si buttò in pista, dando sfogo a tutti i suoi impulsi che aveva trattenuto fino a quel momento.

Nel frattempo al piano di sopra Alex dava il meglio di sé ballando con disinvoltura, ubriaco fradicio.

< Amore, stai esagerando non credi? > le chiese Jessica sorridendo.

< è capodanno piccola! > allargò le braccia e si dimenò, scontrandosi con Valery. La prese per il braccio e imitò un passo di danza. < Ehi Val! Balli con me? > chiese maliziosamente scherzando.

< Ubriaco eh? > chiese riferendosi a Jessica. Risero e lei annuì. < Se la tua fidanzata non ha niente in contrario, volentieri > Jessica acconsentì e andò a prendersi delle patatine, mentre Alex e Valery si divertivano con passi di danza ancora non riconosciuti da nessuna compagnia di ballo.

< Wow ragazzi! Vi state umiliando in pista! Due shortini? > chiese Jackson, porgendoglieli in mano.

< Ho così tanto alcol in corpo che non so nemmeno cosa sia l'umiliazione! > disse Alex ridendo < Tu piuttosto > indicò Jackson < dovresti bere di più, così ci fai un replay della rissa a cui hai partecipato! > rise ancora più forte, toccandogli il gomito in segno di intesa. Jackson sorrise forzatamente e gli diede una pacca sulla spalla.

< Si vede che hai bevuto.. dalle castronerie che ti escono dalla bocca > finse una risatina ma Valery non sembrava tanto convinta.

< Che voleva dire con “replay della rissa a cui hai partecipato”? >

< Nient.. >

< Ha fatto a botte con un tizio due giorni fa! > Alex le si avvicinò bisbigliando e poi scoppiò a ridere < Sssh > si portò l'indice davanti alla bocca < non lo devi dire in giro! > continuò a ridere e Jackson alzò gli occhi al cielo.

< Grazie amico > gli diede un pugno sulla spalla < Balla va > lo lasciò lì, mentre Valery lo inseguiva volendo delle spiegazioni.

< Jake! > Jackson non si girò, uscì di casa sperando che Valery non lo seguisse, ma non la seminò. < Jake! Dannazione, fermati! > si arrestò, sbuffò e alzò gli occhi al cielo. Gli andò davanti, guardandolo in faccia. < Perché mi ha mentito? Perché mi hai detto che eri caduto quando in realtà hai fatto a botte? > si portò la mano al petto piena di preoccupazione. Era struggente vederlo in quello stato.

< Perché ti saresti preoccupata, come stai facendo ora, e non mi andava che ti preoccupassi, perché non è niente di grave > spiegò in modo eloquente.

< Jake.. hai dei lividi, delle ferite sul volto.. come cavolo fai a dire che non è grave? > ribadì il concetto senza avere risposta < Chi è stato? > chiese infine. L'unica domanda a cui non avrebbe mai voluto rispondere era appena uscita dalle sue labbra.

< Perché lo vuoi sapere? > non aveva intenzione di dirglielo, quindi l'unica soluzione sarebbe stata non farla intromettere.

< Perché non me lo vuoi dire? > gridò spazientita.

< Non è importante! > rispose con lo stesso tono.

< Si che ha importanza! Ti hanno picchiato! Dimmi almeno il motivo! > Jackson non seppe più che altro inventarsi. Tutto ciò che gli veniva in mente erano bugie poco credibili a cui lei non avrebbe mai creduto.

< Ho fatto pugilato per tre anni, volevo ricominciare. Tutto qua > disse con durezza. Lo sguardo di Valery andò dalle ferite ai muscoli delle braccia e iniziò a ipotizzare. Quello che diceva era in netto contrasto con quello che si era lasciato scappare Alex, e se Alex se l'era lasciato sfuggire, ciò vuol dire che gli aveva detto di non dirglielo, perciò stava mentendo, ancora.

< La prossima volta che vorrai nascondermi qualcosa, fallo meglio, costruisciti una bugia che sia credibile e giocati bene tutte le carte > Jackson si toccò i capelli e sbuffò al cielo.

< Ma che stai dicendo? > chiese attaccandola.

< Ti sei dimenticato cos'ha detto Alex, ma io no > Jackson non seppe più cosa dire, se non aveva più armi di difesa, come nel pugilato, doveva colpire.

< Qual è il tuo problema? Ho fatto a botte con un tizio e quindi? Chi sei da potermi giudicare, la mia ragazza? No! E allora lasciami in pace, non è un problema che ti riguarda! > le gridò. Valery rimase di sbieco, non riuscendo a capire da dove venisse tutta quella rabbia. Lo guardò distrattamente per poi schiarirsi la voce e guardare per terra. Non le piaceva quando alzava la voce con lei. Tanto meno quando la faceva sentire insignificante.

< Ok > riuscì a dire < hai perfettamente ragione. Non è un problema che mi riguarda. > disse scandendo tutte le parole < Rimettiti e buona serata > lo guardò con dispiacere e Jackson in quello sguardo percepì tutto il dolore che le aveva causato con quelle parole. Roteò gli occhi e fece per andarsene.

< Quanto sei idiota > si disse. Rientrò dentro e diede un pugno alla parete in cartongesso. Si appoggiò e accese un sigaretta. Vedere le sue spalle girarsi e andare via non lo facevano stare in sé. Dopo 5 minuti abbondanti, decise di raggiungerla. Era tardi e sapere che fosse sola, al buio, non lo faceva stare affatto tranquillo. Si mise a correre, sperando di conoscere la strada che avrebbe preso Valery, quasi aveva perso il fiato che la vide camminare abbracciandosi per il freddo e il capo chino. Valery sentì dei passi dietro di lei e per paura non si girò, ma camminò più velocemente. Jackson, corse ancora più forte e finalmente riuscì a prenderla per un braccio. Valery sentì crescere la paura dentro di sé prima di trovarsi Jackson accanto, col fiatone.

< Quanto cammini veloce > disse respirando lentamente per recuperare fiato.

< Ah sei tu! > la paura scomparve e lasciò spazio alla rabbia < Che vuoi? > domandò schietta.

< Scusa > Valery sorrise e lo fece continuare < sono stato ingiusto e ho detto cose che non pensavo ma credimi > disse cingendole le spalle < non c'è motivo perché tu lo sappia >

< Jake.. > gli accarezzò il volto < perché non vuoi che lo venga a sapere? > Jackson annaspò e cercò di darle spiegazioni poco convincenti, quando Valery percepì qualcosa. Se Jackson non glielo voleva dire era per un motivo che la riguardava personalmente. Cosa poteva legare Jackson ad una rissa che la riguardasse? < Lo conosco, vero? > gli occhi di Jackson schizzarono su di lei e sulla sua perspicacia < è per questo che non vuoi dirmelo. Perché io so chi è > disse con espressione investigativa. < Chi potrebbe essere stato.. > corrugò la fronte cercando una qualsiasi persona che avrebbe potuto fargli del male.

< Non c'è bisogno che tu lo scopra, veramente, torniamo alla festa e divertiamoci, dai > la prese per il braccio, trascinandola verso casa.

< No! > si impuntò e strattonò il braccio di Jackson < Non mi muovo da qui finché tu non me lo dici > incrociò le braccia in attesa di una risposta.

< Val, dai non fare la bambina, non ti si s'addice >

< Lo verrò a sapere comunque. Posso andare da Alex e farmelo raccontare, credo che non avrà problemi a dirmelo, considerando che le sue inibizioni sono del tutto oscurate > dopo qualche attimo di titubanza da parte di Jackson continuò < Allora? >

< E va bene! Ma non fare cavolate! Io te lo dico e poi torniamo alla festa, intesi? Non farmi pentire di avertelo detto! > le disse con tono chiaro e coinciso, avvicinandosi. Valery annuì e aspettò che confessasse. < Lo conosci, e anche molto bene > si fermò, ancora titubante se dirlo o meno, ma non poteva mentirle < Alberto > Valery lo guardò con occhi spalancati e la bocca aperta. Non riusciva a crederci. Alberto. Non riuscì a emettere alcun suono. Ad agire in alcun modo. Che motivo aveva avuto? Come si era permesso? Si chiedeva. < Oddio lo sapevo.. adesso andrai in escandescenza e farai una delle tue cavolate > disse preoccupato dalla sua reazione passiva. Tutto quello che riusciva a sentire era un fuoco ardere sempre più forte dentro di sé, e non era dispiacere e preoccupazione, era pura rabbia che andava dalle dita dei piedi fino alla radice dei capelli. Prese il cellulare e cercò il suo numero. < Che.. stai facendo? > chiese avvicinandosi a lei per guardare lo schermo. Vide il nome di Alberto in primo piano e la fermò, ma senza successo. < Avevi detto niente cavolate >.

“Ehi, Valery!” rispose Alberto.

“Ciao Alby, come va? Tutto bene, volevo augurarti un buon anno! Sei a casa?”

“Grazie! Si sono a casa”

“Posso venirti a trovare? Vorrei parlarti” chiese dolcemente, facendogli credere tutt'altro.

< Ma che.. > Jackson si trattenne e Valery lo zittì.

“Bene, arrivo tra poco” staccò la chiamata e Jackson l'assalì con infamie di ogni genere.

< Senti, i miei amici non si toccano, chiaro? Se lui vuole prendersela con qualcuno se la prenda con me e adesso accompagnami da Alberto altrimenti dovrò andarci a piedi > per il tragitto fino a casa Jackson tentò di convincerla a cambiare idea ma rassegnato dalla sua caparbietà l'accompagnò con la moto.

< Ripensaci Val, cosa gli vuoi dire? > domandò prendendole la mano.

< Vedrai > camminò velocemente verso il portone di casa, fremendo di spaccargli la faccia per aver solo osato di essersi avvicinato a Jackson, il quale la raggiunse, sperando di convincerla a stare calma. Il portone si aprì e alla porta apparve Alberto, che appena vide la faccia di Jackson, non poté non trattenere un sorrisetto beffardo. Alberto aveva un graffio sulla guancia e si vedeva palesemente che aveva cercato di coprirsi con correttore e fondotinta.

< Ciao Val > la salutò toccandole delicatamente il mento < ti sei portata dietro il cane da guardia, a quanto vedo >

< Lascialo stare > disse fulminandolo. < che problemi hai? Non sai più difenderti a parole e usi le mani adesso? >

< Che carino.. si fa difendere dalla fidanzatina > disse riferendosi a lui con il labbro inferiore in fuori. Jackson strinse i pugni e indietreggiò, cercando di calmarsi. < Ti ricordi quando sono venuto a casa tua? > chiese a Valery. < Ecco. Mi si è aperto un mondo quando ho visto come fossi a tuo agio sulla sua faccia > le disse avvicinando il suo volto al suo con tono disprezzante. Valery ritornò indietro con la mente a quella volta che lo trovò sotto casa sua e capì. Si stava nascondendo tra la siepe perché li stava spiando. Un senso di disgusto le salì fino allo stomaco.

< Non sono affari che ti riguardano > lo spintonò.

< Si invece. Mi riguarda se la mia ragazza un po' sgualdrina mi lascia per un altro > urlò andandole di nuovo al muso. Indicò Jackson, il quale si mise tra di loro, allontanandolo da lei con una spinta.

< Non provare ad avvicinarti a lei > Alberto rise senza vergogna < andiamo, Val > le prese il braccio ma lei rimase lì ferma, a fissare Alberto, piena di disprezzo.

< Faresti bene ad ascoltare il tuo ragazzo. Ci hai messo poco a trovare un ripiego > la provocò e Valery rispose con uno schiaffo risonante.

< Sicuramente è più uomo lui di quanto non lo sia mai stato tu > Alberto non rispose di sé e la prese forte per un braccio.

< Lasciala > Jackson digrignò i denti, avendo abbastanza forza da staccargli la mano dal braccio di Valery. La mise dietro di sé e appena si rigirò verso Alberto, lui si era già scaraventato su di lui, colpendolo sulla mandibola. Jackson, preso di sorpresa, cadde a terra per il colpo.

< Jake! > Valery urlò e lo aiutò ad alzarsi < Avrei potuto perdonarti tutto Alby > disse con tutta la rabbia in volto < ma la violenza no. Buon anno >. Prese Jackson dal busto e lo aiutò a recarsi verso la moto.

 

Alberto tornò dentro casa, esausto e dispiaciuto. Se prima aveva lo zero delle opportunità per tornare con Valery, adesso aveva il -100 delle possibilità. Mancavano venti minuti all'anno nuovo e già sapeva che sarebbe stato orrendo senza di lei.

 

< Sanguini > gli disse appoggiandolo sulla Honda.

< Tranquilla > si toccò il labbro che sentiva gonfio e si guardò le dita coperte del suo sangue. < non è niente. Solo una ferita al labbro, a casa metto il ghiaccio > la ferita al labbro inferiore si stava aprendo e Valery non riusciva a guardarlo negli occhi.

< Scusa. È tutta colpa mia. Me l'avevi detto di stare ferma e invece ho combinato un casino > si coprì il volto con le mani e si lasciò cadere sul petto di Jackson, che l'abbracciò, sorridendo.

< Non è colpa tua > le disse consolandola, poi ci ripensò < in effetti un po' colpa tua è > si corresse.

< Non mi sei d'aiuto > disse tra una lacrima e l'altra, mentre Jackson sorrideva.

< Quando facevo pugilato tornavo spesso con qualche livido sulla faccia, non è una novità per me, anzi Alberto mi ha fatto rivivere bei momenti, grande adrenalina > Valery alzò gli occhi asciugandosi le guance, si sentiva tremendamente in colpa. < E poi.. se proprio vuoi dare la colpa a qualcuno.. dalla alla gelosia. Alberto ti ama ancora, è chiaro e.. ti ha persa. Sperava di rimediare ma lo ha fatto nel modo sbagliato. Forse anch'io avrei fatto lo stesso > alzò le spalle e Valery sorrise, soffermando lo sguardo su quella ferita.

< Andiamo a casa, sarò la tua infermiera stasera > si posizionarono sulla moto e tornarono alla festa.

 

< Hai visto Alex? > chiese Jessica a dei suoi amici seduti sul divano.

< Hmm no, prova a vedere in camera da letto, forse ti aspetta lì > commentò inopportunamente una ragazza mentre se la rideva con i suoi compagni. Jessica la fulminò con lo sguardo, le rubò la birra dalle mani e la ragazza smise di ridere.

< Almeno io per avere una vita sessuale non devo necessariamente ubriacarmi > fece un risolino e li lasciò ridere della loro amica. Andò da un angolo all'altro della stanza, ma non riusciva a scorgere Alex da nessuna parte con quella folla in mezzo ai piedi. Gli mandò un messaggio, lo chiamo ripetutamente, ma non ebbe risposta. Stancandosi di aspettarlo, prese la sua roba e se ne tornò a casa.

Alex la guardò andar via, forse spiare sarebbe il termine più corretto. Nascosto dietro la parete, la vide chiudersi dietro la porta e uscire di casa. Si lasciò cadere giù sul pavimento, alzando gli occhi al cielo e sospirando per averla mancata. Non aveva voglia di passare la serata con lei. Tutto ciò di cui gli importava, tra un sorso di birra e l'altro, si faceva sempre più vivo, era Meredith. La confusione si mischiò alla stanchezza e non aveva più una chiara visione della realtà. Si guardava intorno, sperando di vederla. Quello sguardo che aveva visto sul suo volto, gli era rimasto imprigionato nel cuore. Quegli occhi verdi che lo avevano fissato mentre erano intenti a guardare un'altra donna. Sapeva di averla fatta soffrire. Alzò gli occhi, poggiando la testa contro il muro e notò un vestitino giallo tra la gente che si oscillava, cercò di mettere a fuoco ma l'immagine scorreva più velocemente della sua capacità di percezione. Si alzò di scatto dal pavimento e seguì quell'immagine gialla, che si era recata giù nel garage. Le scale che univano la sala col garage gli sembravano tutte sfocate e ci mise qualche minuto prima di riuscire a scendere. Attaccato ancora alla ringhiera delle scale per tenersi in piedi, quel vestito giallo, era ancora più sfocato e si intersecava con altri colori e vestiti, di cui non riusciva a distinguere la proprietà. Cominciò a fissare verso la sua direzione per mettere a fuoco e quel vestito trovò forma su un corpo, che si dimenava da destra a sinistra con persone ignote. Alex riconobbe la bellezza di quel corpo perfetto e un senso di appartenenza prese il sopravvento su di lui. Si avventò su i due ragazzi che ballavano con Meredith, spintonandoli.

< Ehi! Ma che fai? > urlò spingendolo < stavo ballando! > si voltò e tirò a sé il ragazzo che le stava più vicino, ballando provocatoriamente, facendo andare il ragazzo in visibilio ipercinetico. Alex la strattonò per un braccio bruscamente.

< Non voglio che tu ci prova con ogni singolo ragazzo di questo scantinato > Meredith si scostò i ciuffi di capelli davanti agli occhi con un soffio.

< Fai una cosa > disse avvicinandosi al suo volto < và dalla tua ragazza e lasciami in pace > gli lanciò un'occhiataccia e con una spallata lo superò, ma Alex, in preda alla disperazione, la prese in spalla di peso.

< Mettimi giù! > Meredith lo colpiva ripetutamente con i pugni sulla schiena.

< Non posso > rispose Alex camminando verso il retro.

< Mettimi giù! Dannazione, Alex! > urlò ferocemente dimenando braccia e gambe. L'ultimo pugno d'esasperazione lo convinse e l'adagiò per terra. Meredith aveva il fiatone per essersi affaticata troppo, ma questo non le impedì di dare libero sfogo alla sua rabbia, senza pensarci su due volte, gli tirò lo schiaffo più forte che avesse mai dato sul viso, che riecheggiò nel silenzio dei loro sentimenti. Il fiato le si fece più corto e si poggiò alla parete per recuperare un po' di respiro. Alex si toccò la guancia su cui aveva ricevuto la sberla e non seppe reagire. Sapeva di meritarsela. La vide lì. Perfetta anche dopo aver ballato per ore, perfetta con quelle gote arrossate dalla fatica, dal caldo, dalla rabbia, semplicemente perfetta in tutto quello che era e non seppe resistere. In un attimo le sollevò il volto basso tra le mani e la baciò con tutta la foga possibile, con tutta la rabbia repressa di quegli attimi prima.

< Non puoi.. > cercò di sibilare tra un bacio e l'altro, ma Alex non aveva alcuna voglia di litigare. Non aveva più voglia di mentire a sé stesso.

< Impazzisco > le sussurrò < impazzisco se non sei con me > la guardò negli occhi cercando di trasmetterle con quella frase tutta la sincerità di cui era capace. Spostò il suo sguardo sulle sua bocca e con dei lenti movimenti gli sfiorò le labbra. Gli morse il labbro inferiore e poi lo baciò con intensità, come se Jessica non esistesse, come se quel bacio che aveva visto fosse stato solo un brutto sogno, come se Alex fosse tutto suo. Niente aveva importanza se erano insieme.

 

< Bel modo di finire l'anno > esclamò Jake, seduto sul bancone della cucina in camera sua, mentre Valery gli tamponava la ferita sul labbro.

< In realtà non è ancora finito >

< Ahia! > le spostò la mano e socchiuse gli occhi per il dolore che le aveva causata pigiando sul labbro.

< Scusa > disse dispiaciuta < comunque mancano.. > guardò l'orologio appeso al muro < Wo. 1 minuto > disse sorpresa. Tornò a medicargli la ferita mentre Jackson imprecava contro la sua poca delicatezza.

< Scusa! > gli sfiorò il labbro inferiore dove aveva la ferita ancora aperta e per un attimo s'immaginò quelle labbra sulle sue, non accorgendosi di essere diventata l'oggetto del desiderio di Jackson. Sotto il tocco delle sue dita, si addolcì e Valery sentì il suo sguardo addosso. < Che c'è? > chiese sorridente.

< Lo pensi davvero quello che hai detto? > chiese guardandola, perso nei suoi occhi grandi color nocciola.

< Che manca un minuto? Bhè.. adesso 30 secondi > si precipitò a prendere due birre dal mini frigo della camera e le stappò. < Ecco a te! Pronto per il countdown? Mancano esattamente... 10.9.8.7.6.5.4.3.2.1..> Jackson la guardò come si guardano le fotografie familiari che ritraggono bei momenti felici passati in famiglia. Con la stessa aria di un ragazzo ammaliato da tutto quell'insieme di allegria, gioia, pace che lui non era capace di essere. Brindarono per il nuovo anno e Valery gli si gettò al collo, abbracciandolo con tutta la gioia di cui era capace. < Buon anno Jake!! > chiuse gli occhi e cercò di impregnare quel momento nei suoi ricordi e nel suo cuore. Averlo così vicino le fece ricordare di quanto lo desiderasse. Sentire il suo corpo così vicino al suo, i suoi capelli tra le dita. Riaprì gli occhi e si staccò, ignara che tutto quel turbamento che risedeva dentro di lei, risedeva anche in lui.

< Buon anno.. > disse pacato mentre Valery tornava con la sua attenzione alla ferita < ma.. la mia domanda era riferita ad Alberto. Non alla tua scaltrezza nella lettura degli orologi >

< A cosa ti riferisci? > chiese dubbiosa.

< Che.. mi consideri più uomo del tuo ex uomo > sorrise e Valery gli pigiò la ferita, apposta, ricevendo uno scappellotto da Jake.

< Finito > poggiò le mani sulle sue gambe, senza badarci e Jackson sorrise dolcemente < Si, lo penso veramente > disse guardando un punto nel vuoto. Quando riportò lo sguardo su Jackson, lo vide con gli occhi fissi sulle mani posizionate sulle sue ginocchia.

< Scusa > le ritirò imbarazzata, scostandosi i capelli dietro l'orecchio e Jackson sorrise. Prese il cellulare per rispondere al messaggio che aveva ricevuto. Mentre si allontanava Jackson osservò nel dettaglio il vestito che portava. Le cadeva a pennello su ogni forma del corpo, lasciando poco all'immaginazione.

“Ehi Val! Buon anno!! Ti ho cercata ma non c'eri..adesso comunque devo andare via.. ti fai riaccompagnare da Jake? Scusa!”

Valery sbuffò. < Ha fatto colpo > disse scuotendo il cellulare per poi riporlo sul tavolo.

< Cosa? > chiese Jackson distratto.

< La mia amica dai capelli rossi > Valery guardò Jackson, che sembrava non avesse capito. < è andata via con qualcuno > Jackson pensò a Meredith e subito la collegò ad Alex. Sapeva che Jessica sarebbe andata via prima, quindi Alex non sarebbe andato con Jessica, sarebbe rimasto alla festa e alla festa c'era Meredith. Il qualcuno era Alex?

Mentre Jackson era preso dai suoi ragionamenti, Valery lo guardava stranita.

< Tutto bene? >

< Eh? > la guardò senza farne parola con lei < Si.. si, si! Certo! > sorrise per distogliere quei pensieri < Mando solo un messaggio >. Sapeva che non erano affari suoi ma che ci poteva fare se il bene che voleva ad Alex era pari a quello di un fratello?

“Buon anno Alex.. spero tu abbia fatto la tua scelta”

< Devi darmi un passaggio, Meredith è fuori gioco > disse mangiando le patatine. Jackson finse uno sbadiglio e le rubò le patatine.

< Sono troppo stanco > si stiracchiò e si accasciò sul letto, fissando il soffitto, quando un lampo di genio gli attraversò la mente < perché non rimani qui? > Valery sbarrò gli occhi.

< Non.. ho il ricambio > disse obiettando.

< Ho un pigiama, dei vestiti, acqua corrente, saponi vari, deodorante, dentifricio e anche uno spazzolino di riserva, che compro sempre per sostituire quello vecchio > l'espressione di Valery non era del tutto convinta < Non sono abbastanza organizzato per te? Ho anche il borotalco > Valery rise e gli si avvicinò, sedendosi sul bordo del letto.

< Dì la verità. L'avevi programmato? > gli tirò dei pop corn addosso e per ripicca le fece il solletico all'addome, facendola alzare.

< Puoi scommetterci! > esclamò ammiccando < Pensi che ti lasci andar via con questo bel vestitino che ti sei messa? > Valery incontrò i suoi occhi scherzosi e per un attimo ebbe il dubbio che dicesse sul serio.

< Vado giù a prendere altre patatine, magari trovo qualcuno disposto ad accompagnarmi > Jackson scosse la testa in segno di disappunto e sospirò prendendosi gioco di lei.

Scese al piano di sotto e tutto quello che notò fu un gran casino. I sacchi della spazzatura erano pieni, le persone erano sudate fradice e tutte mezze o totalmente ubriache, non c'era più uno straccio di persona sana là dentro. Chiedere un passaggio a qualcuno di sua conoscenza che l'avrebbe riportata a casa viva e vegeta, era impossibile. Non potendo assistere a quello scempio, prese i sacchi della spazzatura pieni e li chiuse, riponendoli fuori dalla porta, e li sostituì con altri nuovi. Controllò gli alcolici e il cibo spazzatura. Era tutto in regola. La musica era sempre più alta e si univa in perfetta armonia ai botti dei fuochi d'artificio che venivano da fuori. Rifornì la loro scorta di cibo e tornò da Jackson, il quale aveva chiuso la porta a chiave, per non fare entrare nessuno. Valery bussò ripetutamente ma non aprì.

< Jackson! Apri per favore? > dopo qualche minuto di attesa, Jackson aprì la porta, con l'asciugamano in vita e i capelli bagnati, Valery rimase incantata, non riuscì a distogliere il suo sguardo dai suoi addominali scolpiti e bagnati. Si toccò i capelli bagnati, causando la caduta di altre goccioline e Valery non poté non notare come ogni gocciolina scendeva lentamente da un tassello all'altro del suo addome, per finire sul bordo dell'asciugamano bianco che si era stretto in vita.

< Trovato il passaggio? > si abbassò per guardarla negli occhi, che sembravano inermi. < Val? >

< Cosa? Ehm.. no > cercò di balbettare, ancora intontita, mentre entrava in camera.

< Devi per forza restare > chiuse la porta e Valery intravide ancora quel tatuaggio, che aveva visto sotto la doccia, dietro la schiena.

< No.. è tardi > obiettò, cercando di trovare una scusa plausibile per andarsene. Jackson le si avvicinò per convincerla, ma Valery indietreggiò, cercando di resistergli.

< Appunto.. > si avvicinò ancora e Valery indietreggiò verso il bancone della cucina < buona motivazione per restare > si avvicinò ancora di più, finendo per far andare a sbattere Valery contro il bancone.

< Ok. Mi hai convinta > deglutì fortemente mentre sentiva ogni cellula del suo corpo contrarsi < Vado.. a farmi una doccia.. > Jackson le dette un asciugamano e si ritirò in bagno. Una bella doccia fredda fa sempre bene per attutire ogni specie di bollore. Avrebbe voluto urlare per quanta freddezza le scivolava addosso, ma ne aveva bisogno. Ad ogni getto d'acqua gelida le si mozzava il respiro. Poggiò la mano al muro della doccia e chiuse il getto d'acqua. Le tornò in mente quel giorno alle terme. La sua schiena, la sua pelle, il suo petto, ad un passo da lei. Con le dita, immaginava, di incorniciare ogni tassello dei suoi addominali, di sfiorare il suo tatuaggio sul petto, di sfiorargli le labbra carnose. Aprì l'acqua e il gelo le agghiacciò la fantasia.

Uscì dalla doccia e si avvolse l'asciugamano attorno, per poi tornare da Jackson, che indossava, per farlo apposta, solo i pantaloni della tuta. La doccia fredda, non sarebbe servita a molto.

< Mi serve un pigiama > Jackson si girò. La vide avvolta in quel piccolo asciugamano che lasciava scoperte le gambe. Si alzò di scatto e le indicò il cassetto in cui erano riposti i vestiti, senza distogliere lo sguardo da lei. Valery andò per aprire il cassetto ma non si apriva, anche dopo vari tentativi.

< Jake! Non si apre! > si lamentò tirandolo con forza per le maniglie.

< Hai la forza di un criceto! > la criticò con un sorriso beffardo, mentre le andò dietro, per aiutarla ad aprire il cassettone < Faccio io > Valery lo sentì avvicinarsi dietro di lei, sentì il suo respiro sulla pelle scoperta, era troppo vicino. Spostò le mani, lasciando spazio alle sue e lui tirò con la metà della forza che impiegò Valery per aprirlo. La spinta del cassetto la portò a indietreggiare leggermente contro Jackson, che se la ritrovò felicemente tra le braccia. < Visto? Non era difficile > Jackson posò fugacemente il suo sguardo sulla spalla scoperta di Valery, che sfiorava col respiro, desideroso di posarci sopra le labbra, prima che si girasse verso di lui e schiarirsi la voce. Averlo così vicino non la faceva ragionare, non capiva perché dovesse stare dietro di lei, come un gufo notturno. Mise le mani sul cassetto, in attesa che Jackson le indicasse la roba che avrebbe dovuto usare. < Qui ci sono dei pigiami > disse fissandole il collo < e queste sono alcune tute > balbettò con attenzione rivolta a tutt'altro. Tutta la resistenza che aveva avuto per quei mesi interi, sembrava inutile. Forse era l'alcol in circolo, ancora nelle vene, o forse era l'adrenalina che ancora non aveva finito di scorrere per tutto il corpo dopo quella scazzottata con Alberto, ma, Valery era lì, davanti a lui, e l'unica cosa a cui pensava era volerla per sé. Tutti i problemi, tutti i freni che si era dato, i paletti che aveva messo, erano come spariti. Era lì. Lasciandosi trasportare dai pensieri, le mani andarono per conto proprio e incontrarono le sue, e come se fosse un riflesso incondizionato richiamarono i loro sguardi. Valery lo sapeva. Se fosse rimasta, se avesse ceduto, non sarebbe più stato come prima. Ormai era chiaro, niente poteva essere più nascosto. Il cuore iniziò a batterle e la confusione prese il sopravvento. Tra giusto e sbagliato c'era un piccolo, sottile spessore. Quello spessore erano loro.

Le scostò i capelli, scoprendo la spalla e la sfiorò con le sue labbra, salì sul collo e incontrò le labbra. Valery si girò verso di lui e toccò il suo tatuaggio sul petto, per poi ritornare con lo sguardo su di lui. Fissandola dritto negli occhi, chiuse dietro di lei il cassetto e la spinse con sé contro l'armadio. Quegli occhi non potevano essere fraintesi. Erano ricolmi di desiderio e Valery non poteva nascondere che stavano viaggiando sulla stessa lunghezza d'onda. Gli intrecciò le mani intorno al collo e quasi con paura avvicinarono le loro bocche, assaporandosi ogni piccola attesa, godendosi ogni istante. Sapevano entrambi cosa sarebbe successo se non si fossero fermati. La voglia di appartenersi e la paura di farlo veramente. Jackson le sfilò l'asciugamano lentamente, scoprendo ogni centimetro della pelle che rimaneva nascosta, sfiorò delicatamente con i polpastrelli i suoi fianchi e la strinse di più a sé, causandole brividi lungo la schiena. Gli accarezzò il viso, partendo dagli occhi, incorniciando la ferita sullo zigomo, il naso, per finire sulla bocca e Jackson gemette sotto il suo tocco gentile.

< Val.. > disse in un sussurro.

< Ssh > gli posò l'indice sulle labbra, tenendo gli occhi impassibili sulla bocca. Valery spostò lo sguardo sul suo e lì lo capì. Si era innamorata di Jackson. Ma non innamorata, infatuata. Innamorata da: potrei donarti un rene se ne avessi bisogno, anche se ne avessi solo uno. L'unica cosa che pensava non avrebbe mai fatto, l'unica cosa che si era ripromessa di non voler fare mai, lì, in quel momento, era la cosa più giusta, la cosa che più aveva senso. Il posto in cui doveva essere. Avvicinò ancora le labbra alle sue con forza e determinazione. La prese in braccio e la posò sul letto, consapevoli che quella sera sarebbe cambiato tutto. Gli sfilò i pantaloni e si posò su di lei, ignaro di quello che provasse per lui. Le accarezzò i capelli con occhi sognanti e uno sguardo sempre più perso ogni attimo che passava. Era quello che sognava da tempo e averla lì, tra le sue braccia, gli faceva scoppiare il cuore dal petto. Si baciarono ancora e avvicinarono i loro corpi, diventando uno solo. Potevano sentire i loro cuori battere all'unisono. Si abbandonarono l'uno all'altra e quella notte, ogni loro paura, principio costruito secondo anni di teorie e storie finite male, non ce n'era neanche l'ombra.
Erano Jackson e Valery.
Erano perfetti.

 

 

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Capitolo 9
*** Attento a quel che desideri ***


9. Attento a quel che desideri

 

Uno spiraglio di luce svegliò Jackson. Mugugnò prima di rendersi conto che Valery fosse con lui nel letto. Aveva le mani poggiate sul suo petto, dormendo beatamente. Le scostò le ciocche di capelli ribelli che le coprivano il volto e la osservò dormire. Quel senso di beatitudine nel suo viso s'impadronì di lui e le diede un delicato bacio sulla fronte, che non scalfì minimamente il suo sonno. Le accarezzò i capelli per un po', annusando il suo profumo, sorrise nel vederla tra le sue braccia e si ritrovò a sperare che quel momento potesse non aver fine. Mentre la guardava dormire, iniziò a pensare a cosa sarebbe accaduto una volta svegliata. Cosa sarebbero stati? Valery sapeva che le relazioni stabili non erano un'abitudine per Jackson ma era disposta ad assecondarlo? Si alzò dal letto, spostandole le mani, cercando di non svegliarla, e andò a preparare la colazione al piano di sotto. Non sapeva cosa sarebbe successo dopo quella notte. Forse aveva rovinato tutto. Una nuova emozione prese il sopravvento sul suo umore. Era paura. Paura di perderla. Si scrollò quel pensiero di dosso e fischiettando preparò la colazione.

L'odore forte del caffè sveglio il sonno turbolento di Valery. Per quei secondi che anticipano il vero risveglio, non si accorse di dove fosse. Si guardò intorno ignara ancora di cosa la stesse aspettando. Intravide il suo asciugamano per terra e sentì freddo. I suoi occhi non potevano non notare il suo corpo nudo a contatto col lenzuolo. Il torpore di quei secondi svanì e si ricordò tutto immediatamente. Non era stato un sogno.

Lei e Jackson avevano passato la notte insieme.

Si sedette sul bordo del letto e cominciò a pensare a tutte le possibili reazioni che potrebbe aver avuto Jackson. Ad una eventuale catastrofe o ad una relazione. Cosa sarebbe accaduto? Vide la camicia di Jackson stesa sulla sedia, la prese e per un attimo sorrise, ricordandosi di quanto gli stesse bene la sera scorsa. Si morse il labbro e l'annusò. Il suo profumo era ancora impregnato su quel pezzo di stoffa e la indossò, era abbastanza lunga e larga da coprire il necessario, si portò al viso le maniche, per annusare ancora quel profumo. Era inutile, averlo accanto la faceva stare bene. Il cuore accelerò il battito e si rese conto ancora una volta, che aveva lasciato carta bianca a quel sentimento che tanto amava e che tanto odiava. Afferrò i suoi slip e si recò in bagno per vedere le sue condizioni. Si lavò la faccia e si avvolse i capelli in uno chignon sbarazzino. Posò le mani sul lavandino e fece il punto della situazione, rimanendo più calma possibile.

“Sei andata a letto con Jackson” sussurrò guardandosi negli occhi allo specchio.

Sei-andata-a-letto-con-Jackson!” alzò la voce e subito dopo si coprì la bocca, Jackson era nella sua stessa casa, non doveva farsi sentire. Si lavò nuovamente la faccia, sperando che fosse un brutto sogno. Un bellissimo brutto sogno. Tornò nella stanza, con lo stomaco pieno di paura. Respiro lentamente ma l'aria che entrava nei polmoni sembrava non calmarla affatto. Era al corrente del modo di pensare di Jackson, ma non era pronta ad un rifiuto. Scese le scale e vide le spalle nude di Jackson. Si fermò alla fine delle scale, appoggiandosi alla ringhiera in legno per contemplare quel momento. Lui che armeggiava con i fornelli, dopo una notte che avevano passato a fare l'amore. Sorrise, immaginando che sarebbe potuta essere una bella abitudine. Era così sbagliato essere innamorata del proprio miglior amico? Non poteva nasconderlo ormai. Si era innamorata di Jackson, dell'unica persona di cui non avrebbe mai dovuto. Di quel ragazzo che aveva idee totalmente contrastanti alle sue. Più si chiedeva come era potuto accadere e più si confondeva, come era possibile amare qualcuno di talmente differente?

Si incamminò verso di lui e l'olfatto percepì un buon profumo di pancakes appena fatti. Jackson sentì dei passi dietro di lui e sorrise, aspettando che fosse lei a salutarlo. D'istinto gli cinse i fianchi e Jackson rabbrividì a causa delle sue mani fredde, fece capolino alle sue spalle per vedere cosa stesse preparando.

< Ehi! Ti sei svegliata! > girò la testa per poter incrociare i suoi occhi e rimase ammaliato. Quella mattina le parve più bella del solito < Caffè? > chiese canticchiando.

< Si grazie.. > rispose piacevolmente sorpresa dalla pace che lo aveva avvolto. Posò la tazza di caffè accanto alla colazione che le aveva preparato e si girò verso di lei, con le mani appoggiate al bancone e le cinse la schiena.

< Buongiorno > s'incantò a guardarla mentre ancora lo teneva tra le braccia e Valery si stupì ancora per il modo intenso in cui la guardava.

< Buongiorno.. > balbettò insicura se essere contenta o impaurita. Sapeva che Jackson non era l'iter del fidanzato innamorato, quindi non si aspettava quel genere di attenzioni, al momento era alquanto confusa su quel fronte, ma non poteva negare quanto le piacessero. Guardò la colazione nel piatto, dietro di lui e poi riportò lo sguardo sul suo, il quale non si era mosso di un millimetro < prepari la colazione a tutte le donne che ti porti a letto? > chiese Valery per affrontare l'argomento. Jackson sorrise per il modo diretto con cui aveva deciso di parlarne e addentò un pancake che aveva nel piatto, mentre si rese conto della camicia che indossava Valery. Lasciava scoperte gran parte delle cosce e un brivido gli corse lungo la schiena. Toccò il colletto della camicia e lo sollevò per sbirciare sotto ma Valery gli prese la mano e la riposò dietro la schiena, divertita.

< Non è mia abitudine > rispose sorridendo per il gesto pudico precedente. Indicò la sua camicia, cambiando argomento < Sta molto meglio a te che a me > ammiccò spudoratamente e continuò a fissarle le gambe < dovresti usarla più spesso > sul volto gli apparve un dolce sorriso, Valery fece fatica a credere che quello stesso sorriso potesse essere solo un'illusione.

< Ed è tua abitudine fissarle in questo modo mentre cercano di mangiare? > chiese sorridendo mentre masticava la colazione.

< Non è mia abitudine vederle mangiare > puntualizzò bisbigliando, avvicinandosi al suo viso. Averlo così vicino oscurava le sue inibizioni, era come se in quel pancake ci fosse stata una sostanza stupefacente che la facesse distrarre da ciò che era giusto. Le sfiorò le labbra ancora gonfie dalla sera prima e le intrappolò tra le sue. Entrambi cercavano di evitare l'argomento, perché sapevano a quali domande avrebbero dovuto rispondere e sapevano che le risposte non sarebbero state le stesse. Jackson la sollevò dolcemente e la posò sul tavolo, senza staccare le labbra dalle sue, come se un distacco potesse far fuoriuscire pensieri indesiderati, ma Valery si fermò per riprendere fiato sfiorandogli ancora le labbra con le sue. Si rese conto di quanto fosse bello essergli accanto in quel modo, di quanto fosse emozionante sembrare una cosa sola, perché un po' già lo erano, ma sapeva anche che non poteva vivere nell'illusione, doveva affrontare ciò che era la realtà, sapere se c'era anche una minima speranza che per lui avesse contato qualcosa la sera scorsa. Titubò per un attimo, prima di riparlarne, ma poi continuò.

< Jake.. > Jackson alzò lo sguardo sui suoi occhi < cosa stiamo facendo.. > le sfiorò la bocca con le dita, scendendo dolcemente fino alla coscia nuda. Non si aspettava di dover dare delle risposte in così poco tempo, risposte che ancora non aveva < che significa? > balzò in avanti dal tavolo, andandogli incontro. Gli occhi avevano perso la pace che gli avevano visto poco prima e la cupezza, che era solito indossare, si era fatto di nuovo strada tra la sua personalità. Si era spento quello che non avrebbe mai voluto accendere.

< Non lo so > rispose fugace, abbassando lo sguardo. Valery sapeva cosa voleva, come era perfettamente in grado di rispondere chiaramente a quella domanda, era altrettanto al corrente che lui non avrebbe mai dato la sua stessa risposta.

< Ok > si schiarì la voce e si diresse verso le scale. Si sentì una stupida. Lei aveva appena realizzato di amarlo e lui era rimasto alla fascia amici per la pelle che qualche volta si divertono. Si sentiva stupida e arrabbiata, con tutti. Per aver permesso a sé stessa di lasciarsi andare con Jackson. Con lui che le aveva fatto credere di provare ciò che in realtà non provava. Con Meredith che l'aveva lanciata in pasto ai leoni, per divertirsi, come se quello che adesso provava fosse divertente. Lo sapeva che l'avrebbe fatta soffrire. Lo sapeva che doveva stargli alla larga. Lo sapeva..

< Val? > le andò incontro < ho fatto qualcosa di sbagliato? > la prese per il braccio, facendola voltare verso di lui.

< No.. Sono io, ok? Io non.. sono così! > si portò la mano alla testa < non vado a letto col primo che capita > il volto di Jackson si corrugò.

< Oh Oh.. non curarti dei miei sentimenti mi raccomando > esclamò con voce spezzata.

< Scusami! Non volevo dire questo! > gli si avvicinò, toccandogli il petto, in un gesto quotidiano, che le riportò alla mente la sera scorsa, come un flashback. < Jake.. > lo sguardo di Jackson ritornò sulle sue labbra, si avvicinò per baciarla ma Valery lo interruppe malvolentieri < Jake.. cosa stiamo facendo? > ripetette la domanda con lo sguardo fisso sulle sue labbra, lasciando che quelle parole perdessero di significato, 

< Vuoi sapere perché è successo? > Valery annuì, intontita da quella vicinanza < Ti penso continuamente, Val. Non hai idea di quanto sia stata dura per me, ho represso i miei pensieri per non...arrivare a questo, ma ieri.. non so dirti cos'è successo. Tu eri lì davanti a me e mi guardavi in quel modo e io...non ho resistito > era stato il discorso più vero e sincero che avesse mai fatto. Quasi sorrise, ma aveva bisogno di sentirsi dire quello che sperava pensasse.

< E cos'è stato per te? > Valery cercava il suo sguardo mentre gli occhi di Jackson iniziarono a sballottare ovunque, cercando una risposta adeguata ad una domanda a cui nemmeno a sé stesso riusciva a dare una risposta. Avrebbe dovuto dirle che era stato magico. Che lei era quella che non voleva perdere, ma non lo fece. Non poteva costruire con lei un castello, se non credeva nel progetto e lei meritava quel castello. Meritava tutto quello che lui non era in grado di darle. Abbassò gli occhi e Valery capì ciò che Jackson le aveva fatto intendere col suo silenzio. Non sarebbero mai stati una coppia. La paura che aveva negli occhi la poteva vedere da lontano. Abbozzò un mezzo sorriso, riprendendo a salire le scale.

< Aspetta > cercò di afferrarle un braccio ma si dimenò ed entrò in camera per prendere i vestiti e andarsene < Val! > le urlò davanti alla porta.

< Non c'è altro da dire > raccolse tutte le sue cose e andò in bagno a cambiarsi. Buttò per terra la camicia che indossava e si poggiò al lavandino, mentre Jackson bussava alla porta. Più che con Jackson, era delusa da sé stessa. Jackson glielo aveva ripetuto un sacco di volte che la vita di coppia non gli si addiceva. Era risaputo. Si era fatta trasportare dai suoi sentimenti e alla fine ci aveva rimesso solo lei. Amava una persona che non avrebbe mai ricambiato. Le scappò una lacrima e cominciò a vestirsi. Si guardò di nuovo allo specchio e si accorse che le lacrime cominciavano a cadere senza darle il tempo di asciugare le precedenti. Si lavò la faccia e cercò di non piangere. Uscì dal bagno, senza degnarlo di uno sguardo, gettò la camicia sul letto e si dileguò in fretta al piano di sotto, senza dar retta a Jackson che intanto la rincorreva. < Cavolo! Ascoltami! > le sbarrò la strada davanti alla porta d'ingresso e Valery alzò la testa minacciosa.

< Che vuoi? >

< Perché ti comporti così? Che ho fatto? Dimmelo! > Valery si portò le mani alle tempie, per cercare di ricordarsi di respirare.

< Hai fatto l'amore con me, Jackson. So che per te è una cosa normale! Lo capisco. Ma perché io? Perché non hai scelto qualcun altra? Perché ti sei preso gioco di me? Lo sai che per me è una cosa importante e tu..> sentirla parlare in quel modo gli fece venire un magone alla bocca dello stomaco. Non sopportava di vederla così e sapere che era colpa sua se fosse ridotta così.

< Non mi sono preso gioco di te! > le cinse le spalle < Ascoltami bene.. > il respiro di Jackson si fece più corto e intenso e Valery rimase stregata dai suoi occhi profondi. < Non ho mai pensato di prenderti in giro. Tengo a te come non ho mai tenuto a nessun altra e stanotte è stato bellissimo con te > in quegli occhi vedeva una luce che non aveva mai visto, ma voleva sentirselo dire.

< E allora dimmelo Jake. Guardami negli occhi e dimmi veramente che cosa ha significato per te stanotte > più i secondi passavano e più gli occhi le si velavano di lacrime. Avrebbe tanto voluto che glielo dicesse. Che ammettesse che anche lui provava qualcosa per lei. Che per lui, lei era importante quanto lo era lui per lei. La guardò più intensamente di quanto non avesse mai fatto prima, ma non riuscì a parlare. A confessare quello che sentiva, perché in realtà non lo sapeva. Sapeva solo che non l'avrebbe mai resa felice. Non sarebbe mai stato quello di cui Valery aveva bisogno e non poteva prenderla in giro. Lei capì, gli accarezzò la guancia e senza vergogna, si fece scappare una lacrima. Lui non avrebbe risposto e lei non avrebbe potuto aspettare una risposta che non c'era. Fece un mezzo sorriso. < Non importa > si asciugò la guancia e aprì la porta.

< Val, io.. >

< Non importa > disse interrompendolo < non sei fatto per questo genere di cose, l'ho capito. Non è colpa tua. È solo colpa mia.. > si girò per andarsene < Ho solo immaginato che stavolta sarebbe stato diverso. È evidente che avevi ragione tu. Hai vinto tu a questo gioco > si riferì al giorno in cui andarono al mare. “Forse è solo una tecnica che uso con le ragazze per farle innamorare di me. Lo sappiamo tutti che le ragazze sono patologicamente attratte dai ragazzi senza speranza, misteriosi.. come se fossero cagnolini con la zampetta rotta. Magari ti sto usando, potresti cadere nella mia trappola” le disse quella volta. L'aveva avvertita indirettamente, ma lei non ascoltò. Era caduta miseramente nella sua trappola e nemmeno se n'era accorta.

< Val.. > richiamò la sua attenzione. < a me importa di te > disse con tutta la dolcezza di cui era capace. Era combattuto dal desiderio di averla per sé e dalla paura di non essere capace di custodirla. Le prese il volto tra le mani e lei sorrise, cercando di non piangere.

< Lo so > gli occhi cominciavano di nuovo a pizzicare. Gli staccò delicatamente le mani dal suo viso < solo che non basta Jake.. > Jackson guardò i suoi occhi sofferenti e si sentì spaesato.

< Che significa? > la guardò dritta negli occhi e ad un tratto afferrò la risposta. La paura che aveva sentito prima tornò dirompente. Valery abbassò lo sguardo. Poi lo rialzò e gli sorrise, accarezzandogli la guancia.

< è meglio che vada > desiderosa di toccarlo un'ultima volta lo baciò delicatamente sulla guancia e chiuse gli occhi, per assaporare il suo profumo, la sua pelle morbida, la barba che le piaceva tanto, in pochi secondi. Jackson l'afferrò e la strinse forte a sé, capì che non era un semplice saluto tra amici e il pensiero di non tenerla più tra le sue braccia lo faceva impazzire. Annusò i suoi capelli e trovò il posto perfetto per la sua testa nell'incavo della sua spalla, non si era mai accorto quanto fosse piacevole quel posto. Non dissero niente, fecero parlare i loro corpi soltanto.

Valery si divincolò e scese le scale. La guardò andarsene, ancora non convinto di quello che era appena successo.

< Val! Siamo ancora amici.. vero? > la voce rimbombò nella sua testa e si girò ancora una volta verso di lui. La saliva si arrestò e le lacrime in attesa di cadere. Cosa significava essere amici, adesso? Non potevano essere amici. Come avrebbe potuto essere sua amica se tutto quello che desiderava era amarlo senza riserve? Annuì debolmente, senza troppa convinzione e uscì dal portone. Si chiuse il portone in faccia e ci poggiò la testa. Come potevano essere cadute le sue certezze? I suoi principi? Le sue fortezze? Jackson aveva buttato giù tutto e senza di lui non riusciva nemmeno a respirare. Le lacrime che aveva cercato di trattenere, avevano preso il via e le lasciò asciugare dal vento pungente di gennaio, mentre si dirigeva verso casa nel vestito rosso appariscente della sera prima. Non le fregava niente della gente che la vedeva piangere, neanche la notava, erano solo puntini neri che la distanziavano da Jackson. Ogni passo verso casa, era un passo che la allontanava da Jackson e non sapeva se avrebbe avuto abbastanza forza da ripercorrerli ancora.

Jackson rimase sulla porta di casa ancora scosso dall'immagine di Valery davanti a sé. Dopo qualche minuto chiuse la porta e si accasciò sul divano. Avrebbe dovuto rincorrerla, come fece a capodanno. Avrebbe dovuto prenderla e portarla a casa. Avrebbe dovuto.. tante cose, ma restò inerme sul divano, pensando e ripensando a quello che era successo. Quella paura si tramutò in realtà. L'aveva persa. Come amante, come amica, come compagna. Era finito tutto. Squillò il telefono: era Alex. Non rispose. Si sfregò gli occhi. Le labbra ancora pulsavano per il bacio di qualche minuto prima. Le sentiva ancora addosso. Si coprì il volto tra le mani e percepì il suo profumo tra le dita.

< Sono ufficialmente impazzito > prese una birra dal frigo, accese lo stereo e si fece una doccia, sperando di far scivolare da dosso tutto quello che era successo, per poi ritornare sul divano.

Intorno a lui c'era un gran disordine dovuto alla festa. Patatine sbriciolate dappertutto, birre scolate e bicchieri rovesciati per terra. Ma non solo l'esterno era confusione, anche l'interno. L'interno del suo cuore era ridotto in macerie. Per l'ennesima volta aveva fallito. Aveva ferito una delle poche persone che erano riuscite a volergli bene per quello che era. < Quanto sei stupido > Sentì la vibrazione del telefono: Alex. Accettò la chiamata, con poca cortesia.

“Ehi.. ti devo parlare”

“Ok”

“Vengo da te?”

“Ok”

“Tutto bene?”

“Si”

“Baldoria ieri sera, eh? Arrivo tra poco”

“Ok, a dopo” chiuse non curante la chiamata. Ogni cosa gli dava fastidio in quel momento. Tutto quello che aveva intorno gli sembrava insignificante, grigio. Prese un sacco dell'immondizia e vi raccolse i rifiuti, mentre aspettava Alex, che arrivò dopo poco.

< Caffettino e cornettino dal bar! > esclamò allegramente, alzandoli come fossero dei trofei. Jackson si limitò a sorridere e a continuare di bere birra. < Hmmm. Non è buona abitudine bere di prima mattina > aprì la busta che conteneva i cornetti e gliene porse uno. < Tieni > lo scansò con la mano con aria disgustata e continuò a bere. < Che è successo? > chiese infine. Jackson sembrava non voler rispondere e continuava a fissare un punto fisso davanti a sé, ignaro dello sguardo di Alex su di lui. < Un momento.. sbaglio o hai il labbro gonfio? Hai fatto di nuovo a botte? > si toccò il labbro inferiore e si ricordò della ferita insorta dopo la lite con Alberto che collegò a Valery, che lo riportò a ieri notte, a quella mattina, al litigio con Valery, ai suoi occhi che gridavano dal dolore e alle sue spalle che aveva visto andar via. Un flusso infinito di pensieri che lo portarono ad una costante incapacità di tenersi le cose a cui tiene veramente. < Jake! > canticchiò il suo nome scuotendo la mano davanti agli occhi. Per l'impazienza gli sfilò la birra che teneva in mano e subito lo fulminò. < Oh! Vedo che hai ancora dei riflessi visivi almeno! > si alzò dal divano e aprì il frigorifero. Senza ribattere, ne stappo un'altra e sprofondò sul divano, nel punto esatto in cui era pochi istanti prima. < Ok.. non vuoi parlare. Afferrato. Parlo io, allora > si mise comodo sul divano e addentò il cornetto. < Ho letto il tuo messaggio stamattina, ieri notte ero troppo brillo per poterlo fare e.. anche impegnato. Sono stato con Meredith. Nella mia casetta in campagna, presente? > lasciò cadere la testa sulla testata del letto e continuò con occhi a cuoricino a raccontare tutto quello che era avvenuto. < Non ci avevo mai portato nessuna. Neanche Jessica. Non so.. è sempre stato il mio piccolo rifugio, un posto soltanto mio, però.. non lo so! Lei.. > sospirò e si toccò il petto mosso da una grande gioia < Jake.. sono sicuro di essermi innamorato. Lo so con certezza. È l'unica cosa di cui sono sicuro da tempo > posò lo sguardo sull'amico, ma vide i suoi occhi spenti e vuoti. < Lo so. Lo so a cosa stai pensando > “Non credo” pensò Jackson. “L'unica cosa a cui penso è a Valery e sicuramente i tuoi discorsi da innamorato mi stanno solo facendo innervosire” < pensi che sto sbagliando e che Jessica non si merita nulla del genere! E hai perfettamente ragione! > finì la birra che aveva rubato a Jackson e la posò sul tavolo, alzandosi in piedi < Per questo ho preso una decisione. > s'interruppe e guardò il suo migliore amico. < Ho deciso di lasciare Jessica > la conversazione cadde nel silenzio e dopo tutto il discorso gli occhi di Jackson si posarono lentamente su Alex, mentre cercava di assimilare la notizia appena ricevuta. Alex fremeva, nell'attesa di una sua reazione.

