Guarda come mi tremano le mani

di aelfgifu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hai la febbre? (Prima parte) ***
Capitolo 2: *** Junger Kaiser am Spiegel / Giovane imperatore allo specchio ***
Capitolo 3: *** Hai la febbre? (Seconda parte) ***
Capitolo 4: *** Lo sguardo del Bücherwurm ***
Capitolo 5: *** Così parlò Julia Gutenbrunner ***
Capitolo 6: *** Freddo ***
Capitolo 7: *** Mutter und Sohn / Madre e figlio ***
Capitolo 8: *** Carletto ***
Capitolo 9: *** Donna come un bisturi ***
Capitolo 10: *** Vater und Tochter / Padre e figlia ***
Capitolo 11: *** Denna bok är för S. / Questo libro è per S. ***
Capitolo 12: *** Il racconto di Marie, ovvero: Non siamo allo stadio!... ***
Capitolo 13: *** Uta ***
Capitolo 14: *** Il mio amico più caro (prima parte) ***
Capitolo 15: *** I tesori giacciono sepolti in luoghi profondi ***
Capitolo 16: *** Quarta di copertina ***
Capitolo 17: *** Grattis på födelsedagen! / Tanti auguri di buon compleanno! ***
Capitolo 18: *** Capelli (starring: Shunko Sho) ***
Capitolo 19: *** La donna dei sogni ***
Capitolo 20: *** Nel paese della tenerezza ***
Capitolo 21: *** Fragilità dei forti ***
Capitolo 22: *** Guarda come mi tremano le mani ***
Capitolo 23: *** Gli scrittori di fanfiction ***
Capitolo 24: *** "Non proteggerti" ***
Capitolo 25: *** Il mio amico più caro (seconda parte) ***
Capitolo 26: *** Nonna e nipoti / Oma und Enkel ***
Capitolo 27: *** Zia e nipote / Tante und Neffe ***
Capitolo 28: *** Öffentliches Training / Allenamento pubblico (prima parte) ***
Capitolo 29: *** Öffentliches Training / Allenamento pubblico (seconda parte) ***
Capitolo 30: *** Öffentliches Training / Allenamento pubblico (terza parte) ***
Capitolo 31: *** Öffentliches Training / Allenamento pubblico (quarta parte) ***
Capitolo 32: *** Öffentliches Training / Allenamento pubblico (quinta parte) ***
Capitolo 33: *** Madre e figlia / Mutter und Tochter ***
Capitolo 34: *** Dietro le quinte ***
Capitolo 35: *** Maestro e allieva ***
Capitolo 36: *** Da grande ***
Capitolo 37: *** Ma perché?!? ***
Capitolo 38: *** Un ramo che si spezza o ghiaccio che si crepa ***
Capitolo 39: *** Anche così ***
Capitolo 40: *** Alcune cose che so di Karl (fino ad ora) ***
Capitolo 41: *** Due tipi strani ***
Capitolo 42: *** Pugni ***



Capitolo 1
*** Hai la febbre? (Prima parte) ***


Hai la febbre? (Prima parte)

 

“Hai la febbre, Schneider?”

Lui alza la testa e incontra il viso enigmatico di Levin.

“No, perché?”

“Hai gli occhi lucidi”.

Karl si passa una mano sulla fronte. No, non ha la febbre.

“Sarà la stanchezza...”

“Senz’altro”.

L’azzurro cupo di quegli occhi, sempre così fermo e duro, oggi è più cupo, somiglia a un mare sconvolto. Sembra che Karl stia piangendo senza lacrime.

Dipenderà davvero dalla stanchezza? Ha giocato dando l’anima, quest’oggi. Ha segnato una doppietta e ha corso per tutti i novanta minuti senza interruzione, pieno di fiato e di energia più del solito. Naturale che sia stanco. Naturale che abbia quell’espressione febbricitante...

Schneider tira fuori uno a uno dalla sua sacca gli indumenti puliti e li sistema accanto a sé; si strofina ancora una volta i capelli con l’asciugamano, che poi posa sulla panca. Rimane quasi completamente nudo per qualche secondo, ed è a quel punto che Levin vede.

Un piccolo livido giallognolo, tra l’orecchio e la nuca, e all’altezza della poderosa spalla sinistra, quasi alla base del collo, il segno circolare di una chiostra di denti piccoli e regolari, il segno di un morso ben assestato e profondo.

Karl intanto ha incominciato a vestirsi, preciso e metodico come è nel suo stile, tutto compreso dalla sua occupazione, senza far caso a nient’altro. Non avverte gli occhi di Levin che pesano su di lui, non avverte l’impercettibile sospiro – di sollievo? – che esce dalla bocca dello svedese quando finalmente infila la camicia e copre il segno di quel morso.

Non vede che a un certo punto Levin gira la testa con un movimento brusco e distoglie lo sguardo da lui, come se la sua vista gli fosse diventata improvvisamente dolorosa.

***

Disclaimer. Karl-Heinz Schneider, Stefan Levin, Shunko Sho, Marie Schneider, R. Frank Schneider eccetera appartengono al maestro Yoichi Takahashi! Gli altri personaggi, invece, sono miei.

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Capitolo 2
*** Junger Kaiser am Spiegel / Giovane imperatore allo specchio ***


Junger Kaiser am Spiegel / Giovane imperatore allo specchio

 

È fermo di fronte allo specchio della sua stanza da bagno e guarda sé stesso come se fosse uno spettro.

Si tocca la fronte, una tempia, il naso, la mascella. E vede l’altro sé stesso che compie, specularmente, gli stessi gesti.

Sei vero. Lei è vera. È tutto vero.

Ogni volta Julia lo afferra, lo stringe, lo morde, lo prega di lasciarle un segno, così, dice, saprà che non ha sognato. E non aspetta mai che sia lui a baciarla, lo fa lei per prima. Anche la prima volta: gli ha afferrato le braccia e lo ha baciato con violenza, tanto da ferirgli il labbro inferiore. Una piccola escoriazione, una minuscola goccia di sangue. E poi, guardandolo negli occhi con un’espressione tremendamente seria, ha pronunciato il suo nome, scandendolo con gravità:

“Karl-Heinz”.

Lui senza fiato, in preda allo shock, perso.

“Karl-Heinz” ha ripetuto Julia, poggiando la fronte contro quella di lui.

Ora Schneider è di fronte allo specchio, e automaticamente si tasta il labbro inferiore, come a risentire quella piccola escoriazione di tanti mesi fa, ormai scomparsa. Julia che gli chiede di lasciarle un segno, e invece è lei che gliene lascia, ogni volta, coi suoi morsi e le sue carezze; i suoi morsi, le sue carezze e le sue parole.

“Karl-Heinz…” ripete, rivolto al suo riflesso, cercando di imitare la voce seria e dolce di Julia.

Una stretta allo stomaco lo assale, gli occhi gli si velano, a un tratto vede tutto nero, perde l’equilibrio; per non cadere si lascia andare all’indietro, dove sa che ci sarà il muro piastrellato a sostenerlo.

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Capitolo 3
*** Hai la febbre? (Seconda parte) ***


Hai la febbre? (Seconda parte)

 

“Professoressa, sta bene?” le chiede la segretaria, quando passa da lei a lasciarle alcuni documenti.

La domanda coglie Julia completamente di sorpresa.

“Ma... credo di sì, perché?” è tutto quello che sa rispondere.

“... è pallida e ha gli occhi lucidi, come se avesse la febbre” spiega la donna.

“Davvero? Io non mi sento niente”.

La donna scuote la testa. Mentre Julia va via, sente che la signora Hofmaier sussurra alla sua collega:

“... lavora troppo, povera ragazza, è così sciupata!”

Lei con la febbre, lei pallida, lei sciupata, lei che forse lavora davvero troppo e dovrebbe darsi una calmata. Al ritorno dalle vacanze hanno incominciato con questo ritornello, prima suo padre e sua madre, poi Uta, quindi addirittura Levin; e ora la segretaria. Sembra una congiura. O forse si nascondono semplicemente dietro alle parole, e dicono che è pallida e ha l’aria febbricitante perché a questo mondo la buona educazione, il pudore, la decenza, la paura ci hanno insegnato a dire una cosa per un’altra.

Dite quello che pensate davvero, mamma, papà, Uta, Stefan, signora Hofmaier: qualcosa di troppo forte ti è caduto addosso, Julialein, e ora ti sta consumando.

Le anime semplici direbbero che è passione, passione folle, passione totale, eccetera eccetera.

Ma è passione quello che provo? Non è solo esaltazione la mia? Non è solo vanità? Non è solo pazzia dovuta alla troppa solitudine? Non sono solo una stupida donna ferita che cerca la rivincita? Julialein, che non è stata capace di tenersi neanche il padre di suo figlio, va a letto col grande calciatore idolo di mezza Germania! Quale amore, quale?... E lui?... Perché continua a cercarmi, a volermi, perché non mi lascia in pace? Oh, fosse stata soltanto una botta e via, non avrebbe fatto tanto male. Invece così è come essere avvolti nelle spine, ogni movimento toglie il respiro.

Penso a lui e vorrei scoppiare a piangere, pronuncio il suo nome e la voce mi si spezza a metà.

Qualcuno mi aiuti. Qualcuno mi salvi.

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Capitolo 4
*** Lo sguardo del Bücherwurm ***


Lo sguardo del Bücherwurm

 

Ecce tu pulcher es, dilecte mi!

(Come sei bello, mio amato!)

(Cantico dei cantici)

 

“Non guardarmi così, mi metti in imbarazzo”.

La prima volta che le ha detto così, Julia è arrossita di dispetto.

“Ti metto in imbarazzo? Come?”

Là per là Karl non è stato capace di spiegarlo.

Il fatto è il seguente: lui finora ha conosciuto soltanto gli sguardi avidi dei talent scout e degli sponsor, che lo misurano da capo a piedi come se fosse un sacco di monete o una pila di mazzette di banconote. Oppure le occhiate lucide di desiderio di donne e uomini, occhiate che dicono solo ti voglio, fai sesso con me.

Lo sguardo di Julia rappresenta per lui un’esperienza nuova. Quegli occhi dolci e profondi che accarezzano la sua figura, con tenerezza, esitando, come mani inesperte che toccano un oggetto antico di Meissen sperando di non sciuparlo, e paiono sussurrare in continuazione una sola frase, sommessamente: “Sei bello, Karl-Heinz, sei bello!”

Lui è completamente nudo di fronte a quegli occhi.

“Se ti metto in imbarazzo allora guarderò da un’altra parte...”

“Questo no!”

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Capitolo 5
*** Così parlò Julia Gutenbrunner ***


Così parlò Julia Gutenbrunner

 

“Se ami qualcuno, fai di tutto per lui” insiste Schneider, cocciuto.

“Non puoi” replica lei “non è umano e non è giusto e poi non è possibile”.

“Allora vuol dire che non ci tieni abbastanza!”

“Quanto sei infantile!” sbotta lei.

“Infantile a chi?”

“Ma via! Se dicessero a te: molla il calcio, molla la tua famiglia, molla tutto per questa persona, tu che faresti?”

“Io non esiterei” mugugna lui.

“Non ci credi nemmeno mentre lo dici” commenta lei. Con calma, prende un foglio bianco e con la penna traccia un cerchio quasi perfetto a mano libera. Poi suddivide il cerchio in sei parti.

“La mia vita” spiega. “La mia famiglia” e scarabocchia qualcosa all’interno di una delle parti. “Robert” e scrive il nome di suo figlio nella parte accanto. “Il mio lavoro. La letteratura. Gli amici”. Alza la testa dal foglio, fa una smorfia che vuol essere un sorriso, e mormora: “E, ultimo ma non ultimo, Karl-Heinz”.

Julia scrive il nome di lui nell’ultima parte del cerchio e dice:

“Ora, Robert. È il mio bambino, e darei tutto per lui. Ma Robert non è me, Robert crescerà, farà delle scelte, avrà la sua vita, e a un certo punto sbufferà: lasciami fare, mamma, non starmi tra i piedi! E io dovrò cedere, e soffrirò enormemente. E se avrò costruito tutta la mia vita intorno a mio figlio, finirò col sentirmi una fallita”.

Julia prende fiato.

“Ti faccio un altro esempio. Come Robby, anche Karl-Heinz a un certo momento potrebbe andarsene. Lui non è di mia proprietà, di fronte né alla legge, né alla natura, né a Dio. Quindi potrebbe decidere di andarsene e io non potrei farci nulla. Potrebbe anche morire, perché Karl-Heinz è fragile e umano come tutti. Ma se lui se ne andasse, se morisse, io soffrirei enormemente, penserei che la mia vita è finita... e se nella mia vita esistesse solo lui, sarebbe finita davvero. Invece, se mi restassero i miei, Robby, e tutto il resto... avrei ancora qualcosa per cui valga la pena di andare avanti”.

