Airplanes

di sheeranshobbit
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Airplanes ***
Capitolo 2: *** Where I land. ***
Capitolo 3: *** Sorry. ***
Capitolo 4: *** The Red Lion. ***
Capitolo 5: *** I'm not a child. ***
Capitolo 6: *** Audition. ***
Capitolo 7: *** Surprise. ***
Capitolo 8: *** Heroes. ***
Capitolo 9: *** Hurt him, save him. ***
Capitolo 10: *** Stay. ***
Capitolo 11: *** Goodbye. ***
Capitolo 12: *** We're not friends. ***
Capitolo 13: *** New York ***
Capitolo 14: *** Autumn Leaves ***
Capitolo 15: *** Unforgettable ***
Capitolo 16: *** Lost ***
Capitolo 17: *** Secrets ***
Capitolo 18: *** I won't give up on you ***



Capitolo 1
*** Airplanes ***


Airplanes    


 
Sembrava quasi impossibile, ma finalmente quel giorno era arrivato. Certo, non me l'ero aspettato molto diverso da come stava andando. La sveglia aveva suonato alle 6.30 come al solito, togliendomi dal dolce torpore delle coperte. Mi ero alzata di scatto, il volume era troppo alto e mi dimenticavo sempre di abbassarlo, procurandomi simpatici infarti mattutini. Avevo colpito il tetto spiovente della mansarda con una sonora testata. Non mi ero ancora abituata al poco spazio della stanza, anche se ormai ci dormivo da un paio di settimane perché -non puoi dormire in camera tua mentre la ristrutturano, i muratori arrivano molto prima che tu ti svegli- e con quella frase mia madre mi aveva convinto. Quella mattina però invece della solita smorfia avevo un sorriso esagerato.
Avevo fatto la doccia in tempo record e pettinato i capelli in uno chignon che assomigliava più a un nido di merli. Non mi ero fatta molti problemi su come vestirmi, avevo afferrato le due cose più comode e leggere dal mio armadio, che ormai era vuoto, poi ero scesa in cucina per mangiare la mia ultima colazione all'italiana, fischiettando un personale arrangiamento di una canzone degli Arctic Monkeys che avevo sentito la sera prima alla radio.
Avevo trovato i miei parenti radunati in cucina per salutarmi perché -non capita tutti i giorni che tua nipote intraprenda un'avventura del genere- aveva detto mia nonna, mentre mi abbracciava. Non sono mai stata troppo brava con i saluti, tutti ne sono a conoscenza, infatti la cosa era finita abbastanza in fretta. Il classico "Ti vogliamo bene" di gruppo e se n'erano andati.
Avevo controllato di avere le ultime cose, i vari carica batterie, il cellulare.. Dove avevo messo il cellulare? Ero corsa in camera, rivoltato le lenzuola e la scrivania, per poi sentirlo vibrare in tasca. Era Rachel, la persona che mi conosce ancora meglio di quanto io conosca me stessa. Non mi piace riferirmi a lei come ‘migliore amica’ perché se c’è una cosa che odio sono le etichette. Le persone non ci appartengono, non abbiamo il diritto di assegnare nomi a gente che magari da un giorno all’altro potrebbe dimenticarsi completamente di noi. Tanto per dirne una, avevo una tartaruga una volta, il suo nome era Tartaruga.
Avevo risposto con voce squillante alla chiamata.
-Rachel!
Ma in tutta risposta avevo ricevuto un urlo isterico. Allontanando l'apparecchio dall’orecchio mi ero messa a ridere, perché c’era da aspettarselo da una come lei. Una volta tornata in sé, la conversazione era stata abbastanza normale. Qualche avviso su come comportarsi una volta arrivata là, l’obbligo di chiamarla subito, di comprarle un sacco di regali e di portarle a casa qualche bell’Inglese. Una volta staccata la chiamata, mi ero resa conto di essere schifosamente in ritardo.
Avevo salutato i simpatici muratori che mi svegliavano alla mattina con i loro simpatici attrezzi da lavoro mentre scendevo le scale due gradini alla volta. Sapevo che quel giorno non era il giorno adatto per lamentarsi. Quello era il giorno. Me l'ero ripetuto mentre salutavo mia madre che mi faceva le ultime raccomandazioni. Me l'ero ripetuto mentre mio padre mi ricordava di chiamare come minimo tre volte al giorno perché altrimenti si sarebbero preoccupati. Me l'ero ripetuto mentre aprivo la porta di casa per l'ultima volta, lasciando le mie chiavi sul comò dell'ingresso, perché tanto non mi sarebbero servite per un po'. Me l'ero ripetuto mentre afferravo il manico delle mie due valigie, zaino in spalla e Canon al collo, e mi dirigevo verso il taxi bianco che mi avrebbe accompagnata, perché i miei genitori dovevano lavorare. Ma più di tutto, avevo pensato che quello era il giorno mentre salivo sull'aereo bianco e blu della Ryanair per raggiungere mio cugino Lynch, perché quello era il giorno in cui io, Cat Nicholson, partivo per Londra.

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Capitolo 2
*** Where I land. ***


Where I land.

 
Mi stropiccio velocemente gli occhi e sbadiglio un paio di volte. Mi sono addormentata. Perfetto, era l’ultima cosa che volevo fare. Avrei dovuto godermi il viaggio in aereo, invece il suo tremolio regolare mi ha fatto da ninna nanna. Guardo giù dal finestrino. E’ una fortuna che mi abbiano assegnato proprio questo posto, se non sono vicina a un finestrino, io su un aereo non ci salgo. Mio padre me lo diceva sempre che sono strana. Non ho paura dell’aereo, anzi, le turbolenze mi divertono. E’ come essere sulle montagne russe, certo al livello estremo, ma tutto ciò a patto che io abbia la possibilità di guardare giù. Probabilmente è solo una cosa psicologica, ma se sono in un posto centrale, vado in paranoia e addio viaggio tranquillo.
Siamo sul mare, avrò dormito sì e no mezz’oretta, niente di grave, ho ancora tempo prima dell’atterraggio. Stiracchio le gambe, per quanto mi è possibile. Si vede che la Ryanair è abituata a passeggeri magri, perché lo spazio tra le file di sedili è veramente ridicolo. Io non mi posso lamentare, a differenza della signora alla mia destra. Avrà sì e no una quarantina d’anni, ha tutto il viso rosso, un po’ per la bruciatura che probabilmente ha preso nella sua vacanza di inizio Estate, un po’ perché non ha smesso di urlare con la povera hostess per ogni minima cosa. Il vestito viola che indossa sottolinea ancora di più il fatto che non sia proprio un peso piuma. Ha una voce insopportabile, squillante fino all’inverosimile, che mi trapassa i timpani. Mi sta portando a un esaurimento nervoso. Brutto esempio, e scaccio velocemente quel pensiero dalla mia mente. In quel momento la signora decide di fare una pausa dall’insulta-l’hostess-per-cose-assurde e si gira a guardarmi. Abbozzo un sorriso, perché di solito funziona e perché probabilmente dalla mia espressione traspariva tutto il fastidio che quella donna mi stava procurando e tutto il disgusto per il suo foruncolo sul naso. E’ rivoltante, credo di dover vomitare. Lei mi fissa impassibile, poi, senza alcun preavviso, mi urla addosso un –Be’, che hai tu da guardare?- accompagnato da una serie di sputi, per poi tornare a prendersela con la poveretta di turno. Sollevo la mano aperta e spalanco gli occhi. Scusi se mi sono permessa di rovinare il suo tranquillissimo viaggio con il mio sguardo aggressivo! Che schifo, penso, mentre mi infilo le cuffie, perché probabilmente è l’unico modo per non sentire più la voce della donna e ciò che sta dicendo. Non vedo la differenza tra un hamburger con l’insalata e un hamburger con insalata a parte, perché questo è il genere di problemi che la tormenta.
Mi abbandono sul sedile accompagnata dalle note di Yellow. I Coldplay sono sempre un’ottima medicina a ogni male.
Le case cominciano a sfilare sotto il mio sguardo man mano che lasciamo alle nostre spalle la distesa d’acqua azzurra e ci avviciniamo alla costa. Stiamo volando sopra Brighton o una città del genere, ne sono convinta. Mio cugino mi ci deve accompagnare per forza, lo costringerò liberamente a portarmici. Mancheranno venti minuti più o meno. La signora in viola continua a urlare contro la prima hostess che le capita a tiro, un vecchietto nella fila dietro tira calci al mio seggiolino. Il neonato in quinta fila continua a piangere a intervalli regolari perché forse la reputa una cosa divertente. Una ragazza, due sedili più avanti, sta avendo una sorta di attacco di panico e, quello che presumo sia il suo fidanzato, le sta dicendo che va tutto bene. Il viaggio è un disastro, ma Londra è sempre più vicina.
 
Il segnale della cintura è spento. Mi precipito a prendere il mio zaino scavalcando malamente la signora e pestandole un piede. Non le devo niente a quella rovina viaggi. Cammino velocemente verso la coda dell’aereo, saluto un paio di hostess con un confuso bye e mi precipito giù dalla scaletta. Terreno Inglese. –Wooho- urlo, mentre buona parte dei passeggeri mi guarda come se fossi completamente pazza. Ma, ehi! Ci sono andata vicino, mi ritrovo a pensare con un sorrisetto divertito mentre mi avvio verso l’uscita dell’aeroporto.
Il ragazzo moro è in piedi davanti alla porta scorrevole. Lo riconosco subito, alto, magro, non è cambiato di una virgola. Come se avesse percepito la mia presenza, si gira. Eccolo lì, il mio passaporto per l’Inghilterra.
-Lynch!- urlo, correndogli in contro. Lui mi aspetta a braccia aperte.
-Cat! Non ti sei alzata di un centimetro.
-Che bello rivederti, quasi come assaggiare una crostata di chiodi.
-Sei un amore- ribatte, mentre afferra una delle mie valigie e ci incamminiamo verso la macchina.
 
Passiamo buona parte del viaggio a chiacchierare del più e del meno. Non tocca mai l’argomento Centro di Recupero e gliene sono veramente grata. Mi accorgo presto che Lynch mi è mancato veramente tanto. Siamo cresciuti insieme. D’Estate passavamo un mese intero in una casa in montagna con mia nonna tra film dell’orrore visti troppo tardi e partite di pallavolo giocate sotto il sole. E’ il fratello che non ho mai avuto, una sorta di migliore amico, ma io odio le etichette. Ha due anni in più di me, in altre parole diciannove e, una volta finita la scuola, ha deciso di trasferirsi a Londra per proseguire gli studi. Io lo seguirò volentieri non appena conclusa la quinta e questi tre mesi estivi sono una sorta di orientamento. Mi distoglie dai miei pensieri porgendomi un sacchetto di Fonzies al cioccolato, che guardo disgustata.
-Non li mangio quei cosi. Sembrano cacchette di cane!- rispondo, mentre gli restituisco la confezione.
Lui si mette a ridere.
-Non so se la mia cucina sarà migliore.
Mi metto a ridere anche io, perché so che quello che ha appena detto non è nient’altro che la verità.
-Comunque, ho pensato che non c’è niente di meglio che una festa per ambientarsi in un posto nuovo.
Lo guardo stupita.
-Sai che non metto piede a una festa da quando, ecco insomma..- mi blocco, anche se ormai non dovrebbe più succedermi. Lui capisce al volo, ma non si arrende.
-Cat, posto nuovo? Gente nuova. Qui non ti devi assolutamente preoccupare, io sono qui con te e non ti lascio sola neanche un secondo, intesi?- chiede, rivolgendomi uno sguardo sincero.
-Intesi.
-E poi, è una festa organizzata dalla mia band, non puoi perderti il concerto del tuo cuginetto preferito, perché quando sarò famoso non ti regalerò biglietti per nessuna ragione.
Rido, ne sarebbe capacissimo.
-Ok, mi hai convinto- rispondo. Perché effettivamente ha ragione. Posto nuovo, gente nuova.
Entriamo in città. Vedo i classici autobus rossi, gli edifici, i semafori lampeggianti.
-Benvenuta a Londra Cat.
E che festa sia.

 
 
Saaalve gente!
Intanto ci tenevo a chiedervi scusa perché come capitoli mi rendo conto che sono abbastanza noiosi, ma se avete ancora un po’ di pazienza il rosso farà il suo ingresso molto presto, aw. Il capitolo scorso era decisamente corto, ma mi serviva come introduzione per il viaggio eheh :3
Anyway, vi ho annoiato abbastanza, cercherò di aggiornare il prima possibile ma non prometto niente perché dalla settimana prossima vado a fare animazione all’asilo haha
Se avete tempo lasciate una recensione e ditemi cosa ne pensate dei capitoli, sarebbe fantastico.
Grazie per aver letto, un bacio, Annie

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Capitolo 3
*** Sorry. ***


Sorry.
 
So live life like you're giving up,
'cos you act like you are.
Go ahead and
just live it up.
-Even my dad does sometimes, Ed Sheeran.
 
La casa di Lynch si trova un po' in periferia. E' la casa centrale in una fila da cinque, tutte in mattoni grigio chiaro. I giardini sono estremamente curati e sul davanzale di ogni finestra c'è come minimo un vaso di fiori colorati, che dà un'aria allegra all'insieme. In tutte le case, tranne quella di Lynch. Avevo pensato anche peggio, lo devo ammettere, l'erba è tagliata, non ci sono sacchi di spazzatura in bella vista nel giardino, nessuna bottiglia di birra vuota abbandonata dietro un cespuglio. Ok, forse ho guardato troppi film, questo succede in America di solito. Però so delle scarse doti in giardinaggio di mio cugino, quindi non mi stupisce più di tanto l'assenza dei fiori. Adoro questo quartiere, penso, mentre Lynch parcheggia proprio davanti al vialetto che conduce all'ingresso. Una cassetta della posta blu con dipinte sopra le iniziali L.E. giace sul prato con il sostegno rotto.
-Già, non ci fare caso. Ero appena tornato da una festa- borbotta Lynch, notando il mio sguardo sorpreso. Mimo con un movimento delle labbra un ironico wow per poi aprire la portiera e scendere, ma vengo bloccata dalla mano di mio cugino. Lo guardo con aria interrogativa.
-Ecco, c'è una cosa che non ho detto alla zia.
Si riferisce a mia madre?
Continuo a guardarlo stupita, mentre percepisco un suono familiare. Un motivetto che conosco molto bene, ma non mi viene in mente dove io possa averlo sentito.
-Vedi, io non vivo da solo- riprende, indicando la casa con un cenno della testa. -Un mio amico mi aiuta a pagare l'affitto.
Oh perfetto, un coinquilino. Mia madre andrebbe su tutte le furie a sapere che dormo nella stessa casa di un individuo di genere maschile non imparentato con me. Poi mi viene un dubbio, ma lo cancello immediatamente, perché è comune avere un coinquilino con cui condividere una casa all'estero.
-E' Italiano?
-Americano, ma gli ho insegnato un po' di italiano per ammazzare il tempo. Non mi sembra che tu abbia problemi con l'inglese però.
-No, certo. Nessun problema- dico, sorridendo.
-Perfetto- risponde, molto più sollevato. Non so cosa si aspettasse come reazione. Non sarei tornata a casa neanche se avessi dovuto dormire sotto un ponte londinese con tanto di topi, figuriamoci se questo avrebbe potuto crearmi problemi.
Scendiamo dalla macchina e prelevo zaino e valigia, poi tiro fuori la Canon e la imposto su automatico, non ho tempo per sistemare le funzioni manualmente, anche se ho sempre preferito così. Faccio un paio di foto al quartiere e alla casa, perché quando tornerò in Italia, a Settembre, vorrò conservare ogni minimo particolare. Appoggio la Canon sul cofano dell'automobile di Lynch e poi lo chiamo. Lui è intento ad armeggiare con la serratura del bagagliaio.
-Scordatelo- dice, ridacchiando.
-Eddaii- mi lamento, -è solo un semplice autoscatto-
-Io non faccio selfie- risponde, calcando con disprezzo sull'ultima parola.
Sollevo le sopracciglia in segno di sfida.
-Infatti, questo è un autoscatto- ribatto in tono divertito, perché so benissimo che di selfie se n'è fatte un sacco, soprattutto davanti allo specchio. Non ottengo nessuna risposta, se non un brontolio incomprensibile che molto probabilmente è un'offesa nei miei confronti, così decido di puntare sul piano insisti-fino-allo-sfinimento.
-A-u-t-o-s-c-a-t-t-o- dico, sillabando la parola. Ancora nessuna risposta, così riprendo.
-A-u-t-o-s-c-a-t-t-o- e lo ripeto una, due tre volte, finchè alla quarta cede e si posiziona davanti alla macchina afferrandomi per un braccio. Imposto il timer e mi precipito di fianco a lui. Una volta partito il flash corro a vedere il risultato e scoppio a ridere, perchè la smorfia di mio cugino meriterebbe l'Oscar.
 
Non appena Lynch spalanca la porta di casa rimango a bocca aperta. Le note di Do I wanna know? aleggiano nell'aria. L'ingresso è ampio, a sinistra si apre un salone, con una grande tv appesa al muro e un divano che ha un'aria veramente comoda. A destra invece c'è la cucina e di fronte a noi una grande scala che porta al piano superiore.
-Morris?- urla mio cugino un paio di volte.
-Morris è..- dico, ma non faccio in tempo a finire la frase che la musica viene stoppata e un ragazzo biondo si precipita saltellando giù per le scale. Indossa un paio di pantaloni con una stampa di Superman sul davanti, mentre sulla parte dietro spunta il faccione verde di Hulk. La cosa più imbarazzante, però, è che non porta la maglietta.
-Lynch!- esclama, mantenendosi però ad una certa distanza da mio cugino e facendogli un cenno di saluto con la mano.
-Questa deve essere Cat- dice sorridendo e porgendomi la mano in segno di saluto. Be', l'italiano lo sa sicuramente meglio di quanto io sappia l'inglese, penso, mentre stringo la mano al ragazzo.
-Io sono Morris- dice, -quello simpatico- aggiunge, facendomi l'occhiolino e indicando mio cugino con un cenno del capo, guadagnandosi in questo modo un'occhiataccia dal moro. Scoppio a ridere.
-Oh, su questo non avevo dubbi- rispondo divertita.
-Mi sta già simpatica la ragazza- ribatte Morris, rivolgendosi a mio cugino mentre mi mette un braccio intorno alle spalle. La situazione sta diventando sempre più imbarazzante, e Lynch lo sa, ma non sta facendo niente per aiutarmi.
Mi portano a fare il tour della casa. Ci sono tre camere da letto: una per Morris, una per mio cugino e una per me, che in teoria sarebbe quella degli ospiti. Dopo avermi aiutato a portare su per le scale i miei pesanti bagagli, Lynch decide di andare a fare un po' di spesa, seguito subito da Morris, che benedico mentalmente per questa sua decisione. Così girovago un po' per la casa. Il frigorifero è vuoto e ci sono un paio di scatole del Mc Donald's abbandonate sul ripiano di marmo. Chissà da quanto tempo non mettevano piede in un supermercato.
Decido che è arrivato il momento giusto per fare una bella doccia rinfrescante. Salgo le scale e frugo un tra gli armadi di mio cugino, pieni zeppi di vestiti, ma nessun asciugamano in vista. Peggio di una donna, penso sorridendo mentre mi dirigo un po' imbarazzata verso la camera di Morris. Spero veramente che non tornino a casa proprio mentre ho le mani nei loro armadi.
Con mia grande sorpresa la camera di Morris è estremamente ordinata, direi quasi che è vuota. Ci sono un paio di poster, il letto ed una scrivania mezza vuota, se non fosse per la lampada nera, un paio di porta penne e una foto dei due coinquilini ad un falò, mentre si scambiano un gran sorriso. Vuoto è anche l'armadio: tre paia di pantaloni, due maglie a maniche corte e un paio di Converse bianche. Tutto il contrario rispetto a mio cugino.
Finalmente trovo gli asciugamani e mi fiondo sotto la doccia, ripercorrendo mentalmente il contenuto delle mie valigie per trovare qualcosa da mettermi per la festa di quella sera.
 
