Obsession

di picchia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** UNO - Lui, lei ... io ***
Capitolo 2: *** DUE - sparita nelle tenebre ***
Capitolo 3: *** TRE - stanza numero 369 ***
Capitolo 4: *** QUATTRO - ossessionata ***



Capitolo 1
*** UNO - Lui, lei ... io ***


OBSESSION

 

 

 

 

 

 

UNO


Lui.

Alto, snello ma possente, dalla magra muscolatura palesata sotto una canottiera aderente, una camicia aperta e nera, come i jeans scuri, gli stivali dalla punta in ferro e la polsiera in pelle che copriva metà del suo avambraccio. Un volto dalla pelle chiara, pallida, quasi incolore, a parte un zona più violacea sotto gli occhi. A incorniciare il tutto, una massa selvaggia di ciocche corvine, così scapigliata da conferirgli una aria da poeta maledetto. Una mandibola importante a segnarne i tratti virili. Un paio di labbra carnose, inverosimilmente rosate e tirate in un leggero sorriso ammaliante. Due occhi piccoli, ma magnetici. Pieni di un’intensità data da una sfumatura cerulea e gelida che caratterizzava l’iride ed evidenziata enormemente da un contorno scuro, nero come la pece, profondo quanto l’oscurità nascosta nella sua pupilla. Aveva uno sguardo fiero e sicuro che catturava all’istante l’attenzione di chi veniva incuriosito dal suo portamento distinto e sicuro.

Lui, Marcus.

 

 

Lei.

Una figura minuta e aggraziata, delicata e misurata in ogni movimento. Un corpo armonioso, stretto in un bustino nero vellutato e ricamato in raso, abbinato a un’ampia gonna lunga fino a terra, ampia e sfarzosa come se fosse il vestito di una dama del Settecento, ma troppo anacronistico a causa dell’oscurità dei toni indossati. Una pelle lattea, bianca e scintillante come può essere una luna piena in un cielo sgombro da ogni genere di nuvola. Un viso candido, dai tratti gentili. Una bocca rossa e piena, suggeriva la sensazione di morbidezza e invogliava alla ricerca di un sapore squisito. Uno sguardo dolce e denso, in cui era facile perdersi quando si rimaneva incantati dalle venature dorate di quegli occhi bruni, forti come il caffè e deliziosi come la cioccolata. Una cascata di boccoli, un’ondata proveniente da un mare in agitazione color del fuoco. Capelli di un rosso intenso, dai riflessi ambrati che risplendevano alla luce del sole e sembravano come una moltitudine di lingue fiammeggianti. La sua mano teneva ancora il microfono, stretto fra le dita affusolate e impreziosite da svariati anelli argentei dalla foggia particolare, molto simili al ciondolo appeso al suo collo e raffigurante un simbolo forse di origini celtiche.

Lei, Sabine.

 

 

Marcus e Sabine avevano appena finito la loro esibizione e si apprestavano a raggiungere il backstage ancora euforici e pieni di adrenalina.

Erano un duo rock, il quale aveva raggiunto la fama mondiale per l’imponenza del loro live e la forza irresistibile delle loro canzoni. In un groove sincopato allietato dalla profondità della voce maschile e dalla leggiadria della voce femminile, unite in una perfetta unione melodica.

 

 

Io ero lì, dietro al palco, ad aspettarli trepidante. …ad aspettarla.

“Sabine!” richiamai la sua attenzione con calma, dopo aver rilassato ogni muscolo del mio corpo e aver assunto una postura sicura, cercando di celare anche la minima traccia di quella ansia e agitazione che mi percuotevano l’animo. Non appena lei si girò a incrociare il mio volto, ebbi un tuffo al cuore, come succedeva ogni qualvolta quelle gocce d’oro erano puntate volutamente su di me.

“Oh, ciao Bill! Non sapevo fossi qua.. non ti avevo visto prima di salire!” la sua voce fu come un soffice musica che arrivò al mio orecchio. Cercai di non far notare quanto il mio cuore si stesse crogiolando per quel suono e risposi evitando ogni titubanza.

“Sono arrivato appena in tempo per sentire l’inizio del concerto!” sorrisi “Siete stati grandiosi, come sempre!” conclusi entusiasta.

“Grazie! Tutte le volte ci riempi di complimenti. Sei molto gentile, ma non ti sei ancora stufato di vedere i nostri live?” chiese divertita, assottigliando quei grandi occhi marroni in una smorfia allegra.

“Mai! Ogni volta è come la prima, ma, difficile da credere, sempre migliore alla precedente…”.

Sapevo di sembrare un patetico fan in estasi davanti al proprio idolo, ma così era e lasciai che l’autenticità di quella sensazione mi prendesse senza remore. In aggiunta, a lei sembrava piacere questa sfrontata naturalezza. O almeno così mi convinsi appena ebbi notato nascere un sottile sorriso sul suo candido volto.

“Uhm… mi stai dicendo che col tempo prendo sapore come un buon whisky d’annata?!”

La sua domanda non ebbe risposta perché entrambi scoppiamo in una risata genuina e simpatica.

“No, davvero..complimenti! Mi sono emozionato soprattutto nel finale quando tu e Marcus eravate uno di fronte all’altra. Mi avete messo lo stomaco in subbuglio….” ..sì, ma dalla gelosia! Mi era presa una stretta alla bocca dell’esofago a vederli così vicini e presi dal pathos della canzone. Avrei voluto essere al posto del suo partner per poter vivere l’intensità di quel momento a un passo dalla rara bellezza quale ritenevo fosse quella dama per me, da anni.

Non era solo il mio idolo, era qualcosa di più e ne ero pienamente e tristemente consapevole, da anni.

Poi, d’un tratto, il nostro dialogo venne interrotto dal brusco arrivo dei miei compagni.

“Ehm..ciao Sabine” mio fratello mi arrivò alle spalle insieme a Georg e Gustav. Entrambi la salutarono con un cenno della testa e con un sorriso tiratissimo.

Sapevo che a nessuno di loro non andava giù ciò che provavo per quella donna, da anni.

Avevano cercato più di una volta di dissuadermi ad andare ad un suo concerto, ben sapendo il motivo per cui io volessi andarci.

Tutte le volte, però, si erano lasciati convincere da una serie comprovata di mie moine, le solite davanti le quali nessuno sapeva negarmi nulla, sin da piccolo. Erano il mio asso nella manica e sapevo usarlo ad hoc e con sapienza a mio unico vantaggio, tutte le volte che ritenevo fosse anche minimamente necessario.

Purtroppo l’effetto del convincimento durava poco e così, tempo cinque minuti dalla fine del live, mi strappavano rapidi dal mio mondo incantato e rosato.

“Bill, dobbiamo andare!” la voce solenne di Tom mi giunse all’orecchio come fosse un ultimatum.

“Sì, dammi un solo minuto e vengo!” convenni docile in modo da persuaderlo a lasciarmi altro tempo.

Anche Georg e Gustav acconsentirono e si allontanarono silenziosi.

Io rimasi ancora solo con lei.

“Sabine…ti va di uscire con me stasera?” mi sbrigai a porle la solita domanda.

“Bill, me lo chiedi tutte le volte che ci vediamo…” aveva un tono quasi esasperato, purtroppo.

“Già, ma mi rispondi sempre di no”

“E credi che questa volta ci qualcosa sia diverso che mi possa far cambiare idea?” ribeccò retorica.

“Non lo so, magari! Tutto può essere! Io ci provo finchè non dirai di sì” sfoggiai un sorriso luminoso, mia arma adescatrice per eccellenza “…quindi?” chiesi speranzoso.

“No.” Secco.

“Sempre per il solito motivo con cui non concordo?” insistei sicuro di me, nonostante sapessi la risposta che per anni mi aveva ossessionato.

“Dovresti…siamo troppo diversi. E poi io sono più grande di te!” lo disse con un aria di superiorità che invece di infastidirmi, mi fece ribollire il sangue nelle vene.

“Non significa nulla. Hai solo tre anni in più di me…non credo proprio sia una scusa plausibile.” Ribattei celere.

“Bill, lascia stare dai..” non c’era alcun segno ritroso in quelle parole. Parole che  però lasciavano molto in sospeso, molto più di quel che potessi mai immaginare.

“Per ora..” risposi cercando di essere sensuale. Modulai la voce in un tono più basso e impostato, ammiccai volutamente con gli occhi e cercai di immaginarmi come uno di quegli attori d’epoca, pieni di charme e sicuri di sé, così fiduciosi da chiamare tutte le donne allo stesso modo, ‘baby’. Personificando quel ruolo da macho che non deve chiedere mai, infatti, avrei potuto benissimo dire: «per ora, baby!». E andarmene fumando la mia sigaretta con non-chalance.

“Cosa devo fare per essere lasciata in pace?”

Credo di essere stato un pessimo attore perché la sua voce era quasi disperata e anni luce lontana da quella di una donna che vorrebbe caderti fra le braccia.

“Accettare di uscire con me!”squittii allegro, lasciando perdere ogni tentativo di sembrare Rhett Butler in ‘Via col vento’.

“Va bene..” sbuffò “ma la prossima volta. Stasera davvero non posso!”

“Ok, alla prossima allora..” annuì soddisfatto. Finalmente la mia dama delle tenebre aveva ceduto!

O almeno così mi illusi…..

 

 

 

 

 

Mi svegliai di soprassalto, sentendo una presenza anonima al mio fianco.

Avvertivo il peso dello sguardo di un qualcosa sulla mia persona e mi innervosii tanto da destarmi inconsciamente dal sonno.

Schiusi gli occhi, sbattei le palpebre più volte per cercare di abituarmi alla fioca illuminazione resistita all’oscurità notturna. Una volta che ebbi aperto sul serio gli occhi mi girai immediatamente verso la parte in cui avevo creduto ci fosse qualcuno, ma non vidi nessuno, anche scrutando attentamente nel buio illuminato dalla luce lunare proveniente dalla finestra della mia camera di hotel.

Accesi la luce per avere conferma e la ebbi.

Il mio sguardo stava scannerizzando centimetro per centimetro dello spazio intorno, sentivo le mie pupille schizzare da una parte all’altra per trovare anche la minima cosa fuori posto. In un modo nevrotico e spasmodico.

Analizzai la disposizione delle mie valigie e constatai che nessuna di loro era né sparita e quindi rubata né collocata in modo diverso dal caos in cui ero solito lasciarle dopo ogni nuovo arrivo in una camera d’albergo.

Anche l’arredamento era esattamente quello che mi ricordavo.

Era tutto come lo avevo lasciato prima di addormentarmi. Nulla di più, nulla di meno.

Non vidi oggetti alieni o figure estranee al luogo.

Ero solo nella mia stanza e non potei neanche dire che potesse essere stato il vento perché la finestra era ben chiusa, anche se con le tende lasciate raccolte ai suoi lati. Mi alzai dal letto ancora dubbioso e, scostando veloce le lenzuola di seta, andai davanti la porta per controllare che fosse chiusa ed, come poteva essere prevedibile, fu proprio in quello stato che la trovai, con tanto di cartellino ‘don’t. disturb’ appeso alla maniglia esterna.

