Carpe diem

di _browneyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Idea ***
Capitolo 2: *** Partenza. ***
Capitolo 3: *** Complicazioni. ***
Capitolo 4: *** Risvegli. ***



Capitolo 1
*** Idea ***


Carpe Diem.
 
 
Capitolo Uno.
 
Idea.
 
 
 
La fine delle superiori è quell’evento che mette definitivamente un punto alla tua vita da adolescente e dà il via alla tua nuova vita nel mondo degli adulti. O almeno, questo è quello di cui è fermamente convinta Daphne Campbell.
È da quando ha iniziato le superiori che aspetta questo momento ‘chè, secondo lei, questi anni saranno i migliori della sua vita. E, in realtà, il suo futuro promette piuttosto bene.
È riuscita ad entrare all’Università di Sydney, che è una delle più prestigiose dell’Australia, dove hanno studiato e si sono conosciuti i suoi genitori; e poi, ha James, il suo storico ragazzo dal primo anno di liceo, con cui si sposerà in Settembre, appena prima che lui parta per Adelaide. Sa che sposarsi a diciotto, quasi diciannove, anni non è la scelta migliore, ma al momento è tutto quello che desidera. E quando glielo fanno presente, che il matrimonio è un passo importante e che bisogna rifletterci bene, lei si limita a stendere le labbra carnose in un sorriso dolce, scuote la testa facendo ondeggiare i capelli color cannella e ripete, quasi l’avesse imparato a memoria, che non c’è un momento stabilito per l’amore e che loro sono pronti a fare quel passo. E poi, in realtà, lei non vuole lasciarlo andare così lontano senza avere nemmeno una promessa a rassicurarla.
La scuola è finita da un giorno, la mattina c’è stata la consegna dei diplomi e, finalmente, a Daphne sembra di iniziare a vivere.
Sono tutti lì, a casa sua, i suoi compagni, i suoi amici. Non manca nessuno e Daphne sorride nostalgica guardandoli ‘chè, alla fine, le mancheranno un po’ tutti ed è felice di averli attorno ancora stasera.
Li riconosce tutti, saluta qualcuno con un cenno della mano e un sorriso.
C’è Luke Hemmings accanto alla piscina, accerchiato come al solito da ragazze e, Daphne ne è sicura, prima della fine della serata finirà a letto con almeno una di loro; è tipico di Luke, è fatto così, lui.
Sull’amaca che si tende fra i due alberi del suo giardino, ci sono Astra Ellis, Frieda Hart e Calum Hood che ridono; Astra con i suoi capelli viola che la tirano spesso al centro dell’attenzione e un bicchiere in mano che ride a una battuta appena fatta dal moro. Frieda e Calum ridono anche loro e si passano una sigaretta ‘chè Frieda si è dimenticata il suo pacchetto di Marlboro a casa ed è tutta la sera che va a scroccare sigarette agli altri; peccato che a Calum fosse rimasta solo una Chesterfield, che sono costretti a smezzarsi. Che poi, fosse stato qualcun altro, Frieda avrebbe arricciato il naso e detto che poteva fare a meno di fumare allora, ma si tratta di Calum Hood e per lui può fare un’eccezione.
Daphne li guarda e sorride, ‘chè poi ancora non l’ha capito come faccia Calum a non accorgersi che Frieda gli muore proprio dietro.
Più avanti, vicino al barbecue, c’è Selima Webb, Daphne in realtà con lei non s’è mai trovata molto, ma è solo perché sono troppo diverse; sta flirtando con un giocatore di lacrosse, Beau le sembra si chiami, e Daphne è sicura che fra loro succederà qualcosa prima della fine della serata e che lei, il mattino dopo, giurerà di esserne pazzamente innamorata. È che Selima ancora non s’è innamorata per davvero e non lo sa, cosa significa.
James la saluta la mano e Daphne sente le labbra schiudersi in un sorriso spontaneo mentre ricambia il gesto; lui le fa segno di raggiungerlo, lei gli mima che, si, dopo ci va da lui.
Vicino a lui, c’è Michael Clifford, con la solita espressione distaccata in viso e gli occhi gelidi, che sta mollemente seduto sul prato e sembra ignorare tutti gli altri; l’unica cosa a cui sembra prestare un po’ d’attenzione, è la quantità di tabacco da mettere nella cartina, ‘chè gli fanno schifo le sigarette, preferisce di gran lunga i drum.  
Daphne, comunque, se lo chiede da anni perché sia sempre così apatico e arrabbiato. Sul bordo della piscina, poi, ci sono Ashton Irwin e Tameka King che si stanno baciando, e di questo non si stupisce nessuno ‘chè loro stanno insieme da anni e tutti sono abituati a vederli scambiarsi effusioni. Anche se, a Daphne, sembra che fra loro non ci sia più quella scintilla ma, piuttosto, che ormai stiano insieme solo per abitudine. Ma, comunque, insieme sono carini.
All’appello manca solo la persona che per Daphne è più importante, anche più di James, Nevaeh, la sua migliore amica dai tempi dell’asilo. Hanno passato quasi tutto il liceo separate ‘chè Nevaeh s’è trasferita in Nuova Zelanda per il lavoro del padre; ma adesso sta tornando a Sydney, visto che è entrata anche lei all’università con Daphne, come progettano da quando avevano cinque anni. E Daphne sa che adesso lei sta arrivando, sa che è in taxi e sta arrivando lì. Lo sa e aspetta, ‘chè per iniziare davvero il periodo migliore della sua vita, ha bisogno di Nevaeh vicino.
 
Per Luke Hemmings, il liceo è stata una grande esperienza, soprattutto gli ultimi due anni sono stati una vera pacchia.
È bello e sa benissimo di esserlo e sa bene anche di poter avere praticamente ogni ragazza che vuole ‘chè gli cadono tutte ai piedi dopo un complimento o un sorrisetto malizioso. Non ha mai cercato una storia seria e non ne ha mai avuta una; come scusa ripete sempre che ci sono troppe belle ragazze per concentrarsi solo su una di loro, non sarebbe giusto nei confronti delle altre no?
E pazienza se poi a scuola veniva definito un puttaniere.
Non se lo ricorda nemmeno il nome della ragazza che sta baciando adesso, ma comunque non è importante, tanto né la rivedrà più, né gli verrà mai voglia di cercarla dopo stasera.
Ma ad infastidirlo, quando stava per arrivare al punto più bello, accorre Ashton Irwin, con un sorriso divertito sulle labbra quando si accorge cosa sta per interrompere. Luke sarà irritato da morire e questo lo diverte non poco.
«Luke, dovrai rimandare la tua sveltina un po’, c’è Nevaeh. Ivy, non preoccuparti però, te lo riporto tra poco», ride il riccio mentre il biondo lo fulmina con gli occhi ghiaccio e sbuffa, mascherando un po’ il sorriso nel sentire il nome di Nevaeh. Non la vede da una vita, quasi.
«E quindi stasera vai in bianco, povero piccolo Luke», Ashton ride ancora mentre attraversano, facendosi spazio a gomitate, il giardino dei Campbell, gremito di ragazzi che ridono, bevono, si baciano.
Luke alza gli occhi al cielo e scuote la testa, ridendo, «Non preoccuparti, un’altra da scoparmi me la trovo subito, in bianco non ci vado mai»; tira un pugno scherzoso sul braccio dell’amico, che si unisce rumorosamente alla sua risata. «La convinzione, Hemmings».
Il biondo alza un sopracciglio, Ashton si chiede sempre come faccia ad alzarne uno solo, guardando l’altro con un’espressione scettica, «Sai benissimo che ho ragione». Ashton alza le spalle, continuando a ridere, le mani cacciate in tasca alla ricerca del suo accendino mentre raggiungono l’ingresso. «Hai ragione, okay. La tua sta diventando una malattia però, sembra che tu non riesca a farne a meno».
Luke ride di nuovo, passando ad Ashton il suo, di accendino, senza nemmeno aspettare la richiesta ‘chè tanto lui se li perde sempre gli accendini, «Se non fossi monogamo da anni capiresti. E comunque è una malattia davvero divertente».
Ashton scuote la testa e, dopo essersi acceso la sigaretta che teneva stretta fra le labbra, gli molla di nuovo l’accendino fra le mani. Luke non cambierà mai.
 
