Ade e Apollo - Amore negli Inferi

di deborahdonato4
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. La musica di Apollo ***
Capitolo 2: *** 2. Le accuse di Ade ***
Capitolo 3: *** 3. La melodia di Apollo ***
Capitolo 4: *** 4. L'amore di Ade ***
Capitolo 5: *** 5. Appuntamento negli Inferi ***
Capitolo 6: *** 6. L'addio di Ade ***
Capitolo 7: *** 7. La stella di Apollo ***
Capitolo 8: *** 8. L'amante di Ade ***
Capitolo 9: *** 9. Inviti di matrimonio ***
Capitolo 10: *** 10. Nico e Will ***
Capitolo 11: *** 11. Scandalo negli Inferi ***
Capitolo 12: *** 12. Sette giorni di libertà ***
Capitolo 13: *** 13. Il gioco di Apollo ***
Capitolo 14: *** 14. La nuova punizione ***
Capitolo 15: *** 15. Apollo e Ade ***
Capitolo 16: *** 16. Persefone ed Ermes ***
Capitolo 17: *** 17. Collera e rabbia ***
Capitolo 18: *** 18. Amore negli Inferi ***
Capitolo 19: *** 19. Fiori di ciliegio ***
Capitolo 20: *** 20. Sorpresa negli Inferi ***
Capitolo 21: *** 21. Riunione di famiglia ***



Capitolo 1
*** 1. La musica di Apollo ***


Ade guardò sconsolato il trono vuoto della moglie. Come accadeva ogni anno, Persefone aveva lasciato gli Inferi per congiungersi alla madre. Era passata già una settimana da quando lei era partita, e gli mancava tantissimo.
Probabilmente Persefone non la pensava come lui, ma poco importava. Ade l’amava, era questo l’importante.
Il signore dei morti guardò la fila di anime che attendevano di essere smistate nei Campi. Altre attendevano le loro punizioni piagnucolando e chiedendo perdono. Era troppo tardi per il perdono.
Ade alzò gli occhi sul soffitto del suo palazzo, composto da sanguinanti scene di guerra. Si stava annoiando. Gli capitava di rado. Gli piaceva stare in mezzo ai morti, però…
Le cose erano cambiate dopo la conversazione avuta con suo figlio Nico. Il figlio gli aveva aperto il suo cuore, parlandogli così tanto del figlio di Apollo che Ade si era domandato spesso quando aveva smesso di provare quelle sensazioni per Persefone.
Forse dopo i primi secoli passati insieme.
Sbuffando, Ade lanciò una seconda occhiataccia al soffitto. Tutta colpa di Nico, quindi. Il figlio si trovava in superficie, probabilmente in quel momento si stava divertendo con il suo fidanzato, e viveva una vita spensierata. Mentre lui era costretto lì, al suo noioso lavoro, alla sua vita monotona, senza Persefone.
«Ehi, William!» chiamò Ade, puntando lo sguardo sul celebre poeta, che subito si mosse nella sua direzione. «Ti va di sostituirmi per qualche ora?»
«Ma certo, sir Ade.» sorrise William Shakespeare, facendogli mezzo inchino. «Posso sedermi sul tuo trono?»
«No. E stagli alla larga.»
Shakespeare sbuffò infastidito con modi teatrali, e Ade lasciò il trono. Lui e il poeta si chiamavano per nome ormai da secoli, dopo che Shakespeare ebbe composto per lui una ballata e l’ebbe cantata per più di un secolo.
Ade lasciò la stanza del trono sbadigliando, chiedendosi cosa poteva fare nelle sue alcune ore di libertà. Forse poteva dormire, o andare in superficie a spiare il figlio. Non lo vedeva da mesi, ormai. Era in pensiero.
Ma suo figlio, e tanto meno il suo fidanzato Will, non sarebbe stato affatto contento di vederlo apparire nel nulla. Era già capitato che Ade fosse comparso nella cabina 13 del Campo Mezzosangue senza farsi annunciare, mentre il figlio si trovava in atteggiamenti intimi con il figlio di Apollo Will Solace. Nico non se l’era presa, ma il figlio di Apollo sì. Sembrava essere stato colpito allo stomaco centinaia di volte, sempre nello stesso punto.
Ade sorrise tra sé. Ricordò che, dopo quell’episodio, era andato dritto nella stanza di Apollo lì nel suo palazzo e avevano riso dell’espressione di Will Solace, descritta in ogni più piccolo dettaglio da Ade. Era stato un momento veramente idilliaco.
Ade si passò una mano sulla barba, pensieroso. Forse poteva farlo. Andare a trovare Apollo. Il dio della musica sembrava apprezzare sempre una sua comparsa. Almeno per qualche minuto avrebbe dimenticato la sua tristezza chiacchierando con lui.
Ade sospirò, combattuto. Apollo sarebbe stato felice di vederlo, ma lui per niente. Quando Apollo era in vena, cantava e ballava, cose che Ade disprezzava con tutto sé stesso. Quando Apollo, invece, era triste, piangeva e si disperava, Ade lo apprezzava molto di più. Le cose tra loro erano migliorate molto quando, sei mesi prima, Ade gli aveva portato degli strumenti musicali.
Ade camminò per qualche minuto, scendendo alcuni piani e ritrovandosi a pochi passi dalla porta di Apollo. Zeus gli aveva ordinato di tenerlo segregato nel suo palazzo per cinquant’anni, e dopo le prime settimane, Ade gli aveva concesso una stanza grande quanto un appartamento. Era stufo di sentirlo singhiozzare e cantare al tempo stesso.
Bussò alla porta del dio della musica ed entrò senza essere invitato. Apollo sedeva sul suo letto, i capelli scompigliati e non pettinati da chissà quanto tempo, la pelle color miele che sembrava molto malaticcia sul dio del sole, e gli occhi azzurri, privi di allegria, si illuminarono nel vederlo.
«Divino Ade!» esclamò Apollo, lasciando perdere la sua arpa e balzando in piedi. «A cosa devo tale onore?»
«Mi stavo annoiando.» rispose Ade, facendo spallucce.
Apollo batté le mani, allegro. «Io mi annoio tutti i giorni! Allora? Andiamo a fare un giro in superficie?»
Ade scosse la testa, osservando la vestaglia di Apollo. Per farlo stare zitto, gli aveva concesso delle vestaglie e dei vestiti degni di un dio del sole e delle arti. Quel giorno, Apollo indossava una vestaglia dorata, con tanti disegni di strumenti musicali, con bordatura bianca. Sembrava attorniato sempre dalla sua aura dorata, che lo aveva abbandonato dopo i suoi primi giorni negli Inferi. Anche in quel posto, dimostrava sempre non più di diciotto anni.
«Potremo andare a trovare i nostri figli!» esclamò Apollo, continuando a sorridere imperturbabile, ben sapendo che se avesse rotto abbastanza le scatole ad Ade, prima o poi il dio gli avrebbe concesso qualcosa. «Non li vediamo da mesi!»
«Mi dispiace, ma non puoi lasciare gli Inferi. Ordini di tuo padre.»
Apollo sbuffò, incrociando le braccia e tornando a sedersi sul letto.  «Ordini di mio padre.» borbottò, e Ade ebbe la brutta sensazione che lo stesse scimmiottando. «È tuo fratello. Non puoi fare nulla a riguardo?»
«No, mi dispiace. Posso giocare a carte con te, se me lo permetti.»
Apollo scosse i riccioli dorati. Ade si meravigliò non poco. Di solito i capelli di Apollo erano lisci, ma quel giorno erano riccioluti. Poté giurare sullo Stige che non erano così quando era entrato poco prima. Apollo era vanitoso quanto Afrodite, se non di più.
«Sono stufo di giocare a carte.» disse Apollo, prendendo la sua arpa.
«Qui non hai molta libertà di scelta.»
«Me ne sono accorto.»
«Ti ho fatto portare degli strumenti!» gli disse Ade, indicando un’intera parete su cui erano ammucchiate chitarre, flauti, violini, oboi, violoncelli, arpe, pianoforti, e chissà cos’altro. «Non sei sufficientemente a tuo agio?»
«Ti ringrazio, ma qui non sarò mai a mio agio. Se ti portassi nella mia stanza, su nell’Olimpo, nemmeno tu ti sentiresti a tuo agio.» ribatté Apollo.
Ade pensò alla stanza di Apollo nell’Olimpo. Non l’aveva mai vista, ma poteva benissimo immaginarla: dipinti a grandezza uomo di Apollo, statue del dio, immagini del sole e strumenti musicali ovunque. Per non parlare del colorito solare della stanza. Ade rabbrividì.
«Non sono io ad aver combinato una… mmh… sciocchezza, due anni fa.» gli fece notare Ade, osservando uno strumento che non riconobbe. «Cos’è quello?»
«Oh!» Apollo si alzò in piedi e gli corse vicino, tutto ringalluzzito, felice come un bambino. «È il Valdezinator.»
«Valdezinator.» ripeté Ade. «Non l’ho mai sentito.» Ma il nome gli diceva qualcosa.
«È strumento dolcissimo!» esclamò Apollo, con amore, prendendo il Valdezinator in mano e iniziando a suonarlo. Era composto da strati di fili di rame e quelle che sembrava corde di chitarra, incrociati attraverso l’imbuto di ferro. File di perni controllavano le leve all’esterno del cono, fissato ad una base di metallo quadrata con delle manovelle. Sembrava costruito da un figlio di Efesto.
Ade dovette ammettere che Apollo aveva ragione. Il Valdezinator, sebbene il nome orribile, aveva un bel suono. E Apollo lo suonava da… be’, da dio.
«Credo che sia il momento di andarmene.» disse Ade. Apolli si divertiva anche senza di lui, e non voleva passare troppo tempo nelle stanze di Apollo. Temeva di essere costretto a fare un duetto con il dio della musica.
«No!» esclamò Apollo, terrorizzato all’idea di rimanere nuovamente solo. «Resta qui con me! Possiamo giocare a carte! O possiamo parlare dell’ultima lettera di Nico e Will!»
«Ne abbiamo già discusso dieci volte.» disse Ade, aggrottando la fronte.
«Possiamo parlarne ancora!»
«No. Ti saluto, Apollo.»
Ade si avviò alla porta, ma Apollo non intendeva lasciarlo andare via così facilmente. Si sentiva solo, e aveva bisogno di chiacchierare. In più aveva fame, ma era troppo spaventato all’idea di mangiare qualcosa proveniente dai giardini di Persefone. Non intendeva restare per sempre negli Inferi. Per sempre era un tempo troppo lungo, per un immortale.
Apollo riprese a suonare il Valdezinator, molto più appassionato, trasformando la sua gioia di compagnia in splendide note sonore che toccarono il cuore del signore dei morti. Ade si bloccò alla porta, pensieroso. Apollo punzecchiò anche le corde dell’arpa, che si mise ad accompagnarlo, e Ade scoprì di essere molto stanco, e di non avere più tanta voglia di andarsene.
«Puoi stenderti sul mio letto.» mormorò Apollo, con tono dolce, continuando a suonare. «Il mio letto è caldo e accogliente.»
Ade lo fissò per qualche secondo, sentendo la stanchezza assalirlo. Magari un pisolino poteva schiacciarlo… Si avvicinò al letto di Apollo, e fu sul punto di sedersi quando calpestò i cocci di un vecchio bicchiere. Il rumore sordo lo fece sussultare. Puntò lo sguardo furioso su Apollo, che stava arrossendo per l’imbarazzo.
«Hai provato ad abbindolarmi, Apollo?» ringhiò Ade, furioso.
«N-No!» balbettò il dio biondo, posando il Valdezinator. «Ho solo notato che eri stanco, e ti ho suggerito di riposarti!»
Ade lo fissò in cagnesco. «Credo che sia proprio il caso di andarmene. Tornerò il prossimo mese, se ti sarai comportato bene.»
Apollo tremò all’idea di passare un intero mese da solo. Ade gli aveva lasciato l’opportunità di lasciare la stanza, ma Apollo era spaventato. Tutti quei morti, tutta quella morte… Quel luogo non faceva per niente bene alla sua pelle o al suo corpo. Ogni volta che entrava uno zombie-cameriere, Apollo cercava di fargli spiccicare parola, senza successo. Erano morti. Non parlavano. E non sembravano nemmeno colpiti dalla sua audace bellezza, il che lo rendeva nervoso.
«Aspetta!» esclamò Apollo, correndo verso Ade. «Aspetta, scusami. Non mi lasciare da solo per tutto il mese. Ho voglia di chiacchierare, e i tuoi servitori sono sempre così silenziosi!»
«Sono morti.» annuì Ade, come se non fosse ovvio. «Beati loro. Una vita di pace.»
Apollo lo guardò terrorizzato. Forse avrebbe preferito finire infondo al mare da Poseidone… Purtroppo il padre divino non gli aveva dato una scelta. «Sono qui già da due anni, ormai. Per un immortale non sono niente, ma io mi sto annoiando. E ho voglia di chiacchierare. Perché non rimani, non ti fai portare, ehm, il pranzo, e mi ascolti suonare? Oppure possiamo parlare degli altri nostri figli!»
Ade sospirò. «Sono stufo di parlare dei nostri figli. Io ne ho solo due, e ti ho raccontato tutto quello che posso su di loro.»
«Be’, io ne ho cinquanta! Uno più, uno meno…» sorrise Apollo, malizioso. «Ti ho già parlato di tutti loro?»
«No, e non mi interessa. Grazie, Apollo. Torno sul mio trono, i morti sono più interessanti…»
«Ma tornerai domani, vero?»
«Mmh.»
La non-risposta di Ade non piacque ad Apollo, che afferrò il dio dei morti per il braccio, con l’intento di fermarlo. Ma non mangiava da settimane, e si sentiva debole. L’unica cosa che riuscì a fare fu spingere Ade nel letto con lui.
«Che ti salta in mente, Apollo?» ringhiò Ade, districandosi dalla vestaglia del dio e rialzandosi in piedi. «Sono stanco dei tuoi giochetti. Rimarrai chiuso qui dentro per tre mesi, completamente solo.»
«No!» esclamò Apollo, quasi singhiozzando .«No, scusami!»
Lo afferrò per le vesti.
«Lasciami, o giuro sullo Stige che ti toglierò anche il tuo amato Valdezinator!»
Apollo singhiozzò ancora più forte, e non lo lasciò andare. Non ne aveva alcuna intenzione, non fino a quando non gli avesse detto che ritirava tutte le minacce. Ade tentò con tutte le sue forze di liberarsi della presa di Apollo, ma il dio del sole era forte, quando si trattava dei suoi amati strumenti.
«D’accordo.» brontolò Ade. «Ti lascerò il Valdezinator. Ma devi lasciarmi andare subito.»
Apollo aprì la mano e Ade si lisciò la veste.
«Bene.» disse il dio dei morti. «Ci vediamo.»
«Resti ancora un po’ con me?» lo supplicò Apollo.
«No. Ho delle faccende da sbrigare. Non sono qui in vacanza…»
Apollo sbuffò, infastidito. «Anch’io vorrei essere qui in vacanza! Anzi, se avessi potuto scegliere la meta turistica, di sicuro non sei venuto qui.»
«E io ti avrei sconsigliato vivamente di venire qua.»
Si guardarono e scoppiarono a ridere.
Ade trovava l’altro dio simpatico, soprattutto quando non si comportava da primadonna.
Apollo, rincuorato dalle risate di Ade, si alzò in piedi e si avvicinò al dio. Prima di potersi fermare, lo abbracciò.
«Ehm, no.» borbottò Ade, a disagio.
Apollo continuò a stringere Ade, che cercò di liberarsi dalla presa del dio biondo. Si chiese se anche Nico provasse lo stesso quando Will lo abbracciava. Fu sul punto di minacciare di nuovo il dio della musica, quando questi alzò la testa, allentando la presa, e lo baciò dritto sulle labbra.

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Capitolo 2
*** 2. Le accuse di Ade ***


Ade strabuzzò gli occhi. Cosa?! Come osava quell’idiota baciarlo?!
Apollo lo lasciò andare e Ade fu tentato di schiaffeggiarlo, poi di prenderlo a calci negli stinchi, e infine rompergli la chitarra in testa.
«Sono solo.» mormorò Apollo, guardandolo con occhi grandi, luminosi, e bramosi. «Tienimi compagnia.»
«Tieniti compagnia da solo, idiota!» esclamò Ade, scaldandosi. «Provaci un’altra volta, e ti spedirò dieci anni nei Campi della Pena!»
Apollo rabbrividì al pensiero.
Ade uscì furioso dalla stanza. Era la prima volta, dopo ottant’anni, che baciava qualcuno estraneo a Persefone. Chissà Persefone quanti altri ne baciava, quando andava dalla madre.
Con questo tetro pensiero, Ade andò a sedersi sul suo trono, e diede punizioni molto dure a tutti coloro che nella loro vita avevano avuto un passato da adulteri.

Rimasto solo nella sua stanza, Apollo si coricò nel letto, passandosi le dita tra i capelli, turbato. Il bacio che aveva dato ad Ade era stato una rivelazione. Nonostante tutti quei mesi passati negli Inferi, era ancora capace di amare.
Apollo si rigirò tra le coperte, soddisfatto di sé. Se fosse riuscito a prendere spazio nel cuore del signore dei morti, Ade gli avrebbe lasciato più libertà. E necessitava di lasciare gli Inferi, di prendere una boccata d’aria in superficie. E magari incontrare Will Solace, uno dei suoi figli. Ormai doveva avere circa vent’anni. Gli sarebbe piaciuto incontrarlo di nuovo.
Apollo continuò a rigirarsi fino a trovarsi a pancia in giù. Il nodo della vestaglia si era allentato, e si liberò di essa velocemente. Un tempo andava fiero della sua abbronzatura, ma ormai tutta la sua forza era stata risucchiata dagli Inferi. A quell’ora, se fosse stato mortale, probabilmente sarebbe morto.
Apollo scese dal letto e si avvicinò ai suoi strumenti. Li accarezzò uno ad uno, riflettendo, e infine si sedette sul piano. Osservò i grandi tasti bianchi, indeciso su che canzone suonare, e alla fine ne scelse una di suo figlio Bach.
Le dita cominciarono a volare sui tasti, emettendo note bellissime, che provocarono un sussulto nel regno degli Inferi. Prima dell’arrivo del dio Apollo, mai nessuna musica era stata suonata. Ora tutte le nuove anime tendevano le orecchie per ascoltare. Le note del pianoforte si propagavano dappertutto.

Ade, scocciato, balzò in piedi, facendo cenno a Shakespeare di prendere il suo posto. Doveva andare a fare una chiacchierata con Apollo. Ripercorse in fretta i corridoi fatti non più di mezzora prima, ed entrò nella stanza del dio sole senza aspettare un invito.
Non si sorprese di trovarlo nudo. In effetti, negli ultimi due anni, Ade aveva visto Apollo nudo così tante volte da non far più caso alla sua nudità. A quanto gli aveva detto suo figlio Nico, neanche Will Solace si faceva dei gran problemi ad andare in giro nudo per l’appartamento, o a mostrarsi nudo in balcone. Nico gli aveva ancora raccontato di una certa scena accaduta in una certa doccia.
«Oh, sei tornato!» esclamò Apollo, solare, fermando la danza delle sue dita.
«Stai disturbando i morti.» disse Ade, fissandolo torvo.
«Disturbo solo i morti?» chiese Apollo, ridendo. «Anche loro hanno bisogno di sentire qualcosa di bello.»
«No, non devono. Sono morti. Le cose belle sono finite.»
Apollo corrucciò le labbra. «È lo slogan degli Inferi? O lo hai detto solo perché volevi offendermi?»
Ade sospirò. Apollo si offendeva spesso e per qualsiasi cosa.
«Non volevo offendere te, anche se ora che mi ci fai pensare ai proprio un aspetto orribile.»
Apollo si alzò in piedi e gli andò incontro. Ade fece un passo indietro, mentre la porta si chiudeva alle sue spalle.
«Io sono ancora fantastico!» dichiarò Apollo, puntandosi un dito contro il petto. Una lieve aura gialla si liberò dalla sua pelle, dandogli un aspetto decisamente migliore del solito. «Sono fantastico! Ora dillo con me!»
«Non ho alcuna intenzione di aiutare ad accrescere la tua autostima, Apollo.»
«Dai.» piagnucolò Apollo. «Dimmi che sono fantastico.»
«No.»
«In cambio, dirò quanto sei affascinante.»
Ade storse il naso. «Evita questi lisciamenti, Apollo. Con me non funzionano.»
«Sei affascinante e sicuramente il migliore di tutti gli Dei.»
«Piantala.»
«Sei il più tenebroso. Ho più paura di te che di Ares. E non solo perché sono qui negli Inferi.»
«Falla finita.»
«Hai anche un gran senso dell’umorismo!» aggiunse Apollo. «Certo, ma non te ne accorgi mai. In effetti, non sei poi così simpatico.»
«Ora mi insulti?»
«Scusami.» Apollo gli posò le mani sulle spalle. «Sei terrificante.»
«Ora va meglio.» Ade si concesse un lieve sorriso. «Ora spostati. Sei nudo.»
«La cosa… ti disturba?» domandò Apollo, abbassando la voce, gli occhi stranamente grandi. «Ti crea fastidi? O ti piace?»
«Mi crea fastidi. Assolutamente mi crea fastidi.»
Apollo sbuffò divertito. «Posso farti provare cose che puoi solamente sognare con tua moglie.»
Ade deglutì a fatica. «Non lo metto in dubbio. Ma ti prego, vattene.»
«Andarmene? E dove? Sono confinato a restare qui per altri quarantotto anni!»
«Giusto. Hai ragione. Mancanza di tatto. Me ne vado io.»
Ade cercò a tentoni la porta, ma prima che potesse aprirla, Apollo lo sbatté contro il muro, gli portò le dita alla testa e riprese a baciarlo, premendo il suo corpo contro quello dell’altro. Ade si divincolò in tutti i modi possibili, poi alzò il ginocchio e colpì il dio del sole.
«Ahi!» strillò Apollo, indolenzito. «Mi hai fatto male!»
«Era quello l’obiettivo!» esclamò Ade, uscendo in fretta dalla stanza. Ma non andò molto lontano.
Ade si fermò infondo al corridoio. Sentiva ancora sulle sue le labbra calde di Apollo. Era strano come, dopo tutto quel tempo negli Inferi, Apollo portasse dentro di sé ancora tutto quel calore.
Obbedendo ad un istinto che non sapeva di avere, Ade rientrò di nuovo nella stanza di Apollo. Se qualcuno glielo avesse chiesto, avrebbe risposto che il rossore sulle sue guance era dovuto al troppo lavoro.

Apollo sedeva sul letto, e tirava su col naso. Quando vide Ade, si coprì le parti basse.
«Sei venuto a calciare anche l’altro?» chiese, stridulo. «Sappi che tengo al mio corpo, e non lascerò che tu mi faccia male di nuovo.»
«Come se non te la fossi cercata.» rispose Ade, tranquillo, avvicinandosi al letto.
«Be’, forse me la sono cercata, ma non è un valido motivo per colpirmi lì. Sono un dio, e fa male. E devo loro tutti i miei figli, e probabilmente anche i miei figli futuri, perché non ho intenzione di… Ade?»
Gli occhi scuri del signore dei morti erano puntati sul volto serafico del dio della musica. Perché no? Persefone era lontana, i morti erano morti e non potevano spifferare gli affari altrui. E Shakespeare era troppo indaffarato per accorgersi della sua assenza. E, in caso l’avesse notato, Ade poteva sempre lasciarlo sedere sul suo trono per qualche minuto, in modo che dimenticasse tutto quanto.
Apollo scrutò il signore dei morti e capì. Sorrise tra sé, passandosi le dita sulle labbra. Era riuscito a conquistare Ade con poche mosse. Allungò le mani di qualche centimetro e afferrò la veste di Ade, che fece quei pochi passi nella sua direzione senza fiatare.
«Immagino che tu voglia qualcosa in cambio.» mormorò Ade, mentre le dita esperte di Apollo gli toglievano la vestaglia, scoprendo l’addome nudo e i pantaloni di pelle. La cintura con i teschi era stata un regalo di Nico per un vecchio Natale passato insieme.
«La stessa cosa che vuoi te.» mentì Apollo, alzando gli occhi sul signore dei morti.
«Resterà un segreto, allora?»
Apollo si mordicchiò il labbro. Se avesse detto di sì, non avrebbe più potuto rimangiarsi la parola. Se avesse risposto di no, Ade si sarebbe rimesso la vestaglia e non lo avrebbe più visto.
Se Ade non glielo avesse chiesto, Apollo lo avrebbe utilizzato per ricattarlo. Gli avrebbe chiesto di parlare di nuovo con Zeus, di farsi accorciare la pena.
Le parole di Ade lo colpirono dritto al petto.
«Tu mantieni il segreto, e io parlerò con tuo padre.»
Apollo alzò di nuovo lo sguardo sul volto pallido di Ade. I capelli scuri gli incorniciavano il volto, selvaggi. Gli occhi brillavano di una strana luce che Apollo non faticò a riconoscere. 
«D’accordo.» sussurrò Apollo, con voce roca. «Manterrò il segreto.»
Ade si chinò su di lui e gli sfiorò le labbra. Apollo gli posò le mani sulla schiena, costringendolo a sedersi sopra di lui. Gli infilò le dita tra i capelli, accarezzandogli le labbra con la lingua, e attese che Ade tornasse a baciarlo.
Ma Ade aveva altre preoccupazioni.
«Non ho alcuna intenzione di fare il passivo.» borbottò Ade, scrutando il dio della musica dritto negli occhi.
Apollo scoppiò a ridere. «Sai, non è poi così male…» sorrise il dio biondo.
«Mio figlio mi ha raccontato tante cose a riguardo.»
«Ah, ma i ragazzini sono dei ragazzini. Io sarò un amante esperto. Non dovrai temere nulla da me.»
Ade non era d’accordo, ma decise di non replicare. Anche perché non poté. La lingua di Apollo si era già insinuata nella sua bocca, e giocava con la sua.
Le mani di Apollo erano insaziabili. Ade si chiese come facesse l’altro ad avere abbastanza concentrazione per baciarlo in un modo così appassionato, e per toccarlo in un modo così esperto. Provò a toccarlo anche lui, ma le sue dita tremavano troppo.
«Lascia che ti guidi.» sussurrò Apollo, lasciandogli la bocca per qualche secondo, e respirandogli vicino all’orecchio.
Ade annuì.
Apollo lo costrinse a coricarsi di schiena sul letto, e così facendo Ade osservò ogni mossa dello splendido dio del sole.
Apollo gli slacciò la cintura e gliela sfilò, lasciandola scivolare giù dal letto. Gli baciò la pancia, e Ade sentì brividi corrergli lungo tutta la spina dorsale. Stava facendo qualcosa di sbagliato? Di sicuro stava per tradire Persefone. Un’altra volta.
Apollo continuò a spogliarsi e Ade ebbe la tentazione di tornare nella sala del trono con un viaggio-ombra. Ma… troppo tardi. Ormai era nudo. A meno che non volesse presentarsi ai defunti in quel modo.
Quando le labbra calde del dio sole si posarono sul suo sesso, Ade si lasciò scappare un gemito, il primo tra tanti. Apollo sorrise tra sé, deliziato dal volto di Ade e dai suoni che lasciava la sua bocca.
Ade iniziò ad agitarsi nel letto, e Apollo gli accarezzò l’addome, continuando a stuzzicarlo con la lingua.
«Credo… credo sia sufficiente così…» sussurrò Ade, sforzandosi di mettersi almeno seduto.
Apollo lo ignorò. Continuò a leccarlo, e quando sentì un secondo sussurro da parte del signore dei morti, lasciò che il seme dell’altro gli riempisse la bocca.
Mentre Ade ansimava a fatica, Apollo si sedette a cavalcioni sopra di lui, scrutandolo con attenzione.
«Allora?» domandò Apollo, sorridendo, accarezzandogli le guance. «Hai mai provato sensazioni simili con tua moglie?»
Ade non rispose. Certo che non aveva mai provato cose di quel genere con Persefone. La loro relazione sessuale era ridotta a piccoli brandelli. Di tanto in tanto si saltavano addosso, ma una o due volte al mese, niente di più. E quando Persefone partiva da sua madre, Ade doveva stringere i denti e aspettare il suo ritorno.
Apollo si stese sopra di lui e lo baciò. Per Ade fu un bacio strano, visto che le labbra del dio della musica sapevano di lui. Non si tirò indietro, ormai. Aveva superato quella linea invisibile ormai da tempo. Forse da quando era rientrato nella stanza del biondo dopo il secondo bacio.

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Capitolo 3
*** 3. La melodia di Apollo ***


Quando Apollo lo lasciò, Ade scoprì di volerlo baciare ancora, e ancora più a lungo. Osservò il volto da ragazzo del Dio, così giovane e dalla pelle color miele, in contrasto con la sua pelle olivastra. Il volto di Apollo era incorniciato da una matassa di capelli biondi riccioluti. Erano più pallidi rispetto al solito biondo grano a cui Ade era abituato. E gli occhi... così azzurri, così celesti. Lo osservavano con curiosità.
Ade accarezzò le guance di Apollo. Non aveva lentiggini, il dio della medicina.
Ed era sexy. Apollo era sexy. Chi lo avrebbe mai detto..!
«Ade?» mormorò Apollo, con voce roca.
Ade socchiuse gli occhi. Sentir pronunciare il suo nome da quelle labbra perfette...
Riportò il volto del dio a contatto con il suo. Apollo non si fece pregare. Dischiuse le labbra e il loro gioco di lingue li tenne occupati per qualche minuto. Ade non riusciva a farne a meno, mentre Apollo stava perdendo ogni secondo di più la sua idea di ricatto. Ora non gli importava più di andarsene dagli Inferi. Non se Ade avrebbe continuato a trattarlo in quel modo.
A fatica, annaspando, Apollo riuscì a staccarsi da Ade e si sistemò sul corpo dell'altro. Gli occhi scuri del signore dei morti brillavano. Ne volevano ancora, e Apollo si scoprì a pensare lo avrai.
«Cosa succede adesso?» mormorò Ade, passandosi la lingua sulle labbra. Il calore di Apollo vi rimaneva ancora. Era come se gli fosse entrato dentro. Per il momento, solo metaforicamente.
«Adesso arriva la parte più interessante.» ridacchiò Apollo, abbassando di nuovo la testa sul volto dell'altro.
Ade rimase in attesa di un bacio che non arrivò mai sulle labbra. Socchiuse le palpebre mentre Apollo lo baciava delicatamente sul collo e sulla gola, poi sul petto. Gli sfuggì un gemito quando Apollo gli accarezzò un capezzolo con la lingua, stuzzicandolo con i denti e continuando a guardare. Ade pensò di essere arrivato in paradiso.
Apollo risalì la strada fino alle sue labbra e riprese a baciarlo. Ade desiderò dargli almeno la metà di quanto il dio del sole stesse dando a lui. Quelle sensazioni... Ade si ritrovò a pensare che Apollo doveva averle vissute centinaia, se non migliaia di volte. Mentre per lui era la prima volta che giaceva con un uomo.
Apollo gli mordicchiò il labbro e lo osservò con sguardo furbo, mentre la sua mano divina scivolava sulla pelle del signore dei morti e si soffermava sul sesso. Ade inspirò profondamente mentre la mano dell'altro si stringeva attorno al suo sesso, impugnandolo come una spada da combattimento. Ade gemette altre volte, ormai aveva perso il volto, e quando venne per la seconda volta, scoprì inorridito che il suo seme si era posato sul ventre di Apollo.
«Mi dispiace.» sussurrò Ade.
«Non ti facevo così... deliziosamente imbranato.» ridacchiò Apollo, accarezzandogli le cosce da ambo le parti. «Ti credevo più... un tipo come Ares.»
«Sono diverso da Ares.» rispose Ade.
«Già. Sei decisamente più tenero di Ares. Mi piace. Io ti piaccio, Ade?»
Ade deglutì, osservando il dio sporco del suo seme. «Non lo so.» ammise.
«Ti ringrazio per non avere mentito.» disse Apollo, con tono dolce. «Ma non ti preoccupare di aver ferito i miei sentimenti. Ti farò cambiare idea prima che tu possa lasciare questa stanza.»
«Non abbiamo finito?»
«Il bello arriva adesso, ragazzo mio.»
Ade capì cosa l'altro intendesse dire e socchiuse le palpebre. Non voleva guardare. Ma la curiosità era troppa.
Apollo continuò ad accarezzargli le gambe, sorridendo tra sé, e forse pronunciando qualche parola in greco che Ade non riuscì a capire. Con un'unica occhiata verso il dio moro, Apollo portò un dito all'orifizio proibito e vergine dell'altro. All'iniziò lo accarezzò, come se stesse prendendo una decisione, poi, lentamente, senza fretta, cominciò a penetrarlo.
Inizialmente, Ade non sentì niente. Era troppo affascinato da Apollo. Era bello, e non aveva mai pensato di poter provare sensazioni del genere per un altro uomo, o per un altro dio. Quando Nico gli aveva confessato la sua sessualità Be', in verità Nico non aveva avuto bisogno di parlargliene. Ade l'aveva capito da solo. Sentire l'unico figlio maschio ripetere quel nome all'infinito - Percy Jackson - gli aveva fatto tornare in mente il periodo in cui Persefone e Afrodite avevano dato la caccia ad Adone.
Aveva fatto due più due nella sua testa, e aveva scoperto che non ne era affatto infastidito. Chi era lui per decidere chi suo figlio dovesse frequentare Poco dopo la guerra conclusa di Gea, Nico gli aveva presentato Will come il suo ragazzo. Ade ricordò di aver tirato un sospiro di sollievo. Per un momento, aveva pensato che l'amichetto di Nico fosse il figlio romano di suo fratello Zeus. Will era entrato subito nella categoria dei suoi generi preferiti, e si era impossessato del primo posto solo perché Frank Zhank era figlio di Marte.
Il dolore si fece strada tra i suoi pensieri, prepotente, riportandolo a quel momento. Apollo lo stava osservando con occhi brillanti, e Ade gemette quando sentì la presenza del dio dentro di sé.
«Fa male?» mormorò Apollo, studiandolo.
Ade non riusciva a parlare, e Apollo si rispose da solo. Ripeté un incantesimo in greco, e sperò che il dolore di Ade si affievolisse. Non voleva, però, che scomparisse del tutto.
Raddoppiò le dita, e temette che Ade gli chiedesse di finirla. Così, per non farlo soffrire più del dovuto, Apollo ritirò le dita e le passò sul suo sesso.
«Ora arriva la parte interessante.» mormorò Apollo, sorridendo, strusciandosi contro il fianco di Ade. Prima che questi potesse dire qualcosa, Apollo lo penetrò, sempre senza fretta, rendendosi a malapena conto dell'epicità del momento. Osservava Ade, che in quel momento inarcò la schiena e si lasciò scappare un rantolo. Fu molto tentato di accarezzargli i capelli dicendogli che sarebbe andato tutto bene, ma Ade non era il tipo di persona che doveva essere confortata.
Questo, ad Apollo, piaceva molto.
Si ritrovò immerso quasi completamente nel corpo di Ade, e continuò a spingere, provocando grida nel signore dei morti. Che forse non si rendeva nemmeno lontanamente conto di quanto fosse sexy, steso ansimante e gemente, con un occhio chiuso e l'altro aperto puntato su di lui.
Apollo gli passò le dita sui fianchi, e si accorse di quanto stava tremando il dio degli Inferi. Forse non se n'era neppure accorto. Desiderò baciarlo, ma non voleva fargli altro male.
Con sua grande sorpresa, Ade riuscì a sollevare la schiena, e allungò le braccia verso di lui. Si incontrarono a metà strada, baciandosi come se non desiderassero altro che sbranarsi a vicenda. Apollo lasciò sul collo dell'altro un segno, che sarebbe passato in dieci giorni, nei quali sperò di poter stare ancora a contatto con lui. Ormai non gli importava più nulla della punizione di suo padre.
 