Inclinò la testa e bevve l'ultimo sorso rimasto nella bottiglia. < Che vuoi che ti dica? > domandò dopo minuti di silenzio.

< Non lo so.. qualsiasi cosa! Tipo.. Sei sicuro di quello che stai facendo? Oppure: sono felice per te! Ma almeno hai sentito quello che ho detto? > esclamò basito dalla reazione menefreghista del suo migliore amico.

< La seconda > disse alzandosi dal divano.

< Come? >

< La seconda.. > prese le birre e le buttò nella spazzatura, mentre gesticolava con la mano destra per ricordarsi le frasi che aveva appena recitato Alex. < sono felice per te! Credo che fosse così, giusto? > Alex si strinse le labbra e tentò di dire qualcosa ma si bloccò, afferrando i lati dello schienale della sedia per trattenersi dal dire qualcosa di cui si sarebbe pentito.

< Puoi almeno.. fingere che ti vada bene? > gli chiese educatamente < con più entusiasmo, magari! > prese il cappotto che aveva appeso all'appendiabiti e lo indossò. < Non so cosa tu abbia o cosa ti passi per la testa! So solo che ieri ho preso una decisione importante che mi cambierà la vita e l'unica cosa che volevo stamattina era condividerla con te, prima di dirlo a chiunque altro! Prima di dirlo a Meredith e a Jessica. Perché è questa l'amicizia Jackson! Si condividono le cose importanti, sia belle che brutte! Sai perché? Perché io mi fido della tua opinione > aprì la porta e prima di uscire si voltò verso di lui che sistemava compulsivamente le cose sul comodino della sala < Dirlo a te.. lo rendeva.. vero! > affermò sorridendo < non mi aspettavo un pieno riconoscimento, accompagnato da una benedizione sulla relazione con Meredith, credevo solo che avresti capito e avresti accettato la mia scelta. È così che si comportano gli amici. Dare supporto anche quando pensano che stanno sbagliando non, fregandosene altamente. Amo Meredith e starò con quella ragazza. Fattela piacere > chiuse la porta e Jackson lasciò quello che stava facendo. Non riusciva a connettere il cervello quella mattina. Non voleva parlare. Non voleva ridere, ascoltare, raccontare e sentire della felicità degli altri. Sapeva che aveva trattato Alex con totale sufficienza, come se fosse un essere inferiore e non meritasse la sua attenzione. Si sentì uno schifo, più di quello che già si sentiva.

Si recò in camera. Prese il borsone da viaggio e ci mise qualche maglietta e qualche pantalone. Quella casa era diventata soffocante. Aveva bisogno di aria.

Accese la moto e partì.

 

Valery arrivò a casa e aprì la porta. Raisa la vide sul portico e le si avvicinò.

< Val! > Valery l'abbracciò e scoppiò in lacrime, stringendola forte. < Val.. > le prese il volto tra le mani e la fece sedere in soggiorno. < Vuoi parlarne? > scosse la testa e la posò sul suo petto, accarezzandole i capelli. Sentì dei passi pesanti dietro Raisa e avvertì una presenza. Si asciugò le lacrime e si alzò dalla posizione in cui era. Guardò oltre le spalle di Raisa e vide un uomo che la fissava. Il cuore iniziò a battere più velocemente e il respiro a farsi più corto. Raisa si voltò e si rese conto della sua reazione. < Posso spiegarti > lo sguardo di Valery si spostò verso Raisa con aria interrogativa e poi ritornò verso quell'uomo.

< Come sei cresciuta > quella voce rauca, riecheggiava per tutta la stanza e un senso di rabbia le pervase tutto il corpo. Quella voce. Quel volto.

< Pensavi che sarei rimasta una piccola bambina indifesa durante la tua assenza, papà? > enfatizzò sull'ultima parola con un pizzico di sarcasmo. Per lei non era un padre. E quella mattina non era iniziata affatto bene. Come si era permesso di ritornare? La sua voce, i suoi occhi, il suo viso, non era cambiato per niente, a parte qualche ruga degli anni passati.

< Che significa? > si rivolse a Raisa. Aveva ripetuto troppo quella domanda fin'ora.

< E' tornato ieri sera, cosa dovevo fare? Mandarti un messaggino? >

< Forse! > lanciò uno sguardo di disgusto verso il padre < forse.. mi avrebbe fermato dal fare un errore.. > bisbigliò impercettibilmente e tornò con la mente a Jackson e tutto apparve ancora più confuso. Iniziarono a pulsarle le tempie e tutto le sembrava sfocato. L'amore che provava per Jackson, Jackson che non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti, suo padre che era tornato e quello che avrebbe dovuto affrontare. Non poteva sopportarlo.

< Vuole solo parlarti > disse Raisa, vedendola già persa nei suoi pensieri.

< Parlarmi? > rise sarcastica < E di cosa esattamente? > si avvicinò con passi guardinghi verso suo padre < Del perché te ne sei andato? Del come, te ne sei andato? Di come tu mi abbia mentito? Oppure di come hai fatto ad abbandonarmi a soli 6 anni dopo la morte della mamma e di Luke? > gli si avvicinò pericolosamente al viso < Come hai potuto? > lo superò senza aspettare risposta. Andò in camera e si cambiò. I suoi vestiti non erano del tutto appropriati per uscire. Indossò una tuta e senza chiedere permesso, uscì di casa. Prese il cellulare e si indirizzò verso il numero di Jackson. Ripensò che non era il caso di chiamare il ragazzo che le aveva spezzato il cuore. Anche se era l'unica persona da cui volesse andare. Si sedette su una panchina e osservò le persone passare. Riprese il cellulare e lo riposò. Mandò un messaggio a Meredith. Era inverosimile. Suo padre era tornato. Cercò di trovare mille scuse per le quali sarebbe dovuto tornare proprio in quel momento. Troppe novità con le quali doveva fare i conti in breve tempo. Non era pronta.
P
rese un ramoscello. Si piegò e scrisse sul terreno. Stava iniziando a nevicare e a breve si sarebbe imbiancata. Sospirò e il suo respiro si trasformò in fumo bianco nell'aria. Si alzò dalla panchina e buttò via il rametto. Guardò la scritta per terra “Ti Amo” la cancellò con la scarpa e ritornò a casa. Come potevano due parole così piccole dare un così tanto dolore? Due parole che non gli avrebbe mai potuto dire, gli avrebbero attorcigliato lo stomaco. Ebbe la nausea quando i suoi pensieri si aggrovigliarono e solo l'idea di parlare con quell'uomo la fece rabbrividire ancora più di quanto già facesse il freddo di gennaio. Rimase davanti alla porta, cercando di pensare lucidamente, cosa difficile da fare. In poche ore era successo di tutto. Tutto quello che più aveva sperato e contemporaneamente temuto. Dietro quella porta, in casa sua, c'era suo padre, che non vedeva da 12 anni. Cercò di immaginarsi varie scene per capire come sarebbe potuta andare a finire, se avesse detto una cosa invece di un'altra. Aprì la serratura, pronta per incolparlo della sua assenza, per buttargli addosso tutta la rabbia che si era tenuta dentro in tutti quegli anni. Entrò, chiuse rumorosamente il portone e lui era lì, davanti a lei, ad aspettarla, preoccupato. Come se per un'ora e mezza fosse rimasto seduto sulla poltrona dell'ingresso, in attesa che rientrasse. I suoi occhi color ghiaccio si mischiarono nei suoi e non ce la fece a dargli tutta la colpa che aveva intenzione di sbattergli addosso. Intenta a dire in minima parte quello che pensava, cercava di non farsi prendere dai sentimenti.

< Non so perché sei tornato. Se lo hai fatto per me, potevi restare ovunque tu fossi. Se l'hai fatto per il senso di colpa, dovevi pensarci prima. 12 anni non si cancellano > disse diretta al padre.

< Voglio solo.. chiederti scusa > il padre le si avvicinò ma lei indietreggiò. < Ti ho trattata male, non lo meritavi. Perdonami >

< Hai avuto 12 anni per farlo> la guardò dolorante mentre Valery cercava di non dare sfogo alle lacrime.

< So che non ne ho il diritto, ma vorrei chiederti di passare del tempo con te. Vorrei.. >

< Devo pensarci > lo interruppe e si defilò prima che avesse tempo di ribattere.

Si sdraiò sul letto. Riprese la foto che aveva riposto nel cassetto. Sfiorò i loro volti, come faceva sempre quando li guardava. Era strano averlo lì. Nella stessa casa da cui se ne andò anni prima.

Sbuffò e gettò la foto per terra.

Il peggior inizio anno della storia. 
 

Angolo Queen_Of_Love: 
Salve a tutti!
Sono mancata una vita, sono mesi che non scrivo, faccio ammenda!!
Ho avuto molto tempo per scrivere quindi vi appioppo un paio di capitoli da leggere tutti d'un sol fiato!
Buona lettura!
Leggete, Recensite e scusate per gli errori che mi sono sfuggiti!
 Un bacione a tutti! :)

 

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Capitolo 10
*** Una Canzone d'amore per farti ricordare ***


Una Canzone d'amore
per farti ricordare

 

Jackson aprì il portone ed entrò in casa.

< Nonno? > si guardò intorno senza vedere nessuno < Ci sei? > fece capolino dal bagno e lo salutò, mentre gli andava incontro. < Resto da te per un po' > il nonno corrugò la fronte interrogativo. < Tranquillo, mi prendo il divano > posò il borsone sul divano e accese la tv.

< Mamma o papà? > chiese il nonno spostando il borsone dal divano.

< Nessuno dei due > fece zapping in tv, più per fare qualcosa che per guardare un programma.

< Capito. Problemi di cuore > disse canticchiando ironico.

< Sciocchezze >

< Ah già, dimenticavo.. tu sei quello forte senza sentimenti > a quell'affermazione spense la tv.

< Certo. Dillo anche tu. > lo indicò stizzito, alzandosi urtato dal divano < Solo perché non credo nelle etichette vuol dire che non abbia sentimenti? Perché ragionate tutti allo stesso modo? Perché non vi fermate un attimo e cercate di capire che una persona può percepire un sentimento diversamente rispetto a un'altra?! Non potrebbe piacermi una ragazza bellissima e meravigliosa, che mi fa ridere e mi fa stare bene, che sento come se mi completi e averla per me? No! Devo per forza definire il rapporto! Non posso semplicemente amarla a modo mio! Devo anche dirlo e costruire un futuro e una relazione perché altrimenti passo come un ragazzo presuntuoso egocentrico e pieno di sé! > diede libero sfogo alle parole che si era tenuto dentro per tutto il giorno e il nonno sorrise.

< Mettici anche fifone >

< Cosa? > disse ancora scosso da quel vomito di parole. < Ho dei sentimenti, ok? Semplicemente non capisco il motivo per cui dovrei iniziare una relazione se so già che è destinata a finire. Se so che non durerà per sempre. Perché soffrire? Risparmia tempo e vivi il momento > raggiunse la credenza e cercò qualcosa di commestibile. < E poi che significa che sono fifone? Avrei fatto a botte per lei se fossi stato un fifone? Questi come credi che me li sia fatti? > domandò al nonno indicandosi le ferite sul volto. < Sai che c'è? Mi sono scocciato delle persone > ritornò a sedersi sul divano con un pacco di patatine.

< Però! Dev'essere importante questa ragazza per farti arrabbiare così tanto > Jackson sbuffò e il nonno sorrise < Lo dici a nonno cos'è successo? >

< Te la ricordi Sara? > disse sospirando.

< La tua ex fidanzata > Jackson annuì.

< Mi lasciò e io non obiettai nemmeno.. non la rincorsi, non feci qualcosa per cambiare la situazione, nonostante fosse fantastica. Stavolta invece, ho avuto voglia di rincorrerla.. > sospirò ancora e s'infilò quante più patatine riusciva a mettersi in bocca. Sgranocchiò rumorosamente e sbuffò. < Faccio sempre così. Costruisco bei rapporti con belle persone, che mi accettano per quello che sono e poi finisco per rovinare tutto. Scappo da ciò che non posso controllare. È quello che mi riesce meglio. La mia natura >

< Vuoi scappare anche stavolta? > chiese il nonno dopo un lungo silenzio.

< Nonno.. non posso chiederle di aspettare che il mio modo di pensare cambi. Non so se cambierò mai > abbassò lo sguardo e notò il sacco vuoto delle patatine.

< Se continui così non credo che avrai più di questi problemi. Chi vorrebbe un ragazzo alcolizzato e con problemi di alimentazione? > gli apparve un sorrisetto sul volto e gli accarezzò la mano. < Sappiamo tutti e due il motivo per cui non riesci ad aprirti con le persone che ami. Spero che tu un giorno, ti lasci andare >.
 

< Ho cucinato io, oggi! > disse il padre mentre serviva la pasta nei piatti. < Sono diventato bravo a cucinare, sai? > disse allegramente a Raisa. < Tua sorella mi ha insegnato bene > sorrise mentre rievocava nella mente qualche ricordo di sua moglie e per un momento gli brillarono gli occhi. Valery ricordava quel luccichio. Glielo aveva già visto altre volte. Gli si illuminavano sempre quando vedeva la moglie. Ovunque fosse. Appena la guardava i suoi occhi cominciavano a brillare, come se senza di lei, non ci fosse luce. Dilettandosi in quel ricordo passato, le scappò un sorriso, che smorzò subito appena si accorse che il padre la stava guardando. < Ti piace? > le chiese.

< Si > rispose senza preamboli. Si scostò la ciocca di capelli dietro l'orecchio e il padre rise mentre la guardava. < Che c'è di tanto divertente? > chiese apatica.

< Quel gesto > indicò la ciocca che aveva appena spostato < è esattamente come lo faceva lei > abbassò lo sguardo ancora sorridendo e quella luce ricomparve nel suo sguardo. < è incredibile quanto le somigli > non riusciva a guardarlo senza volergli urlare contro. Qualunque cosa dicesse, aveva come effetto quello di farsi odiare da Valery, nonostante si proponesse di essere il più gentile possibile, aveva una grande amarezza dentro che non glielo permetteva.

< Non farlo > si alzò di scatto dal tavolo.

< Cosa esattamente? >

< Questo > disse indicando l'insieme del tavolo < recitare la parte del buon padre di famiglia, che cucina, ama perdutamente la sua moglie defunta e consola la figlia ancora in vita, come se non te ne fossi mai andato via! >

< Val.. tuo padre stava solo.. >

< Non è mio padre! > gli occhi di entrambi schizzarono su di lei, pieni di stupore e si abbassarono con la stessa velocità pieni di vergogna. < Dov'eri quando è morta la mamma? Quando è morto Luke? Quando avevo bisogno di te? >

< Val, mi dispiace tanto.. > i suoi occhi iniziarono a velarsi di dolore.

< Non me ne faccio niente delle tue scuse! Per giorni ho aspettato dietro alla finestra di camera mia, sperando di vederti arrivare da un momento all'altro. E quei giorni sono diventati mesi e poi anni! > le lacrime le incorniciarono il viso < Mi hai lasciata sola. L'ultima cosa che mi ricordo di te sono le tue spalle. Non sai quanto le ho odiate quelle spalle e adesso torni e ti comporti come se non te ne fossi mai andato. Ti ho aspettato per anni, poi però sono cresciuta e ho capito che non valeva la pena starmene dietro a quella finestra, perché ce la facevo benissimo a vivere senza di te > corse in camera sua e sbattette la porta, accasciandosi sul pavimento. Era piena di odio e rancore. Afferrò un peluche che si trovava per terra e lo lanciò dall'altra parte della stanza, urlando dalla rabbia. Si sedette sul bordo del letto. Il padre bussò alla porta ma non entrò. Stette dietro quella porta, con i pugni stretti e la fronte appoggiata, finché non trovò le parole giuste da dire. Quelle frasi gli avevano spezzato le vene, interrotto la circolazione. Si aspettava quell'odio, ma in cuor suo sperava che un giorno quell'odio avesse lasciato spazio al perdono.

< Sono stato un codardo e un vigliacco. Un padre irresponsabile. Il dolore della morte di tua madre e tuo fratello mi hanno accecato e sono stato talmente cieco da non vedere quello che mi era rimasto. Non vedevo che ancora c'era speranza per essere felice. Mi reputavo responsabile per la loro morte. Cominciai a bere quando morì tuo fratello. Per me la mia vita era finita. Ero invaso dal senso di colpa. Un giorno, mi chiedesti di prenderti in braccio, ti ricordi? > Valery si avvicinò alla porta, senza fare rumore e ascoltò attentamente ogni parola che pronunciava con quel timbro grave e tremolante per l'emozione < Ti guardai, dopo giorni che non lo facevo, e mi prese una fitta allo stomaco, somigliavi così tanto a tua madre. Avevi bisogno di me ma non riuscivo a pensare a come avrei potuto prendermi cura di te se.. non riuscivo nemmeno a guardarti > si avvicinò ancora di più alla porta, per quanto possibile. < sono imperdonabile > disse con occhi lucidi < non mi aspetto che tu mi perdoni. Non mi aspetto niente. Per anni, dopo la disintossicazione, sarei voluto tornare indietro ma mi è mancato il coraggio. Come potevo ripiombare nella tua vita da un momento all'altro? E più passava il tempo, più cresceva la mia vergogna > sfilò dalla tasca dei jeans il portafoglio. Lo aprì e prese una foto. La fece scivolare sotto la porta e si sedette per terra, appoggiato alla parete < L'ho portata sempre con me. Era il mio portafortuna > Valery ne osservò ogni dettaglio. Scoppiò a piangere. Quella foto ritraeva sua madre con un cappello buffo da feste di compleanno, seduta sul divano del salotto, con Valery e Luke in braccio mentre ridevano e le facevano i dispetti. < Te la ricordi? Era il giorno prima dell'incidente, festeggiavamo il mio compleanno > sorrise, ricordando quel giorno imprigionato nel passato. < Dieci giorni fa mi è caduto il portafoglio e si è aperto. Ho raccolto la foto e ho pensato come tutti i giorni a come fossi cambiata, alla meravigliosa donna che avrei potuto vedere. Sapevo che non sarebbe stato facile conquistare la tua fiducia ma.. avevo deciso di tornare da te. Spero che tu mi dia l'opportunità di essere quel padre che non hai mai avuto, Valery > sentì dei passi ritirarsi e con uno scatto improvviso aprì la porta.

Sentì la porta aprirsi e si voltò verso di lei, che stringeva tra le mani la sua foto, con gli occhi arrossati e il viso marcato dalle lacrime. Le sorrise e per la prima volta si rese conto di quanto fosse cresciuta la sua bambina. Le si avvicinò guardandola dritta negli occhi e le asciugò le lacrime posate sul volto. < Hai gli stessi occhi di tua madre. I suoi erano bellissimi > strinse i pugni per non permettere che la nostalgia vincesse sul rancore, ma averlo lì, a un passo da lei, le fece cadere ogni razionalità e lasciò andare libero il suo corpo. Cadde tra le sue braccia e lo strinse forte. Più forte che poté, come se quell'abbraccio dovesse bilanciare tutto l'affetto che gli aveva fatto mancare. Sentì il suo profumo intenso sul golfino, il suo calore paterno, le sue lacrime scivolargli sulla guancia. < Mi sei mancata così tanto, perdonami > Valery non parlò. Rimase in quell'abbraccio con gli occhi chiusi, sperando di recuperare tutti gli anni che avevano passato separati l'uno dall'altra.

 

Era difficile concentrarsi sull'imminente esame scritto di letteratura inglese quando nella sua testa s'ingarbugliavano pensieri su pensieri lontani anni luce dalla letteratura. Suo padre era tornato. Un misto di gioia e tristezza si aggrappavano al suo umore. La gioia di rivederlo a casa sua e la tristezza che vedeva nel suo volto quando si rendeva conto che era stato via troppo tempo. Troppo tempo per poter rimediare ad ogni ferita. Troppo tempo per poter rattoppare ogni buco. Per poter guarire ogni cicatrice lasciata aperta. E poi c'era Jackson a cui rifiutava ogni chiamata da due settimane. Non era ancora pronta per parlarne, non era immaturità, era la consapevolezza della sua vulnerabilità. L'ammissione a sé stessa per quello che provava per Jackson era in netto contrasto con quello che potevo essere. Due buoni amici. E lei questo, non potevo sopportarlo.

Mentre si lasciava trasportare dai propri pensieri, passarono dieci minuti abbondanti, che gli altri avevano ben investito cominciando a leggere il compito che avevano tra le mani. Ritornò lucida e tentò di concentrarsi, per superare l'esame. Daniel Defoe. Lo sapeva. L'aveva studiato. Recuperò i dieci minuti con netto vantaggio e andò avanti, finché non finì il tempo.

< Com'è andato? > chiese Riccardo, suo compagno di corso.

< Abbastanza bene, anche se poteva andare sicuramente meglio > si autocriticò.

< Cosa hai sbagliato? > chiese, mentre uscivano dall'aula.

< Non ho sbagliato le risposte ma non ho brillato nell'esposizione. Se leggessi il mio compito probabilmente penseresti che è stato scritto da una ragazza che nonostante abbia studiato molto, aveva molta fretta e nessuna voglia di scrivere di letteratura inglese > sbuffò e si guardò intorno < caffè? > Riccardo annuì e si recarono al bar sotto l'università.

< Cos'è successo a Wonder Woman? Ti vedo strana. E non dirmi che è per quello stupido esame > ironizzò Riccardo, sorseggiando il caffè.

< Presente i periodi statici? Così statici che ti annoi e allora vorresti tanto che accadesse qualcosa e... >

< E sei stata accontentata, ma adesso sono successe troppe cose insieme e vorresti tanto che tutto tornasse alla normalità? > lo guardò sorpresa come sempre della sua perspicacia.

< Esatto > finirono di bere il caffè e presero il pullman per tornare a casa. < Questo pullman è sempre pieno > disse lamentosa, mentre sistemava lo zaino.

< Sai com'è.. Siena è una città universitaria! > risero entrambi e a Valery cadde il burrocacao. < Me lo tieni un attimo? > gli porse lo zaino e si accasciò per riprendere il burrocacao disperso < Cavolo! Non lo trovo! >

< Imbranata! > sentì lo zainetto vibrare, aprì la tasca anteriore e prese il cellulare di Valery. < Ti chiamano! Rispondo? > le chiese.

< Si > rispose prima di connettere il cervello < No! Non.. > alzò la testa di scatto, sotto al sedile per fermarlo, ma Riccardo aveva già risposto.

“Pronto?” non riuscì a sentire la voce dall'altra parte. Il terrore che potesse essere Jackson, l'agghiacciò sul posto. “al momento è intenta a cercare un burrocacao che le è caduto sbadatamente, perché è un po' stupida” rise amichevolmente e Valery sperò veramente che non fosse Jackson. Riccardo era fatto così, parlava con tutti, non gli interessava chi aveva di fronte, lui era socievole, amava la comunicazione e l'amicizia. “comunque se aspetti un po' te la passo. Non dovrebbe metterci tanto” Valery alzò lo sguardo e gli prese il telefono per vedere chi fosse. I dubbi si tramutarono in un nome.

< No! Non ci sono! > bisbigliò smanettando istericamente. Riccardo rimase confuso e cercò di inventarsi qualche scusa.

“Ehm.. senti chiamala più tardi, adesso non può proprio rispondere.. sai com'è.. queste ragazze e i loro cosmetici!” era incredibile come rendeva ironica qualsiasi cosa. “Ciao Jackson! È stato un piacere parlare con te” staccò la chiamata amichevolmente e sentirgli pronunciare il nome di Jackson la fece trasalire. Si risistemò sul sedile dell'autobus e lo interrogò.

< Che.. voleva? >

< Parlarti.. non mi ha detto molto > Valery riprese il cellulare e lo richiuse in borsa. < lui è una delle situazioni che avresti voluto rimanessero statiche, scommetto > chiesa stuzzicandola.

< è la situazione che vorrei fosse dinamica, invece > Riccardo non poteva certo capire a cosa si riferiva. Il fatto di non poterlo avere perché non l'avrebbe mai amata. Questo avrebbe voluto che cambiasse. I suoi occhi si persero con la natura fuori dal finestrino e si riempirono di nuvole.

< Eccolo! > si accasciò dal lato sinistro, per terra e le porse il burrocacao. < Era caduto da quest'altra parte > le fece scappare un sorriso < Sei innamorata di quel tipo > le chiese mentre giocherellava col tappo del burrocacao.

< Si.. mi ero ripromessa di non cascarci >

< Le promesse che si fanno a sé stessi, sono le prime che si infrangono. Forse perché non ci rispettiamo o perché non ci prendiamo sul serio.. o forse perchè non aspettiamo altro che poterle infrangere > la vide ancora persa tra la natura mentre rifletteva su quello che aveva appena espresso. Si era ripromessa di non innamorarsi di Jackson ma forse aveva ragione Riccardo, una parte di sè aveva il disperato desiderio di amarlo in tutti i modo in cui poteva farlo < perché non gli hai risposto? > le chiese incuriosito dalla sua cupicità.

< Ho paura > confessò. Riccardo era uno delle poche persone all'università, che le stesse simpatica. Uno dei motivi era questo. Cercare di capire le persone, non per giudicarle, ma per aiutarle. < Amo una persona che non potrà mai ricambiare quello che provo per lui e non ce la faccio a stargli accanto sapendo questo. Ho paura per me stessa > Riccardo le sorrise e l'abbracciò.

< Sai cosa penso? Che se è talmente stupido da lasciarti andare, ti organizzerò un sacco di appuntamenti finché non se ne renderà conto! > le diede un bacio sulla fronte e scese alla fermata. Parlare con lui, l'aveva fatta stare meglio, ma il problema rimaneva. La mancanza iniziava a farsi sentire. Le sue braccia intorno a lei, le mani attorcigliate alle sue, il suo profumo, il suo sorriso. La mancanza cominciava a superare la paura.

 

Suonarono alla porta e nonno Franco aprì la porta.

< Alessandro >

< Ciao Franco! > lo fece entrare < Jackson è qui? Sono stato a casa sua in questi giorni e non c'era mai, al telefono non risponde.. sono passato al negozio oggi e suo padre mi ha detto che aveva finito il turno da poco e poi ho chiamato anche.. >

< Alex! > esclamò sorpreso di vederlo Jackson.

< Sei qui! Pensavo fossi scomparso! Perchè non rispondi al telefono? > gli tirò la sciarpa che teneva in mano e Jackson sorrise. < Senti.. ammetto di esserci rimasto male ma.. noi siamo amici e non voglio litigare con te! Si superano le liti, no? La vogliamo superare o devo portarti in terapia di coppia? > chiese prendendolo per mano, come fosse il suo compagno.

< Ma smettila! > risero entrambi < Scusami, mi sono comportato da vero egoista. Sono felice se tu sei felice, qualunque scelta tu faccia, io sono dalla tua parte > Alex lo abbracciò euforico. < Ok ok! Adesso staccati orso bruno! >

< Non vedo l'ora di uscire tutti e quattro insieme! Ti immagini? Io e Meredith e te e Valery! Certo, non siete una coppia ma va bene lo stesso! Poi magari in futuro, chi lo sa.. > abbassò lo sguardo sentendo parlare di lei e s'incupì. Alex capì che era successo qualcosa. < Ho chiamato anche Valery, prima di venire qui. Mi ha detto che non ne sapeva niente della tua scomparsa. Mi è sembrata strana > disse scrutando la reazione di Jackson < è successo qualcosa tra di voi? > Jackson fece una smorfia ed emise un tono scocciato.

< Finalmente ha un nome > disse cantilenante il nonno.

< Lo sapevo! Cos'è successo? > disse esultando col nonno Franco.

< Niente! > roteò gli occhi, stufo della loro inspiegabile allegria. < Non vuole più parlare con me, contenti? Ecco cos'è successo! Quindi niente uscite a quattro, o cose del genere e non parliamone più > Alex alzò il dito, per un lampo di genio < No! Nemmeno uscite a tre! Tu e Meredith, certo, come no. Tutto il tempo a parlare di Valery, già vi vedo. Godetevi questa luna di miele senza di me > abbassò il dito e subito lo rialzò.

< Ho un'idea! > esclamò entusiasticamente.

< No no no no > mise il piatto a lavare e subito lo minacciò con l'indice puntato sulla faccia < le tue idee sono sempre stupide. Non provare ad organizzare i tuoi soliti piani, chiaro? > Alex sbuffò e tamburellò le dita sul tavolo pensando a qualche altra idea.

< È successa una cosa grave se non vuole più parlare con te. Che diamine ha combinato? > chiese al nonno che fece spallucce, ignaro anche lui della vicenda.

< Cosa non ti è chiaro nella frase: non parliamone più? > esasperato emise un urlo smorzato e si diresse verso il bagno. Valery, Valery e ancora Valery. Più cercava di avvicinarsi a lei e più si allontanava. Più cercava di allontanarla dai suoi pensieri e più la riportavano a galla. Uscì dal bagno e li ritrovò dietro alla porta immersi in una cospirazione. Sbuffò rumorosamente. < Volete sapere cos'è successo? > annuirono traboccanti di curiosità. < Bene. La notte di capodanno siamo andati a letto insieme. Voleva qualcosa di più, ma come sapete, da buon donnaiolo egoista e presuntuoso che sono, non ho ritenuto opportuno instaurare una relazione e se n'è andata. Fine della storia. Siete contenti adesso? > il modo ironico in cui l'aveva detto destò stupore tra i due, i quali capirono che stava male più di quanto desse a vedere < Adesso potete divertirvi ad inveire contro il mio cinismo e la mia crudeltà, a guardarmi come se fossi un extraterrestre che dovrebbe ritornare sul suo pianeta lontano anni luce e togliersi da questo mondo pieno d'amore e disprezzare il mio comportamento >.

< Mi stai dicendo che.. a capodanno hai realizzato quello che volevi e poi.. l'hai lasciata andar via? > chiese scettico l'amico. < Ma che hai in quella testa? > Jackson alzò gli occhi al cielo e si recò verso il salotto, seguito dagli scagnozzi. < Jake! Ti piace quella ragazza! >

< Non farmi sentire in colpa! Ho fatto la cosa giusta, per entrambi > guardò suo nonno < e voi lo sapete.. non potrei mai renderla felice.. > si guardarono mentre Jackson si sedette sul divano.

< Quando smetterai di allontanare le persone che ami? > chiese Alex, sperando di spronarlo.

< Quando si sentirà al sicuro > rispose il nonno.

 

Alex uscì da casa e andò da Meredith. Ancora non aveva ufficializzato la loro relazione. Non aveva ancora lasciato Jessica. Dopo capodanno Jessica dovette partire per Messina, per motivi di studio-lavoro e ci sarebbe stata un mese.

< Amore mio > le baciò ogni centimetro del viso, spingendola verso casa. < mi sei mancata > chiuse la porta e la strinse forte.

< Ci siamo visti stamattina > puntualizzò.

< Troppo tempo > Meredith sorrise e s'incantò nei suoi occhi < che c'è? >

< È bello averti tutto per me >

< Sono solo tuo > l'alzò da terra e la pienò di baci.

< Non del tutto ancora > disse smorfiosa e un velo di tristezza le offuscò lo sguardo.

< Quando torna glielo dico, promesso > disse riferendosi a Jessica.

< Prometti su di noi > le prese il volto tra le mani e la baciò veementemente.

< Su di noi > guardò un punto dietro di lei e poi cambiò argomento < Sai.. non mi piace vedere i miei amici tristi quando io sono felice >

< Perchè vuoi che tutti gioiscano della tua felicità > disse strizzandogli la guancia.

< Esatto amore! Come mi conosci bene! > la baciò < Ho saputo perché Jackson e Valery non si parlano più! > Meredith scioccata gli schiaffeggiò il braccio, senza fargli troppo male. < Ahi! >

< Cosa aspettavi a dirmelo?! > Alex sorrise e la superò, recandosi in cucina. < Parla! La curiosità mi sta uccidendo, dannazione! > lo implorò strapazzandolo di coccole di vario genere, finché non ne ebbe abbastanza < Amore! Dai! >

< Si te lo dico, te lo dico! Tieniti forte! > le cinse le spalle e le raccontò quello che aveva appena saputo da Jackson, come veri pettegoli < Ho pensato a un piano! >

< Che genere di piano? > chiese eccitata.

< Vedrai.. >.

 

Valery si adagiò pigramente sul divano, aspettando Meredith, che l'aveva chiamata per doverle parlare, sentì il citofono e sbuffando, si tolse la coperta da dosso e aprì a Meredith, per poi sdraiarsi ancora sul divano.

< Buona sera stellina! Come va questa mattina? > interdetta dall'euforia dell'amica, corrugò la fronte e continuò a guardare la tv.

< Ciao > rispose al saluto senza enfasi.

< Devo darti una notiziona > si sedette, gettando la borsa sul divanetto accanto < però ho bisogno che tu.. sia felice per me > disse senza smaltire la sua allegria. Valery spense la tv e la guardò.

< Hai la mia attenzione > si sistemò seduta sul divano per ascoltarla meglio.

< In quest'ultimo periodo sono stata un po'.. diversa, distratta, ho assunto atteggiamenti da ragazzetta innamorata e il motivo per il quale è successo questo è Alessandro.. il ragazzo di cui ti ho parlato > Meredith si fermò cercando di capire se le fosse arrivata la notizia < ti ricordi, te ne avevo parlato.. > Valery corrucciò la bocca e si ricordò di un certo Alessandro di cui le aveva parlato l'amica, 25 anni, moro e alto, annuì curiosa < Bene! Ecco.. questo Alessandro tu lo conosci! Non sapevo che tu lo conoscessi, giuro! Insomma.. quando mi hai invitata a capodanno a casa di Jackson.. > Valery non ricordava di conoscere nessun Alessandro, ma il nome Jackson la mandò in confusione più di quanto stesse facendo la ricerca al volto di Alessandro < non pensavo di ritrovarmelo davanti! > Valery la guardò attentamente e cercò di ricordarsi i minimi dettagli che le erano sfuggiti alla festa, perché era troppo presa da Jackson. Rammentò lo stupore di Meredith nel vedere Alex alla porta e il curioso modo con cui la guardò prima di accoglierla in casa, le sembrò strano ma non le dette tanto peso. Si ricordò la stranezza di Jackson nei confronti di Alex, quando ballava con Meredith. Il messaggio da parte di Meredith e il messaggio di Alex a Jackson, che lo incupì così tanto. Alex. Alessandro? Era il suo nome intero. La guardò interdetta, più di prima.

< Sei impazzita? > le chiese balzando in piedi dal divano < Alex? Seriamente? Sai che è fidanzato da decenni con un'altra, sì? Come ti è venuto in mente? > tutti i tasselli di quella sera venivano piano piano ricollegati. Meredith si alzò dal divano e la guardò torva, non capendo la sua reazione < il migliore amico di Jackson poi! La mia migliore amica si è innamorata del miglior amico del mio migliore amico. Fantastico! Più non vuoi sentir parlare di qualcuno e più ti appare davanti come grandine! > l'amica la guardò confusa.

< Pensavo fossi stata contenta per me! Mi sono affezionata ad un ragazzo, che casualmente conosci e ti sta anche simpatico, mi hai sempre parlato bene dell'amico di Jackson.. perché ti comporti così? >

< Perché? > non riusciva a credere che non capisse il motivo per cui Valery non condividesse la sua scelta < è fidanzato Meredith! Con una ragazza carinissima di nome Jessica! > scandì bene le parole mentre camminava avanti e indietro per la stanza.

< Lo so! Ma ci siamo innamorati Valery! Cosa posso farci? > Valery non la guardò nemmeno, camminava sempre più veloce, come se cercasse una soluzione < Io lo amo, lui ama me e domani Jessica tornerà da Messina e le dirà tutto > concluse innervosita dalla sua agitazione.

< Non capisci, vero? > la fulminò e si avvicinò a lei < hai fatto una cosa bruttissima.. tu.. hai rubato il fidanzato di un'altra! Come fai a non rendertene conto? Insomma.. per quanto io sia contenta per voi.. come ti sentiresti se l'avessero fatto a te? > a quelle domande non rispose. Tante volte erano state in disaccordo ma quella volta, Meredith, era più che sicura dell'amore che provava per Alex, anche se era sbagliato. Non poteva lasciarlo andare, aveva rinunciato così tanto tempo a quel sentimento, che voleva vederlo crescere alla luce del sole, e nemmeno la presunzione corretta di Valery avrebbe potuto scalfirlo.

< Hai ragione, Val. È una cosa orrenda e se lo avessero fatto a me, probabilmente andrei su tutte le furie, ma io amo Alex, come non ho mai amato nessuno e se tu riuscissi a mettere da parte tutto il rancore che provi per Jackson, ti renderesti conto che non sono venuta qui per essere giudicata ma per essere appoggiata dalla mia migliore amica, perché sono felice! E vorrei tanto condividere questa gioia con te! > Valery scosse la testa, rimasta ancora più basita quando si accorse che aveva dato la colpa del suo atteggiamento a Jackson.

< Rancore per Jackson? > ripetette curiosa < Che vuoi dire? > Meredith deglutì e la guardò duramente. Valery non le aveva detto niente della notte di capodanno, lo usò come punto a suo favore.

< Sei stata a letto con Jackson a capodanno. Lui ti ha detto che non vuole stare con te e tu te ne sei andata > sentire tutta quella che era la loro storia in neanche tre righe era sconvolgente. Sentì pizzicare gli occhi e si voltò dall'altra parte per stoppare i flashback di quella sera < è passata più di una settimana e tu non hai pensato neanche di dirmelo. Ha dovuto dirmelo Alex. Non sei tenuta a dirmi niente ma ti sarei stata vicina. Sai che l'avrei fatto. Adesso invece, sono qui a renderti partecipe della mia felicità e tu invece di supportarmi, usi Jackson come scudo. Mi dispiace che sia andata così! Ma io con Jackson non c'entro niente, Alex, con Jackson non c'entra niente. Prova a vederci come una cosa a sé stante, invece di infilare Jackson in qualsiasi cosa > afferrò la borsa e aprì la porta per andarsene.

< Il mio supporto non ha niente a che fare con Jackson > disse prima che Meredith andasse via < semplicemente non condivido il male che state causando a Jessica. È una brava ragazza, molto dolce e.. non si merita quello che le state facendo. Sono contenta che tu abbia trovato il ragazzo perfetto ma non riesco ad appoggiare pienamente la tua scelta semplicemente perché posso prevedere quanto Jessica ne rimarrà distrutta quando scoprirà che quello che considerava l'amore della sua vita l'ha presa miseramente in giro sotto al suo stesso naso > s'interruppe e sospirò < quando stavo con Alberto, una volta sola ho pensato che mi stesse tradendo e quell'unica volta è stato devastante anche solo immaginarlo.. mi sono sentita le forze mancare, il fiato accorciarsi, il terreno crollare sotto i piedi, come se tutto quello che avevamo costruito finisse in macerie > si girò verso di lei, che ancora era poggiata alla porta, ascoltandola impettita, cercando di rimanere indifferente < quindi scusa se penso che il tradimento sia una cosa sbagliata e del tutto orrenda, ingiusta e codarda. Scusa se non ti appoggio in questa fase della tua vita. Scusa, se provo più empatia per Jessica e per quello che sta per affrontare, che per te > Meredith abbassò lo sguardo, lasciando cadere la sua fermezza, annuì debolmente e uscì. Valery tornò alla finestra e guardò fuori. Discutere con Meredith non era mai liberatorio, era sempre straziante, come se in un momento si rompesse il loro legame.

< Oh sei qui > disse il padre. Sorrise ma non si distrasse dal paesaggio che vedeva là fuori < tutto bene? > le chiese avvicinandosi a lei.

< Hai mai tradito la mamma? > chiese dopo un lungo sospiro. Il padre rimase stranito dalla domanda e rise < Domanda troppo diretta? >

< Sì, ma è una bella domanda > rispose, per poi appoggiarsi alla finestra e pensare a sua moglie < non ho mai tradito tua madre, da quando ci siamo sposati > quella precisazione le fece intendere ci fosse dell'altro < io e tua madre ci siamo fidanzati all'età di 16 e 18 anni > Valery non aveva mai sentito la loro storia, come si erano conosciuti, tutte le cose che avevano fatto insieme, i loro viaggi e il loro matrimonio. Era stata sempre una storia segreta, scritta e chiusa in un baule, la loro storia però, la feceva sentire più vicina a loro, a sua madre che non c'era più, per conoscerla meglio, per essere partecipe almeno del suo passato < lei faceva il liceo linguistico, mentre io lo scientifico. Ci incontrammo per la prima volta sul pullman > i suoi occhi assunsero un'allegria che aveva solo quando parlava di lei e dal modo che aveva di raccontarlo sembrava come se quell'incontro l'avesse vissuto ieri, dai più piccoli dettagli come il colore dei vestiti, alla descrizione della fragranza del profumo che aveva < era pieno e come sempre se arrivavi tardi ti beccavi il posto in piedi. Quel giorno però, mi appoggiai allo schienale del posto in cui si trovava tua madre. Non la notai finché non si mise a ridere con un suo amico che le stava accanto. La sua risata era così contagiosa che iniziai a ridere anch'io, tant'è che si girò e mi guardò stranita, come se volesse sapere perché ridessi. Quando il suo amico scese alla fermata le chiesi se potevo sedermi accanto a lei. Era molto timida ma questo non la fermava a dire quello che pensava. Era bellissima. Ricordo che si era tinta i capelli di rosso, sembrava una pazza ma non le importava, ne andava così fiera. Iniziammo a parlare e da quel giorno mi tenne sempre un posto vicino a lei, e più passavo del tempo con lei, più non vedevo l'ora di sentire il suono della sua risata, più mi innamoravo di lei.. > s'interruppe e sorrise < finché un giorno, finita la scuola, mi fissai con l'idea di andarmene da Firenze, avevo dei progetti, che volevo condividere con lei, volevo andare a Londra per qualche mese per imparare meglio l'inglese, fare qualche esperienza e.. vivere alla giornata.. non avevo un piano preciso mentre tua madre sapeva esattamente cosa voleva fare dopo la scuola. Avrebbe fatto l'università in Scienze cognitive e sarebbe diventata un assistente sociale per aiutare quanti più bambini possibile, quindi quando le chiesi di venire con me a Londra spezzò il mio entusiasmo dicendomi che aveva l'università a cui pensare e la capivo, ma partii lo stesso, senza di lei. La sorpresa fu nel trovarla all'areoporto la settimana dopo, pronta a partire con me > un grande sorriso gli si disegnò sul volto e quella luce tornò dinuovo a risplendere sul viso < trascorremmo una bellissima estate insieme. L'estate più bella che abbia mai passato con tua madre ma, come tutte le cose belle, anche l'estate finì e lei doveva tornare a casa per iniziare l'università. Il problema nacque quando le dissi che non sarei partito con lei > Valery rimase sorpresa dal colpo di scena, desiderosa di sapere il continuo < mi piaceva stare a Londra, era una città maestosa e piena di cultura e di bella gente e amavo viverci. Mi ero fatto degli amici, avevo trovato un lavoro come bibliotecario.. non volevo andarmene.. così io rimasi a Londra e lei tornò a casa. Ci sentivamo per telefono tutti i giorni, i giorni diventavano settimane e le settimane creavano mesi e tua madre aspettava il fatidico momento in cui decidessi di tornare a casa ma quel momento tardava perché non avevo la minima intenzione di tornare, l'unica cosa che mi avrebbe spinto a tornare era lei ma.. anche lei cominciava a diventare sempre più distante, mentre la mia vita lì cominciava ad essere sempre più fiorita e a crescere. Iniziammo a sentirci sempre meno spesso per via dei nostri impegni, tanto da dimenticare quanto mi facesse star bene la sua presenza. Ero così concentrato su me stesso che mi ero scordato di lei > quell'indifferenza provata anni fa, Valery gliela rivedeva attraverso gli occhi, riuscendo quasi a percepire quello che aveva provato, a vivere la loro storia da vicino, quasi l'avesse vissuta anche lei con entrambi < un giorno, dopo l'ennesima telefonata sfuggente in cui ci dicevamo le solite parole vuote, lei si arrabbiò, come non faceva da mesi. Non era arrabbiata per la lontananza, ma con me e non perché non tornavo a casa ma perché non mi sforzavo ad essere il fidanzato che le avevo promesso di essere. Le avevo garantito che la distanza non avrebbe cambiato niente tra di noi ma non fu così. Non mantenni la promessa fatta. Mi lasciai trasportare dagli eventi senza pensare ad altro. Stufa di quella situazione mi dette un ultimatum: lasciarsi o tornare a casa da lei. Sapevo che lei non si sarebbe mai trasferita a Londra e non potevo chiederle di lasciare l'università per seguirmi ma neanche lei poteva chiedermi la stessa cosa, e questo lo sapeva, come sapevamo anche che se avessimo continuato così uno dei due prima o poi avrebbe scritto la parola fine, ma credimi, non pensavo sarei stato io. Mi sentivo forte, invincibile e orgoglioso ma.. la amavo comunque, anche se avevo perso di vista ciò che contava per me. Quella sera, andai in un pub con degli amici ed ero molto arrabbiato con lei perché quell'ultimatum mi era sembrato molto egoistico e ancor di più lo arrecarmi la colpa della decisione, così quando incontrai Clary.. non ricordai ciò che era Elsa per me e la tradii. La mattina dopo, quando vidi una donna che non era tua madre nel mio letto andai in panico. Mi svegliai da un sogno e precipitai in un incubo. Tua madre aspettava che la chiamassi per darle una risposta ma non sapevo cosa fare. Avevo un macigno dentro, un peso enorme da volermelo strappare dal petto e gettarlo nell'oceano pacifico, più lontano possibile da me e da lei > sentirgli ammettere un tradimento la scioccò. Suo padre aveva tradito sua madre. Non importa quanto fossero giovani, l'atto stesso in sé la fece trasalire < le sorprese però non finirono lì. Nel momento in cui cercavo di riflettere per capire cosa dire e non dire, tua madre mi venne a trovare nel mio appartamento. Aveva viaggiato di notte ed era stanca ma credimi la stanchezza era l'ultima cosa che vidi nei suoi occhi dopo lo stupore, la rabbia, il dolore e il dispiacere nel vedere un'altra nel mio letto. Mi sono sentito un verme e quell'espressione affranta.. non me la scorderò mai > guardò fuori dalla finestra. Il sole era tramontato, come la loro storia.

< Glielo avresti detto? > chiese Valery distogliendolo da quei lontani ricordi < Se.. non fosse venuta a trovarti, glielo avresti detto? > scosse la testa e sorrise.

< Mi sono posto molte volte questa domanda. Credo che l'avrei tenuto nascosto. Sarei tornato con tua madre a Firenze e avremmo continuato con le nostre vite, fino a quando un giorno il senso di colpa sarebbe stato talmente forte da scoppiarmi nel petto ed esplodermi in gola > disse esauriente. Ripensò a Jessica ed Alex. Alla loro storia. A quanto sembravano innamorati e a come si sarebbe sentita Jessica una volta che Alex gli avrebbe detto la verità. Anche lei avrebbe reagito come sua madre? < Perché hai voluto saperlo? > chiese il padre incuriosito.

< Una mia amica si è innamorata del fidanzato di un'altra mia amica.. non è proprio un'amica stretta ma.. so quanto si può star male per amore, soprattutto quando tutto quello che sogni è stare con quella persona e poi ti rendi conto che quella persona in realtà non ne ha la minima idea e avete viaggiato su due linee d'onda completamente diverse per troppo, davvero troppo tempo > in quel momento si rese conto di ritrovarsi in quelle parole, temeva che il suo giudizio fosse offuscato davvero a causa di Jackson < come ti comporteresti se fossi al mio posto? > chiese la sua opinione, sperando che condividesse il suo pensiero, per capire se aveva dato una giusta o sbagliata lezione di vita a Meredith.

< Cercherei di non mettermi in mezzo. Probabilmente darei una lezione di perbuonismo al mio amico e consolerei la mia amica ma mi ricorderei che non è una mia scelta quindi non resterebbe che accettarla nonostante sia sbagliato e non condiviso da parte mia. Cercherei di fare la cosa giusta > quelle parole le furono di conforto. Il fatto che suo padre la pensasse come lei e che avrebbe fatto la stessa cosa la rincuorò. Jackson non c'entrava con quello che aveva detto a Meredith, quelle opinioni derivavano solo dal suo modo di pensare, di essere.

< Non mi hai raccontato il finale > disse Valery curiosa di sapere il resto della storia.

< Dopo il mio stato di trance da cui uscii dopo averla vista, le chiesi insistentemente perdono, senza successo. Tornò a casa e io rimasi a Londra, con l'unica differenza che la sua assenza mi lasciò un vuoto immenso dentro. Una voragine che sembrava inghiottirmi. Era strano come dal momento prima riuscissi a stare perfettamente senza di lei e il momento dopo mi sentissi perso. Feci chiarezza e cercai di dimenticarla. Andai avanti. Restai a Londra per altri due mesi e capodanno si avvicinava. Mi avevano invitato ad una festa per l'ultimo dell'anno, una festa importante, piena di gente e divertimento, i miei amici mi ripetevano di non pensarla e io non lo feci per tutto il giorno ma al countdown l'unica persona con cui avrei voluto condividere quel momento, non c'era. Mi sentii solo per la prima volta dopo mesi. Ricordo appena come feci ad arrivare in areoporto. Comprai un biglietto per Firenze, il più caro che avessi mai comprato, ma non mi importava, volevo solo andare da lei, chissene le conseguenze. Montai sul primo aereo e partii. Il viaggio più lungo di sempre. Quando atterrai corsi subito a casa sua ma non la trovai. La chiamai ma attaccava continuamente la segreteria. Non sapevo dove cercarla quindi iniziai a chiamare tutti i numeri delle sue amiche che avevo sul cellulare e una mi rispose, mi disse dov'erano e andai da lei. Ovviamente c'era un taxi con me > raccontò con una risatina < erano a casa di una loro amica e quando arrivai, la vidi in un abito blu e argento. Era più bella di come l'avevo lasciata. Aveva cambiato tinta ai capelli, si era fatta bionda, ma stava d'incanto. Non m'importava del mio aspetto incasinato. Avevo lo smoking sgualcito della festa e i capelli gelatinati, sembravo uscito da una festa di beneficenza di una delle puntate di The O.C. mi vide subito e non sapevo davvero cosa le avrei detto. Volevo solo vederla, tentare di riaverla con me, sperando mi amasse ancora. Mi venne incontro quasi stupefatta di vedermi lì. Le raccontai tutto. Le chiesi scusa ancora una volta e le dissi che a Londra potevo avere tutto ma se mi mancava lei, non era la stessa cosa, sarei potuto stare ovunque con lei ma da nessuna parte senza > quegli occhi pieni d'amore le fecero realizzare quanto ancora l'amasse dopo tutti glieli anni.

< E ti ha perdonato > lui annuì e sorrise. Valery riuscì a vederla attraverso i suoi occhi < non ti sei mai pentito di questa scelta? >

< Tante volte l'ho messa in discussione.. ogni volta che litigavo con tua madre, ogni volta che mi faceva perdere le staffe avrei voluto restarmene a Londra e lei me lo rinfacciava sempre e tutte le volte che facevamo pace sapevo che la volta seguente che avremmo litigato l'avrei pensato ancora e ancora ma.. è vero anche che ogni volta che litigavamo e poi facevamo pace, la sensazione di aver fatto la scelta giusta era sempre con me. Non ho mai pensato di aver commesso un errore. Ho fatto la scelta giusta e la rifarei ancora, perché se avessi saputo che le vicissitudini della vita me l'avrebbero portata via così presto.. > la voce persa di potenza e tirò su con il naso, lasciandosi scappare una timida lacrima < l'avrei abbracciata di più, l'avrei stretta tra le mie braccia di più, l'avrei protetta come non sono stato in grado di fare > lo prese per mano e la strinse. Era incredibile il modo in cui l'aveva amata, una versione della storia che non conosceva, un lato che non aveva mai saputo ma che spiegava quanto si erano amati, un amore che non sapeva esistesse, un legame che non aveva mai percepito. Era felice di ricordarli così. Un marito innamorato della propria moglie. Una moglie innamorata del proprio marito. Una vita felice, un amore intenso.