Rimasi interdetto.

Non capivo perché mi fossi svegliato se poi, in realtà, non ci fosse nessuna ragione per farlo. Strano! Molto molto strano..

Sapevo di essermi sentito intensamente osservato e di essermi reso conto dopo del tempo del senso di disturbo che aveva stuzzicato la mia inconscia attenzione e provocato il mio risveglio.

Cercai di ricordarmi cosa avessi sognato poco prima, pensando che magari fosse solo una sensazione legata a un mio sogno.

Tornai sotto le lenzuola color crema ancora poco convinto, sistemai il risvolto sistemandolo e allisciandolo all’altezza del mio petto mentre ancora cercavo di capire l’origine di quel dannato fastidio di sentire qualcuno/qualcosa atto a fissarmi a mia insaputa e senza alcun ritegno per il mio privato.

Alla fine mi addormentai senza aver trovato soluzione al mio dilemma, ancora infastidito dalla ridicola possibilità che questo mio dubbio potesse essere una realtà.

 

La mattina seguente cercai di non pensarci, ma dopo appena due giorni mi ritrovai di nuovo sveglio alle due di notte angustiato dallo stesso strano presentimento di avere un estraneo a guardarmi dormire.

Ovviamente cercai di nuovo per tutta il perimetro della camera e ovviamente senza risultato.

La stessa scena si continuò a ripetere ogni due notti in orari sempre differenti, ma sempre nell’arco delle ore notturne.

Continuava a ripetersi anche se cambiavamo hotel o anche se solo riuscivo a farmi cambiare camera, inventandomi assurde storie, mostrando fasulle esigenze da Star.. dopo l’ennesimo insensato risveglio nel cuore della notte. E tutte le volte, nonostante venissi accontentato in ogni mio più piccolo desiderio da ‘diva’, quella inquietante e assurda presenza continuava a turbare il mio riposo.

Stavo diventando matto al pensiero di essere osservato e perseguitato proprio nel momento in cui abbassavo le difese per lasciarmi andare nel mondo di Morfeo, tanto da cercare di evitare il sonno e rimanere sveglio a controllare che qualcuno entrasse concretamente in quelle ore scure.

Tutto inutilmente perché nessuno entrò mai, né dalla porta né dalla finestra.

Nelle sere seguenti provai a convincere mio fratello a dormire con me più di una volta, come facevamo da piccoli e avevamo paura dei tuoni del temporale, buttandogli lì la scusa di voler parlare con lui riguardo faccende private, però Tom non volle sentire ragioni e preferì passare la notte con una bionda tutta curve o addirittura passare il suo tempo a giocare alla Play con Georg per tentare di vincere il titolo di campione di ‘Formula 1’. Tentai anche di spiegargli la situazione, ma alla fine, intuendo le future prese per il culo per tempo, decisi di lasciarlo stare e farmi forza da solo.

 

Presi tutto il coraggio a mia disposizione e andai a dormire, aiutato dall’effetto sonnifero di una doppia camomilla e di un calmante.

Alla fine erano passati più di venti giorni dall’inizio di quello che avrei potuto definire un vero incubo ed altri tre dall’ultimo improvviso risveglio nel cuore della notte.

Quindi uno in più dal solito.

Sperai che significasse la fine di quella tortura…di quella che stava divenendo una snervante inquietudine, una insopportabile ossessione.

Dopo essermi pienamente convinto che fosse solo lo stress per il tour appena iniziato -a forza di ripetermi come una cantilena continua e infinita: “è solo lo stress per il tour!” e quindi inculcandomi il concetto e assumendolo per vero per inerzia- e confidando nell’effetto del calmante, mi addormentai un po’ più sereno.

Più tardi, però, qualcosa disturbò la mia tranquillità… ancora!

Spalancai gli occhi appena percepii quella sensazione ben conosciuta e rimasi sopraffatto nel vedere solo due occhi fissarmi dall’alto con attenzione.

Stavolta potei vedere qualcosa.

Occhi che riflettevano del loro bianco intenso.

Scovai una luce dorata fra tanto candore e mi affrettai ad accendere la luce per cercare di riconoscere in quei tratti qualcosa di familiare, ma appena il tempo di girarmi verso l’interruttore e farlo scattare che già erano spariti.

Mi voltai verso la porta per constatare se fosse aperta e la trovai come al solito chiusa. Mi girai verso la portafinestra della mia stanza ed anche quella era chiusa.

Ormai era diventato abile e rapido a compiere questi futili controlli, tutte le volte senza nessuna scoperta folgorante che motivasse tutta la mia ansia ossessiva.

“Cazzo, ora ho anche le allucinazioni!” sbottai sfinito.

Ripresi le lenzuola, finite al bordo del materasso per la precedente improvvisa agitazione, e mi ricoprì il torace leggermente imperlato di sudore.

Mi rigirai varie volte nel mio stesso letto finché, alle prime luci dell’alba, non decisi che ormai fosse inutile provare a tornare a dormire.

Avevo in testa ancora quegli occhi.

Erano fissi come due fari abbaglianti in un campo buio.

Mi avevano accecato nella notte e non riuscii a distogliere la mente per tutto il giorno da quel pensiero.

Li avevo ben focalizzati in testa e appena chiudevo gli occhi, anche solo per riposare le palpebre, me li rivedevo davanti, pronti a fissarmi, gelidi e impersonali. Non riuscivo a unirli a un corpo. Stranamente non mi importava se avessero un corpo.

Ero rimasto folgorato dal brivido glaciale e irrequieto che erano riusciti a trasmettermi e che, al solo pensarci, tutte le volte riprovavo sentendo la stessa scarica di terrore, partita all’improvviso dal collo e scesa rapida lungo tutta la colonna vertebrale.

Ne parlai anche con Tom, il quale, invece di consigliarmi o calmarmi, colse la palla al balzo per prendermi in giro. Come avevo supposto facesse in precedenza…

Stupido babbuino sconvolto da troppe tormente ormonali per degnarsi di aiutare il suo gemello! Tsk!

Avevo fatto bene l’altra volta a lasciarlo all’oscuro di queste mie nuove ossessioni! Non mi prende mai sul serio quando gli parlo senza scherzare… 

 

Giunta la sera, andai a dormire teso come una corda di violino.

Continuavo a pensare a quello sguardo.

Forse era stata solo un’allucinazione, ma era stata così intensa e viscerale che non credo di poterla mai scordare.

Non riuscii a stare nel letto per nemmeno cinque minuti.

Ogni traccia di stanchezza era volata via lasciando spazio a una nevrotica irrequietezza.

Iniziai a girare per la stanza cercando qualcosa da fare per tenermi occupato. Svuotai le mie otto valige e sistemai tutto il loro contenuto da capo, catalogando ogni cosa e differenziandola per tipo e colore, e infine ricomponendo i bagagli in un altro ordine.

Preso dall’iperattività isterica, feci la stessa cosa per il mio beauty: divisi le matite dagli ombretti e dai mascara; appuntii le punte delle prime e buttai gli ultimi diventati troppo secchi per essere usati; riposi i miei smalti al fresco del minibar e poi, uno a uno, li provai sulle mie unghie andando infine a buttare quelli più vecchi.

In ultimo, con lo smalto appena rifatto, i capelli stirati –perché intanto mi ero anche impossessato della mia piastra e ne avevo fatto un uso spasmodico fino a rendermi i capelli lisci e lucenti come quelli di una modella cinese-, decisi di farmi un giro dei canali disponibili nel pacchetto TV dato dall’hotel.

Mi poggiai sul divano di pelle marrone, il quale troneggiava al centro del minisalotto che avevo a disposizione e, infine, mi addormentai esausto davanti a una telepromozione di un fondotinta che prometteva di nascondere ogni tipo di difetto e di durare per 24 ore su 24.

 

Venni svegliato da un insistente e continuo bussare alla porta.

Ero ancora sdraiato sul divano con il telecomando tra le mani quando decisi che il rumore assillante non me lo stavo sognando, ma veniva decisamente dalla porta della mia camera.

Di sicuro non era il rullo di tamburi della banda del circo di cui stavo rimirando le acrobazie e la bravura insieme al mio fratellino, lui sulle ginocchia della mamma e io del mio papà, identici e molti più piccoli della realtà. Sembravamo una felice famigliola tutti e quattro assieme, ma c’era un particolare di rilevanza: non ero su Gordon, il mio patrigno, ma sul mio vero padre, Jörg! Era da tanto che non lo sognavo e succedeva sempre quando mi sentivo in necessità di supporto morale e fisico.

Nonostante tutto la sua figura imponente, la sua presenza massiccia e la sua forza indiscussa mi hanno sempre dato un confortante senso di sicurezza, la quale ora come ora era la cosa che più desideravo provare, almeno per scacciare quell’angosciante e costante timore che mi percuoteva l’animo e la mente.

Comunque, lasciai stare le riflessioni sul mio sogno e decisi di andare ad aprire, mi stropicciai gli occhi impastati dal sonno e, appena riuscii a dischiuderli un minimo per vedere,  diedi un’occhiata al timer del lettore dvd posto sotto al plasma.

Le 3 e 26.

Non avevo neanche la più piccola idea di chi potesse essere a quell’ora della notte.

Potevo benissimo escludere il gruppo, lo staff e i tecnici perché avevamo tutti la sveglia alle 5 in punto per andare all’aeroporto.

Quindi ora era troppo presto per tutti loro.

E comunque, se anche fosse successo qualcosa, nessuno di loro avrebbe aspettato che io andassi ad aprire per tutto quel tempo, ma avrebbe rimediato la chiave della stanza e sarebbe entrato senza troppi indugi, ben conoscendo il mio stato di coma profondo in cui cadevo quando andavo a dormire.

Ipotizzai allora per qualcuno del servizio dell’hotel, giunto nel cuore della notte per avvertirmi di qualche imprevisto, ma anche questa soluzione non aveva un granché di sensato. Potevano sempre avvertirmi via telefono.

Mi alzai dal divano con la flemma degna di un orso caduto in letargo, strisciai le pantofole fino alla porta e infine la aprì.

“Ah finalmente! Credevo fossi morto nel sonno…sono cinque minuti buoni che sto bussando senza tregua!!”

Strabuzzai gli occhi fuori dalle orbite.

Che cosa diavolo ci faceva LEI, alle tre di notte, davanti alla mia porta?

“Sabine!!!!!!!!!” esclamai sconcertato e indiscutibilmente risvegliato dalla sorpresa rivelata all’improvviso.

Sorpresa che chiamare inaspettata sarebbe stato molto riduttivo. Molto!

“Cosa ci fai qui?” le chiesi una volta che riuscii a connettermi con il mio cervello, ancora in stato comatoso.

“Poche domande! Vestiti veloce e vieni via con me!” mi ordinò sbrigativa, facendo cenno al solo paio di boxer indossati da me in quel momento.

Ancora frastornato, annuì obbediente e in breve le stavo di nuovo davanti. Stavolta con addosso jeans, maglia e scarpe a coprire tutte le mie ‘grazie’, pronto a seguirla come un automa.

