Crema e nocciola

di milla4
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pesche sciroppate ***
Capitolo 2: *** E così tutto finì ***
Capitolo 3: *** La fuga ***
Capitolo 4: *** La casa in fondo al bosco ***
Capitolo 5: *** Divisi ma uniti ***



Capitolo 1
*** Pesche sciroppate ***


- Adelfa ridammelo, ora! – con le mani cercava ripetutamente di afferrare il cappello tenuto in ostaggio dalla giovane ragazza seduta sul tappeto, accanto a lui la quale teneva saldamente in mano il bottino, con nessuna intenzione di restituirlo al legittimo proprietario. A un certo punto, si fermò - Come mi hai chiamata?-  era furiosa, Adam la conosceva ormai troppo bene per non capirlo, così, con aria colpevole, si mise in ginocchio giungendo le mani - Perdono, Deva, non la farò più-  Ecco le parole magiche!  Subito la ragazza si calmò e, con uno scatto fulmineo, si alzò in piedi – Ah… ah - scosse la testa - Stavolta non basta. Il mio perdono costa caro, mio piccolo Addy-  Deva sapeva fin troppo bene che lui non sopportava quel soprannome quanto lei odiava il suo nome.  Sorrise – Ti sfido a una gara di ciambelle - poi, lasciato cadere a terra il cappello, corse fuori dalla camera.
Adam sospirò e pigramente  si rialzò anche lui dal pavimento, con l’aria allegra di un condannato a morte scese le scale che conducevano alla cucina;  ogni volta che entrava in quella stanza provava sempre una sensazione di stordimento: quella cucina,  completa di strani elettrometrici all’ultima moda, mai usati, non era la sua cucina.
Toccò con le dita il ripiano in marmo e le fece strisciare fino al punto in cui trovò Deva intenta a tirare fuori  ogni genere di schifezza da un grande cassetto nascosto vicino al lavandino,  unica concessione fatta da Margaret ai due ragazzi.  - Marshmallow… orsetti gommosi, cioccolata… - cominciò a poggiare tutto sul tavolinetto alla sua destra finché, soddisfatta, aprì il frigorifero prendendo la panna e le pesche sciroppate.
- Ehi tu, vieni ad aiutarmi- si girò verso Adam fissandolo con uno sguardo interrogativo  - Eccomi, eccomi- Adam si mosse senza convinzione in direzione di Deva, ormai carica di quasi tutto il mangiare; sul tavolo era rimasto solo il contenitore delle pesche e qualche barretta così le prese e seguì la sorella fuori dalla cucina.
 
- Ce la fai?- chiese lui preoccupato, la scala della soffitta era molto ripida e Deva aveva preso talmente tanto cibo da non reggersi quasi in piedi – Si si Addy sono quasi in cima- Adam sbuffò, odiava quel ridicolo soprannome da orsetto giocattolo, gli ricordava il suo essere considerato da tutti dolce e mansueto, cosa che purtroppo era.
 
 
- Arrivata- Deva urlò e piano piano posò a terra tutte le leccornie infine, prese da un baule dei cuscini per lei e per Adam e vi si adagiò sopra, il fratello fece lo stesso così si ritrovarono entrambi per terra a fissare il soffitto.
Le loro teste si sfioravano e così i corti capelli color nocciola di lei si incontrarono ai riccioli di crema di lui, completandosi, mischiandosi come due palline  in una coppetta gelato. Nessuno che li conosca davvero potrebbe mai dubitare del loro essere fratelli eppure, a prima vista, erano gli opposti:  lei non molto alta, mora, con forse qualche chilo di troppo e lui alto, slanciato ma dal corpo ben poco virile per l’età che aveva, diciassette anni.
Quel luogo era ancora così magico, pieno di ricordi ognuno dei quali toccava delle corde del cuore, diverse per ognuno, se per Deva erano sentimenti di nostalgia, per Adam tutto gli ricordava il nuovo inizio avvenuto ormai molti anni prima, quando dopo quel tragico incidente, conobbe quella da quel giorno in poi divenne la sua famiglia.
Una lacrima gli rigò il viso, troppo dolore in una sola stanza ma per fortuna c’era lei,  Deva, il suo unico sostegno nella  grande casa vuota;   lei gli prese la mano, la strinse nella sua e insieme scrutarono lo spazio sopra di loro o meglio, la perfetta riproduzione che il signor Albert fece per loro un dì di nove anni prima, quando Adam, non riuscendo ad ambientarsi, si rifugiava ogni notte su, in soffitta dove spesso incontrava una piccola bambina di pochi mesi più grande di lui, la quale  scappava anche lei da un mondo ormai estraneo.
 Deva si ricordava quell’incontro, quando per la prima volta aveva conosciuto qualcuno che avesse le sue stesse paure.
 
