You Are The Reason

di peeksy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'Incontro ***
Capitolo 2: *** L'Attesa ***
Capitolo 3: *** La Speranza ***
Capitolo 4: *** Il Desiderio ***
Capitolo 5: *** Il Motivo ***
Capitolo 6: *** La Sorpresa ***



Capitolo 1
*** L'Incontro ***


La pioggia batteva incessante sulla strada al pomeriggio. Gli pneumatici delle auto suonavano sull'asfalto bagnato un'armonia pacata. I ritmi frenetici della città sembravano inesistenti quando pioveva, sembravano quasi cullare chi li stava ad ascoltare, dopo una stancante giornata lavorativa oppure durante una semplice passeggiata.

 

Alla fermata di un autobus, un ragazzo stava aspettando da solo. Il suo nome è Assaf. Stava aspettando per tornare a casa. Nessuno di norma a quell'ora prende quell'autobus, specialmente in una brutta giornata come quella, ma lui si era ormai abituato alla solitudine di quel posto, o quasi. Insomma, l'autobus non passava frequentemente e nell'attesa non si sa mai come ammazzare il tempo. Gli sarebbe servito qualcuno, questo lo sapeva.

 

Quando l'autobus stette per arrivare, Assaf si alzò dalla panchina vicino alla fermata e richiuse l'ombrello. Finalmente, il momento era giunto anche quel giorno. L'autobus era in arrivo. I suoi solitari pensieri lasciarono spazio alla realtà. Dopo 30 minuti, l'attesa stava per finire. Avvicinandosi alla strada si bagnarono anche i suoi capelli biondi, prima tenuti al sicuro da un berretto: il ragazzo stava già pensando al caldo di casa. Tuttavia una voce sovrastò quella sensazione di agio.

 

- “No! Aspetta! Non devo arrivare troppo tardi!” sentì in lontananza.

 

Una voce stridula ma vivace gridava da dietro. Un ragazzo bruno, paffutello e impacciato, ma dall'aria simpatica stava perdendo l'autobus che Assaf stava, invece, per prendere.

 

In quell'istante Assaf si girò, osservò il ragazzo e fu colto dal senso di colpa: quello sfortunato stava per ricevere la stessa, brutta e noiosa sorte che lui stesso era solito a sperimentare ogni giorno. Non se la meriterebbe nessuno e inoltre quel ragazzo pareva così sciagurato e innocente. Assaf faceva fatica a ragionare,una strana sensazione lo faceva stare fermo, si sentì tirato in causa senza aver combinato nulla. No, non era una bella sensazione da provare.

 

L'autobus arrivò e si fermò. Quel ragazzo stava correndo e ansimando.

 

Assaf si trovò tra due situazioni opposte.

- “Cosa faccio? Salgo e vado a casa oppure sto in sua compagnia sotto la pioggia?”  
Fu costretto a decidere forse con troppa fretta, ma non riuscì a immaginare nulla oltre la sfortuna di quel paffutello là. Era sua caratteristica l'altruismo, quindi decise di non salire.

E l'autobus se ne andò.

 

Assaf osservò l'autobus allontanarsi mentre la pioggia batteva sulla sua testa bionda.

Quel ragazzo invece ansimava, la pioggia sembrò non fargli nulla. La rabbia per aver perso quell'autobus era incontenibile.

Voltandosi verso di lui, Assaf cercò di trovare le parole giuste per esprimersi correttamente, non avrebbe voluto infastidire una persona in quel momento già infastidita.

 

- “H-hey, mi dispiace che tu abbia perso l'autobus...m-ma se vuoi posso farti compagnia!”
Cercò di guardare il ragazzo dritto negli occhi, voleva mostrargli compassione ma mostrò solo timidezza.

 

- “Ti ringrazio, ma ormai è troppo tardi. Devo andare a casa ma non ce la faccio più ad arrivare in tempo ora. Meglio incamminarmi, sarebbe inutile aspettare qui.” affermò quel ragazzo con un accenno di sorriso.

 

“-Però perché tu non sei salito invece?” aggiunse curioso.

 

A quella domanda, Assaf impallidì e non poco. Non avrebbe saputo veramente dargli una risposta. Si era sentito in colpa e non avrebbe voluto che lui stesse solo sotto la pioggia, ma quella risposta lo avrebbe fatto sembrare inopportuno.

 

- “Ho visto una persona che odio su quel bus e dunque ho preferito non salire.” espresse così la prima scusa venutagli in mente, sollevandosi così da un carico di emozioni.

 

- “Comprendo quella sensazione.” disse il giovane dai capelli bruni ridendo. “Comunque puoi chiamarmi Gattuso, piacere di conoscerti!”

 

- “Piacere Gattuso, mi chiamo Assaf” rispose allegro il ragazzo biondino con il berretto.
Per la prima volta, si trovò con qualcuno in un posto abitualmente deserto. Forse, non salire su quell'autobus era stata veramente la cosa giusta.

 

- “Scusami tanto”, il ragazzo lasciò passare un tenero sorriso di gratitudine, “ma devo fare in fretta altrimenti mia madre si preoccupa.”
E con questa frase sistemò lo zaino e, ancora ansimando, fece un paio di passi allontanandosi e incamminandosi verso la lunga strada che portava al centro cittadino.

 

- “Non ti preoccupare, capisco. Purtroppo la strada che dovrei fare non è quella che farai tu.” rispose Assaf con un po' di dispiacere.
Aveva trovato qualcuno. Sì, ovviamente solo una persona appena incontrata, ma era comunque notevolmente meglio della classica solitudine. Oltre ad essere altruista, il giovane biondino si affezionava alle persone molto facilmente.

 

- “Un'ultima cosa e poi ti lascio andare!” disse Assaf alzando il tono di voce. Gattuso si voltò di scatto, già pensando alla lunga camminata che lo stava attendendo.

 

- “Domani...sarai di nuovo qui?” chiese Assaf, molto timidamente. Quel ragazzo gli pareva gentile, un po' sfortunato ma comunque con un sorriso tenero che lasciava il segno.

 

- “Certo” disse Gattuso sorridendo ancora. “Ora devo assolutamente andare però, ciao!”

E con quella frase, il bruno si congedò.

 

Assaf rimase molto colpito dal semplice fatto di aver trovato qualcuno in un'improbabile situazione, quale una giornata piovosa come quella che stava ancora andando avanti. Avrebbe voluto parlargli ancora, saperne di più. Non aveva mai visto quel ragazzo prima d'ora e non si sarebbe aspettato un primo incontro così casuale!

 

- “Ciao!” Assaf osservò quel ragazzo paffutello allontanarsi fino a girare dietro ad un corso.
A quel punto osservò la strada. Era tutto tornato al punto di partenza. Lui, la fermata, la pioggia, i rumori degli pneumatici sulla strada.

 

Ma dentro di lui, nel suo stato d'animo, era cambiato praticamente tutto. Un bagliore di curiosità mista a speranza si accese in lui. La curiosità di conoscere qualcuno di nuovo, quella classica estasi di sapere tutto di una persona, e a sua volta sentire un interessamento da parte degli altri. E poi quella speranza che sia la volta buona per conoscere una persona che cambierà la vita in positivo.

 

E fu investito da una valanga di emozioni.

 

Le aveva già sentite in poche occasioni, ma ogni volta che accadeva, era una buona cosa. Qualcosa stava per cambiare.

 

“Gattuso...” ripetette nel suo pensiero, quasi come se dentro la tua testa ci sia un archivio di memorie, di momenti significativi, di cose valorose. Ma l'ingresso di quel ragazzo nella sua memoria interiore, per Assaf non si trattava solo di un piacevole benvenuto in un nuovo mondo, si trattava di molto di più.