Lui a questo punto non sa più cosa obiettare.

“Pensa a Levin” conclude Julia “lui aveva il calcio e Katarina. Quando Katarina è morta, il suo spirito è rimasto azzoppato. Metà della sua vita è rimasta vuota. E tu sai bene quanto tempo gli ci è voluto per...”

“Ok, ok” interrompe lui “ho capito”. Poi aggiunge, con un sorrisino perfido: “Sei proprio una professoressa”.

“E tu sei proprio bastardo dentro” risponde prontamente Julia.

“Ah-ah. Intanto, parlando da professoressa, mi hai confessato che mi ami da morire”.

“Io?”

“Hai detto: soffrirei enormemente, penserei che la mia vita è finita...”

“Ah, ho detto così? Non ci ho fatto caso”.

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Capitolo 6
*** Freddo ***


Freddo

 

Sono mesi che si incontrano come due malfattori, nei momenti più assurdi o nei posti più improbabili, strappando ore al sonno per non strapparle al lavoro o ai loro cari che non sanno nulla.

A volte lui l’aspetta, la mattina, dopo che Julia ha portato Robby all’asilo, solo per poter fare insieme una manciata di minuti di strada, darsi un bacio, tenersi la mano finché è possibile. E quando non è più possibile, quando sono costretti a staccarsi, quanto è più acuta la sensazione di freddo che si insinua sotto pelle in questi mattini autunnali della Baviera, così belli nei colori e così gelidi.

“Non trovi che quest’anno stia facendo eccezionalmente freddo?”

“Non più del solito...”

“Ma io non ho mai sentito tanto freddo” obietta il Kaiser.

Lei lo abbraccia:

“Così va meglio?”

Karl non risponde, ma l’impercettibile sospiro che gli sfugge dalla gola sta a significare che sì, così va molto meglio.

Il calore di un altro corpo è per lo spirito quello che il calore di un fuoco è per il corpo, pensa Julia.

 

***

 

Buon 2014 a tutti! Che possiate avere accanto il calore di chi vi ama... tutto il resto è secondario.

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Capitolo 7
*** Mutter und Sohn / Madre e figlio ***


Mutter und Sohn / Madre e figlio

 

Escono dal portone, la giovane donna piccoletta dai capelli corti e gli occhiali sul naso e il ragazzino dagli occhi svegli e curiosi. Percorrono il vialetto, oltrepassano il cancello e si avviano lungo il marciapiede.

Julia tiene per mano Robert. Camminano allegri, lei tiene il passo del bambino, Robert marcia e guarda sua madre che gli parla animatamente. Lei ha gli occhi posati sulla testa di suo figlio. Chiacchierano come due vecchi amici.

Robert porta un giubbotto imbottito, piccoli jeans scoloriti, sneakers, cappello e guanti coordinati, e ha il suo zainetto agganciato dietro la schiena. Julia invece indossa il suo solito cappotto largo, col bavero rialzato fino a coprire mezza faccia, uno sciarpone extralarge avvolto attorno al collo. Mentre parlano, le loro parole formano delle nuvolette davanti alla loro bocca, e il bimbo le indica alla madre, affascinato. Ridono.

A un certo punto Julia si ferma di colpo e fa fermare anche il bambino. Lascia la mano di Robert, si inginocchia davanti a lui, con gesti precisi e fermi gli rimbocca le maniche e gli rincalza il bavero del giubbotto perché non prenda colpi d’aria. Poi gli sistema il cappello e si rialza.

“Mano” sorride.

“Mano” risponde il piccolo, porgendogliela.

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Capitolo 8
*** Carletto ***


Carletto

 

“Come sono gli italiani?”

“Splendidi e terribili”.

“E l’Italia?”

“Lo stesso. Splendida e terribile”.

“Ma tu come ti senti, italiana o tedesca?”

“Io sono a mezza strada, anche se per i miei cugini siciliani sono “Giulia di Monaco” e il mio insegnante di tedesco in ottava classe andava dicendo che copiavo perché non poteva concepire che la studentessa più brava della classe fosse figlia di un’italiana. Ma tant’è”.

Julia sembra riflettere un momento, poi fa una risatina.

“Che ridi?”

“M’è venuta in mente una canzoncina italiana che mi cantava mia madre quand’ero piccola...”

Si schiarisce la voce e intona un motivetto allegro:

 

Carletto non rubare la cioccolata

non dire più alla nonna che è ingrassata

Carletto di qua, Carletto di là

questo non si dice, questo non si fa...

Carletto leva i pesci dal frullatore

Carletto togli il nonno dall’ascensore

Carletto lo sai che fai sempre guai

e allora il papà ti castigherà...

 

Si interrompe, gli rivolge un’occhiata da ragazzina impunita, e prosegue:

 

Ed io che sono Carletto

l’ho fatta nel letto, l’ho fatta nel letto,

l’ho fatta per fare un dispetto

che bello scherzetto per mamma e papà!

 

“Traduci, per favore”.

“...sicuro?”

“Certo, così saprò che non mi stai prendendo in giro”.

“Io traduco, tu però non t’arrabbiare” dice Julia, e gli traduce la canzoncina parola per parola.

Karl la guarda per un momento con l’aria di non sapere cosa fare, poi, inaspettatamente, scoppia a ridere. Julia resta basita: è difficile vederlo sorridere, figuriamoci sentirlo ridere così, di cuore, a gola spiegata.

“Il mio ritratto sputato” spiega lui, asciugandosi gli occhi col dorso della mano. “Chiedi ai miei com’ero a sette anni. Facevo impazzire tutti!...”

“Eri il tipo che ficcava il gatto nella lavatrice?”

“No, giocavo a pallone dentro casa e ho distrutto tutto quello che ho potuto. Poi, quando Marie è stata abbastanza grande, le dicevo “facciamo che io tiro e tu sei il portiere”, la mettevo in porta e la massacravo coi miei tiri...”

“Pfff, fanatico...”

“Marie non diceva mai una parola contro di me, anche se la riempivo di lividi a forza di pallonate. Ma sai quante me ne ha date mia madre!... E tutte le volte che mi ha sequestrato il pallone...”

“E tu che facevi?”

“Una volta ho rubato venti marchi dal portafogli del nonno e sono andato a ricomprarmelo, un pallone. Ma mi hanno scoperto subito e mi hanno inflitto una condanna appropriata...”

“Cioè?”

“Ho saltato l’allenamento per due settimane: legge del contrappasso! Dopo tre giorni Hermann si è presentato a casa, pensava fossi morto...”

“E com’è che dopo sei diventato così serioso e tutto d’un pezzo?”

I begli occhi di Karl si incupiscono per un lungo, interminabile istante.

“Dopo...”

 

***

 

Carletto, cantata da Corrado in coppia col piccolo Simone Jurgens, ebbe uno strepitoso successo nel 1983: http://www.youtube.com/watch?v=JSlhEtDBSD4

Perché Karl-Heinz, da bambino, doveva essere una grandissima peste, non trovate?

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Capitolo 9
*** Donna come un bisturi ***


Donna come un bisturi

 

Glielo hai detto a modo tuo, mentre facevate l’amore. Ansimando, col respiro rotto, le hai sussurrato:

“Tu... vuoi sempre che ti lasci un segno... ecco, metterti un figlio nella pancia... un bel segno... per questa vita... e per quella a venire...”

Più tardi ti ha chiesto:

“Sbaglio o poco fa mi hai proposto di fare un bambino?”

Tu sei arrossito.

“No, sai, perché... voi uomini, nei momenti clou, perdete un po’ la ragione... dite cose assurde...” ha continuato.

Non hai saputo cosa rispondere.

“Un bambino io l’ho sempre desiderato per avere più potere agli occhi del mondo, Alex intendeva punirmi negandomelo, tu credi di mettermi il guinzaglio concedendomelo” ha proseguito Julia, scandendo le parole, guardandoti con lo sguardo terribile che prende quando dice cose estremamente serie. E tu non ti sei ancora abituato alla dura, alla precisa, alla tagliente verità delle sue parole; ti spaventa quando fa così, ti spaventa e ti fa male, non pensi che potrai mai abituartici.

“Sei troppo dura, Bücherwurm” scuoti la testa, vorresti dimostrarle che le hai parlato così perché ti è intollerabile l’idea che di voi due insieme non rimanga traccia nel mondo, ma sai già che le sue argomentazioni saranno più forti delle tue, perciò non ci provi nemmeno.

“Che cosa ne sai, tu, Karl-Heinz”.

Un sorriso ti spunta sulle labbra, fatichi a reprimerlo.

“Ripetilo”.

“Cosa?”

“Il mio nome, Bücherwurm”.

Anche lei non può fare a meno di sorridere:

“Cos’è, hai scordato come ti chiami?”

Le rivolgi un’occhiata di sfida, sollevando le sopracciglia; Julia non resiste se viene sfidata, in questo – come in tanto altro – è uguale a te.

“Karl. Heinz” pronuncia, a voce ferma e alta.

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Capitolo 10
*** Vater und Tochter / Padre e figlia ***


Vater und Tochter / Padre e figlia

 

A volte le succede di arrivare a Monaco a tarda sera, tornando dai soliti convegni; e visto che Robert è con Alex o con la baby sitter, spesso approfitta dell’ora per fare una visita a suo padre.

Tra mezzanotte e l’una, infatti, il Meisterbäcker Franz Gutenbrunner, insieme ai suoi apprendisti, appronta la prima infornata del pane e dei dolci per l’indomani.

Julia bussa, e dopo esattamente cinque secondi sente la voce di suo padre che esclama:

“Avanti, Bücherwurm!”

Lei entra, e prima di fare capolino nella stanza del forno, indossa guanti, grembiule e cappello regolamentari. Poi si affaccia nel grande ambiente crepitante di calore:

“Buonasera papà... signor Haller, signor Koch...”

Gli apprendisti di suo padre, Alois Haller e Ludwig Koch, sono due ragazzi di vent’anni che, quando la vedono, arrossiscono di imbarazzo e la salutano dandole del lei, nonostante le sue proteste e i suoi reiterati inviti a darle del tu e a chiamarla Julia.

“Ma quale lei, è il mio Bücherwürmchen” sghignazza il Meisterbäcker.

Stasera il papà l’accoglie con uno sguardo particolarmente acceso nei suoi occhi di un azzurro slavato dall’età e appannato dalle lenti degli occhiali.

“E come va” chiede il Meisterbäcker.

“A me bene, e a te?” risponde Julia.

“Mi sono giunte delle voci...” suo padre le strizza l'occhio.

“Voci?”

“Mi dicono che ti sei innamorata” ride il Meisterbäcker mentre dispone delle ciambelle in una capace teglia, a uguale distanza le une dalle altre. “Qual è il dolce preferito del tuo ragazzo? Così la prossima volta che passi te lo faccio trovare...”

“Come si vede che siamo mezzi italiani” sogghigna Julia “non c’è modo di mantenere un segreto”.

“Intanto dimmi qual è il suo dolce preferito” insiste Franz Gutenbrunner.

“Il Bienenstich, papà”.

 

***

Note al testo. Il Meisterbäcker è un maestro fornaio. “Il mio Bücherwürmchen”: il mio topolino da biblioteca. Il Bienenstich è un buonissimo dolce da forno con una copertura di mandorle caramellate e zucchero e un ripieno di crema.

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Capitolo 11
*** Denna bok är för S. / Questo libro è per S. ***


Denna bok är för S. / Questo libro è per S.

 

Quest’estate non è andata sprecata, sorride, aprendo il pacco appena consegnato che contiene le copie del suo ultimo lavoro; prendendo tra le mani e sfogliando con rispetto quelle pagine così nuove, crepitanti, lucide.

Non è mai stata brava a esprimere quel che prova per le persone a lei care; mai stata capace di far capire loro l’intensità del suo affetto. Ha dedicato e dedica poesie, racconti e saggi a sua madre, suo padre, sua sorella, Alexander, Robby; e a eccezione di Robby, che è ancora troppo piccolo per capire, gli altri sembrano non rendersi conto che lì, tra quelle righe, è distillato il meglio di lei, perciò quella dedica è il massimo che lei può dare, umanamente, a un altro essere umano. O meglio, i suoi se ne rendono conto, solo non sanno come affrontare una cosa così complicata e lontana dal loro modo di essere; Alex, invece, tutte le volte aggrotta le sopracciglia e rimane pensieroso, come a valutare se quelle poche righe debbano essere considerate un dono, una lusinga o un’offesa.

E stando a come si è sempre comportato, non può fare a meno di pensare che siano unoffesa, si dice Julia.

Quest’estate non è andata sprecata: i pomeriggi e le serate li ha trascorsi con Karl, le notti le ha trascorse sui libri e davanti al pc, insonne, febbrile e piena di energia, col profumo di Schneider ancora aleggiante per casa e il ricordo dell’ultima carezza di Stefan impresso a fuoco sulla sua guancia.

