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di piperina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Guess who? ***
Capitolo 2: *** In my room, Sweetheart ***
Capitolo 3: *** Nothing Left ***
Capitolo 4: *** Emotion ***
Capitolo 5: *** Talk, talk, talk ***
Capitolo 6: *** It's Been A Long Time ***
Capitolo 7: *** Welcome Back, Love ***
Capitolo 8: *** Forever ***
Capitolo 9: *** Fear Of Love ***
Capitolo 10: *** This Is Not Gonna Help ***
Capitolo 11: *** Just Let Me In ***



Capitolo 1
*** Guess who? ***


Salve a tutti!

Dunque, eccoci qui alle prese con una long fiction. Per esigenze di trama ho evitato di mettere in mezzo Esther e Mikael, non sarei riuscita a gestire le cose come volevo.
La cena di questo primo capitolo sostituisce quella della 3x13 con Klaus, Elijah, Stefan e Damon, leggendo vedrete chi partecipa e chi no e la questione di cui si parlerà. Affronterò comunque i problemi e le storie degli altri personaggi e coppie, ma la nota di interesse l’avranno Klaus&Katherine e Damon&Elena.
Jeremy è a Denver e Rick in giro a fare altro (lo adoro, ma non sono riuscita a inserirlo nella storia dandogli lo spazio che merita, quindi ho preferito non inserirlo affatto che farlo male).
Non volevo modificare troppo le condizioni di base della storia, ma non potevo fare altrimenti o non sarei riuscita a far quadrare tutto quanto e sarebbe risultato troppo uguale al telefilm.

Una dedica speciale a Venenum, perché sì, e un saluto a Rebekah, che mi ha incoraggiata.

 

Buona lettura!


 

 

*Act I*

Guess who?

 

 

 

 

 

Elena sentì bussare alla porta di casa. Si chiese perché a Mystic Falls, nonostante l’avanzamento della tecnologia, la gente non riuscisse a usare il campanello e preferisse distruggersi le mani colpendo le porte, rischiando inoltre di non essere uditi.

Aprì e lasciò entrare i suoi ospiti. «L’avete ricevuta anche voi» constatò, notando che entrambi avevano una busta in mano.

Sventolò la sua in aria e la posò sul tavolo della cucina, poi si sedette e si passò le mani tra i capelli.

«Cosa vorrà?»

«Una donazione?» suggerì Damon, appoggiandosi al tavolo con i fianchi.

«Un accordo, forse» propose Stefan, ignorando il fratello e sedendosi di fronte alla ragazza.

Quella mattina avevano tutti e tre ricevuto un invito a cena nella villa di Klaus per la sera successiva. Appena letto il messaggio, Elena aveva chiamato Stefan e Damon, che si erano precipitati a casa sua, ma quando avevano aperto la porta di casa… ecco in bella vista sul tappeto d’ingresso due buste indirizzate a loro.

Klaus era stato a dir poco telegrafico, non aveva specificato nulla se non il giorno e l’ora.

«Lo credo anch’io» annuì Elena, d’accordo con Stefan. «Ma non capisco di che accordo possa trattarsi.»

«Te lo diremo domani sera quando torneremo dalla cena.»

Damon si sentì un tantino osservato.

«Che c’è?» alzò le braccia al cielo, in una posa teatrale. «Non vorrai davvero portarla nella tana dell’ibrido?» indicò la ragazza con un dito.

«Ha ricevuto un invito» rispose Stefan con voce pacata, «deve decidere lei.»

Al solito, i fratelli Salvatore non erano mai d’accordo sul da farsi: ogni volta che Elena veniva coinvolta in feste e inviti potenzialmente pericolosi, Stefan alzava bandiera bianca, mentre Damon si batteva per evitare che lei uscisse di casa.

Una doppelganger circondata da vampiri, streghe, licantropi e ibridi desiderosi del suo sangue era in pericoloso a prescindere, non era proprio il caso di farle accettare l’invito di Klaus. Al contrario, per quanto fosse preoccupato e pronto ad agire in caso di bisogno, Stefan non voleva imporle nulla.

Entrambi sapevano che lei avrebbe comunque fatto di testa sua, ma non potevano evitare di discutere a riguardo.

«Ehi!» li interruppe Elena agitando un braccio per aria. «Ci sono anch’io. Damon, so che ti preoccupi per me, ma non puoi decidere al posto mio.»

Lui la fissò con l’espressione di chi meditava di sedarla e legarla alle fondamenta della casa. «Scommettiamo?»

 

 

 ***

 

 

«Buon appetito.»

«Non posso credere che siamo davvero qui» sussurrò Damon, seduto alla destra di Elena, prima di spostarsi di lato per permettere ad una ragazza poco vestita di posare il suo piatto sul tavolo.

Un giorno intero di insistenze non aveva portato a nulla: Elena aveva deciso di accettare l’invito di Klaus, affermando di sentirsi sicura ad avere i suoi due vampiri preferiti a farle da guardia del corpo.

Il maggiore dei Salvatore aveva scalpitato ancora un po’ quel pomeriggio, mentre Stefan sembrava essersi rassegnato in partenza all’ovvia scelta che aveva poi fatto la sua ragazza. Probabilmente era stato più furbo del fratello, immaginando che lei non si sarebbe fatta mettere in una bolla di cristallo, aveva preventivamente accettato la cosa.

«Amici miei, di certo vi starete chiedendo il motivo di questo invito» disse Klaus, apparentemente felice come non mai di avere ospiti a cena e non per cena.

«E vuoi dircelo ora?» rispose Damon. «Siamo solo alla prima portata, io aspetterei caffè e ammazzacaffè.»

«Sempre spiritoso» si limitò a commentare l’ibrido, sogghignando.

Elena, seduta tra Stefan e Damon, non sapeva cosa dire. Non era insolito che Klaus organizzasse feste in grande o cene intime con tanto di signorine più nude che vestite, logicamente soggiogate fino al midollo, ma lei non era mai stata invitata ad uno di questi incontri.

Di solito facevano tutto Stefan e Damon, in stile “cose tra uomini”, un po’ perché Klaus finora aveva invitato solo loro, un po’ perché nessuno dei due voleva metterla ulteriormente in pericolo.

Nessuno, però, sembrava aver fatto caso alla sedia vuota accanto all’ibrido. La tavola era grande, c’era posto per una decina di persone, ma quello era chiaramente riservato a qualcuno. Chi? Non poteva fare  meno di chiedersi lei.

«Elena, love, gradirei che partecipassi alla conversazione.»

La voce di Klaus la scosse dai suoi pensieri.

«Mi chiedevo…» in realtà si stava chiedendo se fosse una buona idea porre quella domanda «…a chi è riservata quella sedia vuota? Un ospite ritardatario?»

Klaus sorrise e le famose fossette-killer si formarono sulle sue guance. «Nessun ritardatario, non li apprezzo particolarmente» si sporse in avanti sul tavolo e posò il mento sulle mani incrociate. «Il nostro ospite speciale arriverà per il dolce.»

I fratelli Salvatore si scambiarono uno sguardo interrogativo. Gli invitati erano tutti lì, più il padrone di casa e le cameriere della serata. Chi doveva ancora arrivare?

Elijah? No, lui era partito pochi giorni prima per andare a fare qualcosa di misterioso per conto del fratello.

Rebekah? Non si sarebbe mai persa un’intera cena per stuzzicare Elena sul suo rapporto con Stefan e al contempo litigare con Klaus e flirtare con Damon.

Nessuno dei loro amici aveva ricevuto un invito, se così fosse stato loro tre l’avrebbero saputo subito.

Venne servito anche il secondo, consumato e portati via i piatti.

«Allora, ci spieghi come mai hai voluto questa rimpatriata? Ti mancavamo, forse?»

«Vedi, Damon, dato che con te e il caro Stefan è alquanto difficile trattare circa il futuro della dolce Elena, ho deciso di parlarne direttamente a tutti e tre. Lei ha diritto di dire la sua, in fin dei conti.»

«Klaus, smettila di girarci intorno. Dicci cosa vuoi.» Pragmatico Stefan, quando si trattava di Elena e di discutere sul da farsi con lei – il suo sangue più che altro – e l’intenzione di Klaus di creare ibridi, non aveva nessuna voglia di sentire inutili giri di parole.

«Dunque, sappiamo tutti che non ho intenzione di lasciar perdere la creazione di altri ibridi» iniziò a spiegare Klaus. «E sappiamo tutti che, volente o nolente, avrò il sangue della mia doppelganger per farlo.»

«Non sono tua neanche nelle doppie punte che non ho» sparò Elena senza controllarsi.

«Oh, qualcuna ce l’hai, dovresti fare qualcosa in proposito» la stuzzicò l’ibrido indicandola con la forchetta. «La soluzione più semplice sarebbe quella di lasciare Elena con me. Nessun dramma, nessun pianto, dovrebbe solo fare qualche donazione quando necessario e magari viaggiare con me ogni tanto.»

«Non è un’opzione» sbottò Damon. «Spara la proposta.»

Klaus continuò a sogghignare, forse divertito da ciò che stava per dire.

«Un legame.»

Stefan corrugò la fronte.

«Un legame magico, intendo. Certo, se lei avesse un fidanzato umano opterei per la procreazione adolescenziale, ma purtroppo non ho fortuna neanche con questa strada, quindi creerò un legame magico tra me ed Elena.»

«Tu sei completamente fuori» Damon fu il primo a parlare dopo un breve attimo di silenzio. «Credi davvero che te lo lasceremo fare? E poi a cosa ti serve un legame magico con lei quando hai bisogno del sangue?»

La cosa era sempre meno chiara per tutti e tre. Stefan fissava Klaus e si chiedeva se fosse impazzito lui o l’ibrido. Elena cercava di capire, ma era ancora sotto shock per la proposta appena sentita.

«Si tratta di un legame smile al sirebond, caro Damon. Quando avrò bisogno di lei, Elena verrà da me e la magia la terrà sempre al sicuro da possibili incidenti, sia magici che non.»

La spiegazione sembrava semplice, anche comprensibile e l’idea, tutto sommato, non era del tutto malvagia. Di certo era preferibile al viaggio intorno al mondo di Elena&Klaus, cosa che lui aveva tentato più volte di fare, fallendo, dato che c’era sempre qualcuno pronto a riportare a casa la ragazza dopo l’ennesimo rapimento.

«Io cosa ci guadagno?» chiese la diretta interessata. «Che posso vivere la mia vita tranquillamente e correre da te solo al momento del bisogno? Mi lasci la libertà di non averti intorno un giorno sì e l’altro pure?»

«Non pensare neanche di prendere in considerazione la cosa, Elena» intervenne Damon. «Ci saranno mille fregature in questa proposta.»

«Di certo non ti daremo una risposta stasera» continuò Stefan, cercando di placare i toni.

«Oh no, tranquilli, c’è tempo per decidere» rispose sorridente Klaus. «Fino a che non faremo il legame – perché lo faremo – avrò bisogno solo di un paio di donazioni, niente di più, e voi avrete tempo per decidere.»

Elena non aveva nessuna intenzione di regalare il suo sangue a Klaus, ma era stanca di essere rapita almeno una volta al mese e in quelle occasioni le venivano comunque fatti dei prelievi forzati. La situazione era sempre la stessa.

Aveva il presentimento che ci fosse qualcosa che non quadrava in tutta quella storia. E il presentimento le diceva che aveva a che fare con quella sedia vuota.

«Allora perché ce lo dici adesso? Cosa vuoi chiederci veramente?»

«Le Petrova, acute in ogni generazione» commentò l’ibrido, mimando un applauso verso la ragazza. «Potrei aver bisogno della cara Bonnie.»

«Bonnie non farà mai un incantesimo simile» replicò lei: decisamente la strega non avrebbe mai acconsentito a una cosa del genere.

«Infatti mi serve per spezzarne un altro.»

Ci fu un attimo di silenzio prima che Damon parlasse.

«Hai già un legame magico con qualcuno?»

Il cuore di Elena prese a martellarle nel petto ed essendo circondata da creature sovrannaturali, sicuramente tutti a tavola l’avevano percepito. Stefan le strinse dolcemente la mano e le sorrise per rassicurarla.

«Non sapevo di questo legame fino a pochi anni fa, è stata una sorpresa anche per me» ammise il padrone di casa.

«Raccontaci, allora» lo incalzò Stefan. «Se Bonnie deve aiutarti a rompere questo legame, avrà bisogno di informazioni. E dell’altra persona.»

«Direi che è il momento di farla entrare» Klaus si alzò e allungò un braccio verso il corridoio. «Prego, sweetheart, vieni pure.»

Si udì un rumore di passi. Tacchi. I vampiri percepirono un profumo conosciuto.

«Permettetemi di presentarvi qualcuno che già conoscete, anche se non in queste vesti: mia moglie

Il rumore di tacchi si fermò e lei apparve da dietro l’angolo.

«Katherine?»

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** In my room, Sweetheart ***


 

*Act II*

In my room, Sweetheart

 

 

 

 

«Buonasera a voi.»

Klaus si avvicinò a Katherine, le prese la mano ed eseguì un perfetto baciamano, senza interrompere il contatto visivo con lei. I tre ospiti erano troppo shockati per commentare. Elena, in realtà, percepì qualcosa. Una sorta di intesa che chiudeva Klaus e Katherine in una bolla unicamente loro. Doveva essere il legame, si disse.

Come sempre, tra l’altro, la vampira indossava dei leggins abbinati a una maglietta così aderente che sarebbe potuta scoppiare e tacchi vertiginosi. Elena si sentiva in imbarazzo per entrambe.

L’ibrido la accompagnò al tavolo, scostò la sedia e la sistemò in modo che lei fosse comoda, poi si sedette al suo fianco. Le strinse la mano, sorridendo sornione, poi, finalmente, riportò l’attenzione sui suoi ospiti momentaneamente dimenticati.

«E’ uno scherzo, vero?» commentò Damon. «Katherine? Serio? Voi due sposati

«Katherine non è sposata» disse Stefan, in uno stato simile alla trance.

«Tu volevi ucciderla. E ora siete sposati?» Damon non riusciva davvero a capire cosa stesse succedendo. «E poi, alla faccia del voto di fedeltà. Non so tu, Klaus, ma sappiamo tutti che Katherine si è data parecchio da fare nel corso dei secoli.»

«Grazie, eh» la vampira lo guardò male.

«Un attimo…» intervenne Elena, confusa. «Potete spiegarci com’è successo e perché?»

«A te l’onore, love» disse Klaus guardando sua moglie.

«In realtà è molto semplice» iniziò lei sorseggiando del vino. «Ero sua ospite prima di scoprire del sacrificio e scappare. Ufficialmente mi corteggiava, in pratica mi lasciava sempre sola. Mi confidai con Elijah, esprimendo dubbi sull’interesse di Klaus nei miei confronti e parlando dell’ipotesi di andare via.»

«E lui ha spifferato tutto. Sempre detto che non ci si può fidare di lui» commentò acidamente Damon.

«Non potevo certo saperlo. Ero umana, avevo sedici anni ed ero molto ingenua, nonostante tutto.»

Ai fratelli Salvatore venne l’impulso di ridere. “Katherine” e “ingenua” nella stessa frase? Impossibile.

«Così» continuò lei, «pochi giorni dopo Klaus mi propose di sposarlo.»

«Fu una proposta in grande stile, al giorno d’oggi non ci si impegna più così tanto» l’ibrido si beccò delle occhiatacce per quel commento: non era proprio il momento di vantarsi di quanto fosse stato romantico all’epoca.

«Tempo due settimane ed eravamo sposati. Tre giorni dopo sono scappata. Fine della storia.»

«E il legame com’è avvenuto?» chiese giustamente Stefan.

«La strega che mi avrebbe aiutato durante il sacrificio aveva un fratello. Mago anche lui, tradizionalista, un tipo ligio alle regole e alla natura… cose da streghe e la loro morale» spiegò Klaus con aria di sufficienza, agitando una mano in aria. «Fu lui a sposarci, ma omise di dirmi che stava anche facendo un incantesimo. Un legame che ci impedisce di creare legami con altre persone e di farci del male.»

«E tu volevi ucciderla» puntualizzò Damon «pur sapendo che non potevi farlo?»

«Non avevo intenzione di ucciderla, ma lei non lo sapeva.»

«Che simpaticone» Katherine roteò gli occhi al cielo.

«Immagino che tu sia soggiogata» ad Elena faceva sempre uno strano effetto parlare con lei, che aveva la sua stessa faccia. Era come vedere riflessa nello specchio la parte oscura di sé.

«Mi sembra ovvio» rispose acidamente la vampira. «Una delle specialità del mio caro maritino è il rapimento. Non è in grado di chiedere le cose per favore, vero?» si voltò per guardarlo male e lui rispose con un altro di quei sorrisetti con le fossette-killer.

«Aspettate, c’è ancora qualcosa che non quadra» intervenne Stefan. «I legami magici di solito devono essere attivati in qualche modo.»

Klaus alzò le sopracciglia in modo esplicito, Katherine trovò molto interessante fissare il tovagliolo posato sulle proprie gambe.

«Oh. Mio. Dio.»

Damon, sempre il più sveglio dei due fratelli Salvatore.

«Non posso crederci.»

Stefan ed Elena si voltarono verso di lui, che scattò in piedi ed esclamò un disgustatissimo «Che schifo!»

«Non fare scenate» lo riprese la vampira.

«Come posso non fare scene? Sono stato a letto con te!»

«E io sono stata a letto con tuo fratello nello stesso periodo, eppure non eri certo così schifato» la conversazione stava diventando imbarazzante.

Stefan si portò entrambe le mani alla fronte.

«Il matrimonio è stato consumato.»

Elena impallidì. Era un matrimonio ed era durato tre giorni, era ovvio che fosse stato consumato. Ecco come si era attivato il legame magico.

«Credo che mi sia passato l’appetito» annunciò la ragazza.

C’erano tre uomini a quel tavolo e Katherine era stata con tutti a tre, senza contare che due di loro erano fratelli e uno dei due era l’attuale ragazzo di Elena – e come dimenticare che, nonostante tutto, anche l’altro l’attraeva in modo preoccupante?

«Quanto siete infantili…» commentò Katherine. «Cosa pensavate che avessimo fatto in quei tre giorni? Eravamo sposati e io ero…» si bloccò di colpo.

Klaus pensò di adorarla in quel preciso istante.

«Io ci credevo» terminò lei, salvandosi all’ultimo. «Non ho saputo nulla di questo incantesimo fino a pochi giorni fa, e siccome sono io la diretta interessata, caro Damon, smettila di fare il bambino e togliti quell’espressione schifata dal viso.»

«Non posso crederci. Non posso crederci» continuava a ripetere il maggiore dei Salvatore. «Sono stato a letto con te che eri stata a letto con lui. Dovrò andare in analisi.»

«Immagino che nessuno sappia del… matrimonio, eccetto voi due ed Elijah» Stefan provò a mandare avanti la conversazione per uscire dall’imbarazzo generale.

«Non è una cosa di cui amo parlare» dissero all’unisono Klaus e Katherine.

La cosa era ben oltre l’imbarazzante.

«Bene, ora che sapete chi è l’altra persona del legame direi che avete tutte le informazioni che servono a Bonnie» continuò la vampira.

«Potrebbe servirle altro» rispose Elena. «Qualsiasi cosa vi ricordiate sarà sicuramente utile.»

«Beh, dato che io non posso uscire, o viene lei qui o andrà Klaus da lei. Dico bene, love?» Rivolse al marito un sorriso più che velenoso.

Lui rispose al sorriso, poi i suoi occhi brillarono di malizia. «Perché non vai di là? Accompagno io i nostri ospiti all’uscita.»

«Finalmente» borbottò lei alzandosi. Fece un cenno svogliato con la mano per salutare i tre e si incamminò verso il corridoio, ma la voce di Klaus la fermò.

«Nella mia camera, sweetheart

Ci furono pochi istanti di silenzio gelido e imbarazzante. Klaus avrebbe sicuramente potuto risparmiarsi quell’uscita, ma non era riuscito a trattenersi.

Katherine non disse nulla e sparì in corridoio, ma poco dopo si sentì il rumore di una porta sbattuta con estrema violenza. Klaus continuava a sogghignare.

«Grazie per il non simpatico teatrino» commentò Damon alzandosi. «Ho bisogno di bere, devo dimenticare quello che è successo stasera.»

Klaus accompagnò gli ospiti alla porta e accarezzò casualmente i capelli di Elena.

«Aspetterò un messaggio da parte di Bonnie. Dille che è meglio per tutti se decide di collaborare pacificamente.»

Elena lo guardò male, non disse nulla e oltrepassò celermente l’uscio, raggiungendo Damon seguita da Stefan.

Spariti oltre il giardino, Klaus chiuse la porta e si incamminò verso la sua stanza. Era arrivato il momento di occuparsi di sua moglie.

 

 

 ***

 

 

Aprì gli occhi di scatto: una forte luce proveniva dalla sua destra per cui, istintivamente, senza rendersi conto di esservi già, cercò l’ombra. Fece un balzo verso la prima zona scura che vide e osservò l’ambiente.

Era una camera da letto, arredata in modo semplice e con un grande balcone dalle tende aperte, da cui giungeva appunto la luce che l’aveva spaventata. C’erano solo un letto matrimoniale, un comodino e un armadio con cassetti alla base.

«Dove diavolo sono?» si chiese la vampira ad alta voce, tastandosi il polso alla ricerca del bracciale incantato: non c’era.

«A casa mia.»

La voce era arrivata da dietro le sue spalle, in modo totalmente inaspettato. Katherine scattò in avanti, contro la parete dalla parte opposta della stanza, accanto alla tenda. Avrebbe riconosciuto quella voce in qualsiasi situazione.

«Klaus…»

«Ben svegliata.»

L’ibrido avanzò verso di lei, che si guardava intorno cercando una via di fuga, ma senza il suo amuleto aveva ben poche possibilità di farcela. Lui l’avrebbe presa subito e avrebbe potuto arrabbiarsi molto…

«Cosa mi hai fatto?»

Klaus sogghignò, divertito da quella situazione; alzò una mano e la portò a pochi centimetri dal naso della sua ospite, poi l’aprì e le sventolò il bracciale davanti agli occhi.

«Cercavi questo?»

«Dammelo!» cercò di prenderlo, senza esporsi al sole, ma lui alzò il braccio e lo spostò proprio davanti al balcone, sapendo che lei non avrebbe mosso un solo passo in quella direzione.

«Non vuoi sapere perché sei qui?»

Lei lo guardò male, indecisa se assecondarlo o mandarlo al diavolo. «Vorrei riavere il mio braccialetto.»

«Solo dopo che avremo parlato.»

Parlare? Di cosa? E perché doveva farlo senza prima ridarle il bracciale? Katherine si pose molte domande, voleva porle anche a lui, ma la caratteristica principale di Klaus era la volubilità: una sola parola sbagliata e le avrebbe infilato una mano in mezzo alle costole.

Decise, per il suo bene, di non opporre troppa resistenza. Rilassò i muscoli e incrociò le braccia al petto. «Va bene. Di cosa dobbiamo parlare?»

Le fossette si formarono sulle guance dell’ibrido. «Di noi due, love.»

 

 

 ***

 

 

«Sento che questa cosa finirà male» disse Elena salendo le scale del portico di casa sua, seguita da Stefan e Damon.

«Il legame? Finirà male per Klaus, te lo assicuro» rispose il maggiore dei fratelli, chiudendo la porta una volta entrati tutti e tre. «Questa storia è assurda persino per uno psicopatico come lui.»

La ragazza scosse la testa. «No, non è questo… in un certo senso posso capire perché voglia fare il legame. Mi riferivo a Katherine.»

Si diresse verso il divano e si sedette quasi di peso, mostrando estrema stanchezza: non era il periodo migliore della sua vita, Jeremy era stato mandato a Denver, Stefan era tornato da poco e lei si sentiva sempre più confusa riguardo i propri sentimenti.

Il suo ragazzo si sedette accanto a lei e le accarezzò dolcemente i capelli. «Non pensare a Katherine, lei se la cava sempre, non ha bisogno di noi. È sopravvissuta a Klaus per più di cinquecento anni. Io mi preoccupo per te.»

«Stavolta è diverso, non dirmi che non te ne sei accorto» lo riprese lei, passandosi una mano sul viso. «Devo ancora metabolizzare la notizia del matrimonio… e ho questa brutta sensazione addosso.»

Damon avrebbe voluto rassicurarla, dire che sarebbe andato tutto bene e che lui sarebbe sempre rimasto accanto a lei, ma non avrebbe mai tentato di mettere i piedi in testa a suo fratello. Ora c’era Stefan con Elena, toccava a lui dire tutte le frasi dolci che lei aveva bisogno di sentirsi dire.

«Katherine sa badare a se stessa. È una stronza, ma è in gamba» provò a rassicurarla almeno su quello. «Sono sicuro che Klaus ci inviterà di nuovo a casa sua. Quando sarà, vedremo come se la passa Katherine.»

Elena alzò la testa e sorrise. In cuor suo sapeva che Damon avrebbe voluto dirle di più, ma che non l’aveva fatto per rispetto nei confronti di suo fratello. Apprezzava quelle sue piccole attenzioni che, purtroppo, nessuno sembrava notare.

Stefan si alzò dal divano e lei lo imitò. «Se devo essere sincero, non mi interessa il destino di Katherine. Ha avuto ciò che si meritava» Elena lo guardò male per quelle parole, ma sapeva anche quanto la vampira l’avesse fatto soffrire: era un pensiero dettato dal dolore.

«Domani a scuola ne parlerò con Bonnie e Caroline» disse la ragazza, avviandosi alla porta. «Cercheremo di prendere tempo e trovare una soluzione.»

I fratelli Salvatore le augurarono la buonanotte e si diressero verso casa. Elena, esausta per quella cena a dir poco sconvolgente, decise di buttarsi direttamente a letto. Indossò il pigiama, impostò la sveglia per il giorno successivo e si infilò sotto le coperte.

Cercare di dormire, però, era davvero difficile: continuava a pensare a Klaus e Katherine, non riusciva a immaginarli insieme come coppia. Solo il pensiero di loro due intimi la metteva in imbarazzo.

Katherine non era una santa, lei lo sapeva bene, sapeva anche che non si curava molto dei sentimenti che gli uomini provavano per lei… ma in fin dei conti anche lei era stata umana, prima che la trasformazione in vampiro amplificasse ogni lato del suo carattere.

Si chiese come avesse vissuto il periodo in cui era ospite di Klaus. Lui come si era comportato? Come aveva fatto a nascondere il suo essere psicopatico e farla innamorare di sé al punto da accettare di sposarlo? L’aveva forse ammaliata per far sì che lo amasse, o che non si ribellasse?

Era stato Elijah a raccontare al fratello dei dubbi di Katherine… Elena si chiese cosa ne pensasse lui di tutta quella storia. Sapeva del legame magico? Probabilmente si sentiva in colpa… e anche lei, in un certo senso, sentiva di dover fare qualcosa.

Si girò nel letto, sbuffando: possibile che il suo senso della giustizia fosse così forte e pressante al punto da farle desiderare di aiutare Katherine? Forse Stefan aveva ragione, si disse Elena sbadigliando sonoramente, la vampira aveva avuto ciò che meritava e loro non potevano occuparsi anche di lei.

 

 

 ***

 

 

Katherine si trovava nella stanza di Klaus da quasi venti minuti. Continuava a camminare avanti e indietro, aspettando che l’infame andasse a liberarla da quello stupido scherzo da bambini: aveva voluto metterla in imbarazzo davanti a Stefan, Damon ed Elena… beh, non ci era riuscito, ci voleva ben altro per imbarazzarla.

Sentì un rumore di passi e si fece trovare a ridosso della porta, sguardo truce e braccia incrociate al petto. Klaus si presentò con un sorriso beffardo in viso, le fossette sulle guance e l’aria divertita.

«Questi scherzi infantili ti divertono?» sbottò lei, incapace di controllarsi: lui era l’unica persona che riusciva a farle saltare i nervi in quel modo.

«Molto, a dire il vero» la sorpassò e salì i due gradini che portavano al rialzo dove era posizionato il letto. Si sedette e batté una mano sul materasso, in una muta richiesta di avere la vampira accanto a sé.

Katherine lo fissò incredula: lei voleva uscire da quella maledetta stanza, non avvicinarsi ancora di più a lui.

«Te lo scordi» ringhiò tra i denti. Avrebbe voluto aggiungere “stronzo”, ma non era il caso di farlo.

«Non mi scordo proprio niente, love» rispose lui con estrema calma. Ripeté il gesto di poco prima, ma non c’erano più le fossette sul suo viso. «Voglio che ti siedi qui

Costretta dal soggiogamento, Katherine sentì le proprie gambe muoversi da sole. Raggiunse Klaus e fece come ordinato. In quel momento lo detestava con tutta se stessa. Il solo pensiero di essere seduta su un letto con lui, in una stanza dove non c’era nessun altro, la metteva a disagio.

Klaus si sporse verso di lei, le sfiorò i capelli con una mano, poi il viso. Lei era un fascio di nervi e questo lo divertiva moltissimo: adorava avere il potere sugli altri, che fossero umani o no non importava, aveva bisogno di quella sensazione.

«Sei nervosa, per caso? » le sussurrò all’orecchio e lei si trattenne dal rabbrividire.

«Abbastanza.»

Senza alcun preavviso, Klaus la spinse di schiena sul letto e le infilò una mano nel ventre. Letteralmente. Katherine boccheggiò e portò le mani sul suo polso, incapace di articolare qualsiasi parola.

Osservando gli occhi dell’ibrido brillare di divertimento sopra di sé, si chiese il motivo di quell’attacco: non si era comportata in modo da farlo arrabbiare, perché le stava facendo una cosa simile?

Il dolore era forte, ma poteva controllarlo e non farsi prendere dal panico. Cercò di restare concentrata sul viso di Klaus, per capire quale fosse il suo stato d’animo, e nel contempo stava attenta alla mano ferma tra le sue viscere.

Essere un vampiro, a volte, era una vera fregatura.

«Questo è per ricordarti sempre chi comanda, Katerina.»

Così come l’aveva aggredita, Klaus le liberò il ventre. Estrasse la mano, completamente sporca di sangue, la osservò per qualche istante, poi si morse l’altro polso e lo portò alle labbra della vampira.

Decisa a non contrariarlo oltre, seppur involontariamente, Katherine bevve il sangue che lui le offriva e subito si beò dell’immediata sensazione di guarigione. La ferita si chiuse in pochi secondi e le rimase addosso solo un po’ di indolenzimento e una chiazza di sangue sulla maglia blu.

Si sedette e controllò lo strappo sulla maglietta. La coperta del letto di Klaus era schizzata del suo sangue.

«Perché?»

Klaus si alzò  la fissò dall’alto. «Per preventivare una tua possibile richiesta o accettazione di aiuto da parte del nostro gruppo di eroi preferito.»

Ecco spiegato l’arcano. Katherine lo maledisse nella mente: non era necessario aggredirla, sarebbe stato più semplice soggiogarla a non chiedere aiuto a chicchessia. Ma no, si disse, agire da psicopatico in crisi era l’unico modo in cui agiva lui. Non era capace di relazionarsi con gli altri.

«Avresti potuto ammaliarmi» disse in tono piccato, alzandosi anche lei dal letto. «I vestiti sono arrivati due giorni fa, hai intenzione di strapparli tutti?»

«Forse.»

Detestava quel suo modo enigmatico di rispondere. In effetti detestava molte cose di lui, più gli stava vicino, meno riusciva a sopportarlo. In quelle condizioni come avrebbero spezzato il legame?

Sospirò, stanca. «Ho bisogno di lavarmi e cambiarmi.»

No, non gli avrebbe mai chiesto il permesso direttamente, per nessuna cosa. Era troppo orgogliosa e lui era… beh, lui era Klaus, non c’era altro da aggiungere.

L’ibrido si parò di fronte a lei, un po’ troppo velocemente per i suoi gusti. Portò una mano sotto il suo mento e le fece alzare la testa in modo da guardarla negli occhi. Lui adorava il contatto fisico, era forte, tutti erano terrorizzati in sua presenza.

