I got it! di cartoonkeeper8 (/viewuser.php?uid=677923)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Goodmorning! ***
Capitolo 2: *** I got it! ***
Capitolo 3: *** I know what I need to do ***
Capitolo 4: *** Time ***
Capitolo 5: *** Silence ***
Capitolo 6: *** The painter ***
Capitolo 1 *** Goodmorning! ***
*Angolo autrice*
Ok, in questo momento è
come se stessi pubblicando un pezzo del mio cuoricino sanguinolento e
pulsante. Tengo tantissimo a questa storia, e sono felice di
condividerla con tutti voi, sperando che vi piaccia :) La dedico a
LaraPink... tutta per te, cara ;) E' divisa in capitoli abbastanza
brevi, ed è ispirata ad una poesia di Gianni Rodari, di cui
per ora non rivelerò il titolo, per non rovinarvi la
sorpresa XD Nelle note dell'ultimo capitolo scoprirò
l'arcano (wow che paroloni!). E niente, e questo. XD Buona lettura!
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Lo svegliarono i crampi allo stomaco
e il vaffanculo
ordinario del treno delle 06:00. Donatello dischiuse lentamente le
palpebre,
deglutendo a fatica, infastidito dalla gola secca e dal pessimo sapore
che gli
era rimasto attaccato alla lingua… era il gusto
dell’aria fritta consumata
durante la cena e il pranzo del giorno prima. Si alzò a
fatica dal letto,
frizionando le braccia e le gambe intirizzite dal freddo notturno,
mentre dei
riccioli neri ribelli gli cascavano sugli occhi. Si sciacquò
il viso, lavando
via gli ultimi sogni intrappolati nelle iridi castane, per poi bere dal
rubinetto del bagno, per placare la sete. Col nuovo sapore di ossido di
zolfo,
rifece il letto e si guardò attorno, sconsolato. Niente di
nuovo: stessa
piccola sporca povera soffitta, stessi vestiti stracciati su una sedia
sfondata, stesso bagno scalcagnato, col lavandino scrostato e
arrugginito, col
cesso… meglio lasciar perdere.
Si sedette sul letto, massaggiandosi
il collo, cercando di
mettere a fuoco al meglio la stanza. Avrebbe avuto bisogno di un paio
di
occhiali… ma non poteva permetterselo. A stento pagava
l’affitto per quella
stanza.
…
Chi voleva prendere in giro, erano
mesi che non pagava. Anzi,
forse non aveva mai pagato neanche un centesimo. Se aveva ancora un
tetto sopra
la testa, era solo per il buon cuore della padrona della locanda.
Già…
Un bussare sommesso interruppe il
sospiro romantriste che
già prorompeva dalle sue labbra. Un brivido piacevole e
tremendo percorse la
sua spina dorsale. Era lei. Corse verso la porta, per poi tornare
velocemente
al lavandino, togliersi la camicia lilla sgualcita e darsi una
sciacquata veloce
senza sapone – e chi aveva i soldi per comprarlo? –
schizzando ovunque per la
fretta. Chiuse la porta del piccolo bagno e si precipitò ad
aprire, col
fiatone. Gli occhi stupiti e il sorriso che lo aspettavano sulla soglia
lo
fecero trasalire. Si passò una mano sulla faccia,
maledicendosi ripetutamente.
Aveva dimenticato di rimettersi la camicia. Di nuovo.
-
Buongiorno!
Quanta allegria sprigionava quel
sorriso perlaceo! Donatello
ci mise un po’ a rispondere al saluto, ipnotizzato
com’era da quel volto
candido, il cui pallore era esaltato dall’acceso arancione
della sua chioma
ribelle. Dopo qualche secondo di troppo, riuscì a ricordare
la formula di rito
da pronunciare in quelle situazioni.
-
Ciao…
April.
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Capitolo 2 *** I got it! ***
*Angolo autrice*
Prima di tutto, un grazie sentito a
quanti stanno seguendo, leggendo e recensendo questa fanfiction...
Grazie davvero! Purtroppo oggi non ho avuto tempo per rispondervi, ma
rimedierò immediatamente! ;) Che dire, ecco, il secondo
capitolo... Buona lettura! :*
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Trattenendo un risolino tra i denti,
la ragazza lo guardava,
i suoi occhioni azzurri che lo osservavano da sotto in su, mentre lui
se la
mangiava con lo sguardo, dall’alto del suo metro e
ottantacinque.
