Buried Alive

di Columbia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nothing hurts my world ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Nice to meet you! ***
Capitolo 4: *** A little help from my friends ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** The arrival ***
Capitolo 7: *** You can just shut the fuck up for a minute and comfortably share silence. ***
Capitolo 8: *** The fight. ***
Capitolo 9: *** It's just a picnic! ***
Capitolo 10: *** Kill the pain. ***



Capitolo 1
*** Nothing hurts my world ***


I fatti e i personaggi sono frutto della mia invenzione e non hanno nulla a che fare con  le persone realmente esistenti coinvolte in questa storia.
Buried Alive
 
 
Alexandra si voltò per l’ultima volta verso l’enorme villa che dominava la zona con la sua maestosità; la pietra, quasi del tutto ricoperta dall’edera, aveva ormai assunto la tipica colorazione della roccia erosa per troppo tempo dall’acqua; l’erba cresceva incolta nell’enorme giardino che circondava la dimora e le inferriate alle finestre conferivano alla casa un’aria malandata a causa della ruggine che le stava mangiando vive e che non poteva essere estinta per via della situazione economica della famiglia Crocket. Il cancello d’oro massiccio appena accostato costituiva l’unico valico tra la giovane e quella che era stata la sua casa per ben diciotto anni; Alexandra era una ragazza orfana che non aveva mai conosciuto i genitori, i quali erano morti in un incendio quando lei era ancora in fasce e con il ciuccio in bocca. Per ben sei anni aveva vissuto tra l’orfanotrofio della sua città, Huntington Beach, e una grande varietà di famiglie: il perché non aveva trovato una sistemazione stabile era semplice. Era troppo pestifera e le balie che i suoi nuovi genitori assumevano per darle un’educazione degna dell’élite della città si licenziavano dopo meno di un mese con giustificazioni del tipo “quella bambina è l’incarnazione del diavolo, vi conviene abbandonarla in mezzo alla strada”. Alexandra era sempre stata quello che la maggior parte di voi definirebbe una bambina sola e molto, molto sfortunata…E probabilmente non avreste neanche tutti i torti. Tuttavia, forse proprio a causa di questo grande vuoto nella sua vita, Alexandra, a soli cinque anni, aveva raggiunto una maturità tale da spaventare chiunque la circondasse; il suo essere una bambina tremenda faceva parte del suo essere e non poteva rinunciarvi. Nella solitudine della sua cameretta spoglia dell’orfanotrofio era giunta alla conclusione che ciò che era successo non poteva essere cambiato e che piangersi addosso non sarebbe servito a nulla: non sentiva la mancanza dei suoi genitori visto che non si ricordava neanche la loro faccia, e quando aveva sentito il bisogno di una figura materna a cui rivolgersi si limitava ad osservare le famigliole felici che vedeva sfilare per i marciapiedi dalla sua piccola finestrella, immaginando se stessa al posto di quella bella bambina dai boccoli biondi e i vestiti costosi. Fino agli undici anni Alexandra era stata costretta a cambiare famiglia come una persona normale cambia la biancheria intima e, nonostante le mille sistemazioni, non aveva mai trovato un posto dove stesse veramente bene. Tutti i genitori che aveva avuto durante quel periodo non sapevano come comportarsi con lei: la vedevano solamente come una bambina scostante che non aveva voglia di avere contatti con il mondo se non con il suo e che riusciva a mettere a disagio chiunque, con quei suoi occhi d’oro. Nessuno si era mai sforzato di capirla e lei ci aveva fatto l’abitudine…anzi, quasi le faceva piacere: nella sua solitudine trovava la pace di cui aveva bisogno, che la faceva stare bene.
Un bel giorno però, una donna si era presentata all’orfanotrofio: la signora Trompet, la proprietaria di quel centro, l’aveva portata a fare un giro per il cortile della struttura per permetterle di poter osservare i bambini. La donna, che era la moglie del signor Crocket, uno dei più ricchi investitori della zona, aveva insistito per poter portare via con sé quella bambina magrolina, dalla carnagione pallida e i lunghi capelli corvini che se ne stava seduta al di sotto di un pino, lontano da tutti i suoi compagni; la signora Trompet aveva cercato di persuaderla in tutti i modi, mettendola in guardia dai suoi modi scostanti, ma dopo svariati tentativi si era arresa davanti alla determinazione della Crocket. E così, per la centesima volta, la piccola Alexandra si era ritrovata in macchina con una sconosciuta, diretta alla sua nuova casa; ormai le era indifferente andarsene dall’orfanotrofio, tanto sapeva che presto o tardi ci sarebbe tornata e probabilmente ci sarebbe stata per tutta la vita. Tuttavia, qualcosa quella volta andò diversamente: i coniugi Crocket si rivelarono diversi da tutte le altre coppie che avevano provato a tenere con sé la piccola. Non provarono ad imporsi su di lei dandole un modello fisso da seguire, anzi, le avevano lasciato la più totale libertà: durante i suoi sette anni con loro era cresciuta secondo i suoi ideali e nessuno aveva cercato di impedirglielo. Alexandra non voleva crescere come le altre bambine: odiava pizzi e merletti, non sopportava l’alta società né tantomeno l’idea che un giorno sarebbe diventata una di quelle donne sposate con uomini che le relegano in casa…Forse fu proprio questo il motivo per cui non venne mai riconosciuta come figlia dei Crocket…per non rovinare la loro immagine. Per tutti era solamente la garzoncella che serviva loro la colazione al mattino e che si occupava della padrona, spazzolandole i capelli e rifacendole il letto tutti i giorni. Marina e Jack la trattarono comunque come una figlia a tutti gli effetti, fornendole tutto ciò di cui aveva bisogno; gli anni passarono e Alexandra diventò una ragazza graziosa, ma diversa da tutte le altre giovani della sua età: era indipendente e questo, secondo i suoi genitori adottivi, era un potenziale problema. Come avrebbe fatto a trovare marito? Quando le ponevano questa domanda, Alexandra rispondeva dicendo che non aveva intenzione di maritarsi con nessuno a meno che questo qualcuno non avesse riconosciuto il fatto che lei gli era uguale…E tutti sapevano che non sarebbe mai successo.
Quei sette anni erano scorsi in pace e tranquillità, fino a quel giorno: per uno sfortunato caso del destino i Crocket avevano investito più dei tre quarti dei loro averi in un progetto edile andato a finire male. Ne era conseguita la bancarotta: i due erano stati a licenziare tutta la loro servitù, a vendere la loro immensa casa e ad andare a vivere dalla sorella della signora. Alexandra sarebbe andata con loro…Se solo avesse potuto. I debiti dei Crocket si sarebbero estinti solo se avessero venduto tutti i loro averi, inclusa lei; quando glielo dissero entrambi avevano le lacrime agli occhi e la voce che tremava. “Ci dispiace Alex…Ma devi andartene”
Alexandra era sempre stata legata a quei due da un rapporto misto a stima e riconoscimento, ma durante tutti quegli anni non era mai riuscita a considerarli come dei genitori. Dei salvatori sì, ma erano troppo lontani dalla figura materna e paterna che lei stava cercando: era sempre stata cortese con loro, ma non si era mai lasciata andare alle smancerie e i Crocket ci avevano fatto ben presto l’abitudine. Il loro modo di vivere andava in tutt’altra direzione rispetto a quello della ragazza, che sembrava far più parte del mondo notturno che di quello dei vivi: non aveva mai sopportato la troppa luce e i colori sgargianti di quella casa, né tantomeno le continue feste a tema classico che i suoi genitori adottivi davano di tanto in tanto. Nonostante tutto però, continuò a rispettarli; quando le diedero la cattiva notizia appoggiò le sue mani sulle loro e sussurrò un semplice “Va bene così signori, lo capisco”. Certo, le dispiaceva come era giusto che fosse, ma non era particolarmente triste: quello che aveva passato da piccola l’aveva preparata a tutto, anche al distaccarsi da qualcuno con cui aveva speso gran parte della sua vita.
Nella tragedia però, vi fu anche il lato positivo: i Crocket amavano troppo quella giovane ragazza per poterla abbandonare in mezzo alla strada senza uno straccio di soldo. Quando le cose avevano cominciato ad andare per il peggio, Jack aveva contattato un suo vecchio amico, un certo signor Trason, che si era offerto di prendere sotto la sua ala protettiva la ragazza se le cose fossero andate per il peggio. Alexandra ne aveva già sentito parlare: quell’uomo era piuttosto famoso nella zona per i suoi gusti e le sue abitudini stravaganti…Che venivano bellamente messi da parte una volta che gli altri venivano a conoscenza del suo patrimonio, che superava i due miliardi di dollari. Il signor Trason era conosciuto per il rapporto che aveva con la sua servitù, composta solamente da giovani ragazzi nel fiore dell’età.
Dovete sapere che, la società di cui stiamo parlando, non ha nulla a che fare con la nostra: la gente come il signor Trason veniva spesso isolata e discriminata per il loro stile di vivere…alternativo.
Anni addietro, quando Alexandra non era ancora nata, ad Huntington Beach ci fu un’imboscata in uno dei pochi ritrovi di queste persone: per anni le due fazioni, se così vogliamo chiamarle, avevano convissuto in maniera più o meno pacifica…ma in una notte sola tutto l’odio che era stato serbato nei cuori di molti per tutto quel tempo aveva scatenato l’inferno. Vennero assassinate più di mille persone, tra ragazzi e ragazze, il tutto per la bigotteria degli uomini di quel tempo che additavano le donne come delle poco di buono e gli uomini come degli stupratori ubriaconi solo perché non seguivano il loro ideale di normale.
Quando Alexandra venne a saperlo, seppur contro il volere dei suoi genitori, Jack fu costretto a raccontarle la verità: quelle povere persone erano state vittime dell’ignoranza di uomini per i quali le uniche cose che contava veramente erano solo i soldi e la bella apparenza.
Le spiegò che quasi tutti i loro conoscenti additavano quei giovani ragazzi come dei veneratori di Satana e sciocchezze varie: era difficili vederli per strada durante il giorno perché rischiavano di essere linciati vivi se riconosciuti, cosa alquanto probabile visto il loro modo di atteggiarsi e di vestirsi. Alexandra, attraverso i racconti dell’uomo, capì che era un loro simpatizzante e ne ebbe la conferma quando venne a sapere che era stato uno dei pochi ad aiutare il signor Trason nel suo obiettivo: dare casa a tutti coloro che erano stati colpiti, seppur indirettamente, da quel massacro; per questo motivo, quando i Crocket finirono in bancarotta, Trason si offrì di dare asilo alla ragazza.
Alexandra fissava l’enorme portone di legno, sbarrato con un asse per impedire a chiunque l’accesso; strinse le dita attorno alla maniglia della valigetta, sentendo le nocche dolerle a causa del peso.
Lanciò un’ultima occhiata a quella che era stata la sua casa per ben sette anni, provando un po’ di tristezza per la prima volta: scosse la chioma corvina, riavviandosi all’indietro una ciocca come per scacciare un brutto pensiero. Si tirò su il cappuccio del mantello nero legato attorno al collo e diede le spalle a villa Crocket, entrando nella carrozza che la stava aspettando. Si sedette sul divanetto di pelle e, dopo qualche secondo, sentì il cocchiere dare il colpo di frusta ai cavalli: ci fu un breve nitrire e poco dopo la ragazza partì verso la sua nuova casa.
Alexandra aprì la piccola valigia con dentro i suoi effetti personali e, dopo aver ribaltato quasi tutti i vestiti ripiegati al suo interno, ne estrasse il piccolo lettore cd; si infilò le cuffiette nelle orecchie e schiacciò il tasto play, chiudendo gli occhi non appena l’attacco di chitarra proruppe dai due auricolari. Alexandra aveva ritrovato quel piccolo dischetto nella soffitta di casa: aveva capito che apparteneva ad uno dei superstiti del Massacro e, per paura che le venisse portata via, non aveva mai detto nulla né a Marina né a Jack: lo considerava il suo piccolo tesoro.
La ragazza non sapeva a cosa o meglio, a chi, stava andando in contro…E forse era meglio così, altrimenti questa storia non avrebbe avuto luogo.



Salve a tutti!
Be', che dire...Ho quindici anni e questa è la mia prima fanfiction in assoluto: ho già (più o meno) in mente come continuare la storia però vorrei prima sapere che cosa ne pensate voi, per questo spero che recensiate in tante! 
Leggendo la fanfiction vi accorgerete che non è ambientata in un universo "normale" diciamo...Ho voluto creare un mondo parallelo, misto tra il diciannovesimo e il ventunesimo secolo (non so neanche io cosa mi sia passato per la testa ahahahah) dove sono presenti i gruppi culturali, se così vogliamo chiamarli, dei giorni nostri in contrapposizione con quelli del 1800...
Ho una paura terribile di essermi spiegata male: siete autorizzate a linciarmi.
Aspetto vostri commenti! :)
-Columbia
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


La carrozza si fermò dopo circa mezz’ora di viaggio, con grande sollievo della ragazza: aveva sempre odiato viaggiare su quei cosi, le davano la nausea e non lo sopportava.
Scostò leggermente le tendine oscuranti e si sfilò gli auricolari dalle orecchie spegnendo il lettore cd; dall’interno non riusciva a scorgere molto di quella che aveva sentito essere una delle case più grandi della contea, per questo decise di scendere, convinta che ci sarebbe stato qualcuno ad aspettarla. Abbassò la maniglia della portiera e, afferrata la sua borsa, scese dalla scaletta della carrozza; appena appoggiò il piede sulla ghiaia del vialetto, il cocchiere fece scoccare la frusta per  poi sparire dietro ad un muro che separava la casa da quello che doveva essere il magazzino, un grosso capannone di legno scuro, imponente tanto quanto la villa.
Alexandra lo seguì con lo sguardo fino a che non fu definitivamente fuori portata, poi si voltò verso l’enorme palazzo. Quando era arrivata a casa Crocket per la prima volta le era sembrato di trovarsi in uno di quei castelli delle fiabe che le educatrici cercavano di raccontarle prima di andare a dormire e che lei aveva sempre, profondamente odiato…Quella a cui si trovava davanti ora, oltre ad essere tre volte più grande, aveva la strana capacità di incutere timore nelle persone che vi si trovavano davanti…E la cosa non faceva altro che suscitare curiosità nella ragazza. Il vialetto di ghiaia, grosso quanto una strada a due corsie, era accostato da una sfilza di sequoie e pini dalle dimensioni incredibili: le fronde degli alberi frusciavano con il sibilare del vento simulando quello che poteva sembrare benissimo lo scrosciare delle onde. Il sole, ancora alto nel cielo, proiettava le loro ombre sulla strada, oscurandola quasi completamente; da sotto il cappuccio Alexandra fece vagare il suo sguardo sullo sconfinato giardino che si estendeva a perdita d’occhio per poi concentrarsi sulla villa di fronte a se stessa, ritrovandosi davanti ad un’enorme fontana che ritraeva degli angeli e dei demoni, intenti a combattersi con delle lance. I suoi getti d’acqua si stagliavano verso i cielo raggiungendo il tetto della dimora: Alexandra fissò uno spruzzo d’acqua scagliarsi contro il cielo come una freccia lanciata da un cacciatore, cadendo quasi in catalessi. Quando questo si ritrasse, la ragazza poté finalmente osservare appieno la casa: suddivisa in tre blocchi, dominava gran parte del parco. Quello centrale era leggermente più piccolo ed alto degli altri: il portone d’ingresso era nero come la pece e sulla sua superficie spiccavano due maniglioni di ferro, illuminati dai raggi del sole. I due blocchi ai lati erano letteralmente immensi; leggermente più scuri di quello centrale, erano circondati da cespugli di bacche e da fiori. Sul tetto, in corrispondenza degli angoli, erano state poste delle statue di Gargoyle che gettavano le loro ombre sullo spiazzo di fronte alla villa.
Alexandra la fissò incantata, provando allo stesso tempo un po’ di soggezione: era quanto di più bello avesse mai visto. Era talmente presa che neanche si accorse che qualcuno la stava chiamando
“Sei Alexandra, vero?”
La ragazza si voltò verso colui che la stava chiamando; Portò una mano al livello della fronte per potersi proteggere gli occhi dalla luce accecante del sole e mettere a fuoco la figura che si trovava a poco più di due metri di distanza da lei.
In piedi sulle scalinate se ne stava un uomo che ad occhio e croce aveva sui cinquant’anni; i capelli leggermente brizzolati erano tagliati a spazzola ed incollati probabilmente con il gel. Alexandra rimase un po’ disorientata; in diciott’anni di vita aveva sempre e solo incontrato uomini di alto rango, fasciati in abiti che costavano all’incirca diecimila dollari al pezzo…Perché alla fin fine era quello che la società proponeva: un modello da seguire. E questo modello era bardato di pizzi e merletti e vestiti dai colori candidi per le giovani donne e il trac per gli uomini…Roba che Alexandra aveva sempre considerato come una merda. Uno dei tanti motivi per cui aveva deciso lei stessa di non essere introdotta nell’alta società era appunto questo; lei voleva essere se stessa, ma se si fosse dimostrata per ciò che era davvero avrebbe probabilmente scatenato il disdegno di tutta la California e dintorni. Tutti gli uomini a cui era stata introdotta avevano arricciato il naso nel vederla e lei si divertiva a guardarli scappare da casa Crocket con la coda tra le gambe…Dopotutto era l’unica ragazza ad Huntington che riusciva a spaventare gli uomini! Il problema del matrimonio non aveva neanche provato a porselo: piuttosto di diventare la servetta di qualche vecchio grassone preferiva rimanere zitella per il resto della sua vita. E adesso questo qua le si presentava davanti in una veste che mai aveva visto addosso ad altri, se non a se stessa: quello che aveva concluso essere il signor Trason se ne stava davanti a lei indossando un semplice paio di jeans scuri che ricadevano a sigaretta sopra ad un paio di mocassini neri e una camicia a righe leggermente sbottonata al di sotto del mento. Dopo essersi ripresa dallo shock momentaneo, Alexandra si decise a rispondere
“Sì signore, sono io. E’ un onore per me essere qua” disse avvicinandosi a passo sicuro verso l’uomo; il signore Trason si sporse verso di lei strizzando leggermente gli occhi
“Che ne dici di toglierti quel cappuccio? Non riesco a vederti in faccia e mi piace poter guardare la persona con cui parlo” rise porgendole una mano per aiutarla a salire i gradini della scalinata; Alexandra l’accettò volentieri e, dopo essersi ritrovata davanti al portone d’ingresso, appoggiò la valigetta. Con cautela afferrò ai lati il cappuccio nero e lo sollevò dal capo, facendoselo ricadere sulla schiena; quando il signor Trason riuscì a vederla finalmente in faccia si aprì in un sorriso leggermente ingiallito, ma che ispirava sicurezza…Almeno in Alexandra.
I lunghi capelli corvini erano raccolti a destra, lasciando libero il collo magro; gli occhi, tuttavia, erano quanto di più strano avesse mai visto…Erano oro. Non di un castano chiaro simile, ma proprio oro. Inutile dire che Michael ne rimase terribilmente affascinato: emanava una tale sicurezza che avrebbe fatto tentennare chiunque si fosse trovato davanti a lei…Fu proprio questo a colpire il signor Trason. Quando Jack lo aveva chiamato circa un mese prima, aveva accettato di accogliere in casa sua Alexandra senza neanche conoscerla: Jack lo aveva assicurato che era diversa da tutte le giovani della sua età, ma Trason aveva i suoi seri dubbi. Dopo essere rimasto lui stesso orfano aveva deciso che con tutti i soldi che era riuscito a guadagnare avrebbe aperto una reggia talmente grande da contenere tutti i giovani della contea in cerca di una casa…Le sue strane abitudini avevano però preso il sopravvento sulle sue buone intenzioni e molti avevano preso le distanze da lui: quando girava per strada molti lo additavano, sussurrano di tutte le cosiddette “feste aberranti” che avvenivano in casa Trason. La sua fama si estese a tutta la California e tutti i suoi buoni propositi andarono a farsi fottere a causa di una società bloccata e bigotta, verso la quale cominciò a provare un odio profondo. Con suo grande sollievo però, scoprì che vi erano altri giovani sparsi per la contea che non si rispecchiavano in ciò che venivano obbligati ad essere…In questo modo villa Trason era diventata una specie di centro di ritrovo per coloro che andavano contro quel mondo, così aberrante e senza senso. Fu proprio per quel motivo che quando Jack l’aveva chiamato chiedendogli disperatamente di accogliere la figlia adottiva si era rivelato titubante: non voleva avere in casa una di quelle damerine senza cervello…Ma adesso che se la trovava davanti capiva quanto le sue paranoie fossero state infondate; la labbra rosse erano leggermente incurvate all’insù in un sorriso gentile ma duro, distaccato che le conferiva un’aria piuttosto misteriosa…Trason era convinto che dietro quella corazza che sembrava essersi costruita attorno, vi era una storia…E lui non vedeva l’ora di scoprirla.
“Mia cara, siete veramente bellissima” disse sinceramente, per poi afferrare la valigetta abbandonata sul suolo; Alexandra lo guardò titubante e fece per riprendersela, ma il signor Trason allungò una mano verso di lei per farle capire di non avvicinarsi. “E’ molto pesante e non ho intenzione di farla portare ad una bellissima ragazza come voi”
“Ma signore…” cercò di ribattere Alexandra, prima che Trason le voltasse le spalle per entrare in casa. La ragazza non ci pensò un secondo di più e lo seguì dentro
“Niente ma mia cara, questa è casa mia e comando io” esclamò l’uomo camminando tranquillamente; gli spazi erano talmente grandi che l’eco della sua voce si fece sentire per qualche secondo. Alexandra seguiva Trason con la bocca spalancata, continuando a guardarsi attorno in adorazione: l’atrio, che era direttamente comunicante con il salotto, era completamente costruito con marmo nero dalle sfumature verdi acqua. Le enormi finestre che davano sul giardino facevano penetrare la luce che illuminava la sala, separata dall’ingresso solo da una porta scorrevole; due enormi divani di pelle erano posizionati davanti ad un camino di pietra bianca, sopra ai quali pendeva un lampadario di ferro. Il pavimento era ricoperto da tappeti dall’aria antica e molto, molto preziosa.
Alexandra era talmente impegnata a guardarsi attorno che non si rese conto che il signor Trason si era fermato, tanto che ci andò a sbattere contro; la ragazza rischiò di cadere, ma l’uomo le afferrò prontamente il polso prima che potesse cadere con il sedere a terra
“Scusi signore, sono maldestra a volte” borbottò la ragazza, slacciandosi il nodo del mantello. Per lo meno in quegli anni i Crocket erano riusciti ad insegnarle le basi della buona educazione. Il signor Trason agitò una mano per aria per farle capire che non era successo nulla di grave
“Non ti preoccupare, il primo che non sa muoversi qua sono io!” rise grattandosi la testa; Alexandra guardava con curiosità quell’uomo che le stava di fronte, non riuscendo a credere che potesse esistere davvero “E comunque” aggiunse puntandole l’indice contro “Non chiamarmi mai più ‘signore’ o ‘signor Trason’, intesi?”
Alexandra sorrise leggermente imbarazzata ed annuì vigorosamente
“Sì sig…Ehm…”
“Chiamami pure Michael” sorrise il signor Trason facendole l’occhiolino. Michael ricominciò a camminare e la portò a fare un giro per quella reggia enorme che sembrava infinita: era talmente grande, infatti, che Alexandra si dovette accontentare di un “breve” tour solo del blocco centrale, visto che Michael era letteralmente impaziente di farle conoscere qualcuno. Fu abbastanza per poter visitare tutto l’atrio, il salotto, la sala da pranzo e il piano delle camere da letto.
Alexandra, che era sempre stata una ragazza piuttosto diffidente, si sentiva stranamente a casa. Era come se ogni singolo oggetto presente in quella casa riuscisse ad esprimere una parte del suo essere…Non si era mai sentita più a casa che in quel momento.
“Devi sapere che mi dispiace molto per la tragedia che si è abbattuta sulla tua famiglia” disse Michael mentre salivano una scala a chiocciola, diretti al terzo piano “I tuoi erano dei bravi genitori…”
“Non erano i miei genitori” lo bloccò prontamente Alexandra; Michael, che camminava di fronte a lei, si voltò per guardarla leggermente sconcertato “Non fraintenda” aggiunse la ragazza sorridendo mestamente “Ero grata a loro per avermi tirata fuori da quel buco di orfanotrofio e non posso negare di essermi affezionata a loro in questi sette anni…Tuttavia non sono mai riuscita a considerarli come miei genitori, erano troppo diversi da quello che stavo cercando…”
Michael la guardava con le sopracciglia leggermente corrucciate, e per una frazione di secondo Alexandra temette veramente che l’avrebbe cacciata via a pedate nel culo
Tenessi chiuso questa stramaledettissima ciabatta.
Poi tornò a sorriderle amabilmente come qualche secondo prima, annuendo solennemente
“Non ti preoccupare Alex…Ti posso chiamare Alex, vero?” chiese, ottenendo un cenno di assenso dalla ragazza “Bene. So cosa si prova…Non ti senti parte di questa società, vero?”
Alexandra guardò Michael con le sopracciglia leggermente inarcate per lo stupore: come faceva a leggerle nel pensiero? Annuì mestamente, stringendo sotto al seno il mantello nero
“Sai, anche io non ho mai conosciuto i miei genitori…Mi sono fatto da solo! E ho dimostrato al mondo intero che dalla merda possono uscire i fiori, come diceva un vecchio cantautore…”
“De Andrè” sorrise Alexandra, sconcertata dal fatto che qualcun altro conoscesse uno dei suoi autori preferiti…Dalla maggior parte era considerata la musica degli eretici. Michael si voltò nuovamente verso di lei, guardandola con gli occhi sbarrati
“Lo conosci?! Oh cazzo…Una ragazza giovane come te..” Michael iniziò a farneticare qualcosa di cui Alexandra perse quasi immediatamente il filo. La scena si protrasse fino a quando i due non arrivarono davanti ad una porta, ricoperta di adesivi; Michael bussò velocemente alla porta e una voce femminile gli rispose da dentro di entrare: l’uomo aprì la porta con al seguito Alexandra, che stava attaccata al suo braccio.
La stanza non era molto luminosa, proprio come piaceva alla ragazza; un piccolo letto ad una piazza sola era posto proprio di fronte alla porta. Le pareti erano dipinte di un viola intenso e per terra erano sparpagliati fogli, libri e vinili; l’attenzione di Alexandra venne catturata da una ragazzina che se ne stava seduta proprio nel centro della stanza, con un libro aperto sulle ginocchia
“Mckenna, ti presento Alexandra” annunciò Michael, facendosi da parte per poter permettere alla ragazza di osservarla; alzò lo sguardo dal libro, rivelando due enormi occhi marroni e delle labbra molto sottili. La pelle era molto pallida, ma ciò che notò Alexandra furono i capelli fucsia della ragazzina, che la affascinarono subito: Mckenna si scostò una ciocca ribelle che le sfuggiva dal caschetto perfetto, rivelando una matita incastrata dietro l’orecchio, poi si alzò facendo precipitare il libro proprio sul suo piede
“Cazzo che male!” urlò saltellando su un piede solo, tenendosi l’altro tra le mani; Michael si passò una mano sul viso con fare sconsolato, mentre Alexandra sorrise appena della scena. Non che non la facesse ridere, ma era molto difficile che si lasciasse andare
“Macky, piantala di dire le parolacce o lo dico a tuo fratello appena torna!” la minacciò Michael mettendosi le mani sui fianchi come un padre che rimprovera la figlia. Mckenna assottigliò lo sguardo e si mise nella stessa posizione
“Ma le dite tutti! E poi è stato proprio lui ad insegnarmele, eh che cazzo”
“Oh dio del cielo” sospirò Trason lanciando ad Alexandra uno sguardo sconsolato “A volte penso di essere in una gabbia di pazzi”
“Ma lo sei Mich, è quello il problema” rise la ragazzina, che nel frattempo si era avvicinata ad Alexandra porgendole una mano “Sono molto contenta che tu sia qua, aspettavamo il tuo arrivo da settimane ormai!”
“Oh… Anche io sono molto contenta di essere qui” sorrise Alexandra rispondendo al saluto di Mckenna, la quale le fece l’occhiolino
“E poi sembri anche una buongustaia… Secondo me piacerai molto ai ragazzi!”
Alexandra guardò sconcertata Mckenna, che continuava a saltellare pimpante, per poi rivolgersi interrogativa verso Michael
“Si riferisce a suo fratello e ai suoi amici” rispose Trason, pronto a spiegarle tutto “In questo momento non sono a casa perché sono andati a fare un tour per la California”
“Un tour?” chiese Alexandra alquanto stupita
“Sì, un tour. Sai, ce ne sono un po’ come noi in giro…Non sono tutti dei damerini” rise Michael, contagiando la piccola Mckenna
“Mich ha ragione Alexandra, aspetta di vederli!” esclamò Mckenna, che nel frattempo aveva cominciato a mangiucchiarsi l’estremità della matita
“Dovrebbero ritornare a giorni ormai, se non questo weekend il prossimo” annuì Michael sorridendo felice “Quando arriveranno li accoglieremo nel migliore dei modi”
“Cazzi sì! Una festa dove scorrono fiumi di alcol, fumo, musica e ses…”
“MCKENNA! Hai solo dodici cazzo di anni, chi ti ha detto queste cose?!” sbraitò Michael puntandole l’indice contro
“Quel coglione di mio fratello!”
“Cazzo! Quella testa di cazzo…E tu smettila di dire parolacce, che fai brutta figura davanti a Alex!”
“Ma tu…”
“ZITTA!”

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Sera a tutte!
Da questo capitolo inizia la storia vera e propria, anche se lo reputo come una specie di introduzione più che altro...Nei prossimi capitoli comincerò ad introdurre gli altri personaggi :)
Aspetto le vostre recensioni!

