In my veins

di sabdoesntcare
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alle notti insonni ed i cuori spezzati ***
Capitolo 2: *** Ricomincia il gioco ***
Capitolo 3: *** Non morire ***
Capitolo 4: *** Un ritorno inaspettato ***
Capitolo 5: *** Buonanotte, John ***
Capitolo 6: *** Nella boccia per pesci rossi ***
Capitolo 7: *** Appuntamento al buio ***
Capitolo 8: *** Promesse ***
Capitolo 9: *** Onirico ***
Capitolo 10: *** Segnali ***
Capitolo 11: *** Domande ***



Capitolo 1
*** Alle notti insonni ed i cuori spezzati ***


Caro John.
Caro John... caro John. 
Non so che altro dire. Forse perché ciò che sto facendo è ridicolo, considerando che questa non è una vera e-mail e non la leggerai mai. E' che questo stupido sito sembra essere l'unico modo per liberarmi di questo problema. Ti ho visto scrivere per mesi su quel tuo blog e mi chiedevo perché quell'idiota della tua psicologa volesse farti scrivere su una diavoleria simile.

Poi però, credo di aver capito.
Vedi John, osservandoti ho notato che da quando hai iniziato a scrivere dei nostri casi è come se ti fossi riacceso.
Quando ti ho conosciuto avevi lo sguardo spento, cosa che insieme a tutto il resto tradiva in maniera imbarazzante quanto tu fossi stato colpito dall'esperienza in guerra, ma quando hai cominciato a raccontare le nostre avventure, 
mio Dio, John Watson io ti ho visto rinascere.
Così, quando sono tornato dal mio "viaggio nell'oltretomba", ho pensato di farne uno come il tuo.
Non per scrivere dei nostri casi ovviamente, credo che grazie a te l'intera Inghilterra ne abbia piene le tasche di ascoltare le avventure del signor Watson e Sherlock Holmes, 
è che come dicevo prima, ho un problema.
Questo può suonare strano ad un idiota qualunque che legga questo scritto, John.
Sherlock Holmes non ha problemi, li risolve. Non c'è niente che non sappia, che non gli sfugga.
Eppure tu sai che non è così. 
Più di una volta ti ho detto che eri un idiota, più di una volta mi hai detto che ero incredibile.
E col tempo ci siamo accorti che avevamo entrambi torto.
Io non sono che un uomo ridicolo, John.
E tu... tu sei il problema.
Non so perché ci ho messo così tanto a scriverlo, ma se non mi fossi obbligato a premere quella sequenza di lettere sulla tastiera, probabilmente sarei stato capace di scrivere un libro girandoci attorno senza mai confessarlo.
Io, Sherlock Holmes, sono un uomo ridicolo e mi odio per questo.
Perché ho sempre creduto di avere più cervello degli altri, per poi scoprire che ho soltanto meno cuore.
Anzi, non credo di aver mai avuto cuore prima di quel giorno.

Il giorno in cui sei entrato per la prima volta da una porta, trovando me dall'altra parte.
Il giorno in cui ho alzato gli occhi dal microscopio e ho visto un uomo segnato, ferito, ma non meno banale degli altri.
E a ripensare a quanta presunzione io abbia avuto di fronte a un uomo così incredibile, ad un essere così unico, John io posso solo criticarti di non avermi mai picchiato abbastanza forte quando la mia stupidità ti faceva perdere ogni freno.
Quando sono tornato con la mia sciocca e infantile entrata in scena, non mi hai colpito con la dovuta forza. Avresti dovuto rompermi le ossa in mille pezzettini.
Perché me lo meritavo. E tremo, nell'accorgermene solo ora.

La stanza non è mai stata così fredda. Vorrei poter dormire, o perdere il sonno su qualche caso interessante, invece sono qui a struggermi per te. Perché non posso alzarmi da questa scrivania per venirti a spiare mentre dormi, non posso prepararti la solita colazione con bulbi oculari nascosti nella tazza, non posso sentirmi mancare il fiato nel guardarti fare la tua solita faccia da nano brontolone quando ti faccio arrabbiare.
Perché ora sei a casa tua, John, non a casa nostra.
Sei con Mary. Sei con la donna che ti ha reso felice dopo che sono andato via, e dovrei ammirarla per questo. E ti giuro, ti giuro su tutto ciò che ho di più caro, cerco di farlo.
Ma è come se non ci riuscissi. Sento che mi ha portato via l'unica cosa che io abbia mai veramente avuto.
Ma mi sbaglio, lo so.
John, se la vita ti regala qualcosa, o qualcuno, e tu non fai di tutto per dimostrare che quel qualcosa ha valore, se dici a quella persona che è un idiota, se metti a dura prova la sua pazienza tutti i giorni e... e non gli fai capire che la ami, allora tu non hai nessun diritto su quella persona o cosa.
Ho torto e lo so, perché tu sei suo di diritto.
E odio avere torto, perché è una sensazione nuova per me.
Così come l'essere turbato, o fragile.
Io non sono mai stato fragile. Non c'è n'è bisogno quando ti muovi per tutta la tua vita nel campo della logica.
Ma qui, in questa strada buia e senza segnale che è il mio cuore, la logica non funziona.

John, per la prima volta, io ho paura.

Postato da: Sherlock Holmes
Ore: 4:57 A.M.

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Capitolo 2
*** Ricomincia il gioco ***


Apro gli occhi.
Una piacevole sensazione di tepore mi investe il viso, così come vengono investiti i miei occhi dall'accecante raggio di sole mattutino.
Cerco di riprendere del tutto coscienza, anche se la stanchezza continua ad offuscarmi la mente ed i ricordi della notte prima.

Poi, sento bussare.
Riconosco il suono dei suoi passi, così come riconosco il suo rozzo modo di entrare nelle stanze senza aspettare la magica parolina "avanti".

E' la signora Hudson.
"Non.. le ho detto che poteva entrare.."
Sono solo le 7, e la mancanza di sonno mi fa comunicare in un modo che io stesso fatico a considerare lingua parlata.
"Sherlock caro, non avrai mica passato la notte in piedi? Hai delle occhiaie impressionanti!"
Come sempre, ignora ciò che le dico.
"No, signora hudson." sorrido gentilmente. 
Odio quando la signora Hudson si impiccia dei miei affari, fa domande stupide, si comporta da madre apprensiva o qualunque altra cosa lei faccia in genere, ma decido che se sto diventando una persona con dei sentimenti, devo almeno provare ad essere coerente rispettando quelli altrui.
"Ne sei certo? Non vedo certe occhiaie su un uomo dai tempi in cui i-"
"Assolutamente. Ho dormito alla perfezione, anzi forse avrei dovuto dormire meno." Così dicendo mi alzo, prendo il cappotto e inizio a sistemarmelo addosso, mentre lei, con la solita petulanza di sempre, mi segue per tutto l'appartamento.
"Vai da John?"
Sento il cuore mancare un battito, ma riesco a far finta di nulla.
"No. Le serve che gli porti qualcosa?"
"Oh, no. Non chiedevo per quello Sherlock, è che stavo pensando che forse ti ho influenzato troppo con il mio discorso sulle amicizie dopo il matrimonio. E' per questo che lo eviti?"
"Signora Hudson, non c'è niente e nessuno che io stia evitando. Oltretutto come le dissi la prima volta che abbiamo toccato l'argomento, non sono d'accordo con lei. Gli amici restano amici, prima e dopo le nozze."
"Ma allora perché non va-"
"Maledizione, non ci vado perché trovo giusto che abbia del tempo con la sua nuova famiglia! Le è così difficile da capire?!"
Alzo la voce, come spesso accade, mentre lei si zittisce.
Rimango per un attimo incerto per poi dirigermi verso la rampa di scale, quando sento la sua mano anziana toccarmi la schiena.
Mi volto, trovandola a sorridermi come sempre, incurante di quanto accaduto nemmeno due minuti prima.
"Sherlock, sono felice che tu sia a casa."
"Cosa?"
"Sono felice che tu sia a casa. Senza te e John l'appartamento era diventato orribile, così buio e silenzioso... sono felice che almeno tu sia qui. Devo ammettere che non ho fatto coprire i buchi da proiettile nelle mura perché erano una delle poche cose che mi erano rimaste di te" rise. 
Non sono mai stato bravo nei discorsi sentimentali, ma cerco di improvvisare.
"Anch'io sono felice di essere tornato."
Non sarà la frase più poetica del mondo, ma in fondo non importa.
Mi guarda un'ultima volta, togliendo la mano dalla schiena, quasi a darmi una tacita autorizzazione ad andarmene.
Scendo velocemente le scale e mi catapulto fuori da quel piccolo universo che è il 221B.
Le persone in strada sono sempre numerose, tutte indaffarate e tutte poi così anonime. La strada non è cambiata di molto dalla prima volta che venni qui, eppure l'atmosfera non è più la stessa.
Cammino velocemente, fino ad allontanarmi di molto da Baker Street, prenderei un taxi se solo sapessi dove andare.
Analizzo chiunque mi passi davanti ma risulta tutto maledettamente inutile e noioso.
Donna sposata, con due figli, uno dei due è al liceo, l'altro forse è andato via. Uomo d'affari, sposato ma con il vizio dell'adulterio, ragazzina al secondo anno di liceo, origini portoghesi, ragazzo tossicodipendente ma in riabilitazione.
Eppure, niente di interessante.
Ovviamente non sia mai che ora che sono tornato succeda qualche bell'omicidio seriale o che Mycroft riesca ad alzare quel suo oceanico fondoschiena per propormi qualche caso interessante, siamo forse impazziti? 
Il destino di Sherlock Holmes è di annoiarsi a morte, sparare colpi al muro e dire alla Hudson di farsi i fattacci suoi, logico.
Mi accendo una sigaretta, l'unica vera pausa da questo flusso continuo di stupidità e noia che mi travolge di giorno in giorno. Forse il lato positivo dell'essere tornato un lupo solitario è che John non è più qui a controllare se compro sigarette o a contarmi i cerotti alla nicotina.
Ma poi, accade l'inaspettato, o meglio, quel genere di inaspettato che attendevo da giorni.
"Nuovo messaggio da: Mycroft Holmes
Mi servi. Sali in macchina.
Non disturbarti a dirmi dove ti trovi, lo so già."