-
Posso
entrare, D?
-
Sss…
ma perché non stiamo qui, a parlare? –
propose lui, appoggiandosi allo stipite per simulare una sfrontatezza
che non
aveva e al contempo per mascherare il disagio. Ogni volta che lei
bussava alla
sua porta era la stessa storia.
Non voleva che lei vedesse in che
stato vivesse, non voleva
parlarle perché non percepisse il digiuno che lo affliggeva
da giorni, non
voleva starle vicino per non contaminare quella Venere di Botticelli,
quella
Psiche di Canova, quella Danae di Klimt… eppure a stento
reprimeva il suo
istinto prepotente, avrebbe voluto annientare ogni distanza, fisica,
temporale,
distruggere lo spazio-tempo tra loro e stringerla a sé,
avrebbe voluto
assaggiare le sue labbra e gustare la vita, avrebbe voluto portarla in
braccio
nella sua reggia e fare di lei la sua principessa.
Un leggero colpo di tosse lo
riportò alla realtà.
-
Donnie!
– ridacchiò lei - mi stai ascoltando?
-
Perdonami,
mi ero incantato. Dicevi?
-
Voi
artisti, sempre con la testa fra le nuvole!
Ti stavo dicendo di non fare lo stupido e di spostarti, anche
perché mi si
stanno stancando le braccia.
Donatello sgranò gli
occhi: non aveva notato il vassoio tra
le mani della giovane. Una fetta di pane e un bicchiere di latte: il
paradiso
tra le mani di un angelo.
-
Lo
so, non è molto, ma purtroppo non ho potuto…
lo sai com’è il cuoco, ho dovuto prend…
-
Ma
scherzi? – la interruppe lui – Non dovevi!
Davvero! - e
così dicendo si fece
comunque da parte per permetterle di passare – Ti prego, non
far caso al
disordine.
April entrò subito,
posò il vassoio sul letto e ci si
sedette accanto, mentre Donatello chiudeva la porta, sospirando.
-
Ti ho
disturbato?
-
No
no, assolutamente! – disse lui agitando le
braccia, precipitandosi a confortare il suo tono colpevole sedendosi a
terra a
gambe incrociate di fronte al letto, a due passi da lei. Si perdeva
sempre nei
suoi occhi: due zaffiri lucenti…
“Smettila
di sorridere come un ebete,
smettila! Autocontrollo!”
-
Lo
sai che è proprio carino quello spazietto che
hai tra i denti? – fece lei, mascherando poi
l’imbarazzo torturando una ciocca
di capelli. – Posso farti una domanda?
-
Certo!
-
…
Perché sei senza camicia?
“Ah.
Giusto.”
-
Ho
caldo.
-
Ogni
volta che ti vengo a trovare hai sempre
caldo, non sarà mica una tattica di seduzione la tua, eh?
Risero insieme, mentre
l’imbarazzo saliva alle stelle.
I suoi occhi azzurri saettavano sul
petto scoperto del
giovane. Era magro, molto, ma la attirava in maniera incredibile. Forse
perché
non le importava ciò che quelle costole significavano, ma al
contrario comprendeva
cosa volesse dire patire la fame, e perciò superava le
apparenze… April si
riscosse, chiudendo gli occhi. Lui era un’artista, era
acculturato, non avrebbe
mai voluto una locandiera insignificante e ignorante che veniva dalla
campagna.
Eppure non poteva farne a meno… adorava quella chioma
scomposta come una notte
di tempesta, quegli occhi intelligenti e dolci… e quel
tenerissimo sorriso.
April si guardava attorno curiosa, e
quando i suoi occhi si
soffermarono al centro della stanza, Donatello sussultò
impercettibilmente.
L’aveva vista.
-
Ancora
niente?
Ebbene sì. Stessa tela
bianca. Da giorni ormai.
-
Purtroppo
no. Sono… a corto di idee.
-
Non
ti scoraggiare – lo consolò lei, sporgendosi
dal letto per scompigliargli i capelli scuri – vedrai che
a… te li sei
strappati di nuovo?!? – gridò, diteggiando piano
la cute arrossata.