Apollo continuò a spingere dentro di lui per un tempo che ad Ade sembrò infinito, ma allo stesso tempo troppo breve. Si lasciò scappare un grido quando venne per la terza volta, nuovamente sul corpo mielato del dio della musica, che con lui stava componendo una bellissima melodia.
Ade desiderò ardentemente che tutto quello non finisse mai. Gli occhi di Apollo gli stavano trasmettendo la stessa emozione.
Ade riusciva a sentire i battiti del cuore di Apollo. Prima pensò che fosse pazzo, poi notò che aveva ragione. Il cuore di Apollo batteva a ritmo con il suo. Quando il dio della guarigione lanciò un grido che assomigliava proprio al suo nome, Ade lo udì ancora più forte.
Apollo rimase dentro di lui ancora per un minuto. Senza guardarlo, il dio della musica si stese al suo fianco, incurante della sua perfetta nudità, a pancia in giù, la testa appoggiata alle braccia e gli occhi puntati su di lui. Ad Ade sembrò uno di quei modelli mortali intenti a prendere il sole sulla spiaggia.
Per i primi cinque minuti, nessuno dei due disse una parola. Ade stava aspettando di riprendere il controllo di sé, Apollo stava cercando di dare un senso al groviglio di sentimenti che si stava espandendo nel suo petto.
Non poteva innamorarsi di un altro uomo. Il primo che aveva mai veramente amato, Giacinto, era morto tra le sue braccia, a causa della gelosia di Zefiro. Negli anni, nel corso dei secoli, aveva amato altri uomini, ma nessuno di loro gli aveva provocato le sensazioni che si stavano facendo spazio dentro di lui al solo incrociare degli occhi di Ade.
Ma Ade, dopotutto, era un dio, mentre Giacinto solo un umano. Un umano che era morto per colpa sua.
Apollo allungò la mano sul petto di Ade, disegnando archi e frecce sul suo petto. Quanto gli mancava tirare con l'arco!
«Allora?» domandò Apollo, sorridendo malizioso. «Come sono andato?»
Ade non era mai stato con nessun altro uomo, quindi non poteva fare paragoni. «Sei stato meraviglioso.» mormorò Ade, arrossendo.
«E...?»
«È stato bello.»
«E...?»
«Sei... affascinante?»
Apollo ghignò, mentre le sue dita zampettavano fino al volto di Ade, sfiorandogli le labbra. «E...?»
Ade lo guardò dubbioso. «Appena lascerò la tua stanza, spedirò un messaggio a Zeus per...»
«Sst. No.» Apollo posò il dito sulle labbra di Ade, evitandogli di concludere la frase. «Non parlo di questo.»
«E di cosa, allora? Cosa intendi con e..?»
Apollo ridacchiò, affondando il volto sul braccio di Ade. Si sentiva un adolescente innamorato. Be', aveva l'aspetto di un adolescente, e forse era innamorato davvero.
Non rispose alla domanda di Ade, che rimase sospesa tra di loro, come un enorme punto interrogativo.
Ade portò la mano ai capelli di Apollo, e li accarezzò. Nella permanenza del dio del sole negli Inferi, Ade aveva visto quei teneri capelli color grano ridotti allo stremo delle forze come il loro padrone. Altre volte Apollo si presentava a lui come se fosse appena tornato da una passeggiata al sole, così vispo e allegro come non lo era mai negli Inferi. La possibile spiegazione di Ade a questo comportamento era che, molto probabilmente, Apollo fosse il peggior lunatico mai esistito. O forse aveva ancora dei problemi con la sua parte romana, il che non spiegava perché fosse così gioioso di stare negli Inferi.
La mano di Ade scivolò via dai capelli di Apollo. Gli accarezzò la pelle nuda della schiena, seguendo la spina dorsale. La pelle era bollente. Ade lo collegò all'esercizio fisico appena fatto. Si bloccò per qualche secondo prima di seguire la linea delle natiche perfette di Apollo.
«Sei voglioso, Ade?» ridacchiò Apollo, e Ade ritirò la mano, imbarazzato. «Io sono stanco, e affamato, ma se tu vuoi continuare a giocare fai pure. Ma non farmi perdere la parte migliore!»
Ade rimase paonazzo per un'altra decina di minuti, nei quali Apollo si addormentò, con le labbra socchiuse, palesemente soddisfatto di sé. Ade gli sistemò un ciuffo di capelli, poi si alzò in piedi con le ginocchia tremanti e gli sistemò un lenzuolo a coprirlo. Impiegò più tempo del normale a raccogliere i suoi vestiti dal pavimento, e uscì dalla stanza di Apollo con una smorfia di dolore.

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Capitolo 4
*** 4. L'amore di Ade ***


Apollo continuò a dormire sogni indisturbati per un’altra ora. Quando si svegliò con uno sbadiglio, la prima cosa che fece fu controllare Ade, che dormiva al suo fianco. O almeno secondo lui.
Apollo si strofinò gli occhi con i palmi della mano, osservando il posto vuoto vicino a lui. Era sicuro che Ade sarebbe almeno rimasto a dormire con lui, dopo quello che avevano condiviso, e dopo quanto Apollo gli avesse rubato.
Con un sospiro, Apollo si mise seduto e si appoggiò contro la testiera del letto. La sua stanza era esattamente come al solito. L’unica cosa che cambiava, forse, era la sua vestaglia gettata ai piedi del letto, forse da un Ade distratto mentre recuperava in fretta e furia le sue cose.
Ade si vergognava per quanto fosse accaduto tra loro? Di sicuro. Altrimenti avrebbe atteso il suo risveglio. Per secoli uomini e donne lo avevano pagato per svegliarsi al suo fianco, e Apollo aveva speso quei denari per passare la notte con altri uomini e altre donne.
Apollo non aveva mai preso in considerazione l’idea di sposarsi, come altri Dei, e mettere su famiglia. Una volta, sua sorella Artemide lo aveva convinto a fare voto di castità, e Apollo aveva scommesso che per un intero secolo sarebbe riuscito a tenerlo nelle brache. Ma la mattina seguente la promessa, si era svegliato in un prato con due Cacciatrici della sorella, ormai non più vergini. Entrambe avrebbero partorito dei suoi figli nove mesi più tardi. Artemide aveva cacciato le ragazze, ma aveva promesso loro aiuto in caso di bisogno. Artemide si sentiva in colpa per non aver messo un guinzaglio al collo del gemello, o una cintura di castità fatta di ferro rovente.
Era più divertente andare da un fiore all’altro e seminare la sua stirpe, piuttosto che spassarsela con una sola donna per il resto della propria esistenza. E poi, aveva imparato dal padre che i matrimoni non duravano, o erano ripieni di tradimento. Zeus aveva tradito così tante volte Era che ormai chiunque aveva perso il conto. E anche Afrodite tradiva il marito Efesto di continuo con Ares. Ma con i tempi moderni, il matrimonio tra Afrodite ed Efesto sarebbe stato annullato, visto che i due non avevano mai giaciuto insieme.
Apollo si rigirò tra le coperte, assaporando l’odore di Ade impregnato sul cuscino. Al pensiero di quanto stesse facendo, arrossì, e in quel momento il suo stomaco iniziò a ribellarsi per la fame. Succedeva di continuo, e di solito le fitte allo stomaco raddoppiavano quando Apollo lanciava il pranzo o la cena sul pavimento, appena portato da un cameriere-zombie.
Apollo si infilò sotto le coperte, poi si scoprì di nuovo. Non aveva nulla da fare. Era affamato, e triste. Il cuore gli martellò nel petto, e una melodia dolcissima e tristissima si fece strada nella sua testa. Poteva benissimo comporre un album di venti canzoni su come Ade gli avesse spezzato il cuore sgattaiolando via senza nemmeno un cenno di saluto.
Con un sospiro, Apollo si portò le mani al membro gonfio. Se ci fosse stato Ade, di sicuro si sarebbe divertito di più. Continuò a toccarsi, ripensando al signore dei morti steso su quel letto poco più di un’ora prima, e il solo pensiero lo eccitò maggiormente.
La porta della sua stanza si spalancò e Apollo puntò lo sguardo su Ade. Solo Ade non bussava mai alla porta della sua camera. Gli zombie- cameriere lo facevano sempre. Forse Ade doveva farsi insegnare da loro le buone maniere.
«Uhm.» disse Ade, osservandolo. Apollo lasciò cadere la mano, imbarazzato. «Passo più tardi?»
«No, ormai…» borbottò Apollo, con una scrollata di spalle.
Ade chiuse la porta, e Apollo sentì un odore che gli fece venire l’acquolina in bocca. Notò che il signore dei morti reggeva una busta di carta con due lettere incise sopra, MD. 
«C-Cos’è?» balbettò Apollo, rischiando di sbavare.
«Cheeseburger.» rispose Ade, posando il sacchetto sul pianoforte. «Nico mi ha parlato molto bene dei fast-food sulla terra, e sapevo che tu avevi fame.»
Apollo sentì il proprio cuore galoppare felicemente in un prato ricolmo di fiori morti e appassiti. Il suo lato romantico stava diminuendo, il quel luogo.
«Sei andato sulla Terra per me?» sussurrò Apollo, colpito, e prossimo alle lacrime.
«Ho mandato un mio servitore. Spero ti possa piacere. Sono ancora caldi.»
Apollo scese dal letto tirando su col naso, e si avvicinò al sacchetto di carta. I cheeseburger, le patatine fritte e le miliardi di calorie non gli erano mai sembrati così invitati. Afferrò una patatina, mangiucchiandola in fretta, famelico, e lanciò un’occhiata ad Ade.
«Ti ringrazio.» disse, commosso.
Ade gli passò le dita sui fianchi poi, senza preavviso, lo spinse a sedere sullo sgabello del pianoforte. Incontrarono subito le labbra, e Ade si inginocchiò di fronte a lui.
Le labbra di Ade erano fresche, non fredde. Apollo le apprezzò, e le desiderò ancora più ardentemente dei cheeseburger quando lo lasciarono per contrarsi sulla gola e il collo.
«Cosa stai facendo?» mormorò Apollo, mentre Ade gli accarezzò le ginocchia e le cosce.
«Prendo l’iniziativa.» rispose Ade, inclinando la testa.
Apollo lo guardò senza parole. Ade gli baciò l’ombelico, e scese con la lingua fino al membro del dio sole, pulsante per l’intoppo di poco prima.
Toccò ad Apollo gemere quando la sua erezione sparì nella bocca del dio dei morti. Gli afferrò i capelli, accarezzandoli e muovendo la testa a tempo con la lingua dell’altro. La fame di cibo gli era passata. Voleva che Ade non finisse mai.
Sentiva che Ade era inesperto, ma sentiva anche che ce la stava mettendo tutta. Ed era anche piuttosto bravo. Apollo era in estasi, gli accarezzava i fianchi con i piedi nudi, e non vedeva l’ora di baciare quelle labbra.
«Sto per venire.» sussurrò Apollo, con gli occhi socchiusi, immerso in quelle emozioni di pace e gioia.
Ade lo lasciò un secondo prima che l’altro venisse afferrato dall’orgasmo, e raccolse il seme del dio della guarigione nella mano. Si limitò a leccarlo sulle dita, rabbrividendo per il piacere, e osservò le guance rosse del dio sole.
«Allora?» domandò, con lo stesso tono utilizzato da Apollo più di un’ora prima. «Come sono andato?»
Per tutta risposta, Apollo gli posò le mani sulle guance e lo baciò con passione, lasciando l’altro senza possibilità di riprendere fiato per un minuto intero.
«Sei stato meraviglioso.» sussurrò Apollo, baciandogli le guance, il naso e la fronte. Sentiva le proprie guance bagnate di lacrime, ma non gli diede importanza.
«E…?» disse Ade, asciugandogli le lacrime.
«Perfetto. Affascinante. Magnifico.»
«E…?»
Apollo rise. «E per me possiamo continuare a vederci. Non voglio che ti metti in contatto con mio padre. Voglio rimanere qui per tutto il tempo deciso dalla mia condanna.»
Ade sorrise tra sé. Allora era quello, che Apollo voleva sentirsi dire… Riprese a baciargli il collo, lo mordicchiò, lasciandogli gli stessi segni che lui aveva sulla pelle. Apollo continuò a baciarlo, e sollevò le gambe per sistemargliele sui fianchi.
Ade scivolò via dai suoi vestiti con facilità, e si ritrovò a navigare anche lui nel corpo del dio della musica. Lo trovò meraviglioso, e ancora più magnifico furono i gemiti che lasciarono la bocca di Apollo per unirsi ai suoi.

Più tardi, Apollo e Ade si ritrovarono seduti sul letto, la schiena appoggiata alla testiera, e le lenzuola tirate fino all’ombelico. Era stata un’idea di Ade. La nudità di Apollo gli creava disturbi alla concentrazione, e non voleva sporcarsi di ketchup.
«Sono i migliori cheeseburger che abbia mai mangiato.» disse Apollo, dando un morso al suo terzo panino.
«Sì, devo ammettere che non sono male.» annuì Ade, attaccando il secondo. A differenza di Apollo, mangiava con più tranquillità. Era sazio di tante cose, ma non di Apollo. Continuava a strusciargli il piede sulla gamba, ma il dio del sole cercava di ignorarlo. Anche se Ade aveva notato una certa rigidità sotto il lenzuolo.
«Chi ti ha consigliato il posto?» domandò Apollo, decidendo all’istante che quello sarebbe stato il suo ristorante preferito.
«Nico.» rispose Ade. «Lui e Will ci vanno spesso.»
Per qualche secondo, entrambi udirono solo i rumori delle loro mandibole masticare quegli ottimi cheeseburger. Apollo ne aveva contati più di una trentina nella bustina, accompagnati da patatine, e intendeva farne fuori almeno la metà.
«Pensi che dovremo dirglielo?» si decise a chiedere Ade, interrompendo il sinistro silenzio.
«No, non credo.» rispose Apollo, con una scrollata di spalle, fissando il contenuto del suo cheeseburger. «Ci sono cose che è meglio non raccontare ai propri figli.»
«Già. Come ci sono cose che i figli non raccontano ai genitori.»
Ma questa era un’eccezione per Nico. Dopo il loro avvicinamento, avvenuto circa due anni fa, Nico si sentiva in dovere di riempire in silenzio a distanza che c’era tra loro. Gli mandava almeno tre lettere a settimana, e non sempre aspettava una risposta.
Gli parlava di sesso? All’inizio sì, ma poi Nico aveva cominciato ad andarci più cauto. Probabilmente perché le sue acrobazie con Will Solace nella camera da letto dovevano rimanere solo tra quelle mura.
Ade si divertì a pensare ad una possibile reazione del figlio nello scoprire cosa fosse accaduto con Apollo. Infondo, il motivo della vicinanza tra i due Dei era anche colpo loro. Se non si fossero messi insieme, Ade non sarebbe mai andato a giocare a carte con Apollo, e tantomeno non lo avrebbe mai assalito sul pianoforte.
«Hai ragione.» annuì Apollo, riportandolo alla realtà. «Ci sono alcune cose che possiamo tenerci tra noi.»
Ade si voltò per guardarlo negli occhi, e Apollo, che lo aspettava, lo baciò. A nessuno dei due dispiacque il sapore di cheeseburger sulle labbra dell’altro.
«Potrò dirlo a mia moglie?» domandò Ade, titubante.
«Vuoi un divorzio?»
«Non ne ho idea.»
Apollo alzò le spalle, spostando la busta di cheeseburger sul pavimento e gettando via le cartacce. Con un unico movimento si issò sopra Ade, circondandogli il collo con le braccia e baciandolo con dolcezza.
«Ci sono certe cose che i mariti non raccontano alle proprie mogli.» mormorò Apollo, leccandogli il lobo.
«Sì, ma…» mormorò Ade, interrompendosi. Scrollò le spalle. «Hai ragione. Chi se ne frega.»
Afferrò Apollo di getto e lo stese sul letto. Per qualche minuto, ridacchiando, i due si rotolarono tra le coperte. Apollo, strillando, si lasciò prendere una seconda volta da Ade, che sospirò sulla sua schiena nuda mentre affondava dentro di lui.
«Posso già amarti?» sussurrò, con la voce rotta dall’emozione.
Apollo sorrise, stringendo i pugni sulle coperte. «Sì, è possibile.» mormorò, dolce. «Io ti amo già.»


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Capitolo 5
*** 5. Appuntamento negli Inferi ***


La richiesta di Apollo lo colse completamente alla sprovvista. Cosa voleva il dio del sole da lui?!
«Voglio un appuntamento.» ripeté Apollo, come se gli avesse letto nel pensiero, e come se fosse la cosa più naturale del mondo. «Un appuntamento romantico.» aggiunse.
Ade strabuzzò gli occhi. Un appuntamento? Romantico, per giunta? Forse aveva fatto male ad insinuarsi nel letto di Apollo, tre settimane fa. E aveva fatto ancora più male a diventare il suo amante. Come poteva organizzare un appuntamento romantico lì negli Inferi? Apollo non poteva lasciare l'Oltretomba, e Ade non aveva alcuna intenzione di creare un permesso. Suo fratello Zeus avrebbe fatto domande, che avrebbero richiesto risposte imbarazzanti, e per quanto gli piacesse il dio della musica, Ade non era ancora disposto a strombazzare la sua relazione clandestina, e il suo adulterio, con gli Dei dell'Olimpo.
E se Persefone lo avesse saputo? Lui che figura avrebbe fatto?
«Un appuntamento.» ripeté calmo Ade, cercando di nascondere il suo nervosismo.
«Romantico.» aggiunse Apollo.
«Romantico.» ribadì Ade, passandosi le dita tra i capelli. Da quando aveva visto il figlio Nico fare quel gesto del tutto umano, non riusciva più a farne a meno. «Qui. Negli Inferi.»
Apollo alzò gli occhi fino al soffitto, fatto di cenere e ossa come il resto del palazzo. «Se non si può richiedere di meglio, mi accontento.» annuì il dio del sole.
Ade lo guardò sconsolato. «Sei sicuro di quello che vuoi? Un appuntamento? Non possiamo... fare sesso e basta?»
Apollo lo guardò furioso. «Se è solo questo che vuoi, caro mio, ti consiglio di andartene!» urlò, e Ade sobbalzò per le note stonate che lasciarono la gola di Apollo. «Mi sfrutti solo per quello, eh? Be', da ora in poi te lo puoi scordare! Non ti lascerò entrare nel mio letto fino a quando non mi avrai concesso un appuntamento!»
Ade fissò Apollo esterrefatto. Era proprio come un bambino capriccioso. Ma la colpa era anche sua. Lo aveva appena offeso.
Apollo afferrò una chitarra, e sembrava intenzionato a sbatterla contro il pavimento fino a romperla. Ma qualcosa lo trattenne, probabilmente il suo amore per la musica.
«Sono il tuo schiavo sessuale.» piagnucolò Apollo, posando la chitarra sul letto. «È per questo che mio padre mi ha spedito qui.»
«Sì, immagino che Zeus abbia capito che intendevo importunarti, costringerti a fare cose contro il tuo volere.» disse Ade, irritato. «Come hai fatto tu con me.»
Apollo smise di piagnucolare.
«Ti ricordo che hai deciso tu di giacere con me.» ringhiò Apollo. «Io ti ho solo assecondato.»
«Posso capire la prima volta, ma tutte le altre?»
«Alla seconda mi sei saltato tu addosso, proprio sul pianoforte!»
Ade se lo ricordava ancora bene, perciò arrossì. «Sì, be'... e poi?» farfugliò.
«Poi ci siamo confessati di amarci. E abbiamo deciso di continuare questa stupenda relazione.»
«Se continuiamo a litigare, non durerà ancora a lungo.»
«Se tu non mi offrirai un appuntamento come si deve, non durerà a lungo!» ribatté Apollo. Voleva sempre avere l'ultima parola. Ad Ade non piaceva discutere, ne tanto meno parlare, quindi gli andava bene.
«E cosa ti aspetti, da questo appuntamento?» domandò Ade, perplesso.
«Devi organizzarlo tu!» sbuffò Apollo, sedendosi sul letto con la sua arpa. «Non puoi chiedermi di aiutarti ad organizzarlo! Dovrebbe essere una sorpresa! Tu e Persefone non fate mai cose del genere?»
L'unico appuntamento memorabile che Ade riusciva a ricordare con la moglie era quando avevano fatto un picnic sulla riva dello Stige, in compagnia di Demetra e quintali di cereali.
«No.» mentì Ade. «Ma posso riuscire ad inventare qualcosa.»
«Perfetto. E fino ad allora...» Apollo si alzò in piedi, indicandosi interamente il corpo nudo. «Non avrai alcun tipo di assaggio da tutto questo. Fino al nostro appuntamento.»
Ade evitò di sospirare. Quando Apollo si comportava come una ragazza, era proprio fastidioso.
Apollo fu sul punto di ribattere alla vista del volto inespressivo di Ade, quando questi gli fu addosso. Lo spinse sul letto, ignorando il suo divieto, e Apollo fu sul punto di mettersi ad urlare quando Ade lo baciò dolcemente sulla bocca. Apollo si rilassò e si lasciò andare al bacio.
«Lo farò.» annuì Ade, separandosi da lui e scrutandolo. «Organizzerò questo appuntamento. Sarà indimenticabile.»
Apollo sentiva le labbra bruciare. Voleva che Ade lo baciasse ancora, che lo possedesse, ma poco prima gli aveva detto una cosa e decise di non rimangiarsi la parola. Anche se desiderava farlo con tutto sé stesso.
Ade si rivestì, si sistemò la vestaglia e gli fece un cenno con la mano. Apollo sospirò nel vederlo andar via, e fu sul punto di riprendere a suonare quando Ade rientrò in stanza.
«Tu...» borbottò Ade. «Tieniti libero per una di queste sere, d'accordo?»
Apollo afferrò il cuscino e glielo lanciò addosso. Ade scomparve con una mezza risata.
 
Apollo si stese sul letto, furioso e divertito. Furioso perché le sue serate erano sempre libere, visto che non poteva lasciare gli Inferi. Divertito perché Ade era riuscito a fare una battuta, più o meno divertente, dipendeva dal suo umore.
Apollo si rigirò tra le coperte. Aveva fatto male a chiedere ad il dio dei morti un appuntamento? Avevano una relazione sessuale da più di tre settimane, ormai. Qualsiasi donna normale avrebbe chiesto qualcosa in più.
Apollo mordicchiò il cuscino che Ade usava per dormire, assaporando l'odore di morte e di vischio che vi era rimasto impresso. Non riusciva a credere di essere così completamente indifeso nei confronti del dio dei morti. Non credeva nemmeno di potersi innamorare così velocemente di un dio scontroso che si occupava di morte, che passava il suo tempo sottoterra, e che sembrava così contrario a tutti i suoi divertimenti.
Però Ade si divertiva quando Apollo gli faceva dei concerti privati. Gli chiedeva sempre il bis. Sembrava che Ade stesse iniziando ad apprezzare la musica.
Apollo recupero da sotto il materasso l'iPod che il figlio Will gli aveva regalato mesi prima, per Natale. La maggior parte delle canzoni, se non tutte, erano ben diverse dalle sinfonie che lui amava, ma erano ascoltabili. E ad Ade piacevano gli Slipknot.
Apollo si alzò dal letto, si infilò la sua vestaglia dorata e andò a sedersi al pianoforte. Sgranchì le dita, soffiò via la polvere dai tasti del pianoforte e iniziò a suonare. Le note gli erano del tutto nuovo, e dopo le prime cinque capì di aver appena inventato un Inno ad Ade. Ridacchiò, imbarazzato. Forse poteva suonargliela al loro appuntamento.
 
Dopo aver passato in rassegna i terrificanti appuntamenti avuti in passato con la moglie, Ade decise di chiedere aiuto all'unica persona di cui si fidava ciecamente.
Attese che nel mondo umano calasse la notte, prima di intrufolarsi nel sogno del figlio. Nico al mattino non si sarebbe ricordato niente. Meglio così.
Per qualche minuto, Ade rimase in contemplazione dell'enorme stanza in cui era apparso nella mente di Nico. Era enorme, dipinta con le tinte nere, argentee e oro. Un figlio di Ade e un figlio di Apollo si erano divertiti a tinteggiare quelle pareti, sebbene si trovassero solo in sogno.
Ade individuò suo figlio su un letto spazioso. Era in compagnia di Will. Ade si domandò perché suo figlio dovesse fare sogni erotici proprio quando doveva chiedergli qualcosa.
I due sembravano insaziabili, e Ade si trattenne dal sospirare. Tali figli, tali padri. Ma in quel momento non era Will a prendere l'iniziativa, ma Nico.
Stufo di assistere, Ade puntò la mano sulla figura immaginaria di Will Solace, che scese dal letto con la scusa di voler prendere qualcosa da bere. Nico lo guardò perplesso mentre si allontanava e Ade andò a sedersi vicino.
«Padre!» strillò Nico, e per qualche secondo la stanza tremolò. Il figlio si era spaventato a tal punto da svegliarsi. Ade riuscì a farlo rimanere lì. «Padre, tu..?»
Nico cominciò a farfugliare, e Ade lo bloccò con un dito. «Sono solo un sogno.» gli disse Ade. «Tra poco me ne andrò, e potrai riprendere quei giochetti con il tuo ragazzo.»
Nico arrossì. «Non mi sembri una visione da sogno.»
«Immagino che tu e Will non facciate queste cose anche nella vita vera. O sbaglio?»
Nico tossicchiò. «Cosa vuoi da me, Padre?»
Ade esitò. Ora doveva fare attenzione a quello che diceva al figlio. «Devo organizzare un appuntamento.»
«Un appuntamento?»
«Per Persefone.» mentì Ade.
Nico annuì. «E quindi?»
«Tu sei la mia persona di fiducia. Cosa posso fare?»
Nico ne sembrò sorpreso, ma si fece subito pensieroso. «Ci sono dei bei ristoranti, qui nel mondo umano.» gli disse.
«Non posso lasciare gli Inferi.»
«Allora...» Nico scrollò le spalle e cominciò a raccontargli nei minimi particolari quello che doveva fare. Ade prese appunti mentali.
Quando Will Solace tornò, sorridendo splendente, e pronto ad avventurarsi in nuovi giochi di ruolo con Nico, non sembrò accorgersi di Ade. I suoi occhi erano puntati su Nico, in attesa che lo invitasse a tornare nel letto.
«Grazie, figliolo.» disse Ade, balzando giù dal letto. «Me lo ricorderò per il futuro. Quando eri bambino hai sempre desiderato pilotare aerei. Potrei metterci una buona parola con Zeus.»
«Oh, sì, sarebbe fantastico.» disse Nico, gli occhi puntati su Will. Anzi, più specificamente, solo su una zona. «Ora, sparisci.»
Ade annuì. Se suo figlio avesse scoperto che non era una figura immaginaria, di sicuro non gli avrebbe mai detto «Sparisci» con quel tono.
 
Apollo stava aggiungendo un nuovo sottofondo con il violino al suo Inno ad Ade quando bussarono alla porta.
«Avanti.» disse Apollo, finendo la nota e guardando curioso verso la porta.
Un cameriere-zombie entrò. Dopo le prime settimane, Apollo si era abituato alla loro presenza spaventosa. Il colorito grigio, l'espressione vacua, le cicatrici, la puzza di decomposizione. Avevano ancora qualche brandello di pelle sul volto. Obbedivano direttamente agli ordini di Ade, ma Apollo, nelle ultime settimane, aveva notato che obbedivano anche i suoi. Si gongolava un modo quando chiedeva loro di preparargli un bagno caldo e di massaggiargli la schiena dolorante. O di ripulire uno ad uno ogni strumento.
«Ciao.» salutò Apollo, fissando il cameriere. «Mi hai portato da mangiare?»
Lo zombie gli posò un foglio di carta sul pianoforte, e se ne andò.
«È stato un piacere chiacchierare con te!» urlò Apollo, recuperando il foglio. «Ciao!»
Quando si svegliava nel cuore della notte in compagnia di Ade, Apollo si considerava fortunato di non essere ancora impazzito. A lui piaceva la compagnia e le chiacchiere. Suo padre aveva scelto proprio una bella punizione per lui.
Apollo aprì il foglietto di carta e rimase spiazzato dalle parole che vi lesse. Apollo, sei invitato questa sera alle otto ad un appuntamento romantico. Passerà a prenderti uno dei miei servitori. Indossa il vestito che ritieni più adatto. Ade.
Apollo rischiò di mettersi a ridere. Ade era fantastico. Qualunque fosse stato l'esito dell'appuntamento, Apollo doveva ricordarsi di dare un punteggio anche agli sforzi del signore dei morti.
 
Dopo un bagno caldo, e aver passato più di mezzora a fissare i suoi quattro vestiti, Apollo rimase alla porta ad aspettare il servitore. Indossava un completo dorato a bordature nere, un regalo di Ade di alcuni giorni prima. I colori si completavano proprio come loro due.
Il servitore arrivò alle otto in punto, lo prese sottobraccio e lo trascinò per una decina di corridoi uno più terrificante dell'altro. Alla fine, quando Apollo cominciò a stufarsi, si ritrovò nei pressi della stanza di Ade. Il suo cuore ebbe un colpo. Avrebbero avuto lì il loro appuntamento?
Ade uscì fuori dalla sua stanza, congedando il cameriere e sorridendo ad Apollo. Almeno, il dio del sole presunse che quella smorfia fosse un sorriso. Indossava un completo nero e rosso.
«Ciao. Sei splendido.» disse Ade.
«Anche tu non sei da buttar via.» annuì Apollo. «Perché sono fuori dalla tua stanza? Un appuntamento non significa cambiare stanza da letto.»
«Lo so. Volevo un posto carino, e la mia stanza privata è carina. Prego, accomodati.»
Apollo entrò, restando a bocca aperta.
La stanza era splendida, secondo i gusti di Ade, di Ares e dei loro figli. Le torce rilasciavano luci rosse e nere, creando un gioco di luce affascinante, che metteva in risalto i teschi e gli scheletri umani che spuntavano dalle pareti. Ogni teschio era stato dipinto di oro, forse in onore di Apollo.
Il letto addossato alla parete destra era magnifico. Era il più grande che Apollo avesse mai visto - e nella sua vita ne aveva visti parecchi. Le coperte gli sembrarono di velluto nero, a sprazzi anche bianchi e argentei. Le tende che lo ricoprivano erano dorati. Il tutto lo rendeva stupendo.
Ade si era dato tanto da fare.
Lo sguardo di Apollo si posò sul tavolino apparecchiato per due al centro della stanza. Gli si avvicinò, curioso, non vedendo l'ora di mettersi a mangiare.
«Allora?» domandò Ade, mordicchiandosi il labbro. «È di tuo gusto?»
«Oh, sì, è meraviglioso.» annuì Apollo, sorridendogli raggiante. Il suo sorriso emanò ondate di luce che fecero tremare il fuoco delle torce. «Mi piace il tuo... gusto così... così...»
Apollo non riuscì a trovare la parola giusta, e rimase ad osservare il tavolo imbandito. Le fiamme sulle candele nere erano gialle. I portacandele erano dei piccoli teschi di scimmia. La tovaglia di pizzo era nera con macchie rosse, e Apollo presunse che fosse sangue, per dargli un tocco di originalità. I piatti e le posate erano d'argento, i bicchieri di cristallo. Le sedie di ferro dello Stige brillavano di luce sinistra.
«Tra pochi minuti verranno a portarci la cena.» avvisò Ade, e Apollo notò che stava ancora sorridendo. «Viene direttamente dal mondo umano, non dovrai temere di rimanere qui ad ogni boccone. Come lo preferisci il vino?»
«Rosso.»
«Ottima scelta.» Ade recuperò una bottiglia da chissà dove e riempì i due bicchieri. Apollo notò che il suo vino aveva la stessa consistenza e il colore del sangue. Ma dall'odore non lo sembrava, per fortuna.
«Ti sei dato da fare.» notò Apollo. Poteva sembrare il set di un film horror.
«Ho dovuto. Volevo darti il meglio.» sorrise Ade, e Apollo si sentì stringere il cuore.
Gli si avvicinò, rischiando di rovesciare il bicchiere che Ade teneva in mano, e lo baciò con passione. Quando Ade riuscì a posare il bicchiere al suo posto, Apollo gli saltò in braccio e Ade lo portò sul letto.
«Ma avevi detto...» borbottò Ade, mentre Apollo gli mordicchiava la gola. «Niente di tutto te prima dell'appuntamento.»
«Be', questo è già l'appuntamento, no?» rise Apollo, affondando il volto nel suo petto. «Abbiamo aspettato fino all'appuntamento.»
Ade gli accarezzò i riccioli dorati, fingendo di ignorare che i suoi pantaloni gli erano appena scivolati alle caviglie.
«Chiama i tuoi servitori.» mormorò Apollo. «Di' loro di servire la cena più tardi.»
«Non entreranno in stanza, a meno che non li inviti ad entrare.» lo rassicurò Ade. «E poi, ti preoccupi che degli zombie possano vedere il tuo bel sedere?»
«Mi preoccupo di più per la concentrazione. Ah, ma aspetta, mi hai fatto un complimento!»
Ade rise, arrossendo, e Apollo si liberò anche dei suoi vestiti.
«Questo è di sicuro il migliore appuntamento di tutta la mia vita!» esclamò Apollo, accarezzandogli la schiena e affondando le dita nella carne. «Ti ringrazio.»
«Grazie a te.» mormorò Ade, abbracciandolo, e si ritrovarono avvinghiati tra le coperte, mentre i camerieri-zombie attendevano di entrare fuori dalla porta.
 
