Look alive, idea.

di elisbpl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Oh, let me tell ya ‘bout the sad man. ***
Capitolo 2: *** The only hope for me is you alone. ***
Capitolo 3: *** Is it hard understanding? I'm incomplete. ***
Capitolo 4: *** Better get up while you can. ***
Capitolo 5: *** Take my fucking hand and never be afraid again. ***
Capitolo 6: *** I won't go down by myself. ***
Capitolo 7: *** Maybe they'll leave you alone, but not me. ***
Capitolo 8: *** What have you become when they take from you almost everything? ***
Capitolo 9: *** I never want to let you down or have you go, it’s better off this way. ***
Capitolo 10: *** So to save yourself, I’ll hold them back tonight. ***
Capitolo 11: *** Dry your eyes and start believing. ***



Capitolo 1
*** Oh, let me tell ya ‘bout the sad man. ***


Look alive, idea.





~Capitolo 1.
“Oh, let me tell ya ‘bout the sad man
Shut up and let me see your jazz hands
Remember when you were a madman”.


 

- Ma insomma, è questo il modo di stare in un locale?
La barista vestita di verde chiaro era davanti a lui, le braccia incrociate davanti al petto e il peso sbilanciato su una sola gamba, lo sguardo che avrebbe incenerito chiunque. Chiunque, ma non Gerard Way.
Be’, magari non il vecchio Gerard Way, la sassy divah, quello che non permetteva a nessuno di farsi mettere i piedi in testa, mai. Ma forse chiamarlo “il vecchio Gerard Way” non era giusto. Il vecchio Gerard Way non era altro che il ragazzino spaventato e rabbioso che aveva messo su la band che l’aveva cambiato, che l’aveva fatto diventare il vero Gerard Way. E quello era il vero Gerard Way: la sassy divah, sì, ma anche l’uomo che era cresciuto facendo le cose che più amava, che si era fatto un nome negli ambienti di cui sognava da piccolo, che aveva finalmente qualcuno che l’amava, e comprendeva il significato dell’amore. L’uomo che aveva imparato a soffrire in silenzio perché aveva capito che farlo ad alta voce non poteva far altro che male a chi gli era vicino e soffriva con lui, che fosse per i suoi stessi motivi o per semplice empatia. E il vero Gerard Way adesso era morto. Soffocato, schiacciato dal nuovo Gerard Way, quello che era un uomo adulto, padre di famiglia e lavoratore, che nella vita si limitava a cantare, disegnare e passare tempo con sua moglie e sua figlia. Il nuovo Gerard Way poteva sembrare il ritratto della felicità (dopotutto, chi non vorrebbe fare il lavoro che ama e passare tempo felice con la propria famiglia, a quasi quarant’anni?), ma non lo era. Be’, aveva appena raggiunto il risultato che si era prefissato di ottenere dalla dieta che aveva cominciato l’anno prima quando aveva potuto smettere di riempirsi di antidepressivi, pubblicava i suoi fumetti, faceva qualche concerto di tanto in tanto e sua figlia aveva solo sei anni quindi non era ancora entrate in alcuna folle fase adolescenziale di quelle che mandano fuori di testa dei genitori. Ma poteva ridursi a quello la felicità?
Magari per una persona normale sì. Per il nuovo Gerard Way sarebbe andato bene vivere così per sempre, passare la vita in quella strana calma nella quale passano la vita le persone normali, e avrebbe potuto farlo. Se solo il nuovo Gerard Way non avesse avuto dentro il vero Gerard Way che, sepolto in morte solo apparente, ogni tanto premeva, provava a uscire fuori per dimostrare al mondo di che pasta era fatto. Il dissidio interiore dei due Gerard non era facile da sostenere. Essere in eterna lotta con se stessi e allo stesso tempo mantenere una facciata di ghiaccio per non far star male i propri cari…
Insomma, era per queste ragioni, più o meno, che quella sera Gerard si trovava in quel minuscolo e squallido locale. Era stato a New York per firmare una specie di contratto quel pomeriggio e aveva deciso di passare la serata da solo. Così se n’era andato a Newark, in New Jersey. Lontano un intero paese da sua moglie e sua figlia e così vicino alle sue origini, quale posto migliore per lasciar sfogare la parte di sé che non doveva fare altro che sopprimere da anni?
- Non mi pare di star facendo niente di male – provò a risponderle semplicemente, come se non fosse stato ubriaco fradicio.
- Biondino mio caro, sei steso lungo tre sgabelli e hai gambe e piedi sul bancone. Capisco che magari ho perso anche io il conto di quanta roba hai buttato giù nel giro di un’ora, e che vuoi mostrare al mondo intero che sei capace di tenerti in equilibrio steso su degli sgabelli piccoli come questi e che hai un fisico invidiabile, ma direi che sì, stai facendo qualcosa di male. Perciò, prima che mi licenzino, vattene. Dobbiamo chiudere - la ragazza continuava a guardarlo storto, probabilmente chiedendosi se chiamare la polizia o qualcosa del genere.
- Sì, hai ragione. Scusa. Sono davvero… - Gerard emise una specie di grugnito e fece uno strano movimento che lo fece sbilanciare. Cadde ai piedi della barista come un sacco di patate.
Lei scoppiò a ridere e si rese conto di essere stata un tantino troppo severa poco prima, visto quanto stava male. Sbuffò, si accovacciò accanto a lui e parlò con tono leggermente più pacato rispetto a prima: - Hai un cellulare? Chi devo chiamare che possa venire a prenderti?
La domanda da un milione di dollari. Chi avrebbe potuto chiamare? Era così tanto tempo che non finiva in una situazione del genere… E Lynz questa volta non c’era, come suo fratello Mikey che pure abitava a Los Angeles, ma che comunque non avrebbe chiamato. Lì vicino abitavano ancora i suoi genitori, ma erano le tre e mezzo del mattino e soprattutto alla sua età era fuori discussione chiamare la mammina per una cazzata del genere. Per un secondo per il suo cervello inondato di alcol passarono un paio di volti che conosceva come le proprie tasche, anche se erano tasche di un paio di jeans che non vestiva da parecchio tempo.
- Frank? Chi è? Hai il suo numero, così posso chiamarlo? - la barista sembrava sul punto di perdere la poca pazienza riacquisita.
Frank? L’aveva detto ad alta voce?
Scosse la testa mentre faceva per alzarsi, procurandosi così un capogiro che lo rispedì a terra all’istante, e prese un grosso respiro prima di risponderle, strascicando tutte le parole con voce roca: - No… Niente… Torno da solo a casa, solo… Magari dammi una mano ad alzarmi per uscire di qui…
Nel mentre di questo teatrino, il locale si era svuotato delle ultime persone rimaste e l’altro barista si era avvicinato ai due ai piedi del bancone, probabilmente per richiamare la ragazza che aveva perso tempo dimostrandosi troppo clemente con quello che sembrava nient’altro che un ubriacone di prima categoria, e a sbattere lui fuori a calci in culo.
- Rebs, si può sapere perché non l’hai ancora OH PORCA MERDA - il ragazzo non aveva fatto in tempo a chinarsi su Gerard che l’aveva visto in viso e aveva fatto un salto all’indietro, strabuzzando gli occhi.
Gerard si chiese se fosse in condizioni davvero così pietose come credeva.
La ragazza si alzò di scatto e afferrò il suo collega per le braccia prima che cadesse anche lui - Che diavolo succede?
Ma il ragazzo continuava a guardare Gerard, gli occhi spalancati, boccheggiando: - Tu… Tu…
- Luke, se non la smetti di fare il coglione ti castro con una ginocchiata nelle palle. Che cazzo ti prende? Sembra tu abbia visto un fantasma!
- È… Rebs… Questo è… Lui… Oh mio dio, è… Gerard Way!
- E lo conosci? No, perché, vedi, è ridotto malissimo ma mi fa troppa pena per sbatterlo in mezzo alla strada… E poi è carino. Un po’ vecchio per me, ma ha il suo fascino, indubbiamente.
- Rebecca porca puttana ascoltami! È Gerard Way, il cantante. Quello dei My Chemical Romance, il gruppo. IL gruppo. Oh, dio. Oh, mio dio. Cazzo! Gerard Way!
- Calmati, stai andando in iperventilazione. Intendi quel gruppo con cui rompi le palle tutti i giorni quando io faccio finta di ascoltarti?
- ... Esattamente - la parola gli uscì in un sospiro.
- Be’, ha fatto proprio una brutta fine - constatò Rebecca, alternando lo sguardo tra il suo collega e il cantante.
- Non è che potreste smetterla di parlare di me come se non ci fossi? No, perché ho capito che sono ubriaco a merda ma ci sento ancora. Sei un mio fan, ragazzo? Vuoi un autografo? Fammi uscire da questa bettola da quattro soldi e ti regalo anche un biscotto - appena finito di arrancare nel buttare fuori quelle parole, Gerard si mise seduto passandosi le mani sul viso per provare a mettere a freno un nuovo capogiro che rischiava di farlo stramazzare al suolo una volta per tutte.
- Ma che cazzo dice?
- Lascia stare. Aiutami a tirarlo su.
Lo presero per le braccia, lo misero in piedi e lo portarono fuori dal locale. Lui si mise seduto ai piedi di un muretto lì vicino mentre i due baristi chiudevano e abbassavano la serranda, e si accese una sigaretta. Prese a fumare con calma, le spalle contro il muretto, gli occhi chiusi, senza pensare a nulla in particolare.
- Allora, ce l’hai un cellulare sì o no? – Rebecca si stagliava sopra di lui, fiancheggiata da Luke, e tendeva la mano verso il cantante con il palmo rivolto all’insù.
Gerard scosse la testa. - Non ho nessuno da chiamare - ammise senza tanti giri di parole.
Luke lo guardò con un’espressione… triste? Sembrava essersi ripreso dalla shock iniziale. Certo che vedere quello che magari un tempo era il proprio idolo ridotto in quello stato…
- Non mi prendi in giro, caro il mio bamboccione di mezza età. Prima hai fatto un nome. Chi è Frank? – Rebecca aveva assunto di nuovo la posizione incazzata di quando era andata a cacciarlo dal locale, e lo guardava con un cipiglio severo in volto.
- Frank… Intendi Frank… Iero? Vero? - Luke non riuscì a trattenere una nota di entusiasmo a quell’affermazione - Vi sentite ancora? Siete amici? Oh mio dio, era tutta la vita che sognavo di parlarti e ora…
- Tira il freno, tizietto - Gerard cacciò fuori il fumo in uno sbuffo, alzando lo sguardo sui due - Non vedo Frank Iero dalla bellezza di tre anni circa. Non parliamo. Non ci sentiamo. E potrei dire che non vorrei altro che venisse a prendermi in questo momento perché mi manca da morire, MA - fece un altro tiro - non lo farò, perché no. E se è un no che ho deciso io è un no e basta. Sono un adulto responsabile. E soprattutto - prese una pausa per espirare che sembrò abbastanza melodrammatica e piena di suspense - sono IO il boss qui.
Stava sparando cazzate e se ne rendeva conto, ma non riusciva a smettere. Osservava i due ragazzi guardarlo totalmente sconcertati con quel sorrisetto stronzo e soddisfatto che non faceva da anni. Luke sembrava sul punto di piangere. Rebecca serrava i pugni, assottigliando sempre più lo sguardo.
- Sai, bel biondino, il capo mi ha sempre detto di non dar retta agli ubriaconi, e perciò non lo farò. Ma visto che mi stai particolarmente sulle palle… - si abbassò e si avvicinò a Gerard lentamente, facendo un sorrisino forzato - E che hai deciso di distruggere tutti i sogni del mio amico qui presente con il tuo caratterino del cazzo… - fece qualcosa con le mani e si rialzò in tutta fretta, stringendo qualcosa nel palmo della sinistra - Questo lo prendo io.
Gerard non capì cosa fosse finché non la vide esultare, urlando qualcosa che somigliava a un “Ce l’ha! Luke, ce l’ha!” e poi portarsi l’oggetto all’orecchio. Che cazzo stava facendo?
Il cantante gettò la sigaretta e si alzò il più velocemente possibile date le sue condizioni: - Cosa hai intenzione di fare? Dammi il mio cellulare prima che ti denunci, mocciosa.
- Oh, fidati che ci andresti male tu. Mia madre è avvocato e io ho un testimone, e tu sei ubriaco. Idiota.
- Posa quel cazzo di telefono! Non hai alcun diritto di chiamare qualcuno per me! Tantomeno qualcuno che non voglio assolutamente sentire mai, mai più!
- Sai - Luke riprese improvvisamente parola mentre Rebecca componeva ancora una volta il numero di Frank, nel tentativo di svegliarlo (Gerard in quell’istante sperò che il chitarrista avesse cambiato numero). Si piazzò davanti al cantante e parlò guardandolo dritto negli occhi: - Sai - ripetè - Sei stato il mio idolo per… Praticamente tutta la mia vita. Avevo otto anni quando ho sentito la vostra prima canzone, erano i tempi di Bullets. Vi ho seguiti sempre, nel bene e nel male, qualsiasi cosa accadesse. Per i primi concerti ero troppo piccolo e gli ultimi erano troppo lontani perché me li potessi permettere, ma non mi è mai importato. Io amavo tutto ciò che avevi creato. E ho sempre pensato a te, sì, proprio a te, come il mio modello da imitare. Ti ho giustificato ogni volta che hai fatto cazzate. Ho sempre continuato a sostenerti. Anche quando sei caduto, e spesso sei caduto veramente in basso, dovresti saperlo. Anche quando te ne sei uscito con quella stronzata che “Non è una band, è un’idea” e lì tutti avrebbero voluto ucciderti, fidati. Insomma, ne hai fatte di cazzate, ma te le avevo perdonate tutte - ormai aveva quasi le lacrime agli occhi - Tutte. Credevo fossi perfetto. Credevo fossi fantastico. E invece sei solo un grandissimo stronzo.
E Gerard non riuscì a trovare proprio niente con cui rispondergli.

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Capitolo 2
*** The only hope for me is you alone. ***


~Capitolo 2.
“And if we can find where we belong,
We’ll have to make it on our own.
Face all the burn and take it out
Because the only hope for me is you alone”.



 
La folla dello stadio lo acclamava, urlando a gran voce il suo nome. Si sentiva finalmente al suo posto: era su un palco che doveva stare, a suonare come meglio sapeva fare, sempre.
Avevano appena suonato la canzone di apertura e lui stava per presentare i membri del suo fantastico gruppo. Chi l’avrebbe detto che in neanche due anni sarebbero arrivati così lontano?
Frank si girò, dando le spalle al pubblico, per guardare i membri dei The Cellabration e urlare i loro nomi, ma rimase paralizzato, gli occhi sbarrati: Ray gli sorrideva come aveva sempre fatto, Bob picchiettava insistentemente sulla grancassa con una bacchetta come ogni volta che attendeva l’inizio di un pezzo, Mikey lo guardava come a invitarlo a continuare.
Si stropicciò gli occhi con le mani pensando che magari stava avendo una svista, che magari l’avevano drogato, e se le ritrovò tutte sporche di nero. Matita? Ma se non si truccava da anni…
Alzò lo sguardo dalle proprie mani, sempre più incredulo, e fu lì che lo vide: il suo cantante stava avanzando verso il centro del palco. Verso di lui. Andava a passo sicuro, ma non aveva incrociato nemmeno una volta i suoi occhi. Lo oltrepassò e si mise sul bordo del palco, il più vicino possibile alla folla, prese il microfono e aprì la bocca per urlare, ma non ne uscì alcun suono. Frank continuava a guardarlo, ma Gerard ora gli dava le spalle. Il pubblico cominciava a spazientirsi, le urla si trasformarono in fischi, Gerard lasciò cadere il microfono e si prese la testa tra le mani. Si girò verso Frank e finalmente alzò gli occhi a incrociare il suo sguardo, e il chitarrista si sentì sprofondare. Non aveva mai visto quei due occhi così, e lui li aveva tenuti avanti per più di dieci anni, ci aveva superato i momenti peggiori assieme. Adesso quegli occhi, che un tempo non erano altro che verde liquido velato solo a volte da poche preoccupazioni, erano un misto di depressione, dolore, infelicità. Ci si leggeva dentro la sensazione di star cadendo troppo in basso, di star sprofondando una volta per tutte, per sempre. Frank fece istintivamente un passo avanti per correre dal cantante, ma le gambe cominciarono a tremargli, a non sostenere più il suo peso. Gerard continuava a guardarlo con gli stessi occhi di morte, Frank arrancava ad ogni passo verso di lui, la distanza che sembrava aumentare sempre di più, le gambe che vibravano sempre più forte. Era ancora distante da lui quando crollò. Si portò le mani alle gambe tremanti, le lacrime agli occhi, e lo vide, ancora troppo lontano, dischiudere le labbra in quello che sarebbe potuto essere un sospiro rassegnato come allo stesso tempo un grido di supplica.
“Aiutami”.


Frank spalancò gli occhi e si tirò a sedere, il respiro corto, le guance bagnate e il cuore che batteva all’impazzata. Che cazzo gli stava succedendo?
Ci mise un altro minuto buono per rendersi conto che il tremore delle sue gambe non veniva dall’incubo che aveva appena vissuto, ma dalla vibrazione del cellulare che teneva nella tasca anteriore dei jeans. Si era addormentato sul divano ancora vestito quando era tornato a casa e aveva trovato la sua parte di letto occupata da tutte e tre le sue piccole pesti, ed era stato felice di vedere quelli che erano i più grandi amori della sua vita tutti a dormire beati nello stesso letto, senza urlare né litigare.
Fece un respiro profondo ed estrasse il cellulare dalla tasca, sperando che quella chiamata non fosse davvero di chi pensava che fosse. E non riuscì a non farsi saltare un battito quando scoprì che aveva pensato giusto.
Dopo due anni di completo silenzio, Gerard lo stava chiamando al cellulare. Alle quattro del mattino.
Che cazzo doveva fare?
Si maledì rendendosi conto di quanto fosse stupida quella domanda: sapeva già cosa avrebbe fatto.
Prese un altro grosso respiro e premette il tasto di risposta.
- Pronto? - la voce gli uscì roca e impastata dal sonno, quasi come un lamento.
- Uhm, sei Frank Iero, giusto?
Anche se erano passati anni dall’ultima volta che l’aveva sentita, non avrebbe mai dimenticato neanche una minima vibrazione della voce del suo cantante. E la voce dall’altro capo non era quella di Gerard, ma di una ragazza, indubbiamente. Due sensazioni completamente opposte lo invasero: da un lato, tirò un sospiro di sollievo perché non aveva dovuto affrontare subito l’altro, ma allo stesso tempo un brivido di terrore gli percosse la schiena, temendo che gli fosse successo qualcosa.
- Sì, sono io… - deglutì il groppo che gli si era fermato in gola - Che succede? Chi sei? Perché mi stai chiamando da questo numero?
- Hey, hey, calmo bello mio. Abbiamo in ostaggio il tuo amichetto. Vogliamo un milione di dollari o gli tagliamo la gola.
Silenzio. Passarono troppi secondi in silenzio, Frank talmente confuso che non riusciva neanche a pensare.
- Tesoro, dai, non mi morire. Stavo scherzando. Sono la ragazza del Bulletproof Bar, a Newark. Il tuo amichetto biondo qui è ubriaco fradicio, sono successe… Cose, e comunque ha fatto il tuo nome, quindi gli ho preso il cellulare e ti ho chiamato, spero non ti dispiaccia - la ragazza dall’altro capo del telefono parlava come se fosse la cosa più normale del mondo, chiamare a quell’ora della notte una persona per conto di un’altra persona che, tra l’altro, non sentiva da anni.
- Ti rendi conto che sono le quattro del mattino, vero? - fu tutto ciò che il chitarrista fu in grado di rispondere, sopraffatto da una miriade di pensieri ed emozioni contrastanti.
- Certo che me ne rendo conto. Ma mi rendo conto anche del fatto che il biondino qui presente ha detto di non avere nessuno che lo venisse a prendere e l’unico nome che sono riuscita a strappargli da bocca è stato il tuo, perciò ho pensato che saresti potuto venire tu. Comunque, ti dico solamente che tra dieci minuti io e il mio collega ce ne andiamo e lo lasciamo qui da solo, perché il bar l’abbiamo chiuso e ci siamo già presi fin troppo disturbo - dalla voce pareva scocciata, ma in realtà sembrava si stesse divertendo.
- Sì, sì, okay, arrivo - si ritrovò a dire senza che lo avesse deciso davvero.
- Fantastico! - ora era certo che si stesse divertendo.
Magari era solo uno stupido scherzo.
- Seh - mormorò e chiuse la chiamata.
Ma il numero di Gerard? E quell’incubo? Oh, dio.
Frank si ritrovò in piedi, le chiavi dell’auto già in mano.