 

L'autobus arrivò dopo tre quarti d'ora. Tre quarti d'ora passati ragionando sul da farsi. Il biondino era contento, molto, ma allo stesso tempo sentiva il peso di una responsabilità. Stringere amicizia con quel ragazzo gli sembrava un'occasione da non sprecare, una nuova prova per la sua personalità leggermente introversa.

 

Passò 20 minuti di viaggio a pensare. Finalmente l'autobus arrivò alla destinazione voluta. Assaf scese fradicio dalla testa ai piedi. Il raffreddore era assicurato, ma poco gli importava. I suoi pensieri erano già rivolti al giorno successivo.

 

Era solo il primo incontro.

 

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Capitolo 2
*** L'Attesa ***


Passò solo un giorno ma il tutto sembro intensificarsi. A scuola Assaf pensava spesso a ciò che era accaduto il giorno prima alla fermata. 
 
La professoressa di latino spiegava, ma Assaf non prendeva appunti, nella materia andava benissimo. Passò l'ora a disegnare. “Cosa disegno?” pensò. Aveva fogli, matite e pennarelli a volontà portati per l'ora di disegno artistico. Già, tolta Matematica, ad Assaf piaceva il liceo artistico. Tutti gli chiedevano disegni da fare e lui faceva molto volentieri. 
 
Tutto però, ad una condizione: che la sua mente non fosse intasata da pensieri, altrimenti erano guai.
 
“Ho capito, non riesco a disegnare adesso. Andrò a casa e vedrò cosa disegnare” pensò.
 
Dopo il classico snack mattutino, due intervalli e qualche altra ora di lezione, fu il momento di uscire.
 
Il cielo era limpido e pulito, le nuvole tappezzavano il monocromato azzurro del cielo. Il sole splendeva e illuminava l'atmosfera con cura e attenzione. Faceva anche abbastanza caldo e il giovane biondino dunque si tolse berretto e felpa.
 
Si avviò verso la fermata e l'ambiente circostante sembrava diverso. Della pioggia rimasero solo le pozzanghere, nulla rimase di quei rumori e di quegli odori. Come se il giorno prima fosse stato solo un gioco dell'immaginazione.
 
Ma è proprio quel luogo che scaturì una valanga di pensieri nella testa di Assaf.
 
“Starà arrivando” pensò.
 
Il ragazzino era la classica persona “socievole quanto basta”, disposta a fare amicizie piuttosto selettive e scegliere solo persone che gli stessero veramente a genio. Gattuso era una di quelle che gli sembravano promettenti. Non lo conosceva ancora ma voleva dargli una chance. Ovviamente sapeva lui stesso che doveva dare una buona impressione di se allo sciagurato ragazzo incontrato per caso il giorno prima. Le amicizie non sono patti firmati.
 
Proprio in quel momento guardò l'orologio, voleva capire se l'ora era quella giusta per aspettare quel ragazzo.
 
“Ah, ma mancano ancora dieci minuti!” notò Assaf. “E adesso cosa faccio? Devo trovare qualcosa per nutrire la mia impazienza.” disse. 
 
Dunque, capito che poteva prendersela con comodo, si sedette sulla panchina della fermata e fu allora che gli tornò in mente di avere un blocco di fogli per appunti e diversi pennarelli di alta qualità portati per scuola. Dunque gli venne un'idea. 
 
“E se gli facessi un disegno? Così tanto per dimostrargli affetto non solo con parole, ma con qualcosa di materiale.” La sua testa si illuminò di fantasia.
 
Tuttavia ci mise un paio di minuti a capire cosa avrebbe effettivamente dovuto disegnare per quel ragazzo, ma alla fine optò per l'idea più ovvia.
 
“Gli farò un ritratto e cercherò di ricordarmi i suoi tratti facciali.” pensò.
Riguardo alle caratteristiche fisiche del destinatario di quel regalino, il biondino se le ricordava benissimo, poiché quel volto gli era comparso parecchie volte durante la giornata, a causa del crescente desiderio di essere dove si trovava in quel momento: Ad aspettarlo.
 
L'attesa per lui non fu mai così cercata e goduta.
 
Giocò con i colori e regalò al suo ritratto qualcosa di speciale. Qualcosa che solo lui sapeva dare. Sì, di disegni ne faceva e anche tanti, ma sebbene stesse disegnando poggiato sul suo zainetto mentre aspettava ad una fermata, quella era un'occasione speciale e Assaf ne stava fruttando nel modo migliore. 
 
Non fece caso a nulla, non al tempo che scorreva incessantemente, non all'autobus che stava aspettando, non alle parolacce dette dai ragazzi in lontananza, non dalle auto che passavano come acqua in un fiume. C'erano solo lui, il foglio, i pennarelli, le matite e Gattuso.
 
Quest'ultima parola era quella più importante.
 
Di scatto Assaf alzò la testa dal foglio. Si rese conto di star tralasciando la cosa più importante.
 
“Dov'è? Dovrebbe essere qui da diversi minuti e invece non c'è ancora! Non posso aspettare a lungo! Spero si sbrighi!”
 
Il ragazzo pose delicatamente il foglio con il ritratto per Gattuso ancora incompleto nello zaino, si alzò dalla panchina e guardò attentamente i dintorni. C'erano meno ragazzi in giro, anche le auto si erano fatte di meno e perfino l'autobus si intravedeva in lontananza.
 
Dunque egli obbligò se stesso a ragionare. Non poteva più scegliere con fretta perchè, se scegliere fra Gattuso e l'autobus gli aveva portato molto più di un semplice ragazzo, chissà, scegliere l'autobus anziché aspettare Gattuso avrebbe potuto portarglielo via?
 
Rimpianse di non avergli chiesto il numero di cellulare. Quello era abituato a chiederlo dopo un incontro duraturo, però si poteva sempre fare eccezioni.  L'autobus c'era ma mancava un semaforo da superare.
 
“Forse è perchè manca la pioggia, forse è perchè fa caldo, forse è perché non indosso il berretto e la felpa!” disse. 
Volle sentire quelle stesse emozioni che provò il giorno prima. Volle sentire la voce di Gattuso per rincuorarsi. Di nuovo, serviva qualcuno.
 
L'autobus passò il semaforo e si avviò verso la fermata. 
 
Assaf sentì il suo cuore battere e il suo polso tremare. Tutto ciò per cui aveva aspettato stava per svanire. Ritornare a casa, rifletterci su e svegliarsi il giorno dopo sentendosi fantasticamente completi, tutto svanito. Colpa di un autobus. Esso distrusse quei sogni.
 
10 minuti in ritardo rispetto all'orario del giorno prima, l'autobus arrivò alla fermata.
 
Assaf salì. Ne fu costretto. Ormai poco rimase da dire. Gattuso gli aveva detto che ci sarebbe stato. Forse il biondino aveva frainteso, ma comunque la delusione rimaneva ben visibile sul suo volto. 
 
“Domani sarai di nuovo qui?” “Certo” quelle due voci. La sua e quella del ragazzo bruno, gli echeggiavano nella testa. 
 
“Forse mi sono montato la testa” pensò. “Forse è meglio che l'attesa rimanga attesa e non sogno ad occhi aperti.” puntualizzò.
 
Le sue labbra piccola erano serrate. Le palpebre spalancate. I suoi occhi azzurri limpidi parvero spenti, disillusi e tristi. Non  mancò qualche piccolo accenno al pianto, anche se si trattenne. Era sempre un luogo pubblico.
 