In Australia, Nevaeh, ci torna solamente un paio di volte l’anno, giusto per pochi giorni; quel che basta per passare a fare un saluto agli amici e vedere tutti i parenti a Natale. Le pare strano, adesso, essere sul vialetto di casa Campbell con l’intenzione di restare a Sydney in pianta stabile. È che non c’è quasi più abituata a considerare quella città casa sua.
«Nev!», l’urlo entusiasta di Daphne la fa sorridere ‘chè l’amica è sempre così pacata che è raro vederla così. Nevaeh ride stringendola in un abbraccio affettuoso, alzandosi un po’ sulle punte dei piedi ‘chè lei, a differenza di Daphne che la supera abbondantemente in altezza, a stento sfiora il metro e sessantacinque.
«Mi sei mancata un sacco!», le grida entusiasta, con la voce un po’ stridula, di risposta. Poi la guarda, scrutando con attenzione la migliore amica nei dettagli, che lei ha sempre ritenuto la cosa più importante da guardare; Daphne non è cambiata di una virgola, a lei i cambiamenti non sono mai piaciuti, mentre Nevaeh è una di quelle persone che li ama. Infatti, da quando si sono viste l’ultima volta, è cambiata tantissimo, con il nuovo piercing all’angolo destro del labbro e i capelli, di un banale castano scuro di solito, adesso sono quasi bianchi, dopo la decolorazione. Sa, anche senza vederla in faccia, che Daphne sta un po’ arricciando il naso davanti al cambiamento di stile, che questo poi non le è mai piaciuto, ma a Nevaeh non importa. Alla fine, non è mai cambiata per compiacere nessuno, se non sè stessa, ovviamente. Finalmente, Daphne scioglie il suo abbraccio tanto stretto da levare quasi il fiato e la prende a braccetto, tirandosela dietro tra una marea di persone e chiacchere. Non sta zitta un attimo e Nevaeh la lascia parlare, le è mancata la sua parlantina, in fondo, «Dai, sbrigati che ti stanno aspettando tutti. Ci sei mancata un sacco, a me più che a tutti, sai? Anche agli altri, ovviamente. Ti sei persa un sacco di cose! Menomale che sei qui, ora!»; Nevaeh ride mentre cerca inutilmente di seguire il filo illogico delle parole troppo veloci dell’amica, che continua a parlare senza sosta. «Nevaeh!», qualcuno le salta addosso, quasi prima che possa rendersi conto di chi sia; è una fortuna che Frieda usi lo stesso profumo, Chanel numero 5, da anni, che mischiato alla vaniglia e al tabacco le conferisce quell’odore caratteristico per cui Nevaeh, seppure senza averla vista in faccia, la riconosce. Ride e ricambia  l’abbraccio, «Frieda oddio, mi hai fatto prendere un colpo!».
Frieda ride di rimando e scuote piano la testa, facendo ondeggiare i lunghi capelli miele con un gran sorriso stampato in viso. Si allontana di un passo per guardare Nevaeh e fa un fischio d’ammirazione, «Lynch e quando me lo dici che sei diventata uno schianto?».
L’altra scuote la testa e ride, ancora. È felice di essere tornata, di essere lì con i suoi amici; non che non le manchi Wellington, ma qui a Sydney, è proprio un’altra cosa. Qui, si respira proprio odore di casa, secondo lei.
 
Sono le tre del mattino e dal giardino di casa Campbell, ormai, se ne sono andati tutti, o quasi. Hanno accesso un falò ‘chè, almeno secondo Astra, che diavolo di festa è, senza almeno un falò attorno a cui sedersi?
Sono tutti lì, quelli importanti per Daphne e lei è felice. Sorride, il fuoco scoppiettante che le fa brillare gli occhi, mettendo in risalto le pagliuzze dorate degli occhi verdi. Sta sulla sdraio, Nevaeh è seduta ai suoi piedi, la testa e la schiena poggiate alle gambe di Daphne e la testa di Luke sulle sue, di gambe.
Astra ha scelto il posto più lontano possibile da Ashton, appollaiandosi sull’amaca gialla insieme a Michael, che però si tiene più lontano possibile da lei e non le parla. Che sia strano, non è certo una novità per Astra, e non ci fa poi tanto caso, alla fine. Ashton, ancora, non ha capito il motivo per cui la ragazza con i capelli viola continui ad evitarlo, sa che è così, ma non ci da così tanto peso. Prima o poi capirà, no? Tameka gli sta seduta in braccio e si sente quasi costretto, lui, a stringerle la vita con un braccio, anche se la voglia non ce l’ha proprio. È che, ultimamente, stare con la bionda, sembra essere più un obbligo che quello che vuole davvero. Il problema, per Ashton, è che lui mica lo sa, quello che vuole.
Calum e Frieda stanno seduti vicini, lei con la testa poggiata alla spalla di lui, che prova a solleticarle i fianchi. Incredibile che ancora non si sia accorto proprio di niente.
«Ho un’idea», esordisce Nevaeh. Gli occhi di tutti le si posano addosso e continua con la sua spiegazione: «Praticamente non vengo in Australia da anni e non me la ricordo quasi per niente. Voglio fare un po’ la turista e ho una proposta da farvi»; li guarda. Loro annuiscono e Nevaeh continua, «Che ne dite di un bel viaggio on the road? Senza una meta, decidiamo giorno per giorno cosa fare. Partiamo tipo domani o dopo domani. Che ne dite?».
E, alla fine, chi più convinto, chi meno, nove teste annuiscono a quella proposta.
 
 
 
Writer’s wall.
Ehilà.
Intanto vi ringrazio di aver letto fin qui.
Visto che, finalmente, è arrivata l’estate e avevo quest’idea in testa da un bel po’, ho pensato di cominciare questa storia. Ancora, in realtà, non so bene come finirà, è una storia che sto scrivendo per rilassarmi e per piacere personale.
Il capitolo è un po’ corto, gli altri saranno molto più lunghi, questo mi serviva solo per introdurre brevemente i personaggi e per entrare nella vicenda.
Grazie, di nuovo, di aver letto fino a qui, mi farebbe davvero piacere se mi faceste sapere cosa ve ne pare.
Prima di sparire vi lascio il link dell’altra mia storia Fobie
E queste sono le ragazze, io le immagino così Astra Daphne Frieda Nevaeh Selima Tameka
Un bacio,
-Mars

 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Partenza. ***


Capitolo Due.
 
Partenza.
 
 
 
