La sua paura

di LadyRealgar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dov'è casa? ***
Capitolo 2: *** Incubi ***
Capitolo 3: *** Sapone e forbici da sarta ***
Capitolo 4: *** Mjolnir ***
Capitolo 5: *** Arrosto di maiale e patate al forno ***
Capitolo 6: *** My fault ***
Capitolo 7: *** Grazie, Heimdall ***
Capitolo 8: *** Il nome è Fandral e l'indirizzo è il 221B di Ásaheimr Street ***
Capitolo 9: *** Stelle estranee ***
Capitolo 10: *** Il ritorno del principe ***
Capitolo 11: *** The Chamber of the Secrets ***
Capitolo 12: *** Il ritratto ***
Capitolo 13: *** Complice ***
Capitolo 14: *** Ferro e fuoco ***
Capitolo 15: *** Aspettative ***
Capitolo 16: *** A long expected party ***
Capitolo 17: *** Il Vincolo Sacro ***
Capitolo 18: *** Pedina ***
Capitolo 19: *** La speranza che sconfigge l'odio ***
Capitolo 20: *** E guerra fu ***
Capitolo 21: *** Non finché sarò vivo ***
Capitolo 22: *** Phoneus ***
Capitolo 23: *** Power, Duty and Memories ***
Capitolo 24: *** Un prezzo da pagare ***
Capitolo 25: *** Gotta Wake Up! ***
Capitolo 26: *** Eitur Myri ***
Capitolo 27: *** Old friends ***
Capitolo 28: *** Ti fidi di me? ***
Capitolo 29: *** Non oggi ***
Capitolo 30: *** Promise me that this is not the end ***



Capitolo 1
*** Dov'è casa? ***


-Merda!
Fu la prima parola che la ragazza, svegliandosi da un lungo sonno, riuscì a sibilare attraverso le labbra screpolate.
La testa le girava vorticosamente e un dolore acuto le si diffondeva nel cranio e nelle spalle a partire dalla nuca.
D’istinto andò a toccarsi con le dita il punto dolente e sui polpastrelli sentì qualcosa di viscido e appiccicoso che, una volta osservato attentamente (e a fatica), si rivelò essere sangue in fase di coagulazione.
-Merda…- sibilò di nuovo la fanciulla. Se ci fosse stato suo padre, l’avrebbe rimproverata severamente per quel linguaggio scurrile, per nulla adatto ad una fanciulla di vent’anni, ma a Chiara non importò: imprecare entrava nel meccanismo di reazione al dolore, perciò che facesse pure, le sarebbe stato solo d’aiuto.
Era distesa sulla schiena e l’intorpidimento alle gambe e alle braccia le fecero capire che doveva trovarsi in quella posizione su una superficie rigida da molto tempo.
Anche troppo per i suoi gusti.
Gli occhi facevano ancora fatica a mettere a fuoco l’ambiente che la circondava, ma suppose che fosse caduta dal letto nel sonno e si fosse così procurata la ferita alla nuca.
Placata da quel pensiero, socchiuse le palpebre per permettere alle pupille di adattarsi meglio alla luce della stanza e cominciò a muovere i piedi e le mani per riattivare la circolazione e togliersi di dosso quel fastidioso formicolio.
Mentre eseguiva quell’esercizio si chiese come mai né i suoi genitori né suo fratello fossero venuti a prestarle soccorso, ma poi si ricordò che, sebbene lei avesse già concluso la sua sessione primaverile di esami all’università, per loro non erano ancora giunte le tanto agognate vacanze. Veniva dunque da sé che, vedendo la porta della stanza chiusa, avessero pensato che stesse semplicemente dormendo e non l’avessero voluta disturbare.
Molto premuroso, certo, ma a Chiara non sarebbe dispiaciuto ricevere un po’ di cure.
Nel frattempo gli occhi incominciavano ad adattarsi meglio alla luce e la ragazza poté scorgere il bianco dell’intonaco del soffitto; il suo sguardo cadde, poi, verso il suo corpo disteso e notò che non indossava il suo solito pigiama, bensì un paio di jeans e una maglietta.
“Non sarò mica tornata a casa ubriaca?” si domandò: in effetti, non riusciva a ricordare cosa le fosse successo o cosa avesse fatto prima di addormentarsi.
“Devo essere stata a qualche festa” continuò, mentre i suoi arti cominciavano lentamente a riprendere la loro funzione, “ Evidentemente devo essermi bevuta qualche Gin Lemon di troppo e, tornata a casa, devo essermi messa a dormire vestita e … un momento! Che fine ha fatto il lampadario?”
La sua vista era tornata  perfettamente funzionante e, concentrandosi sul soffitto, si era messa alla ricerca di quell’oggetto familiare, ma senza trovarlo.
La mancanza di quel fondamentale dettaglio allarmò profondamente la ragazza, che scattò a sedere, quasi fosse stata caricata a molla. La preoccupazione le fece dimenticare per un attimo il dolore alla testa e tutta la sua concentrazione si focalizzò nell’osservare l’ambiente intorno a sé.
La scrivania, l’armadio, la libreria, le mensole, il letto e lo specchio, che arredavano solitamente la sua camera da letto, erano scomparsi, dissolti nel nulla e sostituiti da una brandina di legno imbottita di paglia, un basso sgabello a tre piedi, un catino e una brocca, il tutto contenuto in una stanza priva di finestre e delimitata da un soffitto, un pavimento e tre pareti completamente bianchi. Esatto, solo tre, in quanto la quarta era composta da un unico pannello trasparente di un vago color giallo.
-Dove sono andate a finire tutte le mie cose?- bisbigliò, tenendosi la testa dolorante con una mano.
Sebbene cercasse disperatamente di spiegarsi il motivo della scomparsa dei suoi mobili e dei suoi libri, Chiara non riusciva assolutamente a venirne a capo; poi per un folle, assurdo momento una vocina nella sua testa le sussurrò: “E se non ci fossero mai stati?”. Fu una tremenda rivelazione, ma tutto le apparve chiaro: non mancava nulla in quella stanza, anzi, c’era qualcosa in più: lei.
Non era nella sua camera, ma in un posto completamente diverso. Il punto era: dove?
Chiara si alzò faticosamente dal pavimento, ma le sue gambe erano ancora troppo deboli per reggere adeguatamente il peso del corpo e così, barcollante, si avvicinò a lenti passi verso il pannello.
-Maledizione…- il dolore era intenso, come se qualcuno le avesse colpito la nuca con un bastone, rendendo il suo equilibrio estremamente precario sicché, ad un tratto, inciampò nei propri piedi, finendo con il braccio sinistro contro il pannello. La sensazione fu quella di una forte e dolorosa scossa elettrica che dalla spalla la percorse per tutto il corpo, dandole la spinta per allontanarsi dal pannello e facendola tornare sul pavimento.
Seduta al suolo, con il braccio che le bruciava per la scossa ricevuta, alle orecchie le giunse un rumore roco e gorgogliante. Le ci volle una manciata di secondi per comprendere da dove provenisse, ma quando lo scoprì il suo cuore perse un battito: oltre il vetro, dentro una stanza simile alla sua, un energumeno dalla pelle grigia come l’acciaio, costellata di cicatrici e tatuaggi, e dai capelli e gli occhi rossi come il sangue la stava osservando. Non solo, stava ridendo.
La paura prese il sopravvento e Chiara iniziò a tremare incontrollatamente, fomentando ancora di più l’ilarità di quella creatura.
La ragazza non poteva credere ai propri occhi: che cos’era quell’essere? Ma, soprattutto, le si poteva avvicinare?
Sperò con tutto il cuore che quel pannello fosse abbastanza resistente da tenerla al sicuro.
Era spaventata, disorientata e il dolore fisico stava aumentando di intensità. Senza che lo desiderasse, sui suoi occhi si depose un liquido velo di lacrime, offuscandole la vista. Subito si strofinò le palpebre con il pugno chiuso per nascondere quel segno di debolezza, ma non riuscì a impedire ad una goccia di scivolare sulla sua guancia sinistra.
-Dannazione!- singhiozzò la ragazza, mordendosi il labbro inferiore nel tentativo di ricacciare indietro quelle fastidiose gocce salate, ma la cosa non sfuggì al mostro, che continuò a ridere di gusto.
 -Oh, sta zitto!- gli rispose, alzandosi con fatica sulle gambe, che in quel momento le sembravano essere fatte di burro.
Si avvicinò nuovamente al pannello, mantenendo una discreta distanza di sicurezza, e si diede uno sguardo intorno: ai lati si estendeva un corridoio, lungo il quale si distribuivano numerose altre celle simili alla sua; buona parte di esse ospitavano uno o più individui. Il fatto che ognuno dei detenuti sembrava essere uscito da un macabro negozio di costumi di fantascienza non la sorprese.
Qualcosa, però, diede nuova speranza alla fanciulla: in fondo al corridoio a destra, infatti, vi era una grande porta di ferro, ai cui lati stavano, ben ritte e con le lance in mostra, quelle che sembravano essere due guardie.
“Un’uscita!”
Ignorando il penetrante sguardo del suo dirimpettaio, Chiara cercò di richiamare la loro attenzione.
-Scusate … - disse, ma il suo tono di voce era troppo basso e debole e non vi fu alcuna risposta.
Sul volto del mostro si disegnò un sorriso beffardo: quello spettacolo doveva rappresentare per lui un gran divertimento! Aggiunse anche qualche verso gutturale, probabilmente un commento sarcastico, che Chiara ringraziò di non aver capito.
Si fece coraggio, prese un bel respiro e urlò: -Ehi voi!
Questa volta era stata sentita e le due guardie, dopo essersi scambiate uno sguardo perplesso, si avvicinarono alla sua cella con passo pesante.
Quando se le trovò davanti, per un attimo Chiara si pentì di averle chiamate: erano alte e possenti, vestite di placche di metallo lucente e le punte delle loro lance scintillavano orgogliose del filo appena fatto.
La spaventavano, ma almeno sembravano meno crudeli del mostro della cella di fronte, che intanto si era seduto sulla sua branda per ammirare comodamente la scena.
-Cosa vuoi?- chiese bruscamente uno dei due uomini.
-Dove mi trovo?- domandò la ragazza con un filo di voce.
Le due guardie si scambiarono uno sguardo e un ghigno canzonatorio, finché una rispose: - Sei in una cella!
A quella frase i due uomini scoppiarono in grasse risate in una cacofonia di gorgoglii e ruggiti.
-Lo so di trovarmi in una cella! Ma dove?- domandò la ragazza, questa volta con rabbia.
-In una prigione!
Altro scroscio di risate.
Chiara strinse i pugni, desiderando di essere più alta dei suoi 156 cm e di avere un qualunque oggetto da lanciare su quei mascalzoni, cancellando i sorrisi idioti dalle loro brutte facce. Sentiva la rabbia e la vergogna crescere nel cuore e salirle fino alla gola, finché non esplose in un grido: -DOVE DIAVOLO MI TROVO?
-Ad Asgard!- rispose una voce maschile in lontananza, molto più calda e ferma di quelle delle due guardie, al cui suono erano balzate sull’attenti e (finalmente) si erano zittite.
Incerta sulla risposta appena ricevuta, Chiara volse lo sguardo in direzione della voce e vide un giovane uomo dal portamento nobile avvicinarsi a passi veloci e cadenzati.
Era alto e massiccio, con una robusta mascella squadrata e il naso leggermente schiacciato, ma dai lineamenti, nel complesso, simmetrici e armoniosi, i suoi capelli, del colore del grano, erano raccolti in una coda e le spalle erano avvolte da un lungo mantello rosso. Sembrava un atleta o un uomo d’armi, ma di sicuro, vista la reazione che avevano avuto le guardie, doveva essere un pezzo grosso.
L’uomo le si pose esattamente di fronte e la osservò dall’alto della sua statura, che, nonostante il suolo della cella fosse rialzato di una decina di centimetri rispetto al corridoio, risultava comunque molto imponente.
Ora che poteva vederlo chiaramente, si rese conto di quanto fosse attraente il suo interlocutore e, istintivamente, si portò una ciocca di capelli ribelle dietro l’orecchio, mentre domandava: -Chi sei?
Un sorriso spuntò sul volto dell’uomo, che rispose -Il mio nome è Thor, figlio di Odino e principe di Asgard. Qual è il vostro, fanciulla?
“Cosa sta dicendo questo?” si domandò Chiara “Il principe di cosa?”, poi si accorse che Thor stava ancora aspettando una risposta e si affrettò a dire: -Mi chiamo Chiara e vorrei sapere dove mi trovo e per quale ragione… per favore.
“Ma come per favore? Svegliati, Chiara! Sei in gattabuia! Cerca di essere più determinata!”
-Molto bene... Chiara. Come ho già detto, ti trovi ad Asgard, il Regno degli Dei, e sul perché ti trovi qui sarà compito di mio padre illustrartelo- aggiunse poi, facendo un cenno alle guardie:- Infatti egli desidera averti a colloquio e io sono qui per condurti da lui.
In un attimo il pannello si dissolse e una guardia oltrepassò la soglia della cella. Il suo volto era diventato impassibile e i suoi gesti quasi meccanici.
“Non fai più tanto lo sbruffone ora che il capo è qui a guardarti, vero?” si trovò a pensare la ragazza, mentre le ammanettavano i polsi. Il freddo contatto del metallo sulla pelle la riportò alla realtà: era sola e in manette contro tre energumeni armati. Doveva risparmiarsi i commenti e le battutine se voleva uscirne incolume.
Venne condotta, o meglio, trascinata come un cane al guinzaglio, attraverso il corridoio. Thor apriva il corteo e le guardie le stavano ai lati, mentre altri due uomini armati prendevano il loro posto a guardia dei detenuti.
Intanto, il mostro osservava avidamente la scena, seguendo con lo sguardo il cordoglio finché non vennero chiuse le pesanti porte di ferro e il gruppo cominciò a percorrere una lunga scalinata.
Man mano che si allontanavano dalla prigione, l’aria sembrava farsi più pulita e leggera e le gambe della ragazza iniziarono a riprendere la loro funzione.
Al termine dell’ascesa, che parve infinita per la ragazza allo stremo delle forze, vi era una seconda porta, che, una volta aperta, lasciò entrare un fascio di luce. I suoi occhi, abituati all’oscurità, rimasero abbagliati da quella fonte luminosa così improvvisa e per qualche secondo non furono in grado di scorgere nulla di ciò che avevano intorno.
Ma non appena le pupille si furono ristrette, quello che vide la ragazza la lasciò senza fiato: intorno a lei si estendeva un’enorme sala, tappezzata di meravigliosi arazzi e illuminata dalla luce del tramonto, che entrava attraverso i vetri di grandi finestre bifore.
Sotto ai suoi piedi riluceva la superficie lucidata del marmo nero, liscia e splendente al punto da poter vedere il riflesso di Thor, che, avanti di un paio di passi, con il suo lungo mantello svolazzante, sembrava una di quelle nuvole del tramonto che si intravedevano attraverso le finestre.
Alla stanza degli arazzi seguì un ballatoio che dava verso l’esterno e Chiara riuscì a sbirciare il paesaggio: una grande città si estendeva sotto si loro, ricca di case e di fermento e bagnata dal mare, sulle cui acque, arancioni per il crepuscolo, flottavano pigramente delle buffe imbarcazioni.
Non riusciva a riconoscere nulla di quello che vedeva, non un edificio o una strada che potesse darle un qualche suggerimento sulla sua ubicazione.
Il senso di smarrimento cresceva esponenzialmente ad ogni nuovo tetto che riusciva a scorgere, ma dovette ammettere a se stessa che quello che aveva davanti era uno spettacolo meraviglioso: le lunghe ombre della sera delineavano con maggiore profondità le forme degli edifici e delle abitazioni, i cui tetti scintillavano di mille colori, come se fossero stati fatti di madreperla. Poteva sentire le voci dei mercanti che gridavano le ultime offerte della giornata e i bambini che cantavano e giocavano nella polvere delle strade.
Il tutto trasmetteva un senso di pace e di tranquillità che non si sarebbe mai aspettata di trovare in una situazione tanto drammatica.
Tra una colonna e l’altra, mentre attraversavano il ballatoio, Chiara scorse un ponte che si estendeva per centinaia di metri in direzione del mare, ma senza condurre apparentemente da nessuna parte: terminava, infatti, in quello che sembrava una sorta di osservatorio astronomico di forma semi sferica con un lungo spuntone piramidale che si ergeva verso l’alto. Era uno strano edificio, ma non era quello l’aspetto più bizzarro: secondo chissà quale gioco di luce, quel ponte brillava dei sette colori dello spettro del visibile. Sembrava un arcobaleno!
“Forse c’è un qualche sistema di illuminazione artificiale che da questa distanza non riesco a vedere…”.
-È uno spettacolo magnifico, non è vero?- le chiese il principe.
Chiara, colta di sorpresa, sobbalzò  e si accorse di star osservando il ponte a bocca aperta (“Come un’ebete” si rimproverò).
-È bellissimo, certo- rispose -Ma avrei preferito vedere qualcosa di più familiare.
Si morse il labbro: non riusciva proprio a tacere? Già si aspettava che l'uomo saltasse su tutte le furie e la rispedisse a marcire in cella, ma ciò, fortunatamente, non accadde: egli si limitò ad osservarla per qualche secondo, poi fece dietrofront e il gruppo riprese a camminare.
I passi rimbombavano lungo le diverse stanze che la compagnia attraversò, una più bella e fastosa dell’altra, finché Thor non si fermò di fronte a una porta chiusa, imitato dalle guardie.
Si voltò verso la ragazza e disse, facendo un breve sorriso di incoraggiamento: -Oltre questa porta si trova Odino. Sii rispettosa e rispondi a tutte le sue domande.
A Chiara non restò altro che fare un breve cenno di assenso con la testa, che sembrò soddisfare l’uomo, sicché le porte si spalancarono e la prigioniera venne condotta nella sala del trono.
La grande sala era illuminata dal fuoco di decine di torce, facendo sfavillare di mille luci il pavimento di pietra levigata e finemente intarsiata. Lungo le pareti scendevano armoniosamente dei drappi purpurei, che ondeggiavano alla brezza della sera, ma, in tutto quello sfarzo e in quella opulenza, era il maestoso trono a rifulgere in tutto il suo splendore sopra ogni cosa, emanando bagliori dorati.
Tuttavia, ciò che attrasse maggiormente l’attenzione della ragazza non fu lo sfarzo, né la maestosità della sala, e neppure lo sguardo di disapprovazione della servitù disposta lungo le pareti, quanto l’anziano uomo che sedeva, gambe larghe e la schiena leggermente inclinata verso sinistra, sul possente scranno.
Sembrava trovarsi perfettamente a suo agio in quell’ambiente e su quel trono, come se a costruirli fosse stato lui stesso a proprio uso e consumo, e nel suo occhio destro (l’altro, cieco, era coperto da una benda) si intravedeva una mente arguta e piena di conoscenza.
La sensazione di vulnerabilità che quell’unico occhio era in grado di procurarle la fece rabbrividire.
Pochi metri la distanziavano da Odino e, a quel punto, Thor prese parola: -Padre, come richiesto, ti ho portato la ragazza affinché tu possa interrogarla.
Il vecchio fece un breve cenno con il capo e Thor e le guardie si allontanarono da dalla prigioniera, rimasta sola ad affrontare il Padre degli Dei.
-Ragazza- cominciò l’uomo, con voce calma ma ferma - qual è il tuo nome e da dove vieni?
-Mi chiamo Chiara- rispose, cercando di celare il timore che quell’uomo le incuteva - e vengo da Siena.
Il Dio rifletté per qualche secondo sulla risposta ricevuta, poi, con un piglio ancora più severo e una voce ancora più grave, riprese a parlare: -Vieni dunque da Midgard?
-Da dove?- domandò la ragazza, incredula.
-Da quel cumulo di roccia e fango che voi chiamate Terra- rispose spazientito il Padre degli Dei.
La bocca della ragazza si aprì e si richiuse senza emettere un suono. Non riusciva a credere a quello che aveva appena udito.
-Co…come sarebbe a dire “dalla Terra”?- balbettò Chiara, il cui tentativo di dimostrarsi spavalda era andato totalmente in frantumi -Non siamo sulla Terra in questo momento?
Le labbra di Odino si contrassero in un ghigno divertito, poi aggiunse: -No, siamo ad Asgard, un regno ben diverso e ben lontano da Midgard; talmente lontano che, se utilizzassi uno di quei ridicoli macchinari che voi umani adoperate per fare i vostri “viaggi nello spazio”, non ti basterebbero cinquecento vite per tornarvi.
Per un attimo le ginocchia della ragazza cedettero sotto il peso della notizia e si ritrovò a contatto con il freddo pavimento a contare i battiti del proprio cuore per calmarsi.
“Uno … due … tre … quattro …”.
Ci fu un attimo di silenzio, poi Odino riprese a parlare: - Ora basta con questa commedia, come hai fatto a raggiungere Asgard da sola?
Lo sguardo di Chiara si alzò di scatto sul volto del dio: cosa stava dicendo? Come avrebbe mai potuto lei raggiungere un altro pianeta? Era un pensiero ridicolo! Eppure … lei era pur sempre lì, sul pavimento di una sala del trono di un posto chiamato Asgard. Com’era possibile?
Si rimise in piedi, le braccia appesantite dalle catene, e disse: -Non ho idea di come sia potuto accadere. Non ne avevo intenzione né conosco qualcuno che abbia le capacità o l’intento di venire qui. Non ero nemmeno a conoscenza di altri pianeti abitati oltre al mio.
Vi fu di nuovo silenzio, interrotto ogni tanto da un debole bisbigliare in fondo alla sala. “Sto dando spettacolo” pensò la ragazza, mentre cercava di decifrare il viso di Odino, nel tentativo di comprendere i suoi pensieri.
Il Padre degli Dei, alla fine, si alzò in piedi, osservandola con diffidenza, poi diede una voce alle guardie, che le si affiancarono e ne raccolsero le catene.
-Portate la ragazza nella sua cella- decretò il sovrano -lasciamo che un giorno di prigionia le schiarisca le idee e i ricordi.
Chiara venne strattonata da una guardia, mentre l’altra la spronava con la base della sua lancia.
-Non ho mentito!- urlo la ragazza -Non so davvero come sia potuto succedere! Lasciatemi andare!
Le sue richieste non vennero ascoltate e Chiara, dopo un iniziale e ridicolo tentativo di opporre resistenza, venne ricondotta nella prigione, nella stessa cella da cui era stata prelevata.
A nulla valse urlare e chiedere ascolto: nessuna risposta vi fu alle sue grida.
Stanca e stremata, ma soprattutto sconfitta, si sdraiò sulla sua branda, sforzandosi di ricordare cosa le fosse successo prima di svegliarsi in quell’incubo.
Non era forse questo quello che Odino desiderava? Se ricordare l’avrebbe fatta uscire da quell’inferno, avrebbe concentrato ogni energia, ogni sforzo, pur di riuscirci.
Rimase per ore sulla paglia, analizzando ogni momento che riusciva a ricostruire nella sua mente prima del blackout, prima di svenire e di risvegliarsi sul pavimento di quella cella.
Pensò a quello che aveva fatto quel giorno (ma quale giorno? Da quanto tempo era richiusa lì dentro?), ai percorsi che aveva intrapreso, alle persone che aveva visto e da lì la sua mente volò alla sua casa e alla sua famiglia.
Chissà come stavano i suoi genitori e suo fratello? Sarebbero stati in pensiero per lei? L’avrebbero cercata? Ma, soprattutto, sarebbe mai tornata da loro?
A quel pensiero la sua forza di volontà svanì come neve sotto il sole di marzo e le lacrime cominciarono a scendere copiose lungo il suo viso, bagnandole il collo e i capelli.
Si sforzò inutilmente di nascondere i singhiozzi, ma un altro suono le giunse alle orecchie.
Una voce: -Non ho mai sopportato i piagnistei!

Angolo dell'autrice: Bene, eccoci qui. Confesso di essere un po' emozionata: non mi era mai capitato di pubblicare su internet un mio racconto e spero di essere riuscita a esprimermi nella maniera più chiara e comprensibile possibile, riuscendo però anche a trasmettere qualche emozione. Chi sarà la voce che Chiara sente nella sua cella? Dai, che l'avete già capito ;) 
Vorrei ringraziare calorosamente Francesca, aka Kinnabaris, che mi sopporta ogni volta che mi viene un'idea su una storia, che le ascolta tutte con intelligenza e pazienza e che sa sempre consigliarmi al meglio. 
Alla prossima,
LadyRealgar

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Capitolo 2
*** Incubi ***


Chiara si alzò di scatto a sedere, quasi fosse stata punta da una vespa, e si voltò in direzione della voce.

Quello che vide fu un uomo, molto alto e magro, con capelli corvini lunghi fino alle spalle, accuratamente spazzolati all’indietro, e grandi occhi verdi, freddi come il ghiaccio.

Se ne stava lì, a poco più di tre metri da lei, in piedi, con le mani dietro la schiena e un mezzo sorriso disegnato sulle labbra sottili.  Sembrava essere piuttosto giovane, ma dal suo sguardo traspariva un’intelligenza e un acume che andavano ben al di là della giovane età.

-Come hai fatto ad entrare?- domandò Chiara.

-Domanda intelligente- rispose lui - perché ti aspetti che, da dove sono entrato io, tu possa uscire, ma temo di doverti deludere. Sono entrato nell’esatto momento in cui sei entrata tu e nello stesso identico modo.

-Cosa significa?- chiese Chiara – ero da sola quando mi hanno riportata qui. Non c’era nessun altro.

L’uomo non rispose, ma si limitò ad osservarla come un oggetto interessante trovato su una bancarella del mercato, analizzando ogni suo aspetto e valutandone il prezzo.

A Chiara non piacque per niente il silenzio che si era venuto a creare, così riprese la conversazione chiedendo: -Chi sei?

-Oh, dovresti saperlo!- rispose l’uomo, beffardo – In fondo, io sono  parte di te.

Chiara rimase senza parole, quella giornata stava diventando davvero troppo insostenibile per lei ed era stufa degli indovinelli di quell’individuo.

-Dimmi chi sei e senza giri di parole!- esplose alla fine.

-Io sono la tua paura- ribatté l’uomo, accompagnando quelle parole con un agghiacciante sorriso a denti scoperti.

-Ok, ora basta con questa storia!- sbottò la ragazza infuriata, alzandosi e avvicinandosi all’individuo, finché non l’ebbe a pochi centimetri da sé.

-Non so chi tu sia né perché mi stai dicendo questo, ma se sei venuto per infastidirmi è meglio che ti levi dalle … - non riuscì a finire la frase perché, nel tentativo di dare uno spintone allo sconosciuto, si accorse che le sue mani non solo non riuscivano a toccarlo, ma addirittura gli attraversavano il petto da parte a parte.

Sorpresa e disgustata, le ritrasse subito e si allontanò dallo strano uomo, che sbuffò impaziente.

-Visto?- disse alla fine con un velo di impazienza -Niente tatto. Sono un’immagine della tua testa, non puoi scacciarmi così facilmente.

Chiara rimase per un attimo in silenzio, cercando di darsi una spiegazione logica a quello che era appena successo, ma invano. Decise, dunque, che avrebbe mantenuto quel minimo di dignità che le rimaneva: non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa, stavolta.

-Come fai a dire di essere la mia paura? Sei inquietante, questo è vero, ma non mi spaventi!- lo sfidò, cercando di assumere un’espressione risoluta in viso.

-Oh, tu dici?- il sorriso dell’uomo si fece più ampio -Eppure stai tremando!

Era vero: le caviglie e i polsi di Chiara erano in preda a dei tremori incontrollati, così la ragazza dovette sedersi sulla branda, cercando di placare o, almeno, di celare quell’involontaria reazione.

Poi l’uomo riprese: -Conosco tutte le tue paure, quelle che ti hanno accompagnata per la tua intera vita, dall’infanzia fino ad oggi. La paura del buio, quando i tuoi genitori ti mettevano a dormire e chiudevano la porta della tua stanza; la paura di annegare, quando andavi al mare in vacanza con la tua famiglia; la paura di perdere le attenzioni dei tuoi parenti quando è nato tuo fratello. Oh, quanto mi sono divertito con quest’ultima!

La ragazza cercò di ribattere qualcosa, ma lui glielo impedì, proseguendo implacabile il suo elenco: - Poi sei cresciuta e hai cominciato ad avere paura di non essere abbastanza bella, intelligente e spiritosa per piacere a qualcuno e da qui nacque la tua paura del rifiuto e della solitudine. Glorioso nutrimento per me, che mi sono saziato per vent’anni! Ed eccoti qui, oggi, tutta sola, così lontana da casa, con la paura di morire dentro questa insignificante cella, sprecando la tua vita nel nulla. Ora dimmi, mi temi?

Chiara alzò lo sguardo sull’uomo e provò l’impulso di picchiarlo, di cancellargli quel sorriso malevolo dalla faccia, ma sapeva che non avrebbe portato a niente, così rispose: -No! Non ho paura di te! Mi spaventa di più la possibilità di essere impazzita e di avere le visioni, ma TU non mi fai paura!

Il sorriso dell’uomo svanì e al suo posto comparve un’espressione incuriosita, come se non si fosse aspettato una simile risposta. Chiara si sentì soddisfatta e ricambiò il suo sguardo, con aria di sfida.

-Sciocca ragazza- l’apostrofò l’uomo - Non immagini nemmeno con chi hai a che fare.

-Hai detto di essere la mia paura, giusto?- rispose Chiara, offesa da quell’insulto -Ho convissuto tutta la vita con le mie paure e posso farlo anche con te! E comunque non fai più paura di quanto non me ne faccia lo stare rinchiusa qua dentro.

Gli occhi verdi dell’uomo si contrassero a fessura e le ombre sugli zigomi sporgenti si fecero più marcate. L’aveva fatto arrabbiare, ma ormai era fatta e Chiara non aveva intenzione di farsi sottomettere da un’immagine creata dalla sua testa.

Alla fine l’uomo scoppiò in una risata tale da farle congelare il sangue nelle vene e svanì, esattamente come era comparso: nel nulla.

Chiara trasse un sospiro e, coricatasi sulla branda, pensò che, se avesse continuato a suscitare così assiduamente l’ilarità della gente, ben presto l’avrebbero assunta come giullare di corte.

-Sempre meglio che starmene rinchiusa in gabbia- sussurrò la ragazza prima di addormentarsi.

La notte che seguì fu agitata: forse a causa degli eventi della giornata o forse perché quella brandina era maledettamente scomoda, i suoi sogni furono movimentati.

Sognò la propria casa nella campagna silenziosa che per anni aveva odiato, ma che, in quel momento, rappresentava l’unico posto in cui avrebbe desiderato trovarsi.

Era davanti alla porta d’ingresso socchiusa e si domandò se all’interno ci fosse qualcuno, così allungò la mano e la spalancò.

Oltre la soglia l’ingresso, il salotto e la cucina, solitamente in perfetto ordine, erano stati messi a soqquadro: i cuscini del divano erano stati strappati, le ante dei mobili erano state sfondate, la televisione giaceva al suolo in mille pezzi e l’imbottitura del divano era sparsa in ogni dove. La cucina non era messa meglio: il tavolo di legno era ridotto ad un ammasso di schegge, i cocci dei piatti coprivano il pavimento come un tappeto e i fornelli erano accesi a fiamma alta, mentre dal lavandino schizzava un forte getto d’acqua.

Perché era tutto sottosopra? Cos’era successo? Mamma e papà dov’erano? Sapevano di tutto ciò?

Corse verso le scale per verificare se la situazione fosse la stessa anche nelle camere da letto, ma, sull’ultimo gradino, vi trovò una figura scura. In un primo momento a Chiara sembrò che fosse un bambino, ma, osservandolo meglio, vide che era troppo alto per essere in età puerile e in una mano stringeva uno scettro dorato. Le sembrò anche di scorgere un paio di lunghe corna arcuate, ma furono i suoi occhi ad atterrirla: il sinistro brillava di un’intensa luce verde, mentre il destro aveva un profondo colore scarlatto.

Le sembrò di sentire una risata, mentre da una stanza una donna urlò.

-Mamma!- gridò la ragazza, salendo le scale il più velocemente possibile, ma inutilmente: sebbene corresse alla maggiore velocità consentitale dalle sue gambe, era come se non si muovesse di un solo passo. La figura era sempre alla stessa distanza e continuava a fissarla, ridendo di gusto.

All’improvviso lo scenario cambiò e la ragazza si ritrovò in un ambiente freddo e ostile. Il vento soffiava forte, ululando attraverso le complicate architetture create dal ghiaccio. Tutto intorno era gelo e oscurità, ma il freddo non sembrava lambirle la pelle, né il vento toccarla.

Chiara si guardò intorno, cercando di scorgere qualcuno che potesse aiutarla a tornare a casa, ma non vide alcun segno di vita. Solo tanto ghiaccio e tanta oscurità.

Ad un tratto sentì delle voci in lontananza e scorse del movimento in un punto lontano dell’orizzonte.

Cominciò ad avvicinarsi e, ad ogni passo, le parve di distinguere più chiaramente i suoni, che ora non erano solo voci, ma anche ruggiti, rumori metallici e tonfi di colluttazione.

Non riusciva a distinguere bene le forme, ma le sembrò che fosse in corso una battaglia, poi, all’improvviso, una colonna di luce scese dal cielo e, in pochi minuti, il movimento e i rumori svanirono.

Non le interessava nulla di quello che era capitato, tra chi fosse avvenuto lo scontro, né tantomeno da dove venisse quella strana colonna di luce. Voleva tornare a casa: sentiva che era successo qualcosa di terribile e voleva sapere che cosa.

Continuò a vagare nel ghiaccio, cercando disperatamente una strada, un cartello o qualunque cosa che avrebbe potuto riportarla a casa sua.

Fu una ricerca vana.

Non vi era alcun segno di civiltà tra i ghiacci e il corpo della ragazza si stava facendo stanco e pesante. Decise di fermarsi e riposare un po’, ma temeva che, così facendo, qualcuno l’avrebbe trovata e difficilmente sarebbe stato ben disposto nei suoi confronti. Però era così stanca …

Poi il vento trasportò un suono, come una sorta di lamento.

-Dimmelo!- urlava la voce, svanendo poi come un’eco nel vento.

-Cosa devo dirti?- chiese la ragazza, accucciandosi nella neve, stremata. -Cosa vuoi che dica?- continuò a domandare Chiara, la cui voce ora era poco più di un sussurro.

Un rumore improvviso la fece svegliare di soprassalto: una delle guardie aveva battuto la propria lancia contro il pannello, mentre l’altra si apprestava ad aprire la cella.

Chiara si strofinò gli occhi stanchi e si alzò in piedi, cercando di riprendersi dal torpore del sonno.

Il pannello scomparve e la guardia pose sul pavimento della cella un catino d’acqua e un sacchetto di stoffa lurida. Dal rumore che produsse nell’entrare a contatto con il suolo, Chiara capì che conteneva qualcosa, ma l’espressione minacciosa sul viso della guardia le fece capire che avrebbe dovuto aspettare la chiusura della cella prima di poterne scoprire il contenuto.

Così attese pazientemente che l’uomo avesse finito il suo compito e avesse fatto riapparire il pannello, poi si avvicinò al sacchetto e lo aprì: al suo interno vi erano un tozzo di pane, un bicchiere di peltro, un cucchiaio di stagno e un barattolo sigillato accuratamente.

Chiara diede uno sguardo alle altre celle e notò che anche gli altri detenuti avevano ricevuto lo stesso sacchetto con il medesimo contenuto e il catino.

“Evidentemente è l’ora della distribuzione del pasto” pensò Chiara, rendendosi improvvisamente conto di avere una gran fame.

Spezzò, dunque, il pane e ne mangiò un primo boccone, mentre con l’altra mano svitava il tappo del barattolo. L’odore che ne uscì le fece chiudere improvvisamente la bocca dello stomaco: era una misto di cavolo rancido, uova marce e un altro odore (per niente gradevole) che Chiara non riuscì, né volle,  distinguere.

In preda alla nausea, si affrettò a chiudere il barattolo e ad allontanarlo il più possibile da sé.

-Maledizione!- imprecò tra i denti la ragazza -Siamo in un cavolo di palazzo reale con sala del trono tappezzata d’oro e non riescono a fare un pasto commestibile?!

Finì di mangiare il suo pezzo di pane e, per nulla soddisfatta della colazione, andò al catino per riempire il bicchiere e placare, se non la fame, almeno la sete.

Immerse il bicchiere nell’acqua limpida e lasciò che il liquido le rinfrescasse la gola.

Quando si fu dissetata, il suo sguardo cadde sui jeans e sulla maglietta che indossava e notò che erano molto impolverati e sporchi di terra, inoltre all’altezza del ginocchio sinistro, il tessuto era stato squarciato e vi si poteva vedere attraverso la pelle chiara sopra la rotula.

“Direi che sia il caso di darmi una sistemata o, oltre ad essere una galeotta, avrò pure l’aspetto di un senzatetto” pensò Chiara e si sporse sul catino per raccogliere un po’ d’acqua per il viso.

La superficie dell’acqua le restituì il suo riflesso e un sospiro uscì dalle labbra della ragazza: i capelli castani erano tremendamente scompigliati, il viso tondo era impolverato e sudicio e, all’altezza dello zigomo destro, vi era un piccolo taglio con del sangue raggrumato.

-Grandioso!- bisbigliò la ragazza, prendendo nel palmo delle mani un po’ d’acqua e sfregandosi energicamente il viso.

Quando riportò lo sguardo sul catino, per poco non le venne un infarto: le sembrò, infatti, che l’immagine riflessa sulla superficie del liquido non fosse la sua, ma piuttosto quella, ghignante, dello strano uomo della sera precedente.

Fu un lampo e poi l’acqua tornò a riflettere il suo solito viso (sebbene con un’espressione piuttosto sconcertata).

Si guardò nervosamente intorno, ma non le parve di scorgere nulla di insolito all’interno della piccola cella.

-Stai cercando di farmi prendere un colpo?- domandò Chiara ad alta voce, ma senza ricevere alcuna risposta, se non un grugnito da parte del mostro dagli occhi cremisi nella cella di fronte.

-Buongiorno anche a te, caro vicino- gli si rivolse Chiara, che ricevette, in tutta risposta, un altro grugnito accompagnato da uno sguardo torvo.

-Disgustoso, il pasto, non è vero?- continuò la ragazza –Spero non siano tutti così. Sai, quand’ero a casa mia avevo la fortuna di avere una famiglia di cuochi provetti e ogni giorno sulla tavola c’era qualcosa di buono. Mia madre cucinava dell’ottimo tacchino accompagnato da una purea di carote, mentre mio nonno era favoloso nel preparare la pasta fatta in casa. Dal canto mio, come cuoca ho sempre fatto pena, ma nessuno sapeva mangiare come me!

Molto probabilmente quella creatura non capiva una parola di quello che stava dicendo, ma sembrava ascoltarla, in qualche modo: si era seduto sulla sua branda e la osservava, mangiando lentamente la brodaglia nel barattolo.

Incoraggiata da quell’inaspettato pubblico, Chiara continuò a parlare: -Ora invece mi trovo come Dantes nel Conte di Montecristo: sono in prigione senza sapere come sia potuto accadere e, per di più, non vedo da dove potrebbe sbucare un provvidenziale abate Faria per aiutarmi.

Le guardie, terminata la distribuzione della colazione ai detenuti, stavano tornando a passi pesanti alle loro postazioni e, passando davanti alla cella della ragazza, una di loro colpì con la propria lancia il pannello giallo, urlando: -Silenzio!

A Chiara, così, non restò che tacere e sedersi sulla sua branda, sotto lo sguardo attento della creatura.

Trascorse il mattino alternando momenti di riposo a camminate nervose nel ristretto spazio della sua cella, sforzandosi di cavare qualcosa di utile dalla sua memoria.

Riusciva a ricordarsi praticamente ogni dettaglio della sua ultima giornata sulla Terra: il colore della camicia che aveva indossato sua madre quella mattina, l’ansia provata nell’attesa di dare l’ultimo esame del semestre, la gioia di averlo superato, il suono del motore della sua macchina mentre tornava a casa… insomma, ricordava ogni cosa, tranne che per un dettaglio, un qualcosa che le sfuggiva e che sapeva essere di fondamentale importanza. Cosa poteva mai essere?

Per quanto si sforzasse, le sembrava di trovarsi sempre davanti a un vicolo cieco, ad un punto morto.

Le ore passavano e, ad un tratto, una guardia, con un nuovo sacchetto di stoffa in mano, aprì la cella e vi si introdusse per lasciare la cena.

Quando, però, prese in mano il barattolo del mattino, contenente ancora tutta la sbobba, si rivolse alla detenuta, canzonandola: -La colazione non è stata di vostro gradimento, principessa?

Chiara, sebbene dentro di sé provasse il desiderio di rompergli in testa quel maledetto barattolo, si limitò a ignorare l’uomo, evitando accuratamente di raccogliere la sua provocazione.

La guardia, però, non fu soddisfatta di quella reazione e proseguì: -eppure è stata preparata apposta per voi dal migliore cuoco delle cucine reali, secondo una ricetta vecchia di generazioni. Non è carino, da parte vostra, rifiutare il frutto del suo lavoro.

Nel corridoio, la seconda guardia sghignazzava di gusto alle battute del collega, che, non ancora contento, continuò il suo motteggio: -Cosa c’è? A casa tua la mammina ti preparava lauti pasti e ora non mangi nemmeno quello che ti viene così gentilmente offerto? I tuoi parenti sarebbero così delusi se sapessero di avere una figlia tanto ingrata!

Era troppo. Non poteva permettere che quel disgraziato prendesse in causa la sua famiglia per deriderla!

Si alzò di scatto e si avvicinò all’uomo, che, con nonchalance, le puntò la punta della picca alla gola.

-Hai qualcosa da dire, mocciosa?- le chiese, in tono provocatorio.

-Sì- rispose Chiara –Visto che questo pasto pare essere così di tuo gusto, perché non lo mangi tu e mi dai quello che ti riempie il piatto di solito? O vuoi forse essere tu a deludere la tua famiglia? Lo sa tua madre che suo figlio è un vigliacco che minaccia con una lancia una ragazza indifesa, mentre lui è tutto ben protetto da un’armatura?

Aveva esagerato e non era solo il suo buon senso a suggerirglielo, ma soprattutto lo sguardo rabbioso e il digrignare dei denti della guardia. La lancia era ancora puntata contro la sua gola e sarebbe bastata avvicinarla di pochi centimetri per attraversarle la laringe.

Le narici dell'uomo si dilatarono e il suo viso si fece paonazzo.

“Ora questo mi ammazza” pensò la ragazza, aspettandosi da un momento all’altro di sentire il freddo metallo lacerarle le carni, ma un boato ruppe quel momento di tensione e la guardia si voltò in direzione del rumore.

Dietro di essa, infatti, la creatura dai capelli cremisi stava colpendo a pugni il pannello, che sotto quella forza brutale sembrò, per un momento, cedere.

I due soldati si affrettarono ad intervenire, puntando le armi verso il detenuto e aumentando la potenza del pannello, che scaricò sulla creatura un’energia tale da ridurlo in ginocchio.

Chiara era rimasta lì, imbambolata e incredula: quel mostro l’aveva davvero salvata?

Non riusciva a credere ai suoi occhi, ma dovette rimandare ad un altro momento quella riflessione: le guardie erano impegnate e la cella era rimasta aperta. Era la sua occasione.

Silenziosamente, la ragazza oltrepassò la soglia della stanza e iniziò a correre verso l’uscita.

In quel momento sentì il mostro riprendere a urlare e a battere i pugni contro il muro: le stava coprendo la fuga, ma la fame e la stanchezza non condussero molto lontano la ragazza, che si ritrovò a nascondersi dietro un pilastro, a pochi metri dall’uscita, per riprendere fiato.

Era sfinita, ma doveva provarci, così si buttò verso la porta di metallo e iniziò a tirare la maniglia con tutte le sue forze.

Per quanto si sforzasse, per quanto tirasse, la pesante porta non si mosse di un millimetro.

-Andiamo, apriti!- sussurrò la ragazza, lanciando veloci occhiate alle sue spalle, con la paura che, da un momento all’altro, le guardie sarebbero arrivate a prenderla.

-Ti prego, apriti.

Ed essa si aprì, ma a muoverla non era stata la ragazza, bensì la mano poderosa del principe, che sbucò da dietro il metallo e osservò, sorpreso, la scena che si trovava di fronte.

Poi si accorse della presenza di Chiara, ancora attaccata alla maniglia di ferro, e richiamò le guardie.

A quel richiamo, i due uomini lasciarono perdere il prigioniero, che, sfinito, si acquietò, e corsero in direzione del loro signore.

“Ma che bravi cagnolini” pensò sarcastica la ragazza, lasciando la presa sulla maniglia e dirigendosi, lentamente, verso l’uscita, ma venne bloccata da un uomo corpulento, il cui viso era incorniciato da una folta criniera di barba e capelli fulvi.

-Penso che questo sia il motivo per cui siamo qui- disse l’uomo a Thor, che rispose con un cenno di assenso per poi rivolgersi alle guardie: -Odino desidera conferire con la prigioniera. La scorteremo io e Volstagg, voi rimanete ai vostri posti e prestate più attenzione ai carcerati su cui dovete fare la guardia.

A Chiara parve che il principe, nel pronunciare quell’ultima frase, avesse lanciato una breve occhiata nella sua direzione, ma non ebbe il tempo di appurarlo con certezza perché, in un lampo, le due guardie si erano avventate su di lei e la stavano ammanettando.

“Oh no, non di nuovo!”

Il principe, però, fermò i due uomini e, indicando le manette con un dito, disse semplicemente: -Quelle non sono necessarie.

Le guardie, sorprese da quell’insolito ordine, obbedirono e liberarono i polsi della ragazza, sui cui, una volta rimosso il ferro, comparirono delle piccole piaghe rosse, che Chiara  non aveva ancora notato.

Condividendo la sorpresa delle guardie, non sapeva se ringraziare per quel gesto di comprensione o sottolineare nuovamente la sua innocenza dalle accuse che le erano state rivolte, ma pensò che, in entrambi i casi, la sua situazione non sarebbe migliorata, perciò si limitò a chiedere: -Hai capito che sono inoffensiva?

-Penso solo che a una fanciulla si addicano ornamenti di ben altro genere- rispose l’uomo, che aggiunse: -Ora andiamo, mio padre desidera parlarti di nuovo.

-Non credo di poter fornire informazioni diverse da quelle che ho già dato ieri- ammise Chiara.

-Ad ogni modo, egli vuole porgerti le sue domande- intervenne Volstagg.

Thor congedò i soldati con un gesto della mano e, riferendosi al corpulento compagno, disse: -Volstagg, ti affido la ragazza, tienila d’occhio.

-Non penso ce ne sarà bisogno- si intromise Chiara, ripensando al suo ridicolo tentativo di fuga di pochi attimi prima -anche senza bracciali di ferro, non ho né le forze né la possibilità di scappare. Dove volete che vada?

Gli occhi azzurri del Dio del Tuono e quelli castani del guerriero si concentrarono su di lei, osservandola come se fosse stata un animale esotico.

In quel momento Chiara pensò che, per quanto le piccole accortezze di Thor fossero state mosse da un nobile sentimento di cavalleria, si fosse reso conto per la prima volta solo allora di avere a che fare con una comunissima ragazza e non con un criminale come quelli con cui era abituato a trattare.

Ma fu solo un attimo e il principe diede l’ordine di procedere, così i tre si avviarono verso la sala del trono.

Durante il percorso, nella mente di Chiara affiorò il ricordo di quell’inaspettata visita della notte precedente e si domandò se fosse davvero possibile che si fosse creata un’immagine così nitida e viva a rappresentazione della propria paura. Era un pensiero assurdo e ridicolo, ma da quando si era risvegliata, il giorno addietro, di cose assurde ne erano capitate molte e l’idea di essere diventata pazza le sembrava il più plausibile tra i fatti avvenuti.

“Forse è stata la prigionia o la fame” pensò tra sé la ragazza “Insomma, chi non impazzirebbe in gattabuia?”.

-Quanti anni hai, ragazza?-

La domanda interruppe il filo dei suoi pensieri e Chiara si volse verso Volstagg, che le stava sul fianco sinistro, mentre Thor la controllava sul lato destro.

-Ne ho venti- rispose lei.

-Venti?- domandò incredulo lui, lanciando un’eloquente occhiata al compagno, che lo ignorò senza dire una parola.

-Dannazione, Thor- riprese l’uomo, che evidentemente non ammetteva di essere trascurato -è una bambina! Come si fa a tenere una bambina in prigione?

-Non è una bambina, Volstagg, e in ogni caso non è compito nostro decidere- rispose seccato il principe di Asgard -Sta a Padre decretare cosa fare e non credo che tu voglia opporti a una sua decisione.

-Oh, andiamo!- riprese il guerriero, per niente soddisfatto della risposta ricevuta -Guarda questa ragazza: è evidente che non ha cattive intenzioni! Insomma, non è mica Loki!

A quel nome i pugni di Thor si strinsero e un lampo di rabbia balenò sul suo viso, facendo zittire completamente il guerriero.

-Basta così, Volstagg- decretò il principe -La decisione non spetta a noi e non voglio più discuterne.

Il resto del tragitto venne trascorso in silenzio, rotto solo dai pesanti passi di Volstagg.

Giunsero, infine, alle porte della sala del trono, che si aprirono al loro passaggio, lasciando che i tre entrassero tra le mura dorate.

Angolo dell'autrice: e siamo a due! Ringrazio con affetto coloro che hanno iniziato a leggere La sua paura; spero che questa seconda parte sia all'altezza della prima e che possa stuzzicare la vostra curiosità. Ho approfittato di un momento di  libertà per pubblicare questo capitolo, ma per me si avvicina il tempo degli esami e temo che nei prossimi  giorni non avrò molte occasioni da dedicare alla scrittura. Pubblicherò il terzo capitolo quanto prima, croce sul cuore.  

Alla prossima e statemi bene!

Lady Realgar

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Capitolo 3
*** Sapone e forbici da sarta ***


Odino era lì, seduto comodamente sul suo scranno, mangiando con voluttà alcuni acini d’uva che una serva gli porgeva in una capiente coppa dorata. All’arrivo della compagnia, congedò la donna e si alzò in piedi, avvicinandosi ai tre venuti.

-Mi auguro che tu abbia avuto modo di pensare durante la notte- cominciò il sovrano, ponendosi di fronte alla ragazza.

Chiara non sapeva cosa dire: sentiva gli occhi di tutti puntati su di sé e sapeva di non avere nulla di nuovo da riferire a quell’uomo, ma non voleva nemmeno tornare in cella o, ne era certa, sarebbe diventata matta.

-Ho pensato a lungo- disse infine, scegliendo con cura le parole -e non posso fare altro che ribadire quello che ho già detto ieri. Non ho davvero idea di come sia potuto accadere e, lo assicuro, se avessi avuto la possibilità di scegliere, me ne sarei rimasta nel mio paese.

Lo sguardo di Odino si fece spaventosamente cupo e sospettoso e la ragazza, temendo che l’avrebbe rispedita in prigione, si affrettò ad aggiungere: -Ad ogni modo non è mia intenzione ostacolare la ricerca delle risposte che desiderate, anzi, mi offro di dare il mio contributo in ogni modo che mi sarà possibile. Chiedo solo che mi venga data la possibilità di integrarmi in questa comunità, lavorando e dandomi da fare, finché i ricordi non riaffioreranno e potrò condividerli con voi.

Vi fu silenzio.

Sui volti degli astanti si era disegnata la sorpresa e Chiara, sbalordita a sua volta dalla propria audacia, sperò con ogni cellula del suo corpo di aver usato le frasi e il tono più adeguati: non voleva finire nei guai per aver infranto una qualche stupida etichetta del luogo.

-Mai nessun detenuto- cominciò il Padre di Tutti- ha mai osato fare una richiesta simile, mai nessuno ha barattato la propria libertà con il lavoro…

- E per questo la sua richiesta dovrebbe essere esaudita!

“Cosa?”

A parlare era stato nientemeno che il principe Thor, la cui voce era rimbombata possente e risoluta in tutta la sala.

Il principe riprese a parlare: -Padre, una richiesta così nobile e onorevole penso sia giusto, se non addirittura doveroso che venga ascoltata ed esaudita. Io stesso mi offro di prendere la ragazza come mia serva personale e concederle la possibilità di guadagnarsi una vita rispettabile.

Di nuovo la bocca di Chiara si aprì in una grande O di stupore: “Cosa crede di fare questo mr. Muscolo biondo? Che ragioni avrebbe di aiutarmi?”

Erano domande condivise, sebbene in termini leggermente diversi, da tutti nella grande stanza dorata, ma nessuno osava proferire verbo: era una situazione che non era mai avvenuta in precedenza e la tensione era palpabile nell’aria.

Nonostante ciò, il Dio del Tuono sembrava non percepire la pesante atmosfera che si era venuta a creare e continuava a mantenere la sua solita espressione determinata e ferma.

“Razza di stupido. Odino lo farà a pezzetti!”

Ma, a dispetto di quello che la ragazza si aspettava, il sovrano si limitò ad avvicinarsi al figlio, squadrandolo dalla testa ai piedi, e a dirgli con voce calma: -Molto bene, sia così se desideri tanto ardentemente portare questa fanciulla sulla strada della rettitudine, ma ricorda, ella rimane comunque una prigioniera di Asgard e, in quanto tale, verrà costantemente tenuta sotto sorveglianza.  Se farà un passo falso, la responsabilità delle sue azioni cadrà su di te con tutto il suo peso. Sei disposto a farti carico di un simile fardello?

Gli occhi del giovane principe si soffermarono per un momento su Chiara, pietrificata dalla tensione del momento, poi si volsero di nuovo verso il sovrano e il capo di Thor si chinò in un breve cenno di assenso.

-E sia- concluse Odino -Che l’umana venga preparata perché possa servire adeguatamente un principe.

Il brusio crebbe di intensità e dalla folla emerse un’anziana donna, che, inchinatasi con riverenza davanti al dio sovrano, afferrò per il polso la ragazza e la trascinò dall’altra parte della stanza e poi attraverso una porta di servizio. Alle loro spalle un piccolo gruppo di servette seguiva i loro passi, mentre nelle orecchie di Chiara, il vociare della sala andava affievolendosi sempre di più.

Era tutto così confuso, tutto così strano e, ora che si stava allontanando dalla sala del trono e che il suo corpo stava cominciando a non produrre più adrenalina, Chiara si rese conto di essere esausta.

La sua vita, fino a un paio di giorni fa, era sempre stata la stessa, sempre così prevedibile e monotona: niente di quello che le succedeva, ad esclusione di poche, eccezionali situazioni, accadeva se non era stata lei stessa a programmarlo. Ora tutto il suo mondo le era stato portato via e il suo bagaglio di certezze, costruito in venti anni e creduto la migliore delle fortezze, si stava rivelando null’altro che un misero, traballante castello di carte.

Traballante quanto le sue gambe, mentre veniva trascinata da una stanza all’altra, fino a raggiungere un piccolo ambiente, carico di umidità e di vapore, nel cui centro vi era una grossa vasca di pietra scavata nel pavimento e riempita di acqua fumante. 

Le ancelle svestirono Chiara dei suoi logori abiti e la condussero all’interno della vasca, sorreggendola per le braccia.

Non oppose alcuna resistenza: da una parte la stanchezza, dall’altra la piacevole sensazione dell’acqua calda sulla pelle fecero svanire in lei ogni desiderio di fuga o di ribellione, così lasciò che le ancelle le lavassero il corpo e i capelli e si godette quel momento di tranquillità.

Dopo qualche minuto nella stanza entrò, sbattendo rumorosamente la porta, un’altra donna, più grassoccia e gioviale dell’anziana serva (che, al contrario, aveva un’aria burbera e severa disegnata tra le rughe del suo viso sottile), portando tra le braccia una grossa cesta piena di stoffe colorate, gomitoli di filo, aghi e altri strumenti da cucito.

La nuova arrivata fece un breve cenno di saluto all’anziana donna,  pose la cesta su un tavolo in un angolo della stanza e osservò attentamente Chiara, che, sempre premurosamente aiutata dalle servette, era appena uscita dalla vasca e si stava asciugando con degli asciugamani che una bambina dai grandi occhi color caramello le porgeva.

La donna, immersa nei suoi pensieri, fece schioccare la lingua, poi estrasse repentina un nastro da una tasca del suo grembiule e cominciò ad avvolgerlo lungo i fianchi, le spalle e il seno di Chiara.

-Tu sei una sarta?- domandò Chiara, piuttosto indispettita dal fatto che una completa estranea le stesse prendendo le misure.

La donna, impegnata a misurarle il girovita, alzò appena lo sguardo e rispose: -Io sono LA sarta di corte. Ogni individuo che abita o lavora presso il palazzo indossa abiti che ho confezionato io, persino il principe. Tra poco anche tu, mia cara, avrai un abito degno di questa corte, invece di quegli insulsi stracci che indossavi.

“Quegli stracci li ho pagati ben 50€!” avrebbe voluto ribattere la ragazza, ma l’anziana serva si intromise nella discussione, impedendole di parlare: -Basta così, Angnis, l’ultima cosa che voglio è fomentare ulteriormente la vanità di questa sciocca ragazza con frivoli discorsi sull’abbigliamento- poi, rivolgendosi a Chiara, a cui le ancelle stavano acconciando i capelli con nastri di raso -È ora che tu apprenda quali saranno le tue mansioni dal momento in cui comincerai a servire il principe Thor: per prima cosa ti rivolgerai a chiunque sia di rango sociale superiore al tuo con il termine “Signore” o “Signora”, nel caso della famiglia reale, in particolare, dovrai usare l’appellativo “Maestà” o “Altezza”. Chiaro?

Chiara cercò di dire qualcosa, ma quella non le lasciò tempo di rispondere e proseguì: -Seconda cosa, dovrai essere rispettosa e obbedire a qualunque ordine ti venga dato, ammesso che esso non vada a infrangere le precedenti direttive impartite da un rappresentante di una classe superiore. Il volere di Thor è un ordine, quello di Odino è la legge. Terzo: dovrai occuparti di tutte le esigenze del principe, obbedire ai suoi ordini e anticipare i suoi bisogni. Ma soprattutto: quello che Thor dice, tu lo fai senza obiettare.

Un campanello d’allarme risuonò nella testa di Chiara: “Quali bisogni?”

Era un pensiero orrendo, ma per quale altra ragione avrebbe richiesto proprio lei? Lei, una perfetta sconosciuta, una prigioniera senza alcun legame in tutta Asgard? Sperava di sbagliarsi, ma il rischio era troppo grande e lei, di certo, non sarebbe stata colta impreparata.

Mentre Angnis le faceva scivolare intorno al corpo un delicato vestito lilla appena confezionato e le stringeva una cintura di cuoio intorno alla vita, Chiara, assicurandosi di non essere vista, afferrò velocemente un paio di grosse forbici da sarta che emergevano dalla cesta e le nascose sotto la cinta, coprendole con le pieghe dell’abito.

-Hai già fatto un abito in così poco tempo?- chiese poi la ragazza con nonchalance -Sono impressionata!

Angnis le sorrise e, aggiustandole una spallina, disse: -Non tutti ottengono un incarico del genere. Fu la regina in persona, quando ero appena un’apprendista, a capire il mio potenziale e a darmi la possibilità di sfruttarlo. Quando anche la mia anima volerà per raggiungere la mia sovrana, sarò orgogliosa di confezionarle abiti regali anche nel Valhalla.

A quelle parole il viso della donna si era fatto malinconico e a Chiara parve di vedere l’ombra di una lacrima, mentre si voltava per prendere la cesta ed andarsene, così, prima che potesse sparire nuovamente oltre la porta, disse svelta:-Grazie.

Sulla soglia Angnis le lanciò dapprima uno sguardo sorpreso, poi un sorriso imbarazzato.

Quando la sarta se ne fu andata, l’anziana serva squadrò Chiara dalla testa ai piedi e sibilò a denti stretti qualcosa che Chiara non capì, poi schioccò le dita e le ancelle si apprestarono a pulire la stanza da bagno e a riporre gli asciugamani e le lozioni per il corpo ai loro posti, mentre lei prendeva da parte Chiara e le diceva, stringendola per un braccio: - Ora ti porterò alle stanze di Thor, ma ti mostrerò la strada una volta soltanto, poi non voglio più averti tra i piedi, se non per eseguire gli ordini del principe.

La sua presa era incredibilmente salda, nonostante l’età che la donna dimostrava di avere, per di più i polsi di Chiara non erano ancora guariti dalle piaghe, così la ragazza ritrasse velocemente il braccio, liberandolo dalle dita ossute della serva. La donna la fulminò con lo sguardo,  ma quando Chiara, massaggiandosi i polsi, disse di essere perfettamente in grado di camminare da sola, si limitò a girare sui tacchi e riprendere a camminare.

I loro passi rimbombavano nei corridoi, o almeno quelli della serva: con estremo disappunto, Chiara si rese finalmente conto di non indossare scarpe.

“Cos’è?” si chiese la ragazza “Un’ulteriore segno di sottomissione?”, ma un fruscio attirò all’improvviso la sua attenzione e, in un corridoio parallelo a quello che stava attraversando, intravide un gruppetto di ragazze che trasportavano dei cesti di panni sporchi. Si soffermò per un attimo ad osservarle: erano tutte piuttosto graziose e chiacchieravano allegramente tra di loro, poi una la scorse e si bloccò, imitata dalle altre. Rimasero ferme, come imbambolate, a osservarla.

Chiara sentì il volto andarle in fiamme e, istintivamente, scappò via, finché non fu di nuovo dietro l’anziana serva, che aveva continuato la sua camminata, senza minimamente preoccuparsi della sua mancanza.

Alla fine giunsero di fronte ad una porta, a cui la serva bussò. Qualche attimo dopo la porta girò sui suoi cardini, mostrando il massiccio corpo di Thor, privato della sua armatura e del mantello e avvolto in leggeri pantaloni e blusa di lino. Alle sue spalle Chiara poteva intravedere una luminosa e lussuosa stanza.

“Hai capito il principino! Si tratta bene!”

-Maestà- cominciò la serva, non appena ebbe Thor di fronte a sé -Vi porto la vostra ancella, come ordinato. Mi sono già preoccupata di darle istruzioni circa la condotta che dovrà tenere, ma se dovesse mancarvi di rispetto o non obbedire ai vostri comandi, vi prego di mandarla da me. So io come placare gli spiriti ribelli dei giovani.

Thor sogghignò divertito, poi, ridacchiando, aggiunse:- Oh non ne dubito! Ricordo bene come, da bambini, riusciva a terrorizzare me e i miei amici semplicemente mostrando un battipanni.

-Maestà, siete stato un bambino difficile - riprese la donna, sospirando -Sempre in giro per il palazzo e i boschi nei dintorni a combinare guai. La metà dei miei capelli bianchi me li avete procurati voi e vostro...

Si interruppe bruscamente, con un'espressione pentita e affranta sul volto. Chiara non capiva: cosa stava per dire? E perché anche sul viso di Thor era calato un velo di tristezza?

Decise di rimandare le domande ad un momento più adeguato, prima di suscitare il malumore di chi, per chissà quale ragione, l'aveva presa sotto la sua custodia e sottratta alla prigionia.

Thor si schiarì la gola con un finto colpo di tosse, poi riprese a parlare: -Sì, sono stato un bambino vivace, ad ogni modo, la ringrazio, madama Thyia, per il suo prezioso aiuto, ma sono sicuro che la ragazza seguirà i suoi dettami alla lettera e che non creerà alcun tipo di problema.

Ciò detto, il giovane dio sorrise a Chiara e le ammiccò.

La ragazza abbozzò un mezzo sorriso di circostanza, cercando di assumere la sua migliore espressione da "brava ragazza". I suoi sforzi, però, non sembrarono convincere la diffidente madama Thyia, che, dopo averle lanciato un ultimo sguardo in cagnesco, prese congedo, lasciando i due ragazzi da soli.

Chiara non osava muoversi di un millimetro: ogni fibra del suo corpo urlava a squarciagola di darsela a gambe, di allontanarsi il più possibile e nascondersi da qualche parte, ma una fuga ingiustificata non avrebbe di certo migliorato la sua situazione. Rimase, perciò, statica, in attesa che fosse il dio a fare la prima mossa.

-Hai intenzione di rimanere lì in piedi tutta la notte?- le domandò Thor, incrociando le braccia sul petto e appoggiandosi con una spalla sullo stipite dell'ingresso.

"Se l'alternativa fosse starsene a scaldare il tuo letto, potrei starci per una settimana intera."

-No... Maestà- rispose alla fine Chiara, incrociando le braccia dietro alla schiena e portando le mani alla cintura per assicurarsi di avere le forbici a portata -Sono solo in attesa di direttive.

-Vuoi davvero degli ordini?- ridacchiò l'uomo.

-Dato che sono in una sorta di libertà vigilata, intendo attenermi il più possibile all'etichetta del posto, prima di ritrovarmi con un biglietto di sola andata per le prigioni.

-Ah se tutti i detenuti fossero così collaborativi!- sospirò il principe, sollevandosi dallo stipite della porta e avvicinandosi alla ragazza, tanto che Chiara poté sentire il rumore del suo respiro.

-Il bagno ha decisamente migliorato il tuo aspetto- continuò Thor -Ma hai comunque una pessima cera! Avanti, entra. Sarai affamata.

Ciò detto l'uomo entrò nella vasta stanza, seguito dalla ragazza riluttante: Chiara sapeva di entrare nella tana del lupo, ma il suo stomaco vuoto le faceva male per la fame e le gambe le tremavano per la mancanza di zuccheri nel sangue.

La stanza che si aprì davanti a lei era enorme e riccamente decorata con arazzi colorati e diversi comò di legno scuro finemente lavorato e rifinito affinché sulla superficie si diramasse una complessa e fitta trama di rami frondosi intrecciati tra loro.

Di giorno la camera doveva essere illuminata dalle ampie finestre che si aprivano sul cortile interno del castello, ma la notte era calata su Asgard e l'illuminazione era garantita da un gran numero di lanterne e candele.

Al centro si ergeva un grande letto, ricoperto di candide lenzuola di soffice seta e di cuscini color porpora, decorati con fili d'oro.

A fianco del talamo, su un basso tavolino di marmo, stava una scodella piena di pane e frutta fresca, accanto a una coppa colma di vino scarlatto.

-Coraggio- la incitò l'uomo -Mangia, poi ti riposerai.

"Ok, Chiara" pensò tra sé e sé la ragazza "Prima vedi di ricaricare un po' la batteria, poi affronti il problema Energumeno". Si sedette sul bordo del letto, prese quella che sembrava una succulenta pesca nettarina e la addentò, il tutto senza perdere di vista il Dio del Tuono, che, affacciato alla finestra, sembrava concentrare tutta la sua attenzione sulle stelle.

Quando il dolce succo del frutto le scese nella gola, la ragazza dovette fare appello a tutte le sue forze per non farsi sfuggire dei gemiti di soddisfazione: dopo quella brodaglia disgustosa che le avevano propinato, quel frutto succulento era una melodia per il suo palato e una festa di zuccheri per il suo corpo. Forse era troppo ottimista, ma con pochi morsi a Chiara parve riacquisire già una parte delle energie perdute.

Terminata la pesca, la ragazza addentò una spessa fetta di pane fragrante, ma si tenne ben lontana dal vino.

"Se ti aspetti che ti renda il gioco più facile bevendo alcolici, hai capito proprio male!"

-Va meglio ora?- chiese l'uomo premurosamente, continuando a darle le spalle.

Chiara si strofinò la bocca con il dorso della mano per rimuovere le briciole del pane che vi erano rimaste attaccate e, dopo un attimo di silenzio, rispose: -Molto, grazie...Maestà

-Ti è così difficile usare quella parola?- domandò Thor, a cui non era sfuggito il fastidio della ragazza nel dargli quell'appellativo.

-Da dove vengo io non ci sono sovrani, né re, né tantomeno schiavi. Questo è per me un mondo nuovo sotto tutti i punti di vista.

-Sai- disse lui, voltandosi e facendole cenno di avvicinarsi -Quando sono arrivato per la prima volta a Midgard mi sentivo esattamente come te.

Chiara dovette obbedire all'invito, pur mantenendo una buona distanza di sicurezza, mentre lui proseguiva nel suo racconto: -Mio padre mi aveva bandito e privato dei miei poteri, così mi ritrovai sulla Terra praticamente inerme, ma ho avuto la fortuna di trovare degli amici che mi hanno sostenuto e di averne altri che mi hanno aiutato a tornare.

"Bella storia, ma a che gioco stai giocando?"

-È per questa ragione, Chiara, che ho deciso di prenderti come mia serva personale. Io avuto l'onore di una seconda occasione ed è giusto che l'abbia anche tu.

"E il tuo concetto di seconda occasione sarebbe schiavizzare la gente?"

Cosa avrebbe dovuto rispondere? Si aspettava che lo ringraziasse? Oppure tutto quel discorso serviva solo a mettergli a posto la coscienza?

Chiara non aveva idea di come comportarsi in un simile frangente e sentiva che, se avesse provato a mentire, in quel momento sarebbe stata smascherata subito: la stanchezza e la preoccupazione non le avrebbero permesso di sostenere una menzogna.

Poi una lampadina le si accese nella mente: -Sei stato sulla Terra?- domandò -E come hai fatto ad arrivarci?

Thor, visibilmente lieto di aver attirato l'interesse della sua interlocutrice, accennò un mezzo sorriso e riprese: -Abbiamo i nostri mezzi, attraverso i quali siamo in grado di viaggiare in tutto l'Universo, ma l'attenzione di Asgard è concentrata sul mantenere la pace tra i Nove Regni, di cui Midgard e la stessa Asgard fanno parte.

"I Nove Regni?  Che assurdità è mai questa?"

-Davvero?- chiese Chiara in tono conciliante -E come fate? Dite una formula magica? Avete una qualche nave spaziale?

-Oh, niente di tutto questo, ma non ora non è il momento di parlare di queste cose.

Poi Thor si voltò di nuovo verso la finestra ad osservare il cielo e a Chiara parve di scorgere una sfumatura di malinconia nei suoi occhi blu, ma il buio della notte e il disappunto per non aver ancora scoperto come tornare a casa non le permisero di verificare la cosa (anche perché, in quel momento, non le importava).

Pensò per un attimo di minacciarlo, di costringerlo a rivelarle quello che le stava nascondendo, così mise la mano destra dietro la schiena e, pur riconoscendo la follia di quel gesto, l’avvicinò alle forbici, ma Thor si voltò verso di lei e, guardandola nel profondo dei suoi occhi scuri, le disse: -Ti avviso, anche se fossi armata della più tagliente e resistente tra tutte le spade, non potresti procurarmi nemmeno un graffio.

Poi il allungò un braccio e lo portò alla schiena della ragazza, che istintivamente strinse le dita sulla sua arma con tutta la forza che poté, temendo che volesse farle del male, ma, inaspettatamente, egli non fece altro che avvolgere la sua grande mano intorno a quella della fanciulla e a condurla, delicatamente ma con fermezza, allo scoperto.

Chiara, pur colta con le mani nel sacco, non aveva la minima intenzione di mollare la presa; al contrario, puntava l'estremità acuminata verso il ventre del dio.

-La leggiadra farfalla si è rivelata essere un'ape armata di pungiglione- disse Thor, sorridendole -Non devi avere paura di me, non ti farò del male. Hai la mia parola.

-Ah sì? E chi mi dice che posso fidarmi? Sei molto più grosso e forte di me, non oso nemmeno immaginare cosa tu possa farmi.

-Allora, coraggio!- la esortò lui - Colpiscimi. Hai la mia parola che non reagirò nè chiamerò le guardie. Colpiscimi!

Chiara lo guardò esterrefatta: quel tizio le stava chiedendo di accoltellarlo?

"Avanti, Chiara, te lo sta chiedendo lui. Colpiscilo al cuore e dattela a gambe!"

La ragazza osservò attentamente il torace dell'uomo e nella sua testa riaffiorarono i ricordi delle tavole anatomiche che da bambina le piaceva osservare e studiare: cuore, polmoni, diaframma, laringe, faringe... sapeva esattamente dove si trovavano.

Si domandò se, pur essendo in tutto e per tutto uguale a un uomo, Thor non avesse qualche stranezza o differenza rispetto all'anatomia umana.

"Allora lo colpirò al collo e lo lascerò morire dissanguato".

Era la scelta più logica e, di sicuro, la più efficace.

Si preparò a fendere il colpo, uno solo, alla giugulare.

Inspirò profondamente e alzò il braccio, ma si bloccò.

"Merda..."

Mordendosi nervosamente il labbro inferiore, Chiara abbassò l'arma e la pose sul davanzale.

Desiderava piangere: si era dimostrata debole e incapace di combattere e per questo si odiava. Ora era in balia dello stesso uomo che le aveva chiesto di colpirlo e che non era riuscita a ferire.

"Sei una stupida, Chiara. Una completa idiota! Spera soltanto di essere abbastanza veloce a scappare."

-Sapevo che non mi avresti colpito- le disse Thor -Ho combattuto in molte battaglie e ho imparato a riconoscere lo sguardo di chi è disposto a uccidere e tu, Chiara di Midgard, non sei un'assassina.

-Dovrei sentirmi più sollevata? Che razza di persona è quella che non è in grado di difendere nemmeno se stessa?

-Non hai bisogno di difenderti da me- disse Thor e, in risposta allo sguardo dubbioso delle ragazza, aggiunse - Non ho intenzione di farti alcun male, hai la mia parola. Il tuo pianeta mi è caro e con esso i suoi abitanti, che ho giurato di proteggere.

-Quale immensa fortuna, allora, provenire dalla Terra!- rispose sarcastica Chiara, per nulla convinta da tutta quella storia. Ci fu una pausa, in cui la ragazza trasse un profondo respiro, poi proseguì: -Cosa ti aspetti che faccia, ora?

Si sentiva sconfitta, amareggiata e inerme come mai prima di allora.

Il pensiero della sua famiglia a anni luce di distanza per poco non la fecero scoppiare in lacrime e la cosa non sfuggì a Thor, che, con delicatezza, le pose una mano su una spalla e la condusse ad un lato della stanza.

Chiara non oppose nessuna resistenza, nemmeno quando l'uomo la fece sedere su una sorta di triclinio ricoperto di pelliccia d'orso e le fece bere un sorso di vino.

-Desidero- disse Thor, posando il calice a terra e stringendole la mano destra nelle sue -che tu dorma, riprenda le forze e inizi a lavorare domani mattina, come stabilito. Andrai nelle cucine e porterai la colazione che i cuochi avranno preparato, poi ti darò nuove istruzioni.

"Ora che farai?" si domandò la ragazza "Mi darai un bacino sulla fronte e mi rimboccherai le coperte?". Sogghignò e, evidentemente, Thor scambiò quel ghigno stiracchiato per un sorriso di assenso, perché sorrise a sua volta e tornò alla finestra, dove prese a giocherellare distrattamente con le forbici, osservando il cielo.

Chiara, distrutta e sfinita per le emozioni della giornata, si distese sul triclinio e osservò, attraverso le palpebre appesantite dal sonno, la silhouette del dio alla luce delle torce.

"Almeno sei gentile..." pensò, cadendo in un sonno profondo.

 

Angolo dell’autrice: ecco a voi il terzo capitolo de La sua paura. Spero vi sia piaciuto e abbia soddisfatto la vostra sete di lettura. Ringrazio tantissimo coloro che hanno cominciato a seguire questa mia storiella senza pretese e chi addirittura l’ha messa tra le preferite (Wow!!!). Mi auguro di continuare a suscitare il vostro interesse e di regalarvi delle belle emozioni.

Statemi bene,

Lady Realgar

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Capitolo 4
*** Mjolnir ***


L'alba era giunta decisamente troppo presto quella mattina e Chiara, al suo risveglio, desiderò ardentemente poter dormire per almeno una settimana: nonostante la maggior comodità del triclinio rispetto alla branda della cella, non si sentiva per nulla riposata. Mentre si strofinava gli occhi ed emetteva un lungo sbadiglio, la ragazza ripensò ai fatti della sera precedente.

"Nonostante tutto me la sono cavata piuttosto bene: meglio cameriera che carcerata!"

Thor, avvolto nelle lenzuola di seta, dormiva beato sul fianco, dando le spalle alle finestre.

"Sua Maestà è ancora impegnato nel regale sonno, a quanto pare. Sarà il caso di andare a prendere la sua colazione ed evitare di combinare guai già al primo giorno di lavoro."

Alla leggera luce del sole nascente, uscì dalla stanza in punta di piedi e richiuse delicatamente la porta alle sue spalle, appena prima che il suo stomaco emettesse un gorgoglio di disapprovazione per il poco vitto ricevuto negli ultimi giorni.

"È ora anche per me di mettere un po' di carburante nel serbatoio o sverrò dalla fame in qualche angolo del palazzo! Ok, ma... dove sono le cucine?"

-E ti pareva!- sospirò la ragazza, incamminandosi lungo il corridoio e tentando di ripercorrere i passi che aveva fatto la sera precedente con madama Thyia.

Proseguì per la sua strada per qualche minuto, ma si ritrovò ben presto davanti a un bivio di cui non ricordava l'esistenza, così decise di affidarsi alla sorte e cominciò a fare una conta, cantilenando: -Ambarabà ciccì coccò, tre civette sul comò...

Alla fine della filastrocca, il suo indice puntava verso destra, ma qualcosa dentro di lei le suggerì che era la strada sbagliata, così ignorò il responso della conta e imboccò il corridoio a sinistra.

Qualche metro più avanti trovò una rampa di scale che scendeva verso il basso e, una volta percorsa, la ragazza si ritrovò in un ampio cortile interno, con tanto di giardino, fontana e ampio spazio sterrato con bersagli per il tiro con l'arco e fantocci di paglia per la scherma.

Gli uccellini si bagnavano nelle limpide acque zampillanti della fonte e, tra i cespugli di rose, le api ronzavano allegramente succhiando il dolce nettare dei fiori.

Tutt'intorno si respirava un'aria di pace e di tranquillità e il sole cominciava a riscaldare l'atmosfera. Chiara allargò le braccia e chiuse gli occhi, lasciandosi avvolgere dai tiepidi raggi solari, ma quando riaprì le palpebre per poco non finì nella fontana per lo spavento: una lunga ombra scura si innalzava davanti a lei, poi una voce familiare le attraversò i timpani: - Buongiorno, mia cara.

Era di nuovo lui, era tornato!

-Non conosci un modo per apparire senza farmi venire un attacco di cuore?- lo rimproverò Chiara, infuriata.

-E perdermi così lo spettacolo della tua faccia spaventata?- rispose l'uomo, canzonandola. -Vedo che la sorte ti è stata propizia nelle ultime ore- aggiunse, poi, osservando il leggero abito lilla che avvolgeva la ragazza -Dalla cella di una squallida prigione alle stanze di un principe, non ci hai impiegato molto a diventare la concubina del rampollo reale!

Le mani di Chiara fremevano dal desiderio di mollargli un sonoro ceffone e fargli rimpiangere quell'insolenza, ma la consapevolezza dell'inutilità di quel gesto la trattenne.

-Non sono la sua concubina- rispose alla fine -Sono la sua serva e in questo momento non ho tempo da perdere con te: è il mio primo giorno di lavoro e devo ingraziarmi il capo se voglio tornare a casa.

Ciò detto lo oltrepassò e cominciò ad attraversare il cortile, fingendo di sapere esattamente dove stesse andando.

In un primo momento credette di essersi liberata di quel fastidioso prodotto della sua mente, ma in un battito di ciglia quello apparve di nuovo al suo fianco.

-Sei davvero convinta di questo tuo piano?- le domandò l'uomo -Credi davvero che basti fare la brava ragazza per un po' perché ti venga concessa la libertà? Pensi sul serio che ti verrà mai permesso di ritornare su Midgard? Non vedi che non ne hanno la minima intenzione? Non capisci che è tutta una messinscena per tenerti qui come schiava, come trofeo di guerra a perenne monito della loro superiorità sul tuo pianeta?

-Sta' zitto!- lo ammonì Chiara, stringendo i pugni dalla rabbia così forte da sentire le unghie conficcarsi nei palmi delle mani -Sta’ zitto! Cosa credi? Che sia un'idiota? Lo so benissimo anch'io che non è la soluzione, ma cosa potrei fare per il momento? E comunque come proiezione della mia mente sei troppo invadente per i miei gusti! Vedi di abbassare la cresta, galletto!

L'uomo spalancò i grandi occhi verdi, come colto alla sprovvista da quell'appellativo insolito, poi un freddo sorriso si estese sul suo volto.

Rimase in silenzio ad osservarla mentre Chiara si aggirava, completamente sperduta, nel grande cortile. Sembrava divertito nel vederla girare a vuoto, trovando ad ogni angolo un vicolo cieco o una porta chiusa.

Alla fine le chiese: -Hai una vaga idea di dove stai andando?

Lei non rispose, ma alzò in uno scatto la mano aperta in segno di silenzio, poi, dopo qualche secondo, riprese a camminare con sicurezza.

-Si può sapere cosa combini ora?- domandò di nuovo l'uomo.

-Nelle cucine, fino a prova contraria- rispose la ragazza -si cucina e quando si cucina si producono degli odori, perciò, se le mie narici non mi ingannano, qualcuno sta arrostendo della carne in quella direzione.

Attraversò un portico e imboccò un vialetto a destra finché non si trovò davanti a una porta di legno, oltre la quale riusciva a sentire un gran rumore di stoviglie e di voci che si sovrapponevano.

