Ultima notte sotto il tetto del mondo

di Tota22
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Malintesi e sigarette ***
Capitolo 3: *** Confessione ***
Capitolo 4: *** Espiazione ***
Capitolo 5: *** Libera? ***
Capitolo 6: *** Tic Tac ***
Capitolo 7: *** Nella pancia dell'autobus ***
Capitolo 8: *** Margareta ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Al


Nero. Nero sporcato da punti lattiginosi, come pessimo caffè macchiato che un distributore automatico sputa dentro un bicchierino di plastica, in cambio di qualche centesimo.

Nero acquoso, nero opaco che fagocita bianco... questo vedeva Al mentre fissava con occhi sfocati il cielo notturno di fine settembre.

Se ne stava a gambe all'aria, i polpacci appoggiati allo schienale di una vecchia panchina verde scrostata; la schiena stesa sulla seduta, la pelle stuzzicata dal legno ruvido e pruriginoso che grattava attraverso la maglietta.
 Una sigaretta spenta penzolava tra le labbra, mentre l'accendino veniva rigirato tra le dita della sua mano destra, suo malgrado attaccata a un braccio troppo pigro per compiere la semplice azione di avvicinare l'arnese all'estremità della sigaretta e animarla con una debole fiammella.

Alla fine Al costrinse la propria mano, che fino a quel momento giaceva a penzoloni fuori dalla panchina, nocche sfioranti terra mentre stringeva mollemente l'accendino, a dare vita alla sigaretta e pochi istanti dopo aveva già cacciato dentro i polmoni una boccata di fumo.
Trattenne il respiro per qualche secondo per poi abbandonarsi alla sensazione di calma e distensione prodotta da quell'aria pesante che usciva da bocca e naso, in cerca di una via d'uscita dal suo sistema, dopo aver depositato catrame e veleno negli alveoli polmonari.

Ad Al non piaceva fumare.
Non sopportava l'odore delle sigarette, il retrogusto pastoso che lasciavano in gola, il puzzo che si insinuava sotto la pelle e nei vestiti.
Tuttavia non riusciva a farne a meno.
Amava il rito dell'accensione, la cenere rossa che ballava nella notte, il rigirarsi la sigaretta tra le dita tra una boccata e l'altra e il formicolio del fumo giù per la gola, simile ad una carezza.

Quell'unica sigaretta della giornata era un piacere proibito, uno strappo alla regola che si concedeva una volta ogni tanto, sempre di notte, sempre nello stesso posto, su quella panchina del parco giochi del suo quartiere. Luogo deserto e avvolto in un buio che sapeva di casa.
Stesi su quella panchina di periferia era possibile assistere allo spettacolo offerto dai muri sgraziati e ingombranti delle case popolari. Il parco si trovava proprio in mezzo ad un ammasso di palazzoni, uno sputo di verde in un mare di grigio.
Un fazzoletto d'erba secca, qualche cespuglio, giochi per bambini di plastica sbiadita dal sole ricamata di graffiti, due o tre panchine.

Il vecchio sedile di legno verde eletto da Al a suo preferito, sostava vicino allo scivolo lontano dagli unici due alberi rinsecchiti presenti, così da lasciare libera la visuale dello spazio circostante.

Quando il sole calava si apriva il sipario.

Finestre degli edifici accese come lucciole, brusio lontano di uomini, donne, vecchi e bambini nell'intimità casalinga; voci, risate, urla, rumori nel sonno leggero delle sere di autunno alle porte; neve sugli schermi di vecchie televisioni proiettata sulle pareti interne delle stanze, il mondo al contrario.

Bastava alzare lo sguardo oltre l'orizzonte di cemento e tutte quelle schegge di vita svanivano a confronto dell'oblio del cielo notturno, maestoso teatro che faceva sprofondare Al in un coma senza pensieri.

Osservando quel nero macchiato si perdeva la percezione dello spazio e del tempo, si perdevano la paura e l'irritazione,  si perdeva interesse per  tutto quello che non fosse il tetto scuro sopra il mondo.

In quei due minuti di meditazione, in cui le volute nebbiose dei suoi respiri alla nicotina si squagliavano sullo sfondo del cielo, Al si sentiva in pace con l'universo.

Niente urla di clienti fastidiosi del bar dove sgobbava tutti i giorni, niente sguardi curiosi e derisori, niente battute cattive, niente musica, niente traffico, niente televisione a tutto volume; solo le ultime cicale estive, un po' di vento e sacrosanto silenzio accompagnato dal tenue baluginare delle poche stelle che si potevano scorgere, il cui bagliore ardiva superare l'inquinamento luminoso della città dormiente. Pace, buio e silenzio.

- Ehi amico! Ce l'hai una sigaretta anche per me?-

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Capitolo 2
*** Malintesi e sigarette ***


Capitolo 1

Malintesi e sigarette

Al

 
- Ehi amico, ce l'hai una sigaretta anche per me? -

Al  ebbe un sussulto e si mosse dalla sua posizione, i sensi all'erta. Quella voce estranea aveva avuto il potere di spezzare l'incantesimo del suo rito serale. Come unghie sulla lavagna, l'intrusione a tradimento nella sua tregua personale non predisponeva l'animo ad assecondare la richiesta dello sconosciuto. Per un attimo, chiudendo gli occhi, valutò se ignorarlo rudemente.

Alla fine decise di piegarsi alle buone leggi di civiltà, arrendendosi al fatto che ormai quell'intimo e breve istante era stato strappato via, e mosse appena il collo per scrutare il disturbatore della sua quiete.

Dopo un po' di difficoltà dovuta alla sua posizione orizzontale e al buio, scorse la figura di un ragazzo, più o meno della sua età che la guardava nervoso, corrucciato. Il suo viso era stropicciato in una smorfia di attesa, come pervaso da una certa urgenza.

A quanto pare aveva proprio bisogno di quella sigaretta.

Al si tirò a sedere dritta, circospetta, lasciando un po' di spazio alla sua destra affinché lo sconosciuto potesse sedersi se avesse voluto. Estrasse da una tasca dei jeans il proprio pacchetto di morte tascabile, come le piaceva chiamarlo e lo offrì a chi lo chiedeva, allungando con l'altra mano l'accendino, senza toccare quella del suo interlocutore.

Non le piaceva il contatto fisico, in genere anche quello verbale, a meno che non fosse strettamente necessario.

 Anzi si stupiva di non aver sentito il ragazzo avvicinarsi, di solito era particolarmente attenta ad evitare interazioni gratuite. La sua misantropia era tale che sempre, appena si fermava in un posto, tendeva a localizzare la via d'uscita più prossima alla sua posizione per sfuggire a eventuali incontri indesiderati. Tuttavia a pelle, il suo "ospite " non sembrava malintenzionato e sarebbe stato scortese rifiutargli una cosa così piccola.

- Serviti pure - lo apostrofò con voce atona.

Ottenne come risposta un "Grazie amico" zuppo di sollievo.

Al notò che era la seconda volta che lo sconosciuto la chiamava "Amico", constatò dunque di essere stata scambiata per un ragazzo. Di nuovo.

Non era estranea a questo tipo di malintesi.

Tuttavia riteneva che fosse più seccante correggere il suo interlocutore di turno e testimoniare l'ennesima espressione stupita e derisoria sulla sua  faccia, piuttosto che lasciarlo nella sua convinzione. Era da anni ormai che Al aveva abbandonato qualsiasi traccia di femminilità, che già la natura si era premunita di fornirle in minima parte.

Troppo alta, sgraziata, capelli crespi sempre tagliati corti, appena un accenno di seno e fianchi dritti, Al non faceva fatica a nascondere le proprie poche forme con magliette maschili e jeans.
Debolezza e disagio erano associate perennemente al suo modo di rapportarsi con il proprio corpo, nasconderlo era la soluzione per gestire il rifiuto verso di esso.

Era più facile così per lei aggirare il problema, occultarlo, dimenticarlo sotto strati di vestiti slargati.
Fondamentalmente le piaceva poter girare con tranquillità sotto le vesti di ragazzo, non riceveva apprezzamenti o attenzioni indesiderate, se necessario era più facile per lei rapportarsi con i clienti o i fornitori a lavoro. Tutto sommato quel malinteso le procurava più vantaggi che fastidi, fomentando il lato del suo carattere più schivo e riservato. Inoltre non le andava tanto di puntualizzare a quale sesso appartenesse con perfetti sconosciuti che non avrebbe probabilmente più rivisto in vita sua. Né diventare aneddoto di conversazione e risate del suddetto sconosciuto con i suoi amici, conoscenti o chicchessia.

Intanto il ragazzo, dopo un po' di titubanza, si era seduto a fianco ad Al. Anch'egli, dopo aver fatto lavorare l'accendino, si dedicò una boccata generosa.

Le sue sopracciglia castane si distesero istantaneamente, mentre passava la mano libera dalla sigaretta sulle cosce, come a volerle massaggiare su e giù attraverso la stoffa dei suoi pantaloni, che la ragazza al suo fianco giudicò dalla foggia e dal materiale piuttosto costosi.

Scoccandogli un'occhiata veloce, Al si rese conto che era un soggetto alquanto fuori luogo in quel parchetto sgangherato di periferia. La camicia, una volta stirata alla perfezione e ora aperta leggermente sul collo e tirata fuori dai pantaloni,  l'orologio sportivo e le sneakers ultimo modello urlavano ai quattro venti "figlio di papà".

Al si obbligò a non farsi domande, dopotutto non erano fatti suoi se quell'esemplare di ragazzo di città era lì, e riprese ad aspirare fumo cattivo chiudendo gli occhi.

Tuttavia, nonostante la posizione più rilassata, nei due minuti di sigaretta il vicino di panchina di Al continuò a muovere ossessivamente una gamba, picchiando il tallone sulla terra polverosa. Per quanto tentasse di ignorarlo, questo gesto spasmodico suscitava nella ragazza un senso di ansia riflessa.

Non accennava a smettere.

Stomp stomp stomp, la perfetta scarpa bianca affondava nella terra secca e rossastra alzando deboli volute di polvere. Stomp stomp stomp, le luci dei palazzi erano quasi tutte spente, l'unico suono nell'aria fresca era il battere cadenzato della suola nel fango inaridito. Stomp stomp stomp.

Quando la frequenza di battito del piede sembrò aumentare ad un passo insostenibile, Al non riuscì più a tollerarlo. Presa dalla stizza si lasciò sfuggire un commento esasperato:

- Per caso hai la sindrome della gamba senza riposo? -

Il ragazzo si pietrificò. Girò lentamente la testa per rivolgerle uno sguardo interrogativo, solo dopo essersi fissato la gamba... ormai arrestata.

- Come scusa? -

- Non so... soffri di spasmi muscolari? - continuò imperterrita Al con voce piatta, inesorabile, senza guardare il compagno di panchina.