 
Fine
 
Spero vi sia piaciuta! ;)

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Capitolo 6
*** 6. L'addio di Ade ***


Apollo era immerso nell’acqua calda, con un cameriere zombie intento a massaggiargli le spalle, quando Ade arrivò. I suoi occhi scuri si posarono freddi sul dio diciassettenne, poi sullo zombie.
«Fuori dai piedi!» lo scacciò, avvicinandosi alla vasca.
Apollo guardò sconfortato lo zombie lasciare il bagno senza una parola.
«Era grandioso.» sbuffò. «Perché lo hai mandato via? Quelle dita morte mi hanno sciolto tutti i nervi…»
Ade si sfilò la vestaglia, e si infilò nella vasca con Apollo, che lo fissò a bocca aperta.
«L’unico che può massaggiarti le spalle qui sono io.» disse, fissandolo torvo. «Ora vieni qui, finisco di massaggiarti.»
Apollo non se lo fece ripetere due volte.
Erano già trascorsi quattro mesi da quando aveva avuto inizio la loro relazione. Si concedevano un appuntamento alla settimana, e Ade lo portava spesso sulle rive del fiume Stige, il posto più romantico che Ade aveva scovato negli Inferi. Apollo ormai si era abituato alle urla e ai pianti provenienti dai Campi della Pena.
Nella giornata successiva, Persefone sarebbe tornata negli Inferi, avrebbe ripreso il suo posto come moglie di Ade, e Apollo sarebbe tornato ad essere solo un dio confinato negli Inferi come punizione del padre per aver rischiato di far distruggere il mondo.
Sia Ade che Apollo sapevano che il momento del loro addio era vicino, ma nessuno dei due intendeva farne parola. Erano preoccupati, atterriti e speravano di godersi quegli ultimi momenti in compagnia dell’altro.
«Sei bravo.» mormorò Apollo, gli occhi socchiusi, mentre Ade gli massaggiava le spalle e la schiena con destrezza. «Sei davvero molto bravo.»
«Benissimo. La prossima volta che avrai bisogno di un massaggio, rivolgiti a me. A me e a nessun altro.»
Apollo restò fermo e immobile, lasciando che il dio dei morti continuasse a massaggiarlo. Riusciva a sentire tutto il corpo del dio contro la sua schiena, e non era affatto una cosa brutta.
«Ascolta, Ade…» mormorò Apollo, decidendo di spezzare quell’accordo muto che avevano stipulato riguardo al ritorno di Persefone.
«Sst.» mormorò a sua volta Ade, fermandosi, e capendo le intenzioni di Apollo.
«Ma…»
Ade gli posò una mano sulla bocca mentre con l’altra gli accarezzava la schiena. Lo afferrò per le natiche e lo tirò su, penetrandolo senza fretta. Apollo gli baciò il palmo e Ade scostò la mano, portandola al fianco del dio biondo, aiutandolo ad adeguarsi a lui.
Presto la stanza da bagno di Apollo si riempì di gemiti provenienti da entrambi. Apollo si agitò un poco prima di venire, e subito dopo si girò tra le braccia di Ade per poterlo baciare. Ade accettò ogni bacio e carezza, e lo strinse a sé nel momento del coito.
Apollo ansimò per qualche altro minuto sulla sua pelle, baciandolo lentamente. Ade gli accarezzò la schiena e gli addominali, ansimando a sua volta.
«Ade…» sussurrò Apollo, infilandogli le dita tra i capelli riccioluti.
«Non dire niente.» mormorò Ade. Lo tenne stretto a sé e si sollevò dalla vasca, lasciando colare l’acqua fuori dal bordo. Rischiò di inciampare mentre scendeva i gradini di ossa e, stringendo ancora il dio biondo, lo portò nel letto.
Apollo gli circondò subito il collo, riprendendo a baciarlo. Le loro lingue si incontrarono in una danza appassionata, mentre le mani di Ade scivolavano sul corpo del dio che ormai conosceva bene. Trovò di nuovo la forza per possederlo, ma Apollo non intendeva restare buono. Voleva godersi quel momento, uno degli ultimi.
Inarcando la schiena, Apollo posò le dita sulle braccia di Ade e lo graffiò, mordicchiandogli il labbro e lasciandogli una scia di segni sulla gola e sul collo. Ade lo lasciò fare, sprofondando in lui per quanto gli fosse possibile.
«Ti amo!» mormorò Apollo all’orecchio di Ade, mordicchiandolo, passandogli le dita sulla schiena e sul sedere. «Ti amo tanto.»
Ade lo strinse e finì steso con lui mentre mormorava il suo nome. Restò dentro di lui per un altro minuto, riprendendo fiato, e quando si scostò da Apollo gli coricò affianco, stringendolo tra le braccia.
Apollo gli baciò il petto, asciugandosi il sudore dalla fronte.
«Stai diventando un esperto.» mormorò divertito.
«Ho avuto un eccellente maestro.» sorrise Ade, baciandogli la punta del naso.
Apollo fece una specie di sorriso per racchiudere la sua amarezza. «Quando tornerà Persefone, la sorprenderai.»
Ade lo fissò. «Non credo che vorrà farsi prendere in questo modo.»
«Ah, le donne possono sempre stupirti.» Apollo gli posò le mani sui fianchi, disegnando la linea della sua natica e sorridendo. «Con me erano sorprendenti.»
«Tu ne hai avute tante. Io ne ho avuta solo qualcuna.»
Apollo lo fissò dritto negli occhi. «Dimmi la verità. Oltre le madri dei tuoi figli semidei, e la tua sciocca moglie, con quante altre donne hai giaciuto?»
Ade sospirò, stendendosi supino e lasciando che Apollo si stendesse sopra di lui.
«Due.» confessò. «Ho avuto altre due donne.»
«Wow. Quindi hai avuto altri figli semidei?»
«Solo Teresa.» Ade lo squadrò. «Nata alla fine dell’Ottocento. Ma è stata uccisa prima di compiere otto anni.»
«Mi dispiace.» Apollo gli accarezzò i capelli. «Davvero.»
«Lo so.» Ade gli posò le mani sulla schiena. «E con l’altra donna non ho avuto figli perché… be’, Persefone l’ha scoperta e l’ha fatta fuori.»
«Ah. E stai ancora con quella donna?!»
«L’ho obbligata a venire qui negli Inferi. Per colpa mia è costretta a tornarci per un terzo dell’anno. Non posso mollarla così, su due piedi. Continuerei a vederla.»
Apollo giocherellò con un orecchino di Ade. «Tempo fa, una donna mi ha legato al suo letto per un mese intero, vantandosi di avere il suo personale schiavo sessuale tra le lenzuola.»
Ade lo fissò sorpreso. «E perché non sei scappato?»
«Mi divertiva.» Apollo sorrise. «Era una gran donna, era divertente, e faceva l’amore in un modo meraviglioso. Me ne sono andato dopo un mese perché le cose tra noi si erano fatte troppe monotone.»
«A te piace cambiare.» mormorò Ade, ripensando a tutto quel periodo trascorso.
«Sì, mi piaceva. Ma ora resterei molto volentieri solo con te.» Lo baciò teneramente.
«Da quella donna hai avuto dei figli?» si interessò Ade, stringendogli le natiche.
«No. Era sterile. Un figlio si è portato via tutto il suo arsenale interno.» Apollo ridacchiò al ricordo. «Volevo curarla, ma lei ha detto che in questo modo poteva giacere con chiunque senza correre rischi.»
«Tutte le donne amabili le incontri tu.» sorrise Ade.
Apollo si mise seduto a cavalcioni sopra di lui. «Be’, quella più amabile te la sei trovata tu.» sbuffò.
«E l’ho anche sposata.» Ade gli accarezzò i fianchi. «Apollo…»
Ora era il dio del sole che non voleva sentirlo parlare. Scese dal suo corpo, e lo fece voltare. Ade obbedì, stringendo le coperte tra le dita e lasciando che Apollo lo possedesse.

Continuarono per ore, e avrebbero continuato di certo per giorni se entrambi non fossero stati così desiderosi di discutere.
Apollo restò nel letto disfatto mentre Ade andava a fare un bagno solitario e si rivestiva. Persefone sarebbe arrivata nel salone a minuti, di sicuro. Apollo mangiucchiò una patatina – il cibo spazzatura era diventato il suo preferito – e attese che Ade tornasse.
«Mi spiace.» disse infine il signore dei morti, fermandosi di fronte al letto e scrutandolo con il suo solito cipiglio duro. «Da domani…»
«Da stasera.» lo corresse Apollo senza guardarlo. «Da stasera tornerai ad essere il fedele marito di tua moglie.»
«Quando abbiamo iniziato…»
«Sai, un po’ ci speravo che la lasciassi per stare con me!» esclamò Apollo, fissandolo torvo. «Ma non l’hai fatto.»
«È per colpa mia se lei si trova negli Inferi. Non posso lasciarla così alla leggera.»
«Non vuoi scalfire il tuo bel nome!»
«Ho scalfito il mio bel nome già da tempo, Apollo.» Ade si passò le dita tra i riccioli. «Seriamente, non credevo che saresti stato così geloso. Lo sapevi che…»
«Che saresti tornato tra le gonne di tua moglie appena lei fosse tornata. Scusami se speravo che le cose tra noi funzionassero bene, e per un tempo maggiore.»
«Apollo…»
Lui si voltò a guardarlo. «Piantala di fissarmi in quel modo. Io ti amo, Ade. Speravo che tu provassi lo stesso.»
«Ma io lo provo!» esclamò Ade, avvicinandosi a lui. Apollo si ritrasse al suo tocco. «Io ti amo, e sai che mi dispiace che sia tornata così presto.»
«Lasciala, no? Anche se tempo fa ha mangiato del cibo qui degli Inferi, sono sicuro che mio padre la libererà dalla punizione se il vostro matrimonio dovesse fallire.»
«Ti rendi conto che sarei il primo degli dei a divorziare?!»
«Saresti anche il più furbo, allora.»
Ade scosse la testa, senza guardarlo. «Io ti voglio bene, Apollo. Ma non posso lasciare Persefone da sola in questo luogo.»
«Stai chiudendo con me?» mormorò Apollo, con voce acuta.
«Io… Credo di sì. Se tu non riesci a capire i miei doveri…»
«Capisco solo che nelle ultime tredici ore abbiamo fatto l’amore un centinaio di volte! E ora tu ricordi di dover essere un brav’uomo, un bravo marito. Dov’era tutto questo tuo spirito quando Persefone se n’è andata, quattro mesi fa?»
Ade si alzò in piedi senza guardarlo. «Mi dispiace, Apollo.»
«Be’, dispiace anche a me.» Apollo sentì gli occhi pieni di lacrime. «Mi sono innamorato di un idiota.»
«Attento a quello che dici…»
«Be’, è vero! Sei un idiota! Persefone ti odia, non vuole stare qui, preferirebbe trovarsi in un qualunque altro posto! E ora tu lasci me per tornare da lei. E io cosa dovrei fare, Ade? Aspettare l’anno prossimo, quando Persefone scomparirà di nuovo? Devo rimanere qui, in attesa di riscaldarti le lenzuola?»
«Apollo…»
«Se pensi questo di me, faresti meglio ad andartene!» Il dio del sole brillò di luce solare, e Ade voltò di scatto la testa prima che gli bruciasse la retina. «Io non sono l’oggetto sessuale di nessuno, tanto meno il tuo! Non lo sono più, e mai più lo sarò!»
Ade si alzò dal letto e si allontanò verso la porta, mentre alle sue spalle il dio del sole riprendeva le sue vere sembianze.
«Mi dispiace che abbiamo dovuto salutarci in questo modo.» mormorò Ade, scosso.
«Sparisci dalle mie stanze!»
Ade uscì dalla camera e Apollo restò a fissare la porta chiusa per quella che gli parve un’eternità. Sperò che il signore dei morti tornasse indietro, ma non accadde.
Crollò sul letto in lacrime.

 
Ciao!
La storia continuerà ancora per qualche capitolo... siete avvisati!
Debby

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Capitolo 7
*** 7. La stella di Apollo ***


Ade non si era mai annoiato così tanto in tutta la sua vita, il che era tutto dire, visto che era il signore dei morti, capitanava gli Inferi, ascoltava per ore i morti che si lamentavano della loro vita orribile, e via dicendo.
L'unica cosa che lo rallegrava erano le continue lettere di Nico provenienti dal mondo umano, in cui gli raccontava la sua vita che continuava a cambiare. Nico viveva nel mondo umano ormai da tre anni, lui e Will erano sempre più felici, e sembrava che niente, né lo studio increscioso di Will, né la scoperta dei passatempi umani per Nico, riuscisse a scalfirli.
Con nostalgia Ade pensò ai mesi vissuti felicemente in compagnia del dio del sole. Non vedeva Apollo da quando era uscito dalla sua stanza, più di sei mesi prima. Aveva affidato ai suoi servitori di portargli viveri e di cambiargli la biancheria. Non si era più avvicinato a quel corridoio per il terrore di incontrarlo.
Con un sospiro, si voltò a guardare sua moglie, la regina degli Inferi. Come al solito, Persefone era persa nei suoi pensieri. Di sicuro non vedeva l'ora di tornare dalla madre, e liberarsi di lui per altri quattro mesi.
Persefone notò che la stava guardando e gli sorrise, ma si affrettò a cambiare espressione. Ade tornò a fissare le anime che attendevano una punizione.
Apollo gli mancava in maniera smisurata, ma il suo orgoglio, e il suo amore per Persefone, riuscivano a soffocare quella mancanza. E dire che, se avesse voluto, poteva benissimo scendere quei dodici piani che lo avrebbero portato al tredicesimo, dritto tra le braccia di Apollo.

Apollo posizionò l'asso di picche in cima al suo castello di carte e questa volta evitò di battere le mani per l'entusiasmo. L'ultima volta che l'aveva fatto, più o meno mezz'ora fa, il castello era andato distrutto e lui si era messo a lanciare dardi per la stanza, prendendo in pieno il pianoforte. Per fortuna, non si era rotto.
Si alzò lentamente dal pavimento e guardò il suo lavoro, sentendosi solamente in parte come un malato schizofrenico chiuso in un manicomio. A dargli conforto solo la mancanza della camicia di forza.
Apollo andò a sedersi sul letto, sorseggiando una lattina di Coca-Cola e fissando la sua camera. Quando era tornata Persefone, gli era stato concesso un altro appartamento, composto da quattro camere e due bagni ripiene di ogni confort. Sembrava che la moglie di Ade desiderasse farlo felice, anche se non ne capiva bene il motivo. Forse aveva parlato con Zeus, che voleva assicurarsi che stesse bene.
Apollo utilizzava una di quelle quattro camere come la sua personale stanza della musica, insonorizzata da Persefone stessa. La seconda camera era piena di bersagli per farlo esercitare con il tiro con l'arco. Nella terza c'era un enorme palcoscenico sul quale poteva ballare all'infinito. E la quarta la utilizzava per dormire.
Apollo si stese sul letto. Era nudo, come al solito. Tutta una singola parete della sua stanza era occupata da un grosso armadio di noce, piena di vestiti. Persefone aveva fatto scintille, al suo ritorno. Il loro padre doveva proprio averle detto qualcosa.
Apollo fissò il soffitto di ossa. Ormai quel posto gli piaceva, era diventato la sua casa, si sentiva come a casa. Ed era felice di essersi ambientato, che Persefone gli avesse concesso tutte quelle cose. Era contento. Ma era anche triste.
Dieci mesi prima Ade si era intrufolato nella sua stanza. Avevano fatto sesso per la prima volta. Il sesso si era trasformato in fretta in tenero amore, e Apollo aveva sperato per settimane che Ade decidesse di mollare la moglie per mettersi con lui in modo ufficiale. Cosa non accaduta, visto che Ade lo aveva scaricato non appena il tempo di Persefone fuori dagli Inferi era scaduto.
Apollo si oscurò mentre pensava ai giorni successivi, dopo che Ade l'ebbe lasciato da solo nella sua stanza. Si sedette sul letto, abbracciandosi le ginocchia e fissando la porta proprio come quel giorno.
Ade se n'era andato, e Apollo era rimasto in attesa di vederlo tornare. Dopo due giorni passati a fissare la porta, aveva capito che non lo avrebbe più rivisto. Il che lo aveva ferito in ogni parte del suo corpo.
I servi zombie di Ade lo avevano convinto con la forza a farsi un bagno, ma non a mangiare. Per un mese intero, Apollo aveva deciso di fare lo sciopero della fame, sperando che Ade tornasse da lui. Ma allo scoccare di trentuno giorni, Apollo era stato servizievole con gli zombie. Obbediva alle loro mute richieste, e li aveva scacciati quando avevano tentato di rimetterlo a forza nella vasca bollente.
Se si stava dimenticando di Ade? No, per niente. Ade era stata la stella nera nella sua vita di luce. Era una stella difficile da dimenticare, visto il posto oscuro in cui si trovava.
Ma almeno Ade era stato bravo. Da quando se n'era andato non era più tornato indietro, e Apollo lo preferiva. Se lo avesse rivisto anche solo per un secondo, in lui sarebbe riaffiorato tutto il dolore che cercava di soffocare,e chissà cos'altro. Era molto meglio così.

Ade passò un quarto d'ora ad ascoltare le lamentele di una donna che in vita era stata una stella del cinema. La bandì nei Campi della Pena perché aveva cercato di fare la furba, e quando una nuova anima si posizionò di fronte a lui, inspirò profondamente.
«Persefone, vado a fare una passeggiata.» borbottò, alzandosi in piedi e lisciandosi la veste.
La moglie spostò lo sguardo su di lui. «Dove vai?» Un pizzico di curiosità.
«Sulla riva dello Stige.»
«Vengo con te.»
«No. Voglio stare un po' solo.»
Persefone annuì. Da quando era tornata mesi prima, aveva notato che il marito si era fatto più scorbutico di prima. Nella camera da letto non le chiedeva nemmeno più di fare l'amore con lei. Doveva essere stanco di quella vita.
Ade lasciò il suo palazzo e si avviò allo Stige. Salutò Cerbero lanciandogli una vecchia palla da football, e si camminò sulla riva in cui si era trovato diverse volte con Apollo.
Si sedette, osservando l'acqua scura dello Stige pensieroso. Erano sei mesi che il suo cuore si struggeva per il dio del sole, ed erano sei mesi che cercava di non corrergli incontro. Aveva una moglie, non poteva mollarla così e sparire da lui. L'unica persona che lo avesse mai fatto sentire così bene.
Si strinse nelle spalle e si guardò attorno. Notò il sole che Apollo aveva inciso con un ramoscello nella terra, e il teschio tutto storto che aveva fatto lui stesso dopo di lui. Ricordò che quella era stata una delle tante belle giornate vissute con lui.
Ade si passò le dita tra i capelli, fissando il suo palazzo. Persefone sarebbe stata occupata con i morti ancora per qualche ora, almeno fino al suo ritorno di sicuro. Forse poteva andare da Apollo, controllare la sua salute... Ma no. Se lo avesse rivisto, il suo corpo non gli avrebbe più permesso di lasciarlo.
Il loro era stato un errore che non sarebbe più ricapitato, per il bene di entrambi. E poi conosceva Apollo. Se si fossero rivisti, Apollo gli sarebbe saltato addosso, mandando a quel paese la distanza che si era creata. Ed era sicuro che non avrebbe rifiutato quelle attenzioni.

Apollo entrò nella camera della musica e prese il violino. Iniziò da gli accordi più semplici, poi riprese a suonare uno dei tanti Inni ad Ade che aveva creato nelle ultime settimane. Non erano inni d'amore come il primo, ma inni di odio e disgustato. Apollo si ritrovò a pensare che questi Ade li avrebbe apprezzati molto di più.
Suonò per ore il violino, gli occhi chiusi e la musica che divampava da lui come raggi di sole. Il pianoforte lo accompagnò, come l'arpa e l'armonica, e Apollo si ritrovò a sorridere sul serio dopo tanto tempo.
Quando bussarono alla porta, Apollo finse di non aver sentito. I servitori di Ade apparivano nei momenti meno opportuni. Il giorno prima lo avevano interrotto mentre si dava da fare da solo sul letto. E anche quello prima ancora. E quello prima ancora.
Aggrottò la fronte. Era colpa degli zombie o semplicemente era lui a darsi troppo da fare?
Al quinto colpo sulla porta, Apollo abbassò il violino e lo posò sul pianoforte. Gli strumenti dotati di vita loro si fermarono, lasciando la stanza carica di elettricità musicale. Quello era il suo elemento perfetto.
«Sì?» chiese Apollo, prima di spalancare la porta, e incrociare le orbite vuote del solito zombie che gli aveva portato la solita cena. «Grazie. La prossima volta lascialo davanti alla porta.»
Lo zombie lo fissò in silenzio, poi se ne andò. Apollo lo seguì con lo sguardo, e fu sul punto di rientrare nella sua stanza quando vide Ade sbucare infondo al corridoio, con la sua solita aria tetra.
Il vassoio che teneva in mano tremò.

Le pupille di Ade si sgranarono nel vederlo lì sulla soglia della camera. Impallidì più di quanto non fosse già pallido, e si bloccò.
«Tu...» balbettò Ade, fissandolo, non sorprendendosi di vederlo nudo. «Tu dovresti essere dentro.»
«Io...» farfugliò Apollo di rimando. «Io... ho solo preso la cena.»
«R-Rientra nella sua stanza.»
«L-Lo faccio subito.» annuì Apollo, ma le sue gambe non obbedivano. Tenne gli occhi su Ade, cercando di saziarsi di lui solo con la vista. Il dolore che gli aveva fatto provare negli ultimi mesi sembrò scomparire, per poi tornare più forte e costringerlo ad arretrare e chiudersi nella stanza prima che la sua gioia di vederlo fosse visibile.
Ade restò lì impalato a guardare la porta chiusa, non sapendo come reagire. Era la prima volta che gli capitava. Per ogni istante della sua vita aveva sempre avuto almeno un piano, ma non quella volta.
Tornare sul suo trono? Aiutare Persefone a gestire i morti? Rinchiudersi nella sua camera?
Andare da Apollo? Distruggersi completamente? Seguire il suo cuore pulsante?
A passo malfermo, si avvicinò alla porta chiusa della stanza. La toccò, senza bussare. Riusciva a sentire il calore di Apollo al di là della porta. Doveva prendere una decisione per entrambi, ma non voleva che si rivelasse quella sbagliata.
Chiuse la mano a pugno per dare un colpo di nocche alla porta, ma essa si spalancò da sola. Le mani color miele di Apollo lo afferrarono per la veste e lo spinsero in stanza. Prima di poter dire solo una parola, Ade sentì il corpo nudo e decisamente felice di vederlo di Apollo stretto al suo, le labbra premute sulle sue, la lingua pronta ad accarezzargli la bocca.
Ade affondò le dita nella schiena di Apollo e chiuse la porta con un colpo di anche. Senza una parola rispose al bacio di Apollo con altrettanto entusiasmo, ed entrambi si accompagnarono al letto. Apollo si sedette, Ade prese posto sulle sue ginocchia e ripresero a baciarsi come se ne valesse delle loro vita.
Ade si ritrovò nudo in un battito di ciglia per merito di Apollo. Non aveva mai creduto di potersi sentire così eccitato per un altro uomo.
Apollo gli infilò le dita tra i capelli, accarezzandogli ogni centimetro di pelle pallida. Non lo faceva da mesi, e un po' si sorprese di conoscerne così bene ogni particolare.
Il bacio continuò ad essere passionale, e Apollo spinse Ade tra le sue lenzuola. Ade non sembrava intenzionato a lasciare le sue labbra, e Apollo non intendeva venir meno a quel contatto. La presa delle sue dita gli provocò dei lividi, ma non se ne preoccupò. In quel momento, erano all'ultimo posto di una lunga lista.
Ade gli strattonò i capelli perché si era distratto, e Apollo lo baciò con più forza. Le loro mani volarono sui loro petti e sui sessi pronti all'azione. 
Ade lo strinse, mordicchiò il labbro di Apollo e restò in attesa. Apollo lo accarezzò, gli leccò le labbra, e gli sollevò il bacino. Il corpo di Ade sembrava già pronto ad accoglierlo. Apollo vi entrò dentro, vi sprofondò, e Ade si morse la lingua per non urlare, muovendo i fianchi per aiutarlo ad entrare, graffiandogli le braccia mentre lo sentiva dentro di sé.
Con un gemito, Apollo cominciò a muoversi e guardò Ade. Erano sei mesi che non lo vedeva, ed era stupendo, con le guance rosse, i capelli scompigliati, e gli occhi colmi di qualcosa che non riuscì a riconoscere.
E gemeva. Le labbra del dio dei morti si aprivano a tempo con i suoi affondi per gemere, un suono meraviglioso, più bello di tutti gli strumenti musicali che Apollo amava così tanto. Apollo ansimava piano, per non rovinare il suono delizioso di Ade.
Quando il dio dei morti gli venne sullo stomaco, Apollo si lasciò andare. Avrebbe potuto proseguire per ore, ma di sicuro Ade non era pronto per una cosa del genere così presto, dopo sei mesi di niente assoluto.
Lasciò il suo corpo e restò seduto, lo prese tra le braccia e gli ricoprì il volto di baci. Ade teneva le palpebre chiuse, cercando di riprendere fiato, e quando spalancò i suoi meravigliosi occhi scuri, Apollo stava già piangendo silenzioso.
«Mi dispiace.» mormorò Ade, sorprendendosi con gli occhi lucidi, posandogli le mani sui lati del volto e baciandolo con forza. «Mi dispiace, sono stato un vero idiota.»
«Sst.» singhiozzò Apollo, baciandolo a sua volta. «Stai zitto per una volta.»
Ade lo accontentò, e lo baciò. Lo circondò con le braccia e le gambe, non sorprendendosi di essere già di nuovo eretto. Apollo lo baciò sul collo, continuando a versare le sue lacrime silenziose, per lo più lacrime di gioia.
Si stesero sul letto, avvinghiati. Apollo non riusciva più a distinguere i suoi arti da quelli di Ade, ma non gli importava. Continuò a baciarlo, senza lasciargli il tempo di distruggere quel delizioso momento che si era creato tra loro. Il giorno dopo, o forse solo venti minuti, se ne sarebbe pentito, ma ora il suo cuore gli chiedeva soltanto di vivere il momento.

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Capitolo 8
*** 8. L'amante di Ade ***


Le braccia calde del dio del sole erano avvolte contro il suo corpo quando Ade alzò lo sguardo sul volto sorridente dalle guance ricoperte di lacrime. Il cuore gli si strinse nel sapere che quelle lacrime erano colpa sua.
Cercò di mettersi seduto, ma il passaggio di Apollo sul suo corpo non sembrava un dolore passeggero. Fece una smorfia, e Apollo lo spinse contro di lui.
«Scusa per l'entusiasmo.» mormorò lui, dandogli un bacio sulla fronte e poi un altro sulle labbra. «Mi sono lasciato andare.»
Ade fece una seconda smorfia, e lo baciò, strusciandosi contro di lui. Apollo sospirò, accogliendo il suo corpo contro il suo.
«Cosa ti ha spinto a venire da me?» domandò Apollo, a bassa voce, guardando le gambe di Ade contro le sue. «Hai litigato con Persefone?»
Ade riuscì a mettersi seduto e si scostò da lui, scrutandolo in volto. «No, non ho litigato con lei.»
«E allora perché sei qui nel mio letto?»
«Se non erro, sei stato tu a trascinarmi qui...»
«Tu mi hai spinto per primo!»
«Tu mi hai afferrato e fatto entrare nella tua stanza!»
«Be', non lo avrei fatto se tu non fossi stato nelle vicinanze, ti pare?!» 
Apollo scese dal letto e recuperò la veste di Ade, lanciandogliela addosso, e prese la sua dalle bordature dorate dal divano. La indossò, legando la cintura alla vita, e restò a fissarlo senza avvicinarsi. Ade restò nudo sul letto con le lenzuola rosse attorno a lui, come un mare di sangue cremisi.
«Non voglio litigare con te.» mormorò Ade, poco convinto.
«Nemmeno io.» disse Apollo, poi si corresse. «Io non voglio dividerti con nessuno.»
«Dividermi...» Ade incrociò le gambe. «Non mi dividi con nessuno.»
«Ah, sì? Molti piani più su non c'è tua moglie?»
«Sì, mia moglie è nella sala del trono...» Ade si passò le dita tra i capelli. Ad Apollo piacque il modo in cui guizzarono i muscoli di quelle braccia muscolose. 
«Si trova qui, nel tuo palazzo. Ti sto dividendo con lei.» Apollo desiderò uccidere Persefone.
Ade gli lanciò un'occhiata e avvampò. «Non mi dividi con lei.»
«Non la baci? Non fai l'amore con lei? No, aspetta...» Apollo scosse la testa, contrario. «Non mi interessa. Assolutamente non mi interessa. Ora puoi andartene. Ti ringrazio per la visita, ma...»
«Apollo...» Ade scese dal letto, inciampò nelle lenzuola e cadde a terra. Apollo fu così sorpreso di vederlo fare un gesto tanto umano e stupido che non vi trovò nulla da ridere.
Ade si rimise in piedi dolorante, imbarazzato, e zoppicò fino a lui. Era più alto di almeno venti centimetri. Apollo incrociò le braccia al petto e tenne lo sguardo sul suo volto. 
«Mi manchi.» esalò infine Ade, gli occhi scuri ingigantiti come un cucciolo di cane.
Apollo ansimò. «Hai solo da lasciare tua moglie.»
«Non posso farlo, te l'ho già spiegato.»
«Allora non tornare più qui. Io non voglio essere il tuo giocattolo sessuale.»
Ade gli prese le mani e le strinse tra le sue. «Tu non sei il mio giocattolino sessuale.» borbottò, le guance sempre più rosse. «Io... Non posso lasciare Persefone. Lei è condannata a vivere qui con me per il resto dell'eternità. Non posso farmi odiare da lei per tutto questo tempo.»
«E da me sì?» Apollo non ebbe la forza di togliere le mani dalle sue. «Anch'io posso odiarti per tutta l'eternità.»
Ade si mordicchiò il labbro, e Apollo sentì le sue difese crollare.
«Mi sei mancato tutti i giorni degli ultimi sei mesi.» mormorò Ade, senza guardarlo. «Tutti i giorni, ogni singolo minuto. Dico sul serio, non ti racconto bugie.»
«Allora...»
«Non posso farlo, Apollo, lo capisci?» Ade fece un passo indietro, le mani tra i capelli e l'espressione confusa. «Da quando è arrivata, Persefone si comporta in modo strano...»
Apollo si guardò attorno. «L'ho notato anch'io.» borbottò.
«...E anche io mi comporto in modo strano con lei. Io e lei... non abbiamo mai fatto sesso da quando è tornata.»
Apollo lo fissò senza parole. Lo aveva fatto per lui? Per l'amore che provava per lui? O perché ora sua moglie non gli piaceva più?
«Wow.» rispose Apollo, freddo. «Quindi sei venuto qui in cerca di coccole perché lei...»
Ade gli tirò uno schiaffo. Apollo sussultò e avvampò.
«Gli schiaffi tirameli sul culo.» borbottò.
«Scusa.» Ade si massaggiò la fronte. «Scusa.»
«Piantala di scusarti. Perché mi sono meritato lo schiaffo?»
«Sono io che non vado a letto con lei.» Ade si guardò attorno a disagio. «Non ci riesco. Io... voglio te.»
«Vuoi me, ma non puoi lasciare tua moglie.»
«Devi aver già sentito qualcosa del genere.»
«E cosa vorresti che facessi?» Apollo lo fissò. «Se mi dai il permesso, la vado ad uccidere.»
Ade scosse la testa. «Se Demetra ti scoprisse...»
«Mi riempirebbe di grano?»
Si lanciarono un'occhiata e scoppiarono a ridere.
«Ti ucciderebbe.» disse Ade, sorridendo. «E, visto che lei è mia suocera, lei si aspetterà che ti dia una punizione meritevole.»
«Ma lo farei per te!»
«Sì, be', Demetra non ci crederà.» Ade tornò a sedersi sul letto, ignorando la sua veste tutta sgualcita. «Apollo, vorrei che tu capissi quello che mi passa per la testa...»
«Davvero, ci sto provando, ma non riesco.» Apollo lo osservò. «Sei innamorato di me, ma anche di Persefone. Non la puoi lasciare perché lei è condannata a stare qui, e non vuoi farti odiare da lei. Ma io ti odierò, se sceglierai lei.»
«E lei odierà me se sceglierò te.»
«Lei non sa che io e te abbiamo questo tipo di incontri.» Apollo gli si avvicinò e si sedette vicino a lui, ricordandosi di tenere le mani apposto. 
«E allora?» Ade lo scrutò.
«Allora...» Apollo si umettò le labbra. «Posso essere il tuo amante segreto.»
«Il mio amante segreto?» Ade lo fissò a bocca aperta. «Scherzi?»
«No, non scherzo. Vuoi restare con Persefone, questo... posso rispettare questa tua scelta. Non so come li hai passati tu, ma per me questi sono stati sei mesi di inferno.» Apollo batté le palpebre. «E vivere l'inferno negli Inferi mi sembra proprio il colmo.»
Ade sorrise.
«Sono stato malissimo, desideravo tutti i giorni che tu entrassi da quella porta, ma non lo hai mai fatto.»
«Mi...»
«No.» Apollo lo zittì con un bacio. «Questo è il tuo regno. Hai una moglie. Dei figli che ti rispettano. Un fratello che si fida abbastanza di te da mandarti suo figlio per la punizione più lunga della sua vita. Va bene, d'accordo, posso accettare tutto questo. Ma fammi essere il tuo amante segreto.»
Ade gli accarezzò le guance. «È questo che vuoi?»
«Se devo decidere tra il passare un altro mese nelle stesse condizioni delle ultime settimane, e dover nascondere la nostra relazione, preferisco la seconda. Almeno posso vederti.»
«D'accordo, allora... Tu... sei il mio amante segreto.»
Apollo lo strinse a sé, dandogli lievi baci sulla pelle, poi trovò le sue labbra e si avvinghiarono di nuovo tra le coperte.
«Ti amo.» mormorò Ade, baciandolo sul collo e lasciandogli un segno.
«Ti amo anch'io. Questa volta non mi lasciare a me stesso, d'accordo?»
Ade annuì e lo baciò più forte.

Quando Ade lasciò la stanza di Apollo, questi restò nel letto abbracciato al cuscino che odorava dell'altro. Poteva accontentarsi di essere solo l'amante di Ade. Pur di vederlo tutti i giorni, poteva accontentarsi.
Si rigirò tra le lenzuola abbracciato al cuscino, riflettendo. Se avesse fatto fuori Persefone, non avrebbe più dovuto preoccuparsi dell'amore di Ade nei suoi confronti. Però, se l'avesse uccisa davvero, era possibile che Ade l'avrebbe odiato per sempre. Infondo con Persefone era stato davvero felice.
Apollo si mise seduto, fissando le coperte tutte tirate. Si erano uniti una seconda volta prima che Ade lo lasciasse da solo per tornare al suo lavoro. Sorrise pensando a lui, e sospirò.
Nel corso della sua vita si era innamorato di soli altri due uomini. Uno era Giacinto, ucciso dalla gelosia di Zefiro, morto tra le sue braccia. Il secondo uomo di cui si era veramente innamorato era Logan Solace, il patrigno di suo figlio Will. Non gli piaceva ricordarlo, anche perché il loro amore era durato appena una settimana. Poi aveva dovuto lasciare Logan alla moglie e ai figli. Logan si era dimenticato di lui in fretta come qualsiasi altro umano, ma ad Apollo quella relazione era mancata per anni. Aveva concesso un dono a Logan, e anche la capacità di guarire velocemente e invecchiare lentamente ad entrambi i coniugi Solace. Erano stati parti importanti della sua vita.
E ora Ade. Tra tutti gli Dei, Apollo non avrebbe mai creduto possibile di innamorarsi proprio di lui. Avrebbe scommesso su Poseidone, il dio dei mari, visto che passavano quasi lo stesso tempo in spiaggia. Oppure Ares. A tutti piacciono i cattivi ragazzi, non solo ad Afrodite. Oppure ad Efesto. Il dio delle fucine gli metteva una gran tenerezza, e dopo il regalo di Leo Valdez, Efesto era salito di gradi. Chissà quanti altri strumenti musicali avrebbe potuto creargli Efesto!
Ma Ade... Probabilmente nessuno avrebbe pensato ad una loro possibile relazione. Anche per Apollo era ancora incredibile, ma era vero. Esisteva. E il suo cuore batteva di gioia smisurata al solo pensiero di averlo lì, di essere il suo amante.

