La colpa dell'angelo

di FreddiePie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Angeli e demoni ***
Capitolo 2: *** Terreni e professori ***



Capitolo 1
*** Angeli e demoni ***


CAPITOLO 1
 
Vi era un posto dove tutto era luce, e che considerare utopistico sarebbe stato dire poco, poiché quello rappresentava tutto ciò che c'era di buono e chiaro al mondo.
Nel cielo limpido e sereno risplendeva perennemente il sole, che riscaldava la pelle ed impediva alla luna, dunque alla notte, di arrivare. A Pratoverde,una delle tante città dell'emisfero Boreale, il sole non tramontava mai, ed i suoi abitanti erano sempre tutti felici. 
L'emisfero Boreale si trovava proprio sulle teste degli umani, sopra le nuvole, ma loro non potevano vederlo. Galleggiava a mezz'aria, al limite tra cielo e spazio. 
Era abitato dagli angeli.
Ma affinché esista la luce, il bene, è necessario il buio, il male.
Dunque, sotto terra, poco prima del magma, si trovava l'emisfero Infernale, abitato dai demoni. Diversamente dalle figure angeliche, a caratterizzare gli abitante di quel luogo erano capelli molto scuri, occhi caldi e canini appuntiti. 
Un bollente fiume di lava bollente scorreva per le vie delle città e non vi era alcuna forma di vegetazione, né vi era amore o felicità; soltanto angoscia e rabbia.
In contrasto all'emisfero Infernale, in quello Boreale non esisteva la rabbia, la paura o qualsiasi altra cosa fosse da considerare cattiva.
I demoni non avrebbero mai potuto conoscere la gioia, poichè quella apparteneva agli angeli. Di conseguenza, però, cose come la paura o la rabbia non avrebbero mai potuto sfiorare un angelo.
Era così che funzionava: agli angeli erano state date tutte le qualità "buone", mentre ai demoni tutte quelle "cattive". Erano in perenne contrasto, come tra bianco e nero, e in comune non avevano nulla.
Gli angeli, a differenza dei demoni, erano sempre allegri e sorridenti. Avevano denti bianchi, spendenti, abbaglianti; capelli chiari - solitamente tendenti al biondo o al bianco; gli occhi anch'essi molto chiari, a rispecchiare il colore del cielo.
Era proprio così Ellie, un'angelo dai lunghi capelli biondi come il sole, e gli occhi di un azzurro così ghiacciato che sembravano poter rapire con un solo sguardo.
La ragazza restava spesso, ore e ore, sdraiata sull'erba ad ammirare il magnifico spettacolo sopra la sua testa: l'azzurro del cielo si mescolava al buio dello spazio e creava un gioco di luci da togliere il fiato.
A volte riusciva persino ad intravedere qualche pianeta con la sua vista da angelo, e il suo preferito era Urano, ma non sapeva per quale motivo. Forse perché si raccontava che là sopra vi fossero tutti quegli angeli caduti, coloro che erano stati considerati una minaccia dai Serafini e dunque esiliati in un logo dove non potessero nuocere ad alcuno.
Spesso Ellie chiudeva gli occhi e si figurava là sopra, lontana da tutto e da tutti.
 I ragazzi adolescenti (sia angeli che demoni) non erano come gli adulti, poiché il loro corpo era in fase di sviluppo e, dunque, non era ancora perfetto. Non vivevano nel netto contrasto tra bene e male come gli adulti, ma vacillavano da ambe le parti. Ad esempio poteva capitare che un demone provasse pietà o che un angelo provasse rancore.
Sicuramente un angelo non sarebbe mai potuto diventare un demone, o viceversa, ma in entrambi i casi potevano - anzi, sicuramente - provare le stesse sensazioni caratteristiche dell'altro, poiché gli adolescenti boreali ed infernali erano la cosa più vicina ad un essere umano che si potesse trovare. 
Erano molto temuti gli adolescenti, sia dagli angeli - per quanto un a gelo adulto potesse provare paura - che dai demoni adulti, e di conseguenza erano molto salvaguardati. Si aveva paura che con la loro imperfezione potesse alterare l'equilibrio che governava tra bene e male.
A partire dai 18 anni venivano mandati in una scuola sulla terra, che li preparava ad un futuro da angelo o da demone.
Ellie sarebbe dovuta partire proprio la mattina seguente, ma ancora non voleva pensarci. Voleva gustarsi ancora un po' l'aria di casa prima di dover partire per tre lunghissimi anni, senza poter rivedere la propria famiglia.
«Ellie, secondo te, mi conviene portare due valigie?» le chiese Lydia, una ragazza con grandi occhi turchesi e una coda di cavallo biondo cenere. «Perché non credo ci stia tutto qui dentro».
Ellie si sollevò da terra, si legò i capelli alla meno peggio e guardò l'amica, divertita. «Indecisione e vanità… non mi starai diventando una diavoletta, vero?»
