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Eh sì, è già qui, la mia nuova ficcy
che Minako aspettava con tanta ansia... Allora, prima di iniziare credo sia
necessario dare un paio di avvisi. Questa non è una storia facile né
divertente come Hanno rapito i Jobros, anzi, sarà
molto drammatica, dato che la mia intenzione è trattare almeno tre temi
abbastanza scottanti. Non saranno, ovviamente, i soliti Jonas quelli di cui
leggerete qui: sono più grandi e il tempo e gli eventi li hanno cambiati non
poco. Visto che la decisione di far rompere il voto a Kevin in Gabrielle ha
suscitato tanto scalpore, ci tengo a dirvi che qui almeno uno dei protagonisti
del voto se ne sbatterà allegramente per una serie di motivi che si capiranno
lungo il racconto.
Basta, credo sia tutto qui... spero mi seguirete comunque!!!
Infine, viste le tematiche piuttosto forti, trovo
particolarmente importante specificare che i
Jonas Brothers non mi appartengono e non voglio in alcun modo rappresentare la
loro vita o il loro carattere. La storia, chiaramente, non è scritta a fini di
lucro.
Temperance
-Capitolo Uno-
Non
deve essere facile perdere un fratello.
Io
non lo so, non mi è mai successo.
A
loro invece sì, loro che sono laggiù, ormai da cinque anni senza di me.
Ma
voi non ci state capendo niente e forse è il caso di cominciare dall’inizio e
non dalla fine. È una storia lunga, ma io non ho fretta… l’eternità è un tempo…
beh, eterno, ed infinitamente monotono, quindi, se vi va di ascoltarmi, sarò
ben felice di parlare un po’ per voi.
Bene,
iniziamo… è passato quasi un anno, ormai da quel giorno, il giorno in cui la
nostra storia prende forma.
He
was my North, my South
My
East and West
My
working week and my Sunday rest
My
noon, my midnight
My
talk, my song
(H.Auden,
Funeral Blues)
Sedici
di settembre.
Il
cimitero era verde come da ormai più di sei mesi autunno e inverno non gli
permettevano. Verde e colorato dai petali di mille fiori che, avessero potuto
scegliere, probabilmente avrebbero preferito stare in qualsiasi altro posto.
Non
dev’essere bella la vita di un fiore al cimitero, ci avete mai pensato? I gambi
recisi stretti in quei tristi e verdognoli vasetti di rame a cono, fissati
giorno e notte da mille occhi di persone che non esistono più stampati su
mattonelle di ceramica, regali inutili che non fanno altro che rattristare noi
poveri morti.
Che
poi, se non fosse per le troppo frequenti e forzate visite ai cimiteri, essere
morti non sarebbe neanche male. Insomma, non è che cambi tanto dall’essere
vivi… cambia di più per quelli che sono lasciati indietro, per quelli che vivi,
in effetti, ci rimangono.
Come
loro, appunto.
La
ragazza dai lungi capelli rossi camminava piano sui corridoi di ghiaia bianca,
circondati dalle lapidi. Quegli stessi occhi che i fiori tanto odiavano la
seguivano, cercando di decifrare la strana bellezza del suo viso tondo, di
quello sguardo contrito.
In
mano, un mazzo di grosse margherite arancioni.
Eliza
mi porta sempre e solo margherite arancioni, anche se non sono proprio convinto
che lo faccia per me. La conosco da quando sono nato, non è mai stata ipocrita
al punto da portare un dono a chi non lo può ricevere.
Quei
fiori sono per mio fratello, per ricordargli che non è l’unico a soffrire.
Come
se non fosse sufficiente Kevin a mostrarglielo.
Kevin
che, in quel momento, stava in piedi all’imbocco del corridoio che porta alla
mia tomba, guardando fisso davanti a sé qualcosa che solo lui poteva vedere,
una sera di quattro anni prima.
“Fantastici! Non
potevamo fare un concerto più bello!”
Joe guardò il
fratello maggiore riflesso nello specchietto retrovisore, scuotendo la testa
alla linguaccia che Nick, seduto al suo fianco, gli rivolse.
“E quando mai
noi non siamo fantastici, Joy?”
“Ciao.”
Kevin
si voltò verso Eliza, quasi sorpreso che una semplice voce fosse riuscita a
strapparlo dai suoi ricordi.
“Ciao.”
La salutò con un sorriso triste, stringendosi di più nel lungo cappotto grigio
scuro.
Non
nero, nero mai.
“E
così è di nuovo quel giorno, eh?”
“Sì…
meno male che capita una sola volta all’anno, di più non lo sopporterei. E lui
men che meno.”
“Non
migliora?”
Kevin
si strinse nelle spalle.
“Dopo
quattro anni, Liz?”
“Può
darsi… il tempo cicatrizza le ferite.”
“Oppure
le infetta.”
“Sapete che
pensavo?”
“Perché, tu
pensi, pure?”
“Sempre
spiritoso, Kev, mi raccomando. Seriamente, io penso che dovremmo…”
“Joe…”
“Non ora, Nick,
sto creando.”
“JOE, FRENA!”
Joe
scosse la testa, riscuotendosi dalla trance che lo aveva colpito proprio lì,
inginocchiato davanti alla mia lapide di marmo grigio.
Grigio,
eccolo, il colore della morte.
Quell’urlo
non lo abbandonava, non ne voleva proprio sapere. La voce di Kevin,
terrorizzata, gli risuonava nella testa ogni giorno, quando meno se lo
aspettava, riportandolo a quel sedici di settembre ormai lontano nel tempo,
eppure ancora così vicino a lui.
L’urlo
di un fratello che poteva vedere ogni giorno e che non faceva altro che
ricordargli l’altro, quello che gli si mostrava soltanto in sogno e in
fotografia.
Che
non faceva altro che ricordargli me.
“Scusami.”
Mormorò, chinandosi a baciare la mia fotografia, per poi tornare alla posizione
iniziale.
Non
si sarebbe mosso di lì finché Kevin non lo avesse chiamato e, anche allora,
avrebbe fatto molta fatica a lasciarmi.
“Nome.”
“Kevin Jonas.
Dove sono i miei fratelli?”
“Età.”
“Ventuno. Mi
dice dove cazzo sono finiti i miei fratelli?”
“Non si agiti,
il suo braccio è fratturato.”
“Me ne fotto del
mio braccio! Voglio vedere i miei fratelli!”
“Potrà vederlo
quando arriveremo in ospedale.”
“Vederlo?”
“Forse
dovresti chiamarlo…”
“Forse
non tocca a me.”
“Kevin…”
“Liz,
sei la sua migliore amica, a te dà ascolto.”
“Kev,
io ho paura di lui. Sì, spesso mi ascolta, ma l’ultima volta che non lo ha
fatto mi ci sono voluti tre strati di fondotinta per risparmiargli la
denuncia.”
“Lo
so, lo so…”
“Mi sa dire come
si chiama?”
Bianco. Non
capiva.
Perché era tutto
bianco?
“Signor Jonas,
ricorda il suo nome?”
“Joseph.”
“Molto bene.
Segua la luce…”
“Sono in
ospedale?”
“Sì, Joseph.”
“Joe. Anche
Kevin e Nick sono qui?”
“Potrà vedere
suo fratello appena avrò finito i controlli. È stato fortunato, sa? Al volante
e solo tre costole spezzate.”
“Io ho due
fratelli…”
“Mi dispiace,
Joe… mi dispiace davvero tanto, ma non c’è stato nulla da fare.”
Una
mano si posò sulla sua spalla.
“Ancora
qualche minuto, Kev, ti prego.”
“Dobbiamo
andare a casa.”
Non
era mai stata fredda, prima, la voce del mio fratellone. Lui era quello sempre
pronto ad aiutare, lui quello che aveva una parola gentile anche nei momenti
più brutti, lui che ci sosteneva nei successi e nei disastri.
Ma
questo era prima, appunto.
La
verità era che Kevin Jonas non era in grado di sopportare il dolore e ogni
minuto passato in quel cimitero era per lui letale.
Joe,
invece, sembrava buttarsi contro la sofferenza a braccia aperte, stringendola
forte a sé, come se gli fosse servita a rimanere ancorato alla realtà.
Diversi,
semplicemente e completamente diversi.
“D’accordo.”
Lentamente,
Joe si alzò in piedi, lanciando un’ultima occhiata alla mia fotografia.
Un cielo sereno,
un prato verde, un gruppo di persone tra le lapidi grigie, la sicurezza a
tenere un’orda di ragazzine chiuse fuori dal cancello.
Joe era
esterrefatto... come era possibile che non capissero?
L’unica cosa che
i famosi Jonas Brothers volevano quel giorno era essere lasciati in pace, senza
fan, senza giornalisti. Che poi, c’era ormai ben poco per cui sgolarsi e
sorridere: senza Nick il gruppo era finito.
“Coraggio...”Sussurrò
Eliza, stringendosi al suo braccio.
Lui si scostò.
Non aveva
bisogno di lei.
“Ciao,
Joe.” Lo salutò Eliza, quando i due giovani uomini si trovarono nuovamente
accanto a lei.
“Ciao,
Liz.” Rispose lui, passando oltre, senza nemmeno guardarla.
Kevin
le accarezzò piano un braccio, fermandosi un istante ad analizzare quegli occhi
tristi come i suoi, ma per un motivo che certo non era la mia morte o, per lo
meno, non lo era più.
“Si
renderà conto di quanto sei importante per lui.”
“Ciò
che conta è che si renda conto che non è lui quello morto in quell’incidente.”
Kevin
annuì, chinandosi a posarle un bacio sulla guancia.
“Saluta
Nick per me... e digli che mi dispiace se io non riesco mai a farlo.”
“Non
ti preoccupare, Kev, ti conosce, sa che hai bisogno dei tuoi tempi.”
Con
un sorriso, la donna ricambiò il bacio, accompagnandolo con un debole
abbraccio, e lasciò che Kevin raggiungesse suo fratello con quattro rapidi
passi di corsa.
Kevin
e Joe Jonas... i suoi amici del cuore dai tempi dell’asilo ridotti a delle mere
immagini di ciò che erano stati.
Sospirando,
si avvicinò alla tomba e vi si inginocchiò davanti, prelevando dal suo
contenitore il piccolo vaso di vetro che lei stessa aveva portato in
sostituzione di quello di bronzo.
Eliza
è fatta così, ha sempre un pensiero in più degli altri e così la mia tomba è
l’unica del cimitero ad avere un vasetto di Murano al posto di quell’orrendo
conetto di metallo.
Con
gesti rapidi e nervosi rovesciò sul marmo della lastra gli scheletri delle
vecchie margherite, poi riempì di nuovo il contenitore d’acqua e vi sistemò i
fiori nuovi, identici a quelli vecchi.
“Non
dovresti lasciare che quei due si sentano così in colpa, sai?” Con un
po’dell’acqua rimasta inumidì un fazzoletto e prese a lucidare la mia
fotografia. Non le importava che mi madre già lo facesse una volta a settimana,
era un suo piccolo rituale al quale, presumibilmente, non avrebbe mai
rinunciato. “Dopotutto, non sono stati loro ad ucciderti... è stato il caso e
tu dovresti davverofare qualcosa per
farli sentire meglio. Non so se li guardi, da ovunque ti trovi, ma sono,
perdonami l’allusione, niente più che due cadaveri ambulanti. Tutti e due, Nick,
anche se, come sempre, è Joe quello che non sa nascondere i propri sentimenti, Kevin
è distrutto quanto lui, lo so. Io ci ho provato ad aiutarli, ma ci ho
guadagnato solo qualche livido qua e là... non so se riuscirò mai a rimanere di
nuovo da sola con lui... ma probabilmente sì, sai come sono fatta, lui per me è
tutto. Dagli qualcosa in cui credere di nuovo, fagli trovare un lavoro, una
donna, un cane, qualsiasi cosa possa farlo sentire meglio. Ti prego, Nick,
facci uscire da questo incubo.”
Sospirando,
Eliza si alzò in piedi e, a fatica, riportò sul suo viso ciò che poteva, almeno
da uno sconosciuto, essere scambiato per un sorriso.
“Anche
Frankie ti saluta, dice che verrà più tardi, perché ora è fuori con la sua
ragazza. La sua ragazza, Nick... È bella, sai, ti piacerebbe, credo, e lui sta
diventando un magnifico giovane adulto. Senza considerare che sembra l’unico in
grado di condurre ancora una vita normale. Lo invidio, sai? I suoi diciotto
anni li sta vivendo nel miglior modo possibile, mentre io ne ho ventisette e mi
sento come se fossero cinquanta...”
I
suoi occhi scuri si soffermarono ancora un istante sui bei fiori arancioni, per
poi spostarsi sulla foto e sull’epigrafe.
Nicholas Jerry
Jonas, amato figlio, fratello e amico.
Banale,
o almeno, questo è quello che io ho sempre pensato.
“Bene,
tra dieci minuti inizia il mio turno. Ciao, Nick, ci vediamo presto. Ti voglio
bene.”
Dopo
aver soffiato un bacio leggero come il vento in direzione della lapide, Eliza
si voltò, lasciando che i boccoli ramati si avvolgessero con delicatezza
intorno al suo collo latteo e si avviò verso l’uscita del cimitero.
E
io rimasi lì, ancora una volta solo in mezzo a centinaia di fantasmi che, come
me, avevano mille storie da raccontare e nessuno disposto ad ascoltarli.
Mi
facevano sempre sentire in colpa, le parole di Liz. In colpa per aver ridotto
così i miei fratelli, in colpa per non poter dare a Frankie consigli su questa
nuova e bellissima ragazza, in colpa per aver abbandonato la mia famiglia.
In
colpa, perché mi era impossibile realizzare anche uno solo dei desideri della
mia amica.
Perché
i morti sono morti, non divinità e non hanno nessun potere sul corso degli
eventi.
Anche
noi, come i vivi, dobbiamo adattarci ad un destino che non possiamo
controllare.
La
differenza?
Noi
siamo spettatori, possiamo solo guardare e sperare.
I
vivi no, loro sono gli attori e il copione lo possono cambiare.
Semplicemente,
rendersene conto per loro non è poi così facile.
Caspita
che accoglienza per questa nuova storia!!! Mi credete se dico che non me
l’aspettavo proprio, visti gli argomenti? Pensavo che ne rimaneste scoraggiate,
e invece... già 13 preferizzazioni!!!
Prima
di passare a ringraziare tutte una per una, vi avverto che questo capitolo è
molto statico, molto di analisi, spiega qualcosa di più della vita dei due
fratelli, l’azione inizierà nel prossimo, dove entrerà in scena qualcuno, né,
socia?
E ora
i ringraziamenti!!!
Socia:
Beh beh, si lo so che tu il capitolo lo avevi già
letto...e so anche che questo lo aspettavi da morire, quindi eccolo qui! Amo i
Kevin e Joe di questa storia, volevo crearli in un certo modo, ovviamente mi
sono sfuggiti di mano e fanno per conto loro, come fanno sempre i personaggi di
vitto, eh, sore, ma adoro la piega che stanno prendendo...quindi aspetta e
vedrai!
Ka i:
sono sempre felice quando una non fan ama le mie storie, perché vuol dire che
le legge proprio perché ama come scrivo e le mie trame, quindi continua a
seguirmi, mi raccomando, perché anche io sono una fan un po’anomala, sìsì
Beautiful_disaster:
Intanto grazie per il romanzo che hai lasciato a JoBros, l’ho apprezzato molto,
visto e considerato che adoro le recensioni lunghe e psicologiche..e questa fic ti farà un bel da fare sotto quel punto di vista! Kevin
e Joe sono cambiati, è vero, e sono fatti apposta per comunicare
dolore...quindi lieta che tu ti sia commossa!
Fefy88:
Grazie mille davvero per tutti questi complimenti! Dimostrate talmente tanto
affetto che tra un po’sarò io a dover piangere!!! E giuro che non scriverò mai
di fagioli...o forse sì? Sai che mi hai dato un’idea? Muhuahuahua
SweetDoll: ecco qui, più presto del presto! Mi raccomando,
continua a seguirmi!!!
Maybe: niente
scuse, anzi, scusati se ne farai di più brevi! Come ho detto a beautiful_disaster, adoro le analisi psicologiche e tu ci
hai azzeccato in pieno su tutti, come vedrai in questo capitolo! Grazie a te
per aver letto! E sì, Eliza è proprio lei!!!
Jollina
la verde: ti dico subito il mio perché, anzi, mi faccia piacere che l’abbia
chiesto. Io amo i racconti drammatici, molto più delle commedie, amo scriverli
e leggerli, ma non sono mai riuscita a mettere insieme una long drammatica. Ora
credo di aver trovato il fandom giusto e mi ci sono
buttata a capofitto!
Heiligfurimmer: beh, l’importante è
che tu abbia deciso di recensire ora, in questa storia che per me è una
grandissima sfida! Ti aspetto!!
La
Fitto: sai cosa? È davvero difficile far raccontare la storia da Nick... è un
punto di vista diverso, per niente impersonale, e si sente terribilmente in
colpa. Però mi piace. E mi piace che tu sia tornata a commentare!
Sbrodolina:
grazie mille per questa dimostrazione d’affetto che mi dai... lo so di averti
giocato un colpo basso, ma il tuo Nick sarà tutt’altro che assente, stai
tranquilla.
Razu_91:
sapevo che avrei shockato qualcuno con questa scelta! E aspetta di vedere Kevin
e Joe nei prossimi capitoli....
Pretty_Odd:
guarda, solo perché hai recensito anche da ammalata ti do uno spoiler: tutti e
tre avranno un ruolo più che fondamentale... insieme a due altre personcine...
Ayachan: Come ho detto, Martha arriverà nel prossimo capitolo.
Per il resto, sono felice che ci sia almeno qualcuno dalla parte mia e di Marta
per la storia del voto...sì, era indispensabile che Kevin lo spezzasse e in
questo capitolo capirai perché.
Agatha:
non hai ancora recensito, ma so che lo farai e lo farai alla grande, come
sempre, quindi ti ringrazio già!!!
Temperance
-Capitolo
Due-
Un pomeriggio
della vita ad aspettare che qualcosa voli
Tornare indietro
un anno, un giorno
Per vedere se
per caso c’eri
E sentire in
fondo al cuore un suono di cemento
Come si cambia
per non morire
Come si cambia
per ricominciare
Joe Jonas girò la chiave nella
serratura della porta d’ingresso del piccolo appartamento in centro a Princeton
che condivide con Kevin da quando io me ne sono andato.
È strano, sapete, pensare a
quello che un tempo erano i Jonas Brothers, pensare ai soldi, alle fan, al
lusso sfrenato e compararli con quel tugurio in un quartiere povero, semplice
ma, per lo meno, non malfamato. Non penso che vi piacerebbe scoprire come tutto
quel denaro è stato scialacquato, credetemi. Vorrei non saperlo nemmeno io...
io che ero lì ogni sacrosanto minuto a guardare i miei fratelli chi si
rovinavano solo perché io me n’ero andato.
Che cosa devo dirvi? La vita a
volte è così, gioca brutti scherzi e non tutti sanno reagire.
Il soggiorno era scuro, tutte le
luci spente e dalla camera da letto proveniva una melodia jazz sparata a tutto volume.
Joe roteò gli occhi, mentre sul
suo viso si dipingeva un sorriso amaro.
Sempre così, ogni santo giorno.
Si chiedeva quando sarebbe
finita, quando suo fratello avrebbe avuto la forza di superare quel momento che
durava ormai da anni e, francamente, a quell’epoca me lo chiedevo anche io.
Con un sospiro, si chiuse la
porta alle spalle e si rintanò in cucina, sfregando tra loro le mani per
riscaldarle.
Settembre... metà settembre ed
era già maledettamente freddo.
Soffiandosi una ciocca arricciata
da davanti agli occhi, attaccò il bollitore alla corrente, scelse una tazza
dalla credenza e un infuso dalla collezione di suo fratello.
Non se ne sarebbe accorto di
certo e poi quel tè gli serviva proprio.
In silenzio, si sedette davanti
al vecchio tavolo di legno chiaro, lasciando che la sua schiena si appoggiasse
completamente all’imbottitura di una delle sedie che mamma gli aveva
praticamente tirato dietro quando si era trasferito.
Sedie barocche in un appartamento
più lineare di un dipinto di Mondrian.
Grottesche, ma nessuno dei due ci
aveva mai fatto caso più di tanto.
Rimase lì, per un tempo
indefinitamente lungo ed incalcolabilmente breve, fissando il vuoto, senza
chiudere gli occhi per paura di rivivere l’orrore di quel giorno, quello che lo
tormentava con il senso di colpa in ogni minuto della sua esistenza, il
borbottio del bollitore e la musica, mista a sospiri, proveniente dalla stanza
accanto unici suoi compagni.
Svogliatamente, prese in mano il
telecomando e lo puntò verso il piccolo televisore sistemato in posizione
strategica, il più in alto possibile, sopra al forno a microonde ma, come al
solito, il segnale non riusciva a raggiungere l’antenna. Magari ci avrebbe dato
una controllata quando avesse smesso di fare così freddo.
Verso maggio, più o meno.
Tanto i programmi televisivi lo
annoiavano.
Come i libri e i giochi del
computer.
Come la vita stessa.
Quella vita sempre uguale, sempre
triste, monotona ed indesiderabile, in cui ogni giorno era uguale al successivo
e al precedente, mai niente di speciale, mai qualcosa in cui valesse davvero la
pena di mettere in gioco tutto se stesso.
Non lo invidiavo affatto e non so
che avrei fatto io al suo posto, ma di certo non avrei reagito molto meglio.
Passandosi una mano tra i capelli
versò il tè nella tazza e si alzò in piedi, avviandosi verso la porta, diretto
in soggiorno, dove avrebbe potuto andare avanti a fare niente, ma sprofondato
nella sua poltrona preferita.
Uscì dalla cucina sorseggiando il
tè proprio mentre Kevin chiudeva la porta d’ingresso alle spalle dell’ennesima
ragazza senza nome e, come al solito, una rabbia cieca ed insensata prese
lentamente a montargli dentro.
“Potreste anche fare un po’più
piano, sai?” Domandò, tagliente, mentre Kevin si voltava verso di lui con aria
scocciata. “Ogni tanto, magari, mi farebbe piacere ascoltare un po’di
televisione, invece delle tue performance, fratellino.”
“Che problemi hai, Joe? Quella
televisione nemmeno si vede.”
“Non è questo il punto.”
“Dio!” Esclamò Kevin, facendo un
giro su se stesso per calmarsi un minimo, preparandosi ad affrontare l’ennesima
quasi-lite con il fratello minore.
E Joe può essere davvero
difficile da gestire, credetemi, lo conosco fin troppo.
“Sentiamo, quale sarebbe il
punto?”
“Sarebbe che ti porti a casa una
diversa ogni sera e spendi i nostri
soldi per questo. Lo capisci che ti stai rovinando la vita, Kev, te ne rendi
conto?”
“Almeno io non la rovino agli
altri.”
Diretto. Crudo. Cattivo.
Davvero, a quell’epoca facevo una
gran fatica a ritrovare qualcosa di mio fratello nell’uomo che portava il nome
di Kevin Jonas.
“Io sono nessuno per te?”
“Andiamo, la tua vita fa già
schifo così, non sarei in grado di peggiorare la situazione nemmeno se lo
volessi! Eliza, invece...”
“Lascia Eliza fuori da questa
storia, lei non c’entra nulla con le tue puttane!” Ringhiò Joe, avvicinandosi
con aria minacciosa al fratello maggiore.
“No, hai ragione, ma non c’entra
niente nemmeno con le tue manie di autodistruzione. Pensaci.”
E, in un attimo, fu fuori
dall’appartamento.
E dentro un taxi nella notte
Avere freddo e
non sapere dove
Sopra a un letto
di bottiglie rotte strapazzarsi il cuore
E giocare a
innamorarsi come prima
Quante luci
dentro hai già spento
Quante volte gli
occhi hanno pianto
Come si cambia
per non soffrire
(Fiorella
Mannoia, Come si cambia)
“Taxi!” Gridò Kevin in direzione
dell’automobile gialla che si stava avvicinando a lui a lentezza esasperante a
causa del traffico che sempre intasava Princeton nell’ora di punta.
Per questo non voleva prendere la
sua macchina, così se fosse rimasto imbottigliato troppo a lungo avrebbe sempre
potuto scendere ed andare a piedi.
“Dove ti porto?” Domandò il
tassista, senza smettere di ruminare la sua gomma, il berretto dei New York
Yankees ben calato sugli occhi.
“Dove le pare, ma lontano da
qui.”
“Problemi di cuore, capo?”
Kevin sorrise amaramente,
stringendosi nel maglione che, senza l’ausilio di una giacca, nulla poteva
contro il freddo quasi invernale che impregnava quell’autunno grigio.
“Più in famiglia, direi.”
“Ah... la famiglia può essere un
gran bel problema, a volte, ma le gioie che dà lei non le dà nient’altro.”
Kevin sospirò, lanciando uno
sguardo sconsolato alla città che scorreva al rallentatore fuori dal finestrino
ingrigito dallo smog.
“Sì... sì, ci credevo anche io,
una volta.”
“Parli come se avessi cent’anni,
ragazzo...”
“È come se li avessi, si fidi.”
“Sai, mi ricordi qualcuno...”
Considerò l’uomo, sbirciando il volto del suo passeggero riflesso nello
specchietto. “Ti ho già visto, per caso? Sei mai stato in tv?”
“Solo un paio di volte, ma
l’ultima volta è stato tanto tempo fa.”
“Capisco... e dove...”
“Senta, io scendo qui, tenga il
resto.”
Basta.
Non ce la faceva più a rispondere
alle domande che tutti gli ponevano, dai suoi genitori ad un tassista mai visto
prima che andava a rivangare il suo passato come la terra in un campo da
coltivare.
Per questo pagava quelle ragazze,
per questo aveva buttato al vento vent’anni e passa di voto di castità senza
mai davvero essersi innamorato.
Loro non chiedevano nulla, se non
i soldi e quelli non erano mai stati un problema.
Certo, presto sarebbero finiti,
ma la sua regola, da quattro anni a quella parte, era carpe diem, vivi alla
giornata. Avrebbe pensato ai problemi finanziari quando si fossero presentati,
non era il caso di fasciarsi la testa prima di romperla, checché ne dicesse
Joe.
Joe...
Era perfettamente cosciente che
il fratello non aveva assolutamente torto riguardo al distruggere la propria
vita, ma ehi, era la sua esistenza e lui non si doveva intromettere.
Non quando la sua attività principale
era starsene seduto per ore a guardare il vuoto senza concludere nulla né darsi
da fare per trovare un lavoro.
Lavoro, ecco, quello era stato
l’unico lato positivo dell’ultima estate. I corsi di pedagogia che aveva
frequentato negli ultimi due anni avevano finalmente dato i loro frutti e il
liceo musicale di Princeton l’aveva assunto come insegnante di musica moderna.
Un colpo di fortuna, niente da
dire, anche se non era proprio certo di essere la persona più adatta per avere
a che fare con dei ragazzi di quell’età, con la loro voglia di vivere e tutto
quanto.
Io, però, ero sicuro che qualcosa
di buono da quella scuola sarebbe venuto. Non chiedetemi come, ma lo sapevo con
certezza, per quando Kevin non ne fosse esattamente quel che si suol dire convinto.
Ciò che contava, in quel momento,
era che almeno uno dei miei fratelli avesse deciso di rimettersi in gioco, di
ricominciare a vivere o, almeno, di provarci.
Concedendosi, per la prima volta
da parecchio, un sorriso sincero, Kevin rabbrividì e, le mani infilate nelle
tasche dei jeans, si avviò verso casa, sperando che Joe non avesse, nel
frattempo, combinato qualche idiozia delle sue, mentre il sole iniziava a
tramontare dietro le cime dei grattacieli.
Beh, che dire... non pensavo davvero che fosse possibile
aumentare ancora il numero di recensioni, e invece mi ritrovo a due capitoli
con un totale di 28 commenti e 16 persone che mi tengono tra i preferiti quando
la storia ancora non è iniziata... ragazze, davvero io non so cosa dire...
Quindi vi ringrazio postando già questo terzo capitolo dove entrano in scena
almeno 4 nuovi personaggi, uno dei quali sarà essenziale (né, socia?XP). Mi
sento in dovere di informare che alla fine del capitolo sarà trattata in
maniera abbastanza massiccia la tematica del suicidio, giusto
per non farvi arrivare impreparate. Ho un sacco di idee che ritengo abbastanza
buone per questa storia e spero davvero che continuerete a seguirmi così, anche
perché fidatevi, pian piano le cose si alleggeriranno.
E ora i ringraziamenti ad personam...
Sbrodolina: mi piace che mi si pongano domande su come una
storia è nata, perché vuol dire che interessa davvero e, quindi, sono
felicissima di risponderti. Perché proprio Nick... vuoi la verità? Non lo so.
Quasi mai so perché un mio racconto si evolva in un certo modo rispetto ad un
altro. All’inizio, a dire il vero, avevo pensato a Frankie, ma non avrei saputo
spiegare la dissoluzione del gruppo e poi lui, bambino, non avrebbe certo
potuto fare da narratore/coscienza dei protagonisti. Lo so che non è una
risposta soddisfacente, ma non so nemmeno come finirà la storia...quindi temo
sia proprio il massimo che posso fare.
Pretty_Odd: di tutte e due? Uhm...una posso
capire, ma l’altra? Chi pensi che sia l’altra? Dai, dai, vediamo se
indovini...anche se dubito!!! Il dolore di Joe... beh, il dolore di Joe è
fortissimo perché lui era alla guida, anche se non credo soffra più di Kev,
solo che lo dimostra in modo diverso: Kevin si tiene tutto dentro, mentre lui
esterna, credo sia per questo che sembra che stia peggio del fratello.
Socia: non aprire quella scatola!!!! Ok, dopo questo attimo
di sclero incomprensibile a tutti gli altri, passo a
dirti che anche io, senza falsa modestia, adoro i miei Kevin e Joe, proprio
perché sono diversi dagli altri e per come spero di riuscire a farli cambiare
durante la storia, che non so ancora quanto durerà. Eh sì, Kevin deve essere
piuttosto sconvolgente, è la sua funzione, sempre perché anche lui deve subire
una metamorfosi...ma chi lo sa meglio della sua donna?
Angy92:vedo con
piacere che Kevin vi ha sconvolte un po’tutte...bene benebene... era il mio obbiettivo renderlo diverso dal
bravo ragazzo che è sempre nelle storie e anche, penso, nella realtà.
Jollina la verde: non disperare, vedrai che la luce
arriverà di nuovo per tutti e due i fratellini! E, forse, prima di quanto
pensi.
Maybe: ecco a te un pochino inoino di azione e Martha! Hope you like it! E voglio un bel
commento sui nuovi personaggi, mi raccomando!!!
Heiligfurimmer: beh, Kevin non è che abbia tanto reagito, non in
profondità, comunque... ma te l’ho detto, le cose miglioreranno, sìsì
Ayachan: e
ci hai visto giusto: il lavoro di Kevin sarà molto molto
importante per la storia...e credo che già in questo capitolo capirai perché,
scoprendo un aspetto di Martha che in let It Snow
avevo volutamente tralasciato.
Vitto_LF: intanto colgo l’occasione per ringraziarti di
avermi difeso nella ficcy su Billuccio
tuo... ma se mi dici che è un’abitudine di quella ragazza non mi faccio tanti
problemi. Come ti ho scritto nella lettera, che ovviamente non è ancora
arrivata, visto che non l’ho spedita, ora sei costretta a dirmi chi preferisci
tra i miei Kev e Joe...ma ti do tempo ancora un capitolo per decidere!!!
Ka i: sì sì, fan anomala, perché
io prima di iniziare Hanno rapito i Jobros questi tre
qui non è che li reggessi più di tanto e, a tutt’ora, credo siano tre di numero
le canzoni che mi piacciono davvero! Che mi piace è il loro stile, quell’aria
da bravi ragazzi, così semplici che ti sembra di poterli incontrare per
strada....
Razu_91: anche a me questa piace più di Jobros...dà
più soddisfazioni!
Agatha: guarda, io non so come fai, ma riesci sempre a
cogliere dei lati dei miei personaggi che io nemmeno mi rendevo conto di aver
messo in luce, sei spettacolare! E comunque hai preso in pieno anche i due tipi
di dolori... ora voglio vedere l’analisi sulla seconda parte di questo
capitolo!!!
SweetDoll:
grazie graziegrazie!!!
Sensation: e io già adoro te per la
recensione che hai lasciato! È sempre bellissimo trovare nuove lettrici!!
Tempernace
-Capitolo
Tre-
Arriva lui
Di quale razza non lo sai
Comunque lui
E ti domandi come mai
Soltanto lui
Ti confonde le idee dal cuore in giù
(i Pooh, Capita quando capita)
“Cioè, no, ragazze, ma avete visto che bonazzo non è il
nuovo prof?” Esclamò un ragazzo con corti e rossissimi capelli a spazzola,
facendo il suo ingresso nella classe di musica moderna con un passo decisamente
troppo sculettante, seguito da una giovane sottile vestita di nero e con una
serie pressoché infinita di anellini d’argento attaccati alle orecchie che
camminava a testa bassa con aria scocciata.
“La vuoi piantare, pezzo di cretino? Come se tu non facessi
mai osservazione del tipo ammazza che gnocca quella!”
“Io non ho gli occhi da pesce lesso che avevi tu, quando lo
dico.”
“No, tu passi direttamente alla fase bava alla bocca, Milton.”
“Fammi indovinare, Bea, ti fa il verso?” Domandò una terza
ragazza, seduta all’indiana su un banco della già affollatissima aula.
“Che novità, eh? Allora, girls, pronte per il nuovo anno?”
“Ovvio che sono pronte, gioia. Ma a proposito di anni... Mar
Mar, credevi davvero di scampare al rito?” Chiese
lui, avvicinandosi con aria giocosamente minacciosa alla giovane dai lunghi
ricci biondi che tentava in ogni modo di sparire dietro alla schiena della sua
amica.
“No, Derek, dai, le orecchie no!” Esclamò, afferrando una
cuffia di lana sottile dalla tasca della giacca appesa alla sedia e
calcandosela sulla testa fin quasi ad arrivare a coprirsi gli occhi.
“Eddai, Martha, è il tuo compleanno!” La incalzò la ragazza
seduta sul banco, saltando agilmente in piedi e posizionandosi accanto a Derek.
“E poi sono diciotto, cavolo, mica caramelle!” Infierì
l’altra, avvicinandosi a sua volta, così che la povera Martha iniziasse a
sentirsi seriamente minacciata. “Ancora tre e sei maggiorenne, baby!”
“Al paese di Francie lo saresti già.” Continuò Derek,
ammiccando in direzione della più bassa tra le ragazze, che annuì, agitando la
voluminosa massa di ricci scuri.
“Dovresti vedere le feste che si fanno in Italia per i
diciott’anni, Mar... e tu nemmeno vuoi lasciarti tirare le orecchie!”
“Non siamo in Italia.” Constatò la festeggiata, cercando
febbrilmente una tattica per evadere dalla spiacevole situazione. “Che diceva
Beatrix del nuovo prof, Der? Perché la prendevi in giro?”
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, scompigliando con una
mano i capelli chiari dell’amica.
“Non sei brava a sviare i discorsi, sai? Ma, visto che ho
tutta la mattina per romperti le scatole e un intero anno per farlo ancora
meglio, per ora lascio perdere e ti rispondo. Arrivando a scuola io e la
frigna, là, siamo passati davanti all’ufficio della preside, dal quale usciva
un...”
“Il più bell’esemplare maschio che si sia mai visto in
questa giungla, credimi.” Intervenne Beatrix con aria sognante. “Ci ha fermati
e ci ha chiesto se studiavamo al college. Noi gli abbiamo detto di sì, che
stiamo al secondo anno... lui allora ha tirato fuori un sorriso da stendere e
ci fa ‘allora ci vediamo dopo, alla prima ora ho lezione con voi’ e se n’è
andato. È stata un’esperienza che ha sfiorato il misticismo.”
“Derek?” Domandò Francie, scettica.
Il giovane si strinse nelle spalle, ostentando indifferenza.
“Non che me ne intenda, chiariamoci, ma non mi sembrava poi
questo granché.”
“Ecco, hai detto bene, non te ne intendi, quindi evita di
parlare, se lo fai solo per far prendere aria alla lingua. Credetemi, ragazze,
quell’uomo è veramente tanta, tanta roba.”
Se mio fratello avesse saputo che parlavano così di lui....
“Comunque, lo scopriremo tra cinque minuti, no?” Si
intromise Martha, ben lieta che il discorso compleanno fosse passato in secondo
piano.
Nessuno fece in tempo a risponderle, però, perché un
silenzio sorpreso si impossessò della classe quando la porta si aprì per
l’ennesima volta, lasciando entrare il tanto sospirato professore.
“Altro che quarto d’ora accademico... è un orologio
svizzero, questo!” Esclamò Derek, senza curarsi di abbassare la voce.
“Grazie del complimento, signor Milton.” Rispose l’uomo,
sorridendo, cordiale e salutando la classe con un ampio gesto della mano.
“Non era un complimento... sa com’è, perdere quei salutari
dieci minuti di lezione fa sempre bene, no?” Continuò, imperterrito, il
ragazzo, ignorando lo scappellotto che Beatrix gli aveva appena tirato sulla
nuca.
“Beh, mi dispiace per te, ma io detesto arrivare in ritardo,
anzi, quando posso anticipo.” Dopo avergli rivolto un occhiolino che decretava
in modo ufficiale la sua vittoria, Kevin prese in mano un gessetto bianco e si
voltò verso la lavagna, iniziando a tracciare a grandi caratteri il proprio
nome, mentre gli alunni, sorpresi e divertiti, si scambiavano opinioni su
perché quel viso risultasse tanto familiare a tutti loro.
“Allora, ho ragione o ho ragione?” Domandò Beatrix,
soddisfatta, voltandosi verso le amiche, sedute dietro al banco che lei
condivideva con Derek.
“Carino.” Commentò Martha. “Ma niente di che.”
“Concordo.” Annuì Francie, convinta.
“Non sapete apprezzare...”
“Mi chiamo Kevin Jonas.” Esordì il professore, una volta
finito di scrivere, abbandonato il gessetto nel suo contenitore. “E sono il
vostro nuovo insegnante di musica moderna.
Venti paia d’occhi puntati addosso.
Silenzio di tomba.
Poi una mano, lenta ed insicura.
“Sì, signorina...”
“Ridges. Grace Ridges. Mi scusi, professore, non vorrei
essere indiscreta, ma lei cantava, quattro o cinque anni fa?”
Eccola lì, la domanda che temeva.
La mano destra stretta convulsamente intorno ad un foglio di
carta, Kevin prese un profondo respiro, prima di iniziare a parlare, sperando
di riuscire per lo meno a simulare un po’di calma.
“Sì, signorina Ridges, cantavo, ma vi sarei grato se non mi
chiedeste niente di quel periodo che per me non esiste più. Sono una persona
aperta, amo chiacchierare, ma alcuni argomenti con me vanno evitati come la
peste, sono stato chiaro?”
Un timido coro di assensi si alzò da quell’insolita platea,
così diversa da quella dei nostri vecchi concerti.
“Hai visto che reazione?” Sussurrò Francie all’orecchio
della compagna di banco, che annuì, senza riuscire a staccare gli occhi dal
viso alterato dell’insegnante. “Guarda come ha conciato quel povero pezzo di
carta...”
“Non so a te... ma a me fa paura.”
I don’t
know how long
I can
hold you so strong
I don’t
know how long
Just
take my hand
Give it
a chance
Don’t
jump
(Tokio
Hotel, Spring Nicht/ Don’t Jump)
Joe salì sullo sgabello, le gambe tremanti al punto da
fargli credere che non sarebbe stato in grado di mantenere l’equilibrio.
Miracolosamente, tuttavia, riuscì a non cadere, aggrappandosi saldamente alla
corda che aveva attaccato al lampadario.
Ironico, a volte, quello che la gente fa pensando di avere
tutt’altro scopo.
Come avere paura di farsi male prima di uccidersi.
O come legare il cappio che dovrebbe toglierci la vita ad
una plafoniera che non reggerebbe nemmeno il peso di un bassotto.
Ironico, davvero, il fatto che mio fratello fosse così
convinto di voler morire da quando è successo a me e come, poco prima di fare veramente
quel passo, si ricordasse sempre di aver dimenticato qualcosa.
Sempre, ma non quella volta.
Quella volta tutto era a posto: il nodo ben stretto, le viti
del lampadario perfettamente avvitate, le lettere per Kevin ed Eliza pronte sul
tavolo.
Con le mani ferme di chi ha deciso cosa fare, Joe prese ad
aprire lentamente l’anello del cappio, facendo scorrere il nodo verso l’alto.
Ecco, stava per farlo, era pronto, pochi minuti ancora e
tutto quel dolore sarebbe finito.
Io che non c’ero più, il suo rifiuto nei confronti di mamma
e papà, la musica che gli mancava come l’aria, Kevin e il suo buttare via la
sua vita... tutto, tutto non sarebbe più esistito per lui, mai più.
Certo era che lo avrebbero odiato tutti senza possibilità di
ritorno.
Papà avrebbe dato fuori di matto e a mamma sarebbe scoppiato
il cuore... perdere un figlio è qualcosa che nessuno merita, una di quelle cose
che non dovrebbero mai, mai succedere, figurarsi perderne due.
Kevin avrebbe incrementato il ritmo della sua lenta
autodistruzione ed Eliza probabilmente si sarebbe chiusa in se stessa fino a
scomparire.
Eliza e la sua allegria, la sua semplicità, tutto l’amore
che aveva da dare...
Eliza e i suoi occhi... gli occhi di un’amica, l’unica che
gli fosse rimasta, che non gli avesse voltato le spalle, nemmeno di fronte alla
sua pazzia.
Eliza che lui stava lentamente rovinando.
E poi Frankie che non vedeva da quasi un anno, l’unico dei
quattro fratelli Jonas ad essere rimasto quello di sempre, l’ultimo fan di quel
complesso che non esisteva più.
E fu allora che si rese conto di non poterlo fare.
Se fosse stato solo al mondo, senza più nessuno sarebbe
stato un altro paio di maniche, ma non poteva demolire così la vita di tutte
quelle persone che, per qualche imperscrutabile motivo, ancora tenevano a lui.
Non chiedetemi se io abbia avuto qualche influenza in questa
decisione, perché non ve lo dirò mai.
Sospirando, Joe scese dallo sgabello con un sorriso colorato
di lacrime dipinto sul volto.
“Non ne vale la pena...” Mormorò, passandosi una mano tra i
capelli spettinati.
“Che cosa significa questo?” la voce di nostro fratello,
fredda ed arrabbiata, lo costrinse a voltarsi, gelando al vedere la sua
espressione.
“Kevin, posso...”
“CHE COSA VUOL DIRE QUESTA LETTERA?” Sbraitò, avvicinandosi
a lui con due passi veloci e sventolandogli il foglio sotto il naso.
“Scusami, Kev, io...”
“Scusarti? Ti devo scusare? Joe, mi hai lasciato una lettera
di addio sul tavolo dicendo che ti saresti ucciso... Dio santo... ti ringrazio
di non averlo fatto, così posso farti fuori io con le mie mani.”
“Vuoi lasciarmi spiegare?” Soffiò Joe, iniziando a perdere
la pazienza... non ne ha mai avuta molta, proprio no.
“No. Non hai niente da spiegare, Joe, hai passato il limite.
Domani vieni a scuola con me. E non una parola con Eliza di questa faccenda.
Togli quel coso dal soffitto e vieni giù. Subito.”
Non ho tempo per
ringraziarvi una per una, questa volta, ma ci tenevo a postare...dico solo a
Razu_91 che quel cinque lo ritirerà, dovessi scrivere la storia più bella del
secolo, perché 5 non l’ho mai preso dalle elementari ad oggi, quindi, prof,
voglio recuperare! Ma poi...credi che Joe abbia mai davvero voluto uccidersi?
Leggi questo capitolo, va... che capisci com’è davvero, il mio Danger, che di
cazzate ne farà altre, sicuro... ma....
Temperance
-Capitolo Quattro-
When the evening shadows and the stars appear
And there is no one there to dry your tears
I could hold you for a million years
To make you feel my love
(Bob Dylan, To Make you Feel my Love)
Eliza
si rigirò nel letto, mugugnando, nel dormiveglia, parole incomprensibili. Sbadigliando,
aprì gli occhi e si voltò verso la radiosveglia per controllare che ora fosse
riuscita a tirare quella mattina.
Le
sei.
Niente
male per gli standard degli ultimi anni: solo un’ora prima di quando avrebbe
dovuto, effettivamente, alzarsi dal letto.
Ravviandosi
i capelli rossi, si scostò di dosso il piumino con gesto deciso e si alzò in
piedi, cercando a tentoni le ciabatte di pile bordeaux sul pavimento di legno
della camera che era sua e della sua gatta da ormai quasi dieci anni.
“Miao!”
La salutò Yzma, la micetta multicolore che già l’aspettava davanti alla porta
del bagno, il capo leggermente inclinato come a chiederle perché avesse tardato
tanto.
“Ciao,
Yzy.” Rispose la donna, chinandosi a farle una carezza, accolta da fusa a
profusione, e aprendo la porta del bagno, onde poi chiudersi nella stanza senza
far entrare il felino, che protestò furiosamente con una sequela di miagolii
seccati.
Dopo
essersi data al viso una salutare passata di acqua fresca, Eliza si apprestò,
come al solito, a cominciare la giornata con il primo passo della sua routine
quotidiana: il controllo dei danni.
Che,
comunque, la lasciò piacevolmente colpita: l’alone scuro intorno all’occhio era
praticamente scomparso e tra poco non sarebbe nemmeno più stato necessario
nasconderlo con il fondotinta. I lividi sulle braccia, poi, non erano che un
ricordo e, Dio volendo, tempo una settimana avrebbe persino potuto riprendere
ad andare in piscina.
Era
tempo di perdono.
D’altronde
si sa, quando le ferite non fanno più male è molto più facile provare pena e
misericordia verso il proprio carnefice.
Soprattutto
quando questi è la persona che più si ama al mondo.
Sospirando,
Eliza si passò una mano dove fino a poco tempo prima la pelle del suo braccio
destro era tendente al viola, immaginando che fosse lui a farlo, mentre i suoi
occhi scuri guardavano in quelli di lei, sussurrando in silenzio parole discusa in una muta dichiarazione d’amore.
Con
uno scatto, riaprì gli occhi, conscia che quei sogni non le avrebbero portato
altro che nuovi guai, e si affrettò a coprirsi con la vestaglia che metteva in
casa, per poi scendere a fare colazione.
Mentre
versava il latte lanciò uno sguardo nostalgico alla foto, scattata da me sei
anni prima, appesa al frigorifero.
Lei,
sdraiata sulle ginocchia di Joe e Kevin sul divano di casa mia...
“Dai, Liz, fammi vedere un bel sorriso!”
Esclamò Nick da dietro l’obbiettivo, ma lei mantenne la stessa, identica
espressione addolorata.
“Ragazzi, non sto bene, non ho voglia di
fare foto.” Ribattè, sedendosi in braccio a Kevin, che le strinse le braccia
intorno alla vita, chinandosi a depositarle una specie di pernacchia sul collo.
“Cretino...” Biascicò lei, ridacchiando e
passandosi una mano sul punto offeso.
“Già, cretino!” Lo rimbeccò Joe, fingendosi
offeso. “Come ti permetti di fare una cosa del genere alla mia donna?!”
“Non mi metterei con te nemmeno tra un
milione di anni, Joe Jonas.” Replicò la ragazza, lasciandosi cadere
lateralmente sulle ginocchia dell’amico, cercando in qualche modo di non
arrossire al sentirsi definire la sua donna. “Ma grazie per avermi difesa da
quello lì.”
“E chi ti ha detto che ti ho difesa? Non lo
sai che io sono molto, molto più cattivo di lui?”
Eliza fece appena in tempo a cogliere il
ghigno sul volto di lui, che già i suoi occhi erano chiusi e tutto il suo corpo
sussultava dalle risa, mentre le dita di Joe la solleticavano in ogni punto che
riuscivano a raggiungere, non lasciandole neppure la forza di respirare come
avrebbe dovuto, mentre Kevin, ridendo a sua volta, incitava Nick a scattare.
E
io avevo scattato. Ne avevo fatte a decine di fotografie, tutte simili eppure
tutte diverse, e poi avevo lasciato a papà la macchina ed ero corso a tuffarmi
sul divano con loro per giocare e divertirmi come il diciannovenne che ero.
Allora
non sognavo nemmeno che due anni dopo sarei morto.
Nessuno
lo faceva.
“Mi
mancate, ragazzi...” Sussurrò Eliza, passando una mano sulla carta lucida, per
poi sedersi a tavola e piluccare un biscotto, in attesa paziente che arrivasse
il momento di andare a lavorare.
Negli ambienti gay io sono molto considerato.
Per me è motivo di orgoglio.
Se piaci ai gay vuol dire che in te c’è molta
mascolinità.
(Claudio Amendola)
“Kevin, voglio tornare a casa.” Si lamentò
Joe, varcando insieme al fratello la soglia della sala professori in cui li
aspettava soltanto un giovane uomo impegnato a smanettare al computer con
quello che sembrava un programma di grafica.
“In
quella stessa casa dove ci sono finestre, lamette, pastiglie, coltelli, corde e
cinture? No, tu resti qui.”
Joe
sbuffò sonoramente, lasciandosi cadere su una delle morbide sedie della stanza,
mentre Kevin si avvicinava all’altro uomo con un fare professionale che quasi
lo fece ridere.
“Scusa...”
Lo chiamò, sfiorandogli una spalla.
L’altro
si voltò quasi di scatto, rivelando un sorriso simpatico, un paio di sottili
occhi azzurri e una cravatta rosa fiammante.
“Ciao!”
Esclamò, saltando in piedi e catturando la mano di Kevin in un’energica
stretta. “Tu sei quello nuovo, quello di musica, vero?”
“Ehm...Kevin.”
“Christian
Prato, insegno informatica, piacere! Posso fare qualcosa per te?” Domandò,
scompigliandosi con una mano i corti capelli chiari e scannerizzando il suo
nuovo collega dalla testa ai piedi senza nascondere un certo gradimento.
Che,
ovviamente, mise Kevin piuttosto a disagio.
“Beh...ehm...
sì, credo...”
“Quello
che mio fratello sta cercando di dire è che ha lezione in prima media ma non sa
dove accidenti sia l’aula.” Si intromise Joe, che non aveva nessuna intenzione
di lasciar andare la cosa per le lunghe.
“Oh,
anche tu lavori qui? Pacchetto famiglia, eh? Beh, è stato un buon acquisto,
devo dire... mai vista una tale quantità di ricci tutti insieme.”
“No,
lui non lavora qui.” Rispose Kevin, ripresosi, spingendo Joe da parte ed
intimandogli con gli occhi di non aprire più bocca.
“Però
sapere dov’è l’aula ti serve.”
“Sì,
ma potrei sempre chiederlo a qualcun altro.”
Christian
ridacchiò, divertito dall’effetto esercitato.
“Vai
fino in fondo al corridoio centrale. L’aula di musica delle medie è l’ultima
porta a destra.”
“Perfetto.”
Ringraziò Kevin, telegrafico, uscendo dalla sala professori a passo di carica
con Joe che lo seguiva a ruota.
“Hai
trovato un amico.” Commentò, con quel suo fare da strafottente cronico che ha sempre,
sempre avuto e che temo non lo abbandonerà mai.
“Piantala,
Joe.”
“Sai,
credo che trovi il tuo culo particolarmente interessante, da come lo sta
guardando.”
“Tu!”
Kevin si bloccò, voltandosi e puntandogli un dito all’altezza del naso, per poi
abbassarlo di scatto e tornare a camminare nella direzione di poco prima.
“Lasciamo perdere...”
“Dai,
quanti sono con questo gli uomini che ti fanno il filo? Allora, c’è
l’idraulico, l’inquilino del terzo piano nel palazzo di mamma, il cugino di...”
“Joe...”
“...di
Eliza e, ora, il prof di informatica. Fossi in te un pensierino su qualcuno di
loro ce lo farei.”
“Joe!”
“Ah,
sei arrossito! Sei arrossito! Cos’è, ti piacciono tutte quelle attenzioni?
Fico, mio fratello è gay!”
“Non
sono gay! Tentare il suicidio ti ha reso più idiota del solito, per la
miseria?” Lo rimbeccò Kevin, segretamente contento, in ogni caso, di sentir
scherzare il fratello. “E, comunque, piacere ad un uomo è segno di grande sex
appeal.”
“Sì,
però...”
“Siamo
arrivati.”
Some say
Eat or be eaten
Some say
Live and let live...
(Elton John, The
Circle of Life)
Joe
si rigirò per l’ennesima volta tra le mani l’orologio, lanciando un’occhiata
annoiata alle lancette... che sembravano sempre ed irrimediabilmente ferme allo
stesso posto. Nemmeno la prima ora era ancora finita e lui già ne aveva piene
le scatole... povero fratellone, non ha mai amato la scuola più del minimo
indispensabile...
Come
potesse Kevin aver scelto un lavoro del genere davvero prescindeva la sua
conoscenza, ma se poteva servire a farlo tornare un po’più se stesso... beh,
accidenti, che lo facesse!
In
quel preciso momento il Professor Jonas, come Joe aveva subitaneamente preso a
chiamarlo quando erano entrati in classe, stava cercando di convincere una
ragazzina ai suoi occhi particolarmente molesta a salire sul palco per fargli
sentire una canzone e lui decise che, piuttosto che rimanersene lì seduto a far
niente, avrebbe preso parte in modo un po’più attivo alla lezione.
Anche
se questo a Kevin sarebbe piaciuto decisamente poco.
Non
aveva ancora fatto in tempo ad alzarsi, tuttavia, che un’altra ragazzina,
accompagnata dalla solita amica/ombra salì sul palco, tirando uno spintone a
quella che non voleva cantare.
“Prof,
se una non è capace non è capace, no? Se vuole, le faccio sentire qualcosa io.”
“Grazie,
Madison, ma io voglio ascoltare lei.” Declinò gentilmente Kevin, fingendo di
non aver visto il modo in cui Madison si era inserita nella conversazione.
“E
che la ascolta a fare, tanto è una sfigata.”
“Madison,
adesso basta.” Quasi ringhiò, questa, volta, circondando con un braccio le
spalle della ragazzina presa di mira, i cui occhi si stavano riempiendo di
lacrime.
“Kev,
lascia che se li risolva da sola i suoi problemi o resterà una debole per tutta
la vita.”
Lo
sguardo che Kevin lanciò a Joe avrebbe congelato chiunque, ma non lui.
E,
nel preciso istante in cui me ne resi conto, seppi con certezza che il mio caro
fratellone avrebbe combinato un gran casino.
Ignorando
le proteste di Kevin, salì sul piccolo palco e afferrò la ragazzina in lacrime
per le spalle, puntando gli occhi nei suoi.
“Come
ti chiami?”
“Clarisse...”
“Beh,
Clarisse, credi davvero che arriverai da qualche parte nella vita, eh? Lo credi
davvero, Clarisse?” Chiese, stringendola forte, ma stando attento a non farle
male.
Mai,
mai più avrebbe fatto del male ad una donna, mai...
“Joe,
scendi da qui.” Sibilò Kevin, mentre la classe, ammutolita, assisteva alla
scena ad occhi sgranati.
“RISPONDIMI!”
Sbraitò Joe, innervosito dal silenzio della ragazzina e dall’intervento del fratello.
“Rispondimi, Clarisse! Pensi davvero di poter combinare qualcosa semplicemente
mettendoti a piangere? Non ci credo che è tutto quello che sai fare, Dio! Vai
da quella stronza, urlale in faccia che ha torto marcio, che non sa un cazzo di
te!”
“Joe,
fuori di qui, subito!” Gli intimò Kevin, prendendolo per un braccio e
attirandolo a forza lontano da Clarisse, che si accasciò a terra,
singhiozzando, mentre un paio di amiche le si avvicinavano per consolarla.
“Me
ne vado, mio signore e padrone, me ne vado. Ma lasciami dire a quella ragazzina
che ce l’ha davanti l’esempio di uno che non ha saputo far altro che piangere:
ventotto anni suonati, disoccupato e solo come un cane. Pensaci, Clarisse.”
Per farmi perdonare dalla mancanza di ringraziamenti della
volta scorsa, ecco qui un bel capitolo lungo lungo e
in arrivo una nuova twoshot scritta insieme alla mia
socia (che è miracolosamente sopravvissuta alla lettura della seconda parte di
questo chappy.
Questa volta vi ringrazio una per una, a partire dalla
vitto che sennò rogna e do un grazie particolare anche a chi mi tiene tra i
preferiti!!!
Sensation: hehe e
proprio sul sex appeal di Kev sarà basata la nuova shot
di cui parlavo nell’intro!!!
Selphie: guarda, l’avrò già detto mille
volte, ma lo ripeto più che volentieri: adoro ricevere commenti dalle non fan
perché vuol dire che il mio modo di scrivere riesce a far apprezzare anche
personaggi che non si amano. Spero che continuerai a seguirmi e grazie mille!!!
SweetDoll:
Hihi la piccola chicca del prof gay piace un sacco anche a me... tanto più che
ne ho uno anche io, per cui immaginare Christian non è stato difficile! E Joe
forse si sta un po’riprendendo...
Lyan: e allora leggi di Joe in questo
capitolo, che ti piacerà (spero) ancora di più!
Minako_86: allora, tu non devi più osare lamentarti di
niente e sappi che è il primo e ultimo capitolo che ti mando in anteprima,
scroccona! E poi non puoi essere gelosa di Eliza... per ora....
Jollina la verde: tranquillizzati, perché Minako ha già
provveduto a sfatare quella notizia facendosi un bel giretto nel MySpace dei Jonas!!
Ka i: Forse Joe sta effettivamente vedendo una nuova luce e
forse proprio grazie a Clarisse, chissà...
Sbrodolina: Clarisse ti ricorda Patty perché è
effettivamente ispirata a Patty ed è proprio dal suo personaggio che è nata
tutta la storia... ma non ti preoccupare, non sarà frignosa
come la protagonista del telefilm!!!
Giulietta 24: ehi non voglio farti allagare nessun locale!
Dai, capitolo un po’più leggerino...
Ayachan: la
leggerò di certo! E spero che il breve colloquio tra Martha e kev possa accontentarti almeno in parte!
Vitto_LF: seriamente, tu devi finirla di lasciare
recensioni idiote.
Maybe: Liz è molto innamorata...e il prof
gay non sarà abbandonato! Beh, per farti perdonare temo che dovrai lasciare un
grandissimo commento per questo!
Agatha:In questo
capitolo un po’si spiega cosa è successo tra Joe e Liz... ma ci sarà dell’altro.
Adoro far interagire i due fratelli e Christian, devo ammetterlo, è uno dei
miei personaggi preferiti! Eccolo qui, il seguito!!!
Fefy88: hihi figurati, quel fagiolo è uno dei miei eroi,
oramai! Beh, io musica nemmeno la faccio...ho un prof che non è brutto...ma è
molto Christian, per cui...uff
Temperance
-Capitolo
Cinque-
Quando il sole si distende
Prepotente sulla strada
La mia mente è forte e nuda
Io sono vivo
(i Pooh, Io sono vivo)
Joe uscì dalla scuola ridendo come un pazzo, come non gli
capitava da quella sera, la mia ultima sera.
Non aveva idea di cosa gli succedesse quel giorno;
probabilmente il tentare di uccidersi e capire che non lo voleva davvero gli
aveva dato una gran scarica di adrenalina, oppure l’aver finalmente
riconosciuto davanti ad altre persone che la sua vita faceva schifo l’aveva sollevato
di un gran peso.
Di fatto, erano secoli che non si sentiva così leggero, così
vicino non alla felicità, ma per lo meno ad uno stato non prossimo alla
depressione.
Ed era bello, bello come non ricordava che qualcosa potesse
essere.
Quel vuoto che si sentiva dentro per la prima volta non era
più pesante di un macigno, era come se qualcosa nel suo cuore si fosse sciolto,
lasciando spazio solo ad una gran voglia di sorridere al mondo, di saltare, di
correre, di fare scherzi.
Di tornare ad essere Danger, insomma, almeno finché quella
sbornia di energia non gli fosse passata.
Perché se ne sarebbe andata, sì, come no, ma Joe non se la
sarebbe di certo lasciata scappare dalle mani senza approfittarne almeno un
po’.
Un gelato.
Voleva un gelato...quanto gli mancava il gelato!
Quello della gelateria sotto casa, che sembrava di mangiare
frutta fresca o vero cioccolato fondente.
Sì, aveva decisamente bisogno di un gelato al cioccolato
fondente e non avrebbe smesso di cercare finché non l’avesse trovato, girando
tutte le gelaterie di Princeton, se fosse stato necessario.
Camminando verso il primo chiosco che gli venne in mente, si
ritrovò a canticchiare un motivetto imparato chissà dove e chissà perché,
lontano nel tempo quanto la sua felicità.
La sua prima canzone da allora...
Ordinò un maxicono cioccolato extradark e pera e si sedette
sulla panchina fuori dalla gelateria, gli occhiali da sole sulla testa e il
naso rossissimo a causa di quel freddo che continuava risolutamente ad
ignorare, soppesando l’idea di chiedere se, per caso, non avessero bisogno di
un nuovo gelataio.
Qualche soldo e dolci gratis... che poteva esserci di
meglio?
Con un ultimo, soddisfatto schiocco della lingua, svuotò la
cialda anche dell’ultima goccia di crema e poi prese a mangiarla, dal fondo,
come faceva da bambino, quando la mamma lo sgridava sempre, perché finiva
immancabilmente per sporcarsi.
E poi la vide.
Se ne stava in piedi sul ciglio della strada, esattamente di
fronte a lui, ben fasciata in un cappottino di lana cotta scuro, la cuffia
dello stesso colore calata sui boccoli rossi fin quasi all’altezza degli occhi.
Occhi azzurri tendenti al grigio, perfettamente truccati.
Eliza non si è mai
truccata...
Fu un attimo, come in un film si vide passare davanti di
nuovo tutto una, due, mille volte.
Il cono gli sfuggì di mano, rotolando sul marciapiede.
“Devi mangiare.”
Joe scosse la testa,
risoluto, senza nemmeno alzare gli occhi su Eliza che, salopette di jeans e
capelli raccolti, gli stava chinata davanti con un piatto di pasta in una mano
e una forchetta nell’altra. Come una madre che imbocca il suo bambino
capriccioso.
“Joe, per favore!”
“Non ho fame.”
“Smetti di fare il
cretino, per favore, sono due giorni che non mangi.”
“Forse dipende dal
fatto che la settimana prossima saranno passati quattro anni dal giorno in cui
ho ucciso mio fratello, non credi?”
“Joe, Nick non
vorrebbe che tu...”
“NON DIRE QUELLO CHE
NICK VORREBBE O MENO!” Ululò il giovane uomo, scattando in piedi e facendo
cadere dalle mani di Eliza piatto e forchetta. Lei indietreggiò, lasciandosi
sfuggire un urlo spaventato.
Sarebbe successo di
nuovo, se lo sentiva... e lei nemmeno quella volta l’avrebbe denunciato perché
sapeva che da qualche parte, dentro a quell’animale selvatico, schivo e
violento, si nascondeva ancora il suo Joe.
“Calmati...” Sussurrò,
mentre lui le si avvicinava, le braccia abbandonate lungo i fianchi, i capelli,
sporchi e troppo lunghi, davanti agli occhi.
“Tu non sei nessuno
per permetterti di fare certe affermazioni, è chiaro, Doolittle?” Tono freddo,
vuoto. Il tono di chi il cuore l’ha messo in standby e non sa più come
riavviarlo. “Tu non sei nessuno per me.”
Colpito da quei ricordi come da un colpo di frusta, Joe si
alzò di scatto e prese a correre verso casa con gli occhi che gli bruciavano da
quelle lacrime che mai era riuscito a piangere, mentre Eliza lo guardava
fuggire da lei, quando avrebbe dovuto essere l’esatto contrario.
Ascolta l’uomo e le sue distanze
La fame, le speranze
Ascolta quello che siamo
Quando amiamo
Quanto odiamo
(i Pooh, Ascolta)
“Voglio capire qual è il vostro rapporto con la musica e con
la musicalità.” Dichiarò Kevin, dopo aver posato la ventiquattr’ore sulla
cattedra dell’aula di musica del college, all’ultima ora di quella mattinata,
ormai completamente ripresosi dalla sfuriata di Joe. “Per questo ognuno di voi
mi canterà un pezzetto di una canzone, ma prima... Derek, dammi una definizione
di musicista.”
“Persona che fa musica.” Rispose pronto il ragazzo, ma Kevin
scosse la testa, lasciandolo di stucco in allegra compagnia della sua risposta
brillante. “Anche lo scacciapensieri appeso alla porta di casa di mia madre fa
musica, ma non lo definirei musicista. Martha, prova tu.”
“Ehm...” Balbettò la ragazza, colta nel bel mezzo di
un’avvincente partita di tris con Francie. “Un musicista è... un artista,
prof.”
“Benissimo! Francie, definisci artista....e no, Derek, non è
una persona che fa dell’arte.” Aggiunse, notando la mano alzata del rosso, che
l’abbassò immediatamente, sussurrando alla vicina di banco che il prof era
davvero forte, fossero stati tutti così...
“Un artista è... colui che ha imparato ad avere fiducia in
se stesso.”
“Beethoven!” Esclamò Kevin, riconosciuta la citazione. Una
delle sue preferite, se non ricordo male... “Bellissime parole, Francie, brava.
E ora, Charlotte, dimmi...”
“Prof, ce lo dica lei cos’è un musicista.” Intervenne Derek
con un sorriso sornione.
Kevin gli si avvicinò, in viso un’espressione assolutamente
identica a quella del ragazzo.
Un’espressione viva, dopo tanto tempo... l’avevo detto, io,
che quella scuola gli avrebbe fatto bene...
“Permettimi di fare un discorso un po’più generale, signor
Milton. Partendo dalla musica. Tu credi in Dio?”
Derek si strinse nelle spalle.
“A volte.”
“Capisco. Beh, io invece, essendo figlio di un pastore, ho
sempre creduto molto, anche se la vita mi ha portato spesso e volentieri a
sospettare che questo Dio tanto buono non sappia poi sempre cosa è meglio per i
suoi figli. Ciononostante, la mia idea di musica è sempre rimasta legata alla
sfera spirituale: suonare è qualcosa di mistico, per me, è un istante nel quale
puoi vivere in eterno, il mondo non esiste e il tempo è senza tempo. Le
vibrazioni nell’aria sono il respiro di Dio che parla all’animo umano, la
musica è il linguaggio di Dio e noi musicisti siamo le creature più vicine a
lui perché diamo voce alle sue parole. Pensateci, ragazzi: non tutti amano
l’arte, non tutti amano la letteratura, ma non esiste nessuno che disprezzi la
musica.”
Mai aula scolastica fu più silenziosa.
Kevin ha sempre avuto un debole per le frasi ad effetto,
aveva un quadernetto, da ragazzo, dove si segnava tutte quelle che lo colpivano
di più ed aveva la capacità di tirarle fuori sempre nel momento più
appropriato. Come in quel momento, in cui anche lo scalmanato Derek si fermò un
istante a riflettere su ciò che aveva detto.
Un bigliettino passò piano piano
dalle mani di Martha a quelle di Francie, che lo lesse, ridacchiando al vedere
l’espressione dell’amica e a leggere l’unica parola che vi era vergata: wow..
“Smetti di sbavare, Mar, o allagherai il pavimento.” Fu
l’ironica risposta che ottenne l’unico effetto di farsi ignorare, mentre Martha
tornava a guardare, adorante, quel professore che, probabilmente, aveva
sottovalutato alla grande.
E lui la guardò a sua volta.
Per caso, per una frazione di secondo, ma lo fece,
regalandole un sorriso che rischiò seriamente di farla sciogliere sul banco.
“Hai notato che si è autodefinito musicista?” Sussurrò
Beatrix, voltandosi verso le amiche che, però, non fecero in tempo a
rispondere, perché Kevin riprese a parlare, riguadagnandosi quel silenzio
reverenziale che di lì a poco tutti i suoi colleghi gli avrebbero invidiato.
“Bene, ora che abbiamo sviscerato il problema di che cos’è
un musicista, voglio sentire le vostre voci. Non chiedo volontari perché tanto
so chi sarà il primo ad offrirsi. Forza, Derek.”
“Prof, prima di tutto, volevo dirle che lei è veramente un
figo.” Dichiarò il ragazzo, alzandosi e tendendo la mano a mio fratello, che la
strinse, con un sorriso indefinibile, a metà tra il divertito e il nostalgico.
“Lo so, Derek, me lo dicevano in tanti, una volta. Che ci
canti?”
“È una sorpresa... vediamo se la riconosce.”
Kevin annuì, appoggiandosi alla cattedra, pronto a cogliere
al volo la sfida che gli era stata lanciata.
Peccato che non si aspettasse quello che venne dopo.
“If the
heart is always searching
Can you
ever find a home
I am
looking for that someone
I’ll never
make it on my own.”
La voce di Derek era pulita e cristallina e, se avesse
cantato un’altra canzone, Kevin l’avrebbe probabilmente definita molto bella,
ma non in quel caso.
Nemmeno l’aveva sentita davvero...
“Your glance.”
“Look at me.”
“Eyes.”
“When you look me in the Eyes!” Propose
Nick, raggiante, convinto di aver trovato, come sempre, la soluzione giusta per
quel titolo che proprio non voleva nascere.
“È lungo.” Commentò
Kevin, pensieroso.
“Ma funziona. Funziona
alla grande!” Completò Joe, alzandosi e correndo a prendere un foglio. “When you look me in the Eyes. Sarà un successo.”
Kevin si alzò di scatto dalla cattedra e corse fuori
dall’aula, sbattendo la porta, mentre Derek, perplesso, smetteva di cantare e
tutti gli alunni si guardavano l’un l’altro, sorpresi.
Perdere l’amore
Maledetta sera
E raccogli i cocci di una vita immaginaria
(Massimo Ranieri, Perdere l’amore)
Kevin si accasciò contro il muro appena fuori dall’aula,
mentre nella sua mente si affollavano immagini che anni di psicanalisi pagata
dai suoi avevano tentato di fargli dimenticare con l’unico scopo di nasconderli
nel fondo della sua anima, dove, prima o poi, si rifugiano tutti i brutti
ricordi.
Li aveva relegati lì, chiusi a chiave in una stanzetta
oscura, sperando di non rivederli mai più, ma la mente umana è il più complesso
mistero del mondo e nessuno può essere ben sicuro di ciò che accadrà, quando si
affida ad i suoi oscuri meccanismi.
Kevin aveva cacciato i Jonas Brothers dai propri pensieri a
forza, costringendoli a non farsi più vedere, ma poi era arrivata la voce di
quel ragazzo e tutto era cambiato.
Milioni di suoni, di colori, di voci e pensieri si
susseguivano nella sua testa, sovrapponendosi e contorcendosi, tentando
disperatamente di fuggire, prima che lui riuscisse a precludere di nuovo loro
ogni via d’uscita dalla loro piccola prigione cerebrale.
Affondandosi le mani nei capelli, Kevin chiuse gli occhi,
cercando di pensare a qualunque cosa non comprendesse i suoi fratelli, ma le
nostre immagini spuntavano da ogni parte, visioni di noi, felici, ricchi e
sorridenti saltavano fuori da dietro il miagolio della piccola Yzma o dalle
pieghe delle lenzuola dopo una notte di sesso.
E poi c’erano dei passi, troppo leggeri per essere quelli
miei e di Joe, ed una mano gentile posata sulla sua spalla, e la percezione di
un viso a una spanna dal suo.
Quando Kevin aprì gli occhi, invitato da quel respiro calmo
e regolare che gli sfiorava la pelle, si trovò davanti solo un paio di grandi
occhi azzurri che lo fissavano, preoccupati.
Niente automobili in fiamme.
Niente palazzetti in delirio.
Solo una ragazza spaventata.
“Prof, va tutto bene?”
“Martha?”
La giovane annuì.
“Sì, sono io e c’è anche Francie qui con me. Come si sente?”
Kevin scosse piano la testa, cercando di fare mente locale,
di riprendere contatto con la realtà, mentre un’altra figura in abiti scuri
entrava nel suo campo visivo.
“Sto bene...credo... cosa è successo?”
“Quell’idiota di Derek ha cantato un pezzo del suo gruppo.”
Rispose Francie, scuotendo la considerevole massa di ricci castani. “E sì che
glielo aveva detto di non fare riferimenti a quel periodo...”
“Oh...”
Tentando in ogni modo di non fare movimenti bruschi che,
vista la sua natura di pasticciona inguaribile, erano all’ordine del giorno per
lei, Martha scostò una ciocca da davanti alla fronte di Kevin, posandovi poi il
palmo della propria mano.
“È freddo come un morto... Credo che dovrebbe andare a
casa.”
“No, no, sto bene... Francie, vai a dire a Derek di non
preoccuparsi, si sarà spaventato.” Francie annuì e rientrò in classe, mentre
Martha, tornata in piedi, tendeva una mano al professore, che l’afferrò,
rialzandosi a sua volta. “Grazie mille, Miss Shepherd.” Biascicò, con un debole
tentativo di sorriso, al quale la ragazza rispose con un grazie imbarazzato e
un abbondante quantità di rossore sulle guance.
“Ehi, guarda che sul serio va tutto bene...” Tentò di
rassicurarla lui, passandole un braccio intorno alle spalle.
“Non sembra... è pallidissimo...e gelido...e...”
“Martha, davvero, non ti preoccupare.”
“Mi...mi sono spaventata, è corso via così...”
Tremava.
Quella ragazza tremava e lui si sentiva in colpa per averla
ridotta così. Scuotendo il capo, Kevin si chiese come facesse Joe a convivere
tutti i giorni con l’aver fatto star male Eliza così tante volte.
“È passato... non succederà più, te lo prometto. Ve lo
prometto, a tutti voi.”
Dopo averla lasciata andare, le scompigliò affettuosamente i
ricci biondi con una mano e rientrò nell’aula, più o meno pronto ad affrontare
le perplessità dei suoi alunni.
Martha lo seguì a ruota, un po’sconvolta e un po’stupita da
quella strana situazione, stringendosi inconsciamente le braccia intorno al
corpo, nel tentativo di ricreare il calore del tutto sbagliato di un abbraccio
che non si sarebbe dovuto ripetere mai più.
Ed eccoci
arrivati al sesto capitolo! Ragazze, non mi sarei mai aspettata di arrivare ad
avere 16 commenti tutti quanti positivi!!! Sono davvero davvero
felice e spero che questa storia continui a piacervi come vi sta piacendo ora!
Ora, reduce
dagli esercizi di canto e da una lettura di poesie, vi ringrazio una per una e
poi vi lascio al nuovo capitolo!
Razu_91:
Tranquilla, prof, guarda che non mi sono mica offesa, anzi! Di certo meglio che
sentirsi dire sempre solo brava continua (che, comunque, è una cosa che in
questo fandom non mi è praticamente mai successa).
Oltre a questo...io AMO il cioccolato fondente, soprattutto come gusto del
gelato! L’angioletto biondo (e qui Tempe sghignazza pensando a Minako) da ora
in poi sarà sempre presente e sempre un po’di più...e Danger...beh, Danger
forse... no, non te lo dico!!!
Sbrodolina:
Beh, che dire, se non grazie a te e alla tua amica? Io le mie le devo pregare
in turco antico perché leggano le mie storie! No, i Jonas non si sciolgono,
tranquilla!
Il Male:
Allora, siccome oggi sei anche un pochino il Bene, ti rispondo come si deve, sìsì.
Joe è Joe, lui è una girandola e di
alti e bassi così ne avrà da vendere, temo! E ora la seconda parte...a parte il
fatto che sei una spregevole lecchina e che ti piace...dich anbiedern
( e io cosa vuol dire non te lo dico), Martha e Kevin mi piacciono una cifra
come coppia e vedrai vedrai cosa ho in mente per
loro...a partire da questo capitolo!!!
Katerina21: Aggiorno,
aggiorno...stare a casa da scuola a volte da i suoi frutti ed ecco qui il nuovo
capitolo! Eliza io la adoro... e alla fine posso dirti che avrà il suo
riscatto, anche se forse sarà un riscatto diverso da quello che ci si
aspetterebbe.
La Fitto: Il
gelato alla pera esiste eccome e io lo adoro, soprattutto accostato al
cioccolato fondente! Credo che il commento della seconda parte sarebbe stato sì
un romanzo, quindi sorvoliamo... ma posso dirti che nemmeno io so come le cose
si svilupperanno, soprattutto come andranno a finire...quindi...