< Credo che neanche lei si è pentita, nemmeno un secondo della sua scelta e credo anche che era una donna forte che non si aspettava che tu la proteggessi perché sapeva quanto l'amavi e che avresti fatto qualsiasi cosa per tenertela stretta > si asciugò gli occhi e la guardò orgoglioso.

< Se fosse qui ti direbbe che sarebbe fiera di chi sei diventata > gli strinse la mano ancora più forte.

< E a te direbbe di non incolparti di quello che è successo e che sarebbe contenta che tu sia tornato da me > il padre l'abbracciò più forte che poteva.

< Sono felice di esserci >.
 

Angolo di Queen_Of_Love:
Salve a tutti, belli e brutti!! :D
Un altro capitoletto è concluso! Fatemi sapere se vi piace, se non vi piace, 
se lo adorate, lo disprezzate, se vorresti riempirlo di sugo di pomodoro o ornarlo con tanti mirtilli succulenti!
Ve amo na cifrona assurda!
Bye! :)

 

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Capitolo 11
*** Il bacio sospeso ***


11. Il Bacio sospeso

 

Non è mai piacevole litigare con una persona a cui teniamo. Ti porti un magone dentro che non riesci a scogliere nemmeno ingurgitando le migliori medicine per il mal di stomaco. Rimane lì e si fa sempre più grande nei giorni successivi. Una lite non è mai felice, ma una cosa è certa, una lite è un punto di crescita; il punto in cui ci si accorge che abbiamo ancora qualcosa da dire, che ognuno di noi ha delle opinioni diverse e proprio qui, in questo momento, siamo noi a scegliere se i contrasti saranno ciò che porteranno ad una netta spaccatura o ad un'unione ancora più forte. Siamo noi a decidere se farci trasportare dal nostro istinto o dai nostri sentimenti.

Valery suonò il citofono con l'animo pieno d'agitazione e il cuore in fibrillazione.

< Chi è? > la sua voce le fece ricordare perché era lì e dopo qualche secondo di ripensamento, scandì ad alta voce il suo nome, come se il suono della sua voce potesse influire sull'imminente decisione di aprirle o meno la porta. Respirò a fondo. La porta si aprì. Mentre saliva l'ultima rampa di scale che l'avrebbero portata da lei, la vide sul pianerottolo e si fermò. Le liti hanno un controsenso quasi magico. Riescono a farti uscire il peggio e il meglio di te. Sono momenti in cui capisci realmente chi sei e chi è la persona che ti sta davanti. Loro lo avevano capito, sorrisero e si corsero incontro per abbracciarsi.
< Scusa > disse Valery.
< Scusami tu.. > sospirò ed entrarono a casa < il fatto è che tu hai questa grande sensibilità e a volte mi urta perché tutto quello che fai è giusto, non commetti errori, sei la ragazza perfetta, mentre io combino sempre casini e non faccio altro che ferire anche inconsapevolmente > Valery non si riteneva come l'aveva descritta, tanto meno perfetta.
< Mer.. non sono perfetta e non aspiro ad esserlo.. siamo umani, commettiamo errori e sbagliamo continuamente, cerco solo di avere un giusto giudizio per tutto.. > cercò di spiegare Valery.
< Esatto, tu riesci ad avere un giusto giudizio per tutto anche e soprattutto con le persone che ami.. e a volte questo di te mi fa innervosire perché sei così.. umana.. un'umanità che non ho > si interruppe per riflettere < ho pensato molto a quello che hai detto riguardo a Jessica e hai pienamente ragione. Sono stata egoista. Mi sono innamorata di Alex sapendo perfettamente che era già impegnato ma non mi importava perché io lo amavo e non mi aspettavo di potermi innamorare in questo modo. È nato come un gioco.. un'attrazione reciproca e poi da un giorno all'altro ci siamo innamorati così profondamente che ci siamo dimenticati delle nostre vite precedenti a noi > mentre parlava Valery sorrise. Non l'aveva mai vista così e la sua aria cupa, adesso era colpa sua.
< Sei la mia migliore amica e ti voglio bene. Questo non significa che sono sempre d'accordo su quello che dici e che fai ma che sarò sempre pronta ad appoggiarti in ogni tua decisione, qualunque essa sia, nonostante la mia opinione, se tu sei felice con Alex allora metterò da parte la mia umanità e farò spazio alla gioia che provo nel vederti così felice quando parli di lui > si abbracciarono e la porta di casa si aprì.
< Amo ho preso due pizze, semmai.. > l'abbraccio delle due ragazze lo colse di sorpresa < cavolo. Lo sapevo che era troppo bello per essere vero > la sua affermazione le lasciò interdette senza capirne il senso. Sbuffò ironico leggendo la loro espressione < ho sempre saputo che avrei dovuto competere con la tua fidanzata per averti tutta per me > fece l'occhiolino a Valery, entrambe scoppiarono a ridere e Meredith lo baciò affettuosamente. Quello sguardo innamorato fecero intenerire Valery e un senso di nostalgia le invase la bocca dello stomaco. Quegli occhi che si incrociavano e senza parlare dicevano tutto, quei baci rubati che sussurravano tutti i loro sentimenti, il sorriso perenne sui loro volti così indissolubile, la riportarono a Jackson ancora una volta e a quanto avrebbe voluto condividere con lui tutte quelle emozioni di cui era spettatrice < Rimani a mangiare con noi, Val? > chiese Alex tutto allegro. Ritornò con la mente nel vero mondo e scosse la testa in segno negativo. Meredith fece braccino al fidanzato senza farsi vedere da Valery e Alex capì che doveva mettere in scena il piano.
< Stasera usciamo.. vieni con noi! > chiese Alex sempre sorridente.
< Non so.. noi tre soli.. mi sentirei troppo il terzo incomodo > disse mordendosi il labbro.
< Dai Val! Ci divertiremo! Te lo prometto! Stasera usciamo, andiamo al nuovo pub che hanno aperto il mese scorso, so che non ci sei stata! Inoltre.. sei in debito con me! > Valery corrugò la fronte < Ti sei scordata tutte le uscite a tre con Alberto? > cercò di fare finta di essersene dimenticata.
< Alberto chi? > notando il sopracciglio alzato di Meredith, scoppiò a ridere e acconsentì all'uscita < Vado a casa a prepararmi! >.


Uscì dalla doccia e afferrò il cellulare: 3 chiamate perse. Sempre lui. La chiamava sistematicamente ogni giorno. Era difficile rimanere ferma nella sua decisione, ma aveva bisogno di tempo, e anche se quelle chiamate la facevano sorridere, dall'altra parte sapeva che soltanto ascoltare la sua voce l'avrebbe fatta sentire a casa e solo guardandolo negli occhi gli avrebbe fatto capire quanto significasse per lei ed era estremamente convinta che non avrebbe mai ricambiato. Da quella notte però, era sempre più difficile non pensarlo quotidianamente. Ogni oggetto, ogni gesto, ogni azione, parola, richiamavano la sua presenza, come se le avesse stregato la testa. I giorni seguenti a quella notte, trasmettevano un replay di quella magica serata. Prima di addormentarsi, ogni sera chiudeva gli occhi e la sua mente proiettava in modo nitido il preciso tocco delle sue mani che le sfioravano delicatamente la pelle, e rabbrividiva ogni volta al ricordo, quasi fosse reale, le sue labbra morbide che trovavano il loro posto perfetto sulle sue. Quei pensieri incessanti le provocavano eccitazione e frustrazione.

< Stai evitando qualcuno o non rispondi usualmente al telefono? > la voce del padre la svegliò e si accorse di essersi seduta sul divano a fissare il vuoto.
< La prima > rispose imbarazzata.
< C'entra un ragazzo? > chiese con titubanza.
< Non ti offendere ma.. mi sento un po' a disagio a parlarne con te > si alzò dal divano e gli diede il telecomando, per evitare l'argomento.
< Scusa.. è che vorrei conoscerti > la raggiunse e le sorrise dolcemente. < non so niente di te e vorrei saperne di più. Vorrei sapere cosa hai fatto tutti questi anni. Se hai il fidanzato o se ti piace qualcuno. Quali sono le tue compagnie e le tue amicizie. Cosa ti piace fare nel tempo libero. Se ti piace lo sport e quale. Se hai qualche hobby, qualche obbiettivo e aspirazione. Di te so solo che frequenti l'università di lingue e Raisa mi ha detto che sei molto brava > Valery non poté provare altro che tenerezza verso suo padre e si addolcì.
< Me la cavo > sorrise e osservò i suoi occhi speranzosi di una risposta con maggiori dettagli. Se voleva indietro suo padre, doveva metterci anche del suo, non aspettare che fosse lui a fare tutto. Doveva sforzarsi. < Quando te ne sei andato, pensavo che l'avessi fatto perché non ero abbastanza brava, così dentro di me scattò un meccanismo automatico e da lì in poi tutto quello che facevo doveva essere perfetto. Pensavo che se avessi dimostrato di essere capace, di migliorare, tu saresti tornato. Ogni valutazione doveva essere più che ottima. Ogni voto scolastico, ogni parola ben detta, ogni azione gentile ed educata erano dettati dal pensiero che tu saresti tornato da me. Ho continuato così fino alle medie, quando ho capito che non saresti tornato per il mio rendimento scolastico > quelle parole inaspettate turbarono l'animo del padre e chinò il capo come per scusarsi < Ho iniziato danza a 11 anni. Ero brava. Lì ho conosciuto la mia migliore amica, Meredith. Lei è fantastica! Siamo molto diverse ma, ci vogliamo bene proprio per questo. Dovresti conoscerla.. >
< Mi piacerebbe > disse pacato mentre la guardava attentamente.
< A 15 anni mi sono fidanzata con un ballerino della mia scuola, Alberto, ed è stata una storia seria per me, quel genere di storia per cui faresti tutto ma quando siamo cresciuti io sono diventata adulta, mentre lui è rimasto infantile e questo dislivello ha impedito la crescita nel nostro rapporto e dopo tre anni abbiamo deciso di troncare il rapporto. Mi piacciono le lingue e ho intrapreso questa facoltà perché mi piace molto e spero di diventare giornalista un giorno. Mi piace cucinare e vado matta per il cioccolato. Mi diverte truccare, tant'è che la mia camera è invasa da ogni tipo di cosmetico. Ho una fissa per i profumi e i prodotti biologici e ho un odio profondo per l'inquinamento e il maltrattamento dei bambini. Vorrei diventare volontaria di un'associazione del genere e.. credo di aver raccontato tutta la mia vita in cinque minuti > tralasciò la parte di Jackson e sorrise a quell'uomo che la guardava con tanta ammirazione < Ho detto qualcosa di sbagliato? >.
< No.. sei la figlia che ogni genitore vorrebbe avere > abbassò lo sguardo riflettendo su quanto tempo avesse perso distante da sua figlia.
< E allora perché sei triste? > chiese dubbiosa.
< Perché ti ho perso > una lacrima gli scavò il volto mentre un sorriso fiero s'incurvava sul viso. Quella lacrima la intristì, come se fosse colpa sua se soffrisse.
< Ma ora mi hai ritrovato > gli strinse la mano. Non poteva non perdonarlo. Non poteva stare lontano dall'unico uomo della sua famiglia. Era la sua stessa carne, il suo stesso sangue. Era l'amore della mamma, il padre di suo fratello. Era suo padre. Un padre fragile che era caduto nell'alcol dopo la morte di due parti importanti della sua vita, e lei chi era per giudicarlo?

Il telefono vibrò insistente.

< Dovresti rispondere > le consigliò dolcemente.
< Non posso > sospirò cercando di combattere contro la voglia che aveva di rispondere a quella chiamata.
< è un ragazzo, vero? > ripetette la domanda, ma stavolta annuì e spontaneamente si posò sul suo petto. Si sorprese di quel gesto e delicatamente la strinse. Tutto il resto non contava. Aveva suo padre che la stringeva tra le braccia. Chiuse gli occhi e sperò che non stesse sognando.
< Te ne andrai ancora? > chiese per ricevere una risposta sincera.
< Vuoi che me ne vada? > le accarezzò i capelli, come faceva con sua madre.
< Non ti azzardare > lo minacciò sarcastica e risero.
< Allora rimarrò con te >.

 

I suoni del clacson della macchina di Alex risonavano rumorosi fuori casa di Valery. È da un po' che non usciva di casa, se non per andare a fare la spesa, qualche commissione alla posta e per l'università. Ormai passava il tempo con il padre e Raisa. Sapeva che vedendo Alex e Meredith avrebbe dovuto affrontare l'argomento Jackson e questo non le andava proprio. Sperava nella loro comprensione.

< Andiamo un attimo a casa mia per prendere delle cose e poi usciamo > si scambiarono uno sguardo complice e ammiccarono senza farle sospettare niente. Cosa molto facile se Valery continuava a guardare il finestrino senza fare domande. Scesero tutti e tre e il nonno di Jackson aprì la porta di casa.
< Ciao nonno! > disse Alex, recitando la parte del finto nipote. < Ti presento Meredith! È la mia fidanzata! > Franco le fece la radiografia sfacciatamente < Bella, vero? >
< Molto! Non posso dire lo stesso di te > disse, scaturendo una fragorosa risata dal pubblico.
< Lei invece è Valery > posò la voce sul nome e lo guardò intensamente per fargli capire bene chi fosse.
< Valery.. > la studiò attentamente < Piacere > disse infine sorridendo.
< Piacere mio > si aprì un gran sorriso e scambiando uno sguardo con Alex, capì che era lei. Combaciava con la descrizione.
< Sedetevi! Scusate la confusione ma mio nipote è disordinato! > Alex fulminò il nonno, che non sapeva nulla di quello che aveva organizzato il ragazzo. Guardò Meredith e cercò di escogitare telepaticamente un modo per non farsi scoprire < Guarda te che mi tocca fare alla mia età > spostò tutte le carte del cibo in scatola dal divano e si sedettero. Valery fu invasa da un profumo familiare. Sapeva di chi fosse, ma non aveva senso. Quel profumo era il suo profumo e Alex non lo usava. Sentiva J. P. Gautier ad ogni respiro. Quando si convinse della sua pazzia cronica, ecco che una felpa sulla poltrona attirò la sua attenzione e il cuore iniziò a palpitare più forte. Quella felpa la conosceva. Stesso colore, stessa linea, stessa marca. Alex ne aveva una uguale?
< Quella felpa non è di Jackson? > chiese ad Alex, dovendosi togliere il sassolino dalla scarpa.
< Questa? > la prese e la indossò, per mascherare la bugia che aveva costruito. Sapeva che non sarebbe durata a lungo, ma doveva tenerla in piedi almeno per l'arrivo di Jackson. < Si è sua > le sorrise e se la tolse < anche se mi sta bene, non trovi amore? > Cercò di deviare il discorso verso un'altra direzione, ma il nonno non afferrò.
< Lascia tutto in giro, quel ragazzo > l'affermazione la confuse. Quel ragazzo. Come se parlasse di Jackson e non di Alex. La coppia di amici si accorse dello stato confusionario in cui si trovava Valery e decise di continuare a tenere dritta la farsa. < Sa com'è fatto, no? Più gliele dici le cose e più fa il contrario! > sospirò e scrollò la testa da destra a sinistra, guardando dritto davanti a sé. Il che, le fece domandare, se fosse davvero Alex, il nipote di cui parlava, forse aveva un altro nipote o forse anche il nonno conosceva Jackson, infondo lui ed Alex erano molto amici.
< Devo andare un attimo di là, in camera.. > marcò l'ultima parola guardando Franco dritto negli occhi, sperava che capisse di non fare domande < Vieni con me, Mer, devi aiutarmi a prendere delle cose > non distolse lo sguardo finché non uscirono dal campo visivo. Valery ancora pensava alle parole del nonno. Alla felpa. Al profumo. Cosa stava succedendo? Perché tutto intorno a lei richiamava Jackson?
< Tisana? > la voce del nonno la riportò nel presente e con un gesto d'assenso, accettò volentieri < è un vizio. Ogni pomeriggio devo bere una tisana. Mio nipote dice che è roba da vecchi quindi non ho mai compagnie giovanili con cui condividere due chiacchiere davanti a un thé > si avvicinò alla cucina e preparò le tisane. Valery si poggiò al tavolo mentre aspettava che la preparasse. < Mio nipote mi ha parlato molto di te > posò la tisana sul tavolo e Valery ebbe la sua attenzione. Che motivo aveva Alex di parlargli di lei? Erano amici, ma cosa gli avrebbe mai potuto dire, per farla rimanere impressa a suo nonno?
< Mi incuriosisce, cosa le ha detto? > Franco percepì estrema sorpresa nei suoi occhi.
< Penso che l'aggettivo più usato sia.. meravigliosa > Valery sgranò gli occhi, del tutto stupita. Conosceva la spontaneità di Alex, ma nei suoi confronti non aveva mai espresso questo genere di complimenti.
< Probabilmente è stato offuscato dall'amore che prova per la sua fidanzata e adesso dipinge tutto di rosa > disse con una risatina. Adesso era il nonno a non capire.
< Quale fidanzata? > chiese come se si fosse perso un pezzo di storia.
< Meredith.. la ragazza di Alex > Franco era ancora più intontito e Valery non capiva cosa avesse detto di così torbido.
< Alex? > chiese confuso < Mi riferivo a mio nipote. Jackson. > Jackson. Tutto si fermò. Jackson. Cosa c'entrava Jackson? Da quando Alex e Jackson erano fratelli, cugini, legati dallo stesso sangue? Le era sfuggito un dettaglio così importante? Erano parenti?
< Jackson? > balbettò timidamente.
< Si, mio nipote > brevemente, ripassò nella mente tutto quello che era accaduto in quell'ora. Era entrata in casa del nonno di Alex, almeno.. era quello che le era stato detto. Aveva conosciuto Franco, il presunto nonno di Alex, anche se ora che ci pensava non aveva fatto nessuna presentazione ufficiale. Lo aveva lasciato dedurre. Nell'aria c'era la scia percettibile del profumo idilliaco di Jackson, inoltre aveva visto la sua felpa sulla poltrona. Alex se n'era andato in camera per prendere “delle cose”. Se fosse stata una scusa? Per cosa, però? Franco adesso parlava di Jackson, suo nipote. Non avrebbe alcun senso. Se Jackson era il nipote di Franco, che ci faceva lei in quella casa? Perché Alex avrebbe architettato tutto questo? Perché non le aveva detto che era il nonno di Jackson? Ma cosa ci faceva lei, lì? Come se tutte quelle supposizioni non bastassero a metterla in totale confusione mentale, si ricordò che Franco le aveva detto che suo nipote, quindi Jackson, gli aveva parlato di lei. Il pensiero le fece avvampare il viso in maniera percettibile. Al pensiero che Jackson parlasse di lei con qualcun altro, la imbarazzò, più di quanto credesse. Aveva davanti il nonno di Jackson e in quel momento, si sentì come in trappola. Intrappolata nella loro bugia, per cosa poi? < Lo conosci, vero? > la richiamò dal fondo dei suoi pensieri, in cui era caduta, senza emettere più alcun suono. Annuì con la testa e sentì il suono delle chiavi aprire la serratura della porta. Il cuore ricominciò a fare le bizze. Tutto ebbe un senso. La felpa di Jackson sulla poltrona, gli sguardi complici di quei due, la loro titubanza continua, il nonno che non si comportava affatto da nonno con Alex. Lui era il nonno di Jackson, non di Alex. Jackson era suo nipote. La felpa di Jackson era in quella casa perché era stato qui e lei lo sapeva che a casa di suo nonno passava la maggior parte del tempo.

La porta si aprì e Jackson entrò senza avere la minima idea di quello che l'aspettava. Valery si girò, poi ritornò con lo sguardo sulla tisana che il nonno le aveva appena posato davanti, quasi per paura di incrociare quegli occhi. Il nonno, si accorse del suo mutamento e lo salutò, come se niente fosse.

< Ciao nonno! Non sai che giornata! > disse mentre appendeva il giaccone all'appendiabiti. Risentire la sua voce, la fece sorridere. Come le era mancato. < Il negozio era pieno zeppo e.. > si voltò verso il nonno e si fermò. Non ricordava più cosa stava dicendo. Era preso da quella ragazza, seduta vicino a suo nonno. I capelli, le spalle, le mani. Convinto che fosse una proiezione, socchiuse gli occhi e si avvicinò con qualche passo.
< Val.. che ci fai qui? > deglutì e prese un bel respiro. Non era pronta a stargli vicino ma aveva la curiosità di incrociare ancora il suo sguardo magnetico. Si alzò in piedi e si girò verso il richiamo della sua voce, e lo vide. I suoi occhi la rapirono, come la prima volta che lo vide quella sera, alla sua festa. Non poté trattenere un sorriso. Lui pensò che fosse il sorriso più bello che avesse mai visto.
< Sono con Alex e Meredith.. che si sono nascosti in camera, credo > riuscì a dire, balbettando. Non riuscì a tenere per troppo tempo gli occhi nei suoi, mentre Jackson, al contrario, non riusciva a staccarcisi.
< So che è tornato tuo padre.. > si avvicinò fremendo per il desiderio di poterla toccare, ma non lo fece. Gli erano mancate le loro chiacchierate. Sapeva tutto di lei, mentre adesso era Alex ad informarlo sul suo conto, a sua volta informato da Meredith < Come stai? > chiese mentre il nonno ascoltava incuriosito, sorseggiando con tutta calma, la sua tisana bollente, più lento del solito.
< Bene. È strano ma.. mi fa piacere averlo intorno > le osservò il volto. Era tesa. Non l'aveva mai vista così con lui. Il pensiero di aver rovinato la sua spontaneità, lo distrusse. Era tornato suo padre. Era tornato e non glielo aveva detto. Questo lo ferì, più di tutto il resto. Il segno della loro amicizia sgretolata.
< Quando è tornato? > domandò cercando di rimanere viva la conversazione.
< Il primo gennaio > rispose sempre con sguardo basso. Avrebbe tanto voluto guardarlo negli occhi ma non ne aveva il coraggio.


Alex e Meredith udito che era tornato Jackson, tornarono in salotto avvinghiati, sperando che Valery non avesse armi contundenti con sé.
< Visto che siamo tutti qui.. usciamo? Mangiamo qualcosa.. poi magari un cinemino? Vi va? > Alex guardò Jackson, il quale, dopo qualche secondo, si rese conto del piano che aveva inscenato per fargli incontrare Valery. La voglia di prenderlo a sberle era a livelli atmosferici ma si contenne per non fare scenate. Meredith guardò Valery, che non sembrava poi così convinta. Di tutti i presenti chi era d'accordo su quella recita che avevano messo in piedi? Anche Jackson ne era a conoscenza? Le aveva teso una trappola? Tutti e tre avevano deciso di fargliela sotto il naso. Portarla lì, aspettare Jackson ed essere costretta a uscire con loro.
< Ho preso già un impegno > Meredith ed Alex iniziarono a lamentarsi e convincerla a uscire con loro, mentre Jackson se ne stava in silenzio ad osservarla < con Franco! > si girò verso di lui, che a piccoli sorsi buttava giù la tisana < Vero? > Percepì lo sguardo disperato di Valery e l'assecondò.
< Sì! Ha un impegno inderogabile! > la coprì e le strizzò l'occhio, complice.
< Rimango anch'io.. così ti riaccompagno a casa dopo > osò dire Jackson. Non aveva senso uscire senza di lei. Non sapeva cosa ci facesse lì. Non sapeva niente di quello che era accaduto, ma non gli importava. Lei era lì e non voleva nessun'altra compagnia.
< No, tranquillo, esci pure.. mi faccio venire a prendere > Jackson titubò. Non aveva alcuna voglia di uscire se non ci fosse stata lei < Uscite, divertitevi pure! Tuo nonno mi sta molto simpatico > si girò ancora verso di lui e sorrise, sedendosi di nuovo, senza degnarlo di molta attenzione con atteggiamento ostile, che non causò altro che il suo inorgoglimento.
< Ok. Andiamo > senza salutare, riprese la giacca appesa poco prima e uscì fuori casa, aspettando i suoi compagni di viaggio, fregandosene delle buone maniere.

In definitiva Jackson si trovò incastrato in una serata con i due piccioncini, anche se la testa era da tutt'altra parte. I suoi amici avevano costruito un piano stupido e adesso quello che ci aveva rimesso era lui. Probabilmente Valery pensava che era stata una sua idea, e lo odiava ancora più di quanto non facesse già. Si era a malapena accorto dei fiocchi di neve che cadevano giù dal cielo. Pensava solo a tornare da lei. L'azione sembrò impossibile da compiere, in quanto aveva cominciato a nevicare nel tragitto. La neve aveva ingombrato il passaggio delle auto, non ancora pronte per il suo arrivo. Alex sbuffò, imprecando contro gli automobilisti fermi sulla strada.
< Staremo fermi per ore se non si danno una mossa > suonò svariate volte il clacson, nonostante Meredith gli spiegasse che non erano colpevoli delle cause meteorologiche.
< Ma.. quanta fila c'è? > chiese Jackson risvegliandosi dai suoi pensieri.
< Molta. Ce ne avremo per un po' > rispose Alex scocciato.
< Un po' quanto? > allungò la mano e suonò il clacson insistentemente.
< Oh! Ma che ti prende? Incontinenza? > chiese Meredith divertita dal suo atteggiamento. L'agitazione incrementava sempre di più. Non sopportava l'idea di starle lontano. Lei era in casa sua, sotto il suo tetto e lui non c'era. C'era suo nonno! La gelosia lo pervade e si sentì ridicolo. Essere gelosi del proprio nonno. Si guardò intorno. Erano abbastanza distanti da casa ormai.
< Devo andare! > esclamò improvvisamente.
< Ma dove? Vuoi arrivare in pizzeria a piedi? > chiese Alex sbigottito.
< Devo andare a casa > aprì la portiera e scese. Si fermò e guardò nuovamente la strada.
< A casa? A fare che? Dai! Non essere stupido! È solo un po' di neve! > li guardò e fremette ancora. Valery non era uscita con loro proprio perché c'era lui. Cosa gli faceva pensare che l'avrebbe accolto una volta ricomparso? Niente, si rispose, ma era sua amica, e quella situazione gli stava stretta. Non l'avrebbe persa. L'avrebbe costretta, se necessario, a parlargli. Chiuse la portiera e si decise. Sarebbe tornato indietro. Correre non era mai stato un problema. Guardò l'ora. Non era andato via da molto, forse era ancora a casa.

 

< Questa tisana ai frutti rossi è deliziosa! > cercò di evitare l'imbarazzo dei discorsi su Jackson che gli avrebbe propinato, ma Franco, aveva proprio intenzione di capirci chiaro in tutta la storia.
< Non credo che tu sia rimasta perché ti allettava la tisana di nonno Franco. Mi devi un favore > Valery sorrise per la buffa insolenza di Franco, nell'estorcerle informazioni. < Tra te e mio nipote è successo qualcosa > tra un sorso e l'altro, il sorriso si mischiò all'imbarazzo < vedevo scintille e fiocchi di neve alternati nei vostri sguardi > scoppiò in una forte risata nervosa quando si accorse della somiglianza che trovava in quell'atteggiamento. Lo sguardo cupo e concentrato. Le mani intrecciate da indagatore. La bocca corrucciata. Persino il tono inquisitorio e l'inclinazione della testa erano uguali.
< Somiglia proprio a Jackson in questo momento > gli sorrise dolcemente come se quella somiglianza le avesse regalato un po' di tempo con Jackson e si rese conto di quanto gli mancasse.
< Ti ha ferita, vero? > la domanda pungente le arrivò dritta al cuore. Ferire. Un verbo troppo riduttivo. Non l'aveva ferita, non l'aveva manipolata o illusa. Aveva la colpa di essere perfetto per lei e allo stesso tempo sbagliato.
< Ed è anche diretto. Proprio come suo nipote > lo sguardo del nonno si fece sempre più intenso e capì che avrebbe potuto deviare il discorso ed evitarlo per tutto il tempo, alla fine il nonno avrebbe avuto le sue informazioni, in un modo o nell'altro. Era proprio come Jackson. < Ho solo capito che siamo troppo diversi > sintetizzò dopo un sospiro.
< La diversità può anche unire. Siamo noi a decidere se può essere un meno o un più nel rapporto > studiò molto quelle parole.
< Sono pienamente d'accordo. Siamo noi a deciderlo e io ho scelto quello che non mi può fare male >
< Credo che lui abbia fatto la stessa cosa > alzò la tazza in segno di brindisi e se la portò alla bocca. Lo sapeva. Sapeva il motivo per cui Jackson non faceva entrare nessuno nel suo cuore. L'immagine che dava di sé era forte e invincibile, quando in realtà era fragile, più di quanto uno potesse credere.
< Lo so. So cos'ha passato e le conseguenze che si porta tutt'ora dietro. Glielo leggo perfettamente negli occhi > si perse nel vuoto mentre rifletteva sulla bellezza di quegli occhi intensi < Lo capisco ed è per questo che non lo giudico e non lo incolpo, perché non posso! E mi creda.. è la cosa più difficile > lo guardò e il nonno sorrise.
< Comincio a capire perché mi ha detto quelle cose su di te > Valery lo guardò con aria interrogativa < lo hai decifrato.. mai a nessuna lo aveva permesso > a quelle parole si sentì una responsabilità sulle spalle, come se Jackson fosse una persona da curare e lei fosse la cura. < Te lo leggo negli occhi il bene che gli vuoi > le scappò un sorriso. Ormai erano diventati amici e la conversazione non aveva più spazio per la vergogna e le finte verità. Si trovava davanti la persona che in assoluto conosceva meglio il ragazzo di cui era innamorata e lui se ne era accorto appena l'aveva vista entrare. Appena pronunciò il nome di Jackson. Se era vero che la somiglianza tra loro c'era, la perspicacia affermò nuovamente quella tesi.
< Più di quello che sembra, ma.. c'è un problema >
< E quale sarebbe? >

< Suo nipote non me lo permette > un forte calore le punse gli occhi. Non poteva più contenerlo in due occhi soli. Amava abbastanza per entrambi e l'unico modo per farlo traboccare erano le lacrime. Si schiarì la voce < Sono molto felice di averla conosciuta, adesso però devo andare > si alzò dalla sedia e posò la tazza sul lavandino, asciugandosi la lacrima che era sfuggita al controllo con la manica.
< Non vuoi aspettarlo? > vedeva qualcosa nel suo sguardo. Speranza. La speranza di veder tornare il nipote e trovarla ancora lì. La speranza di poter sistemare le cose, di essere il collante adatto e la speranza di vederlo felice. Sorrise, comprendendo la sua dolce intenzione.
< Credo sia meglio torni a casa ma grazie di tutto > lo salutò e Franco l'accompagnò alla porta < Mi ha fatto piacere conoscerla, davvero. Ho capito perché Jackson ha una grande stima per lei >
< Anche per te > aggiunse di seguito. L'unica cosa a cui non aveva mai pensato. Jackson provava stima solo per persone selezionate accuratamente. Il fatto di essere tra i selezionati, la rendeva felice. < Spero di rivederti >.
Dimenò la mano in segno di saluto e chiuse la porta. Non se n'era accorta. Stava nevicando e le strade erano bianche, come del resto i tetti delle case, gli alberi, i cespugli, le macchine. Tutto immerso nel bianco. Le piaceva troppo la neve. Non aveva un cappuccio e camminò lentamente con il viso alzato verso il cielo. “Spero di rivederti” ancora speranza. Aveva compreso una cosa. Quella responsabilità che sentiva non era solo un'impressione era un invito. Un invito ad essere responsabile per la felicità del nipote. Perché? Lei cosa c'entrava? Cosa avrebbe mai potuto fare per renderlo felice? Non ne sarebbe stata capace.

Non aveva fatto molti passi quando Jackson la vide camminare. Si fermò e prese fiato. Valery stava ancora contemplando il delicato tocco di ogni piccolo fiocco di neve che le si posava sul volto. Quando la vide provò un qualcosa che non aveva mai provato. Una fitta al cuore glielo fece comprendere. Era qualcosa che non avrebbe potuto tenere sotto controllo. Le andò incontro.

Sentendo lo scricchiolio della neve aprì gli occhi e abbassò il volto. Le si ghiacciò ogni organo interno.

< Volevi liberarti di me > disse in tono affermativo. Sapeva che alla domanda non avrebbe sicuramente risposto con sincerità. Si guardò i piedi e non obiettò. < sono praticamente saltato fuori dall'auto mentre andavamo in pizzeria. C'è un ingorgo 40 km in là > disse indicando la strada dietro di lui < a causa della neve > alzò la testa e sorrise. Si ricordò il loro bacio sotto la pioggia. Le goccioline che le scivolavano sul volto e quanto era piacevole stare con lei quella sera. Lei pensò le stesse cose e s'incantò a guardarlo. Come quella sera. 
< Come sei arrivato fin qui? > Guardò dietro di lui. Non vide né Alex e né Meredith.
< A piedi > sorrise, fiero di sé stesso e questo la fece ridere.
< A piedi? > sbarrò gli occhi < Hai appena detto che sei saltato fuori dalla macchina 40 km in là! > esclamò ancora incredula.
< Sì, non ci credi? >
< Credo che tu possa fare qualsiasi cosa > sincera sorrise e per un attimo era tornato tutto a posto. Riabbassò lo sguardo, non potendo sopportare il suo e giocherellò con i piedi sulla neve.
< Non mi chiedi perché? > alzò lo sguardo e se lo trovò vicino tanto quanto bastò per farla retrocedere.
< Per completare il piano, immagino > ancora non le andava giù che avesse preso parte a quella trappola umana.
< Non ne sapevo niente > lo guardò torvo < lo giuro > si mise la mano sul petto e si avvicinò ancora. < Te lo giuro. Non sapevo che avessero architettato tutto questo. Fingere che mio nonno fosse il nonno di Alex e aspettare che fossi tornato per incontrarmi > sospirò rumorosamente alle sue parole, evitando il suo sguardo. Sapeva che se lo avesse guardato negli occhi, avrebbe capito la verità e forse era più facile credere che fosse loro complice, avrebbe avuto un motivo per incolparlo. Incolparlo di qualsiasi cosa. < Guardami > disse cercando il suo sguardo evasivo.
< Ti guardo > alzò gli occhi e li tenne all'altezza del suo petto.
< No, non lo fai! > le alzò il mento e finalmente incontrò obbligatoriamente i suoi occhi. < Perché hai paura di guardarmi? > il cuore iniziò a bussare insistentemente nella gabbia toracica. Avrebbe voluto uscire fuori e unirsi al suo. Non era paura. Era il timore di non riuscire a restare ferma nella sua posizione. Lui era il suo punto debole e lei non voleva avere debolezza. < Non c'entravo niente con quello stupido piano. Mi conosci.. l'avrei organizzato meglio > quel sorriso dolce, ancora una volta, le mostrò l'uomo integro e perfetto che era. Si sentì come neve sciolta al sole. Ancora una volta aveva spezzato le sue certezze.
< Lo so > tremante gli tolse la mano dal mento e l'abbassò < volevo solo darti la colpa. Almeno per qualcosa, ma non mi è concesso > Jackson non capì e continuò ad ascoltarla < non ho paura di guardarti, ma so che se ti guardo tutta la mia stabilità crolla, perché per me.. quella notte è stata più dell'avventura che è stata per te e io.. lo capisco! So di non poter pretendere niente e che sono io quella sbagliata che si affeziona sempre a persone che non vanno bene ma.. vorrei tanto odiarti per questo! > gli puntò il dito < Vorrei darti la colpa e.. odiarti ancora! > disse tutto d'un fiato con gli occhi che le pizzicavano. Jackson le si avvicinò ancora, le afferrò la mano e se la mise sul petto.
< Allora fallo. Odiami. Odiami come ha fatto Sara. Come hanno fatto tutte le altre. Fallo. Dammi la colpa > vederla così, con gli occhi arrossati e l'espressione dura fissa su di lui, lo fece sentire più in colpa di come già si sentisse. Non poteva perderla. Lei era lì, con il cuore in mano. Lei non era pronta per donarlo e lui per accettarlo.
< Non ne ho il diritto > scosse la testa e cercò di togliersi dalla presa della sua mano.
< Sono.. venuto fin qui a piedi per te. Io.. > lasciò andare la mano e le afferrò il volto. < Mi manchi > disse tutto d'un fiato. Le parole gli uscirono di botto e non riusciva a capire nemmeno lui, da dove provenissero. < Mi mancano i nostri discorsi. Mi mancano le tue battute squallide e ridere, litigare, sentire il resoconto della tua giornata. Mi manca proteggerti da tutti quei ragazzetti che ti corrono dietro e commentare i film che guardiamo insieme a casa. Mi manca tenerti tra le braccia, il tuo profumo che mi sembra di sentire dappertutto, la tua bocca, il tuo sorriso, i tuoi occhi > si soffermò su ogni suo dettaglio < Mi manca la nostra splendida amicizia > rimase impietrita nella sua stretta e non si mosse, quasi per paura di sgretolarsi tra le sue mani. La guardò intensamente e prima che potesse posare le labbra sulle sue, si scostò e si tolse dalla sua stretta, quasi infastidita < Mi sono reso conto di averti persa quando è stato Alex a dirmi che era tornato tuo padre > esclamò dopo essersi reso conto del bacio non gradito. < Sono passate tre settimane e non hai pensato nemmeno di dirmelo. Nemmeno di rispondere una volta al telefono. A parte.. quando ha risposto quel tizio,.. che tra l'altro, chi è questo? > si rivolse a Valery con tono accusatorio. Si ricordò del suo amico, compagno di corso del giorno prima, in autobus.
< Riccardo, dici? > chiese sorpresa da quella reazione.
< Non mi interessa come si chiama. Chi è? > chiese nervoso
< Un amico! > urlò inconsapevole del turbamento che provava dentro sé Jackson.
< E da quando esiste questo Riccardo? > il tono con cui poneva quelle domande le fecero perdere la pazienza.
< Da quando devo farti un elenco dettagliato delle mie amicizie? >
< Non sto dicendo questo! > sbuffò più per sé stesso che per Valery. Non riusciva a capire cosa gli stesse succedendo. Sentiva una sorta di gelosia crescere dentro di sé e farsi spazio tra le varie emozioni < Perché non capisci? >
< Cosa devo capire!? Parla chiaramente! > Jackson non riusciva a dire ciò che provava veramente. Non riusciva a dirlo perché non sapeva nemmeno lui cosa provasse, ma Valery si era stancata di aspettare cambiamenti altrui. Tre anni ad aspettare Alberto, non voleva passarne altri 3 ad aspettare Jackson < Non posso capire qualcosa che non hai capito neanche tu! > lo superò per dirigersi verso casa.
< Perché vuoi litigare? > le domandò prendendola per un braccio per girarla verso di sé.
< Jake.. cosa vuoi da me? Vuoi che sia un'amica, un'amante o un'estranea? Perché, seriamente, non ho ben capito che ruolo ho in questo rapporto >
< Non lo so! > gridò in preda al panico.
< Bene. Allora cerca di capirlo. Io ho smesso > si girò ancora per andarsene ma Jackson l'avvinghiò ancora.
< Val! Possiamo rimettere tutto a posto. Possiamo recuperare la nostra amicizia. > Valery rise dall'esasperazione.
< La nostra amicizia, hai detto? Hai appena cercato di baciarmi, Jake! Che visione hai dell'amicizia tu? Oddio.. > chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie < A te dispiace che sei venuto a sapere dal tuo migliore amico che fosse tornato mio padre, perché ti sei sentito tagliato fuori.. e lo capisco. Ma sai cosa dispiace a me, invece? Che tu non ti renda conto, di quello che provo io e di quello che provi tu! Io.. > cercò di raccogliere i suoi sentimenti e farli uscire dalla bocca. Era arrivato il momento di liberarsene < Dannazione.. per me.. quella notte è stata una rivelazione > si morse il labbro e lo guardò sperando di cogliere nel suo sguardo quella perspicacia di cui andava tanto fiero, ma non ne trovò traccia < Mi sono accorta di essermi innamorata di te! > Jackson si ghiacciò. Non se n'era accorto. Restò con gli occhi fissi su di lei cercando di dire qualcosa ma, era rimasto privo di parole. Non poteva dire: anch'io. Sarebbe stato un bugiardo. Questo significava che la storia si ripeteva. Anche Sara se ne andò e lui non tentò di fermarla. Valery però era diversa. L'idea di perderla definitivamente, lo distruggeva < Mi si è aperto un mondo, peccato che quel mondo non combaci col tuo, perché nel tuo mondo, l'amore non esiste e le relazioni non si instaurano.. che motivo c'è di costruire un qualcosa che è destinato a rompersi, vero? > abbassò lo sguardo, non poteva smentirla, era quello che pensava.
< Tu ti sei innamorata di me? > sentirglielo dire le fece uno strano effetto e il modo in cui lo disse anticipò l'imminente rifiuto. Valery annuì e gli occhi iniziarono ad inumidirsi. Non avrebbe mai ricambiato e l'attesa di una sua risposta era più dolorosa di mille aghi piantati nel cuore. < Sono un casino > si avvicinò e le prese le mani.
< Non farlo > disse allontanandolo. Questo non servì e l'abbracciò con forza. Non voleva aver voglia di stare tra le sue braccia ma è quello che in realtà voleva. Quell'abbraccio aveva un semplice significato: non ti amo, ma non voglio che tu stia male per me. Era un abbraccio egoistico da entrambi i lati e non sapeva se le faceva più male la sua presenza o la sua assenza. Annusò profondamente il suo profumo impregnato sui vestiti e lo strinse a sè < Mi mancherai, Jake > sussurrò con voce spezzata al suo petto. La lasciò scivolare dalle mani e prima che potesse ribattere, la baciò d'impulso. Un bacio amaro, pieno di incomprensioni ed enormi interrogativi. Un bacio che non aveva alcun senso. Senza inizio, né fine. Un bacio sospeso tra l'amore e l'amicizia, tra la gioia e il dolore, tra il desiderio di stare insieme e il dovere di prendere strade diverse, un bacio impulsivo che aveva la consapevolezza che se fosse finito, non ce ne sarebbe stato un altro. < Jake.. > sussurrò.

< Non voglio perderti > ammise stringendola a sé. È sempre difficile dire no a qualcosa che ci piace, che sia un dolce, un piatto di pasta, un'abitudine sbagliata o un qualcosa che ci causa dolore. È comunque difficile, perché anche se sappiamo che staremo male dopo averlo fatto, sappiamo anche che nel momento in cui permettiamo a quella cosa di vincere su di noi, siamo felici. E allora come si fa a rinunciare a qualcosa che ci rende felici un minuto e tristi per il resto del tempo? Ne vale la pena o è meglio rinunciare? Valery credeva ferventemente che nella vita era giusto rincorrere il meglio, e per lei, in quel momento, Jackson e quello che le offriva, non lo era.
< E io non voglio stare con una persona che non mi ama. Entrambi abbiamo validi motivi > lo accarezzò e si direzionò verso casa.
< Val? > cercò di farle cambiare idea.
< Sei stato chiaro. Va bene così. Sto bene > disse sorridendo < starò bene > si corresse e Jackson le andò ancora incontro < Non puoi capire quello che provo e francamente credo che nemmeno tu capisca te stesso, quindi lasciami andare > Jackson fece qualche passo verso di lei < Ti prego > disse alzando la mano. Si fermò nella posizione in cui era e con dispiacere la vide andar via. Rimase inerme sotto la neve che gli cadeva sugli occhi, mentre tutte le sue parole rimbombavano forti nella testa. Entrò in casa con aria abbattuta e sguardo del tutto perso nel vuoto.

< Oh, sei già qui? > chiese il nonno, sbigottito. Non ricevendo risposta, lo osservò accuratamente < è successo qualcosa? > domandò retoricamente. < Vuoi parlarne? > sprofondò sul divano accanto al nonno e non parlò. < Valery se n'è andata poco fa.. l'hai vista per caso? > ebbe una reazione alla pronuncia di quel nome. Lasciò cadere la testa sul divano. < Conversazione pesante? > giocò con il filo strappato del divano mentre riepilogava la serata.
< è.. finita. Qualunque cosa fosse, è finita > si alzò dal divano e si diresse in camera. Si sdraiò sul letto e staccò il cervello, finché il nonno non ritornò a parlargli.
< Tu sei uno stupido! > urlò aprendo la porta di scatto.
< Come, scusa? > chiese confuso.
< Ma cos'hai nella testa, dico? È perfetta per te quella ragazza e tu cosa fai? Te la fai scappare così? Senza neanche provarci? Ho passato un'ora sola con quella ragazza e mi è bastato per capire cosa provasse per te. L'unico che non se n'è ancora accorto sei tu! > lo sguardo inerme del nipote lo spinsero a continuare < Quando ti deciderai a lasciarti andare? Quando capirai che ragazze come quelle non le trovi facilmente? > non reagì. Non lo guardò neanche. Si sedette al bordo del letto e sospirò pensando che forse aveva leggermente esagerato a parlargli in quel modo.
< Hai ragione. Sono un'idiota ma lei non merita questo. Non posso darle ciò che vuole e non potrò mai perchè.. non ci riesco > alzò le spalle in segno di rassegnazione.
< Non è un lavoro, Jake. È un sentimento. Io credo che tu sei innamorato perso di quella ragazza ma per chissà quale motivo ti rintani in rancori passati per oscurare i tuoi sentimenti. E sai qual è la cosa peggiore? Che non te ne accorgi nemmeno tu > uscì dalla stanza e chiuse la porta, lasciandolo solo a riflettere su quelle parole. Non si era mai soffermato a pensare ai suoi sentimenti. Sapeva cosa provava per Valery, non c'era bisogno di rifletterci su. Era un'amica. Non era innamorato di lei. I suoi occhi gli passarono davanti ed ebbe una fitta dritto al cuore e il pensiero di non vederla più lo fece star male. Sentì una lacrima bagnargli la guancia e cadere sul cuscino. Si alzò di scatto e si asciugò la guancia. Si guardò allo specchio. Aveva gli occhi gonfi e rossi. Non si era accorto che stava piangendo.

Forse aveva ragione Valery, non sapeva nemmeno lui quello che voleva.

 

Si era tolta un peso. Adesso era libera, in parte almeno. L'amore non ricambiato era una bella fregatura ma aveva fatto quello che doveva. Doveva andare così, si era ripetuta per tutto il tragitto. I pensieri e la neve l'avevano fatta distogliere dalla lunghezza della strada.
< Sei tornata! > l'accolse gioviale il padre. Vederlo lì in salotto, con la coperta e una piadina in mano, la fece sorridere. < Che c'è? > si diresse verso di lui e gli si sedette accanto.
< Mi fa ancora un effetto strano vederti seduto sul divano, a mangiare e.. salutarmi quando esco e quando rientro a casa > le scostò i capelli bagnati dalla neve.
< Strano? >
< Strano, ma bello > le passò un sacchetto con dentro una piadina < per me? >.
< Non sapevo se avresti mangiato fuori o meno, quindi mi sono prevenuto e l'ho comprata lo stesso > disse premuroso.
< Papà.. > gli si illuminarono gli occhi. Non lo aveva ancora chiamato così < ti va di parlarmi della mamma e di Luke? > alla richiesta gli si addolcì il viso e prese degli album di fotografie dal cassetto del salotto.
< Cosa vuoi sapere? >
< Quello che non ricordo più > disse nostalgica. Il padre cominciò a sfogliare il primo album fotografico, in cerca di un ricordo comune. Ad un tratto si fermò su una foto e sorrise. < Te la ricordi questa? > girò l'album verso di lei. Annuì. < Andammo allo zoo quel pomeriggio. Tua madre non voleva venire, non amava molto gli zoo, per lei erano prigioni per animali e non li condivideva, però voi volevate andare e non voleva che ci andassi da solo, sai quel periodo c'era una signora che mi ronzava intorno, lei era gelosa. Molto gelosa > disse marcando bene l'aggettivo < Quindi venne allo zoo con noi. Questa foto l'abbiamo scattata almeno 10 volte. Non riuscivamo a farne una decente! Ad ogni scatto la scimmia dietro di noi si dimenava, facendo traballare la rete e tua madre si girava continuamente, lamentandosi per quei poveri animali e tutte le sue idee animaliste! > Valery vedeva scorrere quelle immagini nei suoi occhi, le sembrava di esserci nei suoi racconti < Alla fine.. questo è il risultato! Una foto in cui tua madre sbuffa per la sua contrarietà agli zoo, tuo fratello che ride a crepapelle per le scimmie, io che ti tengo in braccio perché avevi paura di quei musetti pelosi >
< Non me lo ricordavo > disse quasi dispiaciuta.
< Sono passati anni e tu eri molto piccola >
< Mi piacerebbe avere più ricordi.. mi sembra come se non mi appartenessero > il padre notò quanto questo le causasse dolore e andò a prendere una boccetta di profumo dalla camera.
< Tieni > Valery la prese e l'aprì. < lo riconosci? > aveva già sentito quella fragranza.
< è il profumo di mamma.. > disse sorpresa < Come.. >
< Lo portai con me quando me ne andai.. avevo bisogno di qualcosa che mi tenesse legato alla realtà > dalla tasca prese una moto giocattolo e un braccialetto. < la moto è di Luke mentre questo è tuo. Li portai con me. Sono stato egoista a portarmeli via, lo so ma ne avevo bisogno > si passò tra le mani il profumo, la moto e il braccialetto a ripetizione. Sul braccialetto c'era una targhetta con un'incisione: Alla nostra principessa.
< Questo è mio.. me lo ricordo.. era un vostro regalo.. non lo trovavo più.. pensavo di averlo perso > disse scioccata e piena di gioia.
< Perdonami > riaprì la boccetta del profumo. Era proprio quello di sua madre, l'avrebbe riconosciuto tra mille. Le sembrava di averla ancora lì. Le scappò una lacrima e lo guardò.
< Credevo di averli dimenticati > sorrise tra le lacrime che non poteva fare a meno di far scorrere < Grazie di essere tornato, papà > lo abbracciò istintivamente e lui ricambiò. La baciò sulla guancia e tutti quegli anni d'assenza si cancellarono da soli. Niente più rancore e amarezza. La cosa importante era ritrovarsi. Prese il braccialetto e l'aiutò a indossarlo. 
 

Angolo di Queen_Of_Love:
Holaaaaa! 
Un altro capitoluzzo per voi! La storia si ingrandisce sempre di più,
ancora tante altre cose da capire, scoprire e immaginare!
Vi lascio alla lettura delle avventure dei nostri amici!
Lo so, lo so, non è molto goliardico come capitolo.. ma il dramma è sempre ben accetto! :D
Sto amando na cifrona il padre di Val! 
Restate con loro a scoprire il futuro che li aspetta!
Un bezo! :*

 

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Capitolo 12
*** 12. Tra giusto e sbagliato ***


12. Tra giusto e sbagliato

 

Amore! Sono tornata! Ti devo dire una cosa” disse Jessica tornata dal suo stage a Messina.

Devo preoccuparmi?” chiese Alex.

Sinceramente.. non lo so! Stasera a casa mia! Ti aspetto alle otto!” chiuse la chiamata con così tanta euforia che Alex rimase quasi stranito.

< Chi era? > chiese Meredith abbracciandolo.

< Jessica, è tornata > rispose cupo Alex < stasera sono a casa sua >

< Glielo dirai.. vero? > annuì sicuro di sé e la baciò togliendole ogni insicurezza.

< Amo te. Solo te > la baciò a intermittenza su tutto il volto.

< E io amo te. Cosa c'è di più bello al mondo? > chiese con occhi da innamorata.

< Tu. Tu sei la cosa più bella del mondo > lo squillo del telefono interruppe l'idillio.

Non vedo l'ora che sia stasera. Mi sei mancato. Ti amo”

< Chi è? > chiese incuriosita dall'espressione sul suo viso.

< Sempre Jessica > tolse le mani dal collo e cercò di trattenersi dal fare scenate. Sarebbe finito presto.

< Vai a questa cena e falla finita, ti prego > disse quasi supplichevole. < non ce la faccio più! È una tortura sapere che non sei pienamente mio ma devo smezzarti con lei! Veramente.. non ce la faccio più! >

< Amore.. > disse avvicinandosi < tra poco finirà tutto quanto, promesso > Meredith prese una pentola e la riempì d'acqua. Cucinare era il suo passatempo preferito e quel giorno aveva proprio bisogno di distrarsi. < Ti fidi di me? > lo guardò e posò la testa sul suo petto.

< Ho solo paura che vedendola dopo tanto tempo.. capisca che hai fatto la scelta sbagliata > le prese il viso tra le mani e sorrise.

< Forse è la scelta sbagliata > Meredith lo guardò confusa pronta ad attaccarlo < per gli altri > aggiunse < forse sarebbe più giusto rimanere con Jessica per tutto quello che abbiamo passato insieme ma.. che ci posso fare se quello che provo per te supera di gran lunga tutti gli anni che ho trascorso con lei? Se accanto a te mi sento come non mi sono mai sentito? Forse è la scelta sbagliata ma.. sceglierei te. Sempre > il modo che aveva Alex di esprimere i suoi sentimenti, la faceva sentire così innamorata da volare sopra tutto. La rassicurava. Tutto quello che passava, anche una difficoltà, se vissuta accanto a lui, aveva un altro sapore.