Sapeva dove si trovava il Bulletproof, aveva vissuto a Newark praticamente per tutta la vita. Ci mise meno dei dieci minuti di tolleranza che gli erano stati dati, ad arrivare. Fermò l’auto quasi in mezzo alla strada, vicino al marciapiede di fronte al bar, e fu solo una volta spento il motore che si fermò a pensare a ciò che stava facendo.
In effetti, che cazzo stava facendo?
Si rispose che stava semplicemente aiutando un amico.
Cazzata.
Perché era lì? Gerard non aveva mai esitato a trattarlo di merda ogni volta che poteva. Non aveva mai cercato un modo per non farlo soffrire. Si era comportato sempre come un vero stronzo e… Oh, basta, cazzate. Il problema era che negli ultimi anni Frank non aveva fatto altro che ignorare Gerard e pensare a lui come la persona peggiore sulla faccia della terra. E l’aveva fatto per smettere di soffrire, ma non era servito a niente.
Frank sapeva benissimo tutto ciò che di bello Gerard nascondeva dietro la faccia da stronzo. Probabilmente era la persona che lo sapeva meglio di chiunque altro. Non faceva mai cose senza pensarci, tutto era studiato, tutto, anche se non si fermava mai a spiegare agli altri le proprie ragioni. C’era stato un tempo in cui Frank capiva tutto ciò che passava per la testa del cantante, ma era passato. O forse no.
Prese ancora un respiro e scese dall’auto. Inizialmente vide solo i due baristi, intenti a parlare tra loro come se nulla fosse, poi fece caso alla massa di capelli biondi un po’ troppo lunghi che spuntava da un corpo rannicchiato a terra contro un muretto, il viso tra le ginocchia. Si trattenne dal fiondarsi su di lui immediatamente e alzò di nuovo lo sguardo sugli altri due che, accortisi del suo arrivo, avevano smesso di proferir parola e ora lo fissavano.
- Grazie per avermi chiamato - disse alla ragazza, senza stare a pensarci troppo.
- Figurati. Si è messo così appena abbiamo attaccato, non c’è modo di smuoverlo. Ah, scusa se sono stata un po’ brusca - gli porse il cellulare di Gerard, lui lo prese e se lo infilò in tasca - Noi ora andiamo.
- Okay.
- Statemi bene, belli - fece un mezzo sorriso, si voltò e cominciò a camminare, senza aspettare l’altro ragazzo che continuava a fissare Frank manco fosse stato un miraggio.
- Io… Io… - il ragazzo boccheggiò, poi mormorò qualcosa e si girò per scappare via, andando a raggiungere la sua collega.
Frank li guardò allontanarsi per qualche istante, rendendosi davvero conto di quanto fosse assurda quella situazione, poi prese l’ennesimo, enorme respiro e si voltò di nuovo verso Gerard.
Lui stava immobile, il viso ancora nascosto tra le ginocchia, si muoveva solamente quando qualche brivido gli percuoteva la schiena. Frank si sfilò la giacca e gliela mise sulle spalle, poi si sedette accanto a lui, in silenzio.
Probabilmente rimasero così per secoli, senza proferir parola. O così parve a Frank, quando magari furono solo pochi minuti. Il fatto che quando era con il cantante perdesse la cognizione del tempo non era cambiato per niente.
Solo all’ennesimo brivido che scosse Gerard, Frank sospirò e finalmente aprì bocca: - Ciao, Gee.
Gerard s’irrigidì completamente, ma non disse nulla.
- So che non vuoi dirmi cos’hai. In effetti non ne hai mai avuto bisogno. Magari mi arriverà un’illuminazione sui tuoi pensieri come mi arrivavano un tempo, in modo da essere l’unico a capirti senza il bisogno di spiegazioni. O magari no…
- Frank, sta’ zitto - lo interruppe bruscamente. La sua voce sembrava provenire dall’oltretomba.
- Come?! - Frank provò a ignorare la sensazione terribile che lo aveva appena attraversato, per rispondergli senza crollare, ancora una volta, come al solito.
- Sta’ zitto. Ti prego.
- Gerard…
- Frank - Gerard finalmente alzò il viso e incatenò gli occhi ai suoi. Frank rimase paralizzato, scosso ancora di più di poco prima, quando si era risvegliato da quell’incubo. Scosso ancora di più perché gli occhi di Gerard erano gli stessi di quelli del suo sogno. Erano occhi di morte. E questa volta lo guardavano davvero, a pochi centimetri dai suoi, affidandogli tutto ciò che non avrebbero affidato a nessun altro, lo sapeva. Anche se erano anni che non accadeva. O forse era proprio per questo. Possibile che Gerard si fosse tenuto tutto dentro per tutto il tempo in cui non si erano visti, né sentiti, né parlati, fino ad arrivare al punto di rottura? Sapeva che non c’era niente di logico in tutto ciò, ma i ragionamenti di Gerard spesso e volentieri seguivano una logica tutta loro. Ed era anche questo a renderlo così. A renderlo Gerard.
Frank mandò giù un groppo che gli si era formato in gola, senza riuscire a muoversi, né a staccare lo sguardo dal suo.
Gerard, d’altro canto, sembrava star combattendo una delle sue lotte interne peggiori, e il fatto che avesse bevuto tanto sicuramente non andava a giovargli.
Il chitarrista stava per riprendere il coraggio per parlare, per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma l’altro lo interruppe ancora prima che cominciasse a parlare: - Frank - ripeté, e poi disse una parola come se fosse stata la prima della sua vita, la più importante, l’unica che avrebbe potuto salvarlo davvero. Una parola che Frank aveva visto uscire dalle sue labbra troppo poco tempo prima.
- Aiutami.

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Capitolo 3
*** Is it hard understanding? I'm incomplete. ***


~Capitolo 3.
“Can you see? My eyes are shining bright
‘Cause I’m out there, on the other side of a jet black hotel mirror
And I’m so weak.
Is it hard understanding? I’m incomplete”.


 

Sapeva di non meritarselo. Sapeva di non meritarsi niente di tutto quello.
Era ancora rannicchiato a terra, solo che adesso era su un tappeto anziché sull’asfalto, la schiena era poggiata contro i cuscini di un divano anziché un muretto, e aveva finalmente smesso di tremare visto che davanti a lui c’era una piccola stufetta.
Frank l’aveva portato in quella che era stata la loro sala prove per tutti i primi anni, che praticamente non era altro che un piccolo prefabbricato che si trovava nel giardino sul retro della vecchia casa del chitarrista, abbastanza lontano dall’abitazione vera e propria perché la musica non arrivasse troppo forte alle orecchie di sua madre (e dei vicini). L’interno era cambiato completamente: non c’era più la batteria di Matt, non c’erano più fogli volanti in giro per la stanza, non c’era più il casino tipico di un gruppo di ragazzi che vuole cambiare il mondo. Ora tutto era in ordine, c’erano un enorme tappeto e un grande divano letto al centro della stanza, una scrivania e un televisore. Cose ordinarie, insomma. Ora anche quello era un ambiente totalmente estraneo, insomma.
- Bevi - Frank si sedette di nuovo accanto a lui, sistemandosi alla bell’e meglio sul tappeto e soprattutto davanti alla stufetta, e gli passò una tazza fumante. A quanto pareva la piccola cucina nell’angolo funzionava ancora nonostante l’avessero fatta saltare in aria anni prima.
Gerard strinse le dita attorno alla ceramica bollente e fece una smorfia quando l’avvicinò al naso: che cazzo era quella merda?
Manco gli avesse letto nel pensiero (forse ne era capace davvero: Gerard era arrivato a ragionarci su parecchie volte negli anni precedenti), Frank fece un sorrisetto sotto i baffi e gli spiegò: - È più comodo del ficcarsi due dita in gola, e visto quanto stai male direi che non ha bisogno di altro che vomitare.
- Vuoi che ti vomiti sul tappeto? - posò la tazza per terra accanto a sé e avrebbe voluto dare alla sua voce il vecchio tono tagliente di quando prendeva tutti per il culo, ma non gli uscì altro che un sussurro.
- No, ovviamente adesso ti alzi e ‘sta roba vai a berla con la testa nel cesso - Frank continuò a sorridere debolmente.
- Non mi reggo in piedi, Frank.
- Striscia.
- Ma che cazzo dici?
- Non lo so. Ma, al cadere di nuovo nel silenzio, preferisco dire cose a caso e continuare a sentire la tua voce.
- Ah.
- Già.
E caddero di nuovo nel silenzio. Gerard avrebbe voluto poter dire che sembrava non si fossero mai allontanati, ma non era così. L’aria era strana, c’era tensione, sembrava che entrambi avessero così tanto da dire da avere le bocche tappate. Così aprì la bocca per parlare, ma si ritrovò piegato in due da una fitta allo stomaco talmente forte da lasciarlo senza fiato. Si portò le mani alla bocca e con un gemito si tirò su per correre al piccolo bagno del prefabbricato, Frank lo seguì allarmato. Arrivò al water appena in tempo, ci infilò la testa dentro e cominciò a vomitare. I conati erano così forti che credeva di star cacciando fuori, oltre a tutto l’alcol di quella sera e probabilmente il poco cibo che aveva ingerito negli ultimi giorni, anche la propria anima. Sentiva tutto il nero, lo sporco che portava dentro di sé e che nell’ultimo periodo in particolare non stava facendo altro che consumarlo, mangiandolo dall’interno, evaporare fuori dal suo corpo assieme alle lacrime che gli stavano scorrendo sulle guance a causa degli sforzi.
Restò in quella posizione finché non si ritrovò a sputare fuori solo succhi gastrici, poi si rilassò contro la tazza, e sentì prima un sospiro, poi una mano scivolargli sulla guancia. Non se n’era neanche reso conto, ma Frank gli aveva retto la fronte e tenuto i capelli per tutto il tempo, in silenzio.
- Gee… - lo chiamò in un sussurro, vicino al suo orecchio - Gee, come stai? Ce la fai ad alzarti?
Gerard scosse debolmente la testa e fece una specie di sospiro, allora Frank si allontanò un attimo da lui. Tornò con un enorme secchio pieno d’acqua, e Gerard non fece neanche in tempo ad alzare lo sguardo che già gliel’aveva rovesciato in testa.
Inizialmente pensò che avrebbe dovuto uccidere il suo chitarrista appena ne avesse avuto le forze, ma poi cominciò a sentirsi subito meglio, quindi non fece altro che lanciargli uno sguardo mezzo scioccato, mezzo da cucciolo abbandonato in autostrada sotto la pioggia.
- Scusami… mi sono ricordato che l’ultima volta aveva funzionato… - Frank abbassò lo sguardo sui propri piedi e gli porse un asciugamano, lui allungò un braccio per prenderlo e se lo passò tra i capelli, poi se lo avvolse attorno alle spalle.
- Grazie - la voce gli uscì talmente roca da sembrare quella di un’altra persona. Il chitarrista fece quasi un sorriso, lo prese per le spalle e lo tirò su.
- Dovrebbero esserci dei miei vestiti qui, magari ti stanno un po’ stretti ma è meglio di niente. Andiamo di là.
- Dimmi che hai uno spazzolino, ti prego.
- Mmh - Frank fece un saltello per aprire il mobiletto sopra lo specchio del bagno, prese uno spazzolino pulito e un tubetto di dentifricio e glieli diede, dopodiché uscì dal bagno, probabilmente per andare a recuperare i vestiti di cui aveva parlato.
Gerard si lavò i denti, strofinando forte fino a eliminare quel saporaccio dalla bocca, poi, evitando con cura di guardarsi allo specchio, uscì a sua volta dal bagno.
Frank trafficava ancora nella piccola cucina, mentre una felpa e dei pantaloni della tuta erano poggiati sul divano, riscaldati dalla stufetta accesa lì vicino. Gerard, senza stare a pensarci troppo, si mise proprio davanti alla stufa e si tolse i vestiti bagnati, rimanendo in boxer.
- So che lo prendi amaro, ma se non ci mettevo un po’ di zucchero finivi di nuovo con la testa nel, oh - il chitarrista aveva parlato dandogli le spalle e si era interrotto non appena si era girato, essendoselo ritrovato quasi nudo in mezzo alla stanza - Cioè, uhm, volevo dire… lo zucchero. Sì. Ho messo lo zucchero nel tuo caffè. Scusa ma ci voleva…
Gli aveva fatto il caffè. Non solo era corso a prenderlo nel cuore della notte nonostante non si parlassero da anni e lo aveva portato in un posto dove non si gelasse e gli aveva tenuto la fronte mentre vomitava e gli avesse fornito una stufa, abiti puliti e uno spazzolino: gli aveva fatto anche il caffè. A Gerard spuntò sul viso un accenno di sorriso realmente sincero, il primo da anni.
- Grazie.
- Smettila di ringraziarmi e vestiti, che altrimenti… prendi freddo. Cioè, ancora più freddo voglio dire.
- Sì, signore - questa volta fece un sorrisetto vero e proprio e si infilò i pantaloni e poi la felpa, tirando un sospiro di sollievo al contatto dei tessuti morbidi e caldi con la sua pelle congelata.
Frank si sedette a gambe incrociate sul divano reggendo la tazza di Gerard, che si lasciò cadere accanto a lui con l’ennesimo sospiro e prese la tazza che il chitarrista gli porgeva. Se la portò sotto al naso e inspirò l’odore di quello che era nient’altro che il suo carburante quotidiano.
Bevve un sorso di caffè, poi si rilassò davvero, finalmente. L’ubriacatura non era passata e ciò lo spingeva a ragionare veramente poco su ciò che faceva, ma sta di fatto che si appoggiò a Frank e posò la testa sulla sua spalla.
- Gee, dobbiamo parlare, lo sai, vero? - lui portò una mano alla testa di Gerard, come una vecchia abitudine, e prese ad accarezzargli piano i capelli.
- Domani. Ti prego - il cantante finì il caffè, posò la tazza ai piedi del divano e sprofondò ancora di più nei cuscini, scendendo fino a raggomitolarsi su se stesso, la testa poggiata sulle gambe di Frank, a guardarlo dal basso.
- Va bene. Hey, sappi che ho scritto a Jamia che domani sarò fuori tutta la giornata. Ho davvero bisogno di parlare con te, Gerard. Non scappare via. Non farlo più. Ti prego lo dico io a te, ora - sarà stato l'orario, o la stanchezza, ma parlò quasi a supplicarlo, senza paura di mostrarsi debole.
- Non lo farò. Giuro su ciò che vuoi che domani sarò ancora qui.
- Mi fido.
- L’hai sempre fatto.
- Lo so.
Gerard sospirò. Non si meritava davvero tutto ciò che Frank gli dava. Non se l’era mai meritato, l’aveva sempre saputo e sempre sostenuto.
- Posso… Posso assicurarmi che quando mi sveglierò sarai ancora qui?
- Frank, ci sarò. Davvero. Comunque puoi fare quello che vuoi per accertartene. Io non avrei comunque la forza di impedirtelo, o fermarti. E, sinceramente, neanche la voglia. Non voglio andare via. Non ora. Domani sarò ancora qui - la voce del cantante andava affievolendosi sempre più, stanca come non mai.
- Va bene, va bene. Mi fido. Solo volevo… Ah, lascia stare. E in ogni caso, più che domani, io direi tra qualche ora - disse con l’ennesimo sospiro di quella notte che era parsa infinita e allo stesso tempo troppo breve.
Gerard gettò uno sguardo alla finestra: stava albeggiando, di già.
- Volevi solo…? Fa’ tutto ciò che vuoi, Frank. Non te lo impedirò. Non ti impedirò niente. Mai più.
- Okay.
Gerard si affrettò a chiudere gli occhi e a posare la mano su quella di Frank, che era ancora ad accarezzargli i capelli. La strinse forte, e l’altro ricambiò con ancora più forza. Si rese conto che quel contatto gli era mancato come l’aria. Che era un coglione. Che aveva rinunciato a tutto quello per… Per cosa? In quel momento non ne capiva proprio né ne ricordava il motivo. Forse era ancora l’ubriacatura che gli faceva fare certi pensieri. Possibile. Probabile. Disse a se stesso che, alla luce di tutto ciò che era successo quella notte, avrebbe dovuto, appena ristabilito l’ordine, fermarsi un attimo e mettersi a pensare. A pensarci. Ma tanto avrebbe dovuto parlarne anche con Frank. Glielo doveva, era davvero il minimo. Si rese conto anche di essere veramente, ma veramente stanco. Fece uno sbadiglio e Frank gli accarezzò la guancia con la mano che non stringeva la sua, poi lentamente scivolò al suo fianco. Sistemò un cuscino sotto le loro teste e si strinse a lui sul piccolo divano, continuando a passare delicatamente le dita sulla sua guancia e a stringere la sua mano nella propria. Gerard non ebbe neanche un attimo di esitazione: gli cinse la vita con braccio libero e lo strinse un po’ più forte, facendo aderire i loro corpi, poi affondò il viso nel suo collo, e lì rimase.

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Capitolo 4
*** Better get up while you can. ***


~Capitolo 4.
“And after all the blood that you still owe
Another dollar’s just another blow
So fix your eyes and get up
Better get up while you can”.


 

Frank si svegliò con un gran mal di schiena, ma non gliene importava niente. Non aprì neanche gli occhi. Sentiva il petto di Gerard che si alzava e si abbassava con calma contro il proprio, il suo respiro che gli solleticava il collo, le gambe intrecciate alle sue. Avevano dormito talmente stretti da lasciare spazio sul divano già minuscolo, e Gerard non aveva accennato a lasciare né ad allentare la presa sulla sua vita neanche per un secondo. Restò sveglio in quella posizione per un’infinità, continuando a passare le dita tra i capelli del cantante, arricciandosi le ciocche troppo lunghe attorno alle dita.
- Mmh… - Gerard fece uno strano verso e affondò ancora di più il viso nel collo di Frank.
- Gee… Gee… Così mi strozzi… Gee… - il chitarrista cominciò a tirargli piano i capelli per allontanarlo da lui, giusto perché potesse respirare.
- Nooo, lasciami, no - l’altro cominciò a lamentarsi come un bambino e strinse più forte la sua mano - Non voglio stare qui. Voglio tornare. Lasciami andare.
Frank smise di tirargli i capelli per focalizzare l’attenzione sulle sue parole. Potevano sembrare semplicemente un ammasso di frasi sconclusionate e senza senso, ma lui sapeva che non era così: neanche nel sonno Gerard aveva mai detto qualcosa che non avesse un significato.
- Amore, io ero felice, prima. Perché non posso tornare? Non voglio stargli lontano, basta, no - prese a lamentarsi più insistentemente, sembrava sul punto di piangere. Frank voleva capire, ma vederlo in quello stato non faceva altro che fargli male.
- Gee, svegliati - lo strattonò malamente per svegliarlo una volta per tutte - È solo un sogno.
Gerard sobbalzò e aprì gli occhi all’istante. Li piantò nei suoi, e le parole gli sfuggirono di bocca prima che se ne rendesse conto: - No, è la realtà.