«Sei libera di uscire da questa stanza» sussurrò, poi si allontanò da lei e la lasciò sola – come sempre.

 

 

 

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Capitolo 3
*** Nothing Left ***


 

*Act III*

Nothing left

 

 

 

«Seriamente?!»

La voce incredula e squillante di Caroline quasi perforò i timpani delle sue amiche. Elena aveva appena raccontato loro della cena a casa di Klaus e tutta la sua storia con Katherine.

«Elena, no!» scattò subito la bionda. «So che penserai a ciò che ti ha detto, ma Klaus non è affidabile, non puoi in alcun modo prendere in considerazione una proposta… che c’è?»

Elena le strinse le mani tra le sue e sorrise, con l’espressione di chi si rivolge a un bambino. «Care, tranquilla. Non ho intenzione di accettare.»

La vampira guardò l’amica, sospirò e, in uno slancio d’affetto, l’abbracciò stretta. «È che ho paura che ti faccia del male, te ne capitano di tutti i colori!»

«Per questo ci sono io con lei» intervenne Bonnie, sorridendo anche lei, poi tornò subito seria. «Elena, questo genere di magia non si può risolvere con un contro incantesimo.»

«No?» chiese l’altra, confusa.

Si sedettero su una panchina nel giardino della scuola, lontane da orecchie indiscrete.

«Questo legame è stato fatto per unirli, non è possibile spezzarlo con un’altra magia» spiegò Bonnie, cercando di evitare la terminologia da strega. «Dipende solo da loro due.»

«E cosa dovrebbero fare per spezzarlo?» chiese giustamente Caroline, non capendo bene la risoluzione al problema.

Bonnie sospirò. «Rendere inutile il legame.» Dagli sguardi delle amiche comprese che non avevano afferrato il concetto, così decise di essere più chiara. «Devono amarsi. In questo modo il legame non sarà più necessario e verrà spezzato.»

Elena spalancò gli occhi e la bocca, incredula. Caroline, dopo un attimo di smarrimento, se ne uscì con un altro dei suoi «Seriamente?!» spaccatimpani.

«Non succederà mai…» sussurrò Elena, sconvolta da quella rivelazione. «A Katherine piaceva Klaus, quando era umana… ma sono passati cinquecento anni, non può amarlo ancora.»

«In effetti ne dubito anch’io, ma lei almeno aveva provato dei sentimenti per lui, potrebbe essere una base da cui partire» replicò la strega. «Il problema è Klaus. Non credo che abbia mai provato quel tipo di interesse per lei e non si innamorerà a comando.»

Caroline si passò le mani tra i capelli, bloccandole all’altezza del collo. Gettò il capo indietro e sbuffò. «Non usciranno mai da questa situazione, ma almeno Klaus non potrà creare il suo legame con Elena.»

«Un punto per noi» sorrise la diretta interessata.

«Ad ogni modo, sappi che, se anche Klaus dovesse spezzare il suo legame con Katherine, io non ne creerò mai uno tra te e lui» disse molto seriamente Bonnie. «Per nessun motivo, neanche se fossi tu a chiedermelo. Come strega e amica non potrei davvero farlo.»

«Lo so, ti capisco» annuì Elena. «Non vorrei mai costringerti a fare qualcosa che non vuoi, soprattutto con la magia. L’ultima cosa che desidero» prese le mani delle amiche tra le sue e le strinse forte «è che le persone che amo subiscano altre conseguenze a causa mia.»

In quel momento il cellulare di Caroline iniziò a squillare. La ragazza lesse il nome sullo schermo e saltò in piedi dalla gioia. «È Tyler! Vi raggiungo dopo in classe.» Si allontanò per rispondere e il solo sentire la sua voce la riempì di emozione.

«Mi sei mancato.»

«Anche tu. Come vanno le cose?»

Sul viso di Caroline apparve un’espressione da bambina. «Potrebbero andare meglio se fossi qui. Come procede?»

«Alla grande! Ce l’ho quasi fatta!» nonostante l’entusiasmo che dimostrava, Tyler parlava con una voce troppo affaticata. Sembrava esausto e lei avrebbe tanto voluto stargli accanto in un momento come quello, ma non poteva.

Un vampiro e un licantropo.

«Sono contenta» sorrise, guardando il cielo. «Non vedo l’ora che tu sia di nuovo qui… sono sempre impegnata a fare mille cose e a Mystic Falls non ci si annoia mai, soprattutto quelli come noi, ma…» sospirò e l’espressione da bambina lasciò il suo viso. «Le mie giornate non sono complete senza di te.»

Dall’altra parte del telefono, Tyler sorrise. Caroline era semplice e diretta, diceva ciò che le passava per la testa, a volte senza filtro, ma in quel momento gli faceva bene, aveva bisogno di sentire quelle parole.

Spezzare l’asservimento con Klaus non era facile, doveva trasformarsi infinite volte, imparare a controllare il suo corpo e le sue pulsioni e non era affatto facile. Sentiva la mancanza di casa, di sua madre, della sua ragazza, dei suoi amici… gli mancava terribilmente la sua vita, per quanto incasinata e difficile fosse.

«Spezzerò questo legame per te, Care.»

 

 

 ***

 

 

Damon adorava farsi il bagno. Quando aveva tempo – ed essendo immortale ne aveva molto – se ne faceva più di uno al giorno. La sensazione dell’acqua bollente e della schiuma sulla pelle lo rilassava come niente altro era in grado di fare.

Se si aggiungeva una bella donna al tutto, la cosa era ancora più piacevole.

Quel giorno, però, Damon Salvatore aveva deciso di immergersi nella vasca con solo i suoi pensieri a fargli compagnia. Pensava a quanto accaduto a casa di Klaus, alla proposta che aveva fatto e… sì, a Katherine. Pensava anche a lei.

L’amore che l’aveva legato alla vampira era stato seppellito dalla delusione dei suoi innumerevoli inganni e più volte aveva desiderato vederla morta, ma ora la situazione era diversa: lei era nelle mani di Klaus e non come banco informazioni, ma come diretta interessata del casino del momento.

Katherine aveva detto di aver sposato Klaus all’età di sedici anni. Non riusciva a immaginarla così giovane, umana e soprattutto ingenua: aveva già avuto una bambina, di certo non era una santa, eppure una vocina dentro di lui, proveniente da chissà dove, gli diceva che stavolta la psychotic bitch aveva bisogno di aiuto.

Il problema era: come aiutarla? Non era ben sicuro di voler fare qualcosa per lei, Stefan era stato chiaro a riguardo, mentre Elena aveva espresso la sua preoccupazione… e lui si sentiva preoccupato quanto lei.

La cosa migliore per tutti era far scappare Katherine, in modo che Klaus non potesse più creare il legame con Elena, ma questa volta il pazzoide doveva aver preso misure di sicurezza più efficaci per evitare che la sua ospite si liberasse dal suo controllo.

Pochi minuti dopo, Damon era già fuori dalla vasca, vestito e pettinato. Raggiunse il fratello in sala e si versò da bere in un bicchiere di cristallo.

«Ti vedo pensieroso, fratellino.»

In effetti, Stefan non era il massimo della vivacità quel giorno: se ne stava seduto sul divano, la schiena curva e l’aria assorta. Sembrava che stesse riflettendo su ogni quesito esistente al mondo.

«Non voglio che Elena faccia il legame con Klaus.»

«Direi che nessuno di noi lo vuole» rispose Damon in tono ovvio, portandosi il bicchiere alle labbra. «Credi che lei l’abbia preso in considerazione?»

Stefan scosse la testa. «Non lo so… ha detto di no, ma probabilmente sta valutando i pro e i contro.»

«Beh… non glielo faremo fare.»

Detta così sembrava semplice, ma entrambi sapevano che non era facile rifiutare qualcosa a Klaus: in un modo o nell’altro, otteneva sempre quello che voleva. Che fosse il sangue della doppelganger, che fosse la vendetta per un torto subito, che fosse un intero branco di licantropi da trasformare in ibridi o una villa gigantesca progettata da lui stesso.

Klaus raggiungeva sempre i suoi scopi.

Damon si sedette di fronte al fratello: sì, anche secondo lui Elena poteva riflettere seriamente sulla proposta del legame, ma lui e Stefan l’avrebbero rinchiusa tutta la vita piuttosto che lasciarle fare una cosa del genere.

Beh, Stefan forse no, ma lui sicuramente sì.

«Non ci sarà nessun legame se non si spezza quello con Katherine. Dovremmo farla scappare.»

Stefan guardò il fratello con gli occhi sgranati. «Damon, no! Se facessimo fuggire Katherine, Klaus non si fermerà, ci ucciderà davvero. E ho già chiarito che di lei non mi interessa.»

«Neanche un po’?» lo stuzzicò l’altro: Stefan era una persona di buon cuore, non avrebbe mai creduto a un suo totale rifiuto di aiutare la vampira, soprattutto sapendo che aiutare lei avrebbe indirettamente aiutato tutti loro.

«È soggiogata a non uscire da quella casa e chissà quante altre cose. L’altra volta Klaus l’ha lasciata andare volontariamente, sapeva che aveva la verbena in corpo.»

Damon vuotò il bicchiere. «Troveremo un modo per fargliela avere.»

«Non c’è un altro modo, mettitelo in testa. Klaus questa volta voleva Katherine, avrà preso tutte le misure di sicurezza necessarie per assicurarsi che lei non esca di casa e non assuma verbena. Anche il personale sarà soggiogato» spiegò Stefan, che aveva già riflettuto a lungo sulla cosa. «Ci ho pensato anch’io, cosa credi? So bene che liberare Katherine potrebbe aiutarci, ma potrebbe anche condannarci tutti ed è un rischio che non sono disposto a correre» vedendo l’espressione strafottente e sicura di Damon, aggiunse «E neanche tu.»

«Sì, mamma» l’altro alzò le mani in segno di resa e roteò gli occhi al cielo. «Volevo solo sapere se ci avevi pensato.»

«Certo che l’ho fatto» sembrava quasi offeso.

«Non per Katherine, ovviamente.»

«Non farei più nulla per lei, lo sai» no, ancora non riusciva a perdonare le bugie della vampira. Aveva sofferto troppo a causa sua, non sarebbe più successo.

 

 

 ***

 

 

La vampira in questione, nello stesso momento, sospirò. Anzi, sbuffò. Si annoiava a morte: era quasi sempre sola in casa, Klaus chissà cosa faceva fuori, il resto della famiglia inesistente e il personale di servizio era così rapido e indiscreto da non farsi mai vedere da nessuno.

La villa era enorme e lei era l’unica ad abitarla ventiquattro ore su ventiquattro, la maggior parte senza uno straccio di compagnia.

Trascorreva molto tempo nella sua stanza, più che altro per evitare Klaus quando era in casa: si truccava, si acconciava i capelli, si rimirava nello specchio, poi disfaceva tutto e ricominciava di nuovo.

Era prigioniera da due settimane ormai e si era stancata di rintanarsi nella sua stanza, così decise di fare un tour indipendente della casa, dato che nessuno si era offerto di farlo.

La camera accanto alla sua era quella personale di Klaus, in cui era già stata e non aveva la minima voglia di tornarci.

Lungo il corridoio del primo piano c’erano altre quattro stanze riservate a Rebekah, Elijah, Kol e Finn, che lei però non aveva ancora visto da quando era stata portata lì: evidentemente c’erano dei problemi tra fratelli e Klaus era rimasto solo, oppure erano ancora chiusi in qualche bara.

Dall’altra parte del corridoio c’erano le stanze per gli ospiti… mai utilizzate. Katherine fece una smorfia scettica: che senso aveva progettare una villa con le stanze per gli ospiti, se neanche i fratelli di Klaus volevano stare in quella casa con lui?

Oh, certo, pensò alzando gli occhi al cielo: probabilmente erano destinate ad ospiti come lei, che non aveva ricevuto nessun invito ed era stata trascinata lì contro la sua volontà.

Se non altro, ogni camera aveva un bagno privato.

Scesa al piano terra, Katherine si diresse verso destra, dove sapeva esserci il salone delle feste, probabilmente la zona più usata di tutta la villa: era lì che Klaus accoglieva le persone e organizzava i suoi amati eventi mondani.

Di nuovo, una smorfia si dipinse sul suo viso al ricordo di tutte le sere trascorse a ballare nella reggia che Klaus possedeva nel lontano 1492.

Oltre il salone c’era un’altra sala, più piccola, con le pareti coperte di scaffali e librerie. I titoli erano tutti moderni e lei sapeva che l’ibrido aveva sempre avuto una grande collezione di testi antichi. Dov’erano quei volumi? In una biblioteca privata, forse?

Katherine si sentì curiosa e decise di cercare il resto della collezione di Klaus, così tornò all’ingresso e visitò il resto della casa che le mancava: scoprì che le stanze, da quel lato della villa, non erano solo due, ma molte di più, piccole, una dopo l’altra, come se fossero posizionate lungo una curva.

Passò quindi attraverso un salotto arredato in modo decisamente più moderno rispetto al resto della casa, con tanto di impianto stereo, televisore di ultima generazione e addirittura alcune console. Vi erano poi alcuni scaffali colmi di dvd.

Quindi a Klaus piacevano il cinema e la PlayStation… non l’avrebbe mai detto.

Dopo quel salotto, che a lei già piaceva molto, scoprì un breve corridoio che portava alla cucina – in cui troneggiavano ben tre congelatori – e a una stanza completamente vuota, ma con le pareti coperte da quadri famosi.

Oltre quella c’era la biblioteca privata di Klaus, ovvero due stanze unite da un’arcata, con mensole che toccavano il soffitto e protette da vetrate chiuse con dei lucchetti: ecco dove si trovavano i libri antichi e preziosi che aveva visto cinque secoli prima.

Alla collezione si erano aggiunti altri volumi rari e in varie lingue, che ovviamente Klaus conosceva alla perfezione – il ricordo del modo in cui il perfetto saluto bulgaro del vampiro avesse fatto colpo su di lei le fece provare un moto di stizza.

Katherine lesse tutti i titoli sulle costine dei libri, scoprendo di averne letti circa la metà e provando ancora più stizza nel constatare che i suoi gusti in fatto di lettura erano molto simili a quelli del suo carceriere.

Scoprì, quasi per caso, una piccola porta in fondo alla seconda stanza, che conduceva ad una camera abbastanza grande, dall’aspetto simile al laboratorio di un artista: al muro erano appesi alcuni quadri, in giro c’erano vari carrellini colmi di pennelli e ogni tipo di colore; stampe, ritratti, schizzi, disegni incompiuti, una tela non ancora completata.

Si avvicinò al cavalletto e iniziò a studiare attentamente ogni tratto del pennello, ogni sfumatura di colore utilizzata. Era affascinante.

«Cosa ci fai qui?»

La voce di Klaus la colse alla sprovvista: intenta com’era a fissare la tela, Katherine non si era accorta del suo arrivo né della sua presenza in casa.

«Mi sembrava di averti detto di non infilare il tuo bel nasino in cose che non ti riguardano.» L’ibrido avanzò lentamente verso di lei, parlando in tono minaccioso, così come era minaccioso il suo sguardo.

«Nessuno mi ha offerto un tour della casa, così ho fatto da me.» Si sentì immediatamente soffocare, come se le pareti si stessero stringendo intorno a lei. Non voleva stare da sola con lui un istante di più. Deglutì nervosamente. «Questa zona è off-limits. Compreso. Buona giornata.»

Si avviò verso la porta, intenzionata a chiudersi nella sua camera per almeno tre giorni, ma Klaus la fermò afferrandola per un braccio.

La stretta era ferrea, le dita premevano contro la sua carne. Katherine percepì chiaramente quanto lui fosse arrabbiato per quella sua intrusione.

«Katerina.»

La voce bassa, fin troppo controllata. Un tono che non prometteva nulla di buono.

Un tempo aveva adorato il modo in cui lui pronunciava il suo nome. Ora le provocava solo brividi di terrore.

«Vorrei tornare nella mia stanza.»

Riusciva a manipolare Stefan, Damon, Elena e i loro amici, tutta Mystic Falls e ogni uomo sulla faccia della terra, ma Klaus… con lui tutto era diverso.

«Credo che tu non abbia ancora compreso la situazione.»

Con Klaus non esistevano regole.

In un attimo si ritrovò addosso a lui, contro il suo petto, tanto vicina da credere, per un istante, che lui avesse intenzione di baciarla. O di morderla. O entrambe le cose.

Con Klaus non esistevano limiti.

«Devi collaborare» sussurrò, gelido, fissandola negli occhi. «Non ho intenzione di perdere altro tempo prezioso per colpa tua, mi hai già fatto sprecare cinquecento anni.»

«Avresti potuto smettere di cercarmi» rispose lei, forzandosi di non soccombere alla paura che lui – e lui solo – le faceva provare. «O devo forse credere che tu abbia sentito la mia mancanza?»

Klaus accennò un sorriso divertito, alzando appena gli angoli della bocca, ma non allentò la stretta sul braccio della vampira.

«Siamo adulti e sappiamo ragionare, Katerina, so che comprendi che il tuo aiuto è fondamentale affinché il legame venga spezzato.» Il suo tono di voce era meno teso, ma i suoi occhi brillavano di follia. «Prima lo spezzeremo, prima sarai libera di andartene da qui.»

«Sarò libera di essere uccisa da te, vorrai dire» sputò lei in un moto di rabbia e frustrazione. «Cosa ti fa credere che io voglia spezzare un legame che ti impedisce di uccidermi?»

«È questo il punto, quindi.»

«Cos’altro dovrebbe essere?» più parlava, più si sentiva sicura. «Questo legame mi protegge da te, sono ben felice che ci sia.» Alzò il mento, fiera, e fissò Klaus negli occhi. «Non avrai mai il mio aiuto.»

La rabbia sfigurò il volto dell’ibrido. Lasciò andare il braccio di Katherine, che fece subito svariati passi indietro per allontanarsi da lui, pur senza osare voltargli le spalle.

«Ciò che vuoi o non vuoi fare non è nei miei interessi» sentenziò a voce alta. «Spezzerò questo legame ad ogni costo e tu mi aiuterai a farlo!»

«Proprio non lo vuoi capire?» sbottò a quel punto la vampira, alzando la voce anche lei. «Io non provo altro che rabbia e disgusto nei tuoi confronti!»

L’espressione di Klaus mutò lievemente, ma lei non vi badò.

«In questi cinquecento anni ho amato altri uomini. Sono stata amata come tu non hai mai fatto!» Katherine, in cuor suo, sapeva di essersi scoperta troppo. «Non sono più la Katerina che hai ingannato e circuito per i tuoi scopi e niente ormai potrà farti riavere quella ragazzina che ti adorava!»

Parlare di se stessa in terza persona le veniva naturale ormai: era un modo istintivo di proteggersi e separarsi dal suo doloroso passato. Aveva imparato a farlo nel corso degli anni, cambiare nome era stato quasi terapeutico.

Per un lungo, silenzioso istante, i due si fissarono negli occhi. Poi, stanca di quella situazione, la vampira sospirò: sul suo volto comparve un’amara delusione.

«Tu sei l’uomo peggiore che avessi potuto incontrare in tutta la mia vita.»

Quando Katherine si diresse alla porta della stanza per andarsene, Klaus non tentò di fermarla.

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Emotion ***


Questo è un capitolo particolare a cui tengo molto. È stato davvero difficile da scrivere, l’ultima scena mi ha tenuta impegnata parecchi giorni, una volta buttata giù la prima stesura l’ho rivista quattro volte e ancora non sono sicura di essere riuscita a descrivere tutto in modo chiaro – non sono molto ferrata nelle scene d’azione, ma ci sto lavorando^^

Spero davvero che vi piaccia.

 

Buona lettura!


 

*Act IV*

Emotion

 

 

 

 

Elena indossò la maglietta e i pantaloni della tuta, strinse bene i lacci delle scarpe e legò i capelli in una coda alta.

Bonnie e Caroline erano già pronte e l’aspettavano all’ingresso degli spogliatoi: da quando Klaus aveva avanzato quell’assurda proposta del legame, Elena si era ritrovata ad avere le guardie del corpo quasi fino in bagno.

Sbuffando più volte, raggiunse le amiche. «Non è necessario aspettarmi, posso cambiarmi da sola e arrivare viva in palestra.»

«È assolutamente necessario, invece» la rimbeccò Caroline. «Klaus si è già introdotto a scuola, potrebbe farlo di nuovo e comunque questo non è un posto sicuro.»

«Caroline ha ragione» concordò Bonnie. «Dobbiamo essere prudenti.»

Elena sbuffò un’altra volta. Era sicuro lasciarla libera solo dentro casa, ma in realtà Stefan andava a prenderla tutte le mattine e dopo scuola le amiche trovavano sempre nuove scuse per restare con lei: compiti, shopping, parrucchiere, ceretta di gruppo...

Lei era preoccupata e voleva parlare con Katherine: sentiva di doverlo fare, ma come?

I suoi amici non le avrebbero mai permesso di avvicinarsi alla villa di Klaus e niente li avrebbe convinti a lasciarla andare, da sola per di più, requisito assolutamente necessario: Katherine avrebbe fatto storie a parlare con lei, di certo non avrebbe gradito spettatori indesiderati.

Tra un rimbalzo e una schiacciata a pallavolo, però, le venne un’idea e decise di metterla subito in pratica: abbandonò il campo e si sedette sulla panchina delle riserve.

«Che hai, Gilbert?» si avvicinò la professoressa.

La ragazza assunse un’espressione sofferente. «Mal di stomaco. Forse ho preso un colpo d’aria.»

«Sta girando un virus intestinale in questi giorni, stai attenta a non scoprirti troppo. Se ti viene anche la febbre, resterai inchiodata al letto per dieci giorni.»

Elena sorrise gentilmente. «Sono sicura che mi sentirò meglio se sto un po’ ferma.»

La recita continuò fino al termine della lezione. Poco prima di entrare nello spogliatoio, la professoressa fermò Elena.

«Come ti senti?» chiese la donna con fare apprensivo.

«Come prima» alzò le spalle la ragazza.

L’altra scosse la testa. «Allora ti consiglio di andare in infermeria.»

«Sì, prof.»

Elena raggiunse la panca su cui aveva lasciato la borsa, tirò fuori i vestiti e iniziò a spogliarsi.

«Tutto bene?» Caroline era già pronta per tornare in classe: aveva preso l’abitudine di cambiarsi in bagno a velocità vampiresca. La cosa la divertiva molto.

Ricevette uno sguardo incerto come risposta, così lei si indicò le orecchie. «Ho sentito quello che hai detto alla prof.»

«Cosa ha detto?» chiese Bonnie mentre si sedeva accanto a Elena.

«Non mi sento molto bene. Ha detto di farmi vedere in infermeria» rispose, poi aggiunse, fingendo al meglio delle proprie capacità. «Stanotte avevo caldo e ho dormito con la finestra aperta, credo di aver preso freddo.»

Come previsto, entrambe le ragazze si offrirono per accompagnarla, temendo attentati e aggressioni nei corridoi della scuola.

«Penso di poter sopravvivere fino all’infermeria» ridacchiò Elena, ma dentro di sé sperava di riuscire a lasciare l’edificio senza i cani da guardia attaccati alla gonna.
 

 

Fu così che l’infermiera le suggerì di tornare a casa e restarci per un paio di giorni, per assicurarsi di star bene e di non attaccare niente ai suoi compagni.

Bonnie la intercettò vicino ai loro armadietti.

«Esci? Vengo con te.»

«No, Bonnie, tranquilla» la bloccò subito. «Mi metterò a letto e cercherò di dormire un po’, non è necessario che venga anche tu.»

Quello proprio non ci voleva. Elena non aveva molto tempo a disposizione e doveva anche liberarsi di Bonnie ed eventualmente Caroline per potersene andare da sola e senza destare troppi sospetti.

Adorava le sue amiche e sapeva che il grande affetto nei suoi confronti era la base della loro preoccupazione, ma iniziava a stancarsi di dover essere scortata addirittura in bagno.

La strega la guardò in silenzio per qualche istante. «Sicura?»

Elena annuì e sorrise. «Filerò dritta a casa, berrò una tisana e andrò a dormire.»

«Stai attenta.»

Attenta. Come no.
 


***
 

 

Elena non fece in tempo a suonare il campanello che qualcuno aprì la porta: era un ragazzo alto e robusto che non aveva mai visto prima. Aveva lo sguardo duro e sembrava annoiato. Doveva essere un ibrido.

«Ho bisogno di vedere Klaus» annunciò Elena con tono fermo e deciso.

«La doppelganger» mormorò lui a bassa voce. «Entra.»

La fece accomodare nel salotto moderno e la lasciò sola, dicendo che Klaus sarebbe arrivato entro pochi minuti.

Vedendo le varie console e la grande quantità di giochi, Elena si chiese se fossero mai stati usati e provò a immaginare Klaus impegnato con un videogame. Scosse la testa a quel pensiero.

«Ma che bella sorpresa.»

Dopo tutto il tempo trascorso in compagnia di creature sovrannaturali, Elena doveva aver fatto l’abitudine a quei passi silenziosi, ma in realtà non era affatto così.

O forse era solo Klaus a spaventarla in quel modo, nonostante tutto?

«A cosa devo l’onore, love?» l’ibrido si portò le mani dietro la schiena e fissò divertito la sua ospite. «I tuoi guardiani sanno che sei qui? O sei già nella fase della ribellione?»

Dio, quanto era irritante.

«Voglio parlare con Katherine.»

Lo sguardo che ricevette in risposta non era affatto rassicurante.

«A proposito di cosa?»

Elena si chiese se la stesse prendendo in giro: molto probabilmente sì e si stava anche divertendo a farlo.

«Lo sai» rispose e iniziò a sentirsi a disagio e non al sicuro. «Ho bisogno di sapere come sta e parlare con lei da sola

Klaus alzò le sopracciglia e sorrise. «Ma quante richieste... perché dovrei accettare?»

Si avvicinò a lei, che si sentiva ancora più a disagio. Era stata davvero una buona idea andare lì per conto suo, di nascosto da tutti? L’ibrido era a un metro di distanza, ma Elena si sentì soffocare, come se lui avesse invaso il suo spazio personale.

La presenza di Klaus era sempre stata così intensa o lei lo percepiva in quel modo perché, ora che sapeva del matrimonio con Katherine, lo vedeva anche come uomo?

Forse non avrebbe dovuto mettere la gonna...

Deglutì, spostò lo sguardo da lui e tirò su la manica della maglietta. «Non sono venuta qui a mani vuote.»

Klaus osservò il braccio nudo della ragazza, ascoltò il suo cuore correre come un pazzo nel suo corpo mingherlino e sorrise, soddisfatto.

«Questo è lo spirito giusto.»
 

 

Klaus aveva voluto occuparsi personalmente di quel prelievo di sangue: una sacca, non di più, Elena era stata chiara e lui non aveva insistito per averne altro.

«Spero che tu stia valutando la mia offerta senza lasciare che pareri esterni ti influenzino.»

Nonostante la crudeltà delle sue azioni, Klaus aveva modi garbati e gentili: aveva preparato acqua e zucchero per Elena e, nel caso, aveva ordinato di portarle del cibo.

La ragazza l’aveva osservato a lungo, chiedendosi come avesse fatto a circuire una come Katherine... ma, in effetti, non faticò a capire cosa la sua antenata avesse visto in lui.

«Sai, Elena, la mia proposta è quanto di più civile potessi offrirti.» Se si era accorto dei suoi sguardi insistenti, non lo aveva dato a vedere. «Sappiamo entrambi che potrei portarti via in qualunque momento.»

«Cosa che hai già fatto» puntualizzò lei.

Klaus annuì, il sorriso da brigante ancora sulle sue labbra. «Sono un uomo di parola.»

«Sei anche uno che agisce solo secondo le proprie regole e che non bada al numero delle vittime che si lascia alle spalle.»

«Siamo nervosette, eh?» la prese in giro, poi spostò una sedia di fronte a lei e si sedette, sporgendosi in avanti, un po’ troppo secondo i gusti di Elena, ma Klaus era abituato a invadere con prepotenza lo spazio personale degli altri.

«Piuttosto, sei ancora decisa a voler stare con uno dei due fratelli Salvatore?»

Klaus aveva posto quella domanda come se stesse parlando del tempo. Elena gli rivolse uno sguardo oltraggiato in risposta e lui ridacchiò sotto i baffi.

«Non credo che questi siano affari tuoi.»

«No?» lui alzò le sopracciglia e il sorriso si ampliò sul suo volto. «Mi sta a cuore la discendenza delle Petrova. Ne nasce una ogni cinquecento anni più o meno e gradirei che tu non fossi l’ultima doppelganger che camminerà su questa terra.»

Molto poetico, pensò Elena, rimangiandosi una rispostaccia.

Come si permetteva lui, tra tutti, a mettere il naso nei suoi affari privati? Nessuno poteva dire a Elena con chi stare, se e con chi avere figli. Certo, lei figli ne voleva e il problema della paternità non era irrilevante, considerando che i suoi sentimenti pendevano tra un vampiro e un altro vampiro.

«Le Petrova non sono una tua proprietà» disse la ragazza, guardando male l’ibrido. «E ti ripeto che questi non sono affari tuoi» aggiunse, in tono acido.

«Il rancore non ti aiuterà, love

«Non provo rancore. Io ti odio e voglio vederti morto.»

Quella sì che era una bella risposta a tono.

Klaus non disse nulla. Abbassò lo sguardo per qualche istante, si leccò le labbra e poi allungò le braccia verso Elena, che sobbalzò sulla sedia, ma lui si limitò a sfilarle l’ago dal braccio e raccogliere la sacca con il suo sangue.

«Troverai Katerina al primo piano. Ha già avvertito la tua presenza» si alzò in piedi e la sua figura apparve imponente agli occhi di Elena. «Chiedile pure cosa l’ha fatta innamorare di me cinquecento anni fa. So che bruci dal desiderio di saperlo.»

Il bastardo aveva scelto apposta quelle parole, pensò Elena: si divertiva a mettere a disagio le persone solo per il gusto di dimostrare quanto potere avesse sugli altri e lei non faceva eccezione.

E quell’accento inglese…

Rimasta sola, Elena vuotò il bicchiere di acqua zuccherata e si avventurò subito al primo piano. Non aveva molto tempo a disposizione e le chiacchiere con Klaus l’avevano irritata.

Katherine sapeva che era lì, ma lei non aveva idea di quale fosse la sua stanza e quella casa, di stanze, ne aveva fin troppe.

«Il tuo stupido buonismo ti farà fare una brutta fine.»

Elena si voltò e vide Katherine poco lontana da lei. La vampira la invitò nella sua camera e si sedette sul letto.

«Come stai?»

«Ti interessa davvero?»

Quello non era un buon inizio, si disse la ragazza.

«Che tu ci creda o no, voglio sapere come stai. Questa volta è diverso.»

Katherine si limitò ad alzare un sopracciglio.

«Da quando eri nell’appartamento di Alaric, intendo.»

«Un po’» rispose l’altra, con aria di sufficienza e una scrollata di spalle. «So che Klaus non può uccidermi e questo è un vantaggio, ma l’altra volta voleva te per spezzare la maledizione.»

Elena provò un moto di compassione per lei. «E questa volta vuole te. Non c’è modo di aggirare il suo soggiogamento, vero?»

A Katherine venne da ridere a quelle parole. «Non dirmi che ci speravi! Non ti facevo tanto stupida.»

Si allungò verso il comodino, aprì il primo cassetto e ne estrasse una limetta per unghie.

Elena la osservò con gli occhi sbarrati: non poteva crederci, in un momento del genere come si poteva pensare alla manicure?

«Da me non otterrai nulla, tesoro» disse la vampira, fissandosi intensamente la mano sinistra. «Ne so quanto te.»

«Pensi che Klaus riuscirà a spezzare il legame?»

L’altra rimase in silenzio per qualche istante. Non era importante ciò che lei pensava, immaginava o sperava: Klaus otteneva sempre quello che voleva.

Elena stessa, per quanto aiuto avesse avuto dai suoi amici, non era riuscita a sottrarsi al rito per spezzare la maledizione. Cosa le faceva credere che ci fosse un modo di eludere l’ordine di non uscire mai di casa, non farsi portare via da altri, non accettare qualsiasi oggetto proveniente dall’esterno e non passare oggetti provenienti dall’interno?