Stava per lanciare un "Alla faccia tua!" al suo accompagnatore, quando si accorse che era svanito nel nulla.

"E figurati se quello restava a sentirmi gongolare!"

Diede una piccola spinta alla porta e davanti a lei si aprì un brulicante viavai di cuochi ai fornelli e servi tra piatti e stoviglie da lavare, verdure da sbucciare e affettare e polli da spennare, il tutto immerso in un forte odore di fumo.

Chiara, mentre prendeva da un paniere lì vicino una grossa fetta di pane e l’addentava, attese per qualche secondo che qualcuno si accorgesse di lei, ma erano tutti troppo impegnati nelle loro faccende, così si avvicinò a una donna, intenta a pelare un gran numero di patate, e le domandò dove potesse prendere la colazione del principe.

Quella, evidentemente infastidita per l'interruzione, e le indicò con il coltello un vassoio su un gran tavolo di legno, poi abbassò di nuovo lo sguardo sulle sue patate e riprese il lavoro.

-Grazie- disse Chiara con sarcasmo, afferrando il vassoio per i manici e imboccando l'uscita, accompagnata dalla sgradevole sensazione di avere un bel po' di occhi puntati addosso.

Il vassoio le risultava piuttosto pesante e fece non poca fatica a trasportarlo nelle stanze del principe, ma alla fine riuscì a porlo delicatamente sul tavolino di marmo a fianco del letto.

Thor dormiva ancora profondamente.

"Missione compiuta! Ora non resta che svegliare il bell'addormentato".

Diede un leggero colpo di tosse, sperando che fosse sufficiente a destarlo, ma l'uomo non si mosse di un millimetro.

Nemmeno la luce, notò la ragazza, sembrava influire minimamente sul suo sonno: pur essendo la stanza completamente illuminata dai raggi solari, lui riusciva a dormire come se nulla fosse.

Provò, allora, punzecchiarlo con un dito su una spalla, ma quello grugnì e rotolò dall'altra parte del letto.

"Questa situazione si sta facendo ridicola!"

-È ora di alzarsi- disse, infine -Avanti, raggio di sole, sorgi e splendi.

Thor sbuffò e bofonchiò qualcosa di incomprensibile, poi, stropicciandosi gli occhi assonnati, chiese: -Che ora è?

-L'ora di alzarsi. Ti ho portato la colazione- rispose, indicando il vassoio con i piatti traboccanti di leccornie fumanti.

Ciò detto si avvicinò alle finestre, in attesa che Thor finisse di mangiare per riportare poi le stoviglie in cucina.

L'aria fresca del mattino le accarezzava il volto e per le strade si poteva vedere la città risvegliarsi.

-Vorrei che ti sedessi qui con me e mi facessi compagnia- le disse Thor.

Non poté fare altro che accettare, così si avvicinò al tavolino e, intimata da un gesto del principe, si sedette per terra su una pelliccia d'orso.

-Dunque- iniziò l'uomo, afferrando una coscia di pollo e portandosela alla bocca - da quale parte di Midgard provieni?

-Dall'Italia- rispose Chiara, piuttosto sorpresa da quella domanda.

-Hai famiglia?- continuò lui, bevendo un ricco e schiumoso boccale di birra.

"Colazione leggera, vedo!"

-Sì: un padre, una madre e un fratello minore.

Thor abbassò il boccale e chiese: -Come si chiama tuo fratello?

-Francesco.

Cadde il silenzio e, dopo un minuto, Chiara si domandò se non fosse il caso ritornare alla finestra, in attesa che il principe finisse di mangiare, ma Thor riprese con le sue domande.

-Di cosa ti occupavi su Midgard?

-Sono una studentessa. Scusa, ma mi stai facendo il terzo grado?

A quella domanda l'uomo parve offendersi, perché rispose, con un tono di voce risentito: -Sto solo cercando di conversare.

-Ah…- Chiara si sentì addosso un certo imbarazzo e il senso di colpa si fece strada dentro di lei- … Scusami.

Il volto di Thor tornò a distendersi e il cuore di Chiara si alleggerì: in fondo, lui era stato l’unico, tra tutti quelli che aveva incontrato fino a quel momento, a mostrare un po’ di comprensione nei suoi confronti.

-Posso farti io una domanda?- chiese la ragazza, che, senza aspettare una risposta, riprese: -Ieri sera hai parlato dei Nove Regni, di cosa si tratta, esattamente?

L’uomo si pulì la bocca con il dorso della mano, ripose il boccale sul vassoio e, dopo un attimo di riflessione, iniziò a spiegare:  -Come ben saprai, l’universo è estremamente vasto ed eterogeneo ed è praticamente impossibile enumerare le civiltà e le specie di creature che lo compongono, tuttavia vi sono nove regni che, dalla notte dei tempi, si sono presi la responsabilità di vegliare e proteggere la pace e l’armonia tra i popoli. All’inizio sembrò che la cosa funzionasse, ma ad un certo punto alcuni regni decisero di imporsi sugli altri e usare la propria forza per dominare. Fu così che Jotunheim, il Regno dei Giganti di Ghiaccio, attaccò Midgard. Asgard combatté a fianco della Terra e l’invasione fu scongiurata, ma si creò un enorme divario tra Asgard e Jotunheim; Midgard, dall’altra parte, dimenticò il suo compito, attribuendo a forze divine la salvezza della specie umana. Nel corso della storia vi furono numerose battaglie anche con altri regni, come, ad esempio, contro Svartalfheim, la terra degli Elfi Oscuri, e Asgard si trovò con ben pochi alleati nel difficile compito di difensori della pace ed è questo il mio dovere: combattere chiunque attenti alla pace nei Nove Regni.

Chiara rifletté per qualche momento su quella storia incredibile, poi fu come l’accendersi di una lampadina nella sua mente e, con gli occhi sbarrati per l'incredulità, disse: -Aspetta un momento! Mi stai dicendo che tu saresti Thor? QUEL Thor? Il dio dei fulmini della mitologia nordica? E che tuo padre è QUELL’Odino? Oh… mio… Dio… oh mio dio, oh mio dio, oh mio dio! Tutto questo è assurdo! Voglio dire, la mitologia è solo … beh, una raccolta di miti e di leggende, un modo fantasioso degli antichi per spiegare fenomeni che non comprendevano! Non è possibile! Non ci credo!

Il principe di Asgard la guardò esterrefatto per quella reazione, poi si alzò e le disse: -Aspetta qui.

Ancora sconvolta dalla rivelazione appena avuta, Chiara vide l’uomo andare in una sezione della grande stanza, separata dal resto dell’ambiente da tende scarlatte, e sparire alla sua vista. Sentì dei rumori metallici e, dopo qualche minuto, lo vide riapparire dentro la sua armatura.

-Seguimi- la invitò e Chiara obbedì. Uscirono dalla stanza e raggiunsero il cortile esterno, in cui alcuni uomini stavano già facendo pratica di tiro con l’arco e lotta libera.

Alla vista del principe, gli uomini interruppero le loro attività, appoggiarono il pugno destro sul petto all'altezza del cuore e si inginocchiarono.

-Buongiorno anche a voi, soldati- li salutò Thor, raggiante.

-Buongiorno a te, maestà- disse una giovane donna, dai lunghi capelli corvini.

Era una delle ragazze più belle che Chiara avesse mai visto in vita sua: elegante e selvaggia, il suo corpo snello era avvolto da un'armatura leggera e si muoveva con una grazia fuori dal comune. Sul suo viso erano dipinti la gioia e il calore, che mutarono in freddezza e odio quando si accorse della presenza della ragazza.

-Cosa ci fa LEI qui?- domandò aspra, squadrando da cima a fondo Chiara, come se fosse stata uno scarafaggio trovato nell'insalata.

Thor le rivolse un ampio sorriso e le rispose: -Buongiorno Lady Sif! Radiosa come al solito.

Lady Sif lo fulminò con lo sguardo: -Cosa ci fa lei qui?- ripeté -Non dovrebbe pulire le stalle o lavare i panni?

"Ok, è ufficiale: ti odio"

-Ho portato Chiara per farle dare un'occhiata in giro- rispose Thor, sempre con un bel sorriso a trentadue denti (che Chiara trovò un po' stupido e fuori luogo).

-Chiara?- la voce di Sif, sebbene cercasse di modularla per farla sembrare più calma possibile, preannunciava inequivocabilmente una tempesta imminente.

"Attacco isterico in arrivo! Nascondete donne e bambini!"

La ragazza si stava già preparando all'esplosione, quando tre uomini si avvicinarono: un omone corpulento e fulvo, che inequivocabilmente era Volstagg, un guerriero dai tratti del viso che ricordavano quelli orientali e uno spadaccino dalla bionda chioma mossa e il pizzetto curato al millimetro.

I tre uomini ripeterono il saluto militare al principe e lui ricambiò con un caloroso abbraccio.

-Amici- disse Thor una volta che l'abbraccio fu sciolto -è sempre un piacere rivedervi! Come è andato il sopralluogo nel Vanaheim?

Il guerriero orientale rispose: -Ci sono stati degli attacchi da parte di alcune tribù di banditi, ma sono stati fermate e consegnate alla giustizia di Asgard, il Padre degli Dei se ne sta occupando in questo momento.

-Ottimo lavoro Hogun!- l'apostrofò il principe, accompagnando le parole con una sonora pacca ben assestata sulla spalla dell'amico -Fandral- aggiunse rivolgendosi allo spadaccino -Avrai sicuramente molto da raccontare questa sera al banchetto: la tua lama sembra vogliosa di mostrare le proprie cicatrici a un pubblico numeroso.

Fandral sorrise e si passò una mano tra i capelli: -Oh, niente di particolare, questa volta in effetti è stata un po' noiosa, ma meglio così. Piuttosto, questa è la famosa fanciulla terrestre?

Lo spadaccino fece un accenno di inchino a Chiara, poi le prese elegantemente la mano e l'avvicinò alle labbra.

Il contatto con il viso dello sconosciuto la infastidì terribilmente e ritrasse la mano, ma l'uomo non si scompose, anzi, il suo sorriso divenne ancora più ampio e amichevole.

-Che razza di selvaggia- commentò acida Lady Sif -Hai la più pallida idea di chi hai di fronte? Sei al cospetto dei Tre Guerrieri!

La perplessità di Chiara doveva trasparire piuttosto evidentemente, perché Sif riprese subito, inquisitoria: -Hai qualcosa da dire?

-Qui intorno è pieno di guerrieri- rispose secca Chiara, stufa di essere il bersaglio di quell'arpia -Perché mai dovrei essere impressionata?

Il volto di Sif cominciò ad assumere un’allarmante tonalità rossa e Chiara si morse la lingua, rimproverandosi per la sua solita sfacciataggine, ma fortunatamente Fandral, ridendo sotto i baffi, intervenne: -Ha ragione: qui siamo tutti guerrieri con il medesimo scopo e in battaglia siamo tutti uguali di fronte alla morte. Amico mio- aggiunse rivolgendosi a Thor -Hai trovato una fanciulla saggia, ora però dobbiamo iniziare allenamento di oggi e, inoltre, ci sono le nuove reclute in attesa dell'addestramento.

I tre uomini si congedarono e, dopo aver lanciato un'ultima, velenosa occhiata in direzione di Chiara, anche Sif si unì agli altri soldati.

-Credo di starle simpatica- disse ironica Chiara, mentre la donna, estraendo la spada dal fodero, si allontanava.

-È uno dei migliori guerrieri di Asgard- rispose Thor, riprendendo a camminare in direzione di un largo spiazzo vuoto del cortile - è nella sua natura essere  inflessibile e sospettosa.

"Sospettosa? Direi piuttosto che la sua natura è essere stronza!"

-Perché mi hai portata qui?

-Non credi che quello che ti ho detto sia vero, giusto?- domandò Thor tendendo il braccio destro verso l’alto -Voglio farti ricredere.

Ci fu un sibilo nell'aria, come una sorta di fischio, poi in lontananza apparve una macchia nera, che crebbe sempre di più, fino a raggiungere la forma di un grosso martello nella mano del dio.

-Questo- riprese Thor, palleggiando il martello con la stessa facilità con cui avrebbe fatto saltellare una pallina da tennis -è Mjolnir.

Delle piccole scariche elettriche uscivano dal metallo decorato della testa di Mjolnir, come se stesse chiedendo al suo padrone di adoperarlo, di liberare la sua potenza.

Fu questione di un attimo: il martello venne sollevato verso il cielo e una violenta scarica elettrica si sprigionò dal metallo e raggiunse le nuvole, dove diffuse la sua luce producendo un gran tuono.

Chiara si rese conto di essere rimasta a bocca a aperta (con grande soddisfazione di Thor) e si affrettò a chiuderla: -Te l'hanno mai detto che sei un esibizionista?

Scoppiarono entrambi in una risata: era la cosa più pazzesca e incredibile che le fosse mai capitata, ma non era spaventata, anzi, la tensione che aveva accumulato fino a quel momento stava scomparendo tra le risa. Era finita chissà come nel regno degli dei nordici e davanti a lei c'era Thor che brandiva il suo martello magico. Era folle, ma meraviglioso. Era assurdo, ma era a che la cosa più emozionante che le fosse mai capitata in tutta la sua vita.

-Allora- riprese Thor, dopo essersi calmato da quell'attacco di ridarella -Credi ancora che non sia reale?

-Ora più che mai!- rispose la ragazza -È la cosa più pazzesca e assurda che mi sia mai capitata e mi sembra troppo incredibile per essere vera!

Thor stava per dire qualcosa, ma venne interrotto da una voce: -Maestà- urlò un paggio, correndo a perdifiato nella loro direzione -il Padre degli Dei desidera vederla!

Il principe fece un segno di approvazione con il capo e si avviò verso l'interno del palazzo, ma venne bloccato da Chiara, che gli si parò davanti: -Cosa dovrei fare io intanto?

-Tu vieni con me.

I due si avviarono a grandi passi verso la sala del trono (o meglio, Thor camminava e Chiara correva per stare al suo passo) e lungo il tragitto a ragazza poté ammirare una serie di splendidi arazzi e sculture monumentali di pregevole fattura.

Oltrepassato l'ingresso della sala, a Chiara balzò subito all'occhio un gruppo di uomini dagli abiti di pelle grezza, sporca di fango e sangue.

Erano in ginocchio e, di fronte a loro, Odino parlava in una lingua gutturale, brandendo la sua lancia dorata.

Non appena si fu accorto della loro presenza, il Padre di Tutti ordinò alle guardie di riportare i prigionieri nelle rispettive celle e squadrò i nuovi venuti con il suo unico occhio.

-Non è necessario che la ragazza rimanga- sentenziò Odino, così a Chiara non rimase che uscire dalla sala, chiudendosi le grandi porte alle sue spalle.

Tuttavia, appoggiando l'orecchio contro il legno delle porte, riusciva a sentire le voci dei due uomini, che rimbombavano nella grande stanza.

Dopo essersi assicurata di non essere vista da nessuno, si mise ad origliare.

-Padre...- iniziò il principe, ma venne subito interrotto dal sovrano.

-Thor, nessuno più di me apprezza le tue qualità belliche, ma non ti è stato affidato Mjolnir perché ci giocassi- lo rimproverò Odino.

Chiara dovette fare un enorme sforzo di autocontrollo per non scoppiare a ridere, sopratutto perché sarebbe stato sconveniente farsi scoprire in quell'atteggiamento così compromettente.

-È necessario prendere dei provvedimenti per questi continui saccheggi nel Vanaheim- riprese il dio sovrano -Sembra che il numero dei banditi stia aumentando ogni giorno che passa e voglio arrivare alla fonte di questi fenomeni criminali e fermarli. È mio desiderio che domani mattina ti rechi nel Vanaheim con alcuni uomini e vada alla ricerca dei quartier generali di questi barbari. I prigionieri non hanno confessato dove si trovino esattamente, ma ben presto cederanno. Cedono tutti, alla fine.

Chiara ebbe l'inquietante sospetto che quell'ultima frase, sottolineata da un tono di voce molto grave, fosse indirizzata proprio a lei, ma, ovviamente, non poteva vedere come fossero le loro espressioni, né tantomeno i loro gesti.

-A proposito- continuò Odino -hai saputo nulla dalla ragazza?

Le orecchie di Chiara si drizzarono nell'ascolto, ma un rumore di passi la mise in allerta. In un lampo si allontanò dalla porta e si nascose dietro dei grandi tendaggi, trattenendo il respiro per non fare rumore.

I passi si avvicinarono e con essi anche delle voci femminili.

-Sei sicura di aver preso tutte le lenzuola?- chiese una fanciulla.

-Certamente!- rispose una seconda ragazza -Tu, piuttosto, stai attenta quando attraversi il cortile: per un pelo non ti cadeva la cesta, mentre eri impegnata a fare gli occhi dolci a sir Fandral. Ti ho vista, sai?

Le due ragazze ridacchiarono civettuole, ma una terza voce si intromise: -Tenetevi pure il vostro piccolo guerriero, io ho ben altre mire!

Le due ragazze smisero di ridere e la seconda fanciulla rispose: -Sappiamo tutte che i tuoi sogni sono colmi del principe, Kalista, ma guardiamo in faccia alla realtà: in primo luogo non siamo nobili e in secondo luogo è risaputo che Sua Maestà ha un debole per le donne di Midgard, guarda cosa ha fatto con quella ragazza ieri.

Chiara sentì la terza ragazza fare un verso di disapprovazione: -Bah, si potranno mai definire donne, quelle? Questa è pure peggio di quella sgualdrina che ha portato l'ultima volta! Ma l'avete vista? Potrà anche tenersela ai piedi del letto come animale da compagnia, ma di certo saprei io come passare da sopra al pavimento a sotto le lenzuola.

Ci fu uno scroscio di risatine maliziose e il gruppetto si allontanò, lasciando alle sue spalle il silenzio.

"Sto guadagnando una certa popolarità" pensò Chiara uscendo dal suo nascondiglio e avvicinandosi di nuovo alle porte.

Ormai aveva perso il filo del discorso e il rischio che Thor uscisse dalla sala trono, cogliendola sul fatto, era troppo alto, così si avvicinò a un finestrone e si mise ad osservare il paesaggio.

Il sole era alto in cielo e la città, sotto all'immenso palazzo, era nel pieno delle sue attività. In lontananza lo strano osservatorio sembrava essere immune a quella frenetica vita che riempiva le strade: immobile e silenzioso, l'edificio si stagliava pigramente sulla superficie del mare, come un qualche strambo cetaceo, in fondo al ponte arcobaleno.

Sotto la finestra un grande sferragliare accompagnava lo svolgersi dell'addestramento: nel cortile era tutta una danza di lame che si scontravano tra loro in un volteggiare di movimenti armoniosi e letali. Tra tutti, ovviamente, lady Sif spiccava per leggiadria e furia omicida.

Chiara rimase ipnoticamente incantata da quella figura snella e letale che volteggiava brandendo una spada corta, mentre combatteva contro tre avversari, su cui riusciva a tenere testa con facilità.

Ad un tratto una voce la distrasse da quello spettacolo e Chiara vide, proprio sotto di lei, Fandral che la salutava con un leggero inchino e un grande sorriso. Imbarazzata, la ragazza rispose al saluto con un timido cenno della mano.

In quel momento cinque soldati si allontanarono dal resto del gruppo e si avvicinarono a Fandral, che estrasse da sotto il mantello il fioretto e cominciò il combattimento.

Chiara capì perché le servette che erano passate pochi minuti prima, si emozionavano al pensiero di sir Fandral: era il miglior spadaccino che si potesse immaginare, elegante e veloce, non sbagliava un affondo o una stoccata, in più emanava un'affascinante aura di galanteria d'altri tempi.

Eppure, dopo qualche minuto, Chiara si stancò di osservare il combattimento e si allontanò dalla finestra.

Le porte erano ancora chiuse e la ragazza si chiese di cosa stessero parlando i due dei, ma, temendo che riprovare ad origliare si sarebbe rivelato un pericoloso azzardo, decise di darsi da fare e guadagnarsi il pane.

 

L’angolo dell’autrice: quarto capitolo de La sua paura, molto meno drammatico dei precedenti. Spero sia stato di vostro gradimento. Ringrazio calorosamente chi ha cominciato a seguire questa mia piccola storia: la gioia nello scoprire che vi è qualcuno che trae piacere nel leggere le parole che scrivo è la fonte dell’ispirazione che mi porta a proseguire. Grazie di cuore

Statemi bene,

Lady Realgar

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Capitolo 5
*** Arrosto di maiale e patate al forno ***


5.

Si diresse, così, verso le stanze del principe, ripensando alle conversazioni che aveva ascoltato: aveva scoperto di non essere la prima donna terrestre a camminare per quelle sale e che Thor l'indomani sarebbe partito per una missione. Doveva saperne di più, doveva capire cosa stava succedendo, ma essere cauta allo stesso tempo: ogni dettaglio poteva essere essenziale per aiutarla a tornare a casa, ma la minima imprudenza l'avrebbe rispedita in prigione.

Trascorse la mattina a svolgere il suo ruolo di serva, rassettando le stanze di Thor e, dopo aver trovato (con una certa difficoltà) i locali della lavanderia, pulendo le lenzuola e gli abiti del principe. Cercò di non attirare l'attenzione delle altre cameriere, ma le voci circolavano veloci per le sale e i corridoi della reggia degli Aesir e, per quanto fingesse di essere invisibile, Chiara continuava ad avere la spiacevole sensazione di decine di occhi puntati su di lei.

Arrivò l'ora di pranzo e, non sapendo cosa fare, Chiara seguì un discreto numero di cameriere nelle cucine, in cui i cuochi e i garzoni lavoravano freneticamente per preparare il pasto a nobili e a soldati.

Una donna paffuta e dalle braccia robuste le mise in mano, con una certa malagrazia, una grossa pentola di zuppa fumante, da cui fuoriusciva il manico di un mestolo. La ragazza cercò di spiegarle che non sapeva assolutamente dove portare il pentolone, ma la donna sembrava essere sorda alle sue parole; per fortuna vide un'altra serva e una bambina dagli occhi color caramello trasportare una pentola identica alla sua e si affrettò a seguirle.

Finì, così, in un grande salone vicino al campo d'addestramento arredato con cinque grandi tavolate piene di soldati affamati e rumorosi. Per quello che riusciva a capire in mezzo a quella babele di voci, buona parte delle conversazioni vertevano sul rendimento nella scherma, nel tiro con l'arco e nella lotta libera; ogni tanto qualcuna delle reclute più giovani borbottava un "grazie" quando vedeva il mestolo pieno di zuppa versare il proprio contenuto nella sua scodella, ma, a parte questo, nessuno sembrava notarla.

"Evidentemente i soldati da queste parti non si occupano di gossip reale."

-Ecco che fine avevi fatto.

Una voce familiare la distolse dai suoi pensieri e Chiara si accorse di star riempiendo proprio la scodella di Thor.

-Non ti ho più trovata quando sono uscito dalla sala del trono, mi domandavo dove fossi andata a finire- proseguì il principe, sorridendole cordiale.

Accanto a lui sedevano i Tre Guerrieri e Lady Sif, imbronciata.

-Ho semplicemente fatto il mio lavoro- rispose Chiara, sforzandosi di ignorare lo sguardo di disprezzo della guerriera -D'altro canto sono qui per questo.

Ciò detto, riprese a servire i commensali e ritornò in cucina, dove, tra una portata e l'altra, anche i cuochi e le cameriere riuscivano a mangiare qualcosa.

I pasti che la servitù consumava erano estremamente frugali, non più di un po' di pane e un pezzo di formaggio, ma tanto bastò per ricordare alla ragazza di avere un grande buco nello stomaco, così si sedette al tavolo presso il quale stavano mangiando altre tre cameriere e si servì la sua porzione, attingendo da un grande paniere messo a disposizione del personale.

Inutile dire che, anche quella volta, gli occhi dei presenti erano puntati su di lei.

Chiara si sforzò di ignorarli e, non appena la seconda portata fu pronta per essere servita, fu la prima ad alzarsi per portarla nella sala da pranzo.

Riprese a distribuire i pasti, lanciando qualche veloce occhiata verso il tavolo dove Thor e i suoi amici pranzavano e chiacchieravano allegramente.

Se se ne fosse partito per quella missione, lei sarebbe dovuta andare con lui nel Vanaheim (qualunque cosa fosse)?

Si ripromise di parlarne con lui in serata e continuò il suo lavoro.

Almeno tra i soldati nessuno la osservava in cagnesco.

"In effetti, ora che ci penso, perché mai sembra che tutti mi odino? È solo la componente femminile o è esteso anche agli altri? La ragione può essere davvero solo la gelosia come per quella serva davanti alla sala del trono?"

Doveva esserci una spiegazione: lei, in fondo, non aveva fatto nulla per attirare il malumore delle persone ad Asgard, eppure perché Odino era cosi preoccupato di sapere come avesse fatto ad arrivare lì? Certo, era una domanda lecita a cui nemmeno lei era in grado di dare una risposta, ma aveva avuto una reazione esagerata, soprattutto una volta capito che  era totalmente inoffensiva.

C'era qualcosa che non quadrava... Ad esempio, perché Thor si era rifiutato di spiegare il modo degli asgardiani di passare da un pianeta all'altro? Voleva solo evitare che tentasse la fuga o c'era qualcos'altro?

Nel bel mezzo di quel pensiero, distratta nel tentativo di risolvere quel puzzle, mancò il piatto di una recluta e la bistecca di maiale, che poco prima penzolava da un forchettone, finì rovente sulle ginocchia del malcapitato, che guaì di dolore.

-Oh mio dio! Scusami! Non volevo!- si scusò Chiara, togliendo la bistecca dalle gambe del ragazzo -Ti ha fatto tanto male?

La recluta la guardò con un velo di rabbia negli occhi, ma alla fine sembrò lasciar perdere e la liquidò con un secco "Non ti preoccupare".

Per farsi perdonare, Chiara gli servì (questa volta centrando il piatto) una doppia porzione di carne con patate e proseguì il servizio, sentendosi le guance avvampare per la vergogna.

"Complimenti, genio, perché non gli chiedi se vuole anche il dolce sulla camicia, già che ci sei?"

Alla fine del pranzo (che giunse alla conclusione senza altre vittime), Chiara aiutò a sparecchiare le grandi tavolate e a lavare i piatti.

Durante la giornata scoprì, inoltre, che la stiratura degli abiti era svolta da un reparto specializzato di cameriere, in grado di maneggiare con disinvoltura dei pesanti ferri caricati a brace. A gestire il reparto vi era Angnis, che, intenta a cucire chissà quale meraviglia della sartoria, vigilava sulle ragazze lanciando fugaci occhiate a destra e a manca.

Quando vide Chiara, il volto di Angnis si illuminò e la donna le fece gesto con la mano di avvicinarsi.

-Come va il primo giorno di lavoro?- le chiese non appena fu abbastanza vicina.

-Mi sono inimicata Lady Sif e ho ustionato un soldato con una bistecca- rispose Chiara -Direi che potrebbe andare meglio.

-Oh, non ti preoccupare- continuò Angnis, tutta concentrata sul suo lavoro -A Sif non piace qualunque ragazza si avvicini a Thor e per quanto riguarda il soldato, spero bene che lo addestrino a dovere perché in futuro rimpiangerà dolori come quelli provocati da una bistecca.

-Immagino che Thor riscuota un certo successo tra le ragazze- esordì Chiara cercando di trasmettere noncuranza con il suo tono di voce -Sembra che qualunque fanciulla gli si avvicini ne rimanga infatuata.

-Oh- sospirò Angnis -il principe è sempre stato molto affascinante, sin da quando era piccolo! Avresti dovuto vedere sua madre il giorno che lo mise al mondo: piangeva dalla gioia e continuava a ripetere quanto fosse stata fortunata ad avere un bambino così bello e in salute. Alcuni dicono che persino Odino si commosse quel giorno! Le serve facevano a gara a farlo ridere quando era nella culla e, quando divenne un ometto, riusciva sempre a convincerne qualcuna a dargli un dolcetto. Era davvero un tesoro! Emetteva una propria luce e risplendeva come il sole, soprattutto a fianco del fratellino, che invece cresceva gracile e debole. Pensa, io c'ero quando ha mosso i primi passi e quando ha fatto centro per la prima volta al tiro con l'arco! Il giorno il cui guadagnò Mijolnir tutto il paese era in festa e lui sembrava il più grande dei re! Poi però...

A questo punto del racconto, Angnis si bloccò.

-Però cosa?- domandò incuriosita Chiara.

-Non fare caso alle sciocchezze che dice questo povera vecchia. I panni che hai portato saranno pronti prima di cena.

Con questo, capì la ragazza, la conversazione era chiusa. Era evidente che ad Angnis piaceva parlare, ma, a quanto pare, aveva ritenuto di aver detto troppo e l'aveva scaricata con una scusa.

Si sistemò in un angolo della stanza, in attesa si ricevere i panni da portare a Thor prima della cena.

Era uno spettacolo davvero particolare: immerse in una nebbia vaporosa creata dal fumo delle braci e dal vapore dei calderoni in cui venivano fatti bollire i panni, alcune serve facevano scivolare su lenzuola e abiti multicolore grossi ferri da stiro in ghisa, mentre altre, con le maniche dei vestiti arrotolate fino ai gomiti, facevano vorticare con lunghi mestoli di legno i panni nei pentoloni fumanti.

"Ambiente interessante la lavanderia".

Ad un tratto, nella nebbia, Chiara si accorse che la bambina con gli occhi color caramello, nascosta dietro un'enorme pila di lenzuola sporche, la stava fissando.

Chiara accennò un lieve saluto con la mano e, in tutta risposta, quella scappò via senza dire una parola, lasciando la ragazza di sasso.

-Ma...ma...- balbettò spiazzata, ma in quel momento una donna dai biondi capelli ispidi le si piazzò davanti, porgendole la sua pila di panni perfettamente stirati e piegati.

-Però!- disse Chiara, con sincera ammirazione -Sarebbe fantastico se mi insegnaste a stirare così! Sai, mia madre si lamenta sempre che lascio le pieghe...

Una fitta al cuore le smorzò le parole in gola e rimase in silenzio a fissarsi i piedi. Era da quando si trovava dentro la sua cella che non sentiva quella forte nostalgia di casa e in quel momento era emersa in tutta la sua forza, schiacciandola sotto il suo peso.

Un colpo di tosse la destò dai suoi pensieri, alzò gli occhi e si trovò la donna dai capelli crespi con un'aria impaziente stampata sul viso.

-Giusto- sospirò, prendendo i panni stirati dalle mani della donna -Sono solo una straniera... Non ha importanza quello che dico.

Uscì dalla lavanderia con il cuore stretto in una morsa e gli occhi che bruciavano. Cercò di convincersi che fosse colpa del vapore, ma non riusciva a mentire così spudoratamente a se stessa: voleva piangere, voleva sfogare quella nostalgia nelle lacrime e nei singhiozzi, ma non poteva, non lì dove tutti potevano osservarla.

Continuò a camminare, nascondendo il volto nelle lenzuola pulite, finché non arrivò alle stanze del principe.

Chiuse le porte dietro di sé, mise le lenzuola in una cassapanca e trasse un profondo respiro.

"Calmati Chiara, ce la farai. Tornerai a casa."

Ma per quanto si sforzasse, le lacrime ebbero la meglio e cominciarono a scorrere sul suo viso.

Thor sarebbe potuto arrivare da un momento all'altro, non poteva farsi vedere in quelle condizioni. Prese la brocca dal tavolo da toeletta e versò nel catino d'argento un po' d'acqua, con cui si lavò il viso. Quando si fu asciugata gli occhi con un asciugamano appeso lì vicino, osservò la sua immagine allo specchio: a parte per gli occhi leggermente gonfi e lo sguardo triste come non mai, era sempre la stessa.

Poi la memoria tornò alla prigione ed ebbe come un de-ja-vù: -Beh, adesso non ti fai vedere?- disse ad alta voce.

Non successe niente.

-Non riesco a credere di essere arrivata al punto da chiamarlo!- sospirò la ragazza, pettinandosi i capelli con le dita e cercando di riordinarli un po'.

Dopo qualche momento, rinunciò all'impresa, aprì le finestre per far arieggiare l'ambiente e si mise a sostituire le lenzuola del principe con quelle appena lavate.

Non appena ebbe finito il lavoro, le porte si aprirono di nuovo e Thor, sudato come un cavallo, attraversò la soglia.

-Eccoti qui!- le disse il principe, buttando per terra la pezza fradicia con cui si era asciugato il collo.

-Eccomi qui...- ripeté la ragazza, osservando disgustata il miserevole straccio abbandonato al suolo, poi aggiunse -Vuoi un po' d'acqua? Mi sembri accaldato.

Il principe mugugnò un "Sì grazie" e la ragazza andò ad attingere del liquido dalla brocca, versandolo nel calice del vino della colazione (opportunamente svuotato e ripulito), ma quando si voltò per porgere la bevanda al principe, ebbe un sobbalzo: davanti a lei Thor si era tolto la parte superiore dell'armatura e, a petto nudo, stava armeggiando con quella inferiore.

-Cosa stai combinando, di grazia?- chiese lei, irritata, mentre il principe le toglieva di mano il calice e se lo portava alle labbra.

L'uomo smise di bere emettendo un verso di soddisfazione e rispose: -Mi preparo per il bagno, è ovvio!

-È devi farlo davanti a me?

Lui la guardò sorpreso, poi la sorpresa divenne imbarazzo e, bofonchiando uno "Scusami" appena percepibile, si riallacciò la cintura dei pantaloni.

-Ho assistito al tuo piccolo incidente a pranzo- riprese il principe -è stato molto buffo vedere quella recluta trattenersi dall'urlare di dolore per la scottatura.

-Non si ripeterà- rispose Chiara, riprendendo la coppa e appoggiandola sul tavolino di marmo.

-Peccato, è stato divertente- un sospiro sfuggì dalle labbra del principe -Negli ultimi tempi non ci sono state molte occasioni per divertirsi.

Cadde il silenzio. Quell'aria di malinconia cominciava a risultarle insopportabile: come si permetteva di fare il cucciolo triste, quando in realtà era circondato da amici e parenti in un gran palazzo dorato, mentre lei era lontana anni luce dalla sua casa e dalla sua famiglia?

Non potendo più tollerare l'atmosfera che si era venuta a creare, Chiara sfoggiò il suo miglior sorriso di circostanza e si congedò augurandogli un buon bagno.

"Non potrò sopportarlo ancora a lungo"

Attraversò i corridoi e si rifugiò sotto un portico del giardino, godendosi gli ultimi raggi del sole e la brezza fresca della sera che avanzava.

Nel cortile dell'addestramento non vi era più nessuno, se non un paio di servi impegnati a riordinare l'area, raccogliendo frecce e sostituendo i bersagli troppo consunti in vista di un nuovo giorno.

-Sai- le disse una calda voce familiare -Penso proprio che dovresti chiederglielo. Bruci dalla voglia di domandarlo direttamente a lui.

Seduto accanto a lei, l'uomo dai glaciali occhi verdi le sorrideva.

-Ti ho chiamato prima- rispose la ragazza -Perché non sei venuto?

-Mi lusinghi! Non immaginavo che potessi addirittura desiderare la mia presenza.

-Ti prendi gioco di me?

-Giusto un po'.

Si scambiarono un'occhiata e una contenuta risata scivolò dai denti della ragazza.

-Quale sarebbe la domanda che dovrei porgli?- chiese alla fine.

-Lo sai molto bene. Stai bruciando dalla curiosità e sai anche che chiedere a terzi non la soddisferebbe. Fatti coraggio e chiediglielo.

-L’unica cosa che vorrei chiedergli in questo momento è se non sia in grado di lavarsi da solo i suoi panni sudici, ma, evidentemente, creerei un problema diplomatico se lo facessi.

Dopo qualche attimo di silenzio, Chiara riprese: -Sai, si vede che non sono più una bambina.

-Cosa intendi dire?- domandò l’uomo, incuriosito.

-Beh- esordì quella con una risatina -Quando ero piccola il mio amico immaginario era un cucciolo di Golden Retriver di nome Annibale e ora, non solo non ho perso l’abitudine di crearmi amici immaginari, ma quello di adesso è persino un affascinante "bel tenebroso"! Sono chiari sintomi di invecchiamento.

Sul viso dell’uomo, notò Chiara, si era delineata un’espressione indecifrabile, a metà tra l’irritazione e il disagio, ma non vi diede peso: erano passati quasi due giorni da quando aveva ripreso conoscenza e non era ancora riuscita a capire come tornare sulla Terra. Forse era quella la domanda a cui si riferiva prima l’uomo dagli occhi di ghiaccio? A proposito…

-Scusa- esordì Chiara, voltandosi per guardare il faccia l’uomo -Tu come ti chiami?

Ma l’uomo era già sparito, sostituito dal rumore dei passi di Fandral, Volstagg, Hogun e lady Sif, che in pochi secondi apparvero, vestiti di tutto punto per la cena, da dietro una colonna e imboccarono una rampa di scale alla fine del portico.

“Ma certo!” si disse Chiara, battendosi la fronte con il palmo della mano “Se il pranzo viene condiviso con i soldati, la cena deve essere svolta in presenza di Odino. Deve essere in un’altra sala.”

Seguì, così, a ragionevole distanza, il quartetto fino all’ingresso della sala da pranzo “ufficiale”, ma venne intercettata da madama Thyia, che la spedì in malo modo alle cucine.

Tra gli aromi delle pietanze e il frastuono delle pentole, Chiara prese il manico di un grosso pentolone contenete stufato d’agnello e, con l’aiuto di un’altra serva, cominciò a trasportarla attraverso una scala di servizio verso la sala da pranzo, dove regnava un gran vociare di persone che parlavano animatamente tra loro.

Non appena furono entrate nella sala, davanti a loro si parò una ragazza con una lunga treccia bionda e, notò Chiara, una scollatura piuttosto profonda che lasciava intravedere i grossi seni. Brandendo un mestolo come se fosse stata una spada, disse loro: -Siete qui finalmente! Devo assolutamente servire il tavolo reale, perciò datevi una mossa!

Poi gli occhi viola della donna si posarono su Chiara, con uno sguardo simile a quello che Lady Sif, quella mattina, le aveva rivolto. Sulle sue labbra carnose spuntò un sorrisetto malevolo e disse, velenosa: -Augurati che le tue gambette da piccola midgardiana stiano al passo con me e cerca di non rovesciare niente questa volta!

-E tu cerca di non chinarti troppo sui piatti o le tue tette scivoleranno sulle pietanze!

La ragazza a fianco di Chiara trattenne il respiro, spaventata, mentre gli occhi di Kalista (Chiara l’aveva riconosciuta dalla voce) si riducevano a sottili fessure e le mani stringevano pericolosamente il mestolo.

In uno scatto Kalista le afferrò i capelli dietro la nuca e le avvicinò il viso fino ad averlo a pochi centimetri dal suo: -Non osare- sibilò rabbiosa -Rivolgerti a me con questo tono. Io posso fare della tua miserabile vita un inferno e farti rimpiangere il giorno in cui sei nata. Ti do un consiglio: stai alla larga da Thor. Lui è MIO!

Lasciò la presa, permettendo a Chiara di riprendere l’equilibrio, si voltò e, ancheggiando vistosamente, si diresse verso il tavolo presso il quale sedevano Odino, Thor, i Tre Guerrieri, Lady Sif e altre persone che Chiara non conosceva.

Mentre camminava tra i numerosi tavoli della sala gremita di gente, Kalista attirava gli sguardi dei presenti e ne era consapevole, ma come avrebbe potuto essere diversamente? Era bella, di una bellezza quasi irreale, accompagnata da un atteggiamento spavaldo e fiero. Se non l’avesse vista con un mestolo in mano, Chiara non avrebbe mai saputo distinguerla da una dama di corte.

-Maestà- miagolò Kalista inchinandosi al Padre degli Dei -la vostra magnificenza è sempre un conforto per me: con voi sul trono di Asgard ogni abitante si sente più che mai protetto e al sicuro.

-Grazie, Kalista- rispose Odino svogliatamente, fissando Chiara con il suo unico occhio.

Kalista se ne accorse e cercò di riportare l’attenzione su di sé, continuando la sua sviolinata: -Vi porto il vostro pasto serale, affinché possiate recuperare le forze dopo un’intensa giornata di governo e dedicarvi a una notte di dolce riposo.

-Kalista, poche chiacchere e servimi da mangiare- concluse bruscamente  il re, dando un colpetto al suo piatto per sottolineare l’ordine impartito.

Chiara si trattenne dal non riderle in faccia, mentre Kalista immergeva il lungo mestolo nel pentolone e lo svuotava nel piatto dorato del sovrano.

La ragazza che reggeva l’altro manico della pentola tremava.

Fu poi il turno di Thor e gli occhi di Kalista divennero incredibilmente più luminosi di quanto non fossero prima, ma al tempo stesso più inquietanti: emanavano un desiderio quasi maniacale.

-Mio principe- esordì -A voi il pasto. Ho visto parte del vostro allenamento pomeridiano e vi posso assicurare che le vostre abilità migliorano sempre di più ogni giorno che passa, anche se ammetto che mi dispiace che abbiate quasi completamente abbandonato l’uso della spada. Eravate così veloce e letale che al solo pensiero mi viene ancora la pelle d’oca.

Così dicendo, Kalista si sporse in avanti, come per mostrare la reazione della propria pelle a quel ricordo, ma Thor le rispose pronto: -Come principe ereditario e portatore del Mijolnir è mio dovere apprendere e migliorare la tecnica che la mia arma consente. Non c’è più tempo per altre armi.

Kalista esibì un meraviglioso sorriso e una risatina e riempì anche il suo piatto.

Vennero serviti anche gli altri commensali e per ciascuno sembrava assumere un atteggiamento diverso: cordiale con Fandral, distaccato con Hogun e Volstagg, indifferente con tutti gli altri, ma quando arrivò il turno di Lady Sif la tensione divenne palpabile e l’aria sembrò caricarsi di elettricità.

Nonostante questo, Sif rimase impassibile e non la degnò di uno sguardo, mantenendo la dignità che il suo ruolo le imponeva, ma, Chiara era pronta a scommetterlo, avrebbe dato chissà cosa per darle una bella lezione. Dal canto suo Kalista si limitò a guardarla con odio e a versare con poca grazia lo stufato nel suo piatto. Evidentemente anche lei era ben consapevole della sua posizione sociale.

Quando la pentola fu vuota, Chiara e l’altra ragazza tornarono alle cucine, mentre Kalista cambiava mestolo e accompagnava un altro paio di serve per distribuire una nuova portata.

A metà strada, Chiara si arrestò e obbligò la ragazza, ancora tremante, a fermarsi e riprendere fiato.

-Non devi preoccuparti delle insulse minacce di quella sgualdrina- le disse, tenendole le mani tra le sue nel tentativo di confortarla -Non ce l’ha con te e, anche se fosse, non puoi permettere che ti spaventi così!

La ragazza la guardò con gli occhi velati di lacrime e rispose: -Tu non lo sai, non puoi saperlo! Kalista è sorella di una delle guardie della prigione e comanda il fratello a bacchetta. Noi tutte abbiamo paura di lui! È un violento e uno sconsiderato e minaccia sempre di… di…- non finì la frase, perché scoppiò in un pianto disperato.

Chiara, mossa a compassione, le avvolse le braccia intorno al collo, stringendola in un amichevole abbraccio. Quel gesto era pensato per consolare la fanciulla in lacrime, ma, sotto sotto, sentì di aver bisogno anche lei di quel contatto, di quel calore e di quel conforto.

Rimasero in quella posizione per qualche secondo, finché un rumore di passi non suggerì loro di spostarsi per non intralciare la strada.

La cena passò senza ulteriori difficoltà, anche perché, tra una portata e l’altra, Kalista ebbe modo di parlare a lungo con Thor, cosa che le infuse una grande gioia, al punto da farle dimenticare di Chiara. O, almeno, per quella sera.

Venne il momento di pulire l’enorme quantità di stoviglie e, con suo grande disappunto, Chiara notò che i commensali avevano lasciato numerosi avanzi, alcuni in perfetto stato, come se non fossero stati toccati. Approfittando della distrazione degli altri servi, avvolse in un panno del pane, della carne e della frutta, che nascose nella veste.

Non si era dimenticata, infatti, dell’aiuto che quella creatura dalla pelle cinerea e i capelli scarlatti le aveva offerto, né del pessimo vitto che veniva servito ai detenuti. Era suo desiderio ripagarlo portandogli di contrabbando dei viveri più dignitosi, ma per poter svolgere le sue nobili intenzioni dovette prima sgobbare per tirare a lucido le cucine e la sala da pranzo, sul cui pavimento giacevano numerosi frammenti di vetro e residui di cibo.

 

L’angolo dell’autrice: eccoci qui. Grazie per aver letto questo capitolo, spero vi sia piaciuto! Un altro piccolo cammeo sulla vita della servitù di palazzo, si conoscono nuovi personaggi e Chiara comincia a imparare due o tre cose della corte reale di Asgard. Purtroppo per me stanno arrivando i giorni più bui degli esami e temo che non riuscirò a proseguire tanto presto con la storia. Ad ogni modo, mi auguro di aver soddisfatto la vostra sete di lettura. Ringrazio calorosamente coloro che hanno cominciato a seguire questa storia e chi ha lasciato una recensione a riguardo: grazie delle vostre belle parole, spero di continuare a meritarmele e di avere di nuovo occasione di sentire le vostre opinioni!

Alla prossima, statemi bene

Lady Realgar

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Capitolo 6
*** My fault ***


Quando, finalmente, fu libera di andare, Chiara raggiunse l’entrata delle prigioni e, senza farsi vedere da nessuno, vi si intrufolò, scese la rampa di scale e passò attraverso le porte lasciate (fortunatamente) socchiuse, arrivando, così, alle celle.

Un brivido le percorse la schiena al pensiero della sua reclusione di solamente un giorno prima, l’odore di chiuso e la penombra che riempivano l’ambiente fecero riaffiorare le sue paure, ma dovette farsi coraggio: era stata vista e una guardia, intenta a fare un giro di controllo tra le celle, avanzava nella sua direzione.

“Coraggio, Chiara, schiena dritta e respiri regolari.”

-Cosa ci fai qui, serva?- l’apostrofò l'uomo.

-Sono venuta a fare una visita- tutta l’attenzione di Chiara era concentrata nel modulare la propria voce per non farla tremare.

-Ah sì?- chiese la guardia, piuttosto divertita -E chi vorresti vedere?

-Il detenuto della quinta cella sulla destra.

-Ooh, capisco. Prego, da questa parte.-

La guardia scortò Chiara alla cella che aveva richiesto, ma quando arrivarono dietro al pannello giallo non vi era la creatura che la ragazza cercava, bensì alcuni tra i prigionieri che aveva visto nella sala del trono quella mattina. Alle sue spalle, in quella che era la sua vecchia “camera”, stavano altri briganti.

Al suo arrivo, i detenuti ebbero come un sussulto e iniziarono a parlottare tra di loro.

-SILENZIO!- urlò la guardia, sbattendo la propria lancia contro il pavimento.

I briganti tacquero, ma continuarono a fissarla con un’espressione strana, come se fossero spaventati.

“Chi non lo sarebbe in gattabuia?”

- Dov’è l’uomo che stava qui dentro prima di loro?- chiese la ragazza, quando la guardia fece silenzio.

-L’uomo? Vorrai dire il mostro.

- Dov’è?- ripeté secca Chiara.

Con una scrollata di spalle, quello rispose: -È stato giustiziato.

Fu come se qualcuno le avesse rovesciato addosso un secchio d’acqua fredda e il suo muro di autocontrollo crollò: -COSA???

-Era già stato condannato alla detenzione a vita- rispose impassibile la guardia, sebbene sembrasse godere della reazione della ragazza -Ma la sua condotta irrequieta lo ha portato alla soluzione estrema. Il suo ultimo atto di ribellione lo ha condotto alla morte.

Chiara sentì una scossa pervaderle le membra, poi un pensiero si insinuò nella sua mente.

“È colpa mia”

Quello che successe dopo avvenne troppo in fretta perché il suo cervello potesse registrarlo come ricordo: a Chiara parve che i suoi occhi e le sue gambe andassero a fuoco, una leggera brezza le accarezzava il volto mentre correva, senza sapere esattamente dove. Alla fine si ritrovò, stanca e con il respiro affannoso, sotto un albero, rannicchiata e in lacrime.

Il senso si colpa era una lama sottile che le perforava i polmoni e pungeva le pareti del suo cuore. Ogni battito, ogni respiro le provocavano un forte dolore. Gli occhi le bruciavano e sentiva la pelle delle guance e del mento completamente bagnata.

Tre parole rimbombavano nella sua testa, come un’eco interminabile: “È colpa mia… È colpa mia… È colpa mia… È colpa mia…”

Per un attimo le parve che una seconda voce, più calma e ferma, rispondesse a quell’eco: -No.

Poi il silenzio. L’eco era sparita e, sebbene il senso di colpa fosse ancora lì a punzecchiarla, le sue gambe erano tornate normali, così come il suo respiro.

Chiara si asciugò le lacrime nel vestito e, tenendosi alla corteccia dell’albero con entrambe le mani, si sollevò.

Si guardò intorno: ormai era calata la notte e in città avevano acceso le luci nelle case e per le strade; il ponte arcobaleno brillava dei sette colori. Davanti a lei, le mura del palazzo.

“Ne ho fatta di strada…”

Si incamminò verso le porte di ingresso, dove due guardie le bloccarono il passaggio.

-Identificati!

Con un filo di voce, resa roca dal gran pianto, la ragazza esordì: -Io sono…

-Chiara!

Alle spalle dei soldati apparve Thor, brandendo Mjolnir: -Dov’eri finita? È dalla fine della cena che ti cerco! Avanti, rientriamo e non sparire mai più in questo modo!

Thor le afferrò la mano e la condusse oltre le mura, poi, dopo qualche minuto, lasciò la presa e si diresse a lunghi passi fino alle sue stanze, seguito, a qualche metro di distanza, da Chiara.

Quando le porte della stanza si chiusero dietro di loro, Thor la afferrò di nuovo per il braccio e la trascinò vicino a sé. Il suo sguardo la spaventò: era su tutte le furie.

-Cosa credevi di fare?- domandò bruscamente l’uomo, tenendola saldamente -Pensavi di poter scappare? Sei forse impazzita? Io mi sono preso la responsabilità delle tue azioni confidando di avere a che fare con una persona responsabile e consapevole della sua posizione e non con una completa idiota! Non capisci che la fuga è considerata tradimento? Tu ora sei parte della corte e fuggire ti farebbe diventare una traditrice. Non ti basta essere già sul filo del rasoio?

Chiara non riusciva a dire una parola, la notizia della morte del suo salvatore era stata semplicemente troppo, si sentiva annullata e quello che Thor aveva da dire non aveva alcuna importanza per lei.

Finalmente il dio parve accorgersi dello stato in cui si trovava la creatura che teneva stretta nella sua mano: sembrava così piccola e fragile, in quelle condizioni, che avrebbe potuto schiacciarla con ridicola facilità.

Allentò la presa, lasciando che l’arto gli scivolasse tra le dita, fece un passo indietro e, inspirando profondamente, riprese, con calma:- Ascoltami, per favore, io so che è difficile e capisco come ti senti, ma non è il caso di fare azioni avventate.

-Tu non sai niente.

Fu come un sussurro, ma rimbombò nel silenzio che si venne a creare subito dopo.

-Cosa hai detto?- la voce del Dio del Tuono era di nuovo incrinata dalla rabbia.

Ormai il danno era fatto, così Chiara riprese: -Tu non sai niente. Dici di sapere cosa provo solo perché hai fatto una vacanza sulla Terra, ma non hai idea di quello che significhi sentirsi impotenti e soli. Mi chiedi della mia famiglia come se te ne importasse qualcosa, ma è solo ipocrisia. Ti atteggi come se anche tu provassi dolore, ma guardati! Sei nel tuo palazzo con tutti gli onori, con i tuoi amici e la tua famiglia…

-NON OSARE PARLARE DELLA MIA FAMIGLIA!- ruggì Thor, sbattendo un pugno contro il tavolo da toeletta di marmo, rompendolo in due pezzi.

-ALLORA PERCHÉ NON NE PARLI TU, INVECE DI STARE LÌ A PIANGERTI ADDOSSO?- urlò a sua volta la ragazza.

La domanda colse il dio di sorpresa, che ammutolì.

La sorpresa, però, non placò la sua ira, che trapelava vistosamente dalla contrazione quasi innaturale della mascella e dalla pulsazione di una vena sulla tempia sinistra.

-Ho commesso un errore- disse alla fine l’uomo, la sua voce era spaventosamente calma -Ti sollevo dal tuo incarico. Domani mattina, dopo la mia partenza, verrai ricondotta nelle prigioni.

-Bene- rispose Chiara -vuole una mano a preparare i bagagli, Maestà?

L’uomo non rispose, ma aprì una cassapanca e ne estrasse un paio di sacche da viaggio, poi uscì dalla stanza, chiudendola a chiave dall’esterno.

 

Angolo dell’autrice: rieccoci! Scusate l’andazzo tragico del capitolo, ma stava andando tutto troppo bene per i miei gusti ed era il momento di alzare il livello del dramma. Ora scappo, scusate la toccata la fuga, ma purtroppo sono oberata di cose. Non vedo l’ora di pubblicare un nuovo capitolo quando sarò libera da ogni impegno. Grazie mille per la vostra attenzione e il vostro tempo!

Statemi bene, mi raccomando!

Lady Realgar

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Capitolo 7
*** Grazie, Heimdall ***


La mattina dopo Chiara venne destata dalla luce del sole, ma, sebbene avesse dormito a sufficienza, si sentiva addosso una grande stanchezza. Quello era stato uno dei sonni più tormentati che avesse mai avuto in vita sua: la litigata con il Dio del Tuono e il pensiero che sarebbe tornata in prigione da lì a poche ore l’avevano innervosita al punto da farle avere di nuovo quello strano incubo che di aveva avuto due notti prima.

Strofinandosi le palpebre riusciva ancora a vedere quegli strani occhi, uno rosso e uno verde, che la fissavano, mentre quella risata agghiacciante le rimbombava nelle orecchie.

Il grande letto a pochi metri da lei era sfatto e vuoto.

Nessuna traccia di Thor.

“Chissà se è già partito?” si chiese la ragazza, stiracchiandosi, ma non fece in tempo a formulare un altro pensiero che una luce violenta e un forte boato entrarono nella stanza attraverso le finestre.

Chiara accorse subito al davanzale per scoprirne la causa e vide che, alla fine del ponte color arcobaleno, l’osservatorio circolare stava …

“Ruotando! Quel maledetto osservatorio sta ruotando come una trottola!”

La luce e il rumore erano completamente dissolti nell’aria e la cupola dell’edificio (che oramai Chiara non riusciva più a considerare come un osservatorio astronomico) stava lentamente perdendo velocità fino a ritornare alla sua solita posizione, come se non si fosse mai mosso di un millimetro.

Chiara corse verso la porta e la tirò, inaspettatamente quella si aprì con uno scatto.

“Non si aspettano che vada lontano” pensò la ragazza con un sorriso amaro sulle labbra “Bene, il danno è fatto, andiamo a vedere cos’è in realtà quell’osservatorio fasullo!”

Si voltò e aprì una cassapanca, da cui estrasse una casacca e dei pantaloni e li indossò, poi prese un cappello scuro, in cui nascose i capelli, e si calò la tesa sugli occhi.

I pantaloni e le maniche della maglia erano ben più lunghe dei suoi arti e le rendevano difficile il movimento, ma il gioco valeva la candela e Chiara, in punta di piedi, aspettandosi di veder sbucare da un momento all’altro un manipolo di soldati alla sua ricerca, scivolò fuori dalla stanza e si incamminò, cercando di stare il più possibile negli angoli bui dei corridoi e delle sale che attraversava.

Più di una volta dovette nascondersi per evitare di esser vista dalla servitù e da un paio di guardie, fortunatamente troppo impegnate a conversare e a ridere con delle servette per accorgersi della sua presenza.

Giunta al cortile si mimetizzò tra alcuni garzoni che sostituivano i bersagli per il tiro con l’arco, riuscendo così ad attraversare l’area senza essere notata.

Continuò a camminare, tenendo gli occhi bassi e pregando che nessuno la fermasse, il cuore le batteva a mille e le orecchie le fischiavano per il flusso di sangue eccezionalmente consistente.

Qualcuno ascoltò le sue preghiere perché riuscì ad arrivare alle mura senza incontrare nessuno, ma un nuovo problema le si pose davanti: oltrepassare le porte senza farsi notare dalle guardie. Doveva farsi venire in mente un’idea prima che qualcuno la scoprisse.

“Avanti, Chiara! Pensa!”

Si guardò nervosamente intorno, in cerca di qualcosa che potesse suggerirle una via di fuga; ovviamente le mura erano troppo altre per poter essere scalate, nemmeno se Chiara avesse avuto le forze per tentare una simile impresa. L’unica cosa a portata di mano erano delle fiaccole rimaste accese dalla notte precedente.

Finalmente un’idea: Chiara prese una delle torce e la lanciò contro un mucchio di bersagli e manichini in fieno; non appena cominciarono a sprigionare delle belle fiamme arancioni gridò, falsando la voce perché fosse più grave: -Al fuoco! Al fuoco!- per poi nascondersi vicino alle porte.

Funzionò. Prontamente le guardie corsero verso l’incendio, sbraitando a destra e a manca di prendere dell’acqua, mentre battevano le fiamme con i loro mantelli. In quella confusione la ragazza riuscì a sgattaiolare fuori dalle mura e ad allontanarsi lungo la strada.

Attraversò una piazza, cercando di sembrare impassibile e di confondersi tra la folla che si accalcava presso le bancarelle del mercato, discutendo di prezzi e di merce varia.

Finalmente, dopo qualche minuto in cui dovette aprirsi un varco in mezzo alla ressa di persone che tentavano di acquistare il pane, riuscì a imboccare una via poco affollata, lungo la quale si alternavano abitazioni private e botteghe di artigiani.

Dalla strada riusciva a sentire le voci degli abitanti all’interno delle loro case, il battere di un martello sul ferro proveniente dal laboratorio di un fabbro e il rumore cadenzato di una sega su un’asse di legno dalla bottega di un falegname, ma quello che attrasse maggiormente la sua attenzione fu una vetreria.

All’interno di quell’ambiente, reso piccolo e scomodo dalla presenza di un grande forno, un uomo grande quanto un armadio a tre ante con grosse mani callose soffiava dentro un lungo tubo, da cui, all’estremità opposta, usciva una bolla incandescente, che un secondo uomo, più basso e minuto, lavorò fino ad ottenere una lastra per finestre, al cui centro si estendeva un segno tondeggiante, simile ad un grosso occhio spalancato, dovuto al distacco dal tubo.

Era uno spettacolo affascinante, soprattutto perché, a dispetto dell’ambiente angusto, gli artigiani si muovevano con un’agilità e una confidenza sorprendente.

Il chiacchiericcio di alcune donne la distrasse dalla contemplazione dei vetrai e riprese a camminare per le vie tortuose, cercando di seguire la linea immaginaria che collegava il castello al ponte.

Dopo circa una mezz’ora Chiara uscì dalla zona abitata, per sbucare nel porto; l’accesso al ponte sopraelevato era a poche decine di metri alla sua sinistra.

Salì per una lunga rampa di scale e il suo piede entrò in contatto, finalmente, con la superficie fredda del ponte multicolore, che emanò una pallida luce dorata non appena venne toccato dalla pelle della ragazza.

Ogni passo provocava quel bizzarro fenomeno, come se, camminando, i suoi piedi lasciassero una leggera impronta luminosa in mezzo a quei colori sfavillanti.

Fu sorprendente per Chiara scoprire quanto lunga fosse la distanza che il ponte copriva, ma finalmente raggiunse l’ingresso dell’enorme sfera di metallo.

-Alla fine ce l’hai fatta ad arrivare, ma la prossima volta evita di usare il fuoco come diversivo: potresti provocare un incendio.

Una voce profonda l’accolse da dentro l’edificio, facendola sobbalzare per la sorpresa: in effetti non aveva considerato che avrebbe potuto trovare qualcuno all’interno.

-Togliti quel cappello e lascia che il tuo viso goda del calore del giorno- proseguì la voce e Chiara, sbigottita, obbedì, lasciando scivolare i capelli arruffati sulle spalle.

Titubante, avanzò finché non ebbe superato la soglia d’ingresso dell’edificio, al cui interno un intricato disegno di ingranaggi metallici scintillava sopra un uomo, eretto su un piedistallo al centro.

-Non aver paura- proseguì l’uomo  -Non intendo farti del male.

Era alto e possente e la sua armatura dorata emanava bagliori dello stesso colore sulla sua pelle scura. Le mani erano strette sull’elsa di una grossa spada e i suoi occhi, grandi e color dell’ambra, sembravano persi nel vuoto.

-Chi sei?- domandò infine Chiara.

-Mi chiamo Heimdall e sono il guardiano del Bifrost- rispose calmo.

-Il Bifrost sarebbe questo ponte? Ma a cosa fai la guardia? Qui non c’è niente.

-Mia cara, scoprirai che non è dall’apparenza che si può giudicare il valore di qualcosa: vi sono cose futili alla vista, ma per cui ci si scopre disposti a combattere.

-Non ho intenzione di combattere contro nessuno- ribatté la ragazza di rimando -ad ogni modo, cos’è questo posto?

-Questo è quello che, immagino, stavi cercando: il Bifrost è il ponte che collega Asgard ai Nove Regni, ma non ti farò passare e se proverai a costringermi io ti attaccherò.

Le speranze di Chiara si dissolsero come una bolla di sapone: non avrebbe mai potuto contrastare quell’energumeno e, anche se fosse riuscita a sottometterlo, non aveva idea di come funzionasse il Bifrost.

Rimase in silenzio, indecisa tra il provare a convincere Heimdall della propria innocenza e il tornare a palazzo prima che qualcuno si accorgesse della sua mancanza.

L’uomo, dopo un minuto di silenzio, riprese a parlare: -Quale mistero può mai nascondersi dietro una fanciulla midgardiana? Come è stato possibile che per la seconda volta in migliaia di anni qualcuno sia riuscito a oltrepassare la mia sorveglianza e a introdursi ad Asgard? Qual è il tuo mistero, Chiara di Midgard?

“La seconda volta?”

Avrebbe voluto chiedere quale era stata la volta precedente a cui si riferiva il Guardiano, ma quello la anticipò dicendo: -Il nostro tempo è scaduto, stanno venendo a prenderti.

“Maledizione!”

L’avevano scoperta, ma come avevano fatto a sapere che si trovasse lì? Forse immaginavano che avrebbe cercato di scappare attraverso il Bifrost?

Si stava facendo prendere  dal panico: non c’erano posti in cui nascondersi e buttarsi in mare da quell’altezza sarebbe stato come schiantarsi contro un muro di cemento armato. L’avrebbero trovata, l’avrebbero presa e l’avrebbero messa in cella, dove avrebbe fatto di sicuro una brutta fine.

-Non temere- la voce rassicurante di Heimdall sembrava provenire da una galassia lontana -Non hanno cattive intenzioni.

Un rumore di zoccoli contro la superficie vetrosa del ponte si fece sempre più chiaro e distinto finché, giunto fino all’ingresso della cupola, si estinse, sostituito da un nitrito e una voce: -Buongiorno Heimdall! Come sta l’Universo?

Fandral, vestito di azzurro cielo, con baffi e pizzetto perfettamente curati e un grande sorriso sulle labbra, fece il suo ingresso nell’edificio.

-Le stelle brillano e si spengono, i pianeti ruotano e la vita prosegue il suo ciclo.

-Molto bene- rispose il guerriero e, accorgendosi della presenza di Chiara, aggiunse: -Vedo che hai trovato quello che stavo cercando.

-Stavamo facendo conoscenza- ribatté impassibile Heimdall - È piuttosto smarrita in questo momento, cerca di essere gentile.

-Io sono sempre gentile con le donne!- rispose offeso Fandral, puntellando i pugni sui fianchi, in segno di disapprovazione. -Ad ogni modo- riprese, rivolgendosi a Chiara -Dobbiamo tornare a Palazzo, ordini del principe.

-Lo so- sospirò la ragazza, seguendo l’uomo verso l’uscita, poi la curiosità ebbe il sopravvento e, prima che lui la sollevasse su uno stupendo cavallo bianco, bardato con finimenti di cuoio rifiniti in oro, chiese: -Perché gli hai chiesto dell’universo?

Colto alla sprovvista da quella domanda, Fandral rispose: -Si dice che Heimdall possa vedere un filo d’erba muoversi al vento su pianeta dall’altra parte della galassia e sentire il suono delle stelle che bruciano e dei pianeti che si muovono, ma ultimamente penso stia perdendo il suo smalto.

Fu come una folgorazione e Chiara corse di nuovo verso l’edificio; non appena si trovò di fronte il Guardiano, chiese in un fiato: -Puoi vedere quello che succede sulla Terra?

L’uomo le sorrise e, con il suo solito tono tranquillo, rispose: -Certamente.

-Puoi vedere i miei genitori?

-Sai dirmi dove si trovano?- chiese gentilmente.

-Conosci la città di Siena? È in Toscana, nel centro Italia, la penisola a forma di stivale nel mar Mediterraneo, però non verso est, ma ad ovest, tra le colline. A sud di Firenze, ma a nord di Roma. È una città dal centro medievale… cioè piena di case antiche fatte di pietra e di laterizi e… nel centro storico ci sono una grande piazza, con il Palazzo Comunale e la Torre del Mangia… insomma, una torre molto alta, e all’opposto della piazza, proprio davanti al palazzo, c’è una grande fontana di marmo con sculture di persone e di lupi… sì! Ci sono dei lupi! La mia casa si trova poco fuori quella città, nella campagna a sud, è piuttosto isolata ed è esattamente a fianco di un boschetto di olmi centenari. Dovrebbero trovarsi lì1.

Sperò di aver dato delle indicazioni adeguate: come si faceva a spiegare a un alieno dove si trovasse una città all’interno di un continente su un altro pianeta?

Ci fu il silenzio, interrotto solo dai passi di Fandral che si avvicinava. Chiara temette che l’avrebbe trascinata fuori a forza, ma l’uomo si mise al suo fianco e rimase in silenzio, in attesa.

Heimdall estrasse la spada dal lungo fodero che gli pendeva su un fianco, la sollevò e la conficcò in una sporgenza sopra il piedistallo. Un rumore di ingranaggi accompagnò il movimento della cupola sopra di loro, che si arrestò solo quando si fu aperto un varco nell’edificio. Oltre quel varco, l’universo si estendeva infinito.

Era uno spettacolo meraviglioso, ricco di luce e di colore, simile a un enorme caleidoscopio.

Ci fu qualche secondo di silenzio, in cui la ragazza fu divisa tra l’emozione di trovarsi di fronte a uno spettacolo così straordinario e l’ansia nell’attesa che Heimdall dicesse qualcosa.

Alla fine, il Guardiano parlò: -Li vedo. Un uomo e una donna. Lei piange, sconsolata, mentre lui parla con un uomo in uniforme. Sta dicendo “Non abbiamo trovato niente, cercheremo ancora”. Assieme a loro c’è un ragazzo, avrà più o meno una quindicina d’anni. Ha gli occhi rossi e abbraccia la donna.

-Ti sembrano in salute?- lo interruppe Chiara.

-Sì- rispose l’uomo -Disperati, ma in salute.

-Puoi parlare con loro?

-No.

-Posso farlo io?

-No.

-Grazie, Heimdall- concluse, alla fine, la ragazza, dopo un profondo sospiro, e seguì Fandral senza proferire verbo o opporre resistenza.

Si lasciò placidamente mettere in groppa al cavallo e osservò il paesaggio mentre tornavano al galoppo verso il palazzo reale. Durante il percorso scoprì che il Bifrost era collegato direttamente al palazzo e che lei doveva essere uscita da una porta secondaria: l’ingresso principale, infatti, era molto più imponente e sfarzoso, progettato per trasmettere a chi vi accedeva il potere e la ricchezza che custodiva.

Oltrepassate le mura, Fandral fermò il cavallo, aiutò la ragazza a scendere e affidò l’animale a uno stalliere che prontamente era accorso al loro arrivo per prendere il destriero sotto le proprie cure.

-Bene- esordì il guerriero non appena lo stalliere sparì dentro alle stalle -Immagino che in cucina abbiano bisogno di te, è quasi ora di pranzo.

-Cosa?

-Dovrai servire ai tavoli, possibilmente senza ustionare nessuno.

-Intendo dire, Thor mi ha licenziata, ha detto che sarei finita di nuovo in prigione.

-Ed è per questo che sei scappata anche stamattina?

-Non sono scappata!- rispose inviperita la ragazza -Ho sentito un rumore assordante e volevo capire da dove provenisse! E comunque, per tua informazione, non sono scappata neanche ieri sera. C’è stato un malinteso!

L’uomo sembrò rifletterci, valutando le parole della sua interlocutrice, poi riprese: -Farò sapere la tua versione dei fatti a Thor, ma ritieniti fortunata: dopo gli ultimi arresti nel Vanaheim la prigione trabocca di gente e Thor ha saggiamente preferito non metterti in cella con quei poco di buono, così ti ha affidata alla mia custodia fino al suo ritorno. Penso voglia prendersi del tempo per decidere cosa fare di te.

L’aveva scampata ancora una volta! Chiara ringraziò la sua buona stella.

-Comunque- riprese Fandral -Eccoti le direttive: le guardie sono state avvisate della tua tendenza all’evasione, perciò ti sconsiglio caldamente di seguire altri rumori fuori dal palazzo; dovrai continuare a comportarti come se nulla di tutto quello che è accaduto nelle ultime ore sia successo: se Thor è incline al perdono, non si può dire altrettanto di Odino e, se sapesse che sei uscita dalle mura del castello non ti riserverebbe lo stesso trattamento che hai ricevuto da suo figlio. Al momento ne siamo al corrente noi due, Thor, ovviamente, Volstagg, Hogun e Sif, ma non temere: in quanto amici più cari del principe non saremo certo noi a spifferare i suoi segreti; per quanto riguarda la ragazza che ha mi ha dato la notizia della tua scampagnata mattutina, ho provveduto personalmente a dissuaderla dal raccontare il fatto ad altri.

-Aspetta un momento!- lo interruppe Chiara -Qualcuno mi ha denunciata?

-Beh, non potevi davvero credere di essere irriconoscibile solo indossando un paio di pantaloni, e comunque ti preferisco con l’abito lilla! Inoltre, a fine giornata, prima di andare a dormire, dovrai venire da me: se durante il giorno avessi ricevuto lamentele circa il tuo comportamento, ho l’ordine di chiuderti nelle stanze di Thor fino al suo ritorno. Sono stato chiaro?

Chiara, pensando che la conversazione fosse finita e domandandosi chi avrebbe potuto riconoscerla in mezzo alla folla, fece un cenno del capo e prese congedo, ma il guerriero alle sue spalle aggiunse: -Un’ultima cosa, credo che tu piaccia a Thor, vedi di non deluderlo di nuovo.

“Ne dubito fortemente” pensò la ragazza mentre attraversava l’edificio per raggiungere le cucine. A parte i soliti sguardi incuriositi e i bisbigli che si scambiava la servitù al suo passaggio, nulla sembrava essere cambiato. Tutti sapevano che il giorno prima aveva ustionato per sbaglio una recluta, ma nessuno era al corrente del suo “tentativo di evasione”?

“Però… Bisogna riconoscere che Thor sa ottenere quello che vuole quando ci si mette!”

Persino Kalista, troppo impegnata a essere triste per la mancanza del suo amato, non ebbe nulla da dirle nelle cucine, se non qualche sprezzante commento sul suo abbigliamento.

“Che sia stata lei?” si chiese Chiara mentre serviva ai soldati il pranzo “Sembra la persona più adatta per commettere una bassezza del genere, senza considerare che mi odia palesemente.”

 

 

1 Chiedo scusa a tutti coloro che vivono a Siena per il mio modo impacciato di collocarla nella geografia nazionale, ma, in mia difesa, vorrei dire che è dannatamente complicato tentare di spiegare a qualcuno, che non conosce minimamente la geografia di un pianeta, l’ubicazione di un punto così specifico come una città all’interno di uno stato. Personalmente avrei difficoltà anche a spiegare dove si trova casa mia. Abbiate pazienza, per favore, e tenete conto che ho anche cercato di creare un momento tragicomico in quel punto della narrazione. Godetevi la storia e pensate che a Natale siamo tutti più buoni ;)

Angolo dell’autrice: dopo aver fatto ammenda dei miei peccati, eccomi di nuovo a proporre un nuovo capitolo della storia. Temevate che la povera Chiara si ritrovasse di nuovo dietro le sbarre, vero? Ma sotto sotto lo sappiamo tutte che Thor è un bravo ragazzo e che non avrebbe messo davvero una fanciulla indifesa in pericolo. Sarà sempre così? Come saranno i loro rapporti una volta che il Dio del Tuono sarà tornato dal Vanaheim?

Ringrazio tantissimo coloro che hanno cominciato a seguire questa mia storiella e coloro che hanno lasciato i loro commenti e le loro opinioni: lo apprezzo davvero molto e (estendo questo pensiero a tutti), se avete dei commenti, positivi o negativi che siano, non  temete di esprimerli (sempre che siano delle critiche costruttive).

Non sapendo se aggiornerò prima delle feste, vi faccio i miei più sinceri e calorosi auguri di buon Natale, che possa essere per tutti un giorno di gioia in compagnia delle persone a cui volete bene.

Alla prossima e statemi bene,

Lady Realgar

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Capitolo 8
*** Il nome è Fandral e l'indirizzo è il 221B di Ásaheimr Street ***


Cercò tutto il giorno, tra i piatti da lavare, i panni da stendere e le sale da ripulire, di cogliere nella sua sospettata numero uno un qualche comportamento che tradisse la sua colpevolezza, ma non ottenne nulla, se non delle occhiatacce in cagnesco e delle battute acide.

Abbandonato il tentativo di smascherare Kalista, dedicò il resto del giorno e lavorare sodo e cercare di avere un comportamento impeccabile; finalmente, arrivò la sera: la cena era stata servita (Chiara notò che, oltre a Thor, mancavano diverse persone e anche i posti di Volstagg e di Hogun erano vuoti), i piatti erano stati lavati e l’unico impegno rimasto era vedere Fandral.

“Sì, bene, ma dove lo trovo?”

Vagò per qualche minuto nel labirinto di stanze, scale e corridoi del castello, senza sapere esattamente dove andare e sperando, ma invano, di incrociarlo, finché, fortunatamente, non scorse in lontananza Angnis.

La donna trasportava delle lenzuola appena lavate dentro una grande cesta di vimini, seguita da alcuni bambini, che a loro volta portavano delle ceste e giocavano a tenerle in equilibrio sulla testa e a rubare vestiti dalla cesta del vicino.

-Buonasera Angnis- esordì Chiara, correndole incontro.

-Buonasera a te, Chiara!- rispose quella con un gran sorriso, poi, aggiunse, notando le facce incuriosite e un po’ spaventate dei bambini: -E voi? Non si saluta?

Alcuni accennarono un “ciao”, la maggior parte di loro non disse una parola.

-Devi perdonarli- si affrettò a dire Angnis, lanciando uno sguardo di rimprovero al gruppetto -Sono piuttosto vivaci quando si trovano in compagnia di gente che conoscono, ma sono molto timidi con gli sconosciuti, piuttosto che cos’è questo nuovo abito? È un modo sottile per dirmi che hai bisogno di vestiti?

Chiara fece una risatina imbarazzata e rispose: -Ammetto che mi sarebbero molto utili dei vestiti un po’ più comodi, ovviamente se non sei troppo impegnata. E anche delle scarpe.

-Sì, riconosco che ti farebbero un gran bene- ammise Angnis, notando i piedi sporchi di terra e polvere della ragazza, che avvampò di vergogna.

-Vorrei chiederti un’altra cosa- riprese Chiara -Sai dove posso trovare Fandral?

-Sir Fandral- la corresse la donna -Ha le sue stanze al piano di sopra, la prima porta sulla sinistra.

-Grazie mille, Agnis! Ciao ragazzi!- salutò rivolgendosi ai bambini e facendo un buffetto sulla guancia a un ragazzino particolarmente in carne, che si irrigidì a quel contatto.

La ragazza, di fronte a quella reazione, ritrasse mortificata la mano e si allontanò, seguendo le indicazioni ricevute fino al raggiungimento della meta.

La porta era socchiusa e lasciava filtrare un filo di luce, così Chiara alzò il pugno per bussare ma…

-Fidati, c’è dietro il suo zampino!

La voce, molto adirata, di Lady Sif arrivò alle sue orecchie, poi fu il turno di Fandral: -E io ti ripeto che non è possibile, i morti non possono farlo.

“Di cosa stanno parlando?” si domandò Chiara, abbassando la mano e rizzando le orecchie.

-Fandral, non sarebbe la prima volta che lo crediamo morto.

-Sì, ma questa volta Thor l’ha visto spirare. È morto tra le sue braccia, Sif! Non ricordi il giorno che ce l’ha raccontato? Non ricordi in che stato si trovasse? Sif, Thor ha visto suo fratello morire!

-Loki non è suo fratello e rimane comunque il Principe degli Inganni. Non può essere una coincidenza: quella ragazza è apparsa dal nulla senza che Heimdall la vedesse e senza che le guardie la notassero è riuscita ad uscire dalle mura! Tutto ciò è estremamente sospetto: come può una straniera che non ha mai visto il palazzo prima d’ora riuscire a fare una cosa del genere? Soltanto una persona riusciva a sbucare da ogni angolo senza che nessuno sapesse da dove fosse arrivata, solo una persona conosceva il palazzo come le proprie tasche, solo una persona ha dimostrato di saper passare da un regno all’altro senza usare il Bifrost e quello era Loki! Per quello che sappiamo potrebbe essere lui travestito.

-Ora esageri, Sif, Thor ha raccontato che quando l’ha trovata nel bosco era sconvolta e a mala pena riusciva a parlare. Di certo non poteva tramare qualcosa contro il trono in quelle condizioni. Inoltre Heimdall ha visto i suoi genitori su Midgard. Lei gli ha detto dove guardare e lui li ha visti.

-Come faceva a trovarsi al Bifrost?- nella sua voce si sentiva crescere il sospetto.

Fandral esitò prima di rispondere, poi, con un tono che tradiva il rimorso per essersi lasciato scappare quell’informazione, proseguì: -L’hanno vista aggirarsi per la città e salire sul ponte. Quando sono arrivato, l’ho trovata che parlava con Heimdall.

-Lo sapevo!- disse la donna, sbattendo un pugno sul tavolo presso il quale sedeva lo spadaccino -È fuggita di nuovo! Ascoltami, Fandral, dobbiamo avvisare Odino prima che quella scellerata metta in atto i suoi piani!

L’uomo si alzò di scatto, facendo cadere la sedia con un tonfo: -Tu non dirai proprio un bel niente! Abbiamo dato la nostra parola a Thor e lo metteremmo nei guai con suo padre se Odino venisse a sapere l’accaduto e, inoltre, non possiamo denunciare una persona solo perché tu hai dei sospetti o perché non ti piace.

-Hai ragione, quella ragazza non mi piace, ha la stessa sfacciataggine e la stessa arroganza di quel mostro, ma non è per questo motivo che insisto nel voler prendere provvedimenti. Forse la tua memoria è arrugginita, ma io mi ricordo molto bene la sofferenza e la distruzione che Loki ha portato ovunque andasse, ma soprattutto ricordo i suoi raggiri e i suoi inganni; ricordo quando fece credere a Thor di essere stato bandito da Asgard o quando tentò di fermarci dal riportarlo a casa; ricordo quando cadde nell'abisso e tornò con un esercito di Chitauri e il Tesseract!

-Loki ha compiuto delle azioni imperdonabili nel corso della sua vita, non credere che non lo sappia! C’ero anch’io quando ha usato il Distruttore contro di noi, ma è morto combattendo a fianco di Thor per salvare i Nove Regni ed è caduto con onore. Riapriresti solo vecchie ferite a persone che già soffrono per la morte dei propri cari. Finché non avrai prove certe della sua colpevolezza, lascia in pace quella povera ragazza e tieni la bocca chiusa.

La conversazione era conclusa e Chiara sentì i passi di Sif avvicinarsi alla porta; con uno scatto riuscì appena in tempo a raggiungere le scale e a scendere di qualche gradino, per poi risalire, fingendo di arrivare in quel momento.

Si trovò di fronte lo sguardo gelido di Sif puntato su di lei: -Cosa ci fai tu qui?- le chiese scorbutica la donna, aspettandosi di averla colta nel mezzo di qualche losco affare.

-Lei è qui per vedere me, Sif- rispose al posto suo Fandral dalla porta della stanza.

La guerriera lanciò un’ultima occhiataccia alla ragazza e se ne andò, mentre Fandral accoglieva Chiara nelle sue stanze.

-Scusala- disse il guerriero -Fa tanto la dura, ma quando la conosci è gentile e simpatica.

-E quando comincia ad essere simpatica?- domandò Chiara, strappando un sorriso all’uomo, mentre si chinava per raccogliere la sedia.