Selphie: il tuo commento mi ha colpita: è un’analisi breve
ma precisa di ogni personaggio...a parte quello di Kevin...perché io non credo
che sopporti meglio di joe, sai? È solo che è meno
passionale, più freddo e quindi esterna di meno...vedi che dice di essere
andato da uno psicologo, ma che questo gli ha fatto solo l’effetto di
ingabbiare i ricordi che poi, quando vengono allo scoperto, sono più violenti
che per Joe. Per quanto riguarda le due donne, ad Eliza ci vorrà un po’per
entrare davvero in scena...ma ti prometto che ti piacerà!
Agatha: sai che
non ci avevo pensato che gli alunni sono abbastanza grandicelli per essere
stati fan dei Jonas? Grazie per avermelo fatto notare, vedrò di giustificare in
qualche modo la loro apparente ignoranza!
SweetDoll: da questo capitolo
per un po’ancora la figura di Kevin si alleggerirà notevolmente per la maggior
parte del tempo, per cui per un po’non dovrebbe farti più pena XD. Per le
emozioni...beh, quello che mi hai fatto è il più grande complimento che una
come me, un’attrice, una scrittrice, una che per emozionarsi ed emozionare
vive, possa ricevere. Grazie.
Maybe: testa di carciofo è un’espressione
meravigliosa...io di solito uso testa di quiz, ma credo che adotterò anche
questa, sìsì. Derek è una specie di versione rossa del mio migliore amico,
quindi gli voglio un gran bene...e proprio come lui fa sempre le cose a
sproposito! Ma è questo che lo rende speciale, no? La canzone...beh, io ne so 3
dei Jonas, e questa era quella che meglio si adattava all’obbiettivo!!!
Jollina la
verde: e io mai mi stancherò di sentirtelo dire! Il drammatico per me è una
sfida e sono davvero felice che stia facendo tutto questo successo! E
Joe...beh, l’ho fatto reagire esattamente come avrei fatto io, ma non chiedermi
perché: io sono la prima a non capirmi.
Lyan: quale è la tua preferita? Perdere l’amore? Beh,
da questo capitolo vedrai che Kev ha, per ora, almeno due pretendenti... hihihi
Ayachan: ficcy letta e commentata!!! Sai che sono seriamente
indecisa su chi sia la mia coppia preferita? Cioè, a Joe ed Eliza ci sono
affezionata, li adoro... ma Mar e Kev...sono alternativi, particolari,
proibiti...e dolcissimi...
Beautiful_disaster:
Christian in questo capitolo ha una bella parte e sarà presente in tutta la
storia, quindi spero davvero che tu ne sia felice! In quanto alla storia
diversa...beh, quello era il mio obbiettivo e credo, senza false modestie che
non sopporto, di averlo centrato alla grande! Sono troppo soddisfatta! Eliza e
Joe si sono incontrati per caso e il discorso di Kev...beh, ho barato, non è
assolutamente farina del mio sacco ma è un’unione di diverse frasi prese dal
film “Io e Beethoven”...che se non hai visto ti consiglio, perché è
meraviglioso sia per la storia sia per la recitazione.
Sensation: sai, Kung Fu Panda, io
pagherei oro per essere in grado di piangere per uno storia...per non sentirmi
fredda e distante come troppo spesso mi capita... ma sono felice di essere in
grado di suscitare in altri (complici le canzoni) emozioni tanto forti.
Bibi94_Jonas4ever:
Ti ringrazio per tutti i complimenti, come ho già detto, sono davvero contenta
di aver introdotto qualcosa di un po’diverso nel mondo Jonas! Come si
cambia...sai che l’ho scoperta per caso anche io? E l’ho amata da subito, senza
scherzare... Quella voce bassa, quella melodia che quasi la copre...ti prende
dentro...almeno, a me fa quest’effetto...
Temperance
-Capitolo
Sei-
Nei due mesi successivi non successe nulla davvero degno di
nota: dopo l’incontro/scontro con Eliza, Joe era ripiombato nella depressione
più nera, ma le fantasie suicide lo avevano del tutto abbandonato e a Kevin la
scuola era servita come una vera terapia, tanto che anche le visite notturne di
prostitute e simili erano drasticamente diminuite, sebbene ancora non fossero
arrivate a cessare del tutto.
Tutto sommato, le cose non andavano per niente male e io non
potevo fare altro che sperare che continuassero a girare in quella direzione.
Ma credo che a voi le mie disquisizioni su speranze e
preghiere interessino ben poco, quindi torniamo alla nostra storia... ad un
particolare corridoio di una particolare scuola superiore, per essere preciso.
Ti odio poi ti
amo poi ti amo poi ti odio poi ti amo,
non lasciarmi mai più
sei grande, grande, grande
come te sei grande solamente tu
(Mina, Grande GrandeGrande)
“Muoviti, stupida cosa!” Esclamò Martha, sferrando un calcio
decisamente poco aggraziato all’innocente macchinetta per le bevande calde che
le stava davanti e la guardava, beffarda, rifiutandosi sia di darle il
bicchiere di caffè che le aveva chiesto sia di renderle i soldi.
“Stronza...” Sibilò la ragazza, prendendo a premere con foga
il pulsante rosso che, in teoria, avrebbe dovuto aiutarla a riavere i suoi
centesimi, ma niente, evidentemente non era giornata.
Sbuffando, si voltò per andarsene, ma si ritrovò faccia a
faccia con una camicia bianca a striscioline azzurre.
“Ehi, sta un po’attento, accid... oh, scusi, prof!” Esclamò,
rendendosi conto che non era un suo compagno quello che aveva urtato, e
diventando di mille colori al sentire la risata solare e pulita del suo emerito
professore di musica.
E poi c’era qualcos’altro che la faceva arrossire...qualcosa
che non avrebbe dovuto esistere, ma che, da due mesi a quella parte, la faceva
star sveglia almeno un paio d’ore tutte le notti. Qualcosa che le scaldava il
cuore e la faceva sognare, ma che non poteva essere condiviso con nessuna delle
sue amiche e, tantomeno, con i suoi genitori o qualche altro familiare.
“Buongiorno anche a te, Martha. Dormito bene?”
La ragazza annuì, scostandosi in fretta e furia eppure a
malincuore, da quel contatto che mai e poi mai, almeno secondo lei,avrebbe dovuto risultarle tanto invitante.
“Ehm... sì..grazie...”
Se Kevin notò il rossore sulle sue guance -come io sono
fermamente convinto- non lo diede a vedere e si limitò a sorridere, frugando
nel portamonete alla ricerca di qualche spicciolo.
“È sempre così grande l’amore che dimostri...” Pausa ad
effetto. Oh, se se n’era accorto! “...per la macchinetta?”
“Ehm...io...”
Kevin ridacchiò, passandole una mano tra i capelli chiari e
fermandosi a scrutare quegli occhi color del cielo per un attimo in più del
dovuto, senza capire bene nemmeno lui il motivo di quel gesto affettuoso che il
suo corpo aveva fatto praticamente da solo, totalmente scollegato dalla parte
razionale del suo cervello.
“Rilassati, era una battuta! Allora, questa cosa ti dà
problemi?”
Martha annuì, allontanandosi ancora quanto più le fu
possibile senza dare l’impressione di voler fuggire a gambe levate.
“Posso?” Chiese Kevin, mostrandole le monetine appoggiate
sulla mano ben aperta.
“Sì, ma guardi che non...” Non fece in tempo a finire la
frase che un getto di fumante liquido scuro stava già colando dritto dritto nel bicchierino di plastica beige. “...funziona.”
Concluse la ragazza, stupita e, a dirla tutta, anche un po’seccata.
Era dall’inizio dell’intervallo che litigava con quell’aggeggio
malefico, tanto che la fila dietro di lei si era tutta trasferita al piano di
sotto e ora arrivava quello lì e, tranquillo e felice, si prendeva da bere come
se niente fosse stato?
Scocciata, si era già voltata, pronta a tornare in classe,
quando una mano picchiettò sulla sua spalla, costringendola a girarsi di nuovo.
“Dimentichi la tua cioccolata.” Disse semplicemente Kevin,
porgendole la bevanda con un sorrido divertito.
“Ma prof...e lei?”
“Non ti preoccupare, non bevo mai cose dolci: non vorrei che
mi rovinassero la linea.” Con un occhiolino che le fece letteralmente rivoltare
l’intestino, e un gesto veloce della mano era sparito dietro la porta della
sala professori, lasciando Martha sola a fissare il vuoto con un bicchiere
colmo di cioccolata bollente stretto in mano.
In sleep he sang to me
In dreams he came
His voice reach close to me
And speaks my name
(Phantom Of The Opera Main Theme)
In piedi, appoggiato
alla balaustra del balcone della sua villa di Malibu, Joe Jonas guardava il
mare che si stagliava cristallino fino all’orizzonte sotto ad un sole degno
della Florida.
Kevin, seduto su di
uno sgabello poco lontano, accordava una vecchia chitarra malconcia e dall’interno
della casa proveniva il profumo invitante di uno dei favolosi piatti che solo
Denise sapeva preparare, accompagnato dal suono confuso e lontano di uno dei
videogiochi di Frankie.
Una mattinata perfetta
in una vita perfetta.
La sua vita perfetta.
Sorridendo e
sistemandosi gli occhiali da sole sul naso, Joe si voltò verso la porta
finestra al cui stipite Nick stava appoggiato, gli occhi chiusi e l’espressione
più rilassata del mondo.
“Ehi, Nicky, vieni a
vedere!” Chiamò, facendogli cenno di
avvicinarsi. “Guarda come fila quel motoscafo!”
Nick adorava le barche
a tal punto che era arrivato praticamente ad implorare il loro produttore per
fargli girare almeno un pezzo di un video sull’acqua...quindi con tre passi
veloci fu accanto al fratello, gli occhi puntati nella direzione che lui gli
indicava.
“È stupendo!”Fece in
tempo a dire, prima che la balaustra sparisse nel nulla e Joe, con un gesto
distratto, gli facesse perdere l’equilibrio, facendolo precipitare in quel
vuoto diventato di colpo profondissimo.
Agitato e spaventato,
Joe prese a chiamare uno ad uno a gran voce i membri della sua famiglia, ma
nessuno sembrava volergli dare ascolto.
Kevin suonava.
Denise cucinava.
Frankie giocava.
Solo.
Era completamente solo
in una casa piena di automi che non solo non lo ascoltavano, ma nemmeno si
accorgevano che lui aveva appena ucciso suo fratello.
Lontano, forse in una
casa identica alla sua sull’altra sponda dell’oceano, un telefono squillava.
Joe spalancò gli occhi nella debole luce del sole di quel
novembre già inoltrato proprio mentre il telefono sul tavolino smetteva di
squillare ed entrava in servizio la segreteria.
“Joe? Joe lo so che sei in casa. Rispondi, per favore, è da
settembre che non ti sento e sono preoccupata. Joe...beh, richiamami appena
puoi. Ciao.”
Con gesto affaticato, come se la sua mano fosse pesata un
quintale, Joe premette il tasto rosso per cancellare il messaggio.
Con quello erano novantacinque.
Novantacinque messaggi praticamente identici distribuiti
nell’arco di due mesi
Non avrebbe risposto nemmeno a quello: lei doveva
dimenticarlo.
Passandosi una mano tra i capelli lanciò uno sguardo all’orologio.
Le quattro del pomeriggio: doveva essersi addormentato sul divano. Niente di
più facile, vista l’esigua quantità di ore di sonno che gli incubi con me
protagonista gli concedevano ogni notte.
Presa a due mani la forza che, miracolosamente, ancora gli
restava, si alzò e, dopo aver lanciato un’occhiata tra l’adirato e il
nostalgico al cellulare, sul quale lampeggiavano sei bustine con il nome di
Eliza, afferrò la giacca e la indossò, pensando che, dopotutto, fare un giro in
attesa del ritorno di Kev non gli avrebbe fatto che bene.
Il
mio amico almeno è una bella persona
Uno
strano violino con le corde di seta
In
un mondo distratto che cinico suona
Questo
grande concerto che in fondo è la vita
(Gianni
Morandi, Il mio amico)
“Avanti!” Esclamò Christian, girando su se stesso e dandosi
una spinta con i piedi per far arrivare la sedia di tessuto blu fino alla porta
alla quale avevano appena bussato.
“Ciao.” Lo salutò Kevin, entrando e chiudendosi la porta
alle spalle. “Ti spiace se uso un computer? Mi servono delle partiture per la
lezione di domani.”
Christian si strinse nelle spalle, facendo scivolare nuovamente
la sedia davanti al PC del quale si stava occupando.
“Fai pure, ma su uno di quelli. Qui sto finendo di
installare gli antivirus.”
E poi fu silenzio.
Un silenzio interrotto solo dai click del mouse e dal
ticchettio dei tasti che facevano su e giù sotto alle dita veloci di Christian
e a quelle un po’meno sicure di Kevin.
Rumori asettici, neutri, impersonali, di quelli che spingono
la gente a tentare di fare conversazione.
“Allora...” Cominciò Christian, nel cui dizionario la parola
silenzio non era mai stata contemplata. “Non abbiamo mai parlato molto, io e
te. Come ti trovi qui?”
“Bene...bene...” Biascicò Kevin, tentando con scarsi
risultati di chiudere una finestra non proprio politicamente e moralmente
corretta che si era aperta di sua spontanea volontà sulla schermata che stava
visualizzando. “Christian, come si chiude questa roba?” Domandò, nel panico,
ringraziando la sua buona stella che le casse fossero spente.
L’uomo ridacchiò, alzandosi e portandosi alle spalle del
collega.
“I filmini salvati dai miei alunni in piena tempesta
ormonale.” Spiegò, digitando, ad una velocità che a Kev parve molto prossima a
quella della luce, una sequenza di numeri e di lettere all’apparenza del tutto
casuali. “Devi averlo aperto per sbaglio... non ho ancora trovato il sistema
per non farglieli scaricare. Che cercavi? Ti do una mano...” Si offrì il
giovane insegnante, avvicinandosi un po’di più a mio fratello, in modo che i
suoi capelli gli sfiorassero appena la punta del mento.
“Ehm...” Mormorò Kevin, spostandosi sulla punta della sedia.
“Cerco...cercoWitney Houston... I Will
Always Love You...”
“Mmm...” Annuendo, Christian si portò accanto a Kevin,
sedendosi nel piccolo spazio che rimaneva libero e prese a digitare velocemente
l’indirizzo di Google.
“Sai.. non sono molto ferrato con i computer...”
“L’ho notato, sì...ma non ti preoccupare, ti aiuto quando
vuoi. Se ti va do anche lezioni private a domicilio...sai, così magari facciamo
amicizia.” Propose il biondo, usando la mano sinistra per accarezzare
lentamente la gamba del suo ormai non così nuovo collega, mentre io, da quassù,
letteralmente rotolavo dalle risate.
Che c’è? Credevate davvero che fossi diventato un piccolo angelo
con ali e tutto quanto?
Ma per favore...
“Chris...”
“Sì, mi piace che mi chiamino così.” Replicò, sorridendo, il
professore di informatica, mentre la partitura di I Will Always
Love You appariva sullo schermo.
“Sì, ma Chris... noi dobbiamo parlare.” Disse Kevin, deciso,
prendendogli la mano e posandola sul tavolo. Christian non si oppose, anzi, si
limitò ad alzarsi, con un sorriso un po’deluso ma sincero dipinto in volto.
“Ho capito, lascia stare... Ehi, io ci ho provato, non
farmene una colpa: non ne capitano spesso di ragazzi come te qui. Insomma, il
più giovane tra gli altri professori va in pensione l’anno prossimo.”
“Ti capisco, davvero.” Rispose mio fratello, alzandosi a sua
volta e portandosi di fronte al collega, più basso di lui di dieci centimetri
buoni. “È che io...davvero, non...”
“Non ti piacciono gli uomini, ok, ho capito, non ti devi
preoccupare, sul serio. Però mi piacerebbe che diventassimo per lo meno
amici...sai, non ne ho molti che non provino a toccarmi il culo appena mi
volto.”
Kevin ridacchiò sommessamente, porgendo, poi, una mano a
Christian, che la strinse, sorridendo.
“Allora...amici?”
“Amici.”
Ed era proprio un amico, forse, ciò che in quel momento più
gli serviva.
Capitolo totalmente privo di Kev...ma se mi ha perdonata
Marta potete farlo anche voi, no? :-D
Purtroppo non posso ringraziarvi una per una, ma dico
alla Vitto
che è vero, Kevin non sembra particolarmente depresso, ma ricordati che lui è
quello che nasconde, è l’attore di famiglia, ma le sue esplosioni di
depressione le avrà anche lui...soprattutto perché ho in serbo un problemino
mica da ridere per il ragazzo. Ricorda che è Joe quello che ha iniziato a
risalire...lentamente, ma ha iniziato...per Kev quel momento è ancora lontano,
è solo tornato, dopo il piccolo shock della canzone, quello di sempre, quello
che fa il farfallone fingendo di vivere normalmente, anzi, alla grande.
Temperance
-Capitolo
Sette-
Ti chiedo scusa
Per quello che
ti ho detto
Per come ti ho
risposto
E se ti ho fatto
male
Ti chiedo ancora
scusa
(Paolo
Meneguzzi, Da figlio a padre)
La pasticceria all’angolo della terza Avenue era uno
spettacolo che Joe non si sarebbe mai stancato di guardare.
Lecca lecca di ogni forma colore e
dimensione affollavano la vetrina, accompagnati da minuscoli cannoncini alla
crema e da paste straripanti di cioccolato grandi come il palmo della sua mano.
E poi caramelle, gomme da masticare, tavolette di cioccolato per ogni gusto e
fantasia, e ancora gelati e semifreddi, e torte, torte da ogni parte del mondo,
torte dall’aspetto strano ed invitante, che avrebbero messo l’acquolina in
bocca a qualsiasi essere umano dotato di senso del gusto.
C’era una Sacher nel frigorifero che faceva angolo con la
vetrina. Tipico dolce tedesco, diceva il cartellino. Era sempre lì, sempre
uguale eppure ogni giorno diversa, dato che era il dolce più richiesto dai
clienti del negozio, e lo guardava, quasi chiamandolo ad assaggiare quel
cioccolato forte, scortato con modestia da un timido aroma aranciato. Gli
sembrava quasi di sentirne il profumo, e ogni giorno, quando le passava
davanti, la tentazione di entrare e portarsi a casa una di quelle meraviglie
della Foresta Nera, ma poi un ricordo lo assaliva e lui passava oltre, senza
nemmeno più osare guardarsi alle spalle.
Si erano appena
trasferiti a Princeton e quella stessa pasticceria era proprio sulla strada che
portava dalla loro nuova casa agli studi di registrazione.
Ogni giorno ci
passavano davanti e ogni giorno Nick si fermava davanti alla vetrina,
sospirando alla vista di tutto quel ben di Dio. Sembrava un bambino di quasi
vent’anni, con il naso quasi schiacciato contro il vetro e negli occhi il
riflesso di un desiderio per molti realizzabile solo con dieci dollari, ma per
lui assolutamente impossibile.
“Non so che darei per
sentire solo una volta ancora il sapore di una torta normale... di un
pasticcino imbottito di crema e non di tutte quelle schifezze che mettono nelle
paste per noi diabetici...”
E allora Denise
l’aveva fatto.
Per la prima volta
aveva deciso di venire meno alle regole e di fare felice il suo bambino, almeno
nel giorno del suo ventunesimo compleanno. Così era entrata nella pasticceria,
aveva comprato un bignè di quelli giganteschi esposti in vetrina e l’aveva
portato a casa, piantandovi in centro una candelina e aspettando,
pazientemente, il ritorno dei suoi figli dal concerto che avevano organizzato
per il loro fratellino che, ormai, tanto ino non era più.
Tutto ciò che aveva
ricevuto, invece, era stata una telefonata da un gelido paramedico che
l’avvertiva che quel pasticcino non sarebbe mai stato mangiato, così come
quella candela non sarebbe mai stata spenta.
Fa un po’male, sapete? Essere sempre nella testa di Joe,
intendo.
Uno pensa che, dopo quattro anni, ci si faccia l’abitudine,
ma, normalmente, dopo quattro anni anche quelli che ti volevano bene da morire
iniziano ad accettare che tu non ci sia più.
Con Kevin è più facile: lui si rifiuta di pensare a me, ma
io so che lo fa solo per difendersi e non ridursi alla stregua di Joe. Joe che
è perseguitato giorno e notte dal suo stesso fratello.
Se avessi potuto, quel giorno, lo avrei preso a calci per
costringerlo ad entrare nel negozio, ma, tutto sommato, non ce ne fu bisogno.
C’è un motivo per tutto, io credo, anche se a volte non ci è
ben chiaro...e il motivo per cui i morti non possono influenzare il destino dei
vivi senza infrangere circa un bilione di regole è che c’è sempre, o quasi, qualcuno
che quello stesso destino lo prenderà in mano al posto loro.
“A me piacciono un sacco i dolci.”
Joe abbassò lentamente gli occhi sulla ragazzina che aveva
parlato.
Capelli scuri a caschetto, occhiali tondi tondi alla Harry Potter e un cappottino rosa con cappellino
coordinato.
Familiare...
“Ehm...anche a me...” replicò, basito, cercando di capire
perché gli avesse rivolto la parola e, soprattutto, dove l’aveva già vista.
“Sono proprio buoni, solo che questa pasticceria costa un
sacco di soldi, mia mamma non vuole che ci entri.”
Bastò quell’accenno di lamentela a fargli immediatamente
capire chi gli stava di fronte.
“Rispondimi, Clarisse! Pensi davvero di
poter combinare qualcosa semplicemente mettendoti a piangere? Non ci credo che
è tutto quello che sai fare, Dio! Vai da quella stronza, urlale in faccia che
ha torto marcio, che non sa un cazzo di te!”
“Clarisse...” Mormorò, mentre la ragazzina gli rivolgeva un
sorriso radioso.
“Ti ricordi di me!” Esclamò, come il giovane davanti a lei
fosse stato il suo eroe e non uno sconosciuto che l’aveva presa a insulti. “Se
dico alla mia mamma che Joe Jonas si ricorda di me... Non ci crederà mai!”
“Come...”
“Come so chi sei? Beh, ero una tua fan, ovviamente...tutti
lo erano, solo che nessuno si azzarda a dirlo per la storia di quello che è
successo a tuo fratello.”
“Mai pensato che forse fanno bene? Prova ad imitarli.” Con
quelle parole, pronunciate con estrema amarezza, Joe fece per andarsene, ma una
piccola mano lo afferrò per il polso.
“Che vuoi?”
“Voglio che mi insegni a cantare.” Dichiarò Clarisse,
risoluta, puntando gli occhi scuri in quelli di lui.
“Che? Ragazzina, ma ti ascolti quando parli? Se non te lo
ricordi, ti ho urlato addosso senza motivo. Non sono la persona che si desidera
come insegnante, sono più...hai presente Shrek? Ecco, una cosa del genere.”
“A me Shrek piace. E poi io proprio per quello voglio
cantare: per far vedere a Madison quello che valgo. Non avevo mai pensato di
fare una cosa del genere finché non ho incontrato te... Io non voglio una vita
di merda, come dici tu... aiutami...”
Joe la guardò per qualche istante, congelato dove si trovava
da qualcosa che di certo non era il freddo.
Dalla consapevolezza che quella bambinetta aveva tutto il
coraggio che a lui era sempre mancato.
“Che dovrei fare?” Capitolò infine.
“Non lo so, sei tu il cantante.”
“Allora, io ti insegno a cantare... ma tu mi devi aiutare in
un’altra cosa.”
“Cioè?”
Joe lanciò un’ultima occhiata alla torta Sacher, che ancora
occhieggiava dalla vetrina.
E prese una decisione, la prima da tanto tempo.
“Ti va un pasticcino?”
C’è chi lascia tra le briciole il passato
al piano bar di Susy
Sotto i tavoli ci ho visto far l’amore al
pianobar di Susy
Al piano bar c’è la Susy che sa
Lei ti guarda dentro agli occhi e ti dà
La luna in un bicchiere
(Edoardo De Crescenzo, Al piano bar di
Susy)
“Una coca al tavolo quindici!”
Nessuna risposta.
La donna dai capelli corvini si avvicinò pian piano alla
ragazza semisdraiata sul bancone, per poi sfiorarle appena una spalla con la
mano.
“Eliza, sei tra noi?”
La giovane sussultò, alzandosi di scatto e trovandosi faccia
a faccia con il suo capo e con i suoi perforanti occhi.
“Susy ha gli occhi
viola, come Liz Taylor e sembra sempre che ti guardi dritto dritto
nel cuore. Da grande voglio diventare proprio come lei.”
Un Joe di otto anni si
strinse nelle spalle, continuando a giocherellare con la pallina magica che
Denise gli aveva appena comperato dal tabaccaio in centro.
“È inquietante.”
“Sei solo un brutto
stupido e non capisci niente!”
“Tesoro, che cosa c’è?” Domandò la donna, accarezzando piano
i capelli rossi di Eliza e facendo cenno all’altro cameriere di prendere anche
gli ordini della ragazza.
“Nulla, davvero.”
“Liz, ti conosco da quando eri alta così e so benissimo che
quel muso lungo non è un niente. Joe?”
Eliza annuì, tornando a seppellire il viso dietro alle
maniche di lana spessa del suo maglione.
“Non mi risponde da due mesi...sai cosa sono due mesi,
Susy?”
“Un mare di tempo, quando una è innamorata. Soprattutto
quando è innamorata di un fantasma.”
“Susy, ne abbiamo già parlato...”
“E io continuo a credere che dovresti davvero lasciarlo
perdere. Lui non è più quello che amavi, Eliza, possibile che tu non lo veda?
Quell’uomo è un relitto di se stesso.”
“Il vecchio Joe è ancora lì dentro, io lo so che c’è, ma...”
“Ma, Eliza, dici bene: ma. Finché se ne resta chiuso lì
dentro nessuno se ne farà niente, tantomeno tu. Lo capisci o no che hai bisogno
di un uomo vero, di qualcuno che ti sappia amare? Aaron, ad esempio...”
“Ti prego, non ricominciare con la storia di Aaron, siamo
solo colleghi e lo sai.” Esclamò Eliza, alzandosi, per niente attratta
dall’idea di trattare quell’argomento per la milionesima volta.
“Ma guardalo, Liz!” Gridò a sua volta Susy, afferrando la
giovane per un braccio ed ignorando le lacrime che iniziavano a scorrerle giù
lungo le guance. Con l’altra mano le indicò il ragazzo dai capelli color miele
che sparecchiava il tavolo tredici senza staccarle un secondo gli occhi di
dosso. “È pazzo di te! Ed è vero, vero come me e te, vero come questo tavolo!”
Concluse, battendo un pugno sul pesante legno del bancone.
“Preferisco amare lo spettro di qualcuno che non c’è più,
Susy, piuttosto che prendere in giro un poveraccio che il mio amore non lo avrà
mai!”
Togliendosi il grembiule al volo, Eliza si incamminò a passo
di marcia verso l’uscita, mentre Susy si riempiva un bicchiere di liquido
ambrato.
“Tutti seguono i miei consigli, tutti...tranne la persona a
cui tengo di più.” Sussurrò, rivolta alla macchina del caffè che le stava
davanti, per poi chiamare Aaron a gran voce.
“Dimmi, Suze.” Rispose il giovane, appoggiando un vassoio e
il suo contenuto sul bancone.
“Valle dietro.”
Se vuoi ci amiamo adesso, se vuoi
Però non è lo stesso tra di noi
Da sola non mi basto, stai con me
Solo è strano che al suo posto ci sei te
(Nek, Laura non c’è)
“Ora mi spieghi perché mi hai seguita...e me l’ha detto Susy
non è una motivazione.”
Aaron entrò nell’appartamento di Eliza strofinandosi le mani
intirizzite e guardandosi intorno, senza, però, osare fare domande.
Sapeva che quella ragazza aveva avuto a aveva a tutt’ora dei
problemi, e non voleva invadere il suo spazio, ma era attratto da lei come non
lo era mai stato da nessun’altra e questo, solo questo, è l’unico motivo che a
tutt’oggi mi permette di non detestarlo per aver cercato di rubare a mio
fratello l’unica persona che lo comprendesse davvero.
“Vivi in un posto molto carino, sai?”
“Aaron, perché sei qui?”
Il giovane sospirò, raccogliendo tutto il coraggio di cui la
natura lo aveva dotato, per poi avvicinarsi velocemente ad Eliza e stringerla a
sé in un bacio che da tempo sognava ma che mai aveva osato concedersi.
Lei, colta di sorpresa, non fece assolutamente niente, ma, a
poco a poco, in lei si fece strada un’immagine che non le dispiacque per nulla
e che la spinse a fermare Aaron prima che potesse allontanarsi e a baciarlo a
sua volta con tutta la forza che solo la disperazione sa dare.
Affondando le mani nei corti capelli chiari, immaginandoli
un po’più lunghi, ricci e scuri, sperando di svegliarsi, il mattino dopo, e
scoprire che quella sua fantasia, dopotutto, non era altro che la realtà.
Eccomi qui con un bel capitoline
lungo lungo che qualcunonon vede l’ora di leggere, né, socia???
Quindi non la faccio aspettare
oltre e passo subito ai ringraziamenti!
Prima di tutto un grazie speciale
alle 30 persone che mi tengono tra i preferiti, a chi legge soltanto e poi a...
Minako: tre parole: leggi e
svieni!
Maybe: innanzitutto, questo faccino *0* è meraviglioso.
Poi...beh, Clarisse mi piace, per ora, e spero di riuscire a mantenerla così..ma
è molto meno innocente di quanto vorrebbe far credere, fidati.
Sweet_Doll: Ma grazie!!!
Ayachan: Bacia? Riformula un
po’,va XD ma sì, sta tranquilla, niente di traumatico per il piccolo Kev.
Katerina_21: hehe,
avevo fame quando ho scritto quella parte! Nelle vacanze ti prometto che
leggerò!!!
La Fitto: Anche io amo Joe!!!!
(Vitto: No! Giura! Tempe: -.-‘)
Selphie: Oh sì che mi sembra il caso...ma mi rifarò nel prossimo
capitolo con due fb dolci dolci
dolcissimi!
Alexya379: Sì vedrà, si vedrà!
Jollina la verde: Oh, una voce a
favore di Aaron! Chissà chissà come andrà.... Beh,
Clarisse e Joe credo proprio che più di amici non saranno mai, meglio chiarire
subito, anche perché lui sarebbe giusto un filino pedofilo!
Lyan: No, no, non piangere! Anzi, sì, quell’fb era fatto apposta!!! Ed Eliza...eh, Eliza è partita del
tutto, poveraccia, non capisce più un tubo!
Fefy88: quella frase...beh, mi è
venuta dal cuore...avere un prof che dice cose del genere sarebbe davvero un
sogno!!!
Sbrodolina: Sì, guarda, se fai
caso ho corretto la data della morte di Nick nel primo capitolo perché mi
serviva che il primo giorno di scuola fosse il compleanno di Martha che è,
appunto, il 17 settembre. Mi scuso, davvero!
Agatha: Motivo numero uno:
Denise, povera, l’ho distrutta... però ammettilo che quel fb
non era niente male come idea! (cm sono modesta...) Motivo numero due: Eliza e
Joe, Joe ed Eliza...e Aaron... come andrà a finire? E motivo numero
tre....riprenditi, Kevin a partire da ora ci sarà e come!!!
Razu_91: felice che la curiosità
ti sia tornata!!! Forse sarà così anche per Joe, forse ritroverà la voglia di
vivere...chissà...
Temperance
-Capitolo
Otto-
Basta avere un altro uomo
Tra i lenzuoli in questo buio
E invece del suo nome
Tra i sospiri dire il tuo
Per dimenticare te
(adattamento da i Pooh, Per dimenticare te)
Aaron si alzò dal letto più silenziosamente che poté,
raccogliendo velocemente i propri vestiti ed indossandoli senza nemmeno osare
guardare la ragazza che, ancora distesa, sembrava dormire con tutta la tranquillità
che non aveva la sera prima.
Andarsene così era da codardo, lo sapeva bene, ma aveva già
preso in considerazione quella possibilità prima di iniziare a seguire Eliza,
ma era molto, molto più difficile del previsto. Dopo come l’aveva trattato,
tuttavia, quel briciolo di dignità che resta sempre e comunque, anche agli
innamorati, lo costrinse ad infilarsi anche le scarpe e ad allacciarne i lacci,
pronto ad uscire per sempre da quella stanza e da quella piccola parentesi di
passione senza scopo.
Con un sorriso più triste di qualsiasi lacrima, il giovane
si chinò sul viso di lei e le posò un bacio delicato sulla guancia, leggero
quanto un alito di vento eppure in grado di svegliarla.
“Ciao...” Biascicò Eliza, la voce impastata dal sonno.
“Ciao.” Rispose Aaron con un sussurro, mentre lei si metteva
a sedere nel buio delle ore che precedono l’alba. “Vai avanti a dormire...”
“Ma dove stai andando?”
“A casa...a riposare un po’prima di andare a lavorare.”
Eliza annuì, in silenzio, per poi alzare gli occhi chiari in
quelli cerulei di lui.
“Che ho fatto?”
“Mi hai chiamato Joe... parecchie volte, direi.”
La ragazza annuì, seria, mentre una lacrima solitaria le
correva giù lungo la guancia.
“Non piangere...” tentò di consolarla lui, sedendole accanto
e accarezzandole piano la schiena. “Non hai fatto nulla di male.”
“Piantala, Aaron, nessuno merita di essere trattato come ti
ho trattato io.”
“Fidati, hai fatto più male a te stessa. Non ti prendere più
in giro così, lui verrà da te, prima o poi. Te lo prometto.”
Rido perché tu mi chiami latin lover
Io sono un amante ma
Senza una donna con sé
(Cesare Cremonini, Latin Lover)
“Quindi sei una specie di...che ne so...si usa ancora
casanova?” Domandò Christian, sorseggiando distrattamente una tazza di tè caldo
guardando fuori dalla grande finestra che nella sala mensa si apriva sul
cortile della scuola. “O magari latin lover, con quei bei ricci scuri...”
Kevin ridacchiò, spostando per l’ennesima volta le uova nel
suo piatto. Le aveva massacrate, quelle due povere macchie gialle e bianche, e
non ne aveva assaggiato nemmeno un pezzetto, concentrato com’era a sbirciare
continuamente in direzione di un tavolo a quattro posti esattamente di fronte
al suo.
“Latin lover io? Ma se l’ultima storia l’ho avuta a
venticinque anni!”
“Non dirlo alla prof di lettere, allora: ha un debole per
te.”
“Ma guarda che sei peggio delle amiche di mia madre.
Pettegola.”
“Pettegolo, semmai.” Lo corresse Chris, contrariato, posando
il bicchiere e rubandogli dal piatto una forchettata di uova.
“Ehi, quelle sono mie!”
“Ma se non le mangi.”
“Sì che le mangio, è solo che...”
“Che la testa ce l’hai da un’altra parte. Kev, che cos’hai?
Sei strano...”
Kevin si strinse nelle spalle, costringendosi a rivolgere
gli occhi verso il suo amico che, quel giorno, indossava uno sgargiante
completo giacca-pantaloni azzurro scuro coordinato perfettamente con il colore
dei suoi occhi.
Così simili a quelli
di... no! Kev, non ci provare!
“Kevin, ma mi stai a sentire o no?” Chiese, agitandogli una
mano davanti al viso.
“Sì, sì...cioè, no...Chris, scusami, non sono più abituato
ad avere a che fare con la gente normale. Sai,vivere con un Joe depresso può
portare ad effetti del genere.”
“È la tua scusa per tutto, ne sei cosciente? Non è tuo
fratello che stai fissando ora.”
“Non sto fissando nessuno, Christian, è che...” Le parole
gli morirono in gola quando l’oggetto dei suoi pensieri, sentendosi
probabilmente osservata, si voltò verso di lui, trovandosi a guardarlo dritto
negli occhi...e assumendo alla velocità della luce una deliziosa tonalità
tendente al rosso fuoco.
Sorridendo, Kevin le fece un cenno con le dita della mano
destra, al quale Derek rispose sbracciandosi e gridando un decisamente
difficile da ignorare “Ciao prof!!!”
“Hai detto di no a me per quello lì?” Domandò Christian,
facendo in modo che mio fratello tornasse a guardarlo, rompendo a malincuore il
contatto visivo con la sua alunna. “Potrei offendermi seriamente, sappilo.”
“Christian, sei un idiota.”
“Sì, lo so... ma tu non me la racconti giusta. Stai qui da
due mesi e mezzo e già hai trovato qualcuno, qualcuno seduto a quel tavolo, con
cui flirtare e mi dici che non hai una donna da cinque anni?”
“No.” Replicò Kevin, portandosi un dito esattamente
all’altezza del naso. “Non ho detto di non aver più avuto una donna da allora,
ma solo di non aver più avuto una storia. Le donne nemmeno le conto più.”
Concluse con un mezzo sorriso da bravo ragazzo.
Coooome no...
“Oh, eccolo il termine che cercavo! Sei un puttaniere,
insomma.”
“Chris!” Quasi gridò Kevin, saltando in piedi e posandogli
una mano davanti alle labbra. “Ho una reputazione, io.”
“Anche io: sono il simpaticissimo prof gay. Non hai negato.”
Con un sospiro, Kev tornò a sedersi, rassegnato, mentre
Christian già pregustava la vittoria appena ottenuta senza nemmeno fare troppa
fatica.
“No, non ho negato... Sono stato con delle prostitute...un
paio di volte.”
Christian inarcò un sopracciglio con fare eloquente. E fu
allora che iniziai a nutrire una vera e propria venerazione nei confronti di
quell’uomo.
“Ok, un po’di più di un paio di volte...”
“Kevin...”
“E va bene! A sere alterne fino a circa metà
settembre....ora un po’di meno.”
Christian sorrise, soddisfatto, ma ben cosciente che ancora
non era arrivato per lui il momento di abbandonare la preda.
“E quello sguardo? Da dove l’hai tirato fuori?”
“Quale sguardo, Chris?” Domandò Kevin, sulla difensiva:
quello lì era già riuscito a carpirgli un po’troppi segreti per i suoi gusti...
“Ma quello che ti metti addosso tutte le volte che il
secondo anno del college è nei paraggi!”
“Non ho nessuno sguardo particolare!”
E arrossì.
Kevin Jonas, l’uomo tutto d’un pezzo, l’uomo che non avrebbe
ammesso i suoi sentimenti, qualsiasi essi fossero, nemmeno sotto tortura,
assunse l’adorabile tinta di un pomodoro maturo.
E Christian si sciolse letteralmente in brodo di giuggiole.
“Ooooh, che carino sei! Il mio gigolo dal cuore tenero! Chi
è la fortunata?”
“Chris...ti prego...”
“È un fortunato?”
“No..”
“Allora non sono io...peccato...tuo fratello è libero?”
“Christian...” Il nome dell’amico, questa volta, era stato
pronunciato con lo stesso tono della più disperata delle suppliche.
“Va bene, va bene, scusa...ma è carino, cavoli! Comunque..
me lo dici o no chi è lei?”
“No! Anzi, sai che faccio? Me ne vado che ho lezione.”
“In che classe?”
“Affari miei.” Rispose Kevin, alzandosi e raccogliendo la
giacca dallo schienale della sedia.
“Eddai, Kev! Io voglio sapere!”
“Ciao ciao, pettegola!”
E, con quella, fu fuori dalla mensa.
“Oh, peggio per te.” Soffiò Christian alla porta chiusa.
“Tanto lo scoprirò.”
Non importa cosa, non importa quando, non
importa chi.
Ogni uomo ha l’occasione di fare il
principe azzurro e rapire una donna.
Gli serve solo il cavallo giusto.
(dal film “Hitch”)
Joe sedette sulla panchina davanti alla pasticceria, il viso
quasi totalmente nascosto da una sciarpa pesante e un cuffia tirata fin appena
sopra agli occhi.
Se quello era solo novembre, non osava immaginare cosa
avrebbe potuto essere gennaio...
Con uno sbuffo che produsse una considerevole quantità di
vapore, scavò tra maniche e guanti per trovare l’orologio da polso.
Le tre.
Aveva fatto male a fidarsi di quella ragazzina: lei non si
sarebbe presentata e lo avrebbe lasciato lì come un idiota ad aspettarla per
tutto il pomeriggio nella speranza di riuscire a trovare una soluzione al suo
problema.
Beh, che volete che vi dica, Joe non è una persona molto
fiduciosa nei confronti degli altri...
Aveva appena deciso che, dopo aver contato fino a venti,
giusto per sicurezza, se ne sarebbe andato, quando una Clarisse piuttosto
trafelata gli comparve davanti, sbucando da una viuzza laterale, e facendogli
quasi fare un salto per lo spavento.
“Sei in ritardo.” Constatò, lapidario, senza scomporsi più
di tanto.
“Lo so...” Esalò la ragazzina, ansimando come un mantice.
“La campana non è suonata e il prof Prato non si è accorto che l’ora era
finita: pensava che lo stessimo prendendo in giro. Poi Madison mi ha tagliato
le gomme della bici...di nuovo... e sono dovuta venire fin qui di corsa. Però
ho i soldi!” Esclamò, raggiante, estraendo dalla tasca un rotolino composto da
banconote da un dollaro.
“E a che ti servono?” Domandò Joe, perplesso.
“A pagarti la pasta che mi hai offerto ieri e a offrirtela
io oggi, sennò non è leale.”
“Oh, dai, Clarisse, non devi spendere i tuoi risparmi per
pagare una brioche a me...”
“Tu ce l’hai un lavoro?” Chiese Clarisse a tradimento.
“Ehm... no, ma non vedo come questo...”
“Bene, la mia mamma sì e mi dà la paghetta tutte le
settimane, quindi io guadagno e tu no e non voglio che i nostri pasticcini li
compri con i soldi di tuo fratello che, tra l’altro, è il mio prof preferito.
Quindi pago io.”
Zittito dal discorso della piccola economista, Joe rimase
per qualche secondo seduto immobile, con l’indice della mano sinistra alzato a
mo’di monito e la bocca semiaperta ma vuota di qualsiasi parola, finché
Clarisse non lo richiamò all’ordine, domandandogli se voleva entrare o restare
lì a congelare fino al midollo.
A Kevin Christian, a Joe Clarisse... ma perché le persone
migliori i miei fratelli le hanno incontrate tutte dopo la mia morte?!
Al veder entrare la stessa strana coppia del giorno prima,
la ragazza al bancone della pasticceria sorrise e salutò entrambi con un
sorriso che andava da un orecchio all’altro, decisamente rivolto più a Joe che
alla bambina.
“Mi dai un bignè alla crema e una fetta di Sacher?” Chiese
Clarisse, posando i soldi davanti alle mani della giovane donna, che decise che
scherzare un po’l’avrebbe resa più interessante davanti al bello sconosciuto.
“Come, tuo fratello fa pagare a te?”
Clarisse si strinse nelle spalle, mentre Joe faceva scorta
di tovaglioli e li riponeva, insieme ai dolci, su di un tavolino lì a fianco.
“Non è mio fratello, è Joe Jonas. Ed è disoccupato, quindi
non ha soldi.”
“Potresti anche evitare di raccontare a tutti i fatti
miei...” Sibilò Joe, lanciandole uno sguardo che la invitava caldamente ad
andarsi a sedere.
Clarisse obbedì e lui fece per seguirla, quando una voce
piuttosto irritante alle sue spalle lo bloccò.
“Sei Joe Jonas dei Jonas Brothers? Io adoravo il
tuo...”
“No, hai sbagliato persona, mi dispiace.”
“No, no, io sono sicura che sei tu! Avevo sedici anni quando
la band si è sciolta, la mia camera era piena di poster.”
“Senti, non mi interessa di chi sei o eri fan, il Joe Jonas
che stava appeso in camera tua non esiste più. Io entro e compro da mangiare e
tu mi dai i dolci, la nostra relazione finisce qui. Punto.”
Detto ciò, tornò a sedersi, lasciando la povera commessa a
guardarlo, basita e un po’sconvolta.
“Perché l’hai trattata così male?” Chiese Clarisse, non
appena Joe l’ebbe raggiunta e si fu liberata di sciarpa, guanti e cappello.
“Non dovevamo parlare di canto, io e te?”
“A dire il vero dovevi dirmi cos’è che vuoi tu da me, di
canto abbiamo parlato ieri. Hai trattato male anche me la prima volta che mi
hai visto. Fai sempre così? No, perché non è un buon modo per fare amicizia.”
“Ti ha sfiorata l’idea che non voglio fare amicizia?”
“Come sei noioso...” Sbuffò Clarisse, tornando, però, a
sorridere dopo aver preso un grosso morso dal pasticcino. “Dai, racconta.”
“Ok, ok...” Joe si passò una mano tra i capelli scuri, per
poi prendere la forchetta e affondarla quasi con cattiveria nel dolce che gli
stava davanti. “C’è una ragazza...”
“Oh, sei innamorato! È per questo che sei così di malumore?”
“Clarisse...”
“Ok, sto zitta.”
“Dicevo che c’è questa ragazza... lei è innamorata di me.
Non me l’ha mai detto, ma io so che è così e io le voglio bene, ma non la posso
amare, perché le ho fatto troppo male, non merito il suo perdono.”
“Questo lascialo decidere a lei, scusa.”
Joe scosse il capo, sconsolato. Parlare di Eliza era sempre
difficile, e ogni volta lo era un po’di più.
“Lei mi perdonerebbe qualsiasi cosa, la conosco. Però,
Clarisse, io non sono qui per chiederti dei consigli su come comportarmi con
lei, perché questo l’ho già deciso.”
“E allora che cosa vuoi da me?” Domandò la ragazzina,
perplessa, inclinando leggermente il capo con la bocca colorata di bianco
appena socchiusa.
“Voglio che mi aiuti a dimenticarla.”
C’è un tempo per i baci sperati, desiderati
Tra i banchi della quinta b
Occhiali grandi, sempre gli stessi
Un po’troppo spessi
Per piacere ad uno così
(adattamento da Max Pezzali, Lo strano
percorso)
“Io ti dico che oggi ti guardava.” Sussurrò Francie
all’orecchio di Martha, che scosse energicamente il capo, agitando la cascata
di ricci biondi.
“Non è vero, guardava Derek che faceva l’idiota.”
“Ma per favore! Ti ha anche offerto il caffè!”
“Beh? È gentile, no? È un difetto, adesso?”
“Ci sta provando!”
Martha sbuffò, sistemandosi un paio di occhiali da lettura
sul naso e lasciando ricadere la testa sul banco.
“Ma non finisce più quest’ora?!”
“Qualche problema, Martha?”
All’udire la voce del professore, la ragazza si raddrizzò di
scatto, assumendo l’ormai a lei consueta tonalità peperone.
“No, prof...è che... niente, prof, mi scusi.”
Kevin annuì, tornando lentamente verso la cattedra e
giocherellando con un gessetto che teneva in mano.
“Mi serve un volontario che copi per me una partitura alla
lavagna.”
Derek scattò, cercando di prendere il gessetto dalla mano di
mio fratello che, però, glielo impedì, alzando il braccio fulmineamente.
“Martha, perché non vai tu? Così magari ti svegli.” Propose,
lanciando il gessetto alla giovane che, naturalmente, lo lasciò cadere a terra
dopo aver tentato una complicatissima presa che la portò quasi ad annodarsi le
dita tra loro.
“Tempo un mese e sei nel suo letto.” Fece in tempo a
soffiarle Francie, prima che l’amica uscisse dalla portata d’orecchio.
Figurati se uno come lui prenderebbe mai in considerazione
l’idea anche solo di guardare da lontano una come me...
“Ecco qui, per disegnare il pentagramma puoi usare la riga che
c’è lì.”
Martha annuì, afferrando l’oggetto sopraccitato, mentre
Kevin si appoggiava alla cattedra, provocando l’apparizione simultanea di occhi
a forma di cuore sui volti di almeno sette delle sue alunne.
“Louis Armstrong. Chi di voi sa dirmi qualcosa di lui? Oh,
Signore...” Esalò poi, notando la mano perennemente alzata di Derek. “Ho
paura... ma parla, Derek.”
“Posso andare al bagno?”
Kevin alzò gli occhi al cielo, esattamente nello stesso
istante in cui Beatrix tirava una gomitata nelle costole al suo compagno di
banco.
“Vai... C’è qualcuno che sa dirmi qualcosa di Louis
Armstrong? Altrimenti parlo....”
Il tremendo rumore di qualcosa di duro che scivola sulla
superficie di ardesia della lavagna interruppe la domanda, costringendo alunni e
professori a guardare Martha che, con aria colpevole, stringeva in mano la riga
che aveva causato il misfatto.
“Che... che è successo?” Domandò Kevin, confuso.
“Io...ho alzato la mano, suppongo.”
Un risolino nemmeno troppo sommesso si diffuse uniformemente
in tutta la classe e Beatrix e Francie si scambiarono un’occhiata, scuotendo il
capo, sorridenti.
“Oh...” Kevin sorrise, avvicinandosi alla ragazza, che, in
fretta e furia, si girò, tentando in qual che modo di sistemare la riga
parallela alle linee già tracciate.
Con scarso successo, per altro.
“Beh, dicci.” La incitò Kevin, avvicinandosi a lei.
“Louis...Louis Armstrong è un grande... beh, era un grande. La sua voce...” Il
discorso che aveva in mente le si cancellò totalmente dalla testa non appena vide
la mano di Kevin posarsi sull’estremo della riga che continuava a scivolare
verso il basso e, un secondo dopo, percepì il corpo di lui avvicinarsi al suo
fin quasi ad aderirvi.
“La sua voce cosa, Martha? Dai, ti do una mano, così finiamo
prima.”
Deglutendo a fatica, la ragazza riprese a parlare con la
voce talmente flebile che nessuno, mio fratello escluso, poteva sentirla.
“La sua voce è roca, profonda, caldissima... è... è una
delle voci più emozionanti della musica moderna.”
“Emozionante... e che emozioni suscita in te?”
Beh, che vi posso dire, per i doppi sensi Kevin ha sempre
avuto un talento particolare...
“Non... non lo so... calore, credo... mi fa sentire... mi fa
battere il cuore.” Concluse, a fatica, non più ben sicura se quelle parole
fossero riferite alla voce di Armstrong o alla vicinanza del professore.
“E quindi tu...”
In quel momento, la porta di aprì di scatto e Kevin si
affrettò ad allontanarsi da Martha che, di riflesso, fece lo stesso, lasciando
cadere a terra riga e gesso e rompendo il silenzio che si era impossessato
della classe.
Derek, facendo il suo ingresso, si sentì a dir poco
osservato e, per una volta in vita sua, addirittura senza parole.
“Ho...ehm...interrotto qualcosa?”
Kevin scosse il capo, chinandosi per raccogliere gli oggetti
caduti.
“Vai pure al tuo posto, Martha...finisco io qui, che manca
poco. Voi iniziate a copiare, forza, che domani la cantiamo.”
In silenzio, tutti gli alunni si armarono di penna e carta
pentagrammata e presero a scarabocchiare note e pause, mentre l’usuale
chiacchiericcio squarciava del tutto il velo di imbarazzo che si era creato.
Peccato, a me piaceva...
“Non aprire bocca.” Avvertì Martha, sedendosi, non appena
notò che Francie stava per parlare.
L’amica, in ogni caso, la ignorò bellamente e, con un
sorriso tra il divertito e il malvagio, disse esattamente ciò che Martha tanto
temeva.
Capitolo cortino,
questa volta, ma bello ricco dal punto di vista Kev/Martha che, da questo
momento, ho paura sarà sempre un crescendo. Joe poco presente, ma si rifarà nel
prossimo...
E ora ringraziamenti!!!
Quellaconcuistoparlandosumsn: toh, rompipalle, ecco qui il tuo capitolo da svenimento
(letteralmente XD), ma vedi di commentarmi anche Joe questa volta!!
Razu_91: se Martha e Kevti piacciono, nei prossimi capitoli ci
sguazzerai come un pesce nel mare. Eliza fa pena anche a me, così come me ne fa
Joe, ma è ancora lontano il momento in cui tutti e due ritroveranno la
serenità....
Princessjiu 327: ma sicuramente
Clarisse è più saggia di Joe! E per Kev e Martha...eccotene
una bella dose massiccia!
SweetDoll: e come sempre grazie!
Hihi anche io adoro Chris.... come dicevo a Minako, è l’unico a cui potrei
pensare di cedere l’uomo della mia vita, sìsì
Selphie: ecco a te due begli fb dolci
dolcissimi!!!
Ayachan: Una? Wow, vai di fretta,
eh? Beh, si vedrà.... Se Joe vuole dimenticare Eliza è proprio perché qualcosa
per lei prova eccome, o no? Però chissà...le vie di Tempe sono infinite (non
farci caso, sono affetta da manie di grandezza non indifferenti, ogni tanto mi
viene voglia di conquistare il mondo, cose così... niente di grave, comunque).
Jollina la verde: Io l’ho detto
e lo ripeto: Joe e Chris sono una coppia meravigliosa, punto. Non so se hai
letto la mia shot tutta zucchero su di loro.... li
amerai!!! Ma passiamo agli altri... Aaron è buono, troppo buono, e ha una cotta
paurosa...forse mostra di averla presa meglio di quanto in realtà non abbia
fatto. Eh sì...”la gente è matta” come dice Mia Martini... ma io Joe lo
preferisco così che suicida, non so te!
Sbrodolina: scusa, da dove l’hai
tirato fuori che Clarisse non sa mentire?Ti ringrazio comunque di tutti i complimenti...creare personaggi non è
facile, ma questi li amo particolarmente, soprattutto Eliza e Chris!
Lyan: mi spiace,ma credo che questo capitolo non ti chiarirà
molto le idee! XD
Tay_: Oh te, una vecchia conoscenza! Che bello vedere di
nuovo il tuo nome tra le recensioni!
Bibi94_Jonas4Ever: Derek è
perfido, lo capirai benissimo in questo capitolo...e Joe sa perfettamente
quello che Liz prova per lui....
Alexya379: giusto! Potere ad
Eliza!( e ad Elisa, se possibile. Vedi sopra la nota sulle manie di grandezza)
La Fitto: Io AMO Hitch...e Joe
in questo capitolo è abbastanza detestabile, sì, lo ammetto. Che Martha sia
persa non ci sono dubbi.... kev si vedrà!!! P.s. Regalo spedito!!!
Io
-Capitolo
Nove-
E arrivi tu nei miei pensieri
E ti riaccendi così com’eri
Tra i ricordi non c’è rumore
E non si sente nessun dolore
(i Pooh, E arrivi tu)
Joe sedette, un po’esitante, davanti alla piccola pianola
elettrica che Kevin aveva comprato quando lo avevano assunto a scuola.
I suoi primi soldi spesi in modo logico dopo l’incidente,
pensai, senza preoccuparmi di nascondere un sorriso. Tanto nessuno ci avrebbe
fatto caso.
Chiudendo gli occhi, premette piano su uno dei tasti
bianchi, per poi ritrarre subito il dito, quasi spaventato da quel contatto che
non sperimentava da tanto tempo.
“Buon compleanno,
Joe!” Esclamò Denise, schioccando un bacio sulla guancia del figlio, che se le
pulì immediatamente con il dorso della mano.
“Mamma, lo sai che mi
fa schifo!”
“Non capisci niente.”
Lo rimbeccò Kevin, avvicinandosi alla madre e reclamando il suo proprio bacio
che arrivò, puntualissimo, mentre Nick, impegnato a giocare con il suo trenino
nuovo, ignorava beatamente il resto della famiglia.
“Che mi avete regalato?”
Paul sorrise: a suo figlio piaceva andare dritto al sodo.
“Beh, hai sette anni,
ora...sei un ometto. Corri di là, c’è un bel regalo da grande tutto per te!”
E lei era lì che lo
aspettava, appoggiata sul tavolo della cucina e avvolta in un enorme fiocco
rosso.
La sua prima pianola.
Inutile dire che era
stato amore a prima vista.
No, non poteva arrendersi, non poteva farsi trasportare dai
ricordi.
Glielo aveva promesso, lo aveva promesso a quella ragazzina
e le avrebbe insegnato a cantare, lo avrebbe fatto a qualsiasi costo.
Con uno sforzo che non finirò mai di invidiargli, mio
fratello tornò a chiudere gli occhi e suonò più velocemente del dovuto le prime
note di quella che era sempre stata la sua canzone preferita.
“Ehi, che fai,
piangi?” Domandò un Joe quindicenne, passando un braccio intorno alle spalle di
Eliza, mentre sullo schermo scorrevano le immagini più commuoventi del film
“Highlander”.
Un Connor trentenne
abbracciato alla sua Ether ormai anziana, le note di “Who wants to live
forever” in sottofondo.
“No...no...ho qualcosa
in un occhio...”
“Come no...” Sorrise
lui, stringendola un po’più forte. “Adoro questa canzone.”
Eliza annuì,
appoggiandosi alla sua spalla e accettando senza protestare il bacio che le
posò sui boccoli rossi.
“Ti piacerebbe vivere
per sempre?”
Joe rifletté per un
attimo, gli occhi persi nel vuoto, poi annuì.
“Sì, ma solo se
potessi tenerti sempre con me.”
Un altro ricordo, una nuova coltellata dritta al cuore.
Ma stavolta non avrebbe vinto.
Seppure a fatica, le sue dita non abbandonarono la tastiera
e i suoi occhi non si aprirono, mentre le sue labbra si schiudevano a
pronunciare le prime parole della sua nuova vita.
“There’s no
time for us...”
Per un istante
Non dico niente
Cado e mi rialzo
Dentro la mente
(i Pooh, Alessandra)
“Sicura che non ti va di uscire? L’Uomo dei Panini oggi ha
salame e mortadella!”
Martha alzò appena il capo dal banco, simulando un conato di
vomito.
“Non riesco a tenere nello stomaco nemmeno un pacchetto di
crackers, mi spieghi che me ne faccio di un panino salame e mortadella?”
Beatrix si strinse nelle spalle, per poi voltare le spalle
alla sua amica.
“Fai come ti pare, ma io volo a prenderne uno, prima che
quei maiali dei ragazzi li finiscano tutti.”
Con un mugugnio sommesso, Martha lasciò ricadere la testa
sulle braccia, mentre anche gli ultimi ragazzi uscivano dalla classe per andare
a godersi il tanto sospirato intervallo.
“Non ti senti bene, Martha?”
Eh, vabbè, dai, mio fratello non è
mai stato tutta questa perspicacia.
“Per niente...” Mormorò lei, senza alzare il capo. “Credo di
avere un principio di influenza.”
“Beh, è stagione, no?” Osservò Kevin, finendo di infilare i
libri nella cartella di tessuto scuro e avviandosi verso la porta. “Vedrai che
con un po’di riposo ti passa. Hai verifiche in questi giorni?”
“La sua...” Rispose lei, di malavoglia, supplicandolo con la
mente di lasciarla in pace.
“Oh... beh, dai, vorrà dire che te ne farò una di recupero
molto più facile. Dai, ci vediamo domani... riposati.” In quella, si appoggiò
di peso al maniglione antipanico della porta, ma si trovò a dover constatare
che questa non si era aperta, come avrebbe dovuto, ma era, al contrario,
rimasta ben fissadove si trovava.
Ossia sbarrata.
Perplesso, bussò un paio di volte, chiamando qualche nome a
caso, ma nessuno pareva sentirlo.
Se solo avesse saputo che lì fuori un suo alunno con una
vistosa cresta di capelli rossicci se la stava ridendo come un disperato con le
chiavi appese alla cintura...
“Martha... può essere che la porta si sia incastrata?”
La ragazza sollevò la testa di scatto, provocandosi un
leggero giramento di capo.
“Che?” Domandò, aggrappandosi al banco nella speranza di
fermare la stanza che continuava a ruotarle intorno. “Come..come è bloccata?”
“Non si apre.” Spiegò Kevin, spingendo ancora sulla maniglia
per mostrarglielo. “Vedi?”
“Oh, fantastico, davvero fantastico! E io che calcolavo di
scendere in portineria a telefonare ai miei per farmi venire a prendere...”
“Ti darei un passaggio io se non fossimo chiusi qui dentro,
dannazione.”
“Sì, peccato che ci siamo.”
Kevin ridacchiò, aumentando in maniera esponenziale il
nervosismo della sua alunna.
“Che ha da ridere?”
“No, niente... essere malata ti rende nervosa, eh?”
“Beh, sì, cavolo! E poi questa classe è piccola...troppo
piccola...mi gira tutto e...”
“Calmati, calmati!” Esclamò lui, lasciando cadere la
ventiquattr’ore a terra e correndo ad inginocchiarsi davanti a Martha. “Fai dei
respiri profondi, così, fai come me, come se dovessi fare una nota molto, molto
alta e lunga...bravissima.”
Pian piano, la ragazza iniziò ad imitarlo piano, senza
riuscire, però, a portare il proprio respiro ad una velocità del tutto regolare
e tornando ad accelerarlo di brutto quando Kevin le accarezzò piano i capelli
chiari per incoraggiarla.
“Va un po’meglio?”
“Sì.... cioè, no... non... la apriranno, vero?”
“Ma certo che la apriranno, Martha, non ti preoccupare. Gli
altri dovranno rientrare in classe alla fine dell’intervallo e il bidello darà
loro le chiavi. Stai calma, ok? Va tutto bene.”
Ora, voi dovete sapere che non esiste nessuno e dico,
nessuno al mondo in grado di trattare una donna come il signor Kevin Jonas
quando tira fuori la sua voce suadente che sembra uscita da un film di
Hollywood per la serie Via col Vento. Calcolando, poi, la non indifferente
confidenza che in anni di convivenza con Joe ha acquisito in merito ad attacchi
di panico e simili...
E infatti.
“Grazie, prof... credo...credo sia il caso che mi calmi.”
“Credo anche io.” Replicò lui con un sorriso, senza smettere
di accarezzare le ciocche dorate di lei. “Che cosa ti senti, esattamente?”
“Non lo so... mi fa male lo stomaco...e la testa.”
“Fammi sentire se hai la febbre...”
“No, prof, io non credo che...” La sua nemmeno troppo
convinta protesta fu stroncata sul nascere dalle mani di Kevin che si posarono
sulle sue spalle, attirandola leggermente in avanti in modo da poter appoggiare
le labbra sulla sua fronte, proprio come Denise, nostra madre, faceva per
misurarci la temperatura quando eravamo piccoli e del termometro non ne
volevamo sapere. “...sia il caso.” Completò, esalando le parole, più che
pronunciandole, mentre la bocca di lui si socchiudeva appena in un bacio
assolutamente non necessario ai suoi scopi medici e il suo respiro le
solleticava la pelle del viso.
“Sei bollente.” Sussurrò Kevin, senza allontanarsi più del
minimo indispensabile al movimento necessario a pronunciare quelle due parole. “Devi
decisamente andare a casa e restarci per il resto della settimana.”
Avrebbe voluto pregarlo di allontanarsi con tutte le sue
forze, avrebbe voluto spingerlo via con tutta la decisione che aveva nello
scacciare Derek quando faceva i suoi stupidi scherzi.
No, non era vero.
Questo era ciò che avrebbe dovuto volere.
In realtà desiderava solamente che quell’intervallo non
finisse mai, mai più.
“Ma non posso saltare il compito....” Azzardò, giusto per
non fare scena totalmente muta.
“Te lo faccio recuperare, non ti preoccupare.” Sorrise
Kevin, tornando ad attorcigliarsi sulle dita della mano destra i ricci chiari
di lei e facendo scivolare lentamente il viso verso il basso, sfiorando il suo
profilo delicato con la punta del naso. “Non ho proprio voglia di metterti un
brutto voto solo perché non ti senti bene.”
Non ho mai capito come faccia a far cadere ai suoi piedi
ogni donna che prende di mira, sta di fatto che è così e probabilmente questa
realtà non cambierà mai.
Anche per Martha andò così...beh, quasi così... solo che lui
ancora non sapeva che tutto, tutto sarebbe stato diverso, quella volta.
Lentamente, gli occhi incatenati in quelli di lei, Kevin
inclinò il capo, avvicinandosi, se possibile, ancora di più e facendo per chiudere
la distanza che ancora li separava, quando qualcosa di totalmente inaspettato
accadde.
Invece di apprestarsi, come, nelle intenzioni di mio
fratello avrebbe dovuto, a ricevere il bacio, la ragazza reclinò la testa all’indietro,
accasciandosi contro lo schienale della sedia come se quell’ultimo, inaspettato
gesto del suo insegnante l’avesse definitivamente prosciugata di tutte le
forze.
Kevin, interdetto, rimase per qualche secondo a fissarla
sbattendo le palpebre, la mano destra ancora bloccata dietro alla sua schiena.
“Martha...” Chiamò, prima piano, poi un po’ più forte,
infine quasi gridando, prima di alzarsi ed iniziare a battere come un
forsennato sulla spessa porta bianca.
Perdonatemi se, ancora una
volta, non vi posso ringraziare una ad una... questo capitolo è un po’il mio
regalo di Natale,non credo che ne
pubblicherò altri prima di santo Stefano, ma non ne sono sicura, quindi... Capitolo
riflessivo, con l’introduzione di una nuova coppia e.... ho un piccolo Joe, ho
un piccolo Joe che terrò sempre con me. Grazie socia!!!!!!!!!!!!!!
E in fondo... un regalino di
Natale per tutte!!
Temperance
-Capitolo
Dieci-
Sei innamorata, non riesci a studiare
Sai solo pensare a quegli occhi suoi
Sei innamorata, per cena una mela
Con la radio accesa ti sogni lui
(Paolo Meneguzzi, Bella come non sei mai)
Non appena la porta al piano di sotto si chiuse,
avvertendola che sua madre era uscita per andare al lavoro, Martha si alzò dal
letto, attenta a non fare movimenti bruschi per non causarsi l’ennesimo
giramento di testa, e scese le scale alla volta della cucina e del suo
contenuto.
Non le interessava il fatto di non riuscire a tenere nello
stomaco nemmeno un cracker: aveva una fame incredibile e pensò che una mezza
mela non avrebbe potuto in alcun modo nuocere alla sua salute.
Non come il pezzo di pane che aveva mangiato per colazione o
il riso in bianco del pranzo che l’avevano ridotta a passare la giornata tra
camera da letto e bagno.
Per fortuna suo padre non sarebbe tornato prima di un’ora
dalla palestra e sua madre aveva il turno di notte, così la casa sarebbe stata
tutta per lei e, dopo aver mangiato, sarebbe stata finalmente libera di
chiamare Francie e di parlarle a ruota libera di tutto ciò che l’assillava.
Ossia mio fratello.
Quel quasi bacio in classe l’aveva sconvolta, non pensava
potesse succedere sul serio. Insomma, si era accorta delle attenzioni
particolari che Kevin le rivolgeva, anche perché sarebbe stato impossibile non
farlo, ma arrivare fino a cercare di baciarla...
Non l’avrebbe fatto sul serio, nemmeno se lei fosse svenuta,
ne era certa.
Voleva esserne certa, perché se avesse avuto anche solo una
minima insicurezza, quella cosa strana che sentiva dentro, quel calore così
sbagliato che l’avvolgeva ogni volta che pensava a lui, non le sarebbe passata
mai più.
Aveva paura a pronunciare la parola amore in relazione a
quei sentimenti, ma non trovava in alcun modo un termine che li definisse
meglio.
Insomma, come altro poteva essere inteso il non essere in
grado di leggere due righe di un libro senza che un paio di ben noti occhi
verdi le saltassero alla mente, il pensare a lui ogni momento, la sera prima di
addormentarsi, il mattino appena sveglia... il trovarlo persino come ospite dei
propri sogni, nascosto dietro ad ogni melodia, ad ogni nota, ad ogni parola
delle sue canzoni preferite.
No, decisamente non esisteva nulla che potesse rendere
meglio l’idea, eppure lei non voleva essere innamorata... non doveva esserlo,
checché ne dicessero le sue amiche.
Che poi, ne era certa, ora ci scherzavano, ma se fosse
successo davvero qualcosa tra loro, sarebbero state le prime a cercare di
dissuaderla da una storia seria con lui.
Proprio mentre anche l’ultimo boccone di mela stava per
essere ingoiato, il telefono di casa Sheperd prese a squillare e la voce
squillante di Francie interruppe i viaggi mentali della sua amica.
“Ciao ammalata!” Esclamò, non appena Martha ebbe sollevato
la cornetta. “Va un po’meglio?”
“Insomma... sto in bagno ogni cinque minuti, oramai il water
è il mio migliore amico e ho un mal di testa che non ti dico, ma, per il resto,
è tutto ok.”
“Scommetto che ti piacerebbe che ci fosse lì qualcuno a
coccolarti, eh?”
Martha ridacchiò, a metà strada tra il nervoso e il
divertito.
“Se ti riferisci a Jonas, calcola solo che passare nemmeno
un quarto d’ora in una camera da sola con lui mi ha fatto letteralmente perdere
i sensi... non so quali effetti benefici potrebbe avere vedermelo gironzolare
per casa, magari con il grembiule di mia madre.”
“Se vuoi te li spiego io, gli effetti benefici. Sai che oggi
ha chiesto di te?”
“Davvero?” Non poté trattenersi dal domandare, onde poi
mordersi subitaneamente la lingua.
“Sì sì, sembrava preoccupato. Ci ha chiesto se eri ancora al
pronto soccorso o se ti avevano lasciata andare a casa ed ha iniziato a fare
lezione solo quando gli abbiamo assicurato che hai una semplice influenza
intestinale. E togliti quel sorrisino dalla faccia, Martha.”
“Come fai a sapere...”
“Che credi, che non ti conosca? Tu ti sei presa una cotta
paura per il prof di musica e ora stai gongolando perché lui è in ansia per la
tua salute.”
“Non ho una cotta per lui!”
“Non sai mentire.” Dichiarò Francie, decisa. “Guarda che non
c’è niente di male... voglio dire, è un gran bell’uomo e credo che tu non sia
l’unica ad essere partita per la tangente. L’importante è che non ti lasci
prendere troppo. Perché lo sai, vero, che fama ha quello?”
“Ehm... no....” Ammise Martha, sedendosi davanti al tavolo e
stringendosi lo stomaco con un braccio, sentendo arrivare l’ennesimo conato di
vomito.
“E allora te lo dico io. Jonas con te gioca soltanto, puoi
starne certa, non è davvero interessato. È un donnaiolo, una specie di playboy
e non si fa nessuno scrupolo a giocare con i sentimenti delle donne. Abita con
suo fratello, una specie di disadattato sociale e molti dicono di aver visto
prostitute uscire da lì più di una volta.”
Se il viso di Martha prima era pallido, in quel momento
aveva raggiunto una colorazione molto prossima a quella del latte appena munto.
“Sei..sei sicura?”
“Assolutamente. Oddio, potrebbero sempre essere voci di
corridoio, ma io non ne sono convinta. Voglio dire, è il tipo, no? Uno che ama
divertirsi, intendo.”
“Sì... sì... è il tipo...”
“Martha, ascolta, non prendertela per quello che ti ho
detto...credevo che fosse giusto che tu lo sapessi. Martha? Martha sei ancora
lì? Martha?”
Le rispose solo un disperato scalpiccio diretto verso il
bagno.
Do mi sol do do
sol mi do
Se un buon musicista tu vuoi diventar
Tante scale e tanti arpeggi devi far
Prendi fiato ed ogni nota limpida sarà
Se dal petto e non dal naso ti uscirà
(da “Gli aristogatti”)
“Questa è casa tua?” Domandò Clarisse, arricciando il naso,
una volta varcata la porta del piccolo appartamento abitato dai miei fratelli.
“Cioè, scusa, ma che fine hanno fatto tutti i soldi che avete guadagnato quando
cantavate?”
“Sono andati a puttane.” Rispose Joe, lanciando uno sguardo
eloquente a Kevin che, sdraiato sul divano, continuava a cambiare canale sul
piccolo televisore.
“Capito l’antifona, me ne vado.” Replicò il fratello
maggiore, spegnendo la tv e alzandosi, per poi scompigliare i capelli di
Clarisse con gesto affettuoso. “Non so come ti sia venuto in mente di prendere
lezioni da questo qui, ti ammiro, sul serio. Tienilo d’occhio.”
Un attimo dopo Kevin era fuori dalla porta e Joe già stava
seduto davanti alla pianola, un libro di spartiti appoggiato sul leggio davanti
ai suoi occhi.
“Allora, da che canzone cominciamo?” Domandò Clarisse,
eccitata, trascinando uno sgabello accanto a lui e sedensovisi senza, però,
riuscire a smettere di muoversi.
“Con calma, ragazzina: per un bel paio di mesi di canzoni
non vedrai nemmeno l’ombra.”
“Cosa? Ma io sono venuta qui per cantare!”
“E canterai, ma non subito. Vedi, chiunque sa fare della
musica usando la propria voce, ma il canto vero è come un edificio piuttosto
lungo da costruire, una casa che ha bisogno di fondamenta forti. Se canti tanto
per fare ci sarà sempre qualcuno migliore di te, sempre qualcuno che non
riconoscerà la tua bravura, perché il talento è solo la minima parte del tutto,
il resto è studio. Quindi iniziamo con la respirazione. E avverti tua madre,
perché potresti seriamente essere presa per una pazza in preda ad un attacco
d’asma, mi segui?”
Clarisse annuì, convinta, ma un po’stupita.
“Bene, allora cominciamo. Innanzitutto, sai cosa è il
diaframma?”
Quando sfioriamo una corda dell’amore
Il bacio non è altro
Che la dolce vibrazione del suo cuore
(Anonimo)
“Tu sei cosciente di essere stato davvero uno stronzo?”
Domandò Beatrix, non appena Derek l’ebbe raggiunta nel punto del parco pubblico
in cui erano soliti darsi appuntamento.
“Ciao anche a te, Bex. Hai portato i cd che ti avevo
chiesto?” Rispose lui, accomodandosi sulla panchina accanto a lei.
“Non fare il coglione, Derek: mi hai fatto prendere un gran
spavento ieri, con la storia di Martha.”
“Oh, dai, era solo uno scherzo!”
“Sì, ma a Jonas è quasi venuto un infarto! Gli è
praticamente svenuta in braccio, povero cristo! E poi non ci potevi chiudere
me? A Martha quello lì nemmeno piace!”
“No, certo che no.... tutta la tensione che c’è tra di loro
secondo te da dove arriva?”
“Tu guardi troppa televisione. E, comunque, anche se fosse,
non dovresti incoraggiare questa cosa. Voglio dire, quanti anni hanno di
differenza, venti? E poi lui è il nostro prof!”
Derek scosse la testa, afferrando la borsa della ragazza e
iniziando a frugarvi in cerca del proprio cd.
“Dodici, solo dodici anni e non vedo proprio cosa ci sia di
male se si piacciono. Sono una bella coppia...”
“No, accidenti! Se fossero compagni di classe lo sarebbero!”
“Oh, dai, Bex, da quando sei così bigotta?”
“Ma non è questione di essere bigotta o meno. Conosci la
storia di Jonas e conosci Martha: una storia con uno così potrebbe essere
davvero pericolosa per lei!”
Derek roteò gli occhi, restituendo la borsa alla ragazza,
che l’afferrò, nervosa, lasciandosela cadere accanto.
“L’unica cosa davvero pericolosa per Martha è il non
svegliarsi. Deve iniziare a vivere, possibile che non lo vedi? Salta via come
se fosse scottata ogni volta che l’abbraccio. Ha bisogno di avere una relazione
con un uomo, di buttarsi, senza pensare alle conseguenze, una volta tanto, e se
Jonas può aiutarlo in questo perché impedirglielo?”
“Perché lei è minorenne, innanzi tutto, e lui rischia il
lavoro. Non voglio perdere l’unico insegnate decente che abbiamo.”
“Questo è vero, ma preferisci la felicità della tua migliore
amica o rifarti gli occhi durante le lezioni di musica?”
Beatrix non rispose, ma abbassò gli occhi verso il prato,
giocherellando con uno degli stoppini della giacca.Davvero non sapeva cosa pensare: Derek
probabilmente aveva ragione da vendere, ma lei avrebbe preferito mille volte
che Martha si mettesse con un ragazzo normale, uno che potesse capire la sua
timidezza e le sue peregrinazioni mentali ad occhi aperti.
Non era Kevin quello giusto.
In quanto a me, io ero d’accordo in toto con Derek: una come
Martha, una ragazza semplice e un po’persa, poteva davvero essere utile alla
riabilitazione di suo fratello, almeno quanto Clarisse poteva esserlo per Joe.
“Ma Derek... anche io sono sola, eppure non mi sembra di
avere grossi problemi.”
“Bex, dai, non ti puoi paragonare a Martha! Tu piaci ad un
sacco di ragazzi, lei ha diciotto anni compiuti e non credo abbia mai
baciato...”
“Dinne uno.”
“Un cosa?” Chiese Derek, perplesso ed un po’infastidito
dalle continue interruzioni.
“Un ragazzo che mi faccia il filo. No, perché io non le vedo
le folle sotto alla finestra della mia camera.”
Il giovane si alzò, stiracchiandosi, il cd ben stretto in
mano e un sorriso sornione dipinto sul viso.