Lei prese a camminare veloce tra i corridoi dell’albergo e di seguito a scendere le scale in tutta fretta, mentre io cercavo di starle dietro come fossi un bravo cagnolino con la propria padrona, incantato a seguire la scia infuocata dei suoi capelli, i quali si muovevano liberi e selvaggi lungo la sua schiena, agitati per la corsa troppo rapida per restare composti.

 

Una volta scesi fino nella hall dell’albergo, trovai la forza di staccarle gli occhi di dosso e finalmente chiedere spiegazioni.

“Sabine, mi spieghi perché mi hai svegliato nel cuore della notte e mi hai portato qui?” chiesi impostando la voce in modo da renderla più ferma e decisa. Sforzo inutile perché ero così elettrizzato dalla sua sola presenza che al massimo potevo squittire di gioia.

Lei, la mia dama della notte, però era troppo presa a cercare con gli occhi qualcuno in quella landa desolata quale era l’entrata dell’hotel a quell’ora di notte.

Forse la receptionist.

Difatti appena una ragazza, vestita di tutto punto in un tailleur blu scuro, uscì da dietro lo scaffale dove erano riposte le varie e lucenti chiavi delle stanze dell’albergo. Sabine si avvicinò al bancone posto per il ricevimento dei clienti, lasciandomi senza risposte e solo, come uno stoccafisso, ad osservare ancora una volta il movimento ondulatorio dei suoi capelli. E del suo corpo. Un corpo sinuoso ed elegante, ben fasciato da un paio di pantaloni di raso aderenti e neri, ma soprattutto valorizzato dalla scollatura ardita posta sul retro della maglia, punto in cui mi ero particolarmente fissato durante tutta la corsa.

Restai vicino alla reception, ma non abbastanza per sentire cosa le stesse dicendo. Provai a leggerle le labbra, senza alcun successo però: dopo neanche due secondi che restavo a fissarle per concentrarmi, sentivo una strana morsa allo stomaco e iniziavo a pensare su quanto riuscissi ad adorare quell’essere così misterioso e aggraziato.

Ogni mio tentativo di percepire anche un solo tratto del loro dialogo finiva in un vacuo e sognante rimirare, ai limiti del maniacale, le movenze della mia dama.

Rimasi come uno scemo a guardarla gesticolare con garbo, senza dare alcuna importanza all’espressione allarmata che invece si impossessò della faccia della biondina dell’hotel.

Quando Sabine tornò verso di me, notai che il suo viso era più disteso e tranquillo. Non c’era più quell’aria crucciata di prima.

“Cosa è successo?” domandai appena fu vicina, cercando di celare sia il turbamento per la situazione sia la tachicardia data dalla sua inusuale vicinanza.

“Nulla di grave. C’è stato solo una minaccia di incendio, ma ho avvisato la ragazza per tempo. Mi ha detto che ora porranno rimedio e chiameranno i clienti presenti per radunarli qui nella hall, per pura precauzione.” spiegò senza scomporsi, mettendosi calma una ciocca rosso fuoco di quei capelli indomabili dietro l’orecchio, con tale naturalezza e semplicità che per un attimo distolsi l’attenzione dalle sue parole per incentrarla sui suoi dolci lineamenti.

Per un attimo, perché mi resi presto conto della gravità delle situazione.

Boccheggiai allibito e incredulo.

“Come niente di grave???” Non potevo credere a quello che avevo appena sentito.

“Hai detto i-n-c-e-n-d-i-o..?” scandii la parola lettera per lettera, mentre cercavo conferma nel suo volto, così rilassato e chiaro che il mio a confronto sembrava un dipinto di Picasso. Fui troppo colpito dalla notizia per rimanere impassibile, come lei.

“Già… ma sentendo le telefonate che sta facendo ora la bella biondina, credo che in pochi secondi sarà tutto sotto controllo!” disse placida indicando la ragazza dietro il bancone, la quale ora si dava da fare come una forsennata a gestire l’incidente, avvisando di persona cliente per cliente via telefono.

“Ok.. non voglio sapere altro.. so solo che non ci sto capendo nulla!” scossi la testa come per negare il caos che mi si era creato all’interno. Poi riflettei.

“Anzi, una cosa la vorrei sapere!” affermai convinto, cercando si riprendere uno stato più calmo, massaggiandomi lentamente le tempie per tentare di attutire lo stridio insopportabile sotto cui stavano cedendo le mie cellule cerebrali.

Stava per scoppiarmi un mal di testa coi fiocchi.

“Tu come facevi a saperlo?” le puntai la mia unghia laccata di nero contro il naso. “…e come mai sei venuta a bussare da me? …e soprattutto, come mai eri qui?” in effetti stavo morendo dalla curiosità.

“Avevi detto una!” tentò così di evitare di rispondere, ma la fissai bieco senza lasciarle vie di fuga.

“Rispondi” asserii serio e autoritario, serrando gli occhi a fessura in modo da sembrare quantomeno minaccioso, nonostante il mio bel faccino che sapevo avrebbe reso vano il tentativo di apparire autorevole.

“E va bene, però prima voglio essere ringraziata per averti salvato dalle fiamme!” ribeccò palesemente divertita dalla mia serietà evidentemente troppo forzata per essere credibile.

Così lasciai perdere quel finto tono severo, rimanendo comunque atterrito dai suoi modi sfrontati quanto adorabili.

“Veramente -”cercai di ribattere, ma lei mi parlò sopra ripetendo la sua richiesta e sostenendo il mio sguardo attonito.

“Bill, non si usa più ringraziare?” mi guardò con quei suoi occhi dorati, di un nocciola così chiaro e di una lucentezza così limpida da sembrare due pepite d’oro. La profondità del suo sguardo si era sfumata in una nuova luce, più brillante, che le schiariva il marrone in nocciola, fino ad accentuare in maniera esponenziale le caratteristiche venature dorate che solitamente le impreziosivano l’iride, tanto da modificare il colore dei suoi occhi.

Mi ci persi dentro e tutto il mio imperativo di ottenere delle risposte da lei andò a farsi friggere. Anzi, lo scordai completamente quando presero un’aria ridente e ne seguì anche un sorriso delicato e leggermente beffardo sulle labbra.

“Oh, si… Grazie!” annuì da bravo bambino, con una faccia da ebete che la fece sorridere nuovamente.

“Prego… oh, guarda stanno arrivando i tuoi amici” e indicò verso l’ascensore alle mie spalle.

Girandomi vidi Tom, Georg e Gustav uscire dalle porte scorrevoli dell’ascensore centrale con un’aria decisamente assonnata e con addosso quella che doveva essere la prima cosa capitata sotto mano, visto lo stato penoso in cui erano le loro magliette.

“Tooom!” attirai la sua attenzione sbracciandomi, ben sapendo quanto poco potesse essere recettivo se colto nel pieno della fase rem, soprattutto se strappato così bruscamente da qualsiasi letto in cui dovesse trovarsi.

Vedendo che nessuno dei tre aveva fatto caso al mio richiamo, decisi di raggiungerli lasciando per un attimo Sabine da sola.

“Ciao Bill, cosa ci fai qui? Hanno chiamato anche a te?”

La voce di Tom era pacata e ancora impastata dal sonno. Sembrava che lo stato di allarme appena scattato in tutto l’edificio non lo avesse affatto toccato.

Si stava stringendo i dread nella solita coda alta e infilando con delicatezza un cappellino dei suoi, incurante dell’agitazione che stava aumentando man mano mentre i clienti dell’albergo giungevano in tutta fretta nell’ingresso. Tutto preso dalla sua immagine riflessa in una delle colonne a specchio poste accanto le porte degli ascensori.

“No, sono con Sabine” feci un piccolo cenno dietro di me, dove supponevo fosse il soggetto in questione.

“Con chi??” finalmente decise di guardarmi in faccia, smettendo di specchiarsi, ma elargendo uno sguardo a dir poco dubbioso e sorpreso.

“Sai la cantante dai capelli rossi alla quale sbavo dietro da anni?” sussurrai sbrigativo.

“Si, scemo, so chi è, ma io non vedo nessuno come lei….sei sicuro di star bene? Hai ancora le allucinazioni?” mi chiese ridendo, ancora divertito dal racconto che gli avevo fatto di recente riguardo le mie vicende notturne.

“Non è che sei stato tu ad appiccare l’incendio con una sigaretta e una bomboletta spray?” continuò sbottando in uno stato di demenziale ilarità.

“No, deficiente! E’ lei che ha avvisato dell’incendio… sta lì al bancon-” non conclusi la parola perché, voltandomi nella direzione ipotizzata, con l’idea di indicarla a Tom, trovai decine di persone ad affollare la zona intono alla reception, ma di Sabine nessuna traccia.

La cercai con lo sguardo in tutta la sala e non la vidi.

Scattai veloce fuori l’albergo, ma né a destra né a sinistra della strada riconobbi la figura esile della sua persona.

Ispezionai le strade e i vicoli nei dintorni cercando la sua chioma ramata. Chiesi a tutte le persone che incrociai nel mio percorso. Fermai chiunque per urlargli contro una descrizione improvvisata di Sabine, ma credo che tutti fossero così sconvolti dal mio stato di ansia impanicata da non fare caso a cosa dicessi.

Sta di fatto che nessuno seppe darmi alcuna indicazione. La persi semplicemente tra la folla senza neanche accorgermene.

Caddi nel panico e non seppi spiegarmi la sua comparsa.

“Cazzo, era accanto a me fino a cinque secondi fa! Mi sono distratto per farmi vedere da voi e non mi sono reso conto di dove sia andata a finire!” sbottai esasperato mentre rientravo nella hall.

Cosa cavolo potevo saperne io che potesse sparire così all’improvviso…

Tom, impietosito dal mio comportamento, mi accompagnò a chiedere informazioni per sapere se almeno la ragazza dal tailleur blu l’avesse vista andar via, tuttavia neanche lei poté essermi d’aiuto.

Decisi di rassegnarmi e calmarmi sotto il consiglio benevolo dei miei compagni.

“Comunque, Bill, sai cosa è successo?” mi volsi verso Georg, il quale mi aveva posto la domanda sia per farmi distrarre sia per capire qualcosa sull’incendio.

“Ah.. beh.. io stavo dormendo quando è venuta Sabine... prima stavo tentando di chiederglielo, poi però siete arrivati voi…” accennai a una sconclusionata spiegazione, derivata dalla stato di totale intontimento in cui mi trovavo. Nel mentre mi ero accasciato disperato a terra, tenendomi sfinito la testa fra le mani e poggiandomi con la schiena su una delle pareti marmoree e fredde che abbellivano ogni sala dell’edificio.

“Lascia stare! Non ti sforzare che sei già abbastanza stanco… ora credo che possiamo tornare tutti in camera!”

Come sempre Gustav aveva preso la faccenda in mano e aveva deciso di rimandare tutto al giorno successivo dopo almeno un altro paio d’ore di sonno ristoratore.

Sentii le mani di Tom afferrare le mie e tirarmi su di forza, infilandosi nei panni del fratellone apprensivo e protettivo. Mi mise un braccio intorno alla schiena e io mi abbandonai fiacco sulla sua spalla, aggrappandomi leggermente al suo collo.

