Academy

di Medea Black
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Jim ***
Capitolo 2: *** Flashback ***
Capitolo 3: *** Where you gonna sleep tonight? ***
Capitolo 4: *** Meanwhile ***
Capitolo 5: *** Crack, carry on, endure. ***
Capitolo 6: *** Spock ***
Capitolo 7: *** Gossip girls ***
Capitolo 8: *** Un anno dopo ***



Capitolo 1
*** Jim ***


A Ylianor.



James Tiberius Kirk.
J. T. Kirk.
Jim.


Se si fosse impegnato ancora un po’ forse ce l’avrebbe fatta a sparire del tutto.
Sbuffando, il cadetto Kirk cancellò con degli scarabocchi il suo nome scritto più volte sul quaderno che si ostinava a portare alle lezioni, non tanto per prendere appunti ma per annotare pensieri e qualsiasi cosa ritenesse utile dal momento che nella maggioranza dei casi trovava i corsi decisamente noiosi.
Quella si poteva definire una giornata storta: il docente di Protocolli legislativi comparati di cooperazione interstellare (un modulo minore di Operazioni di prevenzione guerra interspecie), esame noiosissimo che aveva intenzione di studiare per conto suo, aveva preteso la frequenza al corso.
Per essere precisi: aveva consigliato la frequenza, data la complessità della materia, e bla, bla, bla… di fatto, se Jim non avesse seguito temeva che il professore gliel’avrebbe fatta pagare all’esame, e lui non poteva perdere tempo. Stava letteralmente macinando esami, voleva a tutti i costi dimostrare al capitano Pike che poteva farcela nella metà del tempo.
La realtà dei fatti, dietro quello che poteva sembrare il capriccio di un ragazzo presuntuoso, era che si sentiva in ritardo. Aveva trascorso un brutto periodo dopo il diploma, e tornare al ranch dopo il college non gli aveva fatto bene: odiava “il caro zio” Frank e voleva andarsene, allo stesso tempo non sapeva cosa fare della sua vita, con il risultato che andava sbandandosi di qua e di là senza concludere niente.
Fino a quando Christopher Pike non lo aveva trovato e gli aveva dato uno scopo. Non credeva che si sarebbe arruolato, ma dal momento stesso in cui lo aveva deciso aveva saputo di stare aspettando solo quel momento, rimandato per una vita a causa del peso del suo cognome.
James Kirk non esisteva davvero, era solo il figlio di George Kirk, l’eroe. Non gli andava di dover ripercorrere le orme di suo padre con tutta l’accademia che lo guardava e si domandava: “Sarà all’altezza?” – oppure – “Lo immaginavo più alto”.
Il movimento in aula lo riscosse: si era perso nei suoi pensieri e non si era accorto che la lezione era terminata. Perfetto, doveva recuperare dei file e saltare la lezione successiva – Xenobiologia, che non aveva nessuna intenzione di seguire – poi sarebbe stato libero di andare a studiare per un paio d’ore prima dell’appuntamento con Gary. Ovviamente, prima avrebbe dovuto sviare Leo.
Raccolse le sue cose e si avviò a passo svelto verso l’uscita, salutando con un gran sorriso il professore che ricambiò con un cenno compiaciuto. Superò un gruppetto di ragazze che confabulavano di chissà cosa proprio davanti alla porta e volò letteralmente verso la biblioteca multimediale.
Seguire otto corsi in un semestre – senza contare le esercitazioni pratiche -  oltre ad essere umanamente impossibile, richiedeva un notevole incastro di ore di studio, file, caffeina e docenti disposti a concedere sedute straordinarie d’esame. Per fortuna la maggior parte di essi non aveva avuto obiezioni, ma i pochi che si erano messi di traverso erano già un rallentamento sufficiente a far spazientire Jim, ben consapevole che l’impegno da solo rischiava di non bastare se voleva rientrare nei tempi che si era dato.
Era così che aveva conosciuto Gary. Corso di Esochimica, materia che tra laboratori e provette lo entusiasmava pochissimo. Se proprio doveva perdere il senno dietro formule complesse e minuziosi incastri di componenti delicatissimi preferiva di gran lunga l’ingegneria, almeno aveva la sensazione di far funzionare qualcosa.
Fatto sta che il professore era un grande nome della sezione scientifica e non ammetteva che i “presuntuosi cadetti della sezione comando” snobbassero i suoi corsi. Id est, si era ritrovato costretto a seguire, togliendo tempo prezioso alle altre mille cose che doveva fare, per di più una materia che non lo interessava abbastanza.
E poche cose erano più imprevedibilmente dannose di un Jim Kirk annoiato.
Gary Mitchell, un altro dei cadetti della sezione comando, lo aveva notato subito.
“Non ti piace la chimica?” – gli aveva chiesto con un sorriso sincero, da ragazzino, sul bel volto aperto.
Jim lo aveva già visto da qualche parte, era più giovane di lui ma seguivano almeno altri due corsi assieme. Prevedendo la sua domanda, Gary si era presentato spiegandogli di essere uno studente a programma speciale. La qual cosa, come lui sapeva bene, significava che il suo interlocutore era uno di quei ragazzini incredibilmente intelligenti che vengono allevati fin da piccoli per essere dei super - geni, ritrovandosi a terminare gli studi con anni di anticipo e magari poi vincere un Nobel, ma ciò che lo aveva colpito era la grande umiltà con cui aveva pronunciato quelle parole: semplicemente, senza nessuna enfasi, come se la cosa non avesse importanza. Non era l’atteggiamento che Kirk si sarebbe aspettato da un giovane genio abituato ad una vita di riconoscimenti, il che gli fece un’ottima impressione.
Parlarono per un po’ dopo la lezione e a quell’incontro ne seguirono molti altri: Gary era simpatico e piacevole, era bello conoscere qualcuno con cui poter discorrere veramente di tutto. Inoltre Jim non aveva avuto il tempo di farsi degli amici in quel primo anno e mezzo di accademia, fatta eccezione per Bones, con cui condivideva anche l’alloggio dal primo giorno in cui erano scesi assieme dalla navetta delle reclute.
Il burbero dottore gli era piaciuto subito, si erano fatti simpatia ed erano diventati in breve tempo, complici nottate di studio e liquori vari, grandi amici. Anche se, a dirla tutta, spesso Leo gli ricordava più sua madre, con quel continuo riprenderlo per ogni cosa e preoccuparsi per lui… Jim non era abituato ad avere qualcuno che si preoccupasse per lui. Probabilmente questo semplice fatto aveva reso Leonard McCoy una sorta di fratello maggiore, una persona in cui riponeva assoluta fiducia.
“Quando sarò capitano lo convocherò come ufficiale medico.”
Ridendo della sua stessa spacconeria finì di recuperare i file che gli servivano, sorrise gentilmente all’addetta alla biblioteca e si avviò a passo spedito verso i laboratori medici.
Trovò Bones che sbraitava contro un cadetto in merito a qualcosa che riguardava le glicoproteine e decise di congelarsi dietro la porta per evitare di essere travolto dalla sfuriata. Gli arrivarono chiaramente la voce alterata del suo amico e quella timorosa di un aspirante medico, probabilmente assegnato per sua sfortuna al team di Leo.
“Ora, o lei è impazzito del tutto oppure avrà una valida spiegazione del perché le glicoproteine si trovavano accanto ai sedativi, tenuto conto che se per caso dovessi sedare un paziente e gli iniettassi invece dei nutrienti i risultati sarebbero leggermente diversi, non trova?”
“Ehm – sì, signore, ma in realtà le proteine mi servivano per un esperimento in merito a quali nutrienti si possano somministrare indifferentemente ad umani e vulcaniani in caso di emergenza, per cui le avevo poggiate accanto ai sedativi per verificarne le interazioni. La prossima volta verificherò di aver rimesso tutto a posto, glielo assicuro.”
“Vulcaniani?!”
“Sì, signore, mi sto specializzando in medicina vulcaniana. Conduco gli esperimenti durante il tempo libero.”
“D’accordo, cadetto…?”
“M’Benga, signore.”
“Va bene, ma non lasciare mai più niente fuori posto nel mio laboratorio. Puoi andare.”
Guardando il terrorizzato quasi – medico M’Benga sfrecciare fuori dalla stanza a velocità warp, Kirk pensò sorridendo che finalmente anche Leo stava facendo amicizia.
Il sorriso gli morì sulle labbra quando sentì su di sé lo sguardo torvo di McCoy.
“Che c’è? Hai già finito i corsi?”
“Sì, volevo avvertirti che stasera non ci sarò, c’è un torneo di scacchi inter nos…” – rispose con un sorriso innocente.
Lo sguardo del dottore non si addolcì.
“Torneo di scacchi, eh? Come vuoi, Jimmy. Sai come la penso al riguardo, non mi ripeterò.”
Kirk sbuffò, sconfitto.
“Andiamo, Leo, non ti sei neanche preso la briga di conoscerlo, è un bravo ragazzo…”
“Basta così, Jim, sul serio. Non voglio litigare, ne abbiamo già parlato: non ti vedo bene, non credo ti faccia bene, ma è la tua vita e decidi tu. Bisogna sbagliare con la propria testa, io posso solo sperare che non ti faccia troppo male. L’unica cosa che ti chiedo è di non rallentare con gli studi: hai un programma, rispettalo. Ho finito, per me l’argomento è chiuso.”
“Ok. Sto studiando, comunque, sono nei tempi. Rispetterò il programma, e che tu ci creda o no Gary mi sta aiutando! Ora vado a studiare, ci vediamo.”
Jim si allontanò sentendosi un cane bastonato, gli occhi di Bones puntati sulla sua nuca fino alla fine del corridoio. Percepiva tutta la riprovazione del suo amico e quello sguardo accusatore lo faceva sentire colpevole. Era stato il primo e l’unico a sapere della sua relazione, visto che Gary non aveva voluto che si sapesse: diceva che quel genere di pubblicità non avrebbe fatto bene a nessuno dei due, e probabilmente aveva ragione, solo che Leo la pensava diversamente.
Ora il suo umore era definitivamente a terra, sicuramente non sarebbe riuscito a studiare. Sedette comunque alla scrivania del suo alloggio, dopo aver buttato a terra la borsa e sul letto il padd, fissò le pile di file arretrati e represse l’impulso di dar ragione a Bones: stava rallentando. Perché lo stava facendo se in teoria avrebbe dovuto procedere più spedito?
Si prese la testa fra le mani e si abbandonò ai ricordi, aveva bisogno di fare ordine in quella situazione. Quasi non riusciva a ricordare come fosse iniziata esattamente la sua storia con Gary: semplicemente all’improvviso si era trovato avvinto da quel ragazzo incredibilmente intelligente, che sembrava sapere ogni cosa e con il quale aveva tanti interessi in comune, a cominciare dagli scacchi.
Ecco, era durante una partita a scacchi che era incominciato tutto. Da quel momento la vita di Jim era cambiata, e ora non si raccapezzava più.