Ade camminò in fretta nei corridoi fino a raggiungere la sala del trono. Mentre Apollo schiacciava il riposino post-coito, Ade si era intrufolato nella doccia per eliminare il profumo del dio del sole dalla sua pelle. Sperò che Persefone non se ne accorgesse. Altrimenti sarebbe stato piuttosto imbarazzante spiegarsi.
Sua moglie era ancora seduta al suo posto, e ascoltava i morti annoiata. Quando c'era lei al comando, le cose andavano a rilento. Lasciava che tutti le parlassero della loro vita orribile per confrontarla alla sua. Sembrò illuminarsi nel vedere il marito in avvicinamento.
«Bella passeggiata?» chiese, mentre Ade si sedeva sul suo trono e stirava le gambe in avanti, incrociando le caviglie. «Di sicuro è stata lunga.»
«Quanto sono stato via?» domandò Ade, distratto.
«Due ore.»
«Sì, è stata una bella passeggiata. Tu!» abbaiò al fantasma di fronte a lui. «Campo delle Pene! Subito!»
Riuscì a processare altre cento anime prima di ritirarsi nella sua stanza. Persefone si chiuse nella sua senza una parola, e Ade si stese sul suo letto, il pensiero rivolto ad Apollo. La loro relazione segreta quanto sarebbe durata? Conosceva Apollo. Per certi aspetti poteva essere la versione maschile di Afrodite. Ad entrambi piacevano le stesse cose, e una volta che era salito sull'Olimpo li aveva visti discutere su chi avesse l'acconciatura più FA-VO-LO-SA. Avevano proprio parlato così.
Di sicuro ad Apollo quella soluzione non avrebbe portato piacere molto a lungo. Da un momento all'altro si sarebbe messo a strillare e ad inveire contro di lui. Conosceva le donne... O meglio gli dei come Apollo.
Si spogliò e si infilò sotto le coperte. Fu molto tentato di intrufolarsi tra le lenzuola del dio del sole, ma per quel giorno il loro incontro era concluso. Il suo cuore batteva rapido e gonfio della stessa sensazione di gioia mista ad amore che aveva avuto nel vedere Persefone per la prima volta. Si erano ritrovati dopo sei mesi. Bisognava procedere con cautela.
Fu sul punto di addormentarsi quando udì bussare alla porta. Immaginò che fosse Persefone, e sperò che non avesse l'intenzione di intrufolarsi tra le sue lenzuola. Non lo avrebbe accettato.
«Avanti.» disse Ade, mettendosi seduto e coprendosi.
Una figura incappucciata entrò nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Ade lo fissò sorpreso, e la figura si fermò di fronte a lui.
«Nelle mie stanze?» sibilò Ade, ma stava cercando di nascondere il sorriso di piacere. «Sei venuto nelle mie stanze?»
«Immaginavo che non saresti venuto da me.» rispose Apollo, abbassando il cappuccio e togliendosi il mantello. «E non volevo passare la notte da solo.»
«Tu sei pazzo.» borbottò Ade, osservando Apollo. Naturalmente, sotto il mantello il dio del sole era nudo, con la pelle appena accesa dal suo calore corporeo. Sulle labbra spiccava un sorriso enorme. «Sei proprio pazzo.»
«Anche tu sei felice di vedermi.» ribatté Apollo, stendendosi accanto a lui e appoggiando la testa alla propria mano. «O è una mia impressione?»
Ade lanciò un'occhiata alla porta, e sorrise tra sé. Forse il suo amante lo avrebbe costretto a lasciarsi con Persefone. Si chinò per baciarlo, e Apollo lo strinse divertito.

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Capitolo 9
*** 9. Inviti di matrimonio ***


Ade fissò in silenzio il dio del sole che giaceva supino affianco a lui. Apollo aveva la cattiva abitudine di dormire fino a tardi, quando in realtà loro due potevano uscire insieme e divertirsi sulla riva dello Stige.
Con un sospiro, Ade rimase ad osservare Apollo, divertito. Il dio della musica sbavava nel sonno, aveva la brutta abitudine di toccarsi spesso e di borbottare e canticchiare, e di muovere le dita come se stesse suonando il pianoforte.
Solo una volta Ade si era intrufolato nei sogni di Apollo. Lo aveva visto seduto ad un pianoforte intento a suonare una melodia bellissima, commovente e infinita. Era rimasto a fissarlo per un quarto d'ora prima di decidere di lasciarlo. Ma Apollo si era voltato verso di lui sorridendo.
«Suona qui con me.» gli aveva detto, e il sedile del pianoforte si era allungato di un'altra trentina di centimetri. «Non preoccuparti, sarai alla mia altezza.»
E Ade si era seduto con lui scoprendo di essere bravo quasi quanto il dio della musica. Quasi perché Apollo doveva pur sempre essere il migliore di lui anche nel sogno.
Era stato un sogno strano, e al risveglio Apollo si era messo a ridere dicendogli che non sempre i suoi sogni erano così. E Ade aveva deciso di non confermarlo.
Apollo borbottò qualcosa e si voltò verso di lui, circondandolo con le braccia e posandogli le labbra sul petto. Ade gli accarezzò la schiena, gli passò le dita tra i capelli e sorrise tra sé quando Apollo iniziò a svegliarsi.
«Ti ho sognato.» borbottò Apollo stropicciando gli occhi.
«Immagino.» sorrise Ade.
«Sul serio.» Apollo sbadigliò e afferrò le mentine che teneva sotto il cuscino. Ne mangiucchiò qualcuna. «Eravamo a Parigi. In una piscina sopra la Tour Eiffel.»
«Ho guardato la costruzione della Tour Eiffel. Posso assicurarti che non c'è alcuna piscina lì sopra.»
«Be', nel mio sogno c'era, e tu eri nudo e insaziabile.» Apollo sorrise e gli sedette sopra a cavalcioni. 
«In pratica come piaccio a te.» rise Ade, mentre Apollo gli baciava il collo e la gola.
«In pratica come piace a me.» annuì Apollo, mordicchiandogli il lobo e accarezzandogli il petto. Si soffermò nei pressi dell'ombelico.
«Sei insaziabile al risveglio.» mormorò Ade.
Apollo abbassò la mano e gli sfiorò il sesso. «Anche tu.»
«È un riflesso condizionato a te.»
«Anch'io ho dei riflessi condizionati a te. Come saltarti addosso appena ti vedo, ad esempio.»
Ade ridacchiò e per qualche minuto cercò di evitare che Apollo scendesse del tutto con la testa. Ma il dio della musica era un osso duro, e Ade lo guardò sospirando mentre gli baciava l'addome e l'interno coscia. Sospirò profondamente mentre Apollo gli baciava il sesso eretto e si faceva sparire la punta in bocca.
«Sul serio, Apollo, questi tuoi risvegli... sono magnifici, però...» Ade si zittì perché Apollo cominciò a muovere la lingua su di lui con gli occhi scintillanti. Ade si limitò ad accarezzargli i capelli, rigirandosi tra le dita le ciocche dorate.

 

Quando Ade venne sopraffatto dall'orgasmo, Apollo tornò a sedergli in grembo, accarezzandogli le guance e tirandogli indietro i capelli corvini.
«Quando portano la colazione?» domandò Apollo, affamato.
«Da un momento all'altro, immagino.» rispose Ade, aprendo gli occhi e osservandolo. «Sono passati già diversi anni, ma ancora non riesco ad abituarmi a te.»
«Io mi sono già abituato a te.» sorrise Apollo, baciandogli la guancia, e Ade fece una smorfia.
Erano già passati sette anni da quando Ade era entrato per la prima volta nel letto di Apollo. Sei anni in cui si vedevano tutti i giorni durante le assenze di Persefone, e un po' meno quando lei era presente nel palazzo.
Dopo quella conversazione avuta anni prima, Apollo non aveva più chiesto ad Ade dei suoi incontri sessuali con Persefone, e Ade non ne aveva fatto cenno. Seppur combattuto, Ade era tornato a fare l'amore con la moglie, e non era affatto fiero di questo. Tradiva Apollo per ogni bacio dato a Persefone, e si sentiva sempre un po' schifato di sé quando Apollo lo accoglieva a braccia aperte con un enorme sorriso.
Apollo aveva capito subito che c'era qualcosa che non andava, ma era così innamorato di Ade che non intendeva lasciarlo. Persefone era la moglie, e lui solo un amante. Ade gli aveva detto che non l'avrebbe lasciata, e ora Apollo rispettava questa sua decisione. Spesso si era ritrovato a consigliargli modi di approccio con un partner femminile, ma non gli aveva mai chiesto se funzionassero.
Apollo si rigirò tra le braccia di Ade e riprese a baciarlo, poi scese dal letto e fece qualche flessione. Ade restò steso sul letto ad ammirarlo. Apollo ci teneva particolarmente al suo corpo. 
Ade scese dal letto e si avviò nella stanza della musica. Apollo stava cercando di insegnargli a suonare il pianoforte. Ade era felice di sé, e del fatto che sapeva già azzeccare tre note. Non erano molte, ma era un inizio luminoso. 
Mentre suonava quelle poche note, Apollo si alzò dal tappeto e si avvicinò ad Ade di soppiatto. Gli cinse le braccia attorno alla vita e provò a posargli il mento sulla spalla.
«Perché non cambi forma, Apollo?» domandò Ade, pigiando i tasti. «Hai ancora quella faccia da ragazzino.»
«E ti dispiace?» Apollo sorrise tra sé.
«Be', no, ma sei così basso. E da quanto mi ha detto tuo figlio, assomiglio ad un dark trentenne.»
«Non ascoltare mio figlio.» Apollo gli mordicchiò la scapola e sospirò. Lasciò che il suo corpo crescesse e maturasse. «Ora ho cinque anni in meno di te.»
«Sembri più alto.» mormorò Ade.
«Lo sono.» Apollo lo abbracciò e gli mordicchiò l'orecchio. Ade si liberò dalle sue braccia e si voltò verso di lui, posandogli le mani sulla schiena e baciandolo a lungo. Apollo lo aggredì con la lingua e lo spinse contro il pianoforte. Ade allargò le gambe, posandogliele attorno ai fianchi, e lasciando che il dio del sole lo penetrasse.
«Di nuovo sul pianoforte.» sorrise Apollo, alzandolo un po' per entrare meglio. «Sta diventando un abitudine.»
«Gli altri strumenti sono scomodi.» bofonchiò Ade, premendogli le dita sulla schiena.
Apollo rise e lo baciò sul collo, affondando dentro di lui. I movimenti erano ritmici e lenti, Apollo non aveva mai fretta di concludere. Due anni prima era riuscito a resistere in quel modo per due ore suonate, e il mattino seguente Ade era rimasto a letto maledicendolo in continuazione. Anche Ade ormai aveva imparato trucchetti simili, ma Apollo era più capace.
«Non fare lo stronzo.» borbottò Ade, scrutandolo.
«Non faccio lo stronzo. Sono un ragazzo amabile e per bene.» ridacchiò Apollo, afferrandolo per i fianchi e spingendo con più forza.
Ade si limitò a sospirare e a soffiare tra i denti.
Apollo continuò indisturbato per più di venti minuti, e Ade fu sul punto di picchiarlo quando bussarono alla porta.
«Wow.» borbottò Apollo, cercando di non ridere. «È proprio una brutta situazione.»
«Lo faccio entrare?»
«La stanza si affollerà di brutto per lo spettacolo.»
«Ma tanto è morto, non capisce.»
«Fallo entrare, io continuo.» Apollo sghignazzò, e riprese a muoversi.
«Avanti!» ansimò Ade, graffiando la schiena del dio del sole.
Lo zombie entrò portando il vassoio della colazione, lo posò sul letto e se ne andò. Ade notò una busta azzurrina sul vassoio, e immaginò fosse di Nico.

Quando Apollo si decise a mettere fine al loro rapporto, Ade scivolò giù dal pianoforte e Apollo lo portò in braccio fino al letto. La versione più adulta del dio diciassettenne era decisamente più attraente. Ade lo baciò e gli morsicò il labbro.
«Ahi!» esclamò Apollo, mentre l'icore dorato gli scivolava sul mento. «Perché lo hai fatto?»
«Perché sai che non sopporto quando ti prendi certe libertà con me.» sbuffò Ade, prendendo una mela dal vassoio.
«Però ti è piaciuto, visto il modo in cui uggiolavi.» ridacchiò Apollo, prendendo un fazzolettino e pulendosi la bocca.
Ade arrossì e lo ignorò.
Apollo si sedette vicino a lui e cominciò a mangiare. La colazione era semplice, ed era per due persone: toast, marmellata di fragole, uova e bacon. Ormai gli zombie sapevano che li avrebbero trovati insieme, sebbene non ne capissero il motivo. Apollo si chiese dove trovassero tutta quella roba. Mentre infilava tra le labbra di Ade una strisciolina di bacon, Apollo notò la busta azzurra.
«È di Will!» esclamò Apollo, mentre Ade gli passava un braccio attorno alla vita.
«Già.» annuì Ade, pulendosi le dita e prendendo la busta. Corrugò la fronte. «È indirizzata a me.»
«Sul serio?» Apollo si mordicchiò il labbro. Di solito Will non scriveva mai ad Ade, ma solo a lui. Quando se lo ricordava.
«Leggi qui.» Ade gli mostrò il destinatario e Apollo trattenne una smorfia. 
Ade, Dio degli Inferi, Signore dei Morti, il papino adorabile di Nico.
«Papino adorabile di Nico?» ripeté Apollo, e scoppiò a ridere.
«Posso ucciderti.» borbottò Ade, aprendo la busta. «O posso uccidere Will Solace.»
«Ma è il fidanzato di tuo figlio!»
«E tu sei il mio uomo, ma se le circostanze lo richiedono farò fuori anche te.»
Apollo continuò a ridacchiare, arrossendo alle parole di Ade. Il mio uomo. Quando voleva, il signore dei morti era assolutamente adorabile.
Ade lesse il contenuto della lettera e sospirò. «Si sposano.»
«Si sposano?» Apollo lo fissò senza parole. «Chi si sposa?»
«I nostri figli. Si sposano.» Ade gli mostrò la cartolina e Apollo la lesse.

Siete invitati al matrimonio di William Solace e di Nicola di Angelo il 22 gennaio 2019.Invito valido per il signor Ade e la signora Persefone.

«Wow.» disse Apollo, un po' freddino, passandogli la cartolina. «I nostri figli fanno sul serio.»
«Già.» rise Ade, ricordando quando aveva trovato Will e Nico sul letto della cabina di Ade, mezzo svestiti. Era passato davvero tanto tempo da allora, almeno per loro mortali. «Ne hanno fatta di strada.»
Apollo lo guardò. «Sul serio si chiama Nicola?»
«Già. Era il nome del padre di sua madre, morto nella Prima Guerra Mondiale.» Ade guardò l'invito. «Tra sei mesi.»
«Spero che tu e tua moglie vi divertirete.»
Ade fissò la cartolina e guardò Apollo, che teneva lo sguardo puntato sul suo piatto di bacon.
«Sono sicuro che il tuo invito sia solo in ritardo.» mormorò Ade, dispiaciuto.
«Will non mi deve niente, non è come tuo figlio. Ha invitato te, e Persefone. Ha invitato tua moglie! Ma non il suo padre divino.»
«Will ti deve un sacco di cose, invece. E sono sicuro che l'invito sia in ritardo. Magari sono andati in ordine alfabetico...»
«Già. Ade e Apollo sono proprio due nomi all'altro capo dell'alfabeto.» Apollo tirò su col naso e andò ad infilarsi la vestaglia. Fu anche tentato di farsi un bagno caldo e di lanciare improperi contro il figlio, quando udì un'esclamazione di Ade.
«C'è una lettera di Nico, qui!»
Apollo tornò al letto e vide Ade sfilare via da sotto il piatto della marmellata una busta rosso sangue. La rigirò e sorrise.
«È indirizzata a te.» disse, e Apollo gliela strappò di mano.
Apollo, Dio del sole, della musica, della guarigione e della poesia, padre solare e grandioso.
«Wow.» Apollo arrossì. «Tuo figlio è bravo con i complimenti.»
«Immagino che Nico e Will stiano cercando di farsi una sorpresa a vicenda invitando i loro padri divini.» Ade stiracchiò le dita e osservò Apollo aprire la busta.

Sei invitato al matrimonio di Nico di Angelo e di Will Solace, in data 22 gennaio 2019.Invito valido per il signor Apollo, dio delle arti e dello splendore.

«Mi piace essere il dio dello splendore.» Apollo era sempre più rosso. «Tuo figlio mi piace sempre più.»
«Spero di piacerti di più io.»
«Questo è certo.»
Apollo ripose il suo invito nel cassetto e guardò Ade. «Ma posso venire?» domandò, guardingo.
«Parlerò con tuo padre in questi giorni. Ci sono almeno sei mesi per convincerlo.»
«Spero proprio che tu riesca a farlo, vorrei tanto partecipare.»
Ade annuì. Spostò il vassoio sul comodino e lo abbracciò, spingendolo sui cuscini e levandogli la vestaglia. Lo baciò sulla gola, riempiendolo di segni, e Apollo si limitò a ridacchiare. I complimenti di Nico lo avevano del tutto sciolto.
Si lasciò amare da Ade, e quando si strinsero insieme Apollo lo baciò.
«Amo te e tuo figlio.» mormorò.
«Spero ami più me di mio figlio.» Ade gli mordicchiò la gola.
«Questo di sicuro, ma se tuo figlio mi fa ancora dei complimenti del genere...»
«Vuoi piangere?»
«Voglio fare un bagno. Mi insaponi la schiena?»
Ade annuì, e lo seguì in bagno.

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Capitolo 10
*** 10. Nico e Will ***


«Un matrimonio, eh? Tra i vostri figli.»
Ade annuì, fissando silenzioso il fratello.
Zeus sembrava annoiato. «Giuri sullo Stige che non lo perderai di vista nemmeno un secondo?» chiese.
Ade annuì. «Lo giuro.» affermò.
Zeus sospirò. «Allora concedo il permesso ad Apollo. Solo per dodici ore. Se allo scoccare delle dodici ore non sarà di ritorno, aggiungerò altri quindici anni alla sua pena.»
Ade annuì, combattuto. Se non avesse giurato sullo Stige, probabilmente avrebbe convinto Apollo ad arrivare tardi. Quindici anni in più alla pena di Apollo significava altri quindici anni da passare insieme.
Ade si era trovato molto spesso a riflettere a ciò che sarebbe accaduto una volta che la punizione di Apollo fosse finita. Apollo se ne sarebbe andato senza più voltarsi indietro? Lo avrebbe lasciato con il cuore infranto? O gli avrebbe chiesto di vedersi ancora?
Ade era impaurito da entrambe le risposte, ma per fortuna c'erano ancora diversi anni da aspettare. Magari si sarebbero lasciati prima.
Ade fece un inchino al fratello e scomparve, tornò negli Inferi con un viaggio-ombra.

Apollo coricava sul suo letto pettinandosi la chioma dorata, fissandosi allo specchio. Non si era vestito, e cercava di darsi un'acconciatura perfetta per il matrimonio di suo figlio. Di tanto in tanto smetteva di pettinarsi, depresso all'idea che Zeus non avrebbe mai accettato la sua uscita.
Apollo lasciò cadere la spazzola e cominciò a fare avanti e indietro per la stanza. Sulle braccia portava ancora i segni di Ade, e sulla coscia c'era un succhiotto in procinto di sparire. Ade stava diventando anche lui un gran amatore, e Apollo era felice di aver insegnato bene al suo discepolo.
Con un sospiro, Apollo si sedette nella sua stanza della musica e prese l'arpa. Iniziò a suonare una melodia lenta e triste, che fece singhiozzare il pianoforte.
«Oh, stai zitto tu.» borbottò Apollo, continuando a suonare.

Quando Ade entrò nella stanza di Apollo, restò per qualche secondo ad ascoltare la melodia che gli fece piangere il cuore. Borbottò contro il dio ed entrò nella stanza.
«Falla finita.» brontolò.
Apollo smise di suonare e lo fissò allarmato.
«Allora?» chiese, titubante. Era combattuto tra il volerlo sapere e il non volerlo sapere. «Cosa ti ha risposto?»
Ade lo studiò con attenzione. Apollo gli sembrò pallido, sebbene i capelli dorati fossero molto luminosi, tenuti lontani dal volto con una fascia nera e argentata. Il dio del sole sembrava sul punto di raggomitolarsi sotto le coperte e piangere.
«Ha detto sì.» disse Ade, non sapendo in che altro modo comunicargli quella buona notizia.
Apollo spalancò la bocca per la sorpresa e lo fissò. Ade sentì le guance ardere sotto quello sguardo.
«C-Cosa hai d-detto?» balbettò Apollo, incredulo.
«Ho detto che Zeus ha detto di sì.»
Apollo lanciò un gridolino di gioia e gli saltò addosso. Ade se l'era aspettato, ma crollò lo stesso sul pavimento per la forza dall'altro dio. Si sentì assalire da labbra umidicce su tutto il volto, e presto anche bagnato dalle lacrime del dio.
«Okay, ho capito, sei felice, piantala.» borbottò Ade, cercando di spingerlo via, ma Apollo lo stringeva forte.
«Rivedrò il sole!» singhiozzò Apollo, mettendosi in ginocchio davanti a lui con il volto nascosto dalle mani. «Dopo dieci anni, rivedrò il sole!»
Ade lo studiò, e sorrise. Lo strinse a sé senza aggiungere una parola.
Ora immaginava perfettamente come Apollo avrebbe reagito al finire dei cinquanta anni di punizione divina.

*

«WILL! DOVE SEI, WILL?»
Ade udì chiaramente la voce del figlio, e si appoggiò al muro divertito. Nico doveva essere sul punto di chiedere a Will di concedergli il divorzio ancor prima del matrimonio.
«Sono così innamorati.» sospirò Apollo, guardando Annabeth uscire di fretta da una stanza, probabilmente in cerca di Nico.
«Già. Vai a prendere posto, Apollo. Io devo accompagnare Nico all'altare... o qualsiasi cosa debba fare.»
Apollo annuì e lo lasciò solo. Ade lo seguì con lo sguardo. Il dio della musica indossava uno splendido completo oro con le bordature argentate. Ade aveva lasciato che Apollo si occupasse anche del suo - Apollo lo aveva costretto, in verità - e ne era uscito un abito simile, ma nero e argento, più da lui.
Ade guardò verso il corridoio, e vide la figlia Hazel, vistosamente incinta, in compagnia di Annabeth e Nico. Di sicuro le due donne stavano per mettersi a litigare con Nico, che aveva l'espressione impaurita. Di sicuro ora che si trovava così vicino ad unirsi per sempre con una persona...
«Nico!» esclamò Ade, avvicinandosi al figlio, mettendo a tacere qualsiasi parola le due ragazze volessero dirgli. «Ti trovo... bene...»
Nico era pallido, e sembrava sul punto di morire. Una morte lenta e molto dolorosa.
«Padre.» gracchiò Nico, sorpreso. «Cosa..?»
«Will mi ha invitato e io sono venuto.» sorrise Ade. Aveva accettato per lo più per Apollo, per farlo uscire, per vederlo solare alla luce del sole. Per nessun altro.
Be', forse per Nico. Il figlio era ancora un po' contrario, ma quello sarebbe stato il giorno più felice della sua vita. Avrebbe impiegato ancora qualche ora per capirlo, o forse solo una manciata di minuti, il tempo di arrivare in spiaggia. Quello era il suo gran giorno. Un giorno che non avrebbe mai dimenticato per tutta la sua vita da mortale.
Per un momento, osservando i grandi occhi scuri e impauriti di Nico, gli dispiacque che suo figlio non fosse destinato a vivere in interno. Anni prima gli aveva offerto quella possibilità, ma Nico aveva risposto che intendeva tornare da Will, che lo amava più di se stesso, e che non intendeva lasciarlo per una vita immortale negli Inferi. E Ade aveva acconsentito a lasciarlo tornare al Campo Mezzosangue senza insistere.
Mentre si avviava all'altare con il figlio, si promise che, quell'orribile giorno in cui l'anima di Nico gli fosse comparsa davanti in attesa di essere smistata, gli avrebbe destinato una seconda vita meravigliosa quanto la prima.

Quando Apollo vide suo figlio comparire, gli si sciolse il cuore. Non gli piaceva piangere in pubblico di fronte agli umani, perciò sorrise. Il suo sorriso radioso spedì un'ondata di calore a tutti i presenti e la sua pelle si illuminò per un istante, ma per fortuna la Foschia era in azione. 
Incrociò gli occhi di Will. Suo figlio era diventato un uomo splendido.
Quando Ade lo affiancò, Apollo gli sorrise e osservò i due giovani che stavano per unire le loro vite per il resto della loro esistenza. Solo il guardarli di spalle gli fece pensare a lui e ad Ade. Che ne sarebbe stata della loro relazione?
Certo, era stupenda. Quando Persefone era assente, loro si divertivano tutti i giorni, stavano insieme spesso, e litigavano. Avevano superato decine di litigi in tutti quegli anni, ma si erano sempre ritrovati tra le braccia forti dell'altro. Non potevano più stare separati come era successo tempo prima, e quando Persefone tornava si incontravano anche solo per un'ora. Per loro era sufficiente.
La loro non era più una relazione puramente fisica. Parlavano. Essendo entrambi degli dei immortali, parlavano della loro vita passata, si ricordavano vecchi antefatti che pensavano di aver dimenticato. Parlavano dei loro figli, del corso degli anni che li aveva cambiati, e che aveva cambiato l'umanità.
La loro era diventata una storia seria, e nel giro di quarant'anni sarebbe conclusa. Apollo avrebbe lasciato gli Inferi, non avrebbe più avuto una scusa per. Ade sarebbe rimasto a vegliare i morti. Cosa sarebbe successo in quel caso?
Nico e Will si scambiarono un bacio. Apollo applaudì e si voltò a guardare Ade, intento a sorridere. Non riusciva a comprendere il suo turbamento.

«Quindi...» mormorò Ade, fissando i signori Solace dall'altra parte della sala. «Sei stato a letto con entrambi?»
Apollo mangiò una tartina ai gamberetti e scoccò un'occhiata ai due Solace. «Sì.» annuì Apollo, scrollando le spalle.
«E per quale ragione?» domandò Ade, spostando lo sguardo su Nico e Will che ridevano e ballavano. O almeno Nico seguiva i passi di Will sforzandosi di non pestargli troppo i piedi.
Apollo si appoggiò al muro continuando a mangiare. Aveva intenzione di abbuffarsi. Il cibo negli Inferi non poteva toccarlo per paura che provenisse dal giardino di Persefone, e gli zombie continuavano a portargli cheeseburger da anni. Anche se non poteva ingrassare, aveva bisogno di altro.
E intendeva portarsi via gli avanzi.
«Be'...» disse Apollo, gli occhi puntati sulle sue due vecchie fiamme. «Erano entrambi dei musicisti.»
«Quinti tu andavi in giro sulla terra ad accoppiarti con ogni musicista esistente?»
«No. Solo quelli bravi, e particolarmente carini.» Apollo arrossì. «Cindy Solace suonava benissimo, e mi piaceva. Con l'inganno l'ho condotta in spiaggia e abbiamo concepito Will. Durante la gravidanza sono andato a trovarla, e mi sono interessato a Logan Solace.»
«Era un padre di tre figli!»
«Be', questo non c'entra. Era un bell'uomo.» Apollo sospirò. «La nostra relazione è durata solo una settimana, poi l'ho lasciato tornare dalla moglie.»
Ade lo fissò scocciato. «Quanti altri tuoi ex vedrò questa sera?»
«Mmh... Non lo so. Ci sono parecchi miei figli, però...» Apollo indicò un capannello di ragazzi abbronzati, alcuni biondi altri mori, che ridevano e scherzavano tra loro. «Angel, Austin, Derek, George e Rose.»
«Tutti tuoi.»
«Tutti miei.»
Ade corrugò la fronte.
«Anche tu hai avuto dei figli!» esclamò Apollo, arrossendo. «Nico, Hazel, Bianca.»
«Sì, be', ho avuto tre figli con due donne.»
«E tralasciamo quelli passati!»
Ade sospirò e si allontanò. Apollo lo guardò raggiungere Nico e scambiare due parole con lui prima di andare da Hazel. Apollo bevve un lungo sorso di champagne e si avviò dal suo secondo dio preferito.
Il primo, naturalmente, era se stesso.

«Dove andranno in Luna di Miele?» domandò Apollo, sedendosi sul suo letto e massaggiandosi i piedi doloranti.
«Per il momento, a Londra.» disse Ade, sistemandosi una ciocca di capelli. «Poi non lo so. Dovresti chiedere a Piper McLean.»
«Magari potessi chiederglielo veramente.»
«Già.»
Apollo squadrò Ade. «Sei arrabbiato con me?»
«Solo perché sono la milionesima persona con la quale vai a letto?» ringhiò Ade. «Nah.»
«Milionesima?» ripeté Apollo, sorpreso. «Sappi che ci sono sette miliardi di umani sulla terra, e io ho vissuto per tanti anni, e...»
Ade lo fissò torvo, e Apollo chiuse la bocca.
«Scusa. Parlo troppo.»
«Sì, parli troppo.»
Ade si chinò su di lui e lo baciò. Apollo gli posò le mani sulla schiena e si lasciò sdraiare dal dio della morte.
Ade gli posò le mani sui fianchi e lo attirò a sé il più possibile. Apollo si lasciò spogliare da Ade con un sorriso sulle labbra.
«Sei arrabbiato con me?» mormorò Apollo, mentre Ade si spogliava e confrontava il suo colorito pallido con la pelle mielata del dio della musica.
«Sì. Sono arrabbiato con te.» Ade lo sondò con lo sguardo.
«Uh.» Apollo lo guardò eccitato. «E cosa vuoi farmi?»
Ade lo fissò, Apollo gli restituì lo sguardo, e Ade lo spinse coricato nel letto, alzandogli il bacino e penetrandolo con forza. Apollo si lasciò scappare un urlo.

Ade fu brutale e violento. 
Apollo non lo fermò, lasciò che sfogasse tutta la sua ira su di lui. Continuò a gridare e a gemere e a pregarlo di andare più calmo, ma Ade non lo ascoltò.

Solo quando si stese affianco a lui, dopo più di un'ora, Ade si rese conto di quanto avesse fatto. Guardo Apollo rintanarsi sotto le coperte e provò ad abbracciarlo.
«Mi dispiace.» mormorò Ade, paonazzo. «Scusami tanto.»
Apollo lo ignorò, ma accettò il suo abbraccio.
Ade si promise che non sarebbe più ricapitato in quel modo, per quanto potesse arrabbiarsi con quel favoloso dio biondo.

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Capitolo 11
*** 11. Scandalo negli Inferi ***


Ade bussò alla porta di Apollo fischiettando. Apollo gli aveva insegnato dei motivetti carini, e si divertiva a fischiettare. Riusciva a dare sui nervi a Persefone, e ne era felice.
Bussò alla porta ancora per un minuto, poi sentì la voce impastata di Apollo che lo invitava ad entrare.
«Ciao.» salutò Ade, entrando e chiudendosi la porta alle spalle. «Ci sono delle novità.»
Apollo si mise seduto, arruffandosi la chioma bionda e scoccando ad Ade una strana occhiata.
«È morta?» domandò serio.
«Chi?» chiese Ade, perplesso.
«Persefone.»
Ade sbuffò. «No.»
Apollo sospirò. «Peccato.»
Ade gli si avvicinò, si sedette sul letto con lui e lo baciò. Sulle labbra portava il sapore di Persefone, ma Apollo non ci badò. Buttò le braccia al collo di Ade, esplorandogli meglio la bocca e Ade lo strinse a sé, baciandolo con più intensità e scivolando coricato sul letto.
Erano passati più di tre anni da quando Nico e Will si erano sposati quel mattino estivo. Tre anni da quando Ade aveva stuprato Apollo per rabbia. Ade non aveva più toccato l'altro dio in quel modo, da allora. Non voleva essere violento, ma era successo e se ne vergognava.
Apollo lo aveva convinto in molti modi a non farsene una colpa, ma Ade era lo stesso arrabbiato con sé stesso e non voleva ascoltarlo. Anche se non doveva ascoltarlo quando lo convinceva.
Nell'ultimo anno i due erano diventati più sconsiderati. Ad Ade non importava se Persefone sentisse l'odore di Apollo su di sé. Aveva scoperto che il suo amico Shakespeare aveva una relazione segreta con Persefone. Il che lo infastidiva, ma non particolarmente se aveva Apollo al suo fianco.
Finché la moglie non gli avesse detto nulla riguardo Apollo, Ade non avrebbe fatto cenno a Shakespeare.
Apollo si affrettò a spogliare Ade, e gli toccò il sesso, lo strofinò, lo strinse. Ade gli ansimò nella bocca. Apollo gli accarezzò la coscia e la sollevò, penetrandolo con un dito.
«Ma... dovevo dirti una cosa...» mormorò Ade, mordicchiandogli l'orecchio mentre il suo corpo accettava la presenza lieve di Apollo.
«Se non è la morte di tua moglie, può aspettare.» rispose Apollo, sorridendo, baciandogli il collo e la gola, e aggiungendo un dito.
Ade inarcò la schiena e Apollo lo fece voltare. Gli divaricò le gambe, baciandogli la schiena e spingendo la propria lingua nel suo orifizio. Lui si lasciò scappare un gemito e lasciò che Apollo gli desse piacere in quel modo, mentre le dita gli volavano sul petto e poi sul sesso, stuzzicandolo.
«Per il Tartaro, Apollo, puoi..?» borbottò Ade, e Apollo rise, lo lasciò andare. Gli posò le mani sui fianchi e lo penetrò con un unico movimento, affondando in lui per abbassarsi e posargli un bacio sulla schiena.
Ade sospirò entusiasta e mosse i fianchi con lui. Apollo gli accarezzò la schiena, affondando ad un ritmo lento e regolare, lasciando che Ade gemesse di piacere. Amava quei suoni.
Ade era felice di sentire il calore del dio del sole dentro di lui. Quelle emozioni che gli pungevano il cuore non le aveva mai provate con sua moglie.
Apollo continuò a muoversi dentro di lui finché non lo sentì gemere e venire. Il seme di Ade sulla sua mano era caldo. Apollo si leccò le dita e costrinse Ade ad abbassarsi ancora un po'.
«Devi tornare al lavoro?» domandò Apollo, con voce gentile, uscendo di qualche centimetro per spingere con più forza.
Ade non riuscì a rispondere a parole e si limitò a grugnire.
Apollo ridacchiò e riprese i suoi movimenti.

