Ghosts - Presenze moleste -

di Yumeji
(/viewuser.php?uid=95601)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***



Capitolo 1
*** I ***


ghosts NB: Questa fanfiction è stata pubblicata in precedenza come "Presenze Moleste", avendola abbandonata ho deciso di riscriverla completamente  ^^
Godetevela!






Si trattava di una proprietà immensa. E appariva antica, molto antica.
“Spero di non perdermi dentro..” pensò Antonio sospirando leggermente per la fatica, un velo di sudore sulla fronte, subito asciugato con il dorso della mano quando, percorso il lungo viale di ghiaia, era finalmente giunto alle scale che conducevano all’ingresso della magione. A vedere i larghi e alti gradini all’ispanico venne un tuffo al cuore, aveva dovuto trascinare il suo trolley e borsoni annessi fin lì, dopo una scarpinata di quasi due chilometri - non avendo convinto l’autista del taxi, da cui era stato condotto sulla strada principale, che in quella fitta vegetazione esisteva una strada e, soprattutto, la sua destinazione, un’abitazione appena al di là del boschetto. Si sentiva esausto, e di fronte a quell’ultima fatica le forza gli vennero meno
Decise, quindi, di prendersi una pausa, scagliando tutti i propri bagagli a terra in un moto di frustrazione, distendersi poi su quella scalinata in pietra come se si trattasse del più comodo dei giacigli. Velocemente il sorriso, che così raramente si allontanava dal suo viso, gli risalì naturalmente dal fondo dello stomaco, quando la sua guancia accaldata ritrovò refrigerio sul freddo scalino in pietra. Doveva ammettere che, nonostante fosse ormai ottobre inoltrato, a causa dell’afa in cui era stato immerso per tutto il tempo in cui attraversava la boscaglia, il suo corpo avvertiva una temperatura esterna tale che non avrebbe di certo fatto invidia alle giornate estive in cui lui e Francis (Gilbert era morente nel loro appartamento dopo una scottatura allucinante che lo aveva reso color aragosta), si erano rifugiati al mare.
“Non ci credo che ora abiteremo qui…” pensò Antonio osservando, rimanendo disteso su uno scalino, l’edificio che incombeva su di lui. Le tante finestre sbarrate da pesanti oscuranti, alcune addirittura inchiodate da delle assi di legno, lo fissavano quasi si fossero trattate di una miriade di occhi, i quali lo stavano soppesando prima di decidere se farlo entrare o meno.
“Certo, per essere grande è grande, ma a Francis non darà giù il suo aspetto rustico” non aveva trovato aggettivi più gentili con cui definirla, in realtà, la magione era tutt’altro che un rustico, anzi, ai suoi tempi d’oro doveva trattarsi dell’abitazione più elegante e costosa della regione, ma il tempo, e il trasferimento del ramo principiale delle famiglia Edelstein dall’Inghilterra all’Austria, cosa che aveva portato al suo abbandono, non erano stati clementi con l’edificio, dandogli una parvenza decadente e diroccata. “Molto bohemien” sì, avrebbe potuto definirla in quel modo quando avesse ricevuto la telefonata dell’amico francese, Francis amava quel tipo di termini e, con un po’ di fortuna, non si sarebbe soffermato troppo sul suo significato. Di contro, però, non appena giunto alla villa, sarebbe divenuto peggio di una donnetta isterica, accusandolo Antonio di avergli mentito sulle reali condizioni della villa.
D’altronde, l’ispanico non vedeva altro modo per portarlo in quel luogo se non mentirgli, era sicuro che, dopo un periodo nella magione, Francis se la sarebbe fatta piacere, capendo fosse una prospettiva migliore di vivere all’addiaccio sotto un ponte - avendo perso la loro precedente sistemazione a causa dell’abbattimento della casa degli studenti, alloggio offerto dall’università che frequentavano.
Su quel punto, Antonio, faticava davvero a comprendere l’atteggiamento polemico e schizzinoso dell’amico, infondo, che Roderich gli avesse offerto di occupare una delle sue tante proprietà al prezzo di un ben misero affitto, gli era sembrata una proposta allettante e del tutto disinteressata (visto il minimo sindacale da lui richiesto), non si capacitava proprio di come Francis e persino Gilbert si potessero mostrare contrari.
“- Attento che c’è la fregatura -” lo aveva messo in guardia Francis, toccandosi con un gesto distratto la punta del naso, quasi avvertisse odore di bruciato,
“- Non fidarti di quel damerino spocchioso, può non sembrarlo, ma è un avaraccio scassa-ingranaggi. Non lo voglio come proprietario di casa -” così aveva elargito il magnifico Gilbert, i cui pessimi trascorsi con l’austriaco, lo rendevano un tantino di parte.
Per Antonio era stata un’impresa convincerli a prendere in considerazione la proposta, e ancor di più ci aveva impiegato per assicurarli delle buone intenzioni di Rod. Delle quali però ora era lui stesso a dubitare, avendo di fronte la magione che l’amico gli aveva offerto come alloggio. “E dovremo rimanerci fino alla fine degli studi…” dovette ricordare una piccola postilla nel contratto che gli aveva fatto firmare, la quale obbligava tutti e tre a vivere lì dentro sino alla laurea (o all’abbandono degli studi), pena, in caso contrario, di una tassa esorbitante… Adesso sì che cominciava a comprendere i sospetti degli altri due.
Il perenne buon umore di Antonio venne leggermente intaccato, iniziava veramente a pensare che l’austriaco avesse voluto fregarli, magari solo come ripicca nei confronti di Gilbert, ma subito dopo scacciò simili idee, il corpo percorso da un brivido, e accusò il cielo grigio, preannunciante pioggia, che lo sovrastava di avergli incupito i pensieri.
E nell’osservarlo, si rese conto di doversi sbrigare ad entrare, altrimenti avrebbe finito con il bagnarsi, già una gocciolina gli era atterrata dritta sulla punta del naso, e ci mancava solo un acquazzone a dare il colpo finale al suo tipico ottimismo. “Devo anche perlustrare la casa per l’arrivo di quei due..” si disse, optando per nascondere il peggio che avrebbe trovato e, nel caso, chiamare Roderich se si fosse trattato di qualcosa di grave (era il dovere del proprietario rimediare!).
Tornò in piedi, raccogliendo trolley e il resto del bagaglio, percorrendo lentamente ma senza un’eccessiva fatica, quella che sino a poco prima gli era parsa una scalata impossibile. Le membra stanche si erano riposate abbastanza dargli la forza per giungere fino all’alto e largo portone.
“Sono il primo del Bad Friends Trio ad entrare” realizzò non sapendo se ciò fosse una cosa di cui andare fieri o meno. Un senso d’inquietudine lo avvolse non appena fu accolto dall’oscurità che si nascondeva appena dietro l’ingresso, difficile dire che ora del giorno fosse, a causa della penombra in cui il salone si trovava.
Antonio stanziò per qualche momento sulla porta, quasi si sentisse indeciso se entrare, alle narici gli era corso immediatamente il familiare odore di chiuso e di polvere, Rod gli aveva assicurato che qualcuno, in precedenza, era andato a verificare l‘agibilità della casa, eppure, nell‘ispanico, crebbe la certezza di essere il primo a mettervi piede da almeno mezzo secolo. L’androne risuonò unicamente dei suoi passi e del suo respiro quando, finalmente, si decise ad entrare nel maniero e, così come era apparso, il senso di inquietudine scomparve, sostituito da un entusiasmo di cui non capiva le origini. Doveva ancora cominciare ad esplorarlo, ma quel luogo già aveva cominciato a piacergli.


- Uhm… Che buono! E’ da tanto che non avevo un assaggio del profumo dell’aria fresca, dell’odore del muschio, del-… -
- Della puzza di sudore, vorrai dire. L’olezzo tipico dei viventi -
- Sta zitto, scorbutico! Non mi rovinare la poesia! -
- Sei proprio una ragazzina se trovi della “poesia”, su uno sconosciuto che ci invade casa! -
- Non… non potrebbe essere il proprietario?-
- Impossibile, in lui non c’è neppure una goccia di sangue che lo leghi al nostro Padrone -


Da quello che Roderich gli aveva raccontato, le fondamenta della villa risalivano al medioevo, ma la struttura aveva ricevuto una serie di ampliamenti, ristrutturazioni e altre modifiche, e ben poco rimaneva del suo aspetto originale. L’ultima volta in cui aveva ricevuto una “modernizzazione” risaliva a circa sessant’anni prima, nel bel mezzo degli anni cinquanta, il nonno o il bis-nonno Rod, Antonio doveva ammettere di non essere stato molto attento durante la spiegazione, aveva idea di riportare l’edificio al suo fulgido splendore per renderlo un albergo, avendo modo così di fruttare in maniera redditizia una delle sue molteplici proprietà sparse in tutta Europa.
Prima di ciò il maniero era stato utilizzato durante l’epoca vittoriana, la nobile famiglia Edelstein ne usufruiva durante il periodo estivo, approfittando della sua lontananza dalla città per trascorrervi delle tranquille vacanze. Per poi lasciarlo all’inizio della Stagione, trasferendosi dalla campagna all’abitato così da ricoprire nuovamente i loro alti gradi nella società urbana.


- Quindi..? Che facciamo?-
- Aspettiamo di vedere come procedono le cose, potrebbe trattarsi di un custode o qualcosa di simile. Al momento, io mi limiterò ad osservare -
- Non devo avvertire gli altri? -
- Credo che tutti abbiano già percepito la sua presenza… Uhm, dubito che mi ascolterebbero se gli ordinassi di ignorarlo, quindi, digli questo: “divertitevi pure, ma non esagerate” -
- Ooh, e da quando sei così permissivo?! -
- Che c’è? Mi stavo annoiando anch’io, cosa credi!? -



[Qualche giorno dopo]
- Bhé… Per essere grande… è grande - osservò Gilbert quando, finalmente, dopo una scarpinata degna di uno dei campi di sopravvivenza a cui partecipava con West, gli si parò di fronte lo spettro della villa, la sua imponente sagoma scura contro un cielo nero, dai pesanti nuvoloni grigi, i quali, chissà per quale pietà, non avevano ancora riversato su di loro la tempesta che parevano promettere.
- Anche troppo..- commentò un Francis il cui umore, dal momento in cui il taxi li aveva abbandonati sulla strada principale, stava peggiorando a vista d’occhio. Durante l’attraversata del piccolo boschetto, cui sentiero si stentava a vedere in mezzo a tutta quell’erba alta, aveva finito per inciampare su un ramo caduto, spiaccicandosi a terra e, come se questo non fosse bastato, una delle sue valige si era aperta, riversando tutto il suo contenuto sul terreno ancora umido a causa delle pioggia dei giorni scorsi. -… siamo solo in tre - continuò a parlare con malumore crescente, delle foglie attaccare alla sua lunga chioma bionda, le quali gli donavano la parvenza di un perfetto imbecille,  - In più, da quant’è che è abbandonata? Ha un aspetto orribile… Ce l’avrà il riscaldamento? -
- Il damerino ha assicurato che ha l’allacciamento ad acqua, luce e gas…- rifletté il tedesco mentre cominciavano a percorrere il lungo viale che precedeva l’abitazione, - Ma sono sicuro che ciò non comprenda tutte le stanze - aggiunse, ghignando all’espressione sconsolata dell’amico, il cui verso sembrava quello di un’anima in agonia in un girone infernale.
- Probabilmente avrà anche delle segrete - commentò Francis, un’aura di depressione violacea che gli si disegnava attorno al corpo,
- … o un seminterrato per le torture - cominciò a ridere Gilbert, il cui unico motivo per il quale non si disperasse alla vista della loro nuova abitazione, come l’amico, fosse credere che l’obbiettivo di Roderich fosse proprio quello. Probabilmente aveva circuito Antonio con un’offerta simile, sapendoli in un momento di difficoltà - non avendo in tre abbastanza risparmi per pagare le tasse universitarie e permettersi un appartamento in affitto -, solo per arrivare a lui. La rivalità fra loro non si era per nulla sopita, nonostante il tempo trascorso da “quei fatti”, e ancora erano pronti a scontrarsi in qualunque modo, punzecchiandosi come due bambini dell’asilo che litigano per lo stesso gioco.
“Non credere! Ci vuole ben altro per abbattere il magnifico me, damerino dei miei stivali!” pensò Gil continuando a ridere sguaiatamente, riempiendo l’aria con i suoi “Kesesese”, cui suono ricordò a Francis lo stridere dei corvi e, accompagnato da una gelida brezza carica di elettricità, gli fece drizzare i peli delle braccia. Cos’era quell’improvvisa inquietudine?
Poteva darsi una spiegazione per la depressione da cui era stato momentaneamente colpito, ma proprio non si capacitava di quel morso alla gola che avvertiva, quasi qualcuno, alle sue spalle, gli avesse afferrato il collo e stesse tentando di soffocarlo.
“Ah, ora smettila Francis! Non sei più un ragazzino!” si ordinò subito dopo, scrollando il capo facendo cadere le ultime foglie rimastegli impigliate trai capelli, sperando di scacciare allo stesso modo quella sensazione.
- Tutto bene? - si trovò ad affrontare lo sguardo stranito di Gilbert, il quale lo fissava confuso, fermatosi proprio di fronte, e solo allora il biondo si accorse di non star più camminando. Le sue gambe si erano rifiutate di avanzare senza che lui gli desse alcun ordine al riguardo. - So che magari non è proprio una bellezza ma, e fidati della mia incredibile, meravigliosa persona, per quel che paghiamo (e per mancanza di alternative), mi sembra un compromesso accettabile - ghignò quasi le sue parole avessero la valenza del sermone di un ecclesiastico, e bastassero a disperdere il radicato malumore di Francis.
“Oh, cavolo” pensò il francese nel ricevere simili attenzioni da lui. Se Gilbert era arrivato a confortarlo a quel modo poteva solo significare che doveva avere un aspetto simile a quello di un tasso appena uscito dalla tana, ovvero, orribile. Anzi, probabilmente era ancora peggiore! Perché, in quel caso, l’albino si sarebbe limitato a prenderlo in giro. Si sentì punto nell’orgoglio Francis, poiché divenuto consapevole che la sua depressione agiva malamente sul suo aspetto, deturpando la sua migliore qualità.
Di certo non poteva immaginare che, se anche in parte aveva ragione, vi era un altro motivo se Gilbert era arrivato a fargli coraggio. Con quelle parole il tedesco aveva cercato di allontanare quella stessa inquietudine che aveva finito per colpire persino lui.
- Uhg… Smettila di parlare, o mi metterò a piangere - si coprì con una mano il viso il biondo, falsamente commosso dalle parole dell’altro, - In più, se mi tratti così gentilmente, potrei farmi un idea sbagliata Gil - aggiunse nel colmare la breve distanza che li separava chinandosi sul tedesco con un espressione carica di languida malizia e un sorriso mellifluo, con il quale finì per  provocare l’ilarità dall’altro, che nuovamente finì per scoppiare a ridere.
- Kesesesese… Smettila di dire cretinate! Sono troppo magnifico per diventare uno dei tuoi compagni di scopata! - lo colpi allegramente con un leggero pugno in cima alla testa, ridendo di gusto all’atteggiamento seducente del francese, chiedendosi come facesse la schiera delle sue amanti a trovarlo attraente, a suo parere, il magnifico lui era infinitamente meglio.
- Ah…- sospirò Francis, mentre l’albino cominciava a procedere verso la villa, - … un rifiuto simile non fa bene al mio spirito romantico.. Ah, quanto dolore al mio animo già martoriato - avendo il dono del dramma, non poteva far a meno di recitare ogni evento con l’enfasi di un attore protagonista alla prima dello spettacolo,
- Sisi, drammatucolo delle fogne, ti ho appena spezzato il cuore… - non gli fece il favore di riservargli neppure un’occhiata, limitandosi ad un cenno della mano, mentre continuava a procedere in avanti, lasciandolo indietro. - Comunque, ti consiglierei di rimandare a dopo le declamazioni delle tue pene d’amore, per quanto la pioggia faccia da perfetto sfondo, non credo che tu voglia rimanere qui a bagnarti il culo - riprese a ridere interrompendo un’altra delucidazione sulla prosa e la poesia che il francese stava per imporgli.
- Tsk… Non so se la tua mancanza di sensibilità sia dovuta al fatto che tu sia tedesco o perché sei uno studente d’ingegneria - gli rimproverò Francis nell’affrettarsi a raggiungerlo, un poco seccato nel trovare la propria interpretazione interrotta in un momento così appassionato.
Doveva però ammetterlo, quella breve parentesi comica aveva migliorato l’umore di entrambi. Ora quella casa non appariva più una così orribile catapecchia come un momento prima.
- Kesese… Lo sai cosa dicono degli studenti delle arti teatrali? - domandò Gil quando gli fu arrivato affianco, il riso, ghigno, ancora dipinto sulle labbra,
- Certo, che la nostra bellezza rinvigorisce le membra stanche di chiunque ci guardi -
- No, che siete….- Francis però non seppe mai cosa dicessero su di loro gli studenti degli altri corsi, perché il frastuono di un tuono sovrastò in quel momento la voce di Gilbert, - Scheibe!.. - impreco questi prima di iniziare a correre, come se questo lo potesse salvare dalla grandine che, ad un centinaio di metri dalla casa, aveva infine deciso di cadere su di loro.  - Te lo avevo detto di sbrigarti! -
- Nessuno ti ha obbligato ad aspettarmi mon ami…- replicò Francis trovandosi a percorrere a perdi fiato quell’ultimo tratto del viale ghiaioso con il, per nulla esiguo, peso dei propri bagagli sulle spalle e il trolley trascinato dietro.
Insomma, per la serie “iniziamo bene”, quello sembrava davvero un ottimo inizio.