-Così?- domando, uscendo dalla porta del bagno con il ventesimo outfit diverso nel giro di venti minuti. Mio cugino, seduto sul letto di fronte, si massaggia le tempie.
-Oh Dio, ti sei portata qualcosa di elegante o quelle due valigie le hai riempite di macchine fotografiche?- mi chiede, esasperato.
-Lo prendo come un no- sbuffo, mentre torno in bagno per togliermi la maglia bianca e i jeans stretti. Non capisco cosa ci sia di sbagliato, ma sapevo dello spirito critico di Lynch quando l'ho scelto come consulente d'immagine per la serata. Lo sento borbottare qualcosa fuori dalla porta, poi un colpo su quest'ultima mi fa sobbalzare. La apro velocemente, non lasciando il tempo a mio cugino di finire la frase che aveva iniziato.
-Non usci..- mi avverte, quando ormai è troppo tardi, mentre tiene in mano un pezzo di stoffa blu. Morris è seduto sul letto proprio nel momento in cui io esco, indossando solo una maglietta prestata da mio cugino tra un cambio e l'altro. Impreco sotto voce, mentre lui si chiude gli occhi con le mani, mormorando qualche confuso sorry, sorry mentre rientro in bagno. Quel ragazzo ha un certo talento per mettermi a disagio. Sento mio cugino che scoppia a ridere proprio nel momento in cui riapro un po' la porta e afferro velocemente l'indumento che teneva tra le mani, rispondendo alla sua risata con una linguaccia.
Quello che ha scelto Lynch è uno dei pochi vestiti che possiedo. Sono conosciuta per essere una che odia vestirsi elegante, per il mio sedicesimo compleanno avevo dovuto insistere un bel po' con mia madre per convincerla a lasciarmi andare alla mia festa con le Vans invece dei tacchi. Le mie amiche la ritenevano una cosa un po' strana, ma io sono strana.
Mi provo il vestito e esco dal bagno.
-Ora si che ragioniamo- dice mio cugino, in tono compiaciuto. Mi sto infilando le scarpe quando entra in camera Morris, tiene ancora le mani sugli occhi e mi scappa una risatina.
-Tranquillo Momo, è vestita- esclama mio cugino. Il biondo toglie le mani dagli occhi e fulmina Lynch con lo sguardo. Non deve apprezzare particolarmente quel soprannome.
-Lynch, ti vogliono al telefono- ribatte, andandosene velocemente. Aspetto di sentire i suoi passi scendere le scale poi mi rivolgo a mio cugino, che nel frattempo si è alzato.
-Momo?- chiedo, in tono ironico.
-Mo.. Morris.. Si, cioè, Morris- ribatte esitando, mentre si passa una mano dietro alla testa. La sua reazione mi sorprende, ma non ci do molto peso, concentrata sulla cinghia del sandalo che proprio non si vuole allacciare.
 


 
Salve gente! Scusate se non aggiorno da un paio di giorni, ma la mia connessione ha deciso di abbandonarmi proprio ora.
Questo capitolo sarebbe stato molto più lungo, ma ho deciso di tagliarlo perchè altrimenti diventava infinito. Giuro che nel prossimo Ed farà il suo ingresso trionfale *super spoiler* pazientate ancora un po' *faccia dolce*
Anyway, che ne pensate del capitolo?
Ringrazio le persone che hanno messo la storia tra le preferite/seguite, vi giuro che ho ballato la conga (?) se avete tempo e voglia lasciate anche una recensione, mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate.
Mi dileguo, un bacio, Annie
 
Ps. Sto cercando qualcuno capace di fare un banner per la storia perché io faccio pena, se avete voglia di farmi questo immenso favore vi pagherò in unicorni per il resto della vita (?)

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Capitolo 4
*** The Red Lion. ***


The Red Lion.
 
 
I've know it for a long time,
Daddy wakes up to a drink at nine
Disappearing all night
I don't wanna know where he's been lying.
–Runaway, Ed Sheeran.
 
Entriamo nel piccolo pub affacciato su Parliament Street. L'insegna è sormontata da una scritta in rosso: The Red Lion.
–E' il pub più antico di Londra, forte eh?– sussurra mio cugino, entusiasmato.
–Bellissimo!– esclamo, mentre scendo dalla macchina. Morris, dietro di noi, armeggia con alcune bacchette da batterista, dato che anche lui fa parte della "famosa" band di Lynch. Li aiuto a scaricare la chitarra di mio cugino, mentre i due ragazzi trasportano un paio di casse dall'aria pesante. All'interno l'atmosfera è fantastica. Un barista è intento a pulire alcuni bicchieri, mentre le cameriere portano piatti di fish and chips ai tavolini, sparsi tutto attorno a noi. Mi sembra di essere tornata indietro nel tempo e non riesco a togliermi il sorriso dalla faccia. In quel momento vengo richiamata alla realtà da Morris.
–Vieni, Honey?
Lo guardo, a metà tra lo stupito e il divertito per come mi ha appena chiamato.
–Agli ordini!– esclamo, ridacchiando. Mi accompagnano fino al palco, dove cominciano a montare microfono e casse.
–Me l'accordi?– mi domanda Lynch, porgendomi la sua preziosa chitarra. Mi aveva insegnato a accordarla durante una delle interminabili estati che avevamo passato dalla nonna, così annuisco, sperando di ricordarmi ancora qualcosa. Conoscendolo, però, la riaccorderà ancora un paio di volte prima di salire sul palco, quindi il mio non è un compito molto importante. Osservo il modo in cui i due ragazzi sono in sintonia, ridendo nel momento in cui Morris tira sulla testa di mio cugino uno dei piatti della sua batteria, urlando poi "it works" nell'udire il suono che ne è appena venuto fuori. La trovo una cosa fantastica, non hanno smesso di scherzare nemmeno per un secondo durante il viaggio, rendendomi veramente difficile bere tranquillamente la lattina di thè che mi ero portata da casa.
Finisco di accordare lo strumento e lo riappoggio sul sostegno, mentre alcuni ragazzi si avvicinano a noi. Uno dei tre porta un fantastico cappello rosso. Ha un'espressione emozionata mentre attraversa la sala di fianco ad un'altro ragazzo, i cui lineamenti sono più latini che inglesi. Il terzo cammina con la testa chinata, concentrato sul cellulare. Salutano Lynch e Morris con dei pugni scherzosi sulle spalle, poi si girano verso di me con aria interrogativa. E ora?, penso, mentre sollevo la mano in gesto di saluto e abbozzo un sorriso.
–Giusto, lei è Cat, mia cugina– dice Lynch, schiarendosi la voce.
–Cat, loro sono Marcel, Walt e Mike– aggiunge. La loro espressione interrogativa viene sostituita da un sorriso, mentre si dirigono verso di me per presentarsi.
Yo soy Marcel, per las señoritas soy Mars– dice il primo, facendomi un buffo occhiolino. Sorrido e stringo la mano che il ragazzo spagnolo mi ha appena allungato.
–Io Micheal.. Mike– aggiunge il ragazzo col cappello rosso, facendomi un gesto di saluto e un sorriso imbarazzato.
–Ciao– rispondo, con un gesto un po' impacciato della mano.
–Walt– dice il terzo, rimasto lontano rispetto agli altri, mentre continua a far scorrere veloci le dita sullo schermo del telefono.
–Loro sono il resto della band– annuncia Morris, con la voce carica di entusiasmo. Posso solo immaginare quanto tengano a questa serata, in uno dei pub più famosi di tutta Londra.
Passiamo l'ora successiva a parlare. Quella che pensavo sarebbe stata una delle conversazioni più imbarazzanti della mia vita si è presto trasformata in una di quelle più piacevoli. Marcel continua a parlare ininterrottamente della volta in cui Antonio Banderas si presentò nella panetteria di sua madre, sostenendo che da quel momento aveva trovato la sua vocazione per il Mulino Bianco. Mike gli lancia sguardi assassini, rivolgendosi poi a me mentre alza gli occhi al cielo. Probabilmente quella storia l'ha già sentita raccontare minimo mille volte. Lynch e Morris sono spariti, forse ad accordarsi col barista per l'esibizione. Walt, invece, si è seduto in un angolo, mentre passa distrattamente la mano sulle corde della sua chitarra. Non ha ancora aperto bocca da quando ci siamo presentati, probabilmente non gli vado proprio a genio. Mike, che aveva messo da parte la timidezza durante tutta la nostra conversazione, mi prende per un braccio e si avvicina lentamente.
–Non te la prendere– sussurra, –Walt è fatto così, un po' chiuso, ma basta conoscerlo..– aggiunge.
–Cominciavo a pensare che fosse colpa mia– ammetto, mentre il ragazzo dal cappellino rosso scuote la testa.
–Allora Cat, raccontaci un po' della tua vita en Italia– ci interrompe Mars, allontanandomi da Mike, che alza gli occhi al cielo per la ventesima volta nel giro di dieci minuti.
–Oh beh, mi alzo, mangio, vado a scuola, mangio, studio, mangio e dormo. Questo lo potete considerare come il riassunto della maggior parte della mia vita– dico, in tono ironico.
I due si scambiano un'occhiata complice, poi urlano quasi in coro: –Menomale che ora ci siamo noi!– mentre io scoppio nell'ennesima risata della serata.
In quel momento Walt si alza e tira una pacca sulla testa di Mars.
–Lynch ha bisogno– annuncia, senza degnarmi del minimo sguardo e dirigendosi direttamente verso il corridoio che porta alla stanza allestita a backstage.
–Goditi lo spettacolo, señorita si raccomanda Mars, prima di dileguarsi insieme agli altri.
 
Dopo una ventina di minuti che ho trascorso torturando la mia cannuccia seduta ad uno dei numerosi divanetti, finalmente si abbassano le luci e un applauso esplode nel piccolo locale. Lynch e gli altri appaiono sul palco, seguiti dal barista, ora tirato a lucido, che li presenta come i Red Lions. Mi chiedo se la band cambi nome a seconda del pub in cui suona. Cominciano a suonare, ma mi rendo subito conto che manca il cantante, una cosa abbastanza strana in una band, quindi mi segno mentalmente di chiederne il motivo a Lynch, una volta terminata l'esibizione. I Red Lions sono fantastici, la folla impazzisce e comincia ad accalcarsi sulla pista da ballo. Dopo un paio di canzoni, io sono una delle poche persone rimaste sedute e nell'aria comincia a diffondersi un calore insopportabile, accentuato dal locale poco spazioso. Afferro la Canon e scatto qualche foto: un primo piano per ogni membro della band, qualche vista completa del palco circondato da luci blu e viola, la folla, che ormai è in adorazione. Bisogna ammetterlo, sono veramente bravi. Proprio mentre sto cercando di catturare Lynch nel suo assolo, una bambina mi urta, facendo venire la foto esageratamente mossa. Non faccio in tempo ad arrabbiarmi che una manona mi si appoggia sulla spalla e un uomo comincia a chiedermi scusa ripetutamente, poi prende la mano di sua figlia e insieme si avviano verso la porta principale. Sorrido, ripensando a quando, per sbaglio, inciampai su un muretto e finii addosso ad una signora, facendo cadere rovinosamente a terra la pallina di gelato al cioccolato che si stava gustando. Mio padre non la smetteva più di chiedere scusa alla poveretta, che però non si lamentò nemmeno tanto. Io avrei di sicuro reagito peggio.
Oddio, mio padre! Non l'avevo chiamato. In realtà non avevo chiamato nessuno dal mio arrivo. Sono morta. Andranno su tutte le furie. Mi precipito verso il divanetto, afferrando la borsa ed estraendo il cellulare in tempo record. Mi dirigo verso la porta, incontrando lo sguardo irritato delle persone che colpisco al mio passaggio, poi compongo il numero di casa.
 
I miei genitori erano stati avvisati del mio arrivo da Lynch. Devo fare un monumento a quel ragazzo prima o poi. Mi appunto mentalmente di ringraziarlo dopo avergli chiesto del cantante della band. A quel punto mi rimane solo Rachel. Lei si che sarà un problema.
–Catherine Nicholson– urla dall'altra parte della linea, non appena accetta la chiamata. –Cosa pensavi di fare? No perchè.. Sai quanti aerei precipitano al giorno? Tu dimmi se devo stare così in pensiero per una sprovveduta come te!– continua.
–Scusa..– mormoro, cercando di trattenere una sonora risata. Rachel sa quanto odio essere chiamata col mio nome intero.
–Fa niente– ribatte. Tutto passato. E' una delle qualità principali di Rachel, puoi farla arrabbiare quanto ti pare, ma non riuscirai mai a farle tenere il muso per più di qualche minuto. Ridacchio.
–Non hai idea di quanta bella gente ho conosciuto oggi– annuncio, mentre mi sposto un po' più in là rispetto all'entrata del pub per evitare di sentire la musica, ancora molto alta.
–Comincia a parlare– sussurra dall'altra parte, interessata. Le faccio il resoconto della mia giornata, cercando di non tralasciare nulla.
–E.. come stai? Riguardo quella cosa..– mi chiede, titubante.
–Non ti preoccupare, starò bene qui. Lynch è sempre con me– affermo.
Dopo venti minuti di chiamata, che mi saranno costati una fortuna, riattacchiamo, con la promessa di sentirci il giorno dopo.
Maledico la mia abitudine di camminare incessantemente durante una telefonata, perché ormai sono arrivata ad un paio di edifici dal Red Lion. Mi incammino, quando dei rumori sordi attirano la mia attenzione. Mi volto, ma dietro di me non trovo nessuno. Ricomincio a camminare, quando uno di quei colpi si ripete, un po' più distinto rispetto alla volta prima. Faccio un passo, poi un'altro. Uno, due colpi, un sacco di colpi. E una risata risuona per la stradina in cui mi sono andata ad infilare. Ecco, ci siamo, sono la fortunata che avrà a che fare con Jack lo Squartatore del ventunesimo secolo, penso, cercando di alleviare la situazione, ma con scarsi risultati. Riprendo a camminare, ma ormai i colpi sono ben distinti, anche se voglio impedire a me stessa di rendermene completamente conto. Sono calci, accompagnati da un lamento quasi continuo. Un calcio, un altro calcio, poi il lamento si ferma. I miei passi diventano l'unica fonte di rumore della stradina. Il mio cuore batte talmente forte che probabilmente lo sentono anche dal pub. Il pub! Sono quasi arrivata, mi basta svoltare l'angolo, poi se da li corro è tutta dritta e in meno di due minuti sono arrivata. Faccio un respiro profondo e svolto l'angolo. Impreco e mi accuccio dietro un cassonetto della spazzatura, mentre battezzo l'idea di svoltare l'angolo come la peggiore del secolo.
Sono lì. Cinque ragazzi che avranno all'incirca l'età di Lynch. Stanno in piedi, di fronte ad una sagoma stesa sul cemento freddo. Non riesco a vedere tre di loro, perché hanno il cappuccio tirato sopra la testa. Guardano la sagoma in terra, immobile. Mi si ferma il respiro quando mi impedisco di pensare che il ragazzo steso in terra potrebbe essere morto. Cerco di non urlare, mentre uno dei due ragazzi senza cappuccio comincia a parlare.
–Verme, la prossima volta ci penserai due volte prima di mancarmi di rispetto– sputa, rivolgendosi al poveretto accasciato sul terreno.
Se ci sarà una prossima volta– dice uno dei tre incappucciati, accompagnato dalla sonora risata dei suoi compagni. Un brivido mi percorre la schiena. Cosa diavolo intendeva dire?
–Andiamocene– mormora il primo, seguito a ruota dagli altri.
Mi gira la testa, muovo una mano per farmi aria, perché svenire lì non rientra nei miei piani, ma con l'altra scivolo in avanti sulla superficie umida del cassonetto. Butto un piede di fronte a me per non perdere l'equilibrio, pestando una scatola di plastica che scricchiola sotto il mio peso. Rimango immobile in quella posizione, appellandomi a tutti i Santi che conosco perché i ragazzi non abbiano sentito. Aspetto qualche secondo, poi mi sporgo appena dal mio nascondiglio. Uno dei tre incappucciati è girato verso di me e scruta attentamente il vicolo buio. Mi paralizzo quando i suoi occhi inchiodano i miei. Credo che il mio cuore abbia smesso di battere per qualche secondo. Il ragazzo fa qualche passo nella mia direzione e si posiziona sotto il cono di luce di un lampione, poi, con un gesto veloce, libera i capelli arancioni dal cappuccio e ci passa una mano in mezzo. Se non muoio ora sono immortale. Continua a guardare nella mia direzione, quando uno dei suo compagni lo richiama.
–Muoviti Sheeran!
–Si– urla in risposta il ragazzo, correndo verso gli altri, mentre io mi accascio contro la superficie fredda del cassonetto, cercando di ripristinare un battito cardiaco nella norma.
 
 
 
Salve bella gente!
Tadaan, ecco finalmente l'apparizione del nostro rosso. Che ne pensate?
Approfitto per ringraziare ancora le persone che seguono la storia, perchè senza di voi probabilmente mi sarei già dedicata alla coltivazione di barbabietola da zucchero e allevamento di panda (su questo ci posso ancora pensare) okay scusate, mi riprendo.
Ho cambiato il nick finalmente asdfd
Oggi probabilmente posterò anche l'altro capitolo,perché poi vado via e non so quando riuscirò a pubblicare.
Intanto lasciatemi un parere, ci terrei un sacco :)

Un bacio, Annie
 

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Capitolo 5
*** I'm not a child. ***


I'm not a child.
 

I tend to turn you off and switch on my professional features,
then I turn the music off
and all I'm left with is to pick up my personal pieces, Jesus.
–The Man, Ed Sheeran.

 
 
Rimango nella mia triste posizione finché non sono sicura che i ragazzi se ne siano andati, poi raccolgo una manciata di coraggio e mi affaccio di nuovo sul vicolo. Il poveretto è ancora steso in terra, ma si muove. Oddio, grazie Zeus, penso, mentre mi alzo lentamente, sperando che le mie gambe non mi abbandonino proprio ora. Mi avvicino al ragazzo, che nel frattempo si è seduto. Non so cosa dirgli. Non posso uscirmene con un "come stai?" perché è una domanda veramente stupida da fare a uno che è appena stato preso a calci. Il problema però diventa irrilevante non appena è il ragazzo che parla per primo.
–Starai lì a fissarmi ancora per molto?– chiede, con un tono abbattuto ma duro allo stesso tempo. Mi sento una stupida, così faccio un altro passo per avvicinarmi, ma prima che riesca ad aprire bocca, lui riprende a parlare.
–Non so quale sia la tua politica di soccorso, ma se mi dai una mano ad alzarmi è già un passo avanti– aggiunge scocciato, massaggiandosi una spalla. Per la prima volta guarda in alto, verso di me. Ha il labbro inferiore gonfio e spaccato. Ha una strisciolina di sangue sotto il naso, un'altra gli cola dal taglio sopra l'occhio. Buona parte del suo viso è ricoperta di lividi già viola.
–Certo, scusa– ribatto. Non mi piace il suo tono. Se fossimo stati in qualunque altra situazione probabilmente me ne sarei andata o gli avrei tirato una scarpa in mezzo agli occhi, ma di botte ne ha già prese abbastanza.
Una volta alzato in piedi si spazza via la polvere dai pantaloni, borbottando qualcosa su quanto li aveva pagati, poi si schiarisce la voce.
–Quindi, come mi hai trovato?
Non credo sia il caso di dirgli che ho assistito a tutto accucciata dietro a un cassonetto senza intervenire.
–Oh, passeggiavo..–dico, non troppo convinta della mia scusa. Non sta in piedi, puoi fare di meglio Cat. Il ragazzo alza le sopracciglia. Forse non ci crede.
–La tua passeggiata entusiasmante prevedeva nascondersi dietro un cassonetto? Wow– mormora. Ok, non ci ha creduto. Ancora peggio, sa che c'ero. Se mi ha visto lui, avrebbero potuto farlo anche gli altri, quello si che sarebbe un bel problema. Rimango in silenzio.
–Uno "scusa" sarebbe gradito, ma tanto ero io quello che veniva preso a calci.
Grazie, avevo proprio bisogno di sentirmi dire quanto sono una persona orribile.
In quel momento la vibrazione del mio cellulare mi distrae dai miei sensi di colpa.
–Lynch?
Dove diavolo ti sei cacciata?– urla mio cugino senza tanti complimenti, dall'altra parte del telefono. Non sembra per niente felice.
Il suono ovattato di una canzone si sente in sottofondo.
–Dammi un minuto, sto arrivando– dico, staccando la chiamata.
–Era Lynch? Lynch Erris?– mi chiede sorpreso il ragazzo.
–E' mio cugino– rispondo, stupita dalla sua popolarità.
Il ragazzo sembra pensarci su.
–Senti, lascia stare– ribatte, liquidandomi con un gesto della mano. Un sorrisetto si forma sulla sua faccia mentre si allontana zoppicando. Lo fisso finché non diventa un puntino sotto i coni di luce dei lampioni. Non avrei potuto fare niente per aiutarlo. Erano cinque, io sono una. Senza contare che ho i tacchi. Non sono in un film, non mi metto a piroettare assestando un calcio rotante nello stomaco del nemico mentre indosso un tacco dodici. Sarei caduta rovinosamente, un salvataggio molto utile, penso, mentre mi incammino verso un Lynch molto arrabbiato.
 