Lui invece si era irrigidito e aveva trattenuto un suono strozzato che era nato sul fondo della gola. Forse non si aspettava che gli fosse stata rivolta la parola in quel modo così brusco o sentirsi porre domande senza senso apparente.

- No sto benissimo, solo un po' nervoso! -

Non sembrava molto convinto. La voce comunicava disagio e irrequietezza, istigati dall'interrogatorio indesiderato.

Al invece, dal momento che nel suo animo il fastidio stava lasciando il posto a un'insolita curiosità, si girò a guardarlo incontrando un paio di occhi castani, smarriti, incastonati in un viso regolare ed estremamente piacevole alla vista ( cosa che la ragazza non mancò di notare con una punta di invidia).
Al si accorse anche del suo sguardo stanco e dello spreco della bellezza di quei lineamenti, sporcata da un'inspiegabile espressione di puro terrore... stagnante nelle iridi nocciola, nella piega della bocca, nelle grinze innaturali che in quel momento gli adornavano la fronte.

Al si addolcì leggermente a quella vista, ma  la sua lingua tagliente e il suo spirito scorbutico la indussero a continuare imperterrita:

- Allora dato che non è nulla di patologico o incontrollabile, potresti smettere di tremare? -

- Oh, certo, scusami.. - lui abbassò la testa, tornando a fissarsi la gamba ora immota, curvando le spalle. Sconfitto.

- Grazie. -

Soddisfatta del risultato, Al allungò la schiena sulla panchina e tornò a fissare il cielo.

Un minuto di silenzio si dilatò tra loro come un oceano di vapore. Al accese la seconda sigaretta contro i suoi principi, un po' perché ne sentiva il bisogno dato che il piacere della sua prima era stato interrotto dall'arrivo del passante nevrotico; un po' perché la presenza di "piede tremante" al suo fianco non le dispiaceva del tutto.

Era come se ormai, per due minuti, il ragazzo avesse invaso la sua bolla di spazio e a quel punto avrebbero dovuto condividerla almeno per un'altra sigaretta.
Per quanto fosse stata scorbutica, Al aveva intuito che forse anche a lui facesse piacere prolungare quel gesto stranamente simbiotico, quasi volesse aggrapparsi a quel contatto fumoso.
L'aveva letto nei suoi occhi accesi dalla paura... forse dopo il suo rimbrotto anche da risentimento, rabbia dei quali avrebbe voluto conoscere le radici più profonde e oscure. Voleva viaggiare come un archeologo, persa nei recessi della piramide di dolore di quello sconosciuto, per svelarne l'arché, la causa prima della sofferenza.

Di solito Al non si interessava alla gente, ma quella sera forse il suo umore  o il misterioso coinquilino di panchina le istigavano un senso di curiosità del tutto nuovo. Un'inspiegabile voglia di contatto. Non dovette attendere molto.

- In realtà ti ho detto una bugia - bisbigliò lui all'improvviso.



 
N/a
Dietro prezioso consiglio, ho sistemato alcuni punti di questo capitolo e corretto, credo, tutti gli errori di battitura. Spero che le modifiche rendano la lettura più piacevole. Se vedete qualche errore qua e là non esitate a farmelo notare. Grazie di cuore a tutti i lettori e a coloro che hanno recensito! A presto!

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Capitolo 3
*** Confessione ***


Capitolo 2

Confessione

Oliver


Oliver aveva guidato tutto il pomeriggio a vuoto per la città, senza fermarsi, senza appoggiare le suole delle scarpe a terra.

Non voleva altra compagnia a parte quella dell'asfalto consumato di incroci e rotonde, il vento freddo che toccava la pelle burlando i vestiti, quella della sella solida della sua moto e il rombo gracchiante del motore.

Alle quindici di quel pomeriggio era uscito dalle porte automatiche dell'ospedale in uno stato di trance, da quel momento in poi non ricordava nulla a eccezione della sensazione delle chiavi fredde tra le dita e la familiare percezione del suo corpo che si fondeva con ogni spigolo e curva della sua Kawasaki Ninja H2; la vibrazione della marmitta attraverso la carne, come se anche lui fosse fatto di valvole, pistoni e lucida carrozzeria nera. Era partito a fuoco e aveva attraversato il parcheggio in contromano, il cuore a mille.

Quattro ore di solitudine, libidine adrenalinica, sospensione in un mondo fatto solo di spensierata e incosciente velocità, l'avevano salvato momentaneamente dal peso di quella notizia che non avrebbe mai voluto sentire, ma che alle quattordici e quarantacinque di quel dannato pomeriggio gli aveva cambiato la vita.

La sua Odissea senza meta si era arrestata in un quartiere popolare, da qualche parte nella periferia sud della città, quando il serbatoio della moto era rimasto più secco di una gola arida.
Sceso dalla sella già si sentiva peggio. Tolto il casco un nodo gli attanagliò la trachea rendendo impossibile respirare. Fatti due passi sulle gambe malferme tutto quello che avrebbe voluto fare era sparire di nuovo nel il vento e non fermarsi mai più.

Così preso dalla guida non si era reso conto di dove fosse finito e l'ultimo distributore l'aveva passato mezz'ora prima. Guardandosi intorno vedeva solo squallide borgate, qualche negozietto con le saracinesche abbassate, strade trascurate poco illuminate.

Indeciso sul da farsi aveva fatto vagare lo sguardo, finché un tenue bagliore rosso  gli aveva ferito la retina e attirato l'attenzione. Strizzando gli occhi, nella penombra della sera giovane, scorse due altalene uno scivolo e una giostra piuttosto malridotti, cacciati dentro a un piccolo parco giochi. Muovendo passi incerti verso la luce rossa, così simile a un fuoco fatuo che richiamava sventurati viandanti nei recessi di un bosco incantato, Oliver distinse la figura di un ragazzo sdraiato mollemente su una panchina intento a fumare.

Dopo qualche tentennamento decise di avvicinarsi, non se la sentiva di star solo in quel postaccio, magari avrebbe potuto chiedergli una sigaretta e qualche indicazione stradale.
Mentre attraversava zoppicando il piccolo parco, la cenere brillante della sigaretta tracciava strani simboli nell'aria mentre veniva agitata dalle dita sottili del ragazzo sulla panchina... messaggi criptici e ipnotizzanti venivano riprodotti da quella luce danzante.
Oliver notò che il ragazzo stesso aveva un ché di fatato, elfico, sensazione suggerita dai lineamenti affilati, dal corpo snello ed etereo.
 Quella strana creatura di periferia era così persa nei suoi pensieri, gli occhi fissi sulla trapunta stellata del cielo, che nemmeno quando Oliver si era ritrovato a pochi passi aveva dato cenno di averlo notato.

Oliver fece un respiro profondo e si decise a chiedergli una sigaretta. La sua voce era uscita dalla gola distorta e ruvida che quasi non la riconobbe.
Poi seguì un minuto di silenzio, il minuto più lungo che Oliver avesse mai vissuto. Al suono della sua voce il ragazzo-elfo aveva chiuso gli occhi e le labbra erano rimaste serrate come se volesse chiudersi dentro di sè, eliminando ogni contatto con il mondo esterno.
Il ragazzo in piedi sentì uno strano senso di colpa per aver disturbato il deliquio mistico in cui lo sconosciuto sembrava essere caduto. Dio solo sapeva quanto avrebbe voluto riuscirci anche lui a estraniarsi da tutto.

Dopo quei sessanta secondi interminabili, ragazzo-elfo si era tirato su e gli aveva passato sigarette e accendino, lasciandogli posto al suo fianco nella maniera più naturale del mondo.
Sollevato Oliver gli si era seduto accanto dedicandosi alla sua sigaretta.

Tuttavia era nervoso, quello sconosciuto gli metteva inspiegabilmente molta soggezione. Non sapeva se rompere il ghiaccio chiedendogli qualche informazione o lasciare che il tempo si consumasse, come la sigaretta che aveva tra le labbra, in assoluto silenzio.
Automaticamente la sua gamba buona aveva iniziato a muoversi su e giù. A ogni battito sul terreno secco sotto i piedi, Oliver ringraziava che ancora funzionasse, che quell'ammasso di muscoli ossa e fibre nervose rispondesse ai suoi comandi. Il solo pensiero che la sicurezza di poter compiere quella semplice azione, naturale e scontata, si sarebbe infranta nel giro di qualche anno gli faceva piombare un peso sul petto che gli bloccava il respiro.

Poi ragazzo-elfo aveva parlato e lui era andato in panico.
All'inizio era solo confuso dalle sue strane domande, ma poi il significato di quelle parole era stato assorbito dalla mente e aveva scatenato in lui il terrore più nero.

Lui sapeva? Come aveva fatto? Alzò lo sguardo inebetito per incontrare gli occhi verdi di ragazzo elfo, erano di un verde fangoso e oscuro. Pensieri irrazionali e fuori da ogni logica gli attraversarono la mente, quello sconosciuto aveva poteri magici, sapeva leggere il pensiero?
Gli aveva risposto velocemente, nervoso, dicendo che stava benissimo e aveva smesso di muoversi. Il ragazzo al suo fianco sembrava soddisfatto della risposta e si era limitato ad accendersi un'altra sigaretta, con un ghigno beffardo dipinto sulla sua faccia da folletto.

Il silenzio si era fatto strada di nuovo fra di loro, mentre la coscienza in subbuglio di Oliver tornava ad acquietarsi. Dopo qualche secondo ripudiò i pensieri stupidi che gli avevano incasinato la testa. Altro che poteri magici, quello era solo uno stronzo con un pessimo senso dell'umorismo. Una rabbia stranamente controllata  e calcolatrice cominciò ad offuscargli il giudizio. Che diritto aveva quello sconosciuto di farlo sentire così male? Renderlo insicuro e ferito, chi gli dava il diritto di prenderlo in giro? Era scappato dalla sua famiglia e dai suoi amici quel giorno proprio per non doversi sentire così e il primo passante di turno gli faceva mancare la terra sotto i piedi? Oliver sentì il bisogno di ferirlo con le parole ripagandolo con la stessa moneta, per quanto l'offesa fosse stata involontaria. Voleva farlo sentire una merda come si sentiva lui. Perlomeno si sarebbe sfogato.

- In realtà ti ho detto una bugia -

Il ragazzo lo guardò confuso, incatenando i suoi occhi verde palude con quelli Oliver che prese il suo gesto come un segnale per continuare. Allora puntò il naso verso il cielo e un fiume di parole sgorgò dalle sue labbra alla nicotina.

- Tutto è iniziato tre mesi fa, solita corsa serale. Sono inciampato tre volte nel giro di cento metri. Forse sei stanco, mi sono detto, non è niente.. una dormita e passa tutto.
Non è stato così, ho iniziato a inciampare più spesso. La gamba sinistra non rispondeva più ai miei comandi, un ingranaggio arrugginito che ogni tanto salta un dente. -

Il ragazzo inspirò pesantemente per poi tirare una boccata di fumo, la sigaretta ormai al filtro, la brace rossa destinata ad estinguersi in pochi secondi. Ragazzo-elfo lo ascoltava in silenzio, inquadrandolo nella sua visuale periferica, immobile e attento ad ogni parola, come se stesse bevendo quella voce roca, toccando quelle emozioni complicate che lo investivano, impastate nelle parole del suo compagno di panchina.

