Pictures

di Sonomi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima ***
Capitolo 2: *** Parte seconda ***
Capitolo 3: *** Parte terza ***
Capitolo 4: *** Parte quarta ***
Capitolo 5: *** Parte quinta ***
Capitolo 6: *** Parte sesta ***
Capitolo 7: *** Parte settima ***
Capitolo 8: *** Parte ottava ***
Capitolo 9: *** Parte nona ***
Capitolo 10: *** Parte decima ***



Capitolo 1
*** Parte prima ***


Sonomi's home:
Hola. Ebbene si, sono tornata. Non riesco a stare distante da questo fandom, avevo bisogno di tornare a scrivere qualcosa e mi sono detta "diamoci da fare!". Ho deciso di buttarmi in un'altra minilong, sarà lunga come Al di là della Magia più o meno, e... insomma, non so da dove mi sia uscita questa trama. Le cose più improbabili le trovo io ahaha! Che dire, spero che anche questa storia, così come la prima che ho fatto qui, vi piaccia. 
Lasciate un commentino se vi vaaa ^-^ mi renderebbe felice :3



 
PARTE PRIMA


 
-Jace, ti voglio più convincente. Non siamo a una festa di compleanno, questo è un servizio per Vogue
Le parole di Alexander Gideon Lightwood suonarono serie, seppur mantenendo una certa sfumatura di divertimento. Guardava con gli occhi straordinariamente blu il migliore amico, nonché fratellastro, dallo schermo della macchina fotografica, cercando di mettere a fuoco quali fossero le espressioni facciali che non lo convincevano in Jace. Forse era troppo esigente, forse no, ma se doveva fare un lavoro pretendeva che uscisse fuori nel miglior modo possibile. Non sopportava le cose fatte per metà.
-Come potrei essere più convincente di così? Io sono sempre convincente-
-Indossi un gilet senza maglietta, ci vuole uno sguardo accattivante, non da ragazzino per bene!-
-Espressione da pornodivo? Bastava chiedere-
Alec scosse la testa e vide Jace sorridere sotto i capelli biondicci, spettinati per l‘occasione. Cercare di lavorare seriamente con lui era come sperare nella buona sorte al gioco della bottiglia. Jace era un eterno bambino sotto certi punti di vista, ma Alec lo adorava anche per quello. E poi era uno dei suoi modelli di punta.
-Il sorriso che hai appena fatto andava bene, fratellino. Facciamone ancora due poi puoi staccare- lo ignorò alla fine Alec, riaccostandosi alla macchina fotografica e aspettando che il biondo si rimettesse in posa. Lo osservò infilare le mani nelle tasche dei pantaloni neri, guardò le curve delle braccia, come i muscoli si tendevano, per poi controllare lo sguardo del fratello. Scattò tre foto, regolando in maniera diversa l’obiettivo, per poi allontanasi di nuovo dalla fotocamera e fare segno a Jace si andarsi a cambiare. 
Quando avesse deciso di diventare un fotografo Alexander non sapeva dirlo. Un giorno si era ritrovato a un corso di fotografia per pura noia (aveva appena terminato l’università di Lettere Moderne, e in quel campo il lavoro scarseggiava), e quel mondo lo aveva affascinato a tal punto da iniziare a seguire corsi su corsi, prendendo certificazioni in diversi campi. A soli venticinque anni era diventato uno dei fotografi più ricercati di New York, soprattutto da grandi testate di moda come Vogue o Cosmopolitan. Effettivamente, nessuno da lui si aspettava un simile successo, in primis lui stesso: non aveva un carattere esuberante, tipico degli eccentrici fotografi di moda, non amava gli eventi mondani (cercava di evitarne il più possibile), odiava le interviste e preferiva tornarsene a casa a leggere un libro la sera, dopo un lungo servizio, piuttosto che andare a festeggiare con i modelli. Era tutto fuorché il classico fotografo di successo newyorkese. 
Con quei pensieri per la testa Alec si sedette sulla sua personalissima sedia, passandosi una mano fra i capelli corvini, guardando Isabelle correre nella sua direzione con un sorriso a trentadue denti.
-Sono arrivate le foto di Jace sul pc, i direttori di Vogue impazziranno!-
Alec sorrise. -Come sempre. Mi chiedono continuamente di lui ogni volta che hanno bisogno di un modello biondo-
Isabelle era sua sorella, poco più piccola di lui, e da quando aveva iniziato a lavorare nel settore aveva preteso di essere la truccatrice del suo staff. Ma era bravissima dopotutto, per cui Alec non aveva motivo di lamentarsi. 
-A proposito, mezz’ora fa mi ha chiamata la redazione di Vanity Fair. Vorrebbero sapere se prossima settimana saresti disposto a fare un servizio per loro. Modello: Jace- 
Come ormai aveva d’abitudine, Alec fece mente locale di tutti gli impegni che lo attendevano, figurandosi davanti agli occhi la sua agenda. Lunedì aveva due interviste, quella correlata al servizio di Vogue appena terminato e una per una rivista online di cui non ricordava nemmeno il nome; il martedì doveva recarsi a Los Angeles per fare un servizio con un altro fotografo (di cui anche in quel caso non ricordava il nome) e quel lavoro gli avrebbe occupato anche il mercoledì; giovedì..
-Digli che sono disponibile giovedì e venerdì- concluse alla fine il moro scattando in piedi, mentre Isabelle passava da un’espressione felice a una palesemente seccata.
-Alec, abbiamo la cena con mamma e papà giovedì sera..-
-Lo so-. Alec non battè ciglio. -Per questo ti chiedo di chiamare Vanity e confermare per quel giorno-
-Non puoi continuare così, lo sai?-
Se c’era una cosa che Alexander odiava era sentirsi fare la predica da sua sorella, e lei lo sapeva benissimo. Nonostante tutto, quello non riusciva a trattenerla dal lasciare commenti a volte poco piacevoli sul comportamento che lui aveva nei riguardi dei propri genitori, senza successo poi. Alec era entrato in rotta di collisione con la propria famiglia circa due anni prima, quando aveva deciso di intraprendere la carriera di fotografo. Inutile dire che a suo padre la cosa non fosse andata giù: aveva accusato Alec di voler svolgere un lavoro poco consono alla “dignità della famiglia”, un lavoro che lo avrebbe portato su una brutta strada, un lavoro da gay. Ed era proprio questo il punto. Alec era gay. E non aveva intenzione di avvicinarsi più a suo padre dopo tutte quelle parole piene di astio che si era sentito rivolgere. 
-Non importa Izzy. Chiama Vanity, fissa quell’appuntamento-
-E Jace? Non pensi che dovresti chiedere a lui, prima?-. Isabelle sembrava spazientita.
-Chiedermi cosa?- 
Jace spuntò alle spalle di Alec come un fantasma, vestito di tutto punto. Senza gel i suoi capelli erano ancora più disordinati.
-Vanity ci ha richiesti. Ho detto a Iz di mettere disponibilità per giovedì e venerdì-
-Come scusa per saltare la cena?-. Jace fece un sorrisetto sbilenco.
-Ti va bene?-
-Ok- affermò il biondo, e Isabelle sospirò. -Non che io abbia molta voglia di vedere Maryse e Robert- 
-Finiranno per diseredarvi!- sbraitò la ragazza e Jace sorrise di nuovo, con quella dannata faccia da schiaffi che si ritrovava. 


Una settimana dopo, giovedì mattina. 

-Jace, dimmi che stai scherzando-
Alec non aveva mai sentito la propria voce così arrabbiata in venticinque anni della sua vita. Camminava avanti e indietro nello studio fotografico di Vanity Fair, dove tutto il suo staff e quello del giornale si stavano mettendo in moto in attesa che Jace arrivasse. 
Peccato che Jace, a quanto pareva, non sarebbe arrivato.
-38,5 di febbre, non riesco nemmeno ad alzarmi dal letto..-
Il biondo tossì dall’altra parte del telefono ed Alec fece una smorfia.
-Ti avrò ripetuto mille volte di stare attento a non prendere freddo prima di un servizio, razza di sconsiderato! Cosa dovrei fare adesso?!- sibilò il moro sedendosi sulla propria sedia. -Dovrei dire a Vanity che non si fa più nulla?-
-Oh andiamo Alec, vuoi dirmi che Vanity non ha dei modelli di punta da offrirti?- altro colpo di tosse. -Mi dispiace, dico davvero. Ora va a domandare e chiedi scusa da parte mia-
Alec non rispose nemmeno a quel commento del fratello, e chiuse la chiamata senza salutare. Guardò con espressione tesa i tecnici montare le luci e disporre le varie fotocamere, sistemare la connessione ai computer, e un moto di puro sconforto lo colse. Per la prima volta nella sua carriera, seppur breve, avrebbe dovuto chiedere l’ausilio di modelli che non fossero i suoi. 
Con un sospiro di sconforto si diresse a passo svelto oltre la porta dello studio gettandosi nei corridoi della redazione alla ricerca disperata del direttore, fino a quando l’ufficio di quest’ultimo non apparve sotto i suoi occhi. Bussò due volte, e attese. 
-Prego!-
Alec aprì la porta silenziosamente, e lo sguardo simpatico dell’uomo dietro la scrivania lo tranquillizzò di colpo. Sembrava disponibile per lo meno, o forse quell’aria era data dalle guance paffutelle, ma aveva una speranza di non farsi fare una scenata. 
-Oh, signor Lightwood, che piacere. Spero che non ci siano problemi di sotto con i miei ragazzi, è tutto ok?-
-No, signore. Non c’è niente di “ok”-. Alec si stupì del suo esordio. -Non è per colpa dei suoi ragazzi, ma del mio modello- spiegò. 
-Cosa è successo?-
-Febbre alta, non può venire al servizio-
Il direttore spalancò le palpebre tanto che Alec temette di veder cascare sulla scrivania i bulbi oculari, e si portò le mani sotto il mento con espressione contrita. Il moro lo fissava in silenzio.
-Questo è un bel problema- annunciò.
-L’unica soluzione è affidarmi uno dei vostri modelli, se fosse possibile-
L’uomo paffuto sospirò, sistemando la targhetta con scritto “Mr. Thompson” sopra (ah, si chiamava così), e prese fra le dita una piccola agenda dall’aria vissuta. 
-Sa signor Lightwood, c’è un motivo per cui abbiamo richiesto la presenza del suo Herondale per questo servizio- iniziò il direttore continuando a cercare fra le pagine. -E tale motivazione è la seguente: il modello di punta della mia rivista, in teoria, è in ferie-
-Come?-
-Già. In ferie, vacanza, per almeno due settimane. Dovrebbe partire oggi stesso per le Hawaii-
Alec si abbandonò sulla sedia di fronte alla scrivania e si infilò una mano fra i capelli. L’uomo al contempo lo guardava con una faccia tale da sembrare sia spaventato sia arrabbiato.
-E altri modelli non ne avete?-
-Questo servizio è troppo importante per un modello qualunque, signor Lightwood. Per questo avevo chiesto di Jace, era un valido sostituto del mio- spiegò Thompson. 
L’aria della stanza sembrò farsi quasi irrespirabile. Solo in quel momento Alec si rese conto di come fosse fatto quell’ufficio e, diamine, era la cosa più strana che avesse mai visto: la scrivania del direttore era a forma di V, alle spalle dell’uomo c’erano una trentina di quadri con altrettante copertine di Vanity Fair, probabilmente le più vecchie; piante finte erano ovunque, quasi opprimenti, così come un quantitativo indescrivibile di puff e divanetti e altrettanti tavolini. Sembrava quasi la casetta delle bambole di qualche bambina viziata. 
-E cosa suggerisce di fare allora, signor Thompson?- chiese il moro alla fine, mentre l’uomo davanti a lui afferrava il telefono.
-Semplice- proruppe. -Qualcuno deve rimandare il volo per le Hawaii-

Quando il cellulare squillò da dentro la borsa da viaggio di Prada che stava per chiudere, Magnus Bane fece una smorfia. Le dita laccate di nero presero a frugare con maestra nelle varie taschine interne, fino a quando non afferrò il suo iPhone e un brivido di orrore corse lungo la sua spina dorsale. Il nome “Thompson” accompagnato da una faccetta poco carina troneggiava sullo schermo con aria macabra, e Magnus sapeva benissimo che quella chiamata sarebbe stata l’inizio di qualcosa di spiacevole. 
E probabilmente anche la fine delle sue ferie. 
-Se pensa di dirmi che devo tornare a lavoro per qualche motivo la risposta è “NO”. Neanche se le fosse morto il gatto e lei avesse deciso di fare un funerale in suo onore-
-Ehm.. Mi dispiace disturbarla signor Bane-
Magnus alzò un sopracciglio non appena si rese conto che quella non era affatto la voce di Thompson. Era molto più giovane, molto più leggera e soprattutto molto meno sfacciata.
-Oh oh, tu non sei il mio direttore. Nuovo segretario per caso? No, non è possibile, non avresti chiamato con il telefono di quella scimmia- affermò Magnus secco, mentre dall’altra parte si sentiva chiaramente il suono di una risata soffocata.
-Mi dispiace disturbarla signor Bane, ma abbiamo bisogno di lei per un servizio urgente-
Il modello fece una smorfia, e si abbandonò di peso sul proprio letto a baldacchino. Sfiorò con le dita sottili il tendaggio di pizzo chiaro e sospirò.
-Quale parte della parola “ferie” non rientra nel vocabolario di Vanity?- sbottò.
-Non se la prenda con il suo direttore signor Bane, temo sia colpa mia questa volta. Anzi, del mio modello-. Il modo in cui il giovane puntualizzò quel dettaglio fece sorridere Magnus. Aveva l’impressione che anche lui fosse parecchio irritato. -Si è preso un brutto malanno e non può venire. Il suo direttore mi ha esplicitamente detto che non avrebbe voluto nessun altro che lei, a questo punto-
Magnus non perse il suo sorrisetto, e rotolò su un fianco per appoggiarsi sul gomito.
-E scommetto che ha chiesto a te di chiamare perché aveva paura di parlarmi, non è così?- rise. 
-…diciamo di si-
La risata del modello si fece pronunciata, e il ragazzo scosse il capo.
-Questa è la vostra giornata fortunata. Mi hai messo di buon umore, perciò farò questo favore al mio capo- annunciò alla fine e la persona dall’altro capo del telefono sospirò sollevata.
-Non sa come le sono riconoscente, signor Bane-
-Sarai tu a occuparti del servizio deduco-
A Magnus non piacevano le formalità. Si era accorto di come il ragazzo con cui stava parlando si rivolgesse a lui in maniera così sagomata, ma lui proprio non ci riusciva. Sperò che quella confidenza non desse fastidio all’altro.
-Esattamente. Le porgo le scuse anche da parte del mio modello a questo punto-
-E dimmi, posso sapere il tuo nome?-
-Alexander Lightwood, signor Bane-
E a quel punto Magnus si congelò sul posto. 


 
 

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Capitolo 2
*** Parte seconda ***


Sonomi’s home:
Buonasera a tutti, eccoci alla seconda parte di Pictures. Ha avuto un’accoglienza che non mi aspettavo, quindi davvero, grazie mille! *^* prima di lasciarvi alla lettura ci tenevo a spiegare un particolare che ha lasciato perplessi alcuni: la mia scelta di associare Alec alla fotografia. Effettivamente l’Alec che qui porterò in scena non è il classico Alec. Mi sono voluta avvicinare di più al nostro Lightwood in Fuoco Celeste. Perché? Adoro l’evoluzione del suo personaggio, la forza che di punto in bianco tira fuori, il lato deciso che prima era rimasto in ombra. L’Alec di Pictures sarà proprio così :3 perciò potrebbe capitare che alcune cose che magari dirà o farà siano inaspettate xD chissà :3 
Ci tengo a dirvi che nei prossimi dieci giorni mi aspettano ben due esami universitari, quindi probabilmente non riuscirò ad aggiornare prima del 17. :(
Spero che questo capitolo vi piaccia quanto il primo! Buona lettura :)






-E dimmi, posso sapere il tuo nome?-
-Alexander Lightwood, signor Bane-
E a quel punto Magnus si congelò sul posto. 





 
PARTE SECONDA

 
Magnus ricordava bene il nome del ragazzo, era come stampato a caratteri cubitali nella sua mente, e ci mise probabilmente qualche secondo di troppo a riprendersi tanto che, dall’altro capo del telefono, sentì il giovane chiedere un titubante “E’ in linea?”. 
-Si, sono qui- sussurrò, terrorizzato dall’incertezza nella sua voce. -Quindi il famoso Alexander Lightwood mi farà da fotografo, questo si che è elettrizzante-
Magnus sapeva quando Alexander fosse celebre nel loro ambito lavorativo. Tutte le riviste che puntualmente avevano l’onore di contenere un suo servizio venivano vendute in un battito di ciglia, probabilmente comprate da ragazzine che non aspettavano altro che vedere, oltre al lavoro egregio del Lightwood, anche il suo modello di punta, Trace Herondale. O era Blace? Jace? Magnus non lo sapeva bene, ma una cosa di cui era sicuro era che l’aria strafottente di quel biondino non gli piaceva affatto. 
Ma nonostante tutto non era quello il motivo per cui sentir pronunciare il nome del fotografo lo aveva reso così nervoso. Semplicemente non si aspettava di poterlo incontrare ancora, e non in quelle circostanze. 
-Famoso? Non esageriamo- dall’altro capo del telefono Alec rise. 
-Non esagero, ogni modello conosce il tuo nome. Posso darti del tu, vero?-
Magnus non badò al fatto che quella domanda, dopo minuti di conversazione in cui non si era degnato di usare un tono lavorativo, potesse suonare stupida. 
-Ma certo signor Bane. Allora la aspetto qui fra una mezz’oretta, scenda direttamente in studio. Sarò lì-
-Agli ordini!-
Una leggera risata e Alec chiuse la conversazione. 
Magnus rimase steso sul letto, gli occhi verdi dal taglio felino che fissavano il baldacchino, e si chiese cosa avrebbe fatto quando si sarebbe trovato Alexander di fronte. In una parte di sé, molto considerevole, sapeva benissimo che il ragazzo non si sarebbe ricordato di lui. Il loro incontro era stato occasionale, una manciata di minuti che però erano stati in grado di scombussolare la mente di Magnus come mai prima di allora. Nessuno gli aveva mai fatto quell’effetto. Ricordava ancora il preciso momento in cui aveva incontrato quegli occhi smisuratamente blu.. 