–Ciao Cat!–mi accoglie Mike, con un largo sorriso stampato in faccia, non appena mi presento davanti all'entrata del Red Lion. Non faccio in tempo a rispondere al saluto. Vengo afferrata per un braccio da Lynch e trascinata in un angolo in disparte, dove il suono della musica proveniente dall'interno è solo un leggero sottofondo.
–Io..–provo a spiegare. Non ho nessuna voglia di sorbirmi la sua predica, ma sono consapevole di essere sparita e di non averlo nemmeno avvisato. Vengo interrotta dalla sua mano aperta alzata davanti alla mia faccia.
–Tu capisci che ho una responsabilità vero? Se ti dovesse succedere qualcosa, come pensi che ci starei? Siamo in una città grande, questa è Londra, Cristo santo, non puoi decidere di sparire in questo modo! Avrebbero potuto rapinarti, anche peggio.. Sono strade nuove, gente nuova.
–Non sono una bambina!–sussurro, perché tutti mi trattano così ultimamente.
–Mi trattate tutti sempre come se avessi tre anni, ma ne ho diciassette Lynch. Sono solo due in meno di te!
–Noi ci preoccupiamo per te–sbotta lui, alzando la voce.
Non mi importa se si preoccupano o no, ho bisogno della mia libertà. Non posso essere costantemente sorvegliata. Sono circondata da persone che pensano che io sia stupida, che non sappia badare a me stessa, e ogni occasione è buona per ricordarmelo. Sono stanca.
–Non ho bisogno di un baby-sitter, non ho bisogno che tu mi stia sempre dietro. Vivi la tua vita, che io vivo la mia– ribatto.
–Be', ti do una notizia, finché vivi in casa mia, le regole le faccio io.
–So badare a me stessa!
–Se sapessi badare a te stessa non saresti finita in quel Centro di Recupero, Cat!–urla.
Quelle parole sono uno schiaffo. Mi si spezza il respiro. Non può averlo detto davvero. La sua espressione cambia, so che non avrebbe voluto dirlo, ma ormai l'ha fatto. Quelle parole mi risuonano nelle orecchie, assordandomi. Non riesco più a trattenermi. Le lacrime cominciano a scendere dai miei occhi. Mi sento tradita, ferita. Sono ancora la ragazza distrutta che ero l'anno scorso. Ricordi sfumati, luci, dolore, si riaffacciano nella mia mente. Mi divincolo dalla presa di Lynch senza guardarlo negli occhi. Lo sento mormorare il mio nome, forse un paio di scuse, ma io me ne sto già andando.
Raggiungo in fretta l'ingresso del Red Lion. Afferro lo zaino di mio cugino e estraggo le chiavi del furgoncino senza tante cerimonie, sparpagliando le sue cose sul cemento. Vengo bombardata di domande da Mike e Mars, ma quelle parole continuano a risuonarmi nelle orecchie, così continuo a camminare. Ho bisogno di stare da sola.
"Centro di Recupero"
Ora sto correndo.
Arrivo davanti al furgoncino, mentre una sagoma mi viene incontro.
–Ehi, calma, cosa succede? Stai bene?
Non riesco a frenare le lacrime, e mi sento una stupida anche per questo. Ormai è passato un anno, non dovrebbe farmi più così male, invece è come se fossi tornata indietro nel tempo.
Guardo in alto il viso del ragazzo preoccupato, mentre mi avvolge in un abbraccio. E' l'ultima persona dalla quale mi sarei aspettata un gesto del genere, ma nella mia condizione non ho voglia di farmi tanti problemi, così rimango lì ferma, avvolta dalle braccia di Walt.
 
Il viaggio era stato esageratamente silenzioso. Né io né Lynch avevamo voglia di parlare, concentrati come eravamo sul nostro pezzettino di strada fuori dal finestrino. I ragazzi si sarebbero fermati da noi per "festeggiare" la serata, ma anche la loro voglia di chiacchiere si era esaurita dopo l'occhiata di fuoco che avevano ricevuto da Walt poco prima. Non appena eravamo arrivati a casa avevo deciso che farsi una doccia era la cosa migliore, mi aiutava sempre a riordinare i pensieri. Mi ero lavata i capelli, che erano diventati una massa di nodi grazie alla leggera pioggerellina che aveva cominciato a scendere e al vento che si era alzato da poco, poi li avevo raccolti in una pratica treccia. I ragazzi si erano sistemati nel salotto, ma io non avevo nessuna voglia di stare con loro, così mi ero infilata la prima felpa comoda che avevo trovato e un paio di pantaloncini corti del pigiama. Un vero insulto alla moda.
Ora sono qui, sdraiata sul mio letto a fissare il soffitto, cercando di riallacciare i fili della mia vita che si sono rotti durante la conversazione con Lynch. Il suono leggero dei passi sulle scale mi riporta alla realtà, avvisandomi che sta arrivando qualcuno. Una serie di colpi alla porta ne è la conferma.
–Avanti– dico svogliatamente, mettendomi a sedere sul morbido materasso.
–Ehi– mormora Lynch, rimanendo sulla soglia della porta.
–Ciao– ribatto.
–Posso entrare?
Annuisco, sventolando la mano in conferma. Lynch si sistema di fianco a me sul letto. Rimaniamo in silenzio per qualche attimo, mentre lo osservo giocherellare con il bordo del lenzuolo.
–Cat, volevo scusar..– comincia.
–Non ti preoccupare Lynch, davvero– lo interrompo. –So che non volevi dire quello che hai detto, e che non lo pensi, almeno lo spero.. Avevo solo bisogno di stare un po' da sola, sai per...sbollire.
Un sorriso enorme si apre sulla faccia di mio cugino. Probabilmente pensava che l'avrei ucciso, ma so che è stato preso dal nervoso del momento e ha parlato senza pensarci. Succede spesso anche a me.
–Certo che non lo penso!–dice, quasi urlando. –Rimango il tuo cugino preferito?– aggiunge.
–E anche l'unico– ribatto, facendogli l'occhiolino.
Ridiamo, mentre si toglie le scarpe e si sdraia, la tensione che pochi minuti prima si sentiva nell’aria ora è completamente sparita.
–Allora, non sapevo di questo lato di Walt– dice, incrociando le braccia dietro la testa.
–Quale lato?– chiedo, poi mi torna in mente l'abbraccio di poco prima e arrossisco violentemente.
–Ah, io..ecco..– farfuglio. Lynch scoppia a ridere, seguito da me.
–Eravate belli avvinghiati eh?– dice, curvando un angolo della bocca. Lo zittisco con un'occhiataccia.
–No, effettivamente non me l'aspettavo nemmeno io– confermo dopo un po'. –Dovevo avere un aspetto davvero pietoso– ridacchio, mentre mi sdraio di fianco a lui.
–Magari se continuavi ancora un po' ti dava anche qualche monetina per l'elemosina.
Gli tiro un pugno sulla spalla.
–Non è stavo lui a farmi piangere– dico, in tono scherzoso. La sua espressione si rabbuia.
–Ehi, sto scherzando– aggiungo, stringendogli una guancia con due dita, come facevano le amiche di nostra nonna quando eravamo piccoli. Decido di non dirgli niente della rissa. Probabilmente mi ucciderebbe perché non sono scappata o perché non l'ho subito chiamato.
Continuiamo a parlare di cose inutili e insensate per tutta la sera, ricordando di quella volta in cui ero stata inseguita da un pollo per venti minuti buoni durante una visita alla fattoria di un lontano cugino, oppure la volta in cui lui aveva chiesto “Serve una mano?” ad una signora senza un braccio che non riusciva a fare il biglietto per il pullman. Arriviamo alle tre di notte che ormai stiamo delirando e, nel giro di qualche minuto, crolliamo entrambi addormentati.
Tre colpetti leggeri alla porta mi svegliano poco dopo. Lancio un'occhiata veloce alla mia sveglia sul comodino. Sono le 3.20. Domani mattina avrò un bel paio di occhiaie, l'ideale per testare il nuovo correttore. Mi alzo lentamente, cercando di non svegliare l'angelico Lynch che dorme beato. Apro la porta e trovo Morris che aspetta appoggiato allo stipite, mentre indossa un pigiama a righe con una scritta in stampatello verde: "timido di giorno, ma la notte sexy", accompagnato da una gallina con un boa di piume rosa.
–Non commentare– sussurra lui, incrociando il suo sguardo col mio, fisso sulla scritta. Alzo le mani davanti a me.
–Non ho detto niente– dico, sorridendo.
Ridacchia leggermente.
–Hai per caso visto Lynch?– chiede.
Mi sposto un po', aprendo ulteriormente la porta e mostrando un esemplare di Lynch addormentato e sbavante sul mio letto.
Morris annuisce in risposta, portandosi una mano sulla faccia, divertito.
–Allora buonanotte– dice, sottovoce.
Mi sposto di nuovo a guardare mio cugino, che ormai ha deciso di occupare l'intero letto.
–Già, buonanotte– sussurro, più a me stessa che a Morris, che ormai è già entrato in camera sua.
 
Decido che di spostare mio cugino non se ne parla, così infilo le mie infradito blu e scendo le scale con il cuscino sotto il braccio. Dormirò sul divano, penso, ma il mio piano ha vita breve, siccome il salotto è già popolato da Mars e Mike. Di Walt neanche l'ombra. Mi aggiro un po' per la casa, passando in rassegna tutti i possibili posti nei quali potrei dormire. Mi torna in mente la piccola stanza che porta al balcone del piano di sopra. Il tappeto rosso che ricopre il pavimento è esattamente quello che mi serve. Salgo di nuovo le scale e mi dirigo verso la stanzetta. Apro la porta e butto in terra il cuscino, pronta a sprofondare nuovamente nel mondo dei sogni. In quel momento mi accorgo di una figura nel piccolo balcone. Mi avvicino. E' Walt. Sta seduto vicino alla ringhiera, con le gambe a penzoloni tra una sbarra di metallo e l'altra. In quel momento si volta verso di me.
–Ciao– mormora.
–Ehi– ribatto, avvicinandomi ancora un po'.
–Come stai?– chiede, battendo una mano sulle mattonelle vicino a lui invitandomi a sedere.
–Bene ora, grazie.
Annuisce semplicemente in risposta. Stiamo un po' fermi a guardare la strada. I lampioni proiettano sul cemento fasci di luce gialla. Non passa quasi nessuno, se non qualche macchina che dopo pochi secondi decide che è la strada sbagliata e fa marcia indietro. Vorrei dormire, ma non posso cacciare Walt e non posso nemmeno farmi vedere mentre dormo in terra.
–Non riesci a dormire?– chiedo, sperando di fargli capire le mie intenzioni.
–Già, di sotto è un macello– risponde, agitando la bottiglia di birra che tiene in mano. Ripenso a Mike e Mars che dormono nel salotto, russando armoniosamente.
–Tu?– mi chiede.
–Lynch si è addormentato nel mio letto.
Walt mi guarda. La sua espressione impiega qualche millesimo di secondo a cambiare da sorpresa a divertita, mentre si lascia sfuggire una risata. E' la prima volta che lo vedo ridere. Allora è capace!
Passiamo qualche altro momento in silenzio, accompagnati dal rumore della pioggia che comincia a scendere.
–Walt, come mai non avete un cantante?– chiedo, ricordandomi improvvisamente di ciò che dovevo chiedere a Lynch. Walt sembra pensarci un po' su, come se dovesse scegliere le parole giuste per spiegare un concetto molto difficile ad un bambino.
–Ce l'avevamo. Poi Lynch l'ha dovuto cacciare. E' successo pochi mesi fa..
Lo guardo stupita, aspettando il continuo della storia, che non tarda ad arrivare.
–Si chiama Vince. Gran voce, pessimo carattere. Il suo hobby era scatenare risse, frequentava una brutta compagnia, sai.. Non ci avevamo dato molto peso all'inizio, pensavamo che magari crescendo si sarebbe calmato. Invece le cose sono peggiorate. Un giorno lo sono venuti ad arrestare durante un'esibizione e Lynch non ci ha più visto. L'ha letteralmente cacciato e non ha cambiato idea nemmeno dopo le continue minacce da parte degli amici di Vince.
Mi irrigidisco, pensando alla rissa del vicolo e a tutto ciò che potrebbe succedere a mio cugino. Walt nota la mia reazione e sorride gentilmente.
–Non ti preoccupare, Vince è sparito. Pensiamo sia finito in prigione per l'ennesima volta.
Fa una piccola pausa.
–Comunque un cantante te lo troviamo, domani pomeriggio abbiamo un'altra sessione di audizioni. Un parere femminile non sarebbe male, chiedi a Lynch, non credo dica di no– continua.
Annuisco, lasciandomi scappare uno sbadiglio. Walt si alza in piedi e si avvia verso la stanzetta. Mi volto a guardarlo.
–Grazie per prima Walt..
–Nessun problema– risponde lui, accompagnando le parole con un gesto della mano mentre esce dalla porta e torna in corridoio.

 
Ecco qui l’altro capitolo, spero che vi piaccia, è stato parecchio difficile non renderlo troppo noioso, perché è un capitolo di passaggio, dal prossimo in teoria comincia “l’azione” haha, comunque spero di essere riuscita a non farvi addormentare. Mi dileguo a fare la valigia, come sempre lasciatemi un parere, ci tengo molto a sapere cosa ne pensate.
Un bacio, Annie

 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Audition. ***







RINGRAZIO EBI TEMPURA CHE HA FATTO QUESTO MERAVIGLIOSO HEADER, FACCIAMOLE UN INCHINO E REGALIAMOLE UN UNICORNO

 
Auditions.
 
 
                                                    Do you ever wonder if the stars shine out for you?
Float down, like Autumn leaves,
hush now,
close your eyes before the sleep.
And you’re miles away, but yesterday you were here with me.
–Autumn leaves, Ed Sheeran.



Una camera. Un letto. Questo materasso è una tortura. Le pareti bianche mi circondano, immobili, silenziose. Sento delle voci.
–Mamma?– urlo. Silenzio. La vedo, immobile davanti alla porta della mia stanza. Scuote la testa, è triste. E' colpa mia, lo so, lo sento. La chiamo. Urlo.
–Mamma! Mamma! Scusami..
Non mi sente.
Non mi ascolta.
–Mamma ascoltami!
Cerco di alzarmi dal letto, ma qualcosa mi tiene giù.
–Mamma perché non mi parli?
Voglio andarmene. Le pareti vengono verso di me. Non riesco a respirare. E' come se stessi annegando. Me ne devo andare.
–Cat, tesoro, calmati. Andrà tutto bene, tutto bene..
Mi volto. Una mano mi accarezza la testa, gentile, delicata.
–Nonna?
Lacrime salate cominciano a scendere dai miei occhi. Così reali, così amare.
–Nonna, dove siamo? Nonna?
Sono sola, di nuovo. Un urlo squarcia il silenzio. Poi, il buio.
 
Mi sveglio improvvisamente sul tappeto rosso nella stanzetta della sera prima. Sbatto le palpebre un paio di volte prima di abituarmi alla luce che proviene dalla finestra del balcone. In quel momento una gocciolina gelata mi piomba sul naso. Alzo gli occhi. Una colonna di goccioline percorre buona parte del soffitto per poi fermarsi e cadere sulla mia faccia da una piccola crepa. Rotolo su un fianco appena in tempo per evitare di essere bagnata nuovamente. Mi asciugo velocemente la faccia, cercando ci ricordare il motivo per cui mi sono svegliata su un tappeto, mentre mi massaggio la schiena dolorante. Ok che voglio bene a Lynch, ma devo proprio aver avuto un grande attacco di bontà notturna. Mi tiro su a sedere appoggiando la mano su un piattino di plastica che scricchiola sotto il mio peso. Sopra c'è un piccolo sacchetto che profuma di pane appena sfornato. Apro il bigliettino che accompagna il tutto:
 
Buongiorno fiorellino! Spero che il tappeto sia stato confortevole, avvisami appena l'acqua comincia a entrare. Lynch
 
P.s avresti potuto svegliarmi, ma grazie.
 
Sorrido mentre apro il sacchetto. Un croissaint alla crema con gocce di cioccolato è un ottimo modo per ringraziarmi. Addento la pasta, ancora calda, e scendo le scale alla ricerca di un secchio per la perdita del soffitto, spargendo zucchero a velo durante il mio percorso. Ho una strana sensazione addosso, come di malinconia, tristezza.
Arrivo in salotto e vedo che non c'è ancora nessuna traccia di vita: Mike è steso sul pavimento, sommerso dai cuscini che probabilmente si è portato dietro dopo essere caduto dal divano. Mars russa come se non ci fosse un domani. Walt, be’ ormai credo di aver imparato che gli piace sparire e passare da solo il suo tempo libero. Un secchio rosso mi attende sul ripiano in marmo della cucina, come se mio cugino mi avesse letto nel pensiero. Torno in camera e lo posiziono sotto la perdita, poi mi vesto e decido di preparare qualcosa da mangiare, nonostante sia una scelta rischiosa per me e per gli altri.
Torno in cucina e imburro un tegamino, progettando di preparare delle fantastiche uova strapazzate. Quella sensazione strana mi accompagna ancora, così la attribuisco al fatto che non mi ricordo cosa devo fare oggi, ma so che qualcosa c’è. Credo che abbia a che fare con Walt, o con Lynch.. Afferro una spatola e giro le uova, mentre ripercorro la serata. Dovevo ringraziare Lynch per aver chiamato i miei e avermi risparmiato una predica secolare, fin qui tutto bene. Dovevo anche chiedergli notizie sul cantante della band, ma avevo risolto parlando con Walt. Forse era una cosa che aveva a che fare con lui? Dai cos'era, dai, dai.. Un biglietto sul tavolo attira la mia attenzione.
 
Walt vuole che tu venga con noi per l'audizione, mi toccherà sopportarti anche li. Cerca di essere pronta per le 11.30.
Se è necessario sveglia i ragazzi, non essere troppo delicata o non ti ascoltano.
Ci vediamo dopo, Lynch.
 
p.s. scusa per i biglietti ma scriverti su whatsapp è come non scriverti
 
L'audizione. Certo, Walt mi aveva chiesto di andare all'audizione. Lancio uno sguardo veloce all'orologio e ovviamente ho la conferma: sono già in ritardo. Abbandono le uova sul tavolo e corro verso il salotto.
–Mars! Mike! Mars! Andiamo– urlo, ma in risposta ricevo una cuscinata.
Non essere troppo delicata o non ti ascoltano.
Capisco.
–MARSEL! MICHEAL!–comincio ad urlare, girando per la stanza e aprendo tutte le finestre. L'aria estiva invade il salotto mentre i due dormiglioni nascondono la faccia sotto tutto quello che incontrano per ripararsi dalla luce. Lancio tutti i cuscini che vedo mentre continuo a urlare le motivazioni del mio "attacco".
–Dai, forza, i cantanti non si scelgono mica da soli, andiamo!–aggiungo, mentre passo di fianco a Mike, pronta a tirargli una convincente cuscinata. Non faccio in tempo a preparare il colpo che la sua mano mi afferra per la maglia e mi tira giù, sdraiata vicino a lui. Appoggia la mano aperta sulla mia bocca, soffocando una risata mentre tiene gli occhi ancora irrimediabilmente chiusi.
–Ssh. Senti? Questo, questo è il suono del silenzio!– mormora con voce impastata, provocando una risata sconnessa al ragazzo spagnolo sull'altro divano.
–Dai, datti una mossa, ordini superiori– ribatto, alzandomi tra una risata e l'altra.
 
Arriviamo sgommando sul pick up rosso di Mars con venti minuti di ritardo. Le audizioni si tengono nel garage di Walt, che ha una mega villa dove abitano genitori, nonni, cugini, zii e ogni tipo di parenti che un uomo può avere. Comincio a capire il suo continuo voler sparire e stare un po' solo, vivere come se fossi in una perenne riunione di famiglia deve essere parecchio pesante. Non appena scendiamo ci viene incontro Lynch con le braccia incrociate davanti al petto, seguito da una ragazza tutta occhiali con un vestitino viola strettissimo in cintura. Le sue scarpe nere ticchettano sull'asfalto davanti al garage e io mi chiedo se avessi  dovuto indossare qualcosa di più elegante che un paio di leggins e una maglia lunga.
–Ciao Mathilde..–dicono Mars e Mike, quasi in coro. La loro espressione lascia capire che non sono per niente contenti di vederla.
–Dove siete stati? Venti minuti, dico venti minuti–squittisce lei, con una voce inverosimilmente nasale e di qualche ottava più alta rispetto al normale.
–E quella sarebbe?– aggiunge, scuotendo leggermente la chioma nera nella mia direzione.
–Ciao, sono Cat, la cugin..
–Si si si, non mi interessa. Muoviamoci, abbiamo un cantante da scegliere, Beth viene con noi?– sbotta, voltandosi e piegando una mano dalle lunghe unghie laccate di rosso. Le mie parole rimangono a mezz'aria senza più un destinatario, mentre mi chiedo se con il nome Beth si stesse riferendo a me. Guardo interrogativamente in direzione di Walt, che è apparso silenziosamente dalla porta principale della villa.
–E' Mathilde, la nostra manager.
–E' sempre così..– dico, roteando gli occhi e il dito vicino alla tempia.
Sempre– ribatte, calcando sulle sillabe come se avesse appena detto una verità assoluta. Annuisco e seguiamo Lynch e gli altri, che ormai sono dentro al garage. Si stanno per aprire le danze.
 