'amica improvvisamente arrossì, e si nascose la faccia dietro le mani per la vergogna. «Questa cosa dello sbalzo ormonale prende me più di chiunque altro… non so che fare! Vorrei essere come Saffo, lei sì che è perfetta!»
«Sì, è veramente da ammirare» le diede ragione Ellie, soprappensiero, alzardo nuovamente lo sguardo al cielo.
«Oh, ma Ellie, anche tu sei perfetta!» 
Si poteva dire tutto su Lydia, tranne che fosse una ragazza molto sveglia. A suo favore si poteva tranquillamente ammettere che viveva di un'allegria e di una gioia tale da riuscire a contagiare chiunque la circondasse, ma di contro non riusciva a capire che gli occhi dell'amica, così chiari e luminosi, stessero annegando nella tristezza. Tristezza, una cosa che apparteneva ai demoni.
 Durante la sua ultima cena con la famiglia, Ellie non aprì bocca nemmeno una volta. Si limitò a guardare i volti sereni dei suoi genitori, che mangiavano come se nulla stesse per succedere. 
Nonostante Ellie si sforzasse con tutta se stessa, invece, non riusciva proprio a essere felice. Era pienamente consapevole del fatto che i suoi genitori non sarebbero mai stati tristi per la sua partenza, poiché gli angeli non potevano esser tristi. 
Adorava così tanto essere un'adolescente, perché l'idea che un giorno sarebbe stata come i suoi genitori… le faceva paura. Odiava l'idea di essere perennemente infelice e odiava ancora di più rendersi conto che lei odiava.
Un'altra brutta qualità da demoni.
La mattina dopo i suoi si comportarono come lei aveva previsto: l'abbracciarono, ma in quell'abbraccio non vi era nemmeno una nota di nostalgia per la sua partenza. Erano così freddi che Ellie sentì un brivido lungo tutta la spina dorsale.
L'unico che la salutò come lei desiderava davvero fu il fratellino Cassiel, che si buttò fra le sue braccia e la riempì di baci e lacrime.
 «Ti voglio bene, fratellino» gli bisbigliò Ellie all'orecchio, mettendolo poi in braccio alla madre. Salutò tutti con un cenno della mano e con un sorriso e salì sull'autobus, trattenendo le lacrime e sforzandosi di sembrare il più allegra possibile.
Una volta su si sedette accanto a Lydia e ad un'altra sua amica. Ella avevo uno sguardo serio, concentrato su un fumetto; e mentre leggeva si mordicchiava inconsciamente le grandi labbra carnose. Aveva due occhi a mandorla, penetranti, profondi, di un bel ciclamino rosato. Portava i capelli cortissimi, tutti scompigliati come un ragazzo, e bianchi come un batuffolo di nuvole, con persino qualche ciocca colorata di azzurro che - a detta sua - era l'unico modo che aveva per distinguersi dalle altre angiolette
Ad Ellie era sempre molto piaciuta Syr. Trovava affascinante il suo atteggiamento da maschiaccio, tosto, temerario, ed anche un po' alternativo.
«Ehi, Syr! Sei stranamente in orario!» la canzonò Ellie.
Syr, sentito pronunciare il suo nome, alzò lo sguardo dal fumetto e cercò di scoprire chi l'avesse appena nominata. Alla vista di Ellie, il suo volto serio si trasformò in un grande sorriso, e posò il fumetto per stritolarla in un abbraccio.
«Ellie! Come stai?» 
«Mi soffochi così, Syr!» disse Ellie, staccandosi dall'amica e riprendendo fiato. «Forte come sempre, eh?»
Il bus si fermò qualche oretta dopo, davanti ad un grande ascensore dorato. I ragazzi vi entrarono e le porte, una volta chiuse, si riaprirono soltanto arrivate a destinazione. L'ascensore ci impiegò circa tre secondi per scendere fino alla città terrestre di Billtown, dove si trovava la scuola. Ellie si trovò in un'immensa sala in stile barocco; la quale doveva essere, molto probabilmente, il municipio della città. 
Una volta posato il primo piede sulla terra Ellie sentì una strana sensazione alla bocca dello stomaco, come se il suo senso inspiegabile di felicità forzata e apparente non avesse più motivo per esistere. Non si sentiva più costretta a sorridere.
«Mi sento strana… come se non avessi più l'obbligo di essere felice tutto il tempo» disse Syr, chiudendo gli occhi e allargando le braccia per inspirare aria fresca nei polmoni. «Mi sento libera».
«Già… come se non avessi più un peso sulle spalle» intervenne Lydia.
«Presto, presto angioli! Da questa parte!» urlò un omaccione barbuto, probabilmente un terrestre. «Tra poco inizia la cerimonia di apertura!» 
Una quarantina di angeli si misero in fila ordinata per due e seguirono l'uomo verso la scuola. Dall'altro lato della strada, invece, una folla disordinata stava uscendo da un tombino. 
Capelli scuri, occhi di fuoco, denti a punta: "sono sicuramente demoni", pensò Ellie.