Alla fine, per il francese e il tedesco risultò inutile la trafelata sino al portone d’ingresso, e non tanto per il tempo impiegato per ricoprire la distanza che li separava dalla meta, piuttosto, fu l’attesa dell’arrivo di “un certo qualcuno”, che avrebbe dovuto aprirgli la porta, a rendere del tutto superfluo il loro sforzo.
- Olà ragazzi… Siete già arrivati? - gli accolse con un caloroso sorriso Antonio, facendo capolino dalla porta dopo averli lasciati ad attenderlo per ben venti minuti. - E-ehi… tutto bene? - fu la domanda superflua che gli rivolse - avendo di fronte due amici ridotti a delle pozzanghere con le gambe - prima di ricevere, in risposta, il pesante borsone di Gilbert dritto in faccia. Senza rendersene conto, a causa del colpo, l’ispanico si trovò con il sedere per terra.
- Idiota! E’ da mezzora che sono attaccato a quel stramaledetto campanello! - proruppe l’albino furioso, la felpa rossa completamente zuppa, così come il resto dei vestiti che aveva indosso. A poco era servito il cappuccio sollevato a coprirgli il capo, i capelli gli si erano attaccati alla fronte, bagnati quanto lo erano le sue mutande sotto ai jeans scuri.
- Dovresti farti controllare l’udito Antonì, o per lo meno rispondere quando ti si chiama al cellulare - fu più contenuto, ma non meno furente Francis, la cui chioma bionda gli ricadeva sugli occhi coprendogli buona parte del viso, rendendolo simile a uno di quei cani dal pelo voluminoso e la frangia lunga.
- Ahahaha…. - rise nervoso lo spagnolo, poiché era il suo modo per scaricare lo stress, espediente che spesso lo faceva apparire più idiota di quanto non fosse, in particolare nei momenti critici e in quelli meno opportuni. Non sapeva proprio gestire la rabbia altrui, l’unica cosa che era in grado di fare, quando la provocava, era accettarla con un atteggiamento semipassivo come in quel caso. - Scusate ragazzi, non l’ho fatto di proposito - si trovò ad affrontare la collera dei propri amici, i quali lo fissavano dall’alto in basso, enfatizzando il fatto che fosse ancora sul pavimento.
- Vorrei ben vedere… - sbuffò il francese, cui arrabbiatura stava già scemando di fronte all’espressione beota del compagno, ogni volta che si trovava ad affrontarlo si sentiva come un uomo crudele che rimproverava un cane a bastonate, gli veniva difficile rimanere infuriato con lui. Ed era questa la ragione principale per cui Antonio era riuscito a convincerlo a prendere alloggio lì, in quel maniero, sotto consiglio di Roderich.
- Allora, quale sarebbe la tua scusa?- volle la sua giustificazione, simile al professore severo che attendeva le spiegazioni per il ritardo di un suo alunno,
- Ehm…- parve però esitare lo spagnolo,
- Avanti - insistette Francis,
- Ecco, io… Non avevo il mio cellulare con me - ammise,
- E? - rincarò la dose Gil con il suo sguardo.
- Mi sono perso - si decise a svuotare tutto d’un fiato, rivelando la propria vergogna non riuscendo a sopportare la pressione. - Que… questa villa è enorme. Avvolte, mi capita di perdermi - confessò grattandosi a disagio dietro al capo, il sorriso sulle labbra che pregava gli altri due di perdonarlo.
Cosa che Francis e Gilbert fecero, dopo essere scoppiati in due fragorose e grasse risate.
- Ma quanto può essere pessimo il tuo senso dell’orientamento? - diceva l’albino dandogli una pacca sulla spalla, gesto che fece gocciolare a terra una parte dell’acqua di cui gli si erano impregnati gli indumenti.
- Ami, dovremmo darti una bussola la prossima volta che parti per un’esplorazione - fece il francese pettinandosi la chioma bionda all’indietro, così da avere lo sguardo finalmente libero di vedere cosa avesse davanti. - Piuttosto, temo che allora non potrai farci da guida qui dentro - commentò con un certo rammarico, tanto per far sentire in colpa l’altro,
- Oh, no! Le stanze principali le conosco tutte. Sono quelle della parte vecchia dell’edificio a confondermi - cercò di rimediare alla propria figuraccia il bruno, decidendosi finalmente ad alzarsi dal pavimento, gettando il borsone di Gilbert dritto sul suo piede, fingendo fosse un errore e non vendetta.
- Quindi, hai idea di dove sia il bagno in questo posto? Io e Gil necessitiamo di cambiarci e darci una pulita - chiese ignorando le imprecazioni del tedesco, in tedesco, e il suo arto dolorante,
- Certamente! - fu orgoglioso ad ammetterlo l’ispanico, mettendosi sull’attenti come un maggiordomo al richiamo del suo padrone, - Anzi, c’è una piccola sorpresa che credo apprezzerai, Francis - aggiunse subito dopo, il volto euforico.
Per un qualche motivo, però, il biondo temette tanta felicità ed esuberanza, credeva che quella dell’amico, in realtà, per lui si rivelasse una brutta sorpresa. Proprio come quella villa, definita invece da Antonio come qualcosa di “fantastico” e di “superlativo”. Lo sapeva che avrebbe dovuto insistere a fargli domande quando gliel’aveva definita “molto bohemien”, ma l’uso di quel termine l’aveva distratto.
- Cos’è la cosa che più desideravi in questi ultimi tre anni? - gli pose un indovinello l’iberico, continuando con quel sorriso allegro e solare, ignorando del tutto, senza cattiveria alcuna, le condizioni dei due amici, gocciolanti e infreddoliti,
- Uhmm… - si fece pensieroso Francis, stando al gioco e perdendosi a riflettere, poi il suo occhio cadde su quel pulcino bagnato che era diventato l’albino, - Il sedere di Gilbert? - optò con un’espressione maliziosa,
- Hei! - protestò questi, -… ma non preferivi il culo di Antonio? - riflette leggermente confuso, ma la questione non venne approfondita.
- Intendo, cos’è che odiavi condividere quando eravamo nei nostri vecchi alloggi? - tentò di nuovo Antonio, caparbio e testardo in quel frangente,
-…- e lo sguardo del francese s’illuminò, colmo di una meraviglia che, sul momento, gli altri due pensarono scoppiasse a piangere per la commozione, - Non mi dirai..?-
- Le camere da letto della parte più nuova dell’edificio hanno un bagno ognuna -
E seppur, fino a quel punto, avesse considerato quell’antico maniero come un vecchio rudere carico di polvere, per il semplice fatto che non avrebbe più dovuto condividere la propria toilette con altri venti persone, per Francis divenne il luogo migliore del mondo. Fu sul punto di lasciarsi andare abbracciare Antonio, tanta era la felicità di quella notizia. Niente più file interminabili, niente maleducati che ti bussavano alla porta mentre tentavi di rilassarti, nessuno a rubargli i suoi costosissimi e importantissimi prodotti da bagno e profumi!
- Il romanticismo di quest’ambiente può essere un buono studio in previsione della mia tesi - convenne Francis, osservando con occhio del tutto nuovo quella catapecchia costosissima e secolare, d’improvviso non gli dava neppure più fastidio il contegno rustico ma pomposo dei componenti d’arredo (e aveva solo unicamente visto il salone d’ingresso), del senso: pochi mobili ma, quelli presenti, palesavano una ricchezza irritante, soprattutto essendo quella una villa abbandonata da anni. Per un momento si era chiesto, come mai, in tutto quel tempo non fosse passato un qualche ladro a depredare tali ricchezze.
Non ci provare neppure a mettere quelle tue manacce da lumaca viscida sugli oggetti del Padrone, bastardo!
Un brivido percorse la schiena di Francis, cominciava a soffrire davvero per il freddo a cui, la condizione in cui era, lo costringeva, voleva cambiarsi al più presto!
- Ci mostri allora dove sono le camere? - intervenne Gilbert, stanco che entrambi ignorassero la sua magnifica presenza e di continuare a gocciolare come un rubinetto che perde,
- Ah, certo! Dobbiamo andare al piano di sopra - esclamò Antonio indicando la larga rampe di scale in fondo alla sala, la quale si ramificava poi nel mezzanino, dividendosi in due rampe che andavano in senso opposto,
- Altri scalini?.. Oggi ho fatto l’attività fisica che in media faccia in un mese - borbottò il biondo sentendo le gambe farsi molli dalla stanchezza,
- Kesesesese… Si vede che sei un pappamolle Francis - rise di lui Gilbert facendosi avanti con disinvoltura, più abituato all’attività fisica avendo, come il fratello minore, una passione per il campeggio e tutto ciò che esso comporta.
- Fermo lì! - l’ordine di Antonio però lo fermò ad appena un metro dalla scalinata,
- Che c’è? - lo fissò stupito che l‘amico avesse ripreso il magnifico lui, aveva fatto qualcosa di male?
- Fidati, questa casa è un labirinto. Il primo giorno che l’ho visitata mi ero convinto che le stanze cambiassero posto, la cucina è diventata una camera da letto, una lavanderia e infine un salottino, prima di tornare ad essere la cucina - lo informò con un espressione talmente convinta che, per un momento, solo uno, Gil dubitò che stesse scherzando. Ma non poteva prendere sul serio quello che aveva appena detto, giusto?
- Ma tu hai proprio un senso d’orientamento da schifo - lo fissò l’albino leggermente scioccato dalle esperienza dell’iberico, le quali, invece, avevano suscitato nuovamente l’ilarità di qualcun altro.
- Sì, okay, magari ero io che mi ero perso - ammise Antonio, riscontrando solo ora l’assurdità della sua esperienza, - Però, per il momento, è meglio che vi guidi io fino alle camere - affermò precedendo il tedesco sulle scale, subito seguito da Francis, mentre Gil se ne rimaneva ancora fermo, stupito dalle reazioni avute dell’amico. Forse l’avevano lasciato troppo tempo solo in quella casa, giudicò per dare una spiegazione alla sua reazione.
- Gil, so che ti sei fatto incantare dalla mia bellezza…- lo riportò alla realtà la voce del francese, - ma puoi smetterla di fissarmi e muoverti a salire? -
- Ah?.. Sì, arriv-Whaa! - annunciò il magnifico prima di fare un capitombolo degno di una scena comica, schiaffando la faccia dritta sul primo scalino della rampa.
- Uh.. Sembrava doloroso - commentò Francis nell’osservarlo, mentre Antonio si affrettava ad assicurarsi che stesse bene e per aiutarlo a rialzarsi,
- Sei a posto, Gil? - ebbero entrambi la decenza di chiedergli se stesse bene, aspettando un suo mugolio dolorante d’assenso, prima di scoppiare a ridere per l’imbarazzante scenetta che gli aveva appena mostrato.
- Complimenti cerise, hai appena inaugurato il pavimento! - fece il biondo l’unico ancora a stanziare sulle scale,
- Grazie per esserti preoccupato per il magnifico sottoscritto, eh! - ribeccò irritato Gilbert, il volto arrossato lì dove il suo “splendido” viso aveva cozzato per terra, e un paio di lacrime agli angoli dell’occhio, aveva urtato il naso e ciò glieli faceva lacrimare, si sentiva fortunato di non esserselo rotto.
- Mon ami, sei solo inciampato, non farla troppo tragica - e detto da lui, il re del dramma, sembrava una comica,
- Inciampato?.. Uno di voi mi ha fatto lo sgambetto! - gli accusò Gil, il suo amor propri umiliato e il volto dolorante,
- Ma come avremmo potuto? Eravamo entrambi di fronte a te - lo fece ragionare Antonio, nel ben inutile tentativo di nascondere il riso.
- Qualcuno deve essere stato, non sono certo inciampato da solo! - protestò lui, ma durò un attimo, di colpo tacque e il suo colore già pallido divenne cadaverico, lo sguardo vermiglio fisso appena sopra a dove si trovava Francis, quasi la sua attenzione fosse attirata da qualcosa alle sue spalle,
- Ohi… Gilbert? - cercò di richiamare il suo sguardo su di se il biondo, credendo che l’amico si fosse incantato, o forse stava per perdere i sensi? In quale caso, il colpo che aveva ricevuto cadendo si sarebbe rivelato più grave di quanto avevano creduto.
- Ah.. Sì, allora queste camere? - sembrò riscuotersi l’albino, cambiando rapidamente discorso mentre, altrettanto velocemente, precedeva Antonio sulle scale,
- La rampa a sinistra! - gli gridò l’ispanico, non avendo modo di fermarlo, l’altro aveva preso a correre quasi ne andasse della sua vita arrivare alla cima.
- Ma che ti prende? - lo raggiunse di corsa Francis, confuso da una simile reazione,
- Nu.. Nulla, è che se sto così ancora un po’ mi si gela il sedere. E sono troppo awesome perché mi accada - si fermò quando ormai aveva raggiunto il primo piano, indicandogli la felpa bagnata, il cappuccio ancora calato sulla fronte, ostentando un ghigno forzato, in cui Francis lesse qualcosa di molto vicino al panico.
“Mi sono sbagliato… sì, non può essere altro “ continuava intanto a ripetersi mentalmente Gilbert, negando a se stesso di aver visto una figura alle spalle dell’amico. Era durata un solo istante, per poi scomparire in una nuvoletta di condensa, eppure, in essa, l‘albino aveva riconosciuto le fisionomie di una persone... E quella gli stava sorridendo. La cosa lo aveva terrorizzato al punto che si era ritrovato a correre ancora prima di rendersene conto.
Non avrebbe insistito sul fatto di aver avvertito un peso improvviso sulla schiena, una forza che lo aveva spinto a terra con violenza, facendogli perdere l’equilibrio. Avrebbe interpretato tutto come il frutto della sua mente stanca per la scarpinata nel boschetto e per il resto. Non c’era altra spiegazione.


- Ehehehehehe… Guarda, guarda, è riuscito a vedermi-
- E ne sei contento? -
- Certo!.. Lo stagista ci ha dato il permesso di divertici con loro, no? -
- E con questo? -
- Ho appena deciso quale tra quelli sarà il mio personale giocattolino! -
- Vedi solo di non esagerare… sei già uscito dai limiti facendolo inciampare. Non dovresti avere un contatto diretto con loro -
- Indovino, tu che sei solo una voce, da quando ti è permesso darmi ordini? -
- La mia era solo un'osservazione Orso -
- Oh, va bene. Ti perdono… comunque, dopo tanto tempo, ci sarà finalmente da divertirsi -










---
NDA
La prima volta che ho pubblicato questa FF, c'è stato qualche problema con alcuni utenti che insistevano a cercare di indovinare quali fossero i "fantasmi"(non che ci sia nulla incontrario, ma se lasciate una recensione non limitatevi a questo ^^''), quindi, per sviare il problema, in questa nuova versione ho ideato dei "soprannomi" per i fantasmi (i quali hanno una spiegazione che verrà spiegata più avanti), so che possono suonare banali e (almeno un paio), ovvi, cmq, ve li presento in anteprima in ordine puramente casuale:

Orso
Stagista
Dama
Indovino
Appeso
Fata
Little Lady
Suicida
Sanguinario

p.s: a seconda di come si svilupperà la ff potrebbero aumentare.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II ***






Fa freddo, e non è un freddo familiare, come del luogo da cui provieni.

Il gelo di quelle terre è desolante e la neve ricopre ogni cosa, senza lasciare spazio ad alcuna traccia di vita. Sei finito nel bel mezzo di un’infinità distesa immacolata.
Sopra di te il cielo è grigio, tremi. Non riesci a capire che momento del giorno sia, le nuvole tanto spesse da non lasciarti intravedere neppure il più piccolo spiraglio, sai che presto ricomincerà a nevicare e temi di finir inglobato in tutto quel biancore.
“Un puntino bianco sul bianco” pensi con una nota d’ironia, non ti è ben chiaro come tu sia finito in un guaio simile, ma nel tuo animo avverti una rassegnazione del tutto estranea, che non ti appartiene.
Ciò che ti circonda ti confonde e t’incute timore, eppure, allo stesso tempo, provi qualcosa di confortevole.
Nonostante i piedi nudi sulla neve gelata, i vestiti leggeri, e la pelle d’oca su tutto il corpo, quell‘emozione ti risale dallo stomaco propagandosi nel tuo animo con un piacevole calore.
Ti è facile riconoscere quella sensazione, l’hai provato almeno una decina di volte da quando hai deciso di andare a studiare all’estero. E’ il contrario di quella nostalgia che, ogni tanto, nei momenti prima di addormentarti, ti stringe il cuore.
Ti senti a casa.
Come quando ritorni a Berlino per le vacanze di Natale e, immancabilmente, trovi West ad accoglierti con indosso uno di quei ridicoli maglioni tipici delle festività (regalo di una qualche zia decrepita), che il nonno l’ha obbligato ad indossare.
Sì, per quanto tu stia congelando sin dentro le ossa, avverti quella familiarità, quel calore di chi è stato via molto allungo e, finalmente, torna al posto a cui sente di appartenere.


“Però… io qui è la prima volta che ci vengo” rifletté Gilbert, recuperando un po’ di coscienza di se in quell’idilliaco e silenzioso spettacolo, mentre socchiudeva gli occhi nel tentativo di studiare l’orizzonte, cercando una qualsiasi ombra o frastagliatura che gli potesse indicare un’abitazione o qualche altro tipo di edificio. Ma veloce la neve cominciò a calare sopra la sua testa e un vento impetuoso iniziò a soffiare.
Presto intorno a lui si creò una bufera, la quale cancellò il piatto paesaggio che sino a quel momento lo aveva circondato.
- Ma cosa diavol.?! - si trovò ad urlare, senza però udire la sua stessa voce, sovrastata dalla tempesta da cui ferocemente era sferzato e tirato, quasi ci tenesse a liberarlo di quei pochi indumenti che indossava, lasciandolo così completamente nudo in un ambiente totalmente ostile. - Merda! Così finirò davvero per confondermi con la neve! - si lamentò a gran voce, i suoi capelli e la carnagione lo mimetizzavano sin troppo lì attorno e lui sapeva solo di aver il sempre più pressante desiderio di essere trovato.
La nota di familiarità era scomparsa del tutto, così com’era venuta, ora desiderava solo essere visto, rintracciato, notato. Per una volta però, per lui, sembrava un’impresa impossibile.
Io conosco un modo per farti risaltare..
Dal nulla quella voce ebbe il potere di raggelarlo più della tempesta di neve e di tutto quel ghiaccio da cui era circondato.
Prima di allora non aveva mai udito un tono simile, capace di far tremare le viscere, l’intonazione di qualcuno che sembrava sul punto di scoppiare a ridere da un momento all’altro. Quasi non vi fosse spettacolo più divertente, esilarante, di un ragazzo trovatosi a fissare incredulo la lama di un coltello fuoriuscire dal proprio petto, pugnalato a bruciapelo alle spalle.
Con orrore crescente Gilbert osservò la macchia di sangue allagarsi sui suoi vestiti, mentre un urlo si strozzava nella sua gola, sostituito da un rivolo di sangue che gli scendeva lungo le labbra. Stava nuovamente tremando, e questa volta il freddo non centrava, ora vedeva stagliarsi contro di se l’ombra di un gigante, chiedendosi come avesse fatto a non notarlo prima.
Guardò la lama ritirarsi dalle sue carni, la figura nera spostarsi e il candore della neve macchiarsi di rosso.
E’ lo stesso colore dei tuoi occhi.
Gli disse la voce nel momento in cui gli cedevano le gambe e crollava a terra. Avvertiva un dolore lancinante e avrebbe voluto reagire, in qualche modo, ma pareva che il gelo gli avesse congelato i muscoli. Finì disteso sulla neve fresca, mentre altra già cadeva a ricoprirlo.
Gilbert credettè che ogni cosa si concludesse lì. Ma si sbagliava.
Chiunque lo avesse pugnalato non aveva finito con lui. Per questo, all’improvviso, il tedesco si trovò rivoltato, ora con la schiena appoggiata sul terreno.
Per lo meno, adesso, poteva vedere il cielo. Si disse, incapace di formulare un pensiero coerente, avvertendo il proprio corpo pesante e leggerissimo allo stesso tempo.
I fiocchi di neve che gli cadevano sul viso, doveva ammetterlo, erano proprio belli. Non poté però bearsi allungo di quella visione perché, l’ombra di poco prima, era tornata, occupando del tutto la sua visuale.
Vi furono solo due cose che Gilbert notò di essa: la prima, fu il lungo coltello con il quale già una volta lo aveva ferito e con cui sembrava progettare di farlo ancora; la seconda, il sorriso infantile con cui puntava quella stessa lama verso i suoi occhi, un momento prima di renderli ciechi.
Hai visto, hai visto, il colore del sangue e quello delle tue iridi sono uguali!
Cantilenò la voce con fare giocoso, e il dolore al petto di Gil si acuì, mentre l’ombra calava la sua lama su di lui più e più volte.


Al suo risveglio, Gilbert non urlò in preda al terrore, sconvolto da quell‘orrendo incubo. Si ritrovò invece con la gola secca, impossibilitato a parlare, e un senso di gelo fin dentro l’animo, quasi le sue ossa si fossero tramutate in ghiaccio.
Gli ci volle qualche secondo per rendersi conto di dove fosse, non era abituato alla nuova stanza, e per un momento si era persino dimenticato di non essere più nel dormitorio studentesco. Per una volta fu sconfortante trovarsi da solo in camera, dopo essere stato abituato per quasi tre anni a condividerla con Antonio, nonostante le lamentele continue per la mancanza di privacy a cui una simile convivenza l’aveva portato. In quel momento avvertiva l’impellente bisogno di vedere qualcuno, di assicurarsi di essersi veramente svegliato e di non essere, invece, ancora prigioniero di un sogno. Ma purtroppo erano le tre di notte, e Gil non era certo un moccioso che aveva bisogno del conforto della mamma dopo un incubo. Lui era il magnifico!
Anche se non gli sarebbe dispiaciuto avere quell’armadio del suo fratellino minore affianco.
“Nononononono… Questo non è per nulla awesome da parte mia” si rimproverò Gilbert cercando di riprendere sonno, era davvero troppo presto per provare ad alzarsi, soprattutto perché la sua camera era proprio l’ultima del corridoio e, se avesse fatto troppo rumore nell’attraversarlo, di certo Antonio e Francis non gli avrebbero perdonato la sveglia fuori orario. Dovette quindi reprimere le proprie inquietudini e, tremando per il gelo che sembrava fosse piombato nella stanza (fortuna che doveva esserci il riscaldamento, Rod!), si raggomitolò nelle coperte, portandosi il lenzuolo sin sopra la testa.
E solo allora si rese conto di aver bagnato il proprio cuscino di lacrime.


Mille gocce di sangue sulla neve gelata,
macchiano la terra, sgorgano da una cascata.
Mille tagli inflitti a quel corpo morente,
e il suo sguardo è triste, vuoto, sofferente.
 Fluisce via la vita da quei corpi martoriati
e Mille sono a terra, i cadaveri dei soldati.