 

Proprio mentre stavamo per riprendere l’ascensore per tornare alle nostre camere, come anche il resto della clientela dell’hotel, sentii uno stralcio della conversazione che stavano tenendo Gustav e Georg alle mie spalle.

“E’ per questo che non mi piace!” percepii un forte astio nella voce del batterista.

“Sono anni che si riduce così per lei…” e anche quella del bassista aveva lo stesso tono acido.

Non ebbi la forza di ribattere o chiedere spiegazioni, aspettai silenzioso di arrivare al mio piano, sempre poggiato esausto a mio fratello, conservando le forze solo per cadere fra le braccia di Morfeo.

 

Forse stavano cercando di difendermi da un’altra dura batosta.

Forse era tutto un sogno e mi ero immaginato tutto.

Forse ero così impazzito da immaginarmi Sabine davanti alla mia porta perché era quello che desideravo con tutto me stesso.

Alla fine dei conti lei era apparsa e scomparsa come fosse un’ingannevole visione.

O forse… la realtà aveva superato l’umana immaginazione!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DISCAIMER: 'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo'

L.

 

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Capitolo 2
*** DUE - sparita nelle tenebre ***


DUE

 

Da quella particolare notte non vidi più Sabine, né ebbi più allucinazioni o smanie notturne.

Non dovetti più svegliarmi nel cuore della notte preso dall’ambigua sensazione di essere osservato. Riuscii a dormire tranquillo come ero abituato a fare da sempre, godendomi finalmente sonni profondi e sereni.

 

La mattina dopo l’incendio, misteriosamente sventato dall’arrivo della mia dama delle tenebre, appena sveglio arrancai in cerca del mio palmare e, connettendomi, cercai subito notizie sui prossimi concerti di Sabine e Marcus.

Tenendo in mano il foglio con su scritte le mie date, le confrontai con le loro e arrivai all’amara conclusione che avrei potuto vederla solo dopo più di un mese.

Un mese che passai pensando, giorno dopo giorno, a cosa chiederle, a come farmi dare spiegazioni del suo comportamento misterioso e della sua improvvisa sparizione, a come farmi rispondere alle stesse domande lasciate in sospeso l’ultima volta che la vidi.

Assillai chiunque mi capitasse sotto mano, in ogni momento disponibile, parlando di Sabine e di quanto fossi pazzo di lei. Nonostante tutto e tutti.

Arrivati alla fine del mese, Tom, Gustav e Georg erano esasperati e davano in escandescenze appena incominciavo a trattare il mio argomento preferito, lei.

Per non parlare di David e Benjamin! Giunti a limiti estremi di sopportazione, mi avevano minacciato di tagliarmi i capelli se avessi continuato ad ammorbare anche la crew con quelli che loro definirono ‘deliri ormonali’, perfino a costo di far cadere in fallimento tutto il lavoro dei Tokio Hotel.

Io, troppo eccitato e contento per l’avvicinarsi dell’incontro, non gli diedi minimamente retta e, anzi, convinsi Saki ad accompagnarmi al luogo del concerto.

 

Quando arrivò il fatidico giorno, avevo organizzato tutto nel minimo dettaglio.

Eravamo a Barcellona per un paio di giorni grazie a un nostro live e ad alcune interviste. Mi ero accordato con David per avere la sera libera anche il giorno dopo il nostro concerto e così andare a quello di Sabine e Marcus.

Gli altri avevano cercato in tutti i modi di indurmi a cambiare idea e non vedere l’ennesimo show del duo rock, asserendo che mi avrebbe fatto solo del male. Provarono a convincermi che quella che io chiamavo ‘la mia dama delle tenebre’ era solo una semplice ragazza, resa perfetta dai miei infiniti sogni da fan verso il proprio idolo.

Nessuno aveva capito che, oltre a questo, c’era ben altro.

Nessuno si era reso conto che, sopra ogni altra cosa, in lei ammiravo quella nube di mistero che perennemente la circondava e le donava un’aria mistica e magnetica.

Non avevo incontrato mai nessuno che riuscisse ad attrarmi in una maniera così viscerale da azzerare il tempo e lo spazio intorno a me, annebbiarmi la mente e paralizzarmi il corpo, così lasciati inermi sotto la volontà del mio cuore.

Non potevo glissare così superficialmente sull’intensità delle emozioni provocate da un solo suo sguardo.

Non io che ero stato sempre nella perenne ricerca di quelle stesse emozioni!

Non volevo nessun altra se non lei e le voci degli altri che mi mettevano in avviso restavano semplicemente in sottofondo, come una specie di brusio latente.

Nessuno di loro capiva i miei sentimenti, cercavano soltanto di rimediare a quella che ritenevano una sbandata adolescenziale e durata fin troppo. Ma sbagliavano! Non era una sbandata, non era una cotta, non era solo attrazione…era ed è molto di più.

Non saprei definirlo. E’ come un fuoco che arde potente e sopra ogni forza esterna, indomabile ed esteso ovunque, solo per la mia dama. Forte, ma non era nulla che potessi collegare a un male o a un dolore.

Non ero certo sadico fino al punto di rincorrere per anni la causa di ogni mia sofferenza! O almeno non lo ero coscientemente…

Ero semplicemente attratto con ogni mia parte del corpo verso di lei e non desideravo altro che potermi avvicinare a lei e riuscire a cogliere la sua essenza.

 

Negli anni passati ero riuscito a incontrarla nei vari backstage grazie al mio lavoro e a scambiarci qualche parola cordiale e frettolosa sfruttando la mia sfacciataggine innata, cosa che sapevo adoperare a mio favore soprattutto davanti a una presenza femminile.

Precedentemente avevo visto un loro video per casualità e da lì mi informai sulla loro biografia e discografia per diventarne presto un fan accanito, in particolare della cantante.

Fin da quei primi fotogrammi rimasi incantato dal suo stile e dalla sua fragile bellezza. Nel pieno del suo splendore, simile a una principessa medioevale, dalle varianti troppo gotiche per essere solo un effimera visione, intrecciata in un bustino di velluto nero e sommersa in una nuvola di tulle grigio fumo e bordeaux come gonna.

Era l’incarnazione di ogni mio sogno privato.

Era l’idolo che mi ero sempre immaginato e che ora potevo ammirare trasognante ed eccitato.

Il chiarore della sua pelle contrastava con le tonalità notturne dei suoi vestiti e si vivacizzava per l’intensità del colore dei suoi capelli, un rosso infuocato.

Vagava leggiadra e quasi sofferente tra le dune di un deserto alla luce della luna, cantando note melodiose e tristi, alle quali rispondeva la voce baritonale e cupa di Marcus, a sua volta imprigionato in una fredda grotta isolata dal mondo.

Rimasi catturato da quel video. Da loro due. Da lei.

Così ebbe inizio il mio desiderio di conoscerla!

 

Quando riuscivo a incontrarla casualmente nelle quinte di qualche palco o magari di qualche studio televisivo, nei suoi occhi non trovavo mai alcun interesse nei miei confronti, se non il semplice piacere di incontrare un fan. Mi trattava sempre con gentilezza e cercava di essere disponibile nei limiti del possibile, nulla di più purtroppo.

Tentai più di una volta di far breccia nel suo cuore, cogliendo al volo le poche occasioni che riuscivo a ottenere nel corso degli anni.

Passai dallo sfrontato al timido, dal sensuale al simpatico, ma niente. Manteneva sempre e comunque le distanze.

Per esempio, non sono mai riuscito a salutarla con un bacio sulla guancia o anche con una semplice stretta di mano!

Subito dopo essermi reso conto di non avere mai sfiorato la sua pelle candida, decisi di cogliere al volo la prima occasione per rimediare: la volta successiva, non appena la incontrai, corsi risoluto verso di lei sfoderando una mano ben aperta e tesa, pronto a stringere la sua con vigore e ovviamente emozione.

Ero sicuro che tutte le volte precedenti era stato un caso, o solo una piccola svista da parte mia riguardo questo delicato particolare, e volli assolutamente riparare a questa pecca.

Ora, non so come né perché, ma non riuscii a stringerle la mano: Sabine, vedendomi arrivare così, sparato e convinto, forse si impaurì e in un batter d’occhio sparì nella folla di tecnici che animavano le quinte di quel festival francese. Perdendola di vista, io rimasi amaramente deluso e imbronciato, in piedi solitario in mezzo a quel via vai di gente, con la mano mollemente ricaduta lungo il mio fianco.

Riprovai più e più volte, ma non riuscii mai a compiere il mio scopo. O prendeva il cellulare in mano proprio quando tentavo di avvicinarmi, o si chinava a raccogliere qualche bagaglio, o si metteva a giocare con i suoi capelli, insomma succedeva sempre che aveva le mani troppo impegnate per potere lasciarle morbide nella mia presa.

Al massimo riuscivo ad avvicinarmi solo quando la trovavo con addosso un paio guanti, in genere lunghi fino a gomito. Sembrava che solamente così mi fosse come permesso di sfiorarla, ma questo non mi bastava e continuai imperterrito nella mia impresa.

Anzi, decisi che poteva essere semplicemente un segno della sua timidezza nascosta e passai alla mossa seguente: metterla a proprio agio per far sì che la mie dita potessero accarezzare la sua pelle di porcellana. Ovvero: nella mia mente mi immaginai una perfetta scena romantica con noi due soli a cena al lume di candela, mani nelle mani a parlare per ore con gli occhi fissi uno nell’altra. Una tipica scena da film americano dove i due protagonisti si innamorano follemente e alla fine si fanno coinvolgere dalla passione più sfrenata e coinvolgente.

Quindi, lasciandomi prendere da questa fantasia, incominciai a chiederle imperterrito se volesse uscire a cena con me. Ogni qual volta ne capitava l’occasione. E infine, dopo un pesante martellamento, riuscii finalmente nel mio scopo: Sabine aveva accettato e io ero pronto per godermi ogni attimo della sua compagnia.

 

Saki e Jan mi avevano accompagnato con un auto particolare. Sotto mie precise richieste, Benjamin gli aveva permesso –o meglio, ordinato- di condurmi al concerto spagnolo del duo rock in questo ultimo modello di berlina, dai vetri scuri e superaccessoriata, ma soprattutto comprensiva di un vetro nero divisorio tra la parte del conducente e la parte posteriore: sebbene mi avessero costretto in tutti modi di portarmi appresso le balie formato armadio4ante, ero stato irremovibile sul voler conservare la mia (la nostra) privacy con quel divisorio insonorizzato.

Scesi dalla macchina appena giunti sul retro del locale, dove si stava concludendo lo show di Sabine e Marcus. Scortato da Saki, entrai dalla porta di sicurezza in tempo per sentire gli ultimi minuti dell’ultima canzone e vedere scendere il duo e la loro band fra gli applausi e le urla della platea.

Colsi subito la sua folta chioma ramata e intercettai il suo sguardo, il quale mi parve decisamente sorpreso e quasi allucinato a vedermi. Mi avvicinai rapido alla mia dama sfoggiando uno dei miei migliori sorrisi. Uno di quelli in cui davo fondo a tutta la mia sicurezza, con un piccolo tocco di dolcezza, pienamente convinto di riuscire in ogni cosa.