Svegliarsi alle sei e mezzo del mattino, in un giorno di vacanza, secondo Astra, dovrebbe essere considerato reato.
Che svegliarsi presto non piaccia a nessuno, è chiaro, ma per Astra è decisamente la cosa peggiore del mondo, non c’è cosa che odi di più. Eccetto passare del tempo con Ashton Irwin, probabilmente.
È anche in ritardo, lei lo è sempre d’altronde e nessuno oramai ci fa poi così tanto caso, sono abituati. Sa di doversi sbrigare ‘chè l’appuntamento davanti casa Hood era fissato per le sette e, ormai, si son fatte le sette e un quarto, quasi, ma non corre, anzi, cammina piano, tranquilla, quasi fosse in anticipo. Daphne sarà già arrabbiata ‘chè lei li odia proprio, i ritardatari, ma pazienza.
Comunque, quando arriva, trascinandosi dietro il trolley verde, si accorge di non essere l’ultima che manca all’appello, quindi, forse, potrebbe anche scampare l’ira della Campbell. Forse.
«Oh finalmente qualcuno, stiamo facendo la muffa, qui», borbotta Tameka, col tono annoiato, poggiata contro la portiera del mini van grigio scuro di Luke. Quest’ultimo mugugna un saluto, ancora a metà strada fra il mondo dei sogni e quello reale; forse, uscire la sera prima, non è stata una grande idea, si dice fra sé e sé.
Mentre Daphne, attaccata al cellulare, le rivolge un saluto con la mano e le manda un bacio volante, vestita e truccata di tutto punto anche a quell’ora improponibile. La solita precisina, si dice Astra e sorride.
Calum sta già in macchina, la testa poggiata al finestrino e gli auricolari negli occhi, il nuovo album degli All Time Low in ripetizione; gli occhi pece chiusi ‘chè, probabilmente, si sta già riaddormentando.
«Astra!», le urla una voce, allegra, prima che qualcuno la stringa in un abbraccio entusiasta.
Lei ride e: «Mi spieghi dove la trovi tutta quest’energia a quest’ora?», biascica inscenando un’espressione fintamente sconcertata. In fondo, solo da Nevaeh Lynch, ci si potrebbe aspettare quel tono pimpante e quell’allegria a qualunque ora, in qualunque situazione. È tipico, di Nevaeh.
«Piuttosto, perché voi siete tutti così mogi? È una giornata bellissima», ribatte l’altra con un sorriso enorme sul viso. E Astra pagherebbe, per somigliarle un po’.
«Forse perché è l’alba e noi persone normali abbiamo sonno?», si inserisce ironica nella discussione Selima, con i Rayban già addosso per non far notare le occhiaie dovute al sonno.
Nevaeh alza le spalle, «E’ una giornata troppo bella per perdere tempo ad avere sonno», commenta con l’aria di chi la sa lunga e poi ride.
«Vado a disturbare un po’ Hood, con permesso; non siamo nemmeno partiti e lui già dorme?», annuncia, con le mani sui fianchi e l’espressione di rimprovero. Poi parte, quasi a corsa, nonostante i due metri a stento che la dividono dalla macchina. E, a quella scena, né Astra, né Selima possono fare a meno di ridere. «E’ una pazza», mormora Selima a mezza voce, quasi non volesse farsi sentire. Astra annuisce, consenziente, «E’ una forza però».
«Qualcuna di voi sa dove sono finiti Ashton, Frieda e Michael? L’appuntamento era venti minuti fa», le interrompe Daphne, con il tono scocciato e un’espressione che non promette niente di buono.
«Non parlo con Ashton, lo sai, per quello dovresti chiedere a Tam. Frieda dieci minuti fa mi ha scritto che stava trascinando Michael fuori di casa, perciò dovrebbero arrivare fra poco», la informa Astra mentre raccoglie i capelli viola in una coda di cavallo. Fa troppo caldo, per essere così presto.
Daphne annuisce, «Okay, quindi loro staranno arrivando. Ashton non l’ha sentito nemmeno Tameka, guarda se si è addormentato, quell’idiota», borbotta e si allontana, veloce come è arrivata.
«Ancora non ho capito perché non ci parli con Ashton, voglio dire si merita tutta l’attenzione del mondo, è un figo»; Selima la guarda interrogativa e Astra, a quelle parole, non può fare a meno di scuotere un po’ la testa e alzare gli occhi al cielo.
«Vado a fumarmi una sigaretta», annuncia e si allontana.
 
«I have crossed between the poles, for me there’s no mystery».
Per svegliare del tutto Calum, alla fine, sono bastati Ashton, una compilation fatta apposta per il viaggio e un termos pieno di caffè. E ovviamente Frieda che, adesso, sta cantando The Cinema Show dei Genesis con lui. È una delle sue preferite, quella canzone, e gl’è proprio servita, per tirargli su l’umore, nonostante l’alzataccia. Tanto che nemmeno gli importa che Frieda ogni tanto stoni un po’ o che, a volte, partano entrambi in ritardo o in anticipo rispetto alla canzone, non importa proprio.
«Mi dicono che qui andare a tempo è un optional», commenta sarcastico Luke, sporgendosi dal posto del guidatore per battere il cinque a Nevaeh, che di musica ne capisce quasi quanto lui. Lei ride e sia Calum che Frieda alzano le spalle nello stesso momento. «Che importa? Ci stiamo solo divertendo», commenta candidamente Frieda, scostandosi con un gesto veloce i capelli miele dalla spalla sinistra. E ringrazia mentalmente Luke di aver portato quella macchina invece che quella più grande ‘chè, nei posti dietro, sta schiacciata fra Nevaeh e Calum. E, si, è un po’ scomoda come cosa, ma comunque sta seduta anche troppo vicino a Calum Hood, è questo che conta.
«E poi, se ci impegnassimo, vi faremmo il culo», aggiunge il moro con tono di sfida, indicando con la testa Nevaeh e Luke.
«Fine come sempre», commenta sarcastica Daphne, che invece sta comodamente seduta davanti, al posto del passeggero che s’è accaparrata non appena sono saliti in macchina. Nessuno ha osato contestare, comunque.
Luke scoppia a ridere e si volta a guardarla, «Non ti scandalizzerai mica, principessina, no?».
Daphne a quel nomignolo alza gli occhi al cielo, è da quando si conoscono che la chiama così, e gli tira un pugnetto sul braccio. «Affatto, idiota. E ora concentrati sulla strada, invece che guardare me», borbotta incrociando le braccia al petto.
Il biondo ride, di nuovo, «E’ più interessante guardare te che la strada», afferma. E potrebbe giurare di aver visto le guance di lei diventare rosse, prima che lei si girasse verso il finestrino a guardare la strada che scorre fuori dal finestrino. «Idiota», bofonchia.
«Luke, non per interromperti mentre ci provi con una che è fidanzata, non fraintendermi è esilarante da vedere, ma ti dispiacerebbe dirmi dove cazzo ci state portando tu ed Ashton?», interviene Frieda, che in una curva finisce quasi in braccio a Calum, che in risposta ride.
Luke scrolla le spalle, «Lo vedrai quando arriveremo, non manca tanto» annuncia.
Frieda sbuffa, «Ma se siamo partiti un quarto d’ora fa».
Calum ridacchia nel vedere la sua espressione scontenta e: «Questo è perché stiamo andando a Bondi beach, la strada è quella». Lei batte le mani, contenta, «Adoro il mare».
«Sei proprio una bambina», bofonchia il moro a quella reazione, con un sorrisino in viso.
Daphne sbuffa dal posto del passeggero, «Quella non c’era sulla lista che avevo fatto», borbotta. Nevaeh ride.
 
A Michael, il mare non è mai piaciuto e, quando può, lo evita.
Ma non sembra avere voce in capitolo qui, perciò cercare di ribattere non avrebbe nemmeno avuto senso. Che poi lui nemmeno voleva partire in generale, è un’altra cosa. Se non fosse stato per Frieda, lui sarebbe rimasto a casa a farsi i fatti suoi tutta l’estate.
«Vieni? Manchi solo tu e ti stai perdendo tutto il divertimento!», si scherma gli occhi chiari con una mano mentre alza lo sguardo per vedere chi gli ha parlato. Nevaeh sta lì, tutta sorridente, così felice tutta bagnata di mare, e lo guarda così trepidante che quasi gli dispiace rifiutare il suo invito. Però scuote piano la testa, «Sto bene qui, grazie lo stesso», e lo dice con un tono che è più arrabbiato di quanto vorrebbe in realtà. Gli è scappato.
Lei, però, non sembra affatto toccata, anzi si siede accanto a lui sulla sabbia chiara, incurante del fatto che le rimarrà attaccata addosso.
«Perché stai qui tutto da solo?», fa una smorfia mentre si volta a guardarlo, incuriosita. Lui si ravvia i capelli, recentemente tinti di nero, con un gesto della mano e si toglie dall’orecchio un auricolare; per educazione, più che altro. «Non è male stare da solo».
Nevaeh lo guarda stranita, «Ma ci stiamo divertendo così tanto!».
Michael distoglie lo sguardo da lei, che a dire il vero lo sta mettendo a disagio, «Buon per voi», mugugna cambiando canzone dalla sua riproduzione casuale. Lei passa una mano fra i capelli decolorati, iniziando a farsi una treccia che pende sulla spalla destra ‘chè le danno fastidio i capelli bagnati sulla schiena, distogliendo così lo sguardo inquisitore dal ragazzo, «Perché non vieni?».
Il moro scuote di nuovo la testa, stavolta più energicamente, «Ti ho detto che sto bene qui, da solo», sottolinea le ultime due parole, sperando che lei capisca. Nevaeh sospira, ma non ha intenzione di darsi per vinta, «Ma che sei venuto a fare, se non per stare con noi?».
«Sono venuto perché Frieda mi ha praticamente costretto, fosse per me io starei a casa mia, in pace», sbotta rivolgendo di nuovo la sua attenzione al telefono. La ragazza lo guarda, ancora più incuriosita, «Non sembri un tipo facile da convincere», constata e si sdraia sulla sabbia bianca.
«Infatti non lo sono» conferma lui, con un sbuffo. Non capisce dove voglia arrivare lei, con quella conversazione.
Nevaeh chiude gli occhi, «Però Frieda ci è riuscita», borbotta.
Michael alza gli occhi chiari al cielo e sospira, «Questo perché Frieda, visto che è la mia sorellastra, ha avuto l’appoggio di mia madre», spiega con una punta di acidità nella voce.
«Secondo me non ti dispiace così tanto essere qui», mormora lei con un piccolo sorriso dipinto sulle labbra rosee.
«Vedila come ti pare», sbotta lui, annoiato dalla discussione.
Nevaeh apre gli occhi, schermandosi il viso con un braccio per poterlo guardare, «Cosa ascolti?».
«I My Chemical Romance», risponde lui apatico.
«Non li ho mai ascoltati, fammi sentire qualcosa».
E Michael, alla fine, stacca gli auricolari dal telefono, sconfitto, lasciando che Nevaeh si immerga un pochino nel suo mondo.
 