Ballano, ballano gli uomini sotto i colpi di un fucile,
ma non si rialzano. Il loro tempo sta per finire.


Era un bel mattino, il sole splendeva e i passerotti cinguettavano a quel sole che, con il giungere della stagione fredda, si faceva sempre più raro.
Francis si godette con un sorriso quel dolce risveglio, il totale benessere dell’essersi destato con la tranquillità dello studente che non doveva correre a lezione, o del lavoratore in ferie. Stava ben usufruendo di quei giorni di vacanza prima dell’inizio del nuovo semestre, il momento perfetto in cui si hanno appena recuperato gli esami dell’anno precedente e pare non se ne prospettino altri all’orizzonte - un’illusione tipica di molti studenti universitari.
Si chiese, però, cosa lo avesse portato ad aprire gli occhi tanto presto, non aveva né cellulare né sveglia a portata di mano ma, poté giudicare dal sole che pigramente si destava all’orizzonte, dovevano essere all’incirca le 6.00 am. Non era mai stato un tipo mattiniero - a parte quando i suoi impegni lo richiedevano -, solitamente preferiva sonnecchiare sino a tardi, con la semplice motivazione che se lo poteva concedere. Quel giorno però, qualcosa doveva aver disturbato il suo sonno, destando prima del solito, probabilmente, si disse, l’ambiente nuovo in cui si era appena trasferito lo aveva scombussolato più di quanto avesse creduto. O, forse, un raggio di quel sole, che ammirava alzarsi in un largo cielo dalle tinte pastello, lo aveva colto sul viso infastidendolo e portandolo alla veglia..(!)
Certo che, quando aveva scelto la propria stanza, non si era minimamente accorto della presenza di un solarium al suo interno. "Ma c'era veramente una cosa del genere?" gli venne il dubbio, eppure, doveva essere così, altrimenti, come poteva entrare tutta quella luce nella stanza se aveva calato le persiane quando, la sera prima, era andato a coricarsi?
“Brr… Uno spiffero. Sembra di stare all’aperto!” tremò leggermente avvertendo un sottile soffio d’aria alitargli sul collo, facendolo rabbrividire, “E meno male che doveva avere il riscaldamento..” ricordò avvolgendosi nelle coperte, rigirandosi dall’altra parte nel tentativo di riappisolarsi. Non credeva ci sarebbe riuscito, ma non aveva la minima intenzione di alzarsi.
- CRACK! - fu allora che Francis ebbe il piacere di fare la conoscenza del proprio compagno di letto.

Antonio socchiuse appena gli occhi.
Era forse un grido quello che aveva appena sentito..?
No, di certo si era sbagliato. Quella casa era così grande e vecchia, probabilmente si trattava solo di uno scricchiolio più acuto degli altri.
E, d’altronde, era stato un suono troppo lontano perché provenisse da una delle stanze occupate da Francis e Gilbert. Quindi, con la coscienza limpida di un neonato, l’ispanico si voltò dall’altra parte, acciambellandosi come un gatto, tornado placidamente a dormire.

“Nonpuòesserenonpuòesserenonpuoessere… nononono!” si ritrovò a sguazzare nel bel mezzo di uno stagno putrido Francis, un'alga a coprirgli gli occhi e il pigiama firmato totalmente zuppo di quell‘acqua puzzolente e salmastra. Avrebbe speso un patrimonio in lavanderia per riuscir a far andare via quell’olezzo, si disse a mal in cuore, ma c’era un problema più impellente di cui non riusciva a capacitarsi…
- Come cavolo ci sono finito qui!? - urlò furente, incrociando lo sguardo dell’enorme rospo che l’aveva fatto ruzzolare giù dal proprio materasso, - E tu… non fissarmi! - se la prese con l’animale, schizzandolo con l’acqua, ma mancandolo completamente. L’anfibio intanto continuava ad osservarlo dalla riva, dove si trovava una parte del letto su cui il francese aveva riposato sino all’attimo prima, per poi cadere in quella che aveva definito “una pozzanghera troppo profonda” a causa dello spavento.
- Gilbert, Antonio! Questa me la pagata! SUL SERIO, PRESENTERò A VOI IL CONTO DEL MIO PARRUCCHIERE E DELLA LAVANDERIA! - proruppe furioso, ormai totalmente sveglio, ogni traccia di sonno scacciata dall'acqua che gli bagnava le membra e dal sottile gelo autunnale.
Ovviamente, come si aspettava, non ricevette risposta. Quei due dovevano essersela svignata da un pezzo, ridendosela nell'immaginare la scena del suo incontro fin troppo ravvicinato con un rospo.
"Quei... quei due!" tremò dalla rabbia, l'espressione furente, i denti stretti - Mi hanno burlato! - continuava a gridare alla propria frustrazione, prendendo a pugni lo specchio dell'acqua, con il risultato che gli schizzi lo colpirono dritti in faccia. - Aargh! - ringhiò prendendosi il viso fra le mani, la sua mente d'artista stava già escogitando quale splendida cattiveria avrebbe riservato ai due sciocchi amici. Di certo non si sarebbe limitato a rispondere al loro scherzo con qualcosa di altrettanto sciocco e rozzo, no... La sua sarebbe stata una vera opera d'arte! - e l'istinto di scoppiare in una teatrale risata malefica per dare il tocco giusto alla scena fu forte, ma sapendo che, se qualcuno lo avesse visto, lo avrebbe preso per pazzo, Francis desistette, nascondendo l'accenno di riso con un colpo di tosse.
Sì, li avrebbe giocati, ripagati con la stessa moneta. Doveva solo scegliere con quale tortura allietare la sua vendetta perché, sicuramente, li avrebbe fatti soffrire, come ora stava soffrendo lui per la puzza che avvertiva provenire dalla sua splendida chioma bionda.
- Ahi!..- mugolò dal dolore, le lacrime agli occhi quando il grasso rospo, stanco di vederlo discutere con se stesso, gli saltò in grembo,
- Crak! - gli fece l’anfibio in risposta, osservandolo con i suoi tondi occhi dall’espressione annoiata, e forse un po’ seccata. Sembrava domandargli perché, se tanto ci stava male nel suo laghetto, non se ne fosse ancora andato, invece di rimanerci in ammollo, con una temperatura tutt'altro che piacevole e una coltre di sporcizia a dissuaderlo. E a rifletterci, Francis dovette dargli ragione. Sarebbe dovuto andarsene prima di prendersi un raffreddore o peggio, tipo un principio di congelamento.
Rabbrividì il francese all'aria gelida che aveva preso a soffiare tutt'attorno, intrisa di una pesante umidità e carica di odori tutt'altro sopraffini. Finalmente, si decise ad osservare l'ambiente circostante, cercando di scoprire in che punto della proprietà fosse finito, ma non dovette sforzarsi troppo per capirlo. Alle sue spalle, simile ad un silenzio e lugubre gigante, si stagliava la parte posteriore della villa, il quale pareva fissarlo storto come quel rospo che ancora gli stava appollaiato sullo stomaco.
A differenza del giorno prima, in cui la maggior parte delle imposte alle finestre erano chiuse, molte erano state spalancare, così far circolare quell'aria vecchia di cinquant’anni. Grazie a ciò, dal basso dell'immenso giardino, Francis riuscì ad intuire quale fosse la sua stanza tra quelle del secondo piano, a quanto sembrava Antonio e Gilbert avevano provveduto ad aprirgli la finestra, dopo averlo portato dormiente sin lì.
- Ooh..- si lasciò sfuggire una nota di stupore mentre, guardando alla propria stanza, notò una sottile figura stagliarsi in contro luce, "ma certo si stavano godendo lo spettacolo..!" intuì con l'ennesimo moto di rabbia a deturpargli il viso, mentre un sorriso più simile ad un ghigno gli rendeva l'espressione una maschera grottesca, perfetta per un ballo in maschera.
Sollevò il pugno in una muta minaccia, promettendo vendetta ad entrambi, ma la figura si era già allontanata. Un senso di gelo, diverso da quello che provava sulla pelle, gli calò sul cuore nell'osservare il buio dove prima stava la sagoma, accompagnato da una sottile inquietudine che gli strinse la gola. Per un istante, solo uno, gli era sembrato impossibile che quella silhouette aggraziata e minuta, potesse appartenere ad Antonio o a Gilbert. Perché, per un momento, gli era parso di vedere il volto di una ragazza.



- Buoongiorno, ragazzi! - li salutò Antonio con tono allegro e squillante, piombando nella grande e vecchia cucina con un sorriso raggiante, troppo luminoso perché Gilbert e Francis, cui volti cerei ricordavano delle maschere funebri, potessero sopportarlo.
Il tedesco si limitò a grugnire, senza neppure rivolgergli uno sguardo, troppo impegnato a continuare a fissare la tazza di cereali che aveva di fronte. Non sapeva perché se la fosse preparata - doveva essersi mosso più per abitudine che per altro -, aveva lo stomaco chiuso e la vista della sua solita colazione gli provocava un senso di nausea. Dubitava sarebbe riuscito a prendere anche solo un boccone.
- 'Giorno - fece invece Francis, le braccia incrociate al petto ed un'espressione di stizza sul volto.
- Ugh... Cos'è quest'odore? - esclamò con una faccia schifata l'ispanico, stava per avvicinarsi al tavolo ridosso della parete su cui stavano i due amici, quando, l'olezzo di qualcosa come residui di tubi di scarico e rifiuti tossici gli invase le narici.
- E' lui - si limitò a riferirgli Gilbert, indicando con il cucchiaino il biondo sedutogli affianco, la cui espressione sul viso, intanto, si era fatta ancor più cupa ed irritata,
- Qualche problema con la doccia, sta' mattina? - ironizzò Antonio, il quale non poteva neppure immaginare quanto immensa fosse la rabbia di cui era colmo Francis, del tutto ignaro dei fatti che recentemente lo avevano colpito.
- Come se tu non lo sapessi! - parlò con un tono acido ed accusatorio il francese, finalmente esplodendo. dopo essere rimasto ad accumulare irritazione nell'attesa dell'arrivo del bruno, il quale si era fatto attendere. Per dare più enfasi alla scena si alzò di scatto, preso dalla rabbia, sbattendo la mano sul ripiano del tavolo. L'urto fu tanto forte che rischiò di far ribaltare la ciotola di Gil, il quale la sollevò per evitare che gli si rovesciasse addosso,
- Ehi, ma che ti prende?! - protestò l'albino, fissando l'amico con gli occhi vermigli incavati in due pesanti occhiaie, in lui una crescente irritazione causata dalla scarsità di sonno.
- Mi prende che mi sono ritrovato a farmi un bagno non previsto a causa vostra! - rispose Francis, alterandosi al tono dell'amico. No, non gliel’'avrebbe concesso di arrabbiarsi, era il SUO momento di essere alterato. - Ditemi: chi è il genio tra voi che ha avuto la brillante idea? - domandò un poco più composto, ma non meno infuriato, incrociando le braccia al petto mentre fulminava i due colpevoli del misfatto.
- Francis...- parlò per primo Antonio, dopo essersi scambiato uno sguardo confuso con il tedesco, il quale scosse appena il capo in un muto scambio di battute, - ... noi non abbiamo idea di cosa stai parlando -
- Oh sì, ceeerto. E allora il mio materasso c'è finito da solo in giardino - fece lui sarcastico, visti i loro precendente, come avrebbe potuto credergli?
- Hai dormito in giardino?! - fu l'inutile commento di Gil, sul cui viso cominciò ad intravedersi una traccia di sorriso, probabilmente lo stava giudicando uno scherzo divertente,
- Sì, ho dormito in giardino! E vuoi saperla una cosa..?- gli si rivolse ancora più irritato, chinandosi su di lui con aria funerea e minacciosa, -... sono stato attaccato da un rospo! Da un rospo, capisci?! - per poi scoppiare a piagnucolare con una faccia schifata.
- Un che..?- si trovò a mordersi l'interno delle guance Antonio, per non cominciare a ridergli in faccia,
- Un rospo! Un gigantesco, viscido, melmoso rospo! - si mise a drammatizzare l'avvenuto, prendendosi il viso tra le mani come un Romeo che piange la sua amata Giulietta.
- E' muco - lo corresse Gilbert, il quale sotto lo sguardo allibito degli amici si ritrovò a specificare, - Quello che ricopre rospi e rane non è melma, è muco -
- E tu lo sai questo perché..? - gli domandò il francese, dando voce a ciò che si chiedeva pure Antonio,
- West frequenta il corso di biologia, quando torno a casa capita che stia studiando cose strane - alzò le spalle, non trovando tanto eclatante la sua conoscenza di una simile nozione, non era così idiota come lo credevano!
- Va bene... Tralasciando il fatto della ran- tentò di prendere parola Antonio, così da poter alleggerire e risolvere la situazione,
- Rospo - lo corresse nell'immediato Francis, provocandogli un moto di frustrazione che dissimulò bene con uno dei suoi soliti sorrisi. Si era alzato splendidamente quel mattino, e non avrebbe lasciato che nulla gli rovinasse la giornata.
- Va bene, lasciando perdere il fatto del rospo. Come ci sei finito a dormire in giardino? - e, a quella domanda, l'occhio destro del francese venne preso da un tic nervoso.
Ancora facevano gli gnorri?
- Ma perché mi ci avete portato voi due, ovviamente! - li accusò di nuovo,
- Io non centro -
- Idem - negarono entrambi, facendogli tremare i pugni dal nervoso. - .. e poi, scusa. Non ci hai ancora spiegato perché puzzi di fogna - aggiunse Gil, tanto per infierire,
- Perché quello stupido, orrido rospo, mi ha fatto precipitare nel lago! - non andò a specificare che c'era caduto da solo, a causa dello spavento provocatogli dalla bestiola, non ci avrebbe fatto una bella figura.
- E farti una doccia? -
- Ne ho fatte tre di docce, e l'odore non se né ancora andato via! - replicò a quell’acido commento, capace di fargli saltare i nervi a fior di pelle,
- Allora permettimi di aiutarti a fare la quarta -
- Che? - Francis non ebbe neppure il tempo di comprendere quelle parole che, dal nulla, gli piovve sulla testa una cascata di latte e cereali, il contenuto della ciotola tenuta in mano poco prima da Gilbert ora rovesciato in cima al suo capo.
- GI... GILBERT!! - fu sul punto di aggredire l'amico, ma qualcosa nella sua espressione, e in quella dello spagnolo, lo fermarono. Entrambi erano di colpo impalliditi, fissavano un punto alle sue spalle, - Che cosa state guard...(!)- e si voltò per seguire i loro sguardi.
Come poteva la tazza di Gilbert rimanere sospesa a mezz'aria in quel modo?
E come poteva l'albino avergliela versata addosso senza muoversi dalla sedia al suo fianco?
- Che... che trucco state usando? - balbettò Francis trovandosi di colpo a disagio, continuando a fissare l'oggetto immobile sospeso nel vuoto,
- N-non sei tu..?- domandò con voce altrettanto tremante Antonio, il quale aveva la tentazione di arretrare verso la porta, il sorriso scomparso per una volta dal suo viso.
- E credi che me la sarei versata da me?..- replicò, le parole che gli morivano in gola,
- Ra... ragazzi, sono stato solo io a sentire quella voce o..? - non ebbe bisogno di continuare Gil, perché sì, l'avevano sentita tutti e tre. Francis aveva per un momento creduto fosse stato uno di loro due a parlare, tardi si era reso conto di non riconoscere quel tono irritante.
- E adesso cos..- tentò di chiedere Antonio, ma venne interrotto quando, allo scadere del decimo secondo, la ciotola gli fu scagliata contro da quella stessa forza invisibile che la teneva sollevata. Fortunatamente, grazie a degli ottimi riflessi che lo portarono a chinarsi di scatto, per una manciata di centimetri, l'oggetto lo mancò, finendo così per frantumarsi sulla parete alle sue spalle.
Il silenzio e un senso di gelo piombarono pesanti nella grande cucina. Poi scattò il panico.
Gilbert fece schiantare la propria sedia a terra, per il troppo slancio con cui si era alzato, e ciò diede il segnale ad Antonio, il quale fu il primo a correre verso la soglia, ma inciampò proprio sulla dirittura d'arrivo e, a causa di Francis che gli era subito dietro, si trovò spinto a terra, provocando un aggrovigliamento di corpi quando il biondo gli cadde sopra. Con un'agilità da atleta di salto in lungo, l'albino gli scavalcò con un balzo, uscendo così dalla cucina, per poi voltarsi ed afferrare le braccia dello spagnolo, trascinandolo per un paio di metri, mentre Francis, già rialzatosi, chiudeva la porta con un pesante tonfo, sbarrandola con il proprio corpo per poi serrarla a doppia mandata quando notò la presenza della chiave nella toppa.
Era fatta. Pensarono per un momento i tre, trovandosi a fissarsi con il fiato corto da maratoneti a fine corsa, il panico e l’adrenalina che lentamente scemavano dai loro corpi, lasciandolo al loro posto unicamente un colossale senso di gelida paura.
Nei loro sguardi cominciava a formarsi la medesima domanda: "cosa diavolo era appena successo?!!"


- Ti rendi conto di cosa hai fatto?! -
-... Indovino ti ha parlato? -
- Non mi è servito, si è percepito in tutta la villa... Orso! Capisci cosa è accaduto? -
- Te la prendi troppo a cuore, infondo, sei solo uno stagista. La cosa non è di tua competenza -
- Non parlarmi con quel tono! Questo luogo è stato affidato a me, quindi è a me che spetta controllar-..(!)-
- Ti stai affaticando troppo ultimamente, Stagista. Attento, o finirai per scomparire, e la cosa mi dispiacerebbe un po' -
- Tsk... Difficile crederti con quel sorriso che h-..(!) -
- Ahahahah... Si sta avvicinando quel giorno dell'anno, vero? Per questo sei così debole -
- Taci..-
- E perché? Non ami festeggiare il giorno in cui sei stato ucciso? -


"E a te non  manca quel luogo colmo di neve macchiata di sangue?"