- Dopo un po' ho capito che non era stanchezza o stress. Così sono andato dal dottore.
Due mesi di esami clinici del cazzo da mezza dozzina di specialisti per dirmi che non sapevano niente. Finché non hanno deciso di staccarmi un pezzo di midollo e studiarlo.

 Allora BOOM, si viene a sapere che sono fottuto.

 Manco sapevo esistesse questa malattia, ma quando il Dottor Millelauree l'ha detto ad alta voce davanti a mia madre e mio padre... da come si sono messi a piangere ho capito che era grave.
I dottori hanno cercato di spiegarmelo, con quei loro paroloni da medici, che ci si può convivere, il processo degenerativo si può rallentare, ci sono cure sperimentali... Non ci ho capito molto in tutto quel parla parla, continuavano a dire che non erano sicuri, che c'era ancora la possibilità che fosse altro... ma se così non fosse comunque per loro sono fortunato. Pare sia raro che si manifesti alla mia età e una diagnosi nella prima fase della malattia può far guadagnare del tempo.

Gli avrei voluto chiedere qual è il loro concetto di fortuna.

Alla fine ho scritto SLA su Google. 

Attacca il sistema nervoso che controlla i muscoli, piano piano questo si spegne e tu rimani intrappolato nel tuo corpo, immobile, finché non ti cedono i polmoni o il cuore. Il tuo corpo diventa la tua stessa bara, una fossa da morto.

Quindi sì... in effetti ho una patologia, ma è tutto il contrario di quella che hai suggerito tu. Ti giuro che pagherei per fare cambio ed essere costretto ad agitare la gamba tutta la vita. -

Oliver buttò fuori l'ultimo sbuffo di fumo prima di scagliare il mozzicone lontano. Una parabola vermiglia nel buio della notte.
Si girò verso il suo vicino di panchina che lo stava guardando come se avesse appena ricevuto uno schiaffo, le labbra premute una sull'altra, allo stesso modo di quando prima sbirciava nell'abisso del cielo, mentre la luce rossa della sua seconda sigaretta, ancora a metà, brillava immobile.

 

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Capitolo 4
*** Espiazione ***


Capitolo 3

Espiazione 

Oliver



-Non ricordo un altro caso in cui una mia battuta acida sia stata più fuori luogo di questa... -

Oliver sentiva lo sguardo sincero di ragazzo-elfo pizzicargli il viso, mentre la rabbia che gli era nata nel petto si sgonfiava come un palloncino lasciato snodato.

 - Scusami, spesso non penso a sufficienza prima di parlare. -

Un sorriso triste gli condì le labbra.

- Non preoccuparti, non potevi sapere. -

Oliver cercò di sembrare indifferente, quando invece dentro di sé era contento di aver raggiunto il suo obiettivo. Piantò poi gli occhi in quelli del vicino, i propri tinti stavolta di una sfumatura scherzosa.

- Dunque, se non ti dispiace, riprenderei ad agitare la gamba finché posso.-

Ragazzo elfo non aprì bocca, ma gli indirizzò un cenno di assenso con il capo e un altro mezzo ghigno mentre stiracchiava le gambe.

Oliver di rimando perse la sua rigidità e iniziò a rilassarsi veramente, lasciando che una serie di emozioni contrastati lo investissero. C'era qualcosa che sfuggiva in quello scambio di frasi, ma non riusciva ad afferrare il pezzo mancante.
Il ragazzo rimase soprapensiero per un po' . Poi chiese, più curioso che risentito:

- Come mai ancora non hai detto che ti dispiace per me? Di solito non è di routine quando uno sconosciuto o un conoscente o un amico ti dice che sta per...morire. - la gola si era serrata e l'ultima parola era uscita dalle labbra in un soffio. Un segreto che voleva rimanere sepolto.

- Perché? Vuoi sentirtelo dire? -

Fffffffffff. Il palloncino di rabbia riprese a gonfiarsi prepotente nel petto di Oliver. Diamine! Non sapeva come comportarsi con lui. Un attimo prima sembrava dispiaciuto, un attimo dopo se ne usciva con queste domande, che fanno attorcigliare le budella dalla stizza. Assomigliava davvero ai folletti maligni nelle storie per bambini.

- Non necessariamente, ma di solito se ne ricevono tanti in questi casi. -

- Non ti conosco, perché dovrei dirtelo? Solo per farti sentire più miserabile? Perché dubito che ti faccia stare meglio... -

Bam, un'altra stoccata, una puntura di vespa al suo orgoglio. Non era abituato ad essere trattato in modo brusco, diretto.  Nella realtà quotidiana sotterfugi, bugie, falsi sorrisi, moine erano i modi delle persone con cui era solito confrontarsi. Le brutte notizie venivano comunicate con grandi giri di parole. La pillola veniva indorata perbene prima di essere cacciata in gola. Le opinioni opposte alle sue erano introdotte docilmente.
Invece quel ragazzo al suo fianco gli buttava in faccia la realtà senza preoccuparsi di fargli male. Ogni volta che apriva bocca si sentiva atterrare naso a terra, senza tappeto di protezione.

-  ... o perché il tuo caso dovrebbe suscitare in me un qualche sentimento di empatia o solidarietà umana, che porta a dispiacermi della tua condizione? Sì in effetti quello che ti è capitato è davvero uno schifo e sì forse sarebbe civile dirti che mi dispiace, ma sarebbe una frase che buttata lì sa di plastica. -

Oliver non era d'accordo per nulla, ma non poteva fare a meno di notare come quelle parole si insinuassero dentro di lui e trovassero un debole appiglio.

- Mi dispiace, ma non do via i miei "mi dispiace" così facilmente. -

Oliver era incredulo, forse anche divertito. Senza rancore, semplicemente constatando i fatti, fece uscire i suoi pensieri per la prima volta liberi, senza il filtro di cortesia o affettazione.

- Certo che sei un po' stronzo. -

Il suo compagno di panchina annuì, non sembrava per nulla offeso. Riaprì il pacchetto di sigarette e ne allungò un'altra a Oliver che la intrappolò tra indice e medio, interdetto.

- Lo so, me lo sento dire spesso.. ma se hai bisogno di qualcuno che ti ascolti senza giudicare faccio al caso tuo . Accettala come espiazione, per rimediare alla battuta di prima. -

Silenzio.

 - Ti consiglio di approfittare. Non è per niente da me offrire occasioni del genere, di norma evito la gente come la peste... stasera mi sento in vena di cambiare abitudini. -

Fece una pausa, seguita da un respiro profondo.

- Tranquillo, non ti aspettare la solita frase " parlarne con qualcuno fa bene". Non è detto che funzioni, ma se vuoi beh.. abbiamo una panchina, un terzo di pacchetto da finire e tutta la notte. -

Oliver sorrise di un sorriso da bambino, grato, aperto che abbracciava tutto il viso. Poi una risata leggera lo colse, prima di accettare la compagnia di quello che riteneva ormai uno strano folletto, spuntato per magia a fargli compagnia in quella notte da cani.

-  Ma sì... dato che mi stai facendo questa concessione, a quanto pare irripetibile, perché rifiutare... -

Non era difficile credere che ragazzo-elfo non fosse abituato a comunicare con le persone. Oliver era quasi sicuro fosse affetto da mancanza di freni inibitori, caratteristica che non predispone alla simpatia.

 - Poi una sigaretta di troppo di certo non mi rovina la salute più di così. -

Le braci rosse nel buio tornarono ad essere due; presero a danzare una sorta di tango scompagnato.

- Come ti chiami? -

- Al. -

Pausa.

- Non vuoi sapere come mi chiamo? -

- Vuoi dirmelo? -

Ancora quel ghigno, Oliver sbuffò.

- Certo che sei impossibile... è così difficile chiedere "e tu"? -

- D'accordo, "e tu"? -

-  Oliviero, ma tutti mi chiamano Oliver. -

- Perché è più esotico avere un nome straniero? -

- Senti chi parla, tu sei Al. O è il diminutivo di qualcosa? Alberto, Alessandro...-

- Sei fuori strada. Comunque non mi sento abbastanza in confidenza per dirti il mio nome intero. -

- Un nome è un nome, non credo sia necessario avere un permesso speciale per saperlo. In ogni caso, piacere di conoscerti. -

Oliver tese la mano aperta davanti al naso del "folletto", suggerendo una stretta amichevole.
 Al,  dopo un attimo di indecisione, intrecciò le dita alle sue. Strinse mezzo secondo la mano per poi ritirarla velocemente a sé, un pesce che scampa l'amo per un soffio.

- Aspetta a parlare di piacere che è tutto da vedere, ti avviso che non sono un tipo di persona alla mano e simpatica... -

- Chissà perché... mi era sembrato di intuirlo.-




N/a

Ecco il nuovo capitolo, spero vi piaccia. Credo che i prossimi aggiornamenti saranno molto ravvicinati in questo periodo, poiché è abbastanza libero da impegni. E' possibile però che tra una settimana diventeranno molto saltuari, quindi approfitterò dell'ispirazione di questi giorni.
Grazie a tutti a presto!  

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Capitolo 5
*** Libera? ***


Capitolo 4

Libera?

Al


-  Che. Diavolo. Mi. E'. Preso. -

Cinque parole continuavano a rincorrersi nella mentre di Al. Un quarantacinque giri inceppato, sempre sullo stesso motivetto.

Da quando la ragazza aveva fatto la sua offerta, e "Oliviero detto Oliver" l'aveva accettata, erano rimasti immobili, seduti sulla panchina, senza più fumare. Zitti.

Al percepiva il silenzio imbarazzante, denso, pregno di aspettativa e dubbi. Qualche volta aveva visto i lineamenti di Oliver contrarsi, come se volesse parlare, ma la bocca, le guance, la pelle, le ossa e i muscoli gli impedivano di far emergere la voce dalla cavità della gola, sigillando le labbra in una smorfia.

- Che diavolo mi è preso? -

Si chiese ancora una volta Al, mentre valutava razionalmente lo slancio che, pochi minuti prima, l'aveva portata ad esporsi con un perfetto sconosciuto ed addirittura ad offrire il proprio aiuto.

L'aveva fatto per pietà? Forse, anche se non le andava di rimuginarci troppo.

Per noia? Altamente probabile.

Perché si sentiva attratta da quello sconosciuto? Diamine... non l'avrebbe mai ammesso.
 
Mentre il silenzio inzuppava l'aria attorno a loro, Al valutava la sua stupidità.
Per quanto ne sapeva di quel ragazzo poteva essere un serial killer in cerca di una vittima, Jack lo squartatore due la vendetta, un commerciante di organi, un narcotrafficante con la camicia firmata...