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Capitolo 2
*** Terreni e professori ***


CAPITOLO 2


A quei demoni avrebbe tanto voluto fare una doccia. Erano così sporchi e così maleodoranti che i poveri angioletti furono costretti a trattenere il respiro. 

Il tombino dal quel stavano fuoriuscendo aveva il compito di fare da tramite dall'Emisfero Infernale a quello terrestre. Harie li vedeva uscire uno dopo l'altro, parlavano con un tono di voce tono piuttosto alto e maleducato, i loro modi di fare erano rozzi e ben poco decorosi. Il tono dell'incarnato andava da un giallastro quasi cadaverico ad un colore piuttosto scuro, e difficilmente si poteva ammirare un devil dalla carnagione chiara: bellissimi, certo, ma estremamente rari. 

I capelli variavano da colori molto scuri a tonalità pastello. Erano famosi per i loro colori appariscenti o per la moltitudine di tatuaggi e pearcing che avevano su tutto il corpo. 

Mentre gli angeli erano più predisposti a mostrarsi al naturale, semplici, i demoni adoravano le mode terrestri e spingersi fino all'eccessivo.

Altra nota caratterizzante erano due sporgenti canini a punta che spuntavano dalle loro gengive rossastre. Si narrava che gli abitanti dell'Emisfero Infernale usassero scendere sulla terra per bere il sangue dei terrestri, ovviamente era solo una stupida leggenda nata dal racconto di qualche terrestre annoiato.

Come i capelli e l'incarnato erano scuri, similmente erano molto scuri anche gli occhi, eccezion fatta per qualche fortunato con gli occhi rossi: una rarità che i devil quasi ammiravano (per quanto un devil adulto potesse ammirare qualcun altro all'infuori di se stesso).

E poi c'era la cosa che ad Harie, come un po' a tutti gli altri angels, dava più fastidio: la puzza di zolfo che emanavano. Intorno a loro si creava un'alone giallastro che li seguiva costantemente facendo storcere il naso a tutti quelli che avevano la sfortuna di capitarci vicino. 

Il gruppetto infernale s'incamminò proprio nella direzione dove si stava dirigendo quello boreale e quando i due gruppi furono abbastanza vicini da potersi parlare i demoni incominciarono a provocare gli angeli.

«Oh, ma tu guarda gli angioletti tutti puliti, pettinati e profumati! Cosa succede se li spruzzo un po' di fango?» chiese una ragazza alta, snella, e dall'aria provocante. Indossava una gonna piuttosto corta, attillata, e un corsetto verde petrolio che le stringeva il seno e le modellava fianchi e vita. Il viso era abbastanza spigoloso, con due zigomi pronunciati e due occhi alllungati, gialli, e rivolti all'insù come quelli di un gatto. Le labbra erano sottili, la fronte abbastanza alta e squadrata, portava lunghi capelli fucsia, legati in una treccia adagiata sulla spalla. Probabilmente era molto popolare tra i ragazzi devils, dato il suo aspetto così provocante.

Il demone che le stava accanto, un ragazzo piuttosto corpulento e dall'aria sempliciotta, si avvicinò al gruppo angelico e alzando leggermente la gamba finì per emettere una serie di flatulenze decisamente poco decorose e profumate. 

I devils ridacchiarono di gusto e la ragazza dai capelli fucsia diede una pacca soddisfatta sulla spalla dell'amico.  

I boreali più esemplari, come Saffo ad esempio, non fecero proprio caso a quelle canzonature e continuarono a camminare impassibili; altri, come Harie e le sue amiche, strinsero invece i pugni e si prepararono a rispondere. 

«Angeli, per favore, non siete certo qui per discutere con i nostri colleghi demoni. Mantenete la fila e procediamo, la cerimonia d'apertura comincerà a momenti!»

Harie riportò le mani lungo i fianchi e cercò di sbollire la rabbia inspirando aria fresca - peccato che nell'aria aleggiava ancora lo spiacevole odore rilasciato dal devil. Arricciò il naso e cercò ugualmente di mantenersi calma, da bravo angelo che si rispetti. 

 

Quando entrarono nell'aula Magna furono pochi quei devils che si presentarono per la cerimonia di inizio anno. 