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Note: Ehm, sì, non sono morta. >.<
Ho iniziato a scrivere questa storia mesi fa, decisissima a pubblicarla e continuare a scrivere, quando ad un tratto... blocco dello scrittore. T_T
E del lettore, aggiungo, ma questa è un'altra storia... insomma, tra un avvicendamento e l'altro della vita reale, ho perso le parole (per citare qualcuno). Ora, a quanto sembra, le ho ritrovate, quindi vi sottopongo questo progetto, premettendo che nelle intenzioni sarà una storia lunga, sebbene non abbia ancora chiaro il numero di capitoli.
Passo alle note vere e proprie: dunque, avevo voglia di addentrarmi in qualcosa di inesplorato, pur senza abbandonare i nostri eroi, e dal momento che (non me ne vogliate) gli spunti di pairing alternativi Khanarthur, seppur divertenti da leggere, non mi hanno coinvolto da autrice, sono tornata indietro nel tempo. Visto che il reboot ha più buchi di un groviera è ormai quello il mio universo di "rimaneggiamento" preferito, quindi ho immaginato cosa potesse essere successo all'accademia a questi nuovi/vecchi personaggi, dati i non trascurabili cambiamenti.
Però premetto subito che, nonostante abbia seguito per molti aspetti le fonti Memory Alpha/Beta, ho inventato parecchio, da cui l'avviso OOC, valido soprattutto per alcuni personaggi esistenti ma mai approfonditi (e probabilmente anche per i protagonisti, dal momento che, pur cercando di essere fedele, li ho descritti da studenti). Volevo esaminare soprattutto l'aspetto psicologico - relazionale, arrivando gradualmente al punto in cui tutto ha inizio: la famigerata Kobayashi - Maru.
Insomma, un bel po' di carne a cuocere! XD
Mi auguro di riuscire a tenere tutto insieme, come sempre ringrazio chi avrà la pazienza di soffermarsi a leggere e recensire. ^_^
Alla via così!

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Capitolo 2
*** Flashback ***


“Scacco matto. Ho vinto ancora.”
“Incredibile, come fai  a battermi sempre?! Credevo di essere piuttosto bravo negli scacchi!”
Kirk finse di mettere il broncio, mentre Gary indossava il suo miglior sorriso trionfante.
“Non bravo quanto me, Jim.”
“Ma che presuntuoso, non so davvero perché continuo a farmi insultare da te ad ogni partita!” – scherzò il cadetto biondo incrociando le braccia al petto in una perfetta simulazione di orgoglio ferito.
“Perché ti serve il mio aiuto con Esochimica e perché sono carino.”
Jim non potè impedirsi di arrossire, colpito da quell’affermazione improvvisa, e girò la testa sperando che l’altro non lo avesse notato. Il punto era che lo aveva pensato, e più di una volta.
Gary era decisamente carino, oltre che estremamente intelligente.
Si era accorto da un po’ di tempo che probabilmente gli piacevano anche gli uomini, ma non aveva mai approfondito, limitandosi ad archiviare la possibilità. Inoltre, a dirla tutta, negli ultimi tempi non aveva avuto neanche il tempo per le relazioni interpersonali, figurarsi per quelle sentimentali!
Poi però era arrivato Gary, e quella possibilità si era insinuata nella sua coscienza fino a diventare un interrogativo pressante: potrebbe essere?
Adorava parlare con lui, si era sorpreso ad aspettare i corsi in cui lo avrebbe visto e i momenti in cui avrebbero chiacchierato, infine a desiderare di sfiorarlo.
Si sentiva impacciato, quella era la prima volta che provava qualcosa per un altro ragazzo, al massimo in passato aveva apprezzato l’avvenenza di qualche uomo, ma niente di più. Ora non sapeva come comportarsi, temeva di rovinare tutto, non sapeva neanche esattamente cosa volesse.
Quindi probabilmente non avrebbe fatto nulla, gli sembrava la decisione migliore.
La voce del suo amico lo riportò alla realtà.
“Dai, ti offro il calumet della pace.” – sogghignò alzandosi.
Kirk sbuffò: “Non mi pentirò mai abbastanza di averti detto di avere sangue indiano(1)!”
Gary rise: “Andiamo, è solo uno scherzo! Insomma, con i tuoi colori avrei detto più svedese che indiano! Comunque non è davvero un calumet, non si può fumare negli alloggi, ma è qualcosa che credo apprezzerai.”
Si avvicinò ad un armadietto e ne estrasse una bottiglia.
“Vodka artigianale” – annunciò solennemente – “l’ha portata un mio compagno di corsi, un ragazzino russo piuttosto promettente, pensa che ha a stento quindici anni.”
“Ha parlato il grand’uomo!” – rise Kirk – “Tu ne hai diciotto!”
“Appunto: sono abbastanza.”
“Per cosa?”
“Perché sia legale(2).”
Gary si voltò a guardarlo con un’espressione indecifrabile, che fece leggere a Jim tanti, troppi sottintesi in quell’affermazione che probabilmente si riferiva al limite di età per assumere alcolici... perché era a quello che doveva riferirsi, giusto?
Questa volta non potè fare nulla per nascondere il violento rossore che imporporò nuovamente il suo viso, ma Mitchell, che si era messo ad armeggiare con bicchierini e snack, non parve accorgersene.
Tanto per fare qualcosa e togliersi dall’imbarazzo, Jim lo raggiunse accanto al ripiano dove l’altro aveva predisposto quello che sembrava un invitante aperitivo.
“Sai” – riprese a spiegare il giovane cadetto – “Pavel, questo mio amico, mi ha spiegato che i russi la bevono prevalentemente non ghiacciata, liscia e intervallata da stuzzichini salati. Però va bevuta alla goccia e in numero non inferiore a tre bicchierini consecutivi.”
“D’accordo” – rispose Kirk – “sembra divertente.”
“Cominciamo allora.”
Gary versò il liquido trasparente dall’aspetto ingannevolmente simile ad acqua pura in due bicchierini, colmandoli fino all’orlo.
“Za zdraviye!” – esclamò allegramente Jim sollevando il bicchiere.
Gary lo guardò sorpreso.
“Conosci il russo? Non hai usato l’espressione derivante dal polacco che tutti erroneamente usano come toast(3)…”
Fu il turno di Kirk di assumere un sorrisetto furbo.
“Potrei stupirti con le cose che so, Mitchell.” – replicò buttando giù d’un fiato la vodka.
Mentre il liquore scendeva a bruciargli la gola Jim si chiedeva perché diavolo l’avesse detto. Che gli era saltato in mente? Sperava solo che l’amico non avesse colto il doppio senso… ma c’era poi un doppio senso?
Oh, sì che c’era, chi voleva prendere in giro?
Mentre riprendevano fiato dopo il primo bicchiere, Gary gli avvicinò un piattino pieno di quelli che sembravano sottaceti.
“Prendi un cetriolino in salamoia, in Russia la vodka si accompagna prevalentemente a questo genere di cose. Se non ti piacciono ci sono i salatini.”
“Non so se mi piacciono, non li ho mai provati.”
“E vorresti provare?”
“Perché no? Sembrano buoni.”
“Sai, Jim? Io adoro essere sorpreso. Non succede mai.”
Kirk quasi si strozzò con un cetriolino. Decise immediatamente che non gli piacevano poi tanto, ma ne mangiò ugualmente un altro per dissimulare l’imbarazzo. Terribili. Represse una smorfia.
Intanto l’altro versava il secondo bicchiere.
“Comunque personalmente preferisco il polacco: na zdrowie!” – brindò.
“Come vuoi, ma la vodka è russa.” – replicò Jim brindando a sua volta.
Ormai aveva imparato a capirlo: quando Gary non era il primo a sapere una cosa, questa diventava immediatamente meno interessante. Capricci da geni…
Dopo un breve intermezzo salato, fu la volta del terzo bicchiere, che Jim avrebbe volentieri evitato perché a meno di farsi riprendere da Bones – ma piuttosto avrebbe preferito collassare – non sarebbe stato in grado di leggere una riga per quel giorno.
Naturalmente si guardò bene di dar voce ai suoi timori e bevve anche l’ultimo dei tre shot di liquore, che cominciarono a fare il loro dovere riscaldando ogni singolo centimetro del suo corpo e rendendogli la testa leggera.
“Certo che è proprio buona… non trovi che faccia troppo caldo per la divisa? Ti prendo una maglietta delle mie.”
In effetti Gary aveva tolto la giacca già da un po’, indossando una semplice sottomaglia nera a mezze maniche che Kirk trovava gli stesse benissimo.
Quando tornò con una maglia uguale per Jim, questi si era già tolto la giacca e la sottomaglia di ordinanza, a maniche lunghe e fin troppo calda per il quantitativo di alcol che aveva in corpo, prima di rendersi conto che si trovava a torso nudo davanti al ragazzo per cui forse aveva una cotta.
Questi lo squadrò attentamente, come a volerselo imprimere nella memoria, uno sguardo che fece sentire Jim leggermente a disagio. Continuava a tenere stretta la maglia senza porgergliela, ma si stava avvicinando lentamente.
Il silenzio in quei momenti faceva un rumore preciso, di respiri e pensieri confusi, mentre la distanza tra i due si azzerava. Era un po’ più basso di lui Gary Mitchell, il ragazzo dai grandi e luminosi occhi nocciola che adesso lo guardavano con intensità, Jim notò che doveva sollevarsi sulle punte per raggiungere le sue labbra.
Riusciva a captare tutti i suoi movimenti come al rallentatore e quel gesto, quel sollevarsi sulle punte dei piedi per raggiungerlo, fece crollare i suoi timori residui: vide la sua stessa mano allungarsi e affondare nei morbidi capelli castani dell’amico, mentre la sua bocca si univa finalmente a quella dell’altro in una frenetica danza al sapore di vodka.
Kirk in effetti si sentiva un po’ cosacco, mezzo nudo e mezzo ubriaco nell’alloggio di Gary con quest’ultimo avvinghiato a lui come se ne andasse delle loro vite, persi nel freddo della steppa siberiana.
Con un ultimo sprazzo di lucidità si ricordò che l’altro aveva solo diciotto anni, e d’accordo che - come lui stesso gli aveva fatto notare poc’anzi - era legale, però sentiva il bisogno di accertarsi di non starsene approfittando.
“Gary, aspetta, tu sei… voglio dire, sei sicuro? Insomma, hai diciotto anni!”
Nella sua testa la frase era uscita molto meglio, non biascicata e pronunciata in tono fermo e rassicurante, ma avrebbe dovuto accontentarsi di ciò che riusciva a fare in quello stato.
Mitchell gli rispose senza esitare e senza staccarsi da lui.
“Tra due mesi saranno diciannove: forse questo ti farebbe sentire più tranquillo, ma non voglio aspettare ancora. Dimentichi che sono precoce in tutto, so quello che voglio, ho perso la verginità a tredici anni perché ero curioso e mi sono sempre piaciuti gli uomini. Quindi se ti stai preoccupando per il nostro sesso omologo o per la mia età smettila subito, non occorre.”
Ma come faceva ad essere così freddo in un momento come quello?
“Tredici… ma non è un po’ presto?” – gli scappò detto prima che potesse fermare le parole, ricordando che lui a tredici anni giocava ancora con i modellini di astronave. In effetti ci giocava ancora adesso, ma non era il punto…
“Come ti ho detto mille volte, Jim: non per me. Volevo provare e l’ho fatto, non posso mettere dei limiti eteroimposti alla mia curiosità illimitata. Adesso però sei tu ad essere curioso, non è così? Me ne sono accorto subito.”
“Ah, si?”
“Me lo stai dimostrando, cadetto.” – sorrise Gary mentre iniziava a sbottonargli i pantaloni mettendo alla luce la dura verità.
“Gary, io non l’ho mai fatto… con un altro uomo, intendo…”
Il tono di Mitchell si addolcì.
“Non preoccuparti, lascia fare a me: aspetto questo momento dalla prima volta che ti ho visto.”
“Sul serio?” – incominciò a dire Jim, meravigliato ma contento, prima che un altro bacio gli mozzasse il fiato.
Ben presto si ritrovò spinto sul letto, completamente nudo e senza più alcuna traccia di paura: anche lui voleva che accadesse, era innamorato di Gary ed era felice che anche lui provasse dei sentimenti nei suoi confronti.
Perché era quello che aveva detto, giusto?

