Ghosts - Presenze moleste - di Yumeji (/viewuser.php?uid=95601)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 1 *** I ***
ghosts
NB:
Questa fanfiction è
stata pubblicata in precedenza come "Presenze Moleste", avendola
abbandonata ho deciso di riscriverla completamente ^^
Godetevela!
Si trattava
di una proprietà immensa. E appariva antica, molto antica.
“Spero di
non perdermi
dentro..” pensò Antonio sospirando leggermente per
la
fatica, un velo di sudore sulla fronte, subito asciugato con il dorso
della mano quando, percorso il lungo viale di ghiaia, era finalmente
giunto alle scale che conducevano all’ingresso della magione.
A
vedere i larghi e alti gradini all’ispanico venne un tuffo al
cuore, aveva dovuto trascinare il suo trolley e borsoni annessi fin
lì, dopo una scarpinata di quasi due chilometri - non avendo
convinto l’autista del taxi, da cui era stato condotto sulla
strada principale, che in quella fitta vegetazione esisteva una strada
e, soprattutto, la sua destinazione, un’abitazione appena al
di
là del boschetto. Si sentiva esausto, e di fronte a
quell’ultima fatica le forza gli vennero meno
Decise, quindi, di
prendersi una
pausa, scagliando tutti i propri bagagli a terra in un moto di
frustrazione, distendersi poi su quella scalinata in pietra come se si
trattasse del più comodo dei giacigli. Velocemente il
sorriso,
che così raramente si allontanava dal suo viso, gli
risalì naturalmente dal fondo dello stomaco, quando la sua
guancia accaldata ritrovò refrigerio sul freddo scalino in
pietra. Doveva ammettere che, nonostante fosse ormai ottobre inoltrato,
a causa dell’afa in cui era stato immerso per tutto il tempo
in
cui attraversava la boscaglia, il suo corpo avvertiva una temperatura
esterna tale che non avrebbe di certo fatto invidia alle giornate
estive in cui lui e Francis (Gilbert era morente nel loro appartamento
dopo una scottatura allucinante che lo aveva reso color aragosta), si
erano rifugiati al mare.
“Non ci
credo che ora
abiteremo qui…” pensò Antonio
osservando, rimanendo
disteso su uno scalino, l’edificio che incombeva su di lui.
Le
tante finestre sbarrate da pesanti oscuranti, alcune addirittura
inchiodate da delle assi di legno, lo fissavano quasi si fossero
trattate di una miriade di occhi, i quali lo stavano soppesando prima
di decidere se farlo entrare o meno.
“Certo, per
essere grande è grande, ma a Francis non darà
giù il suo aspetto rustico”
non aveva trovato aggettivi più gentili con cui definirla,
in
realtà, la magione era tutt’altro che un rustico,
anzi, ai
suoi tempi d’oro doveva trattarsi dell’abitazione
più elegante e costosa della regione, ma il tempo, e il
trasferimento del ramo principiale delle famiglia Edelstein
dall’Inghilterra all’Austria, cosa che aveva
portato al suo
abbandono, non erano stati clementi con l’edificio, dandogli
una
parvenza decadente e diroccata. “Molto bohemien”
sì,
avrebbe potuto definirla in quel modo quando avesse ricevuto la
telefonata dell’amico francese, Francis amava quel tipo di
termini e, con un po’ di fortuna, non si sarebbe soffermato
troppo sul suo significato. Di contro, però, non appena
giunto
alla villa, sarebbe divenuto peggio di una donnetta isterica,
accusandolo Antonio di avergli mentito sulle reali condizioni della
villa.
D’altronde,
l’ispanico
non vedeva altro modo per portarlo in quel luogo se non mentirgli, era
sicuro che, dopo un periodo nella magione, Francis se la sarebbe fatta
piacere, capendo fosse una prospettiva migliore di vivere
all’addiaccio sotto un ponte - avendo perso la loro
precedente
sistemazione a causa dell’abbattimento della casa degli
studenti,
alloggio offerto dall’università che frequentavano.
Su quel punto,
Antonio, faticava
davvero a comprendere l’atteggiamento polemico e schizzinoso
dell’amico, infondo, che Roderich gli avesse offerto di
occupare
una delle sue tante proprietà al prezzo di un ben misero
affitto, gli era sembrata una proposta allettante e del tutto
disinteressata (visto il minimo sindacale da lui richiesto), non si
capacitava proprio di come Francis e persino Gilbert si potessero
mostrare contrari.
“- Attento
che
c’è la fregatura -” lo aveva messo in
guardia
Francis, toccandosi con un gesto distratto la punta del naso, quasi
avvertisse odore di bruciato,
“- Non
fidarti di quel
damerino spocchioso, può non sembrarlo, ma è un
avaraccio
scassa-ingranaggi. Non lo voglio come proprietario di casa -”
così aveva elargito il magnifico Gilbert, i cui pessimi
trascorsi con l’austriaco, lo rendevano un tantino di parte.
Per Antonio era stata
un’impresa convincerli a prendere in considerazione la
proposta,
e ancor di più ci aveva impiegato per assicurarli delle
buone
intenzioni di Rod. Delle quali però ora era lui stesso a
dubitare, avendo di fronte la magione che l’amico gli aveva
offerto come alloggio. “E dovremo rimanerci fino alla fine
degli
studi…” dovette ricordare una piccola postilla nel
contratto che gli aveva fatto firmare, la quale obbligava tutti e tre a
vivere lì dentro sino alla laurea (o all’abbandono
degli
studi), pena, in caso contrario, di una tassa esorbitante…
Adesso sì che cominciava a comprendere i sospetti degli
altri
due.
Il perenne buon umore
di Antonio
venne leggermente intaccato, iniziava veramente a pensare che
l’austriaco avesse voluto fregarli, magari solo come ripicca
nei
confronti di Gilbert, ma subito dopo scacciò simili idee, il
corpo percorso da un brivido, e accusò il cielo grigio,
preannunciante pioggia, che lo sovrastava di avergli incupito i
pensieri.
E
nell’osservarlo, si rese
conto di doversi sbrigare ad entrare, altrimenti avrebbe finito con il
bagnarsi, già una gocciolina gli era atterrata dritta sulla
punta del naso, e ci mancava solo un acquazzone a dare il colpo finale
al suo tipico ottimismo. “Devo anche perlustrare la casa per
l’arrivo di quei due..” si disse, optando per
nascondere il
peggio che avrebbe trovato e, nel caso, chiamare Roderich se si fosse
trattato di qualcosa di grave (era il dovere del proprietario
rimediare!).
Tornò in
piedi, raccogliendo
trolley e il resto del bagaglio, percorrendo lentamente ma senza
un’eccessiva fatica, quella che sino a poco prima gli era
parsa
una scalata impossibile. Le membra stanche si erano riposate abbastanza
dargli la forza per giungere fino all’alto e largo portone.
“Sono il
primo del Bad
Friends Trio ad entrare” realizzò non sapendo se
ciò fosse una cosa di cui andare fieri o meno. Un senso
d’inquietudine lo avvolse non appena fu accolto
dall’oscurità che si nascondeva appena dietro
l’ingresso, difficile dire che ora del giorno fosse, a causa
della penombra in cui il salone si trovava.
Antonio
stanziò per qualche
momento sulla porta, quasi si sentisse indeciso se entrare, alle narici
gli era corso immediatamente il familiare odore di chiuso e di polvere,
Rod gli aveva assicurato che qualcuno, in precedenza, era andato a
verificare l‘agibilità della casa, eppure,
nell‘ispanico, crebbe la certezza di essere il primo a
mettervi
piede da almeno mezzo secolo. L’androne risuonò
unicamente
dei suoi passi e del suo respiro quando, finalmente, si decise ad
entrare nel maniero e, così come era apparso, il senso di
inquietudine scomparve, sostituito da un entusiasmo di cui non capiva
le origini. Doveva ancora cominciare ad esplorarlo, ma quel luogo
già aveva cominciato a piacergli.
-
Uhm…
Che buono! E’ da tanto che non avevo un assaggio del profumo
dell’aria fresca, dell’odore del muschio,
del-… -
-
Della puzza di sudore, vorrai dire. L’olezzo tipico dei
viventi -
-
Sta zitto, scorbutico! Non mi rovinare la poesia! -
-
Sei proprio una ragazzina se trovi della “poesia”,
su uno sconosciuto che ci invade casa! -
-
Non… non potrebbe essere il proprietario?-
-
Impossibile, in lui non c’è neppure una goccia di
sangue che lo leghi al nostro Padrone -
Da quello che Roderich
gli aveva
raccontato, le fondamenta della villa risalivano al medioevo, ma la
struttura aveva ricevuto una serie di ampliamenti, ristrutturazioni e
altre modifiche, e ben poco rimaneva del suo aspetto originale.
L’ultima volta in cui aveva ricevuto una
“modernizzazione” risaliva a circa
sessant’anni
prima, nel bel mezzo degli anni cinquanta, il nonno o il bis-nonno Rod,
Antonio doveva ammettere di non essere stato molto attento durante la
spiegazione, aveva idea di riportare l’edificio al suo
fulgido
splendore per renderlo un albergo, avendo modo così di
fruttare
in maniera redditizia una delle sue molteplici proprietà
sparse
in tutta Europa.
Prima di
ciò il maniero era
stato utilizzato durante l’epoca vittoriana, la nobile
famiglia
Edelstein ne usufruiva durante il periodo estivo, approfittando della
sua lontananza dalla città per trascorrervi delle tranquille
vacanze. Per poi lasciarlo all’inizio della Stagione,
trasferendosi dalla campagna all’abitato così da
ricoprire
nuovamente i loro alti gradi nella società urbana.
-
Quindi..? Che facciamo?-
-
Aspettiamo di
vedere come procedono le cose, potrebbe trattarsi di un custode o
qualcosa di simile. Al momento, io mi limiterò ad osservare -
-
Non devo avvertire gli altri? -
-
Credo che
tutti abbiano già percepito la sua presenza… Uhm,
dubito
che mi ascolterebbero se gli ordinassi di ignorarlo, quindi, digli
questo: “divertitevi pure, ma non esagerate” -
-
Ooh, e da quando sei così permissivo?! -
-
Che c’è? Mi stavo annoiando anch’io,
cosa credi!? -
[Qualche giorno dopo]
-
Bhé… Per essere
grande… è grande - osservò Gilbert
quando,
finalmente, dopo una scarpinata degna di uno dei campi di sopravvivenza
a cui partecipava con West, gli si parò di fronte lo spettro
della villa, la sua imponente sagoma scura contro un cielo nero, dai
pesanti nuvoloni grigi, i quali, chissà per quale
pietà,
non avevano ancora riversato su di loro la tempesta che parevano
promettere.
- Anche troppo..-
commentò
un Francis il cui umore, dal momento in cui il taxi li aveva
abbandonati sulla strada principale, stava peggiorando a vista
d’occhio. Durante l’attraversata del piccolo
boschetto, cui
sentiero si stentava a vedere in mezzo a tutta quell’erba
alta,
aveva finito per inciampare su un ramo caduto, spiaccicandosi a terra
e, come se questo non fosse bastato, una delle sue valige si era
aperta, riversando tutto il suo contenuto sul terreno ancora umido a
causa delle pioggia dei giorni scorsi. -… siamo solo in tre
-
continuò a parlare con malumore crescente, delle foglie
attaccare alla sua lunga chioma bionda, le quali gli donavano la
parvenza di un perfetto imbecille, - In più, da
quant’è che è abbandonata? Ha un
aspetto
orribile… Ce l’avrà il riscaldamento? -
- Il damerino ha
assicurato che ha
l’allacciamento ad acqua, luce e gas…-
rifletté il
tedesco mentre cominciavano a percorrere il lungo viale che precedeva
l’abitazione, - Ma sono sicuro che ciò non
comprenda tutte
le stanze - aggiunse, ghignando all’espressione sconsolata
dell’amico, il cui verso sembrava quello di
un’anima in
agonia in un girone infernale.
- Probabilmente
avrà anche
delle segrete - commentò Francis, un’aura di
depressione
violacea che gli si disegnava attorno al corpo,
- … o un
seminterrato per le
torture - cominciò a ridere Gilbert, il cui unico motivo per
il
quale non si disperasse alla vista della loro nuova abitazione, come
l’amico, fosse credere che l’obbiettivo di Roderich
fosse
proprio quello. Probabilmente aveva circuito Antonio con
un’offerta simile, sapendoli in un momento di
difficoltà -
non avendo in tre abbastanza risparmi per pagare le tasse universitarie
e permettersi un appartamento in affitto -, solo per arrivare a lui. La
rivalità fra loro non si era per nulla sopita, nonostante il
tempo trascorso da “quei fatti”, e ancora erano
pronti a
scontrarsi in qualunque modo, punzecchiandosi come due bambini
dell’asilo che litigano per lo stesso gioco.
“Non
credere! Ci vuole ben
altro per abbattere il magnifico me, damerino dei miei
stivali!”
pensò Gil continuando a ridere sguaiatamente, riempiendo
l’aria con i suoi “Kesesese”, cui suono
ricordò a Francis lo stridere dei corvi e, accompagnato da
una
gelida brezza carica di elettricità, gli fece drizzare i
peli
delle braccia. Cos’era quell’improvvisa
inquietudine?
Poteva darsi una
spiegazione per la
depressione da cui era stato momentaneamente colpito, ma proprio non si
capacitava di quel morso alla gola che avvertiva, quasi qualcuno, alle
sue spalle, gli avesse afferrato il collo e stesse tentando di
soffocarlo.
“Ah, ora
smettila Francis!
Non sei più un ragazzino!” si ordinò
subito dopo,
scrollando il capo facendo cadere le ultime foglie rimastegli
impigliate trai capelli, sperando di scacciare allo stesso modo quella
sensazione.
- Tutto bene? - si
trovò ad
affrontare lo sguardo stranito di Gilbert, il quale lo fissava confuso,
fermatosi proprio di fronte, e solo allora il biondo si accorse di non
star più camminando. Le sue gambe si erano rifiutate di
avanzare
senza che lui gli desse alcun ordine al riguardo. - So che magari non
è proprio una bellezza ma, e fidati della mia incredibile,
meravigliosa persona, per quel che paghiamo (e per mancanza di
alternative), mi sembra un compromesso accettabile - ghignò
quasi le sue parole avessero la valenza del sermone di un
ecclesiastico, e bastassero a disperdere il radicato malumore di
Francis.
“Oh,
cavolo”
pensò il francese nel ricevere simili attenzioni da lui. Se
Gilbert era arrivato a confortarlo a quel modo poteva solo significare
che doveva avere un aspetto simile a quello di un tasso appena uscito
dalla tana, ovvero, orribile. Anzi, probabilmente era ancora peggiore!
Perché, in quel caso, l’albino si sarebbe limitato
a
prenderlo in giro. Si sentì punto nell’orgoglio
Francis,
poiché divenuto consapevole che la sua depressione agiva
malamente sul suo aspetto, deturpando la sua migliore
qualità.
Di certo non poteva
immaginare che,
se anche in parte aveva ragione, vi era un altro motivo se Gilbert era
arrivato a fargli coraggio. Con quelle parole il tedesco aveva cercato
di allontanare quella stessa inquietudine che aveva finito per colpire
persino lui.
- Uhg…
Smettila di parlare,
o mi metterò a piangere - si coprì con una mano
il viso
il biondo, falsamente commosso dalle parole dell’altro, - In
più, se mi tratti così gentilmente, potrei farmi
un idea
sbagliata Gil - aggiunse nel colmare la breve distanza che li separava
chinandosi sul tedesco con un espressione carica di languida malizia e
un sorriso mellifluo, con il quale finì per
provocare
l’ilarità dall’altro, che nuovamente
finì per
scoppiare a ridere.
-
Kesesesese… Smettila di
dire cretinate! Sono troppo magnifico per diventare uno dei tuoi
compagni di scopata! - lo colpi allegramente con un leggero pugno in
cima alla testa, ridendo di gusto all’atteggiamento seducente
del
francese, chiedendosi come facesse la schiera delle sue amanti a
trovarlo attraente, a suo parere, il magnifico lui era infinitamente
meglio.
- Ah…-
sospirò
Francis, mentre l’albino cominciava a procedere verso la
villa, -
… un rifiuto simile non fa bene al mio spirito romantico..
Ah,
quanto dolore al mio animo già martoriato - avendo il dono
del
dramma, non poteva far a meno di recitare ogni evento con
l’enfasi di un attore protagonista alla prima dello
spettacolo,
- Sisi, drammatucolo
delle fogne,
ti ho appena spezzato il cuore… - non gli fece il favore di
riservargli neppure un’occhiata, limitandosi ad un cenno
della
mano, mentre continuava a procedere in avanti, lasciandolo indietro. -
Comunque, ti consiglierei di rimandare a dopo le declamazioni delle tue
pene d’amore, per quanto la pioggia faccia da perfetto
sfondo,
non credo che tu voglia rimanere qui a bagnarti il culo - riprese a
ridere interrompendo un’altra delucidazione sulla prosa e la
poesia che il francese stava per imporgli.
- Tsk… Non
so se la tua
mancanza di sensibilità sia dovuta al fatto che tu sia
tedesco o
perché sei uno studente d’ingegneria - gli
rimproverò Francis nell’affrettarsi a
raggiungerlo, un
poco seccato nel trovare la propria interpretazione interrotta in un
momento così appassionato.
Doveva però
ammetterlo,
quella breve parentesi comica aveva migliorato l’umore di
entrambi. Ora quella casa non appariva più una
così
orribile catapecchia come un momento prima.
- Kesese…
Lo sai cosa dicono
degli studenti delle arti teatrali? - domandò Gil quando gli
fu
arrivato affianco, il riso, ghigno, ancora dipinto sulle labbra,
- Certo, che la nostra
bellezza rinvigorisce le membra stanche di chiunque ci guardi -
- No, che
siete….- Francis
però non seppe mai cosa dicessero su di loro gli studenti
degli
altri corsi, perché il frastuono di un tuono
sovrastò in
quel momento la voce di Gilbert, - Scheibe!..
- impreco questi prima di iniziare a correre, come se questo lo potesse
salvare dalla grandine che, ad un centinaio di metri dalla casa, aveva
infine deciso di cadere su di loro. - Te lo avevo detto di
sbrigarti! -
- Nessuno ti ha
obbligato ad aspettarmi mon
ami…-
replicò Francis trovandosi a percorrere a perdi fiato
quell’ultimo tratto del viale ghiaioso con il, per nulla
esiguo,
peso dei propri bagagli sulle spalle e il trolley trascinato dietro.
Insomma, per la serie
“iniziamo bene”, quello sembrava davvero un ottimo
inizio.
Alla fine, per il
francese e il
tedesco risultò inutile la trafelata sino al portone
d’ingresso, e non tanto per il tempo impiegato per ricoprire
la
distanza che li separava dalla meta, piuttosto, fu l’attesa
dell’arrivo di “un certo qualcuno”, che
avrebbe
dovuto aprirgli la porta, a rendere del tutto superfluo il loro sforzo.
- Olà
ragazzi… Siete
già arrivati? - gli accolse con un caloroso sorriso Antonio,
facendo capolino dalla porta dopo averli lasciati ad attenderlo per ben
venti minuti. - E-ehi… tutto bene? - fu la domanda superflua
che
gli rivolse - avendo di fronte due amici ridotti a delle pozzanghere
con le gambe - prima di ricevere, in risposta, il pesante borsone di
Gilbert dritto in faccia. Senza rendersene conto, a causa del colpo,
l’ispanico si trovò con il sedere per terra.
- Idiota! E’
da mezzora che
sono attaccato a quel stramaledetto campanello! - proruppe
l’albino furioso, la felpa rossa completamente zuppa,
così
come il resto dei vestiti che aveva indosso. A poco era servito il
cappuccio sollevato a coprirgli il capo, i capelli gli si erano
attaccati alla fronte, bagnati quanto lo erano le sue mutande sotto ai
jeans scuri.
- Dovresti farti
controllare l’udito Antonì,
o per lo meno rispondere quando ti si chiama al cellulare - fu
più contenuto, ma non meno furente Francis, la cui chioma
bionda
gli ricadeva sugli occhi coprendogli buona parte del viso, rendendolo
simile a uno di quei cani dal pelo voluminoso e la frangia lunga.
- Ahahaha….
- rise nervoso
lo spagnolo, poiché era il suo modo per scaricare lo stress,
espediente che spesso lo faceva apparire più idiota di
quanto
non fosse, in particolare nei momenti critici e in quelli meno
opportuni. Non sapeva proprio gestire la rabbia altrui,
l’unica
cosa che era in grado di fare, quando la provocava, era accettarla con
un atteggiamento semipassivo come in quel caso. - Scusate ragazzi, non
l’ho fatto di proposito - si trovò ad affrontare
la
collera dei propri amici, i quali lo fissavano dall’alto in
basso, enfatizzando il fatto che fosse ancora sul pavimento.
- Vorrei ben
vedere… -
sbuffò il francese, cui arrabbiatura stava già
scemando
di fronte all’espressione beota del compagno, ogni volta che
si
trovava ad affrontarlo si sentiva come un uomo crudele che rimproverava
un cane a bastonate, gli veniva difficile rimanere infuriato con lui.