- Allora, io me ne faccio una con marshmellow, miele e canditi.. tu?-  Deva si alzò di scatto e, con lo stesso furore di prima, cominciò a guarnire delle povere ciambelle messe in una scatola azzurrina;  Adam, che conosceva fin troppo bene quel gioco, rimanendo sdraiato rispose  - Cacao, orsetti, miele e… - batté sulle gambe per creare la giusta suspense – Pesche sciroppate!- 
Aspettava una sua risposta, sapeva che lei odiava essere battuta e che sicuramente avrebbe rialzato la posta … - Ma cos?  Adam e Adelfa Florence cosa diavolo state combinando nel mio nuovo studio?-
Una voce stridula ma potente attraversò la stanza: Margaret era entrata.
Subito i due si misero seduti, sull’attenti, sapendo ciò che li aspettava. La donna non deluse le loro aspettative – Non so cosa fare con voi, siete i rampolli di una delle famiglia più rispettabili della città, avete degli obblighi e invece di venire con me al circolo state qui ancora a fissare quell’inutile… coso - indicò il soffitto – Riempendovi di schifezze immonde le quali, soprattutto a te mia cara Adelfa, non aiutano affatto il controllo della linea-
Sbuffò esasperata - Io… io non so davvero cosa fare voi, ma tanto tra poco non sarete più un mio problema.. oh già- un ghignò le si disegno su quella perfetta bocca creata da un abile chirurgo, era falsa sia nell’anima che nel corpo.
- Su, su allora? Fuori di qui e… lasciate qui quelle schifezze, Natalia verrà poi a ripulire-  I due ragazzi si alzarono, i loro corpi erano dei rigidi tronchi che camminavano per inerzia, Adam intrecciò le sue dita con quelle della sorella, sapeva che sarebbe scoppiata da un momento all’altro e non voleva che accadesse davanti alla donna che odiava più al mondo.
 
 
Erano circa le undici del mattino, un sole caldo e accogliente splendeva in quella vallata di ricche case borghesi, con le loro piscine giganti e i giardini fin troppo curati; Deva era furibonda, l’aveva sbattuta fuori come un ospite indesiderato quando l’ultima arrivata era lei  - No… no … basta! Si è presa  la cucina, la mia macchina e non ho fiatato, papà era già troppo ansioso per il lavoro, ma… questo no!- Camminava avanti e indietro disegnando un tragitto circolare, Adam, nel frattempo, seduto su una panchina,  la osservava aspettando che si calmasse e  non poté non notare i suoi jeans scuciti in più puntim la sua maglietta nera e soprattutto, i suoi capelli sparpagliati nel vento ancora troppo corti, una delle sue ultime provocazioni contro Margaret. Sorrise.
- Beh, che hai da guardare?- Deva si era fermata davanti a lui, con aria infastidita - Stavo pensando ai tuoi capelli… Ti ricordi lo sguardo da matta di Mag?- La sorella, con sguardo fiero esclamò- Non sarei stata una buona figliastra se, nel giorno dell’ennesimo ritratto di famiglia, non mi fossi presentata con i capelli quasi rasati a zero- il suo volto si riannuvolò - Comunque ancora non capisco cosa ci farà lei con uno studio… Fa solo compere su compere, nient’altro-
- Bambini, è ora del pranzo-  Natalia, la loro governante, si precipitò fuori dalla porta a vetri che da sul giardino. Aveva l’aria autoritaria, come la sua Signora – Natalia? Sono solo le undici-  Rispose Adam, alzando gli occhi al cielo: avevano entrambi diciassette anni ma per lei ne avrebbero avuti sempre sei - E un quarto, signorino e la Signora ha un appuntamento a mezzogiorno quindi ora entrerete e mangerete-
Poi, con tutta fretta si rigirò portandosi dietro il suo nauseante e familiare odore di broccoletti lessi.
 
- Addy non ho fame ora, ti andrebbe di salire su in camera?-  Adam sospirò, ancora quel soprannome… - Ok! Ci sto!-
Deva si diresse pian piano verso l’entrata sul retro, dove Ernesto, il loro giardiniere riponeva gli attrezzi del mestiere, era quasi arrivata alla porta quando..- Cosa?? Lei mi dirà subito che fine hanno fatto i soldi sul mio conto!...  Mio marito… società in fallimento… troppi acquisti azzardati… debiti… casa- Deva non riusciva a capire molto bene, la voce arrivava a tratti ma il significato non poteva sfuggirle: erano nei guai.

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Capitolo 2
*** E così tutto finì ***


Era paralizzata, non un solo muscolo del suo corpo accennava a muoversi neanche dopo che Margaret aveva fatto la sua comparsa, aprendo la porta dietro cui si trovavano.
Non sentiva Adam che la incitava ad andarsene, non sentiva la matrigna urlare i consueti insulti, non sentiva. E basta.
Qualcosa comunque si mosse dentro di lei così, presa la mano del fratello, entrò in casa senza degnare di uno sguardo alla donna che non smetteva di parlare. Salirono nella stanza di Adam poi, con una spinta, chiuse la porta e urlò.
- Deva… tutto ok?- Adam le era accanto preoccupato, non l’aveva mai vista così… così… sconvolta.
 - La stiamo per perdere… capisci? Questa casa, l’unica cosa che ci renda una vera famiglia, non ci sarà più- un sussurro le uscì dalle labbra, si girò verso il ragazzo e aspettò una sua reazione, che non arrivò.
Adam la guardava in silenzio, non riusciva a crederci, non poteva crederci, stava per perdere tutto di nuovo ed era troppo.
Una lacrima gli scese sul viso ma repentinamente la scacciò con la mano: non doveva essere debole, non questa volta.
- La società è in fallimento, Margaret ne stava parlando prima la telefono mentre stavamo entrando…  ecco perché papà  è sempre al lavoro. Sospettavo qualcosa non posso negarlo, ma non di così grande -  Le parole le uscirono tutte di un fiato, atone, senza vita. Si gettò sul letto a baldacchino accanto a lei, si sentiva stanca, stanca di combattere.
Adam la seguì e nuovamente i loro capelli si mischiarono.
Per entrambi la notizia era sconvolgente non tanto per la casa in sé ma per cosa rappresentava: una fine e un inizio.
Erano lì incollati l’uno all’altra, le loro mani si sfioravano, i loro respiri erano armonizzati ma non le loro menti.

