In Wonderland...

di Ciribiricoccola
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introducing... ***
Capitolo 2: *** Tè? ***
Capitolo 3: *** Ipocondria botanica ***
Capitolo 4: *** La ricerca della felicità ***
Capitolo 5: *** Se belli si vuole apparire, un pochino si deve impazzire! ***



Capitolo 1
*** Introducing... ***


wonderland

Miei cari lettori McFlyani, 

nonostante "Point of view" non sia ancora finita, io sto già creando uno spin off, ovvero quello che leggerete tra poche righe! L'ispirazione è dovuta a due delle mie più grandi passioni mescolate assieme: il famoso "Paese delle Meraviglie" della piccola Alice disneyana... e i McFly ovviamente :).

Cosa pensate che possa essere scaturito fuori da questo intruglio?

Secondo me è qualcosa di valido, ma sta a voi il giudizio definitivo, quello più PESANTE & IMPORTANTE per la sottoscritta :).

Hope you like it, see you soon!

La vostra Ciry

INTRODUCING...


Vorrei tanto che foste qui, al mio fianco, per godervi la scena insieme a me. 

Sì, sì, proprio la scena che adesso ho qui, davanti ai miei occhi, che hanno pur visto davvero molte stramberie.

Perdonate la mia mancanza di tatto: voi non potete vedere quel che vedo io, non potete vivere ciò che io sto vivendo.
Se solo poteste essere qui, qui, QUI!

Ma dal momento che non potete… dovrete accontentarvi di leggere quanto segue...
Magari, più tardi potreste provare a chiudere gli occhi e a vedere quanto vi narrerò, ma con gli occhi della mente, che a volte sono decisamente più esaurienti di quelli che abbiamo sopra i nostri nasi…

 
Un paesaggio marittimo per me è già abbastanza insolito… Se poi assisto a quello che sto per narrarvi, per di più in una landa a me sconosciuta… Australia, credo si chiami…  allora posso chiamare questa un’esperienza davvero bizzarra; ovviamente, parlo per me.

 
Stavo per concentrare tutta la mia attenzione su una graziosa ragazza bionda che sonnecchiava sulla spiaggia, quando due strani figuri escono dall’acqua correndo e trascinandosi dietro due tavole da surf; sono spaventati a morte e stanno urlando… 
Tendo l’orecchio, mentre la ragazza si alza di scatto…

 
“Uno squalo, uno squalo!!!” urla il più basso tra i due, inciampando nella tavola per poi finire dritto dritto con il volto nella sabbia.

La mia natura mi ha impedito di reprimere un sorriso un po’ malefico, ma divertito.

“Porca puttana, porca puttana…” sento ansare l’altro, che si prende la testa tra le mani.

Ma la ragazza, che nel frattempo si era voltata verso il mare, li chiama per nome…

“Doug? Harry?”

E loro la guardano, ammutoliti, mentre lei indica due delfini che giocano tra loro, non lontani dalla riva, seppur già in alto mare.

“Siete due idioti!” li apostrofa la giovane.

Non è molto alta, sembra anche minuta. Ma ha una lingua con la quale non mi confronterei, signori, ve lo posso assicurare.

 
Mentre Harry e Doug (così li ha chiamati), dopo qualche secondo di mutismo dovuto alla sorpresa e allo shock, iniziano a ridere, la ragazza li manda a quel paese senza troppi preamboli e… che fa?

 
Oh, è tornata a sedersi sul suo lettino.
Singolare, prende i raggi del sole che tramontano.
E gli altri due? I famosi Doug e Harry?

Già non li vedo più. Devono essere tornati nei loro alloggi.

Perfetto.

Mi scuseranno i lor signori se adesso vado a compiere il mio dovere…

E sapete cosa intendo, non è così?

Potete seguirmi, se volete! Io vado… da quella parte! Sì, proprio quella!

 

***

Clarissa si svegliò dal suo già precario dormiveglia per un leggero brivido di freddo che un soffio di vento le aveva portato dal mare. Si alzò dal lettino ed iniziò a piegare il telo da mare con fare scocciato: come se quei cretini di Harry e Dougie non fossero bastati a romperle le scatole, adesso ci si stava mettendo pure il vento…

Stava quasi per andarsene, quando il cappello di paglia che aveva in testa volò via.

“Noo!” esclamò, contrariata, cominciando a corrergli dietro “Se non ti ripesco, Tom mi ammazza!”.

Tom avrebbe avuto tutte le ragioni per arrabbiarsi con lei se lo avesse perso, in effetti: quel cappello era un regalo di Giovanna!

Nonostante il vento non fosse forte ed il cappello fosse solo a pochi passi da lei, Clarissa arrancava con i piedi nudi sulla sabbia e non ce la faceva più a correre. Quando poi quel maledetto aggeggio rotolò con innaturale sveltezza su per una piccola duna, tra tronchi e piccoli arbusti, pensò: “Ok, come glielo dico che l’ho perso perché non sono riuscita a fermarlo?! Porca vacca!”…

Era scivolato al di là di quella montagnola, a quanto pare, perché non lo vedeva più. 
“Bene” pensò Clarissa “Almeno un tronco o qualcosa di simile lo avrà fermato!”.

Sfinita ma determinata a riprendersi quel cappello così sacrosanto per Tom, la ragazza saltò giù dalla duna una volta arrivata in cima.

 
E non salì più su.

 
Avete notato, signori?

È…

SVANITA…

Come...

Me...

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Ovviamente non vi dirò MAI (o meglio, mai fino alla fine ;D) chi è questo misterioso narratore!

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Capitolo 2
*** Tè? ***


wonderland

Mi sono fatta attendere anche troppo, lo so! Cercate di capirmi, cari lettori: università, due storie all'attivo, mal di testa conseguenti... Insomma, solo oggi posso finalmente dire che aggiorno questa storia!!! Siamo al secondo capitolo, più lungo e più movimentato del primo, e spero proprio che vi piaccia! A me ha fatto sorridere mentre lo scrivevo, spero faccia lo stesso effetto a voi che leggete! E' una storia leggera e senza pretese!

Vi ringrazio tutti per l'appoggio che mi date, ancora una volta, siete dei santi e io non me li dimentico, i santi...

Vostra

Ciry

TE'?


Instabile come una foglia in mezzo a un tifone, Clarissa si ritrovò a surfare, con sua grande sorpresa, in un mare di sabbia, sempre in discesa ed in continua accelerazione.
Non urlò soltanto perché, in mezzo a tutta quella sabbia, sicuramente si sarebbe trovata il deserto in bocca anche solo a dire “A”! Però aveva una paura folle, non riusciva neanche a vedere dov’era finito il cappello, dove stava finendo lei stessa!

Proprio mentre aveva cominciato a trovare un certo equilibrio, notando peraltro che la sabbia non scottava neanche un po’, si spaventò più di prima nel vedersi apparire davanti una voragine, un grande buco nero che stava inghiottendo tutto: lei, la sabbia, il cappello che non si vedeva più da nessuna parte…

Decisa a non fare la fine della sabbia, Clarissa provò a tornare indietro, puntando i piedi, accucciandosi per aggrapparsi con le mani al terreno…

Ma non ci fu niente da fare.

Terrorizzata, si rannicchiò su se stessa e si lasciò trasportare come un uovo dalla corrente iperveloce, che la fece scivolare in quel buco spaventoso ancor prima di quanto lei si aspettasse.

 

 

Io bevo il tè. Io ADORO il tè.

Per me e per il mio socio è SEMPRE l’ora del te.

Oggi è un GRAAANDE giorno, perché è il giorno in cui io e il mio socio beviamo il tè.
Tuttavia, devo ammettere che non è sempre così facile prendere il tè in santa pace, no no, no no!

Quest’oggi, per esempio, sento che non sarà facile, lo vedo da come l’acqua del mio tè s’increspa!
All’inizio, credevo che fosse poca cosa, una sciocchezzuola, una soggezione che noi bevitori di tè ogni tanto abbiamo, ma mi sono dovuto ricredere!
Perché, mi chiederete voi!

Bè, perché il mio socio, furioso come un cappellaio matto… bè, in effetti è proprio quel che sembra, un cappellaio matto… perché se fosse stato qualcun altro, forse non sarebbe stato così furioso e…

Per tutti i tè!

Il mio socio mi ha fatto notare quale oscura creatura fosse uscita dalla sua zuccheriera fornita di dosatore per fare un tuffo nel suo tè!!!

 

“Allarmi!! ALLAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAARMI!” gridò il Cappellaio Matto nell’orecchio destro della Lepre Marzolina, mostrandole la sua tazza di tè, in cui Clarissa stava annaspando, stordita ed infreddolita, poiché immersa nel tè freddo.
“Per tutte le zollette, cosa mai può essere questa cosa?!” strillò la Lepre, armandosi di una forchetta da dolce.
“Te lo avevo detto, io, di non cominciare a utilizzare lo zucchero di canna!!!” replicò il Cappellaio, indicando Clarissa “Quella robaccia esotica può portarsi dietro solo insettacci come questo! Il mio tè freddo è rovinato!!!”
“Presto, presto, rovescia la tazza, rovescia la tazza!!!” strillò il compagno.
“Ma perchèèè?!” ruggì l’altro, schiaffeggiando l’amico con le sue stesse orecchie lunghe.
“Dobbiamo esaminare, ESAMINAAAAAREEEEEEEEEE!” tuonò la Lepre.

 
E quella fu l’ultima frase che Clarissa poté udire distintamente, perché poi la tazza si rovesciò con il suo contenuto e lei finì con il sedere sbattuto sul tavolo, una quantità esagerata di tè nel naso e nelle orecchie e la tazza poco sopra la sua testa.

“Aiuto!!! Aiuto!!! Lasciatemi andare!!!” cominciò a gridare la ragazza, battendo i pugni contro le pareti della tazzina, che ora sembrava tanto grande in confronto a lei…
“Maledizione!” imprecò, accasciandosi per terra e strizzandosi i capelli fradici.
Rialzandosi, notò che era circondata non solo dalle pozzanghere di tè e dallo zucchero di canna, ma anche da diverse briciole, probabilmente di biscotti già mangiati i cui resti erano caduti sul tavolo.

“Non è possibile…” si disse Clarissa, scuotendo rassegnata la testa mentre allungava una mano per prendere una briciola, o meglio, quella che in confronto a lei era qualcosa di più simile ad un pallone da rugby, viste le ridottissime dimensioni del suo corpo. Si decise ad addentarlo, scettica...

“Ah, ecco, allora non sono rincoglionita del tutto…” si disse all’inizio, notando che non era né ingrandita né rimpicciolita “Non è mica come QUELLA Alice che…”

 
Non fece in tempo neanche a finire di pensare.