Illusa.

Finito di limarsi le unghie di entrambe le mani, Katherine rimise la limetta al suo posto e finalmente rivolse l’attenzione alla sua ultima discendente.

«Penso che Stefan e Damon non sappiano che sei qui» disse in tono acido e malizioso. «Penso che Klaus raggiungerà il suo scopo e la mia unica preoccupazione sarà salvarmi la pelle e uscire viva da questo casino che, guarda caso, riguarda ancora te.»

Quello fu un brutto colpo per Elena, che non riuscì a ribattere alle parole della vampira. Era divisa tra la mal sopportazione nei suoi confronti e il senso di colpa che provava nel sapere di essere la causa di buona parte dei mali del mondo.

Quella, però, era Katherine. E la odiava. E adorava metterla in difficoltà. Decise di non farsi fregare in quel modo, non da lei e di certo non davanti a lei. Avrebbe avuto tempo più tardi per disperarsi.

«Tu amavi Klaus» non era domanda.

Katherine la fissò con astio. Non amava che si parlasse della sua vita sentimentale. «Amavo anche Stefan» rispose, cercando di farla irritare.

«Com’è possibile? Cosa ti ha fatta innamorare di uno come Klaus? Eri soggiogata?» Elena non riusciva a darsi pace, aveva bisogno di saperne di più su quel matrimonio assurdo tra due esseri che erano uno peggio dell’altra.

La vampira non parve affatto risentita da quelle parole. Dopo cinque secoli aveva imparato ad accettare quello che era accaduto quando era umana. «Il Klaus che ho conosciuto io era molto diverso da quello che conosci tu.»

Una risposta criptica. Di nuovo. Elena si chiese se Katherine avrebbe mai detto la verità senza girarci intorno, costellando le sue dichiarazioni di bugie, inganni e cattiverie.

«Hai vissuto con lui per un anno!» esclamò, esasperata. «L’hai sposato!»

«Il mio matrimonio con Klaus non ha niente a che vedere con te e con il legame che intende fare.»

Elena fu scossa da un brivido: Katherine sembrava minacciosa, quasi pericolosa, come se stesse per saltarle al collo. Cos’era successo? Aveva forse detto la cosa sbagliata? Toccato un tasto dolente? Era come se il matrimonio fosse una cosa strettamente intima, quasi sacra… ma no, si trattava di Katherine Pierce, per lei nulla era sacro al di fuori di se stessa.

«Sappiamo tutti qual è l’unico modo di spezzare il legame che ho con lui. Puoi dormire sonni tranquilli.»

Detto quello, la vampira si voltò e si diresse verso il balcone. Scostò la tenda bianca e osservò il giardino – somigliava a quello che le era piaciuto tanto cinquecento anni prima.

Elena aprì la bocca per parlare, ma rinunciò. Quella conversazione era finita, Katherine era intrattabile come sempre e alla fine non aveva ottenuto nulla da lei. Senza contare che ormai non aveva più tempo: le lezioni erano quasi finite e lei doveva assolutamente tornare a casa.

Esitò ancora un attimo, osservando quella donna identica a lei nell’aspetto fisico, ma con l’animo e il cuore indurito dalla paura e dalla necessità di sopravvivere. Sicuramente ne aveva passate tanti in quegli anni, ma questo non giustificava il suo egoismo né tutte le macchinazioni che aveva sempre ordito alle spalle degli altri.

Farfugliò un “Ciao” che non ebbe risposta e uscì dalla stanza, correndo giù per le scale e precipitandosi alla macchina. Trasse un profondo respiro, felice di non trovarsi più in quella villa degli orrori e filò dritta a casa.

Entrò dal retro, prese una coperta e si buttò sul divano. Doveva fingere di star male, ma era troppo nervosa. La visita segreta a Katherine era stata un fallimento: aveva solo confermato che non c’era alcun modo di farla scappare e questo era un vantaggio per Klaus.

Possibile che potessero solo aspettare passivamente? Avevano davvero tutti le mani legate?

Come previsto, Stefan bussò alla porta quindici minuti più tardi, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.

«Ehi.»

«Ehi. Tutto bene?» si sedette sul divano accanto a lei. «Stai meglio?»

«Un po’» abbozzò un sorriso e si accoccolò vicino a lui. «Ho solo preso freddo. Mi riprenderò subito stando al caldo.»

«Ti ho portato gli appunti» Stefan allungò un braccio ed estrasse un block notes dalla borsa. «Io non devo studiare per davvero, ma tu sì.»

Elena diede un’occhiata agli appunti e si lamentò per la quantità di cose spiegate quella mattina. «Accidenti, è un sacco di roba» commentò, ma era contenta che Stefan glieli avesse portati: concentrarsi sullo studio l’avrebbe aiutata a non pensare alla brutta situazione in cui si trovava.



***



 

Era lì da due giorni e già non ne poteva più. Aveva bisogno di parlare con Klaus e sapeva che si trovava nella sua camera – poteva sentirlo attraverso la parete che li divideva. L’ultima cosa che voleva fare era recarsi lì, ma non aveva altra scelta.

«Katerina» un brivido. «Come posso esserti utile?»

«Cambio» masticò lei tra i denti. «Ho bisogno di vestiti, non posso tenere questi addosso per sempre.»

Klaus rimase in silenzio e si prese un lungo momento per osservarla: stivali, leggins, maglia attillata, coprispalle. Era molto bella. «Ti stanno bene.»

«Grazie, lo so da me» rispose la vampira, sentendosi presa in giro. Incrociò le braccia al petto, come se potessero offrirle una qualche protezione contro di lui. «Ma dovrò lavarmi e lavare questi vestiti. Non posso andare in giro nuda.»

In realtà lo aveva fatto svariate volte in passato, per lei non era un problema mettersi in mostra, ma non voleva di certo mostrarsi a lui in quel modo. Di nuovo.

Klaus sorrise e le si avvicinò lentamente. «Per quanto io trovi l’idea allettante, devo darti ragione, love. Puoi prendere ciò che vuoi dall’armadio di Rebekah.»

Ah, gli uomini. Neanche dopo mille anni di esperienza riuscivano a capire certe cose delle donne.

Katherine lo guardò con gli occhi sgranati. «Sei pazzo?» esclamò d’istinto. «Non li metto i vestiti di tua sorella!»

Lui le rise in faccia senza pudore, riuscendo a innervosirla ancora di più. «Se pensi che basti così poco per uscire di casa…»

«Mi credi così stupida?» lo interruppe lei, esasperata. «Mi bastano un pc e la tua carta di credito.»

Questa volta fu lui a sgranare gli occhi, senza capire.

«Li comprerò online» spiegò lei, per nulla intenzionata a spendere il proprio denaro per colpa sua, che l’aveva rapita e lasciata senza neanche uno straccio con cui cambiarsi. Per chi l’aveva presa, una cavernicola?

«Avrei dovuto immaginarlo. Sapevo che questo momento sarebbe arrivato.»

Klaus le fece cenno di seguirlo in un’altra stanza, che si trovava proprio di fronte alla sua: era leggermente più piccola, adibita a guardaroba. Vi erano anche una poltrona, una sedia da ufficio e una scrivania, sopra la quale faceva bella mostra di sé un pc portatile relativamente nuovo. L’ibrido si trattava bene… e, in effetti, un guardaroba ben fornito gli era davvero necessario, visto che continuava a tornare a casa imbrattato di sangue dalla testa ai piedi.

Aprì un cassetto a lato della scrivanie e ne estrasse un portatessere.

«Darti un limite di spesa sarebbe inutile, giusto?» lanciò un’occhiata alla vampira accanto a lui.

«Dammi una carta con plafond illimitato, piuttosto. Sei fortunato che io mi limiti ai vestiti. Potrei chiederti cinquecento anni di alimenti non pagati» gli rifilò un sorriso innocente, «e i danni morali per avermi circuita e convinta a sposarti con l’inganno. È motivo di annullamento del matrimonio, lo sapevi?»

Lui incassò il colpo. Anzi, scoprì di essere addirittura divertito. Katerina aveva la lingua biforcuta e la battuta pronta: gli piaceva. Quando era umana era troppo inesperta e attenta all’etichetta del tempo per permettersi tanta sfrontatezza. Era lasciva, egoista, egoista e calcolatrice e non si preoccupava neanche più di nasconderlo.

Eppure, dentro di lei, c’era ancora quella ragazzina ingenua e piena di speranze che aveva conosciuto in Inghilterra.

Klaus si riscosse da quei pensieri e lasciò tre carte di credito sul piano della scrivana e si avvicinò di più a Katherine. La fissò in silenzio per un lungo istante, poi alzò una mano e le accarezzò i capelli – aveva sempre adorato quei lunghi boccoli. Neanche Tatia aveva potuto vantare una chioma come quella.

«Sai, non mi dispiacerebbe rivederti con uno degli abiti ampi e riccamente decorati che indossavi quando ci siamo conosciuti. Ti stavano molto bene. Era piacevole guardarti» si chinò su di lei, sfiorandole una guancia con la propria e sentì il suo intero corpo irrigidirsi. Credeva che l’avrebbe morsa? Oh, la voglia di farlo era forte… lei aveva sempre avuto un’aria appetitosa. «Ed era altrettanto piacevole toglierteli.»

Katherine si sentì avvampare, ma non mosse un muscolo né tentò di replicare a parole. Si ritrovò improvvisamente sola nello studio.

Dunque era quello il gioco di Klaus? Provocarla facendo leva sul passato? Perfetto, pensò lei, bruciando con lo sguardo le carte di credito che aveva davanti. Avrebbe fatto il suo stesso gioco. E speso tutti i suoi soldi.

 

 

 ***

 

 

Katherine aveva effettivamente speso una fortuna comprando di tutto e di più: intimo, sottovesti per dormire, tre set da bagno, scarpe, qualche decina di leggins, altrettante canottiere, una valanga di scarpe, magliette, gonne, abiti per ogni occasione, senza ovviamente dimenticare una scorta decennale di makeup e accessori per capelli.

Era stata anche ben attenta a scegliere gli articoli più costosi. La maglietta bianca che indossava quel giorno, ad esempio, portava la firma di un noto stilista italiano.

Gongolò da sola al pensiero, raggomitolata sul divano del salotto – i tacchi ben piantati nella stoffa pregiata con cui era ricoperto – con un libro sulle gambe. Era piacevolmente immersa nella lettura da tre ore, quando avvertì la presenza di Klaus in casa. Sperare che avesse qualcosa da fare e che quindi decidesse di ignorarla fu inutile: in meno di tre secondi l’ibrido era già alle sue spalle.

«Com’è andata con Elena?»

Katherine chiuse il libro con un colpo secco. Si alzò dal divano, sistemò le pieghe dei jeans sulle gambe e si incamminò verso la porta, evitando accuratamente di guardare in faccia Klaus. Il suo desiderio di tranquillità ebbe vita breve, però, perché si sentì afferrare per un braccio.

«Ti ho fatto una domanda.»

«E io sto cercando di ignorarti.»

Lo sentì sorridere e il gelo si impadronì di lei. Aveva un brutto presentimento.

«Non è per ignorarmi che ti ho portata qui.»

Si voltò lentamente a guardarlo, cercando di studiare i tratti del suo volto per capire cosa stesse macchinando. «Portata? Rapita, vorrai dire. Si chiama sequestro di persona ed è un reato.»

«Anche l’abbandono del tetto coniugale lo è, love

«Credo che pianificare un uxoricidio sia giusto un pelo più grave» puntualizzò lei acidamente, poi fissò la mano che lui teneva ancora stretta al suo braccio. Il contatto con la pelle nuda la fece rabbrividire.

«Abbiamo già vissuto questa scena» commentò, atona. «Gradirei tornare in camera mia.»

Klaus la fissò in silenzio, come soleva fare in moltissime occasioni e non solo con lei, poi, rapidamente, le afferrò i fianchi e l’attirò a sé. «Io invece credo che dovremmo trascorrere del tempo insieme.»

La sua voce era un sussurro sensuale, l’accento inglese più marcato del solito, ma i suoi occhi brillavano di follia. Sembrava pronto a commettere un massacro.

Katherine si sentì in pericolo e ne ebbe conferma dal modo in cui lui le sorrise. Voleva andarsene, ma al tempo stesso non riusciva a non guardarlo. «Non risolveremo niente comunque… e io ho già chiarito la mia posizione.»

«Adesso sta a me decidere la tua posizione, Katerina

Lei lo guardò negli occhi un solo istante e tremò di paura. Tremò visibilmente, senza vergognarsi né cercare di nasconderlo. Tentò di divincolarsi dalla sua stretta per scappare, ma lui le afferrò i capelli, tirando con forza e facendole perdere l’equilibrio.

Katherine sbatté un fianco contro lo schienale del divano e uscì dal salotto l’istante successivo, ma lui le fu dietro in un secondo. Lo sentì alle sue spalle e lo colpì tra le costole con un gomito: questo le diede due secondi netti di vantaggio, ma furono sufficienti solo a correre verso il gran salone delle feste.

Un forte colpo alla schiena le mozzò il respiro in gola e la fece cadere a terra. Klaus ne approfittò e si piegò su di lei per immobilizzarla, ma lei fu più rapida e piegò le gambe. Ebbe così modo di darsi la spinta per allontanarlo e rimettersi in piedi.

Non aveva intenzione di arrendersi, ma era spaventata: i suoi cinquecento anni non erano sufficienti a pareggiare l’abilità di Klaus nello scontro fisico. Lui era un vampiro di mille anni e aveva in sé la forza fisica e l’aggressività dei licantropi.

«Sei sempre stata una sfida divertente» commentò lui, senza neanche il respiro veloce, calmo come se stesse guardando le farfalle nel cielo.

«Tu invece sei sempre stato un dannato psicopatico.»

L’attimo successivo Katherine si ritrovò schiacciata al muro con l’ibrido addosso, pericolosamente vicino.

«Se non vuoi collaborare di tua iniziativa, sarò costretto a darti un piccolo aiuto.»

E lei capì. E tremò, terrorizzata.

«No…» sussurrò, incredula, scuotendo appena il capo. «Non puoi…»

Il volto di lui si tinse di malizia e follia. «Posso e lo farò.»

«No!»

Con tutte le forze che aveva in corpo, Katherine mise le mani sul petto di Klaus e spinse, approfittando immediatamente di quel momento per scappare – ma era soggiogata a non uscire da quella casa, dove avrebbe potuto trovare riparo? Nonostante questa consapevolezza, nonostante sapesse di non potergli sfuggire, lei non si arrese.

Katherine Pierce non era una che si arrendeva. Era una lottatrice. Avrebbe tentato ogni cosa per salvarsi anche davanti all’inevitabile sconfitta.

Corse attraverso il salone nella stanza immediatamente accanto, sbattendosi la porta alle spalle, porta che Klaus buttò giù con un calcio. Non sembrava più divertito da quella caccia domestica.

Voleva una cosa e l’avrebbe ottenuta.

«Smettila di opporti!» gridò, fuori di sé. «Sai che non hai scampo.»

«Preferisco morire!»

Era vero: la morte sarebbe stata meno umiliante e più facile da sopportare. Klaus le aveva già tolto quasi tutto quello che aveva. Non gli avrebbe mai dato la propria dignità.

Lui la rincorse di nuovo e, senza la minima fatica, la afferrò per le spalle, stringendo così forte da conficcarle le unghie nella carne. Lei si dimenò come un’indemoniata, sbatté le gambe contro un tavolo e perse l’equilibrio quando lui allentò la presa, cadendo per terra accanto a un lungo divano bianco.

Si mosse subito per rialzarsi, ma Klaus fu più veloce: si chinò e, afferrandola per i fianchi, la spinse sul divano. Si gettò su di lei per evitare che gli sfuggisse di nuovo e le bloccò le gambe con le proprie.

Katherine sentì il peso della sconfitta e della disgrazia su di sé. Chiuse immediatamente gli occhi. «Non farlo!»

«Sei tu che mi costringi» Klaus portò il viso a pochissima distanza dal suo, come se volesse baciarla. «Guardami

Lei scosse la testa, sforzandosi per resistere a quell’ordine. Tremava. Era terrorizzata come poche volte in vita sua. «No, no!» gli batté i pugni sul petto.

Lui, in risposta, le afferrò i polsi e li premette con forza sul cuscino accanto alla sua testa.

«Ho detto guardami!» tuonò e la sua voce le spezzò il cuore e l’anima.

Katherine aprì gli occhi, colmi di lacrime e paura. Non riusciva a smettere di tremare. «Klaus, ti prego, no!» esclamò, quasi in preda ad una crisi isterica.

«Katerina

Lei non poté distogliere lo sguardo dal suo. Era finita.

«Ti ordino…» iniziò lui, ora con un lieve affanno per la lotta «di riportare alla luce…»

«No…»

«…i sentimenti che provavi per me cinquecento anni fa» sembrava un rito macabro, il sacrificio di un innocente sull’altare della follia.

Lei, privata di ogni forza, scosse debolmente la testa. «Non farmi questo…»

«Ti ordino di riaccendere la tua umanità e l’amore che ti legava a me.»

Trascorsero lunghi istanti di silenzio. Katherine smise di tremare. Aveva gli occhi sbarrati, vuoti, una maschera di orrore dipinta sul suo bel volto dai tratti delicati.

Poi, all’improvviso gridò. Era un grido acuto, doloroso, che liberava tutta la sua sofferenza in un lamento lancinante. Era come se la sua anima stesse morendo.

Infine, non si mosse più. Aveva lo sguardo perso nel vuoto e le guance bagnate di lacrime.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Talk, talk, talk ***


 

*Act V*

Talk, talk, talk

 

 

 

 

Stefan Salvatore era una persona silenziosa e riflessiva. Non parlava molto, preferiva fermarsi a pensare. Anche in quel momento aveva le labbra serrate ma la mente in fermento.

Aveva bisogno di riflettere sulla sua situazione con Elena.

Era a conoscenza della sua attrazione nei confronti di Damon, ma lui faceva sempre quell’effetto: il fascino del bello e tenebroso, ironico e imprevedibile faceva colpo su chiunque.

Anche sulla sua ragazza.

Lui, però, aveva capito che c’era dell’altro: Elena era il tipo da relazione stabile e duratura e se vacillava per suo fratello allora la cosa era seria. E preoccupante. Non era solo attrazione fisica.

Era molto peggio.

Cosa poteva fare? Aveva sempre cercato di non interferire nelle sue decisioni, ma non voleva perderla. Erano tornati di nuovo insieme, sì, ma in un modo… strano. Non era come prima, quando lei non sapeva come fosse la sua vera essenza di ripper. Da quel momento le cose erano cambiate e riprendere la loro relazione era stato difficile.

Poteva forse biasimarla? In fin dei conti, Damon era innamorato di lei da molto tempo e le era stato vicino durante la sua assenza. Davvero non era successo niente tra loro?

Stefan scosse la testa, stringendo i pugni lungo i fianchi: nonostante tutto, Damon gli era sempre stato leale ed Elena non era quel genere di ragazza.

Cosa poteva fare? La storia di Katherine si stava ripetendo, ma questa volta non sarebbe stato a guardare: non si sarebbe più fatto trasportare dai sentimenti. Doveva fare qualcosa per capire quali fossero i veri sentimenti di Elena per lui e per suo fratello.

Anche se il pensiero che lei potesse scegliere Damon a lui era devastante.

«Ti vedo pensieroso.»

Stefan chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro.

«Dovresti smetterla di fare lo stalker. Prima o poi ti beccherai una denuncia.»

Klaus si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla con fare amichevole, guadagnandosi un’occhiataccia in risposta. «È un po’ che non ti vedo in giro, Stefan.»

«Non ho sentito la tua mancanza, se è questo che vuoi sapere» gli disse lui, atono.

Sul volto dell’ibrido apparve un’espressione più divertita che affranta, nonostante le sue parole. «Mi spezzi il cuore.»

Oh, quanto avrebbe voluto farlo davvero.

«Non ti ho visto per una settimana intera» iniziò a passeggiare accanto a lui, pur senza essere stato invitato a farlo.

«Cercavo di digerire la cena.»

«Elena l’ha digerita meglio di te.»

Klaus gli sorrise in un modo che non gli piacque: era beffardo e inquietante allo stesso tempo. Cosa c’entrava Elena?

Stefan non disse nulla, si limitò a guardarlo dubbioso, la fronte corrugata e tutti i sensi all’erta.

«Oh, che sciocco!» l’altro si portò teatralmente una mano davanti alla bocca. «Non avrei mai immaginato che non te l’avrebbe detto.»

«Detto cosa?» la voce gli uscì quasi come un ringhio.

«Due giorni fa la docile Elena ha scambiato una sacca del suo delizioso sangue per una visita privata a Katerina.»



***



 

«Si può sapere perché l’hai fatto?!»

Come da copione, Stefan si era precipitato a casa Gilbert per una paternale con i fiocchi. Inizialmente lei aveva negato, poi, sotto le insistenze del vampiro, aveva confessato tutto.

«Non mi ha fatto niente, è addirittura uscito dalla sua stessa casa!»

Cercare di spiegare le sue motivazioni era piuttosto difficile, data la foga con cui Stefan la stava sgridando. Sì, sapeva che l’amava ed era preoccupato per lei, ma era stanca di essere sempre quella da proteggere a qualsiasi costo.

Elena non era una persona passiva e priva di iniziativa. Anche lei sentiva il bisogno di aiutare e proteggere le persone a lei care, anche lei era abbastanza coraggiosa da compiere gesti eroici.

Non aveva forse deciso di darsi in pasto a Klaus in cambio della salvezza di suo fratello e dei suoi amici, sapendo che avrebbe potuto chiudere gli occhi e non aprirli mai più?

«È stata una mia idea e una mia scelta e scusa tanto se ho cercato di farmi dire qualcosa dalla diretta interessata.»

Stefan camminava nervosamente intorno al tavolo della cucina. Guardò male la ragazza e sbuffò. «Hai scoperto qualcosa, almeno?»

Elena scosse la testa. «Katherine ne sa quanto noi. Le ho chiesto del suo passato, ma ha soltanto detto che il Klaus che ha conosciuto lei era molto diverso da quello che conosciamo noi.»

«Questo non ci serve» il vampiro sembrava essersi calmato. «Sappiamo bene quanto abile sia lui a mentire. Katherine era umana e giovane, sarà stato facile prendersi gioco di lei.»

La ragazza non rispose, l’aria era troppo tesa. Si avvicinò a lui e parlò piano. «Non volevo far preoccupare nessuno, davvero. Klaus non mi farebbe del male ora, gli servo viva e in buona salute, per questo ho voluto approfittarne.»

Prima di alzare bandiera bianca, Stefan le rivolse un ultimo sguardo di rimprovero.

«La prossima volta che ti viene un’idea, diccelo. Più teste lavorano meglio insieme.»

Elena annuì, contenta di aver terminato quella conversazione, poi lo accompagnò alla porta.

Lungo il tragitto verso casa, Stefan pensò di nuovo alla sua situazione amorosa: si chiese se fosse il caso di tenere Elena il più legata a sé possibile, o se fosse disposto a lasciarla andare per la sua strada e vivere altre esperienze senza farle pressioni.

Era sicuro di amarla come mai gli era successo con altre donne ed era sempre stato sicuro che la cosa fosse reciproca. Ma trasformarsi in un ripper senza cuore, abbandonarla e tornare reclamando il suo cuore aveva cambiato le cose.

Elena aveva visto la parte oscura della sua anima e sì, si erano riavvicinati e potevano considerarsi di nuovo una coppia, ma non era più come prima. Durante la sua assenza, Damon era stato il suo custode. Le era stato vicino, l’aveva aiutata e confortata e questo, lo sapeva, li aveva legati enormemente.

Stefan stava ancora imparando ad accettare il fatto che suo fratello fosse innamorato della sua ragazza… poteva accettare anche il fatto che la sua ragazza fosse visibilmente sempre più attratta da suo fratello?

Davanti a lui c’era un bivio: impedire a Elena di avvicinarsi ulteriormente a Damon, o lasciare che vivesse altre esperienze, aspettando e sperando che tornasse da lui.

«Stefan?»

Alzò la testa e si trovò davanti Caroline. Gli venne improvvisamente voglia di sfogarsi con qualcuno. «Vai da Elena?»

«Esatto. Klaus non si è ancora, potrebbe avere qualcosa in mente, quindi…»

«Non serve» la interruppe lui. «Ci ha già pensato Elena. È andata a casa sua e ha chiesto di parlare con Katherine in cambio di una sacca di sangue.»

Caroline batté un piede per terra e soffocò un’imprecazione. «Com’è andata?»

«Andiamo a casa, saremo più tranquilli.»





«…Katherine non sa nulla, quindi è stato del tutto inutile» porse una tazza di caffè alla vampira.

«Grazie. Insomma, chi ci ha guadagnato alla fine è stato di nuovo Klaus» lo disse quasi ringhiando dalla rabbia. «Katherine come sta? Ha perso un po’ della sua insopportabile spocchia?»

Stefan sorrise, prendendo posto sul divano accanto a lei. «Niente gliela farebbe perdere.»

Caroline mandò giù il suo caffè in due rapidi sorsi. «Tutto questo è così assurdo» scosse la testa e i boccoli biondi seguirono quel movimento. «A volte non mi sembra ancora vero che Klaus e Katherine siano sposati.»

«Dillo a me…»

Lei gli accarezzò una spalla. «Eri innamorato di una finzione.»

«Qualcosa di vero c’era» ammise, forse per la prima volta, «ma Katherine non sa rinunciare ai suoi propositi. Per lei tutto è sacrificabile.»

Caroline lo guardò per qualche istante: sembrava provato, schiacciato dai ricordi e dalla situazione. Non solo per Katherine e Klaus, ma perché quel triangolo amoroso lo stava distruggendo.

«Posso comprendere le ragioni di Elena e so che anche tu puoi» disse dolcemente. «Voleva solo essere utile, non sa stare ferma a guardare le persone che ama sbattersi per lei. Al posto suo credo che avrei fatto lo stesso, anche se ciò non toglie che sia stata parecchio imprudente.»

Stefan si sforzò di sorridere. Caroline era una buona amica per lui, anche se all’inizio aveva provato sfacciatamente a infilarsi nel suo letto, per finire poi in quello di Damon.

«Non riesco a non preoccuparmi per lei, soprattutto ora che siamo in questa relazione incerta.»

La vampira abbassò lo sguardo. Elena aveva Stefan che l’amava da impazzire, eppure lo feriva continuamente per una stupida sbandata senza futuro. Gettava a terra il cuore di Stefan ogni volta che guardava Damon, o che pensava a lui, o che si fidava di lui – fidarsi di Damon? Mai.

Lei e Tyler avrebbero dato qualsiasi cosa pur di stare insieme un decimo del tempo che Elena passava con Stefan. L’amica le faceva una gran rabbia, non riusciva ad allontanare da sé quel sentimento, pur sapendo che era sbagliato.

«Credo che lei non ti meriti» sputò con acidità. «Di certo non ti sta trattando bene e sembra che neanche le importi.»

Stefan la guardò con occhi increduli per qualche istante. Lei si accorse di ciò che aveva detto e soprattutto di come lo aveva detto e si vergognò.

«No, cioè… volevo dire… io…» balbettò.

«Tyler ti manca molto, vero?»

Caroline gli rivolse uno sguardo triste e sconsolato, ma colmo di gratitudine: lui la capiva meglio di chiunque altro.

«Da morire» ammise in un sussurro. «Non ci sentiamo mai. Gli lascio un sacco di messaggi in segreteria, ma mi ha chiamata solo due volte da quando è partito.»

Stefan le passò un braccio intorno alle spalle, lei posò la testa sulla sua. In quel momento difficile e in cui l’assenza di Tyler era a dir poco devastante, avere un amico con cui parlare era un dono dal cielo.

A volte Caroline pensava che solo Stefan fosse davvero in grado di capirla e sostenerla.

«Klaus è tornato alla carica?»

«No, grazie al cielo» rispose lei con un sospiro. «Credo e spero che questa situazione lo distragga.»

«Beh, non è difficile capire perché sia interessato a te.»

Caroline gli rifilò uno sguardo omicida. «Carne fresca, suppongo. Gratificazione dell’ego.»

Stefan ridacchiò a quelle parole. L’infatuazione di Klaus per Caroline aveva dei toni quasi comici. Certo, lei era bella, forte, combattiva e non gli aveva mai risparmiato una risposta a tono.

Ma sembrava che un giorno Klaus si fosse svegliato e avesse deciso di fare la corte alla prima ragazza che gli fosse passata davanti ed era capitata Miss Mystic Falls.

«Probabilmente sei una sfida per lui.»

«Probabilmente è solo un grandissimo stronzo.»

Di nuovo, Stefan rise divertito. Parlare con Caroline l’aveva aiutato a staccare un po’ la spina, allontanare i pensieri cupi di quel pomeriggio e la discussione con Elena. La giovane vampira era impulsiva e aveva la tendenza a giudicare subito e in modo severo il prossimo, ma era una buona ascoltatrice e per lui la sua amicizia era molto importante.

Damon scelse quel momento per rincasare.

Non sopportando la sua presenza, Caroline si alzò dal divano e annunciò che sarebbe andata da Elena con Bonnie. Salutò Stefan, guardò male Damon e corse fuori.

«Wow, Vampire Barbie mi adora» commentò lui.

Stefan scrollò le spalle. «Non puoi biasimarla, non sei certo stato un cavaliere con lei.»

Damon si versò da bere in un bicchiere di cristallo e iniziò a passeggiare per il soggiorno. «Ho portato in salvo il suo egocentrico fondoschiena almeno un migliaio di volte. Non pretendo dei ringraziamenti, mi basterebbe che almeno crescesse» si portò il bicchiere alle labbra e non disse nulla sull’espressione antipatica del fratello.

«Oggi Elena è andata da Klaus» lo informò Stefan. «Gli ha offerto una sacca del suo sangue per parlare con Katherine.»

L’altro imprecò sottovoce.

«Non ha ottenuto nulla.»

«Sai che novità» replicò acidamente il maggiore dei due, finendo di bere in un solo sorso. «A quanto pare proteggere la principessa non è servito. Si passa al piano B.»

Stefan lo guardò in silenzio, curioso.

«Portarla via!» esclamò lui in tono ovvio.

«Damon…»

«No, niente “Damon”! Elena non è al sicuro qui, quindi la allontaniamo. Logico, no?»

«No che non lo è! È eccessivo!»

«Oh, certo, e invece lasciare che Klaus ce l’abbia sempre a disposizione sotto il naso o che lei vada da lui senza dirlo a nessuno è normale, vero?»

Stefan non rispose. Si passò la lingua sulle labbra secche e abbassò lo sguardo. Damon aveva ragione, ma lui non avrebbe mia acconsentito a una cosa del genere.

Elena non era un oggetto da spostare in base alle esigenze del momento. Era una persona con pensieri e sentimenti propri, in grado di intendere e di volere e sapeva da sé quanto pericolosa fosse la situazione.

Non potevano costringerla ad abbandonare la propria vita per iniziarne una fatta di fuga e di paura, chissà dove, guardandosi sempre le spalle e non potendo vivere un solo istante di libertà.

Come aveva vissuto Katherine per cinquecento anni.

«È una cosa troppo drastica e lo sai» disse, rialzando la testa. «Dobbiamo solo stare più attenti e proteggerla meglio.»

Damon lo guardò con sufficienza: era impossibile far capire a Stefan che, spesso, le soluzioni drastiche erano quelle che tenevano in vita la gente. «Agli ordini, grande puffo.»

Stefan aprì la bocca per ribattere in modo saggio e pacato, ma il campanello di casa lo bloccò. I due vampiri si scambiarono un’occhiata curiosa e andarono insieme ad aprire la porta.

«Signori… buongiorno.»



***



 

«Cioccolata?»

Elena era strana: era fin troppo servizievole con Bonnie e Caroline, sedute al tavolo della cucina. Aveva l’aria di qualcuno che ha qualcosa da confessare, ma non sa come e che, in tutta sincerità, neanche vuole farlo.