-Ha dovuto passare le pene dell’inferno per dimostrare a tutti che fosse adatta a diventare soldato e lo è diventata eccome! Uno dei migliori, ma il suo carattere ne ha un po’ risentito, quando poi ha scoperto che Thor si era trovato una donna su Midgard è stata intrattabile per un mese. Ad ogni modo, tu sei qui perché te l’ho ordinato e mi fa piacere vedere che sei stata disciplinata, inoltre le guardie mi hanno riferito che hai lavorato tutto il giorno e non sei uscita dai confini del palazzo. Ne sono compiaciuto.

-Mi hai fatta pedinare?- chiese scandalizzata la ragazza.

-Ordini del principe, mia cara. A conti fatti anch’io sono un sottoposto e devo eseguire gli ordini.

Scese il silenzio, sembrava che entrambi volessero dire qualcosa, ma non fossero sicuri se fosse saggio o meno farlo, poi Fandral riprese a parlare: -Mi dispiace per i tuoi genitori, davvero.

-Stanno bene, è l’unica cosa che conta.

A quella risposta Fandral fece un ampio sorriso e continuò: -Per quanto possa dire Sif, credo che Thor abbia ragione: sei una brava ragazza e, modestamente, ho una certa esperienza in fatto di donne.

Chiara si sentì bruciare le guance: -Ti ha parlato di me?

-Da quando sei arrivata non si è praticamente discusso d’altro! Anche quando eri in cella andava a controllare piuttosto frequentemente se ti fossi svegliata oppure no. Un paio di volte ha creduto che fossi morta.

-Quanto tempo sono rimasta nelle prigioni?

L’uomo fece un rapido calcolo nella mente, poi rispose: -Quattro notti e tre giorni, più o meno. Ti hanno trovata sulla spiaggia ferita e priva di sensi e non ci è voluto molto per capire che non eri di queste parti. I Guaritori ti hanno controllata e per fortuna non avevi niente di grave, solo una leggera ferita alla testa e qualche graffio. Davvero non ricordi quello che ti è capitato?

Chiara annuì con la testa e Fandral sospirò: -Sei davvero un bell’enigma, mia cara.

-Tra noi due sei tu quello che dice di essere un esperto di donne; da quello che affermi dovresti essere in grado di svelare l’enigma.

“Avanti, fammi vedere se sei un pallone gonfiato o uno che ci sa fare!”

L’uomo, comodamente seduto alla scrivania, tenendo le mani congiunte per i polpastrelli, la fissò divertito e Chiara sostenne lo sguardo, sfidandolo apertamente.

-Non sei una schiava- cominciò l’uomo, continuando ad osservarla -E nemmeno sei abituata a fare lavori pesanti o manuali: la prima volta che ci siamo visti ti ho preso la mano e non ho sentito nemmeno un callo, ma al contrario la tua pelle è morbida, segno che non sei avvezza a fare lavori che richiedano un particolare uso delle mani; l’anello che porti al dito e il ciondolo d’oro a forma di piccola chiave che indossi al collo confermano la teoria per cui tu non sia una schiava, dato che difficilmente un servo può permettersi dei gioielli, e mi dicono anche che sei fidanzata: la pelle sotto di essi è più chiara rispetto al resto, a indicare che vengono portati gelosamente da molto tempo, inoltre l’anello è stato inciso con due iniziali, una C, che evidentemente è quella del tuo nome, e una M, probabilmente il nostro uomo fatale. Hai leggeri problemi di vista quando si tratta di vedere le cose vicine e hai avuto tempo fa un trauma al ginocchio, ma non si tratta dei graffi che ti sei procurata venendo qui: quelli si sono già rimarginati. È qualcosa di più vecchio, ma ne risenti ancora oggi, infatti zoppichi quasi impercettibilmente quando cammini.

-Oh…- fu l’unica cosa che Chiara, rimasta completamente senza parole, riuscì a dire, con estrema compiacenza del suo interlocutore, che si accarezzò soddisfatto il pizzetto.

-Sei libera di andare, ora. Non ho altro da dire- la congedò Fandral, accompagnandola alla porta.

“Porca miseria!”

Tornò alle stanze di Thor ripensando alla strana conversazione che aveva appena avuto con il guerriero; una volta che ebbe chiuso alle spalle la porta, si osservò le mani alla luce delle candele che qualche servo aveva portato e acceso nella stanza e, in effetti, la pelle sotto l’anello era più chiara e il ginocchio che aveva fratturato l’anno prima al corso di arti marziali ogni tanto le faceva male, ma nessuno le aveva mai detto che zoppicava.

-Wow!- sussurrò mentre spegneva le candele e si buttava con un tuffo sull’ampio letto di Thor. Le lenzuola erano appena state cambiate e profumavano di pulito.

“Occhio non vede, cuore non duole” si disse la ragazza mentre affondava la faccia nel morbido cuscino, addormentandosi.

 

L’angolo dell’autrice: eccoci qui, all’ottavo capitolo della storia. Spero che abbiate trascorso un buon Natale e che questo ultimo capitolo possa essere annoverato tra le belle cose che questa festività ha portato con sé. Sif e Fandral la fanno praticamente da padrone in questo capitolo, spero di averli caratterizzati bene (soprattutto il momento alla Sherlock dello spadaccino, infatti il titolo del capitolo è una citazione adattata da una famosa battuta del primo episodio Uno studio in rosa della serie della BBC. Se non avete avuto ancora modo di vederla, vi suggerisco caldamente di guardarla: è geniale sotto ogni punto di vista!).  

Ci vediamo alla prossima, statemi bene!

Lady Realgar

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Capitolo 9
*** Stelle estranee ***


Intorno a lei tutto era buio e silenzioso, quasi innaturalmente; in quell’oscurità non avrebbe nemmeno saputo dire se i suoi piedi poggiassero sul suolo o se stesse fluttuando nel vuoto, poi un boato squarciò l’aria e davanti a lei si aprì un varco, le cui pareti roteavano a gran velocità. Oltre quell’apertura, l’universo in tutta la sua bellezza di forme, luci e colori riluceva orgoglioso. Non fece in tempo a dire nulla, che sentì il suo corpo venire trascinato verso il varco e in un lampo si ritrovò a volare tra le galassie. Si sentiva libera e leggera, ma in lontananza vide avvicinarsi, sempre più velocemente, un pianeta grigio e freddo.

Ebbe paura: non sarebbe riuscita ad evitarlo in tempo e sperò con tutto il cuore che la guardia avesse avvisato suo padre di quello che stavano facendo.

Chiuse gli occhi, preparandosi all’impatto, ma non sentì dolore, bensì una sensazione di tepore. Aprì timidamente una palpebra e scoprì di non si trovarsi più in mezzo ai cieli e nemmeno su quel pianeta grigio, bensì in una sala dorata, molto simile a quella del trono, ma più piccola e nel mezzo, invece di esserci lo scranno reale, vi era una sorta di letto d’oro (che a Chiara ricordò molto la bara di cristallo di Biancaneve) dentro cui un uomo, disteso sotto una coperta candida, riposava.

Sembrava quasi una reliquia, così vecchio e immobile avvolto da tutto quello sfavillio dorato. Così fragile.

Per qualche ragione Chiara sapeva che quello era l’unico momento di vera fragilità di quel vecchio.

Si avvicinò per osservare meglio il suo viso e vide suo padre. No, non era suo padre, lei lo sapeva bene, eppure non riusciva a convincersene del tutto. Provò un sentimento di profondo affetto per quella vetusta creatura e desiderò proteggerla fino al suo risveglio, ma all’improvviso una gran rabbia le esplose nel petto: puro odio e desiderio di vendetta.

Un movimento oltre il letto attirò la sua attenzione, oltre tutto quell’oro, oltre tutto quel ridicolo sfarzo vi era la cosa più preziosa dell’universo, la più bella e la più cara. Una donna bellissima con lunghi capelli biondi e grandi occhi tristi, seduta dall’altra parte della reliquia, le sorrise affettuosa.

In lei tornò la calma, quel sorriso era quanto di più bello avesse mai visto e desiderò che non si spegnesse mai, poi l’ambiente cambiò: non si trovava più nella stanza dorata, ma in una più piccola e bianca.

Quella donna stupenda era ancora davanti a lei, ma era in piedi e indossava un vestito diverso e le stava parlando. Chiara non riusciva a sentire che cosa stesse dicendo, ma la cosa più importante era che fosse lì con lei. Eppure… perché si sentiva così triste? Aveva bisogno di toccarla, di sentirla più vicina. Anche Chiara disse qualcosa, ma il bisogno di stringere a sé la donna era troppo forte per ascoltare persino le sue stesse parole. Distinse solo una frase, l’ultima: -No, non lo sei- e l’incantesimo si ruppe: quel sorriso meraviglioso era svanito e un profondo senso di colpa la pervase. Doveva trovare il modo di scusarsi, di farle capire che le dispiaceva, ma quando cercò di toccarla, quella svanì nella sua tristezza.

Intorno a lei tornò di nuovo il buio e, nell’oscurità, una voce urlava: -Io… io sono il mostro di cui i genitori raccontano ai figli prima di addormentarsi? … Avrei dovuto salire sul trono, come era mio diritto dalla nascita.

Poi un’altra voce, più forte e furiosa: -Il tuo diritto di nascita era di morire!

Si svegliò di soprassalto, sudata e ansimante, sopra le lenzuola del letto su cui si era addormentata. Fuori dalla stanza era ancora buio e riusciva a intravedere il cielo stellato attraverso le finestre.

“Grazie al cielo era un sogno”, pensò Chiara strofinandosi gli occhi. Una lacrima le bagnò la pelle della mano destra.

Il tavolo da toeletta, notò la ragazza afferrando l’elegante manico d’argento della brocca, era stato sostituito, ma, al posto del marmo, era fatto in legno.

“Devono esserselo procurato in fretta e alla bell’e meglio”

Travasò un po’ d’acqua dalla brocca al catino e si sciacquò la faccia più e più volte: non riusciva a togliersi dalla mente il viso di quella donna, chiunque fosse, e quelle voci.

Ripensò ai suoi genitori e alla creatura che era morta, punita per averla salvata.

-Devo tornare a casa- sibilò tra i denti, mentre si asciugava il viso -Devo farlo per loro.

“Sì, ma come? Heimdall non mi permetterà di usare il Bifrost e di certo da sola non potrò costringerlo a violare gli ordini.”

Dalla finestra si vedeva la città dormiente, illuminata dalla pallida luce del ponte arcobaleno, mentre nel cielo brillavano migliaia di stelle. Per quando ci provasse, non riusciva a riconoscere nessuna delle costellazioni che era abituata a vedere sulla Terra.

“Capisci di essere davvero lontana da casa quando anche le stelle ti sono estranee.”

Ormai il sonno era completamente svanito e l’idea di tornarsene sotto le lenzuola non rappresentava alcuna attrattiva per la ragazza, così si mise a osservare il paesaggio fuori dalle finestre, cercando di non pensare a nulla, di liberare la mente da tutte le preoccupazioni e di godersi semplicemente il meraviglioso spettacolo di luci e oscurità danzanti che aveva davanti agli occhi.

Si svegliò qualche ora dopo per via di un merlo che, ispirato dal pallido sole dell’alba, aveva deciso di mettersi a cantare proprio alla finestra dove Chiara si era addormentata.

 

L’angolo dell’autrice: carissime (e carissimi se c’è qualche ragazzo là fuori) scusate la brevità del capitolo: era pensato per completare quello precedente, ma poi ho ritenuto che meritasse un’attenzione particolare visto che mi è sembrato piuttosto ricco di emozioni e di informazioni. Spero di aver fatto la scelta giusta e che possa essere di vostro gradimento. Grazie mille per il tempo che dedicate alla lettura della mia storiella!

Alla prossima e statemi bene

Lady Realgar

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Capitolo 10
*** Il ritorno del principe ***


Con il passare dei giorni era riuscita a crearsi una sorta di routine: dava il massimo in quel che faceva, cercava di non cedere alle provocazioni di Kalista e si dimostrava disponibile e affabile con tutti, insomma manteneva una condotta impeccabile e la sera, quando si recava nelle stanze di Fandral per fare il resoconto della sua giornata, non riceveva mai rimproveri o lamentele.

Riuscì addirittura a ricevere un permesso speciale (eccezionalmente conferito per buona condotta) per andare a trovare, rigorosamente sotto scorta, Heimdall e ricevere notizie da casa.

L’unica nota stonata di quel periodo fu l’irreperibilità di Angnis, chiusa nella lavanderia a lavorare a chissà quale progetto di cui era stata incaricata, perciò Chiara dovette attendere più a lungo di quanto avesse sperato per avere un proprio guardaroba, indossando a periodi alterni il vestito lilla e gli abiti di Thor.

Un altro aspetto positivo, che la compiacque oltremodo, fu il rapido miglioramento del suo senso dell'orientamento all'interno del labirintico palazzo asgardiano: cominciava a conoscere a mena dito tutte le stanze, i corridoi, i terrazzi e persino gli sgabuzzini; scoprì addirittura alcune utili scorciatoie per raggiungere più velocemente alcuni ambienti che frequentava, come le cucine e il cortile.

La mattina del settimo giorno dalla partenza di Thor, stava dormendo placidamente sul soffice materasso di piume nelle stanze del principe, quando un rumore, molto simile a un colpo di tosse, la destò.

Nella debole luce della mattina appena sorta le ci vollero alcuni secondi per mettere a fuoco la figura che si trovava di fronte, ma quando la vista tornò nitida, fece un balzo che la portò fuori dal letto: Thor era tornato e, braccia incrociate sul petto, la stava guardando con piglio severo.

-Ehm... ecco, io... bentornato!- balbettò la ragazza, assumendo una colorazione paonazza in viso e sentendosi le mani bagnarsi di sudore: aveva pensato e ripensato mille volte alle parole da riferirgli per riappacificarsi ed era quasi riuscita a preparare un discorso convincente, ma in quel momento, colta così alla sprovvista e  persino in “flagrante”, non riusciva a farsi venire in mente una frase di senso compiuto.

-Grazie- rispose il dio e, notando l'abbigliamento della ragazza, aggiunse: -Quella è la mia camicia?

"Oh cavolo!"

-A dire il vero...sì.

Avrebbe voluto che il pavimento sotto di lei si aprisse, lasciandola sprofondare nel sottosuolo.

"Addio riconciliazione!"

-Ho chiesto ad Angnis di confezionarmi degli abiti- spiegò con un filo di voce la ragazza -Ma è stata molto impegnata in questi giorni... così mi sono ... ehm... arrangiata.

-Non ha importanza- concluse secco il dio -Ho parlato con Fandral. Mi ha raccontato della tua visita al Bifrost.

"Grandioso! Per fortuna che non ho abiti o mi toccava fare pure i bagagli per tornare in cella!"

-Mi ha anche riferito- riprese l'uomo -Che dal momento in cui sei venuta a conoscenza dei miei ordini hai dimostrato un comportamento adeguato al tuo ruolo, nonché una discreta disciplina.

"Lo credo! Mi sono consumata le mani a furia di lavare lenzuola e pulire pavimenti!"

-Ci ho riflettuto e penso che il tuo impegno debba essere ripagato, perciò considerati di nuovo assunta.

Non ci credeva: aveva fatto tutto da solo; avevano fatto pace senza che lei dicesse una parola! Eppure... c'era ancora qualcosa che doveva chiarire.

-Anch'io vorrei dirti una cosa- esordì la ragazza.

-Ti ascolto.

-Ecco, io... vorrei chiederti scusa per la sfuriata della sera prima che partissi. Ti ho accusato senza conoscere la tua versione dei fatti e mi sono intromessa nelle tue questioni personali senza averne alcun diritto. Mi dispiace. Ho abusato della tua disponibilità e ne sono sinceramente dispiaciuta.

Calò il silenzio, mentre dalla finestra entrava, ovattato, il rumore della città che si risvegliava.

-No- disse infine Thor -Sono io a dovermi scusare: ero troppo concentrato sui miei pensieri per poter capire in che condizione ti trovassi e ho avuto una reazione esagerata quando hai cercato di spiegarti. Ero troppo accecato dal mio orgoglio per accogliere le tue accuse, che, in effetti, non erano del tutto infondate. Sono io quello che deve farsi perdonare.

-Però, il viaggio fuori porta ti ha fatto bene!- commentò la Chiara con una risatina, ma la reazione del principe non fu quella che si aspettava: invece di ridere, l’uomo si era rabbuiato e fissava il pavimento.

-Ehi- riprese la ragazza, preoccupata -Tutto bene?

Thor si abbandonò pesantemente sul letto, mettendosi a sedere e massaggiandosi la sella del naso con le dita. Dopo qualche secondo rispose: -Abbiamo cercato per tre giorni e tre notti l'accampamento di una tribù di banditi seguendo le indicazioni degli indigeni e quello che abbiamo trovato è stata una distesa di cadaveri. Donne e uomini, un'intera tribù sterminata e i corvi che banchettavano sui corpi maciullati. Abbiamo proseguito, alla ricerca degli altri nomadi e, dovunque cercassimo, lo spettacolo era sempre lo stesso. Quattro tribù di un centinaio di persone ciascuna cancellate, distrutte. Un genocidio.

-Cosa può essere successo?- domandò Chiara.

-Rivalità: si sono combattuti tra loro fino a distruggersi. Nei villaggi del Vanaheim hanno raccontato che un grande odio serpeggiava tra loro e non si sono sorpresi quando hanno saputo quello che avevamo visto.

Il principe emise in profondo sospiro e riprese: -Combatti guerre per tutta la vita, ma non sei mai abbastanza addestrato per sopportare la vista di centinaia di cadaveri, di cui la metà di innocenti incapaci di difendersi.

-È orribile! Odino cosa ne pensa?

-Mio Padre ritiene che la questione sia chiusa e che la piaga dei banditi sia stata debellata. Metterà i prigionieri ai lavori forzati nelle miniere e la storia si concluderà così.

Era strano: quell'uomo così forte, spavaldo e temerario, in quel momento sembrava aver perso tutta la sua sicurezza. A Chiara ricordò quasi un ragazzino spaventato.

Gli mise delicatamente una mano sul braccio e disse, compassionevole: -Non è colpa tua, non potevi fare niente per loro.

-Se fossi partito prima forse avrei potuto impedire quello scempio.

La sua voce era rotta.

-Non potevi saperlo!- riprese Chiara, stringendo la presa -Non addossarti le colpe degli altri. Avevano la mente offuscata dall'odio e all'odio si sono abbandonati. È stata una loro scelta e non potevi impedirlo.

La tensione sembrò alleviarsi e Thor, insperato successo per la ragazza, le rivolse un mezzo sorriso, poi si alzò e, sollevando Mjolnir, bofonchiò qualcosa sull'andare ad allenarsi.

Uscì dalla stanza e lasciò Chiara da sola.

Trascorse il resto della giornata a pensare a quello che era accaduto, anche quando Volstagg la incrociò nel cortile e le fece una lavata di capo sul fatto che una ragazza così giovane, e per di più straniera, non dovrebbe andarsene in giro da sola, specie quando si sapeva che fosse riuscita a sfuggire alla sorveglianza di Heimdall e altre raccomandazioni e rimproveri che la Chiara non ascoltò.

Nel pomeriggio, mentre stava spolverando dei grossi vasi decorati con scene di battaglia tra asgardiani e giganti dalla pelle blu, le apparve di nuovo il suo amico immaginario: era seduto sopra uno dei vasi che aveva appena finito di pulire e la fissava con il suo solito ghigno beffardo stampato in faccia.

-Giusto tu!- esclamò Chiara, sventolandogli sotto al naso lo straccio impolverato -Spero sia soddisfatto! Grazie al tuo consiglio ho litigato con Thor e ho rischiato di finire di nuovo in prigione. Per fortuna che ha cambiato idea o a quest'ora sarei già dietro le sbarre!

-La colpa è solo tua- rispose quello, divertito -Io ho solo dato voce ai tuoi pensieri. Non posso farci nulla se sei un'inguaribile pettegola.

-Non ti permettere!- lo rimproverò la ragazza -Avevo capito subito che c'era qualcosa che non andava con la sua famiglia e volevo scoprire se avrei potuto ottenere qualche informazione utile da quella faccenda! Quando Angnis mi ha parlato della regina era evidente che si trattava di un grave lutto, ma non potevo immaginare che avesse avuto problemi anche con il fratello o quello che è questo Loki. E inoltre volevo dare una spiegazione a quel suo irritante modo di comportarsi da reginetta del dramma, ma ho sbagliato momento per porre la questione.

-Però hai fatto in fretta a tornare nelle sue grazie!

-Ci sono riuscita perché mi sono impegnata e ho lavorato sodo.

-Tu credi? E allora quella patetica scenetta? Com'era? Ah, sì: Non addossarti le colpe degli altri. Avevano la mente offuscata dall'odio e altre fesserie del genere. Non ti vergogni a comportarti come una qualunque sgualdrinella, tutta intenta a fare la carina per mendicare la sua benevolenza?

Il viso dell’uomo aveva assunto una tonalità paonazza e il suo tono di voce era rabbioso, seppur contenuto.

-Credi che sussurrare due parole dolci al suo orecchio possa giovarti in qualche modo? Lui vuole solo tenerti sotto il suo controllo perché il popolo ha paura di te. Esatto- continuò alla vista dell’espressione turbata dalla ragazza -Tu sei diversa da loro e, per quanto cercherai di stringere legami, di farteli amici, tu sarai sempre l'intrusa, il mostro che ha oltrepassato le loro difese e che mangia e dorme insieme a loro.

-Smettila! Smettila!- urlò Chiara, infuriata.

- Cos'hai da gridare?- le chiese Angnis alle sue spalle.

Chiara si voltò di scatto, colta di sorpresa, e, cercando di darsi un contegno, rispose: -È per colpa di questa macchia- indicò un punto casuale sul vaso che teneva tra le mani, a dimostrazione della sua spiegazione -Non vuole proprio andarsene.

-Beh, ti conviene litigarci in silenzio: madama Thyia è qua in giro e non apprezzerebbe le tue urla.

L’uomo, come la ragazza si aspettava, era di nuovo scomparso.

-Hai ragione, scusami.- rispose Chiara, poi aggiunse, mostrando la superficie dipinta dell’oggetto: -Cosa sono queste creature blu?

-Quelli sono i Giganti di Ghiaccio, che abitano nello Jotunheim. Quella rappresentata è la guerra di Midgard.

-Ah, giusto. Thor me ne ha parlato.

-Davvero? Che cosa bizzarra! Di solito non parla degli Jotun…

-Perché?- domandò la ragazza, poi, dopo un attimo di esitazione, aggiunse: -Ha a che fare con suo fratello?

A quella domanda la donna rimase come pietrificata, come se Chiara avesse appena detto un’orrenda bestemmia, poi, non appena si fu ripresa, chiese: -Come fai a sapere di suo fratello?

-Thor mi ha accennato qualcosa- mentì Chiara, affrettandosi ad aggiungere: -Ma mi è sembrato che l’argomento lo turbasse, così non ho indagato oltre.

Angnis non sembrava particolarmente convinta di quella spiegazione, ma alla fine la sua naturale propensione al pettegolezzo ebbe la meglio e, osservandosi intorno guardinga, disse sottovoce: -Quella creatura, Loki, in realtà non era affatto suo fratello, ma un Gigante di Ghiaccio che Odino aveva portato dallo Jotunheim!

-No!- esclamò Chiara, enfatizzando la sua sorpresa per invogliare la donna a proseguire il suo racconto.

-Te l’assicuro! Pensa che per un periodo è stato persino sul trono di Asgard: Odino aveva bandito il figlio per aver tentato da solo una spedizione punitiva contro i Giganti, ma poi era caduto nel Sonno di Odino e, con l’erede al trono bloccato in un altro regno, fu Loki ad assumere il comando. Abbiamo temuto tutti il peggio, perché Loki è sempre stato un bugiardo dal cuore crudele, ma ormai i giochi erano fatti e non potevamo opporci. Grazie al cielo Thor è riuscito a scoprire le sue losche trame e a sconfiggerlo!

“Piano piano tutti i pezzi del puzzle si ricompongono!”

-Perdona la mia ignoranza- la interruppe Chiara -Ma cos’è il “riposo di Odino”.

-Il Sonno di Odino- la corresse la donna -È il periodo in cui il sovrano entra in uno stato di sonno vigile in cui recupera le forze, ma, pur non muovendosi, è in grado di percepire il mondo attorno a sé. È di fondamentale importanza per lui, perché altrimenti sarebbe debole e non potrebbe difendere Asgard.

-Capisco… Beh, di certo non era uno stupido questo Loki!

-Affatto! È sempre stato molto astuto e ha approfittato del buon cuore della regina per apprendere da lei le arti magiche! Pensa che il suo primo incantesimo impediva a chiunque di entrare nelle sue stanze senza il suo permesso o di uscirvi. Una volta, per dispetto, vi ha rinchiuso delle serve ed è dovuto intervenire Odino in persona prima che si decidesse a farle uscire!

-Non mi dire!- esclamò Chiara, trattenendo una risata al pensiero di quella marachella infantile -E quale sarebbe questa stanza impenetrabile?

-È quella in fondo al corridoio- rispose indicando una porta di legno scuro con i cardini e la maniglia in argento -Ma sono anni che non vi entra nessuno. Dopo la sua morte, Odino lo ha ripudiato e ha vietato categoricamente di avvicinarsi alle sue stanze. Nemmeno Thor, che voleva onorare la memoria del fratello dedicandogli un piccolo rito funebre, è riuscito a convincerlo.

-Molto nobile da parte sua- commentò Chiara, ma la sua attenzione era concentrata su quella misteriosa porta: quello era l’accesso alla sancta sanctorum dell’unico in tutta Asgard in grado di muoversi senza usare il Bifrost e forse là dentro ci sarebbe stato qualcosa che avrebbe potuto spiegarle come fare.

Nel frattempo Angnis stava continuando a parlare, raccontando tutte le mirabolanti prodezze che Thor aveva compiuto, dando prova di grande nobiltà e coraggio, ma Chiara non aveva voglia di stare ad ascoltare altri discorsi su quanto Thor fosse bravo, bello e coraggioso: doveva trovare un modo per entrare in quella stanza.

-Per quanto riguarda i tuoi vestiti- disse Angnis ad un certo punto, riacquistando nuovamente l’attenzione della ragazza -Ho quasi completato alcuni abiti più simili al tipo di abbigliamento che avevi quando sei arrivata, ma per le scarpe devo recuperare del cuoio e dei chiodi da calzolaio e per quelli dovrai pagarmi le spese d’acquisto.

-Io non ricevo uno stipendio, purtroppo. Non saprei come pagarteli- disse Chiara, sentendo svanire la possibilità di avere i piedi coperti da comode calzature, lontani dal freddo e dalle pietre taglienti.

-Oh, lo so bene, ma non è il denaro che desidero, piuttosto…- abbassò la voce e si avvicinò alla ragazza per farsi sentire unicamente da lei -Tu sai leggere? E anche scrivere?

-Certo che so farlo- rispose lei, domandandosi se la donna non la stesse prendendo in giro -Perché tu no?- ma l’espressione imbarazzata di Angnis, nel sentirsi rivolgere quella domanda, la convinse a credere che fosse più seria di quanto immaginasse.

-È una capacità che non viene richiesta alla servitù- rispose quella, cercando di assumere un tono vago, poi aggiunse: -Ma vorrei che mia nipote imparasse. Io non ho più l’età per imparare cose nuove, ma lei è ancora una bambina ed è molto sveglia. Questa è la mia richiesta di pagamento, sei disposta ad accettarla?

Non se lo aspettava. Non se lo aspettava per davvero! Tutto avrebbe immaginato di fare su un altro pianeta, tranne l’insegnante delle elementari, ma, a ben vedere, era una richiesta molto toccante e, per una paio di scarpe, valeva la pena insegnare a una bambina a leggere. L’avrebbe fatto anche senza chiedere nulla in cambio.

-Va bene- rispose Chiara e Angnis parve illuminarsi: le rivolse un grande sorriso e le strinse calorosamente la mano nelle sue, poi, dopo aver concordato la data e l’ora della prima lezione (mezzogiorno dell’indomani) se ne andò, ma non prima di averla ringraziata con trasporto.

“Forse, in fondo, non faccio così tanta paura” si disse la ragazza, ma ad un tratto le sorse un dubbio: come faceva Angnis a sapere che sapeva leggere e scrivere, se l’analfabetismo era così diffuso tra la servitù e se da quando era ad Asgard non aveva letto nemmeno un cartello?

-Brutto figlio di puttana!- esclamò Chiara, correndo verso il cortile d’addestramento.

Ora ricordava: il giorno in cui era avvenuto il suo blackout stava tornando dall’università, ma si era anche fermata dall’ortopedico per ritirare i risultati della radiografia al ginocchio e aveva messo il tutto (ricetta medica, appunti, occhiali, documenti etc.) in uno zaino!

Dovevano averlo trovato e aperto, altrimenti Fandral come avrebbe potuto sapere tutte quelle cose su di lei? Chiara era disposta anche credere che l’avesse vista zoppicare, ma come poteva sapere del suo difetto di vista? Solamente trovando gli occhiali.

L’aveva presa in giro, ma, soprattutto, le aveva tenuto nascosto il fatto che avessero recuperato i suoi oggetti personali e la cosa la faceva imbestialire.

Attraversò il cortile come una furia, incurante delle reclute che, costrette a interrompere l’allenamento al suo passaggio, le urlavano appellativi e frasi poco educate, e raggiunse Fandral, impegnato a conversare con un gruppo di giovani servette sghignazzanti.

-Ti devo parlare!- gli disse la ragazza, fulminandolo con lo sguardo.

-Ai tuoi ordini, mia signora!- esclamò plateale l’uomo, poi, rivolgendosi alle fanciulle, aggiunse: -Scusatemi, ragazze, ma sono ardentemente richiesto altrove.

Fandral la condusse sotto al portico e le domandò gioviale: -Cosa c’è di così urgente?

-So che avete il mio zaino con tutte le mie cose e pretendo di riaverlo. Mi appartiene e non avete alcun diritto di tenerlo voi!

-Al momento è sotto sequestro- rispose calmo l’uomo -È stato ordinato di studiarne il contenuto per controllare che non ci siano armi o altri congegni strani al suo interno.

-È lo zaino di una studentessa universitaria!-esclamò esasperata la ragazza -Ci sono solo libri e fogli di appunti, nulla che rappresenti una minaccia per voi! E comunque mi hai mentito: sapevi tutte quelle cose su di me solo perché hai visto il contenuto del mio zaino. Altro che detective, sei solo un bugiardo!

Quell’accusa andò a segno e il sorriso svanì dalle labbra dello spadaccino: -È mio dovere scoprire il più possibile su chi entra nel palazzo del mio re e ho combinato insieme le informazioni che ho tratto dai tuoi oggetti e quelle che ho dedotto osservandoti. E comunque, sì, tu zoppichi!

“Che stronzo!”

Chiara stava per cantargliene quattro quando quello riprese a parlare con un tono più pacato: -Di una cosa puoi star certa però, il tuo fidanzamento l’ho capito solo guardandoti il primo giorno che ci siamo incontrati. Certo, l’anello ha confermato la mia tesi, ma è stato quando hai ritratto la mano che ho capito davvero che tipo di donna sei. Ammetto di avere un certo successo con il gentil sesso e non mi era mai capitato che qualcuna rifiutasse una mia avance, ma tu sei una donna fedele e il tuo fidanzato è un uomo davvero molto fortunato.

“Scusa, non ti seguo, prima mi insulti e poi mi dici che il mio uomo è fortunato?”

-Non tentare di cambiare argomento, Casanova. Rivoglio le mie cose!

-E sia- rispose l’uomo, sconfitto -Ne parlerò con Thor e vedrò cosa posso fare.

-Potrei esultare dalla gioia!- disse la ragazza vittoriosa, sostituendo alla rabbia un grande sorriso di gratitudine.

-Fallo dunque, adoro vedere una donna soddisfatta.- rise Fandral maliziosamente, soprattutto quando vide dipingersi sul volto di Chiara un’espressione piuttosto sconcertata.

-Oh, ci vuole ben altro per soddisfarmi!- rispose alla fine quella, ammiccando allo spadaccino prima di girare sui tacchi e tornare da dove era venuta.

 

 

L’angolo dell’autrice: buon anno a tutti, ladies and gentlemen, e benvenuti alla fine del decimo capitolo de La sua paura! Come al solito, spero vi sia piaciuto e che vi invogli a proseguire la lettura della storia.

Thor è tornato e con esso anche il ragnetto ha deciso di degnarci di una sua fugace apparizione (che drama queen! XD), ma ben presto comincerà a  giocare la sua partita.

Spero di leggere le vostre opinioni, che sono sempre delle graditissime fonti di riflessione e di ispirazione e, se vorrete esprimerle, sarò ben lieta di accoglierle.

Alla prossima e statemi bene,

Lady Realgar

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Capitolo 11
*** The Chamber of the Secrets ***


Anche quella giornata passò e Chiara stava ancora pensando a come entrare nelle stanze di Loki, quando Thor aprì la porta della sua camera, dove la ragazza aveva appena finito di sostituire le lenzuola e lo stava aspettando seduta sul suo triclinio.

Fu troppo impaziente per aspettare che fosse lui a parlare per primo, così, non appena l’uomo ebbe oltrepassato la soglia, gli si parò davanti: -Allora?- chiese diretta.

-Padre non ha concesso la completa restituzione del tuo bagaglio- rispose l’uomo, togliendosi il mantello dalle spalle e lasciandolo cadere sul letto -Ma, dopo averli analizzati attentamente, mi ha dato il permesso di restituirti questi.

Estrasse da una tasca dei pantaloni un paio di occhiali da vista incrostati di salsedine e li porse alla ragazza.

“Poteva dargli almeno una pulita, già che c’era.”

Mentre Thor si cambiava per la notte, Chiara inumidì un lembo del suo abito con dell’acqua pulita e cominciò a strofinare le lenti, riducendo notevolmente la patina di sale che vi si era depositata, poi li inforcò.

“Le stecche sono piuttosto rigide, ma niente di rotto. Grazie al cielo la montatura è di plastica!”

-Hai un aspetto buffo con quelli addosso! Sembri un gufo!- rise Thor, lasciandosi cadere sul letto.

La ragazza ignorò la sua battuta e, sedendosi nuovamente sul triclinio, disse: -Hai idea di quando potrò riavere anche il resto delle mie cose?

-No- rispose Thor, sdraiandosi sul materasso e osservando il soffitto -Credo che Padre sospetti che ci sia qualcosa dentro il tuo zaino che possa giustificare la tua apparizione.

-Sono solo sciocchezze! Potrei farti l’elenco del suo contenuto e ti assicuro che, a parte libri e penne, non c’è nulla.

 -Beh, se non altro un aspetto positivo c’è- disse il dio mettendosi su un fianco per guardare meglio la ragazza.

-E sarebbe?- domandò quella.

-Stai cominciando a ricordare.

Dovette aspettare a lungo prima che Thor si addormentasse profondamente: quella sera era particolarmente in vena di chiacchere e volle farsi raccontare per filo e per segno tutto quello che la ragazza riusciva a ricordare  della sua vita di tutti i giorni, prima che venisse catapultata ad Asgard; così Chiara parlò della sua famiglia, dell’università, degli amici, dei suoi libri preferiti e Thor sembrava divertirsi un mondo ad ascoltare del Signore degli Anelli, di Harry Potter, di Shakespeare, dell’Iliade e dell’Odissea e, soprattutto, volle sapere come mai Gandalf non avesse proposto di utilizzare subito le Aquile per arrivare al Monte Fato.

Alla fine, il sonno ebbe la meglio e il russare del dio fu il solo suono a riempire l’aria all’interno della stanza.

La ragazza afferrò una candela rimasta accesa e di soppiatto scivolò attraverso la porta, ritrovandosi nell’oscurità dei corridoi.

Nel silenzio della notte il rumore dei suoi passi era amplificato dall’eco che i grandi ambienti del palazzo le restituivano e più volte Chiara temette di veder sbucare da qualche angolo una guardia, messa in allarme da quel frastuono.

Fortunatamente non incontrò nessuno lungo la via e in una decina di minuti si ritrovò di fronte alla fatidica porta, i cui cardini scintillavano alla luce della candela.

“Ok, sono qui e adesso?”

Ripensò alla conversazione avuta con Angnis: quello era stato il primo incantesimo di Loki e, a rigor di logica (qualora potesse esserci della logica in tutta quella storia), ogni incantesimo poteva essere spezzato da un contro incantesimo o aggirato con un’altra magia.

“Sì, ma io che ne so di magia?”

Tentò allora con le prime frasi che le vennero in testa: -Alohmora1! Mellon2! Apriti sesamo! Abracadabra! Expelliarmus3! Expecto Patronum4!

Come c’era da immaginarsi, non accade proprio nulla, tranne la fastidiosa sensazione di stupidità che Chiara si sentì crescere addosso.

Non sapendo più cosa fare, si sedette a terra a osservare il legno liscio e scuro della porta, giocherellando distrattamente con la collana tra le dita.

Passarono i muniti senza che nulla cambiasse, mentre la candela lentamente si consumava, raggiungendo le dimensioni di un moccolo.

“Tra poco si spegnerà” pensò Chiara, osservando quello che rimaneva della sua fonte di luce, poi, all’improvviso, un altro bagliore entrò nella sua visuale, attirando la sua attenzione.

Tra le venature del legno della porta, poco al di sotto della maniglia, un piccolo tondo d’argento luccicava timidamente alla luce della fiammella.

Chiara si alzò e, avvicinando la candela, osservò meglio il tondino: era davvero molto piccolo e al centro aveva un foro. Sembrava quasi…

“Una toppa!”

Ma il suo entusiasmo svanì in fretta: dove avrebbe potuto trovare, in un castello così grande, una chiave così piccola da poter passare attraverso quella minuscola serratura?

-Aspetta un momento!- sussurrò Chiara.

Si toccò il collo e sui polpastrelli sentì il freddo della catenina che indossava e, attaccato ad essa, penzolava un ciondolo a forma di piccola chiave dorata.

“È impossibile” si disse, mentre sganciava la collana e introduceva il ciondolo nella serratura.

CLACK.

Con uno scatto, la porta si aprì davanti a Chiara, imbambolata e incredula dell’enorme fortuna che le era capitata.

Fu solo quando un rivolo di cera bollente le scottò le dita, che finalmente si decise ad attraversare la soglia.

La stanza era buia e l’atmosfera era pregna di aria viziata, ma grazie alla flebile luce della candela Chiara riuscì ad aprire le finestre, ossigenando l’ambiente.

Riuscì persino a trovare un candelabro e ad accendere ben sei candele praticamente nuove e, quando le fiamme cominciarono a rifulgere allegramente, finalmente poté osservare l’interno della stanza.

“Diamo un’occhiata alla Camera dei Segreti5!”

Elegante. Fu la prima parola che alla ragazza venne in mente per descrivere quell’ambiente: sebbene non fosse ampia come la stanza di Thor, era molto ordinata ed era arredata con ricercatezza e buon gusto a partire dal letto a baldacchino di ferro battuto, da cui ondeggiavano, come fantasmi silenziosi, leggere tende bianche. Al posto degli arazzi raffiguranti scene belliche, una fila di librerie colmi di volumi tappezzava le pareti, assieme a grandi armadi di legno intarsiato e a un alto specchio di argento, incorniciato d’oro. Le finestre ad arco a sesto acuto erano separate tra loro da colonnine tortili di marmo scintillante e in un angolo, poco distante da una scrivania di legno di ciliegio con sedia abbinata foderata in velluto verde, un tavolino da toeletta con brocca e catino d’argento (l’unica cosa che richiamasse lo stile delle stanze di Thor).

Affascinata da quella grande quantità di libri, si avvicinò allo scaffale più vicino e sbirciò i titoli impressi sulle copertine impolverate: per buona parte sembravano saggi di storia di Asgard, Jotunheim, Vanaheim e persino un tomo sulla storia midgardiana, gli altri erano per lo più volumi sulle proprietà di erbe, minerali e varie sostanze naturali, raccolte di storie e miti dei Nove Regni e testi di grammatica di chissà quali lingue.

Tra tutti quei volumi dalle copertine sontuose ce n’era uno in particolare, molto più piccolo e modesto e con il dorso molto più rovinato e consumato degli altri, come se fosse stato rimosso dallo scaffale e consultato più e più volte.

Facendo attenzione a non strappare la copertina, Chiara fece scivolare il libro fuori dalla sua sede e lo avvicinò alla luce delle candele per osservarlo meglio: era scritto a lettere grandi, con frasi piuttosto corte ed era arricchito di colorate illustrazioni.

“È un libro per bambini, ma non riesco a leggere il titolo.”

Il canto del gallo attraversò la stanza e, per paura che di lì a poco i corridoi avrebbero brulicato di vita, nascose il libro sotto la camicia e uscì chiudendo a chiave la porta.

“Ce l’ho fatta!” esultò interiormente, mentre si incamminava in direzione delle cucine “Sicuramente tra quei libri c’è scritto il modo per andarsene da qui e io lo scoprirò!”

Prese dalle cucine il solito vassoio con la colazione e ritornò nelle stanze del principe, l’emozione di essere riuscita nella sua impresa notturna non le faceva neppure sentire la stanchezza, il suo corpo era pura adrenalina.

 

Note:

1 Rowling J.K., Harry Potter e la Pietra Filosofale, Milano, Salani Editore, 1998

2Tolkien J.R.R, Il Signore degli Anelli, La Compagnia dell’Anello, Milano, Bompiani, 2000

3Rowling J.K., Harry Potter e la Camera dei Segreti, Milano, Salani Editore, 1999

4Rowling J.K., Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban, Milano, Salani Editore, 2000

5vedi nota 3

 

Angolo dell’autrice: Bonjour! Fine del capitolo 11 de La sua paura ( Oh Loki divino, siamo arrivati a 11! Wow!), spero vi sia risultato gradito. Ringrazio affettuosamente le nuove arrivate che hanno iniziato a seguire la storia e non posso che augurarmi che non abbiano di che pentirsene XD

Questo capitolo è stato piuttosto infarcito di citazioni, da cui si evince un certo lato nerd della nostra protagonista e che permette di alleggerire un po’ la narrazione ;)

Ahimè, il tempo delle vacanze natalizie volge al termine e ben presto sarò di nuovo sommersa dalle incombenze universitarie, quindi ho ritenuto saggio pubblicare un nuovo capitolo prima che ciò accadesse.

Spero che vi sia piaciuto e che vorrete continuare a scoprire quello che accadrà a Chiara & co.

Come sempre, se vorrete lasciare un commento, esprimendo la vostra opinione e/o le vostre curiosità, farete la mia felicità e sarà un piacere rispondervi.

Alla prossima e statemi bene!

Lady Realgar

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Capitolo 12
*** Il ritratto ***


Per la lezione, disse Chiara ad Angnis quando la incontrò quella mattina, sarebbe stato necessario  un luogo tranquillo e riservato, lontano dai rumori e dal frastuono degli ambienti solitamente frequentati nel palazzo e in cui  non ci sarebbero state distrazioni per la giovane studentessa; così Angnis le diede il permesso di sistemare un piccolo tavolo di fortuna tra grandi rotoli di lana, seta e lino colorati nel magazzino delle stoffe, che veniva rifornito una volta al mese e a cui aveva accesso solo la sarta.

Si trovava lì quel pomeriggio, sfogliando distrattamente il piccolo libricino preso dalle stanze di Loki e progettando un sistema metodico per cercare (e soprattutto trovare) un qualche indizio che le avrebbe spiegato come scappare da Asgard senza usufruire del Bifrost, quando la porta del magazzino si aprì lasciando entrare, piuttosto intimidita e guardinga, la bambina bionda con gli occhi color caramello che Chiara aveva spesso visto aggirarsi per il palazzo.

-Ciao!- la salutò la ragazza, rivolgendole il più ampio e rassicurante dei suoi sorrisi.

-Ciao…- rispose la bambina guardandosi i piedi.

-Sei la nipote di Angnis?- riprese Chiara -Come ti chiami?

-Myria.

Chiara le chiese di avvicinarsi e, quando la bambina si fu accomodata al suo fianco, iniziarono la lezione: sfruttando degli scarti di stoffa bianca, del nero di seppia rubato alle cucine e dei bastoncini che Angnis le aveva procurato, Chiara mostrò alla bambina come scrivere il suo nome e la fece esercitare finché non riuscì a scarabocchiare un Myria piuttosto incerto, ma corretto.

Per farle prendere confidenza con le lettere, Chiara le mostrò il libro che aveva preso, facendole cercare nel testo le lettere che componevano il suo nome e indicandogliene di nuove; per la ragazza fu una grande soddisfazione vedere la timidezza di Myria svanire di fronte alle illustrazioni colorate e divenire entusiasmo per quel gioco che avevano chiamato “Trova e leggi”.

Scoprì, inoltre, che quel libro era una raccolta di racconti, molto popolari tra i bambini di Asgard, che narravano la nascita dei Nove Regni e che Myria sapeva praticamente a memoria.

Trascorsero un paio d’ore insieme, nella cui ultima mezz’ora Chiara lasciò che la bambina disegnasse gli oggetti a cui si riferivano le parole imparate come albero, vaso e sedia; Myria, notò la ragazza, aveva un ottimo senso della proporzione e i suoi disegni, seppur semplici, risultavano sorprendentemente chiari.

Nel frattempo Chiara leggeva incuriosita alcuni brani del libricino, finché la sua attenzione non venne attratta da un’illustrazione molto simile ai dipinti dei vasi che il giorno prima aveva maneggiato.

Il racconto si intitolava L’avanzata degli Jotun:

Quando i regni vennero separati e distribuiti nei cieli, il più freddo, tetro e inospitale tra tutti era Jotunheim, il regno dei Giganti di Ghiaccio. Queste creature vivevano lontane dalle stelle, nel freddo e nell’oscurità di un perenne cielo nero e, con il passare degli anni, freddi e oscuri divennero i loro cuori e la loro pelle, che mutò diventando blu come i ghiacci più antichi.

Invidiosi della luce e del calore, in loro nacque un odio rancoroso nei confronti degli altri regni  e di tutti i loro abitanti al punto che il loro signore Laufey, bramoso di vendetta e di conquista, attaccò la primitiva Midgard, ignara e indifesa contro una simile potenza.

Laufey, crudele e smanioso di distruzione, aveva scoperto un modo per centuplicare il suo potere: nel cuore della montagna più fredda e inaccessibile, egli aveva estratto del ghiaccio dalle magiche proprietà e lo aveva posto all’interno di uno scrigno, che solo nelle mani di uno Jotun era in grado di sprigionare la sua forza devastante, incatenando nel freddo anche il più potente dei guerrieri.

Grazie ad esso, al solo tocco dei giganti, qualunque cosa mutava in ghiaccio: le persone, gli animali e le case divennero statue gelate; al loro passaggio rimanevano solo morte e distruzione perché ai giganti è precluso l’amore e la bellezza e solo l’odio, la rabbia e la crudeltà può crescere all’interno di quei cuori raggrinziti dal freddo.

Per giorni interi Midgard subì la furia di quei mostri, finché, a capo delle sue coraggiose truppe, Odino, il Padre di Tutti, affrontò il re dei giganti, brandendo Gungnir l’invincibile.

Fu una lotta lunga e difficile, ma alla fine Asgard trionfò su Jotunheim, rispedendo il nemico da dove era venuto e sottraendogli lo scrigno magico, da allora custodito come reliquia nella sala delle armi, a perenne monito di superiorità contro i mostri dell’oscurità, condannati a vivere nella loro desolazione e nel loro odio per sempre.

-Ma è terribile…-  si lasciò scappare Chiara in un sussurro, che non sfuggì a Myria, la quale, mortificata, rispose: -Sì lo so, gli alberi non mi riescono molto bene.

-No, tesoro- rispose in fretta Chiara -Non è per quello, il tuo albero è bellissimo! È la storia che ho appena letto ad essere terribile.

-Quale?- chiese sollevata la bambina.

-Quella sui Giganti di Ghiaccio.

-Sì, anche a me fanno molta paura, ma ci sono il re e il principe a proteggerci, così sono meno spaventata.

Chiara le sorrise, accompagnandola alla porta: il tempo per la lezione era terminato ed entrambe dovevano tornare al lavoro.

“Non mi spaventano i Giganti” pensò la ragazza, mentre raccoglieva l’inchiostro e i bastoncini e li metteva nell’angolo di uno scaffale semi vuoto, “Mi spaventa molto di più la reazione che deve aver avuto Loki scoprendo di essere uno di loro.”

Per qualche ragione Kalista era particolarmente nervosa quel giorno e continuava ad osservarsi su qualunque superficie liscia e lucida che le capitava a tiro, sistemandosi i capelli in vari modi e non sembrando mai soddisfatta.

Ogni tanto ordinava a una servetta di sorreggere una padella, mentre lei la adoperava come specchio, poi, imbronciata e scontenta, riprendeva le sue mansioni, sbuffando e borbottando come una teiera sul fuoco.

Vedendola in quello stato, Chiara fece ben attenzione a starle alla larga e a non importunarla: tutto stava andando per il meglio e non ci teneva a macchiare la sua fedina penale per aver preso a sberle quella sciocca presuntuosa.

Con il succedersi dei giorni, il comportamento di Kalista non migliorò, ma, al contrario, sembrava diventare sempre più suscettibile sul suo aspetto; cosa ancora più strana, Kalista non era la sola a dimostrare un particolare riguardo nei confronti della propria immagine: più di una volta Chiara, che ancora non era riuscita a farsi completamente accettare dal resto della servitù, aveva sentito di sfuggita alcune ragazze scambiarsi dei commenti su capelli e vestiti.

Decise semplicemente di non dar peso a quei fatti e di concentrarsi nella ricerca di una soluzione ai suoi problemi: le sue ricerche non stavano andando nel modo che aveva sperato e, per di più, Myria aveva preso l’abitudine di portare qualche amico durante le sue lezioni, aumentando giorno dopo giorno il numero di componenti della sua classe, con il risultato che la ragazza, trovandosi a gestire una scolaresca di vivaci bambini asgardiani, arrivava sfinita a fine giornata.

Inoltre, pur avendo continuato ogni notte a sgattaiolare fuori dalle stanze di Thor e a intrufolarsi in quelle di Loki per leggere e informarsi, sembrava non fosse mai stata scritta nemmeno una riga su come viaggiare da un regno all’altro.

“Eppure è già successo!” continuava a ripetersi Chiara una sera, sfogliando convulsamente l’ennesimo inutile libro, finché la rabbia e la delusione ebbero il sopravvento sul suo autocontrollo, sfogandosi sull’oggetto, che venne scagliato contro un muro per poi rimbalzare sotto ad un armadio.

Frustrata e pentita di essersela presa con il libro, tra l’altro non di sua proprietà, si sdraiò sul pavimento e allungò il braccio sotto al mobile per recuperare la sua vittima.

Finalmente le sue dita afferrarono qualcosa di rigido e squadrato e lo fecero scivolare sulla pietra finché non emerse completamente, rivelandosi più grosso e pesante dell’oggetto che stavano cercando.

Non era un libro, bensì una tavoletta di legno e sembrava dipinta.

Incuriosita, la ragazza portò il ritrovato alla luce della candela e lo studiò: vi erano rappresentate quattro persone, messe in posa per il ritratto. La benda sull’occhio dell’uomo a sinistra lo distinse subito come Odino; a fianco del sovrano vi era un giovane ragazzo, biondo e sorridente, che teneva saldamente nella mano una spada, mentre sulla destra una donna dai lunghi capelli color dell’oro gli poneva dolcemente una mano sulla spalla.

Chiara rimase per diversi secondi a fissare quella figura, come inebetita, ma alla fine dovette ammettere a se stessa di riconoscerla: era la stupenda donna dagli occhi tristi che aveva visto nel suo sogno qualche tempo prima.

Com’era possibile? Non l’aveva mai vista prima, come poteva essere una persona vera?

“Chi è l’altro ragazzo alla sua sinistra?” si chiese poi Chiara, che oramai si stava facendo il callo alle sorprese.

Sotto la mano sinistra della donna (che evidentemente si trattava della defunta regina), un ragazzino pallido e anemico se ne stava, ben ritto sulla schiena, sul lato destro della tavola: sul suo viso sottile non vi era alcuna traccia del sorriso aperto del Thor ragazzo, ma un’espressione seria e dignitosa era incorniciata dai capelli neri accuratamente pettinati all’indietro. Fra le mani non stringeva una spada, bensì un libro e i suoi pungenti occhi verdi sembravano essere in grado di trafiggere lo spettatore e di scrutarne ogni più recondito pensiero.

“Quegli occhi…”

Come attraversate da una scossa, le ginocchia della ragazza quasi cedettero e Chiara dovette sedersi sul letto per non cadere al suolo, mentre nella sua testa rimbombava un’unica parola o, meglio, un unico nome: “Loki”.

Era lui, non c’erano dubbi! Il ragazzino serio del ritratto e l’uomo che le era apparso per la prima volta in cella erano la stessa persona … e quella persona era Loki.

L’unico difetto della sua teoria stava nel fatto che si supponeva che il Dio degli Inganni fosse morto, ma poi si ricordò di quel giorno in cui aveva origliato per sbaglio la conversazione tra Sif e Fandral e ammise che, in effetti, la guerriera non sembrava essere tanto distante dal vero.

“Ma anche ammettendo che Loki sia ancora vivo, perché mai dovrebbe apparirmi come un fantasma?”

-Perché tu rappresenti una minaccia- disse una voce alle sue spalle.

Chiara scattò in piedi come una molla e si voltò in direzione della voce: Loki la stava fissando dall’altra parte del letto, nascondendo le mani dietro la schiena.

-Mi stavo domandando quanto tempo avresti impiegato per capire- riprese lui, senza toglierle gli occhi di dosso -Ti facevo più sveglia.

-E io ti facevo più morto!- rispose Chiara, irritata da quell’insulto lanciato gratuitamente.

-Evidentemente ci sbagliavamo entrambi.

-In che modo rappresenterei una minaccia?

-Immagino che tu abbia appreso, stando qui, che qualunque cosa entri o esca dai confini di Asgard senza che Heimdall lo veda porti guai.

-Te compreso?- lo interruppe la ragazza, in tono di sfida.

-Ma nel tuo caso- riprese Loki, ignorandola -C’è un aggravante: tu sai qualcosa che non avresti dovuto sapere e ti ha spaventata al punto da occultarla nella tua mente, bloccando una sezione della tua stessa memoria, con lo scopo di proteggerti da quel ricordo. Niente accade per caso e se tu sei qui, quello che hai visto ha qualcosa a che fare con Asgard e io devo sapere di cosa si tratta.

-Aspetta un momento! Quindi è questo quello che hai fatto per tutto questo tempo: ti saresti intrufolato della mia mente e ci avresti sbirciato a tuo piacimento? E visto che quello che cercavi non era a disposizione, ti sei presentato a me come la mia paura? Tu volevi spaventarmi con il pensiero della follia per renderti accessibile quel ricordo! In pratica, se avessi temuto di più te, il blocco sarebbe stato vinto e tu avresti potuto vedere di cosa si trattava.

-Molto brava- disse Loki freddamente, accompagnando le sue parole ad un lento e costruito applauso -Vedo che finalmente cominci ad usare il cervello.

-Capisco anche che non ci sei riuscito- riprese Chiara -Perché altrimenti a quest’ora non sarei qui a parlarti. Non sei riuscito a spaventare una fanciulla indifesa.

Si morse la lingua: ancora una volta aveva esagerato.

Con i freddi occhi verdi ridotti a due fessure, il dio aggirò il letto e in un lampo le fu a pochi centimetri di distanza, sovrastando la ragazza  con tutta la sua altezza.

-Tu non sei reale!- riprese Chiara, cercando di mostrarsi risoluta -Sei solo un’immagine che trasmetti alla mia testa da chissà dove.

In un lampo l’uomo le afferrò la mano e se la pose sul petto, sibilando: -Non ti sembro reale?

A quel contatto inaspettato Chiara sobbalzò all’indietro, urtando un vaso di terracotta decorata, che cadde al suolo e si ruppe sul pavimento in tanti frammenti.

-Il rumore avrà attirato le guardie- disse la ragazza, mantenendo lo sguardo fisso sull’uomo e cercando di assumere un atteggiamento impavido -Ti troveranno e ti metteranno in prigione.

-Ma davvero?- domandò Loki divertito, poi schioccò le dita e i frammenti del vaso si ricomposero, finché l’oggetto non fu di nuovo al suo posto, perfettamente integro e intatto.

-C’è un incantesimo su questa stanza- spiegò l’uomo -Per cui nulla di quello che accade qua dentro può essere in qualche modo percepito dall’esterno. L’ho sviluppato nel corso degli anni, da quando sono riuscito a incantare la porta di ingresso.

-Ecco- esordì la ragazza, non appena fu riuscita a mettere un metro di distanza tra sé e il dio -Visto che hai introdotto l’argomento, come diamine è possibile che la porta si apra con la mia collana?

-La porta si apre solo se sono io a volerlo- rispose -Evidentemente deve averti confuso con me, visto che sono nella tua testa e il tuo desiderio di accedere alla stanza ha fatto il resto, vedendo nella chiave che porti al collo come il modo più logico per aprire una serratura. È un incantesimo che ho fatto da piccolo, non mi sorprende che sia difettoso.

“Prendi tempo, Chiara, e cerca una via di fuga”.

-Puoi andartene quando ti pare- riprese calmo Loki -Non c’è luogo in Asgard o in tutti i Nove Regni in cui tu possa nasconderti da me. Per quante miglia di distanza tu possa mettere tra noi, io saprò sempre, esattamente, dove ti trovi.

-Hai intenzione di farmi del male?- domandò, a quel punto, la ragazza: se non poteva fuggire o nascondersi, tanto valeva capire le intenzioni del suo avversario.

-No, a meno che non ne tragga qualche vantaggio- rispose calmo il dio.

-Allora perché sei qui?

-Per compiere un’analisi più approfondita.

-Cosa vorresti dire?

Ignorando la domanda, l’uomo in un battito di ciglia le fu di nuovo di fronte e le pose delicatamente i polpastrelli delle lunghe dita sulle tempie. A quel contatto, i muscoli della ragazza si irrigidirono di colpo, facendole cadere in un tonfo sordo la tavoletta dipinta (che fino a quel momento aveva continuato a stringere nervosamente tra le mani).

Il suo corpo aveva smesso di obbedire ai comandi che gli impartiva, divenendo come una bambola di pezza tra le mani del Dio degli Inganni; per quanto si sforzasse non riusciva nemmeno a sbattere le palpebre o a muovere gli occhi, sicché l’unica cosa che rientrava nel suo campo visivo era il volto affilato e serio di Loki.

All’improvviso fu come se qualcuno avesse premuto il tasto rewind della sua memoria e stesse passando in rassegna tutti i suoi ricordi. Una sequenza di immagini, suoni e odori le attraversarono il cervello ad altissima velocità, quasi trafiggendola. Non era un processo doloroso, ma le causava un incontrollabile e repentino cambio di sensazioni e umori, che la fecero sentire nuda e indifesa.

Gioia, paura, rabbia, amore, emozione, vergogna, dolore la pervasero contemporaneamente in pochi secondi.

“N-no!” tentò di ribellarsi Chiara, ma era tutto inutile e né il suo corpo, né la sua mente riuscivano a infrangere le catene che il tocco delle dita del dio le aveva imposto.

Il suo sguardo era ancora fisso sul volto di Loki, impercettibilmente contratto nella concentrazione del momento, impassibile e impenetrabile.

Poi un’immagine, flebile e sfuocata, nel verde dell’iride del dio.

 

Angolo dell’autrice: ciao a tutti e ben ritrovati J Finalmente, dopo una lunga attesa, la nostra super diva si è mostrata in tutta la sua beltà e freddezza! “Era ora!” mi direte voi e avete ragione, ma speravo di riuscire a scrivere qualcosa di buono e interessante pur mettendo un personaggio tanto amato e intrigante come Loki un po’ in secondo piano. Insomma, una piccola sfida con me stessa per mettere alla prova le mie (poche) capacità di autrice. Spero di essere riuscita nel mio intento e di avervi regalato qualche bella emozione nel corso di questi dodici capitoli (se sì, spero di riuscire a fare altrettanto, se non di più, nei capitoli futuri!).

Come sempre, vi ringrazio per il tempo che dedicate alla lettura della mia storiella e, se vorrete lasciare un commento su quanto avete letto, sarà per me un graditissimo piacere accogliere la vostra opinione e rispondervi.

Statemi bene e alla prossima!

Lady Realgar

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Capitolo 13
*** Complice ***


Un bambino, piccolo, gracile e dal volto affilato, immerso nella lettura di un grosso libro, sedeva comodamente tra le radici di un albero, quando ad un tratto una piccola mano afferrò il tomo e lo scagliò lontano, tra l’erba umida del prato; di scatto il bambino si alzò, i pugni serrati nell'ira, per affrontare la persona che aveva compiuto quel gesto, ma venne spinto e inciampò tra le radici.

Una risata acuta, femminile, riempì l'aria: -Cosa c’è?- domandò una bambina dai lunghi capelli scuri  e gli occhi di ghiaccio -Non sei capace di attaccare se l’avversario non sta dormendo?-.

Il ragazzino si alzò e, imponendosi la calma, si scrollò via dalla giacca le foglie autunnali, poi con un ghigno sul viso, disse gelido: -Dimmi, Sif, conservi ancora i tuoi bei capelli biondi? Scommetto di sì, ma per quanto riguarda l'estetica, non ti preoccupare: non saresti comunque potuta diventare più brutta. Ma in fondo a Thor non fa differenza il colore dei capelli, se non gli interessavi bionda, di certo non cambierà opinione ora che sei corvina.

Sif smise improvvisamente di ridere e i suoi occhi si caricarono d'odio: le sue mani, strette saldamente in due pugni minacciosi, fremevano, mentre la rabbia cominciava ad arrossarle il volto.

Un battito di ciglia e l'ambiente cambiò: il ragazzino era ancora lì, di nuovo seduto, questa volta, però, di fronte a un camino dal fuoco scoppiettante, e si teneva una borsa del ghiaccio sull'occhio sinistro. Alle sue spalle comparve una figura più grande e robusta, che si sedette accanto a lui e, sospirando, disse: -Padre è ancora arrabbiato, dice che non è stata una situazione degna di un principe asgardiano.

-Tu non c'eri, Thor- gli rispose l'altro -Quella ragazza è una furia! Ha osato attaccarmi come una forsennata.

-Andiamo, Loki, so che Sif può essere un po' impulsiva, ma non è certo così fuori di testa!

Adirato, Loki si tolse la borsa dall'occhio tumefatto per mostrarlo al fratello e replicò: -Questo non me lo sono certo fatto da solo! Non riesco a capire come puoi anche solo sopportare di avercela intorno!

-Lei è una mia cara amica e comunque anche tu l'hai ridotta maluccio: ho sentito dire dai Guaritori che aveva la pelle delle braccia tutta piena di ustioni. Che razza di magia le hai fatto?

-Non le ho fatto proprio niente, mi sono solo difeso- rispose Loki avvicinandosi al fuoco, poi riprese: -Quale punizione mi attende per quello che è successo oggi?

-Padre ha ordinato di chiudere a chiave la biblioteca e di non farti entrare finché non avrà cambiato idea.

Senza dire una parola, il ragazzo scagliò la borsa del ghiaccio, oramai vuota, dentro alle fiamme e l'osservò bruciare tra i tizzoni ardenti.

-Maledizione!- sibilo tra i denti.

-Io non capisco, fratello- esordì Thor -Cosa c'è di così importante in quei vecchi libri polverosi? Voglio dire, dovresti dedicare il tuo tempo ad allenarti alla spada e al combattimento e invece ti rinchiudi tutto il giorno tra gli scaffali della biblioteca. Talvolta non ti presenti nemmeno per i pasti! Non potrai mai difendere il tuo popolo se non ti nutri e non ti alleni!

Loki, in un sospiro, si alzò e si avvicinò al camino, dove lasciò che il suo corpo venisse pervaso da quel piacevole calore, poi, senza staccare gli occhi dalle fiamme, rispose: -Thor, tu lo sai l'affetto che provo per te, ma alle volte, quando mi fai domande del genere, mi chiedo se siamo davvero fratelli: qui ad Asgard, ogni uomo o donna impara a combattere prima ancora che a camminare, ma molti muoiono senza aver mai imparato a leggere o, peggio ancora, a pensare. È in quei "libri polverosi", come li chiami tu, che ci sono le vere armi di un re, ma nessuno sembra capirlo. Persino Padre si aspetta che passi il mio tempo a ingozzarmi e a fare a pugni con altri uomini, ma io sento di essere destinato ad altro! Chi altro è mai riuscito a praticare la magia presto tanto quanto me? Padre non capisce quale immensa risorsa siano le mie capacità, ma quando sarò re le cose cambieranno: prova a pensare a quale splendore rifulgerà su Asgard una volta che tutti i Nove Regni saranno sotto il suo dominio! Non ci saranno più guerre nè distruzione perché tutti saranno sotto un solo vessillo, il nostro.

Si volse, poi, verso Thor e gli tese la mano: -Tu sarai con me, quando questo accadrà, non è vero fratello?

-Quel giorno e fino alla fine dei giorni- rispose Thor, afferrandogli la mano e stringendola con forza.

La situazione cambiò di nuovo, ma questa volta non vi era Loki al centro della scena, bensì Thor: divenuto uomo, il dio stava attraversando baldanzoso la sala del trono gremita di gente acclamante, che entrava in visibilio quando quello lanciava Mjolnir in aria, facendolo roteare.

Pavoneggiandosi, Thor giunse al cospetto del Padre di tutti gli dei e si inginocchiò.

Mentre Odino, dopo aver ottenuto il silenzio dalla folla, parlava, l'attenzione della ragazza venne catturata dalla piccola corte di persone intorno al trono: vi erano i Tre guerrieri e Sif, vestiti di tutto punto con le armature delle grandi occasioni perfettamente tirate a lucido, la bellissima donna che aveva imparato a riconoscere come regina, sorridente e radiosa come il sole di mezzogiorno, e, infine, il minimo comune denominatore di quella serie di visioni, ossia Loki.

L'uomo era elegantemente vestito di una leggera armatura dorata, sopra la quale indossava una giacca di pelle che metteva in risalto, con la sua tonalità verde smeraldo, uno splendido elmo d’oro da cui si ergevano due corna arricciate, simili a quelle  di uno stambecco.

Eppure, nonostante la meticolosa cura nel vestiario, appositamente scelto per quella che doveva essere un'occasione eccezionale, sul volto del dio c'era un'espressione strana: i suoi lineamenti erano contratti in un’impercettibile smorfia di invidia e risentimento, ma nei suoi occhi brillava, al contempo, una luce completamente diversa. Una luce che emanava soddisfazione.

Chiara si stava giusto chiedendo cosa potesse passare per la mente del dio, quando la sala del trono, la folla, Odino e tutti gli altri sparirono e al loro posto comparve il ponte dell'arcobaleno.

Stupendo come sempre, il Bifrost rifulgeva dei sette colori dello spettro del visibile nell'oscurità del cielo notturno.

La ragazza si guardò intorno, alla ricerca di Loki, ma tutto era calmo e non c'era anima viva, fatta eccezione per un anziano signore dai capelli bianchi che si sporgeva dal ponte con tutto il busto, come intento ad osservare qualcosa al di sotto di esso.

Incuriosita si avvicinò, domandandosi cosa potesse mai esserci di così interessante da vedere nel vuoto, poi, non appena la distanza fu ridotta a sufficienza, capì: il ponte era stato spezzato e l'uomo, che altri era se non il Re degli Dei, tratteneva i figli da una spaventosa caduta nell'abisso.

In fondo alla catena umana, precariamente aggrappato a Gungnir, Loki dondolava nel nulla. Dal suo viso erano scomparse l'invidia e la soddisfazione, per fare posto alla paura e al dolore.

-Ci sarei riuscito, Padre!- urlò Loki con tutto il fiato che aveva in gola -Per te, per tutti noi!-, ma la risposta di Odino fu solo un sommesso, irrevocabile e perentorio:-No.

Sconvolto da quella parola, pronunciata come una condanna, il Dio degli Inganni allentò la presa dall'asta dorata e si lasciò cadere nell’abisso, tra le inutili urla disperate di Thor.

Il cuore della ragazza perse un battito davanti a quella scena raccapricciante e, d'istinto, si guardò nervosamente intorno in cerca di una corda o di qualunque cosa avrebbe potuto essere utile per fermare la caduta del dio, il cui corpo si faceva sempre più piccolo e lontano.

Serrò le palpebre, non potendo sopportare ulteriormente quella vista, e, quando le riaprì, il volto di Loki era di nuovo di fronte a lei.

Sentiva di aver riacquisito il controllo del suo corpo, ma, quando il Dio degli Inganni tolse le mani dalla sua fronte, non si mosse di un millimetro.

Non sapeva cosa dire: quell'uomo le aveva fatto forse il lavaggio del cervello? Perché, altrimenti, non avrebbe saputo spiegarsi quella paura che l'aveva presa nel momento in cui l'aveva visto sprofondare nel nulla.

-Trovato nulla di interessante?- si sforzò di chiedere la ragazza, percependo l'eccessiva durata di quel silenzio.

-Il blocco è ancora troppo forte- rispose l'uomo, voltandole le spalle e accarezzando i dorsi dei libri sugli scaffali, poi aggiunse: -Sei libera di andare, oramai è quasi l'alba.

-Hai intenzione di ripetere questa...cosa che hai fatto?

-La lettura del pensiero è un processo delicato che richiede grande concentrazione e molta energia- rispose l'uomo, continuando a darle la schiena -Si è rivelata infruttuosa perciò, a meno che non si riesca a trovare un modo per accedere a quella particolare sezione della tua memoria, ritengo che sia completamente inutile ripetere l'operazione.

"Meno male!" pensò sollevata la ragazza, ringraziando dentro di sé la sua buona stella per non dover subire una seconda volta quel terribile trattamento.

-Il sole è sorto- disse Loki, notando un caldo raggio di sole che filtrava attraverso le finestre -E tu hai del lavoro da fare. Va' pure, Chiara.

Non aspettava altro: senza perdere di vista quella figura alta e sottile, Chiara aprì la porta, lanciò una fugace occhiata al corridoio per assicurarsi che nessuno la vedesse e uscì.

Per una manciata di secondi rimase aggrappata alla maniglia argentata, a metà tra il desiderio di riaprirla per verificare se Loki fosse ancora nella stanza e l'istinto di scappare e mettere più distanza possibile tra lei e il Dio della Menzogna.

Fu un rimbombo lontano di passi a riportarla alla realtà e a convincerla ad allontanarsi e cominciare a lavorare, come ci si aspettava che facesse.

Si incamminò il più velocemente possibile, cercando di distanziare i suoi passi al massimo della lunghezza che le sue gambe permettevano, ma ben presto si accorse di attirare la curiosità delle guardie che terminavano la ronda notturna, così rallentò.

Cambiò tattica: iniziò misurare i propri passi, tentando di assumere un atteggiamento disinvolto, ma più si sforzava di apparire calma e tranquilla, più i suoi muscoli si irrigidivano. All'improvviso, la piccola, fragile routine che era riuscita a crearsi stava crollando, di nuovo.

Non riusciva a capirci nulla e, per un’altra volta ancora, si sentì smarrita e spaesata. Certo, quello che le era capitato dal momento in cui si era risvegliata sul pavimento della cella bianca, non si poteva definire la cosa più normale del mondo, ma stava iniziando a prendere il ritmo, sopratutto perché sapeva che avrebbe trovato il modo per fuggire, prima o poi.

Ora, invece, aveva perso anche quella piccola speranza perché temeva che, se fosse di nuovo entrata in quella stanza, lo avrebbe rivisto, ma non come fantasma, come evanescente immagine nella sua mente, bensì come persona reale. Aveva persino il timore di formulare pensieri nella propria testa, sapendo che lui li avrebbe scoperti. Si sentiva nuda e vulnerabile, una marionetta nelle mani di qualcuno che era ritenuto uno dei più pericolosi criminali dei Nove Regni.

Mentre entrava nelle cucine e prendeva il solito vassoio della colazione, le sue orecchie rimbombavano e non sentì l'usuale commento acido mattutino di Kalista.

Attraversò il cortile e iniziò a salire le scale, ma qualcosa le sbarrò la strada e per un pelo il boccale di birra non finì per terra.

-Sta' attento a dove metti i piedi, idiota!- ruggì inviperita.

Hogun, sorpreso, la squadrò da cima a fondo, poi disse calmo: -Ti chiedo perdono.

La ragazza, che non si aspettava da se stessa una reazione così aggressiva, avvampò, ma all'improvviso provò una gran rabbia salirle in corpo, bramosa di uscire. Sentendo odore di guai, si aggrappò a tutto il suo buonsenso e si mise a correre su per le scale, finché non fu sparita dalla vista del guerriero.

"Cosa diamine mi è preso?" si domandò sconcertata. Si appoggiò al muro e inspirò profondamente: per quella mattina aveva avuto abbastanza emozioni e doveva imporsi un contegno.

Quando fu finalmente entrata nella stanza di Thor, il Dio del Tuono era già sveglio e stava terminando di vestirsi.

-Buongiorno!- l'accolse quello sorridente, poi, alla vista del suo volto sconvolto, chiese preoccupato: - Stai bene? Sembri molto affaticata.

-Sto benissimo- mentì quella, posando il vassoio sul tavolino e prendendo le stoviglie sporche della cena della sera precedente per portarle in cucina, poi il suo sguardo cadde sul triclinio

-Sono arrivata in un momento inopportuno?- domandò: sul mobile, infatti, vi erano degli abiti inequivocabilmente femminili, che di certo non potevano appartenere al dio.

Thor rispose, sedendosi al tavolo e agguantando un grosso pezzo di carne di montone: -Li ha portati Angnis, sono i tuoi abiti nuovi e laggiù ci sono anche le scarpe.

Chiara, che aveva completamente dimenticato quella faccenda, dovette riconoscere la straordinaria bravura della sarta di corte: Angnis le aveva confezionato una blusa di lino leggero ricamata con fiorellini azzurri lungo i bordi delle maniche, una casacca più pesante di lana, una sottile cinta di cuoio con borchie metalliche incise con motivi decorativi a spirale, un paio di pantaloni che, dopo attenta analisi, risultarono essere stati ricavati dal tessuto dei suoi vecchi jeans, un paio di camicie color crema e un lungo abito color pervinca.

In un primo momento ritenne che fosse uno degli abiti tipici delle ancelle di corte, ma la delicatezza del tessuto e la cura per i dettagli (le maniche lunghe erano state fatte di un tessuto semitrasparente simile al raso, mentre sulla vita dell'abito brillava una cintura di satin bianco dalla fibbia d'ottone lavorato con motivi floreali) le suggerirono che quello non fosse un comune abito da schiava, bensì qualcosa di particolare, probabilmente per un'occasione altrettanto particolare. A prova di ciò notò che, oltre a un paio di bassi stivaletti di pelle, vi erano anche dei sandali composti da delle fettucce dello stesso colore blu dell'abito, intrecciate e fissate a delle suole di cuoio morbido.

-È bellissimo!- disse piano la ragazza, ammirando alla luce del mattino quel magnifico capolavoro di sartoria.

-Sì- intervenne il dio -Scommetto che sarai incantevole con quello addosso alla Festa d'Estate.

-Come, scusa?- domandò Chiara, che non aveva mai sentito parlare di quella ricorrenza.

-La Festa d'Estate- ripeté Thor, finendo di bere la birra dal grosso boccale di peltro -Sono sicuro che ti piacerà! L'anno scorso nello Âlfheimr hanno organizzato danze e spettacoli musicali per tre giorni e tre notti senza interruzioni. Dubito che Padre possa tollerare dei festeggiamenti così prolungati quest'anno, ma sono sicuro che Asgard riuscirà ad essere all'altezza della situazione.

Una lampadina si accese nella testa di Chiara, che, al nome di Âlfheimr, ricordò il capitolo di un libro di storia che aveva sfogliato un paio di notti prima: il Regno degli Elfi Chiari.

Riusciva già a immaginarseli: alti, biondi, vestiti di bianco e, sopratutto, con le orecchie a punta, proprio come in tutte le fiabe e i racconti fantasy che aveva letto su Midgard.

-Stai dicendo che andremo nel regno degli Elfi?- chiese emozionata.

-Non esattamente- rispose Thor -Saranno loro a venire qui. I due regni ospitano le casate reali e le loro corti ad anni alterni, ma non ti preoccupare- aggiunse il dio, notando l'espressione delusa della ragazza -È meglio così; Âlfheimr non è esattamente il luogo più adatto per accogliere forestieri: ricordo l'enorme spavento che si presero Padre e Madre quando una volta, durante la Festa, Loki si era allontanato e smarrito nelle foreste. Lo ritrovarono il giorno dopo in una grotta, mentre cercava di accendere un fuoco senza l’uso della magia.

"È la prima volta che mi parli della tua famiglia" pensò Chiara tra sé e sé.

Il senso di colpa le morse lo stomaco: sapeva quanto Thor, nonostante tutto quello che era capitato in passato, fosse legato al fratellastro e, ne era certa, scoprire che in realtà Loki era ancora in vita lo avrebbe reso incredibilmente felice, ma non poteva dire una sola parola riguardo quello che era accaduto durante la notte.

Se l'avesse raccontato, avrebbe dovuto spiegare perché si trovava nella stanza e come aveva fatto a entrarci, o, peggio, l'avrebbero presa per pazza o per bugiarda,  poiché non poteva dimostrare in alcun modo quello che affermava.

Dovette mordersi le labbra per costringersi a tacere, ma si sentì uno schifo: avrebbe potuto rendere felice l’unico individuo che l’aveva difesa e protetta dal primo momento in cui era finita su Asgard e tutto quello che era in grado di fare era pensare a se stessa, a non finire nei guai.

Provò un tale senso di vergogna, che per poco non scoppiò in lacrime.

 “Sono una complice”.

Distratta da quel pensiero, non si era accorta che Thor aveva continuato a parlarle e ora la stava osservando, in attesa che dicesse qualcosa.

-Ehm, sì, certo!- si affrettò a rispondere -Sarà sicuramente molto divertente.

-Molto bene!- convenne l’uomo -Ci vediamo stasera. Oggi mi aspettano delle questioni piuttosto spinose.

-Prima di andare- lo fermò Chiara con un filo di voce -Vorrei ringraziarti di tutto quello che hai fatto e stai facendo per me. Se non fossi intervenuto, a quest’ora sarei ancora in quel buco di cella. Lo apprezzo molto, davvero.

Il dio, pensò la ragazza, inizialmente sembrò un po’ sorpreso, ma poi le rivolse un sorriso imbarazzato e, mugugnando un saluto, uscì dalla stanza.

Quella mattina, mentre raccoglieva i panni e le lenzuola sporchi, Chiara continuò a pensare a Loki.

 

Angolo dell’autrice: ciao a tutte e un caloroso benvenuto alla new entry che ha iniziato a seguire la storia! Grazie mille di cuore! Dunque, piccola rettifica per chi non conoscesse l’episodio della mitologia nordica citato nel testo: tra le varie marachelle che Loki combina, un bel giorno gli viene in mente di tagliare la bionda chioma a Sif, che da allora le crebbe corvina. Il motivo per cui abbia subito una tinta permanente in seguito a un cambio di taglio di capelli mi è ignoto e, siccome sono sicura che siete molto più ferrate di me sull’argomento, se qualcuna volesse svelarmi l’arcano o anche solo avanzare un’ipotesi, gliene sarei molto grata.

Ciò detto, spero che il capitolo sia valso il tempo che avete speso a leggerlo.

Un abbraccio e statemi bene!

Alla prossima

Lady Realgar

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Capitolo 14
*** Ferro e fuoco ***


Quel giorno, durante la lezione, tra i bambini c’era un insolito fermento che, sommato all’agitazione di Chiara per il suo incontro notturno, era sfociato nell’anarchia più assoluta.

Dopo la prima mezz’ora passata nel vano tentativo di stabilire l’ordine, la ragazza si era arresa e si era persa nei suoi pensieri. Fu distratta da una leggera pressione al fianco: -Chiara?- la chiamò Myria.

-Dimmi, piccola- rispose la ragazza, sforzandosi di sorriderle nel modo più naturale possibile.

-Ti ho fatto un disegno- disse la bambina, porgendole un pezzo di stoffa bianca stropicciata e impastata di nero di seppia.

-Ma davvero? Vediamo!

Chiara afferrò la bambina sotto le ascelle e se la pose in grembo, accarezzandole leggermente i capelli, mentre quella le mostrava tutta orgogliosa il frutto del suo lavoro.

-Qui ci sono io- spiegò Myria, indicando una piccola figura al centro della stoffa -Qui c’è la zia Angnis e qui ci sei tu.

-Caspita!- esclamò Chiara, enfatizzando quell’espressione con il tono della voce -Ti sei disegnata proprio bene! E la zia sembra proprio felice in questo disegno, ma chi è quell’altra figura vicino a me?

-Quello è il principe- rispose allegra la bambina -È il vostro matrimonio.

-Il nostro cosa?- domandò Chiara sconcertata.

-Il vostro matrimonio- ripeté infastidita Myria, come scocciata dalla lentezza della sua interlocutrice -Tanto voi vi sposerete.

“Questa bambina mi sta shippando con Thor?!”

-Ma Myria, tesoro- si affrettò a dire -Io e Thor non ci vogliamo sposare.

-Perché no?- chiese delusa la piccola.

-Perché io sono già fidanzata.

“E perché Thor puzza come un cavallo quando torna dagli allenamenti”

-Sì, ma lui ti ha invitata al ballo!- insistette Myria, fermamente convinta della ragionevolezza di quel pensiero.