«Che dici Tam, la buttiamo? Sembra così tranquilla, lì, no?», Luke fa cenno alla bionda, indicandole Daphne che prende il sole, cercando inutilmente di far indorare di più una pelle già perfettamente dorata.
«Sembra anche troppo tranquilla», conferma lei con un ghigno divertito in viso. Luke sorride, «Allora tu distraila».
Lei lo ferma poggiandogli una mano sul braccio, «Non fare cazzate, Luke. Sappiamo tutti e due che si sposerà con James, farai meglio a starle lontano. Sarà meglio per lei e anche per te».
Il biondo alza le mani con un’espressione corrucciata in viso, «Ma io non ho fatto proprio niente».
Tameka sospira e scuote la testa, «Puoi fregare chiunque, ma non me. E sappiamo benissimo tutti e due che quello sguardo non lo fai a tutte».
Lui alza le spalle, «E’ bella, io cosa posso farci?».
La bionda gli tira uno schiaffetto sul braccio, esasperata, «Tieni gli ormoni a bada, Hemmings», sbotta guardandolo con aria di rimprovero.
Luke fa una smorfia, quasi in segno di resa, «Sarà fatto».
«Bene», annuisce lei, un pochino più sollevata. ‘Chè lo sa, com’è fatto Luke, e che, quando gli interessa qualcuna, non c’è niente che possa evitare un cuore spezzato. Nemmeno se si tratta di Daphne Campbell.
«E tu? Hai deciso cosa fare con Ashton?», chiede lui, con un sopracciglio alzato. Come faccia a farlo, Tameka se lo chiede da quando si conoscono.
Lei gli rivolge un’occhiata di fuoco, «Zitto! Vuoi che ti senta qualcuno?», sbotta mentre si guarda intorno, preoccupata.
«Chi vuoi che ci senta? Daphne prende il sole lì con Astra e Selima, Calum e Frieda si sono infrattati da qualche parte, Ashton l’hai lasciato in mare come un coglione e a Michael e Nevaeh solo il cielo sa cosa potrebbe saltare in mente», guarda la spiaggia attento e Tameka segue il suo sguardo. «Puoi parlare», le suggerisce lui.
La bionda stringe le labbra e si schiarisce la voce, «E’ solo che non sono più tanto sicura di amarlo, non sono sicura di provare per lui quello che provavo prima. Stiamo insieme da anni, ormai. E io non so più come mi sento e se è giusto o sbagliato provare certe cose piuttosto che altre», Luke annuisce e lei continua: «Tipo, quando lo bacio non mi sento più come prima. Stiamo insieme da così tanto che è come baciare mio fratello Joe», bofonchia col tono quasi colpevole.
«E’ una cosa disgustosa», commenta lui con il tono orripilato.
Tameka annuisce, «Lo so» sospira e cerca con lo sguardo Ashton. Ma si sente solo colpevole nei suoi confronti, non prova altro.
«Devi dirglielo», Luke la guarda, improvvisamente serio e lei scuote la testa.
«Ancora no. Sbaglio, o noi dovevamo buttare una persona in mare?».
 
 
 
Writer’s wall.
Ehilà.
Intanto mi scuso per il capitolo precedente, so che il font era un po’ piccolo, ma stavo postando dal telefono e non sono riuscita ad ingrandirlo.
Allora, passando alla storia, questo ovviamente è ancora un capitolo introduttivo, in cui si iniziano a conoscere i personaggi e le loro situazioni. E, soprattutto, in cui si parte per il viaggio on-the-road.
In realtà, non ho molto da dire, per il momento, anche perché ormai sono arrivata alla decima pagina di world e non vorrei essere pesante.
Vi ringrazio tantissimo se avete letto e recensito il capitolo precedente e grazie anche a chi ha già messo la storia fra preferite, seguite e ricordate, grazie mille. Grazie anche di aver letto questo capitolo, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate anche di questo.
All’estate.
A Ed Sheeran.
Alla granita alla menta.
Un bacio,
-Mars

 
 
 

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Capitolo 3
*** Complicazioni. ***


Capitolo Tre.
 
Complicazioni.
 
 
 
Ashton sta ridendo.
Ride troppo, secondo Astra, e la cosa peggiore è che, nonostante tutti i suoi sforzi, non riesce proprio ad evitare di essere contagiata da questa. Almeno un sorrisino riesce sempre a strapparglielo, maledetto.
Lei però fa finta di niente, un menefreghismo camuffato degno di Oscar. Lei si volta e finge di ridere per una delle battute tristi di Frieda, anche se queste, in realtà, di solito non riescono nemmeno a strappare un sorriso. Pazienza.
Tanto non è che qualcuno che ci faccia caso, no?
Infondo ridono tutti, urlano e fanno casino. Tutti, tranne Michael, che se ne sta sempre sulle sue, gli auricolari nelle orecchie, nascosto nel suo mondo di parole urlate e accordi di chitarra. Nascosto nel suo mondo, che chiude fuori la realtà, ‘chè questa gli fa veramente schifo.
Vicino a lui c’è Nevaeh. Gli parla e lui non la sente, o forse finge solamente di non farlo. Forse, sta solamente cercando di tenerla fuori dalla corazza che s’è costruito.
«Questa è la mia canzone preferita» le dice lui dopo un po’, interrompendo il soliloquio di lei su quanto ami i Green Day, o qualcosa del genere. Nevaeh si stampa un sorrisino vittorioso in viso, per niente scocciata dal fatto di essere stata interrotta e sposta lo sguardo cristallino sul viso di lui. «Che canzone è?» chiede.
«Non potresti capire» borbotta brusco Michael, chiudendosi di nuovo nelle sue mura, con la netta sensazione di essersi già esposto tanto. E poi mica vuole che Nevaeh si accorga dell’effetto che gli fa, quel pezzo. Sarebbe troppo.
«Posso provarci», insiste lei.
«No, davvero. Lascia perdere».
«Non sono mica stupida, posso capire», insiste lei.
«Non puoi».
«Tu però puoi spiegarmi, se non lo capisco».
Michael scuote la testa, «Nessuno sa qual è la mia canzone preferita». Intanto ferma il pezzo, ‘chè si sta perdendo tutto, con quella discussione.
«La mia canzone preferita è No Surrender di Bruce Springsteen, anche se dico a tutti che è Sunday Morning dei Maroon5» confessa lei, senza staccare lo sguardo da lui, che invece tiene gli occhi fissi a terra, sulle All Star che ormai sarebbero da buttare.
«Perchè?».
Nevaeh alza le spalle, «Non capirebbe nessuno, meglio buttare lì una canzone più conosciuta e fare finta di essere come la “massa”», mima le virgolette con le dita, grattando l’aria e Michael non riesce a trattenere un piccolo sorriso.
«A me però hai detto la canzone vera» constata lui.
«Ma tu non sei come gli altri, tu ragioni ancora con la tua testa».
Michael annuisce. Alza lo sguardo e fissa davanti a sé qualche secondo, poi si alza e fa un cenno a Nevaeh con la mano.
«Vieni».
Se ne vanno entrambi, lasciando tutti un po’ confusi, ma poco importa in fondo.
Lui si lascia cadere sulla sabbia, lontano dal loro gruppetto quanto basta per non sentire le urla divertite di Selima. Nevaeh si siede accanto a lui e lo guarda, interrogativa.
«La mia canzone preferita di sempre è Asleep degli Smiths» confessa, lo sguardo basso.
«E’ una canzone tristissima, Michael».
Lui annuisce, «Lo so. Ma infondo tutte le canzoni più belle sono tristi, parlano tutte di dolore».
Nevaeh rimane in silenzio e lui fa per rinfilarsi gli auricolari, per chiuderle di nuovo le porte del suo mondo in faccia.
«Mi daresti una cuffietta?».
E da una parte sente l’eco dei suoi amici che ridono, dall’altra sente gli Smiths. Nevaeh chiude gli occhi, li tiene stretti e cerca di immedesimarsi in Michael. E no, non ci riesce, ‘chè questo ragazzo nemmeno le pare di conoscerlo, tanto è cambiato, ma non importa.
Ascolta le parole, non pensa ad altro, svuota la testa da tutto.
Ascolta e basta.
Sente la mano di Michael cercare timida la sua e stringerla forte come fosse un’ancora.
Allora si volta a guardarlo e nota che gli occhi di lui sono lucidi; però non chiede nulla, ‘chè lui comunque non le direbbe nulla. Si limita a ricambiare la stretta.
«Mi dispiace», mormora Michael, con la voce più rotta di quanto vorrebbe.
«E’ tutto okay».
«Devo andare», sbotta, improvvisamente brusco. Poi si alza di botto, lasciando anche il cellulare sulla sabbia e se ne va, più veloce che può. Nevaeh rimane a guardarlo, nelle sue orecchie c’è ancora la canzone che ormai inizia a scemare, e, no, non capisce.
 