Adelfa… nome assurdo per chiunque ma non per sua madre, lei era orgogliosa delle sue origini italiane e quel nome, anche se pomposo, le faceva sentire più vicino quel paese dall’altra parte del mondo.
Erano simili Deva e sua madre, entrambe castane, entrambe forti, entrambe testarde; l’una clone dell’altra più grande, almeno finché il suo modello non sparì.
Sua madre l’aveva lasciata sola, abbandonata con quel padre che adorava alla follia, ma troppo occupato a lavorare per accorgersi di lei.
 
Istintivamente afferrò la mano di Adam e la strinse, forte.
 
Mesi bui furono quelli, il suo carattere già non facilissimo divenne ancora più duro, acido, nessuno osava avvicinarla, non voleva essere toccata.
Era vuota, come la casa; non piangeva, non era il tipo, mai nessuno o l’avrebbe amata così credeva.

  Un sorriso sghembo le rallegrò il viso.

Deva ancora si ricordava quel piccolo bambino che, in una delle tanti notti di solitudine, si era ritrovata davanti con gli occhi pieni di lacrime ed il cuscino sotto al braccio.
Non sapeva chi fosse né cosa ci facesse in casa sua, ma in quel momento sentì un dolore molto simile al suo provenire da lui,  e questo stranamente le bastò.
 
Adam ricambiò la stretta.
 
 In seguito il padre le spiegò la triste storia di quel ragazzino la cui madre, una giovane donna di famiglia borghese, era stata ripudiata dai genitori per via del bambino che portava in grembo;  ella allora, ormai sola, fece ogni genere di lavoro pur di provvedere al suo piccolo, era una donna forte e decisa che non si lasciava abbattere da un no. I traslochi erano all’ordine del giorno finché, un giorno, non capitò proprio nella loro cittadina.
Il padre le disse che la conobbe per via del suo lavoro come cameriera nel bar vicino al suo ufficio, divennero se non amici ottimi conoscenti. Purtroppo si ammalò, di una grave malattia.
Il destino non voleva vederla felice, le tolse tutto: la famiglia, il lavoro ed infine la salute, ma mai l’affetto di quel figlio per cui aveva sacrificato tutto. Ormai, vicina alla fine decise di affidare il suo più grande tesoro all’unica persona che le era rimasta: suo padre appunto. Non rifiutò.
 
 
Un rumore sordo li ridestò dai loro pensieri: Margaret era entrata.
- Ragazzi, devo comunicarvi una cosa assai sgradevole, vostro padre ha perso tutto: casa, società, tutto. Perfino i vostri soldi, quelli destinati per l’università - Sospirò con aria melodrammatica-  Non voglio mentirvi, né la casa ne la società verranno vendute, non sono così sprovveduta da lasciare la mia vita nelle mani di un uomo, ho… come dire… fatto dei buoni acquisti in borsa- Sorrise, per quello che il botox le permetteva di fare – E ora è tutto mio!- Urlò quasi di gioia.
I due la guardarono come spaesati, ancora non riuscivano a comprendere fino in fondo le parole uscite da quella bocca di plastica. Lei se ne accorse, così continuò:
- Riguardo a voi due- li indicò -  Certamente non potrete andare a quel campo estivo che tanto vi piace, ormai è troppo costoso! No, ho convinto vostro padre a mandarvi a uno dei collegi cui per tanto tempo feci beneficenza, il Saint Morell.
Credo che sia il luogo perfetto per voi, magari riusciranno a raddrizzarvi un po’. Domani mattina alle nove vostro padre vi accompagnerà-
Così, senza lasciare il tempo di una replica, uscì dalla stanza portandosi dentro un senso di rivalsa per tutto quel tempo sprecato ad accudire dei figli mai voluti.
 
Spenti, ecco cos’erano. Persino Deva non aveva risposto a quelle velate provocazioni, non ne era stata capace. Era tutto finito, avevano perso tutto.
 
Senza guardare il fratello uscì dalla stanza e si diresse nella sua. Non si parlarono per tutto il resto del giorno, non avevano molto da dirsi.