Ed era questa la ragione principale per cui Antonio era riuscito a
convincerlo a prendere alloggio lì, in quel maniero, sotto
consiglio di Roderich.
- Allora, quale
sarebbe la tua
scusa?- volle la sua giustificazione, simile al professore severo che
attendeva le spiegazioni per il ritardo di un suo alunno,
- Ehm…-
parve però esitare lo spagnolo,
- Avanti - insistette
Francis,
- Ecco, io…
Non avevo il mio cellulare con me - ammise,
- E? -
rincarò la dose Gil con il suo sguardo.
- Mi sono perso - si
decise a
svuotare tutto d’un fiato, rivelando la propria vergogna non
riuscendo a sopportare la pressione. - Que… questa villa
è enorme. Avvolte, mi capita di perdermi -
confessò
grattandosi a disagio dietro al capo, il sorriso sulle labbra che
pregava gli altri due di perdonarlo.
Cosa che Francis e
Gilbert fecero, dopo essere scoppiati in due fragorose e grasse risate.
- Ma quanto
può essere
pessimo il tuo senso dell’orientamento? - diceva
l’albino
dandogli una pacca sulla spalla, gesto che fece gocciolare a terra una
parte dell’acqua di cui gli si erano impregnati gli indumenti.
- Ami,
dovremmo darti una bussola la prossima volta che parti per
un’esplorazione - fece il francese pettinandosi la chioma
bionda
all’indietro, così da avere lo sguardo finalmente
libero
di vedere cosa avesse davanti. - Piuttosto, temo che allora non potrai
farci da guida qui dentro - commentò con un certo rammarico,
tanto per far sentire in colpa l’altro,
- Oh, no! Le stanze
principali le
conosco tutte. Sono quelle della parte vecchia dell’edificio
a
confondermi - cercò di rimediare alla propria figuraccia il
bruno, decidendosi finalmente ad alzarsi dal pavimento, gettando il
borsone di Gilbert dritto sul suo piede, fingendo fosse un errore e non
vendetta.
- Quindi, hai idea di
dove sia il
bagno in questo posto? Io e Gil necessitiamo di cambiarci e darci una
pulita - chiese ignorando le imprecazioni del tedesco, in tedesco, e il
suo arto dolorante,
- Certamente! - fu
orgoglioso ad
ammetterlo l’ispanico, mettendosi sull’attenti come
un
maggiordomo al richiamo del suo padrone, - Anzi,
c’è una
piccola sorpresa che credo apprezzerai, Francis - aggiunse subito dopo,
il volto euforico.
Per un qualche motivo,
però,
il biondo temette tanta felicità ed esuberanza, credeva che
quella dell’amico, in realtà, per lui si rivelasse
una
brutta sorpresa. Proprio come quella villa, definita invece da Antonio
come qualcosa di “fantastico” e di
“superlativo”. Lo sapeva che avrebbe dovuto
insistere a
fargli domande quando gliel’aveva definita “molto
bohemien”, ma l’uso di quel termine
l’aveva distratto.
-
Cos’è la cosa che
più desideravi in questi ultimi tre anni? - gli pose un
indovinello l’iberico, continuando con quel sorriso allegro e
solare, ignorando del tutto, senza cattiveria alcuna, le condizioni dei
due amici, gocciolanti e infreddoliti,
- Uhmm… -
si fece pensieroso
Francis, stando al gioco e perdendosi a riflettere, poi il suo occhio
cadde su quel pulcino bagnato che era diventato l’albino, -
Il
sedere di Gilbert? - optò con un’espressione
maliziosa,
- Hei! -
protestò questi,
-… ma non preferivi il culo di Antonio? - riflette
leggermente
confuso, ma la questione non venne approfondita.
- Intendo,
cos’è che
odiavi condividere quando eravamo nei nostri vecchi alloggi? -
tentò di nuovo Antonio, caparbio e testardo in quel
frangente,
-…- e lo
sguardo del
francese s’illuminò, colmo di una meraviglia che,
sul
momento, gli altri due pensarono scoppiasse a piangere per la
commozione, - Non mi dirai..?-
- Le camere da letto
della parte più nuova dell’edificio hanno un bagno
ognuna -
E seppur, fino a quel
punto, avesse
considerato quell’antico maniero come un vecchio rudere
carico di
polvere, per il semplice fatto che non avrebbe più dovuto
condividere la propria toilette con altri venti persone, per Francis
divenne il luogo migliore del mondo. Fu sul punto di lasciarsi andare
abbracciare Antonio, tanta era la felicità di quella
notizia.
Niente più file interminabili, niente maleducati che ti
bussavano alla porta mentre tentavi di rilassarti, nessuno a rubargli i
suoi costosissimi e importantissimi prodotti da bagno e profumi!
- Il romanticismo di
quest’ambiente può essere un buono studio in
previsione
della mia tesi - convenne Francis, osservando con occhio del tutto
nuovo quella catapecchia costosissima e secolare,
d’improvviso
non gli dava neppure più fastidio il contegno rustico ma
pomposo
dei componenti d’arredo (e aveva solo unicamente visto il
salone
d’ingresso), del senso: pochi mobili ma, quelli presenti,
palesavano una ricchezza irritante, soprattutto essendo quella una
villa abbandonata da anni. Per un momento si era chiesto, come mai, in
tutto quel tempo non fosse passato un qualche ladro a depredare tali
ricchezze.
Non
ci provare neppure a mettere quelle tue manacce da lumaca viscida sugli
oggetti del Padrone, bastardo!
Un brivido percorse la
schiena di
Francis, cominciava a soffrire davvero per il freddo a cui, la
condizione in cui era, lo costringeva, voleva cambiarsi al
più
presto!
- Ci mostri allora
dove sono le
camere? - intervenne Gilbert, stanco che entrambi ignorassero la sua
magnifica presenza e di continuare a gocciolare come un rubinetto che
perde,
- Ah, certo! Dobbiamo
andare al
piano di sopra - esclamò Antonio indicando la larga rampe di
scale in fondo alla sala, la quale si ramificava poi nel mezzanino,
dividendosi in due rampe che andavano in senso opposto,
- Altri scalini?..
Oggi ho fatto
l’attività fisica che in media faccia in un mese -
borbottò il biondo sentendo le gambe farsi molli dalla
stanchezza,
-
Kesesesese… Si vede che
sei un pappamolle Francis - rise di lui Gilbert facendosi avanti con
disinvoltura, più abituato all’attività
fisica
avendo, come il fratello minore, una passione per il campeggio e tutto
ciò che esso comporta.
- Fermo lì!
- l’ordine di Antonio però lo fermò ad
appena un metro dalla scalinata,
- Che
c’è? - lo
fissò stupito che l‘amico avesse ripreso il
magnifico lui,
aveva fatto qualcosa di male?
- Fidati, questa casa
è un
labirinto. Il primo giorno che l’ho visitata mi ero convinto
che
le stanze cambiassero posto, la cucina è diventata una
camera da
letto, una lavanderia e infine un salottino, prima di tornare ad essere
la cucina - lo informò con un espressione talmente convinta
che,
per un momento, solo uno, Gil dubitò che stesse scherzando.
Ma
non poteva prendere sul serio quello che aveva appena detto, giusto?
- Ma tu hai proprio un
senso
d’orientamento da schifo - lo fissò
l’albino
leggermente scioccato dalle esperienza dell’iberico, le
quali,
invece, avevano suscitato nuovamente l’ilarità di
qualcun
altro.
- Sì, okay,
magari ero io
che mi ero perso - ammise Antonio, riscontrando solo ora
l’assurdità della sua esperienza, -
Però, per il
momento, è meglio che vi guidi io fino alle camere -
affermò precedendo il tedesco sulle scale, subito seguito da
Francis, mentre Gil se ne rimaneva ancora fermo, stupito dalle reazioni
avute dell’amico. Forse l’avevano lasciato troppo
tempo
solo in quella casa, giudicò per dare una spiegazione alla
sua
reazione.
- Gil, so che ti sei
fatto
incantare dalla mia bellezza…- lo riportò alla
realtà la voce del francese, - ma puoi smetterla di fissarmi
e
muoverti a salire? -
- Ah?.. Sì,
arriv-Whaa! -
annunciò il magnifico prima di fare un capitombolo degno di
una
scena comica, schiaffando la faccia dritta sul primo scalino della
rampa.
- Uh.. Sembrava
doloroso -
commentò Francis nell’osservarlo, mentre Antonio
si
affrettava ad assicurarsi che stesse bene e per aiutarlo a rialzarsi,
- Sei a posto, Gil? -
ebbero
entrambi la decenza di chiedergli se stesse bene, aspettando un suo
mugolio dolorante d’assenso, prima di scoppiare a ridere per
l’imbarazzante scenetta che gli aveva appena mostrato.
- Complimenti cerise, hai appena
inaugurato il pavimento! - fece il biondo l’unico ancora a
stanziare sulle scale,
- Grazie per esserti
preoccupato
per il magnifico sottoscritto, eh! - ribeccò irritato
Gilbert,
il volto arrossato lì dove il suo
“splendido” viso
aveva cozzato per terra, e un paio di lacrime agli angoli
dell’occhio, aveva urtato il naso e ciò glieli
faceva
lacrimare, si sentiva fortunato di non esserselo rotto.
- Mon ami, sei solo
inciampato, non farla troppo tragica - e detto da lui, il re del
dramma, sembrava una comica,
- Inciampato?.. Uno di
voi mi ha fatto lo sgambetto! - gli accusò Gil, il suo amor
propri umiliato e il volto dolorante,
- Ma come avremmo
potuto? Eravamo
entrambi di fronte a te - lo fece ragionare Antonio, nel ben inutile
tentativo di nascondere il riso.
- Qualcuno deve essere
stato, non
sono certo inciampato da solo! - protestò lui, ma
durò un
attimo, di colpo tacque e il suo colore già pallido divenne
cadaverico, lo sguardo vermiglio fisso appena sopra a dove si trovava
Francis, quasi la sua attenzione fosse attirata da qualcosa alle sue
spalle,
- Ohi…
Gilbert? -
cercò di richiamare il suo sguardo su di se il biondo,
credendo
che l’amico si fosse incantato, o forse stava per perdere i
sensi? In quale caso, il colpo che aveva ricevuto cadendo si sarebbe
rivelato più grave di quanto avevano creduto.
- Ah.. Sì,
allora queste
camere? - sembrò riscuotersi l’albino, cambiando
rapidamente discorso mentre, altrettanto velocemente, precedeva Antonio
sulle scale,
- La rampa a sinistra!
- gli
gridò l’ispanico, non avendo modo di fermarlo,
l’altro aveva preso a correre quasi ne andasse della sua vita
arrivare alla cima.
- Ma che ti prende? -
lo raggiunse di corsa Francis, confuso da una simile reazione,
- Nu.. Nulla,
è che se sto
così ancora un po’ mi si gela il sedere. E sono
troppo
awesome perché mi accada - si fermò quando ormai
aveva
raggiunto il primo piano, indicandogli la felpa bagnata, il cappuccio
ancora calato sulla fronte, ostentando un ghigno forzato, in cui
Francis lesse qualcosa di molto vicino al panico.
“Mi sono
sbagliato…
sì, non può essere altro “ continuava
intanto a
ripetersi mentalmente Gilbert, negando a se stesso di aver visto una
figura alle spalle dell’amico. Era durata un solo istante,
per
poi scomparire in una nuvoletta di condensa, eppure, in essa,
l‘albino aveva riconosciuto le fisionomie di una persone... E
quella gli stava sorridendo. La cosa lo aveva terrorizzato al punto che
si era ritrovato a correre ancora prima di rendersene conto.
Non avrebbe insistito
sul fatto di
aver avvertito un peso improvviso sulla schiena, una forza che lo aveva
spinto a terra con violenza, facendogli perdere l’equilibrio.
Avrebbe interpretato tutto come il frutto della sua mente stanca per la
scarpinata nel boschetto e per il resto. Non c’era altra
spiegazione.
-
Ehehehehehe… Guarda, guarda, è riuscito a vedermi-
-
E ne sei contento? -
-
Certo!.. Lo stagista ci ha dato il permesso di divertici con loro, no? -
-
E con questo? -
-
Ho appena deciso quale tra quelli sarà il mio personale
giocattolino! -
-
Vedi solo di
non esagerare… sei già uscito dai limiti
facendolo
inciampare. Non dovresti avere un contatto diretto con loro -
-
Indovino, tu che sei solo una voce, da quando ti è permesso
darmi ordini? -
-
La mia era solo un'osservazione Orso -
-
Oh, va bene. Ti perdono… comunque, dopo tanto tempo, ci
sarà finalmente da divertirsi -
---
NDA
La prima volta che ho pubblicato questa FF, c'è
stato
qualche problema con alcuni utenti che insistevano a cercare di
indovinare quali fossero i "fantasmi"(non che ci sia nulla incontrario,
ma se lasciate una recensione non limitatevi a questo ^^''), quindi,
per sviare il problema, in questa nuova versione ho ideato dei
"soprannomi" per i fantasmi (i quali hanno una spiegazione che
verrà spiegata più avanti), so che possono
suonare banali
e (almeno un paio), ovvi, cmq, ve li presento in anteprima in ordine
puramente casuale:
Orso
Stagista
Dama
Indovino
Appeso
Fata
Little Lady
Suicida
Sanguinario
p.s: a seconda di come
si svilupperà la ff potrebbero aumentare.
|
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Capitolo 2 *** II ***
Fa freddo, e non è un freddo familiare, come del luogo da
cui provieni.
Il gelo di quelle
terre è desolante e la neve ricopre ogni cosa, senza
lasciare spazio ad alcuna traccia di vita. Sei finito nel bel mezzo di
un’infinità distesa immacolata.
Sopra di te il cielo
è grigio, tremi. Non riesci a capire che momento del giorno
sia, le nuvole tanto spesse da non lasciarti intravedere neppure il
più piccolo spiraglio, sai che presto ricomincerà
a nevicare e temi di finir inglobato in tutto quel biancore.
“Un puntino
bianco sul bianco” pensi con una nota d’ironia, non
ti è ben chiaro come tu sia finito in un guaio simile, ma
nel tuo animo avverti una rassegnazione del tutto estranea, che non ti
appartiene.
Ciò che ti
circonda ti confonde e t’incute timore, eppure, allo stesso
tempo, provi qualcosa di confortevole.
Nonostante i piedi
nudi sulla neve gelata, i vestiti leggeri, e la pelle d’oca
su tutto il corpo, quell‘emozione ti risale dallo stomaco
propagandosi nel tuo animo con un piacevole calore.
Ti è facile
riconoscere quella sensazione, l’hai provato almeno una
decina di volte da quando hai deciso di andare a studiare
all’estero. E’ il contrario di quella nostalgia
che, ogni tanto, nei momenti prima di addormentarti, ti stringe il
cuore.
Ti senti a casa.
Come quando ritorni a
Berlino per le vacanze di Natale e, immancabilmente, trovi West ad
accoglierti con indosso uno di quei ridicoli maglioni tipici delle
festività (regalo di una qualche zia decrepita), che il
nonno l’ha obbligato ad indossare.
Sì, per
quanto tu stia congelando sin dentro le ossa, avverti quella
familiarità, quel calore di chi è stato via molto
allungo e, finalmente, torna al posto a cui sente di appartenere.
“Però…
io qui è la prima volta che ci vengo”
rifletté Gilbert, recuperando un po’ di coscienza
di se in quell’idilliaco e silenzioso spettacolo, mentre
socchiudeva gli occhi nel tentativo di studiare l’orizzonte,
cercando una qualsiasi ombra o frastagliatura che gli potesse indicare
un’abitazione o qualche altro tipo di edificio. Ma veloce la
neve cominciò a calare sopra la sua testa e un vento
impetuoso iniziò a soffiare.
Presto intorno a lui
si creò una bufera, la quale cancellò il piatto
paesaggio che sino a quel momento lo aveva circondato.
- Ma cosa diavol.?! -
si trovò ad urlare, senza però udire la sua
stessa voce, sovrastata dalla tempesta da cui ferocemente era sferzato
e tirato, quasi ci tenesse a liberarlo di quei pochi indumenti che
indossava, lasciandolo così completamente nudo in un
ambiente totalmente ostile. - Merda! Così finirò
davvero per confondermi con la neve! - si lamentò a gran
voce, i suoi capelli e la carnagione lo mimetizzavano sin troppo
lì attorno e lui sapeva solo di aver il sempre
più pressante desiderio di essere trovato.
La nota di
familiarità era scomparsa del tutto, così
com’era venuta, ora desiderava solo essere visto,
rintracciato, notato. Per una volta però, per lui, sembrava
un’impresa impossibile.
Io
conosco un modo per farti risaltare..
Dal nulla quella voce
ebbe il potere di raggelarlo più della tempesta di neve e di
tutto quel ghiaccio da cui era circondato.
Prima di allora non
aveva mai udito un tono simile, capace di far tremare le viscere,
l’intonazione di qualcuno che sembrava sul punto di scoppiare
a ridere da un momento all’altro. Quasi non vi fosse
spettacolo più divertente, esilarante, di un ragazzo
trovatosi a fissare incredulo la lama di un coltello fuoriuscire dal
proprio petto, pugnalato a bruciapelo alle spalle.
Con orrore crescente
Gilbert osservò la macchia di sangue allagarsi sui suoi
vestiti, mentre un urlo si strozzava nella sua gola, sostituito da un
rivolo di sangue che gli scendeva lungo le labbra. Stava nuovamente
tremando, e questa volta il freddo non centrava, ora vedeva stagliarsi
contro di se l’ombra di un gigante, chiedendosi come avesse
fatto a non notarlo prima.
Guardò la
lama ritirarsi dalle sue carni, la figura nera spostarsi e il candore
della neve macchiarsi di rosso.
E’
lo stesso colore dei tuoi occhi.
Gli disse la voce nel
momento in cui gli cedevano le gambe e crollava a terra. Avvertiva un
dolore lancinante e avrebbe voluto reagire, in qualche modo, ma pareva
che il gelo gli avesse congelato i muscoli. Finì disteso
sulla neve fresca, mentre altra già cadeva a ricoprirlo.
Gilbert
credettè che ogni cosa si concludesse lì. Ma si
sbagliava.
Chiunque lo avesse
pugnalato non aveva finito con lui. Per questo,
all’improvviso, il tedesco si trovò rivoltato, ora
con la schiena appoggiata sul terreno.
Per lo meno, adesso,
poteva vedere il cielo. Si disse, incapace di formulare un pensiero
coerente, avvertendo il proprio corpo pesante e leggerissimo allo
stesso tempo.
I fiocchi di neve che
gli cadevano sul viso, doveva ammetterlo, erano proprio belli. Non
poté però bearsi allungo di quella visione
perché, l’ombra di poco prima, era tornata,
occupando del tutto la sua visuale.
Vi furono solo due
cose che Gilbert notò di essa: la prima, fu il lungo
coltello con il quale già una volta lo aveva ferito e con
cui sembrava progettare di farlo ancora; la seconda, il sorriso
infantile con cui puntava quella stessa lama verso i suoi occhi, un
momento prima di renderli ciechi.
Hai
visto, hai visto, il colore del sangue e quello delle tue iridi sono
uguali!
Cantilenò
la voce con fare giocoso, e il dolore al petto di Gil si
acuì, mentre l’ombra calava la sua lama su di lui
più e più volte.
Al suo risveglio,
Gilbert non urlò in preda al terrore, sconvolto da
quell‘orrendo incubo. Si ritrovò invece con la
gola secca, impossibilitato a parlare, e un senso di gelo fin dentro
l’animo, quasi le sue ossa si fossero tramutate in ghiaccio.
Gli ci volle qualche
secondo per rendersi conto di dove fosse, non era abituato alla nuova
stanza, e per un momento si era persino dimenticato di non essere
più nel dormitorio studentesco. Per una volta fu
sconfortante trovarsi da solo in camera, dopo essere stato abituato per
quasi tre anni a condividerla con Antonio, nonostante le lamentele
continue per la mancanza di privacy a cui una simile convivenza
l’aveva portato. In quel momento avvertiva
l’impellente bisogno di vedere qualcuno, di assicurarsi di
essersi veramente svegliato e di non essere, invece, ancora prigioniero
di un sogno. Ma purtroppo erano le tre di notte, e Gil non era certo un
moccioso che aveva bisogno del conforto della mamma dopo un incubo. Lui
era il magnifico!
Anche se non gli
sarebbe dispiaciuto avere quell’armadio del suo fratellino
minore affianco.
“Nononononono…
Questo non è per nulla awesome da parte mia” si
rimproverò Gilbert cercando di riprendere sonno, era davvero
troppo presto per provare ad alzarsi, soprattutto perché la
sua camera era proprio l’ultima del corridoio e, se avesse
fatto troppo rumore nell’attraversarlo, di certo Antonio e
Francis non gli avrebbero perdonato la sveglia fuori orario. Dovette
quindi reprimere le proprie inquietudini e, tremando per il gelo che
sembrava fosse piombato nella stanza (fortuna che doveva esserci il
riscaldamento, Rod!), si raggomitolò nelle coperte,
portandosi il lenzuolo sin sopra la testa.
