I got it!

di cartoonkeeper8
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Goodmorning! ***
Capitolo 2: *** I got it! ***
Capitolo 3: *** I know what I need to do ***
Capitolo 4: *** Time ***
Capitolo 5: *** Silence ***
Capitolo 6: *** The painter ***



Capitolo 1
*** Goodmorning! ***


*Angolo autrice*

Ok, in questo momento è come se stessi pubblicando un pezzo del mio cuoricino sanguinolento e pulsante. Tengo tantissimo a questa storia, e sono felice di condividerla con tutti voi, sperando che vi piaccia :) La dedico a LaraPink... tutta per te, cara ;) E' divisa in capitoli abbastanza brevi, ed è ispirata ad una poesia di Gianni Rodari, di cui per ora non rivelerò il titolo, per non rovinarvi la sorpresa XD Nelle note dell'ultimo capitolo scoprirò l'arcano (wow che paroloni!). E niente, e questo. XD Buona lettura!

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Lo svegliarono i crampi allo stomaco e il vaffanculo ordinario del treno delle 06:00. Donatello dischiuse lentamente le palpebre, deglutendo a fatica, infastidito dalla gola secca e dal pessimo sapore che gli era rimasto attaccato alla lingua… era il gusto dell’aria fritta consumata durante la cena e il pranzo del giorno prima. Si alzò a fatica dal letto, frizionando le braccia e le gambe intirizzite dal freddo notturno, mentre dei riccioli neri ribelli gli cascavano sugli occhi. Si sciacquò il viso, lavando via gli ultimi sogni intrappolati nelle iridi castane, per poi bere dal rubinetto del bagno, per placare la sete. Col nuovo sapore di ossido di zolfo, rifece il letto e si guardò attorno, sconsolato. Niente di nuovo: stessa piccola sporca povera soffitta, stessi vestiti stracciati su una sedia sfondata, stesso bagno scalcagnato, col lavandino scrostato e arrugginito, col cesso… meglio lasciar perdere.

Si sedette sul letto, massaggiandosi il collo, cercando di mettere a fuoco al meglio la stanza. Avrebbe avuto bisogno di un paio di occhiali… ma non poteva permetterselo. A stento pagava l’affitto per quella stanza.

Chi voleva prendere in giro, erano mesi che non pagava. Anzi, forse non aveva mai pagato neanche un centesimo. Se aveva ancora un tetto sopra la testa, era solo per il buon cuore della padrona della locanda. Già…

Un bussare sommesso interruppe il sospiro romantriste che già prorompeva dalle sue labbra. Un brivido piacevole e tremendo percorse la sua spina dorsale. Era lei. Corse verso la porta, per poi tornare velocemente al lavandino, togliersi la camicia lilla sgualcita e darsi una sciacquata veloce senza sapone – e chi aveva i soldi per comprarlo? – schizzando ovunque per la fretta. Chiuse la porta del piccolo bagno e si precipitò ad aprire, col fiatone. Gli occhi stupiti e il sorriso che lo aspettavano sulla soglia lo fecero trasalire. Si passò una mano sulla faccia, maledicendosi ripetutamente. Aveva dimenticato di rimettersi la camicia. Di nuovo.

-          Buongiorno!

Quanta allegria sprigionava quel sorriso perlaceo! Donatello ci mise un po’ a rispondere al saluto, ipnotizzato com’era da quel volto candido, il cui pallore era esaltato dall’acceso arancione della sua chioma ribelle. Dopo qualche secondo di troppo, riuscì a ricordare la formula di rito da pronunciare in quelle situazioni.

-          Ciao… April.

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Capitolo 2
*** I got it! ***


*Angolo autrice*

Prima di tutto, un grazie sentito a quanti stanno seguendo, leggendo e recensendo questa fanfiction... Grazie davvero! Purtroppo oggi non ho avuto tempo per rispondervi, ma rimedierò immediatamente! ;) Che dire, ecco, il secondo capitolo... Buona lettura! :*

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Trattenendo un risolino tra i denti, la ragazza lo guardava, i suoi occhioni azzurri che lo osservavano da sotto in su, mentre lui se la mangiava con lo sguardo, dall’alto del suo metro e ottantacinque.