- Ecco... Sì, Rod. So che al momento sei ancora in Austria, ma sai... No, non si tratta della caldaia, cioè, c’è anche quella ma... insomma, ci sarebbe - il tono esitante e remissivo con cui Antonio tentava di discutere al telefono con l’austriaco ebbe la capacità di far venire l’orticaria a Gilbert, costretto ad assistere inerme alla discussione.
Per sicurezza, avevano ritenuto opportuno uscire all'esterno, così da mettere più distanza possibile tra loro e il luogo dell'inspiegabile episodio. Al momento, si trovavo appollaiati sulla scalinata che si affacciava sul viale ghiaioso, con eccezione di Francis, il quale si diceva disponibile ad affrontare quel "qualunque cosa" ci fosse all'interno della villa, pur di farsi la quarta doccia della mattina. Non poteva sopportare l'idea di rimanere anche solo un istante in più con quei vestiti che puzzavano di latte e le girelle di cereali incastrate tra i capelli.
"Sul serio, sei una frana in questo Anto" lo osservò colmò di commiserazione, cercando al col tempo di portare l'attenzione altrove, ma con scarsi risultati. Il cielo sopra la sua testa era plumbeo, grigio come il cemento, pesante, gli dava un senso di soffocamento e gli ricordava sin troppo quello che aveva potuto vedere in sogno. Ciò bastava a mettere il magnifico Gil a disagio.
- Ecco... - ripeté per la quindicesima volta lo spagnolo, incapace di dare un senso a quello che aveva visto, senza risultare ubriaco o sotto effetto di stupefacenti all'orecchio del damerino, - qui a-avremmo un piccolo pro-problemino..?- tentò di nuovo senza però riuscire a dire nulla. - Cioè... - sta volta sembrava sul punto di scoppiare a piangere, notò l'albino, ormai era arrivato al limite, non riusciva proprio a capacitarsi di ciò che era appena accaduto e, quindi, gli diveniva impossibile spiegarsi. Aveva la medesima espressione sofferente di un grosso cagnolone a cui avessero fatto indossare una museruola troppo stretta.
Tardi Gilbert comprese che quegli occhi verdi lo stavano fissando in una muta supplica, alla quale non sarebbe stato in grado di sottrarsi.
- Uff... Passamelo - sbuffò porgendogli la mano aperta perché gli desse il cellulare, quando aveva fatto l'associazione Antonio = cane, sapeva già come sarebbe finita. Amava troppo quelle bestie per negargli un favore quando gli faceva quell'espressione.
"Fantastico. Così mi prenderà per uno scemo ancor più demente di quanto già non crede..." pensò già irritato, ancor prima di sentire la voce di Roderich uscire dall'apparecchio, ora toccava a lui cercare di esplicare a quegli eventi al limite dell'assurdo.
- Kesese... Damerino dei miei stivali, sei ancora in vacanza? Non ti sembra di batter troppo la fiacca? - lo salutò nel suo solito modo arrogante e seccante, sapendo che ciò avrebbe dato su ai nervi all'austriaco,
- Tu... dov'è finito Antonio?- non fu altrettanto cortese da ricambiare il saluto Roderich, limitandosi a trattenere la rabbia e a modulare il tono di voce perché non risultasse furente. L'albino però sapeva che il suo viso doveva aver preso una nota di rosata, come sempre quando si alterava, e ciò, per un qualche motivo, lo mise di buon umore.
- Senti, Anto' è rimasto un po' sconvolto dalla faccenda, quindi ha passato l'incarico al magnifico sottoscritto per spiegarti l'accaduto - si alzò per sgranchirsi le gambe, appoggiandosi poi con i gomiti al largo corrimano in pietra. Nel mentre, l’austriaco parve soppesare con attenzione le sue parole, perché si fece silenzioso, probabilmente chiedendosi se quello non fosse l’ennesimo dei loro scherzi.
- Che intendi per sconvolto..? Cos'hai combinato?! - tipico di lui accusarlo di qualcosa senza avere neppure la chiara idea di cosa stesse parlando, "un’abitudine dura a morire, eh?" pensò ironicamente, avvertendo l'irritazione salirgli dallo stomaco, ma la ricacciò dentro nel vedere lo sguardo di Antonio che lo pregava di controllarsi (anche perché le chiamate internazionali constano).
- Nulla, è la tua stupida villa che l'ha scosso...- si difese con un ghigno sforzato, simile ad un lupo che mostrava i denti prima di azzannare,  - Ascolta, di certo, dietro a questi eventi ci sarà una spiegazione logica...- volle specificare prima che gli desse del pazzo, del visionario o peggio,- Il sottoscritto super awesome, non crede assolutamente che dietro a questo incidente ci sia qualcosa di soprannaturale o simili -
- Gil... Beilschmidt - ohoh, si era corretto, stava per chiamarlo per nome! - Stai vaneggiando. Spiegami cosa è successo e trarrò io le mie conclusioni - lo riprese come al suo solito, anche a distanza di tempo gli riusciva sempre bene, questo l’albino dovette concederglielo.
- Ve bene, te lo dico... - arrivò infine al punto, certo che, in qualunque modo glielo avrebbe presentato, non sarebbe risultato meno assurdo, - In qualche modo, una tazza di cereali è volata da sola sopra la testa di Francis e ha rovesciato il suo contenuto su di lui. Poi è rimasta sospesa in aria per un po' prima di cercare di colpire Antonio, e finendo, fortunatamente, contro al muro - rivelò tutto d'un fiato, attendendo infine il giudizio dell'austriaco.
- E'... uno scherzo, vero? Mi state prendendo in giro - non si stupì di quella reazione incredula, né si alterò per essa, era normale un simile atteggiamento dopo quello che gli aveva detto.
- Certo perché, dopo un anno e mezzo che non ci scambiamo neppure un saluto, mi metto a farti scherzi telefonici deficienti solo per avere una bolletta astronomica (essendo chiamate internazionali) - optò per un ragionamento logico Gilbert, un'espressione seria solitamente tanto rara sul suo volto, un poco malinconica. Aveva appena ricordato ciò che cercava di dimenticare e che, puntualmente, Roderich gli riportava a galla nella mente.
"Idiota, in realtà è passato un anno e quattro mesi.." avrebbe voluto correggerlo Eldenstein dall'altro capo della cornetta, ma si trattenne, doveva sorvolare su quel commento, o avrebbe riaperto vecchie ferite che ancora faticavano a rimarginarsi in entrambi.
- Allora siete ubriachi?.. - ipotizzò Roderich sospirando, ma cercando di mantenersi composto e rigido, di non mostrare alcuna alterazione nella voce, stava cominciano a stancarsi,
- Lo sai anche tu che, se lo fossimo, adesso staremmo dormendo sul pavimento di qualche stanza - replicò Gil, sempre tenendosi appoggiato con i gomiti al cornicione, la testa mollemente abbandonata su una mano, mentre con l'altra si teneva all'orecchio il cellulare.
- E allora cosa dovrebbe essere successo?! - sbottò infine, una volta esaurite le idee e senza aver ben chiaro in testa cosa l'albino volesse da lui,
- E' proprio questo il punto: non lo sappiamo neanche noi, per questo Anto' faticava a spiegartelo. Come padrone di casa dovresti venire qui ed assicurarti che tutto sia in regola -
- Pensi che sia un problema della casa?! - risultò immediatamente offeso dai sottintesi di Gilbert.
- Bhé.. Dubito che sia nostro - osservò con uno sbuffo stanco, tra loro era sempre stato difficile intendersi, eppure, fino a quattro anni prima, la cosa non li aveva mai disturbati, anzi, era stato quando l'uno aveva incominciato a comprendere sin troppo bene l'altro che il loro rapporto era andato definitivamente allo scatafascio.
- Però, se sei convinto del contrario, vedi di venire qui e dimostracelo - ghignò, consapevole di come le vie dell'orgoglio fossero infinite,
- Certo, e dimostrerò che, per colpa di tutto quel tempo perso in attività inutili, i vostri cervelli fritti hanno le visioni! - e che a livello d’intelligenza, per quanto si elevasse ad elegante aristocratico, Roderich, se punzecchiato, non era poi molto differente dai uno qualsiasi dei membri del Bad Touch Trio. Ovvero, era un colossale e beato idiota.
"Grande!.." si complimentò a gesti Antonio, nel constatare l'inauspicabile vittoria del tedesco sull'austriaco,
"Ovviamente. Sono il magnifico me" fu il labiale ghignante di Gil, il quale stava finendo di discutere due ultime cose con l'altro. Si vedeva che erano amici d'infanzia, pensò l'ispanico osservando l'amico ora dargli le spalle, comodamente stravaccato sul cornicione. Infondo, erano realmente in pochi a conoscere quel fragile ma imponente ego che legava Rod alla propria famiglia o, meglio, al suo cognome, e ancor meno erano quelli in grado di approfittarsene. Mai e poi mai il damerino avrebbe permesso vi fosse anche la più piccola macchia a deturparne il titolo, ma una proprietà in decadenza poteva rivelarsi quella pecca tanto temuta.



Sì, finalmente. Dopo un anno d'attesa, mancava realmente poco perché potesse tornare libera, meno di un mese e quell'inetto sarebbe stato troppo indebolito per fermarla.
Ventiquattro'ore di totale liberta, prima di tonare a quel limbo in cui l'avevano imprigionata.
Un solo giorno per completare tutti i preparativi... Era un tempo esiguo ma quest'anno, ne era sicura, ce l'avrebbe fatta.

"Aspettami... D’ora in poi, staremo per sempre insieme."



---
Scusate la lunga attesa, ma all'UNI era tempo di esami, quindi...*sbuff*
Dal prossimo capitolo, con l'arrivo del damerino, i fantasmi andranno in fermento, e finalmente si scoprirà l'identità di uno o due di loro (anche se alcune sono molto intuibili sin da subito xD xD ). Chissà come la prenderà Roderich di fronte ai racconti dei "spiacevoli eventi" che i nostri tre eroi hanno subito. In più, vi presenterà la prima coppia della serie ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III ***


III Ghosts
- Nda: mi scuso per non aver ancora risposto alle recensioni, prometto che rimedierò a breve ^^''




Sarebbe stato bello, camminare assieme all'ombra della pineta d'estate.
Sarebbe stato bello, passeggiare tra le foglie variopinte in autunno.
Sarebbe stato bello, giocare a rincorrerci sulla neve d'inverno.
Sarebbe stato bello, ammirare seduti i fiori sbocciati in primavera.
Quanta bellezza è nascosta ai miei occhi, oltre il peso opprimente di queste mura?
Quale splendido mondo c'è la fuori?


- Francis! - urlò Antonio, piombando d'improvviso nella stanza dell'amico, quasi scardinandone la porta a causa dell'impeto con cui l'aveva aperta.
- Che c'è..? Non si può neppure fare una doccia in santa pace? - brontolò questi sbucando con la sola testa, cui capelli erano avvolti da un asciugamano, dalla soglia del bagno, osservando con una certa stizza quel maleducato dell'amico, il quale era entrato senza bussare.
- Stai... stai bene? - lo osservò con una nota di stupore nello sguardo Antonio, cui seguì quasi immediatamente un sospiro di sollievo, - Meno male, temevo ti fosse accaduto qualche altro incidente - gli dedicò il solito allegro sorriso, cosa che mise immediatamente in secondo piano la maleducazione di cui si era appena macchiato.
- Come vedi sono in splendida forma, mon ami! - si vantò il francese con tono arrogante, facendo mostra del proprio fisico, fortunatamente avvolto da un pesante accappatoio, uscendo dal bagno con un pesante alone di vapore a circondarlo, - Ma tu... piuttosto - osservò lo spagnolo, il cui respiro non si era ancora normalizzato, quasi si fosse trovato a correre a per di fiato per un lungo tratto, e il viso tradiva ancora una certa inquietudine, nonostante si fosse assicurato delle condizioni del compagno. - E' forse successo qualcosa?- incrociò le braccia al petto, per nulla a disagio nell'essere quasi nudo di fronte a qualcuno, sopratutto trattandosi di Antonio, il francese, quando era pesantemente brillo, aveva la brutta abitudine di denudarsi, quindi sia lui, che Gilbert, avevano già assistito più di una volta alla visione integrale del suo corpo.
- N-non l'hai sentito? - tentò di mantenere il sorriso Antonio, anche se l'inquietudine di quella giornata lo stava mettendo a dura prova, incrinandolo in più punti,
- Sentito che cosa?- cadde dalle nuvole il biondo, forse perché si era messo a cantare nella doccia (tanto per smorzare lo stress), ma non aveva udito nulla.
- Ecco... Dall'esterno si è sentito un rumore pazzesco. Se-sembrava il grido in agonia di una anima destinata al peggiore dei supplizi - parve impallidire, - Ma a Gilbert ricordavi tu quando qualcuno ti frega lo shampoo - aggiunse il commento del tedesco, sentendo la situazione divenire troppo pesante per le sue spalle.
- Quindi sei corso qui, in pena per ME? - rise divertito dalla situazione Francis, - Non ti sei fatto troppo ansioso Antonio? -
- Dopo quello che ci è successo oggi?.. Pare piuttosto che sia tu quello che non se ne sta preoccupando abbastanza - si trovò a disagio, punto nel vivo, riconoscendo del vero nelle parole dell'amico. Probabilmente quella villa lo stava facendo diventare paranoico, ammise, per lo meno a se stesso. Eppure, non poteva dimenticare come quella tazza l'avesse quasi colpito, come se qualcuno stesse mirando di proposito alla sua testa. Cominciava a temere seriamente per la loro incolumità. - E poi, anche Gil aveva paura che ti fosse accaduto qualcosa - scacciò l'inquietudine ritrovando il sorriso nell'indicare alle proprie spalle, consapevole che il tedesco l'aveva seguito, -... ha promesso di menarti se fosse stato un'altro dei tuoi isterismi da primadonna -
- Pff..- sbuffò Francis, cominciando a disfare l'asciugamano che teneva in testa, visibilmente offeso da un simile commento, - Se credi che quel crucco insensibile ti abbia seguito, ti sbagli Antonio, dietro di te c'è solo il corridoio vuoto - mise un leggero broncio nel constatare l'assenza dell'albino, a quanto sembrava non si era preoccupato abbastanza.
- Eh?..- si stupì di ciò l'iberico, il quale torno nel corridoio per assicurarsi che l'altro non si fosse semplicemente attardato, ma di Gilbert non c'era traccia, "ma era dietro di me..." si ritrovò a pensare confuso, "Ne sono sicuro! O, almeno, lo era fin quando abbiamo preso le scale del salone per il piano di sopra..." iniziò a rimuginare, ma presto la sua mente fu distratta da altro.
- Francis! - esclamò con faccia a metà tra lo sconvolta e lo schifato,
- Che c'è..? Ho qualcosa alle spalle? - scatto lui, spaventato dalla reazione improvvisa dell'amico, correndogli immediatamente alle spalle, sfruttandolo come scudo per quel "qualunque cosa" lo avesse interdetto,
- No... I tuo-i, i tuoi capelli - continuò a fissarlo Antonio, come fosse un alieno appena sceso dalla sua navicella e gli stesse chiedendo una tazza di zucchero.
- Che?..- ebbe un brivido a rizzargli tutti i peli del corpo Francis, mentre si tastava la chioma bionda, la quale attirava l'amore e l'invidia di molte fanciulle, e di cui lui aveva un immensa cura.
- Perché cos'hanno i miei..(!) - fu sul punto di svenire quando, un ciuffo dei suoi splendidi capelli biondi, gli ricadde sugli occhi. NON ERANO PIù BIONDI! - Gyaaaaah! Com'è successo!?!- gridò in preda la panico, dopo un momento in cui la sua mente era andata in black out, incapace di elaborare ciò che stava accadendo, -Nononono.. non dirmi che..- il suo viso si fece cadaverico dalla paura mentre, con una velocità di cui Antonio non avrebbe mai sospettato, si lanciò sulla toilette posta di fronte al letto, a ridosso della parete, e un altro gemito acuto gli sfuggi dalle labbra.
La sua splendida capigliatura... il suo vanto.. quello splendido biondo dorato simile alle spighe di grano baciate dal dolce sole del mattino. Tutto, tutto ciò era sparito!
Quel che rimaneva erano dei capelli stopposi, rovinati da una tinta mal fatta, dal colore verde marcio, simile alla bile.
- Sono VERDE! - gridò incredulo e disperato, gettandosi a terra come un uomo a cui è appena stata bruciata la casa con tutti i suoi avere all'interno,
- Dai.. No-non è così male - provò a rincuorarlo Antonio, anche se dovette sforzarsi a non scoppiare a ridere. Pareva che l'amico, in testa, avesse un cespuglio di tristi alghe mosce. Intuendo cosa stesse per fare, ovvero, per deriderlo, Francis lo fulminò con uno sguardo che avrebbe gelato un vulcano attivo, - Ma scusa... che avevi in mente? - "per deturparti in questo modo osceno?" fortunatamente, possedeva quel minimo di intelligenza da sapere cosa occultare di quella domanda.
- E credi che mi sarei fatto una cosa così orripilante da solo?! - sbottò rabbioso, alzandosi in piedi di scatto, rischiando di aprire inavvertitamente l'accappatoio, - E' uno dei vostri stupidi scherzi, vero? Mi avete sostituito lo shampoo con della tinta - tornò ad accusare i due coinquilini, poiché ancora faticava a credere che vi fosse "qualcos'altro" all'interno di quel maniero, che si divertisse a prendersi gioco di lui.
- Eh?.. Francis, sul serio, io e Gil non centriamo nulla in questo - alzò le mani nel tentativo di fermare il suo fiume di accuse e di calmarlo, ma l'altro non volle sentire ragioni,
- Altro che presenze fuori dal normale... Di sicuro anche la scenetta con la tazza di cereali volante l'avete orchestrata voi! E solo perché sapete che sono sensibile a queste cose! - continuò ad inveire interpretando la propria tragi-commedia, prendendo le movenze di un attore in scena, incapace di gestire in altro modo la rabbia.
- Ma ci conosci, neppure noi ci metteremmo tanto impegno per fa riuscire uno scherzo - si mantenne calmò e sorridente Antonio, consapevole che, una volta iniziato il proprio monologo, nulla l'avrebbe fermato sino al concludersi della rappresentazione.
Un giorno o l'altro, sarebbe divenuto santo, per essere in grado di sopportare e gestire due compagni simili.
- La vostra è un congiura nei miei confronti, e il motivo? Ah, il motivo, tanto semplice quanto banale. L'invidia che l'amante dell'arte... - continuava imperterrito Francis, sordo a qualunque parola dello spagnolo,
- Ahah... - ma non lo fu altrettanto nei confronti di quella risata.
-...- tacque il francese, privo di parole e, con lui, calò di colpo il silenzio, mentre l'aria si impregnava di gelo. Si concentrò, il ragazzo, aguzzando il fine udito, ma     di quella voce non si udiva già più nulla.
- Ehm.. sei stato tu? - domandò nel dubbio, ben consapevole che un suono tanto soave, leggero e cristallino, non poteva di certo appartenere ad un uomo,
- Allora non me la sono immaginata, eh? - si grattò la testa Antonio, l'ansia che gli incrinava il volto, facendogli morire anche quell'ultimo sorriso.
Avevano appena udito le dolci risa di una fanciulla.
"Che sia la stessa che ho intravisto questa mattina?.." iniziò a chiedersi Francis e subito ne ebbe la certezza. Ancora adesso, quella figura sconosciuta, rideva delle sue disgrazie.


"No, impossibile... Il magnifico sottoscritto non può fare una figura così poco... così poco  MAGNIFICA!" si diceva Gilbert attraversando, con passo sempre più incerto, l'ennesimo corridoio semibuio. Quanti ne aveva imboccati da quando si era deciso a seguire Antonio (entrambi preoccupati che fosse accaduto qualcosa a Francis)?
"Spero per lui che non se ne venga fuori con un altro dei suoi piagnistei..." pensò piuttosto irritato, avvertendo un formicolio salirgli lungo la bocca dello stomaco accompagnato da un pesante senso di frustrazione. Era la nona volta che passava davanti alla stessa porta, ne era sicuro perché riconosceva il numero inciso sopra "235", sotto alla quale avevano fissato una piccola targa d'ottone, andatasi a rovinare con il tempo e l'abbandono.
Ormai ne aveva l'assoluta certezza: stava girando in tondo!
"Altro che il pessimo senso d'orientamento di Antonio, questo posto è un labirinto.." ebbe un moto di stizza nel superare nuovamente la stessa stanza, avanzare era divenuta una questione d'orgoglio. Doveva trovare una maniera per tornare al salone principale!
Ciò tecnicamente non avrebbe dovuto rivelarsi un problema, sarebbe bastato tornare sui suoi passi e ripercorre il percorso a ritroso, fino al momento in cui, mentre correva alle spalle dello spagnolo, lo aveva perso di vista.
Eppure, per quanto tentasse, non gli riusciva di tornare indietro.
Ogni luogo gli era irriconoscibile agli occhi e ogni cosa pareva uguale, nella sua mente.
C'era poco da fare, non poteva che ammetterlo... Si era completamente perso!
E pensare che inizialmente aveva creduto un'esagerazione quando lo stesso Antonio li aveva rivelato di aver difficoltà ad esplorare la villa. Nonostante si fosse già ambientato, vi era una parte dell'edificio di cui non riusciva a ricostruire una planimetria sensata, una mappa mentale che non si rivelasse errata.
Gira, gira, gira, che intanto non arrivi da nessuna parte...
Di nuovo quella stanza. Ancora una volta lo stesso numero 235.
Esasperato, trovando insensato provare e riprovare a fare la stessa strada sperando che portasse ad un percorso differente, Gilbert decise, anzi, ebbe la sensazione, di dover esaminare meglio quella camera, essendo l’unico elemento a cui riuscisse ad attribuire un senso in quella sottospecie di dedalo surrealista.
"Ah.. Non è 235, ma 23 - 5" notò solo ora, avvicinandosi alla soglia, la quale pareva tentarlo simile al miraggio di un'oasi nel pieno del deserto. Finalmente, strizzando un po' lo sguardo, riuscì anche decifrare quei caratteri, ormai quasi illeggibili, sulla targhetta.
- Stanza di mag..maggio? - lesse stupito, allora il numero inciso sopra era una data? Era forse un giorno importante? Cominciò a chiedersi, ma non gli suonò alcun campanello, fu però percorso da un brivido quando si accorse che, dallo spiraglio sotto la porta, proveniva un’intesa luce, ancora più vivida a causa della penombra del corridoio.
Tardi Gil capì di essere finito in quella parte dell'edificio non ancora restaurata, in cui l'elettricità era un optional in molte stanze e corridoi (anche se, dai lampadari che pendevano al soffitto, pensò fosse più una questione di allacciamento che di mancanza di fili elettrici). Probabilmente, con eccezione di Antonio, era il primo ad addentrarsi tanto in profondità nel maniero da molto, molto tempo.
Quindi, come poteva esserci una luce accesa? E pur supponendo che centrasse lo spagnolo, come aveva fatto ad accenderla se mancava la corrente?
"Calma... calma... calma. Il sottoscritto è troppo magnifico per scappare come un coniglio spaventato" per quanto fosse consapevole di essere un soggetto perfetto per fare la vittima sacrificale in un qualsiasi film horror, visto un ragionamento del genere, Gilbert decise di andare affondo a quella storia. Sopratutto per poter rinfacciare a quel damerino del cavolo come fosse stato LUI, a risolvere la questione, così da poterlo rispedire immediatamente in Austria con un calcione, dopo averlo obbligato ad un viaggio del tutto inutile nel bel mezzo della brughiera.
L'albino non comprendeva quanto ridicolo ed infantile suonasse il suo ragionamento, ne intravede i possibili pericoli che si nascondevano dentro a quella stanza. Doveva pur sempre ricordare essere occupata abusivamente da qualcuno, il quale, probabilmente, non apprezzava avere ospiti, visto ciò che era accaduto durante la colazione.
Altri, con più sale in zucca e più soldi nel salvadanaio, sarebbero scappati abbandonando quel luogo in meno di due decimi di secondo. Ma non loro tre... Poiché erano un trio di perfetti imbecilli.
Finalmente hai capito, razza di demente...
Dopo una leggera esitazione, stampandosi quel ghigno sardonico che tanto metteva in soggezione - assieme al suo aspetto particolare -, chi lo guardava, Gilbert entro nella stanza.
Spera solo che ti accetti... e non essere sgarbato, è timida.
Al interno Gilbert, ebbe il suo primo incontro con la piccola Lady.