Il suo ultimo lavoro, quello che ha messo insieme nelle sue notti insonni, questo mese di luglio, è dedicato a Levin. Denna bok är för S., recita la dedica.

“Questo è per te” gli dirà consegnandogli la sua copia del libro, e sa che lui, leggendo, diventerà rosso e distoglierà lo sguardo, perché è forse l’unico, tra le persone che conosce, che sa misurare esattamente cosa significhino quelle cinque parole.

Perché Levin è stato quello che le è venuto incontro, le ha accarezzato il viso, le ha ricordato che un corpo maschile può essere anche amico, e non è vero - come ha sempre creduto, e come i fatti parevano dimostrare ogni volta - che lei si merita solo che le venga fatta la guerra.

“Amo lui” gli spiegherà “ma amo anche te...”

A quel punto Stefan allargherà gli occhi – lui sorride così, senza farsene accorgere – e dirà qualcosa in svedese, come fa sempre quando è in preda a una forte emozione, e non riesce a parlare né in inglese né in tedesco. E Julia, che da quando lo ha conosciuto ha incominciato a studiare lo svedese per amor suo, gli risponderà – nella sua lingua.

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Capitolo 12
*** Il racconto di Marie, ovvero: Non siamo allo stadio!... ***


Il racconto di Marie, ovvero: Non siamo allo stadio!...

 

NB: Spoiler!

 

***

 

“Ma tu che ci facevi alle sue lezioni? Non studi mica germanistica?”

“Ehhh!” Marie allarga le braccia “... è vero, quello è un corso che io non frequento; ma c’erano alcuni miei compagni che rompevano continuamente le scatole: vatti a sentire una lezione della Gutenbrunner! Vatti a sentire una lezione della Gutenbrunner! E una mattina ci sono andata sul serio”.

“E...?”

“Stava parlando del Minnesang. Mentre spiegava, proiettava le immagini del Grande codice di Heidelberg, ci faceva vedere i ritratti dei poeti, ci leggeva dei brani direttamente dal manoscritto. Ci faceva notare i colori e le linee delle pitture, i tratti della scrittura. La voce le tremava e aveva gli occhi lucidi, come se non potesse non emozionarsi di fronte a tanta bellezza”.

Marie si interrompe per un secondo e sbircia di sottecchi suo fratello:

“Aveva la stessa espressione che ha quando guarda te...”

Lui volta la testa per non far vedere che è arrossito.

Minne, ci ha spiegato, è l’amore che nasce nel pensiero e nel ricordo. In tedesco è una parola arcaica, ma per esempio in svedese ancor oggi minne vuol dire “ricordo”... e att minnas “ricordare”...”

“Ti è rimasta impressa la lezione” sorride lui.

“Se fossi stato là, sarebbe rimasta impressa anche a te. Ci afferrava, ci sollevava di peso nell’iperuranio, eravamo tutti a bocca aperta, stregati”.

“Caspita” fischia Schneider “non riesco a immaginarmelo. Da parte di quel tappo di Julia, poi...”

E mentre pronuncia queste parole, contemporaneamente dice a sé stesso: bugiardo. Immenso, solenne e spudorato bugiardo.

“Bene, per concludere, alla fine, dopo aver dato indicazioni per la volta successiva, dopo un rapidissimo riassunto della lezione, dice “grazie per la vostra attenzione e alla prossima”, fa una specie di inchino con la testa e all’improvviso tutta l’aula piomba nel silenzio. Ma la calma è durata solo un attimo. Altrettanto all’improvviso, dalle ultime file, quelle più in alto, è scoppiato un applauso. Nel giro di venti secondi è venuta giù l’aula, applaudivamo tutti come pazzi, i nostri battimani somigliavano al rumore di un tuono. Lei era lì ferma, in piedi davanti alla cattedra, immobile, e ci guardava come se non capisse più niente. Si sono affacciati anche i bidelli, allarmati dal fracasso. Noi abbiamo continuato ad applaudire per due-tre minuti buoni... e quando, poco alla volta, nell’aula è tornato il silenzio, lei ha detto, con una voce forte e squillante: “Vi ringrazio... ma non bisogna fare rumore, vedete, il personale si preoccupa... qui non siamo allo stadio!”...”

Marie ride:

“Così, quando vi ho visti insieme, ho ripensato alla sua frase... non siamo allo stadio...”

 

***

 

Note al testo. Il Minnesang è la poesia cortese di argomento amoroso fiorita nei paesi di lingua tedesca tra XII e XIII secolo.

E qui potete vedere la versione digitalizzata del Grande codice di Heidelberg, una famosissima antologia del Minnesang redatta nel XIV secolo: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/cpg848.

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Capitolo 13
*** Uta ***


Uta

 

Arriva di corsa tenendo per mano Robby, ha il fiato corto, la prima cosa che fa è scusarsi per il ritardo.

“Tranquilla, non abbiamo ancora iniziato” rispondo, tendendo a mia volta la mano a Robby. “E come andiamo, Robert?”

Robby mi abbraccia le gambe. È un mistero come possa essere così allegro e socievole questo ragazzino, con la madre musona che si ritrova e quel padre che pensa solo ai motori.

“Be’, coraggio, andiamo dentro”.

Entriamo in cucina dove Gerhard e Michael stanno per sedersi a tavola.

“Buonasera Gerhard... Mick” saluta Julia.

“Ciao zio!” parte Robby, andando a salutare Gerhard. Quindi fa il giro del tavolo e salta al collo di Michael: “Ciao Mick!”

Michael risponde con trasporto al suo abbraccio, il cuginetto per lui è come il fratello più piccolo che non ha mai avuto. Quando si staccano, si danno il cinque con l’aria di due delinquenti.

“Ciao bestia” ride Michael “dopo si gioca alla playstation, eh?”

“Sìììì!!!” urla Robby.

“Robert, calmo” gli fa sua madre. “Mick, Robert è piccolo e a una cert’ora va a dormire, intesi? Niente playstation fino all’una di notte”.

“Non preoccuparti, ci pensiamo noi...”

Robby corre da Julia, le strattona il maglione per farla chinare, quindi la stringe con le sue piccole braccia, le dà un bacio sulla guancia e dice, solenne:

“Faccio il bravo, mamma”.

Quindi sorride, con la consapevolezza di un adulto, e trotterella al suo posto, accanto a Michael.

Io accompagno mia sorella alla porta.

Ha un’aria febbricitante, Julia, cammina leggermente incurvata. Sembra soffrire. Ha perso molti chili negli ultimi mesi.

“Stai bene?” mi informo.

“Sì...”

“Julia, Julia...”

Mi guarda con quegli occhi che sembrano due buchi neri:

“Ho... sto... sto andando da una persona” confessa.

“Il tuo amico svedese?...” chiedo.

“No”.

“Dalla tua faccia parrebbe che stai andando da un serial killer” cerco di scherzare.

“Peggio” risponde lei con un sospiro stanco.

“Evvia, scherzavo...”

“Io no. Mi farà a pezzi, Uta”.

“Eh, daiii... non sarà davvero un serial killer...”

Julia si aggrappa al mio braccio e mi sussurra qualcosa all’orecchio; quindi mi molla bruscamente e si butta a capofitto giù per le scale.

Resto sulla porta, ascoltando l’eco dei suoi passi convulsi. Mi ha detto un nome, il nome.

Il mio pensiero va automaticamente al poster che Michael ha appeso nella sua stanza, di fronte al suo letto. Un ragazzo biondo dai capelli selvaggi nella divisa rossa del Bayern Monaco.

E nel mio cervello si sovrappongono le voci di Michael e di suo padre, quando guardano le partite e urlano di entusiasmo perché lui ha segnato, e il sussurro appena udibile di mia sorella che pronuncia il suo nome nel mio orecchio:

“Uta... È Karl-Heinz Schneider”

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Capitolo 14
*** Il mio amico più caro (prima parte) ***


Il mio amico più caro (prima parte)

 

Inutile negarlo: Karl è dannatamente geloso di Levin.

Levin e Julia condividono qualcosa che lui non può capire, basta guardarli quando sono insieme: a volte siedono così, uno accanto all’altra, per delle mezze ore, senza scambiarsi neanche un monosillabo, eppure chi li osserva sente che tra di loro si sta svolgendo un dialogo ininterrotto dal quale il resto del mondo è escluso. A volte, sempre senza guardarsi, sempre in silenzio, le loro mani si cercano, si stringono. Quando i loro occhi s'incontrano, è come se il tempo potesse andare indietro, come se qualcosa di rotto riuscisse a ritornare alla sua interezza originaria. Per amore di Levin, Julia ha imparato lo svedese nel giro di sei mesi...

“Come se non parlasse tedesco!” è sbottato Karl una volta.

“Tu non capisci” ha risposto lei, calma. “Pensa se abitassi in un paese straniero e improvvisamente, inaspettatamente, qualcuno incominciasse a parlarti in tedesco: come ti sentiresti?”

Karl ha esitato a lungo prima di rispondere. Poi, quasi sussurrando, ha detto:

“Mi sembrerebbe di essere a casa...”

“Ecco”.

La verità, confessa Schneider a se stesso, è che se Levin non avesse incontrato Julia, se non le avesse letto nel cuore, se quel pomeriggio dopo l’allenamento non gli avesse chiesto di stare vicino alla sua amica durante la partita, col tono di chi gli stava affidando qualcosa di inestimabile, lui una ragazza così non l’avrebbe mai neanche guardata; è colpa di Stefan se si è innamorato del piccolo Bücherwurm.

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Capitolo 15
*** I tesori giacciono sepolti in luoghi profondi ***


I tesori giacciono sepolti in luoghi profondi

 

Julia non indossa gonne, non porta mai scarpe col tacco e non si trucca. Ha le lenti a contatto, ma le usa poco: le ha messe durante la presentazione del suo libro, poi quella sera di maggio all’Allianz Arena, poi basta. Lui l’ha quasi sempre vista con gli occhiali sul naso, nella sua tuta da casa, i piedi infilati nelle pantofole, o infagottata nella sua tenuta invernale: maglione, pantaloni lunghi e stivaletti.

“Sai, quando avevo diciotto anni, e gli ormoni tiravano troppo per poterli ignorare, ho provato a truccarmi, a indossare qualche bel vestito. Mica per me, s’intende: nella speranza che qualche ragazzo mi notasse. Ma anche col trucco e i vestiti, non funzionava. Allora ho pensato: gente, sapete una cosa? me ne frego, e sono ritornata ai miei jeans, alle mie felpe e ai miei occhiali. Era umiliante stare dietro al mio aspetto e scoprire che gli sforzi non bastavano mai”.

“Ma forse il problema non era quello” sorride Stefan.

“Dici? Mah. Sì, forse hai ragione. Forse il problema era... è, qui” e Julia si tocca la tempia con l’indice.

“Forse il problema non era tuo”.

“Mio era il danno, comunque”.

“Perciò hai deciso di ribaltare la prospettiva” commenta Levin “lo facevo anch’io”.

“Tu? Come?”

“Quando andavamo alle feste, a quindici anni. Sai, a quell’età gli sportivi non piacciono molto: nella mia scuola i più fighi erano quelli che suonavano in qualche band. Sicché noialtri calciatori non rimorchiavamo un granché. Allora la nostra strategia era questa: arrivavamo, salutavamo in giro, prendevamo da bere, da mangiare e uscivamo fuori, a parlare tra noi e a fumarci una sigaretta. Le ragazze facevamo finta di ignorarle, mettevamo su un'aria da menefreghisti davvero spettacolare: chi ci voleva doveva venire a cercarci!”

“Tu fumavi?” chiede Julia stupita.

“Io sì, quando ero in giro con gli amici; sai com'è a quell'età, era per darci un tono, per sembrare più grandi... Tu non lo facevi?”

“A diciassette anni, credo, ho dato qualche tiro... ma solo così. E funzionava la vostra strategia?”

“Altroché se funzionava”.

“Ricordami di suggerirla a Robby, tra una decina d’anni, sempre che ne abbia bisogno. Esclusa la parte delle sigarette, ovviamente”.

“Ovviamente”.

Julia socchiude gli occhi.

“Ti leggevano le fiabe da bambino, Lennart?”

“Certo”.

“Anche a me. Mi piacevano quelle in cui si parlava di tesori. Quello che mi è più rimasto impresso è che nelle fiabe, senza nessuna eccezione, i tesori giacciono sepolti in luoghi profondi, o dove nessuno si aspetta di trovarli”.

 

***

 

Ricordiamo che Julia chiama Levin col nome del protagonista del suo racconto Ritratto estivo di ragazzo svedese :-) Ma quanto doveva essere carino il nostro Stefan a quindici anni!

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Capitolo 16
*** Quarta di copertina ***


Quarta di copertina

 

Et voilà, una presentazione “pubblica” di Julia attraverso la quarta di copertina del suo libro.