< Vai via.. prima che cambi idea e vada io stessa da Jessica per dirle che è finita tra di voi > lo baciò dolcemente e lo lasciò andare da lei.

Fischiettò allegramente fino a casa sua. Fissò il citofono. Solo pochi minuti e le avrebbe detto tutto. Quello che lo legava a Jessica sarebbe stato distrutto e avrebbe potuto cominciare una vera storia alla luce del sole con Meredith. Quella gioia che provava nel pensarla anche mentre stava per entrare in casa della sua fidanzata, gli aveva confermato, ancora una volta, quello che realmente voleva. Meredith non era solo un hobby, una persona di cui si sarebbe stancato, era amore vero. Suonò il citofono e Jessica lo fece entrare. Non sapeva bene cosa dire o fare. Nemmeno come l'avrebbe dovuta trattare. Prima di poter decidere Jessica aprì la porta e gli saltò al collo abbracciandolo con gioia. Prima di scostarla prepotentemente, si ricordò che per lei ancora erano la coppia più felice del mondo. Lo baciò in bocca e lui si staccò senza far trapelare alcuna stranezza, anche se era difficile guardarla come se non fosse cambiato niente.

< Mi sei mancato così tanto! > lo abbracciò ancora e lui evitò di rispondere con una bugia. Lo guardò negli occhi percependo un certo distacco da parte sua. < Non ti sono mancata? > lo accarezzò e lui sorrise forzatamente.

< Certo che mi sei mancata > la baciò castamente in bocca, senza che potesse avere il tempo di essere trasportata da quel bacio e si tolse il piumino < Ti devo parlare Jess.. > era giunto il momento di togliere il cerotto.

< Prima io > disse euforica < siediti > Alex la guardò stranito non riuscendo a capire da dove provenisse quell'euforia. Si sedette al tavolo, sperando che quello che doveva dirgli fosse breve < Ok.. > cercò di trattenere la sua “insensata” agitazione.

< Non ti siedi? > disse facendo scorrere la sedia accanto a lui < va tutto bene? > chiese preoccupato della sua agitazione.

< Ale.. ho un ritardo > il sorriso smagliante di Jessica si scontrò con gli occhi sbarrati e increduli di Alex, che lo fecero svanire pian piano.

< Sei incinta? > chiese pieno di paura.

< Ho prenotato le analisi del sangue, perché volevo esserne sicura > disse cercando di rassicurarlo < so che non ne avevamo ancora parlato seriamente perché siamo giovani e stiamo ancora studiando... però avevi detto che prima o poi ti sarebbe piaciuto avere un bambino, no? So che è presto e ci cambierà la vita ma.. >

< Parli come se sapessi già di essere incinta > Jessica si fermò e guardò per terra. Si alzò da tavola e aprì la borsa che era appesa sull'appendiabiti, tirò fuori un test di gravidanza. Il cuore di Alex si fermò < Hai fatto il test.. > disse in un sussurro.

< Sì > Alex si coprì la faccia con le mani cercando di non andare nel panico < è positivo > si sentì il mondo crollare addosso. Pezzi di macerie cadergli sulle spalle, quelle stesse spalle che poco prima erano talmente sicuri di sé, da credere di poter affrontare tutto. Scosse la testa più volte cercando di capire il senso di quello che stava succedendo.

< Oh mio Dio > rimase sui gomiti poggiati sul tavolo, pensando ad una soluzione < può sbagliare > Jessica accigliò la fronte < Voglio dire.. potrebbe essere un falso positivo > disse sperando in uno sbaglio medico.

< Non sei contento? > chiese infastidita dalla sua reazione < Ale.. so che siamo giovani ma.. stiamo insieme da anni.. abbiamo programmato tutta la nostra vita insieme. Hai sempre detto che ci sposeremo e avremo dei figli. Perché adesso sei così.. abbattuto da questa notizia? Pensavo saresti stato felice per noi.. certo un po' disorientato ma.. felice > più parlava e più gli occhi di Alex sballottavano da un angolo all'altro della casa come se stesse cercando impaziente una soluzione per quel “problema”.

< Si, sono cose che ho detto! Ma prima di.. > lasciò la frase in sospeso. Ti ho tradito. Mi sono innamorato di un'altra. Questo avrebbe dovuto dire. Frasi sulla punta della lingua che non sapeva se era più il caso di dire.

< Prima di cosa? > “di Meredith”. L'universo gliela stava facendo pagare. Come avrebbe potuto lasciare la probabile madre dei suoi figli, sarebbe stato crudele. < Alex! Prima di cosa? > gli chiese ancora alzando la voce per ricevere una risposta.

< Jess.. ho 25 anni, sto studiando medicina.. sai che significa? Che non finirò prima dei 30! > Jessica sembrava non vedere la realtà, come se non fosse un problema.

< Possiamo occuparcene! > il tono calmo e dolce della sua voce lo innervosiva, come se non riuscisse a cogliere quello che realmente stava accadendo < Tu adesso vedi tutto nero ma.. ci sono i miei genitori che ci daranno una mano, finiremo la scuola, poi lavoreremo e.. >

< E cosa? > domandò interrompendola < Come lo manterremo questo bambino? > chiese scettico contro Jessica < Andiamo entrambi all'università. Se tutto va bene tu finirai l'anno prossimo e io tra 5 anni! E tu mi vieni a dire che possiamo occuparcene? > gli apparve sul volto incredulo un sorriso beffardo < Quando avrà 2 anni ancora starò studiando > si poggiò allo schienale della sedia guardando il pavimento. Jessica si avvicinò e gli accarezzò il braccio in segno di conforto. Lei credeva che insieme potessero fare qualsiasi cosa, e probabilmente se Alex fosse stato ancora innamorato di lei, avrebbe pensato la stessa cosa; ma ormai quel velo davanti agli occhi con cui vedeva attraverso non c'era più, adesso non c'era nessun filtro, vedeva le situazioni esattamente com'erano < Ho bisogno di stare da solo > si alzò da tavola intontito dalla notizia e afferrò il piumino che aveva lasciato sul divano.

< Alex? > si arrestò all'istante. Jessica aveva ancora la mano sull'addome quando si girò verso di lei < sono incinta di tuo figlio e tu te ne vai? > scorsero delle lacrime sul viso, che lo ferirono più di qualunque altra cosa. Ormai la scelta non era più tra Jessica o Meredith, ma tra il suo bambino e Meredith. Il suo bambino. Sarebbe diventato padre. Tenne lo sguardo fisso sulla pancia di Jessica e lei si avvicinò fino a raggiungerlo < ti prego non lasciarmi da sola > l'abbracciò stretta a sé e l'unica cosa che riuscì a pensare era Meredith. Come avrebbe potuto mai amare Jessica dopo Meredith? I suoi capelli, il suo odore, la sua pelle morbida, i suoi occhi, erano talmente differenti e unici che non avrebbero mai potuto competere con tutte le qualità di Jessica, eppure l'aveva amata talmente tanto. Non provava più niente per lei. Tutto ciò che aveva amato di Jessica si era dissolto, non aveva più importanza. Meredith gli aveva fatto mettere in discussione tutto, come avrebbe potuto amare di nuovo Jessica, dopo l'amore che provava per Meredith? Si staccò dall'abbracciò e le asciugò le lacrime dal volto. Jessica colse il suo sguardo vuoto. C'era qualcosa in quegli occhi che non riuscì a comprendere. Uno sguardo diverso, distante.

< Ci vediamo domani > le toccò la pancia, ancora incredulo che là dentro ci fosse un essere vivente. Jessica sorrise, sentendolo premuroso nei suoi confronti, c'era però, qualcosa nei suoi gesti affettuosi che non era più come se li ricordava. Annuì e se ne andò. Entrò in macchina e partì lentamente, pensando a cosa dire a Meredith. Quella sera doveva essere l'inizio di una nuova vita per loro, invece si era ritrovato in mezzo a qualcosa di più grande di lui, cosa avrebbe dovuto fare? Doveva parlarne con qualcuno. Subito impuntò con la macchina e sgommò per girare frettolosamente verso casa del nonno di Jackson.

 

Il volto di Alex era pieno di interrogativi, stupore, angoscia e disperazione.

< Ehi! Che ci fai qui? > Alex entrò arrogantemente imprecando contro tutto e tutti < Calmati! Oh! Che è successo? > chiese agitato.

< Jessica > disse dopo qualche secondo di silenzio. Jackson lo incitò a continuare la frase < è incinta > rimase interdetto < è stato uno shock anche per me > gli diede una pacca sulla spalla per farlo reagire.

< Incinta? Ma è sicura? > chiese infine.

< Ha fatto il test di gravidanza ed è positivo. Ha prenotato le analisi del sangue per sicurezza > si portò le mani ai capelli e diede un calcio al divano. Jackson lo brontolò con lo sguardo < Scusa! Sono.. un po' nervoso..e arrabbiato! >

< Con il mio divano? > chiese ironico.

< Con me stesso > rispose sospirando < sono un idiota! Dovevo lasciarla appena ho iniziato a uscire con Meredith.. invece adesso.. sono proprio un deficiente!! > Jackson rimase in silenzio. < Cosa devo fare Jake? > era l'ultima persona a cui avrebbe potuto chiedere qualcosa in merito.

< Ale, non lo so! Cavolo.. se Jessica è incinta hai delle responsabilità nei confronti di tuo figlio.. > pronunciare quelle parole, riferendosi al figlio di Alex, gli faceva un effetto strano. < Tuo figlio.. Ale.. potresti diventare padre e questa è una cosa seria. Non stiamo parlando di cambiare ragazza perché non la ami più, stiamo parlando di un bambino, una famiglia. Meredith lo sa? > un bambino era già impegnativo, ma Meredith. Cosa avrebbe detto? Come avrebbe dovuto gestire tutto questo?

< No > rispose sbuffando.

< Dovrà saperlo prima o poi > sbattette la testa contro un cuscino ripetutamente cercando di punirsi < e insomma.. Jessica ha una pagnotta nel forno > scherzò smorzando la tensione, lo fulminò con lo sguardo mentre si alzava dal divano verso la cucina < Cosa pensi di fare? > Alex fissò il vuoto e scosse la testa. Aveva così tanti ragionamenti che si ingarbugliavano tra di loro che non riusciva a capire quale fosse la scelta più giusta da fare.

< Mi prenderò le mie responsabilità > Jackson annuì e sorrise fiero < ma.. non potrò mai amarla come amo Meredith >

< Hai intenzione di lasciarla, quindi? > concluse Jackson.

< E' una vigliaccata, vero? > ci ripensò su < Dovrei lasciare Meredith e provare a ricreare un rapporto con Jessica? Essere una famiglia.. Jake, aiutami > il modo in cui lo supplicò era straziante per Jackson. Leggeva totale disperazione nei suoi occhi. Tutte le volte che aveva bisogno di lui, cercava sempre di aiutarlo ma adesso cosa avrebbe potuto fare? Gli si accostò e lo guardò in volto.

< Lo sai che farei qualsiasi cosa per toglierti da questo casino ma.. ho le mani legate! Come posso aiutarti? Non abbiamo più dodici anni con problemi adolescenziali. Siamo adulti con problemi da adulti e l'unica persona che può aiutarti è te stesso. Devi fare appello a te stesso, io non posso aiutarti in questa decisione > Alex si mise le mani nei capelli, affondando la testa sul bancone < posso consigliarti e provare a capire quale potrebbe essere la scelta giusta ma la verità è che non ne ho idea, amico. Devi decidere tu cosa vuoi > era il miglior consiglio che gli avesse mai dato. Doveva essere lui a scegliere e lo sapeva perfettamente, non poteva scaricare sugli altri le sue responsabilità.

 

Si recò a casa di Meredith. Doveva dirglielo. Aveva tutto il diritto di saperlo. Quando aprì la porta, i lati della bocca divamparono in un grande sorriso. S'incantò e il pensiero di perderla gli fece pizzicare gli occhi.

< Amore mio! > urlò appena lo vide e gli si gettò con foga al collo < Adesso posso urlarlo al mondo che ti amo! > rimbombò in tutto il condominio e pensò che l'istintività era una delle tante cose che amava di lei. S'immerse nello spazio tra il collo e la spalla e annusò il suo profumo, la sua pelle chiara e liscia come la seta. Troppe cose a cui rinunciare. Gli venne un magone allo stomaco quando pensò a quel mese passato da soli. A tutte le loro colazioni, alle loro risate, alle loro litigate, al suo sorriso, alla sua giovialità e al suo modo di essere quasi superficiale per nascondere la sua parte cupa e razionale, alla sua estrema dolcezza che aveva fatto fatica a tirare fuori perché non si fidava di nessuno, ma lui ci era riuscito. Era riuscito ad entrare a far parte della sua vita, a farsi fidare di lui, non credeva sarebbe potuto accadere che sarebbe stato proprio lui a deluderla. Ripensando a tutto questo si era reso che avrebbe dovuto lasciare tutte quello che più amava, per un suo errore.

< Ti amo così tanto.. > gli occhi iniziarono ad inumidirsi e la strinse più forte.

< Ehi.. > gli prese il volto tra le mani, accorgendosi di quanto fosse triste < Cos'è successo? Amore, stai bene? > ogni sua parola era una ferita al petto.

< Perdonami, ti prego, Meredith, perdonami > sapeva che non l'avrebbe mai perdonato. Gli occhi di Meredith cominciarono a cambiare espressione e titubante glielo chiese ancora.

< Cos'è successo? > chiese timorosa di sapere la risposta. I secondi successivi furono vuoti incontinenti che si prepararono a riempire. Respirò affondo e abbassò lo sguardo per perdersi volontariamente la sua espressione.

< Jessica.. è incinta > Meredith si sentì mancare le forze. Si portò la mano al petto e si diresse traballante verso una sedia in cucina < Il test di gravidanza è risultato positivo > aggiunse quando la vide sedersi. Gli occhi di Meredith andavano in qualsiasi direzione tranne che da Alex. < Ma potrebbe essere un falso positivo! > esclamò per darle, quella che a lui sembrava, una buona notizia e le accarezzò i capelli.

< Non toccarmi! > disse alzandosi scattante dalla sedia.

< Mer, ti prego > si avvicinò, ma lei arretrò.

< Non osare toccarmi! Il test è positivo e.. e tu sei qui a dirmi che potrebbe non essere incinta! Sai quante probabilità ci sono che sia un falso positivo? Molto poche! > si poggiò alla testata della sedia e chiuse gli occhi cercando di ragionare, ma più ragionava e più aveva il desiderio di prenderlo a pugni < Lei sa di noi? > non sapeva se sperasse che gliel'avesse detto o se fosse stato meglio tenerlo nascosto. Una parte di sé voleva dannatamente uscire da quell'appartamento insieme, alla luce del sole, mano per la mano, godendosi il loro amore, dall'altra però, adesso non c'era più Jessica soltanto.

< No.. non gliel'ho detto > abbassò lo sguardo e cercò di giustificarsi, ma invano < Credo che prima debba essere sicuro della sua gravidanza e poi potrò capire cosa devo fare.. > Meredith ponderò sulle sue parole e s'innervosì dalla leggerezza con cui sembrava prendesse la situazione.

< Sicuro della gravidanza per capire cosa devi fare? > ripetette < Cosa vuoi dire? Che quando ti accerterai che è incinta lascerai la marionetta Meredith e costruirai la famiglia con Jessica e se invece non è incinta lascerai la marionetta Jessica per costruire un futuro con me? > il discorso che aveva formato era riuscito più duramente di quello che Alex aveva in mente.

< Sceglierei te. Anche con un bambino, sceglierei te > si avvicinò cercando di farsi guardare < Sceglierei sempre te Mer > le prese il volto tra le mani e lo guardò negli occhi. Quegli occhi così pieni d'amore.

< Alex.. un bambino.. tu non giochi con i sentimenti di due persone adesso. Giochi con quel bambino. Pensaci bene prima di prendere una decisione > gli tolse le mani dal volto, ma lui gliele strinse.

< Ho già preso la mia decisione! > esclamò fermo nella sua posizione < Da quando ti ho dato il primo bacio. Da quando abbiamo fatto l'amore per la prima volta. Da quando mi sono reso conto che cosa significa amare veramente. Sei tu > Meredith scosse la testa dissentendo mentre Alex cercava disperatamente di farsi guardare negli occhi < Voglio stare con te! > le disse stringendole ancora più le mani. Nei suoi occhi non c'era incertezza, aveva deciso veramente. L'accarezzò più volte, quasi per paura di perderla.

< Potresti essere padre. Non siamo più io te e Jessica! Non lo capisci? > si scostò per evitare di guardarlo negli occhi < So cosa significa non avere dei genitori e non permetterò che questo bambino faccia la mia stessa fine > si recò decisa verso la porta e Alex la seguì.

< Che cosa stai cercando di dirmi? > chiese guardandola confuso. Si fermò davanti alla porta e respirò lentamente, cercando di far dire alla bocca quello che il pensiero le stava suggerendo.

< Che forse è lei la scelta giusta > ci volle tutta la forza di cui era capace per riuscire a dirlo. Sentire quella frase uscire dalla sua stessa bocca, le fece temere di aver sbagliato, ma lei pensava a quel bambino. Non poteva essere egoista. Si asciugò una lacrima sfuggita al controllo e aprì la porta.

< Mer.. cosa stai dicendo? > le prese il viso tra le mani, ma non reagì < Possiamo stare insieme, noi due, Meredith.. > alzò gli occhi e lo guardò intensamente. Gli occhi Iniziavano ad arrossarsi e la voce a spezzarsi. Era consapevole che se lo avesse lasciato andare non li avrebbe più rivisti. Un groppo le si posò in gola, ma lo faceva per lui. Un giorno si sarebbe svegliato incolpandola di trascurare suo figlio. Imprigionò nella mente quante più cose poteva, prima di lasciarlo andare. < Meredith, ti amo, non voglio lasciarti e neanche tu vuoi lasciarmi, lo so che mi ami > le scosse la testa per farla parlare < Ti prego, rispondimi > abbassò di nuovo gli occhi e non sapeva quanto avrebbe voluto rispondere, quanta voglia di urlare avesse Ti prego resta con me” < So che ti ho deluso! Ho sbagliato! Mi dispiace così tanto, ti prego > l'abbracciò forte, ma Meredith non lo strinse. Desiderava tenerlo tra le sue braccia più di ogni altra cosa, ma si accontentò di sentire le sue braccia forti che la stringevano e le garantivano protezione, il profumo che gli aveva regalato per natale e sentire il suo sussurro supplicante all'orecchio. Non era facile passare da insensibile, e sapeva che non avrebbe retto ulteriormente con quella finta recita. Con grande forza di volontà staccò le sue braccia e lo guardò con autorità, sperando che quello che avrebbe detto sarebbe stato sufficiente per mandarlo via.

< Esci > lo invitò ad uscire tenendo la porta aperta < e non farti più vedere > il tono della voce sfuggì al suo controllo, sembrando strozzata.

< Meredith, ti prego > cadde in ginocchio disperato e per Meredith fu una lancia dritta al cuore. Per quanto dura potesse sembrare, le lacrime caddero improvvisamente quando lo guardò supplichevole per terra. Stava per lasciare definitivamente l'unico uomo che avesse mai amato.

< Non ti voglio più Alex > era difficile crederle con quegli occhi umidi e la voce spezzata dai singhiozzi, ma doveva essere convincente < Ti prego. Va via > la durezza delle sue parole cominciò a vacillare e Alex si alzò da terra.

< Non mi vuoi più? > domandò incredulo, con lo sguardo fisso su di lei < Guardami negli occhi. Dimmi che non mi ami più e me ne andrò. Ti lascerò in pace > Un bivio: rilanciare la carta e tenerselo per sé o mettere fine alla partita e non guardarsi più indietro. Una decisione difficile da prendere, ma lei era sempre stata brava con le bugie. Sapeva mentire e lo avrebbe fatto anche stavolta, anche se questa bugia le sarebbe costata tutto quello su cui aveva fatto affidamento in quei mesi, e che sperava avrebbe cambiato tutto.

< Ti amo Alex, ma non ti voglio più > affermò decisa senza distogliere lo sguardo dal suo < e adesso, se non ti dispiace, vorrei chiudere la porta > Alex le lasciò la mano che le teneva stretta con la sua, Meredith prese il suo giubbotto e glielo porse di getto. Quelle quattro parole gli annebbiarono la ragione. Era estremamente convinto che non avrebbe potuto dirlo seriamente, ma lo aveva fatto. Lo aveva sentito. Ancora una volta sentì il terreno sbriciolarsi sotto i suoi piedi e tutto sembrava perdere colore e importanza. Uscì lentamente dalla porta, ma nel momento in cui stava per chiuderla, la bloccò con la mano.

< Ti amerò comunque > una lacrima gli scavò il volto e sentì dentro di sé il desiderio di stringerla tra le braccia un'ultima volta. Le prese il volto tra le mani e la baciò, facendola irrigidire. Sentire le labbra sulle sue era come avere a disposizione la migliore qualità di cioccolata svizzera e non riuscire a resistere. Un bacio che sapeva di fine, una fine inaspettata e violenta, una fine non concordata e non voluta. Una fine dipesa da agenti esterni. Entrambi si accorsero di appartenersi, rimasero stretti in quel bacio, finché non ebbero il coraggio di affrontare la realtà e porre fine alla loro storia. La guardò ancora negli occhi. I suoi occhi erano gli unici a non poter mentire < Anche tu mi amerai comunque > le posò ancora le labbra sulle sue, senza muoversi, solo per assaporarle ancora e poi se ne andò.

 

< Va tutto bene? > chiese Jessica vedendolo nervoso.

< Si.. sono solo agitato > muoveva la gamba così forte che si sentiva il rumore dei lacci delle scarpe agitarsi.

< Andrà bene. Sono sicura > disse prendendolo per mano.

< Come fai ad essere così serena? L'idea non ti spaventa? > chiese ancora più stupito.

< So che questo bambino nascerà con due genitori che lo amano > gli sorrise e gli accarezzò una guancia < e che si amano > quella frase gli fece abbassare lo sguardo e abbozzò un mezzo sorriso. Jackson aveva ragione, doveva dirglielo, ma non ci riusciva con tutta quella pressione e più andava avanti, più era difficile.

< A proposito di questo.. > un infermiere interruppe il suo discorso e Alex lo fulminò all'istante. Chiamarono Jessica per le analisi e poco dopo uscì.

< Tra una settimana sono pronte > disse l'infermiere.

< Bene > guidò con la testa tra le nuvole. Jessica, il bambino, Meredith. Come poteva essere così bugiardo? Come avrebbe cresciuto suo figlio, nella menzogna? Come poteva amare un'altra donna?

< Amore.. che hai? > chiese curiosa di capire cosa avesse da ormai qualche mese.

< Niente > mentì. Erano settimane che non faceva altro che sognare Meredith. Pensarla e desiderarla. E in più non poteva parlarne con nessuno, a parte Jackson che stava per impazzire ascoltandolo ogni volta raccontare la stessa cosa. Non riusciva a ridere, a sorridere, a fare le cose anche più banali come dormire. Gli mancava un pezzo di vita e non riusciva a mentire a sé stesso che sarebbe potuto essere meglio in futuro.

< Ti conosco da quando eravamo ragazzini, so quando menti e tu stai mentendo > Dillo. Dillo. Dillo. Dillo. < Lo so che ti ho colto di sorpresa con questo bambino e comprendo la tua paura però devi parlarne con me se c'è qualcosa che non va.. adesso siamo genitori, Alex! Dobbiamo essere responsabili per il bene del nostro bambino > Jessica fantasticava gioiosamente sul futuro di loro figlio e dall'altra parte Alex aveva paura di smorzare quell'entusiasmo. La lasciò fantasticare e guidò finché non la lasciò a casa.

 

< Fammi capire.. ci ritroviamo soli e single, e neanche siamo a febbraio dell'anno nuovo? > bevve un sorso del cocktail che aveva ordinato < Io ho un figlio e tu hai perso l'unica donna che potrebbe mai sopportarti nella vita.. è cambiato tutto > sospirò rumorosamente e girò lo sguardo verso un gruppo di ragazze sedute a tre tavolini di distanza da loro. Sorrise appena si accorse come, una delle ragazze era rimasta piacevolmente attratta da Jackson, il quale non si era accorto minimamente di essere diventato il suo oggetto del desiderio < A parte il modo in cui ti guardano le ragazze > commentò geloso Alex.

< Di chi parli? > chiese Jackson annoiato.

< A ore tre > distolse lo sguardo e finì il cocktail con l'ultimo sorso.

< Hm > prese una sigaretta e l'accese, ostentando totale menefreghismo per la ragazza.

< Sei messo peggio di quanto credessi. Vacci a parlare > lo incitò ma senza riuscirci.

< Non mi va > dopo quella sera, non aveva più sentito Valery, né vista in giro. Non aveva notizie di lei e anche se non lo ammetteva, le mancava. Questo desiderio lo indusse a cancellare anche il suo numero di telefono, benché lo sapesse a memoria. Lei era innamorata, lui non sapeva nemmeno cos'era la parola amore.

< Non l'hai più sentita? > chiese riferendosi a Valery.

< Per dirle cosa? Ehi ciao. Ti sei disinnamorata di me? > disse sarcastico.

< Pensavo più a: anch'io sono cotto di te che dici se rinunciassi al mio scetticismo nei confronti delle relazioni e tu al tuo nei miei di confronti e ci godessimo quello che la vita ha preparato per noi? > allargò le braccia e Jackson sorrise.

< Semplicemente perché non rinuncerò al mio scetticismo > soffiò l'ultima nuvola nera di tabacco, e spense il mozzo di sigaretta.

< Allora niente ti impedisce di provarci con un'altra.. no? > gli lanciò uno sguardo di sfida e senza titubare, lo accettò. Si alzò dal tavolo e si avvicinò nella direzione della ragazza interessata. Prese una sedia e si sedette al contrario, con le braccia poggiate sullo schienale, accanto a lei, sfacciatamente.

< Ciao ragazze > salutò tutte, concentrandosi, sulla ragazza che aveva notato in precedenza. Una bella ragazza con capelli lisci e neri, occhi castani e labbra sottili velate da un rossetto rosso accesso, troppo acceso forse per un aperitivo in un bar prima di pranzo.

< Ciao.. > risposero in coro maliziose.

< Ho notato che non fai altro che guardarmi, così ho pensato che potevi farlo meglio da vicino > sfoderò il suo sorriso migliore e la ragazza abbassò gli occhi, fingendosi imbarazzata.

< Presuntuoso.. sei molto sicuro di te, vero? > alzò il mento e lo squadrò da capo a piedi < Bel cappello > disse toccandosi i capelli.

< Grazie, sono convinto che è una qualità di cui hai un debole.. se non consideriamo la notevole attraenza > si avvicinò quasi sussurrando.

< Se non la consideriamo.. > rispose altrettanto in un sussurro. Le sorrise e si morse il labbro inferiore.

< Purtroppo devo lasciarvi signore > prese il cellulare che la ragazza teneva vicino < è tuo? > la ragazza annuì e lui lo accese, salvandovi il suo numero di telefono, prima di ridarglielo indietro < è stato un piacere conoscerti Veronica > disse alzandosi con totale grazia dalla sedia.

< Non ricordo che ci siamo presentati > chiese lei sorpresa. Indicò il cellulare e alzò la mano in segno di saluto mentre camminava all'indietro per poi girarsi verso l'amico, accendendosi l'ennesima sigaretta. La ragazza spostò lo sguardo sullo smartphone e si ricordò della cover personalizzata con su scritto il suo nome.

< Fatto, contento? > chiese con aria sufficiente. Non gli fregava niente di nessuna. Poteva stare con una diversa ogni sera oppure stare a casa guardando un film, era indifferente, ma almeno Alex smetteva di parlare di Valery, e questo era un bene.

< Ti sei rimesso in pista finalmente > battette le mani gioioso e gli dette una pacca sulla spalla.

< Non dovresti diventare più serio e responsabile, paparino? > disse in tono sarcastico per concentrarsi su di lui.

< Chiudi il becco > disse guardandolo torvo. Subito dopo entrò una ragazza coi capelli rossi che gli scosse il cuore. Non era Meredith. Spostò lo sguardo sul tavolino e in un attimo gli apparvero tutti i più bei momenti trascorsi insieme.

< Tutto bene? > chiese vedendolo guardare nel vuoto.

< Mi manca > sospirò, pensando che non aveva neanche il diritto di dirlo probabilmente. Sorrise all'amico per non fargli vedere quanto in realtà quella situazione lo stava distruggendo.

< La ami sul serio > constatò. Lo sapeva che si era innamorato di lei, ma vederlo in quel modo, perso per lei, gli fece comprendere fino in fondo quanto ci tenesse. Lui annuì e sorrise ancora. Alzò la testa e fece un cenno verso la ragazza che fissava senza ritegno l'amico.

< Non smette un attimo di guardarti. È quasi imbarazzante > la schernì divertito.

< Le ragazze sono buffe. Tutte aspettano il principe azzurro però.. quando si presenta Damon Salvatore.. > gli buttò un'occhiata e alzò le sopraciglia per fargli capire il concetto. Alex rise.

< Sai.. penso che anche noi ragioniamo così > Jackson corrugò la fronte, interessato alla sua opinione < noi cerchiamo la persona giusta o comunque sia, speriamo che sia lei, poi il fato ti fa capire che è veramente lei quella che stavi cercando e puff! Mandiamo tutto all'aria. Sai perché? > Jackson sorrise non capendo dove volesse andare a parare < Perchè siamo masochisti amico mio. Siamo come loro. Vogliamo, ma non ammettiamo a noi stessi di volere quello che sotto sotto vogliamo > disse esplicando la sua tesi.

< E sentiamo.. cosa vorresti che non ammetti? > domandò stuzzicandolo.

< Se lo dicessi a voce alta, mi sentirei una brutta persona > Jackson capì e gli sorrise < tu piuttosto. Sono sicuro che anche tu vuoi qualcosa che non ammetteresti mai di volere > Jackson aprì la bocca in un largo sorriso < andiamo! Dillo al tuo migliore amico >.

Riposò lo sguardo sulla ragazza del tavolino e con nessuna sorpresa lo stava fissando, chiacchierando con le amiche, che lo fissavano a loro volta. Sorrise falsamente e si girò. Vibrò il cellulare e trovò un messaggio da parte di un numero sconosciuto.

Oltre a presunzione e charme, quali altre qualità hai?” colpita e affondata, pensò. È una verità universale che una donna ripeta continuamente di volere un bravo ragazzo e poi si cerchi sempre i peggiori.

Scoprilo. Sabato sera?” rispose al messaggio e si girò. Notò come tutte le amiche intorno leggevano attentamente la frase, cercando di interpretare anche la punteggiatura. Troppo impegnate ad inventare una risposta provocante e a starnazzare come oche giulive per accorgersi dall'aria disgustata che si era impossessata della sua faccia. Se ne accorse e subito cercò di capire cosa gli avesse provocato quel disprezzo. Valery non era così. Ritornò alla prima volta che la vide. Alla sua festa di compleanno. Troppo intenta a sclerare per il suo fidanzato per guardarlo. Nessuna risatina da stupida, nessuna domanda provocatoria, nessun giochetto. Era vera e basta. Sorrise tra sé e sé e sbuffò subito dopo, incapace di non pensare a lei nemmeno con una bella ragazza a due tavolini di distanza.

< Hai ragione > rispose ad Alex, riferendosi a quello che aveva detto in precedenza < Non lo ammetterei mai >.

 

Angolo Queen_Of_Love:
Ehi bellezze! Vi sbarbo un altro capitoletto del mio libro.. libro è una parola grossa!
Del mio ingruglio di fogli che rappresentato una pessima storia! ;D
Maaaa grazie a voi e al vostro sostegno anche solo leggendo, 
acquista un po' più valore!
Vi ringrazio anche se solo spendete cinque minuti del vostro tempo
per leggere quello che scrivo!
Ve amo na cifrona Ona Ona, lo sapete già! 
Alla prossima puntata di Alta infedeltà :O 
Ciaaaaao! :D

 

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Capitolo 13
*** 13. Hai il coraggio di dire quello che vuoi? ***



13. Hai il coraggio di dire quello che vuoi?

 

Jackson stava davanti allo specchio, intento a decidere cosa mettersi per la serata.

< Esci? > chiese il nonno dalla porta della camera.

< Si. Questa azzurra o questa blu? > chiese parere al nonno.

< Quella azzurra > ripose quella blu nell'armadio e indossò quella azzurra per coprirla poi con un golfino blu e dei pantaloni cartazucchero. < Appuntamento? > chiese il nonno curioso.

< Non lo chiamerei così > si spruzzò il profumo e indossò il cappotto.

< Come lo chiameresti allora? >

< Esco con una ragazza che ho conosciuto tre giorni fa > il nonno sospirò sorridendo.

< Appunto > non gli piaceva avere torto. Specialmente se quello che diceva il nipote non aveva senso. Si mise il cappello come tocco finale e uscì.

< Non aspettarmi, vado a casa mia stasera > il nonno sorrise e scosse la testa già sapendo a cosa alludesse.

La serata sarebbe stata molto semplice. Cenetta e casa. Da quel poco che sapeva di lei, era molto radiosa, simpatica e intraprendente. In lei non c'era nessuna traccia di timidezza, era spavalda e questo per lui era un grande punto a favore.

< Sai.. ho visto Valery l'altro giorno > Alex prese il cellulare per controllare facebook, mentre di sottecchi quello che controllava era la sua reazione, ancora instabile per essere di una persona che diceva di non importarsene più < era al bar > guardava per terra senza dare segni di vita < con un tizio.. > la mascella iniziò a contrarsi e Alex continuò con la farsa < capelli neri, brizzolati, non credo di averlo mai visto.. comunque mi sembravano alquanto amichevoli negli atteggiamenti > il sopracciglio sfuggì al controllo e si alzò in segno di rabbia < si è data da fare per sostituirti >

< Lei ha deciso di andare per la sua strada e io per la mia. Non c'è più niente da dire. Può uscire con chi vuole.. anche se non ha mai avuto buon gusto nello scegliersi le compagnie.. l'ultima volta è uscita con un commesso dell'euronics > disse con una smorfia, mentre si aggiustava i capelli allo specchio. Ricordando quel ragazzo, rammentò anche la sera in cui litigarono. La rabbia che provò sapendo che aveva accettato di uscire con quel tizio gli fece bollire il sangue e immaginarli di nuovo insieme gli fece formicolare le mani. Si perse nei ricordi e si ritrovò a essere sorpreso di provare piacere nel pensarla accanto a sè. Si ricordò di quando fecero pace, della canzone, del ballo, del calore del suo corpo al contatto col proprio. Era lì, in quel momento, in quel preciso instante che avrebbe dovuto dirle quello che voleva, avrebbe dovuto avere il coraggio di dirle che non voleva che uscisse con quel tizio perché voleva farlo lui, perché era geloso, perché l'unica persona che voleva era lei. Non lo fece mesi fa e non lo aveva fatto nemmeno adesso. La verità è che aveva ragione. Era un codardo.

< Credo sia morto.. > sussurrò Alex al nonno prima che potesse ricevere una gomitata da parte sua. Jackson si distaccò da quei pensieri e li guardò.

< Alla fine comunque non è durata > esclamò sorridendo.

< Forse non gli piaceva > disse Alex.

< Le sue precise parole? Era quasi perfetto > parlò imitandola ironicamente e rise disgustato borbottando qualcosa di incomprensibile < Mi son detto: se le piace così tanto perché non ci sta? Voglio dire.. sei voluta uscirci, mi dici che è andato tutto bene, che è l'uomo dei sogni e poi.. niente? > sospirò scuotendo la testa < Donne. Valle a capire > Alex e il nonno si guardarono con disperazione, Jackson non avrebbe capito nemmeno con un disegno in 3D.

< Sai forse.. è possibile che eri troppo impegnato a cercare di combattere i tuoi sentimenti che ti è sfuggito ciò che significava realmente la sua reazione > esordì il nonno alludendo a quel qualcosa che Jackson si ostentava a non vedere.

< Che vuoi dire? > chiese lieto di essere illuminato.

< Semplice. Era già innamorata di te > Jackson rimase in silenzio e Alex non si azzardò a ribadire il concetto. Sapeva che aveva ragione, che volevano solo aiutarlo, ma la verità è che non ne sapeva niente sull'argomento e anche se non l'avrebbe mai ammesso, era spaventato. Sapeva solo che di lei si era sempre fidato e adesso quella fiducia che era stata in grado di trasmettergli, gli mancava.

 

< Non mi hai detto niente di te > puntualizzò la ragazza, facendolo ritornare sul pianeta terra.

< Cosa vuoi sapere? > il suo sguardo ipnotizzava chiunque e lei non era esclusa.

< Tutto. Non so se te ne sei accorto ma mi piaci molto > disse con totale spavalderia.

< Anche tu mi piaci molto. Questo non ti basta? > sorrise maliziosamente e le versò il vino.

< Misterioso. Un'altra qualità che mi fa impazzire > disse mordendosi il labbro.

< Cominci a sapere troppo cose di me > bevve l'ultimo sorso di vino e chiese il conto < credo che tu sia molto più interessante di me > tante cose si potevano dire contro Jackson. La sua mancanza di sensibilità nei rapporti di coppia, il suo cinismo e l'oscurità che lo teneva prigioniero facendolo talmente misterioso da far inciampare qualunque ragazza volesse; una dote però gli andava riconosciuta, riusciva ad essere empatico, a cogliere i momenti e le persone, a capire cosa volessero. Si trattava di attenzioni date e ricevute. Era tutto un gioco di strategia.

< 25 anni. Impiegata assicurativa. Nei rapporti, odio i giochetti mentali, di qualsiasi genere. Credo che la vita sarebbe molto più semplice se tutti avessimo il coraggio di dire quello che vogliamo veramente senza troppi giri di parole. Odio i finti bravi ragazzi e i tacchi alti. Non li sopporto > aveva un bel sorriso, ma l'unica cosa che riuscì a pensare guardandolo era che non era minimamente paragonabile a quello di Valery. Una fitta gli colpì lo stomaco e ricambiò il sorriso, scrollandosi di dosso quella sensazione.

< E tu, hai il coraggio di dire quello che vuoi? > la guardò intensamente e resse il gioco.

< Voglio andarmene da qui, e tu? > disse con molta scioltezza.

< La stessa cosa > si alzò e le allungò la mano per alzarla dalla sedia. Le si avvicinò all'orecchio. < Andiamo? > le sussurrò.

 

< Non ci posso credere! Alex papà.. e tu l'hai lasciato? > chiese allibita Valery.

< Certo che l'ho lasciato. Cosa avrei dovuto fare? La matrigna del mocciosetto? La fidanzata del padre? Andiamo.. > da quando Alex se n'era andato, cercava di combattere il dolore con tutto il sarcasmo di cui era capace. Non era una di quella che si crogiolavano nel proprio dolore, era più il genere di quelle che se soffriva, lo nascondeva, anche a sé stessa.

< Qualcosa mi dice che non è per questo che è finita tra di voi > cercò di leggerle dentro. Poteva tentare di cavarsela con tutti, anche con sé stessa, ma non con Valery.

< Val.. un figlio! Non voglio essere la persona che divide i genitori dai propri figli.. non voglio esserlo > ammise.

< Potrebbe non essere incinta > la confortò anche se sapeva perfettamente che era una possibilità molto remota.

< Condizionale. Potrebbe esserlo > aggiunse.

< E se non lo è? > sorrise Valery cercando di sollevarle il morale.

< Se non lo è.. deciderà lui cosa fare. Comunque è finita, meglio girare pagina > Meredith vide una coppia felice, baciarsi per strada e sorrise senza accorgersene < Odio la loro felicità > disse indicandogli il dito contro. Valery li guardò e sorrise, poi li guardò più attentamente e il sangue nelle vene si gelò.

< Ma quello è Jackson > esclamò interdetta.

< Quello lì? Quello con addosso un aspirapolvere? > chiese riferendosi alla ragazza che gli stava risucchiando la faccia. Le gambe tremavano e gli occhi cominciavano a pizzicare sempre di più, increduli. Non l'aveva mai visto effusionare con una ragazza prima di quel momento. Sapeva che sarebbe potuto accadere ma la colse di sorpresa, come se non si fosse preparata in tempo.

< Giriamo prima che ci veda > aveva un'altra. Doveva aspettarselo. Le emozioni si accavallavano così velocemente che nemmeno lei, se avesse dovuto spiegarle in una parola sola, non avrebbe potuto. Gelosia, rabbia, tristezza, disperazione, ira.

< Credo sia troppo tardi.. > disse tra un sorriso finto stampato sul volto mentre salutava Jackson che le aveva ormai viste e si stava dirigendo verso di loro.

Si accorse troppo tardi che i suoi piedi si stavano dirigendo verso di lei. Come se una calamita lo attirasse da quella parte, si fece trascinare. Non ricordava nemmeno chi avesse accanto, voleva solo parlarci.

< Ciao ragazze! Come va? > il tono della voce era allegro e spensierato. Si rese conto di quello che aveva commesso solo quando il volto cupo di Valery lo intimorì, una Valery che di allegro e spensierato non aveva nemmeno un globulo bianco.

< Alla grande > rispose euforica Meredith cercando di togliere l'amica dall'imbarazzo.

< Tu Val.. come stai? > posò lo sguardo su di lei, aspettando una risposta che stava cercando di far uscire ben recitata.

< Bene. Alex? > cambiò argomento sperando di estorcere informazioni importanti per l'amica.

< Sono andati in ospedale ieri.. in questa settimana si dovrebbe sapere il risultato > tenne lo sguardo fisso su di lei e per qualche ragione non riusciva a non sorridere, anche se guardando i suoi occhi sentiva palesemente che la sua presenza non era affatto gradita.

< Non mi presenti? > chiese la ragazza che lo teneva per mano.

< Scusami, colpa mia > quel sorrisetto di finta educazione le fece venire il volta stomaco < Meredith > disse allargando il braccio verso di lei < e.. Valery > posò intenso il suo sguardo e continuò a fissarla cercando di captare ogni lieve reazione sul suo viso < lei è Veronica > le porse la mano con un quarto di sorriso, giusto per la base dell'educazione. Non capiva perché le stesse facendo questo. Era crudele. Non si rendeva conto di quanto potesse soffrirne? Lui non era così. Meredith colse dispiaciuta quanto quella scena fosse pesante per il suo stato mentale e in tutta la sua ironia, lanciò la domanda che non vedeva l'ora di fare.

< E dimmi Jackson.. lei è una delle tante che ti porti a letto oppure ha avuto l'esclusiva? > Veronica aggrottò la fronte e guardò Jackson confusa, il quale non era stato minimamente scalfito dalla sua frecciatina. Valery scoppiò a ridere ma si trattenne subito dopo, curiosa di sentire la risposta.

< Ormai la mia vita sociale non ti interessa più.. > disse rivolto a Meredith per poi girarsi verso Valery < giusto? > per farle capire che quella risposta era indirizzata a lei. Le smorzò il sorriso che aveva appena recuperato e annuì corrucciando la bocca.

< E io penso che ti sia chiarito finalmente le idee > il sorriso sul volto di Jackson si posò velocemente sul volto di Valery, lasciandolo inerme e senza la spavalderia con cui si era presentato < inutile che fingo di dirti che è stato bello rivederti, quindi.. buona serata. Adesso dobbiamo proprio andare > prese Meredith a braccetto e si allontanarono senza voltarsi. Vederlo con un'altra la rese vulnerabile ancora una volta. Non pensava stesse rinchiuso in casa a riflettere ma una parte di lei era convinta che ci avrebbe pensato.

< Wow! Gliel'hai cantate, porca miseria! > commentò allegra l'amica.

< Avergli rovinato una storiella.. mi rende felice > scoppiò a ridere con Meredith, per nascondere quanto le sue dita intrecciate con le dita di un'altra le facessero male.

Entrambi rimasero male della reazione fredda e pungente dell'altro. Un clima freddo che ti entrava nelle ossa, causava dolori atroci e brividi perenni. Erano talmente bravi a combattere i loro sentimenti, così stupidi da non capirne il senso.

 

< Allora.. cosa dice? > chiese impaziente Alex.

< Positivo! Avrete un bambino. Lei è il padre immagino > il dottore si congratulò con Alex, che rimase basito. Aveva riposto tutte le sue speranze in quelle analisi, adesso anche loro glielo avevano confermato.

< Positivo.. > sussurrò < ed è.. attendibile? > sia Jessica che il dottore aggrottarono la fronte < Voglio dire.. potrebbe essere un falso positivo o.. è vero al 100%? > chiese prima che quel briciolo di speranza rimasta fosse risucchiata via da una negazione.

< Amore dai! Ce la caveremo alla grande > l'entusiasmo di Jessica non riuscì a trasferire il buon umore ad Alex.

< Ci sono delle soluzioni alternative, se siete indecisi sul mantenimento della gravidanza > commentò onesto il dottore notando l'evidente dissenso di Alex.

< No grazie noi non.. >

< Quali sarebbero? > chiese interrompendo Jessica, che rimase ferita vedendolo incuriosito.

< C'è l'adozione per esempio. Ci sono molte famiglie che sono interessate ad adottare un neonato, altrimenti l'interruzione della gravidanza, ancora siete in tempo >

< No! > scosse la testa urlando contro Alex < No, no e ancora no! Noi non daremo nostro figlio in adozione e non interromperò la gravidanza! > disse categorica Jessica.

< E' così? Decidi tu quindi? Il mio parere non conta?> chiese scettico.

< Credevo lo volessi, Alex! Da quando ti interessano le soluzioni alternative? > chiese esasperata dal suo atteggiamento.

< Da quando l'ho saputo Jessica! Sei tu a volerlo! Appena l'hai saputo saltavi dalla gioia mentre io.. non rientra nei miei progetti > disse alzando il tono della voce.

< Nei tuoi progetti? > sbattette più volte le palpebre per non piangere e mettere a fuoco le sue parole < E dimmi.. nei tuoi progetti ci sono ancora? > Alex si sfregò gli occhi con i palmi delle mani e si coprì la faccia, cercando di pensare. Il silenzio-assenzio insegna una grande verità. < Mesi fa.. non avresti titubato nemmeno un secondo a rispondere sì a questa domanda.. guardati adesso.. non riesci nemmeno a guardarmi > si asciugò una lacrima e gli dette un ultimatum < hai otto mesi di tempo per decidere se vuoi prenderti cura di tuo figlio. Dipende da te, nessuno ti costringe ad essere padre > si alzò dalla sedia e uscì dallo studio medico, lasciandolo da solo col dottore. Alex si scusò col dottore, che sorrise per la scena a cui aveva assistito.

< Ci sono abituato > disse in sincerità.

< Posso chiederle cosa farebbe? >

< Credo che i figli vadano amati e che loro non chiedono di venire al mondo. Siamo noi a chiamarli e quindi abbiamo il dovere di prendercene cura >.

Andò a casa di Jessica, sperando di rimediare. Era pur sempre suo figlio. Aprì la porta e lo lasciò entrare.

< Sei venuto qui per darmi il verdetto? > chiese ironica.

< Mi dispiace.. non volevo aggredirti in quel modo. Possiamo parlarne con calma? > il tono della sua voce era cambiato, questo le addolcì il volto, si sedettero sul divano per discuterne e le prese le mani < Perdonami > quando la guardò, avrebbe voluto continuare confessando il suo tradimento, ma ancora una volta non riuscì a farlo.

< Certo che ti perdono > disse accarezzandogli una guancia. Chiuse gli occhi e si lasciò accarezzare. Le aveva fatto del male e non se lo meritava. Adesso il karma stava rincarando la dose e lo stava punendo, pensava < so che ti senti imprigionato in qualcosa che è più grande di te e lo capisco perfettamente perché mi sento anch'io così ma.. non voglio uccidere nostro figlio e non voglio nemmeno darlo a qualcun altro. Siamo noi i suoi genitori, Alex > l'aria contrita e pensierosa di Alex la fece sospirare < Tu non lo vuoi questo bambino, vero? > era difficile guardarla negli occhi e non dirle tutta la verità. Non si trattava del bambino. Si trattava della persona con cui l'aveva messo al mondo. Non l'amava più. Amava un'altra. Meredith era l'unica persona con cui avrebbe voluto condividere quel momento adesso.

< Se dico di no sembro cattivo, se dico di si sono un bugiardo > confessò sentendosi una bruttissima persona per averlo detto. Toccò delicatamente le sue mani, giocherellandoci.

< Alex.. perché ho come l'impressione che tu non sia più.. tu? > cercò il suo sguardo ma non lo alzò < non riesco più a capirti.. cos'è cambiato? > ecco la domanda a cui ancora una volta non avrebbe risposto sinceramente. È cambiato tutto Jessica. Ti ho tradito e mi sono innamorato di un'altra.

< Aspettiamo un bambino > rispose ironico.

< Solo questo è cambiato? > c'era qualcosa di diverso nel suo sguardo quando la guardava e non riusciva a capire cosa fosse. Le strinse le mani e avvicinò la fronte alla sua.

< Ti prometto che cercherò con tutto me stesso di essere un buon padre. Questo bambino crescerà bello e sano e saremo i genitori più affascinanti e moderni di sempre> le sorrise e la luce che non aveva più negli occhi, risplendette ancora, flebile. Lo baciò delicatamente, ma non sentì più alcun tipo di trasporto da parte sua.

< Ti amo tanto > gli sussurrò. Chiuse gli occhi e cercò di non pensare a Meredith. L'abbracciò per non mentirle guardandola negli occhi.

< Anch'io.. > la strinse ancora di più e si convinse che Meredith aveva ragione. Forse era Jessica la scelta giusta.

 

Angolo di Queen_Of_Love:
Eccomi qua con un altro "straordinario" capitolo!
:/
Sè.. sogna sogna! Vabbè io ce provo! ;D
Ragazzi! Che dirvi? Siamo arrivati al 13.. e il numero in sé non porta molta fortuna!
Spero che per chi la legge, la segue e la commenta, sia un momento piacevole 
e non un perditempo!! :)
Ve amo sempre na cifrona 'o sapete!
Cià! 

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Capitolo 14
*** 14. I won't let you go ***




13. I Won't Let You Go

 

Uscì di casa e andò in biblioteca per studiare. Ancora era preso dai preparativi della nascita del bambino, Jessica era sempre stata lungimirante, doveva avere tutto l'occorrente a portata di mano, anche se significava avere il bambino dopo sei mesi. Alex aveva bisogno di pace e tranquillità almeno per qualche ora da dedicare allo studio e a sé stesso. Tra culle, passeggini, vestitini, giocattoli di ogni tipo e per ogni occasione, non avevo più un po' di tempo per sé stesso, ma pensare a quel bambino lo inteneriva, anche se ancora non si sentiva affatto pronto a fare il padre, l'idea lo spaventava a morte.

Posò i libri sul tavolo e cominciò a leggere, quando sentì una risata familiare. Non avrebbe mai potuto confonderla nemmeno tra un centinaio di persone, era la sua risata. D'istinto alzò la testa e la cercò. Era pronto a scommettere che fosse lei. Si alzò, per non farsi vedere, guardò attraverso gli spazi lasciati dai libri negli scaffali. Si lasciò trasportare dal suono della sua fievole voce e fu in quel momento che la vide, lì, seduta con due ragazze, intenta a studiare tra una battutina e l'altra. Il cuore iniziò ad essere scosso dalle emozioni e tutto ciò che la circondava si offuscò.

< Meredith > quella voce le provocò un tuffo al cuore. Quando si girò lo vide accanto a sé, in piedi.

< Alex.. che ci fai qui? > riuscì a dire con disinvoltura.

< Studiavo, anche tu immagino > trascinò una sedia e la mise accanto a lei < posso, vero? > si sedette prima di ricevere una risposta negativa < come stai? > chiese desideroso di sentirla parlare.

< Bene.. io.. ho un esame a breve, così.. stavo studiando quindi.. > cercò di non guardarlo per fargli capire che non lo voleva lì, ma il suo profumo gli annebbiò totalmente la ragione e i ricordi che aveva deciso di sopprimere in quei mesi la stavano soffocando come un'onda violenta ti spinge sott'acqua. Le amiche che erano con lei si accorsero dei loro sguardi e fecero finta di studiare a capo fitto sul libro, ridacchiando. < Tu invece come stai? > chiese dopo un lungo silenzio.

< Potrei stare meglio > senza pensare alle conseguenze, le sfiorò la mano, ma lei la tolse di scatto, come fosse corrente elettrica.

< Come sta Jessica? > lo riportò alla realtà e sfogliò qualche pagina del libro, fingendosi occupata.

< è al terzo mese. Abbiamo deciso di tenerlo > disse abbassando il tono della voce.

< Sono felice per voi > si schiarì la voce < adesso devo proprio studiare.. domani ho un esame importante > Alex tenne il suo sguardo fisso nel suo < è stato bello rivederti.. >

< Non sai quanto > si passò una mano tra i capelli indeciso se toccarle la mano o meno. Titubante posò la mano sulla sua e l'accarezzò < Andrai benissimo all'esame > stavolta glielo lasciò fare < Ciao Mer > si alzò dalla sedia e sparì dietro gli scaffali.