[Una settimana dopo...]
Con una smorfia scontenta sul viso, Roderich si trovò a fissare, con un velo di curiosità e un principio d'ansia, l'alta sagoma della villa che poteva intravedere in lontananza, dal fondo dell'apparentemente infinito viale sassoso sul quale si accingeva a muovere i primi passi.
Diceva "intravedeva", poiché, durante l'attraversamento del piccolo boschetto - non era servito il suo buon nome e il titolo a convincere il tassista ad infilare il mezzo in quel sentiero impervio -, un ramo aveva finito per colpirlo dritto in faccia, scheggiandogli gli occhiali, rendendoli inutilizzabili e lui quasi totalmente cieco.
"Che spreco... Un viale d'ingresso tanto vasto è eccessivo" pensò celando il fiatone, causato da uno sforzo fisico a cui non era per nulla abituato, dietro ad un contegno pomposo e altezzoso, sistemandosi i capelli perché non avessero un aspetto troppo "selvaggio", in previsione all'incontro con quel trio di ebeti.
Aveva l'obbligo di mostrarsi calmo e superiore in ogni circostanza - essendo anche investito del ruolo di "proprietario" -, l'apparenza e il portamento erano le prime cose che una persona osservava quando ne incontrava un'altra, e avere qualche insetto, ramo o foglia a decorargli la capigliatura, era da considerarsi come un danno all'immagine.
Quindi, dopo una buona ora e mezza persa ad orientarsi in una vegetazione inselvatichita, con l'unico desiderio di potersi fare una doccia, essendo accaldato, sporco e sudato, Rod prese un bel respiro profondo, asciugandosi con un fazzoletto il leggero strato di sudore che gli aveva ricoperto la fronte e, drizzata la schiena, inizio una lenta ma stoica marcia verso la villa.
Per quanto, nell'ultima settimana, si fosse preparato mentalmente a tutto, presto avrebbe dovuto ricredersi. Non era affatto pronto per ciò che avrebbe trovato ad accoglierlo.


Quando l'aveva visto per la prima volta, doveva ammetterlo, ne era stata spaventata.
Quei capelli bianchi, gli occhi rossi, la carnagione lattea... Per un momento aveva creduto di trovarsi di fronte a qualcosa al di là della sua compressione, tipo un folletto, un vampiro o qualcos'altro di simile.
Insomma, gli era risultato difficile credere che, colui venuto a fargli visita, fosse un semplice (per quando magnifico, l'avrebbe corretta), essere umano. Da molto tempo non incontrava qualcuno di "vivo" in quella casa. Da tanto, troppo tempo i suoi unici compagni erano stati gli spifferi di vento che s’infiltravano tra le fessure delle finestre e i grumi di polvere che si accumulavano con il trascorrere delle stagioni.
Le era servito un po' di tempo per comprendere chi avesse davanti. Il suo primo impulso, essendo troppo impaurita per affrontarlo, era stato quello di cacciarlo dalla propria stanza, luogo in cui possedeva l'autorità assoluta, e fare in modo che non vi tornasse mai più, a costo di costringerlo vagare per sempre nei meandri più profondi della casa. "Almeno il Sanguinario avrebbe compagnia.." si era detta per convincersi ad agire.
Ma quando, dall'espressione stupita con cui l'aveva accolta, Gilbert le rivolse quel ghigno da schiaffi - colmo di un esasperante, seppur comica, arroganza -, Lily comprese la vera natura del proprio ospite. E fu solo successivamente, una volta passata la paura, che avvertì quel suono nostalgico, appena ovattato dalla cassa toracica, di un battito cardiaco... Ormai non vi erano più dubbi, era una persona in carne, sangue ed ossa.
"Dopo così tanto tempo.." ebbe un moto di malinconia che le impedì di sparire quando avrebbe potuto farlo. Si era fatta cogliere impreparata dalla venuta di quello sconosciuto, sentendosi tranquilla nell'aver vietato a chiunque, degli "altri" abitanti della villa, il permesso di entrare nella sua stanza. Un simile ordine non comprendeva però i "nuovi" abitanti del maniero, per questo Gilbert aveva potuto entrarvi senza fatica. E mai momento fu meno azzeccato e più imbarazzante, visto che la colse mentre inscenava uno dei suoi passatempi preferiti per vincere la noia "il tribunale dei pupazzi", il quale si trovava ad affrontare il difficile e drammatico caso dell'omicidio della signorina Ladybug per mano del genero, il conte Orsetto. Erano nel momento clou del processo, quando lei, l'avvocato d'accusa, si trovava a fare il controinterrogatorio all'imputato (era appassionata di thriller e libri gialli).
Sapeva che, in seguito allo spalancarsi della porta, il suo viso si era fatto di un violento porpora e un piccolo gemito di sorpresa le era sgusciato fuori dalle labbra. Come avrebbe potuto spiegargli quel comportamento improprio ed infantile, lei che era una brava signorina istruita?
Fortunatamente, Gil non gli fece domande a riguardo, anzi, lui non gli pose alcuna domanda.
Non gli chiese chi fosse, da dove venisse, o perché si trovasse lì. Forse perché aveva già compreso la sua reale natura, ma non pareva importargli minimamente.
Sin dal primo momento in cui aprì bocca, cominciò a parlare unicamente di se stesso, presentandosi con aggettivi esagerati e pomposi ad abbellirne il nome, palesando un narcisismo a tratti seccante, ma che Lily, per la maggior parte del tempo, trovava divertente. Dopo pochi minuti, discutendo con lui (ascoltando parlare), quel ragazzo da cui era stata inizialmente tanto spaventata, non gli parve più una cattiva persona.
Passo poco tempo e già cominciava a nutrire una sorta di simpatia nei suoi confronti e, pur non avendo ancora avuto modo di spiccicare sillaba in sua presenza, trovava lieti i momenti trascorsi con l'albino. Quei suoi occhi vermigli, tal volta, era come se bruciassero simili alle braci di un fuoco acceso, si era ritrovata a pensare Lily, la quale, senza accorgersene, aveva iniziato a cercare sempre più frequentemente quello sguardo nei momenti in cui Gil si allontanava da lei. Provava curiosità ed interesse nei suoi confronti, poiché lui, faceva parte di quel mondo esterno a cui aveva sempre desiderato appartenere.
- Mister magnifico è tornato, Lady - venne anche quel giorno, come quello precedente e quello prima ancora. Era ormai da una settimana, da loro primo incontro, che Gilbert andava a trovarla e, per quanto la facesse sentire a disagio, Lily apprezzava il titolo di Lady che il ragazzo le aveva giocosamente affibbiato, fin troppo azzeccato, avrebbe detto qualcuno che conosceva la sua storia, ma per il momento, il ragazzo, non entrava tra questi.
A causa dell'imbarazzo e della timidezza, ancora non le era riuscito di rivelargli il proprio nome.


---
Lo ammetto, è il capitolo del "buttiamo tutti gli elementi d'interesse assieme che tanto poi li si spiega più avanti"... Ma sarebbe stato un titolo troppo lungo... Cmq, non aspettatevi altri aggiornamenti altrettanto veloci
bye (ì3ì)/

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IV ***






Il rumore dello sparo ti riempie le orecchie, rendendole sorde a qualunque altro suono.
Il petto brucia, nel punto in cui il colpo è stato inferto.
Cadi, sbatti le ginocchia e la testa sul pavimento. Cadì e il tuo corpo provoca un suono sordo, ma non lo avverti.
Hai sempre posseduto un fisico massiccio, pesante, ne sei consapevole, ma quel peso che per te non è mai stato opprimente, ora t’inchioda a terra, simile ad un macigno.
Anche sollevare il petto per un respiro, ti sembra uno sforzo immane.
Non puoi fare nulla lì, disteso a terra, ti limiti a fissare il soffitto… in attesa.
È passato qualche istante dallo sparo, e ciò che aspettavi non tarda ad arrivare.
Come il tuono segue il lampo, squarciando l’improvvisa calma del cielo carico di elettricità, così il dolore è improvviso, lacerante, seppur agognato.
Ti prende la gola, e non riesci ad urlare. Le labbra hanno il sapore del rame, gli occhi diventano miopi.
Ogni cosa si fa offuscata e qualcosa di freddo comincia a lambirti la pelle.
Sussulti a quel contatto, la tua mente è confusa, il dolore ha annebbiato i tuoi pensieri, è l’istinto che ripudia quel tocco. Lo avverti viscido, disgustoso, ne sfuggi.
Ma una nuova fitta fa riemergere la coscienza dal pozzo, melmoso ed oscuro, dove era sprofondata.
Senti qualcosa impiastricciarti la pelle, bagnarti corpo e vestiti, adesso è il freddo a torturarti.
Strizzi gli occhi, e lo vedi.
Rosso, il tuo colore preferito su uno sfondo bianco, il colorito della tua pelle divenuta cadaverica.
Sei coperto di sangue, e i suoi occhi gelidi continuano a fissarti.
Il tuo assassino è di fronte a te, chino ad ammirati.
“Sta aspettando che muoia?” ti chiedi, e la consapevolezza della morte non ti procura alcun fastidio, né timore.
Ricambi, lo sguardo di chi ha appena reciso la tua vita, non ti è concesso altro.
Infine, sei costretto ad ammetterlo:
“È davvero bellissima…”


L'aveva vista e, per quanto si comportasse sempre da idiota, aveva subito capito che, in lei, c'era qualcosa di strano. D'altronde, quella villa era disabitata da svariate decadi ed era praticamente impossibile credere che qualcuno la occupasse, anche abusivamente, senza che loro, in quell'ultimo periodo, se ne fossero accorti.
Indovinare la vera natura di quella ragazzina dai capelli biondi tagliati corti - con un fiocco a decorarli a lato della testa -, e i larghi occhi verdi, si rivelò palese sin dal primo sguardo, tanto che, per un momento, Gil aveva creduto la sua sbiadita figura, cui contorni sussultarono e si scomposero leggermente al suo arrivo, un’illusione. Uno scherzo causato dall'improvvisa luce, dopo tutto quel vagare nella penombra di un labirinto di corridoi e porte sempre uguali.
Il corpo della ragazza non era composto di materia solida come quello di una persona normale, gli appariva fragile, quasi si potesse dissolvere ad un singolo respiro, e forse per questo si era messo a trattenere il fiato dal momento in cui era entrato nella stanza. La sua gracile figura pareva creata da un agglomerato di pulviscolo, di quella sottile polvere di cui l'aria era intrisa - la quale diviene visibile solo quando è direttamente colpita dalla luce -, e sembrava solo un'ironia del caso se avesse preso le sembianze e i contorni di un essere umano.
Ma per Gilbert, nonostante fosse uno studente della facoltà d’ingegneria, era ben più difficile credere che, una ragazzina tanto carina, fosse creata da una strana rifrazione della luce, piuttosto di ammettere di essere di fronte a qualcosa... a qualcosa di soprannaturale.
"E'.. è carina" fu il suo primo pensiero rivolto a lei, e immediatamente si sentì un idiota nell'avvertire il proprio cuore sussultare, mentre uno strano calore gli accendeva le guance, "ma che sono un moccioso?!" si rimproverò subito dopo, poiché lui era troppo magnifico per cadere due volte nello stesso tranello. Soffocò quella piacevole e dolorosa sensazione che aveva preso a riempirgli il petto, e corresse la propria osservazione: "E' carina come... come un pulcino!"; ammetterlo non comportava nulla di particolare, era cosa buona e giusta riconoscere la carineria, soprattutto per lui che sin da bambino aveva una predilezione per quei piccoli ammassi di piume gialle. Stava già per complimentarsi con se stesso per aver evitato uno scontro frontale devastante, quando comprese di non poter continuare a rimanere semplicemente lì, a fissarla. Lei sembrava essere piuttosto a disagio in una simile situazione, e i suoi grandi occhi lo scrutavano con timore.
Come darle torto? Uno sconosciuto era appena piombato in camera sua... Difficilmente qualcuno non sarebbe stato, quanto meno, stupito dalla cosa.
“Quindi, esattamente, adesso... cosa dovrei fare?” fu colto dal dubbio Gil, infondo, non si era scordato di quali eventi fossero accaduti durante la colazione, né l’episodio capitato a Francis la notte prima. Non poteva sapere se lei centrasse direttamente in quei fatti, ma non era nemmeno certo del contrario.
Poteva essere sicuro che quella ragazzina non si rivelasse una minaccia?
Era forse meglio tornare indietro e fingere di non aver mai aperto quella porta, scoprendo cosa vi si celasse dietro?
Fortunatamente, Gilbert non era fatto per porsi domande a cui non era in grado di rispondere, o problemi troppo difficili da risolvere. Gli bastò osservarla nuovamente per avere una chiara idea di cosa dovesse fare.
Era o non era forse il magnifico?
- Hai di fronte a te il meraviglioso, super awesome Gilbert Beilschmidt... Lo so, è un onore fare la mia conoscenza… –
Era sempre buona educazione presentarsi, giusto?
E così erano cominciate le sue visite alla camera 23-5, la quale si trovava in una delle parti non ancora restaurate della villa. Per un qualche motivo, aveva deciso di non rivelare nulla ad Antonio e Francis di quell’incontro con la ragazza sconosciuta. Qualcosa gli diceva, suggeriva, di non confessare nulla. Non ancora per lo meno.
Per quanto i due fossero comprensivi, se non fossero riusciti a vederla come la vedeva lui, temeva avrebbero potuto cominciare a considerarlo un pazzo. “Il magnifico me non può certo essere internato!” si era detto supponendo che, in qualche modo, a Roderich potesse giungere la notizia. Quel damerino aspettava solamente una buona occasione per affossarlo, e mandarlo in un manicomio poteva rivelarsi un ottimo affare per lui. C’era comunque il rischio che, con il suo imminente arrivo, non sarebbe riuscito a tenere quel segreto ancora allungo per se. Non aveva alcuna intenzione di rinunciare a vederla, fino a quando Rod non se ne fosse andato. Gli sembrava che quella ragazza fosse rimasta sola sin troppo allungo, per abbandonarla anche solo per qualche giorno.
Gilbert si rendeva conto di tenere un comportamento non propriamente logico, infondo, si stava preoccupando di qualcosa che, alla lunga, avrebbe potuto rivelarsi un cancro al cervello. Non gli era poi così facile accettare la vera natura di colei a cui faceva visita, soprattutto perché gli causava sentimenti nostalgici, diversi da quelli provati in un primo momento. Stare in sua compagnia gli ricordava i momenti con il fratello Ludwig – prima che questi divenisse un armadio a due ante e cominciasse a guardarlo dall’alto in basso -, quando il minore si aggrappava a lui, bisognoso di attenzioni. Per quanto al tempo lo avesse trovato un fastidio, non poteva nascondere quel moto d’orgoglio, tipico del fratello maggiore, nell’incrociare quegli occhi adoranti che ne riconoscevano la magnificenza.
Quello stesso sguardo lo aveva LEI, mentre si perdeva a raccontarle del mondo esterno. Da quello che aveva capito, senza mai udirla parlare, non doveva averlo mai visto.
“Chissà se c’è un modo per farla uscire da qui..” aveva cominciato a chiedersi senza neppure rendersene conto.


- Tutto bene, Orso..?-
- Certo. Perché me lo domandi?-
- Nulla... Mi sembravi un po' pallido. Forse, hai paura di qualcosa? -
- Uhm... (!)-
- Oh... Stai scomparendo! -
- De-devo forse pensare che la tua sia una vendetta per come ho trattato il tuo fidanzatino? -
- Lo sai che non fa bene fare i bulli, Orso... Non sono simpatici a nessuno -
- Tsk... Mi stavo solo divertendo, la tua è una reazione esagerata -