-
Sì,
ehm… - si scusò Donatello – Ero senza
pennelli, quindi…
-
Da
quanto tempo non vendi un quadro? – inquisì
lei, sedendosi di nuovo composta – Mangi abbastanza? La notte
senti freddo? Se
vuoi posso portarti…
-
April!
– la fermò, prendendole le mani che
agitava nell’aria nella foga del discorso – Non
devi preoccuparti per me, sto
bene. Grazie per la colazione, davvero… ma non ho bisogno di
aiuto. Mi
spiace, so che sono indietro con l’affitto, ma appena
venderò questo quadro ti
darò tutti i soldi che ti devo, promesso.
April lo guardò,
l’irritazione che faceva capolino dai suoi
occhi. Offesa, ritrasse le mani e si alzò dal letto,
sbuffando.
-
Il
tuo orgoglio è esemplare, Donatello. Ma
accettare l’aiuto che viene offerto nel momento del bisogno
è un atto di
maturità, non di debolezza.
E uscì, sbattendo la
porta. Il moro sospirò, rialzandosi da
terra, mentre le ginocchia e le altre giunture imploravano
pietà.
“Neanche
trent’anni e sei un relitto…
non hai un soldo, mangi a stento e vivi di elemosina, sei un pittore
senza gli
strumenti, ti fai i pennelli con i capelli e non hai nemmeno una ragazza. Sei…”
Si tappò le orecchie,
inutilmente, per non ascoltare quella
maledetta vocina. Non aveva bisogno dell’aiuto di nessuno. E
soprattutto, non
voleva la compassione di April. Voleva essere amato, non suscitare
pena. Era
quasi un anno che abitava in quella soffitta, da quando una giovane
donna dai
rossi capelli che aveva apprezzato un suo quadro appena venduto gli
aveva
offerto un alloggio a un prezzo irrisorio, che comunque non aveva mai
potuto
pagare, e ancora non era riuscito a dichiararsi. Di cosa si vergognava? In fondo, aveva scelto lui
quella vita. Era
stato lui a decidere di andarsene di casa, lasciare
l’ambiente agiato dal quale
proveniva, abbandonare gli studi per cercare fortuna nel mondo, in
libertà,
inseguendo il suo sogno di pittore.
“Non
mi pento di ciò che ho fatto,
l’ho fatto e non mi pento.”
Eppure… si
passò una mano sulla faccia. Aveva mentito ad
April. Non stava bene. A proposito…
Si avventò sul pane e sul
latte, liberando la furia animale
che aveva trattenuto in presenza della ragazza. Mangiava saltuariamente
e solo
quando lei gli portava qualcosa. I suoi quadri piacevano, riusciva
sempre a
venderli nell’arco di un giorno, ma la gente non era
più disposta a spendere
più di tanto per “qualcosa da appendere a un
muro”. Non per niente aveva
lasciato Parigi per trasferirsi in quel buco di culo di paesino, pieno
di gente
ignorante che ancora credeva ai fantasmi e al demonio… e che
non apprezzava
l’arte. In più, la sua faccia da morto di fame non
aiutava di certo nelle
trattative. Aveva dovuto arrendersi ai prezzi più
stracciati.
Inoltre, era tanto che non
dipingeva… e non perché non
avesse ispirazione. Altra piccola bugia. Non aveva più i
colori. Aveva finito
le sue amate tempere, centellinate ai limiti del possibile, e le
botteghe da
cui si riforniva non gli facevano più credito. Disperato,
aveva cercato le
soluzioni più strane: aveva provato a chiedere a un
profumiere una sola scaglia
di sapone, purché blu, per il più soffice dei
cieli…
-
Vai
via, artista dei miei stivali! Poveraccio,
vuole una delle mie pregiatissime saponette… per dipingere!?!
Non farti più
vedere qui, o te ne farò pentire amaramente!
Aveva chiesto al fruttivendolo del
mercato se gli regalava
un limone, per coglierne il giallo poetico della scorza e farne un
fiore
luminoso come il sole…
-
Trovati
un lavoro vero, e poi potrai COMPRARE
uno dei miei profumati limoni! Vattene, che mi fai perdere tempo, e non
venire
più a dar fastidio! E guai a te se provi anche a rubare la
frutta marcia, giuro
che chiamo gli sbirri e ti faccio arrestare!