-Chi ti ha detto una cosa del genere?

-Ne parlano tutti a palazzo e poi io voglio che diventi regina, così poi ci insegni ancora più cose, non solo a me, ma anche alla zia e agli altri!

Chiara, commossa da quella fiducia così spontanea, abbracciò quella piccola creatura con calore, ma nella sua testa un ulteriore, preoccupante, pensiero cominciò a ronzare fastidioso.

Aveva imparato che attirare su di sé le attenzioni della gente, da quelle parti, non portava altro che guai e, conoscendo la già poca simpatia che la componente femminile del palazzo provava per lei per essere la serva personale del rampollo reale, ben presto avrebbe potuto avere dei problemi se quello che Myria diceva era vero.

“E che palle, però!”

Quando il tempo della lezione fu terminato, Chiara accompagnò i bambini da Angnis, lasciandoli alle sue cure, e si diresse verso la stanza di Thor.

Mentre attraversava il palazzo, prestò attenzione all’espressione delle ragazze che incontrava, ma non riuscì a scorgere nulla più della solita indifferenza mista a disprezzo che le rivolgevano di solito.

Passò di fronte alle finestre che davano sul cortile d’addestramento e si soffermò a guardare i soldati, cercando tra essi il principe.

Come si aspettava, Thor non era lì con loro: prima di uscire dalla stanza quella mattina aveva accennato ad alcune questioni spinose, probabilmente qualcosa a che fare con la politica di Asgard. Era naturale che non avesse tempo di allenarsi.

In compenso i Tre Guerrieri e Sif erano lì, come ogni giorno, a guidare l’addestramento e a insegnare le tecniche belliche ai soldati.

Sif era meravigliosa quel giorno, avvolta dallo scintillio della sua armatura; in una società guerriera e fondamentalmente maschilista come quella asgardiana, Chiara riteneva che fosse davvero una donna formidabile, con un carattere e una determinazione fuori dal comune

“Peccato che sia una stronza”.

“Una stronza maledettamente bella” pensò poi, immaginandosela in un favoloso abito da sera nel bel mezzo di un elegante ballo di gala.

Lo sapeva: anche vestendo il più brutto e povero degli abiti, Sif l’avrebbe sempre superata di una spanna in qualunque qualità.

Con una morsa all’orgoglio, la ragazza tornò sui suoi passi e recuperò la solita pila di panni sporchi dalle camere principesche.

Non appena fu entrata negli ambienti della lavanderia qualcosa la colpì alla schiena, facendola stramazzare al suolo, fortunatamente cadde sulla cesta dei panni e si procurò solo qualche ammaccatura.

-Tutte fuori!- ordinò perentoria una voce familiare al di sopra di lei.

Chiara si voltò di scatto e vide Kalista indicare la porta alle altre serve, che obbedirono terrorizzate, lanciando dei piccoli gridolini di paura. Non fu difficile scoprire cosa le avesse intimorite: alle spalle di Kalista vi era un energumeno di due metri per 120 kg di muscoli che lanciava occhiatacce torve a destra e a manca.

Quando tutte furono uscite dalla lavanderia, l’uomo afferrò Chiara per un braccio, costringendola a sollevarsi.

“Oh merda!” imprecò interiormente la ragazza: quell’uomo, che doveva essere il famigerato fratello di Kalista, era la stessa guardia che l’aveva minacciata nelle prigioni il primo giorno dopo il suo risveglio.

-Molto bene, piccolo scarafaggio- esordì Kalista rivolgendosi a lei -Un uccellino mi ha riferito una notizia a dir poco spiacevole.

-E sarebbe?- domandò Chiara, senza riuscire a staccare gli occhi di dosso all’energumeno.

-Non far finta di non sapere nulla, razza di sgualdrina!- urlò Kalista con un tono di voce pericolosamente acuto -Da tutto il giorno non si parla d’altro che dell’invito che Thor ti ha fatto per il ballo della Festa d’Estate! Non era mai successo che il principe facesse un invito formale a qualcuna, soprattutto a una sporca puttana midgardiana.

-Non vedo cosa possa c’entrare io in tutto questo!- esclamò Chiara, stufa marcia di riceve insulti da quella matta.

-Oh sì, che c’entri, puttana! Devi avergli fatto qualche sorta di maleficio per poterlo sedurre. Tutto torna: tu aspiri al trono di Asgard e per farlo sei disposta anche ad avvelenare la mente del mio dolce amore. Io te lo impedirò!

Poi, rivolgendosi all’uomo, disse: -Tu che ne dici, fratello? Qual è il modo migliore per punire una losca strega come questa? Preferisci ustionarle la faccia con un ferro incandescente oppure tagliarle un piede, così non potrà ballare mai più?

L’uomo, che non aveva minimamente accennato a voler allentare la presa sul braccio della malcapitata, rispose freddo: -Perché non tutte e due le cose?

Kalista sorrise maligna: -Oh, mio caro fratello, hai sempre la risposta giusta per tutto. Tienila ferma!

L’energumeno serrò ancor di più la presa su Chiara, mentre Kalista prendeva dalla brace un ferro da stiro rovente.

Chiara sentì l’adrenalina entrarle in circolo, ogni campanello d’allarme nel suo corpo stava suonando all’impazzata: doveva trovare un modo per scappare!

Tentò di divincolarsi, di urlare, di tirare via le braccia dalle dita serrate dell’uomo, ma non servì a nulla e, intanto, Kalista era così vicina che riusciva già a sentire il calore del ferro sul volto.

“Aiuto!”

Dal braciere al centro della sala si alzarono, all’improvviso, delle grandi fiammate verdi e un forte scoppio fece finire a terra sia Kalista che il fratello, trascinando bruscamente Chiara sulla pietra del pavimento.

Approfittando di quel momento di confusione, la ragazza tentò di nuovo di liberarsi, ma quello continuava a stringere la presa. Disperata, sferrò un calcio sui genitali della guardia con tutta la forza che aveva nella gambe, quello urlò dal dolore e Chiara, finalmente libera, cominciò a correre più veloce che poté.

In un lampo si lanciò verso l’uscita, spinse la porta con tutte le sue forze e cominciò a correre lungo il corridoio, mentre alle sue spalle sentiva già le urla di Kalista e del fratello che la rincorrevano.

Salì d’un fiato una rampa di scale e percorse un altro corridoio, senza badare a dove stesse andando, né a cosa si trovasse davanti in quella corsa disperata.

Le voci dei suoi inseguitori non cessavano e Chiara, che non era mai stata una corritrice, sapeva bene che ben presto il vantaggio che aveva le sarebbe servito a poco e che i due fratelli l’avrebbero raggiunta.

Il panico cominciò a impossessarsi di lei quando, svoltato un angolo, il ginocchio le cedette, facendola cadere rovinosamente sul freddo pavimento di pietra.

Cercò di rialzarsi, ma quel maledetto ginocchio le faceva troppo male e non riusciva a reggere il peso del suo corpo; intanto il rumore dei passi alle sue spalle si stava facendo sempre più forte e vicino.

“Mi uccideranno!” pensò disperata, ma, inaspettatamente, i suoi occhi notarono l’arazzo accanto a lei, che un colpo di vento aveva fatto ondeggiare, rivelando un corridoio secondario stretto e buio.

Senza rifletterci un attimo, vi si lanciò all’interno e ne nascose l’accesso con il drappeggio, giusto in tempo per non essere vista da Kalista, che, seguita dalla guardia (ancora piegata per il dolore), la oltrepassò.

Trattenendo il respiro per paura di far rumore, Chiara attese finché non ci fu silenzio assoluto, poi riprese a respirare affannosamente, maledicendo sottovoce Thor, Kalista, il suo ginocchio e la Festa d’Estate.

Per qualche minuto si concentrò solo sul suo respiro e sul suo battito cardiaco, in attesa che entrambi tornassero alla normalità, mentre il dolore al ginocchio molto lentamente cominciava a scemare.

Quando si fu calmata abbastanza da poter ragionare con lucidità si impose, per il futuro, di ascoltare quello che le altre persone gli dicevano (immaginò che il famoso invito fosse avvenuto quella mattina, quando aveva smesso di prestare attenzione a Thor e che con la sua frase di circostanza avesse accettato inconsapevolmente), domandandosi come fosse stato possibile che quella notizia fosse trapelata così in fretta.

In un primo momento pensò a Loki: sembrava il tipo di persona capace di fare dispetti simili, ma non riusciva proprio a immaginare come quella situazione avrebbe potuto avvantaggiarlo. Forse era una ripicca per quello che gli aveva detto la notte precedente? Ma allora quelle fiamme verdi? Non potevano essere un caso, con quel colore così particolare e innaturale.

Che l’avesse aiutata? E se era davvero così, chi si nascondeva dietro quella (quasi) fatale fuga di notizie?

Non riusciva a venirne a capo e, per il momento, non lo ritenne il problema principale: Kalista poteva essere ancora lì fuori a cercarla e lei doveva trovare un modo per uscire senza farsi vedere.

Si alzò a fatica e cominciò a percorrere il tunnel nella direzione opposta all’entrata.

“Da qualche parte dovrà pur portare” pensò, aggrappandosi alle pareti umide, mentre zoppicava nel buio.

Proseguì per un tempo che non riuscì a percepire con chiarezza, finché il suono distinto di due voci non le attraversò i timpani.

-…bisognerà raddoppiare la sorveglianza e preparare i soldati ad ogni evenienza…- disse la prima voce nell’eco del tunnel.

-Padre, quale minaccia incombe su di noi, tanto da richiedere tali precauzioni?- chiese la seconda.

-Tu sei giovane, figliolo, e non sai ancora distinguere i segnali che il pericolo manda a chi li sa leggere. Fa quello che ti ho detto: voglio una coppia di soldati ad ogni angolo della città, in ogni strada, in ogni piazza. Dobbiamo essere pronti a tutto e non farci cogliere assolutamente impreparati.

La voce si interruppe e Chiara udì un tonfo sordo, come di qualcosa che si abbandonava a peso morto su una superficie dura.

-Padre- riprese la seconda voce (inequivocabilmente quella di Thor) -State bene? Sono giorni che vi vedo così affaticato, è già il momento del Sonno di Odino?

-Non dire sciocchezze Thor!- rispose secco il re di Asgard -Io sto benissimo! Piuttosto, ho sentito delle voci stamattina, dai servi che di solito mi portano la colazione: dicono che hai fatto un invito piuttosto particolare, o sbaglio?

“Ancora con questa storia?” sbuffò Chiara.

-Non sbagliate, Padre. Ho chiesto a Chiara di essere la mia accompagnatrice ufficiale per la Festa d’Estate. È una ricorrenza molto particolare, che non ha mai visto, e credo di essere cresciuto abbastanza da poter invitare a una festa chi desidero, senza dare giustificazioni.

La ragazza, che intanto era avanzata di qualche passo per ascoltare meglio, drizzò le antenne interessata.

-Non ti sto chiedendo giustificazioni- ribatté Odino -Non sei più il bambino a cui ho insegnato a cavalcare, questo lo so molto bene, ma come re di Asgard e, soprattutto, come tuo padre vorrei capire quanto è forte il tuo attaccamento nei confronti di questa mortale. Hai forse dimenticato la donna chiamata Jane Foster?

-No, Padre!- rispose secco il principe -Non potrei mai dimenticarmi di Jane e Chiara non la sostituisce nel mio cuore, ma ugualmente ritengo che sia una ragazza buona e gentile, da cui non abbiamo nulla da temere, nonostante la situazione in cui si è ritrovata.

-E cosa più di questo?

Ci fu silenzio, nel quale Chiara si chiese se non fosse il caso di tornare sui suoi passi, ma poi Thor disse: -Quella ragazza mi ricorda Loki.

“Cosa?”

-Intendo dire- riprese il dio -Tra loro c’è un’immensa differenza: in Chiara non vi è quel piacere recondito nel fare del male agli altri e nemmeno quella malizia che era così profondamente radicata in mio fratello, eppure entrambi sono testardi e orgogliosi, ma capaci, al contempo, di atti di gentilezza inaspettata. So che non ami che si parli di Loki in tua presenza, ma, anche se egli non aveva la mia stessa origine, l’ho sempre considerato mio fratello e non sono stato in grado di proteggerlo e aiutarlo quando ne avrebbe avuto bisogno. Ci siamo allontanati finché la distanza tra noi non è diventata incolmabile e ora l’ho perso. Non intendo commettere lo stesso errore con lei. Per tutto il tempo in cui è stata qui ha dato il massimo per dimostrare le sue buone intenzioni e … mi sono affezionato a lei. Voglio che possa trascorrere una sera come mia pari, come mia sorella e amica e che possa divertirsi e dimenticare per un po’ di tempo le sue angosce.

Calò nuovamente il silenzio.

Chiara, commossa da quel discorso così accorato, avrebbe pagato volentieri qualunque cifra pur di vedere l’espressione di Thor (e, soprattutto, quella di Odino) dopo quella rivelazione, ma dovette attendere ancora prima di poter uscire dal suo nascondiglio, infatti udì il sovrano borbottare qualcosa, poi il rumore di pesanti passi attraversare la sala e sparire dietro lo scatto metallico della porta.

Quando vi fu totale silenzio, Chiara riprese a camminare, finché i suoi occhi non vennero trafitti da una lama di luce dorata che filtrava attraverso la congiunzione di due lastre di pietra.

Fece pressione su una di esse e quella lentamente girò di qualche centimetro su dei cardini nascosti, abbastanza da  farla entrare nell’opulenta sala del trono.

Nella testa della ragazza risuonava ancora il monologo di Thor; era la prima volta da quando era arrivata ad Asgard che qualcuno le riconosceva i suoi meriti, ma anche la prima volta che sentiva qualcuno dire qualcosa di positivo nei confronti di Loki.

“Che dolce!” pensò la ragazza, mentre schiudeva la porta e lanciava fugaci occhiate in tutte le direzioni per assicurarsi che non passasse nessuno. Attese che un servo e un soldato, che passavano di lì, svoltassero l’angolo e uscì dalla sala del trono, dirigendosi a passi incerti verso la stanza di Thor.

Aveva ancora il terrore di incontrare nuovamente quella coppia di pazzi, ma se fosse riuscita a raggiungere la stanza del dio, ne era certa, nessuno avrebbe potuto torcerle un capello.

Ora vedeva Thor sotto una luce diversa: non era più solo il ragazzo scostante, ingordo e viziato che pensava, ma una persona sensibile e amichevole, tutt’altra storia rispetto a Loki.

Già, Loki… Da quella mattina Chiara non era riuscita a pensare ad altro e quello che aveva appena sentito non aveva certo aiutato a rimuovere il pensiero del dio dalla sua testa.

Essere paragonata a lui da Thor aveva avuto un sapore del tutto inaspettato: data la fama che quel tipo si era costruito, avrebbe dovuto percepire quel paragone come un insulto, ma da come l’aveva messa il Dio del Tuono era suonato come il migliore dei complimenti.

Forse Thor non aveva tutti i torti: in fondo Loki, pur ritenendola una minaccia, non l’aveva uccisa (certo, non l’aveva trattata benissimo, ma nemmeno le aveva fatto del male) e, se le supposizioni di Chiara erano giuste, l’aveva addirittura salvata dalle grinfie di quei due matti.

Oppure, forse, il dolore al ginocchio e la paura la stavano semplicemente facendo sragionare e tutti quei pensieri sulla bontà nascosta del Dio degli Inganni erano solo il frutto di un ristagno di adrenalina nel suo sistema circolatorio.

Aveva bisogno di cure e di riposo, tanto riposo. Era sfinita. 

Arrivata a metà di una rampa di scale, dovette sedersi e massaggiarsi la gamba dolente, ma un improvviso rumore di passi la mise sul chi vive: che fossero di nuovo quei due all’assalto?

Fortunatamente sulla scala non comparve né Kalista, né tantomeno il suo gigantesco fratello, bensì sir Fandral che sembrò molto sorpreso di trovarla lì.

-Chiara!- esclamò -Grazie al cielo stai bene! Abbiamo saputo quello che è successo e, non trovandoti da nessuna parte, abbiamo temuto il peggio!

-Che cosa?

-Non ti preoccupare, capisco che tu sia sconvolta- disse l’uomo chinandosi e caricandosi la ragazza sulle braccia -Ora ti porto nelle stanze di Thor e ti faccio mandare un Guaritore, va bene?

-Sì certo…- rispose sbigottita.

-Non riesco ancora a crederci: una serva è venuta ad avvisarci di quello che stava succedendo e abbiamo trovato i due fratelli con ancora i ferri roventi in mano, mentre ti cercavano per tutto il palazzo. Sospettavo che Kalista fosse una squilibrata, ma non potevo immaginare che sarebbe stata in grado di arrivare a tanto!

-Certo che da queste parti le voci corrono in fretta- scherzò la ragazza, godendosi il sollievo e la tranquillità di quel momento: ora che quei due erano stati denunciati non aveva più paura. Thor si sarebbe occupato di loro.

-Ringrazia il cielo che sia così- rispose lo spadaccino -O avresti potuto lasciarci il tuo bel faccino.

Era troppo stanca per continuare a parlare, così lasciò che l’uomo la portasse nella stanza e l’adagiasse sul suo triclinio, poi Fandral uscì, promettendole che sarebbe tornato presto in compagnia di un Guaritore, e la lasciò nel silenzio della stanza.

Chiara, nonostante la gamba fosse tornata a farle male, non riusciva a percepire il dolore, ma, al contrario, dentro di sé sentiva un piacevole calore diffondersi dal petto ed estendersi per tutto il suo corpo.

Lo spadaccino si fece di nuovo vivo in pochi minuti, seguito da un uomo e una donna, entrambi vestiti con delle tuniche bianche come la neve a maniche larghe.

La donna, una bella signora dai capelli rosso fuoco e il naso spruzzato di lentiggini, le si avvicinò e con dolcezza le chiese di raccontare come si fosse ferita e quale fosse l’intensità del dolore.

La ragazza spiegò, dunque, dei suoi problemi al ginocchio e della botta ricevuta durante la fuga, mentre i due Guaritori l’ascoltavano impassibili, per poi chiederle di togliere i pantaloni e lasciare che esaminassero la zona.

Pronunciando quell’ordine, la Guaritrice lanciò un’occhiata eloquente al soldato, che, recepito il messaggio, si dileguò.

Chiara si fece esaminare e, dopo un’attenta analisi, le venne fasciato il ginocchio e le vennero prescritti il riposo e una medicina maleodorante dall’inquietante colore verde acido.

Rimase lì per il resto della giornata, a pensare e ad osservare il meraviglioso paesaggio del tramonto che si poteva ammirare dalle finestre. L’aria era frizzante e profumata e dall’esterno arrivava il rumore confuso della città.

Qualcuno bussò alla porta.

-Avanti!- incitò Chiara e nella stanza entrò un ragazzo. Era alto, dinoccolato e non dimostrava più di quattordici anni; tra le mani sorreggeva un vassoio, su cui vi era una bella scodella di minestra fumante

Non le rivolse la parola e lei non cercò di conversare: sembrava piuttosto imbarazzato alla vista di una ragazza con le gambe scoperte e Chiara non voleva metterlo ancora più a disagio, così lo ringraziò quando mise il vassoio accanto al letto e lo salutò con cortesia quando uscì.

Tornò di nuovo la quiete, ma lei, nonostante gli sforzi della giornata e il grosso spavento, non aveva nessuna voglia di mangiare: desiderava vedere Thor, voleva sentirlo ripetere quelle parole, ma questa volta avrebbe dovuto guardarla in faccia e lei avrebbe dovuto vedere la sua. Desiderò che lui potesse vedere il suo vero volto e che lei potesse spiegargli le ragioni delle sue azioni e poi…

-Ma che cavolo sto dicendo?- si domandò la ragazza, non capendo perché mai quel pensiero così strano gli fosse passato per la mente.

-Non lo so! Non ti ho nemmeno sentita fiatare- disse una voce alle sue spalle.

-Thor!- esclamò quella con trasporto, vedendo l’amico entrare nella stanza.

-Come ti senti?- chiese il principe premurosamente, sedendosi sul triclinio.

-Abbastanza bene.

Calò il silenzio: ora che l’aveva davanti non sapeva più cosa dire.

Fu il dio, notando la gamba fasciata della fanciulla, a riprendere la conversazione: -Mi dispiace per quello che è successo. Non potevo immaginare che potesse accadere una cosa del genere per una ragione tanto futile.

Chiara, notando la profonda preoccupazione dipinta sul volto del principe, avrebbe voluto trovare le parole giuste per rassicurarlo, ma non riusciva a pensare a una frase che non suonasse troppo scontata o addirittura falsa: era stato uno dei momenti più spaventosi della sua vita e aveva davvero temuto che non ne sarebbe uscita incolume. In fondo, il dolore al ginocchio era nulla in confronto a quello in cui avrebbe potuto incorrere .

Gli prese delicatamente la mano destra tra le sue e disse: -Non è stata colpa tua.

Esattamente come quel giorno di alcune settimane prima, Chiara si ritrovava a dover consolare quell’uomo grande e grosso, ma questa volta Thor non sembrava per nulla convinto della propria innocenza.

-No, invece- rispose -Sapevo bene quello che Kalista provava per me e in passato era già capitato che facesse dei piccoli dispetti ad altre ragazze con cui mi sono accompagnato, ma mai prima d’ora aveva raggiunto un simile livello di follia e, francamente, non ne capisco il motivo.

-Forse è perché sono solo un’umana- sospirò la ragazza, dando voce a quello che aveva pensato dal primo momento in cui aveva messo piede nel palazzo: come aveva detto anche Loki, lei era quella diversa, l’estranea e, per quanto fosse riuscita a farsi accettare da un piccolo gruppo di persone all’interno della corte asgardiana, non era nulla in confronto al numero di coloro che ogni giorno la trattavano con disprezzo, allontanandosi il più possibile da lei quando la incrociavano nel palazzo e, talvolta, apostrofandola con frasi e appellativi offensivi. Lei era il mostro.

-Non dire mai più una cosa del genere- esclamò Thor -Tra le migliori persone che abbia mai conosciuto vi è un gran numero di midgardiani, uomini e donne disposti a sacrificare tutto per il loro pianeta, persone leali e coraggiose che hanno combattuto al mio fianco e che hanno vinto grazie alla loro forza d’animo e alla loro determinazione. Io ho conosciuto la forza degli umani ed è la stessa forza che vedo in te ogni giorno. Non permettere a nessuno di farti sentire inferiore solo perché è troppo superficiale per sforzarsi di conoscerti.

Prima che la ragazza potesse ribattere alcunché, il dio notò il piatto di minestra fredda abbandonato sul tavolino ed esclamò: -Così però non va bene! Hai bisogno di mangiare se vuoi rimetterti in forze ed essere pronta a festeggiare domani.

Ciò detto andò alla porta e chiamò un servo attraverso il corridoio, ordinandogli di portare un altro piatto di minestra calda e della carne arrosto.

Chiara fu costretta a mangiare, nonostante il nodo che le si era formato alla gola: le parole di Thor, se possibile, erano riuscite a farla sentire ancora più sollevata, ma al contempo le causavano un profondo senso di disagio; il senso di colpa che si era manifestato quella mattina era tornato a farsi sentire e sapeva che non sarebbe stato facile liberarsene.

Quando ebbe augurato la buona notte al principe e si fu coricata, promise a se stessa che dopo la Festa d’Estate gli avrebbe raccontato tutto, al diavolo Loki e i suoi maledetti inganni.

 

L’angolo dell’autrice: ciao a tutte e grazie per essere arrivate alla fine di questo capitolo! Inizio subito con il salutare le nuove arrivate che hanno aggiunto La sua paura tra le storie seguite: vi ringrazio di cuore per la vostra attenzione e il tempo che spendete a leggere questo mio piccolo testo e non posso che augurarmi di riuscire a darvi qualche bella emozione J

La nostra protagonista ha decisamente passato un brutto quarto d’ora, ma per fortuna tutto si è risolto al meglio, ma per quanto durerà questa quiete? ;)

Il dialogo tra i due reali ha scatenato in Chiara un grande moto di affetto nei confronti di Thor, che, me ne sto rendendo conto solo ora, si sta facendo sempre più carino e coccoloso ad ogni capitolo, ancora più di Stitch con Lilo XD (ma sarà sempre così? *risatina malvagia*)

Il fantasma di Loki aleggia sempre nell’aria, come un profumo che ti sembra di conoscere e che continui a sentire, anche se non sai da dove provenga; Chiara, alla fine della Festa, svuoterà il sacco con il Dio del Tuono?

Come di consueto, se vorrete lasciare un piccolo commento al testo, positivo o negativo che sia (se non vi è piaciuto quello che ho scritto e avete dei suggerimenti, sarò lieta di accoglierli), farete la mia felicità e sarà per me un grande piacere rispondervi.

Statemi bene e alla prossima!

Lady Realgar

P.S. Probabilmente non ne avrete bisogno perché è un termine che si è diffuso a macchia d’olio negli ultimi tempi, ma, per chi non lo conoscesse, shippare (italianizzazione del verbo inglese to ship) significa ritenere che due persone, di solito personaggi di film/serie televisive/libri, possano costruire insieme una relazione sentimentale oppure la vivano anche se non in maniera ufficiale o se i due personaggi in questione non ne sono a conoscenza.

Es. Nel mondo di Sherlock (popolare serie televisiva inglese prodotta da BBC) vi è ampio spazio alla Johnlock (crasi tra John e Sherlock) che vede la ship tra i due protagonisti della serie (sebbene Sherlock si definisca sposato con il suo lavoro e John, ad oggi, sia effettivamente sposato con Mary).

Per un maggiore approfondimento, basterà fare una ricerca sulla rete e vi si aprirà un mondo nuovo e vastissimo, come neanche per Jasmine e Aladdin sul tappeto volante. Attenzione: una volta che entri in una ship, è difficile uscirne.

Siete avvisate.

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Capitolo 15
*** Aspettative ***


La mattina seguente il dolore al ginocchio era completamente svanito, ma Thor, nonostante l'insistenza della ragazza, le aveva categoricamente vietato di alzarsi dal letto.

Si ritrovò, così, ad annoiarsi sul suo triclinio, mangiando svogliatamente quando un inserviente le portava il pasto e ammirando dalla finestra il mutare del cielo durante il giorno.

-Avrebbero potuto almeno portarmi un libro!- si lamentò Chiara ad alta voce.

Era come stare seduta sui carboni ardenti: quella sera tutta Asgard avrebbe festeggiato la Festa d’Estate e lei voleva assolutamente avere un’anteprima dei preparativi; dall’esterno arrivava il suono delle prove dei musicisti e delle risate emozionate delle serve, intente ad appendere festoni e ad abbellire il palazzo.

Si mise a sedere e, molto delicatamente, appoggiò al suolo prima un piede e poi l’altro, quando si sentì pronta, si diede una spinta e fu di nuovo in piedi: non sentiva nessun dolore, né alcuna pressione sull’arto, ma non si fidava ancora a sciogliere le bende.

Lentamente, misurando con attenzione i passi, raggiunse la finestra e sbirciò la città sotto di lei: le strade erano costellate di lanterne dorate e, tra una casa e l’altra, penzolavano allegri festoni fatti di fiori multicolori.

In alcuni punti della città e, soprattutto, all’interno del cortile del palazzo, erano state disposte delle cucine mobili e dei lunghi tavoli che, Chiara riusciva già a immaginarlo, sarebbero stati riempiti di gente allegra, intenta a divorare le più disparate prelibatezze.

Era così emozionata! Per una sera, da quanto era arrivata ad Asgard, si sarebbe divertita e sarebbe stata addirittura il “più uno” del rampollo reale. Avrebbe assistito alle danze e ai giochi e, per quella sera, nessuno si sarebbe azzardato a trattarla male; si sarebbe divertita un mondo, avrebbe mangiato e bevuto a sazietà, ma soprattutto avrebbe visto gli elfi.

Con passo più sicuro, Chiara si avvicinò ad una cassapanca e ne estrasse il vestito color pervinca, immaginandosi all’interno di quel meraviglioso tessuto mentre passeggiava per le strade della città illuminata, godendosi la musica e, magari, anche la compagnia di un elfo.

Voleva uscire, voleva vedere la bellezza del palazzo addobbato a festa, così ripose con cura l’abito sopra il coperchio della cassapanca e si avvicinò alla porta.

“Una sbirciatina non potrà far male a nessuno” pensò tra sé e sé, mentre lentamente apriva la porta quel tanto da permetterle di mettere la testa fuori dalla stanza.

-Altolà!- urlò una voce dal corridoio.

Per un pelo Chiara, colta alla sprovvista, non si sbilanciò, rischiando di cadere di faccia sul pavimento di pietra, poi una risata famigliare le arrivò alle orecchie.

-Fandral, per la miseria!- lo rimproverò la ragazza, mentre lo spadaccino l’aiutava a rimettersi in equilibrio -Ti sembra il caso di farmi venire un infarto?

-Thor mi ha chiesto di tenerti d’occhio- rispose l’uomo alzandola di peso e riportandola sul triclinio -Sapeva che avresti disobbedito al suo ordine. Devi stare a letto e lasciare che la medicina finisca di fare effetto o non potrai ballare questa sera.

-Io non ballo- disse Chiara, scocciata.

-Spiacente, mia cara- rispose l’uomo -Ma in quanto accompagnatrice ufficiale del principe non puoi esimerti dal farlo. È anche una questione d’onore per il nostro caro Thor: che figura farebbe davanti agli ospiti se la sua damigella non accettasse di ballare con lui?

Chiara alzò gli occhi al cielo, ma non ribatté: sapeva che non avrebbe portato a nulla discuterne con lo spadaccino; avrebbe riferito le sue intenzioni al diretto interessato e tutto si sarebbe risolto.

-La tradizione- spiegò Fandral -Vuole che un rappresentante della corte asgardiana apra le danze con un rappresentate di quella âlfheimreniana in segno di fratellanza; si comincia con un ballo tradizionale del paese ospite e poi si continua con uno del regno ospitante, sicché vi è uno scambio di doni e poi il primo banchetto, in cui ogni regno offre cibo della propria terra. Da lì in avanti inizia la vera festa, dove ci sono danze ad ogni angolo della città e i distillatori offrono le loro birre e il loro idromele migliori. Una volta Volstagg si era talmente riempito di birra da collassare in un angolo della strada e alcuni bambini avevano iniziato a giocare intorno a lui, tirandosi una palla da un lato all’altro del povero Volstagg.

Chiara rise fragorosamente all’immagine del gigantesco guerriero fulvo adoperato come campo da gioco; si sentiva leggera e spensierata: ormai il ricordo dell’incidente del giorno prima era quasi svanito e, se lo sentiva, il peggio di quell’avventura era passato.

Incuriosita dalle tradizioni che quella festa portava con sé, chiese allo spadaccino: -C’è un’etichetta per cui si decide quale sarà il rappresentate dei due regni ad aprire le danze?

-Solitamente si sceglie tra i membri della famiglia reale- rispose Fandral, sedendosi sul davanzale della finestra -La società dell’Âlfheimr ha un’impostazione matriarcale, perciò capita spesso che sia proprio la regina Jarosit a danzare per prima. Essendo la dama, a lei tocca scegliere con quale cavaliere accompagnarsi: fintanto che Thor era bambino, Jarosit ha sempre ballato con Odino, poi è capitato qualche volta che aprisse le danze anche con lui, sebbene durante il loro primo ballo le abbia pestato così tante volte i piedi, che quella povera donna non si poté più alzare dalla sedia per tutto il tempo della Festa. Una volta è capitato che chiedesse anche a Loki di danzare, ma Odino si era opposto e aveva chiesto a Thor di sostituirlo. Con quello che si è scoperto in seguito non mi sorprende: gli Elfi Chiari hanno un brutto passato con i Giganti di Ghiaccio e l’avrebbero ritenuta una grave offesa se gli asgardiani avessero fatto danzare la loro regina con uno Jotun.

-Quindi quest’anno sarà Odino o Thor a ballare?

-Probabilmente Thor: Odino porta ancora il lutto per la povera regina Frigga e, con Loki all’inferno, l’unico reale disponibile è il principe. Speriamo che abbia pietà dei piedi di Jarosit, questa volta.

Lo sguardo del soldato cadde sulla cassapanca a fianco a lui e notò l’abito, lo prese tra le mani e iniziò a studiarlo.

-Questa volta Angnis si è proprio superata, ma forse l’avrei fatto più scollato- commentò Fandral, ammiccando malizioso alla ragazza -E questo mi fa ricordare che tu devi prepararti per stasera.

Ciò detto si affacciò al corridoio e diede una voce a delle servette, che, in pochi minuti, entrarono di corsa nella stanza armate di spazzola, nastri per capelli, boccette di profumo e una misteriosa scatola di legno smaltata.

-Vi lascio alle vostre faccende- si congedò Fandral -Io starò di guardia alla porta, casomai ti venisse ancora voglia di scappare.  

Chiara non riuscì a dire nemmeno mezza parola, che già le ragazze si erano avventate su di lei e, probabilmente rancorose per il ruolo di accompagnatrice del principe che la loro vittima ricopriva, avevano cominciato a spazzolarle e acconciarle i capelli con eccessiva foga.

Bloccata sul triclinio, non poté far altro che subire quel trattamento, lasciando che le ancelle le intrecciassero i capelli in una complicata acconciatura e che la cospargessero di acqua di rose.

Fu quando una delle ragazze aprì la scatola, mostrando al suo interno una serie di boccette piene di sostanze colorate, che Chiara si impose, rifiutando categoricamente di farsi truccare: ignorava quali fossero le sostanze che componevano quei cosmetici, ma aveva letto molto tempo prima che, nell’antichità, le donne si applicavano sulla faccia pigmenti fatti col piombo e l’arsenico e tra quelle boccette ce n’erano due contenenti un bianco e un rosso estremamente sospetti.

“Potrebbero anche essere tutt’altro” pensò la ragazza “ma di certo non intendo correre il rischio!”

Quando le ragazze ebbero concluso e le ebbero rimosso i bendaggi dalla gamba, l’accompagnarono allo specchio, mostrandole il frutto del loro lavoro.

Chiara non riusciva a riconoscersi nell’immagine che quella superficie metallica le restituiva: di fronte a lei c’era una ragazza della sua stessa altezza e corporatura, ma valorizzate da quel meraviglioso abito blu, che le donava un’eleganza quasi regale; i suoi capelli erano dell’usuale sfumatura castana, ma non erano gonfi e arruffati come di solito, anzi, erano perfettamente ordinati e impreziositi da dei nastri di seta della stessa tonalità dell’abito.

Più di ogni altra cosa, però, era diversa nello sguardo: l’ultima volta che la ragazza si era vista allo specchio era in lacrime e il suo volto era teso e contratto dalla tristezza; la fanciulla riflessa quel giorno, invece, aveva uno sguardo luminoso e gioioso e un largo sorriso carico di speranza le attraversava il viso.

“Stasera nulla può andare storto” pensò tra sé la ragazza, ammirandosi allo specchio; ma non fece in tempo a concludere quel pensiero, che la voce di Fandral le arrivò da dietro la porta.

-Che storia è mai questa?- domandò irato l’uomo -La ragazza è l’accompagnatrice ufficiale del principe e voi non avete alcun diritto su di lei e… Fermi! Non potete entrare!

Ma la porta si spalancò in un tonfo, lasciando che due guardie armate fino ai denti entrassero nella stanza, da cui le ancelle, emettendo dei gridolini spaventati, si affrettarono ad uscire, lasciando così Chiara da sola in balia dei due energumeni.

-Cosa volete?- domandò secca la ragazza, mentre Fandral le si poneva di fronte, pronto a farle da scudo.

-Portiamo un messaggio da parte di Sua Maestà il re- rispose uno dei due soldati -Egli ti proibisce di partecipare alla Festa d’Estate e ci ha incaricato di sorvegliarti. Fino alla conclusione dei festeggiamenti dovrai rimanere in queste stanze; non potrai uscire per nessuna ragione fino a nuovo avviso. Pena: l’immediata carcerazione.

-Per quale motivo mi viene negata la Festa d’Estate?- chiese.

-Gli ordini del Padre di Tutti non si discutono- rispose l’altra guardia -E ha ordinato l’estensione della pena a tutti coloro che si opporranno all’applicazione di quest’ordine.

Quest’ultima frase, evidentemente, era indirizzata direttamente a Fandral, il quale però non diede il minimo segno di cedimento, ma, al contrario, disse: -Allora rimarrò in compagnia della signora per la durata della Festa.

-L’umana non ha diritto ad avere visite durante la permanenza nelle stanze principesche- rispose bruscamente una guardia, mentre afferrava per un braccio lo spadaccino e lo trascinava fino alla soglia dell’entrata.

Fandral diede uno strattone e si liberò dalla presa, poi, prima di uscire, disse in direzione della ragazza: -Proverò a parlare con Odino, vedrai che risolveremo ogni cosa.

“Ne dubito” pensò Chiara, mentre la porta veniva chiusa con forza davanti ai suoi occhi, facendo completamente svanire tutte le belle promesse che erano sorte per quella serata.

-Maledizione!- urlò la ragazza, lanciando la brocca d’argento contro un muro e facendo schizzare acqua in ogni dove.

“Fandral avrebbe dovuto imporsi e combattere! Le sue parole non valgono nulla!”

Era infuriata e dentro di sé continuava a rimproverare lo spadaccino per la sua mancanza di determinazione nel difenderla. Lo ritenne un vile e un incapace, ma, dopo qualche minuto, la rabbia scemò e Chiara provò vergogna per quello che aveva pensato: Fandral non era certo nella posizione di poter opporsi a un comando del sovrano, anzi, aveva rischiato molto già solo frapponendosi tra lei e le guardie.

“Cosa mi sta succedendo?” si domandò la ragazza, lasciandosi cadere sulla morbida superficie del letto: non era la prima volta che in lei scoppiava una furia tanto impetuosa e, non essendo per natura una persona iraconda, non riusciva a capire cosa la portasse ad avere quegli sfoghi rabbiosi.

Rimase distesa sul letto per almeno un’ora, mentre all’esterno l’oscurità della notte stava calando su Asgard e cominciava a diffondersi per le strade il fermento per l’inizio della tanto attesa Festa d’Estate.

L’aria venne squarciata da un boato e una luce improvvisa illuminò a giorno la città per la durata di un lampo, poi cominciò una musica allegra a segno dell’inizio dei festeggiamenti.

“Gli elfi sono arrivati” pensò la ragazza, alzando appena la testa in direzione della finestra.

Non si sarebbe lasciata abbattere così: quale vantaggio c’era nello stare su un altro pianeta se poi non vi era la possibilità di conoscere nuove civiltà? Sarebbe andata a quella festa a tutti i costi e avrebbe visto gli Elfi Chiari in barba a Odino!

Colma di una nuova risolutezza, Chiara si alzò dal letto e si avvicinò alla porta per sbirciare attraverso il buco della serratura: le due guardie erano ancora lì a bloccare l’uscita.

“Da qui non si passa”

 Si allontanò dalla porta e cominciò a camminare per la stanza, scostando ogni tenda, ogni mobile, cercando un qualche passaggio segreto o un’area della camera che non aveva ancora trovato.

Non rilevò nulla di particolare.

“Concentrati, Chiara. Concentrati!”

Si ricordò, all’improvviso, che, quando aveva scagliato la brocca d’argento contro il muro, quest’ultimo aveva prodotto un tonfo, come se fosse stato vuoto.

Corse verso alla parete e cominciò a bussare con le nocche in più punti.

“Pieno…pieno…pieno…vuot…no, pieno”

Ripeté quell’operazione su ogni superficie verticale, ma, anche in quel caso, fu un buco nell’acqua.

Nel frattempo, dalla finestra cominciavano ad arrivare le voci festose degli abitanti e i profumi delle carni cotte sulla fiamma.

Chiara sentì il proprio stomaco brontolare e, attratta da quegli odori invitanti, si affacciò alla finestra, osservando avidamente ogni dettaglio della festa che poteva carpire da quella visuale; poi una lampadina le si accese in testa: la finestra!

La finestra era l’unico accesso all’esterno che non era stato messo sotto sorveglianza, avrebbe potuto uscire da lì!

Si affacciò e cercò di valutare l’altezza del muro fino al suolo erboso: “Saranno più o meno una ventina di metri, se annodo le lenzuola potrei anche farcela”.

Ciò detto, aprì tutte le cassapanche e tutti gli armadi e ne estrasse ogni lenzuolo, ogni pezzo di stoffa abbastanza lungo e resistente che potesse servire allo scopo.

Quando ebbe raccolto abbastanza materiale, compose una lunga fune di lenzuola e ne legò un’estremità ai piedi del letto, sperando che fosse abbastanza pesante da sorreggere il suo peso.

Con delle camicie si realizzò una pettorina e l’assicurò alla fune, poi si sedette sul davanzale e guardò giù.  

Ora che si trovava lì, quell’altezza sembrava ben più elevata di quanto avesse immaginato.

“Coraggio, Chiara. Sei uscita di prigione e sei sopravvissuta a due pazzi armati di ferri roventi; questa è solo una passeggiata in verticale”.

Fece scivolare la fune oltre la finestra, sporse le gambe verso il vuoto e, senza guardare giù né pensarci troppo, si spinse con il bacino verso l’esterno, tenendosi saldamente alle lenzuola con le mani.

Ci fu uno strattone improvviso che fece sobbalzare il cuore della ragazza dalla paura, ma, dopo qualche secondo di panico, la corda fai-da-te sembrò reggere.

“Sono fuori!” esultò Chiara dentro di sé.

Cautamente e lentamente, la ragazza iniziò a scendere puntellandosi con i piedi sulla parete e appoggiandoli ad ogni sporgenza e irregolarità che trovava lungo il suo cammino.

I minuti passavo lenti come ore e i metri sembravano centimetri, ma all’improvviso un rumore spaventoso attirò l’attenzione della ragazza.

Sopra di lei, il lenzuolo che sfregava contro lo spigolo di pietra del davanzale si stava, lentamente e inesorabilmente, strappando.

Il panico cominciò a impossessarsi della ragazza:  non era nemmeno arrivata a metà strada e l’altezza era ancora troppo gravosa per lasciarsi cadere senza rompersi le ossa, mentre la risalita sarebbe stata ugualmente impraticabile perché non sarebbe riuscita ad anticipare la rottura del lenzuolo.

“Perché mi caccio sempre in situazioni simili?” pensò disperata la ragazza, sentendo il tessuto cedere sempre di più sotto le sue mani.

Poi all’improvviso una visione: Volstagg, con le braccia cariche di cibo e boccali di birra, stava passando proprio da quella parte.

-Volstagg! Volstagg!- urlò la ragazza con tutta la forza dei propri polmoni -Al volo!

Sentì il lenzuolo cedere completamente sotto il suo peso e il suo corpo fluttuare per una frazione di secondo, per poi cadere nel vuoto.

“Volstagg, ti prego!”

Pochi secondi la separavano dal suolo e già riusciva a sentire il rumore delle proprie ossa spezzarsi all’impatto, ma, fortunatamente, non fu contro la terra che la ragazza andò a cadere, bensì contro le braccia del corpulento guerriero, che prontamente era accorso.

-Per tutti gli astri, Chiara!- urlò l’uomo -Che diamine stavi combinando?

“Sono viva!”

Per poco non scoppiò in lacrime dalla gioia: avvolse le braccia intorno al collo dell’uomo e lo strinse con forza, sussurrandogli all’orecchio -Grazie!

Volstagg attese che la ragazza si fu calmata, poi la fece scendere e riprese le sue domande: -Cosa stavi combinando appesa come un salame alla finestra?

-Stavo stendendo i panni!- rispose di getto Chiara -Dalle mie parti si usa metterli tutti in fila e per poi appenderli alla finestra, ma mi sono sporta troppo e sono scivolata.

Era una bugia poco convincente, ma tant’era: ormai l’aveva detta e non sapeva davvero cos’altro inventarsi per giustificare quella caduta.

-Beh, panni o meno- rispose quello con un gran sorriso di sollievo -Sia lode ad Odino che mi ha ordinato di tenere d’occhio questa zona o a quest’ora saresti diventata una frittata.

Chiara rise di gusto: avrebbe dato chissà cosa per vedere la faccia di Odino se avesse saputo che, per un suo ordine, non solo non era riuscito a liberarsi una volta per tutte della sua scomoda presenza, ma, anzi, le aveva addirittura salvato la vita!

Inoltre la consapevolezza di essere appena scampata alla morte le dava una nuova vitalità: salutò il guerriero promettendogli una birra come forma di ringraziamento per il suo salvataggio e si mise a correre perdi-fiato verso la città.

Alla faccia di Odino, di Loki e di Kalista quella sera si sarebbe divertita.

 

Angolo dell’autrice

Ciao a tutte e benvenute alla fine del capitolo 15 de La sua Paura! Per cominciare vorrei, come sempre, ringraziare con tutto il cuore le lettrici della storia: chi passa e dà uno sguardo e chi mi onora di una recensione. Davvero grazie: siete il motore che muove la mia creatività! ^-^

Chiara è convalescente e viene preparata per la festa imminente, sia dal punto di vista intellettuale, sia da quello estetico, ma, come al solito, sopraggiunge qualcosa che si frappone tra lei e la buona riuscita dei suoi piani; stavolta, però, se l’è davvero vista brutta! Magari, dopo questa esperienza, imparerà la prudenza XD

Spero vi sia piaciuto e che le sue continue sfighe non comincino a darvi noia. Se vorrete lasciare un’opinione… beh, ormai lo sapete: io sono qui, pronta a leggere qualunque cosa avrete voglia di scrivermi.

Grazie ancora per il vostro tempo e al vostra dedizione!

Alla prossima,

Lady Realgar

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Capitolo 16
*** A long expected party ***


Le stelle del crepuscolo brillavano gloriose sopra la città addobbata a festa di mille luci dorate, di profumi invitanti di cibo e di alcolici e di suoni di strumenti che sapevano di ricordi.

Ogni strada che Chiara percorreva era gremita di donne, uomini e bambini, vestiti con i loro abiti migliori, che parlavano allegramente tra loro, mangiavano, bevevano, cantavano e, talvolta, danzavano al suono di allegre ballate, magistralmente eseguite da bardi e menestrelli; ogni tanto si trovava persino un’orchestrina con tanto di tamburi, cetre e strumenti a fiato fabbricati affinché rappresentassero teste di lupi, draghi e serpenti marini.

In tutte le piazze erano state allestite delle cucine mobili, alle cui fiamme degli uomini sudati cuocevano quarti di bue, maiali, pernici e pesci multicolore, mentre delle fanciulle servivano da bere ai chiassosi commensali.

I bambini, troppo presi dall’euforia per mangiare seduti alle lunghe tavolate, scorrazzavo in ogni dove, cantando e ridendo a squarciagola.

Chiara notò, in particolare, che un ragazzino si era nascosto sotto uno dei tavoli sopra il quale venivano posate le carni appena cotte e pronte per essere servite, e, ogni qualvolta una leccornia veniva adagiata sopra di esso, quello allungava la mano e ne sgraffignava un pezzo, dividendolo poi con altri amici che, a turno, gli davano il cambio in quell’innocente serie di furti.

Inutile dire, però, che l’attrazione principale della serata erano, senza alcun dubbio, gli elfi: alti e slanciati, la loro pelle aveva una colorazione verde smeraldo e sembrava composta di squame, che rilucevano di caldi bagliori alla luce delle torce; i loro visi erano sottili e dai tratti delicati e i capelli erano di un nero talmente scuro e freddo da raggiungere tonalità bluastre.

Erano delle figure molto diverse dagli abitanti di Asgard, non solo nell’aspetto fisico, ma anche nel modo di vestire e di comportarsi: i loro corpi erano avvolti da appariscenti abiti fatti di tessuti che Chiara non aveva mai visto e di piume dalle mille forme e colori, erano aggraziati e molto composti, quasi controllati nel modo di agire (in netto contrasto con l’esuberanza e la vivacità degli asgardiani); ma furono i loro occhi ad attrarre la ragazza.

Grandi e dalle pupille strette, avevano tonalità vivacissime, quasi innaturali: blu elettrico, rosso cadmio, verde acido e viola ametista.

Con suo estremo disappunto, però, non riuscì a notare nessun’orecchia a punta, anzi, non riusciva proprio a vederle, le loro orecchie, visto che erano coperte dalle folte chiome scure, impreziosite da sfarzosi ornamenti dorati.

Stava giusto pensando a come chiedere di mostrarle senza sembrare invadente, quando un tocco delicato sulla spalla richiamò la sua attenzione; si voltò e, di fronte a lei, trovò una fanciulla elfica che le sorrideva gentilmente.

-Salute- disse la fanciulla, sbattendo le palpebre sui suoi grandi occhi blu -Non vorrei sembrare sfacciata, ma mi stavo domandando a cosa servisse quella “cosa” che indossate.

-Quale cosa?- domandò Chiara.

-Quella- ripeté gentilmente l’elfa, indicando con il dito affusolato la pettorina di camicie che Chiara indossava ancora sopra il vestito.

Quando se ne accorse, la ragazza avvampò di vergogna e, balbettando una frase incomprensibile, si affrettò a rimuoverla, mentre la risata sommessa dell’elfa le penetrava i timpani.

“Bel modo di cominciare!”

-Ehm, è un gilet di mia invenzione- riprese la ragazza, cercando di apparire disinvolta -Serve a scaldare il petto nelle sere fredde, ma in effetti stasera si sta abbastanza bene e non mi serve.

-È un indumento molto originale- proseguì quella, interessata -Il mio nome è Ahzurit, qual è il vostro?

-Mi chiamo Chiara, piacere di conoscerti.

-Perdonate la mia curiosità, ma non avevo mai visto una midgardiana prima d’ora e volevo trovare una scusa per rivolgervi la parola- disse Ahzurit con un sorriso imbarazzato mentre, notò Chiara, alcune squame del volto si erano sollevate leggermente.

-Se ti può consolare, Ahzurit- rispose la ragazza, alleggerita da quella confessione -Nemmeno io avevo visto un Elfo Chiaro prima di oggi.

-Non è cosa comune che vi siano rappresentanti di Midgard alla Festa d’Estate, solitamente il Regno degli Umani non partecipa alle questioni dei Nove Regni.

-Stiamo cercando di rinnovarci- disse Chiara, poi aggiunse -Perdona la mia ignoranza, ma è così evidente la mia appartenenza a Midgard?

-Certamente, voi midgardiani avete un ciclo vitale molto più breve di quello degli asgardiani, siete più fragili nelle ossa e nei muscoli, persino il vostro battito cardiaco è più lieve.

Sul viso di Chiara si delineò una tale sorpresa che Ahzurit si avvicinò al tavolo di una bancarella e con le dita tamburellò leggermente sul legno, dicendo: -Questo è, più  o meno, il suono del vostro cuore- poi, cambiando ritmo e intensità, aggiunse -Questo invece è il battito di un asgardiano.

-Posso chiedere come hai fatto a sentire il battito del mio cuore a due metri di distanza?

Ahzurit sembrò piuttosto sorpresa da quella domanda, come se fosse stata una cosa ovvia sapere come gli Elfi Chiari percepissero il mondo attorno a loro, ma alla fine rispose: -Ho ascoltato.

Ciò detto, ritrasse leggermente i capelli dalla tempia sinistra, mostrando una superficie liscia e completamente priva di padiglione auricolare.

“Non hanno le orecchie?!”

-Gli Elfi Chiari sviluppano nell’età adulta una membrana esterna molto sensibile alle vibrazioni, sono pochi i suoni che non riusciamo a percepire. Tutti gli umani emettono delle lunghezze d’onda così particolari?

Chiara avrebbe voluto chiedere a quali onde si stesse riferendo la giovane elfa, ma un forte squillo di trombe sovrastò il caos della folla, richiamando l’attenzione di tutti.

Ci fu un gran fermento e in pochi minuti una gran quantità di persone, tra cui moltissimi giovani, abbandonarono il loro pasto per dirigersi verso il palazzo reale.

-È il momento delle danze!- esclamò Ahzurit eccitata -Andiamo, Lady Chiara: è uno spettacolo che non potete perdere.

L’elfa avvolse le sue lunghe dita intorno al braccio della ragazza e la trascinò attraverso la folla, avvicinandosi sempre di più alle mura del palazzo.

Chiara cercò di opporsi, di spiegare che non aveva alcuna intenzione di andare alla corte di Odino, ma quella non volle sentire ragioni e la portò all’interno del cortile reale, appositamente addobbato e arredato per la festa e illuminato da un grosso falò al centro, attorno al quale erano stati disposti lunghi tavoli di legno massiccio. Su di essi scintillavano vettovaglie dorate, alternate a splendide decorazioni e ghirlande floreali.

Appesi in ogni dove, svolazzavano splendidi stendardi colorati recanti immagini di feste, caccia e stemmi dei due regni. Era evidente la mano di Angnis in quei meravigliosi drappeggi.

Nel punto più in vista del cortile era stato allestito un baldacchino, sotto al quale Odino, Thor e un’elfa vestita di rosso, probabilmente la regina Jarosit, mangiavano e conversavano. Poco distante vi erano anche i Tre Guerrieri (Fandral, notò Chiara, sembrava particolarmente nervoso) e Sif, avvolta in un delicato vestito bianco, che metteva in risalto le sue forme sinuose.

Al centro dell’area, poco distante dal falò, un’orchestra stava terminando di concordare gli ultimi dettagli per i brani da eseguire e, quando il pubblico si fu radunato, la musica partì.

Alle prime note della melodia, la regina Jarosit si alzò, raggiunse l’orchestra e cominciò a danzare, ancheggiando a ritmo di musica e avvicinandosi al tavolo dei reali; a quel punto, quando si fu accostata abbastanza, fece un leggero inchino verso il sovrano, poi si avvicinò a Thor e gli tese la mano.

Quello si alzò a sua volta, ricambiò l’inchino, prese la mano della regina nella sua e i due iniziarono a danzare.

I passi della tradizionale danza di Âlfheimr erano molto veloci e leggeri e Thor, pur tentando di non guardarsi continuamente i piedi e al contempo star dietro al ritmo instancabile di Jarosit, sembrava un pesce fuor d’acqua.

Nell’ultimo volteggio, a conclusione del ballo, per poco il Dio del Tuono non inciampò sulla povera Jarosit, che ebbe, però, la prontezza di riflessi di allontanarsi quel tanto da non collidere con il massiccio principe.

Vi fu una grande ovazione da parte del pubblico e Ahzurit, in particolare, estremamente entusiasta della performance della sua sovrana, lo mostrò gridando e sbracciandosi.

Jarosit se ne accorse e le sorrise affettuosamente, ma la sua espressione cambiò radicalmente quando i suoi occhi dorati incrociarono lo sguardo di Chiara: fu una frazione di secondo, ma la ragazza riuscì a notare distintamente l’espressione preoccupata della regina, che in lampo distolse lo sguardo e continuò a sorridere e a ringraziare la folla.

Dopo qualche minuto, fu il turno delle danze tradizionali asgardiane e in quel campo Thor riuscì decisamente a destreggiarsi meglio. Sulle note di tamburi e trombe, i piedi del principe si muovevano molto più sicuri e in armonia con la musica, ma oramai nessuno avrebbe più tolto dalla testa di Chiara l’immagine ridicola del principe impacciato.

Finalmente la musica cessò e i due ballerini ritornarono ai loro posti sotto al baldacchino reale; fu poi Odino a prendere parola: -Figli di Asgard, figli di Âlfheimr, benvenuti alla Festa d’Estate. È una gioia per questo mio cuore vedere due regni così diversi e così lontani che, a discapito delle differenze e della lontananza, vivono in pace e armonia tra loro. Sono secoli, oramai, che una lunga e fruttuosa pace scorre tra noi e questo evento è l’occasione per rinnovare la fratellanza e l’amicizia che legano i nostri popoli. Amici miei, io vi dico: rimaniamo uniti nei tempi di pace e ancor più saldi nei tempi di difficoltà e che l’alleanza tra Âlfheimr e Asgard venga rinsaldata ogni giorno di più, come due metalli che insieme formano la più forte delle leghe. Che l’affetto che ci unisce sia benedetto ora e per tutta l’eternità da noi viventi, dalle generazioni passate e da quelle che verranno!

A quel punto il re sollevò il suo calice di vino e brindò in onore di Jarosit la Fiera, imitato da tutti gli altri partecipanti al banchetto.

Vi fu, poi, la solenne cerimonia dello scambio dei doni, in cui Asgard presentò ad Âlfheimr una meravigliosa spada con incastonato nell’elsa d’oro un frammento di stella, mentre gli elfi offrirono in dono agli dei un fiore di Yggdrasil, che sarebbe appassito solo qualora il Ragnarök fosse giunto alle porte di Asgard.

Come aveva anticipato Fandral, finalmente la festa poté entrare nel suo culmine ed enormi quantità di cibo vennero offerte ai commensali e le danze vennero ufficialmente aperte.

Ben presto Ahzurit venne invitata a ballare da un giovanotto asgardiano e, dopo aver inizialmente opposto resistenza, reticente a lasciare la nuova amica midgardiana da sola, venne convinta da Chiara a lasciarsi andare e a divertirsi.

La ragazza si soffermò per qualche istante a osservare la fanciulla elfica volteggiare come una libellula tra le braccia del giovane, poi lanciò una rapida occhiata nella direzione del baldacchino reale: Odino era scomparso e con lui anche Jarosit non era più seduta al tavolo.

Temendo che l’avesse scoperta, Chiara iniziò a cercare con lo sguardo l’imponente immagine del sovrano, aspettandosi di vederlo sbucare dal nulla con un biglietto di sola andata per la cella d’isolamento indirizzato a lei.

Per un attimo sentì un brivido percorrerle la schiena quando alle sue spalle sentì una voce dire: -Ti ho trovata finalmente!

Si voltò di scatto, tentando di inventarsi nel minor tempo possibile una giustificazione plausibile al suo atto di insubordinazione, ma una grossa mano le si appoggiò amichevolmente sulla spalla e il sorriso del principe le acquietò lo spirito: -Ho temuto che avessi deciso di darmi buca, come dite voi su Midgard- rise il Dio del Tuono.

-Come avrei potuto rifiutare l’invito di un reale?- domandò Chiara, ricambiando il sorriso.

-Non ti ho invitata in quanto rampollo reale, ma come amico- rispose Thor, offrendole il braccio, al quale ragazza avvolse il proprio -Saresti stata libera di rifiutarti se avessi voluto.

-E perdermi lo spettacolo di te che balli come una scimmia con il singhiozzo? Mai!

-Non sono stato tanto male!- disse piccato l’uomo, mentre passeggiavano per il cortile.

-Credimi, ho visto pezzi di legno muoversi con più grazia.

-Ah sì?- disse lui, con uno sguardo che fece presagire a Chiara un pericolo imminente -Allora mostrami tu come si fa!

-Cos… No! No! No! No Thor! Cuccia! Sitz! Sitz!- urlò la ragazza, puntando i piedi nel vano tentativo di opporsi al dio che la stava trascinando sulla pista da ballo.

Chiara sapeva di non essere aggraziata e per lei ballare con qualcuno aveva un significato intimo e prezioso, ma ovviamente Thor ignorava completamente la teoria della ragazza riguardo la danza e cominciò a farla piroettare a ritmo di musica, muovendole le braccia e conducendola durante quel ballo disarticolato, mentre tutt’intorno la gente si accalcava per assistere alla scena e batteva ritmicamente le mani e i piedi .

La ragazza avrebbe voluto sprofondare nel sottosuolo per l’imbarazzo, ma alla fine, incoraggiata dagli applausi dei presenti e dall’entusiasmo del dio, si lasciò travolgere dal momento e, senza neanche rendersene conto, stava ridendo e ballando spontaneamente a fianco del principe.

La musica terminò e uno scroscio di applausi accompagnò i due ballerini, mentre, ringraziando e accennando qualche lieve inchino, si allontanavano dal centro della pista, dirigendosi al tavolo reale.

D'un tratto, prima ancora che avessero raggiunto il baldacchino, una forte fitta al fianco colpì la ragazza, mozzandole il respiro e costringendola a fermarsi.

Il Dio del Tuono se ne accorse e chiese preoccupato: -Stai bene?

-Sì, sì- mentì Chiara, tenendosi il fianco con la mano -È solo una leggera fitta per la stanchezza. Non sono mica un soldato allenato come te!

-Hai bisogno di qualcosa?

-Solo di riprendere un po’ di fiato e, magari, mettermi addosso qualcosa di più pesante- in effetti una scarica di brividi freddi le stava attraversando le braccia e le gambe, facendola tremare -Tu, intanto, perché non balli un po’ con Sif? Scommetto che apprezzerebbe molto.

“Cosa accidenti sta succedendo?” si chiese la ragazza, mentre lasciava solo il principe e si dirigeva lentamente verso l'd'ingresso del palazzo.

Il fiato si era fatto corto e sentiva la mano appoggiata sul fianco bagnarsi di un denso liquido caldo, ma, quando la osservò, su di essa non vi era nulla.

 

Angolo dell’autrice: ciao a tutte e ben trovate alla fine del capitolo 16 de La sua paura! Ragazze, sono davvero emozionatissima perché questa storia sta crescendo ben oltre a quelle che erano le mie aspettative, soprattutto per quanto riguarda l’attenzione che sta ricevendo! Vi ringrazio davvero di cuore per il tempo che vi dedicate e un abbraccio alla nuova arrivata che l’ha aggiunta alle seguite! J

Dunque, il titolo è una citazione da Il Signore degli Anelli: il primo capitolo della Compagnia dell’Anello è, infatti, intitolato “Una festa a lungo attesa” (A Long Expected Party, in lingua originale); piccolissimo e assolutamente senza pretese tributo al mio autore prediletto e alla sua magnifica produzione, con cui ha riempito di magia la mia vita a partire dall’infanzia.

Proprio una festa a lungo attesa, anche perché sto benedetto ballo la povera Chiara se l’è proprio sudato ma, tanto per fare una cosa nuova, quando pensa che tutto stia andando per il meglio, ecco che arriva la sfiga a infastidirla. Sarà solo la milza a dolerle o sotto c’è qualcosa di più? Voi che ne dite? ;)

Vi è piaciuto il nostro principino tonante in versione prima ballerina di Asgard? Spero di avervi strappato una risata!

E gli Elfi? Che ne dite? Li avete graditi o ritenete che mi sia discostata troppo dall’immagine tradizionale di queste creature?

Se vorrete farmi sapere cosa avete pensato di questo piccolo capitolo, farete la mia gioia e sarò lieta di rispondervi al meglio delle mie capacità!

Statemi bene e alla prossima!

Lady Realgar

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Capitolo 17
*** Il Vincolo Sacro ***


-Chiara!- le corse incontro Fandral, con il viso pallido come un cencio -Come diamine hai fatto a uscire dalla stanza di Thor?

La fanciulla, cercando di stare eretta e di non lasciar trasparire il dolore dall’espressione del volto, tentò di rispondere, ma quello, afferrandola per le spalle, cominciò a spingerla lungo il corridoio d’ingresso: -Sei ammattita? Non è prudente disobbedire ad un ordine di Odino! Potrebbe vederti se resti ancora qua fuori! Corri immediatamente nelle mie stanze e aspettami lì: al termine dei festeggiamenti troveremo un modo per riportarti negli alloggi del principe senza che nessuno se ne accorga, ma non devi assolutamente farti vedere, chiaro?

Le fitte al fianco si facevano sempre più dolorose e le toglievano il respiro; riuscì solo ad accennare un debole “Sì” con la testa, mentre lo spadaccino le prometteva che sarebbe andato alla ricerca di Odino per tenerlo occupato il tempo necessario per permetterle di nascondersi.

Il tempo di un lampo e Fandral era svanito nella folla, mentre lei, dolorante, camminava guardinga nel palazzo. Forse sarebbe stato meglio, per quella volta, ascoltare le parole dello spadaccino e obbedire: si sarebbe riposata e avrebbe atteso che quello strano dolore passasse, nelle calde e comode stanze di Fandral.

Si appoggiò per un momento al muro: il fianco le doleva moltissimo e la testa le girava. Sentiva il proprio respiro farsi sempre più affannoso e, continuando a percepire la presenza di un fluido caldo sul palmo della mano, se la controllò di nuovo alla luce di una torcia, ma come prima non vi trovò nulla di strano o di insolito.

I corridoi del palazzo erano completamente vuoti: tutti infatti, guardie comprese, erano distratti dalla festa e, se fosse svenuta o se avesse cominciato a peggiorare, nessuno si sarebbe accorto di lei prima della fine delle celebrazioni.

Era probabile che Fandral avesse considerato la mancanza di attività nel castello come la migliore delle opportunità per lei di mettersi al sicuro indisturbata, ma Chiara, spaventata dal continuo peggioramento della sua condizione, per un attimo pensò di tornare indietro e di avvertire Thor; qualcosa in un angolo recondito della sua mente, però, la fermò e le suggerì di continuare a camminare, di non fermarsi proprio ora e, con la ragione totalmente annebbiata dal dolore, ubbidì a quell’istinto.

Fu un rumore a riaccendere la sua attenzione, un suono metallico proveniente dalla sala del trono.

“C’è qualcuno laggiù!”

Sperando di trovare aiuto, si trascinò fino all' ingresso della sala dorata e, attraverso una feritoia tra le pesanti porte, al suo interno intravide Odino, disteso per terra in una pozza di sangue, che, rantolando, cercava di raggiungere Gungnir con il braccio teso. Di fronte a lui un elfo più basso degli altri, brandendo una daga macchiata di rosso, si godeva lo spettacolo di quel vecchio che agonizzava ai suoi piedi.

Inorridita dalla scena, con uno sforzo sovrumano la ragazza afferrò una lampada ad olio da un gancio della parete e, avvicinatasi di soppiatto alle spalle dell’elfo, lo colpì alla testa con la superficie metallica e rovente dell’oggetto, mandandolo temporaneamente al tappeto.

-Maestà!- urlò Chiara, accorrendo dal sovrano: una profonda ferita al fianco, inflitta dalla daga dell’elfo, faceva fuoriuscire una copiosa quantità di sangue sul pavimento, allargando sempre di più la pozza che si era venuta a creare attorno all’uomo.

Imponendosi di non farsi impressionare da quella vista orribile, la ragazza si strappò un lembo del vestito e lo premette contro la ferita nel tentativo di ridurre l’emorragia.

A quel contatto la testa dell’uomo si voltò ad osservarla e un barlume in fondo all’occhio del sovrano si accese: -Chiara…- esordì, ma, all’improvviso, in uno scatto l'uomo si lanciò in avanti, brandendo Gungnir e colpendo qualcosa alle spalle della ragazza.

Chiara sentì il rumore della daga rimbalzare sul pavimento di marmo e si voltò per capire cosa stesse accadendo: il re si reggeva malamente in piedi, aggrappato al fusto della lancia dorata, mentre di fronte a lui il piccolo elfo (che, ora che la ragazza lo guardava meglio, sembrava essere poco più di un bambino) si massaggiava il polso e gli lanciava occhiate di odio, imprecando tra i denti.

L’elfo si lanciò di nuovo verso il re, ma quello lo evitò e lo colpì alla schiena con il fondo della lancia, facendolo cadere di nuovo, poi, in preda alla furia, il dio sollevò Gungnir e gliela puntò contro, pronto a scagliare un fulmine e incenerirlo.

Anticipando le intenzioni del sovrano, in uno slancio disperato Chiara si frappose tra i due, urlando: -No, Maestà! È solo un bambino!

Inaspettatamente, Odino si bloccò e tanto bastò al ragazzo per svanire in una nuvola di  fumo.

Rimasti oramai da soli nel luccichio della sala dorata, Chiara vide il corpo dell’anziano sovrano, spossato per l’ultimo sforzo compiuto, dondolare pericolosamente all'indietro e accorse giusto in tempo per sostenerlo prima che cadesse di peso a terra.

-Maestà, vi prego- disse Chiara, mentre lo deponeva delicatamente sul pavimento -Aspettate qui, cercherò dei Guaritori che si prenderanno cura di voi e…

-No!- ordinò il dio, stringendole con forza il braccio nella grossa mano callosa, ma la ragazza se ne accorse a mala pena perché tutta la sua attenzione era stata attratta da un piccolo fascio di luce color smeraldo che dai piedi percorreva, salendo, il corpo di Odino, mutandone l’aspetto.

I piedi si fecero più affusolati, le caviglie più sottili, le gambe si allungarono e la vita si strinse; l’armatura svanì, lasciando il posto a pantaloni e giacca di pelle nera con foderatura verde bottiglia attorno a un torso sottile e slanciato. Le braccia si fecero più lunghe e le dita delle mani più affusolate, mentre la benda sull’occhio svaniva, rivelando un’iride color dello smeraldo, la barba si ritirava sugli zigomi pronunciati e i capelli si allungavano, mutando da canuti a corvini.

-Loki!- boccheggiò la ragazza, incredula -Non ci capisco più nulla!

-Sorpresa…- bisbigliò tra i denti il Dio degli Inganni, tenendosi il fianco insanguinato con la mano.

Il frammento di stoffa era completamente zuppo, così la ragazza si affrettò a strapparne un altro e a sostituirlo.

-Morirai dissanguato se non ti fai visitare- disse alla fine la ragazza, continuando a tamponare la ferita -Se non vuoi dei Guaritori, dimmi almeno cosa devo fare per aiutarti.

-Non puoi aiutarmi- rispose il dio, mentre il suo viso diventava sempre più pallido -Le armi degli elfi sono avvelenate con la linfa di una pianta che cresce nello Âlfheimr. Non esiste un antidoto.

-Non lascerò che tu muoia! Deve esserci un modo!- gli occhi iniziarono a bruciarle, mentre una solitaria goccia salata scendeva pigra lungo la guancia sinistra.

-Tu vuoi davvero salvarmi?- chiese Loki incredulo, seguendo con lo sguardo la lenta discesa della lacrima.

-Sì, per la miseria!- rispose Chiara, cercando di ricacciare indietro il groppo alla gola che stava prepotentemente salendo lungo la laringe.

-Se è quello che vuoi davvero, forse c’è un modo, ma devi desiderarlo sinceramente, devi volerlo più di ogni altra cosa o non funzionerà.

-Sta zitto e fa’ quello che devi fare prima che mi ritorni il buon senso e cambi idea!- rispose di getto la ragazza, inorridita dalla pozza di sangue che le bagnava i piedi.

-Esiste un incantesimo, ma è molto delicato e non possiamo farlo qui: Heimdall potrebbe vederci e allora sarebbe un grave problema per entrambi. Ricordati che stai aiutando un pericoloso criminale.

Chiara prese il dio sotto il braccio e l’aiutò a sollevarsi, allontanandosi poi dalla pozza e cercando di non scivolare sul liquido.

-Io sto solo aiutando una persona in difficoltà- ribatté, poi aggiunse -Dove dobbiamo andare?

-Alle mie stanze, lì saremo fuori dalla vista del guardiano. Ora farò un incantesimo di occultamento per nasconderci lungo il tragitto, ma non devi allontanarti da me o sarai vista, chiaro?

-A mala pena ti reggi in piedi: se non ci fossi io a sorreggerti avresti la mobilità di un sacco di patate! Direi che è difficile che mi allontani da te.

Loki in tutta risposta borbottò una formula magica in una lingua antica e i due iniziarono a camminare; uscirono dalla sala del trono, attraversarono con fatica diversi corridoi e salirono lentamente una rampa di scale.

Ad ogni passo che Loki faceva, Chiara sentiva sempre di più sulle proprie spalle il peso del suo corpo che, lentamente e inesorabilmente, perdeva le forze; ad un tratto temette che, a metà della rampa di scale, sarebbe svenuto, ma dopo un iniziale tentennamento, il dio fece appello alle proprie forze e riuscì a mantenere l’equilibrio e a proseguire.

Ormai la ragazza non percepiva più nulla: non la fatica, né il dolore, non il fiato corto, né il sudore che le scendeva freddo lungo il collo; tutte le sue energie e tutti i suoi pensieri erano concentrati su quella creatura in fin di vita, che si appoggiava così disperatamente a lei in quel momento di debolezza.

Pensò alla prima volta che l’aveva incontrato nella luce artificiale e fastidiosa di quella cella, ricordò la freddezza delle sue parole e la rabbia nei suoi occhi quando l’aveva rimproverata per aver consolato Thor; ripensò a quando l’aveva seguita nel cortile, ridendo alla scena di lei sperduta e  il momento in cui le aveva osservato i ricordi e lei aveva scrutato i suoi. Aveva provato dei sentimenti contrastanti per quell’uomo, sentimenti che, ritenendoli poco importanti nel contesto della situazione in cui si trovava, non si era mai preoccupata di indagare, ma che ora le urlavano all’unisono di aiutarlo.

Lui era il "cattivo" di quella storia: aveva sentito da Fandral, Sif e Angnis parole di odio e di disprezzo nei suoi confronti, da loro aveva appreso una parte delle azioni riprovevoli che aveva compiuto e lei stessa aveva assaggiato la sua meschinità; eppure, sentirsi paragonata a lui da Thor appena il giorno prima, le era sembrata una cosa positiva, anzi magnifica.

Loki era sadico e spietato, ma in quel momento non era altro che un uomo che stava morendo e Chiara non riuscì a impedirsi di provare una gran pena per le sue sofferenze e un inspiegabile istinto di protezione per quella figura fragile e piegata sopra di lei.

Dopo un tempo che a entrambi parve infinito, finalmente si trovarono di fronte alla porta dai cardini d’argento, Chiara si strappò la catenina dal collo e infilò la chiave nella toppa, facendo scattare la serratura.

Attraversata la soglia, i due non ressero più lo sforzo e finirono entrambi al suolo, con il fiato corto e la fronte imperlata di sudore.

-Loki- disse angosciata la ragazza osservando il dio accanto a lei, il cui colore della pelle aveva assunto un’inquietante colorazione cobalto e i suoi occhi lampeggiavano di rosso  -Sei diventato blu… è una cosa normale o devo preoccuparmi?

-È il mio aspetto Jotun- rispose il dio in un filo di voce tra un respiro e l’altro -Il veleno sta agendo più in fretta di quello che pensassi e non ho abbastanza forze per mantenere le mie solite sembianze.

-Quindi è una cosa normale, va bene- riprese Chiara -Ora dimmi cosa devo fare!

-Dammi la mano- rispose Loki, tendendo appena il braccio blu verso di lei -Potrebbe bruciare un po’- aggiunse, ma quella, prontamente, avvolse le piccole dita tra quelle lunghe e sottili del dio e le strinse forte.

-E ora?- chiese.

-Ora cerca di rilassarti.

Obbedì e alle orecchie le arrivò il caldo suono della voce di Loki, mentre pronunciava un’altra formula magica.

Attese.

In un primo momento sembrò che non accadesse nulla e già temeva che il dio sarebbe morto di lì a poco al suo fianco, ma poi sentì un forte calore diffondersi dalla spalla e scendere lungo il bicipite, fino a sfociare in un piccolo tubicino argentato che attraversava la pelle dell’incavo del gomito e usciva dal suo braccio, avvolgendosi intorno all’arto fino a raggiungere la mano.

Un altro tubicino identico emerse dal braccio di Loki e si attorcigliò intorno ad esso, per poi collegarsi a quello di Chiara.

Attraverso di essi un flusso di liquido dorato cominciò a scorrere dalla ragazza al dio, illuminando di una delicata luce l’azzurra pelle del Dio degli Inganni.

Chiara si sentì improvvisamente addosso una profonda stanchezza e le orecchie iniziarono a fischiarle, poi una voce cavernosa le rimbombò in testa: “Lascia andare la sua mano.”

“Non voglio” pensò la ragazza.

Lasciala andare” ripeté la voce.

“Non lo farò.”

Questo è lo stesso uomo che si è nascosto negli antri più bui della tua mente per tutto questo tempo, ha fatto di te la sua marionetta e ti ha impedito di tornare a casa. Egli è Loki e Odino insieme, i tuoi carcerieri. Lo hai visto tu stessa! Lascialo morire e nessuno si opporrà più al tuo ritorno, dalla tua famiglia e dai tuoi cari.”

“Ha commesso delle azioni deprecabili, ma questo non autorizza la sua morte.”

Questo è il mostro che ha aperto le porte del male e della distruzione al tuo mondo” riprese la voce, assumendo un tono più vibrante e minaccioso “È l’assassino che ha ucciso a sangue freddo decine di innocenti senza mai chiedere perdono; ha mentito e raggirato, ha ingannato e ha tradito e lo farà anche con te se non lo fermi, se non poni fine alla sua pericolosa esistenza.”

“Sono già morte troppe persone per colpa mia” replicò Chiara “Non lascerò che nessun’altro perisca e Loki può ancora fare ammenda per i suoi sbagli, se gliene si dà l’opportunità.”

Stupida, quest’uomo annienta tutto ciò che tocca e distruggerà anche te. Lascialo morire!”

-No!- urlò la ragazza, spazientita dall’insistenza fastidiosa di quella voce -Io lo salverò perché è mio desiderio farlo e né tu, né nessun altro me lo impedirà! Lui vivrà!

La voce non disse più nulla e le orecchie cessarono di fischiare, così Chiara voltò il capo in direzione di Loki e notò, con suo grande sollievo, che il colore della sua pelle e dei suoi occhi erano tornati quelli di sempre e che il petto si alzava e si abbassava ritmicamente, scandendo i suoi respiri non più affannosi, ma ora calmi e regolari. Anche la ferita era rimarginata e solo una chiazza scura sul tessuto degli abiti rimaneva a ricordo del pericolo scampato.

-Come stai?- chiese in un filo di voce.

-Molto meglio- rispose quello -Sono impressionato.

 -Un gioco da ragazzi- ridacchiò la ragazza, poi chiese -Cos’è successo?

-L’incantesimo consiste nel condividere con un’altra persona la propria energia vitale, ma può avvenire solo se il donatore è perfettamente e totalmente consapevole di quello che sta facendo e con chi sta condividendo la propria energia, da qui quello che è accaduto: immagino avrai visto o sentito qualcosa riguardo i miei trascorsi passati e ti sia stata data la scelta se accettare o meno questa transizione. Si chiama Heilagt Skuldabréf, il Vincolo Sacro. Sono molto sorpreso che tu l'abbia accettato, dopotutto, forse non hai il grande buon senso che dici di avere.

-Non ho potuto fare nulla per colui che mi ha salvato la vita in cella e non permetterò a nessun altro di morire, se potrò impedirlo.

Loki non disse nulla, ma a Chiara sembrò che, per un momento, stringesse la presa sulla sua mano; fu un attimo talmente breve che la ragazza suppose fosse stato solo frutto della la sua immaginazione.

Decise di non lasciare quell’arto insolitamente e piacevolmente freddo, a meno che non fosse stato inevitabile: temeva ancora che, se l’avesse fatto, la vita di quell’uomo così misterioso ed enigmatico le sarebbe scivolata come fumo tra le dita e lei non voleva. Aveva appena lottato e vinto per quella vita e l’avrebbe tenuta stretta.

-Ah, a proposito!- riprese la ragazza -Il blu ti dona.

Lo vide sorridere a quella sua battuta scema e allora pensò, prima di cadere in un sonno profondo, che avrebbe potuto stringere quella mano per l’eternità se fosse servito a tenerlo in vita.

 

Angolo dell’autrice:  un saluto a tutte, benvenute alla fine del capitolo 17 e un abbraccio alla nuova arrivata che ha aggiunto alla storia tra le seguite! È un immenso piacere per me aver pubblicato questo capitolo perché, finalmente, la storia subirà un significativo giro di vite e, se pensavate che Chiara le avesse già passate tutte, sappiate che non avete ancora visto niente  *risata malvagia*

Ma andiamo per ordine: in primo luogo, che ne pensate dell’accaduto?  Cosa si nasconde dietro questo subdolo attentato? E cosa accadrà a questo punto? Sono curiosa di sentire un po’ di teorie! ^-^

In secondo luogo: il Vincolo Sacro come vi è parso? Vi è piaciuto o ho ecceduto un po’ troppo?

E riguardo al cuoricino di Chiara? Dite che sta cominciando a cambiare idea sul nostro principe dagli occhi di ghiaccio? E lui cosa ne pensa?

Vorrei fare un grandissimo ringraziamento a tutte voi, che leggete e, talvolta, lasciate un commento alla mia piccola storia: il tempo e l’interesse che dedicate allo scritto è la fonte da cui traggo l’ispirazione per scrivere, perciò grazie, mie muse, spero di riuscire a ripagare la vostra curiosità con una storia che meriti di essere letta.

Un abbraccio forte a tutte e alla prossima!

Lady Realgar

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Capitolo 18
*** Pedina ***


Un raggio di sole si posò sugli occhi chiusi di Chiara, che, mugugnando infastidita, si svegliò da quello che era stato il primo vero sonno ristoratore da quando aveva messo piede su Asgard.

Stropicciandosi le palpebre appesantite dalla lunga dormita, si alzò a sedere e sentì scivolare le coperte del letto sopra la propria pelle: “Che strano…” pensò tra sé e sé, accarezzando le morbide lenzuola di seta color smeraldo “Non ricordo di essermi messa a letto”, poi un flash le balenò nella mente e si sporse di lato per verificare se Loki fosse ancora sul pavimento.

Non vide nessuno, se non una chiazza scura sul tappeto, a testimonianza del sangue perduto dal dio dopo lo scontro con il giovane elfo.

Da quanto tempo si era addormentata? E che cosa era successo nel frattempo?