 

***

 

 

Uno studente straniero in quel di Monaco, un bimbo oppresso dalla preferenza dei genitori per il fratello gemello, una liceale sedicenne presa di mira dai compagni di classe nell’indifferenza (a volte perfino con la complicità) degli adulti, una giovane donna con la sua solitudine. Ritratto estivo di ragazzo svedese offre quattro racconti dolentissimi di vita quotidiana, di quotidiana violenza. La violenza esercitata e subita, come ci mostra Julia Gutenbrunner attraverso la sua scrittura precisa e tagliente, è il materiale da costruzione con cui si edificano le società; sono la violenza e il desiderio di sopraffazione che gestiscono ogni scambio tra esseri umani.

 

Julia Gutenbrunner insegna lingua e letteratura tedesca medievale presso la LMU di Monaco di Baviera. È autrice di opere di poesia e narrativa, con una spiccata predilezione per la forma breve. Con la nostra casa editrice ha pubblicato Alla radice (raccolta di racconti/saggi), La regina delle pietre (liriche), La forza del singolo (racconti).

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Capitolo 17
*** Grattis på födelsedagen! / Tanti auguri di buon compleanno! ***


Grattis på födelsedagen! / Tanti auguri di buon compleanno!

 

Il primo febbraio Stefan Levin compie gli anni. Auguri al dolcissimo cavaliere delle notti bianche <3

 

***

 

Gentile signor

Stefan Levin

c/o FC Bayern München Fanbetreuung

Säbener Str. 51-57

D-81547

München

 

Caro Stefan!

Siamo stati (sono stata) a lungo in dubbio dove spedirti questa nostra. Al tuo indirizzo di casa forse lo avrebbero respinto (e comunque a casa non ci sei quasi mai), speriamo di non sbagliare spedendola alla sede del Bayern, so che vi fanno avere tutti i piccoli regali dei vostri ammiratori, così siamo fiduciosi :-)

È la prima volta nella vita che mando qualcosa a un calciatore famoso e mi sono resa conto di quanto sia difficile per le persone, per così dire, “comuni” riuscire a contattare uno di voi. Vi mettono su un piedistallo come le statue degli imperatori romani e la plebe può solo genuflettersi da lontano. Lo capisco, avete migliaia di tifosi, ci sono misure di sicurezza da rispettare eccetera, ma mi ha lasciato comunque addosso una grande tristezza. Mi fa riflettere che io e te eravamo separati da un confine che non si vede ma normalmente impossibile da superare; e se tu non lo avessi scavalcato, quel confine, con la determinazione che hai per le cose che ti stanno a cuore, ora non saremmo qui.

Ci tenevamo ad augurarti buon compleanno e a farti avere un regalino anche se in questo periodo sei superimpegnato e di vedersi non se ne parla. Visto che non conosco bene i tuoi gusti e che hai già tutto quello che vuoi, ho lasciato scegliere a Robert una cosa che secondo lui potrebbe piacerti. Non è niente di valore, è solo per ricordarti che ti pensiamo e ti vogliamo bene. Che io ti penso e ti voglio bene.

In bocca al lupo per il ritorno di campionato e la Champions League, un grande abbraccio

Julia e Robert

 

***

 

Nota al testo. Per documentarmi, prima di scrivere questa flashfic, ho fatto una piccola ricerca via Internet, scoprendo che tutte le comunicazioni tra fan e giocatori sono gestite da un’apposita “sezione assistenza tifosi” – o comunque venga chiamata – del loro club, che si occupa di filtrare le richieste di autografi, la consegna di regali e lettere eccetera. La cosa mi ha suscitato molta tristezza, perché questi ragazzi sono veramente posti su un piedistallo, mentre chi li segue, li ama e fa la loro fortuna non può nemmeno avere un contatto diretto con loro. Ovviamente ci sono ragioni pratiche: il calcio è un fenomeno di massa, non si possono gestire migliaia e migliaia di fan come se si fosse una famiglia, esiste il pericolo degli esaltati e degli stalker... ma la cosa mi ha fatto male lo stesso :-(

P.S. L’indirizzo è il vero indirizzo della sede sociale del Bayern Monaco, dove si trova anche la sezione “assistenza tifosi” (Fanbetreuung) del club monacese XD

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Capitolo 18
*** Capelli (starring: Shunko Sho) ***


Capelli

 

Poteva mancare Sho? Estroverso fino all’imbarazzo (altrui) e con quei capelli meravigliosi (io adoro, sì, adoro la chioma del mio cinesone)? Guardate cosa combina qui ;-)

 

***

 

Una zazzeretta castana corta corta a incorniciare il visino rotondo, jeans e scarpe sportive, una felpa con su scritto LMU e la mano destra stritolata nella stretta di Schneider.

“Questa è Julia” aveva detto Karl, rimanendo un passo indietro per presentarla meglio alla tavolata.

Dopo i saluti, Schneider e la ragazza avevano preso posto, mentre la curiosità di tutti convergeva verso di loro. Lei aveva un modo di fare gentile ma appariva intimidita, sembrava quasi temere un giudizio da parte di quegli sguardi.

“Che significa LMU?” aveva sparato Sho, come al solito senza peli sulla lingua.

“Ludwig-Maximilians-Universität” aveva risposto Julia.

“Sei studentessa?”

“Veramente no...”

“Julia insegna alla LMU” aveva puntualizzato quel rompiscatole di Schneider.

E Shunko, per niente impressionato:

“Ma quanti anni hai?...”

E lì erano arrivate due risposte in contemporanea:

“Qualcuno più di te” aveva detto Julia ridacchiando.

“Sho, per la miseria! Non si fanno queste domande a una donna” aveva scosso la testa Drener.

“Ah, ah! Scusa!” Shunko era scoppiato a ridere. “A me puoi dirlo: hai cinquant’anni? ti sei rifatta? Non vuoi farlo sapere a Schneider?”

“Sei proprio irrecuperabile” lo aveva rimbrottato Stefan dall’altro lato del tavolo.

“No, Luce” nello sguardo di Julia era passato un lampo di allegra sfida “non ho cinquant’anni. Ne ho trentacinque, e non sono rifatta”.

Lui si era ammutolito, ma solo per un secondo.

“Conosci la mia lingua?”

“Solo qualche parola”. Julia lo aveva fissato per alcuni lunghi secondi, occhi negli occhi, mettendolo in imbarazzo.

“Ho la faccia sporca?” aveva ridacchiato lui, per sottrarsi al rossore che già gli stava salendo sotto pelle.

“No, Luce, scusa. Stavo guardando i tuoi capelli. Sono belli, sai?”.


***
 

Shunko è in piedi di fronte allo specchio. Con un gesto rapido e deciso, scioglie la lunga coda in cui normalmente tiene raccolti i capelli; una cascata di lunghe, forti, luminose ciocche di uno splendido nero corvino gli ricade sulle spalle, le tempie e la fronte.

Il giovane cinese afferra un paio di forbici e zac!, dà un colpo secco.

Gli resta in mano una lunga ciocca ondulata, lucente, bellissima.

Ora lui la legherà con un nastrino, la metterà in una piccola scatola da gioielliere e la consegnerà a Stefan con la preghiera di farla avere a Julia Gutenbrunner. E silenzio assoluto con Schneider: quello è troppo geloso, chissà quante storie farebbe!

 

***

 

Note al testo. 1) Non so se esistano davvero felpe con l'acronimo LMU: io mi sono ispirata a quelle, classiche, della UCLA ("University of California, Los Angeles"). 2) Il nome Shunko (cinese Jun Guang) è la combinazione delle parole “bello” e “luce”: Julia "traduce" una parte del nome e apostrofa così Sho, il quale rimane spiazzato... ma solo per un secondo ;-)

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Capitolo 19
*** La donna dei sogni ***


La donna dei sogni

 

(L’amore non è amore se non ci spinge a migliorarci: nota di Aelf).

 

***

 

Julia è la donna dei suoi sogni. Non perché sia la donna perfetta che, sperava, prima o poi avrebbe incontrato; fuor di metafora, Julia è la visitatrice tranquilla e dolce che spesso, la notte, bussa nel sonno alla porta del suo cuore.

La prima volta è accaduto dopo la partita Bayern-Eintracht all’Allianz Arena. Era identica a come l’aveva vista poche ore prima, e non faceva nulla; era solo lì insieme a lui.

Poi l’ha sognata ancora, a Lisbona, la notte prima della finale di Champions League. E anche allora non faceva niente, gli stava accanto e basta.

E durante l’intervallo della partita, quando il Bayern perdeva per 2-1 e tutti erano scoraggiati, lui ha sentito la sua presenza, lì, nello spogliatoio. La presenza rassicurante e la forza di Julia. Allora ha pensato che non poteva perdere, doveva essere all’altezza di quella piccoletta, doveva vincere per lei.

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Capitolo 20
*** Nel paese della tenerezza ***


Nel paese della tenerezza

 

Das Umfeld eines Spielers ist heute besonders wichtig: Eltern, Freunde, Geschwister, Partner: Menschen, denen du vertraust.

 

Philipp Lahm, Der kleine Unterschied. Wie man heute Spitzenfußballer wird*

 

Scena mielosa tra i due superinnamorati (perché quando ci vuole ci vuole).

 

***

 

Non si sono visti per quindici giorni, perché lui ha avuto quattro partite nel giro di due settimane: due turni di campionato, la Coppa di Germania e la Champions League; ora Karl-Heinz è seduto sul divano e guarda con aria accigliata le notizie sportive sul canale satellitare.

“Non sarà facile” dice a mezza voce. “Non sarà facile”.

“Cosa non sarà facile?...” si informa Julia accomodandosi accanto a lui.

“Il ritorno della Champions... abbiamo tre infortunati, mentre quelli sono al meglio delle loro forze”.

“Beh, se le cose andassero sempre lisce, non ci sarebbe gusto”.

“Eh...” fa lui, avvilito. “È che a volte la pressione è così forte...”

Julia allunga una mano.

“Tu, Karl-Heinz...” gli accarezza la testa, come farebbe con Robby o con un cucciolo. Ed è così che in questo momento vede il grande calciatore dal carattere di granito e il corpo d’acciaio: come un ragazzino o un gattino che alza la testa e si trova un ostacolo troppo alto davanti e si scoraggia.

“Povera stellina, così serio e disciplinato, con così tante responsabilità addosso... non ridi mai... non ci fai mai il dono di una risata”.

Lui la fissa, serio. Julia gli scosta con due dita i capelli che gli spiovono su una tempia e gli dà un bacio sulla fronte.

“Ma in verità è di carezze che hai bisogno”.

Un altro bacio, leggero leggero, stavolta sulla punta del naso.

“... di carezze, di bacetti...”

Ancora un bacio, sulla guancia.

“... abbracci...”

Gli stringe le braccia attorno ai fianchi e lo culla, dolcemente.

“... e morsetti...”

Piega la testa e lo bacia nell’incavo del collo, là dove la sua pelle è così morbida e profumata.

“... e ancora bacetti...”

Julia risale dal collo fino al viso di lui e lo bacia in bocca.

“... e ancora carezze”.

Si stacca dalle labbra di Karl-Heinz e gliele sfiora col pollice.

Lui le afferra il polso sorridendo.

“Lo sai cosa sei, tu?...” le chiede.

“Una deficiente?” propone Julia.

“Sei la mia sposina” sussurra Karl-Heinz. Il viso di Julia sboccia in un’espressione di divertita sorpresa.

“Cosa sono?...”

“La mia sposina”.

Julia ride, come un bambino: hi hi hi hi.

“Dillo ancora”

“La mia sposina”.

 

***

 

*Per un calciatore oggi sono particolarmente importanti le persone che gli stanno intorno: genitori, amici, fratelli, partner: persone di cui potersi fidare (traduzione molto a senso, perché, tra le altre cose, "Umfeld" è praticamente impossibile da tradurre). P.L. è il capitano del Bayern Monaco e della nazionale tedesca di calcio (quelli veri!).

 

Note al testo. “Sposina” è la mia libera traduzione del bavarese Gspusi “tesoruccio, innamorato/innamorata”, che nella mia mente bacata faccio dire a Karlchen e che ha la stessa etimologia di "sposina": latino sponsus, sponsa. Dite che Schneider qui è OOC? Vabbè, chi se ne importa... abbiamo tutti bisogno di tenerezza, perfino Karl-Heinz :-)

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Capitolo 21
*** Fragilità dei forti ***


Fragilità dei forti

 

N.B.: spoiler!

 

***

 

“Mi regali il tutore? Tanto a te non serve più”.

“E che te ne fai?”

“Niente, lo terrò per ricordo”.

“Per ricordo?!?”