Non era stato facile giungere a quella villa, il viale era molto più lungo di quanto, studiandolo con gli occhiali cui una lente si era scheggiata, avesse creduto. Alla fine però era arrivato a destinazione, gli bastava percorrere quella scalinata, affiancarsi alla porta, suonare il campanello e attendere che qualcuno venisse ad aprirgli.
"Perché... tanti scalini..?" si ritrovò a trascinarsi Roderich, quasi gattonando, affrontando da uomo distrutto e ansimante l'ultima fatica prima di arrivare al portone della villa.
Per lui, cui unici sforzi fisici, per molti anni, si erano limitati agli esercizi al piano forte e a non sollevare nulla di più pesante di coltello e forchetta, la scarpinata che aveva appena affrontato si era rivelata come l'attraversamento dello stretto di Messina a nuoto. Non del tutto impossibile, ma un vero suicidio se non si era adeguatamente preparati.
Difatti, non era rimasta la ben più piccola traccia di nobiltà nella sua figura, e ciò si rivelava una sconfitta totale per Rod, cui soprannome sin dalla più tenera età era stato "damerino" (appropriatogli da un certo demonietto dagli occhi rossi e capelli bianchi, sua eterna spina nel fianco), il quale con il tempo era divenuto un motivo di vanto. Essendo sinonimo di elegante ed impeccabile. Aggettivi che ora gli mancavano completamente, viste le condizioni in cui gli si erano ridotti gli abiti, sudici e logorati in vari punti, e lui stesso, sporco e sudato. Non desiderava altro che un bagno, un lungo bagno rilassante, non gli servivano neppure le essenze profumate, gli bastava solo del sapone e si sarebbe accontentato.
Poi, dopo essersi cambiato, si sarebbe messo a cucire i pantaloni, strappatisi al ginocchio, e a rammendare in più punti la camicia. Perché, per quanto si potesse permettere di essere uno spendaccione, il nonno gli aveva insegnato l'arte della pignoleria e del "non si butta via nulla", quindi, se si escludevano certi suoi piccoli hobby (come i dischi di musica classica, e la collezione di strumenti musicali d'epoca), aveva la tendenza di contare ogni cosa al centesimo. Difatti, se quel viaggio si fosse concluso come una panzanata, ovvero, uno scherzo di pessimo gusto da parte di quei tre, sarebbero stati loro a pagargli il viaggio di ritorno in Austria, con un aumento considerevole dell'affitto.
"Manca poco..." S’incoraggiò mentre arrancava sugli ultimi metri dall'apice, aveva lasciato la valigia ai piedi della scalinata, temendo che il suo, per nulla esiguo peso, avrebbe potuto ostacolargli ulteriormente la salita o staccargli di netto un braccio. "Fi..finalmente" stava già per esultare quando, qualcosa di non ben specificato gli piombò addosso, scagliato con prepotenza fuori dal portone d'ingresso, all'improvviso spalancato.
"Ma.. che?" ebbe appena il tempo di chiedersi, incapace di mettere a fuoco l'oggetto a causa degli occhiali rotti, fino al momento in cui, atterrandogli praticamente sopra, non lo catapultò giù dalle scale.
Per un paio di secondi vide tutto nero, ma presto i colori ricominciarono a riempirgli la pupilla. Ora si trovava disteso a terra, all'inizio di quell'irta scalinata e, a quel punto, gli venne quasi da piangere.
- Ugh..- mugolò sofferente nel mettersi seduto, tastandosi la testa nell'avvertire un leggero capogiro, si stupiva di non avvertire alcun dolore particolare, nonostante la caduta. Il capitombolo era stato più morbido di quello che avrebbe creduto.
- FRANCIS!! -  a seguito giunse urlò di una voce cui tono tradiva un panico crescente e che, anche se deformata dall'emozione, all'orecchio di Rod suonò familiare. Un istante dopo, sulla piazzola che precedeva il portone, apparve la figura di Antonio, il quale sussultò nel vederlo, - Rod! Che.. che ci fai qui?!- sembrò realmente stupito della visita dall'amico, nonostante fosse stato lui stesso a chiamarlo. - Ma.. ora, non importa! State bene?! - corse incontro all’austriaco, una sincera preoccupazione ad oscurargli il volto,
"State?" Roderich non capì subito perché gli si fosse rivolto al plurale, ma gli bastò seguire gli occhi colmi di disagio dell'altro, fisso su un punto appena dietro di lui, per comprenderlo.
Il pesante oggetto non identificato, da cui era stato investito, altri non era se non il terzo elemento di quel trio dalla dubbia intelligenza (per quanto il suo amico Antonio ne facesse parte, il fatto che vi fosse anche Gilbert lo portava ad avere un’opinione pessima di quel gruppo). Rod non aveva mai visto  Francis, difatti si trattava del loro primo incontro, ma conosceva la sua fama di farfallone amante del sesso e del vino (molto bohémien, l'aveva definito qualcuno),quindi neppure di lui possedeva una così alta stima. Doveva però dargli qualche punto di merito per avergli attutito la caduta, comprendendo che fosse solo perché era atterrato sul suo corpo se non aveva subito ingenti danni.
Di contro il francese sembrava aver accusato male il colpo, riverso a pancia in giù sul terreno. Non era svenuto poiché, e Roderich lo stava constatando in quel momento, aveva lo sguardo spalancato, se non si era ancora mosso era perché un dolore lancinante alla spina dorsale gli rendeva difficile alzarsi. O, almeno, questo riuscì a tradurre il damerino da una serie d’imprecazioni in francese che l'altro aveva cominciato a mugugnare sottovoce, simile al lamento di un fantasma.
- Ti aiuto io, Francis - giunse in soccorso Antonio, afferrando d'improvviso l'amico per il braccio e sollevandolo di peso, la successiva imprecazione del ragazzo, sempre in francese, gli fece intuire che, forse, la sua non era stata un'idea molto furba. - Ehm... ti fa male da qualche parte? - tentò di rimediare lo spagnolo,
- Solo... DA PER TUTTO! Antonio, non conosci un po' di delicatezza?!- fece sollevando il viso, un'espressione irritata e dolorante a deformarne i lineamenti, con una leggera patina di lacrime a bagnargli gli occhi.
"Se già urla vuol dire che sta bene" pensò Roderich, fissando la scena e il comportamento isterico del biondo, sembrava fosse portato per il melodramma, si disse con scarso interesse, oppure era lui ad essere poco comprensivo, dopo essergli caduto sopra? Con un veloce esame di coscienza, Rod giudicò di essere in parte responsabile dei danni fisici subiti dal francese, ma non avevano modo di accusarlo di nulla, poiché era stato lo stesso Francis a farlo precipitare già dalle scale. E per quanto "movimentato", quello era il suo primo incontro con il ragazzo, quindi aveva il dovere di presentarsi civilmente.
- E tu, Rod..? Tutto a okay?- gli domandò con premura Antonio, mentre il biondo si liberava dal suo sostegno, dimostrando di riuscire a tenersi in piedi da solo e quelli che gli ricoprivano il corpo erano semplici graffi ed escoriazioni, nulla di più.
- Niente di rotto, se è questo quello che intendi - non mostrò nessuna particolare emozione nel rispondergli, parlando con il solito tono serio ed annoiato. Nell'alzarsi in piedi cercò di dare una ripulita ai propri abiti, ormai del tutto lerci - coperti da uno strato di polvere alzato dalla caduta -, ma la sua sembrava solo una scusa per evitare di incrociare lo sguardo dell'amico, e aveva un ottimo motivo per farlo. Antonio, da quando lo conosceva, possedeva la seccante abilità di capire sempre quando fosse imbarazzato. - Però avrei preferito comunque non ruzzolare giù dalle scale...- sottolineò e, attraverso le lenti infrante degli occhiali, il suo sguardo si spostò su Francis, in un vano tentativo di metterlo a fuoco, di dare un senso a quei contorni opachi e colori confusi.
- Ah, lui è Francis Bonnefoy, il terzo coinquilino della ca-... villa - si affrettò a fare le presentazioni lo spagnolo, per poi rivolgersi a suddetto compagno, - Questo è Roderich Eldenstein, il proprietario - e, ad udire il titolo con cui l'aveva presentato, Bonnefoy parve scosso da un tremito. Si riscosse, drizzando la schiena e il suo sguardo, Rod in qualche modo riuscì a percepirlo, si riempì di un’irritazione ulteriore, causata probabilmente dalla sua persona. Non doveva essergli simpatico, dedusse, trovando conferma anche nel tono freddo con cui il biondo gli si rivolse,
- Piacere..- si limitò, simile ad un bambino offeso perché nessuno prestava ascolto ai suoi capricci. Roderich in tutta risposta chinò appena il capo, per nulla interessato a fare la sua conoscenza, eternamente in dubbio sui rapporti interpersonali del caro amico spagnolo,
- Tanto per saperlo, perché sono finito giù dalle scale?- parlò sistemandosi il sottile capello che, ribelle, gli ballonzolava al lato della testa, per poi incrociare le braccia al petto cercando di recuperare un po' di quell'aria da altolocato snob che tanto lo caratterizzava.
- Ehm... Francis ha avuto un piccolo incidente - cominciò subito ad innervosirsi Antonio, incapace di creare nell'immediato una storia abbastanza verosimile perché l'altro ci credesse, e consapevole di non potergli raccontare la verità, poiché troppo assurda per pensarla vera. Se gli avesse rivelato che, una strana forza, aveva scagliato Francis contro il portone, e questo si era spalancato a causa del colpo, come minimo Roderich gli avrebbe dato del bugiardo, credendolo uno scherzo di pessimo gusto, e se ne sarebbe subito tornato in Austria senza dargli il tempo di spiegare altro.
Totalmente ignorato da entrambi, presi a discorrere sulla questione, Francis cominciò studiare quello che, da sempre, aveva conosciuto come il "migliore amico di Antonio" e il "peggior nemico di Gilbert"; due titoli e ruoli diametralmente opposti, da cui si era creata, nella sua mente, un'immagine ben diversa del "damerino pomposo e seccante", da quella veritiera presentatasi davanti. Ad esempio, non avrebbe mai immaginato che avesse un neo tirabaci alla sinistra del labbro inferiore, e per quanto un simile dettaglio apparisse superfluo e del tutto privo d’interesse, agli occhi di Francis possedeva un valore ben diverso. Era un tocco seducente al viso elegante dell'austriaco e, come ogni buon artista, il francese non poteva non amare la bellezza, desiderando a col tempo di poterla in qualche modo trasportare in un'opera d'arte.
- Cosa mi nascondi Antonio? - insisteva Rod mettendo pressione sul povero spagnolo, il cui viso aveva preso le parvenze di un cucciolo colpevole, adorabile a vedersi, ma rendeva fin troppo palese che stesse tacendo qualcosa.
- Nu-...- stava balbettando il moro quando Francis ebbe pietà di lui e intervenne in suo aiuto, anche per aver l'opportunità di far conoscenza con quell'affascinante, seppur al momento non brillante (essendo ricoperto di sporcizia), austriaco, sperando di poter entrare presto nelle sue grazie e cancellare quel "piccolo" incidente della scalinata.
Si sentiva comunque avvantaggiato, avendogli fatto da cuscino nell'atterraggio.
- Perché non entriamo a discuterne? - propose appoggiando affettuosamente una mano sulla spalla dell'amico e l'altra su quella di Roderich, il quale immediatamente parve infastidito da una simile libertà, si erano presentati neppure due minuti prima. - ... Potremmo sederci comodamente e discutere anche degli altri "incidenti" - e nel dirlo scambiò un’occhiata complice con Antonio, - che sono avvenuti nella villa -
- Mi sembra una proposta accettabile...- convenne Roderich spostando con un gesto pacato la mano con cui il biondo ancora gli stringeva la spalla, il quale non sembrò farci caso, continuando a mantenere la stesse espressione cortese con cui gli aveva parlato, - Prima, preferirei darmi una ripulita - e accennò anche alle lenti scheggiate degli occhiali, convinto che fosse a causa di essi se gli era sembrato di intravedere dei ciuffi verdi nella chioma fluente del francese.  


Dei colpi tremendi cominciarono a scuotere la porta dietro la quale Gilbert si nascondeva, e un sussulto violento scosse il corpo dell'albino, il quale trattenne a stento un grido. Il panico crescente gli accelerava il battito cardiaco, facendolo respirare affannosamente, quasi avesse corso per chilometri, procurandogli un velo di sudore a bagnargli la fronte. Con occhi incerti - mentre con il corpo ancora faceva forza sulla soglia, temendo che si aprisse -, annebbiati da una luce troppo intensa, cercavano di mettere a fuoco la camera sconosciuta, dove era entrato alla ricerca di un rifugio dove sarebbe stato al sicuro. Ma quella stanza era vuota, così come tutte le altre. Era stato sciocco per lui credere che sarebbe riuscito a fuggire, a scappare da LORO, ora che l'avevano scoperto. Ancor più stupido era stato pensare di trovare rifugio in quella villetta abbandonata, disabitata da anni.
Eppure, quando era stato LUI a proporgli quel rifugio, non aveva opposto obiezioni. LUI non si era mai sbagliato su questo, da sempre l'aveva...
L'aveva, cosa!? Ma, sopratutto, di chi stava pensando?
- Ugh..- una fitta al cervello gli fece sfuggire un lamento dalle labbra, all'improvviso si era chiesto da chi si stesse fuggendo e perché, domande che, un istante prima, non si era neppure premurato di farsi. Adesso invece gli apparivano così importanti, ma non riusciva a darsi risposta e, più la cercava, più il dolore alla testa aumentava.
Intorno a lui, le pareti, quegli scarsi oggetti che riempivano la stanza - nascosti sotto a dei drappi bianchi, così che non s’impolverassero -, ogni cosa, iniziò ad ondeggiare, a perdere forma e solidità.
Confuso, Gil si prese la testa fra le mani, acquattandosi contro la porta, i colpi su di essa si abbattevano sempre più ferocemente, quasi chi lì causasse fosse vinto da una furia cieca, bestiale. Trai vari rumori sconnessi, gli parve di avvertire delle voci. Ne contò tre.
C'erano tre uomini oltre quella porta, ritrovo abbastanza lucidità da ragionare, uno di loro gridava, impartiva ordini duri, secchi, con tono potente, di chi è abituato a farsi comandare; gli altri due, invece, con il medesimo tono, si limitavano a ripetere all'unisono un "sissignore" per eseguire qualunque comando il loro comandante gli avesse impartito.
E, dopo le urla, venne il silenzio. Avvertì dei passi allontanarsi, incamminarsi in senso inverso per quel corridoio che aveva appena percorso, e un cupo, triste silenzio calò su di lui, pesante quanto una cortina di piombo, carico di una struggente attesa.
Anche i colpi alla porta si erano acquietati e ciò gli mise addosso una profonda inquietudine, al meno, finché li sentiva abbattersi su di essa, sapeva dove fossero i suoi inseguitori. Ma ora?
"Parlavano tedesco..?" ebbe un momento per riflettere Gilbert, ora che la morsa della paura aveva lasciato un sottile spazio alla lucidità, ma un panico più forte cominciò a scuotergli le viscere.
Quei tre comunicavano in tedesco e, dal loro modo di esprimersi, sembravano appartenere a qualche reparto dell'esercito.
Militari. Tedeschi.
Tremiti di paura sconquassarono il corpo dell'albino e, si rese conto, delle lacrime avevano preso a bagnargli il viso. Un momento... perché?
Perché era così dannatamente impaurito? Cosa diavolo aveva fatto per..?
Un ordine. Lo scoppio di due sparì caricati da dei fucili, riempì l'aria.
E i colpi si ripetono ancora, ancora... Ancora.
Lo sapevi? I proiettili attraversano anche porte abbastanza robuste da resistere ai colpi di tre uomini.
I proiettili vincono il legno e colpiscono chi usa quella sottile parete per ripararsi.
E gli spari continuano ancora, ancora... Non si fermano neppure quando il tuo sangue si sparge sul pavimento.
Arriva a sporcare il corridoio, passando al di sotto di quella soglia che usavi come scudo.
- Sì... ma perché? - domandò Gilbert, cui mente nuovamente vacillava, divenendo preda di un oblio indistinto.
L'odio non fornisce mai risposte, solo false scusanti.

Gilbert si svegliò di soprassalto da quell'incubo, inquieto ed ansioso, trovandosi disteso su un pavimento non del tutto familiare, momentaneamente accecato da quella luce innaturale che riempiva la stanza.
Per un istante faticò a ricordare dove fosse, ogni cosa gli risultava troppo luminosa perché riuscisse a metterla a fuoco. Furono i peluche, disposti ordinatamente l'uno di fianco all'altro, come in un’aula di tribunale, a rammentarglielo.
Certo, la camera 23-5! Era andato a trovare la sua nuova amica e... Doveva essersi, appisolato nell'attesa che lei comparisse? Per un qualche motivo non ne era sicuro. Aveva qualche difficoltà a mettere in ordine i pensieri.
Con la mente ancora mezza addormentata e lo sguardo quasi cieco, Gil cercò la figura della ragazza attorno a se. Un leggero malessere gli chiuse lo stomaco quando non la vide, e quel disagio aumentò con la consapevolezza di non possedere alcun nome con cui chiamarla.
Non gli era mai successo di non trovarla.
Certo, avvolte capitava ci volesse qualche minuto perché prendesse forma, ma gli si era sempre presentata davanti. Una simile attesa era del tutto inedita e procurava una strana agitazione a Gilbert, all'improvviso gli pareva che l'aria si fosse fatta più pesante.
"Se ora lei fosse sparita per sempre..." non riuscì a completare quel pensiero, poiché gli era difficile ammettere di non possedere nulla con cui poterla cercare. Alla fine, non sapeva neppure chi era e, chissà, alla lunga quella figura misteriosa avrebbe potuto rivelarsi solo come un miraggio della sua mente. "Non le ho neppure chiesto il nome..."
- Lily..-
- Come?- si agitò, drizzandosi a sedere e assottigliando gli occhi che ancora non riuscivano a mettere a fuoco, credeva di aver appena confuso uno spiffero di vento con il suono di una voce.
- Il mio nome è Lily - gli fece quasi venir un colpo la ragazzina apparendogli di fronte, china su di lui con un dolce sorriso ad incurvargli le labbra, -... ed è un piacere conoscerti Gilbert Beilschmidt - ebbe così finalmente modo di concludere quella presentazione rimasta in sospeso per ben sette giorni. Il tempo che Lily aveva impiegato per trovare fiducia e conforto in quel magnifico e strambo essere, al contrario, se ciò non fosse accaduto non gli avrebbe mai rivolto la parola. Una brava signorina solitamente non parlava con degli sconosciuti, e ancora meno lo faceva un fantasma. Sopratutto riguardo alla propria identità.
Gilbert, per quanto si fosse già addentrato nel soprannaturale, accettandola come amica, non aveva idea di cosa comportasse una simile confidenza.
Per un fantasma non vi è nulla di più importante di quel nome che possedeva in vita, poiché esso è l'unica cosa capace di ricordagli chi sia, chi era stato.
Rivelarlo era il solo modo con cui un'anima si potesse legare ad un vivente.


Roderich fu piacevolmente sorpreso quando, una volta ristoratosi in una delle svariate camere da letto restaurate che offriva il maniero, trovò ad attenderlo sulla soglia della stanza un piccolo vassoio con una bevanda calda, probabilmente tea, accompagnata da dei biscotti secchi. Qualcuno si era premurato di consegnarglieli, riflette, lieto nello scoprire che vi fosse qualcuno, lì dentro, con almeno una vaga idea di come si accogliesse degnamente un ospite.
Dovevano aver bussato per attirarne l'attenzione, ma lui non li aveva uditi essendo ancora sotto la doccia, quindi chiunque fosse stato, si era trovato costretto a deporre lì il vassoio, sperando lo trovasse.
"Dovrò ringraziarli, più tardi" si ripromise, osservando il vecchio orologio posto sulla parete di fianco alla letto, mancava ancora una ventina di minuti prima dell'incontro con Antonio e Francis. Era stato lo spagnolo a decidere l'orario dell'appuntamento, dopo avergli mostrato la stanza in cui si trovava, la quale era nello stesso corridoio di quelle occupate dal trio, e lui non aveva avuto nulla da obbiettare, trovando vi fosse un lasso di tempo accettabile perché riuscisse a prendersi cura di se stesso e dei propri abiti, portava sempre con se un kit da cucito per ogni, in modo da essere pronto ad ogni evenienza.
Doveva ammettere che, avendo avuto finalmente modo di darci un occhiatta, rispetto all'esterno, l'interno del maniero (la parte restaurata di esso), appariva più accogliente di quanto non lasciasse trasparire. Cominciava decisamente a chiedersi, mentre sorseggiava la bevanda gentilmente offertagli, cosa avessero tanto da lamentarsi Antonio e i suoi amici. Era sempre più convinto fosse tutto un piano di Gilbert per infastidirlo. Ora che ci pensava, non lo aveva ancora visto... Si stava forse nascondendo?
No, non era un atteggiamento consono al "magnifico lui".
"Spero non sia un tea con il lassativo" al pensiero del tedesco, immediatamente gli sorse il dubbio di non star subendo un qualche genere scherzo e, quella bevanda donatagli misteriosamente, cominciò a divenire sospetta ai suoi occhi. Forse, sarebbe stato più saggio rinunciare a berla? Ma non voleva essere maleducato con chiunque l'avesse preparata, poiché, e questo lo capiva dal sapore, chi fosse stato vi aveva messo tutto il suo impegno.
Un tea inglese degno di un simile titolo.
"Non quell'acqua sporca a cui sono costretto di solito" consapevole dei rischi, preferì finire il proprio tea, piuttosto di rinunciarvi, il suo sapore era ottimo. Anche se evitò i biscotti secchi da cui era accompagnato, il loro aspetto non lo convincevano affatto.


- Cosa è accaduto ad Orso?-
- L'ho solo mandato a nanna per un po', così anche lei rimarra tranquilla -
- ... Lo so che l'hai fatto per il suo bene, ma non ti sembra di aver esagerato?-
- Indovino, ami tanto la parte del grillo parlante?-
- In realtà sì, e poi non posso fare altro. Sono solo una voce -
-...-
- Ora ti senti in colpa? -
- No... Io, io l'ho protetto -
- Hai solo rimandato l'inevitabile, quel giorno lei si sveglierà comunque -
- Però ho evitato che lo facesse prima, le azioni di Orso si erano fatte pericolose e ciò avrebbe potuto provocare..-
- Parli come lui, adesso?-
- Ho forse detto qualcosa di errato?-
- No, ma per quanto tu dica il giusto, io so che non sono questi i motivi che ti hanno spinto ad agire -
- E' solo che non voglio vederlo soffrire -
- No, tu non vuoi vederlo morire -

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** V ***







Ad un primo giudizio, nel giungere senza difficoltà al luogo dell'appuntamento dove avrebbe dovuto incontrarsi con Antonio e Francis, Rod considerò il salottino un posto caldo e accogliente, piacevole per passare il tempo, e abbastanza tranquillo per affrontare una lunga (e temeva per nulla facile), chiacchierata.