Bonnie era curiosa, attendeva che l’amica svuotasse il sacco e dicesse loro cos’aveva combinato di tanto grave, mentre Caroline moriva dalla voglia di spiattellare ai quattro venti tutto ciò che aveva saputo da Stefan.

Era sbagliato, certo, ma il comportamento avventato di Elena l’aveva fatta irritare. Inoltre l’amica si barcamenava in uno strano triangolo con due fratelli e uno di loro era Damon. Stare con un piede in due scarpe non andava bene e Damon… oh, Caroline lo odiava. Non avrebbe mai smesso di andargli conto a qualsiasi costo e in qualsiasi situazione.

Il cattivo comportamento del vampiro con lei la portava ad essere prevenuta riguardo una possibile futura relazione tra lui e l’amica; l’amicizia con Stefan, d’altro canto, sbilanciava il suo giudizio nettamente a favore del fratello buono.

Non le importava che l’animo di Stefan fosse oscuro né che Damon fosse cambiato nel tempo – per amore di Elena e di suo fratello – e che avesse salvato tutti quanti una decina di volte a testa: Damon era cattivo e avrebbe di sicuro fatto soffrire Elena.

Lei avrebbe sempre parteggiato per Stefan.

«Elena, siediti e sputa il rospo» disse a un certo punto Bonnie in tono deciso, rompendo il silenzio e il flusso di pensieri di Caroline.

Elena sospirò, posò il vassoio con le tre tazze di cioccolato sul tavolo e si sedette.

«Vi ho mentito oggi. Non sono stata male a scuola» esordì. Ignorò lo sbuffo irritato di Caroline e lo sguardo incredulo di Bonnie. «Volevo liquidarvi per andare alla villa di Klaus e parlare con Katherine.»

«Cosa?!» tuonò la strega. «Sei impazzita? Avrebbe potuto farti qualsiasi cosa!»

«Tranquilla, non si è presentata a mani vuote. Dico bene, cara la mia donatrice volontatia?

Caroline si beccò due occhiatacce.

«Gli hai dato il tuo sangue?» Bonnie era sempre più sconvolta. Si voltò poi verso la vampira. «E tu lo sapevi?»

«Chissà chi te l’ha detto» commentò acidamente Elena.

La bionda alzò le mani e le sopracciglia in un’espressione innocente. «Era solo preoccupato per te.»

Elena, tempo addietro, era stata molto grata a Stefan per l’aiuto che aveva dato a Caroline. Le aveva insegnato ogni cosa e saperli amici l’aveva resa felice. A volte, però, il loro legame così intenso e confidenziale l’aveva resa gelosa, più come amica che come fidanzata: più passava il tempo, più la lealtà di Caroline era riservata unicamente a lui.

Era amica sua prima di essere amica di Stefan e sì, lei era umana, Bonnie era una strega e con Damon i rapporti erano pessimi, quindi l’unico vampiro disposto a prenderla sotto la propria ala per insegnarle tutto e restarle accanto era Stefan… ma una nuova amicizia valeva il prezzo di quelle vecchie?

Elena si riscosse da quei pensieri. «Klaus l’ha detto a Stefan che l’ha detto a Caroline» spiegò. «E a questo punto immagino che lo sappia anche Damon.»

«Perché l’hai fatto? Cosa volevi da Katherine?»

«Risposte. Spiegazioni. Informazioni. Qualsiasi cosa potesse rivelarsi utile.»

«E hai fatto un buco nell’acqua» commentò Caroline con sufficienza, iniziando a sorseggiare la sua cioccolata.

Elena la guardò male di nuovo. «Dovevo almeno provarci.»

Bonnie, già stanca degli sguardi in cagnesco tra le due, cercò di tenere l’attenzione sull’argomento più importante. «Ti avrà pur detto qualcosa» incalzò, non senza un pizzico di curiosità.

«Ha detto solo che il Klaus che ha conosciuto lei cinquecento anni fa è molto diverso da quello che conosciamo noi.»

«Beh, quest’informazione…» Bonnie ci rifletté seriamente, ma scosse la testa sconsolata «è del tutto inutile.»

Le ragazze dedicarono qualche silenzioso minuto alla cioccolata e alla riflessione.

La situazione era a un punto morto: volevano impedire a Klaus di creare il legame con Elena, ma nessuno sapeva come. Far evadere Katherine dalla villa degli orrori avrebbe rallentato quel folle piano, ma non c’era modo di farle fuggire, perché Klaus aveva preso delle precauzioni più che perfette per evitarlo.

«Abbiamo le mani legate» sospirò Caroline, fissando intensamente la sua tazza vuota. «A questo punto concentriamoci sulla vita da liceali.»

«Caroline…»

«Che altro possiamo fare?» sbottò la vampira. «Katherine non può uscire da quella casa e noi possiamo solo continuare a proteggerti.»

Bonnie voleva ribattere, ma non trovò nulla con cui farlo. «Purtroppo è vero, Elena. Siamo del tutto impotenti.»

Ci fu un momento di silenzio carico di rabbia e frustrazione prima che Caroline riprendesse a parlare. «Ho una novità. Tyler sta tornando a Mystic Falls!»

«Care, è meraviglioso!» esclamò Elena, saltando in piedi per abbracciare l’amica. Era sinceramente contenta per lei.

«È stata dura senza di lui» confessò la vampira con gli occhi lucidi.

«Sarà stata dura anche per lui senza di te» Bonnie le strinse forte la mano e sorrise.

Caroline e Tyler erano una coppia fuori dal comune, ma erano perfetti. Un vampiro e un licantropo uniti da qualcosa che era in grado di oltrepassare le barriere che la natura aveva loro imposto.

Un tempo lei era stata sciocca e superficiale e lui era stato viziato e arrogante.

La trasformazione li aveva costretti a cambiare e maturare in fretta attraverso il dolore e le conseguenze derivate dalla loro nuova natura. Si erano aiutati a vicenda, erano stati l’uno il supporto dell’altra, fino a innamorarsi con tutta l’anima.

Caroline non riusciva a immaginare una vita – umana o sovrannaturale – senza di lui.

«Dobbiamo festeggiare» propose Bonnie.

«Matt è ancora a Denver con Jeremy.»

Elena sorrise. «Allora festeggeremo due volte.»

Ripose le tazze nel lavandino e iniziò a lavarle lentamente. Jeremy le mancava da morire. Era l’ultimo membro rimasto della sua famiglia e la casa era vuota ora che ci viveva da sola. Quando la mancanza del fratello si faceva insopportabile, Elena iniziava a ripulire la casa da cima a fondo con un vigore nato dalla sofferenza.

Si sentiva terribilmente sola. Aveva tanti amici che le volevano bene e lei era grata per questo, ma Jeremy era suo fratello. Era diverso da tutti gli altri.

Nonostante questo, però, sapeva di aver fatto la scelta giusta: Jeremy doveva essere protetto e lei avrebbe fatto qualunque cosa pur di saperlo al sicuro.

Si accorse di aver strofinato le tazze con tanta forza da avere i polpastrelli arrossati. In quel momento suonò il campanello e colse l’occasione per asciugarsi le mani e allontanare dalla sua mente la tristezza per quella situazione difficile.

Alla porta non c’era nessuno, ma sul tappeto faceva bella mostra di sé una busta color avorio con il suo nome scritto su, in una grafia elegante e ricercata.

Sbatté la porta e tornò in cucina, lanciando la busta sul tavolo.

«Di chi è?» chiese Caroline, prendendola tra le mani.

«Temo di saperlo anche senza aprirla.»

La vampira tirò fuori il biglietto, lesse le poche parole che riportava e fece un’espressione disgustata. «Klaus ti invita a cena nella sua villa degli orrori.»

 

 

 ***

 

 

«Deve averci preso gusto.»

Damon prese in mano il cellulare e chiamò Elena, che rispose al primo squillo.

«Dimmi che non è come penso» fu il saluto della ragazza.

Il vampiro roteò gli occhi al cielo e guardò il fratello. «L’ha ricevuta anche lei.»

«Grandioso.»

«Elena? Esatto. Tutti e due.»

«Cosa vorrà ora?»

«Fare il gradasso e metterci ansia addosso» disse lui con una smorfia. «Ci saremo noi con te, tranquilla. Ok. A dopo.»

Damon infilò il telefono nella tasca anteriore dei jeans e si svaccò sul divano. «Bonnie e Caroline erano con lei quando ha ricevuto l’invito, proverà a sentirle per vedere se sono comprese anche loro, ma ne dubito.»

Stefan aggrottò le sopracciglia. «Perché ne dubiti?»

«Perché stiamo parlando di Klaus, fratellino. Se fosse qualcosa di grosso lo saprebbe già tutto il mondo e invece di una cena organizzerebbe una conferenza stampa in diretta mondiale. E poi» gli fece l’occhiolino «noi abbiamo un anno nella manica.»

«Sempre ammesso che non ci tradisca.»

Il cellulare di Damon vibrò nei suoi pantaloni. Il vampiro fece una smorfia goduriosa che strappò un risolino al fratello e lesse il messaggio.

«Che ti dicevo? Vampire Barbie e Sabrina la strega non sono nella viplist.»

Stefan non lo diede a vedere, ma era infastidito dalla confidenza tra Elena e Damon: si chiamano, si mandavano sms, avevano un modo tutto loro di comunicare e scherzare… era geloso marcio.

Elena era il suo grande amore e Damon era suo fratello. E tra loro c’era qualcosa.

La storia di Katherine si stava ripetendo.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** It's Been A Long Time ***


 

*Act VI*

It’s Been A Long Time

 

 

 

 

Elena sentì suonare il campanello e pensò che sradicarlo dal muro fosse una buona idea. Non ne poteva più di gente che si presentava alla sua porta e inviti ambigui da parte di ibridi originari.

Si diede un ultimo sguardo allo specchio, sperando di non sembrare frivola con quel vestito a fiori a metà coscia e il copri spalle color panna abbinato. Scosse la testa, calciò via le scarpe col tacco e indossò un paio di innocenti ballerine, poi corse al piano di sotto, afferrò la borsetta lasciata prima sul tavolo della cucina e aprì la porta.

«Buonasera, signorina» salutò Damon in un perfetto accento italiano.

«Buonasera» sorrise ai due fratelli, non senza avvertire una certa emozione, e insieme si incamminarono verso la villa di Lord Niklaus.

«Pensate che ci sarà anche Katherine?» chiese strada facendo.

«Credo di sì. Il bastardo ama fare le cose in grande, se ha qualcosa da mostrarci lo farà davanti a tutti» rispose Stefan.

Elena rimase colpita dalle sue parole e dal suo tono di voce. Stefan era sempre stato tranquillo, ragionevole e comprensivo. Un porto sicuro.

Sapere la verità sulla sua natura di squartatore l’aveva sconvolta: come poteva una persona sola avere un tale sbalzo di comportamento? Poteva la trasformazione in vampiro far cambiare così tanto qualcuno?

Stefan le aveva confessato che la natura di ripper era sempre stata dentro di lui. Elena aveva a lungo fatto finta di non crederci: era molto più facile dare la colpa alla vampirizzazione e al sangue.

«Eccoci qui.»

La voce di Damon interruppe il flusso dei suoi pensieri deprimenti.

La villa era immensa. Non si sarebbe mai abituata a vedere quel posto così sontuoso. Al posto di Klaus si sarebbe sentita terribilmente sola a vivere in un posto tanto grande – casa Gilbert era già troppo per lei.

«Benvenuti.»

Fu Elijah ad accoglierli, con grande sorpresa di Elena: non lo vedeva da molto tempo, non aveva idea che fosse tornato.

«Da questa parte» fece strada verso la stessa sala dove avevano cenato la volta precedente.

Elijah faticò a nascondere la sorpresa che provò nel vedere Katherine: la vampira era in attesa degli ospiti, in piedi accanto a Klaus, immobile come una statua. Era brava a recitare, ma c’era qualcosa di diverso in lei. Stava davvero recitando?

Non ascoltò le baggianate che suo fratello rifilò al trio, era intento a studiare la sua vecchia fiamma.

Guardò Klaus posarle una mano sulla spalla e chinarsi verso di lei mentre le diceva di sedersi. Gli erano state promesse spiegazioni a tempo debito, ma in quel momento non era sicuro di poter attendere i tempi e i capricci del fratello.

Sul volto di Klaus aleggiava costantemente un sorriso irritante. Elena non lo sopportava e non riusciva neanche a godersi la prima portata di quella cena: evitare il contatto visivo con Klaus la portava a fissare insistentemente Katherine.

La vampira sembrava un’altra persona rispetto a due giorni prima: teneva lo sguardo basso, non parlava e si muoveva quel tanto che bastava per bere e mangiare.

Dai movimenti di Klaus capì che, di tanto in tanto, lui le toccava la gamba e in quei momenti lei si irrigidiva. Alzava lo sguardo solo verso di lui, che in quegli istanti dedicava a lei tutta la sua attenzione e le rivolgeva in inquietante sorriso da predatore.

Cos’era successo? Perché Katherine era così diversa? Cosa le aveva fatto quel bastardo?

«La cena non è di tuo gradimento, love

La voce del bastardo la riscosse dai suoi pensieri. Elena alzò lo sguardo su di lui e provò un istantaneo disgusto. «La cena è ottima. Chi hai minacciato per fartela cucinare?»

Lui alzò le sopracciglia in un’espressione di stupore, divertito da quella risposta. «Qualcosa ti turba?»

«A parte te?»

Damon posò una mano sulla sua e la fissò severamente: non era il caso di far arrabbiare Klaus, lui e Stefan avevano un piano e, nonostante l’inaspettato cambiamento di Katherine, non potevano farlo saltare.

Elena capì l’avvertimento e corresse il tiro. «Non ho ancora preso una decisione riguardo la tua proposta.»

«Lo immaginavo» annuì Klaus, versando del vino per sé e per Katherine. «Della cara Bonnie cosa mi dici?»

«Le ricerche continuano» mentì, erano già finite da un pezzo, «ma non farà mai un incantesimo simile.»

«Immaginavo anche questo. Ah, le streghe Bennett… tanto preziose e capaci quanto difficili da convincere.»

La conversazione si spostò su argomenti frivoli e neutri. Tutti dissero qualcosa, eccetto Katherine. Stefan sedeva alla sua sinistra, ma non riusciva a vederla bene in viso perché lei teneva il capo chino e i capelli sciolti che le ricadevano davanti su entrambi i lati.

Si chiese se, viste le sue strane condizioni, fosse il caso di proseguire con il piano, ma quando vide Elijah e Damon alzarsi capì che era troppo tardi e comunque, rifletté poi, Katherine non era così importante. Non per lui.

Elena osservò il volto dell’antico e sospettò qualcosa, ma i suoi sospetti vennero confermati quando lesse “complotto” nello sguardo serio di Stefan.

Voleva parlare con Katherine.

«Fratello… il dolce.»

Elijah mostrò un vassoio con i pugnali che addormentavano gli antichi. Klaus sbiancò e scattò in piedi, subito imitato dagli altri.

«Cosa hai fatto?» tuonò rabbiosamente. Tradimento.

«Non sei degno di fiducia. Mi hai tradito troppe volte, ho dovuto agire prima di te» spiegò pacatamente il maggiore dei due.

Alla sue spalle apparvero Rebekah, con indosso ancora il vestito del ballo a cui non aveva mai partecipato, e due persone che Elena non aveva mai visto: un adolescente e un uomo adulto.

«Rebekah…» sussurrò Klaus, con gli occhi sgranati e visibilmente in difficoltà. «Kol, Finn.»

L’aria era tesa, sarebbe scoppiato un putiferio in quella casa da lì a poco. Damon volò accanto a Elena e le afferrò un braccio. «Andiamo» disse con urgenza.

«Cosa? No!» la ragazza si voltò verso la sua antenata. «Katherine!»

«Dobbiamo andarcene» insistette Stefan, «lascia stare.»

Lei scosse la testa. «Katherine! Katherine!»

Sentendosi chiamare a gran voce, la vampira alzò la testa. Sul suo volto c’era un’espressione piatta, indecifrabile e i suoi occhi erano vuoti. In lei non era rimasto nulla della crudele, sexy cospiratrice egoista che tutti conoscevano.

«Andate. Ora» intimò Elijah e i fratelli Salvatore abbandonarono subito quella casa, trascinandosi dietro Elena.

Rimasti soli, i fratelli Mikaelson avevano molto da dirsi.

«Razza di bastardo» Rebekah era già fuori di sé dalla rabbia.

«È stata Elena a pugnalarti» si difese subito Klaus, visibilmente preoccupato.

«Quella cagna di Elena mi avrà anche pugnalata, ma tu non hai estratto il pugnale dal mio petto!»

Kol sfoderò un ghigno che di fraterno non aveva assolutamente nulla. Del resto, come poteva? «Tenerci chiusi in quelle bare per secoli… bella mossa, fratello.»

Finn non parlò. Era arrabbiato e deluso, certo, ma non voleva azzuffarsi con i suoi fratelli. Era sempre stato il più pacato tra tutti, non aveva mai amato le liti. Anche in quell’occasione, nonostante fosse suo diritto dare di matto, preferì tacere. Voleva uscire da quella casa e stare da solo.

Con un gesto fulmineo, Kol afferrò un coltello e lo lanciò verso Klaus, che lo bloccò senza il minimo sforzo. Notò poi la silenziosa figura in piedi accanto a lui e le si avvicinò velocemente, accarezzandole il viso con una mano.

«E questa signorina chi è?»

Klaus lo spinse lontano e si parò davanti a lei. Aveva uno sguardo folle. Katherine, istintivamente, si fece più piccola dietro la sua schiena, in cerca di protezione.

Elijah osservò la scena con gli occhi sgranati. Era incredulo. Sconvolto. Cosa diavolo era successo?

«Lei non si tocca» ringhiò minacciosamente Klaus.

Rebekah si fece avanti. «Quella è Katherine Pierce. O Katerina Petrova, dipende dai giorni.»

«Petrova. Ecco perché mi sembrava familiare» rispose Kol con interesse, senza però tentare un nuovo approccio con lei.

«Katerina, va’ in camera mia e restaci finché non arrivo.»

La vampira annuì e scappò da quella stanza il più velocemente possibile.

«Allora? Come vanno le cose?» riprese il più piccolo di loro, divertito da quell’insolita situazione. «Da quando convivi con la Petrova?»

Rebekah incrociò le braccia al petto, anche lei in attesa di spiegazioni: già, da quand’è che Klaus aveva ritrovato la passione per lei? Era da un po’ che aveva allentato la presa e diminuito gli sforzi per cercarla – del resto, il loro rapporto era basato sulla caccia più che sulla cattura.

«Ho bisogno di Katerina per una cosa. Ti conviene starle lontano, è molto irritabile.»

Elijah non si sarebbe mai accontentato di quelle poche parole. Voleva sapere tutta la verità e subito. «Forse dovresti dire a nostro fratello che cinquecento anni fa hai sposato Katerina, prima che lei scappasse e diventasse una vampira.»

Kol rimase a bocca aperta, poi emise un lungo fischio compiaciuto. Il suo interesse per Katherine era appena salito alle stelle. «Tua moglie… questo sì che è divertente.»

Klaus fulminò con lo sguardo prima lui e poi Elijah. Cosa voleva ottenere con quell’atteggiamento? Kol era sempre stato indomabile, l’unico modo per tenerlo a bada era rinchiuderlo in una cassa da morto con un pugnale conficcato nel petto.

«Siete ridicoli» sentenziò Rebekah. «Vado a farmi una doccia e indossare vestiti puliti. Questi puzzano di tradimento.»

Finn si limitò a scuotere la testa: i suoi fratelli non erano affatto cresciuti e questo lo deluse molto. Decise di lasciarli scannare tra di loro, voltò le spalle e cercò l’uscita. Non aveva la minima intenzione di sentirli litigare o vederli azzuffarsi tra loro.

Kol lo seguì, aveva voglia di visitare Mystic Falls e mettersi in pari con lo stile di vita di quell’epoca. Non voleva perdersi niente, perché sapeva che, presto o tardi, Klaus avrebbe cercato di infilarlo di nuovo in quella bara.

L’ibrido in questione era davvero nervoso. Non aveva affatto apprezzato quel colpo di testa. Aveva dei piani ed era sicuro che i suoi fratelli gli avrebbero procurato un sacco di problemi.

«La cena è terminata, Niklaus» disse Elijah, avvicinandosi a lui. «Mi devi delle spiegazioni.»




***


 

Caroline Forbes non riceveva molte visite, soprattutto da quando Tyler era andato via. Vedeva volentieri le sue amiche, ma si era chiusa molto in se stessa.

Tyler le mancava da morire.

Lei era una ragazza sentimentale, viveva tutto in modo molto intenso, era un tipo fisico e diretto. Aveva bisogno di vedere il proprio ragazzo ogni giorno, di stringergli la mano, di fare l’amore con lui, di condividere ogni cosa con lui.

Una relazione a distanza non era mai stata nei suoi programmi, eppure si era ritrovata a viverne una, sovrannaturale per di più.

Quando sentì il campanello suonare si precipitò alla porta, nella speranza che Tyler fosse tornato prima del previso, ma le sue speranze vennero subito infrante. Non c’era nessuno, ma c’erano un pacco e una busta.

La grafia pulita ed elegante la gettò nello sconforto. Cosa voleva ancora da lei? Si sentiva già frustrata di prima mattina. Posò malamente la scatola sul letto e lesse il biglietto: era un invito a un ballo formale a casa Mikaelson. Non vedeva l’ora.

Elena le aveva raccontato cos’era successo pochi giorni prima alla famosa cena, quindi Caroline non fu troppo sorpresa da quell’invito. Sollevò il coperchio bianco e rimase a bocca aperta: un vestito. Klaus le aveva regalato un vestito!

Accidenti a lui.

 

 

 ***

 

 

Katerina era inquieta. Klaus lo capì solo guardandola quando, più tardi quella sera, entrò nella propria stanza.

La vampira scattò in piedi appena vide la porta aprirsi. Non disse nulla, si limitò a guardare Klaus, fermo sulla soglia.

«Stai bene?»

Che domanda strana. Annuì.

«Non mi aspettavo il tradimento di Elijah. Mi dispiace che ti sia spaventata.»

Lei non parlò. Non lo faceva da quando lui l’aveva costretta a premere quel dannato bottone. Lo shock emotivo era stato così forte da toglierle la parola.

Klaus chiuse la porta alle proprie spalle e fece qualche passo verso di lei, tesa come una corda di violino. «Devo metterti in guardia, Kol è pericoloso.»

Katherine gli lanciò un’occhiata strana.

«Finn è innocuo, ma Kol è imprevedibile. Non dargli corda.»

Lei capì che non era un nuovo ordine, ma un semplice avvertimento. Gentile da parte sua. Il grande e potente Lord Niklaus si stava preoccupando per lei… questo le fece provare una strana – e fastidiosa – emozione.

L’ibrido alzò una mano e lei fece un passo indietro. «Non ho intenzione di farti del male.»

Qualcosa cambiò nel suo sguardo. Katherine lo fissò in un misto di riverenza e disprezzo. Era difficile per lei tenere a bada quegli antichi sentimenti e gestire allo stesso tempo l’odio per Klaus e la delusione per il suo comportamento.

«L’hai già fatto.»

La sua voce era un sussurro gelido, il suo sguardo tagliente. L’aria tra loro era tesa. Avrebbero potuto iniziare uno scontro da un momento all’altro, ma lei voleva solo uscire da quella stanza e stare per conto suo.

Klaus alzò di nuovo la mano e questa volta non desistette: le sfiorò il viso con la punta delle dita, tracciandone il contorno con estrema delicatezza. Katerina evitava il più possibile il contatto fisico tra loro, ogni volta che riusciva a toccarla era un vero traguardo per lui.

«Puoi andare» soffiò l’ibrido, fissandola intensamente negli occhi.

Lei non se lo fece ripetere due volte e corse fuori da quella maledetta stanza, che era tanto impregnata di lui da farla soffocare: Klaus era un uomo intenso, ogni cosa che lo riguardava era permeata dalla sua essenza, dal suo impeto nel vivere quella vita immortale, dalla sua passione.

Katherine si toccò la guancia, sentendosi avvampare.

Lo odiava per averla resa così vulnerabile.

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Welcome Back, Love ***


 

*Act VII*

Welcome Back, Love

 

 

 

Tyler Lockwood non era mai stato un tipo sentimentale. Si era sempre comportato in maniera superficiale con le ragazze, senza sforzarsi di fare qualcosa di carino.

Aveva avuto molte avventure di una notte e altrettante relazioni che, in media, duravano meno di due mesi. Era un bulletto arrogante e antipatico, senza il minimo senso del dovere e di responsabilità. Attaccava briga con chiunque ed era in guerra aperta con suo padre.

Poi era arrivata lei. Caroline Forbes. La ragazza più frivola e irritante che avesse mai conosciuto.

Caroline era bionda, carina, amante delle feste e dei bei fusti, capo cheerleader, appassionata di moda e maniaca della precisione, soprattutto quando, da egocentrica che era, si autoproclamava organizzatrice di qualsiasi evento. Era anche stata Miss Mystic Falls. Un titolo non da poco.

Tyler non le aveva mai dato credito, eppure ora era l’unica donna con la quale avrebbe voluto trascorrere il resto della sua vita.

Non era per gratitudine che si era interessato a lei: Caroline gli era stata vicina nei momenti più terribili, rischiando la sua stessa vita pur di non abbandonarlo.

Aveva scoperto che dietro l’aspetto da Miss e le espressioni da bambina c’era una persona insostituibile: forte, combattiva, determinata e di buon cuore. Era un vampiro che aiutava un licantropo, pur sapendo che un suo morso l’avrebbe uccisa.

Tyler si era innamorato di lei senza accorgersene.

Era per lei che aveva deciso di partire e spezzare il sirebond che lo legava a Klaus, perché quel maledetto asservimento l’aveva messa in pericolo e lui non l’avrebbe permesso mai più.

Amava Caroline con tutto se stesso. Sarebbe morto per lei.

Quel giorno, emozionato come non mai, si presentò a casa Forbes con un enorme mazzo di fiori tra le braccia. Suonò a fatica il campanello e quando la porta si aprì… oh, avrebbe ricordato quell’espressione per sempre.

Caroline aveva gli occhi sgranati e la bocca aperta. Rimase così a fissarlo per un minuto buono, chiedendosi se stesse sognando di nuovo o se finalmente il sogno fosse diventato realtà.

«Tyler…» sospirò infine con un filo di voce.

«Sono tornato.»

Lei sbatté le ciglia più volte, cercando di contenere le lacrime, ma fu del tutto inutile. «Sei davvero tu? Sei… sei qui…»

Per tutta risposta lui lasciò cadere a terra i fiori, la strinse a sé e la baciò: fu un bacio disperato, intenso, che lasciò entrambi senza fiato. Tyler respirò il profumo fruttato dei suoi capelli, Caroline lo stritolò con le braccia tanto forte che avrebbe potuto fargli male.

«Mi sei mancato da morire» singhiozzò la vampira, a metà tra il pianto e una risata isterica.

«Non me ne vado mai più» disse lui, prendendole il volto tra le mani e guardandola intensamente negli occhi azzurri. «Mai più.»

 

 

 

 ***

 

 

 

«Ricordi il mio matrimonio con Katerina?»

«Ero presente.» Finalmente Klaus si era deciso a parlare, pensò Elijah. Gli stava raccontando cos’era successo, senza omissioni né bugie.

«Il celebrante era un mago» spiegò in tono annoiato l’ibrido, dirigendosi in salotto. «Ci legò con la magia e l’incantesimo venne attivato la prima notte di nozze.»

Sapeva che Elijah si sarebbe infuriato, ma ormai il danno era fatto, era inutile arrabbiarsi. Inoltre, lui non avrebbe rinunciato ai suoi propositi.

«Voglio creare un legame con Elena, ma non posso farlo finché non rompo quello con Katerina, e siccome serviva a unirci, dato che non ci amavamo…»

«Lei ti amava» puntualizzò Elijah, già al limite della sopportazione. La donna del suo cuore aveva amato e sposato suo fratello. Faceva male dirlo a voce alta, ma era la verità.

Klaus lo ignorò. «L’unico modo per spezzarlo è renderlo inutile, quindi…»

«Mi stai dicendo che devi innamorarti di lei?»

«Questo è irrilevante.»

Elijah alzò una mano e cercò di mettere insieme i pezzi di quell’assurda situazione. «Aspetta, cosa c’entra questo con il cambiamento di Katerina? È stato il legame?»

L’altro si lasciò cadere mollemente sul divano e incrociò le gambe con pigrizia. «No, sono stato io. L’ho costretta a riaccendere la sua umanità.»

 

 

 ***

 

 

Elijah era stato molto vicino a torcere il collo a suo fratello. Non avrebbe mai immaginato che potesse fare una cosa simile… era fuori controllo. Era toppo da sopportare, troppo con cui convivere.

«So che sei lì da mezz’ora» la voce di Katherine giunse da dentro la stanza – proprio accanto a quella di Klaus, come un ennesimo dispetto. «Entra.»

Ci aveva messo qualche giorno a decidersi: non era stato facile per lui fare i conti con i sensi di colpa che provava nei confronti della vampira, tanto che non era tornato a casa per un’intera settimana.

Facendosi coraggio, l’originale aprì la porta. Katherine era seduta sul setto con un libro sulle gambe. Le tende erano semi aperte e il letto era in ombra.

«Scommettiamo che so anche perché sei qui?»

Gli fece segno di sedersi accanto a lei. Elijah obbedì e si sedette sul bordo, mantenendo un metro di distanza – era un Lord nato – e la studiò a fondo: all’apparenza non sembrava diversa, era sempre bellissima, con i capelli perfettamente in piega e la malizia dipinta sulle labbra.

Solo i suoi occhi erano diversi. A uno sguardo attento non poteva sfuggire la nota di malinconia che aveva minato la sua solita sicurezza.

«Mi dispiace» sussurrò, non osando toccarla, nonostante il forte desiderio di farlo – avrebbe sempre avuto desiderio di lei. «È colpa mia.»

Lei scosse la testa. «Non sei stato tu a mettermi in gabbia.»

«Ma sono stato io a dire a Klaus che volevi andare via. Gli ho parlato io dei tuoi dubbi sul suo strano corteggiamento.»

Katherine sapeva che avrebbe dovuto arrabbiarsi, ma non ci riusciva. Che fosse stato lui a spifferare tutto a Klaus non era una novità, l’aveva sempre saputo. Inoltre, lui dava sempre la sua parola, ma ogni volta spuntava fuori qualcosa che gliela faceva rimangiare in qualche modo.

«Ti stai confessando, Lord Elijah?» sorrise. «Vuoi il mio perdono?»

Lui rimase in silenzio. Poteva essere perdonato per ciò che aveva fatto? Avrebbe osato chiedere a Katherine di farlo?

«Klaus avrebbe trovato altri modi per ferirmi.»

«Ma non ti avrebbe sposata» che razza di persona era? Aveva sempre avuto un atteggiamento di superiorità, credendosi migliore di suo fratello, ma non era affatto diverso da lui. Anzi, era anche peggio.

Lei non disse nulla. Non era facile gestire la sua umanità insieme ai ricordi e ai sentimenti provati prima di diventare vampira, in aggiunta a tutte le azioni compiute in quei cinquecento anni.

Doveva essere arrabbiata con Elijah? Sì. Valeva la pena esserlo? No.

«Immagino quanto sia difficile per te questa situazione.»

«No, non lo sai» ribatté più acidamente di quanto voluto, «ma non si può fare nulla. Klaus ha preso ogni precauzione possibile per assicurarsi che io gli obbedisca ciecamente e che per nessun motivo possa lasciare questa casa. Battere i piedi per terra è inutile.»

I sensi di colpa di Elijah toccarono vette mai raggiunte prima. Katerina sarebbe sempre stata speciale per lui. Una parte del suo cuore le sarebbe sempre appartenuto.

«Cosa…» esitò qualche secondo. «Cosa provi per lui?»

La vampira non rispose. Parve in conflitto con se stessa e lo era davvero: cosa si poteva provare per uno psicopatico omicida come Klaus? Per uno che l’aveva chiusa in casa e costretta ad essere di nuovo vulnerabile? Per uno che l’aveva sposata con l’inganno?