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 Note:
  1. Winona Kirk ha sangue indiano: fonte  Memory Alpha.
  2. Lo so, ho indicato il termine di maggiore età italiano, ma viste anche le età medie nei reboot ho ritenuto logico che i limiti sarebbero scesi, non saliti. Passatemela.
  3. Il toast qui descritto è il tipico brindisi russo, i termini e la ritualità della vodka li ho trovati in rete, se riscontrate errori fatemeli notare e li correggerò. ^^

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Capitolo 3
*** Where you gonna sleep tonight? ***


Jim sollevò la testa dalla scrivania e la scrollò decisamente, come a voler scacciare le immagini che aveva rievocato; non riusciva ad impedirsi di provare un disagio strisciante, di cui non individuava le cause.
Smise di pensarci, lo rendeva nervoso e non aveva senso rimuginare sul nulla. Inoltre avrebbe dovuto cercare di studiare almeno un po’…
Due ore dopo alzò la testa di scatto dalla scrivania: si era addormentato sugli appunti!
Imprecando, scattò in piedi e si fiondò in bagno, dal quale riemerse pochi minuti dopo grondando acqua. Asciugatosi alla meglio, pescò alla cieca un jeans e una vecchia maglietta dall’armadio, li indossò e corse fuori dall’alloggio, quasi travolgendo una ragazza verde a cui lanciò delle scuse senza voltarsi continuando a correre.
Giunto all’alloggio di Gary aveva il fiato corto, ma si ricompose subito. Entrò con un sorriso che nei suoi piani avrebbe dovuto far passare al compagno qualunque broncio avesse deciso di mettere su per il suo ritardo, ma non fu così fortunato.
Mitchell stava seduto a gambe incrociate sul letto, un padd in una mano e l’altra che pescava pigramente in una busta di patatine posata accanto a lui, ostinatamente chino su qualunque cosa stesse leggendo.
“Sei in ritardo” – lo apostrofò con tono piatto.
“Sì, scusa, mi ero appisolato. Non è che ieri notte abbia dormito molto…”
Il tono allusivo di Jim cadde nel vuoto. Gary sollevò lo sguardo ed esaminò Jim con aria critica.
“Hai i capelli bagnati? E quella maglietta?”
“Si stanno asciugando, e cos’ha che non va la mia maglietta?!”
“Non è adatta ad una serata fuori.”
Jim era visibilmente deluso.
“Oh, vuoi uscire?”
Gary gli rivolse uno sguardo malizioso.
“Non possiamo mica restare sempre chiusi qui dentro, non ti pare? Non che mi dispiaccia, ma voglio provare qualcosa di nuovo.”
Prima che Kirk potesse replicare qualcosa, l’altro saltò giù dal letto e recuperò una maglia dall’armadio per poi porgergliela con un gesto imperioso. Jim si trincerò dietro un’espressione ostinata e non la prese.
“Si può sapere perché la mia non ti va bene?”
Gary sospirò e assunse il tono di quando ci si rivolge ad un bambino.
“Perché è larga e non mette in risalto il tuo fisico.”
“Beh, non prevedevo di tenerla su per molto, comunque…” – rispose maliziosamente il biondo, cercando di baciarlo.
“Non essere sciocco e metti questa” – ribattè Gary scansandosi – “le mie maglie sono perfette, essendo di una taglia inferiore alla tua. Non puoi fare conquiste vestito da contadino.”
Jim trasalì, in piena confusione.
“Conquiste? Ma di cosa stai parlando?”
“Di ragazze, Jim, parlo di ragazze.”
“Ma perché dovrei uscire a cercare di conquistare qualche ragazza?”
“Perché a te piacciono le ragazze.”
“S… sì, mi piacciono, ma cosa c’entra? Insomma, non ti dà fastidio?!”
“Al contrario. Visto che sembri non capire ti spiego cosa faremo: andremo al bar  dell’accademia e ci siederemo al bancone. Ordineremo da bere, poi io raggiungerò i miei compagni di corso, salutandoti e lasciandoti al tuo drink. Non dovrebbe trascorrere molto tempo fino all’arrivo di una ragazza, attratta da te seduto lì da solo o semplicemente alla ricerca di qualcosa da bere. Tu parlerai con lei, le offrirai una bevanda, poi inizierai a flirtare. Io nel frattempo seguirò tutta la scena da lontano. Alla fine, se tutto sarà andato bene, ci andrai a letto.”
“Perché dovrei farlo?” – replicò Jim al massimo della confusione.
“Perché per tutto il tempo avrai i miei occhi addosso, quando non li avrai li sentirai comunque perché saprai che io starò pensando a ciò che starai facendo con lei e questo mi ecciterà. In questa esperienza sensoriale con una donna, che ti darà piacere, avrai me nella testa, il che è ciò che ne darà a me.”
Ora Jim non sapeva se essere più confuso o eccitato, anche perché Gary gli aveva soffiato tutte quelle istruzioni direttamente nell’orecchio. Non era molto convinto di voler tradire il suo ragazzo, ma tutto sommato non era niente di diverso da una cosa a tre, solo che era immaginaria… perché i geni dovevano essere contorti anche nelle fantasie sessuali?!
Sospirò pesantemente e annuì, tanto sapeva che non l’avrebbe spuntata in una discussione sulla morale, argomento di cui Mitchell sembrava non sapere nulla. Se aveva questa curiosità non vedeva niente di male nell’assecondarlo, per una volta.
Più tardi, seduto al bancone del bar, Kirk osservava incuriosito i preparativi per l’esibizione di un gruppo live. Non sapeva ci fosse un concerto quella sera, era una piacevole novità, che si rivelò ancora più piacevole quando vide chi erano i membri del gruppo: Nyota Uhura, la bellissima ragazza con cui aveva fatto una pessima figura la sera del suo reclutamento da parte di Pike, e tre sue amiche che conosceva di vista, tra cui una notevole orioniana che aveva visto da qualche parte di recente ma non ricordava quando…
Sorrise tra sé al ricordo di come aveva conosciuto Nyota, che poi era diventata una specie di amica: Jim l’aveva capito subito che quella ragazza avrebbe significato guai, così aveva cercato di bruciare le sue possibilità il prima possibile approcciandola da ubriaco e comportandosi da cavernicolo. Aveva funzionato alla grande e aveva anche rimediato una bella rissa.
Durante i primi corsi, poi, aveva avuto modo di confermare i suoi sospetti su di lei: troppo bella per essere vera, troppo intelligente e con un carattere troppo nelle sue corde per potersi limitare ad un approccio disimpegnato. Quella donna era pericolosa. Per fortuna lei sembrava convinta che lui fosse un idiota.
Era stato il test di ingegneria del primo anno a farle cambiare idea, da allora aveva sotterrato l’ascia di guerra ed erano in rapporti cordiali. Si vedevano ogni tanto in biblioteca e ai laboratori, anche lei studiava di gran carriera per finire nei tempi e guadagnarsi un posto nell’Olimpo delle comunicazioni, cosa che sarebbe senz’altro riuscita a fare a giudicare dai suoi risultati brillanti.
Jim incrociò il suo sguardo sul palco e alzò il bicchiere nella sua direzione, sorridendole. Lei gli sorrise di rimando, ma poi si girò a guardare l’orioniana con un’espressione indecifrabile e attaccò un arpeggio con la chitarra che aveva imbracciato. La destinataria di quello sguardo, a sua volta armata di una seconda chitarra, scosse violentemente la testa piena di fluenti capelli rossi, come a scongiurarla di non farlo, poi dovette capitolare e seguire la sua cantante in quello che sarebbe stato il loro primo pezzo.
Kirk constatò piacevolmente sorpreso che si trattava di un pezzo country. Non ammetteva la sua predilezione per quel genere, naturalmente, già la sua fama di “contadino” lo precedeva, ma non poteva impedirsi di collegarlo alla sua infanzia, quel breve pezzo di infanzia che era stato piacevole.