…camminava lungo i corridoi dell’università con aria smarrita, chiedendosi cosa diamine lo avesse convinto a iscriversi a quei corsi. Forse la noia, forse la voglia di provare qualcosa di nuovo, forse la voglia di conoscere persone nuove. Magnus non poteva mettere in dubbio la propria passione per la lettura, adorava leggere, ma da lì ad arrivare a studiare Lettere ne passava di acqua sotto i ponti.
Eppure era lì, e non riusciva a trovare quella dannata classe di Lettere Straniere. Probabilmente stava camminando per gli stessi tre corridoi da qualcosa come quindici minuti, quando sentì un rumore poco gradevole alle sue spalle. Si voltò di soprassalto, convinto di trovare qualcuno steso in terra, ma vide solo uno spazio deserto. L’unica cosa ben in vista era la porta dei bagni maschili che oscillava come se fosse stata appena spinta. Magnus non sapeva dire cosa lo stesse portando a controllare che fosse tutto a posto, ma nel giro di pochi secondi era dentro la toilette e si guardava intorno sventolando l’orario delle lezioni all’altezza del viso. 
-C’è qualcuno?- domandò, il sopracciglio leggermente alzato. Nessuno rispose. 
-Ehi?-
Doveva per forza esserci qualcuno, le porte non si muovevano da sole! Magnus attese qualche istante, giusto per auto convincersi di non essere pazzo, quando lo stesso rumore di prima risuonò più forte a pochi metri di distanza da lui. E suonava vagamente come una persona intenta a vomitare. 
-Oooh ok amico. In quale cabina sei? Stai male?- esclamò Magnus, infilandosi i fogli nella tasca stretta dei jeans per poter prestare soccorso. Un altro colpo, come di una mano che bussa contro una porta, e Magnus capì che il ragazzo si trovava nella cabina a pochi passi da lui. Quando vi giunse davanti trovò la porta socchiusa, e la aprì con un piccolo gesto. Si ritrovò davanti la schiena di un ragazzo all’apparenza della sua età, in mostra c’erano solo le sue ampie spalle e la folta chioma nera come l’inchiostro. Il busto era avvolto da una maglietta dello stesso colore dei capelli, che proprio in quel momento erano tirati all’indietro da una mano dalla pelle bianchissima. 
-Ehi, tutto bene? Vuoi che chiami qualcuno?- domandò Magnus, avvicinandosi ancora un po’. Lo spazio nella cabina era poco, non poteva entrarci anche lui.
-No, per favore- sussurrò lo sconosciuto. -Non voglio far preoccupare nessuno-
-Beh, mi dispiace dirtelo ma stai facendo preoccupare proprio me adesso- rise Magnus, posando una mano sulla schiena del ragazzo. -Vuoi andare in infermeria almeno? Ti aiuto io-
Il giovane annuì leggermente con il capo e Magnus lo vide cercare di alzarsi in piedi. Era alto, molto più di quando si sarebbe aspettato, ma nulla poteva prepararlo a ciò che vide quando si girò verso di lui completamente. Quel ragazzo aveva due occhi spaventosamente blu, un colore meraviglioso, di quelli che si potrebbero fissare per ore senza mai stancarsene, ed erano risaltati ancora di più dalla pelle diafana e dalla chioma corvina. Inoltre i tratti del suo viso sembravano essere stati disegnati da un pittore neoclassico: perfetti, senza una irregolarità. 
Magnus cercò di darsi un contegno prima che quello sconosciuto lo prendesse per un maniaco.
-Riesci a stare bene in piedi?- domandò, posando una mano sulla spalla del ragazzo e spingendolo delicatamente fuori dalla cabina.
-La testa gira un po’, ma dovrei riuscire-
-Lo spero, non riuscirei a portarti in braccio principessa-
Magnus si sorprese quando, a quelle parole, le guance del giovane si tinsero vagamente di rosa. 
-Principessa? Pff..- mormorò, e Magnus sorrise debolmente. Uscirono dal bagno, il moro traballante sulle sue gambe e l’altro che cercava di essere pronto a prenderlo al volo in un’eventuale caduta. 
-Uhm.. Sai dov’è l’infermeria spero.. Sono nuovo, non so nemmeno da che parte sono girato- affermò Magnus, e sulla bocca del giovane si dipinse un sorriso. 
-Non preoccuparti, so la strada. Benvenuto, allora-
-Oh, beh, grazie. Sei la prima persona che incontro-
-Proprio un primo incontro degno di essere ricordato questo..- bofonchiò il moro, ondeggiando un po’, e Magnus rise.
-Sicuramente mi ricorderò di te. Il tuo nome, principessa?-
Quello fece l’ennesima smorfia (e arrossì nuovamente), prima di rispondere.
-Alexander Lightwood-


Dopo quelle parole era successo tutto talmente in fretta che Magnus stesso stentava a ricordare correttamente: Alexander di colpo era svenuto, finendogli quasi addosso, e un professore della classe accanto li aveva soccorsi e l’aveva aiutato a portarlo in infermeria. Dopo aver visto l’infermiera che gli misurava la pressione, Magnus era stato gentilmente condotto nella sua aula dal professore. Non aveva più incontrato Alexander nel corso dell’unico anno che aveva trascorso nella facoltà. Alla fine Magnus aveva deciso di interrompere i corsi quando la carriera da modello era diventato un lavoro sicuro, e con quella scelta pensava di aver perso ogni possibilità di incontrare Alexander Lightwood. 
Non poteva dimenticare la sorpresa che gli aveva causato sapere che quel timido ragazzo che aveva soccorso nei bagni e che l’aveva sconvolto con la sua bellezza era diventato, pochi anni dopo, uno dei fotografi più ricercati di New York. 
Con quei ricordi per la mente, Magnus si alzò dal letto, mise il portafogli nella tasca dei pantaloni e afferrò la giacca di pelle rosso scuro che aveva adagiato sulla poltroncina accanto alla scrivania. Un’ultima occhiata allo specchio per controllare che i suoi capelli fossero presentabili (non avrebbe osato uscire di casa altrimenti), e uscì di casa con le chiavi della macchina che gli tintinnavano fra le dita. 


Alec era seduto davanti a tre macchine fotografiche più una telecamera, sventolandosi pigramente una delle riviste di Vanity davanti alla faccia, mentre i tecnici delle luci giravano attorno a lui sistemando le ultime angolazioni. Sua sorella Isabelle era nella sala trucco in attesa di questo Magnus Bane, probabilmente in preda all’euforia. Quando le aveva detto chi sarebbe venuto a sostituire Jace quasi non sveniva, iniziando ad elencare le bellissime fattezze di questo ragazzo dalla pelle ambrata e gli occhi felini come quelli di un gatto. Ad Alec quella descrizione era apparsa un po’ esagerata, ma si trattava comunque di un modello di Vanity, non si sarebbe stupito se fosse stato davvero così bello e affascinante. Sperò solo che si sarebbe dimostrato socievole e disposto alla collaborazione come era parso in telefonata. 
-Signor Lightwood, Magnus Bane è arrivato- esclamò una ragazza dalla porta dello studio, e pochi secondi dopo Alec vide una figura di spalle fare un leggero inchino e salutare qualcuno la mano. Fece in tempo ad alzarsi dalla sedia, che quella persona si voltò verso di lui. 
E quasi gli prese un colpo, mentre Magnus Bane camminava nella sua direzione con dipinta in volto un’espressione tra la sorpresa e l’agitazione. Occhi allungati, asiatici, di un verde particolare; pelle ambrata, capelli neri alzati in un ciuffo perfetto; corpo snello avvolto in jeans skinny e giacca di pelle rossa. 
Alec lo avrebbe riconosciuto ovunque, una persona del genere non l’avrebbe potuta dimenticare facilmente, se non altro per le circostanze in cui si erano incontrati. 
-Non ci credo- affermò secco, mentre Magnus Bane arrivava di fronte a lui e gli regalava un sorriso divertito. -Non ci credo-
Bane spalancò gli occhi, e il suo sorriso di ampliò ancora di più.
-Non dirmi che ti ricordi di me, principessa-
E proprio come la prima volta, le guance di Alec si tinsero di una leggera tonalità di rosa. 

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Capitolo 3
*** Parte terza ***


Sonomi's home:
Buonasera gente, aggiornamento notturno! :D sono riuscita ad aggiornare prima del 17, evvai! Mi sto rendendo conto che probabilmente Pictures verrà più lunga di Al di là della magia, ho in mente un paio di cosette diverse per movimentare la faccenda ;) che dire.. non posso fare altro che ringraziarvi per l'enorme accoglienza che questa FF sta avendo, ringraziare tutti coloro che recensiscono, i lettori silenziosi e coloro che mi hanno inserita nelle varie categorie. 
Ci tengo a ricordare che, per chi volesse, ho una pagina autore su Facebook (
https://www.facebook.com/michelangelo.surrussopetra) che come noterete ha un nome alquanto buffo (storia lunga e stupida di anni addietro), e di recente mi sono iscritta a Wattpad! Il mio nick è Sonomi_ :) 
Non sto a rompervi con questa cosa dei recapiti (?) vi lascio alla lettura, adiosss!
(Un saluto a Stella13, per il finale del capitolo...:P)

 












 
Parte terza



Alec si ricordava di lui. Eccome se si ricordava di lui. Essere soccorsi da un completo sconosciuto mentre si vomita in bagno non era una cosa che gli capitava tutti i giorni. Se in più quel completo sconosciuto era la dimostrazione vivente della parola “eccentrico”, decisamente era una cosa piuttosto ovvia non aver dimenticato il loro piacevole incontro. 
Non riusciva proprio a credere che in quel momento, nello studio fotografico di Vanity Fair, ad anni di distanza, ci fosse proprio quel ragazzo dagli occhi a mandorla che era stato così gentile nei suoi confronti. Effettivamente, nello stupore, Alec si rese conto che l’altro non era cambiato poi di molto: aveva lo stesso taglio di capelli, la stessa espressione divertita e maliziosa, e probabilmente anche lo stesso umorismo. Lo aveva chiamato di nuovo principessa? Alec arrossì di nuovo a quel pensiero.
-Sei proprio tu..- sussurrò alla fine, sentendosi idiota per essere rimasto a fissarlo come una statua, ma l’altro sembrò non averci fatto caso. Al contrario sorrise, un sorriso per una volta non malizioso, e il moro lo guardò congiungere le mani. 
-Già. Non mi sarei mai immaginato di finire a lavorare con te, Lightwood. Né che saresti diventato un fotografo- 
-La vita è piena di sorprese-
Alec era palesemente turbato. Magnus invece non accennava a togliersi quell’espressione felice dal volto. 
-Beh, sono felice di poterti incontrare sano e cosciente. Dopo quell’episodio al bagno non ci siamo più incrociati all’università- continuò poi il modello, mentre Alec faceva una smorfia al ricordo. -Avrei voluto presentarmi meglio, ma sei svenuto prima di poterti dire il mio nome-
-Lo ricordo bene, è stato uno dei momenti più brutti della mia vita-
Magnus alzò un sopracciglio.
-Conoscermi?-
-Ma cosa..? No!- sbottò Alec, e Magnus ridacchiò. Lo stava prendendo in giro? Si, lo stava facendo, a giudicare dall’espressione divertita che si era stampato in faccia. Alec sbuffò. 
-Non prendertela principessa, sono uno a cui piace scherzare. Questa è la prima cosa che devi ricordarti di me!- ammiccò il modello sfilandosi la giacca rossa. Alec avrebbe voluto ribattere, digli che lui e l’umorismo erano due cose che camminavano parallele, ma non ebbe nemmeno il tempo di aprire bocca che sua sorella Isabelle apparve come un angelo salvatore a toglierlo da quella situazione imbarazzante. La ragazza saltellò verso di loro, il sorriso che le andava da un orecchio all’altro, e affiancò il fratello con un breve inchino.
-Signor Bane, che piacere. Sono Isabelle Lightwood, la truccatrice- 
Magnus strinse la mano che Isabelle gli stava porgendo, e si esibì nel suo solito ghigno malizioso. Alec iniziò a pensare che fosse una sorta di tic.
-Deduco che tu sia la sorella di Alexander. Noto che la bellezza è una tara di famiglia-
Due furono le reazioni a quelle parole. Isabelle spalancò gli occhi scuri, palesemente sorpresa. Mentre Alec sbiancò, per poi assumere una sfumatura rossastra molto accesa. Non sapeva dire cosa lo stesse mettendo più a disagio: il fatto che Magnus gli avesse fatto un complimento così apertamente, o il fatto che lo avesse fatto davanti a sua sorella. Probabilmente la seconda. Isabelle sembrò riprendersi in fretta dallo shock, e Alec poteva notare chiaramente un leggero sorrisino dipingersi sulle sue labbra rosso fuoco. 
-Non mi faccia arrossire, signor Bane- esclamò poi, recuperando tutta l’euforia. -Se non le dispiace, adesso dovrebbe seguirmi nella stanza accanto. Ci sono anche le costumiste ad aspettarla- 
-Sicuro- affermò il modello. -A dopo Alexander-
Alec guardò sparire i due oltre l’entrata dei camerini, notando l’occhiata che Isabelle gli lanciò prima di chiudersi la porta alle spalle. Un’ occhiata da “attento-che-dopo-mi-spieghi”. Sarebbe stata una lunga, lunghissima giornata. Si trascinò fino alla sedia, buttandocisi di peso, e si mise a guardare il muro azzurrino che faceva da sfondo al servizio. Quella situazione non era assurda, di più. Se solo qualche anno prima non avesse mangiato quel dannato sushi in quel ristorante dall’aspetto poco raccomandabile probabilmente la situazione sarebbe stata completamente diversa. Non avrebbe dovuto gestire delle battutine sarcastiche perché Magnus Bane non avrebbe saputo chi era. Per lui sarebbe solamente stato il famoso fotografo Alexander Gideon Lightwood, e probabilmente lo avrebbe anche trattato con rispetto. Alec scosse la testa a quel pensiero: sicuramente avrebbe avuto lo stesso atteggiamento, ne era certo. Perché ne era così sicuro? Non lo sapeva bene. L’unica cosa di cui era convinto era che Magnus Bane, con quel sorriso sbilenco e quello scintillio divertito negli occhi, avrebbe reso quella giornata un vero inferno. 


-Si sieda qui, signor Bane- esclamò Isabelle indicando una sedia davanti a un grande specchio. Il ragazzo si sedette, accavallando le gambe, e la giovane lo raggiunse poco dopo con espressione euforica. 
-Dammi del tu, Isabelle. Non mi piacciono le formalità-
-Andata-
Magnus la guardò avvicinare a loro un carrello pieno di cosmetici e pennelli di ogni tipo e grandezza, e cercò di rilassarsi. Gli piaceva farsi truccare, non poteva negarlo, ed era curioso di vedere cosa fosse in grado di fare la sorella di Alexander. Quando questa afferrò un tubetto e cominciò a spargere una sostanza cremosa sul suo viso, Magnus chiuse gli occhi.
-Non per sembrare invadente, ma ho avuto la sensazione che fra te e mio fratello ci fosse una sorta di conoscenza, o sbaglio?-
Magnus si aspettava quella domanda, perciò sorrise.
-Non sbagli. Ci siamo conosciuti all’università-
-Hai frequentato Lettere?- domandò lei stupita.
-Solo un anno, poi mi sono arreso. Non faceva per me- il modello ridacchiò. -Ma ho fatto in tempo a conoscere tuo fratello-
-E come?-
Dal tono della voce Magnus dedusse fosse parecchio divertita.
-Oh, è stato molto intenso. L’ho soccorso mentre vomitava in bagno-
Isabelle scoppiò a ridere, una risata davvero divertente, e Magnus si lasciò scappare un sorriso. 
-Alec mi aveva raccontato effettivamente di un ragazzo asiatico molto carino che lo aveva aiutato, una volta- affermò Isabelle appena riuscì a smettere di ridere. -Quasi me l’ero dimenticato-
-Ah si?-
-Mmh. Incredibile, eri tu-
Magnus si mordicchiò un labbro mentre la ragazza afferrava un pennello di dimensioni giganti.
-E ha affermato che ero ‘carino’?- domandò il modello. Isabelle fece un sorriso sbilenco.
-Si, me lo ricordo bene quel dettaglio. Non capita tutti i giorni che mio fratello spenda complimenti per qualcuno-
A quell’affermazione Magnus non rispose. Lasciò che la ragazza continuasse a truccarlo senza battere ciglio, crogiolandosi un po’ nella notizia appena compresa. Alexander Lightwood, a quei tempi, lo aveva ritenuto carino. Ma come avrebbe dovuto interpretare quel complimento? Alla stregua di quelli che si fanno davanti a un bel gattino, o con serietà? Non avrebbe saputo dirlo, ma ora aveva un motivo in più per stuzzicarlo. 
-Tu e tuo fratello lavorate sempre insieme?- domandò alla fine. Voleva cercare di ottenere qualche informazione in più che fosse concreta.
-La maggior parte delle volte. Alec tende sempre a portare con sé il suo staff, modelli compresi. E’ difficile che lavori con persone esterne-
-Ma io sono una persona esterna-. Magnus sorrise.
-Vedila così: ringrazia mio fratello Jace per aver avuto l’occasione di rivedere Alec. Dubito che altrimenti avresti avuto altre chance- spiegò Isabelle con una smorfia. 
-Pensi che io sia felice di aver rivisto Alexander?- 
Isabelle fermò il pennello a mezz’aria, guardando Magnus con un sopracciglio inarcato. La sua espressione aveva un non so che di divertito e sarcastico allo stesso tempo.
-Mi sono bastati due minuti di conversazione e occhiate per capire che avresti voluto spalmarti su mio fratello, Magnus. Sembravi una sedicenne davanti al figo della scuola, ma ringrazia che Alec sia troppo cieco per notare cose del genere-
Magnus strabuzzò gli occhi a quelle parole, e le braccia gli sarebbero sicuramente cadute sui fianchi se non fosse stato seduto. 
-Non fare quella faccia, avresti dovuto vederti. Fingevi sicurezza, ma si vedeva che eri agitato sotto sotto. Il tuo sguardo parlava chiaro- continuò Isabelle senza badare all’espressione stupefatta dell’altro. Riprese in mano la squadra di pennelli e li intinse nelle polverine dei trucchi. 
-Era così evidente?- mormorò Magnus e Isabelle annuì con forza.
-Si. Ora se non ti dispiace chiudi gli occhi, devo sfumarti un goccio di matita-