“Ciao Sabine!”esordii quando le fui davanti.

“Ciao Bill! Cosa ci fai qui? Non sapevo dovessi venire…” sussurrò con tono insicuro e svagando lo sguardo in altri luoghi, senza neppure provare a sostenere il mio. Ne rimasi perplesso, ma feci modo di non darci peso.

“Sorpresa!” esclamai euforico, esprimendo esattamente il mio stato d’animo. “…Ti porto a cena fuori!”affermai infine, gonfiandomi il petto glorioso e al contempo gioioso di averle annunciato finalmente il mio piano per la serata. Era il traguardo di un’attesa conclusasi in poche parole piene di speranza.

“Cooosa?” sbottò improvvisa. Per poco non le uscirono gli occhi dalle orbite. Rimase esterrefatta, ma non felice come avevo sognato. Tutt’altro. Era allibita e senza alcuna parola a renderla complice della mia estasi. Non era assolutamente neanche vicina alla reazione che mi ero prefissato di ricevere. In realtà era l’esatto opposto e ne rimasi ferito. Gravemente colpito dall’agitazione che avevo intravisto nei suoi occhi.

“Me lo avevi promesso!” la mia voce aveva perso in un attimo tutta la sua forza e sicurezza fino a diventare un bisbiglio. La fissai a lungo smarrito e incapace di ragionare.

“Io veramente non ho fame dopo i concerti..”

Accusai il colpo, ma reagii ugualmente.

“Beh… per stavolta mi accontento anche di un drink!!” le feci anche l’occhiolino per invogliarla ad assecondarmi. In pochi secondi avevo riacquistato la tutta mia fiducia e il desiderio di passare del tempo con la detentrice di quella soffice melodia. Con una breve frase aveva appena cercato di farmi rinunciare a tutti i miei programmi, ma l’unico effetto reale fu il distogliermi dalla mio profondo sconforto e ricordarmi il perché del mio invito.

“Ma-”

Non la lasciai ribattere. La guardai con un paio di occhi da cucciolo abbandonato e indifeso, i quali non permettevano replica. Non accettavo più alcuna obiezione ora che ero giunto lì, con lei davanti a me bella come non mai. Ero disposto anche a farle da tappetino o a portarla in spalla se fosse servito allo scopo!

Volevo conoscerla, toccarla, farla mia.

Non era più un desiderio, era quasi un bisogno.

Se non ci fossi riuscito anche questa volta, avrei rinunciato a tutte le mie speranze e avrei perso tutta la mia vitalità. Ora che ero così vicino a toccare la linea d’arrivo, non potevo accettare un altro ‘no’ o l’ennesima scusa. Avrei sfoderato ogni arma in mio possesso al fine di convincerla a farmi da dama.

Feci esattamente così e lei in risposta si azzittii pensierosa.

“Ok, dai. E sia per un drink” convenne dopo un lungo momento di riflessione. “Devi darmi il tempo di avvertire gli altri e togliermi da dosso gli abiti da scena.” Fu l’unica clausola posta fra me e la mia felicità eterna.

Dentro di me esultai vincitore, esternamente invece mi trattenni e annuii compiaciuto, paco e serafico come avevo deciso di reagire in precedenza a un suo futuribile ‘sì’. Non volevo spaventarla già da subito con mio solito modo di essere troppo emotivo.

“Nessun problema! Ti aspetto fuori sul retro.” La salutai con garbo e, recuperando Saki, tornai verso la berlina fuori dal locale.

 

Ero appoggiato alla macchina a fumare la terza sigaretta di fila per placare il nervosismo, quando vidi spalancare per l’ennesima volta la stessa porta di sicurezza da cui ero entrato e uscito. Mi mancò il respiro, come era successo per tutte le volte che qualcuno era uscito in quella buona mezzora in cui mi ero messa ad aspettarla, ma appena visualizzai l’inconfondibile chioma fluente e scarlatta anche il cuore si arrestò per un attimo.

Era stupenda.

Aveva lasciato i capelli lisci a caderle naturalmente sulle spalle. Si era struccata dal make-up pesante da ribalta per lasciare spazio a uno più delicato e naturale. Una semplice linea bistrata intorno all’occhio e un piccolo tocco di rossetto rosso a dare maggiore colore alle labbra, già invoglianti per loro natura. Indossava un top rosso scuro che le lasciava amabilmente libero il collo e dava risalto sia alla linea fine delle spalle sia a quella più sinuosa del petto. In aggiunta aveva un paio di guanti in pizzo nero lunghi fino a metà dell’avambraccio a riprendere le decorazioni della gonna a balze e dal taglio irregolare, quasi fino a toccare gli stivaletti in pelle messi ai suoi piedi. Perfetta come sempre.

Adoravo questa sua attenzione al particolare! Ero un fervido seguace dell’attitudine al dettaglio e apprezzavo con gaudio chi, come me, era capace di rendere migliore l’unione di accessori e vestiario.

“Eccoti… sei uno splendore!” la accolsi rallegrato dal suo arrivo. Ero quasi giunto a pensare a una sua fuga in sordina, invece, vederla così aggraziata e soave, mi fece vibrare l’animo e gioire della mia testardaggine a volerci uscire.

“Grazie” un soffio leggero che mi sembrò vuoto e distante.

“Stai bene?” mi preoccupai per quel tono vacuo. Inizialmente pensai che fosse restia per il mio invito, ma scrutando con attenzione in breve tempo capii che in realtà celava dell’altro.

“Sì” annuì leggermente e così confermando ogni mio dubbio: c’era qualcosa che non andava.

Rimasi poco convinto dalla risposta data, però non insistei subito con altre domande e le aprii la porta della macchina per farla accomodare all’interno come un vero cavaliere può fare.

Feci il giro dell’auto e in poco le sedevo accanto.

Sapevo che Saki e Jan erano al di là del vetro, in attesa di un mio segnale verso il luogo prescelto come nostra destinazione. Aspettai ad avvertirli. Volevo prima chiarirmi questo improvviso dubbio.

Ormai c’eravamo solo noi due. L’abitacolo della macchina era perfettamente insonorizzato e potevo sentire addirittura echeggiare il mio respirare agitato.

Le soffici luci e i comodi sedili rendevano il tutto molto intimo e mi convinsi che, a quel punto, Sabine non avesse potuto avere più remore nel confrontarsi con me. Mi ero sempre più convinto che il suo cauto distaccamento era dovuto a un implicito e professionale rapporto fan/idolo e credevo che, accettando il mio invito, fossimo finalmente andati oltre.

Forte di questo mi accostai ancora di più a Sabine, fino giungere a due centimetri dalle sue gambe accavallate con classe.

“Sei sicura di sentirti bene? Sei pallida..”. Un pallore eccessivo anche per una bellezza diafana come lei.

Avvicinai il mio viso al suo per cogliere cosa la disturbasse e percepii una diversità nei suoi occhi. Erano più scuri e densi del solito. La solita tonalità dorata era quasi sparita per essere sopraffatta da un’intensità profonda e fredda, seppur rossastra.

Con cautela cercai di portare la mia mano al suo volto con l’intento di accarezzarla.

“Sembri stanca, vuoi-“ stavo per offrirle da bere, ma il suo sguardo mi raggelò e mi bloccai.

Sabine si scansò prima che le mie dita potessero sfiorare la sua guancia.

“Non provare mai più a toccarmi!” berciò infuriata. Fu come un ringhio e potei sentire la sua rabbia invadere il suo corpo e irrigidirlo violentemente.

Mi allontanai di colpo a causa del repentino cambiamento. Mi appiattii dal lato opposto del sedile, atterrito e sconvolto, stringendo istintivamente al petto la mano che voleva precedentemente accarezzarla.

Mi guardò in cagnesco e mostrò leggermente i denti.

Fu in quel preciso istante che sentii il terrore scorrermi tra le vene e raggelare ogni mio muscolo come se fossi morto: nel suo ghigno feroce spuntavano due bagliori prepotenti e accecanti. Si scostavano di poco dalla dentatura normale e non difficilmente potei riconoscerli come dei canini.

Lunghi e affilati CANINI!

Rimasi esterrefatto, senza parole, senza aria, senza capire.

Ero sicuro di non aver visto male, ma erano talmente evidenti che non potevano essere altro che canini.

Erano inquietanti.

Il suo volto era inquietante!

I suoi occhi scuri e diretti verso di me erano inquietanti… tanto da arrestare anche il pensiero.

Stetti fermo a fissarla -a fissarli- e non dissi nulla per spezzare la tetra atmosfera che era immediatamente salita nell’aria.

Da quelle labbra di cui ero innamorato erano bel visibili un paio di canini sporgenti … non potevo crederci! Non poteva essere! Ero distrutto e bloccato nel mio angolo, distante da lei e chiuso nel mio silenzio terrorizzato.

“E’ meglio che io vada!”dichiarò fredda.

Non mi lasciò neanche il tempo di connettere e realizzare che il mio sogno, con la mia dama incantata al seguito, si stesse sgretolando e che la mia testa si stesse lasciando invadere impotente da milioni di domande e supposizioni, paure e dubbi.

Colsi soltanto un ultimo svolazzare del pizzo nero della gonna prima di rimanere scioccato, ancora, per il forte sbattere della portiera.

Aprii e chiusi le palpebre più volte prima di rendermi conto di essere rimasto da solo nell’abitacolo.

Riacquistai la connessione con il mio cervello solo quando sentii la voce di Jan chiedermi cosa fosse successo.

Non risposi, ma rimasi a fissarlo immobile.

Aveva abbassato il vetro divisorio e non mi ero accorto di nulla!

Ero caduto in un vortice di oblio in cui stavo velocemente perdendomi, inerme al susseguirsi degli eventi.

Cosa diavolo significava? Cosa era successo??

Mi drizzai sul posto, come se fossi seduto su una poltrona fatta di braci accese. Non poteva davvero essere accaduto quello che i miei occhi mi avevano fatto credere e le miei orecchie illuso di sentire… non poteva essere fuggita via davvero!

Fissai a lungo il sedile vuoto al mio fianco e infine chiesi a Jan dove fosse andata Sabine. Non seppe ovviamente dirmi nulla, anzi mi sembrò stupito dalla domanda e stordito dal mio comportamento.

Decisi di uscire dalla macchina per andarla a cercare, ma, guardandomi intorno, non trovai più nessuna traccia di lei.

C’era soltanto un’infinita serie di lampioni a illuminare la strada ed io ero proprio sotto all’unico che si accendeva e spegneva ad intermittenza. In piedi accanto alla macchina, aguzzando la vista in cerca del mio sogno svanito.

Era definitivamente sparita nelle tenebre della notte.

 

 

 

 

 

 

Avevo già pubblicato questa fan fiction, ma senza terminarla. Di recente,poi, ho deciso di compattarla per farne meno capitoli e darle una conclusione decente..

Speriamo di arrivarci almeno stavolta! ^^

 

Grazie a angeli neri per il commento! Anche a me piace il libro che hai citato, ma diciamo che mi sono ispirata anche a un bellissimo film sui vampiri, di cui ti consiglio la visione in caso tu non lo avessi visto: La regina dei dannati ( tra l’altro con una magnifica colonna sonora!!!:D )

Grazie anche a chi legge e mette nei preferiti.