-Columbia

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Capitolo 3
*** Nice to meet you! ***


Quando Alexandra e Michael lasciarono la camera di Mckenna, l’uomo aveva un diavolo per capello
“Quella ragazzina prima o poi mi farà prendere un infarto” borbottò camminando a passo deciso per i corridoi; il ticchettio dei suoi mocassini era attutito dai tappeti posti sul parquet ma nel silenzio assoluto risuonavano per tutta la casa.
“Non ha fatto nulla di male, esterna solamente i suoi pensieri” rise Alexandra mentre Michael si passava una mano sul viso con fare disperato
“Si, ma è il modo in cui lo fa! Ha solo dodici anni dopotutto, non dovrebbe neanche sapere dell’esistenza di certe parole…È tutta suo fratello” sospirò sorridendo nel rievocare qualche ricordo dal quale Alexandra era esclusa
“Michael, posso chiederti una cosa?” chiese Alexandra dopo aver preso coraggio
“Certo, tutto quello che vuoi”
“Mckenna, suo fratello e gli altri ragazzi…Sono per caso tuoi figli?”
Michael si concesse una risata sommessa per poi voltarsi verso la ragazza scuotendo la testa
“No cara, nessuno di loro. Casa Trason è diventato un ritrovo per i giovani come…voi ecco. E’ un rifugio per tutti quelli non molto fortunati, proprio com’ero io quando avevo la vostra età” Rispose svoltando in un altro corridoio “Mckenna e suo fratello sono solo due dei tanti che ci sono qua…Saranno loro a raccontarti la loro storia quando si sentiranno pronti: adesso ti sto portando da delle ragazze che sono cresciute qui…avevano circa quindici anni quando me le sono ritrovate davanti alla porta di casa”
Michael si arrestò davanti ad una grossa porta di legno dipinta di un nero molto lucido, dietro alla quale provenivano delle voci indistinte; l’uomo si voltò verso la ragazza cercando un cenno d’assenso, ottenendolo quasi immediatamente. Alexandra gli fu grata di aver mostrato quel minimo di finezza nel chiederle se aveva voglia di incontrare qualcuno, visto che di sicuro Jack gli aveva riferito che tipo di rapporto tendeva ad avere con gli altri: durante tutta la sua permanenza a casa Crocket non aveva mai parlato con nessuno ed erano state veramente poche le volte in cui era uscita, anche solo per una boccata d’aria.
Michael abbassò la maniglia della porta e un’ondata di luce trafisse gli occhi dei due, abituati ormai alla penombra dei corridoi di quell’ala del palazzo; Alexandra sbatté ripetutamente le palpebre e, una volta messa a fuoco la stanza, si accorse delle sue effettive dimensioni. Assomigliava molto al salotto al piano di sotto, ma questo doveva essere privato mentre l’altro era probabilmente utilizzato durante le feste; la parete di fronte ai due era completamente occupata da delle finestre enormi, alte circa quattro metri. Le lunghe tende dai colori candidi che le coprivano svolazzavano a causa del venticello autunnale che soffiava in quel periodo;
“Ehi Michael, chi è questa bella ragazza?” chiese una voce femminile da dietro allo schienale del divano di pelle, posto in mezzo alla stanza; dopo meno di cinque secondi, due teste spuntarono come funghi.
“Leana, lei è Alexandra…la vostra nuova sorella” esclamò Michael sorridendo alla mora, seduta in mezzo alle altre due; Alexandra ebbe un breve sussulto a quella parola…Sorella? Non sapeva nemmeno cosa volesse dire. Era lì da meno di due ore e già aveva delle sorelle? Una strana sensazione di panico si impadronì di lei, facendola sbiancare di colpo. E se fosse stata una mossa troppo affrettata? Appena l’uomo disse quelle parole le due scattarono in piedi, circondando la povera Alexandra che, non essendo abituata a tutto questo entusiasmo, fece automaticamente un passo indietro. La ragazza che aveva parlato, Leana a quanto aveva capito Alexandra, era probabilmente una delle più belle che avesse mai visto; indossava un prendisole nero molto aderente e aveva i capelli castani raccolti in una acconciatura piuttosto stravagante, con le ciocche incastrate in vari fiocchi del medesimo colore del vestito. Gli occhi scuri ispiravano parecchia simpatia e il volto dai lineamenti fini era illuminato in un sorriso sincero
“Piacere di conoscerti Alexandra! Noi siamo Leana” disse con voce squillante porgendole la mano  “e Lacey” aggiunse indicando la ragazza al suo fianco; Alexandra spostò l’attenzione su Lacey cercando di assimilare più particolari possibili. Sembrava la più timida delle due. I capelli castani erano tagliati in un caschetto liscio ed ogni tanto una ciocca le ricadeva davanti agli occhi: Lacey, dopo averla rimessa apposto, si affrettava ad incrociare le braccia sotto al seno sorridendo dolcemente ad Alexandra.
“E’ un piacere conoscerti, ti stavamo aspettando da tanto…E’ da un po’ che non si vedono delle facce nuove qua” rise Leana abbracciandola di slancio; Alexandra si trovò stretta nella presa della piccoletta e, dopo un breve momento di sorpresa, le appoggiò le mani sulla schiena simulando un abbraccio abbastanza imbarazzato. In meno di cinque minuti aveva conosciuto due ragazze una più schizzata dell’altra: bell’inizio, no? Michael e l’altra ragazza scoppiarono a ridere della sua reazione
“Va bene Lea, però ora lasciala: non vorrei che morisse dopo meno di un giorno” disse Lacey tirando leggermente indietro l’amica per un braccio; Leana si morse le labbra sorridendo imbarazzata e ritornò affianco a all’amica facendo un passo indietro
“Scusa, non riesco a controllarmi a volte…So essere molto esuberante”
“Esuberante è un diminutivo per te, Lea” rise Michael dandole una spinta amichevole che le fece perdere l’equilibrio
“Il piacere è tutto mio, sono contenta di essere qua” parlò finalmente Alex; le due ragazze rimasero un po’ stupito della sua reazione…Aveva un’aria alquanto strana. Al contrario di quello che aveva detto, sembrava piuttosto scazzata di trovarsi lì con loro: dopo tutte le smancerie di Leana Alexandra si era limitata ad una risposta così…formale. Lea, dopo essersi rimessa in piedi, stette in silenzio scrutandola attentamente cercando un qualsiasi segnale negativo nei suoi modi di fare…Tuttavia, non riuscì a trovarne.
Alexandra dava solamente l’impressione di una ragazza terribilmente sola e, infondo infondo, la capiva perfettamente.
“Scusate care, ma Christine dov’è?” chiese d’un tratto Michael, attirando l’attenzione di tutte le presenti. Lacey fece per parlare, ma lo sbattere della porta dietro di loro la bloccò tutt’a un tratto
“Eccomi qua gente, mi stavate cercando?” esclamò una voce femminile; Alexandra si voltò di scatto, imitata da tutti gli altri. Si trovò davanti ad una ragazza di media statura e molto magra, ma dalle belle forme: aveva dei lunghi capelli color castagna tendenti al bordeaux che ricadevano lisci sulle spalle. Il viso aveva la forma di un cuore e i lineamenti erano molto dolci: le labbra carnose erano pitturate di un rosso intenso e all’estremità portava un labret a spillo, i piccoli occhi erano marcati da una pesante linea di matita che ne risaltava il colore verde.
Tra le mani teneva degli enormi oggetti circolari e piatti che catturarono l’attenzione di Alexandra; Christine fece vagare lo sguardo tra le amiche e Michael, fino a notare la sconosciuta affianco all’uomo. La squadrò da capo a piedi per poi fissare i suoi occhi in quelli d’oro di Alexandra: la ragazza ricambiava il suo sguardo inquisitorio con malcelato disagio…Si vedeva che non si sentiva apposto
“Christine, questa è Alexandra” le presentò Michael appoggiando una mano sulla sua schiena
“Immaginavo…Molto piacere Alexandra, io sono Christine” disse la ragazza; al contrario delle altre, Christine rimase al suo posto salutando la ragazza solo con un cenno del capo. Alexandra le sorrise riconoscente ed annuì a sua volta, beccandosi un occhiolino dalla rossa
“Bene, ora che ci conosciamo tutti direi che posso farti vedere la parte più importante della casa…Ovvero la tua camera” gongolò Michael spostando la valigetta da una mano all’altra “Ragazze, voi rimanete qua oppure venite con noi?”
“No Mike, grazie” scosse la testa Leana, imitata dalle amiche “Stiamo programmando qualcosa per il ritorno dei ragazzi, sai com’è!”
“Oh, allora vi lasciamo in pace” rise Michael avviandosi alla porta, seguito da Alexandra “Poi fatemi sapere com’è andata!”
Christine rise e raggiunse le altre tre sul divano
“Ci puoi giurare bello!”
Michael scosse la testa e si chiuse la porta dietro le spalle; Alexandra lo seguiva continuando a guardarsi intorno. Dopo qualche minuto di assoluto silenzio i due si fermarono in un pianerottolo dalle dimensioni enormi tanto che ad Alexandra sembrò quasi un dormitorio: ad intervalli regolari erano poste delle porte tutte uguali, dietro alle quali probabilmente si trovavano le camere da letto.
Michael si avviò deciso verso una di esse e, sorridendo amichevolmente ad Alexandra, la invitò ad aprirla; la ragazza abbassò la maniglia dorata e pian piano la porta si aprì cigolando.
La stanza era molto grande, circa tre volte più spaziosa di quella che aveva a casa Crocket, tuttavia era spoglia: sembrava che nessuno ci entrasse da trent’anni. L’odore di chiuso penetrò subito le loro narici, segno che era disabitata da tempo ormai: le pareti erano dipinte di un rosso alquanto sbiadito che ormai sembrava un’arancia marcia, le tende erano impregnate di polvere e il letto era completamente sfatto con le coperte arrotolate sul fondo e le tende del baldacchino strappate quasi del tutto.
Sul fondo della stanza c’era un armadio che occupava più di metà parete, talmente imponente da mettere i brividi
Alexandra entrò senza indugiare sulla soglia, sotto lo sguardo attento di Michael
“Mi dispiace che ti sia toccata questa stanza, ma le altre sono tutte occupate…Sai, tra le ragazze e i ragazzi, le sale di registrazione, da prova…”
“Non ti preoccupare” lo rassicurò Alexandra “va più che bene…è solo un po’ di polvere, nulla di che.”
“Perfetto allora; nell’armadio troverai coperte, lenzuola, cuscini… e forse anche qualche vestito. Se ti serve una mano a mettere apposto non esitare a chiamarci” sorrise; Michael appoggiò la valigia vicino al letto e tornò verso la porta d’ingresso “La cena è servita stasera alle sette e mezza”
Alexandra aspettò che Michael uscisse dalla stanza per sdraiarsi sul materasso impolverato, distrutta dal viaggio: si voltò verso le finestre, osservando il cielo rosso sangue tipico dei tramonti californiani e dopo poco meno di cinque minuti cadde in un sonno profondo.

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Alexandra si svegliò di soprassalto quando senti qualcosa di umido strofinarsi sulle sue dita; cercò con la mano l’interruttore della lampada sul comodino affianco al letto e, quando illuminò la stanza, rimase piuttosto perplessa. Affianco a lei era accoccolata una palla di pelo bianco che scodinzolava eccitata: la ragazza inclinò la testa di lato e fissò il piccolo cagnolino spuntato dal nulla nel bel mezzo della notte
“E tu chi sei?” chiese facendogli un grattino dietro l’orecchio; la palla di pelo le fermò la mano con una piccola zampetta, quasi ad impedirle di allontanarsi. La sua reazione fece sorridere la ragazza, che si lasciò lavare la mano dalla sua piccola lingua “Non mi dici da dove sei entrato?”
Il cane rispose alla domanda con un piccolo abbaio; Alexandra si alzò in piedi e fece il giro del letto sotto lo sguardo attento del piccoletto: quando vide che la ragazza era intenzionata ad uscire della stanza, incominciò ad abbaiare insistentemente saltando giù dal materasso
“Shh! Basta, fai casino!” urlò sottovoce Alexandra accovacciandosi per terra sperando che smettesse il più in fretta possibile…Ma non c’era nulla da fare: ogni volta che si rialzava con l’intenzione di uscire la bestiola rincominciava daccapo facendo un casino allucinante.
“Ho capito, ho capito” borbottò Alexandra sollevando il cagnolino da terra da sotto le zampette anteriori. Quando se lo ritrovò davanti per poco non scoppiò a ridere...Era troppo buffo! Teneva la linguetta rosa fuori dalla bocca e dava seriamente l’impressione che stesse ridendo “Ma tu sei una signorina! Me lo potevi dire prima, no?” rise Alexandra rimettendo la cagnolina a terra; abbassò lentamente la maniglia della porta e, controllando che nessuno passasse, cominciò a camminare per i corridoi. Aveva di sicuro perso la cena, aveva dormito troppo e non si era svegliata in tempo…Si diede mentalmente della cafona: la prima sera che passa nella sua nuova casa e non si presenta neanche a cena, non era da lei.
Pazienza, domattina chiederò scusa agli altri
Affiancata dalla cagnolina, Alexandra scese la lunga scalinata per raggiungere la cucina che le aveva mostrato Michael il giorno stesso: le candele ai muri erano accese e le stanze della casa erano quasi tutte semibuie, cosa che inquietò un po’ Alex…Del resto non la conosceva e, viste le dimensioni, se si fosse persa avrebbe fatto mattina nel tentativo di ritrovare la strada della sua camera; il colpo di grazia glielo diede un affresco sul muro del salotto vicino all’ingresso…Un film splatter i confronto non era nulla. Perché mai qualcuno dovrebbe dipingere un uomo che strappa la testa ad un altro in una cucina? Perché?
Dopo aver cacciato un urlo agghiacciante, affrettò il passo verso la cucina per prendere uno spuntino e ritornare in camera
Datti una calmata Alex, era solo un disegno, solo un dis…
“Ehi, tu dovresti essere quella nuova!” esclamò una voce alle sue spalle
“AAAAAAAAAAAAAAAAH!”
 Quasi in risposta all’urlo di Alexandra, la piccola palla di pelo al suo fianco cominciò a ringhiare verso quello che aveva parlato; la ragazza si voltò di scatto e vide nella penombra il ragazzo che aveva parlato ridere di gusto, cosa che non fece altro che farla innervosire
“Ma si può sapere che diavolo ti passa per il cervello?” sbottò prendendo in braccio la cagnolina che non ne voleva sapere di smettere di abbaiare; il ragazzo fece qualche passo verso di lei per potersi mettere sotto alla luce della candela e finalmente rivelarsi.
“Signorina, le buone maniere non gliele ha insegnate nessuno?” chiese questo con voce beffarda; nell’oscurità della stanza Alexandra poté distinguere i suoi occhi brillare di malizia “Eh sì che pensavo che i Crocket fossero una famiglia per bene”
Alexandra cercò con tutta sé stessa di non tirargli un pugno in faccia per rispetto a Marina e Jack…Non gli rispose neanche, si limitò a fissarlo con astio.
Se si avvicina gli tiro un calcio nei…
“E comunque io sono Flyn…Tu dovresti essere Alexandra, o mi sbaglio?”
“No, non ti sbagli.” Lo liquidò in fretta la ragazza, continuando ad accarezzare la pancia della cagnolina nella speranza di calmarla…Sembrava avesse visto il diavolo, non la smetteva di ringhiare!
Flyn scosse la massa di riccioli castani e si abbassò al livello di Alexandra, avvicinandosi di qualche passo; la ragazza si ritrasse, facendo sorridere il moro…Lo conosceva da meno di cinque minuti e già lo odiava.
“Vedo che hai conosciuto Pinkly” esclamò Flyn avvicinando un dito alla cagnolina
“Chi?” rispose Alexandra alquanto sconcertata; capì a chi si stava riferendo solo quando la palla di pelo gli morsicò un dito con sua estrema soddisfazione
Ti meriti un premio piccolina pensò trattenendo una risata
“La cagnolina di Synyster” sibilò Flyn incenerendo Pinkly con lo sguardo
“Mi dispiace, ma non so chi sia Synyster” borbottò Alexandra facendo per andarsene: le era addirittura passata la fame per colpa di quel cafone...Ma naturalmente il cane non sembrava voler demordere. Flyn le si parò davanti appoggiandosi al muro con una mano, intenzionato a bloccarle il passaggio con il corpo possente.
“Dove credi di andare?” chiese cercando di arrotolare una ciocca dei capelli di Alex attorno alle sue dita; la ragazza si tirò indietro di scatto, spingendogli via la mano con un gesto secco
“Ma si può sapere cosa ti salta in mente?” sbottò, mettendo Pinkly per terra; la cagnolina si mise al suo fianco e cominciò a ringhiare verso il ragazzo, mostrando i piccoli dentini “Avvicinati un’altra volta e te ne pentirai amaramente…Ah, e non parlare mai più dei Crocket. Intesi?”
Flyn sembrò quasi divertito della sua reazione: stava lì a guardarla sorridendo beffardo, come se non aspettasse altro. Alex rimase qualche secondo fissandolo come se volesse trapassarlo da lato a lato, poi gli voltò le spalle e ritornò verso la sua stanza.
Pinkly rimase qualche secondo a ringhiare addosso Flyn che, se avesse potuto, avrebbe sicuramente fatto lo stesso; non si erano mai sopportati, con grande divertimento di quel coglione del suo padrone, come era solito chiamarlo Flyn. Pinkly se ne andò dopo poco, seguendo la figura di Alex che si allontanava a passo deciso verso le scale; il ragazzo incrociò le braccia muscolose al petto e rimase a fissarla con un sorriso enigmatico dipinto sul volto…
“Non scapperai a lungo mia cara, viviamo nella stessa casa” esclamò, facendo in modo che la mora riuscisse a sentirlo.
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Erano passati tre giorni da quell’incontro ed Alexandra non era più praticamente uscita dalla sua stanza: le poche volte che lo aveva fatto era stato per mangiare, andare in bagno e spostare i vari scatoloni che aveva in camera. Si, perché si era decisa a metterla apposto: quando dormiva la polvere le entrava nel naso e non faceva altro che starnutire per ore e ore di fila.
L’incontro con quel Flyn l’aveva turbata e non era sicura che se l’avesse incontrato ancora sarebbe riuscita a trattenersi: quindi, visto che doveva essere uno dei tanti coinquilini, si era imposta di non girare troppo e di uscire solo se necessario, almeno per i primi giorni; con suo grande sollievo però, non era rimasta tanto sola. Pinkly era rimasta con lei per gran parte del tempo: a volte se la trovava in camera senza sapere da dove fosse spuntata, ma dopo un po’ ci aveva fatto l’abitudine. Più e più volte, mentre la osservava dormire con la piccola testolina appoggiata sul suo ventre, si era ripromessa di fare un bel discorsetto al suo padrone…Quel Mister, Syster, o quel diavolo che era
Ma poi, che razza di nome è Synyster? Mai sentito prima…Sembra più umano Pinkly
Non aveva dormito molto perché c’era un sacco di lavoro da fare: aveva lavato tutto l’armadio, spazzolato il pavimento, sbattuto le coperte…Ma sembrava che più lavorasse più si formasse casino e lei cominciava ad essere stanca: più volte si era ripromessa di andare a fare visita alle ragazze che Michael le aveva presentato, ma vuoi per mancanza di coraggio e di tempo non ci era mai andata e visto che loro non si erano fatte vive aveva incominciato a pensare che forse non era stata una brutta idea rimanere chiusa nella sua stanza…
Sdraiata sul letto, con lo sguardo fisso sul muro sbiadito, Alex incominciava a chiedersi se trasferirsi lì fosse stata una buona idea.
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“Mi sto annoiando” borbottò la ragazza gettando per terra la rivista che teneva tra le mani; con agilità si issò in ginocchio sul divano, catturando l’attenzione di tutti i presenti.
“Che hai Lea?” chiese Leacy togliendosi un auricolare dall’orecchio; la mora sbuffò sonoramente e, dopo essersi alzata in piedi, si avvicinò alla finestra come per cercare qualcosa che potesse farle ritornare il buonumore
“Ho detto che sono annoiata!” ripeté appoggiando la fronte contro il vetro spesso; dietro alle sue spalle Lacey e Christine, intente a pitturarsi le unghie a vicenda, si voltarono verso di lei
“In effetti hai ragione, queste nuvolacce ci stanno rovinando la settimana…”
Leana sbuffò nuovamente, agitando una mano per aria
“Non è il brutto tempo” disse osservando una goccia d’acqua scorrere sul vetro “E’ da quando se ne sono andati loro che le giornate qua sembrano non passare mai”
Le tre si scambiarono un’occhiata d’intesa, cogliendo subito ciò a cui si stava riferendo la ragazza: del resto capivano perfettamente la situazione in cui si trovava, era lo stesso anche per loro.
“Non è la stessa cosa. Ci svegliamo tutte le mattine e facciamo sempre le stesse cose
Lacey si alzò da terra e raggiunse l’amica, stringendole forte le spalle
“Lea, tu dici così perché ti manca…”
Il solo illudere a lui la fece rabbrividire. Da quanto non si vedevano? Quattro, cinque mesi? Ne stava uscendo pazza. Le sarebbe bastato vederlo, sentire la sua voce e tutto avrebbe preso una piega diversa: ma non era solo quello, lei era anche preoccupata. Preoccupata di quello che sarebbe potuto succedere mentre lui era lontano: non che non si fidasse, per l’amor di Dio, però conosceva le tentazioni a cui andavano incontro dopo mezzo anno di lontananza…Erano fatti di carne del resto, poteva capirlo benissimo.
Leana sbatté la testa contro il vetro, nella speranza di scacciare via tutti i brutti pensieri che le viaggiavano per il cervello
Si può sapere come fate ad essere così calme? Non ci pensate anche voi? O forse sì ma vi fidate troppo di loro da andare a pensare certe cose…
Christine si alzò a sua volta e raggiunse le due more, prendendo parte al momento depressione- post sei mesi; Leana non aveva fatto altro che esternare i sentimenti che tutte loro stavano provando ma che avevano represso fino a quel momento…Il solo pensare a certe cose le lacerava internamente e non avevano intenzione di lasciarsi abbattere definitivamente da delle stupide supposizioni.
Christine scompigliò i capelli alla “piccoletta” come la chiamava lei: le dava circa dieci centimetri in altezza. Christine cercava di consolarsi pensando che di lì a poco sarebbero arrivati e che tutto sarebbe tornato alla normalità…Che poi tanto normalità, con quelli, non era.
“Dai ragazze, un po’ di vita” esclamò cercando di farle concentrare su qualcos’altro “Io un’idea per cambiare un pochino ce l’avrei, se siete disponibili…”
“Di cosa si tratta?” chiese Lacey sorridendo smagliante; Leana si voltò verso Christine con una strana luce negli occhi, sperando con tutta se stessa che fosse qualcosa che riuscisse a tenerle il più impegnate possibile
“Allora” iniziò la rossa sedendosi sul bracciolo del divano “Avete presente Alexandra, no?”
Lacey aggrottò le sopracciglia
“Certo…Però non sembra una molto socievole” borbottò, ricevendo il cenno di assenso di Leana
“Lacey ha ragione, quella è proprio una acida” esclamò una voce alle loro spalle
Le tre si scambiarono un’occhiataccia e tornarono a concentrarsi su Flyn, che si stava avvicinando alla libreria con scarso interesse; Leana fissò il suo sguardo azzurro verso il ragazzo, intuendo subito che c’era il suo zampino
“C’è qualcosa che devi dirci, Flyn?” chiese avvicinandosi a lui.
Flyn estrasse un libro a caso dalla biblioteca, un mattone che sicuramente non avrebbe mai letto, e rivolse la sua attenzione verso la mora: con una mano si riavviò la massa di riccioli castani, senza smettere di sorridere con fare strafottente
“Ti giuro che io gli spaccherei la faccia a volte” sussurrò Christine all’orecchio di Lacey, che rispose annuendo silenziosamente
“Non so a cosa tu ti stia riferendo, Leana. Dico solo che la ragazza dovrebbe imparare le buone maniere, tutto qua” esclamò attraversando a grandi falcate il salotto. Quando raggiunse la porta tornò a voltarsi verso le ragazze “Buona giornate tesori”
“Buone giornate tesori” gli fece il verso Leana dopo che se ne fu andato “Ma come cazzo sta?”
“Io non so come facciano i ragazzi a sopportarlo… E’ letteralmente odioso” borbottò Christine agitando le mani per aria; Lacey, che era la più calma e pacata tra le tre, si morse il labbro
“Un riscontro positivo però c’è…Adesso sappiamo che c’è un motivo valido perché Alexandra non esce mai dalla sua stanza: c’è di sicuro il suo zampino.”
Christine annuì vigorosamente, concordando perfettamente con Lacey
“Ha ragione Cey, deve essersi comportato da stronzo come al solito: sapete com’è fatto, no?”
“In effetti hai ragione…Quindi Chris? Tu di cosa stavi parlando prima che arrivasse Flyn Sonounostronzopatentato?” chiese Leana cingendo le spalle dell’amica con un braccio. Christine le fece l’occhiolino ed iniziò a parlare
“Non vi voglio anticipare nulla, ho solo una cosa da dirvi: vestitevi comode e seguitemi in cantina…Abbiamo un sacco di materiale da recuperare”
Le due ragazze guardarono sconcertate l’amica, sperando con tutte loro stesse che non si trattasse di un’altra delle sue pazzie.


Buonasera!
Eccomi di ritorno con un nuovo capitolo! Inizio col dire che ricevere la recensione di Sassanders mi ha resa molto felice, soprattutto perchè non mi aspettavo che la storia potesse piacere così tanto, quindi grazie tante! :D
Che dire sul capitolo? Finalmente sono riuscita ad introdurre le ragazze, non vedevo l'ora da tempo ormai!  
Spero di riuscire ad aggiornare il più presto possibile e di ricevere altre recensioni, sia negative che positive: mi servono per capire se la storia è apprezzata o no, oppure per cambiare qualcosa nello stile... Fatemi sapere!
Un bacione,

Columbia

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Capitolo 4
*** A little help from my friends ***


Adesso svengo pensò Alex mentre teneva tra le mani uno scatolone pieno di cianfrusaglie da buttare, talmente pesante che sentiva che se non fosse arrivata nel deposito al piano di sotto al più presto, sarebbe caduta di faccia; con il marrone del cartone davanti agli occhi spostò in avanti il piede alla ricerca dello scalino seguente, nella speranza di beccarlo
Speriamo che non ci sia Pinkly nei dintorni, altrimenti mi toccherà ripulire una frittata di maltese
Appena si spostò di un passo però, il contenuto nello scatolone si spostò facendole perdere l’equilibrio; Alexandra cacciò un urlo soffocato ma, proprio mentre si stava preparando al peggio, sentì lo scatolone riassestarsi
“Ehi, tutto apposto lì dietro?” chiese una voce femminile dall’altra parte.
“Ehm…Si, grazie…Tu sei?” rispose Alex, sporgendosi di lato nel tentativo di vedere con chi stava parlando. D’un tratto vide una chioma bordeaux spuntare davanti a lei
“Christine, ti sei già dimenticata?” esclamò quella sorridendole divertita; Alexandra si sentì avvampare dalla vergogna
Ecco, sono venute loro a cercarti. Contenta?
“Oh no, è solo che non ti avevo riconosciuta” disse ridendo imbarazzata
Christine gettò la testa all’indietro scoppiando a ridere dalla sua reazione: si vedeva che era una ragazza con qualche problema a lasciarsi andare, un esempio era l’incontro con Flyn…Non sapeva cosa fosse successo, ma di sicuro quello stronzo l’aveva fatta grossa.
“Dai, torna indietro: ti diamo una mano noi a mettere apposto, abbiamo portato qualcosa di carino”
“Abbiamo?” chiese Alex piegando la testa di lato per poterla guardare meglio
“ECCOCI!” urlò una voce dal piano di sotto, facendo sobbalzare la ragazza; ci fu un rumore di passi che salivano la rampa di scale e, dopo qualche secondo, Alex vide spuntare quelle che riconobbe come Leana e Leacy.
Le due reggevano in mano dei cestelli di vernice ancora sigillati e rulli di varie dimensioni
“Siamo venute a darti una mano!” esclamò Leacy sorridendole dolcemente; Alexandra rimase leggermente sconcertata dalla loro generosità, dopotutto lei si era comportata da emerita stronza anche se non aveva fatto apposta
“Ma…” balbettò guardando le tre ragazze di fronte a lei, che sembravano animate dai più sinceri propositi
“Non ti preoccupare, sappiamo già quello che è successo. A dir il vero non lo sappiamo, però lo immaginiamo. Voglio dire, sappiamo che può essere uno stronzo e che quindi ti ha trattata sicuramente di merda e che tu ti sei chiusa in camera tua perché altrimenti gli avresti spaccato la faccia, ma sta tranquilla che ti avremmo dato una mano perché…”
“LEA!” urlarono Christine e Lacey lanciando un’occhiataccia all’amica, che nel frattempo stava riprendendo fiato: Alex le guardava confusa e al contempo divertita. Come facevano a sapere cosa?
“Ops” rise nervosamente Leana stringendosi nelle spalle “Scusate”
Christine scosse la testa con fare comico e, notando l’espressione spaesata dipinta sul volto di Alex, le spiegò ciò che Leana aveva cercato di dirle senza riuscirci
“Lea si riferiva al tuo incontro con Flyn.”
oh.
“Non ti preoccupare, sappiamo com’è fatto: se sei entrata nel suo mirino non ti lascerà stare per un po’ di tempo…” sospirò Lacey storcendo le labbra con disgusto; quello lì non le era mai piaciuto. Quando lei e le ragazze erano arrivate lì le aveva perseguitate per mesi e mesi: gli unici che riuscivano a tenerlo a bada erano i ragazzi.
Alex abbassò lo sguardo imbarazzata
“Sono stata comunque maleducata: sarei dovuta venire almeno a cena e invece non mi sono neanche presentata”
“Ragazza, quando sono arrivata qua non ho parlato con nessuno per un mese più o meno” sospirò Christine strizzandole l’occhio “quindi non farti seghe mentali!”
Alex le sorrise riconoscente, ma Christine capì che sarebbe stato molto difficile abbattere tutti quei muri che si era costruita attorno: le ricordava tanto lei quando Michael l’aveva trovata. Odiava il mondo, nessuno escluso: dopotutto aveva anche le sue ragioni. Non è da tutti vedere i propri genitori assassinati davanti ai propri occhi…e a lei era successo a soli quattordici anni.
Nonostante fossero ormai passati otto anni il ricordo era ancora vivido e la notte gli incubi non le davano tregua: l’unico che riusciva a darle sollievo durante quei suoi attacchi di panico era lontano miglia e miglia da lei da troppo tempo ormai.
“Allora ragazze, ci vogliamo dare una mossa o no?” esclamò Leana, sbattendo i pennelli sulle tolle di vernice
“Forza Alex, torna indietro: abbiamo molto lavoro da fare!” rise Christine, strizzando l’occhio alla ragazza; Alexandra sorrise riconoscente a tutte quante e obbedì alla rossa.
Quando giunsero nella sua stanza, Lacey distorse il naso in una smorfia disgustata
“Ma proprio in questa topaia ti doveva mettere Michael? Con tutto lo spazio che c’è in ‘sta casa!”
“Hai ragione Cey, c’è talmente tanta polvere che si fa fatica a respirare” le dette manforte Leana “Povera piccola Alex, prima incontra quel cafone di Flyn e poi la chiudono in questo buco: non è stato il meglio come arrivo eh!”
Alexandra, che nel frattempo aveva riappoggiato lo scatolone atterra, se ne stava in piedi nel bel mezzo della stanza con gli occhi di tutte puntati addosso
“Non è così tanto male alla fin fine…” rispose dopo qualche minuto di silenzio “Michael è già stato gentile ad accogliermi nonostante non mi conoscesse”
“Ufff” sbuffò Christine tutt’a un tratto; mentre le tre ragazze si erano fermate a parlare con le mani in mano, lei si era già adoperata per illuminare un po’ la stanza. Con uno strattone riuscì a strappare i pesantissimi tendoni che oscuravano completamente la camera…Non aveva però calcolato una cosa: appena si staccarono dagli anelli di ferro, le caddero addosso seppellendola del tutto “AIUTO CAZZO!” urlò da sotto quell’ammasso informe
Mentre Alex e Lacey si erano precipitate addosso a Christine, Leana era scoppiata a ridere talmente forte che le mancava addirittura il respiro
“Lea, non stare lì con le mani in mano! Sono troppo pesanti, ci servi anche tu!” esclamò Cey cercando di trovare Christine sotto a quell’ammasso di tessuto.
La ragazza si asciugò le lacrime ed andò ad aiutarle senza smettere di ridere neanche un secondo
“Mi manca il respiro qua sotto! MUOVETEVI!” inveiva Christine, tossendo continuamente a causa della polvere “E SMETTILA DI RIDERE LEA!”
 Fu proprio Alexandra a riuscire a tirarla fuori da lì sotto, dopo aver spostato l’ultimo lembo della tenda: l’afferrò per un braccio e l’aiutò a mettersi seduta, mentre Lacey e Leana erano ancora intente a scalciare via i tendoni
“Mamma mia, mi stava venendo un attacco di claustrofobia” sospirò Christine passandosi una mano sul viso; Alex la guardò seriamente preoccupata. Era molto più pallida rispetto a quando l’aveva incontrata sulle scale, ma dedusse che fosse solo colpa dello spavento
“Tutto apposto?” le chiese mentre Christine tossicchiava; la rossa la guardò di traverso mentre si schiariva la gola, annuendo prontamente
“Si si, non ti preoccupare: tutta colpa della polvere!”
Le due si sorrisero per poi voltarsi al fischio di Leana
“Questa camera alla luce del giorno non è proprio niente male” esclamò la mora girando su sé stessa per avere una visuale a trecentosessanta gradi. E non aveva torto! Senza quei tendoni che oscuravano tutto, la stanza si presentava in tutt’altro modo; le due porte finestre, che davano su un piccolo balconcino, lasciavano entrare una luce quasi accecante che rivelava l’immane grandezza di tutta la camera. Alex rimase a bocca aperta, così come le altre tre
“Ehm ehm” si schiarì d’un tratto la voce Lacey “Mi sa che quattro tolle di vernice non ci bastano per tutta sta roba”
Leana sbuffò contrariata dallo spirito guastafeste dell’amica; a passo deciso si diresse verso Christine e Alexandra, che erano ancora sedute a terra, porgendo loro le mani
“Forza, mettiamoci al lavoro gente: ce n’è per tutti!”