Quando Magnus tornò in sala il suo aspetto era cambiato da cima a fondo: indossava un completo elegante grigio scuro, la cui camicia bianca metteva in risalto il colorito ambrato; i capelli erano stati pettinati in maniera completamente diversa, eliminando l’enorme ciuffo e sistemandoli in maniera più composta. Gli ricadevano sulla fronte come fili neri maneggiati dal miglior sarto. Il volto appariva più pulito, merito dell’egregio lavoro di Isabelle, e sembrava quasi più luminoso, acceso di una luce particolare. Se prima era già uno, probabilmente, dei modelli più belli che ci potessero essere, in quel momento sembrava un angelo sceso dal cielo per donare la sua accecante bellezza ai poveri comuni mortali. 
Alec lo guardò scivolare sullo sfondo azzurrino, lo sguardo basso, e il ragazzo si alzò dalla sedia per incamminarsi verso le varie fotocamere piazzate proprio davanti. Si sentiva a disagio, non riusciva quasi a guardare in direzione di Magnus, e la cosa era alquanto ridicola. Era un professionista, non poteva farsi incantare dal primo modello sconosciuto che gli passava sotto mano. Neanche se quel modello alla fine non era poi nemmeno così sconosciuto, ed era talmente stupendo che quasi era impossibile smettere di guardarlo. Doveva darsi un contegno, e presto. Non voleva dare all’altro l’ennesimo motivo per prenderlo in giro.
-Bene, Magnus. Vedo che mia sorella ti ha sistemato perfettamente- iniziò Alec avvicinandosi ancora. -La prima parte del servizio come avrai potuto notare si svolgerà in completo. Quindi.. Beh, dammi un’aria pulita da bravo ragazzo, ma allo stesso tempo vorrei vedere un alone di mistero- 
-Sarà fatto- affermò Magnus con un sorriso, sistemandosi leggermente la cravatta e cambiando posizione del corpo. E poi, tutto a un tratto, il ragazzo sembrò un’altra persona. Alec capì immediatamente per quale motivo fosse uno dei modelli più ricercati: gli erano bastati cinque secondi per fare esattamente quello che il fotografo gli aveva chiesto, senza lamentarsi. Alec poteva vedere sul suo volto un sorriso candido, ma i suoi occhi sembravano ardere di malizia. Proprio quello che voleva.
-Perfetto, così!- esclamò il moro piazzandosi dietro la macchina fotografica. -Sposta solo leggermente il volto verso destra, voglio più luce-
L’altro eseguì la richiesta, e Alec scattò. Fece altre due foto simili, cambiando solamente un po’ le angolature, e tempo dieci minuti aveva già mandato il modello a cambiarsi d’abito. 
Continuarono così per due ore di fila, senza mai fermarsi. Magnus passava da felpa e jeans a foto in cui erano richiesti solo capi d’intimo, per poi tornare a indossare una semplice maglietta e dei pantaloni strappati. Il trucco e i capelli ogni volta sembrava un poco diversi, merito dell’eccelso lavoro di Isabelle, e Alec si sentiva realizzato come poche volte lo era stato nella sua vita. Jace era un modello eccezionale, non poteva lamentarsene, ma la bravura di Magnus era talmente palpabile che quasi lui stesso si sentiva in posizione d’inferiorità. Probabilmente quello sarebbe stato il miglior servizio fotografico della sua carriera. 
-Bene, basta così!- esclamò Alec dopo aver scattato l’ultima foto, che vedeva un Magnus in versione estiva (con tanto di cappellino di paglia). Il ragazzo in questione si mise a fare una sorta di balletto hawaiano, che con quell’outfit veniva una meraviglia, mentre Alec spariva insieme ad alcuni tecnici per vedere sul computer tutti gli scatti della mattinata. Isabelle spuntò alle sue spalle, e si appoggiò alla schiena del fratello.
-Sono le foto migliori che tu abbia mai fatto- gli sussurrò nell’orecchio, e il giovane annuì.
-Magnus è bravissimo-
-Solo bravissimo?- aggiunse la ragazza con un sorrisetto. -Penso che sia anche un bel pezzo di ragazzo, con tutto il rispetto-
Alec scosse il capo e alzò gli occhi al cielo.
-L’avvenenza non gli manca-
Il fotografo si allontanò dai computer, dirigendosi verso la propria postazione, e Isabelle trotterellò dietro di lui.
-Se la pensi così perché non lo inviti a pranzo? Sono quasi le due- 
-Perché dovrei?- borbottò Alec, afferrando il cellulare dalla tasca della propria giacca. Nessun messaggio. Jace non si era nemmeno degnato di chiederli se era riuscito a cavarsela.
-Per parlare dei vecchi tempi?-
Alexander guardò Isabelle di sottecchi, la ragazza esibiva un ghigno divertito, e il giovane sospirò.
-Dovevo immaginare che non avresti messo a tacere la tua curiosità morbosa- sbottò. -E poi sai che bei ‘vecchi tempi’. Una vomitata in bagno seguita da un elegante svenimento con eccellente rotazione da ballerino-
-E che rotazione, degna della Scala di Milano- esclamò una voce divertita alle spalle dei due fratelli. Magnus apparve in tutto il suo splendente stile, avvolto di nuovo nei vestiti che aveva quella mattina, ma i residui leggeri del trucco di scena lo rendevano più intrigante. Isabelle sorrise sorniona.
-E’ un peccato essermi persa la scena. Comunque sia i miei complimenti Magnus, le foto sono strabilianti- affermò. -Ora se volete scusarmi vi lascio ai vostri affari. Ci sentiamo dopo fratellone- 
Isabelle scomparve dalla loro vista nel giro di un minuto, e Alec si ritrovò a stare in silenzio con affianco un Magnus che si dondolava sui talloni dei piedi. La situazione era leggermente imbarazzante. 
-Beh, che si fa?- domandò alla fine Magnus, probabilmente non reggendo più quella quiete assordante che si era formata. Alec fece spallucce.
-Pranzo?-
Alla fine cosa c’era di male a mangiare qualcosa insieme? Alexander cercava di auto convincersi che fosse una buona idea. 
-Pranzo sia!-. Magnus sembrava particolarmente contento. -E dopo hai qualcosa da fare? Pensavo che avremmo potuto fare un giro, non so-
Alec guardò di sottecchi l’espressione euforica del modello, con quegli occhi verdi che sembravano sprizzare gioia di vivere da tutti i pori, e trattenne una smorfia. Con quel “dopo hai da fare” gli aveva ben ricordato che quella sera avrebbe avuto la cena a casa dei suoi genitori, e avendo terminato il sevizio in mattinata non aveva modo di scamparsela. Di male in peggio. 
-Cosa è quella faccia, principessa? Se non ti va basta dire di no!-
Alec trattenne l’ennesima smorfia a quel soprannome.
-Non è per te. E smettila di chiamarmi principessa!-
-E allora per cosa?- domandò Magnus, evitando accuratamente la seconda protesta del moro. Alec gli spiegò in fretta la situazione mentre si incamminavano fuori dalla redazione di Vanity Fair. 
-E quindi non ci vuoi andare-
-No, assolutamente-
-Beh, adesso hai un’ottima scusa per evitare il tutto- affermò Magnus annuendo convinto. Alec alzò un sopracciglio.
-E quale sarebbe, di grazia?-
Il sorriso sbieco che il modello fece poco dopo, Alexander lo sapeva bene, era il chiaro presagio di qualcosa di funesto. O di pazzo.
-Ma sono io, principessa-




Zaan zan zan zaan. Quale sarà la proposta di Magnus? 
Alla quarta parte! <3

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Capitolo 4
*** Parte quarta ***


Sonomi’s home:
Buonasera bellissimi, vi chiedo scusa per il ritardo di qualche giorno. Avevo tre quarti del capitolo pronti da un po’, ma l’università e questioni personali mi hanno tenuta lontana dallo scrivere il finale. Non sto a farvi perdere troppo tempo, vi ringrazio tutti tantissimo, questa storia è seguita da tantissime persone e non me l’aspettavo <3 
Vi lascio alla lettura.. ;)










 
PARTE QUARTA


Alec lo sapeva bene, avrebbe dovuto liquidare Magnus con un “no grazie!” subito dopo la proposta di un’intera giornata con lui. Sarebbe dovuto fuggire in Alaska, in Tanzania, da qualche parte. Tutto, pur di non affrontare la terribile situazione che stava vivendo in quel momento. Perché quella era davvero la situazione più allucinante che una persona potrebbe anche solo immaginare di vivere.
Mentre le note della musica sembravano spaccargli i timpani, il suo cuore perdeva battiti. 
Sperava solo di trovare un modo per recuperarli.

2 ore prima

-Magnus, no-
-Avanti Alexander. Non fare il bambino-
-Abbiamo passato tutto il giorno a parlare, e se non m sbaglio ti ho elencato chiaramente le cose che non mi interessa fare. E questa è una di quelle!-
Magnus e Alec stavano in piedi davanti all’ingresso di un locale che a giudicare dalla coda doveva essere parecchio popolare. Inutile dire che per il moro quel posto valeva come un altro, ma il modello non era stato del suo stesso avviso. Quello era il “Pandemonium”, discoteca aperta da poco piena zeppa di “belle cose da vedere”. Alec non voleva sapere cosa fossero quelle belle cose. Tuttavia quella scritta gigante e lampeggiante che a intermittenza faceva apparire la parola “demon” era la sua unica via di fuga a qualcosa di ben peggiore: la cena con i suoi. 
-Lo so, odi la musica forte e i corpi ammassati che ballano ma…-
-Perché, per te quella gente balla, Magnus?- sbottò Alec e il modello sorrise.
-No, effettivamente la maggior parte del tempo limona sui divanetti, ma son dettagli-
Alec sbuffò sonoramente, passandosi una mano fra i capelli, e lanciò un’occhiata di sbieco al suo accompagnatore. Si era cambiato per la serata (lo aveva costretto a passare da casa sua, santo cielo!) e per descrivere come si fosse vestito Alec avrebbe dovuto dire che non l’aveva fatto per niente: Magnus portava senza il minimo imbarazzo un paio di jeans che stavano in piedi per miracolo da quanto erano strappati, senza contare la camicia color porpora aperta per metà e la misera giacchetta nera di pelle che portava sopra. Alec non poteva negare che, con quell’outfit, Magnus fosse bellissimo. E sexy. Tremendamente sexy. E probabilmente non era nemmeno l’unico a pensarlo, dato che buona parte della gente che li circondava, che fossero uomini o donne, lo fissava come se fosse la cosa più strabiliante del pianeta.
Alec d’altro canto sembrava semplicemente un comune ragazzo di città capitato nel posto sbagliato: maglione blu scuro, jeans neri e scarpe da tennis. Nulla di luccicante, nulla di eccentrico, niente di niente. 
-Togliti quel broncio dalla faccia. Ricordati che ti ho salvato dalla cena con i tuoi genitori!- affermò secco il modello mentre la fila avanzava di due metri circa.
-Questo è l’unico motivo per cui sono ancora qui-
-Anche per la mia sfavillante compagnia, ammettilo- 
Alec non rispose e la fila avanzò ancora.
-Lo prendo come un si principessa-
-La smetti di chiamarmi così?- sbottò alla fine il moro lanciando un’occhiataccia di fuoco all’altro. Magnus sorrise.
-Non vedo perché dovrei. E stasera ti ho salvato per la seconda volta, sei decisamente una principessa-
-E tu saresti il mio principe, nella tua logica?- chiese Alec, tirando fuori il portafogli per accertarsi di avere i soldi dell’entrata. Non si accorse, perciò, dell’occhiata silenziosa che Magnus gli stava rivolgendo. 
-Perché no- sussurrò alla fine il modello, e prima che Alec potesse dire qualcosa, allungare i soldi, o solo accorgersi dell’aria strana del suo accompagnatore, Magnus aveva già pagato per due e lo stava spingendo dentro il locale. 
E ad Alec mancò subito il vialetto su cui si erano appostati in attesa. Il Pandemonium era effettivamente un locale originale: tutte le luci tendevano al viola, alternandosi di tanto in tanto ad alcune di un rosso intenso; la pista da ballo era ben in mostra, centinaia di persone già vi si stavano scatenando sopra, e sembravano tutte avvolte da una sorta di fumogeno che Alec sperò con tutto se stesso non essere tossico. O droga, ancor peggio. Sulla destra un lungo bancone occupava gran parte dello spazio, i sedili già per metà occupati da ragazzi sull’orlo dell’ubriacatura, e dietro al lungo tavolo di legno vi stava un giovane con più tatuaggi e piercing addosso di cinque persone messe insieme. Al suo fianco lavorava una ragazza dai capelli rossi, il corpo fasciato da un top nero e da dei jeans chiari. Aveva un aspetto talmente grazioso che Alec per un momento si chiese cosa ci facesse lì.
-Allora, che ne dici?- urlò Magnus sopra la musica, conducendolo con una mano sulla spalla verso il suddetto bancone. 
-Dico che vorrei uscire di qui!-
Il modello alzò gli occhi al cielo. 
-Avanti, Alec! Per una sera spegni il cervello e divertiti!- sbottò Magnus. -Non essere sempre così serio! Siamo qui, è un’opportunità per fare qualcosa di diverso. Coglila- 
Non diede al moro nemmeno il tempo di rispondere e lo trascinò definitivamente al bancone. Si sedettero sui primi due sgabelli liberi che trovarono, proprio di fronte alla ragazza dai capelli rossi. Quella alzò gli occhi verso di loro, e sulle labbra si dipinse un sorriso leggero.
-Ehi Magnus- 
-Clarissa. Ti presento il mio amico Alec, una vecchia conoscenza dei tempi dell’università-
Clarissa fece un altro sorriso e piazzò davanti ai due dei bicchieri vuoti.
-Piacere. Cosa posso darvi ragazzi?-
-Dacci due Alexander Sister biscottino- affermò Magnus con un sorriso e Alec alzò un sopracciglio.
-Alexander Sister?-
-In tuo onore. E’ una delizia: brandy, kahlua, panna e noce moscata. Strano assortimento, ma buonissimo- 
-E’ tanto forte?-
Magnus fece un sorrisetto sarcastico, e il moro ebbe l’improvviso istinto di dargli un pugno. Leggero magari, ma pur sempre un pugno.
-Abbastanza da farti sciogliere un po’, principessa- 
-Ecco a voi ragazzi!- esclamò all’improvviso quella Clarissa, lanciando quasi verso di loro due bicchieri pieni di un liquido chiaro fino all’orlo. Magnus ne afferrò uno con un gesto elegante, e lo portò all’altezza del volto.
-Alla salute, principessa- e ne bevve due sorsi d’un fiato. Alec avvicinò il proprio bicchiere alle labbra, assaporando lievemente il gusto, per poi prendere un sorso più grande. Era buono tutto sommato, ma forte, si sentiva. Sperò di non ubriacarsi con quel solo cocktail. Approfittando della chiacchierata che Magnus e Clarissa avevano appena messo in piedi, Alec si guardò ancora un po’ in giro, cercando di capire bene dove fosse finito. Da quella angolazione poteva vedere la postazione del DJ, l’entrata dei bagni (dove già una decina di persone che si reggevano a fatica in piedi aspettava il proprio turno), e quelli che dovevano essere i privè. Non osò pensare cosa stessero facendo dietro a quei separé. Bevve un altro sorso del cocktail e sentì l’alcool scendergli giù per gola, scaldandogli le ossa.
-..quindi è qui, avrei dovuto immaginarlo-. Alec sintonizzò la sua attenzione nuovamente su Magnus, quando lo sentì dire quella frase con tono seccato. Guardava Clarissa con espressione infastidita, e la ragazza scuoteva il capo.
-Ultimamente non si perde mai l’evento del giovedì. Ho come la sensazione che speri sempre di vederti bazzicare da queste parti-
-Lei vorrebbe sempre avermi sotto gli occhi, manco se fossi il suo cane-
Alec si sorprese di sentire simile disprezzo nel tono del modello. Di chi stava parlando?
-E’ arrivata con un ragazzo fra l’altro. Un tizio carino, mai visto-
Magnus gettò in gola il resto del suo cocktail e il suo sguardo divenne improvvisamente scostante. Alec non osava aprire bocca, aveva la sensazione che se avesse chiesto qualcosa al riguardo, Magnus lo avrebbe zittito con uno sguardo assassino. Era chiaro che si stesse sentendo a disagio, o meglio che fosse furente, dato che le sue mani erano strette a pugno sulle gambe, la mascella rigida. 
Poi, di colpo, si voltò verso di lui.
-Andiamo a ballare, Alexander- disse secco, scattando in piedi e afferrando il moro per un braccio senza dargli il tempo di rifiutare. Lo trascinò in mezzo alla calca, Alec pensò di soffocare, e prima ancora di rendersene conto si stava muovendo a ritmo di musica con Magnus quasi appiccicato addosso. Quella situazione stava degenerando. Eccome se stava degenerando. A quanto pareva aveva passato la giornata dietro a un modello bipolare che proprio in quel momento gli stava posando le mani sui fianchi e lo stava avvicinando ancora di più a sè, tanto che riusciva a sentire il suo fiato sul collo. 
Faceva caldo, molto caldo.
-So che odi ballare, ma è necessario stare qui per un po’- gli sussurrò il modello, dritto nelle orecchie in modo da non dover urlare, e Alec nascose un brivido. 
-Che cosa succede? Ti ho sentito prima..-
-Non voglio far sapere a una persona che sono qui- 
-Ci stiamo nascondendo?- domandò Alec sarcastico e si allontanò giusto quel poco per vedere un sorriso sbieco sul volto di Magnus.
-Più o meno. Se avessi saputo che era qui ti avrei portato da un’altra parte, scusami- 
-Fa niente..-
Alec non volle chiedere di nuovo chi fosse quella persona da cui Magnus sembrava voler stare il più lontano possibile. Si limitò a respirare (perché era davvero difficile farlo con centinaia di persone attorno e con Magnus praticamente spalmato addosso nei suoi non vestiti), e a pregare che quella serata finisse in fretta e nel migliore dei modi.
Improvvisamente pensò di avere bisogno di un altro cocktail.
Passarono altri venti minuti pressoché identici, la musica talmente alta che Alec sentiva quasi un secondo battito nel cuore, nel corso dei quali Magnus si limitò a lanciare occhiate a destra e sinistra come a volersi accertare che il ‘mostro’ da cui stava scappando non fosse nei paraggi. Gli faceva quasi tenerezza vederlo così in ansia. Quasi, considerando che continuava a strusciarsi addosso a lui e a respirargli sul collo, mandando in vacanza il suo autocontrollo e la sua pazienza. Conosceva Magnus da una giornata sola fondamentalmente, non voleva saltargli addosso. 
-Magnus, che ne dici di andarcene?- sbottò alla fine Alec, prima di fare qualche sciocchezza. -Quasi non respiro e tu sei costantemente in ansia. Andiamo via-
Il modello lo guardò per un attimo, annuendo subito dopo. Lo afferrò per una mano, trascinandolo fuori dalla massa di corpi che continuava imperterrita a muoversi senza sosta, e si fermò un attimo di fronte al bancone per salutare Clarissa.
E poi la catastrofe. 
Alec vide chiaramente Magnus irrigidirsi di colpo, quasi diventare una statua di marmo, mentre guardava verso l’ingresso. La mano che gli stringeva il braccio si contrasse ancora di più, quasi facendogli male, ma Alec non ci diede peso. Seguì la direzione dello sguardo del modello, fino a quando i suoi occhi non incontrarono la figura indiscutibilmente bella e affascinante di una giovane ragazza dai lunghi capelli biondi. Il corpo snello era avvolto in un vestito cortissimo verde scuro, i piedi fasciati in stivaletti dal tacco indiscutibilmente alto; ma la cosa più allucinante era il suo sguardo, che sembrava infuocato mentre fissava Magnus con una tale intensità da intimorire chiunque. 
E solo in quel momento Alec si rese contro che quella ragazza non era sola. A pochi passi da lei un giovane alto, dai capelli scuri piuttosto sbarazzini, guardava a sua volta nella loro direzione con l’espressione più sorpresa che si potesse vedere sulla faccia di qualcuno; gli occhi neri fissavano Alec e Magnus con uno shock tale da essere quasi ridicolo. E Alec si sentì sprofondare, il terreno sembrò mancargli sotto i piedi, e un’improvvisa voglia di piangere dalla rabbia riempì il suo cuore come un pensante macigno. 
-Magnus- parlò la bionda, facendo due passi verso di loro. Il ragazzo la seguì.
-Camille. Ci si rivede-
-Speravo proprio di incontrarti-
-Non credo, sei in ottima compagnia a quanto pare-
Il tono di Magnus era completamente secco e infuriato. Camille fece un sorriso.
-Ti presento..- la ragazza alzò una mano verso il giovane al suo fianco, pronta a dire il suo nome, ma la voce di Alec la interruppe prima ancora che il fotografo stesso se ne rendesse conto. 
-Cosa ci fai qui, Adrian?- sputò, e Magnus si voltò a guardarlo con sorpresa.
-Vi conoscete?-
La sua domanda venne completamente ignorata, e il modello osservò l’espressione di quel tizio accendersi di un malizioso interesse.
-E’ un piacere rivederti, Alec- 



Zan zan. Finale shock ahaha fatemi sapere cosa pensate di questa situazione..particolare. (?)
Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Parte quinta ***


Sonomi's home:
Aggiornamento notturno. Olè. Chiedo venia per il ritardo, ma finalmente la sessione estiva d'esami si è conclusa. :)
Non sto ad annoiarvi con i soliti discorsoni :) mi limito a un sincero GRAZIE a tutti voi <3

Un saluto a Stella13, ancora complimenti per la maturità tesoro!

....godetevi questo Alec.. (?)