Oh the wind whistles down 
The cold dark street tonight 
And the people they were dancing... to the music vibe (1)


Jim si sentì trasportato di nuovo in Iowa, in quel periodo piuttosto buio della sua esistenza in cui non aveva prospettive e si limitava a passare da un locale all’altro in cerca di sollievo alle sue molte ferite nascoste.

 And you singing the song thinking this is the life 
And you wake up in the morning and your head feels twice the size 
where you gonna go, where you gonna go, where you gonna sleep tonight? 


La sua mente volava lontano, via dal rassicurante calore del bar pieno di cadetti come lui, via verso strade buie nonostante fossero illuminate dalle luci artificiali, buie come le avrebbe sempre ricordate a riflettere l’oscurità della sua anima. C’erano stati molti giorni in cui non sapeva dove avrebbe dormito, ovunque pur di non tornare a casa, con chiunque pur di non essere in quel luogo che avrebbe dovuto sentire casa e che invece odiava con tutto se stesso.

And you're waiting outside Jimmy's front door 
But nobody's in and nobody's home till four 
So you're sitting there with nothing to do 
Talking about Robert Ragger and his one leg crew 
And where you gonna go, where you gonna sleep tonight? 


Nyota guardava la sua amica orioniana sogghignando mentre cantava quel particolare verso, ricevendo in risposta uno sguardo di fuoco, ma Jim non lo notò, perso nella contemplazione del suo bicchiere.
D’improvviso una voce femminile accanto al suo orecchio lo riportò alla realtà.
“Ciao, cosa bevi?”
Si voltò a fronteggiare una ragazza piuttosto carina, bruna, con indosso l’uniforme da cadetto che metteva in mostra delle belle gambe. Ricordò improvvisamente il motivo di quella serata, sentì lo sguardo di Gary sulla sua nuca, sorrise alla ragazza e improvvisamente, suo malgrado, si sentì come due anni prima.

And you singing the song thinking this is the life 
And you wake up in the morning and your head feels twice the size 
where you gonna go, where you gonna go, where you gonna sleep tonight? 

Where you gonna sleep tonight?


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Note:
1) 
Amy MacDonald – This is the life

Le informazioni riguardo la conoscenza di Jim e Nyota all'Accademia sono prese dal fumetto (si, lo so, nel film non sa neppure come si chiami, ma a ben pensarci sarebbe inverosimile dal momento che i cadetti delle varie sezioni interagiscono durante gli anni di accademia).
C'è un accenno di songfic in questo capitolo, ma non mi sembrava talmente invasivo da inserirlo negli avvertimenti. Questa canzone mi ha fatto pensare da subito a Jim, sarà il tema, sarà la musica... è perfetta. Poi vabbè, per me non esiste che Nyota non canti. <3
Inoltre, Memory Alpha riporta Gary Mitchell come l'amico che avrebbe "dato una svegliata" al secchionissimo Jim dell'accademia, spronandolo a uscire con le ragazze e presentandogli la dannata Carol!Prime (folletto malefico, in ogni realtà!): questa è una mia complessa interpretazione del perchè ciò accada, ma è un evento canon. ;)
Come sempre grazie a chi legge, a chi commenta e a chi non lo fa. :)
Un ringraziamento particolare a Naky94 che sta trepidando con il povero Jimmy. ;)
Al prossimo capitolo! ^^
 

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Capitolo 4
*** Meanwhile ***


Leonard si chiuse la porta alle spalle, tirando un lungo sospiro stanco. C’erano gocce d’acqua sul pavimento, una scia che andava dalla porta del bagno al letto di Jim, e vestiti gettati alla rinfusa. Sbuffando, Leo raccolse l’accappatoio bagnato da terra e si mise a pulire armato di santa pazienza.
Era molto preoccupato per Jim, quello scavezzacollo si era infilato in una situazione che, a suo modestissimo avviso, avrebbe portato guai. Ma il suo parere veniva regolarmente ignorato, tanto non era mica il più adulto dei due, quel dannato ragazzino faceva sempre di testa sua! Eppure non ci voleva un genio per capire la dinamica: Mitchell lo stava usando, con il malcelato intento di rallentare la sua fulminante ascesa accademica, dal momento che il suo disturbo narcisistico aveva da tempo oltrepassato il limite della patologia e non gli permetteva di accettare che qualcuno fosse migliore di lui. In due parole: era un fottuto psicopatico.
Non gli piaceva, Gary Mitchell, non gli piaceva per niente. Lo avrebbe reputato soltanto un ragazzino presuntuoso se l’anno prima non avesse avuto quell’uscita inquietante da bambino dei film dell’orrore d’epoca. Leo lo ricordava chiaramente: si era presentato in infermeria durante il suo turno, lamentando un dolore alla spalla. Ad un primo esame non era riuscito a trovarne la fonte, così continuava a rivolgere delle domande al paziente per cercare di approdare ad una diagnosi, finchè il sentirsi addosso lo sguardo dell’altro non lo mise a disagio, al punto da costringerlo a distogliere l’attenzione dalla sua spalla per rivolgerla al suo volto. Non avrebbe mai dimenticato quell’espressione: serafico, quasi angelico, Gary lo osservava, ma i suoi occhi erano freddi e analitici. Lo stava studiando.
A McCoy non servì altro: smise immediatamente di preoccuparsi per la sua spalla evidentemente sana e lo guardò con la sua migliore espressione truce.
“A che gioco stai giocando, ragazzino? Non ho tempo da perdere con i malati immaginari.”
Mitchell sembrò colpito, ma si riprese subito.
“Un pretesto innocente, Leonard, volevo conoscerla.”
“Sto lavorando. C’è il tempo libero per questo.”
“Andiamo, non sia così severo, non c’è nessuno. Mi perdoni per il mio scherzo innocente, mi complimento per le sue capacità deduttive, dev’essere davvero bravo come psicologo.”
Il bastardello gli sorrideva con un’espressione candida e il suo solito sorriso accattivante, ma Bones era sul chi vive. Non era un comportamento normale, e sì, dal momento che era un bravo psicologo sapeva che tutto ciò aveva qualcosa di malsano. Non aveva voglia di giocare con un ragazzino, ma si decise ad essere professionale, per cercare di capire meglio cosa volesse. In fondo lo faceva per Jim.
“D’accordo, Gary, eccoci qui. Siamo stati presentati, quindi immagino tu volessi fare due chiacchiere.”
“Si, infatti. Posso darti del tu?”
“Certo, sei un amico di Jim, nessun problema.”
Sorriso angelico, nessun moto di ribellione nell’essere definito un amico. Beccato. I sospetti di Leo peggioravano.
“Vi conoscete da molto? So che sei il suo migliore amico.”
“Dall’inizio dell’accademia, ci siamo conosciuti sullo shuttle per venire qui. Da allora non sono riuscito a liberarmene.”
Gary si alzò dalla sedia e si mise a curiosare in giro, finendo per trovare un contenitore con delle caramelle.
“Posso?”
“Prego, sono lì per i pazienti, ma suppongo che andranno bene anche per un impaziente.”
“Sei simpatico, Leo. Posso chiamarti Leo?”
“Preferisco Leonard, se non ti dispiace. Di dove sei?”
“Washington.”
“Posto tranquillo…”
“Anche troppo. Tu, invece? Pensavo preferissi i posti piccoli, invece… l’accademia, addirittura…”
Il ragazzino eludeva le domande personali e dimostrava di sapere già tutto su di lui, con il chiaro intento di metterlo a disagio. Leo iniziava a fare un quadro psicologico del soggetto. Decise di non dargli quartiere.
“Ho fatto di necessità virtù.  Che mi dici dei tuoi genitori? Nutriranno grandi aspettative…”
Il volto di Mitchell cambiò colore ed espressione, lasciando il posto alla maschera del risentimento.
“Non provare a psicanalizzarmi, dottore!”
“Stammi bene a sentire, ragazzino, qualunque gioco tu stia facendo, o illudendoti di fare, con me non attacca. Sappi solo una cosa: se fai del male a Jim dovrai vedertela con me. E ora fuori dalla mia infermeria.”
Gary sembrava un bambino a cui avevano tolto tutti i giocattoli per punizione. Girò sui tacchi e andò via, con non poca soddisfazione del dottore, il quale aveva capito che sarebbe bastato un accenno alla famiglia per mandarlo su tutte le furie… gli sarebbe quasi dispiaciuto per i numerosi complessi che quel ragazzo doveva avere - e tutti assieme - se non fosse stato un autentico bastardo!
Da allora Gary si era vendicato cercando di allontanare Jim da lui, in modo che non potesse aiutarlo. Naturalmente Leo gli aveva riferito l’accaduto, ma chissà cosa doveva avergli detto quel diavolo in miniatura per convincerlo che si fosse trattato di un malinteso, fatto sta che Jim aveva fatto orecchie da mercante. Inoltre studiava di meno, e la qualità del suo tempo libero era pessima.
Si gettò sul letto, sfinito. Non c’era niente che potesse fare per lui al momento, si sarebbe trattato quasi sicuramente di raccoglierne i pezzi, dopo…
 