“Sì, per ricordarmi di come mi...” Julia sta per dire “per ricordarmi di come mi sono innamorata”, ma, essendo orgogliosa, preferisce troncare la frase a mezzo. “... di come, ehmmm, eri nelle settimane passate”.

“E com’ero?”

“Vedi, tu dai l’impressione di una forza enorme. Entri in una stanza o scendi in campo e domini lo spazio intorno a te solo con la tua presenza. E per tutto il tempo che hai portato il tutore... non so come spiegarlo... ecco, la tua presenza era sempre forte, ma quel tutore stretto al tuo avambraccio diceva qualcos’altro, diceva che anche tu sei fragile. Ed era un contrasto così affascinante vederti entrare, col tuo passo da leone, la testa diritta, e poi vedere la tua mano ferita”.

“Ero più bello col tutore?”

“Eri davvero” Julia sta per dire “sexy”, ma si riprende in tempo: “...bello. Sì, eri bello”.

“Scommetto che stai già pensando di scrivere un racconto in cui il protagonista è un ragazzo col polso rotto”.

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Capitolo 22
*** Guarda come mi tremano le mani ***


Guarda come mi tremano le mani

 

Ecco finalmente il capitoletto eponimo... molto drammatico e “giuliesco”: la nostra eroina ha un momento di sconforto pensando quante difficoltà dovranno superare lei e il suo Schneideruccio (soprattutto lui).

 

***

 

Ci sono due tipi di donna-del-calciatore, medita Julia, mentre cammina e camminando prende a calci le foglie che si ammucchiano sul marciapiede, una è la fidanzatina di scuola, come la povera Katharina buonanima, quella che a diciannove anni sposa il suo campione e di lì fa solo la mamma e la moglie; laltra è la classica bella ragazza, lattrice, la modella, la conduttrice televisiva, la tipa che dà status. E io dove sto? Dove mi posso collocare? E quanto tempo occorrerà perché tutti gli facciano pesare la presenza di questa donna che non è abbastanza bella, non è abbastanza giovane, non è quello che ci si aspetta da lui? Quanto dovrà sentirsi disapprovare, quanto dovrà sentirsi prendere in giro prima di mollare la spugna?

“Prendi quel che puoi, finché puoi, Julia” le mormora all’orecchio la voce della ragione “prendi quel che puoi, finché puoi, e non preoccuparti del resto”.

Ma il resto sono questi piedi che non conoscono più la loro direzione, questo respiro che balla, la spina che mi si è ficcata nella testa e appena mi muovo mi fa sanguinare.

Guarda le mie mani, Karl-Heinz. Guarda come mi tremano. Guarda come il freddo le arrossa e le taglia. Guardami, sono un ammasso dolorante di ferite che non rimarginano, sono arrugginita, lenta, sporca. Hai visto? E ora per piacere smettila: smettila di guardarmi con quegli occhi stellati, smettila di abbracciarmi, smettila di portarmi regalini dalla Spagna e dal Regno Unito, regalini da duty-free, gli unici che hai il tempo di prendere nelle tue trasferte. Io sono in agonia, non capisci? Basterà un soffio di vento e mi romperò a pezzi. Smettila con le tue attenzioni, non ci sono abituata e non voglio abituarmici per doverle perdere subito dopo. Smettila con il tuo amore.

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Capitolo 23
*** Gli scrittori di fanfiction ***


Gli scrittori di fanfiction

 

Julia ha scoperto un nuovo universo, quello delle fanfiction sui calciatori, e si è molto stupita del fatto che gli scrittori non sono soltanto adolescenti che magari proiettano sul campione sportivo tutte le loro ansie, speranze, aspettative e frustrazioni; ma anche persone più grandi, studenti universitari, impiegati, madri di famiglia.

Quasi tremando, ha digitato “Karl-Heinz Schneider” sul motore di ricerca interno del più grande sito di fanfiction della Repubblica Federale, e si è vista comparire davanti un elenco di cinquecento e passa racconti: i primi risalgono a più di dieci anni fa. Julia se li è letti tutti, uno per uno, dal primo all’ultimo, ed è stato come conoscere Karl di nuovo attraverso gli occhi di altri, tanti altri.

In alcune storie Karl è un ragazzo freddo e ambizioso che si trova a dover superare ostacoli e problemi; in alcune rivela un’umanità inattesa, soccorrendo un compagno in difficoltà o salvando bambini ammalati o aiutando ragazzine depresse a sorridere di nuovo alla vita; in alcune si innamora disperatamente o sono altri a innamorarsi disperatamente di lui – e qui gli scrittori dimostrano una fantasia inesauribile, accoppiando il bel centravanti del Bayern con tutte le sportive, attrici, modelle e conduttrici televisive di Europa, Asia e America messe insieme; e nei racconti slash – che sono sorprendentemente numerosi – gli fanno fare coppia ora con Genzo Wakabayashi, ora con gli eterni rivali Tsubasa Ozora e Carlos Santana, ora con Levin, ora perfino con Hermann. Nelle storie AU di solito è o un principe, o un valoroso cavaliere, o un geniale agente segreto o un eroico poliziotto, in un paio di occasioni perfino un boss della malavita, ma sempre, comunque, senza rimedio, serio, riflessivo, autorevole, eccezionalmente intelligente e incredibilmente affascinante: un leader.

“Dovresti leggere le fanfiction che parlano di te...”

“Le conosco già, ne ho lette diverse”.

“Davvero?”

“Sì, gli amministratori dei siti ci contattano, ci invitano a dare un’occhiata e noi possiamo permettere o vietare che si scriva sul nostro conto. Io ho dato il permesso”.

“Ma non ti dà fastidio?”

“Una ragazzina che subisce il mobbing dai suoi compagni mi trasforma nell’eroe che la difende, un ragazzino omosessuale proietta su di me il suo bisogno di essere accettato: come può darmi fastidio?”

Julia tace.

“Una delle fanfiction che ho letto parlava di un bambino, malato terminale, che come ultimo desiderio voleva conoscere il suo calciatore preferito... no, tu ora dimmi...” gli occhi di Karl si sono inumiditi.

“Io ti dico che oggi mi hai insegnato qualcosa di molto importante” risponde Julia.

 

***

 

Nota al testo. Sui siti tedeschi di fanfiction è possibile scrivere di calciatori reali; i diretti interessati possono dare o negare il consenso a che si scriva su di loro, o imporre limitazioni all’uso delle loro figure (fonte: fanfiktion.de > Fanfiktion > Prominente > Sport > Fußball, fanfiktion.de > Hilfe > Verbote und Einschränkungen > verbotene Fandoms (lista)).

Questo capitoletto vuol essere un esperimento di fanfiction nella fanfiction, sulla scorta del pirandelliano "teatro nel teatro" ;-)

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Capitolo 24
*** "Non proteggerti" ***


Non proteggerti”

 

Ti è mai capitato di rinnegare te stesso per paura della disapprovazione e del ridicolo? [In Guarda come mi tremano le mani si capiva il punto di vista di Julia; qui vediamo cosa pensa il Kaiser].

 

***

 

Un compagno di squadra ha provato anche a rimproverargliela, quella sua ragazza così strana. Quella sua ragazza non alta, non bella, che non compare sulle copertine di Vanity Fair ed è anche più grande di lui. Ha provato ad alludere che una ragazza così potrebbe essere imbarazzante, per la sua immagine.

“Veramente” è stata la risposta di Karl-Heinz, calma e fredda (a proposito, come ha fatto a mantenersi calmo e freddo? Avrebbe voluto prendere il malcapitato chiacchierone e spaccargli il muso a pugni!) “è lei che dovrebbe sentirsi in imbarazzo con me. Io sono solo un ignorante che guadagna soldi a palate tirando calci a un pallone. Se volesse, potrebbe correggermi la grammatica mentre parlo, e anche a te, quindi a chi tocca essere in imbarazzo?”

Ed è stato in occasione di questo scambio di battute che finalmente ha capito perché a volte Julia lo guarda come se stesse per scoppiare in pianto, e una volta lo ha anche avvisato: “Proveranno a sminuirmi ai tuoi occhi, diranno che non mi attengo allo standard”. Strana. Così si è sentito in diritto di chiamarla un fesso che l’ha vista solo una volta e non ha scambiato più di dieci parole con lei.

 

Ti è mai capitato di rinnegare te stesso per paura della disapprovazione e del ridicolo?”

 

Ecco cosa sei: un bambino segnato dallo stigma del mondo, e che si rannicchia nell’angolo a braccia alzate, per ripararsi, ogni volta che qualcuno gli si avvicina. E ora che sono abbastanza vicino, sento la mia voce che ti chiede, cercando di suonare il più possibile amichevole e inoffensiva: puoi abbassare le braccia? Puoi smettere di difenderti? Lespressione dei tuoi occhi è la tua unica risposta: desiderio mescolato a terrore. Per favore, Julia, abbassa le braccia. No, anzi: lascia che io le prenda e le disarmi.

 

***

 

Un grazie di cuore a tutti coloro che si sono affezionati a questa raccolta...

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Capitolo 25
*** Il mio amico più caro (seconda parte) ***


Il mio amico più caro (seconda parte)

 

È sempre stato un tipo riservato, di poche parole, gentile e ammodo ma non molto propenso alle smancerie; per questo ora gli riesce così difficile capire l’esplosione di affetto nei suoi confronti nel corso dell’ultimo anno. Sarà perché il suo rendimento è stato eccezionale, sarà che, nella nuova formazione, l’allenatore ha conferito maggiori facoltà offensive al centrocampo e lui ha potuto andare in gol molto più di prima – e chi fa gol, si sa, è sempre più visibile degli altri –, fatto sta che è diventato uno dei beniamini della curva, che lo saluta al suono di entusiastici

 

SuperStefan, SuperStefan, hey, hey!

 

e lui ogni volta vorrebbe sprofondare, ma è un ragazzo responsabile, un professionista coi fiocchi, e allora va a salutare i tifosi come meritano.

Martedì pomeriggio, mentre il Bayern si allenava, la FIFA ha reso noti i nomi dei candidati al premio Ferenc Puskas per il più bel gol dell’anno, che si assegnerà a Zurigo nel prossimo mese di gennaio: oltre al numero 12 del Bayern, concorrono al premio Carlos Santana del Valencia e, sorprendentemente, il portiere dell’Amburgo, Genzo Wakabayashi, il quale s’è guadagnato la nomination per un magnifico gol di contropiede segnato la primavera scorsa nell’incontro tra Borussia Dortmund e HSV – “del resto” hanno sottolineato tutti i giornali e notiziari sportivi “il portiere dell’HSV ha il pallino di uscire dai pali e guidare il contropiede”, citando tutte le occasioni in cui questo è accaduto.

Ora, ai media tedeschi non è parso vero di avere in casa due dei candidati al prestigioso riconoscimento; così alla prima occasione sia Levin che Genzo sono stati invitati a una puntata della più seguita trasmissione sportiva della domenica sera.

E così eccoli qui, questi due splendidi esempi di laconicità, lo svedese e il nipponico, seduti uno accanto all’altro, una festa di contrasti: Levin esile, biondo, delicato, Genzo massiccio, altissimo, nero di occhi e di capelli; tutti e due, però, con l’espressione autorevole e seria degli introversi, e tutti e due leggermente nervosi.

“Quanto si capisce che la televisione non fa per loro” sogghigna Karl puntando il dito contro lo schermo.

Lei increspa le labbra: “Senti chi parla, l’animale da palcoscenico!”

 

***

 

Che Wakabayashi-san abbia una spiccatissima propensione a lasciare i pali per provare il gol, è cosa nota :-)

Il Premio Ferenc Puskas esiste davvero: intitolato al grande calciatore ungherese degli anni '50 e '60, viene conferito, nella stessa cerimonia in cui vengono assegnati il Pallone d’oro e il premio per il miglior allenatore dell’anno, all’autore del gol più bello della stagione: http://m.fifa.com/ballondor/puskasaward/index.html

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Capitolo 26
*** Nonna e nipoti / Oma und Enkel ***


Nonna e nipoti / Oma und Enkel

 

“Ciao, mamma” sorride Julia a sua madre che le ha aperto la porta.

“Ciao” risponde l’anziana donna con una smorfia, la fronte aggrottata.

“Che hai?” le chiede la figlia, notando quell’espressione afflitta e arrabbiata nello stesso tempo.

“Chiedilo a tuo nipote!” sbotta Frau Gutenbrunner, girando sui tacchi e rientrando in casa, mentre Julia chiude la porta dietro di sé senza fare rumore.

“A mio nipote?”

“Anziché fare i compiti si è preso Robby e si sono messi a giocare alla playstation o comu si chiama! FIFA 2014! Bayern Monaco contro Borussia Dortmund! E ha fatto anche piangere il piccolino perché tutti e due volevano il Bayern, ho dovuto sgridarlo per fargli prendere il Borussia!”

Julia cerca di soffocare il sorrisetto divertito che sboccia prepotentemente sulla sua bocca, ma non lo reprime abbastanza perché sua madre non lo noti.