Mi sistemo in un angolo, seduta su una cassa con le gambe a penzoloni. L'acustica qui dentro deve essere ottima. Tutto è arredato come in uno studio musicale e le pareti sono rivestite di quei simpatici pannelli isolanti che mi divertivo tanto a rompere quando ero piccola in casa di Lynch.
I vari aspiranti al titolo di successore di questo famoso Vince cominciano ad entrare uno ad uno non appena viene annunciato l'inizio delle audizioni dalla voce insopportabile di Mathilde. La prima a rompere il ghiaccio è una ragazza bellissima che ha più o meno la mia età. Ha dei capelli biondi meravigliosi che ammetto di invidiare molto. Svolazzano, mentre si muove verso il piccolo palchetto di compensato che i ragazzi hanno messo su alla meglio. Spero che non crolli tutto. Lancio un'occhiata al tavolo dei "giudici", che si scambiano occhiatine complici. Direi che la bionda è in cima alla loro classifica, per ora.
–Ciao, sono Hanna– sussurra la ragazza, nascondendosi dietro la sua chitarra.
–Ciao Hanna– dicono i ragazzi, quasi in coro. Sembra una riunione di alcolisti anonimi. 
–Cosa ci canti?
–Ehm, Imagine– ribatte Hanna con voce tremante.
–Prego–dice Walt. Sembra un giudice di X–Factor, forse sta prendendo la cosa troppo sul serio. Hanna inizia a cantare, e cavolo, canta davvero bene. I ragazzi rimangono in silenzio per tutto il tempo, quasi in adorazione. Sono quasi certa che questa ragazza abbia appena ottenuto il posto.
–Perfetto, grazie mille Hanna– dice Mike, una volta terminata l'esibizione. Lei esce dalla stanza tutta sorridente mentre i ragazzi la seguono con lo sguardo perso. Abbiamo la nostra nuova cantante.
Le esibizioni che seguono Hanna non hanno niente di speciale, alcuni sono talmente stonati che mi chiedo dove abbiano trovato il coraggio di presentarsi a un'audizione di canto. Uno in particolare, vestito tutto di verde, si presenta come Peter Pan, nonostante di giovane non abbia niente. Sentirlo cantare è piacevole quanto asciugarsi le mani con la carta vetrata. Quando i ragazzi lo fermano a metà esibizione si infuria e tira un calcio all'asta del microfono, distruggendo il palchetto instabile. Walt si alza di scatto e, con il suo metro e novantaquattro di altezza, terrorizza il povero Peter Pan, che scompare velocemente nel giardino. Il momento più bello di tutta la mattina.
Ci fermiamo per mangiare un panino veloce intorno alle due, mentre discutiamo dei vari candidati. Quando mi chiedono cosa ne penso rispondo che Peter Pan è stato in assoluto il migliore, ma Mathilde mi lancia uno sguardo terribile, così ammetto che anche Hanna mi è piaciuta e tutti sono d'accordo. Verso le tre riprendiamo la seconda parte di audizioni, ma il maggior numero di persone si è già presentato alla mattina, così occupiamo il tempo tra un "cantante" e l'altro facendo partite super entusiasmanti a briscola. Dopo un po' si presenta anche un signore sui settanta vestito di bianco che crede di essere un medium e che canta tremendamente. La gente non la smette mai di stupirmi. Alle quattro e trenta ci rendiamo conto che il nostro tempo libero comincia a diventare troppo, così decidiamo di chiudere anticipatamente. Un ultimo sguardo veloce al giardino ormai vuoto e le porte si chiudono. Hanna è quasi ufficialmente la nuova cantante. Lynch afferra il telefono e compone il numero della ragazza per darle la buona notizia, quando mi sembra di sentire una voce fuori dal portone del garage.
–Shh shh shh, ragazzi zitti un attimo– dico a bassa voce. Lynch stacca la chiamata immediatamente e mi guarda stupito.
–Cos..
–Zitto Lynch– ribatto. Un secondo dopo la voce riprende e finalmente la sentono tutti.
–Ehi! Ehi c'è nessuno? Sono qui per l'audizione.
Lynch si avvia verso il portone e lo apre.
–Ciao, scusatemi sono in ritardo per l'audizione, lo so è che..– dice la voce.
–Va bene, va bene, entra– lo interrompe Lynch.
–Oh, grazie, grazie.
Il portone si apre un po' di più e un ragazzo con una mega felpa e il cappuccio in testa entra nella stanza.
–Ciao, sono Ed Sheeran– dice guardando nella nostra direzione mentre si toglie il cappuccio, liberando la chioma arancione.
Non mi ci vuole molto a riconoscerlo, non se ne vedono molti di capelli di quel colore, con quella sfumatura rossiccia che spunta solo sotto la luce. I suoi occhi mi inchiodano per la seconda volta in un paio di giorni e in quel momento sono consapevole che mi ha riconosciuto anche lui.
–Cosa ci canti?– chiede Walt, un po' scocciato dal ritardo del rosso e dal suo essere così distratto.
–Oh, ecco, veramente è una canzone inedita, si beh.. Si chiama Autumn Leaves– risponde lui.
–Comincia pure.
Ed Sheeran, ecco come si chiama il ragazzo che mi ha vista dietro quel cassonetto. Lo osservo mentre tira fuori la chitarra dalla sua custodia nera. Non ha la faccia di uno che potrebbe pestare qualcuno, anzi, tutto il contrario, sembra anche un po' imbranato da come fa cadere il plettro un paio di volte prima di decidere che infilarlo tra le labbra è la cosa migliore. Io però l'ho visto, so che è lui, so di che cosa sono capaci quelli che conosce. Forse ha già detto ai suoi amici che ho visto tutto, forse è qui proprio per questo, per tenermi controllata, per assicurarsi che io non dica niente a nessuno. Sento il panico impossessarsi pian piano della mia testa. Mi guarda anche lui ora, mentre accorda la chitarra. I suoi amici l'avranno mandato qui proprio per questo, magari per controllarmi. I suoi occhi verdi fissi nei miei azzurri. E' agitato, si capisce da come si muove, da come continua a stropicciarsi il bordo della manica, un po' troppo lunga per le sue braccia. E' agitato, si, ma non credo che sia per l'audizione. Continua a guardarmi e non riesco più a reggere il contatto visivo. Mi alzo di scatto dalla cassa su cui sono stata appollaiata praticamente tutto il giorno e esco dalla porta a passi veloci. Spiegherò più tardi ai ragazzi, magari mi inventerò qualcosa tipo avevo bisogno di una boccata d'aria fresca, nei film funziona sempre. Sbatto la porta dietro di me. L'ultima persona che avrei voluto vedere, ora sta cantando davanti a mio cugino. Magari gli dirà della rissa e che ero lì, io non gli ho detto niente. Lynch mi rimanderà a casa, troppi guai, e tutto per colpa di quel rosso. Comincio a camminare avanti e indietro sul marciapiede mentre una leggera pioggerellina comincia a scendere. Magnifico.
 
L'audizione dura molto di più rispetto a tutte le altre. E' come minimo un quarto d'ora che sono qui sotto l'acqua. Mi siedo sul bordo del muretto di fianco all'entrata principale della villa e aspetto. Passano ancora più o meno cinque minuti e finalmente sento delle risate provenire dall'uscita del garage. La porta si apre e escono Lynch e Morris, tutti sorridenti.
–Cat, tutto bene?– mi chiede Lynch.
–Si si, cominciava a fare caldo lì dentro–dico, ridendo.
In quel momento appare Ed Sheeran sulla soglia della porta con la sua chitarra sotto braccio. Anche lui mi sorride, cosa che trovo estremamente fastidiosa. Distolgo lo sguardo e torno a concentrarmi su Lynch, mentre cerco di capire se la ragazza bionda è stata presa o no. Arriva anche Mathilde, che avvolge le spalle del rosso con un braccio e squittisce: –Beth, ti presento il nostro nuovo cantante, Ed Sheeran.
 
 
 
Salve bella gente!
Vi chiedo un triliardo di volte scusa per il mio immenso ritardo, mi dispiace davvero tanto non aggiornare ma sono in montagna e non ho internet se non sul cellulare, ma prende male anche quello :( Comunque sia, spero che il capitolo vi sia piaciuto, l'ho fatto un po' più lungo rispetto al solito per farmi perdonare. Grazie per aver letto nonostante io sia una persona orribile che non aggiorna in tempo, ringrazio tantissimo anche le persone che continuano a seguire la storia e che non hanno denunciato la mia sparizione a Chi l'ha visto
Btw, nonostante la mia schifosaggine il primo e il quinto capitolo hanno superato le 100 visite! Giuro che vi adoro! Detto questo vi saluto chiedendovi ancora scusa e ringraziandovi per la pazienza. Non so quando riuscirò ad aggiornare, spero molto presto.
Un bacio, Annie :)
 

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Capitolo 7
*** Surprise. ***




 
Surprise.
Easy baby, maybe I'm a liar,
but for tonight I wanna fall in love,
put your faith in my stomach.
–I'm a mess, Ed Sheeran.
 
–Beth, ti presento il nostro nuovo cantante, Ed Sheeran.
–Cosa?– sussurro. Il ragazzo mi fulmina con lo sguardo. Cosa si aspettava, che facessi i salti di gioia per la sua nuova carriera appena iniziata?
–Ho detto che è il nostro nuovo cantante..–ripete Mathilde, ridacchiando imbarazzata, mentre stringe ancora più forte il braccio intorno alle spalle di Ed.
–Si, ho capito cos'hai detto!–sbotto.
–Quindi c'è qualche prolema?–ribatte lei, scocciata. Lynch e gli altri mi guardano stupiti. Effettivamente non sanno il motivo della mia reazione. Faccio un respiro profondo, giusto per calmarmi.
–No, nessun problema– dico, facendo uno dei miei migliori sorrisi finti.
–Bene. Quindi Edward, tesoro, andiamo un attimo a parlare del contratto e di tutte quelle cosine burocratiche taaanto noiose..–squittisce Mathilde arricciando le labbra rosse. Deve essersi data il rossetto dopo che sono uscita. Oddio, vi prego, ditemi che non ha intenzione di provarci col mezzo criminale. Lui fa in tempo a lanciarmi un ultimo sguardo di sbieco e poi sparisce dietro l'angolo.
Guardo in direzione di Lynch e alzo una mano indicando i due e aprendo la bocca come per dire qualcosa, poi mi rendo conto che senza spiegargli della rissa non ho niente di plausibile di cui lamentarmi. Ufficialmente io e Edward non ci siamo mai visti.
–Cosa? Stai bene?– mi anticipa lui.
–Ehm..– esito. –No, cioè si, sono solo un po' stanca. Non è per niente convinto della mia risposta.
–Ok.
–Ok..– e mi avvio verso il pick up rosso.
Durante il viaggio ho l'onore di ascoltare un breve resoconto dell'audizione arricchito da vari "pazzesco", "incredibile" e addirittura mi sembra di sentire anche un "idilliaco". Assurdo, mi sembra tutto così assurdo che mi aspetto di dovermi svegliare da un momento all'altro. Una se ne va da casa per staccare un po' dai problemi e si ritrova con un serial killer nella band del cugino. Idilliaco.
Comunque, mi sembra di capire che è stato un gran successo. I complimenti cominciano a diventare troppi per i miei gusti, così mi isolo nel mio piccolo mondo senza problemi e fisso l'asfalto che corre veloce fuori dal finestrino. E' incredibile come automaticamente ogni sera piova, qui in Inghilterra.
Dopo aver lasciato Mars nel suo quartiere, arriviamo a casa e ceniamo stravaccati sul divano davanti alla tv. Passano un film abbastanza strano, parla di un manicomio per criminali su un'isola dispersa in mezzo al mare. Non sto capendo quasi niente tra la trama contorta e l'inglese stretto, ma c'è Leonardo di Caprio, perciò non mi lamento. Shutter Island, credo si chiami così. La fine è abbastanza scioccante da convincerci a fare una partita consolatoria a poker, ma io perdo solo, come d'altronde è mia abitudine fare dall'età di dieci anni, così decido di andare a fare una doccia. Proprio nel bel mezzo del mio assolo in American Idiot l'acqua calda decide di scomparire, lasciandomi sola con i mari ghiacciati dell'Antartide. Sbuffo e il pezzettino di vetro della doccia davanti alla mia faccia si appanna. Aspetto qualche minuto, cammino avanti e indietro per il bagno avvolta in un asciugamano giallo canarino, mi lavo i denti, ma l'acqua calda si rifiuta ancora di tornare, così afferro l'accappatoio e me lo lego strettissimo in cintura, poi scendo le scale tentando di non lasciare gocce al mio passaggio. Non appena arrivo davanti alla porta della cucina sento le voci di Morris e Lynch, ovattate ma decise. Mi avvicino un altro po' alla porta e mi fermo, cercando di fare meno rumore possibile.
–..non so, secondo te non si fida?–dice mio cugino.
–Non è quello, è solo che– Morris fa una pausa e una sedia striscia pesante sul pavimento. –Sono convinto del fatto che si fidi ancora, ma è passato un anno, non vi siete visti per molto tempo e lei è qui solo da qualche giorno. Dalle tempo.
–E' colpa mia. Quando è successo, io sono scappato, capisci? Avrei dovuto essere lì con lei. Non.. Io avevo paura, ho sbagliato tutto.
–Non hai sbagliato, tu hai fatto la cosa più importante che potessi offrirle. L'hai ascoltata.
–Si, forse..–risponde mio cugino. C'è un'altra pausa, un po' più rilassata di prima, poi delle risate soffocate.
–Ci dicevamo tutto..–aggiunge.
–Non mi risulta che tu le abbia detto tutto– ribatte Morris.
–Tranne quello.
–Dovresti dirglielo, non credo sia un problema.
–Non lo so Momo, non lo so..
Entro in fretta nella stanza tenendo l'accappatoio bello chiuso con una mano. I ragazzi mi guardano divertiti.
–Hai deciso che ti mancavamo troppo?–scherza Morris, in piedi vicino a mio cugino. Scuoto la testa.
–Piantala Morris– dico, ridendo. –L'acqua calda. Non arriva più– aggiungo, indicando il bagno sopra le scale. Lynch sbuffa e si alza, ordinandomi di mettermi qualcosa e di raggiungerlo in cantina, poi esce dalla stanza.
–Domani abbiamo una sorpresa– sussurra Morris, mentre mi passa di fianco e esce a sua volta, diretto su per le scale.
 
La cantina ha quell'odore fresco e un po' umido tipico dei posti sotto terra. E' un odore che io indescrivibilmente adoro, mi ricorda la mia vecchia casa. Scendo lentamente le scale attenta a non scivolare e finire irrimediabilmente a terra. Una lampadina penzola dal soffitto, accesa grazie ad una cordicella sottile che dondola lentamente. Uno scaffale marrone con un sacco di scatole marroni ricopre la parete sinistra della stanza e più in fondo, finalmente, la caldaia.
–Hai già sistemato?
–E' la pressione– risponde secco Lynch.
–Ok..
Mi soffermo un po' a guardare mio cugino, intento a cercare qualcosa in una cassetta rossa. I capelli mori gli scivolano sulla fronte ma lui non sembra accorgersene, concentrato com'è nella ricerca dell'attrezzo. E' passato un anno, eppure mi rendo conto solo ora che sembra molto di più. Lo sento così distante e questa cosa non mi piace. Le parole mi escono veloci senza che io ci pensi.
–Io mi fido di te, mi sono sempre fidata.
Lynch si blocca e mi guarda.
–Cosa?
–Ho detto che mi fido di te. Che l'ho sempre fatto.
Lui sembra pensarci un po' sopra, poi accenna un sorriso.
–Sai che è maleducato spiare le conversazioni degli altri?
Abbasso lo sguardo.
–Ero li e.. Be' non vi volevo interrompere..
Vorrei dirgli che non si deve sentire in colpa. Vorrei dirgli che anche io sarei scappata, se solo avessi potuto. Vorrei dirgli che Morris ha ragione, che lui mi ha ascoltato e mi ha aiutato, anche se non se ne rende conto. Non faccio in tempo a elaborare una frase di senso compiuto, lui si alza e ripone la scatola rossa sullo scaffale.
–Ora è tutto a posto– dice, passandomi di fianco e salendo le scale per tornare nel salotto. Mi lascia li, a pensare se la frase che ha appena detto di riferisce a noi oppure alla caldaia.
 
Mi spalmo sul letto esattamente tredici minuti dopo la mia profonda chiacchierata con Lynch. Adoro la sensazione che si prova dopo la doccia: addio Cat-barbona-viva-i-ponti e benvenuta Cat-ragazza-pulita. Non che io mi lavi poco, è che forse ho un accumulo di stress eccessivo e la doccia mi sembra l'unica cosa capace di rilassarmi. Fisso il soffitto. Ho molte cose da far analizzare ai miei poveri neuroni stanotte.
Riassumendo:
1. Mr. Edward faccio-le-risse Sheeran è il nuovo cantante.
2. Mio cugino pensa che io non mi fidi di lui.
    2.1 Ma io mi fido di lui!
3. Mi deve dire qualcosa.
    3.1 Cosa?
4. Mathilde deve capire che mi chiamo Cat, Beth sarà poi il suo cane.
5. Ho voglia di cioccolato. 
6. Domani i ragazzi hanno una sorpresa.
7.
La mia lista di cose su cui riflettere viene interrotta bruscamente dal ronzio di una stupida zanzara che evidentemente ha voglia di morire. Dopo un'abbondante mezz'ora di ricerca della piccoletta, finalmente, riesco a spalmarla sulla parete. Lascia una disgustosa macchia sul bianco perfetto del muro, così infilo le ciabatte e esco da camera mia: in cucina troverò sicuramente qualcosa per pulire quel pasticcio. Attraverso il corridoio in punta di piedi. Le luci sono tutte spente al piano di sotto e la porta della camera di Lynch è chiusa. Quella di Morris, invece, è spalancata, il letto ancora intatto. Scendo le scale e mi aspetto di trovarlo in salotto con una tazza di camomilla in mano, ma anche quello è vuoto. Stessa cosa per la cucina. Morris è sparito. Prendo una spugnetta e la bagno sotto il rubinetto, promettendo a me stessa di non intromettermi nella vita del coinquilino di mio cugino, ma la curiosità vince. Mi avventuro per la casa. Il giardino è deserto, mentre la pioggia continua a scendere regolare e lenta, un rumore che trovo estremamente rilassante. La cantina mi fa paura, così la escludo a prescindere. Comincio a salire i gradini della scala quando sento dei rumori provenire dal piano di sopra, una risata soffocata seguita dal suono ovattato di passi sulla moquette, poi una porta si chiude. Attraverso il corridoio e ora entrambe le porte sono chiuse e io non ho idea di cosa stia succedendo. Entro in camera e pulisco lo schifo sul muro, poi lancio un'occhiata alla sveglia sul comodino e finalmente mi lascio cadere sul letto. I problemi possono aspettare domani mattina.
 
Sono le nove e quarantadue e qualcuno si diverte a correre per il corridoio da più o meno dieci minuti. In questa casa non ci si annoia mai. Sbuffo sul cuscino perché ho dormito solo sei ore e perché io amo dormire. Infilo le ciabatte, pronta a affrontare un ladro corridore o roba del genere, ma non appena apro la porta mi si presenta davanti Morris che indossa un grembiule rosso con una scritta ricamata sopra: Molti hanno mangiato qui e sono sopravvissuti. Non commento, è troppo presto per il sarcasmo. 
–Cosa fai ancora in pigiama?– praticamente urla non appena mi vede. Cerco di svegliare i miei neuroni per scoprire se stamattina avrei dovuto fare qualcosa di importante, ma credo che siano andati in letargo.
–Be' ecco, io stavo dormendo in realtà..
–Bene, ora che ti sei svegliata mi serve una mano in cucina. Dieci minuti ti bastano, honey?
Lo guardo assonnata.
–Immagino di si.
In risposta lui mi scocca un bacio sulla guancia e se ne va facendomi l'occhiolino. E' strano. Tutto molto strano.
Venti minuti dopo sono in cucina con un frullino elettrico in mano che cerco di montare due o tre uova senza successo. Lynch, da quello che ho capito, sta sistemando il soffitto crepato della camera al piano di sopra mentre noi dobbiamo preparare il pranzo. Sono convinta che mi stia sfuggendo qualcosa. Morris, intanto, sforna una torta che poi cosparge di cioccolato fuso e comincio a pensare che potrei sposarlo in questo momento, anche perché non ho fatto colazione. Lui nota il mio sguardo e mi allunga un cucchiaino, poi insieme cominciamo a raschiare il fondo della ciotola dal cioccolato. Si, devo indubbiamente sposarlo. In quel momento suona il campanello.
–Mh, vado io– esclamo, con il cucchiaino ancora in bocca.
Lynch corre giù per le scale mentre io apro la porta.
–Ciao!– esclama il ragazzo rosso davanti a me, non appena mi vede. Spalanco gli occhi. Perché ha sempre quel sorrisetto irritante stampato in faccia? Perché è davanti alla porta di casa nostra? Ma soprattutto, perché Edward Sheeran ha in mano una valigia?
 