 - Ma cosa vai a pensare? Idiota! -  si rimproverò di nuovo tra sé e sbatté il palmo aperto della mano sulla fronte, emettendo un suono secco.

Il rumore di pelle contro pelle fece riemergere Oliver dai suoi pensieri, annodati come la pastasciutta lasciata raffreddare per ore in un piatto, senza un filo d'olio. Fu allora che Al si decise a parlare:

-  Che c'è... sei diventato timido?  -

- No... Forse sì. Non lo so. -

Respiro profondo.

- Non so da dove cominciare a parlare di questa cosa... è stato troppo improvviso. Se ripenso a qualche mese fa era tutto normale. Adesso mi sembra di essere stato catapultato in un mondo parallelo in cui va tutto storto. Un incubo senza risveglio.

Hai presente quando sogni di essere in un corridoio buio e dietro di te senti, lo sai, che c'è qualcuno che vuole farti del male?  Allora inizi a correre più forte che puoi, ma le tue gambe diventano molli, ti sembra di muoverti nella melassa. Vedi una porta di fronte a te, la luce dietro di essa. Una sottile lama bianca che passa attraverso la serratura, ma anche se corri non si avvicina mai e dita fredde ti accarezzano i polpacci e le spalle e tu hai paura.
 Poi però ti svegli, no? Ti svegli ed è tutto a posto. I muri della tua stanza sono sempre lì, sei nel tuo letto, sei a casa.

Io a casa non ci sono mai tornato. Sono intrappolato in questa realtà così assurda, ribaltata... -

Al osservò Oliver prendersi la testa tra le mani e chiudere gli occhi. La ragazza sentiva i suoi soliti pensieri caustici, cinici, menefreghisti, strizzarsi in un piccolo nodo e nascondersi in un angolo remoto del suo essere, lasciando il vuoto.

Uno spazio libero da riempire con nuovi pensieri, parole ancora troppo acerbe per essere pronunciate. Doveva confortarlo? Dirgli che sarebbe andato tutto bene? Non le andava di dire bugie. Avrebbe dovuto dirgli che lo capiva? Non era vero neanche quello.

- Non dici niente? -

Così presa dai suoi pensieri, Al non si era accorta che Oliver aspettava che ribattesse.

- Ti ho detto che ti avrei ascoltato, ma ciò non implica che debba risponderti. -

Oliver sbuffò irritato.

- Comodo in questo modo per te. Se è così potevo parlare anche con il muro di casa. O con il mio cane. Mi puzza di scusa perché non sai cosa dire. -

Azzeccato.

- No, piuttosto non ho abbastanza elementi per costruire una risposta. Soprattutto non so se ti è utile una mia risposta. Come posso capirti, se neanche lontanamente so cosa si prova? -

La risata amara di Oliver si sparpagliò nella notte,  onda disordinata nell'aria buia.

- "Elementi "... mi stai trattando come caso clinico? Scusa, ma questa parola mi ricorda gli ultimi due mesi di inferno che ho passato in ospedale...
... vuoi davvero sapere come mi sento? Ho paura. -

Al lo sapeva. Aveva riconosciuto subito il terrore che lo accompagnava, dal momento in cui si era seduto a fianco a lei mezz'ora prima.  La sua paura era un fantasma ancorato a lui; un amico immaginario al quale si vuole dire addio, ma che continua a tenerti la mano.

- Ho paura di svegliarmi una mattina e di non potermi più alzare dal letto da solo.

Ho paura di dover abbandonare il mio lavoro.

Ho paura di dover dipendere dagli altri, che sia per mangiare o persino per pisciare.

Ho paura di costringere gli altri ad occuparsi di me.

Ho paura che i miei genitori abbiano paura di quello che potrei diventare. Dovrei essere io a prendermi cura di loro ora, non il contrario. -

Una costellazione di lacrime era rimasta intrappolata nelle ciglia di Oliver, sarebbe bastato chiudere le palpebre e la gravità le avrebbe richiamate a terra.  

- Mi sembra di avere un cronometro impostato con il conto alla rovescia, nascosto dentro di me, che ticchetta come la sveglia di Capitan Uncino.  Ogni giorno lascio indietro un pezzo di me che viene distrutto per sempre. Quello che ho imparato da tutta la vita, gesti e movimenti naturali e automatici diventeranno per il mio corpo un linguaggio impossibile da capire.-

Strisce salate tracciavano mappe sconosciute sulla faccia del ragazzo. Al sentiva la voce di lui arrochirsi e impregnarsi di pianto.

- Ho paura di diventare un guscio, un involucro immobile e muto della mia coscienza. Quanto tempo ci vorrà? Quanti anni prima di rimanere isolato da tutto? -

Oliver spezzò il flusso di lacrime, stropicciando gli occhi, e si schiarì la voce.

- Io non so se riesco a vivere così, non so se riesco a sopportarlo. Fino a che punto mi sentirò ancora una persona a tutti gli effetti? Fino a che punto la mia vita sarà degna di essere chiamata tale?-

Al si sentiva sprofondare, quei pensieri erano troppo grandi per lei.

Rinchiusa nella sua caverna di diffidenza, non aveva mai lasciato la mente spaziare oltre la routine logorante della vita quotidiana.

Alzarsi, andare al lavoro, mangiare, lavorare ancora, tornare a casa sulle proprie gambe, dormire. Aveva disprezzato, in tutti quegli anni da quando era adulta, la monotonia della sua esistenza senza riuscire ad uscirne, senza cambiare abitudini, sempre sola.

Ora che Oliver l'aveva costretta a pensare alla vita, nella sua definizione più semplice, il pulsare del sangue nelle vene, il contrarsi dei polmoni, il movimento dei muscoli, si era resa conto come questa fosse data per scontata.

Un debole senso di vergogna la punse.

Le sembrò di aver fatto un torto a se stessa nel lasciarsi vivere così,  ogni volta che aveva rifiutato la mano di qualcuno per paura, ogni volta che si era privata di un gesto umano.

Lei che per anni aveva desiderato l'isolamento, rinchiusa nei confini del proprio essere, così libera ma desiderosa di prigionia, si trovava davanti qualcuno che era destinato a vedersi scivolare la propria libertà, la propria umanità, tra le dita.

La testa di Al era un gomitolo disordinato di pensieri. Ad un tratto qualcosa si distinse in quell'ammasso confuso. Un'idea piccola, luminosa. Al non conosceva le parole giuste per esprimerla, quindi decise di prenderle in prestito da qualcun'altro.

- Sai, una volta ho letto un racconto... -


 
 
N/a
Ciao!
Arrivati a questo punto della storia ritengo necessario fare delle precisazioni. Come avrete notato, ho deciso di trattare un tema rischioso e delicato che è quello della SLA.
Grazie ad alcuni fenomeni virali come l'Ice Bucket Challenge, pellicole cinematografiche come "La teoria del Tutto"  e campagne di sensibilizzazione, si è più consapevoli dell'esistenza di questa patologia.
Purtroppo ancora non se ne conoscono né le cause né una cura, solo la possibilità di rallentarne il processo degenerativo.
Tuttavia non vorrei che, per ragioni di trama, alcune informazioni sulla malattia stessa vengano riportate sbagliate o incomplete.
Dunque vorrei sottolineare come sia raro, anche se non impossibile, che persone giovani contraggano la malattia.
Il protagonista ha un'età intorno ai venticinque anni, quindi non rappresenta il soggetto statisticamente più esposto. La scelta è puramente di comodità, poiché non mi sento in grado di raccontare questa storia dal punto di vista di una persona più grande.
Inoltre la diagnosi della malattia è estremamente difficile e soprattutto è raro che sia tempestiva, al contrario di come potrebbe trasparire dalla storia.
Con questo racconto non voglio pretendere di trattare nel modo più esauriente i risvolti clinici, biologici, tecnici della malattia, quanto piuttosto gli effetti su chi deve conviverci e le persone che gli stanno accanto.
Per quanto sia impossibile descrivere un'esperienza così delicata quando non la si vive sulla propria pelle, spero di non risultare superficiale o inopportuna e dare il giusto spazio a questa realtà di cui si parla ancora troppo poco.
Per chi è interessato a capire di più sulla SLA consiglio il sito: www.AISLA.it , dove tutto è spiegato in modo semplice e diretto.
La storia, poi, tratterà di altri temi come l'amicizia, la capacità di lasciarsi andare e fidarsi degli altri, i quali saranno ugualmente importanti. C'è tanta carne al fuoco insomma.
Spero continuerete a seguirmi e, se vi va, esprimere le vostre impressioni.

Grazie a tutti, a presto!

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Capitolo 6
*** Tic Tac ***


Capitolo 5

Tic Tac

Oliver



Oliver si era un po' calmato.
Aveva pianto, per la prima volta, da quando aveva scoperto di essere malato. Malato sul serio, non come nei mesi di limbo in cui ancora nessuno capiva cosa avesse.

Quel periodo era stato triste e pesante, certo. La speranza però lo teneva aggrappato alla realtà, come l'aveva sempre vissuta. Il ragazzo, perciò, non aveva mai ceduto al richiamo insistente e liberatorio delle lacrime.

In quel momento, però, si sentiva meglio. Non gli importava di aver pianto davanti a uno sconosciuto, di aver singhiozzato come un bambino.

-  Sai, una volta ho letto un racconto... -

La voce di Al era sottile e leggera, una falena dalle ali vellutate. Oliver guardò il suo vicino di panchina, mentre le labbra sottili si muovevano, costruendo parole.

- Un uomo vagabondava per sentieri sconosciuti, finché non si ritrovò in una vallata chiusa da una corona di monti. Il sole seguiva il suo corso verso ovest, nel tardo pomeriggio, e il viaggiatore decise di sedersi sull'erba che costeggiava un ampio fiume.
Guardando di fronte a sé, l'uomo scorse una piccola isola dalla forma regolare, che sorgeva nel tratto più ampio del corso d'acqua, e prese ad osservarla.

La stranezza dell'isolotto era il fatto che sembrasse diviso perfettamente a metà.

Il versante che si sviluppava verso ovest era rigoglioso, ricco di erba fresca, alberi fronzuti e fiori profumati. Era pervaso da un profondo senso di vita,  come incantato in una primavera senza fine.
L'altra estremità dell'isola invece, quella orientale, era immersa nell'ombra più cupa. Gli alberi che la ricoprivano erano scuri e melanconici, spettrali.
Dall'erba scura si innalzavano lugubri tumuli, simili a tombe. L'acqua stessa che lambiva quelle sponde era torbida e ombrosa. -

Sotto incantesimo Oliver ascoltava Al, come se davvero quel ragazzo l'avesse ipnotizzato con una formula magica.
Parlava come se stesse cantando una ninna nanna a un bambino, o bisbigliando dolci sciocchezze nell'orecchio di un'amante.
Frasi decorate da un'intonazione calda e avvolgente, che prima di quel momento Oliver non aveva mai sentito uscire dalle labbra di ragazzo-elfo, inchiodarono colui che ascoltava alla panchina e ne catturarono l'immaginazione.