«Vi siete presentati alla cerimonia?! Questo non è certo un comportamento da demoni! Così vi dimostrate troppo obbedienti!» Il preside dell'emisfero Infernale sgridò sonoramente quei pochi studenti presenti, facendo rimbombare il suo vocione potente per le pareti della sala.

Quando gli angeli e i pochi demoni presero posto in sala un omino gracile e occhialuto (con un riporto castano piuttosto elaborato sul capo) entrò dalla porta principale e si posizionò davanti al leggio picchiettando prima due o tre colpi sul microfono. Una volta constatato che funzionava bene prese a parlare con quel suo tono basso e fischiato.

«Benvenuti nella scuola di preparazione per Angeli Custodi e per Demoni Tentatori. Io sono il direttore della scuola, Algie Bronter… e sì, sono proprio un umano».

Dall'ala destra della sala, dov'erano seduti i pochi devils presenti, iniziarono a provenire rumori molesti e proteste che esprimevano tutto il disappunto nell'avere un terreno come direttore. 

Lui, con quella sua vocina bassa, cercò di calmare gli animi accessi degli studenti, ma non riuscì ad ottenere l'ascolto di nessuno (eccezion fatta per gli angels, ovviamente). Così Algie Bronter si girò vero il preside barbuto e corpulento dell'Emisfero Infernale e con un'occhiata lo pregò di aiutarlo. «SILENZIO!» urlò quest'ultimo, e la sala sprofondò nuovamente nel silenzio.

«Lo so che alcuni di voi mi reputano inferiore e non degno di essere il direttore solo perché sono un umano ma... in questa scuola serve qualcuno che non sia di parte, qualcuno che non sia malvagio, qualcuno che non sia angelicamente misericordioso. Io sono qui per prendere decisioni e per giudicare, e vedrete che sarò un'ottimo direttore. Ho finito, se qualcuno vuole parlare con me mi trova tutti i giorni dalle 4 alle 7 nel mio ufficio. Buon anno a tutti!»

Detto questo, Algie Bronter uscì dall'aula Magna accompagnato dagli insulti sprezzanti dei devils. Non disse nulla, era abituato al loro comportamento e non era certo un segreto che prediligesse gli angeli.

A quel punto fu la volta della preside boreale a parlare, una donna anziana con dalle rughe leggere e dai capelli argentei. 

Si posizionò meglio i piccoli occhiali a cuore che portava sul naso e sorrise cordialmente alla sala prima d'incominciare a parlare - il preside infernale non riuscì a trattenere una smorfia disgustata, che lei notò ma che decise di non vedere.

«Prima di tutto vorrei esternarvi la mia immensa gioia nel vedere così tante facce nuove! Sia di angeli che di demoni! Io sono la preside Beatris Flulipit e sarò responsabile degli angeli. Le lezioni iniziano già domani, verso le 7 del mattino, e le aule angeliche sono collocate nei piani alti dell'edificio; quelle demoniache nei sotterranei. All'uscita potrete ritirare il programma delle lezioni con l'occorrente da portare». La preside per farsi udire meglio parlava con la bocca sempre più vicina al piccolo microfono rotondo, ma i devils continuavano ad impegnarsi sempre di più per disturbare il suo annuncio. Ad un certo punto un devil le urlò persino insulti pesanti, insulti a cui lei rispose scusandosi. Di cosa si stava scusando, poi, Harie proprio non riusciva a spiegarselo.

«Le lezioni pomeridiane si tengono in classi miste, con sia angeli che demoni, e in alcune occasioni saranno anche in concomitanza con quelle degli umani. Lì dovrete sfidarvi per custodire, o tentare, il vostro protetto umano. Comunque le lezioni pomeridiane le approfondirete meglio domani a lezione, con il professor Zurbergh».

Ad un tratto, mentre la preside Flulipit parlava delle lezioni che si sarebbero svolte il giorno seguente, il preside infernale non riuscì più a trattenere la noia e con uno spintone la mise da parte, prendendo il suo posto.

«Direi che la preside boreale vi ha decisamente rotto le corna con quel suo sproloquiare di lezioni e compiti», poi lanciò un'occhiataccia di scherno alla sua collega, accettando con di buon grado le sue scuse. 

«Ti scuso» rispose ironico lui, inchinandosi. Risate di scherno riempirono la sala; Harie serrò i pugni sempre più decisa a picchiare sul naso qualche brutto devil. 

«Io sono il preside Krugher Mavor, ma questo già lo sapere, il mio nome mi precede. Le lezioni, come vi ha già illustrato la mia rispettabilissima collega, iniziano da domani. Ovviamente tutti i devils che si presenteranno a lezione riceveranno una punizione. Quelli che invece non si presenteranno riceveranno ugualmente una punizione. In sostanza, sta a voi decidere quale delle due note prendere. Ma ora basta parlare di lezioni, mi sembra di fare l'angioletto!»