-          Posso entrare, D?

-          Sss… ma perché non stiamo qui, a parlare? – propose lui, appoggiandosi allo stipite per simulare una sfrontatezza che non aveva e al contempo per mascherare il disagio. Ogni volta che lei bussava alla sua porta era la stessa storia.

Non voleva che lei vedesse in che stato vivesse, non voleva parlarle perché non percepisse il digiuno che lo affliggeva da giorni, non voleva starle vicino per non contaminare quella Venere di Botticelli, quella Psiche di Canova, quella Danae di Klimt… eppure a stento reprimeva il suo istinto prepotente, avrebbe voluto annientare ogni distanza, fisica, temporale, distruggere lo spazio-tempo tra loro e stringerla a sé, avrebbe voluto assaggiare le sue labbra e gustare la vita, avrebbe voluto portarla in braccio nella sua reggia e fare di lei la sua principessa.

Un leggero colpo di tosse lo riportò alla realtà.

-          Donnie! – ridacchiò lei - mi stai ascoltando?

-          Perdonami, mi ero incantato. Dicevi?

-          Voi artisti, sempre con la testa fra le nuvole! Ti stavo dicendo di non fare lo stupido e di spostarti, anche perché mi si stanno stancando le braccia.

Donatello sgranò gli occhi: non aveva notato il vassoio tra le mani della giovane. Una fetta di pane e un bicchiere di latte: il paradiso tra le mani di un angelo.

-          Lo so, non è molto, ma purtroppo non ho potuto… lo sai com’è il cuoco, ho dovuto prend…

-          Ma scherzi? – la interruppe lui – Non dovevi! Davvero!  - e così dicendo si fece comunque da parte per permetterle di passare – Ti prego, non far caso al disordine.

April entrò subito, posò il vassoio sul letto e ci si sedette accanto, mentre Donatello chiudeva la porta, sospirando.

-          Ti ho disturbato?

-          No no, assolutamente! – disse lui agitando le braccia, precipitandosi a confortare il suo tono colpevole sedendosi a terra a gambe incrociate di fronte al letto, a due passi da lei. Si perdeva sempre nei suoi occhi: due zaffiri lucenti…

Smettila di sorridere come un ebete, smettila! Autocontrollo!

-          Lo sai che è proprio carino quello spazietto che hai tra i denti? – fece lei, mascherando poi l’imbarazzo torturando una ciocca di capelli. – Posso farti una domanda?

-          Certo!

-          … Perché sei senza camicia?

Ah. Giusto.

-          Ho caldo.

-          Ogni volta che ti vengo a trovare hai sempre caldo, non sarà mica una tattica di seduzione la tua, eh?

Risero insieme, mentre l’imbarazzo saliva alle stelle.

I suoi occhi azzurri saettavano sul petto scoperto del giovane. Era magro, molto, ma la attirava in maniera incredibile. Forse perché non le importava ciò che quelle costole significavano, ma al contrario comprendeva cosa volesse dire patire la fame, e perciò superava le apparenze… April si riscosse, chiudendo gli occhi. Lui era un’artista, era acculturato, non avrebbe mai voluto una locandiera insignificante e ignorante che veniva dalla campagna. Eppure non poteva farne a meno… adorava quella chioma scomposta come una notte di tempesta, quegli occhi intelligenti e dolci… e quel tenerissimo sorriso.

April si guardava attorno curiosa, e quando i suoi occhi si soffermarono al centro della stanza, Donatello sussultò impercettibilmente. L’aveva vista.

-          Ancora niente?

Ebbene sì. Stessa tela bianca. Da giorni ormai.

-          Purtroppo no. Sono… a corto di idee.

-          Non ti scoraggiare – lo consolò lei, sporgendosi dal letto per scompigliargli i capelli scuri – vedrai che a… te li sei strappati di nuovo?!? – gridò, diteggiando piano la cute arrossata.