 Sembrava di essere lì, insieme al viandante, seduti nell'erba fresca di rugiada ad osservare il fiume.

- Fu allora che, mentre il sole iniziava a tramontare,  l'uomo scorse una figura galleggiare sull'acqua del rivo. Una fata piccola, luminosa, eretta su una canoa fragile che ella spingeva con un remo fantasma. Passando per la sponda occidentale, ancora illuminata dagli ultimi raggi rossi del sole, la creatura sembrava pervasa da una gioia indicibile. Pagaiava serena, inebriata dal profumo dei fiori che spingevano le loro corolle sull'acqua, esaltata dal suono del vento tra gli steli.

Quando però la sua piccola imbarcazione attraversò il confine con la sponda est, il suo umore si incupì. Il dolore sembrava trasfigurarla quando entrava nell'ombra.
La sua ombra stessa si staccava dal corpo e cadeva nell'acqua rendendola ancora più nera. Lentamente scivolava sui flutti,  alla fine compì il periplo dell'isola per ritornare al punto di partenza. Ad ogni nuovo giro, la fata gioiva malinconica dell'ultima luce sulla sponda ovest, mentre poi procedeva cauta e guardinga nel tratto a est, cercando di evitare le propaggini degli arbusti neri. Ad ogni giro riemergeva più debole ed effimera, ad ogni passaggio a est cadeva da lei un ombra più scura.

Alla fine, però, quando il sole fu definitivamente tramontato la fata, ora soltanto mero fantasma di se stessa, arrivò sconsolata nella regione dei flutti d'ebano. L'uomo che l'osservava non seppe più dove ella si diresse, poiché ormai era buio e non era più possibile scorgere la sua figura.-

Il racconto si interruppe, come anche l'incantesimo che aveva avviluppato Oliver.

La storia l'aveva messo a disagio e riempito di malinconia. Gli sembrò raccontasse qualcosa di così ridicolmente simile a come si sentiva lui in quel momento, che ne rimase sconcertato. Perché ragazzo-elfo aveva scelto quel racconto? Che cosa voleva dirgli davvero?

Dopo una pausa, Al riprese a parlare:

- Credo che il periplo della fata attorno all'isola dalle due facce rappresenti la vita. La luce è l'estate, l'ombra l'inverno. Ogni volta che la fata ripete il suo giro si avvicina sempre di più alla morte. Destino inoppugnabile.

Tuttavia non è incantevole il suo sorriso quando sente il profumo dei fiori?  Non è coinvolgente la sua gioia nel navigare nelle acque chiare? Anche quando perde se stessa, quando sbiadisce risucchiata dall'ombra, non ama il tocco degli ultimi raggi del sole sulla sua pelle?
Infine quando attraversa i frutti d'ebano, non ha imparato qualcosa di nuovo nell' evitare le ombre nere e a rifuggire le piante e le loro foglie scure? -

Oliver non si aspettava per nulla un discorso del genere, un'analisi poetica così dettagliata, soprattutto da quel ragazzo strano incontrato da neanche un'ora.

- Wow non ti facevo così poeta! Mi hai stupito!- Oliver era sinceramente colpito, ma l'intonazione della voce gli uscì troppo scherzosa, quasi ironica.

- Cosa intendi? Sembro una persona stupida? -

- No affatto, però...  sai è difficile trovare qualcuno come te, intelligente e appassionato che fa questo tipo di discorsi in un posto così... -  non fece in tempo a finire la frase, che il ragazzo si era reso conto di aver detto una cazzata. Ebbe la conferma dallo sguardo infuocato di rabbia che gli scoccò Al.

- Un posto così come? Non credi di essere un po' stronzo tu, questa volta? Solo perché vieni dalla città questo non ti da il diritto di essere prevenuto sulla gente che abita qui, soprattutto pretendere di sapere che discorsi fanno. Non tutti sono interessati solo a tette e calcio, anzi la distribuzione dell'ignoranza è omogenea  sia in periferia che nei quartieri ricchi.

Comunque sia chiaro che qui non viviamo come i primitivi. Guarda che siamo tutti andati a scuola, dato che si chiama dell'obbligo per un motivo...-

Oliver espose i palmi delle mani aperte, a mo di difesa, e si affrettò a sedare la rabbia di ragazzo-elfo.

- Ehi ehi calma, non ti infervorare. Hai ragione, ti chiedo scusa per il commento fuori luogo...-

Il ragazzo fece un respiro profondo e poi chiese ciò che gli premeva di più in quel momento.

- ...ma tornando alla storia, perché me l'hai raccontata? La fata muore, giusto? Si perde nell'acqua, riducendosi a una pallida ombra della sua vera essenza. Praticamente hai tradotto in racconto la mia paura più grande, quello che non voglio diventare. La brutta copia, un riflesso inceppato di quello che sono adesso. Mi chiedo se...-

Le lacrime ricominciarono ad affollarsi sulle ciglia di Oliver, offuscando le iridi castane.

- ... se non sarebbe più facile andare via anzitempo, quando ancora sono me stesso... quando ho la possibilità di farlo da solo...-

Al si mosse di scatto, saltò in piedi mettendosi di fronte a lui, e quasi urlò con tono esasperato.

- No! Non hai capito proprio niente! Non era questo il senso. Secondo te racconto una storia per farti pensare di buttarti da un ponte? Ma io non lo so! -

Oliver non poté fare a meno di farsi scappare una risata nervosa, tra un singhiozzo e l'altro. Fissava dritto negli occhi verdi il ragazzo in piedi, il quale torreggiava su di lui e gesticolava come un invasato.

- Quello che volevo farti capire è che la tua fine è inevitabile... -

- Oh grazie, sei di nuovo molto d'aiuto... -

Un'occhiataccia, che sembrava dire "lasciami finire",  fece serrare la bocca a Oliver.

- ... come anche la mia... la fata rappresenta me o te o chi ti pare, mentre percorriamo le tappe della nostra vita. La differenza è che il tuo battello va più veloce del previsto e magari imbarca anche acqua.

Il che è una vera merda, lo ammetto.

Questo però non ti impedisce di godere ancora di tanti momenti felici, di vivere la tua vita al meglio delle tue possibilità! -

Oliver sbuffò scettico, non era per nulla convinto.

- Perché mi puzza di frase riciclata da qualche film? Tipo il "Carpe Diem" del professor Keating ne "L'attimo fuggente". Mi spiace, ma la mia vita nel prossimo futuro sembra solo una gran merda e non credo ci sarà gran che da cogliere. -

- Sbagliato, invece noi stasera coglieremo questo fottuto attimo. -

- Noi? -

Oliver era sempre più confuso, non ci stava capendo nulla di tutto quel discorso.

- Si noi. -

Al si arrampicò sulla panchina, un piede sulla seduta l'altro sulla spalliera. Somigliava ad un avvocato dell'antica Roma, in mezzo al foro, che si preparava all'arringa. Mise le mani sui fianchi, in una posa che ricordò ad Oliver sua madre, e lo guardò dritto negli occhi.

 - Ascolta, ti faccio un'altra proposta... dato che stasera evidentemente qualche strano demone si è impossessato di me e sto compiendo un sacco di azioni che normalmente non mi passano neanche per l'anticamera del cervello. -

- Ti propongo una valida alternativa al rimanere qui a deprimersi tutta la notte, pensare a tutto ciò che la vita ti toglierà e disperarti.-

Uno strano senso di eccitazione pervase Oliver, un formicolio che partiva dalla base della schiena. Da quanto non si sentiva così interessato, così ammaliato e catturato da qualcuno? Il ragazzo stava iniziando a pensare che non era poi così male che la sua moto si fosse fermata proprio lì, a due passi dal parco giochi, dalla panchina verde e scrostata dove era seduto.

- Sentiamo. -

- Ok, che ore sono? -

- Le dieci meno un quarto. -

Al battè le mani e unì i piedi.  Rimase in equilibrio sulla panchina, come in preghiera.

- Allora immagina di avere tempo fino all'alba, quindi circa otto ore, per decidere cosa fare della tua vita... -

Oliver non aveva capito bene. - Cosa? -

-...continuare e vedere cosa succede nel prossimo capitolo o lasciare andare... chiudere il libro. Non guardarmi così, devi solo fingere che il tuo tempo stia per scadere, non è mica per davvero!

Avvialo tu quel fottuto conto alla rovescia, quella sveglia dentro di te. Bam! Impostata per le sei di domani mattina.

Che faresti in queste ore, nel tuo ultimo giro intorno all'isola?  Dove andresti? Con chi vorresti parlare, ti piacerebbe salutare qualcuno? Vuoi provare qualcosa che non hai mai fatto, oppure ti piacerebbe rileggere un libro che ti è caro o tornare in un posto che hai sempre amato? Cosa tenteresti per convincerti che vale la pena affrontare tutto questo schifo? Cosa ti renderebbe più leggero, cosa ti darebbe la spinta per andare avanti? -

Oliver guardava Al come se fosse diventato pazzo, se già non lo era.

- Tu sei fuori di testa! -

- Beh che c'è di male? -

Il ragazzo seduto scoppiò a ridere, impressa nella testa l'espressione buffa dell' "Elfo" e una strana euforia che iniziava a impossessarsi di lui.

- Ma tu? Che farai mentre io parto per questa " ultima avventura"? Mi aspetti qui? -

- No, pezzo d'idiota, ti accompagno! Se ti lascio solo in queste condizioni alla prima difficoltà ti deprimi e ti arrendi. Sarò la tua guida. Sarò come Virgilio per Dante, Frate Guglielmo per Adso, Gandalf per Frodo e la compagnia dell'Anello... -

- Non vorrei ricordartelo, ma Gandalf nel primo film cade in una voragine e rimane stecchito. -

- Punto primo: non muore, ma ritorna come Gandalf il bianco nel secondo libro. Punto secondo, di gravità incommensurabile, tu hai visto solo i film? -

- Boh... non lo so. Ho visto il primo credo, per questo per me Gandalf è morto... non sapevo che fosse tratto da un libro.-

- Eretico! Come fai a non sapere dell'esistenza della migliore opera fantasy mai scritta? Non ti vergogni? -

- Mmmm lasciami pensare, no. -

- Questo è uno dei motivi per cui non parlo con le persone. -

- Ma con me hai parlato. -

Oliver colse una strana reazione sul volto di Al, confusione, sollievo un pizzico di paura.

Era come se nel poco tempo passato insieme avesse sperimentato la vera essenza di ragazzo-elfo, come se  quest'ultimo si fosse lasciato andare, avesse aperto uno spiraglio nella sua corazza protettiva, solo per una volta. Oliver non poteva fare a meno di sentirsi fortunato, d'essere stato testimone di quella parte di Al che non veniva mai in superficie.