Diamine Mycroft, ti capita mai di pensare che non amo essere oggetto di stalking?
Ops, errore mio. 
Dimenticavo che dei fratelli Holmes non è lui quello pensante.







Colgo l'occasione per ringraziare chi mi segue/mi ha recensita ed invitare tutti i lettori, dal momento che vi interessate allo slash, a dare un'occhiata alla fanfiction "Dirty Little Secret" di Alyson Nobody. La storia è originale, senza riferimenti a nessun fandom e dunque adatta a tutti.
E' una mia carissima amica e trovo che abbia un modo interessante e particolare di scrivere, oltretutto spesso ci scambiamo idee quando una delle due ha il blocco dello scrittore, quindi se la mia storia vi sta piacendo date un'occhiata anche alla sua, sicuramente vi piacerà (e inoltre ha molti più capitoli considerando che l'ha iniziata prima!)
- L'autrice

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Capitolo 3
*** Non morire ***


In men che non si dica mi ritrovo nell’ufficio di mio fratello, certo è stata una riunione di famiglia un po’ brusca, ma il motivo mi stuzzica: minacce al pomposissimo “governo inglese”, o più nello specifico, a Mycroft.

“Mycroft, hai idea di chi possa mandarti questi messaggi?”
“Sherlock, so che non sei molto sveglio ma mi sembra OVVIO che non ti avrei chiamato se sapessi già chi è. Sei un investigatore, fai il tuo lavoro.”
“Inopportuno e più acido del dovuto, dovresti misurarti se vuoi una collaborazione. Comunque, se non ne hai proprio la minima idea, dovrò ispezionare il tuo pc e controllare se c’è qualche traccia informatica del mittente. Ti sta bene?”
 sorrido sarcastico.
“Non ho nulla da nascondere. E’ solo lavoro Sherlock, evita di fare il bambino e occupati di scoprire quest’individuo.” così dicendo mi fa consegnare il portatile da uno dei suoi uomini.

Passano alcune ore, sto ancora cercando, quando mi si apre una finestra di chat dal nulla.
“So che sei vivo. Presentati al Garden Square a 2 km dalla tua attuale postazione tra un’ora. Ti sto guardando.”
Per un attimo mi sento paralizzato. Chi è che si interessa del mio essere vivo? Intendiamoci, ho una lista di persone che mi vogliono sotto terra, ma non in grado di dare noia a Mycroft e passarla liscia come niente.
Per di più, sapeva che sarei stato qui. Chi è così bravo?
La cosa che mi turba non è il messaggio in sé, ma il fatto che io non riesca a ricollegarlo a nessuno.
Nessuno di vivo, almeno.

“Mycroft, ho cose più importanti da fare adesso. Verrò appena possibile, sembra che io abbia un nuovo caso.”
“Ah davvero? Ossia?”
“E’ il mio lavoro, tu pensa a fare il tuo.”

chiudo la chat, per poi andarmene.


Avrei potuto dirglielo, ma no.
Ci sono una serie di motivi per cui non è una buona idea:
Uno: questa persona se è brava come credo lo verrebbe a sapere e non si presenterebbe, e io voglio vederla, assolutamente.
Due: finirebbe per sparargli prima ancora che io abbia conosciuto il suo nome.
Tre: non mi faccio aiutare da mio fratello.

Prendo il taxi, per poi aspettare lo scadere dell’ora camminando avanti e indietro nel luogo prestabilito.
Continuo a guardare l’orologio.
“Undici e quaranta.. undici e cinquanta.. mezzogiorno in punto” dico a voce bassa, ma appena termino la frase un dolore lancinante mi colpisce alla schiena, così forte da non farmi respirare.
So cos’è successo ma non riesco a ragionare.
Sto morendo? o morirò? devo salvarmi. Non so chi chiamerà l’ambulanza e se sarà chiamata, ma per ridurre al minimo i danni devo cadere in avanti.
“Cadi in avanti... ora.”
Un tonfo e sono a terra. Il dolore mi sta facendo impazzire e cerco di fare di tutto per non alimentare lo shock, ma ho davvero paura.
Se muoio, non saprò chi mi ha ucciso.
Non saprò chi mi ha ucciso.
Sherlock, non morire.

Comincio a sognare, vedo tutte le persone che mi conoscono urlarmi di non morire e il più disperato è proprio John. La sua voce sembra così reale, il suo pianto così forte, forse perché l’ho già visto fare così sulla mia tomba.
Vorrei abbracciarlo ma so che tutto questo non è reale, e rende le mie sofferenze ancora più insopportabili.
Si avvicina a me piangendo a dirotto, prendendomi la mano.
La sento reale, calda, ruvida a causa dei calli ma così rassicurante.
Sembra davvero quella di John.
A un certo punto i suoi singhiozzi si fermano, lo sento sospirare, come se stesse prendendo più aria possibile nei polmoni. Il suo petto si gonfia, ha un’espressione incerta, come se non se la sentisse di fare qualcosa... ma, coraggioso com’è, decide di farla e basta.
Avvicina il viso ancora rigato dalle lacrime al mio, e mi bacia.
So che sto sognando perché mi hanno sparato alla schiena e sono sotto shock, lo so.
Ma se posso morire così non m’interessa il nome del mio killer.
Le sue labbra sembrano calde e vere proprio come la mano, e questo bacio mi rende così felice che non sento nemmeno più il dolore.
Forse sono solo morto e giunto nel mio paradiso personale. Chissà.
Dopo alcuni secondi lo vedo allontanarsi, dividendo quel bacio a stampo di nuovo in due bocche solitarie e ammalate di morte e d’amore.
Ricomincio a sentire dolore. Devo essere vivo allora.
Cerco di svegliarmi in tutti i modi, e a un certo punto, con fatica, sento di essere tornato al mondo.
Apro lentamente gli occhi, le palpebre sembrano pesare tonnellate e il posto in cui mi trovo è troppo bianco e luminoso per me.
In questo lasso di tempo però non ho smesso di sentire la mano di John, e sarebbe un controsenso se veramente fossi sveglio adesso.

Apro per bene gli occhi, vedo che sono in un letto d’ospedale, con una mano calda e ruvida che tiene la mia e una testolina bionda accanto ad essa, intenta a singhiozzare piano.
Il bacio me lo sarò immaginato, ma almeno mi vuole bene davvero.
Ho difficoltà a respirare ma cerco di parlare nel modo più normale possibile, schiarendomi la voce.
“John”
“Sherlock.. non morire..”
“John.”
“Sherlock ti prego...”
“John Watson! Mi farai morire tu se continui a farmi sgolare”

Lui alza la testa di scatto e mi fissa con l’espressione più spaventata, confusa ed esilarante che io abbia mai visto. 
Trattengo a stento le risate, anche perché mi farebbe malissimo ridere ora.