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Capitolo 3
*** La fuga ***


Il buio penetrava nella stanza, neanche la luna veniva a consolarlo. Adam era disteso sul letto aspettando la mattina della partenza, non era riuscito a prendere sonno e in cuor suo sapeva che nemmeno Deva stava dormendo.
Pensava e aspettava, mille ricordi lo tenevano sveglio, non voleva dormire, perdendosi così l’ultima notte nella sua casa.
Sapeva che non sarebbe più tornato, quel collegio sarebbe stato la sua nuova dimora, Margaret glielo aveva accennato dopo cena, le vacanze le avrebbero passate lì, non avrebbero mai più piede in quella casa. Tutto era stato già programmato, niente si poteva cambiare.
Sarebbero andati insieme, ma poi separati:  lei nel reparto femminile e lui in quello maschile.
Lei, che lo aveva sempre protetto, salvandolo da commenti dei bambini, dalle occhiate malevole delle dell loro madri, non sarebbe stata più con lui….
I pensieri scorrevano talmente impetuosi che non si accorse che la mattina era giunta. Il sole entrò nella stanza, ma non riuscì a scaldarlo con i suoi dolci raggi.
 Come un automa, Adam si alzò, si vestì e presi i pochi bagagli preparati la sera precedente, uscì dalla camera senza voltarsi indietro.
 
Deva era già pronta per uscire, le valigie accanto a lei sulla porta d’ingresso, non parlarono quando si incontrarono, non ce n’era bisogno.
Albert Florence li aspettava vicino alla macchina, lo sguardo pieno di apprensione- Ragazzi, mi dispiace… vorrei tenervi con me ma la situazione è grave, non credo di riuscire più a occuparmi di voi e…- Deva non lo lasciò finire, prese le valigie, le caricò nel portabagagli e si sedettedentro la macchina. Adam fece lo stesso. Erano troppo arrabbiati per poter anche solo parlare. Albert lo sapeva, non era giusto, ma li stava cacciando lo stesso.
 
Partirono.  Non fu un viaggio allegro, nella macchina un silenzio  come di morte li accompagnò, nessuno voleva parlare.
 
Non fecero soste, neanche per mangiare, Natalia aveva preparato dei panini, cosicché arrivarono prima del tramonto.
Albert spense la macchina – Ragazzi, ora dovremo proseguire a piedi- I ragazzi annuirono, poi presero ognuno il proprio bagaglio e camminarono dietro la loro guida. Un’immensa radura si aprì di fronte a loro, non avevano mai visto una così grande quantità di alberi, di animali, di vita.
Erano tanto estasiati quanto tristi lo furono alla vista della loro nuova casa: un enorme maniero in evidente stato di decadenza.
Era quasi buio quando arrivarono, ma certamente questo non impedì loro di vedere le mura scrostrate, le finestre con le grate appuntite, ma  soprattutto la mancanza di vita che quel luogo emanava.
Una piccola donna si avvicinò con passo svelto – Voi siete i ragazzi Florence nevvero? La signora Margaret mi ha già avvertito di tutto… Ho fatto preparare le vostre camere…Ah, che cara donna, quella!- Per un attimo sembrò essersi persa nei suoi pensieri, quando - Io sono la signorina Carpe, insegnante di letteratura inglese e coordinatrice delle matricole, vi prego di seguirmi- cosi si rigirò e cominciò a camminare.
-Bene, credo che sia ora si separarci…- Albert non sapeva cosa dire ai suoi due figlioli, tutto sembrava talmente scontato… Fortunatamente fu Deva a prendere l’iniziativa cominciando a seguire la donna.
Adam era più titubante, lo guardò con gli occhi tristi per l’ennesimo abbandono, ma non emise un suono, poco dopo raggiunse la sorella.
 
 
Niente avrebbe potuto prepararli a quello spettacolo: muffa, polvere e scarafaggi si annidavano in ogni angolo di quell’enorme magione, ogni mobile era coperto di sporcizia, sembrava che nessuno mai li avesse toccati.
La signorina Carpe era di fronte a loro, li scrutava con severità - So tutto di voi. So che siete dei piccoli delinquenti e che la Signora Margaret vi ha spediti qui per cercare di farvi rigare dritto. Bene questo è il posto giusto- Fissò Deva- Tu, Sali le scale poi gira a sinistra, li sarà il dormitorio delle ragazze.  Comincia a salire, io intanto accompagnò tuo fratello-
Non era una domanda quella, non attendeva una replica. Semplicemente fece cenno ad Adam di seguirla. Lui lo fece.
Deva, nel frattempo, aveva raccolto i suoi bagagli e si era incamminata verso il dormitorio delle ragazze. Non provava più nulla, era morta dentro. Persino il fatto che Adam non l’avesse nemmeno salutata prima di andarsene, l’aveva toccata. Ormai sentiva che niente sarebbe migliorato, quindi si aspettava solo il peggio dalla vita.
Era arrivata di fronte alla porta. Stava per entrare quando una mano le si posò sulla spalla.
Riconobbe il tocco e sorrise.
 