 
PARTE QUINTA





-E’ un piacere rivederti, Alec-


Nonostante intorno a loro la musica infuriasse e le persone urlassero a squarciagola, Alec e Adrian continuavano a lanciarsi sguardi che avrebbero fatto impallidire la peggiore persona sulla faccia della Terra. Per lo più era Alec a guardare quel ragazzo come se davanti avesse avuto un demone in persona, e quello rendeva la situazione incredibilmente assurda, degna dei peggiori telefilm da teenager americani.
Camille al contrario non sembrava particolarmente turbata dal fatto che il suo accompagnatore non la stesse calcolando di striscio, e si limitava a lanciare occhiate maliziose a un Magnus che nemmeno cercava di notarla. Tutta l’attenzione del giovane era infatti concentrata sull’espressione tesa e infuriata di Alec, a tal punto che il moro sembrava pronto a scagliarsi addosso a quell’Adrian e riempirlo di botte. Fu Camille a spezzare quel silenzio agghiacciante, con un tono falsamente sorpreso.
-Vi conoscete, dunque?-
Adrian ampliò il suo sorriso sbilenco.
-Oh si- affermò divertito. -Conosco Alexander molto profondamente-
Quelle due parole raggelarono la situazione più di una tempesta di neve improvvisa. Ogni arto del fotografo si tendeva lentamente, sempre di più, e una strana sensazione di disagio cominciò a impossessarsi dell’anima di Magnus. 
-Perdonami se dico che rivederti è un grande dispiacere per me- sbottò Alec alla fine, gli occhi blu freddi come il mare d’inverno. Adrian sembrò falsamente dispiaciuto da quelle parole.
-Ma come, Alec. Io credevo che la mia compagnia ti fosse molto gradita-
-Smettila di sparare puttanate. Non hai il minimo diritto di lanciarmi frecciatine del genere..- sputò il moro, avanzando di qualche passo, tanto che lui e Adrian si ritrovarono a un palmo di naso in un battito di ciglia. Alec in quel momento non sembrava affatto il solito Alec, e Magnus non poteva fare altro che rimanere sconvolto. Il timido ragazzo che si era trascinato dietro era completamente scomparso, lasciando spazio a un giovane dallo sguardo glaciale e dalla voce assassina come un coltello affilato. 
-Mi porti ancora rancore? Dopo tutto questo tempo?-
-Non smetterò mai di farlo, Adrian- ringhiò. Alexander si allontanò dall’altro, lanciandogli un’ultima occhiata carica d’odio, per poi spostare la sua attenzione sulla figura bionda di Camille. Quella lo guardò con un sopracciglio inarcato, come se si aspettasse qualcosa. 
-Ottima scelta di compagnia per passare la serata- affermò, e la ragazza sembrò per un attimo sorpresa. Ma prima ancora di poter dire qualcosa, Alec afferrò Magnus per un polso e prese a trascinarlo via con una forza che il modello non si sarebbe mai aspettato. Gli occhi verdi di quest’ultimo guardarono le figure dei due ragazzi farsi sempre più lontane, fino a quando la porta del Pandemonium non si chiuse dietro di loro, e Alec sembrò recuperare un briciolo della sua quotidiana e tranquilla personalità. Lasciò andare il polso di Magnus, portandosi una mano fra i capelli, e liberò un sospiro talmente forte che il buttafuori alla porta lo guardò con aria preoccupata. 
-Alec..?- azzardò Magnus, facendo un passo verso il fotografo. -Mi vuoi spiegare, per favore?-
-No, non voglio- esclamò secco il moro, incamminandosi verso la strada principale. Magnus prese a seguirlo quasi correndo.
-Ho il diritto di sapere. Quel tizio era insieme alla mia ex, questa cosa riguarda anche me!-
-Ah, quindi la biondina vestita come una ragazza di strada è la tua ex? Grandiose coincidenze della vita!- sbraitò all’improvviso Alec, voltandosi verso il modello, e questo si congelò sul posto. Alec stava seriamente urlando? In mezzo alla strada? 
-Alexander..-
-Era da lei che volevi scappare, giusto? Beh, ti dico una cosa Magnus Bane. Tu non mi hai voluto dire da chi stavi scappando, e io non ho la minima intenzione di raccontarti cosa significhi per me quel figlio di buona donna-
Magnus non osò rispondere a quelle parole. Alec lo guardava con una tale esasperazione e tristezza negli occhi che tutta la curiosità e la rabbia per quella scenata lentamente abbandonarono il suo corpo, lasciando spazio a un’insana voglia di abbracciare il fotografo. Ma era sicuro che se solo ci avesse provato, Alec gli avrebbe tirato un pugno. 
-Ok- disse alla fine, avvicinandosi al moro. -Va bene, Alec. Ti porto a casa-
Una volta raggiunta la macchina di Magnus, i due salirono sull’auto senza proferire parola. Alec si limitava a guardare fuori dal finestrino, le luci della New York notturna che scorrevano rapidamente come a voler seguire la velocità del mezzo. Si sentiva stanco come mai prima di allora, svuotato di tutto e riempito di rabbia e angoscia. Rivedere Adrian era stato come essere catapultato violentemente nel passato, un passato che aveva chiuso a doppia mandata nel suo cervello e che pensava di aver dimenticato. Era stato doloroso come poche cose. Chiuse gli occhi, e la fronte andò a scontrare il freddo vetro del finestrino. 
-Camille è stata la mia ragazza per due anni-
Magnus prese a parlare all’improvviso, apparentemente senza un senso logico, e Alec riaprì gli occhi voltando il capo in direzione del modello. 
-Inutile dire come sono andate a finire le cose. Quella è una donna che distrugge, Alec. Ha distrutto anche me. Se l’amore fosse cibo, sarei morto di fame per le ossa che mi lanciava*- continuò il ragazzo, girando in un incrocio. -Grazie al cielo sono uno che sa rialzarsi in fretta-
Magnus si interrupe, continuando a guidare, mentre Alec rifletteva sulle parole che il modello gli aveva rivolto. Si era messo a raccontare quello che prima aveva cercato di tenere nascosto, un dettaglio della sua vita che probabilmente riteneva doloroso, e il fotografo si sentì in colpa per come aveva reagito fuori dal Pandemonium. Ma era stato più forte di lui.
-Storia simile- affermò alla fine, riportando gli occhi fuori dal finestrino.
-Come?-
-La nostra è una storia simile- ripetè Alec. -Adrian Thompson. E’ il mio ex-
Magnus attese qualche secondo prima di rispondere.
-Deduco che non sia finita molto bene-
-Proprio no. Prima hai paragonato l’amore al cibo.. Beh, anche io sarei morto di fame allora-
-Ti ha fatto molto male, non è vero?-
Alec non rispose subito. Continuava a guardare le luci, gli occhi che pungevano leggermente sotto la cascata di ricordi che quelle parole stavano portando a galla. 
-Adrian è stato il mio “primo” in tutto: primo ragazzo, primo bacio, primo rapporto sessuale, primo innamoramento sincero- la voce del fotografo si incrinò. -Io gli ho donato tutto me stesso, e lui mi ha ripagato sfruttandomi senza il minimo rimorso. Sono passati tre anni, ma non c’è momento in cui io non riesca a non odiarlo- 
-Io non ho mai perdonato Camille, Alexander. E’ normale-
-Dubito che però Camille ti sia venuta dietro per cercare di soffiarti il primo posto al concorso nazionale di fotografia, Magnus. Che sia venuta a letto con te e abbia finto di amarti solo per sapere quali fossero le tue idee e magari rubartele..-
Magnus si fermò al semaforo rosso, e si voltò verso Alec con uno sguardo completamente allibito. L’altro lo osservava con espressione ferita, quel genere di dolore che lui conosceva molto bene, ed ebbe la sensazione di poter annegare in quell’oceano blu che erano i suoi occhi. Un oceano pieno di tristezza.
-Che razza di bastardo- concluse alla fine, ed esultò internamente quando sul volto di Alec si dipinse un sorriso leggero.
-Già. Mi ci è voluto parecchio tempo per riattaccare insieme i pezzi della mia già debole autostima-
-Ma ci sei riuscito, ed è questo che conta. Vali troppo, e lui ha preferito tapparsi gli occhi e non rendersene conto. E’ lui che ci ha perso, non tu- affermò Magnus, riprendendo a guidare. La casa di Alec era vicina. -Guardati ora: sei un fotografo di fama internazionale, e lui?-
Alexander non rispose a quella domanda carica di sottintesi, ma il suo cuore si sentiva incredibilmente più leggero. Magnus aveva la capacità di saper trovare le parole giuste, e il fotografo non poteva che essergliene grato. Lo aveva salvato per l’ennesima volta. 
-Siamo arrivati, principessa-
Alec non si era reso conto che l’auto si fosse fermata proprio davanti alla porta di casa sua. Abitava da solo da circa due anni, da quando il lavoro aveva cominciato a fruttare e si era potuto permettere una casa tutta sua. Non avrebbe potuto reggere un solo istante in più condividendo lo stesso spazio vitale di suo padre, perciò vedeva il suo appartamento come un miracoloso rifugio. 
-Vuoi salire?-
Alec non avrebbe saputo dire con certezza perché disse quelle parole, né quale strano sentimento avesse condotto a tale azione, né perché il suo stomaco sembrò ballare la samba quando Magnus accettò la proposta.

L’appartamento di Alec era incredibilmente confortevole. Quella fu la prima cosa che Magnus pensò. I colori predominanti erano il bianco e il marrone, che donavano al tutto una strana sensazione rilassante, e in generale lo stile sembrava improntato su una scelta classicheggiante. I mobili erano di foggia antica, bastava notare il divano con l’intelaiatura in legno; la stessa cucina appariva tutta in mogano, così come il tavolino in sala e la teca contenente alcune statuette di cristallo. Il pavimento in parquet, le perline sul soffitto, il piccolo balcone alla portafinestra. Sembrava di essere in un misto tra una baita di montagna e una casa del 1800. 
-Come fai a mantenere l’appartamento così in ordine? Il mio sembra perennemente sotto l’influsso di qualche uragano- scherzò Magnus appendendo la giacca all’attaccapanni, mentre Alec faceva un debole sorriso. 
-Sono abbastanza maniacale su questa cosa. Mi concentro solo nell’ordine- 
-Tipico della tua personalità seria e integerrima, principessa- 
Alec fece una smorfia, e si abbandonò sul divano. 
-Non sono così serio e integerrimo come credi, Magnus- 
-Uh, vuoi dirmi che anche tu nascondi qualche arcano e imbarazzante segreto, Lightwood? Del tipo che al liceo mettevi la colla sulla sedia dei prof e fumavi nel cortile?- rise il modello, mentre il moro scuoteva la testa.
-Io studiavo al liceo, Bane. Quelle erano cose che faceva mio fratello Jace, non io- 
-E’ il tuo modello, giusto?-
Alec annuì con un sorriso, e stese le gambe mettendo i piedi sul tavolino, mentre Magnus si limitava a lanciargli occhiate attente. Anche se il moro sembrava più allegro, si leggeva chiaramente nel suo sguardo che qualcosa non andava. 
-Io e Jace siamo fratellastri, lo abbiamo adottato quando aveva circa otto anni. Ti sembrerà assurdo, ma ho capito di essere gay grazie a lui- confessò Alec all’improvviso. -E’ stata la mia prima cotta-
-Sul serio?-. Magnus era palesemente allibito. 
-Già. Crescendo poi mi sono reso conto che in realtà era tutto affetto fraterno, ma ciò non ha messo in dubbio la mia preferenza sessuale. Anche perché poi è arrivato Adrian..- 
Magnus vide lo sguardo blu del fotografo incupirsi nuovamente, e si sedette accanto a lui sul divano, osservando gli strappi sui propri pantaloni in cerca di qualcosa di intelligente da dire.
-Non pensarci più, principessa. Lui non era il principe adatto a te-
Alec rise, e si portò le mani dietro la testa.
-Ottima similitudine-
-Diciamo che tu sei Anna, e lui era Hans. Devi solo cercare Kristoff-
-Stai seriamente paragonando la mia vita a Frozen, Magnus?-. Alec rise di nuovo. -E tu chi saresti, allora?-
Magnus si limitò a fare un sorriso, mentre il fotografo lo guardava con i suoi occhioni blu. 
-Dimmelo tu-
Alec avrebbe davvero voluto rispondere, dirgli che non lo sapeva, che forse si conoscevano da troppo poco tempo anche solo per poter fare un’affermazione del genere, ma all’improvviso la stazza calò nel buio più totale, troncando le sue intenzioni sul nascere. Non solo la stanza, ma apparentemente tutto il quartiere dato che anche fuori dalla finestra non si vedeva più nulla. Un blackout.
-Ops- affermò Alec, alzandosi in piedi. -Vado a vedere se ho una torcia-
-Oddio-
-Oddio cosa?-
-Blackout-
-E quindi?-
Magnus non rispose, rimanendo piantato sul divano con le mani serrate intorno alle ginocchia. E addio charme, addio fascino, addio a qualsiasi cosa figa avesse provato a fare quella sera. 
-Non dirmi che hai paura del buio-
Le parole di Alec gli fecero emettere un leggero gemito, e per tutta risposta il fotografo scoppiò a ridere. 
-Non prendermi in giro, crudele.. È un trauma che ho avuto da piccolo, è più forte di me- sussurrò Magnus, talmente piano che Alec fece quasi fatica a sentirlo. Tuttavia il moro si sedette di nuovo accanto al modello, con un sorriso sornione ancora sul volto, e cercò la sua mano.
-Hai seriamente paura del buio?-
-Mmh-
Alec sorrise ancora di più, e si fece più vicino al modello. Forse non doveva prendere la torcia, avrebbe dovuto lasciare il suo ospite da solo sul divano, e sinceramente, considerando la nota di panico nella voce di Magnus, proprio non se la sentiva. Perciò rimase lì, tenendo la mano dalla pelle ambrata dell’altro, come a volergli dare un briciolo di conforto. Guardò il verde che risplendeva negli occhi di Magnus, spalancati dall’ansia, quasi luminosi nel buio della stanza, così innocenti e allo stesso tempo pregni di una carica elettrica più forte di generatore. E si chiese che cosa fosse la strana sensazione che aveva preso a stringergli la bocca dello stomaco in maniera quasi dolorosa, sensazione che lo stava tramortendo e che sembrava confluire del tutto nelle dita intrecciate delle loro mani. 
E prima ancora di rendersene conto, prima ancora di poter fermare il suo stesso corpo, Alec si stava chinando sul modello, e le sue labbra scontrarono quelle di Magnus in un unico movimento fluido. 




*citazione liberamente presa da COFA. LA ADORO. E un applauso di conforto a Magnus impanicato dal buio. :3

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Capitolo 6
*** Parte sesta ***


Sonomi's home:
Buonasera bellissimi, ecco l'aggiornamento! Come al solito ringrazio tutte le persone che mi seguono con così tanto calore <3 
Tutti nelle precedenti recensioni mi avete mostrato il vostro odio per Adrian e Camille.. e fate bene a odiarli eheh. 
Ma vi lascio ai nostri due baldi giovani!






Un saluto a Trislot, che mi segue con affetto in ogni storia da quando ho iniziato a scrivere su Shadowhunters. 

 
 

PARTE SESTA







Magnus non avrebbe saputo dire cosa stesse succedendo in quel momento, né se fosse tutto frutto della sua fervida, e magari anche brilla, immaginazione. Però era quasi del tutto sicuro che la sua mano destra fosse completamente stretta in quella di Alec, e soprattutto che il suddetto ragazzo, con molta nonchalance, lo stesse baciando senza porsi problemi. Magnus riusciva chiaramente a percepire il calore delle sue labbra, che avevano ancora un leggero sapore del drink bevuto al Pandemonium, il tocco delicato delle sue dita, il respiro tiepido del giovane sulla guancia.
Sembrava tutta un’incredibile illusione, un sogno sospeso fuori dal tempo. Una piccola bolla di azioni non premeditate, un’isola in cui tutto poteva accadere e trasformarsi senza una spiegazione logica. Magnus tremò leggermente quando Alec andò a catturare fra le sue labbra quello inferiore del modello, e lasciò che il ragazzo facesse scivolare le dita lungo le sue guance, fino all’attaccatura dei capelli. Avrebbe potuto fermarlo, almeno solo per chiedergli una spiegazione, ma non voleva. Per tutta la giornata aveva sperato in un contatto con il fotografo, e mai si sarebbe aspettato che sarebbe stato proprio lui a prendere l’iniziativa. Perciò lasciò entrare Alec nella sua bocca con lentezza, assaporando quel momento immerso nel buio, e per la prima volta nella sua vita non fu scontento di non avere il controllo della situazione. Anche perché Alec era palesemente più sveglio di quanto avesse immaginato. 
Prima ancora di rendersene conto Magnus si ritrovò mezzo steso lungo il divano, la schiena appoggiata contro i cuscini sbilenchi in stoffa scura. Alec gli era quasi sopra, le mani ai lati del suo volto, e per la prima volta da quando gli era saltato addosso il moro alzò leggermente il capo per guardarlo dritto negli occhi. Quel blu era indecifrabile, due gemme preziose imperscrutabili, e Magnus ci si perse dentro per la milionesima volta in quel giorno. Non vi lesse dentro niente, ma il luccichio che attraversò quelle iridi gli fece rizzare i peli sulle braccia. 
-Alexander..?- mormorò alla fine, approfittando di quel momento di pausa, e il ragazzo continuò a osservarlo senza dire niente. Tempo due secondi e Magnus si ritrovò di nuovo Alec sulle labbra, in un bacio che non aveva niente a che vedere con quello precedente. Il fotografo sembrava completamente un’altra persona, lasciava scivolare lascivamente la lingua lungo di denti del modello, le dita leggere che sfioravano la pelle sotto la camicia di Magnus. E fu proprio in quel momento che quest’ultimo decise di porre fine a quella situazione. Lo percepiva, sentiva perfettamente che qualcosa non andava. E se c’era una cosa che non voleva era proprio quella di finire a fare cose eccessive con un Alec che si comportava così spinto da chissà quale irrazionale sensazione. Magnus si stupì dei suoi stessi pensieri. Lui non si era mai posto simili problemi, se capitava una scappatella ogni tanto con completi sconosciuti non se ne lamentava. Ma c’era qualcosa in quel ragazzo dagli occhi blu che lo spingeva a fermare tutto quello prima che fosse troppo tardi. E prima che qualcuno potesse pentirsene. 
-Alec, fermati- affermò di colpo, portando le mani sulle spalle del fotografo. Quello si bloccò, alzando la testa e guardandolo dritto in faccia. Verde contro blu. 
-Che c’è?-
-Niente, ma fermati. So che non lo vuoi realmente- 
Alec aggrottò un sopracciglio, e lo guardò con espressione stranita. 
-Tu dici?-
-Io dico. E’ stata una serata forte per tutti e due, non servirà a niente annegare i dispiaceri l’uno addosso a l’altro- spiegò Magnus mettendosi a sedere e passandosi una mano fra i capelli scomposti per sistemarli. -Mi è bastato passare una giornata con te per capire che non sei quel tipo di persona-
Alec deviò il suo sguardo e si alzò dal divano con un movimento fluido. Come il modello, anche lui aveva i capelli in tutte le direzioni possibili, ma sembrò non curarsene affatto. Magnus aveva notato immediatamente come la sua espressione era cambiata non appena aveva pronunciato quelle parole, facendo tornare in superficie l’Alec che guardava fuori dal finestrino quando erano in macchina: un Alec distrutto dentro e forte fuori, un ragazzo che cercava un qualche tipo di consolazione senza averne mai ricevuta. Fino a quella sera. 
-Certo che i tuoi baci non si dimenticano facilmente, eh principessa?- scherzò alla fine Magnus, sperando di far tornare un sorriso sulle labbra del fotografo. Alec ridacchiò.
-Una delle mie innumerevoli doti-
-Innumerevoli doti? Ora voglio sapere quali sono tutte le altre- affermò secco il modello. -Anzi, non dirmele. Voglio scoprirle da solo. Ho parecchi giorni liberi da passare con te-
-E le tue ferie?- domandò Alec aggrottando le sopracciglia.
-Pazienza, posso sempre disdire. E poi alle Hawaii fra troppo caldo. Preferisco uscire con te-
-E chi ti dice che io voglia?-. Alec sorrise.
-Principessa, abbiamo appena limonato sul tuo divano, in casa tua. Hai qualcosa da ribattere?-
-Touchè- 
Magnus rise e si alzò a sua volta dal divano, e nell’esatto istante la luce tornò all’improvviso accecando i due ragazzi. Fuori dall’appartamento il quartiere tornò a brillare nella notte, accompagnato da una serie di allarmi che cominciarono a suonare per la ritrovata corrente elettrica. 
-Penso che sia il caso di andare- iniziò Magnus sistemandosi la camicia. -Che ne dici se domani ci vediamo per pranzo? O hai da fare?-
-Probabilmente domani a pranzo andrò a vedere come sta quel disgraziato di mio fratello- spiegò Alec con un sospiro. Poteva essere arrabbiato con lui, ma non riusciva proprio a fregarsene. -Se ci vedessimo dopo?-
Magnus fece un sorriso a trentadue denti e annuì contento. 
-Dimmi dove devo venirti a prendere-
-Ti farò sapere in giornata- affermò Alec, afferrando il portafogli dai pantaloni. Ne estrasse un biglietto da visita su cartoncino bianco. -Qui c’è il mio numero, non credo di avertelo dato prima-
-Grazie principessa, lo custodirò come la gemma più preziosa- 
Alec roteò gli occhi, e accompagnò Magnus fino all’entrata. Il modello si infilò la giacca velocemente, per poi sorridere al fotografo. 
-Ci vediamo domani, Alexander-
-A domani-
Magnus scomparve lungo le scale che conducevano al portone, e Alec rimase sulla soglia di casa sua per due minuti buoni, chiedendosi cosa diamine fosse successo nelle ultime ore della sua vita. 
Sicuramente un enorme casino.