-          Sì, ehm… - si scusò Donatello – Ero senza pennelli, quindi…

-          Da quanto tempo non vendi un quadro? – inquisì lei, sedendosi di nuovo composta – Mangi abbastanza? La notte senti freddo? Se vuoi posso portarti…

-          April! – la fermò, prendendole le mani che agitava nell’aria nella foga del discorso – Non devi preoccuparti per me, sto bene. Grazie per la colazione, davvero… ma non ho bisogno di aiuto. Mi spiace, so che sono indietro con l’affitto, ma appena venderò questo quadro ti darò tutti i soldi che ti devo, promesso.

April lo guardò, l’irritazione che faceva capolino dai suoi occhi. Offesa, ritrasse le mani e si alzò dal letto, sbuffando.

-          Il tuo orgoglio è esemplare, Donatello. Ma accettare l’aiuto che viene offerto nel momento del bisogno è un atto di maturità, non di debolezza.

E uscì, sbattendo la porta. Il moro sospirò, rialzandosi da terra, mentre le ginocchia e le altre giunture imploravano pietà.

Neanche trent’anni e sei un relitto… non hai un soldo, mangi a stento e vivi di elemosina, sei un pittore senza gli strumenti, ti fai i pennelli con i capelli e non hai nemmeno una ragazza. Sei…

Si tappò le orecchie, inutilmente, per non ascoltare quella maledetta vocina. Non aveva bisogno dell’aiuto di nessuno. E soprattutto, non voleva la compassione di April. Voleva essere amato, non suscitare pena. Era quasi un anno che abitava in quella soffitta, da quando una giovane donna dai rossi capelli che aveva apprezzato un suo quadro appena venduto gli aveva offerto un alloggio a un prezzo irrisorio, che comunque non aveva mai potuto pagare, e ancora non era riuscito a dichiararsi. Di cosa si vergognava?  In fondo, aveva scelto lui quella vita. Era stato lui a decidere di andarsene di casa, lasciare l’ambiente agiato dal quale proveniva, abbandonare gli studi per cercare fortuna nel mondo, in libertà, inseguendo il suo sogno di pittore.

Non mi pento di ciò che ho fatto, l’ho fatto e non mi pento.

Eppure… si passò una mano sulla faccia. Aveva mentito ad April. Non stava bene. A proposito…

Si avventò sul pane e sul latte, liberando la furia animale che aveva trattenuto in presenza della ragazza. Mangiava saltuariamente e solo quando lei gli portava qualcosa. I suoi quadri piacevano, riusciva sempre a venderli nell’arco di un giorno, ma la gente non era più disposta a spendere più di tanto per “qualcosa da appendere a un muro”. Non per niente aveva lasciato Parigi per trasferirsi in quel buco di culo di paesino, pieno di gente ignorante che ancora credeva ai fantasmi e al demonio… e che non apprezzava l’arte. In più, la sua faccia da morto di fame non aiutava di certo nelle trattative. Aveva dovuto arrendersi ai prezzi più stracciati.

Inoltre, era tanto che non dipingeva… e non perché non avesse ispirazione. Altra piccola bugia. Non aveva più i colori. Aveva finito le sue amate tempere, centellinate ai limiti del possibile, e le botteghe da cui si riforniva non gli facevano più credito. Disperato, aveva cercato le soluzioni più strane: aveva provato a chiedere a un profumiere una sola scaglia di sapone, purché blu, per il più soffice dei cieli…

-          Vai via, artista dei miei stivali! Poveraccio, vuole una delle mie pregiatissime saponette… per dipingere!?! Non farti più vedere qui, o te ne farò pentire amaramente!

Aveva chiesto al fruttivendolo del mercato se gli regalava un limone, per coglierne il giallo poetico della scorza e farne un fiore luminoso come il sole…

-          Trovati un lavoro vero, e poi potrai COMPRARE uno dei miei profumati limoni! Vattene, che mi fai perdere tempo, e non venire più a dar fastidio! E guai a te se provi anche a rubare la frutta marcia, giuro che chiamo gli sbirri e ti faccio arrestare!

Aveva chiesto a uno speziale della salvia per il verde, e addirittura era andato da un pasticciere per un pizzico di cacao per farne del marrone! Niente. L’avevano tutti ricoperto di insulti e cacciato via a pedate.