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Alex aveva già inquadrato le due ragazze che poco più in là stavano sgomberando la credenza da vecchie cianfrusaglie; Leana, la piccola morettina tutto sale e pepe era l’uragano del gruppo, lo aveva capito sin dalla prima volta che l’aveva vista qualche giorno prima. Aveva una scintilla negli occhi capace di dar fuoco a qualsiasi cosa/persona/essere vivente le stesse vicino.
Lacey invece era talmente dolce da intenerire chiunque, tanto che la sua gentilezza aveva sinceramente stupito Alex. Quando le aveva viste salire le scale per aiutarla con tutto il casino che c’era nella sua stanza non riusciva a crederci: era la prima volta che qualcuno si comportava gentilmente con lei, esclusi i coniugi Crocket naturalmente.
Alexandra guardava Lacey e Leana spintonarsi amichevolmente mentre infilavano vari oggetti negli scatoloni vuoti e qualcosa dentro di lei cominciò ad ardere; non sapeva neanche che cosa volesse dire la parola amicizia. Per lei era qualcosa di astratto, così come lo era l’aria: tuttavia, osservando le due qualche metro più in là, era sempre più convinta ogni secondo che passava che loro ne erano l’incarnazione…E, per la prima volta in vita sua, si ritrovava ad invidiare qualcuno.
“Ehi Alex, ti sei imbambolata?” chiese dolcemente la ragazza al suo fianco; Alexandra distolse lo sguardo e si voltò verso di lei.
Christine.
Lei era un enigma. Non riusciva a classificarla, sembrava quasi un misto tra le due amiche; con lei si era dimostrata gentile e anche solare…Ma Alex aveva capito che c’era qualcosa di più della semplice apparenza. Christine aveva una storia, una storia molto simile alla sua: lo aveva capito sin dal primo momento in cui aveva incrociato il suo sguardo cristallino qualche giorno prima.
Al contrario di Leana, Christine non le si era fiondata addosso, non l’aveva accolta calorosamente come le altre…Almeno non all’apparenza. L’aveva solamente fissata con quegli occhi grigi così penetranti e così simili ai suoi. Occhi che, a suo avviso, ne avevano viste di tutti i colori.
“Sai, Lea e Lacey si conoscono da anni ormai” continuò Christine strappando delle vecchie scartoffie che avevano ritrovato nell’armadio “quando io sono arrivata loro erano qua già da tempo; all’epoca ero sola e loro mi accolsero e mi fecero integrare con gli altri ragazzi. Io sono la più piccola del gruppo, con i miei ventidue anni: loro ne hanno dai ventisei ai ventinove”
“Loro chi?” chiese Alexandra fissando Christine con interesse
“Oh, con ‘loro’ intendo loro” rispose indicando Leana e Lacey “e i ragazzi”
“Ah, i ragazzi…”
Christine sorrise del suo sguardo piuttosto confuso
“Intendo quelli che adesso sono in tour, scommetto che Michael te ne ha parlato”
Alexandra annuì solennemente, ricordando le parole del signor Trason: “i ragazzi” erano in tour per la California e, a quanto aveva capito, dovevano vivere lì da tempo ormai.
“Si, mi ha anche presentato Mckenna”
“Oh Mckenna” rise Christine riavviandosi una ciocca di capelli che le cadeva davanti al volto “quella ragazzina è una peste, il povero Michael deve starle dietro giorno e notte altrimenti seguirà le orme del fratello” aggiunse chiudendo lo scatolone con il nastro adesivo “Comunque Alex, non ti stavo raccontando tutto questo senza un motivo”
Alexandra alzò la testa e fissò i suoi occhi in quelli di Christine, che la guardava sorridendo amichevolmente
“Non so di preciso la tua storia: mi è giunta voce che sei una ragazza orfana, ma francamente non è questo il nocciolo del discorso. Quello che volevo farti capire è che qua dentro sei al sicuro, questa è casa tua: non devi sentirti a disagio, anche se so che è difficile perché ci sono passata prima di te. Se hai bisogno dei tuoi spazi non devi far altro che dirlo e non ti lasceremo sola, se hai bisogno di parlare con qualcuno noi ci saremo sempre: ormai sei entrata in casa Trason e non ne uscirai tanto facilmente” rise Christine, per poi riprendere il suo discorso “ormai sei diventata parte della famiglia, potrai sempre contare su di me e sulle ragazze. E sono convinta che anche i ragazzi ti apprezzeranno; tuttavia rimane una tua scelta, noi non possiamo interferire…”
Alexandra era letteralmente senza parole, non sapeva cosa rispondere né come comportarsi; da un lato una parte di sé sprizzava gioia da tutti i pori, dall’altro invece la sensazione di disagio continuava a martellarle l’anima come un trapano. Era felice, ma non sapeva come dimostrarlo
“Io..” cominciò balbettando alla ricerca delle parole giuste “Io non so cosa voglia dire avere una famiglia, Christine. Non so cosa si provi ad avere un padre ed una madre, né tantomeno so cosa significhi essere al sicuro; non so cosa voglia dire avere una sorella, né cosa si provi ad essere abbracciati. Quindi mi scuso sin dall’inizio se non sarò il massimo della simpatia o della compagnia, ma devo trovare il tempo necessario per adattarmi: so che voi siete delle ottime persone, ne ho avuto la riprova anche oggi…Ma più che conoscere voi, io devo conoscere me stessa”
Christine la guardò pensando che le ricordava tanto lei: quando era arrivata lì anni prima voleva fare tanto la dura, ma alla fine era crollata. E per Alex sarebbe stato lo stesso: era sempre stata abituata a stare da sola e adesso l’idea di lasciarsi andare la spaventava a morte. Aveva paura di affezionarsi a qualcuno e di rimanere sola. Aveva paura di essere ferita.
Perché, seppure inconsciamente, la perdita dei genitori l’aveva segnata, l’aveva marchiata a fuoco; Sapeva che cosa temeva Alex poiché poco tempo prima, quelle che ora attanagliavano la ragazza di fronte a lei, erano state le sue stesse fobie.
Christine appoggiò una mano sulla sua ed Alex ebbe l’istinto di ritrarla: quando sentì il calore della sua pelle però, le sorrise come a ringraziarla
“Beh” esordì una voce alle sue spalle; Alexandra si voltò e vide Leana e Lacey sedersi accanto a lei. Le due misero le loro mani sopra quelle di Christine, sorridendole dolcemente “Forse adesso hai scoperto cosa significhi avere delle sorelle…” continuò Lacey
“…Ne hai trovate tre!” esclamò Leana travolgendola in un abbraccio; quella volta Alex rispose quasi subito. L’imbarazzo della prima volta era scomparso quasi del tutto: quando anche Lacey e Christine si aggiunsero all’abbraccio, Alex sentì qualcosa accendersi nel suo stomaco, una specie di miccia che prese lentamente fuoco. Non era disagio, non era neanche rabbia…Era una sensazione strana.
Forse andare a vivere dal signor Trason non era poi stata una così brutta idea.

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Le quattro ragazze si guardarono attorno per controllare per l’ennesima volta il loro operato; lo strato di polvere che ricopriva la stanza era ormai sparito assieme a tutte le cianfrusaglie che erano state ammassate sugli scaffali e dentro l’armadio. Oltre alle tende delle finestre le ragazze avevano strappato anche quelle del baldacchino, visto che intanto erano letteralmente a brandelli
“Mi dispiace solo che non siamo riuscite a dipingere anche” sospirò Lacey guardando sconsolata Alexandra “questo arancione è davvero terribile”
Alex scosse la testa sorridendo alle tre ragazze che le erano state vicine per tutta la giornata
“Non ti preoccupare, va benissimo così…E’ già molto meglio rispetto a prima!” esclamò stringendosi nelle spalle “Almeno adesso l’aria è respirabile!” aggiunse facendo ridere le altre
Christine le dette una pacca sulla spalla e si avviò con l’ultimo scatolone verso la porta
“Forza ragazze, è ora di andare a farsi una doccia: tra poco bisogna andare a cena”
“Ma che ore sono?” chiese Leana guardandola stranita
“Le sei e mezza tesoro”
“Oh cazzo!” urlò la ragazza, tirandosi uno schiaffo sulla fronte “Ok, allora noi andiamo: Alex, veniamo a prenderti per le sette e un quarto” aggiunse dando un bacio sulla guancia ad Alexandra “Se ti serve il bagno, va’ infondo al corridoio e gira a destra: è la prima porta. Quest’ ala è praticamente vuota, quindi troverai asciugamani puliti e tutto ciò che ti serve sarà a tua disposizione”
Alexandra annuì sorridendo e, dopo aver salutato le ragazze, si richiuse la porta alle spalle; quando si appoggiò allo stipite, si accorse di quanto fosse grande la sua stanza. Lo spazio era talmente tanto che avrebbe potuto ammassarci dentro venti elefanti e continuare ad averne per lei; dopo aver recuperato alcuni dei vestiti che Christine le aveva gentilmente appeso nell’armadio, Alexandra uscì dalla camera e, seguendo le indicazioni che Leana le aveva dato qualche minuto prima, riuscì a raggiungere il bagno senza problemi. Quando abbassò la maniglia e accese l’interruttore della luce si ritrovò in un bagno talmente grande da sembrare un centro benessere; sul fondo della stanza si trovavano non uno, ma ben quattro lavandini che risplendevano sotto la luce della lampadina. Lo specchio posto sopra di questi prendeva praticamente tutta la parete e dava una visuale completa della stanza; alle pareti vi erano svariati ganci dove appendere i propri vestiti e, inoltre, erano state poste delle cassettiere che, pensò Alex, dovevano contenere gli asciugamani.
Le due cose che colpirono di più Alexandra però, furono l’enorme vasca, che dalle dimensioni sembrava più una piscina, posta nel bel mezzo del bagno su un piano rialzato e il materiale con cui l’intera stanza era stata costruita. Tutto ciò che si trovava al suo interno era stato scolpito nella pietra; Alexandra, continuando a guardarsi attorno, si avvicinò alla vasca e dopo aver salito i quattro gradini, si inginocchiò sul bordo ed aprì i rubinetti. Quando fu abbastanza piena vi si immerse fino al seno, rabbrividendo per il contatto con l’acqua calda; lentamente i suoi muscoli si rilassarono ed Alexandra chiuse gli occhi per godersi al meglio quel momento.
Si ritrovò a pensare che in quel pomeriggio aveva avuto il coraggio di confidarsi con Christine, Leana e Leacy: quante volte Marina aveva cercato di farle esternare i suoi veri sentimenti? Quante volte aveva provato ad instaurare con lei un rapporto come quello esistente tra madre e figlia? Ebbene, tutti i tentativi di quella povera donna andavano falliti. Ripensandoci Alex si sentiva anche piuttosto in colpa: dopotutto lei e Jack si erano fatti in quattro per farla sentire a suo agio il più possibile, ma non erano mai riusciti nel loro intento. Alexandra alzò un braccio, osservando le piccole goccioline creare dei cerchi concentrici sulla superficie dell’acqua
Cos’avevano loro che non andava?
Più che altro devi chiederti cos’hai tu che non va.
Scosse la testa scacciando via quei brutti pensieri: dopotutto che ci poteva fare? Non era stata lei a scegliere di nascere così complicata. Dio solo sa quanto avrebbe voluto instaurare un vero rapporto con i Crocket, ma c’era qualcosa in lei che la frenava, una vocina che le diceva di non andare oltre e di fermarsi lì. E così aveva fatto, aveva obbedito alla sua coscienza: li aveva trattati con freddo distacco, rimanendogli però grata per quello che avevano fatto per lei…
Poi era arrivata lì e sin dal primo istante in quella casa aveva capito che le cose stavano per prendere una piega diversa: si era sentita a posto per la prima volta nella sua vita e, fidatevi, per Alexandra era una sensazione più che strana.
Alzò lo sguardo e si ritrovò a fissare il suo riflesso nello specchio poco distante. Notò che i suoi occhi avevano una luce differente. Brillavano di curiosità. Di curiosità per ciò che la vita sembrava essere in procinto di riservarle.
L’angolo destro della sua bocca si sollevò e, ancora una volta, la miccia nel suo stomaco riprese fuoco.




Buonasera gente!
Allora, comincio dicendo che "i ragazzi" arriveranno il prossimo capitolo: ho cominciato a scrivere e sono andata avanti per più di un'ora, con il risultato che se avessi messo tutto in un solo capitolo ne sarebbe uscito fuori uno troppo lungo.

Quindi:
1. Ringrazio ancora Shads per la recensione dell'ultimo capitolo...Sono felice che ti piaccia così tanto!
2. Aspetto le vostre recensioni, sono molto importanti per me...Negative o positive che siano!
3. Adesso mi eclisso e vado a ritoccare dei piccoli particolari nel prossimo capitolo, che arriverà mooolto presto.

Alla prossima!
Columbia



 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Quando Alexandra tornò nella sua stanza non si stupì nel vedere la piccola Pinkly sdraiata sul suo letto
“Ehi piccolina, tutto bene?” chiese la ragazza arruffandole il pelo; Pinkly rispose con un abbaio, mentre le leccava freneticamente la mano. Le due giocarono per un poco, fino a quando Alex si alzò per vestirsi; aprì le enormi ante dell’armadio ed optò per una gonna nera che le arrivava poco sopra il ginocchio ed una camicia bianca. Era stata la stessa Marina a cucirglieli, visto che Alexandra non aveva intenzione di indossare quelle trappole mortali che andavano di moda tra le giovani della sua età: eh sì, perché se si vedeva anche solo uno spicchio di caviglia diventavi una poco di buono malvista da tutti…Però i bordelli c’erano, eh? Quindi voleva dire che chi li frequentava c’era.
Ipocriti.
Aveva giusto incominciato a spazzolarsi i capelli quando la porta si spalancò: le ragazze fecero capolinea nella stanza ridendo sguaiatamente per qualcosa che Leana aveva appena detto
“Cos’è che diceva?” le chiedeva Christine con le lacrime agli occhi, mentre si reggeva a Lacey per non cadere a terra
Pink is the new black! PINK. IS. THE. NEW. BLACK!” le rispondeva Leana imitando una voce alquanto stupida. Lacey si voltò a guardare sconsolata Alex, che le rispose con un sorriso timido
“Ragazza, non farci caso” esclamò avvicinandosi a lei, per poi cingerle le spalle con un braccio “è un vecchio aneddoto su uno dei ragazzi”
“Ehi!” esclamò a sua volta Leana saltando sul letto affianco a Pinkly: la poverina rimbalzò sul materasso per colpa del tuffo della ragazza “A proposito di Brian, guardate chi c’è qua! Ciao Pinkly”
La cagnolina sembrava felice di tutte quelle attenzioni, visto che cominciò a scodinzolare come un ossesso
“Brian?” chiese confusa Alex, guardando Lacey
“È il padrone di Pinkly, sai” rispose Christine avvicinandosi
“Ma non era quel Synyster?”
“Quello è il suo nome d’arte Alex: lo so, lo so…Nessuna persona normale si chiamerebbe così. Ma poi tu come fai a saperlo?” le domandò la rossa inarcando un sopracciglio
“Oh, me l’ha detto Flyn quando ci siamo incontrati l’altra sera”
“Non mi nominare quella testa di cazzo” sbottò Leana alzandosi dal letto, dopo aver preso in braccio la palla di neve “Una volta che chiama Jimmy, UNA CHE E’ UNA e lui fa apposta a far saltare la linea!”
Lacey scosse la testa esasperata: Flyn quando ci si metteva era davvero insopportabile. Il bello poi, era che si comportava in quel modo senza un motivo preciso!
Spero solo che i ragazzi tornino il più presto possibile pensò con un velo di tristezza
“Calmati Lea” borbottò Christine prendendola per le spalle “Fra un po’ non oserà più neanche pensarle certe cose, i ragazzi stanno per tornare”
Leana strinse le labbra in una smorfia di disgusto
“Tenetemi lontana da lui, altrimenti a cena gli metto le mani addosso.”
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La sala da pranzo era davvero fantastica. Alex aveva ormai imparato a non stupirsi più delle dimensioni di quella casa, visto che rischiavi di perderti da quanto era grande, ma ciò che la colpiva era lo stile: ogni stanza aveva il suo. Sembravano quasi a tema da quanto si differenziavano l’una dall’altra: questa, ad esempio, era caratterizzata dalle enormi vetrate che davano sul giardino anteriore.
Il sole, in procinto di tramontare, irradiava la stanza con i suoi colori caldi e faceva risaltare i riflessi rossicci dell’enorme tavolata che occupava il centro della sala: era talmente grossa che vi avrebbero potuto prendere posto più di cinquanta persone! Le pareti erano costruite con lo stesso legno rossiccio con cui era stata fabbricata la tavola; dal soffitto pendevano dei lampadari di cristallo che riflettevano la luce del sole.
Quando le ragazze entrarono nella sala da pranzo, la trovarono completamente vuota
“Ci siamo solo noi?” chiese Lacey prendendo posto ad una sedia qualsiasi; Leana le si sedette affianco, mentre Christine ed Alexandra di fronte. La rossa annuì alle sue parole
“Già, Michael è dovuto uscire per affari e non so quando ritornerà”
Leana non fece in tempo a rispondere che la porta della sala si spalancò, lasciando entrare un Flyn dal sorriso soddisfatto seguito a ruota da una Mckenna dallo sguardo corrucciato; Alexandra ci mise ben poco a scoprire quello che era successo. I capelli di Mckenna, che fino a tre giorni prima erano di un fucsia acceso, adesso pendevano tra il verde e un marroncino poco invitante
“Ma buonasera fanciulle!” esclamò il ragazzo, osservando con interesse le quattro sedute al tavolo. Quando il suo sguardo si posò su Alexandra, la sua bocca si incurvò in un sorriso soddisfatto “Ehi, ehi, ehi…Guarda un po’ che si rivede! Hai deciso di uscire da quella stanza polverosa alla fine. Lo sapevo che non saresti riuscita a starmi lontano più di tanto”
Alexandra incenerì letteralmente Flyn con lo sguardo: emanava superbia da tutti i pori e il suo atteggiarsi da re del mondo la mandava su tutte le furie.
“Oh, vaffanculo Flyn” sbottò d’un tratto Mckenna, che nel frattempo si era accomodata affianco ad Alex “giuro che questa me la paghi”
“Suvvia piccola Macky, dopotutto non ti stanno neanche malissimo…” le sorrise Flyn prendendo posto a capotavola; con estrema nonchalance stirò le gambe e le appoggiò sul tavolo, cominciando a dondolarsi lentamente “sembra solo che ti abbiano vomitato in testa”
Il suo livello di cattiveria era direttamente proporzionale alla sua bellezza; alto, muscoloso dalla pelle chiara e con una cascata di riccioli che gli arrivavano quasi alle spalle. La prima volta che lo aveva incontrato Alex non era riuscita a scorgerne il colore degli occhi a causa dell’oscurità: adesso, alla luce del giorno, le era possibile notare i due pozzi neri che aveva al posto delle iridi. Il loro taglio felino si assottigliò ancora di più quando vide Mckenna saltare in piedi: Leana ed Alex fecero appena in tempo ad afferrarla prima che riuscisse a saltare sul tavolo in un impeto di furia
“BRUTTO STRONZO IO TE LI STRAPPO I TUOI CAPELLI!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola, suscitando solamente le risate sguaiate di Flyn
“Calmati Mckenna, non farti vedere così” le sibilò all’orecchio Leana “non fai altro che dargli una soddisfazione in più. Cerca di trovare un po’ di autocontrollo.”
Alexandra, che la teneva per un braccio, seguì l’esempio della ragazza
“Ha ragione Mckenna, lascialo perdere”
Nel frattempo, sia Christine che Lacey si erano alzate, pronte ad intervenire se la situazione fosse ulteriormente peggiorata.
“Ehi Lea” ritornò all’attacco Flyn, con un sorriso strafottente stampato in faccia “Come stava Jimmy? Avete parlato un po’?”
Nel sentire quelle parole, Alex sentì il corpo di Leana irrigidirsi: la vide chiudere gli occhi e respirare a fondo, quasi come se stesse cercando di mantenere la calma per non saltargli addosso
“Perché sai” continuò il ragazzo, guardandosi con scarso interesse le unghie “scommetto che cominciate a sentire l’uno la mancanza dell’altra…Per te sarà sicuramente più facile, ma per lui? Con tutte quelle tentazioni che gli girano attorno, io non mi stupirei se…”
Flyn non fece neanche in tempo a finire che Leana era partita. Fu solo una frazione di secondo, ma ad Alexandra bastò per vedere una lacrima sfuggirle dall’occhio
“Devi stare solamente zitto tu, brutto porco schifoso!” strillò lanciandosi verso di lui; Lacey e Christine fecero in tempo ad afferrarla per i gomiti prima che riuscisse a raggiungerlo “Lasciatemi andare, lasciatemi andare ho detto!” strillava Lea cercando di dibattersi mentre le due ragazze la trascinavano fuori da lì: Alexandra le seguì con affianco Mckenna che si era calmata nonostante continuasse a respirare affannosamente “GIURO CHE SE TI PRENDO TI SPACCO LA FACCIA!”
Alexandra fu l’ultima a uscire dalla stanza e, quando si voltò per chiudere il portone d’ebano, si accorse che Flyn la stava fissando: Alex avvicinò le due ante e, poco prima che sentisse il click della serratura, le giunse il suono della sua risata.
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Alexandra seguì le quattro ragazze in camera di Mckenna; Lacey non aveva mai smesso di tenere per un braccio Leana, in quanto consapevole che sarebbe potuta schizzare da un momento all’altro al piano di sotto per darle di santa ragione a Flyn.
Mckenna illuminò la stanza accendendo i faretti alogeni che scorrevano lungo tutto il soffitto e si lanciò a peso morto sul letto, affondando la testa in uno dei cuscini
“Dio mio quanto lo odio” urlava soffocando dei versi di stizza nella fodera bianca “come cazzo si permette di fare certe cose? COME?”
Nel frattempo Leana si era seduta sul divanetto viola dall’altra parte della stanza, mentre Christine e Leacy si erano accomodate ai suoi piedi; Alexandra, ancora ferma sulla soglia, aveva notato il repentino cambio di umore della ragazza. Il suo sorriso perenne era scomparso nel nulla, lasciando posto ad un’espressione talmente vacua da spaventare anche Alex: sembrava che fosse lì con il corpo, ma lontano con la mente.
Lei e Jimmy devono stare insieme, o comunque essere molto legati…
Un’ennesima lacrima silenziosa cominciò a scorrerle lungo la guancia, ma Leana la scacciò con un gesto stizzito: non doveva permettere a quel coglione di rovinarle la vita. Anche se conosceva i suoi punti deboli. Anche se le sue parole la ferivano perché risvegliavano dei timori che le attanagliavano lo stomaco tutti i santi giorni.
Nel vederla così debole, Alexandra sentì come uno strano impulso…Qualcosa le stava dicendo di andare da Leana ed abbracciarla, per farle capire che poteva contare su di lei.
Questa non sei tu.
La solita vocina fastidiosa la bloccò proprio mentre stava per muovere il primo passo: Alex scosse la chioma corvina e si massaggiò le tempie, più pensierosa che mai.
“Macky, devi stare calma. Agitarti così non servirà a nulla” le disse Christine dopo essersi avvicinata alla più piccola del gruppo, che però non accennava a tranquillizzarsi
“Calma? CALMA? Ma lo vedi cos’ho in testa?!” piagnucolò Mckenna alzandosi delle ciocche verdognole per permettere alla ragazza di vedere meglio “Hai visto? Sembra vomito cazzo, Flyn ha ragione!”
Leana si lasciò scappare un sorriso, con grande sollievo di Lacey. Era da venti minuti che cercava di farla riprendere, ma quando si toccava quell’argomento le reazioni erano due: o cadeva in depressione o distruggeva qualsiasi cosa/persona si mettesse sul suo cammino.
“Dai Macky, non ti preoccupare” esclamò Leana, riprendendo il suo solito vigore “vedrai che quando Michael tornerà ci porterà tante cose e tra queste di sicuro ci sarà anche una tinta che farà al caso nostro” aggiunse sedendosi sul letto affianco a lei.
“Lea ha ragione tesoro” le diede corda Lacey “lascia perdere quello là, vedrai che sistemeremo tutto come sempre”
“E fino a quando non tornerà Michael, girerai con un fantastico cappellino per nascondere quell’obbrobrio che hai in testa!”
“Ah grazie Chris, così mi tiri su il morale proprio!” esclamò Mckenna dandole uno spintone: poi, voltandosi verso Alex che stava ancora sulla soglia, si aprì in un sorriso “Ehi Alexandra, vieni un po’ qua! Stasera stiamo tutte assieme, ti va bene?”
“Oh…ehm, certo” borbottò Alex avvicinandosi al letto; Mckenna la squadrò da capo a piedi, tamburellandosi con fare pensieroso le dita sulla guancia
“Senti un po’ cara” disse tutt’a un tratto “Non hai nessun altro vestito? Non che non mi piaccia eh, solo che è un po’ elegante”
Alexandra rimase un po’ interdetta: Mckenna era famosa per la schiettezza con cui diceva le cose, ma questo lei non lo poteva sapere
“A dir la verità no…”
“COSA?” urlò Mckenna per poi beccarsi una gomitata nelle costole da Christine, che la stava fulminando per farle chiudere il becco “Ahio! No no Alex, non fraintendere: stai molto bene così…Stavo, ehm…stavo solo pensando che magari era una bella idea andare a vedere qualche bel vestito, no?”
“E brava Macky, vedi che quando ti sforzi delle belle idee ti escono da quel cervellino?” rise Leana abbracciando da dietro la ragazza
“Sì sì, sta attenta te” borbottò per poi afferrare per un polso la povera Alexandra “ci stai allora?”
“S-sì, va bene…” mormorò Alex accennando una risata nervosa
Mckenna si aprì in un sorriso a trentadue denti per poi spalancare gli occhi
“Oh mio dio!” urlò dal nulla “Ma quello è il tuo colore naturale o porti delle lenti a contatto?”
“Cosa?” rispose Alexandra senza capire
“Non sai cosa sono le lenti a contatto?” chiese Lacey guardandola stupita; quando Alexandra scosse la testa, le ragazze si scambiarono uno sguardo sconcertato
“Sono delle cose trasparenti che metti negli occhi per fargli cambiare colore” disse Mckenna sorridendole “Tu le porti?”
Alexandra scosse nuovamente la testa, più sconcertata che mai
“No, sono i miei occhi questi”
“Woow” sospirò Mckenna fermandosi a fissarla. Rimase così per qualche minuto, fino a che Christine, notando lo sguardo preoccupato di Alex, non la scosse per una spalla
“Macky, che hai?” le chiese sventolandole una mano davanti agli occhi; la ragazza sorrise nuovamente, con una sfumatura un po’ più maliziosa
“Niente, stavo solo pensando che mio fratello la definirebbe una ragazza altamente scopabile”
Prendete un peperone, fatelo diventare trenta volte più rosso…Anzi, fate anche cinquanta: ecco, così forse vi avvicinereste al colore che il volto di Alexandra prese in quel preciso istante
“MCKENNA!” urlarono le tre ragazze in coro
“E io che ho detto?”

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Capitolo 6
*** The arrival ***


Questo è il secondo capitolo che pubblico in un giorno: se vi manca un pezzo di storia, tornate indietro di uno!