 
Sentì uno strano formicolio lungo tutte le ossa ed improvvisamente fu come stare sulle torri gemelle al luna park: proiettata verso l’alto a tutta velocità e senza neanche avere il tempo di provare neanche la minima sensazione, se non lo shock.

Lanciò un breve grido, coprendosi il viso con le mani, ma quando tutto intorno a lei fu di nuovo fermo e la testa smise di girare, lasciò che gli occhi sbirciassero…

Sì, era tornata di nuovo delle sue normali dimensioni, infatti era in piedi sul tavolo!

Mosse leggermente la testa e sobbalzò quando sentì infrangersi per terra la tazza sotto il quale era rimasta prima di mordere la briciola; era la stessa tazza che in quegli ultimi istanti le era rimasta sul capo, assolutamente innocua.

 

Al rumore della tazza seguirono delle urla agghiaccianti.

Clarissa si voltò di scatto e gridò anche lei, spalancando gli occhi per lo stupore.

 
La Lepre Marzolina, in braccio al Cappellaio Matto con le orecchie dritte ed erette come torri, strillò: “CHE COSA SEI?! COS’HAI FATTO ALLA TAZZINA DEL MIO SOCIO?!”

La ragazza lasciò che la bocca si aprisse, prima per dire qualcosa, poi semplicemente per spalancarla.

Non trovava le parole.

“Su, parla, abominevole maleducata, chi sei, chi ti ha mandato, che ci facevi nel mio tè?!” si rivolse a lei il Cappellaio, con tono isterico.

 
Ancora una volta, la loro spettatrice non trovò una risposta.

Li guardava con due occhi spaventosamente sbigottiti, ma non parlava.

 
“Potrebbe farci del male!” piagnucolò la Lepre, strisciando fin sopra il cappello del compagno di tè “Fa qualcosa!!”
“SI’!” tuonò il Cappellaio, armandosi di una teiera rotonda e rosa “In guardia, straniero! O straniera, qualunque cosa tu sia!!”

Fu allora che Clarissa recuperò il dono della parola e si mise a protestare a gran voce.

“Harry, ma che cazzo stai dicendo!!!” gridò, battendo con forza un piede sul tavolo e facendo tremare tazzine, teiere e cucchiaini “Togliti subito quel cappello del cazzo!!!”
“Il mio non è un cappello del cazzo!!!” replicò furioso il Cappellaio Matto “Il mio è un cappello di Londra! Cosa è mai questo Cazzo?!”
“Già, che cos’è, eh, che cos’è?!” gli fece eco la Lepre, saltando coraggiosamente dal cilindro dell’amico ai piedi di Clarissa, finendo per trovarsi faccia a faccia con il suo bassoventre.
“E tu…” le disse con tono grave la ragazza, sollevandola per le lunghe orecchie “Doug, come mai porti questo ridicolo costume da coniglio?”
“Questo non è un costume!” replicò stizzito l’animale “E mi stai facendo fare tardi per il tè!!!”
“Il tè, il tè, IL TE’!!!” proruppe eccitatissimo il Cappellaio, per poi assumere un’aria solenne ed annunciare: “Socio, è l’ora del tè. Ti pregherei vivamente di discendere dal nostro commensale per applicare la nostra fondamentale… e unica, credo… usanza, sì!”
“L’hai sentito?” chiese la Lepre a Clarissa, con fare sdegnato.

La ragazza, fulminandola con lo sguardo, scese dal tavolo con un salto, e solo una volta con i piedi per terra lasciò andare la bestiola, che andò a sedersi spocchiosamente accanto al Cappellaio, già in procinto di versarsi del tè fumante con un sorriso sulle labbra.

 
Clarissa prese a fissarli con insistenza, pur non essendo ricambiata neanche per sbaglio.

“Harry e Doug conciati così…” pensò, ancora sconvolta nonostante il nervosismo “Io che divento piccola, poi ritorno come prima… ma che diavolo…?”
“Siediti, mia cara” la invitò all’improvviso il Cappellaio Matto, indicandole una comoda sedia davanti a lei “Perché non prendi un po’ di tè?”

La poverina, più confusa di prima, ma decisa a non dare di nuovo di matto, si mise a sedere davanti a loro, appoggiò le mani sul tavolo, molto lentamente, e subito la Lepre le servì una tazza di tè.
“Ci vuoi dello zucchero?” le chiese con cortesia.
“Io… s- sì…” balbettò l’altra, senza poter fare a meno di fissare i lunghi fili bianchi arricciati come dei veri e propri baffi sotto il naso di quello che una volta era stato il suo amico Dougie.

“Raccontaci di te, mia cara” la incalzò il Cappellaio “Da dove vieni, come sei arrivata fin qui?”
“Ma come fai a chiedermi queste cose dopo avermi trattato come una lebbrosa?!” sbottò la ragazza “E poi tu lo sai benissimo chi sono, Harry!”
“Per tutti i cucchiaini, ti dico di no…” la smentì diplomaticamente l’altro, prima di allungare una mano verso un tovagliolo di stoffa bianca per farne un aeroplanino.
“Ma si può sapere che… DOUG, CHE CAZZO FAI!!!” strillò ancora una volta Clarissa, alzandosi dalla sedia: la Lepre stava mettendo così tanto zucchero nella sua tazza che per poco anche lei non ne rimase sommersa.
“Avevi detto tu di volere dello zucchero!” protesto l’animale, offeso, per poi tornare al proprio posto ed aggiungere, rivolto all’amico: “La gente non ci sta più con la testa, al giorno d’oggi!”

Ignorando un pugno sul tavolo da parte della ragazza, il Cappellaio Matto ammirò la sua opera appena finita, nonchè perfettamente riuscita, e, mettendola per un attimo da parte, ridacchiò e disse: “La testa, la testa, testa, testa, te... tè!!! Pensiamo piuttosto al tè! Cara, vuoi un po’ di tè?”
“Basta con questo tè!” esclamò Clarissa, esasperata, con le mani tra i capelli “Smettete di fare i deficienti, ditemi che posto è questo e ditemi che ci fate conciati come due imbecilli!”
“Siamo nel posto giusto per il tè!” esclamò allegramente la Lepre.
“Socio, non ci siamo presentati! Non è educato non presentarsi per il tè!” disse serio il Cappellaio.
“Giusto!” lo appoggiò l’amico, per poi rivolgersi alla ragazza “Io sono la Lepre Marzolina, felice di averti qui per il tè!”
“E io sono il Cappellaio Matto, mia cara, sono lieto come un tè mattutino di essere in tua compagnia!”

 
Clarissa, dopo aver lasciato che i due le stringessero la mano, inerte come quasi tutto il resto del corpo per l’esasperazione, disse: “Cappellaio, Lepre… Ma voi siete Harry Judd e Dougie Poynter! Capito?! Harry Judd e Dougie Poynter!”
“Saranno due nuovi tipi di tè, socio, non guardarla così basito…” intervenne il Cappellaio, rivolto alla Lepre, che allora chiese a Clarissa: “Tu chi sei, piuttosto? Una zuccheriera, una fetta di torta… no… Non sei fatta di porcellana e non profumi di mele…”
“Io chi sono?” domandò la ragazza a sua volta, ironicamente, cercando di non tentare di strappare le orecchie alla bestiola “Io mi chiamo Clarissa Thompson. E vengo da…”
“Cazzo!” esclamò il Cappellaio “E’ da lì che vieni, giusto? Da Cazzo! Potresti portarmi un cappello dal tuo luogo natio un giorno, mia cara? Pagando, ovviamente! Più tè per tutti, più tè!!!”

La ragazza si accasciò sulla poltrona, esausta e con il cervello sofferente, e lasciò che di nuovo i due la strapazzassero servendole del tè che lei assolutamente non voleva bere, zampettando davanti a lei sopra il tavolo e dicendo frasi assolutamente senza senso.

 
Li aveva giusto lasciati, non senza ascoltare con orecchie ben dritte seppur sconcertate, a una bizzarra discussione sulle marmellate che fanno miracoli per riparare gli orologi rotti, quando scorse con la coda dell’occhio l’aeroplanino che il Cappellaio Matto aveva costruito: era accanto a quello che una volta era Harry, che però non ci faceva affatto caso, occupato com’era a discutere animatamente con Doug, anzi, la Lepre Marzolina.

Con un’idea improvvisa che cominciava a ronzargli nella testa, Clarissa diede un’occhiata al tavolo, cercando con gli occhi un biscotto, una fetta di torta, anche solo una briciola.

“Se è vero che posso fare come Alice… basta che mangi qualcosa…” pensò, prendendo tra le dita un piccolo biscotto alla mandorla da una composizione di pasticcini, piazzata a pochi centimetri dalla sua mano lunga.

“Posso vedere quell’aeroplanino?” chiese al Cappellaio.
“E perché mai, cara?” domandò a sua volta l’altro, sorridendole affabilmente.
“Perché…è molto bello, vorrei vederlo da vicino…” rispose lei, determinata.
“Su, socio, non essere modesto, fa vedere a Clarissa la tua opera d’arte!” intervenne la Lepre, che convinse facilmente il Cappellaio a mostrare il tovagliolo tutto ripiegato alla ragazza, che esultò nella sua testa, pensando già alla fuga.

Mangiò il biscotto, non prima di essersi messa a sedere sul tavolo, per evitare di finire gambe all’aria sulla sedia, senza poter raggiungere il tavolo, se non arrampicandosi rischiosamente alla tovaglia.

 
Il formicolio alle ossa si fece sentire dopo pochi secondi che aveva ingoiato il dolcetto.

Chiuse gli occhi e le sembrò di fare un grande salto, che finì quando si ritrovò a rotolare sulla tovaglia.

Aprì gli occhi.

Perfetto.

Tutto era molto più grande di lei, anche il suo “aeroplano”.

 

Entusiasta ma silenziosa, Clarissa corse velocissimamente fino al tovagliolo e vi entrò dentro, proprio come se fosse stato un vero aereo.
Ma non aveva fatto in tempo a pensare di avercela fatta, che l’aeroplano si sfece davanti ai suoi occhi.

Il tovagliolo si afflosciò. Diventò una montagnola di stoffa inutile. Un tovagliolo, appunto.

E Clarissa, per la rabbia, ringhiò, prendendolo a calci.

 

“Socio, non senti anche tu un flebile lamento?” chiese la Lepre Marzolina, drizzando le orecchie.
“Sarà il tuo stomaco che ha voglia di tè!” esclamò entusiasta il Cappellaio.

Ma l’animale, già chino sulla tavola, lo corresse.