«Ti amo».
«Anche io, buonanotte James».
Daphne chiude la chiamata e fa scivolare il telefono nella tasca dei pantaloncini di jeans, un piccolissimo sorriso le spunta sul viso.
«Buonasera».
Sobbalza, colta di sorpresa da quella voce e si volta, riconoscendone poi il proprietario, a cui non nega un sorriso smagliante.
«Luke! Mi hai fatto prendere un colpo!» gli dice, portandosi in modo teatrale la mano sul cuore. Il biondo scoppia a ridere, divertito dalla scena, e scuote piano la testa, «Scusami».
Daphne arriccia leggermente il naso, le lievi lentiggini rese un po’ più evidenti dal sole preso durante il giorno e alza le spalle; «Non preoccuparti, è solo che non mi aspettavo di vederti qui. Pensavo che fossi insieme agli altri o che fossi andato a dormire, infondo è tardi».
«La notte è ancora giovane», la rimbecca Luke, con un ghigno impertinente sul viso.
Daphne si lascia sfuggire un piccolo sbadiglio, «Per te, forse. Io credo che andrò a dormire tra poco».
«Stavo pensando di fare una passeggiata, perché non mi fai compagnia?». Lei scuote la testa, «Magari un’altra volta».
Certo, Luke non è mai stato una di quelle persone che accettano facilmente i no; anzi, lui non li accetta affatto, soprattutto se il no è stato detto da una come Daphne Campbell. «Dieci minuti e torniamo, arriviamo solo fino a lì», le indica un punto della baia con la mano.
Daphne sospira e: «Non puoi andarci da solo?».
«Suona molto deprimente come cosa».
«Allora non puoi farti accompagnare da qualcuno? Tipo Selima, scommetto che sarebbe entusiasta di venire con te».
«Mi è simpatica Selima, è solo che parla troppo, per i miei gusti», si giustifica Luke, con un’alzata di spalle.
Daphne lo guarda, scettica, «Oppure il problema è la cotta che ha per te?»
«E’ una cosa imbarazzante» mormora lui, gli occhi azzurri rivolti verso il cielo.
«Non c’è nessun’altro che potrebbe venire con te?» gli chiede lei, alzando il viso per poterlo guardare in faccia, tanta è la differenza d’altezza fra i due.
Luke alza di nuovo le spalle, «Non credo. Comunque, se l’ho chiesto a te e non a un’altra persona, un motivo ci sarà».
E, anche se Daphne Campbell non è mai stata una di quelle ragazze che si emozionano per queste cose, sente il sangue affluirle alle guance e renderle purpuree; quantomeno è buio e Luke non può farci caso. Comunque, decide di non farci caso anche lei, di ignorare quello che è appena successo. «Bene, ma solo fino a lì, poi torniamo indietro. Sono stata chiara?»
Luke neanche si sforza di nascondere il ghigno vittorioso che gli si è dipinto in viso, «Cristallina» risponde sarcastico.
 
«Me ne dai una, per favore?».
Astra annuisce e tira pigramente fuori dal pacchetto ammaccato una Marlboro e l’accendino blu con il logo dei Rolling Stones stampato sopra.
«Grazie» le dice Ashton mentre le prende dalle mani sia la sigaretta che l’accendino. Si siede a terra di fronte a lei, tra loro solamente il fuoco del falò che ormai sta iniziando a spegnersi. Sono gli unici due rimasti, gli unici che non hanno ceduto alla tentazione del sonno o che non hanno preferito dileguarsi per stare un po’ da soli.
Astra lo guarda, un solo sopracciglio alzato e gli occhi lampeggianti, «Perché ti sei seduto ?» gli chiede, glaciale.
Ashton alza le spalle e si ficca la sigaretta tra le labbra, schermandola poi con la mano mentre la accende. «Grazie» ripete e le lancia l’accendino, che lei prende al volo, sporgendosi di scatto. Ignora totalmente la sua domanda.
«Allora? Perché ti sei messo lì?» chiede Astra, testarda. Lei, comunque, non è mai stata quel tipo che lascia perdere o lascia correre qualcosa, sempre cocciuta fino al midollo.
«Preferiresti se mi sedessi accanto a te?» chiede lui, sarcastico e con la risata già pronta sulla punta della lingua, però si trattiene. O, almeno, ci prova.
Astra alza gli occhi al cielo e sospira, senza nemmeno cercare di mascherare il crescente fastidio. È che Ashton, proprio lui, non lo regge.
«Preferirei che tu andassi a sederti in un altro continente» sbotta, acida.
Ashton butta fuori il fumo e scoppia a ridere e Astra lo odia proprio, per questo.
Perché non può offendersi come una persona normale?
Perché non può allontanarsi da lei e lasciarla in pace?
Perché non si arrabbia?
Non fa nulla di tutto questo, no, lui ride, rumoroso con la testa buttata indietro. Butta la sigaretta ormai finita a terra e ride, lui.
«Ma dai, non dire così. Non mi odi così tanto, no?»
Astra si alza; se non se va Ashton, allora lo farà lei. Lo fulmina con gli occhi, che sono a metà fra l’azzurro e il grigio. E, a lui, ricordano il mare in tempesta. «Invece si, Ashton, ti odio così tanto. Anzi ti odio anche di più. Non hai idea di quanto io ti odi, davvero».
Fa per andarsene, ma lui la raggiunge e la trattiene, stringendole il braccio, delicato e deciso allo stesso tempo. La guarda con i suoi occhi cangianti, «Perché?».
Lei finge una risata amara, «Hai anche il coraggio di chiedermi perché? Dovresti saperlo il perché, Ashton!» sbotta.
«Se ti riferisci a quello che è successo, ormai è passato tanto tempo», alza le spalle lui.
«Non significa nulla! Quello che è successo è successo comunque, non è qualche mese a cancellare il passato. E tu magari ci riesci a non sentirti uno schifo, tutte le mattine quando ti guardi allo specchio, io però no. Ed è solo colpa tua».
Ashton sospira, «Certo che mi sento uno schifo! Però non ho rimorsi, non rimpiango nulla e se potessi lo rifarei altre mille volte, quel dannato errore».
«Hai fatto un casino, Ashton, e mi ci hai tirato dentro. E adesso continui a comparire nella mia vita, non mi lasci mai stare, come se volessi costantemente ricordarmi quello che è successo. Forse non hai capito che io, con te, non voglio più averci niente a che fare».
Lui allenta leggermente la presa su di lei, colpito da tutte le sue parole, ferito anche.
Ha fatto un casino, un irrimediabile disastro. Un errore che, nel momento in cui l’ha fatto, in realtà, sembrava proprio la cosa più giusta da fare; però non lo era.
L’ha detto anche ad Astra, che però, nonostante tutto, lui non si pente proprio. Lei, evidentemente, i rimorsi ce l’ha e se la stanno mangiando viva.
«Mi dispiace, Astra. Davvero.» mormora.
Astra scuote la testa, agitando i capelli recentemente tinti di viola chiaro, che ad Ashton piacciono da morire. Si nasconde il viso con la mano destra, ‘chè mica vuole che lui si accorga che sta per piangere.
«Non me ne faccio nulla delle tue scuse» borbotta scontrosa, senza riuscire a camuffare la voce rotta.
Come ha potuto?
Ashton cerca gli occhi di lei con i suoi, li prende, li cattura e non li lascia più andare, «Perdonami, per favore».
Lei scuote la testa, «Non posso. È troppo».
Con uno strattone libera il braccio dalla presa, ormai debole, del ragazzo e si volta, lasciandolo lì a fissarla, senza sapere cosa fare o dire.
«Astra!» la chiama.
Lei si ferma e si volta, «Che cosa vuoi ancora?» urla, troppo arrabbiata per riuscire a controllarsi.
Ashton la raggiunge in due falcate, fino a non dare né lo spazio, né la voglia di andarsene. «In realtà, non mi dispiace affatto» mormora.
E poi, prima che Astra possa anche solo spostarsi o cercare di combatterlo o, addirittura, capire cosa sta succedendo, le prende il viso fra le mani e poggia le labbra sulle sue.
Astra chiude gli occhi, le labbra di Ashton sulle sue, in realtà, non se le ricordava così. E per un attimo non ha nemmeno il coraggio di volerlo allontanare. Però deve farlo; ‘chè non è giusto. Né per Tameka, né per Ashton e né tantomeno per lei.
Prende tutta la sua forza di volontà e lo spinge via, «Ti odio».
Poi se ne va, di corsa.
Lo odia proprio, solo, non è in grado di resistergli.
Solo che non lo odia tanto quanto vorrebbe.
Maledetto Ashton Irwin.
Maledetto, che l’ha incasinata ancora.
 