“Che ti ridi?” sbuffa Frau Gutenbrunner irritata. “C’è poco da ridere! Se non studia, lo bocciano! E lui niente, non se ne dà per inteso” prosegue la donna, come tra sé e sé “sempri cu sta camurria du palluni! U Bayern! A playstation! U skateboard! E nun teni vrigogna, faricci chianciri nu picciriddu!”

Dal corridoio arrivano le voci di Michael e Robby:

“Nooo! Accidenti!” strilla Michael.

“Ah ah” sghignazza Robby “palo!”

“MICHAEL! ROBERT!” chiama Julia, impostando la voce sulla modalità “autoritario-spazientito”.

Un minuto dopo, sono tutti e due davanti a lei. Robby con un sorriso da seduttore che gli va da un orecchio all’altro, Michael con gli occhi bassi.

“Ciao, mammina” Robby apre le braccia per farsi coccolare.

“Sei piccolo ma stronzo” pensa Julia. “Beh” riprende, con aria severa “che cos’è questa storia, che vi siete messi a giocare alla playstation trascurando le altre cose? Tipo i tuoi compiti, Michael?”

“Ma io non – ” comincia Michael.

“Tu non? Tua mamma si è procurata la lista di tutti i compiti che hai per questa settimana e per quella a venire! Ti devi preparare per la Klausur di letteratura tedesca e in più devi studiare tre capitoli di storia perché domani il professore interroga e tu, attualmente, hai cinque in storia! Quindi noi due ora ci mettiamo al lavoro: vai a spegnere la playstation, marsch!”

“E io?” domanda Robby facendo il broncio.

“Tu fai merenda e poi nonna Utzi ti legge qualcosa di bello”. Julia guarda di sotto in su suo nipote, che non si decide a muoversi. “Che fai lì impalato? Vai a spegnere la playstation e torna qui con i libri!”

Michael non può neanche protestare perché sa che la zia ha ricevuto l’investitura a commettere questo sopruso dalle autorità di ultima istanza: sua madre e suo padre! Quindi, senza parlare, fa dietro-front, e si dirige verso la sua stanza a passi lenti e strascicati, per allontanare il più possibile da sé l’inizio della tortura.

“Michael, cammina bene!” gli ingiunge la nonna.

“Uuuuffff!...”

 

***

 

Note al testo. 1) La mamma di Julia è siciliana e si chiama Salvatrice = Salvuzza, da cui il diminutivo Utzi. 2) Come è noto, il sistema tedesco dei voti funziona all'inverso di quello italiano: per loro, uno corrisponde al nostro dieci, e dieci corrisponde al nostro uno! L'unico voto coincidente tra i due sistemi è quello a metà della scala: Michael, che ha cinque in storia, è a rischio esattamente come ogni studente italiano che abbia un cinque sul groppone...

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Capitolo 27
*** Zia e nipote / Tante und Neffe ***


Zia e nipote / Tante und Neffe

 

Seguito di Nonna e nipoti / Oma und Enkel!

 

***

 

“Odio la storia” mugugna Michael aprendo il libro con gesti lenti e svogliati.

“Uuh, odia la storia, lui! Sai che sei proprio presuntuoso?” sua zia lo guarda con cipiglio severo.

“Non guardarmi così. Sembri un professore” sbuffa Michael.

“Si dà il caso che io lo sia, nipotino”.

“Hmpf” è la risposta di Michael.

“Hmpf” gli fa eco Julia.

“È che non capisco il senso di tutti quei fatti e tutte quelle date da imparare a memoria, che non servono a niente, e...”

“Imparare le date a memoria non servirà a niente. Imparare il concetto sì, però”.

“Sììì... ma è tutta roba lontana, di tremila anni fa, che non ha niente da fare con noi...”

“E lo dicevo che sei presuntuoso!” sospira Julia.

“Perchééé??? Smettila di dire che sono presuntuoso...”

“La storia si studia proprio perché è in relazione con noi, anche con te e con me come Mick e Julia, presuntuosone della zia! Sentiamo un po’, che ne sai dell’accordo bilaterale firmato a Roma il 20 dicembre 1955 tra il governo italiano e quello della Repubblica Federale?”

“Hmpf! Niente! Non lo so e non mi interessa!”

“E dovrebbe interessarti invece, perché senza quell’accordo tu neanche esisteresti”.

“Zia...”

“Eh?”

“Io e i miei amici vorremmo andare a vedere uno degli allenamenti pubblici del Bayern, posso portare anche Robby?”

Un brivido ghiacciato passa lungo la spina dorsale di Julia. Michael e i suoi amici? Tra cui Ole Schattenberg, sospettato di uso regolare di cannabis?

“NO”.

“Perché no?”

“Perché non affido Robby a te e a quegli sciagurati dei tuoi amici. Semmai andiamo io, tu e Robby”.

“Ci pooorti tu?”

Julia guarda il viso sogghignante di soddisfazione del nipote e vorrebbe rimangiarsi quello che ha detto: Mick l’ha appena messa in trappola.

“Hmmm... l’avete architettata bene, tu e quella canaglietta di mio figlio...” commenta.

Michael sorride a trentadue denti:

“Noi? No, zia, che dici?”

“Va bene” riprende Julia “allora noi due si fa un patto: tu prendi almeno uno all’interrogazione e io vi porto a vedere il Bayern”.

 

***

 

L’accordo bilaterale tra il governo italiano e quello della BRD, firmato il 20 dicembre 1955, prevedeva l’invio di un contingente calcolato di lavoratori italiani nella Repubblica Federale (in seguito conosciuti come Gastarbeiter o “lavoratori ospiti”) e diede l’avvio al fenomeno dell’emigrazione italiana in Germania.

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Capitolo 28
*** Öffentliches Training / Allenamento pubblico (prima parte) ***


Öffentliches Training / Allenamento pubblico (prima parte)

 

POV Michael

 

Ieri sera, al telefono, zia Julia mi ha tenuto una lunga predica.

“Allora, Mick, per domani pomeriggio queste sono le regole. Primo: tu stai vicino a me e Robby e non scappi da nessuna parte, chiaro? Sei minorenne e io sono responsabile per te. Secondo: niente strilli, smanie e colpi di testa vari per attirare l’attenzione. Noi siamo tifosi come gli altri, capito?”

Porca paletta, ho pensato, se questo è il vantaggio di andare all’allenamento del Bayern con zia Julia, tanto valeva andare con i miei amici. Ma avrei dovuto immaginarlo, lei è fatta così, non si approfitta mai della sua posizione, anzi si incazza se qualcuno le fa notare che forse non è sbagliato farlo.

E così eccoci qua, siamo arrivati presto per trovare dei buoni posti, la zia mi ha affidato la borsa con l’acqua (“Se avrete sete, l’allenamento è lungo!”). Siamo seduti l’uno di fianco all’altra e Robby sta in mezzo. Robby non si può tenere, si siede, si alza, si risiede, si rotola su sé stesso, fa domande su domande, ride, tira la manica del maglione di sua mamma, tira anche me per il gomito del giubbotto, è tutto smanioso di vedere il suo amico Stefan.

“Vuoi stare calmo?” gli dice la zia. “Tra poco arrivano” e intanto abbassa lo sguardo, imbarazzata, ma le persone intorno ci regalano solo sorrisi di simpatia, è bello vedere un bambino così piccolo e così appassionato.

Io so perché zia Julia è così sulle spine. Ha paura che io e Robby facciamo qualcosa per farci riconoscere, e lei non vuole, teme che mettiamo in imbarazzo Levin o Karl. Io vorrei dirle che forse è lei che si fa questi film nella testa, magari quei due sono più che felici se ci vedono.

Alle tre e mezza precise i ragazzi incominciano a uscire, vedo Siken che entra sul terreno di gioco sgambettando e la coda ballerina di Sho. Tiro fuori l’iPhone per scattare qualche foto, e mentre sono impegnato a selezionare la funzione della fotocamera, Robby fa un balzo e corre verso la rete che delimita il campo, senza che sua madre faccia in tempo ad afferrarlo e tirarlo indietro:

“Eccolo, eccolo! Ehiiii! Steeefaaan!!!”

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Capitolo 29
*** Öffentliches Training / Allenamento pubblico (seconda parte) ***


Öffentliches Training / Allenamento pubblico (seconda parte)

 

POV Julia

 

A: Piccolo, Lennart “Ti dispiace se domani pomeriggio porto mio nipote Michael e Robby al vostro allenamento?”

Da: Lennart “Ma anzi! Ne sarò felice!”

Da: Piccolo “È un allenamento pubblico, Bücherwurm :-) forse sarà un po’ affollato, credi di riuscire a sopportarlo?”

 

Sì, è affollato. E per fortuna siamo arrivati presto, così abbiamo potuto sceglierci dei buoni posti, vicini al terreno di gioco. Robby sembra un tarantolato, ride, strilla, gira su sé stesso, si siede, si alza, mi tira per la manica, infastidisce continuamente Michael – non ha mai visto un vero campo da calcio e così vuole sapere cosa sono quelle strisce bianche sull’erba, e quelle bandierine ai quattro angoli. E chi sono quei signori che portano sul campo tutte quelle reti piene di palloni? Michael risponde paziente a ogni domanda.

“E quando arriva Stefan?”

“Vuoi stare calmo?” gli dico. “Tra poco arriva”.

“Mick, Mick, quando arrivano fai le foto, sì? Fai le foto?”

“Robert!” brontolo.

Robby si gira verso di me con un sorriso luminoso di consapevolezza, un sorriso estraneo ai bimbi della sua età.

“Sì, mamma, scusa!...”

“Arrivano” esclama qualcuno dietro di me, incomincio a sentire clic! clic! clic! a ripetizione. I primi giocatori stanno uscendo, vedo due o tre macchie rosse che avanzano dal lato opposto del campo.

Michael è tutto concentrato sul suo cellulare e Robby tende il collo per vedere meglio.

“Ehi!” un ragazzo dietro di me si sbraccia verso il campo. “Ehi, Siken! Sho! Minba! Guardate da questa parte!”

Robby balza in avanti:

“Eccolo, eccolo! Ehiii! Steeefaaan!”

D’istinto balzo anch’io in avanti per trattenerlo, ma non riesco ad afferrarlo, così devo alzarmi e arrivare fino alla rete, a cui Robby s’è aggrappato con tutte le sue forze gridando e facendo cenni.

Stefan sta entrando sul terreno di gioco, col suo passo atletico ed elegante. A un tratto si ferma, le mani sui fianchi, e percorre con gli occhi, ripetutamente, il muro di persone che ha davanti.

Senza far rumore, metto una mano sulla spalla di Robby:

“Su, torniamo a sederci... Stefan ha da fare ora, non può darti retta”.

“Ciao! Ciao!” continua Robby.

“Su...”

Stefan continua a far vagare lo sguardo avanti e indietro, finché non individua il bambino con le guancette rosse dall’agitazione che gli fa cenno da dietro la rete. Un sorriso quasi impercettibile gli stira le labbra, solleva il braccio destro in segno di saluto.

“Ciao!” esulta Robby.

Anche io sorrido e sollevo una mano, sperando di passare inosservata a tutti fuorché a lui. Poi afferro decisa la mano di Robby e torniamo indietro.

“Ehi, ehi!” un signore strizza l’occhio a mio figlio “ti piace proprio Levin, piccolo!”

“Certo” replica Robby “Stefan è mio amico!”

Io guardo il nostro interlocutore nella speranza che non prenda sul serio le parole di Robby, e per fortuna lassù qualcuno mi ama perché il signore viene distratto da qualcos’altro.

“Sta arrivando Schneider!...”

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Capitolo 30
*** Öffentliches Training / Allenamento pubblico (terza parte) ***


Öffentliches Training / Allenamento pubblico (terza parte)

 

POV Karl-Heinz

 

Levin è fermo al centro del campo, con una mano sul fianco e una sollevata, come se stesse salutando. Sa anche lui che loro dovevano venire oggi, suppongo, e li ha visti in mezzo alla folla?

Mi avvicino con fare noncurante ed effettivamente lì davanti c’è il piccolo Robert che saltella e si sbraccia, e Julia gli è accanto e guarda verso di noi con un'aria terrorizzata.

“Stefan” mormoro, non sapevo che la mia voce potesse raggiungere toni così bassi.

Lui mi rivolge un’occhiata in tralice.

“Falle un cenno almeno, accidenti” sibila.

“Così la metto in imbarazzo più di quanto non sia già” rispondo, passando avanti. Dopo poco lui mi segue.

Quanto parla facile Levin, certe volte! Eppure è un ragazzo intelligente!

Per tutta la durata dell’allenamento non fa che guardarmi storto, con aria di rimprovero, ma non mi dice neanche una parola.