 
 
Erano fuori al buoi, in un posto  sconosciuto, infido e maleodorante, ma insieme e questo era quello che contava. – Non credo di resistere qui… da sola… Tra poco dovremo rientrare- La voce di Deva era incrinata per il pianto a cui si era lasciata andare per la prima volta dopo anni, la sua maschera di forza era stata frantumataì, ora era lei quella in difficoltà. Adam per nulla scoraggiato le sussurrò poche parole, ma di grande effetto - Torniamo a casa-. Lei non rispose.
Le prese la mano e la guidò fin dentro il bosco.
Erano riusciti a non farsi scoprire uscendo di nascosto, non poteva perdere quell’occasione.
Cominciò a correre, Deva lo seguiva senza domandarsi perché, sembrava che Adam non avesse una meta precisa ma non le importava, voleva solo andarsene.
Pian piano che avanzavano si rese conto che il fratello non stava semplicemente correndo, stava seguendo un tragitto tracciato da lui stesso. Piccoli sassolini bianchi si rincorrevano l’uno dopo l’altro a distanza di pochi metri, dando loro possibilità di non rimanere intrappolati in quella selva oscura.
 
Dopo circa un’ora sbucarono nello stesso luogo dove il padre aveva precedentemente lasciato l’auto. Ora il posto era vuoto.
 - Ok, ho dei soldi in tasca… Chiamiamo un taxi…!- Deva, come svegliatasi da una trance, decise di prendere in mano lei la situazione. Raggiunse una cabina telefonica li vicino, compose il numero e dopo aver parlato con l’operatore, raggiunse il fratello.
Strana situazione la loro, dei fuggitivi da una prigione immeritata.
 Erano vicini dopo un giorno intero di indifferenza, loro che vivevano in simbiosi, si erano evitati pe un giorno intero.
 
Il taxi arrivò e l’autista non fece domande, avevano pagato con solerzia lasciando una grande mancia. Non gli interessava la vita di due sconosciuti.
Si addormentarono e solo a pochi metri dalla loro vecchia casa si svegliarono.
 
Scesero dalla vettura e sorridenti entrarono in casa.
Margaret, avvisata dalla domestica, li raggiunse poco dopo  e li fulminò con lo sguardo- Cosa ci fate voi qui?- Era furiosa, i suoi capelli perfettamente cotonati la facevano sembrare un leone pronto per l’attacco finale alla sua preda – Ho chiesto cosa fate qui?- -Siamo tornati per rimanere- Poche semplice parole uscite dalla bocca di Deva la fecero quasi impazzire dalla rabbia, ma poi improvvisamente si calmò - Vi avevo sottovalutato… bene, stasera potrete rimanere qui ma domani rientrerete al collegio e non ritornerete mai e poi mai più, è una promessa-  

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Capitolo 4
*** La casa in fondo al bosco ***


Sentì solo delle parole sconnesse e lontane, era riuscita a comprendere “signorina Carpe”. Margaret li avevi costretti ad andare ognuno nelle proprie stanze, chiudendoli poi a chiave. Quelle briciole di parole le aveva rubate attaccandosi con l’ orecchio alla porta.
Sarebbero tornati lì ma questa volta era diverso, potevano fuggire, ce l’avevano fatta… un gorgoglìo la riportò alla realtà: non aveva cenato e il suo stomaco cominciò a protestare.
 Non potendo fare altro, si sdraio nel suo letto.
 
Sapeva che Adam stava pensando le stesse cose, lo sentiva dentro sé ed era confortante non essere soli. Non erano stati sconfitti, solo momentaneamente fatti prigionieri. Serena per quel futuro ormai non più così grigio si addormentò.
 
Era l’alba quando Natalia la svegliò, le aveva portato la colazione a letto, ma era triste , con fatica riusciva a trattenere le lacrime apparse in quei suoi grandi occhi color del mare – Signorina Adelfa, questo è un addio… Io… Io non lavorerò più per la sua famiglia-  Deva era esterrefatta, mai le aveva portato la colazione fin su un camera ma soprattutto, mai avevano avuto quel genere di confidenza- Cos’è successo?- Chiese.
La donna non riuscì più a trattenersi e si lasciò andare in un pianto- La sign…la strega mi ha cacciato! Ha detto che spreca troppi soldi per il mio stipendio e che non ha più bisogno di me.-
Deva non riusciva a capire cos’avesse portato Margaret a fare ciò: in fondo Natalia era stata lei stessa a portarla in casa, l’aveva servita con dedizione senza mai lamentarsi delle parole non molto gentili che la padrona spesso le rivolgeva, senza mai chiedere un giorno di ferie…
-Ma se ha lei in mano la società, come può non avere i soldi per mantenerti…- sussurrò quella frase, non era sua intenzione farla uscire fuori dalla sua bocca, ma ormai il danno era fatto. Natalia felice di poter sparlare del suo ormai ex datore di lavoro, prese quello di Deva come un invito a parlare – In realtà non ha un soldo in banca, ha speso tutto per acquistare la casa e il resto, ma non è brava come Suo padre nel dirigerla, ora rischia seriamente di perdere tutto- un sorriso a trentadue denti le spuntò sulla faccia, la sua vendetta era compiuta. –Bene, puoi andare Natalia e… grazie- Deva le sorrise a sua volta e vide la donna uscire dalla stanza con passo soddisfatto.
Doveva dirlo ad Adam ma quando? E come?
 Si alzò dal letto e si vestì con i pochi abiti che aveva lasciato prima di partire poi, scese le scale di gran fretta incontrò proprio la persona che mai avrebbe voluto rivedere: la signorina Carpe era lì.
- Adelfa cara, vedo che i timori di Margaret non erano infondati, sei davvero un problema- si rivolse alla ragazza inviandole delle occhiate truci, poi come se nulla fosse cambiò radicalmente espressione, rivolgendosi alla matrigna – Non si preoccupi, sistemeremo tutto noi-  Deva si ritrovò delle mani che di peso la trascinarono fino alla macchina scassata del collegio. Fu costretta a salire, ma non vide Adam.
Si guardò intorno come un animale in gabbia ma nulla, non c’era.
La signorina Carpe le si sedette accanto nella parte anteriore della macchina; Deva non potè trattenersi dall’osservare il suo cadente viso tondo, i suoi occhi color della pioggia, grigi e freddi, come il posto dove viveva, alla fine le aveva assorbito l’anima
 