Saltò giù dal letto e uscì di corsa fuori dalla stanza, desiderosa di scoprire la verità su quello che era accaduto la sera prima: perché un elfo, con la cui terra Asgard aveva stretto da generazioni una profonda e salda alleanza, avrebbe dovuto attentare alla vita del sovrano? Il suo regno non era forse in pace con quello degli Æsir? Era stato un gesto isolato oppure, dietro quell’attacco così diretto, c’era qualcosa di più dell’avventatezza e della follia di un giovane? E perché Loki quella sera stava ricoprendo il ruolo di Odino? Era sempre stato lui a regnare al posto del vero sovrano? E, se sì, che fine aveva fatto il vero Odino?

Con la testa piena di domande, Chiara corse per i corridoi del palazzo illuminati dalla luce della mattina inoltrata, finché non arrivò alle porte della sala del trono; ignorando completamente gli ordini delle guardie, che tentarono inutilmente di arrestare la sua avanzata, entrò nell’ambiente dorato, interrompendo una riunione in corso tra il sovrano, Thor, Sif, i Tre guerrieri e alcuni altri militari.

Vedendola arrivare così irruentemente nella stanza, Thor le corse incontro con un’espressione di profondo sollievo sul viso: -Chiara, grazie al cielo sei qui!- disse in un soffio il Dio del Tuono.

Le accarezzò il volto con le sue grosse mani, studiandone la pelle in cerca di ferite o di tumefazioni: -Dopo quello che è accaduto ieri sera, non ti abbiamo più trovata da nessuna parte! Temevo che gli elfi ti avessero rapita! Stai bene? Cosa ti è accaduto?

-Io sto bene, non ti preoccupare- gli rispose la ragazza con un sorriso intenerito: la premura di quel gigante buono la commuoveva ogni volta; poi chiese: -Che cos’è successo ieri sera? Io non capisco…

-Gli elfi hanno attentato alla mia vita- disse Odino, dall’alto del suo scranno -E poi sono fuggiti via come conigli, ma tu lo sai meglio di tutti, non è vero, midgardiana?

Sul volto dei presenti, e in particolare su quello di Chiara, si disegnò un’espressione sorpresa: -Cosa volete dire?- domandò la ragazza, chiedendosi chi fosse veramente l’uomo con cui stava parlando in quel momento.

-Mi domando cosa ti abbiano promesso per convincerti ad affrontare una missione così disperata, ma mi congratulo per le tue abilità: sei davvero una grande attrice!

Tutti gli occhi erano puntati su di lei e il clima era diventato pesante all’interno della sala: l’accusa che Odino le stava rivolgendo era gravissima e Chiara non riusciva davvero a capire cosa l’avesse portato a formulare quell’insinuazione.

-Maestà- disse la ragazza, misurando attentamente le parole e sforzandosi di non prestare attenzione allo sguardo costernato di Thor -Io non capisco a cosa vi stiate riferendo: non avevo mai visto un elfo prima di ieri e non avrei mai attentato alla vita di nessuno in alcun modo. Vi prego di credermi.

-NON MENTIRMI!- urlò il sovrano battendo violentemente Gungnir sul pavimento -Hai permesso al sicario di scappare! Questo è un atto di tradimento nella mia corte!

-Era solo un ragazzino!- gridò la ragazza, tentando di sovrastare la voce del sovrano, ma quello la ignorò e continuò imperterrito nella sua accusa: -Ora mi è tutto molto chiaro: gli elfi tramano alle mie spalle e usano una sciocca ragazzina asgardiana per intrufolarsi nel mio palazzo e avere un aiuto interno nel momento dell’attacco. Hai recitato molto bene la tua parte, umana: così fragile e spaventata, sei persino riuscita a ingannare il cuore di mio figlio e hai sfruttato la sua bontà per avvicinarti a me! Avrei dovuto lasciarti marcire in eterno nelle prigioni!

Il volto di Thor era sconvolto da quella rivelazione e Chiara sentì il cuore stringersi in una morsa: -Thor, ti prego…- gli disse, cercando di non piangere per la vergogna -Non è vero niente! Non crederci! Io non ho nulla a che fare con quello che è successo.

-Mi fidavo di te- rispose il dio, lanciandole uno sguardo carico di disprezzo e allontanandosi da lei quasi fosse stata una lebbrosa.

Fu un colpo terribile, doloroso come una pugnalata al petto e le lacrime cominciarono a scendere sul volto della fanciulla, rigandole le guance e il collo.

A quel punto Odino si alzò e, avvicinandosi a lei a passi calmi e cadenzati, proseguì: -Ora che sei stata scoperta, non hai più alcun valore per gli elfi e forse loro si aspettano che ti faccia giustiziare per quello che hai fatto, ma a questo punto tu non sei più nulla: solo un’inutile pedina su una scacchiera troppo grande. Sei davanti al pezzo più importante, mia cara, piccola, sacrificabile pedina e ora che il tuo gioco è stato svelato, non servi più a niente. Non vale nemmeno la pena sporcare con il tuo sangue immondo la lama della più vecchia e arrugginita delle spade del mio regno, perciò ritieniti fortunata: sono un re magnanimo e ti condanno all’esilio, mentre per i tuoi amici elfi la pena sarà la guerra.

Era di fronte a lei, a un palmo dal suo viso, e Chiara avrebbe persino potuto contare i peli della sua barba che cresceva sul mento squadrato, ma non fu quelli che osservò, bensì l’occhio sano, puntato inquisitorio su di lei: era diventato verde.

-Perché lo stai facendo?- chiese in un sussurro la ragazza, affinché solo il suo interlocutore potesse sentirla

Lui non disse nulla, ma le prese il viso tra le mani e poggiò le labbra sulla sua fronte, lasciandovi quello che sarebbe stato facilmente confuso con un bacio, ma non appena il contatto tra i loro volti venne interrotto, Chiara sentì la testa alleggerirsi, le palpebre farsi sempre più pesanti e, alla fine, la sala del trono e i suoi occupanti svanirono alla sua vista, sostituiti solo da buio e silenzio.

Dopo un tempo che non riuscì a definire con certezza, la ragazza riuscì ad aprire appena gli occhi: la sua vista non era ancora nitida ma riusciva a distinguere due figure imponenti davanti a sé.

Poi la voce di Odino: -Riportala a casa, Heimdall.

-N…No…- cercò di dire la ragazza, ancora intontita -Per favore, Heimdall, aspetta….

Ma era troppo tardi e l'incantesimo con cui il Dio degli Inganni l'aveva colpita era ancora attivo, così i suoi occhi tornarono a chiudersi mentre il suo corpo veniva risucchiato nel vortice del Bifrost.

Di nuovo il buio. Di nuovo  il silenzio.

Bip…Bip…Bip…Bip…

Un cicalio fastidioso perforò i timpani della ragazza, facendole quasi male; cercò di muoversi, ma il suo corpo era troppo pesante e l’incavo del gomito destro le bruciava.

Aprì lentamente gli occhi e le sue pupille si strinsero alla forte luce artificiale che illuminava l’ambiente; dopo qualche secondo riuscì a distinguere sopra di lei un soffitto bianco a pannelli quadrati, mentre un forte odore di disinfettante si insinuò nelle sue narici.

Inclinò leggermente la testa verso destra e vide un grosso parallelepipedo scuro con uno schermo, su cui correva una linea verde a zig zag; a fianco del parallelepipedo, un’asta argentata sorreggeva un sacchettino trasparente collegato con un tubo al suo braccio.

“Sono in ospedale?”

-Sei sveglia?- chiese una voce emozionata alla sua sinistra -Mamma, papà! Si è svegliata!- urlò, poi, la voce, seguita da un rumore di passi e dal tocco delicato di una mano sulla spalla della ragazza.

-Chiara?- sussurrò una voce femminile -Come ti senti?

Voltò a fatica il capo indolenzito a sinistra e vide sua madre, suo padre e suo fratello minore; i loro volti erano segnati dalla stanchezza e dall’apprensione dei giorni interminabili trascorsi nella sua ricerca, ma per lei non erano mai stati tanto belli.

-Mi siete mancati- disse, allungando appena le braccia nella loro direzione e ricevendo un caldo abbraccio dalla sua famiglia. L’emozione era palpabile nell’aria e gli occhi di tutti erano inumiditi dalla gioia; si strinsero per qualche minuto, finché non vennero interrotti da un’infermiera che entrò nella stanza e chiese di poter dare un’occhiata alla ragazza.

La donna segnò i valori riportati sul monitor, controllò la funzionalità della flebo e prese la temperatura della paziente, poi chiese: -Allora, mia cara, mi sai dire come ti chiami?

-Chiara- rispose quella, con la testa ancora un po’ indolenzita.

-Bravissima, e mi sai dire chi è quell’uomo?- domandò l’infermiera indicandole suo padre.

-Quello è il mio babbo.

-Ottimo, molto bene. Mi sai dire quello che ti è successo?

-Mi dica lei cosa crede che mi sia successo- rispose Chiara, inquisitoria: non le piaceva il tono che quella donna le rivolgeva.

-Ti hanno trovata in mezzo ai campi che farfugliavi delle frasi senza senso, urlando parole incomprensibili. Temiamo che tu possa aver avuto una forma di shock. Tra poco dovremmo avere i risultati delle analisi del sangue, così cerchiamo di capirne la causa.

-Credete forse che mi sia drogata o che abbia bevuto?- domandò ancora, aspra: per una qualche ragione, quella donna la faceva innervosire.

-Tesoro- disse sua madre -Sei sparita per quasi due mesi. I tuoi rapitori potrebbero averti drogata o peggio! Potrebbe esserti accaduto di tutto.

“Non immagini fino a che punto!” pensò tra sé la ragazza, poi si rivolse di nuovo all’infermiera: -Finora avete trovato qualcosa di strano?

-I valori vitali sono nella norma e sul tuo corpo non sono state trovate tracce di violenza. Anche dalla visita ginecologica non è emerso niente di insolito. Al momento ti stiamo idratando e aspettiamo i risultati delle analisi.

-Tu non ti ricordi nulla?- domandò suo padre, accarezzandole una guancia; nel suo sguardo si riusciva a leggere distintamente l’apprensione e la paura che quella domanda portava con sé.

-Ecco io…- esordì la ragazza, ma le parole si spensero in gola: come avrebbe potuto spiegare quello che aveva visto, le cose che aveva vissuto e le persone che aveva incontrato? Una fitta al cuore la colse al ricordo dell’amico, che la credeva una traditrice, e di Loki, che l’aveva diffamata ingiustamente davanti a tutti, accusandola di tradimento solo poche ore dopo che lei gli aveva salvato la vita.

-Io desidero che questa questione venga affrontata solo tra i membri della famiglia- riprese Chiara, squadrando l’infermiera, che prontamente si alzò e uscì dalla stanza.

-Dicci tutto, tesoro- disse sua madre, stringendole la mano tra le sue.

-Non so come sia potuto accadere- incominciò la ragazza -E per tutto il tempo in cui sono stata via mi sono interrogata sul motivo e sulla modalità della mia scomparsa, ma vorrei che prendesse per autentiche le mie parole e che capiste che quello che sto per dire è dettato dalla migliore lucidità mentale di cui sono capace, va bene?

Preoccupati, i suoi famigliari annuirono leggermente con la testa e si misero ad ascoltare attentamente; Chiara raccontò del suo risveglio nelle prigioni del palazzo, della creatura che le aveva salvato la vita, di Thor, di Odino, della sua schiavitù, delle persone che aveva incontrato e delle azioni che aveva compiuto; descrisse gli elfi e raccontò dell’attentato al Padre di Tutti, ma non accennò minimamente a Loki e al ruolo che aveva interpretato in quella storia.

Alla fine del racconto, suo padre e sua madre si scambiarono uno sguardo ricco di significati che Chiara non riuscì a cogliere e, dopo averle dato un bacio sulla guancia, uscirono dalla stanza, lasciandola sola con il fratello.

-Hai incontrato davvero gli dei nordici?- chiese incredulo Francesco -E com’era il martello di Thor? Era forte?

-È piuttosto piccolo rispetto a quello che ci si potrebbe aspettare- rispose Chiara -Ma scaglia dei gran fulmini!

-Forte!- esclamò emozionato il ragazzo e Chiara rispose a quell’entusiasmo con un sorriso: le era mancato tantissimo quello scemo del suo fratellino e poterlo rivedere sembrava un piacere quasi impossibile, come se le fosse in qualche modo proibito e che presto le sarebbe stato di nuovo sottratto.

Dopo qualche altra domanda che Francesco, incuriosito e affascinato dalle avventure della sorella, continuava a porle, la porta della camera si aprì di nuovo, facendo entrare una donna sulla cinquantina, con un lungo camice bianco e i capelli biondi raccolti in uno chignon, seguita dai genitori.

-Ciao Chiara- disse la signora -Sono la dottoressa Augusti e sono il medico che ti ha tenuto sotto controllo in queste ore.

-Piacere…- rispose la ragazza, studiando perplessa la sua interlocutrice.

-Ho appena dato un’occhiata alle tue analisi e ai tuoi parametri vitali e ti posso dire che sei sana come pesce, mia cara, ma vorrei comunque che ti facessi vedere nei prossimi giorni e, magari, facessi una chiacchierata con il dottor Di Stefano, così gli spieghi un po’ quello che ti è capitato, che ne dici?

-Mi faccia indovinare, dottoressa, questo signor Di Stefano è per caso uno psicologo?

-Veramente è uno psichiatra, mia cara.

Senza aggiungere altro, la ragazza si tolse l’ago dal braccio e il sensore per il battito cardiaco dal dito e si alzò dal lettino.

-Dove credi di andare?- domandò sorpresa la dottoressa.

-Me ne torno a casa, cara signora, perché non ho alcuna intenzione di perdere il mio tempo con chi ha già deciso di sottopormi a un’inutile terapia perché è troppo ottuso per capire la veridicità delle mie parole. Non  ho alcun disturbo mentale, né mi sono inventata quello che ho raccontato per dissimulare un qualche trauma: quello che ho detto mi è accaduto veramente e io non vedrò nessuno psichiatra o psicologo o chiunque altro!

-È per il tuo bene, pensa ai tuoi genitori!- insistette la donna, cercando di riportare a letto la sua paziente.

-I miei genitori sono già fortunati ad avermi di nuovo con loro; sono maggiorenne e sono libera di rifiutare la cura, se ne ho voglia, quindi datemi dei vestiti e lasciatemi tornare a casa mia.

Ciò detto, si avvicinò verso un angolo della stanza, dove giaceva la borsa che i suoi le avevano preparato per la permanenza in ospedale, la aprì, ne estrasse degli indumenti ed entrò nel bagno per cambiarsi, il tutto sotto lo sguardo attonito dei suoi parenti e del medico.

Una volta che si fu chiusa la porta alle spalle, la ragazza si guardò allo specchio: la fanciulla calma e allegra di solo un giorno prima era svanita, al suo posto vi era una sconosciuta dallo sguardo freddo.

Cercando di ignorare quel volto che la osservava attraverso lo specchio, Chiara si lavò alla bell’e meglio al lavandino dello stretto bagno e indossò i suoi vecchi abiti, jeans e maglietta, ritornando ad essere, in apparenza, la solita studentessa di due mesi prima.

Esalò un profondo sospiro ed uscì, tornando nella stanza dove la sua famiglia l’aspettava per il rientro a casa.

Senza scambiarsi una parola (Chiara poteva immaginare in che stato si trovassero i suoi genitori in quel momento e non cercò di sforzarli a fare conversazione: quando se la sarebbero sentita di riaffrontare l’argomento, avrebbero parlato), scesero le scale e si avviarono all’uscita dell’ospedale, dove un ragazzo dai capelli scuri e dalla corporatura robusta, aspettava ansioso appoggiato al corrimano di metallo.

Chiara, alla vista del ragazzo, si bloccò, come pietrificata, finché egli si accorse del loro arrivo e le corse incontro.

-Marco…- esordì la ragazza, quando quello le si fu parato davanti, ma non riuscì ad aggiungere altro perché Marco l’avvolse in un abbraccio commosso, sussurrandole felice all’orecchio: -Sei tornata!

Dopo un primo momento di rigidità, Chiara rispose all’abbraccio del fidanzato, stringendolo forte a sé e respirando a pieni polmoni il suo profumo così familiare.

Prendendola, poi, delicatamente per la mano, come se temesse che potesse andare in frantumi da un momento all’altro, Marco la condusse verso la propria auto parcheggiata poco distante dall’ingresso dell’ospedale e l’aiutò a salire.

Quando tutti si furono accomodati all’interno dell’abitacolo, il ragazzo diede gas e l’auto uscì dal parcheggio, dirigendosi verso le campagne senesi sotto al caldo sole di agosto.

Durante tutto il viaggio, Chiara continuò a pensare alle parole del re di Asgard e allo sguardo deluso e ferito di Thor, ma, soprattutto, si domandò se la guerra tra Asgard e Âlfheimr avrebbe nuociuto ad Angnis, a Myria e agli altri bambini del palazzo che aveva conosciuto. Avrebbe dato chissà cosa per poter tornare ad Asgard e assicurarsi che non accadesse loro del male: si sentiva addosso il peso di quella guerra assurda.

Anche se sapeva di non esserne responsabile, sentiva che avrebbe dovuto essere lì per aiutarli. In fondo ora aveva degli affetti anche ad Asgard ed erano in pericolo.

Il tempo, trascorso in mezzo a quei pensieri, volò in un lampo e presto la macchina imboccò il sentiero sterrato che conduceva alla villetta dove Chiara e la sua famiglia vivevano da sempre.

Nulla, notò la ragazza, era cambiato in quell’abitazione, tranne forse le piante del giardino, che apparivano meno rigogliose e curate del solito.

Ad attenderli, i nonni di Chiara, padre e madre di suo padre, stavano sotto al portico, aspettando ansiosamente che l’auto si fermasse e permettesse alla loro adorata nipotina di raggiungerli.

Non appena li vide, la ragazza scese dall’auto e corse loro incontro, stringendoli poi in un abbraccio ricco dell’affetto più profondo e sincero: erano le persone con cui era cresciuta e con cui aveva costruito la propria personalità giorno dopo giorno; ai suoi nonni Chiara doveva tutti i migliori ricordi della sua infanzia ed erano le due persone che più amava al mondo, sicché le strinse a sé come se potesse svanire di nuovo lontano da loro in un battito di ciglia.

-Bentornata- la voce della nonna era rotta dall’emozione mentre le accarezzava dolcemente i capelli scompigliati con le sue mani nodose; suo nonno, invece, non disse niente, ma le sorrise e ricambiò con entusiasmo l’abbraccio: non erano necessarie le parole affinché si capissero, tra loro due c’era sempre stata un’intesa unica e speciale, che Chiara non aveva con nessun’altro.

Quando la famiglia si fu riunita, si sedettero tutti assieme nel salotto e, mentre la nonna preparava il the, Chiara ripeteva il suo racconto, cercando di spiegare al meglio delle sue capacità oratorie i fatti incredibili che le erano capitati nel regno di Asgard.

Cercò di decifrare le espressioni dei suoi parenti man mano che gli avvenimenti venivano snocciolati: i suoi genitori avevano delle facce preoccupate e continuavano a lanciarsi occhiate eloquenti; Francesco pendeva dalle sue labbra, osservandola con i suoi grandi occhi castani, avido di apprendere tutti i dettagli di quell’incredibile avventura; Marco era seduto sulla sedia a fianco del tavolo e appoggiava la testa sul pugno chiuso, sembrava incredulo e, notò Chiara, il suo viso si accigliava ogni volta che ella parlava del Dio del Tuono; sua nonna la osservava stringendo tra le dita la tazza di the fumante e, talvolta, lanciava uno sguardo preoccupato in direzione dei suoi genitori. L’unico che sembrava prendere sul serio il suo racconto era, come la ragazza si aspettava, suo nonno, il quale, sorseggiando lentamente la sua bevanda calda, la osservava interessato e concentrato.

Alla fine del suo racconto, cadde il silenzio e, dopo qualche minuto passato senza che nessuno dicesse nulla, Chiara annunciò che sarebbe andata nella sua stanza a riposare.

Non appena ebbe varcato la soglia della sua camera, si lasciò cadere a peso morto sul letto e si mise a fissare il soffitto: la sua memoria volò alle prigioni e alla vana ricerca del suo lampadario. Ora quell’oggetto era lì, esattamente dove ci si aspettava che fosse, ma Chiara continuava a non sentirsi nel posto giusto, nel luogo dove avrebbe dovuto essere in quel momento.

Ad Asgard, probabilmente, stava già imperversando la guerra e lei era lì, su un altro pianeta, ad osservare il soffitto. Aveva ragione Loki: era solo un’inutile pedina in una scacchiera troppo, troppo grande per lei.

Qualcuno bussò alla porta, interrompendo il filo dei suoi pensieri, e Chiara andò ad aprire, trovandosi di fronte suo nonno con in  mano due grosse tazze colorate.

-Ciao- disse l’uomo, con un grande sorriso -Ho pensato che potesse essere il momento giusto per un buon gelato.

-Nocciola e stracciatella?

-Nocciola e stracciatella!

-Tu sì che mi capisci!- disse la ragazza ricambiando il sorriso e facendolo accomodare sul divanetto vicino alla finestra.

Quando l’uomo si fu adagiato sui cuscini della poltrona, disse, porgendo alla nipote una delle due tazze: -È stata davvero un’esperienza particolare su Asgard, non è vero?

-Già…- rispose la ragazza, mettendosi in bocca una grossa cucchiaiata di gelato -Cosa ne pensi di quello che ho raccontato?- aggiunse poi.

-Penso che tu non ci abbia detto tutto- rispose quello, guardandola profondamente negli occhi attraverso le spesse lenti degli occhiali da vista -Ti conosco da quando sei nata e ti ho vista crescere, perciò posso dire di saper capire quando mi nascondi qualcosa. Ho ragione?

Chiara sorrise e, affondando il cucchiaino nel gelato, rispose: -Come sempre.

-Allora cos’è che hai omesso? Qual è il problema che ti turba?

A quel punto a Chiara non rimase che rispiegare, per filo e per segno, tutta la storia con l’aggiunta di Loki e delle sue trame: dall’iniziale tentativo di spaventarla presentandosi a lei come la sua paura, al Vincolo Sacro fino alla serie di accuse con annessa condanna all’esilio.

Quando la ragazza ebbe terminato, il nonno rimase per una manciata di secondi in silenzio, valutando attentamente quello che gli era stato appena narrato, poi, dopo aver mangiato l’ultima cucchiaiata di gelato, disse: -Chiunque sia questo Loki e qualunque cosa egli abbia combinato nella sua vita, non posso che essergli grato.

-Cosa intendi dire?- domandò la ragazza, sorpresa da quell’affermazione inaspettata.

-Gli sono grato perché, non appena ha fiutato il pericolo di una guerra, il suo primo pensiero è stato quello di metterti in salvo, di rimandarti a casa dalla tua famiglia. Ha dovuto mettere assieme tutta quella messinscena per far sembrare il tuo allontanamento un fatto plausibile, visto che fino a quel momento aveva insistito per tenerti ad Asgard, ma il suo scopo era portarti al sicuro, dove non avresti corso alcun rischio. Quell’uomo mi ha rimandato indietro la mia nipotina e non potrei essergli più riconoscente.

Chiara non sapeva cosa dire: non aveva considerato la cosa sotto quel punto di vista, ma le sembrava piuttosto inverosimile che una creatura come Loki potesse interessarsi all’incolumità di qualcuno all’infuori di se stesso.

Aprì bocca per ribattere, quando un’altra voce femminile alle sue spalle l’anticipò: -I miei complimenti, nobile vegliardo, lei è un uomo molto saggio.

 

Angolo dell’autrice: salve a tutte quante e bienvenidas alla fine del capitolo 18! Un caloroso abbraccio alla nuova arrivata che ha aggiunto la storia tra le seguite J

Dunque, eccoci qua: Chiara è stata rispedita piuttosto malamente a casa, dove deve confrontarsi con una realtà che fatica ad accettare gli eventi da lei vissuti. La sua famiglia e la sua casa erano ciò che la ragazza desiderava, ma li ha riavuti in circostanze che non si aspettava ed ora si trova divisa a metà tra la tranquillità offertale dalla sua vecchia vita e la minaccia della guerra che incombe su chi le è divenuto caro.

Che ne dite? Il nonnino c’ha visto giusto? O forse Loki voleva solo liberarsi di Chiara, magari, già che c’era, dando anche un dolore a Thor?

E di chi sarà la voce alle sue spalle? Scommetto che ci siete già arrivate ;)

Vi mando un grandissimo abbraccio e vi ringrazio con tutto il cuore per essere qui, capitolo dopo capitolo, ad onorare il mio lavoro con la vostra attenzione e il vostro interesse.

Un abbraccione e alla prossima :)

Lady Realgar

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Capitolo 19
*** La speranza che sconfigge l'odio ***


Sul volto del nonno Chiara lesse un’espressione di terrore e quella fu sufficiente per capire a chi appartenesse la voce.

-Che cosa vuoi da me, Jarosit?- domandò.

-Voglio parlare con voi, Lady Chiara.

-Non ho alcuna intenzione di parlare con te.

-Sono desolata, Lady, ma devo insistere.

Ciò detto la regina degli Elfi Chiari schioccò le dita e due soldati elfici entrarono nella stanza, stringendo tra le lunghe mani rapaci le braccia della madre e della nonna di Chiara, che, piangendo, chiedevano pietà agli energumeni squamati.

Al suono dei loro lamenti la ragazza si alzò di scatto e si voltò, guardando direttamente negli occhi dorati la sua avversaria: -Loro non c’entrano nulla- sibilò minacciosa tra i denti, stringendo i pugni dalla rabbia fino a conficcarsi le unghie nella carne -Lasciale stare.

-Mi dispiace dover ricorrere a questi mezzi, Lady, ma non saprei come attirare la vostra attenzione nel poco tempo che abbiamo a disposizione.

-Farò quello che vorrai, ma lascia stare la mia famiglia.

-Lieta di sentirvelo dire, Lady- sorrise la regina, facendole cenno di avvicinarsi -Questioni molto importanti richiedono la vostra presenza e indugiare ulteriormente causerebbe una sciagura nei Nove Regni.

-Tu hai cercato di uccidere Odino- rispose Chiara, avvicinandosi e rivolgendo una carezza rassicurante sul volto di sua nonna, mentre questa veniva rilasciata dal militare elfico -Sei la causa delle sciagure di cui parli. Perché mai avresti bisogno di me? Odino mi ha bandita e Thor mi crede una traditrice al tuo soldo, non ho alcun valore per la casa reale di Asgard.

-Suvvia, Lady Chiara- ridacchiò la regina degli Elfi Chiari -Mi offendete continuando a ripetere il nome di Odino, ben sapendo che del Padre di Tutti non vi è nemmeno l’ombra in tutta questa storia.

-Non so di cosa stai parlando.

-Dite di non aver più alcun legame con Asgard eppure continuate a proteggerne i segreti; magari nella mia corte avessi un’amica preziosa come voi, Lady Chiara! Ma ora non c’è tempo per le chiacchere e devo chiedervi di seguirmi.

Jarosit fece un cenno di saluto e sparì oltre la porta, lasciando ai soldati il compito di condurre la ragazza fuori dall’abitazione. Prima di uscire dal nido in cui era appena tornata, Chiara lanciò un’occhiata alla sua famiglia, non sapendo cosa fare per rincuorarli: lei stessa non sapeva se avrebbe avuto di nuovo la fortuna di rivederli. Leggeva sulle loro facce l’orrore e la paura per quello che stava accadendo, ma come avrebbe potuto biasimarli? Probabilmente la sua espressione quando si era svegliata nelle prigioni asgardiane non era stata molto dissimile dalla loro.

Ammiccò al fratello minore per salutarlo e attraversò la soglia della villetta, lasciandosi riscaldare dagli ultimi raggi solari del tramonto.

-Allora, Jarosit- esordì Chiara -Quali mezzi hanno gli elfi per muoversi per i Nove Regni?

-A Odino piace tanto credere che l’unico modo per viaggiare sia il suo sfavillante Bifrost, ma con un po’ di fantasia e di ingegno ci si può muovere altrettanto comodamente, anche se in maniera meno appariscente. E poi dicono che siamo noi elfi ad essere eccentrici.

Allungò il braccio affusolato in direzione di uno dei soldati e quello le porse un sacchetto di stoffa damascata, da cui la donna estrasse una manciata di polvere scura e se la fece passare tra le dita.

-Cos’è? Polvere di stelle?- chiese Chiara, scettica.

-Se gradite chiamarla così, Lady- rispose la donna, senza degnarla di uno sguardo e continuando a farsi passare la polvere tra le mani -Nella nostra lingua la chiamiamo Røyk Port,  la Porta di Fumo.

Jarosit trasse un profondo respiro per poi soffiare via la polvere, che rimase sospesa a mezz’aria lanciando freddi bagliori ai raggi obliqui del tramonto; la regina si voltò e, con un leggero inchino, disse: -Dopo di voi, Lady.

Incuriosita da quello strano fenomeno, Chiara si avvicinò alla polvere e rimase per qualche secondo a studiarne i singoli granuli che volteggiavano nell’aria ferma: erano bellissimi e, in qualche modo, si sentiva attratta da quell’oscura e ineffabile bellezza, così, senza pensarci, allungò la mano e ne toccò un granellino.

In un lampo la campagna, la sua casa e il tramonto che fino a poco prima la circondavano svanirono, lasciando posto a un clima caldo e umido, a un giungla di alberi dalla forma bizzarra, ricoperti da una strana mucillaggine arancione, e a un ronzio di insetti.

-Oh cavolo!- sbuffò la ragazza -Speriamo non abbiano le zanzare giganti nello Âlfheimr.

-Mi dispiace Lady, ma non capisco a cosa vi riferiate- rispose la regina, appena apparsa alle sue spalle in compagnia dei due soldati.

-Su Midgard esistono insetti che hanno la fastidiosa abitudine di succhiare il sangue e lasciare sostanze urticanti sottopelle. Sono creaturine che amano gli ambienti caldo-umidi e scommetto che da queste parti ne avrete a bizzeffe.

-Non mi preoccuperei delle creaturine, se fossi in voi, Lady Chiara.- rispose la regina, anticipandola lungo un sentiero tracciato attraverso la fitta vegetazione -L’ambiente del mio regno può risultare piuttosto ostile per chi non lo conosce, quindi, per la vostra incolumità, devo chiedervi di non allontanarvi dal sentiero e dai miei soldati.

Camminarono per qualche minuto nel mezzo di quella varietà che la flora di Âlfheimr offriva, permettendo a Chiara di ammirare la complessità delle architetture che quel groviglio di tronchi, rami, liane, foglie e fiori multicolore creava sopra le loro teste, finché non sbucarono in un’immensa radura. Al centro di essa sorgeva, maestosamente protratto verso il cielo, un enorme albero, largo come una cittadina e alto come un grattacielo e dal fitto fogliame rosso sangue; tra quei grossi rami si estendevano quelli che sembravano edifici dalle forme e dimensioni più varie, collegati tra loro da una ragnatela lunghi e sottili ponti di legno e corda.

Vennero accolti da una piccola truppa di soldati, che scortarono le due donne fino alla base del grosso tronco, dove un sistema di piattaforme mobili, carrucole e contrappesi, le condusse fino alla cima dell’albero. Durante l’ascesa Chiara non poté fare a meno di ammirare la complessa diramazione della città che si estendeva tra i rami e le foglie color del sangue: tutt’intorno era un brulicare di elfi che praticavano le faccende più disparate, dall’allenamento dei soldati, alla composizione di brani musicali in onore della regina, dalle faccende domestiche, all’artigianato. Era un ambiente così pieno di vita e di armonia che a Chiara sembrava assurdo che potesse essere un nido di freddi e spietati traditori, eppure l’aveva visto con i suoi stessi occhi e quella, seppur triste, era una realtà inconfutabile.

La piattaforma arrestò la propria ascesa di fronte ad un’ampia cupola di legno scuro, avvolta da costoloni dorati e incastonati di gemme preziose, che scintillavano orgogliosi alla luce del giorno. Jarosit invitò la sua ospite a scendere dal piano mobile e, non appena le guardie ebbero aperto le porte dell’edificio, la condusse all’interno di quella che era la sala del trono di Âlfheimr.

Le porte si chiusero alle loro spalle, lasciandole sole e isolate dal resto della vita al di fuori dell’edificio.

-Perché sono qui?- chiese Chiara, impaziente di comprendere per quale maledetto motivo, dopo tutto quello che era capitato, dopo tutte le difficoltà e i pericoli che aveva dovuto passare e dopo essere stata cacciata dalla stessa persona che l’aveva tenuta prigioniera per due mesi, era stata di nuovo allontanata dalla sua famiglia. Desiderava solo mettere la parola fine a tutta quella storia e, per quello che le sarebbe stato possibile, dimenticare.     

-Vi ho portata qui, Lady Chiara- esordì Jarosit -Perché anch’io, come Loki, voglio capire quello che sta accadendo nei Nove Regni e fermarlo.

-Sai di Loki?- domandò spaventata la ragazza.

-Ovviamente. Vi siete chiesta come mai vi sia stato vietato di partecipare alla Festa d’Estate? Loki conosce molto bene le mie capacità e sa che possiedo delle conoscenze molto, molto più approfondite delle sue nel campo degli incantesimi mentali e della lettura del pensiero. Egli sapeva di avere tra le mani qualcosa di grosso e, non avendo ancora scoperto di cosa si trattasse e non potendo al contempo esimersi dal portare a compimento l’usanza tradizionale, ha tentato di impedirmi di venire a conoscenza della vostra presenza, nascondendovi alla mia vista e lanciando un debole e altrettanto inutile incantesimo di protezione.

-Come fai a sapere tutto questo?

-Mia cara, se il re è il pezzo più importante della scacchiera, è la regina a determinare la vittoria di una partita. Quando vi ho vista in mezzo alla folla, ho percepito i vostri pensieri, i vostri ricordi e le vostre paure e tutto mi è stato chiaro. Avevo già riconosciuto Loki dietro l’apparenza del legittimo re di Asgard, ma sapevo che doveva esserci anche qualcos’altro. E quel qualcosa siete voi.

-È per questo che hai mandato quel ragazzino a fare il lavoro sporco? A uccidere Loki? Volevi riportare Odino sul trono?

Jarosit fulminò la ragazza con i suoi occhi gialli e rispose, stizzita: -Quello che è accaduto non è stato opera mia! Agli elfi non interessa chi è a capo dei regni all’infuori di Âlfheimr, a noi importa solo mantenere la pace nel nostro regno e non ci riguarda chi si occupa di preservarla. Loki non ha mosso battaglia contro il mio popolo e tanto mi basta per accettarlo come sovrano di Asgard.

-Ma qualcuno ha attentato alla sua vita ed era un elfo chiaro!- insistette Chiara.

Tra le due donne scese il silenzio e sul volto di Jarosit, le cui mani erano contratte in pugni serrati, apparve un’espressione di dolore.

-Quel ragazzo era un elfo chiaro, ora non è altro che un burattino di carne, un fantoccio senza più uno spirito.

-Cosa intendi dire?

-Voglio dire che una tremenda piaga si sta estendendo sui Nove Regni e che è partita da coloro che meno sono in grado di difendersi dal male. Sto parlando dei bambini- continuò la regina, notando l’incomprensione della ragazza -Sono stati loro le prime vittime, ma lui sta diventando sempre più forte e ben presto riuscirà a governare anche un corpo adulto e allora fermarlo sarà pressoché impossibile.

-Io non capisco…- ammise Chiara.

-È un essere spietato e perverso, capace di creare la propria tana all’interno dell’animo di altri esseri, nutrendosi della loro volontà e governandoli come pupazzi senza vita. Pensavamo che fosse stato sconfitto quando Odino l’aveva fronteggiato in battaglia, duemila anni fa; a quei tempi regnava mia madre e lei stessa aveva condotto le truppe contro il suo esercito di mostri senz’anima. All’epoca ero solo una bambina, ma ancora ricordo le atrocità che quell’orrore ha compiuto; poi finalmente un giorno giunse la notizia che Phoneus era stato sconfitto. Eravamo salvi e l’alleanza tra Asgard e Âlfheimr venne benedetta da quella pace appena conquistata. Dopo duemila anni, Phoneus è tornato e… ha preso mia figlia!

Chiara vide la regina piegarsi su se stessa e cadere in ginocchio sul pavimento, sconvolta dai forti singhiozzi e dalle lacrime che le scendevano copiose sul viso.

Istintivamente le si avvicinò e le pose delicatamente una mano sulla spalla: non sapeva cosa fare. Doveva crederle? Oppure era solo una recita costruita su misura per lei, per ingannarla?

-La mia piccola Orpimen- continuò a singhiozzare la regina -È stata tra i primi a sparire, poi, uno ad uno, centinaia di altri bambini sono scomparsi. Anche la prima volta che Phoneus aveva fatto la sua comparsa erano stati rapiti dei bambini, povere creature: sono più facili da controllare e per questo quel mostro comincia da loro. Ora teniamo gli ultimi rimasti qui a palazzo, osservati giorno e notte dalle guardie, ma degli altri solo le Norne sanno cosa ne è stato! La mia Orpimen…

Le lacrime continuavano a scendere copiose dai grandi occhi dorati della regina, ridotti ora a globi arrossati e privi della loro luce, mentre la voce era spezzata dai singhiozzi. Il cuore della ragazza si contrasse di pietà.

-La Festa d’Estate doveva essere l’occasione per chiedere soccorso a Odino e illuminarlo riguardo ai nostri sospetti, ma quando vidi che ad accogliermi non vi era lui, bensì lo Jotun rinnegato, le mie speranze svanirono e alla prima occasione andai alla ricerca del vero sovrano, ma venni a sapere dell’attentato e io e la mia corte dovemmo fuggire, per evitare di venire massacrati dal popolo di Asgard; ma c’eri tu e questo mi ha donato nuova fiducia.

-Cosa c’entro io?- domandò Chiara, ma quella non disse nulla; la regina la guardò in volto e le toccò la fronte con la punta delle dita.

In un attimo l’immagine di Jarosit svanì dal suo campo visivo, per lasciare il posto a un ambiente scuro e stretto, in cui erano stipate un centinaio di persone di diversa età ed etnia. La ragazza, sconvolta e disorientata, sentì la  paura crescerle in corpo, per trasformarsi in puro terrore quando una fredda e spessa catena di ferro le si avvolse come un serpente intorno alle caviglie e ai polsi, immobilizzandola a ridosso di una parete di dura roccia. Intorno a lei, anche gli altri stavano subendo lo stesso trattamento, molti piangevano, altri invocavano aiuto in una Babele di lingue differenti; per quanto riguardava Chiara, era paralizzata per la paura e dalla sua bocca non riuscì ad uscire alcun suono. All’improvviso una porta si aprì, lasciando entrare nella stanza un fascio di luce che le bruciò gli occhi per qualche secondo, ma quando le pupille si furono adattate alla nuova condizione luminosa, la silhouette di una creatura spaventosa si delineò nel chiarore della luce.

-Iniziamo con il primo- sibilò l’essere attraverso le fauci sbavanti.

Un uomo in fondo alla parete urlò, mentre un tentacolo lo afferrava per la gola; un pungiglione, simile a quello di uno scorpione, emerse dall’esoscheletro della creatura e si conficcò  nella nuca del poveretto.

L’uomo strabuzzò gli occhi e dalla bocca iniziò ad uscire una schiumosa bava rossa, che iniziò a colargli sul collo, mentre la pelle assumeva una tonalità sempre più scura, fino a diventare violacea. Il malcapitato divenne preda di un forte attacco epilettico, che lo scosse fino all’ultimo, pesante sospiro; poi non mosse più un muscolo.

La creatura sollevò l’uomo, ormai privo di vita, e lo studiò attentamente per qualche secondo, poi, insoddisfatto, lo scagliò contro la parete, fracassandogli il cranio su una roccia appuntita, e lo lasciò lì, come una bambola rotta con cui il mostro non aveva più intenzione di giocare.

La seconda vittima fu una donna anziana, che cercò di difendersi sferrando pugni a destra e a sinistra, ma, nonostante la sua coraggiosa resistenza, subì lo stesso trattamento del primo.

Quel supplizio andò avanti, cogliendo uno ad uno tutti i prigionieri dentro la stanza e sottoponendoli alla stessa iniezione dietro la testa. Fu un’ecatombe e per tutto il tempo Chiara pianse impotente e in silenzio, finché non venne il suo turno: sentì il tentacolo avvolgersi attorno al suo collo, stretto fino quasi a strangolarla, e la punta del pungiglione entrare tra il cranio e la prima vertebra della spina dorsale. Un tremendo bruciore si diffuse nella sua testa quando il mostro iniettò il veleno e già si preparava all’attacco epilettico, quando sentì, inaspettatamente, il dolore scemare progressivamente, fino a sparire del tutto.

Rimasero lì, lei e il mostro, gli occhi dell’uno nell’anima dell’altra, per una manciata di secondi, poi un sorriso crudele sorse sulla bocca della creatura, che lentamente depose Chiara al suolo e rimase in attesa, gli occhi gialli carichi di aspettative.

Il tempo passava e il sorriso del mostro iniziò a mutare forma, sostituito da un ringhio minaccioso e da uno spaventoso schioccare di fauci. Le gambe di Chiara iniziarono a tremare: era scampata alla morte, ma ora un nuovo pericolo si stava minacciosamente avvicinando! Non sapeva cosa fare e il panico stava per prenderla, quando nella stanza sentì rimbombare eterea una voce, calda e rassicurante, che le suggerì tranquilla: -Scappa.

E così fece; si lanciò in direzione della porta, evitando per un soffio il pungiglione del mostro, e lasciò che la luce oltre la soglia della stanza la avvolgesse. Non riusciva più a distinguere le forme, né un suono arrivò alle sue orecchie, ma percepì distintamente il tocco freddo del vento sulla pelle della braccia e del viso, poi i vestiti le si appiccicarono addosso e per un attimo il respiro le mancò, mentre sulla lingua percepì un forte sapore di sale.

Si ritrovò sul pavimento della sala reale in lacrime, trattenendosi dal vomitare di fronte alla regina, che, ripresasi dal suo momento di debolezza, la osservava compassionevole dall’alto della sua statura.

-Che cos’era quello?- domandò la ragazza, cercando di controllare gli spasmi del pianto.

-Lo sapete bene, Lady.

Era vero: Chiara sapeva quello che aveva appena visto, ma non riusciva nella propria coscienza a riconoscerlo.

-Come posso accettare- urlò la ragazza fuori di sé -Di essere stata l’unica, tra tutte quelle persone, a salvarsi? Che diritto ne avevo io? Perché io sono scappata e loro no? Cosa mi rende degna di sopravvivere rispetto alle donne e agli uomini che erano lì con me? Avrei dovuto morire con loro!

-Non dite così, Lady- la esortò la regina, avvolgendo le sue dita affusolate sulla spalla della ragazza, ma quella la scacciò e si alzò da terra, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.

-Voi portate la speranza- riprese Jarosit -La vostra razza è debole e non riesce ad accogliere il veleno di Phoneus, per questo quel mostro stava facendo dei tentativi su alcuni di voi. Egli mira a infettare i Nove Regni con la sua stirpe immonda, ma ha bisogno di seguaci, di altre creature che possano diffondere la sua malattia; evidentemente egli stava progettando di invadere Midgard quando vi ha presa, ma voi non solo avete resistito al suo veleno, ma vi siete opposta anche al suo controllo. Voi, un esserino così piccolo e fragile, vi siete opposta alla forza un mostro millenario! Non riuscite a capire quale importanza avete in questa partita? Voi siete la speranza, la pace che sconfigge l’odio, e la portate con voi ovunque andiate, ovunque indirizzate i vostri passi. Vi ricordate del vostro salvatore nelle prigioni di Asgard?

-Ma come…-

-L’ho visto nella vostra memoria, quella sera alla Festa, ho visto il suo volto e le sue ultime gesta: voi l’avete portato a riscattare il suo nome alla fine della sua vita.

-Qual era il suo nome?- domandò la ragazza in un filo di voce.

-Egli era conosciuto come Reicknar il Crudele, un mercenario spietato, e anche qui a Âlfheimr abbiamo avuto occasione di verificare la veridicità del suo soprannome, ma in voi ha visto qualcosa di grande per il quale ha accettato di morire. Allo stesso modo per Loki.

Chiara sentì il viso bruciarle al suono di quel nome: cosa c’entrava lui? Loki l’aveva lasciata in vita solo per indagare la sua memoria, come si potevano paragonare due situazioni così dissimili?

-Io non sono nulla di tutto questo- sibilò la ragazza -Io non redimo la gente, non ho poteri taumaturgici, né posso sperare di cambiare qualcosa di immutabile come un cuore di pietra. Hai commesso un errore Jarosit, mi dispiace, ma ti ringrazio di avermi detto il nome del mio salvatore: almeno così potrò associare a un’identità il volto di colui a cui devo la vita.

 -Voi non capite, Lady Chiara…- esordì la regina, ma venne interrotta dalle urla ragazza: -No, sei tu che non capisci!

Poi un boato e una forte luce spaventosamente familiari entrarono nella stanza: -Asgard ci attacca- esclamò Jarosit, dirigendosi verso una rastrelliera addossata al muro ed estraendone una lunga scimitarra -Ma noi siamo pronti.

 

Angolo dell’autrice: salve salve a tutte e ben trovate! Eccoci qui, anche questo week-end, a raccogliere i pezzetti del puzzle e cercare di capire che accidenti è capitato alla povera Chiara J

Viene introdotto un nuovo personaggio: il vero villain della storia, che ne pensate? Francamente io devo ancora capire se questo capitolo mi piace oppure no, ma spero che almeno da parte vostra sia stato gradito.

La guerra tra i due regni si avvicina pericolosamente, mentre la minaccia di Phoneus grava implacabile sui Nove Regni. Che cosa succederà? Cosa accadrà ai nostri personaggi?

L’ultima volta mi sono dimenticata di spiegarvi un po’ la scelta dei nomi negli ultimi due capitoli: Heilagt Skuldabréf e Røyk Port sono termini islandesi (visto che la mitologia da cui provengono i personaggi principali ha avuto origine lì), mentre Phoneus è greco e significa “assassino” (così come Thanos deriva da Thanaos, ossia “morte”). Sono solo piccole precisazioni che, forse, renderanno la vostra lettura un po’ più piacevole ^-^

Ad ogni modo, vi ringrazio calorosamente per il vostro tempo e spero di avervi fatto passare una mezzoretta del vostro tempo libero in serenità.

Se vorrete lasciare un commento farete di me l’autrice più felice del mondo e sarò lieta di rispondervi ^-^

Un abbraccio e alla prossima J

Lady Realgar

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Capitolo 20
*** E guerra fu ***


Chiara si lanciò in direzione della finestra e osservò la radura sotto il grande albero: tutt’intorno era uno scintillio di armature dorate e spade sguainate. Di fronte al plotone di guerrieri asgardiani piazzati in assetto da battaglia, Odino, a cavallo di un mastodontico equino a otto zampe, guidava l’armata, affiancato dal Dio del Tuono, dai Tre Guerrieri e da Sif.

-Organizzate le truppe e richiamate i guerrieri dalle città nelle foreste!- ordinò Jarosit alle guardie piazzate all’ingresso della sala del trono -Non dobbiamo farci trovare impreparati. Chiamate i consiglieri e fatemeli trovare sul campo di battaglia, io li precederò.

-Cos’hai intenzione di fare?- domandò Chiara, anticipando la regina sulla porta, piazzandosi sulla soglia e bloccando l’uscita.

-Per il momento cercherò di passare per la via della diplomazia, ma credo che Loki sia già passato alla fase successiva o non avrebbe scomodato il suo esercito. Maledetti guerrafondai megalomani!

-Voglio venire con te- disse Chiara, afferrando il braccio della regina -Devo fare qualcosa!

-Non è adeguato, Lady Chiara- rispose la donna, sfuggendo alla presa della ragazza -In questo momento Loki vi crede al sicuro su Midgard, se si accorgesse della vostra presenza  la guerra scoppierebbe in un lampo.

-Lui ha creato una sorta di legame psichico, o quello che è, tra noi due, è in grado di percepire dove mi trovo. L’ha detto lui stesso. Saprà sicuramente che sono qui.- ribatté Chiara, in tono di sfida.

-Non se qualcuno deviasse il legame, bloccandolo temporaneamente e dirottandolo sul vostro pianeta per ingannare il Dio degli Inganni, Lady. Ve l’ho detto: è la regina che decide le sorti della partita. Vi chiedo di rimanere qui per la vostra incolumità e non cercate di scappare: qui non siamo ad Asgard, la sorveglianza funziona molto bene e gli accessi alla sala sono tutti controllati dalle mie guardie personali. Abbiate fiducia, Lady, arriverà il vostro momento.

Ciò detto la regina uscì dalla sala del trono e ordinò ai soldati di bloccare le porte, poi salì sul piano mobile e iniziò la sua discesa, spada sguainata e saldamente impugnata nella mano sinistra.

Chiara si lanciò alla finestra e vide dopo pochi minuti Jarosit su un destriero avvicinarsi a gran galoppo in direzione di Odino, che l’accolse alzando Gungnir al cielo, poi i due si avvicinarono e iniziarono a conversare. Chiara avrebbe dato qualunque cosa per poterli sentire e appoggiò il ginocchio sul davanzale, pronta a scavalcarlo e a fuggire, ma un energumeno armato di lancia le si piazzò davanti, ostacolandole l’uscita.

-Senti un po’ razza di armadio, sono stufa di fare la reclusa per tutti i Nove Regni! Là sotto sta per scoppiare una guerra e io devo fare qualcosa per impedirlo. Fammi passare e lasciami dare una mano!

-Non posso, Lady, ordini della matriarca- rispose quello impassibile.

A quel punto la ragazza si allontanò dalla finestra, imprecando tra i denti, e si mise a studiare le armi appese alla rastrelliera: tra essi c’era un piccolo coltello dalla lama leggermente curva e con l’impugnatura in avorio; lo prese e se lo rigirò tra le mani, affascinata dalla bellezza pericolosa di quell’oggetto.

 

 

Erano giunti nello Âlfheimr e un intenso profumo dolciastro gli arrivò nelle narici attraverso l’aria calda e umida; Thor si ricordava molto bene la prima volta che vi aveva messo piede e della meraviglia che aveva provato di fronte a quella cultura così diversa dalla propria, a quei riti così misteriosi e antichi e a quegli ambienti così selvaggi e fieri, ma anche dell’enorme paura quando suo fratello si era avventurato da solo nella foresta per provare che anche lui poteva essere un vero guerriero asgardiano. L’aveva cercato per ore, finché Padre e Madre non si erano accorti della loro assenza: prima avevano trovato il primogenito, che vagava in una palude impantanato di fango e mucillaggine fino ai gomiti, poi, al calare della sera, avevano scoperto in una grotta anche Loki, che aveva raccolto della frutta e cercava di accendere un fuoco con dei rametti secchi.

-Va tutto bene?- gli chiese premurosamente Sif, scudo e spada sguainata, al suo fianco.

-Sì sto bene- rispose il principe, scrollando il capo per allontanare dalla mente quel ricordo. Doveva concentrarsi: suo Padre aveva ordinato l’offensiva contro gli Elfi Chiari e gli aveva dato il comando di gran parte delle truppe; era una grande responsabilità e doveva dimostrarsi all’altezza della situazione.

-Mi dispiace per la tua amica, Thor- gli disse Fandral in un sussurro -È riuscita a ingannare anche me.

Perché continuavano a consolarlo? Aveva una faccia così sconvolta?

-A me dispiace solo di non essermene accorto prima: avrei potuto risparmiare a mio padre un brutto quarto d’ora.

“Sei sempre il solito ingenuo, Thor!” si ripeté per l’ennesima volta il principe di Asgard, con lo stesso tono scorbutico che il fratello era solito usare per rimproverarlo. Avrebbe dovuto capirlo sin dal primo momento, ma la sua inettitudine aveva quasi portato suo padre alla tomba e non poteva perdonarselo. Avrebbe dato il massimo in quella battaglia per scusarsi con lui, per dimostrare che era all’altezza della sua fiducia e di quella del suo popolo. Lui era il protettore di Asgard e come tale si sarebbe comportato.

-Sta arrivando qualcuno- sentenziò Hogun, indicando con il dito un punto vicino alla base dell’Albero.

Ben presto fu visibile la forma di un cavallo, con in groppa la sottile figura di un cavaliere, che arrivava a gran velocità verso di loro.

-È Jarosit, senza dubbio- disse Odino, innalzando nervosamente la sua lancia e sistemandosi più comodamente sulla sella di Sleipnir, che scalpitava impaziente di andare alla carica -Che impudenza da parte sua, presentarsi al mio cospetto da sola dopo aver ordinato la mia morte.

-Salute, nobile Odino- esordì la regina non appena fu giunta al cospetto del sovrano asgardiano e del suo esercito.

-Con che coraggio mi augurate la salute, quando tu stessa hai cercato di uccidermi?- ringhiò il dio, puntandole contro l’indice accusatorio.

-Se le mie parole, dopo anni di fedele e amichevole alleanza, hanno ancora suono alle vostre orecchie, nobile Odino, ascoltatele bene: io non sono coinvolta nell’increscioso avvenimento della sera della Festa d’Estate.

-Eppure hai coinvolto una ragazza midgardiana per favorire il tuo piano e proteggere il tuo sicario, Jarosit!- la interruppe bruscamente Thor, stringendo Mjolnir nella mano callosa.

-Io non ho ingaggiato alcuna ragazza midgardiana, ma sono lieta di apprendere che abbia salvato la vita di uno dei miei sudditi, nonostante il deplorevole atto compiuto.

-Allora ammette che il sicario fosse uno dei vostri?- domandò il sovrano, mentre alle loro spalle i soldati iniziavano a borbottare tra loro; qualcuno lanciò degli insulti alla regina.

-Purtroppo Âlfheimr è stato vittima di una serie di eventi preoccupanti, di cui avrei voluto discutere con voi durante la festa, ma non mi siete sembrato voi stesso in quel momento e ho preferito rimandare.

A quelle parole, Odino si irrigidì e Thor, notando la difficoltà del padre, si intromise nuovamente nella discussione: -Direi che hai trovato altro modo per risolvere il vostri problemi!

-Voi già mi condannate colpevole, principe- rispose la regina squadrandolo da capo a piede -Accettate un consiglio da chi già porta sulle proprie spalle il peso di un regno: non fidatevi solamente di quello che gli occhi possono vedere, ma andate a cercare anche sotto l’apparenza e alle illusioni delle cose. Coloro che vi sono vicino possono rivelarsi velenosi serpi nel vostro seno, mentre chi allontanate potrebbe essere animato delle migliori intenzioni. Siate accorto principe Thor.

-Non intendiamo subire ulteriori offese, Jarosit- disse Odino, trattenendo per le redini Sleipnir, che innervosito sbuffava e scalpitava, battendo i suoi otto zoccoli sul terreno erboso -Ammetti la tua colpa e arrendetevi, altrimenti preparatevi alla battaglia.

-Nessuna offesa vi è mai stata recata da parte mia, ma se è la guerra quello a cui ambite, la guerra avrete. Venderemo cara la nostra pelle e non lasceremo che Âlfheimr diventi una colonia di Asgard. Non oggi, né mai!

Sottolineò l’ultima frase alzando la scimitarra al cielo e, lanciando un grido di guerra, girò il cavallo e ritornò al galoppo verso l’Albero.

-Preparate le postazioni di attacco- urlò Odino ai suoi soldati -Voglio delle formazioni compatte e uno squadrone pronto a dare la carica sulla pianura. Tenete alti gli scudi per proteggervi dalle frecce! Siamo in una postazione sfavorevole all’interno della radura: rinforzi del nemico potrebbero arrivare dalle foreste, ma abbiamo il fulmine dalla nostra parte. Thor- disse i sovrano rivolgendosi al principe -Desidero che tu ti ponga in alto e conquisti la postazione più alta dell’Albero, il tuo compito sarà scagliare saette contro la foresta, laddove riconosci la presenza di arcieri e soldati nascosti nella vegetazione. Difendi la tua postazione e cerca di impadronirti dell’Albero, se conquistiamo il cuore del regno, conquistiamo anche il suo popolo. I Tre Guerrieri ti daranno man forte dal basso, mentre io condurrò lo scontro sul campo con l’esercito di Jarosit, tenendola impegnata qua sotto. È tutto chiaro?

-Sì, Padre- tuonò il principe, risoluto, lanciando poi sguardi di complicità ai compagni.

-Maestà- si intromise Sif, avvicinandosi al sovrano -Permettetemi di partecipare all’assalto dell’Albero!

-La tua devozione è commovente, Sif- rispose Odino con un sorriso paterno -Ma l’abilità della tua spada è richiesta qui sul campo di battaglia: ho bisogno di qualcuno di fidato che mi guardi le spalle.

-Sarò la vostra ombra, mio re- rispose quella, battendosi il petto con il pugno chiuso.

-Brava ragazza. Avanti, soldati, ognuno nella propria postazione di attacco, Jarosit starà già preparando il suo esercito alla battaglia, cerchiamo di non darle troppo vantaggio. Voi- aggiunse poi, indicando un gruppo di giovani reclute -Preparate dei fuochi e tenete pronti i barili di olio che abbiamo portato: che la foresta diventi l’inferno dei nostri nemici!

Il momento si stava avvicinando e Thor percepiva la tensione che serpeggiava tra i suoi soldati, ma come poteva biasimarli? Lui stesso, che aveva sempre trovato divertente battersi, quel giorno era angosciato al pensiero di affrontare gli Elfi Chiari: famosi per la loro abilità bellica, non solo conoscevano perfettamente il loro territorio, ma erano anche guidati da un capo sveglio e impavido come Jarosit; senza contare che, da quando se lo ricordava, erano sempre stati forti alleati di Asgard ed era già capitato che lui e la regina combattessero fianco a fianco.

Jarosit era pericolosa, ma loro erano arrivati preparati: Odino sapeva che il primo corso d’acqua era a parecchie miglia dall’Albero e aveva portato grandi quantità di olio per lanterne, pronto per essere sparso nella foresta e intrappolare gli avversari nella loro stessa dimora. Era un piano crudele, ma ben congegnato e in guerra, aveva imparato il principe, bisognava saper rispondere all’attacco del nemico e il fuoco sarebbe stata la loro contromossa al veleno delle loro lame.

Aveva avuto modo, una volta, di assistere da vicino agli effetti di quel veleno portentoso e il pensiero di poterlo avere in corpo lo fece rabbrividire.

Odino aveva pensato anche a quell’inconveniente e aveva fatto avvolgere, sotto all’armatura, ogni soldato con numerosi strati di lino, sfruttando la resistenza del tessuto a favore delle sue reclute.

-Gli Elfi si stanno radunando- fece notare Fandral, mentre alle loro spalle i soldati avevano assunto la formazione d’attacco.

-Approfittate della confusione della mischia per avvicinarvi all’Albero- disse Thor ai suoi amici -Io cercherò di aprirvi la strada.

-Sta attento alle frecce!- lo avvisò Sif -Mentre sarai in volo sarai più vulnerabile, devi essere più veloce di loro.

-Non temere, Sif.- le rispose il Dio del Tuono, poi, afferrandola per il braccio e avvicinandola a sé, aggiunse: -Sta attenta a mio padre, te ne prego. Il Sonno di Odino potrebbe essere alle porte ed è da giorni che lo vedo affaticato.

La guerriera annuì con il capo e indirizzò il suo cavallo verso il suo sovrano, mentre Thor scendeva dal proprio e lo affidava a una giovanissima recluta.

-Quanti anni hai, ragazzo?- chiese al soldato.

-Ne ho quindici, signore- rispose quello, gonfiando il petto sotto l’armatura per sembrare più grosso.

Thor si massaggiò la sella del naso con le dita, imprecando tra i denti, poi disse: -Prendi il mio cavallo e cerca di stare vicino a Lady Sif, è forte e se sarai in difficoltà ti darà una mano.

-Mio signore, sono stato addestrato alla guerra, sono in grado di difendermi e di dare la vita per il mio re- rispose il soldato, quasi offeso dalla mancanza di fiducia del suo principe.

-Il mio è un ordine, soldato, e non sono disposto ad accettare lamentele.

Un lampo di rabbia balenò negli occhi del dio, terrorizzando il ragazzo, che senza proferire verbo annuì con il capo e saltò in sella al destriero, per poi indirizzare l’animale dove gli era stato ordinato.

“Razza di idiota” pensò il principe, stringendo la mascella “Li reclutano sempre più giovani, maledizione.”

-Thor-  lo richiamò il Padre di Tutti -Preparati a decollare, l’esercito di Jarosit è in posizione.

Il principe si voltò e lo vide, l’allineamento nemico: la fanteria era in posizione e, non ne dubitava, gli arcieri erano nascosti dietro di essa, pronti ad anticiparli nella carica con le loro frecce dalle cuspidi avvelenate. Davanti a loro, in prima linea a cavallo del suo stallone nero, Jarosit incitava le truppe, lanciando grida di guerra e fendendo l’aria con la sua scimitarra.

Poi un suono di corno si propagò nel vento e gli elfi iniziarono la loro corsa; -Carica!- urlò il Padre degli Dei, spronando Sleipnir e lanciandosi contro l’esercito nemico, seguito dalla cavalleria e dalla fanteria.

-Sei pronto?- gli chiese Fandral, con il suo solito sorriso fintamente disinvolto che sfoggiava all’inizio di ogni battaglia.

-Sono nato pronto- gli rispose di rimando il principe ammiccandogli.

-Insieme fino alla morte- sussurrò Volstagg, stringendo la mazza tra le mani.

-Insieme anche dopo- rispose Hogun e i quattro uomini partirono all’assalto.

Thor fece roteare il martello e si sollevò in volo, anticipando i Tre Guerrieri e abbattendo ogni elfo che si trovasse lungo il suo cammino, aprendo così un varco nell’esercito nemico in cui i suoi amici poterono passare al galoppo sui loro destrieri.

 

 

Chiara aveva visto Jarosit tornare a gran galoppo verso il palazzo e urlare ordini a destra e a manca, comandando di mettere al sicuro donne e bambini, di radunare le truppe e di preparare le armi. Non ci voleva un genio per capire che  la diplomazia non aveva portato da nessuna parte.

Aveva visto molti elfi dirigersi verso le foreste e nascondersi tra la vegetazione, mentre altri, molto più numerosi, si radunavano ai piedi dell’Albero, armati dalla testa ai piedi di daghe, spade lunghe, archi e frecce.

Dall’altra parte della radura l’esercito di Asgard si stava preparando a sua volta: Chiara poteva vedere i diversi squadroni organizzarsi in unità compatte, la fanteria davanti, la cavalleria ai lati e gli arcieri (molto meno numerosi rispetto a quelli elfici) in fondo. La ragazza notò anche diverse piccole truppe dividersi lungo il confine con la foresta, trasportando degli oggetti tondeggianti che non riuscì a distinguere a quella distanza.

La battaglia sarebbe scoppiata di lì a poco e lei non poteva rimanere lì a guardare; strinse forte il coltello nella mano e si diresse in un angolo della sala, diametralmente opposto all’ingresso, e si mise a colpire il legno della parete attorno a un nodo con la piccola lama ricurva.

Sarebbe uscita da lì a qualunque costo e avrebbe cercato di fermarli, in qualche modo.

La parete era spessa e il legno maledettamente duro e, anche in un punto fragile come quello che stava colpendo, sembrava che la lama non scalfisse minimamente la superficie.

Alle orecchie le arrivò improvviso il suono del corno, poi le urla dei soldati: avevano cominciato.

Doveva sbrigarsi, doveva uscire e trovare Loki; parlargli, raccontargli quello che aveva visto e fermare quella follia, ma si sarebbe fidato di lei? E lei avrebbe dovuto fidarsi del Dio degli Inganni? Non aveva scelta: Thor la credeva una voltafaccia e non avrebbe ascoltato le sue parole, inoltre non sapeva niente del blocco della sua memoria. Se c’era qualcuno che poteva capire, in quel momento, era Loki e lei doveva raggiungerlo.

Diede un altro colpo alla parete, ma non la intaccò minimamente, allora si mise l’arma in tasca e corse verso la rastrelliera, dove vi era appesa una daga dalla lama spessa e robusta; l’afferrò e si avventò di nuovo sulla parete, cercando di non fare troppo rumore. Finalmente, dopo diversi tentativi, il legno iniziò a cedere e la ragazza riuscì a estrarre il nodo dalla sede, aprendosi uno spiraglio verso l’esterno. Iniziò così a colpire le pareti intorno al vuoto del nodo, allargando sempre di più il buco, finché non riuscì a farci passare un braccio intero.

Un nuovo rumore le arrivò alle orecchie, come il fischio di qualcosa che si muove velocemente nell’aria, poi il rombo di un tuono.

“Thor!”

Abbandonò il buco nel muro e corse immediatamente alla finestra per osservare l’accaduto: i soldati che prima sorvegliavano l’uscita erano al suolo, tramortiti, e il Dio del Tuono stava combattendo con altri guerrieri elfici a colpi di Mjolnir.

Ad un tratto il dio alzò il martello e scagliò una serie di fulmini che costrinse i soldati a ritirarsi momentaneamente, lasciandogli il tempo di sollevarsi sopra l’Albero e controllare l’andamento della battaglia.

Chiara corse verso le porte e tentò di aprirle, ma quelle, nonostante tirasse e spingesse con tutte le sue forze, non si mossero di un millimetro: erano state chiuse dall’esterno.

-Maledizione!- urlò la ragazza colpendo violentemente la porta con un pugno. Le fece male, ma non ci badò: sotto di lei stava infuriando una guerra stupida e assurda, che lei avrebbe potuto fermare, e l’unica cosa che le impediva di riuscirvi era una porta chiusa.

Aveva bisogno di parlare con Loki, lui doveva sapere quello che stava succedendo e il rischio che incombeva su tutti loro e una stupida, maledetta porta le impediva di raggiungerlo.

-THOR!- urlò la ragazza con quanto fiato aveva in corpo -THOR!- ripeté, battendo i pugni sul legno.

Non l’avrebbe sentita, lo sapeva: i rumori della battaglia, le urla dei soldati, e lo sferragliare delle lame erano troppo forti e coprivano la sua voce.

Per un attimo nella sua mente si materializzò l’immagine del principe trafitto da una freccia elfica, riverso sui rami dell’Albero, aggiungendo al rosso delle foglie il rosso del suo sangue.

Entrò nel panico: non poteva essere, non poteva accadere! Continuò a battere i pugni sulla porta, sempre più forte, sempre più disperatamente; se il Dio del Tuono fosse morto in quella battaglia Chiara non se lo sarebbe mai perdonata.

Lo chiamò di nuovo e già la voce cominciava ad abbandonarla, finché, affranta dalla mancanza di una risposta, non si rannicchiò in se stessa, singhiozzando. Si sentì debole e impotente; era stanca di quella storia, era stanca di venire coinvolta in trame più grandi e complicate di lei, era stanca di aver paura, era stanca di perdere i suoi cari.

Poi accadde l’insperato: il meccanismo di chiusura dall’altra parte del legno scattò e la porta venne aperta, mostrando il Dio del Tuono in tutta la sua possanza.

 

 

Thor aprì la porta della sala del trono, pur sapendo che quello non fosse il momento più adatto per distrarsi dalla battaglia, ma non poteva ignorare quello che aveva sentito: una voce lo aveva chiamato e proveniva proprio da quella stanza.

In un primo momento non vide nessuno, la sala appariva completamente deserta, ma allora perché aveva dovuto combattere con sei soldati che vi facevano la guardia? Che senso avrebbe avuto sorvegliare una stanza vuota?

Poi un rumore di singhiozzi arrivò al suo orecchio e a fianco della porta vide una minuta figura rannicchiata. Sentì lo stomaco stringersi in un nodo: -Chiara?- chiese esitante.

La ragazza alzò il capo, gli occhi rossi e lucidi di lacrime, lo vide e sorrise, un sorriso sollevato e amichevole che contribuì a fomentare la sensazione di disagio che gli stava crescendo in corpo.

-Cosa ci fai qui? Dovresti essere su Midgard!- sentenziò brusco, troppo brusco, ma vedere quella ragazza era come spargere sale su una ferita appena aperta.

-Mi hanno costretta a venire qui- rispose la ragazza, alzandosi da terra e strofinandosi gli occhi.

-Avevano ancora bisogno dei tuoi servigi?- domandò aspro il principe -Di cosa ti hanno incaricata questa volta?

-Non ho mai lavorato per loro, Thor- rispose Chiara -Ti prego, devi credermi!

Era straziante al punto da fargli quasi male; aveva provato affetto per quella fanciulla così piccola e così coraggiosa, ma la scoperta del suo tradimento era un ricordo ancora troppo forte per poter cedere alle sue suppliche, anche se i suoi occhi sembravano disperatamente sinceri.

“Non essere ingenuo, Thor” si disse il principe “Ricordati quello che è accaduto. Non cedere!”

-Ti ho creduto una volta e tu ti sei rivoltata contro chi ti proteggeva, non commetterò due volte lo stesso errore!

La stava ferendo, lo vedeva nei suoi occhi, nella piega della bocca, nelle sottili rughe della fronte e nei pugni stretti; la stava colpendo una parola dopo l’altra, ma non era reale, lo sapeva, stava solo recitando.

Era solo una messinscena, lo era sempre stato.

-Thor, io capisco la tua diffidenza, credimi, e ti vorrei dire che, nonostante il tuo timore, ti considero un amico e ti voglio bene, oggi come il primo giorno che ci siamo incontrati, quando hai chiesto a Odino di potermi prendere come tua ancella; ma adesso ci sono questioni molto più importanti da affrontare e ti supplico, in nome di quell’affetto che hai provato per me, di condurmi da tuo padre. Ti prego!

Come osava continuare a mentirgli, a negare l’evidenza dei fatti tanto spudoratamente? Con che coraggio osava dire di volergli bene? Proprio lei, che aveva permesso al sicario di suo padre di fuggire! Proprio lei che lo aveva tradito!

-Quali sono queste questioni molto più importanti a cui ti riferisci?- sibilò tra i denti il principe, in tono di scherno.

-Ho visto quello che non riuscivo a ricordare! Ho visto come sono arrivata ad Asgard e cosa mi è accaduto prima di finire in cella. Siamo tutti in pericolo, Thor, e Odino deve essere avvisato!

-Non hai già fatto abbastanza male a mio padre?- urlò rabbiosamente il Dio del Tuono, facendo scoppiare delle scintille da Mjolnir.

A quella reazione inaspettata il principe vide Chiara indietreggiare e l’espressione sul suo viso mutare drasticamente: non era più disperazione, ma paura, un terrore doloroso che non le aveva mai visto in faccia. E la causa di quella paura era lui.

Si sentì un mostro.

Nessuno dei due osò parlare, l’una per timore di scatenare di nuovo l’ira del dio, l’altro per il rimorso; alla fine Chiara, a testa bassa, si incamminò verso l’uscita, evitando il suo sguardo e stando il più lontana possibile da lui.

-Dove stai andando?- chiese il principe.

-Non posso costringerti a credermi, né tantomeno ad aiutarmi, ma non posso permettere che questa guerra si protragga ulteriormente, quando un’altra minaccia incombe. Andrò da sola da Odino- rispose la ragazza alle sue spalle.

“Piccola testarda!”

Un sorriso sfuggì alle labbra di Thor: -Ti farai ammazzare se andrai laggiù.

-Sono disposta a correre il rischio.

Il principe si voltò, incerto su cosa rispondere a quella ragazzina cocciuta, quando una colonna di luce si abbatté sul suolo erboso della radura, sparendo poi in un battito di ciglia. Al suo posto, una piccola figura scura giaceva sul prato macchiato di sangue.

C’era qualcosa che non andava: non aspettavano rinforzi da Asgard e quello era un solo uomo. Che fosse un messaggero?

Thor alzò il martello e iniziò a farlo ruotare, quando sentì il mantello tirargli sulle spalle: -Portami con te- lo implorò Chiara, stringendo il tessuto cremisi tra le mani.

Imponendosi di non rifletterci troppo, il dio avvolse la vita della ragazza con il braccio e si alzò in volo; non appena ebbe sollevato i piedi da terra, sentì Chiara stringere la presa sulla sua persona e, per un momento, si sentì più tranquillo.

Il vento gli fischiava fastidioso nelle orecchie, ma non poteva rallentare o avrebbe dato il tempo agli arcieri di prendere la mira e questa volta non era da solo; era una traditrice, ma non avrebbe messo a rischio la sua vita.

Finalmente raggiunsero terra e vennero raggiunti a gran galoppo da Odino: -Che sta succedendo qui?- urlò il sovrano, sovrastando con la sua voce il fracasso intorno a loro, ma quando un colpo di vento scostò il mantello del principe, mostrando la presenza di Chiara, le parole gli morirono in bocca e rimase bloccato, il suo occhio sgranato per la sorpresa e puntato su di lei.

Thor non rispose, ma corse in direzione dell’uomo che era appena apparso sul campo di battaglia: non si reggeva in piedi, riportava diverse ferite su tutto il corpo, alcune delle quali erano ustioni e respirava a fatica. Se non si fosse trovato in mezzo ai segni che il Bifrost lasciava sul terreno al suo passaggio, il principe non avrebbe saputo distinguerlo da qualunque altro soldato impegnato nella battaglia.

Gli prese il busto tra le braccia, sollevandolo affinché riuscisse a respirare più facilmente: -Coraggio soldato- gli disse, cercando di essere convincente -Te la caverai! Tornerai a casa dalla tua famiglia, vedrai, ma ora dimmi, cosa ti è accaduto?

Thor vide le labbra dell’uomo muoversi, ma non sentì alcun suono provenire da esse, così avvicinò l’orecchio e concentrò tutta la sua attenzione nell’ascolto: -A…Asgard … brucia.

Gli occhi dell’uomo rotearono all’indietro e il suo respiro si fermò. Era trapassato.   

 

Angolo dell’autrice: salve a tutte fanciulle e tanti auguri per questo 8 marzo J un grosso abbraccio alla nuova arrivata che ha messo la storia tra le preferite (grazie! ^-^)

Alla fine, nonostante lo sforzo di Jarosit di trovare una via diplomatica, la guerra tra i due regni è scoppiata, con tutta la drammaticità del caso.

Abbiamo fatto anche un salto nella testa di Thor, che ve n’è parso? Spero vi sia piaciuto perché cercherò nei prossimi capitoli di farvi vivere le vicende attraverso altri punti di vista oltre a quello di Chiara.

Già che siamo in tema: cosa pensate della ritrosia del nostro biondino fulminante nei confronti della giovane senese?

Mi è stato fatto notare che nel capitolo precedente ogni tanto apparivano delle “j” a fine di frase; qualora ne trovaste vi chiedo, cortesemente, di segnalarmele in maniera che possa capire la fonte di questo problema (d’altro canto il mio computer è talmente vecchio che credo che abbia visto i triceratopi camminare su questa terra e non mi sorprenderebbe se, dopo tanti anni di onorato servizio, cominciasse a subire gli effetti del tempo XD).

Ad ogni modo, spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto e, se vorrete lasciarmi un’opinione a riguardo, sarò lieta di rispondervi J

Un abbraccio a tutte!

Lady Realgar

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Capitolo 21
*** Non finché sarò vivo ***


Attention, please: scusate se posticipo la vostra lettura, ma a quanto pare la maledizione delle consonanti vaganti è più coriacea di quella della Mummia, perciò mi scuso per quelle che avete trovato nei capitoli passati, presenti e futuri (un po’ come i tre fantasmi del Natale di Dickens). Spero vorrete perdonare questa svista e che riusciate a godervi comunque la storia. Sto lavorando ad una soluzione, ma temo che alla base ci sia l’anzianità del mio vegliardo computer. Abbiate pazienza ^-^”

Ora mi dileguo e vi lascio ai personaggi e alla storia.

Buona lettura!

Lady Realgar

 

 

-Non dovresti essere qui!- le disse severo Loki -Io percepisco la tua presenza su Midgard, com’è possibile che tu sia nello  Âlfheimr?

-È stata Jarosit- rispose Chiara, osservando il principe sorreggere il corpo, ormai senza vita, del povero soldato -Ha detto di aver dirottato in qualche modo il nostro legame. È un cavallo a otto zampe, quello?- domandò poi, indicando incredula Sleipnir.

-Quella maledetta strega!- imprecò il sovrano.

-Mi ha aiutata a ricordare, ho visto quello che mi è capitato e siamo tutti in pericolo!- riprese Chiara -Si tratta di una sorta di mostro millenario, qualcuno contro cui Odino ha già combattuto.

-Ti ha detto come si chiama questa creatura?- domandò cupo il sovrano.

-Ha detto… Phoneus.

Il volto del re sbiancò a quel nome e spronò Sleipnir in direzione di Thor, che aveva deposto il cadavere del soldato al suolo e stava recitando una preghiera di addio per la sua anima.

-Richiama immediatamente le truppe e facciamo cessare questa follia!- ordinò il dio al principe -Dobbiamo tornare immediatamente ad Asgard!                                                                                                                             

Thor annuì e ordinò che venisse suonata la ritirata, poi si librò in volo e corse ad aiutare i suoi compagni ad allontanarsi dall’Albero.

-Avanti- disse Loki alla ragazza, porgendole la mano -Sali in sella, prima che ti trasformino in un punta-spilli.

Obbediente, Chiara afferrò la grossa mano del dio e si lascò sollevare, accomodandosi all’amazzone di fronte a lui sul singolare destriero.

Intorno a loro la fanteria stava indietreggiando, mentre la cavalleria teneva a distanza gli elfi. Il terreno era cosparso di chiazze rosse come papaveri e di corpi maciullati di entrambe le fazioni, abbandonati sul prato, accolti solo dalle tenere carezze dell’erba.

Solo in quel momento Chiara se ne rese conto, fino ad allora troppo impegnata a pensare come fermare quella ridicola battaglia per accorgersi che per alcuni era già troppo tardi. Pensò alle famiglie che non avrebbero mai visto i loro figli, fratelli, mariti e padri tornare a casa e il cuore nel petto le provocò dolore, un male sordo che le impose di osservare quello che era successo e di imprimerselo nella memoria. Non avrebbe permesso che altro sangue irrigasse la terra.

-Che cosa succede, mio re? Gli stiamo tenendo testa, perché ci ritiriamo?- urlò Sif, accorrendo al galoppo sul suo cavallo baio e, notando Chiara, aggiunse aspra: -Cosa ci fa lei qui?

-Asgard corre un pericolo maggiore in questo momento e se ne siamo a conoscenza è grazie a Chiara, quindi vedi di portarle il rispetto che merita, Sif!- rispose  secco il sovrano di Asgard, con un tono che non ammetteva repliche e che fece tacere definitivamente la guerriera, ma nei suoi occhi Chiara vide qualcosa di diverso dal disprezzo e dalla diffidenza a cui era abituata. Era forse sorpresa?

Gli uomini ancora in grado di reggersi in piedi erano, finalmente, radunati attorno al loro sovrano, assieme ad essi vi erano anche, con grande sollievo da parte di Chiara, Thor e i Tre Guerrieri, miracolosamente senza un graffio.

Alla ragazza non sfuggì lo sguardo perplesso di Fandral quando la vide tra le braccia del dio e vi rispose con un occhiolino, condito con un largo sorriso, che l’uomo ricambiò con un cenno del capo.

-Heimdall!- urlò a gran voce Odino verso il cielo -Riportaci ad Asgard!

Rimasero in attesa per qualche secondo, senza che nulla accadesse; allora il sovrano ripeté il comando ma niente cambiò.

Erano in balia degli elfi, mentre Asgard bruciava.

Un brivido percorse la schiena di Chiara, facendola tremare; si sorprese molto quando sentì la mano dell’uomo dietro di lei  porsi delicatamente sopra la sua spalla sinistra, ma si sorprese ancora di più quando si accorse di trovare quel tocco rassicurante, capace di farle acquisire nuova fiducia.

-Quanto inutile sangue è stato versato prima che vi rendeste conto di stare combattendo con degli amici, anziché dei nemici?- domandò Jarosit, avvicinandosi al passo verso gli invasori asgardiani.

Loki non rispose, ma Chiara percepì distintamente il rimorso che stava provando per quell’assalto tanto avventato; istintivamente gli strinse il braccio per confortarlo e sentì il muscolo rilassarsi sotto la sua mano.

-Se Asgard è stata attaccata- proseguì la regina -E i suoi guerrieri sono qui ad Âlfheimr, i pochi uomini rimasti staranno combattendo per difenderla e Heimdall con essi. È naturale che egli non possa ricondurvi a casa se è impegnato a proteggerla.

-Sei venuta qui solo per gongolare, Jarosit?- domandò Loki in tono di sfida.

-Dovrei farvi uccidere dal primo all’ultimo per il crimine di cui vi siete macchiati!- sbraitò furiosa la regina -Ma il pericolo che pende sulla testa di Asgard, incombe anche sul mio regno e deve essere eliminato a qualunque costo. Vi rimanderò ad Asgard e i miei soldati parteciperanno alla lotta, ma, quando tutto sarà concluso, l’alleanza che univa i nostri regni verrà spezzata e con essa i legami commerciali.

-Così sia- rispose il re, cercando di mantenere la propria dignità di fronte a quelle condizioni imposte, ma era evidente che quella situazione aveva causato una profonda ferita nel suo orgoglio.

Il volto di Jarosit sembrava fatto di marmo talmente era freddo e distaccato, mentre estraeva dall’armatura il sacchetto damascato, versandone poi il contenuto nella mano.