Nonostante avesse la febbre a quasi trentanove, Jace mangiava come un affamato da giorni. Alec lo guardava divorarsi letteralmente ogni sorta di pietanza che aveva nel piatto, mentre lui si limitava a sorseggiare un bicchiere di aranciata fresca con tanto di ghiaccio. Jace viveva da solo in un appartamento a pochi isolati dal suo, proprio affianco a quello di Isabelle, che si era appositamente voluta cercare una casa che fosse vicino a uno dei fratelli. Non voleva stare da sola, aveva sostenuto. E infatti, anche in quel momento, la ragazza stava in cucina a preparare tè freddo e qualche tramezzino. Alec sperò vivamente che si mettesse a cucinare solo quello. 
-Allora, come è andato il servizio?- domandò Jace non appena un enorme boccone di pollo venne buttato giù.
-Vanity mi ha dato uno dei loro modelli, è andata bene. Anche se mi hai fatto fare una figura allucinante- si lamentò il moro sbuffando, e il fratello fece un sorriso sincero.
-Scusami Alec. Non succederà più, te lo prometto-
-Lo spero proprio. Cerca di guarire per la prossima settimana- ribatté alla fine il fotografo, scompigliando i capelli del fratello. A volte Jace sembrava un cucciolo indifeso da riempire di coccole, e Alec lo adorava in quei momenti. Gli sembrava di riavere sotto gli occhi il ragazzino che era arrivato a casa sua all’improvviso, sconvolgendogli la vita. 
-Ecco tè e tramezzini per i miei due uomini!-
Isabelle entrò nella stanza con due vassoi in mano, pericolosamente in bilico, e li appoggiò in tempo alla scrivania prima che potessero volare sul pavimento. Addosso aveva un grembiulino bianco, che Alec ricordava benissimo essere di sua madre, e i lunghi capelli neri erano raccolti in una coda alta. Sua sorella era davvero bellissima. 
-Uh, tramezzini? Come? Ci sono quelli con i gamberetti?- esclamò Jace, battendo le mani, e Isabelle inarcò un sopracciglio.
-Ma non avevi la febbre alta, tu?-
-La febbre non vincerà mai contro il cibo- affermò il biondo solennemente, strappando di mano alla sorella un piatto pieno di tramezzini. 
-Sei un pozzo senza fondo- sbottò lei, mentre Alec sorrideva divertito. Una parte triste del vivere tutti separati era proprio quella, dover rinunciare a simili scene in famiglia. Quando erano ancora tutti sotto il tetto di casa Lightwood capitava spesso che tutti e tre si riunissero nella stessa stanza a passare serate come quelle, giocando ai videogiochi o guardando film. Ad Alec mancava tutto quello, anche se non lo avrebbe mai ammesso a voce alta.
Tempo dieci minuti, e circa tre tramezzini dopo, Jace si appisolò sul cuscino nonostante stesse parlando con loro, vinto dalla febbre e dal sonno post pranzo. Alec e Isabelle uscirono dalla sua stanza con calma, chiudendosi la porta alle spalle, e la ragazza prese sotto braccio il fratello conducendolo in cucina.
-Mamma e papà ci sono rimasti male per ieri sera..- iniziò Isabelle titubante. -Credo che sperassero di vederti-
-E io credo che tu abbia interpretato male le loro speranze-
-Alec, alla mamma manchi. Posso capire che tu sia arrabbiato con papà, lo sono anche io, ma non puoi continuare così!-
Isabelle si fermò in mezzo al corridoio e afferrò il fratello per le spalle. Lo guardò in quei grandi occhi blu, così simili a quelli dei genitori, e fece un debole sorriso.
-So che mancano anche a te. Non evitarli per sempre- 
Alec sospirò, annuendo leggermente, e fece una carezza sulla testa della sorella. 
-Va bene, Iz. Passerò in casa questa settimana, magari domenica-
-Perché non vieni stasera? Mangio anche io da loro, sarebbe bello..-
Alec si schiarì la gola, un po’ a disagio.
-Non posso, ho già un impegno..-
Isabelle osservò il mutamento dell’espressione del fratello, come gli occhi si erano abbassati di colpo e come le spalle si erano irrigidite. Il corpo del moro gridava disagio da ogni poro.
-Ehi, vuoi dirmi che Magnus ti porta a cena?-
-Come?!- esclamò Alec, assumendo una sfumatura violacea che Isabelle poche volte gli aveva visto in volto. Sorrise sorniona, e l’imbarazzo di Alec aumentò ancor di più.
-Fratellino, cosa è successo ieri tra te e il tuo vecchio amico?- chiese ridacchiando, e il ragazzo riprese a camminare per evitare di vederla in faccia.
-Niente-
-Non è vero-
-Ti dico niente!-
-Oh mamma, vi siete baciati vero?-
Alec quasi inciampò nello stipite della porta della cucina, e Isabelle saltellò euforica battendo le mani.
-Lo sapevo, lo sapevo, voi due siete come due calamite che si attraggono inesorabilmente, due pianeti sulla stessa orbita, due..-
-Isabelle basta!- esclamò Alec, che ormai aveva abbandonato del tutto il suo colorito naturale, e si accasciò al tavolo della cucina. -Ieri sera è stata una serata che vorrei in parte dimenticare, sinceramente-
-Cosa è successo?-
Alec la guardò in faccia due secondi, per cercare un modo di dirglielo, ma alla fino optò per la via più semplice.
-Dopo cena io e Magnus siamo andati al Pandemonium. E c’era Adrian, Iz. Con l’ex di Magnus, per di più- iniziò il moro, notando immediatamente come l’espressione della sorella si era indurita di colpo. -Abbiamo litigato tutti e quattro pesantemente, poi siamo usciti dal locale e siamo andati a casa mia. E beh.. Io e Magnus ci siamo baciati-
Isabelle rimase in silenzio per alcuni secondi, come a vagliare per bene le parole del fratello, e il ragazzo vide una marea di emozioni scorrerle sul viso: rabbia, sorpresa, e un po’ di felicità. Ma era sconvolta, si vedeva.
-Adrian.. Non ci credo- sussurrò Iz, passandosi una mano sulla fronte. -Beh, almeno tu e Magnus vi siete subito messi a far baldoria-
-Isabelle!-
Alec avrebbe voluto dire di più, magari inseguirla per tutta la cucina in modo da non farle insinuare nessun altro tipo di affermazione, ma tutti i suoi propositi vennero immediatamente infranti dalla suoneria del suo cellulare. Il classico trillo dei messaggi. Afferrò il telefono con una mano, sbloccandone lo schermo, e un leggero sorriso gli incurvò le labbra quando lesse il mittente. 

14:09
Magnus

Principessa, stasera cucino io. Ti passo a prendere per le 18:30, spero che non ti dispiaccia cenare da me :3
Baci xx


-Uh, Magnus ti ha scritto? Fai leggere, su!- esclamò Isabelle, afferrando il cellulare del fratello e leggendo il messaggio con un sorrisone stampato in faccia.
-Iz.. Dai, ridammi il telefono!-
-Cena a casa sua? Alec, ricorda i preservativi. Il sesso sicuro è importante-
-ISABELLE!-

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Capitolo 7
*** Parte settima ***


Sonomi's home:
Salve a tutti! Buon primo settembre! Quanti come me sono sul treno per Hogwarts? Alzate le manine (?)
Ok, fine scleri. Vi chiedo scusa se aggiorno dopo UN MESE, ma ad agosto sono stata 'in vacanza' e il pc l'avrò visto due volte in 31 giorni. Adesso tornerò ad aggiornare regolarmente.
La FF ha quasi raggiunto le mille visualizzazioni e nell'ultimo capitolo ben UNDICI recensioni. IO VI AMO. IO VI AKU CINTA KAMU (che poi "Aku" è "io", quindi dovrei scrivere solo 'aku cinta kamu' ma vabbeh).
Non ho intenzione di stare ad annoiarvi ancora (?) buona lettura :3






 

Parte settima



Magnus guardava con occhio critico il suo sugo di pesce, precisamente alle vongole, sfrigolare nella padella, annusando l’aria per sentirne l’aroma. Sul bancone da lavoro una bottiglia di vino rosso era già stata aperta, affiancata da un bicchiere pieno fino a metà, ma il modello non accennava a berne alcun sorso. Prima doveva assicurarsi che il suo piatto fosse perfetto, con un giusto grado di sale e di spezie, che la pasta non scuocesse e via dicendo. Certo, sarebbe stato facile se solo non avesse avuto gli occhi blu di Alexander puntati sulla schiena.
Come aveva preannunciato nel messaggio mandatogli quel pomeriggio, Magnus era passato a prenderlo alle 18:30 in punto, e si era ritrovato davanti un Alec completamente diverso dal solito. Quando era salito sulla macchina, Magnus aveva notato immediatamente l’abbigliamento del fotografo, un misto di eleganza e famigliarità con quella camicia blu scuro e un paio di semplici jeans. Un accostamento diverso dal maglione con cui si era presentato al servizio. Anche i capelli sembravano avere qualcosa di strano, ma il modello non riusciva a capire cosa. Era come se fossero scomposti in direzioni diverse, ma senza creare disordine. Si poteva notare bene quanto il ragazzo si fosse impegnato a rendersi più presentabile e Magnus aveva gongolato per quello. 
E in quel momento il suddetto Alec se ne stava appollaiato sul divano, con il gatto di Magnus fra le braccia, e guardava il modello ai fornelli con occhio critico. A giudicare dal profumo che sentiva, aveva la sensazione che sarebbe stata un’ottima cena. 
-Posso darti una mano, Magnus?-
-No principessa, ormai ho finito. La pasta è quasi cotta-
Alec annuì e regalò un’altra carezza al piccolo gattino. Quello si arricciò sulle sue gambe, regalandogli una sfilza di fusa. 
-Piaci al mio gatto-
-E’ un bene?- domandò il fotografo, facendo un sorriso. Magnus annuì.
-Non esco con persone che non piacciono al mio gatto. Sei stato promosso dalla sua zampa felina-
Alec rise, e la sua testa sfiorò leggermente la spalliera del divano nell’atto di inclinarsi. Magnus fece scivolare lo sguardo sul collo del fotografo, sulla linea così bianca e pura, e dovette girarsi di colpo prima di iniziare a fare pensieri poco casti. Come ad esempio far scivolare lentamente la lingua su quelle così chiara..
Fermo Magnus. Niente si deve risvegliare là sotto.
-Magnus tutto bene? Sei un po’ rosso in volto-
-Si, si.. È solo il calore della pentola, fa troppo caldo qui dentro- rise istericamente il modello, afferrando lo scolapasta e gettandoci direttamente dentro gli spaghetti. -Vai a sederti al tavolo, adesso arrivo con la padella-
Tempo due minuti ed erano entrambi seduti, uno di fronte all’altro, e nell’aria si respirava una chiara tensione. Alec mangiava senza dire una parola, Magnus lo fissava rischiando di mandare la pasta per terra due o tre volte, e il gatto dall’alto della sua postazione sul divano, sposava lo sguardo felino sui due ragazzi a intermittenza. 
-Allora.. Come sta tuo fratello?- affermò alla fine Magnus, spezzando il silenzio.
-Meglio, nonostante abbia la febbre le energie non gli mancano-
-E tua sorella? Adoro quella ragazza- sorrise Magnus ed Alec deglutì.
“Alec, ricorda i preservativi. Il sesso sicuro è importante”.
Il fotografo scosse la testa.
-Sta bene anche lei. Penso che sia ancora su di giri per aver lavorato con te- affermò il moro. -E probabilmente è ancora più su di giri per il fatto che sono a cena da te-
Magnus sorrise sornione, e Alec si volle sotterrare in cinque secondi. Aveva detto quella frase senza pensarci, a volte era troppo diretto. 
-Ho notato che sembra piuttosto interessata alla tua vita personale- rise Magnus arrotolando gli spaghetti. Alexander sorrise, annuendo poco dopo. 
-Abbastanza da stressarmi ogni due per tre. Ma le voglio bene per questo-
Il modello versò ad entrambi un po’ di vino.
-E tu, invece? Fratelli e sorelle?- domandò Alec dopo due minuti si silenzio, curioso di sapere qualche dettaglio in più su quell’affascinante ragazzo dagli occhi a mandorla. Di certo non si sarebbe aspettato che quello si incupisse di colpo, un incupimento visibile solo negli occhi e nascosto da un sorriso falso. Alec si sentì improvvisamente a disagio.
-Figlio unico. Non amo molto parlare della mia famiglia, non ho molti bei ricordi da raccontare- tagliò corto Magnus posando la forchetta. 
-Non volevo essere inopportuno, scusa-
-Ma non sei stato inopportuno, principessa. Non sai niente di me dopotutto- scherzò il modello, con un debole sorriso. -Per il momento- aggiunse poi facendogli l’occhiolino, e Alec si sentì un po’ meglio. 
-E cosa posso sapere di te, allora?-
Magnus sembrò pensarci seriamente. 
-Posso dirti questo: nulla nella mia vita è stato facile. Dalla mia famiglia, ai miei rapporti sentimentali, alle mie scelte lavorative- iniziò lentamente. -Ma ora mi trovo bene qui. La casa mi piace, il lavoro è ben pagato, ho degli amici a cui voglio un gran bene, adoro il mio gatto e ciliegina sulla torta, ho un meraviglioso ragazzo di fronte a me che sta mangiando spaghetti cucinati dal sottoscritto. Cosa potrei desiderare di più?- concluse Magnus con un sorrisone, e Alec lo guardò rapito. Apprezzava il fatto che il modello avesse voluto fargli capire che c’erano cose del suo passato che non era pronto a raccontare, e che probabilmente anche la questione stessa di quella Camille scoperta la sera prima era più pesante di quanto avesse voluto far intendere. Ma al fotografo andava bene così. A lui stava piacendo quel Magnus, il ragazzo sempre con il sorriso sulle labbra e la battutina senza peli sulla lingua. Sarebbe stato disposto ad accogliere anche la sua parte più nascosta quando anche l’altro si sarebbe sentito pronto. 
Quel pensiero così profondo mandò per un attimo Alec in crisi: possibile che si stesse attaccando a quel giovane a tal punto da fargli pensare una simile cosa?
-Spero che per dolce ti vada bene il gelato, perché non sono riuscito a fare la torta che avevo scelto-
Alec annuì.
-Non preoccuparti, il gelato va benissimo-


Probabilmente per colpa dei due bicchieri di vino in più, o del gelato affogato con un po’ di liquore all’amaretto, o del vino bianco con cui Magnus aveva fatto mantecare il sugo di vongole, o più facilmente degli ormoni, Alec si ritrovava completamente spiaccicato contro il muro. Le labbra di Magnus premevano sulle sue con un’intensità tale da fargli sentire quasi dolore, un dolore completamente annullato dall’eccitazione che gli attanagliava lo stomaco. Era tutto diverso dalla sera precedente, ogni cosa. La consapevolezza che quello che stava accadendo non era dettato dallo shock della presenza di Adrian, stava facendo emozionare Alec a tal punto che quando Magnus fece scivolare la mano sulla sua schiena per sollevargli la camicia non ci fece quasi nemmeno caso. 
Come fossero arrivati a quel punto era un mistero. Alec ricordava che lui e Magnus si erano messi a guardare la notturna Brooklyn dalla bellissima vetrata che fungeva in parte da muro, parlando del più e del meno, quando ad un tratto, dopo uno sguardo forse un po’ troppo intenso e facilitati dalla penombra della stanza, si erano completamente saltati addosso. E Alec si era quasi spaventato nel rendersi conto che voleva sentirsi sfiorare la pelle in quel modo. 
-Adoro il tuo profumo..- soffiò Magnus nell’orecchio di Alec, e quello nascose un brivido, sorridendo. Si sporse in avanti per catturare fra le proprie labbra quello inferiore del modello, tirandolo leggermente con i denti, e sentì i muscoli di Magnus tendersi sotto le sue mani. 
-Principessa, mi stai provocando?- 
Alec non rispose. Si limitò a fissare il suo sguardo blu in quello verde del modello, languido, per poi posare le labbra castamente su quelle di Magnus, in un bacio asciutto ma pieno di strana dolcezza. 
-Si, mi stai provocando..- rise il ragazzo, e Alec gli circondò il collo con le braccia. Le labbra finirono di nuovo una sopra l’altra, le lingue tornarono a incontrarsi e le mani presero a vagare sotto le rispettive magliette. In qualche strano modo finirono sul divano, Brooklyn fuori dalla finestra illuminava la stanza con le sue luci, ma nessuno dei due perse tempo a rimirare ancora il panorama. La maglia di Magnus volò in terra, la camicia di Alec venne aperta, e il contatto della pelle fece rabbrividire entrambi. 
Magnus non si era mai sentito così. Anche quando stava con Camille ogni contatto sembrava fuoco, ma doloroso. Le mani di Alec, la pelle di Alec, erano qualcosa che bruciava teneramente, era un contatto che avrebbe voluto sentire all’infinito.
-Questa volta non ho intenzione di fermarti, sappilo..- sussurrò il modello e Alec sorrise. 
-Fantastico-