Non sapeva come avrebbe dovuto comportarsi il giorno dopo. Se aspettare ancora, se pensarci ancora , se sognare ancora. Non sapeva nemmeno se avrebbe concluso il suo disegno quello stesso giorno.
 
Una cosa però era ovvia, le sue emozioni iniziavano a dipendere da qualcuno. Era un innamoramento o solo una voglia di cambiare? Assaf non volle pensare a quelle cose, pensò piuttosto al da farsi. Come reagire. 
 
Sì era passato solo un giorno, ma che giorno...
 
 
 
 
“Allora campione, com'è andata a scuola?” disse.
 
“Bene mamma, bene.” Rispose Gattuso, tuttavia il suo piccolo broncio dimostrò il contrario.
 
“Cos'è quella faccia? Qualcosa non va?” chiese la madre.
 
“No mamma, tutto okay.” affermò il brunetto, guardando fuori dal finestrino dell'auto.
 
“Sei contento che questa volta ti sono venuta a prendere a scuola in auto? Così eviti di perdere di nuovo l'autobus e rimanere sotto la pioggia! Potresti raffreddarti con questo tempo così variabile!” disse la madre accennando ad un po' di orgoglio. 
 
“S-sì....” rispose il giovane con un tono di voce insicuro e preoccupato. Non sapeva di ciò che sarebbe dovuto accadere alla fermata, ci fosse stato. L'idea di non esserci potuto essere però lo turbava profondamente. Assaf gli si era parso gentile, mai nessuno nella sua vita gli si era dimostrato così generoso e altruista al primo incontro.
 
“Andiamo a casa. Forse domani ti vengo a prendere di nuovo io.” disse la madre.
 
E il ragazzo stette in silenzio. Avrebbe voluto piangere ma non lo fece, era di fronte alla madre a cui tanto doveva, dopotutto. Lei non aveva neanche colpe, in realtà...era solo destino, forse.
 
Già destino, lo stesso che li fece incontrare per caso. Quanto è vigliacco il destino.
 
E quell'auto si avviò verso la sua destinazione, proprio come l'autobus.

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Capitolo 3
*** La Speranza ***


Assaf tornò a casa con il cuore a pezzi. Si sentiva imprigionato in un pensiero, ossia quello di Gattuso. Sembrava un'ossessione, una paranoia, ma allo stesso tempo era qualcosa di decisamente quieto e bello.

Il ritratto, disegnato alla fermata, era ancora incompleto, proprio come le sue emozioni verso quel ragazzo.

 

No, non si sentiva innamorato, si sentiva semplicemente smarrito. Avrebbe voluto trovare un nuovo sostegno per la sua vita comune da ragazzo comune.

 

-“Devo trovare un rimedio...forse è solo un giorno, magari domani lo incontro di nuovo...o forse no...” i pensieri si alteravano nella testa del giovane, come se stesse percorrendo un sentiero ma le indicazioni fossero contraddittorie.

Gettò la cartella per terra e si sdraiò sul letto, guardando il soffitto.

 

Tutto ciò di cui aveva bisogno era capire. Capire molte cose, la sua situazione, le sue emozioni, ma soprattutto il da farsi. Forse avrebbe dovuto apprezzare la grande possibilità che gli era stata data e convincersi che non si può strappare nessuna informazione dal destino.

Avrebbe dovuto parlarne con qualcuno, perchè solo così si compie dei passi avanti, bisogna uscire dalla caverna. Tuttavia parlarne non avrebbe cambiato nulla, sebbene lo avrebbe potuto far sentire meglio.

Poteva solo sperare. Purtroppo non stava a lui decidere.

 

Si alzò dal letto dopo una decina di minuti, non c'erano compiti per lui da fare.

 

D'un tratto il suo telefono squillò. Non aveva dato il suo numero a Gattuso, dunque di sicuro non si trattava di quel tanto voluto ragazzo.

-“Pronto?” disse Assaf.

 

-“Pronto, ciao Assaf, sono Gigoberto, come va?” una voce giovanile, leggermente acuta e nasale si udì dall'altra parte del telefono.

 

-“Oh ciao Gigoberto!” rispose il biondino.

Gigoberto era il migliore amico di Assaf, o meglio, lo era veramente fino a quando egli non trovò una ragazza. Da quel momento in poi il biondino cominciò a sentirsi leggermente sovrastato ma non avrebbe mai voluto parlarne per paura di perdere una delle persone più preziose della sua vita.

 

-“A me? Tutto okay! Tu?” aggiunse, chiaramente mentendo.

 

-“A me va bene, grazie. Che caldo che c'è oggi! Ieri non sono riuscito a prendere il pullman! Pioveva e sono rimasto sotto un chiosco fino a quando la pioggia non è cessata!” disse l'altro.

 

-“Ah, wow, mi dispiace, neanch'io l'ho preso.” replicò Assaf. La sua voce si fece meno vivace e squillante del solito, anzi, si fece più chiusa e timida.

 

-“Ooh, non mi sembri il solito, dici che va tutto bene...ma...qualcosa non va?” disse Gigoberto notando questo particolare. Egli aveva due anni e mezzo più di Assaf, sarebbero dovuti essere compagni di scuola per l'ultimo anno.

 

-“No, tutto okay” rispose il biondino.

 

-“Ti conosco abbastanza da dire che non è così, cos'hai?” disse il suo amico alzando il tono.

 

-“Non ho niente!” il più giovane sfuriò impaziente.
 

Al suo amico non piaceva quando i toni si alzavano e quando la situazione si faceva tesa e fortunatamente non capitava spesso, ma quando capitava, lui aveva sempre la risposta più affidabile.

-“Non hai niente, sicuro?” disse con lo stesso tono di voce di prima, quasi da fratello maggiore.

 

-“Non ho...nessuno...”. Assaf calmò i toni, eppure in quella risposta si sentì come se gli fosse stato strappato un pezzo di cuore. Non si sentiva a suo agio e avrebbe preferito non parlarne con nessuno.

 

Gigoberto non era quel tipo di persona che si lasciava scappare i particolari, lui ci teneva ad Assaf, ma la costante sensazione di non essergli d'aiuto lasciava in lui un senso di incompletezza morale.

-“Nessuno? Cosa c'è che non va? Chi è questo nessuno? C'è qualcosa che ti turba? Avanti, non nascondere i tuoi problemi! Ti ascolto!” disse l'amico. Cercò di infondere calma e sicurezza al giovane biondino.

 

Ma quest'ultimo, come prevedibile, continuava a non essere disposto al parlarne. Alle parole dell'amico, non rispose a voce, bensì con suoni di respirazione. Il classico suono del silenzio, quando la risposta non è quella cercata, per intenderci.


-“Assaf! Dai! Lo faccio per te! Voglio aiutarti, santo cielo!” aggiunse Gigoberto esortando il ragazzo a parlare.

 

Ma egli continuò a non rispondere. Nella sua testa passavano un sacco di pensieri, dai più belli ai più brutti. Pensando all'amico, il biondino si ricordò degli anni passati, bei ricordi ma che, ormai, erano andati.

Assaf non vedeva l'amico di cattivo occhio, semplicemente, non lo vedeva più allo stesso modo.

 

Inaspettatamente le sue labbra si aprirono.

-“Scusa, parliamone poi, non è proprio il momento...” disse con un tono apatico, quasi rassegnato.

 

L'inattesa e concisa risposta diede a Gigoberto solo il tempo di esprimersi con un “Aspetta!”.

Assaf chiuse la chiamata e posò il cellulare. Non sentiva di aver fatto la cosa giusta per il momento, ma di sicuro avrebbe preferito aspettare che le sue emozioni lo avessero mollato un po' e l'avessero lasciato riposare e sperare.