“Non posso fare la spia, cara mia. Dovrai lavorare per
scoprire il nome dei tuoi spasimanti, ma ti do un indizio.” Affermò, chinandosi
verso di lei, come per sussurrarle un segreto all’orecchio. Poi, una frazione
di secondo prima di essere arrivato a destinazione, il suo volto si spostò del
minimo indispensabile per sfiorare le sue labbra con un bacio.
“Ci vediamo lunedì. Buon weekend.”
Continua...
Lo so che non è bello come quelli della socia, ma è solo il
secondo che faccio...siate clementi! Serve più che altro a farvi vedere il mio
Chris e il volto che ho scelto per lui. Teoricamente, dovrebbe essere la
copertina per la shot “My Special Present”...e non
preoccupatevi, in questa storia Joe e Chris non si metteranno insieme!!!
Copincollate nella barra e commentate, mi
raccomando!!!
Ancora una volta causa feste non riesco a ringraziarvi
singolarmente, ma prometto che dalla prossima volta tornerò a farlo...anche
perché il prossimo è un capitolo importante!
Un bacio a tutte, e di nuovo buone feste
Temperance
-Capitolo Undici-
Operator,
help me please
Get
through to my baby way overseas
Time’s
wastin’oh so fast
Hello
baby tell me is that you
(BB King, Telephone Song)
Eliza si sedette sul divano del suo appartamento, stringendo
forte il cellulare tra le mani.
Aveva ancora senso, dopo quasi tre mesi, tentare di
telefonargli? Insomma, anche un idiota avrebbe capito che Joe la voleva fuori
dalla sua vita, eppure c’era qualcosa che non la convinceva... che non
convinceva nemmeno me.
Insomma, non si può dimenticare così una persona di cui si è
stati amici praticamente per tutta la vita o, almeno, quell’emotivo di mio
fratello non ne sarebbe mai stato in grado.
Sbuffando, la ragazza si rigirò il piccolo telefono tra le
mani.
“Forse lasciarlo nel suo brodo per un po’è la strada
giusta.” Rifletté, rivolta alla piccola gatta acciambellata accanto a lei. “Che
ne pensi, Yz?”
Le rispose un miagolio sommesso che poteva essere un sì, un
no o una richiesta di cibo e carezze.
“Sì, lo so... allora, facciamo così: oggi lo lascio in pace
e lo chiamo do...”
Fu interrotta dal suo stesso cellulare che prese a vibrare
sulle note della Toccata e Fuga di Bach. Il suo cuore perse un battito al
riconoscere sul display il numero di casa dei miei fratelli.
Quasi tremando, premette la cornetta verde e si portò il
telefono all’orecchio, esalando un timido ‘pronto?’.
“Ciao, Liz, sono Kev.”
Giusto... si era completamente dimenticata che in
quell’appartamento ci vivevano due persone....
“Oh... ciao.”
“Lo so, pensavi che fosse Joe... mi spiace deluderti,
davvero...” Tentò di scherzare lui, con nemmeno troppa convinzione.
“No, non importa io... forse dovrei solo... niente. Come mai
mi chiami?”
“Ho visto qualcosa come una decina di telefonate tue e ho
pensato che forse avevi bisogno di parlare.”
Rispondere che non era lui quello con cui voleva parlare le
sembrò decisamente indelicato, quindi optò per una soluzione più soft.
“È solo che mi manca Joe... tanto.”
“Manca anche a me, Liz... il vero Joe, intendo, ma non sono
ancora riuscito a capire dove sia finito.”
Eliza sorrise, lanciando un’occhiata alla radiosveglia: le
otto.
“Kev, io devo prepararmi per andare al lavoro... ti va se ci
vediamo quando finisci a scuola?”
“Se rientra una ragazza alle tre le faccio recuperare una
verifica e dalle quattro sono libero. Mi vieni a prendere?”
“D’accordo, prof, se dico a Susy che mi vedo con te mi
lascia anche uscire prima: ti adora almeno quanto detesta Joe. Alle quattro,
allora.”
Ti regalerò una rosa
Una rosa bianca come fossi la mia sposa
Una rosa bianca che ti serva per
dimenticare
Ogni piccolo dolore
(Simone Cristicchi, Ti regalerò una rosa)
Kevin entrò, trafelato, in sala professori, praticamente
investendo la professoressa di religione che ne stava uscendo.
“Scusami, Sarah!” Esclamò, correndo verso l’armadio e
prendendo a frugare nel proprio cassetto sotto lo sguardo divertito di Chris e
di un paio di altri insegnanti.
“Chi ti rincorre, Jonas?” Domandò il biondo, avvicinandosi
al suo amico con un sorrisetto che questi trovò estremamente irritante.
“Sono in ritardo.” Rispose, lanciandogli uno sguardo
omicida. “Detesto essere in ritardo.”
“Kevin, manca mezz’ora alle nove, non sei affatto in rit...”
“Dimmi che hai un dollaro...”
“Ehm...tieni...” Replicò Christian, perplesso, porgendo una
banconota accartocciata a mio fratello, che l’afferrò e schizzò fuori dalla
stanza in meno di un secondo.
Martha entrò nell’aula di musica sbadigliando, senza
preoccuparsi di coprirsi la bocca con la mano, sicura di essere la prima,
esattamente come ogni mattina dell’anno.
Odiava il fatto che i suoi genitori dovessero andare a
lavorare così presto da essere costretti a strapparla da sotto le coperte già
alle sette e mezza, ma tant’era e poi, dopotutto, era l’ultimo anno, poteva
sopportare ancora per un po’.
Come pronosticato, la classe era totalmente vuota, fatta
eccezione per qualcosa di bianco posato... sul suo banco?
Incuriosita, la giovane si avvicinò, rendendosi conto che si
trattava di un fiore, una rosa bianca per essere precisi.
Il primo pensiero che le corse alla mente fu che dovevano
aver sbagliato posto, che forse quel fiore meraviglioso era un regalo per
Beatrix o per qualsiasi altra sua compagna di classe, che lì ci doveva per
forza essere finito per caso.
Notando che un biglietto, anch’esso bianco, era legato allo
stelo spinoso, lo raccolse e se lo rigirò tra le mani, sussultando nel rendersi
conto che il nome, vergato con inchiostro nero da una mano sicura ed elegante,
era proprio il suo.
Un regalo di
bentornata dalle ragazze, si disse immediatamente, ma si rese conto che
quella teoria non stava in piedi, visto e considerato che né Bea né Francie
erano ancora in circolazione.
Curiosa di scoprire qualcosa di più, aprì la minuscola
busta, trovandovi un cartoncino candido, coperto da poche parole che, però, la
colpirono come una freccia dritta al cuore, togliendole il respiro.
Vedo il tuo viso e non
lo posso toccare, vedo le tue labbra e non le posso baciare, vedo te e non ti
posso amare, ma vorrei... vorrei...vorrei...
Aspetterei in eterno,
Martha, per averti un attimo.
Bentornata,
K.
All’improvviso, senza che lei li avesse invitati, un paio di
occhi verdissimi presero possesso dei suoi pensieri, facendola partire per uno
dei suoi soliti viaggi mentali.
Kevin che entrava nella classe, guardandosi intorno per
paura di essere visto.
Kevin che si avvicinava al suo banco, estraendo la rosa da
dietro alla schiena.
Kevin che depositava un bacio sui petali delicati e posava
il fiore sul piccolo tavolo.
Sospirò.
Non poteva essere stato lui: non aveva idea che quel giorno
lei sarebbe rientrata.
E non sapeva quali erano i suoi fiori preferiti.
Francie fece il suo ingresso in aula chiacchierando con
Beatrix proprio mentre la loro amica, delusa, si lasciava cadere sulla sedia,
il biglietto ancora stretto in mano.
“Uh, Martha ha un ammiratore segreto!” Esclamò Francie,
battendo le mani, mentre l’amica sospirava, togliendosi il cappello.
“Benvenuta nel club.” Esalò, accasciandosi sul proprio
banco.
“Derek le si è praticamente dichiarato, venerdì.” Spiegò
Francie, pragmatica. “Allora, chi è il romanticone?”
“K.” Rispose Martha, porgendole il biglietto, che lei lesse
avidamente.
“Che belle parole... non sue di certo, ma belle. Hai a che
fare con qualcuno che ama usare frasi celebri e il cui nome inizia con la k.
Devo dirti chi mi viene in mente o ci arrivi da sola?”
“Non può essere stato lui, non aveva modo di sapere che oggi
sarei rientrata.”
“Allora ci hai pensato anche tu! Bex, tu che dici?”
“Jonas.” Borbottò la ragazza, senza alzare il capo. “Non
voglio vedere Derek... ditemi che è ammalato, vi prego....”
Francie e Martha sorrisero, scuotendo il capo in
contemporanea, mentre la bionda metteva tutta se stessa nel convincersi che le
sue amiche non dovevano avere per forza ragione.
Dopotutto, c’erano un sacco di ragazzi il cui nome iniziava
con la k... solo che in quel momento non gliene veniva in mente proprio
nessuno.
Gli amici ci riaprono gli occhi
Ci capiscono meglio di noi
E ti metton davanti agli specchi
Anche quando non vuoi
(i Pooh, Amici per sempre)
“Adesso mi spieghi.” Dichiarò Chris, non appena Kevin,
all’intervallo, lo raggiunse in sala professori.
“Che cosa?” Domandò mio fratello, prendendo un lungo sorso
di tè dal bicchierino di plastica dal colore indefinibile.
“Ti ho prestato un dollaro, questa mattina alle otto e
mezza. A comprarti la tua dose non può essere servito, quindi mi fai la grazia
di comunicarmi che fine hanno fatto i miei soldi?”
“Ehm... no.” Rispose con nonchalance, sedendosi sulla sedia
che Christian aveva appena lasciato libera e appoggiando i piedi sulla
ventiquattr’ore dell’amico, posata a terra.
“Oh sì, invece.” Ribadì l’altro, riappropriandosi della
borsa con uno strattone. “E sai perché? Perché tu non sei capace di tenerti le
cose per te.”
“Quello sei tu, Chris.”
“Sì, ma anche tu, quando si tratta di donne.”
“Come...”
Chris sorrise, sornione.
“Eri tutto agitato, stamattina, solo una donna può fare un
effetto del genere, nel tuo caso.” Dichiarò, trionfante.
Kevin sbuffò, decidendo che a volte Christian era
decisamente troppo intuitivo per i suoi gusti.
“Ok, c’è una ragazza.”
“Ultimo del college?”
“Ultimo del college.” Confermò mio fratello, concedendosi un
sorriso.
“E...”
“È stata assente, l’ho vista arrivare e le ho comprato un
fiore, tutto qui.”
“Un fiore, eh? Stiamo parlando di amore, mr american gigolo?”
Kevin scosse il capo, sorridendo.
“No, solo che quella ragazza muore per me, voglio solo
divertirmi un po’.”
“E tu fai regali a tutti i tuoi giocattolini?” Chiese ancora
il biondo, alzando un sopracciglio.
“Di solito li pago, i miei giocattolini.”
“Sarà... vedi di non cacciarti nei guai, però, non voglio
che tu ti faccia licenziare.”
“Tu lascia fare a me, Chris, ok? Devo giusto farle
recuperare una verifica, oggi... soli, qui dentro...”
“Tu sei matto.”
“Yeah, baby.” Rispose Kevin, alzandosi
con una giravolta e uscendo dalla stanza, lasciando Christian solo a scuotere
la testa.
Bene bene, dopo aver finito una
ricerca di tedesco e una di spagnolo, finalmente riesco a pubblicare il nuovo
capitolo e a rispondere a tutte le vostre recensioni. Sono veramente contenta
che la storia continui a piacervi... e qui le cose iniziano a farsi serie,
soprattutto da punto di vista di Kevin e Martha... ma non vi dico altro,
passiamo ai ringraziamenti.
Prima, però, lancio un appello... AGATHA che fine hai
fatto? Guarda che mi mancano i tuoi papiri!!!!!
La Socia: intanto grazie a tutto quello che hai scritto e
che scriverai (doccia) per me.. poi... sì, Kevin è un emerito stronzo, ma lo
sappiamo che la sua è solo una facciata, no? Chris lo sai che lo amo alla
follia e guai a chi me lo tocca!!!
Sweet_S: beh, Kevin dice a Chris di voler
solo giocare con Martha, ma il suo amico è tutto fuorché scemo e ha già capito
che c’è sotto qualcos’altro. Ora deve solo capirlo anche Kev.
SweetDoll: e
io che posso fare se non ringraziarti ancora e ancora e ancora?
Selphie: mi spiace rovinare tutta la tua
opera di auto convincimento, ma Kevin è davvero sicuro di voler solo giocare
con Martha, ma Chris, che è più sveglio di lui, ha capito che le cose non
rimarranno per sempre così. Liz per ora non c’è...ma si rifarà nel prossimo capitolo,
portando anche un po’di scompiglio.
Tay_: no che non è vero...
forse....chissà...
Alexya379: io credoche mi sarei messa a saltellare per la classe facendo una lista di tutti
i nomi che iniziano per K... ma lei è stata così calma solo perché era
preoccupata di convincersi che non era di Kevin, quel regalo.
Beautiful_disaster: intanto, scusa davvero per il ritardo
nella recensione di Lovebug....poi.....è stato l’accenno
alla verifica da recuperare che ti ha dato indizi di cosa succederà? No, perché
se è così può darsi che tu ci abbia preso in pieno! XD
Sbrodolina: Joe in questo capitolo ritorna in tutta la sua
non-forma, tranquilla! E anche Nick ha un po’più di voce in capitolo e...
indovina! La prossima long che ho in programma, finita questa, sarà proprio sul
tuo Jonas preferito!!!
Maybe: ohohoh e
quel qualcosa ti ha detto proprio bene! A questo capitolo voglio un bel
commento di quelli che sai fare tu, mi raccomando!!!
Bibi94_Jonas4ever: hihihi può
darsi che tu con l’ultima affermazione ci abbia azzeccato in toto cara mia!!!
Auguri anche a te per un felicissimo anno nuovo.
Lyan: sì che fa così con le ragazze...
la domanda è se farà così anche con Martha! Eliza avrà il suo piccolo momento
di gloria nel prossimo capitolo...
Jollina la verde: Joe deve darsi una svegliata e forse gli
serve una certa dodicenne per capirlo...
Infine un grazie specialissimo ai 37 che mi tengono tra i
preferiti, a Flavio, che è Derek e che vorrei vedere più spesso e a Francesca e
Beatrice, inconsapevoli coprotagoniste di questa storia.
Buon anno a tutti!!!
Temperance
-Capitolo
Dodici-
Haven’t
your lips longed for my touch?
Don’t
say how much, show me! Show me!
Don’t
talk of love lasting through time
Make me
no undying vows
Show me
now!
(da My
Fair Lady, Show me)
“Avanti!” Esclamò la prof di lettere e, un istante dopo, la
faccia da schiaffi di mio fratello maggiore fece capolino nell’aula con un
sorriso sornione.
“Ciao Mary. Posso rubarti la Sheperd che deve recuperare la
mia verifica?”
“Ma certo, Kevin.” Cinguettò la donna, mentre Derek saltava
in piedi, domandando a gran voce di poter uscire per fare da testimone
all’amica.
E saltare un’oretta che, altrimenti, avrebbe dedicato al
sonno più totale.
“No, Milton, tu stai qui e ti interrogo., Sheperd, fila.
Ciao, Kev...”
Kevin fece un cenno veloce con la mano, prima di spingere
delicatamente Martha, stretta al suo astuccio verde e viola, fuori dall’aula.
“Allora, sei preparata?” Domandò, precedendola lungo il
corridoio che conduceva alla sala professori. La ragazza annuì, continuando
imperterrita a fissare il pavimento. “Ti è piaciuta la rosa?”
Eccolo lì, l’effetto desiderato.
Martha, ferma immobile in mezzo al corridoio, l’immagine
indelebile di un fiore bianco stampato in mente, insieme ad una frase
dolcissima e ad una k che Francie aveva subito interpretato nel modo giusto.
“Touché...” sorrise Kevin, aprendo la porta e facendole
cenno di entrare. Lei eseguì, come un automa, senza osare alzare gli occhi da
terra.
Era sua...era sua davvero...
Se pensava a quanta fatica aveva fatto per auto convincersi
che non era possibile, che quella k voleva dire Ken o Kim....
“Beh, non ti siedi?”
“Perché me l’ha lasciata?” Le parole uscirono dalla sua
bocca prima che potesse fermarle e, un secondo dopo aver sentito la propria
voce, si morse istintivamente le labbra.
Doveva fare il compito in classe, cavolo, non assecondare lo
scherzo del suo professore.
Del suo professore decisamente bello.
E sexy.
E romantico.
Sapete, è davvero imbarazzante vedere cosa questa ragazza
pensava e pensa a tutt’ora di mio fratello.
“Che cosa?” Domandò Kevin, prendendo un foglio dal suo
cassetto e posandolo sul tavolo davanti a Martha, che non lo degnò di uno
sguardo.
“La rosa...”
“Non mi hai ancora detto se ti è piaciuta.”
“È stato Derek? A dirle che le rose bianche sono i miei
fiori preferiti, intendo. E come sapeva che sarei rientrata oggi?”
Kevin si strinse nelle spalle, appoggiandosi al tavolo.
“Ti ho vista per strada e sono corso dal primo fiorista che
ho trovato aperto...e no, l’ho capito da solo: sei un tipo da rose bianche....
ma l’aiuto di Derek è stato effettivamente determinante, sì.”
“Stronzo...” Sibilò lei a denti stretti.
“Prego?”
“No, io... prof, perché mi ha mandato quel fiore? Me lo
dica, per favore, perché io sto diventando pazza. Voglio dire, lei con me è
strano...è gentile, sì, ma ha il doppio delle attenzioni che usa per gli
altri... mi confonde...”
Kevin sorrise, riguadagnando la posizione eretta e
avvicinandosi un poco a lei.
E io lì capii che la signorina Sheperd in quella verifica
avrebbe preso un bel non classificabile.
E che non gliene sarebbe importato assolutamente nulla.
“Mi permetti di chiarirti un pochino le idee?”
Prima che la ragazza avesse la possibilità di pronunciare
qualcosa di più di un semplice ‘cosa’, Kevin si chinò a posarle sulle labbra
socchiuse un bacio molto più delicato di quanto lei si sarebbe mai aspettata.
Di quanto desiderasse, a dire il vero.
Un bacio a stampo appena accennato che, però, ebbe comunque
il potere di farle ignorare completamente gli impulsi ragionevoli del suo
cervello che le dicevano che era sbagliato, che baciare un professore non è una
bella cosa.
Lasciando cadere l’astuccio a terra, allacciò le braccia
intorno al collo di lui, baciandolo a sua voltacon tutta la foga e l’inesperienza di una diciottenne alle prime armi
che si è trattenuta per troppo tempo dal fare ciò che il suo cuore e il suo
corpo le dicevano.
Un pensiero la colpì, inaspettato e, a dirla tutta, anche
piuttosto indesiderato: chissà quante altre donne lui aveva baciato prima,
chissà con quante era andato oltre un semplice bacio...e per lei era il primo,
il primo in assoluto... gli avrebbe fatto schifo a dire poco, ne era certa.
Proprio mentre stava per separarsi da lui e scappare dalla stanza
per chiudersi nel primo bagno che avesse trovato, però, sentì le braccia di
Kevin che si stringevano intorno ai suoi fianchi e il corpo di lui che si
appoggiava morbidamente al suo, trovandovi un perfetto complementare, e spingendola
pian piano verso il tavolo finché non vi fu contro.
“Prof...” Sussurrò a fior di labbra, senza allontanarsi dal suo
viso, mentre lui spingeva di malagrazia la verifica da una parte e la sollevava
di peso, facendola sedere dove poco prima si trovava il foglio di carta bianca,
destinato a rimanere tale.
“Kevin.” Replicò lui, la voce leggermente arrochita,
depositandole una breve serie di baci che, dall’angolo della bocca, portavano
all’attaccatura dell’orecchio. “Solo Kevin, per te.”
“Kevin...” Ripetè la ragazza, tornando a catturare le labbra
di lui con le proprie, mentre la mano destra di Kevin si avventurava sulla sua
schiena, sotto la camicetta, e la sinistra affondava nei capelli biondi.
La voce di Francie che le ripeteva ‘due settimane’ le
risuonò nella testa, vagamente irritante, ma assolutamente sibillina, e lei
abbozzò un sorriso, che Kevin interpretò come un invito a non fermarsi lì.
Sorridendo a sua volta, le accarezzò le labbra con la lingua
con studiata lentezza, chiedendo accesso alla sua bocca e facendola trasalire.
Non avendo idea di cosa fare, la ragazza si affidò
semplicemente all’istinto, dischiudendo appena le labbra, dando a mio fratello
la possibilità di approfondire il bacio, avvicinandosi, se possibile, ancora di
più e sistemandosi tra le gambe di lei.
Accarezzandole piano i capelli, la strinse forte a sé,
passandole la mano libera lungo il busto e la coscia, per poi risalire e
posarsi accanto all’altra, strappandole un sospiro soddisfatto.
Inutile dire che nessuno dei due sentì la porta aprirsi.
Cancelliamo senza appello
La tua storia dalla mia
Basta far la doccia col tuo shampoo e
andare via
Basta la ventiquattr’ore
Che mi hai regalato tu
Con magari dentro quelle foto di noi due
Per dimenticare te
(i Pooh, Per dimenticare te)
Clarisse bussò piano alla porta dell’appartamento di Kevin e
Joe, sentendosi rispondere da un perentorio ‘è aperto, entra!’ del suo maestro
di canto.
Avevano stabilito che si sarebbero divisi le lezioni: due di
tecnica canora e una di... beh, di qualunque cosa Clarisse dovesse insegnare a
mio fratello o, meglio, di qualunque cosa lui avesse deciso di lasciarsi
insegnare.
La ragazzina, dal canto suo, non aveva assolutamente capito
cosa Joe volesse da lei, ma si rendeva conto che quello era il suo prezzo e
avrebbe fatto di tutto purché quei loro appuntamenti non si interrompessero.
Amava trascorrere il suo tempo con Joe, a volte andava a
trovarlo anche quando non avrebbe dovuto e lui non la cacciava mai. Non le
sorrideva, la trattava male, ma lei si rendeva conto che il loro rapporto era
diverso da qualsiasi altro intrattenuto dal suo vecchio idolo e di questo era
immensamente contenta.
“Allora, che mi hai portato?” Domandò Joe, senza salutarla,
strofinandosi con un asciugamano i capelli bagnati.
“Allora ti lavi, ogni tanto!” Esclamò lei, beccandosi
un’occhiataccia in risposta.
“Che cosa vorresti dire?”
“Che i tuoi capelli sono sempre sporchi e hai indossato la
stessa felpa per tutta la scorsa settimana.”
Lui si strinse nelle spalle, sedendole accanto.
“ In ogni caso non esco praticamente mai e, quando lo
faccio, è buio, perché dovrei preoccuparmi di come sono vestito?”
“Beh, perché sei Joe Jonas... sei stato...un’icona,
accidenti! Tu e i tuoi fratelli eravate i più eleganti di...”
“Eravamo, appunto. E poi tu non sai che sollievo non
indossare più quelle stupide scarpe... le odiavo. Ma non siamo qui per parlare
delle mie abitudini igieniche, no?”
Clarisse sospirò, alzando gli occhi al cielo: a volte le
sembrava di essere lei l’adulta, tra i due.
“No, siamo qui perché devi dimenticare Elizabeth.”
“Eliza.” La corresse immediatamente lui, con un’occhiata
omicida.
“Eliza, fa lo stesso. Tanto devi scordarti di lei, no?
Intanto dimmi una cosa: perché vuoi fare questo?”
Joe annuì lentamente, cercando le parole dentro di sé. Poco
prima aveva fatto quello stesso discorso a se stesso, ma, chissà perché, era
risultato mille volte più facile.
“Perché... non voglio farla soffrire. Perché non la posso
amare.”
Perché sei uno stupido, esattamente come quell’altro, perché
non sai lasciarti alle spalle un passato che ormai non dovrebbe più far parte
della tua esistenza, perché hai paura dei tuoi sentimenti.
Perché credi di non poterla amare, ma in realtà lo fai con
tutto te stesso.
Perché senza Eliza, molto probabilmente nemmeno saresti più
qui.
“Non è vero, non esistono amori impossibili.”
Brava, Clarisse... a volte penso che, se fossi vivo, mi
innamorerei di questa ragazza.
“Beh, questo lo è.”
“No che non lo è. Io non ti voglio aiutare a non amare più,
Joe. Non ti dimenticherai mai di Eliza... lei è... è parte di te.”
Ok, mi correggo, io amo
questa dodicenne.
“Sembri Kev ora...”
“Senti, dimmi cosa devo fare e io lo faccio, va bene? Però
secondo me non serve a niente.”
“Di che cosa serve secondo te non mi interessa, fai il tuo
lavoro e basta.”
“Bene, allora sai che ti dico? Joe Jonas torna in pista. Vai
a stirarti i capelli, io telefono a mia sorella e le chiedo se trova qualche
sua amica che voglia uscire con te. Chiodo scaccia chiodo, no?”
“Non credo che uscire con un’altra sia...”
“Tu mi insegni a cantare, io ti trovo una ragazza, questi
sono gli accordi.”
Joe alzò gli occhi al cielo, esasperato, ma poi annuì, anche
se non del tutto convinto.
“I capelli però non me li stiro, te lo puoi tranquillamente
scordare.”
Se penso a quanto abbiamo litigato, io lui e Kev per farlo
uscire di casa riccio...
Uno dei benefici dell’amicizia
È sapere a chi confidare un segreto
(Alessandro Manzoni)
Inutile dire che
nessuno dei due sentì la porta aprirsi...
“Prof, scusi, mi ha mandato quella di lettere per vedere se
Martha ha...” Derek, che aveva iniziato a parlare prima ancora di guardare
dentro all’aula, si bloccò a bocca aperta non appena vide ciò che stava
succedendo e rifletté che, forse, sua madre non aveva poi così torto quando gli
diceva che era sempre meglio bussare prima di entrare in una stanza non sua.
“...finito...”
Kevin, dal canto suo, appena udì la voce del suo alunno fece
un salto all’indietro che nemmeno io ai tempi dei concerti, mentre il suo cuore
sembrava aver deciso che la sua gola era un ottimo luogo dove battere
all’impazzata e Martha, rimasta immobile, paralizzata, seduta sul tavolo,
cercava in qualche modo di tornare a respirare.
“Derek...” Esalò mio fratello, passandosi una mano tra i
ricci scuri. “Ti hanno mai detto che si bussa prima di entrare?”
Sì, sua madre aveva decisamente ragione.
“Ma, prof... io che ne sapevo che lei... voi... oh, cavolo,
pensavo che Mar stesse facendo la verifica!”
“Ragazzino, se qualcuno viene a sapere questa cosa io ci
rimetto il lavoro!”
“Ma prof... cioè, Kevin, Derek non... non lo dirà a
nessuno...” Intervenne la ragazza, a mezza voce, non appena si fu ripresa il minimo
indispensabile ad emettere qualche suono. “Vero?”
Mentre Martha, afferrando la mano che Kevin le porgeva,
scendeva dal tavolo e si sistemava in qualche modo la malia spiegazzata, Derek
parve soppesare ciò che la sua amica gli aveva appena chiesto.
Mantenere un segreto... lui...
“Ci posso provare.” Rispose infine, sorridendo. “Anche
perché è da settembre che faccio il tifo per voi, ma ti avverto che dovrai
tenermi costantemente d’occhio, perché la mia parlantina davvero non dipende da
me.”
“Essere rimandato in musica potrebbe aiutarti a tenere la
bocca chiusa?” Ringhiò Kevin, chiudendo con un calcio la porta della classe.
“Calmati...” Mormorò Martha, posandogli una mano sulla
spalla e lui annuì, stringendola forte con la propria, per la gioia di Derek
che, se fosse stato un cartone animato, avrebbe molto probabilmente esibito un
paio di occhioni a cuoricino.
“Seriamente, Derek, è importante che tu non dica niente,
ok?”
“Certo, prof, stia tranquillo, sarò una tomba... più o meno.
Adesso però credo sia meglio che torni in classe, o quella là organizza una
spedizione per venirmi a cercare. Tu che fai?” Domandò, rivolto a Martha, che
girò con gli occhi la domanda a mio fratello.
“Non ho fatto la verifica...”
Kevin annuì, sorridendo per la prima volta da quando Derek
aveva fatto la sua comparsa.
“Tu non ti preoccupare, ci penso io a come risolvere la
questione. Ma non aspettarti trattamenti di favore, capito? Andate, adesso...
ci vediamo domani... e, Derek? Studia, per favore.”
Il ragazzo annuì e si esibì in un saluto militare, prima di
schizzare fuori dalla classe.
Martha fece per seguirlo, ma fu bloccata da una mano grande
che l’afferrò per il polso.
“L’abbiamo scampata bella...”
“Già... forse è meglio che evitiamo di rifarlo, eh?” Tentò
di scherzare la giovane, fallendo miseramente nel nascondere il colorito
aragosta del suo viso.
“Eh sì... dovremo trovare un altro posto.”Con un sorriso sornione, Kevin si chinò a
posarle un leggerissimo bacio sulle labbra, prima di lasciarla andare. “A
domani.”
Ed eccola che, dopo una giornata
di noia più totale il cui culmine è stato il concerto di Max Pezzali (...)
tento di combinare qualcosa di buono aggiornando la mia storiella. Sono felice
che, nonostante le feste, sono già tornata ad avere 16 recensioni...ma davvero davvero felice! E ho anche acquistato altre 2
preferizzazioni e un paio di nuovi lettrici! Che si può chiedere di più? E ora
passiamo a ringraziare tutti, uno per uno, perché siete meravigliosi e questo è
il minimo per voi!!!
Sbrodolina: ehi, che entusiasmo!
Tranquilla, la tua long sta prendendo forma, anche se non credo che inizierò a
pubblicarla prima della fine di questa. In quanto al diventare
scrittrice...beh, non è il mio sogno, non credo possa diventare un mestiere per
me, ma se succedesse, almeno sono sicura di avere una fan! Grazie davvero!
Brotherina: vedo che Nick
innamorato di Clarisse ha fatto successo! Hehehe...
gli ho trovato una donnina, io, per la prossima storia... E Kev e
Martha...calma calma che siamo solo agli inizi
Jollina la verde: Minako non
aspettava altro che quella che per noi ora è la Sala Professori con le
maiuscole!!! Sai, inizialmente doveva entrare Chris, poi ho pensato che sarebbe
stato scontato e ho cambiato....
Tay_: Thank you again
per tutti i complimenti. E in quanto al tuo amore viscerale per Derek....credo
che più avanti avrà un suo momento di gloria.
Sweet_S: calcola che il Nick che ama clarisse è morto.... hai
sempre quello vivo a disposizione!
Selphie: se a te sembra di ripeterti nelle recensioni, pensa a
me nei ringraziamenti! Ma mi fa piacere, come spero a te faccia piacere
recensire...quindi manteniamo le buone tradizioni! In quanto a Clarisse..
chissà chissà...potresti averci azzeccato. Più o
meno. In parte. Quasi.
Alexya379: Fatto, aggiornato!
Sei ancora viva????
La Socia: Sai cosa ti fa pensare
che Derek farà danni? Il fatto che è Derek, cara mia, ed è in se stesso un
danno. Chissà che farà il *tuo* prof in merito.... . Se
Joe è davvero convinto di uscire con un’altra? Fino a quando non ho scritto il
capitolo 14 pensavo di sì, ma sai com’è, noi autori non controlliamo mai
davvero i nostri personaggi e lui mi è...come dire...sfuggito dalle mani. E non
è andato in discoteca (Pfff un paio di palle), se te
lo stai chiedendo.
Agatha: Wow, tre commenti byagatha in un colpo solo! Tempe
felice.... Cara mia, chi e ripeto, chi non avrebbe pagato per stare al posto di
Martha? Nick imbarazzato io lo adoro...e ne avrà di motivi per cui
imbarazzarsi, oh, se ne avrà! Joe e piastra al momento
sono in rapporti un po’tesi...ma credo proprio che avranno un ritorno molto
passionale, non disperare!
Fefy88: Io non credo sarei
svenuta. Credo che avrei anticipato la scena del capitolo scorso... però, non
si può mai dire! XD
Sweet_Doll: leggi cosa hai scritto e rifletti. Derek che tiene la
bocca chiusa? Che giovane di belle speranze, sei...un po’come Martha! XD
scherzi a parte, pel di carota farà del suo meglio, ma...
Lety: guarda, Clarisse è colei da cui tutta la storia ha
avuto origine, ci sono in un certo senso molto legata... anche se tu conosci il
mio amore viscerale per Chris. Sto facendo, però, tutto il possibile perché la
mia clary somigli poco pocopoco a Patty, che io reggo davvero poco...mentre una Madison-Antonella nonmi dispiace affatto. A parte il capitolo Clarisse, grazie di tutti i
complimenti!!!!
Lyan: Bussare? What’s bussare? Si mangia?
XD Idiozia a parte, spero davvero di riuscire a far rinsavire Joe, perché così
fa paura pure a me!
Crys03: wow, 30 minuti?! Sei un
robot! Hehe grazie, una fan in più è sempre
benvenuta!
Reby94xx: Oddio...devo dire che
rispondere alla tua recensione è quantomeno...complicato, ma mi ha fatto molto
piacere leggere un romanzetto del genere!!!
Beautiful_disaster: Clarisse e
Derek sono, senza mezzi termini, due rompicoglioni, ma alla fine sono buoni,
dai!
Temperance
-Capitolo
Tredici-
Se telefonando
Io potessi dirti addio
Ti chiamerei
Se io rivedendoti
Fossi certo che non soffri
Ti rivedrei
Se guardandoti negli occhi
sapessi dirti basta
ti guarderei
(Mina, Se telefonando)
La porta dell’appartamento si chiuse con un sonoro ‘clack’
alle spalle di Clarisse, lasciando Joe seduto, immobile, sul divano, con in
mano una piastra che non aveva più usato, da quattro anni a quella parte e che
Kevin l’aveva praticamente costretto a portare con sé.
“Ridicolo...”
Commentò, rivolto a nessuno in particolare e lasciando cadere sulla poltroncina
lì accanto il piccolo oggetto allungato.
Non avrebbe mai dovuto chiedere aiuto a quella ragazzina.
Non avrebbe mai nemmeno dovuto accettare di insegnarle a
cantare: gli riportava alla mente troppi, troppi ricordi che lui non avrebbe
voluto rivivere mai più.
Ricordi di quando la sua vita era ancora una vita e non un
semplice trascinarsi lungo tutte le ore del giorno, un non aver pace nemmeno
nei sogni.
Mi credete, vero, se vi dico che avrei dato qualsiasi cosa
purché mio fratello smettesse di sentirsi un assassino?
Sospirando, Joe afferrò il cordless e rimase fermo per
qualche istante a fissare il piccolo schermo sul quale, stranamente, non
campeggiavano bustine segnalatrici di chiamate non risposte.
Non era sicuro di che sentimenti quella mancanza gli
provocasse... nostalgia, forse, o senso di colpa... ma anche una grande,
immensa rassegnazione.
Forse, dopotutto, non avrebbe avuto bisogno di uscire con
un’altra perché Eliza si scordasse di lui.
“Peccato che sia io a dover dimenticare lei...” Biascicò,
componendo velocemente un numero sulla piccola tastiera.
Avrebbe ascoltato Clarisse, avrebbe visto un’altra donna...
ma prima c’era una chiamata che doveva fare. Una chiamata che, forse, gli avrebbe
risparmiato di rivivere un altro ricordo.
Lume di candela,
tavola perfettamente apparecchiata, tovaglioli a origami, musica d’atmosfera.
E lei.
Lei con cui sognava di
uscire da una vita e con la quale, finalmente, i suoi fratelli erano riusciti
ad organizzargli un appuntamento.
Lei con i capelli
d’oro colato e per occhi due pozze di cielo limpido.
Era stata una serata a
dir poco perfetta, con lei splendente come il sole di maggio e un cibo degno
della migliore alta cucina italiana. Tutto assolutamente meraviglioso... se non
fosse che poi era arrivato l’inevitabile momento del primo bacio.
Così funziona, no? Si
suppone che, alla fine di un appuntamento al limite del paradisiaco la coppia
coinvolta si scambi il primo bacio e faccia piani per l’incontro successivo. E
così fu.
Joe si chinò
lentamente verso di lei, posando piano le labbra sulle sue, aspettandosi di
sentire chissà quale scampanellio celeste e trovandosi, invece, circondato
solamente da una voce che strillava a tutto volume un nome che non era quello
giusto.
Il nome della sua
migliore amica.
Spaventato, si era
allontanato da lei di scatto, guardandola, spaesato, e correndo via a tutta
velocità, abbandonandola da sola in un ristorante di lusso nel bel mezzo del
New Jersey.
Dopo quella volta, per almeno tre settimane non era più
riuscito a guardare Eliza negli occhi e non voleva che quella storia si
ripetesse. Come poteva, infatti, essere certo che lei non sarebbe venuta a
sapere di questa sua uscita? Come le avrebbe spiegato che poteva amare un’altra
ma non lei?
Di certo non sarebbe stato carino dirle che lei era parte
integrante della sua vecchia vita e, come tale, aveva bisogno di essere
eliminata perché lui potesse ricominciare da zero.
Avvisarla prima di certo avrebbe sistemato un pochino le cose...
o forse gli avrebbe solo alleviato un minimo di senso di colpa.
Con un respiro profondo, Joe premette il tasto di invio e la
chiamata partì.
Risponde la segreteria
telefonica di Eliza Doolittle. Al momento non sono in casa, ma prometto che vi
richiamerò appena tornerò! Se proprio volete perdere un po’di tempo a parlare
con il nulla... beh, lasciate un messaggio dopo il beep!
Joe si sentì sprofondare.
Era da tre mesi che Eliza cercava di telefonargli e ora che
aveva finalmente deciso di farlo lui, lei era fuori casa.
Trattenendo le lacrime di rabbia che premevano contro i suoi
occhi, mormorò un’unica parola prima di riappendere la cornetta.
“...scusami...”
E se fosse la gelosia
Che mi fa vedere cose
Che esistono soltanto nella mia mente
(Laura Pausini, Benedetta passione)
Martha uscì da scuola chiacchierando con le sue amiche,
sorridente come non le capitava da parecchio tempo, incuriosendo tutti quanti
con questa sua improvvisa allegria.
Tutti a parte Derek, ovviamente, che, con somma sorpresa della
ragazza, non aveva ancora lanciato frecciatine idiote su ciò che aveva visto in
sala professori. Tuttavia, era presto per cantare vittoria, visto che non erano
passati neppure venti minuti dal fatto sopraccitato.
Tutta la sua euforia, però, scomparve quando vide la scena
che stava avendo luogo appena fuori dalla cancellata grigia dell’istituto.
Il suo sorriso si spense nello stesso istante in cui i suoi
occhi misero a fuoco l’immagine di Kevin, un’espressione tutta contenta dipinta
in visto, le mani strette intorno ai fianchi di una donna dai lunghi capelli
rossi.
Era piuttosto alta e sottile, indossava un lungo maglione di
lana scura che ne sottolineava la perfetta silhouette e un basco di lana
marrone bruciato era poggiato morbidamente sui boccoli setosi che circondavano
un viso dalla delicatissima carnagione colore della porcellana.
Era bellissima o, per lo meno, lo era ai suoi occhi.
Rimase immobile per qualche istante a guardare lui che si
chinava a posarle un bacio sulla guancia e lei che gli gettava le braccia al
collo, stringendolo forte, esattamente come aveva fatto lei nemmeno mezz’ora
prima.
Incredibile come, a volte, la mente umana possa inventare
storie terribilmente realistiche dal nulla...
La giovane si riscosse solo quando sentì la mano di Derek
posarsi sulla sua spalla.
“Magari è un’amica...” Cercò di rincuorarla il ragazzo,
sorridendole dolcemente come mai l’aveva visto fare.
“O magari sono io cretina ad aver creduto che uno come lui
potesse davvero essere interessato ad una come me.”
“Ora sei ingiusta! Che hai tu che non va?”
“Rispetto a quella?” Martha lanciò un’occhiata alla coppia
che, a braccetto, iniziava ad allontanarsi dalla scuola. “Tutto quanto, Derek,
credimi. Tutto quanto.”
Mi manchi e mi manca tutto di te
Mi manchi con la confusione che fai
Coi dubbi e con i tuoi piedi freddi
Mi manca aspettarti che non sei mai pronto
La tua bicicletta davanti alla porta
Mi manca il segreto per ritornare indietro
(i Pooh, Mi manchi)
Eliza sedetteal
tavolo del piccolo bar con un sorriso malinconico, mentre Kevin ordinava due
cioccolate calde, una con e una senza panna.
Una volta ci andavamo tutti e quattro insieme, in quel
locale dal sapore vero un po’nascosto in mezzo al caos di grandi ristoranti
tutti uguali, troppo chiassosi e troppo pieni per quattro amici che vogliono
solo rilassarsi un po’.
Adoravo quel posto, proprio come Liz e i miei fratelli.
“Una cioccolata liscia per la bella signora!” Esclamò Kevin,
appoggiando la tazza sul tavolo davanti all’amica ed accomodandosi poi al suo
posto, con la stessa espressione di una persona che ha appena vinto alla
lotteria.
Mai stato bravo a nascondere i propri sentimenti, Kevin.
“Ehi, come mai così allegro, sexy man?”
Kevin scosse la testa, senza smettere di sorridere.
“Non smetterai mai di chiamarmi così, vero?”
“Assolutamente no. Insomma, sei stato nella lista di People
per tre anni, lasciami vantare almeno un po’.”
“Come vuoi, come vuoi. E, comunque, sono allegro perché è
stata una giornata... produttiva.” Affermò, prendendo un sorso dalla tazza e
riemergendo con la bocca contornata da un paio di spumosi baffi bianchi.
“Conquiste?” Chiese Eliza, trattenendosi a stento dal
ridere.
Solo con Kevin le capitava.
“Assolutamente sì. Allora, di che vuoi parlare?”
“La tua vita privata è un argomento perfetto.”
“E di mio fratello che ne pensi?”
“Frankie? Sono secoli che non lo vedo...”
“Liz...”
La ragazza sospirò, puntando gli occhi verdi in quelli dello
stesso colore del migliore amico che le fosse rimasto.
La gente diceva tante cose di Kevin Jonas... cose brutte,
per lo più, che lo ritraevano come una specie di mostro senza cuore che usava
le donne come oggetti e divideva casa sua con un individuo sclerotico di cui
metà della popolazione di Princeton aveva paura.
Per lei, tuttavia, Kevin era sempre il ragazzo buono e dolce
con cui aveva condiviso alcuni dei più bei momenti della sua vita, quello che
non sarebbe stato in grado di fare del male a una mosca, quello che
l’abbracciava ogni volta che Joe si presentava con una nuova ragazza. Quello
che riusciva sempre a farla parlare di qualsiasi cosa, soprattutto di quegli
argomenti che lei non era per nulla ansiosa di trattare.
“Come sta?” Domandò Eliza con un sospiro rassegnato.
“Meglio, se prendiamo come termine di paragone il tentato
suicidio di metà settembre. Male se invece lo confrontiamo con il Joe di
prima.”
Non era necessario specificare cosa quel prima significasse.
Prima che io lo distruggessi, è il sottinteso che nessuno ha
mai avuto il coraggio di esplicitare.
“Mi manca terribilmente... mi mancano anche le cose di lui
che non sopportavo, come quel non essere mai pronto o cercare sempre di
scaldarsi i piedi sotto alle mie gambe mentre guardavamo la tv insieme...o la
bicicletta parcheggiata immancabilmente davanti al garage di mio padre che...”
“...che ogni volta gli faceva una gran ramanzina che lui
ignorava sistematicamente. O quando guardavamo insieme le registrazioni dei
concerti e lui negava l’evidenza di fronte ad ogni stecca che prendeva.”
“Già...” Annuì lei, asciugandosi una lacrima.
“Almeno lui non cerca di seppellire i suoi problemi sotto
tonnellate di donne e psicoterapia.”
Eliza sorrise dolcemente, allungandosi sul tavolo per
rimuovere con un tovagliolino i baffi dal viso di Kevin.
“Ne uscirete. Tutti e due.”
“Sei l’unica a crederci ancora.”
“E non ho nessuna intenzione di smettere di farlo.”
“Continuerai a chiamare, vero?”
“Assolutamente, per sfinimento prima o poi risponderà.”
“Se non lo fa lo costringo io. È da quando avete dodici anni
che dico che dovete stare insieme.”
“Lui non è mai stato d’accordo, però.”
“Liz... ti ama.”
“Se me lo dimostrasse solo una volta, Kev, anche una volta
sola, giuro che sposterei il mondo con le mani per aiutarlo ad uscire da questa
situazione, ma così non ce la faccio. Io nelle favole non ci credo più... è
troppo facile rimanere delusi quando la storia finisce.”
Ebbene sì, penso che questo sia
l’ultimo aggiornamento prima della fine delle vacanze...uffuff non ho proprio voglia di tornare a scuola... vabbè, ora non ho tempo di ringraziarvi una per una, perché
tra poco arriverà un’amica di mia madre con famiglia e non posso stare qui a
scrivere...ma comunque tantissime grazie a tutte! Come al solito, ringrazierò
meglio nel prossimo capitolo!
Un bacio,
Temperance
-Capitolo
Quattordici-
Avremo mai il coraggio di rifare
Di dire basta e poi ricominciare
E di noi cosa sarà... che sarà...
Di tutte le parole che inventiamo
Per dirci che comunque sia ci amiamo
Delle notti perse ad aspettare
Di poterci riabbracciare
Che da soli non sappiamo stare
Cosa sarà di noi
(i Pooh, Cosa sarà di noi)
Joe si passò una mano tra i capelli scuri, lasciando che il
vento li scompigliasse di nuovo subito dopo. Niente cuffie e sciarpe di lana
per proteggersi dal freddo. Solo l’aria gelida e impietosa dell’inverno di casa
nostra a farlo rabbrividire fino alle ossa.
Sorridendo appena, prese un respiro a pieni polmoni,
sentendosi invadere totalmente dalla vita che riempiva Princeton a qualunque
ora e in qualunque stagione dell’anno.
Poi pensò a Clarisse e il sorriso svanì.
Clarisse che gli aveva voluto bene subito, gratuitamente, e
che lo stava aspettando dall’altra parte della città con una sconosciuta amica
di sua sorella più grande, con una donna che avrebbe, in teoria, dovuto essere
in grado di tirarlo fuori dalla fossa che si era scavato con le sue mani.
Era stata dolce, Clarisse, ad organizzargli
quell’appuntamento pur sapendo che sarebbe stato inutile.
Ora anche lui ne era cosciente, ma doveva sbatterci la testa
per rendersene conto.
Tipico del vecchio Danger, unico aspetto del suo carattere
che non era mai, mai cambiato.
“È molto bella, non è vero?”
Joe si voltò lentamente verso destra, direzione dalla quale
era giunta la voce che lo aveva riscosso dai suoi pensieri. Capelli rossi,
lunghi fino alla vita, un basco marrone, profondi occhi verdi.
Tristi.
Il suo primo impulso fu, di nuovo, come quando l’aveva
incontrata davanti alla gelateria, di fuggire a gambe levate, ma qualcosa
sembrava tenerlo ancorato al terreno.
O qualcuno, forse, chissà.
“Che...che ci fai qui?”
Eliza si strinse nelle spalle, appoggiandosi accanto a lui
alla balaustra che costeggiava il cavalcavia.
“Vado al lavoro. Turno di notte, oggi. Tu?”
“Io... do buca a una persona.” Rispose, cercando di non
distruggere l’incanto di quella conversazione semplice quanto surreale.
Eliza annuì, per poi rimanere in silenzio per un po’.
“La città, dicevo.” Riprese, poi. “È bella.”
“Sì, è... non lo so... le luci, il traffico... è viva.”
“Anche tu sei vivo, Joe.”
Le rispose un sorriso amaro.
“Già.”
“Non è un male, sai? Vuol dire che puoi ricominciare, che
puoi tornare ad essere quello che eri. Non ti manca Danger?”
“Perché sei qui?” Chiese Joe a bruciapelo, ignorando quella
domanda che aveva sortito lo stesso effetto di un pugno nello stomaco. “Voglio
dire, perché parli con me? Perché mi telefoni?”
“Sei sparito per quasi tre mesi, se non avessi visto Kevin,
oggi, potrei tranquillamente pensare che sei morto. C’è un motivo per cui non
mi hai mai risposto?”
C’era?, si domandò Joe per l’ennesima volta, trovandosi, suo
malgrado, a non avere una risposta.
“Tu devi scordarti di me.” Disse, senza crederci poi così
tanto.
“Questa l’ho già sentita. Non voglio dimenticarti, e , anche
se volessi, non ci riuscirei. Tu nemmeno immagini cosa ho fatto per il tuo bel
faccino, mr Jonas.”
Joe ridacchiò in un modo che ad Eliza parve profondamente
inquietante.
“Niente di peggio di ciò che ho fatto io a te in questi
anni.”
“C’è un ragazzo innamorato di me. Davvero innamorato,
intendo. E io l’ho chiamato Joe mentre facevamo l’amore. E non una volta sola.”
Di quel discorso l’unica cosa che gli giunse alle orecchie
fu il fatto che lei aveva fatto l’amore con qualcuno. Qualcuno che non era lui.
Non avrebbe dovuto fargli così male... lui doveva dimenticarla...
È strano, come a volte si possa arrivare quasi a trent’anni
ed essere estremamente ingenui.
Perché l’amore di tutta una vita non si dimentica in una
notte, fratellone. Né in dieci, o trenta, o mille.
L’amore di una vita ti resta dentro per sempre, eliminarlo è
impossibile. L’unico modo per avere pace è cedergli.
“Chi è lui?”
“Un mio collega.” Rispose lei, titubante di fronte a quella
domanda inaspettata. “Aaron... perché?”
“Così lo posso uccidere.”
“Capisco... ti devo dimenticare, ma non posso andare a letto
con un altro?”
“No! Voglio dire, sì... tu sei...”
“Cosa, Joe, sono cosa?” Sbraitò lei, unica voce fuori dal
coro del traffico notturno. “Un giocattolo? Un pupazzo da prendere a botte,
ignorare per mesi e poi andare a cercare? Una stupida amica innamorata? Sentiamo,
Joe, cosa sono io? Sono...”
“...mia.”
“Come?...” Domandò lei, spiazzata almeno quanto me, mentre
lui prendeva con dolcezza tra le dita una ciocca dei suoi capelli di rame.
“Sei mia, Eliza, solo ed unicamente mia, molto più di quanto
dovresti essere e questo...questo è sbagliato.” Si bloccò, come riemergendo
all’improvviso dall’abisso color dello smeraldo in cui lo avevano trasportato
quegli occhi, e lasciò che il ciuffo tornasse a cadere morbidamente sulla sua
spalla. “È sbagliato, è tutto dannatamente sbagliato... tu... tu non dovresti
essere qui, tu... Dimentica quello che ti ho detto. Dimenticati di me.”
E poi sparì, di corsa, nel buio multicolore della notte di
Princeton, prima che Eliza potesse anche solo pensare di fermarlo in qualche
modo.
“Joe...” Sussurrò al vento, accasciandosi contro la
balaustra, gli occhi già colmi di lacrime. “Joe...”
It's
alright, baby
it's a
crazy world it's a bit absurd
it's alright, sugar
it's a crazy world it's a bit absurd
(Komeda, It’s alright, baby)
Martha si verso l’ennesima tazza di latte e la scolò in un
sol sorso, per poi appoggiare pesantemente il contenitore sul tavolo e
ridacchiare, rendendosi conto di quanto forte fosse la sua somiglianza con uno
di quei cowboy alcolisti dei western di serie b.
“Non dormi, Nini?”
La ragazza sobbalzò all’udire la voce della nonna che la
raggiungeva da una distanza a dir poco millimetrica.
“Non ti ho sentita entrare...”
“Sarai stata troppo occupata ad ubriacarti di... latte
freddo? A dicembre?”
Martha si strinse nelle spalle, accennando un sorriso.
“O questo o il marsala all’uovo che usi per le torte.”
“Oh beh, allora va benissimo il latte: quel vino costa un
capitale.” Accarezzando i capelli della nipote, la donna le si accomodò accanto
con un sorriso dolce ben fermo in viso. “C’è qualcosa che non va?”
“No, nonna, va tutto bene...”
“E bevi perché va tutto bene?”
“Nonna... è latte.” Sottolineò Martha, inclinando
leggermente il capo, mentre un accenno di singhiozzo la faceva sobbalzare sulla
sedia.
“Latte freddo, come ti ho fatto notare, e siamo a dicembre.
Come vedi, gli effetti sono gli stessi di una buona grappa. Cosa ti è
successo?”
Martha sospirò, passando un dito sull’orlo della tazza con
aria distratta.
“Non so se puoi capire...”
“Quindi sono questioni di cuore. Anche tua madre da ragazza
era fissata che non potessi capire le sue cotte. Ora, capisco che tu con lei
non ci voglia parlare, siete forse troppo diverse, ma con me...”
“Ok, c’è un ragazzo.”
“Bene...nome?”
“Kevin.”
La nonna annuì, interessata.
“Conoscevo un Kevin... ragazzo simpatico... si è rovinato,
poveretto... vai avanti a raccontare o te le devo proprio tirare fuori con le
pinze le cose?”
Martha prese un respiro profondo, decisa a mettere in tavola
tutto quanto: chi meglio di sua nonna, la persona che meglio la capiva al
mondo, per aiutarla a comprendere se stessa?
“Ok, ti dico tutto. Kevin ha trent’anni, è...”
“Meno male che era un ragazzo!”
“Nonna!”
“Ok, scusa, vai avanti.”
La ragazza annuì, raccogliendo di nuovo tutto il coraggio
necessario, poi riprese a parlare.
“È il mio insegnante di musica da settembre. È dall’inizio
dell’anno che mi fa mezze avances che nemmeno ero mai riuscita ad
interpretare...e poi stamattina mi ha baciata. Molto, direi. E lui mi
piace...tanto, però ha una reputazione un po’così, ma credo che ci sarei
passata sopra...sennonché all’uscita da scuola l’ho visto che abbracciava
un’altra... un’altra bella dieci volte me e probabilmente con anche una decina
d’anni in più della sottoscritta e non ho assolutamente idea di come
comportarmi, perché...” il lungo e sconclusionato discorso fu interrotto da un
singhiozzo da latte freddo più forte degli altri, accompagnato da un paio di
ribelli e nervosissime lacrime.
“Nini, hai pensato che quella potrebbe essere una sorella o
un’amica?”
Martha alzò, stupita, gli occhi lucidi sulla progenitrice.
“Niente storie per l’età?”
La donna si strinse nelle spalle.
“Tuo nonno aveva ventun’anni più di me e siamo sempre andati
benissimo. Il fatto che è un tuo professore passa anche lui in secondo piano,
visto che sei all’ultimo anno, ma questa cosa dell’altra donna la devi chiarire
subito.”
La ragazza annuì, piano, mentre l’immagine di mio fratello e
di Eliza stretti l’uno all’altro le appariva di nuovo davanti agli occhi,
portandola a spingere da una parte la tazza con gesto nervoso.
“Sua sorella non è. Che io sappia ha solo un fratello che
nemmeno esce mai di casa.”
“Joseph...” Sussurrò la nonna, sgranando gli occhi.
“Come?”
“Joseph, il fratello di Kevin... è lo stesso ragazzo di cui
ti parlavo prima, Martha... e le cose cambiano. Credo sia meglio che tu gli
stia lontana.”
“Come....perché? Hai detto che era un bravo ragazzo...”
“Ho detto che era un bravo ragazzo che si è rovinato, dopo
che è successa quella cosa con l’altro fratello, il più piccolo... nessuno dei
due è più stato lo stesso. Erano tre giovani stupendi... sempre con il sorriso
sulle labbra. Poi Joe si è chiuso in se stesso come un’ostrica e
Kevin...suppongo che tu lo sappia.”
“Allora è vera la cosa delle prostitute?”
“Temo di sì... e non sai quanto mi abbia fatto male vederlo
ridursi così. Quel Joe, poi... il buffone del quartiere, non sembra quasi vero
di vederlo sempre triste e serio.”
“Del...quartiere? Vuoi dire che vivono qui?” Fu il turno di
Martha di strabuzzare gli occhi chiari.
“Oh sì. A due isolati.”
“Oh Dio...”
“Oh, su, non è niente di sconvolgente! Tu, piuttosto, vedi
di ridurre i vostri rapporti a quelli di professore e alunna, che è meglio.”
“Ma nonna, io... non credo di farcela.”
“E perché no? Non è un bacio che fa la differenza.”
“Anche senza bacio...sarebbe lo stesso, temo.”
Il sorriso della donna si raddolcì, allora, e si riempì di
comprensione.
“Non è un’avventura fine a se stessa, eh?”
Martha scosse il capo per l’ennesima volta, asciugandosi le
lacrime.
“Non sono esattamente il tipo da avventure.”
“Sì, sì...lo so. Credi di esserne innamorata?”
“Io... non lo so... è una parola grossa... ma lui mi
piace...moltissimo...”
“E allora fregatene di chi la gente dice che è e scopri chi
lui è per te. Placcalo alla prima occasione e chiedigli chi era quella
sciacquetta a cui di certo non hai niente da invidiare. Se hai anche solo il
presentimento di poterlo amare sul serio, piccola, non lasciartelo portare
via.”
E siamo al 15...direi più o meno a metà. Sappiate che
voglio assolutamente finire questa storia per quando andrò a Berlino quindi
entro aprile. Bene, e dopo questa notizia di servizio....i grazie!!!!
Ma prima un appello: Maybeeeeee!!!
Dove sei!!!!
Neve: grazie, neve, che mi hai fatto iniziare la scuola
con un giorno di ritardo!
LaSociaPolla: che ha sbagliato capitolo! Te l’ho già
detto, Joe è un disadattato cretino eccome, e qui ne avrai la conferma! E non
ti permettere di fare spoiler!!!!Ohè!
Alexya379: la nonna di Martha è la mia nonna Rosy...che
non cambierei con nessun’altra al mondo!!! Mai fu piana la strada del vero
amore... hihi mai furono scritte parole più vere, altroché!
Pretty_Odd:Non so quanto davvero possa essere costato a
Joe quel sei mia...secondo me gli è letteralmente uscito da solo dalle labbra,
perché non ci vedeva più dalla gelosia. Riuscirà ad essere un po’meno pirla?
Chissà...
Sbrodolina: ora sai che la long nuova inizierà sicuro
prima di aprile...contenta??? :-D Okok, ti lascerò
sognare... spiegalo tu a mia madre che devo continuare a scrivere, che lei mi
dice di smettere! Nerviiiiiiiiiiiii!!!!
Selphie: Eh no che non mi sono offesa, anzi! Joe,
Liz e Martha ringraziano per i consigli ricevuti...e cercheranno di prestarvi
fede. Ma non promettono niente, sai come sono....
Sweet_S:Io non mi sono mai ubriacata col latte,
anche perché non mi piace, lo bevo perché mi ci costringe la dietologa (santa
Antonella da Luino), ma fammi sapere com’è! Dai daidai, facciamo il film! Io
faccio Eliza!!! Mi chiamo anche come lei, che puoi volere di più? Ma i Jonas
devono essere quelli veri, eh!
Billa: Aggiornato in questo mio ultimo,
insperato giorno di vacanza (sospira con gesto teatrale). Grazie dei
complimenti!!!
Tay_: eccotene un altro!!
Razu_91:facciamo tutte insieme il tifo per Liz! Che,
però... no, non te lo dico!
Sweet_Doll: e come sempre grazie! Adoro far
commuovere la gente! :-D
Beautiful_disaster: Chris è tornato, tremate mortali!!! A
parte questo, davvero, vorrei sapere anche io come finirà tra Joe e Liz...cioè,
cm finirà lo so... più che altro non so come ci arriveranno, a quella fine, porelli! E la nonna... la mia nonna cresciuta da una madre
abituata a vivere con 8 fratelli...sì, direi che di pregiudizi ne aveva e ne ha
ben pochi!
Jollina la verde: intanto grazie per i complimenti...
poi...beh, Liz e Joe sono quantomeno...complicati, ma prima o poi qualcosa tra
loro, nel bene o nel male, dovrà pur scattare, no?
Lyan: facciamo tutte insieme un appello: danger
torna da noiiiii!!! Ringrazio sia te che sbrodolina e Sweet_S per il
paragone con la grande Rowling...non credo di meritarlo davvero, ma mi fa un
immenso piacere!
KymLYCANTHROPE: Benvenuta!!!! Che bello, spero che la
storia continuerà a piacerti al punto da lasciare altre recensioni che, sapendo
che non ti piace scriverle, mi faranno ancora più piacere! Ti ringrazio in
particolare di aver notato le canzoni: amo dare una colonna sonora alle mie
storie e sono felice che sia azzeccata!
Agatha: Chris rulez!!! Un
grande grande grazie al mio fantavoloso
parrucchiere Fabrizio che mi ha ispirato questo personaggio!!! Passando
oltre...ecco agatha che torna con i suoi ritratti
psicologici *tempe adora agatha*,
questa volta puntando sulla nonna...avrai modo di amarla ancora di più, fidati!
Joe ed Eliza sono assolutamente la mia coppia preferita, quindi non potevo non
riempirli di problemi che, ahimè, sono ancora ben lontani dal trovare una
soluzione. Ma i tempi bui sono quasi finiti, tieni duro!!!
Bibi94_Jonas4ever: fa niente, tranquilla! Ora si torna
alla normalità (purtroppo)...ma grazie grazie!
Vediamo allora di farli tornare a splendere, questi gioielli di ragazzi!
Grazie ai quaranta che mi tengono tra i preferiti!!!
Temperance
-Capitolo
Quindici-
Ascolta i vecchi che hanno voglia di
ballare
E sopra un ponte le bugie di un pescatore
...
Ascolta quello che hai dentro al petto
E che non hai mai detto
(i Pooh, Ascolta)
“Fermati, cretino!”
Joe si bloccò al margine della strada, ansimando e
guardandosi intorno, quasi aspettandosi di trovare nostro padre lì a
riprenderlo, a farlo tornare indietro a calci.
Invece i suoi occhi incoccarono solo in un senzatetto che
inseguiva, senza fiato, un cagnolino bianco, che gli stava passando accanto
proprio in quel momento.
Senza pensarci troppo, Joe si chinò ed afferrò il logoro
guinzaglio blu, ignorando l’aria minacciosa della bestiola.
“Il suo cane, signore.”
L’uomo lo raggiunse e gli rivolse uno sdentato sorriso
riconoscente.
“Grazie, giovanotto. Ho una certa età, sai? Non corro più
come una volta.”
“Nessun problema.” Replicò, chinandosi e tendendo una mano
verso l’animale, che l’annusò, circospetto, per poi prendere a leccarla senza
alcuna remora.
“Gli piaci!” Esclamò l’anziano, battendo un paio di volte
tra loro le mani coperte da un paio di guanti improvvisati con dei pezzi di
camicia.
“Sì... io e i cani siamo sempre stati ottimi amici, vero,
piccolo?” Il cagnolino guaì, contento, lasciando che Joe gli accarezzasse la
pelle sensibile dietro alle orecchie.
Me lo ricordo, Joe ragazzino, che faceva gli occhioni dolci
a papà per prendere un cucciolo. E papà che nemmeno lo guardava, perché sapeva
che, se lo avesse fatto, avrebbe ceduto nel giro di due minuti.
“Sono molto meglio delle persone, a volte.” Commentò l’uomo,
mentre Joe si rialzava e gli tendeva il guinzaglio sporco.
“Di certo sono meglio di me.”
“Niente affatto: chi piace ai cani è per forza una bella
persona. Forse devi soltanto capire cosa sbagli.”
“Forse...”
L’anziano senzatetto si strinse nelle spalle, sorridendo
appena.
“Pensaci, ragazzo. Hai una vita davanti e questa notte
ancora non è finita. Magari fai in tempo a sistemare qualcosa.”
“Può bastare una notte per rimettere in sesto una vita?”
Il sorriso dell’uomo si allargò, mentre il cagnolino
iniziava a tirare come un matto verso chissà quale meta.
“A volte bastano pochi secondi. Ciao, ragazzo!”
Joe rimase immobile a guardare lo strano individuo
allontanarsi sempre di più.
Senza mai voltarsi....
“Me ne pentirò....” Sussurrò, scuotendo appena i ricci
scuri, prima di riprendere a correre nella stessa direzione da cui era
arrivato.
Eliza era ancora lì, seduta per terra, il capo reclinato, il
viso rivolto verso l’asfalto e coperto dalle ciocche rossicce.
Meravigliosamente
bella....
Senza dire nulla, mio fratello si accovacciò esattamente
davanti a lei, il viso a pochi centimetri dal suo e rimase in quella posizione
finché lei non si decise ad alzare gli occhi, non più lucidi, ma arrossati e
tristi.
“Che cosa ci fai qui?”
“Ti porto a casa.” Rispose semplicemente lui, tendendole una
mano.
“Ma devo andare a lavorare.”
“Ti porto a casa. Dobbiamo parlare.”
Eliza annuì, assimilando la richiesta, la supplica che le
era stata rivolta sotto forma di ordine.
E decise che non si sarebbe arrabbiata.
“A casa mia no.” Replicò, afferrando la mano di Joe e
alzandosi in piedi insieme a lui.
Joe annuì, capendo ciò che lei intendeva ed incassando il
colpo. Non poteva certo aspettarsi che fosse già pronta per stare sola con
lui...
“Da me ci vieni? C’è Kevin....”
Eliza accennò un sorriso, sistemandosi il basco sul capo e
stringendo forte la mano di Joe.
“Dai, andiamo.”
Tutte le donne ci tradiscono un po’
Non con un altro ma con noi
Con noi di altri giorni, con più vizi e
virtù
Con quelli che non siamo più
Fra le mie braccia cerchi me
Com’ero prima
Quand’ero il tuo vento
E non la tua catena
(i Pooh, Quando anche senza di me)
“Bene. Di cosa vuoi parlare?”
Joe si sedette sulla poltrona di fronte al divanetto
occupato da Eliza e si passò una mano tra i capelli scuri, cacciando da davanti
ai propri occhi un boccolo ribelle che tornò al suo posto dopo pochi istanti.
“Come mai non li stiri più?”
“Volevo parlare di noi.”
“Bene.” Replicò Eliza, già dimenticata la domanda di poco
prima. “Allora ti dico io una cosa. Non puoi dire che sono tua e poi lasciarmi
su un ponte a piangere come una scema.”
“Lo so. Non avrei mai dovuto dirti quelle cose.”
“No, Joe, l’errore non è stato dirmele, è stato andare via.”
“Io...ho avuto paura. Ho paura.”
“Danger ha paura di se stesso?”
“Danger non c’è più, Liz, perché non puoi accettarlo?”
Eliza si lasciò scivolare giù dal divano, avvicinandosi a
lui gattonando, per poi inginocchiarsi tra le sue gambe.
“Perché io so che non è vero, so che il vero Joe è qui, da
qualche parte.” Mormorò, posando una mano sul petto di lui, all’altezza del
cuore. “Lo devi solo trovare, ma se mai ci provi mai ci riuscirai. Sai, credo
che Kevin stia per farcela... aveva una luce strana, oggi, negli occhi.”
“Kevin è sempre stato migliore di me. In tutto. E poi lui
non guidava, quella sera. Avrebbe potuto essere morto...avresti potuto esserlo
anche tu.”
“Ragazzi, siete stati
fantastici, avete fatto il tutto esaurito!”Esclamò Eliza, sorridente come non
mai, premiando i tre amici e Big Rob con un bacio a testa.
“Vieni a mangiare
qualcosa con noi?” Chiese Joe, passandole le braccia intorno alla vita ed
attirandola a sé.
“Ma è mezzanotte
passata...”
“E allora? Dai, Liz,
sei il quinto Jonas, praticamente!”
“Ehi, sono una
ragazza, Joey.”
“Oh, lo sa...”
Intervenne Nick, mentre Kevin annuiva, sorridendo.
“Spiritoso...” Lo
riprese Joe, lanciandogli un’occhiata omicida. “Allora è deciso, Liz viene con
noi. Rob, di’ a mamma che andiamo da Lawrence’s, saremo a casa per le due. E
nessuno si azzardi a toccare il volante, guido io!”
“Lo so, Joe, ma non lo siamo, né io né lui. Siamo vivi e ti
vogliamo bene.”
“Non dovreste, soprattutto tu.”
“Ma perché no, accidenti? I lividi passano, la rabbia passa.
Ti amo, Joe...”
“No!” Sbraitò lui, allontanandola di malagrazia. “Non sono
io quello che ami.”
“Smettila con questa storia!” Replicò lei, con lo stesso
tono di voce. “Non esistono due Joe Jonas, sei sempre tu e ti stai uccidendo
con le tue mani. Sono passati quattro anni, Joe, quattro! Nick manca a tutti,
dai tuoi genitori ai vostri amici, ma santo Dio, nessuno è ridotto come te!”
“Esci di qui, Eliza. Non avrei mai dovuto tornare indietro.”
Sibilò mio fratello, stringendo le mani sui braccioli della poltrona, ma lei
rimase dov’era. “ESCI DI QUI, HO DETTO!”
La giovane scosse il capo e raccolse velocemente cappotto e
borsa, per poi uscire dall’appartamento a passo di carica, proprio mentre Kevin
faceva capolino dalla camera da letto.
“Che cosa è successo?” Domandò, la voce impastata dal sonno,
strofinandosi gli occhi.
“Liz.”
“Sì, l’avevo intuito quando ti ha urlato addosso. Cosa le
hai fatto?”
“Niente, Kevin, non sono un mostro...e poi è andata via in
tempo.”
Kevin sospirò, passandosi una mano tra i capelli.
“Vieni a letto.”
“Ha detto che sei diverso, che avevi... una luce strana
negli occhi. Perché?”
“Joe, vieni a letto.”
“Hai rivisto Danielle? Hai conosciuto...”
“Joe...”
“Sì, sì, arrivo...”
Tu stretta forte a me col viso contro il
mio
Eri lì sudata dall’amore
Non cercarmi più, hai detto all’improvviso
Fammi andar via
(i Pooh, L’altra faccia dell’amore)
“Signorina Sheperd, potrei parlarti un istante, per favore?”
Domandò Kevin, arrivando alle spalle di Martha e rischiando di farle rovesciare
il bicchiere di cappuccino annacquato addosso a Francie.
“Prof!” Esclamò, tentando senza successo di tornare a
respirare regolarmente.
“Forza, vieni, dobbiamo parlare della tua verifica.”
Senza troppe cerimonie, Kevin afferrò il polso della
ragazza, facendole definitivamente sfuggire il bicchiere dalle mani e
trascinandola con sé.
Percorsero a velocità sostenuta tre corridoi, finché mio
fratello non si fermò davanti ad una porta semiaperta e fece a Martha cenno di
precederlo dentro.
Lei eseguì, pensando di entrare in un’aula ma trovandosi,
con somma sorpresa, nello stanzino dove il bidello riponeva le scope e i secchi
che usava per pulire.
Non fece in tempo nemmeno a pensare di chiedere spiegazioni
che le sue labbra erano già state catturate da quelle di lui e il suo corpo
tornava ad aderire a quello ormai conosciuto del professore, strappandole un
sospiro non richiesto.
“Kevin...” balbettò, separandosi appena da lui.
“Scusa, mi mancavi... Non ce la facevo davvero più.” Mormorò
lui, tornando a baciarla.
“Kevin...” Ritentò lei, questa volta allontanandosi un po’di
più e strappandogli uno sbuffo impaziente.
“Che c’è?”
“Mi hai messo tre.”
“Te lo sei meritata.”
“Non è vero!”
“Hai lasciato il foglio in bianco, avrei potuto metterti
uno, invece mi sono limitato a sottolineare che eri distratta.”
“Avevo le tue mani dappertutto, certo che ero distratta!”
Soffiò lei, svincolandosi, per quanto possibile, dal suo abbraccio e dandogli
le spalle, lasciandolo a dir poco interdetto.
Povero fratellino, non era certo abituato a vedersi
respingere in quel modo...
“Ehm...se vuoi cambio il voto...” Si sentì in dovere di
offrire, sfiorandole una spalla e rendendosi conto che il suo respiro era
diventato assolutamente irregolare. “Stai... piangendo?”
“No.” Rispose lei, mentre la sua voce diceva tutto il
contrario.
Kevin la circondò di nuovo con le braccia, sentendosi
tremendamente in colpa: dopotutto, quel votaccio non era affatto meritato...
forse aveva compromesso una media già a rischio, anche se gli sembrava di
ricordare che lei andasse più che bene.
“È un problema, quel voto?” Chiese ancora, scostandole i
capelli dal collo e chinandosi a posarvi un bacio delicato.
“Non c’entra niente il voto, Kevin. Possibile che non ti
venga in mente?”
“Che....cosa?” Domandò lui, perplesso.
“Davvero sei convinto che non vi abbia visti?!” Scattò lei,
divincolandosi di nuovo e puntando gli occhi, lucidi ed adirati, in quelli di
lui.
“Ma di che stai parlando?”
Lui invece non era affatto arrabbiato: stava semplicemente
cercando di comprendere dove aveva sbagliato con lei.
Sbagliato? E quando
mai gli era importato di aver sbagliato qualcosa con una donna?
“Di te! E della rossa al cancello!”
“....Eliza?”
“Non lo so come accidenti si chiama! Sta di fatto che
mezz’ora prima stavi baciando me e all’uscita quella ti era addosso tipo
piovra.... che hai da ridere, sono seria!”
“Non...non puoi essere gelosa di Eliza!” Biascicò lui, tra
un risolino e l’altro, scompigliandole i capelli con una mano, che lei scostò
di malagrazia.
“Sì che posso! Lei è più bella di me e più grande...epiù tutto e...”
“Martha, Eliza è la ragazza di mio fratello... più o meno...
beh, lo sarà, prima o poi ed è la mia migliore amica da quando eravamo alti un
metro e un’albicocca. Siamo cresciuti insieme, è come...come la sorella che non
ho.”
Perché si stesse giustificando non lo sapeva nemmeno lui,
così come non sapeva che cosa lo aveva spinto ad abbracciarla nuovamente,
depositandole un bacio sui ricci chiari.
Sta di fatto che lo fece e io non potei trattenere un salto
di gioia.
“Siete...amici? Solo amici.”
“Solo amici.” Confermò lui, con un altro bacio.
“Sei...gelosa, Martha?”
La ragazza ridacchiò, asciugandosi una lacrima con la manica
del maglione.
“Che stupida, eh?”
“No...” Replicò lui con un sorriso, una volta tanto non
costruito. “Sei carina. Certo, non come Eliza, ma...”
“Stupido.” Bisbigliò Martha, prima di alzarsi in punta di
piedi e posargli un bacio a stampo sulle labbra semiaperte.
“Ehi...” Mormorò lui, appoggiando la fronte contro la sua in
modo che le punte dei loro nasi si sfiorassero. “Cosa sono queste iniziative?”
La risposta di Martha fu solo un rossore improvviso sulle
guance.
“Scusa...”
“Non ci provare nemmeno a scusarti. Solo... sai, negli
sgabuzzini di solito i baci a stampo non sono ammessi.”
Senza riuscire ad eliminare il rossore dalle proprie guance,
la ragazza decise che era assolutamente il caso di rimediare e tornò ad alzarsi
in punta di piedi, affondando entrambe le mani nei ricci scuri di Kevin e
appoggiandosi a lui con tutto il suo peso, mentre lui muoveva un paio di passi
indietro, appoggiandosi al muro liscio.
“Mmm..Martha...” Sussurrò lui sulle sue labbra, senza
riuscire ad allontanarsi. “Martha, aspetta...”
“Che c’è?”
“La campanella....”
“È suonata?”
“Cinque minuti fa.”
“Oddio, io ho la Mercer! Quella mi mangia!”
E in un attimo era fuori dalla porta.
Kevin si lasciò scivolare contro il muro, accucciandosi con
la testa tra le mani.
Le avrebbe dovuto delle spiegazioni, quando avesse scoperto
che ne mancavano dieci, di minuti, al suonare della campanella...
Lei ti spiazza ad ogni mossa
E non ti è successo mai
Però stavolta è proprio diverso
Fino a ieri ci ridevi, avevi le tue
strategie
Con tutto sempre sotto controllo
(i Pooh, Capita quando capita)
Kevin si lasciò cadere su di una sedia in sala professori,
sotto lo sguardo indagatore di Christian che, armato di cannuccia, sorseggiava
un succo di frutta alla pera.
“Hai l’aria più sconvolta di quando ti ho detto che tuo
fratello ha il più bel culo del New Jersey. Che è successo?”
Per tutta risposta, Kevin emise qualcosa di molto simile ad
un grugnito, strappandogli dalle mani la bottiglietta di vetro giallo.
“Oh, ho capito, la cosa con la ragazzina ti è sfuggita di
mano.”