Non voleva che si chiudesse di nuovo nel suo bozzolo, voleva mantenere quel debole legame che si era creato tra loro, accettare la sfida di quella notte. Aspettava solo un segno.

- Già, ma ormai il danno è fatto e non mi resta che accompagnarti. Allora ti va? -

Eccolo.

- D'accordo accetto, cosa ho da perdere? Poi, quando mi ricapita che un elfo in carne ed ossa mi faccia da guida... -

- Come scusa? -

- Non lo sei? Una strana creatura fatata, spuntata dal nulla in questo posto dimenticato da Dio? Hai dei poteri magici? Non so, una bacchetta che tieni nascosta da qualche parte? -

- Guarda che è inutile fare lo spiritoso, potrei benissimo abbandonare qui il tuo culo da ragazzo perbene. Non so quanto resisteresti da solo prima di finire in mutande -

- Okay, okay hai vinto. Che si fa ora?-

 

 
N/a
Ciao a tutti! Ecco qui, in super anticipo, il nuovo capitolo. Finalmente si passa all'azione e la vera avventura di Oliver e Al può cominciare. Cosa ne pensate?
Il racconto che ho inserito all'inizio è ispirato a una storia di Edgar Allan Poe che si intitola, appunto, "L'isola della fata" . Fa parte della raccolta dei Racconti dell'Immaginario e le frasi in corsivo sono passaggi che ho riportato fedelmente. Ovviamente questo racconto non è mio e tutti i diritti sono riservati a chi di dovere. Mi sono imbattuta in esso recentemente e mi è sembrato perfetto da inserire nella mia storia. Se vi va, vi consiglio di leggerlo per intero perché è bellissimo.
Grazie ancora a tutti i lettori e a coloro che lasciano qualche pensiero nelle recensioni.
A presto!

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Capitolo 7
*** Nella pancia dell'autobus ***


 

Capitolo 6

Nella pancia dell'autobus

Oliver
 
 
- Mi stai dicendo... che non hai mai preso un autobus in vita tua? -
 
- Mmm no, non che io ricordi. Aspetta forse... conta il pullmino con cui sono andato in gita all'asilo? -
 
- Stai scherzando. -
 
- Affatto... beh non lo trovo così strano. I miei hanno sempre pagato un autista apposta per non dipendere dai mezzi e muoverci in libertà. Al limite prendevamo il taxi. Finché non ho avuto la patente non ce n'é mai stato bisogno e poi beh... da lì o la macchina o la moto. -

Tra tutte le proposte di Al la prima che Oliver aveva scelto era provare qualcosa di nuovo.

Questo implicava spostarsi dal parchetto isolato, che al massimo poteva offrire del voyerismo attraverso le finestre dei palazzoni, attività che venne scartata prontamente a favore del vagare verso una destinazione sconosciuta.

Tuttavia ancora non avevano deciso quale sarebbe stata la prima "esperienza mozzafiato" per Oliver quella notte.

La questione spostamento, però, era piuttosto spinosa.

Il ragazzo aveva suggerito raggiungere un distributore di benzina e muoversi in sella alla sua moto, ma Al aveva messo il veto rifiutandosi categoricamente di salire su quello che aveva definito:

 - ..aggeggio infernale su due ruote... e non ho intenzione di abbracciarti tutto il tempo. Va bene che hai bisogno di essere consolato, ma non mi piacciono le effusioni. -

Dopo che Oliver riuscì a smettere di ridere per le reazioni buffe di Al, i due ragazzi riconobbero che l'unica opzione rimasta era dirigersi alla più vicina fermata dell'autobus e aspettare la prima corsa notturna, in attesa di un segno.

Nel tragitto di duecento metri che separava il parchetto dalla fermata, Al non poté fare a meno di interrogare Oliver, dopo che il ragazzo aveva confessato la sua poca familiarità con i mezzi pubblici.

Procedevano lenti, Oliver zoppicando e Al strascicando i piedi sull'asfalto butterato come il viso di un adolescente.

- Non si può dire che non proverai qualcosa di nuovo... - disse infine Al, ghignando mentre controllava gli orari, attaccati alla pensilina della fermata.
 
- In realtà speravo in qualcosa di più emozionante di un giro notturno in autobus, ma è pur sempre un inizio. -
 
Oliver si passò una mano tra i capelli mossi, per poi riappoggiarla sulla gamba "cattiva", stringendo appena il muscolo. Lo sentiva tirare e contrarsi per lo sforzo di quei pochi passi.

- Preferisci.. non so un massaggio Tailandese? -

La voce di Al era stuzzicante e ironica e fece scorrere un brivido inspiegabile giù per la schiena del suo interlocutore.
Il cervello di Oliver si bloccò, come se un bastone si fosse piantato negli ingranaggi delle sue sinapsi. Guardò Al come fosse un alieno.

Un massaggio.

Tailandese.

- Eh? -

Fatto da chi, da lui? Ma un secondo prima non si era lamentato di odiare gli abbracci? Quando si erano presentati a mala pena gli aveva stretto la mano e ora gli proponeva un massaggio?

La razionalità di Oliver valutava quella proposta come qualcosa di inadeguato, un po' ridicolo. Fatto da un altro ragazzo poi era un gesto piuttosto insolito...

Lo sguardo gli cadde automaticamente sulle dita lunghe e affusolate di Al, che stringevano un foglietto di carta apparentemente spuntato dal nulla.

Mani grandi, ma allo stesso tempo stranamente delicate, anche se ricoperte da piccoli calli ed escoriazioni. Un pensiero matto, folle, gli fece domandare come sarebbe potuto essere il tocco di quelle mani sulle braccia e sulla schiena.

- Come scusa? -

La propria domanda gli rimbombò nella testa come il suono rotondo di una campana.

Fu l'unica cosa che Oliver riuscì a spiccicare mentre il suo cervello elaborava, a tutta velocità, sensazioni contrastanti e anche un po' inquietanti che ragazzo-elfo gli aveva scatenato.

- Ehi ho detto qualcosa di strano? Hai una faccia. Non ti piacciono i massaggi? Hai già provato quello tailandese e non è il tuo genere? -

Detto questo Al gli allungò il pezzo di carta che aveva in mano. Era un volantino pubblicitario di un centro benessere, aperto ventiquattro ore su ventiquattro. Oliver avrebbe voluto schiaffeggiarsi. Era così suggestionato da quella situazione così assurda che non aveva più controllo sulla sua razionalità.

- Che vado a pensare, stupido! -

-  Cercavo solo di proporre un' attività, se non ti piace prova a vedere se trovi qualcosa che ti interessa!-

Oliver seguì con lo sguardo il dito di Al, sospeso a mezz'aria, e notò che la pensilina sotto la quale sostavano era ricoperta di annunci e volantini di ogni tipo. Scaglie di carta colorata adornavano la struttura di plastica e metallo che sorgeva dal marciapiede. Una babele di informazioni, pubblicità, scritte, disegni così intricati da perderci la vista. Oliver ne fu subito attirato e cominciò a scorrere i vari annunci in cerca di qualcosa di propizio, nel tentativo di cancellare gli ultimi  strani due minuti che aveva vissuto.

- Beh di certo mi piacerebbe imparare il giapponese, ma per mancanza di tempo mi sa che lo devo scartare.. vediamo.. -

Oliver avvicinò il naso alla parete procedendo con l'ispezione. Continuò poi scherzoso:

- Beh in effetti nel centro benessere di prima fanno lo sconto dalle 21 alle 23 potremmo approfittare..-

 Al storse il naso.

- Guarda che la mia era più che altro una battuta. Non ho una passione sfrenata per gli oli aromatici che usano in quei posti, mi irritano la pelle e urtano il sistema nervoso.. io passerei. -

- Io allora scarto il corso pre-parto e il torneo vintage di Pokemon, anche se il gameboy color dovrei averlo ancora da qualche parte.. -

Ad un certo punto Oliver scorse in basso uno strano annuncio, tutto spiegazzato, stampato su un foglio di carta viola decorato con stelle gialle. Lesse le prime parole e un sorrisone gli piegò le labbra.

- Questo sì che è divertente! -

- Al guarda, fa al caso nostro! - Oliver prese a leggere ad alta voce:
 
 La bottega della strega.
Ehi tu! Comune mortale alla fermata che su questa terra trasporti il peso della vita,
hai perso la via e la tua esistenza è grama e piena di malinconia?
Il tuo domani è incerto, la salute balla e con il lavoro non stai a galla?
L'amore hai perduto e la famiglia ti ha dato il ben servito?
Grattacapi sul lavoro, troppa fatica senza ristoro?
Niente paura! La strega Margareta ti offre una ricetta segreta, un pizzico di magia e ogni malanno fugge via!
 Tarocchi, carte e pozioni contro i dolori e il malocchio son soluzioni!
Se il tuo futuro vorrai sapere, al Cimitero dei Treni vienimi a cercare.
Predizioni a prezzo stracciato, soddisfatto o rimborsato!
 
Oliver alzò gli occhi dal foglio e incontrò quelli di Al, accesi da un fuoco ballerino. Scoppiarono a ridere così forte che quasi piansero.

- Allora ci andiamo? - Riuscì a chiedere Oliver dopo essere riuscito a regolare il respiro.

-  Sembra interessante.. dobbiamo solo arrivare al Cimitero dei Treni... ah bel posticino. -

Il tono ironico che impregnava le ultime parole di Al incuriosì Oliver.

- Cos'è il Cimitero dei Treni? -

- E' un deposito a fianco alla vecchia ferrovia, quella che hanno smantellato un paio di anni fa. Ci sono rimasti i vecchi vagoni da smaltire e altre cianfrusaglie, ma con il tempo è  diventato il punto d'incontro per diversi traffici. Principalmente ci vanno i ragazzi a divertirsi, ma qualcuno ci si è stanziato in modo permanente e ha messo su attività più o meno losche.  Dieci minuti di autobus e siamo arrivati. -

- Ma è pericoloso? -

- Di certo non è il bosco delle fate, ma pericoloso è una parola esagerata. Diciamo che non è un posto raccomandabile per ragazzi di città, appena metti piedi lì dentro capiscono subito se vieni da Riccolandia. -

- Riccolandia? -

- Già Riccolandia... è come qui chiamano i quartieri del centro, direi che tu sei un ottimo rappresentante con quella camicia firmata e la faccia pulita, quindi è possibile che ti prendano di mira... sei ancora dell'idea di andare o hai paura che ti rubino il bell'orologio che ti ha regalato papino? -

Al ammiccò, scatenando in Oliver il gonfiarsi del suo orgoglio, come la coda di un pavone.

-Tsk, non farmi ridere... devono solo provarci a provocarmi! Poi voglio davvero sapere che cosa dirà la strega Margareta del mio futuro, di certo non ho mai fatto visita ad una cartomante prima d'ora. Direi che è un'esperienza da spuntare dalla lista delle cose da fare... prima di morire metaforicamente al sorgere del sole. -

- Andiamo allora...-

Al non terminò la frase che un autobus scassato accostò, accompagnato dallo stridio dei freni e una sonora sgommata. Il rottame su sei ruote aprì le sue porte li inghiottì in un sol boccone, spingendoli nella sua pancia fatta di ferraglia e grigi sedili di plastica.