 

 

Lasciate un segno, oh voi che passate!;)

 

L.

 

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Capitolo 3
*** TRE - stanza numero 369 ***


TRE

 

Quando tornai in camera, ancora intorpidito dalla sensazione di gelo avuta in macchina e avvolto da una serie sterminata di flash back sull’intera serata, mi sdrai passivo sul letto e mi addormentai appena toccai il materasso, come se quella conclusione imprevista e obbligata del mio appuntamento avesse l’effetto di un veleno atto a cancellare ogni mia forza e pensiero.

Ero stordito da quanto avvenuto, inerme al rapido susseguirsi degli eventi come se fossi stato un semplice spettatore e non un attore presente e partecipante. Sembrava che il mio corpo e la mia mente avessero recepito contemporaneamente il messaggio e in quello stesso istante avessero smesso di reagire o anche solo di funzionare. Avevano capito che lei era fuggita da me e che l’avevo persa. Punto. Non c’era altro da aggiungere o da fare.

Come contrapporsi a cotanta evidenza? Come non rassegnarsi immediatamente allo scontro con l’amara vita?

Non c’era altro da fare che chiudermi in me stesso per scovare le briciole di uno spirito che si stava sgretolando al solo ricordo di un sogno volato via come un soffione alla prima folata di vento.

Chiusi gli occhi stanco, troppo stanco anche solo per poter provare a ipotizzare un’alternativa.

 

Sognai lei, sognai loro: i suoi canini.

Nella mia mente vedevo come fosse un lungo piano sequenza.

Nessuno stacco, nessun cambio di camera.

Ero fisso sul suo viso, su di lei. Sentivo di non riuscire a scollare i miei occhi da quell’essere misterioso.

Avevo il mio sguardo attaccato come una calamita e ne scrutavo ossessivamente e ripetutamente tutti i particolari cristallizzati in quell’espressione gelida e minacciosa. Mi avvicinavo riuscendo a vedere ogni minimo dettaglio del suo volto e fino a incidermi nella memoria il luccichio freddo delle sporgenze della sua bocca, fino a impressionarmi l’immagine del suo sorriso maligno, fino a sentire ancora, e ancora, e ancora lo stesso brivido di terrore che sentii la sera precedente. E poi, mi allontanavo per ammirarla nella sua candida bellezza, nella sua oltraggiosa chioma incandescente, nella sua elegante postura seduta a un palmo da me, fino a sentirmi nuovamente grato per la sua esistenza.

Alternavo l’incubo al sogno, il ghigno al sorriso, il gelo al calore…veloce, sempre più veloce, così rapido da svegliarmi di soprassalto col fiatone e l’ansia in corpo. Spaventato e scosso come quando un bimbo sogna i mostri durante la notte.

Da piccoli ci dicono che non esistono, mentre ora io avevo appena avuto la confutazione di tutte quelle rassicuranti parole!

Mi ero trovato faccia a faccia con una vampira, mentre mi avevano sempre insegnato che la loro esistenza fosse solo un’antica leggenda.

Nulla prima d’ora mi era sembrato così reale come il suo sguardo glaciale ancora impresso nella mia mente!

Le leggende derivano sempre da un qualcosa di vero, in fondo….. e io ne avevo avuto la prova.

 

Corsi verso la camera di Tom per cercare un po’ conforto, nonostante fossi consapevole di stare nel cuore della notte. Bussai e, senza neanche aspettare il permesso, entrai con irruenza nella stanza. Al mio ingresso non trovai il mio gemello da solo, ma tutto intento a giocare davanti alla playstation assieme a Georg e Gustav.

Tre volte su quattro passavano la sera così.

Non potei sorprendermi più di tanto.

Ottimo, sentirò cosa ne pensano anche loro, pensai subito tranquillizzato dalla presenza dei miei amici.

Avevo esultato troppo in fretta, infatti non appena ebbi raccontato cosa fosse successo la sera precedente e quali fossero i miei dubbi, in risposta ebbi un secco “NON VEDERLA PIU’!!”

Ne rimasi stupefatto ancor più della mia ultima scoperta sovrannaturale.

Come potevano dirmi questo?

Alla mia marea di dubbi loro mi risposero con la solita maniera: levatela dalla testa.

Sembrava che al solo nominare Sabine non avessero ascoltato altro e avessero colto la palla al balzo per ripropormi per l’ennesima volta il loro diniego nei suoi confronti. Di tutti i miei discorsi su paure, timori, fughe, canini e appuntamenti svaniti avevano appreso solo il soggetto in questione: la mia ossessione di sempre. E senza pensarci due volte mi avevano diretto verso la loro soluzione.

Non avevano assolutamente colto tutto il mio tremore e ansia stampati a caratteri cubitali sul mio volto e nessuno accenno al tono affranto e tormentato che avevo assunto nel raccontargli le vicende e gli incubi.

Ovviamente, come tutte le volte in cui sentivo il loro ‘spassionato’ consiglio, NON ne feci uso e continuai per la mia strada.

Anzi, stavolta, oltre alla consona mania da fan, si era aggiunta un’infinita curiosità di sapere.

Sapere cosa era successo.

Sapere chi o cosa fosse.

Sapere ogni cosa su di Lei.

La mia ossessione crebbe, in modo esponenziale alla mia curiosità, aumentò più di quanto avessi potuto pensare!

Ragionai e analizzai attimo per attimo, sequenza per sequenza, istantanea per istantanea. Cercai informazioni su siti e giornali, senza escludere altre vie traverse: interrogai, nel vero senso della parola, ogni persona che fosse di mia conoscenza e con una minima attinenza o legame con la mia dama.

Dovevo verificare se il frutto dei miei ragionamenti potesse essere effettivo: era un vampiro?

E quindi mi ero innamorato di un vampiro? Anzi di una vampira!!

Dopo un primo attimo di perdizione, sentivo un maggiore fremito e aumento d’eccitazione. Per nulla spaventato dall’idea.

Dovevo rivederla!

 

Appurato che le altre persone ne sapevano quanto o meno di me e che per altre vie i risultati non fossero migliori, decisi di chiedere conferma all’oggetto stesso della mia ossessione. Dovevo ritrovarla, parlarci di nuovo e seriamente, chiarendomi i miei dubbi e i suoi comportamenti, anche se nel fondo del mio spirito ero sicuro del suo essere oltre l’umano e di quanto ciò fosse di poca rilevanza per i miei sentimenti nei suoi confronti.

Era un vampiro? E allora?! Io l’amavo!!

Col tempo divenni sempre più convinto di ciò che provavo e non vedevo l’ora di poterlo gridare al mondo. Ne ero così estasiato che sprigionavo euforia da tutti i pori nonostante le mie ricerche avessero portato a poco o niente e al fatto che non la vedevo da quella fatidica sera e che ormai erano giù passati un paio di mesi.

Provai a incontrarla più volte come avevo sempre fatto durante i miei e i suoi concerti, ma, tutte le volte che riuscivo a malapena a intravederla al di fuori del palco, lei diventava sfuggente e si allontanava fino a dileguarsi nel giro di pochi secondi.

Non riuscivo mai ad avvicinarla abbastanza per parlarci. Non riuscivo neanche a salutarla!

Appena tentavo di incrociare il mio sguardo con il suo, magari a distanza, la vedevo deviare la mia presenza e ripararsi dal mio sguardo invadente.

Non dico di non aver avuto il desiderio di toccarla, accarezzarla e stringerla fra le mie braccia, ma ero del tutto cosciente che ciò a cui potevo ambire nei miei panni era, al massimo, vederla in lontananza mentre eseguiva un suo live set.

Tutto questo iniziò a demoralizzarmi un po’.

La vedevo svanire dietro il sipario di qualche palco e, anche se correvo nei backstage come un indemoniato per fare in tempo a vederla, lei era sempre più veloce di me e al suo posto, nel suo camerino trovavo sempre e solamente Marcus. Lui mi squadrava saccente e pieno dei suoi modi fieri e mascolini, faceva finta di ignorarmi e, solo dopo che prendevo ad assillarlo di domande riguardo la sua compagna durante i concerti, riusciva a liberarsi di me in un battito di ciglia con scuse che non permettevano alcuna risposta.

Mi diceva: “Aveva mal di pancia ed è dovuta tornare in albergo” oppure “è scappata a un set fotografico” … roba del genere sempre riguardo il lavoro o la salute, cose al quale non si può ribattere!

E allora io, con la coda tra le gambe e sconfortato a livelli estremi, lo ringraziavo dell’informazione e me ne tornavo sconsolato per la mia strada.

Tutte le volte era così!

Non riuscivo a scovare altri metodi per incontrarla: ogni mia idea veniva smontata nel momento stesso che iniziava a comprendere la figura di Sabine.

Sembrava che lei sapesse della mia presenza e facesse in modo di deviarla prima che io potessi accorgermene.

L’aspettavo nei backstage, nei camerini, nei corridoi, nei parcheggi e negli hotel, ma nulla.

Dall’esterno, per chi fosse stato a conoscenza dei miei movimenti, avrei potuto essere preso per un maniaco che insegue la sua vittima, invece per i miei compagni ero un folle che ricercava una donna la quale non aveva mai voluto saperne di lui.

In realtà ero semplicemente voglioso di vederla, toccarla e parlarci. Niente di più normale! Peccato che, trattandosi di lei, non c’era nulla a che fare con la normalità.

Così, me ne restavo come un disperato in una speranzosa attesa che qualche mio tentativo riuscisse e, chissà per quale volere di quale divinità, un giorno qualcosa scattò: dopo aver tallonato per un intera settimana il portiere dell’albergo in cui sapevo lei aveva preso alloggio, alla fine lui crollò e si arrese al fatto che anche io fossi una celebrità - seppur con poche rotelle al proprio posto - e mi diede il numero della stanza di Sabine.

Non potei credere alle mie orecchie!

Stanza numero 369.

Volai all’interno dell’ascensore posto accanto alla reception e attesi di arrivare al piano della camera. Non aspettai nemmeno che le porte si fossero aperte del tutto che mi inserii nelle fessure tra le due e cominciai a correre a perdifiato in cerca del numero giusto.

Finalmente la rivedrò, fu quello che continuavo a ripetermi mentalmente, mentre i miei occhi saltavano euforici da un numero all’altro lungo i corridoi che percorrevo rapido e felice più che mai. Più mi avvicinavo più aumentavo il passo inconsciamente, attirato alla meta come un magnete al ferro.

 

365, 366, 367, 368….369. Eccola!

 

Mi bloccai di colpo. Ero arrivato.

Mi piegai sulle ginocchia e iniziai a prendere fiato e a cercare di calmarmi: sicuramente ero diventato paonazzo in faccia a causa della maratona appena conclusa. Cercai di riprendere sembianze decenti, attesi che il mio fiatone svanisse e con estrema titubanza avvicinai la mia mano alla porta per sbatterci contro le mie nocche bianche, due volte di seguito.