Erano passati cinque giorni dallo spiacevole incontro con Flyn e le acque sembravano essersi calmate parecchio: Alexandra ormai passava ogni singola ora di ogni singolo giorno con Lacey, Leana, Christine e Mckenna che non la lasciavano neanche un secondo.
Ritornava nella sua stanza a notte fonda e crollava sul letto dopo poco meno di cinque minuti, a volte dimenticandosi anche la porta aperta; Pinkly aveva ormai affittato la camera di Alex e non sembrava intenzionata ad andarsene. Michael non era ancora tornato dal suo viaggio nonostante fosse passata ormai una settimana abbondante, ma le ragazze non sembravano allarmate
Evidentemente   pensò Alex   è solito partire per lavoro…
Era una sera come tante altre, a dir la verità erano già le tre del mattino, e le ragazze si erano riunite tutte in camera di Alexandra per passare un po’ il tempo insieme
“Mckenna” esordì Leana, seduta per terra sull’enorme tappeto della camera “Come diavolo fai a portare quel cappellino di lana se ci sono quasi trenta gradi?”
 Lacey si era sdraiata con la testa appoggiata sulle sue gambe, Christine con la schiena contro il muro e Mckenna aveva occupato l’altra piazza disponibile sul letto. In quella settimana la ragazza si era attaccata molto ad Alex, la vedeva come una specie di sorella maggiore…un’icona insomma. Era letteralmente attratta dal suo carattere: sembrava attirata da tutto ciò che la circondava ma allo stesso tempo Mckenna aveva capito che c’era qualcosa che la frenava.
E Mckenna voleva sapere di che cosa si trattava. E ci sarebbe riuscita.
Leana” rispose la piccoletta distogliendo lo sguardo dalle sue unghie per metà smaltate “si dà il caso che io non voglia girare con il roito che mi trovo in testa in bella mostra. Quindi, è necessario che lo porti. A costo di farmi crescere un allevamento di pulci tra i capelli”
“Dio che schifo!” rise Christine battendosi una mano sulla fronte
“Tesoro, ti sta bene anche quel colore…Non dare retta a quello che ti dice Flyn”
“Cey, il problema è che tu sei troppo buona: mi diresti che starei bene anche con un sacco dell’immondizia addosso solo per farmi felice. Quindi, mi dispiace, ma il tuo parere non conta” sospirò Mckenna, per poi disegnare un cuore per aria con le dita
“Sì sì, lo so: senza di me non resistereste neanche un secondo” esclamò Lacey facendo scoppiare a ridere tutte quante
“Adesso non ti montare la testa però” borbottò Lea scompigliandole i capelli
“Ehi ragazze” esordì d’un tratto Alex voltandosi l’ingresso “secondo voi cos’ha Pinkly?”
Le quattro si voltarono tute verso il punto indicato da Alex e, in effetti, notarono anche loro qualcosa di strano: Pinkly continuava a grattare la zampina sulla porta lasciando i segni delle unghiette sul legno. Alexandra si alzò assieme a Leana e prese in braccio la palla di pelo, che però non sembrava intenzionata a stare ferma
“Che strano” commentò Leana osservando Pinkly dimenarsi tra le braccia della ragazza “solitamente ama starti addosso”
“Oh mio dio, forse è indemoniata! E’ UN CAZZO DI DEMONE!” urlò Mckenna infilandosi sotto le coperte: con la sua immane finezza riuscì a ribaltare anche la lampada sul comodino
“Non urlare Macky!” sbottò sottovoce Christine aiutando Lacey a mettersi in piedi “Uno: Pinkly non è indemoniata. Due: ho sentito dei rumori in giardino, potrebbero esserci dei…”
“…Ladri?” chiese Lacey con un fil di voce; Christine si volse verso l’amica stringendole forte la mano per infonderle sicurezza
“Si, ma questo non spiega la reazione di Pinkly” affermò Leana incrociando le braccia al petto
“La soluzione è solo una” esordì Alex rimettendo la cagnolina a terra “usciamo e andiamo a vedere chi c’è”
“MA SEI PAZZA?!”
“MCKENNA SMETTILA DI URLARE O TI FACCIO IL CULO A STRISCE!”
“POTREBBERO DERUBARCI, PICCHIARCI, STUPRARCI…”
“SMETTILA DI URLARE!”
“MA ADESSO SEI TU CHE URLI CHRIS!”
FINITELA TUTTE E DUE!” tuonò Lacey facendole sobbalzare entrambe: quando la mora si accorse di avere l’attenzione di tutte, ricominciò a parlare “Alexandra ha ragione: dobbiamo andare a vedere chi c’è, quindi toglietevi le scarpe e usciamo di qui il più silenziosamente possibile.”
Christine e Mckenna, alquanto scosse dalla reazione dell’amica, fecero come gli era stato detto e in meno di due minuti furono tutte e cinque fuori dalla stanza; Mckenna fu l’ultima ad uscire ma, naturalmente, nel suo vocabolario l’aggettivo “silenzioso” e tutti i suoi derivati non esistevano.
Sbatté la porta talmente violentemente che Leana temette che si staccassero i cardini
“E menomale che dovevamo muoverci il più silenziosamente possibile” rise sommessamente mentre procedevano per i corridoi semi illuminati dalle candele
“Fottiti Leana.”
Le ragazze cominciarono a muoversi cautamente per la casa, camminando in punta di piedi per far scricchiolare al minimo le assi del parquet: l’ansia e la paura impregnavano l’aria, tutte loro avevano le gambe che tremavano. Alexandra cercava di controllare i respiri pesanti, senza però riuscirci. L’unica che zompettava allegramente davanti a loro era Pinkly: quando arrivarono in prossimità delle scale, aumentò addirittura l’andatura
“Macky piantala di stringermi così il braccio, rischi di mandarmelo in cancrena” sbottò d’un tratto Christine; la zona delle scale era quasi completamente buia a causa dell’assenza di lampadari e candele, tanto che le ragazze stavano una incollata all’altra per evitare di cadere per terra
“Guarda che io non ti sto stringendo proprio niente mia cara”
“Ah no? Allora se faccio così…”
“AHIA! MA CHE CAZZO FAI CHRIS?!” urlò Mckenna andando a sbattere contro Lacey, che camminava giusto di fronte a lei
“Piantatela voi due! Lo sentite?” esclamò sottovoce Lacey quando giunsero alla fine della scalinata “stanno entrando ragazze…”
“Ho paura.” Sussurrò Leana stringendo il braccio di Alex al suo fianco; Alexandra deglutì rumorosamente. Anche lei aveva paura. E tanta anche.
“Non ti preoccupare Lea” le rispose stringendole la mano
“Ma dove sta andando Pinkly?” chiese d’un tratto Christine, sporgendosi in avanti per vedere meglio: la cagnolina, infatti, era partita alla riscossa quando aveva sentito la serratura scattare
“PINKLY!” urlò Alex due secondi prima che la luce si accendesse e che illuminasse tutto la sala; il portone d’ingresso si spalancò violentemente, lasciando entrare la luce dell’oscurità.
“MA SI PUO’ SAPERE CHE CAZZO FAI?! POTEVO AMMAZZARMI!” strillò un ragazzo entrando di spalle in casa; Alex, in ginocchio sul primo gradino delle scale, poté notare quanto alto fosse.
Era completamente vestito di nero: jeans neri, maglietta nera, scarpe nere e capelli neri.
Dalla maglietta spuntavano le braccia, completamente ricoperte di inchiostro e un pezzo di collo che…
Aspetta…ma sono manette quelle?!
“Eh dai! Era solo uno spintone!” esclamò una voce dietro di lui, seguita da uno scroscio di risate
“Andate tutti a cag…”
“Jimmy…” sussurrò Leana, che era ancora affianco ad Alex; quando il ragazzo sentì il suo nome si voltò di scatto. Alex rimase colpita dall’azzurro dei suoi occhi, ma ciò che la stupì fu il sorriso che si dipinse sul suo volto quando vide Leana.
“Ciao, piccola” disse semplicemente, prima che la ragazza gli saltasse addosso.
 

 
Alexandra se ne stava lì, imbambolata davanti a quei due, l’una avvinghiata all’altro: Leana in braccio a Jimmy sembrava una bambina e lui la trattava come tale.
Non faceva altro che accarezzarle il viso con la fronte appoggiata alla sua, mentre Leana quasi piangeva dalla felicità; Alex era talmente rapita dalle effusioni di quei due che neanche si rese conto dell’entrata in scena di altri due ragazzi.
Quando si voltò verso di loro, notò che la stavano squadrando da capo a piedi: sembravano quasi incuriositi dalla sua presenza.
Evidentemente Michael non gli ha parlato di me
La prima cosa che saltò all’occhio era la differenza di altezza tra i due: il più basso era poco più alto di lei ed indossava praticamente gli stessi abiti di Jimmy, le uniche differenze erano una catena tra i passanti della cintura e la cresta multicolor che si ritrovava in testa…un vero e proprio pugno nell’occhio gente.
“OH MIO DIO!” urlò Lacey da dietro le spalle di Alex, per poi saltarla come un’atleta evita un ostacolo lungo il percorso; ci fu uno spostamento d’aria e dopo due secondi il poveretto era sdraiato a terra con Lacey a cavalcioni sopra di lui “JOHNNY!”
“Lacey!” urlò il ragazzo, ridendo della reazione della mora “Se stringi un pochino più forte forse riesci a farmi secco”
“Oh mio dio Johnny…Amore mio” sussurrò Lacey seppellendo il viso nel suo collo; Johnny smise di ridere e si issò a sedere, tenendola stretta tra le sue braccia
“Mi sei mancata piccola…”
“Ehi Jace, tu non vieni a salutarmi?” chiese l’altro ragazzo
Jace?
“MATT!”
Oh Signore, un’altra no per favore! Pensò Alex quando vide con la coda dell’occhio la chioma bordeaux di Christine schizzare verso quello che doveva essere Matt; il ragazzo lasciò cadere i due enormi borsoni a terra per afferrare al volo la ragazza. Dire che era grosso come un armadio era un eufemismo: aveva delle braccia letteralmente enormi.
“Ehilà!” rise lui stringendola a sé “E’ un piacere rivederti stronzetta”
“Zitto, non rovinare il momento.” Sussurrò Christine con la voce tremante
Alex guardò sconcertata le tre coppie davanti a sé, cominciando a sentirsi di troppo: dopo mesi di assenza probabilmente avevano tanto da dirsi e di sicuro lei sarebbe stata solo un intralcio, almeno secondo la sua mente contorta.
Pinkly la recupererà qualcun altro…
Alexandra si voltò, pronta per risalire le scale e tornarsene in camera sua, quando Mckenna la fermò per un polso
“Dove credi di andare tu?” le chiese con un mezzo sorriso stampato sul volto
“Ehm…io…” borbottò Alex grattandosi nervosamente la testa
“EHI VOI! MICHAEL NON E’ CHE VI HA ASSEGNATO DELLE CAMERE DA LETTO PER LASCIARLE MARCIRE EH!” urlò qualcun altro alle loro spalle; la porta sbatté rumorosamente, seguita dallo schianto di numerose valige sul pavimento.
Alex si voltò verso l’ingresso e notò che la sala si era popolata in meno di cinque secondi. Oltre a Jimmy, Johnny e Matt si erano aggiunti altri due ragazzi
“Vengeance! Perché devi sempre rompere i coglioni?” sbottò Leana verso quello che aveva parlato dopo aver sciolto l’abbraccio di Jimmy
Ven che?
“Molto simpatica Leana, davvero: peccato che non sia stato io a parlare” esclamò il ragazzo puntandosi le braccia sui fianchi.
Zacky non era molto alto, ma era imponente: indossava una camicia di jeans allacciata fin sotto al collo, che si intonava perfettamente con gli occhi cerulei. Alex si ritrovò a pensare che assomigliassero molto ad un pezzo di ghiaccio
“E chi è stato?”
Brian Leana, chi vuoi che sia stato!”
Brian? Il famoso padrone di Pinkly?
“BRIAN SEI UNO STRONZO!” esclamò Leana incrociando le braccia al petto come una vera e propria bambina
“Hai sentito Gates? Lea ha ribadito il concetto che stavo cercando di spiegarti qualche ora fa!” rise Johnny gettando la testa all’indietro
“Oh, fottiti JC” sbuffò una voce da dietro le spalle di Zacky “E buonasera anche a lei, signorina”
Brian fece finalmente la sua comparsa, affiancando il ragazzo dagli occhi cerulei. Alex si voltò verso di lui, scrutandolo attentamente: i capelli corvini erano impregnati di gel, tanto che stavano in piedi da soli. Gli occhi erano castani e circondati da una linea di matita alquanto sbavata, ma che gli donava comunque: la mascella pronunciata era ricoperta di una leggera barbetta mentre al naso, leggermente all’insù, portava un piercing ad anello.
Quello che catturò Alexandra furono però le sue labbra: avevano un taglio sottile, ma il modo in cui le incurvava quando sorrideva le facevano scorrere un brivido lungo la schiena.
Alexandra, stai dando fuori di matto per caso?
“Ehi fratellone, non mi saluti?” esclamò d’un tratto Mckenna, che si trovava ancora in piedi affianco ad Alex, attirando l’attenzione di tutti quanti
“Ehi stronzetta, vieni un po’ qua!” rise Brian, allargando solo il braccio destro, visto che con il sinistro stava tenendo la povera Pinkly. Mckenna non se lo fece ripetere due volte e in men che non si dica stava stritolando il fratello in una presa ferrea
“Mi sei mancato” gli sussurrò contro la maglietta leggera
“Lo so Mc, anche tu mi sei mancata tanto” rispose Brian, cercando di scompigliarle i capelli “Ehi, ma perché porti un cappello?”
“No, la vera domanda è: perché porti un cappello di LANA quando fuori ci sono trenta gradi?” lo corresse Jimmy inarcando un sopracciglio. A Mckenna bastò soltanto ricordare l’accaduto di qualche giorno prima, che aveva già un diavolo per capello
“E’ colpa di quello stronzo di Flyn!” urlò incrociando le braccia “Lo devi pestare Bri, è la volta buona!”
“Ci risiamo…” borbottò Matt, prendendosi un pugno nelle costole da Christine “Ehi!”
“Zitto.” Gli intimò alzando un indice davanti al suo viso
“Prima ha rotto i coglioni ad Alex” continuò Mckenna gesticolando come una pazza “poi è venuto da me e mi ha cambiato il colore della tin…”
“Un momento” la fermò Johnny, che cingeva il fianco a Lacey con un braccio, visto che alle spalle non ci arrivava “Alex?” aggiunse poi, dando voce allo sconcerto di tutti i ragazzi presenti
Mckenna si schiaffò una mano sulla fronte, come per rimproverarsi mentalmente di qualcosa
“Ci siamo dimenticate di presentarvela!” esclamò storcendo la bocca in una smorfia “Pazienza, lo facciamo adesso”
“Ragazzi” le diede corda Leana, sciogliendosi dall’abbraccio di Jimmy ed avvicinandosi ad Alexandra “lei è Alex, la nostra ultima arrivata!”
Se fino a quel momento l’avevano tutti ignorata, in meno di cinque secondi Alex si ritrovò sotto i riflettori, quasi fosse l’unica presente lì dentro: quando sentì lo sguardo di tutti spostarsi da Leana a lei, le guance le andarono letteralmente a fuoco senza che lei potesse far nulla per frenarle.
Il primo ad avvicinarsi per presentarsi fu Jimmy
“Piacere Alex” esclamò porgendole la mano con un sorriso rassicurante stampato sul volto “io sono James Sullivan, ma mi puoi chiamare anche Jimmy, Jimbo, The R…”
“Sì sì, abbiamo capito” lo interruppe Johnny, scansandolo con una spallata
Ma come fa un essere così piccolo a buttare a terra un essere così enorme?
“Io sono Johnny Christ, molto piacere Alex!” disse Johnny abbracciandola calorosamente
“E io Matt” rise il ragazzo materializzandosi al fianco dell’amico ed esibendo delle fossette da bambino
“Oh…Ehm…Piacere mio” rispose Alex con un mezzo sorriso; Johnny e Matt le fecero l’occhiolino, per poi ritornare tra le braccia di Lacey e Christine e lasciare posto al ragazzo dagli occhi cerulei
“Zacky” borbottò y stringendole la mano con fare frettoloso: non la guardò neanche negli occhi, tanto che ad Alex sembrò più a disagio lui che lei stessa
Alexandra lo guardò allontanarsi ed accendersi una sigaretta, inspirando a pieni polmoni la nicotina: era talmente attratta da quello che stava facendo che non si accorse minimamente del ragazzo di fronte a lei, fino a che non le prese una mano. Alexandra si voltò di scatto, fissando i suoi occhi in quelli castani di Brian
“Molto piacere Alexandra “le disse con voce suadente, avvicinandosi pericolosamente alla sua pelle. Alex lo guardò con gli occhi spalancati quando sentì le sue labbra fresche baciarle la mano “io sono Synyster, ma per gli amici sono Brian”
“Brian, molla quella povera crista o rischi di terrorizzarmela” sbottò d’un tratto Christine, interrompendo la scena
“Bene ragazzi, mi piacerebbe fare baldoria con voi ma ho circa settantadue ore di sonno arretrato che potrebbero uccidermi da un momento all’altro” esclamò Jimmy, circondando le spalle di Leana con un braccio “quindi, mi dispiace per voi, ma io filo a letto”
“Certo Jimbo, perché tu vuoi farci credere che dormirete stanotte” rise Brian lasciando andare la mano di Alex. Jimmy, che era già sulle scale assieme alla ragazza, si voltò verso l’amico ed ammiccò leggermente facendo scoppiare a ridere tutti i presenti
“Cammina scemo” rise Lea spintonandolo leggermente
“Be’, Jimmy ha ragione ragazzi” sbadigliò Matt raccogliendo la sua valigia “Vado anche io”
“E io pure” borbottò Christine stropicciandosi gli occhi “sono le quattro del mattino dopotutto”
“Andiamo anche noi” esclamò Lacey prendendo per mano Johnny “Buonanotte a tutti”
“Ma come a dormire?” chiese Mckenna mentre salivano lentamente le scale
“Mc, non cominciare: ora fila a letto!”
“Ma Brian, tu le devi suonare di santa ragione a Flyn!”
“Alle quattro del mattino?” chiese Brian inarcando un sopracciglio “Dici sul serio?”
“Non è mai tardi per la vendetta fratello, ricordatelo.” Sibilò Mckenna fulminandolo con lo sguardo
Alexandra seguì come un’ombra il gruppo, sentendosi più in imbarazzo che mai: non tanto per il fatto di trovarsi lì, in mezzo a loro, ma per la reazione che aveva avuto quando Brian si era presentato.
Dopotutto, era solo uno sconosciuto.
Quando, poco dopo, arrivarono al secondo piano, Leana, Lacey e Mckenna si avvicinarono ad Alex per darle la buonanotte mentre i ragazzi si limitarono a salutarla da lontano…Tutti, tranne Brian.
Lui si limitò a stare lì, fermo nella penombra dell’enorme corridoio illuminato solo dalla fioca luce delle candele, a fissarla con un’espressione enigmatica sul volto; Alexandra sostenne il suo sguardo senza proferir parola, né tantomeno senza lasciare trasparire qualcosa.
“Be’, buonanotte…Alex” sussurrò dopo qualche minuto per poi allontanarsi con Pinkly tra le braccia, lasciandola da sola nell’oscurità di quella casa.
La sentite? La miccia nello stomaco di Alexandra si è appena riaccesa.


Buonasera!
Mi scuso per l'orario (e anche per alcuni ipotetici errori grammaticali dovuti alla foga di scrivere) ma non ho trovato un minuto libero per pubblicare prima il capitolo...Coooomunque: ho preferito spezzare il tutto in due capitoli per non crearne uno troppo lungo, visto che pubblicarne uno di passaggio non è bastato.
Finalmente i ragazzi sono arrivati! Francamente non ne vedevo l'ora, ma non ho il dono della sintesi e quindi ho dovuto pubblicare ben cinque capitoli prima di presentarli...
Ringrazio come sempre Shads per le sue recensioni che mi motivano a continuare la storia; a dir la verità non sono molto soddisfatta del capitolo in sé...fatemi sapere che ne pensate voi!
Un abbraccio,

Columbia.

 

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Capitolo 7
*** You can just shut the fuck up for a minute and comfortably share silence. ***


Quel letto non le era mai sembrato così comodo, sembrava quasi piegarsi sotto il suo peso ed inghiottirla con la sua morbidezza. Ci avrebbe passato il resto della sua vita se non fosse stato per la luce che stava inondando la stanza; provò ad aprire un occhio ma fu come se gli avesse appena dato fuoco.
“Mmmmmmhhh” borbottò rotolando sul materasso fino a mettere i piedi per terra; fosse stato per lei sarebbe rimasta a dormire tutto il giorno ma: prima di tutto, quel maledettissimo sole la stava bruciando viva, secondo, da un momento all’altro sarebbero arrivate le ragazze e lei…
Oh
L’aveva rimosso. Si era scordata dell’arrivo di quei cinque ragazzi tatuati che giusto appunto quella notte avevano fatto irruzione in casa come una vera e propria banda di ladri: cercò di far mente locale per non fare eventuali figuracce durante la giornata. Ricordava perfettamente tutti i loro nomi: Jimmy, Johnny, Matt, Zacky e…Brian. Brian, il padrone di Pinkly. Brian, che le aveva fatto il bacio a mano. Brian, che…
‘A Alex! Che t’è preso?
Alex scosse violentemente la testa per scacciare via l’immagine degli occhi color nocciola di quel ragazzo; i lunghi capelli corvini le cascarono davanti al viso, tutti annodati e più mossi che mai, oscurandole completamente la vista. Più cercava di orientare il pensiero in tutt’altra direzione, più i ricordi della notte precedente le offuscavano il cervello.
“Uffa” inveì contro sé stessa alzandosi di slancio dal letto; si sentiva stupida, stupida come non mai. Non doveva cedere a certe emozioni così…così inadeguate. Esattamente, inadeguate: lei non aveva bisogno di quelle sciocchezze.
Ma che poi, con sciocchezze cosa intendi mia cara?
In fretta e furia afferrò il vestito con cui era arrivata due settimane prima a villa Trason: era lungo, nero, con uno scollo a barca sul seno. Niente pizzi e merletti, solo pura semplicità; se lo infilò distrattamente assieme alle sue ballerine, anch’esse nere e fece per dirigersi verso la porta, quando però si accorse di un foglietto stropicciato abbandonato proprio lì davanti.
Alex lo prese tra le mani e cominciò a leggere le parole scritte con dell’inchiostro nero, da una grafia molto ordinata
Ehi Alex! Ti lascio questo biglietto per dirti che stamattina io e le ragazze non staremo con te…Sai, sono tornati i ragazzi ed è da un po’ di tempo che non li vediamo: però prometto che ci rifacciamo stasera! Abbiamo già un po’ di cose in mente, eheheheh
Un bacio da parte mia e di Jimmy,
Lea.
Be’, più che comprensibile. E poi non le dava fastidio passare un po’ di tempo da sola, le piaceva il silenzio e la pace: ne avrebbe approfittato per fare un giro in quella casa enorme, giusto per riuscire ad ambientarsi un po’ meglio.
Che silenzio che c’è…  pensò Alex dopo essere ritornata dal bagno: quasi quasi sperò di ritrovarsi Pinkly sul letto, ma anche lei aveva il suo bel da fare con Brian. Buttò un occhio all’orologio appeso alla parete e si accorse che erano già le due del pomeriggio.
Dopo aver rifatto il letto spalancò le finestre per far cambiare aria, arrotolò le coperte e, dopo essersi spazzolata i capelli, afferrò il suo lettore con auricolari annessi ed uscì dalla stanza. Il sole quel giorno splendeva alto nel cielo, ma a lei non era mai piaciuto più di tanto: preferiva di gran lunga la notte, con la luna e l’aria fresca al calore estenuante del giorno. Per questo optò di stare nel palazzo per la prima parte di quel suo tour da solista; con un movimento abile delle mani inserì la cassetta nel lettore, per poi infilarsi un auricolare nell’orecchio. Ci fu qualche secondo di silenzio, poi il suono di due chitarre le invase il cervello, spazzando via qualsiasi altro pensiero: era la stessa identica cassetta che ascoltava da quasi diciannove anni, ma non riusciva a liberarsene. Era diventata la sua droga. Per anni l’aveva custodita nel suo cassetto, nella speranza che le domestiche dei Crocket non la trovassero: eh sì perché, seppur quella roba non fosse ufficialmente illegale, tre quarti della popolazione di Orange County tendeva a dichiararla tale. E l’ultima cosa che voleva era essere l’ennesima vittima di un’aggressione.
Alex camminava tranquillamente per i lunghi e deserti corridoi di villa Trason, rimanendone sempre più affascinata: gli affreschi, i colori, gli innumerevoli stili con cui era stata costruita la attiravano come una bambina viene catturata da un lecca-lecca.
Dopo circa mezz’ora che passeggiava da sola la cassetta smise di girare nel lettore, segno che la registrazione era finita; Alexandra sbuffò contrariata e, proprio mentre si stava togliendo le cuffie, il suono ovattato di una canzone sparata a palla le giunse all’orecchio. Arrotolò distrattamente gli auricolari, guardandosi attorno per cercare di capire da dove venisse: all’ennesimo giro su se stessa Alex si avvicinò ad un enorme portone a due ante molto simile a quello d’ingresso, escluso il candido colore bianco. Con passo insicuro vi si avvicinò sempre di più, fino ad appoggiare la mano sul pomello tinto d’oro: il suono ora si era fatto molto più forte, quasi come se la parete che la separava dalla stanza non esistesse neanche.
Alexandra girò lentamente la maniglia, socchiudendo la porta il minimo indispensabile per poter infilare la testa dentro: quello che vide la lascio a bocca aperta…ancora.
Sembrava un’enorme sala da ballo e probabilmente lo era anche stata in passato ma, per come era stata arredata, ad Alex dette l’impressione di essere una vera e propria biblioteca…solo che di libri non c’era traccia. Senza volerlo Alex si ritrovò ben presto nel centro della stanza, guardandosi attorno con aria trasognata: essendo situata nella zona sud del palazzo, il sole non riusciva a raggiungerla e, per questo motivo, la stanza era immersa nella penombra.
Alle pareti erano addossate decine e decine di librerie ricolme di oggetti che Alex non riusciva bene a distinguere
Assomigliano molto a quelle custodie che Christine portava in mano la prima volta che la vidi, fors…
“Ehi tu!” esclamò una voce alle sue spalle, riuscendo a superare il volume della musica; Alexandra si voltò spaventata verso chi aveva parlato, convinta di essere l’unica lì dentro. Quando però vide di chi si trattava tirò un leggero sospiro di sollievo; il ragazzo continuava a guardarla reggendo con la mano destra un bicchiere riempito per metà da un liquido ambrato, mentre tra le labbra stringeva una sigaretta appena accesa. Alexandra non sapeva perché, ma quel suo sguardo inquisitorio la metteva parecchio a disagio…le ricordava molto se stessa.
“Scusa, pensavo di essere da sola” borbottò Alex voltandosi verso la porta con l’intenzione di andarsene; il ragazzo però la afferrò per un polso e la fece voltare verso di sé. La squadrò per qualche secondo, inclinando leggermente la testa di lato, per poi appoggiare il bicchiere sul tavolo lì vicino e girare la manopola di un aggeggio alquanto strano. All’improvviso, la musica si abbassò di colpo
“Non ti ho detto di andartene…Alex, vero?” le chiese sorridendole amichevolmente, senza però lasciare la presa; Alexandra annuì prontamente rispondendo al sorriso
“Esatto. E tu sei Zachary, giusto?”
“Sì, ma non mi chiamare così” rispose mollandole il polso con un gesto secco; Alexandra pensò che fosse strano. Più strano di lei e questo era tutto dire. “preferisco Zacky di gran lunga”
“Ok, scusa”
Zacky riprese tra le mani il bicchiere pieno di bourbon, senza mai staccare gli occhi da Alexandra: in un certo senso lo incuriosiva. Gli dava l’impressione che fosse tutto nuovo ai suoi occhi, anche in quel preciso istante: continuava a guardarsi intorno e gli sembrava particolarmente attirata dalle librerie ricolme di vinili. Li fissava con le pupille dilatate, quasi in estasi; d’un tratto Alexandra si alzò in punta di piedi per poter osservare meglio uno scaffale un po’ in alto, ma quando si allungò per raggiungerlo qualcosa le cadde dalla mano.
Alex ritornò con i piedi per terra quando sentì il lettore schiantarsi al suolo: quando lo vide lì, a terra, si sentì mancare
“Maledizione” imprecò sottovoce mentre lo raccoglieva
“Ehi, ma cos’è quello?” chiese Zacky avvicinandosi; gli venne quasi da ridere quando vide Alexandra ritrarre leggermente l’oggetto per nasconderglielo, quasi come una madre che protegge il proprio figlio. La guardò inarcando un sopracciglio ed Alex arrossì istantaneamente
“Oh be’…è un…” balbettò Alexandra sfilandoselo da dietro la schiena
“…un lettore!” esclamò Zacky strappandoglielo di mano, per poi rigirarselo tra le dita con aria sognante
Ma guarda questo…
“Ehi!” lo ammonì Alex puntandosi le mani sui fianchi: potevano prenderle tutto, ma guai a chi toccava il suo lettore. Guai.
“Oh scusa” rise Zacky continuando a tenerselo. Alex non riuscì ad arrabbiarsi quando lo vide reagire così: sembrava un bambino con quel sorrisetto stampato sul volto “comunque” continuò picchiettandosi il lettore di cassette sul palmo della mano “cosa stavi ascoltando?”
Bella domanda, davvero
“Oh…Ehm…”
Ma brava Alex, balbetta come una deficiente complimenti!
“Alex?” chiese Zacky soffocando un’ennesima risata “ce la fai a parlare?”
“Be’, sì…”
“Ok, ti rifaccio la domanda: cosa stavi ascoltando?”
“Ecco…io…Io non lo so cosa stavo ascoltando” borbottò finalmente Alex torturandosi le mani; Zacky aggrottò le sopracciglia guardandola stranito
Questa o è pazza o si è fumata qualcosa di forte
“Cosa?”
“Be’ ecco, è una storia molto lunga”
“E io ho molto tempo a disposizione” disse Zacky senza smettere di fissarla. Non sapeva nulla di lei e voleva vederci chiaro sul suo conto: non era mai stato un impiccione, ma sentiva che Alex aveva una storia alle sue spalle, una storia che sarebbe stata la chiave per aprire la serratura del suo scrigno segreto. Sì, perché lei sembrava proprio quello, una specie di vaso di Pandora: se fosse riuscito a farla aprire avrebbe scatenato un vero e proprio uragano.
E sapete la cosa più assurda qual era? Che l’aveva vista per meno di venti minuti la notte prima: fosse stata una persona qualsiasi probabilmente non gliene sarebbe fregato nulla, non era un tipo molto socievole e non smaniava per conoscere gente nuova a tutti i costi…Ma il problema era proprio quello. Lei non era una persona normale. Lo aveva capito sin dal primo sguardo, quando quegli occhi d’orati lo avevano scavato dentro: gli ricordava se stesso, sentiva che erano simili, sentiva che c’era qualcosa che li accomunava. Ma sperava con tutto se stesso che Alexandra non avesse sofferto come aveva sofferto lui.
Quando Zacky la invitò a parlare Alex alzò leggermente lo sguardo per squadrarlo al meglio; non sapeva se fidarsi o meno, a dir la verità neanche lo conosceva. Era un vero e proprio estraneo per lei. Ma c’era una strana luce nei suoi occhi, un qualcosa che le diceva di aprirsi e di raccontargli tutto senza temere le conseguenze. Quando finalmente si fissarono negli occhi per la prima volta, Alex ebbe addirittura la sensazione che lui stesse soffrendo, un dolore che trascendeva la fisicità.
La ragazza sospirò rumorosamente, passandosi una mano sulla fronte
“Forse è meglio sederci, non scherzavo quando ti ho detto che si trattava di una storia lunga”
Zacky annuì seriamente e, dopo averle spostato la poltrona per farla accomodare, si sedette affianco a lei pronto ad ascoltare il suo racconto.
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“Non hai mai visto i tuoi genitori? Neanche in foto?” le chiese Zacky una volta che ebbe finito di raccontargli la storia della sua vita; non aveva tralasciato neanche un singolo dettaglio, era partita dagli anni trascorsi in orfanotrofio fino al suo arrivo a casa Trason ed era stato…liberatorio. Ecco, questo è il termine giusto: quando aveva finito di raccontare si era sentita come se un peso si fosse dissolto proprio sopra il suo petto. Ed era stato fantastico.
“No, non so neanche che faccia abbiano” sospirò Alex arrotolandosi gli auricolari attorno al dito;
“Be’” rispose Zacky sporgendosi verso di lei appoggiando i gomiti sulle sue ginocchia “ti direi che mi dispiace molto, ma non mi sembri una a cui piace essere compatita. O mi sbaglio?”
 “No Zacky, non ti sbagli.” disse Alexandra sorridendogli mentre scuoteva la testa
Dopo qualche secondo tra i due calò il silenzio più assoluto, ognuno se ne stava con i suoi pensieri a fissare il vuoto…Be’, non proprio. Zacky fissava Alexandra. O meglio, Zacky osservava il suo viso rilassato e Alexandra.
“Perché sentiamo la necessità di chiacchierare di puttanate per sentirci più a nostro agio?”
Alex si voltò verso il ragazzo, colta alla sprovvista dalla sua domanda
“Non lo so…” rispose sconcertata “ma è un’ottima domanda”
Zacky la guardò sorridendo beato, per poi chiudere gli occhi e sprofondare nella sua poltrona
“È solo allora che sai di aver trovato qualcuno davvero speciale: quando puoi chiudere quella cazzo di bocca per un momento e condividere il silenzio in santa pace.” Sospirò il ragazzo, lasciando Alexandra senza parole: come faceva ad essere così simile a lei? La loro somiglianza quasi la spaventava. E poi cosa voleva dire con quella frase?
“A cosa stai pensando?” le chiese il ragazzo a bruciapelo, distogliendola dai suoi pensieri
“A quanto io mi senta bene in questo momento” sospirò Alex tornando a rivolgersi a Zacky “…è come hai detto tu, il silenzio…Questo silenzio” disse agitando un dito per aria “mi fa star bene”
 “A volte condividere il silenzio con qualcuno è la cosa migliore. A volte sfogarsi con qualcuno può soltanto farci bene” sussurrò d’un tratto Zacky, aspirando l’ultima boccata di fumo dalla sigaretta “anche se lo neghiamo, anche se può darci fastidio. E se non c’è un orecchio che ascolta, sai qual è il rimedio migliore?” le chiese sorridendo appena; Alex scosse la testa, fissando il ragazzo di fronte a lei con crescente ammirazione. Avrebbe passato una giornata intera lì in sua compagnia, anche solo stando zitta a godersi il silenzio e ad inspirare l’odore delle sue sigarette
“La musica, ovviamente” soffiò Zacky alzandosi in piedi; Alexandra lo guardò sporgersi verso il tavolino e spegnere la sigaretta in un piccolo vasetto d’argento. Poi, dopo essersi stirato la maglietta con le mani, le porse la mano invitandola ad alzarsi “quindi, ritornando al discorso iniziale da cui poi abbiamo divagato per ben un’ora e mezza…”
Alexandra accettò il suo invito ritrovandosi a pochi centimetri dal viso di Zacky
“…Che ne dici se scopriamo chi è l’autore della cassetta che ti ha fatto compagnia per ben diciannove anni?”
“Ne saresti in grado?” gli chiese Alex piegando la testa di lato
“Posso provare” rispose il ragazzo stringendosi nelle spalle “Ci stai?”
Alex annuì prontamente facendo ridere Zacky con il suo entusiasmo
“Allora vieni” esclamò afferrandola per un polso; entrambi erano freddi come il marmo, per non parlare della loro pallidezza…ma a contatto l’uno con l’altro stavano bene: in un certo senso, si completavano.
Poco lontano da quella specie di salotto vi era un piano rialzato dal pavimento, dove era stato situato un piccolo tavolino rettangolare
“Cosa sono questi?” chiese Alex indicando i vari aggeggi con i quali Zacky stava armeggiando
“Questo cara” disse il ragazzo aprendo un piccolo sportellino: con un gesto veloce della mano vi infilò la cassetta, per poi richiudere il vetrino “è uno stereo, con tanto di casse incorporate.”
“Wow…” sussurrò Alexandra accarezzando la superficie liscia di una di queste
“E quello” continuò Zacky indicando un altro marchingegno lì vicino “è un giradischi”
“Un girache?” chiese Alexandra con voce stridula; tutto in quella stanza le era nuovo. Possibile che non conoscesse proprio nulla?”
“Oh santo cielo” rise Zacky piegandosi in due in una breve risata “dimenticavo che vieni da fuori…Serve per leggere i vinili, ovvero tutti quegli enormi dischi che stanno in queste librerie”
Ecco cosa sono allora, vinili…
“Comunque, ritornando a noi: sei pronta?”
Alexandra annuì, osservando il dito di Zacky appoggiato sul tasto play: quando il ragazzo ricevette il suo cenno di assenso, lo premette. Tempo pochi secondi e il suono delle chitarre proruppe dallo stereo facendo tremare i vetri della stanza: la solita scarica di brividi arrivò puntuale quando la voce dell’uomo iniziò a cantare, infondendole adrenalina pura
“La conosci?” urlò d’un tratto per sovrastare il volume della musica; Zacky si voltò verso di lei con gli occhi fuori dalle orbite “Cos’hai? Ehi, Zacky!”
“TU MI STAI DICENDO CHE CONOSCI QUESTI?” urlò a sua volta il ragazzo indicando lo stereo
“E PERCHÉ NON DOVREI?”
“OH DIO ALEX, MA SAI CHI SONO ALMENO?”
…You can’t be something you’re not
Be yourself, by yourself
Stay away from me
A lesson learned in life
Known from the dawn of time…