Quella non risposta ferì Elijah, che abbassò lo sguardo. Era l’unico responsabile di quella situazione: come poteva convivere con quella croce addosso?

Katherine si allungò per sfiorargli la mano e lui fissò di nuovo il suo volto.

«Non crucciarti, Elijah. Ormai non ha più importanza. Possiamo solo andare avanti.»

 

 

 *** 

 

 

Rebekah si trovava di nuovo nella stessa situazione di sempre: Klaus la trattava come un oggetto, fregandosene dei suoi sentimenti e chiudendola in una bara quando non era d’accordo con le sue follie.

Cosa ci guadagnava a stargli vicino? Perché era così legata a lui?

Questa volta era davvero furiosa, non aveva alcuna intenzione di stare ancora dietro ai suoi capricci, sperando che fosse in buona e pregando di non contrarialo.

Era sua sorella, non la sua sguattera.

Aveva partecipato a quello stupido ballo poche sere prima per salvare le apparenze e godersi una serata mondana, ma si era rivelato un disastro: Matt non voleva saperne di lei, Klaus aveva fatto il cascamorto con quell’oca di Caroline ed Elena si era presentata al braccio di entrambi i fratelli Salvatore, da brava Petrova che era.

Davvero, cos’era quella fissazione delle Petrova per i fratelli? Tatia aveva fatto la smorfiosa con Klaus ed Elijah, che si erano contesi Katherine, la quale aveva avuto un’aperta relazione con Stefan e Damon nello stesso periodo e ora era toccato a Elena prendere il suo posto.

C’era qualcosa di profondamente sbagliato nel dna delle donne di quella famiglia.

«Voglio andarmene da qui.»

Kol si sedette sul divano accanto a lei, poi decise di sdraiarsi e appoggiare la testa sulle sue gambe. «Andiamo» le disse. «Non c’è niente per noi qui e io non ho intenzione di aspettare che Klaus ci pugnali di nuovo.»

Rebekah valutò le sue parole seriamente. «Potremmo farlo davvero» mormorò.

«Certo che possiamo» Kol alzò un braccio e le accarezzò i capelli. «Cosa ci trattiene qui?»

«Elijah.»

«Non abbandonerà mai Klaus, lo sai.»

Sì, lo sapeva. Guardò il viso del fratello e pensò che avesse dannatamente ragione. Perché perdere altro tempo a Mystic Falls? Matt in quel periodo non voleva neanche vederla per errore. Perché farsi comandare a bacchetta da quello stronzo di Klaus? Lui amava solo se stesso, non era in grado di provare sentimenti sinceri, sapeva solo usare gli altri per il proprio egoismo.

«Va bene.»

«Grande!» Kol balzò in piedi con un grande sorriso sulle labbra. «Vado a scegliere la nostra destinazione.»

Rebekah si lasciò contagiare dall’entusiasmo del fratello. Corse nella sua stanza per preparare la borsa e rifornirsi di contanti. Udì delle voci provenire dalla camera di Katherine, che notò essere proprio accanto a quella di Klaus. Scosse la testa e sentì Elijah scusarsi con la vampira: li ignorò, la cosa non la riguardava e non aveva la minima intenzione di farsi coinvolgere.

Dopo aver finito con i bagagli ed essersi ripassata il lucidalabbra, Rebekah scrisse un biglietto di saluti e lo affisse alla porta della stanza di Klaus con un coltello preso dalla cucina.

Scese le scale e trovò Kol ad attenderla nell’ingresso. Sembrava un bambino. Lui non aveva mai visto nulla del mondo, aveva una gran voglia di viaggiare e scoprire ogni cosa che si era perso durante i secoli che aveva passato chiuso nella bara.

Ora che ci pensava, non era molto diverso da lei: aveva sempre vissuto accanto a Klaus, seguendolo ovunque lui volesse, senza mai veder realizzato un suo desiderio. Ogni volta che era stata pronta ad abbandonarlo per seguire la propria strada o un amore, puntualmente quell’amore veniva ucciso o lei veniva pugnalata. O entrambi.

Negli anni ’20 Rebekah aveva scelto Stefan a Klaus e questo l’aveva fatta marcire nell’oblio per ottant’anni.

Sorrise, entusiasta, e afferrò la mano del suo fratellino.

«Andiamo!»



***



 

Finn aveva rifiutato ogni contatto con la sua famiglia. Detestava essere un vampiro, si considerava un abominio e preferiva morire piuttosto che vivere nel peccato mortale. La sua stessa esistenza era un peccato imperdonabile. Con che stato d’animo i suoi fratelli gioivano di quell’immortalità?

Stare da solo nel mondo moderno in quei giorni non era stato facile, ma aveva accettato aiuto e denaro da parte di Elijah. Lui non gli aveva chiesto niente, si era limitato a dargli ciò di cui aveva bisogno e di questo gli era molto grato.

Era riuscito a non cedere all’istinto di cibarsi di esseri umani e questo, di nuovo, grazie alle sacche di sangue che Elijah gli aveva dato. Sentiva enormemente la mancanza della sua vita umana: non aveva mai superato quella fase della vampirizzazione e, a dirla tutta, neanche voleva farlo.

Finn Mikaelson era un vampiro triste e malinconico, che odiava se stesso e non voleva riprendere alcun contatto con i suoi diabolici fratelli.

Klaus era uno psicopatico manipolatore che traeva godimento nel massacrare le persone.

Elijah vantava virtù che non gli appartenevano, sentendosi superiore agli altri, ma non si risparmiava un bagno di sangue.

Rebekah era una ragazzina rancorosa troppo succube di Klaus.

Kol era sempre in cerca di guai, per lui non esistevano regole.

Tutto ciò che Finn desiderava era trovare un modo per porre fine a quella patetica e mostruosa esistenza priva di senso.

Stava passeggiando lungo le vie di Mystic Falls, cercando sollievo al proprio malessere interiore, quando si sentì chiamare da una voce amata.

Si voltò e vide qualcuno che aveva sempre portato nel cuore. «Sage…?»

«Oh mio Dio» sussurrò la vampira. «Sei davvero tu.»

Per la prima volta dopo mille anni, Finn sentì qualcosa di dolce scaldargli il cuore. Sage gli saltò al collo e lo abbracciò con forza. Pianse senza vergogna, mormorando tra le lacrime che l’amava e che le era mancato da morire.

«Cosa ci fai qui?» chiese, ancora incredulo, respirando il suo profumo e ritrovando un po’ di quella pace che aveva perduto da tempo. «Perché sei a Mystic Falls?»

«Avevo delle cose da fare» sciolse l’abbraccio e lo guardò in viso. «Tu… com’è possibile?»

Lui scosse la testa. «Non importa. È una lunga storia.»

Continuava a sorridere. Sage era stata l’amore della sua vita prima che Klaus lo pugnalasse. Da quando si era risvegliato aveva pensato molto a lei, senza osare sperare di rivederla, e invece… quante possibilità c’erano?

«Ti ho sempre aspettato» disse la vampira, accarezzandogli dolcemente il volto. «Non ho mai smesso di amarti né di sperare che un giorno saresti tornato da me.»

Quello era un risvolto della storia del tutto inaspettato.

Nei suoi pochi giorni di vita indesiderata, Finn aveva concentrato ogni pensiero sulla morte, cercando di trovare un modo per pote abbracciare finalmente il sonno eterno e poter finalmente smettere di soffrire.

Sentì una lacrima solcargli il viso e provò una gioia da tempo dimenticata.

«Ti amo.»

Forse aveva trovato qualcosa per cui valeva la pena vivere.



***


 

Da due giorni a quella parte, Klaus si comportava in modo strano. Più del solito. Katherine non capiva, ma non era sicura di volerglielo chiedere. Aveva però notato un’atmosfera strana in casa. Cosa stava succedendo?

Stava giocando alla Play nel salottino moderno quando avvertì la presenza di Klaus. Fece finta di niente, come sempre, perché non si poteva mai sapere di che umore fosse il padrone di casa.

Come previsto, andò subito a disturbarla.

«Vedo che ti stai divertendo» fu il suo saluto. Senza essere invitato a farlo – ne aveva davvero bisogno? – prese posto accanto a lei sul divano. Molto vicino, anzi, decisamente troppo.

«Ho trovato cose interessanti da fare» fu la risposta distratta della vampira, intenza a sconfiggere un boss un po’ deboluccio.

Klaus la fissò sfacciatamente per svariati minuti senza dire una parola. Forse pensava che lei l’avrebbe mandato a quel paese, invece aveva scelto semplicemente di ignorarlo. «Due giorni fa giocavi all’VIII. Sei già alla fine del IX?»

«Ho molto tempo libero, nessuno con cui passarlo e il IX è fin troppo facile. Ridicolo, direi. Anche se la storia lascia un sorriso» Katherine sferzò il colpo finale e quel breve combattimento ebbe fine.

«La principessa che chiede di essere rapita» sorrise, divertito. «Ti rivedi in lei?»

Lei fece una smorfia, mentre chiamava il piccolo Kupò nella mappa e salvava la partita. «Io non ho chiesto di essere rapita.»

«Gidan avrebbe comunque rapito Garnet, anche se lei non stesse già pianificando la fuga.»

«Stai paragonando me a una bellissima e potentissima principessa o te stesso a un ragazzo-scimmia in super deformed?»

Il tono di voce e l’espressione strafottente della vampira lo divertirono molto. Nel 1492 lei non era così sfacciata, ma era comunque piacevole stare in sua compagnia. Ora scopriva nuovi aspetti del suo carattere ogni giorno e apprezzava anche quelli.

Klaus aveva scoperto anche un’altra cosa: il senso di colpa. Piccolo, piccolissimo, quasi inesistente, tanto che non aveva ancora capito che era proprio senso di colpa quello che provava per lei e che in quei due giorni lo spingeva a farle compagnia.

«Non è vero che non hai nessuno con cui passare il tempo» allungò un braccio e infilò le dita tra i suoi capelli, legati in una coda alta. Ebbe un flash e la sua memoria gli riportò davanti agli occhi l’immagine di lui che giocava con i suoi riccioli sparsi sul cuscino. Lei era nuda sotto le coperte e sonnecchiava con il volto sul suo petto.

Provò l’improvviso impulso di toccarla, di portarla in camera e mostrarle come avrebbe voluto farle passare il pomeriggio, ma trasse un profondo respiro e cacciò subito quella strana idea.

Vivere a stretto contatto con Katerina Petrova era dannoso per un uomo.

«Leggi per me.»

Lei lo fissò con gli occhi sgranati. «Prego?» arrotolò il cavo del controller e spense tv e console. Forse aveva capito male.

«Voglio trascorrere il resto della giornata con te. Mi piacerebbe che leggessi qualcosa.»

C’era qualcosa sotto e Katherine promise a se stessa di scoprirlo. «Puoi leggere per conto tuo.»

«Voglio farlo con te.»

Distolse subito lo sguardo dal suo. «Agli ordini. Cosa vuoi che ti legga?»

Klaus sorrise, la prese per mano e si alzò. La condusse nella biblioteca privata, quella con i volumi antichi messi sotto chiave e Katherine notò un divano che non aveva visto la volta scorsa.

«La Divina Commedia» mormorò lui, scorrendo le costine dei volumi. Estrasse la sua scelta e, senza lasciare la mano della vampira, andò a sedersi sul divanetto.

Katherine fu felice quando le passò il libro, perché così poté lasciare la sua mano. Si sentiva a disagio e troppo emozionata per quel semplice gesto. Si ripromise di impegnarsi di più per mascherare l’effetto che suo marito aveva su di lei.

Iniziò a leggere con calma, cadenzando perfettamente la voce, senza sbagliare un solo accento, nonostante non leggesse in vecchio italiano da molto tempo.

Tre pagine più tardi, Klaus si mosse e lei diventò rigida come un pezzo di legno: si era sdraiato appoggiando la testa sulle sue gambe. Lei si sentì vulnerabile, quel contatto le sembrò più intimo di molti altri e le riportò alla mente ricordi a cui non voleva assolutamente pensare.

«Cosa stai facendo?»

«Continua a leggere.»

«Mi distrai.»

Klaus ghignò sotto i baffi. «Mi rilassa stare così. Dovresti saperlo. Continua a leggere.»

Katherine sbuffò sonoramente e cercò di riprendere il filo da dove era stata interrotta. «Ma certo. Il signorino vuole che io continui a leggere e così farò. Agli ordini, marito mio» borbottò, scocciata, ma poco dopo tornò a recitare i preziosi versi di Dante.

Il caro marito chiuse gli occhi e si godette quel momento, come tanti ne avevano avuti in passato, quando lei non aveva paura di ogni sua mossa e quando lui, seppur inconsciamente, trovava riposo e serenità tra le sue braccia.

Non farmi questo, pensò la vampira, colta da un mare di sentimenti ed emozioni che la travolsero come un fiume in piena. Poteva sopportare la sua vicinanza, poteva fingere che tenerlo per mano non la toccasse, poteva rispondergli a tono dalla mattina alla sera, ma il soggiogamento stava funzionando eccome e si sentiva attratta da lui sempre di più.

Lo odiava, ma era felice di vederlo. Detestava la sua arroganza, ma avrebbe potuto ascoltarlo parlare all’infinito. Non voleva che invadesse il suo spazio personale, ma un brivido intenso la coglieva ogni volta che lui toccava la sua pelle.

Finirà male, si disse, cacciando via la tristezza e proseguendo nella lettura.

Klaus trovò quel momento così piacevole e rilassante, così sereno e spontaneo, che si addormentò.

E per qualche ora dimenticò che la gentilezza nei confronti della sua ospite non era affatto spontanea: per evitare indesiderate interferenze, aveva soggiogato Katerina a dormire il giorno del ballo, compreso il giorno precedente – i preparativi l’avrebbero insospettita – e quello successivo.

Strano ma vero, non voleva litigare con lei e sapeva che, se avesse scoperto quello che aveva fatto, Katerina si sarebbe allontanata da lui.

Il suo ultimo pensiero cosciente prima di addormentarsi fu che lei non avrebbe mai dovuto sapere quello che aveva fatto.

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Forever ***


 

*Act VIII*

Forever

 

 

 

 

Quella mattina era stata indetta una riunione straordinaria a casa Salvatore. Ordine del giorno: liberarsi dei Mikaelson.

Caroline e Tyler arrivarono per ultimi, piuttosto trafelati e già in disordine di primo mattino, cosa che gli fece guadagnare un’occhiata moralizzatrice di coppia da parte di Bonnie.

Damon osservò i presenti. Stefan sedeva accanto a lui; Elena e Bonnie occupavano il divano di fronte a loro, mentre Tyer e Caroline si sistemarono sulla poltrona.

«Ci siamo tutti. Barbie, hai aggiornato il tuo fidanzatino sulla situazione?»

Lei lo guardò male. «Sì» rispose in tono acido.

«Bene» Damon si sfregò le mani tra loro. «Voglio far uscire Katherine dalla villa degli orrori.» Ci fu subito un coro di “Cosa?” e “No!” a quelle parole. Non che lui non l’avesse messo in conto.

«Ho già indagato con la magia» Bonnie fu la prima a parlare. «Questa volta non ci sono scappatoie al soggiogamento che Klaus ha usato su di lei. Si è protetto da ogni evenienza.»

«Un momento… da quando ci interessa di Katherine?» fu la genuina domanda di Tyler. «È stata lei a scatenare la mia maledizione e quella di Mason, ha trasformato Care e… e forse tutti voi la odiate anche più di me.»

Tyler aveva delle ottime ragioni per non voler assolutamente sprecare tempo con lei. A dire il vero, nessuno di loro aveva in simpatia la vampira, che aveva solo portato guai e morte con sé. Inoltre aveva portato Klaus a Mystic Falls.

«Più Katherine è a contatto con Klaus, più è alto il rischio che il legame venga spezzato» spiegò pacatamente Stefan, che comunque era d’accordo con lui. Non voleva saperne nulla della sua egoista e traditrice vecchia fiamma.

Tyler aggrottò le sopracciglia. «Ma per spezzarlo non serve l’amore di entrambi?»

«È così infatti» intervenne Elena, «ma Klaus ha fatto qualcosa a Katherine e crediamo che abbia trovato un modo per velocizzare i tempi.»

«Non si può fingere l’amore e non si può ammaliare qualcuno affinché si innamori» puntualizzò Caroline. «Anche se cinque secoli fa Katherine era innamorata di lui, come può esserlo ora? Dall’oggi al domani?»

Ci fu un attimo di silenzio e Stefan ebbe un’illuminazione. «Può averla costretta a riaccendere l’umanità.»

Elena lo fissò con gli occhi sgranati. «Si può fare? Ordinare a qualcuno di essere di nuovo innamorati? Tipo… riprovare l’umanità vissuta in un determinato periodo?»

«È un azzardo, ma sì» disse Damon. «La Katherine umana amava Klaus. Che lei abbia acceso o spento l’interruttore da vampira è irrilevante, perché a quel tempo era umana.»

«È contro natura» ribatté Bonnie, senza celare il proprio disgusto. «Ad ogni modo, come ho detto prima, noi non possiamo salvarla.»

«Anche potendo, io non lo farei» ammise Tyler. «Mi dispiace, ma ho già troppi problemi con Klaus per aggiungerne altri alla lista e di certo non rischierei per Katherine.»

«Io sono d’accordo con lui» disse a quel punto Caroline. «Katherine non merita il nostro aiuto e non è il caso di far arrabbiare Klaus ancora di più.»

«Katherine ha salvato Damon!» esclamò allora Elena. «E mi ha messa in guardia su Klaus, seppur a modo suo.»

Caroline scosse il capo. «Ma quanto male ci ha fatto? Pensaci, Elena. Guarda me e Tyler. Ci ha fatti trasformare per barattarci con Klaus in cambio della propria libertà. Stavamo per morire a causa sua.»

Stavolta la giovane Gilbert non rispose. Forse si era lasciata prendere dal suo buon cuore. Vedere la forte e orgogliosa Katherine Pierce in quelle condizioni l’aveva impietosita. Si era lasciata fregare da lei?

«Elena» Bonnie le strinse la mano «qualunque cosa facciamo, Katherine resterà legata a Klaus. Solo loro due possono risolvere questa faccenda e se anche dovessimo farla scappare, lui si vendicherebbe su tutti noi e riuscirebbe a riportarla subito sotto il suo controllo. Sarebbe solo una sofferenza inutile per tutti» spiegò in modo pacato, come una mamma a un bambino piccolo. «Inoltre, intervenire con la magia sarebbe rischioso date le condizioni instabili di Katherine.»

Stefan guardò Elena e desiderò poter fare qualcosa per alleviare il suo dolore e, se possibile, attenuare quel costante e ingestibile senso del dovere che provava nei confronti di chiunque. Anche lui era un po’ preoccupato per Katherine e la cosa era insolita, ma Bonnie aveva ragione e, in ogni modo, lui non voleva fare nulla.

Damon prese di nuovo la parola. «Ok, punto due della riunione scolastica: uccidere gli Antichi

«Cosa?!» l’acuto di Caroline ferì il suo udito.

«Non si possono uccidere» disse Tyler, dubbioso da quella proposta. «Non abbiamo più i mezzi per farlo.»

Il vampiro mostrò la sua migliore espressione malandrine. «Tu forse no, wolf guy, m noi sì: l’insegna del Wickery Bridge.»

«È stata realizzata dalla nostra famiglia con il legno della quercia bianca» spiegò Stefan. «Non chiedetevi come sia possibile, ma lo è.»

«Non ci credo» commentò Bonnie, incredula.

«Possiamo farlo davvero…?» la voce di Elena uscì dalle sue labbra come un mormorio, quasi avesse paura di dirlo a voce alta. Vedeva finalmente la luce in fondo al tunnel. «Ce n’è abbastanza?»

«Basta prendere le misure» Damon le strizzò l’occhio.

«Dobbiamo pensare a un piano, non facciamoci prendere dall’entusiasmo» proseguì Stefan. «Finn è il bersaglio più debole. Sarà facile con lui. Kol ci darà da fare, ma insieme possiamo farcela.»

Tyler annuì e poté già sentire l’adrenalina scorrergli violenta in corpo. Era riuscito a liberarsi dal sirebond e finalmente aveva l’occasione di liberarsi anche di Klaus. Quel demonio gli aveva rovinato la vita e lui non vedeva l’ora di vederlo bruciare a morte.

Solo dopo qualche minuto di pianificazione, Elena si ricordò di Elijah. Il vampiro non avrebbe mai permesso loro di torcere un capello alla sua famiglia, ma Klaus doveva essere ucciso… e anche lui. Ma come poteva lasciar morire Elijah? Era stato il più ragionevole e ben disposto nei loro confronti, aveva cercato di salvarle la vita in tutti i modi, aveva protetto le persone a lei care.

Con che coraggio, si chiese Elena, poteva decidere di voltargli le spalle e condannarlo a morte?

O tutti o nessuno. Questo fu il suo pensiero successivo. Non potevano lasciare in vita nessuno di loro, perché i sopravvissuti avrebbero voluto vendetta.

Quindi… no, neanche Elijah poteva sopravvivere. Era pur sempre un antico e il sangue non tradisce mai davvero il proprio sangue.




***


 

Finn era al Grill con Sage. Sorrideva, scherzava, le stringeva la mano: sembrava una persona del tutto diversa rispetto a quando si era risvegliato. I suoi occhi brillavano, i suoi sorrisi erano sinceri, perfino la sua voce aveva un tono più allegro.

Per la prima volta fin dalla prima trasformazione, mille anni orsono, era felice. Sage era con lui e non desiderava altro dalla vita.

«Voglio vivere insieme a te» disse la vampira. «In una casa solo nostra, lontano da qui.»

Lui sorrise. «Mi piacerebbe molto.»

In quei pochi giorni insieme a lei, Finn aveva riscoperto le gioie della vita e dell’amore. I pensieri negativi non l’avevano ancora abbandonato del tutto: a volte non sopportava ciò che era e desiderava farla finita. Era stato colpito da forti attacchi di panico e crisi nervose.

Si era disperato, colpevolizzato, condannato per la sua terribile natura.

Poi c’era Sage, che condivideva il suo stesso, triste destino e l’aveva accettato. Lei, che con un sorriso era in grado di scaldare quel cuore gelido di secoli; lei, che gli stringeva dolcemente la mano, con estrema delicatezza; lei, che faceva progetti per il futuo.

«Vado a incipriarmi il naso» ridacchiò la vampira, alzandosi dalla panca di legno.

«Ti aspetto fuori.»

Si scambiarono un bacio, lei gli sussurrò “Ti amo” sulle labbra e si separarono.

Finn uscì dal Grill e respirò l’aria fresca della sera. Non c’erano nubi, il cielo era limpido. Chiuse gli occhi e vide il volto di Sage.

L’amava così tanto…

Forse, pensò tra sé, forse lei l’avrebbe davvero salvato. Il suo sorriso sincero e i suoi sogni di una vita insieme sarebbero riusciti a guarire il suo cuore e la sua anima. Un giorno il dolore per la colpa di essere un vampiro l’avrebbe abbandonato per non tornare mai più.

Iniziò a crederci davvero.

Finn Mikaelson voleva il perdono di Dio, ma doveva prima riuscire a perdonarsi da solo, accettarsi e convivere con se stesso. Alzò la testa e osservò le stelle brillare nel cielo nero.

Sorrise. Era felice.

Poi, tutto cambiò. Successe in fretta, ebbe appena il tempo di rendersene conto. Il suo unico pensiero fu lei.

Venne attaccato e immobilizzato. Qualcuno lo trafisse alle spalle con un paletto di quercia bianca e lui si sentì bruciare dall’interno. Era un dolore lancinante, pungente, insopportabile. Avvertiva chiaramente il fuoco iniziare a corrodere i suoi organi e la sua pelle.

Udì l’urlo disperato di Sage squarciare la notte e gli si strinse il cuore per lei.

“Mi dispiace” pensò, crollando a terra senza forze, mentre la morte si impadroniva di lui. “Ti lascio sola un’altra volta.”


 

Sage era una furia. Non aveva più il controllo delle proprie facoltà mentali. Tutto ciò a cui pensava era la vendetta. Bagno di sangue. Corpi smembrati. Rabbia, dolore, oh, un dolore così forte che avrebbe potuto morirne se si fosse fermata solo un momento.

Marciò a passo di carica verso la villa dei Salvatore scortata dalla sua unica progenie. Spalancò la porta incrinandone i cardini e attaccò la prima cosa che vide.

«Caroline!» esclamò spaventata Elena, colta alla sprovvista. Damon si parò immediatamente davanti a lei per proteggerla, mentre la vampira bionda riuscì a sfuggire alla follia omicida della Giulietta immortale.

Con un gesto rapido Damon allontanò Elena e scattò addosso alla vampira. Rotolarono sul parquet un paio di volte, mentre Caroline si occupava di contenere dall’attacco del secondino.

All’improvviso, Sage divenne bianca come uno straccio e faticò a muoversi. Si accasciò per terra, annaspando, contorcendosi in modo innaturale e la stessa cosa successe all’uomo che era venuto con lei.

Non aveva più forze, si sentiva svenire. Cosa stava succedendo? Cosa le avevano fatto? Come?

Udì Damon Salvatore dire qualcosa, ma i suoi sensi sovrannaturali sembravano non funzionare più. Iniziò a provare un freddo pungente nelle ossa e sulla pelle. Il suo corpo la stava abbandonando.

Stava morendo.

“Oh, ho capito” pensò, vedendo tutto sfocato. “Finn mi sta chiamando a sé”.

Chiuse gli occhi e si abbandonò con un sorriso all’abbraccio della morte.

“Da adesso staremo insieme per sempre”.

 

 

 ***

 

 

«Non ci credo.»

Bonnie fissava le sue amiche con gli occhi fuori dalle orbite per la sorpresa. Elena e Caroline le avevano appena raccontato cos’era successo a casa Salvatore.

«Damon sta pulendo tutto» Elena strinse un cuscino al petto, ancora scossa per l’accaduto.

Quella sera aveva visto morire tre persone. Erano vampiri, Sage era pericolosa oltre che molto forte, ma iniziava a non poterne più. Intorno a lei continuava a morire troppa gente e la maggior parte per proteggerla. Si sentiva in colpa.

Anche i cattivi erano stati coinvolti in quella spirale sena ritorno a causa sua: che fosse per attaccarla o per difenderla, lei ne era la ragione.

Bonnie scosse la testa, demoralizzata. «Questo significa che se un membro della famiglia originaria muore, la sua progenie muore con lui. È assurdo.»

«Tutto ciò che riguarda quella famiglia lo è» rispose Elena, riscuotendosi dal suo momento di autocommiserazione interiore. «Ma è così. È vero.»

«Dobbiamo scoprire da chi discendiamo» disse Caroline, la preoccupazione dipinta sul suo bel viso.

«Posso cercare tra i miei grimari» propose Bonnie. «Forse c’è un incantesimo che può aiutarci.»

«E se non è Klaus il vostro sire, possiamo ucciderlo.»

Elena era determinata come non mai: odiava Klaus, quell’essere le aveva portato via tutto, era la personificazione del male e della crudeltà, più di chiunque altro meritava la morte.

«Oh…»

Lei e Bonnie si voltarono verso Caroline, che era scesa dal letto e si stava mettendo le mani tra i capelli.

«Che c’è?»

«Oh, no. No, no no» sembrava sconvolta. «Non possiamo uccidere Klaus. Tra noi c’è qualcuno che discende sicuramente da lui.»

Bonnie spalancò la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Elena iniziò a vederci doppio.

«Tyler» sussurrò, incredula. «Klaus ha trasformato Tyler.»

Gli occhi di Caroline si riempirono di lacrime. «Se lo uccidiamo, Tyler morirà.» La vampira crollò e si sedette di nuovo sul letto. Le sue amiche la consolarono, cercando di farla calmare e abbracciandola.

La determinazione di Elena era svanita in un soffio, come se non ci fosse mai stata. Tyler aveva già subito la trasformazione in lupo mannaro prima e in ibrido poi a causa sua. Non avrebbe mai acconsentito a ucciderlo.

Era suo amico, era il ragazzo di Caroline, era un innocente. Nessun altro doveva morire ancora per lei, per il suo maledetto sangue di doppelganger.

Alzò gli occhi e vide Damon sulla porta della camera da letto. Si alzò, affidando Caroline a Bonnie, e gli fece segno di andare a parlare in giardino.

Lui la seguì, un’espressione di estrema noia già presente sul suo viso. «Ho sentito tutto. So cosa vuoi dirmi.»

Elena sospirò. L’aria della sera era fresca. Le piaceva. «Non possiamo farlo.»

«Perché no?» chiese lui. «Ne sacrifichiamo uno per salvarli… tutti!»

«È Tyler!» esclamò lei, non volendo credere che fosse davvero serio.

«Lui mi ucciderebbe senza battere ciglio» sembrava arrabbiato. «Barbie e la strega anche. Sai bene che non avrebbero il minimo dubbio se si trattasse di me.»

«Damon…» Elena non aveva una risposta pronta per contraddirlo, perché sapeva che era la verità. «Non glielo permetterei… e neanche Stefan.»

Il vampiro le puntò un dito contro. «Klaus è troppo pericoloso per lasciarci sfuggire la minima occasione. Se non discendiamo da lui, il lupo è morto.»

Elena stava per ribattere, quando la voce di Caroline giunse dalla porta di ingresso.

«E poi ti chiedi perché tutti ti odiano.»

Damon sembrava annoiato, lei fuori di testa per la disperazione e la rabbia.

«Care, non diceva sul serio» intervenne subito Elena.

«Smettila di difenderlo!» esclamò la bionda. «È marcio, lo è sempre stato e sempre lo sarà. Quando ti deciderai a capirlo?»

La ragazza rimase a bocca aperta. Non perché non sapesse come difendere Damon, ma per la cattiveria di Caroline.

Sentì una mano posarsi sulla sua spalla. «Va bene così. Non litigare per me.»

C’era un velo di tristezza e rassegnazione davanti ai suoi occhi, lei lo vedeva chiaramente. Nonostante avesse salvato la vita di Caroline più volte, lei sembrava intenzionata a non smettere mai di odiarlo.

«Ci sentiamo.»

Non fece in tempo a dire altro, perché Damon era già sparito. Scosse la testa. «Care, sei ingiusta.»

«Io ingiusta?!» scattò la vampira, indignata. «Il tuo amichetto vuole uccidere Tyler!»

Bonnie non disse nulla. Sapeva che Elena aveva in parte ragione, ma Damon era un vampiro e per la sua natura di strega questo era già sufficiente. Inoltre, il buon vecchio Salvatore non si faceva certo benvolere dalla gente.

«Damon non vuole uccidere Tyler» replicò Elena. «Vuole ciò che vogliamo tutti, liberarsi di Klaus.»

Caroline la guardò dall’alto in basso. Scosse la testa e se ne andò. “Perfetto”, pensò Elena. Ora aveva da discutere sia con lei che con Damon.

«Dalle tempo» disse Bonnie. «Tyler è appena tornato e già abbiamo scoperto che per tenere in vita lui non possiamo toccare Klaus. È un brutto colpo.»

«Prendersela con Damon non è la soluzione» rispose lei, osservando il punto in cui era sparito il vampiro.

Bonnie osservò l’amica. Non capiva perché per lei fosse così importante prendere sempre le difese di Damon con gli altri. A volte si arrabbiava più di lui, come se le offese fossero dirette a lei.

Si chiese come si sentisse Stefan nel sapere che c’era qualcosa tra la sua ragazza e suo fratello. Di nuovo.

«Damon starà bene e Caroline avrà dimenticato tutto entro domani.»

 




***

 

 

Finn era sparito ormai da tre giorni. Anche Sage non si vedeva più in giro. A Klaus non importava molto della loro sorte, anzi… non gliene importava proprio nulla.

Tutto ciò di cui Finn era in grado di parlare era la morte. Come compagnia non era un granché. Cosa ci aveva visto in lui una donna forte ed energica come Sage? Bah… contenta lei.

L’importante era che non fosse più in mezzo ai piedi, con quel muso lungo e le sue paturnie deprimenti su quanto peccaminosa fosse la loro sola esistenza.