“Che gli prende allo svedese? Ha una faccia acida!...” esplode a un certo punto Sho.

“Ti fai gli affari tuoi?” lo rimbecca il diretto interessato.

Cerco di concentrarmi. Stretching, corsa, scatti, passaggi e tiri in porta. Due ore sotto gli occhi di Julia. Mi sembra di essere un adolescente durante un esame. Mi è bastato vederla al di là di quella rete, con una mano sulla spalla di Robby e quegli occhi spaventati, così piccola e così a disagio, per sentirmi in colpa.

E Levin fa pure l’offeso.

Vuoi capire o no, benedetto uomo, che è lei che desidera passare inosservata? Lei, non io.

Eppure, vederla così, in mezzo alla piccola folla di tifosi, con quel bambino per mano e quel ragazzino a lato, è stato come prendere uno schiaffo all’improvviso. Da lontano poteva sembrare una semplice donna giovane ma non più tanto, invece era un oracolo che stava pronunciando il suo giudizio definitivo sull’umanità.

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Capitolo 31
*** Öffentliches Training / Allenamento pubblico (quarta parte) ***


Öffentliches Training / Allenamento pubblico (quarta parte)

 

POV Julia

 

Dovevo aspettarmelo, Robby vuole rimanere per salutare Stefan. Non me la sento di dirgli di no, ma mentre aspettiamo che i ragazzi escano, mi sento in dovere di preavvisarlo:

“Robby, guarda che un sacco di persone sono qui per Stefan, forse non avrà tempo per te...”

Robby mi guarda ferito.

“Non avrà nemmeno il tempo di salutarci?...” chiede.

Io trattengo il respiro. Maledizione! È proprio così. Forse non avrà nemmeno il tempo di salutarci, forse non avrà nemmeno il tempo di guardarci in faccia. Accidenti!

“Forse no” rispondo, cercando di essere baldanzosa, ma mi sento più afflitta di Robby.

“Sei proprio una stronza, eh” mi fa Michael. “Non dare retta alla mamma, Rob, Stefan avrà sicuramente tempo per te! Appena esce andiamo a salutarlo, ti porto io”.

“Non usare queste parole davanti a Robby, Mick”.

“Te lo meriti! Lo hai fatto rimanere male!”

“Come se mi facesse piacere” sibilo fra i denti.

“Robby ha cinque anni, zia!” mi rimprovera Michael.

“Sst...” sussurro, afferrandogli un avambraccio. “Non litighiamo davanti a lui!”

Tacciamo, e rivolgiamo contemporaneamente un’occhiata a Robby. La sua attenzione è tutta rivolta all’uscita, dove si è formata una calca di tifosi, e non ha seguito minimamente il nostro dialogo, per fortuna.

“Allora tu non vieni?” Michael mi guarda torvo.

“No, io aspetto qui”.

“Codarda” replica Michael con disprezzo, e senza aggiungere altro raggiunge Robby, lo prende per mano e lo porta verso la piccola folla.

Io aspetto qui. Aspetto per quella che sembra un’eternità, a braccia incrociate, gli occhi a terra. Sento gli schiamazzi dei tifosi che chiamano i loro idoli per nome, che porgono maglie, cappelli, sciarpe, che vogliono fare foto, le ragazze che chiedono un bacio. Osservo la pazienza e la responsabilità con cui i ragazzi si sottopongono a questo rituale, per tutti hanno un sorriso, un abbraccio, una parola gentile. All’improvviso ho voglia solo di mettermi a piangere.

“Ehi, tu, hai perso questo” qualcuno agita un bloc notes davanti ai miei occhi.

“Eh?” mi riscuoto di scatto. “No, io non ho per –”

“Invece sì” insiste il mio interlocutore. “Se non lo guardi neanche!...”

Alzo la testa e Karl è davanti a me, i capelli umidi, il suo buon profumo.

“Questo è tuo” ripete, serio da morire.

“No, non è mio”.

“Davvero?”

“Ci guardano...”

“Ah, sì?” detto sempre con quella serietà spaventosa.

“Aspetta” apro una tasca della mia borsa e tiro fuori una penna. Tolgo il cappuccio e gliela porgo: “Tieni. Fammi un autografo”.

Karl prende la penna senza una parola e abbassa la testa, scrive qualcosa, poi mi restituisce la penna, strappa il foglio dal blocco e me lo mette in mano.

“Ora devi andare” gli dico.

“Okay” un cenno di assenso.

“Ciao, Karl-Heinz”.

“A più tardi, piccola”.

Piccolo sarai tu, Karl-Heinz”.

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Capitolo 32
*** Öffentliches Training / Allenamento pubblico (quinta parte) ***


Öffentliches Training / Allenamento pubblico (quinta parte)

 

POV Levin

 

Un ragazzo della mia età mi porge una maglia da firmare. Un signore anziano vuole stringermi la mano perché, dice, “ho molta ammirazione per lei, signor Levin!”

“Per favore, io mi chiamo Stefan...”

Con le due ragazzine che arrivano dopo non corro il rischio di essere chiamato “signore”: una delle due mi si butta quasi addosso, al grido di “Levin, sei bono!”

“Calma, calma” rido, strizzando loro l’occhio. “Che posso fare per voi, belle fanciulle?”

“Una foto! Ciao, io sono Lena” dice la prima, una brunetta con una frangia che le copre tutta la fronte e abiti decisamente goth. “Selina, ci pensi tu?”

La sua compagna, più alta ed esile e meno appariscente, accenna di sì con la testa e manovra con il cellulare.

“Su, Lena, mettiamoci in posa” metto un braccio attorno alle spalle della brunetta. Lei si attacca al mio fianco e mi passa a sua volta un braccio attorno alla vita. Selina scatta due, tre, quattro volte. La brunetta si stacca e va a controllare se le inquadrature sono venute bene:

“Okay! Ora a te, Seli!”

L’altra si avvicina, timida.

“Vieni qui” le sorrido, e lei arrossisce violentemente, ma lascia che le circondi le spalle col braccio e le attiri la testa contro la mia spalla, mentre la sua amica scatta facendo smorfie che tradiscono tutto il suo divertimento.

Il prossimo è un ragazzino biondo che avrà quindici o sedici anni. Si avvicina con aria decisa, e solo quando è davanti a me mi accorgo che tiene per mano un bambino molto piccolo.

“Ciao, Stefan”.

Guardo in giù e i miei occhi si incrociano con quelli, raggianti, di Robby.

“Ehi” metto un ginocchio a terra e con una mano arruffo i capelli del mio grande amico. “Ciao. Allora, ti è piaciuto il nostro allenamento?”

Robby fa ripetutamente cenno di sì con la testa. “Lui è Mick, il mio cuginone” dice, indicando il biondino che lo tiene per mano.

“Piacere, Mick” sempre inginocchiato, tendo la mia mano all’insù per stringere quella del ragazzo.

“E la mamma dov’è?” chiedo a Robby.

“Ci aspetta all’uscita, dice che non vuole disturbare” spiega Mick, calcando le ultime tre parole.

“Julia, Julia...” scuoto la testa. D’istinto, acchiappo Robert e me lo stringo al petto. Lui ride felice.

“Robby” gli dico mettendolo giù “Mick” guardo il suo accompagnatore “volete dire a Julia di aspettarmi? Quando ho finito possiamo andare a mangiare qualcosa insieme”.

“Sì” risponde subito Robby, e il biondino annuisce con un’espressione che mi sembra – non so, non capisco bene – di sollievo.

Mentre seguo con lo sguardo i due che trotterellano verso l’uscita, li vedo. Julia, a occhi bassi, e Schneider che le sta di fronte. A un certo punto lei fruga nella sua borsa e gli tende qualcosa, qualcosa per scrivere.

Non vuole disturbare. Julia non vuole disturbare, non vuol essere notata, non vuole che la sua presenza metta in imbarazzo nessuno.

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Capitolo 33
*** Madre e figlia / Mutter und Tochter ***


Madre e figlia / Mutter und Tochter
 
Per suo padre è sempre stata il suo adorato Bücherwürmchen da coccolare e proteggere.
Per Uta, quand’erano bambine, era “una lagna”; da adolescenti, “una secchiona”; oggi è la sua coraggiosa sorellina, quella che ha scelto la via più difficile, non esitando a lanciarsi a testa bassa contro avversari molto più grandi di lei. “Sai” le ha confidato recentemente “è difficile da spiegare, tu hai una vita molto più dura della mia, ma… quando ti guardo mi sento in colpa verso me stessa, mi rimprovero di essermi accontentata”. Lei ha risposto con un sorriso: “E chi ti dice che a me non sarebbe piaciuto accontentarmi? Magari non ho avuto scelta, che ne sai?”
Ma il più gran mistero, per Julia, è il rapporto con sua madre. Utzi è sempre stata dura con lei, no, forse non proprio dura, piuttosto severa, in certo modo, non è mai stata prodiga di attenzioni e complicità come Franz Gutenbrunner. Anzi, spesso Julia ha sorpreso gli occhi neri di sua madre squadrarla da capo a piedi, come a cercare di capacitarsi di qualcosa all’apparenza troppo assurdo per essere vero.
Una volta – avrà avuto sedici anni – ha ascoltato senza volere un brano di conversazione tra Utzi e la sua grande amica Peppa Tumino.
“Per fortuna Julia ha un suo mondo interiore pieno di cose belle e importanti” aveva detto sua madre in tono grave “pensa se avesse come riferimenti solo l'esterno, le altre persone. Lei che è così… così, capirebbe che fuori l’aspettano soprattutto delusioni e…”
“Questo è il guaio delle picciridde intelligenti” s’era subito infiammata Peppa. “Il mondo non è fatto a loro misura!”
 
***
 
Stasera mamma è passata come tutti i venerdì sera, col cartoccio di biscotti speciali per Robert. Sulla porta, prima di avviarsi per le scale, si è girata un attimo:
“Vai alla partita domani?”
“No mamma… domani giocano a Berlino”.
“Ah… beh… Quando lo senti, fai un in bocca al lupo a Karl-Heinz da parte mia”
 
***
 
E così rieccomi qua dopo diversi mesi, ma la realtà può anche richiedere la nostra presenza più delle fan fiction, tra lavoro e altri problemi… Grazie a tutti gli amici che continuano a seguirmi, specialmente ad Agatha e CapitanHyuga che molto carinamente hanno chiesto mie notizie vedendo che ero “sparita”!
Nel frattempo sono state pubblicate molte storie nuove e io ovviamente sono molto indietro sia come lettura che come recensioni…

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Capitolo 34
*** Dietro le quinte ***


Dietro le quinte
 
Da: Piccolo
02:15 a.m.
 
Abbiamo appena lasciato l’autostrada. Stanchi morti. Tra mezz’ora a casa. Sogni d’oro, KH
 
***
 
Nessuno immagina che metà della vostra vita è fatta di attese ai check-in, di file agli imbarchi degli aerei, di ore che scorrono come paesaggi dal finestrino di un bus. Nessuno immagina le alzatacce antelucane, il trolley che aspetta nell’ingresso, il freddo che colpisce non appena si mette il naso fuori dalla porta, i finestrini della macchina appannati dalla brina. Nessuno immaginerebbe i vostri rientri notturni, scivolando lungo autostrade deserte, la stanchezza della partita ancora così intensa che nessuno riesce a dormire e allora non resta che infilarsi le cuffie nelle orecchie e ascoltare qualche canzone o mettersi a contare le stazioni di servizio che incontrate sul percorso (Levin di solito tira fuori un libro, regola la luce  e sprofonda nella lettura, mentre voi vi chiedete come faccia ad avere ancora la forza per leggere). E gli arrivi all’aeroporto alle tre, alle quattro del mattino, o quando il bus ferma in Säbener Straβe, e nel silenzio fioriscono il rumore delle ruote dei trolley, di portiere e portabagagli aperti e richiusi con forza, di motori avviati, finché il silenzio non ritorna perfetto – per un paio d'ore ancora. L’auto che attraversa strade familiari, un lampione acceso dopo l’altro, un semaforo lampeggiante dopo l’altro. A volte l’alba vi viene incontro così, di sorpresa, inondando il parabrezza mentre siete sulla via di casa.
Buona notte, Karl-Heinz.
 
***
 
N.B.: Avete mai pensato a quanto è faticosa la vita di un calciatore professionista ad altissimi livelli?

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Capitolo 35
*** Maestro e allieva ***


Maestro e allieva
 
Il professor Bernhard sfoglia lo smilzo fascicolo, tra distratto e pensieroso. Poi alza gli occhi e incrocia quelli della giovane seduta di fronte a lui:
“… è un buon lavoro, senza dubbio”.
“Lo so” risponde Julia “ci sono dei difetti, ma nell’insieme è proprio buono”.
Lui, l’accademico sessantenne dai capelli ancora biondi e gli occhiali dalle lenti sottili e la montatura dorata che svettano sul naso, non risponde subito. Sembra perdere qualche secondo dietro al filo di un remoto pensiero, poi chiede:
“Ricordi quando venisti a chiedermi se ero disponibile a seguirti per la tesi di dottorato?”
Julia annuisce.
“Ricordi quel che ti dissi?” insiste Bernhard.
“Certo”.
“Fui molto duro” ammette il professore.
“Già” conferma Julia.
“Volevo farti piangere, volevo demoralizzarti. Però tu non hai battuto ciglio”.
“Già”.
 