 

A quel punto mise a posto la cartella.

C'era ancora il disegno, sì, quel disegno di Gattuso. Ma gli ricordava solo l'attesa senza bottino, il sacrificio senza ricompensa...la fermata, il sole, l'autobus...e la mancanza di quel ragazzo.

Dunque decise di posarlo su uno scaffale e di non pensarci ancora.

 

Piuttosto, pensò a riflettere. Ovvio era fin troppo presto per lasciarsi andare alle considerazione e al pessimismo. Chiaro che però, quando ti viene fatta una promessa alla quale, sinceramente, tieni moltissimo poiché ti rende molto felice, il non vederla rispettata ti butta parecchio giù.

 

“Sono sicuro che non è colpa sua, sono sicurissimo, anzi, che la sua assenza non era prevista nemmeno da lui stesso!” pensò, “...magari domani mi corre incontro dicendo che mi ha pensato tutto il giorno!” Gli scappò un sorrisetto timido.

“Ma siamo seri, non devo mai più sperare troppo e illudermi così, così almeno evito di avere delusioni troppo forti!”


E non aveva torto. Nulla era ancora stato scritto anche se temeva molto di non vedere più quel ragazzo, l'aveva visto per pochissimi minuti e in preda alla fretta.

 

A pensarci, gli vennero dei dubbi. “Cosa penserebbe se fosse qui con me? Mi direbbe di non preoccuparmi e di non rattristarmi? Mi abbraccerebbe e mi direbbe che è tutto okay?”

Gattuso era ancora un mistero, troppo sconosciuto per Assaf. Doveva avere delle risposte per poterlo capire meglio. Tutto quello che poteva fare, in quel momento, era solo sognare e sperare.

 

-“Forse mi sono lasciato un po' andare.” mormorò ansioso sul letto.

 

-“E non solo con i miei pensieri su Gattuso, ma anche con Gigoberto. Non voleva farmi nulla di male dopotutto.”
E dopo qualche momento per pensarci, prese in mano il cellulare e cercò il numero dell'amico. Lo trovò facilmente, eppure passarono minuti prima che qualche dito della sua mano si muovesse nel modo desiderato.

 

A quel punto decise di scrivergli un breve ma chiaro messaggio:

“Hey, scusa per prima. Sono un po' giù, ho incontrato un ragazzo tanto carino e simpatico ieri alla fermata dell'autobus. Abbiamo parlato poco ma ci eravamo promessi di vederci ancora, cosa che non è accaduta. Mi è dispiaciuto e temo di non poterlo vedere di nuovo. Spero tu capisca.”

Dunque premette “Invia” e osservò lo schermo per qualche secondo.

 

Quindi si osservò intorno, in casa non c'era nessuno. Erano le 4 del pomeriggio e faceva molto caldo nella sua stanza. Accese il ventilatore, dunque.

Si mise a ripassare le materie per il giorno successivo, prendendo un bel respiro, “E' ora di andare avanti” pensò.

 

La vita a casa di Assaf era monotona. La cosa più bella che aveva era la sua sorella maggiore, l'unica che lo capiva alla perfezione, che tuttavia in quei giorni era all'estero e sarebbe tornata due settimane più tardi. Lui viveva con i genitori e un bulldog di nome Bullone. I genitori erano spesso fuori casa per lavoro e di fatto la famiglia non era di scarse condizioni economiche, ma al ragazzo non gli interessava seguire lo stesso percorso dei suoi, lui era un artista su tutti i fronti. Gli piaceva fare sculture e quadri, che provò anche a vendere per guadagnarsi qualche soldino per conto suo.

 

Era tutto però appena iniziato. I suoi pensieri erano ancora stracolmi di adolescenza: scuola, compiti, voti, vacanze estive...

E l'amore? L'amore non aveva mai avuto tanta attenzione da parte del giovane. Era molto carino e di certo lo sguardo di qualche ragazza se lo meritava pure, ma a lui non importava...lui era per le sue e non si era mai innamorato veramente.

Ecco perchè dubitava su quali fossero i suoi sentimenti verso Gattuso.
 

Finiti i compiti, Assaf passò altro tempo a pensare sul cosa avrebbe dovuto fare il giorno successivo. Era seduto sul letto, a fissare le piastrelle del pavimento, quando all'improvviso ricevette un messaggio.

Si alzò immediatamente.

 

Controllò il cellulare. Era Gigoberto:

 

“No...questo da te proprio no! Ora vai lì e dimostra a quel ragazzo che tu non hai intenzione di fermarti! Sii te stesso e fai cosa ti dice il cuore! Non avere paura delle conseguenze, stai facendo qualcosa di ammirevole e dolcissimo! So che sei forte,dunque forza, fagli capire cosa vuoi! Fallo sentire apprezzato! Migliora il suo mondo! Puoi di certo!”

 

A leggere quelle parole, il biondino rimase in silenzio, a pensare. Erano parole potenti, che perforavano lo schermo del telefono ed arrivavano dritte nella sua testa. Il cuore batteva forte...fortissimo.

Era una sensazione completamente nuova, eppure ad Assaf piaceva, si sentiva diverso.

 

Dopo qualche minuto si alzò, si avvicinò al disegno di Gattuso e lo prese.

Stette a fissarlo per qualche minuto e sorrise.

 

-“Sì, adesso finirò questo disegno e glielo mostrerò, e non aspetterò alla fermata, andrò a cercarlo di persona nel secondo intervallo! Ce la farò!” disse.

 

Detto fatto. Passò la fine del pomeriggio a finire quel ritratto, ci scrisse anche una dedica:

 

“A te che non sei riuscito a prendere l'autobus in tempo, ti dico con tutto il cuore che sei riuscito a prendere me in tempo!”

 

-“Spero gli piaccia!” pensò.

 

Dopo aver fatto lo zaino, Il giovane biondino se ne andò a dormire; non senza sognare un po', sognare non fa male a nessuno

 

Un giorno intenso lo avrebbe atteso ore dopo.

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Capitolo 4
*** Il Desiderio ***


 

Il tempo passava velocemente. Il nervosismo si faceva sempre più sentire in lui, il suo cuore batteva tanto e i suoi occhi erano spalancati di fronte alla realtà circostante.

A scuola Assaf stava aspettando solo il secondo intervallo. Sapeva dove si trovava, e di fatto il lavoro scolastico lo faceva come sempre, però era insolitamente entusiasta. Non vedeva l'ora, e chi non lo sarebbe un pochettino?

 

Però rimaneva un punto irrisolto: dove trovarlo? Non sapeva nulla del ragazzo se non del suo aspetto fisico, non sapeva che classe faceva e per giunta, nessuno avrebbe potuto dargli una mano visto che nessuno sapeva di ciò che lui voleva.

Il biondino aveva a disposizione solo la fortuna e l'ingegno, che comunque non erano così cattivi con lui.

Sapeva che nella sua scuola c'erano due luoghi dove trovare con maggiore probabilità una persona: le macchinette del primo piano e il giardino. Assaf avrebbe anche desiderato passare negli altri.

E se non sarebbe riuscito a trovarlo? Beh, si aspetta, ma non si smette di sperare. Di sicuro Gattuso era in quella scuola.

 

Il disegno era praticamente completo ma Assaf avrebbe preferito mostrarlo a Gattuso in privato. Certo è che non poteva parlarne senza prima di tutto trovare il brunetto.

 

- “Assaf!” disse la professoressa di matematica, “hai un'aria da svampito! Ci sei?” chiese con toni a metà tra la beffa e il rimprovero.