“Non è una ragazzina.”
“Quindi la situazione ti è sfuggita di mano.”
“Non sei d’aiuto, sai?”
“Ti sei innamorato, che c’è di male, scusa?”
“Che non sono affatto innamorato!” Esclamò, saltando in
piedi ed iniziando a misurare l’aula a grandi passi. “Ma lei sì e non voglio
prenderla in giro.”
“E da quando ti fai problemi a prendere in giro le donne?”
Chiese Chris, recuperando dal tavolo la bottiglietta che, però, si rivelò
totalmente vuota. Sbuffando, la fece cadere nel cestino.
“Da... mai, suppongo.” Rispose Kevin, bloccandosi e
sgranando gli occhi. “Dio santo, Chris, hai ragione.”
Stasera sono euforica senza
motivo alcuno, per cui, appena finito il capitolo diciotto, ho deciso di
postare questo... anche se ho appena aggiornato. Mi perdonate per l’anticipo?
Sì, vero? Brave!
La Socia: lui respira dell’aria
cosmica, è un miracolo di elettronica ma un cuore umano haaaaaa!
Ma chi èèèèè? Maaaa chi èèèèèè????
Tutte le altre: scusatemi, ma stasera non sono in grado di
rispondere in modo serio... è da un’ora che rido senza motivo, quindi... do
solo il benvenuto alle nuove lettrici, vi ringrazierò quando avrò recuperato le
mie già limitate capacità mentali. Un bacioneeeee
Tempe
-Capitolo
Sedici-
Some days I feel broke inside
But I
won’t admit
Sometimes
I just want to hide
‘cause
it’s you I miss
You
know, it’s so hard to say goodbye...
(Christina Aguilera, Hurt)
Quando vidi Kevin varcare da solo, senza Joe od Eliza a
trascinarlo per mano, la cancellata grigia del cimitero, credetti di sognare. Già...solo
che i morti non sognano...
Con passo un po’incerto e gli occhi bassi, si avvicinò pian
piano alla mia lapide, grigia come tutto il resto, in quel posto orrendo e si
fece il segno di croce, concludendolo con l’usuale bacio all’indice della mano
destra ripiegato.
Un gesto che non gli vedevo compiere dall’ultima messa a cui
siamo andati insieme, la mattina del mio ventunesimo compleanno.
Dire che si inginocchiò probabilmente non rispetterebbe la
realtà dei fatti: sarebbe più corretto dire che si lasciò semplicemente cadere,
ma, ad un certo punto, è davvero poi così importante essere sempre corretti
allo sfinimento?
Lo è, in un momento come questo?
“Ciao, Nicky...” sussurrò alla pietra scura, senza trovare
il coraggio di alzare gli occhi su quello stupido pezzo di ceramica stampata,
sentendosi un codardo, senza sapere che il solo essersi recato lì, dopo anni di
rifiuto, lo rendeva ai miei occhi l’uomo più forte del mondo.
Quindi... ciao, fratellone, bentornato.
“Io ti ho... portato questo. Lo so che è stupido, che non lo
puoi vedere, ma...è per te, ecco.” Balbettò, posando sulla ghiaia bianca una
microscopica chitarra in bagno d’argento.
Certo che ti vedo, scemo... e mi sta pure venendo da
piangere.
“Vorrei...vorrei...dirti un sacco di cose... solo che...sono
confuso. E solo. Dannatamente solo, Nick. Non so più aprirmi, non so più
parlare... erano secoli che non ammettevo a me stesso che mi manchi,
figuriamoci a qualcun altro. Però ora... ora non lo so cosa è successo. Mi
sento diverso, mi sento più forte, più... me... per una donna,
fratellino...tutto questo per una donna che nemmeno è ancora donna sul serio.
Ho tanto sentito parlare dell’amore, ho Eliza e i suoi sentimenti sott’occhio
da trent’anni...eppure non immaginavo che fosse così... non lo so...
dirompente.”
È amore, Kevin, una delle forze che mandano avanti
l’universo...come volevi che fosse?
“Ho sempre solo cercato di nascondermi dal mondo... ho una
maschera, una maschera che mi ha sempre dato la forza di andare avanti, di
nascondermi dietro alla strafottenza per non ammettere che io non ero più io
senza di te, ma ora vorrei solo strapparmela di dosso, vorrei...”
“Kevin Jonas, alzati da quella tomba e smettila di parlare
al vento.”
Kevin si voltò di scatto, senza alzarsi, ma rischiando, al
contrario, di finire lungo tirato in mezzo ai sassolini candidi. La donna che
si trovò davanti, sottile e nervosa, non più alta di un metro e quaranta,
stringeva tra le piccole mani un mazzo di fiori di stoffa rosa e viola e
portava una cuffia di lana azzurra a coprire i corti ricci bianchi.
Una cuffia azzurra
come i suoi occhi. Familiari...
“Lei chi...”
“Jean Sheperd, signorino. Lo sai che parlar d’amore ai morti
serve proprio a poco?”
“Sheperd...?”
“Sì, non sei sordo. Forza, da tuo fratello ci puoi venire
quando vuoi, mia nipote è fuori in macchina senza niente da fare. Ci è già
venuta a casa tua?”
A dir poco stupito, mio fratello si limitò a scuotere
impercettibilmente il capo, mentre la signora Sheperd lo afferrava saldamente
per un braccio, costringendolo ad alzarsi in piedi per non cadere.
“Signora, io non...”
“Vuoi lasciarla?”
“Ma non stiamo insieme!”
“Stavi dicendo a Nicholas che ti ha cambiato la vita.”
“Non parlavo di...”
“Una donna non ancora donna.” Ripeté lei, inarcando un
sopracciglio.
“Lo sa che è violazione della privacy?”
“Perfettamente. E tu lo sai che è reato circuire una
minorenne?”
“Io... sì.” Si arrese Kevin, passandosi una mano tra i
capelli, gli occhi rivolti al cielo.
“E perché allora lo hai fatto? Non credo che tu voglia
rischiare la prigione per una ragazzina.” Continuò la donnina, la voce un
po’più dolce, posandogli una mano sulla spalla. “Kevin... perché lo fai?”
Jean sorrise, alzandosi quasi in punta di piedi per
accarezzargli gli scombinati ricci scuri.
“Solo gli stupidi non hanno paura.”
“Ma io... io non sono capace di amare.”
“E come lo sai? Non ci hai mai provato.”
“Non...”
“Non lo sai, appunto. Fidati, Nicholas sarebbe d’accordo con
me.”
“Ma...”
“Basta ma. Fila.”
“Signora, io...”
“Marsch!”
“Ma...”
“Sei ancora qui?”
Quando i giorni sono musica
Fermiamoci a sentire
Se sono muri salta di là
Se sono amori abbracciali
(i Pooh, Giorni Infiniti)
“Ciao.”
Martha rischiò seriamente di sbattere la testa contro il
tettuccio della macchina al sentirsi salutare così all’improvviso e il
cellulare verde sul quale stava componendo un sms cadde rovinosamente a terra.
Poi i suoi occhi si posarono su Kevin che, un’espressione da adorabile
mascalzone dipinta in volto, era appoggiato all’auto e le faceva cenno di
abbassare il finestrino.
“Kevin...” Esalò, premendo sul pulsantino che apriva il
vetro. “Che ci fai qui?” Riuscì a domandare, prima che lui si sporgesse
all’interno a stamparle un sonoro bacio sulla guancia.
“Ti rapisco, no?”
“Che?...” Non fece in tempo a prolungare oltre la domanda,
perché lui, in un lampo, aveva aperto la portiera, slacciato la cintura e le
aveva passato un braccio dietro alla schiena e l’altro sotto alle gambe,
portandosela al petto.
“Ho detto.” Bacio. “Che.” Bacio. “Ti rapisco.”
Bacio, ovviamente.
“Ma sei impazzito?”
Kevin annuì, convinto.
“Nel modo più assoluto.”
“Ma mia nonna...”
“Tua nonna sa di noi molto più di quanto ne sappia io. Ci
vieni a casa mia? Mio fratello è fuori...”
“Io...”
“Ok, lo prenderò per un sì.”
Che ci volete fare, Kevin non è mai stato un talento
nell’ascoltare.
Vivere
Per amare
Amare
Quasi da morire
Morire
Dalla voglia di vivere
(da Notre Dame, Vivere per amare)
“Accomodati pure.” Disse Kevin, chiudendosi alle spalle la
porta dell’appartamento, mentre Martha si guardava intorno, stupita dalla
semplicità dimessa di quella casa che si era aspettata essere molto più grande.
“Vuoi bere qualcosa?”
“Un bicchiere d’acqua, se ce l’hai...”
“Un bicchiere d’acqua in arrivo per la bella signora!”
Esclamò mio fratello, praticamente saltellando verso la cucina, facendo
sorridere la ragazza con quella sua improvvisa allegria. Non le importava
sapere che gli fosse successo quella mattina a scuola, perché le avesse
mentito, facendola fuggire. Glielo avrebbe chiesto in un altro momento.
Forse.
Con un sospiro, si lasciò cadere sul divano, ignorando
volutamente il preoccupante rumore di molle al limite della sopportazione che
quell’operazione produsse, e ripose la borsa sul tavolino davanti a sé.
Un tavolino tondo di cristallo decorato che, in mezzo a
quella totale miseria, faceva la stessa figura di un diamante in una stalla.
Nell’appoggiare la sacca multicolore, però, urtò un flacone
che inizialmente non aveva notato, e lo fece finire rovinosamente in terra,
spargendo pillole un po’ovunque.
A velocità razzo, si fiondò sul pavimento e raccolse tutte
quelle che le riuscì di trovare, riinfilandole nella bottiglietta in fretta e
furia, pregando che Kevin non tornasse dalla cucina proprio in quel momento. Fu
solo quando il tappo di plastica bianca fu tornato al suo posto che la giovane
si permise di fermarsi un istante a leggere l’etichetta.
E il suo cuore mancò un battito.
“Ecco qui!” Esclamò Kevin, sgommando sul pavimento liscio ed
evitando per un pelo di rovesciare l’acqua. Martha sobbalzò, riponendo
velocemente il flacone sul tavolo.
“Grazie!” Rispose, con un sorriso esagerato, prendendo il
contenitore e buttandone giù il contenuto in un sol sorso, mentre lui la
guardava, perplesso.
“Avevi...sete?”
“Eh già... tu... non bevi niente?”
Kevin si sporse un po’verso di lei, il mento appoggiato
sulla mano destra, gli occhi verdi ridotti a due fessure e più penetranti che
mai.
“C’è qualcosa che non va, Martha?”
“Ehm..no...niente, perché?”
“Perché hai la stessa espressione di Derek quando non ha
studiato. Allora?”
“Non mi interrogare! Non sono una tua alunna, ora.”
“No, ma sei strana. Dai, non ti mangio... non ancora, per lo
meno.” Aggiunse con tono appena più malizioso.
“Kevin, dai...” Ribattè lei, arrossendo violentemente ed
arretrando un poco. “Non c’è niente che non va...”
In quel momento esatto, il flacone di medicinali, che era
rimasto in bilico sulla stoffa della borsa, decise che cadere di nuovo fosse
un’idea assolutamente brillante e rovinò sul pavimento, questa volta,
fortunatamente, senza aprirsi.
“Oh.” Si limitò a commentare Kevin, rabbuiandosi un poco.
“Allora è per quelle.”
Martha sospirò, lasciando che la propria schiena si
appoggiasse del tutto al divano, e si ravviò i ricci biondi.
“Non ho fatto apposta... ho appoggiato la borsa e le ho
fatte cadere. Sono quello che penso, Kevin? No, perché mia nonna a volte mette
le caramelle nelle scatole dei medicinali e...”
“Mio fratello è morto. Quattro anni fa.”
“Ma...hai detto che era fuori casa...”
Kevin ridacchiò, pur senza un minimo di gioia. Dopotutto, io
non ero e non sono esattamente un argomento facile da trattare...
“Joe è fuori, probabilmente ad affogarsi nell’alcool in qualche
bar. L’altro mio fratello invece è in una tomba al cimitero centrale di
Princeton.”
“Per... per questo eri lì, prima?”
Lui annuì, puntando lo sguardo in direzione di qualcosa di
invisibile sul parquet.
“Sì, e per questo prendo gli antidepressivi. Non sono pazzo,
Martha, ti prego, non ti spaventare.”
“Sai che la depressione è... è la prima causa di suicidi?”
Chiese la ragazza, maledicendosi subito dopo per la stupidità delle proprie
parole. Chissà perché le erano sembrate brillanti, prima di pronunciarle...
“Joe ci ha provato, quasi tre mesi fa. Io mai e
credo...credo di aver passato il peggio. Grazie alla scuola...a te, ci penso
sempre meno ogni giorno.”
“A... me?”
“Soprattutto a te.” Rispose Kevin, passandole un braccio
intorno alle spalle ed attirandola a sé.
“Ma io non ho fatto...”
“Già il fatto che tu non sia scappata a gambe levate
lasciandomi con i miei antidepressivi è qualcosa. E pensare che ti ho anche
messo tre...”
“Non fa niente... i miei non considerano la musica
esattamente una materia indispensabile...”
Kevin sorrise, posandole un bacio sui capelli chiari.
“A volte sembri Nick in un modo incredibile...”
“Nick?”
“Il mio fratellino.” Rispose Kevin, allentando un po’la
presa su di lei e lasciando che fosse la mano di lei ad affondare nei suo ricci,
attirandolo verso il basso.
“Mi parli di lui?”
“Non...non lo so, non credo di...”
“Fai quello che ti senti, giuro che nonmi offendo.”
Kevin annuì, rilassandosi nell’abbraccio di lei e posandole
delicatamente il capo sul seno.
“Aveva cinque anni meno di me, suonavamo insieme. Nick
era...semplicemente meraviglioso. Aveva una voce straordinaria e sapeva suonare
qualsiasi strumento gli capitasse per le mani. Per lui la musica era...tutto,
penso, l’essenza della vita stessa, in un certo senso. E ha avuto un
destino...” L’accenno di un singhiozzo fece sì che le parole gli morissero in
gola. Non aveva mai parlato di me con nessuno, prima... Martha lo strinse più
forte, donandogli con quel semplice gesto il coraggio di continuare, di non
aver più paura del dolore. “Ha avuto un destino per lo meno beffardo: anni e
anni a lottare contro il diabete... per poi morire in un incidente.”
“Dio...” Mormorò la ragazza con un fil di voce. E lei che
aveva pensato a qualche strano squilibrio mentale...
“Già, Dio... non ho creduto in lui per parecchio tempo, sai?
Piuttosto insolito, per il figlio di un pastore, eppure avevo perso ogni motivo
per farlo. Fino ad oggi.”
“Perché proprio oggi?”
A quella domanda, mio fratello si alzò quasi di scatto,
tornando a sedere e prendendo le mani di Martha tra le proprie.
“Oggi ho capito che...”
“Bro, sono a casa.” La voce di Joe, stranamente non
impastata di alcool, interruppe il discorso del fratello, costringendolo a
spostare lo sguardo verso il basso per non urlargli addosso. Lo sapeva o no
quanto gli era costato arrivare fin lì? Dire quelle parole?
“Ciao, Joe...” Soffiò, mentre questi si avvicinava al divano
e squadrava Martha con aria critica.
“Vedo che te le scegli sempre più giovani, Kev... da dove
viene questa? No, perché sai, sto pensando seriamente di provare anche io.
Dopotutto, questo stupido voto non ha nessuna ragione d’esiste...”
“Joe, vattene.”
“Oh, dai, quante storie, come se le tue puttanelle avessero
qualcosa di...”
Joe non fece nemmeno in tempo a realizzare che Kevin si era
alzato che si ritrovò seduto sul pavimento, una mano a tamponarsi il labbro
sanguinante, mentre Martha, ancora seduta sul divano, sgranava gli occhi, senza
capire cosa fosse successo.
“Ma sei impazzito?” Sibilò Joe, appoggiandosi al muro per
alzarsi in piedi.
“Non provare mai più a dire una cosa del genere di lei, è
chiaro? Vuoi darmi del puttaniere? Bene, fallo, è la verità. Ma lei non la devi
toccare nemmeno per scherzo. E sono serio.”
“Che fossi serio l’avevo capito dal pugno.”
“Vai via, Joe.”
“Me ne vado, me ne vado. E tu” Continuò, rivolgendosi a
Martha. “Non so che diavolo gli hai fatto, ma se deve diventare così violento
ogni volta, ti conviene stare fuori dalle...”
“Joe...”
“Va bene, ciao. Ma sappi che dopo dobbiamo parlare.”
Kevin annuì appena e aspettò che Joe uscisse dalla stanza,
prima di tornare a parlare con Martha.
“Ti presento il mio caro fratellino Joe. Scusalo, è abituato
a tutt’altro tipo di presenza femminile, qui.”
Martha annuì, sforzandosi di sorridere, ma fallendo
miseramente.
“Sei gelosa.” Dichiarò allora Kevin, notando l’espressione
di lei e lasciando che le sue labbra si distendessero in un sorriso che,
malgrado la scena non proprio piacevole a cui aveva appena assistito, la fece
sciogliere totalmente.
“Non è vero...”
“Oh sì che lo è. Sei gelosa.” Ripetè, pizzicandole una
guancia tra indice e pollice della mano destra. “La mia bambina gelosa.”
“Dai, non sono una...” Le labbra di Kevin la interruppero,
posandosi sulle sue. “...bambina.”
“Se lo dici tu...”
A quel punto, litigare su chi fosse una bambina e chi no,
non era esattamente l’attività al primo posto nella lista di Martha, che si
lasciò sospingere dolcemente verso il basso dalla mano di Kevin, posata
all’altezza della sua spalla sinistra, tornando a baciarla in modo assolutamente
non infantile. Un bacio diverso da quelli che aveva fino ad allora ricevuto da
lui.
Più dolce.
Più adulto.
Più innamorato, se solo avesse osato arrivare a pensare una
cosa del genere.
Che poi non sarebbe stata per niente lontano dalla verità.
Lasciandosi sfuggire un sospiro sorpreso e soddisfatto al
tempo stesso, gli allacciò le braccia dietro al collo, stringendolo un po’di
più a sé, senza lasciarlo finché non furono i suoi stessi polmoni a
costringerla.
“Wow...” Esalò lui, sorridendo e posandole sulle labbra un
piccolo bacio a stampo. “Forse davvero non sei una bambina.”
“Io te l’avevo detto.” Replicò lei, le guance adorabilmente
colorate di rosso. “Senti... ora me lo dici, che hai capito oggi?”
“Come?”
“Prima mi stavi dicendo” Spiegò, accarezzandogli
distrattamente i capelli. “che oggi è cambiato qualcosa...che hai capito
qualcosa...”
“Oh...sai cosa? Penso che te lo dirò un’altra volta.”
Affermò, senza lasciarle il tempo di protestare oltre, chiudendole la bocca con
l’ennesimo bacio.
Capitolo 17...capitolo
sfortunato... beh, io non ci credo, credo solo alle superstizioni teatrali, ma
chissà... Una prima parte malinconica, una seconda peggio, una terza
allegra...avoi commentare! Io mi limito
a ringraziarvi.
Selphie: eh già, i migliori sono sempre gay.... Fabrizio....
*sbava* Ok, ricomponiamoci. Ufo robot...ehm... grazie per I complimenti!!!
Alexya379: allora non la fanno
mettere solo a me quella camicia! Né che è scomodissima? XD
Sweet_S: Beh, Kevin l’ha incontrato per caso...ma non si è
lasciata sfuggire l’occasione! Non sarebbe stato da lei, no no!
KymLYCANTROPHE: aggiorno presto, sì sì, anche
se sono sommersa di compiti e prove... ma vi voglio bene, per cui non vi
lascio!!!
Sbrodolina: eh sì che se lo è
meritato, povero il mio cucciolo, è stato proprio un po’ stronzo! Ma si
rifarà...forse...chissà...
Tay_:beh, dire ti amo per Kev è estremamente difficile... ce
la farà, ma molto più in là, temo.
Pretty_Odd: per dare tregua alla
tua sanità mentale, qui niente Kev e Martha...e il pugno a Joe l’ha tirato Kev,
che vuoi di più!
Jollina la verde: fatto,
aggiornato!!!
Lyan: in questo periodo mi ha preso una
passione per Nick...se diventa più adorabile degli altri due ditemelo!!!
Beautiful_disaster: Eliza e Joe non ti piaceranno qui.
Almeno, Eliza non lo farà di certo. Cosa mi ero fumata? Un evidenziatore,
provalo!
La socia: non ti rispondo, così posto più in fretta. Tanto
tu questo già l’hai letto...
Brotherina: we we Joe è il tuo
futuro cosa? JoemioH!!!
Buonanotteluna: benvenuta! Ok, ti perdono
per le prossime non recensioni... ma solo se il prossimo commento che farai
sarà meraviglioso come questo!!!
Agatha;: sai, credo davvero che Martha si sarebbe commossa
a sentire quel discorso...ma ha tutto il tempo per sentirsi dire ti amo,no?=
SweetDoll: ma
quanta gente faccio piangere! Me felice
La Fitto: sì, Kev e Martha sono una coppia ovvia, ma è il
loro percorso a dover essere preso in considerazione seriamente, non il fatto
che finiscano effettivamente insieme, no? O, meglio, il percorso di Kevin. E no,
niente parti leggere per Liz, ne ha già avute fin troppe.
Temperance
-Capitolo Diciassette-
There’s no time for us
There’s no place for us
What is this thing that builds our dreams
Yet slips away from us
(Queen, Who wants to live forever)
Joe
spalancò la finestra, rabbrividendo appena nella ventata di aria fredda che lo
investì.
Il
giorno dopo avrebbe senz’altro nevicato.
Passandosi
una mano tra i ricci spettinati, si appoggiò al davanzale con entrambi i
gomiti, puntando gli occhi scuri verso la luna ancora pallida nel cielo buio.
Dal
cortile lo raggiungevano le risate gioiose di Kevin e Martha, che avevano
ingaggiato una lotta senza quartiere per chi avrebbe guidato fino a casa di lei.
Un
sorriso ironico gli si dipinse in volto: non sarebbe durata, Kevin non era
capace di avere una storia vera, figurarsi con una diciottenne che
probabilmente cambiava un ragazzo a settimana, senza mai prendere la cosa sul
serio.
Eppure
ora ridevano, si divertivano e giocavano come lui non faceva da troppo, troppo
tempo.
“Non
volevo aggredirla in quel modo, sai? Eliza, intendo...”
Oh,
io lo so, ma secondo me a lei non ha fatto molto piacere.
“Kev
dice che così la faccio solo stare peggio.”
Kev
ha ragione.
“Ma
io sul serio non so cosa mi prende quando Eliza mi è vicina... penso a te,
credo...a noi, ricordo e non rispondo più delle mie azioni. Però, Nicky, io
l’amo... senz’altro più di quando ami me stesso, ma non credo esistano
possibilità, per noi. Abbiamo lasciato passare il tempo in cui saremmo potuti
stare insieme e ora... ora lei si ostina a credere in qualcosa che non c’è più.
E io sono noioso, terribilmente noioso, me lo dice anche Clarisse. Scommetto
che sei d’accordo, non ti è mai piaciuto ascoltare le mie lagne.”
Certo,
perché ti lagnavi per la piastra che si scaldava troppo lentamente. Questo è un
po’diverso, Joey.
“Però
sento di stare meglio, sai?”
Ah
sì? Sei il secondo che me lo dice, oggi.
“Sì,
è cambiato qualcosa, anche se non so che cosa. Dopotutto, sono riuscito a
parlarle, no? E sto insegnando a Clarisse come si canta e...”
La
forte vibrazione del suo cellulare interruppe questa specie di confessione e
Joe sbuffò, allontanandosi dalla finestra per raccogliere il piccolo telefono
che si agitava sul comodino.
“Pronto?”
“Parlo con Joe Jonas?” Gli
domandò una voce di donna dal tono piuttosto preoccupato.
“Sì,
ma...chi è?” Rispose lui, perplesso.
“Sono
la madre di Clarisse.”
“Oh...”
A
quel punto anche io ero a dir poco stupito.
“La
prego, venga qui. Non so che cosa le è successo a scuola, ma si è chiusa in
camera e non lascia entrare nessuno. Dice che vuole parlare solo con lei... io
non so che fare...”
“Con
me?”
“Sì,
se lei è il Joe Jonas che le sta insegnando a cantare.”
“Sì,
sono...” Oh, al diavolo, Joe, va’ da lei! “Dove abitate?”
Volete
dire che mi ha sentito?
There’s no chance for us
It’s all decided for us
This world has only one sweet moment
Set aside for us
Who dares to love forever
When love must die?
(Queen, Who wants to live forever)
“Dove
sei stata ieri sera?” Domandò Susy, puntando i penetranti occhi viola in quelli
di Eliza, che distolse lo sguardo con un notevole sbadiglio.
“In
giro... mi sono dimenticata di avere il turno di notte, tutto qui.” Rispose,
allacciandosi il grembiule.
“Oh,
avanti, sai a memoria i numeri di telefono e i compleanni di metà della
nazione, non ci credo nemmeno se lo vedo che ti sei dimenticata. Senti, non
voglio sapere niente, ma dimmi che quel Jonas non c’entra.”
Silenzio.
“E
invece sì che c’entra. Liz, quante volte te lo devo dire di lasciarlo perdere? Non
avete speranze, non te ne rendi conto.”
“Sì,
Susy, lo so. E infatti non ho più intenzione di cercarlo.” Sussurrò la ragazza,
tagliando una fetta di torta dal vassoio del self service e riponendola in un
tovagliolo, per poi addentarla senza troppa convinzione.
“E
allora perché continui a... che hai detto?”
“Che
non voglio più corrergli dietro. Sono stanca, davvero stanca di amare un
fantasma.”
Susy
si bloccò per qualche istante, poi, con un urletto di non meglio definita
provenienza, lanciò le braccia al collo della sua cameriera preferita,
rischiando di stamparsi la fetta di torta sul maglione lilla.
“Era
ora, piccola mia, era davvero ora! Ma cosa è successo, come mai hai cambiato
idea?”
Liberandosi
dall’abbraccio della donna più anziana, Eliza si strinse nelle spalle, posando
il dolce sul bancone e stringendosi con le proprie braccia.
“Ho
capito che non ne vale la pena...che forse ha ragione lui, avete ragione tutti:
il mio Danger è morto quel giorno, insieme a Nick e io non ci posso fare
proprio niente. Dopotutto, la vita non è stata poi così cattiva, con
noi...abbiamo avuto dei begli anni, io e lui insieme. E io devo solo imparare
ad accontentarmi di quelli. Sai, Suzy.... è un azzardo amare una persona fino a
farsi male: si rischia di passare una vita ad aspettare qualcuno scomparso da
tempo. Io ora voglio vivere, ho aspettato abbastanza.”
Vivo por ella que me da
Noches
de amor y libertad
Si
hubiese otra vida la vivo
Por
ella tambièn
(Andrea
Bocelli ft Marta Sanchez, Vivo por ella)
La
mano scivolò lentamente lungo il fianco di lei, fermandosi appena sotto il
maglione e insinuandosi coraggiosamente oltre il sottile ostacolo che esso
costituiva al suo braccio sul corpo della giovane.
“Sei
bella, sai?” Le sussurrò all’orecchio lui, sfiorandole appena i capelli castani
con la punta del naso.
“Sai
che tendi a dire una quantità spropositata di cazzate, quando vuoi fare il
romantico?”
Derek
alzò gli occhi al cielo, rotolando di lato e stendendosi sul letto a braccia
spalancate.
“Niente
da dire, Bex, sei davvero brava ad uccidere l’attimo.” Borbottò, simulando un
broncio assolutamente poco credibile.
“Oh,
il povero piccolo Derek si è offeso...” Ribatté lei, sorridendo ed alzandosi,
per poi posizionarsi a gattoni sopra di lui. “Siamo a casa tua nel letto dei
tuoi... credimi, non è stato assolutamente il modo peggiore per uccidere
l’attimo.”
“Ah
no?” Domandò lui, cercando con un braccio di attirarla a sé ma fallendo
miseramente. “E qual è, se posso, il peggiore?”
“Potrebbe
essere entrata tua madre mentre facevo questo...” Rispose Beatrix, slacciando
velocemente la felpa dell’amico. “O questo...” Continuò, abbassando, questa
volta con lentezza esasperante, la cerniera dei jeans del giovane, per poi
chinarsi a disegnare, con l’ausilio di labbra e lingua, intricati percorsi sul
suo collo. “O questo.”
“Mmm...hai
ragione, mi sa... e pensa se fosse entrata mentre io facevo...” Con lo sguardo
dal delinquente più adorabile del suo repertorio, il giovane tornò a sfiorare
la pelle di Beatrix da sotto la lana del maglione, virando, questa volta, verso
il seno. “...questo.” Concluse, rotolando di lato subito dopo per evitare lo
schiaffo che era già partito nella sua direzione.
“Idiota.”
Sibilò la ragazza, mentre lui rideva a crepapelle, rannicchiato in posizione
fetale, nel tentativo di proteggersi dalla granaiola di cuscinate che, in
qualche modo, sembravano arrivargli addosso da ogni direzione.
“Ehi,
ma quante braccia hai?!” Esclamò, alzandosi poi di scatto in ginocchio e
afferrandola per i polsi, prima che lei riuscisse a sferrargli l’ennesimo
colpo. “Presa.” Sussurrò, suadente, per poi catturare le labbra con le sue. Le
lasciò le braccia solo quando la sentì rilassarsi e quelle si strinsero
automaticamente alla sua schiena, mentre le sue dita arricciavano con forza la
stoffa pesante della felpa.
“Se
fai così poi però io non riesco più a prenderti a cuscinate...” Mormorò Bex,
mentre le labbra di Derek le accarezzavano piano il collo latteo.
“Quello
era lo scopo.”
“Derek...”
Si lasciò sfuggire lei, con tono non esattamente di disapprovazione e lui
sogghignò, alzando il capo e aspettando che riaprisse gli occhi.
“Allora,
ricapitoliamo.” Cominciò, quando riuscì a catturare lo sguardo di lei. “Non ti
posso toccare però tu sei liberissima di slacciarmi i pantaloni e di soffiare
il mio nome come ti stessi facendo chissà che cosa?”
“Non
l’ho detto con quel tono...” Ribattè Bex, arrossendo lievemente.
“Derek...” Soffiò il ragazzo in modo
eccessivamente sensuale, strisciando il capo contro il braccio di lei.
“Finiscila,
deficiente.”
“Perché
non vuoi che ti tocchi?”
“Perché....”
“E
dai!” La incitò Derek, sbattendo le palpebre un paio di volte.
“Perfavoreperfavoreperfavore!”
“Perchèmipiaceassolutamentetroppochetulofaccia”
Sputò lei in un sol fiato, non riuscendo, però, a non far cogliere il senso di
quella sola, lunga parola al giovane...e nemmeno a me, se devo proprio dirla
tutta.
“Ah,
ti piace...che cosa ti piace? Me lo sono dimenticato...”
“Sei
uno stronzo, Derek Milton.”
“Lo
so. Allora?”
Beatrix
sospirò, alzando gli occhi al cielo, per poi decidere per un cambio di
strategia e dargli le spalle, appoggiandosi a lui e portando una mano a giocare
con i suoi capelli, mentre la sua, possessiva, la stringeva in vita,
costringendola ad avvicinarsi.
“Mi
piace che tu mi tocchi come gli altri non possono nemmeno permettersi di
sognare.” Gli sussurrò all’orecchio, chiudendo gli occhi e gettando il capo
all’indietro, permettendogli di sfiorarle, con la mano libera, la pelle
sensibile del collo.
“Quindi
posso fare così?” Domandò Derek per pura retorica, liberando una volta per
tutte Beatrix del suo maglione e chinandosi ad accarezzarle con le labbra la
pelle morbida e delicata del seno.
“Derek,
io...”
Allo
scattare di un flash, Beatrix spalancò gli occhi, raddrizzandosi di colpo e
urtando con la spalla la mandibola di Derek che, pochi istanti dopo, si ritrovò
a sua volta a guardare, una mano a massaggiarsi il viso, il sorriso sdentato
della sua sorellina Mandy, di dieci anni, una macchina polaroid stretta tra le
piccole mani.
Al
piano di sotto, la porta d’ingresso scattò in modo inquietante.
“Mandy,
che stai...”
La
bambina allargò ancora di più il proprio sorriso, agitando la fotografia un
paio di volte.
“Mamma!”
Chiamò, appoggiando la macchina a terra, pronta a fuggire, mentre il fratello
si riallacciava in fretta e furia i pantaloni. “Mamma, Derek ha la ragazza!”
Scusate, ancora una volta vi
lascio senza ringraziamenti.... sappiate solo che vi ringrazio tutte, dalla
prima all’ultima, chi legge, chi recensisce e le 42 che mi tengono tra i
preferiti!
Vi avverto che io semplicemente
adoro la parte finale del capitolo e scriverla mi ha fatta morire dal ridere!
Un bacio grande a tutte,
Temperance
-Capitolo
Diciotto-
Donne, tududu
In cerca di guai
Donne al telefono
Che non suona mai
(Zucchero Fornaciari, Donne)
“È stato magico!” Esclamò Martha, non appena la voce di
Beatrix si sostituì al segnale di libero dall’altra parte della cornetta.
“No.” Replicò l’amica. “È stato umiliante.”
“Sai, non credo che stiamo parlando della stessa cosa.”
“Se ti riferisci ad un succhiotto sul collo grande come Cuba
che ti costringe ad andare anche a dormire con la sciarpa o ad una polaroid che
prova innegabilmente che sei stata a letto conil tuo migliore amico allora sì.”
“Hai fatto sesso con Derek?” Domandò Martha, stupita,
stappando una penna rossa ed iniziando a tracciare segni casuali sul quaderno
degli appunti di storia.
“No! Come ti salta in testa!”
“Hai detto che sei stata a letto con lui...”
“E allora? È diverso! Tu, piuttosto, che cosa è stato
magico.”
“Kevin...” Sospirò Martha, sognante, mentre i segni sulla
carta a quadretti prendevano velocemente la forma di un’arzigogolatissima K.
“Kevin chi, scusa?”
“Pensaci...”
Beatrix si attorcigliò sul dito il filo spiraliforme del
vecchio telefono, corrugando leggermente la fronte, per poi sgranare gli occhi
come ad un’improvvisa folgorazione.
“Dio, non quel
Kevin!” Esclamò, rischiando di cadere dal letto su cui era seduta. “Perché è di
Jonas che stiamo parlando, vero?”
“Sarebbe una cosa tanto brutta?”
Le rispose solamente un urlo provvisto probabilmente di un
paio di decibel più del limite dell’udibilità.
“Immagino di no.” Si rispose da sola Martha, sorridendo e lasciandosi
ricadere sul letto, rigirandosi una ciocca sulle dita.
“Beh, brutta brutta no... Oddio,
immagino di dover fare l’amica responsabile... non so... è la parte di
Francie... Bene, Martha, stai attenta, blablabla. Ora spara: tutti i
dettagli!”
Es la musa che
te invita
A tocarla
suavecita
En mi piano a
veces triste
La muerte no
existe
Si ella està
aquì
(Andrea
Bocelli ft Marta Sanchez, Vivo por ella)
La madre di Clarisse aprì lentamente la porta di casa,
sbirciando prima dallo spiraglio di pochi centimetri che già aveva creato,
quasi timorosa di scoprire chi si sarebbe trovata di fronte.
“Lei è Joe?” Domandò, squadrando mio fratello dalla testa ai
piedi con occhio critico: capelli lunghi, spettinati, occhi spenti, abiti
trasandati... ammettiamolo, non esattamente l’aspetto di un angelo caduto dal
cielo.
O forse sì.
Di testa.
“Sì...”
Con un’ultima occhiata, la donna annuì, non troppo convinta,
e gli fece cenno di entrare.
“É quello a cui è morto il fratello anni fa?”
“E lei è quella il cui tatto è andato a farsi fottere?”
Ribatté Joe, inviperito, affondando le mani nelle tasche e guardandosi intorno,
senza troppo interesse. “Dov’è Clarisse?”
“Di sopra. Prima porta a destra.”
Senza proferire ulteriori parole, Joe imboccò le anguste
scale coperte di moquette bordeaux, mentre il padre di Clarisse si avvicinava
alla moglie, frizionandosi appena i capelli brizzolati con un asciugamano.
“È lui?”
“Già...” Rispose la moglie, voltandosi verso di lui.
“E com’è?”
“Maleducato. E sciatto, ma sembra volerle bene.”
L’uomo annuì, in silenzio, per poi passarle una mano sulle
spalle e trascinarla con sé verso la cucina.
“Vieni, ci facciamo un caffè.”
Clarisse, seduta sul suo sgabello di pelle nera davanti al
piccolo pianoforte verticale, guardava la parete spoglia davanti a sé,
premendo, ogni tanto, sui lunghi tasti bianchi, producendo suoni totalmente
privi di ogni senso logico.
Anche io lo facevo.
Rilassa.
Sentì i colpi sulla porta solo la terza volta che Joe bussò,
e si alzò piano, accorgendosi solo in quel momento che i suoi occhi non
lacrimavano più. Passando davanti al piccolo specchio, lanciò uno sguardo
veloce al proprio riflesso: Joe non doveva accorgersi che aveva pianto.
Per Joe, lei non sarebbe stata debole mai più.
“Chi è?” Domandò, più per accertarsi che la voce non la
tradisse che per altro. Sapeva che sua madre non avrebbe provato di nuovo a
parlarle.
Doveva essere lui, per forza.
“Sono Joe...mi fai entrare?” Rispose la sua voce, senza
evitare di tradire una certa impazienza.
“Ciao...” Mormorò la ragazzina, dopo aver aperto la porta di
quel tanto che bastava per lasciarvi passare attraverso mio fratello.
“Si può sapere che cos’hai?” Le chiese, senza alcun impeto,
solo lasciandosi cadere pesantemente sullo sgabello e suonicchiando una scala.
“Mi hai fatto spaventare.”
“Non è niente...”
“Una non si chiude in camera per niente, Clarisse.” Replicò
lui, abbozzando l’inizio di Profondo Rosso e facendole cenno, con la mano
libera, di sedergli accanto.
“Madison.”
“La stronzetta di scuola?”
Clarisse annuì, sorridendo appena.
“Che ti ha fatto.”
Niente domande.
Solo un’affermazione.
“Mi ha detto...mi ha detto che posso tanto smettere di
provare, perché non imparerò mai a cantare meglio di una rana stonata.”
Joe sospirò, ravviandosi i capelli.
“Clarey, pensavo avessimo chiarito che tu a quella non devi
dare ascolto. Io credo che...”
“E poi ha detto che tu non sapresti far cantare nemmeno un
usignolo, perché sei solo uno stupido che non capisce niente, proprio come tuo
fratello e l’unico bravo del vostro gruppo era Nick, ma non è vero!”
“Scusa, ma che t’importa di quello che lei dice di me? Non
mi arrabbio, sai, ne ho sentite di peggio.”
“Ma sono tutte bugie!” Quasi strillò lei, mentre scacciava
dagli occhi, con gesto rabbioso, le nuove lacrime che vi si erano formate. “Tu
non sei così! Tu sei Joe Jonas!” Esclamò, indicando un vecchio poster appeso
accanto alla libreria di ciliegio. “Sei il migliore, lo sei sempre stato!”
“Clarisse, calmati...” Tentò Joe, alzandosi in piedi ed
afferrando la ragazzina per le spalle.
“No! Lei non può dire queste cose né di te né di Kevin...voi
siete meravigliosi, eravate tutto quello che vorrei poter diventare io! Voi
sapete cosa è la musica per me, sapete cosa vuol dire trovare nelle note una
ragione di vita. Lei non starebbe mai delle ore a studiare il modo migliore per
inserire un testo in una melodia lei...”
Joe non seppe mai che cosa lo spinse a farlo.
Forse il suo istinto di fratello maggiore, forse il sentore
inconscio di tutto ciò che Clarisse stava anche indirettamente facendo per
lui... o forse semplicemente il fatto che Danger, dopotutto, non era affatto
scomparso come lui credeva.
Non seppe cosa lo spinse a farlo, ma in un attimo si ritrovò
a far scivolare le mani lungo quelle spalle minute, portandole ad incrociarsi
dietro alla sua schiena e a stringere Clarisse a sé, sedendosi sul letto e
lasciando che le sue lacrime calde gli inumidissero la felpa blu.
Lei si aggrappò alla stoffa pesante con tutta la forza delle
sue piccole mani, chiudendo gli occhi e rannicchiandosi nel suo abbraccio,
mentre sentiva distintamente le labbra di lui posarsi per una frazione di
secondo sui suoi capelli scuri.
Rimasero così, stretti e vicini più che mai, finché i
leggeri spasmi del corpo di lei non si placarono completamente e lui lasciò un
poco la presa, sentendola mormorare qualcosa contro il proprio petto.
“Che cosa?”
“Ho detto che ti voglio bene, Joe.” Ripeté Clarisse, alzando
gli occhi per incontrare, in quelli di lui, un sorriso sincero.
Il primo.
“Anche io ti voglio bene, piccola.” Rispose, stupendomi, e
sistemandole una ciocca dietro all’orecchio. “Ma non devi più stare male per
me, ok? La facciamo vedere noi a Madison.”
E, mentre lo diceva, Joe seppe che era vero.
L’avrebbe aiutata sul serio.
E Danger sarebbe tornato, una volta per tutte.
Certe notti sei solo più allegro
Più ingordo, più ingenuo e coglione che
puoi
Quelle notti son proprio quel vizio
Che non voglio smettere, smettere mai!
(Luciano Ligabue, Certe notti)
“Ce ne hai messo di tempo!” Esclamò Kevin, aprendo la porta
e trovandosi di fronte un Christian a dir poco trafelato.
E provvisto di un’aria piuttosto scocciata.
“Che.Cosa.Vuoi?”
Mio fratello si strinse nelle spalle con un sorriso
smagliante.
“Nulla, solo passare una serata tra amici.”
“Cioè.” Cominciò il biondo, spingendolo da una parte ed
entrando nell’appartamento con poca grazia. “Tu ti sei accorto che ha
nevicato?”
Kevin annuì, euforico.
“Sì! Non è stupendo!”
“Ok, di cosa ti sei fatto. Giuro che non lo dico a nessuno.”
Per tutta risposta, Kevin chiuse la porta con un risolino che
fece alzare gli occhi al cielo al povero Chris.
“Kev, tu mi hai chiamato praticamente implorandomi di venire
qui, correggimi se sbaglio, un quarto d’ora fa. Io mi sono vestito in tre
secondi e mezzo, non ho potuto prendere la macchina perché è bloccata, mi sono
fatto una corsa tipo Olimpiadi fino a qui per trovarti felice come una Pasqua e
sentirmi dire che ci ho messo tanto?!”
“Pensavi fosse successo qualcosa?”
“Uno di solito non telefona dicendo vieni prima che puoi se
non ha effettivamente bisogno di te!” Sbraitò, allargandosi violentemente il
nodo della cravatta.
Cosa che andò di nuovo a solleticare l’ilarità di mio
fratello, il quale, però, tentò di trattenersi dallo scoppiare apertamente a
ridere, ottenendo come unico risultato una poco fine serie di pernacchie.
“Cosa c’è, adesso.” Ringhiò Christian.
“Niente è che... ma non te la togli mai la cravatta?”
“Ehm...mi piacciono, le cravatte...” Rispose l’uomo,
perplesso. “Le colleziono.”
“Oh, io collezionavo occhiali. E sciarpe. Tante sciarpe.”
“No, davvero, Kevin, hai fumato? Guarda che me lo puoi
dire...”
Ma Kevin già era in cucina e non lo ascoltava più.
“Vuoi birra o campari? Oh, che scemo, il campari è
finito...e la birra è vecchia...”
“Una coca va bene. Ma io non mi posso fermare, ho...”
“Che cosa?” Domandò Kevin, alzando un sopracciglio,
affacciato alla porta della cucina.
“Un appuntamento, razza di rompicoglioni che non sei altro.
E non lo rimando per te.”
“E per Joe?”
“Che?” Chiese Christian, improvvisamente molto meno
frettoloso, afferrando la lattina che Kevin gli porgeva.
“Mio fratello, il culo più bello del New Jersey, ricordi?”
“So chi è Joe, imbecille.”
“Ecco. Se fai il bravo te lo organizzo con lui un
appuntamento.”
Christian aggrottò la fronte, dubbioso.
“Non lo farai.”
“E perché no?”
“Perché ti conosco, tifi per la rossa.”
“Chris...dai...”
Il biondo sospirò, lasciandosi cadere sul pericolante divano
e facendosi così saltare una gocciolina di coca cola sul naso.
“E va bene, mando un sms e sono tutto tuo.”
“Grazie!” Esclamò Kevin, correndo a sedersi accanto a lui e
impugnando il telecomando. “Potrei baciarti, sai?”
“Potrei essere d’accordo, sai?”
Con un sorriso sornione, Kevin si sporse di scatto verso di
lui, stampandogli un rumoroso bacio al sapore di aranciata sulle labbra.
“Tu ti sei rincretinito del tutto.” Decretò Christian, non
appena si fu riavuto dalla sorpresa. “Sei cotto davvero, cavoli.”
“Come fai a sapere che è per lei che sto così?” Chiese mio
fratello, iniziando a fare zapping, mentre il sottoscritto cercava di
riprendersi dall’incontrollato attacco di risa che lo aveva assalito.
Che volete, non capita tutti i giorni di vedere il proprio
fratellone baciare un ragazzo.
E di non poterlo prendere ingiro.
Uffa.
“Solo due cose sono in grado di ridurre un uomo così.”
Spiegò Chris, alzando due dita. “Le donne e la cocaina. Anzi, nel tuo caso,
Martha Sheperd e la cocaina.”
“Come sai che è lei?” Domandò Kevin, diventando di colpo
serissimo.
“Mensa: eri tutto un sorriso nella sua direzione. Corridoio:
le guardi il culo ogni volta che passa.”
“Ehi, questo non è vero!”
“Sì che lo è. Corridoio, due: le hai toccato...”
“Ok, ho capito.” Lo bloccò, prima che riuscisse a dire
qualcosa in grado di farlo arrossire.
“Quindi è lei.”
“Football?”
“Oh, sì, è decisamente lei.”
“Football.”
“Non ci pensare nemmeno.” Ribatté Christian, strappandogli
il telecomando dalle mani. “C’è il balletto e, visto che non mi ci hai lasciato
andare, voglio vederlo almeno in tv.”
“Ma è roba da checche!”
“Ehi!”
E fu così che iniziò una lotta senza quartiere per il
possesso del telecomando.
Incavolata nera con la prof di
storia e, come sempre, di fretta, aggiorno senza ringraziarvi una ad una
ma....wowowowow, 19 recensioni! (anche se una è finita nel 1° capitoloXD)
Grazie a tutte!
Ah, se vi va, mi farebbe piacere
conoscere la vostra opinione su una flashfic che ho pubblicato nella sezione di
Bones....(pubblicità occulta). Tranquille, non serve guardare il telefilm per
capirla! Il titolo è “Shot”(sparo)
Temperance
-Capitolo
Diciannove-
Notte di lacrime e preghiere
La matematica non sarà mai il mio mestiere
E gli aerei volano in alto tra New York e
Mosca
Ma questa notte è ancora nostra
Martha non tremare
Non ti posso far male
Se l’amore è amore...
(Adattamento da La notte prima degli esami,
Antonello Venditti)
“Ciao, mamma.” Salutò Kevin, prima di premere il tasto rosso
che serviva a chiudere la chiamata. “Ti voglio bene...”
“Non ti ha sentito, sai?” Domandò Martha, stringendosi a lui
e rabbrividendo un poco, nonostante il cappotto di lana cotta rossa.
“Lo so, ma arrivano domani pomeriggio, ho tutto il tempo per
dirglielo.”
“Domani pomeriggio? E già sono in aereo?”
Kevin si strinse nelle spalle, lasciando scivolare il
cellulare nella tasca del cappotto blu e strofinando con l’altra mano il
braccio di Martha.
“Erano in vacanza: Italia. Ma a mamma non sembrava vero che
l’avessi invitata a passare il Natale con noi, ha fatto i biglietti di ritorno
in un nanosecondo. A loro, però, ci penso poi: questa notte è nostra...anche se
non ho ancora capito perché hai insistito per uscire stasera, quando dovresti
essere a casa a studiare per l’esame di domani.”
Martha sbuffò, appoggiando il capo alla spalla di lui.
“Che palle sei! Sono solo gli esami di metà semestre e la
tua materia nemmeno c’è.”
“E allora? Sono importanti anche le altre, sai?”
“So, so, ma stasera è speciale: è il ventuno dicembre.”
Kevin la guardò, perplesso, lasciandola un secondo per
aprire la porta del ristorante nel quale avevano prenotato e lasciandola
entrare per prima.
“Quindi?”
“Quindi cosa? Sei proprio un uomo...” Commentò la ragazza,
seguendo il cameriere in cravatta e papillon che le indicava la strada. “Te lo
saresti dimenticato anche se lo avessi segnato sul calendario a caratteri
cubitali e con...” L’arringa di protesta le morì in gola non appena i suoi
occhi si posarono sull’enorme composizione di candidissime rose che campeggiava
al centro del tavolo a loro assegnato.
“Il ventuno dello scorso mese” Cominciò Kevin, circondandole
la vita con le braccia. “una mia alunna è rientrata a scuola dopo essere stata
ammalata, trovando sul proprio banco un fiore esattamente identico a quelli,
segnando l’inizio dei trenta giorni più belli degli ultimi anni, per me.”
Animo romantico, il mio fratellone...
“Dai, leggi il biglietto.” Sussurrò all’orecchio di lei,
depositandole un bacio leggero sulla guancia che aveva rapidamente raggiunto
l’usuale tinta peperoncino piccante.
Con un sorriso timido, Martha allungò la mano verso il
semplice cartoncino rosso che giaceva nel suo piatto.
Io sono qui grazie a
te.
Tu sei la ragione per
cui esisto.
Tu sei tutte le mie
ragioni.
Al nostro primo mese,
a quelli che seguiranno, ad un Natale speciale.
Alla mia “bambina”,
soprattutto.
Kevin
Con gli occhi lucidi, la ragazza si voltò di scatto,
gettandogli le braccia al collo e catturando le sue labbra in un bacio
innocente come solo i suoi, Kevin aveva imparato, sapevano essere.
“Da che film l’hai rubata, questa?”
“A Beautiful Mind.” Rispose lui, strofinando appena la punta
del naso contro quella di lei.
“E io che ti ho regalato solo quello stupido bracciale...”
“Io adoro il tuo stupido...”
“Martha, sei tu?” All’udire la voce di sua madre, Martha
raggelò letteralmente, senza trovare la forza di guardarla. “Martha!”
“Martha, credo che la signora ti conosca.” Mormorò Kevin,
lasciando la presa sul corpo di lei e spingendola, con lo sguardo, a voltarsi.
“È mia madre...” Sibilò la ragazza, prima di indossare il
suo miglior sorriso, mentre lui le rispondeva con un altrettanto soffiato
“L’avevo intuito.”
O Tannenbaum o Tannenbaum (O abete, o
abete)
Wie treu sind deine Blätter (come sono
affidabili le tue foglie)
Du grünst
nicht nur zur Sommerzeit (non verdi solo in estate)
Nein, auch im
Winter wenn es schneit (ma anche d’inverno quando nevica)
(Canto popolare tedesco, O Tannenbaum)
“Eccoti, finalmente!” Esclamò Joe dalla cucina, non appena
sentì nostro fratello varcare la porta di casa.
“Finalmente? Ma se ti avevo detto che sarei tornato per
mezzanotte...”
“Non ti sento esattamente felice...ti ha mollato?” Domandò
il minore, avvicinandosi a Kevin con sguardo curioso, un grembiule bianco e
rosso legato in vita e dietro al collo.
Kevin rispose con una smorfia, ignorandolo e dirigendosi
verso il soggiorno, onde poi fermarsi, trovandosi la strada sbarrata da un
gigantesco abete che, ne era certo, quando era uscito, quel pomeriggio, non si
trovava lì.
“Ehm...Joe?”
“Ti piace?” Domandò l’altro, che lo aveva seguito con una
grossa ciotola di una non meglio definita sostanza marroncina in mano. “Era in
saldo.”
“Joe, è grande come mezzo appartamento...”
“Lo so! E ho fatto la crema al cioccolato!”
Kevin lanciò un’occhiata dubbiosa al contenitore, per poi
scuotere la testa e lasciarsi cadere all’indietro sul divano, trovandosi con la
schiena sul materasso e le gambe sullo schienale.
“Che è successo a cena?”
“Niente, solo che sono arrivati i genitori di Martha.”
“Ahi...” Si limitò a commentare Joe, posando la crema sul
tavolino di cristallo. “Non l’hanno presa bene, eh?”
“Se cacciarmi dal ristorante praticamente a calci tirandomi
dietro cento dollari di fiori è prenderla bene, allora l’hanno presa alla
grande.”
“Hai speso cento dollari per dei fiori?”
“Centocinque.” Biascicò, dandosi una spinta per portare le
gambe dalla parte giusta del divano con una sottospecie di capriola che, un
tempo, Joe avrebbe ammirato in modo piuttosto eloquente, chiedendogli di
insegnargliela.
Ora, invece, si limitò ad analizzare con attenzione un
rametto dell’albero, conscio che sarebbe bastato un nulla per distruggere il
fragile equilibrio che si era creato tra di loro.
“Li conquisterai. Lo fai sempre. Non so perché, ma, malgrado
tutto, tu resti quello con la faccia da bravo ragazzo e io il maniaco affetto
da turbe psichiche.”
“Tu sei effettivamente affetto da turbe psichiche, ma dalla
nascita, non si può fare niente. In quanto al maniaco... manie di grandezza,
quelle sì. Quanto è alto quel coso?” Domandò Kevin, alzandosi ed avvicinandosi
all’albero.
“Un metro e novanta.”
“Un metro e.... ma è più alto di me!”
“Lo so, per questo l’ho preso. Odio che l’albero di Natale
sia più basso di me. Quando ero bambino erano sempre così grandi...”
“No, Joey, eri tu piccolo.”
“Lo addobbiamo?”
Kevin si strinse nelle spalle.
“E con cosa? Non abbiamo mai fatto l’albero da quando
viviamo qui...”
“Con quelli.” Rispose semplicemente Joe, indicando uno
scatolone appoggiato in un angolo. “Me li ha dati Clarisse, ha detto che sono
vecchi e non li usa più.”
Con aria critica, Kevin prese a frugare nel grosso cartone,
per poi estrarne un piccolo violino di legno laccato.
Lo guardò con qualcosa di molto simile alla tenerezza
dipinto negli occhi, poi lo lasciò cadere, come colto da un pensiero
improvviso.
“Aspetta qui.” Disse all’improvviso e corse in camera da
letto, tornandone poi con un piccolo involto di carta che porse a Joe. “L’ho
conservato, nel caso ti fosse tornata la voglia di essere un po’Danger.”
Alzando un sopracciglio, Joe prese il pacchetto dalle mani
del fratello e ne estrasse, dopo pochi secondi, un minuscolo Mufasa di ceramica
colorata.
Lo stesso che, per quanto riesca a ricordare, aveva sempre
appeso lui.
“Kev...io....”
“Avanti” Lo interruppe Kevin, posandogli una mano sulla
spalla. “Abbiamo un... titanico abete da addobbare.”
E coi tuoi è una lotta
Piangi in camera di rabbia
E con lui vuoi andar via
E lasciare tutto il mondo dietro te
(Paolo Meneguzzi, Bella come non sei mai)
“Quanti anni ha più di te?”
“Dodici.” Rispose Martha, senza guardare negli occhi la
madre.
“Lasciala in pace, santo Dio, Lydia!” Intervenne Jean,
posando entrambe le mani sulle spalle della nipote. “Ho parlato con quel
ragazzo, è a posto.”
“Mamma, tu sei più incosciente di lei, allora.” Replicò a
tono il padre di Martha, interponendosi tra nonna e nipote. “Tutti conoscono
Kevin Jonas e non è affatto un tipo a posto.”
“Non me ne frega se è a posto o no!” Sbraitò Martha,
scattando in piedi e rischiando di rovesciare la sedia. “Io lo amo!”
“Hai diciotto anni, non lo sai cosa vuol dire amare.”
“Sì, mamma, lo so anche meglio di te!” E, con quella, salì a
passo di marcia le scale che portavano in camera sua, lasciando nonna e
genitori soli nel piccolo salotto.
Con un singhiozzo soffocato, la ragazza si lasciò cadere sul
letto a faccia in giù, stringendo convulsamente la mano destra intorno alla
forma tondeggiante del cellulare, sepolto nella tasca dei jeans nuovi.
Comprati
apposta...perché stasera doveva essere speciale.
Tirando su col naso, si mise a sedere con le gambe
incrociate e si strofinò un paio di volte gli occhi, prima di aprire il
telefonino e prendere a digitare velocemente un messaggio.
Portami via di qui....
La risposta, che non si fece attendere, non fu, forse,
quella che si aspettava, ma riuscì comunque a farla sorridere.
Credimi, con mio
fratello in versione folletto di Babbo Natale non si sta meglio. Facciamo una
cosa: affacciati alla finestra, guarda la luna e pensa a me. Io faccio lo
stesso. Poi domani ti vengo a prendere, ma dammi il tempo di noleggiare un
cavallo bianco. Buona notte, Luna, il Sole passa e chiude.
Con il respiro ancora un po’corto, Martha si alzò dal letto
ed aprì la finestra, lasciandosi investire dalla sottile ventata di aria
invernale.
“Ti amo, Kev...” Sussurrò, mentre la porta alle sue spalle
si apriva per lasciar entrare sua nonna.
“Tutto bene?” Domandò la donna, avvicinatasi, prendendo a districare
i ricci della nipote. “I tuoi non sono stati esattamente accondiscendenti...”
“Non mi interessa, non lo lascio.”
“E tutti i dubbi che avevi?”
Martha si strinse nelle spalle, chiudendo la finestra e
sospirando.
“Spariti, uno ad uno, un po’ogni giorno. Kevin è...
meraviglioso. È forte ed è fragile allo stesso tempo e io per lui sono
importante. Nonna, lui da solo non ce la fa... mi ha detto...mi ha detto che
sono la sua medicina. Lo sai che non prende più gli antidepressivi da quando
sta con me?”
La nonna annuì con un sorriso complice.
“Le hai dette queste cose a loro?”
“Figurati, nemmeno mi ascoltano...”
“Beh, ti conviene provarci, in ogni caso, perché potrebbero
esserci dei problemi in arrivo, per te e il tuo Kevin.”
“Come...in che senso?”
“Tua madre” Rispose Jean, abbassando gli occhi sul
pavimento. “dice che domani chiamerà la preside.”
Ed eccoci al 20! Alcune cose si
semplificano, altre si complicano...e abbiamo passato la metà!
Stasera ho delle letture e una
premiazione, seguite da auguri per il mio comple in anticipo dal mio gruppo di
teatro, quindi sono un po’di corsa, ma voglio a tutti i costi ringraziarvi come
si deve perché è troppo che non lo faccio! Un altro po’di pubblicità....Ho
iniziato una raccolta di shottine simpatiche, si intitola Baby Bones...se vi
va, è lì!
Alexya379: intanto grazie per la
recensione a Baby Bones! Io sono drogata di quel telefilm e sono contenta di
aver trovato qualcun altro che lo guarda! E sai cosa? Joe col grembiulino lo
vorrei troppo avere che gira per casa!
KymLYANTROPHE: chissà che
combinerà la super nonna... riuscirà a salvare i nostri eroi? Ok, smetto di
fare il telefilm di serie b e ti lascio con il dubbio ancora per almeno un
capitolo!
Seplhie: guarda, al massimo
siamo vicini al mio compleanno, più che a Natale, ma comunque temo che nemmeno
i 18 imminenti mi faranno essere troppo magnanima con i miei cari personaggi.
Sweet Doll: continuo....ma per
ora non saprai!
Melmon: Eh già, ma prova a
metterti nei loro panni... i miei credo mi barricherebbero in casa, e non sono
nemmeno particolarmente conservatori XD
Lyan: tranquilla, tra Joe e Liz
non è finita, solo che sono andati un po’in vacanza (tra virgolette,
ovviamente), ma nei prossimi capitoli torneranno, stai tranquilla!
Smemo92: allora, Joe non te lo
regalo per il semplice fatto che è mio. Se vuoi Frankie e Nick sono
disponibili, però XD Joe versione natalizia è da mangiare e Kevin.... *ç*
Sweet_S: Allora, il piccolo
Mufasa è un pendaglio per l’albero che Joe attacca ogni anno all’albero di
Natale fin da quando era piccolo. Il Joe vero, non solo quello della mia
storia.
Beautiful_disaster: pubblico al
volo prima di andare a leggere l’aggiornamento di Lovebug! Comunque stai
tranquilla, sono io che scrivo a raffica, non tu lenta! XD Joe sta tornando,
piano piano ma ce la sta facendo e in quanto ad un’ipotetica ricaduta di Kev...
non ti posso dire niente, ma stai tranquilla, ai livelli di prima non ci torna!
Razu_91: Più che essere tornato,
Joe è capace di sbalzi d’umore notevoli...quindi aspettati di tutto, meno che
le cose siano davvero risolte.
Tay_: No, no, Derek c’è, solo
che essendo la scuola in vacanza di lui per ora non si parla. Io la canto tutti
gli anni quella cosa... sto iniziando a detestarla XD
Piccolalilo: eccolo il seguito!
Pretty_Odd: ma povera mamma di
Martha! È un po’avventata, ok, ma vuole solo proteggere sua figlia, non
crocifiggetela!
Maybe: hehe quella frase di Joe
è fantastica (mamma mia come sono modesta... *se la tira*)
Dollyvally: no, no, non vale
solo per te, fidati! Grazie per aver iniziato a recensire, spero davvero che
continuerai a farlo! Un baci8
Stargirl312: grazie dei complimenti
e dell’augurio di diventare scrittrice! Me lo state facendo in tante, sai?
Agatha: eccola, l’unica che
prende sempre in considerazione tutti i dettagli. Ma quanto ti posso adorare
per questo??? Guardala, una che difende almeno un po’la mamma di Martha!
Grazie! Non che io sia dalla sua parte, ma povera, vogliono tutti darle fuoco!
Beh...anche scrivendo quanto vuoi, credo che alle 7 pagine di questo capitolo
tu non ci possa arrivare con un solo commento!
Jeeeeee: spero di non aver
sbagliato numero di e nel tuo nick! Benvenuta! Cavolo 19 capitoli in una sera,
mica pizza e fichi! Fantastica! Ti ringrazio per lo schifosamente emozionante,
che è come voglio che questa storia sia! Avevo un po’paura a pubblicarla, all’inizio,
per la forza dei temi trattati, ma sono al settimo cielo per il successo che
sta avendo! Grazie!
LaSocia: allora, io non sono
quella tra le due che ricatta, chiaro? *sguardo truce* Beh, tu anche questo l’hai
già letto...ma scordati che ti mandi il 22 in anteprima, gioia mia bella! A
parte questo....grazie di tutto! *lovva*
Temperance
-Capitolo
Venti-
Due donne in controluce
Stregate dalla luna
Due donne - donne al presente, nella
corrente
Due tempi dello stesso film
Due donne, cuori diversi
L’onda e la sponda
Due mondi dove viaggerei
Tu nella più verde delle stagioni
Che senti in cuffia le tue canzoni
Prima di addormentarti
E lei che pensa, chiudendo fuori
Un’altra notte verso l’inverno.
(i Pooh, Due donne)
Eliza si rigirò un paio di volte tra le mani il pacchetto
che aveva preparato per Kevin, indecisa se consegnarglielo di persona, a costo
di vedere Joe, o infilarlo nella cassetta della posta e andare via, come
avrebbe fatto la codarda che si sentiva in quel momento.
Non era poi nulla di così trascendentale, solo una sciarpa
che aveva visto nella vetrina del negozio davanti al bar e aveva trovato
perfetta per lui. Non una delle kefiah che indossava da ragazzo, ma comunque
perfetta.
Gli sarebbe piaciuta.
Eppure entrare in quella casa le sembrava così
difficile...così assolutamente impossibile...
Un gesto troppo normale per compierlo come se nulla fosse
successo.
Con un sospiro rassegnato, fece per aprire la cassetta della
posta contrassegnata dal nome Jonas associato alle lettere K. e J., quando una
voce la fece trasalire, costringendola a voltarsi.
“Sei tu, Liz?” Le domandò per la seconda volta il ragazzo
alto e sottile che le stava davanti.
Capelli lisci di media lunghezza, occhi scuri e un sorriso
smagliante, autentico marchio di fabbrica della famiglia Jonas.
Così incredibilmente simile al suo.
“Frankie!” Esclamò, correndogli incontro e gettandogli le
braccia al collo. Lui la strinse, sollevandola da terra di una decina di
centimetri, per poi lasciarle posare di nuovo i piedi sull’asfalto del
marciapiede con una risatina sommessa.
“Non ti ricordavo così bassa.”
“Per forza, sei diventato un gigante! Ma guardati, hai
battuto tutti i tuoi fratelli...”
Frankie ridacchiò di nuovo, strofinandosi sul davanti del
giubbotto la mano destra, chiusa a pugno, in un giocoso vanto delle proprie
qualità.
“Già... l’ho sempre detto a Kev, io, che sarei cresciuto più
di lui.”
Eliza sorrise, alzando un braccio e scompigliandogli i
capelli scuri, come faceva sempre quando era bambino.
“Beh, che ci fai qui? Sei venuto a portarmi tutti i regali
di Natale degli ultimi cinque anni?”
Il ragazzo scosse la testa ed abbassò il capo, imbarazzato,
arrossendo un poco.
“Oh, Liz...scusa, io non sapevo...non avevo idea che
abitassi ancora qui... non ti ho preso niente... scusami, rimedierò! È che la
telefonata di Kevin ci ha colti di sorpresa...eravamo in Italia, io...”
“Ehi, calmo, calmo, non fa niente, stavo scherzando! Ci sono
anche i tuoi?”
Riassumendo un colore logico, il mio fratellino indicò con
un gesto vago unpunto non meglio
definito alle sue spalle.
“Stanno scaricando una quantità spropositata di dolci dalla macchina.
Credo che mamma si sia convinta che Joe e Kev sono denutriti, o qualcosa del
genere.” Spiegò, stringendosi nelle spalle e continuando a spostare il peso da
un piede all’altro, quasi goffo, con il suo corpo allampanato.
Prima di riuscire ad aggiungere qualsiasi cosa, però, si
ritrovò a cercare disperatamente di mantenere l’equilibrio, dopo aver ricevuto
un non esattamente delicato spintone da una furia con lunghi e folti capelli
ricci.
Eh... la mamma è sempre la migliore.
“Eliza!” Squittì Denise, abbracciando forte la ragazza che,
per la sorpresa, lasciò cadere a terra il pacchetto rosso e verde.
“Denise...” Mormorò lei, lasciandosi stringere da quelle
braccia sottili e forti al tempo stesso.
Braccia di mamma...di quella che era un po’la sua seconda mamma, sotto molti punti di
vista più presente di quella vera.
Braccia che la facevano sentire al sicuro come da tempo non
le succedeva.
E non se lo aspettava, non avrebbe voluto, ma in
quell’abbraccio che avrebbe dovuto essere espressione di pura gioia, due
lacrime fecero la loro comparsa, seguite da altre che, per quanto lei cercasse
di ricacciare indietro, si ripresentavano ai suoi occhi con singolare
insistenza.
Lacrime che, naturalmente, a mamma non sfuggirono nemmeno
per un istante.
“Eliza, zucchero stai bene?” Domandò, afferrandola per le
spalle ed allontanandola un poco da sé.
Liz scosse piano la testa, guardando verso il basso, senza
osare far coincidere il proprio sguardo con quello di Denise. Facendosi scura
in volto, mamma annuì e, con gesto deciso, indicò a Frankie e Kevin Sr, che
l’avevano raggiunta, di iniziare ad andare.
Non ci fu bisogno di specificare loro che avrebbero dovuto
inventare una scusa per giustificare il suo ritardo: la conoscevano troppo bene
per non esserne coscienti.
Poi, con fare materno, passò un braccio intorno alle spalle
di Liz e la strinse un poco, iniziando a camminare lungo il sottile viale che
portava al condominio dove vivevano i suoi figli.
“Allora, che ti ha fatto quel deficiente?” Chiese, senza
mezzi termini, una volta che il respiro della ragazza fu tornato più o meno
regolare.
“Niente...” Mormorò lei, senza risultare convincente nemmeno
a se stessa.
“Certo, come se non conoscessi mio figlio.”
Eliza scosse la testa, asciugandosi col dorso del guanto una
lacrima nera di mascara.
“No, non lo conosci affatto, Denise, non il nuovo Joe, per
lo meno.”
“Ma so che solo lui riesce a farti avere un’aria così
distrutta. Allora?”
“No, questa volta non è colpa sua. Non del tutto. Sono io
che non so rispettare le scelte che faccio e mi sento una stupida e codarda per
questo...”
Reclinando leggermente il capo, mamma la invitò a
continuare.
“Ho deciso di non amarlo più.”
“Joe?”
Liz annuì, gli occhi fissi sull’asfalto davanti ai suoi
piedi.
“Ok...e, scusa la domanda, ma non ti ha mai detto nessuno
che l’amore non è propriamente quel che si dice facile da cacciare? Chi ti ha
messo in testa che puoi decidere così, tesoro?”
“Susy...”
“La barista?” Chiese ancora mamma, alzando gli occhi al
cielo. “Non l’ho mai potuta vedere, quella lì. Vi ha sempre voluti separare,
fino da piccoli. Odiosa...”
“Denise, lei per me è importante...”
“Lo so, lo so, Liz, scusami. È che io non riesco a
immaginare un mondo dove tu e Joe non state insieme.”
Malgrado tutto, Eliza non poté trattenere un sorriso.
“Ma è così difficile... lui non è più Danger, Denise... è
violento, lunatico. L’ultima volta che l’ho visto sono letteralmente scappata.
Io ho paura di lui...”
“Sì, ma...” Mamma si fermò, trattenendo Eliza per una mano e
costringendola a guardarla negli occhi. “Ma tu gli vuoi bene? Intendo, bene
davvero?”
Con un sospiro, la giovane donna annuì nuovamente.
“Fin troppo.”
“Come me. Sai quante volte ho avuto voglia di venire qui e
strozzarlo con le mie mani, dopo che mi aveva chiuso il telefono in faccia? Sono
due Joe diversi, quelli che conosciamo io e te, ma lui e Kevin, sono e saranno
sempre i miei bambini e se mi hanno chiamata vuol dire che hanno bisogno di me.
Lo farà anche lui, Liz: quando sentirà di avere veramente bisogno della tua
presenza verrà da te e non se ne andrà più.”
“Sì, ma...”
“Ma tu non sei sicura di volerlo aspettare e ti capisco
bene, ma ti prego, fai uno sforzo. Se hanno telefonato a me vuol dire che
qualcosa si sta smuovendo. Facciamo un patto, ti va? Dagli altri tre mesi. Se
per allora non sarà venuto da te piangendo hai il mio permesso di tirargli un
bel calcione dove più ti aggrada. Siamo d’accordo?” Chiese, tendendole la
destra.
Sorridendo, Eliza la ignorò bellamente e le gettò le braccia
al collo, ringraziandola almeno un milione di volte.
“Di niente, piccola mia. Ora dimmi....ti va di salire?”
Eliza scosse il capo, sistemandosi il basco di lana sulla
testa.
“Non me la sento, scusami. Puoi dare a Kevin il mio regalo?”
“Certo.” Rispose Denise, stringendola ancora una volta.
“Tutto quello che vuoi.”
Un anno in più sul viso non hai
Tu di me mi chiedi
Sono qui, mi vedi?
Dimmi tu
Mi trovi un po’cambiato, non so...
(i Pooh, Per te qualcosa ancora)
Prima di aprire la porta, Kevin prese un profondo respiro e
chiuse gli occhi per un istante.
Non aveva più visto Denise, Frankie e Kevin Sr dopo
l’incidente: la sua famiglia era soltanto Joe, l’unico, secondo lui, in grado
di comprendere il suo dolore.
Non che pensasse che gli altri non soffrissero, ma loro non
erano lì, quella notte.
Loro non hanno visto tutto.
“Apri o no?” Lo raggiunse la voce di Joe dalla cucina, dove
era rinchiuso da quella mattina, e lui annuì, quasi il fratello lo avesse
potuto vedere.
Lei era lì, sul pianerottolo del suo appartamento, i ricci
scuri spettinati, il naso rosso dal freddo, sorridente come era sempre stata.
Non come chi ha la consapevolezza di aver perso tre figli in
una notte, ma come chi ha la certezza di poterli riavere, un giorno, vicini a
sé.
Lo sai, vero, mamma, che io non ti ho mai lasciata?
Dietro di lei, papà e Frankie, che l’avevano aspettata nel
corridoio, osservavano l’incontro praticamente con il fiato sospeso, attendendo
un qualsiasi accadimento che desse loro il via libera.
“Ciao, Kevin.” Quasi sussurrò mamma che, per quanto ferma
nella sua convinzione che tutto un giorno sarebbe tornato come prima, non
riuscì a non bloccarsi per un istante di fronte alla vista del figlio.
Non più un ragazzo, forse persino immaturo per la sua età,
ma un uomo con sul viso i segni di quei quattro anni e dei dolori in essi
patiti.
“Ciao, mamma... sei splendida.” Replicò Kevin, con lo stesso
tono sommesso. “E non sei cambiata di una virgola.” Continuò, mentre un sorriso
timido increspava le sue labbra.
E Denise, la grande Denise Jonas non ce la fece più e gli
gettò le braccia al collo, mentre lui la stringeva forte, affondando il viso
nei suoi capelli, assaporando di nuovo quel profumo al tempo stesso familiare e
lontano.
“Mi sei mancata, vecchia.” Mormorò nei suoi ricci,
beccandosi, in cambio, una dolorosa tirata di capelli, mentre Frankie e papà si
avvicinavano.
“Ma che villano che sei!” Esclamò mamma, allontanandosi e
guardandosi intorno con aria curiosa, mentre Kevin abbracciava i due uomini.
“Ma in che razza di posto vivete, me lo spieghi? Si vede proprio che manca la mano
di una donna, sembra che l’abbia arredato un cieco. Un cieco dotato di pessimo
gusto. Oh beh... dov’è Joe?”
“L’antipasto è pronto!” Chiamò la voce di Joe dalla cucina,
prima che Kevin facesse in tempo a rispondere.
“In cucina.” Disse comunque, stringendosi nelle spalle e,
preso Frankie sotto braccio, si avviò lungo lo stretto corridoio, diretto verso
la cucina. “E tu devi dirmi tutto su questa famosa ragazza di cui mi ha parlato
Eliza, chiaro, Bonus?”
La mia mente è qui
spezzata in due metà
quello che vorrei
e questa realtà
(i Pooh, Opera prima)
“Allora” Cominciò Joe, gli occhi accesi di una luce tutta
particolare. Non saprei dire, sinceramente, se si trattasse di pazzia o di
passione. “Com’era?”
Gli risposero solo un religioso silenzio ed uno scambio di
sguardi che si aggiravano in una gamma tra il disgustato e il disperato, per
arrivare, infine, a quello di Kevin, che tendeva più verso la rassegnazione
totale.
Da quando aveva deciso di dover ricominciare a vivere,
infatti, Joe aveva passato giorni e giorni chino su libri di cucina e simili,
proponendo ad ogni pranzo e cena una pietanza diversa.
E facendo aumentare vertiginosamente la frequenza di
presenze di Kevin nei fast food o a casa di Christian all’ora di pranzo.
“Delizioso, tesoro.” Decretò infine Denise, ingoiando a
forza l’ultima forchettata di torta salata.
“Sì, veramente...” Il commento di Kevin, che non sarebbe
stato esattamente quel che si suol dire positivo, ma, anzi, piuttosto ironico e
scostante, fu interrotto sul nascere dall’insistente suono del campanello.
“Beh, vado ad aprire.”
“Fermo lì!” Esclamò Joe, scattando in piedi con una mano
spalancata puntata contro al fratello. “Finisci pure la torta, vado io e,
mentre torno, prendo il dessert.”
Con espressione afflitta, Kevin si lasciò ricadere sulla
sedia, mentre Denise gli posava una mano consolatoria sulla spalla.
“Chi è?” Gridò Joe, forse un po’troppo forte, prima di
aprire la porta.
Gli rispose una voce sommessa con una singola parola, un
nome che non riuscì a captare.
“Oh, sei tu.” Constatò, scocciato, una volta spalancato
l’uscio e trovatosi davanti una Martha tremante e, apparentemente, piuttosto
sconvolta, con addosso solo un paio di jeans e un fradicio maglione di lana, le
guance rigate di lacrime.
“C’è Kevin?” Domandò, ignorando il commento seccato di lui.
“Sì, c’è Kevin, ma io non ho voglia di farti entrare.”