°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Durante i pochi minuti di pausa necessari a bere dell’acqua e cambiare gli strumenti necessari al prossimo pezzo, Nyota lanciò uno sguardo dispiaciuto a Gaila, alla quale non era sfuggito il movimento accanto al bancone del bar.
Forse aveva esagerato, e un po’ le dispiaceva, ma voleva solo aiutare la sua amica, tanto più che in genere non aveva alcun bisogno d’aiuto. Con il biondino, però, chissà perché, non riusciva nemmeno a parlare. Sembrava fosse sfortuna, a quanto aveva capito lui non la vedeva passare o era sempre di corsa – quando non la travolgeva addirittura! – insomma la ignorava, il che aveva praticamente fatto innamorare l’orioniana. Non l’aveva mai vista così ossessionata da qualcuno e, ok, Jim era carino, però non credeva che ci fosse molto altro, piuttosto che Gaila non sapeva nemmeno cosa volesse dire passare inosservata.
Nyota in effetti non ci avrebbe mai creduto, vista la propensione del biondo all’abbordaggio maldestro da bar, ma aveva dovuto ammettere che da quando era all’accademia il ragazzo sembrava un altro: serio, preparatissimo, poco incline alle distrazioni (infatti non l’aveva mai visto con una ragazza, ora che ci pensava), simpatico perfino. In effetti le sarebbe potuto piacere, specie dopo il test d’ingegneria - doveva ammettere che era stato geniale - ma sarebbe stato un danno… lei non poteva permettersi distrazioni, e Jimmy ne sarebbe stata una bella grossa. Meglio così, erano diventati amici, o quasi, comunque se ne era tenuta alla larga.
La sua coinquilina, però, sembrava intenzionata a non seguire il suo esempio. La vide seguire con lo sguardo Jim che si allontanava con una ragazza della sezione scientifica che conosceva di vista, poi lanciarle un’occhiata di fuoco.
“Ehi, non è mica colpa mia! Mi dispiace, Gaila, non so che dirti…”
Nyota si morse il labbro inferiore, mentre sistemava la chitarra – o meglio, fingeva di farlo. Si ritrovò a ripensare a Jim con un moto di stizza. Possibile che fosse stato un monaco fino al giorno prima e avesse scelto proprio quella sera per ricominciare a fare l’imbecille da bar?


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Note: Capitolo più breve dei precedenti (scusatemi, mi sono accorta di aver scritto i primi capitoli senza minimamente considerare la differenza di lunghezza, e dubito di starlo facendo anche con i successivi... >.<), per dare voce agli amici di Jim.
Spero che chi legge si senta confortato sul fatto che no, non siete gli unici a pensare che il folletto malefico sia malsano! ;)
Per la risoluzione dell'empasse in cui si è cacciato il biondo, rimando al prossimo capitolo (non odiatemi... XD).
Grazie a tutti, come sempre. :)

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Capitolo 5
*** Crack, carry on, endure. ***


“Quindi questo è il tuo alloggio… siamo arrivati.”
Jim rivolse un sorriso teso alla sua accompagnatrice, che per tutta risposta gli gettò le braccia la collo e lo baciò. Preso alla sprovvista, il biondo ricambiò il bacio, ma si staccò gentilmente quando una mano di lei iniziò a farsi strada sotto la sua maglietta.
“Giusto, aspettiamo di essere dentro… bevi qualcosa con me?” domandò la ragazza, con tono allusivo.
“Senti… Hannah, giusto?” – lei annuì – “Sei davvero molto carina, ma è meglio di no. Devo alzarmi presto domani.”
Che scusa del cavolo! Ma era la prima che gli era venuta in mente.
Lei sembrò delusa.
“Ma mi sembrava di aver capito che tu volessi…”
“Lo so, lo so…” – la interruppe lui – “La verità è che sono stato un bastardo, scusami. Sono fidanzato, e per uno stupido litigio stavo per fare qualcosa di cui poi mi sarei pentito. Non voglio mandare tutto all’aria, e tu non meriti questo trattamento.”
Ecco, quella era una scusa migliore, anche perché in effetti non era lontana dalla verità…
Il viso di Hannah si intenerì.
“Capisco… beh, sei stato gentile a dirmelo, e apprezzo molto che tu abbia deciso di non tradire. Sembra una scelta facile, ma rovina tutto.”
“Già, era quello che pensavo. Mi perdoni?”
“Ma sì, non è successo niente. Sei simpatico, Jim, ti auguro di sistemare le cose con la tua ragazza.”
“Ragazzo.”
“Ok, ragazzo. Buonanotte, allora.”
“Buonanotte, e grazie della comprensione. Ci vediamo in giro!”
Salutò la cadetta con un gran sorriso, che gli si spense in volto non appena lei chiuse la porta. Sentiva una rabbia montante dentro di sé, una frustrazione immensa. Era questo quello che voleva, potersi comportare come una persona fidanzata, dire in giro che aveva un compagno, non infilarsi nelle fantasie perverse di quella stessa persona che in teoria avrebbe dovuto rispettarlo e in pratica lo faceva sentire uno schifo.
Ne aveva abbastanza, avrebbe chiarito la situazione o ci avrebbe messo un punto, anche se a pensarci sentiva dolore… Magari si sarebbe sistemato tutto. Doveva solo parlare con Gary.
Decise di aspettarlo nel suo alloggio, di cui conosceva il codice. Entrò, si versò da bere e attese.
Gary tornò un paio d’ore dopo. Jim aveva avuto tutto il tempo di immaginare scenari catastrofici o idilliaci, ma chissà perché sentiva che la catastrofe fosse l’opzione più plausibile.
Il giovane cadetto non riuscì a nascondere un moto di sorpresa nel vedere Jim nel suo alloggio, visibilmente nervoso e in stato alterato dall’alcol. Impiegò pochi secondi a comprendere che il suo incontro non doveva aver avuto luogo, a dispetto delle iniziali apparenze, e se ne domandò il motivo. Attese in silenzio che l’altro parlasse: lo conosceva bene, sapeva che non avrebbe retto il silenzio per più di venti secondi e lui avrebbe conservato il vantaggio.
Come previsto da Gary, Jim iniziò a parlare in modo sconnesso, meravigliandosi di quanto la sua voce suonasse biascicata – non immaginava di aver bevuto tanto – e tentando dopo un respiro profondo di articolare un discorso sensato.
“Gary, io… volevo solo dirti che mi dispiace se non riesco a seguirti in tutte le tue stramberie pseudo erotiche che proprio non capisco, però il fatto è che… insomma noi stiamo assieme, io voglio stare con te, non con Hannah…”
“Chi è Hannah?”
“La ragazza del bar, lei è del quarto anno, e… no, non era questo il punto… il punto sei tu. E io. Cioè, noi.”
“Noi, Jim?”
“Sì, noi. Cioè, noi siamo una coppia, vorrei che ci comportassimo da coppia normale… al mio livello, non al tuo, per intenderci.” Concluse Kirk sforzandosi di sorridere, mentre qualcosa negli occhi del compagno gli faceva attorcigliare le viscere.
Ora l’espressione di Mitchell era indecifrabile, se Jim fosse stato sobrio avrebbe forse notato il disappunto dietro la maschera di imperturbabilità che aveva indossato.
“Noi non siamo una coppia, Jim. È un’idea assurda, come ti è venuta in mente?”
“Ma…” – il biondo strabuzzò gli occhi, cercando di comprendere quelle parole per lui incomprensibili – “come sarebbe a dire? E allora cosa abbiamo fatto in tutti questi mesi?”
“Sesso. Credevo che il concetto ti fosse familiare.”
“Certo che mi è… ma io… avevo capito che noi… credevo che tu provassi qualcosa per me!”
“Certo che provo qualcosa: attrazione. Andiamo, Jim, sei grande e grosso, non dirmi che sogni l’amore come un ragazzino! Noi siamo cadetti, dobbiamo pensare alle nostre carriere.”
Spietato. Era l’unica parola che Kirk riusciva a pensare. Lo sguardo freddo, il tono piatto, tutto in Gary era semplicemente spietato, come se lui e i suoi sentimenti non contassero nulla…. E la verità era che non contavano effettivamente nulla. Non erano mai stati presi in considerazione. Si sentiva galleggiare, un po’ per l’alcol, un po’ per l’assurdità della situazione, gli sembrava di trovarsi in una bolla in cui tutto era ovattato; la voce di Mitchell gli arrivava lontana, i suoi pensieri avevano un’eco e poteva sentire la pressione di quello che stava accadendo direttamente sul suo petto. Fu allora che sul cuore di Jim si aggiunse una nuova crepa, ingannevolmente sottile ma incredibilmente profonda, e una consapevolezza si fece strada nella sua mente: era stato uno stupido.
Da lì a tornare freddo il passo fu breve. Si riscosse e indossò uno dei suoi splendidi sorrisi.
“Ok, ora ho capito, Gary. D’accordo, tutto sommato è un sollievo sentirti dire questo.”
Il bruno fu preso alla sprovvista, restò in ascolto, guardingo.
“Sono affezionato a te” – continuò Jim – “mi stavo anche divertendo, prima che te ne uscissi con questa cosa da psicopatici, ma, ehi! Va bene così. Problema risolto.”
“Che problema?” Mitchell era visibilmente perplesso. Si era aspettato una scenata, ma quello… cos’era quello?
“Il tuo problema, Mitch! Il fatto che sei decisamente troppo strambo, e non posso star dietro alle tue devianze. Pensavo che ci saresti rimasto male, ma sapere che non è così mi toglie un peso. Davvero, senza rancore, solo che mi sarebbe dispiaciuto troppo lasciarti sapendo che ne avresti sofferto.”
“Lasciarmi?! Ma se fino a poco fa dicevi di voler stare con me!”
“No, io pensavo di stare già con te, è diverso. E fino a ieri mi sarebbe stato bene, ma da oggi non più. Ero venuto a dirti di scegliere, ad offrirti una possibilità perché mi sembrava giusto farlo, ma la verità è che non avrebbe funzionato comunque perché tu non puoi scegliere. Tu sei così.”
Jim gli scompigliò i capelli con un gesto affettuoso, che sapeva avrebbe irritato profondamente l’altro. Infatti Gary si scostò, turbato e rosso in viso.
“Non trattarmi così! Non sei mio padre!”
“Per fortuna!” Commentò Kirk ridendo.
“Smettila di usare quel tono! Sono molto più intelligente di te! Io non ho bisogno di te, mentre tu senza di me non sei altro che un disadattato!”
“Ehi, ehi! Calma, non c’è bisogno di alzare i toni. Andiamo, lo hai detto tu: siamo persone adulte, non possiamo chiuderla civilmente?”
Vedendo il sorriso del biondo, Gary capì immediatamente cos’era successo: lo aveva provocato, gli aveva fatto perdere il controllo e aveva girato la sua strategia contro di lui. Era stato bravo, doveva ammetterlo. Aveva sottovalutato l’intelligenza tattica di Jim, supponendo che il colpo subito e lo stato alterato in cui si trovava sarebbero stati sufficienti a piegarlo, ma non era stato così e ora lui doveva ricomporsi velocemente se non voleva perdere quello scontro.
“Certo, hai ragione. Dopotutto le cose iniziavano a farsi noiose.”
“Io direi inquietanti, ma ognuno ha il suo metro di giudizio… Bene, allora amici come prima?”
“Naturalmente, amici come prima.”
Si strinsero la mano, vedendo l’uno negli occhi dell’altro un ostinato orgoglio, la scintilla della sfida. Sarebbero stati capaci di simulare un’amicizia che non c’era mai stata, e farlo credere a tutti, pur di non mostrarsi deboli l’uno con l’altro.
Gary era stato sconfitto da un ragazzo che aveva sottovalutato, pensando di poterne fare ciò che voleva, come faceva con tutti gli altri: Kirk gli piaceva, lo trovava abbastanza intelligente ma temeva che riuscisse a salire più in alto di lui e per questo ne sabotava gli studi. Lo avrebbe volentieri tenuto accanto a sé fino alla fine dell’accademia, ma aveva bisogno che lo si vedesse con altre persone, in modo da non risultare impegnato con lui. Era un buon piano, ma Jim l’aveva rovinato. Lo odiava per questo.
Dal suo canto, Jim era distrutto: si era innamorato, forse per la prima volta in tutta la sua vita, e Gary aveva giocato con i suoi sentimenti. Leo aveva ragione, aveva sempre avuto ragione. Avrebbe dovuto ascoltarlo.
C’era una cosa, però, che James Tiberius Kirk non avrebbe mai, mai permesso: nessuno avrebbe avuto la soddisfazione di vederlo sconfitto. Morto, piuttosto. Avrebbe preferito diventare il miglior amico di quel bastardo, prima di lasciargli intravedere il suo cuore sanguinante.