"C'è un buon profumo..." osservò, riconoscendo l'odore della menta piperita e del limone, lo stesso aroma trovato nel the che gli era stato servito. Chiunque glielo avesse preparato doveva berlo spesso per averne lasciato dei residui tanto forti, i quali aleggiavano nella stanza impregnandola di una piacevole atmosfera di calore e familiarità.
Come tutte le camere in quell'ala della villa, il salottino era già stato restaurato e presentava arredamento e decorazioni in stile liberty. Due comode poltrone e un largo divano fiancheggiavano un caminetto di medie dimensioni, le cui pietre chiare che lo circondavano avevano una sottile tramatura dorata, simili ad arabeschi floreali. Un immenso tappeto copriva il pavimento in marmo e diverse stampe - litografie paesaggistiche - riempivano le pareti, meno una, su cui erano presenti delle alte finestre, le quali si affacciavano su un verde ed eccessivamente prospero giardino. "Forse dovrei procurargli un giardiniere..." rifletté, trovando fosse un vero peccato che una così piccola ma impeccabile stanza fosse rovinata da una vista tanto misera, come un quadro con una brutta cornice.
Senza accorgersene, Roderich iniziò a provare uno strano interesse per quel maniero, se ne sentiva affascinato. Avvertiva il bisogno di esaltarne la bellezza, le qualità, così come i suoi predecessori avevano fatto prima di lui. "L'idea di renderlo un hotel di lusso non era poi così male, con i giusti accorgimenti" rifletteva giudicando il progetto da esperto, poiché non era nuovo alla gestione di simili affari, trovandolo un modo prolifico per trascorrere l'attesa, sperando nell'arrivo degli altri due ospiti di quell'incontro.
".. Un ritratto" la sua attenzione venne però sottratta da quei pensieri, avidi e un tantino freddi, l’occhio cadde su un quadro a mandorla, un dipinto ad olio dai colori tenui, raffigurante una giovane donna riccamente vestita, probabilmente risalente al XIX. Aveva un viso dai lineamenti eleganti, nobili e una cascata di morbidi capelli castani a decorarlo. Ricambiava lo sguardo di Roderich con un'espressione severa, ma che sembrava tradire un aspetto gentile della sua personalità, gli occhi parevano freddi, eppure possedevano qualcosa di molto dolce, come le sue labbra sottili, leggermente piegate all'insù, in un leggero sorriso. "Ma è..." riconobbe quasi immediatamente la donna, fin troppo familiare alla sua mente.
- C-... ce l’abbiamo fatta, Francis!!- la voce di Antonio interruppe la sua contemplazione del dipinto, causandogli automaticamente un leggero fastidio, seguito da un singulto d’irritazione. Avevano osato farlo aspettare! Dopo che si era scomodato a prendere un aereo dall'Austria per arrivare sin lì, unicamente per loro (e per evitare una denuncia non avendo controllato a fondo lo stato di sicurezza della villa)!
Li fulminò con uno sguardo colmo di stizza, voltandosi verso l'arco che divideva il salottino dal corridoio mentre lo attraversavano, le braccia conserte, il cipiglio severo, simile ad un professore intransigente intento a rimproverare i suoi alunni più discoli.
- Ah… Ehm, sei già arrivato Rod? – lo salutò Carriedo, sorridendo nervoso, consapevole di quanto l’austriaco odiasse i ritardatari,
- A te cosa sembra, Antonio? – replicò secco, così da fargli comprendere l’idiozia della sua domanda,
- Scusa… è che ci siamo persi – ammise lui, leggermente in imbarazzo nel parlare, - Sta-stavamo cercando Gil… ma ci sono così tante stanze che..-
- Purtroppo, non lo abbiamo trovato – tagliò corto Francis, subito dietro le spalle dell’amico, un sorriso ammiccante nel rivolgersi a Rod, il quale continuava a non apprezzare tanta familiarità. Lo riteneva viscido in un modo che non riusciva a spiegarsi, eppure, doveva ammetterlo, vi era anche qualcosa di affascinante in lui. Gli veniva difficile affrontare il suo sguardo.
Per quanto avesse notato il modo intenso con cui lo fissava, preferì quindi ignorare l’intervento del francese, discutendo nuovamente con Antonio.
- Non voglio sentire le vostre scuse…- sbuffò leggermente, andandosene a sedere su una delle due poltrone a fronteggiare il divano su cui Francis già aveva preso posto, - Da quello che ho potuto osservare sino a ora, la villa sembra in buone condizioni, quindi… Per quale motivo mi avete chiamato qui? –
C’era un basso tavolino a dividere lo spazio tra le sedute, su cui prendeva posto un vassoio con un’elegante teiera e una tazzina dalle sottili rifiniture, simili agli arabeschi floreali con cui era decorato il camino. A Rod per un momento parve fosse lo stesso vassoio che aveva trovato ad accoglierlo in camera, e dal profumo riconobbe il medesimo the di poco prima. “Ma quando..?” si domandò, chiedendosi da dove fosse spuntato, per poi osservare di sottecchi il francese di fronte a se, l’aveva forse portato lui?
In parte gli era rimasto nascosto, mentre parlava ad Antonio, quindi il fatto che portasse un vassoio con sé, poteva essergli sfuggito.
- La questione non è... ecco, tanto semplice, Roderich..- tentò di imbastire il discorso lo spagnolo, già in difficoltà alle prime parole, mentre rimaneva in piedi dietro al divano - quasi si trattasse di un muro di difesa tra lui e il damerino -, dove Francis si era seduto, cercando lo sguardo dell'amico con un panico crescente sul volto.
- Diciamo che sono avvenuti degli eventi un poco... "complicati" - prese quasi immediatamente parola il biondo, cogliendo la muta richiesta d'aiuto dell'altro, il cui volto si rilassò impercettibilmente e sfuggì un leggero sospiro di sollievo, era riuscito ad evitarsi quell'ingrato compito.
- "Complicati"..? - ripete Rod scettico, finendo di sorseggiare il tea che gli era stato offerto, l'espressione impassibile, ieratica, priva di alcun apparente interesse per la questione, anzi, probabilmente ritenendola superficiale, nient'affatto grave. Sperava solo che simili "eventi" non comportassero una spesa troppo onerosa per le sue tasche, senza contare che, qualunque fossero i loro inconvenienti, potevano benissimo esserne loro stessi la causa. E se ciò era vero, lui non aveva nessun obbligo a sborsare alcun che per risolverli.
- Esatto..- confermò Francis con un sorriso degno di un amabile venditore porta a porta (quando si convinceva di aver appena concluso una vendita), - ... ci sono capitati alcuni eventi spiacevoli, di cui non comprendiamo la causa - continuò, e Antonio gli riservò un'occhiata confusa, credeva si fossero già accordati che in quella magione c'era "qualcosa".
- Eventi di che tipo..? - attirò l'interesse dell'austriaco con quelle parole, il quale sembrò divenire disposto ad ascoltarlo.
Se Francis avesse pronunciato la parola "soprannaturale", sarebbe stato improbabile accendere in Rod la medesima attenzione, lo conosceva da poco, ma già l'aveva inquadrato. Esponendogli i fatti nella maniera in cui l'avevano interpretata, il damerino li avrebbe rifiutati in maniera assoluta, poiché infondo, dubitava di loro, non si fidava, con ogni probabilità credeva ancora che lo stessero prendendo in giro. Doveva quindi dargli l'opportunità di arrivare da solo alle sue risposte, così da giungere con un proprio percorso logico alla medesima risposta.
- Per fare un esempio...- e qui Francis scambiò in maniera evidente uno sguardo con Antonio, quasi volesse il suo consenso per continuare, nel farlo voltò il viso di tre quarti, mostrando di conseguenza il profilo al damerino. "Ciuffi verdi?" notò lui con stupore, rivalutando i gusti del francese, giudicandoli orripilanti a causa della pessima tinta.
In risposta, Carriedo annuì, approvando la maniera in cui l'amico gestiva la conversazione.
- ... più volte io mi sono risvegliato in un luogo diverso da quello in cui mi coricavo - riprese a parlare, tornando a portare gli occhi su Rod,
- Semplici attacchi di sonnambulismo, suppongo, forse seccanti ma non pericolosi... - tornò ad apparire annoiato dall'argomento, emettendo un leggero sbuffo da snob, gli occhi che andavano sulla tazzina da tea ormai vuota, appoggiata sul tavolo di fronte a lui.  
- Ehm... Siamo abbastanza sicuri che non si tratti di questo Rod - toccò ad Antonio intervenire, un momento esitante nel prendere parola, timoroso ad affrontare l'amico, -... per diverse notti, io e Gil abbiamo fatto a turno per assicurarci che non vagasse da solo -
- E..?- insistette perché continuasse, dedicandogli uno sguardo di sufficienza, una leggera irritazione a montare silenziosa in lui come ogni volta si pronunciasse il nome del tedesco in sua presenza.
- E mentre lo sorvegliavamo, Francis non ha mai mostrato simili sintomi e...- deglutì, sudando freddo, stava per raccontargli la parte più difficile di quegli eventi, - Successivamente, quando abbiamo pensato che le cose si fossero risolte e abbiamo rinunciato a tenerlo d'occhio, quella mattina era in cima al tetto. A causa di questo episodio, ecco... Devi contare che non dormivamo decentemente da più di quattro giorni e... - si bloccò, sorridendo imbarazzato, una leggera ruga vicino al labbro,
- Hanno provato a legarmi al materasso - prese parola nuovamente per lui Francis, mostrando una totale indifferenza per ciò a cui era stato costretto,
- Un metodo non ortodosso insomma - commentò con la medesima non curanza Rod, per nulla stupito che avessero avuto una simile idea. Erano pur sempre un trio di ebeti, l'aver ideato un piano, per quanto idiota, era già un notevole passo avanti per loro.
- Il quale non ha sortito gli effetti sperati..- dovette ammettere lo spagnolo, - il giorno dopo abbiamo trovato Francis, ancora legato al letto, sul sentiero che conduce al boschetto -
- Bhé, di cert-... Un momento! - parve sussultare, quando la mente elaborò per intero il messaggio di Antonio, - Mi stai dicendo che c'era l'intero letto con lui?! - non riuscì a celare un certo sconcerto nella propria domanda, pronunciata a voce un po' troppo alta, perdendo in parte quella compostezza con cui si era caratterizzato per tutta la conversazione.
- E' questo che ci ha fatto dubitare che Francis camminasse nel sonno... non avrebbe mai potuto muoversi da solo - affermò il bruno prendendo sicurezza nel parlare, man mano che Roderich si rendeva conto dell'assurdità di quegli avvenimenti, più sentiva crescere la possibilità che credesse alla loro teoria di "eventi soprannaturali inspiegabili".
- Non può trattarsi allora di uno scherzo ai danni di Francis? - optò Roderich dopo un momento di confusione, parlando più a se stesso che ai propri interlocutori, ancora alla ricerca di quella logica mancatagli di colpo da sotto i piedi,
- Potrebbe essere...- ammise lo stesso francese, le braccia incrociate al petto nell'alzare le spalle con un’eleganza studiata, -... ma per sollevare il letto con me sopra ci sarebbe voluta almeno la forza di due persone, e né Gilbert, né Antonio, riescono a portare avanti tanto allungo uno scherzo senza cadere in fallo, sopratutto se l'hanno organizzato assieme. In più non faticherebbero tanto solo per giocarmi - da come parlava, Roderich giudicò che anche lui aveva preso in considerazione una simile ipotesi e, per qualche motivo, l'aveva scartata senza più tornarci, certo dell'innocenza (per una volta), dei suoi compagni. Purtroppo però, non conoscendone le motivazioni, il damerino non se la sentiva di mollare del tutto quella possibilità.
- C'è dell'altro?- pose la domanda in un disinteresse solo apparente, deciso a tornare sulla questione più tardi. Voleva una panoramica dell'intera faccenda, poiché era certo che quello non fosse l’unico episodio “suggestivo” subito dai tre.
- Ecco... siamo stati assaliti da una tazza di cereali volante, Gilbert è stato quasi spinto giù dalle scale, i corridoi e le stanze cambiano di posizione in continuazione, i vestiti, anche quelli riposti negli armadi, si tingono di rosso e, come hai potuto vedere prima, qualcosa ha cercato di buttare Francis fuori dalla villa... ma questo dopo che lui ha cominciato ad insultare quel “qualunque-cosa” gli abbia rovinato il maglione di cashmere. - prese a fare un rapido elenco Antonio, sempre più sicuro, nel vedere l’austriaco tanto disposto ad ascoltarli. Sfortunatamente, dall'espressione granitica che prese questi, in seguito alle sue parole, gli fece supporre di non aver avuto proprio un’idea geniale a spiattellare tutto sul colpo. Lo stesso sguardo di sufficienza di Francis, a cui ci mancò poco di prendersi il viso tra le mani ad una tale mancanza di tatto, gli diede conferma del proprio errore.
Il silenzio che seguì l'intervento dello spagnolo fu tanto opprimente da far temere, ad entrambi i coinquilini, che da un momento all'altro Roderich si sarebbe alzato, li avrebbe fissati con uno sguardo gelido e, dopo avergli premurato di lasciare l'abitazione al più presto, facendogli pagare un affitto esorbitante - poiché non avevano rispettato gli accordi - , se ne sarebbe andato senza pensarci due volte. Di conseguenza, loro sarebbero finiti a vivere sotto ad un ponte, anche se ciò dipendeva più dal livello dell'arrabbiatura di Roderich e dal prezzo che avrebbe stabilito per averlo disturbato.
Fu così che Francis non trovò altro rimedio, per l’enorme gaffe dell’amico, se non cambiare completamente discorso, in una maniera estrema per correre ai ripari.
- Ahahahaha... Antonio, forse si è spiegato male..- tentò da prima di giustificarlo, smorzando la tensione con una risata nervosa mentre con lo sguardo vagava da una parte all'altra della stanza, in cerca di uno spunto qualsiasi per cambiare fulcro alla conversazione.
- Uhm...- lo fissò sempre più scettico Roderich, probabilmente già intuendo cosa volesse fare per trattenerlo su quella poltrona,
- Ehm... - cominciò a sudare freddo Francis sotto quegli occhi violetta, - Ha davvero un ottimo profumo questo tea -  aveva infine abbassato il capo, incapace di affrontare ulteriormente il contatto visivo, notando così il vassoio e la tazzina lasciati sul tavolino.
- Sì - affermò dopo un momento di esitazione, - Devo concedervelo, il tea era ottimo - si lasciò sfuggire un leggero sorriso, dimenticando per un momento l'irritazione salitagli alla gola un momento prima, -... come quello che ho ricevuto poco fa in camera -
- Ooh... - ebbe una nota di stupore Antonio, per poi guardare la nuca di Francis, il quale invece aveva riportato lo sguardo su Rod,
- Aspetta... ci stai dicendo che non te lo sei preparato da solo? - si stupì allo stesso modo Francis, porgendogli la domanda mentre si spingeva in avanti, per prendere la tazza in questione, soppesandola e studiandola con attenzione. Era la prima volta che la vedeva. Pareva costosa e, sopratutto, antica, per quanto in ottime condizioni, e ciò avrebbe potuto forviarlo, ma era certo che il suo occhio d'artista non lo tradisse, come minimo risaliva all'inizio del secolo scorso.
- E come avrei potuto?.. Non ho idea di dove si trovi la cucina - obbiettò Roderich sbuffando, sistemandosi un ciuffo di capelli con fare annoiato e leggermente snob.
"Ma allora, chi..?" rimase colpito dalla sua risposta Francis, leggermente allarmato dalla situazione. Era certo non potesse essere stato Antonio a portarglielo, essendo rimasto con lui tutto il tempo, e ben dubitava, visto l'astio che incorreva fra loro, fosse stato Gilbert a prepararglielo. "Certo, a meno che non sia avvelenato" cercò di tranquillizzarsi in qualche modo, ma il damerino pareva stare bene al momento, e poi l'albino semmai si sarebbe limitato ad un lassativo, non certo a qualche sostanza pericolosa (a effetto ritardato), probabilmente... ma la sua improvvisa scomparsa, il  rendersi irrintracciabile, non stava forse a significare che Gilbert aveva in mente qualcosa?
- Pensavo fosse stato uno di voi due - continuò l'austriaco, ben celando la leggera confusione che lo aveva preso, allora aveva supposto male, credendo centrasse il biondo.
- Ehmm... Francis ed Io siamo rimasti sempre assieme, Rod. Stavamo cercando Gil, e anche se siamo andati in cucina, nessuno di noi due ha avuto il tempo di prepararti e portarti quel tea.. - ricostruì cosa avessero fatto, nel tempo in cui non si erano visti, Antonio, negando allo stesso tempo il loro coinvolgimento, la leggera inquietudine dipinta sul suo viso sin troppo evidente. - E non penso che..- si azzittì prima di pronunciare il nome dell'albino, poiché il biancore di cui si tinse il volto del damerino gli fece temere che si stesse sentendo male.
- Che cosa ho bevuto esattamente?- vi era una leggera nota di panico nella voce del damerino, non si aspettava certo gentilezze da Gilbert e, nel caso quel tea si fosse rivelata opera sua, come inizialmente aveva creduto improbabile, temeva in un suo brutto tiro. Il solo pensiero di cosa avrebbe potuto aggiungere al tea, per semplice dispetto, già gli procurava una nausea capace di ribaltargli lo stomaco e risalirgli lungo la gola.
- Se pensate vi abbia aggiunto qualcosa di strano, badate che mi offendete - protestò il biondo ragazzo seduto sulla poltrona, affianco al damerino, le gambe accavallate e le braccia incrociate al petto, sul volto - decorato da due larghi e lucenti occhi verdi, sormontati da spesse sopracciglia -, un’evidente espressione di stizza. - Essendo lei il padrone di casa ho voluto accoglierla in maniera adeguata, per quanto le mie condizioni lo permettessero, quindi non approvo che i miei sforzi siano messi in dubbio in modo tanto offensivo - continuò a rivolgersi a Roderich, ignorando bellamente Francis e Antonio, che fissavano lo sconosciuto quasi fosse comparso dal nulla, anche se in effetti era proprio così.
- Oh... Se siete stato voi a prepararlo? - per riflesso, abituato ad ambienti in cui le persone discutevano nel medesimo modo, anche Rod cominciò a parlare in tono forbito e formale, - Allora permettetemi di scusarmi e di ringraziarvi per il pensiero, era un ottimo tea - prese a discorrere come se non vi trovasse nulla di strano in uno sconosciuto palesatosi dal nulla, poiché fino ad un paio di secondi prima quella poltrona era del tutto vuota.
- Dovere - sembrò sentirsi a disagio a quei ringraziamenti il nuovo arrivato, cui sguardo vacillò nell'affrontare quello di Rod e lo volse a terra, mentre un leggero imbarazzo gli imporporava le guance. Probabilmente non era abituato a sentirsi ringraziare.
Solo allora, trovando che una situazione tanto assurda non potesse prolungarsi oltre, Francis superò lo stupore iniziale e trovò abbastanza voce per parlare:
- CHI... Chi sei tu!? - balzò in piedi, vedendo il nuovo arrivato come un intruso, e provando per lui un’istintiva antipatia, forse causata da quelle sopracciglia obbrobriose o dal suo modo antiquato, da primi del '900, di vestire. Suo nonno possedeva vestiti più moderni nell'armadio! E quelle bretelle rosse che spiccavano sulla sua camicia bianca erano un oltraggio al buon gusto!
A differenza di Antonio, il quale rimaneva ancora fermo alle spalle del divano, il francese, troppo distratto da altro, non avevano notato cosa vi fosse di strano nel giovane, a parte il fatto che si fosse introdotto nella stanza senza farsi notare da nessuno, quando le finestre erano sbarrate e l'unica entrata era appena dietro allo spagnolo.
Il corpo del ragazzo non sembrava... solido! Si trovò sconvolto da quell'osservazione Carriedo. Ogni cosa in lui, persino gli abiti, parevano un agglomerato di pulviscolo su cui una strana rifrazione della luce aveva creato in maniera perfetta la riproduzione di un ragazzo. "Non è reale" cominciò a dirsi, certo che, se lo avesse toccato, quella presenza si sarebbe dissolta come una nuvola di fumo sospinta dal vento.
- Non sono obbligato a risponderti - per un qualche motivo l'atteggiamento, da prima educato (seppur leggermente irritato), e contenuto del giovane nel rivolgersi a Rod, cambiò quando prese a parlare con Francis, a cui dimostrò un'aggressività latente e una stizza crescente.
"Antipatia istintiva?" si trovò a pensare lo spagnolo osservando gli atteggiamenti dei due, "come quella tra cani e gatti?" tardi comprese che, se davvero si trattava solo di semplice rifrazione della luce, oramai l'immagine avrebbe già dovuto dissolversi, e di certo non avrebbe potuto parlare.
"Ehmm... allucinazioni uditive?" provò inutilmente a spiegarsi, per quanto già da qualche tempo lui, Francis e Gilbert avessero appurato che vi fossero delle strane presenze in quella casa, una parte del suo cervello non accettava completamente quell'idea, sicuro vi fossero delle fondamenta logiche, dietro a tutti quegli strani eventi.
- Ma è buona educazione presentarsi - intervenne Rod, il quale pareva quello più a suo agio in una simile situazione, forse credeva che, chi gli avesse preparato un così ottimo tea, per quanto si rivelasse un intruso, non poteva essere in alcun modo una minaccia. -... Lei mi conosce, visto che mi ha riconosciuto come il padrone di questa villa, però io non so chi sia - fece notare mantenendo sempre un'espressione seria, ma per nulla scortese nei confronti del suo interlocutore. "Sembra apprezzare più parlare con lui che con noi..." notò Antonio arricciando il labbro in un moto di stizza, Rod era pur sempre il suo migliore amico.
- Ha ragione..- dovette ammettere lo sconosciuto con un leggero sbuffo, alzandosi dalla poltrona, dando così le spalle alla finestra, dalla quale si vedeva spuntare uno spiraglio di sole, da cui arrivavano quei raggi che ora entravano obliquamente nella stanza. - Mi presento, il mio nome è Arthur Kirkland e, fino all'assenza del suo proprietario, mi è sta affidata la custodia della casa - si presentò in maniera impeccabile, con fare antiquato, la mano destra sul petto e chinando un poco il capo. Pareva un giovane dai modi da vecchio, avrebbe detto qualcuno, ma al momento le altre tre persone presenti nella stanza erano troppo impegnate a notare come, colpito dai raggi solari, il corpo di Arthur si dissolvesse, divenendo trasparente lì dove il sole lo sfiorava.
-Ah, è incorporeo! - trovò confermate le sue supposizioni Antonio, anche se il suo commento non fu quasi percepito dal francese e dall’austriaco, troppo spiazzati, scioccati dall'evento per udirlo. Il primo ricadde seduto, semi sconvolto, sul divano, mentre il secondo fissava il ragazzo quasi fosse un alieno appena sceso dalla sua astronave, il volto inespressivo, ma mortalmente pallido, rigido sulla sua seduta.
- I-io propendo per una fuga di gas - giudicò Roderich dopo aver valutato attentamente la situazione, - C'è una fuga di gas e siamo tutti in preda alle allucinazioni - proclamò certo, con voce tremante, e un velo di sudore sulla fronte.
- Mi dispiace contraddirla, ma uno dei miei doveri è assicurarmi che tutto qui dentro funzioni perfettamente, e posso assicurarla che gli allacciamenti a gas, luce e acqua non hanno subito alcun danno - affermò Arthur, fiero del proprio lavoro, molto dedito ad esso,
- E' ciò che direbbe un'allucinazione! - lo interruppe però Francis, andando a supportare la teoria di Rod,
- Le rane maleducate dai gusti osceni non hanno il permesso di parlare - l'essere definito come un'allucinazione doveva aver offeso mister sopracciglia, perché il suo volto cambiò colore, facendosi furente di rabbi.
- Rana?... Gusti osceni?! Ma ti sei visto quei bruchi che hai sopra gli occhi? -
- Le mie sopracciglia non hanno nulla che non vada!..- e istintivamente andò a toccarsi quella parte del viso, quasi si volesse rassicurare della loro presenza, -... a differenza certo di quei vestiti discutibili che ti ostini ad portare. Sono un oltraggio al pudore! -
- Si chiama "avere stile", strana nuvoletta di condensa che non capisce nulla di moda! -
A sentirli battibeccare, Antonio pensò che la situazione stesse precipitando rapidamente nel ridicolo, ma non aveva la forza per fermare una simile assurdità, in più la sua attenzione era attirata da Roderich, il quale rimaneva ancora rigido, seduto sulla poltrona che aveva sempre occupato, quasi si fosse tramutato in una statua di sale. L'espressione sconvolta faceva sembrare avesse una paralisi facciale e, dal modo in cui continuava a ripetersi: "è un’allucinazione... è un'allucinazione"; Carriedo cominciò a temere per la sua sanità mentale.