Caro il mio John, non cambi mai.

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Capitolo 4
*** Un ritorno inaspettato ***


Il mio divertimento viene subito stroncato da una frase che non potevo prevedere.

Sei un idiota.
La persona più stupida ed incosciente che io conosca, hai anche il coraggio di ridere.”
Rimango confuso, mentre la sua voce si fa improvvisamente bassa, roca, quasi simile al ringhiare di una bestia. Ricomincia a parlare, e per la rabbia si alza in piedi, per un attimo temo che possa picchiarmi lì, sul mio stesso letto d’ospedale.
“T-tu, Sherlock.. potevi fare qualunque cosa. Qualunque. Potevi parlarne con me, potevi chiedere aiuto a Mycroft e non venirmi a dire che non potevi perché.. mi sto davvero trattenendo. Che diavolo hai fatto, che ti sta succedendo? Sto tornando a casa dal lavoro e tuo fratello mi chiama, e cosa sento?
Che ti hanno sparato. Ora, velocemente, tu mi dici perché e chi l’ha fatto o giuro che ti uccido io.”
Prendo un respiro profondo, ora sento effettivamente di vergognarmi, non era davvero il caso di ridere.
“John, ascolta. L’unico motivo per cui non posso risponderti è che... non so chi mi ha sparato, o chi mi ha fatto sparare.”

Non so.
Quelle due parole sembrano bruciarmi dall’interno nell’esatto istante in cui le pronuncio. O forse, forse è la vergogna che cresce, un motivo dopo l’altro.
John mi guarda, impassibile, non vuole perdonarmi per averlo fatto sentire abbandonato ancora una volta, ancora più improvvisamente, stavolta rischiando che fosse per sempre.
Il dolore viene e va ad ondate, forse dovrei chiedere un dosaggio di morfina più alto.
Parlare è sempre più difficile, decido di sintetizzare anche se significa dare una pugnalata al mio ego.
“John, scusa. Mi vergogno.”
Sento che mi manca l’aria, comincio a tossire.
Il suo sguardo cambia, sembra confuso e spaventato, di nuovo.
“Okay, okay, ascoltami. Sherlock, hai bisogno di un’infermiera?
Devo aumentare la morfina?”
Non ho la forza di parlare, mi limito a fare un cenno con la testa e a indicargli la morfina.
John obbedisce ed il liquido comincia ad affluire lentamente nelle mie vene, lo immagino come un mare trasparente che mi inonda, piano, pianissimo, prima il corpo e poi le sinapsi.
I miei occhi si socchiudono, lasciandomi solo un piccolo spiraglio da cui guardare le pareti bianche, senza poi neanche davvero guardarle.
Sto solo fluttuando nella mia mente, fissando un unico punto, trovando pace da quel dolore insopportabile.
John è di nuovo seduto accanto a me, lo guardo con la coda dell’occhio e lo vedo fissarmi con uno sguardo a metà tra pena e rancore. Fa per dire qualcosa, lascia perdere, riprova.
“Sto per dirti delle cose. Non serve che tu risponda, voglio solo che tu mi stia a sentire.
Sono ancora arrabbiato con te, molto. Tu non sai quanta paura ho avuto, ricevere una notizia del genere così all’improvviso, dopo tutto quello che mi hai fatto passare.. sei imperdonabile, e nulla di quello che dirai mi farà cambiare idea su questo. Ma so anche che non ci riesco, non ci riesco a non... averti nella mia vita, Sherlock. Sei ancora il mio migliore amico, questo mi sembra chiaro.
Quindi, la mia decisione è che tu ed io scopriremo chi ti ha fatto questo, e finché non smetterà di essere un problema, io starò di nuovo con te al 221B. Ma tieni a mente una cosa: non lo faccio per te, ma per me. Non permetterò a nessuno di farmi sentire come mi sono sentito due anni fa, e con questo intendo dire anche che non voglio sentire ragioni sulla mia decisione.”
La sua voce è così seria, il suo tono così categorico e allo stesso tempo freddo che neanche ci provo a rispondere.

“Di nuovo con te al 221B”
Comincio a ripeterlo mentalmente dieci, cento, mille volte. Non sono sicuro che l’abbia detto davvero, anche se l’ho sentito benissimo.
So che non dovrei e cerco in tutti i modi di evitarlo, ma sento il cuore mancare un battito, il respiro farsi irregolare.
John di nuovo a casa, con me.
Mi vergogno di cosa provo, mi sto emozionando come un ragazzino e tutto ciò che posso fare è chiudere gli occhi, fingendo che la morfina abbia avuto la meglio sulla mia mente pur di non mostrare come stanno le cose.
Sono davvero pessimo, è il mio migliore amico, un uomo sposato oltretutto.
Mycroft me lo diceva sempre, le emozioni andrebbero eliminate nel momento stesso in cui si manifestano.

Il punto è, temo di non saperlo fare.

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Capitolo 5
*** Buonanotte, John ***


Scrivo ora per avere la certezza che John non possa leggere.
Non entro su questo blog segreto da prima che mi sparassero, e c’è ancora il mio primo post.
Ho visto che c’è, non sto dicendo che l’ho riletto.
Probabilmente lo cancellerei, brucio dall’interno solo a pensare di aver confessato quelle cose, e in più stavolta non sono qui per sciocchezze sentimentali, o comunque non del tutto.
Il fatto è che ho bisogno di mettere da qualche parte le idee, il palazzo mentale è ottimo per contenere i dati ma se ci aggiungo anche i ragionamenti che faccio e che poi risultano inutili, è come lasciare mille pallottole di carta in giro e poi lamentarsi che non c’è spazio, e stavolta non posso permettermelo.
E’ da circa un mese che brancoliamo nel buio, anche se spesso penso di star solo fingendo di non sapere il nome del mio (quasi) assassino.
Se John sapesse cosa ho per la testa probabilmente lo stress da cui è già divorato lo distruggerebbe del tutto (a volte fissa il vuoto e gli cadono oggetti di mano come se fosse in trance, immagino che ultimamente stia pensando con la stessa intensità con cui penso io, e non è affatto semplice).
Ammetto che in questo periodo ho cercato di concentrarmi solo sul lavoro, anche perché stavolta ne va della mia vita, però in un certo senso va meglio.
Da quando evito di pensare a cosa io possa o non possa provare la confusione mentale è grande, ma mai quanto lo era prima. Rischio di morire, ma va bene lo stesso.
Veniamo al dunque.
Il mio ragionamento è che se un assassino tende una trappola e poi non ti uccide, vuole giocare e dunque si presuppone che in seguito ti cerchi di nuovo. Al momento però c’è calma piatta.
Dunque, devo cercare qualcuno che in genere abbia voglia di giocare con me, e che probabilmente mi voglia morto.
Irene? Ovviamente no, certo è una donna che bada ai propri interessi, ma non un’assassina.
Inoltre c’è il fattore infatuazione, le signore per quanto strane siano non uccidono un uomo di loro interesse, anche perché in seguito non potrebbe dare loro attenzioni, e io so che in questo caso la persona dall’altra parte della pistola non aveva solo voglia di giocare, o non mi avrebbe colpito affatto.
Magari un colpo per mettermi in allarme a poca distanza dalla spalla, perfino a due centimetri dalla testa, ma non mi avrebbe colpito.
Sono stato attirato come una mosca in una ragnatela da qualcuno che è stato capace di mettere in difficoltà Mycroft all’unico scopo di invitarmi in un posto, azione totalmente inutile dal momento che non mi tiro mai indietro di fronte a nessuno che voglia un confronto con me.
Mycroft non gli serviva affatto.
Voleva dimostrare qualcosa, voleva dimostrarmi che ha il potere di mettere in crisi anche il governo e al contempo potermi minacciare di morte, perfino per semplice divertimento.
Una ragnatela. Potere. Minaccia di morte. Divertimento.
Un ragno al centro di una ragnatela di potere, potere ovviamente criminale, che trae divertimento dalla morte.
Rabbrividisco a pensarci ma come ho scritto anche su Scienza della deduzione, per quanto un’ipotesi sembri assurda, è tuo dovere considerarla perfettamente valida se è l’unica che funziona a livello logico.
Se la mia teoria è esatta, non mi resta che capire cosa ho visto (o chi) il giorno in cui si è sparato in bocca davanti ai miei occhi, il giorno in cui sono stato costretto ad uccidermi anch’io.
E poi, poi dovrò stanare il ragno.