Frank era seduto sul tappeto, una scatolina di cartone tra le mani e lo sguardo alzato su Gerard, che lo guardava a sua volta. Avevano chiamato il ristorante cinese più vicino e ordinato qualcosa da mangiare, visto che si erano alzati all’una del pomeriggio passata con gli stomaci brontolanti e nervi e ossa a pezzi.
Gerard aveva letteralmente infilzato un involtino con le bacchette e lo stava mangiando con calma, come a voler mettere alla prova il suo stomaco per vedere se potesse reggere, Frank lo guardava abbastanza inquieto, senza riuscire a mangiare i suoi noodles. Sentiva i nervi tesi come non mai, e se ne chiese il motivo. Era solo Gerard. Solo Gerard. Oh, merda, a chi avrebbe voluto darla a bere? Gerard non era mai “solo” Gerard. Non lo era mai stato. E questo rendeva Frank, in momenti come quello, terribilmente nervoso. Se qualche ora prima aveva potuto non pensare e agire semplicemente d’istinto perché l’altro era ubriaco, ora non poteva più permetterselo: lui era sobrio, lucido come non mai. Quando diavolo avrebbe iniziato a spiegargli?
- Allora… Perché questo posto ora è così?
La domanda prese Frank in contropiede. Quando l’aveva visto aprire la bocca, aveva creduto che si fosse finalmente deciso a parlare riguardo quell’assurda situazione.
- Io, uhm, diciamo che ho cominciato a venire a dormire qui abbastanza spesso, praticamente ogni volta che litigo con Jamia… Così mia madre ha preso la palla al balzo per trasformare questo posto in una specie di dependance.
- Ah… Perché litighi con Jamia?
- Gerard, non sono cazzi tuoi.
- Te l’ho chiesto solo perché anche io litigo con Lynz, non c’è bisogno che ti agiti tanto…
- Non c’è bisogno?! - Frank alzò il tono della voce. I nervi tesi lo stavano uccidendo, stava per scoppiare - Allora, una bella sera ti ritrovo in New Jersey, ubriaco da far schifo e in uno stato che mi ha fatto accapponare la pelle, dopo anni che non ti fai sentire, che mi hai abbandonato, così... E poi ti vieni a preoccupare del perché litigo con mia moglie, e io non dovrei incazzarmi? Ma vaffanculo, Gerard!
Il cantante lo guardò, probabilmente sorpreso dalla reazione così brusca, poi chiuse gli occhi e fece un sospiro di completa rassegnazione: - Immagino tu abbia ragione. Ma Frank, io non volevo che andasse così. Non l’avrei mai voluto. Perché, be’, non so come sei stato tu, ma io non sono stato bene. Per niente. Mi sembrava di morire ogni giorno, ed è ancora così. Mi dispiace.
- Ma perché è andata così?! Sarei dovuto stare meglio. Saremmo dovuti stare bene! - il chitarrista mise da parte la scatolina con il cibo e si alzò in piedi, diventando non molto più alto dell’altro che era ancora seduto sul divano. Gesticolava più del solito e sentiva il sangue affluirgli alle guance mano a mano che si scaldava, e non interruppe neanche per un secondo il contatto con gli occhi di Gerard.
- Non lo so! - il cantante posò a sua volta il contenitore del cibo cinese e si alzò, arrivando a sovrastarlo - Vuoi la verità, Frank?
- Certo che la voglio, cristo santo, Gerard! Smettila di nasconderti! Parlami! - ormai stava urlando, poi però si rabbuiò, e disse l’ultima frase quasi sottovoce - Una volta mi dicevi tutto.
Il cantante deglutì e fece una strana espressione, e, come Frank aveva abbassato la voce, lui abbassò lo sguardo: - Non avrei mai dovuto.
- Non mi pento di niente.
L’aveva detto con tanta sicurezza che aveva visto Gerard tentennare. Il cantante alzò di nuovo gli occhi su di lui e gli riservò uno sguardo triste talmente sincero che Frank sentì la stessa tristezza dell’altro entrare anche nel proprio corpo.
- Frank…
- Di niente. Davvero.
- Io… - Gerard alzò una mano e la posò sul suo braccio, senza stringerlo - Guardami… Guarda cosa sono diventato. Fino a qualche anno fa pensavo che i problemi seri della mia vita si sarebbero limitati a quelli con l’alcol e con la droga. Forse sarebbe stato meglio, perché, credimi, io non avevo idea che la depressione potesse uccidere. Non in questo modo. Ero già stato depresso, ma non era la stessa cosa. Ora sono morto dentro, Frank. Lo sanno tutti. L’ho detto a tutti. Quello che non ho mai detto a nessuno è il perché.
- E a me lo dirai?
- È da quando abbiamo rotto che mi sono perso.
Frank perse un battito. Gerard stava parlando della loro relazione? Non era possibile. Non l’aveva mai fatto. Neanche tra loro ne avevano mai parlato: si erano sempre limitati a sottintendere tutto, a parlare con gli occhi e con i gesti, senza mai aprire una discussione vera e propria. Forse era per questo che non aveva funzionato. Forse era per questo che, il giorno stesso che i produttori ebbero detto per la prima volta alla band che i loro “volgari teatrini omosessuali”, testuali parole, dovevano finire, Frank aveva chiamato Jamia, una sua vecchia compagna di classe per la quale aveva avuto una cotta, le aveva chiesto di uscire e poi aveva cominciato a mentire a tutti, anche a se stesso, dicendo che l’amava. Forse aveva pensato giusto quando Mikey gli aveva raccontato del matrimonio di Gerard, che aveva conosciuto Lynz e se l’era sposata tre mesi dopo. Tre mesi dopo il Giorno. Frank lo chiamava “il Giorno” perché era convinto che da lì fosse partito il declino della sua vita.

Lo ricordava ancora come fosse stato il giorno prima. Era passato più di un anno dall’inizio delle strigliate dei loro produttori, che loro avevano deciso di ignorare bellamente: alla fine non era nient’altro che un soddisfare i piaceri carnali, c’era semplicemente attrazione fisica tra loro. Così si ripetevano sempre. La sera prima di quel maledetto giorno, si erano esibiti a un festival e, tra l’eccitazione e l’alcol, era scappato loro uno di quei “volgari teatrini omosessuali”. Il giorno dopo i produttori si erano incazzati talmente tanto che avevano minacciato di rompere il contratto con il gruppo, e Frank si era ritrovato a promettere loro che non sarebbe successo mai più, perché aveva intenzione di chiedere a Jamia di diventare la sua ragazza e sarebbe perciò diventato un ragazzo serio. Gerard l’aveva guardato con un’espressione indecifrabile, si era voltato ed era uscito dalla sala della riunione senza dire una sola parola. Mezz’ora più tardi erano in tourbus, lasciati opportunamente soli dagli altri membri del gruppo, a urlarsi contro insulti e accuse di ogni genere.
“Quando avevi intenzione di dirmelo?!” il cantante sembrava talmente arrabbiato da avere gli occhi in fiamme.
“Ma che cazzo t’importa?! Tanto io e te scopiamo solamente, no? Non posso desiderare un punto fermo nella mia vita, anziché una fottuta bomba a mano che potrebbe esplodere da un momento all’altro?”
“Sei un chitarrista! Hai un gruppo a cui dare conto!”
“Il gruppo non decide della mia vita, Gerard.”
“Okay, sei così coglione da non tenere conto di ciò che pensano i tuoi amici, la tua seconda famiglia. Ma di ciò che penso io devi tenere conto per forza.”
“E perché mai nella mia vita dovrei tener conto di ciò che pensi tu?!”
“Perché io ti amo, porca puttana!”
Frank stava per ribattere, ma poi si era reso conto delle parole dell’altro e si era ritrovato a bocca aperta, gli occhi strabuzzati. Si era sentito le gambe cedere ed era caduto all’indietro, ritrovandosi sul suo letto, e Gerard gli si era già gettato contro con tutta la forza di cui era capace, ad assalirgli le labbra con rabbia e desiderio allo stesso tempo. Avevano fatto sesso ancora una volta.
Si stavano rivestendo in silenzio quando Frank aveva chiamato Gerard e, appena ottenuta la sua attenzione, gli aveva detto un deciso “Anche io ti amo.”
Non gli aveva dato il tempo di aggiungere nient’altro che già se n’era andato. Quella sera Gerard era uscito per conto suo, e aveva conosciuto Lynz. E da quel giorno non aveva più rivolto parola a Frank, se non in ambito lavorativo, per anni. A quanto pare era giusto ciò che avevano voluto i produttori, perché il gruppo era decollato ancora di più, e da lì si era affermato a livello mondiale. A quanto pare erano davvero sbagliati. Avevano fatto bene ad allontanarsi, sempre più, fino a sparire. Ma… Frank, in realtà, si era sempre posto delle domande: se tutto quello era stato giusto, perché tanto dolore? Se lasciar andare Gerard era stato giusto, perché Frank da quel giorno si era sempre sentito come se qualcuno gli stesse girando e rigirando, sadico, un pugnale nel petto? Perché erano arrivati al punto di sciogliere il gruppo? Nessuno di loro stava meglio con quelle azioni, anche se nessuno lo ammetteva.
Come poteva una cosa giusta dar tanto dolore?

- Frank, mi stai ascoltando?
Il chitarrista batté le palpebre e scosse la testa per riprendersi dall’ondata di ricordi e sensazioni che l’aveva investito all’improvviso e riprese a fissare presente gli occhi verdi dell’altro: - Oh, sì, scusa, stavo solo pensando… Quindi è da quando abbiamo rotto che…
- Il gruppo è stata la cosa migliore che potesse capitare nella mia vita. Lo sapevo già, ma me ne sono reso conto davvero solo nel momento in cui ho perso tutto. E sono stato orgoglioso, sono stato stupido, ho lasciato passare anni, e ho sofferto io, hai sofferto tu. Abbiamo sofferto tutti. Non volevo questo.
- Ah - l’ondata di delusione più potente della sua vita attraversò le ossa di Frank. Ecco, appunto, era impossibile che si riferisse a quella che era stata la loro relazione. Tra loro non c’era niente. In realtà non c’era mai stato niente. Erano stati solo sesso, e tante, inutili, parole. Perché si ritrovava sempre a pensare al contrario?
- Non so perché proprio ora, perché non prima, perché non dopo. Fatto sta che non voglio più soffrire - Gerard notò il suo sguardo e gli prese il viso tra le mani, portandolo a rivolgerlo verso l’alto, per guardarlo dritto negli occhi - E voglio che tu non abbia mai più uno sguardo del genere. Voglio che tu sia felice, Frank Iero.
Frank davvero non si spiegava il perché di quel comportamento: Gerard non era mai stato così. Poteva essere maturato ancora negli anni in cui non si erano visti, sì, ma in quel momento gli sembrava proprio un’altra persona. Era strano. Doveva essergli successo qualcosa, per forza, e Frank si ripromise che avrebbe indagato.
Intanto, non riusciva a scacciare quella sensazione orribilmente triste dal proprio petto, e non capiva perché. E avere Gerard così vicino, essere nelle sue mani praticamente, lo rendeva nervoso, e non capiva il perché neanche di questo. O semplicemente non voleva capirlo.
Sospirò e deglutì prima di parlare, questa volta a bassa voce, il tono tra il triste e il rassegnato: - Quindi, cosa vuoi fare, Gee?
Il cantante accennò un sorriso e parlò sicuro, le mani ancora sulle sue guance, guardandolo sempre fisso negli occhi: - Voglio rimettere insieme i My Chemical Romance.

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Capitolo 5
*** Take my fucking hand and never be afraid again. ***


~Capitolo 5.
“Stand up fucking tall
Don’t let them see your back
Take my fucking hand and never be afraid again
We’ve only got once chance to put this at an end”.


 

Gerard si rese conto che in quella situazione e in quella posizione, le opzioni riguardo ciò che Frank avrebbe potuto fare dopo la sua affermazione erano due: o annullava la distanza e lo baciava, o annullava la distanza e gli dava una testata in bocca.
Più probabile la testata.
- Mi prendi per il culo? - Frank fece un passo indietro e si sottrasse al suo tocco, guardandolo storto.
- No! - Gerard alzò le mani e lo guardò spalancando gli occhi - No, Frank! Guardami! Non vedi come mi sono ridotto? Quando mai ho parlato così? Mi conosci! - sospirò e abbassò le braccia, lo sguardo e il tono di voce contemporaneamente - Mi conosci più di chiunque altro.
Frank spostò il peso da una gamba all’altra in silenzio mentre, probabilmente, stava soppesando le sue parole: - Se quei due ragazzi non mi avessero chiamato, ora non sarei qui. E tu non mi staresti dicendo queste cose. No?
- Cosa credi ci faccia io in New Jersey, una sera a caso di gennaio? - Gerard alzò di nuovo lo sguardo su di lui.
- Cazzo ne so io? Magari andavi a trovare i tuoi. Ma non stavi venendo da me. Non sei mai stato tu a venire da me - Frank allacciò di nuovo gli occhi ai suoi e lo guardò tristissimo. Il cantante si sentì invadere da una sensazione orribile. Lui… teneva a Frank. L’aveva sempre fatto. E nella vita non aveva fatto altro che deluderlo.
- L’intenzione era quella, io volevo parlare con te. Stavo solo prendendo tempo perché sono un cagasotto, ma voglio cambiare. Sono già cambiato. Ti prego, dammi un’altra possibilità - questa volta era arrivato davvero a supplicarlo.
- È che non voglio illudermi, Gee…
- So che non è giusto quello che sto facendo, ma sono stanco di scappare anche da me stesso. E soprattutto da ciò che provo, e, per questo, Frank, ascoltami. Se io stessi… - deglutì prima di riprendere a parlare, cercando di ostentare nella voce una sicurezza che non aveva - Se io ora fossi qui. In questo momento. In questo preciso istante della mia vita, della nostra vita, a… Ad aprirti il mio cuore, come non ho mai fatto. A dirti che lo so che nella vita ho fatto tante cazzate, ma so anche che la più grande, oltre a quella della band, l’ho fatta con te. A dirti che la persona della quale più sento la mancanza sei tu. Se fossi qui a dirti che, da quando sono andato via da te quella sera, mi sono indurito talmente tanto da non capirmi più nemmeno io, che senza di te non faccio altro che stare di merda, costantemente, e che non faccio altro che sognarti ogni volta che dormo… Frank, se ti dicessi questo, mi crederesti?
Il chitarrista rimase in silenzio, gli occhi ancora incollati ai suoi, e Gerard vide passare nel loro riflesso le scene di una vita intera, di una vita precedente, che sembrava passata per non tornare più, andata via da troppo tempo e talmente di botto da sembrare irreale. Poi lo vide annullare la già poca distanza tra i loro visi, e chiuse gli occhi quando le loro labbra andarono a scontrarsi.
Fu un bacio violento.
Frank gli prese il viso tra le mani e si strinse a lui, Gerard gli circondò il busto con le braccia come a voler confermare che non era nient’altro che quello, ciò che voleva, ciò che stava aspettando da troppo tempo. Dischiuse le labbra con un sospiro e fece intrecciare la lingua con quella del suo chitarrista quando lui andò a infilare le dita tra i suoi capelli e a tirarli con forza, come se avesse voluto fargliela pagare per tutto ciò che aveva passato per colpa sua. E aveva ragione, ma ormai a Gerard non importava più niente. Il passato non contava più, dal futuro non voleva aspettarsi niente: c’era solo il presente, le labbra di Frank sulle sue, c’era solo Frank, Frank, Frank. E, si rese conto davvero, quella volta, non aveva mai voluto nient’altro.
Si separarono dopo quella che parve a entrambi un’eternità, una deliziosa eternità, e Gerard poggiò la fronte contro quella del chitarrista, gli occhi ancora chiusi, i respiri affannati che si mischiavano.
- Perché mi stai facendo questo? - fu Frank il primo a parlare, senza accennare ad abbandonare la strana posizione in cui si trovavano.
- Non voglio più nascondere ciò che sono. Non voglio più fuggire - Gerard sospirò e aprì gli occhi per incontrare di nuovo i suoi - Ma ho bisogno di qualcuno che mi aiuti. Ho bisogno di te.
Frank scosse la testa e si allontanò, poi prese a camminare per la stanza, gesticolando esageratamente mentre parlava: - Gee, ma ti rendi conto che non abbiamo più vent’anni? Siamo padri di famiglia, cazzo. Non possiamo prendere e agire d’istinto, fare cazzate come se nulla fosse! Ti rendi conto del fatto che abbiamo spezzato il cuore a migliaia di persone tre anni fa, vero? Abbiamo spezzato i nostri cuori. Abbiamo detto che saremmo andati avanti, che avremmo fatto altre cose… Abbiamo detto troppe cose. E adesso vorresti dire alla gente che erano solo parole, parole al vento? Bene, fallo! E poi? E poi, chi ti crederà più, Gerard? Io? Io ti credo perché ti amo e l’ho sempre fatto, ma come puoi pretendere che persone che neanche ti conoscono…
- Frank - Gerard l’aveva raggiunto al centro della stanza e gli aveva afferrato il polso per fermarlo sia dal gesticolare che da quel fiume in piena di parole che si stava riversando fuori dalla sua bocca. Quanto gli era mancato, cristo. Gli mise giù il polso guardandolo cauto, come ad accertarsi che non avrebbe ricominciato a dare di matto - Mi… Mi ami ancora?
- Senti, Gerard - il chitarrista chiuse gli occhi e prese un grosso respiro - Davvero, ascoltami tu, ora. Sediamoci e parliamone con calma, magari davanti a un tè, perché credo che stia per venirmi un esaurimento nervoso.

Dieci minuti dopo erano entrambi seduti sul divano con una tazza fumante in mano, l’idea di mangiare cinese presa e buttata nella spazzatura assieme ai contenitori del ristorante da asporto. Nessuno dei due aveva proferito parola, se non per i circostanziali “Quanto zucchero?”, “Quasi niente” e “Almeno i biscotti li mangi, vero?”, e ora erano di nuovo in silenzio, e Gerard riusciva a sentire il battito del cuore di Frank forte quasi quanto il proprio.
- Stai meglio? - gli chiese a un certo punto, la voce bassa.
Frank si prese un po’ di tempo per rispondere. Probabilmente non voleva lasciarsi scappare più nessuna cazzata, perciò stava ragionando sulle parole da usare per rispondergli. Forse stava cercando delle parole carine per non ferirlo troppo: alla fine, Frank conosceva Gerard, nonostante tutto, e doveva aver capito quanto gli fosse costato dire tutte le parole che gli aveva detto, e che stava continuando a digli, da quando si erano rivisti. Ma decisamente Frank non avrebbe dovuto avere paura di ferirlo: Gerard era sempre stato così stronzo, e l’aveva ferito così tante volte… Probabilmente, pensò, dopo tutto quello che aveva fatto, non meritava altro che un grandissimo calcio in culo anche solo per essersi permesso di pensare cose del genere, e per aver attraversato il paese principalmente per andare a rompere il cazzo al povero chitarrista che ormai aveva una vita nella quale lui non c’entrava niente, e quello era troppo buono come al solito. Non se lo meritava neanche un po’.
Frank continuava a tacere, e Gerard avrebbe giurato di poter sentire il ronzio forte e allo stesso tempo confuso dei suoi pensieri. Chissà che ragionamenti stava facendo. Forse stava cercando un modo di ritirare tutte le parole che aveva detto poco prima. Quel ti amo…
Il cantante rabbrividì e decise di concentrarsi sul biscotto che stava inzuppando nel tè. Vedeva i granellini di zucchero del biscotto sciogliersi nella bibita amara, e pensò che, dopotutto, era una strana metafora della sua vita: lui era il tè, amaro, e aveva deciso di essere così da quando ne aveva memoria. Gli era stato chiesto più volte se avesse voluto dello zucchero, ma lui aveva sempre rifiutato, forte e fiero del suo sapore. E poi, poi era apparso nella sua vita quel fottuto biscottino con i granellini di zucchero sopra, e lui gli aveva permesso di spugnarsi nel suo tè. Lo scambio non era stato equo, però. Il tè aveva permesso allo zucchero del biscotto di addolcirlo, e non aveva fatto altro che uscirne più debole, non aveva più il sapore duro di un tempo. E il biscotto si era spugnato nel tè amaro, aveva perso la sua dolcezza, la sua innocenza, ed era diventato simile al tè, e ora arrivava anche a capire come ci sentisse a essere così fottutamente amari.
Bella merda.
- Ci sto.
- Mh? - Gerard batté le palpebre perplesso e portò lo sguardo dal biscotto che ormai stava affondando nella tazza tra le proprie mani al viso di Frank, che ora lo guardava con un’espressione… Sicura?
- Ho detto che ci sto. Cazzo, Gerard, un po’ di entusiasmo. Hai attraversato il paese per questo, no? - evidentemente Frank stava provando a mantenere una certa serietà, visto che cominciò a bere qualche sorso del suo tè dolce e il sorrisetto che stava trattenendo lo nascose dietro la tazza.
- Ma cosa… Frank, sul serio? Sul serio? - Gerard invece per poco non rovesciò la sua, di tazza - Sei un fottuto biscotto, Frank, cazzo!
- Eh?
- Niente - il cantante camuffò una risata, posò la tazza col tè per terra e si sporse a prendere il viso di Frank tra le mani per lasciargli un bacio sulle labbra - Sei sicuro? Perché non accetterò ripensamenti.
Frank fece una specie di smorfia, il viso ancora schiacciato tra le mani di Gerard: - Fa’ in modo che io non ci ripensi.
- Lo farò - lo lasciò andare e si tirò in piedi, per poco non batteva le mani per la felicità - Questo è un cazzo di nuovo inizio. Voglio riparare tutti i miei errori. Davvero - tornò a guardarlo sorridendo, gli occhi che quasi brillavano.
- Sicuro che non sia passato a trovarti il fantasma dei Natali passati o qualcosa del genere? No, perché sei proprio stravolto, Gee - il chitarrista non poté far a meno di lasciarsi contagiare dal suo sorriso.
- Voglio spiegarti tutto, ma ora non è il momento, davvero. Abbiamo un bel po’ di cose da sistemare.
- Tipo? - Frank finì il suo tè e si alzò a sua volta, prese le tazze di entrambi e andò a posarle sul ripiano della piccola cucina.
- Tipo un bel po’ di cose che riguardano noi, i nostri impegni, la nostra serietà e magari anche il nostro essere padri di famiglia, eh. Ma possiamo pensarci con calma, a tempo debito. Ora abbiamo una missione di vitale importanza da compiere.
- Gee, hai intenzione di continuare a lasciare le frasi in sospeso ancora per molto oppure puoi evitarmi la pena di cercare di indovinare le diecimila idee che ti passano per la testa?
Frank rise e Gerard sbuffò, ma anche lui ridendo: - Non è neanche così difficile se ci pensi.
- Ah, sì? E allora svelami questo arcano tanto ovvio, perché sto diventando abbastanza curioso di sapere di cosa tratta questa missione di vitale importanza.
- Be’, direi che, per riformare una band, abbiamo bisogno dei membri della band che vogliamo riformare.
- Vuoi dire che…?
- Sì, voglio dire che devi prendere le chiavi della macchina, perché stiamo per autoinvitarci a casa di Ray.