Camille camminava a passo spedito lungo i viali di Central Park, i tacchi che risuonavano sulle pietroline e i lunghi capelli biondi mossi dal vento. Tirava aria quella sera, e la ragazza si strinse nella sua giacca per coprirsi il collo. Perché Adrian aveva voluto incontrarla proprio lì, quando New York era piena di comodissimi e caldissimi posti in cui stare seduti? Sbuffò infastidita e si sedette sulla panchina che il giovane le aveva indicato nel messaggio, quella davanti al ponticello che collegava al lago. 
In quei giorni si sentiva perennemente scocciata. Non riusciva a divertirsi, non riusciva a liberarsi di quel peso che le stava sullo stomaco come un sasso di grandi dimensioni. E sapeva anche perché. Odiava vedere Magnus felice. Con qualcuno che non fosse lei, chiaramente. Aveva sempre avuto questa idea, quella che Magnus non potesse appartenere a nessun’altra persona se non a lei. Non riusciva a capire come mai quel ragazzo le facesse sviluppare quel simile pensiero, ma da quando si erano lasciati lei si era resa conto che in qualche modo Magnus le mancava. O molto più probabilmente le mancava la sua innata disponibilità a soddisfare ogni suo capriccio. Camille ridacchiò.
-Una ragazza che ride da sola nell’oscurità.. Sei inquietante Belcourt-
Adrian sbucò dal viale affianco e la biondina sussultò leggermente. 
-E tu dovresti evitare di saltare fuori dal nulla, Thompson- sbottò lei mentre il ragazzo le si sedeva accanto. -Per quale motivo mi hai fatto scomodare a quest’ora? Ho delle cose da fare anche io, sai?-
-Oh andiamo Camille…- Adrian rise e la ragazza lo fulminò con lo sguardo. -Ti conosco abbastanza da sapere che hai capito benissimo di cosa voglio parlarti, e so altrettanto bene che sarai molto interessata alla mia proposta..-
-Che genere di proposta?-
Adrian si mise comodo, intrecciando le gambe davanti a sé, e stiracchiò le braccia.
-Proprio stamattina sono stato contattato da un famoso staff di una rivista di moda, che ha richiesto il mio aiuto per la sistemazione scenica. E guarda caso.. -
-Guarda caso?-
Camille si stava esasperando.
-E guarda caso questo giornale è proprio Vanity Fair, e il modello che vogliono proporre è proprio Magnus e il fotografo che vogliono chiamare.. Beh..-
-Quel Lightwood..- 
-Esattamente-. Adrian sorrise alla ragazza, e quella alzò un sopracciglio. -Inoltre stanno cercando una modella da affiancare a Bane. Mi sono permesso di dar loro il tuo nome..-
-Tu sei terribile- rise Camille. -Sai benissimo che quel Lightwood non si rifiuterà mai di lavorare con te perché è troppo ligio al dovere, proprio come Magnus. Davvero lodevole..- 
-Sono un ragazzo dalle mille risorse. Ti chiameranno domani in mattinata- affermò Adrian infilando le mani nelle tasche della giacca. -Mi devi un favore Belcourt-
-Non preoccuparti Thompson. In questo lavoro siamo una squadra..- sussurrò Camille. -Ci aiuteremo a vicenda- 


Magnus e Alec erano ancora stesi sul divano, aggrovigliati in un bacio che di casto non aveva nulla. Anche la camicia del fotografo era volata malamente sul pavimento, assieme alle scarpe di entrambi e a ogni briciolo di pudore. Magnus faceva scivolare lentamente la punta del naso lungo la pelle dell’altro, sul collo, sulle braccia, ovunque, e Alec rabbrividiva a ogni leggero contatto. Era tutto così strano, così diverso e piacevole. Non era nella sua indole lasciarsi andare a quel modo con persone che conosceva da poco, ma c’era qualcosa in Magnus, qualcosa di altamente attraente e confortante. Qualcosa che vedeva riflesso in quegli occhi verdi, e che gli piaceva. 
-Forse stiamo correndo un po’ troppo..- sussurrò Alec con un sorriso, e Magnus gli sfiorò le labbra tese.
-Tu dici?- ridacchiò, e il fotografo gli passò una mano fra i capelli.
-Un po’. Non che mi dispiaccia, sia chiaro-
Magnus rise e appoggiò il mento sul petto di Alec. I suoi occhi da lì sembravano ancora più blu. 
-Hai ragione. Meglio non correre, altrimenti la prossima volta non avrò nulla di nuovo da scoprire- e il modello gli regalò una strizzata d’occhio. 
-Razza di idiota-
Magnus avrebbe voluto picchiarlo giocosamente, magari fargli il solletico o prenderlo in giro, ma il suo cellulare prese a trillare all’arrivo di un sms, e si spaventò per un attimo considerando l’ora. Forse qualcuno dei suoi amici stava male e aveva bisogno di lui? Fu quel pensiero a farlo staccare da Alec e a fargli afferrare il cellulare ancora abbandonato sul tavolino. 


Da: C. B.
23:56

Ci vediamo presto, mon tresor.

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Capitolo 8
*** Parte ottava ***


Sonomi's home:
SONO VIVAH. Ok, partendo dal presupposto che sono in ritardo di due mesi e mezzo, ed è una cosa OSCENA... vi chiedo scusa. Mi ero ripromessa di trovare il tempo per scrivere ma tra università e problemi personali che mi hanno abbattuta d'umore la voglia di scrivere è volata via come fumo. Nonostante tutto spero che possiate scusarmi e continuare a seguirmi. :3 
Vi lascio a questo capitolo, un po' corto ma che metterà in piedi la storia per bene ;) e che spero vi farà sorridere, che di sorrisi nel mondo in questo momento c'è un ardente bisogno. 
Con la speranza di ri-leggere le vostre amate recensioni vi saluto <3

 






PARTE OTTAVA
 

Alec fissava il direttore di Vanity Fair come si potrebbe fissare una bestia viscida e terribile, ma probabilmente quest’ultimo non se ne era nemmeno accorto. Continuava a parlare del progetto che aveva in mente di fare nelle due settimane seguenti, di come fosse rimasto talmente colpito dal suo lavoro e da quello di Magnus Bane e di come voleva approfittare della cosa. Solo in un ambiente diverso, probabilmente in un bosco, ed insieme a un altro modello, possibilmente femmina. E fin qui nessun problema, si era detto Alec. 
Non finché il signor Thompson non ebbe tirato fuori il nome dei due collaboratori. 
-Sono convinto che insieme farete tutti un ottimo lavoro- continuava a dire il direttore, senza badare all’espressione di Alec.
-Ma signor Thompson…-
-E sono sicuro che le foto risulteranno ancora meglio nella natura e..-
-Signor Thompson..-
-Mi creda signor Lightwood sarà spett..-
-Signor Thompson!- sbottò Alec nascondendo le mani sotto la scrivania. Il direttore si zittì e appoggiò la schiena alla spalliera della poltrona. -Lei si è informato, ad esempio, se la modella consigliata abbia qualche esperienza nel campo? Con tutto il rispetto, ma sarebbe terribile porre affianco a Magnus Bane una modella poco.. Beh, soddisfacente-
Alec aveva intenzione di provarle tutte. Non voleva lavorare con quella donna, né con lo sceneggiatore. 
-In precedenza la signorina Belcourt ha partecipato ad alcuni servizi minori per delle riviste e la sua bellezza è invidiabile-
-Molto bene. E lo sceneggiatore è necessario? Sono cose di cui mi sono sempre occupato io e non mi piace che qualcuno si immischi nel mio lavoro- continuò Alec, implacabile, mentre il direttore sospirava.
-Capisco che le possa dare un certo fastidio, signor Lightwood, ma la prego di chiudere un occhio per questa volta. C’è un motivo dietro a questa scelta, e non è una cosa che mi piace sbandierare ai quattro venti- 
-Io non sono “quattro venti”, ho diritto a saperlo-
Il direttore di Vanity sembrava teso come una corda di violino mentre guardava Alec in faccia, e il ragazzo ebbe la netta sensazione che volesse scappare da un momento all’altro. La questione che non voleva rivelare sembrava metterlo a disagio per davvero, ma ad Alexander non importava. Doveva dargli una motivazione valida, altrimenti avrebbe lasciato il lavoro a qualcun altro seduta stante.
Forse.
Non sopportava l’idea di Camille Belcourt spalmata su Magnus senza di lui a tenere d’occhio la situazione. 
-Quello che sto per dirle deve rimanere assolutamente fra di noi, chiaro signor Lightwood?-
Alec annuì.
-Bene. Non voglio girarci intorno. Adrian è mio nipote, non sta lavorando da tempo nonostante sia un ottimo sceneggiatore.. E voglio dargli una mano- 
Ora aveva tutto un senso, e il moro quasi si diede dell’imbecille. Avrebbe dovuto arrivarci subito, per via dello stesso cognome. E capì subito anche un’altra cosa, che gli fece ribollire il sangue nelle vene come mai prima di allora.
-Capisco. E mi dica, ci scommetto la mano destra che è stato suo nipote a consigliarle la Belcourt, vero?- domandò il ragazzo, il tono freddo e distaccato. Il signor Thompson sembrò rimanerne colpito.
-Beh si.. Oh insomma signor Lightwood. Mi sembra chiaro che ci sia qualche problema che l’assilla. Mi vuole rendere partecipe proprio come io ho fatto con lei?-
Alec si alzò in piedi, sistemandosi le pieghe dei pantaloni e il colletto della camicia. Afferrò la giacca appoggiata sulla spalliera della sedia, le chiavi della macchina e il cellulare, per poi regalare un’ultima occhiata raggelante al direttore.
-Molto bene. Le dirò cosa mi turba- affermò secco. -Lei mi ha appena offerto un lavoro affianco al mio ex, con cui ho davvero dei pessimi rapporti, ma non solo- continuò il ragazzo, mentre il signor Thompson trasaliva. -La seconda parte del problema, perché c'è una seconda parte, non riguarda la mia persona quindi temo di non poterne parlare. Forse è il caso che ne discuta anche con il signor Bane. Potrebbe avere delle reticenze ad accettare proprio come me-
-Aspetti.. Ex? Cosa..?- balbettò il direttore. -Mi sta dicendo che non accetterà il lavoro?-
-Le sto dicendo che ci penserò. Molto ardentemente- affermò Alec. -Le auguro una buona giornata signor Thompson-
E il moro si chiuse la porta alle spalle con uno scatto secco. 


Quando Alec entrò nel bar, Magnus piantò immediatamente gli occhi sulla sua figura slanciata. I capelli neri, gli occhi chiari, i vestiti costantemente scuri. Sembrava un guerriero pronto a correre in aiuto di qualcuno, freddo e implacabile. Si fece notare con un’alzata di mano e aspettò che si sedesse al tavolo prima di aprire bocca. 
Quando prese posto sul suo volto lesse solo sconforto.
-Ci sono novità, principessa?- chiese il modello e Alec sbuffò.
-Ho appena finito di parlare con Thompson. Tu non hai idea di cosa ho appena scoperto-
La cameriera arrivò di corsa, prese l’ordinazione di Alec (non senza occhiate piuttosto sorprese verso l’affascinante nuovo arrivato), e si dileguò in fretta dietro il bancone. Il moro quasi non l’aveva nemmeno notata.
-A giudicare dalla tua faccia non sono cose belle- affermò Magnus. -E credo che non saranno piacevoli neanche per me. Dico bene?- 
Alec annuì. -Parto dalla notizia positiva. Abbiamo pressoché due settimane per pensare se accettare o meno il lavoro. Ora, quale delle notizie terribili vuoi sentire per prima?-
Il tono di Alec fece per un attimo sentire a disagio Magnus, ma il modello cercò di non darlo a vedere. L’espressione che il moro aveva avuto sul volto la sera prima, quando erano avvinghiati sul divano, sembrava solo un lontano ricordo. 
-Comincia da dove vuoi-
-Ho la conferma che Camille sarà la modella che ti affiancherà. Questa è la prima notizia terribile-
Magnus fece una smorfia e lasciò cadere il cucchiaino dentro la tazza quasi vuota del cappuccino.
-Di bene in meglio..-
-Oh ma non è finita. Sai chi l’ha consigliata al direttore? Suo nipote-
-Oh. E quindi?-
-Suo nipote è Adrian, Magnus-
Il modello si congelò letteralmente, e Alec vide riflesso nei suoi occhi il più totale sconvolgimento. 
-Non scherzare-
-Vorrei fosse tutto una burla, ma temo che non sia finita qui. Adrian sarà lo sceneggiatore del servizio. Tradotto: il signor Thompson vorrebbe che noi accettassimo un lavoro con entrambi i nostri ex. Inutile dire che Adrian e Camille devono essersi ingegnati parecchio per tramare così spudoratamente alle nostre spalle- concluse Alec funerario, proprio mentre la cameriera poggiava davanti a lui la tazza di the fumante. Magnus, al contrario, fissava il suo cappuccino in silenzio. Quella situazione stava diventando ridicola in una maniera quasi tragica. Se le cose accadute fino quel momento già gli sembravano allucinanti, quella rasentava la follia.
-Potremmo non accettare..- sussurrò Magnus, riprendendo in mano il cucchiaino. 
-Potremmo. Anche se non mi piace perdere- affermò Alec. -Non vorrei che Adrian pensasse che ho rifiutato solo perché c’è lui..-
-Quindi pensi di accettare?- Magnus sembrava titubante.
-Forse. Anche perché se tu dovessi partecipare ho intenzione di tenere Camille sotto stretto controllo-
Magnus scoppiò a ridere, facendo girare metà sala verso di sé. Alec lo guardò con un cipiglio offeso da dietro la tazza della sua bevanda, ma di minaccioso aveva ben poco. Sembrava un cucciolo a cui era stato negato un croccantino. 
-Amo quando fai il geloso-
-Non è questione di gelosia..- sussurrò il moro, ma Magnus continuava a sorridergli con divertimento. 
-Beh io invece sono geloso. E se tu partecipi, verrò anche io. Thompson deve solo avvinarsi a te un po’ troppo e potrà dire addio alle sue palle. E al suo lavoro-
Alec sorrise e lasciò che le dita fredde e affusolate si scaldassero contro il bordo della tazza. Guardando le proprie mani gli venne in mente come sua sorella Isabelle avesse reagito a quella notizia, quando l’aveva informata fuori dall’ufficio di Thompson: era sbiancata completamente e aveva iniziato a pensare a un modo per sabotare il servizio fotografico. O per uccidere Adrian. Izzy non l’aveva mai sopportato, nemmeno quando la relazione fra lui e Alec sembrava andar bene. Sosteneva che fosse un tizio strano, criptico e viscido. “Ti spezzerà il cuore, fratellino”, gli aveva detto una volta. Se solo le avesse dato retta prima..
-Principessa, ti sei perso nel mondo delle favole?-
La voce di Magnus lo fece riscuotere dai suoi pensieri, e si sforzò di sorridere.
-Stavo pensando, scusami. Dicevi qualcosa?-
Magnus fece un sorrisino, uno di quelli cattivelli che non portavano mai a nulla di buono. Alec lo guardò sporgersi sul tavolo, le mani intrecciate, e per un attimo pensò che fosse fin troppo bello e carismatico per poter essere vero. 
-Credo di aver avuto una piccola idea che potrebbe far volgere la situazione a nostro favore..- 
-Ahi ahi, non mi fido Bane. Le tue idee sono pericolose-
-Non temere principessa. Nulla di pericoloso- affermò Magnus annuendo. -Ho solo bisogno di una risposta molto sincera da parte tua. Se il servizio fosse affidato a un altro fotografo ci rimarresti male?-
Alec sbattè le palpebre, perplesso. -No. Decisamene no- 
-Ottimo. Era proprio quello che volevo sentirmi dire-
-Perché ho la sensazione che mi pentirò di aver risposto così?-
Alec sembrava sinceramente preoccupato, ma Magnus era troppo euforico per la splendida idea che gli era balenata in testa. E aveva anche l’arma giusta per fare in modo che andasse a buon porto. 
Non aspettò altro tempo: fece alzare Alec dal tavolo, pagò per due e trascinò il moro fino a casa sua. Avrebbe fatto volentieri gli onori di casa come dovuto, magari ricordando al divano cosa era successo la sera prima, ma prima di tutto aveva bisogno di quella foto. Magnus aprì l’armadio in camera, tirando fuori uno scatolone dall’aria consunta, e iniziò a cercare convulsamente l’oggetto dei propri desideri. Sapeva di averla messa lì entro, al sicuro da occhi indiscreti, ma esultò comunque quando le sue dita ambrate andarono ad afferrare i bordi di una foto un po’ ingiallita dalla polvere. Alec si sporse oltre la sua spalla e osservò con completo sconvolgimento ciò che quell’immagine rappresentava.
-Santo cielo Magnus! Cosa ci fa una foto di Thompson con la segretaria in casa tua?!-
-Si chiama ‘arma di ricatto’ principessa. Me la sono procurata quando Thompson ha iniziato a pretendere un po’ troppo da me senza pagare straordinari. Ero già un modello famoso, eppure si ostinava a trattarmi come un novellino. Gli ho dato modo di ricredersi-
-Tu sei terribile-
Magnus sorrise.
-Oh, lo so principessa-

Quando Magnus aprì la porta dell’ufficio del signor Thompson, Alec sapeva che le cose si sarebbero messe male. Aveva questa strana sensazione alla bocca dello stomaco, qualcosa che gli diceva che l’idea di Magnus era un po’ una follia. 
-Oh, Bane, Lightwood, siete venuti qui per parlare del servizio?- domandò il direttore alzandosi in piedi e allargando le braccia verso di loro come se avesse voluto stringerli a sé. 
-Esattamente direttore- esclamò Magnus, fintamente euforico, lasciandosi cadere su una sedia. Alec rimase in piedi, impietrito. 
-Spero che siate qui per portarmi buone notizie. Alexander oggi mi ha accennato a qualche problema di cui..-
-Oh si direttore. Proprio così- lo interruppe Magnus infilandosi le mani in tasca. -Diciamo che c’è qualcosa che vorremmo ridefinire per questo servizio. Molte cose-
Il signor Thompson perse il suo sorriso, e sedette a sua volta sulla poltrona. Guardava l’espressione di Magnus con un misto di terrore e panico.
-I termini del servizio sono molto chiari ragazzi, o accettate del tutto o..-
Il direttore non finì la frase. La mano di Magnus scattò fulminea fuori dalla giacca e la foto incriminata balzò davanti agli occhi di tutti teatralmente. Il signor Thompson impallidì come poche volte nella vita, e Alec guardò il volto di Magnus accendersi di trionfo, rendendolo simile a un angelo vendicatore un po’ birbante. 
-Possiamo ritrattare sul servizio adesso, signor Thompson?-

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Capitolo 9
*** Parte nona ***


Sonomi's home:
Buongiorno bellissimi, questa volta ho aggiornato in fretta, solo qualche giorno di ritardo (dovuto al mio compleanno e vari festeggiamenti, sorry ç_ç). 
Ci tenevo a ringraziare tutte le persone che stanno seguendo questa storia, a cui tengo molto, perciò GRAZIE. 
Non sto ad annoiarvi ancora :)

Vi ricordo solamente che per chi volesse nella mia pagina autrice ci sono i vari social a cui sono iscritta e attraverso cui potete contattarmi se lo desiderate :D
Buona lettura!