“Noooo! Guarda, è lei, è Clarissa!”
“Il mio aeroplano!” si lagnò l’altro, davanti allo spettacolo inammissibile di Clarissa che prendeva a calci il tovagliolo.
“Clarissa! Clarissa!” la chiamò la Lepre, arrivando a stuzzicarla con i baffi.
“Non vi sopporto più!!! Voglio andare via!!! Vaffanculo!!!!” urlò la ragazza, sull’orlo della lacrime.
“Vaffanculo?!” esclamò interdetto il Cappellaio “Sarebbe la tua destinazione?”
“Oh, ti prego, socio, aiutiamola!” intervenne la Lepre, abbassando le orecchie “Magari a Vaffanculo fanno il tè più buono del mondo! Se non mandiamo un emissario a testarlo per noi, non lo sapremo mai!”

Il Cappellaio, dopo qualche “Mmmhhh” poco convinto e relativi “Non saprei”, disse: “E va bene, va bene, aiuteremo Clarissa ad andare a… come hai detto che si chiama il posto, cara?”
“Oh, fanculo…” grugnì Clarissa, seduta sul tavolo con lo sguardo basso ed in procinto di esplodere come una pentola a pressione.
“Esatto, Fanculo!” esclamò l’altro, prima di aggiungere perplesso: “… Mmmhh.. credevo il nome fosse più lungo… Comunque! Socio, prendi la nostra ospite e preparale un equipaggiamento adeguato!”

La Lepre, con fare zelante, prese in mano Clarissa, incurante delle sue proteste, e, dopo averle fatto distendere le braccia, legò due a due gli angoli del tovagliolo sotto le braccia della minuscola ragazza, alla quale poi disse: “Non alzare le braccia, mi raccomando! A tavola si tengono sempre giù i gomiti, specialmente quando alzi la tazza del tè!”

Dopo l’ennesima citazione sul tè, Clarissa sbuffò rassegnata e chiese: “Che cosa mi state facendo, con questo coso addosso?”
“Ti mandiamo a Fanculo, no, mia cara?” le rispose il Cappellaio, togliendosi il cilindro nero per girarlo al contrario, proprio sotto la ragazza, tenuta a mezz’aria dalle zampe guantate della Lepre.
“Mi raccomando, spediscici una cartolina!” le disse quest’ultima, entusiasta.
“E facci sapere e il tè è buono anche a Fanculo!” aggiunse il cappellaio, prima di gridare: “Socio! Puoi procedere con la spedizione a Fanculo!”
“Cosa!!!!” strillò Clarissa “Fermi, fermi, feeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee……………………………..”

 

La Lepre l’aveva lasciata cadere nel buco del cilindro, nero come la pece.

Il suo grido si fece sempre più basso, finché tutto non ridiventò silenzio.

Entrambi gli amici stettero con le orecchie ben tese verso il buco finché non sentirono più nulla.

 

“Bè… Direi che forse è già a Fanculo…” osservò la Lepre, dubbiosa.
“Senza dubbio, socio!” concordò il Cappellaio, rimettendosi il cilindro “E’ andata a Fanculo, già me la immagino!”
“Ci sei stato anche tu?”
“Bè, no… non credo…”
“E allora come fai ad immaginarla?”

 
Il Cappellaio restò interdetto per qualche secondo.

Poi, si mise a sedere.

 
“Tè?”
“Sì, grazie! E’ sempre l’ora del tè!”

 

***

 

Atterrò sgraziatamente in mezzo all’erba alta, fortunatamente senza farsi male; solo allora lasciò andare il tovagliolo.

“Ma tu guarda se dovevo capitarci proprio io, in mezzo a… dove sono adesso?!” esclamò, alzando lo sguardo solo per vedere erba e nient’altro che erba intorno a sé.
“Perfetto!” sbottò, sarcastica “Prima Harry e Doug che fanno i matti… adesso questa palude…”.

Si era già messa alla ricerca di qualcosa da mangiare per diventare più alta, anche di pochi centimetri, quando scorse qualcosa che assomigliava vagamente ad un grande cancello, fatto di fili d’erba, qualche foglia e gocce di rugiada.

Incuriosita, spinse lentamente con la mano la vegetazione, esattamente come avrebbe fatto con una porta, e mise la testa nella fessura che aveva creato.

 
Un giardino.

Incolto.

Ma pieno di…

FIORI.

***

Se siete arrivati fin qui, forse il capitolo lo avete apprezzato! O, se non altro, sopportato fino alla fine :).

Volevo solo darvi qualche piccola informazione, per chi, al contrario di me, non fosse un purista di "Alice nel Paese delle Meraviglie"...

  • La discussione tra la Lepre (Dougie) e il Cappellaio (Harry) sulla marmellata e gli orologi rimanda al classico Disney su Alice nel paese delle Meraviglie :), poichè la Lepre Marzolina ed il Cappellaio Matto cercano di riparare l'orologio del Bianconiglio (in realtà, perfettamente funzionante) ficcandoci dentro zucchero, tè e... marmellata! Ovviamente, nel film poi l'orologio esplode! Potete vedere l'esilarante scena dell'orologio su questo link: LA SCENA DELL'OROLOGIO- ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE
  • Ricordatevi che il creatore di Alice e del Paese delle meraviglie, con tutti i suoi personaggi, era Lewis Carroll, un inglese DOC. E' per questo che i due protagonisti del capitolo amano fino all'ossessione il tè!
  • Anche per quanto riguarda tutto ciò che mangia Clarissa per ingrandire e rimpicciolire il proprio corpo, mi sono ispirata sia al libro che al cartone animato su Alice :).

E per quanto riguarda tutto il resto... Bè... è farina del mio sacco :). Ci vuole molta fantasia per immaginare Dougie in vesti conigliesche, sapete?
Spero comunque che vi sia piaciuto davvero tutto quello che ho scritto finora, per quanto riguarda questa storia! Lo dico e lo ripeto, sono ansiosa di leggere i vostri commenti, perchè questo è un racconto molto delicato, anche se voi, quando arrivate a leggerlo, lo trovate magari divertente e leggero a modo suo!

Vi ringrazio davvero tanto per tutto il vostro sostegno e vi dico che farò il mio meglio per non deludervi, neanche sulle tempistiche, al prossimo capitolo!

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Capitolo 3
*** Ipocondria botanica ***


wonderland

Care McFlyane, scusate la fretta, ma stavolta dovrò dedicarvi veramente poco tempo! Vi dico solo che questo è un capitolo che ha a che fare con la natura! Spero che piacerà soprattutto a chi ama i fiori ed i suoi affiliati :). Let me know if you like it!!!

See you soon!

Ciry

IPOCONDRIA BOTANICA


Le farfalle hanno vita breve, le farfalle hanno vita breve, le farfalle hanno vita breve…
Devo calmarmi, devo stare calmo, va bene, va bene… oppure no, non va bene, non va bene affatto, sto tremando tutto, non riesco a volare, le farfalle hanno vita breve…

Va bene, ho bisogno soltanto di un momento, poi volerò.

E queste pendenze nere?! Cosa sono?! C’erano anche prima?!
… Ah, sì. Sono le mie code.

La testa? Mi fa male la testa?... No.
Le zampe? Le muovo tutte quante?... Sì, direi di sì.
E lei ali? Emil, muovi le ali…
Non così forte, non così forte!!!

Va bene, d’accordo, funzionano.

Certo, guarda che disastro c’è in casa adesso.

Questo vizio di sbattere le ali in casa deve finire, non ne posso più.

Va bene, forza, parti, buttati, vola!

NO, ASPETTA!

Potrebbe venirmi da starnutire!!!
La mia povera proboscide!

Mi viene da starnutire?


Direi di no.

Oh, santo cielo, d’accordo, mi butto. Piano… piaaaano…

 

Quando sentì arrivare quelle folate tremende di vento alle spalle, Clarissa non poteva immaginare che era proprio una farfalla a scatenarle. Del resto, non era certamente abituata a essere alta solo cinque centimetri, né tantomeno a spaventarsi davanti alla figura di una “Papilio palinurus” verde e nera… esattamente quella che le apparve davanti dopo un atterraggio a dir poco burrascoso, facendola finire gambe all’aria.

Entrambi strillarono nel vedersi.

 
“Non sei un fiore, non sei un fiore!!!” piagnucolò la farfalla, rannicchiandosi su se stessa e tremando come una foglia.

Clarissa fece la stessa cosa, si riparò la testa con le braccia, ma ci mise poco a capire che non c’era assolutamente niente di cui aver paura.

 
Quella farfalla, lei sì, era terrorizzata.
E inerte.

“Poverina…” pensò la ragazza, per un momento impietosita da quell’animale dai colori cangianti.

Molto cautamente, si avvicinò alle ali dell’insetto, e disse a bassa voce: “Io… io non sono un fiore…”

“Dio, come mi sento stupida” pensò, subito dopo aver finito di parlare.

Il macaone, sempre tremando, aprì leggermente le ali e balbettò: “E allora.. sei un predatore? Non mi mangiare, ti prego, non mi mangiare…”

Clarissa si mise le mani davanti alla bocca per non ridere.

Quella farfalla la stava supplicando per qualcosa di assurdo.

E soprattutto, aveva una vocetta nasale a lei molto conosciuta.

Sollevando leggermente quel paio di ali come se fossero tende di un circo, Clarissa disse ancora, mantenendo la voce bassa: “Mi sono soltanto persa, sono un’umana e non mangio farfalle…”
“Davvero?” si sentì replicare, con un tono speranzoso ma sempre molto timoroso.

E lei inventò una scusa molto ragionevole per rassicurarlo…

“Sono allergica alle farfalle…”
“Oh… che sollievo…” si sentì rispondere nella penombra, prima di scorgere un luccichio verde chiaro davanti a sé.
Gli occhi del macaone, pieni di gioia, evidentemente.

Le ali dell’animale si aprirono del tutto, permettendo alla ragazza di vedere quanto era bello…

Nero e verde smeraldo, dalle grandi ali e con tanto di code in fondo a queste ultime. Quasi una farfalla in frak.
L’unico particolare, non proprio trascurabile, era che sotto quelle antenne nere con i riflessi verdi… non c’era la testa di un macaone qualunque…

 
C’era quella di Tom.

Aveva gli occhi completamente verde scuro, ma i capelli erano gli stessi.
Infatti, Clarissa si chiese se potessero esistere farfalle bionde. O addirittura con i capelli.

 
Vedere Tom sottoforma di farfalla, fornito di sei zampe e senza le pupille umane, bensì solo due grandi uniche iridi verdi, la inquietò leggermente.
Ma la fece sorridere il fatto che avesse una strana proboscide arrotolata su se stessa in cima al naso, come una specie di buffa prolunga.
Quella cosa tremava in continuazione, vibrava, come se Tom dovesse starnutire da un momento all’altro!