Quanto a John, vorrei in realtà che rimanesse fuori da questa storia. Continua a non rendersene conto ma anche lui ha rischiato la vita l’ultima volta che abbiamo visto Moriarty, e anche se detesto pensare che le cose siano cambiate, è così e basta. Dovrebbe essere al sicuro a casa con sua moglie, e invece è qui.
Inoltre penso che nemmeno Mary sia una stupida e che si sia accorta che la situazione è a rischio, John non me ne ha parlato ma ho letto tutti i suoi sms e lasciano intuire una certa preoccupazione (e un certo risentimento) da parte di lei. Inoltre lui sta diminuendo drasticamente le chiamate, tengo sempre il conto di quante volte è a telefono con lei e chi dei due chiama.
Lei spesso, quasi ossessivamente, mentre John una o due volte al giorno.
Spesso nemmeno le risponde al telefono.
Ho già tentato di rimandarlo a casa un paio di volte, ma nemmeno dieci ore dopo è di nuovo qui.
Dice che se ho difficoltà a trovare l’assassino con lui figuriamoci senza un assistente, che potrebbe esserci un nuovo attentato alla mia vita e altre cose che non ho ascoltato perché mi stavo annoiando.
Ci sono volte in cui mi ricordo di quanto sia idiota e mi stupisco. Sembra quasi come gli altri.
Il punto è “sembra”, perché devo dire con sincerità che non ho mai trovato un solo agente di polizia con un quarto del suo coraggio, o della sua profondità d’animo, saggezza e tanto, tanto altro.
Sei detestabile, John. Però devo ringraziarti, e lo faccio qui perché non ce la farei mai a fartelo sapere.
Non dopo tutto quello che è successo e dopo averti già chiesto di perdonarmi.
E dal momento che tanto non leggerai mai queste righe, confesso che da quando posso guardarti di nuovo dormire non riesco a farne a meno ed è l’unica cosa che mi fa addormentare nonostante i pensieri.
Spero che tu non scopra mai che ogni notte dormo per terra per starti accanto e poi svegliarmi puntualmente un’ora prima di te per andare nel mio letto, fingendo di essere sempre stato lì.
Insomma, è bello averti a casa.
Buonanotte, John.

Postato da: Sherlock Holmes
Ore: 1:34 A.M.

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Capitolo 6
*** Nella boccia per pesci rossi ***


L'orologio continua a far girare implacabilmente le sue lancette, facendole risuonare in quel modo che odio così tanto.

Tic toc. Tic toc.

Tic toc, Sherlock. Non sei ancora arrivato alla soluzione, come sempre.

La voce sarcastica di mio fratello mi rimbomba nella mente.
Quanto odiavo quando mi parlava in quel modo. Ho passato la mia intera infanzia a sentirmi un idiota, un buono a nulla, un "pesce rosso".

Lui e i suoi dannati pesci rossi, se fosse qui mi ricorderebbe quanto infinitamente superiore a me sia il suo intelletto.

Come sei sopravvissuto, James Moriarty?
Ho bisogno di un segno. Lo so che sei vivo, che sei stato tu.
Adesso dimmi perché.

Non sono pazzo, almeno non ancora e sono sicuro che quest'attesa angosciante è stata creata all'unico scopo di farmi sentire paranoico, mentalmente squilibrato. Vuole vedere quanto tempo impiego a non essere più sicuro della mia soluzione, quanto ci metto a non essere più sicuro di conoscere il nome del mio quasi assassino, per la seconda volta.

Vuole farmi sentire un pesce rosso, anche lui.

Aggrotto le sopracciglia fissando con odio il vuoto dinanzi a me, a vedermi così si direbbe che me la sto prendendo con ogni singolo atomo o molecola esistenti nell'intero appartamento.
Sento la porta aprirsi con un cigolio, sussulto leggermente nel notare che non è la Hudson.
"Sherlock, non ti si vede in giro da parecchio! Ti senti bene?"

"Gerard, se hai un caso da espormi fallo in fretta, sono abbastanza... occupato."
"...Greg. E comunque ero passato per un saluto, hai una faccia! Sei sicuro di stare bene?"
" Benissimo, Greg. Comunque se è John a dare vita ad allarmismi inutili con ogni essere vivente a meno di 27 km da qui, digli cortesemente da parte mia di smetterla."

"Diglielo tu se ci tieni. Del resto è a casa con te, immagino vi parliate. O no?"
"Cerchi di fare gossip per caso?"
"No, no. Che diamine Sherlock, sono tuo amico, dovresti rilassarti un po'. Comunque mi ha detto che ultimamente stai ripensando a Moriarty. Ascoltami, Scotland Yard ha chiuso il caso, Jim è morto."
 

Ecco qual è il prezzo da pagare se si fa una confidenza a John: una settimana dopo l'intera nazione conosce i dettagli. Sarebbe stato ben più saggio lasciarlo brancolare nel buio, almeno non avrebbe cominciato ad additarmi come delirante. Non ho avuto un attimo di pace da quando gli ho rivelato la mia opinione e forse mai l'avrò.
"Per Scotland Yard anch'io lo ero, ma non ti vedo urlare al fantasma."

"Sì ma..."
"Non voglio toccare l'argomento. Puoi andare."

Lestrade mi lancia un'occhiata di rimprovero.

"Sherlock, sto solo dicendo che forse, e oso dire forse, sei ancora sconvolto da quello che Moriarty ti ha fatto passare. Gli amici si ascoltano, almeno stavolta provaci." Così dicendo chiude la porta alle proprie spalle, lasciando la stanza.

Maledizione a John.

Ovviamente adesso vedendo che ho cacciato Lestrade salirà a farmi la solita ramanzina.

Uno, due, tre, quattro, cinque, sei... dieci passi sulle scale, ed ecco che entra con la grazia di un elefante scaricando tutto il proprio peso sulla maniglia, nemmeno ci si dovesse aggrappare per avere salva la vita.

"Dunque così tratti chi si preoccupa per te?"
"John, quando sei arrabbiato non prendertela con le maniglie. Le rendi più rumorose di quanto non siano già, la Hudson non le lubrifica da anni a giudicare dal suono. Lo trovo fastidioso."
"Non cambiare argomento. Vogliamo parlare di cos'è davvero fastidioso, Sherlock? Trovo fastidioso che tu non ti renda conto di quanto tu abbia bisogno d'aiuto."
"Aiuto?"
"Sì, mio grande Sherlock Holmes. Credi che non mi sia accorto per tutto questo tempo che mi tenevi nascosto qualcosa? Io vengo qui per tenerti salva la pelle, ti offro la mia disponibilità per il caso e tu che fai? Borbotti per mesi che non sai dove mettere le mani e mi lasci fare le mie personali deduzioni. Non sarò un detective, ma non puoi credermi così idiota da pensare che tu, mi lasci mesi e mesi a pensare liberamente senza mai correggermi e pretendere che non ci sia qualcosa di grosso sotto. Nemmeno la più potente delle droghe riuscirebbe a farti chiudere il becco riguardo un caso o a smetterla di bacchettare i ragionamenti di chiunque."

Rimango interdetto, più che altro perché devo ammettere che non fa una piega.

"Hai bisogno di aiuto con il caso, e con la tua mente. Vai avanti ad acqua da tre giorni, e continui ad essere convinto che Moriarty possa tornare.
Sherlock, non accadrà. Lui non aveva modo di fingere la sua morte, tu eri proprio di fronte a lui, eravate da soli. Si è fatto saltare in aria il cervello, quindi smettila."
 

"John, e se fosse la paura a farti parlare?"

Fa un passo avanti come per venire verso di me, guardandomi storto.
"Io non ho paura Sherlock. Non ho paura di Moriarty, al contrario di te. E ti consiglio di smetterla con questa follia perché per quanto possa averti fatto male, l'ha fatto anche a me se non di più, tuttavia non vado in giro ad urlare che è vivo. Riflettici e fai la persona matura, se puoi."
Alla fine va via anche lui, sebbene più stizzito di Lestrade.
Lo vedo allontanarsi in strada dalla finestra, sembra parlare da solo, probabilmente starà imprecando qualcosa a bassa voce.

Chissà se tornerà per cena o andrà da Mary.
Se solo lui mi credesse...