Klaus ce l’aveva davanti agli occhi qualcosa di peccaminoso e non vedeva l’ora di assaggiarla. Katherine era nel salottino moderno, intenta a fissare le colonne di dvd con il telecomando del lettore in mano.

Indossava una canottiera e degli shorts molto shorts, con un paio di stivali dal tacco troppo alto per essere usati in casa. Guardandola, Klaus pensò due cose: la prima, che Katerina fosse bellissima; la seconda, che addosso a lei ci fossero circa $1200.

«Non ricordavo di aver sposato un guardone» Katherine si voltò, mostrando quanto profonda fosse la scollatura della canottiera.

«Non ricordavo che ti piacesse andare in giro nuda.»

Lei non fece una piega. Gli voltò nuovamente le spalle e proseguì nella ricerca di un bel film da guardare.

Non era stato facile, ma in quei giorni si era ripresa dallo scombussolamento provocato dall’ordine di riaccendere l’umanità. Dopo la fase iniziale di mutismo, aveva riacquistato il controllo delle proprie facoltà mentali.

Riusciva a fingere di essere la stronza insensibile di sempre, ma in realtà la sola presenza di Klaus nella stessa stanza l’agitava pericolosamente.

Evitava di guardarlo e avrebbe volentieri evitato di sentirlo parlare, peccato che non fosse possibile. Tra l’altro, quel maledetto accento inglese e la voce appena sussurrata le provocavano reazioni imbarazzanti.

«Vuoi vedere un film con me?» Katherine esaminò due dvd, decise che non erano di suo gusto e li ripose nello scaffale. Scorse l’indice sui titoli, quando sentì il respiro caldo di Klaus sui capelli e la sua presenza alle spalle.

L’ibrido annusò il suo profumo e lei desiderò che il pavimento la inghiottisse in una voragine profonda chilometri. «Menta e cioccolato» mormorò lui.

«Sei un maniaco.» Cercò di allontanarsi, ma le mani di Klaus scattarono rapide sui suoi fianchi, immobilizzandola contro di sé.

La vampira avvertì il petto di Klaus aderire alla sua schiena e si sentì avvampare. Non erano stati così vicini da secoli e quell’intimità la metteva a disagio.

Klaus fece scorrere la mano lungo il fianco e il suo profilo, sfiorandola con la punta delle dita. Si fermò sulla spalla e si mosse appena per spostare i lunghi riccioli di lato, scoprendo così il collo.

Oh, era così invitante… avrebbe tanto voluto mangiarsela, si chinò con studiata lentezza per baciare la sua pelle, ma Katerina si allontanò all’istante.

«Ok, questo è troppo» perché era senza fiato?

Lui voltò il capo e accennò a un sorriso che non coinvolse gli occhi. «Troppo? Non ho neanche iniziato.»

Katherine sembrava sconvolta. Accidenti a tutti quei pensieri umani che le confondevano la testa!

«Sai che ho bisogno della tua collaborazione per rompere il legame.»

«Questo non significa che io debba diventare la tua… concubina!» sputò lei con rabbia, indignata da quel comportamento. «Non lo ero in passato, non lo sarò di certo ora.»

Sul volto dell’ibrido si dipinse un’espressione indecifrabile. Sapendo che era un sociopatico bipolare, la vampira immaginò che potesse scoppiare a ridere. O saltarle alla gola. O saltarle alla gola mentre rideva di lei.

«Hai ragione, love» si passò la punta della lingua sulle labbra. «Eri mia moglie e lo sei ancora.»

Quelle parole suonarono come una minaccia alle orecchie di Katherine. Sensuali, sì, ma minacciose.

«Mi è passata la voglia di vedere il film»

Uscì rapidamente da quella stanza, aveva un disperato bisogno di allontanarsi da quell’essere diabolico e ripugnante.

Lo odiava con tutta se stessa, eppure ne era attratta. Lo aveva sposato per amore, aveva condiviso con lui il letto e l’intimità. Klaus conosceva il suo vero sorriso. Aveva visto la gioia e l’innocenza nei suoi occhi da ragazzina. L’aveva sentita ridere con spontaneità.

Molti uomini avevano visto il suo corpo nudo, solo uno aveva visto la sua anima e questo la spaventava a morte.

In quel momento era sola e vulnerabile e lui conosceva i punti deboli del suo cuore.

Era in trappola e sapeva che ne sarebbe uscita emotivamente a pezzi. Era solo una questione di tempo.

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Fear Of Love ***


Nota:
In questo e nel prossimo ho ripreso una parte del telefilm e siccome gli eventi cambiano di pochissimo ho deciso di descrivere i fatti in modo abbastanza generale, concentrandomi sulle parti di maggiore interesse per la storia. Non è una scelta dettata dall’indolenza ma dal desiderio di non farvi leggere passo dopo passo quello che è già stato visto nelle puntate.

 

 

*Act IX*

Fear Of Love

 

 

 

 

Elijah Mikaelson era una persona ragionevole. Cercava di esserlo sempre, di mantenere la lucidità anche quando sembrava impossibile.

Il potere del controllo mentale era una delle sue tattiche preferite, nonché la più utile in determinate situazioni, perché gli permetteva di scoprire cose interessanti e poteva riprende il controllo degli eventi.

Grazie ad esso e facendo le giuste domande aveva saputo della morte di Finn. Questo lo aveva gettato in un profondo sconforto: per la seconda volta in mille anni, Elijah aveva sentito il cuore spezzarsi per la perdita di un fratello.

Non era ipocrita, riconosceva da sé di non essere mai stato in ottimi rapporti con Finn, ma era pur sempre suo fratello. Era la sua famiglia.

Si chiese come fosse stato possibile non stringere un vero legame con un fratello avendo a disposizione mille anni di tempo.

Il giorno dopo aver ricevuto tale notizia, Elijah scoprì una notizia interessante: Sage era morta poche ore dopo Finn.

Questo cambiava tutto.

«Fratello.»

Klaus si era appena sbarazzato del suo pranzo ed era di ottimo umore. Lo accolse nel salone con un gran sorriso, felice di rivederlo dopo tutto quel tempo. «Elijah! Dove sei stato? »

«A cercare informazioni» lo raggiunse vicino al camino spento. «Finn è morto.»

Diede la notizia in quel modo freddo e sbrigativo perché sapeva che a Niklaus non avrebbe fatto alcun effetto. Con grande sorpresa, invece, Elijah vide qualcosa negli occhi del fratello: una piccola luce, un cambio di espressione quasi invisibile.

Era come se stesse cercando di capire quanto accaduto e decidere in che modo reagire.

«Tutta la sua progenie è morta con lui» aggiunse poco dopo.

Klaus parve confuso. «Sei sicuro?»

«Lo sono» rispose, annuendo con solennità. «Niklaus, ti rendi conto di cosa significa questo?»

Oh, le fossette e lo sguardo da brigante. Ecco di nuovo il solito Klaus, maligno e calcolatore.

«Significa che siamo più fighi di quanto pensassimo, fratello.»

Elijah sorvolò sulla felicità che quella notizia aveva provocato e osservò l'ibrido passeggiare per il salone.

«Cosa intendi fare?» gli chiese, ben sapendo che avrebbe presto ricevuto degli ordini.

Klaus si fermò a un metro da lui e sorrise in modo inquietante. «Avverti Kol e Rebekah e stai attento ai nostri amici, di sicuro stanno cercando la discendenza dei Salvatore» disse, tutto impettito e con le mani dietro la schiena. «È il minimo che tu possa fare per avermi tradito liberando i nostri fratelli.»

Senza aggiungere altro né dar tempo a Elijah di rispondere, Klaus sparì.

Non aveva tempo da perdere: sapeva che nessuno avrebbe lasciato morire Tyler solo per liberarsi di lui e questo era un vantaggio, soprattutto se fosse riuscito a tenere nascosta la genealogia vampiresca dei Salvatore - e della sua dolce Katerina.

Con il sorriso da brigante ancora sulle labbra, Klaus fece qualche telefonata e organizzò subito una spedizione in una zona dove sapeva di poter trovare un branco di licantropi.

Il sangue donatogli da Elena era indispensabile per creare nuovi ibridi e avere così a disposizione un corposo esercito. Oh, pensò Klaus osservando la sacca rossa nel freezer, Elena gli aveva fatto davvero un bel dono.

 

 

 ***

 

 

Quel giorno Elena Gilbert si alzò di pessimo umore. Aveva dormito poco e male a causa della discussione della sera precedente. Sapeva che a Caroline sarebbe passata in fretta, ma in realtà era lei ad essere arrabbiata.

Per quanto ancora Caroline sarebbe andata avanti a disprezzare Damon?

Lui non era un santo, certo, ma non lo negava. Era sincero nel suo essere drastico e crudele. Non nascondeva il piacere che provava nella caccia, non cercava di tenere nell’ombra i suoi istinti di predatore.

Semmai era il contrario: celava a tutti il buono che c’era in lui, perché era più facile non creare aspettative che deludere le persone.

Mentre si preparava per una nuova riunione pre-scuola organizzata come sempre a casa Salvatore, Elena si chiese perché solo lei comprendesse così bene l’animo contorto di Damon: era sotto gli occhi di tutti, perché nessuno riusciva a vederlo?

Stefan stesso aveva speso brutte parole per lui, anche se in realtà non importava poi molto: era suo fratello, conosceva fin troppo bene il suo caratteraccio e gli voleva bene.

Stefan. Già.

Stare di nuovo insieme era strano, ora che sapeva della sua natura di squartatore e quanto pericoloso fosse realmente. Stefan non conosceva limiti e faceva cose raccapriccianti quando era inebriato dal sangue

Elena si guardò allo specchio: si sentiva davvero sicura al suo fianco?

Scosse subito la testa, vergognandosi per aver pensato una cosa tanto terribile. Stefan l’amava e l’aveva sempre protetta. Sapere che il sangue umano lo trasformava in un folle omicida non cambiava certo il passato.

Lui era una brava persona e lei lo amava. Così era e così doveva essere. Tutti ne erano felici.

Infilò le scarpe e uscì dalla sua camera con la borsa in spalla. Posò gli occhi sulla porta chiusa con il nome di Jeremy scritto sopra e sospirò. Suo fratello era tutto ciò che le restava della sua famiglia e aveva dovuto allontanarlo per proteggerlo.

Quel pensiero le fece tornare alla mente Damon e ciò che aveva fatto per lei quella sera: se fosse davvero egoista non farebbe queste cose.

Realizzò con stupore di essersi incantata di nuovo a pensare al Salvatore sbagliato. «Sto impazzendo.»

 

 

Elena fu poco attenta durante la riunione. Aveva capito solo che si doveva andare a Denver a cercare le tracce di una certe Scary Mary: questa vampira aveva trasformato Rose, che aveva trasformato Katherine e da lei erano stati generati Stefan e Damon e da Damon Caroline.

A Denver c’era Jeremy, era un’occasione per vederlo e stare qualche giorno con lui.

Stefan la fermò prima che uscisse di casa: erano rimasti soli e sentiva di dover parlare in quel momento, perché temeva che non ne avrebbe avuto più il coraggio.

«Dimmi.»

Lo sguardo di Elena era limpido. Avrebbe potuto ucciderlo con le sue stesse mani e lui l’avrebbe perdonata senza pensarci due volte.

«Credo…» si umettò le labbra, improvvisamente secche per l’agitazione. «Credo che dovresti andare a Denver con Damon. Senza di me.» Ecco, l’aveva detto. Non si sentiva affatto meglio.

Elena lo fissò senza capire. «Perché?»

Stefan si ritrasse quando la vide allungare una mano verso di lui: se le avesse permesso di sfiorarlo anche solo per un istante, tutta la sua determinazione sarebbe svanita, come se non ci fosse mai stata.

«Perché non possiamo andare avanti così» ignorò il dolore sul suo viso. «Io non posso andare avanti così.»

«Mi stai… mi stai lasciando?» la voce le uscì in un sussurro, gli occhi già pizzicavano.

Stefan abbassò il capo. Forse si sarebbero davvero lasciati entro breve. In quel momento non si sentiva molto ottimista.

Rialzò la testa e trasse un profondo respiro. «Cosa provi per Damon?»

Il gelo calò su di loro. L’aria si fece pesante. L’unico suono udibile era il respiro di Elena, che non disse niente. Cosa poteva rispondere a una domanda come quella?

«Io…» balbettò «Io non… non lo so.»

Lui si passò una mano sul viso e a lei venne da piangere. Non aveva fatto niente eppure si sentiva colpevole. Sporca. Traditrice.

«Sono successe tante cose e Damon… i suoi sentimenti per me…»

«Conosco i sentimenti di mio fratello» la interruppe bruscamente il vampiro. «Voglio conoscere i tuoi.»

Elena si guardò le scarpe s i toccò nervosamente i capelli, portandoli più volte dietro l’orecchio nonostante fossero già in perfetto ordine.

«So che ti piace» continuò lui. «Posso sopportarlo. Il problema è… quanto ti piace?»

Stefan era disposto a restare con lei anche se provava dei sentimenti indefiniti per suo fratello. Elena si sentì ancora più sporca e pensò di non meritare una persona tanto buona come lui.

Perché non riusciva più ad amarlo come un tempo? Era la consapevolezza che dentro di lui dormiva un mostro o il ricordo di quanto si fosse sentita bene in compagnia di Damon quando lui non c’era?

Era il senso di colpa per aver trovato conforto in un altro uomo? Erano quei piccoli momenti che aveva vissuto con l’altro Salvatore?

Cielo, stava diventando proprio come Katherine. Doveva averlo nel sangue.

«Non so dirti quanto mi piace» confessò, gli occhi sempre puntati a terra. «Cerco di non pensarci, anche se è difficile. Damon non è cattivo come vuole far credere e io… io vedo il buono che c’è in lui. Lo comprendo, ma mi spaventa, per questo non voglio mai soffermarmi su questi pensieri.»

Per Stefan quella era già una risposta ai suoi dubbi e una conferma alle sue paure, ma sapeva che lei non se ne era resa conto.

Eppure, nonostante tutto… l’amava. L’amava e voleva che restasse sempre con lui.

«Ascolta… Elena, io ti amo.» Lei alzò lo sguardo su di lui. «Questo non cambierà, ma abbiamo bisogno di stare insieme nel modo giusto. Vai a Denver con Damon» posò le mani sulle sue spalle per rassicurarla, in realtà era lui ad aver bisogno di essere rassicurato. «Rifletti e cerca di definire i tuoi sentimenti.»

Ora niente impedì a Elena di piangere apertamente. Era come se Stefan l’avesse già lasciata, come se avesse rinunciato in partenza.

«Qualunque sia la risposta, io sarò qui. Ok?»

Lei non disse nulla, si limitò ad annuire, con il cuore in pezzi e la mente ancora più confusa.

Due giorni dopo Stefan guardò la sua ragazza e suo fratello andare via insieme ed ebbe una visione di quello che sarebbe stato il suo futuro – non mancò di notare l’occhiata ancora confusa di Damon prima di salire in macchina.

«Sei sicuro che sia la cosa giusta da fare?»

Mostrò a Caroline un sorriso colmo di tristezza e rassegnazione.

«Stefan…»

«Doveva succedere prima o poi» sussurrò lui. «Uno di noi doveva affrontare l’argomento e sapevo che lei non ci sarebbe riuscita.»

Caroline non disse nulla. Guardò la strada dove era sparita l’auto e cercò di farsi venire in mente mille cose da fare per tirare su di morale Stefan fino al ritorno di Elena.

 

 

 ***

 

 

Damon Salvatore aveva un brutto presentimento. In condizioni normali l’avrebbe associato alla missione che lo attendeva a Denver, ma questa volta era diverso: Elena.

Il fatto che lei fosse la sua unica compagna di viaggio l’aveva insospettito. Stefan non aveva aperto bocca a riguardo: seconda cosa strana. Elena non sembrava per nulla a proprio agio: terza stranezza.

C’era qualcosa di cui era stato tenuto all’oscuro e voleva scoprire di cosa si trattasse. Allo stesso tempo voleva portare a termine con successo quella missione e, se possibile, godersi in pace il tempo con Elena.

Serrò più forte le dita sul volante all’ennesimo sbuffo nervoso della ragazza. Era tentato di far guidare lei, magari concentrarsi sulla strada l’avrebbe distratta da qualunque cosa avesse per la testa. O forse no.

Damon decise di non sfidare la sorte. Aveva la sensazione che a Denver lo attendessero più risposte del previsto.

Risposte. Era ciò che anche Elena Gilbert sperava di trovare: doveva chiarire una volta per tutte la sua posizione con i fratelli Salvatore. Uno come amico, uno come fidanzato. Non poteva averli entrambi – nonostante il consiglio di Katherine.

Ma cosa avrebbe fatto se avesse capito di amarli allo stesso modo? Di non poter fare a meno di nessuno dei due? Scosse appena la testa ed emise un lungo sospiro.

Katherine li aveva voluti senza farsi troppi problemi ed era finita in tragedia. Teoricamente erano morti tutte e tre.

Lei non era Katherine. Corrugò la fronte concentrandosi su quel pensiero: la sua antenata era stata egoista, aveva volontariamente giocato con i loro sentimenti, seducendoli per pura vanità.

Lei non era così, si disse di nuovo la ragazza. Lei era diversa.

Eppure… come avrebbe potuto sceglierne uno solo? Alla fine si era ritrovata comunque al centro di un triangolo con due fratelli – che ci erano già passati, per inciso, e con una donna di cui lei era l’esatta copia.

Ecco, il punto della situazione – e della sua sincerità – non era volerli entrambi, ma non poter rinunciare a uno dei due. Per troppo affetto, chiaramente.

Quella scusa durò meno di due minuti nella sua mente e la ragazza sbuffò di nuovo. In quel momento giurò di aver sentito Damon ringhiare di frustrazione.

 

 

Era l’ora di pranzo quando arrivarono a destinazione. Elena provò un tuffo al cuore quando scorse la figura di Jeremy in mezzo ai suoi nuovi amici. Pochi secondi dopo, quasi avesse sentito la sua presenza, Jeremy si voltò e incontrò gli occhi di Elena.

Non c’era legame di sangue in grado di oscurare l’affetto che nutrivano l’un l’altro.

Elena abbracciò Jeremy con più slancio del dovuto e Damon non mancò di notare il modo quasi disperato con cui si aggrappava al ragazzo.

«Andiamo, Jeremy» disse lei guardandosi intorno. «Ti spiegheremo i dettagli strada facendo.»

Mentre raggiungevano il motel dove avrebbero dormito quella notte, il giovane Gilbert venne aggiornato sulla situazione.

Immaginavano che i Mikaelson non fossero a conoscenza della fortunata scoperta, ma era meglio non esporsi troppo, per questo stavano andando in un motel lontano da dove abitava ora Jeremy.

 



***
 

 

Quella sera Elena era ancora più agitata. Sembrava che il letto fosse invaso da tarantole.

Damon voleva capire cosa – o chi – la rendesse tanto inqueta. Era la situazione pericolosa? La lontananza da Stefan? O forse… no, si disse il vampiro, non poteva essere lui. Più che altro non osava sperarlo.

La camicia sbottonata era un trucco debole. Finse di non notare gli occhi della ragazza su tutto il suo corpo. Voleva guardare? Nessun problema. Ma lui voleva capire cosa ci fosse nella sua testa – e nel suo cuore.

Si voltò e lei chiuse gli occhi. La raggiunse sul letto e avvertì ogni suo muscolo tendersi. Il cuore batteva troppo veloce.

Ed ecco che lei parlava e si stupiva ancora del fatto che lui non fosse un mostro spietato – quello che aveva fatto per Rose era lodevole, sì, ma privato.

Tu vedi la mia anima pensò Damon, e la sua mano si mosse da sola. Gli bastava quello, un semplice tocco, le dita che cercavano le sue. Desiderava quella ragazza più di ogni altra cosa al mondo, ma aveva deciso di rispettarla senza imporsi.

Quando Elena scappò, lui decise che avrebbe almeno ottenuto delle spiegazioni riguardo il suo strano comportamento.

Si aspettava un fiume di parole, di scuse, magari una ramanzina.

Non era pronto a vedere Elena corrergli incontro, non era pronto ala morbidezza della sue labbra né alle braccia che lo stringevano come se lui fosse l’essenza stessa della vita.

E allora al diavolo il rispetto, al diavolo le ramanzine e gli sforzi per trattenersi. Al diavolo tutto.

Esistevano solo loro due ed Elena aveva scelto di baciarlo. Non sarebbe certo stato lui a rompere quella magia. Le parole in un secondo momento.

Strinse la ragazza a sé, accarezzò il suo corpo, la baciò con tutto l’amore di cui era capace. E lei ricambiò con altrettanto trasposto.

Damon sentì il desiderio che Elena aveva di lui. La sentì tremare contro il suo petto, le labbra mai sazie di baci.

E lo sentì anche lei.

Il suo mondo aveva gli occhi di Damon.

Se in quel momento le avessero chiesto il suo nome lei non avrebbe saputo rispondere. Era pronta a fare l’amore con lui e a non pentirsene.

Nel momento in cui Jeremy li interruppe, il terrore l’assalì.

Cosa aveva appena pensato?

 

 

 

 ***

 

 

 

Katherine Pierce aveva sempre vissuto sul filo del rasoio. Un po’ per necessità, un po’ per gusto personale. Le piaceva giocare e sfidare i suoi avversari. Anche lui.

Klaus si diresse senza indugio nella stanza dei quadri. La vide in piedi davanti a una delle sue ultime creazioni, con le mani che sfioravano il carrello dove aveva riposto le ciotole dei colori.

Non si mosse quando lui arrivò.

«Ti diverti a farmi arrabbiare?» chiese, senza essere davvero arrabbiato, anzi.

Continuando a fissare la tela, Katherine rispose «Volevo solo guardarli.»

Vedendola molto meno combattiva del solito, Klaus tentò un nuovo approccio, ma con l’intenzione di non insistere – sebbene quei micro pantaloncini e la maglietta super aderente rendessero la vampira pericolosamente sensuale.

Si avvicinò a lei a passi lenti per farle capire che non stava cercando di attaccarla. La raggiunse alle spalle, solo un filo d’aria lo separava dalla sua cascata di boccoli scuri.

Con cautela, quasi avesse paura di vederla scappare, Klaus posò le mani sui suoi fianchi. Non le mosse, non tentò di toccarla altrove – nonostante la grande tentazione di farlo. Si sentì come in attesa del suo permesso.

Lei sussultò appena, ma non lo respinse. Poteva forse osare di più? Tentare la sorte? Si fece spazio in lui il timore di esagerare e rovinare tutto… ma tutto cosa? Loro due erano ancora dietro la linea di partenza.

Fece una lieve pressione con le dita sul fianco della vampira, che si voltò verso di lui. Nel movimento i lunghi capelli gli toccarono il braccio e il seno strusciò contro il suo petto.

Katherine tenne lo sguardo basso per qualche istante, conscia di avere gli occhi di Klaus addosso.

Sembrava tesa e lui non era da meno: nella mente continuava a chiedersi se fosse il caso di andare avanti o fermarsi, ma Katerina era così docile e il corpo esile così piacevole contro il suo… le tenne una mano sul fianco e l’altra si mosse istintivamente verso il suo viso.

Le sfiorò la guancia e lei alzò lo sguardo. Uno sguardo che quasi non riconosceva più – non lo vedeva da così tanto tempo.

Klaus chinò il capo fissando le sue labbra. Quando le toccò con le proprie, qualcosa gli esplose dentro.

Il primo bacio dopo cinque secoli.

Era lento, cauto, inaspettatamente dolce.

L’ibrido aveva tentato più volte di avvicinarsi a lei, provocandola e cercando di farla alterare, ma era riuscito solo ad ottenere un rifiuto dopo l’altro. In quel momento, invece, Katerina si stava lasciando andare. Appoggiò i fianchi al carrello dei colori dietro di sé, aggrappandosi alle sue spalle.

Lui cercò di rispettare lo spazio personale della vampira, ma poi lei schiuse le labbra e disegnò il contorno della sua bocca con la punta della lingua. La realtà di ciò che stava succedendo colpì Klaus come un pugno nello stomaco.

Non perse l’occasione per approfondire il bacio e, con un gesto fulmineo, spinse la vampira contro la parete, schiacciandola con il suo copro. Era come se volesse fondersi con lei.

Katherine rispose con altrettanto impeto, ora mordicchiando le sue labbra, ora giocando con la sua lingua. I baci di Klaus erano esattamente come li ricordava: intensi, passionali, totalizzanti. Più la baciava, più sembrava volerla mangiare.

L’istinto le fece inarcare la schiena per cercare un maggiore contatto con lui e questo gli fece quasi perdere la ragione.

In condizioni normali, con una donna qualsiasi, Klaus avrebbe preso subito le redini del gioco, sollevandola da terra e facendole allacciare le gambe intorno ai suoi fianchi. Ma quella non era un donna qualsiasi ed era così volubile che un momento avrebbe potuto donargli il mondo e il momento dopo schiaffeggiarlo oltraggiata.

Così si limitò a scaldare ulteriormente la situazione infilando una gamba tra le sue e stringendosela addosso ancora di più, affondando una mano tra i suoi capelli e assaporandola con l’altra, accarezzandole il viso, il collo, sfondando quasi la sua cassa toracica nello sforzo di non toccarle sfacciatamente il seno.

Katerina non oppose resistenza e non sembrava in alcun modo costretta. Partecipava più che volentieri, lo sentiva dal modo in cui le dita giocavano con i suoi capelli corti e l’altra mano stringeva così tanto la stoffa della maglietta che quasi l’avrebbe strappata.

Con sua grande sorpresa, la vampira spostò la gamba intrappolata tra le sue, portandola all’esterno e tirandola su, contro il suo fianco. La mano che prima le accarezzava la schiena corse ad attirare quel corpo peccaminoso ancora di più contro il suo, se possibile.

Probabilmente le faceva male schiacciandola così tanto al muro, ma non gli importava. Quel diavolo di Katerina Petrova gli infiammava le vene come mai nessuna donna era stata in grado di fare.

Quando l’eccitazione fu fin troppo evidente e lo portò a muovere inequivocabilmente il bacino contro il suo, però, Katherine in un certo senso rinsavì. Tirò giù la gamba e smise di giocare con i capelli e la maglietta di Klaus, portando le mani aperte sul suo petto.

Lui colse subito il messaggio e non tentò di farle cambiare idea. Lasciò andare la sua bocca dopo qualche altro bacio meno focoso dei precedenti e aprì gli occhi per guardarla in viso.

Oh, era così… indescrivibilmente bella. Come aveva potuto resistere tutto quel tempo senza baciarla ogni giorno? Si chiese se fosse stato lui a tirarle fuori quell’espressione di innocente imbarazzo o se fosse una delle tante armi che lei usava con gli uomini.

Rimasero così, uno contro l’altro, ancora abbracciati, con il fiato corto e senza poter smettere di fissarsi.

Katherine era effettivamente in imbarazzo. Concedere un bacio era una cosa, pomiciare come adolescenti in quel modo un’altra.

Klaus posò la fronte alla sua e parlò in un sussurro. «Sto per partire.»

Lei annuì piano, si sistemò la maglietta guardando per terra e respirò a pieni polmoni quando lui fece mezzo passo indietro per permetterle di muoversi.

«Buon viaggio.»

Quelle furono le uniche parole che Klaus riuscì a ottenere, ma non sperava in niente di più, non dopo quello che era successo.

Vedendola andare via e pensando a come si era lasciata andare tra le sue braccia, avvertì di nuovo quel fastidioso pizzicore in un angolo della sua mente, comunemente detta coscienza.

Strano ma vero, quella piccola vipera riusciva a farlo sentire in colpa: per quello che le stava facendo, per averla sequestrata, per averla resa di nuovo vulnerabile… per averle nascoso il ballo durante il quale aveva pesantemente flirtato con Caroline Forbes – che, per inciso, Katherine detestava.

Scosse la testa per liberarsi di quella scomoda sensazione e si concentrò sui dettagli del suo imminente viaggio.

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** This Is Not Gonna Help ***


 

*Act X*

This Is Not Gonna Help

 

 

 

 

Trovare Scary Mary non era stato troppo difficile. Il vero problema era che fosse già morta e in compagnia. Kol. Il più piccolo dei Mikaelson, l’adolescente ribelle con gli ormoni sballati e la voglia di fare a botte tutto il giorno.

Non era proprio l’accoglienza che si erano aspettati.

Nella mente di Elena frullava ancora la battuta infelice di Jeremy sulle sue intenzioni di pomiciare ancora con Damon quando apparve Kol davanti a loro, munito di mazza da baseball.

Damon cercò subito di proteggere la ragazza, che finì inevitabilmente per farsi male. A Kol non interessava chi fosse il suo avversario, intuì subito il vampiro e questo lo rendeva più pericoloso del previsto e meno maneggevole dei suoi fratelli.

Klaus finora si era limitato a qualche schiaffo, Elijah non aveva mai alzato le mani su una donna. In più, Kol era armato e più vecchio di troppi secoli. Sarebbe stato difficile metterlo ko, proteggere Elena e allo stesso tempo non farsi ammazzare.

Quando l’Antico si scagliò con violenza su di lui, la ragazza accorse nel tentativo di difenderlo e fece un volo di due metri. Sbatté con forza la schiena contro un mobile e sentì subito un rivolo di sangue colarle dalla tempia a sinistra.

Con la vista sfocata seguì Damon atterrare Kol per poi essere di nuovo atterrato da lui. Pochi minuti e molti pugni dopo, Kol annunciò che ne aveva avuto abbastanza e sparì così come era arrivato. Facendosi forza contro le vertigini, Elena si alzò da terra e aiutò Damon a fare lo stesso.

«Sei ferita» constatò lui guardandola in viso. «Perdi sangue.»

Elena sentì la guancia bruciare lì dove lui aveva delicatamente posato la mano. Era sempre lo stesso Damon, ma con una nota di dolcezza e confidenza in più rispetto al solito. Un folle senso di colpa la investì in pieno nel vedere quanto lui fosse preoccupato.

«Starò bene» abbassò lo sguardo e fece un passo indietro per allontanarsi da lui, voltandogli le spalle.

«Cosa stai facendo?»

«Di cosa parli?» chiese di rimando tornando a guardarlo. Damon aveva un’espressione sofferente e confusa in volto.

«Questo viaggio… avermi baciato… cosa diavolo significa?»

Mentire o dire la verità? Nei pochi secondi di silenzio che seguirono quella domanda, Elena decise di essere sincera. «Stefan pensa che io provi qualcosa per te.»

«Ed è vero?»

«Io non… non lo so…» Battere in ritirata, ecco cos’era la sua specialità: fare un passo indietro, al sicuro, in un territorio che conosceva e che non la spaventava.

Lo sguardo di Damon si indurì. «Questo viaggetto avrebbe dovuto aiutarti a capirlo, vero?» non c’era più la dolcezza di prima nella sua voce. «Speravi che combinassi qualcosa così che decidessi al posto tuo, vero?»

«È quello che fai, Damon!» sbottò la ragazza. «Tu rovini le cose, distruggi tutto. Ogni volta che salta fuori un imprevisto dai di matto.»

«E se non rovinassi niente? E se non ci fossero imprevisti?»

Nonostante tutto, continuava a sperare. Era la speranza, erano quei piccoli segni a tenerlo legato a lei, a pendere dalle sue labbra e aspettare che si accorgesse di lui. Ma lo sguardo che ricevette in risposta non era diverso dagli altri: Elena non si fidava, non gli credeva, aspettava che impazzisse per potergli dare la colpa.

«Mi dispiace, Elena, ma non ti renderò le cose così semplici. Questa volta dovrai capirlo da sola.»



 

Il viaggio in macchina fu, se possibile, ancora peggio di quello scambio. Jeremy stava tornando a casa con loro, mai al mondo Elena avrebbe acconsentito a riportarlo a Denver. Damon era arrabbiato, Elena si sentiva uno schifo.

Ripensò alle parole del vampiro, al suo sguardo, a ciò che aveva provato la sera precedente… gli era saltata addosso, l’aveva baciato di propria iniziativa. Era partita da sola con lui proprio per capire quali fossero i suoi sentimenti e come comportarsi con lui e suo fratello.