Prese il lapis che aveva posato sul tavolo e ricominciò a leggere dal punto in cui era stata interrotta, mentre le amiche incuriosite la riempivano di domande a cui non aveva alcuna voglia di rispondere. Sentiva ancora il tocco delle sue dita sulla pelle. Girò le pagine indietro e ritrovò le scritte e i disegni alle orecchie delle pagine. La maggior parte erano sue. Dediche, frasi stupide, ti amo rubati tra una pagina e l'altra, pezzi di canzoni. Sfiorò con le dita su una frase che aveva scritto per natale sull'orecchio della pagina. Fu una delle prime frasi che le scrisse. Si lasciò andare a quel ricordo tanto felice. Erano all'università, in una biblioteca come quella, cercando di studiare mentre lui le dava noia come sempre, quando le rubò il libro dalle mani e scrisse sulla pagina che stava leggendo. Quando glielo ridiede il suo sguardo cambiò e prima che potesse ribattere e alzare lo sguardo dal libro, la sorprese con un bacio. Sfiorò con le dita la sua calligrafia curata e canticchiò la frase sottovoce: “All I want for Christmas is you..” chiuse il libro, prese tutta la sua roba e uscì dalla biblioteca. Alex le faceva ancora quest'effetto e si era resa conto di quanto forte fossero i suoi sentimenti per lui. Per un uomo che ormai apparteneva ad un'altra.

 

Rivederla gli aveva fatto capire che non avrebbe mai potuto ricucire il rapporto spezzato con Jessica, perché non si trattava di investire sulla buona volontà, ma su un amore ormai finito, direzionato verso un'altra donna che faceva parte di lui e non poteva lasciar andare. Aveva voglia di rivederla ancora, parlarle, guardarla sorridere, cosa c'era di sbagliato in questo?

< Domani ho l'ecografia, vieni con me? > chiese Jessica mentre buttava la pasta.

< Si, certo, non voglio perdermela > notò un gran sorriso che gli si aprì sul volto, che la fece rimanere perplessa < che c'è? >

< Niente, è che.. non ti vedo sorridere più molto spesso ed è bello vedertelo fare > preparò i piatti mentre continuava ad osservarlo insistentemente.

< Che c'è? Adesso non ho riso > chiese Alex un po' spaesato.

< Sei diverso in questi giorni.. più solare! Cosa ti è capitato? > Alex sapeva qual era il motivo della sua felicità attuale. Aveva rivisto Meredith, la ragazza che gli aveva donato la luce, e da quel giorno non riusciva più a fare a meno di pensare a lei. Cercava di distrarsi, pensando a Jessica, al bambino, ma la verità era che avrebbe voluto condividere tutto questo con lei, con lei tutto prendeva più sapore. < Uuuuh Uuuuh! > Jessica scosse la mano all'altezza degli occhi ed Alex si rese conto di essersi incantato < L'hai rifatto! > rise divertita < Ti sei incantato >

< Sono solo felice per l'andamento dei miei esami, tutto qui > disse cercando di dare una spiegazione.

< Ti fa bene andare in biblioteca, se questi sono i risultati > sorrise ancora. La sapeva perfettamente la causa del suo sorriso. Era lei, era sempre stata lei. Rivederla quel giorno era stato come un raggio di sole che gli aveva indirizzato la strada. La gioia che aveva provato, non la provava da tanto tempo, una scarica d'adrenalina dritta al cuore. Infondo, potevano essere amici, non c'era niente di male , si diceva. In quei giorni un'idea insistente gli martellava continuamente in testa. Aveva il desiderio di vederla ancora sfogliare uno dei suoi libri e parlarle come facevano un tempo, aveva voglia di ascoltarla mentre si lamentava della giornata assurda che era trascorsa all'università, voleva vederla ridere per una sua battutaccia, voleva tutto questo ed era deciso a prenderselo.

< Sì, mi concentro meglio > sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi. Jessica Si alzò da tavola per preparare i piatti. Si rigirò verso di lui, per guardarlo. Ancora una volta stava fissando un punto fisso davanti a lui, sorridendo percettibilmente. Quel sorriso innocente sul volto le provocò un crampo allo stomaco e una brutta sensazione che le tolsero il riso. Qualsiasi cosa stesse accadendo ad Alex, non c'entrava con l'università, lei o il bambino. C'era dell'altro e aveva intenzione di scoprirlo.

 

< Com'è andata l'ecografia? > chiese il nonno di Jackson.

< Bene, il dottore dice che è sano e sta crescendo bene > disse fiero di sé.

< Maschio o femmina? >

< Non lo vogliono sapere nonno! Vogliono l'effetto sorpresa! > rispose Jackson sempre in modo scettico.

< Che c'è di male? Vogliamo essere sorpresi! È una brutta cosa forse? > chiese al nonno, conoscendo perfettamente l'opinione del suo amico.

< Siete voi i genitori, se per voi va bene perché dovrei essere contrario alle vostre scelte? > la risposta fu talmente saggia che spiazzò Jackson e il suo scetticismo, diventato più intenso da quando Valery non era più una costante nella sua vita.

< Grazie nonno! > esclamò Alex sorridente e compiaciuto < Dovrei essere io suo nipote, visto come ci intendiamo? > esordì per punzecchiarlo.

< Non ti sopporterebbe > rispose sorridendo.

< Perché sono un ragazzo tremendamente responsabile? > chiese con faccia d'angelo.

< Disse quello che mise incinta la sua fidanzata che stava per lasciare per un'altra > rispose in una smorfia e un sorriso beffardo per metterlo al tappeto. Alex rise e corrucciò la bocca.

< Touché! > disse alzando le braccia < Almeno io so riconoscere i miei errori. Tu vaghi per strada, scontrandoti con ex amiche/probabili fidanzate, mentre limoni con un'altra conosciuta due giorni prima > esclamò tutto d'un fiato prima di ululare canticchiando, esprimendo la sua vittoria in quel duello.

< Un'altra? > lo interruppe il nonno incuriosito dal racconto. < Hai una ragazza e non dici niente al tuo coinquilino? > Jackson sbuffò e si alzò irritato dalla sedia, da quando l'aveva incontrata, ormai tutto ciò che aveva cercato di dimenticare, riaffiorava come piccole piantine in primavera e prima che se ne accorgesse, erano già sbocciati i petali. Una sensazione straziante era il non riuscire a togliersela dalla testa. L'averla ferita quasi senza accorgersene e lo stare male per averlo fatto.

< Non ho nessuna. È una ragazza con cui sono uscito qualche volta e Valery mi ha visto con lei, tutto qua > rispose vago, ma al nonno non bastò.

< Non mi avevi detto di averla incontrata.. com'è stato? > iniziò a psicanalizzarlo e Jackson sbuffò ancora, non avendo alcuna voglia di rispondere. Alex, da bravo amico impiccione che era, cercò di andare in aiuto al nonno, condividendo più informazioni.

< Non bene. Lei lo ha accusato di essere un casanova davanti alla ragazza! > bisbigliò al nonno per informarlo dell'accaduto, come se fosse una soap-opera.

< La smettete di comportarvi come le vecchiette pettegole che si incontrano dal dottore?! > esclamò Jackson, spazientito. Alex si accorse quanto ancora stava male per quella situazione.

< Ok amico, sai che ti ci vuole? Una bella serata tra uomini! Che ne dici? > si alzò in piedi dalla sedia in pieno stile Ryan Gosling e cercò di convincerlo a uscire < Dai! Sarà divertente, è da un sacco di tempo che non ci godiamo una serata divertente! Musica, donne, qualche bicchierino per dimenticare.. > si girò verso il nonno e sorrise dispiaciuto < ti inviterei ad unirti a noi ma.. è una cosa da ragazzi, spero non ti dispiaccia > gli mise una mano sulla spalla mentre il nonno lo fulminava con lo sguardo.

< Il tempo del divertimento è finito per me, ma questo non significa che sono vecchio. Sono più in vita di voi. Guardatevi! Uno se ne sta seduto su una sedia a rimuginare sulla sua amica pensando che sarebbe potuto essere diverso se solo gli atomi del suo corpo non fossero stati infettati da una forma elevata di stupidità > Alex scoppiò a ridere mentre Jackson lo guardò torvo < e l'altro cerca disperatamente di convincere il suo amico ad uscire, perché tornare a casa dalla sua fidanzata incinta gli farebbe ricordare che non la ama e che non l'amerà mai più perché è innamorato di un'altra > Alex chiuse la bocca e si sedette intimidito sulla sedia < in sintesi.. credo che vi farebbe bene uscire un po'. Non guidate ubriachi > disse puntando il dito contro Jackson < Non mettete incinta nessuna > lo spostò verso Alex con sguardo severo < e ricordatevi che siete giovani e avete una vita da vivere > ogni parola che usciva dalla bocca di quell'uomo era una boccata di saggezza e chiunque lo stesse a sentire rimaneva strabiliato da quanto le sue parole potessero colpire.

< Si.. però dovremmo rimandare a sabato! Adesso devo andare a casa.. ho una cena con i genitori di Jessica, ci vediamo, non deprimerti troppo! > disse a Jackson prima di andarsene.

< Hm.. credo che il mio discorso lo abbia colpito talmente tanto.. da non riuscire a coglierne il senso > rise tra sé e sé e Jackson rimase sulla sedia a riflettere sulle parole di suo nonno. Aveva ragione. Era giovane e doveva vivere. Basta Valery. Sabato sarebbe uscito con Alex e lei non avrebbe invaso i suoi pensieri.

La vibrazione del cellulare lo distrasse.

Ci vediamo stasera?” pensò ancora una volta a Valery e poi rispose.

Tra un'ora a casa tua?” aspettò la risposta in totale indifferenza.

Ti aspetto” non faceva domande, non voleva una relazione stabile, non si offendeva se usciva con un'altra, se non la richiamava, se non le mostrava affetto. Era perfetta. Tutto quello che aveva sempre voluto, ma c'era un problema, ogni volta che faceva l'amore con lei, non poteva fare a meno di pensare a Valery. Si immaginava i suoi occhi guardarlo intensamente, e quando li chiudeva sperava che nel riaprirli, avesse trovato lei, ma non era così.' Era Veronica, la ragazza che aveva scelto al posto suo. Lì capì. Il motivo per cui Valery non continuò ad uscire con Matteo: non era Jackson. Tutto ebbe un senso. Quello che non capiva adesso sembrava essere così semplice.

Veronica era perfetta ma non era Valery.

 

< Ancora qui.. > sbottò Meredith scocciata.

< Si, volevo chiederti un parere su questo libro. Jane Eyre > le porse il libro davanti al viso, poggiandosi allo scaffale.

< Te lo consiglio. Bello > rispose schietta mentre riordinava i libri al loro posto.

< Oh lo so.. è uno dei tuoi preferiti. Lo tenevi sempre sul tuo comodino. Ce l'ho visto per mesi interi. Me lo ricordo > si avvicinò ancora di più per accorciare la distanza che c'era tra loro < Mi ricordo tutto di te > bisbigliò avvicinandosi pericolosamente al suo viso, con occhi pieni di ricordi e per un attimo i suoi occhi si persero in quelli di Alex, ma non osò sbilanciarsi.

< Smettila > lo ammonì e s'incamminò verso il corridoio.

< Di fare cosa? > chiese mentre la seguiva.

< Di fare leva sul passato > rispose voltandosi verso di lui < Non puoi flirtare con me nella biblioteca dove passo la maggior parte del mio tempo > disse quasi in un sussurro per non farsi sentire dalle persone che avevano intorno.

< Se non volessi che lo facessi.. avresti già cambiato posto di studio.. non credi? > le chiese avvicinando il volto al suo quasi in segno di sfida. Questo la fece sorridere. Lui sapeva quanto le piacessero le sfide.

< Non capisco perché dovrei andarmene da un luogo così piacevole quando in realtà sei tu quello che non è il benvenuto > sorrise di rimando e per un attimo si soffermò sulle sue labbra.

< Sei sicura? > le chiese notando il modo in cui lo guardava con desiderio. Notò una ciocca ribelle separata dal resto dell'acconciatura, con delicatezza la scostò dietro l'orecchio, lasciando scivolare lentamente la mano sul collo.

Troppo tempo era passato, chiedendosi se l'avrebbe rivisto, se l'avrebbe di nuovo abbracciato, baciato o soltanto sfiorato. Adesso sembrava potesse esserci una seconda chance, avrebbe potuto averlo di nuovo per sé. Si, ma per quanto? Per qualche minuto, qualche ora? Il tempo di un bacio e sarebbe tornato da lei. Non poteva mollare adesso che aveva resistito per mesi, ora veniva la parte difficile e non poteva crollare proprio adesso.

< Sicura > si allontanò quanto bastò per lasciarlo stupito della sua reazione < adesso devi andartene > lo superò e anche se dentro soffriva per quanto vicina le era stato e non aveva potuto nemmeno toccarlo, era anche fiera di aver resistito con fermezza ai suoi sentimenti.

 

< Non ci crederai, è venuto in biblioteca, ancora! Ormai non fa altro che venire a darmi noia! Come se non capisse che non lo voglio lì e lo facesse a posta per farmela pagare di averlo lasciato > si lamentò Meredith, mentre si provava delle scarpe col tacco.

< Perché tu ovviamente non lo vuoi lì > ironizzò scettica Valery dal camerino.

< Certo che no! > alzò gli occhi al cielo ancora indecisa se acquistare o meno le scarpe < Insomma, sta con la sua ex, incinta per di più, perché dovrei volerlo in biblioteca? Assurdo > si tolse le scarpe e le ripose < non mi piacciono >

< Sai cosa penso io invece? > Valery uscì dal camerino con dei pantaloni a vita alta neri, con del pizzo lungo i fianchi e sei bottoni dorati sulla parte alta.

< Che quei pantaloni sono da urlo! > esclamò Meredith vedendola uscire dal camerino.

< Si, anche, ma non è questo quello che volevo dire > Meredith le girò intorno per osservarli meglio < penso che tu inconsciamente stia mentendo a te stessa, convincendoti che non lo vuoi lì perché lo odi e la vostra storia è finita, ma in realtà, ogni giorno che metti piede in biblioteca, non aspetti altro che lui ti dimostri quanto ancora sia pazzo di te e ho anche notato che ci stai andando sempre più spesso, prima andavi in media una, massimo due volte a settimana, adesso sono aumentate a quattro barra cinque. Grande impegno ci stai mettendo per non vederlo > Meredith smise di girarle intorno e si sedette contrita in una smorfia di disappunto. Non è mai facile farsi un'introspezione, lo diventa ancora meno se quello che cerchi, infondo sai che è sempre stato lì, ma hai fatto finta di non vederlo perché sarebbe troppo doloroso ed egoistico sbandierarlo al vento, è più facile tenerle nascoste le cose, invece di farle uscire, invece di ammetterle.

< Dalla prima volta in cui l'ho visto in biblioteca, ogni volta che ci ritornavo, speravo di vederlo, di parlarci, anche solo per cinque minuti > la guardò capendo che non aveva senso tenere la corazza anche con la sua migliore amica < Solo incontrarlo, mi rallegra la giornata, come se avesse un effetto calmante su di me. È diventata la nostra abitudine, il nostro posto, anche se penso che mi sto solo facendo del male ulteriormente > poggiò il volto tra le mani e un senso di malinconia le invase gli occhi.

< E' normale quello che provi. Devi solo.. conviverci e quando ti sarai abituata alla sua assenza, un giorno non la sentirai più. Ti guarderai dentro e non lo troverai, perché l'avrai lasciato andare > com'era semplice parlare, pensò. Quei consigli che le stava dando, si rese conto che erano anche per lei.

< E' proprio questo il punto.. non so se sono pronta a lasciarlo andare > confessò.

< Ti basterà qualche dose di umorismo Meredithiano di cui sei maestra, qualche goccia e dico qualche, di arroganza e acidità, un po' di allegria spropositata e tutti i sorrisi sarcastici di cui sei capace, per riuscire a sopravvivere, per adesso > si abbracciarono e Meredith cercò di rianimarsi.

< Jackson è un idiota. Si è fatto scappare una come te > l'accarezzò e solo sentire il suo nome le spense il sorriso che aveva sulle labbra poco prima. Aveva ancora stampata nella mente l'immagine delle sue mani intrecciate a quelle di un'altra. Aveva cercato di non pensarci in questi ultimi mesi, cercava di mentire a se stessa dicendo che non aveva bisogno di lui, ma questo non serviva a nascondere l'amore che sentiva crescere sempre di più. Provava a sopprimerlo, ma lui era sempre lì, come una fiamma inestinguibile. Le mancava il suo sorriso che gli irradiava quei meravigliosi occhi verdi ipnotizzanti. Le mancava la sua voce suadente che la consolava quando ne aveva bisogno, le consigliava. Le mancavano le sue braccia, aveva la certezza di essere protetta da qualsiasi cosa. Adesso non c'erano più a farlo. Non aveva più un rifugio, lui non c'era più e per quanto volesse far credere il contrario, sembrare forte e determinata, lei lo amava, senza riserve, senza alcun cinismo, senza paura, incertezza, arroganza e presunzione. Lo amava e una parte di sé lo aspettava ancora. Sognava spesso che un giorno lui si sarebbe svegliato, avrebbe capito che lei fosse la persona giusta e avrebbe dichiarato d'amarla. Ultimamente però questi sogni e le più piccole riserve di speranza stavano vacillando, ritrovandosi a credere che probabilmente avrebbe dovuto cambiare pagina. Sorrise e annuì sembrando sincera.

< Chissene frega. È andata > si alzò da terra, afferrò i suoi acquisti e andò alla cassa per pagare < Uh! Prendo anche questo! > all'ultimo momento decise di comprare un vestito glitterato argento < Perfetto per stasera, non trovi? > chiese a Meredith, che sapeva esattamente cosa stava facendo: cercare di sembrare felice e menefreghista, entrando sempre più nella parte, si sarebbe convinta di esserlo veramente. Una piccola tecnica che le aveva insegnato lei. Glielo lasciò fare, anche se sapeva perfettamente che era solo una maschera e che probabilmente avrebbe voluto solo piangere e crogiolarsi nel dolore, ma le amiche si spalleggiano, le sarebbe stata vicina, come Valery con lei.

< La vita ci aspetta, tesoro! > urlò a squarciagola e scoppiarono a ridere davanti alla commessa che le guardò perplessa.

 

Entrarono in discoteca, una volta preparate. Valery era decisa a spassarsela e Meredith non l'avrebbe fermata, erano nella stessa barca e non vedevano l'ora di smettere di pensare a quei ragazzi che gli avevano spezzato il cuore.

< Stasera non esistono. Ci siamo solo noi e un sacco di ragazzi carini! > urlò Meredith sulla musica.

< Benvenute alla festa! > urlò a sua volta e subito andarono al bancone e ordinarono due drink. Si scatenarono in pista, ballando una vicino all'altra. La musica assordante le trasportò in un'altra dimensione e quasi si scordarono della loro esistenza. Valery si sentì toccare i fianchi, ancora lucida si girò e prima di improntare le sue dita sulla faccia del ragazzo misterioso si bloccò.

< Matteo! > esclamò Valery incredula. Matteo la guardò meglio e subito le tolse le mani dai fianchi.

< Quante probabilità c'erano di riprovarci con la ragazza che non mi ha più richiamato? > rise ma Valery captò una nota acidula in quella frase.

< Scusa! Sono stata impegnata! > cercò di sembrare dispiaciuta, anche se forse era più imbarazzata che altro. La prese per il braccio delicatamente, indicando il bar, per allontanarsi dalla musica.

< Impegnata, eh? > si sedette e ordinò due birre < Sono indeciso se chiederti con cosa o.. con chi > bevve un sorso e sorrise. Valery si morse il labbro, l'imbarazzo adesso era diventato dispiacere.

< Mi dispiace! > soffocò in una piccola risata < seriamente.. non volevo prenderti in giro, avevo la testa altrove > confessò sincera.

< Quel tuo amico.. avevo ragione > capì di aver centrato il punto quando abbassò lo sguardo sul bancone < è un cretino > si sorprese della sua affermazione < ti lascia venire in questi luoghi da sola, senza supervisione, non è geloso? > chiese con un sorriso beffardo. Rise al ricordo di quanto fosse sensualmente simpatico.

< Non credo si stia chiedendo dove sono, tanto meno con chi > sorseggiò fino all'ultimo goccio di birra, cercando di mandar giù, con l'alcol, anche tutti i sentimenti che provava per Jackson. Forse aver incontrato Matteo significava qualcosa. Era un segno che la vita doveva andare avanti. Non si muore dietro a un ragazzo. Raisa glielo diceva sempre. Rovistò nei suoi ricordi. Matteo le piaceva. Non lo aveva richiamato perché era innamorata di Jackson e nessun altro poteva sostituirlo, quel bacio glielo aveva dimostrato, ma quella sera, Jackson non c'era, come non c'era stato nelle settimane precedenti. Se Jackson non fosse esistito, se non si fosse innamorata di lui, sarebbe andata diversamente con quel ragazzo semplice e genuino che aveva davanti? Lo guardò e si accorse di come la stesse scrutando. La risposta a quella domanda era davanti a lei. Posò decisa la bottiglia di birra sul bancone e gli si avvicinò. Da quando aveva conosciuto Jackson, le scelte che aveva fatto, erano una conseguenza dell'amore che provava per lui, seguite o meno dall'inconscio, ma quella sera, aveva intenzione di scegliere qualsiasi cosa la potesse allontanare da lui < Vuoi ballare? > gli sorrise maliziosa sperando accettasse la sua compagnia.

< Dipende > sorrise e le cinse i fianchi gentilmente < mi scaricherai di nuovo? > gli prese la mano e ricambiò il sorriso.

< Non lo so è la risposta più sincera che posso darti al momento > la guardò dolcemente e le strinse la mano.

< Mi basta >.

Ondeggiarono a ritmo di musica, fino a quando Valery gli intrecciò le braccia al collo < E' tardi per chiederti di uscire con me? > gli urlò all'orecchio. Matteo sorrise dolcemente, la strinse a sé e le scoprì l'orecchio dai capelli.

< Questo lo considero il nostro secondo appuntamento. Comincia a preparare il terzo, devi farti perdonare il ritardo > Le luci a intermittenza riflettevano nei suoi occhi blu, sembrando quasi due specchi. Posò lo sguardo sulle labbra e si ricordò del loro bacio, dopo l'appuntamento. Il motivo per cui gli diede quel bacio era Jackson. Lui era stato una costante anche in quella serata perfetta, aveva determinato quel momento e lei glielo aveva permesso. Era stata una serata perfetta e lei cosa aveva fatto? Aveva scartato Matteo che le avrebbe potuto dare quello che voleva, per la sola idea di stare con un amico dai concetti in netto contrasto con i suoi? Quanto era stupido l'amore? Pensò. Davanti a lei c'era Matteo, affascinante, sensibile, dolce, intelligente, ammaliante, quasi magico e irreale. Tutto quello che lei amava era in Matteo. Perché aveva scelto Jackson quando avrebbe potuto avere Matteo? S'incupì quando si accorse che non aveva mai pensato quanto ci fosse rimasto male Matteo, le era passato di mente. La sua indifferenza nei suoi confronti le dispiacque. Matteo le accarezzò la guancia e corrugò la fronte. Valery sorrise per non dover spiegare i suoi pensieri. Le piaceva quel ragazzo e non voleva rovinare tutto come aveva fatto mesi prima. Aveva avuto una seconda occasione e non le andava di sprecarla.

 

< Dai, muoviti! > brontolò Alex < Dovevo portarmi dietro tuo nonno, è più veloce di te > chiuse la macchina ed entrarono nel locale < Mi raccomando, niente sciocchezze e niente Valery > si raccomandò Alex mentre gli passava uno shortino.

< E niente Meredith, soprattutto. Sappiamo entrambi che non puoi fare a meno di parlare di lei almeno trenta volte al giorno, senza considerare quanto tempo spendi a pensarla > gli passò a sua volta uno shortino e ne ordinò altri due.

< Altri venti di questi e possiamo dirci ubriachi >

< Meglio ubriachi che depressi per una donna > ne bevvero altri due e si buttarono nella mischia < Vado a prendere due birre > urlò Jackson. Mentre ballava da solo, Alex si scontrò e sentì di essersi bagnato un lato dell'addome. Ci mise un po' a mettere a fuoco l'intera situazione.

< Ma che cavolo.. > si toccò la schiena e sentì la camicia bagnata. Si portò le dita al naso e alzò gli occhi al cielo. Era vodka. Si girò di scatto, tra le luci intermittenti ci mise un po' a capire chi fosse stato. Vide una ragazza vicino a lui con un bicchiere in mano < Ehi! Sei stata tu? > presa una ragazza di spalle e la girò. La rabbia ristagnò all'istante e un senso di gioia misto a stupore cominciò a salire. < Meredith? > urlò < Che ci fai qui? > chiese sorpreso di vederla. D'altro canto, lei aveva promesso di non pensarlo quella sera, quindi parlarci rientrava nel proposito. Guardò il bicchiere vuoto che aveva accidentalmente versato sulla camicia, e non poté fare a meno che accondiscendere al desiderio di voler sentire di nuovo la sua voce.

< Scusa? > chiese < Non l'ho fatto apposta, non me ne sono neanche accorta, credimi.. io.. > la lingua si fermò e si perse ancora una volta in quegli occhi. La musica si affievolì e lui non aveva sentito neanche cosa avesse detto. Le interessava solo averla vista.

< Sei bellissima > disse scrutandola da capo a piedi.

< Grazie! Direi lo stesso di te.. se non fosse per la macchia di vodka sulla camicia! > risero entrambi e cercò nella borsetta qualche fazzoletto per asciugarlo, ma non li trovò < Dovresti andare in bagno ad asciugarti > propose.

< Si dovrei.. mi accompagni? > Meredith titubò per qualche secondo, sapeva che se avesse accettato sarebbe stato difficile stargli lontano, ma tutto quello che stava accadendo non le sembrava reale. Si guardò intorno e non notò Valery. L'unica che avrebbe potuto farle cambiare idea. < Non sono bravo con le macchie. Anzi, sono un perfetto disastro > Meredith sorrise e annuì.

< Si.. lo so. Andiamo >

 

Jackson tornò in pista ma non trovò Alex. Lo cercò tra la folla ma non ne ebbe traccia. Salì su un divanetto, ma non lo intravide. Delle ragazze avevano iniziato a ballargli intorno. Stava per scendere quando gli sembrò di vedere Valery. Abbassò gli occhi e si girò verso il bancone. Non aveva intenzione di riguardare da quella parte. Niente Valery. Era un'allucinazione. Non l'aveva vista, era solo una che le somigliava. Ordinò più short fin quando non si sentì offuscati i sensi. Ogni sorso d'alcol era un sorso più lontano da Valery.

 

< Devi toglierti la camicia > disse Meredith, mentre prendeva i fazzoletti dal bagno.

< Non pensavo fossi così intraprendente > cominciò a sbottonarsi la camicia ironicamente come uno spogliarellista e Meredith soffocò una risata.

< Sai che lo sono > disse avvicinandosi a lui < ma non è questo il caso > posò la carta sul muro del lavandino e li intinse un po' d'acqua < Ok, dammi la camicia > stese il braccio e si girò verso di lui, che si ritrovò vicino al lavandino, a torso nudo. Per un attimo i muscoli la distrassero, e faticosamente afferrò la camicia e la mise nel lavandino. Mentre cercava di togliere l'alcol con piccole quantità d'acqua, Alex si sedette sul muretto del lavandino, accanto a lei.

< Quanto ci vorrà per.. fare questa cosa? > chiese tamburellando le dita impaziente. Non era facile concentrarsi sul bucato mentre lo specchio rifletteva le sue spalle atletiche.

< Devo solo bagnarla un po' e asciugarla nell'aria calda per le mani. Dieci minuti forse. Sono ottimista > tolse la camicia dal lavandino e si appropinquò verso l'aria condizionata, quando Alex saltò giù dal muretto, balzandole accanto, cingendole la schiena. Si ritrovarono talmente vicini che a Meredith per staccarsi ci sarebbe voluta una palla da demolizione, di cui era a corto. Sentì il respiro sul suo viso e la luce del bagno si spense. Una bella fregatura.. Alex la strinse più forte e le accarezzò il viso delicatamente, cercando di memorizzare ogni centimetro di pelle nella sua mente. Avvicinò il naso alla fronte e le sfiorò ogni piccola parte del volto, fino alle labbra. Sotto il suo tocco si sentiva in paradiso e tutta la forza che aveva nel respingerlo, l'abbandonò. Le mani salirono lungo l'addome scolpito fino ad arrivare al viso. Gli sfiorò le labbra a sua volta e fu convinta di essere in paradiso. Le labbra si toccarono e in un incastro perfetto si unirono. Si abbandonarono ad un lento bacio, un bacio durato mesi, sapeva di amore e odio, sogni e speranze, gioia e dolore. Troppi significati da esprimere in pochi secondi, prima che il movimento dei loro corpi riaccendesse la luce e la realtà li fece precipitare.

Sapete qual è la cosa brutta di sentirsi in paradiso? Che se non si sta attenti, si cade, giù, a precipizio, senza qualcuno che ti prenda.

Meredith si allontanò e gli diede la camicia.

< Aspetta! > la prese per il braccio e la riavvicinò a sé < Ti avevo detto che non avrei mai smesso di amarti. Ho mantenuto la parola. Non ti ho dimenticato > sentirla di nuovo vicina a sé, gli faceva capire sempre di più quanto quella donna lo rendesse felice solo respirando.

< Alex.. ti prego.. > chiese supplichevole.

< Neanche tu l'hai fatto > riprese il viso tra le mani e ci poggiò la fronte sulla sua < ammettilo > disse chiudendo gli occhi < dillo > sussurrò. Non sapeva se era l'effetto dell'alcol, ma i giramenti di testa stavano iniziando a farsi sentire e lei era l'unica capace a farlo crollare o rialzare.

Il modo in cui la teneva stretta le faceva credere che potevano essere ancora qualcosa insieme, ma il segreto che li teneva prigionieri tra quattro mura le ricordava quanto era sbagliato cedere. Lascialo andare, si diceva.

< Dillo > ripetette. Lascialo andare, ripeteva lei. Chiuse gli occhi per evitare di guardarlo, concentrandosi sulla cosa giusta da fare. Qual era la cosa giusta da fare? < ti prego > la sua voce tremante combatteva con il dovere di andarsene e scappare da quel bagno in cui erano rinchiusi. Lascialo andare, non è per te. Le sfiorò una guancia con la punta del naso freddo. Lascialo andare, ti farai del male. Il suo respiro caldo sul viso. Lascialo andare, è la cosa giusta. Le dita che le accarezzavano il collo. Strinse gli occhi, come se temesse che se li avesse aperti si sarebbe trasformata in una statua di pietra. Non voglio lasciarti andare, anche se è uno sbaglio. Aprì gli occhi. Non voglio lasciarti andare, anche se mi farà del male starti vicino. Posò le labbra sulle sue. Non voglio lasciarti andare, anche se non sei più mio. Lo abbracciò. Devo.

< Non posso dirtelo > gli sussurrò con voce strozzata, poggiò le mani sulle sue e le fece scivolare dal suo volto. La rabbia nei suoi confronti era svanita. Non ricordava più il dolore che le aveva causato tornato a casa con quella notizia. L'amore che provava per lui aveva occupato un così grande spazio che non c'era più posto per nessun altro sentimento.

 

< Mi hai fatto sudare! Il prossimo appuntamento spero sarà più tranquillo! > disse Matteo ridendo.

< Decisamente più tranquillo! Non reggo neanch'io questo ritmo! > si recarono al bancone ed ordinarono due birre. Valery si guardò intorno sperando di ritrovare Meredith, che era sparita da un po' < Ti spiace se vado a cercare la mia amica? Non la vedo da un po' >

< Non hai intenzione di scappare, vero? > chiese beffardo. Gli diede un bacio sulla guancia come risposta < Ok, ti aspetto >.

Si allontanò dal bancone e andò in bagno, la chiamò ma non c'era. Salì su un divanetto all'angolo della sala, in cui avrebbe visto meglio tutta la pista. Dopo qualche minuto di ricerca la vide uscire dal bagno degli uomini e le andò subito in contro.

< Eccoti! Non ti trovavo più, dov'eri finita? > chiese stupita. Notò una certa tristezza nei suoi occhi e l'agitazione con la quale si sfregava compulsivamente le mani < Cos'è successo? > chiese preoccupata. Si preoccupò ancor di più quando l'abbracciò con forza e capì che non stava affatto bene < Va tutto bene.. usciamo da qui > la prese per mano, per andare fuori ma Meredith si arrestò.

< No.. è la nostra serata giusto? > sforzò un sorriso smagliante e afferrò uno shortino dal vassoio di un cameriere. Lo tracannò tutto d'un fiato e chiuse gli occhi, rivolta verso l'alto. Sospirò e una lacrima sfuggì al suo controllo < è tutto apposto. È una bella serata. Dobbiamo restare e divertirci, come avevamo programmato > senza dare spazio alle domande le prese la mano e la portò al bancone, dando sfoggio alla recita dell'anno. Meredith era fatta così. Più soffriva, più tutto andava male, più lei sopprimeva reagendo con l'indifferenza. Pensava che se avesse reagito con gioia al dolore, quel dolore si sarebbe annullato<, fingendo di essere felice, forse avrebbe creduto di esserlo.

< L'hai ritrovata, vedo > salutò Meredith e si presentò entusiasta.

< Ma lui non è.. > chiese a Valery sottovoce. Valery annuì con nonchalance e Meredith ammiccò e diede la sua benedizione < ti lascio sola due minuti e acchiappi subito all'amo! Devo dire che ti ho insegnato bene! Sono fiera di me! > disse sempre con voce sommessa per non farsi sentire da Matteo, al quale sorrise mentre lo studiava da capo a piedi < Vi lascio soli! > urlò subito dopo a Matteo < Trattamela bene, altrimenti.. > mandò una fugace occhiata sui jeans, per poi dargli una pacca sulla spalla < mi sono spiegata > Valery sorrise imbarazzata e si avvicinò a Matteo, guardando Meredith allontanarsi.

< Ho un'amica molto protettiva > disse giustificandola.

< Tiene soltanto a te > le sorrise e posò il suo sguardo su di lei < riesco a capire anche il perché >.

Le voci che si sovrapponevano non gli fecero capire nessun discorso intorno a lui, ma recepì una voce familiare. Si girò verso destra e la vide. Era Valery, ma non era sola. C'era un ragazzo con lei, lo conosceva, provò un formicolio alle mani e le chiuse a pugno. Scattò sulla sedia quando si rese conto di chi fosse, alzandosi per andargli incontro. Prima che potesse farlo, osservò i loro movimenti. Lui le prese la mano e l'accarezzò. Lei sorrideva e lo guardava dolcemente. Sembrava felice. Lo teneva per mano. Vide le dite intrecciarsi tra di loro e una fitta di dolore allo stomaco lo fece risedere. Era come essere al cinema. Stava guardando un film e loro erano la coppia protagonista. Stava ridendo. Si stava piegando contorcendosi in avanti con le braccia all'addome. Ogni sua risata era una bruciatura rovente. Ogni sorriso era una freccia trapassata da parte a parte. Ogni sguardo incrociato col suo era una coltellata dritta al cuore. Guardò quel ragazzo che le teneva compagnia. Lo stesso con cui uscì qualche mese prima. Tante domande fiorirono nella sua mente, ma tutte erano annebbiate da un solo pensiero. Il fastidio che provava quando lui la sfiorava, la toccava, l'accarezzava, le spostava i capelli dietro l'orecchio, la faceva ridere, gli fece realizzare che ci sarebbe dovuto essere lui lì con lei.

< Ah sei qui > disse Alex, distogliendolo da Valery < Indovina chi ho incontrato? So che non ne devo parlare perché stasera è la nostra sera e dobbiamo divertirci eccetera eccetera ma.. la verità Jake è che l'unica di cui mi importa veramente è lei. È sempre stata lei e posso ubriacarmi e sballarmi fino a non ricordarmi nemmeno il mio nome, anche in queste condizioni, sarei sempre sicuro di quello che provo per lei > Jackson bevve un altro shortino e ne passò uno all'amico.

< L'amore fa schifo > Alex rise e buttò giù quei millilitri d'alcol.

< Detto da te è un eufemismo > esclamò Alex, senza rendersi conto dell'oggetto della sua attenzione.

< Hai ragione. È così orrendo che non dovrebbe esistere nemmeno la parola. Anzi, dovrebbe essere impronunciabile, come Voldemort > giocherellò con il bicchierino e alzò di nuovo il suo sguardo su quei due. Non era capace di fare discorsi da innamorato come Alex, però stranamente, in quelle parole, ci si ritrovava pienamente.

< Dammi qualche soddisfazione almeno tu. Hai rimorchiato qualcuna? > chiese dandogli due colpetti sul braccio.

< Nessuna che ne valga la pena > la guardò ancora, quasi se quel dolore al petto che provava quando la vedeva con lui, gli piacesse. Non poteva farne a meno, doveva guardarla, anche se era con un altro, anche se probabilmente non l'avrebbe più rivista da sola, doveva guardarla. Semplicemente guardarla, alleviava il suo dolore.

< Non è stata un gran che come serata.. forse non era destino > esclamò Alex < andiamo a casa. Due depressi cronici in una discoteca non si possono vedere. Siamo più fuori luogo di Peppino di Caprio e i Pooh > Alzandosi Jackson inciampò scontrandosi con un gruppo di ragazzi dietro di lui, dei quali cadde una ragazza che perse l'equilibrio per lo scontro imprevisto.

< Uh! Scusami! > mentre la stava aiutando a rialzarsi, il fidanzato della ragazza caduta accidentalmente lo spintonò, facendolo sbattere contro il bancone.

< Ma che diavolo.. > Matteo e tutti quelli che erano nei pressi dell'accaduto si girarono verso di loro < Una delle solite risse > disse a Valery < meglio andare, prima di rimanere coinvolti > esclamò sotto forma ironica. Stando per andarsene, Valery si fermò allibita quando vide che uno dei protagonisti della rissa era Jackson. Fece un passo in avanti ma Matteo la fermò < Vale? > non distolse il suo sguardo da lui. Un senso di protezione stava risorgendo dalla bocca dello stomaco fino al cuore, ma Matteo la teneva ferma, rappresentando in maniera perfetta la sua ragione.

Senza pensarci su, Jackson rispose alla spinta con un'altra, a sua volta < Amico, calmati! Non l'ho fatto apposta, ok? È stato un incidente. Non volevo farla cadere > il fidanzato lo guardò inviperito prima di trasferire lo sguardo sui suoi amici. Lui e i suoi due amici dietro di lui strinsero i pugni e Jackson si preparò a combattere. In un momento, quel ragazzo si trasformò in Matteo e la rabbia cominciò a crescere, sempre più forte. Se non poteva allontanarlo da lei, almeno avrebbe avuto la soddisfazione, se pur non reale, di spezzarlo. Alex, capendo le loro intenzioni, si posizionò davanti a Jackson sorridendo.

< Ehi! Aspettate! > urlò, mettendo le mani avanti, per distanziarli < non è successo niente! Sono stato io a farla cadere.. > Jackson gli toccò la spalla confuso.

< Che cavolo fai? Spostati! > ma Alex lo zittì

< Mi dispiace, credimi, non l'ho fatto apposta, stai bene? > chiese alla ragazza, dietro la barriera protettiva dei suoi amici. La ragazza accennò un flebile sì e si avvicinò al fidanzato, prendendogli la mano, per calmarlo < Vedi? Non si è fatto male nessuno.. siamo apposto, no? > il ragazzo lo fissò con determinazione, poi guardò la fidanzata che le era accanto e sciolse i pugni.

< Non voglio più vedervi > disse puntandogli il dito contro.

< Nemmeno noi > rispose sorridendo Alex < Tutto ok? > chiese girandosi verso Jackson < Volevi farti pestare? Non ne hai avute abbastanza quest'anno? > lo rimproverò e gli diede una sberla sulla nuca.

< Potevo batterli, lo sai > rispose contrariato, toccandosi la schiena dolente al colpo col bancone.

< In un universo speculare probabilmente saresti stato più forte di tre ragazzi ben piazzati, ma in questo, di universo, avresti potuto solo metterti nei casini, farti cacciare dai buttafuori e avresti potuto farmi rovinare questo bel faccino che faccio tanta fatica a tenere perfetto, solo perché hai manie suicide, dovute all'alcol.. o al motivo per cui hai bevuto.. > alluse a Valery ma l'amico fece finta di non capire. Risero ripensando a quei tre palestrati e a come si era svolta la serata. Jackson gli diede una pacca sulla spalla.

< Grazie per aver rischiato di prendere un pugno in un occhio al posto mio > Jackson guardò davanti a sé e incrociò i suoi occhi. Stavolta non stavano guardando un altro. Erano dritti verso di lui. Aveva le mani avvolte sull'addome, in segno di preoccupazione e gli occhi sbarrati su di lui. Si avvicinò lentamente per andare da lei, quando notò qualcosa di diverso in quegli occhi. Il modo in cui lo guardava non era lo stesso con cui guardava Matteo. Non c'era spensieratezza e gioia, c'era dolore e tristezza e forse quell'amore che non aveva apprezzato quando avrebbe dovuto. Fece un altro passo verso di lei, deciso di rompere quella distanza straziante, quando vide Matteo avvicinarsi da dietro e cingerle i fianchi. Si arrestò immediatamente e tornò indietro, girandosi verso il bancone.

< Tutto bene? Sembra che abbia visto un fantasma > chiese Matteo. Tenne il suo sguardo fisso sulle sue spalle, sperando che si girasse. Guardò per terra e si toccò il petto. Il cuore era preda di troppe emozioni. Combattere i suoi sentimenti quando era lontano sembrava facile, ma anche solo rivederlo una volta, metteva in discussione ogni cosa. Era morta di preoccupazione nel vederlo preda di quei ragazzi, sarebbe voluta correre a salvarlo, ma non era compito suo, non lo era mai stato.

< Mi sono solo spaventata.. quei ragazzi facevano sul serio > disse infine. Omise una parte di verità. Una parte importante, secondo la quale avrebbe voluto chiedergli come stava, cos'era successo, abbracciarlo e dirgli che lei c'era. Una parte della verità che sarebbe dovuta essere sepolta se voleva andare avanti con la sua vita. Il punto era proprio questo.

Voleva veramente andare avanti con la sua vita?

Anche se questo significava senza di lui?

Era pronta a lasciarlo andare?

È incredibile come nel mondo ci siamo persone così diverse, eppure così simili; fermi allo stesso punto, logorati dallo stesso problema. Un problema che non poteva essere risolto se non col tempo, con la pazienza, con l'attesa. Un problema logorante ed estenuante, che non lasciava spazio per nient'altro.

Dall'altro lato, lui non si voltò a guardarla. Non poteva farlo. Un pugno in faccia avrebbe fatto meno male di vederla andare via insieme a un altro. Per la prima volta capì davvero come si fosse sentita Valery vedendolo con Veronica: distrutto in ogni parte del corpo.

 

Angolo di Queen_Of_Love:
Ciao a tutti, sia ai più belli che ai più brutti!
Eccomi con un'altra puntanta di "Ormoni adolescenti"!
Ehm.. volevo dire "Vuoi essere la mia casa?"!
Caricherò tre capitoli quindi spero li leggerete tutti e tre e non vi addormentiate!
Ve lo prometto, a breve finirà!
Anche se ammetto che me mancheranno 'na spanna! ;')
Intanto godetevi questa splendida canzone che ho scelto come colonna sonora per questo capitolo:
https://www.youtube.com/watch?v=sgRb_lfIZ6A
Ce se vedeeee! ;)

Ho voluto dare un volto anche a Matteo che, vi dirò, più scrivo di lui, più mi piace!
Quindi ho voluto associare la sua bella personalità ad un attore che mi piace molto: Robbie Amell! 
Che ne pensate? :)



 

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Capitolo 15
*** 15. Se hai amato in amore, non è mai un errore ***




15. Se hai amato in amore,
non è mai un errore

 

< Eccoti qua! Vuoi qualche libro sulla gravidanza? > sorrise sarcastica, vedendolo sfogliare un libro di testo seduto al tavolo, in cui era abitudine di Meredith studiare. Dopo la fatidica serata, non si erano più visti. Lui non andava a trovarla per lasciarle il dovuto spazio e lei non era più andata in biblioteca negli orari in cui era solito venire. Si erano evitati da quel momento, ma lo sanno tutti che più cerchi di sfuggire a qualcosa, e più quel qualcosa studia ogni stratagemma per stanarti.

< Divertente > rise fintamente, prima di guardarla con occhi diversi e distoglierli di nuovo sul libro.

< Mi hai rubato il posto. Deduco che tu non l'abbia calcolato > disse Meredith un po' irritata, anche se in quell'irritazione, c'era sempre un minimo di speranza da cogliere. Alex alzò lo sguardo, seguendola mentre gli si sedeva accanto. Meredith lo guardò torva e Alex sorrise < che hai da sorridere? > chiese indispettita.

< Nulla > rispose scuotendo la testa < Solo che.. tu pensi che io sia qui perché abbia calcolato che tu saresti potuta venire a sederti vicino a me, il che è una probabilità bassa. Non sono il dio della strategia militare > spiegò tamburellando la penna sulla pagina del libro di medicina. Meredith s'impettì, cercando in tutti i modi di spuntarla per avere ragione. C'era sempre quel piccolo desiderio che voleva sentirsi dire che lui era lì per lei, anche se l'avrebbe respinto ancora. In realtà aveva paura che potesse dimenticarsi di lei.

< E' il tavolo in cui mi siedo sempre per studiare, lo sai bene > rispose acidamente.

< Vero > Meredith sorrise soddisfatta per averglielo fatto ammettere < ma oggi è venerdì > la fronte di Meredith si corrugò senza capire < tu non ci sei mai il venerdì > il sorriso si spense e dovette ricredersi. Lui era lì per studiare, unicamente per studiare e lei.. perché era lì? Perché non aveva più sue notizie e aveva deciso di tentare col venerdì? Era per questo? Ci aveva seriamente pensato? Forse sì. Forse inconsciamente sapeva che se il suo obiettivo era quello di evitarla, probabilmente l'unico giorno disponibile per lui era il venerdì. Deglutì, rendendosi conto, che in quelle due settimane aveva architettato questo piano malsano solo per rivederlo. Era stata lei. Lei era una stratega. Non lui.

< Ero libera > si giustificò tossendo. Alex la guardò di sottecchi e rimasero in silenzio per ore, di tanto in tanto i loro sguardi si incrociavano e quando lei non guardava, lui la fissava, a sua volta, quando lui non guardava era lei a fissarlo. Entrambi sentivano gli occhi dell'altro addosso, un richiamo naturale al proprio rifugio. Alex sfogliò una pagina e Meredith osservò casualmente le sue mani, dita lunghe e affusolate, sempre delicate e curate. Alex alzò lo sguardo e Meredith distolse immediatamente gli occhi, mordendo la matita che aveva in mano. La concentrazione era andata. Non ricordava più nemmeno che materia trattasse il libro. Girò la pagina per non far credere ad Alex che non fosse più capace di leggere. Prese il quaderno degli appunti, cercando di ritrovare la concentrazione scrivendo, ma per l'agitazione, che ormai era preda di lei, scivolò dalle mani e cadde per terra < Accidenti > imprecò contro le sue stesse mani e Alex l'aiutò a raccogliere i fogli orfani che erano caduti dal quaderno, sotto la sua sedia. Si ritrovò in mano un foglio pieno di disegni e scarabocchi. Era uno di quei fogli che usi per scrivere e disegnare cose di ogni tipo perché non ti va di ascoltare la lezione. Attirò la sua attenzione, il suo nome scritto con una calligrafia particolare, con riccioli e fronzoli vari attorno al nome. Meredith si avventò contro di lui e gli rubò il foglio veementemente < Grazie > tossì imbarazzata, sperando vivamente che non avesse letto nulla. Si ricomposero sulle sedie e Meredith si fece tesa, sistemando tutti i fogli dentro il quaderno, in modo che non potessero scivolare.

< Cosa c'era scritto in quel foglio di tanto segreto? > chiese Alex con nonchalance, tenendo gli occhi sul libro.

< Appunti > rispose secca. Aveva letto oppure no? Stava fingendo di non aver letto ma in realtà lo aveva fatto? E cosa aveva letto? Si chiese impanicata < niente di importante >.

< Il modo con cui l'hai afferrato, non mi sembra che non ci fosse scritto “niente di importante” > polemizzò Alex.

< Non sono comunque affari tuoi > rispose Meredith scocciata.

< Sì, dal momento che c'era scritto il mio nome su quel foglio > spiegò diplomatico. Stavolta alzò lo sguardo e chiuse il libro. Meredith si agghiacciò < Anch'io ti amo ancora > le sussurrò.

< E' un foglio vecchio. Non so nemmeno perché è lì > Alex posò la mano sulla sua, ma Meredith al solo tocco con le sue dita scappò letteralmente, infilandosi nei corridoi della biblioteca. Sapeva che la stava seguendo, per questo non si sarebbe fermata. L'avrebbe presa, l'avrebbe convinta che stare insieme era la cosa giusta per entrambi, e non poteva. Non poteva farlo. Si nascose in bagno. Lì non sarebbe entrato, pensava. Ricominciò a respirare, recuperando il fiato perso in corsa.

< Meredith > Alex aprì la porta del bagno pronunciando il suo nome e per un attimo avrebbe voluto scappare ancora, ma era stufa di farlo. Sfuggire ai sentimenti che provava per Alex era inutile, avrebbe perso continuamente, quello che le rimaneva da fare era affrontarli < possiamo parlare? Senza che tu scappi o urli o.. mi morda > chiese sorridendo.

< Perchè sei qui, Alex? > chiese decisa di farla finita con quella storia.

< Credo sia evidente, perché sei corsa nel bagno delle donne.. > rispose con tono ironico.

< No.. perché sei qui? Perché sei riapparso nella mia vita? Potevi sparire e vivere la tua vita, invece eccoci qua. Prigionieri di un sentimento che non sappiamo controllare. Ci siamo dati appuntamento qui per settimane da quando ci siamo rivisti, e nessuno dei due ha avuto il coraggio di disertare perché sapevamo, che se avessimo declinato l'invito, sarebbe sparito tutto questo ma.. tutto questo non ha senso > camminò nervosamente su e giù per i tre metri quadri del bagno incorniciata dai suoi monologhi.

< Ce l'ha invece > obiettò avvicinandosi < Hai ragione, potevo sparire e l'ho fatto, ma non potevo.. non posso > precisò correggendosi < vivere la mia vita. Senza di te, non è più la mia vita, è la vita di un Alex diverso, che non sono più. Quando mi guardo allo specchio non mi riconosco più. Tu mi hai cambiato, Mer e da quando ci siamo lasciati, mi sono perso. Non so più chi sono, cosa voglio, cosa fare, non so come comportarmi, perché da quando ti ho rivista, non immagini la gioia che ho provato. Il cuore ha ricominciato a pulsare e mi sono quasi spaventato da quanto battesse forte. Ho sentito che non potevo perderti di nuovo, perché se solo rivederti mi aveva dato così tanta gioia, come sarei stato se ti avessi parlato, toccato.. > le sfiorò la guancia < Tu, mi hai cambiato > ripetette con insistenza < e ogni cosa che faccio senza di te, perde importanza e sapore > Meredith scosse la testa per non volerlo ascoltare < So di essere egoista a volerti con me anche se aspetto un bambino da Jessica, ma ti amo, Mer > era da tanto che non glielo diceva e lo fece stare bene dirlo di nuovo ad alta voce < e credo che posso amare sia te che mio figlio, allo stesso modo.> si avvicinò ancora.

< Non dirlo > disse Meredith scuotendo la testa. Quel ti amo, in quel momento era un'arma troppo potente.

< Che c'è? Ti da fastidio, forse? > sorrise e le si avvicinò < Ti amo! E te lo ripeterò fino a che non ti sanguineranno le orecchie perché non mi stancherò mai di dirtelo > disse prendendole la mano dolcemente.

< Invece devi smetterla! > urlò strattonandogli la mano < Non capisci, vero? Tu mi stai facendo del male così. Mi ferisci ogni volta che mi guardi, ogni volta che mi sorridi, che mi tocchi... Ogni volta ti prendi una piccola parte di me, che non mi torna più indietro. Mi fai sperare in qualcosa che non esiste più. Mi tieni appesa ad un filo, sperando che un giorno potremmo ricominciare da capo, ma non è così. Devi smetterla di dirmi di amarmi, perché se lo dici mi rendo conto che non è una mia fantasia, che tu mi ami ancora e che potremmo essere un noi, ma questa, è un'utopia. Il noi non esiste più > ebbe il coraggio di esprimere una volta per tutte quello che si era tenuta dentro fino a quel momento < non lo siamo mai stati > aggiunse dando il colpo di grazia. Alex la guardò confuso. Era sicuro che l'amasse e che voleva la stessa cosa.

< Che dici? > sbottò < Si che c'era un noi e c'è anche adesso perché io voglio che ci sia! > esclamò alzando la voce.

< Io no! > si liberò, pronta a dirgli addio.

< Che stai dicendo? > chiese intorpidito da quello che aveva recepito.

< Quello che non ho avuto il coraggio di dirti in questi mesi, da quando sei entrato da quella porta. Devi lasciarmi andare, perché io non riesco a dimenticarti > si avvicinò dolcemente sotto il suo sguardo intontito < per questo devi farlo tu per me > la confusione di Alex alimentò ancora.