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Note: E... ecco qui come è iniziata l'improbabilissima "amicizia" tra Jim e Gary Mitchell. XD
Direi che sappiamo tutti come andrà a finire... ;)
(Per chi non lo sapesse: nella prima puntata della TOS il "folletto malefico" viene posseduto da un'entità aliena superpotente e, dopo varie peripezie, Jim dovrà ucciderlo per evitare danni enormi. Curiosità: nel primo numero del fumetto relativo al nuovo universo, sarà Spock a ucciderlo salvando Jim, il che è ancora più soddisfacente visto il modo in cui ho immaginato siano andate le cose prima... :3)

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Capitolo 6
*** Spock ***


Il vulcaniano aveva appena terminato di controllare i test per l’ormai prossimo esame di Xenobiologia: seduto alla scrivania del suo studio, la schiena dritta e le mani dalle dita affusolate che scorrevano compostamente sullo schermo del computer, sembrava perfettamente concentrato sul suo compito.
La novità consisteva nel fatto che in effetti non lo fosse.
Spock, questo il nome del giovane alieno, provava in effetti un certo disappunto. Si trovava di fronte ad una valutazione piuttosto complessa, che nulla aveva a che fare con il suo più recente incarico di assistente alla cattedra di Xenobiologia, ma che invadeva fastidiosamente la sfera emotiva. Con un lievissimo moto di stizza, scosse la testa e si alzò dalla sedia, prendendo a camminare piano fino alla finestra. Aveva bisogno di riordinare i pensieri e prendere una decisione dettata dalla logica.
La figura alta ed elegante del vulcaniano era una novità per l’Accademia: mai uno della sua specie si era preso la briga di scegliere un percorso di studi terrestre, sebbene la Flotta avesse avuto ufficiali vulcaniani e persino alcuni istruttori. Mai, però, uno studente.
Spock era stato il primo, ma del resto lui vantava molti primati: in primis, era il primo ibrido umano – vulcaniano della storia.
Questo, sebbene non fosse immediatamente evidente dal momento che gli occhi e i capelli neri e le orecchie a punta rendevano palese la predominanza di sangue vulcaniano, lo rendeva oggetto delle occhiate curiose di studenti e professori in egual misura. Forse i professori erano leggermente più discreti.
Spock, dal canto suo, si definiva, e si sentiva, vulcaniano. Era nato e cresciuto su Vulcano, era stato educato come un esponente della sua razza, gli sarebbe piaciuto dire che non aveva mai percepito alcuna differenza tra lui e gli altri, ma non era così. Da piccoli, quando le emozioni non erano ancora sotto il completo controllo degli individui, i suoi coetanei lo avevano insultato, fatto sentire un estraneo: provocavano reazioni emotive violente solo per poter dimostrare che, in quanto mezzo umano, lui fosse instabile e pertanto inferiore.
Una flebile, ma chiara, voce interiore gli suggeriva che fosse l’invidia - un sentimento  - a muoverli: in quanto figlio dell’ambasciatore Sarek la sua sarebbe stata una posizione di spicco nella società, e non molti avevano compreso la scelta di suo padre di unirsi in matrimonio con una donna umana, scelta che avrebbe posto un ibrido in una posizione ambita. Il fatto, poi, che lui, mezzo umano, fosse il migliore della sua classe costituiva probabilmente uno smacco eccessivo per l’orgoglio di un vulcaniano, qualunque età questi avesse.
Non avrebbe dovuto compiacersi, ma non riusciva ad evitarlo. Un fastidioso retaggio umano.
Era compiaciuto anche della sua fulminante carriera accademica, che lo aveva visto laurearsi ad una velocità impressionante per qualsiasi altro studente, e successivamente, nell’arco di un anno, diventare insegnante di ben due materie (Fonologia ed Etica interspecie), a cui si era appena aggiunta una collaborazione con la cattedra di Xenobiologia, come assistente.
Il tutto faceva parte della sua preparazione specialistica come ufficiale scientifico, in pratica considerava l’insegnamento una sorta di hobby. Certo, più impegnativo degli scacchi 3d, che comunque praticava ad alti livelli.
A parte la decisione stessa di arruolarsi nella Flotta, ogni sua scelta era stata dettata dalla logica. Da tempo non si trovava più di fronte ad un problema che con un semplice ragionamento deduttivo non riuscisse a risolvere in pochi minuti (quando era difficile).
Ora però era in una situazione di stallo. Ritenne di dover meditare: in tal modo avrebbe riordinato gli eventi e sarebbe riuscito a purgare la sua scelta da qualsiasi residuo emozionale.
Tornò alla scrivania per archiviare il file dei test da consegnare al professore e gli cadde l’occhio su una mail che non aveva visto prima: la domanda di ammissione agli esami di uno studente non corsista. Sbrigò la pratica in fretta: cadetto della sezione comando – tipico – al secondo anno, fin qui nulla di strano. Kirk, un omonimo del compianto George, forse il figlio? Sì, era proprio il figlio. Non sapeva fosse in accademia. Del resto, se non si presentava ai corsi…
Terminate le proprie incombenze, Spock lasciò l’ufficio diretto al suo alloggio, dove si preparò per meditare.
Corso di Fonologia, ultimo giorno, conclusosi quella stessa mattina. Spock sedeva alla cattedra, riordinando i file del test che gli allievi avevano consegnato. L’aula si era svuotata, era il momento che preferiva: non gli piaceva sentire su di sé tutti quegli sguardi. Era illogico, ma ci leggeva sempre la curiosità, in alcuni casi l’eco di un antico disprezzo.
Suggestioni.
Mentre terminava i suoi compiti, una persona si affacciò alla porta e richiamò la sua attenzione: Nyota Uhura, brillante studentessa della sezione operativa, particolarmente versata nella linguistica e in particolare la migliore studentessa del suo corso.
Alzò lo sguardo, sollevando leggermente un sopracciglio nella sua direzione con fare interrogativo.
La ragazza, visibilmente esitante, si decise a parlare, ma in un primo momento il senso delle sue parole non giunse al vulcaniano.
Perché avrebbe dovuto voler bere in compagnia quella sera? Sembrava illogico… Poi si ricordò della formula terrestre per invitare qualcuno a trascorrere del tempo conversando per approfondire la reciproca conoscenza. Continuava a sembrargli poco logico, soprattutto tenendo conto del rapporto allievo – insegnante, e lo fece presente.
“Ma il corso è terminato, quindi tecnicamente non è più il mio insegnante” – replicò la giovane con tono sicuro.
Aveva ragione. Dal punto di vista pratico non c’era motivo per rifiutare quella che era certamente una dimostrazione di cortesia e apertura, per quanto alcune implicazioni iniziassero ad affacciarglisi alla mente.
Le accantonò, accettò l’invito – lasciando una felice Uhura libera di correre via con una strana luce negli occhi – e si rimise al lavoro. L’espressione sul volto della ragazza confermò i suoi dubbi, e instillò nella sua mente il pensiero serpeggiante che non lo avrebbe più abbandonato per il resto della giornata: che fosse sottinteso un intercorso romantico?
Aveva letto – e visto – abbastanza delle usanze terrestri in materia da sapere che in genere le manifestazioni di insicurezza, anche in soggetti normalmente molto sicuri come Uhura, l’imbarazzo e l’esitazione accompagnavano nel 76% circa dei casi gli approcci a potenziali partner sentimentali.
C’era un’alta probabilità che fosse quello il caso, dunque.
Cosa avrebbe dovuto fare? Incoraggiare l’eventualità o scoraggiarla decisamente?
Aveva pensato e ripensato al problema, per qualche motivo qualcosa di emotivo, indefinibile, si frapponeva tra la sua logica e la soluzione al problema.
Nyota Uhura era una giovane donna dalle indubbie qualità: brillante, estremamente competente, senza dubbio avvenente da un punto di vista estetico. Ciò nonostante la valutazione positiva che ne aveva non bastava a spiegare quella sensazione di immotivata emotività.
Scartata quindi l’ipotesi che ne fosse lei la causa, non restava che esaminare i pro e i contro della cosa. A rigor di logica niente impediva che lui stringesse relazioni sentimentali sulla Terra, dal momento che il suo legame vulcaniano era stato sciolto quando aveva deciso di entrare nella Flotta: era sembrato logico ad entrambi i promessi e alle rispettive famiglie. Non aveva quindi un impegno vincolante.
Una terrestre non sarebbe stata una scelta illogica dal momento che suo padre aveva sposato sua madre proprio in virtù della sua posizione di ambasciatore sulla Terra.
Lo sguardo di sua madre…
Scacciò il pensiero come irrilevante ai fini della soluzione che stava cercando.
Irritazione.
La scacciò.
Una relazione con un’umana avrebbe sicuramente agevolato la comprensione della razza, permettendogli di scoprire elementi nuovi inerenti alla sfera relazionale.
Sua madre che lo abbracciava.
Scacciò nuovamente il pensiero.
Sì, sarebbe stato utile. Naturalmente se le sue ipotesi si fossero rivelate esatte e la ragazza avesse manifestato l’intenzione di approfondire in una simile direzione il loro rapporto di conoscenza.
La decisione era presa.
Terminata la meditazione, Spock sentì il bisogno di concedersi un’ora di sonno. Era stato stancante, qualcosa continuava a disturbarlo e non ne capiva il motivo. Probabilmente, quindi, la conclusione logica era che avesse bisogno di riposo.
Si distese quindi sul letto, impose alla sua mente di svegliarsi esattamente 60 minuti dopo e chiuse gli occhi nella penombra del suo alloggio.