- “Sì, ci sono, professoressa, sto seguendo e qui ho gli appunti!” rispose lui, con relativa calma e sicurezza. Inevitabilmente, però, l'attenzione della classe si spostò su di lui, il quale avrebbe già preferito essere altrove.

- “Beh, vedremo quando verrai interrogato!” disse “l'arpia fissata con il pi greco”, come egli era solito chiamarla.

 

Il cielo era leggermente nuvoloso, tappezzato a dovere da cirrocumuli e luce. Il Sole sembrava giocare con il cielo, il tutto creava un contrasto tra zone ombrose e zone chiare.

Assaf era solito a guardarne i dettagli durante gli intervalli, poiché i suoi compagni di classe non gli stavano tanto simpatici. Ma l'intervallo successivo a quei momenti non sarebbe stato uno dei soliti e questo lo sapeva.

 

Mancavano pochi minuti e il biondino già era pronto, o quasi. Certamente la sua testa era intasata da quei bei ricordi di Gattuso.

- “Devo comportarmi bene, cosa posso dirgli? Non posso dirgli che mi è mancato, non posso certo assalirlo! Sembrerei un maniaco! Devo comportarmi bene, devo essere pacato...devo...comportarmi bene...”

 

Di nuovo, si sentì investito da una valanga di emozioni, quelle che non era ancora troppo abituato a sentire. Ma ormai aveva capito che quando quel bel brunetto era di mezzo le sue emozioni facevano strani giochi.

La campanella suonò.

E via, il trambusto cominciò insieme a quel suono. La gente si alzava, si spostava, alzava la voce.

Egli invece, rimase in silenzio, mise lentamente a posto i libri di scuola nello zaino e si diresse verso la porta d'uscita dalla classe.

Ma nella sua testa, era tutt'altro che silenzioso. - “E' ora. Lo cercherò fino alla nausea, dovrà pur essere qui da qualche parte...spero di trovarlo...ho bisogno di lui...”

 

Volle controllare prima di tutto nel cortile, poiché vide un gran numero di gente addensata vicino ai tavoli e alle aree relax della scuola. Stette qualche minuto ad osservare, ma niente, non lo scorse.

- “Allora sarà alle macchinette” osservò.

Andò a vedere. Non appena si trovò in una posizione strategica dove poteva osservare i presenti senza passare per uno che aveva qualcosa da prendere, notò quattro ragazzi vicini al termosifone.

 

- “Eccolo.”

Gattuso era uno dei quelli, sembrava diverso però. Stava vivacemente conversando con i suoi amici di chissà cosa, e pareva tutt'altro che in attesa di qualcuno.

Assaf non sapeva cosa fare, a quella vista. 

-“Cosa faccio? Vado e mi presento o sto ad osservarlo? Non ho paura di presentarmi, il problema è che ho bisogno solo di lui e non di estranei...cappero, un momento libero spero lo abbia!”

Il biondino si trovò anche in questo caso tra due situazioni contrastanti, andare o restare, il tempo passava, ma lento. Dopotutto aveva solo 10 minuti di tempo, ma non voleva tornarsene in classe con le mani vuote, avrebbe voluto concludere qualcosa sperando che l'attesa alla fermata avesse poi avuto buon esito.

-“No! Non è possibile che si sia sbagliato!” -“Invece sì, non fidarti di quell'idiota, non ha mai studiato veramente!” -“Cavolo fai? Hai sbagliato tutto nel compito!” queste erano alcune tra le molte parole che sentiva provenire da quel gruppetto di quattro amici, tra cui il brunetto di nome Gattuso con cui Assaf aveva stretto amicizia due giorni prima.

 

Un passo rompette la quiete.

Si avvicinò al gruppo.

Gattuso subito lo notò e lo riconobbe, ma quel casino fatto da decine di ragazzi nel primo piano durante l'intervallo rendeva qualsiasi tipo di emozione mimetizzata.

Ma no, Gattuso non era un ragazzo qualunque, e anche quando non sembra, lui ha emozioni da vendere.

 

Anche gli altri tre ragazzi si voltarono verso il biondino, lasciando quest'ultimo sotto pressione.

-“Chi sei?” domandò uno.

-“Per favore non siate troppo cattivi con lui!” disse il brunetto loro amico, ma l'attenzione di tutti e tre era ormai sull'intruso dai capelli biondi e in pochi fecero puramente caso a quelle parole.

-“Io...sono qui per parlarti, Gattuso...” disse Assaf con visibile disagio.

-“Non è il momento, ragazzo.” disse un altro.

E il bruno, tirato in mezzo dalla conversazione, osservò cercando di non mostrarsi debole. Non aveva molto da pensare, stava conversando con i suoi compagni di un compito molto importante e non essendo sicuro dell'esito, era molto teso, così come i suoi compagni. Il compito era difficile e il nervosismo era nell'aria.

-“Ma io non sono venuto qui senza un motivo, solo un minutino, dai!” disse Assaf a tutti e tre i ragazzi, i quali si fecero minacciosi verso di lui.

-“Dai, levati dalle scatole, ci hai rotto!” dissero in due. Il terzo si girò verso il suo amico brunetto, il quale cercò di schierarsi neutrale tentando di andare via.

 

-“Che fai? Cosa vuole questo rompiscatole da te?” gli chiese.

 

Ma lui rispose con un'occhiata decisamente non felice e neppure disinvolta.

Non gli piaceva affatto il comportamento assunto dai suoi amici. In fondo voleva loro bene, ma sapeva della loro indole eccessivamente negativa quando si arrabbiavano. Dopotutto il brunetto era stato “obbligato” a dover passare molto tempo con persone come quelle a causa della scuola, in realtà aveva un lato di sé sconosciuto a quasi tutti, ma veramente immenso e pregiato.

Ma questo, appunto, non poteva saperlo nessuno dei presenti.

Assaf le era sembrato simpatico dal primo minuto.

-“Non si merita questo...poverino, non voglio che gli succeda qualcosa di brutto, potrebbe rimanerci male! Dopo lo vado a cercare!” pensò.

Il gruppo di ragazzi, dapprima distratti da Assaf e la sua estraneità al loro gruppetto di compagnia, iniziarono a fissare Gattuso, il quale si allontanò a passi svelti verso il bagno.

Anche il biondino doveva andare, ma non si risparmiò la pungente battuta: - “Stupidi lupi, cacciate solo chi è più debole ma quando se ne va il capobranco valete meno di me!”

 

E in effetti, non aveva torto. Gattuso era un fattore che accomunava tutti i presenti: non solo Assaf, ma anche i ragazzi, in origine molto distanti fra di loro. Il brunetto era proprio come un capobranco per loro, un punto di riferimento, dall'indole decisamente diversa, forse più “normale” di profilo fisico e psicologico, ma aveva, nella sua tranquillità e simpatia, un certo carisma.

Un carisma che in molti ignoravano.

 

Ma Assaf non era come tutti gli altri, ed egli lo aveva notato.

Quel biondino era insolito, sincero, puro e, soprattutto, più quieto degli altri.

Cosa fare dunque?

- “Oh...che cosa faccio adesso? Non voglio vederlo così, lo voglio assolutamente qui a chiaccherare!”

Pensò al da farsi, Gattuso non era molto creativo. I suoi pregi erano altri, come abbiamo appena detto, tra cui una personalità assolutamente coinvolgente e carismatica, a volte misteriosa e enigmatica.

Con Assaf, enigmatico, lo era stato molto. Avrebbe potuto impegnarsi di più, anzi, da quel momento in poi giurò di metterci più impegno.