Aveva chiesto a uno speziale della
salvia per il verde, e
addirittura era andato da un pasticciere per un pizzico di cacao per
farne del
marrone! Niente. L’avevano tutti ricoperto di insulti e
cacciato via a pedate.
Si prese il volto tra le mani, dopo
aver posato il vassoio
col bicchiere vuoto per terra. Gli occhi scuri e stanchi si spostarono
sulla
tela. Dondolando i piedi che sporgevano dal letto, li strusciava sul
pavimento,
essendo quel letto sfondato che gli stava distruggendo il collo
troppo
basso per la sua altezza da spilungone sfigato.
Pensava al dipinto. Lui
l’aveva già in mente da tempo, lo
vedeva ovunque posasse gli occhi, stampato nella retina in ogni minimo
dettaglio,
lo sognava perfino la notte! Sentiva fin dentro le viscere vuote che
quello
sarebbe stato “Il dipinto”, la sua acme,
l’apogeo della sua breve carriera da
artista, la sua opera d’arte... Così come
Pigmalione, la sua Galatea avrebbe
preso vita, tanto divina e perfetta sarebbe stata la sua bellezza. Ma
finché
non avesse trovato con
che dipingere, la
sua “creatura” sarebbe rimasta imprigionata nel suo
cervello. Si sentiva
inutile. Avrebbe decisamente fatto meglio a…
Distratto dai suoi pensieri colmi di
rabbia, caricò un
calcio ben assestato che raggiunse il bicchiere e lo spedì
dritto contro il
muro. Le ultime gocce di latte macchiarono il pavimento, mentre le
schegge di
vetro colpite dai raggi del sole, rilucevano iridescenti disegnando
arcobaleni
cangianti sui muri scrostati della stanza.
“Perfetto.
Genio.”
Esasperato, si lasciò
sfuggire un mugolio lamentoso
nell’alzarsi per controllare i danni. Con una scopa
spampanata e una paletta
rotta provenienti dal bagno, adornate da eterei veli aracnidi, raccolse
pazientemente i pezzi più piccoli – considerato
che lui stava sempre a piedi
scalzi, avrebbe fatto meglio a pulire per bene – per poi
buttarli fuori dalla
finestra. Aveva controllato che non stesse passando nessuno sotto
quella
pioggia di vetro? … Sì. Diciamo di sì.
Posati gli attrezzi, prese con cautela
la scheggia più grande, guardandola in controluce. Era una
sezione trasversale
del bicchiere, dai lati all’apparenza molto affilati e dalle
punte aguzze.
Usandola come una lente, osservò tutta la stanza, come un
bambino che gioca con
un caleidoscopio. Il suo sguardo vetroso si posò infine
sulla tela bianca.
Anche tramite quello strumento di alterazione della realtà,
quello spazio vuoto
bianco come il nulla trasmetteva ugualmente un senso di acuta
depressione.
Percepiva il bisogno vitale di trovare un colore, almeno uno solo, o
sarebbe
impazzito! Guardò di nuovo la scheggia. E un pensiero folle
attraversò come una
cometa la sua mente di artista: un’epifania gli si era
manifestata.
-
Eureka!
Ce l’ho!
E detto fatto, si punse un dito con
uno degli spigoli del
frammento di vetro, trattenendo un sussulto. Subito una perla di sangue
impreziosì il suo indice sinistro. E il suo luccichio si
rifletté negli occhi
nocciola del ragazzo.
-
Finalmente…
ce l’ho! Il rosso ce l’ho!
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Capitolo 3 *** I know what I need to do ***
*Angolo autrice*
Ma che belle che siete! Mi fate
commuovere! :') Il terzo capitolo è più corto
degli altri, esigenze di narrazione (?)... Enjoy it! ;) :*
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Impiegò le ore successive
a comprendere come usare al meglio
il nuovo pigmento. Per ottenere le giuste sfumature, per i giochi di
luce e le
ombreggiature, avrebbe dovuto mescolare al sangue rispettivamente
intonaco o la
mina polverizzata del suo mozzicone di matita spuntato. Certo, doveva
essere
veloce nello stendere il colore sulla tela, poiché tendeva
ad asciugarsi in
fretta, e avrebbe dovuto passare più mani di pittura,
perché in alcuni punti il
colore era troppo chiaro. Per questo avrebbe dovuto pungersi spesso il
dito, ma
questo sarebbe stato il male minore.