Il preside si ficcò il mignolo nell'orecchio e iniziò a fischiettare annoiato, cercando di togliersi finalmente il tappo di cerume che gli stava infastidendo il condotto uditivo. 

Syn, che era seduta proprio nel posto accanto a quello di Harie, si girò verso l'amica e modellò la bocca in una smorfia disgustata. 

Le due ragazze scoppiarono in una risata soffocata che non sfuggì alle orecchie attente del preside Mavor. Le guardò sfoderando un gran sorriso soddisfatto.

«Ma bene, abbiamo due angeli irrispettosi!» Si girò verso la preside Flulipit e con sorriso beffardo indicò le due ragazze. «A quanto pare, quest'anno non avrai studenti modello come gli anni scorsi. Il male è così dannatamente piacevole, non è vero ragazze? Sono così fiero di voi» disse rivolgendosi ad Harie e Syn.

L'ammirazione del preside quasi parve alle due angels come un'insulto (e probabilmente quello voleva essere), facendole sprofondare nella vergogna più totale. Usarono lo sguardo per scusarsi con la preside Flulipit, ma la delusione che videro nei suoi occhi le fece vergognare ancora di più. Una delusione che sarebbe esistita se solo non si fosse trattato di un angelo. No, la preside le guardò impassibile; il suo solito sorriso amichevole e dolce era scomparso dalle sue labbra.

 

«Molto bene, andatevene ora» congedò il preside Mavor con un cenno secco della mano.

Gli angels uscirono dall'aula Magna dietro la preside Flulipit, mantenendo una fila ordinata, i devil fecero lo stesso però seguendo uno schema dispersivo. 

Non mancarono battutine e calunnie indirizzate alla due angels, Syr reagì abbassando la testa mentre Harie prese a stritolarsi la gonna per contenere la rabbia che poco a poco sentiva crescere in lei. Ma per fortuna non dovette trattenersi ancora a lungo perché già pochi secondi dopo angeli e demoni si separarono: i primi si diressero verso i piani alti, mentre i secondi verso i sotterranei. Era giunto il momento di andare a conoscere finalmente i compagni di stanza. 

Lydia finì per dividere la camera con la silenziosa e studiosa Amelie, un'angel con cui mai aveva avuto il piacere di parlare. Mentre Syn, dopo un errore che l'aveva messa in stanza con un ragazzo, fu messa insieme a Lidya e Amelie.

Harie fu molto delusa di non esser capitata con nessuna delle due amiche, e quando scoprì l'identità della sua compagna di stanza fu ancora più delusa di prima: era Saffo la ragazza con cui avrebbe dovuto passare i successivi tre anni.

«Harie, giusto?» domandò la ragazza, spostandosi un ciuffo di capelli che le era caduto davanti agli occhi.

Saffo era una ragazza incredibilmente bella, arricchita di tutte le buone qualità di cui dovrebbe disporre un angelo. Capelli liscissimi che le arrivavano fino al fondoschiena, di un incredibile azzurro pallido che catturava lo sguardo di chiunque li guardasse. Le labbra erano della giusta dimensione, a forma di cuoricino e colorate naturalmente di rosa. Occhi turchese scuro, con lunghe e folte ciglia ricurve verso l'alto. 

Si parlava molto di lei a Pratoverde, della sua bellezza e della sua bontà: un'angelo già praticamente formato che apparentemente non era stato macchiato dallo sbalzo ormonale che di solito prendeva gli adolescenti.

«E tu la famosa Saffo, tutti ti conoscono nell'Emisfero Boreale» aggiunse Harie, appoggiando sfinita il suo borsone sul letto. 

La ragazza sorrise quasi compiaciuta e le andò incontro porgendole un fiore. «Viene dalla Serra Incantata di Pratoverde, prendilo, è per te».

Harie accettò il giglio bianco e l'appoggiò sul comodino.

«Ma no, così potrebbe morire; guarda… mettilo qui dentro» disse la ragazza, prendendo il fiore e mettendolo in un bicchierino con dell'acqua dentro. «Ecco fatto! Non è bellissimo?»

Harie annuì un po' imbarazzata e distolse lo sguardo per paura che potesse farla sentire nuovamente un disastro. 

Aprì il borsone e iniziò a mettere i vestiti nei cassetti - ovviamente la compagna di stanza accorse prontamente per darle una mano.

«Sono così belle le tue cose! Così semplici! Guarda poi questo vestitino bianco, è semplicemente angelico!» Harie si sentì attaccata dai continui complimenti e lusinghe, anche indirizzati a vestiti che di bello e straordinario non avevano proprio nulla. Roteò gli occhi stufata e decise di farsi un giro per prendere un po' le distanze da quella angel che trasudava gentilezza e bontà da tutti i pori.