Si prese il volto tra le mani, dopo aver posato il vassoio col bicchiere vuoto per terra. Gli occhi scuri e stanchi si spostarono sulla tela. Dondolando i piedi che sporgevano dal letto, li strusciava sul pavimento, essendo quel letto sfondato che gli stava distruggendo il collo troppo basso per la sua altezza da spilungone sfigato.

Pensava al dipinto. Lui l’aveva già in mente da tempo, lo vedeva ovunque posasse gli occhi, stampato nella retina in ogni minimo dettaglio, lo sognava perfino la notte! Sentiva fin dentro le viscere vuote che quello sarebbe stato “Il dipinto”, la sua acme, l’apogeo della sua breve carriera da artista, la sua opera d’arte... Così come Pigmalione, la sua Galatea avrebbe preso vita, tanto divina e perfetta sarebbe stata la sua bellezza. Ma finché non avesse trovato  con che dipingere, la sua “creatura” sarebbe rimasta imprigionata nel suo cervello. Si sentiva inutile. Avrebbe decisamente fatto meglio a…

Distratto dai suoi pensieri colmi di rabbia, caricò un calcio ben assestato che raggiunse il bicchiere e lo spedì dritto contro il muro. Le ultime gocce di latte macchiarono il pavimento, mentre le schegge di vetro colpite dai raggi del sole, rilucevano iridescenti disegnando arcobaleni cangianti sui muri scrostati della stanza.

Perfetto. Genio.

Esasperato, si lasciò sfuggire un mugolio lamentoso nell’alzarsi per controllare i danni. Con una scopa spampanata e una paletta rotta provenienti dal bagno, adornate da eterei veli aracnidi, raccolse pazientemente i pezzi più piccoli – considerato che lui stava sempre a piedi scalzi, avrebbe fatto meglio a pulire per bene – per poi buttarli fuori dalla finestra. Aveva controllato che non stesse passando nessuno sotto quella pioggia di vetro? … Sì. Diciamo di sì. Posati gli attrezzi, prese con cautela la scheggia più grande, guardandola in controluce. Era una sezione trasversale del bicchiere, dai lati all’apparenza molto affilati e dalle punte aguzze. Usandola come una lente, osservò tutta la stanza, come un bambino che gioca con un caleidoscopio. Il suo sguardo vetroso si posò infine sulla tela bianca. Anche tramite quello strumento di alterazione della realtà, quello spazio vuoto bianco come il nulla trasmetteva ugualmente un senso di acuta depressione. Percepiva il bisogno vitale di trovare un colore, almeno uno solo, o sarebbe impazzito! Guardò di nuovo la scheggia. E un pensiero folle attraversò come una cometa la sua mente di artista: un’epifania gli si era manifestata.

-          Eureka! Ce l’ho!

E detto fatto, si punse un dito con uno degli spigoli del frammento di vetro, trattenendo un sussulto. Subito una perla di sangue impreziosì il suo indice sinistro. E il suo luccichio si rifletté negli occhi nocciola del ragazzo.

-          Finalmente… ce l’ho! Il rosso ce l’ho!

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Capitolo 3
*** I know what I need to do ***


*Angolo autrice*

Ma che belle che siete! Mi fate commuovere! :') Il terzo capitolo è più corto degli altri, esigenze di narrazione (?)... Enjoy it! ;) :*

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Impiegò le ore successive a comprendere come usare al meglio il nuovo pigmento. Per ottenere le giuste sfumature, per i giochi di luce e le ombreggiature, avrebbe dovuto mescolare al sangue rispettivamente intonaco o la mina polverizzata del suo mozzicone di matita spuntato. Certo, doveva essere veloce nello stendere il colore sulla tela, poiché tendeva ad asciugarsi in fretta, e avrebbe dovuto passare più mani di pittura, perché in alcuni punti il colore era troppo chiaro. Per questo avrebbe dovuto pungersi spesso il dito, ma questo sarebbe stato il male minore.