_____________________________________________

Angolo Autrice:
Okay, è la prima volta che scrivo dopo il capitolo ma tranquilli, non accadrà praticamente mai più perché sono TROPPO pigra per mettermi a scrivere altre cose oltre alla storia (e perché so che, a differenza mia, nessuno legge mai ciò che le autrici scrivono nell’angolo autrice LOL)
Volevo dire solo un paio di cose e poi giuro che non rompo mai più, a meno che non succeda qualcosa di grave (???) per cui debba farlo (e speriamo di no, va’)
Allora, la prima è che avrete notato che aggiorno un po’ ad cazzum, e sarà sempre così, perché dipende da quando ho il tempo di scrivere e soprattutto di pensare (visto che ho talmente tanti impegni che a volte non trovo il tempo neanche per guardarmi allo specchio e sputarmi in faccia e vbb lol) eee niente, vi chiedo scusa per questo.
Poooi, l’html. Allora, io non so se la storia è graficamente leggibile, perché sono costretta ad aggiornare dal minicessopc di mia sorella con l’editor di efp e GIURO che non c’è niente di più odioso di queste due cose messe insieme lol E NON AVETE IDEA DI QUANTO MI FACCIANO INCAZZARE AAAAAAAAHHHH ma va be'. E quindi boh, se volete che trovi un qualche altro modo per rendere la grafica più visibile, fatemelo sapere e mi ingegnerò.
Tutto qui, credo.
Infine, i ringraziamenti: allora voglio ringraziare le quattro deliziose personcine che hanno recensito gli scorsi capitoli, le tre che hanno messo la storia nelle ricordate, le sette tra le seguite e le dieci tra le preferite (potrei piangere okay) e comunque grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ovviamente i ringraziamenti particolari vanno alle FANTASTICHE personcine di twitter che mi hanno spinto a pubblicare questa storia e che mi spronano a continuare (minacciandomi ma vbb). Quindi un abbraccio alle patate del gruppo Cereal Killers (perché i messaggi nei cereali di Ray >>>>>) e anche alle patate del gruppo per la lettera a Frank (che in questo momento si chiama Frankie curioso bc L’ICON LOL *pedoluna*) e OBV a tutte le persone di twitter in generale che leggono questa ff e che mi picchieranno se non la smetto di scrivere cazzate.
Siete fantastiche. Tutte.
Giuro che non scriverò mai più un angolo autrice. Mai più. Adios.
-Elis♥

(se lasciate qualche recensione non mi offendo anzi lalalalalala grz vvb ve se ama chau)

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Capitolo 6
*** I won't go down by myself. ***


~Capitolo 6.
“Life is but a dream for the dead,
And well I, I won’t go down by myself,
But I’ll go down with my friends”.


 

Frank teneva le mani salde sul volante mentre guidava verso casa Toro, ma non riusciva a prestare quanta attenzione avrebbe dovuto alla strada. Gerard, seduto accanto a lui in auto, sembrava un bambino al quale è stato detto che la prossima tappa sarà il negozio di caramelle: quasi si metteva a saltellare sul sedile, e non aveva smesso di sorridere neanche per un secondo.
Il chitarrista teneva il viso rivolto verso la strada, ma lo sguardo e i pensieri su di lui. Non aveva mai visto Gerard così. L’espressione di morte che aveva visto nei suoi occhi solo la notte prima sembrava non essere mai esistita, e sarebbe potuta benissimo essere tutta un frutto della mente di Frank, suggestionata dall’incubo che aveva fatto poco prima, ma lui conosceva Gerard e sapeva quanto lunatico fosse, e soprattutto quanto pochissimo bastasse a rovinargli l’umore. Poteva essere passato del tempo, poteva essere cambiato, ma fisso nella sua memoria restava sempre lo stesso Gerard Way, il ragazzino che da emo depresso era passato a giocare a fare la diva, ma si era sempre nascosto dietro del sarcasmo da quattro soldi e tanta, tanta stronzaggine. Il Gerard Way che, nonostante tutto, Frank aveva imparato ad amare. E da lì era stata quasi sempre una bella situazione di merda perché, pur volendo, non era mai riuscito a smettere.
Non avevano ripreso l’argomento, prima, e questa cosa stava cominciando a mandare il chitarrista fuori di testa. Gerard gli aveva fatto una cazzo di dichiarazione oppure no? E lui, coglione, tra una parola e l’altra, gli aveva davvero detto che lo amava? Porca puttana, si erano frequentati per quasi tre anni nel periodo in cui non erano altro che ragazzini stupidi in preda agli ormoni, e, lì che potevano, non si erano mai arrischiati a dire cose del genere. Non si erano mai spinti a dire niente che riguardasse i sentimenti, in realtà, e probabilmente era questo il motivo per il quale Frank era stato così male quando si era reso conto di amarlo davvero, troppo tardi.
Ma che cazzo gli aveva detto la testa quando aveva deciso di chiamare Jamia per la prima volta, quel giorno? Spesso Frank pensava a come sarebbe potuta andare se non l’avesse fatto. Se Gerard non avesse smesso di parlargli e non avesse conosciuto Lynz, se nessuno dei due si fosse sposato. Be’, non sapeva come se la passava l’altro con la moglie, ma tra lui e Jamia ormai era un vero e proprio disastro. Stavano ancora insieme solo per Miles e le gemelle, e su questo avevano anche concordato. Jamia diceva che Frank era troppo assente. Che il lavoro lo prendeva, sì, ma che anche quando era a casa era come se non ci fosse: che per lei non c’era mai. E come biasimarla se s’incazzava? Lui non l’aveva mai amata, pur avendoci provato. E, oh, Frank ci aveva provato tantissimo, ci aveva provato per anni, ma non ci era mai riuscito. Niente. Le uniche creature che Frank Iero era riuscito ad amare più di Gerard Way, erano i suoi figli, e Jamia lo sapeva. E avevano cominciato a litigare ogni giorno da quando lei aveva deciso di arrendersi perché, nonostante fossero anni che neanche si vedevano, Frank ancora continuava a sussurrare il nome di Gerard nel sonno.
Un clacson lo riscosse dai suoi pensieri e fu costretto a sterzare così bruscamente che Gerard (col cazzo che metteva la cintura di sicurezza o anche solo che stesse seduto composto) gli finì addosso. Si fermò subito, dopo l’incrocio che aveva attraversato senza guardare, gli occhi sbarrati e Gerard che lo guardava ancora a pochi centimetri dal suo viso.
- Sai, vorrei arrivarci vivo a casa di Ray. Ho una band da riformare.
- Mh. Sì. Scusa - Frank deglutì, mezzo sconvolto per l’incidente sfiorato e anche l’improvvisa vicinanza dell’altro, poi alzò lo sguardo e si rese conto che, senza pensarci, aveva guidato fino al quartiere dove abitava Ray - Siamo arrivati, comunque.
- Mmh - Gerard annuì, ma non si mosse da quella strana posizione acquisita dalla brusca sterzata - E hai intenzione di parcheggiare qui in mezzo alla strada oppure di accostare, come le persone normali?
- Ma io non sono una persona normale…
- Frankie - il cantante gli fece un sorrisetto quando usò per la prima volta dopo così tanto tempo quel ridicolo nomignolo e a Frank si strinse il cuore - Questo lo so benissimo. L’ho sempre saputo. Ma, in questo frangente, per “persone normali” intendevo “persone che non vogliono la loro automobile sequestrata da uno schifoso carro attrezzi del New Jersey”. Chiaro?
- Ah. Sì, uhm - Frank arrossì lievemente (dannazione, a trentaquattro anni ancora stava ad arrossire quando faceva una mezza figura di merda?) e, con ancora Gerard addosso, ripartì, per parcheggiare l’auto di fronte casa di Ray - Hai intenzione di restare così per sempre o…?
- Preferirei una posizione più comoda ma sì, potrei starti addosso anche tutta la vita - il cantante gli fece un sorrisone.
- Gerard… - Frank lo disse come un lamento e lui probabilmente capì, perché lo guardò come a chiedergli scusa e si spostò.
- Mi sei mancato così tanto che vorrei comportarmi come se non fosse mai successo niente, ma mi rendo conto che non è possibile. Davvero, scusami… - si rimise al suo posto e guardò oltre il vetro del finestrino, probabilmente cercando di individuare la casa di Ray.
- Gee, non… Non devi chiedermi scusa - Frank spense il motore della macchina ma non accennò neanche a scendere: voleva mettere in chiaro le cose una volta per tutte, non riusciva più ad aspettare. Se dovevano autoinvitarsi a casa del loro amico, potevano farlo anche dieci minuti più tardi. - Lo so che può sembrare assurdo, perché anche il tuo ragionamento un po’ lo è, ma lo capisco. Ti capisco. Anche io vorrei che fosse possibile fare così. E forse… Insomma, potrebbe esserlo. Potremmo farlo. Siamo stati stupidi, ma eravamo dei ragazzini, sono passati più di dieci anni e direi che entrambi siamo cresciuti e ormai abbiamo capito cosa vogliamo. No?
Il cantante annuì piano guardandosi le mani che teneva in grembo, improvvisamente di nuovo timido di fronte alla presa di posizione di Frank, che prese un profondo respiro e girò completamente il busto verso di lui quando riprese a parlare.
- Io… Io sono disposto a ricominciare. A ricominciare daccapo, con il gruppo, con te, con la mia intera vita praticamente, e non ti chiedo certezze in cambio. Sono disposto a fare un fottuto salto nel vuoto, ancora una volta, per te. Ora abbiamo il passato dalla nostra parte, abbiamo l’esperienza, sappiamo in cosa abbiamo sbagliato e potremmo rimediare agli errori futuri più facilmente… Possiamo trovare il modo di sistemare i problemi che ci sono ora, fare questo salto e ripartire a vivere, felici per una cazzo di volta. Io sono disposto a saltare. Io sono pronto a saltare, Gee - e mentre lo diceva si rese conto che era davvero così, che non aspettava altro per tornare a respirare, e si sentì, per la prima volta dopo anni, di nuovo pronto a vivere, di nuovo così fottutamente vivo. Allungò una mano e la portò sotto al mento di Gerard ad alzargli il viso per poter guardare quegli occhi così fottutamente verdi e per mostrargli con i propri quanta verità ci fosse in tutto ciò che stava dicendo: - Ma ho bisogno che tu non mi lasci, Gee. Ho bisogno che tu non mi lasci più, perché, se mi lasci questa volta, io crollo. E se crollo quando tu non ci sei, non ho nessuno a riportarmi in superficie. Ma io sono pronto a saltare, Gee - ripeté, e riuscì a scorgere un guizzo tra il verde degli occhi del cantante fissi nei suoi - E tu?
Gerard sembrava aver assorbito completamente tutte le sue parole. Lo stava guardando con un’espressione che diceva tutto, ed era un’espressione che Frank conosceva abbastanza bene. Certo, non bene quanto avrebbe voluto, ma abbastanza, e il chitarrista sentiva in tutto il corpo la sensazione meravigliosa, il presentimento che sarebbe riuscito a conoscerla ancora meglio, sicuramente meglio. E presto, anche.
- Salti tu salto io? - il cantante se ne uscì con un sorrisino e quella ridicola citazione che però in quel momento, dopo il suo discorso, Frank dovette ammetterlo, ci stava fottutamente bene.
- Lo sai che se tu sei Jack alla fine muori, vero?
- Lo sai che se tu sei Rose potresti spostare il tuo grosso culo e farmi spazio su quel cazzo di pezzo di legno sul quale io ti ho fatto salire, vero?
- A costo di farci affondare entrambi.
- Ma io non voglio morire…
- E che sarà mai la morte? Abbiamo superato di peggio.
- Frank, ho letto della mia morte più volte di quanto avrei voluto. Tu non hai idea di quanto siano sadiche le autrici di fan fiction. E perciò ti dico: cazzo, la morte è una merda!
Frank non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere, contagiando subito anche Gerard.
Era questa, quella che un giorno sarebbe potuta essere felicità? Parlare con Gerard di cazzate e finire entrambi a ridere come due cretini? Possibile. Guardarlo negli occhi che finalmente erano vivi e vederlo sorridere grazie a lui? Probabile. Vedere le labbra di lui che si avvicinavano alle sue per poi poggiarvisi sopra, e sospirare in un nuovo e bellissimo bacio? Oh, sì.

- Bussa tu.
- Il cazzo! Tu hai sciolto la band, tu vuoi riformarla, tu bussi.
- Sei un fottuto bambino, Frank, che cazzo ti costa bussare a una cazzo di porta?
- Ma stai facendo tutto da solo, perché dovrei bussare io?
- Frank, bussa a questa dannata porta!
- No!
- Frank!
- Gerard!
- Bussa!
- Ma perché cazzo devo farlo io? Vaffanculo, oh!
- Oh, davvero, non credevo fossi così infantile. Bussa a questa cazzo di porta, Frank!
- Anche se io busso parli tu, lo sai?
- … Mh.
- Gerard.
- Sì, sì, okay! Ora bussa a questa cazzo di porta!
Ma Frank non fece in tempo a compiere il gesto per il quale quasi si prendevano a capelli, perché la porta si aprì da sola, e una figura femminile che già conoscevano lanciò loro un’occhiata perplessa.
- Frank, Gerard... quanto tempo… Posso aiutarvi in qualche modo? - Christa, la dolcissima moglie di Ray, si era appoggiata allo stipite della porta e li stava squadrando con una strana espressione sul viso.
Gerard boccheggiò e Frank gli lanciò un’occhiata assassina prima di prendere parola, gesticolando esageratamente: - Ehm, ciao Christa, come stai? Noi, ehm, siamo passati per parlare con Ray… È in casa, per caso?
Sentì Gerard trattenere un risolino idiota probabilmente dovuto allo stupido gioco di parole che gli era uscito a causa della sua incapacità di parlare decentemente sotto pressione, e gli tirò una gomitata.
Christa si mordicchiò un labbro mentre li guardava sovrappensiero, poi sospirò e si fece da parte: - È nel suo studio, entrate. Però, ragazzi, vi chiedo un favore: io non so perché siete qui e non voglio impicciarmi nei vostri affari, ma vi chiedo di non digli niente di avventato o che possa farlo star male. Magari può sembrare che se la sia passata meglio di voi, ma vi assicuro che non è così. Anche lui si è ripreso da poco, e non avete idea di quanto mi abbia fatto preoccupare…
- Ehi, Christa, non preoccuparti - Gerard (che a quanto pare aveva ritrovato la facoltà di parola, e Frank voleva ucciderlo per averlo costretto all’ennesima figura di merda della sua vita) si fece avanti e le poggiò una mano sulla spalla - L’ultima cosa al mondo che vogliamo è fare del male a Ray. Lo sappiamo benissimo che è la persona migliore che si possa incontrare nell'arco di una vita intera.
Sorrisero tutti e tre per la verità appena pronunciata dal cantante, poi lei annuì e li lasciò entrare in casa, indicando l’ultima porta a sinistra del corridoio come quella dove si trovava il chitarrista.
Questa volta Gerard bussò senza esitazione e, quando la porta dello studio si aprì, l’urlo eccitato del capellone si sentì in tutta la casa.
- STRONZI! - aveva gridato felice e li aveva stretti entrambi in un abbraccio stritolatore - Che diavolo ci fate qui? Insieme, poi!
Frank e Gerard si guardarono e sospirarono quasi contemporaneamente, rendendosi conto di quante cose avrebbero dovuto spiegare, e che Ray era solo il primo di una lunga serie di persone. Poi entrarono nello studio e si misero comodi, e cominciarono a parlare.

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Capitolo 7
*** Maybe they'll leave you alone, but not me. ***


~Capitolo 7.
“So darken your clothes
or strike a violent pose,
Maybe they’ll leave you alone,
but not me”.


 

- Cazzo, sì! Sì, oh, porca puttana, ragazzi,! E c’era bisogno di fare tanti giri di parole? Ovvio che ci sto, cazzo! Che sono quelle facce da funerale? Credevate davvero che potessi mandarvi via insultandovi e magari prendendovi anche a calci in culo? Quanto siete stupidi, mamma mia.
- Anche noi ti vogliamo bene, Ray, eh.
Risero tutti e tre e si ritrovarono stretti nell’ennesimo abbraccio del capellone, pur stando tutti seduti su una poltrona diversa.
- Oh, quanto mi siete mancati… Ma perché abbiamo fatto quella cazzata? - Ray sospirò e allungò le braccia a scompigliare i capelli a entrambi.
- Perché Gee doveva farsi biondo pancake e farsi picchiare con dei pancake, e se ai tempi fosse stato ancora lo stesso tizio che si masturbava su un palco sarebbe stato poco credibile nella parte di adoratore e amante di una cosa così pura e dolce come un pancake - se ne uscì Frank ridendo, poi si girò verso di lui e aggiunse serio: - A proposito, questi capelli biondi fanno veramente schifo. Necessiti di una tinta.
- Grazie Frankie, sei sempre così gentile. Vuol dire che dopo andrò a comprare una tinta nero pece e poi me la farò da solo in onore dei vecchi tempi, e poi già che ci sono mi infilo il completo da parata e vado a farmi un giro nel cimitero più vicino - Gerard sbuffò una risata e accavallò le gambe, mettendosi seduto più comodo sulla poltrona che si trovava nello studio di Ray - E comunque, quello era un fottuto programma televisivo, ed era l’anno scorso! Come cazzo fai a ricordartene?
- Non si dimentica una cosa sulla quale hai riso istericamente per una settimana intera. Per tutta la settimana, Gerard. Tutta. La. Settimana.
- Per “ridere istericamente” intendi che ti facevi le seghe pensando a me che mangiavo pancake o…?
- Decisamente non siete cambiati per niente - Ray decise, saggiamente, di interrompere sul nascere la discussione sui pancake prima che degenerasse - Ed è alquanto strano, visto che di solito le persone fanno una cosa strana che si chiama “maturare”, con gli anni, mh.
- Ci conosci, Ray - Frank rise e gli batté una pacca sulla spalla dopo essersi alzato dalla poltrona sulla quale era stato seduto per tutto il tempo in cui avevano parlato - Non cambieremo mai.
- E non avete la minima idea di quanto questo mi faccia piacere - il chitarrista li guardò entrambi con uno dei suoi vecchi sorrisi, quelli che a Gerard erano sempre piaciuti perché erano talmente sinceri, e soprattutto sentiti, da far male al cuore.
Il cantante non poté fare a meno di lasciarsi contagiare dal suo sorriso, anche perché lo sguardo poi gli cadde su Frank, e si era reso conto di non riuscire mai a non sorridere, o a non essere felice, se si trattava di lui, qualsiasi cosa riguardasse lui.
Fu l’ingresso nella stanza di Christa che chiedeva loro se restassero a cena che fece rendere conto a Gerard di quanto fosse terribilmente tardi.
- Oh, no, grazie mille, Christa, ma è davvero tardi, e io devo fare delle commissioni… La prossima volta però non ce lo facciamo ripetere due volte, non è vero, Frank?
- Già, specialmente perché ricordo molto bene le tagliatelle che ho mangiato l’ultima volta che ho cenato qui, e non mi dispiacerebbe replicare - lui sorrise e tese al cantante la mano per aiutarlo ad alzarsi dalla poltrona nella quale ormai era sprofondato, e lo tirò su.
- Andate via? Be’, ma allora come restiamo? Nel senso, okay, riformiamo i My Chem, e poi? - non appena la moglie uscì dalla stanza, anche Ray si alzò e cominciò a fare domande che riempirono Gerard di ansia: c’era così tanto da fare…
- Siamo venuti solo a chiederti se ci stavi, Ray. Per ora non abbiamo ancora niente di concreto in mano, dovremmo lavorarci, come, del resto, abbiamo già fatto una volta… Domani, appena torno a L.A., chiedo anche a Mikey, anche se dubito che siano problemi, poi chiamo James, poi ci cerchiamo un batterista e poi contattiamo di nuovo la casa discografica. Ci serve solo un po’ di tempo per fare le cose con calma, ma andrà tutto bene. Me lo sento. Lo so - il cantante sorrise brillante, a dissimulare l’agitazione che in realtà stava cominciando a provare, e si infilò la giacca - Tu ti fidi di me, Ray Toro?
Ray lo guardo con un’espressione che faceva tanto “che cazzo di domande sono queste se non la finisci ti piglio a calci in culo”: - Certo, che mi fido di te, Gerard Way.
Porca merda.