Zacky abbassò il volume della musica per poter parlare tranquillamente senza sgolarsi, poi si voltò verso Alexandra con le pupille dilatate
“Questi, Alexandra, sono i Pantera: una delle più grandi band della storia del metal” disse stando attento a scandire per bene le parole. Prima che Alex riuscisse a parlare Zacky si allontanò di corsa verso una delle tante librerie “Aspettami qua, vado a cercare una cosa”
La ragazza lo vide prendere una scala, appoggiarla agli scaffali ed arrampicarvisi sopra.
“Guardati pure attorno, ci metterò un po’ a trovare quello che fa al caso nostro” esclamò sfogliando con interesse le centinaia di custodie raggruppate con ordine; Alex distolse lo sguardo dal ragazzo e tornò a concentrarsi sullo stereo e sui vari fascicoli sparpagliati sul tavolo. Con poco interesse spostò alcuni fogli imbrattati di scarabocchi senza senso, alla ricerca di qualcosa che potesse catturare la sua attenzione: in mezzo a tutti quei documenti, alcuni anche macchiati da quello che sembrava essere caffè, Alexandra trovò un piccolo album dal colore scarlatto. La copertina era di velluto morbido e, nell’angolo in basso a destra, erano state incise due iniziali.

G. P.

Alex aggrottò leggermente le sopracciglia, accarezzando con la punta delle dita le lettere scritte in oro; la tentazione di aprirlo e di scoprire cosa c’era al suo interno le attanagliava lo stomaco, ma la parte più razionale di lei le diceva di non farlo, che non erano affari suoi e che se avesse scoperto che qualcuno ficcanasava tra le sue cose si sarebbe indispettita molto. Quindi perché farlo?
Stava per rimettere l’album apposto per poi voltarsi ed andarsene ma, vuoi il destino o solamente la sua poca finezza, il piccolo raccoglitore si schiantò al suolo sparpagliando fogli ripiegati ovunque; Alex si diede mentalmente dell’impedita e, sbuffando, si chinò a terra per rimettere tutto apposto stando attenta a non sbirciare il contenuto di quel maledetto album.
Ce la mise tutta, s’ impegnò con tutta se stessa, ma quel piccolo ritaglio di cartoncino caduto un po’ più in là rispetto agli altri catturò la sua attenzione. Alex si sporse per riuscire a prenderlo e, quando se lo ritrovò tra le mani, si rese conto che era una foto. Una foto della donna più bella che avesse mai visto in tutta la sua vita. Si trattava di un semplice primo piano un po’ ingiallito a causa del tempo: la donna ritratta sembrava una vera e propria bambola. Gli occhi azzurri, la bocca carnosa e i lunghi capelli biondi le conferivano un fascino quasi ultraterreno; Alexandra si rimise in piedi senza smettere di fissare il viso di quella ragazza che sorrideva felice all’obiettivo, ammaliata dalla sua bellezza: quando cercò di voltare la foto per scoprire la data in cui era stata scattata e soprattutto chi era quella donna, una mano le strappò via sia il cartoncino che l’album, lasciandola interdetta.
Alex alzò lo sguardo, incontrando gli occhi cerulei di Zacky che la fissavano pietrificati: lui era pietrificato. Non era più il ragazzo di qualche minuto prima, un’ombra gli aveva oscurato il volto portandosi via il suo sorriso; Zacky teneva stretta la foto della donna e ad Alexandra non era sfuggito il tremolio della sua mano
“Dove l’hai trovata?” le chiese con distacco, nascondendo la foto nella tasca dei pantaloni
“Io…” balbettò Alex senza smettere di fissarlo. Quel suo repentino cambio d’umore la stava mettendo a disagio, sentiva di aver fatto qualcosa di sbagliato ma non sapeva cosa “…i-io stavo raccogliendo l’album m-ma è uscita quella foto e…”
“Non dovevi toccarlo.” Sibilò Zacky stringendo le mani a pugno.
Alexandra fece un passo indietro, spaventata dall’atteggiamento del ragazzo che le stava di fronte; non riusciva a capire cos’avesse fatto di tanto grave da turbarlo così profondamente. Zacky la fissava trapassandola da parte a parte con quegli occhi così freddi, quasi accusandola per quello che era successo e lei, in un certo senso, si sentiva colpevole. Il ragazzo con cui aveva condiviso quel magnifico momento qualche minuto prima se n’era andato.
“Zacky, brutto stronzo che non sei altro, ti stavo cercando per tutta la cas…” sbottò qualcuno dietro di loro, catturando la loro attenzione; si voltarono entrambi verso la porta, trovando un Brian che li fissava con un’aria piuttosto confusa “…oh. Ho interrotto qualcosa?” chiese aggrottando le sopracciglia. Alexandra aprì la bocca per dire qualcosa, ma tutto ciò che le uscì fu un rantolo soffocato: spostò lo sguardo da Brian a Zacky, che continuava a fissarla come una qualsiasi persona fisserebbe un fantasma
È ora di levare le tende
“No, non hai interrotto niente” sussurrò Alex allontanandosi da Zacky “vi lascio ai vostri affari”
A passo di carica si avviò verso l’uscita, lasciandosi alle spalle Zacky, ancora nel suo stato di trans, e avvicinandosi a Brian che la guardava incuriosito: quando arrivò sulla soglia i loro corpi si sfiorarono e le sensazioni che aveva provato la notte prima ritornarono a farle tremare il cuore
Oh Signore, non adesso
Alexandra si richiuse la porta della stanza alle spalle e si allontanò il più possibile dalla stanza: si fermò solamente quando non ebbe più fiato nei polmoni e la testa cominciò a girarle vorticosamente, rischiando di farla cadere a terra. Non sapeva neanche lei perché avesse incominciato a correre in quel modo: si ritrovò a pensare che se qualcuno l’avesse vista in quel momento avrebbe pensato che un pazzo omicida la stesse inseguendo con una mannaia con il solo intento di ucciderla. Ma neanche quella macabra immagine riuscì a farle accapponare la pelle come i due occhi castani che si ritrovò davanti quando chiuse gli occhi, accasciandosi a terra senza forze.



Buonasera a tutte!
Bene, ecco il primo vero incontro di Alexandra con uno dei membri della band. Ho scelto Zacky perché la sua storia, che io già conosco al contrario vostro (si lo so, sono pessima), lo rende in un certo senso speciale e molto, molto simile ad Alex.
Nel capitolo ho voluto inserire una citazione di uno dei miei film preferiti in assoluto, ovvero Pulp Fiction: sia lodato il signor Tarantino.
Ah, la canzone è Walk, dei Pantera (anche se sono sicura che tutte voi la conosciate perfettamente!)...Che dire d'altro? Mi piacerebbe ricevere qualche recensione in più, giusto per sapere cosa ne pensate...
Ne approfitto ancora per ringraziare Shads <3
Un bacio,

Columbia.

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Capitolo 8
*** The fight. ***


Christine bussò per l’ennesima volta alla porta della ragazza: oddio, più che bussare sembrava volesse scardinarla e darle fuoco. Un elefante sarebbe stato sicuramente più delicato.
C’era anche da capirla però, del resto era lì da quasi venti minuti nella speranza che qualcuno le aprisse ma fino a quel momento non si era fatto vedere nessuno
Adesso mi incazzo
“LO SO CHE SEI DENTRO, APRI QUESTA PORTA!” urlò a pieni polmoni tirando un ultimo pugno contro la superficie di legno scuro: l’unico risultato che ottenne furono due o tre nocche probabilmente rotte.
Ma complimenti Chris, rompiti anche questa mano e poi siamo apposto pensò tra sé e sé portandosi le nocche alla bocca per leccare via il sangue che fuoriusciva
“È aperto” borbottò una voce dall’interno.
Christine abbassò la maniglia e constatò con sua grande frustrazione che sì, la porta era aperta e, sì, c’era anche lei. La ragazza caricò a passo di marcia verso il letto, ostruendo la visuale ad Alex
“Si può sapere che stai facendo?” chiese Chris incrociando le braccia al petto con fare minaccioso
“Mh?” borbottò Alexandra fissandola con sguardo vacuo
“Ti ho chiesto che stai facendo! Ti ho cercata per tutta la casa, mi sono preoccupata tantissimo!”
“Ma Chris” rispose Alex mettendosi a sedere “saranno sì e no le tre del pomeriggio”
Christine inarcò un sopracciglio, sinceramente stupita dalla sua risposta
“Mi stai prendendo per il culo?”
“Perché dovrei farlo?”
“Alex, sono le sette e mezzo di sera.” Rispose Christine sedendosi affianco alla ragazza “sei sicura di star bene?”
“Le sette e mezza?”
Bene, questo voleva dire che era stata sdraiata in stato comatoso per quasi cinque ore
Già Alex, sei sicura di star bene?
“Esattamente, io e le ragazze ti abbiamo cercata ovunque. Dove sei stata tutto il giorno?” le chiese Christine, sedendosi affianco ad Alexandra
“Visto che voi eravate assieme ai ragazzi ho deciso di farmi un giro…” borbottò questa continuando a rigirarsi l’orlo delle lenzuola tra le dita; Christine si appuntò mentalmente, come quasi tutte le volte che entrava lì dentro, di fare un bel cazziatone al caro Michael una volta ritornato a casa: tutto in quella stanza era vecchio e malandato, anche l’aria che respiravi.
“...E?” la spronò Christine gesticolando con le mani “Te lo leggo negli occhi che è successo qualcosa, non farti cavare le parole fuori di bocca. Flyn ti ha rotto ancora i coglioni?”
Alex distolse finalmente lo sguardo dal materasso per concentrarsi sulla ragazza che le stava di fronte, la quale non sembrava intenzionata ad accettare il suo silenzio
“No, Flyn non c’entra. Ho incontrato Zacky in quella specie di sala enorme dove tenete tutti i vostri vinili”
“Immagino quanto possa essere stato socievole” ridacchiò Chris portandosi una mano alle labbra per nascondere il solito sorrisetto che le spuntava dopo una battuta pungente
“Ti sbagli, abbiamo parlato molto…”
“…Zacky ha parlato molto?”
“Sì” rispose Alex, confusa dalla strana inclinazione che aveva preso la voce della ragazza “Ed ha anche riso se è per questo”
“Stai scherzando?” chiese la rossa tornando tutt’a un tratto seria
“Perché dovrei?”
“Stiamo parlando dello stesso Zacky Vengeance? Media altezza, capelli neri, occhi verdi, con più tette di Leana? Lo stesso Zacky Vengeance che porta gli occhiali da sole anche in casa?”
Alexandra annuì prontamente, lasciando Christine ulteriormente di stucco; conosceva molto bene Zacky, erano praticamente cresciuti insieme. Era uno dei ragazzi più dolci che avesse conosciuto, ma allo stesso tempo era anche il più freddo e distaccato con chi non conosceva…E da anni ormai questo tratto del suo carattere aveva preso il sopravvento.
“Ok, la situazione è alquanto strana ma ho capito. Continua a parlare” disse Christine ad un tono di voce talmente basso che Alex temette di non aver capito appieno le sue parole.
“Stavamo parlando quando la situazione è degenerata…” borbottò Alex facendo mente locale; ricordando ciò che era successo quel pomeriggio, si ritrovò a pensare quanto assurda fosse stata la reazione del ragazzo. Ma ciò che probabilmente caratterizzava di più Alex era la sua intuitività: aveva capito che c’era sotto qualcosa, qualcosa di molto grosso. “…è stata tutta colpa di un album”
Oh Vee…
Christine si passò una mano sul volto, nascondendo lo sconforto che stava per sopraffarla. Nel suo profondo lo sapeva, lo aveva sempre saputo. Certe volte, mentre lo guardava rinchiudersi nella sua solitudine si era ritrovata a pensare che forse gli piacesse provare dolore ed affogare nei suoi stessi ricordi. Era convinta che, se avesse potuto, avrebbe preferito ritornare indietro nel tempo e restarci. Ma forse era ciò che ognuno di loro voleva.
“Chris…Io non ho fatto niente, te lo giuro”
“Lo so Alex, lo so…” sospirò Chris sforzandosi di regalarle un sorriso “Non ci pensare”
“Tu sai di cosa si tratta?”
“Si, lo so. Ma non sono io a dovertene parlare…Quando si sentirà pronto lo farà lui. Ora scendiamo dai, gli altri ci aspettano”
Alexandra accettò ben volentieri l’invito di Christine: le due uscirono assieme dalla stanza e, una volta fuori, si lasciarono la mano.
Alexandra aveva accuratamente evitato la parte in cui Brian aveva fatto irruzione perché, seppur le dolesse ammetterlo, non aveva smesso di pensarci neanche per un secondo.
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Quando le due arrivarono in sala da pranzo trovarono tutti gli altri già a tavola, chi in piedi chi già seduto. Rispetto ai giorni precedenti la stanza era molto più affollata visto che alle ragazze si erano aggiunti pure i cinque bestioni, come li chiamava Leana, la quale dall’arrivo di Jimmy aveva messo totalmente da parte i suoi istinti omicidi nei confronti di Flyn, che stava chiacchierando allegramente con Matt qualche metro più in là. Il-ragazzo-dalle-fossette-killer, come lo chiamava Mckenna, si accorse subito della presenza delle due ragazze e si alzò per andar loro incontro: Chris lo accolse con il solito pugno sul petto, che se avesse ricambiato l’avrebbe sbriciolata sul posto, mentre Alex si limitò ad un sorrisetto teso…probabilmente se fosse stata davanti ad una sua fan e avesse contraccambiato, anche quella poveretta non sarebbe sopravvissuta.
“Alexandra, sono contento che sia venuta pure te: ieri sera non abbiamo avuto modo di parlare…Anche se Chris mi ha detto che non sei una di molte parole” ridacchiò Matt, beccandosi una sberla sulla pancia “Ehi!”
“Non è che devi andare in giro spifferando tutto quello che ti dico eh!” lo rimbeccò la ragazza, fulminandolo con lo sguardo
“Be’, Christine ha ragione…Non sono molto loquace a volte” rispose Alex, sorridendo ad entrambi; Chris la fissò a bocca aperta, positivamente scioccata dalla risposta della ragazza.
“Oh tesoro, ci pensiamo noi a farti sciogliere!” esclamò Johnny alle sue spalle, facendola sobbalzare
“Scemo, ma così la fai spaventare!” lo rimproverò Lacey, come aveva fatto qualche secondo prima l’amica
“Cara, ma tu non eri quella dolce e premurosa?”
“Solo quando voglio” borbottò la ragazza facendogli la linguaccia; Johnny le sorrise divertito e l’attirò a sé dandole un leggero bacio a fior di labbra. Solo Dio sapeva quanto amava quella ragazza.
“EHI VOI, VENITE A TAVOLA SI O NO?” urlò Jimmy, catturando l’attenzione di tutti; Alex lo vide entrare nella stanza reggendo un enorme vassoio pieno di cibo, proprio come Leana e Mckenna dietro di lui.
Lacey prese per mano Alex e la guidò verso l’enorme tavolata imbandita per l’occasione; mentre si sedeva, Alex incrociò per sbaglio lo sguardo di Zacky.
Il ragazzo la stava fissando già da un po’ e per un attimo era stato sfiorato dall’idea di andare a parlarle…solo per un attimo però. Quando Alex si voltò verso di lui, fissando le sue iridi oro in quelle verdi del ragazzo, Zacky distolse lo sguardo istantaneamente, affrettandosi a sedersi a tavola.
Non era ancora pronto, ma prima o poi ci sarebbe riuscito. O almeno, ci avrebbe provato.
A Brian non era sfuggito l’atteggiamento dell’amico. Aveva incominciato a comportarsi in modo strano da quel pomeriggio, quando aveva beccato lui e la ragazza nuova in biblioteca: il povero sciocco era convinto che lui non sapeva cosa fosse successo, ma Brian era tutto fuorché stupido. Secondo lui non aveva capito cosa c’era sotto? Non aveva capito che il suo amico ci stava cadendo…di nuovo?
E adesso c’era quella morettina che non la smetteva di fissarlo, anche se Zacky faceva di tutto per non incrociare il suo sguardo. Sembrava avesse paura di scottarsi.
Brian strinse convulsamente le dita attorno allo schienale della sedia, continuando a fissare la ragazza dai capelli corvini. Si stava innervosendo, e non poco anche. In primis perché, per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordarsi il suo nome, in secondo luogo…perché non si voltava verso di lui? Insomma, sapeva che effetto faceva alle ragazze e con il passare del tempo vederle cadere ai suoi piedi era diventata quasi come una droga. Adesso perché diavolo quella ragazzina non sembrava calcolarlo?
Alexandra, ecco come si chiama!
Alexandra…la guardò prendere posto affianco a sua sorella e a Christine, sedersi compostamente e distogliere finalmente la sua attenzione da Zacky. Con suo grande disappunto però, non lo degnò neanche di uno sguardo. Brian corrucciò le labbra con fare scocciato, per poi spostare violentemente la sedia facendola sobbalzare sul pavimento. Odiava sentirsi ignorato. Solo quando si sedette si rese conto che tutti gli occhi erano puntati su di lui
“Che c’è?” chiese con finta sorpresa “mi è scivolata”
Gnegnegne, mi è scivolata pensò Christine fissando il ragazzo di fronte a lei con crescente incazzatura. Se pensava che Alexandra sarebbe diventata una delle sue tante puttanelle si sbagliava di grosso. Lei stessa non lo avrebbe permesso e così la pensava anche Leana, visto lo sguardo di intesa che si scambiarono
“Guardalo quello stronzo…” bisbigliò Mckenna all’orecchio di Alex
“Di chi parli?” chiese questa, osservando la ragazza seduta affianco a lei
“Di Flyn, e chi se no?” sbottò Mckenna fissando lo spilungone seduto tra il fratello e Matt
“Mck dai, cerca di non guardarlo” sussurrò Alex, finendo di servirsi un piatto di verdure; con la coda dell’occhio vide Flyn smetterla di parlare con Brian e voltarsi verso Mckenna con un sorrisetto divertito
“Ehi ragazzina, ti sei incantata?” rise il moro, facendo scoppiare a ridere Gates
“Sì” sibilò Mck, affondando la forchetta nella sua coscia di pollo “sto scegliendo il modo perfetto per ucc…”
“Allora Alex!” esclamò Jimmy interrompendo la ragazza, con grande sollievo di tutti i presenti “Come ti trovi qua?”
Alexandra distolse lo sguardo dal suo enorme piatto di insalata, rendendosi conto che adesso era lei ad essere sotto i riflettori
“Oh, molto bene davvero…” borbottò sorridendo distrattamente a Jimmy.
James si voltò verso Leana, che gli sorrideva incoraggiante
Allora non scherzavi quando hai detto che era un po’ “difficile” come ragazza
No amore, non scherzavo…
“Michael mi ha detto che eravate in giro per un tour” disse d’un tratto Alex, interrompendo quel silenzio imbarazzante che gravava già da qualche minuto “non credevo fosse possibile…”
“Per quanto possa sembrare strano sì, eravamo in tour” le sorrise Matt appoggiandosi allo schienale della sedia “siamo stati in giro per la California per circa dieci mesi…”
“E dove suonavate di preciso?” chiese Alexandra sporgendosi di più sul tavolo.
Era sinceramente interessata all’argomento: era seriamente convinta che di comunità come la loro ce ne fosse solo una, ovvero quella dove si trovavano…ma evidentemente si sbagliava.
“Sai Alex, Michael ha qualche amico sparso qua e là per lo Stato e, visto che non siamo in molti, ci conosciamo più o meno tutti. Noi andiamo nei loro locali e ci esibiamo, come a volte fanno loro da noi: l’ultima volta dei nostri amici dell’Iowa hanno attraversato mezzo stato solo per suonare in un pub di Michael”
Alex annuì alle parole di Johnny, venendo poi colta da un dubbio
“Questi locali…”
“So cosa ti stai chiedendo.” Continuò Jimmy, con una strana luce negli occhi “Tecnicamente sono legali, ma sono mesi ormai che la polizia ci sta alle calcagna. Noi non facciamo nulla di male, si intende, ma credo tu sappia di che cosa sono capaci queste persone quando trovano una falla nel loro sistema. E le cose vanno sempre peggio.”
“La gente si sta incattivendo…” disse Zacky, lanciando uno sguardo di fuoco ad Alex
“La storia potrebbe ripetersi” sibilò Brian, parlando per la prima volta in tutta la serata. Alexandra si voltò verso di lui, accorgendosi del tremito delle sue mani. Era infuriato. Lo si capiva dal modo in cui affondava la forchetta nella carne, proprio come sua sorella qualche minuto prima.
“No, la storia non si ripeterà Brian.” Disse Matt con tono perentorio, incoraggiato dai cenni di assenso che Jimmy e Johnny gli lanciavano “Non questa volta”.
Alexandra abbassò lo sguardo sul suo piatto, riprendendo a mangiare silenziosamente: ben presto tutti la imitarono, incluso Flyn, che non aveva spiccicato parola per tutto il discorso.
Per poco Alex non sobbalzò, quando una mano dalle dita affusolate si appoggiò sulla sua coscia; la ragazza si voltò, trovando Mckenna che la guardava con gli occhi lucidi. Occhi lucidi di terrore.
Alexandra sentì una fitta al cuore nel vederla così e, senza ripensarci due volte, la afferrò stringendola sotto al tavolo. Sebbene tutti gli altri non lo dessero a vedere, nascondendo la paura con le chiacchiere, l’ansia era palpabile. Tutti sapevano, ma nessuno parlava.
No. Pensò Alexandra, stringendo ulteriormente la presa attorno alla mano di Mckenna La storia non si ripeterà. Non glielo permetterò.
 