Se pensava a uno solo di loro due non aveva dubbi, ma quando guardava la situazione generale, ecco che il panico l’assaliva. Come ci era finita in un casino simile?

Di una cosa era certa: doveva parlarne con Stefan. E, chilometro dopo chilometro, la risposta a quei dubbi si fece sempre più chiara davanti ai suoi occhi.



 

Il mattino successivo, dopo un pesante sonno ristoratore, Elena aprì la porta di casa per far entrare Damon. Stefan sarebbe arrivato a breve e l’argomento del giorno verteva sugli aggiornamenti della missione a casa di Scary Mary.

Nella sua mente, però, era già delineato un piano d’azione: parlare da sola con Stefan e poi da sola con Damon. Doveva loro delle spiegazioni, delle risposte e pensava di aver preso la decisione giusta. Se non altro era la più onesta nei confronti dei fratelli Salvatore.

«Ho bisogno di una boccata d’aria» annunciò il vampiro aprendo la porta di casa.

Subito dopo, però, venne colpito da un sasso sulla spalla. Sul marciapiede davanti alla casa dei Gilbert c’era Kol. Di nuovo lui, dannato ragazzino.

Elena era così persa nei propri pensieri che non si accorse di nulla. Rifletteva su cosa dire, su come dirlo, immaginava le possibili reazioni di Stefan e Damon. Solo un paio di minuti dopo si rese conto che stava succedendo qualcosa.

Sentì rumori e imprecazioni. Aprì la porta e vide Kol, col naso sanguinante, sferrare un pugno e colpire Damon in pieno volto.

«Sei già stanco, Salvatore?» lo schernì l’Antico. «Ti credevo più combattivo.»

«Non gioco con i bambini» replicò l’altro raddrizzando la schiena.

«Damon!» Elena uscì di casa, spaventata da quel nuovo scontro.

Il vampiro sgranò gli occhi «Torna dentro!» gridò.

Kol, più veloce di lui, si parò davanti alla ragazza. «Ecco qua l’ultima doppelganger.»

Damon si scagliò contro di lui, ma Kol, con un gesto rapido, colpì Elena in pieno viso con tanta forza da farla cadere oltre le scale del porticato, con la schiena che strisciò per tre metri sull’erba.

Damon corse subito in soccorso di Elena, tramortita dalla violenza con cui era stata colpita. La prese tra le braccia e osservò la sua guancia già arrossata.

«Non c’è gusto così… troppo debole» sputò Kol con disgusto.

«È umana, idiota!»

L’altro sbuffò, come annoiato. «Troppo umana. E troppi guardiani al suo fianco.» Alle spalle di Damon era appena comparso Stefan. «Non ne vale proprio la pena. Questa doppelganger non mi piace più». Poi, un lampo maligno gli attraversò gli occhi. «Preferisco giocare con l’altra.»

Svanì in un lampo e i Salvatore ne approfittarono per portare Elena in casa. Stefan prese del ghiaccio per lenire il dolore e il gonfiore sul viso, Damon cercò la cassetta del pronto soccorso per via del sangue che le usciva dal naso e un graffio sulle labbra, oltre che controllarle la schiena.

«Come ti senti?»

Elena accettò volentieri il bicchiere di acqua e zucchero offertole da Stefan, avvertiva la testa girare e le gambe molli, quasi più per lo spavento che per il pugno ricevuto. Si sentì subito meglio e ripensò alle parole dell’Antico.

«Dove ha detto che andava, Kol?» chiese. «Mi è parso di sentire l’altra doppelganger

Stefan e Damon si scambiarono un’occhiata, scoprendo di avere entrambi lo stesso, brutto presentimento. «Katherine.»

«Chiamo Elijah.»

Elena, già preoccupata per la prigionia della vampira, si allarmò ancora di più: Kol non era pacato come Elijah e di certo non aveva la stessa mente lucida di Klaus, che qualche ceffone gliel’aveva tirato, sì, ma non andava in giro ad attaccar briga senza motivo. «Katherine è in pericolo» sussurrò, stanca. «Kol potrebbe non fermarsi.»



 

In quel momento Katherine stava preparando del caffè. Era sola in casa e si annoiava a morte: aveva già fatto una perfetta messa in piega ai capelli, manicure, pedicure e visto un paio di film romantici su un canale sperduto in TV.

Avvertì una presenza in casa.

«Eccola qui, la mia compagnia di giochi.»

Kol era una seccatura, aveva avuto poco a che fare con lui e non lo aveva affatto in simpatia. Sembrava uno di quegli adolescenti problematici che volevano fare casino e frequentare gente pericolosa solo per far indispettire mamma e papà.

Si voltò appena a guardarlo oltre la sua spalla «Kol.»

«Fai la casalinga?» iniziò a ronzarle attorno lui, con un sorriso sornione sulle labbra.

«Mi sono solo fatta un caffè» non si era accorta di quanto il cognato fosse su di giri, l’aveva sempre ignorato il più possibile proprio per non avere problemi con lui. «Per tutto il resto mi pare che abbiate uno staff numeroso.»

Kol si sentiva ignorato e non lo sopportava. Katherine non lo degnava mai di uno sguardo e da tempo aveva voglia di litigare con lei, la cara cognatina che aveva sempre messo se stessa davanti a chiunque altro: era una vampira con la quale valeva la pena ingaggiare uno scontro.

Era ancora gasato per la scazzottata con Damon, ma ne voleva ancora.

«Elena non è così interessante come sembra, non capisco come mai tutti le stiano dietro in quel modo.»

Katherine zuccherò il suo caffè. «Come mai sei andato da lei?»

«Klaus non c’è, Rebekah è in giro. Mi annoio. Non ho nessuno da prendere a botte» rispose lui alzando le spalle.

La vampira roteò gli occhi al cielo. «Che passatempo maturo.»

Ignorò l’occhiataccia che ricevette in risposta e sorpassò l’Antico, diretta in sala, ma gridò quando si sentì improvvisamente afferrare per i capelli. La tazza le cadde dalle mani.

Kol le strattonò di nuovo i capelli e la spinse a terra. Katherine non capì subito quello che stava succedendo, un momento prima si stava preparando del caffè, quello dopo era a terra, con Kol che le faceva peso sulla schiena e le tirava i capelli con forza.

«E tu nel tempo libero cosa fai, rovini le famiglie?»

«Lasciami!» gridò lei, divincolandosi. Riuscì a fargli mollare la presa e si voltò per sferrare un calcio, ma Kol fu più rapido e si sedette sulle sue gambe, bloccandole ogni movimento.

«Ho saputo che sei molto più disponibile di Elena.»

Per tutta risposta lei gli sputò in faccia.

«Io faccio quello che voglio con chi voglio» ringhiò di rabbia e frustrazione repressa.

Con una forte spinta riuscì a liberare le gambe, approfittando dell’attimo in cui l’Antico si passava la manica della maglia sul viso e si allontanò quel tanto che le bastava per rimettersi in piedi. La testa le faceva un gran male, quell’idiota le aveva quasi strappato un’intera ciocca di capelli.

«Cosa cavolo vuoi da me?»

«Divertirmi» rispose lui candidamente nel suo strano accento. «Sfogarmi. Non ho nessuno con cui giocare, mi annoio.»

«Io non sono il tuo giocattolo! Se vuoi fare a botte aspetta che torni tuo fratello e rompi le scatole a lui.»

Kol aveva lo sguardo di un pazzo, sembrava fuori controllo. In quel momento ricordava molto Ripper Stefan… e ciò non era affatto rassicurante.

«A proposito di mio fratello… com’è che continui a rifiutarlo?» decise di provocarla per farle abbassare la guardia. «Temi che con la vecchiaia le sue abilità abbiano perso qualche colpo?»

«Non sono affari tuoi.»

Se fosse stata umana sarebbe arrossita e avrebbe dato di matto allo stesso tempo. Cercò di calcolare quanto ci avrebbe messo a chiudersi a chiave nella prima stanza disponibile, ma erano tutte lontane e Kol era particolarmente veloce, oltre che più vecchio di lei di cinquecento anni. L’avrebbe raggiunta subito.

«Forse vuoi solo fargliela sudare.»

Un passo avanti lui, uno indietro lei.

«Non è quello il punto e ti ripeto che non sono affari tuoi!» sbottò la vampira.

«O magari stai cercando qualcuno che ci sappia fare meglio?»

«Sei disgustoso.»

«E tu sei davvero divertente.»

Le fu addosso in un attimo. Katherine lo colpì in pieno stomaco con un ginocchio, lui le fece sbattere la testa sul pavimento. Questo la stordì un istante e Kol ne approfittò per lacerarle la maglietta e infilare una mano dritto nel suo ventre.

La vampira si trovò a boccheggiare, incapace di muoversi. Aveva paura di morire, sentiva che lui non si sarebbe fermato, a costo di provocare le ire di suo fratello.

«È così che Klaus dovrebbe trattarti. Smetteresti subito di fare la principessina sui tacchi.»

Si chinò sul suo collo e la morse. Lo fece in modo brutale, atto solo a procurare quanto più dolore possibile. Kol era un predatore spietato, se Klaus viveva secondo le proprie regole, lui ne era totalmente privo.

Non si era mai trovata in una situazione simile: ogni volta che la sua vita era in pericolo aveva sempre una via d’uscita. Quasi nessuno, in cinquecento anni, era riuscito a metterle le mani addosso. Questa volta era diverso. Kol l’avrebbe uccisa.

Quando Katherine sentì di non poter sopportare oltre, una forza invisibile scagliò l’Antico dalla parte opposta del corridoio.

Elijah entrò in casa proprio in quell’istante. Udì un tonfo e, allarmato dalla telefonata di Stefan, si precipitò subito a vedere cosa stesse succedendo. Trovò Katherine a terra, priva di sensi, coperta di sangue dal collo al ventre e Kol, lontano da lei, incastrato in una porta ormai distrutta.

Per prima cosa prese la vampira tra le braccia e salì le scale, dirigendosi verso la sua stanza. L’adagiò con cautela sul letto ed esaminò le ferite al collo e al ventre, che si stavano rimarginando lentamente.

Controllò che non avesse altre ferite gravi, poi si morse il polso e glielo avvicinò alle labbra. Poche gocce – che lei bevve avidamente una volta riaperti gli occhi – furono sufficienti a rendere più rapida la guarigione, sebbene le due ferite principali avessero bisogno di molto più sangue per sparire del tutto.

«Tieni quello stronzo fuori dalla mia portata o giuro che gli stacco la testa con le unghie» furono le prime, rabbiose parole della vampira.

«È scappato poco fa.»

«Lo odio.»

«Sa rendersi antipatico.»

Elijah portò due sacche di sangue a Katherine, che lei svuotò in pochi istanti.

«Cos voleva Kol da me?»

«Litigare» rispose lui con un’alzata di spalle, seduto sul letto a una rispettosa distanza da lei. «Prima di venire qui è passato da Elena.»

«Ha aggredito anche lei?» finse di non essere curiosa, ma il tono della sua voce la tradì.

Elijah soppresse un risolino. «Le ha fatto fare un bel volo.»

La vampira scosse la testa. «Mandatelo in terapia.»

«Stai meglio?» rispose invece Elijah: provò l’istinto di allungarsi per stringerle la mano, ma non osò farlo.

«Sì, grazie.»

Reprimendo il suo desiderio romantico, l’uomo si alzò. «Klaus sarà qui in poco più di ventiquattr’ore. Credo che abbiate qualcosa di cui parlare.»



 

«…uscire di casa!»

«Non sono responsabile delle azioni di mio fratello.»

Klaus era tornato. Katherine si era ristabilita. E si erano messi subito a litigare, urlandosi addosso insulti e cattiverie come una coppia nel bel mezzo della crisi dei sette anni.

«Tuo fratello mi ha aggredita nonostante non gli abbia mai dato corda!» si lamentò la vampira.

«Si sarà sentito ispirato dalla tua reputazione.»

Elijah scosse la testa e chiuse gli occhi. Pessima uscita, fratello. Lo schiocco della mano di Katherine sulla guancia di Klaus si udì perfettamente in tutta la casa. Ed Elijah pensò che se lo fosse davvero meritato.

Come poteva pensare di ottenere il suo amore dandole della poco di buono dopo essere stata quasi fatta a pezzi dal cognato?

«Ho ucciso per molto meno.»

Ah, le solite, vecchie minacce. Ormai non facevano più effetto.

«Beh, non puoi uccidere me

Katherine, soddisfatta per quell’ultima battuta, voltò le spalle al marito e si incamminò sulle scale principali con l’intenzione di rintanarsi in camera a sbollire la rabbia, ma la sua voce la fermò.

«Il legame ti ha protetta.»

Lei gli concesse uno sguardo. Cercò di apparire il più sprezzante possibile per nascondere la grande delusione che provava. A Klaus importava davvero qualcosa di lei o i momenti che avevano condiviso erano solo finzione?

«Di certo non grazie a te.»

Pochi minuti dopo, nonostante lei avesse chiuso l’argomento, Klaus decise comunque di fare irruzione nella sua camera. Aveva riflettuto a lungo su quanto era successo dal momento in cui aveva ricevuto l’allarmante telefonata di Elijah, soprattutto sulla prima vera manifestazione del legame.

C’era qualcosa di strano in lei, era diversa rispetto al breve periodo vissuto nell’appartamento di Alaric Saltzman.

«A cosa devo questo atteggiamento?»

Lei incrociò le braccia al petto, già stanca di ritrovarselo sempre col fiato sul collo. Gli rifilò un’occhiataccia. «Sapere che non puoi uccidermi mi dà sicurezza» disse, sapendo già di cosa lui si stesse lamentando. «E questo atteggiamento fa parte del mio carattere, che ti piaccia o no.»

«Deduco che ci sia un ‘ma’» replicò avvicinandosi.

Le Petrova erano molto orgogliose. Così come le costava chiedere aiuto, le costava ammettere di avere paura.

«Sappi che non hai perso la tua aura malefica» rispose fuggendo il suo sguardo. Quello costituiva già un grande sforzo, il maledetto avrebbe dovuto accontentarsi senza pretendere altro. Nonostante tutto lei non aveva dimenticato quei folli cinquecento anni vissuti nel costante timore che lui potesse trovarla e ucciderla.

«Ti terrorizzo» constatò lui fissandola intensamente. Quando era arrabbiata era ancora più sensuale e avrebbe tanto voluto toccarla, ma sapeva che non era il momento adatto.

«È una reazione comune» replicò lei, e alzò il mento con fierezza. Doveva pur farsi forza in qualche modo.

Eppure il suo cuore…

Klaus continuava a guardarla in silenzio.

«Ecco, adesso sei inquietante.»

Fece un balzo indietro quando lo vide muovere un braccio nella sua direzione. L’ibrido si bloccò subito, mentre lei si dava mentalmente della stupida per aver agito spinta dalla paura.

A quel punto lui scosse la testa e rinunciò a qualsiasi proposito di chiudere quel litigio. Così non sarebbero andati da nessuna parte. In quel momento si sentiva parecchio pessimista e il grande passo avanti di due giorni prima gli sembrava già un ricordo lontano. Ebbe anche la sensazione di aver fatto un viaggio a vuoto, nonostante avesse creato con successo dieci ibridi.

 




***

 

 

Come ormai ogni giorno in quella nuova settimana, Katherine si era appropriata del salotto moderno. Aveva una gran voglia di vedere un film, soprattutto perché l'ultima volta che ci aveva provato era stata disturbata da Klaus.

Il problema era che Klaus la stava disturbando di nuovo: lui infatti si era già messo comodo sul divano, in attesa che lei scegliesse cosa guardare. Kol si era dato alla fuga dopo averla aggredita e dalla sera successiva il padrone di casa era stato particolarmente gentile con lei. Era il suo modo di scusarsi per averla trattata male.

«Cosa ci fanno delle commedie romantiche nella tua collezione?»

«Ho una sorella che sogna l'amore e il principe azzurro, ricordi?»

Katherine sorrise. «Secondo me sono tutti tuoi» lo prese in giro. Vide un titolo che, ammise, le piaceva molto, nonostante lei non fosse un tipo romantico.

Klaus la osservò inserire il dvd nel lettore, godendo della visione di lei fasciata in un paio di jeans aderenti e una camicia scollata. La guardava spesso, ma da quel primo bacio lei continuava a evitare il contatto fisico come la peste e, nonostante il desiderio di farlo, lui non aveva mai insistito. Anzi: più lei lo evitava, più lui voleva avvicinarla in modo onesto.

Katherine fece partire la riproduzione e si sedette con le gambe accavallate, fingendo di essere sola. Non si voltò verso di lui, che le sedeva accanto, e non parlò.

Fu Klaus a interrompere quell'ostinato silenzio. «Serendipity?» soffocò a fatica una risata. «Ti piace davvero?»

«Fossi in te farei meno il simpatico, il film è tuo» rispose acidamente la vampira.

«Mi stupisce solo che a te piaccia» scosse la testa, divertito. «Credi nel destino, love?»

«Credo che, se non stai zitto, spegnerò tutto e me ne andrò in camera.»

Non si era resa conto subito del modo in cui gli aveva risposto, così si girò verso di lui, aspettandosi di vedere fuoco e fiamme nei suoi occhi... invece, con grande sorpresa, Katherine scoprì che Klaus aveva piuttosto l'aria pensierosa.

A cosa stesse pensando non lo immaginava e neanche ci teneva a chiederlo. Fece finta di niente e riportò lo sguardo verso lo schermo. C'era ancora quel qualcosa che lui le nascondeva e che lei non era riuscita a scoprire. Non voleva inimicarselo, soprattutto non ora che era sempre così gentile con lei.

Klaus rimase straordinariamente in silenzio per un'ora. L'atmosfera tra loro non era né tesa né imbarazzante, stavano davvero guardando il film. Katherine si sorprese della determinazione dell'ibrido nel sorbirsi un film d'amore per restare accanto a lei. La cosa le fece fastidiosamente piacere.

A un tratto, Klaus allungò il braccio sinistro sulla spalliera e iniziò a giocare con i capelli di Katherine. Lo faceva di continuo, ogni scusa era buona per toccarli ed era un'abitudine che non aveva ancora perso dopo cinquecento anni.

«Se ti chiedessi di pagarmi ogni volta che mi tocchi i capelli sarei miliardaria.»

Lui rise sommessamente. «Posso scegliere il metodo di pagamento?»

«Vestiti» rispose subito lei. Non voleva dare il via a un altro scambio di battute farcite di doppi sensi.

Poco dopo, Klaus cambiò strategia. Mosse la mano verso il collo della vampira, che sentì irrigidirsi all'istante – si chiese se sarebbe mai tornata a sentirsi al sicuro vicino a lui. Con le dita iniziò a tracciare disegni astratti sulla sua pelle, sfiorandola delicatamente con i polpastrelli.

Katherine si sentì avvampare. Venne scossa da un lungo brivido di paura, eccitazione e aspettativa, ma rimase concentrata sul film. Era l’effetto che Klaus aveva su di lei.

«È toccante il modo in cui i due protagonisti si cercano. Non trovi, love?»

«Trovo» si limitò a rispondere lei. Se avesse tenuto la bocca aperta avrebbe di sicuro sospirato.

«Non riescono a non pensare al passato» continuò l'ibrido, senza spostare la mano, ma avvicinandosi col corpo. «Anche se è stato breve, ciò che hanno condiviso è stato così intenso da condizionare le loro vite.»

«Klaus...» un sospiro. «Smettila. Per favore. Mi...» si bloccò.

Lui adorava vederla in difficoltà e sapere di essere la causa del suo disagio. Alzò le sopracciglia in un'espressione curiosa, a pochi centimetri dal suo viso. «Sì?»

Katherine si morse la lingua. «Mi distrai.»

«A quanto pare accade spesso.»

«Accade anche che continui a prenderti gioco di me.»

«Oh, non lo farei mai.»

«Lo stai facendo anche adesso» stizzita, la vampira si voltò verso di lui per accusarlo di tutti i mali del mondo, ma si scontrò con le sue labbra.

La mano che Klaus teneva sul suo collo divenne rigida e le impedì di tirarsi indietro, spingendola invece verso di lui. Katherine, colta di sorpresa sia da lui che dalla propria debolezza – e dal desiderio di baciarlo che l’aveva accompagnata fin dal mattino – abbandonò subito l'idea di ribellarsi e si concesse di lasciarsi andare. Portò le mani sulle spalle dell'ibrido, artigliò la stoffa della maglietta tra le dita e lo attirò a sé.

Klaus, esaltato come un adolescente, approfondì quel bacio e si fece più avanti, spingendo la vampira di schiena sul divano. Godette del suo sospiro quando lasciò le sue labbra per baciarle la guancia e scendere verso il collo. Katerina profumava di fiori.

«Klaus…» disse lei in un soffio, mentre gli scompigliava i capelli con una mano e resisteva all'impulso di infilare l'altra sotto la maglia. Se l'avesse toccato non sarebbe più riuscita a fermarsi.

Klaus le strinse i fianchi, portando un braccio sotto il suo esile corpo, mentre l'altra scorreva lungo la sua gamba. Fece una leggera pressione con le dita sotto il ginocchio, che lei piegò d'istinto contro il suo fianco. Lui ne approfittò subito per bloccarla sotto di sé, ma l'ottimismo gli aveva fatto dimenticare con chi aveva a che fare.

Appena sentì i fianchi dell'ibrido contro i suoi e l'effetto che quella pomiciata stava avendo su di lui, Katherine pensò che fosse il caso di fingersi timida. Portò immediatamente le mani sul suo petto per allontanarlo ma lui, che sembrava volerla ricoprire di baci per l'eternità, risalì dalla scollatura della camicia fino al viso.

Al diavolo la timidezza. Gli permise di baciarla di nuovo con rinnovata passione e gemette contro le sue labbra quando lo sentì fare pressione sul suo bacino con il proprio.

«Santo cielo, prendetevi una stanza! »

Al sentire la voce disgustata di Rebekah, Katherine spinse via Klaus, che si mise seduto con un'espressione strafottente in viso, seppur visibilmente contrariato.

«Rebekah, sorellina, ti ho mai spiegato cos'è la privacy?»

«Sì, e non è sbaciucchiarsi dove tutti possono vedervi.»

Katherine non perse tempo e scappò alla velocità della luce. Si rintanò nella propria stanza e chiuse a chiave la porta.

Cosa diavolo le era preso? Non avrebbe dovuto permettere a Klaus di arrivare tanto in là. Finora era riuscita a tenere a bada sia lui che i propri sentimenti e desideri. Accidenti a lei, era troppo libidinosa e troppo succube di quel bastardo per poter resistere.

Dal loro primo bacio l'ibrido si era preso molta più confidenza, ma senza mai esagerare, soprattutto perché cercava di tenerlo lontano il più possibile. La sfiorava, la stringeva, le toccava un fianco o i capelli e le aveva rubato un paio di baci. Niente di più. Doveva essere lei a tenere alte le difese, ma era sempre più difficile ogni giorno che passava: la presenza di Klaus era intossicante, i ricordi non la lasciavano in pace e... e credeva di amarlo.

«Maledizione!» ringhiò tra i denti. Era arrabbiata, delusa, imbarazzata ed eccitata. Un mix poco gradevole.

Si diresse in bagno e aprì l'acqua bollente, versando poi un'abbondante manciata di sali profumati. Mentre si spogliava poteva ancora sentire il tocco delle sue mani sulla pelle. Gli lanciò terribili maledizioni con il pensiero, gettò rabbiosamente i vestiti a terra e si infilò nella vasca, con l'intenzione di restarci fino al mattino seguente.

Al piano di sotto, Klaus non godeva certo di un umore più allegro. Si alzò dal divano per spegnere la tv e riporre il dvd. «Potevi avvisarmi del tuo ritorno.»

«Così da evitarmi l'imbarazzo di vederti pomiciare in salotto con Katerina Petrova? Non me lo sarei perso per nulla al mondo» Rebekah posò la borsa e la giacca sul divano e incrociò le braccia al petto.

Il fratello si voltò verso di lei con un'espressione assassina in viso. «Non hai idea di quanto sia difficile avere a che fare con quella donna.»

Lei lo schernì con lo sguardo. Scosse la testa. «Ma guardati, sei eccitato come un ragazzino. Non vale neanche la pena prenderti in giro, lo fai già benissimo da solo.»

Se Klaus era in imbarazzo, di sicuro si stava impegnando moltissimo per non darlo a vedere. Osservò la sorella uscire e imprecò nella mente.

I pantaloni tiravano. Maledetta Katerina.

Aveva bisogno di una doccia fredda – anche se avrebbe di gran lunga preferito terminare ciò che aveva iniziato con la vampira.

 
 

Quando Bonnie sentì il campanello di casa suonare e andò ad aprire, si sarebbe aspettata chiunque tranne che lui.

«Klaus.»

«Buongiorno, Bonnie. Buona domenica.» L’educazione prima di tutto.

«Non ti inviterò a entrare» disse subito la ragazza. Non aveva bisogno di scuse per mostrare il disprezzo che provava nei confronti dell’ibrido. La sua natura di strega era un ottimo biglietto da visita. E, in un certo senso, sapeva che Klaus provava stima per lei.

«L’avevo immaginato» sorrise. «Vorrei sapere come procedono le tue ricerche. Hai trovato qualcosa di interessante?»

La giovane avrebbe tanto voluto ridergli in faccia. «Benissimo. La teoria va alla grande, è la pratica ad essere parecchio deludente.»

Klaus portò le mani dietro la schiena, in attesa di altre spiegazioni. In realtà, in quel momento appariva come un bambino capriccioso.

«Il legame può spezzarsi solo in un modo e non c’è niente che io possa fare, né ho cambiato idea sull’incantesimo per legare te ad Elena» sbuffò la strega, annoiata dalle continue insistenze di quell’essere irritante. «Ti consiglio di farti un bell’esame di coscienza.»

Non attese una risposta e chiuse la porta, sbattendogliela quasi sul naso. Non comprendeva quel comportamento infantile: Klaus conosceva meglio di chiunque altro la magia che lo legava a Katherine, eppure continuava a volere soluzioni da altri.

Probabilmente era ancora nella fase di negazione, ma scappare dalla realtà non l’avrebbe di certo aiutato.

 

 

 ***

 

 

Matty Blue Eyes

Katherine lo chiamava così e Rebekah si ritrovò d’accordo con lei: i grandi occhi blu di Matt erano una delle cose che adorava di lui. Lo facevano sembrare un angelo.

Era persa per lui, per un ragazzo umano che era sì stato buono con lei, ma che continuava a rifiutarla.

Quel giorno si trovava al Grill per tentare di nuovo la sorte: forse era di buon umore e non le avrebbe dato picche, sperava la ragazza guardandolo da lontano. Era anche un lavoratore serio e onesto. Insomma era l’uomo perfetto sotto ogni punto di vista.

Si avvicinò al bancone del bar senza sedersi né ordinare.

«Ciao Matt» gli disse con il suo sorriso migliore.

Lui la guardò appena e non si curò di mascherare il fastidio provocato da quell’ennesima visita. «Cosa prendi?»

«Un appuntamento.»

Matt aprì un cassetto da cui estrasse uno strofinaccio e iniziò a pulire il banco di lavoro.  «Non serviamo appuntamenti.»

Rebekah non si perse d’animo. «Non ti sto chiedendo niente di impegnativo, solo… un’uscita tra amici?»

Il ragazzo parve esitare per qualche istante, poi scosse la testa. «Ho detto no.»

Un altro buco nell’acqua. Matt era duro con lei nonostante i numerosi tentativi della vampira di ottenere un po’ del suo affetto. Era il caso di rinunciare? O poteva provarci ancora? Forse prima o poi avrebbe infranto le sue barriere, si disse; bisognava solo insistere ancora un poco.

«Sorella.»

Kol interruppe i sogni romantici e deprimenti di Rebekah. Sembrava agitato e guardingo. C’era qualcosa che non andava.

«Cosa succede?»

«Non posso restare qui.»

«Ma siamo appena tornati» protestò lei, «perché vuoi già andare via?»

L’altro si guardò le scarpe con un’espressione colpevole in viso. «Perché ho combinato un casino.»

Si allontanarono dal bancone e si appartarono in una zona più tranquilla del locale.

«Ho fatto rissa con Damon Salvatore. E preso a schiaffi la Gilbert.»

Rebekah sgranò gli occhi, sorpresa, ma aveva la sensazione che le brutte notizie non fossero finite. «Dimmi che non hai fatto arrabbiare Nik.»

Speranza vana.

«Ho quasi ucciso Katherine.»

Rebekah ebbe l’impulso di prenderlo a calci. «Si può sapere cosa ti è saltato in mente? Katherine è intoccabile

«Ero su di giri e lei non abboccava… e poi mi sta antipatica.»

«E ti sembra un buon motivo per aggredirla? Non ci posso credere» scosse la testa. «Nik ti ucciderà.»

«Per questo devo partire subito, sono qui per salutarti» era sinceramente dispiaciuto di dover abbandonare la sorella. «Non voglio tornare in quella bara per chissà quanti secoli. Se faccio passare un bel po’ di tempo forse la rabbia di Niklaus si placherà.»

«Pregherò per la tua anima» sospirò rassegnata lei. «Hai bisogno di qualcosa?»

«Sono a posto, ho già fatto rifornimento di tutto.»

«Fatti sentire ogni tanto» Rebekah abbracciò quel disgraziato di suo fratello e lo guardò andare via. Probabilmente si sarebbero rivisti dopo un secolo o due.

Quella era proprio una giornata no, pensò tra sé e sé. Matt l’aveva rifiutata di nuovo e Kol era fuggito. Finn era nella tomba, quindi le restavano – come sempre, realizzò – solo Klaus ed Elijah come compagni. Che gioia.

Uno in meno.

Caroline Forbes non aveva perso il vizio di origliare qualunque cosa fosse alla sua portata – e quella di un vampiro era un portata parecchio estesa.

La defezione di Kol era un’ottima notizia, soprattutto perché era il più imprevedibile della famiglia, come una boma a orologeria pronta a esplodere da un momento all’altro. Le aggressioni a Elena, Damon e perfino Katherine parlavano chiaro.

Non avevano bisogno di altri problemi in quel momento, ne avevano già abbastanza: Klaus ci aveva provato di nuovo al ballo a casa sua e poi era sparito. La condizione di Katherine non era rosea per la protezione di Elena, senza contare quell’assurdo triangolo in cui si era infilata la sua amica.

«Caroline.»

Si voltò con un gran sorriso nel sentire la voce di Tyler. Gli allacciò le braccia al collo e lui la strinse forte a sé, ma aveva un’espressone molto seria in volto. Si preoccupò all’istante.

«Devo parlarti di una cosa importante.»

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Just Let Me In ***


Nota:
C’è una parte un po’ confusa: inizialmente doveva essere diversa, ho invertito due scene e spostato il luogo dell’azione rispetto allo schema originale del capitolo. Ho provato a modificare seguendo quello schema ma avrei perso delle battute molto importanti, quindi ho rattoppato altrove e tenuto le cose così come sono. 
Chiedo scusa per le cose che non sono spiegate benissimo, ma più di così non riuscivo a fare.
Ci tengo a ringraziare Rebekah, che ha continuato a spronarmi per continuare questa storia.


 

*Act XI*

Just Let Me In

 

 

 

 

 

Con grande fatica Elena aveva raccolto tutto il coraggio di cui disponeva: quel giorno avrebbe parlato con Stefan dei dettagli di Denver. Era la strada giusta da percorrere, ne era sicura.

Stefan aprì la porta prima che lei avesse bussato. Sensi di vampiro. Ci avrebbe fatto l’abitudine prima o poi.

«Entra» parve a disagio, ma aspettò che lei iniziasse a parlare senza farle pressioni.

Elena si sedette sul divano nel grande soggiorno e si guardò le mani a lungo prima di riuscire ad aprire bocca. «È successo qualcosa. A Denver» disse. «Tra me e Damon.»

Stefan non si mosse. L’aveva già messo in conto, era preparato. Li aveva mandati via insieme proprio per uscire da quella situazione.

«Ci siamo baciati» poi aggiunse subito «io l’ho baciato. E abbiamo litigato.»