Frieda butta la testa indietro, lasciando che i capelli, resi scuri dall’acqua, le gocciolino sulla schiena. Si gira e sorride, un sorriso enorme, di chi è proprio felice.
Calum le fa un cenno di saluto dalla spiaggia e il sorriso di lei, irrimediabilmente si allarga. Non può mica farci qualcosa, se lui le fa tanto effetto.
«Vieni?», gli chiede, facendogli con la mano cenno di raggiungerla e usa la sua voce lamentosa, quella di qualcuno che cerca di essere convincente. Calum scuote la testa, «E’ mezzanotte e mezza, fa freddo».
Frieda scuote la testa, facendo scattare in tutte le direzioni i capelli lunghi, «L’acqua è caldissima» ritenta, avvicinandosi alla riva fino a che l’acqua non le arriva solo alle ginocchia.
E, Calum non può fare a meno di notarlo, ma ha proprio un gran fisico, Frieda. «Resto qui» le risponde e le regala uno di quei mezzi sorrisi alla Calum Hood, uno di quelli che l’hanno sempre fatta impazzire.
Frieda esce dal mare, rabbrividendo leggermente per via dell’aria, nettamente più fresca dell’acqua marina; si avvicina a Calum e si lascia cadere con ben poca grazia sull’asciugamano, incurante di essere coperta di sabbia chiara su tutte le gambe.
«Quanto sei noioso» borbotta e arriccia le labbra carnose in un finto broncio, le braccia incrociate sotto al seno.
Calum alza le spalle, «Potevi restare in acqua».
Frieda gli ruba la bottiglia di Tuborg dalle mani e se la porta alle labbra. Ha sempre amato alla follia la birra dopo il mare, il sapore leggermente amaro che si mischia con l’acqua salata che è rimasta sulle labbra.
«Ne vuoi una? Vado a prendertela, se la vuoi», propone Calum, guardandola di sottecchi. È proprio bellissima.
Lei scuote piano la testa, «No, grazie. Una intera non la voglio. In realtà, ne volevo solo un sorso». Si porta di nuovo la bottiglia alle labbra e ne beve un altro lungo sorso.
Calum la guarda scettico, «Solo un sorso, eh?». Frieda sorride e alza le spalle. Gli occhi celesti le brillano, sotto la luce delle stelle.
Brillano anche quelli di Calum.
«Hai sonno?» gli chiede lei, dopo uno di quei momenti di delizioso silenzio. Non quel silenzio imbarazzante, pesante, ma uno di quei silenzi che, forse, urlano più degli strilli; uno di quelli che non puoi non sentire.
Il moro scuote la testa, «No, ancora no. E tu?»; la guarda e lei tiene gli occhi fissi sull’oceano, sulle onde che arrivano e si infrangono piano contro la battigia. «No. E poi stanotte voglio rimanere qui e aspettare di vedere l’alba» spiega, senza staccare lo sguardo dei movimenti delle onde.
«Allora resto qui con te ad aspettare» le dice lui improvvisamente, prendendola proprio alla sprovvista. Tanto che, finalmente, Frieda stacca gli occhi blu dall’acqua e lo guarda, a metà tra lo stupore e la felicità. «Se te ne vuoi andare, non preoccuparti».
«Figurati se ti lascio qui, da sola - sottolinea – per tutta la notte. Ma non se ne parla proprio, aspetto qui con te».
Frieda sorride e gli poggia la testa sulla spalla. E a Calum non importa che con i capelli gli stia bagnando tutta la maglietta dei Guns’n’Roses, una delle sue preferite. Non gli importa affatto. Anzi, la prende per la vita e se la tira più vicina.
Sta bene.
 
 
 
Writer’s wall.
Ehilà.
Intanto mi scuso tantissimo per il ritardo con cui sto postando questo capitolo (mi vergogno da morire per questo), ma sono state due settimane in America e, una volta tornata, tra i lavori a casa, le uscite e il mare ho trovato davvero pochissimo tempo per mettermi a scrivere (in compenso però ho trovato tantissima ispirazione e tantissime idee per questa storia).
Allora, diciamo che con questo capitolo si entra un po’ nel vivo della storia e iniziano le complicazioni.
C’è Nevaeh che prova ad avvicinarsi a Michael, che inizialmente sembra cedere e poi, invece, si allontana non appena si espone troppo…perché si comporta così?
(Se per caso non le conosceste, vi consiglio vivamente di ascoltare le due canzoni che ho citato nel capitolo, ossia Asleep degli Smiths e No Surrender di Bruce Springsteen, sono entrambe dei veri capolavori).
Poi abbiamo una piccola scena tra Daphne e Luke, che non sembra intenzionato a lasciarla stare, nonostante lei stia per sposarsi.
Ed eccoci al momento clou, Astra e Ashton. Penso che quello che sia successo fra loro sia abbastanza e iniziamo a capire le ragioni dell’odio di lei nei suoi confronti. Certo, dopo questo bacio, le cose fra loro saranno ancora più difficili; senza pensare poi a Tameka.
E, ultimi ma non ultimi davvero, Calum e Frieda, che io amo proprio; è un piccolo momento che ho adorato scrivere, che prende spunto un po’ da una cosa che mi è successo veramente e un po’ da una mia fantasia. Ho davvero adorato scriverlo.
Alle storie estive che finiscono male.
A quelle che non finiscono.
A N. che mi ha incasinata proprio.
A C. che mi sta sempre vicina.
Un bacio,
-Mars
 

 

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Capitolo 4
*** Risvegli. ***


Capitolo Quattro.
 
Risvegli.
 