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Sebbene dopo quelle agghiaccianti supposizioni la cena non fosse stata una delle più piacevoli, il dopocena sembrava stesse andando molto, molto meglio. Dopo che le ragazze ebbero sparecchiato, sgomberando il tavolo dai piatti sporchi, si risedettero assieme tutti quanti: ora l’argomento della loro discussione era molto più leggero, fin troppo a dirla tutta.
“…Ehi Vee, ti ricordi di quella spogliarellista che ti si era appiccicata a L.A.?” rise Johnny, contagiando anche gli amici; le ragazze, al contrario loro, sembravano essere alquanto infastidite sapendo che i loro uomini erano stati braccati in quel modo da quelle tizie senza scrupoli
Sì sì caro, ridi pure intanto che hai i denti
“Vengeance, sto parlando con te!”
“Sì Johnny, me lo ricordo” sospirò Zacky, buttando fuori una nuvola di fumo
“Mentre a te non ti cagava nessuno, eh Christ?” esclamò Flyn facendo scoppiare a ridere
Lacey appoggiò una mano sulla spalla del suo uomo e, senza smettere di sorridere amorevolmente, cominciò a stringere la presa facendo contorcere dal dolore il povero Johnny
Eh, Christ?”
“Ahia! L-lacey, t-t-tesoro…” balbettò il ragazzo, con le lacrime agli occhi dal dolore
“Hai qualcosa da dirmi?” gli chiese Lacey sbattendo le ciglia innocentemente
“S-s-sì…i-io t-t-t-t-ti…TI AMO PORCA TROIA E NON ME LA FAREI CON NESSUNO TRANNE TE!”
Lacey, soddisfatta della risposta, lasciò la presa afferrando il bicchiere di vino del povero Johnny; sotto gli applausi e i fischi dei presenti ne bevve un sorso, facendo poi l’occhiolino al suo uomo
“Sei così bella e terribile” sussurrò Christ, guardandola come se fosse una dea scesa in terra
“Se non la pianti di fare il lecchino la prossima volta ti castro, tesoro”
“Sissignora!”
Tutti i presenti erano piegati in due dalle risate, fregandosene altamente delle occhiate di fuoco che Johnny lanciava loro. Senza farsi vedere da anima viva, Leana appoggiò il tacco a spillo sull’inguine di Jimmy, che smise istantaneamente di ridere
“Tesoro” esclamò la ragazza tra una risata e l’altra “sappi che ti aspetta lo stesso destino se scopro qualcosa”
“Oh amore” balbettò Jimmy sudando freddo come non mai. Quella donna sapeva essere terribile. “come puoi dubitare di me?”
“Non lo faccio infatti. Ti metto in guardia”
Nel frattempo, qualche metro più in là…
“…Pensate che una volta abbiamo cercato Shads per tutto il locale e lo abbiamo trovato con, non una, ma ben due groupies. E a giudicare dalle loro facce sembrava stesse facendo un ottimo lavoro”
Ad Alexandra si gelò il sangue nelle vene. Aveva sentito bene? Matt? Anche Mckenna, che nel frattempo si era un po’ tranquillizzata ma non aveva comunque smesso di tenerle la mano, sembrò accorgersi della sua reazione. Con un cenno della testa le indicò Christine, seduta lì vicino: aveva un sorriso amaro che le increspava il viso mentre fissava con tristezza il ragazzo seduto di fronte a lei.
Alexandra non capiva. Non capiva come potesse aver fatto una cosa simile: vantarsi delle sue “conquiste” davanti a quella che era la sua compagna. Se fino a qualche minuto prima lo aveva trovato simpatico, in quel preciso istante cominciò ad odiare Matt con ogni fibra del suo corpo.
Anche a Leana non era sfuggita la scenetta, così come a Lacey. Alle due bastò uno sguardo per capirsi: era ora di levare le tende prima che scoppiasse davanti a tutti.
“Scusate ragazzi” esclamò la ragazza, interrompendo il racconto delle gesta eroiche del caro buon vecchio Shadows “noi andiamo di sopra a guardarci un film, al massimo torniamo giù dopo”
“Di già?” chiese contrariato Matt
Si, di già brutto stronzo
“Be’, in tal caso…È stato un piacere parlare con te Alex, domani sei dei nostri vero?”
Alexandra si voltò verso Matt, esibendosi in un falso sorriso
“Certo, a domani”
“Buonanotte ragazze” esclamò Johnny dando un lieve bacio a Lacey, prima di ritornare a concentrarsi sul suo bicchiere di vino.
Prima di uscire dalla stanza, Alex si voltò ancora una volta verso la tavolata: non si stupì nel trovare Brian fissarla, del resto lo aveva fatto tutta la sera e lei non aveva fatto altro che ignorarlo per l’estremo imbarazzo che provava. No, non era quello, ma il suo sorrisetto: non prometteva nulla di buono.
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“Chris, perché non gli hai detto nulla?”
“E cosa dovevo dirgli scusa? Mi sarei umiliata davanti a tutti e basta!” urlò la rossa addosso alla ragazza, abbandonandosi sul letto di Alex. Tutte quante assistevano a quella scena basite; non erano abituate a vedere Christine in quello stato, in modo particolare Alex. L’aveva conosciuta circa un mesetto prima, ma ai suoi occhi si era sempre presentata come una “cazzuta”, come dicevano lì: e per quanto anche lei cercasse di atteggiarsi da dura, vederla in quello stato la faceva star male.
Alexandra era così. Ad una prima occhiata sembrava una ragazza scostante, apatica addirittura, e forse lo era anche; ma per quanto potesse sembrare estranea a tutto ciò che le succedeva attorno, se qualcuno osava solamente sfiorare le persone che amava andava su tutte le furie. Questo lato del suo carattere si era accentuato in modo particolare da quando era arrivata alla villa di Michael, anche se lei non lo dava molto a vedere.
Leana si riavviò i capelli con un gesto seccato: amava Matt e amava Christine, ma in quelle situazioni non poteva fare a meno di pensare che fossero due teste di biscio.
Alex e Mckenna andarono a sdraiarsi affianco a Christine, che se ne stava sdraiata a fissare gli alberi fuori dalla finestra; quando sentì il tocco delicato di Alex sfiorarle a malapena la schiena ne rimase piacevolmente stupita. Le due si scambiarono un sorriso complice, mentre Mckenna strinse entrambe in un abbraccio mozzafiato
“Ragazze, venite qui anche voi?” chiese la rossa, rivolta a Lacey e Leana. Le due le sorrisero con dolcezza e, senza farselo ripetere, si lanciarono sul letto di Alex
“AHIA CAZZO LEA! LA GAMBA!” urlò Mckenna, tirando una cuscinata in faccia alla ragazza
“Brutt…” sibilò Leana afferrando il cuscino sulla sponda del letto
“NON PROVATE A METTERMI IN MEZZO ALTRIM…”
Christine non fece neanche in tempo a finire che Alex la colpì in faccia con una certa violenza; la ragazza la fissò stupita per qualche secondo, mentre Alexandra se la rideva sotto i baffi con il cuscino ancora in mano.
“Alex!”
“Si Lac…AHIA!”
“Bel colpo sorella!” esclamò la rossa dandosi il cinque con Lacey
“Ma ehi!” sbottò Alex incrociando le braccia al petto. Le due si voltarono verso di lei e, quando videro il sorrisetto che si stava formando sul suo volto, capirono che forse era meglio darsela a gambe.
Così, mentre Mckenna e Leana se le davano di santa ragione, mentre le piume volavano ovunque entrando loro in bocca, il temutissimo scontro tra Christine, Lacey e Alexandra ebbe inizio.
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“Mck…”
“Mmh?”
“Credo che tu mi abbia fatto un occhio nero” borbottò Leana osservando il suo riflesso nel vetro della finestra; Mckenna scoppiò a ridere, seguita da tutte le altre. Anche Christine sembrava essersi un poco
“Beh” sospirò osservando com’era conciata la stanza “il tuo occhio nero in confronto a questo non è nulla”
“Guarda un po’” rise Lacey afferrando Alex per le spalle “hai delle piume anche in testa!”
“Non mi stupisce più di tanto, sono OVUNQUE” esclamò Alexandra gesticolando come una pazza “E comunque…mi sono divertita molto” aggiunse abbassando il tono di voce.
Mckenna si fiondò su di lei strizzandola in un abbraccio come un panno bagnato
“Oooh piccola Alex, anche noi!”
“M-m-mck…N-n-non r-r-r-e-sspiro” borbottò Alexandra dandole delle continue pacche sulla schiena per farla staccare. Lacey scoppiò a ridere scompigliando ad entrambe i capelli ed improvvisamente venne colpita da un attacco di sonno
“Mi sa che la cara vecchia Lacey ha bisogno di una bella dormita ragazze” esclamò Leana, afferrando l’amica per una mano “Noi andiamo a dormire: domani stiamo tutte assieme! Buonanotte tesori!”
“Notte ragazze!” esclamarono le tre rimaste in coro
“Alex?” borbottò Mckenna una volta che Leana e Lacey furono uscite
“Si Mck?”
“Non è che…ecco…Posso restare qui a dormire?” chiese tutto d’un fiato, arrossendo come un peperone; Alex sorrise dolcemente sia a lei che a Christine, che sembrava le stesse chiedendo la stessa cosa con gli occhi
“Certo, potete restare tutte e due: il letto è enorme intanto” rispose Alexandra alzandosi in piedi; le tre ragazze si spogliarono rimanendo in intimo e, dopo aver fatto a turno per andare in bagno, si intrufolarono tutte insieme sotto alle coperte, sollevando una quantità indicibile di piume. Mckenna si raggomitolò sopra il braccio di Alexandra, che era stata obbligata a stare in mezzo visto che quelle ad avere bisogno di affetto erano le altre due quella notte.
Dopo poco meno di dieci minuti Mckenna cominciò a russare come una locomotiva
“Alex, la senti?” sussurrò Christine nell’oscurità della stanza
“Non so se riesco a trattenermi” sospirò Alexandra mettendosi una mano sulla bocca per stoppare una risata appena in tempo
“Mmmmh…Brian, molla la mia cioccolata…” biascicò Mckenna prima di ripiombare di nuovo nel sonno, con gran sollievo da parte delle due ragazze
“Chris, sei sveglia?” sussurrò Alexandra, fissando un punto indefinito nel buio della notte. Fuori i rami degli alberi sbattevano insistentemente contro la finestra.
“Sì, perché?”
“Volevo solo sapere come stavi”
“Oh…Be’, bene” borbottò Christine, per poi ricadere nel silenzio. Alexandra aspettò qualche secondo ma poi non riuscì a trattenersi
“Perché non gli hai detto qualcosa?”
“Cos…”
“Lo sai di cosa sto parlando” sbottò Alex aggrottando le sopracciglia “Non avrebbe dovuto comportarsi così. Lo so che non sono affari miei, ma Matt è il tuo ragazzo e…”
Alexandra venne interrotta dalla risata amara di Christine, che le ghiacciò il sangue nelle vene
“No Alex, ti sbagli”
“Che intendi dire?” chiese alzando leggermente il tono della voce per sovrastare l’ennesima russata di Mckenna
IL POLLO BRIAN, IL POLLO!”
“…Che Matt non è il mio ragazzo”
Alexandra si voltò verso la ragazza con un frusciare di capelli sul lenzuolo e, per un breve istante, le parve di veder scorrere una lacrima illuminata dalla luce della luna
“Ma…Ma voi…Voi eravate sempre insieme, io credevo…”
“Le apparenze a volte ingannano.” Disse Christine con amarezza. Vi fu un frusciare di coperte, segno che si era voltata dall’altra parte, dandole le spalle “Buonanotte, Alex.”
Alexandra rimase voltata a fissare la sua schiena per una manciata indecifrata di minuti, dopodiché chiuse gli occhi, senza smettere di pensare alle sue parole.
Le apparenze a volte ingannano.
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La stanza era talmente impregnata di fumo che si faticava a respirare. Ma loro ormai ci erano abituati, avevano dei polmoni d’acciaio.
Johnny passò lo zippo a James che, con un gesto secco del dito, si accese il sigaro che aveva tra le labbra
“Vee, si può sapere che hai?” chiese all’amico porgendogli un altro bicchiere di scotch, che il ragazzo accettò ben volentieri
“Niente Shads, solo una brutta giornata, tutto qui” borbottò il ragazzo donando un sorriso poco incoraggiante all’amico. Sembrava quasi una smorfia.
“Ho capito bro, non vuoi parlarne. È per…”
“…Matt…”
Shadows alzò le mani in segno di resa e, dopo aver dato una pacca amichevole sulla spalla del ragazzo, andò a cambiare il vinile sul giradischi, optando per qualcosa dei Black Sabbath
“Se hai bisogno di parlare, sappi che sono qua” gli disse accendendosi una sigaretta; Zacky gli sorrise, questa volta con più convinzione.
“Allora brutto caro, vecchio stronzo di un Flyn” esclamò Brian aspirando una boccata di fumo dalla sua Marlboro “Come sono andate le cose in questa casa mentre eravamo fuori?”
“Bah, niente di che…Ho dovuto tenere un po’ a bada le vostre donne” li punzecchiò il ragazzo, incrociando le gambe in una posa elegante
“Flyn…” sibilò Jimmy fulminandolo con lo sguardo
“Non ti preoccupare Jimbo, lo sai che scherzo”
“Sì, ma così facendo ti fai odiare ancora di più da loro” borbottò James, calmandosi un poco “dovresti collaborare anche tu, quel tanto che basta per rendere civile la vostra convivenza”
Flyn mise fine alla discussione con un gesto seccato della mano: del resto lui era fatto così, non sarebbe di certo cambiato per un branco di mocciose. Brian era sempre andato d’accordo con Flyn: si erano sempre sostenuti l’un l’altro visto che entrambi amavano tormentare le ragazze.
Del resto, tra simi ci si intende no?
“E quella nuova? Che mi dici di Alexandra?” gli chiese Gates versandosi del whiskey dalla bottiglia.
Zacky, seduto sul divano di fronte, drizzò immediatamente le orecchie.
Flyn si voltò verso l’amico, ammiccandogli leggermente
“Brian Elwin Haner Jr, mi stai forse dicendo che quella piccola impertinente ti piace?”
Gates alzò leggermente le spalle, svaccandosi come solo lui sapeva fare sulla poltrona di pelle
“Che sia un bel bocconcino è innegabile” rispose senza peli sulla lingua “ma quello che ci ha avuto veramente a che fare qua sei tu. Quindi ora ti chiedo: è una facile oppure si fa pregare?”
Jimmy assisteva alla scena con il suo amato sigaro in bocca, senza proferir parola. Non gli piaceva quell’atteggiamento da parte di Brian: era un bambino o un uomo a tutti gli effetti? James cominciava ad avere i suoi seri dubbi, così come Matt, Zacky e Johnny…Be’, quest’ultimo aveva la mente un po’ annebbiata dall’alcol, ma era ancora più o meno presente.
“Man, la ragazza è tutt’altro che semplice”
“Bene, a me piacciono le sfide” sospirò Gates con un sorriso soddisfatto
“No, forse non hai capito” rispose Flyn, sedendosi sul bordo della poltrona “Alexandra è la ragazza più fredda che io abbia mai visto. Non cadrà ai tuoi piedi come tutte le groupies che sei abituato a portarti a letto.”
Brian scoppiò a ridere, seriamente divertito dall’avvertimento dell’amico
“Dici così solo perché non le interessi, vero Flyn?”
Il ragazzo assottigliò lo sguardo, indispettito da quel commento che lo aveva punto nel vivo.
Zacky capì subito che le cose stavano per prendere una piega spiacevole: voleva intervenire e mettere un fine alla pazzia che Brian stava per compiere prima che la mettesse in atto, ma non sapeva che fare. Si sentiva impotente.
“Che cosa stai insinuando Gates?” chiese Flyn con tono spazientito
“Solo la pura e semplice verità, mi sembra più che ovvio. Ti sta sul cazzo il fatto che non te l’abbia data, o forse mi sbaglio?”
“Brian, io non credo che…”
“Zitto, James” sibilò Brian, attendendo una risposta dal ragazzo. Flyn però, non apriva bocca “come pensavo” concluse sorseggiando il suo Jack Daniel’s
“Scommettiamo.” Esclamò d’un tratto Flyn, sovrastando la voce di Ozzy. Brian sorrise soddisfatto: dopotutto, era quello che voleva.
“Cosa? Chi se la porta per primo a letto?”
“No, mi odia sin dalla prima volta che ci siamo visti, non avrei speranze. No Brian, voglio scommettere su di te”
Jimmy, Matt e Johnny si scambiarono uno sguardo preoccupato. D’un tratto si sentirono tutti improvvisamente fuori posto.
Zacky iniziò a sudare freddo.
“Ullallà” fischiò Brian, sporgendosi verso l’amico “e sentiamo, cosa scommetti?”
“Scommetto che non riuscirai a portartela a letto nell’arco di questi tre mesi”
“E se ci riesco?”
“Se ci riesci, io non scopo per un mese”
“Interessante, ma non mi basta.”
“Ti lascio tutte le puttanelle che rimorchiamo al pub”
“E se perdo?”
“Tu farai lo stesso.”
Brian ci pensò su qualche secondo, sotto lo sguardo attento dei suoi amici, che stavano pregando in tutte le lingue del mondo affinché scegliesse la giusta via.
Rifletti Brian. Un mese senza scopare, potresti uscirne pazzo. Però lui ha specificato al pub, quindi quelle fuori non contano…
Gates allungò la mano affusolata verso Flyn, che gliela strinse più soddisfatto. Il ragazzo non aveva dubbi che Brian sarebbe stato in grado di far cadere ai suoi piedi Alexandra, e quando ci sarebbe riuscito, lui avrebbe rivelato il segreto a tutti quanti. La mocciosa sarebbe uscita di testa per il cuore infranto e se ne sarebbe andata via. La voleva fuori da casa sua.
Zacky osservò i due da lontano stringersi la mano con aria soddisfatta; affranto, si passò una mano sul volto. Sarebbe dovuto intervenire e lo sapeva. In un sorso inghiottì tutto lo scotch che aveva nel bicchiere, quasi come se volesse affondarci i suoi dispiaceri.
Mi dispiace, Alex.
_______________________________________________________________________________________
L’uomo venne scortato dalle guardie per i corridoi del palazzo: non si sentiva a suo agio, lì dentro.
Troppo oro, troppo esibizionismo, troppo tutto. Del resto era la casa di un pazzo che annegava nei soldi e che non pensava ad altro se non a preservare la sua figura. E lui si disprezzava al pensiero di dover trattare con un essere simile. Tuttavia, doveva.
I due uomini in divisa, dopo l’ennesima rampa di scale, si fermarono davanti ad un portone placcato in oro, dalla serratura in oro e dagli stipiti…Indovinate un po’? D’oro.
Una delle due guardie si voltò verso di lui, aprendogli la porta per lasciarlo passare: L’uomo si stirò la giacca nera, per poi sistemarsi la capigliatura.
“Prego, prego” esclamò una voce da dentro “entra pure amico mio, non aspettare lì sulla soglia!”
Noi siamo tutto, tranne che amici.
L’uomo fece un passo avanti, cercando di mantenere un aspetto il più decoroso possibile. La porta dietro di lui si richiuse violentemente.
La stanza, dalle dimensioni notevoli, era completamente inondata dalla luce. Con suo grande sollievo era stata completamente rivestita in legno, di tutto quell’oro, che non aveva fatto altro che accecarlo per un’ora circa, non c’era più traccia. Al di fuori delle enormi vetrate si intravedeva il centro di Huntington Beach, affollato come sempre.
Un uomo, sulla sessantina circa, si materializzò davanti ai suoi occhi facendolo sobbalzare; non era estremamente alto, ma la sua stazza lo faceva sembrare un gigante. Dai capelli bianchi e il viso rubicondo, l’uomo sembrava una specie di Babbo Natale senza barba: gli occhietti infossati e il naso a patata gli conferivano un aspetto fin troppo buffo. Il grasso era trattenuto a stento dentro un panciotto bianco che contrastava con lo smoking nero.
Peccato che, dietro a quell’aspetto da nonnetto caro e gentile, si nascondesse una bestia; con un sorriso falso come Giuda si avvicinò all’uomo, allargando le braccia cicciotte in un gesto di benvenuto.
“Michael, sono così contento di rivederti” esclamò, stringendo vigorosamente la mano al signor Trason
Vorrei poter dire lo stesso
“Anche per me Donald, anche per me”
“Ma prego” continuò l’uomo, sospingendo Michael verso la poltrona posta difronte alla sua postazione d’ufficio “siediti e dimmi un po’ come vanno le cose”
“Non c’è male, la ringrazio”
“Oh mio caro, non c’è bisogno di darmi del lei!” rise Donald, versandosi un bicchiere di scotch dal minibar lì affianco
“Come vuoi tu” rispose secco il signor Trason. Era già terribile per lui essere lì, l’ultima cosa che voleva era intrattenere un discorso con uno degli uomini che più detestava sulla faccia della terra.
Donald tornò a sedersi di fronte a Michael: il suo sorriso ora era molto più freddo rispetto a prima.
“Cos’hai, Michael? Mi sembri turbato”
“Donald, evitiamo i convenevoli e giungiamo subito al sodo, te lo chiedo per favore”
I due si scambiarono un’occhiata più che eloquente. Donald appoggiò il bicchiere stracolmo di liquore sulla scrivania di cedro, trascinando con sé la propria sedia
“Bene, se è questo che vuoi”
“Vorrei sapere perché sono stato invitato qui” annunciò senza preamboli Trason
“Il consiglio è venuto a conoscenza di alcuni fatti che hanno turbato la tranquillità di Huntington Beach, Michael”
“E io che ci posso fare?”
“Mi sto riferendo a quel branco di balordi che ti ostini ad ospitare in casa tua. Sono andati nuovamente in giro per tutto lo stato a traviare le menti dei giovani per trascinarli con loro nella più totale eresia!” sibilò Donald, sputacchiando il suo scotch in tutte le direzioni.
“Non ti permetto di parlare dei miei ragazzi in questo modo” esclamò Michael nel tono più calmo che riuscì a mantenere
“Oh, mio caro” rise l’uomo “…sono in casa mia e posso fare tutto ciò che voglio. Potrei ammazzarti qua, seduta stante, e nessuno potrebbe dirmi nulla. Darei il tuo corpo in pasto ai miei cani e, posso assicurartelo, di te non rimarrebbero neanche le ossa. Le userebbero come stuzzicadenti. Ma no, non lo farò. Voglio vederti cadere in ginocchio ed implorarmi pietà, tu e quell’ammasso di bambocci che ti seguono manco fossi Gesù Cristo sceso in terra!”
“Io giuro che ti…”
“Che mi cosa?” gli fece il verso Donald, sporgendosi verso di lui. Poi, dopo essersi ricomposto, ricominciò a parlare “comunque, il consiglio ha deciso, con voto unanime, di farti chiudere quel tuo pub in periferia. Inoltre, i tuoi ragazzi dovranno smetterla di andare in giro a fare…quello che fanno. Se acconsentirai a tutto ciò, ti permetteremo di continuare a vivere in quel tuo enorme palazzo acquistato con i tuoi sporchi soldi”
Un uomo qualsiasi sarebbe caduto ai piedi di Donald, implorando pietà ed ubbidendogli come un cagnolino. Ma Michael non si sarebbe mai abbassato a quei livelli, non era nella sua natura. Avrebbe resistito, anche al costo di far scoppiare una guerra.
Al contrario, scoppiò a ridere. Dire che Donald era stupito da quella reazione è un eufemismo. Michael si alzò in piedi e, con le lacrime agli occhi, cominciò a parlare
“Caro vecchio bastardo, ti facevo più intelligente sai? Pensi di incutermi timore con le tue minacce da pazzo incallito? Speravi che scappassi a gambe levate, vero? Già, a te piace vincerla facile. Ebbene brutto stronzo, apri bene le orecchie” Michael si avvicinò pericolosamente a Donald che, nel frattempo, era diventato rosso come un peperone dalla rabbia “Io non scapperò. Resterò qua con i miei ragazzi e, se sarà necessario, risponderemo alle armi con il fuoco. Volete  la guerra? Verremo a cercarvi nei vostri stessi letti se sarà necessario e, stanne pur certo, vi troveremo. Insulta, tortura, umilia me se ci tieni tanto: ma tieni giù le mani dai miei figli, altrimenti quello a morire questa volta sarai tu.”
I due si fissarono per minuti interminabili, con la rabbia che gli bruciava dentro come il fuoco.
“Michael, ti ricordi com’è finita l’ultima volta vero?” rise d’un tratto Donald, alzandosi in piedi con fare minaccioso “Lo sai che non ci metto nulla ad incendiare anche il tuo di covo, vero?”
Le immagini del Massacro ritornarono violente come non mai. A distanza di diciotto anni era ancora una ferita aperta e sanguinante. Tutti quei corpi carbonizzati, gente che lui conosceva e stimava…
“Donald, tu sei un uomo di merda. Hai trucidato intere famiglie solo per uno stupido pregiudizio, e quello che mi stupisce più di tutto è il fatto che tu non provi nemmeno un briciolo di rimpianto per quello che hai fatto. Tu non hai onore.” Sibilò Michael con la rabbia che gli pulsava nelle vene “Ora me ne vado. Spero di non rivederti mai più.”
E, con l’eleganza con cui era arrivato, il signor Trason voltò le spalle all’uomo ritornando sui suoi stessi passi
“COME OSI!” urlò Donald con tutto il fiato che aveva in corpo. Traballando sulle gambe tozze, aggirò la scrivania pestando nervosamente le mani sul legno “Io ti manderò in rovina bastardo! Rovinerò te e tutto ciò che hai costruito! Brucerò la tua casa fin nelle fondamenta e ti farò rimpiangere di essere nato! Vi brucerò tutti, TUTTI! Quant’è vero che mi chiamo Donald Di Benedetto!”
Michael corse giù per gli scalini, ricominciando a respirare solo una volta uscito da quella casa. Alzò il viso al cielo. Stava per iniziare a piovere.
Stava per ricominciare.
 






Buonasera a tutte! 
Scusate l'orario, ma era praticamente da un mese che non pubblicavo un capitolo ed ero in astinenza. Ho buttato giù tutto 'sta roba in tre giorni e adesso mi sento sfibrata: purtroppo ho avuto il blocco dello scrittore per un mese buono e, dopo il mio compleanno, non ho avuto modo di mettermi davanti al computer. Per un po' ho anche pensato di cancellare questa storia visto che non sembra riscuotere molto successo e, francamente, l'idea non mi ha ancora abbandonata... 
Cooooomunque: piaciuto il capitolo? Chiedo perdono per eventuali errori grammaticali dovuti alla foga di scrivere, ma non ho avuto il tempo di riguardare il tutto!
Spero vivamente di ricevere qualche vostra recensione in più, anche messaggi privati se volete!
Fatevi sentire, mi raccomando.
Un bacione

-Columbia

 

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Capitolo 9
*** It's just a picnic! ***


Aprì un occhio e con suo grande dispiacere constatò che era già mattina, ancora. Sdraiato a stella marina su quell’enorme letto matrimoniale fissava le pareti nere della sua stanza: con una mano tastò le lenzuola che ricoprivano la piazza libera. Quella notte aveva deciso di non svegliare Leana e di rimanere in camera sua: la ragazza avrebbe capito subito che era successo qualcosa, visto quanto lo conosceva.
C’è anche da dire però che Jimmy non era capace di raccontare bugie, era una persona troppo genuina per riuscire a mentire a chi gli stava attorno, sia a chi era affezionato che agli sconosciuti; tutto il contrario di Brian insomma. Non era una persona cattiva, si intende, anche se di primo impatto poteva dare quell’impressione: Jimmy gli voleva un bene dell’anima, era un fratello per lui così come gli altri, ma a volte proprio non lo capiva. Vedasi la stupida scommessa con Flyn; grattandosi la barba ispida, James pensava a ciò che era successo la sera prima cercando di capire come poter intervenire senza combinare casini. Perché, seppur non conoscesse Alexandra, gli dispiaceva per lei: non voleva che venisse presa per il culo per colpa di quello stron… Ehm ehm. Di quel simpaticone di Flyn. Sì, perché secondo il caro buon vecchio James partiva tutto da lui: a volte capiva perché le ragazze ce l’avessero particolarmente con il riccio, visto che sapeva dimostrare di essere una piaga quando voleva. Amava stuzzicare le persone e riusciva sempre ad ottenere ciò che voleva; oltre ad essere buono, Jimmy era anche molto, molto intelligente e aveva capito che Flyn non aveva lanciato quella scommessa a Brian senza un motivo valido.
James non dubitava della buona volontà di Alexandra, ma era perfettamente consapevole che era fatta di carne, così come lo sapeva Flyn. Inoltre, era ormai di dominio pubblico che a lui la ragazza non piacesse più di tanto. Due più due, no? Una volta spezzatole il cuore se ne sarebbe andata, soddisfacendo così le voglie del ragazzo. Ma alla fin fine, era davvero solo colpa di Flyn? O anche Brian c’aveva messo del suo?
Non lo so, è troppo presto per questi interrogativi esistenziali. Sono solo le undici del mattino. Pensò il ragazzo mentre si infilava un paio di calzini neri
Quindi che fare? Fare finta di nulla e sostenere, nonostante la stronzata, Brian? Oppure spifferare tutto ad Alexandra e metterla in guardia? Nel primo caso, Leana lo avrebbe incenerito vivo. Nel secondo caso, Brian lo avrebbe incenerito vivo.
Jimmy entrò in bagno e si lavò il viso, sospirando al contatto con l’acqua fresca; alzò lo sguardo dal lavandino fissando il suo riflesso nello specchio
Be’, forse sono io che tendo ad ingigantire il tutto…Sono sicuro che non succederà nulla di che.
Un sorriso soddisfatto gli si dipinse sul volto, illuminandogli gli occhi celesti.
Sì, ho deciso. Non dirò nulla e tutto andrà per il verso giusto.
Il povero Jimmy non realizzò che quella decisione presa così alla leggera sarebbe stata la causa della gran parte dei problemi che di lì a poco avrebbero dato loro del filo da torcere.


*


*


James stava allegramente rifacendo il letto, da bravo ragazzo qual era, quando qualcuno bussò concitatamente alla sua camera; fischiettando distrattamente, attraversò a grandi falcate la stanza, curioso di vedere chi fosse a quell’ora del mattino.
Quando aprì la porta si ritrovò davanti un raro esemplare di Brian in tenuta da camping che reggeva un cestino di vimini stracolmo di cibo; Jimmy lo guardò stranito dalla scena, scatenando una risata divertita da parte dell’amico
“Jimbo, per favore! Mettiti dei pantaloni santo cielo!” esclamò mettendosi una mano davanti agli occhi
“Fosse la prima volta che mi vedi in mutande. Comunque, si può sapere che hai? Perché ti sei conciato così?” sbuffò Jimmy, inarcando un sopracciglio.
“Vestiti, oggi pomeriggio si fa un picnic” rise sghembo Brian, per poi correre giù dalle scale come una furia.
James alzò gli occhi al cielo, sbattendo la porta della camera talmente forte da far risuonare l’eco per tutto il corridoio.
Si prospettava una giornata molto, molto lunga.

*

*

“Tieni, mettiti questo” esclamò la ragazza, lanciandole addosso un paio di pantaloncini neri e una canottiera bianca
“Sei sicura che vadano bene?” chiese Alexandra osservandoli scettica. Insomma, l’idea di avere tutta quella pelle scoperta la metteva a disagio. Non era abituata ad essere così visibile, ma del resto era stata obbligata ad attingere materiale dall’armadio dell’amica, visto che aveva esaurito la scorta di vestiti che si era portata dietro dopo essersi trasferita. Nonostante le sue continue lamentele, Christine l’aveva trascinata a forza in camera sua per scegliere ciò che faceva più a suo caso
“Senti cara mia” borbottò Christine, incespicando tra il casino che regnava nella sua stanza “Christine sa sempre cosa va bene e cosa no.”
“Ma…”
“Ma un corno! Ora fila in bagno, datti una sciacquata e ritorna di qua”
Alexandra si voltò implorante verso Mckenna, che, dopo essersi alzata dal suo letto, si era gettata a peso morto su quello della rossa. La ragazza le sorrise sorniona, scuotendo la testa con veemenza
“Mi dispiace cara, concordo con Chris.”
“Me la pagherete.” Sibilò Alexandra, sbattendosi la porta del bagno dietro le spalle.