 

Al


 A parte l'autista erano le uniche anime vive su quella carretta ambulante. Dopo una breve discussione con Oliver, che era a corto di contante (probabilmente andava in giro solo con le carte di credito), ma che voleva mettere comunque la sua parte, Al aveva pagato con pochi spicci il biglietto di entrambi.

Lottò con la macchinetta automatica, ma dopo qualche tentativo l'aveva convinta a sputare fuori i loro ticket.  La ragazza scelse un posto centrale vicino al finestrino, nel punto in cui due sedili erano faccia a faccia con altri due.

 Tuttavia, con suo grande disappunto, Oliver non scelse di sedersi nel posto di fronte a lei ma al suo fianco.

- Con tutti i posti che ci sono devi starmi appiccicato?-

- Certo sei la mia guida, potrei perdermi. -

Al si limitò ad ignorarlo e contemplare fuori dal finestrino la periferia illuminata dai lampioni. Oliver aveva la strana abilità di farla irritare, ma allo stesso tempo le faceva desiderare la sua compagnia.
Al si ritrovò a pensare che loro due erano olio e aceto, mischiati inevitabilmente nella stessa insalata. Non si sarebbero mai amalgamati, ma il loro sapore congiunto non era così male.

- Beh, direi che stare zitti è imbarazzante per non dire noioso. -

Al sospirò, le era sembrato troppo strano che Oliver avesse deciso di rimanere zitto rinunciando a punzecchiarla.

- Mi piace il silenzio, lo associo ad una dimensione confortevole in cui ognuno sta nel suo intimo spazio. Indisturbato. -

Al sperò che la sua risposta, calcata sull'ultima parola in particolare, zittisse il suo compagno di viaggio, almeno per un minuto.

- Io invece lo odio, lo trovo triste e vuoto. Inoltre mi dispiace "lupo solitario", ma non funziona così quando si è in compagnia. Bisogna socializzare! -

- E chi l'ha detto? -

- Il mondo lo dice, le interazioni sono necessarie per la sopravvivenza. -

- Non sono d'accordo e poi scusa! In cosa consiste il socializzare? Siamo solo io e te su questo bus. A parte l'autista con chi vuoi attacar bottone, con i sedili? -

- Dobbiamo socializzare io e te, genio! Non ci conosciamo per niente. Dovremmo avere una minima idea di com'è la persona con cui passeremo il resto della notte, impegnati in attività indimenticabili! -

- Ti faccio notare che detto in questo modo è un po' ambiguo. - disse Al con voce scherzosa, attirò poi le proprie lunghe gambe a sé, appoggiando i talloni sul sedile, e lasciando che la fronte toccasse le ginocchia. Nascose così il debole rossore che le aveva colorato le guance. Al non sapeva perché aveva risposto in quel modo e si vergognò tantissimo di esserselo lasciato scappare.
 Dopotutto Oliver non aveva capito che era una ragazza, almeno così credeva. Un commento del genere le suonò d'un tratto strano e fuori luogo, acuendo il suo stato di imbarazzo.

Oliver infatti ribatté con voce che tradiva un'emozione sconosciuta, forse turbamento.

- Sei tu che l'hai interpretato in modo ambiguo, le mie parole erano assolutamente univoche e chiare. -

Prima che un silenzio imbarazzante calasse tra di loro, Oliver incalzò Al con una proposta.

- In ogni caso per semplificare la nostra conoscenza suggerisco il gioco delle venti domande. -

Sospiro di sollievo, la fronte di Al si staccò dalle ginocchia.

- Mai sentito. -

- Non me ne stupisco affatto data la tua scarsa attitudine alla socialità, ma è semplice non temere il succo è racchiuso nel suo titolo. Abbiamo a disposizione venti domande a testa per conoscere al meglio l'altro e l'interpellato deve ovviamente rispondere sinceramente. -

Ad Al l'idea non piaceva per nulla.

-  A me non sembra tanto un gioco quanto un interrogatorio...chi ti assicura che l'altro dica la verità? Ci si può avvalere della facoltà di non rispondere? -

Oliver sbuffò.

- Nessuno ti assicura che l'altro dica il vero, è un gioco che si basa sulla fiducia. Se ti fa star meglio puoi non rispondere e passare alla prossima domanda. Su giochiamo! Parto io, qual è il tuo vero nome? -

Al gli riservò la sua occhiata più feroce, ma Oliver continuò a guardarla con un sorriso impertinente sulle labbra.

- Prossima domanda. -

- Daaaai quanto sei difficile! Per questa volta lascio perdere. Adesso tocca a te. -

- Sei un serial killer? -

- No! -

L'espressione scioccata di Oliver le fece provare un soverchiante senso di vittoria. Così continuò a battere il ferro finché era caldo, magari il ragazzo avrebbe perso interesse nel gioco.

- Un narcotrafficante allora? -

- Dai, sii serio! -

 Dal tono si sentiva che Oliver si stava spazientendo ed Al gongolava dentro di sé.

- Le mie domande sono serissime...-

Fu la volta di Al di ricevere un'occhiata assassina. La ragazza cedette.

- Va bene scusa, passerò alla banale e scontata domanda "cosa fai nella vita?" Contento? -

- Oh finalmente una domanda facile! Mi occupo del manegement di un'azienda automobilistica, principalmente dei rapporti con i clienti e il pubblico. -

- Mmmm ok, quindi sei abituato a parlare con la gente, intortarla per bene finché non cede alle tue condizioni .. questo spiega molte cose. -

- Esatto, tu invece? -

- Lavoro in un bar. -

- Davvero? Cosa fai in particolare?-

- Il caffé? -

- Giusto...e basta? -

Al sbuffò e pigiò il pulsante per prenotare la fermata.

- Ora basta con le domande ispettore. Siamo arrivati. -



 
 
N/a

Ciao a tutti! Ecco il nuovo capitolo spero vi piaccia, purtroppo questo periodo è molto pieno e gli aggiornamenti saranno lenti. Grazie come sempre a tutti i lettori e recensori, se vi va lasciate un pensiero, a presto!

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Capitolo 8
*** Margareta ***


Capitolo 7

Margareta

Oliver

Oliver non staccava gli occhi dalla schiena di Al per paura di perderlo di vista. Era pervaso da una strana sensazione di euforia e paura.

Si erano spostati di qualche centinaio di metri dalla fermata e la sua Guida non gli aveva più rivolto la parola. L'ambiente era ostile e sconosciuto, l'ennesima strada di periferia poco illuminata che si incuneava in una ragnatela di palazzoni e case popolari. Si aggirava nell' intrico di vie e vite come un marziano in visita sulla terra.

Così abituato alle strade del centro, ai quartieri della movida, alle feste della città bene, camminare verso il vecchio deposito dei treni gli dava un gusto di proibito, di pericoloso. Si domandava quanti pezzi di mondo avesse ignorato fino a quel momento, coccolato nel suo piccolo universo dorato.

Ora, per caso o per destino, si era buttato in un'avventura imprevedibile... per la foga e per la gioia di viverla quasi non sentiva la gamba pesante, quasi non sentiva i muscoli disobbedienti.
Al, davanti a lui di qualche passo, si orientava nel buio come un predatore notturno indicandogli la strada con cenni della testa e sguardi fugaci, per accertarsi che avesse capito.

Il cuore gli batteva forte quando raggiunsero una recinzione alta un paio di metri, fatta di rete metallica. Al gli mostrò un passaggio ricavato da un grosso pezzo di maglia reciso, che apriva una porticina nelle difese della struttura.

-  Ecco qui la tana del coniglio di Alice, solo non aspettarti il Paese delle Meraviglie amico...-  

Attraversarono in silenzio il paesaggio spettrale, pestando con passi frettolosi cemento rugoso, dal quale spuntavano erbacce e fiori brutti.
Oliver credeva che quel buio pesante intorno a loro non sarebbe finito mai, finché luci di falò e brusio non lo avvolsero di colpo.

 A ridosso dei muri di capannoni abbandonati, dei ragazzi avevano acceso fuochi in vecchi bidoni.

Non faceva freddo, ma la luce e il calore dipingevano di colori bruni e rossi quei brutti muri ammuffiti, donando loro nuova dignità.
Di ragazzi ce n'erano tanti, adolescenti e quasi uomini  e donne.... bevevano, ballavano e suonavano con chitarre con qualche corda in meno, con vecchie casse come batteria e qualcuno soffiava una melodia jazz in una tromba, riportando in vita Louis Armstrong, Miles Davies ed il giovane Clifford Brown.

L'aria era di festa, una tribù che celebrava i riti di fine estate. Una popolazione dimenticata, ignorata alla luce del sole, che prendeva vita solo di notte tra le rovine di una stazione.

Le risate sguaiate vibravano insieme alle note della tromba e il puzzo di birra economica e di cenere condivano l'atmosfera. Nonostante fosse tutto vecchio, rotto e squallido Oliver pensò che c'era una bellezza selvaggia in quel posto.
 Al lo guidò ai margini della strana riunione, senza passarvi in mezzo per non attirare l'attenzione, evitare guai.  Gli aveva accennato che i frequentatori del posto non erano molto socievoli con gli intrusi. Mentre aggiravano i fuochi una canzone catturò l'orecchio di Oliver e ne stregò i pensieri:
Ho pensato agli angeli, soffocati dalle loro aureole, li ho fatti ubriacare di acqua di rose.
Guarda quanto sporchi posso farli diventare, tirando fuori i loro denti fragili e incollando le loro piccole ali.
 
A cantare era una ragazza appoggiata spalla contro spalla al chitarrista del gruppo. La voce era sottile e struggente. Arrivava dritta al cuore e ne scompagnava il battito.
 
Ogni cosa che dici può e sarà usata contro di te, allora di solo il mio nome e lo userò contro di te,
di solo il mio nome.
Se il dolore del paradiso porta la pioggia dell'inferno, scambierei tutti i miei Domani per uno solo dei miei giorni passati...
...per un solo Ieri.
 
La testa di Oliver si perse nel bacino più intimo dei suoi ricordi, alla ricerca di un puro momento di gioia da far riaffiorare alla memoria..
 
Ti voglio insegnare una lezione nel peggiore dei modi, scambierei comunque tutti i miei Domani per un solo dei miei giorni passati...
...per un solo Ieri.
 
Che caso sfacciatamente ironico e beffardo sentire quelle parole proprio mentre stava per conoscere il proprio futuro, per bocca di una presunta strega.