“Senti tu, stronzo egocentrico,” Sibilò la ragazza,
alzandosi in punta di piedi e puntando un dito dritto contro il naso di Joe. “Il
mondo non gira intorno a quello che tu vuoi o non vuoi fare, quindi ora ti levi
e mi fai passare perché io ho bisogno
di parlare con tuo fratello.”
Sgranando gli occhi, Joe si fece leggermente da parte e lei,
rabbrividendo un paio di volte, marciò verso la cucina a passo di carica,
usando una manica per asciugarsi le guance ogni due secondi.
Nel frattempo, papà, Kevin e Frankie erano stati totalmente
assorbiti da una fervente discussione sugli ultimi campionati di golf che
mamma, a giudicare dalla sua espressione, trovava profondamente noiosa.
Tuttavia ogni tentativo di conversazione cadde miseramente
nel nulla quando la ragazza piovve letteralmente nella stanza, lasciandosi alle
spalle una non indifferente scia di pozzanghere.
“Martha!” Esclamò Kevin, scattando in piedi e sfilandosi in
fretta e furia il dolcevita chiaro per poi buttarlo sulle spalle di lei, mentre
il resto dei presenti seguiva la scena, perplesso, e Joe riemergeva dal
corridoio con le braccia conserte e la più scocciata espressione nella sua
gamma di espressioni scocciate. “Ma sei impazzita? Si venuta da casa tua con
solo questa roba addosso?”
“Non potevo...non potevo farmi vedere e la mia giacca
era...al piano di sotto.” Balbettò Martha, stringendosi forte nel pesante
indumento di lana color panna. “Ti devo parlare.”
“Sei uscita dalla finestra?!”
La ragazza annuì, prendendolo per mano e pregandolo con gli
occhi di seguirla.
E Kevin, voltatosi a lanciare alla famiglia uno sguardo di
scuse, non poté fare altro che seguirla, ovunque lei volesse portarlo, ma,
prima di uscire dalla cucina, fece in tempo a sentire distintamente Denise che
chiedeva a Joe chi fosse quella ragazza.
Fantastico...
Oh beh, a quello ci avrebbe pensato dopo.
Martha si fermò solo quando fu arrivata in camera da letto.
“Siediti.” Ordinò, per poi prendere a camminare nervosamente
avanti e indietro per la stanza.
“Ehm...Mar, forse è meglio che ti cambi, non vorrei che
tu..”
“Non posso più stare con te.”
Essere colpito da uno sparo in pieno petto non gli avrebbe
di certo fatto più male di quella semplice frase. Incassando il colpo, mio
fratello si alzò in piedi, afferrandola per le spalle e costringendola ad
alzare gli occhi nei suoi.
“Perché?” Domandò semplicemente, lo sguardo di un uomo che
ha visto il fondo e che si è vesto troncare la risalita.
“Mia madre dice che chiamerà la scuola se non ti lascio.”
Kevin la guardò, senza capire. O, forse, senza voler capire.
“Parlerà con la preside...le dirà di noi. E io non posso
lasciare che ti caccino... per colpa mia.”
Scuotendo la testa, Kevin si avviò verso l’armadio e ne estrasse
la vestaglia che usava per dormire.
“Hai diciotto anni, Martha, io ne ho trenta: ai miei
problemi ci penso io.”
“Ma non puoi perdere il lavoro per me!” Quasi gridò lei,
mentre le lacrime riprendevano a rotolare lungo le sue guance pallide.
“Questo lo decido io!” Replicò lui a tono. “Dimmi solo una
cosa: mi ami?”
Martha spalancò gli occhi e si bloccò, colta alla sprovvista
da quella domanda che non era contemplata nel film che si era fatta in testa
prima discappare dalla finestra di casa
sua.
“Non...non è questione di... Kevin, mi sentirei in colpa per
il resto della mia vita!”
“Rispondi alla mia domanda, per favore.” Ripeté lui,
raccattando un asciugamano che era posato sul letto ed iniziando a frizionarle
i capelli.
“Sì.” Lo raggiunse la flebile voce di lei da sotto la
salvietta azzurra. “Certo che ti amo.”
Se avesse potuto vederla in quel momento, il mio caro
fratellone si sarebbe reso conto di quale battaglia avesse provocato in Martha
pronunciare quelle parole solamente guardando il colorito che la sua carnagione
aveva assunto, anche sotto alle lacrime.
“E allora non pensare ad altro.” Le sussurrò, lasciando
cadere l’asciugamano e stringendola forte a sé, lasciandola singhiozzare
liberamente sul suo petto. Le mani di lei si strinsero convulsamente alla
stoffa morbida della sua canottiera, mentre lui la guidava lentamente verso il
letto, per poi farla sedere ed accovacciarsi davanti a lei.
“Guardami, tesoro.” Mormorò, con la voce più dolce che gli
riuscì di trovare.Martha alzò
timidamente gli occhi azzurri in quelli altrettanto chiari di lui, combattendo
contro l’impellente bisogno di alzarsi ed andarsene. “Tua madre può parlare
anche con tutte le presidi dello Stato: farei qualsiasi lavoro pur di stare con
te. Tu mi hai ridato la vita. Tu, non quella scuola. Soltanto tu e non me ne
frega niente di quello che dicono i tuoi, è chiaro?” Domandò Kevin, prendendole
il viso tra le mani ed asciugandole le lacrime con palmi e pollici.
Abbozzando un sorriso, Martha si sporse verso di lui e gli
stampò un bacio sulle labbra, mormorando un debole sì che avrebbe tanto voluto
essere sincero. Mentre lo baciava, sentì le sue mani scivolare lentamente sotto
al proprio maglione, sollevandolo fino all’altezza del seno.
“Che stai...”
“Mi assicuro che tu non ti prenda una broncopolmonite.”
Rispose semplicemente mio fratello, liberandola completamente dall’indumento e
passandole il proprio maglione perché lo indossasse.
“Ora togliti i pantaloni e mettiti la vestaglia, io vado a
vedere quanto sconvolti siano i miei e poi torno, d’accordo?”
La ragazza annuì, ravviandosi i capelli ancora umidi.
“Kev..”
“Sì?” Rispose lui, alzandosi in piedi ed avviandosi verso la
porta.
“Ti amo...”
E lui annuì, regalandole un sorriso ed un occhiolino, prima
di uscire dalla stanza e lasciarla sola.
Senza aspettare nemmeno di non sentire più i suoi passi
lungo il corridoio, Martha si alzò e si infilò la vestaglia, per poi aprire uno
ad uno tutti i cassetti del comodino, alla disperata ricerca di un pezzo di
carta e di qualsiasi cosa in grado di scrivere.
Trovatili, scarabocchiò sul foglietto -uno scontrino- un
disordinato ‘scusami’ e spalancò la finestra, scavalcando il davanzale e
calandosi lungo la scala antincendio.
Scusa se non posso avere
Gli anni che hai ora tu
(...)
L’amore non è convenzione
Non si delimita
(Sugarfree, Scusa ma ti chiamo amore)
Kevin, però, non fece in tempo a raggiungere nemmeno la fine
del corridoio, poiché si trovò davanti una mamma dall’espressione piuttosto
alterata.
“Kevin, dobbiamo parlare.”
“Sei la seconda donna che me lo dice, stasera... andiamo di
là, tanto scommetto quello che vuoi che la mia camera è vuota.”
Denise annuì, per poi seguire il figlio nella stanza da
letto e chiudersi la porta alle spalle.
“Kevin...”
“Mamma.”
“Dimmi che quello che mi ha detto Joe non è vero.”
Kevin si sedette sul letto, sul quale di Martha era rimasto
soltanto un alone di umidità.
“Che ti ha detto Joe?”
“Che esci con una ragazza che ha l’età di Frankie. Dimmi che
quella è una tua alunna che aveva bisogno d’aiuto.”
“É una mia alunna che ha bisogno di aiuto.”
Il sospiro di sollievo di Denise, però, non ebbe vita lunga.
“E sto con lei.” Completò Kevin, affondando le mani nei
propri capelli. “Beh, stavo con lei, a questo punto.”
Denise, però, parve non sentire l’ultima frase.
“Ma ti ha dato di volta il cervello? Ha diciotto anni,
Kevin, non è nemmeno vicina ad essere maggiorenne! Lo sai o no che rischi la
galera.”
“Non la rischio, mamma. Con una quindicenne si va in
prigione, dopo no.”
“Lo sai che non è questo il punto.”
“LO SO!” Sbraitò lui, scattando in piedi. “Lo so, mamma, ma
scusami se al momento non è il mio principale problema, eh!”
“Oh, sentiamo, cosa c’è di più importante di tuo padre che
sta per morire d’infarto in sala da pranzo?”
“Il fatto che la probabile donna della mia vita mi ha appena
lasciato perché sua madre ci ha cattati al ristorante, ecco cosa!”
“La donna della tua vita?!” Ripeté Denise, sbarrando gli
occhi. “Ma ti senti quando parli? È una ragazzina, una bambina!”
“Non è affatto una bambina, mamma, tu non la conosci...e non
conosci me, non sai com’ero prima di incontrarla.”
“Non potevi di certo essere peggio di...”
“Di cosa? Un pedofilo? Non farmi ridere, per favore! Due
mesi fa avevo una donna diversa nel letto ogni sera. E le pagavo per essere
lì.”
“Kevin!”
“Kevin cosa, mamma! Sono stato con delle prostitute, ok?
Tante prostitute, perché il sesso era il mio modo di tirare avanti, la mia
droga, non ho problemi ad ammetterlo. Non ne vado fiero, ma è quello che mi ha
permesso di non ridurmi come Joe. Lo hai visto? Ti rendi conto che, anche ora
che sta meglio, non è più lui?”
“Non stiamo parlando di Joe.”
“No, stiamo parlando di me. E di Martha. Sai...” Continuò e
la sua voce si raddolcì notevolmente. “Con lei non sono mai stato a letto.
Vorrei, vorrei ogni volta che la vedo ma non lo faccio perché penso che,
cavolo, lei non è come le altre e non solo perché ha più di dieci anni meno di
me. Lei mi ha fatto dimenticare quasi cinque anni di merda, non dovrei esserle
grato? Non dovrei amarla? E poi, avanti chi lo ha detto che dodici anni di
differenza sono troppi? Perdonami il linguaggio, ma chi ha detto questa emerita
cazzata?”
Denise scosse appena il capo, per poi posizionarsi di fronte
al figlio.
“La ami.”
“Sì, anche se non riesco a dirglielo. Anche se ora la odio,
lei, Joe e il mio amico Chris sono tutto per me, mamma, tutto.”
“Non era una domanda, la mia, Kevin. Tu la ami. Non so
perché, ma è così...”
“Quindi?”
“Quindi non lo so. Voglio dire, resta il fatto che è una tua
alunna e che...oh, al diavolo!” Esclamò mamma, tirando una non indifferente
sberla sul sedere del suo primogenito. “Al posto dei suoi genitori, ti avrei
già rincorso con torcia e forcone, ma io sono tua madre, quindi...dirò che non
ti ho trovato.”
“Che?” Chiese Kevin, guardandola perplesso.
“C’è una scala antincendio che aspetta solo di essere usata.
Se corri la raggiungi.”
Altro capitolo totalmente
Martha/Kev... perdonatemi, ma dovevo chiudere questo primo round con i genitori
di Martha, poi rientreranno in scena alla grande anche tutti gli altri
personaggi.
Questo capitolo è stato un vero
parto, per cui perdonatemi se non è proprio il massimo... mi rifarò!
Tra l’altro, mi dispiace ma non
posso fare i soliti ringraziamenti, dato che domani è il mio compleanno e devo
andare a nanna presto se voglio i regali... solo volevo rispondere a MaggieLullaby e spiegarle una
cosa. Non voglio criticare il tuo commento, che tra l’altro mi ha fatto
piacere, e mi dispiace dirti questo, ma se salti i capitoli drammatici secondo
me è meglio che tu questa storia non la legga del tutto e, bada, non perché non
ti ritengo in grado, ma perché i momenti che per te sono duri sono quelli dove
io veramente ho messo tutta me stessa, sono il cuore della storia che senza di
essi non può essere compresa appieno. Sarebbe come guardare un fil drammatico saltandone le scene fondamentali, come togliere
ad una tragedia teatrale ciò che la rende tale. Sicuramente scriverò qualcosa
di più leggero dopo di questa, anche se il “leggero” non mi da soddisfazioni
così grandi, ma questa, proprio questa qui è, senza falsa modestia che non
sarebbe da me, la storia più bella che io abbia mai scritto, ma letta per
intero, non mutilata.
Con questo sia chiaro che non
voglio offendere nessuno, è solo un consiglio che ti do, perché davvero, senza
la morte di Nick, senza il tentato suicidio di Joe o le botte a Liz questo
racconto non sarebbe lo stesso. E, puoi starne certa, io di quello che ho
scritto non cambierei una virgola.
Un grazie, oltre che a Maggie, a tutte le mie fedeli recensitrici:
siete magnificissimissime! Aw,
il mio ultimo post da minorenne!!!
Alla prossima, girls, con un
capitolo che, prometto, vi resterà ben impresso... né, socia???
Dedicato alle mie cognate,
numero 3, la nuova arrivata, e numero uno...anche se ha dato buca alla mia
festa.
Temperance
-Capitolo
Ventuno-
C’è sulla montagna il suo
sentiero
Vola fino su da lei
pensiero
Dal cuscino ascolta il suo
Respiro
Porta il suo sorriso qui
Vicino
(i Pooh, Solo lei nell’anima)
Le mani ben affondate nelle tasche del cappotto scuro, Kevin
percorse rapidamente il chilometro scarso che separava casa sua da quella in
cui Martha viveva con la sua famiglia.
Ad ogni respiro, dalle sue labbra uscivano sbuffi di vapore
bianco, mentre la sua mente lavorava in modo a dir poco febbrile, cercando le
parole che avrebbe, in seguito, dovuto dire a Martha.
Era arrabbiato, arrabbiato veramente, per quanto di fronte a
Denise avesse cercato di mostrarsi solamente molto, molto innamorato.
Aveva voluto fidarsi di lei, l’aveva lasciata sola, ma aveva
letto nei suoi occhi che al suo ritorno non sarebbe stata lì, e in quel
momento, in quel brevissimo istante, l’aveva odiata.
L’aveva odiata perché aveva avuto paura di rovinare una vita
che prima di lei non era nulla, perché aveva osato pensare che per lui il suo
lavoro contasse più di lei, perché nei suoi occhi spaventati aveva visto, per
una volta, la bambina che ancora viveva in lei.
Soprattutto, però, anche se non l’avrebbe ammesso mai,
l’aveva odiata perché aveva messo lui in primo piano, persino davanti a se
stessa, dimostrandogli un amore di una forza tale da spaventarlo a morte.
Nella sua ottica, una persona come lui non aveva il diritto
di essere amato in quel modo, non lo aveva più, eppure quella ragazzina gli
stava donando tutta se stessa.
Perché?
Kev, fratellone, forse perché lei, in qualche modo, è
riuscita a vedere il vero te che, in questi anni, si è nascosto molto, molto
più di Joe.
Fu con gli occhi bassi sull’asfalto ricoperto di morbida
polvere bianca che giunse davanti al cancello del complesso di villette a
schiera che era la sua destinazione.
Si guardò intorno alla ricerca di un campanello, ma trovando
solo neve, ovunque il suo sguardo si posasse.
“Mamma, che cos’è la
neve?” Domandò Nick, prendendo tra le piccole dita un mucchietto di farinosa
neve candida.
“È la forfora degli
angeli.” Dichiarò Joe, ridacchiando, mentre si infilava i guanti, pronto a
giocare i migliori scherzi che la sua mente di sette anni potesse concepire.
Kevin scosse il capo,
divertito, sedendosi sul vecchio dondolo che era in giardino da sempre, per
quanto riuscisse a ricordare, e prese ad ammirare la danza dei grossi fiocchi
che cadevano nel cielo, regalando alla sua città un vestito tutto nuovo che,
secondo lui, era il miglior dono che l’inverno potesse offrire.
Una folata di vento più fredda delle altre lo strappò
piuttosto bruscamente dal mondo dei ricordi, trascinandolo di nuovo alla
realtà.
Una realtà che, durante la sua assenza, si era popolata di
un viso piccolo e solcato da innumerevoli rughe ed illuminato da un paio di
vivacissimi occhi azzurri.
Jean Sheperd indossava una pesante cuffia di lana nera e
argentata ed era avvolta completamente in un giaccone più grande di lei che le
lasciava liberi solamente viso e piedi.
“Signora Sheperd...” Mormorò, non esattamente convinto,
inclinando leggermente il capo di lato.
“Siamo tornati al mondo dei vivi, vedo! Dai, ragazzo,
sbrigati ad entrare che se mio figlio ti vede qui fuori mette in pratica tutti
i suoi studi sulle torture medievali.”
“È uno storico?” Chiese Kevin, senza nemmeno ben sapere
perché.
Jean scosse la testa, afferrandolo per un polso e
trascinandolo oltre il cancello aperto.
“No, è un appassionato di Tolkien.”
“Voglio parlare con Martha.”
“E io voglio un milione di dollari: entrambi dovremo
aspettare. Muoviti.”
Con un altro strattone, la donna si avviò, decisa, verso
l’ingresso della villetta più vicina, biascicando improperi su quanto quel gelo
la rendesse terribilmente nervosa.
Chiquitita
tell me what’s wrong
(...)
In your
eyes there is no hope for tomorrow
How I
hate to see you like this
There is
no way you can deny it
(...)
Chiquitita,
tell me the truth
I’m a
shoulder you can cry on
(ABBA, Chiquitita)
“Nonna, perché sei usci....”
La tazza di tè che Martha teneva in mano si frantumò sul
pavimento non appena la ragazza, ancora sprofondata nel dolcevita di Kevin, si
rese conto di chi la progenitrice aveva portato con sé.
Jean, nel frattempo, chiuse la porta a doppia mandata, si
infilò la chiave in tasca e si accomodò su un puff nel mezzo del piccolo
soggiorno.
“Cosa ci fai qui?” Domandò Martha, senza sapere bene che
genere di risposta aspettarsi. Lui si passò una mano tra i capelli scuri, per
poi puntare gli occhi dritti in quelli di lei e dirle esattamente ciò che
pensava.
“Che ci fai tu,
qui, invece di essere sul letto della mia camera? Ti avevo detto di aspettarmi,
mi pare.” Ringhiò, senza troppi mezzi termini.
“Ero spaventata. E fradicia.” Si giustificò lei,
distogliendo lo sguardo. “Non puoi farmene una colpa.”
“Guardami!” Tuonò Kevin, afferrandola per un braccio, mentre
Jean scattava in piedi, pronta a difendere la nipote. Non serve, nonna, stai
tranquilla: lui non le torcerebbe neppure un capello e credo ucciderebbe a
sangue freddo chiunquetentasse di
farlo. “Martha, io pensavo che tu ti fidassi di me.”
“Mi fido...” Mormorò la giovane con un filo di voce, mentre
la presa di mio fratello sul suo polso si allentava appena.
“E allora perché sei scappata, perché non mi credi quando ti
dico che ci penso io a sistemare le cose?”
“Perché è la sua famiglia quella contro la quale lei sta
andando, Kevin.” Intervenne Jean, affiancandosi ai due senza, però, interporsi
tra loro. “Ha avuto un momento di debolezza, pensavo che tu sapessi meglio di
chiunque altro cosa vuol dire.”
“Io... sì, io so perfettamente cosa vuol dire.” Ammise lui,
abbassando il capo e liberando definitivamente il braccio di Martha dalla
propria mano. “Per questo non sono abituato ad essere il forte della
situazione.”
“Non puoi biasimarla perché ha timore di perdere i suoi
genitori.”
“Nonna, potresti lasciar parlare me?”
La donna annuì un paio di volte con gesto rapido e nervoso e
tornò a sedersi su suo puff, mentre Martha si avvicinava di più a Kevin,
stringendo entrambe le sue mani con le proprie.
“Ok... allora, intanto mi dispiace di essere scappata, ma
davvero non ce la facevo...In questo ultimo mese la mia vita è stata...
movimentata, quantomeno. Mi sono innamorata di una persona che non avrei mai
dovuto amare, mi sono scoperta ricambiata, ho vissuto i momenti più belli della
mia vita e ho litigato con i miei genitori. Mi sono spaventata... non... non
credevo nemmeno che certe situazioni esistessero fuori dai telefilm,
figuriamoci se avrei mai immaginato di viverne una in prima persona. E poi c’è
mia madre... non ho mai litigato con lei, non davvero e...e mi ha presa il
panico, non sapevo che fare, e ho pensato che forse dovevo darle ascolto, ma
io... che c’è?” Si bloccò la ragazza, notando il sorrisino compiaciuto che era
apparso sul viso di Kevin.
“C’è che gli hai appena sparato in faccia una sequela di
scuse talmente sconclusionate da far tenerezza ad un troll, tesoro. Chiunque si
sarebbe raddolcito.”
Kevin ridacchiò, rivolgendo all’anziana donna uno sguardo
grato.
“Credo che andrò a preparare il tè.” Annunciò Jean, tutta
contenta, mentre Kevin lasciava una delle mani di Martha per poi passare la
propria dietro alla sua schiena ed attirarla a sé.
“Sei...sei ancora arrabbiato?” Mormorò lei, arrossendo
appena sulle guance.
“Zitta.” Sussurrò lui, chiudendole la bocca con un bacio.
It’s
hard to take courage
In a
world full of people
You can
lose the sight of it all
And the
darkness inside you
Can make
you feel so small
But I
see your true colours
Shining
through
I see
your true colours
That’s
why I love you
(Phil
Collins, True Colours)
“Credo che la nonna sia caduta nel bollitore.” Decretò
Martha, svincolandosi dall’abbraccio di Kevin che, però, la riacchiappò
immediatamente, trascinandola a sedere sulle proprie gambe con dolce violenza.
“Possibile che non ci arrivi?”
“A che cosa?”
Kevin alzò gli occhi al cielo con una risatina sommessa.
“Stai ridendo di me?” Domandò Martha, stringendo gli occhi
fino a ridurli a due fessure.
“No.” Replicò lui, scuotendo energicamente il capo e
trattenendosi a stento dallo scoppiare a ridere sul serio.
“Sì, invece! Guarda che l’ho capito perché nonna non torna!”
“Ah sì? E perché, sentiamo.” La sfidò lui, incrociandosi le
braccia al petto.
“Perché... si è rotto il bollitore?”
E a quella Kevin non ce la fece più.
Sdraiandosi con poca grazia sul divano, scoppiò nella risata
sguaiata che tratteneva da oramai quasi dieci minuti, ululando qualcosa sul
genere “Mi fai morire, Martha.”
Ma non posso giurare di esserne sicuro, dato anche io ho
iniziato a rotolare dal ridere in maniera decisamente poco dignitosa per uno di
Paradiso.
Con un broncio scherzoso, Martha afferrò un cuscino dalla
poltrona e glielo tirò, colpendolo in piena faccia.
“Scemo.” Sentenziò, mentre lui recuperava la morbida arma e
la scagliava di nuovo nella sua direzione.
“Scemo a chi? Sono sempre il tuo professore, ricordatelo!”
“Beh, professore, stia attento: hanno dato pioggia di
cuscini per stanotte!”
Così dicendo, la ragazza mosse quattro rapidi passi verso il
divano, per poi salire a cavalcioni su Kevin e colpirlo ripetutamente con il
cuscino, mentre lui tentava invano di coprirsi il viso, ridendo come un matto.
Dalla cucina, un paio di occhi azzurri si godevano la scena,
mentre la loro proprietaria sorseggiava lentamente una tazza di tè.
Non capiva, Jean, perché il mondo non potesse essere pronto
ad accettare quella storia tanto semplice quanto vera. Non capiva perché sua
nipote dovesse soffrire in quel modo semplicemente perché si era innamorata,
così come non capiva perché Kevin, con tutto le difficoltà che già la vita gli
aveva messo davanti, dovesse trovarsi ancora una volta la strada sbarrata.
Non capiva, Jean, ma vedeva.
Vedeva un amore vero nascosto dietro ad un gioco innocente,
ad un sorriso rubato, in un voto a scuola forse un po’regalato.
Vedeva tutto questo e non poteva che essere felice che la
sua Martha avesse trovato qualcuno per cui davvero valesse la pena lottare,
mettere in discussione tutto.
Era una donna meravigliosa, Jean, una di quelle persone che,
anche da anziane, non perdono mai la capacità di vedere la bellezza.
E ora, ora che è qui con me, a consolarmi quando ho
nostalgia, a sorridere con me delle vite dei nostri cari, è esattamente la
nonna che ho sempre sognato di avere.
Le maggiori difficoltà
Stanno dove noi non le cerchiamo
(Johann Wolfgang von Goethe)
Jaqueline Sheperd non era una donna che amava farsi prendere
in giro.
Aveva esplicitamente proibito a sua figlia di vedere
quell’uomo, eppure i suoi occhi non le mentivano quando le avevano mostrato
Kevin Jonas in piedi davanti al cancello della casa di sua suocera, appena un
piano sotto alla sua, e ora non mentivano le sue orecchie nel captare le risate
gioiose che provenivano dal piano di sotto.
Bene.
Senza batter ciglio, prese in mano il cordless e compose il
numero del college.
Il bene di sua figlia, stava facendo soltanto il bene di sua
figlia.
Ed eccoci al mio primo capitolo
da maggiorenne... che non potrebbe essere capitato in un momento migliore, dato
che alla fine è piuttosto piccante... vero, fidanzata??? Anche se mi tradisci
vedi che io a te ci penso sempre, anche con la sorpresina che ti ho fatto
l’altra sera?
Ma ciancio alle bande (XD) e
passiamo ai ringraziamenti!!! Che questa volta sono proprio tanti, mamma mia!
23! Cioè, vi rendete conto?! E per un capitolo che non mi piaceva! Chissà che
mi direte di questo, che invece adoro.... ancora due capitoli e si torna a
scuola...siete pronte a rincontrare Chris? XD Prima di tutto ringrazio tutte
per gli auguri e poi....
Sbrodolina: oddio, addirittura
ti tengo sveglia la notte? Allora mi toccherà dirti da dove prendo le idee... diciamo
che il primo personaggio a nascere è stato uno che fino al capitolo 24 sarà un
po’assente: Clarisse. Clarisse è nata guardando con mio fratello un episodio
del mondo di Patty e considerando quanto odiosa possa essere quella ragazzina
frignona... così ho deciso che avrei creato una mia Patty con un po’più di
carattere di quella del telefilm e il resto è venuto di conseguenza! Se vuoi
notizie più dettagliate, comunque, ti ho mandato una mail con il mio contatto
msn!
Jeeeeee: intanto, se vuoi
prendere il mio contatto anche non per supplicarmi a me fa solo piacere! È sempre
bello conoscere gente nuova! Beh, in effetti lo scorso capitolo era un po’cortino
perché ho fatto veramente fatica a scriverlo, ma questo si rifà alla grande, primo
perché è lungo, secondo perché lo adoro!!!
Alexya379: Eccola qui, la mia
Bonesdrogata! Eh sì quel finale è un po’così... e il bello è che vi terrò in
sospeso finché i nostri “eroi” non torneranno a scuola! *risata malvagiUa*
KymLYCANTROPHE:Addirittura tra i migliori??? Wow, allora i
blocchi dello scrittore a me fanno bene! L’ho sempre detto, io, che non sono
normale! E poi grazie grazie grazie per tutti questi complimenti! Giusto oggi
dicevo alla mia “fidanzata” (Minako) che il prossimo passo è scrivere di un
amore come quello che ho visto nel film Come un uragano... è il mio obbiettivo
e, sinceramente, solo allora mi riterrò all’altezza dei vostri complimenti! Per
quanto riguarda le canzoni, il merito è tutto dei Pooh che hanno scritto praticamente
su tutto ciò su cui si può scrivere!
Maggie_Lullaby: Cioè, ragazze,
se continuate a consigliarmi di fare la scrittrice potrei anche arrivare a
pensarci sul serio, eh! No, scherzi a parte, non mi sento assolutamente in
grado, ora come ora, di scrivere un romanzo. La mia impostazione è troppo
teatrale, anche perché io immagino visivamente le scene come se dovessero
essere recitate... quindi scrivere un copione non mi dispiacerebbe affatto! Ti
toccherà vederli in scena i miei romanzi (almeno spero!)! per quanto riguarda
il resto, sono felice che tu sia riuscita a leggere tutti i capitoli...e il
paragone con Titanic è meraviglioso: grazie!
Agatha: che ha sbagliato
capitolo XD we we genio addirittura?? Ma tre, così mi fai arrossire!!! Non ti
rispondo come si deve perché siamo state fino adesso a dire cavolate su msn...
quindi mi limito a ringraziarti, cara Miss President, per essere l’amante
migliore del mondo!
Princess jiu 327: hehe, sai che
non ci avevo fatto caso che avevi scritto nonna invece di mamma? XD sono i
resti delle due bottiglie di birra cinese di ieri sera! *si nasconde perché gli
alcolisti anonimi la vogliono rapire*
Selphie: hehe vedo che la
frecciatina sulla nonna che è con Nick non è passata inosservata! Chissà che
succederà.... (muhuahuahuhau). Per quanto riguarda la mamma... io credo che lei
sia convinta di quello che fa... ma allo stesso tempo si fa violenza a fare una
cosa del genere perché, anche se lei pensa che sia per il suo bene, odia fare
del male alla sua bimba...
Sweet Doll: Io adoro Martha e
Kev! L’unica coppia che mi piace di più è Joe & me XD
BuonaNotteLuna: grazie per il
commento pre cena... mi fa piacere che tu sia disposta a correre per leggere la
mia storia e spero che seguirai anche quelle che verranno dopo di questa!
Tay_: Derek torna nel prossimo
capitolo...e per i guai dovrai aspettare ancora due, temo!
Smemo92: ehi calma calma, Jean è
viva e vegeta, per ora! Dai, sono cattiva, ma non al punto da farla schiattare
in cucina mentre i piccioncini fanno pace!
Dollyvally: grazie della
recensione: è la più lunga che il tempo a tua disposizione ti ha consentito e
proprio per questo l’apprezzo davvero tanto!
La Sore: non ho capito bene cosa
mi devi perdonare, eh... però cavolo, sei la sore più jellata della storia! Maledette
siano le poste che si sono perse il tuo regalo!!! Eh vabbè....ce ne faremo una
ragione (leggi: ti manderò qualcos altro)
Lyan: uuuh io adoro chi fa
citazioni del testo! Quindi, per collegamento logico, adoro te! Uhm, non credo
ci saranno altri flashback sull’incidente, dopo quelli del primo capitolo...
non so se l’hai notato, ma man mano che le cose migliorano anche i ricordi si
fanno più positivi, quindi non avrebbe molto senso tornare all’incidente.
Razu_91: chissà chissà... non
credo che questo capitolo risolverà i tuoi dubbi, però...
Pretty_Odd: sai, la parte in cui
Nick parla dei pensieri di Jean è l’unica parte di questo capitolo che mi piace
davvero. Io adoro mia nonna e mi piace pensare che, se fossi nella situazione
di Martha, sarebbe la prima a difendermi. So che lo farebbe.
Piccolalilo: non so ancora
esattamente che ruolo avrà Frankie... certo è che me lo vedo decisamente come
un gran figo!!!
Beautiful_disaster:anche io non sopporto quando i miei
pretendono a tutti i costi di voler fare il mio bene quando magari nemmeno
conoscono bene la situazione... ma devo ammettere che fin troppo spesso hanno
ragione, per quanto questo non sia il caso della madre di Martha. È che,
povera, è così bistrattata che mi sento in dovere di spezzare una lancia in sua
difesa...
Titty90: intanto ti ringrazio
per il romanzo dello scorso capitolo: mi ha fatto davvero tanto tanto piacere!
Joe con la forfora degli angeli è un’adorabile canaglia, anche se mi piace
molto anche il piccolo e riflessivo Kevin... E poi...chi non ama l’accoppiata
Nick/Nonna???
Temperance
-Capitolo
Ventidue-
Basta trovare il coraggio
La parte migliore del viaggio è domani
Domani...
Grandi partenze, speranze
Di avere ragione domani
Domani...
(i Pooh, Domani)
“Ci siete tutte e due?” Domandò Francie, cordless in una
mano e cellulare nell’altra, come sempre, quando lei, Martha e Bex intavolavano
le loro fantasmagoriche telefonate a tre.
“Sì, ci siamo, e sapete cosa?” Domandò Bex, nella stessa
situazione dell’amica. “Dovremmo seriamente procurarci uno di quei telefoni che
possono chiamare più persone contemporaneamente.”
“Parole sante.” Replicò Martha, sdraiata sul proprio letto
con le gambe alzate e appoggiate contro al muro, una miriade di vestiti sparsi
intorno a lei. “Mia madre è stufa che tenga occupate due linee.”
“Ragazze, ragazze, concentriamoci su questa sera.” Le
richiamò all’ordine Francie. “Che fate voi?”
“Sesso.” Rispose, pronta, Beatrix.
“Ehi, parla per te!”
“Ovvio che parlo per me, Martha: le mie migliori amiche sono
delle suore totali!”
“Bex, non ci interessa quanto tu e Derek vi darete da fare,
ok? Volevo solo sapere se andate da qualche parte, per potermi organizzare.”
“Io vado alla festa di Lex. E ci vado con il mio ragazzo con
il quale, per rigor di cronaca, non ho ancora fatto niente di niente, dato che
ha il terrore che sua sorella ci colga in flagrante.”
“Ehi, non frignare, tu almeno ce l’hai un ragazzo, vero
Martha?”
Beatrix ridacchiò.
“Mi sa che qui è proprio Martha quella messa meglio dal punto
di vista sentimentale, eh, Mrs Jonas?”
“Bex!” Esclamò la bionda, rischiando di rotolare giù dal
letto.
“Jonas?” Domandò Francie, a dir poco scioccata. Credo
proprio che Beatrix avrebbe pagato per vedere la sua faccia... “Il professor Jonas?”
“Sì, Francie.” Ammise Martha con un sospiro. “Ma la
ramanzina me la fai quando torniamo a scuola, eh? Ho bisogno che mi copriate,
stasera.”
“Non vieni da Lex?”
“No, Bex, vado da Kevin, ma i miei non devono saperlo, visto
e considerato che mi hanno proibito di vederlo. Per loro sono alla festa con
voi e poi resto a dormire da Francie.”
“Perché da me?”
“E che te ne frega? Che ho detto, io? Stasera sesso!”
“Beatrix, Dio santo, non pensi ad altro!”
“E piantala, monaca che non sei altro!”
“Mar, Mar, dimmi che non andrai a letto con Jonas, ti prego
ti prego ti prego...”
“Beh...” Replicò Martha, arrossendo. “Non credo di potertelo
promettere...”
“Che in pratica vuol dire che non vedi l’ora.”
“BEX!” La richiamarono le amiche in coro.
“Perché non ammettiate la verità lo sapete solo voi, eh!”
“Promettimi almeno che non resterai incinta.”
“Guarda che non è che perché Kevin è più grande io ho più
possibilità di restare incinta di quante ne abbia Bex con Derek, anzi...”
“Vero: con tutte le prostitute che si è fatto sarà un
esperto di metodi anticoncezionali.”
“Bex, la tua delicatezza non ha confini.”
“Scusa, Mar...”
“Ragazze, seriamente, giuratemi che non farete cazzate,
tutte e due.”
“Promesso!” Rispose Martha, in fretta. “Vuol dire che
accetti di coprirmi?”
“Accetto, accetto...ma sappi che mi devi un favore. Un grande favore.”
“Ma... ragazze, per voi faccio bene? Voglio dire, non è da
me...”
“Mar...” Rispose Bex, molto probabilmente a nome di
entrambe. “Fidati, era ora che facessi qualche colpo di testa.”
“E se mi beccano?”
“Se non ci provi rimarrai per sempre con il dubbio, non ti
pare?”
Stessa storia stesso posto stesso bar
Una coppia che conosco, ch’avran la mia età
Come va? Salutano...
(Max Pezzali, Gli anni)
“Sapete, è il primo ultimo dell’anno da allora che festeggio
come si deve.” Affermò Joe, camminando su un marciapiede della Main, le mani
affondate nelle tasche in un gesto così simile a quello di Kevin, e Frankie
accanto a lui.
“Lo immaginavo, sai?” Rispose il fratello minore, voltandosi
poi verso i genitori. “Andiamo
a bere qualcosa?”
“Non lo
so... Joe, sei diventato alcolista mentre non c’eravamo?” Domandò papà,
passando una mano intorno alle spalle del figlio maggiore, che sorrise appena.
“No, questa devo dire che mi manca.”
“Perfetto allora!” Cinguettò mamma, affrettando il passo e
portandosi in testa al gruppo. “Andiamo!”
La Main Street di Princeton ospita più di venti locali, tra
bar e ristoranti di ogni nazionalità, nightclub e chi più ne ha più ne metta,
ma a volte il caso sa essere un vero bastardo e mettere le persone sempre nel
posto sbagliato al momento sbagliato.
O, forse, al momento giusto nel posto giusto, chissà.
Sta di fatto che nessuno aveva programmato che il primo bar
a porsi sulla loro strada sarebbe stato contrassegnato da una luminosa insegna
lilla con la scritta ‘Susy’s’ in morbidi caratteri rosa brillante.
Non che Frankie e Kevin Sr non fossero stati istruiti, nei
dieci giorni che avevano passato a casa dei loro primogeniti, su quanto quel
posto fosse da evitare come la peste, ma spesso non si può proprio fare a meno
di distrarsi ed è lì che, immancabilmente, il destino gioca i suoi tiri
mancini.
E Joe stesso si rese conto di essere in zona pericolosa solo
quando i suoi occhi, attirati da qualcosa che mai sarebbe riuscito a definire,
si volsero verso la vetrina, scontrandosi con un altro paio di occhi al di là
del vetro.
Verdi.
Eliza, all’interno del pianobar, stava chiacchierando con
Aaron, mentre lui le versava da bere, in attesa dello scoccare della
mezzanotte, ma ammutolì di colpo quando si ritrovò, senza nemmeno sapere come,
a fissare un paio di familiari, profondi occhi scuri.
Il fiato l’abbandonò per un attimo.
Poi, trovandola l’unica cosa davvero sensata da fare, alzò
timidamente una mano e l’agitò appena verso di lui, che rispose ripetendo, specularmente,
il suo gesto e accennando un sorriso.
“Mi manchi...” Mimò con le labbra, senza lasciare che ne
uscisse suono, ma lui già non la guardava più.
There’s
a time for everyone if they only learn
That the
twisting kaleidoscope moves us all in turn
There’s
a rhyme and reason to wild outdoors
When the
heart of this star-crossed voyager
Beats in
time with yours
(Elton
John, Can you feel the love tonight)
Martha, fuori dalla porta di casa Jonas, tirò nervosamente
verso il basso la minigonna scozzese da sotto al cappotto rosso, mentre
aspettava che Kevin le aprisse la porta.
In silenzio, prese a maledire col pensiero le sue amiche che
le avevano consigliato la mise per la serata. Lei non indossava gonne,
accidenti, per non parlare, poi, di gonne così corte.
Si sentiva nuda con quei minuscoli pezzi di stoffa addosso,
eppure aveva pensato che per Kevin avrebbe anche potuto fare un’eccezione.
Idea stupida.
Peccato che non si rendesse conto che non stava affatto
male: le avrebbe reso le cose molto più facili.
“Ehi, lasciala al suo posto, quella gonna.”
Arrossendo, la ragazza alzò il capo verso la porta -che non
aveva sentito aprirsi- trovandosi davanti un Kevin in camicia bianca e
pantaloni neri più sorridente che mai.
Più bello che mai, è quello che, in effetti, pensò lei.
“Ciao...” Biascicò, ignorando il suo suggerimento ed
alzandosi in punta di piedi per baciarlo rapidamente. “Stai davvero bene.”
“Anche tu. Vestiti così più spesso.”
“Te lo puoi tranquillamente scordare!” Rispose lei,
risoluta, entrando in casa a passo di marcia.
Kevin, comunque, non le permise di lasciarlo indietro e in
un attimo le fu alle spalle, liberandola dal cappotto e posandole, nel
frattempo, un per nulla casuale bacio sul collo.
“Che hai detto ai tuoi?”
“Che sono ad una festa a casa di Lex Birminghton.”
“Lex Birminghton? Non l’avrei mai detto un tipo da feste.”
“Allora, io sono qui in minigonna davanti a te, ho mentito
ai miei e mi sto facendo coprire dalle mie amiche perché tu mi parli di quanto
festaiolo è Lex Birminghton?”
Kevin si strinse nelle spalle, allontanandosi un momento e
tornando con un ingombrante piumino che aveva tutta l’aria di non essere usato
da una vita.
“È di Joe, lo usavamo per andare in montagna.”
“Bene...” Replicò Martha, perplessa almeno quanto me. “E a
me serve perché...”
“Tu mettila.” Rispose Kevin, sibillino, indossando a sua
volta una giacca a vento. “Poi vedrai.”
Senza fare altre domande, la giovane eseguì, per poi seguire
mio fratello su per le scale del condominio e fuori, nel piccolo cortile sul
tetto, illuminato a stento da un paio di lampioni.
Niente a che vedere con i super giardini sui palazzi di
Miami, ma comunque poetico, con il cielo sopra la testa e solo un parapetto a
separarti dalla vita della città sotto di te.
“Wow!” Esclamò Martha, correndo ad affacciarsi per ammirare,
rapita, le mille e uno luci dell’ultimo dell’anno di Princeton che scorrevano
veloci davanti ai suoi occhi. “Non sapevo che esistesse una cosa del genere!”
Kevin si strinse nelle spalle, affiancandosi a lei.
“Quando io e Joe siamo venuti a vivere qui era già stato
costruito da un po’ da un inquilino che si era trasferito da tempo. L’ha fatto
lui da solo e, così come non l’hanno aiutato, gli altri non si sono nemmeno
presi la briga di distruggere la sua opera . Mi piace venire qui, mi sento
lontano da tutto anche se sono praticamente a casa, così lo tengo un po’in
ordine, quando ho tempo.”
“È bello.” Mormorò lei, appoggiando il capo sulla sua
spalla. “Ma continuo a non capire il piumino. Non andava bene il mio cappotto?”
Con un sorriso furbo, Kevin le prese una mano e l’attirò
verso il microscopico fazzoletto di prato coperto di neve, per poi prenderla in
braccio e mettersi a sedere, con lei, sul terreno gelato.
“Non posso sdraiarmi nella neve....” Sussurrò la ragazza,
interrotta a metà frase da un bacio giocoso. “Ho le calzamaglia.”
Come se non l’avesse sentita, mio fratello si voltò di
scatto, facendo scivolare Martha finché la sua schiena non si trovò a contatto
con la terra, lui sopra di lei, già sulle sue labbra.
Constatato che, per non bagnare i collant, era sufficiente
tenere le gambe piegate, la giovane gli allacciò le braccia dietro al collo,
ricambiando il bacio con un entusiasmo animato dai brividi che la neve ed il
corpo di Kevin le provocavano.
Dopo un tempo imprecisato trascorso in quella posizione,
Kevin tornò a distendersi sulla schiena, facendo cenno a Martha di posare il
capo sul suo petto.
“Guarda.” Disse sottovoce, come si sussurra un segreto,
indicando il cielo con la mano destra, mentre la sinistra si stringeva intorno
alle spalle di lei. “Le stelle...”
Martha alzò gli occhi, trovandosi di fronte una meravigliosa
e limpidissima notte, rarissima, da settembre a quella parte.
“É... è....”
“Bellissimo.” Completò lui. “Come te.”
“Ehi, ora mi diventi mieloso, però.”
Kevin sorrise, posandole un bacio sulla guancia e
stringendola forte a sé.
“Per niente. Dico solo la verità. Tu sei la mia musica,
piccola. E questa non l’ho rubata a nessuno, è tutta farina del mio sacco.”
“Apprezzo lo sforzo.” Sorrise lei, voltandosi in modo da
appoggiare entrambe le mani sul petto di lui. “Kev, devo chiederti una cosa.”
“Tutto quello che vuoi. A parte i soldi. Sono leggermente a
corto.”
“Niente soldi.” Ridacchiò lei, per poi tornare
immediatamente seria.
“Che c’è?” Domandò lui, preoccupato. “Qualcosa di grave.”
“No, è che... Kevin, fai... fai l’amore con me?”
Senti la gente svegliarsi piano
Fare l’amore anche con nessuno
Ascolta quello che siamo
(i Pooh, Ascolta)
Joe si lasciò praticamente cadere sulla prima sedia libera
che trovò nel bar in cui mamma aveva deciso di entrare e chiuse gli occhi,
cercando di estraniarsi dalle migliaia di suoni diversi che lo attaccavano da
ogni dove.
Non sarebbe tornato a casa, quella notte.
Sarebbe andato a dormire nella stanza d’albergo dei suoi
genitori, come Kevin l’aveva gentilmente pregato di fare per non rischiare di
rovinare la sua serata.
Non gli dava fastidio, anzi, era convinto che gli avrebbe
fatto bene uscire un po’, eppure non riusciva a non provare una certa gelosia
per suo fratello, che a ricostruirsi una vita ci era riuscito.
Aveva deciso di fidarsi di Martha, di donarsi a lei, di
lasciare che fosse lei, con al sua semplicità bambina, a ripescarlo dall’abisso
in cui stava sprofondando.
E forse era stata proprio questa storia di cui lui non faceva
parte a spingerlo a ritornare un po’se stesso.
Il prossimo passo era Eliza.
E questa volta era deciso: doveva solo parlare a Clarisse
del suo cambiamento di piano.
Per intanto, si accontentava di essere lì con la sua
famiglia a passare un ultimo dell’anno in grazia di Dio, finalmente, e di
pensare che nel suo piccolo appartamento in centro città c’era qualcuno davvero
felice.
Scuotendo la testa pensò che era strana, la natura umana.
Strana e assolutamente meravigliosa.
“Buon anno, fratellone...”
I know
you haven’t made your mind up yet
But I
would never do you wrong
I’ve
known it from the moment when we met
No doubt
in my mind where you belong
(Bob
Dylan, To make you feel my love)
“No!” Esclamò Kevin, entrando a passo di marcia
nell’appartamento e liberandosi della giacca bagnata.
“Ma ascoltami, almeno!”
“No, non ti ascolto, perché io non penso che tu sappia cosa
mi stai chiedendo.”
“Ti sto chiedendo di dimostrarmi che non mi consideri una
bambina.”
“Potrei farti male. E non sono sicuro che sia veramente
quello che vuoi.”
“Non sono una bambola da collezione, accidenti!” Replicò
lei, a tono, gettando a terra la giacca di Joe e correndo dietro a Kevin, che,
nel frattempo, si era accomodato sullo scanchignato divano del soggiorno. Con
uno sbuffo, si lasciò cadere accanto a lui, incrociandosi le braccia al petto.
“Martha, io noncredo
che...”
“Kevin, voglio farlo. Voglio essere come tutte le altre
donne che sono state con te, condividere gli stessi momenti, voglio...”
Kevin la zittì con un bacio, accarezzandole, poi, lentamente
il viso.
“Tu sei molto, molto di più di tutte le altre donne, non
devi farlo solo perché ti senti diversa, inferiore. Non è il sesso quello che
conta; aspetteremo finché non sarai davvero pronta.”
“Io sono pronta.”
Ribadì la ragazza, cocciuta. “E non è per dimostrarti qualcosa... so che non ne
hai bisogno. Voglio farlo perché ti amo.”
Quella frase, quella minuscola frase di sole cinque lettere
che Kevin non si era mai sentito rivolgere in modo tanto schietto e sincero gli
disse che forse, per una volta, avrebbe dovuto realizzare i desideri di
un’altra persona senza farsi sopraffare dalla paura di fare del male che gli
attanagliava il cuore da quando io ero morto.
“Non devi mai, mai dirmi che mi ami con quel tono, se non
vuoi farmi perdere il controllo di me stesso in maniera assolutamente
vergognosa...” Sussurrò, posando una mano appena sotto alla gola di Martha e
spingendola dolcemente finché la sua schiena non fu appoggiata sul non troppo
morbido cuscino dello scomodo divano e stendendosi, poi, sopra di lei,
coprendole la bocca con un bacio.
“Forse era proprio questo il mio obbiettivo.” Mormorò lei,
allontanandolo un poco, gli occhi socchiusi in un’espressione piuttosto
sognante.
“Non voglio farti del male...”
“Perché dovresti, scusa? Te l’ho detto, non sono di
porcellana...”
“No, ma sei una persona semplice, onesta, vera. La mia vita non è realtà, Martha,
è...”
“Smetti di pensare.”
“Come?”
Martha alzò una mano, portandola a massaggiargli la schiena
in larghi cerchi, mentre con l’altra gli accarezzava i folti ricci scuri.
“Fai finta di essere ubriaco, non pensare a niente...che
faresti, se non avessi freni, niente che ti blocca, che ti trattiene?”
Con un verso a metà strada tra un sospiro e un ruggito, mio
fratello tornò a baciarla in maniera meno dolce e molto, molto più passionale
di poco prima, passandole un braccio sotto la schiena ed attirandola a sé, in
modo che i loro corpi aderissero alla perfezione.
Martha si aggrappò alle sue spalle con un braccio, mentre
con la mano dell’altro iniziava, alla cieca, a sbottonargli la camicia chiara,
decidendo che, almeno per quel giorno, prendere l’iniziativa sarebbe toccato a
lei.
Lei era quella sicura, lei quella convinta che stare
insieme, insieme davvero, non avrebbe fatto male a nessuno.
Kevin la lasciò fare, senza osare niente di più che baciarla
ed accarezzarla, perché lui di fare l’amore non era capace, perché tutto ciò
che aveva fino ad allora conosciuto non era altro che sesso fine a se stesso.
Lentamente, la ragazza fece scivolare l’indumento via dalle
sue spalle e dalle sue braccia, lasciando che si posasse sul pavimento con un
morbido ‘fluf’ e gli allacciò le braccia dietro alla nuca, alzando il capo a
depositare una serie di minuscoli baci lungo l’attaccatura del collo.
Con un sospiro, la mano di Kevin che si trovava sotto alla
schiena di lei si insinuò, timorosa, oltre il sottile ostacolo costituito dal
suo maglione, trovandosi a sfiorarle appena la pelle nuda.
“Non pensare...” Gli ricordò Martha, parlando a voce quasi
inudibile a pochi millimetri dal suo orecchio.
Annuendo piano, Kevin si mise a sedere sul divano,
portandola con sé, per poi chinarsi fino all’altezza del suo ventre e risalendo
con una scia di baci man mano che le sue mani la liberavano dall’ingombro della
sottile maglia di lana verde scuro. Sentì con la punta del naso la pelle d’oca
che appariva pian piano, pensando che era bello, bello davvero, rendersi conto
di ciò che il suo tocco da solo era in grado di fare al corpo di una donna.
Una donna che non stava con lui per lavoro, ma per amore.
“Sei veramente sicura?” Domandò, mentre la sua mano destra
indugiava sulla cintura della piccola gonna.
“Stai pensando.” Rispose Martha, dandogli una spinta non
troppo leggera e facendolo distendere sul divano, per poi allungarsi a depositare
un bacio leggero sul suo torace nudo.
“Io?” Chiese Kevin, sorridendo e dedicandosi a slacciare con
decisione i due bottoni rossi dell’indumento, per poi proseguire, abbassando la
corta cerniera e facendo scivolare lentamente la gonna, accompagnata dalle
calzamaglia, lungo le sue gambe finché queste non andarono a raggiungere
camicia e maglione sul pavimento. “Assolutamente no.”
Con un sorriso, Martha annuì e tornò a baciarlo sulle
labbra, mentre lui le cingeva piano le spalle, stringendola a sé e capovolgendo
nuovamente le posizioni.
“Sai...credo di amarti...” Bisbigliò all’orecchio di lei,
per poi chinarsi a posarle un bacio sulla pelle delicata tra i seni.
“Credi?” Mormorò Martha, non appena l’aria tornò ad
alimentare i suoi polmoni dopo il quasi arresto cardiaco che le aveva dato
quella mezza dichiarazione unita ad un piacere sognato ma mai sperimentato.
“Credo di essere dannatamente sicuro di amarti. Meglio?”
La ragazza annuì, mentre anche lui iniziava a liberarsi dei
pantaloni.
“Lascia.” Disse poi, posando una mano sulla sua. “Faccio
io.”
Kevin annuì, tornando a cercare il punto più sensibile del
suo collo, mentre lei gli sfilava lentamente gli eleganti pantaloni scuri,
trattandoli con lo stesso riguardo che avrebbe riservato ad una pezza.
Poco a poco i baci di entrambi presero a diventare molto più
vivi, più passionali e le mani di Kevin si avvicinarono al reggiseno di Martha,
chiedendole tacitamente, con lo sguardo, il permesso di superare anche
quell’ostacolo.
E lei glielo diede, quel
permesso, annuendo appena e socchiudendo gli occhi, un po’per la vergogna di
offrire completamente il proprio corpo a qualcuno, un po’ per godere al massimo
di ogni singolo istante, ogni sensazione che le dita di lui le donavano,
correndo morbidamente sulla sua pelle delicata.
“Non mi guardi?” Chiese Kevin,
tornando a baciarla sulle labbra, mentre le sue mani si occupavano di torturare
dolcemente la pelle appena scoperta.
Separandosi appena da lui, Martha
scosse piano la testa.
“Ti conosco a memoria.”
“Guardami.”
“Perché?” Domandò lei, aprendo
gli occhi e trovandosi, ancora una volta, totalmente persa in quelli di lui.
“Perché è anche la mia prima
volta... e non voglio perdermi assolutamente niente.”
Di slancio, la ragazza gli gettò
le braccia al collo, colpita da quell’affermazione tanto meravigliosa quanto
inaspettata, e lo strinse forte, andando pericolosamente vicina a farlo
rovinare sopra di lei.
“Attenta...” Mormorò lui, sulle
sue labbra, insinuando una mano appena oltre l’orlo delle sue mutandine,
facendola trasalire.
Kevin ridacchiò, posandole un
leggerissimo bacio sul naso.
“Sei cosciente di essere bella da
far male?”
“Credo che tu sia l’unico sulla
faccia della Terra a pensare di me una cosa del genere.” Replicò lei,
stringendo il polso di lui con una mano e spingendolo verso il basso,
facendogli capire che non aveva paura, che di lui si fidava.
“Bene...” Annuì Kevin, chinandosi
a depositarle una scia di baci dall’attaccatura del collo all’ombelico. “Perché
sono molto geloso.”
Martha si concesse una risatina leggera,
tra il divertito e il nervoso, mentre le mani grandi e delicate di Kevin la
liberavano anche dell’ultimo indumento, facendo in modo che il suo viso
assumesse almeno una decina di diverse sfumature di rosso.
“Sì, sei semplicemente
adorabile.”
“Scemo.” Replicò la ragazza,
colpendolo con uno scappellotto giocoso. “E così non vale, tu ancora qualcosa
addosso ce l’hai.”
“Risolviamo subito.” Ribatté lui
con un sorriso sornione.
Il sentire Kevin che armeggiava
per togliersi i sottili boxer neri la fece arrossire, se possibile, ancora di
più, spingendola a domandarsi per l’ennesima volta che accidenti ci facesse
lei, diciottenne imbranata, stesa sul divano di un rinomato playboy trentenne,
senza vestiti addosso, che, oltretutto, sembrava sinceramente innamorato di
lei.
E a rispondersi che non gliene
fregava assolutamente niente.
“Tu sai di essere
irrimediabilmente mia, vero?” La raggiunse la voce di Kevin da qualche parte
nei pressi del suo basso ventre dove le stava facendo qualcosa di non meglio
definito che, comunque, riuscì a privarla persino del fiato necessario a
rispondere a quell’affermazione.
Tutto ciò che fu in grado emettere,
oltre ad un sospiro che le sfuggì non richiesto, fu il nome di lui, esalato
come un alito di vento, mentre affondava entrambe le mani nei suoi capelli.
“Sono qui.” Replicò lui, captando
la sottile nota di paura che quel richiamo celava e tornando a guardarla negli
occhi. “Sempre, per te.” Concluse, intrecciando la mano destra con la sua
sinistra e facendo aderire perfettamente il proprio corpo a quello di lei.
E suppongo che qui sia il caso di lasciare un po’di privacy
al mio fratellone. Dopotutto, potete immaginare da soli come sia andata a
finire, no?
Questo è un capitolo di
transizione... ma la notizia è che è l’ultimo prima dell’ultima tranche della
storia! Eh già, è l’inizio della fine... una fine che, comunque, non vi
preoccupate, dovrebbe durare ancora una decina di capitoli!
Oggi è giorno di ricerche, per
cui non sto a ringraziarvi una per una, dato che specchi e scienze forensi mi
aspettano... ma ovviamente dico grazie a tutte le mie 18 commentatrici, a chi
legge soltanto e ai 47 che mi tengono tra i preferiti!
Un bacio a tutti
Temperance
-Capitolo
Ventitrè-
Certe notti se sei fortunato
Bussi alla porta di chi è come te
(Luciano Ligabue, Certe notti)
Francie si lasciò cadere, sfinita, sul letto che trovò nella
prima camera in cui entrò e chiuse gli occhi, lasciandosi alle spalle il trambusto
della festa, al piano di sotto.
Senza alzarsi, lanciò il capo all’indietro, soffermandosi
sui numeri rossi che la sveglia proiettava sulla parete bianca.
Le sei.
Che ci faceva lei, la brava ragazza per antonomasia, alle
sei del mattino a casa di un ragazzo a cui aveva rivolto la parola sì e no due
volte?
Bex e Derek se n’erano già andati da un pezzo e in quel
momento, pensò con un filo di gelosia più amara del dovuto, erano di certo
impegnati a godersi la loro tanto agognata prima volta insieme.
“Beati loro...” Mormorò, mettendosi a sedere e affondandosi
le mani nei lunghi capelli scuri.
Stufa.
Non avrebbe potuto trovare migliore per definire il proprio
stato d’animo.
Era stufa di essere l’amica responsabile, stufa di
dispensare consigli senza chiederne mai.
Stufa semplicemente di essere se stessa.
Persino Martha, che era sempre stata più timida ed
impacciata di lei, ora stava vivendo una storia degna di qualsiasi romanzo di
quelli in cui lei amava sprofondarsi.
Avrebbe dovuto essere per loro, pensò, quasi
rimproverandosi; erano le sue migliori amiche, dopotutto, ma quella volta
proprio non ce la faceva. Si sentiva un’ingrata nei confronti di tutte le
persone che le volevano bene, che per lei avevano dato tanto... ma quando,
quando sarebbe stato il suo turno di essere davvero felice, davvero innamorata?
Me lo chiedevo anche io, lo sai, Francie... finché non è
arrivata Karin. Lei è stata importante per me; davvero importante, per quanto
molti pensano che i giovani non siano capaci di amare davvero. Avevo diciannove
anni quando l’ho conosciuta.
Venti quando si è trasferita in Europa per seguire il suo
sogno.
In settembre ne compirò venticinque e lei, in qualche modo,
ancora è con me.
Anche se, da quando è partita, non ci siamo visti più.
Anche se me ne sono andato senza salutarla.
Vedi, Francie, questo è l’amore che cerchi. Non posso dirti
di essere sicuro che lo troverai e che lo farai presto... ma posso darti un
consiglio: a volte guardare troppo lontano non serve.
A volte la porta che ti è più vicina è proprio quella pronta
ad aprirsi per te.
Chissà, magari è proprio quella della stanza dove ti
trovi...
“Ciao.” Salutò Lex, facendo capolino nella camera. “Posso
entrare? Non ne posso più del trambusto che c’è là sotto.”
Francie sorrise e si strinse nelle spalle.
“È casa tua... non mi devi chiedere il permesso.”
Il giovane sorrise e si chiuse la porta alle spalle,
andando, poi, a sedersi sul tappetino davanti al letto.
“Scappo dalla mia stessa festa... sono patetico.”
“Beh, siamo in due... possiamo sempre farci compagnia, no?”
E se non avrai da dire niente di
particolare
Non ti devi preoccupare, io saprò capire
A me basta di sapere che mi pensi anche un
minuto
Perché io so accontentarmi anche di un
semplice saluto
Ci vuole poco per sentirsi più vicini
Tu scrivimi
(..........., Scrivimi)
Con gesto rabbioso, Joe accartocciò l’ennesimo foglio di
carta da lettera, lanciandola, poi, nel cestino ai piedi dello scrittoio nella
suite dei suoi.
Sapeva che non sarebbe stato facile, ma in quel momento gli
sembrava più che altro tendente all’impossibile.
Joe e le lettere non hanno mai avuto un rapporto...come
dire... idilliaco, ma si sono sempre sopportati a vicenda. Questo, forse, però,
solamente perché non aveva mai dovuto scrivere qualcosa di così tremendamente
difficile.
E dire che si trattava solamente di un biglietto d’auguri di
buon anno... In effetti, era il destinatario, il problema.
La destinataria, a dire la verità.
Sospirando ed asciugandosi una lacrima di rabbia, estrasse
dal secretaire l’ennesimo foglio e vi tracciò la data, sentendosi un po’come
quei poeti maledetti che scrivevano alla luce di una candela mentre il resto
del mondo dormiva.
Che il resto del mondo, in quel caso, fossero mamma, papà e
Frankie, non contava assolutamente nulla: l’effetto era lo stesso.
Prima di ricominciare a scrivere, lanciò un’occhiata nel
cassetto che conteneva la carta intestata dell’albergo: due fogli. Ne erano
rimasti solamente due.
Con uno sguardo sconsolato al cestino della spazzatura in
cui giacevano gli altri diciotto che avevano composto la risma, fece scattare
la molla della penna ed iniziò a rosicchiare l’estremità di questa con fare
decisamente nervoso.
Era la sua penultima possibilità: non doveva sbagliare di
nuovo.
Due ore e un foglio più tardi, il sole stava sorgendo e la
lettera era pronta per essere consegnata alla destinataria.
Rapidamente, Joe si infilò il cappotto ed uscì dall’hotel,
il volto nascosto per metà dietro ad una sciarpa di lana bianca che gli aveva
regalato papà per Natale e la leggera busta di carta di riso ben stretta tra le
mani.
Non andava a casa sua da anni, ma ricordava perfettamente
dove si trovasse.
Non sarebbe salito: per questo ancora non era tempo, ma
almeno stava per riprendere un benché misero contatto con lei.
Davvero non avrei potuto essere più fiero del mio fratellone
numero due.
Senti i respiri del mondo
Se questa notte non stai dormendo
Lettere scritte piangendo
E magari c’è chi le sta leggendo
(i Pooh, I respiri del mondo)
Eliza si sedette sulle scale del condominio senza nemmeno prendersi
la briga di risalire nel suo appartamento.
Con gli occhi sgranati scrutò più volte la piccola busta che
aveva trovato nella cassetta delle lettere quando, alle otto, era tornata dal
turno di notte, sfiorando la carta chiara come per accertarsi che fosse reale,
accarezzando con lo sguardo la calligrafia disordinata e nervosa in cui il suo
nome era vergato.
Niente indirizzo, nessun francobollo.
Solo quel nome scritto in inchiostro nero che gridava Joe
più forte di quanto qualsiasi voce umana avrebbe mai potuto fare.
Nessuno conosceva quella scrittura meglio di lei... lei che
aveva mille e mille volte tentato di cambiarla.
“Ho visto galline che
scrivono meglio di te.” Si lamentò Eliza, strizzando gli occhi per cercare di
decifrare ciò che il suo migliore amico aveva per lo meno tentato di mettere
nero su bianco. “Mi arrendo.” Soffiò infine, lasciando cadere il foglio sul
tavolo.
“Ma Lizzy, è
importante!” Si lamentò Joe, rivolgendole il suo migliore sguardo da cucciolo
abbandonato. “La devi leggere per forza!”
“Mi dispiace, Joe, non
ci riesco. Tu riscrivila e io la leggo, ok?”
Joe sbuffò, alzandosi
in piedi di scatto e recuperando la propria lettera con gesto adirato.
“Ci ho impiegato tre
ore a scriverla. Potresti anche fare uno sforzo, non credi?”
E poi fu fuori dalla
stanza.
Eliza sospirò,
accasciandosi sul tavolo.
L’aveva capita eccome,
quella lettera, ma la loro amicizia era troppo importante per lasciarla
affogare nella poesia di un semplice ti amo.
A quel ricordo, la giovane donna scosse la testa, mentre una
fitta di nostalgia la colpiva in pieno petto, più dolorosa di una pugnalata.
Chissà che sarebbe successo, se quel giorno di tanti anni
prima lei a Joe avesse rivelato quello che davvero provava. Forse sarebbero
rimasti insieme, forse il loro amore sarebbe sopravvissuto anche alla mia
morte...e forse a quest’ora avrei dei nipotini.
Ma la storia non si scrive sui forse, né quella che si legge
nei libri né quella delle singole anime e lei, purtroppo, quel giorno di tanti
anni prima sul libro della sua storia personale aveva scritto no., perché
allora pensava che amare il suo migliore amico fosse qualcosa di totalmente
sbagliato, privo di senso, persino un po’immorale.
Ma ora, ora quell’errore non l’avrebbe ripetuto, perché ora
sapeva che il suo migliore amico era l’unico che avrebbe mai potuto amare.
Ora avrebbe letto.
Con gesto deciso fece passare un dito sotto al lembo che
chiudeva la busta, separandolo dalla parte sottostante, ed estrasse il
leggerissimo foglio di carta intestata, perdendosi per un attimo nell’intreccio
dello stemma dell’hotel e sorridendo al pensiero che, in qualche modo,
quell’arzigogolato scudo araldico le risultava più che familiare o, per lo
meno, simile ad uno che da ragazza aveva conosciuto molto, molto da vicino.
Le iniziali JB all’interno erano state sostituite da una P
ed una H ed i ricami erano un po’diversi, ma lo stile era quello e lei sarebbe
rimasta ore a cercare somiglianze e differenze, anche solo per rimandare il più
possibile la lettura di quelle poche righe che le facevano così paura.
Tuttavia, aveva deciso di farlo ed Eliza Doolittle non è e
non è mai stata una che si lascia scoraggiare facilmente.
Liz,
sono ore che cerco di
scrivere questa maledetta lettera che proprio non ne vuole sapere di nascere...
ma è il primo giorno di un anno che spero sarà diverso e tu mi odi, totalmente
a ragione.
Io questo non lo
sopporto, ma tu hai tutto il sacrosanto diritto ed anche il dovere di farlo.
Quindi tu ora ti
starai chiedendo che scopo ha questa cosa... la verità è che non lo so.
Forse volevo solo
farti gli auguri... o forse volevo dirti molto di più.
Davvero, non lo so.
Quindi mi limito alle
basi...sperando che tu riesca a decifrare la mia micidiale zampa di gallina.
Buon anno, Eliza, buon
anno con tutto il cuore.
Danger
Potremo dire forte che esistiamo
Che il nostro è amore e non ci nascondiamo
Troveremo cieli senza scale
Ci dovremo arrampicare
Tutto il resto è vita e si vivrà
E adesso abbracciami...
(i Pooh, Cosa sarà di noi)
Martha aprì piano gli occhi nella luce impertinente che
irrompeva dalla finestra, la cui tenda era stata appena spostata da un Kevin in
pijiama, vestaglia e pantofole che ora era seduto sul bordo del letto, accanto
a lei, e la guardava con negli occhi la stessa meraviglia che avrebbe provocato
la vista della pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno.
“Buongiorno!” La salutò, sorridendole e facendole una
carezza delicata sui ricci spettinati. “Bellissima già all’alba delle dieci del
mattino, eh?”
“Le dieci?” Domandò Martha, interrompendosi, poi, per lasciare
spazio ad un sonoro sbadiglio.
“Le dieci.”
“Bellissima, poi... se mi conosco bene, sembrerò il re leone
nei suoi momenti migliori.”
“Beh, a me il re leone piace, problemi?”
La ragazza si strinse nelle spalle, spingendosi, poi, su un
lato del piccolo letto per permettere a Kevin di stendersi accanto a lei.
Cosa che lui, peraltro, eseguì, immediatamente, infilandosi
velocemente sotto le coperte e lasciando che Martha si accoccolasse nel suo
abbraccio, deliziato dalla tinta che il volto di lei aveva assunto al percepire
la leggera ruvidità della stoffa contro la pelle nuda.
“Forse dovrei mettermi qualcosa addosso...” Suggerì,
cercando di sottrarsi alla stretta di lui, ma finendo solamente per ritrovarsi
bloccata ancora più saldamente.
“Il mio piumino tiene caldo a sufficienza, credo. E poi, per
quanto allettante sia l’idea di guardarti mentre ti rivesti, io con te non ho
ancora finito, signorina.”
“Ma io mi vergogno!” Piagnucolò lei, nascondendo la testa
contro il braccio di lui.
“Ti...vergogni? Non ti vergognavi, tanto, ieri sera, di là.”
“Ieri sera non sapevo di essere un tale disastro.”
“Disastro... che stai dicendo?” Chiese Kevin, perplesso,
reclinando il capo da un lato.
“Parlo di ieri sera, Kevin. Sul divano. Non sei rimasto a
dormire con me aspettando che mi svegliassi e questo vuol dire che se non sono
stata uno sfacelo totale ci sono andata molto vicina.”
Kevin sbatté un paio di volte le palpebre, prima di
sorridere e chinarsi a posarle un bacio sui capelli chiari.
“Io ho dormito con te. Siamo rimasti sul divano fino alle
tre, quando mi sono svegliato con un mal di schiena assassino. Non ho più
quindici anni, sai? Allora ti ho portata qui e ho ripreso a dormire. Mi sono
alzato un quarto d’ora fa per andare in bagno e preparare la colazione...”
“Quindi non sono stata un cataclisma.”
“Ma no, fifona! È stato...”
“Non dirmi il miglior sesso della tua vita perché non ci
credo nemmeno se lo vedo.”
“Non stavo per dire quello.” Replicò lui, alzando gli occhi
al cielo.
“E allora che cosa?”
“É stato diverso. Diverso in positivo, eh! Tu sei...
inesperta, non avevi la minima idea di come muoverti, ma devo ammettere che io
non ero da meno, quindi...”
“Ci toccherà esercitarci.” Suggerì Martha, rassicurata,
riemergendo dal suo nascondiglio.
“Oh, temo di sì.” Le tenne il gioco Kevin, sorridendo
maliziosamente. “Mi offro per darti ripetizioni.”
“Grazie, prof.” Mormorò la giovane, appena prima di posare
le labbra sulle sue... senza dimenticare di tenersi un lembo di lenzuolo ben
fermo davanti al seno.
“Una bella A più.”
“In che cosa?”
“Baci, no? Signorina Sheperd, stia attenta... o vuole un
altro brutto voto dovuto alla sua distrazione?”
“Non sia mai!” Scherzò Martha, accomodandosi meglio con il
capo poggiato all’altezza del cuore di lui. “Facciamo un gioco?”
“Un gioco?” Ripeté Kevin, stringendo un po’di più le braccia
intorno al suo corpo. “Che gioco?”
“Del mettiamo che.”
“Il gioco del mettiamo che... d’accordo, comincia tu.”
Martha annuì, corrugando leggermente la fronte per pensare.
“Mettiamo che mia madre non fa quella telefonata. Mettiamo
che accetta la nostra storia.”
Kevin le accarezzò i capelli con un sorriso tra il dolce e
il malinconico.
Quanto, quanto voleva bene a quella ragazzina...
“Mettiamo... che vieni a vivere con me.”
“Mettiamo che ricominci a suonare e venire a scuola non ti
serve più.”
“Mettiamo che scappiamo insieme...”
“Kevin, sei un insegnante!” Ribattè Martha, falsamente
scandalizzata.
“Eh beh? Se ricomincio a suonare ti posso far finire gli
studi in tutte le scuole che vuoi, no? Dove ti piacerebbe andare?”
“In Francia... o in Italia.”
“In Italia. Mettiamo che andiamo in Italia.”
“Mettiamo che ci sposiamo...”
“No.” Dichiarò Kevin, a sorpresa, facendo sì che lei
sgranasse gli occhi.
“Come... perché?”
E fu allora che lui, intenerito dall’espressione semi
terrorizzata di Martha, si sciolse nel sorriso più dolce che io abbia mai visto
sul suo viso.
Il più bello, in assoluto.
“Perché io te lo prometto, che ci sposiamo.” Rispose,
dandole un bacio a stampo sulle labbra ancora socchiuse. “Tu inizia a diventare
maggiorenne, che al resto ci penso io.”
“Adesso quasi non mi sembra possibile che un giorno non ci
dovremo nascondere più.”
“Spero che sia presto, perché, ora come ora, tutto quello
che vorrei è poter gridare al mondo che ti amo e che me ne sbatto di tutto
quello che pensano gli altri.”
“Kevin...”
“Sì?” Replicò lui, girando il capo per guardarla negli
occhi... e sorridendo al trovarli commossi come mai avrebbe immaginato. “Ehi,
hai la lacrima facile, tu!”
“L’hai detto....”
“Che cosa?” Chiese Kevin, realmente disorientato.
Martha scosse il capo, voltandosi ed appoggiandosi sul suo
petto, un gran sorriso dipinto in volto.
“Niente... che ne dici di iniziare quelle ripetizioni?”
I ragazzi che si amano non ci sono per
nessuno
Essi sono altrove, molto più lontano della
notte
Molto più in alto del giorno
Nell’abbagliante splendore del loro primo
amore.
(Jacques Prevert, I ragazzi che si amano)
Beatrix si sedette sul letto con uno sbuffo contrariato,
mentre Derek ancora dormiva beatamente, bellamente spaparanzato su tutta la
superficie del materasso.
Una delusione, ecco che cos’era stato quel capodanno per
lei; una vera e propria delusione con i fiocchi.
La festa di Lex era il più rumoroso e fastidioso nugolo di
persone di cui avesse mai fatto parte ma, ciononostante, non era riuscita a
portare via Derek prima che questi si fosse scolato una sufficiente quantità di
alcolici da mandare in crisi una squadra di football e, in conseguenza di ciò,
i suoi piani per una mezzanotte romantica e un post mezzanotte decisamente
pepato erano andati a farsi friggere insieme al suo buonumore.
Non era una ragazza superficiale o malata di sesso... voleva
semplicemente passare una serata speciale con una persona altrettanto speciale
ma, evidentemente, erano ben in pochi, lassù, a dare ascolto ai piani che lei
proponeva.
Avrebbe potuto lasciarlo da Lex, avrebbe potuto fuggire ed
abbandonarlo, ma non lo aveva fatto.
E non lo aveva fatto perché quella volta era fregata,
fregata del tutto, nonché totalmente ed irrimediabilmente innamorata.
Quindi era lì, seduta sul letto della stanza d’albergo più
economica che aveva trovato, in una situazione piuttosto squallida, ma con un
sorriso intenerito dipinto in volto al vedere l’espressione rilassata di lui.
“Sei proprio un deficiente.” Mormorò, chinandosi a posargli
un bacio sullo spruzzo di lentiggini che gli ricopriva la punta del naso.
“Bex...” Mormorò lui, senza svegliarsi, passandole un
braccio intorno alla vita.
“Ci sono, ci sono, razza di stupido.” Rispose la giovane,
stendendoglisi accanto, calciando lontano le scomode scarpe che non aveva
ancora avuto il tempo di togliersi ed accoccolandosi nel suo abbraccio
incosciente.
E, sospirando, pensò che, dopotutto, il capodanno avrebbe
potuto anche essere peggiore.
Avrebbe potuto essere sola, lontana da lui e invece era lì,
stretta tra le sue braccia.... e poi il primo di gennaio era appena all’inizio:
avevano tempo per fare tutto quello che volevano.
Ed eccoci, dopo il romantico capodanno, a tornare nel vivo
della storia. Perdonate se aggiorno un po’meno di frequente, ma ultimamente
faccio un po’più fatica di prima a scrivere, un po’per gli impegni, un po’perché
manca l’ispirazione... ma non vi preoccupate, non vi abbandono!
Ora, un annuncio di servizio: come Vitto_LF mi ha fatto
notare (glasshie sore) nello scorso capitolo mi sono dimenticata di mettere chi
è l’autore della canzone Scrivimi, quindi ovvio qui: si tratta di Nino Buonocore.
Ed ora i grazie!!!!
Intanto, un grazie speciale a tutti i 49 che mi tengono tra
i preferiti... mai nemmeno sognata una cifra così e sono felice, ma felice di
avvero, di averla raggiunta con questo racconto in cui davvero sto mettendo
tutta me stessa e anche qualcosa di più, come le mie cognate 1 e 3 ben sanno.
Tay_: intanto grazie per la doppia
preferizzazione XD e poi, beh, un po’di dolcezza sparsa qua e là ci vuole, no?