*

*

“Ora puoi anche uscire”
“Non credo di volerlo.”
“Oh, andiamo Alex! Non ti stiamo mica mandando a battere eh” sbottò Mckenna, appoggiandosi allo stipite della porta “forza, muovi quel culetto d’oro che ti ritrovi ed esci di lì”
“Conto fino a tre, poi sono cazzi tuoi” le diede corda Christine, afferrando la mazza da baseball che Johnny le aveva regalato il Natale scorso
Dall’altro lato della porta, Alexandra si guardava titubante all’enorme specchio del bagno: doveva ammettere che i vestiti le donavano molto, ma rimaneva il fatto che non si sentiva per niente a suo agio
“uno…”
“…due”
“…tr…”
“Ok, ok! Ho capito!”
Vi fu il tipico clack della serratura che scatta: Alexandra spalancò l’uscio del bagno osservandosi ancora le cosce nude
Troppa. Pelle. Scoperta.
“Ecco, vedi?” sbottò Mckenna, calandosi il solito cappellino sulla testa “Non capisco perché ti faccia tutte ste menate, sei davvero…”
“Splendida” terminò qualcuno alle loro spalle
Le tre ragazze si voltarono verso chi aveva parlato, ritrovandosi davanti ad un Brian alquanto sorpreso: dire che stesse mangiando Alexandra con gli occhi è un eufemismo. Rimase talmente incantato dalla sua linea, dalle curve perfette dei fianchi e del seno, che per poco non cominciò a sbavare; Alexandra, dal canto suo, era rimasta a fissarlo con gli occhi spalancati e le guance che, a poco a poco, presero un colorito paonazzo
“Ehi fratellone!” esclamò Mckenna, fiondandosi tra le braccia del ragazzo “Qual buon vento ti porta?”
“Oh, ehm…”
“Guarda che io sono qua sotto, quello è il culo di Alex” borbottò Mck, obbligando il fratello a guardarla
“Scusa piccola, hai ragione” rise divertito Brian, appoggiandosi allo stipite della porta “Comunque ciao, Alex” aggiunse ammiccando alla ragazza
“Ciao Brian” gli sorrise lei, infilandosi il paio di scarpe che Christine le stava porgendo
Ti trancio le palle Haner, attento a quello che fai pensò la rossa, aiutando Alex ad allacciarsi le sue Converse mentre i due fratelli confabulavano qualche metro più in là. Dopo qualche minuto la porta si richiuse, e Mckenna andò a sedersi affianco alle amiche
“Quella testa vuota di mio fratello ha avuto una buona idea per la prima volta nella sua vita”
“…Brava, adesso incrociali e tira forte. Sai Mck, mi risulta difficile crederci” sospirò aspramente la ragazza; Alex la guardò di traverso, senza capire il perché di tutta quell’amarezza nei suoi confronti. Dopotutto, non le sembrava male. Anzi…
“Eh dai Chris! Sarà anche insopportabile ma non puoi dire che non sia un ragazzo sveglio”
“Se lo dici tu...Comunque, che voleva?” chiese la rossa alzandosi in piedi; Mckenna si aprì in un sorriso a trentadue denti, riuscendo a malapena a trattenere un urlo di gioia
“Facciamo un picnic tutti insieme!”
 
*

*

“Non ho ancora capito che differenza c’è tra un normale pranzo ed un picnic” borbottò Alexandra, seguendo le due ragazze per le scale
“Oh signore Alex!” sbottò esasperata Mckenna, alzando le braccia al cielo con fare esasperato “nei picnic c’è più vita, si interagisce di più, c’è…un po’ più di tutto rispetto ad un normale pasto chiusi in una stanza, ecco”
“Mck ha ragione Alex. Ma che…Smettila di tirare la maglietta in quel modo!”
“Ma non mi copre!” esclamò esasperata Alexandra, facendo sbuffare le due.
Adesso se non la smette giuro che le strappo quella maledetta canottiera e la mando fuori in reggis…
“Ehi ragazze!” urlò qualcuno alle loro spalle, catturando la loro attenzione
“Alex!”
“Ciao Lea” rise la ragazza ricambiando calorosamente l’abbraccio della mora; poco più in là Jimmy le osservava, divertito dall’atteggiamento di Leana: era sempre stata un tornado di emozioni, sin da quando era arrivata lì.
“Ehi big Jim!” esclamò Mckenna assaltando James da dietro
“Ehi Mck, ma ti sei fatta pesante eh” la canzonò il ragazzo, facendo un giro su se stesso
“Sei diventato stronzo tanto quanto mio fratello.” Borbottò Mckenna dandogli uno scappellotto
“Oh dio mio, speriamo di no” sussurrò Leana all’orecchio di Alexandra, facendo scappare una risata a Christine
“Ehi ragazzina, piano con le parole!” esclamò Jimmy rimettendola a terra “piuttosto, muovete le vostre chiappette e raggiungiamo gli altri in giardino”
“Buona idea tesoro” lo assecondò Leana stampandogli un bacio sulle labbra “Forza allora, muoviamoci!”

*

*


“Wow” sussurrò Alex una volta usciti dal retro della cucina
“Bello eh?” le sorrise Jimmy, facendole l’occhiolino mentre camminavano fianco a fianco
“È magnifico” rispose con gli occhi che le luccicavano.
Il giardino davanti a loro si estendeva a perdita d’occhio: un’enorme fontana sorgeva nel mezzo, mentre il grande prato era accostato da una moltitudine di querce secolari che, con i loro grandi rami, ne oscuravano gran parte. Sembrava più un bosco che un semplice giardino
“E aspetta di vedere il resto!”
“SULLIVAN, MUOVI IL CULO!” strillò Mckenna qualche metro più in là “sembrate due lumache! Il cibo si fredda”
“ARRIVIAMO!” urlò di rimando James, con la sua voce stridula, facendo sobbalzare la povera Alex
“Ops” rise scompigliandosi i capelli “non volevo spaventarti, scusa. Ma Mckenna è come suo fratello, uno spirito libero”
“Oh, l’avevo capito” lo rassicurò la ragazza stando attenta a non calpestare i fiori più belli
“Ehi ragazzi!” esclamò Johnny indicandoli con una bottiglia di birra mezza vuota; un’enorme tovaglia quadrettata era stata posta all’ombra di uno dei tantissimi alberi e tutti i ragazzi ci si erano già spaparanzati sopra. L’unico ad essere ancora in piedi, tranne Alex e Jimmy, era Brian, che non aveva perso d’occhio neanche per un istante la poveretta
James non le dirà nulla, lo so. Per quanto possa essere la persona più buona al mondo non volterebbe mai le spalle al suo migliore amico   pensò, mentre guardava i due avvicinarsi.
Alexandra quel giorno era raggiante: la pelle diafana risplendeva alla luce del sole e gli occhi d’orati erano accesi di una luce propria. La sua bellezza era innegabile, sembrava crescere ogni giorno di più: forse era proprio quel posto ad averla cambiata; Brian le si avvicinò, sorridendole con finta dolcezza, e, stando attento a non toccarla, la invitò a sedersi con gli altri.
Jimmy lo osservò con estrema attenzione, così come gli altri che avevano assistito alla scenetta tra lui e Flyn la sera prima: quest’ultimo poi, stava già fremendo dall’eccitazione. Sapeva che il suo amico non l’avrebbe deluso, non questa volta.
“Vieni Alex, siediti qua” le disse Lacey, picchiettando la mano vicino a lei; Alex, una volta accomodatasi, si rese conto che Christine si era accomodata vicino a Matt.
Non riusciva a capire come potesse stargli così attaccata dopo quello che era successo la notte precedente: alla fin fine, pensandoci bene, Matt non aveva colpe, se non quella di aver fatto innamorare la povera Christine. La ragazza, seduta qualche metro più in là, accarezzava la testa di Matt con dolcezza, mentre questo si era sdraiato addosso a lei. Ad Alex non era sfuggito il modo in cui l’amica aveva mascherato la sua tristezza con un falso sorriso
Come fai, Chris? Come fai a stargli così vicina? Se questo è l’amore, io non voglio averci nulla a che fare.
E mentre Alexandra condivideva in parte il dolore che Christine stava provando in quel momento, qualcuno prese posto affianco a lei; la ragazza venne riportata alla realtà quando una mano affusolata le porse un piatto stracolmo di frutta fresca
“Vuoi?” chiese Brian, sorridendole divertito
Certo che questa è proprio strana, non fa altro che isolarsi
“Oh, sì grazie” rispose Alex, afferrando con delicatezza una fragola dal piattino di porcellana; sotto lo sguardo attento di Brian, la ragazza si portò il frutto alla bocca, addentandone la polpa.
“Ti piace eh?” rise Gates, notando il modo in cui Alexandra si stava leccando le labbra.
Alex si voltò di scatto verso di lui, facendo fluire la chioma corvina: gli sorrise imbarazzata, scoprendo i denti candidi
“Le fragole sono il mio frutto preferito” ammise, guardandolo per la prima volta da quando si erano visti. Brian sentì un brivido corrergli lungo la schiena: non si era mai accorto del colore dei suoi occhi, era un particolare a cui non prestava mai attenzione. Di solito ciò che lo attirava di più erano le tette e il sedere, visto che con la povera malcapitata di turno aveva rapporti che non duravano più di uno- due giorni, ma quel suo piccolo particolare non poteva non passare inosservato.
“Ho notato” rispose Brian buttandosi in bocca un acino d’uva, il tutto senza smettere di guardarla “Oh guarda, ti sei sporcata”
“Cos…”
Alex fece per ritrarsi, ma Brian la bloccò giusto in tempo: con estrema delicatezza fece scorrere un pollice lungo le labbra scarlatte, provocando nella povera ragazza una scarica di brividi non indifferente.
Brian le si era avvicinato pericolosamente, tanto che i loro visi distavano pochi centimetri l’uno dall’altro; nonostante la tentazione fosse molta, Brian era perfettamente consapevole che non poteva baciarla lì, in mezzo a tutti. E poi era ancora troppo presto, rischiava di rovinarsi con le sue stesse mani.
Alexandra lo fissava, oscillando tra l’imbarazzo e l’ansia: cosa doveva fare? Perché nessuno interveniva? Sembrava che fossero rimasti solo loro due, eppure era certa che con loro ci fossero anche gli altri, li sentiva parlare.
Sentiva il suo cuore palpitare nel petto come se volesse bucarle la cassa toracica e schizzare fuori, si sentiva impotente: voleva tirarsi indietro, ma non ne era in grado. Si sentiva inchiodata a terra da una forza che non riusciva a sovrastare. Dal canto suo, lo stesso Brian non voleva lasciarla andare: aveva un profumo che lo stava facendo impazzire e i suoi semplici gesti erano talmente sensuali da risvegliare le sue voglie.
Doveva essere sua.

*

*


Da lontano, appoggiato contro il tronco di un pino, Zacky li osservava, sentendo qualcosa corrodergli lo stomaco. Era il senso di colpa. Sì, perché aveva passato tutta la notte a rimuginare sopra quella stupida scommessa che avrebbe potuto turbare quell’equilibrio da un momento all’altro.
Non era fiero di quello che aveva fatto. Avrebbe dovuto avvertire Alex seduta stante, invece aveva aspettato ed era già troppo tardi. Osservò Brian accarezzarle le labbra carnose con una delicatezza che riservava solo al suo strumento: Zacky si morsicò la guancia, facendola sanguinare.
Il nervoso gli fece addirittura sbagliare accordo
“Ehi Vee” esclamò Johnny, guardandolo di traverso “cos’è successo?”
“Niente, perché?” rispose Zacky con finta indifferenza, buttando giù una grande sorsata di birra
“Non sbagli mai Angie Zee, mai.” Sottolineò Matt, che aveva già intuito tutto: non che ci volesse un genio.
Zacky non era uno che riusciva a nascondere i suoi sentimenti: per quanto ci provasse, qualcosa trapelava sempre.
“Vi sbagliate ragazzi, è che mi è venuto un crampo alla mano” borbottò questo, facendo finta di massaggiarsi le dita. Jonathan lo guardò torvo, per poi sollevare le spalle
“Sarà” sospirò, schioccando un bacio sulla guancia di Lacey.

*

*


“Ehi Shads” sussurrò Jimmy, all’orecchio del cantante.
Matt, sdraiato con la testa appoggiata sulle cosce di Christine, si drizzò sui gomiti
“Dimmi Jimbo”
“Hai visto quei due?” chiese il ragazzo, indicando con un cenno Alexandra e Brian; Matt spostò lo sguardo su i due e rise sommessamente
“Ho visto, ho visto. Alexandra sembra non essere poi un pezzo di ghiaccio così duro”
“Brian ha un certo savoir faire al quale le donne non riescono a resistere” sospirò Flyn, porgendo un piatto di pasta a Mckenna
“Sei sicuro che non sia avvelenato?” chiese questa, inarcando un sopracciglio; il riccio scoppiò a ridere sguaiatamente
“Tesoro, se volessi ti avrei già uccisa, vai tranquilla”
“Questa storia non mi convince” sbottò d’un tratto Christine, attirando l’attenzione di tutti quanti
“Che intendi dire, piccola?” chiese Matt, guardandola con gli occhi socchiusi a causa della luce; Chris fissò il suo sguardo in quello del ragazzo e il suo cuore perse un battito. Non sarebbe mai riuscita ad averlo, ormai se n’era fatta una ragione: si accontentava di stargli vicino, nonostante questo la ferisse più di qualsiasi altra cosa.
“Intendo dire che tutti noi conosciamo Brian” disse, abbassando il tono di voce per non farsi sentire dal chitarrista, seduto qualche metro più in là “e sappiamo come gioca con le sue prede. Conosciamo anche Alex, almeno per quanto riguarda noi ragazze, e sappiamo che basterebbe poco per distruggere quello che abbiamo costruito in questo mese. Ho paura che per Brian lei non sia altro che un passatempo che, una volta diventato noioso, butterà nel cesto delle cose di cui non gliene frega un cazzo.”
“Concordo con Chris” sospirò Leana, con sguardo vacuo “Brian sa essere una vera testa di cazzo quando ci si mette. Tu Mck, che ne pensi?”
La piccoletta finì di masticare la sua manciata di patatine fritte con fare pensieroso, dopodichè si rivolse ai compagni
“La verità è che non so veramente cosa pensare” sussurrò guardandoli uno ad uno “sono sua sorella e lo conosco bene, però alcuni suoi atteggiamenti mi confondono: Brian potrebbe essere veramente interessato ad Alex, e non mi sembrerebbe neanche così improbabile vista la sua bellezza e il suo essere così intrigante, ma allo stesso tempo potrebbe essere proprio solo il suo fascino ad interessarlo…”
Jimmy, Matt e Flyn si scambiarono un’occhiata preoccupata: i primi due perché temevano che le ragazze potessero scoprire qualcosa, il che avrebbe scatenato una probabile terza Guerra Mondiale, Flyn invece temeva solo che il suo piano andasse in fumo. In quel caso, non ci avrebbe visto più dalla rabbia
“Per quanto poco possa valere la mia opinione” iniziò questo, assumendo una certa serietà, “non dobbiamo metterci il becco. Se questa cosa dovesse andare avanti” disse indicando con un cenno della testa i due ragazzi seduti più in là “non gioverebbe solo a Brian e alla sua indole di puttaniere, ma anche ad Alexandra. Siete state voi le prime, ragazze, a dirci che non era una semplice, in tutti i sensi: vi ricordate quando è arrivata qua la prima volta? Si è chiusa in camera sua e non ne è uscita per tre giorni”
“Per colpa tua” sibilò Leana, inarcando un sopracciglio
“Sì, per colpa mia: ma anche dopo dovete ammettere che per farla abituare alla nostra presenza ci avete messo un bel po’, o mi sbaglio?”
“No, non ti sbagli” borbottò Mckenna, sentendosi d’accordo con Flyn per la prima volta nella sua vita
“Ecco” sbottò il ragazzo, allargando le braccia “Magari la vicinanza di Brian la aiuterebbe solamente a lasciarsi un po’ andare: potrebbe trovare in lui un’ancora a cui aggrapparsi. Potrebbe essere una guida per lei…Certo, una percentuale di malriuscita c’è, ma si sa: se son rose, fioriranno”
“Sai Flyn” esclamò Christine dopo qualche minuto di silenzio, in cui si sentivano solo Johnny e Lacey parlare con Zacky “non hai tutti i torti, ma allo stesso tempo non mi convinci”
Flyn la guardò sornione, strizzandole l’occhio
“Sta a te, baby”
Jimmy e Matt lanciarono uno sguardo colmo di sollievo al riccio, che rispose con un sorriso soddisfatto.
Christine si voltò verso Brian: lo vide avvicinare il pollice alle labbra di Alexandra e ripulirle da una sostanza rossastra. Zacky smise tutt’a un tratto di suonare i Rolling Stones e la ragazza notò una certa incazzatura nei suoi occhi. Sospirò, confusa più che mai.
Già, mio caro buon vecchio Flyn, sta a me.

*

*


Brian era ancora lì ad accarezzarle il viso, quando ebbe il lampo di genio: con lentezza ritrasse la mano, abbassando il viso con fare dispiaciuto
“Scusa Alex, non volevo infastidirti” borbottò con finto imbarazzo, grattandosi la barba
Alexandra lo fissò senza saper cosa dire: era una situazione del tutto nuova per lei. Il tocco di Brian sulla sua pelle l’aveva scombussolata, non riusciva a capire se fosse una sensazione piacevole o no: si sentiva come se avesse appena preso una scossa, di quelle forti però.
“Non ti preoccupare, non è successo niente” disse Alex, sforzandosi di sorridere; Brian alzò lo sguardo e le sorrise felice, scompigliandosi i capelli già incasinati di loro
“Già, ma non mi sembri a tuo agio” continuò lui, senza staccarle gli occhi di dosso.
Alexandra scrollò le spalle, senza saper cosa rispondere: nel suo cervello, al momento, c’era solo una grande confusione, pari a quella in camera di Mckenna.
Tra i due calò un silenzio imbarazzato, mentre i loro amici continuavano il picnic in pace e tranquillità. Dopo qualche minuto, Alexandra si voltò verso il ragazzo fissandogli le mani tatuate
“Ehm, Brian…” borbottò, morsicchiandosi il labbro
“Sì?” chiese Gates, inarcando un sopracciglio
“Potrei avere un’altra fragola?”
Brian scoppiò a ridere con sincerità, facendo arrossire la povera Alex che stava sprofondando dalla vergogna
Che ci posso fare? Del resto sono una droga per me!
“Certo piccola, tutte quelle che v…” rispose Brian, porgendole la bacinella ricolma di frutta: d’un tratto però, un rombo assordante catturò l’attenzione di tutti quanti. Alexandra, addirittura, fece un piccolo salto sul posto
“Ma cos’è?” chiese, guardandosi attorno stranita
“Un motore” rispose Johnny, masticando con nonchalance una coscia di pollo; Lacey lo osservò divorarla in meno di cinque secondi, scuotendo la testa esasperata. Leana si voltò verso la villa, corrucciando l’espressione
“Non sarà…”
“Oh sì” rise Jimmy divertito “è proprio lui: Michael è tornato bitches!”

*

*


Brian aiutò Alex a tirarsi in piedi, porgendole una mano: la ragazza saltò su con slancio, ritrovandosi a pochi centimetri dal volto del ragazzo
“Scusa…” borbottò imbarazzata, staccandosi leggermente
“Non ti preoccupare” le sorrise Brian, superandola di qualche passo “vieni, raggiungiamo gli altri e andiamo a salutare Michael”
La ragazza non se lo fece ripetere due volte e, con una breve corsetta, raggiunse assieme a Brian i loro amici: attraverso un breve sentiero arrivarono nel giardino sul fronte della villa, quello dove era stata scaricata il giorno del suo arrivo.
Alexandra rimase alquanto perplessa quando vide un enorme marchingegno su quattro ruote parcheggiato di fronte alla fontana degli angeli e dei demoni: alcuni uomini stavano scaricando degli scatoloni dall’aria molto pesante, ma di cui ognuno di loro ignorava il contenuto. Tuttavia, i ragazzi sembravano essere abituati a tutto ciò, visto che nessuno di loro si scompose minimamente
“Ma che cos’è?” chiese Alex a Brian, continuando ad osservare il bestione di fronte a lei
“Quello? Un camion, non ne hai mai visto uno?” chiese il ragazzo, sinceramente stupito
“No, mai” rispose Alex, come se fosse la cosa più ovvia al mondo
“Quindi non sai neanche che cos’è quella?” aggiunse Brian, indicando con il pollice qualcosa alle sue spalle; Alex si sporse leggermente per vedere di cosa si trattasse, sotto lo sguardo attento del ragazzo.
Ciò che vide fu un altro marchingegno, dalle dimensioni estremamente più piccole rispetto al camion di prima: era piatta e allungata, dal colore rosso acceso. Gli occhi le si illuminarono
“Wow”
“Bella eh?”
“Già, ma cosa sarebbe?” chiese Alex con curiosità
“Oh be’” borbottò Brian, preso alla sprovvista dalla sua domanda “diciamo che è una specie di carrozza ecco, solo che va dieci volte più veloce”
“Ah! Allora è anche molto più comoda”
“Sì” rise Brian, fissando la ragazza “sì, è molto più comoda. Se vuoi ti faccio fare un giro una volta” aggiunse, cogliendo la palla al balzo
“Davvero?” esclamò Alex, con gli occhi che le luccicavano
“Davv..”
“Ehi ragazzi!” esclamò un uomo, uscendo dalla vettura in questione; Alex si voltò verso l’auto e vide che Michael si stava dirigendo verso di loro in tutta la sua eleganza. Indossava un paio di jeans ed una semplice camicia, proprio come la prima volta che lo aveva incontrato
“MICHAEL!” urlò Mckenna, perforando un timpano a tutti i presenti: con un balzo saltò addosso all’uomo, rischiando di buttarlo a terra
“Ehilà Mck!”
“Dove sei stato tutto questo tempo?”
“Gli affari chiamavano” borbottò lui sbrigativo, scompigliandole i capelli “vi ho portato dei regali, dopo avrete tempo e modo di guardarli. Ma guarda un po’! I Sevenfold sono tornati eh!”
Michael andò ad abbracciare uno ad uno i ragazzi, scambiandosi delle vigorose pacche sulla schiena: dopo averli salutati tutti, il signor Trason si accorse della sua presenza
“Oh mia cara, vedo che ti sei adattata al meglio!” esclamò, stringendole le mani tra le sue.
Alexandra si aprì in un sorriso abbagliante, che incantò tutti i presenti: uno spettacolo più unico che raro
“Sì, la compagnia è la migliore che io abbia mai avuto” rispose la ragazza, voltandosi verso i ragazzi che le risposero con un occhiolino
“Mi fa piacere cara, davvero” le sorrise Michael, baciandole le mani; dopodichè si allontanò, dirigendosi a passo deciso verso Flyn. Il ragazzo si aprì in un sorrisetto sghembo, ricambiando l’abbraccio dell’uomo
“Ah figlio mio, mi sei mancato”
COSA?! No, devo essermi sbagliata…dopotutto li ha chiamati tutti “figlioli”
“Anche tu papà, anche tu”
Alexandra non riusciva a credere alle sue orecchie, cosa che non sfuggì a nessuno dei presenti
“Sorpresa Alex?” chiese Matt, sorridendole divertito
“Un po’” borbottò la ragazza, grattandosi la nuca; in effetti però, i due si assomigliavano. Stessi tratti raffinati, stesso fisico slanciato, stesso colore degli occhi…Michael sembrava la copia di Flyn invecchiata di trent’anni.
“Che ne dite di entrare? Io ho bisogno di doccia e di una bella dormita, quindi credo che mi rivedrete solo stasera a cena” esclamò Michael, sfregandosi le mani
“Ehi Mike!” esclamò Leana, prendendo a braccetto l’uomo “ci hai portato qualche materiale nuovo?” chiese ammiccando
“Certo tesoro, andate in magazzino e vedrete” le rispose, facendole l’occhiolino.
Leana fece un salto di gioia e, dopo aver posato un bacio sulla guancia del signor Trason, si fiondò addosso alla povera Alex
“Tu adesso mi segui, niente ma e niente come: RAGAZZE! Venite anche voi, sia ben chiaro” esclamò tutto di un fiato, lasciando perplessi tutti i presenti. Senza dare a nessuno il tempo di replicare, Leana afferrò Alexandra per un braccio, trascinandola dentro casa: Lacey e Mckenna si affrettarono a seguirla, saltellando dall’eccitazione.
“Chris, tu non vieni?” chiese Lea una volta sulla soglia
“Sì, adesso arrivo: cominciate ad andare!” rispose la rossa, facendole segno di cominciare ad avviarsi.
Jimmy, Matt, Johnny e Zacky decisero di andare a comporre qualcosa in sala di registrazione e  Michael e Flyn sparirono chissà dove, lasciando soli Christine e Brian
“Allora, mettiamo le cose in chiaro” iniziò la ragazza, assottigliando lo sguardo “non so che cosa tu diavolo abbia in mente, ma ti avverto: se ho solo il minimo dubbio, se anche per caso l’idea che tu la stia prendendo per il culo mi sfiora il cervello, giuro che te la faccio pagare cara Brian. Non scherzo”
Il ragazzo la guardò con astio, incrociando le braccia al petto: non le rispose, si limitò ad un cenno d’assenso secco e distaccato, per poi avviarsi verso casa.
Christine lo guardò allontanarsi fino a che non scomparve dietro ai muri della villa.
Uomo avvisato, mezzo salvato.



Ehilà!
Chiedo venia per il ritardo con cui ho postato il capitolo, ma la scuola mi sta tenendo molto impegnata: cooooomunque! Voi come state?
Il capitolo non è nulla di che, ma spero che lo apprezziate comunque :D
Ringrazio chi segue la storia: fatevi sentire, mi raccomando! Le vostre critiche mi servono, quindi recensite in tanti ^^
Un bacio,

Columbia

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Capitolo 10
*** Kill the pain. ***