 
PARTE NONA




 
-Alec..-
-No-
-Dai, principessa, fammi..-
-No-
-Non puoi trattarmi così!-
-Oh si che posso. Eccome-
Magnus mise il broncio e fissò Alec con un’occhiata di puro risentimento. Il fotografo se ne stava bellamente accomodato su una delle poltrone nella sala d’attesa di Vanity Fair, completamente deserta eccetto lui, Magnus e Isabelle, arrivata esattamente pochi minuti prima. Quest’ultima guardava il fratello con le labbra tirate dallo sforzo di non scoppiare a ridere, perché diamine, la situazione era davvero ridicola.
-Dai Alexander.. Ci siamo salvati da questa situazione scomoda- lo pregò di nuovo Magnus, il labbro inferiore sporto in avanti in un tentativo di espressione tenera, ma il moro non lo degnò nemmeno di uno sguardo.
-Ci siamo salvati? Salvati? Io ti.. Ti..- borbottò Alec lanciandogli un’occhiata raggelante. 
-Senti, peggio di prima non è, no?-
Alec si infilò una mano nei capelli, affranto, e si sentì rimbombare nella testa le frasi dette poco prima nello studio del signor Thompson…

-Possiamo ritrattare sul servizio adesso, signor Thompson?-
Il direttore guardò la foto fra le mani di Magnus con un misto di terrore e panico, che lo portò addirittura a doversi asciugare con un fazzoletto il sudore dalla fronte. Alec, nell’angolo dell’ufficio, non osava muoversi. Quella situazione non gli piaceva affatto, non era tipo da ricattare la gente, ma pur di trovare una soluzione al dramma “Adrian-Camille” era disposto a fare questa piccola digressione al suo codice d’onore. 
-Molto bene- affermò alla fine Thompson congiungendo le mani. -Cosa desiderate modificare, miei cari?-
Magnus fece un sorrisetto e si sporse verso il proprio capo.
-Abbiamo alcune condizioni da proporle, se ci tiene così tanto ad avere il nostro aiuto in questo servizio- iniziò il modello. -Per prima cosa, il signor Lightwood non dovrà occuparsi della fotografia. Perché non da questa opportunità a suo nipote Adrian? Sono certo che ne sarà felice-
Alec guardò sbigottito il modello, chiedendosi dove volesse andare a parare. Allora, prima, quando gli aveva chiesto quanto ci tenesse ad occuparsi del servizio non scherzava affatto!
-Come prego? Lasciare nelle mani di Adrian.. E poi scusi, ma lei come fa a sapere che è mio nipote?- esclamò il signor Thompson, guardando Alec in malo modo come per accusarlo di aver aperto bocca.
-Oh andiamo direttore- sbuffò Magnus accavallando le gambe. -Pensava sul serio che data la situazione, ovvero che Adrian è l’ex di Alexander e Camille Belcourt la mia, il signor Lightwood non mi avrebbe detto nulla?- rise. -Ormai io e Alec siamo diventati amici… intimi-
Alec cercò di non pensare a come Magnus avesse calcato la parola ‘intimi’ e a giudicare dalla faccia pressoché sconvolta del signor Thompson lui voleva fare altrettanto. 
-Perciò capisce che la situazione è davvero scomoda..- continuò poi il modello, il tono falsamente dispiaciuto.
-Senta, signor Bane. Io capisco che tutto possa risultare sconveniente, mai mi sarei immaginato una sua relazione con la signorina Belcourt o.. insomma..- il signor Thompson guardò un attimo Alec, lasciando la frase sottintesa. -Ma cerchi di capire: io non posso licenziare quella ragazza. Perché scommetto che questa sarebbe stata la seconda richiesta, vero?-
Magnus mise il broncio e Alec si sentì sprofondare nel pavimento. La situazione stava prendendo una piega che non gli piaceva. Puzzava di qualcosa, qualcosa che il fotografo poteva quasi vedere prender vita nella mente di Magnus a una velocità sorprendente.
-Mi è appena venuta un’idea- esclamò alla fine il modello scattando in piedi. Alec sussultò. -Può tenere me come modello, anche la signorina Belcourt, se ci tiene tanto. Il fotografo sarà suo nipote-
-Sembra piuttosto ragionevole..- sussurrò il signor Thompson, sulla difensiva, e Alec si sentì ancora più nervoso. Quindi sarebbe toccato a lui farsi da parte e vedere quella biondina strusciarsi addosso a Magnus senza poter dire niente?
-Oh, ma non ho finito- il modello sorrise sadico. -Pretendo un terzo modello a lavorare con me e la signorina Belcourt. Sa per, come dire, diminuire il disagio-
-E chi, di grazia?!-
-Ma Alexander naturalmente-



Alec sospirò e sua sorella si alzò in piedi per passargli una mano sulla spalla. Sembrava completamente afflitto e poteva anche capirlo. Sapeva quanto quella situazione lo stesse mettendo a disagio ma.. Dannazione, non vedeva l’ora di vedere cosa avrebbero combinato assieme quei due. 
-Andiamo fratellone, non è così tragica. Sei un bellissimo ragazzo, verrà benissimo-
-Isabelle ha ragione, sarai perfetto!- esultò Magnus, lanciando un’occhiata di gratitudine alla ragazza. Alec lo fulminò per l’ennesima volta. 
-Ti rendi conto di quello che dovrò fare? Posare insieme a te e alla tua ex, mentre il mio ex ci farà le foto. Ti sembra normale?- sbottò il fotografo e il modello sorrise.
-Ma almeno Camille non oserà avvicinarsi a me e Adrian a te. Entrambi saremo felici- 
-Ma io non sono un modello!-
Isabelle ridacchiò, scuotendo leggermente il capo, e lasciò un’ultima debole carezza sulla schiena del fratello. 
-Non sarai un modello, ma sinceramente non vedo l’ora di vedere le facce di Adrian e Camille. Ora devo scappare, ho un impegno che non posso disdire- spiegò la ragazza facendo l’occhiolino ad entrambi i presenti. Poi afferrò la giacca, la borsa, e si incamminò lungo il corridoio d’ingresso di Vanity Fair sui suoi tacchi da dodici centimetri. 
Alec abbassò lo sguardo sulle sua mani, probabilmente la cosa meno snervante di tutta la situazione, mentre Magnus lo fissava con un cipiglio imbronciato e le sopracciglia aggrottate. Non sopportava vederlo così contrariato, ma l’idea che gli era venuta in mente era stato l’unico compromesso in grado di non darla del tutto vinta a quei manipolatori dei loro ex. Che poi, il motivo per cui quell’Adrian e Camille si fossero intestarditi così tanto, Magnus doveva ancora capirlo. 
-Dai Alec, seriamente..- iniziò il modello sedendosi accanto al fotografo. -Non avercela con me. So che avremmo dovuto parlarne prima ma non c’era tempo. E così è molto meglio di come avremmo potuto ritrovarci..- 
-Lo so- borbottò Alec, interrompendolo, incassando il collo nel maglione. -Ma non ho mai posato in vita mia. Non sono capace di fare tutte quelle facce su comando, tutte quelle espressioni..- 
-E invece sarai perfetto..- sussurrò Magnus, allungando una mano sui capelli scuri dell’altro. Era cosa buona il fatto che la sala in cui erano seduti fosse completamente deserta, dove nessuno avrebbe potuto guardarli male per qualche gesto più confidenziale del solito. Alec socchiuse leggermente gli occhi a quel tocco e il modello sorrise della sua espressione più tranquilla. 
-Possiamo sempre fare qualche prova, abbiamo tempo- propose lentamente, mentre Alec lo guardava sovrappensiero. 
-Qualche prova?-
-Io mi metto dietro la macchina fotografica e tu davanti all’obbiettivo. Ci stai?- 
Magnus sorrise apertamente, gli occhi verdi illuminati dall’entusiasmo per quella magnifica idea. Ma Alec dopotutto non poteva fare altro che assecondarlo. Male non gli avrebbe fatto, e avrebbe sicuramente ridotto l’imbarazzo una volta avviato il servizio. 
-Ci sto-
-Ottimo, andiamo allora- esclamò Magnus saltando in piedi, afferrando le mani di Alec e trascinandolo su con lui. 
-Dove..?-
-Giù in studio, non c’è nessuno a quest’ora, abbiamo la sala per noi!-
Alec non ebbe nemmeno il tempo di ribattere che il modello aveva già cominciato a condurlo nel corridoio adiacente a quello d’ingresso, poi lungo la rampa di scale che portava al piano inferiore, quello delle varie sale di fotografia, ritocco e produzione. E il fotografo si stava facendo prendere dall’ansia. Aveva accettato la proposta ma sperava di avere almeno qualche momento per prepararsi psicologicamente. Magnus raggiunse la sala dove solo qualche giorno prima si erano rivisti dopo tutti quegli anni e aprì la porta senza problemi: nessuno aveva ancora chiuso a chiave.
Come il modello aveva annunciato, la sala era completamente deserta. Accesero le luci e i vari sfondi da fotografia comparvero sotto i loro occhi. Tutte le macchine erano spente, quasi tristi, e Alec si sentì meglio in quell’ambiente così familiare. Si voltò verso Magnus e lo trovò a fissarlo con un cipiglio pensoso e divertito.
-E quindi?- 
-Stavo pensando a come potrei farti fare le foto. Niente trucco, hai un viso troppo bello così al naturale- commentò Magnus annuendo leggermente. -Ma per i vestiti.. Beh, qui c’è da lavorare-
-Magnus io non..- 
-Zitto, principessa. Ora comando io-
Il modello trascinò Alec nei camerini, la stanza adiacente, e prese a frugare fra una serie di capi d’abbigliamento che era sicuro sarebbero andati bene. Alla fine optò per una maglietta a mezze maniche sul rosso mattone e per un paio di jeans beige, cosa che fece tirare un sospiro di sollievo ad Alexander: mai fidarsi di Magnus Bane quando si trattava di vestiti, ormai l’aveva imparato. Quando il fotografo ebbe finito di cambiarsi dovette ammettere che non stava niente male con qualche colore che non fosse nero o blu. Avrebbe dovuto farci un pensierino. Alec uscì dal camerino e si diresse verso un Magnus chinato su una macchina fotografica, probabilmente intento a farla partire. 
-Fermo lì, Bane- borbottò il moro. -Ci penso io a prepararla-
-Woow. Caspiterina principessa, sei uno schianto- esclamò l’altro senza minimamente ascoltare ciò che Alec aveva detto. -Dovresti vestirti così più spesso. Sei molto sexy-
-E tu dovresti allontanarti da lì prima di rompere qualcosa-
Magnus fece una linguaccia, ma lasciò che il fotografo sistemasse la macchina per lui. Gli mostrò i vari tasti, dallo zoom ai vari programmi di modifica istantanea, e il modello si ritrovò a pensare che fare quel lavoro fosse molto più difficile di quanto sembrasse. Anche solo catturare l’angolazione giusta doveva essere un bel da fare. 
-Molto bene principessa. Ora vai in mezzo allo sfondo- esclamò Magnus e Alec si diresse verso la parete azzurrina con lo stesso entusiasmo di quando si va a fare le analisi del sangue alle sette del mattino, se non peggio. Si posizionò al centro esatto, infilò le mani in tasca e cercò di non pensare minimamente a cosa stava per fare.
Che cosa ridicola.
-Perfetto Alexander. Questa posa va bene, fammi un leggero sorriso e guarda verso la fotocamera con la testa leggermente piegata verso il basso- 
Alec eseguì goffamente, le guance leggermente arrossate dall’imbarazzo, e Magnus sembrava abbastanza contento data la quantità di scatti che stava facendo. 
-Ottimo. Ora fai quello che ti pare- annunciò.
-Come?-
-Voglio che tu sia naturale, provaci. Nessuna posa- 
Ok, puoi farcela. Non è la fine del mondo.
Alec si appoggiò completamente al muro alle sue spalle, incrociò le braccia al petto e puntò lo sguardo blu contro la fotocamera: nessun sorriso, nessuna espressione, ma Magnus prese a scattare altre foto e sembrava completamente euforico. Alec era bellissimo, in una maniera quasi devastante: sembrava un angelo sceso dal cielo pronto a punirlo con la sua gelida fermezza. I capelli scomposti, la pelle chiara, lo sguardo profondo e intenso. Magnus avrebbe voluto correre da lui e baciarlo senza tanti problemi, ma non era sicuro che il moro avrebbe apprezzato tutto quello slancio. 
-Sei bellissimo Alexander. Dico sul serio- affermò alla fine e quelle parole fecero sciogliere l’aria da duro che il fotografo aveva assunto.
-Beh, ora..-
-Se devo essere sincero, hai una bellezza tale da oscurare completamente me e Camille. Non che mi dispiaccia, sia chiaro- rise il modello, trafficando ancora un attimo dalla macchina fotografica. Poi si diresse verso Alec con un sorriso sbilenco e un piccolo telecomandino fra le mani. Quello sembrò non accorgersene, troppo impegnato ad imbarazzarsi. 
-Dovresti farti fotografare più spesso-
-Non amo stare così tanto al centro dell’attenzione..-
-Ma con me non hai avuto molti problemi, o sbaglio?- 
Alec fece un piccolo sorriso. 
-Beh, tu sei tu..-
Magnus guardò sconvolto il viso di Alec imporporarsi ancora di più, e una strana sensazione di calore prese ad attanagliargli lo stomaco. Come faceva a uscirsene con delle frasi del genere e poi pretendere che non gli saltasse addosso seduta stante? Beh, Magnus non aveva intenzione di resistere. Si avvicinò ad Alec senza nemmeno dargli il tempo di rendersene conto, gli sfiorò una guancia con una mano e catturò le sue labbra nel bacio probabilmente più casto che si erano dati fino a quel momento. E, sicuramente, anche il più sentito.
Alec non si rese minimamente conto che, nel frattempo, era partito l’autoscatto.




-Come prego?!- sbottò Camille, la tazzina di caffè sbattuta in malo modo sul tavolo. Un po’ del saporito liquido marrone scivolò fuori dalla tazza, ma sembrò quasi non farci caso. Adrian, davanti a lei, aveva lo stesso cipiglio infastidito. 
-Queste sono le nuove condizioni. Non si discute- annunciò secco e gli venne quasi voglia di ringhiare. Suo zio lo aveva chiamato una mezz’ora prima mentre si stava dirigendo verso il bar in cui Camille lo stava aspettando. Una strana coincidenza, se non fosse stato per le notizie che lo zio veniva a portare. 
-Non si discute? Staremo a vedere- sibilò la bionda. -Questa cosa è una pagliacciata-
-Mio zio ha accettato senza discutere, altrimenti ci avrebbe perso troppo- spiegò Adrian. -Ci toccherà agire così-
-Con quello stupido ragazzino come terzo modello? Non ci siamo proprio-
-Ma qual è il problema, Camille? Lavoreremo comunque sia con Magnus sia con Alec, non vedo..-
-Il problema è che se quel bel faccino del tuo ex girerà troppo intorno al mio, di ex, io avrò poche occasioni di stare con Magnus. Da quando ci siamo lasciati mi evita come la peste e io non posso permettermi di essere ostacolata ancora- ringhiò la ragazza, e Adrian alzò un sopracciglio.
-Ma sbaglio o sei stata tu a lasciarlo? Qual è il tuo problema?-
Camille appoggiò la schiena allo schienale della sedia, lo sguardo puntato gelidamente in quello del giovane davanti a lei. I capelli ricaddero in un unico movimento fluente oltre le sue spalle, delicati, e Adrian attese con pazienza la risposta alla domanda posta. 
-Il mio problema? Alexander Lightwood. Perché?- chiese ironicamente Camille. -Perché ciò che è mio, non ti tocca. E ciò che è mio.. Io me lo riprendo-

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Capitolo 10
*** Parte decima ***


UDITE UDITE! Sonomi è tornata, dopo mesi e mesi e mesi, e mi meriterei di essere picchiata per questo. Vi chiedo scusa, non sto nemmeno a spiegarvi perché ho ritardato così tanto perché non ci sono scusanti. Vi chiedo scccccusa ç___ç 
Anyway, parliamo di cose serie. La FF torna, finalmente, e spero di riuscire ad aggiornare senza ritardi di cinque mesi. Volevo ringraziare tutti coloro che hanno letto e commentato il capitolo 9, siete tantissimi! Spero che tornerete a seguire la ff come un tempo <3 Vi lascio a questo capitolo, chiarificatore su alcune cose che sono state introdotte a indizi(?) durante la storia. :)

PREMESSA DA LEGGERE!(?): in questo capitolo vedremo un Magnus un po’.. diverso. Non abbiate paura, non lo getto nel mare orrendo dell’OCC, ma c’è una piccola spiegazione dare. Qui Magnus è solo un poco più che ventenne con un passato difficile alle spalle, non ha la maturazione psicologica di un uomo di ottocento anni. Perciò è più.. Psicologicamente fragile, come lo sarebbe chiunque. E si aggrappa all’unica cosa in grado di tenerlo in piedi.. Proprio come nei libri. Spero che questa versione di Mag vi piaccia. <3

 





Parte decima

Una settimana dopo c.a.

Mamma. Mamma, dove sei?
Il bambino camminava scalzo lungo il corridoio, la porta del salotto socchiusa davanti ai suoi occhi. La luce soffusa delle plafoniere filtrava attraverso la fessura, insieme ai flash della tv accesa, il volume quasi assordante di un programma di poco conto. Il bambino aveva i piedi coperti dai pantaloni del pigiama, troppo lungo, e le manine sporche di tempera. Gli piaceva disegnare, e sua mamma adorava appendere i piccoli lavoretti al frigorifero con le calamite prese allo zoo. 
-Lurida puttana, sei solo una..-
-Lasciami andare, LASCIAMI ANDARE TI HO DETTO!- 
Un tonfo pesante, e attraverso la piccola apertura della porta il bambino vide sua mamma cadere per terra tenendosi una mano sulla guancia. Piangeva. Il bambino la vedeva spesso piangere, e tutte le volte era sempre colpa di papà. Perché papà la faceva piangere? Continuò a camminare, doveva andare da lei. 
-Sei solo uno stronzo..- gemette la donna, le lacrime che rendevano umido il suo volto stremato. Poi il bambino entrò nella stanza, e i suoi occhi si riempirono di terrore. 
-Mamma?-
-Tesoro esci dalla stanza- esclamò lei, alzandosi in piedi a fatica e asciugandosi la faccia con una mano. Sorrise falsamente e si avvicinò al figlio per fargli una carezza. -Vai in camera a finire il disegno mh? Io arrivo tra poco- 
Il padre rise, una di quelle risate capaci di far rabbrividire più dell’inverno, più del ghiaccio lungo la spina dorsale. Il piccolo lo vide camminare verso di loro, gli occhi infuocati di follia, e lo guardò spingere la mamma di lato, come faceva sempre, tutte le volte, tutte le volte in cui decideva di accanirsi su di lui. Il bambino non si oppose nemmeno quando suo padre lo afferrò per un braccio, strattonandolo, cominciando a trascinarlo lungo il corridoio da cui era venuto. Sua mamma alle loro spalle urlava, provava a fermarli, ma l’uomo riusciva sempre a toglierla di mezzo. 
Quando il bambino vide la porta della cantina cominciò a urlare. Quel posto era brutto, non ci voleva andare. Perché papà lo metteva sempre lì dentro. Era buio. C’era troppo buio…
-Mamma!- pianse, la voce rotta dalle lacrime, ma non fece in tempo a dire o a vedere altro, che l’uomo lo gettò dentro la stanza e la porta si chiuse con un sonoro ‘click’. 
Buio.
Buio.
Buio.