“Devi fare uno starnuto?” gli chiese Clarissa, cercando un riparo con lo sguardo, onde evitare di essere spazzata via.
“Non lo so…” rispose la farfalla, demoralizzata “Il mio naso ha di sicuro qualcosa che non va, io credo di starnutire e poi… ooohhh, le mie antenne, che mal d’antenna, che mal d’antenna…”

Si stava lamentando sonoramente, lasciando Clarissa di stucco.
Com’era possibile che una farfalla credesse di avere tutti i mali del mondo?

“Scusa, Tom, ma…”
“Tom? Chi è Tom?” la interruppe l’insetto, togliendosi le zampe dalla testa “Chi è Tom? Vuoi dire che io mi chiamo Tom? Vuoi dire che io ho sempre creduto di avere un nome e all’improvviso invece scopro che io non sono io???”
Clarissa sbottò, spazientita: “Oh, stà zitto, porca puttana!”
“Porca puttana!!! E adesso chi è questa Porca Puttana?! Non lo conosco questo cognome, ti prego, dimmi chi sono!!!” ricominciò a strillare la farfalla, accasciandosi disperatamente a terra e travolgendo la ragazza sotto le sue ali.

Ancora una volta con il sedere a terra, Clarissa sospirò, irritata, e disse nella penombra delle ali di Tom: “Ascolta! Direi che la cosa migliore è presentarsi, prima di tutto! Rimandiamo le crisi d’identità, per favore!”
“Oh!” esclamò l’insetto, stupito “Hai perfettamente ragione, non mi sono presentato!”

Di nuovo, la farfalla si drizzò sulle sue piccole zampe, aprendo le ali e permettendo così alla ragazza di imitarla.

“Io mi chiamo Clarissa. Hai presente?” chiese alla farfalla, sperando che si ricordasse di lei, dal momento che altri non era che Tom!
“Sai… non credo di aver mai visto una Clarissa in questo giardino, da che sono nato…” dovette contraddirla l'insetto “Comunque, io mi chiamo Emil. Emil Emerald. Guardiano del giardino. Al tuo servizio!”
“Emil Emerald…” le fece eco la ragazza, perplessa, prima di aggiungere: “Va bene, ok… mi puoi dire dove siamo?”
“Questo è il Giardino delle Gardenie!” rispose lui “Se vuoi, puoi fare un giro turistico! Seguimi!”

Incuriosita, Clarissa obbedì, andando dietro a Emil (o Tom, qual dir si voglia), che volava lentamente per non farla rimanere indietro.

 
Dopo qualche minuto passato a fare un rocambolesco slalom tra pietre, buche e fili d’erba insidiosi, la ragazza potè finalmente fermarsi: era arrivata al centro del giardino ed era circondata da alte gardenie, alcune raccolte in cespugli, altre accompagnate solo da qualche foglia.
In realtà, gli steli di quei fiori non erano certo alti, era Clarissa ad essere davvero minuscola per poterlo notare.

“Emil!” chiamò, confusa, non vedendo il macaone “Emil!!”
Si sentì rispondere uno “Sssshhh” tremante e si voltò, spaventata.

Emil si stava nascondendo in mezzo all’erba.

Clarissa lo rimproverò sottovoce: “Che fai, Tom, perché sei nascosto lì?!”
“Stai… parlando con me?” ribatté a sua volta la farfalla, timorosa.
“Sì, sto chiamando la tua doppia personalità!!” le disse lei, sarcastica.
“Non sapevo di essere anche affetto da doppia personalità… Oh, santissimi bruchi…” gemette l’insetto, mettendo ancora a dura prova i nervi della sua minutissima compagna.
“Lascia stare…” gli disse infatti Clarissa, scuotendo la testa, rassegnata “Piuttosto, perché ti nascondi?”

L’ex umano Tom, diventato macaone Emil, si sporse prudentemente con il musetto verde fuori dall’erba, e sussurrò, facendo vibrare la proboscide: “Ogni volta che la vedo… mi sento… così terribilmente… come spiegarlo… affannato… febbricitante… tachicardico!”
“Ma di che parli?!” chiese la ragazza, sorpresa, avvicinandosi.

In quel momento, Emil starnutì e la sua proboscide divenne una sorta di filo nero e teso verso l’alto. Sembrava una lancetta dell’orologio!
Clarissa guardò nella direzione puntata dal “naso” di Tom e quel che vide la lasciò di stucco.

 
Una delle gardenie si stava stiracchiando.
In mezzo al cespuglio dove, con tutta probabilità, aveva dormito.

Vedendo quella figurina bianca e rotondeggiante muoversi, Clarissa impallidì e si voltò in fretta verso Emil, ma non lo trovò: era già rientrato in mezzo all’erba.

Avrebbe voluto anche lei nascondersi dietro a un fungo, un filo d’erba, un tronco di albero, ma qualcosa la frenava e la teneva inchiodata lì, incantata a fissare il fiore che si era appena svegliato da un buon sonnellino pomeridiano.

Aveva paura, certo, perché non aveva mai visto niente del genere.

“Certo, hai visto le cose più improbabili fino ad ora, potresti anche resistere un’altra mezz’oretta… Non scappare così!” si disse, perentoria, rimanendo imbambolata in mezzo al giardino.

 
Aggraziata proprio come un petalo che cadeva dall’albero, la piccola gardenia saltellò giù dal suo cespuglio, per poi toccare terra con le sue fogliette verde chiaro (probabilmente le gambe, pensò Clarissa) e sistemarsi i petali, come se si stesse ravvivando i capelli!
Fu allora che, presa alla sprovvista, notò la ragazza e restò immobile lì dov’era.

Clarissa s’irrigidì e mormorò: “Cazzo, mi ha vista. Adesso scapperà…”
E invece…

 
Gli occhi stupiti, incantati e inteneriti della ragazza videro il fiorellino saltellare a zig zag verso di lei, come un cucciolo. In neanche venti saltelli, le fu davanti.

Era completamente bianca, sembrava un angelo.
La corolla perfetta, nella forma e nel colore.
Solo qualche sfumatura marrone nei petali si distingueva in tutto quel candore.
Oltre a un paio di grandi occhi vispi accompagnati da una bocca piccola e sorridente.

“Che bei petali!” le disse semplicemente, allungando una foglia verso i suoi capelli biondi.

In pantaloncini colorati e top, Clarissa si sentì indecente e quasi indegna di un complimento del genere, tanto inverosimile quanto lusinghiero, specialmente se detto dalla vocina sottile di Giovanna.

“Grazie…” farfugliò, arrossendo gentilmente.
“Che fiore sei? Io mi chiamo Enya e sono una gardenia…” si presentò il fiore, facendo un piccolo inchino per poi tornare a sorriderle.
“No, tu sei Giovanna!” ebbe voglia di urlare Clarissa, che invece ribatté: “Io sono… Io sono… una… una…”
“Oh, ciao, Emil!” esclamò d’un tratto Enya, arrossendo leggermente mentre guardava oltre la spalla della ragazza.
Seguendo lo sguardo del fiorellino, Clarissa esclamò, fingendosi sorpresa: “Aaahh… e così conosci… Emil?”
“Oh sì… è il guardiano del nostro giardino, è sempre molto gentile con noi…” rispose Enya in un sussurro, diventando rosa pallido per l’imbarazzo.

Fu allora che Emil mise fuori la sua proboscide, più tremante che mai, per poi uscire completamente dall’erba, ma con le antenne basse e torcendosi le zampe…

“Emil! Saluta… Enya, sì…” lo esortò Clarissa, prima di rivolgere uno sguardo rassicurante a quella che, se non fosse stato per patali, steli e foglie, avrebbe subito riconosciuto come Giovanna.
“C- ciao, Enya…” balbettò il macaone, alzando gli occhioni da terra solo per un attimo, giusto il tempo di vederla mentre anche lei abbassava lo sguardo, timida quanto lui.

 
Stava giusto per farsi da parte, voleva soltanto allontanarsi di qualche passo per lasciarli soli, ma Emil la richiamò a sé e disse in fretta: “Enya, questa, questa è… si chiama Clarissa, è un’umana e… e l’ho incontrata per caso!”
“Veramente mi sei piomb…” fece per protestare Clarissa, ma il macaone le tappò la bocca con un’ala, prima che Enya (Giovanna nella sua versione botanica) replicasse: “Oh, per tutti gli arbusti, non credevo che gli umani potessero essere così piccoli!”
“E’ una lunga storia!” tagliò corto la ragazza, prima di chiedere al fiore: “Come mai solo tu sei sveglia in questo momento?”
“Oh, soffro di una terribile insonnia!” si lagnò Enya, rivolgendosi poi alla farfalla: “E tu, Emil? Come stai? La tua proboscide sta meglio?”
“Tra alti e bassi, Enya, tra alti e bassi…” borbottò lui, più imbarazzato che mai, cercando di nascondersi con le zampe il naso, ma invano.
“Vedo che vi piace parlare di salute…” commentò ironica Clarissa, mettendosi le mani sui fianchi.
“Se tu sapessi quanto soffro, mia cara Clarissa!” le disse Giovanna, roteando i grandi occhi scuri, ancora più grandi in mezzo a quel faccino bianco “L’altra settimana i miei steli facevano i capricci, poi mi cadevano i petali, adesso l’insonnia…”
“E poi il raffreddore, il mal di pancia, il mal d’antenna…” continuò Emil, lamentandosi, ma quasi incantato dalla tiritera di Enya.
“Anche tu stai sentendo questo cambio di stagione, non è vero, Emil?” chiese la piccola gardenia, avvicinandosi al macaone, che subito rispose: “Certo che sì, io… io sono perennemente malato!”

“Ma che cazzo stanno dicendo?!” pensò Clarissa, indietreggiando rispetto a loro.

“Vuoi che prepari degli impacchi per le tue ali? Sembri dolorante…” si offrì Enya, prendendo tra le foglie le zampette di Emil, che, tesissimo, rispose: “Oh, sarebbe fantastico, Enya, ma tu, ma tu, ma tu, ma tu…”
“Giovan..emh, Enya, sì, ha detto di sì!” intervenne Clarissa ridacchiando; dopodiché aggiunse: “Scusatemi… Io non posso trattenermi a lungo… Vorrei chiedervi se…”
“La strada per il prossimo villaggio?” la interruppe Emil.
“Sì…” rispose Clarissa, perplessa.
“Bè, vogliono proprio che mi tolga dalle palle, ok…” pensò, mentre la farfalla gli spiegava come continuare il suo cammino.
“Non devi fare altro che seguire le indicazioni” la informò con cortesia “Mi raccomando, segui solo i gigli bianchi, mai le violette. Quelle piccole vigliacche mi hanno fatto prendere un’allergia la  scorsa Primavera, sono buone soltanto a fare stupidi scherzi!”
“E’ vero!” concordò immediatamente Enya, accarezzando un’ala di Emil.
“E poi arriverai ad un bosco, lì potrai chiedere ospitalità!”
“Ospitalità a chi?” domandò Clarissa.
“Oh, mia cara, c’è sempre qualche viandante disposto a condividere qualche buona parola e un po’ di cibo, vedrai…” intervenne Enya, sorridendole.
“Sì, ma io…” iniziò la ragazza, che voleva più informazioni; ma Emil staccò con abilità una foglia da un ramo lì vicino, ce la avvolse dentro e le disse: “Adesso che sei ben coperta, vai! Fai buon viaggio! Trova la tua strada! E non dimenticarmi!”