- Che commissioni devi fare?
- Eh?
- Prima, da Ray, hai detto che dovevi fare delle commissioni.
- Ah, sì. Mh, devo andare a comprare la tintura perché mi hai davvero convinto a cambiare tinta, e poi andare all’albergo dove avrei dovuto soggiornare per far sapere loro che sono ancora vivo, credo. Quindi magari se mi lasci alla stazione… - Gerard si strinse nelle spalle nel rispondergli e portò le mani alla bocchetta del riscaldamento, per provare a scongelarle dopo che il gelo le aveva assalite nel breve tratto tra casa di Ray e l’auto di Frank.
- Col cazzo che ti faccio prendere il treno, ti accompagno io. Dov’è l’albergo?
- Frank, è a New York. Ero lì per lavoro, me l’hanno prenotato lì. E sono venuto qui col treno comunque, quindi direi che posso tornare lì allo stesso modo.
- Ragiona con calma, Gee. È tardi, non metterò te, Gerard Way, su un treno per New York a quest’ora. Finirebbero per rapirti, o stuprarti, o qualcosa del genere.
- Oh, ti prego…
- Facciamo che stanotte dormi qui, e domani decidiamo se prendi il treno o ti ci accompagno io in aeroporto, okay?
- Frank, le mie cose sono tutte nella mia valigia, che è in albergo. Non posso restare ancora qui.
- Oh ti prego lo dico io. Come se fosse mai stato un problema. Ti presto io qualcosa, poi il divano in realtà è un divano-letto, quindi non devi neanche stare scomodo. Ta dan, perché devi farti tanti problemi?
- Facciamo che resto solo se dormi con me.
- Ah.
- Già.
- Gee, non posso…
- Oh, andiamo, Frank, perché ti fai tanti problemi?
Il chitarrista fece per ribattere, ma probabilmente si rese conto che il cantante aveva appena usato le sue stesse parole contro di lui per vincere. Tipico.
Gerard sorrise e gli mimò con le labbra un “fregato” mentre Frank premeva il piede sull’acceleratore e contemporaneamente gli mostrava il medio.

Frank aveva chiamato Jamia per dirle che non sarebbe tornato a casa neanche quella sera con un sospiro rassegnato, un’alzata di spalle e un “tanto so già come finirà questa storia”. Gerard non gli aveva chiesto come credeva che sarebbe andata a finire, e per adesso non voleva pensarci neanche lui.
Erano tornati al piccolo prefabbricato dove aveva ormai capito che il chitarrista dormiva abbastanza spesso: a un’occhiata più attenta, si era accorto di quanto effettivamente fosse vissuto quel piccolo spazio. L’armadio era pieno di vestiti, il frigorifero e i mobili della cucina pieni di cibo e cose varie, c’erano parecchi ricambi di lenzuola pulite e il tappeto decisamente non aveva su la polvere che ci sarebbe stata se quel posto fosse stato semi-abbandonato.
Appena arrivati si erano fatti entrambi una doccia e avevano indossato dei vestiti puliti e ora, mentre Frank sistemava il divano-letto per la notte, Gerard stava preparando l’ennesimo caffè della giornata.
- Ma riesci a dormire con tutta questa caffeina in corpo? - il chitarrista aveva alzato lo sguardo dalle coperte che stava sistemando e lo aveva posato su di lui che era intento a versarsi il caffè in una tazza.
- Il mio corpo è abituato. Anzi, senza, ormai, mi è difficile fare qualsiasi cosa, è come una droga. E, insomma, meglio questa droga che altre - Gerard si portò la tazza fumante alle labbra e ci soffiò sopra per non scottarsi - E comunque non ho mai dormito tanto, lo sai.
- Credevo che almeno il vizio di dormire l’avessi preso - Frank sorrise e andò a spegnere la stufetta che avevano tenuto accesa da quando erano tornati: l’ambiente ora era accoglientemente caldo, a differenza del gelo che si poteva percepire dando uno sguardo fuori dalla finestra, e le coperte che il chitarrista aveva sistemato sul letto sembravano belle pesanti, quindi della stufa sicuramente non c’era più bisogno.
- Nah, non fa per me - il cantante fece una smorfia e poi bevve il suo caffè con calma, sorridendo.
- Mi sa di no - Frank sorrise a sua volta e si lasciò cadere sul letto con un sospiro - La mia vita è cambiata radicalmente nel giro di ventiquattr’ore. Ancora una volta.
- La tua vita è cambiata radicalmente nel giro di ventiquattr’ore già una volta? - Gerard posò la tazza vuota nel lavandino, andò a spegnere la luce e poi a buttarsi accanto a lui sul letto.
- Mmh - il chitarrista annuì e si mise a pancia in giù, puntando i gomiti nel materasso e guardandolo così dall’alto, nonostante la quasi totale assenza di luce - La mia vita è cambiata radicalmente in meno di ventiquattr’ore quando, un bel giorno del 2001, sono rimasto fottutamente incantato dal cantante dello stupido gruppo che apriva un concerto di quello che ai tempi era il mio, di gruppo.
- Ah, davvero? - Gerard sorrise a quell’affermazione e decise di stare al gioco - Incantato, addirittura? Doveva essere proprio un bel tipo. Molto figo. Affascinante. Sicuramente.
- A dir la verità, no. Era un cazzo di sfigato di merda, e aveva una faccia di cazzo assurda, non hai proprio idea.
- Ma…
- Però aveva una voce che… Boh. Poi stava sul palco che sembrava un idiota, e io…
- Insomma, in pratica era lo scarto dell’umanità, ma ti ha incantato.
- Forse. Non so cosa avesse di particolare, ma era così… Oh, davvero, non lo so. Sta di fatto che ricordo che, nel momento in cui lo vidi, pensai che prima o poi saremmo finiti a letto insieme.
- Oh, davvero? - Gerard scoppiò a ridere - E, dimmi, è successo?
- Qualche volta - Frank si lasciò contagiare dalla risata e gli passò una mano tra i capelli per scostarglieli dal viso - Sai com’è, lasciai la mia band per unirmi alla sua solo per arrivare a quello.
- Davvero? - ripetè, e ora però lo guardò allarmato, preoccupato che quello che gli stava dicendo potesse essere vero.
- No, Gerard, no - il chitarrista rise e gli diede un bacio sul naso - I Pencey Prep si sciolsero. E poi, non sono il tipo di persona che lascia un gruppo ed entra in un altro solo per inseguire delle folli fantasie sessuali su uno strano ragazzo emo.
- Ma per seguire uno strano ragazzo emo e basta, sì - Gerard si tirò sui gomiti, avvicinò il viso al suo e parlò, il tono più basso di prima, a pochi centimetri dalle sue labbra.
- Già - Frank sorrise rispondendo in un sospiro, e annullò la distanza.
Quello fu un bacio diverso da tutti gli innumerevoli baci che si erano scambiati nel corso di una vita: erano sempre stati violenti, dati come se avessero sempre avuto paura che ognuno fosse l’ultimo. Ora, invece, erano entrambi calmi, gli ultimi avvenimenti li avevano portati a quel momento che sembrava fuori dal mondo, perfetto, e quel bacio fu dolcissimo. Frank portò la mano alla guancia di Gerard e si strinse a lui mentre le loro labbra si accarezzavano delicate, e Gerard sorrise, beato. Quando quel bacio finì ne arrivarono subito altri simili, quale più lungo, quale più intenso, ma tutti dolci alla stessa maniera. Poi Gerard si tirò su e, senza smettere di baciarlo, invertì le posizioni, andando a stendersi su di lui. Posò le mani sui suoi fianchi e li strinse piano, Frank circondò i suoi con le gambe e andò a infilare entrambe le mani tra i suoi capelli. Gerard invece infilò le mani sotto la sua maglietta e gli scappò un sorrisetto soddisfatto quando lo sentì rabbrividire al suo tocco.
I baci andarono a intensificarsi sempre più, senza però perdere la dolcezza che li stava caratterizzando dall’inizio. Una cosa che entrambi stavano perdendo, però, era la calma: Gerard sfilò la maglietta a Frank e cominciò a riempirgli il collo di morsi alternati ad altri piccoli baci, poi prese a scendere, continuando con lo stesso trattamento sul petto e poi sul ventre, andando a stuzzicare in particolare i punti in cui i tatuaggi gli marchiavano la pelle. Lo sentì inarcare la schiena sotto di lui e trattenere il respiro, e sorrise ancora. Quando Frank cominciò a tirargli i capelli, impaziente di baciarlo ancora, si tirò su di nuovo e lasciò che gli sfilasse la maglietta, per poi andare a poggiare il petto nudo contro il suo. Avevano entrambi già il fiatone, e le mani cominciavano a vagare sempre più freneticamente per i loro corpi. Frank strinse ancora le gambe attorno alla vita di Gerard, e lui ne approfittò per premersi su di lui, provocando un gemito d’eccitazione a entrambi, che soffocarono l’uno nella bocca dell’altro. I pantaloni si fecero di troppo e finirono quasi per strapparseli di dosso a vicenda, assieme ai boxer. Ormai da ogni contatto scaturivano gemiti mal controllati, e Gerard per un momento pensò che, se Frank non avesse smesso di emettere quei suoni così dannatamente eccitanti, sarebbe venuto prima ancora di cominciare. Prese a mordergli il collo e portò una mano al suo viso. Lui gli avvolse l’indice e il medio con la bocca e prese a succhiarli, continuando a farsi sfuggire versi veramente poco casti, e quando le dita di Gerard furono liberate dalla presa, ormai le erezioni di entrambi erano talmente dure e sensibili che anche il cantante non riusciva più a trattenere i gemiti. Frank allargò le gambe e Gerard portò le dita bagnate alla sua entrata. Tornò a baciarlo quando infilò il primo dito e lo sentì irrigidirsi terribilmente sotto di lui, i talloni puntati nel letto e la schiena inarcata.
- Sta’ calmo… - gli morse dolcemente il lobo e andò a sussurrargli all’orecchio con la voce roca dovuta all’eccitazione, poi gli baciò la fronte aggrottata e gli occhi serrati mentre cominciava a muovere piano il dito dentro di lui, la mano libera che gli accarezzava delicatamente ogni punto possibile, tutto per provare a rilassarlo. Frank annuì e dischiuse leggermente la bocca che, per la tensione, senza rendersene conto, aveva ridotto a una fessura, e cacciò un gemito molto poco virile che fu subito soffocato dalle labbra di Gerard.
Quando si fu abituato al primo dito, Gerard infilò anche il secondo, e dovettero ricominciare daccapo con la procedura di rilassamento. Dopotutto, erano quasi dieci anni che non lo facevano, e non era biasimabile che Frank non fosse più abituato, perciò Gerard era armato di tanta, tanta pazienza mentre lo preparava e cercava di trattenere i propri gemiti di eccitazione. E poi, questa volta voleva davvero farlo con Frank. Voleva farlo davvero, sì, sentiva quanto fosse importante, e sapeva che non era solo sesso, che non era solo una scopata qualsiasi, una come le tante che avevano avuto anni prima. Ora era consapevole di ciò che provava, e voleva unirsi a lui anche in quel modo come fosse la prima volta. Sentiva davvero di amarlo.
Quando finalmente lo sentì abbastanza calmo e rilassato, sfilò le dita e si posizionò su di lui, tra le sue gambe.
- Ehi… Sei pronto? - gli chiese con il tono più dolce che avrebbe potuto uscirgli, nonostante il respiro affannato.
Frank annuì e gli prese il viso tra le mani per baciarlo. Lo baciò come a volergli trasmettere quanta fiducia avesse in lui, e Gerard in quel momento si sentì così pieno di amore da poter scoppiare.
- Ti amo - glielo disse sulle labbra, sussurrandolo, come un segreto.
- Anche io ti amo, Gee. L’ho sempre fatto - vide la tensione di Frank sciogliersi assieme a quelle parole, sussurrate allo stesso modo in cui le aveva  sussurrate lui. Ah, quanto lo amava.
Con quella meravigliosa consapevolezza presente nelle teste, nei cuori e nei corpi di entrambi, entrò in lui, e si mosse piano finché i gemiti del chitarrista non passarono da quelli di dolore a quelli di piacere. Fecero l’amore, e fu bellissimo. Fu come fosse stata la prima volta. I loro corpi si fondevano, si univano e si plasmavano perfettamente a vicenda, come se fossero nati per stare insieme. E forse, al di là di qualsiasi convinzione, al di là di qualsiasi logica, era così.
Le urla e i gemiti di entrambi si trasformarono in rantoli e spasmi quando raggiunsero il culmine del piacere quasi contemporaneamente, stretti in un abbraccio che sciolsero solo dopo, per infilarsi sotto le coperte, sporchi, sudati e felici.
Si erano amati davvero per la prima volta, senza cazzate da ragazzini, si erano amati dell’amore che solo due adulti possono provare davvero, e quella che stavano provando in quel momento era la sensazione più bella del mondo.
Gerard si sentiva finalmente al posto giusto nel mondo, e sperava non sarebbe finita mai. Anzi, in quel momento, stretto a Frank tra le coperte di un divano-letto, a sentire il suo respiro che lentamente tornava regolare e il petto che si alzava e si abbassava contro il suo, Gerard Way decise che, nella sua vita, non avrebbe mai più lasciato andare Frank Iero. Mai più.

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Capitolo 8
*** What have you become when they take from you almost everything? ***


~Capitolo 8.
"If what you are
is just what you own
what have you become
when they take from you
almost everything?".


 
Sentiva il viso di Gerard tra i capelli e le sue mani sulla schiena, a tenerlo stretto. Strofinò la guancia che teneva poggiata al suo petto sulla sua pelle e gli accarezzò la schiena, stringendolo un po’ di più a sé.
- Sveglio?
Frank quasi sobbalzò quando sentì vibrare il petto di Gerard sotto il proprio viso, e la sua voce, roca come solo di prima mattina poteva essere, sopra la testa. Fece un verso che sarebbe dovuto essere di affermazione ma risultò solo come un mugugno lamentoso, e affondò ancora di più la faccia nel suo petto.
- Come non detto - sentiva che stava sorridendo anche non vedendolo, e sorrise a sua volta.
- Ti amo - volle che quelle fossero le sue prime parole, quella mattina, anche se la voce gli uscì soffocata dal petto contro il quale teneva schiacciata la faccia, e comunque con una strana intonazione per via del fatto che si era appena svegliato.
- Anche io - sentì le sue dita accarezzargli i capelli e scendere di nuovo sulla schiena nuda, e brividi di varia natura lo invasero.
- Adesso non succederà qualcosa di brutto come succedeva ogni volta anni fa, vero?
- No, Frankie, no - Gerard lo strinse un po’ più forte e gli diede un bacio tra i capelli - Mi sono fatto una promessa, e l’unica cosa brutta che succederà è che dobbiamo alzarci. Il tuo cellulare ha squillato un bel po’ di volte… Credo sia abbastanza tardi.
- Credevo di aver tolto la suoneria… - Frank sospirò e alzò la faccia dal suo petto per allontanarsi da lui, tristemente deciso ad alzarsi.
- Infatti ho sentito la vibrazione. Hai perso il vizio di russare, lo sai? - il cantante fece una risatina e sciolse l’abbraccio nel quale erano stati stretti fino a quel momento.
Frank alzò il viso per incrociare i suoi occhi e si lamentò: - Non ho mai russato, io.
- Ma per favore! Non mi facevi dormire mai in tourbus, eri peggio di un fottuto trattore - Gerard a quel punto fece una vera e propria risata e a Frank si sciolse il cuore, ma decise di ribattere perché, insomma, quel fottuto finto biondo amante dei pancake gli stava dando del fottuto trattore.
- Mi stai dando del fottuto trattore?!
- Sì, è esattamente quello che sto facendo.
- Ma… - rimase qualche secondo a pensarci su, le labbra appena socchiuse, e il cantante ne approfittò per baciargliele, mandandolo in pappa - … Ma sono belli i fottuti trattori.
- Sicuro? Non ne sembravi così convinto, qualche secondo fa - Gerard continuava a ridacchiare sotto i baffi, e Frank si lasciò contagiare dal suo sorriso.
- Sicuro. Però io sono più bello di un fottuto trattore, vero?
- Sei tornato la ragazzina quindicenne bisognosa di continue rassicurazioni su quanto è carina che eri un tempo? - il cantante si mise a sedere sorridendo e gli diede un pizzico sulla pancia che gli aveva scoperto con quel movimento - Certo che sei più bello di un fottuto trattore, Frank. Anzi, un fottuto trattore non potrà mai competere con la tua bellezza. Tu sei bellissimo, sei la cosa più bella del mondo probabilmente, e un fottuto trattore se lo sogna anche solo di sognarlo, di essere perfetto come te.
Frank lo guardò dal basso, alzando un sopracciglio.
- Non sono stato abbastanza convincente?
Sbuffò: - Tu sai sempre essere convincente. Anche quando, parlando, metti in mezzo dei fottuti trattori.
Gerard sorrise ancora, guardandolo soddisfatto, e Frank decise che effettivamente non gliene importava un cazzo dei fottuti trattori, e che, sempre effettivamente, era alquanto strano che da appena svegli stessero intavolando una discussione su dei fottuti trattori. Quindi non fece altro che sorridere a sua volta perché si rendeva conto di quanto fossero due idioti, ma anche di quanto amava essere idiota con lui, e soprattutto perché lo stava ancora guardando sorridere, senza nemmeno un’ombra di preoccupazione sul viso, almeno in quel momento. Poi lo tirò contro di sé e tornò a posare le labbra sulle sue.