Selphie: anche io capisco bene Francie, per
quanto nel mio gruppo solo una sia fidanzata... sono veramente stufa di stare
da sola, ma tant’è e con le fiction mi sfogo piuttosto bene, devo ammettere. Il
gioco del Mettiamo che è stato preso in prestito dal bellissimo e struggente “Sette
anime” che io davvero consiglio a tutti di vedere. In quanto alla preside...
leggi e sarai accontentata!
Lyan:grazie per i complimenti! Sarò immodesta, ma io le mie coppie le adoro
tutte, nessuna esclusa...e sia Joe che si firma Danger sia Kevin che nemmeno si
rende conto di aver detto ti amo sono... aw!
Sbrodolina: tranquilla, il tuo appello è stato ascoltato e
Chris sta per tornare... in questo capitolo con una piccola parte, ma con tanti
sketch nel prossimo!
Jeeeeee: allora, non ti preoccupare, Joe ed
Eliza troveranno spazio nei prossimi capitoli, Martha e Kev lotteranno, e non
poco, per il loro amore e i capitoli forse non saranno solo dieci, ma non
prometto niente... non so davvero quando finirà!
Sweet_Doll: e tu continua a sperare, che non
si sa mai! XD
Vitto:allora,
intanto perdonami, ma io tutta questa somiglianza tra Joe e Tom proprio non ce
la vedo però, boh, punti di vista. Maaaaaaaa....ti piace la coppia di Joe e
Liz? No, perché mi era sembrato di capire così da quel faccino sbrilluccicoso
XDHai visto, vero, che Fillide l’ho
commentata?
Beautiful_disaster:cioè, e quando le righe sono tante che scrivi, la divina commedia 2?
Sai, sono particolarmente fiera del “mio” Nick, del Nick di questa storia,
perché renderlo così non è stato e non è affatto facile, a volte mi dimentico
che è lui a narrare, eppure lo sento più vicino a me di tutti gli altri
personaggi, perché, alla fine, è lui che dice come stanno, secondo me le cose,
o no?
Alexya379: tutte voi che avete la condanna/fortuna di avere
i capelli ricci, temo... io massimo massimo arrivo ad
assomigliare ad un porco spino o un cacatua, ma un leone mai XD
Smemo92: o.O perché la felicità
di Martha e Kev finirà presto? Comunque, non dare troppo per scontato su
nessuno dei personaggi, perché non tutto è quel che sembra...
Razu_91: Ma lo sai che a Lex Luthor
non ci avevo proprio pensato? Beh, probabilmente lo avrei scelto comunque, dato
che, quando guardavo Lois&Clark, era uno dei miei
personaggi preferiti. Comunque sì, riconosco che nomi e titoli non sono proprio
i miei migliori amici.
3: Dicesi capitolo di transizione uno in cui non ci sono
eventi rilevanti per la storia... ok, c’è la lettera, ma per il resto è
abbastanza piatto anche se, Nick mi perdoni, da diabete XD Mi spiace, ma io ai
commenti così lunghi non riesco a rispondere in maniera decente quindi...
grazie. Grazie e basta, ma dal cuore
1: stesso discorso che ho fatto per la 3, non posso dirti
che grazie per questo commentone fatto riga per riga.
Lo apprezzo tanto, perché spendi (spendete) del tempo per me, e non poco e questo
è meglio di tutti i complimenti di questo mondo. Vi’mo!!!
Rachelle: anche io amo la prima parte per come
sono riuscita a renderla, credo sia la mia creatura migliore, in assoluto, ma,
per quanto io ami tutte le mie coppie, devo dirti che la mia preferita è quella
composta da Joe e Liz, perché è la più vera. E qui permettimi di spendere due
parole per difendere la mia Liz, che può non piacerti, ma che io ci tengo che
tu capisca. Eliza non è debole. In una mia storia tu non troverai mai un
personaggio debole, perché io sono piuttosto cinica e detesto le persone che
non credono in loro stesse, che non sanno usare le proprie forze, quindi non
scriverei mai di una persona così. Eliza è una donna forte, che ha subito il
peggio che la vita possa dare e che non si è mai arresa. Molti sarebbero caduti
in depressione, al suo posto, ma lei ha lottato e bada che non si è mai, mai
pianta addosso, come hai detto tu. Non riuscendo a cambiare il mondo, ha
provato a cambiare se stessa, ma questa è forza, non debolezza. Lo so: Liz sono
io.
Temperance
-Capitolo
Ventiquattro-
E mi sento come chi sa piangere
Ancora alla mia età
(...)
E vita mia che mi hai dato tanto
Amore gioia dolore tutto
Ma grazie a chi sa sempre perdonare
Sulla porta alla mia età
(Tiziano Ferro, Alla mia età)
“Quindi, per concludere, della tradizione del canto
natalizio fanno parte melodie ed odi provenienti da tutto il mondo, per quanto
il paese che ne ha prodotti in maggior numero rimanga...” La fine del discorso
di Kevin fu interrotto da un paio di colpi forti e decisi alla porta. “...la
Germania. Avanti!”
Ora, è da sapere che non è che Kevin non avesse mai pensato
al fatto che, prima o poi, la preside lo avrebbe chiamato nel suo ufficio in
seguito alla telefonata della madre di Martha, ma fu solo quando vide il volto
tirato di Christian fare capolino nella sua classe che si rese conto che quel
momento era arrivato... e che lo aveva colto totalmente impreparato.
Con tutto il trambusto di quei giorni, dalla nostra famiglia
che era tornata a Wyckoff agli incontri clandestini con Martha, non aveva avuto
nemmeno il tempo di pensare, figurarsi di programmare come avrebbe risposto
alla sua superiore...
E ora era più che certo che non ce l’avrebbe fatta. Non ad
inventarsi una scusa plausibile, per lo meno.
“Che farai?” Gli domandò Christian, neanche gli avesse letto
nel pensiero. “Voglio dire, non hai intenzione di lasciarti licenziare, vero?”
Kevin sospirò, passandosi una mano tra i ricci scompigliati
e forse troppo lunghi.
Ci mancava solo il doversi tagliare i capelli, adesso.
“Vuoi la verità? Non ne ho la più pallida idea.”
“Rassicurante.”
Kevin scosse la testa con un sorriso che non riuscì a
trasmettere altro che amarezza.
“Allora? Kev, la presidenza è in fondo al corridoio e io non
lascio andare il mio amico in contro al suo destino senza sapere se vuole
offrirgli un caffè o farsi buttare nella fossa dei leoni.”
“Cosa vuoi che ti dica, Chris? Dirò la verità.”
“Quindi fossa dei leoni.” Replicò il biondo, alzando gli
occhi azzurri al cielo.
“No, sincerità. Qualcuno, una volta, mi ha detto che paga
bene.”
“Scommetto che non sono stato io.”
Kevin ridacchiò, questa volta senza sforzi.
“No, a meno che tu non ti chiami Denise Jonas.”
“Tua sorella?”
Kevin scosse il capo, appoggiando la mano sul pomolo della
porta della presidenza.
“Mia madre.”
E poi sparì.
Morghana Fleming non era il tipo di insegnante di cui tutti
avevano paura.
Era quello di cui tutti, studenti ed insegnanti, avevano un
sommo, sacrosanto terrore.
Magra e piuttosto alta, capelli corti e grigi, occhi di un
verde vivissimo, circondati da una montatura rigorosamente firmata, il collo
mai scoperto.
Non esattamente l’immagine della libertà di pensiero,
insomma.
E questo non rassicurava affatto Kevin.
Né me.
“Buongiorno professor Jonas.” Lo salutò, senza alzare gli
occhi dai fogli che stava esaminando.
“Signorina.” Corresse la donna, trapassandolo da parte a
parte con uno sguardo perforante.
°Lo immaginavo, chissà
perché...°
Kevin, a cuccia! Devi fartela amica, ricordi? Non darle
della zitella acida!
“E comunque, sì, desideravo vederla. E lo desidero ancora,
quindi si sieda.”
Mio fratello eseguì, muto, appoggiandosi sulla punta di una
sedia dall’aria scomoda, in una posizione che rispecchiava totalmente il suo stato
d’animo.
Ossia teso.
Teso come una corda che sta per saltare.
“Presumo che lei sappia perché si trova qui.”
Kevin annuì lentamente, sostenendo lo sguardo del suo capo.
Che annuì a sua volta.
“La signora Sheperd era piuttosto sconvolta dalla relazione che
lei intrattiene con sua figlia Martha. Ora, mi dica, professore: corrisponde a
verità, questa storia? O devo semplicemente dire alla signora che sua figlia è
al sicuro e che non avrà ulteriori problemi?”
E la corda si spezzò.
“Può dire alla signora Sheperd.” Cominciò, chiudendo le mani
a pugno e pizzicandosi appena la stoffa dei pantaloni. “che Martha è al sicuro
e che non avrà ulteriori problemi.”
“Oh, benissimo, ero sicura che fossero tutte vo...”
“Ma è altresì vero che la storia che le è stata raccontata
corrisponde, in linea di massima, a verità.”
La Fleming lo guardò, per nulla smossa, per un paio di
secondi, poi intrecciò le mani sulla scrivania e puntò gli occhi in quelli di
lui.
“Ha una relazione con una sua alunna, professore?” Domandò, calcando particolarmente sull’ultima parola.
“Sì, professoressa.”
Rispose lui con lo stesso tono, quasi a sottolineare che era solo un caso che,
tra i due, la superiore fosse lei. “E se questo per lei è un problema me lo
dica subito, così svuoto il mio cassetto e lei si attiva per cercare un nuovo
insegnante. Non vorrei mai che restasse con una materia scoperta.”
“Non le sembra di correre troppo, Kevin?”
“Prego?”
“Mi lasci capire bene. Lei non ha intenzione di interrompere
la sua relazione con miss Sheperd.”
Kevin annuì, sicuro.
“E sarebbe pronto a rinunciare ad un lavoro per cui ha fatto
domanda decine di volte per lei?”
“Temo che la risposta sia di nuovo sì.”
La donna annuì lentamente, per poi tornare a guardarlo con
quegli occhi così taglienti da far male.
“Non posso dire di capirla, se devo essere sincera.”
“Vorrà dire che lei non è mai stata innamorata, signorina
Fleming.”
La preside lo scrutò ancora per qualche istante, poi si
tolse gli occhiali e si sporse un po’di più sulla scrivania, stringendo gli
occhi.
“Lei non mi piace, Jonas.” Sibilò, appena udibile. “E non mi
piace perché non solo è un bambino viziato ed arrogante, ma è molto peggio: è
un bambino viziato, arrogante ed innamorato. E l’amore è debolezza, Jonas,
perché porta a commettere sciocchezze di cui poi ci si pente. Amaramente.”
“Io sono stato un bambino viziato ed arrogante, signorina
Fleming. Ero ricco, famoso, era impossibile non essere almeno un po’pieno di me.
È stato un periodo della mia vita, tutto qui. E ora è finito. Ora sono un uomo,
professoressa, e gli eventi mi hanno insegnato che l’arroganza non porta da
nessuna parte, mentre la sicurezza è fondamentale. E io sono sicuro. Perché, se
ora lei mi licenzia, di scuole ce ne sono altre mille, ma Martha è una sola e
io a lei non rinuncio.”
La Fleming annuì, lentamente, tornando ad appoggiare la
schiena alla sedia.
“Rimango della mia idea, Jonas, lei non mi piace, ma mi
colpisce. Ammiro la sua forza d’animo, la invidio, un poco. E poi devo
ammettere che non ho mai avuto un insegnante capace di interessare gli alunni
come sa fare lei, di coinvolgerli e non ho nessuna intenzione di lasciare che
lei se ne vada. La storia tra lei e la signorina Sheperd è... immorale,
ritengo, ma non sta a me giudicare. Per tanto, non è licenziato.”
Kevin sgranò gli occhi, visibilmente sorpreso.
“Posso...posso restare?”
“Sì, ma non insegnerà più al college. Le lascio medie e high
school. È d’accordo?”
“Posso restare.” Ripetè Kevin, come si pronunciare quelle
parole servisse a rendere la notizia più reale.
“Sì, può restare.” Sorrise appena la preside, forse un
po’intenerita da quello stupore che non faceva nulla per nascondersi.
“Grazie, professoressa.”
Alzandosi in piedi, Kevin le strinse la mano, con un sorriso
a dir poco radioso.
Era quasi arrivato alla porta, quando la voce imperiosa di
lei lo bloccò nuovamente.
“Kevin? Al prossimo richiamo è fuori, sia ben chiaro.”
Lui annuì con un sorriso sornione.
“Chiaro, Morghana.”
E si può dividersi e non sparire
Se è così riabbracciami quando vuoi
E poi non sarà mai tardi per farci vedere
insieme
Sicuri di chi ci ama
(i Pooh, Domani)
“Sì, ma io voglio sapere che fine ha fatto il prof Jonas!”
Esclamò Derek, battendo un piede a terra come un bambino capriccioso.
Christian si prese la testa tra le mani, sospirando,
sfinito.
Era in quella classe da a malapena mezz’ora e già le domande
sul suo caro collega l’avevano letteralmente sfiancato.
“È dalla preside, Derek, in che lingua te lo devo dire?”
“Ho capito, ma perché è lì?”
“Non lo so, accidenti!” Esplose l’insegnante, scattando in
piedi. “E tu, Martha, vuoi sederti, per la miseria? Mi stai facendo venire il
mal di mare!”
La ragazza scosse rapidamente il capo, senza interrompere la
sua camminata avanti e indietro per l’aula, ignorando Beatrix che, alle sue
spalle, cercava di farla tornare al suo posto.
“E perché no, di grazia?” Domandò Chris, sconsolato,
lasciandosi cadere nuovamente sulla sedia rivestita di pelle nera sintetica.
“Écolpamia.” Mormorò lei, velocemente, a fior di labbra.
“Eh?”
“Ha detto che è colpa sua.” Tradusse Beatrix con aria
piuttosto scocciata. “Perché sua madre ha telefonato alla preside, ha
raccontato una cosa che non doveva raccontare e ora lei ha paura che Jonas
verrà licenziato a causa sua. Ma lui non lo sarà, vero?” Domandò, cambiando
appena il tono, lasciandovi subentrare una punta di preoccupazione, e
rivolgendo verso il professore i grandi, liquidi occhi tra il grigio e il verde.
“Vero, prof?”
Christian abbassò lo sguardo, incapace di sostenere il
confronto per un solo istante in più.
“Non lo so, Beatrix. Io davvero non lo...”
Il suo non particolarmente brillante discorso fu interrotto
nella sua apoteosi dalla porta dell’aula che si spalancò, lasciando entrare un
Kevin apparentemente trafelato e più sorridente che mai.
“Kevin?” Esclamò Christian, decisamente sorpreso dallo stato
d’animo del suo amico. Quell’uomo era e sarebbe rimasto sempre un mistero, per
lui...
“Ke...Prof?” Gli fece eco Martha, correggendosi appena in
tempo, ed interrompendo la sua inarrestabile marcia al centro esatto della
classe.
Non fece in tempo, tuttavia, ad aggiungere altro, perché in
un attimo Kevin era vicinissimo a lei e la stava baciando, lì, davanti a tutti,
tra lo stupore generale e qualche sorriso complice.
Quattro sorrisi complici, per essere felici.
Le restanti espressioni erano divise tra autentica sorpresa
e malcelata malizia, oltre, naturalmente, a quegli sguardi che dicevano chiaro
e tondo che loro lo sapevano che c’era sotto qualcosa.
Tipo il mio in questo momento, per intenderci.
“Prof un accidenti.” Mormorò lui sulle sue labbra, senza
allontanarsi di un millimetro, appena prima che Chris richiamasse la sua
attenzione con un per nulla discreto colpo di tosse.
Senza riuscire a levarsi il sorriso dalla faccia, Kevin si
voltò a guardarlo, stringendo forte Martha a sé, un braccio possessivamente
passato intorno alla sua vita, una mano posata morbidamente sui capelli chiari.
“Sì, Chris?”
“Ora, le opzioni sono due e, volendo ben vedere, sono
inquietanti esattamente allo stesso modo. Uno: la Fleming ti ha licenziato e
puoi fare i tuoi porci comodi anche a scuola. Due: in qualche maniera e modo
sei riuscito a negare tutto, hai mantenuto il lavoro, la gioia ti ha dato alla
testa e ora stai tentando di rimediare dandole la prova inconfutabile che sei
un idiota. E questo ci porta di nuovo a te che vieni licenziato.”
“Sa, vero, prof, che la sua tesi è un po’contorta?” Domandò
Derek, inarcando un sopracciglio.
Chris annuì, massaggiandosi la fronte con una mano.
“Lo so, ma è il meglio che possa fare in questo momento.
Credo che il mio cervello sia in sciopero.”
Kevin, allora, lasciò per qualche istante Martha, non prima
di averle depositato un bacio leggero sulla sommità del capo, e si diresse
verso Chris, per poi appoggiargli con fare consolatorio una mano sulla spalla.
“Non sono licenziato, Chris. E non lo sarò nemmeno in
futuro.”
Il biondo alzò gli occhi sul suo amico con un sorrisino
ironico.
“E come hai fatto, le hai promesso favori sessuali?”
Mio fratello gli rispose con una sonora risata, subito
imitato dal resto della classe, esclusa Martha che , ancora piuttosto
scioccata, si limitò a lasciarsi cadere sulla sedia con un sorriso ebete.
“Gli ho spiegato con garbo ed irresistibile sex appeal
quanto innamorato sono di quella fanciulla laggiù.”
Chris inarcò un sopracciglio.
“E poi le sono simpatico, nonostante si ostini ad affermare
il contrario.”
“Lo afferma anche
in sala professori quando non ci sei, sai?”
Kevin si strinse nelle spalle, letteralmente saltellando
verso Martha, per poi sedersi sulle sue gambe sotto gli sguardi attoniti dei
suoi alunni, di Christian e mio.
E che diamine, mi è capitato tante volte di sentirmi il
maggiore, ma così mai!
“Kevin...” Chiamò debolmente la ragazza, ridacchiando quando
lui si voltò, un sorriso a trentadue denti ben stampato in viso.
“Sì?”
“Ehm.... beh... pesi.” Biascicò, arrossendo, per poi
aggiungere un rapidissimo ed inudibile “Amore” al notare l’espressione
contrariata di lui.
“Ah, ecco, così va meglio.” Scherzò Kevin, alzandosi e
scompigliandole i capelli, per poi assumere, improvvisamente un’aria piuttosto
seria e porsi al centro della classe, le mani dietro alla schiena. “Ragazzi,
scherzi a parte, vi devo dire, purtroppo, che dalla settimana prossima io non
sarò più il vostro insegnante di musica. La professoressa Fleming, infatti, mi
ha permesso di restare solo a patto che io lasciassi le classi del college e mi
occupassi unicamente di medie e high school.”
“Ma prof...” Tentò di protestare Derek, sostenuto da
svariati mormorii di dissenso. Fu, però, zittito subitaneamente dalla mano di
Kevin, che si alzò nella sua direzione come a dirgli di aspettare, di lasciarlo
finire, perché dopo, se avesse voluto, avrebbe avuto il permesso di fare tutte
le obiezioni del mondo.
“So che fare lezione con me vi piace e, credetemi, mi
dispiace davvero tanto lasciarvi, perché sia voi che il primo anno siete delle
classi meravigliose, siete giovani adulti probabilmente parecchio migliori di
quanto lo sia stato io e credetemi se vi dico che avete insegnato a me
altrettanto e più di quanto io abbia insegnato a voi. Tuttavia, ci sono momenti
in cui fare delle scelte è indispensabile e a me è stato chiesto di decidere
tra una parte del mio lavoro e una parte del mio cuore.” Lanciò un breve
sguardo a Martha, che rispose con un sorriso incoraggiante, supportata da
Beatrix, che alzò entrambi i pollici e schiacciò l’occhio in direzione di mio
fratello. “E io ho scelto la seconda, non avrei potuto fare altrimenti. Sono
comunque stato fortunato, dato che mi aspettavo il licenziamento. In ogni caso,
io sarò sempre qui a scuola... sempre qui a Princeton e, se non sono più il
vostro professore, posso comunque essere per voi un amico o un aiuto. Quindi se
vi serve... beh, il succo è che io sono qui quando volete. Punto...”
Per un momento l’aula di musica fu immersa nel silenzio più
assoluto, ma poi l’applauso nato dalle mani di Beatrix contagiò tutti i
presenti, Christian compreso, portando anche un paio di ragazze ad asciugarsi
qualche lacrima.
“Ti vogliono bene.” Mormorò Martha, accostandosi a Kevin e
passandogli un braccio intorno alla vita, mentre lui le circondava le spalle.
“E commuoversi non è reato, sai?” Scherzò, notando il fiato leggermente
spezzato di lui. “Nessuno ti condannerà per qualche lacrima.”
Lui annuì appena, sfregandosi leggermente un occhio con la
mano libera.
“Ehi, prof, prima che diventi una fontana...” Cominciò
Derek, avvicinandosi alla coppia. “Intanto devi sapere che io non ho detto
proprio un tubo, l’ha scoperto in un altro modo di voi.”
“Lo so, Derek, stai tranquillo.”
“Ecco, e poi...credo di parlare a nome di tutta la classe se
ti dico che, senza offesa per il prof Prato,” Chris gli fece cenno di andare
avanti, sorridendo. “Sei il più grande qui dentro. Cioè, io non lo so come
cavolo fai, ma sei riuscito a farmi studiare... a farmi interessare alla storia
della musica e non è mica una cosa da niente. Per questo ci dispiace che te ne
vai, perché se ci fosse un concorso per eleggere non il miglior professore
dell’anno, ma della storia, credo proprio che il voto sarebbe unanime, vero,
ragazzi?”
“KevinJonas!”
Risposero in coro i compagni.
“Kevin Jonas...” Ripetè Christian, alzandosi dalla sedia ed
unendosi al gruppo al centro dell’aula. “Il mio migliore amico è il miglior
professore della storia eletto ed acclamato a gran voce.” Considerò. “Sono
onorato: sei praticamente una celebrità.... di nuovo.”
Kevin scosse piano la testa, regalando al suo amico
l’ennesimo, sincero sorriso.
“No, Chris... questo è mille volte meglio della celebrità.”
Capita che poi
Quando non hai voglia più di crederci
Ti cade addosso un’emozione
Cresce prepotente senza regole
E d’un tratto torni a vivere
Comincia da qui
Il secondo tempo della vita mia
(i Pooh, Cercando di te)
“Ciao Aaron!” Salutò Eliza, allegra, entrando nel pianobar a
passo spedito e rischiando di travolgere il collega, che stava cercando di
depositare un vassoio di caffè al tavolo cinque senza perire nell’impresa.
“Lizzie...” Rispose lui, riprendendo miracolosamente
l’equilibrio prima che anche solo una goccia di bevanda scura abbandonasse la
sua tazzina. “Sei in anticipo.”
“Lo so. Pensavo di darti una mano, oggi non ce la faccio a
stare ferma.”
“E come mai? Euforia post vacanze?” Domandò il giovane,
distribuendo le piccole tazze di ceramica bianca. L’unico locale che offriva
espressi veri in tutta la città... ne erano piuttosto fieri, a dire il vero.
“Joe mi ha scritto.”
“Joe ti ha scritto? Quel Joe?”
Eliza annuì, liberandosi dal cappotto ed indossando il gilet
nero, della stessa foggia di quello di Aaron, ma più scollato e più sottile.
“Proprio così.” Replicò lei, porgendogli la lettera, che
teneva al sicuro nella tasca dei jeans.
Il ragazzo sorrise e la prese, sedendosi su di uno sgabello
per leggerla comodamente, mentre Eliza controllava il blocchetto delle
ordinazioni e apriva il contenitore della torta al caffè, estraendone una fetta
sottile.
Dopo la disastrosa notte a casa sua, contro ogni previsione
lei ed Aaron erano diventati ottimi amici e, dopo Kevin, lui era la persona con
cui amasse parlare di più in assoluto.
“Quando sono tornata a casa, la mattina del primo dell’anno,
l’ho trovata nella cassetta della posta. Ci ho messo quasi un’ora ad aprirla,
ci credi?”
“Ci credo, ci credo... e, per caso, sei svenuta dopo averla
letta? No, aspetta, ti sei messa a saltellare come un canguro per tutto il
pianerottolo.”
“A dire il vero l’ho dovuta rileggere una decina di volte
per capire sul serio cosa ci fosse scritto.”
Aaron annuì e ripiegò il foglio, porgendoglielo ed armandosi
di nuovo di vassoio.
“Tu sai che cos’è quella, Liz?”
“Certo.” Rispose lei, decidendo che ripulire il freezer
sarebbe stata un’ottima attività da compiere in attesa dell’inizio del proprio
turno. “Sono degli auguri di buon anno.”
“E...”
“E che cosa?”
Con un sorriso sornione, il giovane si appoggiò al bancone
con entrambi i gomiti.
“E, cara mia, una dichiarazione d’amore in piena regola.”
“Oh, quello...” Replicò la ragazza, cominciando a estrarre
dal congelatore scatole di gelati e semifreddi semivuote. “Sì, l’avevo
capito... più o meno...”
“È una bella cosa, ma giurami che starai attenta.”
“Sì, papà.”
“Lizzie, sono serio... ti ha già fatto stare male così tante
volte.”
“Lo so, ma non succederà più.”
“E come lo sai?” Chiese Aaron, tornando al proprio lavoro
prima che Susy gli desse una lavata di capo perché ‘Insomma, Aaron, te ne stai
sempre con le mani in mano!’.
“Danger.” Disse semplicemente lei, rivolgendo uno sguardo
innamorato ad una confezione di profiterole. “Si è firmato Danger.”
Io ho saputo guardare oltre la tua corazza.
Ti nascondi lì e nessun si fa mai avanti perché sei complicato, ma sei speciale
e tutti dovrebbero sapere che ne vale la pena, di attraversare quello scudo e
vale anche la pena di soffrire per te, di essere tristi o felici, di disperarsi
o qualsiasi altra cosa bella o brutta.
Non sai cosa darei per te...
(da Dr.House MD)
Clarisse, immobile davanti alla porta, guardò, perplessa
l’uomo che le aveva aperto con un elastico in bocca e un pettine rosa
praticamente incastrato tra i ricci ribelli che, con ogni probabilità, stava
cercando di domare con scarso successo.
“Sei in anticipo.” Mugugnò, sistemandosi l’elastico a mo’di
braccialetto sul polso ed iniziando a districarsi il pettine dai capelli.
“E tu hai un pettine in testa. Ed è rosa.” Replicò Clarisse,
con lo stesso tono infastidito.
“L’ha lasciato qui la ragazza di mio fratello.” Replicò lui,
come se il colore del pettine fosse ciò che più aveva infastidito la bambina.
Lei, allora, si strinse nelle spalle e chiuse la porta,
passando oltre ed andando ad accomodarsi sullo sgabello davanti al pianoforte.
“Hai preparato la canzone che ti avevo detto?” Domandò Joe,
liberandosi definitivamente dal pettine e raccogliendosi i capelli in una coda
bassa.
“No.” Rispose lei, suonicchiando una scala.
“Clarisse...”
“Faceva schifo! Piantala di darmi canzoni noiose!”
“My Heart Will Go On non è noiosa, è bellissima ed emozionante.”
“Sei gay, Joe?”
“Cosa... No! Che c’è, un uomo non può essere sensibile? Sono
un musicista, cavolo!” Esclamò, facendosi spazio a forza sullo sgabello.
“A dire il vero sembri di più un senzatetto che ha finito
l’ultima confezione di shampoo.”
“Ma quanto siamo simpatiche... hai mangiato un limone?”
“No, ho un insegnante noioso. E ho preso quattro.”
“Capisco... E non mi interessa.”
Clarisse gli fece una sbrigativa linguaccia, continuando a
suonare, finché lui, con gesto nervoso, non le chiuse il pianoforte sulle mani.
“Ahio!”
“Aiutami a tornare da lei.”
“Eh?”
“Eliza.” Sbuffò mio fratello, riaprendo lo strumento.
“Vuoi riconquistarla?”
“Assolutamente.”
La ragazzina lo guardò con aria scettica, poi si alzò,
facendogli cenno di rimanere dove stava e prese a girargli intorno. Poi, senza
preavviso, gli strappò l’elastico dai capelli e lo gettò lontano.
“Parrucchiere, per prima cosa. E poi shopping. Ne hai di
soldi, vero? Devi rifarti il guardaroba. E ti serve una piastra. E un rasoio che
funzioni.”
“Tutto qui?” Domandò lui, ironico, appoggiando i gomiti sui
tasti del pianoforte, che si lamentarono con veemenza. “Un lifting no, eh?”
“Joe, tu mi insegni a cantare, io ti dico cosa fare.”
“Celine Dion.”
“Centro commerciale.”
“Canzone.”
“Vestiti nuovi.”
“Ci sto.” Esclamò Clarisse, tendendo a Joe la destra, che
lui strinse, deciso.
“Affare fatto.”
“Ah, e...Joe? Queste cose ti servono solo per sembrare più
bello, perché tu già sei speciale. Bisogna solo saperti guardare.”
Joe la guardò per qualche istante, concedendosi un sorriso
enigmatico. Credo che Clarisse ancora oggi si stia chiedendo cosa stesse
pensando il suo maestro in quel momento.
Io lo so...e fidati, Clarisse, ti sarebbe piaciuto davvero
molto.
Eccomi qui con il nuovo
aggiornamento.... we we ma le recensioni sono calate!
*piange* dai, non abbandonatemi così, a pochi capitoli dalla fine!!!
In compenso ho raggiunto un
grandissimo traguardo con le preferizzazioni: 50! Non mi sembra vero!!!
Purtroppo devo correre a cenare,
fate come se vi avessi ringraziato tutti! Ma tutti tutti,
eh!
Un bacio,
Temperance
-Capitolo
Venticinque-
Non potrai fermare queste mani
Quanto tra mezz’ora sarai qui
Non avremo il tempo di uscire dai vestiti
Quel che è stato è stato e Dio ci aiuti
(i Pooh, Non lasciarmi mai più)
Kevin lanciò l’ennesima occhiata all’orologio, guadagnandosi
da Joe e Clarisse uno sguardo di totale disapprovazione.
“Sai, si consuma se continui a fare così e dopo mi toccherà
comprarti un orologio nuovo. E, tra l’altro, il tempo non passa più in fretta,
così.”
“Lo so, lo so.” Sbuffò Kevin. “Ma tra poco Martha sarà qui e
Chris non è ancora arrivato.”
“Guarda che possiamo uscire anche senza il tuo amichetto che
ci fa da babysitter, sai?”
“Non se ne parla nemmeno!” Intervenne Clarisse, risoluta.
“Io lo so perfettamente cosa faresti, tu, in tal caso. Mi romperesti le scatole
fino a convincermi che a fare shopping ci possiamo andare un altro giorno. Se
invece siamo in due a trascinarti non potrai fare proprio un bel niente.”
Joe sbuffò, soffiandosi via un ricciolo da davanti agli
occhi, mentre Kevin iniziava a camminare avanti e indietro per il corridoio.
“Si può sapere perché cavolo sei così ansioso?” Sbottò, dopo
pochi minuti, il mio caro fratellino, battendo un pugno non troppo convinto sul
tavolo della cucina.
“Sono così ansioso perché la mia ragazza arriverà tra dieci
minuti e voi siete ancora qui.”
“Se vuoi aspettiamo il prof Prato nell’ingresso, Kevin, non
ci sono problemi.” Propose Clarisse, diplomatica.
“Sì che ci sono problemi!” Intervenne Joe, senza nemmeno più
metterci troppa enfasi. “Non è che il fatto che tu sia sessualmente frustrato e
non possa nemmeno lasciarla entrare in casa prima di saltarle addosso debba per
forza condizionare la mia vita, eh!”
“Non ho intenzione di saltare addosso a nessuno.” Replicò
Kevin, nervoso, puntandogli un dito contro, mentre Clarisse rideva sotto i
baffi. L’ho già detto che io amo quella ragazzina? “E non sono io quello
sessualmente frustrato in questa stanza.”
Ahi...colpo basso.
“Che cosa stai insinuando, Paul?”
“Che io non vedo Martha fuori da scuola da due settimane. Tu
da quant’è che non stai con una ragazza? Ah, già, da mai.” Sibilò, a pochi centimetri dal viso del fratello. “Adam.”
“Mi chiamo Joe.”
“E io Kevin.”
“Di’ un po’, ma perché se starle lontano ti fa questo
effetto non ti ingegni un po’? Dicono che lo stanzino del bidello è comodo per
sco....”
“È suonato il campanello!” Esclamò Clarisse, bloccando Joe
appena in tempo.
“Vado io.” Soffiarono in coro i miei fratelli, lanciandosi
poi un’occhiata di puro odio.
Che bello vederli litigare... tutto proprio come una volta.
Christian, in piedi sul pianerottolo, indossava un
minibomber nero molto più sportivo dei suoi soliti standard e un paio di jeans
viola melanzana che, invece, li rispecchiavano alla perfezione.
Con un sorriso smagliante, salutò i due che gli avevano aperto,
ottenendo in cambio solo un paio di grugniti infastiditi.
“È... è successo qualcosa?” Domandò, perplesso, chiudendosi
la porta alle spalle.
“Joe è un emerito stronzo.” Rispose Kevin, afferrando
dall’attaccapanni la giacca del fratello e piantandogliela tra le braccia senza
troppa grazia.
“Sì, tu invece sei un profumato e tenero mazzolino. Di
ortiche.”
“Sto a casa Jonas o ad un asilo infantile?” Chiese il
biondo, tra lo stupito ed il divertito, aiutando Clarisse ad indossare il suo
cappotto.
“Perché, non sono la stessa cosa?”
Christian annuì, convinto, posandole sulla testa il
cappellino di lana azzurra.
“Sei molto saggia per la tua età, sai?”
“Grazie, prof... però mi sa che è meglio che portiamo via
Joe, sennò quelli si sbranano a vicenda.”
“Ok...” Rispose, per poi rivolgersi ai due che ancora si
guardavano male appena oltre l’ingresso. “Bene, bambini, adesso io e il piccolo
Joey ce ne andiamo, così Kev può giocare al dottore con la sua amichetta,
d’accordo?”
“Non parlarmi come ad un bambino deficiente, razza di...”
“Io ti parlo come mi pare e piace, chiaro?” Ribatté
Christian, a tono, avvicinandosi a Joe tanto che il suo fiato gli sfiorava il
viso. “Perché io rido e scherzo, ma quando uno si comporta come un idiota, io
lo tratto come un idiota. Quindi, Jonas, vediamo di chiarire le cose: volente o
nolente tu oggi vieni a fare compere con me, perché, sinceramente, il mondo non
ne può più di coprirsi occhi e naso quando passi, per cui, passi lunghi e ben
distesi, fuori da quella porta e via, verso l’infinito e oltre, ok?”
Joe annuì, muto, gli occhi sbarrati.
Christian sorrise, annuendo, poi fece cenno a Clarisse di
avvicinarsi.
“Bene, noi ce ne andiamo. Buon divertimento, Kev.”
“Grazie, Chris...davvero. Ah, e, Joe?”
Il moro si voltò con aria scocciata, un braccio alla
disperata ricerca della manica in cui infilarsi.
“Io nello stanzino del bidello ci sono già stato.”
...and
that’s why everything
Every
last little thing
Every
microscopical detail must go
According
to plan
(The
Corpse Bride, According to Plan)
Il campanello di casa Jonas suonò appena una decina di
minuti dopo che Joe, Christian e Clarisse erano usciti.
“Ce ne avete messo di tempo ad arrivare.” Si lamentò Kevin,
aprendo la porta e trovandosi davanti Francie e Martha, cariche fino al collo di
sacchetti da supermercato e buste di carta contenenti chissà quale articolo di
panetteria. “Temevo di dover fare tutto da solo.”
“Perdonaci, ma qualcuna si è persa nel reparto DVD.” Sbuffò
Martha, consegnandoli un paio di contenitori, mentre lui richiudeva l’uscio con
un piede.
“Ehi, io e Lex andiamo ad un raduno la prossima settimana e
io non ho ancora visto l’ultimo fil tra quelli in programma.” Si difese la
mora, sbuffando a sua volta.
“Lex, sempre Lex... perché non vi sposate, eh?”
“Mar, io e Lex siamo amici, non lo sposerei nemmeno fosse
l’ultimo uomo rimasto sulla faccia della terra. Cercavo un altro single con cui
trascorrere un po’di tempo. È sbagliato fare nuove conoscenze, prof?”
“Kevin.” La rimbeccò mio fratello, posando le buste sul
tavolo e tornando a salire in piedi sulla sedia sulla quale si trovava prima
che le ragazze entrassero, intento ad appendere uno striscione. “Prof solo a
scuola, sennò mi sento vecchio. E comunque no, non è affatto sbagliato... ma se
vuoi uscire dalle schiere dei single ti presento il mio fratellino: la sua
ragazza l’ha appena mollato.”
“Frankie?” Si intromise Martha, aprendo un pacchetto di
patatine ed iniziando a sgranocchiarne una. “Mi dispiace, cavolo!”
“Quelle sono per dopo.” La sgridò Francie, strappandole la
busta di mano. “Però, pr...Kevin, non inizi anche lei
a tentare di accoppiarmi! Sono molto esigente, sa?”
“E tu sai che se non la smetti di darmi del lei entro cinque
minuti ti nominerò ufficialmente pulitrice di pavimenti alla fine della festa?”
“Non puoi darle ufficialmente un titolo che non esiste!”
“Amore” Sibilò lui
con una puntina in bocca. “Mentre io faccio qui potrefti anche... che ne fo,
dare una mano a Francie con la tavola, non credi?”
“Ti do fastidio?” Domandò la bionda, fingendosi offesa.
Kevin alzò gli occhi al cielo, fissando anche l’ultimo
angolo del festone.
“Sì, mi dai fastidio, ok? Dio santo, chi me l’ha fatto fare
di dirti di sì... è dal liceo che non vado ad una festa...”
“Ma tu l’hai fatto per me...” Suggerì Martha, lasciandogli
giusto il tempo di riappoggiare i piedi a terra prima di stampargli un sonoro
bacio a fior di labbra, mentre Francie sorrideva, scuotendo il capo, divertita,
e sistemando sul tavolo i piatti di plastica rossa che aveva comperato poco
prima.
“Sei una serpe, un’infida serpe ricattatrice e
nullafacente.” Rispose Kevin, prima di afferrare Martha per la vita e prendere
a depositarle una lunga serie di pernacchie lungo il collo latteo, mentre lei
tentava di divincolarsi, ridendo di gusto.
“Ehi!” Li richiamò Francie, agitando una forchetta a mo’di
bandierina per portare su di sé almeno un po’della loro attenzione. “Non vorrei
rovinare il vostro idillio, ma sono quasi le tre, gli ospiti arriveranno tra
un’ora e tutto quello che abbiamo combinato... beh, che Kevin ha combinato, è infornare
la torta ed appendere un paio di striscioni.”
Kevin annuì, lasciando di colpo la presa sul corpo della sua
ragazza ed affiancandosi all’amica.
“Giustissimo, Francie. Allora, io finisco con torta e
pizzette, Martha incarta i regali nostro e suo e tu continua con la tavola.”
“Agli ordini!” Risposero in coro le due ragazze, mentre lui,
con un saluto militare, spariva oltre la porta della cucina.
Quando furono sole in salotto, Francie ridacchiò, scuotendo
la testa in direzione dell’amica.
“Che c’è da ridere?” Domandò questa, frugando in un cassetto
del secretaire alla disperata ricerca di un paio di forbici.
“Niente, è che.... cavolo, cucina pure! Ma c’è qualcosa che
quell’uomo non sappia fare?”
Martha si strinse nelle spalle, arrossendo appena.
“Se c’è, io ancora non l’ho trovata... però, a pensarci
bene, non ha mai cantato... forse è stonato.”
Francie inarcò un sopracciglio, versando una confezione di
Smarties in una ciotola semitrasparente
“Kevin Jonas che non sa cantare? Ma fammi il piacere!”
“Beh, di certo non è una delle cose che gli vengono meglio.”
Mormorò la bionda, catturando con la lingua una microscopica briciola che si
era fermata all’angolo delle sue labbra, in un gesto che risultò, forse
involontariamente, piuttosto malizioso.
I’m sitting
in here
In the
boring room
It’s
just another rainy Sunday afternoon
I’m
wasting my time
I’ve got
nothing to do
(Blind
Melon, Lemon Tree)
Joe sedeva su un puff lilla nel bel mezzo del negozio più
rosa che avesse mai visto, il mento poggiato sulle palme delle mani e l’aria
annoiata di quando mamma ci costringeva ad andare con lei a comprare i vestiti
per il primo giorno di scuola.
Beh, effettivamente, la situazione non era tanto diversa, se
non per il fatto che Denise era stata sostituita da un esuberante Christian e
Joe non aveva sette anni, ma andava per i ventinove.
Che volete, dettagli insignificanti.
All’ennesimo paio di jeans di un colore ai suoi occhi
decisamente inquietante che cadde accanto a lui, il mio fratellone scattò in
piedi, dirigendosi a passo di marcia verso l’espositore dove Chris e Clarisse
stavano animatamente discutendo sulla dimensione delle losanghe sul suo nuovo
maglione.
“Scusate” Chiamò, battendo con la mano sulla spalla del
biondo e rivolgendogli il suo migliore sguardo adorante. “Vi ho viste e non ho
potuto trattenere l’entusiasmo. Carrie,
ma dove sono finite Charlotte e Samantha? Non andate insieme, di solito, a fare
shopping?”
Clarisse lo guardò spaesata, mentre Chris gli rivolgeva un
sorriso ironico, abbandonando il leggero golf verde con piccoli motivi rosa
sulla spalla.
“Le ragazze sono al lavoro, al momento. Però, Big, potresti
provare questo, nel frattempo. Poi ti prometto che andiamo a farci un
Cosmopolitan tutti insieme, eh?”
“Apprezzo il fatto che tu non mi abbia chiamato Miranda, ma
io questo coso non me lo metto.”
“Si può sapere chi cavolo è Miranda?” Chiese Clarisse,
intromettendosi tra i due uomini e saltellando per attirare l’attenzione.
“Poi ti spiego.” Rispose, sbrigativo, Chris, per poi tornare
a rivolgersi a Joe. “Primo, ti ho chiamato Big per il semplice motivo che tu
hai chiamato me Carrie, e chi ha orecchie per intendere lo faccia. Secondo, che
ha quel maglione che non va?”
“È rosa.”
“Il rosa va di moda.”
“Forse per le belle bambine come te.”
“Sai che pare che tutti abbiano un lato omosessuale più o
meno nascosto? L’ha detto Freud.”
Joe si strinse nelle spalle, rendendogli l’indumento.
“Ah sì? In effetti il commesso laggiù è molto intrigante.”
“È una donna...”
“Per questo lo è.”
“Joe Jonas, sei un grandissimo stronzo, te l’ha mai detto
nessuno?”
“Oggi in effetti sei il primo.”
Clarisse scosse la testa, poi afferrò un paio di Jeans, una
camicia e la mano di Joe, trascinandolo verso il camerino lì di fronte.
“Entra. Prova. Esci.”
“Ehi, come ti...”
“Fila!” Quasi strillò, spingendolo oltre la tenda viola e
lanciandogli dietro i vestiti.
“Wow... sei decisa, eh?” Domandò Christian, ridacchiando,
per poi concentrarsi su una pashmina azzurra appesa ad un espositore lì
accanto. “Dici che questa può piacergli?”
“A Joe?”
Con un ultimo sguardo piuttosto malinconico, sospirò,
scuotendo la testa.
“No, probabilmente no. Bene...” Si strinse nelle spalle,
riconquistando il sorriso. “Vorrà dire che mi farò un regalo.”
“A te donerà sicuramente di più.” Lo rincuorò Clarisse,
prendendogli una mano nelle sue. “Sai, sei davvero forte a fare questo.”
“Questo cosa?” Domandò l’uomo, perplesso, mentre Joe, nel camerino,
sbraitava contro chiunque avesse messo in giro la voce che gli uomini in rosa
erano sexy.
“Questo: aiutare Joe a rendersi guardabile per Eliza, anche
se lui ti piace.”
“Già... non ho molta fortuna con la famiglia Jonas.”
Clarisse strinse un po’più forte la sua mano, rivolgendo a
Chris un sorriso pieno di comprensione.
Mentre Joe usciva dal piccolo spogliatoio a passo di marcia
con le braccia incrociata davanti al petto ed un espressione truce.
“Come sto?” Domandò in tono piatto.
“Però...” Esalò Chris. Che Joe fosse un bell’uomo si vedeva
anche prima, ma così, con i blue jeans aderenti ma
non troppo e la camicia che segnava il fisico asciutto nei punti giusti... beh,
così era tutta un’altra storia.
Oh, e badate che io sto semplicemente riportando i pensieri
di Chris...non fatevi strane idee!
“Joe, sei...”
“Ridicolo?” Ironizzò mio fratello, passandosi una mano tra i
ricci scuri con un sorriso beffardo.
“Stupendo!” Esclamò Clarisse, correndogli incontro ed
abbracciandolo stretto.
Eccola lì, l’unica in grado di sciogliere in un nanosecondo
quel pezzo di ghiaccio che risponde al nome di Joseph Jonas.
“Sì, stai bene, Big.” Mormorò Christian, gli occhi bassi
sulla sua nuova pashmina.
“Grazie, Carrie.” Rispose Joe, ricambiando l’abbraccio di
Clarisse e rivolgendo a Christian un sorriso che, se il biondo avesse alzato lo
sguardo anche solo di pochi centimetri, gli avrebbe fatto letteralmente
spiccare il volo.
Voglio farti un regalo
Qualcosa di dolce, qualcosa di raro
Non un comune regalo
Di quelli che hai perso, mai aperto,
lasciato in treno o mai accettato
Di quelli che apri e poi piangi
Che sei contenta e non fingi
E in questo giorno di metà gennaio ti
dedicherò
Il regalo mio più grande
(adattamento da Il regalo più grande, Tiziano
Ferro)
“E non te lo puoi riprendere un’altra volta?”
Derek si strinse nelle spalle, continuando a percorrere il
corridoio a passo deciso, letteralmente trascinando Beatrix con sé.
“Perché? Un giorno vale l’altro, no? E poi ci metto cinque
minuti, mi serve quel cd.”
“Dio... il mio compleanno e vado a casa di un professore.
Dio.”
“Ma è Jonas!”
“Potrebbe essere anche il Papa. Io voglio andare a ballare,
Derek!”
“Dopo ti ci porto, te l’ho promesso, ma quel disco mi serve
davvero per quell’arpia di musica. Poi” Continuò, fermandosi un istante per
prenderle le mani. “Poi andiamo a casa mia che ho un regalo bellissimo tutto
per te.”
“Promesso?” Chiese, mogia, la ragazza, mettendo un broncio
giocoso solo a metà.
“Promesso.” Replicò lui, chinandosi a darle un bacio veloce.
“Ok, allora, ma che siano davvero cinque minuti, perché io
vi conosco, a te e a quell’altro, e so benissimo che quando iniziate a
chiacchierare non vi ferma più nessuno.”
“Ma oggi è diverso: oggi è la tua giornata.”
“Ruffiano.” Ridacchiò Bex, dandogli un buffetto sulla
spalla.
“È un’arte che ho affinato con anni di pratica.” Così
dicendo, Derek si avvicinò alla porta e bussò un paio di volte, senza ottenere
alcuna risposta.
“Sarà in bagno... provo ad entrare, magari è aperto.”
Pessimo, pessimo attore, ragazzo mio.
Ma, d’altronde, si sa: gli occhi innamorati vedono
tradimenti anche dove non esistono, ma quando qualcosa è lì, ben in vista
davanti a loro, tendono ad ignorarlo nel modo più totale.
Misteri...
“Derek, non dovresti aspettare? Magari è successo
qualcosa... magari si è sentito male...”
Derek si strinse nelle spalle.
“Un motivo in più per entrare, no?”
La porta dell’appartamento, ovviamente, non era chiusa a
chiave e Beatrix seguì il giovane, di malavoglia, continuando a borbottare che
si sentiva dentro che quello sarebbe stato il peggior compleanno della sua
vita.
“Sai almeno dove cercare?” Domandò, sottovoce, nemmeno
stesse per commettere un reato.
“Non ne ho idea.” Ammise Derek, muovendosi a tentoni nel
salotto buio all’apparente ricerca di un interruttore che gli permettesse di
accendere la luce.
In quel momento, però, alcune note strimpellate su una
chitarra raggiunsero le loro orecchie da un luogo imprecisato ma, comunque,
troppo vicino per trovarsi al di là di una porta.
“Che cos’è?” Chiese Beatrix, stringendosi un po’di più a
Derek, che sorrise nella semioscurità. Amava il suo lato fifone...
“Jonas, no? Per quello non ci sentiva: sta suonando.”
“Sì, ma dove...”
L’accendersi improvviso della nuda lampadina che pendeva, al
posto del lampadario, al centro della stanza la costrinse ad interrompersi
bruscamente, mentre quelle che prima sembravano note suonate a caso od
appartenenti ad una melodia sconosciuta iniziavano a dare forma ad una canzone
a tutti ben nota, che fu presto completata da un piccolo ma sostenuto coro di
voci tutte diverse e tutte da lei perfettamente conosciute.
Le voci dei suoi compagni di classe, dei suoi migliori amici
che, usciti dai loro nascondigli costituiti da mobili e tende, cantavano per
lei la più irritante, imbarazzante e dolce delle canzoni.
Tanti auguri a te....
Eh già, Bex, anche se tu di certo non mi hai sentito, c’ero
anche io lì con te quel giorno, anche io facevo parte di quello sciocco coro
stonato...
Beatrix si portò entrambe le mani alla bocca, trattenendo
per un istante il respiro, mentre Francie e Martha si avvicinavano a lei,
affiancandosi a Derek che, nel frattempo, le aveva circondato i fianchi con le
braccia, stringendola forte.
Non aveva notato, quando era entrata, preoccupata com’era, i
festoni con la scritta ‘Auguri Bex’ che attraversavano la stanza, colorati di
un milione di tinte diverse. Festoni fatti con carta crespa, cartoncino e
pennarelli sui quali riconosceva il tratto e la mano di Martha e la precisione
di Francie.
Non aveva notato nemmeno Kevin che, seduto su di uno
sgabello ad un passo dalla porta della cucina, abbracciava la sua vecchia
chitarra classica, unica superstite di una collezione che contava decine e
decine di esemplari, completando la magia bambina di quell’istante con quella
musica che, in qualsiasi forma, era sempre la sua ragione di vita.
E poi c’era la torta... neanche quella era riuscita, nel
buio, ad attirare la sua attenzione.
Una torta grande come per lei non ne avevano mai fatte, con
le firme di tutti i presenti tracciate sulla pasta chiara con una linea di
dolcissimo inchiostro al cioccolato.
“Perdona la firma sbavata di Francie, ma qualcuno ha fatto
danni con il guanto da forno e lo zucchero a velo.” Disse Martha, sorridendo,
mentre Kevin riponeva lo strumento e si avvicinava al gruppetto dei suoi ormai
ex alunni, uno sbuffo candido di zucchero a velo ancora ben visibile tra i
capelli scuri, sentendosi tornare un po’ragazzo anche lui.
“Ehi, se non fosse stato per quel qualcuno quella torta
nemmeno ci sarebbe, razza di piccola ingrata.” Esclamò, scompigliando i capelli
di Martha.
“È perfetta!” Replicò Beatrix, muovendo due passi veloci
verso di lui e gettandogli le braccia al collo con un gran sorriso e un paio di
lacrime di commozione. “È tutto perfetto... grazie, ragazzi!”
“Non ringraziare noi.” Intervenne Francie, sorridente come
non mai. “È un’idea di Derek.”
Bex si voltò di scatto verso il suo ragazzo, gli occhi spalancati,
quasi a chiedere conferma di ciò che le era appena stato detto.
“Ehi, non guardarmi così.” La riprese lui, un po’rosso sulle
guance. “Volevo farti un regalo speciale e ho pensato...beh, che forse una
festa non sarebbe stata una brutta idea, per iniziare.”
“Per iniziare? Der, che ci può essere più di questo?”
“Ti ho detto o no che il resto è a casa mia?” Rispose il
giovane, con un sorriso sornione.
E mi vergogno un po’
Perché non so più fare oh
Non so più andare sull’altalena
Di un fil di lana non so più fare una
collana
(Povia, I bambini fanno oh)
Kevin sedeva semisprofondato nella piccola poltrona dove Joe
si addormentava quasi ogni sera, da quando si erano trasferiti lì.
Non aveva mai capito perché la trovasse tanto comoda,
sformata e troppo morbida com’era e, sinceramente, anche a me piace poco quella
cosa, però Joe la adora e nessuno si è mai permesso di spostarla. In ogni caso,
in quel momento era l’unico luogo relativamente libero dell’appartamento,
quindi o lì o lì.
Chiudendo gli occhi, si passò una mano tra i ricci scuri.
Non gli era mai sentito di sentirsi così dannatamente
vecchio...
Certo, nel periodo più buio c’erano stati momenti in cui gli
era parso di avere più di cent’anni, ma era normale... era una componente
fondamentale della sua autodistruzione, l’auto convincersi che nessuno al mondo
aveva mai sofferto quanto lui. Lì, invece, era tutta un’altra storia.
Lì era felice, era innamorato ed era circondato da persone
che lo adoravano, che gli volevano bene nonostante il suo passato... eppure
ancora si sentiva come un ventenne ad una festa delle elementari.
Non annoiato o simili, no.... semplicemente fuori posto.
E ingrato da morire.
Con quei ragazzi la vita gli stava offrendo una seconda
possibilità, eppure c’era qualcosa che...
“Ehi, mastro chef, ti annoi?” Gli domandò la voce di Martha,
mentre un dolcissimo e ben noto peso si depositava sulle sue gambe.
“Mar...” Mormorò lui, posandole le mani sui fianchi senza
aprire gli occhi.
“Non ti senti bene, amore?” Domandò lei, preoccupata, scivolando
un po’in avanti sulle sue gambe e chinandosi verso il suo viso.
“No, sto... mi sento solo un po’strano...” Replicò Kevin,
facendo scivolare le mani dietro alla schiena di lei e allacciandole appena
sopra l’orlo die suoi pantaloni.
“Hai mal di testa? O hai mangiato troppo? Dove ti fa male?”
Kevin ridacchiò, costringendosi finalmente a guardarla in
viso.
“Sei un po’apprensiva o sbaglio? Sto bene... solo che mi
sento un po’un pesce fuor d’acqua.”
“Non capisco...” Mormorò lei, inclinando leggermente il capo
da un lato.
“È che siete tutti così giovani...”
“Anche tu lo sei.”
“Martha, io non sono un ragazzino.”
“Mi stai dando della ragazzina?” Chiese lei, riducendo gli
occhi a due fessure, ma rilassandosi quando Kevin scosse il capo.
“Tu sei la mia donna, piccola, e questo non cambierà mai...
ma stare con te è una cosa, uscire con i tuoi amici è un’altra.”
“Se...se vuoi li mando via. Tanto è quasi sera e...”
“Ma no, non ti preoccupare, sono solo paranoie mie, ok?”
“Kevin...” Soffiò, spingendosi ancora un poco in avanti e
depositandogli un bacio a stampo sulle labbra ancora socchiuse.
“Vorrei vivere questo amore come lo vivi tu... vorrei far
davvero parte del tuo mondo.”
“Kev, tu sei il mio mondo. E, come dici tu, questo non
cambierà mai.”
“Ma...”
“Niente ma.” Lo zittì la ragazza, annullando il residuo
spazio tra i loro corpi e regalandogli un nuovo bacio, questa volta un poco più
ardito.
Che lui decise di ricambiare.
Con parecchia convinzione.
Sapete, comincio ad essere stufo di descrivervi la vita
amorosa di mio fratello maggiore... preferirei poter intercalare, ogni tanto,
con quella di Joe.
Peccato sia inesistente.
“Ci sono venti altre persone qui...” Mormorò Kevin,
allontanandosi un poco dalla ragazza per riprendere fiato. “E scommetto che ci
guardano tutte, visto che siamo decisamente la coppia più interessante della
scuola. Poi...”
“Vuoi sentirti a tuo agio in mezzo a noi?”
Mio fratello annuì rapidamente, facendo per guardarsi
intorno, ma sentendosi bloccare immediatamente dalla mano di lei, che gli
afferrò il mento tra due dita, costringendolo a fissare di nuovo gli occhi nei
suoi.
“E allora impara che siamo ad una festa e alle feste nessuno
fa caso ad una coppia che si fa gli affari suoi.”
“E tu come lo sapresti, questo?”
Martha si strinse nelle spalle.
“Anni di esperienza come tappezzeria ai balli della scuola.
Dunque, vuoi tornare diciottenne per una sera?”
“Sì, signora mia!” Esclamò Kevin, ritrovato il buon umore.
Altro capitolo-parto, come
tutti, pare, in questa ultima parte... Aggiorno oggi, poi non so quanto
impiegherò a scrivere, dato che sono impegnata fino a qui!!! Ma pace, per ora
vi ringrazio, questa volta, una per una!
Alexya379: Chris e Clarisse sono
una coppia piuttosto devastante per il povero piccolo appena rinato Danger... e
il riferimento a Sex and the City (leggi “Shoes”, se
ti va) è dovuto al fatto che ultimamente sono assolutamente drogata di quel
telefilm, ma sono contenta che tu l’abbia notato...anche perché ora Joe è
ufficialmente Big XD
Razu_91: forse questa volta ho
ritardato un po’sui miei standard di pubblicazione, ma temo che ci dovrete fare
l’abitudine... In ogni caso il capitolo è qui, quindi... happy reading!
Sbrodolina: eh sì, oramai non
manca poi molto... ma di scrivere non smetto, quindi tranquilla, avrai da
leggere anche finita questa storia!
Katerina_21: io amo le storie
tristi, perché credo che, a livello di emozioni, diano molto, molto più di
quelle divertenti, quindi un po’di tristezza in una mia storia non mancherà mai
e mi rende davvero felice che apprezzi anche questo aspetto, che magari non a
tutti sempre piace.
Jeeeeee: in effetti, questo capitolo è uno dei più divertenti,
se non il più divertente in assoluto. La scena del centro commerciale è stata
spassosissima da scrivere, anche perché contiene non troppo celati cenni alla
mia coppia del cuore (Joe e Chris)...e ricorda che devono anche andare dal
parrucchiere! XD Per Joe e Liz, sì, sarà difficile, ma un passo alla volta si
stanno riportando in carreggiata, non ti sembra?
Selphie:Vuoi vedere un
Danger veramente Danger? Beh, non so se ci arriverai... dopotutto, Joe è
cresciuto, ha quasi 30 anni... ma di certo un piccolo miglioramento ancora ci
sarà. E poi non dare così per scontato che tutti siano in salvo...ci sono
ancora un paio di assi nella mia manica e non vedo l’ora di tirarli fuori!
SweetDoll: guarda, le tue parola
vanno benissimo: i complimenti non stancano davvero mai! Soprattutto se sono
fatti perché la mia storia ti fa davvero emozionare, se non è un raccontino
letto così, di quelli che entrano di qua ed escono di là.
Melmon: oh, bene, meno male che non ve ne siete dimenticati,
dei genitori di Martha! Abbi pazienza fino al prossimo capitolo...
Smemo92: carina l’immagine “sono
uno la roccia dell’altro” e beh, sì, Kevin ha avuto solo un attimo di crisi...
saranno altri i suoi problemi!
Tay_: e chi non vorrebbe amici così?
Lyan: beh, non proprio
poco poco... l’ho detto, io, che sta diventando più
lunga di quanto pensassi!
1: intanto grazie per la
recensione (non proprio spontanea, ma assolutamente meravigliosissimissima!!!!)
poi... Joe stronzetto e malizioso lo amo, davvero, è fantastico ed
adorabilissimo, quindi un pochino (ma poco) lo puoi adorare anche tu... Kev è
dolce dolce e tu sei la solita nullafacente (muhua).E....
beh.... Carrie + Big 4evaaaahhhhhhh!!!
La Fitto: Direi che con questo
capitolo sono tre volte che uso Tiziano...felice? (XD) beh, effettivamente
queste due canzoni sono davvero belle e poi questa in particolare si presta
benissimo per scrivere. Ora, ascolta, io lo so che tu lo fai così, tanto per
fare, ma sinceramente sono un po’stufa che continui a fare paragoni tra i miei
personaggi ed i tuoi e non solo perché io queste somiglianze non ce le vedo
affatto, ma anche e soprattutto perché mi sento accusata, in qualche modo. Sono
fiera di questa storia proprio per la caratterizzazione nuova di personaggi che
di solito, anche per l’età, sono descritti in modo totalmente diverso e non mi
piace, anche se lo fai senza secondo fine, che continui a rimarcare le
somiglianze che trovi. Di’pure che Martha non ti piace (con tutte le volte che
ho tartassato Haylie, povera bestia...), ma evita i paragoni, per favore.
Maggie_Lullaby: Intanto, ti dico che ho ricevuto la tua mail, ma per
ora non ho davvero tempo di leggere e commentare nulla (a parte le storie delle
cognate, che sennò mi uccidono) perché ho un sacco da fare, ma tra 15 giorni
sarò più libera e tornerò a farmi viva, promesso!!! Guarda, non è affatto
banale notare la presenza di Nick, perché non è facile utilizzare un narratore
di questo tipo e sono contenta di riuscire a renderlo in maniera per lo meno
apprezzabile, grazie!
3: uh signur,
adesso pure te, oltre alla 1 ti ci metti a chiedermi storie? Gioie mie, ma io
non ne uscirei viva se dovessi scrivere tutto quello che mi chiedete! Comunque
siete fantastiche, quindi sia la seconda jartha sia
la jiza arriveranno, sì sì,
ma a loro tempo, ok? Oltre a questo, ho solo una cosa da dirti... per quanto
ami Eliza e tutto quanto... Jhrisrulez!!!!
*sventola bandiera Jhris
con onore e fierezza*
Temperance
-Capitolo
Ventisei-
Entrasti come arriva un uragano
Successe come quando passa il vento
Ma io non ti capivo
Non ho mai capito niente
Quel mondo che creavi intorno a me sembrava
solo strano
(i Pooh, Tutto alle tre)
Martha fece per raccogliere una ti shirt abbandonata a se
stessa sul divano, ma questa si rifiutò di seguirla, come fosse stata
incastrata in qualcosa.
Qualcosa che si rivelò essere la mano di Joe, strettamente
ancorata intorno alla stoffa sottile.
“Joe, voglio stirarla.”
“Perché?” Domandò lui, con la sua migliore faccia da
schiaffi. “A me le pieghe piacciono.”
La ragazza sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
“È inutile che compri cose nuove se poi le tieni come
stracci.”
“Quella è vecchia.”
“Le abitudini non nascono dal nulla, c’è bisogno di
esercizio, sai?”
“Senti, ma chi ti ha nominato massaia dell’anno, me lo
spieghi?”
“Il semplice fatto che in questa casa non ci si può stare.”
Replicò la giovane, dando alla maglietta uno strattone più forte degli altri e
riuscendo, finalmente, a strapparla dalla mano di quel cocciuto di mio
fratello.
“Kevin sa che stai riordinando tutto?”
“Non sono riuscito a fermarla.” Lo raggiunse la voce del
fratello dalla cucina, dove stava presumibilmente preparando qualcosa che a Joe
non sarebbe piaciuto affatto.
Sì, perché se Danger era tornato quasi completamente, a
fargli compagnia erano ricomparse anche la sua indole capricciosa e le sue
manie di comando delle quali tutti avrebbero volentieri fatto a meno.
Meglio così che suicida, comunque...
“Non sei riuscito a fermarla? E di che ti ha minacciato, me
lo spieghi?”
“Tu” Incominciò Kevin, emergendo per metà dall’altra stanza
e brandendo un cucchiaio di legno. “Non hai idea di cosa sia il potere di
persuasione che le donne sanno esercitare.
“Avete finito di fare gli idioti? Vorrei finire in fretta,
dato che poi devo anche studiare.”
“E allora risparmiati di stirare i miei vestiti.” Ripetè
Joe, guardandola in cagnesco. “Lo dico per il tuo bene.” Completò, poi, con un
paio di rapidi battiti di ciglia a corredare l’espressione da adorabile
mascalzone.
Scuotendo la testa, Martha arrotolò la maglietta e si avviò
a passo deciso verso il piccolo asse a muro, mentre Joe si alzava per recarsi
in camera sua a preparare le partiture per la lezione con Clarisse di un che
avrebbe avuto luogo circa mezz’ora più tardi.
“Sei perfida con lui, sai?” Mormorò Kevin all’orecchio della
sua ragazza, posandole un bacio veloce sulla guancia prima di immergersi
nuovamente nello strano aroma che proveniva dalla cucina.
Passandovi accanto, Martha si trovò fortemente indecisa tra
il sentirsi inquietata da quell’odore e il provare curiosità, dato che Kevin,
solitamente, non era niente male come cuoco.
Optò, comunque, per la prima. Dopotutto, lei non sarebbe
rimasta fino all’ora di cena, considerato che, ufficialmente, lei si trovava a
studiare a casa di Beatrix.
Sorridendo, posò la maglia di Joe sull’asse e premette il
tasto che azionava il vapore per assicurarsi che l’acqua nel ferro fosse calda.
Le sembrava impossibile che fossero già quasi alla fine di
marzo... quasi quattro mesi insieme a Kevin, nascosta dai suoi e protetta da
sua nonna. Era più di quanto si sarebbe mai aspettata, eppure una punta di
malinconia era sempre presente nei suoi pensieri.
Non sarebbe durata in eterno: avrebbe dovuto dirglielo e
avrebbe dovuto farlo presto, ma aveva così tanta paura delle conseguenze che
quell’azione avrebbe portato con sé...
Passando con delicatezza il ferro caldo sulla stoffa grigia,
si immaginò sua madre che abbracciava lei e Kevin e suo padre che dava loro la
sua benedizione.
Già... peccato che una cosa del genere non sarebbe successa
mai, almeno considerata quella che in quel momento era l’attitudine dei suoi
genitori verso quel fidanzato che consideravano oramai una storia passata, un
episodio a sé stante che non aveva avuto seguito.
È incredibile quando cieca possa essere, a volte, la
gente... sì, perché chiunque, anche un perfetto sconosciuto, si sarebbe reso
immediatamente conto di quanto amore fosse racchiuso negli occhi e nel sorriso
di quella ragazza semplice ed ingenua che in pochi mesi era davvero diventata
adulta.
Fu il suono del campanello, seguito dalla voce di Kevin, ad
interrompere le sue riflessioni su quando e come parlare ai suoi genitori.
“Amore, apri tu, per favore? Sono pieno di farina...”
Sorridendo, la ragazza scosse la testa, chiedendosi come
potesse quel bambino nella stanza accanto avere più di trent’anni.
La mia teoria? Kevin non stava facendo altro che sfruttare
al massimo quella seconda giovinezza che gli era stata donata.
“Vado, vado!” Esclamò la giovane, abbandonando il ferro sul
proprio supporto e muovendo quattro rapidi passi attraverso il minuscolo
appartamento per raggiungere la porta.
“In ogni caso, prima o poi mi dovrai pagare per questi...”
La ragazza ammutolì, trovandosi davanti l’ultima persona che si sarebbe
aspettata di vedere.
I morbidi boccoli rossi raccolti in una bassa coda laterale
e coperti in parte da un basco di lana grigio scuro, gli occhi verdissimi e più
allegri che mai, il fisico sottile, privo della minima sproporzione, un pacco
di carta colorata stretto in mano... la famosa Eliza Doolittle e tutta la sua
bellezza erano lì, in piedi davanti a lei con un sorriso cortese che, al
ricordo della figuraccia di qualche mese prima, la mise ancora più in
imbarazzo.
Chissà se Kevin le aveva raccontato del suo fraintendimento,
di quella stupida scenata di gelosia...
Certo che gliene ha parlato, piccola Martha... gliene ha
parlato mille volte perché per lui quel momento è stato importante, perché è lì
che si è reso conto di amarti. Se avessi saputo tutto questo, tesoro, dubito
seriamente che il tuo viso avrebbe assunto quell’adorabile color aragosta.
“Ciao!” La salutò la donna con tono allegro, tendendole la
destra. “Io sono Liz, ma immagino che tu già lo sappia... Martha, vero? Kevin
mi ha tantoparlato di te!”
“Io... sì, sono... che ti ha detto, esattamente?”
Eliza ridacchiò, entrando e chiudendosi la porta alle spalle.
“Niente di brutto. Fidati, non ne è capace.”
“Chi non è capace di fare cosa?” Domandò Kevin, spuntando
dalla cucina con un mestolo in mano e qualcosa di giallo impiastricciato sul
grembiule.
“Tu non sei capace di cucinare senza sporcarti.” Lo prese in
giro Eliza con un gran sorriso, al quale lui rispose allargando le braccia,
facendo ingelosire non poco la giovane Martha.
“Vuoi qualcosa da bere, Liz?”
Domandò, intromettendosi tra lei e Kevin con un sorriso tiratissimo, calcando
particolarmente la voce sul nome della rossa.
Che si bloccò di colpo, trattenendosi a malapena l’ennesima
risatina.
“No, grazie, sono passata solo per fare due chiacchiere con
Kev... posso?” Chiese, senza la minima ironia nella voce, ben cosciente di
quanto fastidiosa potesse essere la gelosia.
Con tutte le ragazze che aveva avuto Joe...
“Ehm...sì, beh...tanto io...devo andare. É... è tardi.”
E in un attimo fu fuori dalla porta senza giacca,
abbandonando la maglia di Joe mezza stirata sull’asse.
Lo sguardo di Kevin era a dir poco perplesso.
“Glielo hai detto che non mordo?” Chiese Liz, indicando la
porta dietro di sé con un pollice.
“Credo si sia resa conto di aver fatto una figuraccia...mi
fa morire quando fa così.” Affermò mio fratello, mentre le sue labbra si
piegavano in un sorriso dolce.
“Dai, innamorato, andiamo di là, che è un secolo che non
parliamo.”
She’s a
Saturn on the sunroof
With her
red hair a-blowin’
She’s a
soft place to land
And a
good feeling knowing
She’s a
warm conversation
That I
wouldn’t miss for nothing
She’s a
fighter when she’s mad
She’s a
lover when she’s loving
(Brad
Paisley, She’s Everything)
Joe socchiuse la porta della sua stanza il minimo
indispensabile perché lo spiraglio gli permettesse di vedere ciò che accadeva
in soggiorno.
Non aveva sentito male: era davvero lei e mai gli era
sembrata più bella.
Dopotutto, da quanto tempo, ormai, non la vedeva sorridere
davvero e non per cortesia nei confronti di un cliente dall’umore instabile?
La giovane donna si tolse cappotto e cappello e appese il
primo allo schienale della sedia, tenendo il secondo tra le mani rimaste
libere, dopo aver posato il pacco sul tavolo.
Non riusciva a sentire quello che lei e Kevin si stavano
dicendo, ma, dopotutto, non gli interessava affatto. Avrebbero parlato di
lavoro, di loro, di lui, magari... o forse era presuntuoso a pensare di essere
incluso in quei discorsi, non gli interessava.
L’importante era poterla vedere, starle a due passi senza
scappare.
Certo, Joey, era facile, senza che lei ti vedesse...ma io
credo che quel pomeriggio sia stato comunque il milionesimo, minuscolo passo in
avanti, per voi due.
Dio solo sa perché vi siate complicati così la vita... e non
provare a dare la colpa a me, fratellino, perché è da quando eri alto così che
sei innamorato di Liz, eppure non le hai mai dato nemmeno un misero bacio.
Misteri della mente umana... anzi, misteri della mente
Jonas.
Appoggiandosi allo stipite della porta, Joe si prese il suo
tempo per ammirare, non visto, il sorriso luminoso di lei, così come la
delicatezza e l’eleganza di ogni suo gesto.
Chissà che diceva, a Kevin, così animatamente, facendolo
sorridere con un’aria tra il fiero ed il soddisfatto.
Ti sarebbe piaciuto saperlo, eh, Joe?
Gli parlava della tua lettera, di quanta vita le avessero
donato quelle poche parole e lui, che del fatto che tu le avessi scritto non
sapeva nulla, si scoprì incredibilmente fiero del suo fratellino.
Fiero come non era da anni.
Poi gli parlò di Aaron, di come quell’amicizia che sembrava
destinata a non esistere fosse invece diventata, per lei, davvero importante.
Non ti metterai con lui, vero?, fu l’istintiva domanda di Kevin.
È stato in quell’occasione, Joe, che la tua Liz ha scosso la
testa.
Nessuno, per lei, nessuno che non fossi tu.
Alla fine si è alzata, guardando l’orologio e lì anche tu
hai capito che era ora di andare, che quel piccolo momento di pace era finito,
che il mondo era pronto a ripartire.
Ravviandosi i capelli, Liz si lasciò abbracciare da Kevin,
mormorandogli all’orecchio qualcosa a proposito del pacchetto ancora posato sul
tavolo.
Su il cappotto, cappello in testa e via, verso il suo bar.
Un attimo di sosta ancora, sulla porta dell’appartamento,
poche parole pronunciate di corsa ed un bacio volante a Kevin, prima di
rituffarsi nella vita che l’aspettava a braccia aperte.
Joe richiuse la camera, lasciandosi appoggiare pesantemente
alla superficie di legno liscio della porta.
Chiuse gli occhi, assaporando ancora per un istante il viso
di lei, impresso a fuoco nella sua mente.
Un viso aperto e sorridente, radicalmente diverso da quello
che Eliza aveva mostrato negli ultimi anni. Diverso, ed infinitamente più
bello, felice ed innamorato quanto prima era disperato e rassegnato.
Malgrado tutto, era lui la causa di quella gioia e davvero
non riusciva a capacitarsi di come in lei potesse esistere ancora tanto amore
dopo tutto quello che le aveva fatto.
Sì, Joey, lo sapevamo tutti che tu eri certo di non
meritarla, ma ciò che non capisco è perché fossi convinto di avere il diritto
di spegnere di nuovo quel sorriso.
Perché a Liz non interessava che tu la meritassi o meno: lei
voleva amarti e basta.
Sii come le onde del mare
Che pur infrangendosi contro gli scogli
Hanno la forza di ricominciare
(Sergio Bambaren)
Joe non aveva ancora aperto gli occhi quando, qualche minuto
dopo, Kevin bussò alla sua camera con discrezione, chiedendogli, per favore, di
aprire.
Cattivo segno, il fatto che il mio fratellone numero uno
fosse così gentile nei confronti dell’altro.
E Joe lo sapeva perfettamente.
“Ciao, Kev...” Mormorò, infatti, con gli occhi bassi,
permettendogli di entrare.
“Perché non sei venuto di là?” Chiese lui.
Dritto al punto, niente giri di parole.
Molto più da me che da Kevin, ma comunque decisamente adatto
al contesto.
“Di là... perché avrei dovuto?”
“C ‘era Liz e non dirmi che non te ne sei accorto, perché
non ci credo nemmeno se mi paghi il tuo peso in oro!”
Joe si lasciò cadere sul letto con un sospiro rassegnato.
“Volevo farlo, ma all’ultimo non ne ho avuto il coraggio: ho
preferito rimanere qui e guardarla.”
“Le cose tra voi non cambieranno se continuate a guardarvi
addosso e basta.” La sua calma simulata era peggiore di qualsiasi scoppio
d’ira.
“Lo so!” Esplose Joe, scattando a sedere. “Lo so, e
sbloccherò tutto, ma mi serve il mio tempo, ok? Nemmeno ho ancora capito che
accidenti sia stato a farmi tornare in me, non puoi pretendere che mi
inginocchi e le chieda di sposarmi da un momento all’altro.”
Kevin si strinse nelle spalle, concedendosi un sorriso.
“Sarebbe molto da Danger.”
“Già... sei... sei arrabbiato con me? Lo so che ho trattato
male Martha e tutto quanto, ma non sopporto che si tocchino le mie cose e
poi...”
“E poi sei nervoso, lo so. Non sono arrabbiato, Joe, non era
questa l’impressione che volevo darti. Sono preoccupato: ho paura di non vedere
mai te ed Eliza insieme quando siete evidentemente fatti l’uno per l’altra.”
“Lo pensi davvero?” Chiese Joe, con gli occhi
improvvisamente pieni di una strana luce.
“Lo pensiamo tutti, Joey... anche Nick.”
Assolutamente sì.
“Beh... vedrò di non deludervi.”
Kevin ridacchiò, scompigliando i capelli troppo lunghi del
fratello come faceva sempre quando erano bambini.
“Quando vai a tagliarli? Sembri un barboncino.”
Joe si strinse nelle spalle.
“Dipende da Carrie.”
Il maggiore inarcò un sopracciglio, inclinando appena la
testa di lato.
“Carrie?”
Joe scosse la testa, sorridendo e ravviandosi i capelli.
“Christian. E non chiedermi spiegazioni. Comunque mi deve
chiamare per dirmi per quando mi ha preso l’appuntamento. Ma.... cos’è quello?”
Chiese, indicando il pacco che Kevin teneva in mano.
Il pacco che aveva portato Liz.