Non ci volle molto tempo, ormai conosceva la strada e non le sembrava più così lunga. La fecero scendere e datele i suoi bagagli, la spinsero nel bosco. Era terrorizzata, dov’era Adam? Cosa gli aveva fatto quella megera? Ogni tanto si fermava per guardarsi attorno ma subito una mano la spingeva in avanti per costringerla a continuare.
Molte spinte dopo davanti alla porta del collegio  –Ora tu andrai direttamente in camera, non farai nessuna sosta, Greta si assicurerà che non incontri nessuno- la voce della signorina Carpe era imperiosa – No, io non andrò da nessuna parte senza Adam, io…- Non poté controbattere: Greta, la donna incaricata, l’aveva presa per un braccio e la stava trascinando su per l’enorme scalinata he portava al suo dormitorio, poi la spinse dentro chiudendola, per la seconda volta in due giorni, dentro una stanza.
 
 
 
Letti, oltre cento letti a castello ammucchiati in una minuscola stanza, Deva lo aveva capito fin da subito che quel posto non le sarebbe mai piaciuto ma certo non si aspettava dei topi che, indisturbati, camminavano sopra i letti o –Oddio!- non poteva crederci: dei vasi da notte… quindi l’acqua corrente non c’era in quel posto?
 
Non voleva sdraiarsi in quel letto che le era stato assegnato, non dopo aver sentito l’odore immondo provenire da sotto di esso. Rimase in piedi sola, in pensiero per quel suo fratello a cui non aveva potuto nemmeno dire addio.
 
- Toc…Toc… Toc…-  strani rumori provenivano dalla finestra - Toc…Toc… Toc…-  Non voleva avvicinarsi, forse era un topo o uno scarafaggio o ..il suono persisteva così, preso coraggio, si avvicinò e lo vide: Adam era lì sotto, non sapeva come avese fatto ma era riuscito a scappare.
Le fece dei gesti e subito lei capì cosa intendesse dirle: Vieni via… ma come se le finestre erano sbarrate! Delle stupide grate le impedivano di ricongiungersi con l’unica persona che le rimaneva al mondo!
 
Le indicò la finestra sull’angolo destro della camera e capì: la grata era stata divelta e mai nessuno l’aveva aggiustata. Non si fece pregare, uscì dalla finestra e con salto raggiunse Adam, non era così alto dopotutto.
 
Un abbraccio lungo quanto una vita, un abbraccio dai mille sapori, colori, parole. Durò poco, non potevano permettersi il lusso di farsi scoprire.
-Dov’eri? Come hai fatto? –  -Shhh- le fece lui, non era il momento di parlare quello.
 
Acquattatisi per terra raggiunsero nuovamente il sentiero nel bosco – Mi hanno riportato ieri era, volevo urlare per avvisarti, ma avevo paura per te…  non puoi capire, una notte d’inferno! Il cibo è scarso e l’igiene…semplicemente non c’è- spiegava di fetta, erano più di dodici ore che non parlava con qualcuno e la cosa lo stava uccidendo - ..poi, stasera vidi un buco nella sorveglianza: poco prima che finissero le lezioni una delle guardie, Greta mi pare si chiami, l’ho vista molto… presa da Stuart, il mio aguzzino personale, ecco… così sono riuscito a scappare- Le posò le mani sulle spalle- Mi sei mancata-
- Su, su sentimentalone dobbiamo andare- Deva era imbarazzata, il loto affetto non era mai stato espresso a parole prima d’ora, non era abituata - C’è un problema, prima di entrare né sentiero mi hanno svuotato le tasche, sono riuscito solo a gettare dei pezzi di pane ma non so se sono rimasti-  -Proviamo! – Deva avrebbe provato di tutto pur di scappare.
 
All’inizio fu semplice, la strada era tracciata, dopo un centinaio di metri, però la cosa si fece più complicata, del pane non c’era traccia così furono costretti ad arrangiarsi.
Seguirono il loro istinto, ma evidentemente non era così affinato come credevano perché si ritrovarono davanti una casa e non una strada.
Erano stanchi e affamati, non si erano fermati mai in quella lunga notte, troppa era la paura di essere presi.
- D- dove siamo?- già da alcune ore era Deva ad aver preso il comando, il fratello a malapena si reggeva in piedi, non poteva certo guidarli fuori di lì- C’è un casa, avviniamoci-

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Capitolo 5
*** Divisi ma uniti ***