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Ed eccoci alle dolenti... Note: Questo capitolo è stato complesso, quindi vi prego di farmi notare qualsiasi cosa dovesse sembrarvi sbagliata.
La difficoltà è stata tentare di trovare una spiegazione logica ad una decisione semplicemente assurda, ovvero perchè mai Spock sia finito con Nyota. Dopo attenta analisi, sono giunta ad una conclusione, che è quella che avete letto; visto che non so se risulta abbastanza chiaro, specifico: secondo me Spock ha valutato la cosa logicamente, ma il suo giudizio era inquinato dal ricordo della madre e delle sue manifestazioni di affetto, delle quali si è privato da molto e molto più giovane che nella TOS. In pratica gli manca la mamma, alla quale - cosa che i film hanno anche rafforzato - è molto legato, e spera di trovare in una donna umana l'affetto che solo lei gli offriva in quella peculiare forma. In sintesi, il caro vecchio complesso di Edipo (non si scappa, non importa da quale galassia si provenga!). XD
Al prossimo capitolo! ^^

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Capitolo 7
*** Gossip girls ***


“Gaila! Non ci crederai, l’ho spuntata!”
Nyota Uhura quasi irruppe nel suo alloggio a passo di carica, per bloccarsi improvvisamente alla vista della sua coinquilina seminuda abbarbicata ad un altrettanto seminudo individuo che aveva un’aria sinistramente familiare…
“Istruttore Giotto?!”
L’uomo - sulla trentina, abbronzato e in visibile imbarazzo - farfugliò qualcosa di incomprensibile mentre cercava i suoi pantaloni sul pavimento; Gaila, intanto, tirava in disparte una scioccata Nyota.
“Ma non dovevi andare a studiare in biblioteca, o in riva al mare a smaltire l’imbarazzo, o che so io??”
“Io… no, le cose sono andate meglio del previsto ed ero venuta a dirtelo, ma tu… Gaila, quello è il mio istruttore di difesa!”
“Davvero? Com’è piccola l’accademia… l’ho conosciuto al bar, è simpatico, stavamo – ehm – chiacchierando…”
“Vedo… Mi chiudo in bagno, così può uscire… questo è imbarazzante!”
“Ok, segnato. Con te non si sa mai, ti imbarazzi per nulla!”
Nyota si limitò a un cenno imperioso in direzione del povero malcapitato che si era appena rivestito e si chiuse la porta del bagno alle spalle.
“Ehm, io allora… sarà meglio che vada…”
Gaila rispose cinguettando alla sua conquista un distratto: “Sì, il mio numero ce l’hai, chiamami!” mentre era già con la mente altrove, alle notizie che la sua amica le aveva portato. Era il momento del gossip!
Quando sentì la porta dell’alloggio chiudersi, Uhura uscì dal bagno, controllando con uno sguardo circolare che non ci fosse nessuno a parte lei e la sua assurda coinquilina.
“Gaila, questa è l’ultima volta che mi metti in una situazione simile! Adesso basta, fa’ quello che vuoi ma non portare più uomini nel nostro alloggio.”
L’orioniana annuì colpevole, sperando che la parte della ramanzina passasse presto e arrivasse quella dei pettegolezzi succosi. Sapeva che Nyota aveva finalmente deciso di chiedere al prof di Fonologia di uscire, ed era – tipo - l’unico ragazzo che le fosse mai interessato. Da quando la conosceva, almeno, il che era un sacco di tempo: per lei sarebbe stato impensabile non uscire con nessuno per due anni!
Solo che la sua amica aveva gusti molto complicati: il vulcaniano non era una preda facile, era persino immune ai suoi feromoni – e praticamente nessuno ne era immune. Tranne forse il biondino, ma non voleva pensarci altrimenti si sarebbe intristita.
“Allora, com’è andata?”
“Prima prometti” – asserì Nyota, che non aveva intenzione di lasciar correre.
“D’accordo, promesso. Adesso racconta.”
“Bene… Ho aspettato che l’aula fosse vuota, ovviamente…”
“Siii….”
“E niente, glie l’ho chiesto.”
“Nyota!! Tu non sai raccontare le cose!”
“Ma è così che è andata: gli ho chiesto se gli andava di bere qualcosa con me questa sera. E lui ha detto di sì.”
“Davvero? Sicura che abbia capito? Mi sembra strano che lo stoccafisso faccia cose come uscire con le ragazze…”
“Gaila!”
“D’accordo, d’accordo: è un bel pezzo di stoccafisso, te lo concedo. Ma tale resta. A meno che alla fine non si scopra che ha qualche dote nascosta…”
“La vuoi smettere?! Insomma, è un vulcaniano, hanno una cultura diversa, e tu non puoi sempre metterla sul sessuale!”
“Non capisco cosa intendi con quel “sempre”. Sai bene che sono profondamente innamorata.”
Nyota le lanciò un'occhiata scettica.
“E Giotto, allora?”
“Che c’entra? Dovevo consolarmi, è una cosa diversa…”
“Ci rinuncio. La vediamo in maniera differente, comunque sforzati di comprendere il mio punto di vista: quello che cerco in un compagno è un’intesa multilivello, che sia di testa, di cuore, di anima…”
“Bella mia, tutto questo è molto poetico, ma lasciati dire una cosa: il sesso è la prima cosa. Se non c’è quello, il resto non regge.”
“Non ho detto che non sia importante, solo che non è tutto.”
“Ok, va bene. Ma assicurati che ci sia. E poi raccontami tutto.”
“Oh, immagino che non mi lascerai in pace sull’argomento…”
“Mai. Sono troppo curiosa.”
“Bene, ma niente dettagli. Inoltre corri troppo, non so se e quando ci arriveremo, è il primo appuntamento!”
“E che vuoi fare tutto il tempo, giocarci a scacchi??”
“Esiste una cosa chiamata “conversazione”… comunque, questo è quanto. Adesso il problema è: cosa mi metto stasera??”
“Oh, questo è esattamente il tipo di problema che posso risolvere!” - annunciò Gaila con un largo sorriso, mentre si avvicinava con fare minaccioso all’armadio della coinquilina.