 

Scese le scale fino a raggiungere le due amiche che già la stavano aspettando per uscire.

I capelli corti e bianchi di Syn erano tirati indietro da una fascia variopinta che le ripuliva il volto da tutti quei ciuffi ribelli che spesso si posavano davanti ai suoi occhi. 

«Finalmente! Dove andiamo alla fine?»

Harie fece spallucce e le due ragazze si affidarono all'amica che riusciva sempre a trovare posti validi dove poter andare. «Centro commerciale!» disse Lydia. «Sicuramente ci saranno un sacco di terreni! E poi non vedo l'ora di rifarmi il guardaroba!» Iniziò poi a saltellare impaziente e le due amiche non poterono far altro che assecondarla - nonostante non avessero molta voglia di andare a  fare compere, Syr in particolare.

E così tolsero il Velo (una protezione che le rendeva invisibili agli occhi dei terreni) e andarono al centro commerciale.

Le ragazze avevano sempre vissuto a Pratoverde e mai avevano visto un terreno dal vivo, quella fu la prima volta per tutte e tre. 

La prima tappa ovviamente fu la boutique di scarpe, per accontentare l'impaziente Lydia, la quale se ne provò una ventina senza però comprarsi nulla. 

Seconda tappa fu il negozio di videogiochi, che catturò l'interesse di Syr non appena ci passò davanti. Rimasero dentro una trentina di minuti e poi finalmente accontentarono anche Harie, andando alla caffetteria.

«Syr! Quel terreno ti ha appena ammiccato!» disse Lydia scuotendo la spalla dell'amica. «Perché non ci vai a parlare?» 

La ragazza guardò il terreno quasi per obbligo e poi tornò a concentrarsi sulla sua coppa di gelato. «Non ci penso proprio».

«Ma è carino!» protestò Lydia, battendo i pugni sul tavolo con quel suo fare talmente impacciato che risultava quasi tenero.   

«Anche volendo non potrei toccarlo» disse Syr mentre scavava col cucchiaino nel suo gelato alla crema.  

«Ah no?» s'intromise Harie che aveva intanto perso il filo del discorso.

Lydia si diede un colpetto sulla fronte. «Ah, giusto… il Veto».

«Il veto non era solo per i devils?» domandò Harie.

Syr ci pensò un attimo. «In realtà per i devils non ho proprio idea di cosa succede se li tocchiamo».

«Per fortuna a nessuno viene mai in mente di toccarli!» commentò Lydia. 

Syr impastò col palato un cucchiaino di crema. «Per i terreni non so, penso sia perché i Serafini hanno paura che toccandoli possiamo innamorarci di loro e decidere di diventare terreni a nostra volta. Lo so perché mia zia ha rinunciato alla sua aureola per stare con un terreno. La cosa veramente buffa è che è stata lasciata poche settimane dopo».

Harie stava per chiederle se fosse veramente possibile rinunciare all'aureola, quando Lydia si mise a commentare sopra le sue parole. «Ma è terribile! E non è potuta più tornare ad essere un angelo?»

Syr scosse la testa. «No, non la vedo da quand'ero piccola. Una volta che tradisci non puoi più tornare indietro. Mi sa che è per colpa sua se i Serafini hanno vietato agli angeli di toccare gli umani».

Harie ebbe un attimo di paura. E se i serafini, una volta scoperto il suo carattere quasi demoniaco, l'avessero ripudiata? Dove sarebbe andata? Cosa avrebbe fatto? 

Era tormentata dai suoi sentimenti, così inadatti per un bravo angelo. Provava rabbia, faceva dell'ironia, non sopportava una compagna tanto buona e gentile come Saffo… insomma, non si stava comportando propriamente nel migliore dei modi. E neanche ci provava.

«Harie, sei un po' troppo taciturna… ti manca la tua famiglia?» le domandò Syr preoccupata. 

Scosse la testa e sorrise. «Tutto bene, sono solo un po' stanca. Scusate, vado a fare un giro». Con un cenno salutò le amiche e subito scomparve dalla loro vista.

Camminò spedita, senza una meta, fino a ché la sua marcia non fu fermata da qualcuno che le venne addosso. 

Si ritrovò presto col sedere a terra e con un milkshake alla fragola rovesciato sulla camicetta bianca. Si tastò la macchia rosata e si sfregò le dita appiccicose. 

«Scusami, non ti ho proprio vista».

Un ragazzo le stava porgendo la mano per aiutarla a rialzarsi. Era un ragazzo più o meno della sua stessa età, con lineamenti dolci e gentili, capelli castani, mossi, e lasciati un po' andare al vento. Gli occhi azzurri erano fissi su di lei e una dolce espressione dispiaciuta stava cercando di scusarsi con lei.