E solo allora si rese
conto di aver bagnato il proprio cuscino di lacrime.
Mille
gocce di sangue sulla neve gelata,
macchiano
la terra, sgorgano da una cascata.
Mille
tagli inflitti a quel corpo morente,
e
il suo sguardo è triste, vuoto, sofferente.
Fluisce
via la vita da quei corpi martoriati
e
Mille sono a terra, i cadaveri dei soldati.
Ballano,
ballano gli uomini sotto i colpi di un fucile,
ma
non si rialzano. Il loro tempo sta per finire.
Era un bel mattino, il
sole splendeva e i passerotti cinguettavano a quel sole che, con il
giungere della stagione fredda, si faceva sempre più raro.
Francis si godette con
un sorriso quel dolce risveglio, il totale benessere
dell’essersi destato con la tranquillità dello
studente che non doveva correre a lezione, o del lavoratore in ferie.
Stava ben usufruendo di quei giorni di vacanza prima
dell’inizio del nuovo semestre, il momento perfetto in cui si
hanno appena recuperato gli esami dell’anno precedente e pare
non se ne prospettino altri all’orizzonte -
un’illusione tipica di molti studenti universitari.
Si chiese,
però, cosa lo avesse portato ad aprire gli occhi tanto
presto, non aveva né cellulare né sveglia a
portata di mano ma, poté giudicare dal sole che pigramente
si destava all’orizzonte, dovevano essere
all’incirca le 6.00 am. Non era mai stato un tipo mattiniero
- a parte quando i suoi impegni lo richiedevano -, solitamente
preferiva sonnecchiare sino a tardi, con la semplice motivazione che se
lo poteva concedere. Quel giorno però, qualcosa doveva aver
disturbato il suo sonno, destando prima del solito, probabilmente, si
disse, l’ambiente nuovo in cui si era appena trasferito lo
aveva scombussolato più di quanto avesse creduto. O, forse,
un raggio di quel sole, che ammirava alzarsi in un largo cielo dalle
tinte pastello, lo aveva colto sul viso infastidendolo e portandolo
alla veglia..(!)
Certo che, quando
aveva scelto la propria stanza, non si era minimamente accorto della
presenza di un solarium al suo interno. "Ma c'era veramente una cosa
del genere?" gli venne il dubbio, eppure, doveva essere
così, altrimenti, come poteva entrare tutta quella luce
nella stanza se aveva calato le persiane quando, la sera prima, era
andato a coricarsi?
“Brr…
Uno spiffero. Sembra di stare all’aperto!”
tremò leggermente avvertendo un sottile soffio
d’aria alitargli sul collo, facendolo rabbrividire,
“E meno male che doveva avere il riscaldamento..”
ricordò avvolgendosi nelle coperte, rigirandosi
dall’altra parte nel tentativo di riappisolarsi. Non credeva
ci sarebbe riuscito, ma non aveva la minima intenzione di alzarsi.
- CRACK! - fu allora
che Francis ebbe il piacere di fare la conoscenza del proprio compagno
di letto.
Antonio socchiuse
appena gli occhi.
Era forse un grido
quello che aveva appena sentito..?
No, di certo si era
sbagliato. Quella casa era così grande e vecchia,
probabilmente si trattava solo di uno scricchiolio più acuto
degli altri.
E,
d’altronde, era stato un suono troppo lontano
perché provenisse da una delle stanze occupate da Francis e
Gilbert. Quindi, con la coscienza limpida di un neonato,
l’ispanico si voltò dall’altra parte,
acciambellandosi come un gatto, tornado placidamente a dormire.
“Nonpuòesserenonpuòesserenonpuoessere…
nononono!” si ritrovò a sguazzare nel bel mezzo di
uno stagno putrido Francis, un'alga a coprirgli gli occhi e il pigiama
firmato totalmente zuppo di quell‘acqua puzzolente e
salmastra. Avrebbe speso un patrimonio in lavanderia per riuscir a far
andare via quell’olezzo, si disse a mal in cuore, ma
c’era un problema più impellente di cui non
riusciva a capacitarsi…
- Come cavolo ci sono
finito qui!? - urlò furente, incrociando lo sguardo
dell’enorme rospo che l’aveva fatto ruzzolare
giù dal proprio materasso, - E tu… non fissarmi!
- se la prese con l’animale, schizzandolo con
l’acqua, ma mancandolo completamente. L’anfibio
intanto continuava ad osservarlo dalla riva, dove si trovava una parte
del letto su cui il francese aveva riposato sino all’attimo
prima, per poi cadere in quella che aveva definito “una
pozzanghera troppo profonda” a causa dello spavento.
- Gilbert, Antonio!
Questa me la pagata! SUL SERIO, PRESENTERò A VOI IL CONTO
DEL MIO PARRUCCHIERE E DELLA LAVANDERIA! - proruppe furioso, ormai
totalmente sveglio, ogni traccia di sonno scacciata dall'acqua che gli
bagnava le membra e dal sottile gelo autunnale.
Ovviamente, come si
aspettava, non ricevette risposta. Quei due dovevano essersela svignata
da un pezzo, ridendosela nell'immaginare la scena del suo incontro fin
troppo ravvicinato con un rospo.
"Quei... quei due!"
tremò dalla rabbia, l'espressione furente, i denti stretti -
Mi hanno burlato! - continuava a gridare alla propria frustrazione,
prendendo a pugni lo specchio dell'acqua, con il risultato che gli
schizzi lo colpirono dritti in faccia. - Aargh! - ringhiò
prendendosi il viso fra le mani, la sua mente d'artista stava
già escogitando quale splendida cattiveria avrebbe riservato
ai due sciocchi amici. Di certo non si sarebbe limitato a rispondere al
loro scherzo con qualcosa di altrettanto sciocco e rozzo, no... La sua
sarebbe stata una vera opera d'arte! - e l'istinto di scoppiare in una
teatrale risata malefica per dare il tocco giusto alla scena fu forte,
ma sapendo che, se qualcuno lo avesse visto, lo avrebbe preso per
pazzo, Francis desistette, nascondendo l'accenno di riso con un colpo
di tosse.
Sì, li
avrebbe giocati, ripagati con la stessa moneta. Doveva solo scegliere
con quale tortura allietare la sua vendetta perché,
sicuramente, li avrebbe fatti soffrire, come ora stava soffrendo lui
per la puzza che avvertiva provenire dalla sua splendida chioma bionda.
- Ahi!..-
mugolò dal dolore, le lacrime agli occhi quando il grasso
rospo, stanco di vederlo discutere con se stesso, gli saltò
in grembo,
- Crak! - gli fece
l’anfibio in risposta, osservandolo con i suoi tondi occhi
dall’espressione annoiata, e forse un po’ seccata.
Sembrava domandargli perché, se tanto ci stava male nel suo
laghetto, non se ne fosse ancora andato, invece di rimanerci in
ammollo, con una temperatura tutt'altro che piacevole e una coltre di
sporcizia a dissuaderlo. E a rifletterci, Francis dovette dargli
ragione. Sarebbe dovuto andarsene prima di prendersi un raffreddore o
peggio, tipo un principio di congelamento.
Rabbrividì
il francese all'aria gelida che aveva preso a soffiare tutt'attorno,
intrisa di una pesante umidità e carica di odori tutt'altro
sopraffini. Finalmente, si decise ad osservare l'ambiente circostante,
cercando di scoprire in che punto della proprietà fosse
finito, ma non dovette sforzarsi troppo per capirlo. Alle sue spalle,
simile ad un silenzio e lugubre gigante, si stagliava la parte
posteriore della villa, il quale pareva fissarlo storto come quel rospo
che ancora gli stava appollaiato sullo stomaco.
A differenza del
giorno prima, in cui la maggior parte delle imposte alle finestre erano
chiuse, molte erano state spalancare, così far circolare
quell'aria vecchia di cinquant’anni. Grazie a ciò,
dal basso dell'immenso giardino, Francis riuscì ad intuire
quale fosse la sua stanza tra quelle del secondo piano, a quanto
sembrava Antonio e Gilbert avevano provveduto ad aprirgli la finestra,
dopo averlo portato dormiente sin lì.
- Ooh..- si
lasciò sfuggire una nota di stupore mentre, guardando alla
propria stanza, notò una sottile figura stagliarsi in contro
luce, "ma certo si stavano godendo lo spettacolo..!" intuì
con l'ennesimo moto di rabbia a deturpargli il viso, mentre un sorriso
più simile ad un ghigno gli rendeva l'espressione una
maschera grottesca, perfetta per un ballo in maschera.
Sollevò il
pugno in una muta minaccia, promettendo vendetta ad entrambi, ma la
figura si era già allontanata. Un senso di gelo, diverso da
quello che provava sulla pelle, gli calò sul cuore
nell'osservare il buio dove prima stava la sagoma, accompagnato da una
sottile inquietudine che gli strinse la gola. Per un istante, solo uno,
gli era sembrato impossibile che quella silhouette aggraziata e minuta,
potesse appartenere ad Antonio o a Gilbert. Perché, per un
momento, gli era parso di vedere il volto di una ragazza.
- Buoongiorno,
ragazzi! - li salutò Antonio con tono allegro e squillante,
piombando nella grande e vecchia cucina con un sorriso raggiante,
troppo luminoso perché Gilbert e Francis, cui volti cerei
ricordavano delle maschere funebri, potessero sopportarlo.
Il tedesco si
limitò a grugnire, senza neppure rivolgergli uno sguardo,
troppo impegnato a continuare a fissare la tazza di cereali che aveva
di fronte. Non sapeva perché se la fosse preparata - doveva
essersi mosso più per abitudine che per altro -, aveva lo
stomaco chiuso e la vista della sua solita colazione gli provocava un
senso di nausea. Dubitava sarebbe riuscito a prendere anche solo un
boccone.
- 'Giorno - fece
invece Francis, le braccia incrociate al petto ed un'espressione di
stizza sul volto.
- Ugh...
Cos'è quest'odore? - esclamò con una faccia
schifata l'ispanico, stava per avvicinarsi al tavolo ridosso della
parete su cui stavano i due amici, quando, l'olezzo di qualcosa come
residui di tubi di scarico e rifiuti tossici gli invase le narici.
- E' lui - si
limitò a riferirgli Gilbert, indicando con il cucchiaino il
biondo sedutogli affianco, la cui espressione sul viso, intanto, si era
fatta ancor più cupa ed irritata,
- Qualche problema con
la doccia, sta' mattina? - ironizzò Antonio, il quale non
poteva neppure immaginare quanto immensa fosse la rabbia di cui era
colmo Francis, del tutto ignaro dei fatti che recentemente lo avevano
colpito.
- Come se tu non lo
sapessi! - parlò con un tono acido ed accusatorio il
francese, finalmente esplodendo. dopo essere rimasto ad accumulare
irritazione nell'attesa dell'arrivo del bruno, il quale si era fatto
attendere. Per dare più enfasi alla scena si alzò
di scatto, preso dalla rabbia, sbattendo la mano sul ripiano del
tavolo. L'urto fu tanto forte che rischiò di far ribaltare
la ciotola di Gil, il quale la sollevò per evitare che gli
si rovesciasse addosso,
- Ehi, ma che ti
prende?! - protestò l'albino, fissando l'amico con gli occhi
vermigli incavati in due pesanti occhiaie, in lui una crescente
irritazione causata dalla scarsità di sonno.
- Mi prende che mi
sono ritrovato a farmi un bagno non previsto a causa vostra! - rispose
Francis, alterandosi al tono dell'amico. No, non
gliel’'avrebbe concesso di arrabbiarsi, era il SUO momento di
essere alterato. - Ditemi: chi è il genio tra voi che ha
avuto la brillante idea? - domandò un poco più
composto, ma non meno infuriato, incrociando le braccia al petto mentre
fulminava i due colpevoli del misfatto.
- Francis...-
parlò per primo Antonio, dopo essersi scambiato uno sguardo
confuso con il tedesco, il quale scosse appena il capo in un muto
scambio di battute, - ... noi non abbiamo idea di cosa stai parlando -
- Oh sì,
ceeerto. E allora il mio materasso c'è finito da solo in
giardino - fece lui sarcastico, visti i loro precendente, come avrebbe
potuto credergli?
- Hai dormito in
giardino?! - fu l'inutile commento di Gil, sul cui viso
cominciò ad intravedersi una traccia di sorriso,
probabilmente lo stava giudicando uno scherzo divertente,
- Sì, ho
dormito in giardino! E vuoi saperla una cosa..?- gli si rivolse ancora
più irritato, chinandosi su di lui con aria funerea e
minacciosa, -... sono stato attaccato da un rospo! Da un rospo,
capisci?! - per poi scoppiare a piagnucolare con una faccia schifata.
- Un che..?- si
trovò a mordersi l'interno delle guance Antonio, per non
cominciare a ridergli in faccia,
- Un rospo! Un
gigantesco, viscido, melmoso rospo! - si mise a drammatizzare
l'avvenuto, prendendosi il viso tra le mani come un Romeo che piange la
sua amata Giulietta.
- E' muco - lo
corresse Gilbert, il quale sotto lo sguardo allibito degli amici si
ritrovò a specificare, - Quello che ricopre rospi e rane non
è melma, è muco -
- E tu lo sai questo
perché..? - gli domandò il francese, dando voce a
ciò che si chiedeva pure Antonio,
- West frequenta il
corso di biologia, quando torno a casa capita che stia studiando cose
strane - alzò le spalle, non trovando tanto eclatante la sua
conoscenza di una simile nozione, non era così idiota come
lo credevano!
- Va bene...
Tralasciando il fatto della ran- tentò di prendere parola
Antonio, così da poter alleggerire e risolvere la situazione,
- Rospo - lo corresse
nell'immediato Francis, provocandogli un moto di frustrazione che
dissimulò bene con uno dei suoi soliti sorrisi. Si era
alzato splendidamente quel mattino, e non avrebbe lasciato che nulla
gli rovinasse la giornata.
- Va bene, lasciando
perdere il fatto del rospo. Come ci sei finito a dormire in giardino? -
e, a quella domanda, l'occhio destro del francese venne preso da un tic
nervoso.
Ancora facevano gli
gnorri?
- Ma perché
mi ci avete portato voi due, ovviamente! - li accusò di
nuovo,
- Io non centro -
- Idem - negarono
entrambi, facendogli tremare i pugni dal nervoso. - .. e poi, scusa.
Non ci hai ancora spiegato perché puzzi di fogna - aggiunse
Gil, tanto per infierire,
- Perché
quello stupido, orrido rospo, mi ha fatto precipitare nel lago! - non
andò a specificare che c'era caduto da solo, a causa dello
spavento provocatogli dalla bestiola, non ci avrebbe fatto una bella
figura.
-
E farti una doccia? -
- Ne ho fatte tre di
docce, e l'odore non se né ancora andato via! -
replicò a quell’acido commento, capace di fargli
saltare i nervi a fior di pelle,
- Allora permettimi di aiutarti
a fare la quarta -
- Che? - Francis non
ebbe neppure il tempo di comprendere quelle parole che, dal nulla, gli
piovve sulla testa una cascata di latte e cereali, il contenuto della
ciotola tenuta in mano poco prima da Gilbert ora rovesciato in cima al
suo capo.
- GI... GILBERT!! - fu
sul punto di aggredire l'amico, ma qualcosa nella sua espressione, e in
quella dello spagnolo, lo fermarono. Entrambi erano di colpo
impalliditi, fissavano un punto alle sue spalle, - Che cosa state
guard...(!)- e si voltò per seguire i loro sguardi.
Come poteva la tazza
di Gilbert rimanere sospesa a mezz'aria in quel modo?
E come poteva l'albino
avergliela versata addosso senza muoversi dalla sedia al suo fianco?
- Che... che trucco
state usando? - balbettò Francis trovandosi di colpo a
disagio, continuando a fissare l'oggetto immobile sospeso nel vuoto,
- N-non sei tu..?-
domandò con voce altrettanto tremante Antonio, il quale
aveva la tentazione di arretrare verso la porta, il sorriso scomparso
per una volta dal suo viso.
- E credi che me la
sarei versata da me?..- replicò, le parole che gli morivano
in gola,
- Ra... ragazzi, sono
stato solo io a sentire quella voce o..? - non ebbe bisogno di
continuare Gil, perché sì, l'avevano sentita
tutti e tre. Francis aveva per un momento creduto fosse stato uno di
loro due a parlare, tardi si era reso conto di non riconoscere quel
tono irritante.
- E adesso cos..-
tentò di chiedere Antonio, ma venne interrotto quando, allo
scadere del decimo secondo, la ciotola gli fu scagliata contro da
quella stessa forza invisibile che la teneva sollevata. Fortunatamente,
grazie a degli ottimi riflessi che lo portarono a chinarsi di scatto,
per una manciata di centimetri, l'oggetto lo mancò, finendo
così per frantumarsi sulla parete alle sue spalle.
Il silenzio e un senso
di gelo piombarono pesanti nella grande cucina. Poi scattò
il panico.
Gilbert fece
schiantare la propria sedia a terra, per il troppo slancio con cui si
era alzato, e ciò diede il segnale ad Antonio, il quale fu
il primo a correre verso la soglia, ma inciampò proprio
sulla dirittura d'arrivo e, a causa di Francis che gli era subito
dietro, si trovò spinto a terra, provocando un
aggrovigliamento di corpi quando il biondo gli cadde sopra. Con
un'agilità da atleta di salto in lungo, l'albino gli
scavalcò con un balzo, uscendo così dalla cucina,
per poi voltarsi ed afferrare le braccia dello spagnolo, trascinandolo
per un paio di metri, mentre Francis, già rialzatosi,
chiudeva la porta con un pesante tonfo, sbarrandola con il proprio
corpo per poi serrarla a doppia mandata quando notò la
presenza della chiave nella toppa.
Era fatta. Pensarono
per un momento i tre, trovandosi a fissarsi con il fiato corto da
maratoneti a fine corsa, il panico e l’adrenalina che
lentamente scemavano dai loro corpi, lasciandolo al loro posto
unicamente un colossale senso di gelida paura.
Nei loro sguardi
cominciava a formarsi la medesima domanda: "cosa diavolo era appena
successo?!!"
-
Ti rendi conto di cosa hai fatto?! -
-...
Indovino ti ha parlato? -
-
Non mi è servito, si è percepito in tutta la
villa... Orso! Capisci cosa è accaduto? -
-
Te la prendi troppo a cuore, infondo, sei solo uno stagista. La cosa
non è di tua competenza -
-
Non parlarmi con quel tono! Questo luogo è stato affidato a
me, quindi è a me che spetta controllar-..(!)-
-
Ti stai affaticando troppo ultimamente, Stagista. Attento, o finirai
per scomparire, e la cosa mi dispiacerebbe un po' -
-
Tsk... Difficile crederti con quel sorriso che h-..(!) -
-
Ahahahah... Si sta avvicinando quel giorno dell'anno, vero? Per questo
sei così debole -
-
Taci..-
-
E perché? Non ami festeggiare il giorno in cui sei stato
ucciso? -
"E a te
non manca quel luogo colmo di neve macchiata di sangue?"
- Ecco...
Sì, Rod. So che al momento sei ancora in Austria, ma sai...
No, non si tratta della caldaia, cioè,
c’è anche quella ma... insomma, ci sarebbe - il
tono esitante e remissivo con cui Antonio tentava di discutere al
telefono con l’austriaco ebbe la capacità di far
venire l’orticaria a Gilbert, costretto ad assistere inerme
alla discussione.
Per sicurezza, avevano
ritenuto opportuno uscire all'esterno, così da mettere
più distanza possibile tra loro e il luogo dell'inspiegabile
episodio. Al momento, si trovavo appollaiati sulla scalinata che si
affacciava sul viale ghiaioso, con eccezione di Francis, il quale si
diceva disponibile ad affrontare quel "qualunque cosa" ci fosse
all'interno della villa, pur di farsi la quarta doccia della mattina.
Non poteva sopportare l'idea di rimanere anche solo un istante in
più con quei vestiti che puzzavano di latte e le girelle di
cereali incastrate tra i capelli.
"Sul serio, sei una
frana in questo Anto" lo osservò colmò di
commiserazione, cercando al col tempo di portare l'attenzione altrove,
ma con scarsi risultati. Il cielo sopra la sua testa era plumbeo,
grigio come il cemento, pesante, gli dava un senso di soffocamento e
gli ricordava sin troppo quello che aveva potuto vedere in sogno.
Ciò bastava a mettere il magnifico Gil a disagio.
- Ecco... -
ripeté per la quindicesima volta lo spagnolo, incapace di
dare un senso a quello che aveva visto, senza risultare ubriaco o sotto
effetto di stupefacenti all'orecchio del damerino, - qui a-avremmo un
piccolo pro-problemino..?- tentò di nuovo senza
però riuscire a dire nulla. - Cioè... - sta volta
sembrava sul punto di scoppiare a piangere, notò l'albino,
ormai era arrivato al limite, non riusciva proprio a capacitarsi di
ciò che era appena accaduto e, quindi, gli diveniva
impossibile spiegarsi. Aveva la medesima espressione sofferente di un
grosso cagnolone a cui avessero fatto indossare una museruola troppo
stretta.