“Se stringi ancora più forte finirai col spezzarmi un polso” borbottò Alex, cercando di stare al passo della ragazza; Leana si voltò e le fece l’occhiolino, per poi tornare a correre per i corridoi della villa.
“Mck, ma tu sai dove stiamo andando?” piagnucolò Alex, lanciando un’occhiata disperata alla piccoletta
“Mckenna, apri la bocca e ti giuro che ti ritrovi senza denti.”
“Sempre la solita esagerata” sospirò Lacey, passandosi una mano sul viso
“Zitta te!” esclamò la mora, arrestandosi davanti ad un portone nero; somigliava molto a quello d’ingresso, solo di dimensioni leggermente più ristrette. Leana si voltò verso Alex e le sorrise, raggiante come non mai “Ora cara la mia dolce, bella, innocua Alexandra…”
Lacey e Mckenna alzarono gli occhi al cielo, esasperate: dire che Leana adorava quel posto era un eufemismo. Ci avrebbe passato ogni singolo secondo della sua vita se avesse potuto.
“Arriva al sodo” sbuffò Mck, beccandosi un’occhiata inceneritoria dalla ragazza
“Dicevo” sospirò Leana, tornando a concentrarsi su Alex, che era sempre più confusa da quella strana situazione “Alex. Tu stai per entrare in un luogo sacro e inviolabile: poche persone hanno avuto la possibilità di entrarci e tu, da oggi, entrerai a far parte di questo gruppo privilegiato”
“Non pensavo che un essere così piccolo potesse sparare così tante cazzate” sospirò Mckenna, cominciando a prendere a testate lo stipite della porta
“Faccio finta di non aver sentito” rispose Leana, senza scomporsi minimamente. “Allora Alex, sei pronta?”
“Be’, credo di sì…”
Ma pronta per cosa?  
Leana spalancò il portone, rivelando un vero e proprio salone grande almeno cinque volte la camera di Alexandra; le luci erano già tutte accese, quasi come per magia, tanto che ad Alex fu ben presto possibile capire dove si trovasse.
“Be’, non c’è che dire” borbottò Christine alle loro spalle, con un sorrisetto soddisfatto dipinto sul volto “Michael ha rinnovato da cima a fondo il guardaroba”
Leana saltellò sul posto, correndo a ravanare tra le centinaia di scaffali ricolmi di vestiti
“Ma cos…” iniziò Alex, guardandosi attorno stranita “Cos’è questo posto?”
“Immaginati una cabina armadio” disse Mckenna, grattandosi la testa da sopra il cappellino di lana
“…”
“Fatto?”
“Si Mck, ho fatto” sbuffò Alex, cercando di trattenere una risata
“Ecco: questa è una cabina armadio. Una cabina armadio esageratamente grossa.”
Alexandra cominciò a girare per la stanza, osservando con curiosità la innumerevole quantità di roba che la circondava. La stanza era costruita completamente in ebano, ricoperta di tappeti di tutti i tipi che attutivano i loro passi: dalle finestre, sviluppate a panoramica, penetrava la luce pomeridiana che proiettava sul pavimento l’ombra dell’enorme divano di pelle nera che occupava ad angolo quasi metà di quello che sembrava essere un vero e proprio negozio di vestiario.
“Ma tutte queste…cose” chiese Alexandra, lanciando un’occhiata allarmata alle amiche “da dove vengono?”
“Sono i souvenirs che Michael ci porta dai suoi viaggi, qua è difficile trovare prodotti di questo tipo se non nel mercato nero” esclamò Lacey, raggiungendo Mckenna sul divano
“Ma ci saranno centinaia di vestiti qua dentro!”
“E vengono rinnovati ciclicamente tesoro” rise Christine, appoggiandole un braccio sulle spalle; Mckenna osservò lo sguardo terrorizzato della povera Alexandra, completamente nuova a tutto ciò, e scoppiò a ridere fragorosamente
“Oh Signore Alex, dovresti vedere la tua faccia” boccheggiò la ragazza, tenendosi la pancia con le mani
“Mck, chiudi la bocca che ti vedo l’ugola. Piuttosto” borbottò Lacey, sporgendosi verso il corridoio che portava ai camerini “dov’è finita Leana?”
“Eccomi gente!” esclamò la piccoletta, sbucando da dietro Christine. Tra le mani reggeva pericolosamente una pila disordinata di quelli che parevano essere vestiti: sotto gli occhi divertiti delle ragazze li gettò tutti addosso di Alex, che sembrava essere sempre più allarmata
“E io che ci devo fare con questi?”
“Come che ci devi fare?” sbottò Leana con gli occhi sgranati e le mani puntate sui fianchi “Tu adesso vai di là e te li provi tutti, dal primo all’ultimo. Intese?”
Alexandra aprì la bocca per chiedere se fosse strettamente necessario, ma si rese conto appena in tempo che sarebbe stata una domanda inutile. Doveva eccome, in palio c’era la sua incolumità.
Sospirando si avviò lungo il camerino, non prima di beccarsi una pacca sul sedere da Leana
Sembra una bambina in un negozio di dolci. Bah, valla a capire
Barcollò fino ai camerini pregando Dio non cadere durante il tragitto: non si trattava altro che di una stanza ovale con al centro un enorme divano color panna e dalle pareti a specchio.
Alex osservò il suo riflesso con le braccia incrociate e uno strano sguardo sul volto
A noi due, Leana cara.
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Due ore e venticinque cambi dopo, Alexandra si gettò a peso morto sul suo letto con la marmaglia di vestiti che Leana le aveva imposto di portare via con sé.
Alex li guardò con la coda dell’occhio e gemette, affondando la testa nel cuscino
“Non so neanche dove metterla tutta sta roba” piagnucolò, mettendosi a sedere a gambe incrociate, senza smettere di fissare sconsolata la pila di abiti.
Innanzitutto potresti iniziare a piegarli le consigliò la solita vocina nella sua testa; Alex ci pensò su qualche secondo e, con un’alzata di spalle, iniziò a riordinare magliette e vestiti vari.
Mentre si stava dando da fare però, le ritornarono in mente le scene di poche ore prima: o meglio, le ritornò in mente Brian.
Sentì le guance avvampare e una strana sensazione di calore scaldarle il petto: che cosa diamine era? Era la stessa reazione che aveva avuto quel pomeriggio quando Brian le aveva sfiorato le labbra: si era sentita impotente, una marionetta comandata da dei fili invisibili. Non poteva definirlo disagio, ma non era comunque un segnale positivo: almeno non per Alexandra.
Non poteva seriamente provare anche solo una leggera simpatia per una persona con cui aveva scambiato si e no due parole in croce.
C’era anche da dire però che Brian era diverso da tutti gli altri ragazzi con cui era venuta in contatto: a livello di vedute, si intende. Ma questo discorso non sarebbe dovuto valere anche per gli altri quindi? Perché, per esempio, con Zacky non aveva provato la stessa cosa?
La ragazza scosse violentemente la testa come per cacciare via tutti i pensieri che le affollavano il cervello: dopo aver afferrato un vestito a caso decise di andare a fare visita a Michael, visto che non era più riuscita a rivolgergli la parola dal giorno in cui era arrivata.
Si cambiò la canottiera con una maglietta grigia a maniche corte e, dopo aver chiuso la finestra, uscì dalla sua camera diretta all’ufficio di Michael; attraversò i vari corridoi del palazzo a passo di marcia, cercando di non orientare il pensiero verso la “faccenda Brian”.
Non voleva pensarci, non ora per lo meno.
Alexandra svoltò nell’ala dove si trovava lo studio dell’uomo. Sapeva dove si trovava solo grazie a Lacey: durante uno dei loro tour, infatti, erano passate di lì e la ragazza l’aveva informata che quello era l’ufficio del signor Trason. Alex al tempo si era rifiutata di entrare per paura di invadere la privacy dell’uomo, ma quella volta si avvicinò e bussò leggermente sul legno morbido
“Avanti!”
Alexandra aprì lentamente la porta e, dopo essersela richiusa dietro alle spalle, si avvicinò alla scrivania del signor Trason: l’ufficio era molto luminoso ed arredato con l’eleganza e la classe tipica di Michael. L’uomo, seduto dietro la scrivania, sollevò la testa dalla marmaglia di fogli che aveva sparsi davanti voltandosi verso la ragazza. Alex, tuttavia, ebbe la sensazione che non la stesse realmente guardando: aveva uno sguardo perso in qualcos’altro, qualcosa di cui lei non era a conoscenza e che sembrava preoccuparlo profondamente.
C’era la paura nei suoi occhi.
Si fissarono per una quantità indeterminabile di secondi, fino a che Michael sembrò ritornare in sé: l’uomo si alzò dalla poltrona togliendosi gli occhiali da vista e si avvicinò ad Alexandra sorridendo dolcemente
“Ciao Alex, come stai?” le chiese, prendendole una mano con delicatezza; la ragazza lo guardò con aria confusa, facendo scorrere gli occhi dal viso dell’uomo alla sua scrivania
“Bene, grazie” rispose Alexandra, fissando lo sguardo in quello dell’uomo.
Michael sorrise calorosamente calcando alcune rughe attorno alla bocca, unico segno della sua ormai non più giovanissima età
“Sono contento che tu ti sia ambientata Alex, ho sempre voluto questo per te. Sin da quando…”
“Sin da quando…?” continuò Alex, facendosi più attenta. C’era qualcosa che le puzzava.
“Oh niente, niente: sai com’è, ho fatto un lungo viaggio e la stanchezza mi dà un po’ alla testa” concluse lui sbrigativo, massaggiandosi la mascella con fare nervoso “C’è qualcosa che posso fare per te?”
“Oh…A dir la verità ero venuta per ringraziarti per quello che hai fatto e che continui a fare per me tenendomi qua con voi. Te ne sono veramente grata e mi dispiace non essere riuscita a dirtelo prima” sorrise Alexandra, stringendogli la mano
“Ma mia cara, non mi devi ringraziare! Sono più che felice che tu sia qua con noi, immagino che tu abbia socializzato anche con i ragazzi ormai: prima di partire per il tour li avevo avvisati del tuo arrivo e ne erano più che entusiasti”
“Oh sì, sono stati tutti molto gentili con me…”
Tra i due calò un silenzio imbarazzante: nessuno dei due sapeva cosa dire perché entrambi avevano capito qualcosa. Alexandra non era stupida, sin da quando aveva messo piede in quello studio aveva intuito che c’era qualcosa che non andava: Michael era troppo su di giri, aveva la testa da un’altra parte e sembrava essere preoccupato da qualcosa di grave. E tutti sapevano che se Michael era sull’attenti per qualcosa allora tutti dovevano esserlo.
“Ehm…Scusami Alex, ma adesso ho alcune…faccende da sbrigare” borbottò sbrigativo l’uomo, rivolgendole un sorriso distratto.
Alexandra lo guardò ritornare dietro la sua scrivania ed affacciarsi sul giardino esterno: la ragazza aspettò qualche secondo, per poi indietreggiare e ritornare alla porta d’ingresso
“Buona serata Michael”
Non ricevette risposta: Alex richiuse la porta e se ne andò, lasciando Michael al suo pianto disperato.
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Quella sera i ragazzi rimasero in sala di registrazione e Michael non uscì dal suo ufficio nemmeno per l’ora di cena: la casa sembrava così immensamente vuota senza il loro continuo battibeccare che Lacey, Leana, Christine ed Alex decisero di rimanere in camera della piccoletta a parlare del più e del meno
“Chris, si può sapere quando ti deciderai a parlare con Matt?” chiese Lacey dopo un’intensa discussione con l’amica; Alexandra e Leana si lanciarono un’occhiata d’intesa ed aguzzarono l’udito
“Senti Cey” borbottò Chris continuando a fissare il soffitto “non ho voglia di affrontare l’argomento”
“Oddio Christine, non mi raccontare palle” sbottò tutt’a un tratto Lacey, cogliendo le ragazze di sorpresa “non puoi rovinarti in questo modo! Matt sarà anche un bravo ragazzo, ma è anche un emerito coglione se non si rende conto di nulla!”
“Ed io cosa ci posso fare?” chiese Christine dopo essersi issata sui gomiti; aveva tutti i capelli scompigliati e le ciocche rossastre le ricadevano sugli occhi fiammeggianti di rabbia.
“Potresti dirglielo” sibilò Lacey, puntandosi le braccia sui fianchi con fare agguerrito.
Christine sapeva perfettamente che Lacey voleva soltanto il suo bene e che cercava di farla ragionare, ma lei sembrava fregarsene. Sapeva che stava anteponendo il benessere di Matt al suo, ma lo faceva perché non avrebbe potuto vivere senza di lui: è vero, lo amava, ma purtroppo non poteva dire lo stesso di lui e non aveva la benché minima intenzione di andare a spiattellargli tutto in faccia con il solo rischio di rovinare quel magnifico rapporto che si era andato a creare. Se Lacey e Leana non lo capivano erano affari loro, Christine non aveva voglia di spiegare per l’ennesima volta le ragioni della sua scelta masochista.
Le due si fissarono in cagnesco per qualche secondo, fino a che non fu proprio Leana a spezzare il silenzio che si era andato a creare
“Cambiando discorso: Alex” esclamò la ragazza, tirando un buffetto all’amica “e tu invece?”
“Io cosa?” borbottò questa con la testa fra le nuvole: stava ancora pensando a Michael e al suo strano atteggiamento. Non riusciva a capirne il motivo e ne era particolarmente frustrata
“Oh andiamo” si intromise Christine, facendosi tutt’a un tratto più attenta “cosa c’è tra te e Gates?”
“Assolutamente niente” rispose categorica Alexandra, iniziando a tamburellare nervosamente le dita sul tappeto. Le tre ragazze trattennero a stento una risata
“Dai Alex, vi abbiamo visti oggi…” iniziò Leana, ammiccando nella sua direzione
“Non è successo nulla!”
“Per adesso” borbottò Christine, lanciando la sua pallina da tennis contro il soffitto: quella faccenda non le andava a genio. Brian non le andava a genio
Alexandra cominciava a sentirsi a disagio, le sudavano le mani e aveva freddo, cosa alquanto strana visto che ci saranno stati minimo ventitré gradi in quella stanza: per fortuna Lacey se ne accorse ed arrivò in suo soccorso
“A proposito degli Haner: Mckenna dov’è?”
“A me aveva detto che aveva sonno e voleva riposarsi un po’…” borbottò Leana poco convinta delle sue parole
“Strano, Mck non si perderebbe mai una serata di sole donne” fece notare Chris rimettendosi seduta.
Alexandra balzò in piedi e si avviò alla porta con fare deciso
“Non preoccupatevi, vado a darle un’occhiata: tanto devo passare dalle sue parti per andare in camera mia”
“Sei sicura?” chiese Lacey con un sorriso dolce stampato sul volto
“Non preoccuparti Cey” annuì Alex con sicurezza “buonanotte ragazze”
“Notte Alex, sogni d’oro!” esclamarono le tre perfettamente in sintonia.
Alexandra si richiuse la porta alle spalle, iniziando a camminare per i corridoi fiocamente illuminati dalle candele: alcune si erano quasi completamente consumate e l’odore di cera fusa impregnava l’aria fresca.
Chissà cos’ha…  pensò Alex, seriamente preoccupata per Mckenna: si stava realmente affezionando a quella peste. Si atteggiava sempre da dura con tutti, ma in realtà era una ragazzina fragile e, quasi certamente, da un passato difficile e a lei oscuro: in effetti Alex si rese conto di non conoscere niente di nessuno lì dentro. Non sapeva chi fossero, da dove venissero, come fosse stata la loro vita prima di incontrare Michael: ne aveva avuto la riprova qualche giorno prima quando Zacky si era chiuso a riccio per colpa di quell’album
G.P.
Le iniziali tornarono vivide alla memoria di Alex, che si incupì ulteriormente: il filo dei suoi pensieri si interruppe quando sentì riecheggiare dei singhiozzi dalla camera di Mckenna.
Alexandra sentì un tuffo al cuore.
Accelerò precipitosamente il passo ed arrivò alla porta della stanza, che spalancò senza preavviso: la piccola fiammella della lampada ad olio gettava delle ombre tremolanti sulle pareti viola, dando quasi la sensazione che si stessero muovendo. Le tende venivano mosse delicatamente dalla brezza serale, rendendo il clima afoso molto più vivibile; Alexandra fece vagare lo sguardo per tutta la stanza, fino a che non si accorse della presenza di due figure sul letto.
La più piccola, quella di Mckenna, era avvolta in una maglietta più grande di lei di almeno quattro taglie e veniva stretta convulsamente da un ragazzo, che la cullava dolcemente canticchiandole un motivetto nell’orecchio con l’intento di calmare i suoi singhiozzi.
Quando Mckenna si accorse della sua presenza sollevò la testa dal petto del ragazzo, fissando Alexandra con gli occhi gonfi dal pianto
“Oh A-alex…N-non mi as-spetta-avo che v-v-enissi” borbottò asciugandosi convulsamente le lacrime; nel sentire il suo nome, Brian sollevò lo sguardo in direzione di Alexandra fissando i suoi occhi profondi in quelli della ragazza.
Alex si sentì mancare, in parte per il dolore di Mckenna, in parte per lo sguardo disperato di Brian
Ma cos’hanno tutti oggi?
“Mck…” sussurrò Alexandra, avvicinandosi lentamente al letto quasi come se avesse paura di essere rifiutata; Mckenna continuò ad asciugarsi le lacrime sotto gli occhi sconsolati del fratello e quelli increduli dell’amica
“Ehi” disse Alex, togliendole una mano davanti agli occhi per permettere alla ragazzina di guardarla “apri gli occhi Mck, io sono qua” aggiunse dolcemente Alexandra, prendendole con delicatezza anche l’altra mano.
Mckenna aprì lentamente gli occhi seguendo il consiglio, ritrovandosi davanti Alexandra che la fissava preoccupata: odiava tutto quello. Odiava far preoccupare gli altri, odiava il suo carattere lunatico che la faceva sembrare quasi bipolare: ma soprattutto odiava il dover ammettere di aver bisogno di affetto. Odiava sentirsi debole.
“Posso sedermi affianco a te?” chiese Alex, ancora inginocchiata a terra
“Certo che puoi” Sussurrò Mckenna con voce roca, tirando su con il naso
Nel frattempo Brian si era alzato dal letto e, dopo aver dato un bacio alla sorellina, lasciò la stanza senza calcolare minimamente Alex, che al momento aveva cose ben più importanti del dargli retta.
Alexandra prese posto affianco a Mckenna, che iniziò a mangiarsi le unghie nervosamente
“Cos’è successo?” chiese Alex, appoggiandole delicatamente una mano sulla spalla
“Ho fatto un incubo” borbottò Mckenna, continuando a sfregarsi gli occhi con il dorso della mano: in quel momento sembrava una bambina piccola ed indifesa. Una bambina che stava sopportando un dolore troppo grande per una ragazzina della sua età. Alexandra provò un’infinita tenerezza nei suoi confronti, così grande che attirò Mckenna a sé, stringendosela dolcemente al petto: entrambe rimasero stupite del suo gesto, ma Mckenna non si tirò indietro e le strinse una ciocca di capelli tra le mani
“Ti va di raccontarmelo?” sussurrò Alex, cullandola come una neonata; Mckenna si irrigidì di colpo e, quando cercò di aprire bocca, le lacrime riniziarono a scorrere copiose
“Ssshh piccola, è tutto apposto” le disse Alexandra, accarezzandole leggermente la chioma verde “Non volevo forzarti”
“M-mi dispiace..” singhiozzò Mckenna a bassa voce, continuando a stringersi alla ragazza; lo ripeté per minuti interminabili ed Alexandra non l’abbandonò neanche un secondo: continuò a cullarla tra le sue braccia, canticchiandole un motivetto inventato al momento.
Dopo un po’ di tempo il respiro di Mckenna si fece regolare, segno che si era riaddormentata: stando attenta a non svegliarla, Alexandra la mise a letto, rimboccandole le coperte e ripulendole delicatamente il trucco sbavato. Quando fu certa che Mckenna stesse dormendo profondamente spense la luce ed uscì con passo felpato dalla stanza; una volta nel corridoio, Alex si richiuse la porta alle spalle sospirando profondamente
“Come sta?” chiese una voce nella penombra, facendo sussultare Alex
Brian
Il ragazzo si alzò da terra, avvicinandosi ad una delle candele appese ai muri per farsi riconoscere: Alexandra lo fissò in volto molto attentamente, ma non riuscì a scorgere nemmeno una traccia della felicità di quella mattina.
Sembrava quasi un’altra persona: gli angoli della bocca erano piegati verso il basso e gli occhi, già contornati da una spessa linea di matita, sembravano ancora più scuri a causa delle occhiaie che spiccavano sulla pelle diafana
“Sì è tranquillizzata, adesso sta dormendo” sussurrò Alex, cercando di sembrare il più calma possibile; Brian annuì veemente, passandosi una mano tra i capelli scompigliati.
“Perché era così agitata?” domandò tutt’a un tratto la ragazza, cogliendolo di sorpresa: i due si fissarono per qualche secondo nella penombra del corridoio, fino a che Brian non le diede le spalle
“Che ne dici di fare una passeggiata insieme?” chiese Gates, invitandola con una mano a seguirlo; Alexandra lo affiancò, stando attenta a non sfiorarlo, e insieme iniziarono a camminare per i bui corridoi del palazzo
“Mckenna è una ragazza sensibile nonostante sembri una dura, una temeraria” borbottò Brian dal nulla, fissando il nulla davanti a sé
“Si è costruita una corazza per proteggersi da tutto quello che c’è fuori, è normale” rispose Alexandra con semplicità, osservando Brian con la coda dell’occhio.
Gates, nel sentire quelle parole, si voltò verso di lei incrociando per la prima volta nella serata i suoi occhi profondi
“Sì, è proprio così” continuò Brian, facendo finta di nulla “il problema è che quella corazza funziona solo nella realtà. Quando è sola, la notte porta con sé i ricordi e Mckenna si ritrova ad affrontare i demoni del passato senza nessuno al suo fianco. È sempre stato così, sin da quando era piccola”
Alexandra ascoltò attentamente le sue parole, sentendo una morsa stringerle il cuore: Mckenna non si meritava tutto questo. Nessuno di loro se lo meritava.
“Le persone non hanno pietà neanche per i più deboli ormai” sibilò Brian, sprofondando nel ricordo di alcuni avvenimenti dai quali Alexandra era esclusa
“Adesso siete qua però, siete al sicuro: Mckenna non ha più nulla di cui preoccuparsi” esclamò Alexandra, riconoscendo l’inizio del suo corridoio, il più isolato di tutti.
Ne sei veramente convinta Alex? Sei sicura di essere salva dalla perfidia della gente?
Brian scoppiò in una risata amara che fece sussultare anche la ragazza
“Vorrei poterti dar ragione Alex, Dio se lo vorrei” sospirò lui rivolgendole un sorriso che oscillava tra il dispiaciuto e l’intenerito: quella sera Gates non esisteva. Quella sera c’era solamente Brian, il ragazzo che si era preso cura della sorella sin da quando erano poco più che bambini e che in quel momento era stupito dall’ingenuità delle parole di Alexandra “…Il palazzo di Michael è il posto più sicuro in questo momento, non lo metto in dubbio: ma se quei cani rabbiosi decidessero di ripetere la storia non ci saranno mura, cancelli o armi che li fermeranno”
Alexandra si fermò davanti alla porta della sua stanza senza sapere cosa rispondere: aveva sempre saputo che un giorno sarebbe arrivato qualcuno che la pensava esattamente come lei, e quel qualcuno sembrava essere proprio Brian.
Aveva cercato invano di autoconvincersi delle sue stesse parole: nessuno era mai stato seriamente al sicuro e mai lo sarebbe stato.
“Tu credi che sia successo qualcosa recentemente?” chiese Alexandra, spiazzando Brian
“Ti sei accorta anche tu dello strano atteggiamento di Michael, vero?” ribatté Gates, sorridendo leggermente della furbizia con cui Alex aveva cercato di strappargli qualche informazione
Intelligente la ragazzina, complimenti.
“Sì, mi è sembrato turbato oggi...” rispose Alex, scrollando le spalle
“Be’” iniziò Brian avvicinandosi a lei lentamente e senza distogliere lo sguardo “se Michael sta omettendo qualcosa lo fa solo perché crede che sia il meglio per noi”
“Non lo metto in dubbio” sussurrò Alexandra, iniziando a sudare freddo per la sua vicinanza: per un millisecondo provò l’irreprensibile voglia di fiondarsi in camera e chiudercisi dentro, ma si rese conto che sarebbe stato un gesto alquanto cafone da parte sua. Non le restava altro che continuare a discorrere con Brian fino a che questo non se ne fosse andato
Il prima possibile per favore.
“Scusa, non volevo metterti a disagio con le mie paranoie” sorrise lui tutt’a un tratto, avvicinandosi ancora di più; Alexandra indietreggiò di un passo, trovandosi con la schiena schiacciata contro la parete
Sei in trappola mia cara, complimenti per l’astuzia
“Non ti preoccupare, non mi ha dato fastidio” borbottò Alex, iniziando seriamente ad innervosirsi: quel Brian stava invadendo un po’ troppo i suoi spazi e sembrava anche che non gliene fregasse più di tanto, cosa che mandava Alexandra su tutte le furie.
Brian sembrò accorgersi del suo improvviso attacco di stizza nei suoi confronti e cercò di rimediare tutto con un gesto che, in realtà, non fece altro che peggiorare ulteriormente la situazione
“Be’, allora buonanotte” le sorrise lui, cercando di stamparle un bacio sulla guancia: Alexandra, colta di sorpresa, cercò di indietreggiare di un altro passo, dimenticandosi però che dietro di lei c’era la parete.
Brian, che rimase in equilibrio su un piede a baciare l’aria mista alla polvere, udì rimbombare il colpo secco della testata di Alexandra e un successivo spostamento d’aria, segno che la ragazza era riuscita ad aprire la porta della sua stanza
“Buonanotte” esclamò Alex dall’altra parte del muro, sfilandosi la maglietta con rabbia.
Ma si poteva sapere cosa credeva di fare quello lì? Si conoscevano da neanche un giorno e già si permetteva di comportarsi in un certo modo
Oh dai, non farla più grossa di quanto non sia in realtà: dopotutto era solo un bacetto
UN BACETTO?” borbottò Alexandra in un rantolo soffocato, iniziando a litigare con la sua coscienza “Non doveva neanche pensarla una cosa simile!”
Stai ragionando da bigotta e lo sai.
Alex si gettò a peso morto sul letto, sbuffando rumorosamente: in effetti a pensarci bene aveva avuto una reazione un po’ esagerata. Dopotutto lui voleva solo essere gentile…O no?
Oh, al diavolo
Alexandra si spogliò rapidamente, infilandosi sotto le coperte come un fulmine: osservò per un po’ di tempo i rami degli alberi frusciare al sibilo del vento e, quando le palpebre iniziarono a farsi pesanti, chiuse gli occhi senza smettere di ripetersi la stessa frase.
Io ti maledico, Synyster Gates.
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“Buonanotte!”
Un momento, cosa?
Se n’era andata così? Gli aveva seriamente sbattuto la porta in faccia?
Brian rimase imbambolato nella stessa posizione per qualche secondo, cercando di metabolizzare la faccenda al meglio ma con scarsi risultati
Piccola stronzetta impertinente  pensò mentre ritornava sui suoi passi non ti permetto di trattarmi in questo modo.
Arrivato alla sua stanza spalancò la porta con forza e, dopo essersi sfilato la maglietta ed averla gettata sulla poltrona, si lasciò cadere a peso morto sul letto matrimoniale: in un gesto di stizza spinse lontano le lenzuola e si incrociò le braccia dietro alla testa.
No, proprio non riusciva a mandar giù l’accaduto.
Be’, però devi ammettere di essere stato un po’ un coglione eh
“IO UN COGLIONE?” sbottò contro se stesso, mangiucchiandosi le labbra dal nervoso “è quella stronza che non porta neanche un po’ di rispetto”
Ah, perché tu lo porti invece?
Silenzio.
Coscienza 1, Brian 0: palla al centro
In effetti però la sua non era stata una mossa tanto intelligente: anzi, a dirla tutta era stata più che avventata. Sapeva che Alexandra non era la solita ragazzina da quattro soldi, ma aveva voluto fare lo stesso di testa sua, ragionando con le… ehm ehm: il concetto è passato, no?
“Oh, al diavolo” borbottò da solo, sdraiandosi su un fianco con il viso rivolto verso la finestra; la luce della luna proiettava sul tappeto le ombre tremolanti delle persiane, dando quasi l’impressione di essere sommerse dall’acqua.
Brian rimase a fissarle per una quantità indeterminabile di minuti e, mentre le palpebre si facevano sempre più pesanti, il ragazzo si addormentò con una sola frase stampata in testa
Che tu sia maledetta, Alexandra Crocket.
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Mamma, papà! NO, NO VI PREGO! Urlò la ragazza, allungando una mano verso i genitori mentre correva a perdifiato nella loro direzione: più cercava di raggiungerli, più questi sembravano allontanarsi, quasi come se venissero risucchiati da un buco nero.
Urlò i loro nomi sempre più forte, ma dalla sua bocca non uscivano altro che rantoli soffocati dal terrore e dalla tristezza
Sii forte tesoro mio, non lasciare che gli altri si impossessino della tua vita. Solo vivendo troverai quello che stai cercando: ama e sarai felice.
No mamma, non andartene!
Christine si mise a sedere sul letto, urlando talmente forte da raschiarsi la gola; tra le mani stringeva convulsamente le lenzuola madide di sudore come se cercasse di aggrapparsi a qualcosa, qualcosa che la riportasse alla realtà il prima possibile.
Ancora tremante si portò le mani alla bocca, cercando di placare le urla isteriche che la stavano scuotendo da capo a piedi come un terremoto.
Ormai aveva paura anche a chiudere gli occhi per colpa di quello stramaledettissimo incubo, sempre pronto a lacerarle l’anima: i suoi genitori erano morti da anni ormai, ma Christine era giunta alla conclusione che vederli vicini e non poterli raggiungere fosse mille volte più doloroso che saperli seppelliti sotto tre metri di terra.
Ama e sarai felice
Le parole della madre continuarono a rimbombarle in testa come un eco in lontananza, impedendole di calmare il respiro affannoso
Io lo amo mamma, ma guarda come sono ridotta: guarda a cosa può portare l’amore di cui tanto parlavi.
Vorrei che tu fossi qui.

Un conato di vomito le strinse lo stomaco fino a farla urlare dal dolore per l’ennesima volta: Christine si trascinò fino al bordo del letto con le lenzuola strette alla bocca per soffocare le lacrime e, una volta messi i piedi per terra, si fiondò alla porta della sua camera, appoggiandosi per non per cadere.
Uscì nel corridoio e barcollando come un’ubriaca si diresse verso l’unica persona che poteva aiutarla in quel momento; reggendosi al muro Chris riuscì a raggiungere l’ultima stanza del piano.
Con mano tremante abbassò la maniglia della porta, continuando a singhiozzare silenziosamente: da dietro le lacrime Christine riuscì a vedere il ragazzo mettersi seduto sul letto, voltare la testa verso di lei e correrle in contro.
“Ehi…” sussurrò lui, sollevandole delicatamente il viso; Christine lo guardò con gli occhi gonfi e il magone, senza riuscire a spiccicare parola. Il ragazzo le sorrise dolcemente e con i pollici le rimosse le lacrime che le offuscavano la vista “Basta piangere adesso, ci sono io con te”
“Matt…” balbettò Chris, continuando a singhiozzare sul suo petto nudo.
Lui non disse nulla, si limitò a stringerla a sé cercando di trasmetterle tutta la sicurezza di cui aveva bisogno in quel momento: con una mano le accarezzava i capelli, mentre con l’altra le cingeva la vita come se avesse paura che Christine le scivolasse dalle mani da un momento all’altro.
Ed era così.
Se non ci fosse stato Matt, Christine sarebbe caduta e non sarebbe mai più riuscita a rialzarsi: era lui la sua ancora, quella a cui Chris si aggrappava tutte le volte che il buio urlava il suo nome per chiamarla a sé.
Era lui che riusciva a farla sentire protetta anche solo con uno sguardo, con un gesto, con una parola.
Era lui l’unica persona che avrebbe potuto amare, l’unica per cui avrebbe dato la sua stessa vita.
Matt la sollevò da terra senza dire nulla e, con passo deciso, l’adagiò dolcemente sul suo letto, le rimboccò le coperte e si sdraiò al suo fianco, abbracciandola talmente forte da farle mancare il respiro.
In quella posizione Christine riusciva a sentire il battito regolare del suo cuore, perfettamente in sincrono con il suo: le bastò rimanere in quella posizione per qualche secondo che l’angoscia che fino a qualche minuto prima le stava logorando l’anima sparì nel nulla, lasciandola spossata.
Chris sentiva Matt disegnarle con il pollice dei piccoli cerchi immaginari sul braccio e fu proprio in quel momento che si rese conto della profondità dei suoi sentimenti nei confronti del ragazzo: Christine sentì l’irrefrenabile voglia di dirglielo. Dirgli tutto, spiattellargli in faccia l’intera faccenda e finalmente liberarsi di un peso che si portava appresso da anni ormai
“Mat…” iniziò con un filo di voce, sollevando leggermente la testa per poterlo guardare negli occhi: il ragazzo si voltò verso di lei, aspettando che finisse la frase.
Probabilmente avrebbe dovuto attendere ore e ore se la parte razionale di Christine non fosse intervenuta: quella sentimentale, infatti, era troppo presa contemplare la perfezione del suo viso.
Avrebbe voluto accarezzargli il viso, le guance, il naso, ripassare con il dito le tenere fossette che comparivano tutte le volte che le sorrideva
“Sì?” le chiese tutt’a un tratto, scostandole una ciocca di capelli dal volto.
I battiti di Christine aumentarono a dismisura, rischiando di farle venire un infarto
“I-io…” balbettò in cerca del coraggio per pronunciare quelle tre semplici parole “io…”
Ti amo.
“Ti voglio bene” sussurrò sconsolata, riappoggiando la testa sul petto del ragazzo.
Matt le accarezzò il braccio, provocandole una scarica di brividi, per poi posarle un bacio tra i capelli
“Anche io piccola, anche io”
Perché devo dirglielo? È tutto così perfetto adesso, in questo preciso istante: io lo amo e forse anche lui, ma in maniera diversa. Dopotutto non si può avere tutto dalla vita, o no mamma?
Christine fissò per qualche secondo la luna scomparire dietro alle nuvole, fino a che la vista non le si oscurò definitivamente: e quando l’ultima piccola, calda lacrima le attraversò il viso, Christine si addormentò, cadendo preda di un sonno senza sogni.




...
Sì lo so, faccio schifo.
Sono passati mesi dall'ultima volta in cui ho aggiornato questa storia, ma francamente avevo perso l'ispirazione: le parole non mi venivano e piuttosto che scrivere cavolate ho preferito aspettare il momento giusto...Ovvero adesso.

Il capitolo è particolarmente triste ma è stata una cosa voluta, visto che fino ad adesso ci eravamo scontrate solo con la parte "tutta rosa e fiori" più o meno.  Non è nulla di che, ma si tratta di una sorta di ponte per collegarmi al continuo della storia...Sempre che ci sia ancora qualcuno che la segue xD
Aggiornerò il più presto possibile, questa volta lo prometto.
Un bacione a tutte quante,
Columbia

 

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