Quasi senza accorgersene Harie prese la mano di lui e si fece tirare su in piedi. Un dolce e piacevole tepore le riscaldò il cuore; ritrasse la mano di scatto e si ritrovò ad arrossire senza un apparente motivo. La mano del ragazzo era morbida e tiepida… e non fredda come quella degli angeli. 

«Io ecco… sono veramente dispiaciuto!» si scusò lui, indicando la macchia sulla sua maglietta.

«In realtà questa t-shirt non mi piaceva» scherzò lei, legandosi i capelli per non farli attaccare alla macchia appiccicosa. 

Il ragazzo si strofinò la testa e prese a guardarsi intorno. «Vediamo, ehm, ti posso offrire qualcosa?»

A quella proposta Harie, in un primo momento, non seppe cosa rispondere. Non era proprio il caso parlare con un terreno, figurarsi poi andarci a mangiare qualcosa insieme. Eppure ci fu qualcosa che la spinse ad accettare… forse la voglia di provare qualcosa di reale, qualcosa che non fosse né bianca né nera.

Così seguì il ragazzo dentro al fastfood e ordinò la cosa meno costosa che offriva il menù. Patatine fritte. Cos'erano poi, lei proprio non lo sapeva.

«Sei sicura di non volere un bel hamburger?» chiese lui, indicandole sul menù la foto di un succulento panino con la carne. 

«Carne, non mangio carne». Ed era vero, gli angeli per natura non mangiavano carne o pesce; solo frutta, legumi, verdure, carboidrati… insomma, mangiavano tutto quello che i demoni non osavano mangiare. 

«Vegetariana, eh? Anch'io ho tentato per un periodo ma la carne mi pregava ardentemente di essere mangiata, "mangiami, mangiami!" non potevo lasciarla soffrire sola nel frigorifero».

Harie rise finalmente di gusto, dopo tanto tempo che non lo faceva più. E fu in quel momento che entrò in gioco la vera Harie, la ragazza dal sorriso magico, magnetico, un sorriso che rapiva per quei pochi e rari secondi in cui appariva. E poi puff, spariva e chissà quando si sarebbe fatto vedere di nuovo.

Il terreno ne rimase incantato per qualche secondo, fermando l'hamburger (che stava giusto per addentare) davanti alla bocca spalancata. 

Quando anche l'ultima traccia di quel sorriso tanto magico si spense dal suo volto, lui tornò a concentrarsi sul suo panino, distogliendo timidamente lo sguardo. 

Harie prese in mano una patatina fritta e la studiò bene prima di assaggiarla. Dopo pochi minuti aveva già finito il cartoccio. 

«Veloce a mangiare». 

«Sono ottime!» commentò lei con la bocca ancora piena. «Dove cavolo ho vissuto fino a questo momento?!»

«Me lo sto chiedendo pure io» ridacchiò il terreno porgendole un bicchiere di cola. «Prova un po' questa».

Harie si sporse in avanti e prese un sorso dalla cannuccia che pochi secondi prima era stata sfiorata dalle labbra di lui. «Buonissima!» 

«Sei proprio strana! Ah, che sciocco, non ci siamo neanche presentati! Piacere, io sono Alex!»

Ma proprio nel momento in qui Harie stava per presentarsi a sua volta, si ricordò del clamoroso ritardo in cui si trovava. Si alzò dal tavolo in un balzo e corse via. 

«Sarà per la prossima volta!» gli urlò da lontano.

In realtà, più del ritardo in sé, voleva solo scappare da quella situazione pericolosa e contro le regole. Gli angeli non dovevano essere elementi presenti nella vita di un terreno, ma solo insignificanti comparse che certe volte l'aiutavano a prendere decisioni difficili. Eppure lei si era quasi presentata, se quel ragazzo l'avesse mai vista in giro l'avrebbe sicuramente riconosciuta! Questo era un grande, grandissimo errore che le avrebbe anche potuto costare l'aureola.   

Ma nonostante tutto non riusciva ad essere pentita o triste, bensì mostrava un'allegria che apparentemente non aveva motivo di esistere. Era felice e basta.

 

 

 

* * * * *

 

Harie quella sera non poté fare a meno di ripensare al terreno… forse non era poi un'idea così malvagia rinunciare all'aureola per lui. Si ritrovò involontariamente a pensarlo per tutta la notte; così finì con l'addormentarsi poche ore prima che la sveglia incominciasse a suonare.

 

Saffo era già in piedi e si spazzolava i suoi lunghi capelli turchesi, guardandosi allo specchio con particolare interesse. Quando sentì la compagna alzarsi dal letto si allontanò velocemente dal suo riflesso e gettò lontano il lucidalabbra con cui si stava truccando. «Buongiorno!» le disse, porgendole una caramella al cioccolato. «Fa sempre incominciare bene la giornata!» 