Comprese tutte le tecniche,
cominciò subito a dipingere,
euforico. Non aveva neanche disegnato la bozza… non ne aveva
bisogno. Era tutto
lì, nei suoi occhi. Doveva solo dargli vita.
Lavorò giorno e notte,
giorno e notte, giorno e notte a quel
quadro… non mangiò, non dormì, non
uscì da quella soffitta, e limitò le pause
fisiologiche al cesso e alla sete. La notte lasciava la finestra
aperta, sicché
la luce della luna rischiarasse la stanza e gli permettesse di lavorare
senza
interruzioni… e senza candele. Non percepiva più
lo scorrere del tempo, non
esisteva altro fuorché il dipinto che stava prendendo forma
sotto le sue agili
pennellate.
Non avrebbe venduto quel quadro. Ora
gli era finalmente
tutto chiaro: sapeva cosa fare. Aveva un obiettivo, e
l’avrebbe raggiunto ad
ogni costo.
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Capitolo 4 *** Time ***
*Angolo autrice*
*trema* Ci stiamo avvicinando,
ragazze mie... manca poco ormai :) E aumenta in me l'angoscia, temo di
deludere le vostre aspettative! Spero proprio di no! :'( Ok, basta
piagnistei! Ecco il quarto capitolo... buona lettura! :*
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Era il quinto giorno. Solo
l’adrenalina lo teneva in piedi,
o meglio, in ginocchio sul pavimento, come un fedele in adorazione
dell’ara
divina. Aveva freddo, non si era più rimesso la camicia, ma
come avrebbe
potuto? Non poteva allontanarsi dal dipinto per una motivazione
così futile!
Stringeva i denti, cercando di tenere ferma la mano destra, scossa da
brividi
di freddo, stanchezza e mancanza di zuccheri. Un colpo di tosse lo
costrinse a
fermarsi, solo uno di una sfortunata serie che lo tormentava dalla
seconda
notte. Allontanando la mano a coppa dal viso, notò che era
di nuovo sporca di
rosso. Purtroppo era un rosso che non poteva usare, perché
reso troppo
vischioso dal muco e dalla saliva! Si asciugò la mano sul
pantalone e riprese a
dipingere. Doveva tenere duro. La testa, oltre che girargli come una
ballerina
impazzita, gli faceva un male dannato. Quando il sangue incrostava il
pennello,
era costretto a sciacquarlo più volte… ma
poiché quello era solo un bastoncino
con delle punte di capelli attaccate con una goccia di colla scadente,
il
pennello tendeva a durare molto poco. Perciò ne aveva
costruito un altro. E un
altro. E un altro ancora. Ma neanche questo importava.
Tutto era pronto, i dettagli e le
scritte, ogni cosa. Era infine
giunto alla parte finale, quella più difficile, quella
più bella. Fece per
pungersi il dito per l’ennesima volta, ma si
fermò. Il poco sangue che usciva
dalla ferita da punta non gli sarebbe bastato. Gli serviva molto
più rosso, o
ci avrebbe messo un’eternità… e la
tecnica non sarebbe stata corretta, il
dipinto non sarebbe stato bello come l’aveva immaginato!
Gliene serviva di più.
Donatello guardò la scheggia fedele, i cui quattro angoli
erano ornati di
rosso. La rigirò tra le dita, cambiando angolazione. Non
bastava, non bastava
più, una goccia alla volta non era più
sufficiente! Gliene serviva di più…
April saliva le scale che portavano
alla soffitta,
pensierosa. Negli ultimi cinque giorni D si era comportato in modo
molto
strano. Cioè, più strano del solito.
Più inquietante e meno impacciato. Meno
tenero e più preoccupante. Prima di tutto, non le aveva
neanche aperto la
porta. Dall’interno le aveva detto che non poteva alzarsi
perché stava
dipingendo, che finalmente aveva trovato l’ispirazione. Il
tono euforico con
cui le aveva parlato l’aveva rasserenata, felice della sua
felicità, e l’aveva
lasciato in pace. Ma nemmeno i giorni successivi le aveva aperto, non
aveva
mangiato e non era nemmeno sceso a trovarla! Inoltre, al suo bussare e
alle sue
domande aveva risposto con mugugni e monosillabi. Che non la
sopportasse più?
La giovane si fermò davanti alla porta, indugiando, ferita
da quella ipotesi.