 
 
Forse, dormire all’aperto, lì sulla spiaggia, non è stata una grande idea. Quello a cui nessuno di loro aveva pensato, infatti, è la luce del sole che adesso, alle sei e mezzo del mattino li ha svegliati tutti, eccetto Selima, ma lei è un po’ un caso a parte.
Tameka apre piano gli occhi e li strizza forte, per abituarsi alla luce; poi si volta verso Ashton, che le tiene il braccio attorno alle spalle, come ha fatto tutta la notte. Non s’è nemmeno accorto che si è svegliata, tanto è immerso nei suoi pensieri; quei pensieri che non gli hanno fatto chiudere occhio. «Buongiorno» mormora, sporgendosi per lasciargli un bacio delicato sulla guancia.
Lui la guarda e obbliga le sue labbra a tendersi in un sorriso, anche se Tameka lo nota subito, che non è affatto un sorriso spontaneo. Sa che c’è qualcosa che non va, ma non chiede nulla; forse nemmeno le va di saperlo. «Buongiorno a te» mormora lui in risposta, voltando la testa di poco per poterla guardare. E quando incontra gli occhi grigi della ragazza con i propri, i sensi di colpa lo attanagliano. E si odia, Ashton, profondamente. Detesta il fatto che non sia più Tameka la persona che lo tiene sveglio la notte, detesta che non siano le sue labbra quelle di cui brama i baci, detesta il fatto che vorrebbe solo voltarsi e cercare dei capelli viola e raggiungere la ragazza a cui appartengono. E odia tutta questa situazione, ‘chè non è giusto.
Tameka lo ama ancora, o almeno crede, nonostante tutti gli anni che sono passati da quando se lo sono detto per la prima volta, allora perché lui non crede di provare quello stesso sentimento? Cosa è cambiato?
«Ashton, va tutto bene?», Tameka mormora, stranita dalla sua espressione assorta e lui scuote lievemente il capo, facendole cenno che si, sta bene. «Stavo solo pensando, non preoccuparti» aggiunge, quasi a voler rafforzare il suo gesto.
Tameka sospira e annuisce, lui non le dirà cosa lo turba tanto. «E’ successo qualcosa ieri sera mentre dormivo? Ad un certo punto mi è sembrato di sentire urlare Astra».
Ashton deglutisce e si affretta a scuotere la testa, «No, non è successo nulla. Probabilmente l’avrai sognato».
Si alza, prima che lei abbia il tempo di ribattere che no, era troppo reale, non può averlo sognato. «Vado a prendere il caffè al bar, tu vuoi che ti porti qualcosa?»
«Un cappuccino, scuro. Grazie»
Ashton si abbassa e le lascia un bacio leggerissimo sulla fronte, sentendosi troppo in colpa per darglielo sulle labbra, come avrebbe fatto solitamente. Poi si allontana, più veloce che può.
E, intanto, dall’altra parte della spiaggia, Astra Ellis ha assistito a tutta la scena e non saprebbe proprio dire se quella morsa che le stringe lo stomaco è solo per via dei sensi di colpa e della rabbia o se c’è di mezzo anche la gelosia.
 
 
«Michael!»
Al richiamo di Calum, il ragazzo si gira, lasciando cadere gli auricolari. «Io e Frieda stiamo andando al bar, vuoi qualcosa?».
Lui, in risposta, si limita semplicemente a scuotere la testa.
«Sei sicuro?»
«Ho detto che non voglio niente, Calum» sbotta Michael.
«Okay».
Poi gli volta le spalle, Calum e se ne va, raggiungendo Frieda che lo aspetta seduta sulla battigia. Ha i capelli biondi incrostati di salsedine e delle occhiaie profonde, dovute alla notte in bianco, eppure Calum trova che sia bellissima anche così e, davvero, non si capacita del fatto che non se ne sia accorto per tutto questo tempo; l’ha sempre trovata bella, una gran figa a detta di Luke Hemmings, ma bellissima mai. Quanto sbagliava. Frieda lo vede arrivare e gli rivolge un sorriso stanco, felice però, e gli tende la mano sinistra, «Aiutami ad alzarmi, su».
Calum esegue e poi, quando iniziano a camminare in direzione del bar, la mano non gliela lascia, anzi fa combaciare meglio le dita fra loro; Frieda rabbrividisce e ricambia quella stretta.
Alla fine si costringe a parlare, ‘chè di restare così a guardarlo di sottecchi non ha proprio voglia «Michael vuole qualcosa?»
Il moro scuote la testa con un sospiro.
«La cosa non mi stupisce» commenta lei, con un’alzata di spalle.
Calum sospira ancora, «Già».
Frieda si ferma, costringendo così anche lui a fare lo stesso, e lo guarda interrogativa, visto che, si, l’ha notato il cambiamento della sua voce. «Cosa succede, Calum?»
«E’ solo che è frustrante» mormora passandosi una mano fra i capelli. Poi molla la mano di Frieda e si siede di nuovo sulla sabbia ‘chè ha il sentore che quella non sarà certo una discussione breve.
Lei si siede accanto a lui, tanto vicino che sente il suo respiro addosso; le loro ginocchia si toccano, un po’ apposta e un po’ per sbaglio.
«Fa sempre l’incazzato. Anche con me! Ero il suo cazzo di migliore amico, Frieda, e nonostante tutti i tentativi che faccio mi sbatte sempre le porte in faccia».
«Sta male, Calum. So che è una pessima cosa da dire, ma credo che abbia ancora bisogno di tempo».
Il moro abbassa lo sguardo e annuisce piano, «E’ che continuo a pensare al fatto che avremmo potuto salvarlo, tutti noi, io avrei potuto. Eppure nessuno di noi l’ha fatto, l’abbiamo lasciato cadere quando aveva bisogno di noi».
«Lo so, però nessuno aveva capito» mormora Frieda.
Calum strizza gli occhi, cercando forse di non lasciar trapelare troppo emozioni; «Io si, io avevo capito. Però l’ho lasciato fare, perché pensavo che non volesse e che non avesse bisogno di me. Però avevo capito che stava cedendo – sussurra con la voce che un po’ trema – Sono stato un pessimo amico per lui, ho pensato che una birra ogni sabato sera e una sigaretta potessero risolvere i suoi problemi, ma questo risolveva solo i miei».
Frieda gli porta una mano sulla guancia, costringendolo così ad alzare lo sguardo su di lei e fissa gli occhi azzurri in quelli pece di lui, «Calum non potevi sapere cosa gli passasse per la mente, okay? Hai fatto quello che ti è sembrato più giusto».
«Però ho sbagliato».
«Questo non significa che tu sia un pessimo amico, se lo fossi ti saresti già arreso con lui».
Calum deglutisce, «Vorrei solo indietro Michael, quello che conosco da praticamente sempre. Mi manca e mi sento così fottutamente solo, così perso».
Lei annuisce, «Tornerà, vedrai. E nel frattempo, anche se so che non è la stessa cosa, puoi contare su di me. Non voglio che tu ti senta più solo». «Stanotte non mi sono sentito solo con te». Calum cerca di nuovo la sua mano e la stringe; la bionda ricambia la stretta e arrossisce, il cuore a mille.
Poi Frieda prende l’iniziativa, si allunga e lo abbraccia stretto, tanto che quasi sente il suo cuore battere incalzante contro il petto. Calum le stringe la vita e affonda il viso sul suo collo, tra i capelli fini che profumano di mare e di qualcosa che sembra ciliegia. Chiude gli occhi e fa un respiro.
«Grazie, Frieda» mormora.
«Allora, andiamo a prenderci questo caffè?» suggerisce lei, allentando leggermente l’abbraccio e rivolge lo sguardo verso Calum, che scuote la testa; «No, restiamo qui un altro po’. Vuoi?».
Frieda sorride, le guance un po’ rosse e gli occhi cerulei brillanti. Il braccio muscoloso di Calum le cinge le spalle, protettivo e rassicurante, lei lo stringe alla vita, le gambe incrociate sulle sue; poggia la testa sul suo petto e ascolta il battito del suo cuore. Chiude gli occhi e restano così.
 