Si fece scorrere la polvere tra le mani, sussurrando vecchie formule magiche, poi la scagliò nel mezzo della radura, dove iniziò a fluttuare a mezz’aria.

La Porta di Fumo era stata aperta e Jarosit indirizzò il proprio cavallo verso di essa, sparendo alla loro vista di lì a pochi secondi; prontamente Loki spronò Sleipnir sulle orme della regina degli Elfi Chiari, facendo segno ai suoi di seguirlo.

Ai soldati asgardiani si unirono anche quelli alfheimeniani, di nuovo alleati per l’ultima volta.

In un lampo la foresta, la radura e l’Albero scomparvero, per fare posto al Bifrost, scintillante e colorato come sempre, sotto agli zoccoli di Sleipnir e a un intenso odore di fumo: in fondo alla luce del ponte arcobaleno la città bruciava, avvolta da alte fiamme rosse che tingevano dello stesso inquietante colore il cielo.

-Guarda, Odino!- disse Jarosit, avvicinandosi -Osserva cosa ha portato la tua sete di guerra: la guerra è venuta da te.

Stava esagerando, Chiara non poteva più sopportare quel suo modo di fare arrogante e le sue parole taglienti: -Basta! Non è questo il momento di discutere: laggiù ci sono delle vite che possono essere ancora salvate!- urlò alla regina, che rimase di stucco davanti a tanta foga.

-Ha ragione- disse poi il sovrano, mentre alle sue spalle cominciavano ad arrivare i primi soldati -Avanziamo verso la città, mentre una truppa si diriga verso il palazzo: Heimdall avrà fatto rifugiare donne e bambini al suo interno e deve essere difeso. Thor, tu guiderai una truppa verso la città, mentre Fandral e Sif comanderanno la difesa del palazzo; difendiamo la nostra casa, asgardiani!

I soldati risposero con un urlo di incitamento e seguirono il principe verso la città, accompagnati da uno squadrone di arcieri elfici.

-Va’ con Fandral a palazzo- ordinò alla ragazza, dopo aver fatto gesto allo spadaccino di avvicinarsi -Fa’ esattamente quello ti dice di fare e cerca di stare lontana dai guai. Quando sarà tutto finito tornerai a casa.

Chiara annuì leggermente con il capo e, mentre veniva afferrata per la vita da Fandral e posta sul suo cavallo bianco, disse, in tono di supplica: -Fa’ attenzione!

Il dio non rispose e partì al galoppo assieme a Jarosit sulla vetrosa superficie del ponte, allontanandosi sempre di più; Chiara lo vide rimpicciolirsi fino a scomparire, mentre Fandral urlava ordini ai soldati appena arrivati attraverso la Porta di Fumo e li guidava verso la fortezza reale.

 

 

Un sorriso freddo comparì sulle labbra del dio: quella sciocca umana avrebbe fatto meglio a preoccuparsi per se stessa e non per lui, il Dio degli Inganni, che era stato addestrato per tutta la vita a combattere e aveva sviluppato un’arguzia unica nel suo genere.

“Peccato che tu non sia riuscito ad anticipare una mossa banale come quella!” gli disse una vocina dentro di sé, facendogli tremare i polsi dalla rabbia: era stato uno stupido! Farli combattere uno contro l’altro: un inganno astuto, semplice ed efficace, lui era un esperto in materia. Eppure non l’aveva previsto. 

E ora Asgard bruciava davanti ai suoi occhi. Il suo regno, la sua casa stava bruciando e non aveva fatto nulla per impedirlo.

“Ti sei fatto distrarre” continuò quella fastidiosa vocina, mentre Sleipnir sotto di lui galoppava fluido sullo splendido ponte.

Adorava il Bifrost: così nobile e silenzioso, ma allo stesso tempo pregno di una magia antica che lo faceva emozionare ogni volta che vi metteva piede.

Doveva concentrarsi, nulla sarebbe sfuggito al suo controllo questa volta. Era un re e come tale doveva comportarsi: non era quello il suo destino? Il trono, il potere; era quello che voleva e quello che adesso doveva difendere.

Quella era l’unica cosa che contava.

Inclinò il capo alla sua sinistra, quel tanto da poter osservare Jarosit senza che lei se ne accorgesse. La odiava, quella strega, ma ora poteva sfruttare le sue capacità e lo avrebbe fatto, eccome; l’avrebbe usata fino all’ultima risorsa, fino all’ultimo, doloroso respiro e alla fine le avrebbe fatto pagare i suoi insulti, la sua arroganza e la sua impudenza. Avrebbe pagato per averlo sbeffeggiato davanti alle sue truppe, per aver rotto l’alleanza millenaria con il suo paese e per aver sequestrato Chiara.

Scacciò il pensiero della ragazza con fermezza e si concentrò unicamente sulla corsa; oramai il ponte stava finendo e ben presto avrebbero raggiunto la città.

La cenere aleggiava nell’aria secca, bruciandogli la gola e gli occhi, mentre le grida degli uomini in battaglia gli perforavano i timpani.

-Voi!- gridò ad un gruppo di soldati -Andate a dare una mano a spegnere l’incendio! Usate i vostri mantelli, l’acqua del mare, qualunque cosa, ma, per gli Antichi, ponete fine a questo inferno! Voialtri- continuò rivolgendosi ad una truppa di elfi -Trovate delle postazioni di avvistamento e preparatevi a scoccare le vostre frecce.

-Non conosciamo la faccia del nostro nemico- lo interruppe Jarosit -Potrebbe essere chiunque!

-Phoneus parassita i corpi di altre creature con le uova immerse nel suo veleno, non è così?- le disse Loki -Adoperate il vostro famoso udito e cercate le creature che possiedono due metabolismi: cuore, digestione, quello che vi pare, ma trovatele!

Il Dio degli Inganni provò un piacere sottile nel vedere Jarosit rimanere senza parole di fronte alla sua intuizione, ma fu solo per un attimo, perché quella si rivolse ai suoi uomini, urlando: ­-Quelle creature sono vittime della malvagità di Phoneus, non usate su di loro le nostre frecce, ma lanciate pietre o legni e solo per stordire. Non colpite per uccidere!

Loki digrignò i denti dalla rabbia: come si permetteva quella donna di ribattere continuamente ai suoi ordini?

E comunque, stordire unicamente le vittime di Phoneus non avrebbe portato a nulla: chiunque venisse infettato dal suo veleno diveniva l’ospite di una delle sue schifose uova, che attaccavano il sistema nervoso centrale, neutralizzando la volontà della vittima; l’unico modo di fermare la loro diffusione era uccidere l’organismo ospitante. Quell’ingenua di Jarosit con la sua controproducente misericordia avrebbe semplicemente rallentato la loro avanzata, non l’avrebbe arrestata. Un palliativo e nulla più.

Diresse il destriero ottopode verso la piazza del mercato, intorno alla quale le botteghe e gli edifici erano avvolte dalle fiamme, seguito dalla regina (evidentemente intenzionata a non perderlo di vista) e dal resto dei suoi soldati, che iniziarono a disperdersi in piccoli gruppi per le vie della città.

-Riesco a sentirli- gli disse Jarosit -Sono ovunque.

-Sai che non basterà metterli al tappeto per fermarli, non è vero?- domandò Loki, lanciandole uno sguardo sprezzante.

-Sì, ma ci darà il tempo di concludere una volta per tutte questa storia!

-Cosa vuoi dire?- il suo atteggiamento da seccante saputella lo infastidiva profondamente. Si stava prendendo gioco di lui e non poteva tollerarlo.

-Che solo eliminando Phoneus potremmo considerare scampato il pericolo.

Un urlo squarciò l’aria e un grosso uomo barbuto, vestito di pelle di vacca grezza e armato di mazza chiodata, sbucò da un angolo della piazza, correndo nella loro direzione.

Prontamente Loki scese da cavalo e l’affrontò, colpendolo al viso con la cuspide di Gungnir; quello grugnì e barcollò per qualche momento sulle sue gambe nerborute, ma presto riacquisì il controllo e si avventò sulla sua persona, colpendogli lo stomaco con la mazza.

Fortunatamente l’armatura attutì il colpo, ma la potenza dell’impatto tolse il fiato al Dio dell’Inganno. Lo scontro diretto non era mai stato il suo forte, ma usare la magia contro quella montagna di carne di fronte agli occhi di Jarosit avrebbe mandato a monte la sua copertura. Riteneva che la regina degli Elfi Chiari sospettasse qualcosa e non poteva permettersi di rischiare.

Quando il mostro tornò alla carica, lo evitò per un soffio, andandogli alle spalle e conficcandogli un coltello tra le vertebre. Lo sentì gorgogliare e poi cadere ai suoi piedi.

Loki recuperò la sua arma e la pulì dal sangue sui pantaloni dell’energumeno, studiandone attentamente il cadavere: era coperto di ustioni e profonde ferite sulle braccia e sulle gambe. Dolorose, certo, maledettamente dolorose, ma non mortali.

Si ricordò di quella sera di molti anni prima, in cui aveva origliato la conversazione tra Odino e Frigga, una di quelle rare occasioni in cui il sovrano trascorreva del tempo in compagnia della famiglia: parlando di Phoneus le aveva detto che alle sue vittime veniva annullata la percezione del dolore, cosicché non potessero accorgersi della creatura che si impossessava del loro sistema nervoso.

Delle ferite come quelle avrebbero arrestato anche un orso, ma quell’uomo aveva proseguito nella lotta come se nulla fosse stato. Altro che stordirli! Quegli abomini andavano eliminati dal primo all’ultimo.

-Un colpo alla testa ben assestato sarebbe stato sufficiente- sentenziò Jarosit dall’alto del suo destriero.

-Guardagli le ferite, donna!- sbraitò il dio -Questi non soffrono, non sentono il dolore. Non è possibile stordirli.

-Ma per farlo è possibile colpire il punto dove viene iniettato l’uovo, esattamente dietro alla nuca, all’attaccatura tra il cranio e le vertebre della schiena- ribatté la regina -Placa la tua sete di sangue, Dio degli Inganni, e impara a dare valore alla vita.

Lei sapeva! Lei se n’era accorta! Ma allora perché non l’aveva smascherato quella sera, di fronte a tutta Asgard? Quella sera, quando non avrebbe avuto scampo?

Avrebbe dovuto ucciderla e subito. Sarebbe bastato colpirla con l’energia di Gungnir e inventarsi una storia credibile su come fosse morta in combattimento e lui avesse inutilmente cercato di salvarle la vita. Era bravo in questo e, se avesse giocato bene le sue carte, avrebbe potuto ridefinire l’alleanza tra i loro regni.

Avrebbe dovuto, ma al momento la sua abilità e la sua conoscenza del nemico la rendevano ancora utile, se non indispensabile: aveva lasciato intendere di sapere qualcosa su Phoneus che lui ignorava e questo gli impediva di puntarle contro l’arma; inoltre se non l’aveva già smascherato quando ne aveva avuto l’occasione, era evidente anche lei aveva bisogno di lui, cosa che l’avrebbe resa sicuramente più malleabile.

Era una giocatrice straordinaria, riconobbe il sovrano di Asgard, e non lo sorprendeva che Odino desiderasse tanto averla come alleata.

-Mio re, grazie alle Norne siete qui! Ho temuto che il messaggio non vi fosse pervenuto- il Guardiano del ponte, l’armatura dorata imporporata di sangue, era inginocchiato alle sue spalle.

-Heimdall- iniziò Loki -Qual è la situazione?

-Siamo stati attaccati non appena siete partito per Âlfheimr, hanno incendiato le case con ancora gli abitanti al loro interno. Le donne e i bambini superstiti sono stati mandati a palazzo e rinchiusi al suo interno, mentre gli uomini hanno cercato di fermare la loro avanzata: vi sono nemici di tutte le razze, mio re; elfi, barbari, nani, Vanir… sono qui e hanno messo a ferro e fuoco il nostro regno.

 -Sei stato un soldato valoroso, Heimdall- disse il sovrano, poggiando una mano sulla spalla del Guardiano -Ma ora devo chiederti di lasciare questo campo di battaglia: va’ a palazzo e aiuta la truppa a proteggere il nostro popolo. Temo che il nemico cercherà di attaccarli.

-Sì, mio signore- rispose Heimdall, alzandosi e correndo verso il palazzo, dopo aver lanciato una penetrante occhiata alla regina degli Elfi.

-Hai ragione a temere per lei- disse la regina, quando Heimdall fu sparito tra il fumo delle fiamme -Ho paura che possa essere in pericolo.

-Non finché sarò re di Asgard- rispose Loki, risalendo su Sleipnir.

“Non finché sarò vivo”.

 

Angolo dell’autrice: salve a tutte, belle dame! Benvenute alla fine del 21esimo capitolo (spero senza j clandestine lungo la via)!

Lo scontro si sposta su un nuovo campo di battaglia e i sovrani cercano una soluzione e, novità delle novità, siamo entrate nella mente del nostro dio norreno preferito ;) Spero vi sia piaciuto e di non essermi allontanata troppo dal suo personaggio! Che ne dite? Ogni consiglio sarà ben accetto ^-^

E Jarosit? Cosa pensate della nostra super regina elfica?

Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto e vi abbia fatto trascorrere un po’ di tempo in serenità! Grazie mille per il tempo e l’entusiasmo che dedicate a questa storiella! Siete delle lettrici straordinarie e le vostre parole sono un balsamo per questo mio cuore ^-^

Un abbraccio a tutte quante!

Lady Realgar

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Capitolo 22
*** Phoneus ***


-Aprite le porte- urlò Fandral, la schiena perfettamente dritta e il portamento fiero sul suo cavallo bianco, quando il gruppo fu all’ombra delle mura -Sono Fandral, dei Tre Guerrieri, e mi manda Odino in vostro soccorso!

In uno stridente rumore metallico, i cancelli si aprirono abbastanza da far entrare uno alla volta i soldati appena arrivati, mentre sugli alti bastioni alcune donne preparavano dei grossi pentoloni di acqua bollente, pronte a usarli in caso di assalto.

All’interno dei cortili e dei giardini, solo poche ore prima allegri e addobbati sfarzosamente per la Festa d’Estate, erano stati allestiti dei campi di accoglienza di fortuna, mentre tutti gli accessi, principali e secondari, erano stati chiusi e rinforzati dall’interno adoperando i più svariati oggetti: dal mobilio alle pentole della cucina, tutto quello che non era attaccato al suolo era stato preso e accumulato davanti alle porte.

Fandral arrestò il cavallo, balzò con grazia a terra e, afferrando Chiara per la vita, l’aiutò a scendere a sua volta: -Resta dove posso vederti- le disse l’uomo con il suo solito sorriso, prodotto di una miscela tra dolcezza e malizia che gli erano caratteristiche -Non vorrei che sparissi di nuovo.

Chiara, i cui occhi saettavano veloci, intenti a cercare i suoi alunni tra i sopravvissuti, annuì leggermente con il capo e a mala pena si accorse della dipartita dello spadaccino: in quella bolgia di gente, infatti, era finalmente riuscita a intravedere Angnis che, accompagnata dalla piccola Myria e da altri bambini della sua classe, distribuiva coperte e acqua fresca;  poco distante da loro Madama Thyia, le cui braccia erano arrossate di sangue fino ai gomiti, assisteva i feriti.

Prontamente si mise a correre nella loro direzione e, colma di gioia, prese in braccio Myria e la strinse tra le braccia, nascondendo nell’incavo del collo della sua piccola alunna il volto rigato di lacrime. Non era mai stata tanto felice come in quel momento: i suoi bambini erano salvi!

-Chiara!- esclamò Angnis, guardando la ragazza come se fosse stata una bestia esotica -Che cosa ci fai qui? Odino ti aveva mandata su Midgard!

-Sono qui per aiutare!- rispose quella, mentre Myria rispondeva al suo abbraccio stringendola ancora più forte, come temendo che potessero portarle via di nuovo la sua insegnante -Dimmi quello che posso fare!

-Continua a distribuire queste coperte- le ordinò la sarta, facendo scendere (a fatica) Myria e buttando tra le braccia di Chiara la pila di stoffe colorate -Io andrò a dare una mano a Madama Thyia.

Vi erano molti feriti tra i rifugiati, molti piangevano la morte dei loro cari, altri semplicemente tacevano, osservando il vuoto davanti a loro. Nell’aria aleggiava un forte odore di fumo, ferite cauterizzate e paura, eppure nei visi degli asgardiani, notò Chiara mentre consegnava ad un vecchio una coperta di lana, vi era rimasta una scintilla dell’orgoglio che solitamente bruciava dentro di loro: come un fuoco che in apparenza sembra spento, sarebbe bastato muovere appena le braci per far di nuovo ardere la loro fierezza. Non tutti gli asgardiani, aveva appreso la ragazza, erano soldati, ma ognuno di loro, nessuna eccezione, era un guerriero pronto a lottare per difendere ciò che gli era caro.

Ad un tratto Chiara, persa nelle sue considerazioni, sentì qualcuno tirarle debolmente la manica dietro al gomito destro e, pensando che le stessero chiedendo una coperta, si voltò: di fronte a lei, con il capo chino e gli occhi bassi, la ragazza che aveva consolato durante il suo primo giorno di lavoro se ne stava lì, a guardarsi i piedi senza dire una parola.

-Vuoi una coperta?- domandò Chiara, sorridendole nel tentativo di rincuorarla.

Per tutta risposta quella scrollò il capo e, in un sussurro, disse: -Ti devo delle scuse…

-Come dici?

-Mi dispiace di aver detto a Sir Fandral che eri uscita dalle mura del palazzo.

-Che cosa?- domandò sconvolta Chiara.

-Sono stata io- continuò quella, senza alzare lo sguardo -Eri stata così gentile con me che non volevo che te ne andassi, così l’ho avvertito della tua fuga, e quando ho sentito attraverso le porte della camera del principe che avresti ballato con lui, ero così contenta per te che non ho potuto fare a meno di raccontarlo a tutti- si morse nervosamente il labbro e corrugò la fronte -Mi dispiace per quello che ha fatto Kalista e ho avvisato le guardie non appena ho saputo che si era chiusa nella lavanderia con te e suo fratello. Sono mortificata! Potrai perdonarmi?

Chiara era rimasta senza parole: la notizia era giunta come un fulmine a ciel sereno, cogliendola del tutto impreparata; così rimase a fissarla, boccheggiando dalla sorpresa, finché, inaspettatamente, lo stridio dei cancelli accolse Heimdall che entrava tra le mura del palazzo, accolto poi da Sif e Fandral; i tre iniziarono a parlare fittamente e sommessamente tra loro.

“Staranno pianificando un piano di difesa” pensò tra sé Chiara, ma come era possibile difendere tutte quelle persone con solamente tre guerrieri e una manciata di soldati?

Ebbe come un’illuminazione e, una volta cedute le coperte alla ragazza, corse prontamente verso il Guardiano, lasciando la sua interlocutrice senza una risposta; prima ancora che quello potesse esprimere la sua sorpresa nel trovarla lì, disse: -Devi portarli tutti su Midgard!

-Cosa?- domandò Fandral sbigottito.

-Esattamente quello che ho detto. Heimdall- la ragazza si rivolse direttamente al Guardiano -Guardali! Non possono stare qui a fare la fine del topo dentro a queste mura. Portali su Midgard, nella mia campagna! C’è abbastanza posto per tutti ed è tranquillo, lì potranno curare i feriti e non correranno alcun pericolo!

Tra i guerrieri cadde il silenzio: Odino aveva ordinato di fortificare il palazzo e proteggere i civili, non aveva mai parlato di un trasferimento. Era un grave rischio disobbedire ai suoi ordini.

-Datele retta- intervenne inaspettatamente Sif -È la cosa migliore da fare: non dovendoci preoccupare di proteggere il popolo possiamo contribuire a salvare il nostro paese.

-Va bene- cedette Fandral, dopo un attimo di esitazione, poi dissipato dalla risolutezza dipinta sul volto della guerriera -Facciamolo. Heimdall, tu ci anticiperai, aprendo il Bifrost e indirizzandolo verso Midgard, mentre io, Sif e gli altri soldati controlleremo che le donne e i bambini attraversino il ponte in sicurezza, assicurandoci che nessuno al di fuori di loro si avvicini al Bifrost.

-Avanti, diamoci una mossa- li esortò la guerriera -Non dobbiamo perdere tempo! Chiara, vieni con me! Aiutami a trasmettere il messaggio e a radunare i feriti.

-Perché mi hai dato ascolto?- le domandò Chiara, non appena si furono allontanate -Pensavo di non piacerti.

-È così, infatti- rispose Sif -Ma sono in grado di riconoscere un consiglio intelligente, quando ne sento uno.

Ciò detto la guerriera saltò sopra un cumulo di mobili, sguainò la spada e disse a gran voce: -Ascoltatemi, popolo di Asgard! Non ho intenzione di mentirvi, il momento è difficile e dobbiamo comportarci di conseguenza. Qui ci sono ottimi soldati che combatteranno fino all’ultimo respiro per proteggere il nostro regno, ma non possiamo farlo se non sappiamo che voi siete al sicuro; per questo motivo vi manderemo su Midgard il tempo necessario per rispedire gli invasori da dove sono venuti. Abbiate fiducia in noi e dirigetevi verso il Bifrost. Chi non può camminare verrà aiutato, ma, vi prego, fidatevi di noi e dirigetevi verso il Ponte dell’Arcobaleno.

Sul cortile calò un silenzio gelido, interrotto solo da qualche sommesso bisbigliare di alcuni anziani; negli occhi di chi aveva appena visto la propria casa bruciare, il pensiero di abbandonarla al suo destino era inconcepibile e disarmante. Era chiaro che nessuno voleva lasciare Asgard.

-Avete sentito, Lady Sif!- urlò Chiara -Se non volete morire tutti quanti oggi, ma volete avere la possibilità di raccontare ai vostri nipoti di come un giorno Asgard venne salvata da un pugno di coraggiosi guerrieri, fate esattamente quello che vi dice!

A quel punto Angnis, Myria e gli altri bambini cominciarono ad avvicinarsi ai cancelli, aiutando gli anziani a sollevarsi e a camminare, imitati poi, dopo un’iniziale riluttanza, dalle altre persone, che, pian piano, si diressero al ponte, scortate dai soldati. In testa alla carovana, Fandral guidava i suoi uomini, sorreggendo per le spalle un anziano signore piegato dall’età; sebbene fossero piuttosto lontani, Chiara riuscì a cogliere una forte somiglianza tra i due, soprattutto nel profilo e nel modo di camminare, e desunse che fosse il padre.

La ragazza rimase molto meravigliata da come le sue parole fossero riuscite a convincere quella gente, ma ancora di più quando Sif, senza degnarla da uno sguardo, le disse in un sussurro: -Ottimo lavoro.

-Come?- domandò sconcertata.

-Non ho intenzione di ripetermi- rispose la guerriera, saltando in un balzo giù dal cumulo di mobili e andando ad aiutare un gruppo di feriti a salire su un carretto.

I cancelli vennero aperti e la carovana iniziò a percorrere lentamente il ponte, che Heimdall, dall’altra parte, aveva aperto e indirizzato su Midgard.

Il tempo su quella superficie colorata sembrava non voler passare mai e i passi degli abitanti di Asgard parevano farsi sempre più lenti e faticosi. La posizione rialzata del ponte non offriva alcuna protezione per quella gente, che al contrario era scoperta e ben visibile dalla città; avrebbero potuto essere attaccati da un momento all’altro. La loro salvezza dipendeva dalla velocità con cui avrebbero raggiunto Heimdall.

La tensione era palpabile nell’aria e, sebbene i soldati si fossero distribuiti nelle retrovie e lungo il bordo che dava verso il centro abitato, pronte a intervenire in caso di attacco, Chiara riusciva a vedere nitidamente le gocce di sudore nervoso scendere lento sul collo e sul viso dei guerrieri.

Erano arrivati circa a metà strada, quando si sentì un forte boato, seguito dal fischio di uno sciame di frecce che si avvicinavano a grande velocità verso di loro.

I soldati serrarono prontamente i ranghi e alzarono gli scudi, mentre, tra le urla disperate, i profughi si accalcavano gli uni contro gli altri, chi nel tentativo di ripararsi, chi cercando di raggiungere il prima possibile la fine del ponte.

Erano un bersaglio facile per quel gruppo eterogeneo di creature che dalla città scagliavano contro di loro qualunque tipo di proiettile che trovavano alla loro portata: non solo frecce, ma anche lance, asce, pietre, coltelli; qualunque cosa servisse allo scopo di abbatterli.

In quella confusione Chiara vide Myria, terrorizzata, buttarsi a terra in lacrime e allora prese una decisione.

Girò sui tacchi e corse a perdifiato verso il palazzo, pregando di non essere colpita. Non ancora.

 

 

Il fumo gli bruciava gli occhi, impedendogli di vedere chiaramente la città intorno a sé, e a nulla serviva ruotare Mjolnir per smuovere l’aria: fumo e cenere avevano saturato l’atmosfera e, per una manciata di polvere che riusciva a spostare, il doppio arrivava al suo posto, ingrigendo ancora di più quello che rimaneva delle strade e dei palazzi della capitale.

“La mia Asgard” pensò malinconico il principe: vedere quel luogo tanto amato ridotto a un inferno di fuliggine e fiamme gli procurava una dolorosa fitta allo stomaco. Se Madre l’avesse vista in quello stato ne avrebbe sofferto più di chiunque altro.

Ma lei non era lì e, se lo stava guardando dalle vaste aule del Valhalla, lui le avrebbe dato modo di essere orgogliosa di suo figlio.

Continuò a camminare per quella strada deserta, rimanendo in completo silenzio e sperando che, se la vista non poteva condurlo dal nemico, l’udito la potesse compensare.

Aveva ordinato ai suoi soldati di dividersi in piccoli gruppi e di sparpagliarsi per le strade, mentre lui perlustrava quella zona da solo. Gli era sembrata la soluzione più logica: se avesse dovuto usare Mjolnir lì, dove non poteva vedere a un palmo dal suo  naso, sarebbe stato meglio non avere intorno i suoi uomini.

In quel momento, pensò il dio, la presenza di suo fratello sarebbe stata di grande aiuto; lui di certo avrebbe saputo cosa fare.

Un sorriso amaro spuntò sulle labbra di Thor: Loki era sempre stato quello sveglio tra loro due, quello che aveva sempre un asso nella manica, pronto per essere sfoderato al momento buono e risolvere la situazione.

Se fosse stato con lui in quel momento, forse avrebbe evocato un forte vento o avrebbe trasformato la cenere in neve, ripulendo così l’aria e permettendogli di vedere il nemico contro cui scagliarsi; poi l’avrebbe preso in giro per i suoi  modi brutali e avrebbero riso insieme.

Esattamente come facevano quando erano ragazzini e si cimentavano nelle loro prime avventure. Per le Norne, quanto gli mancavano quei tempi!

Gli mancava dannatamente avere quella presenza rassicurante alle sue spalle, sempre pronta a tirarlo fuori dai guai e poi lanciargli una frase velenosa a pericolo scampato.

Se c’era qualcuno che avrebbe voluto avere al suo fianco in quel momento, quello era Loki, il bambino che gli raccontava quelle meravigliose avventure nelle notti in cui faticava a prendere sonno, il ragazzo che gli mostrava orgoglioso i suoi progressi nello studio delle arti magiche, l’uomo che aveva combattuto al suo fianco e che in più occasioni gli aveva salvato la vita.

Il fratello che aveva tanto amato e che ora riposava abbandonato nel suolo sterile di Svartalfaheimr.

Sebbene l’avesse amata di un amore possessivo e malato, Asgard era stata, un tempo, la terra di Loki e Thor l’avrebbe salvata anche nel suo nome.

Un movimento alla sua destra attirò la sua attenzione e in uno scatto vi si avvicinò, stringendo Mjolnir tra le dita, pronto ad adoperarlo se necessario; ma l’ombra che aveva visto si rivelò essere nulla più di un drappeggio mosso da un colpo di vento e allora il dio si impose la calma e abbassò il martello.

In quel momento qualcosa lo colpì alla testa, scagliandolo contro il muro di una conceria.

Il puzzo dei liquami acidi che proveniva da quell’edificio lo stordì più di quanto avesse fatto la botta in sé, ma ebbe la prontezza di riflessi necessaria  per evitare una strana lama nera lanciata verso la sua faccia.

La lama si conficcò nel suolo a pochi centimetri dal suo orecchio e poi ritornò da dove era venuta, attaccata a quello che sembrava essere un lunghissimo e flessibile braccio nero.

-Ma che cavolo…?

La lama tornò all’assalto e questa volta il Dio del Tuono riuscì a deviarla con il suo martello, ma quella svanì di nuovo nella densa aria satura di fumo, sparendo alla sua vista.

-Fatti vedere!- urlò Thor a squarciagola verso il nulla.

Il silenzio intorno a lui si era fatto inquietantemente innaturale e a mala pena riusciva a sentire il battito forsennato del suo cuore. Spaziò con lo sguardo l’ambiente intorno a sé, ma non riuscì a vedere nulla, nessun movimento.

Poi un rumore e un’ombra nella nebbia scura; prontamente il dio ci si avventò brandendo Mjolnir, ma quando sentì di avere tra le mani delle ossa piccole e una corporatura fragile, dovette fare appello a tutte le sue forze per fermare la sua furia: quello che aveva preso era il corpicino di un bambino.

I vestiti grezzi, la pelle olivastra e i capelli ispidi del piccolo lo portarono a desumere che appartenesse alla razza dei barbari predoni che aveva incontrato nel Vanaheim, ma cosa diavolo ci faceva un bambino delle tribù barbare ad Asgard?

E perché i suoi occhi, apparentemente puntati su di lui, erano così vacui e vuoti?

Una fitta di dolore al braccio e la sensazione di un liquido caldo corrergli sulla pelle lo distrassero da quelle domande: il bambino aveva estratto dai vestiti un coltello e ne aveva conficcato l’intera lama nel bicipite del dio.

Inorridito e sconvolto, Thor si allontanò dal ragazzino ed estrasse il pugnale dalle proprie carni, per poi lanciarlo lontano.

-Perché l’hai fatto?- domandò al piccolo, che osservava il nulla con un’espressione assente.

-Perché lo hai fatto?- ripeté il dio dandogli una leggera scrollata, ma quello non diede nemmeno segno di averlo sentito. Poi una risata, bassa e roca, nella nebbia scura di fuliggine.

-Perché gliel’ho detto io- ripose una voce.

Thor si voltò di scatto, pronto a scagliare il suo martello contro chiunque avesse proferito quelle parole, ma per quanto si sforzasse di cogliere il minimo mutamento della nebbia, non riuscì a scorgere alcunché.

Un nuovo scroscio di risate macabre si diffuse nell’aere, ma il dio, nonostante concentrasse ogni suo sforzo nel percepire l’origine di quel suono, non riusciva a comprendere da quale direzione provenisse.

-Chi sei? Fatti vedere!- ordinò Thor, la cui rabbia faceva sprizzare della scintille rosse dalla testa metallica di Mjolnir.

-Il mio nome è Phoneus, figlio di Odino.

Un nuovo colpo scaraventò il principe a terra, facendo volare lontano il martello, sfuggito alla sua presa e ora adagiato nella polvere della strada diversi metri più in là. Thor era caduto malamente sulla schiena, che sentì scricchiolare spaventosamente, e il suo respiro venne mozzato dal dolore di quella botta; in bocca sentì il ferroso sapore del suo sangue.

Dalla cenere sopra di lui, vide un’ombra scura avvicinarsi e sporgersi sul suo corpo, come un leone pronto a divorare la preda ferita, poi un tentacolo viscido gli si strinse intorno al collo e alle mani, immobilizzandolo, e, infine, distinse due grossi occhi gialli che, nel grigiore della cenere, lo fissavano feroci.

La forza di quella creatura, agevolata dal dolore che provava, era incredibile e il principe, pur lottando con disperata tenacia, non riusciva nemmeno a distendere la mano per richiamare Mjolnir; già si preparava a ricevere quella strana lama scura nelle sue carni quando una voce, limpida e acuta, squarciò il silenzio con la forza di un tuono.

-Phoenus- urlò la voce -Tu sei qui per me, vieni a prendermi!

 

 

-Che diamine sta facendo?- domandò Loki, ma non perse tempo ad aspettare una risposta da Jarosit, pietrificata da quello che aveva appena udito, e diresse Sleipnir al galoppo verso il castello.

Cosa voleva fare quella stupida? Le aveva detto di non cacciarsi nei guai, perché stava attirando Phoneus? E cosa voleva dire che quel mostro era lì per lei?

Con un pessimo presentimento in corpo, spronò il cavallo lungo le strade della città, evitando per un pelo una grossa trave in fiamme che si era staccata dal soffitto di un edificio. Il cuore gli rimbalzava folle nel petto, più veloce degli otto zoccoli di Sleipnir che battevano con forza il suolo polveroso, e ogni nervo sotto la sua pelle fremeva, come a volersi fondere con il cavallo per comandarlo meglio e farlo galoppare più veloce. Perché quella sciocca ragazza non gli dava mai retta? Che cosa sperava di fare da sola contro Phoneus? Se le fosse accaduto qualcosa…

Loki non finì quel pensiero perché in pochi minuti, che a lui parvero un’eternità, l’ombra delle alte mura lo sovrastarono e fu allora che lo vide: grosso e disgustoso, esattamente come le leggende lo descrivevano, Phoneus era lì, frustando l’aria con la sua coda e schioccando le mascelle, e osservava il torrione da dove Chiara, in quel momento paralizzata dalla paura, l’aveva chiamato.

Sentendo l’odore di quell’abominio, Sleipnir si imbizzarrì, disarcionando il suo fantino e dileguandosi poi nel fumo della città.

Il colpo subito nella caduta gli provocò un forte dolore alla spalla e, quando Loki riuscì ad alzarsi, quel mostro si stava già arrampicando lungo la parete rocciosa delle mura ad una velocità impressionante; i suoi movimenti era veloci e ipnotici come quelli di un ragno. Quella creatura era sempre più vicina a Chiara e una scarica di adrenalina percorse il corpo del dio: non poteva permettere che la raggiungesse!

Avvicinò la mano al fianco in cerca della sua arma, ma essa non afferrò altro che il vuoto e allora si ricordò: Gungnir era agganciata alla sella e, ora che Sleipnir era fuggito, era completamente disarmato; una goccia di sudore freddo gli scese lungo la tempia.

 “Maledizione!” imprecò dentro di sé il dio.

Non sapendo cos’altro fare, scagliò un anatema contro il mostro, che lo evitò con uno scatto e l’incantesimo mandò in mille pezzi l’area del muro dove poco prima quella creatura si stava arrampicando; fu allora che Phoneus si voltò a guardarlo, puntandogli contro i suoi freddi occhi gialli, e scoprì le zanne in quello che doveva essere un sorriso maligno, poi riprese ad arrampicarsi, ancora più velocemente di prima.

Metro dopo metro era sempre più vicino e Loki sentì la rabbia crescergli nel petto: lo stava provocando e lui gli avrebbe cancellato quell’abominevole ghigno dalla faccia; prese un respiro profondo e si preparò a scagliare un nuovo incantesimo, ma quello era già riuscito a raggiungere Chiara e la stava stringendo per la vita con la sua coda disgustosa; una voce dentro il dio gli impose di fermarsi.

Se avesse scagliato un altro incantesimo, anche Chiara sarebbe stata coinvolta, così lasciò che quel mostro sparisse davanti ai suoi occhi in una Porta di Fumo, portandosi via la ragazza.

Abbassò la mano e si morse il labbro inferiore finché non sentì sulla lingua il ferroso sapore del sangue: aveva fallito.

 

 

Angolo dell’autrice: salve salvino a tutte quante! XD Un caldo benvenuto a tutte voi e un abbraccio fortissimo alle deliziose fanciulle che hanno aggiunto La sua paura alle storie seguite (una persino alle preferite! Grande!) ^-^

Siete delle lettrici straordinarie e non posso che essere grata della vostra attenzione e del vostro tempo, che così carinamente donate al mio lavoro! ^-^

Dunque, dunque, che ne pensate? Vi aspettavate un simile gesto da parte della nostra Chiara? Cosa c’è nel cuore della ragazza? Coraggio o pazzia?

Thor e Loki combattono a loro volta contro Phoneus, ma né la forza del Dio del Tuono, né la magia del Dio degli Inganni sembrano avere alcun effetto sul mostro. Riusciranno i nostri eroi a sconfiggerlo? E cosa accadrà a Chiara?

Spero che la piaga delle j sia stata debellata  che non ne abbiate incontrate durante la lettura; in caso contrario, vi chiedo perdono per il disagio.

Mi è stato chiesto di dedicare più spazio alle descrizioni e mi scuso per non aver soddisfatto, in questo capitolo, tale richiesta, ma, avendolo già scritto e avendovi trovato, secondo il mio gusto, un equilibrio, ho preferito non dilungarmi ulteriormente. Cercherò, però, più avanti di esaudire questa richiesta al meglio delle mie capacità ^-^

Grazie per i vostri consigli e i suggerimenti: il vostro parere è per me una grande fonte di miglioramento e sarò sempre molto lieta di accoglierlo J

Un abbraccio a tutte e alla prossima!

Lady Realgar

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Capitolo 23
*** Power, Duty and Memories ***


Non si sarebbe fatto vedere da alcun Guaritore, non era di quello che aveva bisogno, ma di riparare ad un torto fatto: non avrebbe dovuto prendersela in quel modo con Chiara, ma come al solito aveva permesso alle sue emozioni di sopraffarlo, senza soffermarsi a riflettere sulla gravità delle parole che aveva pronunciato e ora la stessa ragazza contro cui aveva inveito, accusandola di tradimento, aveva scambiato la propria vita per quella di centinaia di asgardiani.

Non avrebbe avuto alcun motivo per farlo: Asgard non era la sua casa e non aveva alcun obbligo nei confronti dei suoi abitanti, eppure non aveva esitato ad attirare Phoneus verso di sé per permettere agli altri di fuggire.

E lui le aveva dato della traditrice.

Thor maledisse la propria avventatezza e la facilità con cui aveva mutato giudizio nei confronti di un’amica che, nonostante le sue accuse e le sue parole di fuoco, le era rimasta fedele, arrivando al punto da sacrificarsi per il suo popolo, che sin dal primo momento le aveva riservato null’altro che disprezzo e ostilità.

Ogni muscolo del suo corpo bruciava di dolore e un sottile rivolo di sangue gli colava da una ferita sulla tempia sinistra, ricordandogli con la sua traccia tiepida sulla pelle lo scontro avuto tra le strade della città; ma non si sarebbe fatto visitare da un Guaritore, come suo padre gli aveva ordinato, non c’era tempo. Non prima di aver trovato Chiara e averla riportata sana e salva a casa.

Il suo cavallo arrestò la propria corsa a pochi metri dall’inizio della foresta, da dove Heimdall avrebbe dovuto fare ritorno di lì a poco.

Il Dio del Tuono lasciò che il profumo di resina e pino silvestre gli solleticasse delicatamente il naso, riportandogli alla mente ricordi d’infanzia da tempo sepolti sotto cumuli di polvere: quando lui e Loki erano bambini amavano aggirarsi tra quegli alberi, immaginando di esplorare regni nuovi e sconosciuti.

Era stato proprio in quella foresta che Loki aveva scoperto di possedere doti magiche; dove Thor aveva dato il suo primo bacio a Sif, scoprendo la dolcezza dei primi caldi sentimenti adolescenziali; e dove  aveva cacciato a mani nude il suo primo cinghiale nella speranza di rendere orgoglioso suo Padre.

L’immagine del possente guardiano che emergeva dalla fitta vegetazione distolse il dio dal suo fiume di ricordi e lo riportò alla realtà; si passò velocemente la mano sulla tempia per pulirla dal sangue, spronò lievemente il cavallo e gli si avvicinò al passo: -Heimdall, cosa avete trovato?- domandò il principe.

-Nulla, mio signore- rispose il guardiano, rivolgendogli un inchino di saluto -Tutti gli uomini di Phoneus sono svaniti e anche dei bambini rapiti non vi è traccia. Sono spariti come fumo tra le dita.

Thor strinse le dita sulle redini di cuoio al pensiero della vigliaccheria di quel mostro disgustoso: come poteva farsi scudo con dei bambini? Come poteva esistere qualcuno di tanto vile e spregevole da poter piegare le menti di creature innocenti e nascondersi dietro di esse durante uno scontro?

-Pagherà, Heimdall- sibilò il principe, mentre le nocche delle sue dita diventavano bianche per la forza della stretta -Pagherà per ogni singola vita che ha preso.

-Strani scherzi gioca il destino- rispose sibillino il Guardiano del Ponte, affiancandosi al suo principe mentre indirizzavano i loro passi verso la città.

-Cosa intendi dire, Heimdall?

-Le ho già sentite queste parole- rispose l’uomo in un sospiro -Molto, molto tempo fa da vostro Padre.

“Mio Padre?”

-Non vi ha mai raccontato la storia di Phoneus?- domandò il Guardiano, leggendo lo sconcerto nel volto del suo principe.

-No- disse sommessamente il dio -Era mia madre quella che raccontava le storie e Loki quello che le leggeva; dal canto mio, ogni tanto mi limitavo ad ascoltarli, ma non ho mai sentito parlare di Phoneus prima d’oggi.

-Dovete sapere, mio sire- riprese a spiegare il Guardiano -Che Phoneus, prima di diventare l’abominio che è oggi, è stato uno dei più affezionati amici del nostro re e, visto quello che è accaduto in seguito, non mi sorprende che Odino non abbia voluto divulgare ulteriormente la notizia della sua amicizia con il mostro, né riportare alla memoria dolori che tanto difficilmente è possibile sopportare.

-Allora raccontamela tu, Heimdall!- ordinò Thor, sistemandosi sulla sella: il dolore alla schiena non sembrava voler cessare e gli era difficoltoso rimanere ritto sul cavallo -Sono stufo dei segreti.

-Sì, mio principe. Come vi dicevo, Odino e Phoneus in gioventù sono stati cresciuti assieme: Phoneus era il rampollo di una potente casata nobiliare di una ricca provincia asgardiana e venne mandato alla corte di vostro nonno affinché ricevesse la migliore istruzione bellica e politica. Avevano all’incirca la stessa età ed erano entrambi giovani ragazzi incoscienti e scapestrati; in poco tempo tra loro nacque una fervida amicizia che li legò fino all’età adulta, quando iniziarono ad affrontare le prime battaglie, combattendo fianco a fianco. Si dice che fu proprio durante una campagna nel Múspellheimr1 che Phoneus venne a conoscenza della magia nera e dei devastanti effetti che essa porta seco; c’è chi dice che sia stato maledetto da Surtr2, con cui si scontrò faccia a faccia, ma io credo che l’abbia cercato lui stesso: da molto tempo avevo scorto nei suoi occhi l’invidia per le regali ascendenze di Odino e la brama del trono. La campagna terminò e Phoneus chiese congedo a re Borr3 per tornare dalla sua famiglia; non era una richiesta inusuale e Phoneus aveva ricevuto numerose ferite in battaglia, così il sovrano gli concesse il congedo e quello partì. Dopo pochi giorni, ricevemmo un messaggero che ci riferì che molte città di provincia e le campagne intorno ad esse erano state completamente devastate e gli abitanti scomparsi. Prontamente Borr e Odino partirono per comprendere cosa fosse accaduto e, quando raggiunsero la meta, non trovarono altro che un deserto di cenere. In quella landa desolata vennero attaccati dalle donne e dai bambini ritenuti dispersi, controllati, invece, dalla magia oscura di Phoneus. Il vigliacco aveva testato il suo maleficio sulla sua stessa gente, trasformando il suo popolo e la sua famiglia in marionette da adoperare in battaglia, mentre lui si godeva con comodo lo spettacolo. Io c’ero quel giorno, Thor, e ho visto gli effetti della crudeltà di quel mostro. Quel giorno fuggì e  iniziò a diffondere paura e distruzione per i Nove Regni, radunando sempre più seguaci. Con gli Elfi Chiari come alleati, Odino dedicò ogni suo giorno, ogni suo sforzo e ogni suo potere per trovarlo e punirlo; passarono diversi mesi prima che, finalmente, l’abominio venisse catturato, ma quando se lo trovarono davanti, né Borr né Odino, memori dell’affetto provato, furono in grado di pronunciare la sentenza definitiva, così Phoneus venne lasciato a marcire in cella, fino al giorno dell’incoronazione di Odino. Fu allora che, approfittando del caos dei festeggiamenti, Phoneus usò la sua magia per fuggire e, quando se ne accorsero, era ormai troppo tardi: il mostro era svanito.

-Pensi che sia tornato per vendicarsi di mio Padre?- domandò cupo il Dio del Tuono.

-È un’eventualità possibile, mio signore- rispose il Guardiano mentre iniziavano a percorrere il Bifrost -Ma non credo che sia l’unico scopo che ha portato Phoneus a muoversi di nuovo. Egli è sempre stato bramoso di potere, una brama insaziabile che ne ha corroso la mente e le carni, perciò credo che sia questo ciò che cerca: un trono su cui sedersi e sentirsi un dio.

Proseguirono in silenzio l’attraversata del ponte, mentre cupi pensieri occupavano la mente del Dio del Tuono.

Il potere: era quella la maledizione che da sempre aveva colpito la sua famiglia, tenendo Odino lontano da sua moglie e dai suoi figli, corrompendo la mente di Loki e portandolo a compiere crimini orribili, e quella piaga prima o poi sarebbe ricaduta sulle sue spalle. Già la prima volta che aveva impugnato Mjolnir aveva sentito quell'inebriante sensazione di onnipotenza, avvolgente e penetrante al punto da convincerlo che da solo sarebbe riuscito a sconfiggere ogni singolo Gigante di Ghiaccio nello Jotunheim. Ora che ci ripensava, non poteva biasimare la decisione di suo Padre di esiliarlo su Midgard: che sciocco insensato era stato!

Aveva dovuto imparare suo malgrado a gestire l'adrenalina che quell'arma sacra era in grado di instillare nel suo corpo e un giorno avrebbe dovuto imbracciare Gungnir e cedere Mjolnir ad un erede, così come era sempre accaduto in Asgard dai tempi della creazione dei Nove Regni.

C'erano stati giorni, quando lui e Loki erano ancora dei ragazzini, in cui aveva trascorso le ore a immaginare come sarebbe stato governare quel regno così ricco e potente, la punta di diamante dei Nove Regni, e a desiderare che ciò accadesse  presto; ma dopo tutti gli eventi avvenuti dal giorno della sua "quasi incoronazione", non aveva desiderato altro che lasciare la sua casa e trascorrere il resto dei suoi giorni tra le braccia di Jane.

Più di ogni altra cosa avrebbe voluto spogliarsi del suo ruolo e dei suoi poteri per andare su Midgard e vivere da mortale con la sua donna, costruire con lei una famiglia, invecchiare insieme vedendo crescere i loro figli e morire al suo fianco, ma non poteva abbandonare suo padre: Odino aveva perso prima Frigga, poi Loki; Thor era tutto quello che gli era rimasto della sua famiglia.

Inoltre il Dio del Tuono aveva un dovere nei confronti del suo popolo e di tutti i Nove Regni in quanto portatore di Mjolnir, un dovere che avrebbe portato a termine a dispetto dei suoi desideri.

Una morsa al petto gli strinse il cuore al pensiero della sua piccola Jane tra le braccia di un altro uomo, qualcuno in grado di starle accanto, di farla sentire amata e protetta. Qualcuno migliore di lui.

Jane, in fondo, aveva tutto il diritto di avere al suo fianco qualcuno che la rendesse felice e chi era lui per impedirglielo? Per costringerla a non donarsi a nessuno, nella vana speranza che lui tornasse? Per quanto l'idea che un altro uomo potesse portargliela via, quello che Thor desiderava per Jane era la felicità e, se lui non fosse stato in grado di offrirgliela, allora che fosse qualcun altro a colmare le sue mancanze; purché Jane fosse felice.

-Credo che tu abbia visite Heimdall- disse il principe, imponendosi di porre fine a quel deprimente flusso di considerazioni sulla propria vita.

In fondo al ponte, infatti, una ragazza elfica li attendeva, braccia incrociate sul petto,  in apparenza piuttosto nervosa.

-Credo si tratti di uno dei guerrieri di Jarosit- rispose il Guardiano aumentando il passo e raggiungendo in breve la ragazza.

-Cosa vi porta qui, nobile fanciulla? - chiese cortese Heimdall alla sua ospite.

-Vengo per conto della mia regina- rispose Ahzurit -Ho bisogno che venga aperto il Bifrost: posso trovare Lady Chiara!

A quelle parole Thor scese di getto dal cavallo e, incurante della scossa di dolore che lo attraversò non appena ebbe toccato terra, corse verso l’arciera e la prese per le spalle: -Sei sicura di poterlo fare?- domandò fissandola direttamente nei suoi grandi occhi blu.

-Sì mio signore- rispose Ahzurit imbarazzata -Posso percepire la sua frequenza, ma ho bisogno che mi venga aperto il varco per i Nove Regni.

-Esegui, Heimdall- ordinò il principe al Guardiano -Presto!

Heimdall non se lo fece ripetere e, prontamente, estrasse la spada dal fodero e la introdusse nella sede scavata nel piedistallo. I meccanismi girarono, muovendo la cupola sopra di loro e lasciando che la vista delle galassie si aprisse davanti ai loro occhi.

-Permettetemi- esordì timidamente Ahzurit poggiando la mano sul braccio del Guardiano -Sfrutterò anche la vostra leggendaria sensibilità per ampliare il mio campo d'azione.

-Prego- rispose Heimdall, rivolgendole un caldo sorriso -Non avete ancora detto il vostro nome, nobile fanciulla.

-Mi chiamo Ahzurit, mio signore- rispose la fanciulla, le scaglie delle guance leggermente sollevate per l'imbarazzo.

 

 

Salutò Marco davanti alla sua macchina, abbracciandolo e stampandogli un sonoro bacio sulla guancia, poi aprì la vettura e si diresse verso casa, ascoltando distrattamente la radio mentre affrontava il solito traffico delle cinque del pomeriggio. Si era attardata più del dovuto, ma non aveva smesso un attimo di pensare a quel vecchio e a quegli occhi verdi riflessi nella vetrina, perdendo così la cognizione del tempo; era come se ci fosse stata una sorta di relazione tra di essi, ma, più cercava di capirla, più quella le sfuggiva.

-Non ho mai sopportato i piagnistei- gracchiò la voce metallica della radio, il cui segnale disturbato riproduceva frammenti incomprensibili di una conversazione -Hai una vaga idea di dove stai andando?... Non ti vergogni a comportarti come una qualunque sgualdrinella?... Non ti sembro reale? Un’analisi più approfondita… Sorpresa!... Sono impressionato…

Infastidita da quel gracchiare incomprensibile, Chiara diede un colpo all’autoradio e quella, per protesta, si ammutolì del tutto, lasciandola da sola con il traffico dei pendolari e i suoi pensieri.

Forse, si disse, sua madre aveva ragione e avrebbe dovuto sforzarsi di dormire di più, piuttosto che trascorrere le ore a guardare film d'azione. Doveva essere stata la mancanza di sonno a renderla così impressionabile, dopotutto a lei non accadeva mai nulla: la sua vita era piatta e prevedibile fino al più minimo dettaglio. Come sarebbe stato possibile che un evento così irrilevante potesse in qualche modo mutare quella condizione immutabile?

Parcheggiò l'auto di fianco alla villetta e, attraversando il portico, salutò calorosamente suo nonno, intento a potare il suo roseto preferito: il giorno in cui era nata Chiara, aveva piantato in onore di quel lieto evento la prima rosa, che con gli anni era cresciuta e aveva diffuso i suoi semi, diventando un rigoglioso cespuglio di fiori bianchi dai bordi scarlatti.

Chiara non aveva mai visto suo nonno dedicare tanto tempo e cura a nessun'altra pianta in tutto il loro giardino.

Salutò velocemente il resto della famiglia, lanciò lo zaino sul divano e si precipitò a preparare la vasca da bagno: immergersi per una mezzoretta nell'acqua bollente l'avrebbe aiutata a rilassarsi e a schiarirsi le idee prima di uscire per la caccia.

Quando la schiuma del sapone al gelsomino cominciò a galleggiare sulla superficie fluida dell'acqua, Chiara si spogliò e si immerse lentamente nel liquido, concedendo al suo corpo tutto il tempo necessario per abituarsi a quel cambio di temperatura. Era ancora presto, non c'era nessuna fretta.

Chiuse gli occhi godendosi la quiete che il contatto rassicurante e accogliente con l'acqua profumata le offriva, svuotando la mente da tutti i pensieri e le preoccupazioni, ma inaspettatamente il buio del retro delle palpebre venne riempito dall'immagine di due grosse e fredde iridi gialle e di una coda nera dalla punta acuminata, che la fece sobbalzare.

Doveva smetterla di agitarsi per nulla e di lasciare che la fantasia corresse senza controllo, o si sarebbe beccata un infarto! Ma oramai la quiete che tanto bramava era andata a farsi benedire, sostituita da un opprimente senso di inquietudine, così la ragazza si lavò i capelli alla svelta e uscì dalla vasca, avvolgendosi con un accappatoio di spugna previdentemente lasciato a  scaldare sul termosifone.

Strofinandosi i capelli con un asciugamano, Chiara si soffermò a osservare la propria immagine allo specchio: sul suo volto si era delineata un’espressione affaticata e preoccupata che non le piaceva per niente, così si sforzò di sorridere nel tentativo di migliorarla, ma dentro di sé si stava diffondendo una sensazione di incompletezza circa quell’immagine, come se fosse stata mancante di qualcosa di molto importante, smorzandole così il sorriso sul nascere. Eppure, cos’altro avrebbe dovuto mostrarle quel vetro se non il suo riflesso? Non c’era nessun’altro nel bagno oltre a lei.

Dall’occhio sinistro sfuggì una lacrima, che iniziò a scendere lenta e calda sulla guancia; in un lampo Chiara la asciugò ed estrasse dal cassetto l’asciugacapelli.

 

-L’ho trovata!- esclamò all’improvviso Ahzurit, stringendo la spalla del Guardiano nella sua mano -Ho trovato Lady Chiara!

 

Note:

1 Regno dei Giganti di Fuoco secondo la mitologia norrena (fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/M%C3%BAspellsheimr)

2 Sovrano dei Giganti di Fuoco, secondo la mitologia norrena (fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Surtr)

3 Sovrano di Asgard prima di Odino, di cui è padre (fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Borr)

 

 

Angolo dell’autrice: salve a tutte e buona Pasqua (anche se in ritardo)! Benvenute alla fine del capitolo :) Vorrei ringraziare con tutto il cuore le nuove arrivate che hanno cominciato a seguire la storia! Spero possa continuare a piacervi anche in futuro ;)

Capitolo lampo, ma emotivamente piuttosto intenso: ho voluto concentrare, questa volta, l’attenzione sul nostro caro Thor, che da un po’ è rimasto nelle retrovie, portando alla luce i suoi sentimenti, le sue insicurezze e i suoi rimpianti. È un personaggio che amo molto e che spesso tende ad essere visto come un balbettante bamboccione babbuino (cit. Minerva McGranitt alias l’Immensa XD), quando in realtà, a mio avviso, è molto più complicato e intelligente di quanto ci si aspetti da lui. Spero abbiate gradito :)

Dall’altra parte, ecco la nostra Chiara che continua a vivere la sua solita vita, ma qualcosa in lei non va: sente che le manca qualcosa, ma non riesce a capire di cosa si tratti. Riuscirà ad arrivare alla risposta?

Da domani fino a domenica sarò via e senza pc, perciò mi sarà impossibile pubblicare questa settimana un nuovo capitolo :/ Non preoccupatevi, però, continuerò a scrivere indefessa e presto tornerò a importunarvi XD  

Nel frattempo, spero che abbiate gradito questo capitolo, seppur breve, e che vorrete lasciarmi la vostra graditissima opinione a riguardo :)

Vi mando un abbraccio lungo una settimana! XD

Alla prossima :)

Lady Realgar

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Capitolo 24
*** Un prezzo da pagare ***


La regina degli elfi chiari camminava nervosamente sui mosaici perfettamente eseguiti con frammenti di marmi policromi a rappresentazione di una scena campestre, in cui i cervi pascolavano calmi in mezzo a prati verdi e rigogliosi e una lepre saltava allegramente da una macchia di ranuncoli all’altra; le colonne che si innalzavano a sorreggere il soffitto dipinto erano state istoriate affinché sembrassero degli alberi di una foresta, tra le cui fronde passeri, merli, fringuelli e cinciallegre avevano nidificato e portavano dei succulenti vermi ritorti ai loro piccoli. La preziosa pietra luccicava sotto ai suoi piedi, quasi implorandole attenzione sui delicati dettagli e sulla lavorazione sapiente, ma Jarosit era sorda a quella richiesta: aspettava impazientemente notizie dalla sua guardia e la sua mentre era troppo appesantita da quel pensiero per potersi concentrare sulla bellezza che la circondava.

Torceva le dita affusolate, impreziosite da anelli d’oro e di smeraldi, e camminava, continuando a pensare a quello che era accaduto: la midgardiana si era sacrificata per il popolo di Asgard e ora era in mano a Phoneus, così come sua figlia e molti altri bambini di Âlfheimr. Doveva assolutamente conferire in privato con Loki e comprendere se, in quel momento di comune difficoltà, avrebbe potuto fidarsi di lui: come chiunque altro nei Nove Regni conosceva la fama che il Dio degli Inganni era andato costruendosi negli ultimi tempi e, saggiamente, diffidava della sua parola e della sua lealtà, ma non poteva non tenere in considerazione quello che aveva visto nei ricordi di Lady Chiara.

Attraverso di lei aveva scoperto qualcosa che non si sarebbe mai aspettata di trovare nell’animo dello Jotun rinnegato e, data la situazione, non avrebbe potuto esserci momento meno opportuno per un simile cambiamento. Ma se si fosse ingannata? Se quello che aveva visto fosse stato solo un abbaglio e, in realtà, il cuore dello Jotun fosse ancora freddo e impenetrabile come l’acciaio? Aveva bisogno di parlare con lui a quattr’occhi e scrutare direttamente nel suo animo, come prima, distratta dalla battaglia, non era riuscita a fare.

Un metallico rumore di passi in avvicinamento la distrasse dalle sue preoccupazioni e, alle sue spalle, trovò gli occhi rosso rubino di Alkanna, fidato capitano della sua guardia personale, che la osservavano con affettuosa reverenza.

-Avete recuperato tutti i bambini?- domandò apprensiva Jarosit al capitano, appena tornato dalla città.

-Per il momento siamo riusciti a trovarne solo una trentina- rispose Alkanna, abbassando lo sguardo per non incrociare gli occhi delusi della sua amata sovrana -Riteniamo che fossero in possesso di frammenti della Porta di Fumo e che siano scappati insieme agli altri guerrieri di Phoneus.

-Nessuna traccia della principessa?- domandò la regina in un filo di voce.

-No, mia signora. Ne sono dolente.

-Continuate a cercare e portate tutti i sopravvissuti nelle stanze del castello, esattamente come ha ordinato Odino. Cercheremo di trovare un modo per disintossicarli- ordinò la donna, congedandolo.

Quando l’uomo se ne fu andato, accompagnato dallo sferragliare della sua armatura, Jarosit si diresse a lunghi passi verso la sala del trono, dove era attesa, ma lungo il corridoio la sua attenzione venne attratta dall’immagine di Asgard che le grandi finestre incorniciate di marmo bianco le offrivano: tutta la bellezza e l’armonia che avevano da sempre caratterizzato quel luogo leggendario erano state devastate dalle fiamme e nascoste dalla cenere impietosa; gli edifici e le case più piccoli e poveri erano stati completamente distrutti, mentre quelle strutture più ricche, composte da candide e sfavillanti pietre delle cave nelle montagne, erano state annerite dai fumi e dai prodotti della combustione, ridotte a fragili scheletri di una ricchezza deturpata dalla guerra. Indifferente alle vicende che avevano colpito la città, il Bifrost continuava a rifulgere dei suoi sette colori, quasi a volerla schernire.

“Anche Asgard ha pagato un prezzo caro in questa battaglia” pensò la donna, mentre due guardie le aprivano le porte della sala del trono, dove il re, Thor e i Tre Guerrieri tenevano consiglio.

-I fuochi sono stati spenti e i civili mandati su Midgard- stava dicendo Hogun al suo sovrano, quand’ella fece il suo ingresso -Abbiamo trovato cadaveri di diversa provenienza, mentre i prigionieri sono stati rinchiusi nelle celle e nelle stanze dell’ultimo piano del palazzo. Al momento a sorvegliarli vi sono una dozzina di quei pochi soldati che non sono stati feriti nello scontro, ma speriamo che i Guaritori possano rimettere presto in sesto i guerrieri che hanno subito ferite lievi.

-Molto bene, Hogun- rispose Loki, che si rivolse poi a Volstagg -Avete mandato dei cercatori nelle foreste?

-Sì mio signore- rispose prontamente il guerriero fulvo -In parte asgardiani e in parte elfi. Stanno pattugliando la zona intorno alla città in cerca di altri sopravvissuti.

Finalmente Loki sembrò notare la presenza della regina e congedò gli altri uomini, affinché potesse colloquiare in privato con lei, ma Thor, il cui braccio ferito era stato fasciato alla bell’e meglio, non sembrava intenzionato ad andarsene: -Che ne sarà di Chiara?- domandò secco, un’ombra si era deposta sui suoi occhi celesti e sul suo viso squadrato.

-La troveremo, figlio mio, vedrai- rispose il sovrano ponendogli rassicurante una mano sulla spalla forzuta -Ora devi farti visitare da un Guaritore: per tua fortuna la lama che ti ha colpito non era di origine elfica, ma hai bisogno di cure o non sarai in grado di combattere la prossima battaglia.

Quel consiglio era stato pronunciato come un ordine irrevocabile e il Dio del Tuono non poté che obbedire, lanciando un’ultima, rovente, occhiata alla regina Jarosit, prima di sparire dietro le porte dorate.

I due sovrani attesero che intorno a loro calasse il completo silenzio, poi Jarosit disse: -Non hai bisogno di nasconderti a me, Loki, mostrami il tuo volto senza timore: Heimdall è stato mandato nelle foreste, non rivolgerà qui il suo sguardo.

In un lampo smeraldino il Dio degli Inganni si liberò delle fattezze di Odino e si avvicinò alla regina, stringendo nervosamente Gungnir tra le dita affusolate: -Strega- l’apostrofò -Ristabilisci il vincolo che hai spezzato tra me e la mortale!

-Non mi è possibile- rispose la donna freddamente -Non conosco la sua ubicazione, perciò non posso riallacciare i fili tagliati, ma, te lo assicuro, se fosse morta te ne accorgeresti.

-Non mi importa della sua vita!- ringhiò il dio, sbattendo la base di Gungnir sul pavimento marmoreo -Voglio trovare Phoneus e punirlo con la più dolorosa delle morti per quello che ha fatto al mio regno!

-Allora pregate gli Antichi che non sia ancora riuscito nel suo intento- ribatté la donna.

-Cosa intendi dire?

-Nei ricordi di Lady Chiara- spiegò Jarosit -Phoneus stava cercando di instillare negli umani il suo veleno e in lei esso non ha causato la morte.

-È impossibile!- la interruppe Loki -I terrestri sono creature troppo deboli, verrebbero bruciati dall’interno.   

-Lei no!- riprese la donna -E non solo non è morta, ma non ne è nemmeno stata soggiogata. È riuscita a fuggire prima che Phoneus potesse indagare il perché, ma ora che è nelle sue mani potrebbe scoprirlo.

-Che cosa potrebbe avere quella mortale di tanto potente?- domandò interessato il dio, accarezzando con la mano la fredda superficie di Gungnir.

-Io non lo so- ammise la regina in un soffio -Ma qualunque cosa sia non deve cadere nelle mani di Phoneus!

 -Quindi è per questo che la stava cercando…- rifletté ad alta voce Loki, misurando il pavimento a lunghi passi -Ora il problema è: come la troviamo e quanto tempo ci rimane prima che sia troppo tardi?

Il silenzio scese tra i due sovrani, pesante come una cappa di piombo sulle loro teste; avevano scampato per il momento il pericolo, ma una minaccia ben peggiore gravava sui loro mondi e loro erano lì, rinchiusi in una sala tappezzata d’oro, a non fare nulla. A non sapere cosa fare.

Loki si morse nervosamente il labbro inferiore: non avrebbe mai dovuto far uscire quella ragazza dalle prigioni, avrebbe dovuto tenerla reclusa, dove avrebbe potuto controllarla in tutto e per tutto, ma aveva fatto il grave errore di sottovalutare la sua caparbietà, la sua perspicacia e il suo coraggio.

Non era riuscito a penetrare gli antri più reconditi della sua mente e, avido di informazioni, aveva permesso che lei vedesse nei suoi ricordi.

Non era così che funzionava la lettura del pensiero? Una volta aperta una porta è possibile vedere in entrambe le direzioni e lei lo aveva ricambiato con la sua stessa moneta, perfino nel sonno, quando l’inconscio prende il sopravvento e ci restituisce le ansie e le paure sotto forma di incubi. Persino in quel frangente quella piccola stupida era riuscita a infrangere le sue difese, facendolo sentire vulnerabile.

Aveva avuto persino l’ardire di salvargli la vita, legandolo a sé con un debito indissolubile, che lui prima o poi avrebbe dovuto pagare e, ora che quella mortale si era fatta prendere da quel mostro, lui non sapeva come salvarla.

La cosa peggiore, però, era il fatto che saperla in pericolo gli causava un’insopportabile agitazione in petto. Doveva trovare il modo di liberarsene.

Qualcuno bussò alle porte e in un lampo Loki tornò ad avere le sembianze del Padre degli Dei. Quel maledetto incantesimo richiedeva una quantità spropositata di energia, forse era la stanchezza a farlo sentire così agitato.

Una porta si aprì lentamente, facendo apparire il volto di una giovane elfa dagli occhi blu, che chiese timidamente: -Mia signora, posso conferire con voi?

-Certamente, Ahzurit!- rispose la regina, correndole incontro -Avete trovato Orpimen?

A quella domanda, la ragazza abbassò tristemente lo sguardo e, in un filo di voce, rispose: -No, mia signora, non ancora, ma abbiamo trovato molti altri bambini, che ora dormono sotto incantesimo.

-Va bene, Ahzurit- disse Jarosit, emettendo un doloroso sospiro -Non speravo di trovarla così presto: Phoneus probabilmente starà usando lei per tenermi in pugno.

-Conducete le vostre ancelle alla guerra e poi vi sorprendete che vengano rapite dal nemico?- domandò canzonatorio il re di Asgard con un sorriso malevolo sulle labbra.

A quelle parole di veleno, le due donne si voltarono all’unisono verso di lui, fulminandolo con lo sguardo: -Orpimen è mia figlia- sibilò tra i denti Jarosit -E la fanciulla accanto a me è Ahzurit, la migliore arciera dei Nove Regni, dotata di una velocità e di un udito sopraffino che persino voi, Maestà, rimarreste…

Ma la regina non finì mai quella frase, perché rimase bloccata per qualche secondo a bocca aperta, come folgorata da una rivelazione che le si era appena manifestata nella mente; poi, finalmente, la sua bocca sembrò tornare alla sua funzione e Jarosit chiese alla sua fidata arciera: -Mia cara, tu hai conosciuto Lady Chiara alla Festa d’Estate, nevvero?

Sorpresa da quell’inaspettata domanda, la ragazza rispose incerta: -Sì, mia regina, ho avuto modo di parlare con lei. Perché me lo chiedete?

-Perché il destino dei Nove Regni potrebbe dipendere dalle tue straordinarie capacità uditive, Ahzurit.

 

 

Un forte assolo di chitarra elettrica le attraversò fastidiosamente i timpani, costringendola ad allungare svogliatamente la mano verso il comodino per porre fine a quella straziante tortura mattutina: la sveglia.

Quando finalmente nella stanza tornò il silenzio, mugugnando Chiara fece appello a tutta la forza di volontà di cui era provvista e si impose di sollevarsi dal caldo materasso e dalle accoglienti coperte; il contatto del suo piede con la fredda superficie del pavimento fu uno shock.

Il quadrante a cristalli liquidi della sveglia accanto al letto segnava le 6.45: era ora di alzarsi o avrebbe fatto tardi a lezione, dando così un pretesto alla prof Pintocchi, che già dal primo semestre l’aveva presa di mira, per farle qualche domanda infida all’esame.

Terrorizzata dall’immagine del sorrisino compiaciuto e vittorioso sul volto rubicondo della Pintocchi, Chiara si affrettò a scendere in cucina, dove venne accolta da un invitante profumino di caffè e torta al limone.

-Buongiorno a tutti!- salutò raggiante, stampando un sonoro bacio sulla guancia di sua nonna, che per la sorpresa per poco non rovesciò la tazza di tè bollente sulle ginocchia di Francesco.

-Come mai tutta questa allegria?- domandò sospettoso il ragazzo, rigirando il cucchiaio nella tazza colma di latte e cereali davanti a lui -Di solito a quest’ora sei scontrosa come un cane con la rabbia!

-Ero solo felice di vedervi, ma ora mi è passato, grazie France!- rispose Chiara facendogli la linguaccia e servendosi una generosa porzione di torta.

-Non immaginerete mai che cosa ho sognato!- riprese dopo aver addentato il dolce e bevuto qualche sorso di caffè -Ero finita nel mondo degli dei norreni, avevo conosciuto Thor e Odino e poi c’è stata una sorta di guerra, ma non mi ricordo molto bene. Però Loki era davvero un gran figo,anche se antipatico come il ricino.

-Dovresti smetterla di mangiare schifezze la sera e fare le ore piccole a guardare film- la rimproverò la madre, sedendosi con loro al tavolo -Se dedicassi allo studio il tempo che passi davanti allo schermo, probabilmente a quest’ora saresti la prima del tuo corso.

Chiara alzò gli occhi al cielo e finse di prestare attenzione al giornale che suo nonno stava leggendo: in prima pagina c’era un articolo su un presunto attacco alieno a New York; vi erano perfino delle fotografie raffiguranti delle strane creature a cavallo di monopattini volanti.

“Poveri noi, persino i giornali ora si mettono a pubblicare notizie assurde; scommetto che la prossima breaking news sarà la scoperta dell’esistenza di Narnia con relativa intervista ad Aslan” 

-Loki non era quello che si era fatto montare da un cavallo?- domandò ad un tratto Francesco, ridacchiando.

-Cielo, non saprei proprio!- rispose Chiara, stranamente imbarazzata da quella domanda a bruciapelo.

-Ma sì!- continuò il ragazzo -Poi era rimasto incinto di un cavallo a otto zampe!

-Mi sembra di ricordare di aver visto nel sogno un cavallo a otto zampe, ma non gli ho chiesto di descrivermi il suo albero genealogico. La prossima volta me ne ricorderò e ti farò sapere.

L’orologio a pendolo in salotto batté le sette e Chiara si affrettò a terminare la colazione per poi correre in bagno a lavarsi e a vestirsi; in dieci minuti fu di nuovo al pianterreno, salutò i parenti e si infilò in auto, diretta verso la città.

Quel giorno le strade erano insolitamente prive del loro tipico traffico mattutino e ci mise poco arrivare a destinazione, ma, mentre parcheggiava il veicolo al suo posto abituale, poco distante dal vecchio edificio che ospitava la sua facoltà, la ragazza notò che dentro ad un bar un anziano signore, elegantemente vestito, con la barba ben curata e una benda sull’occhio sinistro, la stava fissando insistentemente, sorseggiando un cappuccino e giocherellando con un bastone da passeggio di legno scuro dall’impugnatura d’ottone a forma di testa d’ariete.

Chiara distolse infastidita lo sguardo: non sopportava d’essere osservata con insistenza (soprattutto se si trattava di sconosciuti) e non voleva dare la soddisfazione a quel vecchio di vederla alterata per il suo comportamento, così lo ignorò e si diresse a passi veloci verso l’ingresso dell’università, dove ad aspettarla vi era un gruppetto di ciancianti fanciulle.

-Ciao ragazze- le salutò cordiale.

-Chiara, meno male che sei arrivata!- l’accolse una ragazza dai capelli color sabbia e le orecchie leggermente a sventola -Antonella è uscita di nuovo con quel bamboccio di Guido e insiste nel sostenere che sia una persona interessante.

-Ma lo è!- la interruppe una seconda ragazza, piuttosto alta e con la coda di cavallo -Ha solo il vizio di fare battute stupide a sproposito, ma quando ci passi un po’ di tempo assieme rivela lati nascosti inaspettati.

-Sì, certo- si intromise la terza, sbattendo i suoi grandi occhi azzurro cielo -Ad esempio il fatto che passa in palestra metà delle sue giornate e l’ultimo libro che ha letto è stato un numero di Topolino ai tempi delle elementari.

-Ragazze, si può sapere cosa c’entro io con tutto questo?- domandò Chiara spazientita.

-Ti prego, dille che Guido è un pessimo partito e che per il suo bene è meglio se lo evita come la peste!- rispose la ragazza dai capelli color sabbia, enfatizzando la frase con un tono studiatamente drammatico.

-Per l’amor del Cielo, Gabri, che autorità avrei io per dirle chi deve frequentare? Se le piace quell’idiota di Guido, cosa posso farci? Insomma, è evidente che a lei piace il tipo di uomo che venera la propria immagine e vi dedica tutto il suo tempo e le sue risorse, perciò non vedo perché mai dovrei mettermi in mezzo.

L’inizio delle lezioni si avvicinava, così le quattro amiche dovettero interrompere la loro discussione, ma, salendo le scale, Gabriella le lanciò un fugace occhiolino: sapevano bene entrambe che le loro parole sarebbero andate a segno e che Antonella avrebbe presto cambiato idea su quel ragazzo così immaturo ed egocentrico, con la malsana abitudine di vantarsi  in mensa delle proprie prestazioni sessuali con fantomatiche fanciulle da una notte e via.

D’altro canto, le amiche servono anche a questo.

La mattina trascorse lenta come un supplizio: la Pintocchi era la professoressa più noiosa e prolissa che Chiara avesse mai avuto e sentirla parlare per ore e ore sempre con lo stesso tono era una tortura al pari di quelle praticate dagli Aztechi alle loro vittime di guerra.

Un bigliettino volò sul banco di Chiara, rompendo la monotonia di quella lezione; lentamente la ragazza lo aprì e vi lesse: INCONTRO STASERA AL PUB, OBIETTIVO: TROVARE UN BUON PARTITO PER ANTO.

Sotto al messaggio vi erano le firme di Gabriella e di Valentina (la ragazza con gli occhi azzurri) a significare che entrambe avrebbero aderito all’iniziativa.

Chiara avrebbe voluto trascorrere la serata a leggere un buon libro e a mangiare una pizza consegnata a domicilio, ma non poteva disertare o avrebbe dovuto pagare pegno: era una tradizione che si trascinavano dai tempi del liceo, quando veniva organizzata una serata-missione, finalizzata a trovare un ragazzo a una di loro, tutte quante dovevano partecipare, affinché il candidato venisse scelto democraticamente; chi non si presentava doveva subire una punizione, solitamente poco piacevole.

Chiara e Marco si erano conosciuti per la prima volta proprio durante una di quelle serate e oramai era da più di un anno che stavano insieme; quindi, in qualche modo, il loro metodo funzionava.

La ragazza non poté, dunque, fare altro che firmare il foglio di carta e rimandarlo al mittente; Antonella, ovviamente, non avrebbe dovuto sapere lo scopo della serata e sarebbe stata condotta al locale con una qualche scusa, poi la caccia sarebbe stata aperta e non si sarebbe conclusa senza prima aver catturato una preda accettabile.

Finalmente le quattro interminabili ore di lezione terminarono e le ragazze furono libere di uscire dall’aula e tornarsene a casa; prima di sparire dentro a un autobus, Gabriella ammiccò di nuovo a Chiara, sussurrandole all’orecchio un veloce ed entusiasta “A stasera”.

A pranzo quel giorno Chiara aveva appuntamento con Marco in una rosticceria piuttosto famosa tra gli studenti della zona, ma aveva ancora qualche minuto libero prima dell’orario concordato, così decise di passeggiare un po’ per il centro e di osservare le vetrine, nella speranza di trovare qualche bell’indumento a poco prezzo.

Fu una ricerca vana: visitò tre diversi negozi di moda e non trovò nemmeno una canottiera che non costasse un capitale; aveva persino adocchiato un meraviglioso abito da sera color pervinca con tanto di sandali abbinati, ma, inutile dirlo, non l’aveva trovato della sua taglia.

Stava guardando assorta l’ennesima vetrina, quando vide, riflesso nel vetro, un paio di freddi occhi verdi che le fece balzare il cuore e raggelare il sangue; si voltò di scatto, decisa a scoprire a chi appartenessero, e alle sue spalle trovò l’anziano uomo che aveva scorto in un bar quella stessa mattina.

La stava scrutando con piglio severo attraverso il suo unico occhio e impugnava il bastone da passeggio come se fosse stato uno scettro.

Chiara si chiese se non fosse stato il caso di dirgli qualcosa, di chiedergli di lasciarla in pace, magari minacciando di chiamare la polizia qualora l’avesse di nuovo sorpreso a fissarla, ma non voleva rischiare di mettere nei guai un anziano solo perché lei quel giorno era vittima di manie di persecuzione. Magari era stato solo un caso se l’aveva incontrato due volte nella stessa giornata, poteva capitare, no? Inoltre quell’uomo la metteva in soggezione: aveva un’aria tanto nobile e distinta da farla sentire piccola e insignificante, smorzandole le parole in gola.

Fortunatamente arrivò Marco a salvarla da quella situazione imbarazzante e, dopo averle lasciato un bacio sulle labbra, la condusse per mano alla rosticceria, dove iniziò a raccontarle del cadavere che avevano dissezionato a lezione il giorno prima per studiare meglio la conformazione dell’intestino tenue e le differenze con quello crasso.

Dopo un anno di relazione, Chiara si era abituata a sentirlo parlare di organi, malattie e operazioni e riuscì a mangiare il suo kebab senza alcuna difficoltà, anche quando quello iniziò a descriverle minuziosamente il momento in cui avevano inciso il peritoneo e avevano iniziato ad esplorare l’interno dell’organo.

A pasto concluso i due decisero di passeggiare per il centro storico e, mentre Marco continuava a narrare ininterrottamente le sue avventure con il bisturi, nella mente di Chiara si era cristallizzata l’immagine di  quei due grandi occhi verdi riflessi nel vetro.

Sapeva che era assurdo, ma per un fugace momento le era parso di averli già visti.

 

 

E così Chiara emanava delle frequenze particolari, o almeno questo era quello che affermava quella tediosa elfa dagli occhi blu.

In un primo momento aveva creduto che si stessero prendendo gioco di lui: come poteva quell’umana emettere frequenze? Non era mica uno di quei rumorosi oggetti midgardiani chiamati radio! Poi, però, qualcosa nei visi delle due donne lo aveva convinto del fatto che ci credessero per davvero e allora aveva iniziato ad ascoltarle.

Jarosit non era il tipo di persona che si faceva convincere da delle assurde favolette, questo il Dio degli Inganni lo sapeva bene, ed era determinata a ritrovare la figlia, perciò, se per lei tutta quella storia era verosimile, si poteva supporre che effettivamente c’era la possibilità che quella Ahzurit potesse per davvero sentire Chiara.

Inoltre quella, per quanto incredibile potesse essere, era l’unica idea che avevano.

-Maestà- gli si rivolse Jarosit mentre attraversavano il palazzo, diretti al Bifrost -Vorrei conferire ancora qualche minuto con voi, se me lo consentite.

-Il tempo a nostra disposizione- rispose il dio -È poco, come voi stessa non avete mancato di far notare, perché mai dovremmo sprecarlo ancora in inutili chiacchere, mentre Phoneus tiene tra le sue grinfie vostra figlia?

-Perché Ahzurit sa perfettamente come raggiungere da sola il Bifrost e perché noi non potremmo fare nulla mentre lei cerca di trovare Lady Chiara, perciò tanto vale ingannare l’attesa con una conversazione tra sovrani.

Afferrata l’antifona, Ahzurit accennò un veloce inchino e si dileguò fuori dai cancelli del palazzo, diventando velocemente una piccola figura scura sulla superficie iridescente del ponte.

-Cos’altro vuoi, Jarosit?- ringhiò tra i denti il Dio degli Inganni.

-Voglio capire fino a che punto siete disposto a pagare in questa guerra- rispose la donna, scrutandolo da capo a piede con i suoi grandi occhi dorati.

-A cosa ti riferisci?

-Sto parlando di Lady Chiara.

Lo stomaco del dio si contrasse a quel nome, innervosendolo ancora di più: -Te l’ho già detto: non mi interessa della sua vita!

-E della sua morte?

Quella domanda lo colse di sorpresa, ammutolendolo.

-Vi definite il Dio della Menzogna, ma non potete mentire a chi è capace di leggere la mente e i cuori come le pagine di un libro. Ho veduto nei ricordi di Lady Chiara quello che le è accaduto nei giorni trascorsi qui ad Asgard e nel vostro comportamento nei suoi confronti, seppur controverso e complicato, ho letto un desiderio di legame, piuttosto che di timorosa reverenza. Perché stringere un vincolo mentale con lei, pagando la conoscenza della sua ubicazione con la visibilità dei vostri ricordi? Perché sollevarla del logorante senso di colpa per la morte del detenuto? Perché concederle l’uso dei suoi strumenti di lettura e permetterle di accedere alle vostre stanze private? Perché distrarre i suoi aggressori e porre uno dei Tre Guerrieri sotto la sua finestra la sera in cui l’avete reclusa, se non avete alcun interesse per la sua vita?