__________________________________________
Nota dell’autrice: So che questo è uno dei tanti capitoli di “passaggio” e che non aggiorno questa fanfiction da quasi un anno, ma ero stata colta da un blocco riguardo il proseguimento della storia anche se ho e avevo dei punti fissi che non ho abbandonato riguardo la trama di quest’ultima. Ho già scritto altri due capitoli e punto a scriverne un altro il prima possibile, approfittando del periodo di “scrittura compulsiva”.
In quanto già esistenti i prossimi due capitoli, non avrò problemi a pubblicare il prossimo dove, com’è facile che immaginiate, qualcosa accadrà.
Mi scuso per aver lasciato in sospeso per un periodo così lungo questa storia, e ringrazio chi ha intenzione di continuarla a seguire, che sia un nuovo lettore o qualcuno che la conosce da quando era al primo capitolo. Questa fanfiction in un certo senso è stata un diario e allo stesso tempo una predizione di cose che io stessa ho provato, provo e proverò riguardo diverse cose e persone ed è nata sia per sfogo che per dimostrarmi che forse, non è poi così vero che lascio tutte le cose della mia vita a metà.
Per questo motivo se avete ancora intenzione di seguirmi, ne sono più che felice. Spero di lasciarvi qualcosa con quella che è ed è stata una storia che ho portato avanti con difficoltà, incertezze e blocchi, ma che è cresciuta con me, diventando un piccolo frammento della mia vita.
 

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Capitolo 7
*** Appuntamento al buio ***


Sono quasi le tre di notte e come sempre non posso dormire.
Sento la pioggia battere contro la finestra in modo lieve, ho sempre amato il suono della pioggia, eppure non mi rilassa in questo momento. Ovviamente John non è tornato, quindi sarà da Mary, a casa propria.
Vorrei che non m'importasse, vorrei che questa strana sensazione al petto si spegnesse come una candela sotto la fredda pioggia di questa notte a Londra, eppure non lo fa.

Quando John non è qui, sento come se questo posto non mi appartenesse. Non importa quanti anni della mia vita ci abbia passato, ogni dettaglio diventa freddo, estraneo, come una foto in bianco e nero risalente a chissà quando. Tutto questo è così stupido, sono solo delle reazioni chimiche scatenate dal cervello, psicologia che si fonde con la chimica, il tentativo primordiale di far scegliere ad ogni esemplare della specie un compagno con cui crescere altri esemplari.

Non posso lasciarmi andare a nulla di tutto questo, eppure mi ha già corroso dall'interno.

Se solo lei non ci fosse...

Scuoto la testa con rabbia, il flusso di pensieri continua a deviare a proprio piacimento.

Una sensazione di nervosismo e gelosia si fa strada nel mio corpo, irrigidendo ogni mio muscolo.
Devo fumare. Adesso, assolutamente, senza pensarci nemmeno un secondo.
Prendo frettolosamente il pacchetto e accendo una sigaretta. Inspiro, e per un attimo sento la testa più leggera e allo stesso tempo più "aperta". I pensieri non si vanno ad accumulare incastrandosi l'uno sull'altro come in una gigantesca discarica, e questo è tutto ciò che mi serve.

Ad un certo punto noto il cellulare sul tavolo illuminarsi. Un nuovo messaggio, sarà lui che mi informa di a che ora tornerà domattina e di non fare sciocchezze in sua assenza. Ora che ci penso, nella sua lista delle sciocchezze c'era anche fumare.

Spengo la sigaretta e apro comunque il messaggio, sapere che è sveglio e che sta... pensando a me è comunque una sorta di conforto.

Numero sconosciuto
"John è così carino quando piange. Ci hai mai fatto caso?"

 

Lascio la presa sul telefono, che ricade sul tavolo facendo non poco rumore.
Mi manca l'aria, sto tremando ma devo fare qualcosa.

Riprendo il telefono in mano e nonostante l'agitazione rispondo al messaggio
"Dimmi dove sei. Adesso."

"Non è divertente se non indovini. Ti ho lasciato in pausa per così tanto tempo, la tua mente dovrebbe essere bella carica. Non hai voglia di giocare?"
 

"Voglio sapere come sta John"
 

"Meravigliosamente...

male."

Smetto di rispondere, devo assolutamente trovarlo.

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"Ti diverti, John?" mi sibila nell'orecchio.
"Sei un bastardo." Ho smesso di piangere, sento come se il dolore e tutte le emozioni si stessero affievolendo. Sono ore che mi obbliga a vedere quei video.
Esplosioni, gente mutilata, gente che urla disperata. 
I flashback tornano con una forza tale da farmi sperare che mi uccida.
Sherlock, entra da quella porta ora, ti prego.

"Ripeti... quello che hai DETTO!" all'improvviso inizia ad urlare, e approfittando dell'avermi legato alla sedia a gambe aperte, mi tira con forza la mela che ha in mano contro le parti basse.
Urlo, per poi mordermi le labbra con forza. Giuro che quando mi alzerò da questa sedia mi assicurerò personalmente che la morte di Jim Moriarty diventi una storia vera al 100%.

A un certo punto spegne il proiettore, facendo regnare il buio nella stanza.
"Mi annoio, Johnny boy. Vediamo se tu puoi salvarmi da questa terribile routine..."
Non vedo assolutamente niente, ma posso sentire il suo respiro sul collo mentre mi parla.
"Sai, ora che li ho indossati, mi rendo conto che con questi occhiali infrarossi ti vedo ancora più carino."
conclude la frase con una risatina inquietante, non so cosa sta per succedere ma non mi piace.

"Sei ripugnante."

"Ah DAVVERO?"

Così dicendo mi colpisce con una cintura sul petto, più e più volte. Mi manca l'aria per quanto fa male, forse morirò davvero qui dentro.

Non contento mi tocca dove mi ha appena ferito, passa lentamente le dita sul petto e brucia, brucia da impazzire, vorrei ucciderlo e l'essere immobilizzato mi fa sentire solo più indifeso davanti a questo psicopatico da quattro soldi.

Non riesco a pensare, cerco di chiedere aiuto ma non ho la forza di alzare la voce e il nome che pronuncio riesce a sentirlo solo Jim, essendomi ormai quasi montato addosso per farmi ancora più male.
"Sh-Sherlock..."
"Lui non arriverà. Come sempre mio caro John, Sherlock non arriverà, e tu resterai a piangere nel buio di una stanza... questa volta, con me."