Harie fu costretta ad accettare per soddisfare la compagna di stanza, e togliersela definitivamente dalle scatole.

 

Le lezioni di quella mattina non si rivelarono particolarmente pesanti, eccezion fatta per i compiti extra che Harie e Syr si beccarono per colpa del loro comportamento irrispettoso durante l'assemblea del giorno prima. Ma la parte più difficile della giornata arrivò durante le ore pomeridiane: quelle passate con i devils. "Un vero e proprio inferno" pensò Harie.

Era un ometto basso e cicciotto a tenere le lezioni pomeridiane; il professor Zurbergh che, proprio come il direttore Algie Bronter, era un'umano. 

«Vedo che nessun demone è ancora arrivato… Ah no, eccoli che arrivano!»

Il preside Mavor portò di peso ogni singolo demone che si era rifiutato di andare a lezione. «Guai a voi se uscite dall'aula! Se vi becco a sgattaiolare fuori vi strappo le ali e poi me le mangio, capito?!» I devils annuirono intimoriti e presero posto nei banchi.

«Non potete costringermi a stare qui!» si lamentò improvvisamente un ragazzo alzandosi in piedi. «O in qualsiasi altra lezione! Sono un devil, non un angioletto obbediente!» 

Harie ci pensò bene… non aveva mai visto quel devil, né alla cerimonia di inizio anno né in qualsiasi altro posto della scuola. 

Il preside Mavor si scoccò le nocche per minacciarlo. «Se non posi di nuovo quelle tue chiappe infernali sulla sedia ti stacco le corna a morsi! E non pensare che non abbia il coraggio di farlo, perché, credimi… ce l'ho eccome!»

Il devil ridacchiò di gusto. «Sto tremando dalla paura!»

A quel punto, se non fosse intervenuto il professor Zurbergh, il devil si sarebbe sicuramente ritrovato con qualche corno in meno. «Per favore, per favore, calma! Preside Mavor... ora può uscire dall'aula? Riesco a gestire il problema anche da solo». Indicò a Mavor l''uscita ed arricciò i baffi quando l'immenso devil uscì dall'aula sbattendo la porta. «Ora puoi anche sederti, ragazzo».

«Non credo proprio» rispose lui scuotendo la testa.

«So molto bene come ragionate voi devils, non volete che nessuno vi ordini o vi imponga qualcosa. Ma lasciati dire che io non impongo nulla, siete liberissimi di andarvene in qualsiasi momento».

Parecchi devils nella classe si alzarono e si avviarono all'uscita con un sorriso soddisfatto sulle labbra, ma si fermarono proprio davanti alla porta quando il professore riprese a parlare.

«Certo, se volete darla vinta agli angels per me non ci sono problemi».

Una diavoletta senza capelli e con la carnagione piuttosto scura chiese «E questo cosa vorrebbe dire?!»

Zurbergh sorrise per l'attenzione appena guadagnata. «Sarete divisi in coppie formate da un angelo e un demone; ad ogni coppia sarà affidato un terreno. Alla fine dell'anno potrete essere promossi o bocciati a seconda del risultato che otterrete col terreno».  

«Quindi se riesco ad allontanare il mio terreno dal bene batto l'angioletto?» domandò la ragazza devil, grattando verso di lui la testa pelata. 

«Esattamente, e riceverete un voto più che positivo» terminò il professore. «Ora, perché non ritornate a sedervi?»

I devils che erano rimasti in piedi davanti alla porta tornarono a sedersi al proprio posto, per la prima volta interessati ad una lezione.

«Bene, ad ognuno di voi è già stato assegnato un terreno». Il preside si alzò dalla cattedra e distribuì un fascicolo per banco. «Queste sono tutte le informazione dei vostri terreni. Dove abitano, dove vanno a scuola, la loro famiglia, i loro interessi… insomma, tutto quello che vi occorre sapere per tentarli o proteggerli». 

Harie iniziò a sfogliare la pila di fogli che il professore le aveva appena messo davanti al naso. Louis era il nome del bambino che avrebbe dovuto proteggere dal diavolo tentatore, un bimbo di appena dodici anni che viveva con solo la madre e un gatto. Amava giocare a baseball e con i videogiochi, mangiare il gelato, andare al cinema… insomma, un bambino normale sotto ogni punto di vista.  

Nell'ultima riga, dell'ultimo folio, era riportato il nome del devil contro cui avrebbe dovuto lottare per l'anima del bambino: Helton Grylak. 

«E adesso chi è questo Helton Grylak?» si chiese Harie iniziando a picchiettare nervosamente la matita sul banco.  

«Solo Hel» disse una voce alle sue spalle. 

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