-Ora basta!- sibilò minaccioso Loki, le fredde iridi verdi strette in due fessure -Non addentrarti in argomenti di cui potresti pentirti.

-Quello che voglio dire- riprese la regina, sorvolando sulla minaccia -È che Lady Chiara ha assunto per voi un qualche valore ed è per questo che vi chiedo se è un prezzo che siete disposto a pagare per fermare Phoneus una volta per tutte.

-Quale prezzo?

-La vita di Lady Chiara- rispose cupa la donna -Ho timore che sarà solo con la sua morte che il nemico sarà abbattuto.

-Io ho un debito- disse piano il Dio degli Inganni, apparentemente calmo e ricomposto -Un debito che ho intenzione di estinguere e questo è quanto. Sarà il solo prezzo che pagherò.

“E Loki paga sempre i propri debiti”.

Senza aggiungere altro, il dio si incamminò verso il ponte, seguito poco dopo dalla regina degli Elfi Chiari; silenziosa e pensierosa, a mala pena si curava di celare la preoccupazione che quella discussione le aveva instillato in corpo, mentre alle loro spalle lasciavano una città piegata dalla crudeltà di un mostro, la prima di quella che avrebbe potuto essere una lunga lista nera di regni, civiltà e popoli devastati dalla sua brama di sangue. 

La vita di una ragazza per la salvezza di milioni di miliardi di altre vite innocenti: un prezzo tutto sommato misero, ma sarebbe stato pagato quel fio impietoso?

Quella la domanda che assillava la regina degli Elfi Chiari, mentre attraversava il ponte dell’arcobaleno in compagnia del Dio degli Inganni.

 

Angolo dell’autrice: salve ragazze e benvenute alla fine del ventitreesimo capitolo de La sua paura! Un abbraccio alla fanciulla che ha aggiunto la storia tra le preferite (prometto che, a storia conclusa, farò dei ringraziamenti fatti per benino a tutte quelle meravigliose creature che stanno supportando -e anche sopportando XD- il mio lavoro).

Dunque dunque, Jarosit ha l’occhio lungo e vede laddove i più non riescono a scorgere alcunché, ma stavolta i suoi sospetti sono particolarmente gravosi. Che accadrà? E Loki come pagherà il suo debito?

Giusto per semplificare le cose (sono una persona sadica, se non si fosse notato) la nostra Chiara sembra essere tornata alla sua solita vita… che cosa sta succedendo? L’autrice è stata forse contagiata dal veleno di Phoneus ed è diventata improvvisamente matta? Chi può dirlo? ;)

Ad ogni modo, voglio fare un gioco con voi, mie care: in questo capitolo, come sicuramente avrete notato, ci sono due citazioni, una grande come un elefante, l’altra leggermente più nascosta. Vediamo chi riesce a indovinarle!

Piccolo aiuto: entrambe provengono da serie televisive molto popolari, una relativamente recente e un’altra che vanta ben cinquant’anni di storia; una citazione proviene da una famiglia di “leoni” ;) l’altra da una ragazza che un giorno è stata salvata da un mostro sotto al letto.

Vi ho aiutate? Non molto temo, ma sono sicura che ci arriverete ;) in palio ci sono punti della vostra casa ad Hogwarts, 5 per una sola citazione individuata, 10 per due, 15 se sapete dirmi addirittura l’episodio da cui è stata tratta la citazione difficile ;)

Se sapete la risposta, dichiarate la vostra casa e alla fine della storia, quella che avrà raggiunto più punti vincerà la Coppa delle Case!

Se questo giochino vi piace, cercherò di riproporlo anche nei prossimi capitoli ^-^ sennò… nulla, niente giochino e amici come prima!

Un abbraccio a tutte quante e alla prossima!

Lady Realgar

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Capitolo 25
*** Gotta Wake Up! ***


Si lasciò cadere sulle coperte del suo letto e, ancora avvolta dall’accappatoio, si soffermò ad osservare i giochi di luce e ombre che il tramonto disegnava sul suo soffitto, attraversando le semplici geometrie del lampadario.

Non riusciva a togliersi di dosso quella stramba sensazione di inquietudine, come se avesse dovuto fare qualcosa di importante e se ne fosse dimenticata; provò a ricordare tutti i suoi impegni scolastici, ma non riusciva a capire cosa avesse scordato di fare: tutti gli appunti erano stati ricopiati, le dispense scaricate e la relazione conclusa e inviata. Cosa poteva aver dimenticato?

Il cellulare sul comodino trillò e Chiara lesse sul display:

Da Gabry: Incontro confermato per le 8 al Pub. Passo a prenderti per le 7.30. A dopo.

La sveglia accanto a lei segnava le 18.30, così si alzò e iniziò a cercare nell’armadio qualcosa da indossare per la serata: quella sera Antonella avrebbe dovuto essere, ovviamente, la più graziosa del gruppo, ma Chiara non aveva alcuna intenzione di uscire di casa senza un abbigliamento adeguato.

Estrasse dall'armadio praticamente ogni pezzo di stoffa che era contenuto al suo interno, ma alla fine optò per una minigonna nera e una camicetta turchese con un bel paio di stivali neri di pelle; si osservò allo specchio e, nel complesso soddisfatta del risultato, passò alla titanica impresa di dare una piega ordinata ai suoi capelli. Mentre passava la spazzola tra quei fili ribelli, per un attimo le parve di vedere con la coda dell’occhio una brocca argentata sulla scrivania accanto a lei, ma, quando si voltò, l’unica cosa che vide fu la lampada da lettura.

I denti della spazzola si bloccarono su un nodo, provocandole una scossa di dolore: -Maledizione!- si lamentò la ragazza, cercando di sbrogliare la matassa di capelli senza farsi lo scalpo; sconfitta, decise di inforcare un paio di forcine e risolvere il problema con uno chignon.

Sembrava una segretaria appena uscita dall’ufficio, ma oramai si erano fatte le 19.15 e Gabriella sarebbe passata da lì a poco.

Scese in cucina, dove sua madre e sua nonna stavano allestendo la tavola per la cena: -Stai uscendo?- domandò la nonna, osservando il suo abbigliamento poco casalingo.

-Sì- rispose la ragazza  -Stasera siamo a caccia per Anto.

-Cerca di non fare troppo tardi, per favore- le raccomandò la madre -E controlla che Gabriella non beva!

-Sono anni che passa a prendermi per far serata- ribatté Chiara, rubando dalla fruttiera una mela e addentandola -E non ha mai bevuto nemmeno un goccio di birra. È molto affidabile!

-Comunque sia, sta’ attenta, ok?- insistette la donna -Se succede qualcosa, chiamami!

-Va bene, va bene.

“La mamma è sempre la mamma” ridacchiò tra sé la ragazza, finendo di mangiare la sua mela, poi un rumore di clacson annunciò l’arrivo dell’amica, così prese il cappotto e, dopo aver velocemente salutato la sua famiglia, uscì di corsa verso la vecchia Toyota di Gabri, che l’accolse domandandole: -Stai andando a un colloquio di lavoro?

-Piantala!- la zittì Chiara, chiudendo la portiera alla sua destra -Stasera non ero in vena di tacchi a spillo e scollature, ma vedo che tu, invece, sei ben equipaggiata- aggiunse poi, notando il vestito rosso dallo spacco vertiginoso che l’amica indossava.

-Non dovrebbe essere Antonella quella più appariscente?- domandò Chiara, mentre la ragazza metteva in moto e dirigeva l’auto verso la strada.

-Anto è una ragazza stupenda e dalla conversazione piacevole, anche se con un pessimo gusto in fatto di ragazzi- rispose Gabriella -Non ha bisogno di bei vestiti per piacere, al contrario di me, quindi sono sicura che non le ruberò affatto la scena.

-Gabri…- sospirò Chiara -Non essere ridicola! Anche tu sei una ragazza splendida e chi si avvicina a te solo perché indossi un vestito provocante è un completo idiota!

Gabriella le rispose con un sorriso imbarazzato e Chiara seppe di averla rassicurata: la ragazza aveva sempre avuto, da quando la conosceva, un brutto complesso di inferiorità nei confronti delle altre persone ed era stata soggetta più volte a fenomeni di bullismo, che l’avevano portata a isolarsi e, nei suoi momenti peggiori, a smettere di mangiare.

Chiara l’aveva conosciuta nei bagni femminili al primo anno del liceo, trovandola in lacrime seduta su un gabinetto; da allora avevano affrontato insieme sia le cattiverie dettate dalla stupidità di coloro che traevano piacere nel ferirla, sia il poco amore che Gabriella nutriva per se stessa e che Chiara cercava in tutti i modi di trasmetterle con la sua amicizia.

Dopo tutto quel tempo, finalmente Gabriella era una ragazza nuova e, anche se aveva mantenuto la brutta abitudine di vedersi sempre in difetto rispetto alle altre persone, aveva imparato che ognuno, a modo proprio, è unico e importante; dopo gli esami di maturità aveva deciso, così, di trasmettere questa lezione anche agli altri, facendo volontariato presso una clinica dedicata agli adolescenti affetti da depressione e disturbi alimentari e dedicando ogni momento a sua disposizione per impedire che altri ragazzi e ragazze cadessero nella stessa trappola in cui lei era rimasta invischiata qualche anno prima.

E Chiara era fiera di lei.

 

 

Davanti ai cancelli del palazzo, il re di Asgard urlava ordini a destra e a manca ai suoi soldati per organizzare la difesa della città nel caso in cui Phoneus avesse deciso di attaccare nuovamente; in realtà dubitava che ciò sarebbe accaduto: egli aveva Chiara tra le sue disgustose grinfie e di certo non avrebbe perso tempo nel tentativo di riprendersi le marionette che aveva perduto, ma Asgard non era mai stata tanto vulnerabile e le sue stanze nascondevano reliquie e armi che avrebbero potuto far gola a un mostro dello stampo di Phoneus. Loki non poteva permettere che prendesse anche quelle.

Cercava di convincersi che le parole di Jarosit non l’avessero colpito, ma, sebbene esercitare il proprio potere lo facesse sentire più calmo e padrone di se stesso, non riusciva a togliersi dalla mente la macabra immagine di Chiara riversa al suolo, con la gola aperta da un taglio profondo, e Phoneus in preda al riso, intento a leccarsi le dita bagnate del suo sangue.

Al suo fianco la regina degli Elfi Chiari aspettava in silenzio che la sua arciera le facesse segno dal fondo al ponte della buona riuscita della sua ricerca. In faccia, per quanto tentasse di apparire impassibile come la pietra, le si leggeva distintamente la tensione dell’attesa.

Poi accadde: Ahzurit emerse dalla cupola bronzea del Bifrost e agitò il braccio a destra e a sinistra. L’aveva trovata.

-È ora di muoversi- gli disse la donna -Non possiamo perdere altro tempo. Come intendete procedere?

-Fandral! Sif! Volstagg! Hogun!- chiamò il sovrano e in un lampo i guerrieri  gli si affiancarono, pronti a ricevere comandi.

Per gli astri, quando gli piaceva vederli scattare sull’attenti al suo comando!

-Chiara è stata individuata e ora è tempo di andare a regolare un paio di conti con Phoneus: dovremo agire veloci e nel silenzio, voi e Thor terrete impegnati gli uomini di Phoneus, anche qualora si trattassero di bambini. Non voglio altre morti, dovete solo tenerli impegnati il tempo necessario per permettermi di eliminare una volta per tutte quel mostro.

-Non mi escluderete da questa spedizione!- si impose Jarosit, mentre la compagnia iniziava l’attraversata del ponte -Phoneus ha ancora mia figlia e non resterò con le mani in mano!

-E sia- concesse il re di Asgard -L’abilità degli Elfi potrebbe tornarci utile.

Raggiunsero in fretta la fine del ponte e trovarono il varco del Bifrost già pronto per la partenza, indirizzato verso il punto che Ahzurit aveva individuato.

-Padre…- esordì Thor quando vide arrivare il gruppo di guerrieri, ma il sovrano non disse nulla e si affrettò a oltrepassare la soglia del varco.

-Coraggio, Thor- disse Fandral all’amico, rivolgendogli un largo sorriso e dandogli una pacca ben assestata sulla spalla -Andiamo a riprenderci Chiara!

 

 

Il pub dove Chiara e le sue amiche erano solite andare a caccia era un locale famoso per la sua musica e per i cocktail a buon prezzo, sicché ogni venerdì e sabato sera era colmo di ragazzi e ragazze, indigeni e stranieri, pronti a consumare la pista da ballo e a svuotare il portafogli per riempirsi lo stomaco di alcolici.

Le due ragazze trovarono Antonella e Valentina già sedute ad un tavolo, impegnate a sorseggiare dei cocktail di un brillante color arancio.

-Ciao!- le salutò raggiante Valentina -Chiara, hai trovato lavoro come maestra?- domandò poi ridacchiando.

-Molto divertente!- rispose la ragazza, emettendo una risata sarcastica, poi, notando l’abbigliamento di Antonella, aggiunse: -Anto, lasciatelo dire: sei splendida!

La ragazza ridacchiò imbarazzata, stringendosi nell’attillato vestito nero di satin che metteva in risalto le sue forme e rifletteva al contempo le luci al neon del locale, emettendo bagliori multicolori dall’effetto quasi ipnotico.

-Molto bene, ragazze!-  esordì Valentina, mandando i capelli dietro le spalle e estraendo un’agendina rossa dalla borsetta: -Ho fatto una veloce ricerca sui social per assicurarmi di conoscere le nostre prede di stasera e…

-Aspetta un attimo!- la interruppe Antonella -Mi avete portato qui per la questione di Guido?

-Esatto!- rispose Valentina, imitando un famoso conduttore televisivo -Grazie per aver partecipato a questo gioco! Come premio vinci il prossimo drink! Ora, tornando agli affari- riprese seria, sfogliando la sua agendina sotto gli occhi smarriti e ammiranti delle amiche -Ho selezionato tra le varie possibilità quattro candidati: uno studente di legge, uno di medicina, un geologo e un filosofo. Il filosofo, dagli ultimi messaggi che ha lasciato sui social, pare si sia appena lasciato con la fidanzata storica e voglia trovare qualcun’altra con cui discutere di Kant e Hegel; il geologo, invece, è al compleanno di un amico ed è in città solo per stasera, praticamente il tipo da una serata di fuochi artificiali e poi relazione a distanza; l’avvocato è quasi una presenza fissa in questa zona, più adatto ad una relazione stabile, ama il tennis e la musica country, ma pare che abbia una certa predilezione per le donne più vecchie di lui; infine, last but not least, lo studente di medicina è anche un violoncellista, è iscritto al WWF come socio attivo, viene da un’ottima famiglia e ha fama di essere un vero gentleman.

-Io punterei direttamente al medico!- disse Gabriella, bevendo un  sorso di cola da un bicchiere che il barista le aveva appena servito.

-C’è da chiedersi come faccia ad essere ancora single, viste le sue credenziali…- aggiunse Antonella, giocherellando con la cannuccia dentro al suo cocktail.

-Beh, avrai il tempo di chiederglielo tu stessa- disse Valentina indicando la porta del locale con l’indice -Il dottore è appena arrivato e non dubito che voglia conoscere nuove “pazienti”, non so se mi spiego.

Antonella arrossì violentemente, diventando di un vivace color pomodoro, poi, incoraggiata dai sorrisi delle sue amiche, bevve l’ultimo sorso del drink e si diresse verso la sua preda, mentre Chiara, Valentina e Gabriella rimanevano al tavolo in attesa.

-Lasciatelo dire, Vale- esordì Chiara lanciando un’occhiata veloce all’agenda dell’amica -Quando fai così mi metti i brividi!

-Non mi sembra che ti sia lamentata dei miei metodi quando abbiamo trovato Marco- rispose quella, facendo scivolare l’agenda all’interno della sua borsa.

-Dico solo che è piuttosto inquietante che in un solo pomeriggio tu sia riuscita a trovare tutte queste informazioni su dei perfetti sconosciuti.

-Si chiama efficienza, tesoro, e poi sono loro che mettono i fatti loro sui social, a me non resta che leggere uno schermo, ma mi basta dare anche solo un’occhiata in giro per capire chi è appetibile e chi no, per esempio quel tipo in fondo alla sala non ha smesso un attimo di guardarti e ora si sta avvicinando al tavolo.

In meno di un  minuto, Chiara sentì un leggero colpo di tosse alle sue spalle e si trovò un ragazzone con una matassa di capelli castani ricci e gli occhiali da vista a lente rettangolare sugli occhi azzurri: -Ciao, scusa se ti disturbo mentre sei qui con le tue amiche, ma mi stavo chiedendo se avessi voglia di ballare.

-Mi dispiace, caro, ma io non ballo- rispose quella, sforzandosi di apparire gentile e rammaricata, quando, in realtà, avrebbe voluto semplicemente mollare tutti lì dov’erano e tornarsene a casa seduta stante.

-Potrei offrirti da bere, allora- insistette il ragazzo.

-Io ho un’idea migliore: visto che in tutta questa conversazione non mi hai nemmeno chiesto come mi chiamo, IO mi offrirò da bere e tu tornerai da dove sei venuto, possibilmente evitando di infastidire altre ragazze. Cortesemente.

Quello rimase di sasso e, visibilmente irritato, fece dietrofront e ritornò in fondo alla sala senza nemmeno salutare.

-Si può sapere che cosa ti è preso?- domandò sconcertata Valentina, mentre Gabriella se la rideva sotto ai baffi -Ti ha solo chiesto di ballare!

-Tu non conosci la teoria di Chiara sul ballo!- ridacchiò Gabriella -Per lei il ballo una sorta di affermazione di affetto e di completa fiducia.

-Esatto!- rettificò Chiara -Ballare per me è affidarmi a qualcuno completamente, visto che non sono capace di mettere un piede davanti all’altro a ritmo di musica senza sembrare una papera; è lasciare che sia un altro a guidarmi a tempo di una melodia e impedirmi di fare una figuraccia. Potrei anche accettare di ballare con un caro amico, ma addirittura desiderare di ballare con qualcuno… beh, in quel caso, potrei chiederlo solo alla persona che riterrò la più importante della mia vita.

-Allora ballerai solo con tuo nonno!- ridacchiò Gabriella, lanciandole un occhiolino di complicità.

-Che teoria assurda!- sbuffò, invece, Valentina..

-Si chiama “dare valore a qualcosa”, tesoro- rispose inviperita Chiara, che, stufa della piega che il discorso aveva preso, si alzò dal tavolo e, borbottando una scusa, si allontanò dalle amiche per andare al bancone del bar.

Si sedette ad uno sgabello e chiese a Matt, un ragazzo lentigginoso coperto di tatuaggi e piercing e benedetto dal sacro dono di fare dei cocktail da favola, di servirle una birra piccola.

Mentre Matt spillava dal distributore la fresca bevanda al luppolo, Chiara si soffermò a giocare con i sottobicchieri di cartone malamente impilati sul banco.

Sapeva che non sarebbe dovuta uscire di casa quella sera: non era dell’umore giusto per sopportare Valentina mentre faceva l’agente matrimoniale, né tantomeno per filosofeggiare sulla sua idea riguardo al ballo.

Avrebbe voluto essere a casa sua a leggere un buon libro e, magari, approfondire la sua conoscenza della mitologia nordica (aveva ancora in testa qualche breve frammento del sogno di quella notte e desiderava saperne di più riguardo quel mondo così affascinante).

Ad un tratto sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla sinistra e stringerla, mentre una voce diceva: -Comunque sei stata scortese prima, io volevo solo fare la tua conoscenza.

“Di nuovo quel tipo, è esasperante!”

-Senti, bello- esordì Chiara irritata dall’insistenza dell’individuo e, soprattutto, da quel contatto indesiderato e impostole -Se non levi immediatamente quella mano, il mio pugno farà la conoscenza del tuo naso!

-Piccola impertinente!- rise quello, stringendo di più la presa sulla sua spalla, fino a farle quasi male -Mi piacciono da morire le ragazze con il pepe tra le gambe!

Con quella volgare provocazione aveva oltrepassato ogni limite! Chiara stava per fratturargli il setto nasale con le nocche, ma venne anticipata da una piccola testa d’ariete in ottone, che caricò decisa sulla mano del ragazzo.

L’avventore gemette di dolore e di sorpresa e, fuori di sé dalla rabbia, si voltò nella direzione del suo aggressore.

-La signorina non gradisce la tua presenza- disse calmo l’anziano signore con la benda sull’occhio, brandendo il suo bastone da passeggio -Ti suggerirei di non importunarla ulteriormente.

-Razza di vecchio bastardo!- imprecò il ragazzo. Fu come un lampo, Chiara vide le mani del giovane avventarsi sulla giacca dell’uomo, ma quello non si scompose, anzi, afferrò il ragazzo per il colletto e, con la stessa nonchalance con cui avrebbe sollevato un bambolotto di pezza, lo alzò di peso da terra.

Gli occhi del giovane si spalancarono per la sorpresa e la paura, poi, dimenando le gambe nel tentativo di raggiungere il suolo, balbettò pietosamente: -Ok, ok, nonno, scusami! Scusami! Fammi scendere e non mi vedrai più!

Quando l’uomo fu soddisfatto dell’apologia balbettante e patetica dell’individuo, lo depose malamente a terra e lo osservò andarsene quasi strisciando fuori dal locale. Nel suo occhio si percepiva una malcelata soddisfazione.

Chiara, in tutto questo, era rimasta ad osservare la scena a bocca aperta, sconvolta e allo stesso tempo attratta dalla forza e dalla fredda determinazione che si nascondevano dietro quel corpo anziano e apparentemente stanco.

“Doveva essere un militare” pensò tra sé, mentre sorseggiava la sua birra.

-Sono desolato per questo increscioso spettacolo- si scusò l’uomo, sedendosi accanto a lei al bar -Se non altro la prossima volta quel mascalzone ci penserà due volte prima di importunare una fanciulla.

 -La ringrazio- disse Chiara -Ma non era necessario che intervenisse: me la sarei potuta sbrigare benissimo anche da sola.

-Non lo metto in dubbio, ma volevo avere il piacere di insegnare personalmente una lezione a quel mascanzoncello.

-Come crede... Posso offrirle qualcosa?

-Gradirei volentieri della cervogia fresca, grazie molte.

"Della cervogia? Ma da che secolo sbuca fuori questo?"

-Matt- chiamò la ragazza -Dà per favore una bionda al signore e mettila sul mio conto- poi, rivolgendosi di nuovo al suo accompagnatore, chiese -Mi perdoni, ma oggi è già la terza volta che la incontro e dubito che si tratti di una coincidenza: la conosco per caso?

"Brava, Chiara, sii diplomatica!"

-Non di persona- rispose l'uomo -Ma io conosco te e ho bisogno di parlarti urgentemente.

-Prego?- domandò sconcertata.

-Devi svegliarti!- l'uomo la scrutò con il suo cupo occhio azzurro, stringendo saldamente le dita squadrate sulla testa d'ariete.

-Matt, lascia stare la birra- urlò la ragazza al barista -Un'aranciata al signore, che per stasera ha già bevuto abbastanza.

-È una questione di vitale importanza!- insistette l'uomo, battendo con violenza la mano sul banco e facendo sobbalzare Chiara, che si alzò di scatto dallo sgabello e si allontanò di un passo dal vecchio -Devi svegliarti! Quello che vedi non è reale!

-Matt, chiama un taxi al signore, per favore: sta cominciando a delirare.

-Ascoltami, Chiara, devi prestare ascolto! Non è reale!- le gridò il vecchio mentre Chiara si allontanava a grandi passi da lui in direzione delle amiche, interdette da quella scena insolita.

-Chi era quel tipo?- chiese Gabri, quand'ella le ebbe raggiunte al tavolo.

-Non ne ho idea, un ubriaco, probabilmente- rispose Chiara, poi prese il cappotto dalla sedia e se lo infilò.

-Allora come faceva a conoscere il tuo nome?- domandò Valentina, sospettosa.

-Come prima, non ne ho idea. Scusate, ma non posso tollerare un altro minuto qua dentro. Me ne torno a casa.

-Vuoi un passaggio?- il volto di Chiara, per quanto la ragazza cercasse di dimostrarsi calma e tranquilla, rispecchiava anche troppo nitidamente il suo disagio, e Garbiella cominciava a preoccuparsi.

-No, stai tranquilla Gabri- rispose Chiara all'amica, sforzandosi di usare un tono rassicurante -Prenderò un taxi.

Ciò detto, salutò velocemente le amiche e uscì in fretta dal locale, godendosi la frescura della brezza serale.

L'aria frizzante la calmò un poco e, quando si sedette sul sedile posteriore del primo taxi che riuscì a trovare, si convinse che quella brutta esperienza si era definitivamente conclusa.

                                                                                                                                                

Angolo dell’autrice: ¡Hola chicas! Ben ritrovate a tutte quante e un grande, grandissimo abbraccio alle deliziose fanciulle che hanno iniziato a seguire la storia! Siete favolose e spero di ripagare la vostra fiducia con dei bei momenti e una bella storia con cui passare il vostro tempo libero J

Come promesso, sono tornata carica di un glorioso proposito ;) quello di pubblicare un nuovo capitolo XD

Avrei dovuto farlo stasera, ma non riuscivo a studiare nulla con questo pensiero in testa e così ho anticipato un po’ ^-^”

Ad ogni modo, rieccoci qui e la domanda sorge spontanea: che ne pensate del capitolo 25?  ^-^

Ad Asgard ci si prepara ad affrontare la missione di recupero di Chiara, che nel suo mondo fa un incontro piuttosto singolare, che cosa significano quelle parole? E cosa farà ora?

 Lo scoprirete settimana prossima ;) *risata malvagia*

Vorrei portare alla vostra attenzione una bellissima immagine che MARS88 ha realizzato ispirandosi a La sua paura :D questo è il link: http://s7.postimg.org/sqqgu5aez/Your_fear.jpg

I miei più sentiti complimenti vanno a questa cara ragazza per la sua creatività e, con essi, i miei ringraziamenti per aver realizzato una così bella immagine basata sul mio testo!

Tantissimi ringraziamenti vanno anche a tutte le lettrici che continuano a seguire la mia storia e a omaggiarmi delle loro recensioni, che sono sempre fonte di immensa gioia ^-^  

Un abbraccio a tutte quante e alla prossima! J

Lady Realgar

Ps. 5 punti a Serpeverde per il giochino di due capitoli fa, grazie a sefoev che ha indovinato e ha dichiarato la sua casa. Se avete indovinato ma vi siete dimenticati di specificare la vostra casa, siete sempre in tempo per rimediare ;)

Un bacio a tutte

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Capitolo 26
*** Eitur Myri ***


Jarosit aveva ragione: il tempo era un fattore fondamentale e loro non ne avevano da perdere, ma fu quando si ritrovò a viaggiare alla velocità della luce tra gli astri, avvolto dai caldi bagliori del Bifrost, che Loki si rese davvero conto dell'avventatezza del suo gesto. Non era da lui lanciarsi verso l'ignoto in quel modo, ignorando completamente dove stesse andando e senza aver prima pianificato nel dettaglio come agire. Un simile tuffo nel vuoto era più tipico di quello sconsiderato di Thor, a cui piaceva tanto cacciarsi nei guai; persino quando si era lasciato cadere dal Bifrost, anni prima, Loki sapeva dove sarebbe andato a finire e quali rischi avrebbe potuto incontrare. Lui non lasciava mai nulla al caso.

Questa volta, invece, complice la fretta o, forse, anche quella fastidiosa sensazione che gli si era annidata nella bocca del suo stomaco, si era lanciato senza pensarci, senza chiedere dove stesse per andare.

D'altra parte, non ce n'era il tempo.

Si ritrovò, così, immerso una poltiglia fangosa fino alla vita, viscida e fredda, coperta da una fitta coltre di nebbia densa e lattiginosa.

Qualche secondo più tardi, un sonoro splash alle sue spalle gli fece intuire che anche gli alti erano arrivati; -Dove diamine siamo finiti?- imprecò sottovoce Fandral, che era caduto malamente nella torbiera e si era ritrovato interamente coperto di fango.

-Nella regione di Eitur Myri, nello Âlfheimr- disse cupa Jarosit, mentre al suo fianco Ahzurit si copriva la bocca con la mano.

-Mi state dicendo che avete avuto Phoneus sotto al naso per tutto questo tempo?- domandò basito Thor: aveva sempre creduto che gli Elfi Chiari fossero delle invincibili macchine da guerra, letali e infallibili, dotati di sensi acutissimi che gli permettevano di individuare qualunque nemico e ora veniva a sapere che Phoneus era sempre stato nel loro regno senza che nessuno se ne accorgesse.

-Agli Elfi non è concesso stare ad Eitur Myri!- tossì rabbiosa Ahzurit, strappandosi un lembo di veste e porgendolo alla sua sovrana, che se lo legò intorno al volto per coprire il naso e la bocca; l'arciera fece poi altrettanto con un altro pezzo di abito.

-Ma certo...- sussurrò il re di Asgard, dando voce ai suoi pensieri -Quale luogo migliore per nascondersi se non proprio dove è impossibile per i nemici accedere?

-Perché non potete venire qui?- chiese Sif alle due elfe, estraendo la spada dal fodero e puntandola verso la nebbia.

-Perché per gli elfi- rispose il re ad alta voce -L'acqua di questo luogo è tossica, di conseguenza anche la nebbia che stiamo respirando ora. Li indebolisce e attenua i loro sensi. Se ne assumono grandi quantità essa può provocare persino...

-La morte- concluse funerea Jarosit -Dobbiamo sbrigarci a trovare Phoneus, se nasconde qui anche i bambini...

Non riuscì a concludere la frase, interrotta da un singhiozzo di pianto che cercò con tutte le sue forze si sopprimere: sua figlia era stata la prima a sparire, se Phoneus l'avesse trattenuta ad Eitur Myri per tutto quel tempo, forse per la piccola Orpimen non ci sarebbe stato più nulla da fare.

-Arciera- chiamò il sovrano di Asgard -Prima che tu perda i sensi, sei in grado di percepire la presenza di Chiara?

-La frequenza è debole- rispose la donna, avanzando di qualche passo nel fango -Ma sembra provenire da quella direzione.

Così Ahzurit li anticipò nella marcia esasperatamente lenta e faticosa in mezzo alla palude: il fango era denso e appiccicoso, si attaccava ai vestiti e alle armature, appesantendoli e rendendo i movimenti difficoltosi e macchinosi.

Pur non subendo l'azione venefica della nebbia, l'aria calda e umida penetrava pesante nella bocca e nei polmoni dei guerrieri asgardiani, intorpidendo le loro menti e offuscandone la vista.

Phoneus sapeva dove nascondersi, non vi era alcun dubbio a riguardo, ma Loki, dopo circa mezzora di cammino, era ancora lucido, al contrario della maggior parte dei suoi compagni; lui, in fondo, era uno Jotun, il che lo rendeva particolarmente tenace e coriaceo.

Ahzurit, invece, sembrava subire l'effetto della nebbia più di chiunque altro; era determinata e impavida e una grande forza d'animo pulsava dentro di lei, ma le ginocchia le tremavano visibilmente e ogni passo era più corto e lento del precedente.

Fandral, prontamente, le si affiancò e la sorresse un momento prima che cadesse nel fango completamente priva di forze: -Te la senti di continuare?- le chiese preoccupato.

-Sono il primo arciere di Jarosit la Fiera- rispose quella, sforzandosi di proseguire con le proprie forze -Devo avanzare con la mia regina!

Spronata dalle sue stesse parole, Ahzurit si lanciò in avanti, decisa a non arrendersi, ma le gambe non ressero il suo peso e cadde nel fango.

-Mi dispiace- singhiozzò affranta l'arciera alla propria regina -Mi dispiace, Maestà, di non essere abbastanza forte da servirvi degnamente.

-Mia cara- le disse la donna con dolcezza, mentre l'aiutava ad alzarsi -Non vi è nessuno in tutta Âlfheimr che abbia dimostrato il tuo coraggio e la tua determinazione, non vergognarti di una debolezza che non ti appartiene.

-Volstagg!- tuonò il sovrano, interrompendo quello che per lui era null'altro che un fastidioso e patetico teatrino -Prendi in spalla l'arciera e proseguiamo. Questa maledetta palude non può durare per sempre!

Il corpulento guerriero fulvo, con una delicatezza inaspettata per la sua stazza, obbedì all'ordine, caricando l'esile corpo della fanciulla âlfheimreniana sulle proprie spalle, e il gruppo proseguì l'avanzata, finché, finalmente, non sentirono il terreno sotto i piedi salire, dapprima leggermente e in maniera appena percettibile, poi sempre più nitidamente, ritrovandosi a scalare un vero e proprio altopiano.

Mentre camminava, la fronte del Dio del Tuono era imperlata di sudore e la benda sul braccio, volutamente nascosto sotto al mantello, era impregnata di sangue; il principe si affrettò a detergersi la fronte con il dorso della mano non appena vide il padre avvicinarsi a lui.

-Mi hai disobbedito- esordì il re di Asgard -Non ti sei fatto visitare da nessun Guaritore, non è vero?

-È così, Padre- rispose il principe.

-Non ti ho forse insegnato l’obbedienza e la prudenza?

-Non ho dimenticato i vostri insegnamenti- disse Thor, cercando di reprimere l’affanno del suo respiro -Ma per questa volta ho preferito lasciarli da parte.

-Solo questa volta?- i due uomini ridacchiarono: conoscevano benissimo entrambi la naturale propensione del principe a ignorare gli ordini, anche quelli dettati dal buon senso.

-Posso farcela- riprese Thor -È solo un graffio.

-Cerca di non strafare: siamo venuti per salvare Chiara, non mettermi nella condizione di dover salvare anche te.

Man mano che ascendevano lungo il versante dell'altura, la nebbia intorno a loro si faceva sempre più rada e l'aria più pulita e fresca.

Fu un sollievo per tutti, in particolare per Jarosit, la cui fronte era imperlata di grosse gocce di sudore freddo e le squame del viso si erano fatte di un pallido verde oliva. Nemmeno la regina degli Elfi Chiari poteva tollerare una passeggiata ad Eitur Myri.

La pendenza tornò a diminuire e in breve la compagnia si ritrovò sulla cima dell'altopiano, dove, immersi nella leggera foschia, si ergevano i ruderi di un'antica costruzione di pietra, il cui stile architettonico elaborato, per quello che si riusciva a percepire da quei resti, permetteva di attribuirne la paternità agli elfi.

-Come fa ad esserci traccia di una civiltà elfica se qui per voi anche la nebbia è veleno?- chiese Sif, esaminando le decorazioni cosmatesche su quelle vecchie pietre macchiate di muschio.

-I paesaggi cambiano con il tempo- rispose la regina degli Elfi Chiari, mentre accarezzava malinconica la fredda superficie lapidea di un arco spezzato a metà -I fiumi si prosciugano, i monti si consumano e il terreno diventa sterile; tutto con il trascorrere delle ere conosce il mutamento, ma qui non fu il susseguirsi inesorabile degli attimi a cambiare un ridente e fertile territorio in questa palude venefica e desolata. Fu il veleno di Jordmungand1, prima che venisse catturato e recluso nelle profondità del mare, a infettare la terra. Avvenne quando i Nove Regni erano poco più che neonati tra le fronde di Yggdrasil e quella creatura immonda era stata appena generata, ma già bramava spandere il proprio veleno sulle terre rigogliose. Il suo strisciare lo condusse ad Âlfheimr, dove trovò la prima grande città che gli Elfi Chiari ebbero mai costruito e l’attaccò; come sapete, venne sconfitto a fatica e catturato, ma quello schifoso serpente fece in tempo a spruzzare le sue bave disgustose nel fiume, trasformandolo in … beh, questo- disse la donna, allargando le braccia verso la palude -Da allora noi elfi non abitiamo più questa zona, proprio per via dell’acutezza dei nostri sensi: sono passati milioni di anni da quando Jordmungand trascinò il suo ventre viscido sui prati di Eitur Myri, ma ancora la traccia del suo veleno per noi è letale.

-Gran bel posto per nascondersi- commentò Fandral, colpendo con il piede un frammento di colonna -Ma qui ci sono solo ruderi: dove potrebbe tenere Phoneus tutta la gente che ha avvelenato?

-Potrebbero essere ovunque...- rispose pensierosa la regina di Âlfheimr -Eitur Myri è una regione piuttosto vasta...

-A voi non sembra strano- la interruppe Hogun, intento a scrutare il paesaggio su cui stava tornando a salire la nebbia -Che da quando siamo arrivati non abbiamo ancora incontrato anima viva? È come se stessero aspettando il momento giusto per tenderci un'...

-IMBOSCATA!- urlò Vostagg, evitando per un pelo una freccia, che si conficcò a gran velocità nel terreno accanto ai suoi piedi.

In un battito di ciglia l'altopiano iniziò a brulicare di guerrieri di tutte le razze, che apparivano dalla nebbia come cupi fantasmi, muovendosi pesantemente e imbracciando lame dai bagliori minacciosi alla flebile luce del sole di Eitur Myri.

Prontamente i Guerrieri si misero in posizione da combattimento, formando un cerchio intorno ad Ahzurit, ancora indebolita e priva di sensi, Jarosit sfoderò la sua fedele scimitarra e Sif le si affiancò.

-Thor- ordinò il sovrano al principe -Fa' roteare il tuo martello e rimanda questa disgustosa nebbia giù dall'altopiano!

Il Dio del Tuono eseguì l'ordine e un forte vento si abbatté sugli assalitori, rallentandone l'avanzata e deviandone le frecce; approfittando del vantaggio, le due donne partirono alla carica e, con elegante e feroce maestria, iniziarono a fendere colpi precisi sulle nuche degli avversari, che, uno dopo l'altro, iniziarono a cadere privi di sensi.

In risposta, un'orda di nani, completamente ricoperti di ferro dalla testa ai piedi, corse all'assalto brandendo grosse spade a due mani e asce bipenni, scuotendo la terra come un terremoto tanto era il loro peso.

Le loro armature erano così spesse e robuste che nemmeno i colpi poderosi della mazza di Volstagg sembravano riuscire minimamente a scalfirle, sicché le uniche armi che i guerrieri asgardiani avevano a loro disposizione erano la velocità e l'agilità nell'evitare i loro colpi, ma Volstagg, che tra tutti era il più grosso e lento, se la vide brutta quando un soldato nanico si avventò su di lui.

Per fortuna del guerriero fulvo, Ahzurit, grazie al cambio d'aria dato del movimento di Mjolnir, aveva cominciato a riprendersi ed era riuscita a scoccare una freccia nell'unica feritoia dell'armatura del nano, appena un attimo prima che quello vibrasse il colpo.

La battaglia infuriava sull'altopiano, mettendo a dura prova la compagnia, ma la mente del Dio degli Inganni era altrove: sebbene il suo corpo danzasse sul suolo umido, evitando il ferro delle lami nemiche e sferrando colpi perfettamente calibrati con Gungnir, la sua mente e la sua attenzione erano tutte concentrate nella ricerca dell'umana.

Cercava tra i ruderi un segno di lei, del suo passaggio, come un lupo annusa nel terreno le tracce del piccolo coniglio in fuga, ma nulla lì attorno sembrava aver mai conosciuto la presenza di Chiara; poi nella nebbia, veloce come un lampo, vide il volto di Phoneus sorridergli e svanire dietro i resti di un torrione di vedetta.

Era una sfida? Un'ulteriore trappola? O forse solo il frutto della sua immaginazione?

Colpì al capo un Vanir, lasciandolo tramortito al suolo, e accorse in direzione del torrione; dove aveva visto Phoneus svanire, tra le pietre dell'edificio, vi era un'apertura nel terreno, che conduceva con scale di granito verso il cuore dell'altura.

Lanciò una veloce occhiata ai suoi compagni e capì: Phoneus voleva che scendesse là sotto da solo e l'imboscata era stata tesa solo per tenere impegnati gli altri guerrieri.

Quello era un vero e proprio invito e di certo Loki non avrebbe fatto aspettare Phoneus, dato che si dimostrava così desideroso di accogliere la sua lancia nel petto.

Strinse Gungnir nella mano e scese, cauto e in allerta, gli stretti gradini di pietra, addentrandosi lentamente nell'oscurità del tunnel sotterraneo.

Quando intorno a sé vide solo il buio e i rumori della battaglia giunsero attenuati alle sue orecchie, Loki fece comparire dal palmo della mano una fiamma verde, che con la sua luce rivelò al dio l'ambiente circostante: il lungo tunnel, dapprima stretto e angusto, si apriva ampio di fornite a lui, rivelando un'anticamera, le cui pareti erano tappezzate da strani globi ingrigiti e polverosi.

Ad uno sguardo più attento, quei globi si rivelarono essere teschi, centinaia di crani perfettamente ordinati e accumulati sulle pareti fino a toccare il soffitto; la luce della fiamma creava macabri giochi di ombre sulla superficie delle ossa, mostrando al dio che ognuno di quei teschi presentava una grossa frattura sulla parete frontale.

"Giustiziati" pensò Loki mentre attraversava l'anticamera: per gli elfi, aveva letto una volta, l'anima risiedeva nella testa, perciò colpire al capo un âlfheimreniano equivaleva a sottrargliela nella maniera più diretta e brutale; tutti i teschi presenti nella stanza presentavano la stessa ferita, il che faceva supporre che fosse stata inflitta in maniera metodica. Quella in cui il dio stava camminando non poteva essere altro che una tomba di condannati a morte, un luogo in cui Phoneus poteva sentirsi del tutto a proprio agio.

In fondo all'anticamera, un architrave segnava il passaggio ad un nuovo corridoio e lì trovò una bambina elfica ad attenderlo; era minuta e vestita di un pregiato abito di seta e fili d'oro, dell'identico colore dei suoi grandi occhi persi nel vuoto.

-Scommetto che tu sei Orpimen...- disse il dio alla bambina -Tua madre è di sopra che ti aspetta, dovresti raggiungerla.

-Il mio signore mi ha chiesto di accompagnarti da lui- rispose la principessina elfica con voce atona.

-Ma davvero? Allora guidami!

 

 

L’alba del sabato giunse presto a splendere sulle colline senesi, destando Chiara da un sonno agitato: le parole di quello strano vecchio incontrato al pub avevano continuato a rimbombarle nella testa per tutta la notte, provocandole incubi in cui una creatura dalla pelle blu e gli occhi rossi cercava di prenderla per mano.

Si alzò svogliatamente dal letto e, pur scoprendo dalla sveglia che era ancora molto presto, decise comunque di scendere in cucina e iniziare a preparare la colazione.

Dalla finestra della sala da pranzo giungevano i primi tiepidi raggi dell'alba e, mentre avvitava la caffettiera e metteva il pane a tostare, la ragazza sentì addirittura un tordo cantare in lode al nuovo giorno.

Prese le posate dalla cassettiera a fianco del lavello e le pose ordinatamente sul tavolo, ma, quando si avvicinò alla vetrinetta per prendere le tazze e vide il proprio riflesso, percepì di nuovo quella triste sensazione di incompletezza in quell'immagine sfocata e sbiadita.

Vedeva il suo volto, ma era come se non fosse abbastanza, come se fosse solo la metà di qualcosa che non riusciva a comprendere. Cos'altro avrebbe dovuto mostrarle quel vetro smerigliato?

Un sottile puzzo di bruciato le fece capire di essersi persa nel proprio riflesso per troppo tempo e accorse al tostapane nel tentativo di salvare le povere fette di pane dal rogo, ma inutilmente: quello che estrasse dalla macchina non fu altro che due pezzi di carbone fumanti.

-Maledizione- imprecò sottovoce, buttando i pezzi di pane bruciati e sostituendoli con due nuovi.

-Buongiorno anche a te, mia cara!- ridacchiò suo nonno dietro di lei, mentre si accomodava al tavolo.

-Ciao nonno!- lo salutò raggiante Chiara, porgendogli una tazza di caffellatte e stampandogli un sonoro e affettuoso bacio sulla guancia fresca di rasatura.

Il profumo familiare del suo dopobarba dissipò in Chiara ogni tristezza e, allegra come al solito, la ragazza iniziò a imburrare il pane, questa volta opportunamente estratto dal tostapane e perfettamente dorato, e a chiacchierare, mentre l'anziano uomo beveva la sua bevanda calda.

-Ti è mai capitato di non sentirti a tuo agio in un posto? Voglio dire, tu sai che è dove vorresti trovati, ma è come se ci fosse qualcosa di sbagliato... come se in realtà non dovessi affatto essere lì, ma da tutt'altra parte...- chiese ad un tratto la ragazza, dando finalmente voce alle preoccupazioni che l'avevano assillata nella notte.

-Mia cara- rispose l'uomo, poggiando la tazza sul piattino -Non dovresti fare così tardi la sera: ti mette in testa idee strane. Dove altro dovresti essere? Sei a casa tua, con i tuoi parenti! Non è quello che volevi?

-Quello che volevo?- domandò confusa la ragazza, ma l'uomo non sentì la sua domanda, perché proprio in quel momento la cucina si riempì degli altri membri della famiglia, che iniziarono a parlare e ad armeggiare con tazze e bicchieri, facendo un chiasso assordante.

Infastidita da quel rumore, Chiara si affrettò a finire la colazione e, dopo aver salutato la sua famiglia, corse di nuovo nella sua stanza a prepararsi: il sole mattutino prometteva una splendida giornata e lei di certo non sarebbe rimasta in casa a fare la muffa.

Era il tempo ideale per andare a fare un giro in centro!

Di lì a pochi minuti la ragazza si ritrovò nella propria automobile, fischiettando sulle note di una famosa canzone che la radio stava passando; il segnale era tornato perfettamente funzionante e a quell'ora le strade erano quasi del tutto sgombre dal traffico, perciò la ragazza raggiunse il centro con calma e parcheggiò l'auto senza alcuna difficoltà.

Finalmente qualcosa stava andando per il verso giusto!

Era tutto così tranquillo quella mattina e, mentre passeggiava per le strette strade medievali del centro storico, Chiara si soffermò ad ammirare quel pezzetto di storia preservato quasi perfettamente intatto dal trascorrere inesorabile e crudele del tempo; quelle pietre avevano visto il succedersi delle generazioni e lo svolgersi degli eventi, rimanendo sempre al loro posto, pronte a raccontare la loro storia a chiunque avesse avuto voglia di ascoltarla.

Accarezzò delicatamente una di quelle rocce e pensò che proprio in quel punto, qualche secolo prima, un'altra persona vi aveva probabilmente appoggiato la mano; chissà che cosa aveva fatto nella sua vita quell'uomo o quella donna con cui ora Chiara stava condividendo la sensazione fredda e dura della roccia sotto ai polpastrelli?

Immersa in quei pensieri, la ragazza continuò a camminare finché non raggiunse Piazza del Campo e poté ammirare il cielo limpido sulla Torre del Mangia. Nell'aria vi era un invitante odore di caffè e così, attratta da quel profumino delizioso, acquistò al primo bar una tazza di cappuccino fumante d'asporto e si mise a sorseggiarlo placidamente accanto alla Fonte Gaia, dilettandosi ad osservare lo zampillare e lo scintillare dell'acqua nella sua culla di marmo.

Dopo gli ultimi eventi della serata, un momento di placida tranquillità come quello era l'ideale, ma aveva esultato troppo presto perché ad un tratto, alle sue spalle, sentì una voce familiare dire: -Mi dispiace di averti spaventata, ma purtroppo la situazione in cui ci troviamo è spaventosa e l'unica che può fare qualcosa sei tu.

Chiara si voltò in un sobbalzo e di fronte a lei trovò, come temeva, proprio lo stesso uomo della sera precedente, calmo e distinto nel suo completo grigio perla e il bastone da passeggio stretto nella mano; ebbe un brivido di paura: perché continuava a tormentarla?

-Che cosa vuoi da me?- chiese esasperata, cercando di imporsi la calma -Lasciami stare o chiamo la polizia!

-Chiara, ascoltami- insistette l'uomo, avvicinandosi di un passo -Devi darmi ascolto! Sei la sola che può salvare i Nove Regni! Devi riuscire ad opporti a Phoneus!

-Smettila! Smettila!- urlò la ragazza -Lasciami in pace, maledetto pazzo!

-Devi ribellarti- proseguì calmo l'uomo, mantenendo la sua nobile freddezza nonostante la reazione di Chiara -Loki non può vincere da solo Phoneus, se non ti sveglierai lui perirà.

 

Note:

1Serpente marino, figlio di Loki e della gigantessa Angrboða (ovviamente, ai fini della trama, non viene presentato come prole del Dio degli Inganni) fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Mi%C3%B0gar%C3%B0sormr

Angolo dell’autrice: salve a tutte e ben trovate! ^-^ permettetemi di ringraziare affettuosamente la nuova lettrice che ha aggiunto la storia tra le preferite :D

Dunque, eccoci qui alla fine del capitolo 26, vi è piaciuto? Spero tanto di sì! ^-^ Phoneus non è certo uno stupido e si è cercato proprio un bel posto per rintanarsi, che ne dite?

Ora il suo intento è quello di affrontare Loki faccia a faccia, se la caverà il nostro bel tenebroso contro quel mostro?

E che accadrà a Chiara? Riuscirà a svegliarsi?

Spero di avervi messo addosso un po’ di curiosità e che vorrete condividere con me la vostra opinione su questo capitolo :)

Giunge tosto il tempo di parlar di date: se ne avessi modo, non farei altro che scrivere, ma, ahimè, si avvicinano le settimane nere degli esami e devo impormi di dedicarmi unicamente allo studio, perciò ho stilato un piccolo programma per le prossime settimane riguardo alla pubblicazione dei prossimi capitoli.

Capitolo 27: 1.05.15  Capitolo 28: 8.05.15  (Settimane d’esami) Capitolo 29: 30.05.15 Capitolo 30: 6.06.15

Lo so, tra il capitolo 28 e il 29 passeranno ben tre settimane e, credetemi, mi dispiace un sacco, ma purtroppo non posso fare diversamente. Cercherò di attenermi il più possibile a queste date, ma se ci saranno cambi di programma ve lo farò sapere.

Spero che, al momento della pubblicazione del capitolo 29, riterrete l’attesa ripagata.

Grazie per la comprensione :) vi mando un abbraccio!

Alla prossima!

Lady Realgar

Ps. Un particolare ringraziamento va a Ragdoll_Cat per aver candidato la storia tra le scelte! Grazie davvero con tutto il cuore per questa fantastica sorpresa! ^-^

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Capitolo 27
*** Old friends ***


La camminata attraverso le catacombe si stava facendo più lunga del previsto: la principessa lo stava guidando in un intricato labirinto di camere mortuarie e corridoi infestati dai ratti, che tra le ossa avevano trovato il luogo ideale per fare la loro tana.

Quello che però più di tutto teneva in allerta il dio, i cui sensi continuavano a cercare furiosamente una traccia della terrestre, era quell'oscurità impenetrabile: come aveva già potuto constatare dai precedenti attacchi ad Asgard e ad Eitur Myri, Phoneus amava agire nell'ombra, cercando campi di battaglia in cui il nemico avesse difficoltà a trovarlo e possibilmente facendolo combattere contro consanguinei o guerrieri formidabili precedentemente soggiogati.

Aveva fatto presto Phoneus ad acquisire la forza necessaria per sottomettere persino i nani e, Loki ne era sicuro, quegli assalti tra le tribù barbare del Vanaheim erano serviti proprio a quello scopo, a testare il controllo che quel mostro poteva esercitare su delle creature adulte.

Eppure, si chiedeva il Dio degli Inganni mentre attraversava l'ennesima stanza puzzolente di muffa e polvere, perché un essere cosi potente, avvolto da una simile aura di terrore guadagnata nei secoli, avesse bisogno di infestare i corpi e piegare le menti di altri individui per combattere? Perché un simile mostro agiva solo se poteva nascondersi agli occhi del nemico?

Stufo di camminare al buio e con la sgradevole sensazione di essere osservato, il dio creò numerose altre fiamme magiche, illuminando a giorno l'ambiente intorno a sé. Dapprima pensò che quel lento movimento nel buio fosse dovuto a bizzarri giochi di luce sulle pareti scabrose della stanza, ma quando le fiamme iniziarono a risplendere fulgide attorno a sé vide chiaramente decine di bambini elfici, barbari, nanici e Vanir, alcuni anche piuttosto piccoli, sdraiati nella polvere e nel sudicio; alcuni dormivano, altri, invece, lo osservavano con occhi vuoti, al pari di tanti animali tenuti in cattività.

"Ecco la corte di Phoneus" pensò amaro Loki osservando quello spettacolo impietoso; quella creatura lo disgustava: lui in prima persona sapeva cosa significava strappare la vita ad un uomo, diffondere il terrore su una terra e creare il panico, ma i bambini... loro erano intoccabili e Phoneus, prendendosi anche loro, aveva oltrepassato ogni limite.

"Da quando mi faccio scrupoli di questo genere?" si chiese Loki.

Un sogghigno gli sfuggì dalle labbra sottili: forse aveva passato troppo tempo a indagare nella mente di quella sciocca ragazza e aveva preso da lei più di quanto avesse voluto, così come Chiara, in qualche modo, aveva avuto da lui più di quanto avesse potuto immaginare.

Giocare con la mente degli altri era un’operazione rischiosa; deviarla, soggiogarla, condurla a proprio piacere con l'uso delle parole per Loki era diventato col tempo un'arte (in cui lui, ovviamente, eccelleva), ma entrarvi era tutta un'altra storia, perché per quanto si possa cercare di non rimanere coinvolti, il punto di non ritorno è facile da oltrepassare e, allora, si rischia di non riuscire più ad uscirne.

Loki aveva trascorso le ultime due lune a cercare, scavare e indagare in quei pensieri così estranei ai suoi, condividendo con lei e in lei ogni esperienza che la ragazza aveva vissuto, anche a costo di lasciare aperte delle porte, da cui la fanciulla avrebbe potuto  facilmente sbirciare. E così era stato.

Le stava dando di nuovo troppa importanza: gli umani erano creature fragili, era nella loro natura essere facilmente suggestionabili e influenzabili e quella ragazza non era certo diversa da qualunque altro ottuso e debole midgardiano. Lei era nata per essere governata, come tutti gli altri, e la sua misera volontà non avrebbe mai potuto opporsi alla forza dell'animo e della mente di un dio.

Lei aveva subito e assorbito l'ira di Loki, facendola propria nei momenti di difficoltà, ma lui era forte, lui era migliore e non avrebbe mai potuto essere influenzato da una mente tanto fragile.

Ma quanto quella ragazza era simile a tutte le altre creature che popolavano Midgard? Per quanto Loki cercasse di negarlo, era rimasto colpito dal modo di agire della terrestre: ella, infatti, non lo aveva mai respinto.

Sia conoscendolo come la sua paura, sia come il Dio degli Inganni, sia come Jotun, Chiara non aveva mai cercato di allontanarlo, ma al contrario, lo aveva accettato arrivando al punto di salvargli la vita.

Ma alla fine cosa importava? Lei era come tutti gli altri e quando avrebbe compreso davvero chi lui fosse e cosa avesse fatto su Midgard, avrebbe visto un mostro. Esattamente come tutti gli altri.

Ora lui camminava in quelle catacombe solo per pagare il suo debito, salvare la vita a chi gli aveva donato una parte della propria, e poi sarebbe tornato tutto come prima.

Poi sarebbe tornato a regnare su Asgard, come era sempre stato suo diritto.

Immerso in quei pensieri, Loki non si era accorto che Orpimen si era arrestata e lo stava fissando con i suoi grandi occhi dorati.

-Dov'è Phoneus?- chiese impaziente il dio alla bambina.

-Devi prima pagare- rispose quella, completamente assorta.

"Pagare?"

-Spiegati mocciosa!- ordinò imperioso, presagendo già quello che lo aspettava.

-Sangue- disse la piccola principessina elfica, indicando con il dito sottile uno spunzone acuminato della roccia.

Loki osservò la cuspide di quella roccia sporgente, affilata come la punta di una freccia, e la sfiorò appena con il dito; percepì una potente forza magica e allora capì qual era il gioco di Phoneus: chiunque quel mostro credesse che lui fosse, lo temeva, soprattutto dopo essere sopravvissuto al veleno di Âlfheimr, e, prima di incontrarlo, voleva assicurarsi che fosse indebolito abbastanza da non risultare una minaccia. Chissà quale veleno o maledizione avrebbe colpito chiunque si fosse ferito con quella pietra?

Se non avesse attaccato Asgard, quella creatura astuta avrebbe potuto addirittura piacergli! Se non avesse coinvolto anche Chiara...

Loki allontanò la mano e meditò su come agire; in un primo momento pensò di lasciare che fosse la mocciosetta elfica a pungersi con quella roccia, ma scartò subito l'idea: non si sarebbe abbassato al livello di quel mostro.

Estrasse, così, un pugnale dall'armatura e ne fece scorrere la lama sul palmo della mano in un unico, preciso e rapido gesto. Fu un taglio netto e pulito, ma d'altronde nessuno sapeva maneggiare i coltelli come lui.

Non appena dalla ferita cominciò ad uscire un sottile, ma deciso fiotto di sangue, allungò la mano sulla pietra e lasciò che il liquido ne bagnasse la superficie, finché non ne fu coperta; allora, nel crepitio delle rocce che sfregavano le une contro le altre, l'intera parete si ritirò e svanì nel nulla, mostrando un'enorme sala illuminata dal fuoco di numerose fiaccole, che si alternavano ai loculi scavati nelle pareti.

In fondo alla sala, intento ad osservare l'interno di una vasca di pietra, la figura scura di Phoneus gli dava le spalle, frustando l'aria con la coda.

-Finalmente sei arrivato, vecchio amico- sibilò la creatura attraverso le zanne -Cominciavo a diventare impaziente. Dimmi, ti è piaciuto il mio regalo per la Festa d’Estate?

"Mi crede Odino, lo stolto"

-Come osi chiamarmi ancora amico dopo quello che hai fatto e me e al mio regno?- domandò Loki.

-Non sei cambiato per niente, figlio di Börr- continuò Phoneus, ignorando la sua domanda -Sempre così orgoglioso e pieno di te, ma anche così stupido. Dimmi, Odino, credevi davvero che non avrei riconosciuto la tua voce? Che non avrei cercato la ragazza dopo che me l'avevi sottratta con il tuo ridicolo trucchetto di magia?

Si voltò ad a osservare in volto il suo interlocutore, gli occhi che lampeggiavano di folle odio.

-Solo questo mi chiedo: se avevi percepito la mia presenza, perché non sei venuto a cercarmi subito? Perché rubarmi il mio giocattolo e nasconderlo ad Asgard per tutto questo tempo? La vecchiaia ti ha forse reso folle? O sei così sicuro della tua misera forza da credere davvero di potermi sconfiggere stavolta?

Di cosa stava parlando Phoneus? A quale trucchetto si riferiva? Quale voce?

Doveva saperne di più, così il Dio degli Inganni decise di rimanere coerente con il suo titolo e di continuare a rivestire, da eccelso attore quale era, il ruolo del Padre di Tutti: -Avevo compreso le tue trame, Phoneus, ma ho atteso prima di agire, ti ho lasciato il tempo di riflettere su quello che stavi per fare e, in nome di quella vecchia amicizia che tu stesso hai declamato poc’anzi, ti ho concesso l’opportunità di arrenderti. Non è un privilegio che molti possono vantare di aver ricevuto.

Dalle fauci di Phoneus scivolò un sibilo, qualcosa che avrebbe dovuto essere una risata, ma che suonava ben più minaccioso: -Un privilegio, tu dici? Ma quale onore, nobile Odino, essere un tuo privilegiato, esattamente come quando eravamo giovani: il benedetto da Odino, mi chiamavano. Lo sapervi questo? Come se avessi avuto bisogno della tua benedizione per essere qualcosa di grande. Ebbene, vecchio pazzo, guarda cosa ha portato la tua benedizione.

Ciò detto, Phoneus indicò l’interno di quella strana vasca di pietra, i cui lati erano stati scolpiti per raffigurare a bassorilievo una danza macabra, e Loki, guardingo, si avvicinò per osservarne il contenuto: dentro un liquido giallastro era immersa Chiara, gli occhi chiusi e la bocca semi aperta. Spaventosamente immobile.

Per un attimo il dio trattenne il respiro e spalancò gli occhi, incredulo: era forse morta? Eppure un legame tra loro c’era ancora, avrebbe dovuto accorgersene… ma se non fosse stato cosi?

Allungò la mano, intenzionato a toccarle la giugulare e scoprire se in lei vi era ancora vita, ma gli artigli di Phoneus si frapposero tra lui e la ragazza: -Non puoi toccarla- disse la creatura, un ghigno sghembo disegnato sul volto.

-Tu l’hai uccisa…- sibilò rabbioso il dio, stringendo le dita lungo il fusto di Gungnir fino a farle sbiancare.

-Non sono stato io- ridacchiò Phoneus, divertito dalla rabbia del’anziano sovrano -È stata lei.

-Cosa vuoi dire?- abbaiò Loki, nella cui voce sfociava tutta la furia che gli stava crescendo in petto.

-Si è tagliata di proposito con una lama elfica- rispose calmo il mostro, godendosi voluttuosamente la vista del volto dell’uomo sbiancare quando si accorse del piccolo taglio che si intravedeva sulla coscia di Chiara, poco sotto a uno strappo dei suoi jeans.

-Sperava che il veleno sarebbe stato più veloce di me- continuò quello, lanciando ogni singola parola come un coltello nelle carni del dio -Ma non mi sarebbe servita a nulla da morta, così ho adoperato le acque di Eitur Myri per posticipare il suo trapasso. È affascinante, non è vero? Il veleno di Jordmungand che contrasta quello di Âlfheimr; riesci a cogliere l’ironia che il destino si diverte a creare tra le sue creature? Ora nel collo di questa stupida ragazza c’è un uovo che porta non solo la mia natura, ma anche la sua e, quando si schiuderà avrà quella forza che prima si opponeva al mio controllo. Sarà invincibile e totalmente al mio comando. Âlfheimr sarà la prima a cadere, poi toccherà ad Asgard.

Le parole di Phoneus a mala pena raggiunsero le orecchie di Loki, la cui mente correva all’impazzata, mentre i suoi pensieri si susseguivano veloci, intenti ad analizzare la situazione: il veleno di Jordmungand agiva sul sistema circolatorio, atrofizzando le arterie e riducendo il battito cardiaco, e sul sistema nervoso, bloccando la comunicazione tra i nervi; Chiara ne era immersa, il che significava che tutto il suo metabolismo stava rallentando, aumentando i tempi d’effetto del veleno elfico,  ma non stava vivendo, stava solo morendo più lentamente: se fosse rimasta dentro a quel liquido giallo, sarebbe stata uccisa da un infarto, se fosse uscita, sarebbe morta per effetto del veleno di Âlfheimr.

Non si sarebbe salvata in ogni caso, l’unica variabile era: quando.

-Tu, mostro- la voce fremeva folle dalla rabbia che gli scorreva come ferro fuso nelle vene -Non avresti mai dovuto uscire dall’oscurità in cui ti eri nascosto. Avresti potuto continuare a vivere da larva quale sei, ora hai varcato l’ingresso della tua sorte e, quindi, guarda in faccia l’uomo che ti ucciderà.

Ciò detto batté Gungnir al suolo e riacquisì le sue sembianze.

-E adesso- riprese Loki, puntando la lancia alla gola di Phoneus, visibilmente sorpreso -Inchinati a Loki, Dio degli Inganni e legittimo re di Asgard.

 

 

“Loki”

Fu solo quando lo strano vecchio ebbe pronunciato quel nome che Chiara smise di urlare e di agitarsi: quelle quattro lettere erano state in grado di attirare completamente la sua attenzione e convincerla, almeno in parte, che quell’uomo, per quanto assurda fosse tutta quella storia, non parlasse in preda alla demenza.

-Chi è Loki?- domandò la ragazza.

-Mio figlio- rispose l’uomo, avvicinandosi a lei -E, ti prego, aiutami a salvarlo.

L’espressione sul volto del vecchio si era fatta dolorosa e affranta, disegnandogli nuove rughe che lo facevano apparire ancora più anziano e, anche se Chiara sapeva che non lo fosse affatto, debole. Era il volto di un padre disperato e avrebbe voluto aiutarlo, ma come poteva fidarsi di lui?

-Come faccio a sapere che non stai mentendo?

-Perché tu l’hai visto- rispose il vecchio, un leggero sorriso gli incurvava le labbra sottili -Nonostante quello che Phoneus ti ha fatto, tu lo stai cercando. Phoneus sta provando ad annullare la tua volontà e privare la tua testa di ogni pensiero, ma la tua mente si oppone, aggrappandosi ad ogni più piccolo ricordo che hai di lui. I sogni che hai fatto, le voci che hai sentito, le sensazioni che hai provato… tutto ciò è dovuto al tuo desiderio di non dimenticarlo.

-Non è possibile…- sussurrò smarrita la ragazza: come poteva quell’uomo sapere delle stranezze che le erano capitate nelle ultime ore? E perché, cosa ancora più inquietante, qualcosa dentro di lei le suggeriva che avesse ragione?

-Sei una fanciulla incredibile, mia cara- riprese l’uomo, sorridendole cordiale -Ho visto in passato quanto le tue doti possano essere uniche e straordinarie e so che puoi opporti al controllo di Phoneus, ma devi prestare ascolto.

-Io ti sto ascoltando…- esordì la ragazza, domandandosi cosa volesse dire quell’uomo bizzarro.

-Non me, bambina mia- disse l’uomo, scuotendo leggermente il capo e poggiandole una grossa mano sulla spalla, mentre con l’altra le faceva gesto di rimanere in silenzio -Ascolta.

Restarono in silenzio per un po’, tempo in cui la ragazza si chiese se non fosse stato meglio allontanarsi da quello strano tipo con una scusa e tornarsene a casa, ma all’improvviso un’eco le arrivò alle orecchie: -Inchinati a Loki, Dio degli Inganni e legittimo re di Asgard.

Totalmente spiazzata, rimase a bocca aperta, cercando con lo sguardo chi avesse potuto pronunciare quelle parole, ma la piazza attorno a lei era completamente vuota, persino quelle persone che poco prima facevano colazione nei Caffè erano scomparse; rimanevano solo lei, il vecchio e la fontana zampillante in cui si riflettevano le loro immagini.

Non poteva esserci altra spiegazione: quell’uomo la stava prendendo in giro e, di sicuro, nella giacca del completo nascondeva un cellulare, che aveva usato per farle sentire quella voce.

Ma allora, perché le sembrava di averla già udita?

L’uomo sembrò comprendere le domande che si affollavano nella testa della ragazza, così le strinse amichevolmente la presa sulla spalla e disse piano: -Mi dispiace molto, bambina mia, ma quello che vedi, per quanto tu possa averlo desiderato durante tutta la tua permanenza ad Asgard, non è reale.

-E adesso mi offrirai di scegliere tra una pillola blu e una rossa?- chiese sarcastica Chiara, liberandosi dalla mano dell’uomo -Sono stata una stupida a darti retta. Ora lasciami in pace.

“Che assurdità!” si disse la ragazza mentre si allontanava dal vecchio, ma in quel mentre sentì un’altra voce, più cavernosa e minacciosa, ridere in una maniera tanto brutale e crudele da farle accapponare la pelle, poi la frase: -Io che temevo di dover affrontare il Caprone, mi trovo davanti un gattino inerme.

Si voltò di scatto in direzione dell’uomo, il cui viso aveva assunto la stessa espressione preoccupata di poco prima: -Stanno per affrontarsi- disse egli, osservando il cielo -Loki non può vincere da solo contro un nemico del genere.

Che cosa voleva dire con quella frase? Questo fantomatico Loki era in pericolo? Era tutta una messinscena e non doveva lasciarsi condizionare dai vaneggiamenti di un pazzo... ma allora perché si sentiva così agitata? Perché il cuore le batteva freneticamente nel petto, fino a farle quasi male, e la fronte le si stava bagnando di sudore freddo?

Perché stava provando paura? Che cosa avrebbe mai dovuto temere? Era nella sua città, con la sua famiglia e i suoi amici. Era tornata alla sua solita vita.

“Tornata da dove?”

Era tutto così strano e confuso e, sebbene cercasse di trovare una soluzione logica e razionale a tutta quella situazione, non riusciva a impedire ai suoi polsi di tremare; poi sentì di nuovo la prima voce urlare a squarciagola, un grido doloroso e straziante e allora non ebbe più dubbi: -Dimmi cosa devo fare per porre fine a tutto questo.

 

Angolo dell’autrice:  salve a tutte ragazze e ben trovate alla fine del capitolo 27 J un abbraccio fortissimo alla nuova arrivata che ha aggiunto la storia tra le preferite ^-^

Finalmente si è scoperto cosa accidenti è capitato alla nostra Chiara, ve lo aspettavate? E cosa ne dite dei pensieri di Loki? Qualcosa in lui sta cambiando?

E Phoneus? La sua crudeltà sopraffarà il Dio degli Inganni?

Cosa accadrà adesso?

Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto e abbia da un lato soddisfatto le vostre curiosità e, dall’altro, ne abbia create di nuove ;)

Come sempre, se vorrete lasciarmi un’opinione e/o qualche suggerimento per migliorare il mio stile di scrittura, sarò lieta di leggere tutto quello che avrete da dirmi ^-^

Vi mando un forte abbraccio e ringrazio tutte coloro che continuano a seguire la mia storia, silenziosamente o facendomi sentire la loro voce nelle recensioni! :)

Alla prossima!

Lady Realgar

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Capitolo 28
*** Ti fidi di me? ***


Il colpo era stato sferzato con una velocità e una potenza tali che Loki non era riuscito in alcun modo ad anticiparlo; Phoneus, pur avendo un corpo grosso, pesante e avvolto da una rigida corazza nera, possedeva una coda spaventosamente veloce e flessibile, che era in grado di direzionare ovunque volesse con una precisione millimetrica.

Quell'arto gli era giunto allo stomaco in un lampo e lo aveva scaraventato contro la parete di roccia; non si era nemmeno accorto di gridare dal dolore finché l'impatto con la pietra non gli aveva mozzato il respiro, spegnendo così le sue urla.

Loki sentì la schiena bruciare e, dopo qualche secondo, bagnarsi, mentre il tessuto della maglia gli si appiccicava sulla pelle; stava sanguinando e intanto Phoneus rideva, avvicinandosi lentamente a lui un passo dopo l'altro.

-Nemmeno quell'energumeno di Thor è riuscito a sconfiggermi in battaglia, credevi di poterci riuscire tu, piccolo Jotun? Anche nella mia oscurità, come l'hai chiamata tu, mi è giunta voce delle tue azioni: il principe che ha quasi regnato su Asgard, lo Jotun che ha quasi ucciso il Dio del Tuono, il pazzo ambizioso che ha quasi soggiogato Midgard. Si diceva perfino che fossi morto durante lo scontro con quel folle di Malekith. Ma ora arriva la parte divertente: Thanos ti sta cercando, lo sapevi? Io l'ho visto. Egli non ha mai creduto alla tua morte e anela di incontrarti di nuovo per saldare il vostro conto in sospeso. Scommetto che sarebbe molto generoso con chi gli porterà la testa del traditore.

Loki non fiatava, non proferiva verbo e non dava alcun segno di cedimento di fronte a quella cascata di invettive e minacce, ma non appena Phoneus si fu avvicinato abbastanza, in uno scatto imbracciò Gungnir e scagliò un lampo di energia contro il mostro, mandandolo a terra.

Per qualche secondo credette di averlo battuto, ma Phoneus si rialzò, leccandosi gli orli della bocca con la sua lingua grondante di bava: -Tutto qui? - riprese -Quando era Odino a brandirla, Gungnir aveva una potenza devastante, in grado di tagliare in due parti le montagne e spaccare il cielo; ora con te è poco più di un grosso giocattolo luccicante che non sei nemmeno in grado di maneggiare. La verità è che non ne sei degno, come non lo sei per il trono e non lo sei stato per Mjolnir. Che sensazione ti ha dato stringere quel manico di cuoio e tirare con tutte le tue forze senza che si muovesse di un millimetro? Provare quell'inebriante sensazione di potere, desiderarne ancora e ancora ma non riuscire a sollevare quello stupido martello?

-La stessa che avrai provato anche tu, suppongo- sibilò Loki, mentre un sottile rivolo di sangue scendeva dalle sue labbra sul mento appuntito.

Gli occhi gialli di Phoneus si strinsero in due fessure e la bocca si aprì minacciosamente, scoprendo le zanne: -Tu, patetica creatura...- ringhiò il mostro in preda alla furia, mentre il suo aculeo si librava nell'aria e si scagliava contro il corpo inerme di Loki.

Quando, però, l'ebbe raggiunto, non andò a conficcarsi nelle sue carni, bensì nella dura roccia, squarciandola con gran fracasso, mentre l'immagine del dio svaniva in un lampo smeraldino e l'originale compariva alle spalle di Phoneus, colpendolo alla schiena con un'altra scarica di energia.

Phoneus subì il colpo e si voltò, pronto a contrattaccare, ma quando vide Loki non poté trattenere un altro scroscio di risa.

-Che cosa ci trovi di tanto divertente?- chiese il Dio degli Inganni, irritato da quel continuo sbeffeggiamento, mentre le sue mani tremavano per il dolore che lo colpiva alla schiena e alle spalle.

-La tua paura- rispose quello, sorridendogli malevolo -Ne sei pieno al punto che riesco a sentirne l'inebriante profumo, ma non è per te che temi. Sarebbe una cosa troppo dozzinale per il nobile e altero Loki preoccuparsi per la propria vita. Tu temi per la sua- proseguì indicando con un cenno del capo il sarcofago di pietra -Sai che è già condannata e la cosa ti terrorizza. Sei davvero patetico.

Loki digrignò i denti, percependo sulla lingua il sapore ferroso del proprio sangue, e lanciò una rapida occhiata alla vasca di pietra, poi sorrise amaro: eccola, la vera ironia in tutta quella storia. Per due mesi aveva fatto credere alla terrestre di essere la sua paura e ora era proprio lui, nelle catacombe di Eitur Myri, a provarne. La paura di essere la causa della morte di quella creatura di cui aveva imparato a conoscere la mente e il cuore. Alla fine i ruoli si erano invertiti.

Pensò alla prima volta in cui si era manifestato a Chiara, spacciandosi per quello che non era e indossando una maschera che si adattava perfettamente al suo volto, eppure la ragazza non aveva fatto una piega: "Ho convissuto tutta la vita con le mie paure" gli aveva detto "Posso farlo anche con te". Era stata coraggiosa, forse in una maniera di cui neppure lei si era resa conto appieno: non aveva rinnegato le sue paure, ma le aveva accettate e le aveva affrontate, esattamente come aveva fatto con lui.

Non sarebbe stato da meno, si disse il Dio degli Inganni asciugandosi il sangue alla bocca con il palmo della mano, avrebbe fermato Phoneus e l'avrebbe salvata. Avrebbe rivisto quella luce orgogliosa brillare nei suoi occhi e avrebbe udito di nuovo la sua voce delicata perché aveva un debito nei suoi confronti. E poi sarebbe tornato tutto come prima.

Si scagliò di nuovo contro il mostro, riuscendo ad evitare un tentacolo che era uscito dall'esoscheletro e aveva tentato di afferrarlo per le caviglie; colpì Phoneus più e più volte con Gungnir, scansando sempre all'ultimo la coda e gli artigli, ma quello non cedeva, anzi, sembrava che l'energia e la lama dell'arma sacra non avessero alcun effetto su di lui.

Sfinito dallo sforzo e rallentato da una fitta di dolore alla schiena, Loki si fermò per un istante a riprendere fiato e Phoneus ne approfittò prontamente per colpirlo e scagliarlo di nuovo contro le rocce, lussandogli una spalla.

All'impatto Gungnir, quando le dita del proprietario allentarono la loro presa sulla sua asta, volò contro le pareti del sarcofago e cadde al suolo lì vicino, troppo distante da Loki perché potesse recuperarla.

Era bastato quel breve attimo di esitazione per far sì che il Dio degli Inganni si ritrovasse, disarmato e agonizzante, ad osservare il viso trionfante del mostro e a scoprire di desiderare quello di Chiara.

 

 

Alla fine si era arresa agli eventi e aveva lasciato che il suo cuore la guidasse, scegliendo di dare retta a quello strano vecchio: -Cosa devo fare?- ripeté impaziente.

-In questo momento il tuo corpo si trova immerso in un liquido- rispose l'uomo, puntellando il bastone sul lastricato della piazza -Se vogliamo che la tua mente riprenda il controllo, dobbiamo fornirle una condizione che si avvicini a quella del tuo corpo, in maniera che possano di nuovo comunicare tra loro.

Si guardò intorno pensieroso, poi il lampo di un'idea gli illuminò il viso e indicò la Fonte Gaia con la punta del suo bastone: -Immergiti lì- disse.

-Cosa?- chiese la ragazza scandalizzata -È un monumento storico, mica posso farci il bagno!

-Proprio l'importanza che le dai la rende la migliore delle soluzioni: intensificherà la tua attività celebrale, rendendoti più recettiva. Coraggio!

Perplessa, Chiara si avvicinò lentamente alla fonte e ne osservò il pelo dell'acqua, increspata dal movimento, si tolse le scarpe (si trattava pur sempre di un'opera d'arte e bisognava portarle il dovuto rispetto) e si arrampicò sul bordo.

-Spero che tu abbia ragione- disse al vecchio -Perché l'ultima cosa che vorrei è macchiare la mia fedina penale per atti vandalici!

Si soffermò ad osservare il proprio riflesso nelle acque increspate della fontana e, ancora una volta, percepì un malinconico senso di irrisolto; ripensando al grido che aveva udito poco prima per darsi coraggio, si calò lentamente dal bordo e lasciò che il suo corpo si acclimatasse alla fredda temperatura.

Rimase lì, immersa fino alla vita in silenzio ad aspettare per una manciata di secondi, ma non successe nulla; si voltò per chiedere spiegazioni al vecchio, ma quando diresse lo sguardo dove pochi secondi prima si trovava, l'uomo era scomparso.

Era rimasta da sola in Piazza del Campo, bagnata fino al sedere di acqua gelata.

"Maledizione!" imprecò internamente la ragazza "Quel maledetto vecchiaccio mi ha preso in giro!"

Fece per arrampicarsi sul bordo della vasca e uscire, prima che qualche poliziotto le facesse una multa, quando le parve che dal fondo della fontana emergessero dei rumori, come di una colluttazione.

Erano suoni molto deboli, ma le sembrava di poter percepire distintamente lo sferragliare di un oggetto di metallo, dei colpi e dei lamenti.

Avrebbe dovuto uscire alla svelta e dare retta al suo buon senso, ma la curiosità alzò la voce, sovrastando i più accorti consigli che la prudenza suggeriva e, così, desiderosa di scoprire cosa stesse accadendo, la ragazza si immerse completamente nelle acque della fonte, ritrovandosi a nuotare in uno spazio sterminato.

Intorno a lei le pareti marmoree della fontana erano svanite, lasciando il posto ad un mare di un intenso blu, che volgeva al nero mano a mano Chiara abbassava lo sguardo.

Il rombo di un altro impatto le arrivò nitido alle orecchie e, sentendosi mancare l'aria, iniziò a nuotare verso l'alto, ritrovandosi ben presto circondata non più da cristalline acque azzurre ma da un viscoso liquido giallastro.

Quel liquido la disgustava e non voleva passarci dentro un minuto di più, così aumentò la velocità della bracciate e, quando credette che sarebbe annegata, uscì dall'acqua, sorreggendosi con le mani a dei bordi di pietra e riempiendo, finalmente, d'aria i polmoni.

 

 

Inspirò profondamente, incamerando quanto più ossigeno possibile, come se stesse respirando per la prima, vera volta in vita sua.

Gli occhi le bruciavano per il veleno giallo e denso che le colava dai capelli sulla fronte e le narici erano pregne della puzza acida che emanava.

Si strofinò le palpebre chiuse alla bell’e meglio con le mani e, sforzandosi di non dare di stomaco per l’odore acre e penetrante, si guardò intorno, in cerca di lui, Loki, la persona per la quale era riuscita a sfuggire alla magia di Phoneus.

Nonostante la vista appannata e il bruciore, li scorse entrambi: il Dio degli Inganni giaceva al suolo, ansimante e indebolito, mentre il mostro lo sovrastava con la sua mole, agitando minacciosamente  nell’aria la sua coda, pronto a vibrare l’ultimo, fatale colpo e porre fine all’esistenza dell’arrogante Jotun che aveva avuto l’ardire di sfidarlo da solo.

Era una questione di pochi attimi e ben presto lo sforzo della ragazza non sarebbe servito a nulla, se non fosse stata veloce ad agire e a impedire a Phoneus di prendersi quella vita che solo pochi giorni prima aveva sottratto all’oblio di Hela; doveva pensare in fretta, escogitare qualcosa, ma il veleno di Âlfheimr, non incontrando più alcun ostacolo, aveva iniziato a circolare nel sangue e a diffondersi nel corpo, annebbiandole i sensi e indebolendole gli arti.

Un bagliore dorato a pochi metri da lei le diede la soluzione: abbandonata sulla fredda pietra, Gungnir giaceva al suolo e brillava, come invitandola  ad impugnarla.

Come un marinaio attratto dal suadente canto delle sirene che sugli aspri scogli in mezzo al mare intonano le loro dolci melodie, incurante delle forze che iniziavano a mancarle, della vista appannata e del respiro faticoso, Chiara si sollevò oltre il bordo del sarcofago e, trascinandosi carponi, afferrò la lancia sacra, che percepì quasi bollente al tocco della sua mano.