Magnus si svegliò nel pieno della notte, urlando, il cuore che batteva talmente in fretta da sentirlo nelle orecchie. Si portò una mano sulla fronte, trovandola madida di sudore, così come il collo e il busto: la canotta che usava per dormire gli si era appiccicata alla schiena. 
Spostò le coperte, scivolando fuori dal letto, e a piedi scalzi si diresse in salotto solo dopo aver spento la piccola lucina che teneva accesa tutte le notti. La sala era illuminata dalle luci di Brooklyn attraverso la vetrata che dava sulla città, e la visuale della caotica New York fuori dalla sua finestra lo tranquillizzò immediatamente. C’era qualcosa di magico in tutta quella vita, anche alle tre del mattino. New York non dormiva mai. 
Si accasciò sul divano, solo dopo aver preso un bel bicchiere di vino rosso. Quella era l’ennesima notte che passava seduto lì, guardando il vuoto con velata angoscia. Quel sogno lo tormentava da sempre, da che ne avesse memoria, come un chiodo fisso impossibile da sollevare; ad un certo punto aveva quasi smesso di soffrirci, considerandolo come un assurdo e fastidioso regalo del suo passato: provare a gettarlo sarebbe stato inutile, perché si sarebbe presentato ancora. Magnus rise a quell’assurdo paragone, e lasciò scivolare il capo sul bracciolo del divano. Il tavolino in vetro di fronte a lui sembrava una lamina sottile da quella visuale, con le sue sfumature leggere e le secche gambe in ferro. Gliel’aveva regalato Catarina quando aveva deciso di affittare quel loft, con la scusante che “qualcosa di delicato doveva pur esserci nell’ammasso di roba strana che era casa sua”. 
Magnus si alzò, stiracchiandosi, e posò il bicchiere di vino accanto alla busta che stava appoggiata sul tavolino. La afferrò, aprendola delicatamente, pur sapendo già cosa conteneva: dentro c’erano una ventina di fotografie, tutte di Alexander, quelle che avevano fatto di nascosto nello studio fotografico di Vanity. Alec non sapeva che il modello le aveva fatte stampare, e soprattutto non sapeva della dolcissima e stranissima foto in cui erano stati beccati a baciarsi. Magnus non aveva idea del perché volesse tenersi quella foto per sé. Forse perché in quell’immagine vedeva una copia di se stesso talmente spensierata e felice che quasi gli pareva un’altra persona. Sospirò, accarezzando il volto di Alec con i polpastrelli, e una malsana e spiazzante voglia di vederlo gli attanagliò le viscere. Non si vedevano da circa cinque giorni e al modello stavano sembrando decisamente troppi: Alexander era stato richiamato per un servizio a Miami, ed era tornato a New York giusto qualche ora prima. Non poteva di certo chiamarlo in quel momento, alle tre passate del mattino, dopo quel viaggio stancante… ma le dita di Magnus composero il numero del fotografo prima ancora di rendersene conto. 
Voleva sentirlo.
Alec rispose al quarto squillo.
-Ma che.. Pronto? Magnus?- 
Il modello sorrise alla voce impastata del ragazzo, e si morse un labbro per non scoppiare a ridere.
-Ehi principessa.. Scusami per l’ora-
-Sono le tre del mattino passate- sbadigliò attraverso il telefono, il tono tra l’infastidito e il preoccupato. -E’ successo qualcosa?-
Magnus non seppe cosa rispondere. In quel momento si rese conto di aver appena chiamato in piena notte Alec senza un vero motivo. O per lo meno un vero motivo che l’altro potesse capire. Si sentì un idiota. 
-Io.. No, non è successo nulla- disse, passandosi una mano sulla fronte. -Scusami, non avrei dovuto chiamarti. Sei appena tornato da Miami, e..-
-Magnus- Alec lo bloccò di colpo. -Non credo che tu sia il tipo da chiamare la gente in piena notte senza un perché. Cosa è successo, sei a casa?-
Magnus avrebbe voluto rispondere che sì, era a casa, che lo aveva chiamato per sentire la sua voce, che era stanco, che voleva abbracciarlo, ma tutto ciò che uscì dalla sua bocca fu solo un sospiro spezzato talmente improvviso che il modello stesso si portò le mani alle labbra non appena se ne rese conto. 
-Magnus, stai bene?-
Alec sembrava allarmato, e l’altro lo sentì chiaramente muoversi dal lato opposto della cornetta. Si stava alzando?
-No, io.. È tutto ok, davvero- cercò di dire, ma la sua voce lo tradì. -Non..-
-Dammi mezz’ora e sono da te-
Non gli diede nemmeno il tempo di rispondere: Alexander gli chiuse il telefono in faccia, e Magnus non seppe se riprendere a respirare o continuare a rimanere senza fiato. 

Alec suonò al campanello di casa sua in perfetto orario, come da lui ci si sarebbe aspettati. Magnus se lo ritrovò sulla soglia, lo sguardo preoccupato e i capelli sparati in tutte le direzioni: probabilmente non si era nemmeno preso la briga di pettinarsi, ma al modello piaceva così, con quella sua aria costantemente trasandata e i vestiti sformati.
-Magnus, stai bene?- esordì il fotografo, entrando in casa e chiudendosi la porta alle spalle. L’altro annuì e si passò una mano sul volto, come a voler scacciare l’espressione stanca che probabilmente aveva. Alec non avrebbe dovuto essere lì a vederlo confrontarsi con i soliti fantasmi dei suoi incubi. Non voleva gettare dentro anche lui in quella morsa. 
Alexander fece qualche passo verso di lui, e con una mano fredda gli sfiorò la guancia. 
-A me non sembra che tu stia bene-
-Sto una meraviglia principessa- Magnus sorrise e intrecciò le dita della sua mano con quelle dell’altro. -Non saresti dovuto correre qui a quest’ora, non è successo nulla- 
Il fotografo non risposte e continuò a fissarlo con quei suoi occhi blu, come se avesse voluto fargli una radiografia alla testa. Magnus si sentiva scosso da quello sguardo, attirato da quella figura meravigliosa che era quel ragazzo. C’era qualcosa di magico in lui, nel modo in cui, in sua presenza, il modello dimenticasse ciò che c’era nel suo passato. Con Alec davanti vedeva solo il presente, dietro non c’era nulla. 
-E’ inutile che io insista, non è vero? Non mi dirai nulla- disse alla fine il ragazzo, allontanandosi leggermente dal modello. Magnus sorrise, un sorriso di quelli tristi ma pieni di tante parole, e Alec seppe con certezza che avrebbe potuto insistere anche fino al mattino seguente che l’altro non avrebbe aperto bocca. 
-Ho fatto un brutto sogno, principessa, ma ora va tutto bene- affermò Magnus, infilando le dita fra i capelli di Alec. -Averti qui mi ha fatto dimenticare tutto. Oddio, perché ti ho chiamato?-
Il fotografo ridacchiò, scuotendo il capo sconsolato, e decise di non insistere. Per quella volta. Alla fine non si conoscevano da molto, e sapere che comunque la sua presenza stava rendendo Magnus più felice gli bastava. 
-Mi farai impazzire, un giorno o l’altro..-
Il modello sembrò rifletterci.
-Mi piace quando impazzisci. Hai un’aria più sexy- sussurrò, avvicinandosi sempre di più all’altro, fino a quando non si ritrovarono naso contro naso. -Mi sei mancato in questi giorni-
Per tutta risposta, Alec gli gettò le braccia al collo e fece scivolare le proprie labbra su quelle dell’altro. Il fotografo stentava ancora a credere di quanto facilmente riuscisse a gettarsi fra le braccia di Magnus, senza inibizioni e senza l’ansia costante che lo attanagliava dopo la relazione con Adrian. Il modello aveva quella magia, la capacità di canalizzare su di sé ogni cosa, anche il mondo intero. 
-Vedo che ti sono mancato anche io- affermò quest’ultimo e Alec sorrise sulle sue labbra.
-Non sai quanto. C’è troppo sole a Miami. E la gente è insopportabile-
-Solo tu puoi trovare Miami insopportabile- 
Magnus schioccò un altro bacio sulla bocca di Alec, per poi afferrarlo per una mano e condurlo verso il divano. Si sedettero di peso, guardando Brooklyn fuori dalla vetrata, e il modello alzò i piedi per appoggiarli al tavolino. Alec si lasciò scivolare lentamente verso l’altro, sistemandosi contro il suo braccio destro. 
-Allora, come è andato il servizio?-
Il fotografo fece spallucce, e si allungò per prendere il bicchiere di vino che Magnus aveva lasciato quasi pieno. Ne rubò un sorso, schioccando la lingua al gusto amarognolo.
-Al solito. Il direttore della rivista era un tantino petulante, mi ha fatto cambiare il set per ben due volte. Jace voleva affogarlo in mare-. Magnus rise a quelle parole. -Senza contare che la sua assistente ci provava con me talmente spudoratamente che Isabelle ad un certo punto ha dovuto allontanarla-
-Cosa avrebbe fatto questa tizia, scusa?-
Alec ghignò leggermente al tono infastidito del ragazzo, per poi ridacchiare alla sua espressione stizzita. Aveva un sopracciglio alzato e le labbra protese in una smorfia. 
-Tranquillo, ha avuto la decenza di non saltarmi addosso-
-E ha fatto bene- ringhiò Magnus, avvicinandosi ancora di più ad Alec, tanto che il fotografo poteva vedere ogni sfumatura dei suoi occhi. -Non sei più sulla piazza, nessuno deve osare sfiorarti con un dito. A meno che quel dito non sia il mio- continuò poi, facendo scivolare l’indice lungo la guancia del moro. Quello sorrise, sfiorando le labbra del modello in un bacio casto. 
-Questa è una delle cose che dovrebbero ricordarsi le costumiste quando ti preparano per un servizio- 
Magnus sembrò pensarci su. 
-Effettivamente sono stato palpeggiato qualche volta-
-Perché ho la netta sensazione che qualcuno verrà licenziato? Ops- sibilò Alec assottigliando lo sguardo, mentre l’altro rideva.
Un altro bacio a fior di labbra. 
-Menomale che ci sei tu a proteggere la mia virtù, Lightwood-
-Credo che sia la tua che la mia virtù se ne siano andate da un pezzo, Bane..- 
Magnus rise di nuovo, alzandosi in piedi e trascinandosi Alec dietro. Gli afferrò entrambe le mani e se le portò alle labbra. 
-Ti fermi qui? E’ tardi, giuro che non ti salto addosso-
Alec alzò un sopracciglio, ma un sorriso gli stava illuminando il volto. Annuì, lasciando che Magnus lo conducesse verso la propria camera da letto. 
-Domani mi devo alzare presto però, devo pranzare dai miei-
-Percepisco la tua gioia immensa-
Si stesero sul materasso, il moro completamente vestito ma nessuno dei due sembrò farci caso, e il modello sollevò su di loro la coperta sottile. Avrebbe voluto accoccolarsi più vicino ad Alec, ma aveva paura di dargli fastidio: per quanto il loro rapporto fosse molto fisico, temeva che quel gesto fosse troppo intimo per la loro relazione. 
Ma poi, improvvisamente, delle dita gentili presero ad accarezzargli la nuca, il collo, le braccia, e a Magnus prese a battere talmente tanto il cuore che per un attimo pensò che gli sarebbe uscito dal petto. Da quanto era diventato così sentimentalista?
-Buonanotte- sussurrò Alec al suo orecchio, inaspettatamente vicino, e il modello cercò la sua mano per intrecciare le sue dita a quelle dell’altro.
-Buonanotte-
Solo dopo qualche minuto, quando ormai il sonno cominciava ad annebbiare la coscienza di entrambi, Magnus si rese conto che la luce era spenta.
Il buio, stranamente, in quel momento non gli faceva così paura. 

***

Quando Alec entrò in casa dei suoi genitori, per il pranzo del giorno seguente, mai avrebbe immaginato che sarebbe andata a finire in quel modo. O per lo meno, non avrebbe mai immaginato che sarebbe successo proprio in quel momento, a tavola, con delle posate pericolosamente a portata di mano. 
Una volta arrivato, sua madre lo aveva accolto con un enorme sorriso e il suo fratellino minore, Max, gli era saltato addosso cominciando a raccontare di quanto l’esame finale della scuola superiore gli fosse andato bene. Alec rimaneva sconvolto tutte le volte che se lo ritrovava sotto il naso: cresceva a vista d’occhio, sembrava non fermarsi mai, ma per quanto maturasse il viso rimaneva quello di un ragazzino. Robert, suo padre, l’aveva salutato con una pacca sulla spalla, gesto falso come pochi, per poi sparire nel suo studio a terminare chissà quale bilancio per l’azienda di famiglia. Tutto nella norma insomma. Poco tempo dopo erano arrivati anche Jace e Isabelle, e nel giro di mezz’ora di erano riuniti a tavola per pranzare. Ed era cominciato il disastro.
-Allora Alec, come è andato il servizio a Miami?- domandò Maryse, sua madre, versandosi un bicchiere d’acqua. Jace, al suo fianco, ridacchiò.
-Nella norma direi, c’è stato parecchio lavoro da fare ma non me ne lamento-
-Lavoro eh?- borbottò Robert fissando concentrato il vino nel proprio bicchiere. -Immagino l’immane fatica-
Alexander bloccò a metà percorso la forchetta e sollevò lo sguardo costernato sul volto del padre. Avrebbe dovuto immaginare che sarebbe andata così, cosa c’era finito a fare lì? 
-Per quanto tu possa dubitarne, ti assicuro che ciò che faccio non è una passeggiata, papà- ribatté secco il ragazzo, mentre i suoi fratelli lanciavano occhiate preoccupate alla sua espressione glaciale. Lo sapevano, sapevano cosa succedeva quando Alec raggiungeva i suoi massimi livelli di arrabbiatura, soprattutto se si trattava del padre.
-Ha ragione, Robert- intervenne Jace, con tono allegro, cercando di sviare l’attenzione su di sé. -Abbiamo lavorato duro, per ore, senza fermarci. Sia io che Alec avevamo un tremendo mal di schiena a fine giornata. Per fortuna l’assistente del direttore ci ha amorevolmente accudito. Aveva una cotta paurosa per il mio fratellone- ridacchiò, e Maryse sorrise divertita.
-Era carina?- chiese Max, le labbra tese in una smorfia sarcastica. Alec alzò gli occhi al cielo, e scompigliò i capelli al fratello minore.
-Oh Maxwell, non credo che a tuo fratello interessi questo genere di cose, o sbaglio?-
Robert pronunciò quelle parole con un tono talmente giocondo che la falsità sembrava fuoriuscire da ogni sillaba. Isabelle quasi si strozzò con l’acqua, e Maryse lanciò al marito un’occhiata talmente furiosa che chiunque sarebbe scappato a gambe levate. Ma non Robert Lightwood, che fissava il figlio in attesa di una risposta. Alec provava una sorta di placida calma, come se tutto quello detto fino a quel momento non lo avesse scalfito di una virgola. In realtà, quello era il chiaro sintomo che precedeva ogni sua esplosione. Percepì le sue dita stringersi lentamente in due pugni, talmente forte che le nocche sbiancarono, e la mascella irrigidirsi fino a far male. 
-Cosa c’è Alexander?  Vuoi forse dirmi che ho torto?- domandò ancora Robert sporgendosi in avanti sulla sedia. -Vuoi forse dirmi che non ti stai vedendo con un modello di Vanity?-
Maryse mollò la forchetta nel piatto, ed Alec seppe immediatamente che quella, quella era la resa dei conti che suo padre aspettava da sempre. Il momento in cui avrebbe potuto finalmente rinfacciare al figlio il suo orientamento sessuale, per lui così oltraggioso, soprattutto per l’onore della famiglia. 
-E tu come lo sai?- sussurrò il ragazzo alla fine, mentre sua sorella chiudeva gli occhi e si portava una mano alle labbra. Sembrava sconvolta.
-New York è una città più piccola di come sembra, Alexander-
-E a quanto pare qualcuno ha una gran voglia di farsi gli affari miei- 
Alec si asciugò le labbra con un tovagliolo e lo posò delicatamente sul tavolo. Ogni suo gesto era controllato al millimetro, ma dentro stava ribollendo. Non avrebbe dato la minima soddisfazione a suo padre, se quello che voleva era vederlo reagire. Robert sembrava sempre più freddo, deluso, e il fotografo lo vide appoggiarsi alla spalliera della sedia senza smettere di fissarlo negli occhi.
-Non solo hai messo da parte la mia idea di farti gestire la nostra azienda per un lavoro da gay, ma ora ho anche la certezza di avere davvero un figlio frocio. Non so cosa sia più deludente- 
Qualcosa nel cuore di Alec si ruppe, e gli occhi presero a bruciargli con talmente tanta intensità da vedere annebbiato. Maryse sembrava sconvolta, guardava il marito con le palpebre spalancate; Max era una statua di marmo, tanto quanto Jace, che fissava Robert come se non lo avesse mai visto prima. Poi una sedia si scostò, strisciando sul pavimento, e Isabelle si ritrovò davanti al padre nel giro di pochi secondi: aveva i pugni serrati e uno sguardo omicida.
-Prova a dire ancora una volta una parola del genere su mio fratello e giuro su ciò che ho di più chiaro che te la farò pagare- sibilò, sbattendo alla fine la mano sul tavolo, a pochi passi da quella del padre. -Mai come in questo momento mi vergogno di essere tua figlia-
Alexander guardò sua sorella costernato, e una lacrima gli scivolò lungo la guancia, incapace di trattenerla. Si alzò a sua volta, asciugandosela in fretta, e prima che potesse fare altro Isabelle lo afferrò per una mano e lo trascinò fuori dalla sala, lungo il corridoio, fino alla porta d’ingresso. La osservò afferrare la sua giacca e la propria, le chiavi della macchina, e tempo pochi secondi erano in strada.
-Izzy..-
-Zitto, ho bisogno di calmarmi..-
-Iz..-
Alec la bloccò, prendendole delicatamente il volto tra le mani. Sua sorella aveva gli occhi arrossati e le tremava paurosamente il labbro inferiore, come quando da piccola cadeva dai pattini e non voleva piangere per puro orgoglio. La sua sorellina lo aveva difeso, come aveva sempre fatto, come lui faceva con lei. 
-La mia bellissima sorellina..- sussurrò il ragazzo, accarezzandole una guancia, e lei lasciò cadere la testa sulla spalla del fratello.
-Nessuno può trattarti a questo modo, nessuno..- 
-Non preoccuparti di questo- 
Alexander le aggiustò il colletto della giacca, consolandola mentre veniva consolato, e si sentì nel posto giusto, con la persona che amava di più al mondo, felice nonostante tutto. Stava per aprire bocca, per dire qualcosa capace di far sorridere sua sorella, ma dietro di loro la porta di casa si aprì di nuovo e ne uscirono Jace e Max, con le facce sconvolte e l’aria di voler prendere a calci qualcuno. Il biondo guardò Alec, un solo sguardo, e il fotografo capì all’istante ciò che voleva dirgli. Era sempre stato così tra loro due, come se ci fosse sempre stato un sottile legame che riuscisse a connettere le loro menti. Ma ciò che sorprese Alec più di tutto fu l’improvviso abbraccio di Max, alto quasi quanto lui, e il sospiro tremulo che lasciò le sue labbra. Sembrava trattenersi dal piangere.
-Io ti voglio bene Alec. Per me sei sempre Alec-
E lì, con ancora le parole di suo padre che gli risuonavano nella testa, le braccia di suo fratello attorno al collo, la mano di Iz nella sua e quella di Jace lungo la schiena, Alexander capì che non avrebbe potuto chiedere di meglio. Quella era la sua famiglia. 
Per un fugace istante, avrebbe tanto voluto che Magnus fosse stato lì con loro.

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