Forse avrebbe dovuto lasciar stare…
“Sssolo…
un’altra pennellata… - un
colpo di tosse -”
Forse doveva lasciarlo in
pace…
“Devo…
aah… ffinire… - bianco negli occhi, freddo alla schiena, nausea, brividi tellurici, la mano cede un momento... ma
riprende
immediatamente a dipingere -
”
In fondo, chi era lei per dirgli
qualcosa? Sua madre? La sua
fidanzata? Ah! No di certo.
“…
F… finito. – un sorriso, il silenzio, il
dubbio, la certezza e
la disperazione - …
Come? Perché non parli?!? – scivolamento
laterale lento crollo verso
terra, un sibilo, un sospiro, di nuovo il silenzio.
C’è ancora tempo. Forse.
- ”
April scosse la testa. No. Basta
assecondarlo come un
bambino capriccioso. Se per il suo bene fosse stata costretta a
trascinarlo
fuori da quella stanza con la forza, l’avrebbe fatto senza
indugi. Gli avrebbe
dato qualcosa da mangiare, un bagno caldo, vestiti nuovi, una
passeggiata… non
importava che ormai poche persone affittassero una stanza da lei, che i
soldi
scarseggiassero, che non avesse nessuno che la aiutasse. Lei sorrideva
sempre,
perché sapeva sempre trovare il raggio di sole tra le
nuvole. E, da un anno,
aveva il sole in soffitta. Oggi gliel’avrebbe detto.
Sì, ma prima doveva
tirarlo fuori da quella stanza.
Agguerrita, bussò forte
alla porta.
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Capitolo 5 *** Silence ***
*Angolo autrice*
Belle de casa! :* Quanto
ve voglio bene! :)
Dunque, ci tengo a
informarvi che il prossimo sarà l'ultimo capitolo. Non
questo, l'altro. Si, l'altro. La finisci, hanno capito, non sono mica
idiote come te! E ora basta, non posso mica mettermi qui a parlare con
la vocina nella mia testa, ho una reputazione da mantenere io! ... Come
"Quale reputazione" ?!? Ma va' a cogli origano a 'la scis' 'i Paola,
va'!
Beh, ok, non ha molto
senso, ma vabbè. Dato che nel prossimo capitolo non voglio
mettere note, vi saluto e ringrazio tutte adesso, ve lo meritate!!
Ringrazio Alej_and_Mizu, dolcissima
fan dell'Apritello, la pragmatica e acuta HellenBach, supplico
Duz_Machine_84 di
non uccidere me, Donnie o April prima della fine di questa ff, saluto
l'onnipresente The_Warrior_Of_The_Storm,
l'accurata e gentilissima fiore_d_estate, e
infine abbraccio stritolando la dolcissima e incredibile Gru. Non ho
dimenticato nessuno, vero? Ok, andiamo avanti...
Ovvio che scherzo, come potrei non
ringraziare la supercalifragilistichespiralidosa LaraPink777?!? Come
mi chiedo? Aww, grazie cara clone, grazie!
Beh, credo che questo più
che un Angolo sia un quadrato, ma che dico, un parallelepipedo
d'autrice! E dunque, basta! Vi lascio al capitolo, che
risponderà a tutte le vostre domande! Ciao! :*
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-
Donatello,
apri! Sei chiuso lì dentro da giorni,
esci!
Silenzio.
“Perfetto,
ora è direttamente passato al mutismo”.
Scocciata, ricominciò.
-
Donatello
Hamato! Se non apri subito questa
porta giuro che saranno guai per te!
Ancora silenzio. La paura
cominciò ad assalirla.
-
D?
… Ti prego, apri!
In risposta a quel continuo silenzio
sconcertante, April
corse di sotto a prendere il passe-partout, per poi tornare salendo le
scale a
quattro a quattro, rischiando più volte di cadere. Fece
girare con foga la
chiave nella toppa e aprì la porta.
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*piccola nota in fondo alla pagina
Ebbene sì, qualche volta sono bugiarda. ;)
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Capitolo 6 *** The painter ***
Il pittore
Una volta c'era un pittore
povero in canna:
non aveva nemmeno un colore,
e per fare i pennelli
si era strappato i capelli.
Andò dal padrone del Blu
e gli disse: "Per favore, dammi tu
un po' di colore
per dipingere un cielo.