Quando si decise a venire, si stese affianco ad Ade, passandogli le gambe attorno alla vita e baciandogli la punta del naso, la fronte, le guance e infine le labbra. Gli mordicchiò il labbro, sorridendogli.
«Dovresti venirmi ad incontrare più spesso.» mormorò.
«Sì, decisamente.» Ade si puntellò sui gomiti e lo fissò. «Sono venuto qui solo per dirti una cosa.»
«Ovvero?» domandò Apollo, rigirandosi tra le lenzuola.
«Si tratta di Will e Nico.»
Apollo lo guardò curioso. «Cosa hanno fatto?»
«Hanno adottato una bambina. Nico mi ha spedito la lettera con una foto. Lui non mi sembra tanto felice, ma tuo figlio lo è.»
Apollo lo guardò senza parole. «Hanno adottato una bambina?»
«È quello che ti ho appena detto.»
«Come si chiama?»
«Christal.»
«Wow, che bel nome!»
«Già.» Ade si girò sulla schiena e si mise seduto. «Siamo diventati nonni.»
Apollo ridacchiò. «Tua figlia Hazel ti ha già fatto diventare nonno.»
«Sì, ma non mi aspettavo che anche Nico mi desse dei nipotini.»
«Sei felice?»
«Molto. Le devo spedire dei vestitini carini.»
Apollo pensò ai gusti orribili di Ade. «Falli scegliere a me, però.»
Ade rise. «D'accordo.» Si chinò per dare un bacio ad Apollo. «Devo andare.»
«D'accordo, vieni a trovarmi presto.» sorrise Apollo, mordicchiandolo sull'orecchio.
Ade si rivestì in fretta e lo guardò. «Ma certo. Io ti amo.» sorrise.
«Ti amo anch'io.»
Apollo lo seguì con lo sguardo fino alla porta. Gli dispiaceva che Ade lo lasciasse, ma poteva immergersi nei suoi pensieri e spedire una lettera a Will, congratulandosi per questo passo importante della sua vita. Fu sul punto di fare un cenno ad Ade quando la porta si spalancò di colpo e Apollo strillò, nascondendosi sotto le coperte.
«Quindi è qui che sparisci.» disse Persefone, fissando il marito dritto negli occhi.

Ade deglutì. «Come hai..?» borbottò.
Persefone entrò e si chiuse la porta alle spalle. «Ho mandato un cameriere a seguirti.»
«Stronza.»
«A me dai della stronza? Ti ho appena beccato con un altro!»
Ade la fissò. «Sono venuto a portare la lettera di Nico ad Apollo.»
«Certo, devo crederti? Sei rimasto qui per mezzora!»
«Colpa mia, mi sono messo a piangere dalla gioia.» si intromise Apollo, ricevendo una doppia occhiataccia.
«Quando vengo a trovare Apollo, resto sempre qui a lungo.» le ricordò Ade.
«Certo. Perché tu e lui avete una relazione. Da Apollo posso aspettarmelo...»
«Ehi!» esclamò Apollo, arrossendo.
«Ma da te proprio no, Ade!»
«Non mi conosci più da molto tempo, Persefone.»
Lei lo fissò arrabbiata. «Stai scherzando, spero.»
«Persefone...»
Lei spostò lo sguardo su Apollo. «Cosa c'è tra voi due?»
Il dio del sole non rispose.
«Dimmelo, o ti toglierò tutto quanto!»
«Ecco...»
«Non parlare con lui.» Ade si mise di fronte alla moglie. «Perché vuoi una risposta a questa domanda? La risposta non ti piacerà.»
«Voglio sapere...»
«Io e Apollo abbiamo una relazione intima.» confessò Ade, fissandola negli occhi. «Intima quasi quanto la tua con Shakespeare.»
Persefone avvampò. «Come fai a sapere di lui?»
«Io so molte cose.»
«Be', questo significa che siamo pari?» domandò Persefone, fissandolo torva. «Tu stai con Apollo, e io con Shakespeare?»
«Già.»
Persefone scostò lo sguardo su Apollo. «Lo sapevo che Zeus avrebbe dovuto spedirti nel Tartaro.»
«Nel Tartaro?» farfugliò Apollo. «Voleva buttarmi nel Tartaro?»
Persefone lo ignorò. Lasciò la stanza, e Ade la seguì.
«Resterà tra noi?» domandò Ade.
«Forse. Io voglio andarmene da qui, Ade. Speravo l'avessi capito.»
«Potrei parlare con tuo padre, cercare di convincerlo a farti andare via.»
«Ho mangiato quel dannato melograno, non posso andarmene.»
«Ho detto che parlerò con Zeus. Farò in modo che ti lasci più libertà.»
Persefone lo sondò. «Non hai mai avuto quello sguardo con me.»
«Oh, sì, ce l'avevo. È solo sparito da tanto tempo.»

Apollo si era rivestito mentre attendeva il ritorno di Ade. Era spaventato all'idea che Persefone spifferasse tutto quanto al loro padre Zeus. Non temeva per sé, Zeus sapeva che non aveva preferenze particolari in fatto di uomini e donne, ma per Ade. Chissà cosa gli avrebbe fatto Zeus nel sapere...
Ade entrò di nuovo nella stanza. Apollo balzò in piedi, indeciso se lanciargli le braccia attorno al collo o se incrociarle al petto.
Decise di volargli in braccio.
Ade sussultò appena, divertito, e lo strinse. 
«Cosa ti ha detto quella strega?» domandò Apollo.
«Non chiamarla strega.»
«Cosa ti ha detto quella stro...»
«Niente.» si affrettò a dire Ade, pensando che Persefone fosse tornata indietro per origliare. «Non dire niente. Ma io devo parlare con Zeus. Devo fare in modo che dia un altro po' di libertà a Persefone.»
«E come farai?»
«Mi inventerò qualcosa.» Ade gli baciò le labbra, spostandosi sulle guance e premendogli le dita sul sedere. «Visto che al lavoro non ho voglia di andare, che ne pensi di..?»
«E me lo domandi pure?» scoppiò a ridere Apollo, spingendolo sul letto e mettendosi a cavalcioni su di lui.

Ade attese un mese prima di andare da Zeus su nell'Olimpo. Era un po' contrariato, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa per far star zitta Persefone.
Gli bruciavano le braccia. Apollo lo aveva graffiato ore prima mentre gli mostrava una nuova posizione. Il dio della musica ne sapeva veramente tante di cose, e alcune lo facevano ancora rabbrividire per l'orrore.
Ade entrò nell'Olimpo e si avviò da Zeus. Aveva fissato l'appuntamento settimane prima. Zeus si fingeva impegnato per non dovergli parlare. L'ultima volta che avevano discusso era stato quando Apollo era finito negli Inferi a scontare la sua punizione, e Ade ne aveva dette tante a riguardo. Ora, visto l'evolversi delle cose tra loro, era felice che Apollo si trovasse nei suoi appartamenti.
«Ade.» salutò Zeus, guardandolo.
«Divino Zeus.» disse Ade, fissando Era seduta sul suo trono intenta a confabulare con Atena.
«Mi scuso per aver tardato tanto a darti una visita.» disse Zeus, e Ade alzò le spalle.
«Non importa.»
«Di cosa volevi discutere?»
«Di Persefone.»
«Oh. Per un momento credevo volessi parlarmi di mio figlio Apollo. Be', avanti. Dimmi quello che sei venuto a dirmi.»
Ade guardò le due Dee e inspirò. «Voglio che tu riveda la maledizione di Persefone.»
Zeus lo fissò. «Per quale ragione? Credevo foste felici insieme.»
Zeus si trattenne dal ridacchiare.
Ade dal lanciargli un pugno in faccia.
«La mia signora si sente triste. Vorrebbe passare più tempo con sua madre.» borbottò Ade, snocciolando la scusa che si era inventato.
«Vuole lasciare gli Inferi?»
«Lo vorrebbe, lo vorrei anch'io, ma quello è il mio posto.»
«Come sta Apollo?»
Ade lo fissò. «Sta benissimo.»
«Si è ambientato?»
«Sì.»
«Continua a piagnucolare?»
«Sì.»
«Si lamenta spesso?»
«Sì.»
«Balla? Canta? Compone poesie?»
«Sì.»
Zeus rabbrividì. «Sono felice di non averlo tra i piedi.»
Ade non rispose.
«Sai, stavo pensando ad una cosa per Apollo.» disse Zeus, accarezzandosi la barba grigia. «Volevo concedergli una libera uscita di una settimana. Si è comportato bene, infondo. Non hai mai trovato nulla da ridire su di lui, negli ultimi dieci anni.»
Ade borbottò tra sé.
Zeus sorrise. «Concederò ad Apollo una settimana di libertà a partire da domani. La potrà spendere come vuole, fare quello che desidera. Sette giorni lontano dagli Inferi. Ma allo scadere dell'ultimo giorno dovrà tornare negli Inferi, altrimenti resterà da te per altri sette anni.»
«Lo sai che in questo modo punisci anche me, fratello?» mentì Ade.
Zeus sorrise. «Mi dispiace, ma Apollo è mio figlio. In quanto a Persefone... Sei mesi negli Inferi e sei mesi con sua madre? Che ne pensi?»
Ade scrollò le spalle. «Spero le vada bene.»
«Ottimo. Se non hai altro da chiedere...»
Ade scosse la testa, ma poi cambiò idea. «Mio figlio Nico di Angelo vuole diventare aviatore.»
«Lo so già.»
«Se dovesse morire in volo...»
Ade non lo minacciò, ma Zeus comprese lo stesso.
«Non gli capiterà mai niente.» promise Zeus, controvoglia. «Rispetto tuo figlio.»
«Bene. Lo stesso vale per suo marito Will e la loro bambina.»
«Certamente.»
Ade lasciò l'Olimpo con il cuore più leggero.

Apollo strillò di gioia quando Ade gli annunciò le parole di Zeus. 
Dopo aver gridato, scoppiò in lacrime stringendosi al petto di Ade, che lo calmò accarezzandogli i capelli e fischiettandogli un motivetto allegro nell'orecchio.
«Oh, che bello.» singhiozzò Apollo. «Sai che mi piacciono gli Inferi, ma finalmente potrò uscire!»
«Sarà solo per una settimana.» mormorò Ade, un po' triste al pensiero di venire abbandonato. «Solo sette giorni.»
«Lo so, ho s-sentito quello che mi hai d-detto.» Apollo tirò su col naso e Ade pensò a quanto ormai si fosse abituato alle lacrimi facili di quel dio così svampito e sexy. «Verrai con me?»
Ade sussultò. «Cosa?»
«Verrai con me?»
«E perché?»
Apollo sorrise tra le lacrime. «Una meravigliosa settimana in giro per il mondo! Non è un'idea grandiosa? Non fremi dalla voglia di partecipare?»
«Ehm... Non posso lasciare gli Inferi per così tanto tempo.»
«Vorrà dire che quando farò shopping tornerai qui!» Apollo scoppiò a ridere e balzò in piedi, cercando frenetico foglio e penna per iniziare a stilare una lista di città e paesi da visitare in quei sette giorni. «Dobbiamo assolutamente andare a Parigi, devo rivedere il Louvre. Lo sai che lì c'è una mia opera? E dobbiamo anche passare a Venezia, i viaggi in gondola ti piaceranno da morire.»
Ade si stese sul letto e lo osservò pensieroso. «Mi stai veramente chiedendo di seguirti in questa tua settimana di libertà?»
Apollo sorrise. «Certo. Stiamo insieme. E non sarà una vera vacanza se tu non verrai con me.»
Ade si sentì colpito e il cuore gli si gonfiò d'amore. «Okay.» mormorò. «Verrò.»
Apollo batté le mani entusiasta e riprese a scrivere.
Ade sorrise nel guardarlo.

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Capitolo 12
*** 12. Sette giorni di libertà ***


Apollo gli concesse di portare solamente una borsa. All’interno c’erano solo due cambi di vestiti per entrambi. Apollo aveva intenzione di fare spese folli in quella settimana di vagabondaggio, e Ade era riuscito a trovare molto denaro umano per accontentarlo.
«Andiamo anche a trovare Will e Nico?» domandò Apollo, sistemandosi la camicia e il ciuffo ribelle davanti allo specchio di Ade.
«Non penso sia il caso. Hanno già abbastanza problemi con la loro figlioletta.»
«Uff, d’accordo. Ma un giorno mi piacerebbe rivederli.»
Ade annuì e restò in attesa che Apollo finisse. Una volta Nico gli aveva detto che anche Will impiegava tanto tempo a prepararsi per uscire. Chissà com’era sopravvissuto il figlio per tutto quel tempo in compagnia di un figlio di Apollo.
«Sono quasi pronto!» esclamò Apollo, sedendosi e controllando che i lacci delle scarpe fossero legati bene, e che nulla sfuggisse al suo controllo.
Ade sorrise osservandolo. Ora capì Nico. Quello che lo aveva fatto restare paziente con Will Solace era di sicuro l’amore profondo che provava nei suoi confronti. E anche lui provava lo stesso per Apollo. Era amore quello che gli faceva cantare il cuore ogni volta che lo vedeva.
«Sono pronto!» esclamò Apollo, balzando in piedi entusiasta e guardandolo. «Andiamo?»
Ade gli si avvicinò baldanzoso e lo baciò. Apollo restò sorpreso dal bacio e ricambiò con slancio.
«Hai messo il lucidalabbra?» domandò Ade, perplesso, scostandosi da lui ma tenendolo abbracciato.
«All’arancia. Ti piace?» sorrise Apollo.
Ade rise. «Certo che mi piace. Ora andiamo.»
Lo portò via con un viaggio-ombra.
Ade aveva avvisato Persefone che sarebbe partito con Apollo in quella settimana di vacanza. Persefone aveva annuito controvoglia, e Ade le aveva rassicurato che sarebbe tornato ogni sera per controllare il lavoro. Non per aiutare la moglie, ma per sfuggire allo shopping di Apollo.

Quando Apollo si guardò attorno, si ritrovò davanti ad un hotel a cinque stelle nella città di Parigi. Per un momento restò a guardare la Tour Eiffel  a bocca aperta, poi inspirò profondamente l’aria che sapeva di brioche appena sfornate e corse nella piazza lasciandosi Ade alle spalle.
Con un sospiro, Ade lo seguì e si sistemò gli occhiali da sole.
«Non è un luogo splendido?» domandò Apollo, con lo sguardo eccitato e decisamente felice.
«Sì, non è male.» annuì Ade, serio.
Apollo sbuffò. «Non è male? Scherzi?» 
«È magnifico questo posto, ma non quanto te.»
Apollo arrossì violentemente. «Ah.»
Ade ridacchiò del suo imbarazzo, e fu lui ad arrossire quando Apollo lo baciò. Per fortuna aveva ancora le sembianze di un uomo biondo, quindi nessuno si scandalizzò più di tanto nel vederli baciare.
«Andiamo in camera.» mormorò Apollo al suo orecchio, mordicchiandogli il loro per un secondo.
«Pensavo volessi restare qui ancora un po’.» rispose Ade, lanciando un’occhiata alla Tour Eiffel.
«Se restiamo qui ancora un minuto, mi inginocchio davanti a te, e non per chiedere la tua mano.»
Ade diventò rosso come un peperone. Il dio del sole era incredibilmente sfrontato, certe volte. Lo prese per mano e tornarono all’hotel, prese la suite più bella e quando furono dentro Apollo lo spinse contro la porta chiusa e gli tirò giù i pantaloni, senza lasciargli nemmeno il tempo di posare la borsa.
«Uff, Apollo, sei proprio…» mormorò Ade, cominciando a gemere e ad accarezzargli la chioma biondo.
Apollo lo guardò divertito e continuò a muovere la lingua su di lui fino a farlo venire nella sua bocca. Si scostò, osservandolo e pulendosi le labbra.
«Ecco. La Tour Eiffel mi fa questo effetto.» sorrise.
«Verremo qui più spesso.» annuì Ade, serio, trascinandolo sul letto enorme che li aspettava.
Apollo rise, e scosse i riccioli, riuscendo a frenare la presa forte del dio. «Mi dispiace, ma dobbiamo fare la passeggiata per la città e lo shopping scatenato. E domattina ci sveglieremo presto per andare al Louvre. Lo voglio visitare tutto.»
Ade sospirò, affranto. «Come vuoi.» Infondo, quella era la settimana dedicata ad Apollo.
«E stanotte faremo l’amore.»
Ade sussultò ed esclamò: «Fantastico!» 
Apollo rise e lo trascinò fuori dalla stanza.

Salirono sulla Tour Eiffel e si fecero scattare un paio di fotoricordo da alcuni passanti. Apollo evitò di baciare Ade per i primi tre scatti, ma Ade non resistette all’impulso di baciarlo a sua volta, e rimasero stretti l’uno all’altro sulla Tour Eiffel a godersi una bella pomiciata mentre il loro fotografo umano li guardava imbarazzato, senza sapere se poteva lasciar loro la macchinetta fotografica o se doveva aspettarli.
Quella sera nella suite d’hotel tennero svegli i loro vicini di stanza per quasi tutta la notte, ma nessuno ebbe coraggio di lamentarsene visto che la coppietta aveva prenotato per una sola nottata.
Dopo la visita al Louvre mano nella mano, Apollo si chiuse in un centro commerciale e fece impazzire i commessi con le sue centinaia di richieste. Nel frattempo, Ade scese negli Inferi a controllare l’operato della moglie, e dopo un’ora abbondante tornò da Apollo, aspettandosi di vederlo furioso per averlo aspettato così a lungo.
Ma quando arrivò, Apollo sembrava ancora bisognoso di tempo, e Ade restò seduto fuori dal negozio, su una panchina, intento a mangiare il gelato, sperando che si muovesse.

Apollo fece grandi acquisti in tutti i negozi in cui capitarono a Parigi, cioè moltissimi. A quel ritmo, Ade pensò che non sarebbero mai riusciti a vedere tutte le città nella lista di Apollo. Ma il dio della guarigione lo sorprese.
Passavano tutti i giorni saltando da un posto all’altro, e la notte si fermavano in belle città a fare l’amore in suite di lusso disturbando i vicini di qualche piano.
Quando giunsero a Venezia, Ade portò dei fiori alla tomba di Maria di Angelo, la madre di Nico. Era stato lui a farla seppellire, dopo aver spedito i due figli nel Casinò Lotus. 
Ade e Apollo andarono in gondola per un’ora, fecero compere, e poi si spostarono a Firenze. E a Roma. Presero l’aereo per andare a Londra, e poi a Barcellona, e utilizzarono di nuovo il viaggio-ombra per tornare alla mente primaria. Parigi

«Ti piace così tanto stare qui?» domandò Ade, osservando Apollo sotto la doccia.
«Mi piace tantissimo, è la mia città preferita! Quando ci provavo con Afrodite, venivamo qui tutti i week-end…»
«CI PROVAVI CON AFRODITE?»
Apollo ridacchiò. «E lei ci provava con me. Ma tra di noi non è mai successo niente perché siamo troppo simili e vogliamo entrambi dominare. E poi, i miei capelli sono più favolosi dei suoi, e lei non riesce a digerirlo. Voleva che me li tagliassi come Ares.»
Ade sospirò divertito.
Apollo spense l’acqua e gli fece cenno di entrare. Ade non si fece pregare e si lasciò insaponare dal dio del sole.
«A te non piace Parigi?» domandò Apollo, mordicchiandogli l’orecchio.
«A me piace Parigi.» lo rassicurò Ade, accarezzandogli il sedere e stringendoglielo tra le dite. «E mi piace ancora di più stare qui con te.»
Apollo sorrise. «Ti amo, sai?»
«Ti amo anch’io.»
Restarono abbracciati per un minuto, poi Ade aprì l’acqua tiepida e riprese a lavarsi. Apollo studiò i suoi movimenti mordicchiandosi la lingua.
«Cosa farai con Persefone?» chiese.
«Ancora con questa storia?» sbuffò Ade, infastidito.
«Ti farò domande a riguardo per sempre.»
«Uff.» Ade finì la doccia e uscì per primo, subito seguito da Apollo.
«Non sai cosa farai, vero?» chiese Apollo, sedendosi sul letto a gambe aperte, osservandolo con sguardo furbo.
Ade si asciugò, restando un po’ a fissarlo. «Non ho ancora deciso… Mi distrai apposta? Lo fa anche Will con Nico.»
Apollo si stese sul letto, allungando le braccia. «Non sto cercando di distrarti.»
«Sei sicuro?»
Apollo annuì, rotolandosi sul materasso fino a restare a pancia in giù. Si mordicchiò il pollice, e facendolo si volto verso di lui con un sorrisino malizioso.
Ade lasciò cadere l’asciugamano e quasi gli volò addosso. Lo baciò con energia, accarezzandogli tutto il corpo e mordicchiandogli il labbro diverse volte. Apollo iniziò a gemere per quella valanga di baci, e le carezze di Ade, e quando il dio della morte gli entrò dentro ebbe un sussulto dal profondo di sé e iniziò a mugolare per il piacere.
Ade gli sollevò i fianchi e lo penetrò più a fondo, muovendo i propri con un ritmo veloce. Apollo lo guardò ammirato, pensando di aver proprio fatto un ottimo lavoro con lui.
Dopo qualche minuto, Apollo si voltò e Ade lo penetrò di nuovo, baciandogli la schiena e passandogli le dita sul sesso già duro. Mossero le mani insieme, cercando di andare a tempo con le spinte e gli affondi di Ade, ma il dio della morte venne prima di Apollo. Ade gli baciò il petto respirando a fatica, e si impossessò della sua erezione per un altro minuto prima di sentire il seme caldo del dio del sole nella propria bocca.
«Wow.» mormorò Apollo, accaldato, mentre Ade gli si coricava vicino prendendolo tra le braccia. «Stai diventando un maestro.»
«Lo sai che gli allievi superano sempre i loro maestri, vero?»
«Non farlo.» rise Apollo, baciandolo sulla gola. «Io devo essere il più bravo in assoluto.»
Ade gli prese il volto tra le mani e lo baciò con dolcezza. Apollo ricambiò il bacio stendendosi sopra di lui e infilandogli le dita tra i capelli. Apollo era già pronto a farlo di nuovo, quando bussarono alla porta.
«Servizio in camera!»
Apollo lasciò le labbra di Ade, pensieroso. «Hai ordinato del cibo?»
«No.» Ade scosse la testa.
«Allora perché c’è il servizio in camera?»
«Boh.»
«Uh! Mi piace quando il cibo arriva all’improvviso!»
Apollo fece per alzarsi, ma Ade lo tenne stretto contro di lui.
«Non possiamo mandarlo via e amarci ancora un po’?»
Apollo gli baciò la punta del naso. «C’è tutto il tempo di amarci dopo il pasto.»
Ade sbuffò e guardò Apollo infilarsi la vestaglia. L’unica altra cosa che Apollo poteva fare per ore era mangiare. Ade lo seguì con lo sguardo finché non sparì nel corridoio che portava alla porta.
«Ehilà! Grazie per..!»
Poi il tono allegro di Apollo si spense e Ade ne distinse un’altra.
«Allora, ti stai godendo questa settimana fuori dagli Inferi?»
Ade si sentì sbiancare, e fu sul punto di tornare proprio negli Inferi quando il proprietario della voce superò Apollo e si fece spazio nella suite.
«A giudicare dalla grandezza di questa stanza, io direi proprio di sì. È una di quelle che chiamano suite di lusso, vero? Dimmi, tu…»
Zeus rimase spiazzato nel vedere Ade steso sul letto, mezzo coperto, e il volto arrossato per l’imbarazzo.
«N-Non è co-come può s-sembrare.» balbettò Apollo, arrossendo fino alla punta dei capelli. 
Ade recuperò i suoi vestiti e si vestì in fretta mentre Zeus teneva gli occhi puntati sul figlio dio. Sembrava in cerca delle parole giuste da dire, ma sembrava anche aver ingoiato una zuppa di brodo particolarmente schifosa.
Alla fine, voltandosi verso Ade, disse una breve frase.
«Sull’Olimpo. Subito.»

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Capitolo 13
*** 13. Il gioco di Apollo ***


Zeus lasciò loro il tempo di vestirsi prima di portarli nella sala del trono su nell’Olimpo.
Ade provò a scappare solo per scoprire che suo fratello gli aveva bloccato ogni possibilità di fuga. Apollo, invece, non provò nemmeno a parlare con il padre su quanto avesse visto. Si infilò dei vestiti a caso senza riuscire a guardare Ade negli occhi.
Quando Ade si ritrovò in mezzo ai troni vuoti degli altri Dei, tirò un sospiro di sollievo. Non c’era nessuno. A Zeus era andata male. Avrebbe dovuto rimandare la paternale ad un altro momento. Si voltò per incrociare lo sguardo di Apollo, e lo vide intento a fissare il suo trono  piuttosto serio. Chissà cosa gli era passato per la mente.
«Allora.» disse Zeus, ignorando i troni vuoti e mettendosi di fronte ad Ade e Apollo. «Cosa sta succedendo tra di voi?»
«Io e Ade abbiamo una storia.» spiegò Apollo, puntando gli occhi azzurri dritti in quelli del padre. Aveva ripreso di nuovo il suo aspetto da diciassettenne.
Ade fissò Apollo sorpreso. Certo, Zeus di sicuro era già arrivato a quella conclusione, ma sentirla uscire dalle labbra di Apollo… Ade sentì un brivido di piacere attraversargli la colonna vertebrale. Non si era aspettato che quelle parole pronunciate a voce alta potessero provocargli un piacere del genere.
Zeus si voltò a guardare Ade. «Ho mandato mio figlio da te, Ade, per essere punito, non per divertirsi!»
«Be’, se vogliamo sottolineare alcuni episodi, Ade mi ha effettivamente sculacciato in qualche occasioni.» disse Apollo, pensieroso.
Ade arrossì. «Apollo!» urlò.
Zeus scosse la testa e li fissò. «Non mi importa cosa c’è tra voi due. Ade, lui è mio figlio. Ed è stato mandato negli Inferi come punizione per aver quasi distrutto il mondo. Doveva passare del tempo negli Inferi da solo, a riflettere su quello che ha fatto. Tu non glielo hai lasciato fare. Sono passati dodici anni dall’inizio della punizione. E questa, più che una punizione, si è rivelato come al solito un tour di piacere per Apollo.»
«Fratello.» mormorò Ade, guardando Zeus, sentendosi anche lui molto più sicuro di sé. «Tra me e Apollo le cose sono capitate in questo modo. Ci amiamo. È un dato di fatto. Apollo avrebbe dovuto passare cinquant’anni di solitudine, invece ha passato un decennio meraviglioso in mia compagnia. Sono pronto a prendermi la mia colpa, Divino Zeus.»
Zeus lo studiò a lungo. «Lo ami?»
Ade guardò Apollo, che lo osservava in silenzio. «Sì, lo amo.» annuì, non riuscendo a trattenere un sorriso in direzione di Apollo.
Zeus lo studiò un altro momento, poi si voltò verso Apollo. «E tu? Lo ami?»
Apollo non guardò né uno né l’altro mentre sospirava. «Certo che no.» disse, sprezzante. «Certo che non lo amo. L’ho utilizzato solamente per i miei scopi. Necessitavo di lasciare gli Inferi, e lui mi ha aiutato a farlo. Tutto qui.»
Ade udì uno scricchiolio sinistro mentre Apollo parlava. Si portò una mano al petto, all’altezza del cuore, e capì che si trattava proprio del suo cuore. Si era appena infranto in un milione di pezzi.

Zeus tenne gli occhi puntati su Ade mentre Apollo concludeva di parlare, freddo come un pezzo di ghiaccio. Sul volto del dio dei morti erano passate una decina di espressioni diverse, prima di fermarsi sulla maschera di indifferenza che aveva imparato ad usare tanti secoli prima. Incrociò le braccia al petto, e si voltò verso il trono vuoto di Era.
Zeus tornò a guardare Apollo. Conosceva bene il figlio. In tutti quei millenni lo aveva visto innamorarsi di uomini e donne, lo aveva visto flirtare in un centinaio di modi diversi. Non l’aveva mai visto così freddo, ed era improbabile che fosse stato il periodo degli Inferi ad averlo ridotto così.
Il dio sospirò, voltandosi a guardare prima uno e poi l’altro. Mentre Ade parlava del suo amore per Apollo, lo aveva visto felice, come un’unica volta lo aveva visto. Quando gli aveva parlato del suo amore per Persefone. Zeus non riuscì a fare a meno di pensare che l’amore provato per la donna doveva essere proprio passato se Ade si era interessato agli dei biondi.

Ade si conficcò le dita nel braccio osservando nei minimi dettagli il trono di Era. Sapeva che voltarsi significava picchiare Apollo e distruggerlo e ridurlo in poltiglia, ma non aveva intenzione di fare tutto ciò sotto gli occhi divertiti di Zeus.
I piccoli pezzi del suo cuore giacevano privi di vita nel suo petto. Li sentiva conficcarsi nella carne, e dolevano parecchio. E sembravano divertirsi nell’affondare nei punti più dolenti.
Ripensò a tutti i momenti felici di quella relazione. Ce n’erano stati parecchi, soprattutto in quella settimana passata a girare per l’Europa. Ne avevano vissute così tante insieme…
Ed era stato tutto un gioco di Apollo. Tutto quanto. Nato anni prima con un semplice bacio che aveva turbato Ade e che poi lo aveva costretto a tornare da lui a chiedere spiegazioni. Aveva davvero pianificato tutto questo? Apollo si era dato così tanto da fare per cercare di uscire prima dagli Inferi? Se aveva programmato tutto quanto, si era di sicuro assicurato che Ade provasse amore nei suoi confronti…
Ade si sentì male, ma non lo diede a vedere. Restò a fissare il trono a braccia conserte, ignorando Zeus a meno di un metro da lui. Apollo era alle sue spalle, chissà cosa stava facendo. Forse si stava preparando un nuovo discorso per Zeus, un discorso che lo dipingeva come il perfido della situazione. Da un momento all’altro Apollo avrebbe di sicuro riferito al padre che sì, lo aveva sedotto, ma che Ade si era comportato male con lui, e di sicuro Zeus lo avrebbe fatto esiliare.
Ade si mordicchiò l’interno della guancia. La voglia di picchiare Apollo salì alle stelle. Si era fidato di lui in tutto quel tempo, e Apollo si era preso gioco di lui, dei suoi tentativi di dimostrargli l’amore che provava nei suoi confronti, dei suoi tentativi di appuntamento e di chiacchiere…
Tutto inutile. Tutto sprecato. Apollo lo aveva ferito nel modo più orribile che riusciva a concepire.

Apollo osservò la postura rigida di Ade e impiegò meno di un secondo a capire quello a cui stava pensando il dio dei morti. A loro due. Al loro amore cresciuto tra una menzogna e l’altra.
Apollo si morse la lingua per non urlare. Come poteva Ade essere così stupido? Non lo capiva che stava facendo tutto quello solo per lui? Per non farlo punire da Zeus? Conosceva suo padre. Di sicuro stava già programmando delle torture per entrambi.
Si voltò a guardarlo. Zeus teneva gli occhi puntati su Ade, e Apollo desiderò avere la forza necessaria per avvicinarsi a lui e farlo voltare. Voleva guardare dentro quei begli occhi scuri e dirgli che non era vero. Dirgli che lo amava con tutto sé stesso, e anche di più. Che lo amava come non aveva mai amato in vita sua.
Si sentì stringere il petto. Forse non avrebbe dovuto dire niente a Zeus. Aveva solo peggiorato la situazione. Qualsiasi cosa avesse detto, Ade non gli avrebbe più creduto. E Zeus sarebbe stato felice di punirlo di nuovo, e spedirlo chissà dove questa volta.
Aveva fatto un grosso errore ad accettare quella settimana fuori dagli Inferi. Se fosse rimasto lì con Ade, Zeus non li avrebbe mai scoperti.

«Ascoltatemi bene, voi due.» disse Zeus, fissando prima un dio e poi l’altro. «Non mi interessa cosa sta succedendo ora tra voi due. Ma voglio sapere esattamente cos’è accaduto negli ultimi dieci anni.»
Ade e Apollo restarono in silenzio.
«Avete intrapreso una relazione, giusto?» Zeus guardò Apollo. «Da te posso capirlo, hai sempre avuto gusti allegri, ma da te Ade…»
Ade restò impassibile. Apollo squadrò male il padre, ma non disse nulla.
«Da te Ade proprio non me l’aspettavo.» continuò Zeus, ignorando i due dei che non rispondevano. «Pensavo che l’amore che provassi per tua moglie sarebbe stato eterno. Invece…»
«Guarda, tra uno e l’altra non so chi sia peggio.» sbottò Ade, voltandosi per guardarlo in faccia. «Almeno da lei sapevo che faceva la stronza.»
«Tua moglie è stronza, e te l’ho sempre detto!» ringhiò Apollo.
«Tra te e lei non vedo molta differenza.»
«Lo sai bene quanto me che tra me e lei c’è molta differenza.»
«Entrambi costretti a vivere con me. Entrambi che hanno finto di amarmi. Entrambi stronzi. No, non c’è alcuna differenza.»
«Guardami mentre mi parli!»
Ade si voltò per fronteggiare Apollo. Era sufficientemente arrabbiato, e ferito, per farlo.
«Mi fidavo di te!» urlò Ade, e Apollo si trattenne dall’abbracciarlo. «Mi fidavo, e tu non hai fatto altro che raccontarmi menzogne!»
«Cos’altro potevo fare? Continuare a restare da solo, Ade? Volevo compagnia, sono il dio dell’allegria!»
«Se ti sentivi così allegro potevo spedirti qualcuno dai Campi della Pena! Perché hai dovuto giocare con i miei sentimenti? Credevo che mi amassi.»
Apollo spostò lo sguardo. «Volevo lasciare gli Inferi.» mormorò.
«Non mi sembra una buona scusa per distruggere qualcuno così profondamente!»
«Mi dispiace averlo fatto, ma necessitavo di aria. E dopo dodici anni, come vedi, sono riuscito a lasciare gli Inferi.»
«Piccolo bastardo.» ringhiò Ade. Il suo cuore ormai era incapace di ricomporsi. «Mi hai preso in giro tutto il tempo?»
«Tutto il tempo.» annuì Apollo, deglutendo, e tenendo lo sguardo fisso nei begli occhi scuri di Ade.
Ade guardò Zeus disgustato. «Non ho più alcuna intenzione di offrirgli riparo nei miei Inferi. Spediscilo da qualche altra parte. Io non lo voglio più vedere.»

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Capitolo 14
*** 14. La nuova punizione ***


Apollo si sentì tremare a queste parole del dio dei morti, ma cosa poteva fare? Si stava sforzando in tutti i modi di apparire sgradevole agli occhi di Ade, ma l’unica cosa che voleva fare era baciarlo e chiedergli scusa per tutte quelle menzogne.
Certo che significava qualcosa per lui.
Certo che lo aveva amato sin dal primo momento.
Certo che, quando lo aveva baciato per la prima volta in assoluto, aveva avuto in mente di farlo innamorare di sé per poi lasciare gli Inferi indisturbato.
Ma questi pensieri si erano volatilizzati quando Ade era tornato da lui, quando lo aveva baciato di sua spontanea volontà ed erano finiti con l’innamorarsi interamente dell’altro. Il cuore di Apollo vibrava di energia pura, e l’unica cosa che sperava era che Ade non si rifiutasse veramente di vederlo.
Tutte quelle bugie le stava dicendo solo per lui, per proteggerlo dall’ira di Zeus. Perché non riusciva a capirlo?