Per Daphne Campbell la mattina è un concetto semplice: una mezz’oretta di corsa, doccia e poi crema di caffè accompagnata da due biscotti secchi, non uno in più e non uno in meno.
Per lei, la mattina è semplice routine, pianificata nei minimi dettagli, come qualunque altra cosa nella sua vita, che si fonda su una seria di inattaccabili certezze; senza, non potrebbe andare avanti.
«Offro io». Ecco, questa voce e il ragazzo a cui appartiene che le scivolano accanto, non fanno certo parte dei suoi piani e, dunque, non possono che farle piacere.
Daphne nemmeno ci prova a nascondere l’espressione contrariata e sospira, voltandosi alla fine verso il biondissimo Luke Hemmings che è già scivolato sullo sgabello accanto al suo.
«Non c’è bisogno, posso pagare da sola, grazie» replica lei, con una punta d’acidità nella voce. Luke, comunque, non ci fa caso.
Distoglie lo sguardo da lei, per rivolgersi alla ragazza, che probabilmente non avrà più di sedici anni, che sta dietro il bancone ma che fissa l’oceano a pochi metri di distanza, con il chiaro desiderio di essere altrove. Lui non si fa alcuno scrupolo a strapparla dalle sue fantasie.
Si schiarisce la voce per richiamare la sua attenzione e «Mi faresti un caffè, per favore? Vorrei anche un cornetto al cioccolato», sorride con il suo miglior sorriso tentatore; sa che ha già fatto colpo, glielo legge negli occhi prima che lei si giri a preparargli il caffè.
La ragazza non si fa aspettare e, rapida, gli piazza davanti quanto richiesto; lui le sorride ancora e tira fuori il portafogli, «Pago anche la sua colazione». E prima che Daphne possa ribattere, Luke ha già tirato fuori le banconote e le passa alla barista con un sorrisetto, «Il resto è la mancia, tesoro». Calca sull’ultima parola e schiaccia un occhiolino nella direzione della ragazza, che avvampa immediatamente.
Daphne alza gli occhi al cielo, «Quanto sei deficiente».
«E’ anche per questo che mi adori, Campbell» ride Luke, scompigliandole i capelli color cannella.
Lei sbuffa, «Sei insopportabile» sentenzia tirandogli uno schiaffetto sul braccio; lui ride ancora.
«Sarà meglio che raggiunga Nevaeh, così stabiliamo la nostra prossima tappa. Tu non sentire troppo la mia mancanza, nel frattempo».
Poi se ne va, lasciando la sua colazione intatta sul bancone, senza nemmeno avere il tempo di ascoltare la risposta acida che Daphne ha già pronta sulla punta della lingua.
«Che coglione» borbotta a mezza voce, tra sé e sé.
«Ma no, è simpatico», la contraddice la voce sottile e vagamente divertita della rossa che sta dietro il bancone.
Daphne scuote la testa, «No, fidati. È un coglione». Finisce in un sorso la sua crema di caffè.
«Coglione o no, il tuo ragazzo è un figo, lasciamelo dire» asserisce la rossa, prendendo la sua tazza ormai vuota.
Lei quasi si soffoca con la saliva, poi si mette a ridere, quasi presa da un attacco di ridarella, «Hemmings? Il mio ragazzo? Il cielo ce ne scampi». La ragazza arrossisce, «Perdonami, è solo che mi sembrava steste insieme»
Daphne la guarda aggrottando le sopracciglia e sospira, cercando di calmare la ridarella e i nervi. Questa giornata, per lei, non è certo iniziata secondo i suoi piani e, probabilmente, non migliorerà andando avanti.    
 
Selima viene svegliata dalla suoneria del cellulare di Nevaeh, quando il sole è ormai già alto; a lei, non da fastidio dormire con la luce. È una di quelle persone che dormirebbe ovunque, con luce o rumore, senza troppi problemi.
Sbadiglia rumorosamente e si stiracchia, osservando Nevaeh che parla concitata al telefono. Sorride, come sempre, e Selima ancora non capisce come faccia ad essere sempre così allegra; lei non ci riesce proprio. Quando l’altra chiude la telefonata e ripone accuratamente il suo nuovo Iphone nella tasca dei pantaloncini di jeans, si gira a guardarla e le regala uno dei suoi sorrisi smaglianti, «Ma buongiorno, dormigliona».
Selima strizza gli occhi e alza il busto, mettendosi seduta a gambe incrociate sulla sabbia che, con suo grande disappunto, le si è comunque insinuata nei capelli, nonostante avesse fatto di tutto per impedirlo. Pazienza.
«Che ore sono?» biascica, ancora assonnata.
«Quasi le undici».
Selima soffoca un grugnito di disappunto, calcandosi poi addosso i suoi immancabili Ray-Ban a goccia. Per i suoi standard, è ancora troppo presto per svegliarsi in un giorno di vacanza.
Nevaeh si alza e urla a pieni polmoni, finché tutti decidono di porre fine a quello strazio e le raggiungono lì. Lei sorride soddisfatta.
«Una chiamata sarebbe bastata» sbotta Michael; Nevaeh alza le spalle, «Così è stato più divertente». Lui alza gli occhi al cielo e alza il volume della musica che sta ascoltando, sforzandosi di coprire le loro voci. E il suo intento riesce finché Nevaeh non gli schiocca le dita davanti gli occhi, richiamando la sua attenzione.
Lui lascia cadere un auricolare e la guarda in cagnesco, «Che vuoi?». Il tono è tagliente, ma lei non si scompone.
Attende che tutti le prestino attenzione, quindi si schiarisce la voce, «Una mia amica ha una villa a Manly Beach e ci ha invitato. Possiamo stare quanto vogliamo e ci saranno anche dei suoi amici. Ho pensato che potesse essere divertente».
Michael alza le spalle e borbotta: «Tanto farete comunque quello che volete, quindi la mia opinione non serve a un cazzo». Si rinfila nell’orecchio l’auricolare che aveva lasciato cadere per ascoltare quello che Nevaeh aveva da dire loro e alza il volume al massimo su  Fallen angels dei Black Veil Brides.
Mentre gli altri si lasciano andare a cenni d’assenso, Daphne arriccia leggermente il naso in una smorfia evidentemente contrariata, «Veramente neanche Manly rientra nelle tappe che avevo previsto. E che significa che potremo starci quanto vogliamo? Perderemo tantissimo tempo per fare tutto i resto», si lamenta mentre raccoglie i capelli in una coda che le ricade ordinata sulla schiena abbronzata, lasciata abbondantemente scoperta dal top giallo che ha addosso.
Alzano tutti gli occhi, ma decidono di non farci troppo caso, sono abituati. Tranne Luke che, ovviamente, non riesce mai a stare zitto, «Perché non puoi mai rilassarti un attimo? Cazzo, è estate. Capisco che sei una maniaca del controllo ma calmati una volta tanto».
Gli occhi dorati di lei lampeggiano mentre lo guarda.
«Ora lo picchia» commenta Ashton divertito dalla sua espressione.
«Benissimo, facciamo alla maniera di Hemmings, andiamo allo sbando completamente. Poi vedremo chi aveva ragione».
«Daph, tesoro, dai calmati, non è successo nulla», azzarda Nevaeh, rivolgendole il suo miglior sorriso, cercando invano di calmare l’ira dell’amica.
«Sono calmissima!» strepita l’altra, indicando poi le automobili «E filate tutti in macchina che partiamo per questa dannata Manly. Adesso!».
E sarà un po’ per il suo tono, un po’ per l’espressione ma nessuno, nemmeno Michael, osa lamentarsi.
 
 
 
Writer’s wall.
Ebbene si, sono ancora viva.
Volevo davvero scusarmi per non aver postato per un sacco di tempo, ma sono stati davvero dei mesi difficili, sono successe un sacco di cose e non ho avuto tempo e neanche voglia di dedicarmi alla scrittura. Però adesso eccomi qui, pronta a tornare ad aggiornare con regolarità (una volta la settimana, si spera).
Vi ringrazio moltissimo se vi siete fermate a leggere questo capitolo, mi farebbe veramente piacere se mi faceste sapere cosa ne pensate. Grazie anche se avete inserito la storia fra le preferite, seguite o ricordate, mi fa davvero felice.
Alla prossima, un bacio,
-Mars
 
 
 
 
 
 
 

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