Spinta frettolosamente nei meandri del prato dalle ali di Tom, lo scortese macaone ipocondriaco, Clarissa sbuffò seccata e bisbigliò tra sé e sé, sbirciandolo dall’erba: “Capisco che vuoi restare solo con Gi, ma, diamine…”
Non vide più molto altro: Emil aveva racchiuso gentilmente nelle sue ali la piccola gardenia.
Non si poteva certo dire che non fosse romantico anche da insetto.

 
Sospirando, la ragazza non poté fare altro che voltarsi e iniziare a cercare qualche giglio bianco che avesse un cartello incorporato o che magari indicasse una qualsiasi direzione con le proprie foglie.

Assurdo pensare a certe immagini, ma ormai stava iniziando ad abituarsi a certe stramberie, ad assecondarle senza più alcuna paura particolare…

Stava giusto pensando a se stessa come a una sorta di novella, intrepida Indiana Jones, quando decise di fermarsi per qualche secondo, giusto il tempo di sistemare a dovere la foglia che Emil le aveva dato, a mò di buffo impermeabile.

Non sapeva di essere osservata dall’alto.

 

Ed è qui che entro in scena IO…hihihi…

***

Il macaone è una farfalla molto comune e può assumere diverse sfumature! Prendendo un modello da Internet, io ho scleto una bella farfalla nera e verde smeraldo con le ali che finivano in due piccole "code", esattamente come quelle di un frak :).
E le gardenie sono piccole piante da giardino, nella stragrande maggioranza sono bianche, come Enya (o Giovanna, chiamatela come volete) :).
Cos'è l'ipocondria, per chi non lo sa? Semplicemente la fissazione sulle malattie :P. Immaginate di dovervi sempre preoccupare per uno starnuto o un colpo di tosse e di non uscire per una settimana solo
per questo! :D

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Capitolo 4
*** La ricerca della felicità ***


wonderland

Gentili e pazienti McFlyane, scusate l'osceno ritardo, ma per scrivere questo capitolo... mi ci è voluta una fantasia spropositata e tanto sforzo -_-! Infatti, spero che apprezzerete!

Forse dovrei mettere il rating giallo?.... NNNNAAA :D.

Non vi voglio dire altro! Vi mando solo un grande abbraccio!

Ciry

La ricerca della felicità

Innervosita dal fatto che la foglia sembrasse viva e assolutamente maldisposta a diventare il prototipo di un impermeabile, Clarissa se la scrollò di dosso con un gesto seccato e non fece neanche in tempo a sbuffare che quella si era messa in piedi ed era corsa via, non senza prima spintonarla a terra con fare scocciato. Se avesse avuto una faccia, probabilmente l’avrebbe anche fulminata con lo sguardo!

“Ma tu guarda quella stronza…” sibilò la ragazza, alzandosi e spolverandosi i pantaloncini con le mani, stupita ed irritata “Fossi stata più grande… avrebbe avuto poco da spingere! A proposito…”

Con le mani sui fianchi, iniziò a guardarsi intorno, di nuovo alla ricerca di qualcosa da mangiare: aveva un leggero appetito, effettivamente, ma soprattutto doveva tornare ad essere della sua grandezza standard… Cinque centimetri erano davvero troppo pochi e non le permettevano neanche di orientarsi in quel paesaggio sconosciuto e così pieno di assurdità…

Andando a curiosare in un albero cavo, riuscì a vedere dei funghi e ne staccò qualche pezzettino da ognuno di essi, mise la scorta nelle tasche e ne mangiò una piccola porzione, rimanendo piacevolmente stupita dal sapore: fragola, il suo frutto preferito.

Pronta a provare il brivido da innalzamento, chiuse gli occhi e si sentì proiettare in alto, ma più dolcemente rispetto alle volte precedenti, forse perché aveva mangiato un piccolo pezzo del fungo…

Quando riaprì gli occhi, si ritrovò ad essere della sua altezza normale. Sospirò contenta, ma solo in parte.

Adesso avrebbe dovuto trovare la sua strada da sola.

 
“Dunque…” si disse, ragionando a voce alta “Innanzitutto… Orientati con le stelle o con il sole. Adesso che ora è?... Boh! Comunque è buio ed è notte. Una stella, mi serve una stella… c’è una stella?”

Con il naso all’insù, la ragazza cercò con lo sguardo un puntino luminoso nel cielo scuro, in modo da poter anche solo provare a capire dove doveva dirigersi, visto che, in ogni caso, non aveva ancora scorto quei famosi gigli nominati da Emil, che avrebbero dovuto indicarle la strada…

Si fermò con gli occhi, perplessa, alla vista di un quadratino di cartone sospeso per aria, molto in alto: sopra, c’era disegnato un asterisco con un pennarello nero, e sotto di esso una scritta recitava Una stella.

“Pure le stelle di cartone adesso…” pensò rassegnata, scuotendo la testa “Tanto vale seguire questa qua…”

Con passo incerto, Clarissa si incamminò, seguendo la bizzarra stella disegnata, ma presto si accorse che proprio quest’ultima la stava apertamente prendendo in giro…
Perché stava gironzolando per il firmamento in tanti cerchi e spirali, confondendola sempre di più, man mano che camminava.
“Lo sapevo!” urlò lei, puntando un dito contro l’astro fittizio, arrabbiata “Non sei una stella, sei solo uno stupido pezzo di cartone! Io vorrei proprio sapere cosa devo fare per trovare una cazzo di strada!!!”

Stava per battere un piede per terra, esasperata, quando si sentì afferrare piano per la caviglia: una torre di piccoli esseri colorati pelosi, tutti messi uno sopra l’altro, le stavano trattenendo il piede. Soprattutto, la guardavano imploranti, e i loro mille occhietti quasi si perdevano in quelli di lei, assolutamente confusi.

“Oddio, ma che…!” esclamò, sconvolta, prima di volgere lo sguardo in basso, proprio a un centimetro dei suoi piedi: un altro gruppo di esserini colorati si era sistemato ed allineato in modo da formare una frase che Clarissa lesse lentamente…

Chiedi… alla… luna…? Ma è uno scherzo?” domandò, più stupefatta che infastidita.
“E’ tutto vero!!!” rispose una voce dal nulla, scoppiando a ridere.

La ragazza alzò di scatto la testa, spaventata, e roteò gli occhi velocemente intorno a sé.
I piccoli batuffoli multicolori si riunirono tutti in un’unica palla e rotolarono dietro ai suoi piedi, timorosi.

“Chi c’è?” urlò Clarissa, cercando di restare calma, nonostante la paura.
“Sono quassù, quassù!” rispose la voce, ridacchiando di nuovo e costringendola ad alzare lo sguardo.

Lo spicchio di luna sotto il quale aveva camminato le stava sorridendo ed oscillava dolcemente in mezzo al cielo.

“Tu parli?!” chiese Clarissa, scioccata dal movimento, mentre le creature bizzarre dietro di lei spalancavano gli occhi tutte assieme.
“Democrazia, mia cara, democrazia! C’è libertà di parola anche da queste parti!” esclamò lo spicchio di luna, sorridendo allegramente “Permetti che ti raggiunga?”
“Perché?” chiese lei, sospettosa, indietreggiando di un passo e facendo spostare repentinamente gli esserini pelosi da dietro di lei, che la guardarono offesi.
La luna si rigirò, diventando una bocca con gli angoli in giù, triste, e disse: “Colgo dell’avversità ingiustificata nella tua melodiosa voce, mia cara. Non ti fidi di me?”
Clarissa sospirò e rispose: “Questo posto è pieno di matti, sa com’è… Non è esattamente il mio ambiente ideale!”
“Ooohhh, capisco…” rispose la luna, diventando nuovamente un sorriso mentre calava lentamente “Ma la pazzia non è sempre così negativa come pensi, mia giovane amica, io…”

Si interruppe. Era andata giù, dietro le sterpaglie. Clarissa non riuscì più a vederla, neanche alzandosi in punta di piedi.

“Io cosa?!” urlò, la voce rivolta in alto.
“Io sono matto, eppure vivo bene!” si sentì rispondere da basso.

I suoi occhi incontrarono quelli di un grosso gatto a strisce rosa e viola.

Azzurri.

“Danny?” sussurrò la ragazza, sconcertata, prendendo in braccio il grosso micio per guardarlo bene in faccia. Lo teneva davanti a sé con le braccia distese, come se ne avesse avuto quasi paura.
Il felino, per tutta risposta, ridacchiò e rispose: “Vedo che anche tu sei matta come me! Ti diverti a cambiare i nomi delle cose!”

La sua voce era cambiata, non lo aveva riconosciuto… Sembrava proprio che miagolasse, invece di parlare con la sua solita voce da pentolone bollente, bassa e, a tratti, roca.
Persino la sua risata, che Clarissa avrebbe riconosciuto ovunque, era cambiata e sembrava quasi un gorgheggio.

Senza neanche rendersene conto, la ragazza sorrise.
“Bé, scusami…” gli disse, accucciandosi per rimetterlo a terra “Ma ti ho visto… come dire… improvvisamente cambiato!”
Dietro di lei, un isterico e acuto “FFFFFRRRRRRR!” la fece alzare di scatto.

Gli esserini, se ne era dimenticata!

Erano ancora dietro di lei, schierati in piccoli gruppi, e la stavano aggredendo con gli occhi, emettendo quello stranissimo verso acuto e facendo vibrare i… “capelli”, o qualcosa che somigliasse vagamente ai capelli sopra le loro teste.
“Ma chi sono questi qui?!” chiese la ragazza, rivolta al gatto, che rispose sogghignando: “Non crucciarti di loro, mia giovane errante amica, loro sono i Palmipedoni e sanno sempre la cosa giusta al momento giusto, non è vero, colleghi?”
“FFFFFFFFFRRRRRRR!!!” confermarono quelli, con un tono che a Clarissa suonò quasi presuntuoso.