Provai a carpire qualche rumore, ma dall’interno della stanza non giungeva nulla. Sennonché la serratura scattò all’improvviso e quel suono metallico mi rimbombò nella testa come un suono di tromba che preannuncia l’arrivo del re.

La porta si aprì e davanti ai miei occhi increduli ergeva Sabine, in tutta la sua splendida bellezza sovrannaturale. Il candore luminescente del suo volto era avvolto dal massa infuocata dei suoi capelli rossi e le linee dorate del suo sguardo mi abbagliavano riportandomi alla mente scene passate che solo da pochi mesi ero riuscito a collegare a lei.

Rimasi lì incantato senza poter proferire parola. Ammaliato dalla sua presenza aggraziata anche nel solo starmi a fissare, senza alcuna smorfia o risentimento. Era lì, calma e serena. Una dama elegante e magnifica già solo per la sua essenza.

“Cerchi proprio la morte, eh?” La sua voce fu una soave musica per il mio orecchio e non percepii alcuna cattiveria in quelle parole.

“Si, per te questo ed altro!” ribattei concitato e lievemente incredulo.

In risposta lei sbuffò e abbassò lo sguardo come abbattuta dalla mia insistenza euforica.

“Non capisci che se ti avvicini troppi a me perderai la vita? So contenermi fino a un certo punto e tu stai facendo modo di oltrepassare quel limite.”

“Forse è quel che voglio…” sussurrai avvicinandomi di un passo al suo corpo come reazione inconscia del mio desiderio.

Che cavolo dicevo?

Non avevo mai pensato a quella come soluzione dei miei problemi, ma in fin dei conti non era tanto illogica.

“Non sei neanche sicuro di quel che vuoi, vattene!” berciò all’istante non lasciandomi neanche il tempo di concludere quel fugace pensiero..

Aspetta un attimo… Fosse che…….

“Mi leggi nella mente?” sbottai realizzando il tutto. Non ne ero assolutamente sconvolto e tantomeno impaurito. Anzi, ne ero piacevolmente sorpreso.

Lei annuì leggermente socchiudendo gli occhi e abbassando appena il volto.

“Beh, allora sai quel che provo?” incalzai curioso.

Annui di nuovo, allo stesso modo, ma un piccolo ghigno le era apparso sulla bocca carnosa.

“E’ per quello che sei ancora vivo e non ti ho tolto di mezzo anni fa quando hai incominciato a seguirmi..” spiegò placida.

“Quindi non ti dispiace?”

Speravo più che mai in quella risposta!

Forse, miracolosamente, c’era una minima possibilità di essere ricambiato nei miei sentimenti. Forse lei sapeva tutto e si era affezionata a me quanto io mi sentivo legato a lei. Forse ero ancora vivo perché non voleva uccidermi… forse.. troppi forse…

Un vortice di domande e pensieri mi iniziarono ad annebbiare la testa. Mi sconnessi dalla realtà chiudendomi in ognuno dei ipotetici mondi perfetti in cui lei mi ricambiava in qualche maniera.

Nel mio essere sovrappensiero però mi accorsi di non aver ricevuto risposta e me ne rammaricai subito, ma non potei aggiungere alcun commento che una voce dall’interno della camera mi anticipò.

“Sabine, taglia corto!” Era Marcus. Lo scorsi da dietro le spalle della mia dama quando anche lei si girò per osservarlo. Si imponeva nella stanza per la sua aria minacciosa e, oltre a questo, sembrava essere innervosito dalla mia presenza, o meglio, dal fatto che Sabine mi permettesse di stare ancora lì.

“Lasciaci soli!” gli ordinò secca.

“Sicura?” insistette parandosi di fronte a lei con la velocità di un fulmine.

Non sentii la sua risposta, ma fu come se lui avesse ricevuto le debite spiegazioni e, apprese queste, poteva ritenersi soddisfatto e compiaciuto.

A quel punto la sorpassò rapido e mi passò accanto scrutandomi con indifferenza.

Credo di non essergli mai andato a genio!

Lo vidi girarsi con fare altezzoso e potei comunque notare l’aria scontrosa pregna nei suoi occhi all’incrocio con i miei.

Già, non mi sopportava affatto!

“Vieni, entra!” il melodioso invito della mia dama mi destò dalle mie costatazioni su Marcus. Senza altro indugio, la seguì all’interno della sua camera e la imitai quando si sedette sul divano posto al lato del suntuoso salone.

Ogni arredo era improntato su uno stile baroccheggiante, riempito di sfarzi e cesellature raffinate quanto preziose. I tavoli, le sedie, le credenze e le vetrine erano tutte in mogano antico, lucide e scure. Balzavano agli occhi in contrasto con le pareti dalle sfumature dorate, le quali mi ricordavano le venature scintillanti del Suo sguardo e mi piacquero molto proprio per questo.

“Cosa vuoi sapere?” la sua voce riportò la mia attenzione su di lei. Stava seduta composta, gambe accavallate con eleganza e sinuosità. Posata in attesa di un mio accenno, impassibile in volto, ma affatto temibile a causa della sua innata grazia che addolciva ogni centimetro della mia visione.

“Tutto!” risposi avido di apprendere ogni nozione “perché mi hai evitato finora e invece adesso ci troviamo qui, perché quella sera sei scappata solo dopo essermi avvicinato, perché mi ricordo dei tuoi occhi durante le mie notti, perché siamo giunti a tutto questo, perché sai dei miei sentimenti….” Dissi a perdifiato, lasciando che la mia foga potesse liberarsi all’unisono.

“Di questo hai già avuto spiegazione!” mi bloccò affabile.

“Si, allora dimmi perché sai leggere nella mente!” continuai estenuato dalla montagna di domande che affollavano la mia testa.

Attese che fossi più calmo e iniziò a spiegarmi: era un vampiro, da oltre 250 anni, di origine francese ma ormai aveva girato il mondo cambiando stile di vita tutte le volte che si era ritrovata in un luogo diverso, sempre in solitaria. Negli ultimi anni aveva trovato il modo di adempiere alla sua essenza sovraumana conciliando al tempo stesso il suo amore per la musica. Aveva conosciuto Marcus, il quale la introdusse nel mondo dei concerti live e le permise di esprimere la sua passione per i ritmi potenti e taglienti del rock.

Col tempo, grazie alle loro doti, avevano ottenuto il successo e si erano avvalsi di fedeli servitori per mantenere il segreto sulla loro identità reale. Tra essi vi erano i loro tecnici e musicisti del tour, scelti con cura e messi a dura prova a costo della loro stessa vita.

Essendo una vampira poteva leggere nella mente altrui, dissolversi nell’aria, osservare gli umani senza essere visti di rimando, nascondere i loro poteri senza troppa fatica grazie alla loro sembianze dai tratti particolarmente raffinati e piacenti. Sapevano ammaliare chiunque con il loro sguardo, la loro voce e le loro movenze. Possedevano una forza inaudita e ne potevano misurare l’uso a seconda dell’esigenza. Stessa cosa per la velocità di movimento. Potevano saltare e correre celeri come il vento, spostandosi da un punto a un altro in un batter d’occhio senza alcuno sforzo aggiuntivo. E ovviamente, la loro temperatura corporea era al di sotto della media umana e il loro corpo era indistruttibile ai normali attacchi o incidenti.

 

Non seppi cosa dire… ero estasiato dalla sua onestà!

 

“Detto questo, sei a conoscenza dei presupposti per capire che conosco i tuoi pensieri perché ogni volta che ti vedo posso semplicemente leggerli, che ero io ciò che hai visto quella notte in albergo nel buio del tuo sonno, che sei qui per mio volere…. Non saresti potuto giungere a tanto senza un mio consenso: posso sentire la tua persona anche a distanza e volendo posso evitarla!”

Mi lasciò a bocca aperta.

Allora le volte in cui lei mi sfuggiva da sotto il naso era tutto calcolato!?

E ora perché mi aveva permesso di raggiungerla?

“Perché ho deciso che è giunto il momento che tu sappia altro!” disse rispondendo al mio pensiero.

Cosa altro c’era da sapere? Non potevo immaginare che potesse esserci altro di più stupefacente.

Restavo basito dal suo racconto e incantato dalle sue parole, smanioso di conoscerne il continuo che però si lasciava attendere cauto nello scorrere del tempo.

Perché poi proprio quello era il momento?

 

 

 

Grazie a tutti i lettori, o meglio, alle LETTRICI! ^_^ Lasciate che i vostri pensieri possano annerire pixel su pixel per commentare questo piccolo racconto!!!!!!!!RECENSITE!

 

Arumi_chan: ciao! Io sono Laura! Piacere mio di conoscerti e di sapere che apprezzi la mia storia. Mi rincuori non poco!:) Sono contenta di essere riuscita a trasmetterti le stesse sensazioni che mi sono immaginata mentre scrivevo certe scene. Grazie dei complimenti e spero che questo seguito possa essere altrettanto interessante;) continua a seguirmi per dirmi i tuoi commenti. Baci

 

 

 

L.

 

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Capitolo 4
*** QUATTRO - ossessionata ***


 

 

QUATTRO

 

 

 

 

“Mi sono arresa all’evidenza: non sei solo tu ad essere ossessionato da me, ma anche io ad esserlo da te!”

La sua voce fu un tocco vellutato sul mio orecchio. Un lieve sussurro che avrei potuto ritenere frutto della mia più sfrenata immaginazione, così candidamente dolce quanto incredibile se solo avessi lasciato subito spazio alla ragione per comprendere quelle parole.

Non avrei potuto giungere a tanto neanche nei miei sogni!

La desideravo, anima e corpo, ma non mi ero mai spinto così in avanti, mai fino a credere che un giorno lei potesse ricambiare in tutto e per tutto i miei sentimenti.

Quel suo soffice bisbiglio rappresentò il mio personale canto di cherubini alle porte del paradiso.

Sgranai d’istinto gli occhi e lasci crollare le mie braccia e il mio busto tra i soffici cuscini del divano, sfinito e sconvolto come se avessi appena assistito a una apparizione divina che mi aveva risucchiato tutte le forze.

Rimasi senza parole. A stento ricordavo di respirare, completamente attonito e disarmato da una notizia tanto inaspettata.

Sabine mi lanciò giusto un veloce sguardo, così intenso da farmi subito intuire cosa stesse facendo: aveva dato una letta al mio stato mentale per capire le mie reazioni.

Avvampai vergognoso e mi rimisi composto.

“Io posso fare molte cose, buone o cattive, dipende dai punti di vista.. tutte le volte agisco per il mio solo bene. Come essere solitario sono profondamente egocentrica! Provare un’attrazione nei tuoi confronti è stata una notizia sconvolgente quanto lo è stato per te saperlo adesso. Appena mi sono resa conto che il tuo interesse per la mia persona creava in me forti emozioni, mai provate prima, ho deciso di capire cosa fosse” continuò indenne dalla solennità di quelle rivelazioni.