Tardi Gilbert comprese
che quegli occhi verdi lo stavano fissando in una muta supplica, alla
quale non sarebbe stato in grado di sottrarsi.
- Uff... Passamelo -
sbuffò porgendogli la mano aperta perché gli
desse il cellulare, quando aveva fatto l'associazione Antonio = cane,
sapeva già come sarebbe finita. Amava troppo quelle bestie
per negargli un favore quando gli faceva quell'espressione.
"Fantastico.
Così mi prenderà per uno scemo ancor
più demente di quanto già non crede..."
pensò già irritato, ancor prima di sentire la
voce di Roderich uscire dall'apparecchio, ora toccava a lui cercare di
esplicare a quegli eventi al limite dell'assurdo.
- Kesese... Damerino
dei miei stivali, sei ancora in vacanza? Non ti sembra di batter troppo
la fiacca? - lo salutò nel suo solito modo arrogante e
seccante, sapendo che ciò avrebbe dato su ai nervi
all'austriaco,
- Tu...
dov'è finito Antonio?- non fu altrettanto cortese da
ricambiare il saluto Roderich, limitandosi a trattenere la rabbia e a
modulare il tono di voce perché non risultasse furente.
L'albino però sapeva che il suo viso doveva aver preso una
nota di rosata, come sempre quando si alterava, e ciò, per
un qualche motivo, lo mise di buon umore.
- Senti, Anto'
è rimasto un po' sconvolto dalla faccenda, quindi ha passato
l'incarico al magnifico sottoscritto per spiegarti l'accaduto - si
alzò per sgranchirsi le gambe, appoggiandosi poi con i
gomiti al largo corrimano in pietra. Nel mentre, l’austriaco
parve soppesare con attenzione le sue parole, perché si fece
silenzioso, probabilmente chiedendosi se quello non fosse
l’ennesimo dei loro scherzi.
- Che intendi per
sconvolto..? Cos'hai combinato?! - tipico di lui accusarlo di qualcosa
senza avere neppure la chiara idea di cosa stesse parlando,
"un’abitudine dura a morire, eh?" pensò
ironicamente, avvertendo l'irritazione salirgli dallo stomaco, ma la
ricacciò dentro nel vedere lo sguardo di Antonio che lo
pregava di controllarsi (anche perché le chiamate
internazionali constano).
- Nulla, è
la tua stupida villa che l'ha scosso...- si difese con un ghigno
sforzato, simile ad un lupo che mostrava i denti prima di
azzannare, - Ascolta, di certo, dietro a questi eventi ci
sarà una spiegazione logica...- volle specificare prima che
gli desse del pazzo, del visionario o peggio,- Il sottoscritto super
awesome, non crede assolutamente che dietro a questo incidente ci sia
qualcosa di soprannaturale o simili -
- Gil... Beilschmidt -
ohoh, si era corretto, stava per chiamarlo per nome! - Stai
vaneggiando. Spiegami cosa è successo e trarrò io
le mie conclusioni - lo riprese come al suo solito, anche a distanza di
tempo gli riusciva sempre bene, questo l’albino dovette
concederglielo.
- Ve bene, te lo
dico... - arrivò infine al punto, certo che, in qualunque
modo glielo avrebbe presentato, non sarebbe risultato meno assurdo, -
In qualche modo, una tazza di cereali è volata da sola sopra
la testa di Francis e ha rovesciato il suo contenuto su di lui. Poi
è rimasta sospesa in aria per un po' prima di cercare di
colpire Antonio, e finendo, fortunatamente, contro al muro -
rivelò tutto d'un fiato, attendendo infine il giudizio
dell'austriaco.
- E'... uno scherzo,
vero? Mi state prendendo in giro - non si stupì di quella
reazione incredula, né si alterò per essa, era
normale un simile atteggiamento dopo quello che gli aveva detto.
- Certo
perché, dopo un anno e mezzo che non ci scambiamo neppure un
saluto, mi metto a farti scherzi telefonici deficienti solo per avere
una bolletta astronomica (essendo chiamate internazionali) -
optò per un ragionamento logico Gilbert, un'espressione
seria solitamente tanto rara sul suo volto, un poco malinconica. Aveva
appena ricordato ciò che cercava di dimenticare e che,
puntualmente, Roderich gli riportava a galla nella mente.
"Idiota, in
realtà è passato un anno e quattro mesi.."
avrebbe voluto correggerlo Eldenstein dall'altro capo della cornetta,
ma si trattenne, doveva sorvolare su quel commento, o avrebbe riaperto
vecchie ferite che ancora faticavano a rimarginarsi in entrambi.
- Allora siete
ubriachi?.. - ipotizzò Roderich sospirando, ma cercando di
mantenersi composto e rigido, di non mostrare alcuna alterazione nella
voce, stava cominciano a stancarsi,
- Lo sai anche tu che,
se lo fossimo, adesso staremmo dormendo sul pavimento di qualche stanza
- replicò Gil, sempre tenendosi appoggiato con i gomiti al
cornicione, la testa mollemente abbandonata su una mano, mentre con
l'altra si teneva all'orecchio il cellulare.
- E allora cosa
dovrebbe essere successo?! - sbottò infine, una volta
esaurite le idee e senza aver ben chiaro in testa cosa l'albino volesse
da lui,
- E' proprio questo il
punto: non lo sappiamo neanche noi, per questo Anto' faticava a
spiegartelo. Come padrone di casa dovresti venire qui ed assicurarti
che tutto sia in regola -
- Pensi che sia un
problema della casa?! - risultò immediatamente offeso dai
sottintesi di Gilbert.
- Bhé..
Dubito che sia nostro - osservò con uno sbuffo stanco, tra
loro era sempre stato difficile intendersi, eppure, fino a quattro anni
prima, la cosa non li aveva mai disturbati, anzi, era stato quando
l'uno aveva incominciato a comprendere sin troppo bene l'altro che il
loro rapporto era andato definitivamente allo scatafascio.
- Però, se
sei convinto del contrario, vedi di venire qui e dimostracelo -
ghignò, consapevole di come le vie dell'orgoglio fossero
infinite,
- Certo, e
dimostrerò che, per colpa di tutto quel tempo perso in
attività inutili, i vostri cervelli fritti hanno le visioni!
- e che a livello d’intelligenza, per quanto si elevasse ad
elegante aristocratico, Roderich, se punzecchiato, non era poi molto
differente dai uno qualsiasi dei membri del Bad Touch Trio. Ovvero, era
un colossale e beato idiota.
"Grande!.." si
complimentò a gesti Antonio, nel constatare l'inauspicabile
vittoria del tedesco sull'austriaco,
"Ovviamente. Sono il
magnifico me" fu il labiale ghignante di Gil, il quale stava finendo di
discutere due ultime cose con l'altro. Si vedeva che erano amici
d'infanzia, pensò l'ispanico osservando l'amico ora dargli
le spalle, comodamente stravaccato sul cornicione. Infondo, erano
realmente in pochi a conoscere quel fragile ma imponente ego che legava
Rod alla propria famiglia o, meglio, al suo cognome, e ancor meno erano
quelli in grado di approfittarsene. Mai e poi mai il damerino avrebbe
permesso vi fosse anche la più piccola macchia a deturparne
il titolo, ma una proprietà in decadenza poteva rivelarsi
quella pecca tanto temuta.
Sì, finalmente.
Dopo un anno d'attesa, mancava realmente poco perché potesse
tornare libera, meno di un mese e quell'inetto sarebbe stato troppo
indebolito per fermarla.
Ventiquattro'ore di
totale liberta, prima di tonare a quel limbo in cui l'avevano
imprigionata.
Un solo giorno per
completare tutti i preparativi... Era un tempo esiguo ma quest'anno, ne
era sicura, ce l'avrebbe fatta.
"Aspettami... D’ora
in poi, staremo per sempre insieme."
---
Scusate la lunga
attesa, ma all'UNI era tempo di esami, quindi...*sbuff*
Dal prossimo capitolo,
con l'arrivo del damerino, i fantasmi andranno in fermento, e
finalmente si scoprirà l'identità di uno o due di
loro (anche se alcune sono molto intuibili sin da subito xD xD ).
Chissà come la prenderà Roderich di fronte ai
racconti dei "spiacevoli eventi" che i nostri tre eroi hanno subito. In
più, vi presenterà la prima coppia della serie ^^
|
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Capitolo 3 *** III ***
III Ghosts
- Nda: mi scuso per non aver ancora risposto alle recensioni, prometto
che rimedierò a breve ^^''
Sarebbe stato bello,
camminare assieme all'ombra della pineta d'estate.
Sarebbe stato bello,
passeggiare tra le foglie variopinte in autunno.
Sarebbe stato bello,
giocare a rincorrerci sulla neve d'inverno.
Sarebbe stato bello,
ammirare seduti i fiori sbocciati in primavera.
Quanta bellezza
è nascosta ai miei occhi, oltre il peso opprimente di queste
mura?
Quale splendido mondo
c'è la fuori?
- Francis! - urlò Antonio, piombando d'improvviso nella
stanza dell'amico, quasi scardinandone la porta a causa dell'impeto con
cui l'aveva aperta.
- Che c'è..? Non si può neppure fare una doccia
in santa pace? - brontolò questi sbucando con la sola testa,
cui capelli erano avvolti da un asciugamano, dalla soglia del bagno,
osservando con una certa stizza quel maleducato dell'amico, il quale
era entrato senza bussare.
- Stai... stai bene? - lo osservò con una nota di stupore
nello sguardo Antonio, cui seguì quasi immediatamente un
sospiro di sollievo, - Meno male, temevo ti fosse accaduto qualche
altro incidente - gli dedicò il solito allegro sorriso, cosa
che mise immediatamente in secondo piano la maleducazione di cui si era
appena macchiato.
- Come vedi sono in splendida forma, mon ami! - si
vantò il francese con tono arrogante, facendo mostra del
proprio fisico, fortunatamente avvolto da un pesante accappatoio,
uscendo dal bagno con un pesante alone di vapore a circondarlo, - Ma
tu... piuttosto - osservò lo spagnolo, il cui respiro non si
era ancora normalizzato, quasi si fosse trovato a correre a per di
fiato per un lungo tratto, e il viso tradiva ancora una certa
inquietudine, nonostante si fosse assicurato delle condizioni del
compagno. - E' forse successo qualcosa?- incrociò le braccia
al petto, per nulla a disagio nell'essere quasi nudo di fronte a
qualcuno, sopratutto trattandosi di Antonio, il francese, quando era
pesantemente brillo, aveva la brutta abitudine di denudarsi, quindi sia
lui, che Gilbert, avevano già assistito più di
una volta alla visione integrale del suo corpo.
- N-non l'hai sentito? - tentò di mantenere il sorriso
Antonio, anche se l'inquietudine di quella giornata lo stava mettendo a
dura prova, incrinandolo in più punti,
- Sentito che cosa?- cadde dalle nuvole il biondo, forse
perché si era messo a cantare nella doccia (tanto per
smorzare lo stress), ma non aveva udito nulla.
- Ecco... Dall'esterno si è sentito un rumore pazzesco.
Se-sembrava il grido in agonia di una anima destinata al peggiore dei
supplizi - parve impallidire, - Ma a Gilbert ricordavi tu quando
qualcuno ti frega lo shampoo - aggiunse il commento del tedesco,
sentendo la situazione divenire troppo pesante per le sue spalle.
- Quindi sei corso qui, in pena per ME? - rise divertito dalla
situazione Francis, - Non ti sei fatto troppo ansioso Antonio? -
- Dopo quello che ci è successo oggi?.. Pare piuttosto che
sia tu quello che non se ne sta preoccupando abbastanza - si
trovò a disagio, punto nel vivo, riconoscendo del vero nelle
parole dell'amico. Probabilmente quella villa lo stava facendo
diventare paranoico, ammise, per lo meno a se stesso. Eppure, non
poteva dimenticare come quella tazza l'avesse quasi colpito, come se
qualcuno stesse mirando di proposito alla sua testa. Cominciava a
temere seriamente per la loro incolumità. - E poi, anche Gil
aveva paura che ti fosse accaduto qualcosa - scacciò
l'inquietudine ritrovando il sorriso nell'indicare alle proprie spalle,
consapevole che il tedesco l'aveva seguito, -... ha promesso di menarti
se fosse stato un'altro dei tuoi isterismi da primadonna -
- Pff..- sbuffò Francis, cominciando a disfare l'asciugamano
che teneva in testa, visibilmente offeso da un simile commento, - Se
credi che quel crucco insensibile ti abbia seguito, ti sbagli Antonio,
dietro di te c'è solo il corridoio vuoto - mise un leggero
broncio nel constatare l'assenza dell'albino, a quanto sembrava non si
era preoccupato abbastanza.
- Eh?..- si stupì di ciò l'iberico, il quale
torno nel corridoio per assicurarsi che l'altro non si fosse
semplicemente attardato, ma di Gilbert non c'era traccia, "ma era
dietro di me..." si ritrovò a pensare confuso, "Ne sono
sicuro! O, almeno, lo era fin quando abbiamo preso le scale del salone
per il piano di sopra..." iniziò a rimuginare, ma presto la
sua mente fu distratta da altro.
- Francis! - esclamò con faccia a metà tra lo
sconvolta e lo schifato,
- Che c'è..? Ho qualcosa alle spalle? - scatto lui,
spaventato dalla reazione improvvisa dell'amico, correndogli
immediatamente alle spalle, sfruttandolo come scudo per quel "qualunque
cosa" lo avesse interdetto,
- No... I tuo-i, i tuoi capelli - continuò a fissarlo
Antonio, come fosse un alieno appena sceso dalla sua navicella e gli
stesse chiedendo una tazza di zucchero.
- Che?..- ebbe un brivido a rizzargli tutti i peli del corpo Francis,
mentre si tastava la chioma bionda, la quale attirava l'amore e
l'invidia di molte fanciulle, e di cui lui aveva un immensa cura.
- Perché cos'hanno i miei..(!) - fu sul punto di svenire
quando, un ciuffo dei suoi splendidi capelli biondi, gli ricadde sugli
occhi. NON ERANO PIù BIONDI! - Gyaaaaah! Com'è
successo!?!- gridò in preda la panico, dopo un momento in
cui la sua mente era andata in black out, incapace di elaborare
ciò che stava accadendo, -Nononono.. non dirmi che..- il suo
viso si fece cadaverico dalla paura mentre, con una velocità
di cui Antonio non avrebbe mai sospettato, si lanciò sulla
toilette posta di fronte al letto, a ridosso della parete, e un altro
gemito acuto gli sfuggi dalle labbra.
La sua splendida capigliatura... il suo vanto.. quello splendido biondo
dorato simile alle spighe di grano baciate dal dolce sole del mattino.
Tutto, tutto ciò era sparito!
Quel che rimaneva erano dei capelli stopposi, rovinati da una tinta mal
fatta, dal colore verde marcio, simile alla bile.
- Sono VERDE! - gridò incredulo e disperato, gettandosi a
terra come un uomo a cui è appena stata bruciata la casa con
tutti i suoi avere all'interno,
- Dai.. No-non è così male - provò a
rincuorarlo Antonio, anche se dovette sforzarsi a non scoppiare a
ridere. Pareva che l'amico, in testa, avesse un cespuglio di tristi
alghe mosce. Intuendo cosa stesse per fare, ovvero, per deriderlo,
Francis lo fulminò con uno sguardo che avrebbe gelato un
vulcano attivo, - Ma scusa... che avevi in mente? - "per deturparti in
questo modo osceno?" fortunatamente, possedeva quel minimo di
intelligenza da sapere cosa occultare di quella domanda.
- E credi che mi sarei fatto una cosa così orripilante da
solo?! - sbottò rabbioso, alzandosi in piedi di scatto,
rischiando di aprire inavvertitamente l'accappatoio, - E' uno dei
vostri stupidi scherzi, vero? Mi avete sostituito lo shampoo con della
tinta - tornò ad accusare i due coinquilini,
poiché ancora faticava a credere che vi fosse
"qualcos'altro" all'interno di quel maniero, che si divertisse a
prendersi gioco di lui.
- Eh?.. Francis, sul serio, io e Gil non centriamo nulla in questo -
alzò le mani nel tentativo di fermare il suo fiume di accuse
e di calmarlo, ma l'altro non volle sentire ragioni,
- Altro che presenze fuori dal normale... Di sicuro anche la scenetta
con la tazza di cereali volante l'avete orchestrata voi! E solo
perché sapete che sono sensibile a queste cose! -
continuò ad inveire interpretando la propria tragi-commedia,
prendendo le movenze di un attore in scena, incapace di gestire in
altro modo la rabbia.
- Ma ci conosci, neppure noi ci metteremmo tanto impegno per fa
riuscire uno scherzo - si mantenne calmò e sorridente
Antonio, consapevole che, una volta iniziato il proprio monologo, nulla
l'avrebbe fermato sino al concludersi della rappresentazione.
Un giorno o l'altro, sarebbe divenuto santo, per essere in grado di
sopportare e gestire due compagni simili.
- La vostra è un congiura nei miei confronti, e il motivo?
Ah, il motivo, tanto semplice quanto banale. L'invidia che l'amante
dell'arte... - continuava imperterrito Francis, sordo a qualunque
parola dello spagnolo,
- Ahah... -
ma non lo fu altrettanto nei confronti di quella risata.
-...- tacque il francese, privo di parole e, con lui, calò
di colpo il silenzio, mentre l'aria si impregnava di gelo. Si
concentrò, il ragazzo, aguzzando il fine udito, ma
di quella voce non si udiva
già più nulla.
- Ehm.. sei stato tu? - domandò nel dubbio, ben consapevole
che un suono tanto soave, leggero e cristallino, non poteva di certo
appartenere ad un uomo,
- Allora non me la sono immaginata, eh? - si grattò la testa
Antonio, l'ansia che gli incrinava il volto, facendogli morire anche
quell'ultimo sorriso.
Avevano appena udito le dolci risa di una fanciulla.
"Che sia la stessa che ho intravisto questa mattina?.."
iniziò a chiedersi Francis e subito ne ebbe la certezza.
Ancora adesso, quella figura sconosciuta, rideva delle sue disgrazie.
"No, impossibile... Il magnifico sottoscritto non può fare
una figura così poco... così poco
MAGNIFICA!" si diceva Gilbert attraversando, con passo sempre
più incerto, l'ennesimo corridoio semibuio. Quanti ne aveva
imboccati da quando si era deciso a seguire Antonio (entrambi
preoccupati che fosse accaduto qualcosa a Francis)?
"Spero per lui che non se ne venga fuori con un altro dei suoi
piagnistei..." pensò piuttosto irritato, avvertendo un
formicolio salirgli lungo la bocca dello stomaco accompagnato da un
pesante senso di frustrazione. Era la nona volta che passava davanti
alla stessa porta, ne era sicuro perché riconosceva il
numero inciso sopra "235", sotto alla quale avevano fissato una piccola
targa d'ottone, andatasi a rovinare con il tempo e l'abbandono.
Ormai ne aveva l'assoluta certezza: stava girando in tondo!
"Altro che il pessimo senso d'orientamento di Antonio, questo posto
è un labirinto.." ebbe un moto di stizza nel superare
nuovamente la stessa stanza, avanzare era divenuta una questione
d'orgoglio. Doveva trovare una maniera per tornare al salone principale!
Ciò tecnicamente non avrebbe dovuto rivelarsi un problema,
sarebbe bastato tornare sui suoi passi e ripercorre il percorso a
ritroso, fino al momento in cui, mentre correva alle spalle dello
spagnolo, lo aveva perso di vista.
Eppure, per quanto tentasse, non gli riusciva di tornare indietro.
Ogni luogo gli era irriconoscibile agli occhi e ogni cosa pareva
uguale, nella sua mente.
C'era poco da fare, non poteva che ammetterlo... Si era completamente
perso!
E pensare che inizialmente aveva creduto un'esagerazione quando lo
stesso Antonio li aveva rivelato di aver difficoltà ad
esplorare la villa. Nonostante si fosse già ambientato, vi
era una parte dell'edificio di cui non riusciva a ricostruire una
planimetria sensata, una mappa mentale che non si rivelasse errata.
Gira, gira, gira, che
intanto non arrivi da nessuna parte...
Di nuovo quella stanza. Ancora una volta lo stesso numero 235.
Esasperato, trovando insensato provare e riprovare a fare la stessa
strada sperando che portasse ad un percorso differente, Gilbert decise,
anzi, ebbe la sensazione, di dover esaminare meglio quella camera,
essendo l’unico elemento a cui riuscisse ad attribuire un
senso in quella sottospecie di dedalo surrealista.
"Ah.. Non è 235, ma 23 - 5" notò solo ora,
avvicinandosi alla soglia, la quale pareva tentarlo simile al miraggio
di un'oasi nel pieno del deserto. Finalmente, strizzando un po' lo
sguardo, riuscì anche decifrare quei caratteri, ormai quasi
illeggibili, sulla targhetta.
- Stanza di mag..maggio? - lesse stupito, allora il numero inciso sopra
era una data? Era forse un giorno importante? Cominciò a
chiedersi, ma non gli suonò alcun campanello, fu
però percorso da un brivido quando si accorse che, dallo
spiraglio sotto la porta, proveniva un’intesa luce, ancora
più vivida a causa della penombra del corridoio.