–Ecco la sorpresa!– dice Morris alle mie spalle, ma io rimango comunque bloccata davanti alla porta a fissare quei meravigliosi occhi azzurro oceano. Cat, concentrati, non sono meravigliosi, no!
–Allora, mi vuoi far entrare o..– mormora Edward, chiaramente imbarazzato. Sinceramente? NO.
–Si, certo.. Si– borbotto, invece.
Mi scosto leggermente a sinistra e guardo Morris con la coda dell'occhio che a sua volta guarda Lynch con la coda dell'occhio, il quale sta fissando me con le sopracciglia alzate. Non riesco a contare fino a dieci, mi precipito verso di lui e lo afferro per l'angolo della maglietta trascinandolo con me in cucina.
–Che cosa vuol dire?– sbotto, indicando l'ingresso.
–Shh– mi fa lui.
–Lynch!
–Ed non ha una casa fissa, così abbiamo pensato di ospitarlo qui da noi finché non riesce a sistemarsi per conto suo.
–Lui viene a vivere qui?– urlo, ma subito lui mi pianta una mano sulla bocca.
–Non capisco qual è il problema, Cat. Non lo conosci neanche. Perché devi fare così quando si tratta di lui? Una volta mi dicevi tutto, eravamo inseparabili. Guardaci ora, io mi comporto come se fossi tuo padre e tu fai la bambina. Litighiamo troppo..– fa una pausa e mi toglie la mano dalla faccia. –Non voglio più vederti fare scenate del genere davanti a Ed, che ti piaccia o no è il nostro nuovo cantante e, a meno che non ci sia qualcosa che mi vuoi dire, non cambieremo idea. E' molto bravo, non l'hai neanche sentito cantare, quindi..
Non rispondo, mi limito a fissare le piastrelle bianche del pavimento in contrasto con le mie infradito blu. Lynch abbassa gli occhi.
–Ok..– sussurra, e nella sua voce c'è così tanta malinconia e delusione che quasi sento il rumore del mio cuore che si frantuma in un miliardo di pezzettini con su scritto "sei una persona orribile".
–Lynch, aspetta.. C'è una cosa che ti devo dire.. Su Ed..
–Ehi ragazzi, tutto bene qui?– la testa rossa di Edward spunta da dietro la porta.
–Non ho fatto in tempo a salutarti bene, Cat– dice, mentre si dirige verso di me e mi abbraccia, come se ci conoscessimo da una vita. Sto immobile finché lui non allenta la presa, poi guardo Lynch che ha la stessa faccia stupita che devo avere io in questo momento.
–Voi– si schiarisce la voce, –Voi due vi conoscete già?
–Oh certo, ecco io ho vissuto in Italia un paio di anni e si può dire che sono il suo ex amante segreto– risponde Edward, ridendo.
Il mio cosa?
–Il suo cosa?– chiede Lynch.
–E' una storia divertente– ridacchia il rosso, mettendomi il braccio tatuato sulle spalle. –Un giorno te la racconteremo– aggiunge, guardandomi. –Vero, Caty?– mi stringe la spalla con la mano.
–Ehm, si credo..– mormoro, fissandolo. Non ho idea di cosa stia succedendo, e credo che valga anche per Lynch.
–Ok be'.. Vado a finire di mettere a posto la tua camera Ed. Immagino che voi abbiate tante cose da dirvi..– dice mio cugino, uscendo dalla cucina.
Non appena il rumore dei passi svanisce, Edward mi libera dalla sua presa e striscia un dito sul cioccolato fuso della torta, come se niente fosse.
–Cos..
–Comunque sono Ed Sheeran, all'audizione sei schizzata via quindi.. Be' per rinfrescarti la memoria.
–Mi vuoi spiegare?– esclamo.
–Cosa?– dice, indifferente. –Ahh, la storia di prima. Be' stavi per dirgli delle cose che non dovrebbero essere dette– sussurra avvicinandosi e passando il dito sulla superficie liscia del ripiano di marmo. –E poi dovresti ringraziarmi, stavi per fare la figura della miserabile bambina che ha paura dell'uomo nero, quindi tanto meglio, no?– ora è a qualche centimetro dalla mia faccia. Ha un profumo da perdere la testa, un misto tra qualcosa di fresco e delicato e il cioccolato della torta, per non parlare dei suoi occhi.. Cat, concentrati. Prendo un respiro profondo e gli appoggio una mano sul petto per poi spingerlo leggermente lontano da me.
–Be', grazie per aver parato il mio miserabile culo, Edward– sbotto, uscendo poi dalla stanza a passi veloci. Ringrazio chiunque mi abbia dato il coraggio di farlo.
 

 
Buonsalve gentaglia! Inizio scusandomi ancora per il ritardo, ma come sapete ero via. Però in montagna ho trovato un sacco di tempo per scrivere e sono arrivata ben ben al capitolo 12, quindi per farmi perdonare credo che li caricherò tra questa settimana e la prossima, insomma quasi uno ogni giorno *spero*.
Anyway ho pensato di lasciarvi una foto di come mi sono immaginata il nostro Walt, che potete vedere QUI. Magari vi lascio un personaggio ogni capitolo se vi piace come idea. Intanto tutti i capitoli hanno superato i 200 e io vi adoro tantissimo! Non dimenticatevi di lasciarmi un parere, positivo o negativo che sia è sempre bello sapere cosa ne pensate. Ok, ho finito il mio noioso monologo, alla prossima, Annie.
 

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Capitolo 8
*** Heroes. ***



 

Heroes.
 
And I kissed you darlin',
I hope you weren't alarmed
It's just the start of everything you want.
–New York, Ed Sheeran.
 
La situazione è cambiata completamente da quando Edward è piombato in casa nostra. Lynch non mi parla quasi più, se non per dirmi le cose essenziali del tipo "come vuoi le uova?" oppure "c'è bisogno di andare a comprare il latte". Quel che è peggio è che non ho idea di come fare per far tornare tutto come era prima, tra lui e me. Dovrei dirgli della rissa, immagino, oppure prenderlo da parte e dirgli quanto lui sia stato importante per me nel periodo buio dell'anno scorso. Sarebbero tutte buone idee se non mi mancasse il coraggio di metterle in atto. Morris cerca di rimanere imparziale, ogni tanto mi accompagna in centro a Londra per farmi uscire un po' di casa. Qualche volta invita gli altri ragazzi, ma sedersi sui divani a chiacchierare non è più la stessa cosa se mio cugino non mi guarda nemmeno in faccia. Rimango per lo più chiusa in camera mia a guardare serie tv in streaming oppure a parlare con Rachel. Riesce a essermi vicina nonostante la nostra distanza. La cosa va avanti da più o meno due settimane e sta cominciando a diventare ingestibile. Ho analizzato la situazione mentre ero sotto la doccia, perché trovo che sia un ottimo posto per risolvere i problemi della vita. Sono arrivata ad una conclusione: o me ne torno a casa, oppure provo ad accettare il fatto che ormai Edward abiti qui, magari questo mi aiuterà ad aggiustare le cose con Lynch. E poi devo assolutamente parlargli, ma per quello ho ancora bisogno di preparazione psicologica. Di tornare a casa non se ne parla, quindi eccomi qui, seduta sul divano con una tazza di camomilla ad aspettare il ritorno del rosso da una delle sue cene in un qualche pub. Non è Sabato, quindi spero che sia sobrio, almeno un minimo per rendermi il discorso fattibile. In Tv passano solo un reality show, dove bisogna indovinare il prezzo di alcuni oggetti e se lo indovini te li regalano. Io avrei vinto una spugna rosa a forma di Hello Kitty. Tanto meglio giocarci dal divano di casa, non ne vale la pena.
Ormai è l'una, Morris e Lynch sono a letto da un po' e io sto cominciando a sentire gli occhi leggermente pesanti. Decido di chiuderli per un po', giusto il tempo di riposarli. Non so se ho veramente dormito o se lo sto ancora facendo, però comincio a sentire dei rumori, prima lontani, poi sempre più vicini. Sono talmente addormentata che penso che sia tutto un sogno, ma poi qualcuno spegne la tv. Apro gli occhi di scatto e mi rendo conto che ho addosso una coperta, la tv è spenta e la mia tazza è appoggiata sul piccolo tavolino davanti a me. Sento dei rumori al piano di sopra, così mi alzo e barcollo su per le scale nel momento in cui la porta della camera di Edward si sta chiudendo.
–Aspetta!– sussurro. Non credo che mi abbia sentito e non vale la pena bussare. Non so neanche cosa dire, in realtà. "Ehi, ti va se diventiamo amici?" Patetico. "Forse siamo partiti col piede sbagliato, in fin dei conti sei solo uno sconosciuto che ho incontrato per caso mentre aiutava i suoi amici a prendere a calci uno.." No, decisamente non ci siamo. Mi stropiccio gli occhi e allungo le braccia che mi fanno male dopo essere rimaste piegate per un bel po' mentre ero sul divano. Mugugno un verso di disapprovazione che fa intuire quanto io sia più addormentata che altro e poi faccio qualche passo verso la mia stanza.
–Ah, sei tu.
Mi giro. Edward mi fissa sorpreso dalla porta di camera sua. Cosa dovrei rispondere ora?
–Ehm, sto..– dico con voce impastata. Devo trovare le parole giuste.
–Tre secondi fa dormivi sul divano– ribatte lui, sottovoce.
–Si, ecco in realtà ti stavo aspettando.
–Mi stavi..aspettando?– la sua faccia assume un'espressione sorpresa ed esce completamente dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Indossa dei pantaloni del pigiama a quadrettoni blu arricciati sul bacino, perché probabilmente gli starebbero troppo lunghi se li tenesse normali. Mi avvicino un po', il giusto per riuscire a farmi sentire anche parlando sottovoce, poi prendo un bel respiro perché quella che sto facendo è una pazzia e non credo di essere abbastanza sveglia per affrontarla decentemente, ma non faccio in tempo a pensare prima di agire e mi rendo conto di stare già parlando.
–Ti devo parlare, ma è un orario indecente per fare un discorso serio e quei pantaloni ti stanno dannatamente bene– faccio una pausa e mi rendo conto che non avrei dovuto dirlo.
–Questo non avrei dovuto dirlo..
Lui ridacchia e incrocia le braccia davanti al petto. I suoi tatuaggi si estendono dalla spalla fino al polso sul braccio sinistro e gli stanno dannatamente bene anche quelli.
–Be', volevo dirti che non abbiamo iniziato col piede giusto e che non ti conosco, quindi magari hai picchiato quel tizio nel vicolo perché ti sembrava giusto– Ma cosa sto dicendo? La sua espressione si indurisce.
–E' stato tuo cugino a chiederti di parlarmi?
–No non..io e lui non parliamo più molto da quando tu..– Faccio meglio a stare zitta, trasferirmi in Messico e cominciare a vendere nachos.
–Da quando io sono arrivato qui..– finisce la frase lui. –Hai risolto molto con questa chiacchierata, davvero dolcezza..– aggiunge, voltandosi verso la sua camera e aprendo la porta.
–No aspetta!
Si gira verso di me e mi punta un dito contro.
–Sai cosa c'è? Che a te non interessa niente sapere chi sono davvero, sapere cosa faccio. Tu pensi che diventando "amici" il tuo caro cugino tornerà quello di prima, sarete una famigliola felice senza problemi e non appena tutto si risolverà io, nella tua testa, tornerò a essere una specie di assassino senza sentimenti che è venuto qui per, che ne so, tenere sotto controllo una pericolosa testimone, ma ehi! notizia dell'ultima ora, non ho intenzione di conoscerti meglio e fondare un'amicizia destinata a finire in pura merda. E non ti aiuterò con i tuoi rapporti familiari finché tu non accetterai il fatto che il mondo non gira intorno a te, non sei l'unica ad avere dei problemi e non mi stai per niente simpatica. Ora vai a letto, che le bambine paranoiche a quest'ora dovrebbero già dormire da un po'. Buonanotte– e si dilegua nella sua stanza, lasciandomi paralizzata su quell'ultimo gradino delle scale ad analizzare quanta percentuale di ragione ci fosse nelle sue parole.
 
E così le cose sono solo peggiorate, per quanto sia possibile. Passa un'altra settimana e la cosa che mi fa più male è vedere la sintonia che si sta creando tra Edward e gli altri ragazzi. Mi sento così sola nonostante le continue attenzioni di Morris e Walt, che cercano di tirarmi su il morale continuamente. Sto guardando l'ennesima puntata di Pretty Little Liars quando qualcuno bussa alla porta di camera mia.
–Avanti!
–Ciao Cat.
–Walt!– dico, sorridendo e chiudendo lo schermo del computer.
–Che ne dici di tirarti un po' fuori da questa stanza?
–Non mi dispiacerebbe affatto..
–Bene, perché io devo fare dei giri in centro, comprare le corde per la mia chitarra e in più ho una voglia matta di passare da Starbucks, quindi, se ti va, hai dieci minuti per renderti presentabile– dice, indicando il nido di merli che mi ritrovo in testa.
–Giusto– rispondo, tirandomi su dal letto mentre lui chiude la porta.
Ci metto un po' a decidere come vestirmi ma alla fine sono abbastanza soddisfatta, anche perché il mio livello precedente era donna-delle-caverne. Infilo le mie converse verde acqua e mi precipito giù per le scale, credo che i dieci minuti siano passati da un po'. Anticipo il rimprovero di Walt su quanto io ci abbia messo dicendo che mi aveva chiesto di rendermi presentabile e questo era il minimo, così lui lascia perdere. Mentre usciamo di casa Lynch urla un super ironico "divertitevi" dal salotto. In una scala da 1 a Winx, credo che mi stia odiando Winx, e lui odia estremamente le Winx.
 
Il centro di Londra rimane uno dei posti più belli in cui io sia mai stata. Walt parcheggia davanti a un negozio molto vecchio in fondo a una stradina buia già alle cinque del pomeriggio. Mi dice di rimanere in macchina perché ci vorrà solo qualche minuto per prendere le corde. Dopo poco siamo già diretti verso lo Starbucks più vicino, dove prendo una cioccolata con abbondante panna montata. Passeggiamo un po', poi ci fermiamo sul ponte che passa sopra il Tamigi e sorseggiamo le nostre bevande.
–Allora, cosa ne pensi di Londra?– mi chiede.
–E' bellissima, davvero.
–Quindi il motivo per il quale ti sei isolata in camera da un paio di settimane non è perchè Londra ti fa schifo. Bene, posso toglierlo dalla mia lista. Il secondo motivo potrebbe essere che Mars puzza? Ti giuro che si lava, solo che ha questo strano dopo barba che..
Scoppio a ridere e aspetto un po' prima di rispondere seriamente. Lui mi guarda, credo, ma io fisso il leggero movimento dell'acqua perché forse ho paura che guardandolo negli occhi potrei scoppiare a piangere. E' l'unica persona che si interessa a me ultimamente.
–Quindi Lynch non ti ha detto niente?
–No, direi di no..
Gli racconto cos'è successo il più dettagliatamente possibile, tralasciando la rissa. Mi fido, ma non vorrei che sapendolo combinasse dei casini. E' impulsivo, lo sanno tutti.
–Mi dispiace– dice lui, un attimo dopo che ho finito di parlare.
Mi giro e incontro i suoi occhi marroni. Alla luce del sole si riescono a vedere anche delle leggere sfumature ambrate che gli illuminano lo sguardo.
–Grazie..– dico, sorridendogli.
–Quando vuoi– ribatte, tornando a guardare il Tamigi.
Arriviamo al parcheggio poco dopo le otto. Normalmente avrei paura in un posto del genere, ma il metro e novantaquattro di Walt è una garanzia più che sufficiente. Stiamo per entrare in macchina quando una voce dietro di noi interrompe i nostri discorsi sugli scoiattoli.
–Guarda un po', piccola Londra eh amico?
Walt si gira di scatto e i suoi lineamenti diventano duri non appena incontra gli occhi grigi del ragazzo di fronte a lui.
–Pensavo fossi in prigione– ribatte Walt, con un tono decisamente poco amichevole.
Ops, pensavi male, amico.
–Non sono tuo amico.
–Oh oh, come siamo nervosi. Non sei cambiato di una virgola, amico– dice lo sconosciuto, avvicinandosi.
–E vedo che ti sei trovato una bella bambolina con cui giocare– aggiunge, rivolgendosi a me. –Ciao zuccherino, io sono Vincent.
Walt si gira verso di me e dal suo sguardo capisco che è meglio non rispondere.
–Sali in macchina, Cat– mi dice.
–Che peccato, era una così bella compagnia. Magari ti vengo a trovare uno di questi giorni, zuccherino– ribatte Vincent, accendendosi una sigaretta. Salgo in macchina. Quel ragazzo mi dà i brividi. I suoi occhi sono così vuoti che mi sembra quasi di vederci attraverso. I due continuano a parlare per un po' e noto che Walt si sta innervosendo parecchio da come contrae continuamente le labbra e la mascella. Li osservo al di là del finestrino, sento solo le voci ma non riesco a distinguere quello che si stanno dicendo. Improvvisamente Vincent scoppia a ridere per qualcosa che ha appena detto. Walt stringe i pugni lungo i fianchi, ma a quanto pare l'istinto è più forte di lui, così si lancia verso l'altro e gli assesta un pugno dritto in faccia. Non avevo mai visto Walt così arrabbiato. Si gira e viene velocemente verso la macchina, la accende e partiamo sgommando. Lancio un'ultima occhiata allo specchietto retrovisore. Vincent è in piedi in mezzo al vicolo che si massaggia la mascella, si porta la sigaretta alla bocca un'ultima volta per poi buttarla in terra e pulirsi il sangue che gli esce dal naso con la manica. Si gira e se ne va. 
–Cos'è successo?– chiedo a Walt. Non ottengo risposta. Continuo a guardarlo. –Walt?
Continua a non rispondermi. Stiamo andando a una velocità pazzesca e ormai siamo abbastanza lontani dal vicolo. Walt ferma la macchina a lato della strada e mi guarda.
–Scusami..
–Per?– chiedo, stupita.
–Non avrei voluto che tu mi vedessi così, insomma, violento..– fa una pausa e si massaggia la mano con cui ha tirato quel meraviglioso pugno a Vincent.
–Tu come stai?– gli chiedo. Non l'ho mai visto così. Sembra impaurito, insicuro..
–Mi fa un po' male..– indica la mano. –Ma non è niente.
–Sei sicuro? 
–Si..
–Cos’è successo?– chiedo di nuovo. Deve esserci qualcosa che l'ha fatto arrabbiare in quel modo.
–Ha detto delle cose..
–Cose brutte?
–Cose orribili.. Cat, non me le chiedere, non te le ripeterei mai..– mi anticipa, incontrando il mio sguardo.
–Va bene..– faccio una pausa e ripenso a quel Vincent. Quegli occhi, hanno qualcosa di familiare, li ho già visti da qualche parte.
–Quello era..– comincio a dire, ma Walt mi interrompe prima che io riesca a finire la frase.
–Quello era Vince.
 