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Capitolo 8
*** Promesse ***


Ho passato la notte correndo per ogni strada che la mia mente ricordi di questa maledetta città, ma nulla.
Ho chiamato Mycroft, ma nulla.
John è da qualche parte con un folle, ma nulla.
Non riesco ad aiutarlo, e se gli accadesse qualcosa non potrei mai perdonarmelo.
“Stupido, stupido, stupido!” comincio ad urlare per strada in preda alla rabbia, ho finito qualsiasi idea o pista, Moriarty non aveva voglia di giocare con me, ma con l’unico lato che non so gestire: quello emotivo.
Non ha intenzione di farsi trovare, non finché non avrà finito con John.
Le mie inutili ricerche si protraggono per altri quindici minuti, fin quando non sento il cellulare squillare. Rispondo, pregando qualsiasi pseudo divinità di far in modo che John sia vivo.
“L’avete trovato?”
“Sherlock, sono al St. Bart’s, John è qui con me.”
“Mycroft…”
“Non ha perso conoscenza, non è nulla di grave, calmati.”
“Aspettami.”
Potrei chiamare un taxi ma la fretta è tanta da farmi decidere di correre fino all’ospedale, non voglio perdere nemmeno un attimo.
Mezz’ora di corsa ed eccomi di fronte a quel maledetto ospedale. Ho il fiato corto, entro ignorando gli infermieri che mi squadrano dalla testa ai piedi, devo trovare Mycroft.
Lo vedo quasi subito, è in sala d’attesa.
“Cosa gli ha fatto?” dico a mezza voce, mentre faccio gli ultimi passi prima di abbandonarmi nella sedia accanto a lui.
“Varie cose. L’importante è che ora ci siano dei professionisti a prendersi cura di lui.”
Per la prima volta dopo tanto tempo, riesco a scorgere qualcos’altro negli occhi di Mycroft che non sia indifferenza. Sta soffrendo, tanto quanto me.
Fissa il pavimento come a voler fuggire il mio sguardo, forse ancora deciso a mantenere gli obblighi di un fratello maggiore. Rassicurare sempre, anche quando si è paralizzati dalla paura, dal dolore, dall’incertezza.
“Mycroft, cosa gli ha fatto? Devi dirmelo.”
“L’abbiamo trovato ferito in tutto il corpo, ma la cosa che mi ha preoccupato era il suo turbamento.
Conosco John Watson e non si lascia intimorire da un pestaggio, seppur violento.
C’è stato qualcos’altro che gli ha fatto Sherlock, e non ha voluto dirmelo.”
“Devo vederlo.” Comincio ad alzare la voce, all’idea che quel bastardo… non voglio pensarci. Non voglio ipotizzare nulla senza averlo visto prima.
“Sherlock, non perdere la calma, Mary sarà qui a momenti.”
“Hai avvertito anche lei?”
“Quella donna è sua moglie. Avrei mai potuto non farlo?”
“Perfetto, quindi inizierà ad urlarmi contro. Proprio quello che mi ci voleva adesso.”
E infatti, poco dopo ecco arrivare Mary, a dir poco infuriata.
“Sei un incapace! John ti offre tutto l’aiuto possibile e tu non riesci nemmeno a tenerlo al sicuro!”
“Mary, io ho portato John qui, ti dico che sta be-“
“Non mi interessa cosa dite, nessuno di voi due. Non riuscite a prendervi cura nemmeno di voi stessi, come hai potuto tenerlo a casa con te se sapevi che era in pericolo?”
Mi alzo in piedi, Mycroft cerca di rimettermi a sedere ma anche da seduto non smetto di urlare.
“IO ho tenuto a casa John? Dovresti farti un esame di coscienza, mia dolce Mary.
C’è un serio problema nel vostro matrimonio se preferisce abitare da me nonostante sia nel mirino di qualsiasi criminale inglese su cui posi gli occhi. Io gli ho chiesto più volte di andare a casa, è un uomo adulto e se non mi ascolta sono affari suoi.”
“Smettetela, vi sentirà di sicuro da lì dentro.”
“Che ci senta! Certo che abbiamo un problema Sherlock, quel problema sei tu. Se la smettessi di far preoccupare tutti forse nessuno finirebbe ammazzato per colpa tua!”
“Nessuno è finito ammazzato e nessuno ci finirà, dannazione!” l’urlo di Mycroft fa girare tutti i presenti, e nonostante l’evidente imbarazzo provato da quest’ultimo appena resosi conto della propria reazione, il personale ci invita ad uscire.
Rimaniamo all’esterno dell’edificio appoggiati con la schiena ad un muro, guardando l’alba. Nessuno ha più la forza di litigare dopo questa notte insonne, e vedere il cielo tingersi di un rosa tenue in contrasto con la fredda aria del mattino riesce a infonderci un certo senso di pace superficiale, nonostante i pensieri dolorosi che scavano la nostra mente in questo momento.
Mycroft sospira. “E adesso?”
“Non lo so. Ma riuscirò a prendere Moriarty, lo prometto.” Mary mi lancia un’occhiata sarcastica appena pronuncio queste parole, per poi intervenire freddamente:
“John torna a casa con me, che gli piaccia o no. Non intendo diventare vedova. Quindi se volete miei cari signori, ora potete anche andare a dormire.”
“Ma John…”
“Ci penso io a John. Andate.”
Avendo ormai intuito che quelle parole sono più un ordine che un consiglio, Mycroft ed io saliamo sul taxi personale con cui era venuto.
“Andiamo a casa, signor Holmes?”
“Dipende. Sherlock, ti andrebbe di stare da me oggi?”
“In verità sì, non credo possa essermi d’aiuto tornare a Baker Street adesso.”
“Lo immaginavo. Ci porti a casa, per favore.”

Le strade cominciano a sfrecciare sotto il mio sguardo sempre più pensieroso, i pensieri diventano sempre più bui e nulla può essere più irritante e crudele del sapere chi abbia vinto questa volta. Ha preso l’unica persona che tentavo di proteggere e l’ha strappata dalla mia vita, di nuovo.
Ha preso ciò che era importante e l’ha calpestato, per ricordarmi di quanto io sia inferiore.
Non oso immaginare cosa abbia fatto a John, eppure voglio saperlo. Questo pensiero mi porta uno strano senso di vuoto che arriva ad invadermi il petto, sento un nodo alla gola.
Mi giro verso Mycroft, e lo sguardo che mi rivolge è… agghiacciante.
Non avrei mai dovuto girarmi, non avrei dovuto guardarlo e permettere che quel qualcosa nei suoi occhi facesse risuonare nella mia mente le parole del ragazzino che era un tempo.
“Barbarossa si riprenderà. Te lo prometto, Sherlock.”
Un’insicura carezza ai capelli, quelle sopracciglia aggrottate e il sorriso finto.
Mi rigiro verso il finestrino, sperando con tutto me stesso che stavolta l’antica promessa possa essere mantenuta.


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Nota dell'autrice:
Spero che vi piaccia quest'ultimo capitolo, in realtà era già stato scritto da parecchio ma il mese prossimo ho la maturità quindi non c'è tempo nemmeno per respirare.
Appena avrò mezza giornata libera cercherò di aggiustare il lato grafico dei capitoli, non mi piace come non ci sia coerenza a volte tra l'uso dei corsivi (o l'uso del caps lock invece del grassetto) quindi niente, è un po' un casino ma al momento ho le mani legate.
In genere un piccolo spazio libero lo trovo sempre nei sabato sera, quindi salvo imprevisti ci si rilegge tra una settimana.
Stay tuned!

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Capitolo 9
*** Onirico ***


Mi sorride, ed è il sorriso più ripugnante e odioso a cui io abbia mai assistito in vita mia.
“Non sai ancora nulla, vero Sherlock?”
“Dipende. A cosa ti riferisci?” lo so benissimo, eppure ho bisogno di sentirlo uscire dalle sue luride labbra da maniaco.
“A quello che ho fatto a John, ovviamente.”
Mi avvicino a grandi passi, senza nemmeno rendermene conto. Non sento il mio corpo muoversi eppure adesso siamo qui, a pochi centimetri di distanza, l’uno con gli occhi piantati in quelli dell’altro.
“Parla, prima che ti impicchi con la tua stessa cravatta.” Dico quasi ringhiando.
“Beh, devo dire che è stato divertente. John all’inizio è stato davvero scontroso con me, seppur legato non faceva altro che urlare e minacciarmi… un povero illuso, mi ha fatto tenerezza. Talmente tanta tenerezza da scatenare una certa passione in me, così mi sono dato da fare. Ci sentivamo entrambi così soli, non credi sia stata una grande idea?”
Rimango in silenzio, lo shock mi impedisce di capire cosa abbia appena detto.
Ho capito male. Devo aver capito male.
“Non ti seguo” dico con un fil di voce.
“Ma certo caro Sherlock, del resto sei una mente semplice. In poche parole: John ha soddisfatto tutti i miei desideri per una notte. Non mi sembra abbia gradito molto, ma non importa.” Il suo solito sorriso si trasforma a questo punto in un ghigno ancora più diabolico, compiaciuto e a quanto pare vagamente eccitato dal proprio racconto.
Quella smorfia grottesca sul suo viso mi risveglia dallo stato catatonico in cui ero caduto, sento il bisogno di ucciderlo.
Devo ucciderlo.
Adesso.

Lo spingo per poi lanciarmi su di lui e prenderlo a pugni. Sanguina copiosamente e sorride, ma perché? Perché non prova dolore?
“Sherlock, apri gli occhi” dice sorridendo beato, nonostante le ferite evidenti.
“Davvero vuoi che le tue ultime parole siano così stupide?” dico compiacendomi alla vista del sangue.
Continuo a colpirlo, ormai posseduto da gelosia animalesca e furia disperata per il povero John.
Il mio povero, disperato John… chissà quanto dolore gli avrà procurato e quanta vergogna avrà provato, immagino il suo viso segnato dal turbamento, dalle sevizie e sento la nausea salire.
Decido di strangolarlo, non merita di vivere un istante di più.
Eppure respira ancora, possibile che io non riesca a metterci abbastanza forza?
“Sherlock, ci sei?”
“Sta’ zitto”
“Sherlock”
“muori”
“Sherlock, svegliati”