Il vampiro annuì mantenendo un’espressione impassibile. «Immagino che non abbiate ancora risolto.»

Lei scosse la testa e si torturò il bordo della maglia lunga che indossava. «Io non… non ho ancora capito cosa provo… ma voglio scoprirlo.»

«E come» Stefan sentì le labbra improvvisamente secche. «Come pensi di fare?»

Gli occhi di Elena incontrarono i suoi. «Stando da sola.»

Per qualche istante il tempo smise di scorrere. Stefan rimase immobile con quelle parole nella mente.

Stando da sola.

Non aveva scelto Damon. Poteva ancora sperare che tornasse sui suoi passi per restare con lui. Tese le labbra in un debole sorriso. «Si può fare.»

Vedendo che non era arrabbiato, la ragazza si rilassò. Trasse un lungo sospiro e si appoggiò allo schienale del divano.

«Amici?» azzardò con un sorriso innocente in viso.

«Amici» concordò Stefan.

La prima parte era andata, si disse Elena nella mente. Parlare con Stefan era sempre stato facile. Il problema era Damon: avrebbe accettato le sue parole? Quanto tempo ancora l’avrebbe aspettata?

La prospettiva che lui fosse già al limite la spaventò a morte: era pronta a perderlo? A non averlo più come possibilità?

L’oggetto dei suoi pensieri rincasò pochi minuti dopo. Aveva sfogato tutta la sua frustrazione in una faccia feroce fuori città. Sapeva di dover parlare con Elena ed era preparato a venir messo da parte un’altra volta, ma non era sicuro di poterlo sopportare ancora.

«Ciao.»

«Ciao.»

Stefan si alzò e prese le chiavi della macchina. «Vado a fare un giro.»

Era troppo tranquillo e questo insospettì Damon, che già aveva un film in testa nel quale Elena sceglieva di nuovo suo fratello.

Lei era scattata in piedi insieme alla serratura e la sola vista di Damon le aveva provocato un tuffo al cuore. Quelli non erano semplici sentimenti di amicizia, ma poteva già definirli amore?

Non correre come al solito, si rimproverò mentre Stefan usciva.

«Allora… beh, eccoci qua» Damon allargò le braccia e decise di affrontare la cosa con filosofia – ovvero riempiendosi subito un bicchiere, ma il liquore gli rimase incastrato in gola quando sentì le parole di Elena.

«Io e Stefan ci siamo lasciati.»

Il suo motore interno dei sensi di colpa era già in azione.

«Gli ho detto tutto» proseguì lei, sempre impalata in mezzo alla stanza, incapace di muovere un muscolo. «Aveva ragione, provo qualcosa per te.»

Ma…

«Ma finché non avrò compreso davvero i miei sentimenti vorrei che… restassimo amici.»

Damon si concesse di avvicinarsi di qualche passo.

«Devo capirlo da sola, senza l’aiuto di nessuno né aspettandomi che qualcosa vada storto.» Il vampiro non parlava e lei si sentiva morire d’ansia – con Stefan non era stato così difficile. «Puoi essermi amico ancora un po’?»

Damon le rivolse quello sguardo che lei non riusciva mai a decifrare e che ogni volta nascondeva qualcosa di diverso. Provò un moto di paura che le era mancato durante il primo discorso.

Si sorprese nel pensare che con Stefan fosse tutto tranquillo: lui avrebbe sempre compreso le sue ragioni senza reagire in modi strani.

Damon era diverso, imprevedibile e la paura di perderlo era soffocante. Il solo pensiero la terrorizzava.

«Non hai bisogno di chiedermelo» il vampiro non la guardò in viso e la voce sembrava annoiata.

In realtà era felice come non mai: la ragazzina stava crescendo e non era tutto perduto. In quel momento lui e suo fratello si trovavano esattamente sullo stesso piano nel cuore e nella mente di Elena.

Era molto più di quanto avesse osato sperare.




***



 

Klaus aveva una brutta sensazione addosso. Gli si era infilata sotto la pelle nell’esatto momento in cui aveva varcato la soglia di casa. C’era qualcosa nell’aria. Era come la calma prima della tempesta, ma non capì da che tipo di tempesta avrebbe dovuto proteggersi.

Rimase immobile nell’ampio ingresso per quasi un minuto, alla ricerca di ogni più piccolo indizio: niente. Non c’era nulla di diverso dal solito, eppure il suo istinto era in allarme rosso.

C’era solo Katerina in casa ed era di nuovo nella sua camera d’arte. Ormai non gli dava più fastidio averla lì, anzi… lei aveva sempre apprezzato la sua arte in modo sincero e disinteressato, gli faceva piacere condividerla con qualcuno che commentava i suoi lavori senza secondi fini – ingraziarselo, avere i suoi soldi o non venire uccisi erano le principali ragioni che spingevano le persone a cercare la sua benevolenza.

Lei era diversa, si disse mentre attraversava l’ala est della villa per raggiungerla. Voleva parlare con lei, decidere in che direzione muoversi per uscire dall’impasse – lui sentiva di esservi caduto in realtà, ma non voleva ammetterlo.

Quando aprì la porta percepì un’aura strana. La vampira era in piedi e gli dava le spalle. Cercò di allinearsi con i suo pensieri, ma tutto ciò che arrivava da lei erano sensazioni intense e confuse.

«Katerina.»

Nessuna risposta. Si avvicinò con molta cautela e quando provò a sfiorarle la spalla lei scattò come una molla. Si voltò verso di lui e fece due passi indietro.

«Cosa vuoi?»

Troppa rabbia nella sua voce, da dove veniva? «È successo qualcosa?»

Dalla gola della vampira proruppe una risata fredda, quasi metallica. Una risata che non le apparteneva. Iniziò a preoccuparsi sul serio.

«Da quando ti interessa?» Katherine piegò la testa di lato e gli regalò un sorriso gelido. «Non sono altro che uno dei tuoi tanti giocattoli. Perché dovresti sprecare pensieri per me?»

L’ibrido corrugò la fronte. Stava per dire qualcosa quando vide la vampira agitarsi e i suoi occhi farsi lucidi. Poi guardò la sua mano, le dita che artigliavano qualcosa. Un foglio. Sembrava uno dei suoi schizzi.

E poi lo riconobbe.

Cazzo.

«Cos’è questo?» Katherine gli sbatté quasi in faccia uno dei suoi amati fogli di pergamena dove aveva ritratto nientemeno che un dettagliato mezzobusto di Caroline Forbes. «Quando l’hai fatto? E quand’è che l’hai vista indossare un vestito simile?»

«Posso spiegare» furono le prime parole che gli uscirono dalle labbra e lo facevano già sembrare colpevole.

«Spiegare… spiegare?!» esclamò lei, agitando il foglio in aria. «Cosa vuoi spiegare? Come puoi spiegarlo?»

«Se ti calmi ne parliamo» propose, alzando le mani in segno di resa. Era sicuro di aver messo ben via i ritratti di Caroline per non farglieli trovare. Missione fallita. Accidenti a quella sbandata.

Era ovvio che lei li avrebbe trovati: era chiusa in una casa non sua, quasi sempre senza compagnia, era logico che la noia l’avrebbe portata a cercare qualcosa con cui intrattenersi. Come aveva potuto essere così stupido?

«Dobbiamo parlare, Katerina. Del legame.»

«Non me ne frega niente del legame. È solo una scocciatura, no?» allargò le braccia. «Ti impedisce di uccidermi, deve essere terribile per te.»

«Non è così» scosse la testa cercando di mantenere la calma. «Ero molto arrabbiato, volevo fartela pagare, ma se non ho cercato di ucciderti davvero è perché non l’ho mai realmente voluto. Non dopo aver sfogato la rabbia dei primi anni.»

Per un attimo lei parve immobilizzarsi. Forse era riuscito nel suo intento.

«Ma…» le parole gli uscirono di bocca senza controllo a causa di un inaspettato impeto di sincerità. «Non sono innamorato di te. Mi dispiace, Katerina, è così.»

Qualcosa gli stonava, ma non capì cosa.

L’espressione della vampira si frantumò. Si portò le mani alla testa e iniziò a piangere. «Perché? Perché?» esclamò tra le lacrime. «Ti sei preso tutto quello che volevi… ti ho dato ogni cosa, mi hai fatto torti irreparabili e ora… questo!»

Osservò di nuovo il disegno e il suo viso si contorse in una maschera di odio. «Questa… lurida… puttana!»

Il disegno venne strappato e i pezzi di carta gettati in faccia a Klaus. Un forte senso di vergogna si impadronì di lui, ma in quel momento la sua priorità era far placare la rabbia di Katerina.

«Come pretendi di liberarti di questo legame se cerchi di infilarti nel letto di un’altra?» Sembrava la scenata di un donna gelosa. «Dovresti metterti in fila, la tua dolce sgualdrina si è ripassata ogni paio di pantaloni che le capitava sotto al naso.»

Lei era prigioniera da settimane, in fuga da secoli e nonostante tutto aveva accettato quello che stava succedendo, il legame, i loro momenti di complicità e di intimità…

«Non ce la faccio, possibile che tu non lo capisca?» Ora suonava triste, rassegnata. Era folle. «Non posso spezzare la magia da sola e…» la sua espressione mutò nuovamente. «Avrei preferito averlo con Elijah questo legame. A nessuno dei due sarebbe importato romperlo. Lui non mi avrebbe trattata in questo modo.»

Ahi. Faceva male. Klaus lo sentì chiaramente questa volta: le parole di Katherine l’avevano colpito in pieno e per un attimo si sentì soffocare. Ma lui non aveva mai provato sentimenti simili, era sempre stato mosso dalla rabbia, dalla vendetta e dall’affetto per i suoi fratelli. Nulla di più.

Cercò di avvicinarsi ma lei lanciò un urlo. Gridò così forte da sentire le corde vocali bruciare. Era un grido disperato, come se stesse cercando di buttare fuori tutto il dolore che lui le aveva inferto con quel maledetto disegno.

«Ti odio!» disse infine con quanto fiato aveva in gola. «Mi hai capito? Ti odio! Sei un maledetto figlio di puttana!»

«Katerina, ora basta» cercò di apparire autorevole, in realtà non aveva idea di come comportarsi con lei, non l’aveva mai vista in quello stato. «Calmati.»

Quando riuscì a toccarle un braccio, lei lo spinse via e fece un balzo all’indietro, quasi sbattendo contro un mobiletto colmo di pennelli. Ne afferrò uno e fissò gelidamente l’ibrido, che si stava avvicinando.

«Lascia–»

«Non avvicinarti» gli intimò, portandosi il pericoloso strumento al petto. «Non osare toccarmi o quant’è vero che mi chiamo Katerina Petrova, giuro che mi conficcherò questo maledetto pennello dritto in mezzo al cuore.»

Era seria, maledizione, era terribilmente seria, lo capì dai suoi occhi. Ora o mai più, si disse Klaus. Le saltò addosso e riuscì a strapparle il pennello dalle mani, stringendo il suo corpo con quanta forza avesse.

«Lasciami andare!»

Eppure lei si dimenava come una pazza, era quasi faticoso non mollare la presa. Lo fece solo dopo che lei gli colpì il naso con una testata. Con gli occhi appannati la vide correre fuori dalla stanza.

Imprecando nella mente, la seguì fino all’ingresso.

«Apri la porta» esclamò lei. «Fammi uscire.»

«Non posso.»

«Ho detto fammi uscire» le parole erano dure, il tono della voce graffiante, ma i suoi occhi erano il ritratto della disperazione. «Non ho motivo di restare qui. Lasciami andare.»

«Katerina, devi ascoltarmi.»

Un passo verso di lei. Non si mosse. Buono.

«Mi hai ingannata così tante volte… tutto questo tempo…» singhiozzò. «Ho deciso di collaborare, ti ho permesso di avvicinarti, di toccarmi… per l’amor del cielo, mi hai sposata con l’intenzione di uccidermi!»

Si voltò verso di lui ed era come se lo stesse supplicando con lo sguardo. Distrutta. Katherine Pierce era distrutta. Si odiava per quella debolezza, si odiava per quell’umanità che non le era proibito spegnere, si odiava perché, nonostante tutto, lo amava.

Lo amava con un’intensità tale che le mancava il respiro ogni volta che si soffermava a pensarci.

Klaus vide tutto ciò e una voce nella sua testa gli suggerì di acconsentire alla sua richiesta. Di abbandonare il proposito del legame con Elena. Ma avrebbe perso lei.

Se l’avesse lasciata andare l’avrebbe persa per sempre. Katerina non sarebbe più stata sua, non sarebbe mai tornata da lui. Sarebbe stata una rottura definitiva.

E non poteva. Non era pronto a perderla. Perché… non voleva. Lui non voleva che la vampira varcasse quella porta.

Si avvicinò ancora di qualche passo e, di nuovo, lei non tentò di allontanarsi, ma anzi crollò a terra. Si strinse tra le braccia ed emise un altro grido straziante che finì in un lamento di pura sofferenza.

Klaus, dall’alto, vide il suo esile corpo scosso dai singhiozzi e provò sensazioni orrende verso se stesso. Sensazioni che non aveva mai provato e che non sapeva come gestire. Ed era lei a provocargliele, la donna che aveva condizionato metà della sua eterna esistenza.

«Katerina…» disse piano mentre si inginocchiava accanto a lei. Con molta attenzione posò una mano sulla sua schiena e lei emise un debole lamento.

«Perché?» la sentì sussurrare prima che voltasse il viso verso di lui. «Perché mi fai questo?»

Non seppe rispondere. Il grande, potente e pericoloso Lord Niklaus non sapeva spiegare a quella donna perché le stesse facendo tanto male di proposito. Quegli occhi pieni di lacrime avevano bisogno di una risposta che lui non era in grado di dare.

La strinse tra le braccia e lei si abbandonò, aggrappandosi a lui e versandogli addosso tutte le lacrime che era in grado di piangere, fino ad essere così stanca da cadere nell’oblio.

 

 
***

 

 

Katherine era stanca. Tutto ciò che voleva era uscire da quella stramaledetta stanza e stare da sola. Perché diavolo Klaus non poteva lasciarla in pace?

Ora era tranquilla, anche se trovarsi di nuovo nella sua camera era difficile. Lui le aveva spiegato tutto, aveva raccontato del ballo, giustificando il suo stupido comportamento in modo piuttosto grossolano. Però era stato sincero, questo lei lo sapeva.

Si avvicinò alla porta e fece per aprire, ma Klaus posò la mano sulla sua per impedirle di abbassare la maniglia. Il suo tocco…

«Katerina…»

«Fammi uscire.»

«No.»

Lei trasse un sospiro di rassegnazione. Era arrabbiata con lui per la questione del ballo e di Caroline ed era arrabbiata con se stessa perché era gelosa e detestava esserlo. La cosa peggiore era che non era riuscita a evitare di dare di matto in quel modo isterico.

«Perché?»

«Perché non posso.»

Klaus le posò entrambe le mani sulle spalle e la fece girare. Katherine si appoggiò alla porta, sperando che la cosa fosse breve. Aveva davvero bisogno di un po’ di solitudine.

Trattenne il respiro quando lui le accarezzò delicatamente il viso con entrambe le mani. Nonostante la lingua biforcuta e la passione per i bagni di sangue, Klaus era un gentiluomo: minacciava fuoco e fiamme, faceva il gran seduttore, ma non avrebbe mai oltrepassato quel limite. Non avrebbe mai toccato una donna non consenziente.

La fissò negli occhi con uno sguardo che lei non avrebbe dimenticato facilmente e sussurrò di nuovo, «Non posso.»

Poi, con estrema cautela, quasi a chiederle il permesso, chinò il capo per baciarla.

Katherine non sapeva come reagire. Rimase immobile, attenta a ogni suo movimenti, anche se lui si stava limitando a baciarla a fior di labbra.

Decise di rilassarsi e, in modo incerto, gli posò le mani sul petto. Quel gesto scatenò qualcosa in Klaus, che con un movimento rapido le passò un braccio intorno alla vita, stringendola e sé, e affondando una mano tra i suoi capelli.

Tutti i sensi di Katherine scattarono sull’attenti: strinse i pugni e tirò la stoffa della sua maglia grigia, cercando di divincolarsi. Riuscì a fatica a interrompere il bacio e fece forza per allontanare l’ibrido. Voleva scappare da lui.

Klaus allentò la presa e lei ne approfittò per uscire dalla camera, ma lui la seguì sbattendosi la porta alle spalle. Le impedì di arrivare alla sua stanza e la fece girare con poca delicatezza, spingendola al muro e guardandola in viso.

«E adesso cos’hai?»

Nei suoi occhi azzurri non vi era traccia dell’incertezza di poco prima: non era più gentile, era arrabbiato con lei.

«Lasciare stare» mormorò la vampira, insicura su come comportarsi: spiegare le sue motivazioni o mandarlo al diavolo?

Come poteva dirgli che era emotivamente confusa e che i suoi continui cambi d’umore la terrorizzavano ancora? Come poteva fargli capire che concedergli un bacio non significava dare il consenso a fare tutt’altro?

Optò per la seconda opzione quando, di nuovo, Klaus la strinse a sé con forza e la baciò. Stavolta riuscì a voltare subito il bacio e gli sbatté i pugni sul torace.

«Smettila!» esclamò, sentendosi quasi soffocare. Non doveva andare così.

«Stai sfidando la mia pazienza» la minacciò lui guardandola in modo a dir poco truce.

«E io ti ho detto di smetterla» ripeté lei, restituendogli un’occhiata velenosa. «Non ho intenzione di essere la tua sgualdrina personale.»

Le dita di Klaus premettero contro il suo fianco, come se volessero lacerare la stoffa e la pelle. «Sai che potrei farti cambiare idea.»

Katherine allora alzò il mento e lo sfidò apertamente. «E cosa vuoi fare? Costringermi a venire a letto con te? Fallo.»

Klaus non rispose. Continuò a guardarla con astio e non accennò a lasciare la presa. Soggiogarla affinché non lo rifiutasse? Era troppo. Lui non era quel tipo di uomo e lei lo sapeva bene. Voleva solo provocarlo per vedere fin dove si sarebbe spinto.

«Non farmi fare cose di cui ci pentiremmo entrambi, Katerina.»

Era una specie di minaccia, ma il suo tono di voce era molto serio; era un animale quando si trattava di torturare qualcuno e non aveva coscienza quando faceva una carneficina, ma mai avrebbe costretto una donna nel suo letto. C’erano cose che neanche lui era disposto a fare.

Approfittò di quell’istante di distrazione per impossessarsi di nuovo delle labbra della vampira, imprigionandola tra la parete e il suo corpo.

Lei si irrigidì di nuovo ed era pronta a prenderlo a calzi, ma venne salvata dall’arrivo di Elijah, incapace di nascondere il proprio stupore nel vederli avvinghiati in corridoio.

«La casa è poco frequentata, ma sento comunque di suggerirvi di cercare più privacy per questo genere di cose.»

Klaus, interrotto di nuovo da uno dei suoi fratelli, si chiese seriamente se non fosse davvero il caso di ficcarli di nuovo nelle bare e poter finalmente concludere con la sua ospite. La situazione stava diventando snervante.

Katherine si divincolò dalle sue braccia e si rintanò nella propria stanza, mormorando “Fottuto depravato” con astio mentre gli sbatteva la porta in faccia.

«Fratello… hai idea di quanto realmente intrattabile sia quella donna?» la voce di Klaus era bassa e controllata e in un momento simile non era affatto un buon segno.

«Conosco il carattere di Katerina.»

«E allora smettila di interferire nei miei piani.»

Klaus decise di sfogarsi andando a caccia, non c’era altro modo per liberarsi del nervosismo che aveva addosso a causa di tutta quella tensione sessuale.

Era frustrato per la situazione con Katerina: i suoi continui rifiuti lo stavano facendo impazzire, il desiderio di averla era ingestibile ed era ancora furioso con Elijah per averlo tradito mettendosi in combutta con i fratelli Salvatore.

Si infilò nel bosco, seguendo l’odore di una giovane coppia. Non si preoccupò molto della forma, volò dritto davanti a loro, spaventandoli a morte, con gli occhi iniettati di sangue e le zanne pronte all’uso.

«Monia… corri» disse il ragazzo, che aveva un fisico asciutto e atletico e profondi occhi castani.

«Non ti lascio qui» fu la risposta di lei, una fanciullina dal viso paffuto e con due ciocche rosse nella chioma color miele.

Klaus li studiò apertamente piegando la testa di lato e sorridendo in quel suo modo inquietante. «Ma guardatevi… siete adorabili.»

Il ragazzo, Josh, si parò davanti alla fidanzata per proteggerla, ignorando il fatto che i suoi anni li allenamento in palestra fossero del tutto vani contro l’ibrido.

«Ho una ragazza anch’io, sapete» Klaus si avvicinò a loro, le mani giunte dietro la schiena e le fossette sulle guance. «È bellissima, combattiva, e non vuole assolutamente cedere alle mie avances.»

I due giovani si chiesero di cosa diavolo stesse parlando, ma sapevano di essere in pericolo e che in certi casi era consigliato assecondare il proprio assalitore.

«Non so come prenderla perché è molto volubile» iniziò a girare intorno a loro, sfiorandoli ogni tanto e godendo del loro terrore. Oh sì, questo era un ottimo modo per alleviare le sue pene. «So che cederà prima o poi, ma non so mai quanto in là posso spingermi.»

Si fermò di fronte a Josh, che era sempre più confuso, ma decise che forse poteva tentare di stabilire un contatto con lui.

«Perché ci stai dicendo questo?»

«Tu cosa faresti al mio posto?»

Monia strinse la mano del fidanzato; aveva un pessimo presentimento. Non sarebbe andata a finire bene per loro due. Sentiva già l’alito della morte su di sé.

«Io… io…» Josh si impose di restare calmo. «Io sarei gentile. Cercherei di… di farle capire q-quanto è importante per me… glielo direi apertamente…»

Klaus corrugò la fronte e parve riflettere davvero su quelle parole. Ma Josh e Monia non l’avrebbero mai saputo, perché subito dopo l’ibrido scosse le spalle e con un ghigno saltò loro alla gola.

 

 

 ***

 

 

Rebekah Mikaelson era la ragazza più felice di Mystic Falls, si sentiva al settimo cielo: Matt aveva accettato di uscire con lei. Quell'sms era la cosa più bella che potesse capitarle in quel periodo e aveva già perso il conto di quante volte l'avesse riletto.

L'appuntamento era fissato per due giorni dopo e la vampira era in preda al panico: cosa indossare? Dove andare? Come comportarsi? Si rigirò il telefono tra le mani, rimpiangendo di non avere amicizie femminili.

Aveva soggiogato molte ragazze affinché l'apprezzassero e non voleva farlo di nuovo per costringerle a dire la verità di cui non poteva fidarsi. Questa volta desiderava un parere assolutamente sincero.

Un rumore al piano superiore della villa la distolse dai propri pensieri e al contempo le fornì una soluzione. Corse per le scale e lungo il corridoio. Bussò alla porta della cognata e poco dopo la sentì dirle di entrare.

Katherine era seduta al nuovissimo tavolo da toeletta e si stava ripassando il mascara. «Cosa posso fare per te?»

Loro due non avevano alcun tipo di rapporto. Non ne avevano neanche avuto l'occasione: Katherine aveva vissuto in fuga, Rebekah era sempre rimasta all'ombra di suo fratello.

«Ho bisogno di un sincero aiuto femminile.»

Katherine si sentì subito interessata e ben disposta al dialogo. «Si tratta del dolce quarterback?» chiese, avvitando il mascara e voltandosi verso la bionda.

«E chi se no?»

In realtà avrebbe potuto trattarsi di chiunque: Rebekah chiedeva affetto a tutti quelli che incontrava e aveva una certa difficoltà a tenersi le mutandine addosso.

«Ha finalmente accettato di uscire con me» si sedette sul letto e la cognata la raggiunse. «Gliel'ho chiesto così tante volte che ora non riesco a crederci.»

«Vestiti in modo carino e sii te stessa» disse subito Katherine. «Ci hai messo tanto a convincerlo, l'ultima cosa che vuoi è spaventarlo con le tue aspettative.»

«Come posso non avere aspettative?»

«Non ho detto di non averne, ma sappiamo bene che giocare alla femme fatale non funziona con lui.»

E parlando di uomini, Klaus interruppe le ragazze pochi minuti dopo, chiedendo alla sorella di lasciarlo solo con sua moglie.

Katherine confidava nello spirito ribelle di Rebekah, ma le sue speranze furono presto deluse: la cognata intatti si limitò a una battuta sarcastica e uscì dalla stanza.

Dopo quel brutto litigio e la figuraccia con Elijah si erano cordialmente ignorati. Lei aveva smaltito la rabbia e lui aveva rispettato i suoi spazi.

Ed ora era di nuovo lì, nell’intimità della sua stanza, dopo aver interrotto un raro momento tra ragazze – non che lei avesse chissà quante amiche e neanche le importava averne, ma ogni tanto non disdegnava un po’ di compagnia.

«Dobbiamo parlare.»

«Ma non mi dire.»

Klaus avvertì immediatamente il muro che la vampira aveva eretto tra loro. Decise di ignorare il fastidio provocato da quella cosa. Katherine era seduta sul letto come una principessa. Indossava un vestito abbastanza corto da lasciar molto scoperte le gambe e lui si ritrovò a fissarle.

«Ho commesso molte azioni discutibili» iniziò lui a un tratto. «Ti ho reso la vita difficile.»

«Difficile?» gli fece eco lei. «La stai prendendo larga, vedo.»

Il muro si era appena alzato di altri dieci metri.

Decise di non lasciarsi provocare dalle sue parole e proseguì. «La nostra relazione non era spontanea, ma non ti ho mai soggiogata a quel tempo, lo sai.»

Che brutto colpo per Katherine. Certo che lo sapeva ed era una di quelle cose che più bruciavano. Si era innamorata di lui senza filtri né inganni.

«È vero, ma ti sei prodigato parecchio per sedurmi» replicò, decisa a non dargliela vinta. «Mi hai buttata in un angolo una volta certo dei miei sentimenti e mi hai sposata solo per non farmi scappare.»

Altri dieci metri.

«Non c’è onore in questo.»

«C’è onore nel rispettare una donna innamorata, nel non manipolare i suoi pensieri» ribatté a quel punto l’ibrido. «C’è stato onore nel non toccarti finché non fossi stata legalmente mia moglie.»

Klaus sembrava oltraggiato e lei era in difficoltà. Lo guardava e davanti agli occhi vedeva le immagini del loro passato. Faceva male.

«E se non avessi accettato di sposarti?» chiese Katherine, cercando nel suo onore una macchia che non c’era.

«Mancava poco al rito, ti avrei semplicemente chiusa in qualche stanza.»

Nessuna macchia.

«So che non mi crederai e che neanche ti importa, ma il legame che voglio fare con Elena non è un inutile capriccio.» Stava forse cercando di convincerla? «Ho bisogno che tu –»

«Smettila di parlare di me, Klaus!» lo interruppe, al limite dell’esasperazione. Era tentata di afferrare un cuscino e tirarglielo dritto in faccia. «Non sono io il problema in questa relazione, sei tu!»

«Se mi dessi una possibilità le cose sarebbero molto più semplici!» esclamò di botto l’ibrido. «Io ci sto provando, ma tu continui a respingermi e non so cosa fare!»

Klaus restò senza parole quando vide Katherine arrossire. Era imbarazzata, ammutolita. Non aveva quell’espressione in volto da quando era umana.

Provò una sensazione del tutto nuova a cui non seppe dare un nome.

«Il mio istinto di sopravvivenza non dorme mai» mormorò la vampira, «cerco sempre di preservare me stessa.»

Klaus lo sapeva già: cosa le stava chiedendo, di abbassare la guardia? Dargli la sua fiducia? E cosa doveva darle in cambio?

«Caroline non mi interessa davvero» disse lui quasi senza filtro, ottenendo la piena attenzione di sua moglie. «È carina, si fa notare, ma… è una delle tante.»

Si stava confessando? Katherine non voleva cedere, ma decise di non distruggere quel momento.

«Mi sono piaciute tante donne nel corso di questi lunghi mille anni.»

«Lo so, ti ho osservato.»

«Una in più non fa la differenza.»

«O una in meno.»

Katherine era gelosa e odiava Caroline Forbes. Se fosse uscita viva da quella casa sarebbe subito corsa da lei a bruciarle i capelli, tagliuzzarle i vestiti e rompere tutti i tacchi delle sue scarpe.

Klaus fissò la donna ancora seduta elegantemente sul letto come se la vedesse per la prima volta. «O una in meno» ripeté, consapevole che con quelle parole aveva appena degradato la vampira bionda da interessante a nessuno.

Gli dispiaceva? Per nulla.

 

 

 ***

 

 

Caroline Forbes non stava ascoltando una sola parola di quello che Elena e Bonnie si stavano dicendo. Aveva sentito il necessario: Elena aveva lasciato Stefan per riflettere da sola su ciò che provava nei suoi confronti e in quelli di Damon.

Per lei era sufficiente. Il problema era che doveva dire qualcosa alle sue amiche ma non trovava il coraggio di farlo. Non era una cosa semplice da dire e una parte di lei temeva la loro reazione.

Chiuse gli occhi, ispirò profondamente e decise di parlare.

«Ho una notizia da darvi.»

Elena si zittì e guardò l’amica, che sembrava molto nervosa. «Care, tutto bene?»

«È da quando sei arrivata che sei strana» aggiunse Bonnie.

Erano sedute sul letto in camera di Elena, come sempre, e Caroline aveva partecipato poco alla conversazione. La cosa non era normale, soprattutto perché si parlava di una possibile futura relazione tra Elena e Damon e di solito lei non si sprecava con i commenti.

«Tyler sta per partire. Vuole aiutare tutti gli ibridi fuggiti a spezzare il sirebond con Klaus.»

L’espressione di Bonnie si fece triste. Non poteva credere che la sua amica restasse di nuovo sola. Doveva essere difficile mantenere una relazione a distanza in quel modo.

«Care…»

«Ho deciso di andare con lui.»

Le altre due rimasero a bocca aperta.

«Cosa?» fu la prima reazione di Elena. Forse aveva sentito male.

«Vuoi andare con lui?» chiese Bonnie, incredula. «Un vampiro in mezzo ai licantropi?»

«Sono ibridi, non si trasformano più con la luna piena. Controllano da soli la trasformazione.»

«Sono sempre licantropi, se uno di loro dovesse morderti o graffiarti anche senza essere trasformati, tu moriresti. E non sono sicura che Klaus ti darebbe il suo sangue o che tu arriveresti qui in tempo per chiederglielo.»

«Bonnie ha ragione,» intervenne Elena. «Hai pensato ai rischi che corri?»

«Sì, ci ho pensato tanto, e non cambierò la mia decisione» rispose risoluta la vampira. «Amo Tyler, lo amo davvero… non ce la faccio più a stare senza di lui e voglio essergli d’aiuto come posso.»

A Elena si strinse il cuore: lei e Bonnie sapevano quanto quella situazione stesse facendo soffrire Caroline. Ma potevano davvero lasciarla andare? Era pericoloso ed Elena non credeva di poter sopportare la perdita di un altro amico. Già solo la partenza di Caroline l’avrebbe distrutta…

«Quando partite?» chiese Bonnie, allungando un braccio sulla coperta per stringere la mano dell’amica.

«Fra due giorni. Sarebbe carino se qualcuno ci organizzasse una festa d’addio a sorpresa.»

Eccola, la solita Caroline. Quella che scherzava e chiedeva sorprese che in realtà non erano affatto sorprese. Aveva un gran bisogno del sostegno delle sue due migliori amiche.

Sua mamma e la mamma si Tyler erano già a conoscenza delle loro intenzioni e, sebbene lo Sceriffo Forbes fosse molto preoccupata per sua figlia, era felice di saperla lontana da Mystic Falls. Quel posto era maledetto, c’erano morti tutti i giorni, creature sovrannaturali, strani riti… forse andare via era la cosa migliore che Caroline e Tyler potessero fare.

Elena sorrise e abbracciò forte l’amica. «Ti organizzeremo la più bella festa non a sorpresa di sempre.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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