Torniamo di corsa a casa mentre Walt sembra essere sempre più preoccupato. Non appena entriamo si ferma in salotto a parlare con Lynch e Morris.
–Che cosa hai fatto?– quasi urla mio cugino.
Morris gli mette una mano sulla spalla e fa un cenno verso di me con la testa. Capisco che forse non dovrei assistere a quella conversazione, così mi avvio verso la mia camera. Credo che la situazione sia peggiore di quanto io immagini e voglio scoprirne il perché, così mi fermo ad ascoltare da dietro la parete. Ormai ascoltare le conversazioni di nascosto è diventato il mio hobby, dato che qui nessuno ha intenzione di dirmi niente comunque. I loro toni di voce sono bassi ma si riesce a distinguere una pesante nota di preoccupazione.
–Sai di cosa è capace, perché l'hai fatto?
–Non sono riuscito a trattenermi.. Non volevo.. Ha detto che si vendicherà, che non si meritava quello che gli hai fatto tu, Lynch– fa una pausa. –E poi ha detto delle cose, su Cat..
–Cat? Cosa diavolo ha detto su Cat?– sbotta mio cugino.
–Ve la dico educatamente: avrebbe voglia di passare, ecco diciamo, "del tempo" con lei, con o senza il suo permesso. E mi ha promesso che succederà a breve. 
Mi porto una mano alla bocca per impedirmi di emettere un qualsiasi suono di disprezzo. Il solo pensiero che quell'essere possa anche solo pensare di sfiorarmi mi fa rabbrividire.
Non c'è nessuna risposta dai ragazzi per qualche minuto mentre io cerco di controllarmi per non fare cose di cui potrei pentirmi. Come potrei risolvere da sola? Semplice, non posso.
–Ok, una cosa alla volta– riprende finalmente mio cugino. –Walt, tu gli hai tirato un pugno, ma se ti prendono, lui e i suoi ti faranno molto peggio. Cos'hai intenzione di fare?
–Che vengano pure, non ho paura.
–Non devi fare l'eroe Walt, non serve a nessuno– mormora Morris.
–Non sto facendo l'eroe, solo che non ho paura. Quando vogliono, io sono pronto.
–Cristo Santo, Walt!– urla Lynch, zittendo tutti. –Quelli se ti trovano ti ammazzano. Già Vince ce l'aveva con noi da prima, ora praticamente sei un chitarrista morto. Non fare lo stupido, te ne devi andare da Londra, un paio di mesi, niente di più. Il tempo che Vince torni in prigione o che trovi qualcun'altro su cui vendicarsi, perché sono sicuro che succederà. Davvero, devi andartene..
–Non se ne parla, io non scappo..– ribatte Walt.
Le parole di Lynch mi risuonano nelle orecchie. Ora praticamente sei un chitarrista morto. Vince è davvero capace di questo? Sarebbe davvero capace di uccidere per un semplice pugno? Ripenso allo sguardo divertito che ci ha lanciato mentre ce ne andavamo, al disprezzo nelle sue parole mentre parlava con Walt, al modo in cui mi ha parlato, senza un minimo di rispetto o comunque un accenno di umanità. Ripensare al mio incontro con Vince mi conduce a una sola conclusione: si.
Mi accorgo che Walt si sta dirigendo verso l'uscita del salotto, così faccio per andarmene, ma qualcosa mi trattiene. Sento di dovergli parlare, ringraziarlo, in fin dei conti si è messo nei guai anche per difendere me. Appena esce riesco ad afferrarlo per la maglia e gli faccio segno di non dire niente e di seguirmi. Non posso farmi beccare a origliare una seconda volta da Lynch. Mi dirigo velocemente su per le scale e in camera mia, poi chiudo la porta e non riesco più a trattenermi.
–E' tutto vero?
–Dipende da cosa..
–Oh, lo sai benissimo che cosa Walt. Quello ti ammazza sul serio?
–Hai sentito tutto?
Annuisco.
–Cat, non ti preoccupare, io mi so difendere, lui e il suo gruppo non mi spaventano.
–L'hai detto tu, sei da solo contro il suo gruppo. Lynch ha ragione, te ne dovresti andare..
Lui si siede sul mio letto e appoggia le mani sulle ginocchia nervosamente.
–Sai che non lo farò.
–E se ti trovano? E' solo per poco tempo, insomma..
–Che mi ammazzino!– urla, spaventandomi mentre si tira su di scatto dal letto.
–Walt– provo a fermarlo.
–Non ho bisogno di baby-sitter, e poi cosa ti importa di me? Praticamente non mi conosci. Che mi ammazzino, non ho niente da perdere. La mia famiglia mi odia, a nessuno importa di me.
Vedere Walt in quelle condizioni mi distrugge. Mi è sempre stato vicino, in ogni momento, nonostante io non conoscessi lui e lui non conoscesse me. Provo una fitta allo stomaco e vedo la figura del ragazzo picchiato nel vicolo, di come l'avessero ridotto male per una cavolata e al suo posto comincio a vedere Walt, a terra, senza nessuno ad aiutarlo perché nessuno ha fatto in tempo ad arrivare. Mi sembra già di vedere la reazione soddisfatta di Vince che si spegne tranquillamente la sigaretta e la butta a terra mentre se ne va. I miei piedi si muovono da soli e non ho il tempo di pensare a quello che sto facendo, afferro Walt per il polso e lo giro verso di me. Non ascolto i suoi "lasciami andare" perché ormai sto premendo le mie labbra contro le sue in un bacio che nessuno dei due mai si sarebbe aspettato. Non ha nulla di romantico o dolce, niente a che vedere con un film. Provo solo una tristezza disarmante mentre mi rendo conto che Walt potrebbe scivolare via da me in qualsiasi momento e, forse, per sempre. Lo stringo ancora più forte e finalmente lui ricambia il bacio, appoggiando le sue mani sui miei fianchi mentre le nostre labbra si cercano a vicenda. Sento di doverlo salvare, proteggere, ma sono consapevole che Vince può portarmelo via quando vuole. Mi aggrappo a quell'attimo che sembra perfetto finché non ci stacchiamo e torno alla dura realtà.
–Scusa, io non..– mormoro. Lui mi passa una mano sulla guancia e mi sposta leggermente i capelli dietro l'orecchio.
–Ora è sicuro che non me ne vado.

 
 


Saalve! Eccomi qui con il capitolo nuovo. Che ve ne pare? Ve lo aspettavate? Io sinceramente no, infatti mentre lo scrivevo non avevo idea di come avrei fatto andare le cose dopo, però intanto eccoci qua. Il personaggio che vi lascio oggi è il buon vecchio Vince. Oggi sono parecchio di fretta quindi se ci dovessero essere degli errori nel capitolo o non si dovesse vedere la foto, ditemelo che appena riesco  correggo, intanto lasciatemi come sempre un parere nelle recensioni. Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che seguono la storia, che recensiscono e che la mettono nelle preferite, vi adoro! Me ne vado, un bacio, Annie.


 

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Capitolo 9
*** Hurt him, save him. ***


Hurt him, save him.
 
 
Because maybe I don’t wanna lose a lover and a friend in one night,
if that’s right.
I shouldn’t have fucked with your mind,
and your life,
too many times.
Everything you are, Ed Sheeran.
 
 
Ora è sicuro che non me ne vado.
Quelle parole rimangono sospese nell'aria mentre Walt esce dalla mia stanza e si avvia giù per le scale. Mi siedo sul letto. Non ho idea di cosa mi abbia preso, ma sono sicura di aver fatto un grosso sbaglio. Pensavo che forse, baciandolo, avrei ottenuto il contrario, magari rendendosi conto che c'è qualcuno che tiene a lui, avrebbe cambiato idea e se ne sarebbe andato. Ora, grazie a me, è ancora più convinto di restare. Brava scema, il premio "persona peggiore dell'anno" va a Cat Nicholson. Oh, taci coscienza, non c'è bisogno che sottolinei la cosa.
Mi butto all'indietro e incontro la morbidezza del cuscino mentre comincio a pensare a come uscire da questo casino. Vince e i suoi, come li ha chiamati Lynch, potrebbero attaccare da un momento all'altro. Magari, mentre me ne sto qui a pensare, stanno già cercando Walt per la loro insulsa vendetta. Comincio a pensare che mi manca il posto sul balcone che avevo trovato prima che Edward facesse il suo prepotente ingresso nella mia vita. Ora che si è stabilito in quella camera, io non ci posso più andare. Questo è un pensiero inutile, torna al vero problema. Ok, con calma. Dopo minuti interminabili di piani assurdi e azioni ninja spericolate, la conclusione mi sembra unica e ovvia: devo parlare con mio cugino.
 
Faccio un respiro profondo, esco dalla mia camera e bum, sbatto violentemente contro la figura di Edward con un braccio alzato e la mano chiusa a pugno.
–Oddio scusa!– balbetto per la sorpresa, poi mi rendo conto che è nella posizione di uno che stava per bussare alla mia porta.
–Ciao anche a te– ridacchia, abbassando la mano.
–Avevi bisogno?– chiedo, sperando di liberarmi velocemente di lui.
–Be', ho sentito un certo casino prima e volevo sapere se andava tutto bene. Ho visto Walt uscire praticamente di corsa e lanciare un calcio alla cassetta della posta, che secondo me non se lo meritava poveretta.
Oh, certo, ora giochiamo ai buoni amici che si preoccupano l'uno per l'altra.
Mi mordo il labbro.
–E' un brutto momento?– mi chiede, notando il mio gesto nervoso.
–No be', si forse, insomma.. Pensavo non fossi in casa– farfuglio. Ho davvero bisogno di una persona con cui sfogarmi, ma di sicuro non sarà Edward.
–Tranquillo, è tutto a posto. Ora scusami, ho un po' di fretta– taglio corto, passandogli a lato e scendendo le scale.
 
Entro in salotto quasi di corsa, come se volessi dimostrare a Edward che ho davvero fretta. Incontro subito lo sguardo di Lynch, stupito e forse ancora un po' arrabbiato.
–Se cerchi Morris è andato–
Non lo lascio finire.
–Ho bisogno di te. Be', di parlare con te.
–Oh, ok– ribatte lui in tono distaccato. Mi siedo sul divano di fianco a lui. Il caos che regna nel mio cervello equivale più o meno a quello che regna sul mio letto mentre decido come vestirmi prima di uscire.
–Volevo dirti che..– inizio, ma mi mancano le parole giuste. –Insomma, mi dispiace e vorrei che tornassimo amici, cioè cugini, non che abbiamo mai smesso di essere cugini ma..– Perché non so parlare?
–Mmh– mugugna lui, interessato solo al giornale che sta leggendo. Sto per crollare. Non ci riesco senza di lui. Gli strappo il giornale di mano e non gli lascio nemmeno il tempo di lamentarsi.
–Io sono qui, nel bel mezzo del mio casino creato unicamente da me per me, ti sto chiedendo solo di non essere un altro pezzettino di merda di quel puzzle di merda che ora è la mia vita. Io ho bisogno di te, ne ho sempre avuto e sempre ne avrò, lo sai benissimo– la voce comincia a traballarmi e non riesco più a trattenere le lacrime. –E sono veramente patetica perché ora sto piangendo e non avrei voluto, insomma tra poco avrò 18 anni e non posso piangere alla mia età– Stai cominciando a dire cagate, fermati. Faccio un respiro. –Ti prego, torniamo quelli che eravamo una volta, quando tutto doveva ancora succedere e tutto andava bene, perché io davvero così non ce la faccio. E se non mi parli più tu, allora nessun'altro mi impedirà di crollare.
Lynch sembra pensarci un po' su. Io ho fatto del mio meglio, ma forse non è bastato.
–Va bene– sussurro. –Ci metto qualche minuto a preparare le valigie, magari chiamo la mamma e..
–Non ci pensare neanche– ribatte, sorridendo. Sento come se il cinghiale che ho portato in spalla fino ad adesso fosse scappato. Il peso dei sensi di colpa è svanito e potrei volare attaccata a un palloncino. Gli salto addosso e lo stritolo in un super abbraccio.
–Va bene, calma– ridacchia. –Però su una cosa hai ragione– mi dice vicino all'orecchio.
–Cosa?
–Quando piangi sei patetica– ammette, scoppiando a ridere.
–Dai!– sbotto, tirandogli un pugno sulla spalla tra le risate. Il quadretto di famigliola felice, però, si frantuma in mille pezzi non appena la mia cara coscienza mi ricorda il vero motivo per il quale sono venuta qui.
–Ora, c'è una cosa che devo dirti.
–Mi preparo psicologicamente– ribatte, facendo un respiro profondo.
Mi lascio scappare un sorriso e poi torno seria.
–Prima mi è capitato di sentire quello che vi siete detti, con Walt.
–Ah, ti è capitato eh?– chiede sarcastico.
–Shh, fammi parlare. Be', mi sentivo in colpa perché se ha fatto quello che ha fatto, in parte è anche per difendere me.
–Ok, quindi?
–Quindi l'ho baciato– dico a denti stretti. La sua espressione sarebbe divertentissima se non fosse per la situazione in cui mi trovo. Si guarda intorno come per capire se scherzo oppure no.
–Tu l'hai..– si schiarisce la voce e sembra dover ancora elaborare.
–Baciato– dico al posto suo.
–Si l'ho capito– ribatte. –Ma non riesco a cogliere il collegamento con Vince e il resto insomma, tu l'hai baciato.
–Si, l'ho baciato– faccio una pausa, ma la sua espressione è chiara. Vuole delle spiegazioni e io sono qui per dargliele.
–Sapevo che doveva andarsene e che dovevo convincerlo..
–Così hai pensato di baciarlo?– mi interrompe.
–Hai finito di ripeterlo?– sbuffo. –Si. Lui mi ha detto che a nessuno sarebbe importato se l'avessero ucciso, quindi quello mi sembrava il modo migliore per convincerlo del contrario.
–E un abbraccio? Un bigliettino?
–Lynch piantala! Sono seria. E' un gran casino. Ha detto che ora ha un motivo in più per restare, ma non era quello che volevo ottenere con quel bacio.
Lynch diventa serio.
–Quindi lui..non ti piace?
La domanda mi spiazza. Non me lo sono mai chiesta, non mi aspettavo neanche di baciarlo, non l'ho mai fatto in vita mia, baciare qualcuno per prima. Il bacio mi è piaciuto, sto bene con Walt. Ma "stare bene" può portarmi ad amare?
perché me lo chiedi?
perché hai detto che l'hai baciato per convincerlo ad andarsene. Non hai detto "l'ho baciato perché lo amo alla follia è la mia vita".
Lo guardo male.
–Ok scusa, però il concetto è che se baci qualcuno non è perché lo vuoi convincere a fare qualcosa. E' perché quando sei insieme a lui non pensi ad altro, ti sembra tutto perfetto. E' la prima persona a cui pensi la mattina e l'ultima alla sera. Non puoi fare a meno di passare del tempo con lui, di scrivergli, o sentire la sua voce. Oh, e ami alla follia la sua voce.
Sono stupita dalle sue parole, così precise, come se fosse..innamorato. Lynch, quasi come se mi leggesse nel pensiero, torna in se.
–Be', questi sono solo esempi.
Clichè– ribatto.
–E.s.e.m.p.i.– sottolinea di nuovo lui. –Quindi, tu provi tutte queste cose per Walt?– mi chiede.
–Io gli voglio bene.
–Questo non risponde alla mia domanda.
–Non lo so se le provo quelle cose, insomma lo conosco da così poco..
Ci penso un po' su, sono davvero pronta ad ammettere che l'ho baciato solo per convenienza? Non mia, per il suo bene, ma rimane convenienza. Non posso averlo fatto. Mi sento davvero una stronza, così ne chiedo la conferma.
–Sono una stronza?
Lynch ci pensa su.
–No, non lo sei– E' serio. –Non lo sei perché non l'hai fatto per toglierti la voglia di farlo, o per farlo soffrire, tu l'hai fatto perché gli vuoi bene, non nel modo in cui pensa lui adesso purtroppo, ma rimane comunque un gesto che hai fatto per lui. Eri nel panico, avresti potuto perdere uno dei tuoi più cari amici, perché davvero lui è uno di quelli. Hai fatto la prima cosa che ti è saltata in mente e che ti sembrava giusta– fa una pausa e si morde il labbro. Improvvisamente un sorriso appare sulla sua faccia. Shock post–traumatico?
–Ora, però, è il momento di fare la stronza.
Lo guardo stupita mentre lui mi descrive il suo elaborato piano secondo il quale io dovrei uscire per un po' con Walt, qualche settimana, in modo da non dargli il tempo di abituarsi troppo. Poi dovrei lasciarlo, così su due piedi. Orgoglio ferito, cuore spezzato, niente lo tratterrà più in città e manterremo Walt tutto intero. Da una parte mi sembra una cosa geniale, ma dall'altra non me la sento di trattarlo così.
–Non ti preoccupare, quando poi tornerà gli riveleremo tutto e se hai scoperto che ti piace avrete il vostro "per sempre felici e contenti".
Non sono ancora del tutto convinta. Funzionerà? O Walt si butterà direttamente in mano a Vince? Lynch si accorge dei miei dubbi.
–Fidati di me. Feriscilo per salvarlo.
Annuisco lentamente mentre comincio già a sentirmi in colpa per quello che sto per fare. In fin dei conti però, questa è la cosa più vicina a una soluzione che sono riuscita a trovare.
 
Lynch deve uscire per raggiungere Morris a non-ho-capito-dove, così mi sdraio sul divano con un bel the e inizio a sfogliare la prima rivista che mi capita sotto mano. Sto giusto cominciando a rilassarmi, quando fa il suo ingresso Edward con una giacca nera in mano.
–Io esco– quasi urla.
–Novità– sussurro, ma lui riesce a sentirmi.
–Ti crea problemi se esco? Ti manco troppo?– mi prende in giro. Abbandono l'articolo sulle "gambe più belle delle star" per concentrarmi su di lui.
–Mi sto per mettere a piangere– dico sarcastica.
–Mi sembra che tu abbia già pianto abbastanza, per oggi– ribatte.
Brutto sch-
Afferro la rivista e gliela lancio addosso.
–Taci Edward, almeno io ho dei sentimenti.
–Odio quando mi chiami Edward.
–Ora me lo segno, Edward.
–Piantala.
–In giardino?
Dire che mi fulmina con lo sguardo è troppo delicato. Mi uccide, mi butta in un fiume e poi mi uccide di nuovo con lo sguardo.
–Ok, allora ti chiamerò anche io col tuo nome completo– ribatte lui.
–Tanto non lo sai.
–E Walt lo sa? Potrei chiederlo a lui, dato che siete tanto in confidenza. Il suo credo sia Walter, o forse è Walt e basta. Spero che sia così, perché Walter mi ricorda il water nel cesso, hai presente?– commenta sarcastico.
Rimango scioccata. Cosa sa? Cos'ha sentito? Resisto all'impulso di tirargli il vaso dei fiori finti che sta  sul tavolino.
–Taci Sheeran– dico, alzandomi.
–Ora sei passata al cognome? Come sfuma in fretta la nostra amicizia– Potrei tagliare il suo sarcasmo a pezzettini in questo momento.
–Divertiti– urlo, correndo su per le scale e sbattendo scenicamente la porta di camera mia. Non credo che cenerò stasera.

 
 
Eccomi qua con un nuovo capitolo, cosa ne pensate? Come al solito mi farebbe molto piacere ricevere il vostro parere in una recensione, negativa o positiva che sia. Oggi non vi lascio personaggi perché ho un problema con il pc :(
 In tutto ciò, dato che non sono già abbastanza incasinata, ho iniziato una nuova storia che trovate sulla mia pagina. Si chiama Oblivion ed è una storia un po’ diversa da ciò che scrivo di solito, se ci fate un salto mi fareste moooolto felice.
Bene, ho detto tutto, un bacio, Annie :3

 

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Capitolo 10
*** Stay. ***






Stay.
 
I’ve been feeling everything.
From hate to love,
From love to lust,
From lust to truth.
I guess that’s how I know you.

-Kiss me, Ed Sheeran.
 