Senza dimenticare però, che “la fermata” in cui si erano incontrati non ci sarà più. Sua madre lo avrebbe aspettato come il giorno prima, proibendogli la presenza di quel bel biondino.

Sua madre lo faceva per lui. Anche Assaf lo faceva per lui.

 

Mentre tornò verso la classe, uno dei tre ragazzi gli si avvicinò.

-“Hey, si può sapere che ti prende! Chi era quel ragazzo?” chiese minaccioso.

Gattuso fu quasi preso dalle lacrime, a malapena riusciva ad alzare la testa.

 

Davanti alla porta di classe, si girò di scatto con gli occhi in lacrime.

 

- “Un ragazzo splendido! Ha mostrato più cuore di quanto ne hai mostrato tu! Non mi piace questo tuo modo! Pensaci la prossima volta!”

Il ragazzo stette in silenzio.

Gatuso invece si avviò verso il suo banco, in prima fila.

Trattenne le lacrime anche se dentro sì sentì esplodere.

 

Prese un giornale, era tutto quello che aveva. Lo avrebbe dovuto dare alla madre ma non ci volle pensare. Prese un pennarello rosso e scrisse sulla copertina:

-“Quella fermata è diventata unica per me. Ma tu sei più che unico, sei semplicemente inconfondibile!”

Sotto scrisse: - “Hey, ti perdono ma questa è una punizione, adesso lo vai a portare in 3H, da quel ragazzo che hai preso in giro! Se leggi ciò che c'è scritto mi arrabbio.”

Taglio la parte scritta in due pezzettini: il primo piccolo e il secondo grande è piegabile.

Mise il primo dentro il secondo e ne chiuse le estremità con la colla, in modo che si formasse una specie di lettera fatta in modo spartano.

 

Ma chissenefrega della lettera, il contenuto valeva molto di più.

La posò sul banco di quel ragazzo con la quale prima litigò. Quest'ultimo, non appena lo vide, accennò ad un sorriso a metà tra il falso e il vero.

Ma a Gattuso poco importava. Intervallo finito.

Non sapeva neanche quando sarebbe arrivata quella “lettera”.

 

Tutto quello che voleva era del tempo da passare con Assaf, che tuttavia non avrebbe visto nemmeno quel giorno se le cose fossero rimaste come il giorno precedente.

-“Chissà come ci sarà stato male, poverino, devo andare a cercarlo non appena l'ultima ora finisce!” pensò.

Era questo il suo desiderio.

 

 

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Capitolo 5
*** Il Motivo ***


Era una giornata piuttosto calda. I secondi passavano lenti fino a quando non suonò la campanella.

 

A testa alta, ma silenziosamente, Assaf si avviò verso il cancello dell'uscita, salutò i compagni, tirò fuori dallo zaino un pacchetto di crackers e mentre iniziò a mangiarli sentì qualcuno chiamarlo.

 

Si voltò. Non notò nessuno.

 

Camminò ancora dunque, per una decina di metri. Fino a quando qualcuno gli si parò davanti come un muro, come un buttafuori. Evidentemente qualcuno cercava proprio lui.

 

Gattuso.

 

“Hey ti devo parlare.” disse, in modo piuttosto cauto ma non proprio gentile.

Al contrario, però, di quello che il brunetto pensava, Assaf non parve felice di vederlo.

 

“Cosa vuoi? Che ci fai qui?” disse, privo di alcuna emozione.

Il brunetto, sorpreso, rispose semplicemente “No! Sono qui per...te!”

 

Assaf riprese a camminare e l'amico iniziò a seguirlo come un padrone sta dietro al cane.

 

“Senti, lo so che la situazione di prima ti ha messo a disagio ma”

Il biondino mise una mano sulla sua spalla, rassicurandolo.

 

“Stai tranquillo, mio caro, non ce l'ho con te, non ce l'ho con nessuno, ma ora devo tornare a casa e tu devi tornare a casa tua, eh?” rispose Assaf incuriosito.

 

“Che?” rispose Gattuso altrettanto incuriosito.

 

A questo punto Assaf scorse una panchina in una zona ombrosa, sotto una quercia solitaria, non lontana dal cancello di scuola, ma comunque piuttosto silenziosa.

Invitò l'amico a sedersi su di essa per pochissimi minuti, offrendogli qualche cracker.

Pareva sicuro, il suo “amichetto per caso”, invece, un po' perplesso.

 

“Quindi ti viene a prendere tua madre, vero?” chiese il ragazzo biondo.

 

Gattuso rispose in modo fulmineo. I suoi occhi si sgranarono di fronte alla realtà. Assaf aveva capito.

“Come lo sai? Chi te l'ha detto?”

 

“Gattuso” puntualizzò il giovane, “ho ricevuto la tua lettera, purtroppo essendomi data in fretta e in un luogo pubblico ho fatto finta di ignorarla, però il tuo amichetto e io ci siamo parlati per un po', mi ha chiesto scusa. Mi ha detto che non puoi più esserci alla fermata in cui ti incontrai per la prima volta. Io gli ho spiegato qualche cosa che non sapeva e lui ha fatto reciprocamente lo stesso, ed è emersa una sola cosa...”

 

“Cosa?” chiese il brunetto.

 

“Che tu sei il motivo per cui sia io che lui stiamo meglio, sei favoloso.”

 

In quel momento si avvicinò all'amico come mai ne aveva avuto l'opportunità prima di quel momento, osservò attentamente i capelli mediamente lunghi del ragazzo, erano più marroni del tronco della quercia li vicino, i suoi occhi color nocciola gli ricordavano l'autunno nonostante la stagione fosse quella estiva, il suo nasino all'insù era tenero, quasi perfetto, aggraziava il suo volto, e la bocca, piccola, con labbra minuscole di colore roseo.

 

Assaf vide Gattuso come non l'aveva mai visto prima.

 

E lo baciò sulla guancia.

 

“Ora però vado, alla prossima!” disse.

 

Il brunetto lo salutò con un semplice “ciao”, ancora non poteva crederci.

No, ad essere sinceri non era il suo primo bacio. Però questo era speciale, questo era diverso, questo era inaspettato.

 

“Mi ha detto che sono il motivo per cui sta meglio e che sono favoloso” pensò arrossendo.

Si sentiva al settimo cielo, sarebbe rimasto su quella panchina per ore, invece no, doveva alzarsi, la madre lo stava aspettando per portarlo a casa.

E infatti si alzò. Volle però ricordarsi di quel momento, così decise di non finire i cracker datigli dal biondino, li mise in un piccolo contenitore nel suo zaino.

 

“Tutto okay?” gli chiese la madre.

 

“Mai andata meglio di così” rispose il brunetto.

E nel viaggio di ritorno, passarono davanti a quella fermata.

 

Ma quella fermata aveva davvero perso tutto il valore simbolico che aveva avuto per entrambi?

No, non l'avrebbe mai perso. Si erano conosciuti lì dopotutto.

 

Assaf aspettò il bus come consuetudine, da solo, ormai aveva messo pace a se stesso a tutti i dubbi che lo importunavano. Ormai era più sicuro e sereno.

 

Avrebbe aspettato ancora, ma ormai aveva la sicurezza di piacere all'amico.

“Però è amore o no?” pensò. Fosse stata solo amicizia, come mai sentiva quel bisogno di avere il brunetto sempre accanto a lui, costantemente a parlargli.

Avrebbe voluto vivere momenti incredibili con il ragazzo, ma forse era meglio non prendere conclusioni affrettate.

 

“Dovrei invitarlo a casa mia, così possiamo finalmente parlarci come si deve!”

“Ho ancora quel disegno da fargli vedere!!” rise.