Prima di uscire avevano appurato di aver entrambi bisogno di una doccia, e che quindi era giusto anche farla assieme, per risparmiare acqua, ovviamente. Quando, dopo un bel po’, erano riusciti a rivestirsi, Frank aveva dato uno strappo a Gerard al centro di Newark ed era ripartito.
Avevano deciso che sarebbe stato lui ad accompagnarlo, prima a New York a recuperare i propri bagagli e poi in aeroporto quella sera stessa, ma le chiamate al cellulare del chitarrista si erano rivelate di Jamia, motivo per cui il chitarrista aveva deciso anche che sarebbe stato giusto fare un salto a casa per dare una giustificazione alla propria scomparsa.
Infilò la chiave di casa nella toppa con un po’ di difficoltà a causa degli svariati portachiavi (e pensieri) e la girò con calma, contando le mandate per capire se la sua famiglia fosse in casa o meno. Due mandate: c’era. Sì, a casa Iero avevano preso la buona abitudine di dare sempre almeno un paio di mandate alla porta, da quando alcuni fan dei My Chemical Romance piuttosto fuori di testa avevano deciso di forzare l’ingresso e si erano presentati, urlando, davanti alla famiglia intera riunita a tavola. Era stato un singolo episodio, ma era bastato a far venire una crisi di nervi a Jamia e a far partire l’ennesimo litigio tra loro due: lei voleva cambiare casa e addirittura Stato, lui non ci pensava neanche minimamente. Amava troppo il New Jersey. Per nessun motivo in particolare, se non, forse, quello di esserci nato, non voleva lasciarlo. O, forse, in effetti, qualche motivo in particolare c’era, ed era sicuramente legato ai ricordi che aveva lì. La band. I ragazzi. Gerard. Tutta la sua vita, praticamente. Gli venivano i brividi solo a pensare a come avessero fatto i fratelli Way ad andarsene a Los Angeles senza pensarci due volte. Be’, magari a loro i ricordi non interessavano troppo… O forse volevano liberarsene. In effetti aveva senso per Mikey che aveva divorziato da Alicia e poi si era trasferito lì, due anni prima. Ma Gerard, invece, aveva comprato casa durante il tour di The Black Parade is Dead… Non ha senso comprare una casa durante un tour, al massimo dopo… A meno che durante questo tour non succeda qualcosa. E cosa era successo durante il tour di The Black Parade is Dead? Niente di troppo eclatante. Be’, Gerard aveva conosciuto Lynz. Forse era abbastanza eclatante come cosa, visto che si erano sposati tre mesi dopo. Oppure… No, non poteva essere. Gerard non poteva aver scelto di cambiare casa, Stato e vita dopo quel giorno, vero? Non era stata colpa sua. Non poteva essere, decisamente no. Non aveva mai avuto così tanto ascendente sul cantante. No.
Scosse la testa per scacciare quella marea di pensieri che erano andati ad affollargli il cervello ed entrò in casa. Sentì un urletto e vide un corpicino saltargli addosso e attaccarsi alla sua gamba.
- Papà!
Frank fece un sorrisone e abbassò lo sguardo su Cherry, che pareva non avere intenzione di staccarsi mai più da lì: - Ciao, scimmietta - le scompigliò i capelli con una risata - Come stai? Dove sono la mamma e le altre due pesti?
- La mamma ha messo in punizione Lily perché ha picchiato Miles e ora lui sta piangendo ancora e lei sta nascosta sotto il letto e io non ho nessuno con cui giocare! - la piccola si lamentò, alzando lo sguardo su di lui - Papà, giochi con me?
Frank sospirò e si chinò per prenderla in braccio: - Oggi papà ha da fare, ma ti prometto che domani giochiamo insieme tutta la giornata, va bene?
- Promesso? - Cherry fece il labbruccio e lui si sciolse in un sorriso.
- Parola di scout.
- Ma papà, tu non sei mai stato uno scout!
- E che ne sai tu?
- Perché gli scout non hanno tutti questi tatuaggi! - scoppiò a ridere, gli prese la mano con la quale lui non la stava reggendo e se la portò al viso, stringendola piano contro la propria guancia.
- Quelli sono i poliziotti, amore mio - Frank rise stringendola a sé e le diede un bacio sulla sua, di guancia - E comunque, dare la parola di scout rende tutto più serio, non sei d’accordo con me?
- Gneee - gli fece la linguaccia, lui le pizzicò il naso e la mise giù così che lei potesse scappare via, correndo verso le scale. Prima di mettere il piede sul primo gradino si girò e lo guardò ancora: - Allora domani? Promesso promesso?
- Promesso promesso.
Frank la guardò sorridere felice e salire le scale, poi passò finalmente a togliersi la giacca. Andò in cucina e trovò sua moglie ai fornelli, intenta a preparare il pranzo. Prese un respiro profondo, poi parlò: - Ciao.
Jamia non si girò neanche a guardarlo: - Non possiamo andare avanti così, Frank.
- Jam…
- Dove sei stato?
- A casa… Jam, io… Sono successe delle cose che…
- Due giorni - lasciò perdere i fornelli e si voltò a guardarlo, visibilmente furiosa - Ti ho sentito, quando sei tornato alle tre e mezzo l’altra notte. Poi sei scomparso. Totalmente. Sparito. Per due giorni! Non hai più vent’anni, Frank Iero. Hai una famiglia a cui badare, i bambini chiedono di te, e io cosa dovrei rispondere? Che a loro padre interessa di qualsiasi cosa che non siano loro?
- Sai benissimo che non è vero. Lo sai, che li amo più di qualsiasi altra cosa al mondo.
- Ma non basta! Devi dimostrarlo a loro! Devi dimostrarlo a me.
- Jam, senti, io lo so che ho sbagliato, che sono in torto marcio e che faccio schifo, tutto quello che vuoi - Frank fece qualche passo nella sua direzione, provando a mantenere la calma mentre le sue mani gesticolavano manco avessero vita propria - Ma, davvero, sono successe delle cose e io…
- Tu cosa, Frank? Cosa? Cosa dirai quando ti perderai la prima partita di baseball di Miles e poi lui te lo rinfaccerà? Cosa dirai quando le gemelle andranno al loro primo ballo della scuola e saranno meravigliose e tu non sarai lì per dire loro quanto sono belle, e neanche per fare loro una fottuta foto? Dirai che sono successe delle cose? Non basterà.
- Cristo, Jamia. Ascoltami. Lasciami parlare - si avvicinò abbastanza da prenderle le mani nelle sue e le strinse piano - L’altra sera, Gerard…
- Gerard? Quel Gerard?
- Sì, lui. L’altra sera si è…
Jamia gli strinse a sua volta le mani e lo interruppe ancora una volta, probabilmente sull’orlo dell’ennesima crisi di nervi - Avrei dovuto saperlo - lo guardò come a supplicarlo di smentire ciò che stava pensando - È stato lui per tutto questo tempo, vero?
Frank non sapeva come risponderle: sì, in quegli ultimi due giorni era stato Gerard, presente lì fisicamente, ma poi? Il resto del tempo? Degli anni? Frank era sempre stato assente, sempre, aveva sempre avuto il cuore altrove. E si era stancato di mentire: non aveva più motivo di farlo. Niente era più come prima. Perciò, optò per la verità: - È sempre stato lui.
Jamia mollò le sue mani in uno scatto e gli diede uno schiaffo in pieno viso: - Sei un fottuto bastardo, Frank Iero. Un fottuto bastardo.
Lui rimase talmente sorpreso da quel gesto che rimase immobile, la mano sulla guancia dove sua moglie l’aveva appena colpito, e lo sguardo perso nel vuoto. Dopo qualche istante aprì la bocca e mormorò un debole: - Lo so.
- Non mi sono mai meritata niente di tutto questo. Mai. Io ti sono sempre stata vicina, io ti ho sempre sostenuto, io sono stata la tua migliore amica quando non avevi più nessuno. Io ho accettato di sposarti pur sapendo che non mi amavi, perché, oh, io l’ho sempre saputo che non mi amavi, sì, Frank - fece un passo indietro e lo guardò con gli occhi colmi di lacrime, e Frank si sentì morire dentro mentre tutte quelle parole uscivano come un fiume in piena dalle sue labbra - Ma ero stupida. Ero stupida perché io ti amavo e pensavo che un giorno l’avresti fatto anche tu, pensavo che un giorno mi avresti ricambiata con almeno della metà di tutto l’amore che io ti ho dato. E invece niente. Niente. Addirittura le corna! Faccio così schifo? Insomma, potevo accettarle quando ero una stupida ragazzina e tu ancora ti divertivi a girare il mondo con quegli altri quattro stronzi, ma non ora. No. Basta. Frank… - gli diede le spalle per chiudere il gas dei fornelli, poi la sentì prendere un respiro. Si girò nuovamente verso di lui e chiuse gli occhi prima di puntarli nei suoi e pronunciare le parole che probabilmente stava trattenendo da anni - Voglio il divorzio.
Frank lo sapeva, e sapeva che Jamia aveva ragione. Si era aspettato anche la richiesta di divorzio, se l’aspettava da parecchio tempo a dire la verità. Ciò che non si sarebbe mai aspettato, erano le parole che quella che era ancora sua moglie pronunciò subito dopo.
- E voglio l’affidamento totale dei bambini.
Si sentì mancare la terra da sotto i piedi. Il modo, il tono glaciale in cui Jamia aveva pronunciato quelle parole, era quello di chi sa già che vincerà. Frank la guardò negli occhi e si rese conto che ne sarebbe stata davvero capace. Aveva superato il limite, e queste erano le conseguenze. Ma non si sarebbe arreso senza combattere. Era Frank Iero, dannazione.
Trattenne il respiro e chiuse gli occhi quando gli si palesò agli occhi il ricordo delle parole che aveva scambiato con la piccola Cherry solo qualche minuto prima.
"Promesso promesso".

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Capitolo 9
*** I never want to let you down or have you go, it’s better off this way. ***


~Capitolo 9.
“Well if you wanted honestly that’s all you had to say
I never want to let you down or have you go, it’s better off this way”.



 
La macchina parcheggiò a qualche metro da lui, e ne scese Frank, sul volto un’aria abbastanza cupa, ma sorrideva come a non volerlo dare a vedere. Ovviamente Gerard si rendeva sempre conto di quando Frank mentiva, o almeno ci provava, e aveva sempre capito i suoi pensieri, come se avesse potuto leggergli nella testa.
- Non sei mai stato così puntuale in vita tua - esordì Frank non appena gli si fu avvicinato, con un sorriso, sincero, sì, ma comunque alquanto triste.
- Non ho trovato la fila - Gerard fece spallucce e gli prese la mano, cercando di capire cosa avesse semplicemente guardandolo negli occhi, come faceva un tempo.
- Cos’hai fatto mentre io ero a casa? - lui sembrò piacevolmente sorpreso dalla naturalezza di quel gesto, e il suo sorriso si illuminò un po’ di più.
- Lo scoprirai appena toglierò questo meraviglioso cappello - Gerard sorrise nel vederlo sorridere e si incamminò lungo il marciapiede, diretto al bar, insieme a lui che gli si era affiancato subito.
- Ti hanno rapito, stuprato, rasato i capelli a zero e poi tu li hai accecati con il riflesso della pelata, mentre erano distratti li hai fatti fuori e poi sei scappato, e poi hai avuto anche il tempo di fare shopping di cappelli?
- Frank, che cazzo di problemi mentali seri e gravi ti affliggono?
- Tanti, in realtà…
- Idiota.
Una mezza risata del cantante e uno sbuffo del chitarrista precedettero l’ingresso dei due nel bar. Andarono a sedersi a un tavolo con tre sedie e un lato attaccato al muro, in un angolo abbastanza appartato, e Gerard si decise a togliersi il cappello. Frank nel frattempo si stava togliendo la giacca, e, quando alzò lo sguardo, il cantante vide i suoi occhi spalancarsi e la sua bocca assumere la forma di una o. Molto sexy.
- L’hai fatto davvero! - un vero sorriso, ampio e bello, si era finalmente impossessato del viso del chitarrista, gli occhi fissi sui suoi capelli che adesso erano più corti, ma soprattutto neri come la pece.
- Per chi mi hai preso, scusa? - ancora sorrise a sua volta nel vederlo sorridere, e avrebbe aggiunto una battutina tagliente se lui non l’avesse interrotto per giustificarsi.
- Non credevo che mi avresti preso sul serio - Frank si sedette di fronte a lui, continuando a guardarlo stralunato.
- Be’, non faccio tatuaggi e piercing, il mio modo di segnare il cambiamento è sempre stato quello di tingermi i capelli come un fottuto adolescente, lo sai - fece una smorfietta e lasciò cadere il cappello sul lato del tavolo attaccato alla parete, nel sedersi.
Frank annuì convinto e abbassò per un attimo lo sguardo sulle proprie mani tatuate, probabilmente nel pensare a tutti gli aghi dei più disparati tatuatori che gli avevano bucato la pelle negli anni, e che avevano sempre terrorizzato a morte Gerard, o forse era tornato a pensare alla stessa cosa che aveva spento il suo sorriso poco prima fuori al bar, visto che stava premendo le labbra tra loro come aveva sempre fatto e come continuava a fare sempre ogni volta che era nervoso.
- Frank, che ti prende? Cos’è successo? Qualcosa non va? - Gerard allungò le braccia sul tavolo verso di lui, parlando in tono abbastanza preoccupato.
- A che ora hai l’aereo? - Sì, qualcosa non andava: non gli aveva risposto. Ogni volta che Frank Iero evitava di rispondere a qualche domanda cercando miseramente di cambiare argomento, significava che qualcosa non andava, che lo turbava e puntualmente offuscava il suo bellissimo sorriso.
- Alle undici. Rispondi - lo guardò torvo, assottigliando leggermente lo sguardo e piegando le sopracciglia in un’espressione contratta.
Il chitarrista fece per obbedire, o almeno aprì la bocca per farlo, ma fu interrotto dall’arrivo del barista col blocchetto per le ordinazioni in mano, e il cantante si lasciò andare a un sospiro.
- Siete pronti per… - gli cadde la penna da mano quando si rese conto di chi aveva davanti, per la seconda volta in due giorni.
- Ciao Luke, come va? - Gerard vide il ragazzo spalancare la bocca e sentì lo sguardo di Frank fisso su di sé, anche se, girato com’era verso l’altro, non poteva vederlo: dopotutto, era risaputo che lui aveva sempre fatto schifo a ricordarsi i nomi. E, in effetti, non riusciva a capire neanche lui come facesse a ricordare il nome del ragazzo che due notti prima l’aveva lasciato senza parole. Forse, era proprio quello il motivo. Gli era rimasto impresso nel cervello, nonostante fosse ubriaco, il senso di impotenza dal quale si era sentito pervadere quando Luke gli aveva sputato in faccia tutte le parole che chissà quante persone pensavano e nessuno avrebbe mai avuto le palle di dirgli. E così si era sforzato, per ricordare quel nome. Quel ragazzo lo meritava. E Gerard aveva insistito con Frank apposta per tornare lì, quel giorno, per poter parlare con lui e fargli capire che, in fondo, molto in fondo, non era davvero la persona che aveva dato l’impressione di essere. Ed era felice di avere dei fan così. Sapeva che in quel modo non avrebbe mai smesso di diventare una persona sempre migliore.
- Io… Io… Sto bene, credo. T-tu? Voi? - balbettò leggermente Luke nel rispondergli, alternando lo sguardo tra loro due, le mani che tremavano visibilmente.
- Bene. Luke, ti andrebbe di sederti un po’ con noi? - disse e gli rivolse un sorriso stranamente sincero da parte sua per essere rivolto a uno che dopotutto altro non era che un completo estraneo. Sentiva lo sguardo di Frank, adesso interrogativo, ancora su di sé, ma non si voltò a guardarlo.
- Io… Oh, dio, sì. Cioè, io… Avviso un attimo Rebecca e… Cioè… Okay, sì… - si girò e tornò alla cassa per andare a confabulare con la sua collega oltre il bancone, la stessa dell’altra sera. Era tutto rosso in viso mentre le parlava, Gerard riusciva a vedere i suoi occhi brillare. Lei alzò un sopracciglio, apparentemente scettica, ma poi sospirò, e annuì facendo un sorrisino.
- Gee, che intenzioni hai? - Frank lo distrasse dall’osservare i due, lui scosse la testa e voltò il viso per andare a incontrare i suoi occhi.
- Voglio solo chiedergli scusa per come mi sono comportato l’altra sera… E ringraziarlo per alcune cose che mi ha detto. Mi ha fatto pensare, tutto qui.
- Okay… - il suo chitarrista lanciò uno sguardo al ragazzo che stava tornando verso di loro, poi tornò a guardare lui, con gli occhi leggermente velati da una strana tristezza, la stessa aria cupa che Gerard aveva riconosciuto quando l’aveva visto prima, e avrebbe tanto voluto sapere cosa gli passava per la testa. Era tornato a casa, quindi magari aveva discusso ancora con Jamia. Stava per chiedergli di nuovo cosa fosse successo di così grave da rabbuiarlo tanto, ma, appunto, Luke era appena tornato, e si stava sedendo all’unica sedia libera dopo aver posato tre grosse birre chiare sul tavolo, perciò desistette, di nuovo.
- Offre la casa - sorrise in imbarazzo, ancora rosso in viso, poi abbassò lo sguardo e cominciò a parlare con un tono di voce tremendamente mortificato, guardandosi le mani - Ascoltate… Ascolta, Gerard, mi dispiace per la sfuriata dell’altra sera. Ero già nervoso di mio, e…
- No, aspetta - il cantante lo interruppe subito. Prese un respiro e si preparò al discorso che aveva intenzione di fare, lasciando le parole uscire dalla propria bocca senza censure - Ascolta tu. Sono venuto qui per chiedere scusa. Sì, sono qui per scusarmi con te. Be’, in effetti è come se scusandomi con te volessi scusarmi con tutti i fan che ho lasciato delusi e amareggiati per i miei vari comportamenti di merda durante gli anni, ma per ora non posso ancora farlo, perciò comincio dal mio piccolo. Un po’ come facevo quando ero solo Gerard Way, lo sfigato con una morbosa passione per la musica e i fumetti, e non Gerard Way, il cantante famoso odiato e forse anche amato da metà della popolazione mondiale con una morbosa passione per la musica e i fumetti - vide con la coda dell’occhio le labbra di Frank piegarsi in un sorriso, che non poté fare a meno di imitare - Insomma, Luke, volevo solo dirti che mi spiace per l’impressione che ti ho dato l’altra sera. Non ero in me. In effetti, posso affermare che due giorni fa ero un’altra persona rispetto ad adesso, ma questa è un’altra storia, che…
- Che non credo sia il caso di raccontare ora - Frank lo interruppe prima che potesse aggiungere altro, usando un tono di voce leggermente isterico sulle prime parole, ma schiarendosi la voce e tornando a parlare subito dopo in un sussurro, come a voler escludere Luke dalla conversazione - Non in questo momento, Gee… Non lasciamo diffondere voci, ce ne sono già abbastanza in giro, e non aiuta…
Gerard passò in un attimo lo sguardo dal barista a Frank e notò che mentre parlava lo guardava cauto, come a voler controllare la sua reazione e misurare le proprie parole di conseguenza. In quell’attimo sentì come il mondo cadergli addosso. Era a quello che era dovuto il velo di tristezza nel suo sguardo? Ci stava ripensando? Voleva tirarsi indietro? Forse era successo qualcosa a casa che gli aveva fatto capire di non voler tornare nel gruppo, di non voler tornare a loro due. Forse si era reso conto di amare davvero Jamia. Di non poter fare a meno di lei. Erano pensieri di un attimo, sì, ma stava cominciando a sentirsi come spezzato dentro, perché erano passate sì e no ventiquattr’ore da quando tutto sembrava tornato a sorridergli, ma sembravano anni e ora non riusciva più a rinunciare a quei pensieri, quelli che in quel momento rappresentavano tutto ciò che bastava a renderlo di nuovo felice. In quell’attimo si rese conto di essersi attaccato a quell’idea di felicità in così poco tempo ma in modo talmente forte che non riusciva a sopportare neanche il pensiero che le cose non potessero andare così.
Ma in quell’attimo Frank si accorse di tutto ciò che gli passava per la testa semplicemente guardandolo negli occhi, e Gerard si sentì tremendamente vulnerabile e stupido per essersi fatto leggere così facilmente, ma forse era stata per la prima volta una cosa buona, perché sentì il cuore ripartire quando il chitarrista si sporse sul tavolo per parlargli all’orecchio, poggiando deliberatamente una mano sulla sua e stringendola piano.
- Non abbiamo ancora parlato con Mikey, né con la casa discografica, e non abbiamo un batterista. Aspettiamo almeno di essere di nuovo al completo per dare l’annuncio. Se non facciamo circolare voci fondate sarà meglio per tutti.
- Ehi, se volete vado via… - Luke era evidentemente a disagio, e, notò Gerard quando Frank tornò a sedersi composto e quindi poté guardarlo, sempre più rosso in viso.
- No, tranquillo. Tutto a posto - sorrise per rassicurarlo, ma più per rassicurare Frank che aveva capito, e che tutti i pensieri negativi che in quell’attimo gli erano passati per la testa erano spariti così come gli erano arrivati, in un attimo.
Frank piegò a sua volta gli angoli delle labbra in un sorriso che coprì portandosi il proprio boccale di birra alla bocca e bevendone un lungo sorso - Non gli hai ancora detto se lo perdoni, comunque. Io scommetto di no.
- Ma da che parte stai, tu? - si girò di nuovo a guardarlo, facendo il finto indispettito ma sorridendo, e prendendo anche lui il boccale per bere un sorso di birra.
- Dalla mia - il chitarrista gli fece la linguaccia mentre posava il boccale sul tavolo.
- Non ha senso…
- Non ha senso per te, lo ha per me. Insomma, Luke?
- Io… - il ragazzo arrossì, se possibile, ancora di più, e cominciò a gesticolare nervosamente mentre partiva a parlare a macchinetta - Voglio dire… Oh, scusami Frank ma, porca troia, Gerard, tu sei il mio idolo. Nonostante tutto, adoro tutto di te. Ho avuto addirittura una cotta per te. Credevo fossi qualcosa di talmente lontano da essere irreale, e ora sono seduto al tuo tavolo, a bere birra con te, e tu mi chiedi di perdonarti e… Oh, dio mio, come faccio a dire no?
- Fanculo - Frank si mise a bere di nuovo, incenerendo Luke con lo sguardo, ma ridendo.
Gerard scoppiò a ridere, sentendosi stranamente più leggero, e così cominciarono a parlare di tutto, come fossero stati amici di vecchia data, passando dai ricordi belli a quelli brutti, fino ad arrivare a parlare delle aspirazioni per il futuro. Gerard scoprì che Luke non era affatto il povero sfigatello che dava l’impressione di essere: lavorava lì per aiutare i suoi a pagargli l’università, che però faceva soltanto perché erano loro a volerlo. E in effetti, era credibile che uno che voleva entrare nel mondo della musica frequentasse controvoglia la facoltà di ingegneria di New York. Era un po’ un tuttofare, lui: da autodidatta aveva imparato a suonare qualsiasi strumento, a collegare qualsiasi cavo e a mettere a posto qualsiasi cosa non funzionasse, e, a detta di Rebecca, l’altra barista che si era unita a loro quando il bar si era svuotato, era pure bravo.
Quando i ragazzi chiesero a loro quali fossero i loro programmi per il futuro, invece, Frank saltò in piedi dicendo che era tardi, e Gerard si rese conto che in effetti aveva un aereo da perdere, e il tempo era passato così piacevolmente che non se n’era neppure reso conto.
- Luke, ti andrebbe di lasciarmi il tuo numero? Vorrei che facessi una cosa per me - se ne ricordò sulla soglia della porta del bar, Frank che aveva già salutato ed era già alla macchina che lo aspettava, perciò non aspettò neanche la risposta del ragazzo che gli ficcò il proprio cellulare tra le mani, aspettando che digitasse il numero per poi riprenderselo e correre verso l’auto.
Quando si voltò a lanciare un’ultima occhiata al bar prima di salire in macchina, notò che Luke lo stava ancora guardando, e decise sul momento che, almeno a lui, poteva dare una speranza. Gli sorrise e col labiale gli sillabò “Torneremo. I My Chemical Romance torneranno”.
Lo vide rispondere allo stesso modo un “Lo so” convinto, accompagnato da un sorriso sicuro, e pensò che, sì, i killjoy erano davvero i fan migliori del mondo.
 