< Ma io non voglio che tu lo faccia > le sorrise.

< Alex, devo farlo. Perché non riesci a capirlo? > irritata alzò il tono della voce.

< Perché..l'unica cosa che voglio in questo momento è portarti via con me in un posto sconosciuto e stare lì, solo io e te > spiegò.

< Ma io voglio stare qui, Alex. Voglio vivere una storia alla luce del sole. Voglio amare una persona che non debba dividersi tra me e un'altra donna. E tu non puoi darmi questo > le sfuggì una lacrima, che si asciugò subito dopo < È difficile per te quanto per me, ma non mi rendi le cose semplici se mi stai sempre intorno. Mi rendi difficile dimenticarti > Alex fu distrutto da quelle parole.

< Non voglio! > esclamò categorico < E non vuoi nemmeno tu! > Meredith lo guardò, notando quanto poco bastasse per averlo di nuovo per sé < Sei venuta qui oggi, sapendo che ci sarei stato, questo cosa significa? > Meredith non rispose e si poggiò al lavandino. Aveva ragione. Lei era andata lì per lui. Era inciampata in una sua debolezza < Puoi raccontarmi un sacco di bugie ma ti conosco, non puoi mentirmi > si affiancò a lei e le alzò il mento costringendola a guardarlo < guardami negli occhi e dimmi che non vuoi più vedermi e stavolta, sii convincente > gli strattonò la mano, infastidita dalla sua prepotenza.

< Dici di amarmi, però a quanto pare quella che dimostra quanto ci tiene a te sono solo io > smorzò un sorriso sarcastico < tu.. vieni qui, mi riempi di belle parole, mi incastri con le tue frasi a effetto, mi manovri con i tuoi gesti ma.. quanto mi ami davvero? Mi tieni prigioniera in un sentimento che sai benissimo non potrà mai esporsi perché hai commesso un errore, e vieni da me trasudando puro egoismo, cercando di convincermi a tornare da te perché non sei felice? > si fermò corrucciando la bocca in una smorfia < Indovina mago merlino, non sono felice nemmeno io! Perché tu > gli puntò il dito contro il viso < mi hai intrappolata in una bolla da cui mi fai entrare e uscire a tuo piacimento e non voglio più stare al tuo gioco > lo superò urtandogli il braccio. Quelle parole fecero più male di tutto il resto. Il suo egoismo non consisteva nell'amare un'altra donna. Consisteva nel pretendere che ci potesse essere qualcosa con lei dopo quello che le aveva fatto. Pretendere che lei volesse condividere quello che stava attraversando. Lui l'aveva messa in un casino, l'aveva fatta innamorare di lui, le aveva fatto tante promesse e poi aveva rovinato tutto e adesso era lì, a reclamare il suo amore, come se i propri desideri contassero più della sua opinione, dandola così per scontata.

< Scusami > sussurrò prima che potesse uscire dal bagno. Meredith si fermò < non volevo che ti sentissi usata come se fossi un giocattolino, perché non lo sei e non ho mai pensato che tu lo fossi > respirò affondo e chiuse gli occhi < Mi dispiace se sono stato un ragazzino impulsivo ed egoista. Ho pensato solo a quello che potesse rendere me felice e ho dato per scontato che saresti potuto esserlo anche tu, con me > si fermò e corrucciò la bocca cercando di trattenere le lacrime < La verità è che mi ero illuso di poterti riavere per con me, anche solo per poco tempo, perché mi mancavi da morire > Meredith abbassò lo sguardo e si poggiò allo stipite della porta, cercando di stare in piedi e affrontare quella situazione < mi manchi da morire > Alex si girò verso di lei, che era ancora di spalle. Lo rialzò e sbuffò per le lacrime che le erano cadute.

< Lo so > affermò con voce fievole, voltandosi < Sono arrabbiata con te. Non perché hai messo incinta la tua ragazza mentre stavamo insieme, che tra parentesi detto così sembra assurdo > disse soffocando una risatina < o perché sei tornato e hai cercato in tutti i modi di riportarmi da te ma.. perché, per quanto mi sforzi non riesco a disinnamorarmi di te. Ti ho permesso di amarmi, mi sono fidata di te e poi te ne sei andato.. > le lacrime continuavano a scendere, ma non le importava < ti odio con tutte le mie forze! > esclamò. Alex si avvicinò per abbracciarla ma Meredith lo spinse < No..vattene > si coprì il volto con le mani ed Alex l'avvolse tra le sue braccia, combattendo ancora la sua resistenza < ti odio > sussurrò singhiozzando. Alex la strinse più forte e i suoi pugni diretti al petto si fecero meno violenti per la distanza ormai inesistente. Stanca smise di colpirlo e si aggrappò al collo della maglia. Alex poggiò il mento sulla sua fronte e chiuse gli occhi, dondolandosi, per calmarla < aiutami a dimenticarti > disse in un sussurro con voce ancora singhiozzante < fallo per me >. Alex si contorse le labbra per evitare di piangere e premette le labbra sulla fronte.

< Posso far finta > disse sottovoce < Posso sparire, non farmi più vedere o sentire, ma non posso dimenticarti > Meredith strinse ancora più la prese della maglia e lo colpì dritto al petto, ma lui la strinse ancora più forte, quasi a diventare una cosa sola < non permetterò a me stesso di farti ancora del male. Ti prometto che starai bene, senza di me, starai bene > Alex la baciò nuovamente sulla fronte, sapendo che stavolta sarebbe stata l'ultima. Si sciolse dall'abbraccio e districò le dita di Meredith dalla sua maglia < Amerai ancora > lo guardò sorpresa negli occhi come l'ultima volta, fuori da casa sua, solo che era diverso il suo sguardo. Era pieno di rassegnazione e sconfitta. Le sorrise, quasi forzatamente e, dopo averle dato un bacio sulla fronte, si appropinquò velocemente verso l'uscita del bagno senza voltarsi, per poi sparire, definitivamente. Nessun filo era rimasto appeso. Non si sarebbe più potuta aggrappare adesso. Non aveva lasciata appesa la corda dall'altra parte del muro. Non avrebbe più potuto scavalcarlo per tornare da lui. Era finita. L'aveva fatto per lei. Le scorse una lacrima sul viso e una voragine si aprì nel petto, quando si rese conto di quello che era appena successo. Aveva ottenuto ciò per cui aveva combattuto. Se n'era andato e questa volta, se n'era andato per sua scelta. Sarebbe sparito veramente.

 

Jessica guardò l'orologio. Era ora di cena e ancora Alex non era a casa. Preoccupata lo richiamò ancora una volta.

< E siamo a venti.. > esclamò cinica Stella, l'amica di Jessica.

< Staccato. Squilla e poi mi attacca la segreteria. Non capisco > si tamburellò agitata le dita alla bocca.

< Te lo dico io: ti attacca la chiamata. Per qualche motivo non vuole rispondere > esplicò la sua teoria scientifica, mentre mangiucchiava le noccioline sul tavolo.

< Quale motivo avrebbe? > Jessica non era una ragazza maliziosa, soprattutto riguardo ad Alex. Per lei era il ragazzo perfetto, che non l'avrebbe mai causato grandi sofferenze, l'amore della sua vita che le sarebbe stato accanto sempre, nonostante tutto. Non riusciva a scorgere in lui nessun segno di malignità.

< Hai mai pensato che potrebbe avere un'altra? > ipotizzò l'amica con le mani avanti.

< Ma che stai dicendo? > Jessica si irritò e si alzò dalla sedia per prendere ancora il cellulare < Stiamo parlando di Alex! Sicuramente avrà fatto tardi all'università e non può rispondere perché.. sta parlando con un professore di corso > disse spiegando il suo comportamento. Stella meditò su quanto aveva detto e si accorse di quanto fosse nervosa in quel periodo.

< Da quanto non ci vai a letto? > chiese senza vergogna.

< Che domande fai? > rispose risentita.

< Mi hai detto che in quest'ultimo periodo lo vedi diverso, giusto? > iniziò a investigare, cercando informazioni adatte a confermare la sua tesi.

< Si, ma.. > cercò di interromperla, senza successo.

< Tesoro mio devi smetterla di vedere Alex come l'uomo perfetto e osservarlo senza le barriere dell'amore. Alex non è perfetto, è un uomo, con i suoi pregi e difetti, le sue debolezze e distrazioni > disse con tono suadente. Era una di quelle ragazze annoiate che hanno tutto dalla vita e cercano soddisfazione nei problemi altrui. Il suo atteggiamento prepotente la innervosì ma c'era qualcosa, in quello che diceva, che le insinuò un dubbio < Da quando ha cominciato ad essere strano? > se pur restia a voler rispondere alle domande dell'amica, da molto tempo ormai aveva il sentore che Alex le nascondesse qualcosa e se Stella l'avrebbe aiutata a capire, tanto meglio.

< Non so.. dalla gravidanza, forse > cercò di ripensare a prima. Prima del bambino, era andata via per un mese e prima che se ne andasse, anche all'ora lo sentiva distante < non ha a che fare con il bambino, è prima > ammise ad alta voce. Guardò Stella e cercarono di trovare il punto esatto in cui erano cambiate le cose < si! Sono sicura, non so precisamente quando, ma penso sia stata una gradazione. Una sera aveva mal di testa, un giorno non veniva più a trovarmi a l'università, un altro ancora si dimenticava che dovevamo uscire, poi è diventato sempre più freddo e nervoso > Stella la guardò con un sorrisetto beffardo, come se avesse fatto centro. Le piaceva avere ragione.

< Ok. Quindi in tutti questi mesi tu.. non hai mai pensato che lui potesse avere un'altra? > chiese diretta, saltando subito ad una conclusione.

< Perché dovrei pensarlo? Non è l'unica opzione, ok? Ce ne sono a migliaia! Potrebbero esserci mille motivi che possono spiegare il suo comportamento, non capisco perché insisti su questo punto! > esclamò irritata.

< Perché non vuoi vedere Jessica, ecco perché! > si alzò dalla sedia e cominciò a girarle in torno, studiando il suo comportamento < È l'unica opzione che escludi a priori! Per quale motivo? > chiese piena di curiosità.

< Perché non lo farebbe mai! > rispose seccata. Lo richiamò ma stavolta attaccò subito la segreteria. Scaraventò il telefono sul tavolo e si coprì il viso tra le mani. Non aveva mai pensato che Alex potesse essere capace di tradirla. Le aveva sempre dato il meglio, l'aveva sempre fatta sentire speciale, avevano costruito una vita insieme, fatto dei progetti, tutto questo per niente? Pensò < Non lo farebbe giusto? > chiese ad alta voce. Più a sé stessa che a Stella < Insomma non lo farebbe.. abbiamo un bambino.. mi ama.. lui non.. > Stella le toccò il braccio per consolarla come se avesse appena aperto il vaso di Pandora.

< Non ti è mai venuto neanche un minimo dubbio? > chiese allibita. Jessica fece segno di diniego e sorresse la testa con il braccio.

< Non facciamo l'amore da.. mesi > confessò < da quando sono partita per Messina. Sono tornata con la notizia schock e poi.. è stato tutto diverso, tutto così nuovo che non mi sono nemmeno accorta del tempo che passasse senza che lui mi toccasse con desiderio, come faceva prima > solo in quel momento si accorse per la prima volta, dei mesi passati senza le sue attenzioni di un tempo. Tutte le scuse che usava per stare più lontano possibile da casa. L'università, i corsi intensivi, Jackson, i suoi genitori, la biblioteca. Tutti impegni che lo allontanavano da lei.

< Non ti sei mai chiesta perché non volesse più fare l'amore con te? Insomma sei incinta ma non sei una balena > ironizzò l'amica < usava scuse convincenti a quanto pare > disse continuando a mangiare noccioline.

< L'ultima volta che ci ho provato.. mi ha detto che doveva svegliarsi presto, ed era vero, quindi non mi sono posta il problema > Stella la guardò torva e si coprì il volto dalla disperazione.

< Amica mia, tu hai un enorme problema! Questo te la sta facendo sotto al naso e tu non ti sei mai posta il problema? Cavolo, chi è? Rocco Siffredi con prestazioni sceniche, che deve girare un filmetto porno, che non gli bastano venti minuti? > si sfogò Stella < Qualunque uomo, quando una donna gli si butta nel letto, urlerebbe si! Ok? So che non ti farà piacere quello che dirò ma.. o ti tradisce o è gay > disse arricciando il naso < Decidi tu la pena più lieve > esordì con determinazione Stella, senza alcuna sensibilità.

< Non posso puntargli il dito contro solo per delle supposizioni campate in aria. Ho bisogno di prove > disse pensierosa.

< Trovale > Stella speculò su quanto le aveva detto l'amica < qualche nome di persona che non conosci ma che ti ha nominato di recente, o di un posto in cui va spesso, un numero di telefono che non conosci ma che hai visto sul suo cellulare.. > Jessica cercò di riflettere sui suoi comportamenti strani ma nessuno lo riconduceva ad un nome.

< Niente. Non mi viene in mente niente > concluse Jessica.

< Pensaci su. Ciò che si nasconde, lascia sempre delle tracce >.

 

Alex si ritrovò davanti alla porta di casa, senza sapere come ci fosse arrivato. Restò lì senza aprire per qualche minuto. Gli occhi ancora arrossati e umidi avrebbero potuto insospettire Jessica e lui non aveva alcuna voglia di parlarne. Sospirò in profondità ed entrò, sapendo di dover recitare ancora una volta la parte del bravo fidanzatino.

< Dove sei stato? > chiese Jessica avvicinandosi preoccupata. Cercò di essere più naturale possibile e scacciare da lei ciò che le aveva inculcato nella mente Stella. Alex non era un traditore e glielo avrebbe dimostrato.

< In biblioteca > rispose appendendo la giacca all'appendiabiti. Nonostante sapesse che sarebbe sembrato strano a Jessica, non riusciva a sollevare i lati della bocca per sorriderle. Nella sua voce non c'era la ben che minima emozione. Senza guardarla, si recò in cucina.

< Ci vai molto spesso > speculò con vaghezza.

< Mi piace > disse secco, senza il suo solito entusiasmo.

< Potrei venire con te la prossima volta > si avvicinò ad Alex, toccandogli il braccio e posandosi sulla sua spalla.

< Sto considerando l'idea di cambiare posto di studio > Jessica rimase confusa. Gli era sempre piaciuto andare in biblioteca, perché adesso aveva scelto di cambiare posto?

< Come mai? > chiese incuriosita.

< Troppa.. confusione > mentre armeggiava con il coltello per spalmare la nutella su una fetta di pane, pensava a quanto gli sarebbe mancato quel posto. Il posto in cui poteva vederla, guardarla ridere, poterle stare accanto, amarla di nascosto e far finta di sfiorarle casualmente il braccio mentre studiavano insieme. Avrebbe dovuto abituarsi a starle lontano.

< Ma se le biblioteche sono silenziose! > il suo genere di confusione era legato a qualcos'altro, ma giustamente Jessica non ne era al corrente e lui non aveva alcuna intenzione di spiegarglielo, specialmente ora che tutto era andato in fumo.

< Non per me > osservò il volto teso, ma era decisa a continuare la conversazione, voleva capirci qualcosa in tutta quella strana situazione.

< Ti è sempre piaciuto andare in biblioteca.. eri così sollevato. Ci sei stato praticamente tutti i giorni della settimana da due mesi ormai e adesso non vuoi più andarci? > Più cercava di non pensare alle parole di Stella, più le saltavano alla mente. Le venne il dubbio che quella sarebbe potuta essere una delle tante scuse di cui faceva scorta.

< Non posso cambiare idea? > la interrogò torvo stufo di dover chiacchierare < Non voglio più andarci, fine della storia > addentò la fetta di pane e si sedette sul divano. Il suo scatto d'ira improvviso la destabilizzò; ancora non era pronta a considerare l'idea che Alex potesse averla tradita. Si appoggiò alla testata del divano in cui era posato.

< Solo gli ignoranti non cambiano mai idea, giusto? > gli sussurrò all'orecchio. Lui annuì e recitò un breve sorriso; le dispiaceva trattarla male, non era colpa sua e tanto meno se lo meritava. Lo baciò sulla guancia e l'abbraccio da dietro < Puoi studiare qui, prometto che non ti disturberò con vestitini di bebè, passeggini e fronzoli vari > cercò di farlo ridere ma non funzionò. Sorrise a malapena e si sciolse dall'abbraccio, alzandosi dal divano.

< Vado a dormire, sono stanco > le sfiorò un braccio e si recò in camera. Non l'aveva nemmeno guardata. Si sedette sul divano ed accese la televisione, giusto per ammortizzare i pensieri che avevano ruota libera. Cosa poteva renderlo così triste certi giorni da non riuscire a guardarla nemmeno negli occhi per un istante e così felice da impallarsi nel vuoto e distrarsi continuamente? Una scena in tv catturò la sua attenzione. La ragazza giocava col miele, fissandolo cadere dal cucchiaio al barattolo. Si era innamorata e non poteva fare altro che pensare a lui. Pensò ad Alex, al modo in cui riusciva a distrarsi in media venti volte nel corso di una frase. Il sorriso abbandonò il suo volto.

Era triste, poi era felice, poi di nuovo triste. Fissava il vuoto. Usciva continuamente. Non la considerava più ormai.

Cercò di riavvolgere il nastro.

Era innamorato di un'altra.

 

Tornata a casa, Alex stava ancora studiando in cucina. Il pensiero che la stesse tradendo, le faceva frizzare le mani. Come poteva scoprirlo? Era disperata e frustrata. Lui non parlava e non le avrebbe mai detto la verità se non con le spalle al muro.

< Ehi, amore! Posso usare il tuo cellulare? Ho finito i soldi sul mio, mando un messaggio e te lo ridò subito > Alex annuì, senza distogliere lo sguardo dalla lettura e Jessica approfittò della sua totale indifferenza per cercare sul suo cellulare qualsiasi prova lo incriminasse. Era sbagliato, dannatamente sbagliato, ma la disperazione nello scoprire se l'avesse tradita o meno, risiedeva proprio in quella scatoletta nera tra le sue mani. L'unica che le avrebbe dato una risposta concreta. La galleria era vuota, c'erano solo tante foto con Jackson, le loro foto; scorse col dito e trovò un album rinominato: Gioia. In primo piano c'era un'ecografia di loro figlio. Aprì l'album, si stupì di trovarsi davanti tutte le sue ecografie. Si commosse, sentendosi incolpa nei suoi confronti. Spense lo smartphone e lo posò sul tavolo. Alex non la stava tradendo, da quando Stella le aveva messo la pulce nell'orecchio, si era lasciata trasportare, ma Alex non l'avrebbe mai fatto, pensò.

< Tutto bene? > Jessica stava ancora fissando il cellulare che aveva tra le mani.

< Ehm.. si > lo riprese e sorrise. Il suo comportamento strano non spiegava un tradimento, e anche se fosse stato così, non avrebbe voluto scoprirlo con giochetti strategici e sotterfugi informatici, l'avrebbe scoperto chiedendogli la verità.

Dopo la rottura definitiva con Meredith, quella casa era diventata ancora più soffocante. Aveva bisogno di stare con qualcuno che sapesse tutto di lui, senza dover nascondere e mettere la polvere sotto il tappeto. Aveva timore di scoppiare.

< Jess! Esco con Jackson, non mi aspettare > urlò dalla camera da letto, poco dopo. Jessica uscì dalla doccia con l'asciugamano avvolto intorno al corpo < Jeeess! > si girò di scatto e la ritrovò nuda davanti allo specchio < Jess! Che fai? > si toccò la pancia, grande di sei mesi e l'accarezzò, mentre Alex raccolse l'asciugamano e glielo riposò addosso.

< Mi hai già vista nuda, cowboy > disse ammiccante, guardandolo attraverso lo specchio < e poi mi fa un effetto strano sentire che qua dentro c'è un piccolo mostriciattolo > si girò verso Alex e lo guardò intensamente e un pensiero si impossessò di lei < ti piaccio ancora, Alex? > chiese quasi piangendo < Perché, non so se sono gli ormoni ma, sento che non mi vuoi più e questo pensiero mi tormenta > vederla sofferente davanti a lui, era una doppia lancia al cuore. Due donne a cui teneva molto soffrivano a causa sua e non poteva porre rimedio. Le aggiustò il telo sulle spalle e la guardò da capo a piedi.

< Sei bellissima, lo sei sempre stata e sei fantastica anche con questo pallone al posto dei tuoi addominali perfettamente scolpiti > il sorriso di Alex la fece ridere < non devi più pensare che vali di meno ora che sei incinta, perché vali almeno il doppio > sorrise ancora e le scostò la ciocca di capelli dietro l'orecchio.

< Allora perché non vuoi più fare l'amore con me? > la domanda schietta lo destabilizzò più di quanto non fosse già. Non era preparato a dare una risposta, e si rese conto che non ci aveva pensato a come avrebbe affrontato l'argomento. Cosa le avrebbe risposto? Nulla. Nulla era la risposta giusta da dare. Le sfiorò il collo e lasciò cadere l'asciugamano per terra. Protese le labbra sulle sue e la baciò. Aveva un sapore diverso, un gusto che non sapeva collocare a nessuna emozione gli venisse in mente. Non sapeva cosa stava facendo e perché. Sapeva solo che glielo doveva. Le doveva l'amore che non era stato capace di darle in tutto quel tempo in cui era stato occupato ad amare un'altra. La baciò sempre con più passione, sperando che quel bacio potesse sussurrare il suo segreto. Ad ogni bacio, sentiva l'appartenenza andar via, come se si fosse spezzato il loro legame e quel bacio non bastasse a ripararlo. Lo trasportò sul letto e si stesero. Era consapevole di quello che stava accadendo, ma non le importava. Voleva che la desiderasse, almeno un'ultima volta. Il modo in cui la toccava le fece capire quello che si ostinava a reprimere. Il modo in cui la baciava non era più lo stesso. Non erano più in sintonia. Le sfuggì una lacrima e lo baciò ancora, quasi per paura di perderlo, ma non fiatò. Ad entrambi sembrava di vivere un'esperienza ultraterrena, fuori dai loro corpi, come se fossero solo spettatori. In quel momento Jessica capì.

Non si appartenevano più.
 

Angolo Queen Of Love:
An other!
Spero vi piaccia la piega che sta prendendo la storia!
Fatemi sapere con un commento, un like o un.. unlike (?) e..
leggete leggete leggete!
Forza con le opinioni! ;)
Cià Cià!
P.S.: Stavolta vi delizierò con "Non è mai un errore" del mitico Raf!
Ascoltatela, è bellissima e ricordate che amare non è mai una perdita di tempo!

https://www.youtube.com/watch?v=y70iaqDYonQ

 

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Capitolo 16
*** 16. I'll stand by you ***




16. I'll stand by you

 

< Mi dispiace di non averti richiamato > disse Valery, mentre Matteo la riaccompagnava a casa.

< Questo me lo hai già detto, ma non mi hai detto il motivo > puntualizzò. Valery stava per dire qualcosa ma Matteo l'ammonì < Ed ero impegnata, non è una risposta di cui mi accontento > esclamò sorridente. Valery rise e ci pensò su. Essere sinceri è complicato. Puoi prendere le migliori misure di sicurezza, ma la verità colpisce dritta al bersaglio e le conseguenze non le puoi certo calcolare.

< Che ne pensi di: mi sono accorta di essermi innamorata del mio migliore amico e per questo non mi sembrava corretto richiamarti per uscire? Troppo sincera? > chiese in un ghigno. Matteo sorrise e si morse il labbro.

< No, mi piace la sincerità > questo fece tranquillizzare Valery per poi destabilizzarla poco dopo < Per questo ti chiedo se sei ancora innamorata di lui > Valery sbarrò gli occhi e strozzò un mezzo risolino. Non era il tipo di domanda a cui amava rispondere.

< E' una domanda scorretta > disse < ma credo di doverti una risposta quindi.. si > confermò ma riprese a parlare subito dopo cercando di giustificarsi < ma non voglio che tu pensi che ti stia usando per dimenticarlo. Sto cercando di dimenticarlo, è vero ma tu sei solo un ragazzo meraviglioso che ho conosciuto e che ho accantonato a causa sua e adesso ti ho rincontrato e non sono uscita con te pensando che potessi essere un buon chiodo per schiacciare l'altro chiodo.. non so se mi spiego > balbettò nervosa e impacciata il concetto, cercando di esprimersi nel migliore dei modi.

< Si credo di aver capito > la tranquillizzò, ma Valery era troppo agitata per starlo a sentire. Non stava usando Matteo, si ripeteva. Semplicemente non voleva che Jackson avesse ancora il controllo delle sue azioni, delle sue scelte, come lo era stato con Matteo. Voleva prendere le sue decisioni e Matteo era una di quelle.

< Non voglio che Jackson mi impedisca di poter uscire con te > la frase le uscì in modo contorto e Matteo la guardò incuriosito < non che sia lui il motivo per cui esco con te! Oddio.. > si fermò nel vialetto di casa, cercando di risistemare le idee.

< Calmati, va tutto bene.. > le posò le mani sulle spalle. Si stupiva sempre di come la sua genuinità potesse renderla deliziosa. Valery sbuffò e raccolse le parole.

< Ho smesso di uscire con te a causa sua, anche se mi piacevi, eri perfetto! Adesso, non voglio che qualcuno o qualcosa si metta in mezzo. Esco con te perché mi piaci, molto, e vorrei che questo non influenzass..> Matteo la baciò improvvisamente, zittendola.

< Non sono un tifoso della teoria chiodo schiaccia chiodo, ma sono un vero fan di quell'idea che attesta: dimenticherai una persona quando incontrerai qualcuno di cui ti importerà di più > disse sottovoce < non so se quel qualcuno sarò io però.. il fatto che tu sia stata pianamente sincera con me, mi fa capire quanto tu sia speciale e tra parentesi.. > sussurrò ancora più piano < mi avevi già convinto a “sei un ragazzo meraviglioso” > posò di nuovo le labbra sulle sue e poi sorrise < che c'è? > chiese vedendola ridere.

< Pensavo che la prima volta che ci siamo baciati eravamo nello stesso punto > si guardarono intorno. Erano nel vialetto, vicino alla sua macchina, proprio come l'altra volta.

< Forse è un segno > Valery lo guardò interrogativa < ripartiamo da qui, dove ci siamo fermati > si cinse a spiegarle.

< Come fai? > non poteva dire di amarlo, di aver dimenticato Jackson e nemmeno di provare una briciola di quello che provava per Jackson nei suoi confronti ma, il modo in cui riusciva a farla sorridere spontaneamente, a farla stare bene, con poche parole, le faceva sperare che dopo Jackson poteva esserci qualcosa di meglio.

< A fare cosa? > chiese intrecciando le mani dietro la sua schiena, mentre la stringeva a sé.

< Ad essere così dolce.. dimmi un po' te le studi a casa oppure sei proprio fatto così? Ammettilo! A casa hai una lunga lista di frasi d'effetto per rimorchiare! > scoppiarono in una fragorosa risata e Matteo socchiuse gli occhi lasciandola nel dubbio < No! Lo sapevo! > rise e gli diede un pugno sul braccio.

< Nessuna lista! Ammetto di aver fatto molta pratica, ma ti sorprenderà sapere che tutto quello che dico non è niente di meno che la verità di quello che penso > il modo in cui riusciva ad essere sincero la spiazzava. Non aveva conosciuto mai nessuno di così reale. L'affascinava da un lato e le metteva paura dall'altro, come se quella sincerità, prima o poi sarebbe stata di troppo tra di loro < non mi credi? > chiese vedendola assopita tra i suoi pensieri.

< No, al contrario, è proprio perché riesco a crederti.. il modo in cui parli e dici quello che pensi è.. disarmante > sorrise ancora e si staccò dall'abbraccio < adesso è meglio che vada > Matteo le prese la mano, fermandola.

< Guarda che non accetto ripensamenti stavolta > disse ironico, riferendosi alla mancata chiamata dell'ultima volta. Gli si avvicinò e lo baciò delicatamente sulla guancia.

< Non li avrò, promesso >.

 

Jessica sentì la serratura della porta aprirsi. Era giunto il momento di chiederglielo. Fece un profondo respiro e ripetette a quella domanda che faceva fatica anche solo a pensare. Così fatica che le sembrava stupida e le parole perdeva significato. Lo guardò entrare e si alzò. Le sfoderò un piccolo sorriso e si diresse verso la camera. Ora o mai più, si disse.

< Alex.. dobbiamo parlare > riuscì a dire decisa, prima che potesse rinchiudersi in camera da letto.

< Dimmi > le mani cominciavano a sudare, la paura che la risposta potesse affermare i suoi dubbi, la faceva titubare dal chiedere < Stai bene? > lo guardò e poi si avvicinò.

< Dipende da te > rispose enigmatica.

< Che vuoi dire? > chiese curioso.

< Ultimamente sei più strano del solito e so che non mi dirai il motivo ma.. ho bisogno di saperlo. Cosa c'è che non va? > sapeva che non avrebbe risposto a quella domanda. Avrebbe deviato il discorso, incanalando quella sofferenza in un'altra scusa inventata sul momento.

< Niente Jess.. solo.. > lo interruppe, sperando che quel momento potesse essere più veloce e indolore possibile, senza bugie e segreti.

< La verità Alex > gli si avvicinò ancora di più e Alex vide i suoi occhi implorare. Non capì cosa, ma erano pieni di dolore e si rese conto che probabilmente giocare a nascondino con Jessica non era stata una buona idea.

< Anche se comprometterà il nostro rapporto? > quella domanda fece suonare un campanellino d'allarme, insieme a tanti altri. Non c'era motivo di arrabbiarsi. Lui non ti ha tradita, si ripeteva.

< E' già compromesso. Sei cambiato. Non mi dici più niente. Non.. condividiamo nulla a parte questa gravidanza. Sei come un estraneo ormai. Entri ed esci da questa casa come se fosse un hotel. Non mi guardi più, non mi tocchi, non mi baci.. ti sento distante e non capisco cosa ci sta succedendo > Pensò a tutti quei mesi passati insieme, e non ricordò un solo momento in cui lei ed Alex fossero sembrati una coppia, se non per il bambino.

< Sono cambiate molte cose > Alex si poggiò alla testata del divano, sotto lo sguardo affamato di Jessica.

< Hai ragione. Abbiamo un figlio adesso! E questo dovrebbe unirci, non separarci. Dimmi cosa ti sta succedendo e sii sincero stavolta > il dito di Jessica puntato contro gli fecero realizzare che era giunto proprio il momento tanto atteso della confessione. Tante volte avrebbe voluto farlo, tante volte avrebbe potuto farlo, ma non lo fece mai. Per paura del futuro del bambino, paura del presente con Jessica, paura del passato con Meredith, timore dei cambiamenti, delle reazioni, di tutto ciò che era un'incognita dopo la frase che aveva nominato tante volte nella sua testa “Mi sono innamorato di un'altra”. È una frase orribile da dire alla madre di tuo figlio, si diceva, ma lei voleva sentire proprio quelle parole, sentiva il suo sguardo addosso e conoscendo Jessica, sapeva che non si sarebbe rassegnata. Le parole si incatenavano nella mente, si intrecciavano, trasformandosi in monologhi, in scuse, in discorsi aulici, ma più pensava alla verità e più sapeva che un modo per non ferirla non esisteva, se non con l'ennesima bugia. Stava per formularla quando si rese conto di essere stanco di vivere la sua vita in una perenne bugia. Incrociò il suo sguardo sofferente a fissarlo, in attesa di una risposta che non avrebbe mai voluto sentire. Era arrivato al traguardo. Aveva finito di mentire. Se era una cosa che non si meritava Jessica, era proprio quell'atmosfera ipocrita e arrogante che Alex le aveva costruito intorno.

< Non posso > sibilò infine.

< Si che puoi! > urlò Jessica < Dannazione, dillo! > l'urlo si fece tremante, più la conversazione si prolungava, più la speranza diminuiva, più la consapevolezza di quel segreto cresceva, sempre più forte.

< Non posso.. guardarti, toccarti o baciarti perché.. ti mentirei > chiuse gli occhi per un secondo e poi si divincolò dal divano per guardarla. In fase di negazione, muoveva la testa in segno di diniego, sperando che Alex non continuasse < Mi sono innamorato di un'altra > senza preamboli, senza cornici, le spiattellò la verità nuda e cruda, com'era. Come si era ripetuto più volte nella mente. Non riuscì a guardarla negli occhi per il male che le aveva appena causato.

< Non è vero.. > sussurrò incredula. La mente fece un breve riepilogo dei loro anni passati insieme. Di tutto quello che avevano affrontato. Dei loro progetti, i loro sogni. Di quella casa, del loro bambino. Si toccò la pancia e sentì perdere le forze. Si diresse verso la cucina e si poggiò al bordo del tavolo, per non cadere < era tutto vero > sussurrò tra sé e sé. Stella aveva ragione. Stupida. Stupida e ingenua.

< Mi dispiace.. > vederla in quella stato lo distruggeva, ma un senso di libertà lo fece finalmente respirare.

< Mi hai tradita.. > rimarcò con un po' più di voce. Le lacrime cominciarono a solcarle il viso e la rabbia che aveva soppresso in tutti quei mesi per la sua distanza stava venendo a galla come una marea.

< Mi dispiace > ripeteva insistentemente mentre le si avvicinava.

< Smetti di dire che ti dispiace! > sbraitò, sbattendo la mano sul tavolo < se ti fosse dispiaciuto me l'avresti detto invece di mandare avanti questa farsa! > si girò verso di lui, affranta e disgustata < Stai con lei, vero? È per questo che rientri sempre tardi, perché stai da lei! Mentre io sono qui a pensare al nostro futuro insieme! > lo spintonò, mentre Alex cercò di calmarla, afferrandole le mani.

< Ci siamo lasciati appena ho saputo che eri incinta! Ho deciso di occuparmi di te e del bambino > le si avvicinò ancora, chiedendole scusa, ma lo rigettava.

< Di tuo figlio, Alex. Tuo. Figlio > puntualizzò < Un figlio che non si merita tutto questo. Come hai potuto farmi questo? > si asciugò le lacrime appena cadute e guardò in su, sbruffando per non riuscire a parlare senza singhiozzi. < Ero estremamente convinta che non mi avresti mai fatto una cosa del genere. E non ci ho creduto fino all'ultimo perché avevo paura che se ci avessi creduto, sarebbe stato vero.. > disse tra le lacrime < ma a quanto pare mi hai presa in giro miseramente e io non me ne sono nemmeno accorta > disse più duramente.

< Jess io.. non volevo.. è capitato tutto per caso > quella settimana il mondo gli era caduto già una volta addosso, non sapeva se sarebbe riuscito a scampare anche ad un'altra catastrofe.

< Un caso dici? E come è avvenuto? Sei inciampato su di lei? > una risatina sarcastica venne interrotta da una cruda realtà < E dimmi, da quanto va avanti? >

< Da.. qualche mese.. > rispose vago con sguardo abbassato.

< Quanto, Alex > chiese più duramente.

< Da Novembre più o meno > la guardò cambiare ancora una volta espressione < fino a quando sei tornata e mi hai detto che era incinta > intenta a calcolare i mesi, a capire dove aveva sbagliato, a ricordarsi se avesse potuto scorgere dei dettagli che le avrebbero fatto capire che la stava tradendo < quando sei tornara da Messina, ero venuto a dirti quello che avevo fatto ma non me la sono sentita.. e più il tempo passava, più mi rendevo conto che avrei distrutto tutto.. > lo sguardo spaesato di Jessica lo fece continuare. Le doveva almeno una spiegazione < poi due mesi fa l'ho incontrata in biblioteca > Jessica scosse la testa accennando un sorriso spento < non ho smesso di amarla. Tutt'ora sono innamorato di lei > le scappò una lacrima e smise di pensare.

< Tu stavi con lei mentre dicevi ancora di amarmi. Sei disgustoso > esclamò senza irritazione, era solo estremamente delusa. Alex non alzò la testa e si girò dall'altra parte.

< Ho sbagliato > disse mortificato < non volevo ferirti > si voltò verso di lei, abbacinato, con la coda tra le gambe < non te lo meriti >.

< E lui se lo merita? > Jessica cercò il suo sguardo assente, mentre si toccava il ventre. Per la prima volta, nei suoi confronti provò soltanto un'infinita rabbia, così tanta da non saperci che fare < Non capisco perché. Non ti ho dato sempre tutta me stessa? Cos'ho fatto per meritarmi questo? > non riuscì a trattenere le lacrime e Alex non seppe cosa rispondere. Lei non aveva fatto niente. Si era innamorato di Meredith perché era diversa e lui stava cambiando. Non era più lo stesso ragazzino innamorato della più bella della classe, stava diventando un uomo adulto, con sogni e aspirazioni differenti, gusti e abitudini diverse da quelle del ragazzino che aveva conosciuto Jessica. Meredith era capitata lì per un caso voluto dal destino. L'aveva aiutato a trasformarsi in chi era. < Credo sia meglio che tu prenda le tue cose e te ne vada > la decisione di Jessica svegliò Alex dal torpore.

< Cosa.. Jess, no, aspetta! Ragioniamo.. > non aveva mai riflettuto su questa probabilità e Jessica non avrebbe mai creduto possibile di essere capace di mandare via il padre del suo bambino.

< Sei stato chiaro fin dall'inizio. Non l'hai mai voluto, ti assolvo dall'incarico. Sei libero di andartene, ma stavolta non tornare più > le lacrime si erano asciugate, lasciando la loro scia sul suo viso.

< Jess, ti prego > la implorò, le prese il viso tra le mani, cercando di farla ragionare < non voglio che cresca senza di me, ti prego > gli tolse le mani dal viso e lo guardò con disprezzo.

< Mi hai spezzata.. in tutti i modi in cui potevi farlo e sinceramente non voglio che tu sia il padre del mio bambino > quelle parole lo ferirono più di qualsiasi lesione fisica avesse mai provato, più della tristezza in cui era sprofondato per Meredith. Si diresse verso camera sua, non avendo più le forze per ribattere, quando sentì un lamento di dolore di Jessica, che si era appoggiata al bancone, perdendo l'equilibrio, per la fitta all'addome che aveva appena avuto.

< Jess! Cos'hai? > la raggiunse immediatamente, ma quando l'afferrò era già scivolata per terra < Jess! > urlò.

< Alex! > richiamò la sua attenzione alla perdita di sangue visibile sul pantalone. Cercò di tranquillizzarla e l'aiutò ad alzarsi per portarla in macchina.

Una perdita di sangue poteva significare un aborto spontaneo e Alex si sentiva tremendamente in colpa, come se fosse stato lui a volerlo. Non le lasciò la mano finché non fu costretto dai medici. L'iperattività non gli permetteva di rilassarsi. Chiamò subito Jackson, il quale arrivò poco dopo. Avvisò anche i genitori di Jessica, che si presentarono in ospedale quasi subito.

< Alex! > urlò Jackson correndogli in contro < Che è successo? >

< Stavamo parlando.. discutendo.. no, in realtà mi aveva appena cacciato di casa, quando ha iniziato a lamentare crampi all'addome e si è accasciata davanti a me, ho visto la perdita di sangue ed è svenuta.. temo si tratti di un aborto spontaneo.. > Alex camminava velocemente avanti e indietro per il corridoio, smanettando e parlando, a tratti con sé stesso, a tratti con Jackson, dopo il senso di colpo che lo attanagliava.

< Andrà bene vedrai.. vuoi dirmi perché stavate litigando? > scorse nella sua agitazione, qualcosa che non gli aveva detto.

Si sedette accanto a Jake e dopo qualche secondo di silenzio parlò < Gliel'ho detto, Jake. Le ho detto tutto e adesso mi sento un verme perché non solo l'ho tradita, adesso è in sala operatoria con un figlio che ho ammesso di non volere e che probabilmente non avrò perché l'universo vuole farmela pagare per i miei continui sbagli > si mise la testa tra le mani e sprofondò nei suoi pensieri. In quei mesi erano successe di tutti i colori. Erano accadute le cose più bizzarre, che succedono solo nelle serie tv. Quella però non era una serie, era la sua vita e l'idea che quel bambino nascesse con il pensiero che il padre l'avrebbe abbandonato lo rendeva isterico.

< Ehi Ehi! Calmati! Ok? Non è l'universo a voler fartela pagare. È la vita che ci insegna che noi non abbiamo alcun controllo sulle azioni e sul destino. Bisogna solo imparare a convivere con i nostri sbagli e cercare di rimediare. Tu hai cominciato a farlo, stai crescendo. Hai rinunciato a Meredith per prenderti cura di tuo figlio e sei qui! Tu sei ancora qui! Hai fatto la scelta giusta > Alex meditò sulle parole di Jackson, ma non lo fecero stare meglio. Aveva tradito la sua fidanzata, la madre di suo figlio e quando le acque si erano calmate, era tornato da lei, pensando di poter equilibrare le due cose, come se si potessero conciliare.

< Siete i familiari? > l'infermiere interruppe il ciclo continuo di pensieri.

< Sono il padre del bambino! Come sta Jessica? > Alex si rivolse al medico impaziente e preoccupato.

< La stiamo operando. Purtroppo la sacca che conteneva il liquido amniotico si è rotta precocemente, abbiamo dovuto procedere con un cesareo >

< Ma... è al sesto mese! È troppo presto.. non capisco.. cosa significa? > Alex stava studiando scienze infermieristiche, sapeva cosa significava ma sperava nel cambiamento delle regole della medicina, sperava che quel medico avrebbe smentito quello che più temeva.

< Jessica ha avuto un aborto spontaneo, il bambino non ce la farà. Mi dispiace > Jackson gli mise una mano sulla spalla e Alex sprofondò nel buio. Si sentì crollare la terra sotto i piedi, cadere da un dirupo.

< Cosa? Posso vederli? > chiese ansioso.

< Quando avranno finito l'operazione. Al momento può solo aspettare qui. La chiameremo non appena sarà finita > rispose in tono calmo.

 

< Venga con me > il dottore gli fece strada fino alla camera. Jessica era stesa sul letto ancora dormiente. Il monitor dava i suoi segni vitali e il suono dei battiti del cuore riecheggiavano per tutta la stanza.

< Quando si sveglierà? > chiese sottovoce Alex.

< Questione di minuti > rispose il medico in tono calmo. Alex si sedette su una poltroncina accanto al letto e le toccò la mano delicatamente, pensando a tutto quello che era appena successo. Poche ore e il loro presente era cambiato da un momento all'altro. In un battito di ciglia.

< Il bambino, dov'è? > chiese mentre osservava il respiro di Jessica.

< Lo stanno monitorando > i suoi occhi si accesero in una luminosa speranza.

< Vuol dire che ci sono possibilità che si salvi? > strinse la mano di Jessica, come per trasmetterle fede, una fede di cui aveva bisogno per credere che potevano ancora sistemarsi le cose. Il medico notò il cambiamento nel suo sguardo e gli dispiacque non poter accondiscendere a quella domanda.

< Purtroppo è questione di qualche ora > rispose duramente e con dispiacere, senza lasciare il minimo dubbio.

< Possiamo vederlo? > chiese speranzoso.

< A breve potrete vederlo > il medico lo lasciò solo nella stanza. La guardò, pensando che a breve si sarebbe risvegliata e avrebbe dovuto imbattersi nella realtà. Un'altra realtà, messaggera di brutte notizie. Stava dormendo e chissà quali sogni stava facendo, in quali posti era, quali pensieri felici stava avendo. Si sarebbe svegliata e lui sarebbe stata la persona che l'avrebbe dovuta informare del destino tragico ed imminente di loro figlio. Racimolava parole su parole cercando di formare un discorso breve e coinciso senza essere prolisso e deprimente, infondendole comunque la speranza di una vita migliore, ma più cercava di mettere insieme le frasi, più la sua voglia di evadere si faceva pesante, fino a soffocarlo. Non sarebbe riuscito a dirglielo. Come avrebbe potuto guardarla e dirle che lo avevano perso? Che loro figlio non sarebbe mai diventato grande, non avrebbe mai visto la luce del sole, mai corso sul prato, mai parlato? Come si fa a dire ad una madre che non lo sarà più? Si rese conto che in quel momento probabilmente era l'ultima persona sulla terra che Jessica avrebbe voluto avere accanto. Per un attimo si era dimenticato il loro litigio a casa. Probabilmente l'avrebbe odiato. Infondo non aveva mai dimostrato quanto ci tenesse al bambino. Non aveva mai manifestato il suo amore per lui, era troppo preso dalla sua vita per farlo. Gli cadde una lacrima che subito asciugò. L'idea che potesse essere colpa sua la perdita del bambino, lo tormentava. Lui non lo voleva e Jessica l'aveva appena perso. Le baciò la mano e cominciò a piangere. Aveva amato Jessica, l'aveva amata sul serio, ma non era riuscito ad amare suo figlio nemmeno un quarto di come avrebbe potuto. Non gli aveva dato l'attenzione che meritava. Si sentiva sporco e tutto d'un tratto capì quanto avrebbe voluto salvarlo. Le strinse la mano così forte che se Jessica fosse stata cosciente avrebbe sicuramente sentito dolore, la portò alla fronte, quando Jessica si svegliò. Si guardò intorno. Nessun fiore, nessun “benvenuto” in nessun cartellone, nessun parente pronto a congratularsi con loro, nessun fiocco attaccato alla porta. Sentì la mano destra pressata e vide Alex. Le teneva stretta la mano contro la fronte e piangeva sommessamente. Quelle lacrime, le fecero capire quello che non era pronta a sentire. Aveva perso il bambino. Mosse la mano che le teneva stretta e Alex si accorse del suo risveglio. Lo accarezzò delicatamente. Sentì il suo viso bagnato e vide i suoi occhi arrossati. Non ricordava di averlo mai visto piangere così. Accennò un sorriso e le si avvicinò.

< Come ti senti? > si toccò la pancia e sentì un dolore provocato dalla cucitura appena fatta. < No, ferma! Ti hanno operato poco fa > la sgridò dolcemente, togliendole le mani dalla cicatrice.

< Alex.. dov'è? > quella domanda lo portò su un grattacielo e poi lo scaraventò giù senza nemmeno un paracadute.

< Vuoi vederlo? > annuì debolmente e Alex l'aiutò ad alzarsi e a sedersi sulla sedia a rotelle. Si appropinquarono verso la sala neonatale. Non sapeva cosa avrebbero visto, le sue condizioni, il suo piccolo corpo, non lo potevano immaginare. Arrivarono in sala e un dottore li accompagnò dal loro bambino. Non le disse niente, aveva compreso che avesse capito tutto.

Era lì, davanti a loro, in un'incubatrice. Un piccolo bambino rinchiuso in una gabbietta di vetro. Non si muoveva, ma si vedeva il petto muoversi in su e giù, con atti respiratori lenti e profondi. Jessica notò la gioia negli occhi di Alex nel vedere il piccolo e tutto quello che era successo prima, era soltanto una briciola in confronto all'emozione di quel momento. Introdussero le mani nei cerchi appositi e lo toccarono delicatamente, quasi fosse cristallo.

< Non gli abbiamo dato un nome > disse Alex intento a osservarlo beatamente.

< Che nome avevi in mente? >

< Jackson > la guardò e risero < Jackson Junior > Jessica si avvicinò e lo solleticò.

< Ti piace Jackson J? > gli accarezzò il volto dolcemente, come sa fare solo una mamma affettuosa < Penso che gli piaccia. Sarebbe fiero di chiamarsi come il migliore amico di papà > le lacrime le scavarono il viso e comprese che Alex non se ne sarebbe andato quella sera, non sarebbe uscito dalla vita di suo figlio, nemmeno sotto minaccia, l'avrebbe amato, più di quanto avesse mai amato chiunque altro < Saresti stato un bravo papà > disse pienamente commossa mentre Alex gli accarezzava le piccole manine. Si meravigliò delle sue parole. Nessuno avrebbe mai scommesso su di lui per il premio al padre dell'anno, ma lei lo aveva fatto. Le sorrise grato di quello che aveva appena detto e con la mano sulla sua, la posarono sul bambino, in un gesto d'unione.

< Sarebbe bello tenerlo in braccio.. almeno una volta non credi? > si guardò intorno e chiamò un'infermiera. < Mi scusi! Possiamo prenderlo in braccio? >

< Certo > aprì l'incubatrice, lo avvolse in un telo morbido e lo posò sulle sue braccia.

< Cavolo quant'è piccolo > rise impacciato e si avvicinò a Jessica per farglielo vedere da vicino < non è bellissimo? >

< Non mi pento di aver messo al mondo un bambino così bello > esclamò mentre lo guardava respirare. Spostò lo sguardo su Alex che era perso a fissarlo con occhi dolci e sorridenti. Capì che anche se l'aveva ferita, non l'avrebbe lasciata. Non avrebbe lasciato che suo figlio pagasse per questo < e.. non mi pento che sia tu ad essere suo padre > non sapeva se era l'atmosfera dell'ospedale intorno a lei, ma un senso di pace le inondava il cuore e quel bambino in qualche modo, le aveva addolcito le ore precedenti, facendole ritirare le brutte parole che aveva detto ad Alex. Si commosse e si perse a guardarlo ancora, si rese conto di quanto desiderasse diventare padre di suo figlio.

< Nemmeno io > riuscì ad essere sincero per la prima volta in tutti quei mesi passati a mentire. Tenere quel bambino tra le braccia lo faceva sentire parte di una famiglia, anche se non amava più Jessica, amava quel bambino, con tutto se stesso < Mi dispiace di averlo scoperto troppo tardi > s'incupì tenendolo tra le sue braccia, credeva di dovergli dire quello che provava, di essere sincero almeno una volta, almeno con suo figlio < meritavi di vedere il sole, il cielo, le stelle, la tua splendida mamma con tutte le sue pappine, le avresti odiate, sai? > Jessica rise con le lacrime agli occhi, nel vederlo così paterno nei confronti di loro figlio < saresti stato il bambino più fortunato del mondo, con due genitori bellissimi e un po' idioti ma.. ti avremmo amato tanto. Ti amiamo tanto > gli baciò la fronte cercando di non fare molta pressione sul cranio molle del bambino. Gli cadde una lacrima sull'occhio e per un attimo fece una piccola e impercettibile smorfia. < L'hai visto? > domandò emozionato.

< Si! > risero ancora e lo lasciò cadere tra le mani di Jessica. Era sicuro che lo avesse sentito. Stava sentendo il calore dei suoi genitori, l'amore che gli stavano dando in quei pochi istanti di vita. Tutto l'amore che erano in grado di dare.

Dopo poco il respiro si fece più lento, rallentando sempre di più. Il suono continuo del monitor li risvegliò dal sogno. Avendolo tra le braccia si erano quasi dimenticati di quello che sarebbe dovuto accadere in quei minuti. Quel suono divenne assordante e rimbombò nelle loro orecchie. Jessica osservava quel corpo inerme tra le sue braccia e il mondo si fermò. In quei pochi istanti erano stati una famiglia e loro figlio se n'era appena andato.

< Sarebbe stato un bambino in gamba. Io gli avrei insegnato a giocare a calcio mentre mi ripeteva la lezione di scienze della terza ora a cui non era stato molto attento perché era stato distratto dal guardare la compagna di banco per cui aveva una cotta e gli avrei dato delle dritte su come conquistarla, mentre tu lo avresti aiutato a fare i compiti, ad essere un uomo alla moda, ma sempre sincero, responsabile, dolce e gentile come hai sempre fatto tu. Ce la saremmo cavata > disse Alex sognante, immaginando un futuro speculare con il loro piccolo.

< Ne sono sicura > sorrise tra le lacrime e lo strinse tra le braccia, come per proteggerlo dal mondo, lo baciò e pianse, stringendo la mano di Alex < Ti voglio bene piccolino mio >.

 

Angolo Queen Of Love:
Ehilà! Ecco il terzo capitolo!
Sì.. è alquanto deprimente come storia, lo ammetto!
Ammettiamolo, una storia senza drammi, non esiste! 
Spero comunque che abbiate apprezzato e come terzo ed ultimo capitolo di oggi, 
lo accompagno ad una canzone perfetta per l'occasione:
I'll Stand By You - The Pretenders, nella versione di Finn Hudson in glee!
Un tributo per Cory che ci ha lasciato troppo presto! :)

Un bacione!!
https://www.youtube.com/watch?v=e9DfuECQ_p4

 

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Capitolo 17
*** 17. Tutto quello che ho ***




17. Tutto quello che ho

 

Quando aprirono la porta, un'onda di solitudine li accolse, ricordandogli che non avevano più motivo di appartenenza con quel luogo che era la loro casa. L'attesa di Junior aveva pienato di gioia quel posto e adesso si poteva sentire l'odore della sua assenza. Jessica si guardò intorno. Non si ricordava di aver posizionato la culla nel salotto. Camminò più avanti e l'accarezzò, come se potesse sostituire un gesto d'affetto per suo figlio. Ne guardò ogni dettaglio. Sotto c'era una busta piena di giocattoli e fronzoli vari che le avevano regalato i suoi genitori. Si abbassò e l'aprì e prese un orsetto, ricordò di quell'oggetto di quando era piccola. Sorrise lievemente e si accorse di una guancia bagnata da una lacrima. Se n'era andato, eppure tutto in quella casa richiamava la sua attesa, ma lui se n'era andato. Strinse quel peluche al petto per rievocare l'ultimo abbraccio che aveva dato a suo figlio la sera prima e chiuse gli occhi, sperando che fosse solo un brutto sogno. Non potendo sostenere quelle emozioni dentro di sé, cominciò a singhiozzare, e poi a piangere senza riuscire a fermarsi, come se solo in quel momento avesse metabolizzato che non sarebbe tornato.