Tardi Gil capì di essere finito in quella parte
dell'edificio non ancora restaurata, in cui l'elettricità
era un optional in molte stanze e corridoi (anche se, dai lampadari che
pendevano al soffitto, pensò fosse più una
questione di allacciamento che di mancanza di fili elettrici).
Probabilmente, con eccezione di Antonio, era il primo ad addentrarsi
tanto in profondità nel maniero da molto, molto tempo.
Quindi, come poteva esserci una luce accesa? E pur supponendo che
centrasse lo spagnolo, come aveva fatto ad accenderla se mancava la
corrente?
"Calma... calma... calma. Il sottoscritto è troppo magnifico
per scappare come un coniglio spaventato" per quanto fosse consapevole
di essere un soggetto perfetto per fare la vittima sacrificale in un
qualsiasi film horror, visto un ragionamento del genere, Gilbert decise
di andare affondo a quella storia. Sopratutto per poter rinfacciare a
quel damerino del cavolo come fosse stato LUI, a risolvere la
questione, così da poterlo rispedire immediatamente in
Austria con un calcione, dopo averlo obbligato ad un viaggio del tutto
inutile nel bel mezzo della brughiera.
L'albino non comprendeva quanto ridicolo ed infantile suonasse il suo
ragionamento, ne intravede i possibili pericoli che si nascondevano
dentro a quella stanza. Doveva pur sempre ricordare essere occupata
abusivamente da qualcuno, il quale, probabilmente, non apprezzava avere
ospiti, visto ciò che era accaduto durante la colazione.
Altri, con più sale in zucca e più soldi nel
salvadanaio, sarebbero scappati abbandonando quel luogo in meno di due
decimi di secondo. Ma non loro tre... Poiché erano un trio
di perfetti imbecilli.
Finalmente hai capito,
razza di demente...
Dopo una leggera esitazione, stampandosi quel ghigno sardonico che
tanto metteva in soggezione - assieme al suo aspetto particolare -, chi
lo guardava, Gilbert entro nella stanza.
Spera solo che ti
accetti... e non essere sgarbato, è timida.
Al interno Gilbert, ebbe il suo primo incontro con la piccola Lady.
[Una settimana dopo...]
Con una smorfia scontenta sul viso, Roderich si trovò a
fissare, con un velo di curiosità e un principio d'ansia,
l'alta sagoma della villa che poteva intravedere in lontananza, dal
fondo dell'apparentemente infinito viale sassoso sul quale si accingeva
a muovere i primi passi.
Diceva "intravedeva", poiché, durante l'attraversamento del
piccolo boschetto - non era servito il suo buon nome e il titolo a
convincere il tassista ad infilare il mezzo in quel sentiero impervio
-, un ramo aveva finito per colpirlo dritto in faccia, scheggiandogli
gli occhiali, rendendoli inutilizzabili e lui quasi totalmente cieco.
"Che spreco... Un viale d'ingresso tanto vasto è eccessivo"
pensò celando il fiatone, causato da uno sforzo fisico a cui
non era per nulla abituato, dietro ad un contegno pomposo e altezzoso,
sistemandosi i capelli perché non avessero un aspetto troppo
"selvaggio", in previsione all'incontro con quel trio di ebeti.
Aveva l'obbligo di mostrarsi calmo e superiore in ogni circostanza -
essendo anche investito del ruolo di "proprietario" -, l'apparenza e il
portamento erano le prime cose che una persona osservava quando ne
incontrava un'altra, e avere qualche insetto, ramo o foglia a
decorargli la capigliatura, era da considerarsi come un danno
all'immagine.
Quindi, dopo una buona ora e mezza persa ad orientarsi in una
vegetazione inselvatichita, con l'unico desiderio di potersi fare una
doccia, essendo accaldato, sporco e sudato, Rod prese un bel respiro
profondo, asciugandosi con un fazzoletto il leggero strato di sudore
che gli aveva ricoperto la fronte e, drizzata la schiena, inizio una
lenta ma stoica marcia verso la villa.
Per quanto, nell'ultima settimana, si fosse preparato mentalmente a
tutto, presto avrebbe dovuto ricredersi. Non era affatto pronto per
ciò che avrebbe trovato ad accoglierlo.
Quando l'aveva visto per la prima volta, doveva ammetterlo, ne era
stata spaventata.
Quei capelli bianchi, gli occhi rossi, la carnagione lattea... Per un
momento aveva creduto di trovarsi di fronte a qualcosa al di
là della sua compressione, tipo un folletto, un vampiro o
qualcos'altro di simile.
Insomma, gli era risultato difficile credere che, colui venuto a fargli
visita, fosse un semplice (per quando magnifico, l'avrebbe corretta),
essere umano. Da molto tempo non incontrava qualcuno di "vivo" in
quella casa. Da tanto, troppo tempo i suoi unici compagni erano stati
gli spifferi di vento che s’infiltravano tra le fessure delle
finestre e i grumi di polvere che si accumulavano con il trascorrere
delle stagioni.
Le era servito un po' di tempo per comprendere chi avesse davanti. Il
suo primo impulso, essendo troppo impaurita per affrontarlo, era stato
quello di cacciarlo dalla propria stanza, luogo in cui possedeva
l'autorità assoluta, e fare in modo che non vi tornasse mai
più, a costo di costringerlo vagare per sempre nei meandri
più profondi della casa. "Almeno il Sanguinario avrebbe
compagnia.." si era detta per convincersi ad agire.
Ma quando, dall'espressione stupita con cui l'aveva accolta, Gilbert le
rivolse quel ghigno da schiaffi - colmo di un esasperante, seppur
comica, arroganza -, Lily comprese la vera natura del proprio ospite. E
fu solo successivamente, una volta passata la paura, che
avvertì quel suono nostalgico, appena ovattato dalla cassa
toracica, di un battito cardiaco... Ormai non vi erano più
dubbi, era una persona in carne, sangue ed ossa.
"Dopo così tanto tempo.." ebbe un moto di malinconia che le
impedì di sparire quando avrebbe potuto farlo. Si era fatta
cogliere impreparata dalla venuta di quello sconosciuto, sentendosi
tranquilla nell'aver vietato a chiunque, degli "altri" abitanti della
villa, il permesso di entrare nella sua stanza. Un simile ordine non
comprendeva però i "nuovi" abitanti del maniero, per questo
Gilbert aveva potuto entrarvi senza fatica. E mai momento fu meno
azzeccato e più imbarazzante, visto che la colse mentre
inscenava uno dei suoi passatempi preferiti per vincere la noia "il
tribunale dei pupazzi", il quale si trovava ad affrontare il difficile
e drammatico caso dell'omicidio della signorina Ladybug per mano del
genero, il conte Orsetto. Erano nel momento clou del processo, quando
lei, l'avvocato d'accusa, si trovava a fare il controinterrogatorio
all'imputato (era appassionata di thriller e libri gialli).
Sapeva che, in seguito allo spalancarsi della porta, il suo viso si era
fatto di un violento porpora e un piccolo gemito di sorpresa le era
sgusciato fuori dalle labbra. Come avrebbe potuto spiegargli quel
comportamento improprio ed infantile, lei che era una brava signorina
istruita?
Fortunatamente, Gil non gli fece domande a riguardo, anzi, lui non gli
pose alcuna domanda.
Non gli chiese chi fosse, da dove venisse, o perché si
trovasse lì. Forse perché aveva già
compreso la sua reale natura, ma non pareva importargli minimamente.
Sin dal primo momento in cui aprì bocca, cominciò
a parlare unicamente di se stesso, presentandosi con aggettivi
esagerati e pomposi ad abbellirne il nome, palesando un narcisismo a
tratti seccante, ma che Lily, per la maggior parte del tempo, trovava
divertente. Dopo pochi minuti, discutendo con lui (ascoltando parlare),
quel ragazzo da cui era stata inizialmente tanto spaventata, non gli
parve più una cattiva persona.
Passo poco tempo e già cominciava a nutrire una sorta di
simpatia nei suoi confronti e, pur non avendo ancora avuto modo di
spiccicare sillaba in sua presenza, trovava lieti i momenti trascorsi
con l'albino. Quei suoi occhi vermigli, tal volta, era come se
bruciassero simili alle braci di un fuoco acceso, si era ritrovata a
pensare Lily, la quale, senza accorgersene, aveva iniziato a cercare
sempre più frequentemente quello sguardo nei momenti in cui
Gil si allontanava da lei. Provava curiosità ed interesse
nei suoi confronti, poiché lui, faceva parte di quel mondo
esterno a cui aveva sempre desiderato appartenere.
- Mister magnifico è tornato, Lady - venne anche quel
giorno, come quello precedente e quello prima ancora. Era ormai da una
settimana, da loro primo incontro, che Gilbert andava a trovarla e, per
quanto la facesse sentire a disagio, Lily apprezzava il titolo di Lady
che il ragazzo le aveva giocosamente affibbiato, fin troppo azzeccato,
avrebbe detto qualcuno che conosceva la sua storia, ma per il momento,
il ragazzo, non entrava tra questi.
A causa dell'imbarazzo e della timidezza, ancora non le era riuscito di
rivelargli il proprio nome.
---
Lo ammetto, è il capitolo del "buttiamo tutti gli elementi
d'interesse assieme che tanto poi li si spiega più
avanti"... Ma
sarebbe stato un titolo troppo lungo... Cmq, non aspettatevi altri
aggiornamenti altrettanto veloci
bye (ì3ì)/
|
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Capitolo 4 *** IV ***
Il rumore
dello sparo ti riempie le orecchie, rendendole sorde a qualunque
altro suono.
Il petto brucia, nel
punto in cui il colpo è stato inferto.
Cadi, sbatti le
ginocchia e la testa sul pavimento. Cadì e il tuo corpo
provoca un suono sordo, ma non lo avverti.
Hai sempre posseduto
un fisico massiccio, pesante, ne sei consapevole, ma quel peso che per
te non è mai stato opprimente, ora t’inchioda a
terra, simile ad un macigno.
Anche sollevare il
petto per un respiro, ti sembra uno sforzo immane.
Non puoi fare nulla
lì, disteso a terra, ti limiti a fissare il
soffitto… in attesa.
È passato
qualche istante dallo sparo, e ciò che aspettavi non tarda
ad arrivare.
Come il tuono segue il
lampo, squarciando l’improvvisa calma del cielo carico di
elettricità, così il dolore è
improvviso, lacerante, seppur agognato.
Ti prende la gola, e
non riesci ad urlare. Le labbra hanno il sapore del rame, gli occhi
diventano miopi.
Ogni cosa si fa
offuscata e qualcosa di freddo comincia a lambirti la pelle.
Sussulti a quel
contatto, la tua mente è confusa, il dolore ha annebbiato i
tuoi pensieri, è l’istinto che ripudia quel tocco.
Lo avverti viscido, disgustoso, ne sfuggi.
Ma una nuova fitta fa
riemergere la coscienza dal pozzo, melmoso ed oscuro, dove era
sprofondata.
Senti qualcosa
impiastricciarti la pelle, bagnarti corpo e vestiti, adesso
è il freddo a torturarti.
Strizzi gli occhi, e
lo vedi.
Rosso, il tuo colore
preferito su uno sfondo bianco, il colorito della tua pelle divenuta
cadaverica.
Sei coperto di sangue,
e i suoi occhi gelidi continuano a fissarti.
Il tuo assassino
è di fronte a te, chino ad ammirati.
“Sta
aspettando che muoia?” ti chiedi, e la consapevolezza della
morte non ti procura alcun fastidio, né timore.
Ricambi, lo sguardo di
chi ha appena reciso la tua vita, non ti è concesso altro.
Infine, sei costretto
ad ammetterlo:
“È
davvero bellissima…”
L'aveva vista e, per
quanto si comportasse sempre da idiota, aveva subito capito che, in
lei, c'era qualcosa di strano. D'altronde, quella villa era disabitata
da svariate decadi ed era praticamente impossibile credere che qualcuno
la occupasse, anche abusivamente, senza che loro, in quell'ultimo
periodo, se ne fossero accorti.
Indovinare la vera
natura di quella ragazzina dai capelli biondi tagliati corti - con un
fiocco a decorarli a lato della testa -, e i larghi occhi verdi, si
rivelò palese sin dal primo sguardo, tanto che, per un
momento, Gil aveva creduto la sua sbiadita figura, cui contorni
sussultarono e si scomposero leggermente al suo arrivo,
un’illusione. Uno scherzo causato dall'improvvisa luce, dopo
tutto quel vagare nella penombra di un labirinto di corridoi e porte
sempre uguali.
Il corpo della ragazza
non era composto di materia solida come quello di una persona normale,
gli appariva fragile, quasi si potesse dissolvere ad un singolo
respiro, e forse per questo si era messo a trattenere il fiato dal
momento in cui era entrato nella stanza. La sua gracile figura pareva
creata da un agglomerato di pulviscolo, di quella sottile polvere di
cui l'aria era intrisa - la quale diviene visibile solo quando
è direttamente colpita dalla luce -, e sembrava solo
un'ironia del caso se avesse preso le sembianze e i contorni di un
essere umano.
Ma per Gilbert,
nonostante fosse uno studente della facoltà
d’ingegneria, era ben più difficile credere che,
una ragazzina tanto carina, fosse creata da una strana rifrazione della
luce, piuttosto di ammettere di essere di fronte a qualcosa... a
qualcosa di soprannaturale.
"E'.. è
carina" fu il suo primo pensiero rivolto a lei, e immediatamente si
sentì un idiota nell'avvertire il proprio cuore sussultare,
mentre uno strano calore gli accendeva le guance, "ma che sono un
moccioso?!" si rimproverò subito dopo, poiché lui
era troppo magnifico per cadere due volte nello stesso tranello.
Soffocò quella piacevole e dolorosa sensazione che aveva
preso a riempirgli il petto, e corresse la propria osservazione: "E'
carina come... come un pulcino!"; ammetterlo non comportava nulla di
particolare, era cosa buona e giusta riconoscere la carineria,
soprattutto per lui che sin da bambino aveva una predilezione per quei
piccoli ammassi di piume gialle. Stava già per
complimentarsi con se stesso per aver evitato uno scontro frontale
devastante, quando comprese di non poter continuare a rimanere
semplicemente lì, a fissarla. Lei sembrava essere piuttosto
a disagio in una simile situazione, e i suoi grandi occhi lo scrutavano
con timore.
Come darle torto? Uno
sconosciuto era appena piombato in camera sua... Difficilmente qualcuno
non sarebbe stato, quanto meno, stupito dalla cosa.
“Quindi,
esattamente, adesso... cosa dovrei fare?” fu colto dal dubbio
Gil, infondo, non si era scordato di quali eventi fossero accaduti
durante la colazione, né l’episodio capitato a
Francis la notte prima. Non poteva sapere se lei centrasse direttamente
in quei fatti, ma non era nemmeno certo del contrario.
Poteva essere sicuro
che quella ragazzina non si rivelasse una minaccia?
Era forse meglio
tornare indietro e fingere di non aver mai aperto quella porta,
scoprendo cosa vi si celasse dietro?
Fortunatamente,
Gilbert non era fatto per porsi domande a cui non era in grado di
rispondere, o problemi troppo difficili da risolvere. Gli
bastò osservarla nuovamente per avere una chiara idea di
cosa dovesse fare.
Era o non era forse il
magnifico?
- Hai di fronte a te
il meraviglioso, super awesome Gilbert Beilschmidt... Lo so,
è un onore fare la mia conoscenza… –
Era sempre buona
educazione presentarsi, giusto?
E così
erano cominciate le sue visite alla camera 23-5, la quale si trovava in
una delle parti non ancora restaurate della villa. Per un qualche
motivo, aveva deciso di non rivelare nulla ad Antonio e Francis di
quell’incontro con la ragazza sconosciuta. Qualcosa gli
diceva, suggeriva, di non confessare nulla. Non ancora per lo meno.
Per quanto i due
fossero comprensivi, se non fossero riusciti a vederla come la vedeva
lui, temeva avrebbero potuto cominciare a considerarlo un pazzo.
“Il magnifico me non può certo essere
internato!” si era detto supponendo che, in qualche modo, a
Roderich potesse giungere la notizia. Quel damerino aspettava solamente
una buona occasione per affossarlo, e mandarlo in un manicomio poteva
rivelarsi un ottimo affare per lui. C’era comunque il rischio
che, con il suo imminente arrivo, non sarebbe riuscito a tenere quel
segreto ancora allungo per se. Non aveva alcuna intenzione di
rinunciare a vederla, fino a quando Rod non se ne fosse andato. Gli
sembrava che quella ragazza fosse rimasta sola sin troppo allungo, per
abbandonarla anche solo per qualche giorno.
Gilbert si rendeva
conto di tenere un comportamento non propriamente logico, infondo, si
stava preoccupando di qualcosa che, alla lunga, avrebbe potuto
rivelarsi un cancro al cervello. Non gli era poi così facile
accettare la vera natura di colei a cui faceva visita, soprattutto
perché gli causava sentimenti nostalgici, diversi da quelli
provati in un primo momento. Stare in sua compagnia gli ricordava i
momenti con il fratello Ludwig – prima che questi divenisse
un armadio a due ante e cominciasse a guardarlo dall’alto in
basso -, quando il minore si aggrappava a lui, bisognoso di attenzioni.
Per quanto al tempo lo avesse trovato un fastidio, non poteva
nascondere quel moto d’orgoglio, tipico del fratello
maggiore, nell’incrociare quegli occhi adoranti che ne
riconoscevano la magnificenza.
Quello stesso sguardo
lo aveva LEI, mentre si perdeva a raccontarle del mondo esterno. Da
quello che aveva capito, senza mai udirla parlare, non doveva averlo
mai visto.
“Chissà
se c’è un modo per farla uscire da
qui..” aveva cominciato a chiedersi senza neppure rendersene
conto.
-
Tutto bene, Orso..?-
-
Certo. Perché me lo domandi?-
-
Nulla... Mi sembravi un po' pallido. Forse, hai paura di qualcosa? -
-
Uhm... (!)-
-
Oh... Stai scomparendo! -
-
De-devo forse pensare che la tua sia una vendetta per come ho trattato
il tuo fidanzatino? -
-
Lo sai che non fa bene fare i bulli, Orso... Non sono simpatici a
nessuno -
-
Tsk... Mi stavo solo divertendo, la tua è una reazione
esagerata -
Non era stato facile
giungere a quella villa, il viale era molto più lungo di
quanto, studiandolo con gli occhiali cui una lente si era scheggiata,
avesse creduto. Alla fine però era arrivato a destinazione,
gli bastava percorrere quella scalinata, affiancarsi alla porta,
suonare il campanello e attendere che qualcuno venisse ad aprirgli.
"Perché...
tanti scalini..?" si ritrovò a trascinarsi Roderich, quasi
gattonando, affrontando da uomo distrutto e ansimante l'ultima fatica
prima di arrivare al portone della villa.
Per lui, cui unici
sforzi fisici, per molti anni, si erano limitati agli esercizi al piano
forte e a non sollevare nulla di più pesante di coltello e
forchetta, la scarpinata che aveva appena affrontato si era rivelata
come l'attraversamento dello stretto di Messina a nuoto. Non del tutto
impossibile, ma un vero suicidio se non si era adeguatamente preparati.
Difatti, non era
rimasta la ben più piccola traccia di nobiltà
nella sua figura, e ciò si rivelava una sconfitta totale per
Rod, cui soprannome sin dalla più tenera età era
stato "damerino" (appropriatogli da un certo demonietto dagli occhi
rossi e capelli bianchi, sua eterna spina nel fianco), il quale con il
tempo era divenuto un motivo di vanto. Essendo sinonimo di elegante ed
impeccabile. Aggettivi che ora gli mancavano completamente, viste le
condizioni in cui gli si erano ridotti gli abiti, sudici e logorati in
vari punti, e lui stesso, sporco e sudato. Non desiderava altro che un
bagno, un lungo bagno rilassante, non gli servivano neppure le essenze
profumate, gli bastava solo del sapone e si sarebbe accontentato.
Poi, dopo essersi
cambiato, si sarebbe messo a cucire i pantaloni, strappatisi al
ginocchio, e a rammendare in più punti la camicia.
Perché, per quanto si potesse permettere di essere uno
spendaccione, il nonno gli aveva insegnato l'arte della pignoleria e
del "non si butta via nulla", quindi, se si escludevano certi suoi
piccoli hobby (come i dischi di musica classica, e la collezione di
strumenti musicali d'epoca), aveva la tendenza di contare ogni cosa al
centesimo. Difatti, se quel viaggio si fosse concluso come una
panzanata, ovvero, uno scherzo di pessimo gusto da parte di quei tre,
sarebbero stati loro a pagargli il viaggio di ritorno in Austria, con
un aumento considerevole dell'affitto.
"Manca poco..."
S’incoraggiò mentre arrancava sugli ultimi metri
dall'apice, aveva lasciato la valigia ai piedi della scalinata, temendo
che il suo, per nulla esiguo peso, avrebbe potuto ostacolargli
ulteriormente la salita o staccargli di netto un braccio.
"Fi..finalmente" stava già per esultare quando, qualcosa di
non ben specificato gli piombò addosso, scagliato con
prepotenza fuori dal portone d'ingresso, all'improvviso spalancato.