“Mi sono fatta un giro tra i tuoi pensieri e mi sono persa nella tua allegra ingenuità…. Ho cercato di ricordare se mai avessi provato qualcosa del genere, ma, da quei pochi ricordi rimasti della mia vita passata, non sono riuscita ad ottenere nessuna risposta affermativa. Quella voglia di sorridere che mi travolgeva appena percepivo la tua presenza nelle vicinanze era un qualcosa di nuovo e non potei passarci sopra, non a lungo per lo meno. Ho provato a contenermi e fare finta di nulla, a rimanere staccata e indifferente, ma, più ti vedevo così pieno di passione e deciso verso la tua meta di conoscermi, più i miei schermi crollavano uno a uno fino a che fui io stessa a voler ricercare quella stessa sensazione.”

Fece una pausa, poi riprese il suo racconto e io mi lascai cullare ancora dalla morbidezza della sua voce.

“Così iniziai a seguirti senza che tu te ne accorgessi. O meglio, senza che tu ne fossi sempre cosciente. Una volta affettivamente te ne sei accorto…”

La guardai interrogativo e, quando il mio sguardo cadde sul suo, collegai…. “Eri tu?” chiesi titubante.

“Sì. Ogni due giorni correvo da te e me ne restavo a fissarti nell’ombra cercando di capire il perché delle mie azioni. Continuavo a ripetermi che non potevo essere così ossessionata da un semplice essere umano, ma internamente mi contraddicevo immediatamente perché tu non sei uno dei tanti: sei speciale! Ti guardavo indifeso nel tuo letto e non sentivo il solito istinto di nutrirmi. Non volevo ucciderti, anzi, era come se volessi proteggerti. Volevo averti al mio fianco, sempre! Per saperti al sicuro. Perché solo tu sei stato capace di farmi provare qualcosa di così forte e diverso dalla mia sete e volevo custodire il fautore di tanta intensità…”

I suoi occhi rimasero sul mio volto durante tutto il discorso.

Non saprei dire se mi stesse leggendo la mente, ma non ne fui comunque intimorito. Ne ero solamente incantato. Ammaliato come accadde quando li vidi nel buio della mia stanza allora. Sorrisi al ricordo.

“Perché non ti sei lasciata vedere e sei sparita subito?” la domanda mi sgorgò spontanea.

“Sbagli! Mi sono fatta vedere quando sei stato in pericolo.. ricordi l’incendio?” feci un piccolo cenno di affermazione, troppo incuriosito per interromperla dando fiato anche a una sola parola.

“E poi… non ero sicura di nulla! Non avrei saputo darti una spiegazione o anche solo una misera motivazione della mia presenza. Quando ci incontravamo potevo avvertire l’ardere del tuo sentimento scoppiare in te non appena riuscivi a intravedermi e io potevo gioire di quella sensazione riflessa su di me per qualche lungo e intenso secondo, prima di avvicinarmi e tornare a sembrare la solita e fredda Sabine. Entrambi attendevamo con ansia quei momenti e non potevo confessartelo finché non ne avessi capito io per prima il motivo!” Sospirò lasciando scivolare la rigidezza delle sue spalle e fu come uno sblocco: si adagiò lenta sullo schienale e si mise a scrutare i decori del soffitto. “Proprio dopo la notte dell’incendio, non sapendo più cosa pensare e fare, chiesi consiglio a Marcus… L’ho considerato sempre come un fratello maggiore da che mi ha insegnato a conciliare la mia esistenza con un nuovo modo di vivere. Mi è stato vicino nei cambiamenti e mi ha guidato con pazienza. E mi fu di nuovo d’aiuto: è grazie a lui se sono riuscita a chiarirmi! Mi ha indirizzato verso una nuova visuale dei miei sentimenti a cui ancora non ero arrivata, forse troppo refrattaria per farlo.. Gli ho raccontato cosa avevo letto in te, andando sul dettagliato, poi gli ho confidato i miei pensieri e in riposta lui mi ha detto in poche parole che ti eri perdutamente innamorato di me” il suo viso tornò su di me per cogliere il timido rossore sulle mie guance, evidentemente sicura di come avessi potuto reagire a certe scoperte. Sorrise intenerita e continuò con un nuovo brillio negli occhi.

Ne rimasi colpito e indirizzai il mio sguardo sul suo profilo curvilineo. Rivolta nuovamente verso il soffitto, senza avere il bisogno di guardarmi per capire le mie emozioni e reazioni al suo insospettabile racconto, l’ammiravo perso nei suoi colori e nei suoi movimenti leggiadri. Le sedevo accanto osservando il continuo movimento delle turgide labbra e cercando di cogliere i vortici fantasiosi che le vedevo fare dalle sue pupille, come se stesse disegnando con la mente ciò che in realtà sta narrando con la voce.

“Una volta che mi spiegò cosa fossero l’amore e la passione per gli umani, realizzai di non averli mai provati prima, ma neanche il tempo di assumere il concetto che Marcus mi contraddisse all’istante: mi disse che in realtà, proprio in quel momento, anche io ero innamorata!”

Sabine si zittì per un attimo, quasi volesse darmi il tempo di apprendere affondo quella rivelazione.

“Da lì mi spiegò come andava l’amore e la passione tra vampiri. In tutti i miei anni di non-vita ero rimasta all’oscuro di alcuni particolari a causa del mio essere solitario. Così potei capire quanto avesse ragione: mi ero innamorata di te e non era solo una curiosità verso un nuovo interesse, come invece pretendevo di illudermi precedentemente! Grazie a Marcus non sentii più la necessità di capire cosa mi stesse succedendo. Ormai era chiaro. Ora il problema era un altro: accettare o meno certi sentimenti e le loro conseguenze…. In un primo momento, costretta da un eccessivo senso di protezione nei miei e tuoi confronti, mi negai di vederti per un lungo periodo ed è proprio per questo che non mi sono più intrufolata nelle tue stanze di notte! Alla fine però dovetti arrendermi al tuo incessante insistere. Continuavi a cercarmi e sentirti così sconsolato mi dava un forte colpo al petto. Mi dispiaceva essere la causa delle tue sofferenze e me ne rattristavo di conseguenza! Credo sia questo il motivo per cui infine ho accettato di uscire con te, ma avrei dovuto semplicemente evitarlo…  non avrei dovuto dartela vinta quella sera! Ti ho spaventato senza ottenere nient’altro! Tu eri troppo preso e non hai saputo rimanere con nostri limiti, quei limiti che mi ero imposta per una sana convivenza. Mi mancava sentirti vicino, leggere il tuo uragano di folli emozioni, guardare il tuo viso raggiante e.. forse.. non ho saputo trattenermi neanche io… Non avrei dovuto permetterti di starmi così vicino! Fino a quel momento non ti avevo permesso cotanto lusso perché in realtà sapevo che se solo tu mi avessi minimamente sfiorato, non sarei stata capace più di contenere il mio essere selvaggio. Ti avrei fatto mio in ogni possibile accezione del termine! Così mi sono messa sulla difensiva per non danneggiarti fisicamente e sono dovuta scappare.. E’ stato un mio errore, mi sono lasciata andare, non potendo permettermelo! E tu ti sei ovviamente spaventato.. scusami!!!”

Si girò nuovamente verso di me e potei constatare la veridicità delle sue parole. Era profondamente dispiaciuta e si poteva evincerlo dalla sua faccia al primo sguardo! Si stava completamente e interamente scoprendo, onesta fino in fondo e sincera in ogni parola. E dalla prima all’ultima ne fui sorpreso e al contempo grato.

 

Finalmente potevo conoscere la sua vera essenza, non soltanto limitarmi a immaginarla. Apprezzai quanto la sua bellezza esterna rispecchiasse perfettamente quella interna, in tutti quei particolari che rendono un tesoro ancora più prezioso.

Per quanto possibile, mi stavo innamorando sempre di più della mia dama e ne fui compiaciuto.

Le sorrisi. Un ampio e felice sorriso brillava sul mio volto e un forte impulso mi nacque dal profondo del mio desiderio.. se in passato lei aveva visto ardere il mio sentimento, ora lo avrebbe visto esplodere e riversarsi senza remore su di lei.

Riuscii a tirar fuori un filo di voce, trattenendo ancora tutto dentro in attesa del suo permesso: “posso?”

Sabine non si accorse di quanto mi ero avvicinato tutto d’un tratto e di come quella domanda le foste stata soffiata quasi a fior di labbra. O forse, già se ne era accorta e mi aveva di nuovo permesso di avvicinarmi a lei consapevole di tutte le mie mosse. Anche quelle più improvvise.

Forte di questo tacito consenso, le presi con premura il volto tra le mani e avvicinai le mie labbra alle sue, respirai l’aria che ci divideva e che sapeva del suo profumo. Così, estasiato da quell’odore e di averla così vicina, socchiusi la bocca per finire in un piccolo, leggero, delicato bacio.

Non volevo esagerare. Volevo solamente sentirla.

Lei si lasciò morbida nella mia presa e ricambiò il gesto volgendo tutto il corpo verso di me.

In quel momento l’euforia mi salì alla testa e presi a baciarla con maggiore passione, dimentico di ogni precedente idea di delicatezza e distanza. La strinsi fra le mie braccia e, non trovando alcuna resistenza, la avvolsi del mio desiderio.

Assaporai il gusto fresco e nuovo.

Rimasi all’istante dipendente da quel sapore come fosse il sapore di un frutto proibito ma sempre desiderato e ora assaggiato.

Lasciai che le emozioni guidassero le mie azioni tanto da coinvolgere anche lei nell’urgano di sentimenti nato dal mio cuore.

Ora, tutto poteva travolgermi: io avevo trovato la pace dei sensi… e la mia dama!

 

Persi la cognizione del tempo. Non per quanto restammo su quel divano a baciarci. Baci, solo baci, ma di un’intensità mai provata prima!

“Bill!” la sua bocca si era staccata da me.. non per prendere fiato come facevo io, ma per dire qualcosa. “prima di andare oltre devi sapere cosa ne consegue!” era diventata stranamente seria e quindi mi allontanai leggermente per permetterle di spiegarmi, senza però sciogliere l’abbraccio in cui ci trovavamo.

“Quando sei entrato hai detto che potresti anche morire per me… lo pensi ancora?”

Rimasi interdetto da quella domanda a bruciapelo.

Cosa c’entrava in quel momento?

Annuì comunque. Alla fine ero convintissimo di ciò che provavo.

Ora più che mai!

uando

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ok, ammetto che non sia il capitolo al completo, ma il tempo in questo periodo è poco e visto che è già passato qualche giorno di troppo ho deciso di fermarmi qui e pubblicare. Spero sia di vostro gradimento;)

 

Mi sono goduta le vacanze e lo auguro anche a voi! Arrivo giusto in tempo per dirvi BUONA BEFANA E BUON ANNO NUOVO!

 

 

 

Commentate numerose! Sono curiosa di conoscere la vostra opinione… ^^

Grazie a chi legge e commenta!!!!!!!!!!!!!!!!

 

Angeli neri: Piacere di conoscerti, Edda! Je m’appelle Laura:D ..ehm ehm sto studiando or ora francese :P .. Grazie dei complimenti! Mi fanno molto piacere!!! Spero che rimarrai per sapere cosa ha da chiedere ancora Sabine.. non è ancora tutto!kiss

 

 

 

 

L.

 

 

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