 

Il bus arrivò e il ragazzo salì come al solito. La sua felicità era incontenibile eppure non doveva apparire troppo felice.

Lasciò piuttosto scorrere il tempo, mancava una settimana alla fine della scuola.

Eh, si sa, in ambito scolastico nascono grandi amicizie, ma perché no, anche grandi amori.

 

Ore 21 di sera, Gattuso era a casa sua a guardare quei ridicoli e noiosi telequiz che i canali più gettonati passano in prima serata.

 

A lui piacevano gli animali, i videogiochi e i cartoni animati.

 

Ma la scuola toglieva molto tempo per divertirsi e liberarsi un po' dalla monotonia di un normale giorno. Lui andava bene a scuola ma i calcoli, quelli con numeri impossibili e logaritmi idioti, non gli servivano a nulla.

Lui voleva fare il mangaka da grande. Al business dei soldi preferiva il business dell'immaginazione. Già, immaginare per guadagnarsi da vivere sembra una pacchia ma non lo è, Gattuso lo sapeva benissimo e ci metteva impegno.

 

Ma la scuola non eleva l'immaginazione, eleva il mal di schiena.

Ecco spiegato il motivo per cui non gli piaceva star lì, preferiva stare a casa.


Quel giorno Assaf indossava una maglietta di Star Wars, quindi egli comprese che l'amichetto ha qualche interesse per le grandi saghe cinematografiche. O forse era solo una maglietta.

Ormai va di moda mettere una maglietta con delle scritte, senza neanche saperne il significato.

Ma no, Assaf non era come quelli. Se lui amava qualcosa, lo amava da cima a fondo.

Ed è quello che il suo amico Gattuso avrebbe voluto.

 

“Mi hanno sempre detto che bisogna prima conoscere per poi innamorarsi” pensò il brunetto, ormai infatuato dal giovane biondino.

 

Avrebbe voluto conoscerlo meglio, ovviamente, chissà magari avevano gli stessi interessi.

Però a scuola non si vedevano spesso, si erano visti e conosciuti, poffarbacco, lui l'aveva baciato sulla guancia! Chi non dedicherebbe qualche bel pensiero a un ragazzo così semplice ma unico come lui?

 

Ma se quel ragazzo ogni tanto si lasciava trascinare dalle emozioni, il suo amico dai capelli bruni aveva i neuroni ben saldi e idee ben chiare.

 

“Domani andrò a cercarlo io, voglio assicurarmi di stare con lui il più possibile!” disse.

 

E la scuola stava per finire, che fortuna.

 

Passò la serata a pensare ad Assaf e a tutto quello che lo riguardava.

Poi andò a dormire.

 

Quel ragazzo gli aveva dato un sacco di attenzioni ed era giunto il momento di ricambiare il favore.

Se era amore neanche lui lo sapeva, eppure quel bacio significava molto per lui.

 

Assaf non aveva paura dei suoi sentimenti, a quanto pare. I sentimenti sono qualcosa di cui andare fieri ed egli aveva dimostrato di sentirsi in tal modo. E a Gattuso piaceva molto questa audacia.

Comunque sarebbe andata, aveva trovato forse la persona più adatta per stare insieme a lui per molto tempo.

 

Entrambi fecero spazio alla notte, dormirono. Le loro case erano in parti opposte della città. I loro sogni invece, erano praticamente identici.

 

Com'è che si dice, già? Ah sì, sogni d'oro.

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Capitolo 6
*** La Sorpresa ***


La scuola si accese dei soliti ritmi frenetici e tra la folla i due si riconobbero.

Si diedero un'occhiata, una velocissima occhiata come per dire “Hey ciao, ora devo andare ma sappi che ti penserò!”

Ma Assaf, di testa sua, provò a seguire il brunetto. Lo provò a seguire fino a quando l'impresa non fu più fattibile, ossia fino al rintocco della campanella.

 

Però, finalmente, ebbe l'opportunità di sapere la classe dell'adorato amico. 3A.

 

A come Amicizia, A come Amore. Un caso, direi.

 

Assaf dunque tornò in classe per le lezioni. Nel suo zaino, tuttavia, la presenza di quel ritratto fatto per Gattuso parlava chiaro: voleva vederlo anche oggi. Diventava sempre più importante.

Forse era solo un amico, ma la sua presenza rendeva tutto migliore, era un sentimento indescrivibile.

“Adolescenza? Macché, l'adolescenza sono i brufoli e le parolacce che piano piano vengono accettate dai tuoi genitori!” Assaf si sentiva strano, decisamente determinato.

 

Il suo cuore batteva fortissimo, era un battito deciso e sognante, ma anche candido e puro. Come il carattere di Gattuso.

 

Assaf ormai non aveva più ostacoli e aveva tutti i diritti per sognare.

 

Arrivò alla porta della 3A quando la campanella suonò.

Entrò in quella porta, il clima che si respirava in quella classe era insolitamente cupo.

 

“Tu sei l'adoratore di Gattuso, vero?” chiese uno.

Assaf si voltò, era l'amico del diretto interessato. Sì, era stato riconosciuto.

 

“Uh, sì, che è successo?” rispose il biondino.

“Gattuso è...” il ragazzo deglutì, mentre l'adoratore assunse un'espressione immobile, quasi statuaria.

 

“...è svenuto in classe, oggi, durante scienze. Hanno chiamato l'ambulanza che l'ha portato via da poco. Ha ripreso conoscenza ma era visibilmente pallido e tremolante...”

 

"Cosa?"

Assaf non ci credeva. Non aveva parole, i suoi occhi si spalancarono e la sua bocca digrignò, mostrando un volto incredibilmente diverso del solito aggraziato e dolcissimo biondino.

“...ora è in infermeria con alcuni suoi compagni.”

 

“Okay, grazie.” rispose il biondo, ancora sotto shock.

 

A quel punto uscì dalla classe e corse, corse fino al piano terra.

I minuti erano pochi ma la voglia nel suo cuore era infinita.

Arrivò in infermeria con il fiatone. All'ingresso una ragazza lo notò e gli camminò contro.

 

“Sei per caso Assaf?” chiese.

“Sì, tu chi sei? C'è Gattuso dentro?” rispose.

“Sono sua cugina, anch'io sono in questa scuola e mi hanno dato il permesso di assisterlo.”

 

“Come sta?”

“Sta meglio, ha accusato sintomi di influenza intestinale che lo hanno portato a giramenti di testa continui e forti.”

“Oh, ha problemi di questo tipo?” chiese con curiosità, sempre in modo dispiaciuto.

“No, ma di recente ha mangiato poco e ha avuto malesseri d'altro tipo.”

 

“Oh, digli che mi dispiace un sacco” puntualizzò, “comunque come fai a sapere chi sono?” chiese.

La ragazza frugò nel suo zainetto, dopo tirò fuori un foglio.

 

“Lo ha fatto per te e voleva assolutamente mostrartelo oggi. Ah e comunque, non ho visto cos'è, mi sono fatta gli affari miei, eh.” disse.

 

Assaf lo prese in mano e lo apri.

Aveva gli occhi lucidi, ma si trattenne.

“D-digli solo che non lo ringrazierò mai abbastanza per questo...” rispose, visibilmente commosso.

“Certo.”

 

Un ritratto. Per lui, si aveva disegnato proprio lui, con quella maglietta di Star Wars che aveva indossato il giorno prima, con quei capelli biondi e lisci, con quella purezza e semplicità. Eppure era un ritratto molto personalizzato, il biondino sentiva come se quel foglio avesse qualcosa di magico.

 

“Posso entrare e salutarlo?” chiese Assaf con un timbro di voce più alto del solito.