Comprese tutte le tecniche, cominciò subito a dipingere, euforico. Non aveva neanche disegnato la bozza… non ne aveva bisogno. Era tutto lì, nei suoi occhi. Doveva solo dargli vita.

Lavorò giorno e notte, giorno e notte, giorno e notte a quel quadro… non mangiò, non dormì, non uscì da quella soffitta, e limitò le pause fisiologiche al cesso e alla sete. La notte lasciava la finestra aperta, sicché la luce della luna rischiarasse la stanza e gli permettesse di lavorare senza interruzioni… e senza candele. Non percepiva più lo scorrere del tempo, non esisteva altro fuorché il dipinto che stava prendendo forma sotto le sue agili pennellate.

Non avrebbe venduto quel quadro. Ora gli era finalmente tutto chiaro: sapeva cosa fare. Aveva un obiettivo, e l’avrebbe raggiunto ad ogni costo.

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Capitolo 4
*** Time ***


*Angolo autrice*

*trema* Ci stiamo avvicinando, ragazze mie... manca poco ormai :) E aumenta in me l'angoscia, temo di deludere le vostre aspettative! Spero proprio di no! :'( Ok, basta piagnistei! Ecco il quarto capitolo... buona lettura! :*

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Era il quinto giorno. Solo l’adrenalina lo teneva in piedi, o meglio, in ginocchio sul pavimento, come un fedele in adorazione dell’ara divina. Aveva freddo, non si era più rimesso la camicia, ma come avrebbe potuto? Non poteva allontanarsi dal dipinto per una motivazione così futile! Stringeva i denti, cercando di tenere ferma la mano destra, scossa da brividi di freddo, stanchezza e mancanza di zuccheri. Un colpo di tosse lo costrinse a fermarsi, solo uno di una sfortunata serie che lo tormentava dalla seconda notte. Allontanando la mano a coppa dal viso, notò che era di nuovo sporca di rosso. Purtroppo era un rosso che non poteva usare, perché reso troppo vischioso dal muco e dalla saliva! Si asciugò la mano sul pantalone e riprese a dipingere. Doveva tenere duro. La testa, oltre che girargli come una ballerina impazzita, gli faceva un male dannato. Quando il sangue incrostava il pennello, era costretto a sciacquarlo più volte… ma poiché quello era solo un bastoncino con delle punte di capelli attaccate con una goccia di colla scadente, il pennello tendeva a durare molto poco. Perciò ne aveva costruito un altro. E un altro. E un altro ancora. Ma neanche questo importava.

Tutto era pronto, i dettagli e le scritte, ogni cosa. Era infine giunto alla parte finale, quella più difficile, quella più bella. Fece per pungersi il dito per l’ennesima volta, ma si fermò. Il poco sangue che usciva dalla ferita da punta non gli sarebbe bastato. Gli serviva molto più rosso, o ci avrebbe messo un’eternità… e la tecnica non sarebbe stata corretta, il dipinto non sarebbe stato bello come l’aveva immaginato! Gliene serviva di più. Donatello guardò la scheggia fedele, i cui quattro angoli erano ornati di rosso. La rigirò tra le dita, cambiando angolazione. Non bastava, non bastava più, una goccia alla volta non era più sufficiente! Gliene serviva di più…

 

April saliva le scale che portavano alla soffitta, pensierosa. Negli ultimi cinque giorni D si era comportato in modo molto strano. Cioè, più strano del solito. Più inquietante e meno impacciato. Meno tenero e più preoccupante. Prima di tutto, non le aveva neanche aperto la porta. Dall’interno le aveva detto che non poteva alzarsi perché stava dipingendo, che finalmente aveva trovato l’ispirazione. Il tono euforico con cui le aveva parlato l’aveva rasserenata, felice della sua felicità, e l’aveva lasciato in pace. Ma nemmeno i giorni successivi le aveva aperto, non aveva mangiato e non era nemmeno sceso a trovarla! Inoltre, al suo bussare e alle sue domande aveva risposto con mugugni e monosillabi. Che non la sopportasse più? La giovane si fermò davanti alla porta, indugiando, ferita da quella ipotesi. Forse avrebbe dovuto lasciar stare…

Sssolo… un’altra pennellata… - un colpo di tosse -”

Forse doveva lasciarlo in pace…

Devo… aah… ffinire… - bianco negli occhi, freddo alla schiena, nausea, brividi tellurici, la mano cede un momento... ma riprende immediatamente a dipingere  - ”

In fondo, chi era lei per dirgli qualcosa? Sua madre? La sua fidanzata? Ah! No di certo.