“ho detto muori!” urlo, alzandomi di scatto.
Sto sudando freddo e respiro molto velocemente. Dove mi trovo?
Inizio a distinguere attorno a me quella che sembra una stanza da letto molto ampia. Non sono a Baker Street e sembra una delle stanze di mio fratello a giudicare dai mobili, una in cui non sono mai stato. Ho un’emicrania lancinante e le vertigini, eppure sono sicuro di non aver bevuto.
Volgo lo sguardo verso la figura accanto a me, probabile autrice di tutti quei richiami.
“Oh Dio.”
“No Sherlock, non sei riuscito a morire nemmeno stavolta. Sono solo quell’idiota del tuo coinquilino, hai presente?”
John mi rivolge il suo solito sguardo omicida, eppure non potrei essere più felice.
O meglio, lo sarei se il suo viso non fosse martoriato. Ha un occhio nero, tagli superficiali un po’ ovunque, quella che sembra una bruciatura sul collo…
Improvvisamente torno – del tutto - alla realtà.
“Moriarty!” urlo saltando giù dal letto, non c’è un momento da perdere e quell’uomo deve morire.
“Sherlock, ferm-“
John fa per bloccarmi, ma nel frattempo sono già caduto a terra.
Mi aiuta a rimettermi sul letto, spiegandomi che con la quantità di eroina che avevo assunto ero già fortunato ad essere vivo e che dovevo aspettare almeno un paio d’ore perché il mio equilibrio venisse ristabilito.
“Perché l’hai fatto?”
“Non ricordo, John. Te lo giuro.”
“Non so quante volte ti ho ripetuto di smetterla con gli stupefacenti”
“Nemmeno ricordo perché l’ho fatto. Parliamone un’altra volta, per favore.”
“Dopo che sarai morto di overdose?”
“Non morirò di overdose, so quello che faccio. Fidati di me.”

John sospira, continuando a guardarmi scocciato.
“Riprenderemo il discorso appena starò meglio. Comunque sia, spostati.”
“Cosa?”
“Sherlock Holmes, spostati. E’ un ordine.” Dice scherzosamente autoritario.
Mi spinge leggermente il fianco, per farmi capire che devo distendermi più in là sul letto.
Obbedisco, per poi vederlo sdraiarsi accanto a me.
“Anche io non riesco a stare in piedi, ad essere sincero aspettavo il tuo risveglio solo per poter condividere il letto e smetterla di stare su quella dannata sedia.”
Ci giriamo a guardarci, ridendo. Sembra che tutte le paure spariscano quando sento la sua risata, il mondo non è più così grigio, banale e volgarmente crudele.
Necessito però di rompere questo momento di pace per sapere la verità.
“John.” Smetto improvvisamente di ridere e lo guardo rimanendo assorto nei suoi occhi cristallini a poca distanza dai miei, nascosti in parte dal cuscino.
“Cosa?”
“Devo chiederti… cosa ti ha fatto di preciso Moriarty?”
Improvvisamente la luce nel suo sguardo si spegne, evita il contatto visivo.
“John.”
“Sherlock, non c’è bisogno che ti preoccupi”
“Te ne prego.”
“Beh… mi ha obbligato a guardare dei video, oltre a pestarmi ovviamente.”
“…nient’altro?”
Sento la sua voce sul punto di spezzarsi.
“Doveva fare anche altro?”
“No, ti chiedo scusa. Volevo solo conferma. Quindi, nient’altro?”
“Nient’altro.” Ripete lui, tirando su col naso e obbligandosi a fare la faccia da soldato che non piange per niente al mondo. Deve avergli mostrato cose davvero orribili per turbarlo così.

Vorrei consolarlo, ma non sono mai stato bravo in queste cose. C’è sempre quella vocina nella mia testa che mi ordina di abbracciarlo eppure so che non ne sarei capace, soprattutto in questa situazione.
Due uomini sdraiati a letto in pessime condizioni fisiche che si abbracciano, che senso avrebbe? Se entrasse mio fratello, cosa potrei dire?
I miei pensieri vengono interrotti da John che con un fil di voce pronuncia il mio nome, sembra quasi debba rivelarmi un segreto.
“Sherlock.”
“Sì?”
“Sai che sono qui per te e che nemmeno mille Moriarty potrebbero pestarmi abbastanza da impedirmi di trovarti ogni volta che sei in pericolo, vero?”
“Sì.”
Vorrei digli grazie, eppure mi rimane incastrato dentro come sempre. Parole non dette, il peggior veleno per l’essere umano.
Lo guardo di nuovo con l’insicurezza di chi non sa svuotare il proprio cuore e mi accorgo che ha appena chiuso gli occhi, visibilmente stanco e provato.
Chiudo gli occhi anche io, cercando di riposare facendomi trascinare dal ritmo regolare dei respiri di John. 

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Capitolo 10
*** Segnali ***


Il rotolare di una sfera di legno sul pavimento di marmo.
Lo scrosciare della pioggia al di là delle finestre.
Il primo lieve ma glaciale respiro di una mattina di gennaio.
Sento tutto questo. Le sensazioni mi servono, rendono il palazzo mentale vivo, rendono me vivo. Se la logica non mi porta dove serve ecco che accorre la memoria a soccorrermi; la memoria emotiva, visiva, sensoriale. Ho bisogno di tutto, tutto per arrivare alla soluzione.

“Sherlock, mi ascolti?”
Lestrade mi riporta alla realtà, dove un omicidio di nessuna importanza è stato consumato e che come al solito Scotland Yard cerca di rendere più complicato di quanto sia.


“No. Dicevi?”
Sbuffa, esasperato. Davvero, dopo tutto il tempo che mi sta facendo perdere?
“Stavo dicendo che questa donna è morta bruciata in casa sua, le porte del vicinato sono segnate col sangue e il marito ha confessato, tuttavia-“
“Simbolismi che richiamano chiaramente una vendetta, il marito ha addirittura confessato e ti chiedi ancora chi l’abbia uccisa? Andiamo Lestrade, questo è troppo anche per te.”
“Tuttavia è in stato confusionale e non riesce a spiegarci perché o come si sia procurato il sangue per le porte. Non è della donna, è sangue d’agnello.” Conclude alzando leggermente la voce, come se avesse raccontato qualcosa di assolutamente inspiegabile.
Sospiro profondamente, ho promesso a John di non trattare male nessuno almeno fino a che non sarà guarito ma lo rendono davvero difficile.
“Ascoltami. Potrei listarti tutte le malattie mentali che conosco se solo ne avessi il tempo, ma mi limiterò a farti sapere che anche in caso di malattia mentale non grave o curabile è comune avere dei ricordi rimossi, non importa quanto recenti. Ora considera quanto sano di mente possa essere un uomo che, con una probabilità del novanta percento, ha scoperto una scappatella della moglie e reagisce mischiando simboli della Bibbia ad attacchi di piromania. Quando hai tratto le tue conclusioni fammi sapere, io torno a casa.”
“Ma Sherlock…”
Chiamo al volo un taxi senza fargli finire la frase, dal finestrino lo vedo roteare gli occhi e tornare dalla Donovan. Mi chiedo se stare con lei ed Anderson non lo stia davvero rendendo più stupido.

“Dove la porto sir?”
Rispondo all’istante, seppur con voce incerta.
“Mi porti al 76 di Camptown Road.”
Una porta di legno massiccio verniciata di verde e circondata da un giardino fiorito è la barriera tra me e il mio più grande imbarazzo. Conosco l’indirizzo da sempre, eppure è la prima volta che vengo qui.
Dovrei davvero bussare?
Tento di spiare dalle finestre l’interno. Sembra ben arredato, certo non sono ricchi ma evidentemente Mary ci tiene alle apparenze, anche se non eccede. Non vedo nessuno in ogni caso, saranno usciti.
Certo che non sono usciti, la macchina è qui davanti.
Mi obbligo a bussare.
Nessuna risposta.
Il telefono intanto squilla e come nei miei peggiori incubi sul display appare il nome di Lestrade.
“Cosa c’è adesso?”
“Quattro km più avanti ci sono altre case segnate col sangue!”
“E con questo?”
“Non è strano secondo te?”
“Quell’uomo ha una macchina e quattro km sono nulla, stava delirando, smettila di rendere tutto miste-“
“Sherlock, sei tu!”
All’improvviso la porta si apre ad accogliermi con un sorriso forzato c’è Mary, che tenta di far sembrare la sua delusione una piacevole sorpresa.

Chiudo il telefono in faccia a Lestrade, iniziando anch’io la mia recita.
“Mary! Da quanto tempo!”
Sorrido più che posso, mi avvicino per abbracciarla e poi… no. Decisamente non è il caso – almeno credo – così decido di recuperare dandole pacca sulla spalla.
Imbarazzante.
“Eh già, non ci vediamo da quando John… beh, lo sai. Vuoi entra-“
“Sì! Mi… mi farebbe molto piacere, intendo. Passavo di qui per delle indagini.“
“Non pranzerai con noi quindi?”
“No, assolutamente.”
Entro in casa praticamente sorpassandola, sta ancora dicendo qualcosa ma sono troppo occupato a girarmi attorno per ascoltare.
Quindi è qui che vive John: una piccola casa con giardino arredata esclusivamente dalla moglie, riviste da donna, nessun animale e un sacco di libri sul giardinaggio. Noioso.
C’è così poco di loro, quasi come se non ci vivessero, quasi come se John non esistesse e lei fosse uno stereotipo senza profondità. Eppure non sembra così vuota, perché vuole rendersi mediocre agli occhi altrui?