< Jess > le accarezzò i capelli e la sua testa fragile si poggiò sul suo petto, trovando un rifugio in cui stare < lo so > sussurrò entrando in perfetta empatia con quello che stava provando < lo so > chiuse gli occhi e continuò a stringerla tra le sue braccia come per proteggerla. Avevano perso una parte di loro che non avrebbero più riavuto indietro e il vuoto che aveva lasciato era come una voragine nel petto che non sapevano se si sarebbe mai emarginata.

 

Un'altra notte era passata e le occhiaie cominciavano a farsi vedere sempre di più. Perdere il proprio figlio è degenerante da un punto di vista emotivo e psicofisico e superare quel momento non era affatto semplice per due ragazzi come loro.

I giorni passavano ma il dolore era sempre lo stesso. Non cambiava. Non aumentava e non diminuiva. Era sempre lì, a ricordare il perché non riuscivano a sorridere di nuovo. Jessica era sprofondata nel baratro della sofferenza e non riusciva a trovare più un senso in quello che la circondava. Senza più meta e aspirazione. Senza più vita. Era sparita quella gioia che l'aveva sempre contraddistinta. Non era più Jessica.

Alex la vide accucciata su una sedia del salotto davanti alla culla, che ancora non avevano avuto il coraggio di togliere. Il suo sguardo vuoto e scuro gli fecero comprendere quanto stesse soffrendo. Guardò il calendario. Erano passati dieci giorni. Posò ancora il suo sguardo su di lei e le andò vicino senza sapere cosa dirle per poterla confortare.

< Ti va di uscire stasera? Andiamo a mangiare fuori.. > tenne lo sguardo fisso sulla culla restando in silenzio. Percepiva quello che accadeva intorno a lei ma non riusciva a reagire, come se fosse disconnessa dalla realtà < che ne dici? > Alex sorrise per la prima volta ma Jessica non volle guardarlo. Abbassò lo sguardo e le prese la mano per cercare in qualche modo di trasmetterle il suo appoggio. Si sentiva in dovere di aiutarla ad uscire da quella sofferenza. Doveva aiutarla a stare bene, a superare la morte di loro figlio. Se lei non era forte per farlo, avrebbe dovuto farlo lui, anche se si sentiva ridotto uno straccio < Domani hai lezione all'uni. Ti accompagno, se vuoi > non aveva voglia di parlare, tanto meno con lui. Sapeva che non era colpa sua, ma doveva scaricare la rabbia su qualcuno e inconsciamente, per stare meglio, quel qualcuno sarebbe stato lui, nonostante sapeva che non c'entrasse nulla.

< Non voglio andare da nessuna parte. Non voglio cenare, non voglio uscire, non voglio studiare e soprattutto, non voglio parlare con te > fece scivolare la mano di Alex dalla sua e continuò a fissare la culla, senza degnarlo di uno sguardo. Alex si alzò e si recò in bagno, poggiandosi sul lavandino. Cercò di calmarsi e prendere fiato. Era comprensibile il suo atteggiamento e pienamente giustificabile, ma odiava sentirsi responsabile. Come un mantra si ripeteva allo specchio che ce l'avrebbero fatta e avrebbero superato tutto questo. Respirò affondo ma quando si riguardò allo specchio, si accorse che non era solo Jessica ad incolparlo, era lui.

 

< Ciao > disse Meredith sorpresa di vederlo lì. Non rispose subito al saluto, era distratto dal maneggiare dei barattoli di fagioli nello scomparto. Poco dopo i suoi riflessi acciaccati dai pensieri captarono quella parola e si girò per ricambiare il saluto. Non si aspettava di vederla al supermercato, le sorrise debolmente e in quel momento si accorse che nonostante amasse quella donna che aveva davanti, non provava alcun impulso nei suoi confronti, come se il dolore avesse annebbiato i suoi sentimenti.

< Tutto bene? > Meredith si sorprese dello strano comportamento di Alex, non che facesse qualcosa in particolare, ma l'ilarità che aveva sempre negli occhi, era come svanita dal suo volto < Che c'è? Devi fare rifornimento di battute stupide? > lo incalzò vedendolo cupo. Alla domanda accennò un sorriso molto smorzato, questo fece capire a Meredith che fosse successo qualcosa di grave.

< Ho deciso di smettere > si sforzò di sorridere senza farsi distrarre dal guardarla. Inutile nascondere gli occhi abbattuti, abbuiati da un velo di dolore. Prese dei barattoli di salsa e li pose sul carrello vicino a sé. Non la guardò nemmeno. Nessuna parola che la incoraggiasse ad amarlo ancora, nessuno sguardo imbarazzante da cui nascondersi e nessuna mano che le sfiorasse un braccio. Nessun gesto che la inducesse a pensare che provasse piacere ad averla incontrata.

< Nessuna frase doppio senso, non cerchi di abbordare povere ragazze fragili al supermercato e hai imparato a fare la spesa! Wow, è un grande cambiamento, ma del resto, stai per diventare papà > esclamò scherzosa per indurlo a ridere. Alex s'irrigidì e contrasse la mascella per non pensare al figlio che aveva perso. Schiarì la voce e annuì debolmente.

< Ehm.. devo andare, è stato bello rivederti, Mer.. > afferrò il carrello e lo trascinò per un metro più avanti.

< Ho detto qualcosa di male? Non volevo sembrare sarcastica.. io parlavo seriamente > puntualizzò perplessa, mentre lo vedeva allontanarsi < penso davvero che sarai un bravissimo papà, non ero ironica > Alex si fermò, per breve tempo restò in silenzio.

< Jessica ha perso il bambino > dirlo ad alta voce ancora una volta non era facile. Ogni volta che lo ripeteva, la realtà prendeva piede e gli ricordava che non c'era più. Suo figlio non c'era più e gli mancava da morire perfino la sua attesa. Meredith si avvicinò basita e gli toccò il braccio per confortarlo.

< Cavolo Alex, mi dispiace, non sai quanto, com'è successo? Mancava così poco.. > osservò con più attenzione il suo viso. Segni di insonnia come occhi arrossati e coperti da occhiaie violacee, volto pallido e sofferente, sguardo assente e capelli in disordine < quando è successo? > chiese con delicatezza.

< Due settimane fa > si schiarì la voce per evitare che sentisse la voce tremare. Gli toccò i capelli, ma non mosse un muscolo, non mostrò segno di debolezza. Avrebbe voluto abbracciarlo con tutta la forza che aveva ma era un blocco di ghiaccio, non glielo avrebbe permesso.

< Come sta Jessica? > chiese dolcemente.

< Se la cava > contrasse ancora la mascella. Da quando erano tornati a casa, si comportavano come due amebe in cerca di uno scopo nella vita. Passeggiavano per casa cercando di ricordarsi come erano arrivati a quel punto. Non parlavano, se non per lo stretto necessario, non ridevano e non piangevano. Nessuna emozione esternata da quando era successo. Vagavano per casa cercando di non farsi risucchiare dal vortice di pensieri che li teneva prigionieri e lui non poteva permettere di rimanere incatenato, non poteva lasciarsi andare, doveva pensare a Jessica, aveva bisogno di lui. Non poteva farsi vedere debole, doveva combattere, per lei.

< E tu? > chiese, distogliendolo dai suoi pensieri < Tu come stai? > non amava rispondere a quella domanda. Da quando era morto suo figlio, non facevano altro che chiedergli come stesse. Per lui era una domanda stupida. Come doveva stare? Aveva perso suo figlio. Un figlio che non voleva, ma poi si è reso conto di doversene prendere cura e si è accorto di amarlo davvero solo quando era scomparso. Alla gente si limitava di dire bene, ma Meredith non l'avrebbe bevuta. Si sfregò gli occhi e arretrò col carrello.

< Mi sono dimenticato di prendere i cereali > Meredith lo guardò interrogativa ma Alex evitava il suo sguardo come fosse medusa. Sapeva che accanto a lei sarebbe crollato e non poteva, non voleva permetterlo < Jessica mi uccide se non glieli prendo > ispezionò velocemente lo scompartimento per trovare i giusti cereali < fantastico! Non ci sono! > esclamò irritato < ho girato tre supermercati e non ci sono, in nessuno dei tre, credi sia possibile? In uno li avevano finiti, nell'altro costavano una fortuna e qui.. non ci sono proprio > toccò qualche scatola e la ripose < ma che supermercato è? > sfogò eccessivamente la sua rabbia repressa contro la lista dei prodotti dei supermercati, Meredith gli prese le mani per calmarlo, guardò per terra innervosito.

< Ehi.. > gli avvolse il viso tra le mani e finalmente la guardò. Gli sorrise e Alex addolcì lo sguardo. Le toccò le mani che aveva sul volto < va tutto bene, ci sono io con te > gli occhi cominciarono ad inumidirsi e Meredith gli accarezzò il viso dolcemente < è tutto apposto > disse sottovoce. D'istinto l'abbracciò, stringendola forte a sé, come se potesse capire il suo dolore, come se fosse l'unica persona al mondo a poterlo aiutare. Era la sua ancora. Gli accarezzò ancora i capelli finché non la sciolse dall'abbraccio.

< Era un maschietto > affermò sorridendo tra le lacrime che gli erano cadute dal viso. Meredith si occupò di asciugarle < era bellissimo >

< Sono sicura che ti somigliava molto > gli prese le mani e gliele strinse.

< Spero non molto > rispose incupendosi. Meredith capì in quel momento di quanto si sentisse in colpa per il figlio.

< Guardami! > gli disse imperativamente < sei un uomo fantastico e tuo figlio sarebbe stato un figlio altrettanto fantastico perché avrebbe avuto te come padre, chiaro? Saresti stato un buon padre, con i tuoi difetti, come qualunque padre sul pianeta, ma lo sai cosa ha fatto di te un buon padre? > Alex la guardò spaesato, non sapendo dove volesse arrivare < Tu c'eri. Ci sei stato e ci saresti stato. Tuo figlio sarebbe stato fiero di averti come padre, perché tu sei rimasto per lui. Non importa quanto tempo ci abbia messo per capirlo, tu hai scelto di restare, e questa è la più bella decisione che tu abbia mai potuto fare. Non provare neanche una volta a sentirti così, ci siamo intesi? > Alex la guardò rapito dal suo discorso e da come ogni parola che fosse uscita dalla sua bocca lo avesse potuto confortare in maniera incisiva.

ammise < mi sento come se fosse colpa mia, come se lo avessi abbandonato e.. > sospirò < mi manca > sorrise soffocando una mezza risata < come può mancarti così tanto una persona che.. non ha vissuto per più di due minuti? Era tra le mie braccia, Mer.. e poi è morto. Non mi ha guardato, non mi ha parlato o stretto la mano, lui era come un piccolo bambolotto e a me manca come se avessi perso il mio migliore amico > disse tutto d'un fiato e Meredith scelse una scatola di cereali dallo scompartimento e la ripose nel carrello di Alex.

< Era tuo figlio. Una parte di te e adesso non c'è più, è perfettamente normale che ti manchi. L'hai tenuto tra le braccia, Alex. Lo hai visto, lo hai.. toccato! Lo hai sentito respirare! Era vivo e poi se n'è andato.. hai perso una parte di te che non tornerà mai più indietro, ma non è colpa tua se è morto, e non devi sentirtene responsabile > ogni volta che Meredith parlava Alex rimaneva abbacinato da come potesse leggergli nella mente < che c'è? > chiese Meredith accorgendosi del suo sguardo piacevolmente sorpreso.

< Mi sono ricordato di quanto fossi brava a capirmi > guardò i cereali nel carrello e sorrise < quelli mi piacciono > disse indicandoli.

< Lo so > gli strinse la mano un'ultima volta e poi si girò per andarsene, quando Alex la chiamò.

< Gli saresti piaciuta > le disse sorridente.

< E a me sarebbe piaciuto lui > Alex si addolcì e la guardò andare via.

 

< Ciao.. > la salutò titubante mentre la vide tracannare un bicchiere. Si girò di scatto e sorrise alzando il bicchiere in segno di saluto. La risatina che emise la faceva sembrare ubriaca. Si avvicinò al tavolo, osservando la bottiglia di vodka posata al centro.

< Stai bene? > annusò il bicchiere e sentì odore d'alcol < Hai bevuto? > chiese con tono incredulo, di sentenza.

< Un po' > afferrò la bottiglia e lo sorpassò.

< Molto più di un po' direi > il modo in cui barcollava gli fece capire che aveva bevuto troppo < questa la prendo io > disse togliendole dalle mani la vodka.

< Ridammela! > brontolò cercando di riprendersela.

< No. Hai bevuto abbastanza > disse con fermezza mentre rovesciava il contenuto rimanente della bottiglia nel lavandino.

< Ehi ma che fai!? > lo spintonò con la poca forza che aveva guardando il flusso dell'alcol scivolare nel lavello < Guasta feste > sbuffò per poi rimanere con espressione neutra a fissare le mattonelle < mi viene da vomitare > Alex fece in tempo a togliersi per lasciare spazio a Jessica.

< Oh. Fantastico > esclamò tenendogli i capelli. Jessica rise senza un motivo < che ridi? >

< Ti ricordi quando vomitavo sempre per la gravidanza? > la sua risatina stupida continuò, ma Alex non sentiva alcuna voglia di ridere insieme a lei < Sarebbe stato un grande vomitatore > il rigetto interruppe il suo discorso e Alex aprì l'acqua < ma noi non lo sapremo mai e sai perché? Perché è morto > scoppiò in una risata isterica, mentre Alex cercava di tenerla per non farla cadere < sai qual è la parte più divertente? > Alex si finse interessato dal voler sapere la risposta < Tu stavi per lasciarmi per quell'altra ma io ero incinta, di te! > disse toccandogli il naso scherzosamente con l'indice < lei ti ha mollato per il bambino che è morto > continuò a ridere e Alex continuò a non trovarci niente di ironico nelle sue parole ubriache < non lo trovi divertente? È come se lo scopo della sua piccola esistenza fosse stato quello di farvi mollare e adesso.. > la sua risata si fece sempre meno intensa fino a scomparire < e adesso non c'è più > gli occhi le vi velarono di lacrime, guardando un punto fisso davanti a lei. Le accarezzò un braccio e lei si girò < anche tu non ci sei più > si staccò dal lavandino e si diresse verso la camera da letto. Era dura dormire in quelle notti. Ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva il suo piccolo volto. I suoi occhietti e la sua bocca. Non riusciva a pensare a nient'altro e più sapeva che la stava distruggendo, più ci pensava. Pianse ancora e chiuse gli occhi quando sentì le braccia di Alex avvolgerla in un abbraccio.

< Sono qui > ma non era così. Lei sapeva di averlo perso, come aveva perso suo figlio. Non poteva fingere di amarlo, perché è sempre più facile odiarle le persone che ammettere di star male. Quella sera però non aveva la forza di rigettarlo. Aveva bisogno di lui, di sentire vicino il padre di suo figlio, qualcuno che glielo ricordasse, qualcuno che sapeva perfettamente cosa stava provando. Condividevano lo stesso dolore e questa era l'unione di cui aveva bisogno.

 

Valery si guardò allo specchio un'ultima volta prima di uscire. Quel giorno erano due mesi che usciva con Matteo e voleva essere più carina del solito. Non riusciva a piacersi, più si guardava e più trovava dei difetti a cui non poteva porre rimedio. Matteo sarebbe arrivato a breve quindi era meglio adornarsi di un bel sorriso brillante e scrollarsi di tutte le paranoie. Ci teneva a Matteo e a come si stava sviluppando il loro rapporto. Le piaceva il rispetto con cui la trattava e la calma che aveva nei confronti della loro relazione. Era maturo e per lei era una cosa nuova. Tra Alberto e Jackson, la maturità sentimentale non era proprio così ovvia, Matteo invece sapeva quello che voleva ed era sincero nel dimostrarglielo e anche se non era innamorata di lui, era convinta che lui l'avrebbe potuta fare innamorare di nuovo.

< Ehi splendore > Matteo era poggiato allo stipite della porta con un sorrisetto dolce sul volto. Si avvicinò lentamente guardandola con ammirazione < vai da qualche parte? > chiese cingendole la schiena.

< Devo incontrare un tipo > rispose vaga, ridendo sotto i baffi. Le guardò le labbra e inclinò la testa verso sinistra e poi verso destra, facendola dondolare.

< Un tipo, eh? > lei annuì < Peccato.. potevi uscire con me > Valery si morse il labbro dubbiosa e lanciò un'occhiata verso la porta, mentre poggiava delicatamente le mani sul suo petto.

< Potrei disertare l'appuntamento > propose maliziosa < in fondo non mi sta molto simpatico > le accarezzò la guancia lungo la mandibola e sorrise.

< Potresti > inclinò la testa, stavolta verso destra, e lei lo seguì < Posso fare qualcosa per convincerti? > le sussurrò sfiorandole le labbra con le sue. Stette al gioco e lo incitò a baciarla per primo sollevandogli leggermente il labbro superiore con la bocca.

< Non so se sarai in grado di convincermi > gli sussurrò all'orecchio, alzandosi in punta di piedi. Era alto per la sua statura, ma questo la inteneriva. Le divertiva doversi alzare in punta di piedi per poterlo baciare. La guardò in segno di sfida e la baciò sorridendo. Intrecciò le mani nei suoi capelli e spinse la lingua veementemente, come se non le bastasse. Matteo la faceva ridere e star bene, proprio per questo quando erano insieme, non le importava di nient'altro. Matteo recepì quanta voglia avesse di lui e ricambiò stringendola forte tra le sue mani. Dei colpi di tosse però, destarono la loro attenzione. Si girarono verso la porta e videro Gianluca, il padre di Valery, imbarazzato quanto loro, se non di più, nel vederli avvinghiati in quel modo. Matteo sorrise imbarazzato e si staccò da lei, che velocemente si aggiustò la maglietta tutta stropicciata; distrattamente Matteo cozzò con lo specchio, che per tenere dritto, mosse fugacemente il braccio, facendo cadere per terra, lo smalto rosso che Valery aveva lasciato aperto. Valery si abbassò immediatamente per raccoglierlo e salvare il suo smalto preferito e Matteo la seguì subito dopo mortificato.

< Vale.. posso parlarti un attimo? > chiese mandando uno sguardo di rimprovero verso Matteo. Valery si alzò da terra dopo aver cercato di pulire velocemente il prodotto che aveva macchiato il pavimento < Vieni giù un attimo > guardò Matteo con dolcezza e raggiunse il padre. Scesero le scale e andarono in cucina.

< Quanta segretezza.. > ironizzò cercando di dimenticare che suo padre l'aveva appena vista in effusioni esplicite con un ragazzo.

< Ero venuto a chiederti se volevi venire a cena con me stasera, devo parlarti di una cosa importante > disse Gianluca guardandola con timidezza.

< Possiamo rimandare? Stasera ho già un impegno.. ti dispiace? > chiese dolcemente.

< Devi uscire con quel ragazzo? > dentro di sé stava uscendo un senso di protezione paterna ma non sapeva cosa avrebbe dovuto fare. Sapeva che era grande abbastanza per pensare a sé stessa e matura per capire come andava il mondo, ma sentiva anche il bisogno di proteggere la sua bambina. Valery annuì e abbassò la testa, vergognandosi come una ladra a quello cui il padre aveva assistito < e.. siete fidanzati? > la domanda la sorprese. Non avevano definito il rapporto ancora. Uscivano da un mese, stavano andando con calma, non stavano insieme.. giusto? Ad un tratto si accorse che forse ne avrebbe dovuto parlare con lui. La sua titubanza lo tenne sulle spine.

< No.. noi stiamo uscendo insieme.. ci stiamo conoscendo > era la risposta più corretta e sincera, considerando che non erano né amici né fidanzati. Avrebbero dovuto inventare una parola per definire quelle circostanza. Uscenti? Scosse la testa al solo pensiero.

< Ed è una relazione stabile oppure siete amici, con dei particolari.. > Gianluca voleva scoprire quanto il loro rapporto fosse profondo < benefici? > concluse infine, sperando che Valery non gli tirasse qualcosa contro. Valery arrossì. Corrugò la fronte sperando di aver capito male la frase.

< Oh mio Dio > esclamò < Non avrò questa conversazione con te > alzò le mani e camminò verso le scale per tornarsene su.

< Vale? > la chiamò e si fermò a metà scale < Scusa se sono stato esplicito ma vi ho visti.. intimi e non so come comportarmi.. cosa dirti.. non voglio che tu.. > sbuffò contro sé stesso per non riuscire a dire quello che pensava < vorrei proteggerti ma mi rendo conto che sei già un'adulta. Voglio solo che stai attenta, ok? > Valery sorrise e scese le scale per raggiungerlo. Lo abbracciò dolcemente.

< Promesso > salì le scale e lo guardò un'ultima volta con tenerezza.

< La prossima volta però chiudi la porta > disse ad alta voce, prima che potesse raggiungere camera sua. Il padre che non aveva avuto, adesso era lì a proteggerla dal mondo. Sapeva che era dovere di un padre, ma lei non sapeva cosa significasse averne uno, era consapevole soltanto di essere lusingata di quell'attenzione che le riservava, anche quando era un po' invadente, lo capiva. Entrando in camera, vide Matteo fornito di carta bagnata pulire il pavimento ancora macchiato di smalto e ne fu commossa per l'impegno che ci stava mettendo. S'inginocchiò per terra e gli baciò la guancia ma Matteo era talmente dispiaciuto che non si scostò dal suo dovere.

< Non se ne viene Val. Mi dispiace. So quanto ci tieni alle tue cose > esclamò abbattuto mentre strofinava con forza il pavimento. Gli sorrise e gli staccò la carta dalle mani.

< Basta così. È andata. Non è stata colpa tua, poteva succedere a chiunque > annusò la carta e capì che l'aveva bagnata con l'acqua < ti insegno un trucco > si alzò e si recò in bagno a prendere l'acetone per pulire le mattonelle < con lo smalto, l'acqua non funziona > strofinò delicatamente e più violentemente in alcuni punti e le macchie sparirono < fatto > disse soddisfatta.

< Scusa > si alzò in piedi e la invitò ad alzarsi a sua volta. Gli prese la mano e lo baciò teneramente sulle labbra.

< La smetti di scusarti? È stato un incidente. Stupido tra l'altro. Ne comprerò un altro! Che sarà mai! > cercò di farlo ridere e lui sorrise.

< Ho due sorelle. So quanto ci tengono ai loro preziosi cosmetici e quando ero più piccolo capitava che per fargli i dispetti.. glieli nascondevo o glieli rompevo e loro si arrabbiavano moltissimo > sbarrò gli occhi imitandole < sembravano pazze > ammise ridendo < quindi mi dispiace. Puoi arrabbiarti se vuoi > le cinse i fianchi e lei corrucciò la bocca.

< Ammetto di essere un po' arrabbiata > Matteo rise consapevole < ma.. non con te. Sono solo un po' dispiaciuta, tutto qua > gli mise le mani intorno al collo e lo baciò castamente.

< Penso che tuo padre mi odi > affermò ironicamente.

< Dipende da te > disse dandogli un altro bacio casto lento sulle labbra < dalle intenzioni che hai > seguì la sua bocca e sorrise.

< Penso di dover chiedere, tu che intenzioni hai con me > disse divertito. Valery sbirciò dietro di lui e gli sorrise < che c'è? > chiese stranito dal suo sguardo malizioso.

< Credo che dovremmo chiudere la porta >.

 

Alex si strofinò gli occhi dopo le tanti notti in bianco a causa di Jessica e del suo nuovo vizio con l'alcol. Da quando aveva cominciato a bere, il clima in casa era insostenibile

< Non so come aiutarla. Non esce, non va all'uni. È apatica e comprendo quello che sta passando ma vorrei tanto fare qualcosa per aiutarla ma non so cosa.. >

< I suoi cosa dicono? > chiese Jackson, immerso nel suo lavoro.

< Che passerà.. ma loro non la vedono. Il suo sguardo inerme. La sua voglia di bere per evadere.. lei non sta bene > rispose sospirando.

< Esistono dei gruppi di sostegno.. potresti cercare di farla seguire da un dottore, uno psicologo > bisbigliò per non farsi sentire dai clienti.

< Dici che dovrei? > forse la scelta più giusta era mettere al corrente una persona specializzata della sua situazione. Lui non sapeva come aiutarla. Più cercava di starle vicino, più lo respingeva, come se lo incolpasse di tutta la loro sofferenza e più lo accusava, più lui cercava di non ricadere nel vortice dell'autocommiserazione. Era difficile guardarla negli occhi e vedere chiaramente quello che pensava di lui. Ancora più difficile era non immergersi nei suoi occhi e credere che aveva ragione. Cercava di essere forte per lei, ma la verità è che voleva un posto isolato in cui poter urlare.

 

Jessica si alzò dal divano, come tutti i pomeriggi, dopo la morte di Junior, non faceva altro nella giornata che oziare, guardò l'orologio. Doveva preparare la cena per i suoi genitori. Dopo che Alex aveva parlato con loro, erano diventati più protettivi e a Jessica non piaceva. Voleva stare sola, ma nessuno sembrava comprenderlo. Chiamò la pizzeria e ordinò quattro pizze, di modo che non avrebbe dovuto perdere tempo a cucinare. Si sedette al tavolo e guardò ancora l'orologio. Adesso era diventato presto e la cena non era più un problema di cui preoccuparsi. Lo sguardo si abbassò verso il cassetto degli alcolici. Si girò dall'altra parte e vide ancora la culla all'angolo del salotto. Ormai era diventata troppo apatica anche per piangere, si alzò diretta verso la sua migliore amica vodka. Lei non chiedeva di parlare, non si sentiva offesa se la usava come appiglio per sopravvivere. Stava zitta e si lasciava bere. Sapeva che era sbagliato ma non le importava, voleva solo stare bene per un po'. Bevve finché l'immagine di quella culla non fu annebbiata e poi si addormentò. Quando Alex entrò dalla porta d'ingresso, la vide appisolata sulla sedia. Da lontano notò la bottiglia alcolica semivuota col bicchiere accanto. Si precipitò su di lei e le controllò velocemente il polso e il respiro per paura che stesse male, ma quando la chiamò si svegliò intorpidita.

< Mi hai fatto prendere un colpo > si alzò da terra e afferrò il bicchiere che era sul tavolo < devi smetterla di bere! Guarda in che condizioni ti riduci! Tra poco vengono i tuoi e tu.. > si morse la lingua e chiuse la bocca per non continuare il discorso. Sapeva che era fragile, ma non ce la faceva a vederla in quello stato. Posò il bicchiere nella lavastoviglie e gettò la bottiglia ormai vuota nella pattumiera. Si poggiò al lavello cercando di trovare le parole giuste, ma non gli venne in mente niente. In qualunque modo si comportasse, avrebbe sicuramente sbagliato, perché era lei a non voler essere aiutata < dobbiamo parlare > disse deciso della sua scelta.

< Che vuoi? > chiese ancora scocciata da quel risveglio brusco.

< Puoi avercela con me quanto vuoi ma non prendertela con te stessa. Non lascerò che tu ti faccia del male. Non vuoi parlare con me e lo rispetto. Non vuoi parlare con le tue amiche o con i tuoi genitori e va bene, ma non puoi rinchiuderti nel tuo dolore per sempre, diventando un'alcolizzata. Questa non sei tu > cercò di convincerla che lui stava dalla sua parte, ma Jessica si alzò con totale disprezzo e rise.

< Chi lo dice? Tu? Detto da te.. è quasi inutile. Tu non soffri minimamente, d'altronde perché dovresti!? Non te n'è mai fregato niente di lui > ogni volta che metteva in dubbio l'amore che provava per suo figlio, voleva urlarle contro, ma non poteva, anche se dentro di lui, ogni volta che pronunciava quelle parole, un pezzetto del suo cuore si spezzava.

< Lo sto dicendo per te. Devi reagire. Devi uscire da quella porta e affrontare il tuo futuro > disse con fare paterno.

< Il mio futuro? Junior era il mio futuro! Ho progettato il resto dei miei anni su mio figlio, Alex! E tu lo sapresti se ci fossi stato almeno un po' per noi > sbottò Jessica.

< Ci sono stato! Sono stato qui. Con te. Con lui. Ogni giorno da quando ho saputo della sua esistenza. Cosa credi? Che io non abbia progettato il mio futuro in base a nostro figlio? L'ho fatto eccome! Ho studiato più duramente quest'anno proprio per cercare di avvantaggiarmi negli studi. Ho messo da parte gran parte del mio tempo e dei miei sogni per questo bambino. Come fai a dire che non mi è importato? > disse Alex sulla difensiva.

< E' sempre tutto finalizzato a te! Sempre io, io, io. Mai una volta che mettessi noi al primo posto. Sempre quello che vuoi tu. Ho studiato duramente quest'anno. Ho messo da parte i miei sogni e la mia nuova ragazza super sexy > ripetette imitandolo < E una fettina di culo non ce la metti? Ti sei mai chiesto a cosa abbia rinunciato io invece? No. Perché pensavi sempre e solo a te stesso. Mi dispiace se hai dovuto mettere da parte la tua nuova ragazza e le tue aspirazioni mediche per questo bambino. Spero che adesso tu sia contento > era la prima volta, che poté dire ad Alex tutto quello che pensava di lui, da quando aveva saputo del suo tradimento. Avevano saltato le tappe, avevano perso il bambino e il dolore era troppo grande per pensare anche ad Alex con un'altra donna che non fosse lei, ma non se l'era dimenticato. L'aveva solo accantonato per fare spazio a tutta la sua sofferenza, ma adesso che si era abituata al dolore, aveva bisogno di qualcuno su cui gettarlo e il tradimento di Alex era un buon movente per odiarlo.

< Basta > sussurrò tenendosi la testa < Smettila > disse con voce un po' più alta < Non dirlo > le puntò il dito contro con le lacrime agli occhi < Non osare dirlo un'altra volta. Ho smesso di sentirmi in colpa. Ho amato mio figlio, a modo mio, ma l'ho fatto. Non sono stato un padre esemplare e forse non lo sarei mai stato ma.. l'ho amato con tutto me stesso e non voglio sentirmi responsabile della sua morte perché non lo sono > esclamò scandendo bene le ultime parole < E tu non puoi scaricare la colpa su di me perché non trovi altri a cui appiopparla. È capitata una cosa bruttissima, ed è capitata a noi, ma io non c'entro niente e devi smetterla di farmi sentire come il padre che ha abbandonato suo figlio perché non l'ho fatto! Ero spaventato. Chiunque lo sarebbe stato, ma non avrei mai permesso che crescesse senza di me quindi smettila > le lacrime cominciarono a scendere senza vergogna e finalmente si sentiva libero da quel peso che aveva nel cuore, da quel senso di colpa che lo aveva tenuto prigioniero tutto quel tempo < si, ti ho tradita, ti ho abbandonata e non meritavi niente di quello che ti ho fatto e puoi odiarmi quanto vuoi per questo, non ti chiedo di perdonarmi se non vuoi, ma nostro figlio non c'entra con tutto questo e tu lo sai. Amo mio figlio quindi smettila > Jessica guardava le lacrime cadergli dagli occhi senza avere il coraggio di ribattere < basta > disse sottovoce mentre le si avvicinava < basta ti prego > le accarezzò il viso e Jessica non trovò scampo dai suoi sentimenti contrastanti. Sapeva di odiarlo per qualcosa che non aveva fatto, ma aveva bisogno di farlo perché la faceva sentire meglio avere qualcuno da incolpare. L'abbracciò senza che avesse il tempo di fermarlo e la strinse a sé. Lo odiava ma aveva bisogno di lui.

 

Jackson rientrò in casa, ormai non ci passava molto tempo, preferiva stare con suo nonno, visto che Alex passava molto tempo con Jessica e Valery non lo voleva più vedere.

< Sei ancora qui? > domandò a Veronica quando entrò in camera sua. La ragazza uscì dal bagno e gli ammiccò < Pensavo te ne fossi andata stamattina > esordì un po' scocciato.

< Non ti vedo contento di vedermi > esclamò dispiaciuta. Jackson sospirò e la scortò fuori dalla camera con gentilezza.

< Sono contento di vederti, ma non sopporto quando si invadono i miei spazi. Mi avevi detto che te ne saresti andata. Sono tornato dal lavoro e tu sei ancora qui > spiegò indifferente alle sue possibili reazioni.

< Scusa > disse biascicando la gomma con nessun segno di dispiacere < ho solo pensato che saremmo potuti uscire insieme stasera. Ti va? > si sedette sul tavolo della cucina e in un flashback rivide Valery < Oh. Ci sei? > domandò schioccando le dita. Scosse la testa per togliersi Valery dalla testa, anche se ogni volta che capitava, non riusciva a distaccarsi da lei per tutto il giorno.

< No. Stasera ho da fare. Ti chiamo io, ok? > chiese sorridente. Veronica balzò dal tavolo e gli stampò un bacio sulle labbra.

< Ok casanova. Io vado. Ci vediamo > prese le sue cose e sparì. Non riusciva a capire come non riuscisse a farsela piacere. Era bella, simpatica, dolce e un po' pazza, eppure era come apatico, lei avrebbe potuto fare qualsiasi cosa e lui non si sarebbe emozionato per nulla. Prese le chiavi della moto e si recò a casa del nonno.

Quando entrò, in casa sembrava non ci fosse nessuno < Nonno? > lo richiamò ancora ma non ebbe nessuna risposta. Vide i piatti del pranzo da lavare. Gli sembrava strano che fosse uscito senza riordinare la casa, era un uomo troppo preciso. Posò il casco della moto sul tavolo e andò a bussare in camera da letto. La porta era semi aperta < Nonno, sei qui? > aprì la porta e lo vide per terra. Si scaraventò su di lui e mise in atto le mosse d'emergenza che gli aveva insegnato Alex. Chiamò il 118 e aspettò. Non c'era più polso.

Vedere una persona cara senza segni vitali è una sensazione che non può essere descritta. Il tormento di chiedersi: se fossi arrivato prima. Se ci fossi stato. Se..

E poi rendersi conto che per quanto tu possa essere infallibile e forte, sei soggetto ai dolori come tutti gli altri.

< Jackson! > la voce di sua madre riecheggiò nel silenzio della sala d'aspetto e quasi fece fatica a riconoscerla. Lo guardò con disperazione senza che si girasse verso di lei < Dov'è? Come sta? Cos'è successo? > continuò a fissare un punto fisso nel pavimento, cercando di dare un ordine cronologico alle risposte che le avrebbe dato.

< Sono andato a trovarlo oggi pomeriggio prima di rientrare a lavoro, l'ho trovato disteso per terra in camera sua. Dicono che ha avuto un infarto e adesso lo stanno operando > la madre alzò la testa pregando Dio che potesse andare tutto bene. Claudio, il padre, le si avvicinò abbracciandola, mentre lei si adagiava sul suo petto. Quell'ipocrisia gli faceva salire un bruciore dalle dita dei piedi fino alle guance. Sentirla parlare del padre che non era mai andata a trovare perché troppo impegnata nei suoi mille viaggi per scopi lavorativi, gli faceva venire la nausea, e l'arroganza con cui prendeva la consolazione dell'ex marito, come fosse il suo migliore amico, quando di fronte alla decisione di tradirlo e lasciarlo, non aveva battuto ciglio, gli causava un senso d'ira alla bocca dello stomaco. Si alzò per evitare di vomitare parole non gradite.

< Dove vai? > chiese la madre ansiosa, scostandosi leggermente da Claudio.

< A fare due passi > esordì scocciato di quella interruzione.

< Vengo con te > disse camminando verso di lui.

< No > la stoppò come un vigile, una macchina < voglio proprio andarmene da.. > cercò le parole adatte per descrivere quel finto quadretto familiare <.. tutto questo > disse gesticolando con disprezzo, verso di loro.

< Jake, aspetta! So che è doloroso, ma siamo una famiglia ed è questo che fanno le famiglie in queste circostanze! Stanno insieme e superano il dolore insieme, lo condividono! > non sapeva se gli dava più fastidio l'aria innocente che fingeva di avere, mista alla sua voglia di redenzione che veniva fuori quando le faceva più comodo, o l'idea della sua consapevolezza smodata di vederli una famiglia.

< Ma ti senti almeno quando parli? > chiese alzando la voce in un impeto di impulsività.

< Jake, figliolo.. non qui > disse il padre cercando di calmarlo. Non mosse il suo sguardo da lei, conscio che se avesse continuato, avrebbe detto tutto quello che non faceva più a tenersi dentro da quando lo aveva lasciato. Distolse lo sguardo, si girò e puntò gli occhi dritti verso la porta in cui avevano portato suo nonno. Non poteva starsene zitto. Suo nonno era là dentro, solo, e lui era l'unico che per tutti quegli anni gli era stato vicino. Questo non poteva sopportarlo ancora. Sorrise beffardo e si rivolse a sua madre ancora una volta.

< Siamo una famiglia, giusto? > disse aggrottando la fronte. La madre annuì dolcemente e gli si avvicinò, accarezzandolo. Quel gesto non gli dette alcuna emozione. Quella donna non la conosceva. Quegli occhi, di chi erano? < E una famiglia condivide il proprio dolore, quindi adesso condividerò il mio > fece una pausa e ricominciò < quell'uomo, là dentro > disse indicando la sala operatoria < è tutto quello che ho. È la persona che mi ha cresciuto quando te ne sei andata e quando papà non era in grado di prendersi cura di me perché gli avevi spezzato il cuore > Diletta fece scivolare la mano dal suo viso, rendendosi conto che quello che avrebbe detto non sarebbe stato un invito a rientrare nella sua vita < lui mi ha tenuto con sé. È lui che mi ha insegnato tutto quello che so ed è lui che devo ringraziare per quello che sono adesso. Lui mi ha reso una persona migliore e continua a farlo ogni giorno. Mi ha ascoltato quando non avevo più una famiglia che mi amava. Mi ha ascoltato quando ho avuto la mia prima cotta. Mi ha ascoltato quando ho perso la persona più bella che abbia mai incontrato > disse riferendosi a Valery < e non mi giudica per questo ma mi sprona sempre ad essere migliore! È stato con me, sempre. Con lui e solo con lui ho condiviso il mio dolore e la mia gioia e tu hai ragione, è proprio questo quello che si fa in una famiglia, e la mia famiglia non siete voi. È lui > Diletta abbassò lo sguardo prima che potesse vederla piangere e senza più alcuna interruzione, Jackson, s'incamminò verso l'uscita.

 

< Ho comprato le patatine, che ne dici? Filmettino e schifezze? > disse Alex entrando in casa. < Jess? > la luce era accesa, ma sembrava come se in casa non ci fosse nessuno < Jess? > la chiamò ancora, ma non ebbe nessuna risposta. Fischiettò contento pensando a Meredith e alle cose che gli aveva detto. Gli avevano dato una bella carica. Non perché l'amava e si fidava di lei, ma perché era sincera, quello che pensava su di lui era vero, e voleva crederci anche lui. Voleva credere di essere un buon padre, di averlo amato come meglio poteva e di averlo protetto quei pochi attimi di vita che aveva vissuto. Prese le patatine dalla busta della spesa, aspettando di vedere Jessica, ma ancora non si fece viva. < Jess, ma ci sei? > urlò, ma la casa sembrava così silenziosa che quasi rimbombava la voce. Con espressione perplessa iniziò a ispezionare le stanze della casa, quando entrò in camera da letto la vide sdraiata sul letto. < Jess? > la chiamò sottovoce, scuotendola dolcemente ma non emise alcun suono. La scosse ancora, finché non la girò verso di sé e si rese conto che il petto non si muoveva. La chiamò con voce piena, per poi gridare per farsi sentire ma era sempre inerme sul letto, senza dare alcun segno di coscienza. Controllò brevemente la situazione per stabilire che fosse svenuta. Chiamò il 118, mentre attuava le tecniche di rianimazione da buon studente di medicina che era. La sistemò di lato e ispezionò nei cassetti. Sapeva che le riusciva difficile dormire nell'ultimo periodo e si era fatta fare la ricetta per dei sonniferi per l'insonnia. Aprì i cassetti ma non trovò niente. Si spostò col ginocchio e sentì un contenitore di plastica rotolare sul pavimento verso la parte opposta. Aspettando che Jessica ritornasse a respirare, la lasciò in posizione laterale di sicurezza e cercò il contenitore che aveva sentito cadere < cavolo.. > raccolse il barattolino. Dalla trasparenza notò quanto fossero poche le pillole rispetto a quanto avrebbero dovuto essere a quel punto della settimana. Non potendo arrabbiarsi con lei, si limitò a sperare che si svegliasse in fretta, cercando di capire cosa l'avesse spinta a farlo e soprattutto come aveva potuto non accorgersi di quanto stesse male.

Non credeva che il mondo potesse cadergli addosso così spesso. Era la terza volta che provava la sensazione della terra sbriciolarsi letteralmente sotto i piedi. Era come trovarsi davanti ad un tramonto, alleggerirsi dei pesi quotidiani, il calore del sole e i colori aranciati che alleviavano ogni dolore, per poi sentire la terra sotto di sé tremare, sempre più forte, fino a sentire il rimbombo nelle vene, cercare di aggrapparsi alle radici della terra che venivano risucchiate ad ogni scossa, e ritrovarsi risucchiati nell'abisso. Era sempre la stessa sensazione che gli constatava quanto la vita fosse imprevedibile < Alex! Che ci fai qui? > la voce di Jackson fece da eco nel corridoio della sala d'aspetto. Il suo volto non era dei migliori. Si alzò dalla sedia e lo abbracciò.

< Tu che ci fai qui! Sono qui per Jessica.. ha assunto troppi sonniferi e.. è svenuta > spiegò balbettando < non so cosa cavolo le sia passato per la testa! > urlò e Jackson gli posò la mano sulla spalla per tranquillizzarlo < è una cretina! Non lo sa che se si assume una quantità esagerata di medicinali incorri in conseguenze gravi? > fece una breve pausa giusto per riprendere fiato < potrebbe entrare in coma o peggio morire! Per non parlare delle conseguenze cardiache e respiratorie che potrebbe comportare! È stata un'incosciente! Cavolo! Come si fa ad essere così stupidi? > si sfogò liberandosi di tutto quello che avrebbe voluto dirle in quel momento, tutti pensieri che riconducevano alla preoccupazione e alla paura che le aveva fatto prendere.

< Ora come sta? > chiese preoccupato.

< Si è ripresa, le hanno fatto una lavanda gastrica ma sta bene. Quando si sveglia mi sente! > disse minaccioso.

< Strigliala anche da parte mia > Jackson sorrise ma Alex notò della stranezza nel suo sguardo.

< Tu perché sei qui? Passavi da queste parti? > chiese ironico.

< Ehm.. no, in realtà mio nonno ha avuto un infarto stamattina e.. > si schiarì la voce tossendo fintamente < niente, stiamo aspettando che ci diano brutte notizie > sfoderò il suo solito sorriso del “sto bene” per evitare che le persone gli si appiccicano addosso.

< Un infarto? Cavolo Jake! Perché non mi hai chiamato? E cosa dicono i medici? > il panico di Alex lo fece commuovere, ma esternò come suo solito una facciata fredda, calma e impostata, come se alcun dolore potesse scalfirlo. Questo lo faceva sembrare indifferente, quasi arrogante davanti ad ogni tipo di sofferenza ma la verità è che non voleva mostrare quanto gli facesse male, altrimenti sarebbe stato male sul serio.

< Sono sicuro di averti mandato un messaggio appena arrivato in ospedale, ma non c'è molto campo qui > sorrise e continuò < comunque lo stanno operando proprio adesso > il modo in cui lo disse fece capire ad Alex che gli stava nascondendo una parte di storia.

< C'è altro vero? > Jackson guardò fuori dalla finestra, per poi aggiungere il pezzo mancante al racconto.

< Hanno detto che l'operazione è rischiosa per uno della sua età e.. poi ci sono i miei che.. > sbuffò scuotendo la testa e sorrise ancora < lo sai > lo sguardo vuoto e assente dell'amico gli ricordarono un po' del suo dolore. Gli posò una mano sulla spalla e guardò fuori dalla finestra, per fargli compagnia. Non c'era bisogno di parole, gesti e lunghi discorsi moralisti. Il dolore che provi quando perdi o stai per perdere una persona a cui tieni è troppo grande da racchiudere in una frase di conforto e gli amici questo lo sanno, ecco perché preferiscono esserci e basta. Soltanto esserci.

 

< Lei è un parente? > chiese il medico uscito dalla stanza di Jessica.

< Il coinquilino. Come sta? > chiese tutto ansioso

< Al momento la sua amica sta parlando con uno specialista > ammise il dottore.

< Uno specialista in cosa, scusi? > chiese scettico. Il medico si schiarì la voce e si spostò leggermente per avvicinarsi ad Alex.

< Uno psicologo > l'espressione di Alex cambiò in riso, quando lo psicologo uscì dalla stanza e consegnò la cartella clinica al medico.

< Cosa sta succedendo? > chiese Alex ad alta voce. I medici scambiarono un'occhiata preoccupata < Sono studente di medicina, conosco i segnali che vi state mandando e conosco la medicina, quindi parlate > esordì determinato.

< Dalla quantità di sonnifero trovata nel sangue abbiamo dati sufficienti per credere che abbia tentato il suicidio > spiegò. Alex lo guardò torvo, senza credere ad una parola pronunciata < Sa se ha mai provato il suicidio? > chiese lo psicologo per collegare i puntini.

< Cosa? No! Certo che no! Non farebbe mai una cosa del genere! Lei sta solo molto male, ok? Chiaro? Non voleva uccidersi> urlò smanettando.

< Alex.. calmati > disse Jackson posandogli una mano sulla spalla.

< Calmarmi? > sollevò la spalla per togliere la sua mano da sopra < Questo sta dicendo che Jessica ha manie suicide e io dovrei calmarmi? > rise beffardo scuotendo la destra ripetutamente < Voi siete pazzi! Non sapete niente di lei > gli puntò il dito contro < non la conoscete! >.

< Sono solo supposizioni. Ha detto che è uno studente di medicina, quindi sa che questa è la prassi.. > Alex cercò di interromperlo ma il medico gli parlò sopra, sempre educatamente < Se la sua amica soffre di depressione e ha assunto dei farmaci, suggerisco che sia seguita da uno specialista. Questo è un consiglio. Sta a lei decidere, ma spero che i suoi amici e familiari la indirizzino per questa strada > Alex avrebbe voluto controbattere ma il medico aveva ragione. Era la prassi e sicuramente non avevano sbagliato i calcoli. Sapeva che il problema di Jessica sarebbe potuto sfociare o nella depressione o nella fortificazione e forse, ed era giunto il momento di reagire seriamente. Entrò nella stanza, non sapendo chi si sarebbe trovato di fronte.

< Ehi > la salutò con sorriso dolce.

< Ho fatto un bel casino vero? > si guardò intorno, scendendo dai macchinari fino ai fili che aveva attaccati al braccio.

< Hai fatto arrivare anche uno strizzacervelli > entrambi risero per poi accorgersi che non era affatto divertente si sollevò dal letto, stufa di stare sdraiata.

< Che vuoi che ti dica? > giocherellò con le dita cercando una scusa per quello che aveva fatto ma non le andava di parlare.

< Jess.. quelle pillole che hai preso potevano ucciderti e i medici ritengono che abbia bisogno di farti aiutare da uno psicoterapeuta > Jessica lo guardò, priva di emozioni. Alex sospirò. A nessuno piace parlare con gli estranei dei propri problemi, delle proprie debolezze. Le persone vogliono sentirsi forti e vivi, ma cosa succede quando ci sentiamo deboli e morti dentro? Senza uno scopo, una meta e qualcuno da amare? Alex non continuò. Si alzò dalla sedia e le si sedette accanto, prendendole le mani che Jessica fissava senza scorgere nient'altro nella stanza. Alzò lo sguardo e incrociò i suoi dolci occhi che le trasmettevano la stessa protezione di sempre da quando era entrato a far parte della sua vita. Le cadde una lacrima e fu pronta per raccontare.

< Volevo solo dormire un po'. Senza piangere o urlare o fare incubi in cui vedo il suo splendido volto dissolversi tra le mie mani. Non volevo uccidermi. Volevo solo dormire un po' > disse tra le lacrime < non riesco a dormire. Non riesco a fare le cose più semplici come respirare. Nella notte mi svegliò di soprassalto perché mi accorgo di non riuscire a farlo, come se volessi fermare il tempo per tornare indietro e proteggerlo > gli accarezzò la mano e gliela strinse < mi manca da morire, Ale. Mi manca così tanto che.. non riesco a pensare che ci possa essere un'altra vita senza di lui > senza più farcela, l'afferrò, stringendola quanto più possibile tra le braccia. Era talmente fragile che aveva paura di romperla, ma lei si adagiò completamente nel suo abbraccio e continuò a piangere, buttando fuori tutto quello che si era tenuta in quelle settimane. Non sapeva come avrebbe potuto aiutarla da ora in poi, ma era certo che sarebbe partito un punto di svolta quel giorno. Era fiducioso. Sarebbero andati avanti per loro figlio.

 

Quell'odore di disinfettante che si trova negli ospedali, gli entrò nel naso. Non sapeva quanto sarebbe rimasto lì dentro. Tornò nella sala d'aspetto e si sedette, lontano dai suoi genitori, che andavano avanti e indietro, fremendo all'attesa di novità. Poggiò la testa alla parete e divaricò le gambe, sciatto sulla sedia. Chiuse gli occhi e pensò a qualcosa che lo calmasse e lo rendesse felice. Pensò a quando era piccolo, ma in ogni ricordo c'era suo nonno. Come in un video montato, gli passarono dalla mente tutti i più momenti passati insieme e sorrise, per poi concludersi con l'ultima volta che lo aveva visto a casa sua, inerme sul pavimento. Aprì gli occhi di scatto e si alzò dalla sedia frettolosamente. Si diresse verso il bar e si prese un caffè. Con la coda dell'occhio gli sembrò di vedere Valery. Si girò di scatto per guardare meglio. La ragazza scostò i capelli che le coprivano la faccia dietro l'orecchio e scoprì il volto. Quel gesto gliela fece ricordare e gli venne in mente la loro prima uscita. Quel gesto, lo faceva sempre, accompagnato da uno sguardo timido quando si imbarazzava. Sfilò il telefono dalla tasca e si procinse a cercare il suo nome in rubrica. Titubante bloccò il telefono per poi riaccenderlo qualche secondo dopo. La chiamò.

 

< Dove stiamo andando? > la sciarpa con cui Matteo le aveva coperto gli occhi, le oscurava la visuale, proprio per non farle vedere dove la stava portando. Sentiva tanta gente parlava man mano che camminavano. Matteo le cingeva le spalle e ad un tratto si arrestò < Perché ci siamo fermati? > chiese curiosa < Siamo arrivati? > domandò fremente sotto le sue mani. Delicatamente le slegò la sciarpa dagli occhi e la scritta Kiko del negozio le si piazzò davanti agli occhi. Si girò verso Matteo, che ancora le cingeva le spalle sorridente.

< Che significa? > chiese spaesata.

< Volevo ricomprarti lo smalto ma.. non ci capisco niente.. i colori mi sembrano tutti uguali, quindi, eccoci qua.. > allargò il braccio e la spinse delicatamente nel negozio < scegli > i suoi occhi sballottarono da una parte all'altra, era nel suo mondo, Matteo aveva commesso uno sbaglio a portarla lì, non sapeva cosa gli spettava. Cominciò a cercare la tonalità giusta e la trovò senza problemi, il vero problema era uscire da quel posto magico. Guardò Matteo, guardava senza capire il motivo di tutti quegli occhi a cuoricino sulle ragazze mentre aggeggiavano con i cosmetici. Lo vide prendere tra le mani, ogni tanto, qualche rossetto e sospirare senza riuscire a capirne il senso e le fece tenerezza. La raggiunse mentre Valery apriva il tester di un eyeliner colorato.

< Cos'è questo affare? > chiese curiosamente spaventato mentre le porgeva un piegaciglia. Valery rise dolcemente e glielo prese dalle mani.

< Uno strumento di tortura > Matteo socchiuse gli occhi studiando la sua risposta, pensando che lo stesse prendendo in giro < è un piegaciglia > lo sollevò. Riprese quell'arnese tra le mani e aggrottò la fronte.

< E come si usa? > lo strinse fra le mani per farglielo vedere.

< Si chiude l'occhio. In quest'apertura si devono far passare le ciglia e stringere > l'espressione spaventata sul suo viso la fece ridere < ti faccio vedere > si protese verso di lui per farglielo usare ma lui si scostò.

< No no no! Non lo userai su di me? > chiese timoroso. Sollevò le sopracciglia maliziosa e lo rincorse educatamente per il negozio senza dar noia a nessuno. Essendo più alto, la bloccò quasi subito e glielo tolse dalle mani, abbracciandola < Fai la brava o lo smalto lo lasciamo qui > fece scivolare il labbro inferiore avanti al labbro superiore costruendo una faccina triste < non funziona con me > sorrise e lo baciò delicatamente sulla bocca aspettando la sua reazione < questo potrebbe funzionare > le porse la mano e gli diede lo smalto < aspettami qui e non torturare nessuno > disse ridandole il piegaciglia, le ammiccò e andò a mettersi in fila. Lo riposò al suo posto e sentì vibrare il cellulare in borsa. Lo sfilò e il nome di Jackson apparve sullo schermo. Una fitta di sorpresa le colpì il petto. Il desiderio di sentire di nuovo la sua voce e sapere come stesse, si fece sentire ancora. Da quando l'aveva incontrato in discoteca aveva deciso di accantonarlo, ma Dio solo sapeva quanto avrebbe voluto abbracciarlo di nuovo. Guardò Matteo e uscì dal negozio, schiacciando la cornetta verde. Esitò a rispondere. Jackson sorrise. Aveva risposto. Chiuse gli occhi e deglutì.