Strana abitazione quella che si ritrovarono davanti, una perfetta villa di campagna dentro un fitto bosco!
Deva fece sedere il fratello lì vicino poi, con cautela, si avvicinò: un dolce profumo di dolci le sconvolse i sensi, sembravano secoli che non consumava un pasto. Mille e più dolci erano disposti in piattini dall’aria invitante, ricoprivano l’intera balconata. Presa dalla fame, non resistette dall’agguantare una crostata messa raffreddare sul davanzale. Crostata di more, la sua preferita... tutto il suo corpo era  in estasi, non poteva far altro che mangiare e mangiare e… - Oh cielo! Tutto bene?- Un’ anziana signora uscì dalla porta d’ingresso, il suo viso reso ruvido dagli anni aveva un ‘espressioni preoccupata.
Deva era impietrita: cosa aveva fatto? L’avrebbe sicuramente riconsegnata al collegio…
 stava per parlare con la bocca ancora piena di quella deliziosa marmellata quando – Mi scusi signora, eravamo in campeggio con degli amici e ci siamo persi, è da due giorni che non mangiamo e...- Adam il salvatore! Era cosi presa dall’abbuffarsi che non sia accorta che il fratello l’aveva raggiunta per poi salvarla in extremis.
-Oh no, no entrate! Cosa fate ancora li fuori? Avanti!- i due su guardarono, non sapevano nulla di quella donna ma non riuscivamo a non darle fiducia.
Li fece accomodare nel salotto, su un divano ancora coperto dallo strato di plastica che l’avvolgeva al momento della consegna.
La casa era come la proprietaria: dolce e accogliente, il colore rosa predominava su tutto, dalle pareti nei cuscini, persino sulle porte.
 Non doveva avere molti visitatori, sembrava molto sola.
- Bene bene, voi aspettatemi qui, vi porto subito un the bello caldo- I due sorrisero, non sapevano come comportarsi di fronte a tanta gentilezza.
 
Rimasero soli in quella piccola casa color del tramonto, ricca di pupazzi e di… dolci - Strana cosa – pensò Deva. In ogni angolo del salotto c’erano torte, bignè, biscotti e ogni genere di bontà che si possa desiderare.
- Ecco qui ragazzi!  Vi ho portato un bel piatto di biscotti, voi giovanotti dovete crescere!- Adam non se lo fece ripetere due volte, afferrò i dolci e cominciò a divorarli: in fondo lui era l’unico a non aver ancora toccato cibo. Deva, prese anche lei un biscotto, ma qualcosa la distrasse; la donna stava fissando con eccessiva attenzione la mano che portava il cibo nella bocca di Adam, quasi ne fosse ipnotizzata.
Subito ricaccio il pensiero: vedeva stranezze ovunque, anche in una solitaria vecchietta che li aveva fatti entrare in casa, senza nemmeno sapere chi fossero.
Qualcos’altro  catturò, però, la sua attenzione: dalla finestra di fronte a lei, dove  poco prima aveva rubato la crostata, vide che un forte vento si era alzato il quale,  facendo muovere gli enormi rami degli alberi, li faceva sbattere contro la finestra ma… non producevano rumore, come se  dentro quella casa fossero isolati.
- Oh che caro ragazzo, ti potrei chiedere un favore? Di là, in cucina, ho un barattolo che proprio non riesco a ad aprire… mi potresti aiutare?- - Certo, signora- Adam posò i biscotti che ancora non aveva avuto il tempo di mangiare e la seguì nella camera a fianco.
 
Passarono i minuti e Deva non lo vide rientrare, cosa sarà successo mai?
Un urlo: era lui. Subito si alzò, facendo rovesciare il tavolinetto con il servizio da the, si precipitò nella cucina quando… il buio.
 
Non ricordava nulla di quei momenti, solo un qualcosa che le tratteneva la gamba. – Ben svegliata signorinella- Un ghignò fu la prima cosa che vide, era comparso al posto del sorriso affabile prima presente sul volto dell’anziana donna.
I candidi e vaporosi capelli lasciarono il posto a dei piccoli ricci color della notte, ma quello che la sorprese di più furono gli occhi: due fessure nere. Senz’anima.
- Mi aveva detto che saresti accorsa se avesse urlato, ma credevo esagerasse- si portò una manso sul petto- io sono Meala, una strega mangiabambini, e tuo fratello sarà il mio prossimo prasto-  Rise, rise di gusto.
-Beh, siete un po’ cresciutelli, ma di questi tempi bisogna accontentarsi-  Rise ancora poi uscì dalla stanza.
Tum…tum… tum.. il cuore batteva sempre più piano, la testa le pulsava, le viscere le si erano attorcigliate: l’aveva tradita.  Adam, suo fratello, sua unica ragione di vita, l’aveva tradita!
Rigettò improvvisamente quella crostata: le sembrò un veleno, pronto ad ucciderla.
 
-Deva…- una voce familiare la chiamò, veniva da una gabbia che penzolava sopra la sua testa.
Non rispose, non avrebbe mai più voluto sentirla, per lei era morto.
- Mi dispiace, mi ha mostrato la mamma… lei…mi ha detto che poteva riportarla da me e..-
- Zitto e mangia-  Maela era ritornata portando con sé un piatto colmo di pasta, lo posò nella parte più bassa della gabbia. –Tu pulirai e preparerai il cibo per il tuo fratellino- indicò Deva – E bada bene, non cercare di scappare, la catena è magica, non si spezzerebbe neanche con un’ ascia. Solo allora la ragazza capì cos’era quella cosa che le stritolava la gamba, una catena che però lei non poteva vedere ma che sentì fin troppo bene.
 