"Ma.. che?" ebbe
appena il tempo di chiedersi, incapace di mettere a fuoco l'oggetto a
causa degli occhiali rotti, fino al momento in cui, atterrandogli
praticamente sopra, non lo catapultò giù dalle
scale.
Per un paio di secondi
vide tutto nero, ma presto i colori ricominciarono a riempirgli la
pupilla. Ora si trovava disteso a terra, all'inizio di quell'irta
scalinata e, a quel punto, gli venne quasi da piangere.
- Ugh..-
mugolò sofferente nel mettersi seduto, tastandosi la testa
nell'avvertire un leggero capogiro, si stupiva di non avvertire alcun
dolore particolare, nonostante la caduta. Il capitombolo era stato
più morbido di quello che avrebbe creduto.
- FRANCIS!!
- a seguito giunse urlò di una voce cui tono
tradiva un panico crescente e che, anche se deformata dall'emozione,
all'orecchio di Rod suonò familiare. Un istante dopo, sulla
piazzola che precedeva il portone, apparve la figura di Antonio, il
quale sussultò nel vederlo, - Rod! Che.. che ci fai qui?!-
sembrò realmente stupito della visita dall'amico, nonostante
fosse stato lui stesso a chiamarlo. - Ma.. ora, non importa! State
bene?! - corse incontro all’austriaco, una sincera
preoccupazione ad oscurargli il volto,
"State?" Roderich non
capì subito perché gli si fosse rivolto al
plurale, ma gli bastò seguire gli occhi colmi di disagio
dell'altro, fisso su un punto appena dietro di lui, per comprenderlo.
Il pesante oggetto non
identificato, da cui era stato investito, altri non era se non il terzo
elemento di quel trio dalla dubbia intelligenza (per quanto il suo
amico Antonio ne facesse parte, il fatto che vi fosse anche Gilbert lo
portava ad avere un’opinione pessima di quel gruppo). Rod non
aveva mai visto Francis, difatti si trattava del loro primo
incontro, ma conosceva la sua fama di farfallone amante del sesso e del
vino (molto bohémien, l'aveva definito qualcuno),quindi
neppure di lui possedeva una così alta stima. Doveva
però dargli qualche punto di merito per avergli attutito la
caduta, comprendendo che fosse solo perché era atterrato sul
suo corpo se non aveva subito ingenti danni.
Di contro il francese
sembrava aver accusato male il colpo, riverso a pancia in
giù sul terreno. Non era svenuto poiché, e
Roderich lo stava constatando in quel momento, aveva lo sguardo
spalancato, se non si era ancora mosso era perché un dolore
lancinante alla spina dorsale gli rendeva difficile alzarsi. O, almeno,
questo riuscì a tradurre il damerino da una serie
d’imprecazioni in francese che l'altro aveva cominciato a
mugugnare sottovoce, simile al lamento di un fantasma.
- Ti aiuto io, Francis
- giunse in soccorso Antonio, afferrando d'improvviso l'amico per il
braccio e sollevandolo di peso, la successiva imprecazione del ragazzo,
sempre in francese, gli fece intuire che, forse, la sua non era stata
un'idea molto furba. - Ehm... ti fa male da qualche parte? -
tentò di rimediare lo spagnolo,
- Solo... DA PER
TUTTO! Antonio, non conosci un po' di delicatezza?!- fece sollevando il
viso, un'espressione irritata e dolorante a deformarne i lineamenti,
con una leggera patina di lacrime a bagnargli gli occhi.
"Se già
urla vuol dire che sta bene" pensò Roderich, fissando la
scena e il comportamento isterico del biondo, sembrava fosse portato
per il melodramma, si disse con scarso interesse, oppure era lui ad
essere poco comprensivo, dopo essergli caduto sopra? Con un veloce
esame di coscienza, Rod giudicò di essere in parte
responsabile dei danni fisici subiti dal francese, ma non avevano modo
di accusarlo di nulla, poiché era stato lo stesso Francis a
farlo precipitare già dalle scale. E per quanto
"movimentato", quello era il suo primo incontro con il ragazzo, quindi
aveva il dovere di presentarsi civilmente.
- E tu, Rod..? Tutto a
okay?- gli domandò con premura Antonio, mentre il biondo si
liberava dal suo sostegno, dimostrando di riuscire a tenersi in piedi
da solo e quelli che gli ricoprivano il corpo erano semplici graffi ed
escoriazioni, nulla di più.
- Niente di rotto, se
è questo quello che intendi - non mostrò nessuna
particolare emozione nel rispondergli, parlando con il solito tono
serio ed annoiato. Nell'alzarsi in piedi cercò di dare una
ripulita ai propri abiti, ormai del tutto lerci - coperti da uno strato
di polvere alzato dalla caduta -, ma la sua sembrava solo una scusa per
evitare di incrociare lo sguardo dell'amico, e aveva un ottimo motivo
per farlo. Antonio, da quando lo conosceva, possedeva la seccante
abilità di capire sempre quando fosse imbarazzato. -
Però avrei preferito comunque non ruzzolare giù
dalle scale...- sottolineò e, attraverso le lenti infrante
degli occhiali, il suo sguardo si spostò su Francis, in un
vano tentativo di metterlo a fuoco, di dare un senso a quei contorni
opachi e colori confusi.
- Ah, lui è
Francis Bonnefoy, il terzo coinquilino della ca-... villa - si
affrettò a fare le presentazioni lo spagnolo, per poi
rivolgersi a suddetto compagno, - Questo è Roderich
Eldenstein, il proprietario - e, ad udire il titolo con cui l'aveva
presentato, Bonnefoy parve scosso da un tremito. Si riscosse, drizzando
la schiena e il suo sguardo, Rod in qualche modo riuscì a
percepirlo, si riempì di un’irritazione ulteriore,
causata probabilmente dalla sua persona. Non doveva essergli simpatico,
dedusse, trovando conferma anche nel tono freddo con cui il biondo gli
si rivolse,
- Piacere..- si
limitò, simile ad un bambino offeso perché
nessuno prestava ascolto ai suoi capricci. Roderich in tutta risposta
chinò appena il capo, per nulla interessato a fare la sua
conoscenza, eternamente in dubbio sui rapporti interpersonali del caro
amico spagnolo,
- Tanto per saperlo,
perché sono finito giù dalle scale?-
parlò sistemandosi il sottile capello che, ribelle, gli
ballonzolava al lato della testa, per poi incrociare le braccia al
petto cercando di recuperare un po' di quell'aria da altolocato snob
che tanto lo caratterizzava.
- Ehm... Francis ha
avuto un piccolo incidente - cominciò subito ad innervosirsi
Antonio, incapace di creare nell'immediato una storia abbastanza
verosimile perché l'altro ci credesse, e consapevole di non
potergli raccontare la verità, poiché troppo
assurda per pensarla vera. Se gli avesse rivelato che, una strana
forza, aveva scagliato Francis contro il portone, e questo si era
spalancato a causa del colpo, come minimo Roderich gli avrebbe dato del
bugiardo, credendolo uno scherzo di pessimo gusto, e se ne sarebbe
subito tornato in Austria senza dargli il tempo di spiegare altro.
Totalmente ignorato da
entrambi, presi a discorrere sulla questione, Francis
cominciò studiare quello che, da sempre, aveva conosciuto
come il "migliore amico di Antonio" e il "peggior nemico di Gilbert";
due titoli e ruoli diametralmente opposti, da cui si era creata, nella
sua mente, un'immagine ben diversa del "damerino pomposo e seccante",
da quella veritiera presentatasi davanti. Ad esempio, non avrebbe mai
immaginato che avesse un neo tirabaci alla sinistra del labbro
inferiore, e per quanto un simile dettaglio apparisse superfluo e del
tutto privo d’interesse, agli occhi di Francis possedeva un
valore ben diverso. Era un tocco seducente al viso elegante
dell'austriaco e, come ogni buon artista, il francese non poteva non
amare la bellezza, desiderando a col tempo di poterla in qualche modo
trasportare in un'opera d'arte.
- Cosa mi nascondi
Antonio? - insisteva Rod mettendo pressione sul povero spagnolo, il cui
viso aveva preso le parvenze di un cucciolo colpevole, adorabile a
vedersi, ma rendeva fin troppo palese che stesse tacendo qualcosa.
- Nu-...- stava
balbettando il moro quando Francis ebbe pietà di lui e
intervenne in suo aiuto, anche per aver l'opportunità di far
conoscenza con quell'affascinante, seppur al momento non brillante
(essendo ricoperto di sporcizia), austriaco, sperando di poter entrare
presto nelle sue grazie e cancellare quel "piccolo" incidente della
scalinata.
Si sentiva comunque
avvantaggiato, avendogli fatto da cuscino nell'atterraggio.
- Perché
non entriamo a discuterne? - propose appoggiando affettuosamente una
mano sulla spalla dell'amico e l'altra su quella di Roderich, il quale
immediatamente parve infastidito da una simile libertà, si
erano presentati neppure due minuti prima. - ... Potremmo sederci
comodamente e discutere anche degli altri "incidenti" - e nel dirlo
scambiò un’occhiata complice con Antonio, - che
sono avvenuti nella villa -
- Mi sembra una
proposta accettabile...- convenne Roderich spostando con un gesto
pacato la mano con cui il biondo ancora gli stringeva la spalla, il
quale non sembrò farci caso, continuando a mantenere la
stesse espressione cortese con cui gli aveva parlato, - Prima,
preferirei darmi una ripulita - e accennò anche alle lenti
scheggiate degli occhiali, convinto che fosse a causa di essi se gli
era sembrato di intravedere dei ciuffi verdi nella chioma fluente del
francese.
Dei colpi tremendi
cominciarono a scuotere la porta dietro la quale Gilbert si nascondeva,
e un sussulto violento scosse il corpo dell'albino, il quale trattenne
a stento un grido. Il panico crescente gli accelerava il battito
cardiaco, facendolo respirare affannosamente, quasi avesse corso per
chilometri, procurandogli un velo di sudore a bagnargli la fronte. Con
occhi incerti - mentre con il corpo ancora faceva forza sulla soglia,
temendo che si aprisse -, annebbiati da una luce troppo intensa,
cercavano di mettere a fuoco la camera sconosciuta, dove era entrato
alla ricerca di un rifugio dove sarebbe stato al sicuro. Ma quella
stanza era vuota, così come tutte le altre. Era stato
sciocco per lui credere che sarebbe riuscito a fuggire, a scappare da
LORO, ora che l'avevano scoperto. Ancor più stupido era
stato pensare di trovare rifugio in quella villetta abbandonata,
disabitata da anni.
Eppure,
quando era stato LUI a proporgli quel rifugio, non aveva opposto
obiezioni. LUI non si era mai sbagliato su questo, da sempre l'aveva...
L'aveva, cosa!? Ma,
sopratutto, di chi stava pensando?
- Ugh..- una fitta al
cervello gli fece sfuggire un lamento dalle labbra, all'improvviso si
era chiesto da chi si stesse fuggendo e perché, domande che,
un istante prima, non si era neppure premurato di farsi. Adesso invece
gli apparivano così importanti, ma non riusciva a darsi
risposta e, più la cercava, più il dolore alla
testa aumentava.
Intorno a lui, le
pareti, quegli scarsi oggetti che riempivano la stanza - nascosti sotto
a dei drappi bianchi, così che non
s’impolverassero -, ogni cosa, iniziò ad
ondeggiare, a perdere forma e solidità.
Confuso, Gil si prese
la testa fra le mani, acquattandosi contro la porta, i colpi su di essa
si abbattevano sempre più ferocemente, quasi chi
lì causasse fosse vinto da una furia cieca, bestiale. Trai
vari rumori sconnessi, gli parve di avvertire delle voci. Ne
contò tre.
C'erano tre uomini
oltre quella porta, ritrovo abbastanza lucidità da
ragionare, uno di loro gridava, impartiva ordini duri, secchi, con tono
potente, di chi è abituato a farsi comandare; gli altri due,
invece, con il medesimo tono, si limitavano a ripetere all'unisono un
"sissignore" per eseguire qualunque comando il loro comandante gli
avesse impartito.
E, dopo le urla, venne
il silenzio. Avvertì dei passi allontanarsi, incamminarsi in
senso inverso per quel corridoio che aveva appena percorso, e un cupo,
triste silenzio calò su di lui, pesante quanto una cortina
di piombo, carico di una struggente attesa.
Anche i colpi alla
porta si erano acquietati e ciò gli mise addosso una
profonda inquietudine, al meno, finché li sentiva abbattersi
su di essa, sapeva dove fossero i suoi inseguitori. Ma ora?
"Parlavano tedesco..?"
ebbe un momento per riflettere Gilbert, ora che la morsa della paura
aveva lasciato un sottile spazio alla lucidità, ma un panico
più forte cominciò a scuotergli le viscere.
Quei tre comunicavano
in tedesco e, dal loro modo di esprimersi, sembravano appartenere a
qualche reparto dell'esercito.
Militari. Tedeschi.
Tremiti di paura
sconquassarono il corpo dell'albino e, si rese conto, delle lacrime
avevano preso a bagnargli il viso. Un momento... perché?
Perché era
così dannatamente impaurito? Cosa diavolo aveva fatto per..?
Un
ordine. Lo scoppio di due sparì caricati da dei fucili,
riempì l'aria.
E
i colpi si ripetono ancora, ancora... Ancora.
Lo
sapevi? I proiettili attraversano anche porte abbastanza robuste da
resistere ai colpi di tre uomini.
I
proiettili vincono il legno e colpiscono chi usa quella sottile parete
per ripararsi.
E
gli spari continuano ancora, ancora... Non si fermano neppure quando il
tuo sangue si sparge sul pavimento.
Arriva
a sporcare il corridoio, passando al di sotto di quella soglia che
usavi come scudo.
- Sì... ma
perché? - domandò Gilbert, cui mente nuovamente
vacillava, divenendo preda di un oblio indistinto.
L'odio
non fornisce mai risposte, solo false scusanti.
Gilbert si
svegliò di soprassalto da quell'incubo, inquieto ed ansioso,
trovandosi disteso su un pavimento non del tutto familiare,
momentaneamente accecato da quella luce innaturale che riempiva la
stanza.
Per un istante
faticò a ricordare dove fosse, ogni cosa gli risultava
troppo luminosa perché riuscisse a metterla a fuoco. Furono
i peluche, disposti ordinatamente l'uno di fianco all'altro, come in
un’aula di tribunale, a rammentarglielo.
Certo, la camera 23-5!
Era andato a trovare la sua nuova amica e... Doveva essersi, appisolato
nell'attesa che lei comparisse? Per un qualche motivo non ne era
sicuro. Aveva qualche difficoltà a mettere in ordine i
pensieri.
Con la mente ancora
mezza addormentata e lo sguardo quasi cieco, Gil cercò la
figura della ragazza attorno a se. Un leggero malessere gli chiuse lo
stomaco quando non la vide, e quel disagio aumentò con la
consapevolezza di non possedere alcun nome con cui chiamarla.
Non gli era mai
successo di non trovarla.
Certo, avvolte
capitava ci volesse qualche minuto perché prendesse forma,
ma gli si era sempre presentata davanti. Una simile attesa era del
tutto inedita e procurava una strana agitazione a Gilbert,
all'improvviso gli pareva che l'aria si fosse fatta più
pesante.
"Se ora lei fosse
sparita per sempre..." non riuscì a completare quel
pensiero, poiché gli era difficile ammettere di non
possedere nulla con cui poterla cercare. Alla fine, non sapeva neppure
chi era e, chissà, alla lunga quella figura misteriosa
avrebbe potuto rivelarsi solo come un miraggio della sua mente. "Non le
ho neppure chiesto il nome..."
- Lily..-
- Come?- si
agitò, drizzandosi a sedere e assottigliando gli occhi che
ancora non riuscivano a mettere a fuoco, credeva di aver appena confuso
uno spiffero di vento con il suono di una voce.
- Il mio nome
è Lily - gli fece quasi venir un colpo la ragazzina
apparendogli di fronte, china su di lui con un dolce sorriso ad
incurvargli le labbra, -... ed è un piacere conoscerti
Gilbert Beilschmidt - ebbe così finalmente modo di
concludere quella presentazione rimasta in sospeso per ben sette
giorni. Il tempo che Lily aveva impiegato per trovare fiducia e
conforto in quel magnifico e strambo essere, al contrario, se
ciò non fosse accaduto non gli avrebbe mai rivolto la
parola. Una brava signorina solitamente non parlava con degli
sconosciuti, e ancora meno lo faceva un fantasma. Sopratutto riguardo
alla propria identità.
Gilbert, per quanto si
fosse già addentrato nel soprannaturale, accettandola come
amica, non aveva idea di cosa comportasse una simile confidenza.
Per un fantasma non vi
è nulla di più importante di quel nome che
possedeva in vita, poiché esso è l'unica cosa
capace di ricordagli chi sia, chi era stato.
Rivelarlo era il solo
modo con cui un'anima si potesse legare ad un vivente.
Roderich fu
piacevolmente sorpreso quando, una volta ristoratosi in una delle
svariate camere da letto restaurate che offriva il maniero,
trovò ad attenderlo sulla soglia della stanza un piccolo
vassoio con una bevanda calda, probabilmente tea, accompagnata da dei
biscotti secchi. Qualcuno si era premurato di consegnarglieli,
riflette, lieto nello scoprire che vi fosse qualcuno, lì
dentro, con almeno una vaga idea di come si accogliesse degnamente un
ospite.
Dovevano aver bussato
per attirarne l'attenzione, ma lui non li aveva uditi essendo ancora
sotto la doccia, quindi chiunque fosse stato, si era trovato costretto
a deporre lì il vassoio, sperando lo trovasse.
"Dovrò
ringraziarli, più tardi" si ripromise, osservando il vecchio
orologio posto sulla parete di fianco alla letto, mancava ancora una
ventina di minuti prima dell'incontro con Antonio e Francis. Era stato
lo spagnolo a decidere l'orario dell'appuntamento, dopo avergli
mostrato la stanza in cui si trovava, la quale era nello stesso
corridoio di quelle occupate dal trio, e lui non aveva avuto nulla da
obbiettare, trovando vi fosse un lasso di tempo accettabile
perché riuscisse a prendersi cura di se stesso e dei propri
abiti, portava sempre con se un kit da cucito per ogni, in modo da
essere pronto ad ogni evenienza.
Doveva ammettere che,
avendo avuto finalmente modo di darci un occhiatta, rispetto
all'esterno, l'interno del maniero (la parte restaurata di esso),
appariva più accogliente di quanto non lasciasse trasparire.
Cominciava decisamente a chiedersi, mentre sorseggiava la bevanda
gentilmente offertagli, cosa avessero tanto da lamentarsi Antonio e i
suoi amici. Era sempre più convinto fosse tutto un piano di
Gilbert per infastidirlo. Ora che ci pensava, non lo aveva ancora
visto... Si stava forse nascondendo?
No, non era un
atteggiamento consono al "magnifico lui".
"Spero non sia un tea
con il lassativo" al pensiero del tedesco, immediatamente gli sorse il
dubbio di non star subendo un qualche genere scherzo e, quella bevanda
donatagli misteriosamente, cominciò a divenire sospetta ai
suoi occhi. Forse, sarebbe stato più saggio rinunciare a
berla? Ma non voleva essere maleducato con chiunque l'avesse preparata,
poiché, e questo lo capiva dal sapore, chi fosse stato vi
aveva messo tutto il suo impegno.
Un tea inglese degno
di un simile titolo.
"Non quell'acqua
sporca a cui sono costretto di solito" consapevole dei rischi,
preferì finire il proprio tea, piuttosto di rinunciarvi, il
suo sapore era ottimo. Anche se evitò i biscotti secchi da
cui era accompagnato, il loro aspetto non lo convincevano affatto.
-
Cosa è accaduto ad Orso?-
-
L'ho solo mandato a nanna per un po', così anche lei rimarra
tranquilla -
-
... Lo so che l'hai fatto per il suo bene, ma non ti sembra di aver
esagerato?-
-
Indovino, ami tanto la parte del grillo parlante?-
-
In realtà sì, e poi non posso fare altro. Sono
solo una voce -
-...-
-
Ora ti senti in colpa? -
-
No... Io, io l'ho protetto -
-
Hai solo rimandato l'inevitabile, quel giorno lei si
sveglierà comunque -
-
Però ho evitato che lo facesse prima, le azioni di Orso si
erano fatte pericolose e ciò avrebbe potuto provocare..-
-
Parli come lui, adesso?-
-
Ho forse detto qualcosa di errato?-
-
No, ma per quanto tu dica il giusto, io so che non sono questi i motivi
che ti hanno spinto ad agire -
-
E' solo che non voglio vederlo soffrire -
-
No, tu non vuoi vederlo morire -
|
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Capitolo 5 *** V ***
Ad un primo giudizio, nel giungere senza
difficoltà al luogo dell'appuntamento dove avrebbe dovuto
incontrarsi con Antonio e Francis, Rod considerò il
salottino un posto caldo e accogliente, piacevole per passare il tempo,
e abbastanza tranquillo per affrontare una lunga (e temeva per nulla
facile), chiacchierata.