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Note: non c'è molto da dire, questo è un capitolo leggero in cui principalmente volevo mostrare la differenza di percezione della relazione tra Spock e Uhura. Ovviamente lei ha preso una bella sbandata - povera gioia - mentre lui no. E Gaila, come già Bones per Jim, sa e saggiamente elargisce consigli pratici. ;)

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Capitolo 8
*** Un anno dopo ***


La sala mensa dell’accademia era gremita. Leonard si guardava intorno nervosamente, con il suo vassoio in mano: Jim aveva detto che l’avrebbe raggiunto, ma, sospettava, solo per farlo tacere e permettergli di andare a mangiare.
Sospirò rassegnato quando si rese conto che con ogni probabilità non l’avrebbe affatto raggiunto. Prese posto ad un tavolo libero e cominciò a mangiare, sovrappensiero.
Avevano sostenuto il test della Kobayashi – Maru quella mattina, per la seconda volta: ovviamente avevano fallito. Nessuno superava quel dannato test, lo sapevano tutti, ma Jim non si rassegnava. L’aveva presa malissimo e si era chiuso nel mutismo.
Secondo lui non aveva senso. Insomma, avevano terminato gli studi teorici, erano a tutti gli effetti pronti per l’azione, come voleva quello sconsiderato del suo amico, il loro addestramento sarebbe iniziato fin troppo presto per i suoi gusti: non capiva perché ostinarsi con un esame attitudinale!
Posò la forchetta, irritato. Era certo che Jim si fosse incaponito per l’unica ragione che il test era impossibile. Lui era come i bambini: andava bene tutto finché non gli dicevi che non poteva fare qualcosa, nel qual caso quella diventava la cosa più importante del mondo!
“Dannato ragazzino…”
“Dici a me?”
Il dottore sussultò: non si era proprio accorto che un altro cadetto si era seduto al suo tavolo, dal lato opposto. Era un giovane asiatico dall’aria scioccata… doveva aver pensato di trovarsi di fronte ad uno svitato.
“No, scusa, ero sovrappensiero. Un mio amico si ostina a comportarsi da stupido, tutto qui.”
Il cadetto si rilassò.
“Ah, capisco. Giornata dura?”
“Kobayashi – Maru.” McCoy sapeva che non era necessario aggiungere altro.
Infatti la reazione fu prevedibile.
“Oh, so cosa vuol dire. L’ho sostenuta nella squadra di una collega la scorsa settimana. Un disastro.”
“Già, lo è sempre. Non è niente di più e niente di meno che un test attitudinale, credo serva a testare il sangue freddo degli aspiranti capitani. La tua amica come ha reagito?”
“Ehm… è scoppiata in lacrime” – il cadetto era in imbarazzo – “Posso capirla, è un’esperienza davvero brutta” si affrettò ad aggiungere.
Era evidente che non gli piaceva sottolineare gli errori altrui, un comportamento leale che fece simpatia al dottore.
“Beh, lascia che ti dica una cosa, da psicologo: potrà non essere molto ortodosso, ma hai ragione, è comprensibile. È la prima esperienza al comando, la tensione è altissima. Sai cosa non è altrettanto comprensibile? Alzarsi sbraitando e prendere a calci la poltrona, come invece ha fatto il mio amico.”
“Wow, avrà fatto discutere.”
“Per fortuna si è fatto allontanare con le buone, almeno, ma ho dovuto pestargli un alluce.”
Risero entrambi, contenti di potersi sfogare su quello che era uno degli argomenti più spinosi dell’ultimo anno: il test era una specie di spauracchio, dal momento che rivelare i dettagli agli altri cadetti era proibito (regola che si allentava quando se ne discuteva tra quelli che lo avevano già sostenuto, ma non si contravveniva mai del tutto) e l’unica informazione di pubblico dominio erano i risultati, quindi tutti sapevano che superarlo era praticamente impossibile.
Terminato il pasto e salutato il cadetto, il dottore si rese conto di non essersi presentato, ma era abbastanza comune in accademia scambiare quattro chiacchiere con persone che, probabilmente, non si sarebbero neanche più incontrate. Il ragazzo però gli aveva fatto simpatia, gli augurò mentalmente buona fortuna prima di ritornare verso il suo alloggio e prepararsi ad affrontare Jim.

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“E dai, Jimmy, non puoi proprio andarci dopo? Ho la stanza libera…”
Gaila aveva sfoderato il suo sguardo più seducente, il quale, assieme alla magica promessa della stanza a disposizione, aveva sortito su Jim il peggiore degli effetti.
Per richiamarsi all’ordine ricambiò lo sguardo con i suoi collaudati occhi “da cucciolo spiacente” e tentò di tergiversare.
“Allettante… ma Nyota? Credevo fosse immersa nei tomi di quel suo ultimo esame a cui non vuole prendere meno del massimo, come al solito.”
L’orioniana ridacchiò, poi rivolse al biondo un sorrisetto complice.
“Non ora: oggi dalle 12 e 40 alle 13 e 55 pranza con lo Stoccafisso. Poi forse si rivedono per l’aperitivo, o qualunque cosa facciano al posto dell’aperitivo.”
“Ah, il misterioso Stoccafisso! Dai, perché non mi dici chi è? Un tipo così assurdo non può esistere!”
“Mi dispiace, ho giurato. Questa è una cosa che da me non saprai mai.”
“Vuoi giocare agli indovinelli? Va bene: è svizzero? So che sono molto precisi…”
“Non so molto delle vostre etnie, quindi la cosa non ha senso per me. Comunque “preciso” è un eufemismo, mio caro, lui è oltre ogni recupero. Non so perché Nyota ci si ostini…”
Jim si incupì leggermente.
“Beh, a volte ci si ostina nel tenere aperte relazioni senza futuro. Mi dispiace per lei, però, a quanto mi racconti il tipo è un caso disperato.”
“Ti dico solo questo: niente sesso. Dopo più di un anno!”
“Cosa?? Nahh, deve lasciarlo perdere, è chiaramente omosessuale.”
“Gliel’ho detto anche io, ma lei dice che è la sua cultura!”
“Stronzate: se stai con Nyota e non ci combini niente sei gay. Per forza.”
“Probabilmente hai ragione. In effetti spiegherebbe molte cose: non mi ha mai calcolato, prima di mettersi con lei…”
“Allora è certo” concluse Jim baciandola “gli piacciono gli uomini.”
Gaila rise civettuola, poi si staccò con uno sguardo di finto rimprovero.
“Quindi hai deciso? Vai dal tuo amico?”
“Ho promesso, tesoro. Devo aiutarlo con un esame. Ma stasera sono tutto tuo, caccio Leo dal mio alloggio e ci vediamo un olofilm.”
“D’accordo!”
L’orioniana gli fece un gran sorriso e si avviò leggiadra fuori dalla stanzetta di servizio in cui si erano infilati per avere un po’ di privacy.
Quello che a Kirk piaceva incredibilmente di Gaila era la sua capacità di illuminarsi totalmente per le piccole cose. Cambiava umore come un temporale estivo, ma non aveva mai emozioni fortemente negative.
La sua gioia, invece, era pura e avvolgente, qualcosa che Jim non aveva mai esperito.
A ricordargli quanto poco puro fosse lui ci pensava il senso di colpa che provava nei suoi confronti, una sorta di spina che avvelenava anche i bei momenti passati assieme.
La frequentazione con Gaila non era stata casuale: avevano avuto una storia di una notte, poi Nyota si era lasciata sfuggire del suo incarico presso il dipartimento di informatica che si occupava del test della Kobayashi Maru.
Jim non aveva pensato di richiamarla: era una brava ragazza e intuiva che si sarebbe affezionata. Lui non era decisamente in condizioni di affrontare un'altra storia seria e si limitava a passare da un letto all’altro, tanto per non pensarci. Dopo il secondo fallimento del test, però, era intenzionato a tentarle tutte.
Come ad esempio coinvolgere un giovanissimo cadetto geniale nei suoi contorti piani per truccare il test.
A volte Jim si sarebbe preso a schiaffi da solo…

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“Cadetto Kirk! Io ha grosse novità! Nostro test ha avuto successo, io ora sta provato nuova codifica…”
“Sshhhh! Pavel, per l’amor del cielo, fammi prima chiudere la porta!”
Il ragazzino arrossì fino alla radice dei capelli. Era un giovane russo sui sedici anni, un ragazzino prodigio autenticamente geniale che Jim aveva “salvato” dalle grinfie di Gary. Quel folletto malefico lo stava manipolando per far sì che il suo potenziale restasse ben al di sotto del proprio, e la cosa non era andata giù al biondo, che aveva fatto in modo di diventare suo amico e “mentore”.
Per il giovane Pavel, molto portato all’esaltazione fanciullesca, Jim era diventato una sorta di modello di vita, un fratello maggiore d’elezione. Anche lui nella sezione comando, ormai aveva come obbiettivo “diventare proprio come cadetto Kirk”.
Jim si augurava che ciò non accadesse mai.
“Tranquillo, non è niente, ma non vorrei che qualcuno origliasse la nostra innovazione e ci battesse sul tempo.”
Kirk si sentiva male al pensiero di mentire a quell’anima candida che lo guardava con adorazione, ma era necessario: i suoi complici dovevano restare involontari, altrimenti, nel caso in cui ci fossero state delle ripercussioni, sarebbero rimasti coinvolti.
Lui poteva anche essere una testa calda – e una voce interiore sinistramente uguale a quella di Leo gli suggeriva di togliere il “poteva” – ma non avrebbe mai permesso che altri pagassero per le sue bravate.
Era solo che quel test non riusciva ad andargli giù: aveva capito che non c’era un modo per superarlo, ci si era rotto la testa e non lo aveva trovato. Inoltre, nessun test che si rispetti è tale da non essere mai stato superato, il concetto dovrebbe essere proprio il contrario.
Lui non pretendeva certo di essere un genio, ma di geni in accademia ce n’erano e ce n’erano stati, com’era possibile che nessuno avesse mai risolto quell’arcano? La risposta era una sola: non si poteva risolvere.
Forse era quell’impossibilità di partenza a dargli alla testa, l’idea che un programma di studi che debba preparare ad andare nello spazio e risolvere problemi si concluda con un problema irrisolvibile. Cosa volevano dimostrare? Che fosse meglio demoralizzarsi subito, tanto le soluzioni non potevano essere trovate?
No, lui non lo avrebbe accettato: Jim Kirk non credeva nelle situazioni senza via d’uscita.


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Note: I'm baaack! XD
Rieccomi, finalmente, per chi avesse perso le speranze assicuro che no, questa storia non resterà incompiuta, nonostante la pausa estiva mi abbia lasciato un po' a secco di ispirazione. >.<
Tenterò di aggiornare ogni settimana ora che il flusso ha ripreso a scorrere, mi auguro che non si avverta troppo stacco, in ogni caso la struttura della storia l'avevo chiara per cui dovrebbe filare (si spera!). ^^''
Questo è un capitolo di collegamento, in cui siamo passati alla seconda fase, ovvero la fine degli studi. Siamo alle ultime battute e i nostri eroi sono pronti per essere spediti tra le stelle (più o meno tutti, Leo non lo sarà mai davvero. XD).
Easter egg: il giovane cadetto asiatico che parla con il buon dottore in mensa è ovviamente Sulu. ;)
Grazie a tutti per la pazienza, alla prossima! ^^

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