Ade tenne lo sguardo puntato su Zeus mentre finiva di parlare. Non voleva più quello sporco bugiardo nei suoi Inferi, nemmeno in una cella sotterranea, o nei Campi della Pena. Non voleva più rivederlo.
Non solo era disgustato dal comportamento di Apollo, ma anche terribilmente ferito da esso… Così ferito che stava prendendo in considerazione l’idea di tornare da Persefone con la coda tra le gambe e chiederle di scusarlo, di riprovarci.
Si scostò una ciocca di capelli dalla fronte e attese che Zeus gli rispondesse.
«La punizione di Apollo è sciolta.» disse Zeus, guardando prima Ade e poi il figlio. «Non posso mandarti più negli Inferi nel palazzo di Ade. Quel luogo non è adatto a te. Ma devi lo stesso essere punito per il tuo comportamento. Ti spedirò nel Tartaro.»

Apollo sbiancò. Il Tartaro? Zeus aveva minacciato veramente di spedirlo nel Tartaro? O erano solo parole buttate lì a caso per spaventarlo? Perché ci stava riuscendo benissimo.
Si voltò a guardare Ade, sperando che il dio della morte fosse scioccato quanto lui, ma ciò che vide fu solo un ghigno che trasfigurava completamente il volto di Ade.
«È quello che ti meriti.» disse Ade, serio, continuando a sogghignare. «Per quello che mi hai fatto.»
Apollo lo fissò senza parole, e tornò a guardare il padre. Zeus sembrava in attesa di qualcosa.
«D’accordo.» disse Apollo, cancellando il ghigno soddisfatto dalla faccia di Ade. «Andrò nel Tartaro. Accetto la mia nuova punizione.»
Era quello che si meritava dopotutto, no? Una punizione eterna, e terribile...
«Vi passerai i prossimi cento anni.» disse Zeus, serio, guardando Apollo. «Nel Tartaro.»
«Quando vuole, divino Zeus.» mormorò Apollo, inclinando la testa.
Ade tossicchiò. «Fratello, sul serio?» domandò. «Vuoi veramente spedirlo nel Tartaro?»
«L’ho detto, e lo farò. A meno che tu non abbia qualcosa da dire a riguardo.»
Ade si voltò a guardare Apollo. Esso aveva l’espressione di un uomo appena condannato a morte. Be’, in effetti, era appena stato condannato a morte. Essere spediti nel Tartaro per cento anni…
«Bravo.» disse Ade ad Apollo, che alzò lo sguardo su di lui. «Ti sei appena condannato ad una vita di orrori solo perché hai voluto fare l’idiota con me. Almeno spero che tu ti sia divertito mentre stavamo insieme… Chissà quanto ridevi alle mie spalle.»
Apollo abbassò di nuovo lo sguardo stringendo i pugni. Ade tornò a rivolgersi a Zeus. Fu sul punto di parlargli quando sentì una mano calda sulla spalla.
«Davvero mi lasceresti andare nel Tartaro?» mormorò Apollo, osservandolo con attenzione. Si era avvicinato in silenzio.
«Per quello che mi hai fatto, sì.» rispose Ade, freddo.
Apollo si mordicchiò il labbro e guardò il padre. «Sono pronto.»
Ade si sentì stringere il petto, ma ormai quello che c’era da dire era stato detto. Apollo lo aveva preso in giro. E se anche il petto gli si infiammava nel sentire il suono della sua voce, lasciarsi era la cosa migliore che potessero fare.
Zeus annuì lentamente alle parole di Apollo. «Bene, allora…»
Ade afferrò Apollo per il braccio e affondò le dita nella carne. «Perché mi hai mentito per tutto questo tempo?» gli urlò in faccia. «Lo sapevi che ero innamorato di te!»
«Ti ho già spiegato il motivo!» urlò a sua vola Apollo. «Volevo andarmene dagli Inferi!»
«Perché non me lo hai detto chiaramente, al posto di farmi innamorare di te, e spezzarmi il cuore?!»
«Ti ho spezzato il cuore?» Apollo lo guardò serio. «Ti chiedo scusa.»
Ade lo lasciò andare. «Certo che mi hai spezzato il cuore. L’ho sentito rompersi poco fa. Perché credevi che non mi si sarebbe spezzato? Non ho mai pensato che tu fossi una persona orribile, nonostante le tue centinaia di relazioni alle spalle. Speravo fossi sincero con me.»
«Ade…» Apollo si mordicchiò il labbro, scosso.
«Ma non importa, dopotutto. Posso accettare tutte queste menzogne. Ma non pronunciare più il mio nome.»
Ade si voltò a guardare Zeus, in attesa di vederlo mandare via Apollo.
Il dio del sole gli sfiorò la mano. «Mi dispiace averti spezzato il cuore.» ripeté.
Il dio della morte si sentì fremere a quel tocco ma non si voltò a guardarlo.
«Se avete finito con le smancerie, Apollo, ora tu…» iniziò a dire Zeus, ma Ade lo fermò.
«Tu non puoi seguirmi negli Inferi, vero?» chiese Ade a Zeus.
«No. È il tuo regno.»
«Bene.»
Ade afferrò Apollo e lo portò negli Inferi con un viaggio ombra. Finirono subito nella camera di Apollo, e Ade lo lasciò subito andare come se si fosse preso la scossa.
«Allora è vero?» gli urlò in faccia, di nuovo. Voleva litigare con lui a quattro’occhi, senza la presenza di Zeus. E quale posto migliore per farlo? «Mi hai sempre mentito?! Per tutto questo tempo?!»
«Ade…»
«Rispondimi! E guardami negli occhi per una volta!»
Apollo esplose. «Ade, cosa avrei dovuto dire a Zeus? Che ti amo con tutto me stesso? Che ci siamo innamorati senza farlo apposta? Che tu sei tutto ciò che c’è di bello qui negli Inferi?»
Ade lo fissò male. «Ora non mi prendere per il culo, per favore.»
«Non ti sto prendendo in giro, ora. Ho dovuto mentire a Zeus. Non volevo che punisse anche te.»
«Quindi hai preferito che io pensassi che mi hai preso in giro in tutti questi anni piuttosto di ricevere una punizione da Zeus?!»
«Sì.»
Ade inspirò profondamente mentre i pezzi del suo cuore si muovevano, come se desiderassero riunirsi, ma fossero troppo spaventati per farlo.
«Sei un idiota.» disse infine.
«Lo so.» annuì Apollo, convinto.
Ade scosse la testa. «No, non lo sai. Sei proprio un idiota.»
«Ho capito, lo so.»
«Se lo sai perché ti sei comportato in questo modo? Hai preferito vedermi ferito…»
«Ho preferito la mia punizione a quella di Zeus.»
«Sei proprio un idiota.»
«Non ti stancherai mai di dirmelo, vero?»
«No, mai.»
Si abbracciarono nello stesso istante e trovarono le labbra dell’altro pronte a ricambiare il bacio. Ade gli strinse il volto tra le mani mentre lo baciava con violenza, e Apollo riprese le sue sembianze di uomo quasi trentenne mentre rispondeva al bacio con la stessa passione mista a rabbia.
Si spinsero a vicenda fino ad arrivare contro il muro della stanza della musica. Ade intrappolò Apollo in una stretta forte, e quasi gli strappò i vestiti di dosso. Apollo si limitò a slacciargli la cintura, e quando Ade sentì le mani calde su di sé, lo fermò.
«Non possiamo risolvere in questo modo.» borbottò, riprendendosi.
«Perché non possiamo?» chiese Apollo, la voce arrochita dal desiderio.
«Perché mi hai detto tutte quelle cose orribili, prima.»
«Non ne pensavo nemmeno mezza.» confessò il biondo.
Ade gli prese di nuovo il volto tra le mani. «Ma se le hai dette, significa che…»
«Che ci ho pensato mentre andavamo sull’Olimpo.» Apollo gli baciò i palmi delle mani e gli passò le braccia attorno al collo. «Mio padre mi ha già punito diverse volte. E non volevo che trovasse una punizione anche per te.»
«Avrei preferito che gli dicessi la verità.»
«La verità gliel’ho detta.»
«Ma solo all’inizio.» Ade si scostò da lui e andò a sedersi sul letto. «Non so se potrò ridarti la stessa fiducia.»
Apollo lo guardò sorpreso, poi si riprese e gli si inginocchiò di fronte. «Riprenderò la tua fiducia.» mormorò Apollo, dandogli un lieve bacio sulle labbra. «La riprenderò tutta quanta.»
«E come?» Ade gli strinse le mani tra le proprie. «Zeus ha sciolto la tua punizione. Ora sarai condannato nel Tartaro per cento anni.»
Apollo lo baciò di nuovo. «Mi aspetterai, in questi cento anni?» gli chiese, serio.
«Certo.»
«Allora vivrò quel secolo in attesa di rivederti.»
Ade lo tirò sopra di sé e riprese a baciarlo. I baci arrabbiati di poco prima furono sostituiti da baci dolci. Sapevano che Zeus li stava aspettando, ma nessuno dei due aveva fretta di essere diviso dall’altro.

Ade stese Apollo sul letto e riprese a baciarlo con molta attenzione. Gli baciò ogni centimetro del volto, esplorò la sua bocca, e poi scese. L’incavo della gola, le spalle, il petto. Restò per qualche minuto a mordicchiargli un capezzolo, ascoltando i gemiti di protesta di Apollo.
«Dovrei farlo io…» mormorò lui, sospirando, mentre Ade continuava a scendere. «Ti ho fatto del male…»
«Sst.» sussurrò Ade, facendo scivolare la lingua su di lui.
Apollo gemette quando la bocca di Ade si fermò sul suo sesso. Sentì la lingua del dio muoversi su di lui con fare esperto. Mugolò di piacere e posò una mano sui capelli riccioluti del dio, che decise di aver fatto a sufficienza. 
Ade gli sollevò i fianchi, ignorando il borbottio di protesta di Apollo, e si spinse dentro di lui. Apollo lanciò un gridolino e mosse i fianchi per far aderire meglio Ade al suo corpo.
«Hai ancora intenzione di ferirmi?» domandò Ade, spingendo con forza dentro il corpo di Apollo, senza lasciargli nemmeno il tempo di riprendere fiato.
«N-No!» esclamò Apollo, a fatica, gemendo e muovendosi.
Ade non gli rispose. Continuò a spingere, finché i gemiti di Apollo non riempirono tutta la stanza.
«Ti amo!» riuscì a gemere Apollo, e Ade guardò il suo volto per assicurarsi che stesse dicendo la verità. Non riuscì a rispondergli nello stesso modo, e quando venne si stese affianco a lui prendendolo tra le braccia.
«A-Ade.» balbettò Apollo, baciandogli il collo e stringendosi a lui. «Come sta il tuo cuore?»
Ade aspettò un minuto intero prima di rispondere. «Non lo so.» mormorò.
Apollo lo circondò con un braccio. «Mi dispiace tanto essermi comportato da idiota. Ma in quel momento mi sembrava una cosa giusta da fare.»
Ade socchiuse gli occhi. «Non lo ripetere più.»
Apollo annuì dispiaciuto.

Quando tornarono sull’Olimpo dopo un’ora, trovarono Zeus in loro attesa seduto sul suo trono con aria annoiata.
«Ah, siete tornati.» sbuffò Zeus, fissandoli male.
«Dovevamo discutere in privato.» mormorò Ade, scrollando le spalle.
«Non voglio sapere nulla a riguardo.» borbottò Zeus, fissando entrambi.
Apollo sorrise felice, mentre Ade tenne il suo solito sguardo ombroso.
«Ho parlato con Efesto.» disse Zeus, guardando Apollo. «Andrai da lui per i prossimi cinque anni.»
Apollo lo guardò sorpreso. «Cosa?»
Zeus annuì, e Ade deglutì a fatica. «Passerai i prossimi cinque anni ad aiutare Efesto a costruire… be’, qualsiasi cosa costruisca. Verrò a trovarvi periodicamente, e vorrò vederti ricoperto di olio e grasso e chissà cos’altro in questi anni.»
Apollo si guardò le sue bellissime mani e tornò a fissare Zeus. «Cosa?!»
«Hai sentito bene.» Zeus scese dal suo trono e li raggiunse. «Apollo, questa è la mia decisione finale. La punizione nel Tartaro mi è stata sconsigliata da Era, e non voglio litigare con mia moglie.»
«Ma…» Apollo guardò Ade.
«Almeno non è il Tartaro.» si sforzò di sorridere Ade.
Apollo annuì e guardò il padre, che schioccò le dita e lo fece scomparire nelle fucine di Efesto il fabbro.
«In quanto a te, Ade…» Zeus lo guardò a lungo. «Cinque anni in sua assenza saranno una punizione adeguata.»
Ade annuì.
«E quando avrà finito la sua punizione da Efesto, potrà tornare negli Inferi… dovrà rimanervi cinque anni in più, ma non credo che questo sia più un problema.»
Ade annuì, ignorando il sorriso sornione di Zeus, e tornò negli Inferi.
La sua punizione era appena cominciata.

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Capitolo 15
*** 15. Apollo e Ade ***


Cinque anni terribili.
Erano appena trascorsi i cinque anni più terribili che Apollo avesse mai vissuto. Il che era tutto dire, visto che aveva passato circa dodici anni negli Inferi, ad incontrare camerieri e servi zombie, alcuni ad un livello avanzato di decomposizione.
Non poteva lamentarsi del luogo in cui si trovava. Certo, la fucina di Efesto era bollente, ed emanava sgradevoli odori di olio per motori e qualcosa di perennemente bruciato, ma almeno poteva uscire all’aperto tutti i giorni, quando prendeva una tazza di tè con un figlio immortale di Efesto.
Ed Efesto era anche un tipo simpatico, quando non borbottava tra sé e quando non urlava cose in codice al figli, e quando non aveva l’aria da pazzoide. Apollo era riuscito ad abituarsi a tutto questo, ma gli Inferi, Ade, gli mancavano.
Ripensandoci, quei cinque anni non erano stati poi così male. Efesto gli aveva lasciato l’opportunità di andare al Campo Mezzosangue per pochi minuti a guardare i suoi numerosi figli intenti ad allenarsi con il tiro con l’arco, o indaffarati a curare giovani semidei imbecilli che si erano fatti infilzare con la lancia da altri fratelli. 
E aveva anche avuto modo di incontrare suo figlio Will, un pomeriggio al centro commerciale. Will non l’aveva riconosciuto, naturalmente, e Apollo lo aveva guardato mentre si aggirava tra i negozi con la figlioletta Christal per cercare il regalo perfetto per il marito.
Era stato un momento magico. Apollo si era reso conto di essersi comportato in modo schifoso con tutti i suoi numerosi figli, e forse era una fortuna se non aver più ingravidato umane negli ultimi venti anni.
Ma non erano sempre stati rosa e fiori quei giorni trascorsi nella fucina di Efesto. Zeus aveva detto chiaramente al fabbro di trattare Apollo come un servo qualunque, ed Efesto aveva obbedito volentieri agli ordini del padre.
All’inizio Apollo era stato molto contrariato all’idea di tirare fuori dal forno strani parti di macchinari, bruciare gomme o fondere spade per creare altre spade. Si era divertito solo quando Efesto gli aveva mostrato come costruire un arco perfetto, con tanto di frecce perfette. Ma per il resto, le sue povere mani si erano riempite di tagli e ferite, gli erano venuti i calli e certe volte aveva le dita così gonfie da non riuscire nemmeno a piegarle senza gridare.
Nel corso delle settimane, i lavori datigli da Efesto si facevano sempre più sporchi, e dopo un anno di lavoro Apollo non si preoccupava più di trovare del grasso sotto le unghie, i palmi arrossati e indolenziti, o qualche ciocca di capelli bruciacchiata.
Con tutto quel lavoro, Apollo era riuscito a distrarsi da due pensieri che, molto spesso, lo avevano portato a martellarsi la mano. 
Il primo, naturalmente, era Ade. Era preoccupato per lui, e il signore dei morti gli mancava davvero tanto. Spesso si lamentava per essersi comportato da coniglio di fronte al padre, e anche per non aver pensato che Ade sarebbe riuscito a sopravvivere a qualsiasi torto Zeus volesse fargli come punizione per aver avuto una relazione con lui.
Il secondo, invece, che lo tormentava soprattutto la notte, era il sesso. Non solo quello con Ade, ma in generale. Si era sforzato di non flirtare con il figlio di Efesto, sposato, e con nessun altro. All’inizio era stato difficile, poi molto difficile, e verso i tre anni di astinenza sessuale – più che altro di rapporti completi – tutta la sua frustrazione era sfumata e aveva iniziato a godersi di più il luogo che lo circondava.
La notte si lasciava andare a fantasie erotiche su Ade. Se lo immaginava nudo nel suo letto, in attesa del suo ritorno, con un mazzo di rose rosse. Pensare cose del genere lo facevano sorridere e riusciva ad affrontare un’altra settimana nella fucina di Efesto con un enorme sorriso stampato in faccia.
Per tutto il periodo passato nelle fucine di Efesto, Apollo tenne il conto dei giorni che lo separavano dal suo incontro con Ade. 1826 giorni. Sufficienti per farlo impazzire.
Il figlio di Efesto – Apollo non gli aveva mai chiesto il nome per evitare sogni erotici su di lui – gli aveva fornito i calendari e i pennarelli per segnare le X sui giorni trascorsi.
E ora, dopo 1826 giorni, finalmente, poteva tornare negli Inferi.
Non aveva mai creduto possibile di essere felice per un fatto del genere.

Apollo salutò Efesto e il figlio con un abbraccio, gustando già la gioia che Ade gli avrebbe fatto provare quella sera. Non vedeva l’ora di lasciarsi raccontare come erano stati tetri quegli anni senza di lui. Non vedeva l’ora di sentire il suo calore tra le braccia e il suo corpo nudo stretto al suo.
Voleva riprendere ad amare Ade tutti i giorni come aveva fatto un tempo. Non desiderava altro. Non desiderava altri che non fossero Ade.
«Spero tornerai presto a rifarci visita.» sorrise il figlio di Efesto, cordiale e gentile.
Efesto fissò torvo il figlio.
Apollo si sforzò di non ridere. Sebbene avesse impiegato un mese abbondante a smettere di lamentarsi per tutto quanto, era sempre stato un peso per Efesto, soprattutto quando aveva involontariamente staccato la corrente del macchinario che il dio stava costruendo, mandando in fumo ore e ore di progettazione.
Mentre padre e figlio si scoccavano occhiatacce e insulti silenziosi, Apollo lanciò un’occhiata all’orologio. Ade sarebbe apparso da un momento all’altro per riportarlo negli Inferi. Si promise di non saltargli al collo, né di sbaciucchiarlo o di toccarlo. Efesto non conosceva il vero motivo che aveva costretto Zeus a spedire il dio del sole nella sua fucina, e non intendeva farglielo sapere.
Apollo batté le palpebre, e nel mentre di fronte a lui comparve la figura slanciata del signore dei morti, vestito di scuro come sempre. Nel vederlo, il cuore di Apollo fece una capriola mentre il suo cervello lo costringeva a restare fermo.
«Ciao.» disse Ade, con il suo solito tono ombroso. I suoi occhi si posarono prima sul figlio di Efesto, poi sul dio stesso e infine su Apollo.
In quei grandi occhi neri Apollo si rivide riflesso. Scoprì di ricordare alla perfezione tutte le volte che avevano fatto l’amore insieme, e in ultimo la settimana di vacanza in giro per l’Europa. Quanto gli mancavano quei momenti.
Apollo iniziò a sorridere, ma Ade aveva già distolto lo sguardo.
«Andiamo.» disse solamente, porgendogli il braccio. Apollo vi posò la mano sopra salutando i due fabbri, e Ade lo portò negli Inferi senza perdere altro tempo.
Apollo si guardò attorno nella sala che conosceva. Non alla perfezione, ma ricordava molti dettagli. Fissò il trono di Ade, quello vuoto di Persefone, poi si voltò verso il signore dei morti con uno splendente sorriso.
«Allora…» iniziò il dio del sole, ma Ade lo fermò facendo un cenno ad uno dei suoi servi.
«Riportalo nelle sue stanze.» disse, andando a prendere il suo posto sul trono e tornando al suo noioso lavoro.
Apollo lo guardò a bocca aperta mentre il cameriere zombie lo costringeva a procedere.
Ade non gli aveva nemmeno rivolto la parola.

*

Due anni.
Il tempo che impiegò Ade per dimenticarsi di Apollo e tornare strisciando da Persefone, proprio come la figlia di Demetra aveva previsto.

Inizialmente, Ade aveva pensato che sarebbe riuscito ad aspettare Apollo. Nei primi mesi, il dio del sole gli mancava così tanto da fargli male al cuore. Ogni giorno viveva la vecchia routine, prima che Apollo gli entrasse a forza nel cuore e si facesse amare completamente da lui.
Attendeva il ritorno di Apollo con il cuore traboccante di perdono. Lo avrebbe perdonato per come si era comportato nei confronti di Zeus. Infondo lo aveva fatto per lui, e lui era stato uno stupido a non capirlo subito. Apollo non si sarebbe mai sognato di dire quelle cose al padre visto il grande amore che provava nei suoi confronti. E Ade aveva sbagliato a credergli.
Di solito gli anni passano veloci per gli dei. Loro non invecchiano, il tempo scivola sulla loro pelle senza scalfirgli. L’unica cosa che cambia è il mondo, e i loro figli, che crescono, vivono, muoiono.
In quegli anni Ade vide i suoi figli sistemarsi una volta per tutte con i loro mariti. Le loro famiglie si erano allargate. Hazel e Frank avevano tre figli stupendi, ed erano in attesa del quarto. Nico e Will avevano adottato due figli, Christal e Aaron, e a quanto era riuscito a capire dall’ultima visita nei sogni del figlio, Nico insisteva per adottare un altro bambino.
I suoi figli erano felici, e Ade era contento che lo fossero. Nel corso di tutta la sua vita non aveva mai avuto molti figli, e solo due di essi, ora, erano felici con la vita che si erano costruiti.

Quei cinque anni per Ade non passarono affatto velocemente.
Riusciva a ricordare ogni minuto passato sul suo trono ad ascoltare le anime dei defunti. Ricordava i tanti litigi avuti con Persefone, e infine la loro riappacificazione.
Ricordava anche il dolore immenso che Apollo gli aveva fatto vivere mentre parlava con Zeus su nell’Olimpo.
Ricordava come si era sentito felice quando lui e Apollo avevano fatto sesso nelle stanze del dio del sole, decidendo di affrontare insieme qualunque punizione avesse in serbo per loro Zeus.
Ricordava come si era sentito a terra quando Zeus aveva spedito Apollo nelle fucine di Efesto, e ricordava quando gli aveva rivolto quelle odiose parole.
«Cinque anni in sua assenza saranno una punizione adeguata.»
Inizialmente erano stati una punizione. Erano passati come dovevano passare. In silenzio, in solitudine, con il rimorso di non aver fatto di più per tenere Apollo per sé. Ma poi la punizione era sparita. Forse Zeus aveva fatto bene a sorridergli in quel modo prima di lasciarlo tornare negli Inferi.
Forse Zeus lo sapeva che il suo amore per Apollo era finto, dovuto solamente all’attrazione fisica e al fatto che Apollo era stata l’unica persona della sua intera esistenza a farlo sentire bene, accettato, amato.
Di sicuro Zeus doveva saperlo.

Due anni dopo l’inizio della punizione di Apollo, il cuore di Ade riprese a battere per la moglie. Si era tenuto alla larga da lei e dal suo odio per anni, ma poi l’aveva cercata per parlare. Gli argomenti erano variabili, ma non si soffermavano mai su Apollo,  Ade aveva un disperato bisogno di pensare a qualcosa che non fosse lo splendido dio della guarigione.
E dopo mesi passati a chiacchierare, Persefone lo aveva stretto di nuovo tra le sue braccia.
E l’abbraccio aveva portato al bacio.
E il bacio aveva fatto rifatto nascere i vecchi sentimenti perduti di Ade.
E così facendo si era ritrovato a fare di nuovo l’amore con la donna che aveva scelto di sposare secoli prima. La donna che lo aveva fatto dare di matto per anni.

Quando scoccò la fine dei cinque anni della punizione di Apollo, Ade andò a prenderlo. Ormai non provava più niente per il dio della musica.
O almeno così credeva.
Gli porse il braccio per portarlo negli Inferi, e quando Apollo lo afferrò, Ade riconobbe quel calore che negli anni gli era tanto mancato. Sentì il suo cuore esplodere di gioia a quel semplice contatto, e lottò contro i suoi stessi sentimenti mentre Apollo gli sorrideva nella sala del trono.
«Riportalo nelle sue stanze.» disse ad uno dei suoi servi. Forse Apollo fu sul punto di dirgli qualcosa, o forse no. Non voleva ascoltare il suono di quella voce, la sua musicalità.
Non voleva vederlo. Non voleva sentirlo. Non voleva amarlo.
I suoi sentimenti erano così confusi… Si sedette sul suo trono e riprese il suo lavoro, ignorando completamente Apollo che usciva dalla sala accompagnato da un servo. Non riuscì a fare  ameno di lanciargli un’occhiata. Se solo quella punizione fosse durata di più…
Si passò nervoso le dita tra i capelli. Perché aveva vissuto gli ultimi anni pensando di aver completamente risolto il suo amore per Apollo, se poi alla fine non era vero? Perché bastavano solo cinque minuti in sua compagnia per far di nuovo nascere quella passione che aveva tentato di soffocare?


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Capitolo 16
*** 16. Persefone ed Ermes ***


«Possiamo parlare?»
«No.»
«Per favore.»
«Ho delle cose da fare.»
«In effetti, vedo come sei impegnato.»
Ade ignorò Apollo e tornò a fissare il vuoto. Ma stava arrossendo. 
Si trovava sul suo trono da un’ora, e da un’ora non aveva nemmeno smistato un’anima. Una volta ogni due settimane si prendeva un giorno di riposo, e questo Apollo lo ricordava molto bene.
Ade continuò ad ignorare Apollo per altri cinque minuti. Il dio del sole restò fermo affianco a lui, a braccia incrociate, in attesa di poter parlare, lo sguardo puntato su una parete lontana.
«D’accordo.» sbuffò Ade, passandosi le dita tra i capelli e voltandosi verso il dio biondo. «Parla.»
Apollo si mordicchiò il labbro, poi abbassò gli occhi su di lui. «Cos’è successo?» gli chiese veloce. «Perché non mi guardi neanche? Sono tornato da dieci giorni, ormai, e non mi hai nemmeno chiesto come è andata la mia punizione da Efesto.»
«Ho parlato con lui. So che è andata bene.»
«Credevo che avresti voluto saperlo direttamente da me.»
«Senti, Apollo…»
Ade si bloccò, non sapendo come continuare. Lo amava, inutile negarlo. Aveva davvero sperato di soffocare il suo amore per Apollo negli ultimi anni, ma la vista di quel testardo gli aveva fatto battere di nuovo forte il cuore.
«Io non voglio farti scenate di nessun tipo.» disse Apollo, scaldandosi, e Ade presunse che si trattava dell’incipit di una bella scenata. «Ma ho aspettato 1826 giorni per rivederti, e tu non mi guardi nemmeno negli occhi! Si può sapere cosa ti ho fatto?!»
«Lo sai benissimo quello che mi hai fatto!» sbottò Ade, senza guardarlo. «Quando parlavi con Zeus, mi hai spezzato il cuore.»
«Pensavo che lo avessimo risolto.»
«Hai pensato male.»
Apollo cominciò a fare avanti e indietro per la sala del trono, e Ade non riuscì a fare a meno di tenere gli occhi incollati su di lui. Quel corpo flessuoso… Ricordava ogni centimetro di quella pelle, ne ricordava il sapore e il colore. Ricordava tutto di Apollo.
Deglutendo, Ade distolse lo sguardo.
Apollo si fermò e tornò a fronteggiarlo.
«1826 giorni!» esclamò. «Sai quanti anni sono?!»
«Illuminami.» sospirò Ade.
«Cinque anni! Sono cinque anni! E io ho aspettato tutto questo tempo per rivederti! Dimmi cosa c’è che non va. Non abbiamo fatto pace quando sono partito? Io pensavo di sì.»
«Pensavi male. E smettila di ripetere cinque anni. Lo so che sono passati.»
Apollo lo fissò torvo, e Ade gli scoccò un’occhiata. I capelli biondi gli ricadevano spettinati attorno al volto. Gli occhi celesti erano spiritati. E aveva di nuovo l’aspetto da diciassettenne perennemente abbronzato.
«In tutto questo tempo io non vedevo l’ora di rivederti.» mormorò Apollo, con tono basso, fissandolo dritto negli occhi. «Mentre tu… Sei stato felice che me ne fossi andato?»
Ade abbassò lo sguardo. «All’inizio non lo ero.» ammise.
«Quindi ora lo sei?»
Ade si mordicchiò il labbro. «Apollo, qualsiasi cosa ci sia stata tra di noi, è finita. Speravo lo capissi da solo.»

Apollo inspirò profondamente mentre il suo cuore batteva furioso. Era finito? Il loro amore così puro era finito?! Come si permetteva di dirgli quelle cose?
«Be’, io non la vedo così.» ringhiò Apollo, aggressivo, e Ade si appoggiò allo schienale del trono per guardarlo meglio. «Per me non è finito.»
«Per me sì. Sono tornato con Persefone.»
Apollo sgranò gli occhi. Aprì bocca per un minuto senza riuscire ad articolare nessuna parola, e alla fine balbettò: «Stai scherzando?»
«No, non scherzo. Lei è mia moglie.»
«Lei è una zoccola.»
«Occhio a come parli!»
«Lo hai detto anche tu che è una zoccola!»
«Be’, ora ho ritrovato la mia attrazione per lei.»
«Non si chiama attrazione!» esclamò Apollo, il volto in fiamme, puntandogli un dito contro il petto. «Si chiama voglia di scopare. Lo so, perché è venuta anche a me. Ma al posto tuo non sono tornato da persone che non mi amano per rimediare al vuoto. Ho stretto i denti, e mosso le mani, sognandoti tutte le notti.»
Ade storse il naso, ma una fitta di piacere lo colpì allo stomaco. «Wow. Hai passato 1826 giorni a… muovere le mani… pensando a me?»
«Esattamente.»
«Bravo.»
Apollo fu tentato di schiaffeggiarlo. «Sei tornato con Persefone.» disse acido. «Dopo il modo in cui ti ha trattato.»
«Tu non hai fatto molto meglio.»
«Lei non prova più amore per te. Mentre io sì. Io ti amo, ed è per questo che ti ho ferito dicendo quelle cose a Zeus. Ho detto delle bugie per amore. Ti amo, e voglio che le cose come noi tornino come prima.»
Ade studiò il suo volto con la voglia di baciarlo. «Ma le cose tra di noi non potranno mai tornare uguali. Tu sei stato per cinque anni chiuso nelle fucine di Efesto. E io ho passato questi cinque anni in felice compagnia di mia moglie.»
«Di una zoccola che non ti ama per niente e che ti ha tradito per anni con quello che tu chiamavi amico!»
Ade lo fissò.
«A proposito, dov’è Shakespeare?» Apollo si guardò attorno furioso. «Scommetto che lo hai spedito nei campi della pena, vero?»
Ade arrossì. «No. Gli ho fatto notare che era proprio il caso di reincarnarsi.»
«Ah, bravo!» urlò Apollo. «Quindi hai perdonato quell’infame di Persefone e spedito Shakespeare di nuovo sulla terra! Perché non puoi perdonare me?!»
Ade lo ignorò. «Lo sai che Shakespeare si è reincarnato in un figlio di Ares che è stato adottato dai nostri figli?»
Apollo spalancò la bocca per la sorpresa. «Sul serio?»
«Già. Si chiama Kurt. Non ha un vero cognome. Nico lo ha visto in ospedale e se n’è innamorato. Lo hanno adottato alcuni mesi fa. Ora il bambino deve compiere un anno.»
Apollo ricordò di aver incrociato Will e Christal al centro commerciale mentre cercavano un regalo perfetto per Nico. Li aveva visti sorridenti e scherzosi.
«Ah.» si limitò a dire. «Allargano la famiglia.»
«Già.» Ade sorrise. «Siamo di nuovo nonni.»
«Di un figlio di Ares.»
«E prima ancora di un figlio di Atena.»
«E di una bellissima ragazza umana.»
Per un momento si sorrisero, e le cose tra loro sembrarono risolte. Poi si ricordarono che uno odiava l’altro e che l’altro cercava delle risposte e distolsero in fretta lo sguardo.
«Quindi sei tornato con Persefone.» disse Apollo, guardando una crepa decorativa sul pavimento. «Nonostante tutto, sei tornato con lei.»
«La amo.» mormorò Ade.
«Non dire stronzate.»
«Non è una stronzata! La amo sul serio!»
«La ami perché lei era lì con te mentre ti sentivi solo. E ti sentivi solo perché io sono stato esiliato da Efesto. Se lo avessi saputo, me lo sarei portato a letto.»
«Efesto?»
«Sì.»
«Be’, sei ancora in tempo.»
«In tempo?»
«Puoi chiedere a Zeus di spedirti da Efesto per il resto della punizione.»
Apollo sbiancò. «Altri trent’anni a toccare quelle cose schifose? No, grazie. Preferisco rimanere qui e aspettare.»
«Aspettare cosa?»
«Che Persefone ti spezzi di nuovo il cuore per dirti: te l’avevo detto.»
Ade lo fissò torvo. «Non succederà.»
Apollo sorrise maligno. «Succederà, invece. Lei non ti ama. Vuoi capirlo?»
«E tu?»
«Io ti amo.»
«Io non più.»
Apollo inspirò profondamente. «Bene. Fai pure. Ama quella sgualdrina.» Si voltò infuriato.
Ade lo guardò allontanarsi, ma prima che potesse andarsene impettito e fare l’uscita di scena che tanto desiderava, fu fermato da Ermes, il dio dei messaggeri.
«Ehi!» salutò Ermes, sorridendo ad Apollo. «Era da un po’ che io e te non ci vedevamo! Ho un messaggio per te da Solace.» Recuperò una busta e la tese ad Apollo, che la guardò silenzioso. «E un messaggio per Ade da parte di Levesque – Zhang.»
«Grazie, Ermes.» disse Ade, guardando la busta. «Niente da Nico?»
«No, mi spiace. Ne hanno scritta solo una questa volta.» Indicò quella di Apollo. «Leggetela insieme.»
Apollo e Ade si fissarono in cagnesco, poi Ade scosse la testa. «Non importa.» disse.
Ermes guardò prima uno e poi l’altro, poi scrollò le spalle. «Be’, io vado. Ho altre lettere da consegnare.»
«Ehi, Ermes!» esclamò Apollo, infilandosi la lettera di Will in tasca e sorridendo al dio dei ladri. «Ti va di fare due chiacchiere?»
Prima che Ermes avesse il tempo di rispondere, Apollo lo prese sottobraccio e lo portò fuori dalla stanza del trono, scoccando un’occhiata ad Ade.
Il dio dei morti li guardò uscire insieme silenzioso.