"C'è un
buon profumo..." osservò, riconoscendo l'odore della menta
piperita e del limone, lo stesso aroma trovato nel the che gli era
stato servito. Chiunque glielo avesse preparato doveva berlo spesso per
averne lasciato dei residui tanto forti, i quali aleggiavano nella
stanza impregnandola di una piacevole atmosfera di calore e
familiarità.
Come tutte le camere
in quell'ala della villa, il salottino era già stato
restaurato e presentava arredamento e decorazioni in stile liberty. Due
comode poltrone e un largo divano fiancheggiavano un caminetto di medie
dimensioni, le cui pietre chiare che lo circondavano avevano una
sottile tramatura dorata, simili ad arabeschi floreali. Un immenso
tappeto copriva il pavimento in marmo e diverse stampe - litografie
paesaggistiche - riempivano le pareti, meno una, su cui erano presenti
delle alte finestre, le quali si affacciavano su un verde ed
eccessivamente prospero giardino. "Forse dovrei procurargli un
giardiniere..." rifletté, trovando fosse un vero peccato che
una così piccola ma impeccabile stanza fosse rovinata da una
vista tanto misera, come un quadro con una brutta cornice.
Senza accorgersene,
Roderich iniziò a provare uno strano interesse per quel
maniero, se ne sentiva affascinato. Avvertiva il bisogno di esaltarne
la bellezza, le qualità, così come i suoi
predecessori avevano fatto prima di lui. "L'idea di renderlo un hotel
di lusso non era poi così male, con i giusti accorgimenti"
rifletteva giudicando il progetto da esperto, poiché non era
nuovo alla gestione di simili affari, trovandolo un modo prolifico per
trascorrere l'attesa, sperando nell'arrivo degli altri due ospiti di
quell'incontro.
".. Un ritratto" la
sua attenzione venne però sottratta da quei pensieri, avidi
e un tantino freddi, l’occhio cadde su un quadro a mandorla,
un dipinto ad olio dai colori tenui, raffigurante una giovane donna
riccamente vestita, probabilmente risalente al XIX. Aveva un viso dai
lineamenti eleganti, nobili e una cascata di morbidi capelli castani a
decorarlo. Ricambiava lo sguardo di Roderich con un'espressione severa,
ma che sembrava tradire un aspetto gentile della sua
personalità, gli occhi parevano freddi, eppure possedevano
qualcosa di molto dolce, come le sue labbra sottili, leggermente
piegate all'insù, in un leggero sorriso. "Ma
è..." riconobbe quasi immediatamente la donna, fin troppo
familiare alla sua mente.
- C-... ce
l’abbiamo fatta, Francis!!- la voce di Antonio interruppe la
sua contemplazione del dipinto, causandogli automaticamente un leggero
fastidio, seguito da un singulto d’irritazione. Avevano osato
farlo aspettare! Dopo che si era scomodato a prendere un aereo
dall'Austria per arrivare sin lì, unicamente per loro (e per
evitare una denuncia non avendo controllato a fondo lo stato di
sicurezza della villa)!
Li fulminò
con uno sguardo colmo di stizza, voltandosi verso l'arco che divideva
il salottino dal corridoio mentre lo attraversavano, le braccia
conserte, il cipiglio severo, simile ad un professore intransigente
intento a rimproverare i suoi alunni più discoli.
- Ah… Ehm,
sei già arrivato Rod? – lo salutò
Carriedo, sorridendo nervoso, consapevole di quanto
l’austriaco odiasse i ritardatari,
- A te cosa sembra,
Antonio? – replicò secco, così da
fargli comprendere l’idiozia della sua domanda,
- Scusa…
è che ci siamo persi – ammise lui, leggermente in
imbarazzo nel parlare, - Sta-stavamo cercando Gil… ma ci
sono così tante stanze che..-
- Purtroppo, non lo
abbiamo trovato – tagliò corto Francis, subito
dietro le spalle dell’amico, un sorriso ammiccante nel
rivolgersi a Rod, il quale continuava a non apprezzare tanta
familiarità. Lo riteneva viscido in un modo che non riusciva
a spiegarsi, eppure, doveva ammetterlo, vi era anche qualcosa di
affascinante in lui. Gli veniva difficile affrontare il suo sguardo.
Per quanto avesse
notato il modo intenso con cui lo fissava, preferì quindi
ignorare l’intervento del francese, discutendo nuovamente con
Antonio.
- Non voglio sentire
le vostre scuse…- sbuffò leggermente, andandosene
a sedere su una delle due poltrone a fronteggiare il divano su cui
Francis già aveva preso posto, - Da quello che ho potuto
osservare sino a ora, la villa sembra in buone condizioni,
quindi… Per quale motivo mi avete chiamato qui? –
C’era un
basso tavolino a dividere lo spazio tra le sedute, su cui prendeva
posto un vassoio con un’elegante teiera e una tazzina dalle
sottili rifiniture, simili agli arabeschi floreali con cui era decorato
il camino. A Rod per un momento parve fosse lo stesso vassoio che aveva
trovato ad accoglierlo in camera, e dal profumo riconobbe il medesimo
the di poco prima. “Ma quando..?” si
domandò, chiedendosi da dove fosse spuntato, per poi
osservare di sottecchi il francese di fronte a se, l’aveva
forse portato lui?
In parte gli era
rimasto nascosto, mentre parlava ad Antonio, quindi il fatto che
portasse un vassoio con sé, poteva essergli sfuggito.
- La questione non
è... ecco, tanto semplice, Roderich..- tentò di
imbastire il discorso lo spagnolo, già in
difficoltà alle prime parole, mentre rimaneva in piedi
dietro al divano - quasi si trattasse di un muro di difesa tra lui e il
damerino -, dove Francis si era seduto, cercando lo sguardo dell'amico
con un panico crescente sul volto.
- Diciamo che sono
avvenuti degli eventi un poco... "complicati" - prese quasi
immediatamente parola il biondo, cogliendo la muta richiesta d'aiuto
dell'altro, il cui volto si rilassò impercettibilmente e
sfuggì un leggero sospiro di sollievo, era riuscito ad
evitarsi quell'ingrato compito.
- "Complicati"..? -
ripete Rod scettico, finendo di sorseggiare il tea che gli era stato
offerto, l'espressione impassibile, ieratica, priva di alcun apparente
interesse per la questione, anzi, probabilmente ritenendola
superficiale, nient'affatto grave. Sperava solo che simili "eventi" non
comportassero una spesa troppo onerosa per le sue tasche, senza contare
che, qualunque fossero i loro inconvenienti, potevano benissimo esserne
loro stessi la causa. E se ciò era vero, lui non aveva
nessun obbligo a sborsare alcun che per risolverli.
- Esatto..-
confermò Francis con un sorriso degno di un amabile
venditore porta a porta (quando si convinceva di aver appena concluso
una vendita), - ... ci sono capitati alcuni eventi spiacevoli, di cui
non comprendiamo la causa - continuò, e Antonio gli
riservò un'occhiata confusa, credeva si fossero
già accordati che in quella magione c'era "qualcosa".
- Eventi di che
tipo..? - attirò l'interesse dell'austriaco con quelle
parole, il quale sembrò divenire disposto ad ascoltarlo.
Se Francis avesse
pronunciato la parola "soprannaturale", sarebbe stato improbabile
accendere in Rod la medesima attenzione, lo conosceva da poco, ma
già l'aveva inquadrato. Esponendogli i fatti nella maniera
in cui l'avevano interpretata, il damerino li avrebbe rifiutati in
maniera assoluta, poiché infondo, dubitava di loro, non si
fidava, con ogni probabilità credeva ancora che lo stessero
prendendo in giro. Doveva quindi dargli l'opportunità di
arrivare da solo alle sue risposte, così da giungere con un
proprio percorso logico alla medesima risposta.
- Per fare un
esempio...- e qui Francis scambiò in maniera evidente uno
sguardo con Antonio, quasi volesse il suo consenso per continuare, nel
farlo voltò il viso di tre quarti, mostrando di conseguenza
il profilo al damerino. "Ciuffi verdi?" notò lui con
stupore, rivalutando i gusti del francese, giudicandoli orripilanti a
causa della pessima tinta.
In risposta, Carriedo
annuì, approvando la maniera in cui l'amico gestiva la
conversazione.
- ... più
volte io mi sono risvegliato in un luogo diverso da quello in cui mi
coricavo - riprese a parlare, tornando a portare gli occhi su Rod,
- Semplici attacchi di
sonnambulismo, suppongo, forse seccanti ma non pericolosi... -
tornò ad apparire annoiato dall'argomento, emettendo un
leggero sbuffo da snob, gli occhi che andavano sulla tazzina da tea
ormai vuota, appoggiata sul tavolo di fronte a lui.
- Ehm... Siamo
abbastanza sicuri che non si tratti di questo Rod - toccò ad
Antonio intervenire, un momento esitante nel prendere parola, timoroso
ad affrontare l'amico, -... per diverse notti, io e Gil abbiamo fatto a
turno per assicurarci che non vagasse da solo -
- E..?- insistette
perché continuasse, dedicandogli uno sguardo di sufficienza,
una leggera irritazione a montare silenziosa in lui come ogni volta si
pronunciasse il nome del tedesco in sua presenza.
- E mentre lo
sorvegliavamo, Francis non ha mai mostrato simili sintomi e...-
deglutì, sudando freddo, stava per raccontargli la parte
più difficile di quegli eventi, - Successivamente, quando
abbiamo pensato che le cose si fossero risolte e abbiamo rinunciato a
tenerlo d'occhio, quella mattina era in cima al tetto. A causa di
questo episodio, ecco... Devi contare che non dormivamo decentemente da
più di quattro giorni e... - si bloccò,
sorridendo imbarazzato, una leggera ruga vicino al labbro,
- Hanno provato a
legarmi al materasso - prese parola nuovamente per lui Francis,
mostrando una totale indifferenza per ciò a cui era stato
costretto,
- Un metodo non
ortodosso insomma - commentò con la medesima non curanza
Rod, per nulla stupito che avessero avuto una simile idea. Erano pur
sempre un trio di ebeti, l'aver ideato un piano, per quanto idiota, era
già un notevole passo avanti per loro.
- Il quale non ha
sortito gli effetti sperati..- dovette ammettere lo spagnolo, - il
giorno dopo abbiamo trovato Francis, ancora legato al letto, sul
sentiero che conduce al boschetto -
- Bhé, di
cert-... Un momento! - parve sussultare, quando la mente
elaborò per intero il messaggio di Antonio, - Mi stai
dicendo che c'era l'intero letto con lui?! - non riuscì a
celare un certo sconcerto nella propria domanda, pronunciata a voce un
po' troppo alta, perdendo in parte quella compostezza con cui si era
caratterizzato per tutta la conversazione.
- E' questo che ci ha
fatto dubitare che Francis camminasse nel sonno... non avrebbe mai
potuto muoversi da solo - affermò il bruno prendendo
sicurezza nel parlare, man mano che Roderich si rendeva conto
dell'assurdità di quegli avvenimenti, più sentiva
crescere la possibilità che credesse alla loro teoria di
"eventi soprannaturali inspiegabili".
- Non può
trattarsi allora di uno scherzo ai danni di Francis? - optò
Roderich dopo un momento di confusione, parlando più a se
stesso che ai propri interlocutori, ancora alla ricerca di quella
logica mancatagli di colpo da sotto i piedi,
- Potrebbe essere...-
ammise lo stesso francese, le braccia incrociate al petto nell'alzare
le spalle con un’eleganza studiata, -... ma per sollevare il
letto con me sopra ci sarebbe voluta almeno la forza di due persone, e
né Gilbert, né Antonio, riescono a portare avanti
tanto allungo uno scherzo senza cadere in fallo, sopratutto se l'hanno
organizzato assieme. In più non faticherebbero tanto solo
per giocarmi - da come parlava, Roderich giudicò che anche
lui aveva preso in considerazione una simile ipotesi e, per qualche
motivo, l'aveva scartata senza più tornarci, certo
dell'innocenza (per una volta), dei suoi compagni. Purtroppo
però, non conoscendone le motivazioni, il damerino non se la
sentiva di mollare del tutto quella possibilità.
- C'è
dell'altro?- pose la domanda in un disinteresse solo apparente, deciso
a tornare sulla questione più tardi. Voleva una panoramica
dell'intera faccenda, poiché era certo che quello non fosse
l’unico episodio “suggestivo” subito dai
tre.
- Ecco... siamo stati
assaliti da una tazza di cereali volante, Gilbert è stato
quasi spinto giù dalle scale, i corridoi e le stanze
cambiano di posizione in continuazione, i vestiti, anche quelli riposti
negli armadi, si tingono di rosso e, come hai potuto vedere prima,
qualcosa ha cercato di buttare Francis fuori dalla villa... ma questo
dopo che lui ha cominciato ad insultare quel
“qualunque-cosa” gli abbia rovinato il maglione di
cashmere. - prese a fare un rapido elenco Antonio, sempre
più sicuro, nel vedere l’austriaco tanto disposto
ad ascoltarli. Sfortunatamente, dall'espressione granitica che prese
questi, in seguito alle sue parole, gli fece supporre di non aver avuto
proprio un’idea geniale a spiattellare tutto sul colpo. Lo
stesso sguardo di sufficienza di Francis, a cui ci mancò
poco di prendersi il viso tra le mani ad una tale mancanza di tatto,
gli diede conferma del proprio errore.
Il silenzio che
seguì l'intervento dello spagnolo fu tanto opprimente da far
temere, ad entrambi i coinquilini, che da un momento all'altro Roderich
si sarebbe alzato, li avrebbe fissati con uno sguardo gelido e, dopo
avergli premurato di lasciare l'abitazione al più presto,
facendogli pagare un affitto esorbitante - poiché non
avevano rispettato gli accordi - , se ne sarebbe andato senza pensarci
due volte. Di conseguenza, loro sarebbero finiti a vivere sotto ad un
ponte, anche se ciò dipendeva più dal livello
dell'arrabbiatura di Roderich e dal prezzo che avrebbe stabilito per
averlo disturbato.
Fu così che
Francis non trovò altro rimedio, per l’enorme
gaffe dell’amico, se non cambiare completamente discorso, in
una maniera estrema per correre ai ripari.
- Ahahahaha...
Antonio, forse si è spiegato male..- tentò da
prima di giustificarlo, smorzando la tensione con una risata nervosa
mentre con lo sguardo vagava da una parte all'altra della stanza, in
cerca di uno spunto qualsiasi per cambiare fulcro alla conversazione.
- Uhm...- lo
fissò sempre più scettico Roderich, probabilmente
già intuendo cosa volesse fare per trattenerlo su quella
poltrona,
- Ehm... -
cominciò a sudare freddo Francis sotto quegli occhi
violetta, - Ha davvero un ottimo profumo questo tea - aveva
infine abbassato il capo, incapace di affrontare ulteriormente il
contatto visivo, notando così il vassoio e la tazzina
lasciati sul tavolino.
- Sì -
affermò dopo un momento di esitazione, - Devo concedervelo,
il tea era ottimo - si lasciò sfuggire un leggero sorriso,
dimenticando per un momento l'irritazione salitagli alla gola un
momento prima, -... come quello che ho ricevuto poco fa in camera -
- Ooh... - ebbe una
nota di stupore Antonio, per poi guardare la nuca di Francis, il quale
invece aveva riportato lo sguardo su Rod,
- Aspetta... ci stai
dicendo che non te lo sei preparato da solo? - si stupì allo
stesso modo Francis, porgendogli la domanda mentre si spingeva in
avanti, per prendere la tazza in questione, soppesandola e studiandola
con attenzione. Era la prima volta che la vedeva. Pareva costosa e,
sopratutto, antica, per quanto in ottime condizioni, e ciò
avrebbe potuto forviarlo, ma era certo che il suo occhio d'artista non
lo tradisse, come minimo risaliva all'inizio del secolo scorso.
- E come avrei
potuto?.. Non ho idea di dove si trovi la cucina - obbiettò
Roderich sbuffando, sistemandosi un ciuffo di capelli con fare annoiato
e leggermente snob.
"Ma allora, chi..?"
rimase colpito dalla sua risposta Francis, leggermente allarmato dalla
situazione. Era certo non potesse essere stato Antonio a portarglielo,
essendo rimasto con lui tutto il tempo, e ben dubitava, visto l'astio
che incorreva fra loro, fosse stato Gilbert a prepararglielo. "Certo, a
meno che non sia avvelenato" cercò di tranquillizzarsi in
qualche modo, ma il damerino pareva stare bene al momento, e poi
l'albino semmai si sarebbe limitato ad un lassativo, non certo a
qualche sostanza pericolosa (a effetto ritardato), probabilmente... ma
la sua improvvisa scomparsa, il rendersi irrintracciabile,
non stava forse a significare che Gilbert aveva in mente qualcosa?
- Pensavo fosse stato
uno di voi due - continuò l'austriaco, ben celando la
leggera confusione che lo aveva preso, allora aveva supposto male,
credendo centrasse il biondo.
- Ehmm... Francis ed
Io siamo rimasti sempre assieme, Rod. Stavamo cercando Gil, e anche se
siamo andati in cucina, nessuno di noi due ha avuto il tempo di
prepararti e portarti quel tea.. - ricostruì cosa avessero
fatto, nel tempo in cui non si erano visti, Antonio, negando allo
stesso tempo il loro coinvolgimento, la leggera inquietudine dipinta
sul suo viso sin troppo evidente. - E non penso che..- si
azzittì prima di pronunciare il nome dell'albino,
poiché il biancore di cui si tinse il volto del damerino gli
fece temere che si stesse sentendo male.
- Che cosa ho bevuto
esattamente?- vi era una leggera nota di panico nella voce del
damerino, non si aspettava certo gentilezze da Gilbert e, nel caso quel
tea si fosse rivelata opera sua, come inizialmente aveva creduto
improbabile, temeva in un suo brutto tiro. Il solo pensiero di cosa
avrebbe potuto aggiungere al tea, per semplice dispetto, già
gli procurava una nausea capace di ribaltargli lo stomaco e risalirgli
lungo la gola.
- Se pensate vi abbia
aggiunto qualcosa di strano, badate che mi offendete -
protestò il biondo ragazzo seduto sulla poltrona, affianco
al damerino, le gambe accavallate e le braccia incrociate al petto, sul
volto - decorato da due larghi e lucenti occhi verdi, sormontati da
spesse sopracciglia -, un’evidente espressione di stizza. -
Essendo lei il padrone di casa ho voluto accoglierla in maniera
adeguata, per quanto le mie condizioni lo permettessero, quindi non
approvo che i miei sforzi siano messi in dubbio in modo tanto offensivo
- continuò a rivolgersi a Roderich, ignorando bellamente
Francis e Antonio, che fissavano lo sconosciuto quasi fosse comparso
dal nulla, anche se in effetti era proprio così.
- Oh... Se siete stato
voi a prepararlo? - per riflesso, abituato ad ambienti in cui le
persone discutevano nel medesimo modo, anche Rod cominciò a
parlare in tono forbito e formale, - Allora permettetemi di scusarmi e
di ringraziarvi per il pensiero, era un ottimo tea - prese a discorrere
come se non vi trovasse nulla di strano in uno sconosciuto palesatosi
dal nulla, poiché fino ad un paio di secondi prima quella
poltrona era del tutto vuota.
- Dovere -
sembrò sentirsi a disagio a quei ringraziamenti il nuovo
arrivato, cui sguardo vacillò nell'affrontare quello di Rod
e lo volse a terra, mentre un leggero imbarazzo gli imporporava le
guance. Probabilmente non era abituato a sentirsi ringraziare.
Solo allora, trovando
che una situazione tanto assurda non potesse prolungarsi oltre, Francis
superò lo stupore iniziale e trovò abbastanza
voce per parlare:
- CHI... Chi sei tu!?
- balzò in piedi, vedendo il nuovo arrivato come un intruso,
e provando per lui un’istintiva antipatia, forse causata da
quelle sopracciglia obbrobriose o dal suo modo antiquato, da primi del
'900, di vestire. Suo nonno possedeva vestiti più moderni
nell'armadio! E quelle bretelle rosse che spiccavano sulla sua camicia
bianca erano un oltraggio al buon gusto!
A differenza di
Antonio, il quale rimaneva ancora fermo alle spalle del divano, il
francese, troppo distratto da altro, non avevano notato cosa vi fosse
di strano nel giovane, a parte il fatto che si fosse introdotto nella
stanza senza farsi notare da nessuno, quando le finestre erano sbarrate
e l'unica entrata era appena dietro allo spagnolo.
Il corpo del ragazzo
non sembrava... solido! Si trovò sconvolto da
quell'osservazione Carriedo. Ogni cosa in lui, persino gli abiti,
parevano un agglomerato di pulviscolo su cui una strana rifrazione
della luce aveva creato in maniera perfetta la riproduzione di un
ragazzo. "Non è reale" cominciò a dirsi, certo
che, se lo avesse toccato, quella presenza si sarebbe dissolta come una
nuvola di fumo sospinta dal vento.
- Non sono obbligato a
risponderti - per un qualche motivo l'atteggiamento, da prima educato
(seppur leggermente irritato), e contenuto del giovane nel rivolgersi a
Rod, cambiò quando prese a parlare con Francis, a cui
dimostrò un'aggressività latente e una stizza
crescente.