Li vide raggiungere il micio, baldanzosi, e lo salutarono, agitando la testa da una parte all’altra come degli ossessi per qualche attimo; il felino ricambiò il gesto, muovendo le dita della zampa destra con un sorriso cordiale, poi sospirò, una volta lontani, e disse a bassa voce: “Sono sempre molto precisi e li secca molto essere sottovalutati, mia cara, non farci caso!”
“Va… bene…” ribatté Clarissa, perplessa, per poi cambiare argomento…
“Vorrei sapere…” chiese, mettendosi a gambe incrociate di fronte al suo ex amico umano Danny “Dove siamo adesso? E tu chi saresti?”
“Che domande universalmente impossibili, mia cara!” esclamò il gatto, spalancando gli occhi blu e ridendo a crepapelle, tanto che finì zampe all’aria prima di proseguire: “Ricordati che sono matto e che, anche se ti rispondessi, potrei solo dirti dove NON siamo e chi NON sono! Il mondo turbina al contrario, al giorno d’oggi, aggiornati!”

Clarissa, che si aspettava una risposta del genere, scosse la testa sorridendo e ribatté: “Sai cosa? Il tuo sorriso non è cambiato neanche un po’!”
“Oooohhh, ma io posso cambiare!” replicò immediatamente il felino, balzando sulle quattro grosse zampe con aria maliziosa, senza tralasciare il largo sorriso “Mettimi alla prova!”
La ragazza socchiuse gli occhi con aria di sfida e chiese: “Vuoi dire che puoi trasformarti?”
“Io non lo voglio dire, lascio a te l’onore, grazie dell’offerta!” rispose l’altro, muovendo sinuosamente la coda con un ghigno divertito.
“E va bene…” si arrese la ragazza, prima di aggiungere: “Trasformati in Danny Jones!”

Il gatto schioccò le grosse dita di una zampa e sparì, lasciandola di stucco; si alzò in piedi, in attesa che qualcosa succedesse…

E proprio Danny le apparve davanti, prendendo forma piano piano…

Clarissa batté le mani soddisfatta e felicissima di rivedere finalmente una faccia conosciuta, ma mano a mano che il suo amico appariva, partendo dalla punta dei capelli, lei notò che era a torso nudo…

Rimase perplessa mentre il chitarrista le si profilava davanti, lentamente ma senza mai fermarsi, e quando anche l’anca, nuda, arrivò a prendere forma, non poté fare a meno di esclamare, tutta rossa in viso: “Fermati!!! Fermati, gatto!!! I vestiti, i vestiti, non ci sono i vestiti!!!”
“Ma noi gatti non portiamo vestiti!” esclamò Danny con la voce del gatto, per niente imbarazzato e senza fermare il processo della materializzazione.

La ragazza si tappò gli occhi, indietreggiando e sentendosi imbarazzata come non mai! Si voltò per cercare una grossa foglia, un ramo, qualsiasi cosa che potesse coprire le grazie del suo amico, che non aveva nessuna intenzione di sbirciare.

Dopo aver rimediato in fretta e furia una larga foglia dalle improbabili strisce rosse e blu, la tese al “finto” Danny, sempre dandogli le spalle, e gli disse: “Appoggiati questa sotto la pancia!”
“Mi sembra insensato, ma è proprio per questo che lo farò!” lo sentì ribattere allegramente, mentre le prendeva la foglia dalla mano.
“Fatto?” domandò Clarissa, sventolandosi una mano di fronte alla faccia che le stava prendendo fuoco per la vergogna.
“Misfatto!” replicò l’altro con una risata, facendole alzare gli occhi al cielo…
“Ti prego, fa che se lo sia coperto…” pensò, voltandosi lentamente.

Per fortuna, il gatto aveva seguito le sue istruzioni.

Davanti a lei c’era Danny, nudo come un verme, con tanto di tatuaggi e un sorriso assolutamente insopportabile stampato sulla sua faccia.

La guardò e le disse, orgoglioso: “Hai visto? Posso cambiare!”
“Sì…” rispose lei, avvicinandosi piano piano, schiarendosi la voce “Senti, ma… quella cos’è?”

La ragazza indicò la coda del gatto, folta e a righe rosa e viola, che si agitava dietro il fondoschiena di Danny, che, dopo essersi sorpreso nel notarla, si giustificò dicendo: “Piccoli dettagli che a volte mi sfuggono!”
“Non sei molto convincente per essere Danny Jones, gatto…!” lo avvertì lei, trattenendosi come meglio poteva dal ridere.
“Mia scettica amica!” la chiamò di colpo il gatto, sorpreso, con lo sguardo fisso tra le sue gambe, dietro la foglia “Cos’è mai questa coda anteriore? Io già ne posseggo una!”

 
Clarissa si sentì sprofondare per l’imbarazzo…

 
“Quella… Quella non è esattamente una coda…” provò a spiegargli, balbettando.
“Forse è un’arma, dunque!” esclamò contento quello strano Danny che faceva le fusa per la piacevole sorpresa “Voi umani siete così ricchi di sorprese, anche più del sottoscritto, ve lo concedo!”
“Sì, ma ora lascia perdere la…” esordì Clarissa, che stava di nuovo diventando rossa.

Non fece in tempo a finire la frase che di nuovo la voce del felino la sovrastò…

“Non serve neanche per difendersi!” esclamò con tono deluso “Non è rigida come una spada, né affilata come un coltello! A che cosa servirà mai questa bizzarra escrescenza, mia cara, tu lo sai?”
“Serve a… fare felici le persone…” rispose la ragazza, guardandosi nervosamente intorno, come se stesse cercando delle parole adatte da dire in quella situazione che stava sfiorando l’oscenità.
“Fa felici le persone!” fece eco Danny, tornando a sorridere da orecchio a orecchio “Ma come fa?”
“E’ complicato da spiegare, io non credo che…”
“Mia cara, questi preconcetti che voi avete sulle vostre capacità! Un giorno vi darete la zappa sui piedi, se non mostrerete più spesso le vostre abilità sensazionali!” la ammonì il gatto, prima di rimanere in silenzio davanti a quello “strumento” per lui del tutto nuovo…
“Non sai neanche di cosa stai parlando!” ribatté seccata Clarissa.
“Hai ragione!” le disse l’altro, per poi chiederle: “Come si chiama questo elisir di felicità?”

Elisir di felicità…

Clarissa sospirò e alzò gli occhi al cielo mentre rispondeva: “Pene… Si chiama pene…”
“Pene…” ripeté il felino travestito da chitarrista nudo, con l’aria di chi ha appena scoperto qualcosa di introvabile…
“Se mi permetti” concluse infine, ritrovando il suo solito ghigno giulivo “Vado a vedere come funziona il mio pene!”

E se ne andò dietro a dei cespugli, dandole le spalle e mostrandole un sedere candido con coda annessa…

Clarissa si stampò uno schiaffo sulla fronte, sospirò e si chiese come diamine sarebbe andata a finire la faccenda! Era inutile contraddire un tipo come quello, che mai avrebbe ascoltato o ribattuto in maniera razionale, ed era altrettanto inutile, nonché controproducente, prendere ed andarsene da sola in giro per quelle distese immense di erba! Non avrebbe saputo certo dove dirigersi, le occorreva per forza qualcuno che la guidasse da qualche parte, anche se quel qualcuno era un gatto pazzo con la faccia di Danny!

Presa dai suoi ragionamenti all’insegna della rassegnazione più totale, la ragazza non si accorse dei Palmipedoni, che erano tornati dopo aver sbollito il rancore precedentemente accumulato; quando le si piazzarono davanti, lei non poté fare altro che guardarli e chiedere loro: “Bè? Non ce l’avete una soluzione per me in questo momento, voi?”

Le bestioline annuirono tutte insieme, shakerando le chiome multicolore, e formarono una frase per terra…

Aspetta e spera...” lesse Clarissa, per poi commentare: “E certo, altrimenti divento matta come tutti voi, qua dentro!”

“OH, MIO DIO!” sentì urlare ad un tratto.

Scattando in piedi, Clarissa rispose con un altro grido: “Cosa?!” e la risposta le venne data velocemente e in tono concitato: “L’HO TROVATA!!! L’HO TROVATA!!!”

 
Era il gatto. O Danny. O il gatto- Danny.

“Hai trovato che cosa?!” domandò di nuovo la ragazza, confusa, avvicinandosi al cespuglio dietro al quale il felino era andato a… “sperimentare” la sua nuova scoperta.

Senza neanche avere il tempo di dire “A”, Clarissa si ritrovò a strillare e a tapparsi gli occhi.

 
“Danny” o quel che di umano rimaneva nel felino travestito da Danny le stava correndo incontro.

Nudo.

E la foglia rossa e blu era sparita, gettata chissà dove. Dimenticata.

 
“La felicità è questa, è questa!!!” annunciò il ragazzo a gran voce, ridendo come un pazzo (ed effettivamente lo era) mentre mostrava felice più che mai un’erezione dirompente in mezzo alla giuncaglia deserta, davanti a Clarissa, che cercava disperatamente di scappare da lui, logicamente senza degnarlo di una spiegazione, che comunque non avrebbe capito nessuno in quel momento.

Correndo, la ragazza inciampò nel gruppo dei Palmipedoni, che si misero a emettere furiosi “FFFFFFFRRRRRR FFFFFRRRR!!!” prima di darsi alla fuga; lei li seguì, sperando che l’avrebbero portata ovunque lontano da quel gatto pazzo, e li osservò mentre, in corsa, formavano una grande freccia colorata…
“Va bene, vi seguo!!!” gridò, aumentando la velocità.

 
Dopo non sapeva neanche lei quanto tempo, Clarissa intravide il cielo schiarirsi: sembrava essersi fatta l’alba, finalmente. Se non altro, avrebbe avuto una visione più chiara di tutte le cose. Materiali, non psicologiche. Quella era una causa persa, ormai.

Si stava lasciando prendere da una piacevole sensazione di speranza, quando i Palmipedoni, fino a quel momento fedeli al suo percorso, si sparpagliarono in mille direzioni diverse!!!
“Cosa fate, stronzi?!” strillò la ragazza, cadendo nello sconforto, ma senza riuscire a smettere di correre verso quella luce che sembrava farsi sempre più vicina…

Arrivò quasi in cima a quella che sembrava una montagna e pensò: “Cosa ci sarà al di là di questa cosa? Non ne posso più! E dove sono finiti quei cosi pelosi?!”, ma non poté rispondere a nessuna delle domande che si era posta, perché, una volta arrivata in cima, Danny le spuntò davanti, caduto in piedi da chissà dove, provvisto sia del suo sorriso isterico che di… entrambe le "code".