 
 

 
 
____________________________________________
Angolo autrice:
Okay, sapete che non sono solita inserire l’angolo autrice bc tanto non lo legge mai nessuno e anche bc non ho voglia e se ne ho voglia poi ci scrivo troppe cazzate, ma direi che questa volta ce n’è fin troppo bisogno cwc
Sì, sì, lo so, faccio schifo. Quanto è passato dall’ultimo aggiornamento, un mese? (Okay ho appena controllato e sONO UN MESE E SEI GIORNI ODDIO FOSSI IN VOI MI PUNTEREI CONTRO UN BAZOOKA E BAAAAAM) T___T
Chiedo umilmente perdono, ma ho avuto un blocco dello scrittore terribile che poi è diventato anche un blocco del lettore e in pratica non riuscivo a fare più niente, ho passato un mese a cazzeggiare, parlare con gente e ascoltare musica e mi deprimevo perché volevo leggere qualcosa o scrivere e non ci riuscivo cwwwwc
Eeee niente, ringraziate il concerto degli All Time Low se ci tenevate al continuo di questa ff, perché è grazie a quello che mi sono ripresa (non so che problemi ho, che riesco a scrivere con addosso la depressione post-concerto ma vbb) eee nientex2, ovviamente non farò passare mai più così tanto tempo tra un aggiornamento e l’altro, anche perché finalmente ora ho scritto una trama abbastanza definita e quindi dovrei riuscire a farmi venire più facilmente i capitoli lol
Colgo l’occasione per ringraziare le dolcissime ragazze che per questo mese mi hanno chiesto costantemente quando avrei aggiornato e in questo momento stanno sclerando perché sanno che sto per aggiornare rido
In particolare volevo dedicare questo capitolo ad Asia, che ho avuto la fortuna di conoscere finalmente di persona al concerto e ne sono troppo feliciah perché è troppo bella e dolcina e piango okay basta.
Okay, sparisco di nuovo.
Spero che ci sia ancora qualcuno che legge questa ff e… boh. Un abbraccio forte forte.
Alla prossima!
-Elis ♥

(ah, per chi mi volesse contattare – ma chi mi caga – se mi volete sono @diopaninaro su twitter lol)

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Capitolo 10
*** So to save yourself, I’ll hold them back tonight. ***


~Capitolo 10.
“I’m the only friend that makes you cry,
Your heart attack in black hair dye,
So to save yourself, I’ll hold them back tonight”.




I raggi del sole si riflettevano su qualsiasi superficie sulla quale potesse posarsi lo sguardo, accecando chiunque non avesse un paio di occhiali da sole. Ma, ehi, era la California, chi osava andare in giro di mattina senza occhiali?
- Io - mormorò a se stessa, sbuffando, Kristin, rispondendo da sola alla domanda che si era posta in mente. Era uscita presto, lasciando un Mikey Way ancora addormentato, raggomitolato a letto tra le coperte leggere, per prendere un po’ d’aria ma soprattutto per andare a comprare gli ingredienti per la dannata Red Velvet che si era messa in testa di preparare per quella sera, dopo aver ascoltato, il pomeriggio precedente, tutte le storie del fidanzato su quanto fosse fantastica la torta che aveva mangiato a pranzo fuori con gli Electric Century. Era una tipa competitiva, Kristin: non poteva permettere di farsi battere neanche dalla torteria migliore di Los Angeles, la sua torta doveva essere migliore, e quindi non vedeva l’ora di ascoltare gli apprezzamenti che Mikey avrebbe fatto sulla sua, di Red Velvet.
Dio, quanto amava quel ragazzo. Non era mai stata tipa da matrimonio, ma se lui le avesse chiesto di sposarlo, avrebbe accettato all’istante. Immaginava che significasse molto, come cosa.
Comunque, camminava quasi a occhi chiusi per non perdere la vista a causa del sole, senza neanche la possibilità di utilizzare le mani a mo’ di visiera, visto che erano impegnate a reggere i sacchetti di carta con il logo del market vicino casa, maledicendosi per aver dimenticato gli occhiali da sole sul tavolo della cucina e sperando intensamente di non finire addosso a nessuno, visto che non ci vedeva quasi per niente. Speranza vana, ovviamente, perché non fece in tempo a fare neppure un paio di passi che sentì una spalla urtare contro la propria e, nell’alzare lo sguardo, riuscì a vedere un paio di mani afferrare uno dei sacchetti, che stava per caderle.
- Mi scusi, io non… Ge-Gerard? - batté più volte le palpebre per mettere a fuoco la persona davanti a sé (Possibile che i suoi occhi fossero così sensibili alla luce solare? Eppure viveva in California, dannazione!) e si rese conto che, sì, era proprio suo “cognato”. Lui li portava, gli occhiali da sole, ma ci era abituata a vederlo così: erano quasi più le volte che l’aveva visto con, che senza. Per quello che riusciva a vedere, sembrava strano. Nel senso, aveva una strana espressione sul viso. O magari una strana aura attorno a sé, mh. E si era pure tagliato e tinto di nero i capelli.
- Ehi, Kris… - le sorrise e si passò la mano che non reggeva il sacchetto tra i capelli: ebbe un attimo di smarrimento, quasi si aspettasse di trovarli più lunghi, e forse, in effetti, era così - Scusa, pensavo ad altro e non guardavo dove mettevo i piedi… Stavo giusto venendo da voi, devo parlare con Mikey. Ti do una mano a portare ‘sta roba.
- Ehm, okay, sì, grazie - lei ricambiò il sorriso e abbassò di nuovo lo sguardo, lasciando che le portasse uno dei due sacchetti mentre camminavano insieme verso casa propria - Comunque è stata colpa mia, sono io quella che cammina a occhi chiusi. Sai, il sole…
- Capisco… In effetti, anche tu che cammini a quest’ora per queste strade, senza occhiali da sole… Facciamo che è colpa di entrambi e sticazzi, meglio?
- Direi.
Fecero entrambi una mezza risata (e Kristin sbuffò sonoramente nel rendersi conto che aveva appena avuto una ramanzina anche da lui per lo stesso motivo per il quale se l’era già fatta da sola) e poi continuarono a camminare in silenzio verso casa. Tutto sommato, le era sempre piaciuto, Gerard. Era un tipo strano, senza ombra di dubbio. E probabilmente era anche il tipo che se gli stavi sul cazzo era la fine, ma di questo non aveva mai dovuto preoccuparsi, fortunatamente, visto che, a quanto pareva, anche lei a lui era sempre stata abbastanza simpatica. Mikey diceva addirittura che Gerard l’adorava, ma Kristin faticava a credere che uno come Gerard Way potesse adorare qualcuno che non faceva neanche propriamente parte della sua famiglia. In ogni caso, lei era felice di aver un buon rapporto col problematico fratello del suo fidanzato.
Quando arrivarono a casa tutto era come l’aveva lasciato, e non si sentiva odore di caffè né rumore di radio o televisione accesa, segno che Mikey ancora dormiva.
- Be’, tuo fratello sarà ancora completamente immerso nel suo mondo dei sogni popolato da arcobaleni e unicorni che cavalcano folletti armati di pentole d’oro, quindi… Caffè? - posò i sacchetti della spesa sul tavolo della cucina e tornò a girarsi per guardare il cantante passeggiare, quasi nervosamente, tra la cucina e l’ingresso - O forse no…
- Sì, grazie - lui si fermò sulla soglia della cucina e le fece una specie di occhiolino, come per rassicurarla sulla propria calma, anche se in realtà non era per niente rassicurante, ma a Kristin non andava di contraddirlo, quindi tenne quella considerazione per sé - Non rinuncio mai al caffè, io, lo sai. Solo… Che ne dici se mentre lo prepari io vado a svegliare quello sfigato?
- È okay. Fa’ solo attenzione che non pensi che sia io e ti baci. Sarebbe strano. E, come dire, incestuoso… - fece una smorfia di disgusto, ma sorridendo.
- Già fatto, tranquilla - se ne uscì fuori tranquillamente lui prima di sparire su per le scale, senza darle il tempo di sputare fuori il “COSA?!” che le era salito in gola.
Be’, avrebbe dovuto immaginarlo, forse…
Sbuffò ancora, e si mise a mettere in ordine il contenuto dei sacchetti, tenendo l’orecchio per capire che diavolo stessero combinando quei due al piano di sopra, dal momento che tre secondi dopo aver sentito la porta della camera da letto aprirsi aveva sentito anche un tonfo fortissimo che aveva anche fatto tremare mezza casa. Probabilmente Gerard aveva tirato le lenzuola in modo tale che Mikey cadesse dal letto. Grazie al modo strano in cui riusciva ad avvolgersele attorno non era difficile, persino lei l’aveva fatto un paio di volte.
- Ma sei proprio stronzo!
Ecco, infatti.
- E tu sei un fottuto ghiro.
- Un che?
- Ghiro. L’animale. Quello che dorme sempre, ce l’hai presente?
- Non era il bradipo quello?
- No, il bradipo è quello lento…
- Lento?
- Sì, Michael, lento, tardo, hai presente? Un po’ come te.
- Oh, ma che cazzo vuoi? E soprattutto, che ore sono?
- Sono le nove.
- Le nove?! E tu pretendi pure che sia sveglio? Porca puttana, Gee, abito a Los Angeles, chi cazzo sta sveglio alle nove del mattino a Los Angeles?
- La tua ragazza, tanto per cominciare. E io, che sono arrivato un’ora fa da New York e sono passato per casa solo per posare la valigia e sono corso subito da te, ingrato di un fratello minore stronzo.
- Ma tu avrai dormito in aereo!
- Io dovrei essere a pezzi per il jet lag e invece sono qui!
- Ma che cazzo ci fai tu qui, in effetti? E perché io sono a terra e non sul letto?
- Oh, dio, Mikey…
- Il caffè è pronto! - Kristin, urlando, decise (molto saggiamente) di interrompere il battibecco che, probabilmente, oltre lei, stava ascoltando anche tutto il vicinato - Portate i vostri culi al piano di sotto, e fate anche presto, che se si fa freddo m’incazzo e non ve lo faccio bere!
- Te l’ho mai detto che mi piace la tua ragazza, Mikey? - sentì dire a Gerard, e si lasciò scappare un sorrisetto compiaciuto.
- E io te l’ho mai detto che Lynz è una gran porca? - rispose l’altro come per ripicca, e Kristin decise che un ultimo grido, dal tono particolarmente incazzato, avrebbe convinto i due a muovere davvero il culo.
- IO HO LE ORECCHIE.
Calò il silenzio al piano superiore, e lei sorrise soddisfatta perché, in effetti, era vero che le donne avevano sempre potere sugli uomini. Posò due tazze piene di caffè sul tavolo e appoggiò i fianchi al mobile della cucina mentre sorseggiava il proprio e gli altri due entravano in cucina ridacchiando sottovoce.
- Buongiorno, amore - Mikey le si avvicinò e le lasciò un bacio leggero sulla guancia prima di andare a sedersi al tavolo, di fronte al fratello e alla propria tazza di caffè.
- Buongiorno, patata - borbottò lei, alzando lo sguardo e fulminandolo per l’affermazione di poco prima, ma senza riuscire a trattenere un sorriso nel vederlo così, con il viso pieno di sonno e tutti i capelli spettinati.
- Patata? - Gerard per poco non sputò il caffè, invece.
- Dice che ho la faccia da patata - fece spallucce il suo ragazzo, bevendo con calma, come se fosse cosa di tutti i giorni essere scambiato per un tubero.
- Dico che sei patatoso, è diverso… Comunque è roba da ragazze, voi non potrete mai capire, mh - alzò le sopracciglia a ostentare superiorità, dichiarando chiuso l’argomento.
- Okay… - Mikey scosse la testa manco avesse avuto a che fare con una ragazzina e tornò a guardare il fratello - Allora, non che voglia fare l’ospite scortese o il fratello ingrato, ma posso sapere il motivo di questo traumatico risveglio?
- Ah. Sì. Io… dovrei parlarti… - Gerard perse il sorriso all’istante, tornando al nervosismo che era parso avesse anche poco prima di andare a svegliare il fratello.
- Volete che vada via? - si preoccupò Kristin, notando che l’atmosfera nella stanza era cambiata in pochi attimi.
- Oh, credo non importi… E poi, tu hai le orecchie, no? - lui fece un mezzo sorriso nel riprendere le sue parole di poco prima, cercando di sdrammatizzare una situazione che, a dirla tutta, dalla sua espressione sembrava molto seria. Gerard prese un respiro profondo e poi cominciò a raccontare i suoi ultimi due giorni, del fatto che li aveva passati in New Jersey, così vicino al quartiere dov’erano cresciuti, che aveva conosciuto delle persone che l’avevano fatto riflettere e ragionare, che era stato da Frank, che aveva parlato con Ray, che in due giorni gli sembrava di essere cambiato più che in due anni, che aveva preso una decisione: - E voglio rimettere insieme i My Chemical Romance.
Kristin aveva intuito a cosa sarebbe voluto arrivare, se lo sentiva che sarebbe andato a parare lì, ma a quanto pare Mikey no: all’ultimo, dopo aver sentito la frase conclusiva del lungo racconto che aveva fatto il fratello, saltò in piedi, quasi rovesciando la sedia.
- Non se ne parla neanche - disse, in un tono così definitivo che Kristin quasi si sentì male al posto di Gerard.
- … Come? - infatti lui era sbiancato, il viso alzato con lo sguardo fisso su quello del fratello - No?
- Assolutamente no! Gerard, ti rendi conto di cosa ho passato quando hai sciolto quella cazzo di band? Per poco non ci rimanevo. Te lo ricordi?
Sì che se lo ricordava. Si poteva notare dal fatto che era sbiancato ancora di più, e Kristin non credeva fosse possibile finché non lo vide.
Il periodo buio di Mikey era un argomento delicato. Lo era sempre stato. Erano passati due anni dalla fine di quel momento di merda, e ancora facevano fatica a parlarne: se lui lo tirava fuori così, subito, voleva dire che era davvero fermo nella sua decisione.
- Come cazzo ti è venuta fuori questa idea? Ti sei stancato del tuo progettino tutto carino da solista? E poi che succederà? Ti stancherai di nuovo del gruppo e manderai di nuovo tutto a fanculo, e io non ho la minima intenzione di ridurmi di nuovo a uno straccio per i tuoi capricci - stava gesticolando furiosamente, Kristin non l’aveva mai visto così. Si vedeva che era una cosa alla quale teneva.
E non aveva mai visto così neanche Gerard, che era immobile, le labbra premute tra loro e i pugni stretti, ad accusare tutte le parole che il fratello gli stava dicendo, reggendo il suo sguardo. Aveva gli occhi lucidi. Sì, si vedeva che era una cosa alla quale teneva.
- Amore, ti prego, calmati - Kristin gli si parò di lato e fece per poggiargli una mano sul braccio che teneva a mezz’aria per farglielo abbassare, ma Mikey fece un passo indietro e poi si girò, uscendo poi dalla cucina in pochi passi veloci.
Lei sospirò, e la mano la posò sulla spalla di Gerard - Mi dispiace che abbia reagito così. Vado a provare a parlargli, torno subito… - e uscì anche lei dalla cucina, sapendo già dove avrebbe trovato il fidanzato.
Salì a passi veloci le scale fino al primo piano e si infilò nella piccola porta che si trovava sotto le scale che portavano alla soffitta. Eccolo lì: seduto sul materasso posizionato a terra, in mezzo a un gran mucchio di coperte, che si abbracciava le gambe strette al petto e nascondeva il viso tra le ginocchia. Quello lì era il loro piccolo posto segreto: nel momento in cui qualcosa turbava uno dei due, o se si sentivano strani, o qualsiasi altro problema avessero, era lì che andavano a rifugiarsi. Inizialmente era solo una minuscola stanzetta vuota e dal soffitto basso, poi, dopo che si erano addormentati sul pavimento più volte e si erano svegliati con le ossa a pezzi, avevano avuto la buona idea di arrangiarci pure una specie di letto.
Kristin si fece spazio tra le coperte e si rannicchiò accanto a lui, come al solito, provando a parlare con voce calma e dolce: - Amore… Ehi, allora, prima di tutto, non serve a nulla agitarsi, okay? A nulla. Respira, e pensaci con calma… Se Gerard è venuto qui a parlarti di questa cosa ci sarà un motivo valido. È tuo fratello, sicuramente lo conosci meglio di me, e se me ne sono accorta io della sua espressione mentre parlava, non puoi non averlo fatto tu. Io… io non credo che sia solo un capriccio. Credo che ci tenga davvero. E credo che almeno dovresti dargli la possibilità di spiegare come si deve i suoi motivi…
- E se finisse come l’ultima volta? - Mikey girò un po’ il viso per guardarla mentre parlava, continuando però a tenere la testa tra le braccia - Tu non c’eri ancora, ma lo sai benissimo che sono stato talmente male da poterne morire. Lo sai. Con... Con l'alcol, eccetera. Non voglio ricaderci…
- Lo so benissimo. Ma so benissimo anche che ti illumini quando parli di quei tre e di tutto quello che avete passato insieme. A volte sono addirittura gelosa, perché vorrei che tu avessi lo stesso luccichio negli occhi quando parli con me, poi mi rendo conto che è impossibile perché loro sono loro, sono stati tutta la tua vita per un periodo importantissimo, e io invece sono solo la tua ragazza. Ma mi sta bene così, maledizione. Mi sta terribilmente bene.
- Ma tu sei la mia vita adesso.
- Mick, non sto cercando di sminuirmi, lo sai che non sono quel tipo di persona. Sto cercando di ricordarti quanto siano loro per te. Ti ricordi di quando l’anno scorso siamo andati al concerto di Frank? Quando lo abbiamo raggiunto nel backstage vi siete quasi saltati addosso e poi avete cominciato a parlare così tanto che si è quasi fatta mattina? E le volte che Ray chiama qui? Se la bolletta del telefono andasse a minuti, saremmo poveri in canna. E i tuoi occhi si coprono sempre di quel velo di nostalgia… Io lo so che ti manca tutto quello. Che ti mancano loro. E che ci credi ancora. Non lasciare che la paura ti blocchi. Hai imparato dai tuoi errori, e non ci cadrai più. E se dovessi solo provare a ricaderci, ti arriverebbe una scarpa in piena fronte. E farei attenzione a scegliere quella col tacco più appuntito.
Mikey finalmente alzò il viso e sorrise apertamente, e a Kristin parve di sciogliersi quando lui sussurrò con voce molto più sicura rispetto a prima: - Ti amo.
- Anche io - avvicinò il viso al suo fino quasi a sfiorare le sue labbra, sorridendo - Ha funzionato?
- Forse - e lui le diede un piccolo bacio a stampo, dolcissimo.
- Oh, mia madre lo diceva che avrei dovuto fare l’avvocato! - dopo il bacio gli scompigliò i capelli e poi si tirò su (rischiando di sbattere con la testa contro il soffitto per l’entusiasmo, ma dettagli), strattonando lui per il braccio - Ora, muoviti e torna giù con me, che abbiamo da fare!
Lui si aprì in una risata vera e propria, di quelle che si faceva uscire solo quando lei faceva la cretina come in quel momento, e la seguì fuori dal loro piccolo rifugio - Cosa dobbiamo fare?
- Cercare di conquistare il mond…
- Kris.
- Oh, andiamo, amore. Lo sai che sono la prima fan dei My Chemical Romance. Cos’altro potremmo fare? Andiamo a parlare con tuo fratello e a rimetterli insieme.

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Capitolo 11
*** Dry your eyes and start believing. ***


~Capitolo 11.
“Stop your crying, helpless feeling
Dry your eyes and start believing
There’s one thing they’ll never take from you”.