- Quindi... - si trovò a fissarla in maniera confusa Gilbert, osservando il suo visino tondo, delicato e dolce, i cui larghi occhi verdi vagavano inquieti nella stanza, quelle iridi vermiglie, ferme su di lei la mettevano ancora un po' a disagio, ma non era una sensazione del tutto spiacevole. - Mi stai dicendo, che tu non sei morta qui? -
Erano entrambi seduti sul pavimento della stanza 23-5, Gilbert comodamente stravaccato, Lily accovacciata composta, adagiata sulle ginocchia.
- Esatto, è accaduto prima che venissi in questa villa - confermò lei con un sorriso timido, la domanda non pareva ferirla o disturbarla come l'albino si era immaginato, e per cui era stato tanto restio a porgliela, pareva invece sollevata nel poter parlare con qualcuno.
Seppur temi come "morte", "assassinio", ecc... non apparissero come argomenti adatti da affrontare con una ragazza all'apparenza tanto ingenua e fragile, se questa in realtà si rivelava essere un fantasma, qualche domanda, interiormente, vieni naturale porsela. Così era andata per Gilbert, il quale, solo ora che Lily gli aveva appena rivelato il proprio nome, confermandogli allo stesso tempo la sua vera natura, poteva azzardarsi a colmare la propria curiosità, sentendosene quasi in obbligo, dopo l'ultimo avvenimento capitatogli. Cominciava ben a dubitate che, quello da cui si era da poco risvegliato, fosse un semplice sogno.
- Ma...- divenne ancora più confuso Gilbert, - ... ma i fantasmi non sono legati al luogo dove, ecco...- "crepano" gli pareva un termine troppo indelicato, e di certo Francis lo avrebbe rimproverato se avesse scoperto che l'aveva usato nel riferirsi ad una ragazza, - ... spirano?-
- Di solito sarebbe così - sembrò farsi più piccola lei, racchiudendosi in se stessa, quasi fosse imbarazzata,  - ma non potevo lasciare da solo Vash! - riprese a parlare animandosi di colpo, alzandosi in piedi e facendo arretrare di riflesso Gilbert, stupito da un simile comportamento.
- Ehmm... Chi è Vash? - si ritrovò a fissare, ad una distanza brevissima, il volto di Lily. Era davvero carina, per quanto incorporea, si ritrovò a pensare per l'ennesima volta.
-Ah..- sbatté un paio di volte le palpebre e, forse rendendosi conto di quanto gli fosse vicino, arrossì, comprendendo di non aver tenuto un comportamento consono ad una brava signorina, - E' mio fratello - gli rivelò drizzandosi completamente in piedi, tornado così a mettere la giusta distanza. - ... è stato seguendo lui che sono finita qui, in questa stanza - allargò leggermente le braccia indicandogli l'ambiente in cui erano,
- Ma ora tuo fratello... ecco, è? - non aveva ancora idea di quanto tempo fosse passato dalla morte di Lily, quindi non poteva essere certo che un suo parente prossimo, come un fratello, fosse ancora vivo.
- Non so cosa gli sia accaduto, poiché non posso muovermi da questa stanza, ma so che non c'è più...- piuttosto della propria, era discorrere della dipartita di Vash a rattristarla, difatti una leggera ombra le oscurò il viso,
- Mi dispi..- tacque prima di cadere nel banale, con inutili scuse vuote, prive di sentimento, lui ne aveva udite fin troppe, e sapeva quanto potevano risultare irritanti per chi le riceveva. - Asp-..! In che senso non puoi uscire da qui? - ebbe modo di cambiare rapidamente discorso, prestando ben attenzione alle parole di lei. Come risposta Lily gli fece un sorriso triste,
- E' una storia un po' lunga, sei disposto ad ascoltarla? - e quella di Gilbert suonò al quanto scontata:
- Ovviamente! Il magnifico è sempre disponibile a dividere il proprio preziosissimo tempo con te - e riuscì nel suo intento di farla ridere, anche se solo per un momento.

Ce l'avrebbe fatta. L'avrebbe protetta.
Solo ancora un paio di giorni e se ne sarebbero andati.
Si sarebbero imbarcati su quella nave carica di speranza, in essa vi era la loro salvezza.
Sarebbero fuggiti presto da quel luogo, che un tempo avevano definito patria, ma a cui ora non si sentivano più di appartenere, quasi si trattassero di ospiti indesiderati ad una festa data tra le mura di casa loro.
Era strano non poter più aggirarsi tranquillamente per quelle strade battute così tante volte in passato, non poter più entrare in certi luoghi di cui si aveva ancora una memoria ben vivida, incisa nella mente, quasi non fosse trascorso istante da quando vi si era recati l'ultima volta.
"Solo un paio di giorni.." si ripeté Vash camminando trai vicoli, il capo chino e il capello tirato sul volto, i denti che battevano per il freddo mentre tratteneva un’imprecazione, la temperatura era scesa ancora quella notte e i suoi vestiti non lo coprivano abbastanza. Normalmente non sarebbe mia uscito in quelle condizioni, con un gelo tanto inaspettato e fuori stagione, ma non aveva avuto altra scelta, doveva sistemare le ultime cose se voleva a partire in tempo, senza trovare intoppi.
Con il sole calante della sera alle spalle, che tingeva le mura dei palazzi di un arancione malaticcio, avvelenato dai fumi di smog scaturiti dalle fabbriche e dai gas di scarico delle auto, Vash si muoveva a passo sicuro, rasente gli edifici, nel tentativo di non dare troppo nell'occhio, di mescolarsi il più possibile alla folla di passanti. Aveva già notato che "uno di loro" lo stava seguendo, forse ne aveva attirato l'attenzione per errore, oppure lo aveva scambiato per un borseggiatore, non importava, non doveva farsi raggiungere ma, cosa più importante, non doveva farsi pedinare oltre. Vi era il rischio che intuissero dove fosse la sua "casa", non poteva permettersi di mettere Lei in pericolo. Le aveva promesso di proteggerla, e ci sarebbe riuscito, a qualunque costo.
Senza rallentare, Vash proseguì, ignorando di aver appena superato la svolta che lo avrebbe condotto alla propria dimora, avrebbe confuso quella cornacchia e in qualche modo sarebbe riuscito a seminarlo.
"Scusami Lily, dovrai aspettarmi ancora per un po'" pensò mentre cercava, volgendo lo sguardo verso un punto imprecisato, un tetto che si confondeva in mezzo a mille altri, certo della propria convinzione che, fino a quando non fosse uscita, andando contro alle sue direttive, la sorella sarebbe stata al sicuro. "Merda! Sono aumentati.." con la coda Vash notò come, da uno, gli uomini in divisa erano divenuti due, e se fossero ancora aumentati, il problema rischiava di divenire serio. Non poteva sapere se qualcuno lo avesse tradito, o se la presenza di un numero stranamente maggiore di cornacchie, nei dintorni di casa sua, fosse solo un caso, pregava unicamente di riuscire ad allontanarle abbastanza da poterli condurre verso una strada sbagliata, lontana il più possibile da quella.
Da quando si sentiva come un animale braccato, Vash aveva riconsiderato la sua passione per la caccia. Se qualche tempo prima si era dilettato ad imbracciare il fucile, preparare trappole e sparare contro volpi, lepri o cinghiali, ora la prospettiva di inseguire, mettere alle strette e uccidere un qualsiasi animale, gli lasciava una strana agitazione addosso, diversa dall'eccitazione e dall'adrenalina che gli provocava precedentemente. Avvertiva dei brividi sulla pelle e la nausea gli serrava lo stomaco, rendendogli le mani rigide e mortalmente fredde, aveva come la certezza che, se in quel momento, si fosse trovato costretto a tenere in mano il proprio fucile, le sue dita non sarebbero riuscite a piegarsi sul grilletto.
"Un cacciatore che cominciasse a provare empatia nei confronti dell'animale braccato, non ha alternative se non abbandonare la caccia.." aveva letto una volta, o forse qualcuno glielo aveva detto, da qualche parte, in quella che appariva come un’altra vita, lontano mille anni luce da quella in cui ora si trovava a vivere.
"Ma presto ce ne andremo..." si ripete nel superare un manipolo di operai del cambio turno in fabbrica, tenendo intanto sempre sott’occhi gli uomini che, ora ne era certo, stavano seguendo lui. "... andremo lontano" pensava immaginandosi un futuro diverso, se non identico, almeno simile quel passato felice da cui erano stati sottratti.
Non avrebbero più avuto la loro famiglia, non ci sarebbero più stati i vecchi amici di una volta. Coloro che avevano conosciuto lui e Lily, o erano morti, oppure erano stati portati via, altri invece, semplicemente, gli avevano voltato le spalle, tranciando ogni legame avessero avuto. E per quanta rabbia Vash provasse nei confronti di questi ultimi, una parte di lui aveva già compreso da un pezzo che il loro non era un vero tradimento, ma paura.
Paura di perdere tutti i loro possedimenti, di trovarsi strappati i propri cari, e questo Vash, ritrovatosi d'improvviso con Lily come unica parente ancora in vita, poteva comprenderlo. Anche lui provava una paura folle, quasi maniacale di perderla.
Le voleva bene, amava la sua sorellina. Era l'unica famiglia rimastagli, ma ancora più forte, era il timore di rimanere solo. Cosa avrebbe fatto, come sarebbe sopravvissuto senza Lily?
Vash sapeva che, l'unico motivo per cui fosse ancora vivo, era per proteggere sua sorella. Se lei non ci fosse stata, con la stessa abilità con cui aveva freddato una volta una lepre, spuntata d'improvviso dai cespugli, avrebbe riservato un colpo di fucile unicamente per se.
Invece Lily c'era ancora e, spaventata e indifesa, con la sua sola presenza lo aveva ancorato a terra, obbligandolo a non fuggire, a stringere i denti. Doveva farlo per lei, non poteva permettersi di abbandonare un esserino tanto fragile in un mondo andato totalmente allo scatafascio.
"Merda..!" strinse un’imprecazione trai denti, bloccandosi di colpo in mezzo alla strada e facendosi così urtare dall'uomo che cammina appena dietro di lui, il quale gli riservò un insulto poco velato. "Porc...." ingnorò del tutto l'operaio che, dai vestiti luridi e volto scavato, doveva aver appena concluso un turno estenuante, troppo impegnato ad osservare le cornacchie che stavano giungendo dal lato opposto della strada. Lo avevano accerchiato!
Con uno sguardo largo d'orrore, Vash, con gambe divenute pesanti come piombo, tentò di voltarsi, di cambiare strada, trovandosi a camminare controcorrente, riservando spinte e spallate alla gente che avanzava nel verso contrario al suo.
"Ah... Al diavolo!" si disse rinunciando ad ogni precauzione e spingendo un giovane a terra, per poi cominciare a correre. Non aveva nulla contro quel ragazzo, ma al momento gli stava trai piedi e aveva cominciato ad avere una certa fretta, ora che una di quelle cornacchie pareva averlo indicato. Non era mai stato noto per la sua pazienza e, prima che gli si avvicinassero oltre, precludendogli ogni via di fuga, dedusse fosse meglio filarsela.
Doveva solo sperare di trovare un nascondiglio adatto o di riuscire a depistarli in qualche modo, prima che lo raggiungessero.
Scappando a perdifiato Vash si allontanò dalla via principale, brulicante di gente, cercando rifugio in quei vicoli stretti, bui ed intricati come labirinti. A fatica avanzò, saltando i cumuli di sporcizia che fiancheggiavano le soglie delle abitazioni, evitando i mocciosi sporchi di terra e fuliggine, intenti a giocare con una palla di stracci. Gli bastò consegnare un paio di cioccolatini a quello che tra di loro pareva il capo perché, lui e la sua banda, con il proprio gioco, ritardassero l'avanzata delle cornacchie.
Quando si fu convinto che più nessuno lo seguisse, il sole era ormai calato da un pezzo ed una notte buia, priva di stelle e luna, veniva riservata a quelle strade in cui i lampioni e l'elettricità non parevano essere ancora stati scoperti.
"Lily è rimasta sola per tutto il giorno", considerò con un certo rammarico Vash, mentre con lo scemare dell'adrenalina, la stanchezza lo coglieva. Adesso che finalmente poteva tirare un po' il fiato, tutto lo stress accumulato nelle ultime ore gli piombò sulle spalle, rendendogli il corpo e le gambe pesanti come macigni. Non sarebbe riuscito a compiere neppure un altro passo senza cadere a terra. Finì così con l'adagiarsi contro la parete di quell'edificio lurido, scivolando su di essa fino a trovarsi seduto a terra. Per un po' non sarebbe riuscito a muoversi da lì.
Con una stretta al cuore, nel levarsi il cappello nonostante il gelo che gli era penetrato sin nelle ossa, il suo sguardo volò verso i tetti degli edifici da cui era circondato. Apparivano tanto lontani da quella nuova prospettiva e, con il calar delle tenebre, gli era divenuto impossibile distinguerne uno dall'altro, figurasi trovare quello che gli avrebbe indicato casa propria, dove Lily lo stava aspettando, probabilmente preoccupata per non averlo ancora visto tornare.
Quella mattina se ne era andato prima che lei si svegliasse, preparandosi in silenzio per uscire, cercando di non disturbarne il sonno. Si trattava di una giornata speciale, e di certo non avrebbe accolto la sua cara sorella senza nulla con cui festeggiare.
Prima di andarsene le aveva lasciato unicamente un biglietto, con cui le prometteva di tornare presto e la pregava di non uscire, evitando appositamente qualunque riferimento alla data, così da poterle fare una "sorpresa" quando fosse rincasato. C'erano alcune faccende di cui si doveva occupare, ma aveva creduto di potersela sbrigare velocemente.
Purtroppo, così non era stato, e ora Vash si trovava con una scatola di cioccolatini rovinata, avendola sballottata durante la corsa e a cui ne mancavano una manciata. Aveva sperato di poter festeggiare felicemente il compleanno di Lily, regalandole quella cioccolata che, sapeva, amava tanto, ma una serie d’imprevisti gli avevano impedito di tornare da lei.
E alla fine, la ragazza si era ritrovata a trascorresse quella sua "giornata speciale", il 23 maggio (per quell'anno stranamente gelido), interamente da sola.
"Perdona tuo fratello..." pensò Vash mentre la sua mente scivolava nell'oblio del sonno, vinta dalle troppe vicissitudini accadutegli nelle ultime ore. Prima di perdere conoscenza, con lo sguardo ancora rivolto al cielo, gli parve di scorgere una piccola luce nella volta celeste, quasi una timida e piccola stella stesse brillando solo per lui, gli trasmetteva un piacevole calore, e gli parve volesse quasi confortarlo, assicurandogli che Lily lo aveva già perdonato.
Di quella stella ammirata prima di addormentarsi, Vash, anche a distanza di anni, avrebbe sempre posseduto un'immagine ben chiara, nitida. Ancora non lo sapeva, ma il suo cervello sarebbe corso spesso a quel momento, portandolo a tenere sempre vivido il ricordo di quella notte.
Fino alla sua morte, avvenuta relativamente presto, si sarebbe sempre chiesto "perché", perché allora non aveva avuto alcun sentore di ciò che era accaduto?
Perché il suo istinto non gli aveva dato alcuna avvisaglia?
Ma, sopratutto, come aveva potuto addormentarsi così serenamente quando il cadavere di sua sorella rimaneva, semidisteso, a gocciolare sangue dietro ad una porta trivellata dai colpi di fucile, abbandonata in una camera buia e polverosa?
La vita di Vash quel giorno era finita, ma lui, beatamente assopito in un vicolo buio, nascosto tra la sporcizia, ancora non poteva saperlo.




---
No, non sono contento di questo capitolo (-3-),
ma nel timore di abbandonare la serie ho preferito pubblicare per incentivarmi, quindi:
SCUSATEMI SE E' DELUDENTE! Spero di rifarmi con il prossimo...
Sperando che continuiate a seguirmi, alla prossima (^3^)//

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3147769