“GRAZIE!!!!” le urlò il pazzoide, stringendola a sé, mentre Clarissa già strillava e si divincolava.
“Voglio dare un po’ di felicità anche a te!!!!” continuò Danny, facendo le fusa.
“Sono già felice!!!” gli ringhiò di rimando Clarissa, sarcastica, riuscendo a liberarsi dalla sua stretta per rimettersi a correre.
“E dov’è la tua felicità, è come la mia?! Voglio vederla!!!” la incitò l’altro, rincorrendola e iniziando a miagolare, supplicante.
“Ma vattene!!!!” sbottò esasperata lei, cercando di distanziarlo il più possibile.

Come se avessero ascoltato le sue preghiere, i Palmipedoni ricomparvero, tutti raggruppati in una massiccia palla colorata simile ad un gomitolo, e rotolarono in fretta verso Danny, che alla loro vista si accucciò istantaneamente a terra, iniziando ad allungare la mano verso il suo nuovo “giocattolo”, proprio come un qualsiasi altro gatto.

Si era messo a giocare, non l’avrebbe più importunata, per sua grande gioia.

Clarissa gettò uno sguardo a quella scena comica di Danny alle prese con un gomitolo, ma quando si voltò, non ebbe neanche il fiato per gridare, tanto rimase di stucco.

 
Stava cadendo giù in un profondo dirupo luminoso.

***

Piccole annotazioni:

  • La foglia rossa e blu ha i colori del Bolton, la squadra per cui tifa Danny :).
  • Chi non sa cosa sono i Palmipedoni (che ho "trapiantato" dal film di Walt Disney di Alice nel Paese delle Meraviglie)? Ve li faccio vedere io!!! PALMIPEDONI
Per questo capitolo mi è stata utilissima RubyChubb, sotto il punto di vista sintattico e morale :). Ha riso come una spanciata :). Che soddisfazione! Spero che anche voi riderete, anche perchè questo capitolo ve lo "regalo" in vista delle Feste Natalizie :). TAAAAANTI AUGURI DA PARTE MIA E GRAZIE ANCORA PER IL SOSTEGNO!
A presto!

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Capitolo 5
*** Se belli si vuole apparire, un pochino si deve impazzire! ***


wonderland

Gentili lettrici e recensitrici, sto provando a immedesimarmi nel ruolo di "macchinetta- che- produce- capitoli- non- stop", perchè sono un pò in ritardo con gli aggiornamenti :P, scusatemi! 
Dopo aver aggiornato "Point of view" ieri... se vi siete intristiti per la drammaticità del capitolo... non vi resta che dare un'occhiata a questo capitolo, così vi rallegrate un pò!
Oggi vi porto in un centro estetico!

Ciry

SE BELLI SI VUOLE APPARIRE, UN POCHINO SI DEVE IMPAZZIRE!


Non riuscì a contare i secondi o i minuti che la separarono dall’atterraggio, ma urlò per tutto il tempo della caduta, con tutto il fiato che aveva in gola.

Per lo stupore.
Per l’angoscia.
Per la voglia di tornare a casa.
Per sfogarsi.

Davvero non ne poteva più, di stare in quella terra dimenticata da Dio, anzi, fuori dal mondo.
Voleva trovare l’uscita, all’istante.
Purificarsi, disintossicarsi dalle sensazioni provate in mezzo a tutti quei matti.

E fu così…
... che Clarissa cadde con un sordissimo FLOP in una pozza di… fango.

L’istinto le fece chiudere occhi e bocca immediatamente.
“E adesso dove sono?” si domandò, mentre cercava di emergere da qualche parte in superficie, procedendo a tastoni con le braccia e con le mani, che però non toccarono altro che il niente, il niente fangoso.

Miracolosamente, qualcuno accorse in suo aiuto.
Una mano incontrò il suo avambraccio in continuo movimento e lo afferrò saldamente, tirandolo fuori dalla melma assieme a tutto il resto del corpo, in un’unica, energica sferzata.

Clarissa venne catapultata dal fango fino a qualcosa di soffice e non osò aprire gli occhi finché non si convinse di essere sulla terraferma.
Con le iridi spalancate e a malapena pulite dal fango, si tirò su a sedere, si guardò intorno e cadde nello sconforto nel ritrovarsi nuovamente più piccola del dovuto.

Ancora una volta cinque centimetri.
Quel fango maledetto doveva averla ristretta come una lavatrice malfunzionante con un golfino di lana.

 
Non riuscì subito a capire dove si trovava, ma ebbe il tempo di guardarsi attorno per poi constatare che era finita in una sorta di oasi floreale, piena di colori pastello e profumi di varia natura; lei stessa se ne stava seduta sulla soffice corolla di una margherita e si vedeva circondata da svariate foglie dalla forma allungata, come se queste ultime fungessero da separé.

Pensierosa, la minuscola avventuriera mormorò: “Devo scendere da qui… ma non posso certo lanciarmi, mi romperò l’osso del collo…”

 
Cercando un qualsiasi appiglio con occhi ansiosi, Clarissa fu entusiasta di notare una bizzarra scala a forma di scivolo, composta da una foglia che stava proprio accanto alla margherita su cui lei era seduta.
Senza indugiare, raggiunse frettolosamente la foglia e ci scivolò sopra, arrivando poi a toccare con i piedini il terriccio umido; proprio da dov’era appena atterrata l’odore di fiori, di spezie e di strane fragranze, forse orientali, si fece più forte.
I fumi dei vari odori sembravano provenire da dietro le foglie che le occludevano la vista del resto del paesaggio.
Alzò gli occhi al cielo e, incamminandosi verso quelle “tende vegetali” per scostarle, pensò: “Cosa vuoi che sia? Al massimo sarà Harry con otto zampe o Tom con l’alter ego che fuoriesce dalla sua pancia sottoforma di grillo parlante…”.

Fu sufficiente spostare una sola grande foglia verde scuro e Clarissa sospirò, scuotendo la testa, ritrovandosi davanti uno spettacolo alquanto strano.

Un millepiedi azzurro le stava dando le spalle.
Aveva un asciugamano sul capo, sistemato a mò di turbante, ed era immerso placidamente nel fango.
Si guardava allo specchio e cantava “Keep your head still, I'll be your thrill, the night will go on, my little windmill… I’m just a gigolò, gigolò, gigolò… “
Fumava un narghilè e ne teneva la pipetta stretta in una delle sue mille zampe.

“Sembra un travestito questo qui, ma chi è?!” si chiese silenziosamente la ragazza, che cominciò ad avvicinarsi senza proferire parola per vedere in faccia quello strano essere, molto più grande rispetto a lei.
Il presunto bruco gay la anticipò voltandosi di scatto e tuonando: “Chi va là?!”

Lei si tappò di colpo la bocca con entrambe le mani e osservò ad occhi spalancati la faccia dell’animale, coperta da una maschera verde, probabilmente alle alghe, e da un paio di fette di cetrioli sugli occhi.
Solo allora venne allo scoperto anche un altro particolare.
Sul petto celestino, l’insetto aveva tatuata una galassia con tanto di astronave e lucertola.
Lo stesso tatuaggio di Dougie.

 
“Doug?” domandò a voce alta Clarissa, cercando di distinguere i lineamenti del bassista dietro la maschera di bellezza dell’enorme bruco.
“Che cos’è, una marca di lucido per scarpe?” fu la risposta, data in tono piuttosto seccato.

La ragazza, interdetta, tacque, aspettò pazientemente che l’insetto si liberasse almeno delle fette di cetriolo... e così fu: il grosso lepidottero gettò via con aria seccata entrambe e chinò il viso irritato verso la ragazza, chiedendole: “A quanto lo vendi?”
“Cosa?!” domandò lei a sua volta, allibita.
“Il lucido da scarpe!” continuò imperterrito l’insetto, avvicinandosi ancora di più a lei, che indietreggiò di un passo prima di ribattere: “Io non vendo proprio niente!”
“Neanche il tuo corpo?” insistette l’altro, facendola arrossire.
“Ma non dire stronzate!” lo aggredì lei, rifilandogli uno schiaffo sul naso e macchiandosi la mano di maschera alle alghe.

Il bruco si elevò in tutta la sua altezza (rispetto a Clarissa, si capisce) e sbottò: “Bè, tanto non lo avrei neanche voluto, sporca come sei!”

Detto questo, non lasciò neanche che la ragazza replicasse, bensì batté le prime due mani, quelle più vicine alla sua testa, e in un attimo Clarissa si ritrovò attorniata da due funghi porcini, una violetta e un filo d’erba; tutti trasportavano un oggetto, ma lei non fece in tempo ad identificarli tutti, poiché le fu gettata addosso una bacinella d’acqua gelata dal sottile filo d’erba, color verde mela e dagli atteggiamenti a dir poco stizzosi.

“Mai visto un cliente più sporconel nostro centro !” esclamò scandalizzato, rivolto ai “colleghi”.
“Cliente di che?!” gracidò Clarissa, scostandosi i capelli da davanti il viso.
“Centro di bellezza, razza di detrito, non ne hai mai sentito parlare? C’eri anche tu, a fare il bagno nei fanghi purificatori, anzi, a invadere il mio spazio! Mi stavo facendo restringere i pori, non so se mi spiego!” le spiegò sgarbatamente il bruco, ricominciando a fumare dal narghilè.
“Ah, quindi sei tu che… GIU’ LE MANI!” strillò l’altra, cercando di togliersi di dosso, senza successo, i due funghetti che la stavano spogliando, dopo essersi messo uno sopra l’altro, formando una buffa torre.
In quel momento, la violetta ebbe la decenza di coprire la scena con una larga foglia, così Clarissa ebbe modo di essere privata dei propri vestiti con la forza, sì, ma almeno senza lo sguardo di Dougie conciato da bruco addosso.

 
Terminata la Fase 1, la “doccia”, Clarissa passo alla Fase 2: l’asciugatura. 
Le lanciarono addosso un paio di foglie con cui si coprì immediatamente, imbarazzata da morire, e la fecero sedere su uno dei funghetti, affinché la violetta si occupasse dei suoi capelli.

“Come la pettino, signore?” chiese il fiore stancamente, rivolgendosi al Bruco, che ci pensò su per qualche istante per poi rispondere: “Come una studentessa. Liceale. Vogliosa”
“Ma vai a fare in culo!!!” tuonò la diretta interessata, scandendo distintamente le parole.
“Non posso, ho già un appuntamento tra mezz’ora, massaggio facciale” la liquidò l’altro, tornando a rivoltarsi compiaciuto nella fanghiglia.

Rimasta senza parole e sull’orlo dell’isteria, la poverina si lasciò acconciare i capelli e si limitò ad osservare, quasi insensibile, la gamma di abiti che l’altro funghetto e il filo d’erba le fecero sfilare davanti.
Erano tutti vestiti fatti di corteccia, foglie, petali o ragnatele.