Li lasciò soli, Adam mangiò il suo pasto, non poteva fare altrimenti mente Deva cucinava, lei che non aveva mai preparato neanche un uovo sodo improvvisamente si scoprì in grado di cucinare dei gustosi manicaretti.
Lo odiava, con tutta se stessa, non avrebbe mai dovuto farlo, non a lei. Era così sbagliato il tutto, quella megera, quella strega, quell’essere aveva spezzato una delle cose più belle che nella usa vita avesse mai avuto. E non poté perdonarla.
 
Passarono i giorni, Deva cucinava e lui mangiava, inghiottiva a forza quel cibo che ormai gli dava la nausea. Lo faceva per lei, sentiva che era un modo per espiare la sua colpa immane. Sapeva di averla ferita come mai nessun alto aveva fatto, nemmeno sua madre, nemmeno Margaret l’avevano tradita in quel modo così subdolo, giocando sui suoi sentimenti. Ma cosa poteva fare? Era stato un ingenuo, ma chiunque ci sarebbe cascato.
Adam mangiava…mangiava perché sapeva che l’aveva persa e vivere senza lei non era possibile.
Quando la strega tornava egli mostrava un osso di pollo striminzito, aveva cominciato non per sua volontà era stato il suo io più nascosto a farlo, voleva ritardare l’inevitabile.
Una volta che la strega se ne era andata, ritornava ai suoi pensieri, al suo osservare Deva che cucinava per lui, per vederlo morire.
 
 
- Su forza alzati- Un calcio nello stomaco la svegliò - Tuo fratello non è ancora abbastanza gustoso per i miei gusti, ma mi andrà bene lo stesso.  Vai a  sentire se il pasticcio nel forno è pronto- Ecco, è arrivata, l’occasione che assettava era finalmente giunta, doveva dolo giocarsela nel modo giusto- Malea… io non sono capace e…-
-Oh, la principessina non è capace- le fece eco la strega- Bene, guarda come si fa-
Maela si sporse nel forno, aveva con sé una forchetta per controllare l’impasto, quando qualcosa la spinse dentro, la porta del forno si chiuse e lei rimase intrappolata.
 
Urla di dolore si sentirono in quella vecchia cucina, ma né Deva né Adam ne rimasero impressionati, erano in una situazione di stallo. La catena era scomparsa insieme con le grida, segno che l’incantesimo era rotto.
 
L’avrebbe lasciato lì a marcire in quella gabbia? No, non poteva farlo, in fondo gli aveva voluto bene, era stato per troppo tempo il centro del suo mondo e ora sarebbe stata un’ipocrita a lasciarlo li.
Prese un coltello dal tavolo e riuscì, con difficoltà, ad aprire il lucchetto apposto sull’apertura, poi uscì dalla stanza.
Non voleva vederlo né parlarci, il suo dovere l’aveva fatto.
Adam si butto giù, dopo girni che non camminava il suo corpo si era notevolmente indebolito, con fatica si diresse anche lui fuori dal luogo della sua prigionia. Aveva la nausea, ma voleva uscire da lì, un ultimo sforzo e… pietre giganti gli si pararono davanti: zaffiri, diamanti, rubini; ogni dolce si era tramutato in un oggetto prezioso. Deva si era già riempita le tasche e lo stesso fece lui. Prendeva, arraffava le sue mani erano ingorde, non riusciva a fermarsi.
-Andiamo.- Deva era quasi oltre la porta d’ingresso, quella era la pria parola che rivolse da ormai una settimana, doveva esserle costato molto. Decise di andarsene, era talmente carico che a malapena riusciva a camminare.
 
Era quasi notte, l’aria fresca e umida era per dei prigionieri un regalo inestimabile.
Camminarono uno di fianco all’antro ma divisi, erano due estranei ormai.
Deva aveva la caviglia sanguinante per la l’incatenamento forzato, ma non ci faceva caso, il dolore quasi non lo sentiva.
Quando entrarono nel bosco era notte fonda, le stelle sopra le loro teste disegnavano un mosaico splendente.
 Deva si lasciò cadere a terra, Adam la raggiunse preoccupato- Per un’ultima volta- e lui capì, si sdraiò accanto a lei e insieme ammirarono il cielo stellato. Forse per l’ultima volta crema e nocciola si incontrarono, fondendosi l’una con l’altra. –Possiamo ricomprare tutto, abbiamo i soldi-  Adam si girò per guardarla – Margaret non può mantenere più né la casa né l’azienda, finirà per svendere tutto-
Adam cercò un contatto con il braccio che prontamente Deva evitò- Se vuoi potrai rimanere con noi, ma non aspettarti che ti consideri ancora mio fratello… non ora almeno, forse con il tempo…- .
Parole dure quelle di Deva, che lasciarono il ragazzo sconvolto, si sentiva annegare, gli mancava l’aria, l’unico salvagente era quel “forse” e in quel momento gli bastava.

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