La ragazzina dai capelli corti corti e gli occhiali che le scivolano sul naso sembra rimpicciolirsi ancora di più di fronte al serio e corrucciato Erwin Bernhard.
“Quella che lei vuole intraprendere è una strada durissima” le sta dicendo il professore, che lascia cadere le sillabe come se fossero pietre “la devo avvisare, lei mi sembra una ragazzina ingenua e idealista, sappia questo o non durerà un minuto qui dentro: l’accademia è un mondo di squali. E tanto più se si trovano davanti qualcuno che è più competente di loro, che non ha bisogno di vendersi l’anima, cercano di farlo a pezzi, per paura, per invidia. Potrebbero farle ostruzionismo, diffamarla, attaccarla con una furia che lei nemmeno immagina; potrebbe lottare allo sfinimento per anni, per decenni, e alla fine ritrovarsi con niente tra le mani…”
Julia Gutenbrunner ascolta la filippica in silenzio. Quando il professor Bernhard tace, lascia trascorrere qualche secondo, poi risponde:
“Non credo di avere scelta…”
Lui sgrana gli occhi dallo stupore. Non è la prima volta che fa un discorso del genere, ma è la prima volta che qualcuno gli risponde così.
 
“Ha fatto bene a parlarmi in quel modo” gli sorride ora Julia. “Sa quanti ne conosco a cui erano stati predetti destini gloriosi e alla prima difficoltà hanno gettato la spugna”.
La giovane donna si alza, tende la mano al suo antico tutor. Sono dieci anni che si salutano sempre così, sia quando s’incontrano sia quando si congedano: con una forte e cordiale stretta di mano.
“Ci risentiamo per le bozze”
“Stia bene” risponde Julia, ed esce silenziosamente dalla stanza.
Erwin Bernhard rimane a guardare la porta. Due cose vorrebbe dire a Julia, una avrebbe voluto dirgliela tante volte nel corso di questi dieci anni, ma si è sempre frenato, per paura di perdere la faccia. Dunque, tante volte avrebbe voluto dirle che è un onore conoscerla e lavorare con lei, perché lei è una di quelle persone che rende migliori quelli che incontra. La seconda cosa… la seconda cosa gli esce dalla bocca come un sussurro:
“Schneider non sa quanto è fortunato”

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Capitolo 36
*** Da grande ***


Da grande
 
Nota bene: per capire questo capitoletto, è consigliabile ridare un’occhiata al capitolo quattro di “Quello che accadde durante le vacanze”, “Febbre (I am mine)”.
 
***
 
“Cosa avresti fatto se non fossi diventato uno sportivo professionista?”
“È come chiedere a un pesce: cosa saresti se non fossi un pesce?” è scoppiato a ridere Karl-Heinz. “Sono nato in una famiglia di calciatori, cos’altro avrei potuto fare?”
E quando ha riproposto la domanda a Levin:
“Non ci ho mai riflettuto, da che mi ricordo ho sempre avuto un pallone attaccato ai piedi” le ha risposto lui, col suo bel sorriso assorto da ragazzo introverso. “E tu? Hai mai pensato che avresti potuto fare qualcos’altro?...”
“Uhmmm. Domanda complicata”.
“Perché complicata?”
“Devi sapere che mia sorella, a differenza di me, ha fatto tutto molto velocemente: ha trovato lavoro come impiegata a ventun anni, a ventitré si è sposata col suo fidanzato dei tempi del liceo, a venticinque ha avuto Michael. Dunque, nei mesi precedenti al matrimonio di Uta m’è capitato di pensare: finisco la scuola, prendo anche la qualifica come fornaio e pasticciere e me ne vado a lavorare con papà. Poi, forse, troverò un ragazzo che mi ami, come Uta, e mi sposerò, come Uta…”
“E poi?” ha chiesto Stefan, curioso.
“Poi suppongo che i libri siano stati per me quello che per te è stato il pallone”.
Torniamo a quel freddissimo mese di febbraio di diciotto anni fa, rimugina ora Julia tra sé e sé. Dopo essersi ripresa da quella tremenda febbre virale che aveva fatto piangere disperatamente Utzi al suo capezzale, aveva sentito il bisogno di confidarsi con qualcuno più esperto di lei in materia di rapporti umani: e un bel giorno s’era rivolta a Uta.
“Titti” le aveva detto “Markus ha cambiato banco perché i suoi amici lo prendono in giro, dicono che gli piacciono le ragazze strane. Non vuole che pensino che gli piacciono le ragazze strane, perciò ha deciso che per lui è meglio sedersi altrove”.
“Markus è un idiota” aveva replicato Uta.
Lei era rimasta un attimo zitta; poi aveva preso coraggio e aveva chiesto alla sorella:
“Uta” con tono serio, drammatico “ma sarà sempre così? Mi allontaneranno sempre perché sono… strana?”
Uta l’aveva fissata a lungo negli occhi senza rispondere.

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Capitolo 37
*** Ma perché?!? ***


​Ha passato l’intera sua vita a credere di essere sbagliata, fatta male. Perché? Non lo sa. Quand’era piccola spesso capitava che di punto in bianco, senza preavviso e gratuitamente, adulti e anche bambini le dicessero cose offensive, come stupida, brutta, come puzzi, e altro. Ha passato la vita a tenersi lontano dalla gente per paura di puzzare. Ha passato la vita a pagare per ogni piccola cosa un prezzo spropositato, in termini di spreco di energia rispetto ai risultati ottenuti. Tutto era un no, un no, no, no, no, no. Non dovrebbe essere così, ma perché è così? Forse ha fatto qualcosa di male, è qualcosa di male, e non se ne è mai accorta? Non gliel’ha mai spiegato nessuno, hanno sempre ripetuto che era brutta e che puzzava. Il racconto che piace tanto a Levin non se l’è inventato. Non si è inventata l’abbraccio di Karl-Heinz. Non si è sognata quel bacio, ma a ripensarci prova rabbia, come la vittima di uno scherzo di cattivo gusto. Avrebbe voglia di menare mazzate a tutto il mondo. Perché una vita intera di dubbi e umiliazioni e poi Karl-Heinz?

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Capitolo 38
*** Un ramo che si spezza o ghiaccio che si crepa ***


Un ramo che si spezza o ghiaccio che si crepa
 

Quando ha visto la “piccola” Marie venirgli incontro, biondina ed esile e con quel sorriso troppo simpatico, ha sentito dentro di lui un rumore simile a quello di un ramo che si spezza, del ghiaccio che si crepa. Lo ha sentito distintamente: CRACK. Dentro di lui. Istintivamente ha mosso braccia e gambe per appurare che non ci fosse una frattura - abitudini da campo di calcio. 

“Che succede?” ha domandato Marie, confusa. 

“Niente, un po’ di muscoli addormentati” ha risposto lui con disinvoltura. 

E lo ha sentito di nuovo: CRACK.


 

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Capitolo 39
*** Anche così ***


41. Anche così

 

L’idea è stata di Marie. “Non comprare i libri per il corso di scienze della comunicazione, sono gli stessi dell’anno scorso, ti presto i miei! Ci trovi già anche i riassunti dei capitoli”. 

Così Levin ora studia sui libri di Marie e si diverte a scrivere commenti sotto gli appunti di lei. A volte il confronto fra le loro grafie lo fa sorridere, le lettere di Marie sono larghe e tondeggianti, le sue strette e spezzate. 

“Anche così ci si può innamorare di qualcuno” si trova a pensare, mentre scrive “Hai ragione, io pure la vedo in questo modo” sotto la chiosa di Marie alla definizione di comunicazione data da un sociologo dei media. E per tutta la giornata quel pensiero gli ronza nella testa; il suo corpo è preso da una strana effervescenza. 

Al momento di andare a dormire, mentre posa la testa sul cuscino, mormora tra sé: “Domani la chiamo e le chiedo di uscire”.

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Capitolo 40
*** Alcune cose che so di Karl (fino ad ora) ***


42. Alcune cose che so di Karl (fino ad ora)

 

1) È simpatico ed estroverso.  (Spesso sembra fin troppo serio e distaccato solo perché molto concentrato sui suoi obiettivi.) 

 

2) È fedelissimo agli amici. 

 

3) È molto geloso delle persone a cui vuol bene. 

 

4) È molto geloso anche dei suoi mezzi di locomozione, bicicletta e monopattino compresi. 

 

5) Ama i dolci, soprattutto i krapfen con la marmellata e il Bienenstich. E gli piace il gelato al cioccolato con una montagna di panna sopra. 

 

6) Ama l’acqua: mare, fiumi, laghi, ruscelli e torrenti montani. 

 

7) Il suo profumo è Cool Water Classic.  

 

8) Non ama parlare in pubblico. Interviste e conferenze stampa gli fanno venire la febbre.  

 

9) Ama più i cani che i gatti. 

 

10) È un appassionato lettore di J.R.R. Tolkien. Il suo personaggio preferito è ……. [quale sarà il suo personaggio tolkieniano preferito? Si accettano scommesse!]

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Capitolo 41
*** Due tipi strani ***


43. Due tipi strani

 

La mattina di venerdì quindici dicembre, quindicesima giornata di campionato che vedeva scontrarsi HSV e Bayern all’Allianz Arena, due strani tipi vennero avvistati lungo i corridoi dell’Institut für Deutsche Philologie dell’università di Monaco. Il duo, che si muoveva in maniera alquanto circospetta, era costituito da un giovane alto e forte dai corti capelli neri e i lineamenti orientali e da un altro ragazzo più piccolo e robusto dalla faccia prognata ma alquanto simpatica. Dalla testimonianze raccolte risultò che avevano chiesto indicazioni per l’aula 016, dove teneva lezione la professoressa Gutenbrunner. I responsabili d’aula si erano guardati in faccia: avrebbero dovuto avvisare la professoressa Gutenbrunner che due tipi sospetti la stavano cercando? Quando si decisero a farlo, la lezione era già incominciata, e allora preferirono non entrare. Ma quando, dopo due ore, videro la donna che si avviava verso l’uscita, si informarono se per caso aveva incontrato due tipi così e così. 

“Ah, sì. Erano venuti ad assistere ma li ho mandati fuori perché distraevano gli altri”.  

 

***

 

Quella sera, dopo la partita terminata con un pareggio a reti inviolate, Karl-Heinz invitò a cena Genzo e Hermann per far conoscere loro la sua ragazza “improbabile”, come si era espresso più volte Kaltz, senza sapere che si erano già conosciuti la mattina. 

“Ecco i due disturbatori” li salutò Julia vedendoli, a mo’ di presentazione.

"Disturbatori?” chiese Karl.

“Sì, sono venuti a conoscermi stamattina a lezione, ma la loro presenza distraeva gli altri…”

“… così ci ha cacciati fuori” completò Kaltz sghignazzando. 

“Non era nostra intenzione disturbare, Gutenbrunner-san” disse invece serissimamente il portiere giapponese. 

Karl-Heinz spostava lo sguardo dall’una agli altri, incerto sul da farsi. 

“Già girano voci sulla strana coppia che girava per l’università questa mattina” aggiunse Julia.

“Noi non confermeremo nulla e nascerà una leggenda metropolitana” raddoppiò Kaltz. 

“Tu che entri in un’università… mi pare proprio una realtà parallela” commentò Karl.

"C’era anche Gen!” protestò subito Kaltz.

“Infatti, mi chiedo come mai non ti abbia dissuaso…” 

“Volevamo vedere Gutenbrunner-san nel suo elemento” ammise Genzo.

“Come se fossi un animale raro?” 

“Be’, per i tipi come noi tu non sei un animale raro: di più” sbottò Hermann. 

“Ma ti senti?” 

“Lo scusi, Gutenbrunner-san, lui è così, dice tutto quello che gli passa per la testa, ma proprio tutto…”

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Capitolo 42
*** Pugni ***


Pugni 
 
È più piccolo e pesa dieci chili di meno di quel burlone del suo collega cinese, ma quando Xiao lo ha apostrofato scherzando dandogli dell’ “imperial cognato”, Levin lo ha steso con un uppercut fulmineo. Poi si è girato e si è allontanato senza dire nulla. 
“Hai capito lo svedese!” ha commentato Junguang ancora per terra, tenendosi il mento con una mano. Karl, che aveva assistito alla scena a braccia conserte, ha commentato: “Se non te lo dava lui, te lo davo io!"

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