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Capitolo 17
*** 17. Collera e rabbia ***


«Ehm, scusami, ma credo di dovermene andare.»
«No, caro. Tu resti qui con me.»
«Senti, Apollo.» disse Ermes, esasperato. «Sono tre settimane che mi inviti a prendere il tè nelle tue stanze private. Quando finirà questa storia?»
«Non ti piace il tè alla rosa?» domandò Apollo, perplesso.
Ermes lasciò cadere una zolletta di zucchero nella sua tazza di tè e afferrò il manico con un gesto protettivo. «Il tè alla rosa è buonissimo.» disse, girando lentamente il cucchiaino. «Solo non capisco perché mi inviti a bere il tè qui.»
«Non ho altre stanze.»
«Allora perché mi inviti a bere il tè?»
Apollo bevve un sorso di tè. «Perché mi piace avere compagnia, e tu mi stai simpatico.» gli sorrise gentile.
Ermes lo guardò un altro momento, scrollò le spalle e tornò a bere il suo tè.
Apollo si lasciò scappare un sospiro di sollievo. Aveva avuto paura che Ermes non credesse alle sue parole, ma per fortuna il dio dei ladri era vanitoso quanto qualsiasi altro dio.
Certo, la compagnia di Ermes gli piaceva tantissimo, e si divertiva sempre ad ascoltare le sue avventure. Ermes era quel genere di persona che, un tempo, Apollo avrebbe portato nel suo letto. Ma ormai era cambiato, e desiderava solo un dio.
E proprio per questo dio invitava Ermes a bere il tè tutti i giorni. Perché aveva notato gli sguardi di gelosia che Ade inviava al dio dei messaggeri ogni qualvolta lo vedeva arrivare… Non si accorgeva nemmeno di essere geloso di Ermes, e per Apollo era meraviglioso.
In questo modo, Apollo era riuscito a capire che Ade lo amava ancora, forse non profondamente come un tempo, visto tutte le ferite che aveva dovuto sopportare per colpa sua. Ma lo amava ancora, e il suo ritorno con Persefone era dovuto solo per riscaldare l’altra metà del letto. Non era amore.
Non sapeva bene cosa stesse aspettando. Una scenata di gelosia da parte di Ade? Ade che prendeva a pugni Ermes? Ade che arrivava, spingeva via Ermes dalla stanza e gli chiedesse perdono?
Sorrise nell’immaginare una scena del genere.
«Perché sorridi?»
Apollo alzò gli occhi su Ermes. «Ah, una cosa divertente.» mentì.
«Che genere di cosa divertente?»
«Ah, ehm, è successa da Efesto.»
«Uh, racconta.» Ermes sorrise.
Apollo sospirò e iniziò a raccontargli dell’episodio in cui aveva strappato per sbaglio la corrente dal macchinario, facendo perdere a padre e figlio ore e ore di lavoro. Ricordò la delusione negli occhi del ragazzo, mentre Efesto inspirava profondamente e gli chiedeva gentilmente di andarsene a prendere un tè con i biscotti.
«Un tè con i biscotti?» rise Ermes. «Un eufemismo per mandarti a quel paese.»
Apollo sobbalzò. Ci era appena arrivato anche lui.
Ermes lo lesse nel suo sguardo e scoppiò a ridere più forte. «Sei incredibile, Apollo.» gli disse ridendo, posandogli una mano sul braccio.
La porta della stanza volò via dai cardini sbattendo contro la parete alle spalle di Ermes.
Quattro zombie entrarono nella stanza, afferrarono il dio dei ladri per le braccia e lo trascinarono via, bloccando ogni tentativo di difesa da parte di Apollo, che rimase seduto al suo posto troppo sbalordito per fare un qualsiasi movimento.


Quando Ade udì lo scoppiò della porta, si sentì pervaso da un’ondata di rabbia e collera, che gli stava crescendo nel petto da un sacco di tempo. Esattamente da quando aveva visto Apollo lasciare la sala del trono a braccetto con Ermes.
Quell’odio si era rafforzato quando aveva rivisto Ermes il giorno seguente nei pressi della stanza di Apollo. Stava andando da lui per parlargli, ma si era come pietrificato alla vista di Apollo che trascinava ridendo Ermes nella sua stanza. 
In quel momento, di tre settimane prima, non si era sentito spezzarsi. Il suo cuore gli aveva mandato un’ondata di rabbia e desiderio di morte per quel dio dagli occhi chiari. 
Ma era riuscito a mantenere la calma. Il non essere entrato nella stanza di Apollo in quel preciso istante era per lui una prova di calma.
A fatica era tornato sul suo trono, seduto al fianco di Persefone, ma per il resto della giornata fu la moglie ad occuparsi dello smistamento delle anime. La mente di Ade era da tutt’altra parte. Era nella stanza di Apollo, e vedeva Ermes mettere le manacce su quella pelle color miele, su quei meravigliosi boccoli color grano, e a baciare quelle fantastiche labbra…
Quando il giorno seguente aveva rivisto Ermes, aveva spedito degli zombie a sorvegliare il corridoio. Aveva detto loro di stare dietro la porta, tenere sotto controllo la stanza. Se avessero visto Ermes o Apollo sfiorare l’altro, dovevano entrare.
Dopo la prima settimana, Ade si domandò se i suoi zombie avessero capito quale fosse il loro compito. Passò un’ora con loro, origliando le conversazioni tra Ermes e Apollo, e tornando al suo trono capì quali erano le intenzioni del dio del sole.
Voleva ingelosirlo. Quello sciocco dio danzante credeva davvero di poterlo ingelosire! Be’, ci stava riuscendo alla grande.
Ogni volta che sapeva dell’arrivo di Ermes nel suo palazzo, Ade cominciava a mangiucchiarsi le unghie. Non voleva affatto che il suo uomo cedesse alla tentazione. Non voleva che Apollo flirtasse con il dio dei ladri. Non voleva che Apollo si innamorasse di un altro.
Leggeva le lettere di Nico – aveva ricevuto una foto di Kurt: quei capelli rossicci e l’aria da diavoletto erano spettacolari! – ma neanche quelle riuscivano a fargli pensare ad altro che non fosse il dio della musica in compagnia di quell’altro.

«ADE!»
Il suo nome urlato in quel modo lo riscosse dai suoi pensieri. Abbassò i piedi dal trono della moglie, anche se sapeva benissimo che non era stata lei a chiamarlo. Avrebbe riconosciuto quel tono melodioso anche se fosse stato sordo.
«EHI TU BRUTTO STRONZO!»
Ade si voltò un momento verso Apollo e, prima di poter articolare una risposta adeguata, venne afferrato per il colletto e spedito a terra. Il pavimento ebbe un effetto strano alla sua schiena, che sentì cigolare in modo sinistro.
«Ciao Apollo.» disse Ade, cercando di mettersi almeno seduto. Ma Apollo gli posò un piede nudo sul petto. Era adirato. Furioso.
Ade pensò di non averlo mai visto così affascinante.
«COSA STANNO FACENDO AD ERMES?» urlò Apollo, aumentando la pressione del piede.
«Non urlare!» gridò Ade, ignorando la domanda. «Ti sento benissimo!»
«Allora rispondi! Cosa gli stanno facendo?! E dove lo hanno portato?!»
Ade guardò Apollo. Da quella posizione – sotto di lui – era tutta un’altra cosa. Si sentì esplodere il cuore di gioia nel vederlo, sebbene Apollo fosse di tutt’altro avviso. Sembrava pronto ad ucciderlo.
«Chi lo ha preso?» domandò Ade, calmo.
«Lo sai benissimo. Non fare il finto tonto. Mi fai venire voglia di prenderti a schiaffi.»
«Allora prendimi a schiaffi.»
Apollo lo schiaffeggiò.
Ade sussultò per la sorpresa e si massaggiò la guancia. «Okay. Non me lo aspettavo ma… è okay.»
Apollo si sedette sul suo trono a braccia e gambe incrociate. Indossava jeans bianchi sgualciti e camicia dorata con le maniche larghe, e i primi bottoni erano aperti a mostrargli l’incavo della gola e il petto. La criniera dorata gli ricadeva ordinata sulle spalle. Era una visione celestiale.
Ade si mise seduto, e si passò le dita tra i capelli.
«Perché ti importa così tanto di Ermes?» domandò con tono innocente, per tastare il terreno.
«Perché è mio amico.» disse Apollo. Pronunciò la parola amico con tono malizioso, e Ade notò gli occhi scintillare.
Si alzò in piedi, spazzolandosi i vestiti e si sedette sul trono di Persefone, con il volto girato verso Apollo.
«Quindi Ermes è il tuo nuovo giocattolo?» chiese Ade, tranquillo, appoggiando il mento alla mano aperta.
Apollo lo fissò torvo. «Io non ho giocattoli.»
«Ne hai uno qui di fronte.»
«Falla finita, Ade! Tu non sei mai stato il mio giocattolino! Ti ho riferito che quello cose dette a Zeus non significavano nulla. Ti ho detto che erano tutte bugie, e tu continui a non credermi. Sai, mi sta bene se ora fai sesso con Persefone, e che ora siete tornati grandi amici. Ma se lei dovesse lasciarti, non venire a piangere da me. Voglio rifarmi anch’io una nuova vita.»
Detto questo, si soffiò via dalla fronte una ciocca di capelli appena caduta e si mise a guardare dritto di fronte a sé, infastidito.
Ade, invece, continuò a guardarlo. «Tu non vuoi rifarti una vita.» disse piano. «Perché altrimenti tu ed Ermes avreste già fatto sesso. Ti conosco.»
«Io e lui lo abbiamo fatto così tante volte che non esistono numeri per indicarlo.»
«No, caro, quello era con me.»
Apollo spostò gli occhi azzurri su di lui. Erano furenti, ma Ade intravide qualcosa passare. Un lampo di speranza, forse.
«Io ti amo.» mormorò Apollo con voce tremante. «Puoi capirlo?»
Ade distolse lo sguardo.
«Ti amo così tanto che, spesso, mi fa male il cuore.»
Ade si mordicchiò il labbro.
Apollo si alzò e si inginocchiò di fronte a lui, prendendogli il volto tra le mani e costringendolo a guardarlo dritto negli occhi.
«Ti ho pensato tutti i giorni mentre ero in punizione da Efesto. Lo sai. E ho continuato a pensare a te anche se mi hai trattato in modo freddo quando sono tornato. E ora, dopo altre tre settimane di indifferenza da parte tua, sono qui, in ginocchio da te, a dirti che ti amo.»
«Apollo…»
«Lo so che mi ami anche tu, altrimenti mi avresti già guardato negli occhi per dirmi che mi odi e che preferiresti vedermi nella fucina di Efesto.»
«Ma l’altra volta io te l’ho detto…»
«Shh!» Apollo gli mise le mani davanti alla bocca, arrossendo. «Ecco. Io ti amo anche se rovini dei momenti perfetti come questo. Perché ti è così difficile capirlo? Perché non capisci che quello che ho detto a Zeus era solo per evitarti una punizione? Perché non capisci che sono davvero dispiaciuto per quanto ho fatto? Perché non capisci che tua moglie è una zoccola e che ti volterà le spalle quando arriverà qualche altro umano o semidio più bello di te?»
«Ne esistono?» si incuriosì Ade, rispecchiandosi negli occhi di Apollo.
«Per lei che non ti ama sì. Ne esistono a bizzeffe. Per me che ti amo con tutto me stesso, e anche di più, no. Per me sei bellissimo, Ade. E se questo mio discorso non è servito, vorrà dire che continuerò a ripetertelo in continuazione.»
Per qualche minuto si guardarono dritti negli occhi, entrambi in attesa che l’altro facesse la prima mossa.
Poi Ade capì.
«Sono stato un idiota.» mormorò, e Apollo gli strofinò il pollice sulla guancia. «Non avrei dovuto dimenticarti. O sforzarmi di dimenticarti. Tu sei quello più frivolo, e hai continuato ad amarmi nonostante tutto il tempo trascorso.»
«Mi sono masturbato tante volte pensando a te.» annuì Apollo, serio.
Ade gli posò una mano sulla bocca. «Per il Tartaro, ma perché devi sempre rovinare dei momenti come questi?!» sorrise, e gli occhi di Apollo si illuminarono. «Ho sbagliato a fare quello che ho fatto. Non dovevo tornare da Persefone. Avrei dovuto aspettarti, attendere con ansia tutti questi 1682 giorni…»
«1826.» lo corresse Apollo. 
«… come tu hai fatto con me.» Ade ignorò la correzione di Apollo. «Mi sono lasciato abbindolare da quella…»
«Zoccola.» finì per lui Apollo, ma Ade proseguì.
«…da quella donna. Come hai detto tu l’altro giorno, lei era lì. Lei è stata presente mentre soffrivo per la tua lontananza. E io mi sono lasciato alle sue attenzioni. Sono stato debole. E stupido.»
«No. Non è stata colpa tua.» lo rassicurò Apollo, accarezzandogli le guance e appoggiandosi al suo petto. «È colpa di Persefone. Lei è…»
«Basta.» sbuffò Ade, un po’ divertito. «Questa tua avversione per Persefone passerà mai?»
«Mai.» mormorò Apollo, e lo baciò.

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Capitolo 18
*** 18. Amore negli Inferi ***


Ade sentì il cuore implodere dalla gioia e dall'amore che provava per quel dio biondo. Non aveva mai sentito una sensazione del genere in tutta la sua vita. E per suscitare queste emozioni era servito solamente un bacio.

Il cuore di Apollo raddoppiò i battiti, e gli occhi gli si riempirono di lacrime. Non riusciva a capire se lui e Ade avessero veramente fatto pace. Non riusciva a capirlo perché quel bacio dopo tanto, tantissimo tempo, gli aveva fatto spegnere il cervello. Si sentiva così pieno di amore, e fragile al tempo stesso.

Gli prese il volto tra le mani e lo bacò ancora. Ade ricambiò il bacio con passione, e Apollo si ritrovò seduto sopra di lui, arruffandogli i capelli e sollevandogli la maglia con una mano, accarezzando quella pelle bianco lattea.

«Ah, Apollo...»

Apollo riaprì gli occhi e osservò il volto di Ade. Era così bello da vicino. Ade gli stava sorridendo, e Apollo sentì un dito freddo del dio accarezzargli la guancia.

«Perché stai piangendo?» domandò Ade, con voce roca.

«Io...» Apollo si mordicchiò il labbro. «Perché sono idiota, no?»

Ade sorrise e lo baciò ancora. Apollo gli passò le braccia attorno al collo, baciandolo con più passione e perlustrandogli la bocca con la lingua. Dopo qualche secondo, la lingua di Ade toccò la sua, e iniziarono una danza di cui entrambi conoscevano i passi.

Ade sollevò la maglia di Apollo e gli toccò la pelle nuda. Era calda, proprio come la ricordava. Gli toccò le scapole, gli passò un lungo dito sulla spina dorsale e gli abbassò i pantaloni, delineando il contorno delle natiche.

Apollo ansimò nella sua bocca.

«Non possiamo farlo qui.» sussurrò Apollo, lasciandogli le labbra e mordicchiandogli la punta dell'orecchio.

«Perché no?» sussurrò di rimando Ade, abbassandogli ancora di più i pantaloni e iniziando a palpare.

Apollo si lasciò scappare un gemito e affondò le dita sugli addominali del dio dei morti. Delineò gli addominali, salendo fino ai capezzoli e vi strofinò le dita sopra, facendo gemere di rimando anche il dio moro.

«Questo trono è scomodo.» disse Apollo, passandogli la lingua sull'orecchio e poi sulla gola.

«E dove vorresti andare?» Ade abbassò del tutto i pantaloni dell'altro e gli strinse le natiche con entrambe le mani, mentre le dita si strofinavano sulla pelle.

Apollo ansimò contro la sua gola, lasciandogli un succhiotto preso dalla passione.

«Nelle mie stanze.» mormorò Apollo, e Ade non si fece pregare. Con un viaggio ombra si ritrovarono seduti sul pavimento della stanza di Apollo, con il dio biondo seduto sopra quello moro.

A fatica, Ade ritrovò le labbra di Apollo e le baciò ancora. Le loro labbra stavano bruciando di desiderio.

«Ade...» ansimò Apollo, scostandosi dalle sue labbra e guardandolo dritto negli occhi. Le mani del dio dei morti si stringevano ancora sul suo sedere, e Apollo non sentiva più i pantaloni addosso.

«Sì, Apollo?» domandò Ade, osservandolo curioso. Sentiva il proprio cuore battere all'impazzita, e stretto com'era al dio del sole, poteva udire anche l'altro. I due battiti erano velocizzati, battevano insieme, avevano preso lo stesso ritmo. Ade passò le dita tra le natiche di Apollo, soffermandosi a pochi centimetri di distanza dall'orifizio divino.

«Ah...» sussurrò Apollo, eccitato. «Andiamo sul letto?»

Ade sorrise e lo baciò sul collo, glielo mordicchiò e infine vi lasciò un succhiotto. Il dio della guarigione era già piuttosto eccitato. Ade lo sentiva premersi con tutto se stesso contro di lui.

«Il letto è lontano, e questo tappeto è comodo.» disse Ade, sollevandogli la camicia e cominciando a baciarlo sul petto. Quanto gli era mancato quel corpo! Ad ogni bacio su quella pelle calda, Ade si dava dell'idiota per l'essere finito nuovamente nel letto di Persefone.

Apollo sorrise, un dolcissimo sorriso e Ade pensò di essersi innamorato di nuovo di lui. Gli bloccò il volto tra le mani, e lasciò che le loro lingue ballassero di nuovo una lunga danza senza musica.

Ade fece sdraiare Apollo sul tappeto. Era rosso e dorato, e rappresentava alcuni tra gli strumenti musicali più belli del pianeta. Glielo aveva comprato nei primi giorni dopo la sua assenza. Aveva pensato subito a lui vedendolo.

Apollo gli circondò il collo con le braccia. Ade si prese un momento per guardarlo. I capelli biondi circondavano il volto di Apollo come raggi di sole. Sulle labbra del dio spiccava un sorriso, e gli occhi lucidi erano pieni di desiderio, proprio come quelli di Ade.

«Sei bellissimo.» mormorò Ade, guardandolo dritto in quei profondi occhi azzurro cielo.

«Sei bellissimo anche tu.» disse Apollo di rimando, accarezzandogli i capelli, mentre le guance gli si imporporavano.

Ade chinò la testa su di lui e cominciò a baciarlo sul collo, sfilandogli la maglietta. Gli lasciò una scia di succhiotti dalla gola all'ombelico, e sentiva le dita di Apollo tra i capelli. Ade gli sfilò via i pantaloni e gli slip, e scese più giù dell'ombelico.

«Perché non saltiamo i convenevoli e arriviamo subito al punto?» sbottò Apollo, con il volto arrossato e la voce arrochita dal desiderio.

Ade passò lentamente la lingua sul membro eretto del dio biondo, lanciandogli un'occhiata divertita.

«Scusami, ma voglio prendermela comoda.» Altri lenti baci sulla pelle bollente.

Apollo si lasciò scappare un gemito. «Non prendertela comoda, dico sul serio.»

«Mi dispiace, ma lo sto già facendo.»

Apollo chiuse gli occhi mentre Ade racchiudeva la sua bocca attorno a lui. Il suo corpo fu scosso da un tremito mentre ondate di piacere lo invadevano dalla testa ai piedi. Il cuore gli batteva forte, e le labbra di Ade erano un piacere unico sul suo corpo.

«Cazzo, Ade!»

Il signore dei morti si fermò, scostando la bocca dal suo corpo e restò seduto di fronte a lui, perplesso. «Ti ho fatto male?»

Apollo si mise seduto. Aveva il volto arrossato, i capelli in disordine, e gli occhi mandavano lampi.

«Apollo..?» balbettò Ade, impaurito.

Apollo gli sfilò la maglietta e gli tolse i pantaloni, quasi strappandogli di dosso le mutande. Ade sentì le dita di Apollo toccarlo ovunque, e gemette.

«Ma ho fatto io la prima mossa...» borbottò il dio dei morti, mentre Apollo lo faceva stendere sul tappeto, baciandogli il petto e stuzzicandolo ovunque con le dita.

«Ma hai provato a prendertela comoda.» sbottò Apollo, ma si sforzò di sorridere. Allargò le gambe del dio moro e, con un unico movimento, si spinse dentro di lui.

Ade lanciò un grido di sorpresa, e di piacere.

Apollo sorrise e gli mordicchiò la punta dell'orecchio iniziando a spingere.

«Ah, bastardo...» brontolò Ade, ansimando.

«Bastardo a me?» ridacchiò Apollo, continuando a baciarlo e a muoversi. «Se facevi subito quello che ti ho chiesto...»

«Non volevo sembrarti un animale!»

«Ah, quindi io ora sarei un animale?!»

Apollo non diede all'altro il tempo di rispondere. Le spinte si fecero più forti, e Ade, gemendo, si limitò ad accarezzargli e graffiargli la schiena.

Troppo occupati da quello che stavano facendo, smisero di parlare. La stanza si riempì dei gemiti di entrambi, e Apollo cercò di prendersi tutto il tempo necessario. Aspettava quel momento da anni, e voleva godersene ogni secondo.

Iniziò a baciare la pelle lattea, stuzzicandogli i capezzoli con la lingua mentre continuava a spingersi sempre più a fondo. Ade muoveva i fianchi con lui, continuando a graffiargli la schiena e ansimando sempre più forte.

Era questa la vera musica che Apollo amava. I gemiti di Ade erano un piacere per le sue orecchie.

Quando Apollo si stese al fianco di Ade, il dio dei morti restò qualche minuto a fissare il soffitto, cercando di riprendere fiato, poi voltò la testa verso il biondo. L'espressione soddisfatta e amorevole di Apollo gli diede una stretta allo stomaco.

«Mi sei mancato tanto in questi anni.» mormorò Apollo, accarezzandogli il petto.

«Sì, mi sembra di averlo notato.» borbottò Ade, posando la mano su quella di Apollo.

Il dio biondo sorrise con dolcezza. «Ti ho fatto male?»

Ade lo ignorò e lo scrutò in volto. «Mi dispiace essermi comportato da stupido.» gli disse, serio.

«In quale occasione?»

Ade sospirò. «In tutte.»

Apollo gli si fece più vicino, intrecciando le dita alle sue. Lo baciò sulla fronte e poi sulle guance. Quei baci così casti non facevano immaginare nemmeno lontanamente dell'amore che avevano appena consumato.

«Ti amo.» mormorò Apollo, con voce rotta.

Ade gli baciò la mano. «Non piangere.»

Apollo tirò su col naso. «Okay.»

Ade sorrise, e lo baciò con dolcezza.

Apollo ricambiò il bacio, mordicchiandogli la lingua, poi lo guardò dritto negli occhi. «Spiegami una cosa.»

«Cosa?»

«Tu ed io.»

Ade restò in attesa di sentirlo continuare.

Apollo inspirò profondamente, e Ade capì quello che intendeva chiedergli prima che aprisse bocca. Lo bloccò con un bacio, e Apollo gli passò le dita sul corpo.

«Ho deciso di lasciare Persefone.» mormorò Ade, e le dita di Apollo si fermarono.

«Cosa?!» esclamò, sorpreso.

«La lascio.»

«In che senso la lasci?»

«Mi sembra che ci sia un unico senso...»

Apollo si scostò da lui, e per un folle secondo Ade pensò che stesse per rivestirsi e lasciare la stanza. Nel secondo successivo ricordò che quella era la camera di Apollo, quindi il dio del sole non se ne sarebbe mai andato.

Al terzo secondo, Apollo si sedette a cavalcioni su di lui, sfregando il suo corpo nudo contro il suo. Restarono a fissarsi per un minuto intero, e Apollo si tirò i capelli all'indietro.

«Come la vuoi lasciare?» chiese, più calmo. Ora che si trovava in quella posizione, avrebbe accettato qualsiasi parola fosse uscita dalle labbra di Ade.

«Be'...»

Ade smise di parlare e lo guardò. Gli accarezzò la pelle color miele, gli disegnò dei piccoli cerchi sulla schiena, e gli accarezzò le guance. Apollo si lasciò toccare senza protestare. Ade si mise seduto, spingendolo contro di sé e baciandolo.

Apollo tenne gli occhi sigillati mentre ricambiava il bacio. Di sicuro, Ade non intendeva dirgli nulla di buono.

«Divorzierò da Persefone.»

Apollo smise di respirare, e Ade si scostò dalle sue labbra in attesa di una reazione. Il biondo aprì lentamente gli occhi, scrutando Ade con attenzione.

«Cosa hai detto?» domandò, calmo.

«Ho detto che ho intenzione di divorziare da Persefone.»

Apollo si mordicchiò il labbro. «Ma... Ma lei è condannata a restare qui, e poi tu saresti costretto ad incontrarla continuamente...»

Ade sorrise. «Sai, mentre pensavo a queste cose, immaginavo una tua reazione diversa.»

«Come credevi che avrei reagito?»

«Mettendoti a saltellare per la stanza, urlando e cantando, e affibbiando a Persefone un sacco di appellativi poco carini, ma meritati.»

Apollo guardò dritto negli occhi di Ade.

«Quindi stai dicendo sul serio?» gli chiese. «Non lo hai detto solo per tenermi buono?»

«No. L'ho detto soltanto perché è quello che ho intenzione di fare. Parlerò con lei, parlerò con Zeus. Non ho intenzione di stare con lei un minuto di più. Sei tu la persona che amo da impazzire, con tutto me stesso, con ogni cellula del mio corpo. È te che voglio affianco al risveglio per il resto della nostra eternità. Sono le tue mani quelle che voglio sentire addosso. Sono le tue frasi rovina momenti romantici che voglio sentire.»

Apollo lo guardò a bocca aperta, poi balbettò: «Mi stai eccitando a parole.»

Ade scoppiò a ridere e lo baciò. «Visto? Sono frasi del genere che voglio sentire.»

«Ma ne sei sicuro?»

«Apollo... Sono passati quasi diciotto anni da quando sei venuto qui negli Inferi per la tua punizione. Nei primi due anni ti consideravo solo una scocciatura, e non vedevo l'ora che questo tempo trascorresse in fretta per liberarmi di te. Poi c'è stato quel bacio... e le altre cose... e ho capito di essermi innamorato di te. Abbiamo trascorso degli anni bellissimi prima che noi, prima tu e poi io, rovinassimo tutto quanto. E ora che ho l'opportunità di stare di nuovo con te, non ho intenzione di perderne neanche un minuto. Voglio stare con te, Apollo. Con te, e nessun altro. E voglio divorziare da Persefone perché non mi sembra giusto nei tuoi confronti continuare ad essere il marito di quella, mmh, zoccola.»

Apollo restò in silenzio per un altro minuto. La gola gli era diventata secca all'improvviso. Cercò di deglutire, poi alla fine rinunciò.

«Quindi...» mormorò, mentre il cuore riprendeva a battere forte. «Quindi tu divorzi da Persefone.»

«Giusto.»

«Per stare con me per sempre.»

«Esatto.»

«E non intendi lasciarmi più.»

«Già.»

«E sarai per sempre innamorato di me.»

«Sì.»

Apollo gli prese il volto tra le mani e lo baciò con violenza. Affondò le dita nella sua schiena. Ade ricambiò il bacio e sollevò il dio del sole per i fianchi, sollevandolo per sistemarlo meglio su di sé. Poi lo penetrò, e sentì il gemito di Apollo nella bocca.

«Voglio essere presente quando la molli.» mormorò Apollo, infilandogli le dita tra i capelli.

«D'accordo.» sorrise Ade, mordicchiandogli il labbro, e Apollo cominciò a muoversi su di lui, aiutandolo ad entrare completamente. Per qualche minuto nessuno dei due parlò. Apollo riprese a baciarlo, gemendo, e Ade gli accarezzò la schiena.

«Mi dispiace per lo schiaffo di oggi.» sussurrò Apollo, mentre Ade lo faceva sdraiare sul tappeto e riprendeva a spingere con forza.

«Figurati, me lo meritavo. In realtà, ne merito molti di più.»

Apollo sorrise e iniziò a schiaffeggiarlo sul sedere. «Questi vanno bene?»

Ade ridacchiò e lo baciò ancora. «Perché... devi rovinare sempre tutto?»

«Non ho rovinato niente.» Apollo continuò a schiaffeggiargli il sedere. «Sto migliorando la situazione, invece.»

«Come fai ad esserne sicuro?»

«Perché tu ami me e io amo te.» Apollo sorrise felice. «Semplice, no?»

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Capitolo 19
*** 19. Fiori di ciliegio ***


Ade inspirò profondamente e guardò Zeus seduto sul suo trono, e disse quello che doveva dire da moltissimi anni.

«Amo suo figlio Apollo, e voglio divorziare da Persefone.»

Zeus si grattò il mento, a disagio. «Lo sai che mio figlio è anche tuo nipote, vero?»

Ade scrollò le spalle. «Lo sai che Era è nostra sorella, vero?»

Zeus fece una smorfia. «Grazie per avermelo ricordato.»

«E che anche Persefone è mia nipote..?»

«Basta, basta, ho capito.» sbuffò Zeus, guardandosi attorno. «Va bene, puoi divorziare da Persefone. Ma.... Davvero le tue intenzioni con Apollo sono così serie?»

«Molto serie, sì.» sorrise Ade.

«Allora... fai quello che devi.»

Ade annuì, inclinò la testa e scomparve con un viaggio ombra.

Ade si ritrovò nella camera di Apollo. Il dio della musica dormiva nudo a pancia in giù sul letto, un cuscino tra le braccia. Ade notò che era il suo cuscino. Probabilmente Apollo lo stava abbracciando perché portava ancora il suo odore.

Si avvicinò al dio e gli diede un bacio sulla testa. Erano passati tre giorni da quando aveva deciso di lasciare Persefone. Lo avrebbe fatto anche prima, ma Apollo lo aveva tenuto con la forza nel suo letto, e Ade non aveva avuto alcuna intenzione di scappare.

Apollo bofonchiò qualcosa nel sonno e si voltò supino. Ade lasciò scorrere gli occhi sul suo corpo nudo, poi si fece forza e lasciò la stanza. Doveva parlare con Persefone a quattro occhi, senza Apollo gongolante al suo fianco pronto a stappare lo champagne in faccia alla figlia di Demetra.

Ade arrivò nella sala del trono, e lo trovò vuoto, le anime in attesa. Ade finse di non averle viste e si diresse verso le stanze della moglie. La individuò mentre usciva dalla sua stanza, sistemandosi la spallina di un corto abito nero. Affianco a lei, una valigia.

«Finalmente, Ade!» esclamò la donna, vedendolo. «Sono giorni che ti cerco. Mi spieghi cosa ci fa Ermes legato a testa in giù nelle segrete?!»

«Cos...? Merda.» Ade si passò le dita tra i capelli. Sapeva di essersi dimenticato qualcosa! «Dopo vado a liberarlo. Ho bisogno di parlare con te.»

«Sei tornato con Apollo, vero?»

«Cosa te lo fa pensare?!»

Persefone guardò il succhiotto che spuntava dal colletto di Ade. «Intuito femminile.» disse, sarcastica.

Ade si sistemò il colletto. «Ma devo parlarti anche di altro.»

«Allora muoviti. Dovrò andare da mia madre a minuti.»

«Voglio il divorzio.»

Il silenzio calò nel corridoio. Non si udivano nemmeno più le anime che imploravano perdono e pietà nella sala del trono.

«Erano... secoli... che aspettavo queste parole.» mormorò Persefone, ansante, fissando torva Ade. «E tu ora vuoi divorziare da me solo per quello?»

«Per quello?» ripeté Ade, perplesso.

«Apollo!»

«Ah. Sì, esatto. Voglio stare con lui, non con te.»

«Pensavo che mi amassi.»

«L'amore che provo per lui è molto più forte.»

«Sono condannata a vivere per sempre qui. Lo sai, vero?!»

«E cosa vuoi da me?» Ade fece un debole sorriso. «Perché dovrei continuare a definirti mia moglie, se il nostro amore è spento?»

«Le cose tra di voi non funzioneranno.» sbottò Persefone, rossa in viso. «Lo conosci, Apollo. Sai quante relazioni ha avuto. Avrà altre donne, avrà altri uomini... e tu ti troverai solo.»

Ade inspirò profondamente. «Lo sopporterò. Dico davvero. Ora vattene da tua madre, e parla con tuo padre.»

«Lo farò.»

Quando Ade rientrò in stanza, trovò Apollo steso sul tappeto, nudo, intento a suonare il Valdezinator.

Ade sorrise, ricordando com'era cominciato quell'idillio amoroso tra loro. Apollo stava suonando proprio il Valdezinator quando era entrato nella sua stanza per controllarlo. Aveva promesso a Zeus che lo avrebbe trattato bene, per come si potesse trattare bene qualcuno segregato negli Inferi per i futuri cinquant'anni.

Ricordò le numerose volte in cui era entrato in quella stanza. Sorridendo, ricordò quella volta in cui era entrato mentre Apollo si divertiva da solo.

«Ehi, Ade.» lo salutò Apollo, interrompendo la musica dolcissima e sorridendogli. «Sei stato da Zeus?»

«E da Persefone.»

«Ah... Ti ho detto che volevo esserci...»

«Ho preferito parlarle da solo.»

Apollo si alzò in piedi e gli si avvicinò. «Hai dell'icore sulla maglietta.»

Ade abbassò lo sguardo. «Ah, deve essere...» Si interruppe, imbarazzato. Forse era meglio non dirgli che Ermes aveva passato gli ultimi tre giorni appeso come un salame nelle segrete e, quando Ade lo aveva liberato, aveva perso un po' di icore dai polsi.

Apollo lo guardò curioso e Ade gli passò le braccia attorno al collo, cancellando le distanze e baciandolo con energia. Apollo ricambiò con lo stesso entusiasmo, e Ade si sentì spingere verso il letto.

«Quindi?» domandò Apollo, sedendosi su di lui e arruffandogli i capelli. «Cos'è successo con Zeus e Persefone?»

«Zeus mi ha lasciato il permesso di divorziare, e l'ho comunicato a Persefone.»

«Come l'ha presa?»

Ade alzò le spalle.

«Immagino che sua madre trasformerà tutto il cibo in cereali...» mormorò Apollo, tetro.

«Possibile.» Ade rise e lo baciò. «Non mi interessa dei cereali se posso mangiare te.»

Apollo sorrise entusiasta, arrossendo, e ricambiò il bacio.

*

«Ade, guarda! Un'altra foto di Kurt!»

Ade finì di parlare con un'anima, appena condannata ai Campi della Pena, e si voltò verso Apollo, seduto sul vecchio trono di Persefone.

«Cosa?» domandò, perplesso.

«Nico ti ha mandato un'altra foto di Kurt. Quelle guanciotte paffute sono così adorabili!»

Ade prese la foto e studiò il piccolo Kurt. Aveva da poco compiuto i due anni. Nella foto, sedeva sulle ginocchia di un Nico adulto e sorridente, con le occhiaie e un braccio al collo.

«Che si è fatto al braccio?» domandò Ade, curioso.

«Ah, nella lettera dice di essere caduto da cavallo...»

«Che stupido idiota.»

Apollo ridacchiò. «Dai, non parlare così di tuo figlio!»

«Ma se è uno stupido idiota rimane tale anche se è mio figlio.»

Apollo rise forte.

Ade continuò a guardare il piccolo Kurt. I capelli rossi e le lentiggini gli davano un'aria cattivella. Immaginò che le occhiaie di Nico fossero dovute proprio al bambino.