Mi sveglio verso le due a causa del brontolio insistente del mio stomaco vuoto. Decido che la cosa migliore da fare è mangiare qualcosa, anche perché ho davvero un sacco di fame. Infilo i piedi nelle ciabatte e mi dirigo silenziosamente verso la cucina. Le luci sono tutte spente al piano di sotto, immagino che i ragazzi siano già a letto. Prendo la vaschetta del gelato dal freezer e un cucchiaino, poi torno su. La vaschetta gocciola e mi rendo conto che solo il pensiero di mangiare sul letto era assurdo. Non ho voglia di rimanere giù da sola, così comincio a pensare a dove potrei appoggiarmi. In quel momento mi salta all'occhio che la porta della camera di Edward non è chiusa e il letto è vuoto. E' Sabato: è più che normale che non sia ancora tornato dal pub. Mi chiedo se sono convinta che sia una buona idea, ma poi mi dico che non farà male a nessuno. Appena vedo la sua macchina arrivare, me ne torno in camera mia. Così mi avvio verso la sua stanza. E' quasi completamente vuota, fatta eccezione per l'armadio e il letto. Di Edward ci sono solo la chitarra buttata sul letto e un paio di magliette in terra. Il profumo del rosso è diffuso per tutta la stanza e mi rendo conto di adorarlo. E' così fresco e delicato.
  Apro la finestra e mi siedo al mio solito posto, con le gambe a penzoloni giù dalla ringhiera. Mi è mancata la sensazione che si prova qui, come se il mondo fosse sotto i tuoi piedi. Posso vedere la strada e le stelle. In strada di interessante non trovo niente, così comincio a guardare verso l'alto, gustandomi il mio gelato delle due. La luna è splendida stasera, non è ancora del tutto piena ma la sua luce è intensa e illumina tutto e tutti. Vedo il carro maggiore, l'unica costellazione che riesco a riconoscere. Le stelle non sono tante, in realtà non sono tante solo perché c'è troppa luce e quindi non le vedo, ma continuo comunque ad essere affascinata da loro. Ho appena finito il cioccolato e sto per passare alla stracciatella quando una voce tuona alle mie spalle.
-Cosa ci fai qui?
Mi giro e scorgo la testa rossa di Edward che mi guarda da dietro il vetro della finestra, tenendosi appoggiato alla maniglia. E' palesemente brillo. Mi tiro su di scatto facendo cadere il cucchiaino giù dal balcone con un sonoro pling. Ops.
-Scusa, non volevo spaventarti- mormora. Edward così gentile? Dovrebbe essere brillo un po' più spesso.
-Scusa tu. Non volevo entrare in camera tua, solo che adoro questo posto e non ti ho visto arrivare.. Ok, me ne vado subito, scusami- mi affretto a dire.
-Ho lasciato la macchina al pub- dice. -Puoi rimanere se vuoi.
-Non mi sembra il caso- dico, imbarazzata. -Magari vuoi dormire o..
-Rimani.
Lo guardo in quei suoi perfetti occhi azzurri un po' persi a causa dell'alcol nel suo sangue, cerco qualche scintilla di ironia o strafottenza, ma non ne trovo, così accetto di rimanere ancora un po', nonostante sia senza cucchiaino.
  Ci sediamo entrambi sul bordo del balconcino e lasciamo penzolare le gambe. Lui beve la sua birra e io fisso la mia vaschetta.
-Come pensavi di mangiarlo?- mi chiede, alludendo al gelato.
-Oh be', il cucchiaio ha deciso di suicidarsi- dico, indicandolo sull’asfalto sotto al balcone. Edward ride, è forse la prima volta che lo sento ridere e la trovo una cosa assolutamente adorabile. Mi tira un colpetto con la gamba e io mi sposto abbastanza velocemente.
-Mi stai evitando, vero?- chiede, fissando un punto indistinto davanti a lui.
-Non mi sembra che sia scritto da qualche parte che dobbiamo essere amici per abitare sotto lo stesso tetto.
Annuisce leggermente e si sbilancia un po' all'indietro, tenendosi su con le braccia tese.
-Volevo chiederti scusa per quello che ti ho detto in questi ultimi giorni..
Mi tornano in mente le sue parole, come mi avesse definito una bambina paranoica e miserabile. Mi sta davvero chiedendo scusa? O è solo un effetto della centesima bottiglia di birra della serata? Mi guarda, aspettando una risposta.
-Sai cosa me ne faccio delle tue scuse..- dico, più duramente di quanto volessi. Tanto non si ricorderà nemmeno di questa chiacchierata, non serve preoccuparsi. Annuisce nuovamente e torna a fissare di fronte a lui. Dopo qualche minuto di silenzio riprende a parlare.
-Vuoi sapere come sono andate veramente le cose in quel vicolo?
Lo guardo stupita per la sua improvvisa voglia di sincerità.
-Vai, raccontami la tua versione dei fatti. Magari riuscirai a farmi cambiare idea sul tuo conto.
-Cosa mi dai in cambio, però?- dice con voce profonda.
Lo fulmino e lui scoppia a ridere, un po' perché è mezzo ubriaco e un po' perché è una situazione davvero comica. La sua risata mi rapisce una seconda volta e ho voglia di farlo ridere ancora un sacco di volte solo per sentirne il suono.   
-Dai, non pensare male- riprende. -Intendo una cosa alla pari, un segreto per un segreto- sussurra, avvicinandosi eccessivamente. Sento l'odore di birra che lo accompagna, insieme al suo solito profumo. Lo spingo delicatamente al suo posto prima di rispondere.
-Dovrei bere più di qualche birra per rivelarti il mio segreto- dico, misteriosa.
Lui mi passa la sua bottiglia e ne bevo un paio di sorsi prima di restituirgliela. Mi sta fissando. Lui e quei suoi occhi tanto meravigliosi. Mi perdo a percorrere mentalmente il contorno di un ricciolo ribelle che gli spunta da dietro l'orecchio e, sotto la luce della luna, trovo che Edward sia dannatamente bello. Devo andarmene, ho già fatto troppi guai per oggi.
-Dovrai corrompermi con qualcosa di più forte, mi dispiace Edward.
-Non chiamarmi Edward- mugugna distrattamente.
-Hai qualcosa tipo un secondo nome?- gli chiedo.
-Ho qualcosa tipo un soprannome: Ed- ribatte.
-Bene- sbuffo e faccio per alzarmi, ma lui mi blocca.
-Ok, ok- dice, mentre ride. -Mi chiamo Edward Christopher Sheeran.
-Ok- dico, rimettendomi seduta. C'è un'altra pausa di silenzio, poi mi fa la domanda che speravo non facesse.
-Cosa c'è tra te e Walt?
Mi mordo il labbro e fisso il cucchiaino in terra sotto di noi. E' meglio per tutti se gli faccio credere che stiamo insieme, perché in fondo è così, no?
-Walt..be' Walt mi piace- faccio una pausa. -Credo proprio di dover andare, ora- dico, alzandomi. -Saranno le due passate e prima o poi domani mi dovrò svegliare.
-Ok, buonanotte Cat.
-Buonanotte Christopher- dico, uscendo dalla stanza. Faccio in tempo a sentire il rosso scoppiare a ridere e lamentarsi su quanto io sia scorretta prima di chiudere la porta alle mie spalle.
Ma cosa c'è tra me e Walt?
 
-Fallo!
-Non ci penso neanche.
-Devi farlo!
-No!
Lynch sbuffa e mi tira il cuscino in faccia.
-Invia quel messaggio.
-Non dirò a Walt che lo bacerei sotto la luna piena, fa tanto pervertita.
-Hai idee migliori?
Stringo gli occhi. So che ha ragione, ma non posso fare una cosa del genere.
-Ok, dammi quel telefono- sbotta Morris, che è rimasto zitto fino ad ora. Cancella il testo del messaggio e scrive qualcos'altro per poi ripassarmi l'apparecchio. Leggo il contenuto e schiaccio invio.
-Menomale che esisti- dico al biondo, facendo la linguaccia a Lynch.
-Fammi vedere- ribatte mio cugino. Gli passo il cellulare.
-Quello di ieri è stato il miglior Starbucks di sempre. Sei geniale, Mo', davvero.
-Lo so- ribatte Morris, soddisfatto.
Scuoto la testa, io adoro questi due ragazzi.
La risposta non tarda ad arrivare.
-Oh oh-scherza Lynch.
-Dammi quel telefono- e mi butto addosso a lui per prenderglielo di mano.
 
Oggi potremmo fare il bis. xo
 
Credo di essere arrossita.
-Non p..
-Accetta- mi anticipano quasi in coro i ragazzi. Mi mordo il labbro mentre continuo a fissare lo schermo luminoso. Sbuffo e digito velocemente una risposta.
 
Da Starbucks alle cinque. xoxo
 
-Perfetta!- si esalta Lynch appena gliela leggo.
-Solo perché me l'avete chiesto voi, che sia chiaro- concludo, cacciandoli fuori dalla stanza.
 
Sono le quattro e venti e io sono ancora in pigiama, dopo che mio cugino mi ha bocciato la maggior parte delle cose che avevo proposto. "Non stai andando a buttare la spazzatura" o "quella va bene giusto per asciugare i vetri" sono le sue critiche preferite. Alla fine decidiamo quasi pacificamente per un paio di pantaloncini corti a vita alta e una canottiera bianca con dei fiorellini, che adoro. Mi trucco alla meglio e cerco di coprire quello schifo di occhiaie che mi sono ritrovata stamattina, poi infilo le Converse e scendo le scale.
-Sono pronta!- urlo, mentre caccio dentro la borsa dei soldi, i miei occhiali e il cellulare. Nessuna risposta. Dove sono finiti tutti? Sento dei rumori in giardino, qualcosa di gracchiante, come un ferro che viene graffiato, poi la porta si apre.
-La macchina non parte- dice in tono grave Lynch, entrando.
-Oh, che peccato- Mai stata così sarcastica. -Scrivo subito a Wal..
-Avete bisogno di un passaggio in città?- si intromette Edward, spuntando alle nostre spalle mentre mastica una caramella con noncuranza. 
-Si! Lei si!- quasi urla mio cugino, tornato improvvisamente super felice. Quanto odio quel rosso.
-La tua macchina non è al pub?- chiedo, speranzosa.
-Sono andato a prenderla stamattina- ribatte lui con un sorriso odioso stampato sulla faccia.
-Grandioso!- esclama ancora Lynch. Lo fulmino con lo sguardo. Non me la sento di fare del male a Walt. Non credo che riuscirò a baciarlo o comportarmi come se stessimo insieme, consapevole di quello che lo aspetta. Alla fine, però, mi arrendo all'idea che deve per forza essere una buona soluzione.
 
-Dove ti porto?
-Davanti a Starbucks, ma non ho fretta- dico, guardando l'orologio. Mancano ancora venticinque minuti all'appuntamento.
-Allora non ti dispiace se ci fermiamo in un posto, prima?
-No, figurati- ribatto, concentrandomi sul cemento fuori dal finestrino. Odio questa situazione e odio mio cugino per avermici messa dentro.
-Vai da Starbucks sola? Gran botta di vita- mi chiede Edward. Perché non si limita a guidare e tacere?
-Con Walt- rispondo, quasi felice di poterglielo sbattere in faccia.
-Mmh, capisco- e mi fa un sorriso sarcastico. Lo preferivo brillo.
  Il resto del viaggio è silenzioso, grazie al cielo. Edward si limita a canticchiare qualcosa, ma io sono troppo impegnata a pensare a come comportarmi con Walt anche solo per ascoltarlo e vedere se canta davvero così bene.
Ci fermiamo dopo poco davanti a un negozio di dischi ed entriamo. Edward afferra un paio di cd e me li mostra.
-Kodaline.. Li conosci?
Annuisco. Credo di aver sentito un paio di loro canzoni e non sono niente male.
-Brava ragazza.
Evito commenti su quello che ha appena detto.
-E i Bastille?
-Dove pensi che viva, scusa?
Apre la bocca per rispondere, ma poi i suoi occhi incontrano qualcosa fuori dal vetro del negozio e si ferma.
-Scusa un attimo.
-Dove..
-Cat, se ti chiedessi di rimanere qui lo faresti?
Decido di ascoltarlo, il suo tono lascia intendere che c'è qualcosa che lo preoccupa. Il rosso esce dal negozio e io inizio a passare il dito tra i numerosi cd per vedere se c'è qualcosa che mi potrebbe interessare. Dopo dieci minuti, di Edward ancora nessuna traccia. Scivolo vicino alla vetrina e guardo all'esterno, ma non lo vedo da nessuna parte. Pago il mio cd di Passenger e mi dirigo verso la macchina. Alcune voci attirano la mia attenzione da un angolo della strada.
-Non posso farlo- è la voce di Edward.
-Si che puoi.
-No che non posso- urla in risposta, poi torna ad abbassare la voce. -Ci sono stati dei problemi.
C'è una pausa di silenzio e ne approfitto per avvicinarmi ancora un po' in modo da vederli. Dovrei farmi i fatti miei, ma io ho un appuntamento. Edward e il suo amico potranno decidere anche un altro giorno quello che il rosso può e non può fare. Finalmente riesco a vederli. Sheeran mi da le spalle e parla con un ragazzo moro e riccio con un dilatatore enorme all'orecchio sinistro e un tatuaggio che gli spunta dal collo della maglia blu. In quel momento riprende a parlare. 
-Vince non ne sarà per niente felice. Lo sai questo, vero Sheeran?- poi si blocca con gli occhi puntati su di me. Vince? Quel Vince? Oddio. Scuoto la testa, anche se è ovvio che ho sentito quello che dicevano. Edward si gira e comincia a venire verso di me per poi spingermi dentro la macchina.
-Ti avevo chiesto di rimanere dentro- tuona, mentre accende il motore. L'ho fatto arrabbiare, ma ho bisogno di una risposta.
-Vince? Vincent? L'ex cantante?- sbotto.
-Non avresti dovuto sentire!- urla lui, in risposta.
-Lavori per lui?
Silenzio. La sua mascella si contrae mentre tiene gli occhi fissi sulla strada.
-Edward! Lavori per lui?
Annuisce quasi impercettibilmente. Spalanco la bocca e lo rivedo in quel vicolo e dietro di lui il ragazzo col cappuccio che lo chiama. Improvvisamente mi ricordo di quei grigissimi occhi, così vuoti da far paura, e tutto si collega nella mia testa. Vince e i suoi ti ammazzeranno.
-Lasciami qui- mormoro.
-Non fare la stupida ora.
-Lasciami qui!- Sto urlando. Non si ferma.
-Non ci sto in macchina con te! Lasciami qui.
-Cosa vuoi che ti faccia, scusa? Sono lo stesso di prima.
Vede che non ho intenzione di ascoltarlo e parcheggia a lato della strada. Scendo in un millesimo di secondo dalla sua macchina. Manderò un messaggio a Walt e gli chiederò di venirmi a prendere.
-Dai, torna qui- cerca di fermarmi lui. 
-Cat, per favore!
Ho bisogno di risposte, così mi giro e lo fisso.
-Mio cugino lo sa?
Scuote la testa. Mi avvicino leggermente per non urlare, non voglio dare spettacolo alla gente che passa in macchina.
-Quindi tu sei entrato nella band per..tenermi d'occhio? Te l'ha detto Vince?
-Vince non sa che ci hai visto.
-Non lo sa?
-Non l'ho detto a nessuno- fa una pausa. -Insomma, guardati. Sei la persona più mentalmente instabile che io conosca, non sei pericolosa neanche per una formica. Vince ha altri problemi.
Mentalmente instabile, how funny.
-Giusto così- dico abbastanza scocciata, e mi giro di nuovo per arrivare il più possibile lontano da lui. Quello che dice dopo, però, mi fa bloccare nuovamente.
-Cat. Sono io che devo occuparmi di Walt.





Saaaalve a tutti! Eccomi qua con un nuovo capitolo. Scusate se ci ho messo tanto, ma tra la vacanza e i problemi a internet, questo proprio non voleva uscire dal mio computer.
Detto questo, è un po' più lungo di tutti gli altri capitoli perchè ho deciso di unirne due, altrimenti uno dei due sarebbe diventato troppo corto. Spero di non aver sbagliato, ero molto indecisa. Ringrazio ancora tutti quelli che continuano a seguirmi nonostante io sia sempre in ritardo e tutti quelli che recensiscono e mettono la storia nelle preferite/seguite/ricordate: siete la mia gggioia :3 
Inoltre, oggi aggiorno anche la mia altra storia, Oblivion, che è appena nata ma che mi sta già creando un sacco di problemi (no scherzo, in fondo le voglio bene). Se volete fare un salto a leggere anche quella sarei molto felice, la trovate sulla mia pagina :)
Ora mi dileguo Come sempre il vostro parere mi interessa molto, fatemi sapere. Un bacio, Annie :3

 

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Capitolo 11
*** Goodbye. ***





Goodbye.
 

I didn’t mean to break  your heart,
I was just lonely.
-Everything you are, Ed Sheeran.
 
 
-Cat, sono io che devo occuparmi di Walt.
Quelle parole sono una doccia fredda. Mi giro di scatto e lo guardo negli occhi, intensi e azzurri come sempre. Non ci posso credere. Non ci voglio credere. Tutto quello che sta succedendo è un immenso errore. Sono ancora in quello schifoso centro di recupero e sono imbottita di farmaci. Domani mattina l'infermiera Terry tornerà ad aprire le tende della mia schifosa finestra con quel suo schifoso sorriso e mi chiederà come mi sento. Mi sento da schifo, se proprio vuole saperlo.
Non dico niente. Mi limito a guardarlo mentre si crogiola nella sensazione che gli ha portato la sua confessione.
-Ho detto..
-Ho capito cos'hai detto- sbotto. Non posso piangere davanti a lui e non lo farò. Rimando indietro le lacrime e quell'insulso pensiero di mettermi a urlare in mezzo alla strada, anche se mi farebbe sentire molto meglio. Edward contrae la mascella. La tensione nell'aria è a livelli critici.
Prendo un respiro e rompo il silenzio.
-Solo.. Quando avresti intenzione di.. Insomma..- chiudo gli occhi mentre aspetto la risposta. 
-Non lo so.
-Quindi oggi non farai niente?
-Di sicuro non finché ci sarai tu in giro con lui.
-Ah.. Rassicurante- prendo una ciocca di capelli e comincio a attorcigliarla nervosamente intorno all'indice. -E come fai a sapere che non dirò niente a nessuno?
La mia domanda sembra coglierlo di sorpresa, ma ci mette poco a riprendersi.
-Lo so e basta.
Dal suo sguardo capisco che è molto meglio se la smetto di fare domande. Do un'occhiata veloce all'orologio: cinque meno cinque. 
-Ok, portami da Walt.
 
Non appena appoggio le converse sul marciapiede mi sento come se potessi riprendere a respirare. Il viaggio è stato un silenzioso incubo. Walt è nello stesso posto sul ponte sopra al Tamigi. Non appena mi vede mi saluta con la mano, poi si avvicina alla macchina.
-Ehi Ed!
-Walt. Come andiamo?
Non ci posso credere, come fa a fare così? Come se niente fosse?
Sento il bisogno insano di tirare un calcio al piccione che passeggia tranquillo davanti ai miei piedi.
-Be', divertitevi voi due- conclude Ed, sgommando via alla velocità della luce.
-Ehi tu!- riprende Walt, dirigendosi verso di me e avvolgendomi in un abbraccio. E' esattamente quello che mi ci voleva. Lo stringo più forte che posso.
-Così mi stritoli- ridacchia lui, staccandosi da me e stampandomi un leggero bacio sulla guancia. -Non credevo di mancarti così tanto.
Mi sforzo di sorridere mentre i miei neuroni elaborano come mettere fine a tutta questa storia.
 Entriamo dentro allo Starbucks e ci sediamo in uno dei tavolini dopo aver ordinato due frappuccini, il mio con una montagna di panna montata per annegare i miei problemi.
-Va tutto bene?
-Mh, certo- Conta fino a cinque.
-Sei..strana. Hai dei pensieri?
-Non sono strana- e abbozzo una faccia offesa poco credibile. Scoppiamo a ridere. Gioca la carta, ora o mai più. -E' che mi sei mancato.
Sorride e si allunga per prendermi la mano. E' una cosa che odio perché quando sono in imbarazzo le mani cominciano a sudarmi, così la stacco velocemente.
-Fa caldo qui dentro vero? Andiamo da qualche altra parte? Al parco per esempio?
Lo afferro per un braccio e lo trascino verso l'uscita senza dargli il tempo di ribattere.
-Avresti dovuto prenderlo decaffeinato- osserva, riferendosi al mio frappuccino.
Passeggiamo per un po' intorno al laghetto delle anatre. Walt è di ottimo umore e riesce a strapparmi qualche risata. Non appena finiamo i nostri frappuccini decidiamo di sistemarci all'ombra di un albero enorme, un po' isolato, in modo da non avere tra i piedi bambini strillanti e cani sbavanti. Sembriamo una di quelle coppiette felici che si vedono nei film: lui seduto con la schiena contro al tronco e io di fianco, con la testa appoggiata alle sue gambe.
-L'hai detto a Lynch?- mi chiede, mentre gioca con una ciocca dei miei capelli. Lo guardo e lui si sistema un ciuffo moro che gli è caduto sulla fronte. La camicia azzurra che indossa si intona veramente bene con il colore ambrato dei suoi occhi e non ho fatto a meno di notare che ha attirato gli sguardi di molte ragazze durante la nostra passeggiata. Mi sento quasi privilegiata a potergli tenere la mano, a differenza di tutte le altre. Come farò?
-Di me e te? Si, ieri.
-E?
-Niente, ha detto che è felice e.. Non conosceva questo tuo lato.
Si tira un po' più su.
-Che lato?- mi chiede, sorridendo.
Mi accoccolo un po' più vicino a lui e mi stringe a sè con il braccio. Ridacchio.
-Ecco, questo lato.
-Oh- sbuffa, e mi lascia andare.
-No, dai- e ora sto ridendo. Grazie Walt, menomale che mi rendi la cosa ancora più difficile di quanto sia già. Grazie davvero.
-Sto davvero bene con te, sai?- mormoro, poi mi rendo conto di quello che ho appena detto. Taci disgraziata.
-Anche io, per questo non me ne andrò.
Cat, raduna tutte le tue doti teatrali, si va in scena.
Lascio finalmente libero sfogo a tutto il mio stress e la mia preoccupazione e assumo un’espressione ferita.
-Cat, che succede?
-Sono preoccupata, Walt. Per te. Non voglio che ti facciano del male, non ce la farei e..
Mi zittisce strappandomi un bacio veloce. Ok, non funziona e probabilmente non ha voglia di ascoltarmi. E' il momento del piano B.
-Walt, ascoltami- prendo il suo viso tra le mani. -Vince ha minacciato anche me, pensa che stiamo insieme e sa che sei qui. Potrebbe anche prendersela con me per farti stare ancora peggio. Se invece te ne vai, lui dimenticherà la cosa. Quante sono le probabilità che mi trovi se non ci sei tu nei paraggi? Dai, nessuna. Probabilmente non mi riconoscerebbe nemmeno. Se ti trova e tu ti difendi, potrebbe prendersela con chi non ci riesce..- concludo. Mi prende le mani e abbassa lo sguardo. Sto tremando perché questa è la mia ultima chance. Ci pensa un po' su, lo capisco dalla piccola ruga che si forma sulla sua fronte. Continua a giocherellare con le mie dita per un po', poi rompe il silenzio.
-Solo un mese.
Resisto all'impulso di brindare con me stessa per il successo che ho appena ottenuto. Sulla mia faccia si apre un sorriso enorme e gli lancio le braccia al collo.
-Grazie, grazie, grazie, grazie!- urlo e ci ritroviamo stesi sull'erba fresca.
 