… F… finito.un sorriso, il silenzio, il dubbio, la certezza e la disperazione - … Come? Perché non parli?!?scivolamento laterale lento crollo verso terra, un sibilo, un sospiro, di nuovo il silenzio. C’è ancora tempo. Forse. - ”

April scosse la testa. No. Basta assecondarlo come un bambino capriccioso. Se per il suo bene fosse stata costretta a trascinarlo fuori da quella stanza con la forza, l’avrebbe fatto senza indugi. Gli avrebbe dato qualcosa da mangiare, un bagno caldo, vestiti nuovi, una passeggiata… non importava che ormai poche persone affittassero una stanza da lei, che i soldi scarseggiassero, che non avesse nessuno che la aiutasse. Lei sorrideva sempre, perché sapeva sempre trovare il raggio di sole tra le nuvole. E, da un anno, aveva il sole in soffitta. Oggi gliel’avrebbe detto. Sì, ma prima doveva tirarlo fuori da quella stanza.

Agguerrita, bussò forte alla porta.

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Capitolo 5
*** Silence ***


*Angolo autrice*

Belle de casa! :* Quanto ve voglio bene! :)

Dunque, ci tengo a informarvi che il prossimo sarà l'ultimo capitolo. Non questo, l'altro. Si, l'altro. La finisci, hanno capito, non sono mica idiote come te! E ora basta, non posso mica mettermi qui a parlare con la vocina nella mia testa, ho una reputazione da mantenere io! ... Come "Quale reputazione" ?!? Ma va' a cogli origano a 'la scis' 'i Paola, va'!

Beh, ok, non ha molto senso, ma vabbè. Dato che nel prossimo capitolo non voglio mettere note, vi saluto e ringrazio tutte adesso, ve lo meritate!!

Ringrazio Alej_and_Mizu, dolcissima fan dell'Apritello, la pragmatica e acuta HellenBach, supplico Duz_Machine_84 di non uccidere me, Donnie o April prima della fine di questa ff, saluto l'onnipresente The_Warrior_Of_The_Storm, l'accurata e gentilissima fiore_d_estate, e infine abbraccio stritolando la dolcissima e incredibile Gru. Non ho dimenticato nessuno, vero? Ok, andiamo avanti...

Ovvio che scherzo, come potrei non ringraziare la supercalifragilistichespiralidosa LaraPink777?!? Come mi chiedo? Aww, grazie cara clone, grazie!

Beh, credo che questo più che un Angolo sia un quadrato, ma che dico, un parallelepipedo d'autrice! E dunque, basta! Vi lascio al capitolo, che risponderà a tutte le vostre domande! Ciao! :*

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-          Donatello, apri! Sei chiuso lì dentro da giorni, esci!

Silenzio.

Perfetto, ora è direttamente passato al mutismo”.

Scocciata, ricominciò.

-          Donatello Hamato! Se non apri subito questa porta giuro che saranno guai per te!

Ancora silenzio. La paura cominciò ad assalirla.

-          D? … Ti prego, apri!

In risposta a quel continuo silenzio sconcertante, April corse di sotto a prendere il passe-partout, per poi tornare salendo le scale a quattro a quattro, rischiando più volte di cadere. Fece girare con foga la chiave nella toppa e aprì la porta.





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*piccola nota in fondo alla pagina
Ebbene sì, qualche volta sono bugiarda. ;)

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Capitolo 6
*** The painter ***


Il pittore

Una volta c'era un pittore
povero in canna:
non aveva nemmeno un colore,
e per fare i pennelli
si era strappato i capelli.

Andò dal padrone del Blu
e gli disse: "Per favore, dammi tu
un po' di colore
per dipingere un cielo.
Ma mica tanto, un soffio, un velo".