< Jake.. > sussurrò. Sentire la sua voce gli addolcì il cuore amaro e si accorse quanto avrebbe voluto averla lì con sé in quel momento difficile.

< Val.. > rispose. Sentì il suo respiro incostante nell'udire il suo nome. Non potevano guardarsi negli occhi ma capirono senza dubbio quanto l'uno mancasse all'altro. Sarebbero potuti rimanere in silenzio, ascoltando soltanto il loro respiro ma il suono della voce di Matteo li distolse da quell'atmosfera. Si girò scattante verso di lui e sorrise vedendolo lì mentre si avvicinava.

< Devo.. andare.. > il dispiacere con cui pronunciò quelle due parole la colse di sorpresa. Non si erano detti niente, eppure era come se si fossero detti tutto < ciao Jake > ci vediamo? Ci sentiamo? Cos'era giusto dire?

< Ciao Val > Jackson colse il suo dispiacere e decise di lasciare la conversazione in sospeso. Ci vediamo. Ci sentiamo. Erano promesse che avrebbe voluto fare ma preferiva lasciare tutto al destino, come diceva suo nonno. “Se una cosa deve accadere, può girare tutto il mondo ma alla fine si fermerà e accadrà”. Mentre guardava fuori dalla finestra del bar, sentì una mano posarsi sulla sua spalla, si girò e trovò il padre. Quel mezzo sorriso e quegli occhi lucidi e dispiaciuti. La stretta divenne più forte e Jackson capì immediatamente. Si girò di nuovo verso la finestra e sentì un calore salirgli dal petto agli occhi e per quanto indurisse la mascella e contraesse il volto le lacrime gli solcarono il viso e un senso d'abbandono lo avvolse.
 

Angolo Queen_Of_Love:
Bonjour! Un altro capitoletto per voi! Spero sia di vostro gradimento!
Per farmi sapere la vostra opinione, commentate pure :)
Lo so. Questo capitolo mette angoscia. Lo so.
Chiedo venia!
Però.. era necessario! 
A breve, con qualche altro capitoletto, finirò la mia storia!
Quindi, fatemi sapere!
Un abbraccio! Cià. Cià.

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Capitolo 18
*** How wonderful life is now you're in the world ***


18. How wonderful life is now you're in the world

 

I preparativi per il funerale li aveva lasciati alla madre, che non aveva intenzione di vedere. Andò a casa del nonno. Il suo profumo ancora nella stanza e i suoi vestiti ancora nell'armadio. Sembrava che non se ne fosse andato, come se sarebbe tornato da un momento all'altro. Sprofondò sul divano poggiò i piedi sul tavolino in legno, sentì quasi il brontolio del nonno che gli rimproverava di togliere quei piedi dal tavolo. Li tolse subito dopo e poi sbuffò.

< Ora ce li lascio quanto voglio > li riposò, rivolgendosi al nonno. Sentendosi in colpa per quanto volte lo aveva brontolato, li tolse e sbuffò ancora. Sentirsi in colpa per il rimprovero di una persona morta gli sembrava così stupido. Sentì il cellulare vibrare.

< Jake.. vuoi andare insieme in chiesa? > chiese Alex dolcemente.

< Viene Veronica. Quindi.. ci vediamo là > disse mentre si preparava per il funerale. Non l'aveva invitata, ma ci teneva a venire e lui non obiettò.

< Ok.. allora ci vediamo tra poco > chiuse la chiamata e tornò davanti allo specchio. Quel vestito nero e cupo suo nonno l'avrebbe odiato. “Mica devi andare ad un funerale” avrebbe detto. Anche se effettivamente lo era. Quel pensiero lo fece ridere e Veronica suonò alla porta per accompagnarlo. In quei giorni l'apatia lo aveva avvolto totalmente, non sapeva più chi era senza quell'uomo.

Alex intanto sapeva di cosa aveva bisogno realmente Jackson per sentirsi di nuovo vivo. Suonò il campanello sperando che fosse in casa.

< Alex > lo stupore di Valery gli fece sperare che fosse la cosa giusta da fare < che ci fai qui? > lo fece entrare e Alex la guardò intensamente cercando di captare qualche segno che lo aiutasse a capire se fosse ancora interessata a Jackson < Tutto bene? > gli chiese percependo tutta la sua agitazione.

< Valery.. devo dirti una cosa importante e so che forse non dovrei essere io a dirtelo e non so nemmeno se sei venuta a saperlo e probabilmente ti sembrerà strano che sia venuto io a dirtelo.. > iniziò a camminare per la stanza gesticolando e Valery era sempre più confusa < però credo di fare la cosa giusta >

< Alex! > lo fermò < Cosa sei venuto a dirmi? > chiese spazientita da tutto quel balbettio.

< Il nonno di Jackson è morto e oggi c'è il funerale > la notizia colse Valery di sorpresa. Subito il suo primo pensiero andò a Jackson.

< Come sta? > chiese sottointendendo il soggetto.

< Sai com'è.. non fa mai vedere quello che prova, ma non c'è bisogno di un genio per capire che sta da cani > Alex sospirò vedendo Valery assorta nei suoi pensieri < senti, so che non vi parlate da mesi e che tra voi è finita male e che lui ti ha ferita ma.. ha bisogno di te, Val. Lui forse non lo sa, ma io sì. So che per te è difficile.. > mentre continuava a parlare Valery aveva già deciso. Certa che ci sarebbe andata e chissene frega di tutto il contorno. Era Jackson.

< A che ore? > lo interruppe e sorrise speranzoso.

< Alle tre.. se vuoi ci andiamo insieme > guardò l'orologio appeso alla parete. Non c'era tempo per cambiarsi. Si guardò i vestiti. Jeans e camicia. Erano adatti. Afferrò la giacca e aprì la porta.

< Andiamo >.

Entrati in chiesa, ormai in ritardo, cercò di scorgere Jackson. Lo vide davanti, accanto ai suoi genitori che non aveva mai visto. Alex le toccò il braccio e la condusse a sedersi su due posti che aveva trovato per loro. Non troppo lontani, ma neanche troppo vicini. Durante la cerimonia non poteva fare a meno di tenere lo sguardo fisso su di lui, avrebbe voluto corrergli incontro e stringerlo fra le sue braccia. Sperava che guardandolo, lui avrebbe sentito il suo appoggio. Finita la cerimonia si alzarono ancora una volta e la stessa ragazza con cui lo vide l'ultima volta lo teneva per mano. Una fitta di gelosia le fece male al petto ma lasciò correre quel sentimento. La sua mascella contratta dalla ribellione di non farsi vedere piangere davanti agli altri le fecero capire quanto stesse male. La ragazza gli accarezzò il braccio ma lui si staccò da lei e raggiunse i suoi parenti per stringergli la mano e prendere le condoglianze. Stava lì, impalata, guardandosi intorno senza sapere cosa fare, cosa dire. Valery si arrabbiò con lei, non perché era lì con Jackson, ma perché non faceva niente, non era in grado di confortarlo, di sostenerlo, di amarlo in un momento talmente difficile. Valery uscì, aspettando di poterlo salutare dopo tutto quell'afflusso di gente intorno a lui. Non sapeva cosa avrebbe detto o fatto. Sapeva solo che voleva esserci. Mentre aspettava davanti al portone della chiesa, lui uscì mano per la mano con Veronica. Inghiottì la gelosia e trovò la forza di pronunciare il suo nome. Jackson si voltò verso quella flebile voce, quasi tremante, per aver sentito la sua voce, i suoi occhi si fermarono nei suoi, senza riuscire a dir niente. Non sapeva nemmeno come salutarlo davanti a lei, ma in quel momento tutto il dolore, la tristezza, quei mesi senza neanche una telefonata, erano dissolti nel nulla. La guardò, con la luce del sole riflessa nei suoi occhi e capì quanto desiderasse che lei fosse lì. L'unica persona con cui avrebbe voluto condividere quel momento, l'unica con cui sfogarsi, piangere, urlare o stare semplicemente in silenzio. Lui sorrise debolmente e lei fece un passo verso di lui, prima che potesse lasciare la mano della sua ragazza e correrle incontro per abbracciarla. Tutto quello che era successo, era riposto in una scatola serrata da un lucchetto. Non c'erano parole adatte, l'unica cosa adatta era il silenzio. Portarono la bara al cimitero, poco distante dalla città e poco dopo stava già per essere seppellito. Jackson fissava lo scivolamento della terra gettata dalle pale e il suo ricorrente rumore che gli entrò nelle orecchie. Veronica fissò Valery, tre file dietro di loro, cercando di capire se fosse o meno una minaccia. Si attaccò al braccio di Jackson, sperando di farla ingelosire. Jackson sentì avvolgersi il braccio e spostò il suo sguardo su di lei, intenta a guardare indietro. Valery la vide e la guardò torva. Era gelosa sì, ma sperava almeno che quel posto che aveva deciso di prendere, accanto a Jackson, lo usasse bene, che pensasse più a Jackson che ad attuare mille marchingegni per farla ingelosire. Jackson capì esattamente che era in disperata cerca di attenzioni e non potè tollerarlo. Fece scivolare le sue mani dal braccio e si avvicinò ancora di più alla tomba del nonno. Valery vide il suo spostamento e quanta voglia avesse di sfogarsi. Si girò dalla parte di Veronica, che la guardava indispettita e alzò gli occhi al cielo. Non poteva credere che fosse così immatura. Aveva il suo ragazzo che soffriva come un cane e tutto quello a cui pensava era.. averlo tutto per sé? Jackson si allontanò, girovagando per il cimitero. Valery guardò Alex, che con un movimento della testa le disse di andare da lui. Gli si avvicinò mentre dava piccoli calci ai sassolini del giardinetto. Senza dire niente, gli avvolse la vita da dietro e lui si arrestò. Riconosceva quella stretta e quel profumo. Posò le mani sulle sue e si girò verso di lei.

< Come l'hai saputo? > i suoi occhi duri non lasciavano spazio alle lacrime ma sapeva leggerci dentro tanta tristezza da spezzarle il cuore. Valery girò la testa verso Alex e sorrise.

< Alex > sorrise ma i suoi occhi non luccicarono di gioia < è venuto a casa e mi ha portato in chiesa. È stato molto dolce > gli accarezzò dolcemente la guancia e passò le mani tra i capelli < anche perché altrimenti non l'avrei saputo > sorrise e gli scompose scherzosa i capelli.

< Se te l'avessi detto mi sarei aspettato di vederti > ammise e alzò lo sguardo ai becchini che ancora spalavano terra sulla fossa quasi riempita. Fece scivolare la mano sulla sua e gliela strinse.

< Non ti lascerei mai solo > il suo sguardo si addolcì. Le prese le mani e la condusse davanti per vedere finito il lavoro dei becchini. Gli strinse la mano per fargli sentire che c'era e lui le sorrise. Lo sapeva benissimo che ci sarebbe stata per lui, glielo aveva sempre dimostrato. Dopo gli ennesimi saluti, Veronica si avvicinò, li vide ancora mano per la mano e si stizzì.

< Jake.. se vuoi rimango con te > propose dolcemente sperando che si staccasse da Valery. L'atteggiamento inappropriato di Veronica la faceva imbestialire, ma non osava dire niente, non era né il luogo né tanto meno il momento adatto. Jake guardò Valery e lei si sciolse dalla stretta pensando che avesse deciso di andare con lei, la quale sorrise per la vittoria ottenuta.

< Grazie per essere venuta Veronica, veramente, lo apprezzo molto ma.. voglio stare un po' da solo > la liquidò con un bacio sulla guancia e aspettò che se ne andasse dispiaciuta dopo aver lanciato sguardi di sfida continui a Valery che ancora gli era accanto < Sono molto contento che tu sia venuta, anche se avresti avuto tutte le ragioni del mondo per non farlo e.. > lo zittì dolcemente e gli sorrise.

< Non so di cosa stai parlando > tutto era sparito. Non c'è ragione che tenga davanti a un amico in difficoltà. Non c'entrava l'amore, il risentimento, il rancore e la rabbia. A Jackson gli era capitata una cosa brutta e lei c'era, qualunque cosa fosse successa prima, non era importante. Jackson capì quanta dolcezza e amore aveva nel suo sguardo e non poté fare a meno di ricambiare. Le sorrise ammirandola e osservò la gente andar via verso l'uscita.

< Adesso puoi andare se vuoi > disse inclinando la testa verso tutta quella marmaglia.

< Resto con te > i suoi occhi scattarono nei suoi e la luce del sole incontrò i colori delle sue pupille verdi che mostravano tutte le più belle sfumature e ne creavano di nuove. Ci si perse dentro e distolse lo sguardo < ovviamente se vuoi > chiarì imbarazzata. Sapeva che avrebbe voluto stare con lei, ma sapeva anche che non poteva chiederglielo. Guardò indietro e sospirò.

< Voglio stare un po' da solo.. ma grazie, davvero > le poggiò le labbra sulla fronte, chiudendo gli occhi per qualche secondo. Una fitta allo stomaco le fece capire quanto ancora, la sua vicinanza, la mandasse in estasi. Sentì il respiro di Jackson sul suo viso e pochi istanti dopo aver scoccato un bacio, era andato via. Corse verso la sua moto, si mise in sella e partì, più veloce di quanto non fosse mai stato, mentre lei era ancora inerme, con lo sguardo rivolto verso il pavimento, nel vuoto.

< Se n'è andato? > chiese Alex vedendola assopita. Annuì e guardò dietro di lui, sperando che stesse ancora lì. Nella stessa direzione, a una ventina di metri da loro c'era Jessica che guardava la lapide di suo figlio < È la prima volta che viene a vederla > le spiegò seguendo il suo sguardo < è stata dura per lei in questi ultimi mesi > Meredith le aveva raccontato quello che era successo. Le si strinse il cuore, vedendola accanto a quella tomba, con gli occhi pieni di dolore e lo sguardo perso nei ricordi. Alzò la testa verso l'uscita < ho visto che gli ha fatto piacere che sei venuta > disse riferendosi a Jackson.

< Sì ma voleva stare solo quindi è andato a casa.. credo > lo informò e sospirò.

< Una bella botta. Non me l'aspettavo proprio. Quell'uomo era così.. giovanile > sorrise rimembrando aneddoti passati < sarebbe stato felice di rivederti, sai? Chiedeva sempre di te.. ma Jackson preferiva non parlarne > rimase sorpresa da quella confessione. Non pensava di avergli fatto una così buona impressione. Jessica li raggiunse e salutò Valery con un debole sorriso. Aveva iniziato da ieri la terapia con lo psicologo e anche se aveva ancora gli incubi, riusciva a guardarsi intorno e parlare con le persone in modo naturale, come non riusciva a fare da tanto tempo. Alex le adagiò la mano sul suo braccio delicatamente < noi dobbiamo andare. È stato bello rivederti >

< Anche per me > prima che se ne andassero del tutto Alex si girò verso di lei.

< Vale.. lui non te lo dirà mai ma.. quando dice che vuole stare solo.. non dargli retta > le sorrise e se ne andò a braccetto con Jessica. Cosa significava? Doveva andare da lui? E cosa gli avrebbe detto? Mentre la testa pensava, le gambe erano in azione verso la macchina. Poteva pensare a cosa avrebbe fatto anche mentre guidava. Gli aveva promesso di esserci e non voleva venir meno alla promessa, anche se significava ricevere una porta sbattuta in faccia. Prima che potesse essere preda di ripensamenti, era già arrivata a casa sua. Suonò più volte il campanello ma non aprì nessuno.

< Jake? > suonò ancora < Jake, sono Val. Mi apri? > attaccò l'orecchio alla porta ma non sentì alcun rumore. Prese lo smartphone e lo chiamò. Segreteria telefonica. Sbuffò e scese le scale. Se non era a casa, dov'era? Ritornò in macchina e partì senza una meta precisa, in attesa che le venisse un lampo di genio. Girò l'isolato cercando la sua moto, niente. Non c'era traccia in nessun bar, in nessun parco, davanti a nessuna casa. Passò davanti al negozio d'ottica, ancora niente. Forse c'era una ragione per cui non lo trovava: voleva stare solo. Il problema era far affievolire dentro di sé, quella vocina che la convinceva del contrario. Tornò a casa e prima di aprire la porta le venne in mente nonno Franco e a l'unica volta che ci parlò, a casa sua. Jackson era lì che andava quando se la passava male e non voleva vedere nessuno, dall'unica persona che lo avrebbe capito più di chiunque altro. Il padre di Valery aprì la porta e la trovò completamente assorta nei suoi pensieri, con gli occhi fissi in un angolo.

< Vale? Tutto.. bene? > Valery alzò la testa e capì< Da dove vieni? > era da suo nonno.

< Devo andare > Matteo fece capolino alle spalle del padre.

< Dove vai? > Valery si voltò, accorgendosi di essersi dimenticata il loro appuntamento < Dovevamo andare a casa mia stasera > la scrutò in viso < te ne sei dimenticata, vero? > assunse un'espressione di dispiacere, ma dalla bocca non uscì alcuna parola confortante.

< Scusa. Ho avuto un imprevisto > cercò di scusarsi omettendo la storia.

< Dovevamo uscire un'ora fa. Potevi avvisare almeno > il padre di Valery si defilò lasciandoli soli a discutere e Matteo uscì di casa, avvicinandosi a lei < è dalle tre che cerco di chiamarti ma non rispondi. Vengo a casa tua e tuo padre mi dice che non ci sei. Ti ho aspettata per un'ora e chiamata ripetutamente ma non hai mai risposto. Si può sapere cosa avevi di così importante da fare da non rispondere nemmeno al cellulare? > il tono di Matteo era sempre calmo, con un pizzico di rabbia in più, comprensibile, ma non aveva tempo per discutere con Matteo, doveva andare da Jackson, anche se questa parte era meglio ometterla.

< È morto il nonno di un mio amico e appena l'ho saputo sono corsa al suo funerale. È per questo che non ti ho risposto. Ero con lui e.. altri amici > non voleva dirgli che si trattava di Jackson. Era una cosa che voleva tenersi per sé < mi dispiace ma con quello che è successo, mi sono proprio dimenticata del nostro appuntamento > spiegò con dispiacere. Mentre parlava con lui, fremeva per voler scappare da Jackson. Si diceva che lui aveva bisogno di lei, giustificando così il desiderio che aveva di vederlo e stargli vicino. Matteo le si avvicinò ancora e la osservò.

< Perché non me l'hai detto? > domandò corrugando la fronte < sarei venuto con te > questo era uno dei motivi per cui non glielo aveva detto < Val.. a volte ho l'impressione che non mi voglia accanto a te > Valery spalancò gli occhi in espressione scettica, forse più perché si rese conto che Matteo aveva un modo di leggerla dentro che la spaventava, che per la sorpresa di quell'affermazione.

< Cosa? Diavolo no > gli prese il volto tra le mani e lo baciò castamente < è successo talmente in fretta che non ho potuto neanche dirtelo > sorrise e sospirò < So cosa significa perdere una persona che si ama e.. il nonno di questo mio amico era.. importante per lui.. non era solo un nonno ma.. una sorte di genitore, capisci? > Matteo annuì e sorrise teneramente < Dovevo stargli vicino e non mi sono accorta che erano passate due ore e mezza > tra il funerale, il dopo funerale e la corsa per la ricerca di Jackson, non si ricordava nemmeno cos'era un orologio. Matteo la cinse in vita e le sorrise.

< Siamo in tempo per andare a casa mia se vuoi > disse carinamente. Voleva desiderare stare con lui ma, in quel momento, c'era solo una persona con cui voleva condividere il suo tempo, e non era Matteo.

< Matti.. non posso venire > non capì il motivo < gli voglio stare accanto.. scusa > sperava che Matteo non facesse domande e la lasciasse andare. Non voleva mentirgli. Gli dette un bacio sulla guancia e imboccò il vialetto che l'avrebbe condotta alla macchina, prima che potesse replicare.

Parcheggiò davanti casa e spense la macchina. Prese un bel respiro e scese. Alex le aveva detto che non era vero quando diceva che voleva stare solo, ma Valery aveva paura che avesse torto. Quando perdi una persona cara, l'unica cosa che vuoi è scappare, Valery lo sapeva bene. Scappare e isolarsi dal mondo. Non sapeva cosa aspettarsi ma sapeva che voleva far di tutto per farlo sentire meglio. Suonò il campanello ma non aprì nessuno. Sentì la tv accesa, Jackson era dentro < Jake! > urlò < So che ci sei > bussò una prima volta sperando che le aprisse. Lui si voltò verso la porta e si alzò. Non si aspettava una sua visita. Come aveva fatto a capire che era lì? Guardò dallo spioncino e la guardò. Sorrise nel vederla ma non le aprì < Jake.. so che hai detto che vuoi stare solo e lo capisco ma.. permettimi di starti vicino, solo per oggi, ti prometto che se domani vorrai stare solo, completamente isolato dal mondo te lo lascerò fare ma oggi lascia che ti stia vicino > Jackson posò la mano sul pomello, ancora indeciso se aprire o meno. Non voleva farsi vedere in quello stato da nessuno, tanto meno da Valery < staremo soli insieme e poi.. > Jackson la vide abbassare lo sguardo e sollevare all'altezza del viso una busta di patatine che aveva comprato poco prima di andare da lui < ho portato le patatine > sorrise e guardò fisso nello spioncino, sperando che la stesse guardando < non puoi resistere alle patatine > aspettò una manciata di secondi ma la porta non si aprì < Ok.. vuoi stare solo.. ho recepito il messaggio > sospirò e posò il pacco di patatine sulla finestra alla sua destra < te le lascio qui > Jackson la guardò andar via. Si arrestò e guardò verso la porta, sperando che aprisse, ma evidentemente, pensò, non le andava di vederla. Continuò a camminare, quando sentì la porta aprirsi. Si girò di scatto, avendo paura che ci ripensasse e lo vide finalmente. Stava lì, che la guardava, con la solita mascella contratta. Lo raggiunse correndo ma lui abbassò la testa, mentre le apriva la porta per farla entrare. Lo osservò attentamente e senza distogliere il suo sguardo da lui entrò < Hai pianto > le chiazze rosse sul viso, il volto inumidito e gli occhi arrossati erano tre prove schiaccianti. Non lo aveva mai visto piangere e capì che forse aveva sbagliato ad andare là. Voleva stare solo. Voleva piangere e urlare e lei non era invitata. Si sentì una stupida.

< Ho solo un'allergia > cercò di giustificarsi, senza la minima possibilità di essere creduto. Gli si avvicinò e chiuse la porta continuando a guardarlo.

< Ti capisco > non avrebbe mai ammesso che stava piangendo, decise di stare al suo gioco e fargli capire che lei c'era, qualsiasi allergia avesse < queste allergie sono una rottura! Sai cosa faccio quando ho un'allergia? > rovistò in borsa e prese un pacchetto di fazzoletti < cibo spazzatura e film strappalacrime così mi creo l'illusione che il mio continuo soffiarmi il naso non deriva dall'allergia ma dalle emozioni scaturite da un film meraviglioso > lo fece ridere e posò i suoi occhi sui suoi. Questo la rendeva speciale. Il modo che aveva di capirlo e confortarlo in un semplice sguardo. I piccoli capillari rossi causati dal pianto rendevano ancora più intenso il verde dell'iride e senza pensarci su, lo abbracciò con tutta la forza possibile < vuoi che me ne vada? > alla domanda la strinse ancora più forte e annusò i suoi capelli. Ancora lavanda. Non era cambiato niente. Lei era sempre lei. La sua Valery < lo prendo per un no > lo guardò e gli accarezzò i capelli, in quell'istante si accorse che l'amore che provava per lui non era diminuito nemmeno un po'. Si staccò da quell'abbraccio rivelatore e aprì le finestra per prendere le patatine. Non poteva fare a meno di guardarla in tutti i suoi movimenti. Le era mancata in tutto. Dai film guardati sul divano ai piccoli dettagli che la rendevano unica. Si adagiò sul divano e spense la tv < cosa stavi guardando? > chiese sedendosi vicino a lui < degno della loro attenzione? > domandò scuotendo il pacco di patatine in mano.

< No, per niente > disse in un sorriso spento. Gli posò la mano sul ginocchio.

< So che questa domanda è banale e scontata ma ancora non ti ho chiesto.. come stai? > tamburellò le sue dita sul suo ginocchio e Jackson glielo lasciò fare.

< Come se mi fosse crollato il mondo addosso. Come se non avessi più una casa. Mi sento.. come un barbone senza casa > Valery capì perfettamente la sensazione e si alzò dal divano < dove vai? > chiese incuriosito.

< Tuo nonno aveva degli album di foto.. vero? > Jackson indicò un cassetto sotto la tv e lei lo aprì. C'erano vari album. Ne prese un paio e li aprì < sai.. quando mi mancano mia madre e mio fratello.. guardò sempre le loro foto. Mi piace ricordarmeli che sorridono, che piangono, che saltano.. > li diede a Jackson e lui ne aprì uno. Era il giorno del suo secondo compleanno e c'erano sia suo nonno che sua nonna < questa è tua nonna? > indicò entusiasta di vedere il suo volto.

< Sì è proprio lei > nel vedere il suo entusiasmo, sorrise di piacere. Era bello averla accanto. Lo faceva stare bene.

< E questo piccoletto sei tu? O mio Dio! Eri bellissimo! > risero insieme nel vedere le sue guanciotte tonde e un cappellino da marinaio sulla testa. Poggiò il gomito alla testata del divano mentre guardavano le foto. Una foto ritraeva lui in braccio a suo nonno e il suo viso fu invaso da un gran sorriso. Valery si tenne la testa sulla mano chiusa in un pugno e mentre sfogliava radioso quelle foto, s'incantò a guardarlo < è passato così tanto tempo > accarezzò delicatamente la foto, come per imprimerla nel cuore. Sentì gli occhi di Val addosso e la guardò < che c'è? > chiese sorridendo.

< Il tuo sorriso. Mi è mancato per tutto il giorno > ammise ormai persa nell'atmosfera.

< Non trovo difficile sorridere quando sei con me > Jackson posò il suo sguardo sulle sue labbra e Valery lo seguì. Le scostò i capelli dalla guancia e l'accarezzò, mentre posava la testa sul divano. Le toccò il mento e sorrise < mi sei mancata > ammise infine, lasciando scivolare le dita sulla sua gamba. Gli toccò il naso con l'indice e lui lo storse.

< Mi sei mancato anche tu > le parole sono così inutili in certi momenti. Sono vuote e insensate. Si adagiò sul suo petto e lui le cinse le spalle. Stettero così finché non si addormentarono.

Jackson si svegliò dopo venti minuti e si accorse di essersi addormentato abbracciato a Valery. Sorrise vedendo la sua dolce espressione beata. L'adagiò sul divano e si alzò. Valery sentì lo spostamento, se pur delicato e il rumore dei fornelli. Fece capolino dalla testata del divano e vide Jackson aggeggiare con un pentolino. Si alzò e lo raggiunse < ci siamo addormentati > Jackson si voltò e sorrise < cosa stai facendo? > chiese avvicinandosi ai fornelli.

< Non lo so nemmeno io > Jackson fissava il pentolino con sguardo assente. C'era un pentolino d'acqua e due bustine di thé alla pesca.

< Stai facendo il thè > disse constatando una cosa ovvia.

< Sì.. ma a me non piace il thè. Non so perché l'abbia fatto > si girò verso Valery e incrociò le braccia < Erano le cinque > disse indicando l'orologio < l'ora del thè. Credo l'abbia fatto per abitudine > spiegò fissando quel pentolino pieno d'acqua. Gli toccò la schiena e spense il fuoco.

< L'hai fatto per tuo nonno > Jackson corrugò la fronte e Valery continuò a spiegarsi meglio < prima che i miei morissero, ogni venerdì sera era la giornata del film. A turno sceglievamo un film e il venerdì dopo l'incidente, li aspettai alle 21 in punto sul divano, ma non venne nessuno. Sapevo che erano morti e che mio padre era da qualunque parte tranne che a casa ma, dentro di me, risiedeva una piccola speranza che era stato tutto un malinteso e che quella sera sarebbero tornati da me, ma quando andai in camera di Luke per chiamarlo, lui non c'era, andai nello studio di mio padre ma niente, poi sentii il profumo dei biscotti al cioccolato che cucinava sempre mamma, puntuale, ogni venerdì, ma quando scesi le scale trovai Raisa, mia zia. In quel giorno mi resi davvero conto che non sarebbero più tornati e non importa che io avessi otto anni mentre tu ne hai venticinque. La reazione è sempre la stessa. Continuerai a sperare che lui torni e farai cose che eravate soliti fare insieme solo per sentirlo ancora vicino a te. Un giorno ti renderai conto che non c'è più e ti farà male. Davvero male. Poi il dolore si affievolirà e ogni volta che ci penserai farà sempre meno male finché un giorno quel dolore verrà sostituito dalla felicità che ti hanno lasciato i suoi ricordi, la sua vita, la sua stessa gioia > Jackson sospirò e chiuse gli occhi. Le sue non erano parole vuote, erano piene di significato. Aveva sofferto e si era rialzata. Ha combattuto ed era lì a confortarlo. Era lì. Con lui che le aveva spezzato il cuore.

< Mi sento stupido. Una parte di me è consapevole che è morto ma l'altra è come se preferisse pensare che è soltanto partito ed è convinta che tornerà come se fosse ancora con me > Valery sorrise teneramente e gli prese le mani.

< Non sei stupido. Ci sarà sempre una parte di te che sentirà di averlo accanto, perché è così. Lui non c'è più ma ti ha lasciato sé stesso, qui > gli toccò il petto, verso sinistra, per indicare il cuore e Jackson le strinse la mano. Erano bastati pochi attimi e avevano capito che non potevano stare lontani l'uno dall'altra.

< Oggi è venerdì > Jackson sorrise < serata film > Valery sorrise e corse a prendere le patatine tanto adorate < che film guardiamo? > disse sfogliando il porta dvd di suo nonno.

< Se tuo nonno fosse qui, quale film guardereste? > era una domanda facile. Jackson sorrise e la guardò. Sfilò un dvd dalla custodia e si diresse verso il lettore dvd.

< Facile. Mouline Rouge > lo inserì e si spaparanzò sul divano con Valery sgranocchiando patatine. La fissò mentre era concentrata sulle battute degli attori e sorrise impercettibile. Era incredibile. Riusciva a tirare fuori il meglio di lui con un solo gesto. Ripensò ai suoi genitori e a quanto male avesse passato. Quella forza di cui era capace lo rendeva orgoglioso di lei e anche un po' geloso. Era consapevole che aveva una forza d'animo che lui non avrebbe mai avuto.

< Cosa facesti venerdì quando ti accorsi che non sarebbero venuti? > chiese d'improvviso distogliendola dal film. Si girò verso di lui e cercò di ricordare le sue azioni.

< Mi arrabbiai.. poi scelsi un film e lo guardai da sola con mia zia. Mentre lo guardavano ricordo che sentii silenzio. Non stavo litigando con luke per la coperta, la voce grossa di mio padre che ci diceva di smettere i litigare e quella dolce di ia madre che ci calmava nn c'erano. Nessuno commentava. Nessuno rideva. C'ero solo io che piangevo. Avevo il viso bagnato e nn me n'ero accorta. Ricordo che mia zia mi dava i biscotti e piangevamo soltanto. Poi ci guardammo e scoppiammo a ridere > quel ricordo la fece sorridere. Era un triste ricordo ma ogni volta che ripensava a quei momenti, aveva la consapevolezza di averli superati. Jackson non potè fare a meno di fissarla. Si era perso nel suo racconto. In quelle parole piene di forza e tenacia. E tutto quello a cui riusciva a pensare era: come fai ad essere così magnifica? < che c'è? > chiese destandolo dai suoi più profondi pensieri.

< Niente > scosse la testa e sorrise < hai sofferto tanto eppure eccoti qua > sorrise di rimando e si adagiò su di lui, cingendogli il braccio.

< Eccomi qua > la lasciò fare e le cinse le spalle per tenerla più vicino.

< Questa era la sua scena preferita > esordì indicando la tv.

< E' anche una delle mie > confessò < how wonderful life is now you're in the world > in un gesto senza raziocinio, intrecciò la mano con la sua e lui capì che non avrebbe trovato mai nessun'altra che potesse essere comparabile a quella donna.

La vibrazione del cellulare la riportò alla realtà fatta di un vero fidanzato a cui dare spiegazioni per quelle ore fuori casa con un “amico”. Matteo non era stupido. Aveva capito perfettamente chi era, le si leggeva negli occhi quel luccichio che cercava di nascondere quando qualcuno pronunciava il suo nome. Una scossa le passò per lo stomaco quando apparve il nome di Matteo sul display, ebbe la sensazione di essere stata colta in flagrante, senza un apparente motivo. Rifletté per un attimo, quanto bastò per perdere la chiamata.

< Tutto ok? > chiese Jackson avendo visto che aveva appositamente non risposto a Matteo.

< Non sa che sono qui > Jackson non capì < con te > sospirò e Jackson sorrise involontariamente prima che lei potesse guardarlo.

< È un tipo geloso? > chiese per tastare il terreno.

< No, lui non lo è, solo che.. > come faceva a spiegargli tutto? Avrebbe dovuto dirgli che il motivo per cui non funzionò con Matteo era proprio lui e sempre per lo stesso motivo, aveva deciso di stare con Matteo, questo avrebbe portato a galla conversazioni passate non concluse, sentimenti repressi < è complicato > forse era meglio non spiegare.

< Mi è morto il nonno ma.. credo di riuscire ancora a capirti > ironizzò con uno dei suoi sorrisi tanto ipnotici, e lei si accorse che avrebbe potuto chiedergli qualsiasi cosa, sarebbe stato difficile dire di no.

< La carta del nonno morto.. furbo! > rispose alla sua ironia e lui si mise a giocherellare con i suoi lunghi capelli che aveva appoggiato sulla testata del divano < Ok.. ehm.. risale tutto a quando ci uscii la prima volta, qualche tempo fa > non si aspettava ricordasse, ma lui la sorprese.

< Sì, mi ricordo, prima di capodanno > lo guardò sorpresa, come se le sembrasse strano che lui ricordasse quello che le era successo mesi prima < siete usciti una volta sola e poi non l'hai più chiamato . Mi sono sempre chiesto perché> s'incantò per un attimo a guardarlo. Lo vedeva realmente curioso, come se davvero se lo fosse sempre chiesto.

< Non aveva niente che non andasse, era solo perché.. > si rese conto che non era affatto facile ribadire ciò che aveva già detto < mi piacevi tu > evitò di guardarlo e rise cercando di nascondergli la coniugazione sbagliata del verbo passato, che per lei non era affatto passato, a quanto pare. Aveva paura di guardare la sua espressione, lui era stato chiaro su quell'argomento, precedentemente, aveva solo timore che se lo avesse guardato, non avrebbe visto nei suoi occhi quello che avrebbe voluto vedere e quello che se avesse avuto il coraggio di guardare, c'era e si poteva vedere chiaramente < non lo richiamai più. Non volevo prenderlo in giro. Poi ci siamo rivisti due mesi fa e ovviamente mi sembrava corretto raccontargli quello che era accaduto e.. siamo usciti insieme > aspettò qualche secondo e poi lo guardò, aveva i suoi occhi addosso che la fissavano dolcemente. Un sorrisetto tenero sulle labbra e la sua mano che ancora gli accarezzava i capelli.

< Quindi è geloso > concluse infine sorridendo. Valery rise e alzò gli occhi al cielo.

< Ti diverte questa cosa, vero? > chiese scrutandolo. Si riposizionò sul divano con le gambe incrociate davanti a lui.

< Giusto un po' > ammise arricciando il naso. Valery aprì la bocca in segno di sorpresa e gli schiaffeggiò il braccio.

< Sei il peggiore di tutti! Ti diverti eh? > gliene diede un altro per gioco e Jackson cominciò a farle il solletico. Sapeva quanto ne soffrisse < Smettila! Ti prego > lo supplicò tra una risata e l'altra. Lei, a sua volta, sapeva che non avrebbe smesso. Come sempre, avrebbe vinto lui, le prese le mani e gliele mise dietro la schiena, per dimenarsi si sdraiò sul divano e scalciò, Jackson la schivò e si mise su di lei, bloccandola definitivamente.

< Non puoi battermi. Ormai dovresti saperlo > disse sottovoce col fiatone. Il sorriso di Valery cominciò a diventare serio quando percepì il suo respiro affannoso sul viso, che portò a considerare la notevole vicinanza del suo volto, che a sua volta portò a notare la posizione ambigua in cui si trovavano in quel momento. Jackson lesse tutta la correlazione dei suoi pensieri e le guardò istintivamente le labbra < dovrei lasciarti andare immagino > Valery deglutì e non riuscì a calmare il respiro incostante. Doveva dire sì, ma non riusciva a dirlo, come se quel sì le si fosse incastrato in gola. Jackson sentì il petto di Valery scontrarsi col suo, come se anche i loro respiri fossero sincronizzati, non riuscì a staccarsi da lei. Le lasciò le mani libere ma lei non reagì. Continuava a guardarlo negli occhi cercando di capire se quel ragazzo che aveva davanti era ancora il suo Jackson. Portò le mani avanti, gli scostò i riccioli ribelli che aveva sulla fronte e sorrisero. Era troppo importante quello che c'era tra di loro per insabbiarlo con altre complicazioni. Jackson avvicinò la fronte alla sua e chiusero gli occhi, pensando a quanto sarebbe potuto essere bello quel bacio, ne assaporarono ogni fantasia, ogni odore, ogni sapore, ogni lento movimento. Jackson li riaprì e si direzionò all'angolo della bocca. Premette le labbra e Valery lo strinse a sé. Le cinse la schiena e l'alzò, portandola su di sé, staccò le labbra delicatamente. Valery combatté con forza per non girarsi verso le sue labbra ma proprio quando lui si era deciso a lasciarla andare, lo baciò fuggiasca, distogliendolo dai suoi buoni propositi. Lo guardò shockata, sapendo di aver fatto un errore. Aveva innescato la bomba. Cercò di dire qualcosa ma Jackson la baciò, come aveva desiderato fare da quando l'aveva persa. Ancora tante frasi erano rimaste intrappolate in gola, come “dovremmo..” “non dovremmo..” ma la verità era che nessuno dei due aveva intenzione di lasciare andare l'altro. Stavano bene. Domani era un altro giorno.

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Capitolo 19
*** Resta con me ***


Jackson l'accarezzò intravedendo angoscia nel suo sguardo.
< Mi dispiace.. non dovevo > Valery lo abbracciò e chiuse gli occhi, sperando di rimanere ancora per un po' in quella bolla tutta per loro. Lontana da tutto e tutti.
< Quella che non doveva sono io > Jackson la prese di peso e se la portò addosso sul letto < so che stai con un altro e so che questo non è corretto.. però non posso mentirti.. lo rifarei altre cento volte > le costò i capelli dal viso < non mi sembra vero che tu sia qui con me e non sono nella posizione di chiederti niente ma.. vorrei che non te ne andassi, vorrei che restassi con me > sorrise per quelle parole che gli sentì pronunciare. Non sapeva se erano dettate dalla solitudine per aver perso suo nonno o se forse in tutti quei mesi, qualcosa era cambiato in lui. Le sarebbe piaciuto rimanere lì con lui, in quel letto, passare lì tutto il suo tempo, ma sapeva che c'erano persone ad aspettarla, situazioni e decisioni che doveva affrontare. Stare lì con lui, significava solo procrastinare.
< E io resterei ma.. ho delle cose a cui devo pensare.. > Jackson la guardò attentamente e capì < Matteo? > Valery annuì < non penso gradirà quello che ho fatto e devo dirglielo prima che perda il coraggio, non credi? > sorrise malinconica, mentre disegnava piccoli cerchi sul suo petto. < Lo ami? > Jackson deglutì per paura che quei sentimenti fossero ormai rivolti ad un'altra persona mentre Valery rimase spiazzata, non si aspettava di certo una domanda così diretta < Non sarei qui con te se lo amassi > Le prese la mano con la quale si stava divertendo a disegnare e le accarezzò le dita < Allora resta con me > si sentì molto egoista appena pronunciò quelle parole, ma non voleva che se ne andasse. Voleva tenersela tutta per sé. Aveva paura che se se ne fosse andata, sarebbe tornata alla sua vita, e questo giorno passato insieme, sarebbe stata acqua passata. Sarebbero tornati a non sentirsi più, a non vedersi più, e lui proprio non voleva < non voglio perderti di nuovo > Valery alzò lo sguardo su di lui < non posso > contrasse la mandibola e gli si lucidarono gli occhi. Valery premette le sue labbra sulle sue e gli mise le mani intorno al collo < Resto >.

Arrivata sera, Matteo chiamò di nuovo, e Valery sapeva che prima o poi avrebbe dovuto rispondere. Quindi si fece coraggio e rispose una volta per tutte.
" Ehi.. tutto bene?"
"Si.. tutto bene"
"Sei ancora lì?"
"Sì.. torno a casa a breve"
"Vengo a casa tua"
"Sono stanca.. ci vediamo domani, ok?"
"Ok.. allora a domani"

Staccò la chiamata e un magone iniziò a farsi sentire alla bocca dello stomaco. Sapeva di aver sbagliato, e di non essere stato affatto sincera, nonostante fosse partita con ottime intenzioni, ma il confronto con Matteo la terrorizzava. Non voleva farlo soffrire, anche se intuiva che qualcosa avesse già annascato, non era certo stupido.
< Tutto bene? > disse Jackson, distongliendola dai suoi mille pensieri < Si, si.. era Matteo > Jackson guardò la padella che era sul fuoco e poi guardò ancora Valery, cercando di capire qualcosa dalla sua espressione < e... tutto ok? > Valery annuì sedendosi sulla sedia davanti al bancone della cucina, riflettendo già sulle parole da dover usare una volta visto domani. Jackson odiava vederla così, non avrebbe mai voluto metterla in quella situazione < è tutta colpa ma, mi dispiace Val. Mi dispiace davvero tanto, perdonami > si mise le mani in faccia in segno di reale dispiace < ho fatto una cazzata lo so > iniziò a camminare avanti e indietro come un disperato < hai tutte le ragioni del mondo per avercela con me e adesso anche perchè ho rovinato il tuo fidanzamento > Valery cercava in tutti i modi di tranquillizzarlo, dicendo che non era colpa sua < sono proprio uno stronzo! Sai quando lo incontrammo all'Euronics e mi arrabbiai con te perchè volevi uscire con lui? > Valery annuì ricordando con ironia quel giorno un po' lontano < beh, ero strageloso! Non volevo che uscissi con lui, perchè sapevo che ti sarebbe piaciuto e io non avrei mai potuto competere con uno così! > lo guardò sorridendo, un po' sorpresa di quella confessione < e quando ti ho visto in discoteca? Oddio avrei voluto prenderlo a pugni quando ti toccava > poggiò le mani sul bancone, andando giù con la schiena e abbassando la testa < ma non l'ho fatto perchè eri felice e tu.. meriti di essere felice . Quindi se lui ti rende felice, non ho alcun diritto di chiederti di stare qui con me.. e non devi dirglielo per forza..  > si spostò e le prese il viso tra le mani < può rimanere un nostro segreto se vuoi > Valery era confusa, davvero stavolta. Da una parte il ragazzo che sapeva di amare in modo incondizionato, in modo folle, quasi da mettere da parte qualsiasi cosa per lui, dalla'altra un ragazzo onesto, dolce, con dei progetti, con cose reali, concrete, con cui costruire qualcosa. < Tu vorresti che rimanesse un segreto? > gli chiese a bruciapelo. Jackson iniziò a pensare a mille modi come rispondere, per evitare di rispondere in modo schietto e sincerto, forse era meglio una risposta vaga, non troppo precisa, che lasciasse intendere, che lasciasse confusione e non certezza. Poi gli venne in mente nonno Franco. Gli aveva detto di non aver paura e di non farsela scappare. Le prese la mano e la portò fuori di casa, c'era il crepuscolo, ancora si vedeva abbastanza < ma che fai? > disse curiosa Valery. < No. Non vorrei che rimanesse un segreto. Sono stanco dei segreti, delle bugie, dei silenzi tra di noi. Quindi scegli tu. Siamo allo scoperto qui fuori, che scegli? > Valery sorrise e si guardò intorno, gli prese la mano, sperando che non avesse vicini impiccioni < Penso che sia sempre meglio la verità a una bugia.. e penso che adesso sia meglio che torni a casa > Valery prese le sue cose e si incamminò verso la macchina quando Jackson la sorprese con una domanda < sei felice con lui? > Valery si girò verso di lui e non capì dove volesse arrivare < Jake.. lui è il tuo opposto! Ama fare dei progetti, vuole una relazione stabile, vuole costruire, senza pensare che un domani posso inevitabilmente finire tutto. Mi da quello che voglio > Jackson inarcò le sopracciglia < ma non lo ami però > Valery si mise il giacchetto, pensando che era davvero l'ora di andare < aspetta solo un attimo Val.. > Valery sospirò < Jake.. ti prego.. lasciami tornare a casa, devo riflettere e pensare con la mia testa, lontano da.. tutto questo.. > iniziò a indicare lo spazio intorno a sé < lontano da me? > Valery prese la borsa e le chiavi, con cui iniziò a giocherellarci < mi mandi in tilt. Quando penso di staccarmi da te, ripiombi sempre nella mia vita, e non so come liberarmi di te, perchè ogni volta che ci provo, poi fai qualcosa e mi ricordi che sono sempre la stessa di capodanno. Innamorata persa di qualcuno che non mi amerà mai. E allora che senso ha? > Valery uscì dalla porta, senza dargli nemmeno la possibilità di rispondere. Con gli occhi pieni di lacrime aprì lo sportello della macchina e partì. Non lo guardò per paura di vedere la sua faccia contrita nel vederla andare via in quel modo, ma più per pena pensava lei. Invece lui era dispiaciuto, perchè non aveva saputo esprimere i suoi sentimenti, quello che realmente provava per lei. Voleva solo che lei fosse felice, e voleva che la scelta fosse solo sua.

L'indomani, appena di svegliò, sentì un profumo sul polso, era il laccino per capelli inebriato dal profumo di Jackson del giorno prima. Capì che doveva prendere una decisione, urgentemente, Matteo sarebbe stato da lei a breve e avrebbe capito sicuramente come gestire tutto. Il campanello suonò, sentì il padre aprire la porta. Andò in bagno, si sistemò alla svelta e indossò una tuta, quando uscì dal bagno, trovò Jackson ad aspettarla in camera. Rimase senza parole, sbattette tante volte le palpebre per cercare di capire se fosse un'allucinazione.
< Ciao.. scusa se non ti ho avvisato, ma avevi lasciato questo a casa mia ieri > le porse il golfino che aveva ieri al funerale. Tanta strada per un golfino? 
< Grazie per avermelo riportato > si avvicinò prendendolo. Non riusciva a smettere di fissarlo, e sapeva che non era tutto lì < sei venuto solo per questo? > chiese Val, incalzandolo.
< Ieri sei andata via e non ho potuto risponderti. Hai detto tante cose.. giuste.. ma sono cambiate tante cose da quando non ci siamo più visti > cercò tra un balbettio e l'altro di essere più chiaaro possibile stavolta, ma Valery aveva fretta, a breve sarebbe arrivato Matteo, e non poteva farli incontrare lì, no davvero. < Beh stai con quella Veronica per cominciare > lo incalzò nuovamente, non sapeva perchè ma una parte di lei amava metterlo in difficoltà. < era una frequentazione, niente di serio > ironizzò lui < come noi ieri no? Niente di serio immagino, per te > disse Valery per vedere la sua reazione. Jackson si avvicinò prontamente  quasi da spaventarla < non pensarlo nemmeno Val > Valery tenne gli occhi fissi su di lui, erano sempre bellissimi < non ho mai giocato con te, mai. E so che sono un caso disperato, ma quando ci sei tu, tutto è più bello, e io ti.. > mentre Valery era intenta a sperare che Jackson rivelasse finalmente  i suoi sentimenti, bussarono alla porta interrompendo quello che Jackson aveva finalmente trovato il coraggio di dire < Val? c'è Matteo > suo padre la stava coprendo, immaginava avesse fatto un pastrocchio. Cavolo. Cosa si fa adesso? < Jake? perdonami ma devi andare in bagno.. e stare in silenzio. Non uscire per alcun motivo al mondo, ok?? > Jackson si nascose in bagno e sentì che Matteo entrò in camera.
< Ehi, ciao! come stai? tutto bene ieri sera? a che ore sei tornata a casa poi? iniziò a riempirla di domande, così tante che si sentì soffocare < scusa! troppe domande? >
< Direi di si..senti... > Valery abbassò gli occhi  si sedette, era arrivato il momento di dirgli quello che era successo, e avere Jackson che origliava dalla porta, rendeva tutto troppo strano < dovrei parlarti di una cosa.. > Matteo la interruppe all'istante < Anch'io!! una cosa importantissima, tieniti forte! > le prese le mani elettrizzato < mi hanno dato una promozione al lavoro, dirigerò un negozio di elettronica > Valery scioccò e lo abbracciò < congratulazioni!!! e dove? > Matteo iniziò ad essere meno elettrizzato < a Firenze! So che è un po' lontano da qui.. però avrei pensato a portarti con me.. se vuoi.. beh.. non so come andranno le cose tra noi ma.. prenderei un appartamentino e potremmo.. > Valery rimase sorpresa e anche spaventata < andare a vivere insieme lì.. se vorrai.. insomma. So che adesso è troppo presto. Stiamo insieme da pochi mesi ma.. magari quando verrai a trovarmi > una proposta scioccante per Valery. Non tanto per la proposta, si rese conto che tutti quei progetti, quel futuro da crostruire, era ciò che più voleva, ma non lo voleva con lui, e la domanda a cui avrebbe dovuto rispondere è: ma sei felice con lui? ti rende felice
Perchè uno può fare tutti i progetti che vuole ma.. è con chi li fai che conta. < Non posso > Valery si alzò dal letto cercando di spiegarsi < Matti.. sei un ragazzo fantastico e mi hai sempre dato ciò di cui avevo bisogno.. ma non posso fare dei progetti con te, se sogno di farli con qualcun altro > Matteo si accigliò, non capendo a chi alludesse < ieri ho rivisto Jackson, è a lui che è morto il nonno. E io non posso dire che non mi abbia fatto alcun effetto, perchè mentirei. Posso cercare di reprimere ogni sentimento che provo per lui, ma appena lo incontro, io.. > sapeva che Jackson la stava ascoltando, e forse era proprio per qumotivo, che voleva essere più che onesta < lo amo, così tanto > le si rigò una guancia con una lacrima e prontamente l'asciugò < so che non te lo meriti, e che odierai per questo ma quello che provo  per lui è talmente grande che non riesco a lasciarlo andare, mi dispiace > Valery guardò per terra e cercò di trattenere le lacrime, non voleva impietosire Matteo col suo piagnisteo. Matteo rimase in silenzio ad ascoltarla, poi si alzò dal letto e l'abbracciò. Valery si stranì da quella reazione < grazie di essere stata sincera con me. Ti voglio bene Val.. se lui ti rende felice.. sono contento per te > le dette un bacio sulla guancia e sparì. Rimlì immobile, con gli occhi lucidi a fissare la porta della camera. Sentì la porta del bagno aprirsi < Stai bene? > Valery annuì. Non era lei quella che era stata mollata. Le toccò le spalle per girarla verso di sè < Hai origliato immagino > Jackson fece spallucce < Ho sentito un po' di cose > si avvicinò per cingerle i fianchi < molto interessanti. avevano a che fare un certo Jackson.. ho capito che sei innamorata persa di questo tizio.. ma è così bello? > la guardò dolcemente, come non aveva mai fatto, ridacchiando sotto i baffi. < Non così tanto.. e poi non importa perchè preferisce allontanarsi che stare con me > Valery sarcastica < te l'ha detto lui? > chiese Jackson. Valery guardò malinconica < non c'è bisogno che lo dica, lo so già cosa pensa > gli accarezzò il viso e si staccò dal suo abbraccio, facendo finta di riordinare le magliette < non credo che tu lo sappia, invece > le andò dinuovo vicino e stavolta provò ad essere più onesto possibile < prima di morire mio nonno mi ha detto di non essere stupido. Si riferivaa quello che provavo per te. A quello che provo per teNon so come si faccia a stare con qualcuno, a progettare delle cose insieme, a fare tutto quello che ti piace tanto fare a te, ma te non mi spaventa fare niente. Prima sono stato interrotto, ero venuto per dirti che ti amo anch'io. Ti amo da quando sei entrat a far parte della mia vita, ma ancora nonsapevo cosa fosse. e sono stato stupido a lasciarti andare ma adesso non scappo più. > Valery si commosse e qualche lacrima le rigò il viso < Allora Resti con me stavolta? >  Jackson sorrise < Resto con te >.

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