«E perché tuo figlio non lo ha curato?» chiese Ade.

Apollo scorse veloce la lettera con lo sguardo. «Qui dice che Will lo ha giù guarito, ma visto che Nico si è fatto male ad una festa di lavoro, deve fingere di avere ancora male.»

«Capisco. Be', resta un po' idiota.» Ade tese la foto ad Apollo, che la riprese, infilandola nella busta azzurra.

Apollo squadrò la fila di anime in attesa. Guardò Ade fare cenno ad un'altra di avvicinarsi, e venne spedita negli Asfodeli.

«Tutto bene, Apollo? Sei silenzioso. E mi inquieti da silenzioso.»

Apollo sorrise dolcemente ad Ade. «Ti sto solo guardando mentre svolgi il tuo lavoro.»

Ade tacque per qualche secondo, poi chiese: «E lo sto facendo bene?»

«Non bene quanto mi coccoli dopo l'amplesso, ma nel complesso sì.»

Ade rise di cuore. «Non mi abituerò mai a queste tue frasi.»

«Lo so. È per questo che mi ami.»

«Già, è per questo che ti amo.»

*

Apollo si sedette sulla poltrona e guardò Ade dormire. Avevano da poco finito di fare l'amore, e Ade era crollato subito dopo averlo abbracciato.

Nelle ultime settimane si erano amati parecchio, e allo stesso modo avevano passato tempo senza toccarsi o guardarsi in modo malizioso. Ade lo ascoltava suonare il pianoforte, a volte aggiungendosi anche lui. Apollo restava seduto sul trono di Persefone - ormai era divenuto suo - e guardava Ade smistare le anime. Era divertente, dopo qualche settimana.

Con un sospiro, Apollo tornò sul letto e accarezzò la schiena di Ade. Era ricoperta dei suoi succhiotti, e si divertì a fargliene un altro sulla scapola, visto che dormiva.

«Apollo...» borbottò Ade, aprendo gli occhi e cercandolo.

Apollo gli si coricò affianco, tenendogli la mano con fare possessivo sul sedere. «Sono qui.» gli sorrise.

Ade lo baciò sul mento e gli posò la testa sul petto. «Ho sonno.» brontolò.

«Lo so.»

«Allora perché mi baci?»

«Non c'è scritto da nessuna parte che non lo possa fare.»

«Allora te lo dico a voce. Non mi baciare mentre dormo.»

Apollo ridacchiò, tirandogli all'indietro una ciocca di capelli. «E come mai?»

«Perché voglio essere sempre sveglio quando mi baci, per poterti restituire il bacio.»

«Ma quanto sei dolce!» esclamò Apollo, e iniziò a baciarlo avido.

Ade ricambiò il bacio, sorridendo, e non ebbe più modo di dormire.

Quando ebbero finito, Ade restò steso nel letto. Accarezzò i capelli dorati del dio, pensieroso. Apollo gli accarezzava la gamba poggiata contro di lui, e si divertì molto a sentire i lievi sussulti di Ade.

«A cosa stai pensando?» domandò infine Apollo, rigirandosi tra le sue braccia e dandogli un bacio sul petto.

«A me e a te.» disse Ade, guardandolo con il volto oscurato da ombre.

«Mmh.» Apollo lo guardò serio. «Non mi sembrano belli pensieri.»

«Lo sono, invece. Voglio portarti da qualche parte.»

«Da qualche parte dove?»

«È questo che non so.»

«Aspetta... stai organizzando un appuntamento?»

Ade sospirò. «Esatto.»

Apollo lo guardò commosso.

«Ma sono una frana in queste cose.»

«No, non lo sei.» Apollo si allungò su di lui e lo baciò sulla bocca. «Possiamo andare in Giappone.»

«Giappone?»

«Esatto. Mi piacerebbe visitarlo con te.»

«D'accordo...»

«Magari nella stagione dei fiori di ciliegio.» sorrise Apollo, mordicchiandogli la pelle.

«Magari.»

Ade lasciò che Apollo lo accarezzasse e lo baciasse, e quando capì dove intendeva andare a finire il dio della musica, scese in fretta dal letto e si rivestì.

«Lavoro.» sorrise.

«Uffa.» sbuffò Apollo, mettendosi seduto, e Ade lo trovò irresistibile con i capelli tutti scompigliati.

«Mi dispiace.» Ade lo baciò teneramente e lo lasciò da solo. Apollo si limitò ad abbracciare il cuscino con le guance in fiamme. Era felice che tutto fosse tornato alla normalità, tra di loro.

*

La settimana successiva, si ritrovarono in un parco giapponese. Apollo raccolse un petalo di ciliegio dalla strada, e sorrise guardando Ade.

«Qui è meraviglioso.» gli disse.

«Lo so.» disse Ade, dandogli un bacio sulla guancia. «Ma siamo venuti qui per pranzare.»

«Giusto.»

Si presero per mano e si avviarono tra i prati. Erano nascosti dalla Foschia, ma a nessuno dei due importava di essere visti.

«Che bello, un picnic in Giappone!» esclamò Apollo, guardandosi attorno emozionato. «Molto più di quanto mi aspettassi!»

«Lo immagino.» Ade si fermò, stese una coperta nera e vi sedettero sopra. Recuperò i tramezzini dal cestino e glieli porse.

Apollo mangiò il primo sorridendo, passandogli la bottiglia di tè verde. Ade la sorseggiò guardando il panorama che li circondava.

«Grazie per questo appuntamento.» mormorò Apollo, guardandolo con le guance arrossate.

«Non devi ringraziarmi. Tu fai così tanto per me, tutti i giorni. E io ti regalo un appuntamento ogni tanto.»

«Dai, anche tu fai tanto per me. Mi massaggi nella vasca, mi trascini per la stanza dalla caviglia quando dormo fino a tardi... Fai tanto per me. E sono serio.»

Ade annuì, giocherellando con il sandwich al prosciutto. Apollo lo guardò intensamente, poi si mosse verso di lui e lo baciò.

«Ti amo, Ade.» gli disse Apollo, sorridendogli. «Ti amo, e voglio che non te lo dimentichi.»

«Ti amo anch'io.» annuì Ade, inspirando a fondo. «E non voglio che te lo dimentichi.»

Ade si frugò in tasca e Apollo ridacchiò. «Non me lo dimenticherò, dico davvero. Infondo, abbiamo tutta l'eternità davanti.»

«Ecco, appunto, parliamo un momento di eternità e futuro.» Ade lo scrutò con attenzione. «Vuoi sposarmi?»

Apollo annaspò e lo fissò con gli sbarrati, lasciando cadere il tramezzino che teneva tra le mani.

«C-Cosa hai d-detto?» balbettò.

«Ho chiesto se vuoi sposarmi.»

«Ma c-cosa...»

«Apollo, vuoi sposarmi?»

Apollo inspirò profondamente e cercò una scappatoia.

Ade arrossì notando il suo sguardo.

«Porco Crono.» balbettò Ade, rinfilando l'anello in tasca. «Cioè, io credevo che tu... insomma... pensavo che, per sottolineare il nostro rapporto, servisse qualcosa di... ecco, qualcosa di duraturo, per questo ti ho portato qui, per... per farti la proposta di matrimonio. Ma se... se non vuoi... capirò, e... Be', in effetti, non è poi così importante sposarci. Possiamo stare insieme per sempre anche senza questo stupido anello al dito...»

«Ade...»

«Non è poi così importante! Io lo volevo solo per farti capire quanto ti amo, e quanto ti desidero ogni giorno. Ma possiamo anche farne a meno.»

Ade riprese l'anello e lo lanciò verso il laghetto. I due lo osservarono affondare in acqua, e per qualche minuto il silenzio regnò tra di loro.

«Perché cazzo lo hai gettato in acqua?!» esclamò Apollo, scosso.

«Be', tanto mica lo posso riportare in negozio. L'ho fatto io.»

«L'hai fatto tu?»

«Sì. Era fatto di ossa.» Ade si voltò a guardarlo con il volto arrossato. «Possiamo far finta che non sia mai accaduto?»

«Che tu mi abbia fatto una proposta di matrimonio?»

«Esatto.»

«Una proposta a cui stavo per rispondere di sì?»

Ade aprì la bocca e la richiuse, stordito. Sembrava un pesce fuor d'acqua.

«C-Cosa hai d-detto?» balbettò Ade.

Apollo si guardò le mani. «Ho detto che, se quella di prima era una proposta di matrimonio, avrei risposto di sì. Che ti sposo.»

Ade restò per qualche secondo a fissare la superficie dell'acqua, ormai completamente piatta. Non sembrava che avesse gettato un anello poco prima.

Balzò in piedi, corse fino all'acqua e si tuffò. Impiegò cinque minuti buoni a trovare l'anello, incastrato sul fondale. Lo prese e tornò su.

«APOLLO!» urlò Ade, dall'acqua, tenendo alzato l'anello. «VUOI SPOSARMI?»

Apollo ridacchiò, e gli andò incontro. «CERTO CHE TI SPOSO, IDIOTA!» urlò.

«BENE!» gridò l'altro, uscendo dall'acqua, e quasi inciampando. Gli infilò l'anello al dito, e lo guardò.

«Sei così imbranato.» rise Apollo, scompigliandogli i capelli bagnati.

Ade lo afferrò per il braccio e lo spinse in acqua.

Apollo strillò divertito e lo trascinò in acqua con sé.

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Capitolo 20
*** 20. Sorpresa negli Inferi ***


«Dovremo dirlo ai nostri figli.»

Ade smise di accarezzargli la schiena. «Stai scherzando vero?»

«No, per niente.»

Apollo rotolò sulle coperte e lo guardò. Gli occhi azzurri splendevano. «Non dico a tutti i nostri figli. Ma almeno a Will e Nico.»

«"Tutti i nostri figli". Io ne ho due. Tu un centinaio.»

Apollo ridacchiò. «Sì, ma ormai non ne ho più così tanti.»

Ade annuì serio, e si sedette di fianco a lui. Erano nudi - ormai era normale - e avevano da poco consumato l'ennesimo rapporto. Erano entrambi soddisfatti e desiderosi di coccole.

«Stavo pensando...» mormorò Ade, e Apollo lo guardò.

«Anch'io.» disse il biondo, serio. «Credo che dovremo inviare a Nico e a Will un messaggio, o andare direttamente da loro e dirglielo.»

Ade inspirò e guardò l'anello brillare all'anulare di Apollo. Ne aveva uno anche lui, identico. «Ho detto no.»

«Ma sono nostri figli.»

«Non puoi favorire solo di Angelo e Solace!»

«Tu lo fai continuamente!»

«Be', io ne ho solo due, e riservo ad entrambi gli stessi trattamenti. Magari non invio vestitini a Nico, ma Nico sa che non deve prendersela per questo.»

Apollo rise. «E se lo volesse anche lui, un vestitino?»

Ade storse il naso. «Non li avrà di certo da me.»

Apollo si avvicinò a lui e gli scioccò un bacio sulle labbra. Ade gli posò le mani sui fianchi e gli impose di sedersi sopra di lui. Il dio biondo cominciò a baciare l'altro sul collo, mordicchiandogli infine l'orecchio e passandogli le braccia attorno al collo.

«Allora?» chiese Apollo, strusciandosi su di lui.

«Allora va bene.» brontolò Ade, abbassando lo sguardo sul suo corpo. «Riesci sempre a trovare il modo di convincermi.»

«Le magie del sesso.»

«Sì, be', basta fare queste magie, altrimenti non rispondo più delle mie azioni.»

Apollo sorrise tra sé e spinse la sua erezione contro lo stomaco di Ade. «Fammi tu una magia.» mormorò, infilandogli le dita tra i capelli.

Ade si mordicchiò il labbro. «Uff, d'accordo.»

Apollo scoppiò a ridere. «Da come lo dici, mi sembri contrariato. Ma il tuo corpo non lo è affatto.»

«Non sono contrariato, te l'assicuro.» Ade lo baciò, passandogli la lingua sulle labbra prima di schiuderle e cominciare ad accarezzargli la lingua. Apollo gli infilò le dita i capelli, passandogli le gambe attorno ai fianchi. Ade si sollevò e, continuando a baciarlo, iniziò a penetrarlo.

Apollo gemette, affondando le dita tra i suoi capelli neri, e prese a baciarlo con più foga, muovendo i fianchi al suo ritmo, venendogli incontro nelle spinte. Ade ansimò tra le sue labbra.

«Va bene.» mormorò Ade, mettendosi a baciarlo sul collo.

«Va bene cosa?» mormorò a sua volta Apollo, facendogli risalire il volto e continuando a muoversi.

«Possiamo dirlo a Nico e Will.»

Apollo sorrise vittorioso, e si lasciò scappare un forte gemito.

Ade era piuttosto nervoso quando, due giorni dopo, attendeva l'arrivo di Nico e Will. Aveva scritto loro una lettera, chiedendogli di presentarsi negli Inferi ad una tale ora di un tale giorno. Aveva sperato che quell'ora e quel giorno non arrivassero mai ma, invece, ormai mancava veramente poco.

«Perché mi sono lasciato convincere...» borbottò Ade, passandosi le dita tra i capelli e fissando poi il suo anello.

Si era lasciato convincere per l'amore che provava per il dio biondo. Che, attualmente, da vero uomo, si era ritirato nelle sue stanze dicendo di avere un mal di testa terribile e di non poter incontrare né il figlio né il genero.

«Maledetto stronzo.» disse Ade tra i denti, fissando l'ora. Le tre in punto.

Preciso, Nico di Angelo comparve nel centro della sala del trono con un viaggio ombra. Aveva la barba lunga e l'aspetto di un uomo che ha passato le ultime ore insonni. Al suo fianco, alto e abbronzato, con il volto tirato e le occhiaie, Will Solace.

Ade sussultò un momento per la sorpresa. Quanto tempo era passato dall'ultima volta che li aveva incontrati?

«Ehi, padre.» lo salutò Nico, mentre Will lasciava la mano del marito sgranchendosi le braccia.

«Nico, Will, grazie per essere venuti.»

«Si figuri, divino Ade.» mormorò Will, lanciandogli una rapida occhiata e arrossendo leggermente.

Ade lo ignorò, chiedendosi cosa gli stesse passando per la testa.

«Padre, i colleghi di Will credono che ci siamo chiusi in bagno per, ehm, amoreggiare.» disse Nico, passandosi le dita sul mento. «Quindi... visto che abbiamo veramente voglia di, ah, amoreggiare, sbrigati a dirci quello che devi.»

Will diede una gomitata a Nico. «Sii un pochino più rispettoso verso tuo Padre!»

Nico alzò un sopracciglio. «Pensavo che anche tu volessi amoreggiare.»

«Certo che voglio amoreggiare, ma avevamo un appuntamento con tuo padre. E possiamo amoreggiare benissimo questa sera.»

«Questa sera devo partire, e torno alle tre di notte! Non possiamo amoreggiare.»

«Ti aspetterò sveglio, allora.»

«Per amoreggiare?»

«Esattamente.»

Ade li guardò scambiarsi un'occhiata così carica di intenzioni sessuali che ebbe paura che i due intendessero amoreggiare proprio lì, nella stanza del trono.

Tossicchiò. «Ragazzi?»

Will sussultò e lo guardò, come se si fosse dimenticato della sua presenza. Nico si voltò a guardarlo, sempre con un sopracciglio inarcato, e Ade si chiese se avesse anche lui quell'espressione.

«Devo parlarvi di una cosa seria, ma visto che avete fretta tralascerò i particolari e arriverò al dunque.» disse.

«No, va be'.» sorrise Nico. «Metti anche i particolari. Will mi aspetta sveglio questa sera.»

Will sorrise tra sé.

«Allora... scenderò più nei particolari.» Ade sospirò. «Vi ricordate la battaglia di Gea?»

I due annuirono. Come potevano dimenticarla? Era grazie a quella battaglia se Will aveva fatto restare in infermeria Nico per qualche giorno. Era da quella battaglia che il loro amore era nato e cresciuto, e che ancora resisteva nel tempo.

«Ecco... Sapete che Apollo è stato costretto a venire qui negli Inferi.»

«Come punizione.» annuì Nico.

«Per cinquant'anni.» gli fece eco Will, spostando lo sguardo in giro per la stanza come se sperasse di vedere suo padre.

«Esatto.»

In silenzio calò sui due semidei in attesa che Ade proseguisse.

Il signore dei morti inspirò più profondamente e parlò, scoccando loro un'occhiataccia per prevenire eventuali interruzioni.

«Due anni dopo che Apollo si trovava negli Inferi, io e lui abbiamo intrapreso una relazione. All'inizio sembrava solo una relazione sessuale, ma con il passare degli anni la cosa si è ingigantita, e ora siamo ufficialmente sposati.» Indicò loro l'anello. «È stata una cerimonia semplice, nulla di che. C'era solamente Zeus, e presto o tardi tutti gli altri dei sapranno di questa nostra unione. Apollo ha pensato che fosse il caso di dirvelo.»

Per i cinque minuti successivi, Ade tenne d'occhio le espressioni dei due uomini di fronte a lui.

Il volto di Nico di Angelo era impassibile, mentre la bocca di Will era spalancata, disegnando un enorme O. Di tanto in tanto chiudeva la bocca, inumidendosi le labbra come se fosse pronto a dire qualcosa. Ma non aveva ancora detto niente. Sembrava che le parole gli morissero in gola ogni volta che apriva bocca.

«COSA?!»

L'urlo di Nico sorprese Ade, che sussultò e fece un passo indietro. Anche Will sembrò sorpreso da quell'urlo, perché inciampò su se stesso e cadde a terra.

«TU E APOLLO?!» urlò ancora Nico, facendo un passo verso il padre. «UNA RELAZIONE? MATRIMONIO?!»

«Sì, esatto!» annuì Ade, inarcando le sopracciglia. Il volto di Nico si era arrossato di colpo, e le narici fremevano di rabbia. «C'è qualche problema?»

«Ma tu...» Nico lanciò un'occhiata a Will e gli porse la mano per aiutarlo a rimettersi in piedi. «Insomma, lui posso capirlo, ma tu...»

«Stai dando per scontato che solo mio padre può avere relazioni omosessuali?» chiese Will, calmo.

«No! Cioè, sì. Insomma, hai visto mio padre?! Il signore dei morti, e tutto il resto?! Che se la fa con il tuo?!»

«Non mi sembra molto diverso da te e me.» disse Will, con una scrollata di spalle. «Insomma, io e te siamo sposati da tanto tempo, e...»

Will smise di parlare e guardò Ade. Sbatté le palpebre un paio di volte.

«VI SIETE SPOSATI?» urlò Will, e Ade si massaggiò le tempie. «E NON MI AVETE INVITATO?!»

Ade bofonchiò qualcosa e tornò a maledire Apollo tra sé e sé, mentre i due figli urlavano proteste e battibeccavano tra di loro.

Fuori dalla sala del trono, Apollo stava assistendo a tutta la scena, e iniziò a ridere di cuore, amando sempre più quel dio ombroso.

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Capitolo 21
*** 21. Riunione di famiglia ***


«Hai preso tutto, tesoro?»

«Sì, sì, Will, ho preso tutto. E non chiamarmi tesoro in pubblico.»

«Oh, scusa, tesoro. Me lo sono dimenticato, tesoro, che odi essere chiamato tesoro.»

Nico alzò gli occhi al cielo mentre una coppietta ridacchiava della sua espressione.

«Mi spieghi perché non ti ho ancora ucciso nel sonno?» borbottò Nico, avvicinandosi a Will e tendendogli il cesto.

«Perché, sotto sotto, mi ami troppo, tesoro.» sorrise Will, con quello splendido sorriso che, dopo tutti quei decenni, ancora gli faceva cedere le ginocchia.

Nico si chinò su di lui e lo baciò teneramente. Will ricambiò, appoggiandogli la mano sulla guancia e continuando a sorridere nel bacio.

«Bleah.»

Nico si scostò da Will e si voltò verso il figlio minore in avvicinamento.

«Kurt.» borbottò Nico. «Perché bleah?»

«Perché per un bacio di quel genere vi trapassate tanti germi e batteri. E fa schifo.»

Will sbuffò. «Solo perché non hai ancora trovato nessuno da baciare.»

«Oh, invece ce l'ha.» ridacchiò Christal, sistemandosi il cappello di paglia sulla testa.

«E chi sarebbe, la sfortunata?» domandò Nico, mentre Kurt diventava rosso peperone.

«Esme.» disse Christal, stendendo la coperta nera sul prato.

«Esme?!» ripeté Nico, strabuzzando gli occhi, impallidendo.

«Per gli Dei dell'Olimpo, Kurt, NO!» esclamò Will, fissando il figlio minore. «Tutti, tranne Esme Valdez!»

«Be', meglio Esme Valdez di un ragazzo, no?»

Nico si accigliò, mentre Will gli passava un braccio attorno alla vita. «E cosa ci sarebbe di male nell'amare un uomo?» chiese.

Kurt diventò quasi violaceo. «Cioè, non c'è niente... Non so perché l'ho detto, dico davvero... Mi è proprio scappato di bocca! Io adoro i gay, e amo i miei papà!»

«Kurt, davvero, fatti un giro intorno al lago.» disse Will, ridendo. «E se cadi in acqua, resta lì.»

Kurt annuì, e iniziò a correre. Nico lo seguì con lo sguardo prima di voltarsi verso Christal.

«Esmeralda Valdez?» ripeté. «Davvero?»

«Già.» annuì la ragazza, guardando l'orologio al polso. «Proprio Esme. Li ho beccati l'altro giorno a pomiciare sulla veranda di casa...»

Nico chiuse gli occhi e borbottò tra sé. Will scosse la testa.

«Comunque, devo andare.» disse Christal, prendendo la sua borsa e guardando la strada. «Jasper sarà qui da un momento all'altro.»

«Non volete nemmeno fermarvi dieci minuti?» chiese Will, scrutandola. La figlia era cresciuta molto. Era diventata una ragazza splendida.

«No. Jas ha prenotato in un ristorante, e non vuole arrivare tardi.» Christal sorrise ai genitori. «Ma ci vedremo stasera, ne sono sicura.»

«Dormi ancora da noi.» brontolò Nico.

Christal rise e diede un bacio ai padri, e abbracciò Nico. «Ancora per poco, se quello stupido decide di chiedermi di sposarlo. Ci vediamo stasera.»

«Non fare tardi!» esclamò Will, mentre la ragazza filava verso il parcheggio, dove era appena arrivato Jasper Grace a bordo di una moto blu elettrico.

«Tu lo sapevi di Esme?» chiese Will a Nico.

«Secondo te lo sapevo?!» esclamò Nico, fissandolo.

Will fece spallucce. «Chissà come sarà felice Leo nello scoprirlo...»

Nico si ritrovò a sorridere. «Lui sarà felice. Kurt è... un... bravo... ragazzo?»

I due si voltarono a guardare verso il lago. Kurt stava ancora correndo, spaventando i bambini e ridendo entusiasta.

«Proprio un bravo ragazzo.»

Nico e Will sussultarono e si voltarono. Ade e Apollo erano alle loro spalle, sorridenti.

«Ehi!» esclamò Will, alzandosi in piedi. «Mai più scherzetti del genere!»

«Sono divertenti.» disse Apollo, sorridendo e abbracciando il figlio. «Davvero molto divertenti.»

Nico abbracciò goffamente il padre, e Ade si limitò a scompigliargli i capelli.

«Come state?» chiese Ade, guardandoli. Poi sbatté le palpebre e fissò Nico con attenzione, sollevandogli il mento. «Per il Tartaro, figliolo. Hai le occhiaie.»

Nico sbuffò.

«C'è anche una ciocca di capelli grigi, lì vicino all'orecchio.» disse Will, indicandoli.

«WILL!»

«Figliolo, stai proprio invecchiando.» lo canzonò Ade.

Nico si scostò dal padre. «Preferiresti che non fossi invecchiato?»

«No, perché in quel caso saresti morto.»

«Esattamente.»

Apollo scosse la testa e guardò Ade e Nico continuare a battibeccare. Si voltò verso suo figlio, il grande dottore. Anche Will era invecchiato. Ma tra i suoi capelli biondi non ne vide nemmeno uno bianco, o grigio. Aveva piccole rughe dovute all'età vicino agli occhi, ma il suo sorriso era sempre meraviglioso.

«Quanti anni avete, ora?» domandò Apollo, curioso. Passando tutto quel tempo negli Inferi, lo dimenticava spesso.

«Io quarantadue appena compiuti. Nico trentanove.»

Apollo li guardò con orgoglio. Erano stupendi. Ma la cosa che contava di più, era il loro amore. Stavano ancora insieme, nonostante tutto ciò che avevano vissuto.

«Christal da chi stava andando così di corsa?» domandò Apollo, curioso.

«Jasper Grace.» grugnì Nico. Non approvava le scelte amorose dei suoi figli.

«Grace... Discendente di Zeus?»

«Esatto, il figlio di Jason e Piper.»

Kurt arrivò da loro, trafelato, e appoggiò un braccio sulla spalla di Ade. Il dio lo fissò male, mentre Kurt cercava di riprendere fiato con degli esercizi di respirazione.

«Ehi.» salutò Kurt, sorridendo. «I nonni sono arrivati.»

«Già.» annuì Ade, rabbrividendo appena. Lui e Apollo erano nonni di un semidio figlio di Ares. E di un semidio figlio di Atena.

«Dov'è l'altro?» chiese Ade, notando la sua assenza. «Ehm...»

«Aaron?» sorrise Nico, entusiasta, illuminandosi. «Oggi aveva un appuntamento di lavoro.»

«Di lavoro?» ripeté Apollo, sorprese. «Ma... non ha diciassette anni, o giù di lì?»

«Sì, ma sta già lavorando. Annabeth Chase gli ha trovato un posto come supervisore di un palazzo che sta costruendo.»

«Ma ha diciassette anni!»

«E Annabeth è sia sua zia che sua sorella.» disse Nico, scrollando le spalle. «E allora?»

Apollo scosse la testa, e Ade sorrise.

«Papà.» disse Kurt, tirando la manica della maglia di Nico. «Quando torno al Campo?»

«Hai così fretta di vedere Esme?» sbuffò Nico, e Kurt avvampò ancora di più.

«Era solo curiosità...»

«Certo.»

Kurt tornò a correre di nuovo verso il lago.

Ade e Apollo si sedettero sulla coperta, assieme ai loro figli. Non riuscivano a distogliere lo sguardo da loro. Will e Nico parlavano concitati, sorridendo e scoccando occhiate al figlio che continuava a correre.

Ade lanciò un'occhiata ad Apollo, chiedendosi se anche loro avessero quelle espressioni quando parlavano.

«E tra voi come va?» chiese Will dopo qualche minuto, passando una fetta di torta ciascuno. L'aveva fatta Nico che, grazie ai consigli di cucina di Alec, era migliorato tantissimo in tutti quegli anni.

«Va bene.» annuì Apollo, prendendo la fetta di torta e mangiandone un pezzo. «È un marito stupendo.»

«È così strano.» mormorò Nico, guardando il proprio padre. «Non credevo che...»

«Che mi piacessero i biondi?» rispose Ade, alzando un sopracciglio. «Devi ammettere che sono irresistibili.»

Nico si voltò a guardare Will negli occhi. «Già, hai ragione.»

Will gli stampò un bacio veloce sulle labbra, e a quel punto Kurt li raggiunse, sedendosi vicino ad Apollo e prendendo la sua fetta di torta in silenzio.

Nico si tappò la bocca e lo ignorò.

«E Aaron?» domandò Ade. «Come se la cava a ragazze?»

«Non se la cava affatto.» sorrise Kurt tra sé, scostandosi una ciocca rossa dalla fronte. «Anche a lui piacciono i ragazzi. Ha una cotta per Luke Jackson, e so che escono insieme.»

«Jackson.» ripeté Ade, mentre Nico scoccava al figlio un'occhiataccia. «Ma cos'hanno questi Jackson di speciale?»

«Gli occhi verde mare, immagino.» disse Will, guardando Nico divertito.

«Devo rimettermi a correre?» piagnucolò Kurt alla vista dell'occhiata del padre moro.

«No. Fai cento flessioni.»

Kurt obbedì.

«È solo questo genere di punizione che capisce.» sospirò Nico, finendo la sua torta e appoggiandosi al tronco dell'albero. «Be', a grandi linee, più o meno. Da bravo figlio di Ares com'è.»

Tutti e quattro rimasero a guardare il figlio di Ares fare le flessioni, poi tornarono alla torta.

«Luke Jackson.» ripeté Apollo. «Assomiglia al padre?»

«Di aspetto sì, ma di cervello ha preso da sua madre.» disse Nico in fretta. Provava tanto affetto per Aaron, e anche per Luke, di cui era padrino. «E per fortuna anche Pearl.»

«Già, per fortuna.» disse Ade, ripensando a quelle poche volte in cui aveva incontrato il figlio di Poseidone.

Will si pulì le mani su una salvietta e guardò gli dei. «Come vanno le cose tra voi?»

«Alla grande.» annuì Apollo, sorridendo. «Dopo il matrimonio, abbiamo deciso di vivere proprio insieme, nella stessa stanza.»

«Lo facevamo già.» gli fece notare Ade.

«Sì, ma ora che siamo sposati è proprio un'altra cosa.»

«Sono rimasto molto offeso dal fatto che non mi abbiate invitato.» disse Will, fissandoli torvo. «Insomma, posso capire che non volevate invitare Nico, visto che ha un avversione per i matrimoni, ma a me potevate inviarmi l'invito. Lo sapete che li adoro.»

Nico ridacchiò. Sì, odiava proprio i matrimoni.

«Come ti ho già ripetuto centinaia di volte, figliolo, al matrimonio non c'era nessuno.» disse Apollo, paziente. «Solo io, Ade e Zeus. Gli altri dei lo hanno saputo a fatto compiuto.»

Will annuì, mentre Nico giocherellava con un lembo della coperta.

«E invece i miei nuovi fratelli?» domandò Will, guardando gli dei curioso. «Insomma, credevo che non ne avrei più avuti.»

«Be', Ade mi ha concesso delle scappatelle...»

«Di' la verità.» sbuffò Ade, stizzito.

«Okay.» Apollo sorrise. «Ade mi ha concesso di avere altri figli, sapete, per portare avanti la mia bellissima e stupenda casata...»

«Nulla da ridire.» mormorò Nico, scompigliando i capelli di Will che sorrise solare.

«...e quindi ho concepito altri figli. Ma non come pensate voi. Non c'è stato alcun contatto carnale. Gli dei possono fare tutto quello che vogliono.»

«Il che è inquietante e splendido al tempo stesso.» disse Kurt, sdraiandosi sull'erba e guardandoli. Poche gocce di sudore gli imperlavano la fronte.

«Quindi hai altri figli.» disse Will.

«Una dozzina, sì.»

«Avuti senza contatto fisico.»

«Esattamente.»

«Sfigato.» ridacchiò Nico, e Will e Kurt risero con lui.

Ade tossicchiò per nascondere mezza risata, e Apollo li fissò tutti male ma decise di non ribattere.

«E tu, padre?» domandò Nico guardando Ade. «Mi darai altri fratelli?»

«Mmh, no. Tu e Hazel siete più che sufficienti.»

Nico sorrise compiaciuto.

«Quindi questo significa che non basto a mio padre?» borbottò Will.

«No, significa che a tuo padre piace avere tanti figli.»

«Ma sei stato tu a darmi il permesso!» esclamò Apollo, sorpreso.

«Be', potevi anche rifiutarti!»

I due dei battibeccarono per qualche minuto, poi si ricordarono di essere in presenza di figli e nipoti, e tennero la bocca chiusa. I tre semidei scoppiarono a ridere.

 

Poco dopo il tramonto, Kurt e Nico rimisero tutto in ordine e caricarono la roba sulla macchina. Ade fissò soddisfatto il figlio, mentre ascoltava poco interessato Apollo e Will che parlavano di medicina.

«Ehi, Nico.» mormorò Ade, e Nico gli si avvicinò guardingo. «Sono molto soddisfatto di te.»

Nico sorrise leggermente. «E io di te, padre.»

Si fissarono goffi.

«Abbraccio?» domandò Ade, aggrottando la fronte, e Nico scosse educatamente la testa.

Ma Apollo spuntò all'improvviso, afferrò entrambi e li abbracciò, scoccando loro baci su labbra e guance. Nico diventò paonazzo e Ade non riuscì a trattenere una risata.

«Divino Ade.» mormorò Will, sorridendo, ignorando di aver appena assistito al bacio tra suo padre e suo marito. «Sono davvero contento che lei e mio padre siate felici insieme.»

«E io sono contento che tu abbia fatto felice mio figlio.» Ade fece un sorrisino. «Ricordi il nostro primo incontro?»

Will avvampò e farfugliò un sì. Ricordava benissimo il loro primo incontro. Lui e Nico sul letto della cabina di Ade, in preda alla passione e alla voglia di amarsi... e Ade li aveva interrotti, Ade che si trovava in stanza con loro da almeno cinque minuti e che attendeva il momento giusto per intromettersi.

Nico prese il marito sottobraccio e gli diede un rapido bacio. «Noi andiamo. Aaron sarà già tornato a casa, e vorrà i complimenti per il lavoro ottenuto.» disse. «E io ho molta intenzione di ricoprirlo di complimenti.»

«Allora non vi tratteniamo. Passate tutti una buona serata.»

Kurt fece loro un cenno di saluto prima di mettersi alla guida dell'auto. Will afferrò il figlio per le orecchie e lo costrinse a sedere nei sedili posteriori. Fu Nico a sedersi al posto di guida, e Apollo salutò l'auto che si allontanava dal parco.

Quando furono lontani, Apollo si voltò verso Ade.

«Sono così contento per loro.» disse, con il cuore colmo di affetto.

«Anch'io lo sono.» Ade gli scompigliò i capelli. «Ti amo.»

«Ti amo anch'io.»

Apollo lo baciò teneramente sulla guancia. «Che ne pensi di adottare un figlio?»

Ade scoppiò a ridere. «Apollo, vai a farne qualcun altro per conto tuo.»

«Ma io ne voglio uno nostro!»

«Abbiamo Nico e Will. Per certi versi, sono una cosa sola.»

«Uffa.»

«Non fare il broncio.»

«Non lo sto facendo.»

Ade gli bloccò il mento con la mano e lo baciò. Apollo gli infilò le dita tra i capelli, senza accorgersi del ricciolo di Ade che si incastrò nel suo anello. Continuarono a baciarsi ininterrottamente per qualche minuto, poi Ade li trasportò nella loro camera nel suo palazzo degli Inferi.

«Christal è diventata proprio una bella ragazza. Anche Kurt non è male, per essere figlio di Ares.» mormorò Apollo, baciandogli la guancia e tirandogli via la mano dai capelli.

Ade lanciò un gridolino di dolore e cambiò le posizioni, mettendosi sopra il dio biondo.

«Mi hai strappato i capelli.» notò.

«Non l'ho fatto apposta!»

«Ne subirai le conseguenze.» Ade cominciò a riempirlo di baci, e Apollo, ridendo, abbracciandolo, non poté fare altro che accettare la sua bellissima punizione.



FINE
 

Ciao a tutti!
Vi ringrazio per aver letto questa storia... appena giunta al termine.
Un bacio a voi tutti per le visualizzazioni e le recensioni.
Debby_

Ps: tornerò ;)
 

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