Ma mica tanto, un soffio, un velo".
"Vattene, vattene, fannullone,
pezzo di accattone,
se non vuoi che ti lisci il groppone
col bastone!"
Andò dal padrone del Giallo
e gli disse così:
"Prestami qualche avanzo
di colore, un ritaglio,
abbastanza per fare un girasole".
Ma quello lo aggredì
con un torrente di male parole:
"Pezzente, delinquente,
la finisci di seccare la gente?"
Andò dal padrone del Verde,
andò dal padrone del Bruno,
ma non gli dava retta nessuno.
Infine pensò:
"Il Rosso ce l'ho!"
E detto fatto
un dito si tagliò.
E il Rosso gocciò sulla tela:
era una lagrima appena,
una perla di sangue,
ma tinse in un istante
la tela intiera,
rossa come un falò di primavera,
rossa come una bandiera,
come un milione di rose
come un milione di...
E il povero pittore
adesso che aveva un colore
si sentì ricco più ricco
ricco più di un imperatore.
Più di un imperatore!
Rossa come un falò di primavera
Rossa come una bandiera
Come un milione di rose
Come un milione di rose...
L’odore. Un odore pungente,
penetrante, metallico e dolce al
tempo stesso.
Sangue.
Al centro della stanza, troneggiava
la famosa tela, non più
intonsa. Ai suoi piedi, la vittima sacrificale.
Con un grido disperato April
s’inginocchiò su Donatello. Era
rannicchiato a terra, in posizione fetale, come un bambino in preda agli incubi. Piangendo, gli accarezzò i pochi ricci
rimasti, la pelle liscia e
ancora tiepida del petto, il lieve accenno di barba trasandata che gli
stava
crescendo sul mento. Il polso sinistro aveva cessato di sanguinare,
mentre
ancora dalla scheggia di vetro sul pavimento gocciolava caldo sangue dal
lato più
affilato… il
petto era immobile. Era arrivata tardi.
Eppure,
aveva mantenuto intatta la sua bellezza. Una lacrima della ragazza
cadde sul
volto cereo del giovane, proprio sulle labbra arcuate in un dolcissimo
sorriso
congelato dalla morte, come il bacio tanto atteso, mai ricevuto e mai
dato.
Mentre portavano via il corpo, gli
occhi rossi di April si
posarono finalmente sul quadro. Era...
Era un suo ritratto. La testa era
piegata verso una spalla,
mostrando timidezza e dolcezza in un unico sorriso a occhi chiusi,
mentre una
ciocca di capelli le accarezza sensualmente il volto. I capelli. Erano
la parte
più bella del quadro, dipinti meravigliosamente, il rosso
era così acceso e
scuro da farli sembrare veri… probabilmente erano
l’ultimo dettaglio dipinto
dal pittore.
April rimase affascinata da quel
quadro. Dalle pennellate
dense, brevi e nervose alla Van Gogh al tratto leggero e gentile di
Degas, il
dipinto era il più bello che la ragazza avesse mai visto,
considerando anche
ciò che rappresentava per lei. Tutto ciò che le rimaneva del suo pittore era lì, davanti ai suoi occhi. Asciugando una lacrima per
vedere meglio, April
notò in basso a destra una timida scritta a matita. Imitando
Donatello, la
ragazza s’inginocchiò ai piedi della tela, e
mentre leggeva riprese a piovere
sul suo volto.
“A
te, mia principessa di rubino sanguigno. Ti amo.”
Quando la trovarono, qualche giorno
dopo, era volata come un
angelo dalla finestra di quella soffitta. Sul suo volto, pallido da
quando
aveva perso il suo sole, era rinato il sorriso perduto. Sorriso dipinto
dalla
stessa mano che aveva rubato il respiro al suo pittore prima, e ora
alle sue
labbra.
La stanza era vuota, non era rimasto niente… se non
quel quadro.
Le autorità ordinarono di
bruciarlo, perché ritenuto
maledetto dal demonio, e divenne cenere abbracciata dal vento. Eppure,
chiunque
lo vide ardere tra le fiamme, dentro di sé si commosse,
affermando che quel
dipinto era di un rosso che mai nessuno avrebbe dimenticato…
Rossa
come un falò di primavera
Rossa
come una bandiera
Come
un milione di rose
Come
un milione di rose…
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