“Oh, è per te, da Eliza. Dice che per Natale non ti aveva
preso niente e voleva riportarsi in pari. Anche perché non le sembrava giusto
aver preso qualcosa a me e non a te.”
“Non... non mi hai detto che Liz ti aveva fatto un regalo.”
Mormorò Joe, scuotendo appena il capo.
Kevin si strinse nelle spalle.
“È una sciarpa bianca, credo di averla usata solo un paio di
volte. Dai, aprilo.” Spiegò, tendendogli la confezione rettangolare, che lui
afferrò, meno riluttante di quanto pensava di poter essere.
“Grazie, Kevin.” Disse, sorridendo ed iniziando a strappare
la carta colorata.
Vorrei mi facessi un regalo
[...]
Di quelli che non so aprire
Di fronte ad altra gente
Perché il regalo più grande
È solo nostro per sempre
(Tiziano Ferro, Il regalo più grande)
Il pacchetto conteneva, oltre ad una busta che aveva tutta
l’aria di essere una lettera piuttosto lunga, un libro e due cd.
Il volume era uscito parecchi anni prima, lo ricordo
perfettamente, e scriverlo era stato davvero divertente. Si trattava di una
specie di tournèe fotografica che la Disney aveva messo insieme per noi dopo
l’uscita del nostro terzo album e del dvd del film Camp Rock, il nostro primo
successo cinematografico del quale, ovviamente, nessuno ora si ricorda più.
Joe sorrise, malinconico, sfogliando una per una le pagine
patinate che raccoglievano le immagini di quello che certamente era stato il
periodo migliore delle nostre vite, nonché l’apogeo dei Jonas Brothers.
Eravamo una boyband, sapevamo che il nostro successo non
sarebbe durato in eterno, ma allora eravamo certi che non aveva importanza, che
ci saremmo sempre stati, l’uno per l’altro, e questo era l’importante.
La musica veniva dopo.
Il successo veniva dopo.
Ricordo in modo incredibilmente nitido le risate fatte per
scattare quelle foto, Big Rob che ci teneva il gioco, la nostra manager che ci
riprendeva ogni cinque minuti... e poi la fatica, per scrivere la parte più
seria, quella riguardante il mio diabete, e la nostalgia nel passarci di mano
in mano le vecchie istantanee da inserire in memoria di ciò che allora era il
solo passato che conoscessimo.
Un passato felice.
Con un sospiro, Joe ripose il libro sul comodino, passando
ad analizzare i compact.
Il primo non era un originale, ma un Greatest Hits del
nostro gruppo, sicuramente masterizzato da lei stessa, con la raccolta delle
sue canzoni preferite, mentre il secondo, inconfondibile agli occhi del mio
fratellone, era un disco che rappresentava tutto il rapporto che lui e Liz
avevano condiviso, tutta quell’amicizia sempre al confine con l’amore messa in
musica.
Una copertina scura, di un blu quasi nero, e su di essa
disegni sconnessi... un cilindro grigio, una bacchetta magica dalla cui punta
fuoriuscivano schizzi multicolori, la scritta Queen nell’angolo in alto, il
titolo, A Kind of Magic, posta al centro, tracciata con caratteri buffi nel
colore del sole.
Un ricordo.
“Dai, Joey...” Si
lamentò Eliza, lasciandosi cadere sul divano di casa Jonas. “Dammi una mano,
sono stufa di arrivare sempre alla vigilia della festa senza regalo perché non
so che cosa prenderti!”
Joe, chino a firmare
una risma di foto per le fan, ridacchiò, soffiandosi via un ciuffo da davanti
agli occhi.
“Ma se ti dico io cosa
comprarmi non è più una sorpresa.”
“E se poi ti prendo
qualcosa che non ti piace?”
“Impossibile.”
“Danger...” Soffiò la
ragazza, lasciandosi scivolare sul pavimento accanto a lui e sedendogli
esattamente di fronte. “Ti prego...”
Il giovane parve
riflettere, prendendosi in realtà un istante per annegare con tutta calma nel
verde bruciante degli occhi di lei.
“In effetti ci sarebbe
una cosa...” Si arrese infine, sporgendosi a fermarle un boccolo rossiccio
dietro all’orecchio destro.
Ed eccolo, il regalo che lui aveva chiesto e che lei non era
riuscita a fargli, quell’anno.
La loro personale colonna sonora, un dono che era soltanto
loro e che sempre sarebbe rimasto tale.
Soprattutto quella traccia, la numero sei, la canzone più
triste eppure più speciale, su quel dischetto argentato.
Who wants
to live forever.
L’avrebbe ascoltata, si ripromise, ma prima doveva… leggere
la lettera.
Operazione che si rivelò più rapida ed indolore del
previsto, dato che lo spessore della busta era dovuto pressoché totalmente al
fatto che Liz aveva utilizzato, per scrivere, un biglietto decordato
di carta ecologica tagliata piuttosto spessa
Stasera è sera di commenti ed
aggiornamenti, per cui eccomi qui, anche se non ho tempo per ringraziarvi, ad
aggiornare intanto che mangio una caramella e mi studio il mio monologo.
Dico solo a Vitto un grazie per
aver capito cosa intendevo e non essersi arrabbiata... dopotutto, siamo d’accordo
che la sincerità è sempre la miglior politica! Settimana prossima ho la terza
prova, x cui non so se prima di allora riuscirò a scriverti... ma poi lo faccio
immediatamente, appena ho tempo!!!
Temperance
-Capitolo Ventisette-
You,
you want
it all and you think it’s ok
but you
don’t wanna wait
it has
to be today
But I,
I’ve
been around a long long time
And I
know what to do
It’ll be
just fine
(Rebecca
Lavelle, Understand Me)
“Ben svegliata, cucciola, non vedo l’ora che sia stasera,
Kev.” Ringhiò il signor Sheperd, praticamente stritolando il cellulare della
figlia, mentre questa lo guardava, impotente e colpevole dalla sedia sulla
quale sua madre l’aveva praticamente costretta a sedersi.
Si sentiva a dir poco sotto interrogatorio... peccato che
nessuno dei suoi genitori avesse deciso di interpretare il ruolo del poliziotto
buono.
“Mi spieghi che significa questo messaggio?”
“E tu mi spieghi perché lo hai letto?” Domandò la ragazza,
in uno scatto d’ira, alzandosi in punta di piedi per arrivare a guardare il
padre negli occhi. “Ho anche io la mia privacy.”
“Abbassa le ali, signorina!” Intervenne Jaqueline,
interponendosi tra la figlia e il marito. “Ti avevamo detto che non dovevi
vederlo più, quindi mi spieghi perché ti chiama cucciola e perché non vedeva
l’ora che fosse ieri sera? Non eri a dormire da Beatrix, ieri sera?”
Il tono di voce della donna era andato gradualmente
alzandosi, tanto da aver attirato l’attenzione di Jean, che si affacciò alla
porta del salotto brandendo una copia di People che, evidentemente, stava
leggendo.
Decise, però, che per il momento sarebbe stato meglio non
intervenire.
Non direttamente, per lo meno, si corresse mentalmente,
stringendo un po’più forte il cellulare che le aveva regalato suo figlio e che
mai le era parso più utile che in quel momento.
“Non eri da Beatrix?” Ripeté Jaqueline, alzando la voce,
mentre Jean scompariva di nuovo oltre lo stipite della porta.
Martha scosse il capo, senza alzare gli occhi da terra.
“Eri da lui? Martha, guardami in faccia quando ti parlo.”
“Sì, ero da lui, va bene?” Replicò la giovane, obbedendo a
ciò che la genitrice le aveva ordinato. “C’è qualcosa di male in questo?”
“Qualcosa di male? Non ti sembra qualcosa di male l’aver
mentito sia a me che a tuo padre? Non ti sembra qualcosa di male aver passato
la notte a casa di un tuo insegnante senza che nessuno lo sapesse?”
“Nonna Jean lo sapeva. E poi non è più un mio insegnante...
e tutto grazie a te.” Sibilò, senza interrompere il contatto visivo.
Chissà perché, spesso alle donne fa meno paura confrontarsi
con la propria madre che con il proprio padre... io avevo il terrore della
mia...
“Perdonami se io so cosa è meglio per te.”
“Tu non sai niente...” Mormorò la giovane, tornando a
rivolgere la propria attenzione alle piastrelle del pavimento.
“Che hai detto?”
“Guarda in faccia tua madre, quando le parli.”
“Ho detto.” Ripetè Martha, lanciando ai genitori uno sguardo
assassino. “Che voi non sapete un cazzo di quello che è meglio per me.”
“Non osare parlarci così, Martha, non te lo permetto.” La
riprese Jaqueline, arretrando, probabilmente senza nemmeno esserne cosciente,
di fronte a quell’esplosione della figlia.
“Mi permetto eccome, invece! Voi avrete visto Kevin una
volta a dire tanto, non avete idea di chi lui sia o di cosa io sia per lui,
voi... voi non sapete andare oltre la mera apparenza, ecco cosa c’è che non va!
Nemmeno vi sforzate di capire, di vedere, di...”
“Tu non vedi, Martha!” Ribatté la donna, a tono. “Non vedi
che quello è solo un gigolo da quattro soldi il cui unico scopo è quello di
portarti a letto. Sei il suo giocattolino: un paio di giri, e poi sarai
dimenticata, perché non lo capisci?”
“Perché di giri,
mamma, come li chiami tu, Kevin se ne è già fatti ben più di due, in quasi quattro
mesi passati insieme. Ma come puoi saperlo, dopotutto? Ti interessa di me solo
quando si tratta di urlarmi addosso, no?”
“Questo non è vero.”
“Ah no?” Martha si avvicinò impercettibilmente alla madre,
senza distogliere gli occhi chiari da quelli quasi neri di lei. “Il pomeriggio
del primo dicembre sono tornata a casa praticamente camminando sulle nuvole, ma
non te ne sei nemmeno accorta, perché altrimenti mi avresti chiesto che cosa
era successo. Io non ti avrei risposto, ma tu ti saresti interessata e per me
sarebbe stato già abbastanza. Ma no, figuriamoci...”
“Beh, dimmelo ora. Cosa è successo il primo di dicembre?”
“Eh, no, mamma.” Rispose Martha, scuotendo il capo e
cercando di trattenere le lacrime di rabbia che le martellavano le palpebre.
“Adesso è troppo tardi per far finta che te ne freghi qualcosa.”
“Non essere stupida, per favore.” Intervenne il signor
Sheperd. “Se non ci importasse di te credi davvero che saremmo qui a cercare di
porre fine a questa stupida relazione che ti sta rovinando?”
“Ma vaffanculo, papà.... andateci tutti e due. Solo delle
cose sbagliate vi sapete preoccupare.” Esclamò la ragazza, voltando le spalle
ai genitori e correndo su per le scale, una mano ad asciugarsi le lacrime
ribelli che le bagnavano le guance.
Nel frattempo, al piano di sotto, il campanello della porta
di ingresso prese a prodursi in un concerto a dir poco furioso e che sembrava
non dover promettere nulla di buono.
Sì che si può ricostruire un amore
Basta sapere quel che vuoi
Senza nasconderti o scappare
La vita è buche e sassi ma noi giovani
elefanti
Nella testa abbiamo un sogno
Ritornare alle sorgenti
Sì che si può ricostruire un amore
E certe foto un po’sfocate
Si potrebbero rifare
Tanto siamo quel che siamo ieri oggi e poi
domani
E se il cielo sta cadendo
Puoi fermarlo con le mani
(i Pooh, Ricostruire un amore)
“Com’era?”
Due paia d’occhi, uno azzurrissimo e l’altro color
cioccolata, si scambiarono uno sguardo scettico che il sottoscritto non avrebbe
potuto condividere di più.
Patetica.
La sottospecie di dichiarazione che Joe aveva appena finito
di recitare non avrebbe potuto essere definita in alcun altro modo.
“Ehm.... dolce?” Azzardò Clarisse, mentre Christian, seduto
sul letto accanto a lei, scuoteva energicamente la testa.
“Faceva schifo.” Asserì. “Possibile che non sai fare di
meglio, Big?”
“Piantala di chiamarmi Big.”
“Senti, bello, già ti sto aiutando a conquistare un’altra e
la cosa non mi va affatto a genio. Lo faccio, perché tu, malgrado tutto, mi sei
simpatico e perché Kevin è un grande amico, ma non puoi, e quando dico non puoi
intendo dire che non ti è in alcun modo concesso, dirmi come devo o non devo
chiamarti.”
Joe sollevò la mano in un cenno che voleva chiaramente dire
che desiderava essere lasciato in pace, e si voltò sulla sedia, dando le spalle
ai due amici.
“Non sono mai stato bravo in queste cose.”
“Non c’è bisogno di essere poeti... se ami le parole vengono
da sole.” Spiegò il biondo, alzandosi ed avvicinandosi all’altro
“Ma io la amo...”
“Bene, convincimi che è vero.”
“Lo dici come se niente fosse.” Ringhiò Joe, tornando a
guardarlo in faccia. “Fallo tu, visto che è tanto facile!”
“Ehi, non sono io quello cotto e stracotto, qui! Anche
perché se lo fossi, stai tranquillo che Eliza sarebbe già mia da un pezzo,
visto che io non mi faccio nemmeno un sedicesimo delle tue seghe mentali.”
“Chris...” Lo richiamò Clarisse con tono lamentoso. “Se
continuate a litigare non ci muoviamo più di qui... digli come la faresti tu e
basta!”
“Io?” Domandò il giovane, assumendo una tonalità molto
prossima a quella del latte, per poi scuotere energicamente la testa, mentre il
suo cervello elaborava febbrilmente una scusa che potesse risultare quantomeno
plausibile. “Io sono un informatico, ricordate? Non sono bravo con le
parole...”
“Chris, per favore...” Cinguettò Clarisse, stringendosi al
braccio di lui e facendo sporgere appena in fuori il labbro inferiore.
Usavo anche io quella tecnica, anche se il campione
imbattuto resta Joe, e posso assicurare che è davvero, davvero difficile
resistervi.
“D’accordo, d’accordo, fate spazio al maestro.”
Scherzando, si può dire di tutto, anche la verità.
(Sigmund Freud)
Con aria
mortalmente seria, anche se evidentemente simulata, Christian si inginocchiò
davanti a Joe e gli prese la mano con gesto plateale.
E io pensai
che era un grande attore, il professor Prato, perché non esiste miglior
commediante di quello che si appresta a dire la verità fingendo di recitare, a
rendere la finzione più vera di qualsiasi realtà. L’unico problema è che a
recitare troppo, prima o poi si crolla... e allora mettere insieme i pezzi non
è affatto facile.
“Liz...”
Iniziò, abbassando rapidamente gli occhi, come per prendere fiato con tutto il
corpo, invece che solo con i polmoni, per poi rialzarli in quelli di Joe.
“Io... ho bisogno di parlarti... di dirti qualcosa che mi sento dentro da tanto
e ora sta spingendo da ogni parte per uscire. Non sono bravo con le parole, lo
sai anche tu, quindi sarò rapido ed essenziale. Io ti amo, Eliza e credo di
farlo un po’da sempre, ogni giorno un briciolo in più e, per quanto tutto
questo possa risultare terribilmente banale e forse anche un po’noioso... è la
verità, l’unica verità che io conosca.” E poi successe qualcosa. Il tono di
Chris cambiò, la sua voce di spezzò leggermente e io seppi che era avvenuto
quel passaggio, quel transfert che ogni attore dovrebbe evitare: la fusione tra
personaggio ed interprete, la rottura di quella linea invisibile che separa
realtà e finzione.
La fine del
gioco.
“L’unica
verità che io conosca... perché anche se so che tu ami lei è maledettamente
difficile liberarmi di te, di quello che io
provo per te. Vorrei dimenticarti, me lo ripeto ogni sera, ma non ce la
faccio...”
“Chris...”
Lo interruppe Joe, ma il biondo agitò una mano, come a dire di lasciarlo stare,
che non aveva bisogno di niente, mentre con l’altra si sfregava leggermente gli
occhi chiarissimi, diventati di colpo lucidi.
“Lascia
perdere io... io devo andare a casa, ho delle verifiche da correggere, devo
preparare la cena e...”
“Sono le
quattro del pomeriggio.”
“Devo
andare a casa.” Ripetè Christian, quasi sotto voce, ma fermo e deciso,
alzandosi in piedi ed avviandosi verso la porta. “Ci vediamo la settimana
prossima per andare dal parrucchiere. Ciao Clary. Ah, e, Joey, l’ultima parte
non la devi ripetere, ad Eliza.”
Con quello,
fu fuori dalla stanza.
“Che... che
cosa è successo?” Domandò Clarisse, mentre Joe, rossissimo in volto, si passava
una mano tra i capelli, sistemandosi sul letto accanto a lei.
Gli occhi
fissi su un punto imprecisato della parete di fronte a lui, scosse il capo,
senza trovare le parole per risponderle.
“Cosa è
successo, Joe?” Insistette la ragazzina, preoccupata.
“È successo
che riesco a fare casini anche senza muovere un dito, Clarisse.”
If you’re out on the
road
Feeling lonely and so
cold
All you have to do is
call my name
And I’ll be there in
the next train
(Carole King, Where
you lead)
Martha non
era in camera sua da dieci minuti, che una scarica di battiti furiosi si
riversò sulla porta d’ingresso di casa Sheperd, facendo sussultare i coniugi
che ancora stavano discutendo.
“Apro io.”
Biascicò il marito, ansioso di fuggire, almeno per un attimo, da nervosismo di
Jaqueline, non sapendo che quello a cui stava andando incontro era molto, molto
peggio.
Perché mio
fratello arrabbiato, ma arrabbiato veramente, è un’esperienza che non auguro a
nessuno.
“Dov’è
Martha?” Ringhiò Kevin, entrando in casa di slancio senza nemmeno far caso a
chi gli aveva aperto e rischiando di far cadere a terra il povero signor
Sheperd che, però, non si perse d’animo.
“Che ci fa
lei qui, Jonas?” Domandò, senza celare l’astio, sistemandosi gli occhiali sul
naso.
“Mi ha
chiamato sua madre, che è l’unica a capire qualcosa di amore in questa casa.
Dov’è su figlia?”
“In camera
sua e ci resterà. E non permetterti di parlarmi così, ragazzino!”
“Non sono
un ragazzino, signor Sheperd.”
“Ma mia
figlia sì.”
“Voglio
vedere Martha.” Soffiò mio fratello, a pochi centimetri dal viso dell’uomo, più
alto di lui di poco più di un dito.
“No.”
“Non me ne
frega niente di quello che dice, ok? La mia fidanzata, la donna che amo ha
bisogno di me, quindi ora lei mi dice dov’è la stanza e io ci vado. Punto.”
“Tu non vai
da nessuna parte che non sia fuori da quella porta, Kevin.” Disse Jaqueline, apparentemente molto calma, ma calcando
fortemente sul nome dell’uomo, che la guardò come se si fosse accorto della sua
presenza solo in quel momento.
“Lei è
quella che ha tentato di farmi licenziare.” Mormorò, con il tono di chi non fa
altro che constatare un dato di fatto.
“E tu sei
quello che vuole portarmi via la mia bambina.”
“Detta
così, sembro un sequestratore o qualcosa del genere.”
“Fidati che
per me non sei niente di meglio.”
“Ma si può
sapere che diavolo sta succedendo?” Domandò Jean, entrando nella stanza con
un’aria di totale innocenza che per poco non fece scoppiare Kevin a ridere.
“Oh, ciao Kevin.” Salutò con un sorriso.
“Mamma,
torna di là.”
“Oh, ora
dai ordini anche a me, Daniel? Devo ricordarti che sono io la madre?”
“Tu sei una
nonna che ha tenuto il gioco di nascosto al cosiddetto fidanzato segreto di sua
nipote. Che razza di rispetto ti meriti, tu?”
“Mi
perdoni, signor Sheperd, ma sua madre qui è l’unica ad aver capito quello che
c’è tra me e sua figlia e probabilmente non esiste persona in tutto lo Stato di
cui io abbia maggior rispetto.”
“Di chi
rispetti tu non mi interessa assolutamente niente.” Soffiò Daniel. “Ma stai
lontano da mia figlia.”
“Nemmeno
per idea.” Replicò Kevin, con lo stesso tono, sostenendo lo sguardo dell’altro
uomo.
“Questa
conversazione è assurda.” Intervenne Jean, nonostante lo sguardo quasi omicida
lanciatole dalla nuora. “Voglio dire, cos’è che vi dà tanto fastidio di questo
ragazzo?” Domandò, posando una mano sulla spalla di Kevin, come per dirgli che
lei era lì ed era dalla sua parte. “Insomma, è solo l’età che vi dà fastidio? O
il suo passato? Ho conosciuto Kevin prima che suo fratello morisse, il suo è
stato solo un momento di crisi.”
“Mamma, un
momento di crisi non dura quattro anni.”
“Ci è
passato, signor Sheperd?” Chiese Kevin, inaspettatamente.
“Cosa?”
“Le ho
chiesto se ha mai perso qualcuno di caro in modo totalmente inaspettato.”
“Io...”
Biascicò l’uomo, colto di sorpresa. “No, non mi è mai successo.”
“E allora
non giudichi, perché lei non ha idea di cosa voglia dire, né di quanto una
crisi derivante da questo possa durare. C’è bisogno di qualcosa di forte per
uscirne e non parlo di medicine, ma di emozioni e a me le ha date Martha. So
che è una cosa pazza e non è certo il tipo di relazione che immaginavo avrei
avuto, ma tant’è e non ho nessuna intenzione di lasciar perdere.” Concluse,
avviandosi verso la porta. “Potete dire e fare quello che volete, ma Martha ed
io ci apparteniamo, dunque continueremo a stare insieme, che a voi la cosa vada
bene oppure no.”
Senti....
Chris, sono grande, l’ho capito, sai
Io ti rispetto, resta quel che sei
Tu che puoi...
(adattamento da Pierre, i Pooh)
Christian
si lasciò cadere pesantemente sulla panchina appena dietro all’angolo del
palazzo dove abitavano i miei fratelli, il viso affondato tra i palmi delle
mani e il corpo scosso da leggeri sussulti.
Erano anni
che non piangeva, più o meno da quando, adolescente, si era reso conto della
propria omosessualità e aveva passato i peggiori mesi della sua vita nel
tentativo di reprimerla.
Nella
speranza di sentirsi di nuovo normale... poi aveva capito che non c’era
assolutamente nulla di anormale in lui. Ecco, quella era stata l’ultima volta
in cui si era sentito triste come in quel momento.
Ma per
amore non aveva pianto mai.
Non capiva
davvero come avesse potuto arrivare a ridursi così... pensava che ciò che
provava nei confronti di Joe fosse solo pura attrazione fisica, nulla più di
questo, ma poi l’aveva conosciuto, aveva parlato con lui e, nell’ultima
settimana, avevano trascorso insieme metà del loro tempo libero, quando non tutto
quanto...e aveva imparato ad amare, amare davvero il suo modo di fare burbero e
scostante, le sue battutine idiote e la sua ironia non troppo sottile.
No, si
trovò a pensare, suo malgrado, non erano più i tempi in cui Joe per lui era
semplicemente il più bel culo del New Jersey...
E lui era
patetico, seduto su una panchina nel bel mezzo di Princeton in lacrime per il
fratello del suo migliore amico.
Forse
avrebbe fatto meglio ad alzarsi, recuperare la macchina ed andarsene a casa,
visto che il suo modo di vestire piuttosto eccentrico era solito attirare gli
sguardi dei passanti e quella non era una zona esattamente sicura della città.
Gli era già
successo di tornare a casa con un occhio nero e qualche livido sparso dovuti
all’incontro fortuito con bande ben nutrite di ragazzetti omofobici più per
moda che per vera convinzione. E il suo fisico da ballerino non era esattamente
quel che si dice adatto per difendersi.
Stava per
dare ascolto al buon senso ed alzarsi, quando una voce richiamò la sua
attenzione, bloccandolo sul posto.
“Professor
Prato? È lei?”
Alzando gli
occhi, il giovane uomo si trovò davanti Martha Sheperd, i capelli biondi
raccolti alla bell’e meglio in una coda bassa, un grosso zaino sistemato sulle
spalle e gli occhi arrossati.
Anche lei doveva
aver pianto...
“Martha...”
Mormorò, facendo per andarle in contro ma ritrovandosi molto più debole del
previsto. Arreso, decise di rimanere seduto e le fece cenno di avvicinarsi,
mentre con l’altra mano finiva di asciugarsi gli occhi ancora umidi di lacrime.
“Sei venuta a trovare Kevin? È uscito di corsa circa una ventina di minuti fa e
sembrava davvero fuori di sé...”
“Davvero?”
Chiese lei, stringendosi nelle spalle e sedendogli accanto, dopo aver
depositato a terra il borsone. “Joe ne avrà combinata una delle sue...”
“No, Joe
non c’entra, fidati.”
“Beh, poco
male, in ogni caso, non ero venuta a cercare lui. E lei che ci fa qui?”
Chris
scosse il capo mestamente, per poi cercare immediatamente di mascherare quel
gesto con uno dei suoi soliti sorrisi.
“Sto dando
una mano a Joe con una cosa che deve preparare... sai, è un bel ragazzo, ma non
ha proprio senso estetico... nessuno si innamorerà mai di lui, se non faccio
qualcosa, tanto meno quella Liz.”
Perché le
era sembrato che sulle parole quella Liz
gravasse tutto il disprezzo di questo mondo?
“Lei sì,
però, non è vero?”
“Io sì
cosa?”
“Lei se n’è
innamorato.”
“Come mai
quello zaino? Hai fatto qualcosa che dovrei sapere, Martha?” Improvvisò lui,
indicando la borsa di tessuto azzurro.
“Non cambi
discorso!”
“Non ti
facevo così combattiva...”
“Lei ha
pianto, vero?”
Christian
scosse il capo un paio di volte, per poi decidere che, in fondo, sarebbe stato
perfettamente inutile continuare a negare. Dopotutto, anche lei era una vittima
del fascino Jonas...
“Sì, io... non
molto, ma... sì, ho pianto.”
“Per lui?”
Il biondo
annuì in fretta, prima di passarsi un braccio davanti al viso, come per
bloccare sul nascere un nuovo attacco di pianto, e prendere a torturarsi
nervosamente entrambe le mani.
“Scusa,
sono un cretino e tu non c’entri niente. Ti serve un passaggio?”
“Prof, che
è successo?” Domandò la ragazza, posandogli una mano sulla spalla in segno di
conforto.
Chris
sospirò, ravviandosi i capelli chiari.
“Niente di
speciale, solo che mi sono lasciato andare un po’troppo quando sapevo
perfettamente che lui non avrebbe mai potuto ricambiare i miei sentimenti.”
“E perché
no? Insomma, lei è...”
“Un uomo,
Martha, e lui ama una bellissima donna. Nessuno farebbe mai il tifo per me,
quando l’avversaria è Eliza. Nemmeno io lo farei, diamine! A volte penso che ci
deve veramente essere qualcosa di sbagliato in me, visto che nessuno sembra
volersi innamorare di me... forse sono semplicemente nato sbagliato. Se fossi
donna avrei molti meno problemi.”
“Se fosse
donna non sarebbe il mitico prof Prato, ma solo una noiosissima insegnante di
informatica esattamente uguale a tutte le altre.”
“Forse, ma potrei provarci con Joe per lo meno alla pari con
lei.”
“O forse, vista la sua tendenza alla misoginia e alla sua
repulsione verso tutto ciò che è ordinato e pulito, Joe non l’avrebbe nemmeno
fatta avvicinare a lui per paura che stirasse i suoi vestiti.”
Christian ridacchiò, reclinando leggermente il capo e
guardando la ragazza di sottecchi.
“Capisco perché Kevin è così perso per te.” Sussurrò, per
poi scompigliarle i capelli con dolcezza quando la vide arrossire. “Sei una
brava ragazza.. anche se tu e i computer non avete un gran feeling. I
piacerebbe poterti dare voti più alti.”
Martha si strinse nelle spalle, sorridendo, intimamente soddisfatta
di essere riuscita a tirargli su il morale almeno un po’.
“Una c non è poi così male, come voto. Anzi, se potesse
costringere la prof di educazione fisica a darmene un po’anche lei...”
Christian rise, mentre entrambi si alzavano in piedi.
“Prometto che userò tutto il mio charme per farlo. Sicura
che non ti serve un passaggio?”
“No, grazie, prof, sto andando a casa Jonas. Ci vediamo
domani a scuola.”
“A domani!” Esclamò Christian, infilando entrambe le mani
nelle tasche della giacca ed avviandosi, un po’più leggero, verso la propria
macchina.
Ok, scusate, scusate scusate, ma di nuovo non ho tempo per ringraziarvi tutti...
dopo Berlino giuro e spergiuro che mi riporterò in pari con tutto quello in cui
devo riportarmi in pari, crepassi facendolo!!
Altro capitolo parto... spero
sia venuto comunque bene! E vorrei dire ad una certa 3 che non si pensi di
saltare il commento allo scorso capitolo!!! Perché la picchio!!!
Temperance
-Capitolo
Ventotto-
C’è un tempo per il silenzio assenso
Solido e denso
Di chi argomenti ormai non ne ha più
Frasi già dette già riascoltate
In mille puntate
Di una soap opera alla tv
(Max Pezzali, Lo strano percorso)
“Martha...”
La ragazza alzò appena gli occhi dal foglio sul quale stava
tentando, malgrado la lezione di canto che si stava svolgendo a tutto volume
nella stanza accanto, di scrivere qualcosa di sensato e rivolse a Kevin un
sorriso frettoloso.
“Martha, non puoi restare qui.” Ripetè lui, per l’ennesima
volta, in quella settimana, senza più preoccuparsi di levarsi dal volto
quell’espressione terribilmente preoccupata.
“Kevin, ancora?” Domandò lei, lasciando cadere la penna,
scocciata. “Ne abbiamo già parlato, mi pare.”
“Fino alla nausea, ma il fatto di averne parlato non cambia
le cose. Devi tornare...”
“A casa, lo so.” Continuò lei, distratta, cancellando
rapidamente un paio di parole.
“Appunto. Non posso continuare a dormire sul divano per
tutta la vita.”
“Sei un po’egoista, non ti sembra? E poi tu hai deciso di
dormire sul divano, io ti avevo detto di stare di là con me.”
“Come no... sai che comodità, in due in un letto a una
piazza.”
“Come fosse la prima volta...”
Kevin alzò gli occhi al cielo, ravviandosi i capelli con
gesto nervoso. Quante, quante volte ancora gli sarebbe toccato di ripetere quel
discorso, quante?
“Sono due cose diverse.” Spiegò, afferrando una sedia di
malagrazia e sistemandovisi sopra come in sella ad un cavallo, le gambe ai due
lati dello schienale. “Intanto quando si fa... quello che noi solitamente
facciamo su quel letto si occupa molto meno spazio.”
“Ma le molle cigolano.”
“Questo” Intervenne lui, alzando l’indice sinistro davanti
ai suoi occhi e bloccandola immediatamente. “Questo è del tutto secondario. Il
punto è che io obbiettivamente non ce la faccio a dormire in metà dello spazio
che serve a qualsiasi individuo per riposare bene, svegliarmi tutte le mattine
con il mal di schiena e avere la forza materiale per fare tutto quello che devo
fare per poi, magari, alla sera trovare anche il tempo di giocare al dottore
con te.”
“Parli come i mariti vecchi e noiosi nelle sit com.”
“Ma io sono più
vecchio di te!”
“Ma non hai settant’anni!”
Credo che ricorderò quel giorno come uno dei più spassosi
della mia eternità, sapete?
Veder litigare quei due era, ed è a tutt’ora, una delle mie
attività preferite in assoluto: è come una commedia a teatro, solo che non si
paga il biglietto.
“I tuoi almeno lo sanno che sei qui?”
Martha alzò gli occhi al cielo, soffiandosi via una ciocca
di capelli chiari da davanti al viso.
“Sì, lo sanno, ho lasciato un biglietto.”
“Bello. Cari mamma e papà, mi trasferisco dall’uomo che più
odiate in tutto lo Stato e da suo fratello ex psicolabile. Tante care cose.”
“Piantala!” Esclamò la ragazza, alzandosi in piedi,
avvicinandosi a lui ed assestandogli un pugno deciso sul braccio. “Non ho
scritto niente di simile e, comunque, questa lettera è per loro.”
“Lettera?” Domandò Kevin, allungando un braccio ad afferrare
il foglio coperto dalla calligrafia ordinata della giovane. “Ci stai lavorando
da almeno tre giorni, sarà un romanzo, ormai.”
“Ridammelo!” Quasi gridò lei, gettandoglisi addosso, mentre
lui teneva il pezzo di carta il più lontano possibile dalle sue mani. “Non lo
puoi leggere!”
“È il secondo volume delle Canterbury Tales? O il quarto
regno della Divina Commedia?”
“Kevin!!” Ululò Martha, riuscendo finalmente a strappargli
la lettera dalle mani ed alzandosi, fintamente offesa. “È solo una lettera per
i miei genitori. Che tu non devi leggere. Ora io vado a lavarmi, lei resta qui,
nel mio quaderno. C’è una remotissima speranza che io torni senza che tu
l’abbia imparata a memoria?”
Kevin si strinse nelle spalle.
“Nessun problema, se davvero non vuoi che la legga non lo
farò.”
Grande attore, mio fratello.
O forse grande ingenua Martha.
O, chissà, magari nessuno dei due...
Non appena la giovane fu sparita oltre l’angolo del
corridoio, Kevin sollevò la copertina del piccolo quaderno su cui Martha stava
scrivendo ed afferrò il foglio ripiegato in quattro poggiato al suo interno.
Si aspettava una lettera di scuse, di spiegazioni, un vi
voglio bene infilato da qualche parte, un mi mancate sul finale... la lettera
di un’adolescente pentitasi del suo gesto impulsivo, insomma.
Niente, niente di simile a quello che, effettivamente, trovò
vergato su quella carta con l’inchiostro blu di una delle sue penne preferite,
quella che lei gli aveva sequestrato un paio di settimane prima.
Mai si sarebbe aspettato una lettera d’amore.
Pretty
woman, won’t you pardon me
Pretty
woman, I couldn’t help see
Pretty
woman
I don’t
believe you, you’re not the truth
No one
can look as good as you
...mercy!
(Roy
Robson, Pretty Woman)
Entrando nel salone del suo parrucchiere di fiducia,
Christian si lasciò avvolgere per qualche istante dalla forte mistura di
profumi che riempiva sempre la piccola sala, concedendo un po’di pace ai propri
sensi.
Non trovava assolutamente giusto che, nella visione
popolare, un piacere del genere dovesse essere riservato solamente alle donne.
Non aveva, forse, anche lui il diritto di farsi coccolare un po’, una volta
ogni tanto?
Personalmente, ho sempre detestato andare a tagliarmi i
capelli, ma devo ammettere che non è per niente male poter dimenticare, per
quella mezz’ora al mese, tutto ciò che non riguarda shampoo e messa in piega.
Gratificante, potrebbe essere questa la definizione
corretta.
Non doveva distrarsi, però, era lì per un motivo ben preciso
e non lo avrebbe perso di vista.
Prendere l’appuntamento di Joe per quel pomeriggio, andare a
recuperare il diretto interessato, portarlo a pranzo in un posto che vendesse
qualcosa di più salutare di un hamburger e tornare a casa in tempo per l’inizio
del film che voleva vedere.
I piani, però, Christian, non vanno sempre come uno li aveva
stabiliti e a volte basta davvero poco a sconvolgere tutto.
A volte, solo un nome è sufficiente...
“Mi hai detto Eliza, giusto?” Domandò la voce familiare di
John, il parrucchiere, mentre Chris appendeva la giacca nell’ingresso, aiutato
dalla nuova assistente che, da quando l’aveva visto, aveva l’aria di aver
dimenticato anche il proprio nome.
“Eliza Doolittle, sì.”
Christian trasalì e, agitando velocemente una mano, fece
cenno alla ragazza, che gli stava domandando qualcosa, di tacere. Si affacciò,
poi, oltre l’angolo che separava l’ingresso dal salone principale, trovandosi
per la prima volta davanti alla donna che aveva rubato il cuore di Joe.
Ora, sapeva che Liz fosse bella, ma non si aspettava che lo
fosse in quel modo.
Una bellezza non ricercata, non costituita da chili di trucco,
ma una bellezza semplice, di quelle che tolgono il fiato solo perché sono
autentiche come non mai.
Come quella di Joe, si ritrovò a pensare, con un mezzo
sorriso.
Joe che non aveva bisogno di vestiti colorati e un look
sempre all’ultima moda, Joe che sapeva essere affascinante anche con addosso
una t-shirt non stirata e con i capelli scombinati.
Per questo quei due erano tanto affini... e per questo lui
non avrebbe mai avuto nemmeno mezza possibilità.
Che poi, era davvero sicuro di volerne?
“È proprio bella, quella ragazza, eh?” Chiese l’assistente,
che in qualche modo a lui ignoto gli si era avvicinata più del dovuto.
“Già.” Rispose lui, con un velo di amarezza. “Pure troppo.”
“Anche tu lo sei... pure troppo.”
“Ehm... grazie. Quanti anni hai, gioia?” Chiese
l’insegnante, senza staccare un istante gli occhi da Eliza che, appoggiata al
bancone, aspettava, paziente, che la lentissima cassa di John finisse di
stampare la sua ricevuta.
“Sedici, ma ne faccio diciassette a novembre. Mi chiamo
Alex.”
“Alex, guarda i ragazzi della tua età, che è meglio...”
“Lei ti piace?”
Christian non fece in tempo a rispondere, che una terza voce
si intromise nella conversazione.
“Posso?” Domandò Eliza, sorridendo ed indicando il
cappottino scuro che si trovava appeso esattamente alle spalle di Christian.
Lui la guardò per un istante, sorpreso. Doveva essersi
avvicinata nella frazione di secondo in cui lui aveva dedicato la sua
attenzione alla ragazzina... e da vicino era ancora più terribilmente,
dolorosamente bella, forse a causa di tutta la dolcezza celata da quegli occhi
verdissimi.
“Oh, ehm... scusi...” Boccheggiò, spostandosi di scatto per
lasciarla passare.
Lei, però, non si mosse.
“Io l’ho già vista da qualche parte, possibile?”
“Io... non saprei...” Rispose il biondo, colto alla
sprovvista. “Forse a scuola? Sono un amico di Kevin...”
Eliza aggrottò appena la fronte e lui si rese conto di
essersi tradito.
“Kevin Jonas? Come fa a sapere che lo conosco?”
“Ho...ehm...sentito il suo nome, miss Doolittle e Kev...
beh, Kev parla spesso di lei.”
“Tu sei Christian, vero?” Chiese, passando improvvisamente
al tu, con sommo sollievo di lui.
“Sì.” Rispose con un sorriso, stringendo la mano che lei gli
porgeva. “Piacere di conoscerti, Liz.”
“Senti, lo so che non ci conosciamo, ma... sai come sta
Joe?”
E fu allora, guardando l’espressione di quella donna, di
quella donna innamorata, che Christian seppe che, per quanto Joe gli piacesse,
non avrebbe mai e poi mai potuto provare a separarli.
“Gli manchi.” Replicò con un sorriso riuscito solo a metà.
“Da impazzire.”
Senti i respiri del mondo
Con nella testa il tam tam del cuore
Favole scritte e pensate
Su quel vulcano chiamato amore
(i Pooh, I respiri del mondo)
Mamma, papà,
vi scrivo questa
lettera per parlarvi di una persona che per me è davvero importante, ma che voi
vi ostinate a vedere soltanto come un nemico. Spero che leggerete fino in
fondo, senza lasciarvi prendere dalla voglia di bruciare tutto, me compresa,
soprattutto dopo quello che ho fatto, perché ci tengo davvero che voi veniate a
conoscenza di ciò che io realmente provo per lui.
Non credo ci sia
bisogno di dirvi chi lui è, ma io lo faccio ugualmente, non si sa mai, no?
Paul Kevin Jonas II.
Un uomo romantico
quanto il suono del suo nome, un uomo sensibile che sa apprezzare le piccole
gioie della vita, trovando la bellezza in tutto ciò che trova sulla sua strada
nonostante la sua, di strada, non sia stata esattamente quel che si suol dire
facile da percorrere.
La musica è nella sua
anima, anche se lui pensa che se ne sia andata, lo muove, lo controlla, lo fa
andare avanti, superare ogni dolore. Non so se vi rendete conto di cosa
significhi sentirsi dire da uno così “Tu sei la mia musica, Martha”.
È amore, amore puro e
semplice.
Se è vero quello che
si dice, che una fotografia vale più di mille parole, allora le immagini di lui
che io ho impresse a fuoco nella mente, di tutti i momenti, belli e brutti
vissuti con lui, sono il più lungo e il più reale di tutti i romanzi.
È lontano dalla
perfezione, ha fatto tanti errori, ma sta lottando per porvi riparo e questo,
per lo meno ai miei occhi, lo rende migliore di chi non ha sbagliato mai.
Ama stringermi a sé,
vicino al suo cuore e sdraiami con lui sotto un cielo di stelle è stato
sufficiente a portargli via il respiro, anche dopo tutto il male che ha visto.
È speciale e non mi interessa quello che gli altri pensano di lui: sono onorata
e felice di averlo conosciuto, perché è quello che è e, anche se il mondo ha
tentato di cambiarlo, lui si è sempre dimostrato più forte e sono orgogliosa
del fatto che un po’di questa forza gliel’ho regalata proprio io, io che non
pensavo di averne abbastanza nemmeno per me.
Kevin è uno spirito
libero che ora chiede il massimo da quella vita di cui io voglio fare parte per
capire come possa, dopo tutto quello che ha vissuto, trovare nella semplicità
del mondo uno stupore più forte di qualsiasi droga.
So che voi in lui
vedete solo il professore donnaiolo che sta cercando di rubarvi vostra figlia,
ma non è quello l’uomo che amo.
Io amo un uomo così
forte da saper ammettere le proprie debolezze, un uomo che sa emozionarsi per
un fiocco di neve e che sa ancora provare sentimenti forti, nonostante tutto.
Un uomo che, per caso,
è stato anche il mio insegnante di musica e ha dodici anni più di me.
Anche, non solo.
Per questo voi
dovreste cercare di andare oltre la sua età e il suo passato, proprio come ha
fatto la nonna. Perché io e Kevin ci amiamo e credo sia giusto farvi sapere che
non smetteremo di farlo, qualunque sia la vostra opinione in merito, ma voglio
anche che siate coscienti che io tengo moltissimo alla vostra approvazione e
non vedo l’ora che anche voi conosciate davvero la persona straordinaria di cui
mi sono innamorata.
E conto che riuscirete
a farlo presto.
La vostra bambina.
Sempre.
Martha
“...Joe?”
Kevin sbatté un paio di volte le palpebre, prima di rendersi
conto di dove si trovava e, soprattutto, di chi aveva tutta l’aria di aver
appena concluso una domanda di cui lui non aveva sentito assolutamente niente.
“Chris?” Domandò, stranito, inclinando il capo lateralmente.
“Bravo, vedo che ancora mi sai riconoscere, complimenti. Ho
suonato il campanello per dieci minuti senza trovare una singola anima pia
disposta ad aprirmi, poi è passato, non so se per caso o per miracolo, il
proprietario del palazzo, devo avergli fatto pena e mi ha fatto entrare. Si può
sapere dove cavolo avete la testa tu e tuo fratello?”
Kevin lo fissò in silenzio ancora per un paio di secondi,
prima di riscuotersi totalmente dallo stupore che quella lettera gli aveva
provocato.
“Joe sta facendo lezione di canto con Clarisse e io...”
“Tu sei in piena sessione di viaggio su un altro pianeta, ho
capito. Devo parlare con Joe, dov’è?”
Senza aprire bocca, Kevin indicò con gesto vago la porta
della stanza di Joe, per poi dirigersi a passo deciso verso il bagno, la
lettera ben stretta in mano.
“Dove vai?”
“A ringraziare Martha di una cosa.”
“In bagno?” Chiese il biondo, inarcando un sopracciglio.
“Certo!” Rispose Kevin, sorridendo. “Il bagno è un ottimo
posto per dire grazie.”
“Va bene... ma passami la piastra, prima!”
C’è un tempo per qualcosa sul viso
Come un sorriso
Che non c’era ieri e oggi c’è
Sembrava ormai lontano e distante
Perso per sempre
E invece è ritornato con te
(Max Pezzali, Lo strano percorso)
“Buongiorno popolo!” Esclamò Christian facendo irruzione
nella stanza di Joe e facendo trasalire Clarisse a tal punto che le andò un
po’di saliva per traverso nel bel mezzo di un acuto e prese a tossire come una
malata terminale di tisi.
“Mi vuoi ammazzare?” Esalò la ragazzina, afferrando la
bottiglietta d’acqua che Joe le aveva prontamente offerto.
“No, bimba, non prima della tua gara, così per una volta
qualcuno farà vedere a quell’ochetta di Madison cosa vuol dire cantare davvero.
Comunque sono qui per un motivo ben preciso, che Joe sa bene. Vero, Joey?”
“Sì, sì... per quand’è l’appuntamento?” Domandò mio
fratello, senza osare guardare in faccia l’amico.
“Joe...”
“Chris, mi dici, per favore, per quando mi hai preso
l’appuntamento?”
“Joe, guardami.”
“Ehm... io vado in bagno.” Intervenne Clarisse, fiutando che
qualcosa non andava.
“No!” La bloccò Christian, afferrandola per un polso. “In
bagno no. Fidati.”
“E perché...”
“Perché no. In ogni caso, io e Joe non dobbiamo dirci nulla
che tu non possa tranquillamente stare ad ascoltare.” Dichiarò, serio come la
bambina non lo aveva visto mai, per poi sciogliersi in un sorriso dolce come il
miele.
Un sorriso che Joe certo non si aspettava di vedersi
rivolgere di nuovo.
Un sorriso in cui non sperava più.
Non era innamorato di Christian. Se fosse arrivato prima,
nella sua vita, chissà, forse qualcosa in più per lui avrebbe provato... o
forse no.
Dopotutto, Eliza per lui era sempre stata Eliza e dubitava
che Chris sarebbe riuscito a cambiare questo. Tuttavia aveva avuto paura, paura
davvero di non vedere più quel sorriso perché il biondo professore era riuscito
in pochi giorni a diventare il suo unico amico con più di dodici anni che non
fosse suo fratello.
Per questo era speciale, per lui.
Per questo odiava la consapevolezza di averlo fatto soffrire.
“Non... non mi odi?”
Christian si strinse nelle spalle, scuotendo appena il capo.
“Se ti amo come posso essere capace di odiarti? E poi se ti
odiassi non sarei qui. Non avrei mai dovuto dirti quelle cose... non così, per
lo meno. Pace?”
Joe lo guardò interdetto per qualche secondo, per poi
allungare una mano leggermente riluttante verso di lui.
“Pace...” Mormorò, sorridendo appena quando Chris, invece di
stringergli la mano, lo attirò a sé in un abbraccio che, giunto dopo la
certezza assoluta di aver perso il suo amico, gli fece un immenso piacere.
“Bene, Jonas numero due, ora che abbiamo chiarito...” Iniziò
Christian, allontanandosi da Joe, mentre questo sospirava, sconfitto.
“Sì, lo so, lo so... il parrucchiere. A quando?”
“Non è un’esecuzione, Joe...” Lo rimbeccò Clarisse, facendo
ridacchiare Chris che, nel frattempo, si era chinato a raccogliere qualcosa che
aveva lasciato appena fuori dalla porta.
“Non ti preoccupare, non ti porterò al patibolo, Joey caro.”
Perché quel ghigno sulla faccia del professore non lo
rassicurava affatto?
“Ah no?”
“Oh, no... sarà il patibolo, in effetti, a venire da te.”
Siamo due intelligenti, sani e un
po’violenti
C’è pigrizia e fantasia...
C’è da darsi in faccia l’amore
(i Pooh, Cosa dici di me)
Martha fece per uscire dal bagno, dandosi mentalmente della
cretina per aver lasciato Kevin da solo con la sua lettera, ma si trovò la
strada bloccata da un ben famigliare professore di musica.
Che, guarda caso, stringeva in mano proprio la suddetta
lettera.
Cretina, appunto.
Come aveva potuto pensare che non l’avrebbe letta?
“Vai da qualche parte?” Domandò lui, spingendola dolcemente
indietro con la mano libera.
“In...soggiorno?” Azzardò lei, ignorando deliberatamente il
pezzo di carta scritto.
“A cercare di nascondermi ancora questa?” Chiese, ostentando
deliberatamente la lettera davanti al naso, di modo che lei assumesse in rapida
successione tutti i colori della gamma del rosso.
“L’hai letta?”
“Tu che dici?”
“L’hai letta.” Soffiò la giovane, sconsolata, appoggiandosi
alla porta trasparente della doccia. “Non dovevi farlo, ora riderai di me vita
natural durante.”
Kevin sgranò gli occhi, piuttosto basito da quella
situazione piuttosto surreale.
“Perché dovrei ridere di te?”
“Per le cose che ho scritto, no?”
Kevin sorrise, posando la lettera sul mobiletto del bagno
per poi circondare con le braccia la vita di Martha.
“Amore, io ho quasi pianto...” Le mormorò all’orecchio,
spingendola leggermente all’indietro, di modo che la porta si aprisse e lei
entrasse nella doccia.
“Pianto...?”
“Sì... hai detto tante volte cose belle di me, ma pensare
che vuoi farle sapere anche ai tuoi è...”
“Stupido.”
“Dolcissimo.” Esalò sulle sue labbra, spingendola contro la
parete per poi prenderla in braccio.
“Dolcissimo...” Ripeté Martha, lasciando che la mano di lui
si insinuasse sotto alla sua maglia...e limitandosi a sperare che la porta
fosse stata chiusa.
Ebbene sì, signore e signori, finalmente sono riuscita a
concludere il capitolo ventinove!!! E oramai ne mancano veramente pochi alla
fine! Sono emozionata, sapete? Hihi ma ho già altre cosine in cantiere...devo
solo decidere a quale dedicarmi per prima!!! Ne approfitto per farmi un po’di
pubblicità...ho pubblicato una shot nuova: Ad un bambino...se vi va di leggerla
e commentarla mi fate piacere! J
E ora, finalmente, dopo tre capitoli, i ringraziamenti!
Mangaka_Baka: una nuova lettrice! Devo dire che
l’inizio della tua recensione mi ha spaventata, eh... ma menomale che poi hai
scritto anche che ti piace!!!
Sweet_Doll:No, no, niente lacrime, dai!!! Le cose sono notevolmente migliorate
rispetto all’inizio, no? E Chris è amore...
Jeeeee: spero di aver messo tutte le e XD
cavoli che sfogo!! Non credo che Chris combinerà niente di celatante...
ma con il caro prof prato non si può mai sapere davvero!
Smemo92: hihi beh, dai, Joe dal parrucchiere non ci va,
visto che Chris ha deciso per il fai da te... e la lettera, cavoli, ha fatto
successo! Mi fa piacere!
Alexya379: giuro che l’ha scritta una 18 enne... magari non
Martha, ma sempre di 18enne si tratta!
Maggie_Lullaby: eccola, la donna delle
doppie recensioni! Avevi capito bene la prima volta: è Joe ad usare la piastra,
non Chris!!! XD
Lyan: ma perché siete tutti convinti che
Chris combinerà qualcosa? *faccinomalizioso*ebbè...chi vivrà
vedrà, temo!
La Fitto; ehi, te l’avevo detto che fino a fine mese non mi
sarei fatta sentire! Daaaaai, non fare l’offesa.... sennò non ti porto niente
da Berlino....
1: scusa scusascusa non sto a rileggere tutto il commento perché, come
sai, sono di fretta, ma come sempre ti ringrazio tanto per i tuoi commentoni meravigliosi che sono quelli che aspetto di
più!!! Tivibbì, ‘more!!!
3: stesso discorso fatto per la 1... ho risposto a tutti i
commenti tipo in 2 minuti... quindi grazie anche a te, mi fa piacere che ami
leggere quello che scrivo, davvero. Voi due siete speciali per me, ve l’ho
detto ieri e delle vostre recensioni non farei mai a meno!!!
E ora una dedica speciale per una persona speciale.... a
Lidia, la donna dalle mani magiche. Non sarà un tumore di certo ad ucciderti. Non
nel mio cuore. Ti voglio bene... tanto!!!!
Temperance
-Capitolo
Ventinove-
Vuoto in
un istante
Come un
salto verso il niente
È quello
che ricordo ancora
(i Pooh,
L’altra faccia dell’amore)
Martha gettò il capo all’indietro con un movimento secco,
stringendo convulsamente il lenzuolo e mormorando parole inconsulte, mentre
Kevin affondava dolcemente in lei per l’ennesima volta, sfiorandole appena il
collo con il suo respiro caldo ed irregolare.
“Kev...” Mormorò con voce roca, affondando la mano libera
nei suoi ricci e costringendolo, così, ad alzare la testa verso di lei,
puntando gli occhi verdi nei suoi.
Nessuno dei due li chiudeva mai, mentre facevano l’amore.
“Mio... Kevin!” Ripeté, a voce più alta, inarcando la
schiena e spingendo il capo di lui verso il basso, per poi catturare le sue
labbra con le proprie in un bacio totalmente privo di fiato.
“Se vai avanti così non dureremo molto, lo sai?” Mormorò lui
sulla sua bocca, senza, però, smettere di muoversi.
“Vorrà dire che avremo più tempo per un po’di coccole...”
“Mmm, mi piacciono le coccole...” Replicò Kevin, scendendo a
baciarle il collo, intercalando le parole con respiri brevi ed irregolari.
La risposta di Martha fu stroncata sul nascere dallo
squillare del cordless posato sul comodino di Kevin, che fece sussultare
entrambi.
“Non ti azzardare a rispondere.” Balbettò lei, mentre lui la
faceva rabbrividire, fermandosi per un istante e tracciando con una scia di
baci il percorso dalla base del collo alla sua spalla destra.
“Ho di meglio da fare... e poi può prendere Joe, se proprio
ci tiene.”
“Kevin, lo sai che Joe dorme con i tappi...”
“E allora se ne faranno una ragione.”
Dopo una decina di squilli, un suono acuto e prolungato li
avvisò che stava per entrare in servizio la segreteria telefonica.
Seguito da una voce ben nota ad entrambi.
Una voce che, in un momento del genere, avrebbe fatto gelare
il sangue nelle vene persino a me, che di sangue non ne ho più e di vene tanto
meno.
“Signor Jonas...Kevin, sono il signor Sheperd... sono... se
Martha sta ancora lì da te, per favore, dille di venire al Centrale di
Princeton appena può. Sua... sua nonna sta male.”
A quelle parole, Martha scattò dal letto nemmeno avesse
avuto una molla in corpo, fiondandosi sul comodino ed afferrando la cornetta
prima ancora di aver toccato terra.
“Papà!” Quasi gridò nella cornetta, con il fiato corto,
mentre anche Kevin si alzava, iniziando a dirigersi verso l’armadio per trovare
qualcosa da mettersi.
“Amore...” Rispose il signor Sheperd, la voce appena un
po’più rilassata. “Per fortuna hai risposto... la nonna continua a cercare di
te e di lui.”
“Lui chi?” Domandò la giovane, troppo agitata per rendersi
conto che quel pronome era stato pronunciato senza alcun disprezzo.
“Lui... Kevin. Vuole vedervi entrambi al più presto... fate
in fretta, non si calma se non arrivate.”
Martha era immobile, la cornetta premuta sull’orecchio, gli
occhi spalancati.
Non si aspettava una cosa del genere, non in quel momento,
non così all’improvviso... e ora sapere che sua nonna cercava di lei in maniera
così disperata... doveva sul serio essere qualcosa di grave, nonna Jean non era
mai stata persona da agitarsi per nulla.
Delicatamente, Kevin le prese il telefono dalle mani,
sussurrandole di andare a vestirsi.
“Arriviamo subito, signor Sheperd.”
Voglio
però ricordarti com’eri
Pensare che ancora vivi
Voglio pensare che ancora mi ascolti
E come allora sorridi
(Francesco Guccini, Canzone per un’amica)
Vi siete mai chiesti cosa si ricordi uno della propria
morte, una volta che questa è avvenuta?
Sinceramente, intendo.
No, eh?
Effettivamente, non è una domanda che uno si fa... non da
giovane, per lo meno, non quando non sa che la morte arriverà presto e
all’improvviso, senza nemmeno dargli il tempo di fare quel migliaio di piccole
cose che uno immagina di avere sempre il tempo di fare, prima di lasciare questo
mondo.
Beh, se non vi siete mai posti questa domanda, vi eviterò di
farlo, raccontandomi quello che è successo a me.
Io ricordo tutto della mia morte. Credo che i miei fratelli
stessi ed Eliza, che pure erano con me in quella macchina non abbiano una visiono
dell’incidente più nitida di quanto l’abbia io.
Ricordo la cella dell’obitorio, ricordo di essere stato
terrorizzato dal trovarmi lì dentro.
Ricordo il mio funerale, con mia madre in lacrime, sostenuta
da mio padre e Frankie, Joe gelido come un pezzo di ghiaccio e Kevin, lontano,
appoggiato ad un albero, lo sguardo basso e nascosto dietro agli occhiali da
sole.
Non ho ricordi più chiari di nessuna parte della mia vita,
eppure c’è un vuoto nella mia memoria e quel buco che non riesco a colmare sono
i minuti... o le ore, forse, trascorse in ospedale.
Non so perché e nemmeno me lo hanno saputo spiegare, ma ho
formulato una mia ipotesi che trovo potrebbe non essere poi così stupida: io
ricordo i momenti prima di morire e ricordo quelli dopo... ma non ricordo il
momento esatto della mia morte, su quella barella, circondato dal bianco
asettico delle mura dell’ospedale.
Lo stesso bianco in cui, in quel momento, si stavano
immergendo Martha e Kevin, mano nella mano.
Forse è proprio per questa mia mancanza di memoria che quel
posto mi inquietava tanto.
D’altronde, in ospedale non si entra mai felici... al
massimo ci si esce sollevati.
La porta della stanza di Jean era grigia e pesante,
esattamente come tutte le altre, e proprio in mezzo recava un grosso maniglione
antipanico rosso fuoco che a Kevin parve estremamente beffardo.
Chi era ricoverato in quell’ala non avrebbe mai potuto
fuggire con le proprie gambe, per quanto sicuro potesse essere il metodo di
apertura della porta.
Jaqueline e Daniel Sheperd erano in piedi accanto al letto
insieme ad una donna che Kevin non aveva mai visto e ad una corpulenta
infermiera armata di siringa, probabilmente contenente un tranquillante, che
tentava di calmare un’agitatissima Jean.
“Nonna!” Esclamò Martha, entrando di corsa nella stanza,
sotto lo sguardo severo dell’infermiera.
“Signorina, è in un ospedale, le sarei grata se non
urlasse.”
“Oh, stai zitta, tu!” Replicò l’anziana a tono, accogliendo
la nipote tra le braccia aperte. “Ora ci calmiamo tutte e due, va bene? Ma
lasciaci in pace.”
“Signora, ho avuto ordine dal dottor Pasey di restare qui,
perché...”
“Signorina, signorina...” La richiamò Kevin, posandole una
mano sulla spalla, assumendo un tono diplomatico, misto a quel suo fascino da
bravo ragazzo che avrebbe steso ogni donna. “Vede, la signora Sheperd deve solo
chiarire un paio di questioni con sua nipote... potrebbe lasciare la stanza
per... non so... cinque minuti? Mi farebbe questo favore?” Domandò, passando
abilmente dal noi all’io.
Tratta una donna come se di lei non potessi mai fare a meno
e lei cadrà ai tuoi piedi. Ecco qui una chicca dalla Bibbia personale di mio
fratello playboy.
“Beh...” Rispose il donnone, arrossendo appena sulle guance
tonde. “Cinque minuti soltanto, però.”
“Te lo prometto sul mio onore... Sandra.” Concluse con un
sorriso, lanciando una rapidissima occhiata al cartellino con il nome, per poi
spostare la mano dalla spalla alla schiena di lei e sospingerla dolcemente
verso la porta.
Tornò, poi, a voltarsi verso gli altri occupanti della
stanza, il volto di nuovo oscurato dal suo vero stato d’animo: una
profondissima preoccupazione.
“Che cosa le è successo?” Chiese, dimenticandosi per un
istante che le persone con cui stava parlando lo consideravano uno degli esseri
più detestabili degli Stati Uniti.
Daniel si strinse nelle spalle, scuotendo il capo,
sconsolato, mentre Jaqueline si allontanava un poco dal suo braccio,
tamponandosi le lacrime con un fazzoletto.
“Stiamo aspettando gli esiti degli esami, per ora sappiamo
solo che si tratta del cuore, probabilmente di un principio d’infarto. Dicono
che è molto debole, che non reggerebbe ad un altro attacco, se un episodio del
genere dovesse ripetersi.”
“Già...” Intervenne la moglie, apparentemente molto
amareggiata. “E, quando l’ha saputo, si è messa a fare il diavolo a quattro,
gridando che voleva parlare con voi due prima che fosse troppo tardi...anche se
sinceramente non capisco perché.”
“Lo so io, il perché.” Intervenne l’altra donna, che fino a
quel momento era rimasta in silenzio a giocherellare con una ciocca di lisci
capelli biondi, ruminando nervosamente un chewing gum. “Sapete tutti e due che
genere di legame è quello che lega mamma e Martha. Quella donna ama sua nipote
probabilmente di più di quanto abbia amato me e Danny e vuole che sia felice. E
questo qui, evidentemente, conosce il modo per rendere Martha felice. Non mi
sembra difficile.” Si voltò, poi, verso Kevin, masticando un paio di volte e
porgendogli la destra. “Laura Sheperd, sorella e cognata di questi due.
Perdonali, sono un po’tardi...e Martha mi pare più sveglia di tutti e due,
incredibile ma vero.”
Stringendo la sottile mano inanellata, Kevin non poté
trattenersi dal sorridere... in modo sincero, questa volta.
“Kevin, piacere.” Mormorò, per poi volgere lo sguardo a
nonna e nipote che, sedute una accanto all’altra sul letto, si parlavano
stretto stretto.
“Lo so chi sei, amore mio: sei più famoso tu di Obama in
questa famiglia. E io sono dalla tua parte... completamente e definitivamente.”
Aggiunse con un sorriso a metà, notando lo sguardo di mio fratello, che
accarezzava Martha in un protettivo abbraccio a distanza.
“Siete due stronzi.” Bisbigliò, tornando al suo posto dietro
a fratello e cognata. “Veramente di prima categoria.”
Donne
dov’è il futuro?
Tu con tutti i tuoi brevi amori
Lei col tempo che si assottiglia
Però come ti assomiglia
(i Pooh, Due donne)
Notando lo sguardo di Kevin fisso su di sé, Jean gli fece un
rapido gesto con la mano.
Avvicinati, voleva dire.
Lui si indicò il petto, aprendo un po’di più gli occhi e
mimando con le labbra la parola “io”. La donna annuì.
“Mi ha chiamato, signora Sheperd?” Domandò, posando una
morbida e sfuggevole carezza sui capelli di Martha.
“Certo che ti ho chiamato, bimbo: non sono strabica, ho solo
il cuore che fa i capricci.”
La ragazza ridacchiò, stringendosi un po’di più all’anziana
progenitrice.
“Tesoro mio, non è a me che dovresti stare così
appiccicata.”
“Io sarò qui per lei tutta la vita, Jean...lei, invece...”
Mio fratello si fermò di colpo, rendendosi conto che stava praticamente augurando
di morire all’unica persona che era stata loro davvero vicina in tutto quel
tempo.
“Non ti bloccare, così... è la verità che stai dicendo: tu
per lei ci sarai sempre e io presto me ne andrò... ma credetemi, se vi dico che
mi rende molto più felice vedere voi due abbracciati che sentire un corpo
giovane appoggiato al mio che sta andando a pezzi.”
In silenzio, Kevin girò intorno al letto, posizionandosi
dietro a Martha e stringendola a sé, senza, però, costringerla ad allontanarsi
dalla nonna, che sorrise, compiaciuta.
“Vedi cosa mi piace di te, piccolo Jonas? Sai sempre
mediare, trovare la giusta misura, una soluzione semplice per risolvere ogni
problema. È la tua arma migliore... l’hai presa da tuo padre. È stato l’unico
pastore in grado di farmi mettere piede in chiesa, sai?”
“Ne sono onorato, Jean.”
“Onorato di aver faccio avvicinare ad un altare la mia
vecchia pellaccia? Ti accontenti di poco, ragazzo... tanto io ho il mio posto
riservato all’inferno e quello nessuno me lo porta via... e sapete cosa? Ne
sono felice... il paradiso deve essere tanto noioso...”
Kevin e Martha ridacchiarono, mentre lui si chinava a
depositare un bacio clandestino sui capelli di lei.
Questo era bello: la semplicità di ogni gesto eppure ancora
tutto l’amore che vi era contenuto e che sarebbe stato visibile anche ad un
cieco.
Forse persino a quell’Hitler di infermiera, chissà...
Jean sorrise, complice, lanciando una frecciatina divertita
a Daniel e Jaqueline che si limitavano ad osservare la scena dal loro angolo,
dove si erano rinchiusi con le loro stesse mani.
“In ogni caso, non ti ho chiamato per parlare di aldilà. Ho
un paio di cose da dirvi, a voi due, quindi aprite bene le orecchie e
ascoltatemi.”
Kevin e Martha annuirono con una sincronia quasi perfetta;
poi la giovane si appoggiò al petto di lui, che le avvolse la vita con le
braccia, lasciando che si rilassasse addossata al suo corpo.
“Quei due là in fondo.” Cominciò Jean, agitando la mano
libera dal tubo della flebo verso il figlio e la nuora. “Non sono cattivi nemmeno
un po’... solo sono un po’ all’antica, ma non posso dire di non capirli. Se ci
fosse stata la mia Laura, Martha, al tuo posto, anni fa, probabilmente mi sarei
comportata nello stesso modo. E allora voi vi chiederete perché, se la penso
così, non vi abbia ostacolati anche io.” Respiro. “Vedete, il punto è che io
non lo so.Non mi sarei comportata così
con chiunque, Kevin, siine cosciente... è solo che in te vedo qualcosa,
qualcosa che non è assolutamente da tutti, un’autenticità non comune.”
Kevin le rivolse un sorriso amaro.
“Non lo so, Jean... ho passato metà della mia vita a
nascondermi...”
“Certo, ma con Martha non lo hai fatto, questo è ciò che
conta. Tra voi siete sinceri, vi volete bene, siete la forza l’uno dell’altra
ecredo sia questa, alla fine, la
miglior base per un rapporto duraturo. Quello che voglio dirvi, ragazzi, è di
continuare a comportarvi come avete fatto fino ad ora, senza lasciarvi
condizionare da ciò che vi dicono gli altri... perché ci sarà sempre, Kevin,
chi ti considererà ‘quel Jonas’, se capisci cosa intendo dire. E tu, Martha, tu
almeno per un po’non potrai evitare di essere vista come quello che se la fa
con un insegnante, ma non vi deve interessare, perché ad un amore come il
vostro le cattiverie scivolano addosso come acqua su un vetro liscio e le
persone che vi vogliono bene vi accetteranno. Anche i tuoi genitori, piccola
mia.”
Con un singhiozzo, Martha si divincolò dalle braccia di
Kevin, per gettarsi di nuovo tra quelle della nonna, che la strinse a sé,
accarezzandole i capelli.
“Sono felice che ti abbia conosciuto, Kevin. Davvero
felice.”
Kevin rispose con un sorriso e si chinò, oltre il corpo
della sua fidanzata, a posare un bacio delicato sulla guancia grinzosa
dell’anziana donna.
“Per quello che vale, Jean, credoche lei sia una grande donna. La migliore,
forse... dopo mia madre.”
Jean ridacchiò, abbandonando per un istante i capelli di
Martha, che stava accarezzando, per andare a scompigliare quelli di Kevin.
Credo di aver pianto, quel giorno...
I am on
my way
I can go
the distance
I don’t
care how far
So that
I’ll be strong
(Michael
Bolton, I can go the Distance)
Joe sedette sullo sgabello del bagno, davanti allo specchio
e si concesse qualche istante per guardare la propria immagine riflessa.
Chris aveva fatto un ottimo lavoro con i capelli, per non
essere un parrucchiere professionista. I suoi ricci non erano poi molto più
corti, ma decisamente più ordinati e puliti...sebbene sempre ricci rimanessero.
Già, perché questo a Chris non lo aveva lasciato fare.
Per quanto stupido potesse sembrare ad un occhio esterno,
passarsi la piastra aveva assunto, negli anni, per Joe, più o meno la solennità
di un rito. Non andava mai in scena, ai tempi dei Jonas Brothers, senza averlo
fatto e in quel momento ripetere quell’azione, prima per lui così familiare,
rappresentava il definitivo ritorno a ciò che era.
Il definitivo ritorno alla vita di un uomo che per troppo
tempo si era limitato ad esistere passivamente, ad essere poco di più di un
oggetto d’arredamento nel suo appartamento spoglio.
“Beh, ora le cose cambiano.” Mormorò, infilando la spina
nella presa e stringendo appena la piastra intorno alla mano aperta, in un
gesto che aveva quasi dimenticato di conoscere.
Glielo aveva insegnato Denise... per capire quando iniziava
a scaldarsi. Però, attento, Joey... mamma diceva anche di non lasciarla troppo,
perché altrimenti ci si scotta.
Joe Jonas, in ogni caso, non è mai stato persona che sbaglia
in questo genere di cose.
Una volta che le due sottili lastre di ceramica furono calde
a sufficienza, prese una ciocca arricciata e la tirò verso il basso,
raddrizzandola il più possibile, per poi iniziare a passare la piastra partendo
dalla radice e tirandola fino alla punta.
Con aria compiaciuta, ammirò, poi, il risultato e sorrise,
soddisfatto.
Per essere uno che non toccava una piastra da anni, non
aveva davvero perso neppure un po’del suo tocco.
Il prossimo passo sarebbe stato l’ultimo e il più
difficile... ma ci avrebbe pensato in un altro momento.
Il giorno dopo ci sarebbe stata la gara di canto, e lui
sarebbe stato lì, accanto alla sua Clarisse. Glielo doveva, dopo tutto quello
che aveva fatto per lui.
Compiaciuto, si ritrovò a pensare che, forse, pur non
rendendosene conto, anche lui aveva fatto qualcosa per lei. Non molto, certo...
ma di quel poco non avrebbe potuto essere più orgoglioso.
Dopo la gara sarebbe andato da Liz... lo avrebbe fatto e
aveva detto a Chris di costringerlo se avesse cercato di tirarsi indietro
all’ultimo istante.
Sì, quella volta era proprio convinto.
Kevin ce l’aveva fatta, ad uscire dal baratro in cui erano
caduti insieme.
Ora era il suo turno e, per una volta, non si sarebbe tirato
indietro.
Ma il cielo è blu sopra le nuvole
E non è poi così lontano
Dobbiamo arrampicarci e crescere
Senza bisogno di nessuno
(i Pooh, Il cielo è blu sopra le nuvole)
La primavera non era mai stata una stagione particolarmente
sentita a Princeton. Beh, nel New Jersey in generale, a dire il vero. Quel
giorno, poi, aprile sembrava essersi dimenticato di fare il suo corso,
decidendodi travestirsi da novembre
inoltrato.
“Non ho mai visto un anno più orrendo, dal punto di vista
del clima.” Si lamentò Laura, uscendo dall’ospedale e stringendosi nella giacca
leggera. “Vorrei sapere perché vi ostinate a vivere in questo posto così
triste, invece di venire da me, in Florida.”
“Io ci ho passato qualche mese, ma credo che poi alla lunga
diventi... noiosa...” Rispose Kevin, senza pensare, lasciando, però, che la
frase morisse in un balbettio poco sensato quando si sentì addosso gli occhi di
tutti.
Laura, ovviamente, non si lasciò sfuggire il momento.
“Ma la piantate di guardarlo come un alieno, cavolo?!”
Sbottò, rivolta al fratello e alla cognata. “È un essere umano, sapete? Se lo
tagliate sanguina e dice ahi se lo pizzicare e se non ci credete facciamo la
prova. Quindi, se non è un omino verde, che fatica fate a trattarlo come una
persona normale?”
Silenzio.
Quanto può essere ottusa la gente, quando vuole...
“Grazie, signora... ma forse è meglio che andiamo.” Propose
Kevin, circondando con un braccio le spalle di Martha. “Vieni con me o vai con
i tuoi?”
“Con te.” Rispose la giovane, risoluta, ma Laura pareva non
voler sentire ragioni.
“Ora noi andiamo tutti a pranzo insieme perché è quello che
proporrebbe nonna Jean. Tutti, voi due compresi, è chiaro?”
“Ma Laura...” La debole protesta lanciata dal signor Sheperd
fu a dir poco incenerita dallo sguardo della sorella.
“Niente ma. Andiamo. Qui vicino ha appena aperto un
ristorante giapponese che non deve essere niente male. Ti piace il pesce crudo,
Kevin?” Domandò, prendendo sotto braccio il diretto interessato ed avviandosi
con lui lungo il marciapiede, mentre Martha li seguiva da vicino, un sorriso
soddisfatto ben stampato in volto.
E siamo alla terza cifra tonda,
l’ultima di questa long.... è parecchio che non aggiorno, quindi bando alle
ciance e vi lascio alla lettura!!! Al prossimo capitolo per i grazie!
Temperance
-Capitolo
Trenta-
The
judges will decide
The
likes of me abide
Spectators
of the show
Always
standing low
The game
is on again
(...)
A big
thing or a small
The
winner takes it all
(ABBA,
The winner takes it all)
Clarisse coprì in un lampo la distanza che separava un capo
dalla stanza dall’altro, letteralmente fiondandosi addosso a Joe, un indice
accusatore puntato contro di lui.
“Sei in ritardo!” Strillò, per poi voltarsi dall’altra parte
e riprendere a camminare avanti e indietro, lasciandolo letteralmente basito,
gli occhi spalancati puntati contro Kevin, che, però, era troppo occupato ad
organizzare il tutto per far caso anche ai suoi problemi.
“Clarisse...” Chiamò, allora, avvicinandosi a lei piano e
posandole una mano sulla spalla. La ragazzina si voltò di scatto, fulminandolo
con gli occhi. “Calmati.”
“No!” Esclamò
lei, divincolandosi dalla sua stretta e tornando a fuggire lontano. “La gara
inizia tra cinque minuti e tu sei arrivato adesso! E non c’era neanche
Christian... mi dici dove cavolo eravate finiti tutti e due?!”
“Chris non era qui?” Domandò lui, sorpreso.
Glielo aveva detto, che sarebbe arrivato tardi... gli aveva
raccomandato di starle vicino... oh, se ne avrebbe sentite, quell’imbecille...
Se solo il mio caro fratellone avesse saputo quello che il
suo amico aveva in mente...
“No, non
c’era. E non c’è neanche adesso. Ma tu eri quello importante! Mi hai
lasciata da sola, io con te non l’ho mai fatto!”
“Datti una calmata, ragazzina!” Esclamò, allora, lui,
afferrandola per un braccio e ritornando per un momento l’uomo irruento ed
impulsivo che aveva imparato ad essere. “Non sei la prima ad essere nervosa
prima di una gara e non sarai nemmeno l’ultima, per cui respira, e ascoltami,
perché c’è un motivo se non sono arrivato all’ora che ti avevo detto.”
Clarisse annuì, scocciata, incrociandosi le braccia al petto
ed alzando gli occhi su di lui per la prima volta... per poi sciogliersi
immediatamente in un sorriso di pura gioia.
“I capelli! Ti sei stirato i capelli!”
Joe si strinse nelle spalle con un sorriso sghembo,
estraendo, poi, dalla tasca dei jeans un piccolo sacchetto di velluto bianco e
nero.
“Ho pensato che ne valesse la pena... dopotutto è un giorno
speciale. E questo è per te. È il motivo del mio ritardo.”
Timidamente, Clarisse allungò una mano ad afferrare il
piccolo contenitore, le guance colorate di un adorabile rosso fuoco.
“Ti stanno bene così...” Mormorò, mentre Joe la stringeva a
sé, passandole una mano intorno alle spalle, posandole, poi, un bacio sui
capelli scuri.
“Aprilo...”
Non mi dire niente, stammi ad ascoltare
Sono troppe notti che ci dormo male
Lui mi piace forte, lui mi prende dentro
E non c’è bisogno che ti dica quanto...
Ma la vita a volte ha i suoi comandamenti
Qualche volta da difendere anche con i
denti
(...)
Ma con te questo no, non si può
Tu per lui sei di più, tu sei tu.
(adattamento da La donna del mio amico, i
Pooh)
Christian controllò un’ultima volta nome ed indirizzo sul
biglietto che Kevin gli aveva consegnato, confrontandolo con la targhetta
d’ottone sulla porta, prima di suonare il campanello.
Ecco, ora era lì e tornare indietro non era più possibile.