 


- Mamma... Mamma… Mammaaaaaaa!
- Ancora cinque minuti…
- No, mamma, svegliati, svegliati, svegliatiii!
- Ma mi sono addormentata mezz’ora fa…
- Ma non è vero, sei una bugiarda dormigliona!
Quelle parole le fecero finalmente aprire gli occhi, e si drizzò sulla schiena come poteva, visto che Bandit le era praticamente salita addosso nel tentativo di svegliarla. La piccola si spostò dalle sue gambe e si mise in piedi sulla parte libera del letto, saltellando allegramente, felice di essere riuscita nel proprio intento.
- Bada a come parli, piccola peste… Ma che ore sono?
- Le otto!
- Di sera?
- No, mamma, c’è il sole…
- Ah. Ma amore, è presto allora…
- Ma mamma, devo andare a scuola! È già tardi! Io mi sono svegliata taaanto tempo fa, però ti ho lasciato dormire perché sono una figlia buooonissima, e anche perché tu ti lamenti sempre che quando ero piccola ti ho tolto tutto il sonno del mondo! - la piccola smise di saltare e restò in piedi, incrociando le braccia al petto, a guardarla dall’alto con dipinto sul viso un ghigno misto di divertimento, superiorità e intelligenza, che sapeva troppo di suo padre.
- Oh, ecco, allora aggiungiamoci anche che quando adesso ti accompagno a scuola la mattina, mi costringi sempre a svegliarmi presto, caccoletta che non sei altro! - Lynz sorrise e allungò le braccia ad afferrare la figlia per i fianchi e farle il solletico, facendola così cadere di nuovo addosso a lei, in preda alle risatine.
- Non sono una caccoletta! - la piccola le fece una linguaccia, le buttò le braccia al collo e le si avvinghiò addosso, e finirono ad abbracciarsi in un groviglio di coperte e risate.
- Oh, sì che lo sei - la voce maschile più familiare che conoscesse interruppe il loro piccolo siparietto.
Alzarono entrambe il viso per guardare nella direzione dalla quale era provenuta la voce: braccia conserte davanti al petto, una spalla poggiata contro lo stipite della porta e peso sbilanciato su una sola gamba, Gerard era fermo sulla soglia e le guardava con un sorriso a ventiquattro milioni di denti che, contagiando gli occhi, gli illuminava tutto il viso. Era proprio bello.
- Papà! - Bandit fece un balzo giù dal letto e corse da lui, che si abbassò per prenderla al volo nel momento in cui lei saltò per finirgli in braccio, come al solito - Sei tornato! Mi sei mancato tantissimo!
- Anche tu mi sei mancata, amore mio - la strinse forte e le diede un bacio sulla guancia, poi alzò lo sguardo sulla moglie, che era rimasta a letto a guardarli sorridendo, e il suo, di sorriso, si incupì leggermente.
Oh, Lynz aveva visto la luce cupa che era passata per un attimo negli occhi del marito prima che riuscisse a nasconderla, e sapeva anche cosa significava, perché non era di certo la prima volta che la vedeva.
- Caccoletta, adesso che papà è tornato, che ne dici se facciamo colazione e poi ti accompagna lui a scuola? - con un sospiro, Lynz si alzò dal letto e si avvicinò ai due, posando una mano sulla spalla della figlia che se ne stava ancora avvinghiata al papà e adesso si era girata a squadrarla con uno sguardo vispo e le labbra ancora tirate in un grosso sorriso.
- Vuoi che mi accompagni papà solo perché tu vuoi dormire!
Lynz si mise le mani sui fianchi e la guardò allo stesso modo, come a farle il verso - È esattamente questo, il motivo, marmocchietta super intelligente del mio cuore - rise e le diede un bacio sulla guancia - Ora però va’ a vestirti, che altrimenti fate tardi. Susu, scattare!
- Corro! - Bandit rise e diede un altro bacetto al papà prima di farsi mettere giù e correre a prepararsi, seguita fino alla sua camera dagli sguardi dei suoi genitori. Quando fu sparita oltre la porta, Lynz spostò lo sguardo su suo marito, che la stava già guardando con la stessa aria di prima.
- Bentornato, eh - provò a sorridergli come al solito, sperando, magari, che il proprio sesto senso si sbagliasse.
- Grazie. Sei più bella di quando sono partito, sai? - Gerard allungò un braccio verso di lei per catturare con le dita un ciuffetto ribelle di capelli che le finiva sul viso, senza mai guardarla troppo a lungo negli occhi quando incrociava il suo sguardo.
- E tu sei un ruffiano, anche perché sei stato via meno di una settimana e io non sono cambiata di una virgola - senza cambiare espressione, gli diede una spinta leggera, indirizzandolo fuori dalla stanza - Va’ a impedire a tua figlia di mettere quella maglietta orribile tutta bucata che vuole indossare anche per dormire ormai, e ad apparecchiare la tavola, io rifaccio il letto e arrivo.
- Ma quella maglietta è bellissima… - Gerard si bloccò quando incrociò di nuovo il suo sguardo di fuoco e scattò sull’attenti con una smorfia, perché quella maglietta era una delle poche cose che lui amava e Lynz odiava, e quella battaglia doveva vincerla sempre lei perché “Ma ti rendi conto di come ti vestivi prima di conoscermi?”, “Sotto un completo nero non si mettono scarpe marroni!” oppure “No, Gerard, non puoi tenere il pigiama se vuoi portarmi a mangiare fuori. Al massimo puoi chiamare il cinese da asporto, e la porta vado ad aprirla io, quando arriva.” - Signorsì, signora - sospirò e le diede le spalle per raggiungere Bandit in camera sua.
Lynz non fece neanche in tempo a girarsi e a tornare verso il letto per metterlo a posto, che cominciarono le urla della figlia che combatteva per tenersi la sua maglietta vecchia e bucata, interrotte solo dalle suppliche del padre che le chiedeva in tutti i modi di rimetterla nell’armadio. Lynz dovette ammettere che quella volta Gerard si stava impegnando. Brutto segno.
 

- Allora, com’è andato il viaggio? - gli chiese finalmente, dandogli le spalle mentre lei preparava pancakes per colazione e lui era seduto al tavolo della cucina, con Bandit che aveva deciso di vendicarsi per essere stata privata della sua maglietta preferita.
- No, Bandit, non metterci tutto quello zucchero, ti prego… - rise esasperato perché aveva capito le intenzioni della figlia, che si era impossessata della sua tazza di caffè per cercare di addolcirlo fino a farlo diventare una pozione letale per un diabetico qualsiasi, o semplicemente qualcosa di imbevibile per lui, che, di solito, non ci metteva neanche mezzo cucchiaino di dolcificante - Uhm, bene… Benissimo, credo.
- Ottimo - Lynz sorrise nel voltarsi e andare a posare sulla tavola un piatto di pancakes caldi appena cucinati - Bandit, tesoro, lascia stare il caffè di papà e mangia questi, dai.
La piccola fece per dire qualcosa (probabilmente qualcosa riguardo quella maledetta maglietta) ma poi il suo sguardo andò alle frittelle e parve dimenticarsene, si leccò le labbra e si mise il piatto davanti, cominciando a mangiarle di gusto, con le mani, e a dedicarci tutta la propria attenzione.
Gerard bevve un sorso di caffè e fece una smorfia: evidentemente non era riuscito a salvarlo dalle grinfie della piccola peste che era loro figlia. Posò la tazza davanti a sé e alzò lo sguardo per incrociare quello di Lynz, e lei lo vide prendere un grosso respiro prima di parlare.
- Devo… Devo parlarti.
Lei sospirò, capendo di averci visto giusto prima, e confermando a se stessa che il suo sesto senso non sbagliava mai. Prese la tazza del marito e bevve un sorso di caffè, visto che a lei piaceva dolce, ma si ritrovò a fare una smorfia anche lei: Bandit ci aveva praticamente svuotato la zuccheriera dentro.
- Accompagni lei a scuola, prima?
Lui annuì e, abbandonando l’idea di bere un caffè che sapeva più di zucchero che di caffè, si alzò, fece il giro della tavola per sussurrare delle scuse nell’orecchio della figlia per la sua povera maglietta, con la promessa di comprargliene una uguale prima o poi, e poi, prendendola per la vita, se la caricò a sacco di patate in spalla, ridacchiando assieme a lei, seppur evidentemente preoccupato.
Quando entrambi uscirono di casa, Lynz si prese il viso tra le mani e si lasciò andare a un grosso sospiro: era abituata alle stranezze di Gerard, ma quando le diceva che “dovevano parlare” voleva dire che aveva fatto, oppure stava per fare, qualcosa che non le avrebbe fatto piacere. Quelle parole non la mettevano in crisi come qualsiasi altra persona che se le sentisse dire dal proprio compagno, semplicemente la mettevano in guardia sul fatto che molto presto si sarebbe dovuta rassegnare a qualcosa: Gerard Way non era una persona impulsiva, non come quando era un ragazzino, e prima di dire o fare qualsiasi cosa ci pensava anche un milione di volte. Ogni cosa aveva un significato e uno scopo preciso, con lui, e quando prendeva una decisione, per quanto potesse far male, a lui o a chiunque altro, quella era e quella era, e basta.
Ne aveva così tanti esempi, a partire da quando aveva deciso di sciogliere la propria band dopo averci riflettuto su mesi e mesi, indeciso se continuare per il benessere altrui ma senza metterci più l’anima o mollare per provare a riprendere in mano la propria vita, o anche semplicemente a quando le aveva chiesto di sposarlo nonostante sapessero benissimo entrambi che lui non amava lei nel modo in cui lei amava lui. Quando aveva accettato, Lynz sapeva che non sarebbe mai stata altro che un’amante per lui, la sua migliore amica al massimo, ma lei era così innamorata di quel ragazzo così folle, e allora cosa le impediva di accettare? La morale, si rispondeva ogni volta che si poneva quella domanda e faceva così partire uno dei suoi soliti monologhi interiori che andavano sempre a finire col suo giustificarsi con se stessa, perché Gerard aveva deciso che lui non avrebbe più dovuto far parte della sua vita nel modo in cui ne faceva parte, e aveva scelto proprio lei per dimenticarlo… Voleva solo aiutarlo, anche se con un pizzico di egoismo.
Ripensare al loro matrimonio, con così tanti alti e bassi ma felice, per quanto potesse essere normale un rapporto tra due persone come loro, nato tra l’altro in circostanze così strane, e alla proposta di matrimonio, con tutte le paure che aveva affrontato scegliendo di dire sì e fidarsi, così, di una persona che sapeva innamorata di un’altra, riportò Lynz a pensare a Frank Iero, così, a caso, dopo anni che neanche lo sentiva nominare se non nelle proprie interazioni fatte da ragazzine idiote su Twitter o sul Kerrang. Notò che, persa nel flusso dei ricordi, aveva messo in ordine tutta la cucina ed era andata a sedersi su una delle grandi poltrone del salotto, ad abbracciare stretto un cuscino, senza neanche rendersene conto. Scrollò le spalle, notando che suo marito non era ancora tornato, e tornò a viaggiare, come al solito, nella propria testa.
Aveva sempre provato una strana sorta di affetto, quasi materno, per Frank. Come fosse stato il suo personaggio preferito di un bel fumetto che aveva letto, era quasi arrivata a tifare per lui nella loro strana corsa al cuore di Gerard. Be’, quando il cretino si era messo con quella sciacquetta di Eliza Cuts, aveva effettivamente tifato per Frank, ma doveva ammettere che avrebbe tifato anche per un comodino se fosse stato contro quella cosa orribile che aveva anche il coraggio di definirsi una ragazza.
Chissà come stava, quel nanetto. Era padre di famiglia anche lui, si ricordò, e pensò che magari ora era felice e non la odiava più. Per un attimo le venne l’istinto di alzare la cornetta del telefono di casa per chiamarlo e chiedergli tutto, ma poi ricordò che stava aspettando che Gerard tornasse, e che probabilmente non era il caso di chiamarlo in quel momento, e probabilmente non lo sarebbe stato mai, perché lui non avrebbe mai smesso di vederla come la stronza che gli aveva portato via l’uomo che amava. Giusto.
Sospirò ancora e sbuffò anche, schiaffandosi il cuscino sulla faccia e soffocandoci dentro un lamento, drizzando le orecchie nel sentire le chiavi che giravano nella toppa della porta di casa. Posò il cuscino accanto a sé e prese un respiro, provando a prepararsi mentalmente a qualsiasi cosa, anche se, si rese conto, che il suo subconscio poteva averla portata già alla risposta.
Gerard era stato a New York per qualche giorno. Aveva una riunione solo il primo, di giorno. E il New Jersey decisamente non era lontano. Ripensò alla scintilla di oscurità che aveva visto poco prima nei suoi occhi, e riconobbe, finalmente, cos’era precisamente: senso di colpa. Era senso di colpa nei suoi confronti? Si erano davvero rivisti? Quale diavolo di idea stava girando per la testa di suo marito? Oppure quali diavolo di film mentali si stava facendo lei? Oh, non avrebbe dovuto aspettare molto per avere la risposta a tutte le domande inespresse che le inondavano il cervello.
Quando alzò lo sguardo e lo vide davanti a sé e incrociò i suoi occhi, credette di stare per cedere. Si rese conto di non averlo mai visto così dannatamente e mortalmente serio, e completamente dispiaciuto, quasi distrutto… Neanche quando nel periodo che credeva fosse il peggiore aveva cominciato a imbottirsi di antidepressivi. Ma quella nei suoi occhi non era depressione, no, lo vedeva. Era mortificato, aveva l’espressione dell’assassino prima di uccidere la propria preda. Le fece quasi gelare il sangue.
Ma Lynz era una donna forte, lo era sempre stata. Prese l’ennesimo respiro e, nel momento in cui aprì bocca, si era già rassegnata all’accettare il suo destino, qualsiasi sarebbe stato.
- Sputa il rospo.
- Sono stato con Frank.
Fu come uno schiaffo in pieno volto. Ma lei era forte, era preparata, e non lasciò trasparire nulla, se non la durezza della sua mascella contratta nello sforzo di tenere la bocca serrata. Gerard sembrava non sapere cosa aspettarsi: dondolava sui piedi e si torturava le mani, senza staccare lo sguardo da lei. Probabilmente si era preparato uno dei suoi discorsi e poi aveva mandato tutto all’aria con quelle quattro parole sparate a razzo. Sì, era sicuramente così.
- Lyn… - mosse un passo in avanti verso di lei - Io non volevo…
- Sta’ zitto, Gerard, ti prego - si passò una mano sul viso e si alzò in piedi, intimandogli con lo sguardo di lasciarla parlare - Non voglio i dettagli. Ti conosco da tempo, ormai, e so che qualsiasi cosa tu faccia, non la fai senza pensare. Quando ti ho sposato, sapevo che non mi amavi… Ma io ti amo, e non posso farci niente.
- Anche io ti amo, Lyn… - la interruppe lui, facendo un altro passo e prendendole entrambe le mani con le proprie.
Lynz non si oppose, anzi, gliele strinse forte, abbassando lo sguardo mentre tornava a parlare con sempre meno forza, la voce sempre più stanca - Non mi hai mai amato quanto ami lui, Gerard, lo so, l’ho sempre saputo… Io sono sempre stata un po’ come la tua migliore amica, e mi è sempre andato bene. Me lo sono fatto bastare. E tu hai sempre provato a farmi stare bene, lo so, e io ci sono stata, bene, l’ho apprezzato, tanto, pur sapendo tutte quelle cose… Ma se ti eri stufato davvero così tanto di me, ti bastava dirlo. Non avevi bisogno di tradirmi anche fisicamente, oltre che mentalmente. Lo avrei accettato, come accetto la maggior parte delle cose che fai, perché ti conosco, e so che è inutile tentare di farti cambiare idea… - la voce le si spezzò sulle ultime parole e si morse il labbro, senza alzare lo sguardo, per provare a tornare a parlare normalmente, invano.
Gerard era rimasto in silenzio, accusando tutti i colpi come chi sa di star facendo soffrire una persona alla quale non tiene quanto dovrebbe, come chi sa di non essere nel giusto - Non avrei mai voluto farti stare così. Credevo di farcela, ce l’ho fatta per tanti anni…
- Per tanti anni hai mentito a te, ma non a me.
- Avrei voluto che non fossero state bugie.
- Ma lo erano.
- Lyn…
- Senti, Gerard, è inutile stare qui a parlarne. Mi fai solo più male. Il passato ormai è passato, io tutto quello l’ho accettato, in un modo o nell’altro. Il fatto è: cos’hai intenzione di fare ora? - fece qualche passo per allontanarsi da lui, andando in cucina, sapendo che lui l’avrebbe seguita anche se non lo stava guardando.
- È partito tutto dal fatto che vorrei rimettere insieme il gruppo… - e lui la seguì, rispondendole cautamente.
A quelle parole, Lynz si fermò davanti al frigorifero mezzo aperto - Questo… Questo mi fa piacere. Davvero - ne estrasse una bottiglia d’acqua e lo richiuse, misurando ogni movimento e continuando a non guardare Gerard - E hai deciso che, a riparare una cosa che in realtà non volevi rompere, sarebbe stato facile farne anche due?
- È venuto tutto da sé, non avrei voluto che tu…
- Ho detto che non voglio i particolari. Per favore.
- Scusami.
- Ti perdono. Come sempre - sospirò e, dopo aver bevuto il bicchiere d’acqua e posato di nuovo la bottiglia nel frigo, si girò a guardarlo, gli occhi colmi di lacrime trattenute, ma che avrebbe continuato a trattenere - Io comunque ti appoggio, come ho sempre fatto. Resterò la tua migliore amica, la madre di tua figlia, una delle tante persone a cui vuoi bene. Non ti metterò i bastoni tra le ruote. Voglio che tu sia felice…
A quel punto, fu Gerard a rompere le distanze e ad avvicinarsi a lei, stringendole le braccia alla vita e poggiando la fronte contro il suo collo - Anche io voglio che tu sia felice, Lyn… Sei la persona migliore che io abbia mai conosciuto e che mai conoscerò in tutta la mia vita. Sei bella, sei simpatica, sei la donna più forte che conosca, sei così fottutamente altruista: ti faresti uccidere per uno stronzo come me, e non me lo merito - sollevò il viso e la lasciò per prendere il suo tra le mani e portarla a guardarlo negli occhi, pieni di lacrime come i suoi - Io ti amo…
- Ma non abbastanza. Non nel modo giusto.
- Ma ti amo. Potrò essere lontano, potrò fare stronzate, ma continuerò ad amarti, e non ti lascerò mai da sola, almeno finché non sarai felice - sospirò e le lasciò il viso per tornare a prenderle le mani, e stringerle - Lo so che, detto adesso, detto così, può sembrare una cazzata, ma credo sia vero: io non sarei mai stato in grado di renderti felice. Non completamente. Non è di me, che hai bisogno. So che sarai felice, e voglio aiutarti anche perché io non ci sono riuscito quando avrei dovuto.
Lynz chiuse gli occhi per un secondo, lasciando scappare una lacrima che cadde sull’intreccio delle loro mani, poi prese un respiro e tornò a guardare l’uomo che le stava spezzando il cuore: - Grazie.
Disse solo quello, fu l’ultima cosa che ebbe la forza di dire mentre lo abbracciava di nuovo, seppellendo il viso nel suo petto e bagnando la sua maglietta di tutte le lacrime che aveva cercato di trattenere fino a quell’istante.
Ne avrebbero riparlato, questo era certo. C’erano tante cose da mettere a punto, tante situazioni di cui discutere, tanto tutto. Ma tutto ciò che Lynz riusciva a fare in quel momento era cercare di trattenere i singhiozzi, aggrappandosi all’uomo che amava. L’uomo che dopo averle dato tutto le stava strappando via il cuore, e le stava promettendo di non abbandonarla, di salvarla dopo averla uccisa, ma lei annegava, e lui non lo sapeva. O forse sì.
Non riusciva a pensare lucidamente. L’unica cosa che sapeva, era che niente sarebbe stato più lo stesso.
Che loro non sarebbero più stati gli stessi.
Come fantasmi nella neve. Come fantasmi nel sole.











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ALLORA
ciao
okay, bene, parto con delle scuse:
1) per questo capitolo che boh non lo so io ci ho pianto nello scriverlo ma ok
2) PER L'ESTREMO RITARDO
ma ho delle scusanti:
- ricordate il blocco dello scrittore de quale vi avevo parlato nello scorso capitolo? bene, non era finito
- quest'anno ho la maturità, e il l'ultimo periodo è stato il peggiore tra interrogazioni e compiti etc e ho dovuto per forza aprirmi il culo a studiare visto che negli ultimi cinque anni non ho fatto na ceppa e rischiavo pure la non ammissione lol
- come se non bastasse, ho avuto i lavori in casa quindi sono stata senza pc per due mesi e anche se avessi potuto aggiornare per l'assenza dei motivi precendenti, non avrei potuto per questo
insomma, un gran bel casino
ora che vi ho chiesto scusa direi che mi tolgo di mezzo visto che c'è un temporale con fulmini saette e grandine che AIUTO proprio sopra casa mia e non vorrei che un fulmine mi colpisse e mi bruciasse il pc rido
vi informo, tra l'altro, che credo manchi qualcosa come cinque o sei capitoli alla fine della storia, ma non ne sono sicura, e tra l'altro non so quando aggiornerò la prossima volta perché sono davvero impegnatissima e probabilmente mi verrà un esaurimento nervoso molto presto
in bocca al lupo a tutte le maturande come me, che la forza sia con noi lolz
VA BENE VE BENE ME NE VADO 

con la speranza che ci sia ancora qualcuno che segue la mia storia,
un grosso abbraccio che gnawgnawgnaw
-Elis ♥

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