“Brandiscimi” sembrava implorarla l’arma affusolata, quand’ella la strinse tra le dita “Sfoga la mia furia sull’assassino”, così Chiara lasciò semplicemente che fosse Gungnir a guidarla e, alzandosi malamente in piedi, ne puntò la cuspide in direzione di Phoneus; la lancia iniziò a vibrare e in un lampo di luce emanò un poderoso fascio di energia, che colpì in pieno la coda del mostro, recidendola appena prima che Phoneus potesse usarla per trafiggere Loki.

-Beccati questa, Matrix!- sussurrò la ragazza, prima di perdere totalmente le forze e cadere al suolo come una bambola di pezza.

L’urlo di dolore di Phoneus squarciò l’aria e, folle di odio e di rabbia, si voltò ad osservare la causa della sua mutilazione; con gli occhi che strabuzzavano di ferocia, si sarebbe scagliato contro Chiara, distesa sulla roccia priva di sensi, se non fosse stato per la lama del coltello di Loki conficcata tra le placche dell’esoscheletro, perforandogli il cuore.

-Quando raggiungerai l’inferno- gli sussurrò all’orecchio il Dio degli Inganni -Porta i miei omaggi a Malekith e alla sua stirpe, che tremino ancora al nome di Loki, figlio di Frigga.

Lo guardò rantolare e gorgogliare, tenendosi il petto con gli artigli, mentre un fluido scuro sgorgava dalla ferita attraverso le dita nodose: -Ti aspetterò lì- tossì Phoneus, prima di accasciarsi al suolo, immobile e silente.

Il Dio degli Inganni attese che la creatura spirasse definitivamente poi, quando fu sicuro che non si sarebbe più rialzato, lasciò cadere il coltello e corse (per quanto le sue gambe potevano permettergli) verso Chiara, sollevandole il busto e reggendole la testa con le braccia.

A quel contatto la ragazza, il cui volto aveva assunto un pallore cadaverico, aprì gli occhi e sorrise: -Ciao Trinity…- ridacchiò, ma non riuscì a dire altro  perché un violento attacco di tosse sospese le sue parole.

Quel sorriso spiazzò per un momento il Dio della Menzogna, il quale, davanti a quell’inattesa serenità, non seppe cosa dire. Come faceva a scherzare in un momento del genere? Come riusciva a sorridere proprio a lui, che per tutto quel tempo era stato la causa delle sue sofferenze?

-Mi dispiace per quello che hai dovuto passare…- riuscì a dire alla fine, aumentando leggermente la stretta sulle sue spalle, frenato dalla paura che potesse spezzarsi in due.

-Non è stata colpa tua… no, un po’ sì, ma va bene così- sorrise di nuovo Chiara, stringendo delicatamente nella mano il braccio che l’avvolgeva.

-Sei stata una stupida a tagliarti con quella lama: nessuno ti aveva chiesto di farlo!- la rimproverò Loki, lanciando uno sguardo verso quella ferita ridicolmente piccola e mostruosamente letale che Chiara, in un atto di insano e altruistico coraggio, si era inferta.

Chiara avrebbe voluto rispondere, ma un forte dolore le mozzò il respiro: era come se un fuoco incontrollato le stesse bruciando le carni dall’interno, corrodendo gli organi e diffondendo le fiamme per mezzo delle vene. Era quello che Loki aveva provato alla Festa d’Estate? Era quel dolore che aveva dovuto sopportare quella sera, quando l’aveva trovato in mezzo al proprio sangue?

Lui aveva combattuto contro quel veleno, celando al meglio delle sue possibilità i devastanti effetti che quell’orrore aveva avuto sul suo corpo e lei non sarebbe stata da meno. Sarebbe morta con dignità, però…

-Resta con me- riuscì a implorare la ragazza in un sussurro, mentre nella bocca iniziava a percepire il metallico sapore del sangue -Resta con me finché non è finita. Non voglio… essere da sola quando accadrà.

-Ti fidi di me?- domandò il dio, un mezzo sorriso disegnato sulle labbra.

-Mi fido.

Un sussulto colse il corpo della ragazza, i cui occhi volsero all’indietro e il collo reclinò, non riuscendo più a sostenere il peso della testa, che andò a deporsi, delicatamente e in silenzio, sul braccio del Dio degli Inganni.

Angolo dell’autrice: *entra timidamente in scena l’autrice, indossa l’armatura di Iron Man e si nasconde dietro lo scudo di Capitan America (entrambi gentilmente prestati per l’occasione); in un angolo nascosto, l’agente Barton tende l’arco, pronto a intercettare qualunque tipo di oggetto che le lettrici infuriate potrebbero lanciare contro l’autrice*

Salve e tutte e benvenute alla fine del capitolo 28 del La sua paura, permettetemi di mandare un forte abbraccio alle lettrici che hanno aggiunto la storia alle seguite e alle preferite.

Premetto che mi dispiace molto che questo capitolo sia stato pubblicato in concomitanza con l’inizio dei miei esami e che non avrò modo di pubblicare il prossimo prima della fine dei suddetti, vi assicuro che sono la prima a dispiacersene. Spero che non mi odierete per come è finito questo capitolo e per l’attesa che dovrete sopportare per il prossimo, cercherò di farmi perdonare più avanti.

Nel frattempo, mi auguro che, nonostante tutto, il capitolo sia stato di vostro gradimento e che sia riuscito a trasmettervi qualche bella emozione J

Vorrei portare alla vostra attenzione un’altra splendida fanart creata da MARS88 dedicata alla storia e intitolata Dream, questo è il link: http://s27.postimg.org/a55iyuzb7/Dream.jpg

Tanti, tantissimi complimenti all’artista e un forte abbraccio a tutte voi! Ci vediamo alla prossima!

Lady Realgar

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Capitolo 29
*** Non oggi ***


Una forte luce filtrò attraverso la debole barriera delle sue palpebre, bruciandole gli occhi e destandola dal suo sonno; con un forte senso di intorpidimento in tutto il corpo e di pesantezza alla testa, Chiara sentì la propria voce mugugnare infastidita: era quella la sensazione dell'Aldilià? E cosa ci sarebbe stato dall'altra parte dei suoi occhi chiusi?

In un primo momento pensò al Paradiso, quel luogo magico e ricco di pace di cui sua nonna le raccontava quando si preparava per andare a messa la domenica.

"Forse avrei dovuto entrare in chiesa più spesso" ridacchiò tra sé e sé "Ma, visto che sono morta nel contesto della mitologia nordica, magari sono finita nel Valhalla. Si può considerare una morte in battaglia la mia?"

-Coraggio, dormigliona- rise una voce alla sua sinistra -È ora di alzarsi o a Thor verrà un esaurimento nervoso a furia di aspettare che tu ti desti.

"Aspetta un momento...conosco questa voce!"

Aprì timidamente un occhio, aspettando con impazienza che la pupilla si adattasse a quella fastidiosa condizione di luce, e vide al suo capezzale la figura di un uomo, seduto su una sedia a gambe accavallate e braccia incrociate, che le sorrideva sotto a un paio di arricciati baffetti biondi.

-Fandral?- chiese preoccupata Chiara -Ti prego, dimmi che non sei morto anche tu!

Lo spadaccino rise fragorosamente e le strinse la mano attraverso il guanto di pelle decorato a borchie dorate: -No, mia cara, non sono morto, ma ti ringrazio per la premura- disse poi dolcemente -E sono oltremodo felice di annunciarti che non lo sei nemmeno tu, anche se hanno dovuto amputarti la gamba ferita.

A quelle parole, il livello di adrenalina salì repentinamente nel corpo di Chiara, che scattò a sedere come una molla e si guardò gli arti inferiori, preparandosi al peggio: fortunatamente, però, erano presenti entrambi e, dopo aver mosso le dita dei piedi, si convinse anche che fossero funzionanti.

-Fandral, sei un idiota!- disse la ragazza, guardando l'uomo con tutto il risentimento di cui era capace, ma ben presto la rabbia provocata da quello scherzo scemò, svanendo come la neve al sole, ed entrambi scoppiarono in una risata.

-Come ti senti, mia cara?- domandò lo spadaccino, non riuscendo a celare del tutto nella voce un sottile velo di preoccupazione.

-Bene- rispose Chiara, che per la gioia non riusciva a trattenere dei larghi sorrisi -Ma cos'è successo? Pensavo di essere andata all'altro mondo!

L’uomo si sollevò dalla sedia e si accomodò sul materasso accanto a lei, scostando leggermente le lenzuola di seta dorate, appositamente messe sul letto del principe per accogliere la convalescenza di quell'inaspettata eroina: -La prima arciera di Jarosit ci ha condotto presso la regione di Eitur Myri, dove aveva percepito la tua presenza, ma siamo stati attaccati sull'altopiano e soltanto Odino è riuscito a scoprire l'accesso al nascondiglio di Phoneus, l'ha affrontato ed è emerso dalle catacombe con te in fin di vita.

-E come sta adesso Lo... ehm, l'onnipotente Odino?- si corresse, tentando di nascondere l'apprensione per quella domanda: l'ultima volta che l'aveva visto, Loki era ferito e allo stremo delle forze e nella sua memoria Chiara aveva impresso il suo volto, rigato da numerosi tagli e rivoli di sangue.

-È stato curato e ora ha soltanto qualche benda qua e là,  nulla di preoccupante. È pur sempre il Padre degli Dei e, nonostante l'età, non mi sorprenderebbe se assistesse ai funerali di tutti noi.

Chiara si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo: Loki era vivo e stava bene.

-E tutti i soggiogati da Phoneus? Che ne è stato di loro?

-Alla morte del mostro la magia che permeava le uova è stata spezzata, ora i Guaritori stanno lavorando sodo per rimuoverle tutte dal collo di quei poveretti, prima che si infettino. I bambini sono stati tutti liberati per primi e ricongiunti alle loro famiglie.

-È meraviglioso!- esultò la ragazza, mentre un sottile velo liquido si posava sui suoi occhi scuri.

Lacrime di gioia iniziarono a scorrerle sul viso, liberandola dalla tensione di quell'interminabile serie di tristi eventi; era un pianto sommesso e contenuto, che Fandral rispettò, aspettando garbatamente che Chiara sfogasse quel travolgente fiume di emozioni.

-Sei stata favolosa- le sussurrò l'uomo, rivolgendole il più caldo dei suoi sorrisi -Hai compiuto delle gesta che nemmeno i più grandi tra i soldati e i guerrieri di Asgard possono vantare tra le loro imprese. Nelle strade della città già si compongono canti in onore della Salvatrice di Asgard e i bambini acclamano il tuo nome. Questo giorno è tuo, mia cara.

Si interruppe per un attimo, soffermandosi ad osservare la ragazza, intenta ad asciugarsi le gote imporporate dal pianto e dalla felicità.

-Ma guardati: la fanciulla di Midgard sperduta nel dorato regno degli Æsir, odiata da chi la temeva, desiderosa solo di riabbracciare i suoi cari lontani; hai fatto così tanti miracoli in questi pochi giorni…

-Ma smettila!- rise Chiara, dandogli un colpetto sulla casacca -Scommetto che è quello che dici a tutte le ragazze per rimorchiare, ma io non cedo alle lusinghe!

Si scambiarono un'occhiata d'intesa, poi lo spadaccino aiutò la ragazza a sollevarsi dal letto e, sorreggendola con un braccio avvolto attorno alla vita, l'accompagnò fuori dalle camere del principe.

 

 

Sebbene i Guaritori gli avessero categoricamente vietato di compiere sforzi per evitare che i punti al braccio saltassero, come di consueto Thor aveva deciso di fare a modo proprio e, nella polvere del cortile, stava aiutando degli operai a sgomberare l'area dal mobilio per poter allestire il cantiere: l'assalto alla città aveva danneggiato profondamente anche le mura del palazzo, che ora necessitavano di essere risanate, assieme a gran parte degli edifici popolari.

Poco distanti da carpentieri, falegnami, scultori e muratori, alcuni Guaritori assistevano i soldati feriti all'interno di tendoni innalzati appositamente; dato il gran numero di pazienti bisognosi di cure rapide, era stato stabilito che coloro che non necessitassero di un intervento chirurgico venissero accolti all'esterno, per permettere agli altri di essere assistiti in un ambiente più pulito.

Cupi pensieri occupavano la mente del principe, che cercava di tenere a bada distraendosi con il lavoro: le parole dei Guaritori, quando gli avevano assicurato che Chiara era oramai fuori pericolo, non gli erano sembrate convincenti e il timore di perdere l'amica era un peso ben più gravoso di quello dell'armadio di massiccio legno di quercia che stava trasportando sulle spalle.

Quando, sull'altopiano di Eitur Myri, il suo braccio aveva iniziato a non muoversi più e i nani li avevano accerchiati, aveva seriamente temuto per la sua vita e per quella dei suoi amici, in particolar modo dopo essersi accorto della scomparsa di suo padre. Le elfe erano allo stremo delle forze per via dei vapori venefici e i Tre Guerrieri e Sif, pur continuando a combattere valorosamente, erano evidentemente esausti e sarebbero stati sconfitti di certo se, all'improvviso, i loro assalitori non si fossero fermati.

Dopo qualche momento di smarrimento generale, suo padre era, poi, emerso dalla terra, gravemente ferito e quasi privo di forze, seguito da una schiera di bambini; tra le braccia portava il corpo immobile di Chiara.

Il principe mugugnò al ricordo dello spavento che la vista di quel piccolo corpo freddo gli aveva provocato, ma quando Odino gli aveva spiegato l’accaduto, il suo cuore aveva finalmente ripreso a battere.

Depose l’armadio all’ingresso del palazzo, dove una guardia se lo caricò sulle spalle e lo trasportò all’interno dell’edificio; il principe si asciugò il sudore dalla fronte con il dorso della mano, spaziando il cortile con lo sguardo: dopo la liberazione dal controllo di Phoneus, tra le razze dei Nove Regni si era venuto a creare un insolito spirito di collaborazione, portando tutti, tra elfi, nani, Vanir e barbari a lavorare fianco a fianco per ricostruire Asgard e aiutare chi aveva subito la forza dell’assalto. In un angolo del cortile, alcuni bambini giocavano a mosca cieca, riempiendo l’aria di risate cristalline.

Era uno spettacolo insolito, quello che Thor stava ammirando in quel momento, e ricco di prospettive favorevoli per il futuro dei Nove Regni, appena scampati a un pericolo comune; eppure in quel quadro quasi idilliaco mancava un elemento fondamentale, colei che aveva partecipato in prima linea alla creazione di quell’immagine, la rappresentante di Midgard, la ragazza che Thor, in quel momento, bramava più di ogni altra cosa veder sorridere di nuovo.

Ad un tratto una bambina dai capelli biondi e gli occhi color caramello urlò a gran voce: -Chiara!- per poi correre attraverso tutto il cortile, in direzione del porticato.

Con il cuore in gola, Thor seguì con lo sguardo la piccola figura della bambina, che in breve tempo raggiunse la terrestre e la strinse in un abbraccio, imitata poi dagli altri bambini, che le si accalcarono intorno.

Il Dio del Tuono vide la ragazza sorridere e ne sentì la risata, ma dentro di sé era reticente ad andare da lei; sulla sua coscienza pesavano ancora le parole di disprezzo che le aveva rivolto, credendola una traditrice, e nella testa l’immagine del suo viso sconvolto era una tortura.

No, forse sarebbe stato meglio evitarla e attendere il più possibile finché incontrarla non sarebbe stato inevitabile; cercò, dunque, di svignarsela alla chetichella, quando sentì il proprio nome venire pronunciato da colei che tentava di evitare.

Sconfitto, prese un profondo sospiro e si voltò, pronto ad affrontare il meritato disdegno che Chiara le avrebbe rivolto, ma si sorprese nel vedere che sui lineamenti di quel viso tondo e delicato non vi era alcuna traccia di disprezzo o di odio, nemmeno di rimprovero, bensì sollievo e gioia. E un largo sorriso rivolto inequivocabilmente a lui.

-Sono contento di vederti…- disse il principe.

-Lo sono anch’io- rispose la terrestre, il cui sguardo cadde sulla sua ferita -Ti fa tanto male?- domandò visibilmente dispiaciuta.

Thor sorrise: quella ragazza avrebbe avuto tutto il diritto di arrabbiarsi con lui, rimproverarlo e, magari, insultarlo, eppure il suo primo pensiero era stato preoccuparsi per la sua salute.

-Mi dispiace per quello che ti ho detto- ammise alla fine, liberandosi di quell’opprimente peso sulla coscienza -Hai rischiato la vita per salvare quella del mio popolo e le ultime parole che ti avrei rivolto, se fossi morta, sarebbero state quelle di un’accusa infondata. Me ne rammarico.

-Non devi- ribatté quella, continuando a fissare i diversi punti che percorrevano il taglio sul braccio del dio -Fandral mi ha detto che siete venuti a cercarmi, mi basta questo. Mi dispiace che, nel farlo, ti sia procurato quella ferita.

-Non è nulla, sono i rischi del mestiere. E comunque anche tu te ne sei procurata una.

-Bene!- rispose Chiara -Così potremo vantarci delle nostre cicatrici di guerra davanti a un bel boccale di idromele!

Ridendo, Thor le avvolse le spalle con il braccio sano: -Ne avremo presto occasione- disse -Padre ha disposto che stasera si festeggi in maniera appropriata la fine della guerra; ovviamente tu sarai l’ospite d’onore.

-A tal proposito- lo interruppe Chiara -Dov’è Odino ora?

-Al momento si trova con Jarosit nella sala del trono- disse Fandral -Dopo quello che è successo nello Âlfheimr, credo stiano ridefinendo i termini dell’alleanza.

-Vorrei avere un colloquio con lui- continuò la ragazza, scivolando da sotto il braccio del principe.

-Temo che dovrai attendere, mia cara- rispose lo spadaccino -Nel frattempo potrai dedicarti al riposo e ai preparativi per stasera, sono piuttosto sicuro che Odino abbia in serbo qualcosa di speciale per l’occasione.

-E sia- sospirò Chiara -Ma prima devo fare una cosa.

Ciò detto, si allontanò dai due guerrieri, avvicinandosi a un gruppo di operai, e Thor la vide parlare fittamente con uno di loro, ma non riuscì a comprendere cosa gli stesse dicendo.

 

 

Dalle grandi finestre che illuminavano la sala giungevano i rumori dei cantieri avviati in giro per la città ferita, mentre i drappeggi color porpora ondeggiavano lentamente alla brezza del mattino, riflettendo sul pavimento di marmo lo scintillio dei ricami dorati.

Loki, prudentemente trasformato in Odino, sedeva sullo scranno reale da ore e si massaggiava la sella del naso, mentre Jarosit, davanti a lui, elencava le sue condizioni per il rinnovo dei legami commerciali.

-Il sangue che è stato versato sotto i rami dell’Albero deve essere ripagato: le vedove di quella battaglia dovranno percepire un vitalizio che copra le spese del loro benessere e di quello dei loro figli- stava dicendo la regina degli elfi, camminando avanti e indietro di fronte al trono -Verranno anche riparati i danni subiti dall’Albero e dagli edifici; per quello servirà materiale e manodopera che si occuperà Asgard di fornire.

-Vivete in una foresta- sibilò il dio, innervosito da quell’interminabile pioggia di richieste -Avete sia il materiale che la manodopera, perché mai Asgard dovrebbe darvi quello che possedete già?

-Perché siete stato voi a muovere guerra contro il mio regno- rispose Jarosit, perentoria -Il vostro arrogante orgoglio ha portato morte su un popolo già piegato dall’orrore di Phoneus.

-Proprio tu parli di orgoglio?- sbottò Loki, alzandosi in piedi di scatto -Se gli elfi avessero fatto richiesta del mio intervento sin da subito, molte vite sarebbero state risparmiate!

-Non ho bisogno di giustificare con voi le scelte del mio popolo! Ogni azione compiuta da parte di Âlfheimr è stata eseguita al meglio delle possibilità. Io vi avevo dato l’occasione di ritirarvi prima della battaglia, ma non avete prestato alcuna attenzione alle mie parole.

-E che ne sarà delle vedove che piangono qui ad Asgard la perdita dei loro mariti? Âlfheimr non provvederà a un vitalizio per loro?

-Siete stato voi a condurre quegli uomini nel mio territorio- Jarosit fece ondeggiare nervosamente la chioma corvina, impreziosita da piccole perle di mare -Se vi è qualcuno che le vedove devono biasimare, quello siete voi.

-Non siamo qui per scaricarci le colpe l’uno con l’altra, Jarosit- riprese il Dio degli Inganni, imponendosi la calma, sebbene una vocina dentro di lui gli suggerisse di trapassare quell’arrogante elfa da parte a parte con la sua lancia -Ma per trovare un accordo soddisfacente per entrambi i nostri regni. Tu desideri che le tue vedove vivano a spese di donne aggravate ugualmente dalla vedovanza, ma non sei disposta a rinnovare gli accordi commerciali. Asgard non necessita di quello che Âlfheimr ha da offrire; guarda fuori dalla finestra: Svartálfaheim e Vanaheim inneggiano il nome di Asgard, che ha salvato le loro genti dalla minaccia di Phoneus. Nuove prospettive commerciali si aprono ai miei piedi e Âlfheimr verrà lasciata da parte se non acconsentirà a sottostare alle condizioni che Asgard imporrà.

-Mi domando quanti vorranno ancora stringere rapporti di qualunque genere con voi se venissero a conoscenza del vostro “carattere” nascosto- ribatté prontamente la regina di Âlfheimr.

“Questa insulsa elfa sta forse osando ricattarmi?”

-Presta bene attenzione alle mie parole- disse piano Loki, dalla cui voce traspariva la ferocia che covava dentro di sé -Se mai fossi tanto folle da credere che bastasse diffamare il mio nome per avermi in pugno, ricordati che non sono noto nei Nove Regni per la mia indulgenza: ho visto la debolezza di voi elfi e, credimi Jarosit, se mai mi trovassi costretto a darvi di nuovo battaglia non esiterei ad adoperare ogni mezzo per sconfiggervi. Non costringermi a finire il lavoro che ho cominciato nell’ultima battaglia, perché, te lo assicuro, nessun elfo verrebbe risparmiato e allora la colpa sarebbe solo della tua lingua biforcuta.

Questa volta era riuscito ad ammutolirla e un caldo senso di vittoria si diffuse nel petto del Dio degli Inganni: Jarosit aveva capito che si stava riferendo a Eitur Myri e alla loro sensibilità a quelle acque; sarebbe bastato riversarne un po’ nei fiumi intorno all’Albero per metterli sotto scacco.

Loki si gustò fino in fondo la sconfitta della regina di Âlfheimr e la sua vendetta per le parole che gli aveva rivolto ai piedi dell’Albero; finalmente l’aveva in pugno.

-Direi che abbiamo raggiunto un accordo soddisfacente- disse trionfante, scendendo i gradini che sopraelevavano il trono -Âlfheimr manterrà i termini e le condizioni della precedente alleanza, giurando fedeltà assoluta e incondizionata al re di Asgard e fornendo sostegno militare ed economico ogni qualvolta verrà richiesto; in cambio, Âlfheimr riceverà gli aiuti necessari per risollevarsi dalla melma in cui si trova. Le tue vedove non avranno alcun vitalizio, ma riceveranno una cifra sussidiaria in base al numero e all'età dei figli che possiedono, in maniera che possano aprire un'attività lavorativa con cui mantenersi. Tua figlia, inoltre, trascorrerà ogni autunno, inverno e primavera qui ad Asgard. Se vorrà, l'estate potrà passarla ad Âlfheimr.

Jarosit gli lanciò uno sguardo di fuoco, mentre le sue mani si stringevano in minacciosi pugni frementi di rabbia: -Tieni Orpimen fuori dagli intrighi di potere.

-Tu non hai esitato a prendere una creatura indifesa e a sfruttarla per i tuoi scopi, io sono molto più accorto e generoso: tua figlia verrà trattata con tutti gli onori che il suo rango impone, conoscerà Asgard, le sue tradizioni e la sua cultura e imparerà ad amarla. Lei sarà la garanzia che quest'alleanza venga perpetrata anche dopo la tua morte.

-E in che modo questo gesto sarebbe differente da quando Loki venne strappato dai ghiacci di Jotunheim?- domandò velenosa la donna alle spalle del sovrano, che oramai aveva quasi attraversato la porta d'ingresso della sala.

-Taci, strega- sibilò rabbioso Loki -Non sai di cosa stai parlando. Non risvegliare il mostro che giace sotto quest'armatura dorata- dopo un momento di silenzio, riprese a gran voce -Che la sala venga preparata per accogliere i festeggiamenti! E in quanto a te, Jarosit, confido che manterrai una condotta adeguata, soprattutto perché l'autunno è alle porte.

Uscì dalla sala, tronfio della sua vittoria, e attraversò i corridoi di marmo colorato e lucente del palazzo; era per quello che era nato: governare e, per le Norne, quanto gli piaceva!

La sua memoria volò a quel giorno nell'armeria, quando Odino aveva mostrato a lui e a Thor lo Scrigno degli Jotun: "Entrambi siete nati per governare, ma solo uno di voi diventerà re" aveva detto, tenendoli per mano.

"Ecco, dunque, vecchio pazzo, la tua profezia che si avvera: io, il figlio indesiderato, siedo sul trono, per troppi anni scaldato dal tuo regale deretano. Nemmeno tu avresti saputo gestire una questione tanto delicata così magistralmente, come ho fatto io. Se fosse stato per te o per quell'ottuso di tuo figlio, i regni sarebbero ancora in guerra e Phoneus farebbe il bello e il cattivo tempo. Io sono il migliore dei re che Asgard abbia mai conosciuto e verrà il giorno in cui il mio popolo conoscerà il vero volto del loro sovrano e imparerà ad amarlo".

Senza che se ne accorgesse, completamente immerso nei suoi pensieri, i suoi passi lo condussero di fronte alle stanze di Thor, dove sapeva che Chiara, finalmente ripresasi dalla convalescenza, riposava.

Quando le aveva applicato il Vincolo Sacro, aveva ristabilito anche il legame mentale che Jarosit aveva deviato e ora era in grado di conoscere la sua ubicazione.

"Come se il Vincolo Sacro non fosse già di per sé un legame potente..." sogghignò amaramente il dio; istintivamente drizzò le orecchie per captare anche il più piccolo rumore attraverso il legno della porta, ma non percepì nulla, così pose la mano sulla maniglia dorata e la girò lentamente, prestando attenzione a non farla cigolare.

Attraversò lentamente la soglia e si guardò intorno, mentre chiudeva la porta dietro di sé: la stanza era rimasta pressoché immutata dall'ultima volta che ci aveva messo piede, diversi anni prima e anche nella penombra, creata da pesanti tende scure disposte davanti alle finestre, avrebbe saputo descrivere con esattezza tutto il mobilio che l'arredava.

Il rumore sommesso di un respiro lo distrasse da quelle considerazioni e la vide: rannicchiata sull'alto materasso del letto e coperta fino al petto dalle lenzuola dorate, Chiara dormiva e sognava.

Il dio riusciva a percepire le immagini che percorrevano in quel momento il retro delle sue palpebre ed erano colme di Phoneus, di paura e di lui, Loki.

Si avvicinò al letto e studiò per qualche secondo il volto della ragazza, leggermente contratto per l'incubo che stava vivendo nel sonno: i capelli erano sparsi sul cuscino, scompigliati come al solito, e le labbra erano leggermente dischiuse e avevano un'invitante sfumatura rosa camelia.

Si impose di distogliere lo sguardo da quel dettaglio e si soffermò sulla fronte leggermente corrugata e sul profilo del naso, piccolo e regolare.

La ragazza emise un piccolo lamento, per poi girarsi sull'altro fianco, facendo scivolare le lenzuola e mostrando le natiche, avvolte solo dall'intimo, e le gambe nude.

Leggendo la mente di Chiara, Loki aveva visto diverse volte l'immagine del suo corpo nudo, riflesso nello specchio quando usciva dalla vasca da bagno o dalla doccia, ma in quel momento, davanti a quella pelle chiara e a quelle curve morbide, il dio ebbe un'accelerazione al cuore.

Allungò la mano sulle lenzuola e le tirò per coprirla, poi appoggiò appena le dita sulla testa della fanciulla e sussurrò alcune parole magiche, che subito calmarono il suo sonno. Avrebbe dormito serenamente e i suoi sogni sarebbero stati di pace.

-Maledizione!- imprecò rabbiosamente il dio, uscendo dalla stanza e dirigendosi verso la propria: la stanchezza lo stava rammollendo e anche lui aveva bisogno di riposo, o non sarebbe stato in grado di assumere l'apparenza di Odino, né di mantenere quel freddo distacco che meglio si addiceva al suo ruolo e alla sua natura.

 

 

Angolo dell’autrice: I’m back, baby! :D

Ciao a tutte quante e ben ritrovate! Che gioia essere di nuovo qui, come state? Vi sono mancata almeno un pochino? ;)

Dunque, dunque, Chiara non è morta, ma, al contrario, è viva e vegeta e la tempesta sembra essere passata (evviva!) anche se Asgard ancora ne porta i segni.

Vi aspettavate che Loki avrebbe applicato il Vincolo alla ragazza per salvarle la vita? Secondo me sì ;)

Il rapporto tra Jarosit e Loki è piuttosto complicato e il Dio degli Inganni ha mantenuto fede alla sua parola: alla fine le ha fatto pagare ogni insulto e il rapimento di Chiara. Che ne pensate del comportamento del dio nei confronti della regina? Troppo severo o l’elfa se l’è meritato?

E per quanto riguarda il nostro LabraThor spaziale? XD Come autrice non vedevo l’ora di porre fine alle sue sofferenze emotive e di farlo riappacificare con Chiara ^-^

Grazie davvero per la vostra pazienza in queste ultime settimane, è stata una tortura non poter dedicare tempo alla storia, ma ora pubblico questo capitolo con cuore allegro e leggero :)

Mando a tutte quante voi un fortissimo abbraccio (mi siete mancate una sacco!) e ci rivedremo la settimana prossima con l’ultimo capitolo de La sua paura.

Alla prossima!

Lady Realgar

Ps. Piccola citazione in questo capitolo, il giochino riparte! ;)

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Capitolo 30
*** Promise me that this is not the end ***


Un leggero knock knock sulla porta della stanza la destò, poi una voce squillante  dall'altra parte del legno chiese: -Chiara, stai dormendo?

Riconoscendo la voce, la ragazza si tirò subito a sedere e, sbadigliando sommessamente (che splendida dormita aveva appena fatto!), rispose: -No, entra pure Angnis.

La figura massiccia della donna oltrepassò la soglia e, con un largo sorriso sul volto gioviale, si avvicinò al letto: -Non immagini quale gioia sia per questo mio vecchio cuore rivederti sana e salva, mia cara.

-Lo è anche per me, Angnis- rispose Chiara, ricambiando il sorriso e andando a scostare le tende dalle finestre, cosicché la luce di quel giorno meraviglioso riempisse la camera.

-Quale buon vento ti porta da queste parti?- chiese poi, versando in due coppe della fresca acqua cristallina dalla brocca d'argento e porgendone una alla donna.

-Oltre che ritrovare una cara amica creduta perduta?- rise quella, bevendo a grandi sorsi dalla coppa -Grandi preparativi si stanno svolgendo ora per il palazzo e Odino mi ha ordinato di preparare anche te adeguatamente.

Ciò detto estrasse da un cesto di vimini che portava sottobraccio un lungo telo rosso, che, quando lo spiegò per bene sulle lenzuola, si rivelò essere un meraviglioso abito color porpora, dai sottili e intricati ricami dorati che riproducevano dei boccioli di rosa.

-È meraviglioso...- disse un soffio la ragazza, saggiando con la punta delle dita la morbidezza di quella seta leggera -Sei sicura che debba indossarlo proprio io? È troppo bello per potermi stare bene addosso!

-Odino ha richiesto espressamente il tessuto più prezioso con questi esatti colori: il rosso e l'oro sono i colori di Asgard- spiegò Angnis.

-E le rose?- chiese Chiara.

-Solo un piccolo tocco femminile- ammiccò la sarta -Lo stemma di Asgard riporta un montone dorato su campo rosso e ho pensato che per una fanciulla sarebbero stati più appropriati dei fiori.

Lo sguardo della ragazza si soffermò per qualche istante a osservare quel capolavoro della sartoria, sulle cui onde sinuose il sole disegnava morbide scie di luce, che rilucevano con particolare intensità nei punti in cui andavano a incontrare l'oro dei ricami. Sebbene il taglio della gonna fosse molto simile a quello pervinca della Festa d'Estate, il corpetto era più attillato e lasciava le spalle scoperte, mentre le braccia sarebbero state avvolte da uno scialle del medesimo colore, che doveva essere indossato affinché passasse dietro la schiena e cadesse davanti all'altezza dei gomiti.

Elegante, sexy e al contempo dignitoso: Fandral avrebbe approvato di sicuro al 100% questa volta.

Una risatina sommessa sfuggì dalle labbra di Chiara, immaginandosi già quali commenti avrebbe sfoderato lo spadaccino vedendola camminare per le sale del castello con quel vestito addosso.

D'improvviso la porta si aprì di nuovo e Madama Thyia fece i suo ingresso nella stanza reale accompagnata da un paio di servette di circa diciassette anni; l'anziana donna lanciò uno sguardo di disappunto alla ragazza e, senza nemmeno salutare, disse esasperata: -Non sei ancora pronta? Per le Norne, la cerimonia comincia tra meno di tre ore e la ragazza è ancora in queste condizioni!

Chiara arrossì leggermente, accorgendosi di essere ancora in maglietta e mutande, ma Madama Thyia prontamente schiocco le dita e le servette si apprestarono leste a preparare il bagno per la terrestre, riempiendo la vasca principesca, solitamente adoperata da Thor e collocata in una sezione separata della stanza, di acqua calda e unguenti dai profumi delicati.

In un lampo la vasca fu colma e Chiara venne spogliata e "buttata" in acqua dalle ancelle, che le frizionarono con cura la pelle e i capelli con spugne di mare.

Mentre la ragazza si godeva quel trattamento, Madama Thyia aveva iniziato un interminabile monologo esplicativo sul comportamento che avrebbe dovuto tenere durante la cerimonia in quanto ospite d'onore.

-Odino è molto attento all'etichetta- diceva la donna, supervisionando con piglio severo le sue sottoposte, che mestamente compivano il loro lavoro -E non tollera le insubordinazioni, pertanto ricorda di rivolgerti agli ospiti con i dovuti titoli, non guardare direttamente negli occhi nessun invitato di sesso maschile di rango superiore al tuo (nella fattispecie, tutti); non camminare come un contadino nel campo: tieni le braccia adese al corpo o, eventualmente, davanti allo stomaco con le mani congiunte; mantieni la schiena dritta e ricordati di fare passi piccoli. Inchinati sempre quando incontri qualcuno e non cominciare mai una conversazione, ma aspetta che siano gli altri invitati a rivolgerti la parola per primi. Non sorridere in maniera troppo marcata e, per gli Antichi, non mostrare i denti: lasciamo che siano gli animali nel bosco a ringhiare.

E così continuò per tutto il tempo del bagno, ma Chiara non ascoltò nemmeno uno dei suoi consigli, troppo intenta a rilassarsi per prestare attenzione a quelle stupide regole del Galateo asgardiano. Si sarebbe comportata come sempre e al diavolo tutto il resto!

Finalmente le abluzioni terminarono e le ancelle l'aiutarono ad emergere dalla vasca e ad asciugarsi, prestando, poi, particolare cura e tempo per i capelli, che vennero trattati con balsami, asciugati e intrecciati.

Fu dunque il turno del vestito, da cui la ragazza si lasciò avvolgere, mentre una delle serve le abbottonava il corpetto dietro la schiena; a lavoro terminato, venne condotta davanti allo specchio, in maniera che potesse ammirare il risultato di quel lungo processo.

Chiara rimase per qualche istante a contemplare l'immagine di quel meraviglioso abito, incantata dai riflessi che le piccole rose d'oro emanavano alla luce del sole: "Con questi colori sembro appena uscita dalla Sala Comune dei Grifondoro" si divertì a pensare, mentre si voltava per osservarsi anche da dietro, dove il vestito lasciava maliziosamente scoperta parte della schiena "E pensare che ho sempre simpatizzato per Tassorosso!"

Madama Thyia entrò inaspettatamente nel suo campo visivo, interrompendo i suoi pensieri, e le porse una piccola scatola di legno di ciliegio, il cui coperchio era stato inciso con un delicato motivo arboreo.

Interdetta, Chiara allungò le mani e prese la scatola dalle dita di Madama Thyia, che la osservò severa mentre sollevava il coperchio, portando alla luce un meraviglioso fermaglio per capelli in madreperla rosa.

-Che cos'è?- chiese perplessa, studiando l'oggetto alla luce del sole.

-Questo fermaglio- spiegò Madama Thyia -È un oggetto di pregiatissima fattura, realizzato dai migliori gioiellieri di Asgard. La regina Frigga era solita indossarlo durante le feste e i ricevimenti ufficiali e...

-Aspetta!- la interruppe Chiara, riponendo l'oggetto nella sua custodia e porgendolo di nuovo all'anziana serva -Apparteneva alla regina, non posso metterlo.

-Non ti verrebbe offerto se non fosse stato Odino in persona a ordinarlo- ribatté Madama Thyia, visibilmente contrariata e indispettita dall'interruzione -E la regina si sarebbe offesa in maniera indicibile se ti fossi rifiutata in sua presenza di indossarlo.

Rigirò la scatola tra le mani, non sapendo come comportarsi: Loki voleva che indossasse quel gioiello, ma l'appartenenza alla defunta regina le impediva di farlo con serenità, come se, sfoggiando quel meraviglioso ornamento durante una festa, mancasse di rispetto alla memoria di una sovrana tanto amata dal suo popolo.

Siccome Madama Thyia non sembrava in alcun modo intenzionata a retrocedere, Chiara si arrese e appuntò il fermaglio all'acconciatura.

Non appena l'ebbe fissato ai capelli, la ragazza notò, con la coda dell'occhio, che il lampo di un sorriso era passato veloce sull'austero volto di Madama Thyia. Se quello era l'effetto che quel gioiello avrebbe provocato alla cerimonia, allora sarebbe stata ben lieta di indossarlo.

-Molto bene- esordì Angnis -Direi che sei pronta. Le scarpe sono dentro il cesto. Ci vediamo dopo.

Detto ciò, le donne si avviarono verso la porta, ma Chiara, che avrebbe gradito ancora la loro compagnia, le fermò chiedendo: -Andate già?

-Sì, mia cara- disse Angnis sulla porta -Serve l’aiuto di tutta la servitù per completare i preparativi della cerimonia di stasera. Tu sei pronta, perciò il nostro lavoro è terminato. Cerca di passare il tempo che resta senza rovinarti vestito e capelli.

-Sai già che non lo farò- ammiccò la ragazza, mentre la donna, ridacchiando, chiudeva la porta alle proprie spalle.

Si ritrovò di nuova da sola, nel silenzio di quelle grandi stanze vuote, a guardare la città dalla finestra, a contarne le cicatrici e ad udirne i canti di speranza, che dalle strade salivano con il vento verso il cielo.

Era tutto finito. Ancora non riusciva a rendersene pienamente conto: Phoneus, la guerra, la minaccia sui Nove Regni, la sua prigionia, la sua morte… tutto era finito e ora lei era lì, vestita come una regina, ad osservare un regno pronto a risorgere.

Già, la sua morte. In quei mesi ad Asgard aveva rischiato più volte la pelle, ma mai come in quel momento, stretta tra le braccia di Loki, aveva creduto di aver raggiunto il punto di non ritorno: aveva sentito il veleno bruciarle il sangue e aveva visto negli occhi verdi del dio (non si era mai accorta prima di quanto verdi e brillanti fossero) la conferma che quello fosse il suo momento; persino il suo spirito era pronto: si era sacrificata per impedire a Phoneus di realizzare le sue trame, non c’era ragione più nobile per morire? Inoltre, in quel momento non lo stava facendo da sola, ma Loki era lì per sostenerla, per alleviare con la sua presenza la paura che, inevitabilmente, l’aveva colta.

Eppure, quella mattina si era svegliata nel soffice letto di Thor, sana e salva. Come era stato possibile?

Istintivamente il suo sguardo andò a posarsi sul palmo della mano e la memoria volò alla sera della Festa d’Estate, quando l’aveva stretta intorno alle dita fresche e lunghe del Dio degli Inganni. Che l’evento si fosse ripetuto, nelle catacombe di Eitur Myri?

“No, dai” si disse la ragazza, ripensando a quello che le aveva detto Loki riguardo il Vincolo Sacro: chi lo eseguiva doveva esserne pienamente consapevole e, soprattutto, doveva desiderarlo più di ogni altra cosa.

Il solo pensiero che Loki desiderasse fino a quel punto che lei vivesse la fece avvampare vistosamente; “No” si ripeté “Non è possibile”.

Eppure era viva.  

Un irrefrenabile desiderio di incontrare di nuovo quello sguardo color dello smeraldo la colse improvviso, conducendola attraverso la porta e i corridoi del palazzo, dove le capitò di incontrare qualcuno degli ospiti che Asgard accoglieva. Mentre camminava, chi la incontrava, che fosse un nano o un elfo o un asgardiano, la salutava rivolgendole un inchino, che la ragazza maldestramente ricambiava, piena di imbarazzo.

"Questo vestito deve proprio darmi un'aria nobile" pensò tra sé quando l'ennesimo straniero chinò il busto al suo passaggio.

Finalmente, dopo essere stata costretta a passare per un corridoio secondario per evitare di essere vista dalla servitù, raggiunse l'ingresso delle stanze del Dio dell'Inganno.

"A quest'ora dovrebbe aver finito di discutere con Jarosit" si disse "Probabilmente sarà qua dentro". Portò, così, la mano al collo, ma quella toccò solo la pelle sopra le scapole, ricordando alla ragazza che la collana con il ciondolo a forma di chiave era andata perduta quando l'aveva adoperata la sera della Festa d'Estate.

"E ora cosa faccio? Busso?"

Avvicinò le nocche al legno liscio e scuro della porta, ma non fece nemmeno in tempo a sfiorarla che quella in uno scatto si aprì leggermente, permettendole di entrare in quell'ambiente divenuto oramai familiare.

Riluttante, Chiara oltrepassò la soglia e, chiudendo la porta, notò che Loki era proprio lì, di spalle e affacciato alla finestra a contemplare il paesaggio.

Davanti a quella silhouette scura, delineata nella luce della sera che avanzava, il cuore della ragazza accelerò di colpo: era arrivata fin lì e ora non aveva idea di cosa dirgli. Che idiota era stata!

Sentì le guance divenire bollenti e le mani bagnarsi di sudore, ma fortunatamente fu il dio a sollervarla dal gravoso compito di spezzare il silenzio: - Da che ho memoria- disse -Non ricordo di aver mai visto la mia città ridotta ad un simile cumulo di macerie, ma ora ho l'occasione di ricostruirla: diverrà ancora più potente e florida e le sue attività commerciali rifioriranno, portando nuovo benessere per il mio popolo.

-Non dubito che sarà così- sorrise Chiara, poi, dopo un attimo di silenzio, aggiunse: -Non avresti dovuto darmi il gioiello di Frigga. Non ho il diritto di indossarlo.

-Tutto quello che indossi è finalizzato a uno scopo politico ben preciso, perciò non è per diritto che porti quel monile, né tantomeno per un mio capriccio. Sei venuta qui per dirmi questo?

-Non solo- ammise la ragazza -Volevo ringraziarti per avermi salvato la vita.

A quelle parole il dio si voltò, guardando negli occhi la sua interlocutrice (sì, aveva davvero degli stupendi occhi verdi!): -Non devi ringraziarmi, io ho lasciato che morissi.

-Nemmeno tu eri messo troppo bene, quando ti ho visto in quella grotta, eppure siamo entrambi qui a parlare- ribatté Chiara.

-Cosa ti fa pensare che sia stata opera mia?

-Perché eri il solo presente là sotto e l'unico in grado di eseguire un Vincolo Sacro: non dubito che Thor sia un bravo ragazzo, ma ho i miei dubbi che abbia le conoscenze e le capacità per fare una magia del genere.

Un sorriso increspò le labbra sottili del dio, che ammise: -Non posso darti tutti i torti, ma ciò non toglie il fatto che tu sia morta: lo sei stata il tempo necessario per uccidere anche il parassita dentro di te, altrimenti la sconfitta di Phoneus non avrebbe fatto alcuna differenza.

-Ma una volta morto lui, anche le uova avrebbero dovuto perdere il controllo sugli esseri ospitanti- ribatté la ragazza.

-Certamente- continuò Loki, avvicinandosi -Ma non quello che ti aveva impiantato nel collo: durante il nostro scontro mi ha riferito che quel particolare uovo racchiudeva al suo interno non solo la sua natura, ma anche la tua, il che l'avrebbe salvato anche dopo la sua dipartita. Eppure non capisco una cosa: stavi morendo e sapevi che avrei potuto salvarti, perché non me lo hai chiesto?

La ragazza rimase dapprima sorpresa da quella domanda, poi rispose semplicemente: -Se vuoi salvare qualcuno non aspetti che te lo chieda, lo fai e basta. E poi nemmeno tu me lo avevi chiesto alla Festa d'Estate. È successo e basta.

Calò di nuovo il silenzio tra loro due, mentre gli occhi indagatori del dio carpivano con avidità ogni dettaglio della ragazza, intenta, per l'imbarazzo, a fissarsi i piedi.

-Cosa farai ora?- chiesa alla fine Chiara, non riuscendo a sopportare ulteriormente quel silenzio -Come impegnerai il tuo tempo quando non ci sarà più una midgardiana da tormentare?

-Continuando a regnare su Asgard, mi sembra ovvio- rispose il dio -Ma mi resta sempre quello stupido di Thor da torturare, anche se non sarà divertente come infastidire te.

Chiara rise, ma quando si sentì di nuovo addosso lo sguardo del dio, sfuggì velocemente verso la finestra, fingendo di osservare il paesaggio.

-La mia presenza ti mette a disagio?- chiese calmo Loki, raggiungendola e appoggiandosi con la spalla sul muro accanto a lei.

-No, non è quello- rispose Chiara in un soffio -È che non riesco ad abituarmi all'idea che tu abbia visto tutto di me, mentre la mia conoscenza della tua vita rimane estremamente limitata. C'è un bello squilibrio tra noi due!

Dopo un attimo di esitazione, il dio chiese: -Vorresti davvero conoscere la mia storia?

Chiara non rispose subito, ma si concesse un momento per riflettere: -Non ne ho bisogno- disse infine -non mi è servito alla sera della Festa d'Estate, perciò non mi interessa quello che hai fatto prima di incontrarci. Sei la persona che mi ha salvato la vita e tanto mi basta; ma se sarai tu a volermene parlare, le tue parole troveranno tutto l'ascolto e l'attenzione di cui sono capace.

Dopo aver pronunciato quelle parole, la ragazza rimase in attesa di scoprirne l'effetto, piuttosto timorosa, in realtà, di aver sbagliato a pronunciarle: avrebbe potuto risuonare rude e maleducata, però era quello che sentiva in quel momento e mentirgli sarebbe stato inutile; sapeva che Loki aveva compiuto degli atti orribili, eppure si era dimostrato un sovrano saggio e premuroso nei confronti del suo popolo. Di qualunque crimine si fosse macchiato, nulla gli avrebbe tolto il pregio di essere un re eccellente, nonché colui che l'aveva strappata alla morte e alla soggiogazione di Phoneus.

Era divenuto il suo eroe e non era del suo passato che si preoccupava, ma del suo futuro.

Intanto Loki non smetteva di osservarla, un'espressione imperscrutabile si era dipinta sul suo volto e Chiara avrebbe pagato chissà cosa per scoprire quali pensieri gli stessero passando per la testa. Che le stesse leggendo di nuovo la mente? E perché il cuore le batteva così forte, come se volesse uscire dal suo petto?

Un forte rullo di tamburi nel cortile sotto la finestra la fece sobbalzare, provocando il riso del dio: -Sono solo i tamburi di inizio delle celebrazioni, è ora per me di andare alla sala del trono a fare gli onori di casa.

Ciò detto, prese le sembianze del Padre di Tutti, offrì il braccio alla ragazza e insieme uscirono dalla stanza per dirigersi verso la sala del trono.

Ora che erano così vicini, Chiara notò che Loki aveva davvero un buon odore.

Il dio l'accompagnò attraverso il castello, fino a raggiungere un ingresso secondario della sala reale, dove le disse di attendere lo squillo delle trombe prima di oltrepassare delle lunghe e pesanti tende di velluto rosso. Dall'altra parte del tessuto un forte brusio di centinaia di voci diverse rimbombava sulle pareti d'oro dell'ampia sala.

Non le aveva spiegato con esattezza quello che l'avrebbe aspettata una volta oltrepassati i tendaggi, ma a Chiara parve quasi di ritrovarsi dietro le quinte di un palcoscenico, agitata come un'attrice alla sua prima esibizione.

Dopo qualche minuto le voci si affievolirono e nell'aria rimbombò il limpido suono delle trombe, mentre le tende si scostavano leggermente mostrando agli ospiti la celebrità della serata.

A Chiara partì quasi un colpo quando vide che la sala del trono era gremita di gente, non solo asgardiani, ma anche elfi, uomini e donne con le fattezze simili a quelle di Hogun e persino nani; tra questi ultimi la ragazza ne notò uno particolarmente grosso e coperto d'oro dalla testa ai piedi, persino i riccioli della sua folta barba sale e pepe erano ornati da svariati anellini del prezioso metallo.

La cosa peggiore di quella situazione, però, non era la spaventosa quantità di gente presente, ma il fatto che gli occhi di ogni singolo invitato erano rivolti verso di lei facendola irrigidire come un pezzo di granito.

"Mannaggia a me che non ho ascoltato una parola di quello che ha detto Madama Thyia!" si maledisse Chiara, cercando disperatamente con lo sguardo una faccia nota.

Finalmente la trovò: in fondo alla sala, infatti, nascosto dalla folla e seduto sul suo trono, il volto di Odino la fissava, come a volerla invitare a raggiungerlo.

Cominciò, così, ad avanzare lentamente, sorprendendosi molto nel vedere che la folla si ritirava al suo passaggio, aprendole progressivamente un varco verso il Padre di Tutti; man mano che camminava, Chiara tentò di concentrarsi nel mantenere la schiena dritta e il portamento solenne, anche quando per un attimo l'emozione le fece tremare il ginocchio, sbilanciandola a sinistra.

"Cavolo, che figura!"

Finalmente raggiunse lo scranno reale, ai cui lati Thor, i Tre Guerrieri, Sif, Jarosit e Ahzurit, vestiti di tutto punto, presenziavano orgogliosi e fieri, incrementando il senso di goffaggine della ragazza.

Vide Fandral farle maliziosamente l'occhiolino, strappandole così un sorriso imbarazzato: evidentemente il vestito gli piaceva. Anche Thor le stava sorridendo, ma quando notò il fermaglio di madreperla brillare tra la chioma castana di lei il suo viso si contrasse; non c’era rabbia in quell’espressione, nemmeno rimprovero. Solo malinconia.

Il sovrano batté Gungnir sul pavimento, richiamando così l’attenzione di tutti, e il silenzio scese sulla sala.

-In questo giorno di fine estate- iniziò il dio, spaziando con lo sguardo la moltitudine dei presenti -Asgard festeggia, in compagnia dei popoli suoi alleati, una nuova pace strappata dagli artigli di un mostro, famoso nella storia per la sua crudeltà e la sua efferatezza. Già una volta i nostri regni ne avevano affrontato la minaccia, pagando con il sangue dei loro soldati una pace durata per millenni, ma infranta in silenzio e nell’ombra a spese di innocenti. Ebbene, Chiara di Midgard- si rivolse alla ragazza -Oggi non staremmo festeggiando se non fosse stato per te. Sebbene Midgard sia recentemente tornata all’interno dello scenario dei Nove Regni, mai prima d’ora ha avuto un ruolo così importante. È giusto, dunque, riconoscere al Regno degli Uomini il merito delle azioni della sua rappresentante.

Si alzò in piedi e indicò con l’indice il pavimento: -In ginocchio- ordinò.

Confusa, Chiara obbedì, mentre il re riprendeva il suo discorso: -Sei giunta qua come schiava di Asgard, sei tornata come salvatrice dei Nove Regni. Oggi ti inginocchi come Chiara di Midgard, la ragazza che ha dimostrato fedeltà ai suoi princípi, ai suoi amici e al suo re. Rialzati, ora, come Sigyn, la Vittoriosa. Siederai al Consiglio dei Re come loro pari e Asgard sarà sempre la tua casa. Che il nome della Salvatrice dei Nove Regni possa risuonare in eterno nelle case e nelle strade di Asgard, Âlfheimr, Svartálfaheim e Vanaheim!

Ciò detto, depose delicatamente la cuspide di Gungnir sulle spalle della ragazza per sancire quella nomina, poi l'aiutò ad alzarsi, mentre un boato di applausi faceva tremare le pareti della sala del trono.

-Sigyn!- urlò a pieni polmoni Fandral, imitato poi da Volstagg, Hogun, Thor e, ben presto, anche dagli altri invitati, che scandirono a piedi polmoni il nuovo nome di Chiara, facendolo risuonare in tutto il palazzo.

Persino Lady Sif applaudì le gesta della ragazza, che, in preda all'emozione, non poteva impedirsi di arrossire e sorridere allo stesso tempo.

Ad un tratto la musica partì e la festa incominciò, mentre la servitù posava su lunghe tavolate ai lati della sala grossi piatti colmi di tutte le meravigliose leccornie che i cuochi asgardiani erano in grado di preparare.

Gli invitati cominciarono a distribuirsi intorno ai tavoli imbanditi, chiacchierando allegramente tra loro, così Loki porse il braccio alla ragazza e la condusse nella discesa dei gradini.

-Allora- sussurrò il dio alla sua accompagnatrice -Come è stato essere al centro della scena?

-Oserei dire illuminante- rispose Chiara -Dal momento che ho compreso il perché del mio attuale abbigliamento. Mi hai allestita come un cartellone pubblicitario per il tuo regno! Scommetto che tutto quel bel discorso su Sigyn e il resto sia servito solo a sottolineare come la distruzione di Phoneus sia stata dovuta ad Asgard.

-Molto bene- sorrise il dio -Noto con piacere che le tue capacità intellettive non hanno subito alcun danno.

-Nota anche questo, allora- riprese, fredda, Chiara -Io non sono il trofeo di nessuno.

Ciò detto, sciolse il braccio da quello del re e, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, si allontanò in direzione del banchetto: stava morendo di fame!

Gli occhi di tutti erano puntati su di lei, ma Chiara si impose di non farci caso o non sarebbe riuscita a mandar giù un solo boccone per l'imbarazzo.

Si diresse, dunque, verso un piatto colmo di una succulenta torta alla frutta e ne prese una generosa fetta che addentò con voluttà.

Stava per attaccare la seconda fetta, quando un leggero colpo di tosse attirò la sua attenzione dietro di sé, dove il nano particolarmente appariscente di prima le sorrideva.

Persino in bocca quel tipo nascondeva l'oro, infatti più di metà dei suoi denti erano fatti di metallo.

-Lady Sigyn- esordì il nano, facendo un profondo inchino -Che incresciosa mancanza da parte mia non essermi ancora presentato! Permettetemi di rimediare: il mio nome è Regalrex e sono il sovrano di Svartálfaheim.

-Piacere di conoscervi- rispose Chiara, passandosi velocemente la mano intorno alla bocca per rimuovere le briciole del dolce.

-A nome del mio popolo- proseguì Regalrex -Vorrei porvi i più accorati ringraziamenti per il vostro eccelso lavoro. Chi mai si sarebbe immaginato che dietro l'apparenza di un'affascinante fanciulla si nascondesse un prode guerriero?

A Chiara non piacque il tono che il nano le rivolgeva, né tantomeno lo sguardo lascivo con cui la fissava, così, evitando magistralmente la mano del sovrano che tentava di carpire la sua, lanciò con lo sguardo una richiesta di aiuto a Fandral, che prontamente accorse in suo soccorso.

-Che splendida festa, non è vero Regalrex?- disse lo spadaccino.

-Per te sono Vostra Maestà, soldato- rispose il nano, visibilmente innervosito da quell'intromissione.

-Suvvia, Altezza!- continuò l'uomo, divertito dalla reazione del nano -Prendete un bicchiere di vino e brindate con me alla salute di questa splendida creatura!

Fandral spinse nella mano del re nanico un grosso calice e sollevò in direzione di Chiara il proprio, per poi berne il contenuto a grandi sorsi: -Molto bene!- riprese quando ebbe vuotato il bicchiere -Lady Sigyn è richiesta urgentemente dal principe; immagino dovranno concordare gli ultimi dettagli del loro matrimonio.

A quelle parole Regalrex (e anche Chiara) rimase di sale, facendo quasi cadere il suo calice, ancora colmo di vino scarlatto; approfittando di quel momento, Fandral prese Chiara per la vita e la condusse attraverso la folla dall'altra parte del salone.

-Ti prego, dimmi che stavi bluffando!- lo implorò la ragazza quando furono svaniti alla vista del nano.

-Ovviamente- rispose lo spadaccino, un largo sorriso disegnato sotto i baffi biondi -Ma questo Regalrex non lo sa! Quel nano ha la fama di essere un cacciatore di mogli: ne avrà almeno una decina nel suo palazzo. Hai fatto bene a chiamarmi! Stanne certa che ancora qualche minuto di conversazione e ti avrebbe chiesto di sposarlo!

-Mi disgusta anche solo l'idea!- rabbrividì la ragazza.

-Posso avere l'ardire di chiederti un ballo?- domandò lo spadaccino, sorridendole cordiale -Per farti dimenticare questa brutta esperienza!- aggiunse poi, quando notò che sul viso di Chiara si era dipinta un'espressione contrariata.

-Perdonami Fandral- rispose, ricambiando la gentilezza con il suo sorriso più dolce -Ma rischierei solo di pestarti i piedi.

Lo spadaccino non diede segno di essersela presa, ma al contrario, le avvolse la mano nella propria e la condusse presso l'angolo della sala dove si trovavano Thor e i suoi amici, raccontandole con enfasi alcuni aneddoti sulle loro avventure in giro per i Nove Regni.

Trascorsero insieme delle ore piacevoli, in cui i Tre Guerrieri narrarono, con un’enfasi che andava crescendo mano a mano che i loro bicchieri si svuotavano, mirabolanti storie di battaglie, mostri abbattuti e fanciulle salvate, suscitando l’ilarità del principe e della guerriera.

Giunse il tempo delle danze e i compagni si separarono, ognuno con un’incantevole fanciulla al braccio, lasciando Thor, Chiara e Sif da soli. Dopo qualche momento, anche Sif si allontanò, dicendo di volersi assicurare che il cambio della guardia fosse stato eseguito.

-Ho riconosciuto il fermaglio di mia madre- esordì alla fine il Dio del Tuono, che evidentemente non riusciva a tacere ulteriormente l’argomento, ma venne prontamente interrotto da Chiara: -Non avrei voluto indossarlo. È stato Odino a volerlo.

-Ti dona molto- concluse il principe; le sorrideva, ma Chiara riusciva a cogliere distintamente la sfumatura di tristezza che si celava dietro la piega dei suoi occhi blu cielo.

-Non ti dispiace che lo indossi?- chiese timidamente.

-No, affatto- la rassicurò il Dio del Tuono -È sempre stato sul capo di una donna meravigliosa, non riuscirei a immaginare nessun’altra degna di portarlo.

-Mi sarebbe piaciuto conoscerla- ammise Chiara, fingendo di concentrarsi sulle danze.

-Ti sarebbe piaciuta molto. E sono convinto che anche lei ti avrebbe apprezzata: ha sempre ammirato il coraggio e la bontà nelle persone.

Scese il silenzio tra i due, mentre nella sala rimbombava il suono delle risate e della musica.

Alla fine Chiara non riuscì a trattenersi: -Come fate?- chiese -Come riuscite voi Æsir a sopravvivere al dolore che si accumula nelle vostre vite eterne di divinità?

Si morse la lingua per essersi lasciata sfuggire quella curiosità nel bel mezzo di una simile conversazione, ma era da quando aveva iniziato a conoscere meglio Thor e Loki che se lo domandava: la vita di un dio, si dice, è eterna, ma con essa anche la sofferenza e il dolore delle perdite e delle sconfitte diventano bagagli che si è costretti a trascinare per sempre. Come si faceva a non impazzire?

-Noi non siamo propriamente delle divinità- rispose Thor pacatamente -Ma sì, la nostra vita può essere anche molto, molto lunga. Il dolore che proviamo molto spesso non viene mitigato dal tempo, sebbene a noi ce ne sia concesso di più rispetto a voi midgardiani; ma come la sofferenza può essere eterna, anche l’amore può conoscere la durata della vita di un Æsir. Perdere una persona non significa smettere di amarla ed è proprio il ricordo che si ha di lei che rende la sua mancanza meno gravosa. Le persone che ci circondano, che combattono e festeggiano al nostro fianco sono coloro che ameremo per sempre e il cui ricordo ci accompagnerà nelle notti in cui saremo soli. Sono i nostri amici, i nostri familiari e i nostri amanti che ci rendono divinità, non la vita lunga o le armi magiche.

Chiara rimase a bocca aperta: aveva davvero sentito quelle parole venire pronunciate da Thor? Probabilmente il Dio del Tuono comprese la sua perplessità, perché proseguì dicendo: -Sebbene la mia attività principale sia far roteare un martello, alcune cose sono arrivato anch’io a comprenderle e potrei sorprenderti se ti svelassi tutte le profonde riflessioni di cui sono capace.

Un sorriso nacque silenzioso sui loro volti, a riempire il vuoto che le parole non sarebbero state in grado di colmare, poi, dopo aver lasciato una carezza sul braccio ferito dell’amico, Chiara si allontanò, assicurandosi di non essere notata da nessuno, e uscì dalla sala del trono per intrufolarsi nel giardino; da un’aiuola colse alcuni fiori, per poi svanire in pochi passi nell’oscurità di un campo seminascosto dietro al fastoso palazzo.

Non un filo d’erba cresceva su quel suolo polveroso e l’unico legno che si innalzava era quello del patibolo, presso il quale i condannati a morte salutavano per l’ultima volta la luce del sole. In quel terreno, dopo la decapitazione, i corpi dei criminali venivano sotterrati senza che una scritta venisse apposta sulle loro tombe.

Quella notte, però, la luna brillò per la prima volta su una piccola e modesta lapide di marmo, appena uscita dalla bottega di uno scultore e ancora scintillante sotto i suoi pallidi raggi. Su di essa vi era stato inciso, molto semplicemente: “A memoria di Reicknar il Redento, che della pietà fece il suo valore”.

Fu lì che Chiara arrestò la sua passeggiata notturna, soffermandosi ad osservare quella piccola e fredda lastra di pietra; vi depose accanto i suoi fiori e, prestando attenzione a non sgualcire il vestito, si sedette sulla polvere, stringendo le ginocchia vicino al petto.

Sotto ai suoi piedi, il diverso colore che aveva la terra rivelava che fosse stata smossa da poche settimane per accogliere le spoglie del suo salvatore.

Si ritrovò a ricordare i visi di coloro che si erano spenti da quando era arrivata ad Asgad, chi sotto la scure del boia, chi per il veleno di Phoneus, chi per una freccia o una spada nemica. Si sforzò di ricordarli tutti, ma più si concentrava e più quelle flebili immagini sfuggivano alla sua memoria. Si sentì un’ingrata.

Di Reicknar, però, ricordava ogni lineamento, ogni tatuaggio e ogni cicatrice che il suo corpo muscoloso accoglieva e mostrava con orgoglio. Se non fosse stato per lui, la sua gola sarebbe stata trafitta dalla lancia del fratello di Kalista, Loki sarebbe morto avvelenato e Phoneus non sarebbe stato mai sconfitto; Reicknar, con il suo ultimo gesto, non aveva salvato solo una comune ragazza, ma tutti i Nove Regni e nessuno si sarebbe ricordato di lui. Nessuno avrebbe pianto la sua morte né avrebbe acclamato il suo nome.

Solo lei, Loki e Jarosit avrebbero saputo quanto importate fosse stato il suo ruolo in quella vicenda; Chiara non poté impedire ad una lacrima di scendere sulla sua guancia.

Un rumore di passi alle sue spalle la mise in allerta; si voltò di scatto e vide nell'oscurità la figura di un ragazzo della servitù. Cosa ci faceva lì? Che fosse venuto a richiamarla?

Un sospetto attraversò la sua mente e, titubante, chiese: -Sei Trinity?

Quello abbassò leggermente il capo in segno di assenso e rispose: -Sì.

Loki rimase in attesa per qualche secondo che la ragazza dicesse qualcosa, ma dato che Chiara non sembrava intenzionata a proferire verbo, si sedette accanto a lei e osservò la lapide.

-La pietà non è stata esattamente una virtù appartenuta a Reicknar il Crudele- disse vago il Dio degli Inganni.

-Io ho conosciuto questo suo aspetto- rispose indispettita la ragazza -Vorrei che venisse ricordato per il bene che ha fatto.

-Una buona azione non basta a redimere un uomo da un'intera vita di scelleratezze.

-Ma è pur sempre un atto di bontà in più.

Scese di nuovo il silenzio, inquinato appena dal frinire delle cicale in lontananza e dalla musica proveniente dall'interno del palazzo.

-Non sei un trofeo- disse Loki, fissando i bagliori bianchi che la lapide emanava -Un sovrano ha il dovere di promuovere il proprio regno e creare legami con gli altri territori, ma non fare l'errore di credere di essere il mezzo con cui questi legami verranno saldati. Ti è stata conferita quell'onorificenza non per un interesse politico, ma per il tuo merito. La fedeltà è una virtù rara da trovare.

-Credi che dovremmo tornare alla festa?- chiese la ragazza, sorridendo, mentre un calore avvolgente le attraversava il petto.

-Non c'è fretta: è la tua festa e puoi fare quello che vuoi. Nel frattempo, questo ti appartiene: non voglio avere inutili gingilli midgardiani.

Loki le prese la mano e vi fece cadere una catenina dorata, che Chiara riconobbe come la sua collana perduta; studiandola alla luce della luna, si accorse che non solo vi era ancora attaccato il ciondolo a forma di chiave, ma anche che l'aggancio, strappato per la disperazione alla Festa d'Estate, era stato aggiustato.

Chiara strinse nel pugno quel piccolo oggetto, carico, dopo quell'incredibile avventura, di nuovi ricordi e significati; il cuore colmo di una gioia nuova.

Inclinò il capo e lo appoggiò sulla spalla del dio, che, inaspettatamente, non si ritrasse, ma, al contrario, rimase immobile e, dopo un primo momento di rigidità, rilassò la schiena, inclinandosi appena per rendere alla ragazza più confortevole l'appoggio.

Per quella sera, si disse il Dio degli Inganni, avrebbe potuto tollerare il contatto con la midgardiana e non si sarebbe allontanato, ma non avrebbe mai ammesso, neppure a se stesso, che in fondo, in un angolo remoto e inascoltato del suo cuore, la sensazione che quella vicinanza gli dava era piacevole.

-Promettimi che verrai a trovarmi- sussurrò Chiara -Quando sarò tornata su Midgard, promettimi che verrai a farmi visita.

-Lo prometto- rispose il dio, chiudendo le palpebre e godendosi la fresca brezza di quella sera di fine estate, preludio silenzioso dell'autunno imminente.

Per quella sera poteva permettersi di fare promesse. Per quella sera soltanto.

-Scusa una domanda- sussurrò Chiara, interrompendo così i suoi pensieri -Quanto ti piacciono i cavalli da 1 a 10?

 

 

Il Dio degli Inganni fece ritorno dal Bifrost che oramai il sole stava nascendo sul nuovo giorno; il cielo pallido dell'alba era striato di sottili e stiracchiate nuvole rosa, immobili guardiane su Asgard che ancora dormiva.

Nel palazzo la festa si era conclusa da ore e i vari invitati erano progressivamente tornati nei loro regni, lasciando alle loro spalle il consueto disordine post-cerimonia che i servi si affaccendavano a ripulire.

Durante il banchetto Loki era riuscito persino a far firmare a Regalrex un patto commerciale che avrebbe assicurato ad Asgard una buona percentuale del metallo estratto annualmente nelle miniere dello Svartálfaheim e di lì a pochi giorni la figlia di Jarosit si sarebbe trasferita nel suo palazzo; si riteneva soddisfatto dei frutti raccolti durante quella serata, eppure dentro di sé non riusciva a gioire pienamente di quei successi.

Certo, la soddisfazione non faceva parte della sua natura, ma sentiva che c'era qualcosa di più di quello, una ragione ben precisa per cui non riusciva a godersi quella vittoria.

Per un attimo nella sua memoria emerse il volto di Chiara prima che il vortice del Bifrost la inghiottisse per rimandarla sulla Terra: aveva assunto una sfumatura insolita, composta da gioia e malinconia miscelate tra gli occhi scuri e la bocca aperta in un sorriso.

Li aveva salutati uno ad uno i suoi compagni di avventure, distribuendo abbracci e parole cariche di speranza in un nuovo incontro. Un piccolo crampo allo stomaco colse il dio al ricordo del bacio che Fandral aveva lasciato sulla guancia rosea della fanciulla, quand'ella si era avvicinata per salutarlo.

Attraversò i cancelli di ingresso al palazzo da solo: non appena il Bifrost aveva smesso di girare e Heimdall aveva estratto la spada dal meccanismo, lui era stato il primo ad andarsene, lasciando Thor, i Tre Guerrieri e Sif ai loro soliti e monotoni discorsi di cui non si era mai interessato.

I passi veloci sulla liscia superficie del pavimento di marmo rimbombarono negli alti corridoi, accompagnando i pensieri del re, mentre dalle stanze provenivano i rumori della servitù all'opera.

Nelle orecchie ancora sentiva risuonare le parole udite quando, ad Eitur Myri, le aveva applicato il Vincolo Sacro e la sua memoria volò a quell'evento.

Attese che il respiro della ragazza si fosse fermato e che il suo cuore avesse taciuto definitivamente i suoi battiti, poi iniziò a contare mentalmente "Dieci...nove...otto", mentre ne deponeva il corpo al suolo "Sette...sei...cinque" e avvolgeva la sua piccola mano immobile con la propria "Quattro...tre...due".

Pronunciò le parole magiche e lasciò che i due tubicini argentati si unissero tra loro.

"Uno"

"Non era mai capitato che due persone si scambiassero il Vincolo Sacro" disse la voce nelle sue orecchie.

"Lo so" rispose calmo.

"Sai anche cosa implica un fenomeno del genere?"

"Sì"

"E sei disposto ad accettarlo?"

"Io ho un debito da pagare"

"Lo estingueresti completamente, ma ne vale la pena, mi chiedo? Vale la pena vincolare la propria anima ad una comune mortale?"

"Lei non ha esitato a farlo"

"Lei non sapeva di farlo: per eseguire il Vincolo basta desiderarlo più di ogni altra cosa, non è necessario conoscere tutte le clausole"

"Era l'unico modo per salvarmi la vita e lei lo ha fatto; ora questo è l'unico modo che conosco per salvare la sua"

"Ascolta bene le mie parole, figlio di Laufey: questa è la sua ora, così come è scritto nella trama dei Nove Regni, se oggi accetti di salvare la vita di questa mortale, il destino di molti subirà un grande mutamento, il tuo prima di tutti. La tua storia verrà riscritta a partire da questo momento, cancellando quello che le Norne avevano predisposto per te. Sei disposto a rinunciarvi?"

A quelle parole il volto di Loki si contrasse: che cosa significavano?

"Tu esiti, figlio di Laufey... forse dopotutto non ci si può aspettare un simile sacrificio dal Dio degli Inganni. Tu sai come chiudere la faccenda: basta allentare la presa, lasciare che il contatto si spezzi e raccontare a tutti quanto i tuoi sforzi non siano serviti a salvarla. Una semplice bugia e lei sarà soltanto una delle tante vittime del cui sangue ti sei macchiato da quando prendesti possesso del Tesseract"

Il dio strinse la mano con rabbia e sibilò tra i denti: -Non sottovalutarmi.

Ora Chiara era sana e salva, al sicuro tra le mura domestiche in compagnia della sua famiglia, mentre lui, dopo aver deviato dal percorso per raggiungere le sue stanze, stava scendendo a passi veloci e silenziosi una ripida scalinata di pietra grigia.

Al progredire della discesa la luce dell'ambiente si affievoliva, sostituita dalla silenziosa penombra della sala delle reliquie; là era dove le spie Jotun si erano intrufolate, su suo suggerimento, per carpire lo scrigno magico.

Lo sguardo del dio si soffermò per qualche istante sul piedistallo vuoto, rivivendo dentro di sé la conversazione che aveva avuto con Odino in quelle sale il giorno in cui aveva scoperto la propria identità.

Ma non era sceso là sotto per cadere nello stagno dei ricordi: il suo interesse era rivolto alla griglia di ferro dietro il piedistallo, dalla cui trama filtrava una limpida luce bianca.

Quella gabbia era stata un tempo la tana del Distruttore, creato dai nani su commissione di Odino per proteggere i tesori custoditi nella stanza delle reliquie; quella creatura di metallo era stata abbattuta tempo addietro da Thor sulla Terra e Odino non si era più preoccupato di farne costruire uno nuovo, ora che il suo figlio prediletto si era dimostrato degno di Mjolnir, così quella gabbia era rimasta vuota. O almeno, così credevano i più.

Loki batté Gungnir sul pavimento, facendone risuonare l'asta della metallica vibrazione, e la griglia di ferro davanti a lui scomparve, permettendogli di attraversare la soglia.

Là, avvolto da una lattiginosa luce diffusa e densa come la nebbia, un sarcofago dorato si ergeva dal pavimento. Al suo interno,  il vero Odino giaceva, completamente immerso nel suo Riposo.

Da quando lo aveva vincolato a quel sarcofago, imprimendogli un incantesimo di impenetrabilità, Loki non era mai sceso fin là sotto per andare a trovare il suo prigioniero, troppo sicuro della buona riuscita del suo piano; ma le parole di Phoneus avevano lasciato un marchio indelebile nella sua mente, insinuandogli un dubbio spaventoso.

Quando Chiara era fuggita, il mostro aveva sentito la voce del vecchio e Loki, conoscendo l'acuta intelligenza di Phoneus, sapeva che non poteva essersi sbagliato.

Quello che gli premeva comprendere, a questo punto, era il come. Come era stato possibile che la voce di quel maledetto vecchio fosse stata udita ad Âlfheimr?

Si avvicinò ancora di qualche passo e comprese: attorno al Padre di Tutti, che dal primo giorno del Riposo di Odino aveva iniziato ad accumulare energia, riusciva a percepire distintamente una forte aura magica, talmente potente che il suo incantesimo di impenetrabilità riusciva a mala pena a contenerla.

Si affrettò, dunque, ad applicarne un altro, ma la battaglia e l’uso prolungato dell’immagine di Odino avevano prosciugato le sue energie e l’incantesimo non riuscì.

-Sei sempre stato tu- sibilò il dio, osservandosi furente le mani -L’hai portata su Asgard perché capissimo la minaccia che incombeva; molto bravo, ma non credere che ti basterà startene qui in panciolle per riuscire a infrangere il mio incantesimo! Sono sicuro che tu abbia visto la mia forza e la mia abilità; non vorrai metterti contro di me! Tutto il tuo potere non sarà mai sufficiente per sconfiggere il vero re di Asgard.

Girò sui tacchi e riattraversò la sala, mentre alle sue spalle la gabbia si chiudeva, nascondendo nuovamente alla vista il capezzale del Padre di Tutti.

Da quando aveva concluso gli studi non gli era mai capitato di non riuscire ad eseguire un incantesimo e questa cosa, oltre far fremere Loki di rabbia, lo preoccupava profondamente: gli ultimi eventi lo avevano provato parecchio e ad ogni passo che faceva gli sembrava di rivivere il momento in cui Phoneus lo aveva colpito. Era stanco, dolorante e provato, ma allo stesso tempo vigile e la sua mente pesava accuratamente la gravità della situazione: se non si fosse ripreso al più presto, Odino, fresco e riposato, avrebbe potuto spezzare l’incantesimo che lo vincolava al suo Sonno e riprendere possesso del trono e, a quel punto, nulla l’avrebbe salvato da una condanna a morte.

D’altro canto, non c’era più nessuno in grado di parlare al cuore di Odino e mitigarne la furia.

Raggiunse con il fiato corto le sue stanze e, riprendendo la sua forma originaria, si lasciò cadere a peso morto sulle lenzuola.

-Temo che non ci rivedremo tanto presto- sussurrò Loki nel silenzio della stanza -Mi dispiace.

 

When the days are cold

And the cards all fall

And the saints we see

 Are all made of gold

When your dreams all fail

And the ones we hail

Are the worst of all

And the blood runs stail.

I want to hide the truth

I want to shelter you,

But with the beast inside

There's no where we can hide.

No matter what we breed,

We still are made of greed.

This is my kingdom, come!

This is my kingdom, come!

When you feel my heat

 Look into my eyes

It's where my demons hide

It's where my demons hide

Don't get too close, it's dark inside

It's where my demons hide

It's where my demons hide

At the courtain's call

 It's the last of all

When the lights fade out

All the sinners crawl

So they dug tour grave

And the masquerade

Will come calling out

At mess you made

Don't want to let you down

But I am hell bound

Though  this is all for you

Don't want to hide the truth

No matter what we breed

We still are made of  greed

This is my kingdom, come!

This is my kingdom, come!

When you feel my heat

 Look into my eyes

It's where my demons hide

It's where my demons hide

Don't get too close, it's dark inside

It's where my demons hide

It's where my demons hide

They say it's what you make

I say it's up to fade

It's woven in my soul

I need to let you go

Your eyes they shine so bright

I want to save that light

I can't escape this now

Unless you show me show

When you feel my heat

 Look into my eyes

It's where my demons hide

It's where my demons hide

Don't get too close, it's dark inside

It's where my demons hide

It's where my demons hide

Demons, Imagine Dragons

https://www.youtube.com/watch?v=LqI78S14Wgg

 

Angolo dell’autrice: ebbene, eccoci qui. Siamo giunte alla fine di quest’avventura, mie care, e io per prima sono sorpresa di esserci arrivata e di non aver mollato prima. Se non fosse stato per voi, per il vostro interesse, il vostro affetto e il vostro incoraggiamento non sarei riuscita a scrivere fino all’ultimo capitolo, perciò grazie.

Grazie di avermi accompagnata in questa bella esperienza e di avermi dato il coraggio di andare avanti a scrivere. Grazie di cuore, davvero!

Dunque, arrivate a questo punto diventa necessario dare delle piccole spiegazioni: quando ho iniziato a scrivere La sua paura, l’idea era quella di concludere con la separazione dei protagonisti e attendere che la Marvel (che è l’unico possessore dei personaggi adoperati nella storia, ad eccezione, ovviamente, di quelli inventati da me) girasse e distribuisse il terzo capitolo della saga di Thor. Questa l’idea di partenza, ma poi, andando avanti a scrivere, mi sono affezionata ai personaggi e alle loro vicende e davanti ai miei occhi si è dipinta una storia più ampia e complessa.

È per questa ragione che vorrei chiedervi lo sforzo di sopportare un piccolo prequel, che introdurrà il seguito de La sua paura e permetterà di addentrarci di più (nei limiti della mia capacità) all’interno dei personaggi, anche quelli secondari a cui ho lasciato poco spazio in questa storia.

Spero vogliate accompagnarmi lungo questo cammino che, se si riuscirà a raggiungerne la fine, comprenderà (almeno) tre parti e, come sempre, mi auguro di riuscire a trasmettervi delle belle emozioni e di regalarvi un po’ di tempo libero trascorso piacevolmente.

Vorrei ringraziare, nello specifico:

Alice_Lea, Ally I Holmes, c16b, Calliope82, Chiara_BarianForce, Darknesslight, DarthGreta92, dracarys_, emanuela_20, esi_chan, gaerel92, Isis_Ithil_Morwen, itsMegiPary, jess chan, Just another writer, kiki820, LoreleydeWinter, MARS88, Mars_, orihime02, sefoev, Silvermoon00, Sofy_Candy, Sweetnesss, Valar_Morghulis, wings1873 per aver seguito questa storia;

AlessiaOUAT96, Angel27, annina_76, Black Firework, Brina89, Chandra1620, Elisaneth Dragneel, Feds_95, fera_JD, JackieSleaze, MamW, Piccola Me, quen_under_mountain, Ragdoll_Cat, UntilTheVeryEnd1998, _Rachel Elisabeth Dare_  per averla preferita;

Clio93 e KaterinaVipera per averla ricordata.

Un grosso abbraccio a tutte voi e a coloro che sono passate solo per dare un’occhiata, non sono in grado di esprimere a parole quanto sono vi grata per il vostro supporto, in ogni modo esso sia stato espresso, perciò cercherò di ripagarvi dando il massimo per realizzare una storia che possa risultare piacevole e che possa essere all’altezza dell’attenzione che avete donato al mio lavoro.

Ci rivediamo presto con il prequel dal titolo Giochiamo insieme?

Grazie ancora di cuore! :)

Lady Realgar

Ps. Altra piccola citazione nascosta, giusto per concludere in bellezza ;) besos!

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