 

“No, non si può, per lo stesso motivo per cui sono quei fuori, l'infermiera sta facendo dei test” rispose la ragazza in modo leggermente preoccupato, “però a fine lezioni puoi passare di nuovo e sperare ti lascino entrare.” aggiunse.

 

Il ragazzo dunque si voltò e si allontanò dall'infermeria, con quel disegno a portata di mano.

 

Salutò e corse verso il secondo piano.

Entrò in classe, e mise il disegno regalatogli nella cartellina di disegno a velocità lampo.

 

“Cos'era quello che hai messo in cartellina, Assaf?”

“Appunti.”

 

E passarono i minuti, i quali diventarono ore e così via.

 

Assaf pensava solo a Gattuso.

“Speriamo stia meglio, è l'unica cosa che conta.”

 

Passò il tempo scarabocchiando, i suoi disegni mostravano la sua preoccupazione. Quando era allegro colorava, quando era preoccupato lasciava spazio al bianco e nero.

Era un grandissimo artista, ma non era sicuro se avesse fatto di quella passione uno stile di vita o sarebbe rimasta solo uno svago da tenere nel cuore.

 

Si alzò, la giornata era finita e l'ultimo weekend scolastico si stava per annunciare alla fine della giornata.

 

“Hey Assaf, perchè porti a casa la cartellina? Normalmente non la porti a casa!” chiese un ragazzino.

“Te l'ho detto, qui ho degli appunti.”

“E ti devi portare tutto quel peso in spalla per dei miseri appunti?”

 

Il biondino non rispose, se ne andò via rapidamente.

Scese le scale per due piani, si lanciò verso l'infermeria.

 

“Posso entrare?” chiese, anche se di fatto non stava cercando risposte, sarebbe entrato comunque.

Non c'era nessuno.

 

“Ma...aaah, che barba, non c'è anima viva qui!” disse con toni arrabbiatissimi. “Sono stufo di correre per niente!”

“Hey ragazzo, che ci fai qui, cerchi quel ragazzo che curavamo prima?”

 

Assaf si voltò. Era l'infermiera.

 

E non seppe trattenersi, sputò il rospo.

“Sì, sono qui proprio per lui, voglio sapere come sta!” chiese con toni accesi. La sua voce era un misto tra tremolante e decisa.

 

“Sta meglio! E' tornato a casa con la cugina per precauzione ma se tutto va per il verso giusto lunedì c'è come da aspettativa! Ho detto alla madre di tenere sotto controllo la sua alimentazione, ma i miglioramenti si son visti!”

“Oh, mi fa piacere” rispose il biondino, “grazie per l'informazione” e si voltò, avviandosi verso l'uscita.

 

Era visibilmente giù di morale, aveva il timore di non riuscire a sopportare altre tre giornate senza quel brunetto. Ne sentiva il bisogno. Sì, aveva capito qual'era la sua classe, aveva conosciuto qualche suo amico da più tempo, avvertiva però la necessità di passare del tempo con lui, per conoscerlo come si deve, per capire quali fossero i suoi sentimenti.

 

Passò vicino a quella panchina in cui lo baciò, era passato solo un giorno ma tutto era cambiato.

 

“Ah...se fosse qui con me adesso, vorrei assolutamente dirgli tutto, mi confesserei, direi cosa ho provato dal giorno uno...vorrei non essere condizionato da nulla...vorrei un mondo solo con me e lui...”

Assaf attraversò una strada senza fare caso all'auto che stava arrivando.

Se ne accorse appena in tempo e si spostò.

 

“Imbecille! La testa tienila sul collo!” gli gridò.

 

Il ragazzo stette zitto, ma sospirò. Già, avrebbe fatto meglio a tenere la testa sul collo e accettare la realtà, avrebbe dovuto aspettare e calmarsi. Solo così sarebbe riuscito ad esprimersi, nella sua affascinante complessità.

Le cose, quando sembravano promettere bene, arrivava qualcosa a farle peggiorarle. Assaf voleva solo stare con quel ragazzo. Chiedeva troppo? Non si può dire, in effetti se si conobbero casualmente, forse era il destino che li voleva uniti.

 

Si sedette alla fermata ad aspettare l'autobus. Si sentiva più solo del solito.

“Speriamo stia meglio, vorrei tanto vederlo domani ma non potrò, non posso aspettare ancora però...forse avrei dovuto svegliarmi prima e parlargli di più al momento giusto...ora non so che fare”, pensò.

L'autobus arrivò. Il perso adoratore di Gattuso aveva bisogno di sfogarsi, la storia si stava facendo ripetitiva.

Salì.

 

“Eccoti Assaf! Ti ho trovato!”

 

Una voce gli fece spalancare la bocca.

 

Gattuso era lì, sull'autobus, ancora un po' pallido, ma sembrava essersi ripreso.

 

“C-cosa cappero ci fai qui?” chiese il biondino.

“Come sai sono stato male, sono andato in infermeria e ti ho visto, anche solo con la coda dell'occhio, e mi ha fatto moltissimo piacere questo tuo gesto!”

 

“Grazie, però perché sei qui?” disse il biondino, arrossendo. Era una sorpresa, anzi, forse la sorpresa più gradita che ebbe mai ricevuto nella sua vita. “Visto come sei ridotto, non ti consiglierei di uscire!”

“L'ho fatto per te sciocchino! Mia cugina era con te, vero? Le ho parlato e abbiamo fatto un patto: io sono potuto uscire per vederti e lei non avrebbe detto niente a nessuno!”

 

E detto questo, baciò sulla fronte un Assaf decisamente al settimo cielo.

Il suo amico, brunetto, sì, proprio lui, non un sogno, lo aveva cercato per stare insieme a lui.

 

“Ma tua cugina è qui?” chiese il sognatore.

“Sì, è seduta là in fondo e ci sta osservando proprio adesso!”, disse il suo amico, salutandola con la mano.

Assaf arrossì moltissimo.

 

Passarono quattro fermate.

“Alla prossima scendo!” disse il brunetto.

“Oh, okay”

 

Era felice, ma ora che era con il brunetto, per quanto fosse inimmaginabile e alquanto dolce il momento in cui si trovava, voleva renderlo più indimenticabile.

 

“Senti...Gattuso...c'è qualcosa che devo dirti...qualcosa di molto importante...”

Il brunetto si girò, osservando l'amico intensamente negli occhi.

“Qualcosa che mi tengo dentro da un po'...”

 

La cugina dell'amico si alzò. Assaf la notò e si fermò, deglutì e pensò:

“Avanti, parlale, dille tutto...sarà una liberazione...ma forse il momento non è giusto, cioè, ci sono tante persone qui? Non so cosa fare...”

 

Si chinò e aprì lo zaino. La prossima fermata, quella di Gattuso, stava per venire annunciata.

Tirò fuori il disegno.

 

Il ritratto di Gattuso, fatto diversi giorni prima. C'era solo una scritta aggiunta.

Lo consegnò all'amico. “E' per te, grazie mille per il tuo disegno...mi sono commosso...io...”

 

“Oh, ma di nulla, non era abbastanza per quello che ti meriti! Per questo sono venuto a cercarti di persona...!”

“Noi dobbiamo andare!” irrompette sua cugina.

 

Scesero.

 

Assaf salutò a bocca cucita.

Gattuso ringraziò l'amicone per ciò che gli aveva consegnato, anche se non aveva ancora visto cosa fosse.

 

Ovvio che non l'aveva visto.

Affianco al ritratto, la scritta con un promarker nero “Sei il più bel sogno che io abbia mai fatto, ti amo...”

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