“Sherlock?”
“Oh scusa, sono un po’ distratto. Dicevi?” Non so come ma sono arrivato di fronte alla loro libreria interamente sul giardinaggio, senza accorgermene stavo accarezzando col pollice le lettere in rilievo sul dorso di un manuale.
Mary indica qualcosa dietro di me, sento il battito cardiaco aumentare lievemente.

“Ciao John. Come stai oggi?”
Non appena lo vedo mi assale una strana sensazione: qualcosa in lui non è come al solito. Lo guardo negli occhi, e ogni dettaglio che riesco a scorgere all’interno di essi sembra non presagire nulla di buono.
Ha lo sguardo perso, non sembra davvero ascoltarmi.
“Bene, bene. Io… sto bene, sì.”

Allarme rosso.
Poche altre volte ho visto il mio dottore così lontano dallo stare “bene” e, considerando che l’ultima volta che ci siamo visti era appena sopravvissuto all’incontro con un folle omicida, c’è per forza di cose un pezzo mancante.
Mi sono perso qualcosa durante questo mese di assenza, qualcosa di grave, qualcosa che non so cosa sia.

E francamente, odio non sapere.



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Nota dell'autrice: Mi dispiace far passare secoli e secoli da un capitolo all'altro, mi dispiace davvero. A mia difesa posso dire che è stato un periodo movimentato, ho dovuto preparare l'esame d'inglese e l'esame di stato quasi contemporaneamente, e ora che sono diplomata sto frequentando quotidianamente la scuola guida. Aggiungeteci relazioni amorose, amicizie, obblighi sociali e la frittata è fatta: quelle volte in cui ho del tempo libero il mio cervello si rifiuta di produrre. In ogni caso se ancora seguite questa storia vi meritate una medaglia al valore per la pazienza, grazie davvero per il supporto, espresso e non. Siete fantastici, a presto.

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Capitolo 11
*** Domande ***


Il mio sguardo si dirige istintivamente verso Mary, che mi guarda a sua volta con il viso rassegnato di chi ne sa quanto me.
“Le ferite?”
“Sì, stanno guarendo. Mary è un’ottima infermiera del resto.” John accenna un sorriso forzato, che sparisce dopo pochi istanti.
“Vado a prepararti un thè, Sherlock?”
“Sì, per favore.”
Per quanto quella donna non mi sopporti, a volte è incredibilmente collaborativa.
“John,” dico a bassa voce, abbassandomi per parlargli all’orecchio “se c’è qualcosa che devi dirmi, parla adesso. Mary non ti sentirà e io non ne farò parola, promesso.”
John mi lancia un’occhiata quasi d’odio, misto ad infinita stanchezza.
“Non c’è bisogno di parlare in segreto come delle ragazzine, Sherlock. Non c’è niente di cui parlare, sto bene e basta.”
Crede davvero di poter prendere in giro qualcuno, di poter prendere in giro me?
Tento la terapia d’urto, afferrandolo per le spalle e iniziando ad urlare.

“Stai male e sei così codardo da nasconderlo anche! Allora, qual è il problema? Sei depresso? Bevi di nuovo? Ti droghi, o forse sei troppo codardo anche per questo? Parla, dannazione!”
Lo sguardo di prima si trasforma in odio puro ed il dottore mi afferra per la sciarpa, tirandola a sé.
“Sherlock Holmes potrei spezzarti con una sola ma-“
Quando pochi centimetri separano i nostri volti, la sua espressione cambia del tutto e la presa si allenta.
“Sherlock…”
“Non mi avresti colpito, lo so. Non ora che sto cercando di aiutarti.” Sorrido vittorioso.
Gli occhi del dottore diventano improvvisamente lucidi, la sua mano si stacca definitivamente dalla mia sciarpa e vedo la sua testolina abbassarsi a fissare il pavimento.
“Vattene.”
“Cosa?”
“Ho detto vattene.”


Guardo Mary completamente smarrito, la quale era accorsa non appena aveva sentito le urla.
“Mary, io-“
“Ti prego, Sherlock. Fai come ti dice.”
In pochi secondi sono di nuovo fuori dalla dimora dei Watson e la pioggia inizia a scendere piano, bagnando la sigaretta che tento di fumare per calmarmi.
Ripercorro con la mente tutto ciò che è accaduto più e più volte, senza ottenere una spiegazione plausibile o comunque che possa minimamente convincermi e – non senza una buona dose di dolore – tutto ciò che riesco a sentire nella testa è quel vattene. Sherlock, vattene. Ma perché?
Guardo il cellulare: quattro chiamate perse, tutte da Lestrade. Decido di richiamare.
“Sherlock?”
“Al diavolo, ridammi il caso.”
“Sei impazzito?”
“No, solo annoiato.” Sì, annoiato come un cane abbandonato in autostrada.
“Ma tu avevi detto…”
“Non ti servo?”
“Sì, sì! Solo che…” Lestrade sbuffa, rassegnato. “Non ti capirò mai, non è così?”
“No… probabilmente no.”
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Un’intera notte di interrogatorio al marito idiota e tutto ciò ho potuto dedurre è che ha probabilmente fatto uso di droghe, saranno le analisi a dirci quali. Non ha mai confessato di averla uccisa da quando sono arrivato, eppure Anderson ha registrato l’interrogatorio di Lestrade in cui confessava di aver commesso il crimine ed effettivamente nessuno ha distorto o interpretato le sue parole, è una dichiarazione chiara e concisa. Teoricamente potrebbero già arrestarlo, ma vogliono la mia conferma.
Mentre Molly procede con le analisi continuo ad ascoltare la registrazione in loop, convinto di trovare la chiave all’interno di quelle parole così diverse da quelle rivolte al sottoscritto.
A volte mi distraggo, perdendomi nei miei dubbi riguardanti John Watson. Lui che è sempre stato un libro aperto per me, lui che c’è sempre stato, lui che…
Qualcosa nella registrazione fa scattare un campanello nella mia testa, bloccando il flusso di pensieri. Sento qualcosa ma non riesco a capirla, devo riascoltarla più e più volte.
La registrazione parte: Lestrade chiede se ha ucciso la donna, l’uomo ride e piange al contempo, facendo strani singhiozzi e suoni abbastanza incomprensibili dati dal delirio. Risponde: “L’ho uccisa io” per poi fare un altro suono incomprensibile ridacchiando e poi scoppiando a piangere di nuovo.
Aspetta, non è incomprensibile. Ha detto altro.
Ha detto “L’ho uccisa due volte”.

Beh… come immaginavo. Tutto ciò che dice non ha un senso, è evidentemente impazzito per via del tradimento subito e ora si rifiuta di credere di aver ucciso la moglie in quanto comunque innamorato di lei.
Un omicidio stupido per una storia d’amore stupida: bisogna essere degli idioti per lasciare che l’amore ti offuschi la mente.

“Cosa, Sherlock?” Molly è appena tornata.
“Mh?”
“Parlavi da solo. Cosa c’entra John con tutto questo?”
“Non ho mai parlato di John”
“…lo stavi facendo. In ogni caso dalle analisi non è risultato nulla.”
“Non cambia molto, alla fine l’analisi era una semplice prassi: drogato o no, delirava. Dovrò dire a Lestrade di arrestarlo immagino.” Gioco con una pallina da tennis, sbuffando. Mi sento così stupido, come ho fatto a sbagliarmi sugli stupefacenti?
In un certo senso speravo di trovare qualcosa che rendesse il caso interessante, qualcosa che tenesse quell’uomo fuori dalla lista dei condannati e me fuori dalla questione John ancora per un po’ di tempo. Mi sono illuso, che dire.
“Non così in fretta.” Dice lei, incerta.
“Sherlock… sono stata chiamata da Lestrade, ha detto di avvertirti riguardo un nuovo omicidio a 8 kilometri dal primo. È identico.”

Aggrotto le sopracciglia, non mi aspettavo una novità del genere – soprattutto, non in così poco tempo.

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