“Voglio i miei vestiti, per favore!” li pregò davanti all’ennesimo vestito, esasperata.
“Vestitela come Pretty Woman!” ordinò il bruco, prima di riprendere a fumare per l’ennesima volta.
“No!!” protestò la ragazza, schizzando in piedi.

Grosso errore.

I funghetti le si pararono davanti in un lampo, di nuovo uno sopra l’altro, e le appiccicarono addosso un ammasso di petali di rosa e di tulipano nero.

“Ridatele le scarpe, non voglio che indossi i tacchi, non mi piacciono le donne più alte di me!” richiese nuovamente l’insetto.

La violetta obbedì e restituì le infradito alla legittima padrona, che ringhiò di rimando al bruco: “Sono alta cinque centimetri, non potrei superarti comunque!”.

 
Gli addetti alla toeletta della ragazza si dileguarono quasi disgustati dopo aver sentito la rabbia di Clarissa, e la ragazza ne approfittò per andare incontro a quel grande bruco snob che una volta era stato il suo grande amico Dougie Poynter.
Si arrampicò tra foglie e rametti, avvolta in un top fucsia (composto dai petali di rosa) e in una minigonna nera (composta dai petali di tulipano nero), prima di raggiungere quella piccola altura dove si trovava il bruco, immerso per metà nella pozza di fango.
Una volta sul ciglio di quella ripugnante “piscina”, si spostò all’indietro con fare infastidito le due treccine che la Violetta le aveva acconciato e tirò uno schiaffo al braccio del Bruco, che si girò svogliatamente a guardarla.

“Sei un grandissimo cafone!” lo rimproverò acidamente lei.
“Adesso sei decente…” ribatté l’altro, squadrandola e trascinandosi fuori dal fango, per poi strisciare sotto le corolle chiuse di una fila di campanule.
Dopo aver tirato una cordicella, i piccoli fiori si aprirono, ricoprendolo di acqua e ripulendolo dal fango, sia nel corpo che nel viso, dove ancora troneggiava la maschera alle alghe.

Fu allora che Clarissa poté finalmente distinguere con certezza assoluta il viso di Dougie, tutto blu.
La faccia lievemente imbronciata era la stessa.

“Ebbene, scendiamo!” la esortò l’insetto “Prendiamoci un drink e rilassiamoci!”

Clarissa scosse la testa, rassegnata, ma accettò l’invito di Dougie a farsi trasportare sulla sua schiena.

 

Si fermarono in alto, su una grande foglia sporgente da una pianta rampicante, che dava su un panorama che Clarissa si aspettava…
Fiori ovunque, prati sterminati e un cielo che si divertiva a cambiare colore ogni trenta secondi.
Animali mai visti in vita sua si rincorrevano, si tuffavano negli specchi d’acqua per poi riemergerne completamente diversi nell’aspetto.

“Vuoi un po’ di rugiada? Offre la casa...” le domandò Dougie, offrendole un bocciolo aperto che la ragazza rifiutò educatamente.
“No, grazie” gli rispose, per poi fissarlo in tutta la sua figura…

Era buffo, Dougie, in quella veste di insetto blu.
Fumatore di narghilè (non riusciva a credere che lo aveva portato con sé, sulla schiena! Doveva essere un fanatico!), strafottente, maniaco della cura del corpo e con un paio di scarpe diverso per ogni paio dei suoi mille piedi.

“Queste scarpe qua? Sono tue?” gli domandò, indicando due Snearkers consumate.
“Sì, le usavo quando facevo il maratoneta” rispose tranquillamente il bruco, che poi aggiunse: “Ogni paio di scarpe che indosso ha segnato la mia vita, in qualche modo! Tengo molto a queste cose! Sai, certe piccolezze costruiscono la tua personalità, non trovi?”
“Filosofo, come sempre…” pensò lei, mentre annuiva sorridendo.
“E così hai fatto anche il corridore…?” azzardò, dubbiosa.
“Certamente, ma mi sono ritirato un anno fa: vincevo troppe volte…” ribadì l’altro, fumando con fare annoiato.
“E queste qui…?” indicò Clarissa, attirata da un paio di tacchi a spillo fucsia, che l’insetto giustificò rispondendo: “Una fase chiusa della mia vita, una mera parentesi!!”
“Sei stato corridore e puttano trans?!” gli domandò lei, ridacchiando.
“Sì, va bene?!” rispose seccato l'altro, fulminandola con lo sguardo “E comunque adesso sono cambiato!!!”
“E come esattamente?!”

Il bruco Dougie, per tutta risposta, sputò delicatamente in fuori il fumo del suo narghilè…
Ne uscì la sagoma, rosa, di una donna…
Subito dietro, la sagoma di un uomo, celeste, piegò quella della donna a novanta gradi e cominciò ad oscillare avanti e indietro…

Clarissa arrossì e scosse la testa, borbottando: “Non ci credo…”
“Sono un pornodivo adesso… Contratto a tempo indeterminato, modestamente…” la informò Dougie, gongolando mentre aspirava ancora dalla pipetta.
La ragazza sospirò e affermò con sarcasmo: “I sogni si realizzano sempre, vero?”
“Bè, i miei sì… e, a proposito di questo…” insinuò Dougie, fumandole in faccia una nuvoletta color porpora “Tu non vuoi realizzare i tuoi?”
“E tu che ne sai dei miei sogni?” chiese lei, tossendo per il forte odore di fumo che le era entrato nel naso.
“Bè, io so cosa vogliono le donne…” rispose convinto il bruco, facendosi più vicino “A voi piace l’uomo forte ma gentile, rude ma sensibile, buffo ma intelligente, pacato ma focoso… Ebbene, io sono stato un corridore, un gigolò, so cos’è la vita di strada, ma anche la raffinatezza! E poi, ho fatto anche il tatuatore e il consulente matrimoniale, ho il mio lato artistico e sensibile da condividere… Infine… bè, sono un pornodivo… molto, molto dotato… forse anche troppo… e quindi, fanciulla, perché non…”
“Io avrei proprio voglia di mangiare qualcosa!!!” lo sovrastò con tono squillante la ragazza, sorridendogli come un’ipocrita.

Ma Dougie non afferrò l’umorismo della sua interlocutrice.

“Ma di solito, la fame viene agli uomini, e solo dopo un rapporto sessuale selvaggio e lungo ore e ore!” protestò, confuso.
“Mangio prima, così ho più energie per… giacere insieme a te. Mio caro” gli spiegò con infinita calma Clarissa, allargando il proprio sorriso.

Con fare perplesso, l’insetto l’accontentò e le offrì l’ennesima campanula che fungeva da coppetta…

“Cos’è?” domandò la ragazza, dopo aver assaggiato quella sorta di budino dal colore indefinibile.
“Un aperitivo. Paté di nettare!” le rispose l’altro, facendola rabbrividire per il disgusto.

Ma, subito dopo, fu lui a cambiare radicalmente espressione.

Difatti, si stupì non poco nel notare che Clarissa stava crescendo a dismisura, attimo dopo attimo, diventando in assoluto più grande di lui, che fu catapultato via dalla foglia della pianta su cui si stava rilassando.

La giovane si ritrovò seduta a terra, accanto a sé aveva la pianta rampicante per metà spezzata, vinta dal suo peso improvvisamente aumentato.
“Dov’è Doug?” si chiese, cercando il bruco in mezzo all’erbetta.
Lo trovò, tremante e piegato su se stesso, sotto una fogliolina, e lo sollevò, facendolo strillare come un’aquila.

“Smetterò di fumare!!!! Mi chiuderò in convento!!! Darò tutte le mie scarpe ai poveri!!! Pagherò il debito con il centro di bellezza!!!!” gridò lo sciagurato, cercando di divincolarsi dalle dita di Clarissa, che si mise a ridacchiare prima di rassicurarlo, dicendogli: “Ti lascio alla tua carriera di pornodivo, credo che un po’ di sesso non farebbe male alla violetta di prima … Mi sapresti dire, piccolo insetto insignificante, dove posso trovare una strada percorsa da esseri civili?”
“La tua maleducazione è pari alla tua grandezza!” la riprese Dougie, sputandole addosso del fumo giallo.
“E io non voglio dirti a cosa è pari il tuo uccello!” lo rimbeccò la ragazza, ignorando il fumo.

Scocciato, seppur timoroso di finire schiacciato, il bruco dette indicazioni a Clarissa, segnalandole un sentiero che si trovava a pochi minuti di cammino dalla Beauty Farm.
Lei lo ringraziò con tono insopportabilmente falso, ma ebbe pietà di lui: invece di lanciarlo lontano in mezzo a chissà quale sterpaglia, si limitò a farlo cadere giù, nella pozza di fango termale in cui lei stessa era precipitata poco prima d’incontrarlo.

 
“Un bruco che fa il pornodivo…” borbottò, mentre si stava lasciando alle spalle il grottesco paesaggio snobista in cui si era precedentemente imbattuta.
“E chi è il bruco? Dougie, ovvio!” aggiunse, allargando le braccia per sottolineare l’assurdità della situazione “Vorrei proprio vedere dove andrò a finire adesso, se seguo questo sentiero… Come minimo, quella faccia da culo mi ha indicato la strada per il cimitero!”

E con questi improperi nel cervello e nella bocca, la sventurata si ritrovò a camminare piano piano in un bosco dall’aspetto poco rassicurante e fin troppo ombroso…

 
≈0≈

 
Non sono mai stato più spensieratamente gioioso di adesso! Ho condiviso la mia felicità con un salice piangente e lui mi ha dimostrato la sua riconoscenza mettendosi a ridere!
Vado a cercare quella ragazza che mi ha aiutato! Le devo così tanto!!!

***

E ora, un pò di dettagli!

  • Il bruco Dougie canta due canzoni, rispettivamente "All the small things" dei Blink 182 e "Just a gigolò" dei Village people! No scopo di lucro!
  • Come saprete, il nome esteso di Dougie è DOUGLAS, nome che significa "Dai capelli scuri, moro"; ecco perché, quando Clarissa chiama il nome "Doug" al momento di incontrare il Bruco, lui chiede a sua volta se quello è il nome di una marca di lucido da scarpe, esistente anche nel colore "Testa di moro", vale a dire il marrone scuro :). Che ragionamento contorto, lo so.
  • Clarissa vestita da Pretty Woman è esattamente come Julia Roberts nelòla locandina dell'omonimo film, stivali di vernice a parte :). 
  • La carriera del pornodivo è un sogno nel cassetto di Dougie anche nella vita reale :D. Il bassista ha dichiarato più volte che se non avesse fatto il bassista nei McFly, sarebbe voluto diventare il Rocco Siffredi denoattri!!!
E con ciò... vi lascio! Al prossimo capitolo!

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