L’ho sempre ammirato per quel gesto... rinunciare ai propri sentimenti, alla
pur remota possibilità di vederli diventare realtà solo per rendere felice
l’oggetto di quegli stessi sentimenti... non credo ne sarei mai stato capace.
“Chi è?” Domandò la voce di Eliza, mentre lo spioncino sulla
porta si apriva, permettendole di inquadrare un Christian a cui il vetro
bombato conferì un paio d’occhi esageratamente grandi.
“Christian, l’amico di Kevin.” Rispose lui, con un sorriso,
agitando una mano in gesto di saluto.
In un attimo, la donna gli aprì, facendogli cenno di
entrare.
“Perdonami, non aspettavo visite...” Si scusò, indicando la
larga t-shirt bianca che indossava sopra ad un paio di pratici shorts neri e a
delle ciabatte da casa. I capelli, raccolti in uno chignon piuttosto
approssimativo, le ricadevano in ciocche ai lati del viso, conferendole un’aria
sbarazzina che faceva un ottimo abbinamento con le guance arrossate. “Stavo
pulendo i vetri... ogni tanto serve, no?”
Christian annuì, chiudendosi la porta alle spalle, sempre
meno certo di poter sopportare le conseguenze della propria scelta, ma sempre
più sicuro che fosse quella giusta.
Solo, doveva cercare di non divagare troppo o non avrebbe
fatto in tempo.
Diretto, Chris... sii diretto e deciso. Io sono con te.
“Io sono innamorato di Joe.” Dichiarò all’improvviso,
facendo girare Liz su se stessa con l’identica velocità di una trottola ben
caricata.
“Prego?” Domandò, spalancando gli occhi verdissimi.
“Temo...credo di non aver capito bene.”
Christian sorrise, prendendola per mano e guidandola verso
il piccolo divano che si intravedeva nel soggiorno.
Liz ridacchiò nervosamente.
“E io che credevo che la casa fosse mia...”
“Eliza, ascoltami, ti prego... quello che ti devo...voglio
dire non è facile e se tu mi interrompi...beh, io non ci riesco proprio per
cui...”
“Ti lascio parlare, ok. Ma mi devi spiegare quello che hai
detto prima, perché io non vedo come tu possa essere...beh...”
“Innamorato perso della stessa persona che ami tu? La
risposta è semplice, se ci pensi...”
“Sei...”
“Gay? Sì. Sono un po’sorpreso che Kevin non te l’abbia
detto, ma il punto non è questo. Vedi, Joe mi piace davvero... e tanto, anche,
però...”
“E lui ricambia?”
“Eliza...ti prego...”
“Scusami.” Mormorò la giovane, abbassando gli occhi. “È che
quando sono agitata tendo...”
“A straparlare. Come lui.” Completò l’uomo, sorridendo.
“Stai tranquilla, non c’è verso, con lui. È tremendamente innamorato di
un’altra persona, purtroppo... o, forse, meno male.”
Eliza inclinò leggermente il capo, aggrottando le
sopracciglia, invitandolo così a spiegarsi meglio.
Christian sospirò: aveva iniziato, tanto valeva portare il
discorso fino alla fine. Poi non ci avrebbe pensato più.
Forse.
“Vedi, il punto, qui, è che lui ti ama da impazzire. Mi ha
parlato di te talmente tanto che mi sembra di conoscerti da una vita, per
quanto questa sia più o meno la prima volta in cui scambio due parole con te.
Ha ricordi... ricordi d’infanzia, talmente nitidi da sembrare dipinti. Quadri,
Eliza.” Continuò, sporgendosi verso di lei. “Bellissimi quadri di un amore vivo
da sempre, forse il più forte che abbia mai visto... e io, per quanto potrei
benissimo farlo, non ho davvero il cuore di bruciarle, queste opere d’arte.”
“Sei un poeta...” Esalò Liz, dopo qualche secondo di
silenzio, senza trovare niente di più intelligente da dire.
Christian sorrise, togliendosi gli occhiali e prendendo a
giocherellare con le astine.
“Sono molto più bravo a maneggiare i pixel che le parole, a
dire il vero, però sono sempre stato un chiacchierone e diciamo che qualcosa ho
imparato. Mia madre mi dice sempre che sono troppo sensibile per lavorare con i
computer.”
“Beh, in...”
“Mia madre non mi conosce affatto.” Dichiarò all’improvviso,
ignorando totalmente la donna, intento ad inseguire un suo personalissimo
flusso di pensiero. Sono strani, i pensieri... ti vengono in mente quando
nessuno li ha chiamati e finiscono immancabilmente per allontanarti dal
discorso iniziale. Forse, però, questo non sempre è un male. “Non si può essere
sensibili se si è passato quello che ho passato io... anni di prese in giro,
vere e proprie violenze psicologiche, finiscono per fiaccare l’animo in modo
assolutamente irrimediabile. Fanno nascere la sfiducia anche nel cuore più
ottimista. Per questo lavoro con delle macchine... i computer calcolano,
eseguono... non mentono, non abbandonano e non hanno mai provato a prendermi a
bastonate.”
“Io credo invece che tua madre abbia ragione.” Lo interruppe
Eliza, posando una mano sulle sue, intrecciate tra loro. “Se fossi freddocome dici non saresti qui, ora. Saresti da
Joe a tentare di conquistarlo fregandotene altamente di me. Invece stai sul
divano di casa mia a spiegarmi cose che non ti ho chiesto e che non dici da
chissà quanto. Tu sei sensibile,
Christian, che tu lo voglia accettare o meno, e questo vale ancora di più, se
anni di angherie non sono riusciti a cambiare questo aspetto di te. Meriti
molto più di quanto non credi.”
“Lo vedi?” Replicò il biondo, posandosi gli occhiali sulle
gambe e stringendo forte la mano di Liz. “Non potrei mai portartelo via.”
“Ma lui da me non ci vuole venire...e so fin troppo bene
come finirebbe, se fossi io ad andare da lui.”
Christian, allora, scosse energicamente il capo, fissando
gli occhi chiari e vivaci in quelli malinconici di lei.
“No, Liz, non lo devi pensare, questo... Joe mi ha detto
quello che ti ha fatto e si sente un cane per questo, ma è cambiato... io l’ho
visto, l’ho visto mutare completamente sotto ai miei occhi. Kevin... Kevin dice
che sta tornando quello di prima. Lentamente, certo, ma ci sta riuscendo e lo
sta facendo per te. Tu, però, sei l’ultimo passo, forse quello più difficile e
lui da solo non ce la fa... ha bisogno di una spinta.”
“Ma io...”
“Tu?” La incoraggiò l’uomo, stringendo più forte la sua
mano.
Liz scosse piano la testa, abbassando lo sguardo.
“Tu sei così... non so... se io facessi quello che dici, se
andassi davvero da lui... Insomma, io lo amo, è vero, e da tanto, ma nei tuoi
occhi, nelle tue parole...”
“Lascia perdere i miei occhi, le mie parole e tutte le
scemenze che ti ho detto. Io troverò qualcun altro. Io ho sempre trovato qualcun altro e lo farò anche questa volta. E poi
non credermi così santo e generoso... pensi che sarei qui se sapessi di avere
anche una sola possibilità con lui?”
“Sinceramente, credoproprio di sì.” Rispose, sicura, Eliza, spiazzando per qualche istante
il giovane professore che, però, si riprese immediatamente.
In un attimo fu in piedi, la mano di Eliza ancora saldamente
stretta nella sua.
“Vatti a cambiare. C’è una gara di canto, oggi e siamo già
in ritardo. Niente ma, niente beh: tu ora ti vesti e vieni con me. E non ti
preoccupare: se con Joe non dovesse funzionare, ti giuro che non me lo lascerò
scappare... ma lascia che sia lui a decidere, per una volta.”
“A decidere...che cosa?”
“A decidere chi amare.”
Gli altri segneranno però
Che spettacolo quando giochiamo noi
Non molliamo mai
(...)
Cosa importa chi vincerà?
Perché in fondo lo squadrone siamo noi
Lo squadrone siamo noi.
(Max Pezzali e 883, La dura legge del goal)
Con un inchino, Clarisse scese dal palco, stringendo, fiera,
la sua medaglia, non prima, però, di aver stretto la mano a Kevin che gliela
aveva consegnata.
“Joe!” strillò, saltando al collo del suo maestro e
stringendolo forte, ridendo come una matta. Lui la sollevò da terra,
stringendola a sé e ridendo a sua volta, felice come non lo era da troppo
tempo.
Non ero più abituato a vederlo così dolce, così
sorridente...
“Sei stata bravissima, piccola! Stupenda!” Esclamò,
riappoggiandola delicatamente a terra e prendendo tra due dita il dischetto di
metallo per esaminarlo meglio.
Era grande, troppo grande per la figura minuta di Clarisse:
spesso circa mezzo centimetro, di metallo pieno, doveva essere costato, insieme
agli altri due, un occhio alla scuola, ma per la musica la Fleming avrebbe
fatto ben più di questo...e quell’anno, dal punto di vista della musica, era
stato davvero speciale.
Su una delle facce della medaglia campeggiava una grossa
nota inserita in un pentagramma ondulato e troppo piccolo, mentre sull’altra,
l’incisione ‘Terzo classificato’ appariva scura rispetto al vivo color bronzo
che la circondava.
“Hai visto com’è bella?” Domandò Clarisse, sfilandosi il
nastro dal collo e passandolo intorno a quello di Joe, che la guardò, stranito.
Come spiegazione, la ragazzina si strinse nelle spalle. “È la nostra medaglia:
dovremmo dividerla a metà.”
“Tu hai cantato.”
“Tu mi hai insegnato a farlo.”
“In realtà ho comprato la giuria.”
Ridacchiando, Clarisse gli tirò un leggero buffetto sulla
spalla, lanciando, nel frattempo, un’occhiata in direzione di Madison che,
seduta imbronciata sul bordo del palco, stropicciava con rabbia l’attestato di
quinta classificata che Kevin le aveva consegnato con un sorriso fin troppo
soddisfatto per una posizione simile.
E quei complimenti non avrebbero potuto sembrarle più falsi.
“Tu dici che me la sono meritata?” Domandò Clarisse,
accennando nuovamente alla medaglia, ora appesa al collo di Joe.
“Certo che sì! Ti fai venire i dubbi, ora?”
“No, è che... Guarda Madison...”
Joe si strinse nelle spalle.
“Non mi dirai che sei dispiaciuta per lei, ora.” La
rimproverò mio fratello, mettendo un finto broncio che la fece sorridere.
“Ovvio che non lo sono! Però la sua canzone era
obbiettivamente più difficile della mia e...”
“E infatti era troppo pretenziosa.” Completò per lei Kevin,
sopraggiungendo alle sue spalle. “E non l’ha cantata affatto bene: ha preso
delle stecche degne di Joe nei suoi momenti peggiori.”
“Ehi!” Lo redarguì il fratello minore. “Non farmi fare
figuracce davanti alla mia alunna!”
“E poi tu sei stata davvero brava.” Continuò Kevin,
ignorandolo. “Non la migliore, infatti non sei arrivata prima, ma mi sei
piaciuta molto e stai tranquilla, non sono tipo da dare giudizi secondo le mie
preferenze.”
“Oh, è vero: ha messo non classificabile alla sua ragazza.”
Clarisse ridacchiò, tranquillizzata.
“Grazie, prof.”
“E di che? Siete un’ottima squadra, tu e quel losco figuro
laggiù. Oh, Joe, a proposito, ti cercava Christian.”
“Bene... anche io ho un paio di cosine riguardanti
l’affidabilità da dirgli. Dov’è?”
Gli amici colpiscono duro
Che neanche una madre è così
Senza chi mi sbatteva nel muro
Forse non sarei qui.
(i Pooh, Amici per sempre)
“Chris!” Chiamò Joe, fiondandosi fuori dall’uscita
posteriore della scuola, pronto a dare a Christian una bella strigliata
riguardante il fatto che lui non fosse assolutamente in grado di rispettare gli
impegni presi e che Clarisse si era sentita abbandonata per colpa sua, ma il
fiato gli morì in gola quando si rese conto che lì fuori non c’era
assolutamente nessuno anche solo vagamente somigliante al suo amico.
Beh, in effetti non c’era assolutamente nessuno e basta.
“Idioti...” Biascicò, più che convinto che Chris e Kevin non
avessero voluto altro che fargli uno scherzo. Che poi, se fosse stato fatto a
metà dicembre, forse, per loro, avrebbe anche potuto risultare divertente, ma,
sul serio, che gusto potevano trovare nel fare una cosa del genere all’inizio
di giugno?
Misteri.
O, per lo meno, sarebbe stato un mistero se Joe avesse colto
nel segno... ma l’obbiettivo che Christian voleva raggiungere facendo spedire
il mio fratellone in quel posto era ben più di un semplice scherzo.
Già... perché Joe aveva ben sottovalutato Christian e mai
avrebbe nemmeno immaginato ciò che l’amico aveva deciso di fare per lui.
Anche se al momento l’avrebbe odiato, perché era convinto di
poter fare da solo, che il destino non avesse bisogno di aiuti.
Anche se, a tutt’oggi, non ha ancora smesso di ringraziarlo
per averlo fatto arrabbiare così tanto quel giorno.
“Cerchi Christian?” Lo raggiunse, improvvisamente, una voce
femminile alle sue spalle, proprio mentre stava per voltarsi, tornare dentro e
cantarle a Kevin per essere stato al gioco del suo amichetto.
Una voce che lo raggelò all’istante, facendogli desiderare
con tutte le sue forze di fuggire, ma ancora impedendogli di muovere un singolo
passo.
Tutto ciò che poté fare fu voltarsi lentamente,
ripromettendosi di picchiare a sangue Christian per qualsiasi cosa la sua testa
malata si fosse inventata.
Eliza era lì.
I capelli, raccolti in una morbida mezza coda, le ricadevano
in boccoli sulle spalle semiscoperte e la luce ne propagava i riflessi ramati.
Il vestito che Christian l’aveva aiutata a scegliere era, a suo avviso, fin
troppo elegante per una gara di canto scolastico, ma di certo faceva la sua
figura, con la filigrana dorata appena visibile, intessuta strettamente nella
trama della stoffa.
“Non guardarmi così...” Lo pregò lei, sorridendo ed
avvicinandosi di un paio di passi. “Lo so che sembro appena uscita da un
cartone Disney, ma ho pensato che Chris ha fatto molto per me...glielo dovevo.”
“Che...che c’entra Chris?” Balbettò Joe, arretrando,
probabilmente in modo volontario.
Liz si strinse nelle spalle e appoggiò la piccola borsa su
di uno dei davanzali delle finestre.
“Mi ha detto della gara, mi ha praticamente costretta a
venire qui...e mi ha parlato di te. Molto meglio di quanto non abbia fatto
nessuno negli ultimi anni.
“Christian è...”
“Speciale.” Completò la donna, stroncando sul nascere quella
che sarebbe stata probabilmente un’espressione molto meno delicata. “Dice che
mi ami.”
“Eliza...”
“È vero? Perché per me lo è... lo è ancora.”
Joe annuì impercettibilmente, senza, però, tornare a
muoversi verso di lei, e lei lo rispettò, rimanendo a sua volta immobile al
proprio posto.
“Perché?” Domandò mio fratello, stringendosi nel
leggerissimo trench bluette.
Eppure, ci scommetto, non erano di freddo quei brividi...
“Perché ti vuole bene, perché ha deciso che i suoi
sentimenti dovevano passare in secondo piano. Perché è un amico, Joe...”
“No, no...” La bloccò lui, agitando piano una mano davanti
al suo viso e muovendo inconsciamente un paio di passi verso di lei.
“Intendevo... perché ancora mi ami? Come riesci a farlo? Non... non è
logico...” Biascicò, mangiandosi un poco le parole.
“Joe... non c’è niente di logico nell’amore. Se ci fosse,
ora non sarei qui e tu staresti con qualcun’altra... o con Chris...e io con
Aaron. Sarebbe più facile, non credi? Ma se l’amore fosse logico, Joey, non
sarebbe amore.” Concluse, accarezzandogli piano una guancia.
“Che cosa ci fai qui?” Chiese lui, bloccandole la mano con
la propria facendola scivolare verso il basso fino a portarsela sul cuore.
“Tra noi due si è rotto qualcosa... Voglio solamente
aggiustarlo... Voglio che torniamo ad essere Joey e Liz come una volta. Lo
voglio tanto, però se tu non collabori, io...”
Come scottato, Joe si allontanò di colpo, voltandosi e
lasciando Liz sola, la mano a mezz’aria, lo sguardo rivolto all’asfalto del
parcheggio sul retro dell’istituto.
“Smettila di scappare...” Soffiò la donna, stringendo forte
i pugni. “Devi finirla, Joe: smetti di fuggire da te stesso. Perché tu lo sai,
vero, che non è di me che hai paura? Lo sai che tu fai così con tutti, esclusa,
forse, quella bambina?”
“Non è vero...” Mormorò lui, senza voltarsi.
“Sì che lo è.” Ribatté lei, un’ombra d’ira nella voce. “Sei
fuggito da me, sei fuggito dalla tua famiglia e solo Kevin ha avuto la costanza
di starti accanto. Sei fuggito da Christian quando ti sei reso conto che ti
stavi affezionando a lui. Lascia posto anche agli altri nella tua vita, Joe:
non tutti se ne vanno!”
“Non è vero..” Ripetè, allora, Joe, voltandosi di scatto
verso di lei, ma ritrovandosi non in grado di sostenere il suo sguardo.
“Sei un codardo, se dici questo. Un codardo che non solo ha
paura, ma che non ammette di averla. La peggior specie, Joseph Jonas. E la cosa
peggiore è che, per quanto tu sia un codardo, io non posso... non riesco a fare a meno di amarti.”
“Non sono un codardo, Eliza...” Ringhiò Joe, come se le
ultime parole da lei pronunciate non avessero mai raggiunto le sue orecchie. “Non
lo sono.”
“Oh, sì, invece.” Gli tenne testa lei, arretrando, però, di
qualche passo, quando Joe scattò verso di lei, afferrandola per le spalle, il
volto alterato come, purtroppo, lo aveva visto fin troppe volte.
Posto di fretta mentre sono a scuola...stasera aggiungo i
ringraziamenti.
Tempe
-Capitolo
Trentuno-
But
touch my tears
With
your lips
(Queen, Who wants to live forever)
“Oh, sì, invece.” Gli
tenne testa lei, arretrando, però, di qualche passo, quando Joe scattò verso di
lei, afferrandola per le spalle, il volto alterato come, purtroppo, lo aveva
visto fin troppe volte.
Trattenne il respiro.
“Joe, che cosa...”
“Non fuggire...”
Soffiò lui, avvicinandosi a lei ancora un po’di più e facendo scivolare
lentamente la mano lungo il suo collo. “Non fuggire più.”
Eliza posò una mano
appena tremante su quella di Joe che, però, si sottrasse immediatamente a quel
tocco delicato, affondando le dita affusolate tra i capelli ramati di lei e
passandole l’altro braccio dietro alla schiena per attirarla a sé.
Con forza.
Quasi con violenza.
Mi sono innamorato? Sì, un po’
Rincoglionito? Non dico no
Per te son tutte un po’squallide
La gelosia non è lecita
(Lucio Battisti, Una donna per amico)
“Ma non farmi ridere!” Esclamò Beatrix, camminando sotto
braccio a Martha lungo il corridoio che, dalla loro classe portava al piccolo
cortile sul retro.
“Beh, ma Bex, non è una cosa tanto incredibile...”
“Grazie, Mar.” Esclamò Derek, evidentemente seccato dal
comportamento della sua ragazza. “Io non lo so cosa mi spinge a stare con
quella strega, davvero, non ne ho idea. Cosa c’è di tanto inconcepibile, me lo
spieghi?”
Beatrix sbuffò, svoltando l’angolo, mentre Derek le
saltellava accanto.
“Andiamo, lo sanno tutte che stai con me, nessuno te lo
chiederebbe.”
“E invece lei l’ha fatto! E sai cosa, Bex, sono quasi tentato
di accettare!”
“Certo, e io ci credo.”
Derek scosse il capo, allontanandosi dalle due ragazze senza
aggiungere nient’altro, senza parole per una delle poche volte in vita sua.
“Non avrai esagerato?” Chiese Martha, sorridendo a Bex, che
continuava a camminare, ampiamente soddisfatta.
“Assolutamente no. Non so perché ma si è messo in testa che
deve farmi ingelosire, ma dato che io non sono il pollo che lui crede, non ho
nessuna intenzione di dargliela vinta.”
“Non pensi che quella ragazza possa interessargli davvero?”
Beatrix scosse il capo, sempre più sicura nella sua idea.
“Lo conosco come le mie tasche da quando avevamo quattro
anni: non ha mai avuto occhi per altri che per me.”
Martha inarcò un sopracciglio.
“Serena, Josy, Mary...”
“Va bene, quasi, rompiscatole che non sei altro! Ciò non
toglie che è assolutamente pazzo di me.”
“Anche Kevin, credo, ma io sono gelosa di lui.”
“Vedi, è quel credo che fa la
differenza! A proposito... non è il tuo bello, quello là?” Sviò Beatrix,
ansiosa di cambiare argomento: non avrebbe mai ammesso che lei, in realtà,
gelosa lo era eccome e il motivo era proprio la sua consapevolezza di quanto
Derek fosse preso dalla loro relazione.
Martha annuì, lanciando
un’occhiata fintamente distratta a Kevin che, in piedi vicino alla porta,
parlava al cellulare con espressione piuttosto preoccupata.
“Chissà chi è al telefono...”
“Guarda che non è che me lo devi
dimostrare che sei gelosa, eh! Ci credo lo stesso.”
“No, è che ha una faccia...”
“Sì, sì, certo, dicono tutte così!
Avanti, raccontami che metti al ballo, così posso distruggere le tue idee una
per una e rimontarle da capo.”
***
“Sono ufficialmente esaurito.”
Dichiarò Derek, abbandonandosi sulle gambe di Francie che, seduta al suo banco,
tentava di mangiare tranquillamente una barretta ai cereali.
“La notizia mi risulta
effettivamente indispensabile... Ora sì che potrò dormire la notte.”
“Quel...quel coso.” Esalò Derek,
indicando Lex, seduto a pochi banchi di distanza. “Ha una brutta influenza su
di te. Sei acidula da quando esci con lui.”
“Non esco con lui.” Ripeté per la
millesima volta, pensando che avrebbe dovuto probabilmente registrarsi quella
frase, insieme a tutte le sue varianti, ed avviare il nastro ogni qual volta
qualcuno le avesse posto quella domanda. Sarebbe stato infinitamente più
facile.
Un punto per Francie per l’idea,
nulla da dire.
“E, comunque, io continuo ad
essere esaurito.”
La giovane alzò gli occhi al
cielo, afferrando il messaggio che l’amico voleva trasmetterle.
“E chi è che ti esaurisce, Der?”
Domandò con tono ironico. “Mandy?”
“No! Cioè, anche... ma no, è
Beatrix. Io credo di non piacerle più.”
Francie spalancò gli occhi.
“E come fai a dire una cosa del
genere?”
Derek si strinse nelle spalle,
affondando ancora un po’di più il viso tra le braccia conserte.
“Ho avuto il sospetto un mesetto
fa, quando ha iniziato a chiamarmi sempre più di rado e...”
“Derek, in questo periodo abbiamo
un sacco da fare, nemmeno tra ragazze usciamo più.”
“Lo so, lo so, ma mi conosci, sai
come sono fatto... quindi ho deciso di provare a farla ingelosire... faccio
apprezzamenti su belle attrici, flirto con altre ragazze, ma niente! Cinque
minuti fa le ho detto che Chandelle mi ha invitato al ballo... le ho detto una
decina di volte che è carinissima, che quasi quasi accetto il suo invito, ma
niente, solo un silenzioso e maledettissimo niente! Perché la mia ragazza non è
gelosa di me?” Domandò, sconsolato, nascondendosi definitivamente dietro alle
proprie braccia.
E Francie rise.
E io non potei trattenermi dal
fare altrettanto.
“Trovi comiche le disgrazie degli
altri?”
“Ma quale disgrazia, Derek? Lo sai
che Bex è fatta così!”
“Beh, no, non lo so!” Replicò lui,
alzandosi di scatto come un cobra. “Non la capisco, perché si comporta così?”
“Derek, seriamente, nessuno in
questa classe... anzi, facciamo in questa scuola, ha mancato di notare che sei
fin troppo cotto di lei! Nemmeno io crederei che saresti disposto ad accettare
di uscire con un’altra e, beh, Bex ha tutto meno che le bistecche sugli occhi.
Non è gelosa perché sa che non ce n’è motivo, non è che non le piaci più.”
“Tu dici?”
“Derek, piantala di giocare, vai a
darle un bacio e invitala al ballo. Ti darà molta più soddisfazione, te lo dico
io!”
Touch my
world
With
your fingertips
(Queen,
Who wants to live forever)
Le sue labbra si
posarono su quelle di lei con molta più delicatezza di quanto i gesti
precedenti avrebbero lasciato supporre.
Cosa che a Liz, in
effetti, non piacque affatto.
Lasciando da parte la
finezza e la delicatezza che il modo in cui era vestita avrebbe dovuto
implicare, gli allacciò le braccia dietro alla nuca, il corpo perfettamente
aderente al suo.
Come sognava da tanto.
Da troppo.
Joe si separò da lei
per un solo istante, sorridendo e tornando poi a baciarla, le braccia strette
forte intorno alla sua vita, sollevandola da terra di qualche centimetro.
“Ben tornato,
Danger...” Mormorò lei, accarezzandogli una guancia.
Nei percorsi della vita
Solo adesso l’ho imparato
Non c’è niente che puoi dare per scontato
(i Pooh, Mi manchi)
“Bene, ora mi spieghi.” Si impuntò Martha, le mani ben
piantate sui fianchi, non appena Kevin ebbe chiuso la porta dell’appartamento.
Kevin sospirò, passandosi una mano tra i ricci tagliati di
fresco.
“Senti, non tirarla per le lunghe, ti prego... sei stato
silenzioso tutto il tempo e anche a scuola, non hai sorriso una volta, nemmeno
alle battutine di Christian...”
“Che fai, mi curi? E poi Chris non ha fatto battute, oggi.
Era piuttosto scosso per quello che è successo ieri sera. Sai, tra mio fratello
e Liz...”
“Kevin...”
“No, hai ragione... cambiare argomento non serve a niente.
Vieni.” Con una mano sulla schiena, mio fratello la sospinse verso il divano,
rigirandosi mentalmente le parole, cercando di trovare quell giuste.
Ma non esistono parole giuste per dire una cosa del genere, fratellone,
non ce ne sono.
“Martha, oggi mi ha chiamato una persona...” Cominciò, senza
guardarla, ma stringendole forte entrambe le mani.
Non avrebbe alzato gli occhi, no.
Non avrebbe lasciato che lei li vedesse così, lucidi di
lacrime.
“Kevin, così mi fai paura... Chi ti ha chiamato?”
“Tuo padre.”
“Mio padre?” Chiese ancora lei, strabuzzando gli occhi.
Kevin annuì.
“Ha detto che lo ha convinto sua sorella, che sarebbe stato
meglio se te lo avessi detto io... anche se è dannatamente difficile...”
Mormorò lui, trovando non so dove la forza per guardarla in viso.
E lei capì.
“No...” Soffiò, scuotendo la testa come una bambina
capricciosa. “Non... dimmi che non è quello che penso.”
Rispecchiando il suo gesto, anche Kevin scosse il capo,
stringendola forte a sé ed affondando il viso nei suoi ricci chiari.
“Mi dispiace, amore mio, mi dispiace tanto...” Mormorò, la
voce rotta dai singhiozzi, mentre il corpo di Martha iniziava a tremare tra le
sue braccia.
“Ma... quando?” Domandò la ragazza, asciugandosi le guance
con il dorso della mano.
“Questa mattina, alle dieci... Martha, davvero io non so
cosa dire... cosa fare, non...”
“Abbracciami forte... più forte che puoi.”
Kevin annuì, stringendola ancora di più a sé.
“Io pensavo... pensavo che ci sarebbe sempre stata, che...”
“Anche io lo pensavo di Nick. La vita è ingiusta, bimba mia,
ma...”
Martha scosse il capo, accoccolandosi meglio contro il suo
fianco.
“Sarebbe ingiusta se non ci fossi tu.”
“Hai voglia di parlare? Di fare qualcosa, qualsiasi cosa?”
Dolce Kevin che non sapeva come comportarsi... credo quello
sia stato uno dei momenti più commuoventi della mia vita... morte... oh, beh,
quello.
“Voglio che mi racconti di Nick. Tutto quello che puoi. E
poi voglio piangere...” Mormorò, la voce di nuovo interrotta da quegli odiosi,
liberatori singhiozzi.
E Kevin annuì, accarezzandole i capelli chiari e si chinò a
posarvi un bacio, prima di iniziare a raccontare di me.
E, ve lo giuro, non avrei mai immaginato che avesse così
tanto da dire.
And we
can have forever
And we can
love forever
Forever
is our today
(Queen,
Who wants to live forever)
“Andiamo a casa...”
Sussurrò Eliza, posando un bacio delicate sulla guancia di Joe, seduto a terra
dietro di lei, le braccia strette intorno ai suoi fianchi. “Comincia a essere
freschino...”
“Certo che fa
freddo... quel vestito dev’essere di carta velina, accidenti.”
“Come no. In realtà
era tutto un piano di Christian per eliminarmi fisicamente dalla faccia della
terra.”
Joe scosse il capo,
posandole un bacio sui capelli rossi.
“Ti avrebbe sparato e
basta. Invece ti ha vestita da principessa... come fosse necessario...”
“Joe?”
“Sì?”
“Andiamo a casa.”
Sorridendo, mio
fratello alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo. Sempre la solita,
dolcemente insopportabile Liz...
“Perché questa fretta?
Abbiamo tutto il tempo del mondo!”
E so che non è una fantasia
Non è stata una follia
Quella stella la vedi anche tu
Perciò io la seguo e adesso so
Che io la raggiungerò
Perché al mondo
Ci sono anch’io!
(Max Pezzali, Ci sono anch’io)
Christian mostrò il biglietto alla hostess e, subito dopo,
andò ad occupare il suo posto, proprio in punta all’aereo.
Bene, avrebbe ballato poco.
Con un sorriso, sistemò il bagaglio nell’apposito spazio e
si sedette, guardando fuori dall’oblò la foschia che avvolgeva l’aeroporto.
Ci avete mai fatto caso che c’è sempre, sempre foschia in
aeroporto? Anche nel giorno più sereno, lì c’è nebbia... sarà che partire è
tanto malinconico... per quanto si possa esserne felici, c’è sempre un velo di
tristezza nel lasciarsi una parte di vita alle spalle.
O forse è solo nostalgia di ciò che non sarà più.
Perché io lo sapevo, quel giorno, che Christian in America
non sarebbe tornato più, e credo proprio che lo sapesse anche lui.
Forse non consciamente, certo, ma anche lui dentro di sé era
certo che quello non sarebbe stato semplicemente un anno sabbatico.
Non una normale, lungBBNa vacanza in un paese lontano e romantico.
Non un viaggio in Francia per dimenticare, no.
Una vita nuova, forse migliore, forse no.
Perché a volte partire da zero serve eccome, perché non si
può andare avanti a vivere di delusioni e rimpianti.
Perché il mondo è grande e tu che puoi, Christian, lo devi
vivere.
Non aveva salutato nessuno, il professor Prato, prima di
salire su quell’aereo.
Aveva scritto delle lettere, però, e le aveva spedite in
aeroporto.
Una per Kevin, il più grande amico che avesse mai avuto.
Una per Joe, l’amore.
Una per sua sorella, perché non facesse il diavolo a
quattro, cercandolo.
Una alla scuola, con le sue dimissioni.
Non aveva nemmeno preparate le valigie: le aveva già pronte
da un po’, da tempo sapeva di aver bisogno di cambiare aria.
Con un sospiro tra il soddisfatto e il rassegnato, si lasciò
avvolgere dallo schienale, proprio mentre anche il sedile accanto al suo veniva
occupato da qualcuno.
“Buonsgiorno.”
Lo salutò una voce femminile piuttosto bassa dal forte accento francese.
Lui aprì gli occhi, non poco
scocciato che il suo pisolino aereo fosse stato interrotto così presto. Non
volendo cominciare la sua nuova vita con insulti o simili dovuti, peraltro,
solo alla sua malinconia, rivolse alla nuova arrivata il migliore dei suoi
sorrisi.
“Bonjour!” Rispose al saluto con una delle poche parole di quella
lingua che conosceva.
Poco male, avrebbe imparato.
E lì, su quell’aereo, la sua nuova
vita gli sorrise per la prima volta e gli tese la mano per presentarsi.
Forever is our today
Eliza si accoccolò meglio contro il bracciolo del divano, stringendosi
nel leggero plaid colorato, mentre Joe la raggiungeva, dopo aver appeso allo
schienale di una sedia il trench bluette.
“Come mai la coperta?” Domandò, sedendole accanto e ravviandole con una
mano i capelli chiari.
Lei si strinse nelle spalle, appoggiandosi a lui in modo del tutto
naturale.
Come se lui non l’avesse rifiutata per anni.
Come se fossero sempre stati insieme.
Sapete, a volte ancora oggi non mi sembra vero di poter dire una cosa
del genere... Liz e Joe insieme... nemmeno ci speravo più.
“Non dirmi che hai freddo!”
“Beh, un pochino... non mi è concesso, Mr Jonas?”
Joe scosse il capo, sorridendo in modo aperto, sincero... anche un
po’malizioso.
Un sorriso da Danger, insomma.
“Certo che ti è concesso. Quello che proprio non posso permettere,
invece...” Spiegò, assumendo un’espressione da consumano insegnante con anni di
esperienza alle spalle. “È che sia quel coso
a riscaldarti.” Concluse, liberandola dalla coperta e chinandosi a catturarle
le labbra con le proprie.
“Hai ragione.” Riconobbe lei dopo qualche minuto, allacciandogli le
braccia dietro al collo senza poter fare a meno di sorridere. “Sei una coperta
parecchio migliore di quel coso.”
Dichiarò, facendogli il verso.
“Sposami...” Le soffiò lui all’orecchio in modo improvviso e del tutto
inaspettato, sfiorandole il lobo con le labbra.
Liz si alzò leggermente, gli occhi sgranati.
“Cosa...cosa?” Domandò, incapace di formulare qualsiasi altra parola.
Joe ridacchiò, divertito dalla reazione ottenuta.
“Ti ho detto.” Leggerissimo bacio a fior di labbra. “Di sposarmi.”
“E quando?” Chiese lei, ora certa di aver capito bene e più che convinta
che la cosa non le dispiacesse affatto.
“Stanotte, se è possibile. O domani... o appena papà sarà disponibile
per farlo.”
Liz sorrise a quel bambino troppo cresciuto, quel Danger finalmente
tornato a casa e gli accarezzò con una mano le ciocche perfettamente lisce,
anche se un po’scompigliate.
“Perché tutta questa fretta? Abbiamo tempo...”
Joe scosse il capo, cocciuto.
“Sono stato morto per troppo tempo: ora voglio vivere... e ci sono cosa
che non possono aspettare più.”
Come prima cosa, vedo di
rispondere a tutte le vostre recensioni perché non lo faccio da un numero di
capitoli vergognosamente alto, quindi ora mi porto avanti col lavoro e lo
faccio prima ancora di aver scritto il capitolo! xD
Maggie_Lullaby: intanto ti ringrazio per aver tolto la storia e ti
ringrazio anche per la mail alla quale, per motivi di tempo, non ho risposto.
Eh sì, come hai letto sopra, il prossimo sarà l’ultimo capitolo... ma sto
scrivendo altre storie che spero seguirai con lo stesso entusiasmo!!! Non
preoccuparti, però: ho in mente ancora un piccolo grande colpo di scena
finale...
Tay_: guarda, leggendo le recensioni ho visto che a tanti
questo capitolo è parso un po’strano... chissà, forse a causa dell’impostazione
particolare o forse per i due eventi negativi, uno atteso e l’altro un
po’meno... comunque sono contenta che continui a piacerti, nonostante tutto!
Alexya379: guarda, per la nonna
non posso fare niente... ma a Christian non dire addio!!! Da quando è nata la
coppia Christian/Monique la mia mente ha iniziato a macinare a tutta velocità
su di loro e, oltre alle shot chrimon, ci sarà anche
la long Family Affairs e un’altra sorpresina che
dovrà aspettare un po’. Quindi seguimi anche nella sezione
originali, mi raccomando!
Melmon: Liz e Joe finalmente ce l’hanno fatta...ed era pure
ora, penso!!! Per quanto riguarda Chris, leggi la risposta ad Alexya...e perché è andato via... beh, per quello temo che
ti toccherà leggere il capitolo!!!
_giadina_: hehe
per la nonna dispiace a tutti, temo...tranne che a Nick, forse, chissà...
Sweet_Doll: Guarda, finché le parole sono queste, ti prego,
ripetile all’infinito che fastidio non danno mai!!!
Brotherina: devo ammettere che
non avevo pensato di scrivere le lettere di Christian, ma, ora che mi ci hai
fatto pensare, ho deciso che è un’idea stupenda!!! In quanto a Martha e Kevin,
non so se ci andranno sull’altare, visto che la vera Martha è atea convinta e
praticante, nonché eretica miscredente come la sottoscritta... forse in comune,
bisogna chiedere a lei XD
Smemo92: beh, in questo
commentino hai riassunto alla perfezione tutto il capitolo..non oso immaginare cosa faresti con qualche
riga in più! XD Mi piace, comunque, davvero tanto che tu abbia colto il
contrasto tra la felicità di Liz e Joe e le malinconie, piccole e grandi, che
li circondano... è proprio per questo che ho voluto tenere loro due separati
dal resto, come isolati in una dimensione a se stante... Complimenti! XD
Jeeeeee: Scandalizzata, addirittura!!! Wow!!! Non pensavo di
poter fare effetti del genere! Intanto ti ringrazio per i commenti alle varie Chrimon che si sentono un po’ignorate.... ma passando alla
storia qui....we we wechris
ti sta simpaticissimo ed è un grande!!! Non è morto!!! Non ditegli addio, tutti
quanti!!! Joe ha i suoi tempi, ma poi come vedi fa le cose in grande, o no? Ma
a Martha è morta la nonna, non la sorella! XD
Lyan: Eh, Derek è un po’stordito, ma dopotutto è un ragazzo,
non si può pretendere poi molto, no? Ma quante domande in una sola recensione!!
Spero che questo capitolo risponda a tutte!!!
Dollyvally: No che chris non sparirà! Ti
segnalo “Best Friends” e “Quel che non si dice”, oltre a “Family Affairs”, per stare ancora un po’con lui! Non ti
preoccupare per il commento breve... me ne farai uno lungo lungo
all’epilogo!!!
Selphie: *porge fazzoletto per lacrimuccia* Chris munito di pistola è un’immagine che mi
fa rotolare letteralmente XD Non ce lo vedo proprio!!!*immagina
Chris modello rambo con fascia di proiettili e mitra*comuuuunque... hehe, la proposta è molto danger!
Lui non è il tipo da chiedere di sposarti, no no...
lui ti informa che lo sposerai e punto. Parlare di Nick ha di certo aiutato
Kevin, per lo meno a sentirsi più vicino a Martha... e non ti preoccupare, in
questi capitoli finali avranno un ruolo un po’più attivo, i due fidanzatini
d’America. La ragazza che il professor Prato ha incontrato in aereo... beh, chi
è penso si scoprirà nell’epilogo, anche se non ne sono sicura... e comunque ha un
nome e, da poco, anche un cognome, non ti preoccupare: il sipario non si chiude
per Chris!
3: mamma mia che fatica
rispondere a tutti questi commenti! Eppure ne vorrei ancora di più, se
possibile tutti come il tuo!!! Ai commenti tuoi e della 1, però, non riesco mai
a rispondere come si deve, perché sarebbe come scrivere un altro capitolo! Ma
tu lo sai che apprezzo... però qui una cosa devo dirla. Tu sai quanto io ami il
personaggio di Christian e non sai quanto mi è piaciuto vederlo paragonato a
Mary Poppins! È un’immagine talmente romantica e
bambina che anche lui l’amerebbe! Grazie, 3, perché anche nelle recensioni mi
regali sempre queste piccole perle, cose in apparenza insignificanti, a cui
nessuno pensa, ma che per un autore fanno la differenza, perché lo fanno
sentire apprezzato.
1: un commento che si fa
attendere, ma che vale sempre la pena di leggere! Ti ringrazio prima ancora che
tu abbia iniziato a scriverlo, perché, anche quando non hai tempo, qualche
minuto per me lo tiri sempre fuori e spero che sarà sempre così, anche per cose
più serie di una recensione ad un racconto. Tu, come la 3, sei in grado di
farmi sentire fiera davvero di quello che scrivo... ed è per questo che posso
dirti grazie senza aver ancora letto il tuo commento. Perché sono sicura che
l’amerò.
Temperance
-Capitolo
Trentadue-
Puoi alzare barriere
Litigare con Dio
Cambiare famiglia e città
Strappare anche foto e radici
Ma tra amici
Non c’è mai un addio
(i Pooh, Amici per sempre)
Buongiorno buongiorno professor Jonas!
Sinceramente, non ho
idea di quanto veloci siano le poste del New Jersey, per cui non so nemmeno
quando riceverai questa lettera, né quando lo faranno Joe o mia sorella, però
io sicuramente sarò già lontano. In Francia, presumibilmente, nel monolocale
che sono riuscito per miracolo ad affittare e che spero che presto, con un
miracolo ancora più grande, si trasformerà in un appartamento nel quale possa
voltarmi senza picchiare i gomiti contro le pareti.
Bene, immagino che a
questo punto dovrei dirti perché sono partito e magari hai anche un sacco di
aspettative nei confronti di questa lettera... che ne so, parole strappa
lacrime che spiegano come io non sopportassi più il mio schifo di vita. Mi
dispiace deluderti, professore, hai sbagliato indirizzo. Perché io la mia vita
a Princeton la adoro e mi mancherà.
Me ne vado perché sono stanco.
Semplice.
Banale.
Per nulla da me, lo so, però ho passato decisamente troppo tempo a fare
le cose nel mio stile.
Ora si cambia rotta e lo si fa alla grande.
Ho scritto anche a Joe,
non stare a spiegargli tutto... a meno che, ovviamente, la mia lettera non si
perda e, conoscendo il servizio postale, tutto può essere. Se te lo chiede,
però, digli che non è colpa sua se me ne vado, ripetiglielo all’infinito,
perché non deve pensarlo nemmeno per scherzo.
In quanto a noi,
Kevin, ti scrivo perché, malgrado la tua testaccia dura da fare invidia a un
macigno, devo ammetterlo: mi mancherai. Mi mancherai perché un amico come te
non l’ho mai avuto, vuoi perché ho sempre avuto più che altro amiche, vuoi che
ci siamo proprio trovati.
Ti voglio bene, per quanto poco virile questa frase possa apparire e mi
piacerebbe che continuassimo a sentirci, perché l’amicizia ha questo di bello:
non è la distanza a cancellarla, se è vera e sincera.
Bene, credo che sia
meglio chiuderla qui, prima che le carie imperversino nella tua bocca... ti
allego l’indirizzo della mia mini casa...e un grosso in bocca al lupo per la
tua storia con Martha, perché è la miglior cosa che ti potesse capitare, fidati
di uno che di amori ne ha vissuti un po’... tutti sbagliati, certo...chissà,
forse in Francia troverò anche io la mia Martha.
Per ora ti lascio...
ci sentiamo presto.
Christian
Per chi merita
di più
Per chi ha
vent’anni e un giorno
Per chi pensa ai
primi amori di vent’anni fa
Possa il tempo
darci tempo di volare piano
Per chi siede su
un domani che non si sa mai
Per chi è grande
e non lo sa
Per chi oggi
nascerà
E per te
(i Pooh, Per chi
merita di più)
Bella giornata.
Prato verde.
Cimitero affollato da gente che vorrebbe
essere ovunque ma non lì.
Tanta gente.
Tutti con le lacrime agli occhi.
Era un funerale strano, un
funerale senza prete e senza pastore e pieno zeppo di tante persone tutte
diverse ed era commuovente vederle tutte lì insieme a salutare una donna speciale
come quella che ora siede qui accanto a me.
C’era mio fratello, vestito di
nero, con la cravatta troppo lenta che svolazzava nel vento, perdendosi in
mezzo ai capelli di Martha, gli occhi verdi persi chissà dove, su un qualche
punto indefinito dell’orizzonte o forse sul ricordo di un giorno troppo simile
vissuto quasi cinque anni prima.
C’era Martha, appunto, in piedi
davanti a lui che si lasciava abbracciare e che pareva quasi incredula di
quante lacrime fossero state in grado, in quei giorni, di lasciare i suoi
occhi. Guardava fissamente la bara di sua nonna scendere nella terra davanti a
lei, stringendo forte tra le piccole mani una borsetta simile ad una grossa
perla, candida come il resto del suo abbigliamento, giovane sposa in un mare di
giacche color della notte.
Hanno tutta una vita da vivere,
loro, e hanno capito che di buttarla via non è davvero il caso.
C’è Daniel, poi, e la sua
Jaqueline un poco discosta da lui.
Si tengono per mano, senza
guardarsi, gli occhi di entrambi rivolti verso quella figlia che sembrava
essersi allontanata da loro definitivamente. Avrebbero dato qualsiasi cosa, in
quel momento, perché Martha fosse lì vicino a loro, come era stata per tutta la
vita.
Però, signori Sheperd, Martha ora
ha la sua di vita e voi avete scelto di non farne parte, ma non è mai troppo
tardi per cambiare le cose.
Avete amato anche voi per la prima
volta, di certo sapete che cosa vuol dire la speranza che quella storia così
emozionante, così speciale, non finisca mai. Pensateci, Daniel e Martha, pensateci
ogni volta che vi viene in mente che Kevin potrebbe farle male, che potrebbe
non essere quello giusto per lei.
E non odiatelo... è un brav’uomo,
mio fratello, anche se non se ne rende conto.
Sì, c’erano davvero tante persone,
quel giorno... amici di Daniel, amici di Martha, vecchie signore e anche
qualche antico spasimante di Jean, tutti con una storia diversa, tutti uniti
nel dolore e nell’amore.
Come un’ultima festa, il
settantesimo compleanno che la mia nonna nuova di zecca festeggerà solo con me,
vegliando dall’alto su chi ci ha voluto bene e ancora ce ne vuole, su chi è
rimasto laggiù, in un mondo più difficile del nostro ad affrontare la sfida più
dura di tutte, su chi merita una vita migliore di quella che ha avuto finora.
Noi da quassù non possiamo fare
niente per fare del mondo un posto più piacevole... ma tentare non costa nulla,
no?
Io posso dire la
mia sugli uomini
Qualcuno l’ho
conosciuto
Qualcuno mi è
solo sembrato
Qualcuno l’ho
proprio sbagliato
E qualcuno lo
sbaglierò
Ma posso dire la
mia sugli uomini
(Fiorella
Mannoia, Io posso dire la mia sugli uomini)
Caro Joe,
Non sto a farti lo
sproloquio su come, quando e dove scrivo questa lettera e su dove sarò quando
la riceverai. Ho già detto tutto a Kevin, puoi farti raccontare con calma da
lui. In realtà potrei passare pagine e pagine a cercare di spiegarti perché ho
preferito scriverti, scrivere a tutti voi, piuttosto che salutarvi di persona,
occupare tante righe e tanti fogli dicendoti tutto e niente, perché, ad essere
sincero, non so davvero che parole usare per comunicarti ciò che più mi preme.
Io ti amo, Joe. Sono
seduto su un aereo, sto partendo per l’Europa e ho praticamente la certezza che
non ti vedrò mai più, eppure io ti amo ancora con tutta la forza che il mio
cuore possiede. Io non credo in Dio, né a un disegno di qualsivoglia essere
superiore, per cui non penso che tutto accada per un motivo. Non so se tu sei
capitato nella mia vita per sbaglio, per errore o per chissà che cos’altro e
sono certo che nessuno ti ci ha mandato per darmi una lezione di vita o per
mettermi alla prova. Non ho bisogno di prove di questo genere, io: ne ho già
avute fin troppe e ne faccio volentieri a meno.
Perché il mal d’amore ti sfianca, non ti lascia dormire la notte e
mangiare il giorno. In effetti, penso sia la malattia più grave che abbia mai
afflitto il genere umano, anche perché è presente in ogni tempo e luogo e non
smette mai di mietere vittime.
Ma sono convinto che tu queste cose le sai già, perché anche tu ne hai
sofferto molto, non è vero?
Non voglio essere
ipocrita, Joe: non sono felice per te e Liz e non ho nemmeno intenzione di
esserlo in futuro. Sono arrabbiato, deluso e amareggiato perché per un momento,
un momento solo, anche se sapevo che era un’idea pazza, anche se ero cosciente
che non si trattasse di nulla più di un’illusione, per un momento ho pensato
che potessi essere tu quello che cerco, tu quello disposto a stare con me per
quel che resta di questa vita.
Mi sono sbagliato.
E dire che io gli uomini li conosco e non solo perché faccio, mio
malgrado, parte di questa scanchignata categoria. Io gli uomini li conosco
perché ne ho incontrati tantissimi, di tutte le età e tutti, immancabilmente,
mi hanno deluso, a partire dai primi che io abbia mai conosciuto: mio padre e
mio fratello maggiore. Non ho un buon rapporto, io, con gli uomini, però, come
stavo dicendo, li conosco fin troppo bene, eppure ogni volta riesco ad
ingannare me stesso, a farmi credere che c’è da qualche parte la persona giusta
per me, quella che saprà farmi sognare e battere il cuore per il resto dei miei
giorni.
Questa volta, però, l’errore è stato madornale, eppure non me ne pento.
Non me ne pento,
caro il mio Big, perché aiutarti a sconfiggere quella specie di bestia nera che
viveva dentro di te ha aiutato anche me a capire che cosa voglio veramente
dalla vita, a rendermi conto che apparire carino e simpatico davanti agli altri
non serve a nulla, se prima si riesce davvero a conoscere se stessi. Tu e tuo
fratello, ognuno a suo modo, mi avete fatto ritrovare un Christian che non
vedevo da tanto tempo, della cui esistenza nemmeno mi ricordavo più. Un
Christian che ha bisogno di staccare dal mondo e ricominciare da zero.
Un po’come formattare l’hard disc.
Per questo me ne
vado, anche se sono certo che mi mancherai terribilmente, così come sono sicuro
che non cesserò mai di ripetermi che forse non lottare per te è stato un
errore, forse il più grande della mia vita. Ma oramai quel che è fatto è fatto,
tornare indietro non si può e forse, dall’altra parte dell’oceano, c’è
veramente quel qualcuno che sogno da trent’anni. Qualcuno seduto su uno scoglio
a guardare l’orizzonte, gettando ogni tanto un’occhiata all’orologio,
chiedendosi perché sono così in ritardo. Romantico, non è vero?
Bene, con
quest’immagine degna dell’arte di William Turner finisco di angosciarti e ti
dico arrivederci, perché addio è una parola troppo triste. Anche se il senso,
alla fine, è lo stesso. Perché qui cala il sipario sul primo atto della mia
vita... e del secondo tu non fai parte. Mi dispiace.
Ti auguro tutto il bene possibile, perché Eliza ti ama almeno quanto il
sottoscritto, puoi metterci la mano sul fuoco.
Sarai sempre speciale per me.
Sempre unico.
Sempre Joe.
Christian
(o Carrie, se preferisci)
I could stay awake just to hear you breathing
Watch your smile while you are sleeping
When you’re following your dreams
I could spend my life in this sweet surrender
I could stay lost in this moment forever
When a moment spent with you
Is a moment a treasure
(Aerosmith, I don’t want to miss a thing)
Joe aprì gli occhi, maledicendo in
silenzio il malefico e traditore mal di schiena che sembrava aver preso pieno
possesso della sua zona lombare senza alcun motivo apparente.
Poi, però, mio fratello iniziò a
prendere coscienza di dove si trovava e il suddetto motivo apparentemente
inesistente si materializzò davanti ai suoi occhi in una cascata di ricci rossi
abbandonati sulla stoffa della sua maglia colorata.
Ora, avrebbe voluto poter dire che
il mal di schiena scomparve nel nulla non appena si rese conto della presenza
di Eliza tra le sue braccia, ma questa non è una favola, è la vita vera e,
purtroppo, i dolori non spariscono semplicemente perché ci si sente molto,
molto felici.
Immensamente felici, a dire il
vero.
Talmente felici da essere convinti
di poter spiccare il volo.
Beh, in ogni caso, forse il male
non sparì, ma ciò che apparve ad illuminare il viso di Joe in sostituzione
della smorfia che lo aveva sfigurato fu un tenerissimo sorriso che da anni non
ne voleva sapere di farsi vedere su quelle labbra.
Piano piano,
prese ad accarezzare con una mano i capelli ramati di lei, districandone a
fatica le ciocche scompigliate.
Liz si mosse appena, borbottando
qualcosa si incomprensibile e rafforzando la prese dalle sue dita sulla
maglietta di lui, per poi sospirare e sorridere, persa in chissà quale sogno
che a lui non era dato conoscere.
Con una fitta al cuore, Joe si
rese conto che erano almeno cinque anni che non stava così vicino a lei...
cinque anni in cui non aveva smesso un secondo di amarla ma in cui era stato
troppo preso ad autodistruggersi per prestare attenzione ad un sentimento così
sciocco e frivolo.
Così positivo.
Per questo aveva deciso che Eliza
non doveva più fare parte della sua vita: lei era bellezza, lei era felicità...
e dentro di lui non c’era più posto per niente di bello e felice.
O, almeno, questo era ciò di cui
aveva voluto così ardentemente convincersi.
Stupido Joe... ora ti rendi conto
dell’errore che hai fatto vero? Da quanto potreste stare insieme, a
quest’ora... magari avere già una famiglia.
Certo, ma piangere sul latte
versato è inutile, fratellone... quindi va bene così, va bene che tu ti sia
reso conto in tempo di ciò che stavi perdendo e abbia deciso, magari con
qualche piccola spinta da parte di altri, di porvi rimedio.
Sei stato bravo, tutto sommato,
non posso dire di no.
Ora lo sai che non mi hai ucciso,
vero?
Sì che lo sai... lo hai sempre saputo, in
realtà.
Distratto da non ricordo che
pensieri, forse dagli stessi miei, Joe continuò a lasciar vagare la mano tra i
capelli di Liz, finché le sue dita incapparono in un nodo che non riuscì a
sciogliere al primo colpo e finì per darle un leggero strattone alla testa che,
ovviamente, la portò ad aprire gli occhi.
Tipicamente da Danger.
“Che bel risveglio...” Mormorò, stiracchiandosi,
senza, però, allontanarsi da lui.
“Scusa...” Rispose Joe, con un
sorriso persino troppo timido per appartenere a lui.
“Non ti preoccupare... non saresti
tu se non facessi di queste cose.” Replicò lei, chinandosi a depositargli un
bacio a stampo sulle labbra socchiuse.
“Beh... non è che io mi sia
svegliato meglio, sai? Pesi...” Mormorò mio fratello, tentando di essere
fintamente seducente, ma risultando solo profondamente ridicolo.
“Cretino!” Esclamò Liz,
picchiandolo piano sulla spalla sinistra.
“Va bene, va bene, come vuoi...
dove eravamo rimasti ieri sera?” Domandò, mentre Liz rotolava di lato,
appoggiando finalmente la schiena sul materasso e lasciando lui libero di
compiere qualche movimento in più.
Non fu piacevole come si sarebbe
aspettato...
“Mi hai chiesto di sposarti.”
“Non te l’ho chiesto.” Chiarì Joe,
tornando a cercare un po’di contatto con lei nel sistemarsi a gattoni sopra di
lei, le mani accanto al suo viso, le ginocchia a lato dei suoi fianchi. “Era
una comunicazione di servizio.”
“Oh... ora capisco la mancanza del
punto di domanda.”
“Non mi hai risposto.”
“Non mi hai fatto nessuna domanda,
l’hai detto tu. Come avrei potuto risponderti?”
“Doolittle...”
“Jonas.” Ribatté lei con una
linguaccia.
“Ti odio...”
“Anche io, ma, ciononostante,
penso che acconsentirò alla tua richiesta non richiesta...” Il viso di Joe non
fece in tempo ad assumere un’espressione di lieto stupore, che lei subito
arrivò a tarpargli le ali, prima che potesse salire sul primo volo diretto in
direzione luna. “...però prima devi fare una cosa per me. Anzi... una cosa per
la tua famiglia.”
Notte di giovani attori, di pizze fredde e di
calzoni
Notte di sogni, di coppe e di campioni
Notte di lacrime e preghiere
La matematica non sarà mai il mio mestiere
E gli aerei volano in alto tra New York e Mosca
Ma questa notte è ancora nostra
(Antonello Venditti, La notte prima degli esami)
Beatrix chiuse di scatto il libro
di storia dell’arte, accasciandosi contro il petto di Derek che, seduto dietro
di lei, aveva già rinunciato da parecchi minuti al ripasso dell’ultimo secondo.
“Ragazzi, è la notte prima degli
esami: dovremmo essere in giro a fare casino invece di stare rinchiusi in
camera con questi dannatissimi libri!” Esclamò la ragazza con aria più che
scocciata.
“Non dire scemenze, Bex, solo nei
film si passa questa notte a fare baldoria. Dobbiamo studiare!” Esclamò Francie,
buttando giù la terza tazzina di caffè in un sol sorso.
“Come se avessimo fatto altro da
due mesi a questa parte! Sto iniziando ad essere esaurita, sapete?! Il mio
cervello non è in grado di assorbire più nemmeno una virgola e non faccio sesso
da tre settimane perché questo qui non fa altro che provare la sua stupidissima
canzone per il suo stupidissimo ballo!”
“Ehi, suonare con Jonas è un’occasione
unica!” Si giustificò Derek.
“E allora scopati lui la prossima
volta che lo vedi!”
“Bex, datti una calmata.” La redarguì
il ragazzo, scostandosi un poco da lei, per poi ripensarci ed abbracciarla
ancora più forte.
“Dai, ragazzi...” Intervenne Lex,
ravviandosi i capelli scuri. “Siamo tutti un po’nervosi e forse dovremmo fare
davvero una pausa...”
“No!” Protestò vivacemente
Francie, scribacchiando furiosamente un paio di appunti sul margine del libro.
“Scusate, è colpa mia...”
Intervenne Beatrix. “È che sono agitata... ho paura di non passare... e poi
sono preoccupata per Martha, avrebbe già dovuto essere qui.”
“Sarà da Kevin, piccola...” Disse
Derek, accarezzandole i capelli. “Stai tranquilla...se lo passo io, quell’esame
lo passano tutti. Tu per prima.”
Con un verso sommesso, la ragazza
affondò il viso nella maglia di lui.
In quel momento suonò il
campanello.
“Apro io.” Esclamò Lex, saltando in
piedi e dirigendosi verso la porta.
“Ciao!” Salutò Kevin con un
sorriso triste, mentre Martha faceva un moscio ciao con la mano.
“Vieni qui, tu...” Mormorò il
ragazzo, abbracciandola forte, mentre Kevin entrava in casa a sua volta e si
chiudeva la porta alle spalle.
“Vi preparo qualcosa da mangiare,
andate di là, dai... e cercate di dormire un po’, che dovete essere lucidi,
domani.”
“Dormire?” Domandò Lex, ironico. “Dormire
questa sera? Ma tu te la ricordi la
tua notte prima degli esami?”
Kevin parve riflettere per qualche
istante, perso nei ricordi di quei momenti magici che la nostra carriera gli
aveva impedito di vivere.
E poi sorrise.
“Hai ragione... è la vostra
notte... godetevela.”
“Per quel che si può godere una
notte di studio...” Ironizzò Martha, tirando su col naso.
“Dai, andate.” Ripetè, chiudendosi
nella piccola cucina dell’appartamento di Beatrix.
“Che facciamo, obbediamo?” Propose
Lex, stringendo la mano di Martha. “Le fanciulle e Derek ci aspettano...”
Lei annuì, asciugandosi un’ultima
lacrima.
Aveva ragione, Kevin.
Non importava il resto del mondo,
quella notte. Perché quella notte era la loro ultima da compagni di classe, la
loro ultima da liceali... la notte prima degli esami.
È ufficialmente finita
quest’avventura, fino ad ora la migliore della mia “carriera” di scrittrice che
forse di questo nome non è totalmente degna... ma bando alle ciance, non sono
mai stata modesta, io!
Mi è piaciuto tanto scrivere
questa storia...e credo di dover spendere due parole per un finale breve, che
forse vi parrà un po’buttato lì.
Non lo è.
Ho messo in queste quattro
pagine tutta la mia solita passione, ma per scelta ho preferito lasciare una
fine un po’così, un po’dolce e un po’amara, che lascia presagire un buon inizio
per tutti i nostri protagonisti senza effettivamente descriverlo, questo
inizio.
Perché questo è un inizio, non
una fine, è l’inizio delle nuove vite di Kevin, Joe e Christian, rinate dopo
una morte durata troppo tempo.
Spero vi possa piacere anche
questo finale non finale... e spero che lasceranno un commentino anche un po’di
quei fantasmini che mi tengono tra i preferiti ma che
non hanno mai commentato.
Ora passo ai ringraziamenti, che
sono essenziali, proprio come per me lo siete tutti voi.
Ma prima voglio dedicare questo
capitolo speciale ad un amico speciale, la cui strada ben presto si dividerà
dalla mia. E che deve sapere che gli vorrò sempre bene, anche se sarà lontano.
Chiaro Fla??? J
Bene.
Ora, nell’ordine, grazie a...
Chi mi tiene tra le seguite:
juju210
Rachelle
Smemo92
Chi mi tiene tra i preferiti (e
siete davvero tanti!!):
Agatha
(<3)
AlexKelly
Alexia379
Alice brandoncullen
Ayachan
Beautiful_disaster
Billa
Brotherina
BuonaNotteLuna
Carlottasole
Ciuly
Coldice
Fefy88
Ffdipendente
Fiore di ren
Giulietta 24
Heilig fur immer
Infinity
Jeeeeeee
Juju210
Kekkuccia
Kiocciolinae4e
Kji
Krufealetheia
KymLYCANTROPHE
LillteSleepingBeauty
littleQueen
Lyan
Mangaka_Baka
MartinaTH4e
MaryG92
Mari_diosa
Maybe
Midnight_Tears
Minako_86
(<3)
Pacific
Soul
Piccolalilo_
PiccolaSere
Pretty_Odd
Princess
jiu 327
PrincessMalfoy
PrincipessinaDiCioccolato
Reby94xx
Rossy_Toffee
Sbrodolina
Schwarz_black
Star97
Stargirl312
Sweet
Doll
Sweet
Stella
Sweet_giu
Sweet_S
Sweet_star
Tay_
Tokitoki
Truelove
Yuki no Hime
_daydreamer_
_giadina_
_Pucia_
_Skipper_
_Sophy__xX
_Tita_
Chi mi ha commentato, chi ancora
non l’ha fatto, chi lo farà in futuro:
SweetDoll: Chris ringrazia per i
complimenti alla sua lettera... e io per la fedeltà con cui hai seguito questa
storia!!!
Jeeeeee: scriverò mai il tuo nick con
il giusto numero di e? Chissà xD Diciamo che quello
che Liz chiede a Joe non è detto direttamente... è sottointeso, ma spero si
capisca di che cosa, effettivamente, si tratta!
Alexya379: Beh, Joe e Liz sono
dolci... anche se lui per me sarà sempre e solo il Big di Carrie!!!
Smemo92: Sì, direi che Derek ha
invitato la sua Beatrix al ballo, dai.. e Chris... beh, Chris parte perché è
giusto così, ma leggerai, in questo piccolo epilogo, che...
Vitto: Sì, ti scriverò un’altra
lettera...e perdona se non ho risposto all’sms, ma sono perennemente senza
soldi. Lo sai solo tu per quale assurdo principio non puoi passare a Vodafone,
benedetta ragazza. Ora però ti chiedo un favore: per quest’ultimo capitolo
vorrei una recensione che fosse tale, un commento lungo e riguardante la
storia. Altrimenti preferisco se lasci stare di commentare...
Lyan: Beh, anche a me è piaciuto scrivere la classica notte
prima degli esami... forse perché anche io sono una romantica senza speranza,
chissà...
Selphie: Martha vestita di bianco è stata approvata dalla Marta
reale, quindi sono ben felice di averla inserita! E le lettere... come vedrai
in questo capitolo ci ho preso gusto a scriverle!
Maggie_Lullaby: Ma certo che ti ho perdonata, sciocchina!!! Vedo che le
lettere di Christian hanno fatto successo! Bene! Il colpo di scena, purtroppo,
per forza di cose, è saltato, perché il finale che avevo pianificato era
diverso da questo, ma pazienza... ci saranno altre storie con altri colpi di
scena, no?
3: ed ecco qui il primo dei
grazie specialissimamente speciali alla seconda delle mie cognate (alla prima
lo farò quando posterà il commento, tsè*se la mena*). Lo so, anche per
me è un po’malinconico pensare che davvero quest’avventura sta finendo, ma lo
sai che cosa? Così deve essere, perché era da un po’che questa storia si
trascinava avanti senza un vero perché e forzarla ancora avrebbe voluto dire
rovinarla. Quindi ho preferito lasciarla così, con questo finale dal sapore
indefinito... ma tu lo sai che io ho tanti progetti: non resterai in astinenza!
PrincessMalfoy: Perdona se non rispetto le maiuscole del nickname... e
grazie per il commento, dimostrazione che anche negli ultimi capitoli può
arrivare qualcuno di nuovo!!!
1: credo che mi toccherà
ringraziarti via msn, dato che il tuo commento ancora
non ce l’ho *faccino che spernacchia*
Finisco dicendo che questa
storia non avrà un sequel, quindi
non me lo chiedete.
Temperance
-Capitolo
Trentatrè-
Se fossi in te
Che cerchi un lavoro
Mi
inventerei due braccia ed un futuro
(i Pooh, Per noi che partiamo)
“Non è un po’bassino?” Domandò Joe inarcando un
sopracciglio.
Mai stato un grande affarista, mio fratello... anzi, non è
proprio mai stato in grado di riconoscere un’occasione, nemmeno quando questa
gli cadeva in testa.
Susy si appoggiò al bancone con un sorriso a metà, mentre
Liz osservava la scena, allacciandosi il grembiule e ridacchiando
sommessamente.
Joe non sapeva decisamente con chi aveva a che fare.
“Bimbo, tu non mi piaci.” Sentenziò la donna, posando il
capo sulle mani intrecciate. “Ma Eliza sì e tanto, pure. Quindi voglio farle
questo piacere. E poi hai una vocetta niente male, da non sottovalutare. Il
lavoro è tuo, ma il capo sono io e tu non devi osare lamentarti nemmeno per
sbaglio, nemmeno in confessione davanti al prete perché io lo verrei comunque a
sapere e lì ti ritrovi bell’e disoccupato un’altra volta. Tutto chiaro?”
Joe sorrise, assumendo la stessa posizione di Susy.
“Hai mai pensato di entrare nelle SS, Suze?”
“E tu hai mai pensato ad una carriera come operatore ecologico?
Non si guadagna granché, ma ho sentito dire che è un mestiere ricco di
stimoli.”
Mio fratello storse il naso, piuttosto schifato, mentre Liz
serviva un tramezzino, rischiando seriamente di schiantarlo sulla maglia della
cliente per non perdersi nemmeno un istante della scena.
“Non fare quella faccia schifata, Jonas, che ti si rovinano
le guanciotte. Fino a qualche settimana fa potevi
tranquillamente essere scambiato tu stesso per un rifiuto, quindi hai ben poco
da essere disgustato.”
Seguì un breve ma intenso scambio di sguardi.
Molto intensi.
Rasentanti l’omicidio, a dire il vero.
“Lo vuoi il lavoro o no, bimbo?”
“Certo che lo voglio.” Mugugnò lui. “Ma sappi che anche un
cane verrebbe pagato più di me.”
“Un cane è più facile da sopportare.”
“Allora sono fortunato che i cani non cantino.” Ringhiò,
strappando il microfono dalle mani inanellate della donna ed avviandosi verso
il piccolo palco del pianobar.
Susy sorrise, mentre Liz si accostava nuovamente al bancone,
appoggiandovi il vassoio.
“Allora?”
La mora annuì con aria assorta, osservando Joe che cercava
di capire se il pianoforte era accordato come intendeva lui.
“Allora che, Ginger?”
“Lo sai benissimo che. Credi che ce la farà?”
“Beh, non deve poi fare granché.”
“Suze.” La riprese Liz, inclinando da un lato la testa
ricciuta. “Lo sai cosa intendo.”
“Ce la farà.” Rispose, allora, prontamente. “Se fossi uomo
ci scommetterei le palle che ce la farà.”
Sopra un palco contro un muro
Anche in un domani duro
Ogni giorno una conquista
La protagonista
Sarà sempre lei
(Andrea Bocelli, Vivo per lei)
Martha appoggiò il capo alla spalla di Kevin, chiudendo gli
occhi e concedendosi un lieve sospiro.
“Sei uno stronzo.” Mormorò a pochi centimetri dal suo
orecchio.
“A cosa devo questo complimento?” Domandò lui, girando piano
uno dei piroli della chitarra bianca.
“Lo sai benissimo.”
“Ancora, amore? Non era difficile...”
“Sì che lo era, considerato che sono la tua ragazza e tu non
avresti nemmeno dovuto essere in commissione.”
“Beh, ma questi esami li hai finiti, no? Non è di certo la
mia domanda ad averti rovinato la media.”
“La tua stronzissima domanda.”
Kevin sorrise, scuotendo la testa.
“Va bene, la mia stronzissima domanda su quell’animale di
Debussy. Va bene?”
“No, povero, lui non mi ha fatto niente.”
“Su quel grand’uomo di Debussy.”
“Ora non esageriamo...”
“Mar ma non ti va bene niente, oggi!”
Martha ridacchiò, schioccandogli un sonoro bacio sulla
guancia.
“È una bella serata.”
“Lo sarà.” Replicò Kevin, passandosi la tracolla della
chitarra dietro al collo.
E non era un’ipotesi, quella del mio fratellone.
Non una supposizione, non una speranza.
Ma una certezza.
Perché non poteva essere che così, non poteva che passare
dei momenti meravigliosi, suonando insieme a Joe, proprio come una volta.
Proprio come quando nessuna vita era stata distrutta da un
motore che ruggiva troppo forte.
Né la mia né quella dei miei fratelli.
Bene, ci siamo.
Sulle note dei miei fratelloni che di nuovo suonano insieme
si conclude la storia che vi sto raccontando oramai da un po’.
Non so se vi sia piaciuta, se vi abbia emozionati o se vi
abbia fatto venire voglia di condividerla con altri. Forse vi ha fatti
ridere... o piangere, che è più facile, ma, sinceramente, non mi interessa poi
molto che cosa voi ne pensiate.
Bella o brutta che sia è la storia della mia vita...e non
credo la cambierei.
Mai.
Se nasco un’altra volta
Non cambio una parola
Un batticuore né un addio
Rifaccio quel che ho fatto già
In questa vita mia
(i Pooh, Se nasco un’altra volta)
-Epilogo-
It’s so
easy now ‘cause you’ve got friends you can trust,
Friends
will be friends,
When
you’re in need of love they give you care and attention
Friends
will be friends
(...)
Hold
your hand ‘cause friends will be friends (right till the end)
(Queen,
Friends Will be Friends)
Princeton, 16 settembre 2020
Ciao, Chris.
Come si sta lì in Francia? Ho
sentito dire che l’estate è stata molto calda...chissà, forse almeno voi
riuscirete ad avere un inverno non troppo rigido.
Qui
piove.
Oggi
è di nuovo quel giorno e di nuovo
piove.
Non
so se riuscirà mai a compiere gli anni con il sole, il mio fratellino. Da
quando è morto non l’ha mai fatto, comunque.
Non so perché ho deciso di
scriverti proprio oggi, con tutto quello che ho da fare... dopotutto, oggi è il
giorno di Nick e domani è il compleanno di Martha e sono impegnato fin sopra ai
capelli.
Non
so perché, appunto, ma ho sentito che era giusto scriverti oggi e chi sono io
per oppormi a ciò che è giusto? Dopotutto, per quanto siano passati più di due
anni dall’ultima volta che ti ho visto, tu sei e rimani il migliore amico che
abbia mai avuto e ci mancherebbe che mi si levi anche il diritto di scriverti
quando mi pare.
Oggi al cimitero era tutto
diverso... se non fosse stato per tutte le tombe che, ovviamente, lo
riempivano, avrebbe quasi potuto sembrare un posto allegro. Con tutto ciò non
voglio essere sacrilego né niente del genere, eh... è solo che.... non lo so...
persino il prato sembrava più verde, per quando la pioggia non gli abbia dato
un attimo di pace negli ultimi tre mesi.
E
poi c’era Nicholas, naturalmente... quel bambino è una forza della natura, un
piccolo Danger, degno figlio di suo padre, ed è capace di portare allegria
ovunque vada e io gli voglio un bene dell’anima. E non dire che è normale,
visto che è mio nipote: lo so anche da solo.
Avresti
dovuto vederlo: si è seduto davanti alla lapide di suo zio e ha iniziato a fare
alla fotografia tutta una serie di quegli strani discorsi che solo un bambino
di un anno può pronunciare e comprendere. Parole senza senso che, però, sono
più che certo che il mio fratellino abbia capito.
Lo so, lo so, sto diventando
uno sciocco sentimentale e romantico, ma che ci posso fare? Nella mia vita ora
c’è un quantitativo di gioia che prima nemmeno avrei immaginato di poter
provare, quindi non riesco a vedere il mondo che attraverso queste stupide
lenti colorate di rosa.
E
sai che ti dico?
Non
mi dispiace affatto.
E tu, invece? Sono secoli che
non mi scrivi e io non so più nulla della tua vita. Hai un lavoro? Ti trovi
bene? Hai trovato quello che cercavi?
Ho
talmente tante domande da farti che non basterebbe un dizionario a contenerle
tutte... perché non ti fai un bel viaggetto in America? Risparmierei un bel
po’di inchiostro e poi manchi a tutti qui.
E
non esagero.
Ora ti lascio: ho una festa di
compleanno da preparare...l’ultima di Martha da minorenne! Ma tu prometti che
mi scriverai presto e che mi racconterai tutto e anche qualcosa di più!
Ci
conto!
Kevin
P.S.
Joe ti saluta e ti assicura che, nel giro di cinque o sei anni, Nicholas saprà
usare i computer meglio di te. Per ora ha sicuramente ereditato il talento di
suo padre nel distruggerli.
“Christiàn!” Strillò la bambina dai
capelli biondi, correndo verso lo studio dove Chris stava finendo di leggere la
lettera di Kevin. In fretta e furia, ripiegò il foglio e lo infilò sotto al
primo libro che gli capitò tra le mani. Quello era un pezzo della sua vecchia
vita. Non era giusto che lei lo vedesse. “Christiàn, dice mamma che i mostri
sotto al mio letto non esistono ma io lo so che ci sono, lo so!”
“I mostri, Lulù?” Domandò l’uomo,
sorridendo, complice. “Ma io li ho visti, diamine! Come fa la mamma a non
crederci?”
La bambina sbuffò, arrampicandosi
sulle gambe di Chris e soffiando un ciuffo dorato verso l’alto.
“La mamma secondo me non mi ascolta
neanche in questi giorni.”
“Pulce... la mamma ha un sacco da
fare, lo sai...” La consolò lui, accarezzandole la testolina.
“Meno male che ci sei tu... sei il
quasi papà migliore del mondo!” Esclamò lei, gettandogli le braccia al collo e
stringendolo forte.
Ecco, quello era bello, quello era
ciò che aveva sempre cercato.
La semplicità della vita di
famiglia, l’abbraccio di una bambina che non aveva paura di chiamarlo papà,
svegliarsi ogni mattina con accanto lo stesso volto.
Il volto di una donna, come non
avrebbe mai pensato potesse succedere.
Per questo quella lettera non
avrebbe mai avuto una risposta.
Come tutte le altre mandategli da
Kevin.
Gli faceva male stare lontano da
lui, odiava non poter vedere il figlio di Joe... ma quella era la vita di
prima, quello era il vecchio Christian e tornare a fare parte di quel mondo non
gli avrebbe fatto che male.
“Allora, andiamo a cercare questi
mostri, prima che la mamma ti trovi ancora in piedi?”
Stop.
Rewind.
Rec.
Una vita nuova da registrare sopra a
quella vecchia, una gioia grande per cancellare la malinconia, una famiglia
vera per compensare a quella che l’America non aveva saputo dargli.
Felice, finalmente.
Come Kevin.
Come Joe.
Chissà, forse a volte il destino
regala davvero una seconda possibilità.
Con lui l’aveva fatto.
E poi...beh, poi se il passato
avesse avuto voglia di tornare a farsi sentire, non aveva che da bussare alla
sua porta.