"Vattene, vattene, fannullone,
pezzo di accattone,
se non vuoi che ti lisci il groppone
col bastone!"

Andò dal padrone del Giallo
e gli disse così:
"Prestami qualche avanzo
di colore, un ritaglio,

abbastanza per fare un girasole".
Ma quello lo aggredì
con un torrente di male parole:
"Pezzente, delinquente,
la finisci di seccare la gente?"

Andò dal padrone del Verde,
andò dal padrone del Bruno,
ma non gli dava retta nessuno.
Infine pensò:
"Il Rosso ce l'ho!"
E detto fatto
un dito si tagliò.

E il Rosso gocciò sulla tela:
era una lagrima appena,
una perla di sangue,
ma tinse in un istante
la tela intiera,
rossa come un falò di primavera,
rossa come una bandiera,
come un milione di rose
come un milione di...

E il povero pittore
adesso che aveva un colore
si sentì ricco più ricco
ricco più di un imperatore.
Più di un imperatore!

Rossa come un falò di primavera
Rossa come una bandiera
Come un milione di rose
Come un milione di rose...



L’odore. Un odore pungente, penetrante, metallico e dolce al tempo stesso.

Sangue.

Al centro della stanza, troneggiava la famosa tela, non più intonsa. Ai suoi piedi, la vittima sacrificale.

Con un grido disperato April s’inginocchiò su Donatello. Era rannicchiato a terra, in posizione fetale, come un bambino in preda agli incubi. Piangendo, gli accarezzò i pochi ricci rimasti, la pelle liscia e ancora tiepida del petto, il lieve accenno di barba trasandata che gli stava crescendo sul mento. Il polso sinistro aveva cessato di sanguinare, mentre ancora dalla scheggia di vetro sul pavimento gocciolava caldo sangue dal lato più affilato…  il petto era immobile. Era arrivata tardi.
Eppure, aveva mantenuto intatta la sua bellezza. Una lacrima della ragazza cadde sul volto cereo del giovane, proprio sulle labbra arcuate in un dolcissimo sorriso congelato dalla morte, come il bacio tanto atteso, mai ricevuto e mai dato.

 

Mentre portavano via il corpo, gli occhi rossi di April si posarono finalmente sul quadro. Era...


Era un suo ritratto. La testa era piegata verso una spalla, mostrando timidezza e dolcezza in un unico sorriso a occhi chiusi, mentre una ciocca di capelli le accarezza sensualmente il volto. I capelli. Erano la parte più bella del quadro, dipinti meravigliosamente, il rosso era così acceso e scuro da farli sembrare veri… probabilmente erano l’ultimo dettaglio dipinto dal pittore.

April rimase affascinata da quel quadro. Dalle pennellate dense, brevi e nervose alla Van Gogh al tratto leggero e gentile di Degas, il dipinto era il più bello che la ragazza avesse mai visto, considerando anche ciò che rappresentava per lei. Tutto ciò che le rimaneva del suo pittore era lì, davanti ai suoi occhi.
Asciugando una lacrima per vedere meglio, April notò in basso a destra una timida scritta a matita. Imitando Donatello, la ragazza s’inginocchiò ai piedi della tela, e mentre leggeva riprese a piovere sul suo volto.

A te, mia principessa di rubino sanguigno. Ti amo.

 

Quando la trovarono, qualche giorno dopo, era volata come un angelo dalla finestra di quella soffitta. Sul suo volto, pallido da quando aveva perso il suo sole, era rinato il sorriso perduto. Sorriso dipinto dalla stessa mano che aveva rubato il respiro al suo pittore prima, e ora alle sue labbra.
La stanza era vuota, non era rimasto niente… se non quel quadro.

Le autorità ordinarono di bruciarlo, perché ritenuto maledetto dal demonio, e divenne cenere abbracciata dal vento. Eppure, chiunque lo vide ardere tra le fiamme, dentro di sé si commosse, affermando che quel dipinto era di un rosso che mai nessuno avrebbe dimenticato…

 

Rossa come un falò di primavera

Rossa come una bandiera

Come un milione di rose

Come un milione di rose…

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