"Antipatia istintiva?"
si trovò a pensare lo spagnolo osservando gli atteggiamenti
dei due, "come quella tra cani e gatti?" tardi comprese che, se davvero
si trattava solo di semplice rifrazione della luce, oramai l'immagine
avrebbe già dovuto dissolversi, e di certo non avrebbe
potuto parlare.
"Ehmm... allucinazioni
uditive?" provò inutilmente a spiegarsi, per quanto
già da qualche tempo lui, Francis e Gilbert avessero
appurato che vi fossero delle strane presenze in quella casa, una parte
del suo cervello non accettava completamente quell'idea, sicuro vi
fossero delle fondamenta logiche, dietro a tutti quegli strani eventi.
- Ma è
buona educazione presentarsi - intervenne Rod, il quale pareva quello
più a suo agio in una simile situazione, forse credeva che,
chi gli avesse preparato un così ottimo tea, per quanto si
rivelasse un intruso, non poteva essere in alcun modo una minaccia.
-... Lei mi conosce, visto che mi ha riconosciuto come il padrone di
questa villa, però io non so chi sia - fece notare
mantenendo sempre un'espressione seria, ma per nulla scortese nei
confronti del suo interlocutore. "Sembra apprezzare più
parlare con lui che con noi..." notò Antonio arricciando il
labbro in un moto di stizza, Rod era pur sempre il suo migliore amico.
- Ha ragione..-
dovette ammettere lo sconosciuto con un leggero sbuffo, alzandosi dalla
poltrona, dando così le spalle alla finestra, dalla quale si
vedeva spuntare uno spiraglio di sole, da cui arrivavano quei raggi che
ora entravano obliquamente nella stanza. - Mi presento, il mio nome
è Arthur Kirkland e, fino all'assenza del suo proprietario,
mi è sta affidata la custodia della casa - si
presentò in maniera impeccabile, con fare antiquato, la mano
destra sul petto e chinando un poco il capo. Pareva un giovane dai modi
da vecchio, avrebbe detto qualcuno, ma al momento le altre tre persone
presenti nella stanza erano troppo impegnate a notare come, colpito dai
raggi solari, il corpo di Arthur si dissolvesse, divenendo trasparente
lì dove il sole lo sfiorava.
-Ah, è
incorporeo! - trovò confermate le sue supposizioni Antonio,
anche se il suo commento non fu quasi percepito dal francese e
dall’austriaco, troppo spiazzati, scioccati dall'evento per
udirlo. Il primo ricadde seduto, semi sconvolto, sul divano, mentre il
secondo fissava il ragazzo quasi fosse un alieno appena sceso dalla sua
astronave, il volto inespressivo, ma mortalmente pallido, rigido sulla
sua seduta.
- I-io propendo per
una fuga di gas - giudicò Roderich dopo aver valutato
attentamente la situazione, - C'è una fuga di gas e siamo
tutti in preda alle allucinazioni - proclamò certo, con voce
tremante, e un velo di sudore sulla fronte.
- Mi dispiace
contraddirla, ma uno dei miei doveri è assicurarmi che tutto
qui dentro funzioni perfettamente, e posso assicurarla che gli
allacciamenti a gas, luce e acqua non hanno subito alcun danno -
affermò Arthur, fiero del proprio lavoro, molto dedito ad
esso,
- E' ciò
che direbbe un'allucinazione! - lo interruppe però Francis,
andando a supportare la teoria di Rod,
- Le rane maleducate
dai gusti osceni non hanno il permesso di parlare - l'essere definito
come un'allucinazione doveva aver offeso mister sopracciglia,
perché il suo volto cambiò colore, facendosi
furente di rabbi.
- Rana?... Gusti
osceni?! Ma ti sei visto quei bruchi che hai sopra gli occhi? -
- Le mie sopracciglia
non hanno nulla che non vada!..- e istintivamente andò a
toccarsi quella parte del viso, quasi si volesse rassicurare della loro
presenza, -... a differenza certo di quei vestiti discutibili che ti
ostini ad portare. Sono un oltraggio al pudore! -
- Si chiama "avere
stile", strana nuvoletta di condensa che non capisce nulla di moda! -
A sentirli
battibeccare, Antonio pensò che la situazione stesse
precipitando rapidamente nel ridicolo, ma non aveva la forza per
fermare una simile assurdità, in più la sua
attenzione era attirata da Roderich, il quale rimaneva ancora rigido,
seduto sulla poltrona che aveva sempre occupato, quasi si fosse
tramutato in una statua di sale. L'espressione sconvolta faceva
sembrare avesse una paralisi facciale e, dal modo in cui continuava a
ripetersi: "è un’allucinazione... è
un'allucinazione"; Carriedo cominciò a temere per la sua
sanità mentale.
- Quindi... - si
trovò a fissarla in maniera confusa Gilbert, osservando il
suo visino tondo, delicato e dolce, i cui larghi occhi verdi vagavano
inquieti nella stanza, quelle iridi vermiglie, ferme su di lei la
mettevano ancora un po' a disagio, ma non era una sensazione del tutto
spiacevole. - Mi stai dicendo, che tu non sei morta qui? -
Erano entrambi seduti
sul pavimento della stanza 23-5, Gilbert comodamente stravaccato, Lily
accovacciata composta, adagiata sulle ginocchia.
- Esatto, è
accaduto prima che venissi in questa villa - confermò lei
con un sorriso timido, la domanda non pareva ferirla o disturbarla come
l'albino si era immaginato, e per cui era stato tanto restio a
porgliela, pareva invece sollevata nel poter parlare con qualcuno.
Seppur temi come
"morte", "assassinio", ecc... non apparissero come argomenti adatti da
affrontare con una ragazza all'apparenza tanto ingenua e fragile, se
questa in realtà si rivelava essere un fantasma, qualche
domanda, interiormente, vieni naturale porsela. Così era
andata per Gilbert, il quale, solo ora che Lily gli aveva appena
rivelato il proprio nome, confermandogli allo stesso tempo la sua vera
natura, poteva azzardarsi a colmare la propria curiosità,
sentendosene quasi in obbligo, dopo l'ultimo avvenimento capitatogli.
Cominciava ben a dubitate che, quello da cui si era da poco
risvegliato, fosse un semplice sogno.
- Ma...- divenne
ancora più confuso Gilbert, - ... ma i fantasmi non sono
legati al luogo dove, ecco...- "crepano" gli pareva un termine troppo
indelicato, e di certo Francis lo avrebbe rimproverato se avesse
scoperto che l'aveva usato nel riferirsi ad una ragazza, - ... spirano?-
- Di solito sarebbe
così - sembrò farsi più piccola lei,
racchiudendosi in se stessa, quasi fosse imbarazzata, - ma
non potevo lasciare da solo Vash! - riprese a parlare animandosi di
colpo, alzandosi in piedi e facendo arretrare di riflesso Gilbert,
stupito da un simile comportamento.
- Ehmm... Chi
è Vash? - si ritrovò a fissare, ad una distanza
brevissima, il volto di Lily. Era davvero carina, per quanto
incorporea, si ritrovò a pensare per l'ennesima volta.
-Ah..-
sbatté un paio di volte le palpebre e, forse rendendosi
conto di quanto gli fosse vicino, arrossì, comprendendo di
non aver tenuto un comportamento consono ad una brava signorina, - E'
mio fratello - gli rivelò drizzandosi completamente in
piedi, tornado così a mettere la giusta distanza. - ...
è stato seguendo lui che sono finita qui, in questa stanza -
allargò leggermente le braccia indicandogli l'ambiente in
cui erano,
- Ma ora tuo
fratello... ecco, è? - non aveva ancora idea di quanto tempo
fosse passato dalla morte di Lily, quindi non poteva essere certo che
un suo parente prossimo, come un fratello, fosse ancora vivo.
- Non so cosa gli sia
accaduto, poiché non posso muovermi da questa stanza, ma so
che non c'è più...- piuttosto della propria, era
discorrere della dipartita di Vash a rattristarla, difatti una leggera
ombra le oscurò il viso,
- Mi dispi..- tacque
prima di cadere nel banale, con inutili scuse vuote, prive di
sentimento, lui ne aveva udite fin troppe, e sapeva quanto potevano
risultare irritanti per chi le riceveva. - Asp-..! In che senso non
puoi uscire da qui? - ebbe modo di cambiare rapidamente discorso,
prestando ben attenzione alle parole di lei. Come risposta Lily gli
fece un sorriso triste,
- E' una storia un po'
lunga, sei disposto ad ascoltarla? - e quella di Gilbert
suonò al quanto scontata:
- Ovviamente! Il
magnifico è sempre disponibile a dividere il proprio
preziosissimo tempo con te - e riuscì nel suo intento di
farla ridere, anche se solo per un momento.
Ce l'avrebbe fatta.
L'avrebbe protetta.
Solo ancora un paio di
giorni e se ne sarebbero andati.
Si sarebbero imbarcati
su quella nave carica di speranza, in essa vi era la loro salvezza.
Sarebbero fuggiti
presto da quel luogo, che un tempo avevano definito patria, ma a cui
ora non si sentivano più di appartenere, quasi si
trattassero di ospiti indesiderati ad una festa data tra le mura di
casa loro.
Era strano non poter
più aggirarsi tranquillamente per quelle strade battute
così tante volte in passato, non poter più
entrare in certi luoghi di cui si aveva ancora una memoria ben vivida,
incisa nella mente, quasi non fosse trascorso istante da quando vi si
era recati l'ultima volta.
"Solo un paio di
giorni.." si ripeté Vash camminando trai vicoli, il capo
chino e il capello tirato sul volto, i denti che battevano per il
freddo mentre tratteneva un’imprecazione, la temperatura era
scesa ancora quella notte e i suoi vestiti non lo coprivano abbastanza.
Normalmente non sarebbe mia uscito in quelle condizioni, con un gelo
tanto inaspettato e fuori stagione, ma non aveva avuto altra scelta,
doveva sistemare le ultime cose se voleva a partire in tempo, senza
trovare intoppi.
Con il sole calante
della sera alle spalle, che tingeva le mura dei palazzi di un arancione
malaticcio, avvelenato dai fumi di smog scaturiti dalle fabbriche e dai
gas di scarico delle auto, Vash si muoveva a passo sicuro, rasente gli
edifici, nel tentativo di non dare troppo nell'occhio, di mescolarsi il
più possibile alla folla di passanti. Aveva già
notato che "uno di loro" lo stava seguendo, forse ne aveva attirato
l'attenzione per errore, oppure lo aveva scambiato per un
borseggiatore, non importava, non doveva farsi raggiungere ma, cosa
più importante, non doveva farsi pedinare oltre. Vi era il
rischio che intuissero dove fosse la sua "casa", non poteva permettersi
di mettere Lei in pericolo. Le aveva promesso di proteggerla, e ci
sarebbe riuscito, a qualunque costo.
Senza rallentare, Vash
proseguì, ignorando di aver appena superato la svolta che lo
avrebbe condotto alla propria dimora, avrebbe confuso quella cornacchia
e in qualche modo sarebbe riuscito a seminarlo.
"Scusami Lily, dovrai
aspettarmi ancora per un po'" pensò mentre cercava, volgendo
lo sguardo verso un punto imprecisato, un tetto che si confondeva in
mezzo a mille altri, certo della propria convinzione che, fino a quando
non fosse uscita, andando contro alle sue direttive, la sorella sarebbe
stata al sicuro. "Merda! Sono aumentati.." con la coda Vash
notò come, da uno, gli uomini in divisa erano divenuti due,
e se fossero ancora aumentati, il problema rischiava di divenire serio.
Non poteva sapere se qualcuno lo avesse tradito, o se la presenza di un
numero stranamente maggiore di cornacchie, nei dintorni di casa sua,
fosse solo un caso, pregava unicamente di riuscire ad allontanarle
abbastanza da poterli condurre verso una strada sbagliata, lontana il
più possibile da quella.
Da quando si sentiva
come un animale braccato, Vash aveva riconsiderato la sua passione per
la caccia. Se qualche tempo prima si era dilettato ad imbracciare il
fucile, preparare trappole e sparare contro volpi, lepri o cinghiali,
ora la prospettiva di inseguire, mettere alle strette e uccidere un
qualsiasi animale, gli lasciava una strana agitazione addosso, diversa
dall'eccitazione e dall'adrenalina che gli provocava precedentemente.
Avvertiva dei brividi sulla pelle e la nausea gli serrava lo stomaco,
rendendogli le mani rigide e mortalmente fredde, aveva come la certezza
che, se in quel momento, si fosse trovato costretto a tenere in mano il
proprio fucile, le sue dita non sarebbero riuscite a piegarsi sul
grilletto.
"Un cacciatore che
cominciasse a provare empatia nei confronti dell'animale braccato, non
ha alternative se non abbandonare la caccia.." aveva letto una volta, o
forse qualcuno glielo aveva detto, da qualche parte, in quella che
appariva come un’altra vita, lontano mille anni luce da
quella in cui ora si trovava a vivere.
"Ma presto ce ne
andremo..." si ripete nel superare un manipolo di operai del cambio
turno in fabbrica, tenendo intanto sempre sott’occhi gli
uomini che, ora ne era certo, stavano seguendo lui. "... andremo
lontano" pensava immaginandosi un futuro diverso, se non identico,
almeno simile quel passato felice da cui erano stati sottratti.
Non avrebbero
più avuto la loro famiglia, non ci sarebbero più
stati i vecchi amici di una volta. Coloro che avevano conosciuto lui e
Lily, o erano morti, oppure erano stati portati via, altri invece,
semplicemente, gli avevano voltato le spalle, tranciando ogni legame
avessero avuto. E per quanta rabbia Vash provasse nei confronti di
questi ultimi, una parte di lui aveva già compreso da un
pezzo che il loro non era un vero tradimento, ma paura.
Paura di perdere tutti
i loro possedimenti, di trovarsi strappati i propri cari, e questo
Vash, ritrovatosi d'improvviso con Lily come unica parente ancora in
vita, poteva comprenderlo. Anche lui provava una paura folle, quasi
maniacale di perderla.
Le voleva bene, amava
la sua sorellina. Era l'unica famiglia rimastagli, ma ancora
più forte, era il timore di rimanere solo. Cosa avrebbe
fatto, come sarebbe sopravvissuto senza Lily?
Vash sapeva che,
l'unico motivo per cui fosse ancora vivo, era per proteggere sua
sorella. Se lei non ci fosse stata, con la stessa abilità
con cui aveva freddato una volta una lepre, spuntata d'improvviso dai
cespugli, avrebbe riservato un colpo di fucile unicamente per se.
Invece Lily c'era
ancora e, spaventata e indifesa, con la sua sola presenza lo aveva
ancorato a terra, obbligandolo a non fuggire, a stringere i denti.
Doveva farlo per lei, non poteva permettersi di abbandonare un esserino
tanto fragile in un mondo andato totalmente allo scatafascio.
"Merda..!" strinse
un’imprecazione trai denti, bloccandosi di colpo in mezzo
alla strada e facendosi così urtare dall'uomo che cammina
appena dietro di lui, il quale gli riservò un insulto poco
velato. "Porc...." ingnorò del tutto l'operaio che, dai
vestiti luridi e volto scavato, doveva aver appena concluso un turno
estenuante, troppo impegnato ad osservare le cornacchie che stavano
giungendo dal lato opposto della strada. Lo avevano accerchiato!
Con uno sguardo largo
d'orrore, Vash, con gambe divenute pesanti come piombo,
tentò di voltarsi, di cambiare strada, trovandosi a
camminare controcorrente, riservando spinte e spallate alla gente che
avanzava nel verso contrario al suo.
"Ah... Al diavolo!" si
disse rinunciando ad ogni precauzione e spingendo un giovane a terra,
per poi cominciare a correre. Non aveva nulla contro quel ragazzo, ma
al momento gli stava trai piedi e aveva cominciato ad avere una certa
fretta, ora che una di quelle cornacchie pareva averlo indicato. Non
era mai stato noto per la sua pazienza e, prima che gli si
avvicinassero oltre, precludendogli ogni via di fuga, dedusse fosse
meglio filarsela.
Doveva solo sperare di
trovare un nascondiglio adatto o di riuscire a depistarli in qualche
modo, prima che lo raggiungessero.
Scappando a perdifiato
Vash si allontanò dalla via principale, brulicante di gente,
cercando rifugio in quei vicoli stretti, bui ed intricati come
labirinti. A fatica avanzò, saltando i cumuli di sporcizia
che fiancheggiavano le soglie delle abitazioni, evitando i mocciosi
sporchi di terra e fuliggine, intenti a giocare con una palla di
stracci. Gli bastò consegnare un paio di cioccolatini a
quello che tra di loro pareva il capo perché, lui e la sua
banda, con il proprio gioco, ritardassero l'avanzata delle cornacchie.
Quando si fu convinto
che più nessuno lo seguisse, il sole era ormai calato da un
pezzo ed una notte buia, priva di stelle e luna, veniva riservata a
quelle strade in cui i lampioni e l'elettricità non parevano
essere ancora stati scoperti.
"Lily è
rimasta sola per tutto il giorno", considerò con un certo
rammarico Vash, mentre con lo scemare dell'adrenalina, la stanchezza lo
coglieva. Adesso che finalmente poteva tirare un po' il fiato, tutto lo
stress accumulato nelle ultime ore gli piombò sulle spalle,
rendendogli il corpo e le gambe pesanti come macigni. Non sarebbe
riuscito a compiere neppure un altro passo senza cadere a terra.
Finì così con l'adagiarsi contro la parete di
quell'edificio lurido, scivolando su di essa fino a trovarsi seduto a
terra. Per un po' non sarebbe riuscito a muoversi da lì.
Con una stretta al
cuore, nel levarsi il cappello nonostante il gelo che gli era penetrato
sin nelle ossa, il suo sguardo volò verso i tetti degli
edifici da cui era circondato. Apparivano tanto lontani da quella nuova
prospettiva e, con il calar delle tenebre, gli era divenuto impossibile
distinguerne uno dall'altro, figurasi trovare quello che gli avrebbe
indicato casa propria, dove Lily lo stava aspettando, probabilmente
preoccupata per non averlo ancora visto tornare.
Quella mattina se ne
era andato prima che lei si svegliasse, preparandosi in silenzio per
uscire, cercando di non disturbarne il sonno. Si trattava di una
giornata speciale, e di certo non avrebbe accolto la sua cara sorella
senza nulla con cui festeggiare.
Prima di andarsene le
aveva lasciato unicamente un biglietto, con cui le prometteva di
tornare presto e la pregava di non uscire, evitando appositamente
qualunque riferimento alla data, così da poterle fare una
"sorpresa" quando fosse rincasato. C'erano alcune faccende di cui si
doveva occupare, ma aveva creduto di potersela sbrigare velocemente.
Purtroppo,
così non era stato, e ora Vash si trovava con una scatola di
cioccolatini rovinata, avendola sballottata durante la corsa e a cui ne
mancavano una manciata. Aveva sperato di poter festeggiare felicemente
il compleanno di Lily, regalandole quella cioccolata che, sapeva, amava
tanto, ma una serie d’imprevisti gli avevano impedito di
tornare da lei.
E alla fine, la
ragazza si era ritrovata a trascorresse quella sua "giornata speciale",
il 23 maggio (per quell'anno stranamente gelido), interamente da sola.
"Perdona tuo
fratello..." pensò Vash mentre la sua mente scivolava
nell'oblio del sonno, vinta dalle troppe vicissitudini accadutegli
nelle ultime ore. Prima di perdere conoscenza, con lo sguardo ancora
rivolto al cielo, gli parve di scorgere una piccola luce nella volta
celeste, quasi una timida e piccola stella stesse brillando solo per
lui, gli trasmetteva un piacevole calore, e gli parve volesse quasi
confortarlo, assicurandogli che Lily lo aveva già perdonato.
Di quella stella
ammirata prima di addormentarsi, Vash, anche a distanza di anni,
avrebbe sempre posseduto un'immagine ben chiara, nitida. Ancora non lo
sapeva, ma il suo cervello sarebbe corso spesso a quel momento,
portandolo a tenere sempre vivido il ricordo di quella notte.
Fino alla sua morte,
avvenuta relativamente presto, si sarebbe sempre chiesto
"perché", perché allora non aveva avuto alcun
sentore di ciò che era accaduto?
Perché il
suo istinto non gli aveva dato alcuna avvisaglia?
Ma, sopratutto, come
aveva potuto addormentarsi così serenamente quando il
cadavere di sua sorella rimaneva, semidisteso, a gocciolare sangue
dietro ad una porta trivellata dai colpi di fucile, abbandonata in una
camera buia e polverosa?
La vita di Vash quel
giorno era finita, ma lui, beatamente assopito in un vicolo buio,
nascosto tra la sporcizia, ancora non poteva saperlo.
---
No, non sono contento
di questo capitolo (-3-),
ma nel timore di
abbandonare la serie ho preferito pubblicare per incentivarmi, quindi:
SCUSATEMI SE E'
DELUDENTE! Spero di rifarmi con il prossimo...
Sperando che
continuiate a seguirmi, alla prossima (^3^)//
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