Mentre con Al si allontanavano dal chiarore dei falò, Oliver si chiese se anche lui stesso avrebbe scelto la stessa cosa, scambiare il suo futuro per un solo giorno felice del passato. Aveva anche perfettamente in mente quale giorno e il sorriso della persona con cui l'aveva condiviso. La felicità di quel ricordo, mescolata con la nostalgia, gli fecero pizzicare gli occhi. Sì.. sì l'avrebbe scambiato eccome, a discapito di tutti i sogni irrealizzati di tutti i progetti mai conclusi.. avrebbe barattato tutto a occhi chiusi.

Lui che aveva vissuto una vita senza intoppi e sbandate, non sapeva fino a quel momento che la realtà potesse essere così infernale, cruda.
La sua esistenza era come un grande affresco. I colori brillanti le forme sinuose di putti e ninfe, l'azzurro cobalto del cielo donano l'impressione di perfezione e maestosità... ma se si guarda da vicino si notano le crepe nell'intonaco, il rosso sbiadito delle vesti degli angeli e persino il respiro dell'osservatore dell'opera può compromettere l'esistenza stessa dell'affresco, accelerandone la decadenza.

Distratto dai suoi pensieri, Oliver non si era accorto che erano entrati in un capannone finché non ci fu proprio in mezzo. La struttura fatiscente ospitava vecchi vagoni, dai sedili muffiti e le lamiere ammaccate, la pelle  metallica laccata di vernice spray. Nell'abbandono totale di quel posto, Oliver si stupì di vedere che alcuni finestrini erano illuminati da luce gialle e ronzanti.

-Eccoci, sull'annuncio c'era scritto vagone sette... vedi se riesci a trovarlo. -

Dopo un quarto d'ora di ricerca senza esito, nel labirinto, i due ragazzi si guardarono scoraggiati. Oliver scrutava circospetto il buio, preoccupato.

-Sei sicuro che non è uno scherzo o peggio una trappola di qualche genere?-

L'euforia di poco prima aveva lasciato il posto alla strizza.

-Questo sembra il genere di posto dove ti accoppano e ti asportano gli organi da vendere al mercato nero...-

- Paura eh? Adesso non stare a lamentarti con me! Hai scelto tu di venire qui! Comunque no.. non ho la certezza che sia uno scherzo o un annuncio vero però ormai...-

-Ehi giovani!-

Oliver e Al si girarono di scatto, allarmati e con i cuori in gola, al suono di una voce proveniente dalla loro sinistra.
Un donna sulla sessantina si parò loro davanti. All'apparenza sembrava innocua, era piuttosto brutta col viso rincagnato e lo sguardo acquoso. Aveva in mano una torcia che le illuminava il viso corrucciato, truccato in modo grottesco, e i capelli vaporosi neri pece le ricadevano sulle spalle leggeri come nuvole di carbone, regalandole un atmosfera da film horror.

Oliver deglutì sonoramente, terrorizzato, mentre Al sorrideva come un bambino. La donna parlò con enfasi mistica con una punta minacciosa:

- Siete venuti a conoscere il vostro destino?-

Una volta che i due ebbero annuito, anche se con poca convinzione da parte di Al, l'espressione della signora si addolcì e li apostrofò con voce più soffice:

-Eccellente! Finalmente un po' di carne fresca... ultimamente i clienti scarseggiano e sono solo vecchi bacucchi e casalinghe disperate... venite venite, il mio vagone è da questa parte. -

Oliver lanciò un occhiata insieme disperata e divertita al suo compagno di avventura che si limitò a sbuffare e seguire la figura che ondeggiava su un piede e l'altro, muovendosi in un turbine di Pashmine e collane di perle di vetro. Il ragazzo però scorse uno sguardo maligno negli occhi paludosi di Al, che non prometteva nulla di buono.

- Che strano incontrarti qui Marisa... non credevo che una come te si interessasse alle stregonerie, chissà cosa direbbe il Signor Marabelli di questa tua strana passione... come dire pagana.-

La donna si arrestò di colpo, per poi voltarsi e puntare la torcia in faccia ad Al.

-Tu?!-

- Già io! -

Oliver era parecchio spaesato, non ci stava capendo nulla, mentre tra Al e quella che ormai doveva essere la strega Margareta l'aria si poteva tagliare con un coltello.

 

Al


Al non poteva credere al proprio colpo di fortuna. Marisa Marabelli aveva una identità segreta e passava le proprie sere a leggere tarocchi e preparare filtri d'amore.

La vita aveva seriamente uno strano senso dell'umorismo. Al non riusciva a smettere di gongolare alla vista di quella faccia tutta truccata, piegata in un'espressione di sano terrore con un accenno di stizza.

Ah! Vendetta dolce vendetta.

-  Si può sapere che cosa ci fai qui e che cosa vuoi da me, piccola serpe ingrata? -

- Per quanto tu non possa credermi, siamo finiti qui per caso - le rispose Al con voce zuccherosa, al contrario di quella della sua interlocutrice che sprizzava veleno. Poi tirò fuori dalla tasca l'annuncio e lo consegnò nelle mani tremanti della donna che la guardava diffidente.

- Se avessi saputo che la strega Margareta sei tu, avrei girato alla larga, ma ti giuro che sei l'ultima persona che mi aspettavo di vedere in questo posto -

- Scusate, ehm.., potreste spiegarmi che sta succedendo? - si intromise Oliver.

- Questa amabile signora...-

Al fu troncata da un ringhio di Marisa/ Margareta che le afferrò il braccio e bisbigliò.

- Ti dispiace se scambiamo due parole in privato Al..-

-Certo, perché no - si affrettò a rispondere Al, facendosi trascinare dalla presa della signora Marisa dietro un vagone vuoto e buio, non prima di aver raccomandato a Oliver di aspettarle lì.
 
- Ho pregato il signore di non rivederti mai più, ma purtroppo non sono stata accontentata. mi spieghi che ci fai qui ragazzina? -

- Ciò che faccio qui  non è affar tuo "mammina", piuttosto potrei chiederti la stessa cosa. -

- Sei solo una piccola viziata irriconoscente, tu e quella testa matta di tuo fratello.. non mi stupisce la fine che ha fatto a frequentare quella gent...-

Al chiuse gli occhi un attimo, lasciandosi scivolare addosso quelle parole intossicanti, senza riuscire però a impedire che venissero assorbite dalla sua mente.
Il dolore che da anni aveva impacchettato e nascosto dentro di sé, pervase la sua intera essenza. Si mise a tremare impercettibilmente. Una familiare angoscia bruciante che le perforava le viscere iniziò ad assediarla di nuovo. Strinse i pugni forte e ispirò piano.
Marisa aveva blaterato per un po', ma accortasi della reazione della ragazza ammutolì.

- Senti ragazza, io non so perché sei finita qui, ma non voglio grane.
Nessuno giù al quartiere sa di questa mia.. attività tantomeno mio marito, Lo sai benissimo quanto può essere stressante riguardo a queste pratiche che chiamerebbe.. come dice lui? Poco ortodosse... o quel che è. E' solo un passatempo, un modo di tirare su due spiccioli, nulla di più.  
Questa cosa non deve trapelare, devi tenera quella tua bocca chiusa e dimenticare di avermi vista qui. Quindi ora vattene e porta con te quel tuo amico. Non voglio più vederti. -

Al riaprì gli occhi finalmente e li piantò in quelli chiari e acquosi della donna di fronte a lei.
 Quella donna che era stata sua tutrice per cinque lunghi anni di inferno, che pensava che le parole cattive e l'umiliazione fossero giustificate dal fatto che le aveva dato un tetto sopra la testa e cibo nel piatto. Quella donna che l'aveva disprezzata dal momento in cui era entrata in casa sua, che conosceva solo la gentilezza che andava per  mano con l'apparenza e la bontà che sposava l'ipocrisia.
Al avrebbe con piacere assecondato le richieste della donna di alzare i tacchi e andare via da quel buco, ma il suo senso di giustizia non le faceva staccare le scarpe da terra, quando finalmente aveva il coltello dalla parte del manico.

- No -

- Come prego? -

- Ho detto No, non me ne vado e no puoi scordarti che dimentichi di averti vista qui! Anzi è la cosa più divertente che mi sia mai capitata da anni. Come sarebbe far sapere a tutto il tuo perfetto quartiere  di persone perfette che la rispettabile timorata signora Marabelli, moglie del bigotto invasato presidente del consiglio parrocchiale Marabelli, nelle sere dei giorni feriali legge i tarocchi in un luogo di perdizione ?
Tuo marito pensa che tu sia all'ospizio a fare il turno di volontariato serale? O un incontro spirituale con le suore laiche?  Ecco dove andavi tutte quelle volte che uscivi dopo cena... -

Il viso della signora Marisa si arrossò di rabbia e frustrazione.

- Cosa vuoi? Cosa devo fare per mandarti via? - grugnì esasperata e spazientita.
Mille pensieri passarono per la testa di Al, piccole vendette che aveva contemplato durante la sua adolescenza  in quella casa di matti.
Poi pensò ad Oliver e alla loro strana avventura. Pensò a suo fratello. Che importanza aveva adesso tutto ciò che era stato? Niente.

 -  Voglio che leggi le carte per me e per il mio amico. Gratis ovviamente. Poi me ne vado, ma a patto che tu non gli dica niente di me né come mi chiamo... -

- E basta? Mi stai prendendo in giro? Lo sai che odio i giochetti signorina.. -

- Solo questo e poi ce ne andiamo. Tranquilla non dirò niente a nessuno del tuo "hobby" serale. Non mi interessa nulla di te e di quello che fai. Va bene? -

- D'accordo. -

Oliver le stava aspettando. Quando tornarono a prenderlo era sollevato e anche un po' spazientito. Al si limitò a seguire Margareta /Marisa verso il vagone sette, cercando di sviare le domande insistenti di Oliver che chiedeva spiegazioni.
Poco dopo i due ragazzi erano seduti su dei vecchi sedili, rifoderati di velluto rosso un po' consumato. Di fronte a loro c'era un tavolino in legno dai piedi a forma di zampa di leone e Margareta/Marisa seduta su una poltrona intenta a mescolare le carte. L'interno del suo vagone era un accozzaglia di decorazioni e strano mobilio che si fondeva con la vecchia tappezzeria del treno. L'ambiente era però accogliente e tiepido, illuminato da luce gialla  e ballerina proveniente da numerose Abat-jours disseminate qua e là.

- Bene, chi comincia? -

Al indicò Oliver con il pollice.
 



 
N/a

Cia a tutti. E' passato un po' di tempo dall'ultimo aggiornamento e sono molto dispiaciuta di non aver continuato prima questa storia. Ora che l'ispirazione è tornata è stato un po' difficile riprendere il filo e rendere tutto fluido e omogeneo, spero di esserci riuscita... fatemi sapere le vostre impressioni! La canzone inserita è una traduzione libera di Just one Yesterday dei Fall Out Boy (tanto per cambiare :P Ho infilato una loro canzone anche nella mia altra storia, non ci posso fare nulla mi piacciono troppo). Sto lavorando al prossimo capitolo, non so quando aggiornerò ma spero in tempi ragionevoli. Grazie! A presto :)
 

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