 
E’ passato esattamente un giorno ed è già arrivato il momento dei saluti. Questa sera la band si fermerà a cena da noi e Walt partirà dopo cena. Ci riuniamo tutti intorno ai nostri hamburger e l’interrogatorio comincia.
-Allora, dove andrai? Hai già deciso?- chiede Mike, addentando una patatina fritta annegata nel ketchup.
-I miei hanno una casetta poco lontano da qui e partono tra due giorni, io sarei rimasto, ma viste le circostanze- mi lancia uno sguardo complice e io sorrido- credo che partirò domani mattina e loro mi raggiungeranno dopo.
-Perfetto!- si esalta Morris.
-E quando pensi di tornare?- interviene Edward, che è rimasto zitto quasi tutto il tempo della cena. Mi si gela il sangue nelle vene. Sta scherzando o cosa? Gli lancio uno sguardo e scopro che anche lui sta guardando me, con un angolo della bocca alzato che forma sulla sua faccia un sorriso insopportabile.
-Non lo so, credo tra un mese. Menomale che ci siete tu e la tua chitarra a sostituirmi- risponde Walt, tirandogli un'amichevole pacca sulla spalla.
-Io e la mia chitarra non vediamo l'ora che torni, però- ribatte il rosso. Non resisto all'impulso e gli tiro un gran calcio da sotto il tavolo, godendomi la smorfia di sorpresa e dolore che si forma sulla sua faccia l'istante dopo. Mi uccide con lo sguardo, poi torna a sorridere come se niente fosse. Io faccio di tutto per trattenermi dal ridere. Una volta che abbiamo finito di mangiare è davvero arrivato il momento di salutarci e un peso mi cala sulle spalle. Walt è salvo, tutto è andato come doveva andare, eppure..
 
-Sei stata grandiosa!- mio cugino mi riporta alla realtà e finisco di asciugare il piatto che tenevo in mano da forse dieci minuti.
Annuisco. -Grazie- e mi sforzo di sorridere.
-Mi devi raccontare come hai fatto a fargli cambiare idea così in fretta- continua lui, chiaramente esaltato all'idea di avere collaborato al salvataggio di una vita.
-Domani ti racconto i dettagli, promesso.
Cala il silenzio e Lynch comincia a canticchiare una canzone che credo sia dei Coldplay mentre lava un altro paio di piatti. Io continuo a concentrarmi su quell'improvvisa tristezza che mi ha invaso la testa, mentre gli altri sono in salotto. Qualcuno urla un'offesa ironica al povero Mars, che come al solito è l'unico che ha sempre la colpa.
-Sei sicuro che non mi piaccia Walt?- le parole mi escono dalla bocca con una velocità impressionante. Il fischiettare spensierato di Lynch si interrompe bruscamente e pianta gli occhi nei miei.
-Non sono io che devo esserne sicuro..- e mi lancia un'occhiata che potrebbe essere interpretata come complice, se non fosse accompagnata da un sorrisetto beffardo.
-Lo so, è solo che ieri siamo stati davvero bene insieme e l'idea di non vederlo più..
-E' solo un mese.
-No, è peggio!- sbotto, inzuppando le mani nell’acqua per togliere un po’ di schiuma dalle dita. -Non sarebbe una cosa intelligente comunque, insomma, io abito in Italia e lui qui, non è esattamente dietro l'angolo.
Lynch riprende a lavare i piatti mentre annuisce impercettibilmente.
-Quindi ti piace?
-Dio, non lo so.
La voce di Mike ci chiama dal salotto, Walt sta per andare via. Sprofondo in un abisso ancora più buio, mentre seguo mio cugino verso gli altri ragazzi. I classici "torna presto" e "ci sentiamo" vengono detti mentre il moro non smette di ringraziare e sorridere. Aspetto il mio turno in disparte, appoggiata allo stipite della porta, mentre mi chiedo come reagirò, quando mi rendo conto che lui ormai sta uscendo di casa. Si volta verso di me e sento il battito del mio cuore che accellera notevolmente. Mi saluta portandosi le dita alla fronte, come se fosse un saluto militare, poi esce. Rimango lì, con un'espressione stupita sulla faccia, mentre tutti si girano a guardarmi. Abbozzo un sorriso. Eh no, no no, così non va affatto bene. Sento due mani che mi si piantano nella schiena e cominciano a spingermi mentre la voce familiare di Morris mi sussurra un "vai fuori". Loro lo conoscono molto meglio di me, questo è sicuro. Non appena apro la porta lo trovo appoggiato al fianco della sua macchina con le braccia incrociate davanti al petto.
-Pensavo che non saresti venuta più- e sorride.
-C'ero rimasta malissimo- comincio a ridere, un po' sollevata che le cose non siano finite davvero così.
-Non potevo salutarti bene in mezzo a tutti. Voglio che il mio lato segreto rimanga segreto.
-Oh, ecco perché mi hai salutato come se fossi il tuo colonnello- ormai l'ho raggiunto. Mi prende alla vita e mi stringe.
-Colonnello Catherine!
-Oddio, no- mi lamento, ridendo. -Mi mancherai- aggiungo, fissandolo negli occhi. Lui annuisce semplicemente per poi baciarmi subito dopo.
-Ora vai- suggerisco, non appena ci allontaniamo. Meglio che succeda velocemente, uno strappo e via, come un cerotto.
-Vado- annuisce lui, lasciandomi un ultimo bacio leggero e salendo in macchina. -Ci sentiamo presto.
Lo guardo svoltare l'angolo e uscire dalla strada. Feriscilo per salvarlo, aveva detto Lynch, ma chi ho ferito di più. Lui o me?
 

Eccomi qua con un nuovo capitolo yeee
Non ho molto da dire, spero come al solito che vi piaccia e se avete tempo e voglia lasciatemi una recensione per dirmi cosa ne pensate :) Ringrazio tutti coloro che seguono la storia, recensiscono ecc.. Vi adoro eheh
Vi lascio il link di
Oblivion, l'altra storia che sto scrivendo e che trovate anche sulla mia pagina (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2797034&i=1)
Con il fatto della scuola non so se riuscirò ad aggiornare spesso, anche perchè siamo già pieni di compiti ed è solo il quarto giorno D: Non ne posso già più, aiuto!
Alla prossima, Annie :3

 

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Capitolo 12
*** We're not friends. ***







We’re not friends.
 
We're not, no we're not friends, nor have we ever been
We just try to keep those secrets in our lives
And if they find out, will it all go wrong?
I never know, no one wants it to.

-Friends, Ed Sheeran.
 
Rientro in casa e chiudo lentamente la porta. Alzo gli occhi e mi accorgo che tutti stanno guardando me. Stanno aspettando una reazione, qualcosa che gli faccia intuire il mio stato d'animo, ma l'unica cosa che ho voglia di fare è rimanere sola nel silenzio più completo. Così do la buonanotte e mi avvio su per le scale, raggiungendo il bagno e chiudendomi la porta alle spalle. Non ho voglia di piangere, non mi sento come se fossi stata abbandonata. Mi sento solo come se la mia vita stesse cercando risposte a domande che devo ancora farmi. Il nulla più assoluto vortica nella mia testa mentre sento dei passi pesanti alle mie spalle. Poco dopo dei colpi alla porta mi scuotono.
-Occupato- urlo, aprendo il rubinetto per far credere a chiunque abbia appena bussato che sto facendo qualcosa di utile.
-Muoviti, devo uscire!- sbotta la voce dall'altra parte. Edward.
Chiudo l'acqua e aspetto qualche secondo, poi giro la chiave e mi precipito fuori dalla porta, sbattendo violentemente contro la spalla del rosso. Butto lì un confuso "scusa" mentre continuo a camminare verso la mia camera, ma una mano mi blocca il polso.
-Non puoi evitarmi per sempre- sentenzia lui.
-Non avevi tanta fretta di uscire?
Ed ridacchia. -Sei brava a scappare dai tuoi problemi.
-Cosa ci posso fare? Ora che non c'è più Walt puoi prendertela con me. Vince sarebbe fiero del suo piccolo burattino rosso, non credi?- poi, con uno strattone, mi libero il polso e raggiungo la mia camera, sbattendo la porta alle mie spalle e lasciandomi scivolare contro di essa.
Sei brava a scappare dai tuoi problemi.
Mi costa ammetterlo, ma Edward ha irrimediabilmente ragione.
 
Sto già dormendo quando qualcuno bussa alla porta di camera mia. Se è Edward giuro che gli tiro la lampada in testa, penso, mentre mi tiro su dal letto lamentandomi.
-Ah, ma allora sei viva.
Lynch è in piedi davanti a me con un’espressione divertita stampata in faccia.
-Si, dormivo, sai.. E' notte- dico, abbastanza seccata.
-Già, ho visto- ribatte, entrando prepotentemente nella mia camera. Lancio uno sguardo sorpreso al corridoio deserto, poi socchiudo la porta e mi concentro sul mio strano cugino. Lui si guarda intorno, analizzando ogni piccolo particolare come se fosse la prima volta che entra. Appoggia una mano sulla scrivania e tira su una foto di me e Leo, il mio gatto rosso ciccione.
-Carina- commenta. Lancio un'occhiata veloce alla sveglia sul comodino.
-Lynch?- mi guarda. -Sei venuto all'una di notte in camera mia per dirmi che quella foto è carina o..- lascio la frase in sospeso.
Lui continua a guardarmi, poi riappoggia la foto e sospira, sedendosi sul letto.
-Va tutto bene?- chiedo. Lui continua a fissare il pavimento, mentre si tortura le mani. Mi siedo vicino a lui, ma non cambia niente. Il silenzio persistente nel quale siamo appena calati mi preoccupa, e non poco. Passano alcuni minuti, durante i quali lotto con me stessa per rimanere sveglia. Potrei crollare in qualsiasi momento.
-Allora..- finalmente riprende a parlare. Spalanco gli occhi, devo assolutamente rimanere sveglia.
-Dobbiamo parlare di una cosa..- continua. Silenzio di nuovo. E' snervante.
-Mi stai preoccupando. Mi sono persa qualcosa?
Ridacchia. Non l'ho mai visto così nervoso. Sembra quasi quel momento orribile nella vita di ogni adolescente, durante il quale un genitore spiega molto vagamente come nascono i bambini. Come se non fossero cose che uno, di questi tempi, impara poco dopo i dieci anni..
-Io..- inizia.
-Tu?
-Io..
In quel momento la porta si spalanca di colpo e Morris fa il suo prepotente ingresso nella camera. Se vogliono chiamare anche il resto della band improvvisiamo un concerto.
-Cavolo, Lynch, dillo e basta!- sbotta il biondo. Non ho idea di cosa stia succedendo. Non ho idea di cosa ci facciano Lynch e Morris in camera mia all'una di notte. Non ho idea di cosa vogliano dirmi. Vorrei solo poter dormire.
-Io e Morris..- un respiro profondo. Morris si schiarisce la voce.
-IoeMorrisstiamoinsieme- Lynch ha chiuso gli occhi e ha pronunciato quelle parole ad una velocità inumana. I miei neuroni non sono ancora completamente svegli e non sono sicura di aver capito bene.
-Eh?
-Stiamo insieme..- dice Morris lentamente, guardando verso il basso. Ok, avevo capito bene.
-E me lo dite all'una di notte perché..?
-Perché ci ho messo un'ora e venti a convincerlo- interviene Morris. Lynch lo guarda male.
-Ok- in questa casa non si sta mai tranquilli o è una mia impressione?
-E chi lo sa oltre a me?- chiedo, curiosa. Non vorrei sembrare delusa o altro, ho solo molto, moltissimo sonno.
Silenzio. Mio cugino sembra aver perso la parola. Morris sbuffa.
-Nessuno.
-Mh..
Elaboro tutto quello che mi hanno appena detto e improvvisamente mi sento come se mi fossi svegliata. Prendo piena consapevolezza del loro gesto. Del fatto che si siano fidati. Si siano fidati solo di me.
-Siete seri?
-Si..
Un sorriso appare sulla mia faccia. Mi alzo di scatto e abbraccio mio cugino, coinvolgendo anche Morris in un super abbraccio famigliare. Non ho idea del perché avessero così paura a dirmelo, ma si sono spiegate un sacco di cose. Stanno insieme, ma certo! Come ho fatto a non rendermene conto prima? I segnali mi circondavano. Le fughe notturne di Morris, i vari imbarazzi, il legame che c’era tra di loro..
-Te l'avevo detto che l'avrebbe presa bene- dice Morris, chiaramente sollevato. Sento Lynch ridere e mi risiedo sul letto. Mi ci vorrà un po' per immagazzinare il tutto, ma sono felice che si siano fidati di me. Fidati così tanto.
-Allora, ora voglio i particolari.
-Oddio.
-Sh. Da quanto?
-Cinque mesi.
-Condoglianze- mi rivolgo a Morris che scoppia a ridere. Lynch mi tira un pugno sul braccio.
-E dove vi siete conosciuti?
-Dio, Cat.
Zittisco nuovamente mio cugino, minacciandolo che se non collabora potrei spedirlo fuori da camera mia. Lui sottolinea che siamo in casa sua. Io lo ignoro.
-Ci siamo conosciuti ad un suo concerto- Morris indica mio cugino.
-Niente male come concerto- aggiunge il biondo facendogli l’occhiolino. Mi rendo conto che per Lynch è tutto molto più difficile di quanto non sia per Morris e anche per questo gli sono grata. Ha detto proprio a me quello che non ha avuto il coraggio di rivelare a nessun’altro. Non so se sono la persona più giusta, so solo che lui pensa di si.
Sorrido, poi mi scappa uno sbadiglio.
-Dai Lì, lasciamola dormire.
Mio cugino annuisce. Aspetto che Morris esca dalla stanza e poi lo fermo.
-Lynch, da quanto lo sai? Insomma, da quanto l'hai scoperto?
-Non lo so esattamente.. E' successo e basta credo.
Annuisco.
-Sono felice che vi siate fidati di me. E' una cosa grande da dire.. Sono davvero felice.
Lynch mi abbraccia e quasi riesco a percepire la tensione che lo abbandona lentamente.
-Buonanotte.
-Notte.
Wow, che notte!
 
***
 
L'aria è pesante.
Non riesco a vedere niente.
Anzi, una luce si è accesa davanti a me. No, aspetta, sono due.
Tonde, una di fianco all'altra.
Si avvicinano.
Mi sto muovendo?
Perché ho paura?
Le luci continuano ad avvicinarsi. E' una macchina?
No. Oddio, non riesco a fermarmi.
Aiuto.
Ci scontreremo.
Fermatevi!
Rumore di vetri.
Di nuovo il buio.
 
Mi sveglio di soprassalto col cuore che batte a mille e la fronte perlata di sudore. Era un po' che non avevo incubi, di sicuro non mi mancavano. Guardo la sveglia: sono già le otto. Menomale, tanto di dormire non se ne sarebbe più parlato. Mi alzo svogliatamente mentre maledico me stessa per essermi addormentata così tardi. Il silenzio in casa è inquietante, ma decido comunque di non dare ancora segno di vita ai ragazzi. Mi dirigo lentamente verso il bagno come una vittima dei postumi di una gran sbronza e mi butto direttamente sotto il getto d'acqua della doccia. Quando esco, circondata dal vapore caldo e da un asciugamano morbido, la giornata sembra migliore. Scendo in cucina senza fare rumore perché sono più che sicura che Edward stia ancora dormendo. Un biglietto appiccicato al frigo attira la mia attenzione: "Io e Momo siamo andati a sentire un paio di pub per questo Sabato. A dopo, L"
Non posso fare a meno di pensare che quella L mi ricorda la –A di Pretty Little Liars. Dovrei uscire più spesso.
Estraggo dal frigo il cartone del latte e ci annego dentro due o tre cucchiai di cioccolato in polvere, giusto per migliorare ancora un po' la mia giornata. Improvvisamente un rumore di vetri rotti esplode nelle vicinanze. Un flash mi fa tornare in mente il mio sogno e sento le gambe diventare disgustosamente molli. No, concentrati. Un altro colpo e sono già in corridoio. Da dove viene? Ancora uno, un po' più vicino. Giardino. Non so con quale coraggio mi spingo verso la porta d'ingresso e la apro di colpo. La scena che mi si presenta davanti è inimmaginabile. Un ragazzo sta distruggendo una macchina parcheggiata nel vialetto. La sua mazza da baseball lavora veloce mentre io mi rendo conto di aver già visto quella macchina. E' di Edward. Non so quale altra ventata di coraggio mi spinge fuori dalla porta. Fatto sta che, armata solo di una tazza di latte, mi ritrovo ad urlare "Ehi tu!" al ragazzo incappucciato. Lui si ferma e lentamente di gira verso di me abbassando il cappuccio. Una risata si fa strada nel silenzio mattutino del quartiere allo stesso modo in cui la paura si impossessa del mio corpo: lentamente e inesorabilmente.
-Non ci credo! Guarda qui chi ho incontrato.
Quegli occhi vuoti mi scrutano da lontano mentre il ragazzo butta la mazza sul prato. Vince.
Sono immobile, le parole bloccate in gola. Cosa dovrei dire?
-Passavo di qui e ho pensato di fare un salutino ad un mio vecchio amico. A proposito, Walt come sta?
Si sta avvicinando pericolosamente, mentre io indietreggio. Non dovrei fargli capire che ho paura, ma come faccio se ogni fibra del mio corpo è inevitabilmente terrorizzata?
-Lascia stare Walt- sputo, cercando di nascondere il tremolio nella mia voce.
-Calma tesoro, sono venuto in pace- dice, scoprendo i denti in un largo sorriso mentre alza le mani aperte davanti a se.
-Vedo- esclamo, dirigendo un veloce cenno della testa alla macchina di Edward.
-Non dirmi che ho sbagliato macchina..- si finge pentito. Qual è il confine tra odio e omicidio? Perché credo di esserci molto vicina.
-E' la tua?
Scuoto la testa.
-Oh, be' allora di cosa ti preoccupi?
Non rispondo. E' sempre più vicino. Ogni passo che fa verso di me io ne faccio uno indietro, e questo sembra divertirlo molto. Scoppia a ridere e mi soffia un bacio dalla mano. Mi farei volentieri un'altra doccia ora. Improvvisamente si ferma e lancia un'occhiata alle mie spalle. Sembra rendersi conto solo ora che la macchina è parcheggiata nel vialetto di casa mia.
-No- dice, allegro. -No, questa giornata sta diventando fantastica. Tu conosci Sheeran? Ma come? Abitate insieme? Tu, lui e Walt?- ride. Ride come se dovesse svegliare un intero quartiere. Probabilmente ci è appena riuscito.
Non ho intenzione di rispondere, ma il mio silenzio sembra esasperarlo. Contrae la mascella e con due grandi passi me lo ritrovo a pochi centimetri dal naso. Che qualcuno mi aiuti.
-Ok. Ascoltami bene tesoro, devi dire al caro Edward che se continua, la prossima cosa che ridurrò così- indica la macchina- sarà la sua faccia. Lui capirà, non ti preoccupare.
Mi appoggia una mano alla guancia. Vorrei davvero sputargli su quella sua faccia di merda che si ritrova. Mi sposto velocemente dal suo tocco mentre lui ridacchia e si allontana allegramente.
-Oh, non ti conviene raccontare niente a nessuno. Non vorrei rovinare il bel faccino che ti ritrovi- conclude, poi svolta l'angolo.
Sono ancora bloccata lì, incapace di fare qualsiasi cosa. Che cosa potrà mai aver fatto Edward per far reagire così male Vince? Cosa sta succedendo? Perché io non posso mai stare tranquilla? Distolgo un attimo l'attenzione dalle mie domande mentre i miei pensieri si fiondano su un unica persona. Inaspettatamente: Edward.
Corro in casa, appoggiando la tazza in cucina e sfrecciando su per le scale. Incontro in fretta la porta della sua camera e la spingo. E' chiuso. Merda.
-Edward! Edward!- comincio a chiamarlo, mentre tiro dei colpi alla porta.
-Edward aprimi! EEEEEEDWARD! Edward Christopher Shee-
-Che c'è?- sbotta lui, chiaramente contrariato dal risveglio brusco, mentre apre la porta.
I capelli arancioni disordinati che fanno venire voglia di spettinarli ancora di più. Quei dannati pantaloni del pigiama. La maglietta buttata in un angolo della stanza. Tutti particolari che mi stanno distraendo dal mio obbiettivo principale. Sveglia ragazza!
-La tua macchina.
-Cos'è successo alla mia macchina?- chiede, allarmato.
-E' arrivat-
-Chi?
-E' arrivato V-
-Chi?
-Fammi finire per carità!- sbotto. -E' arrivato Vince e l'ha sfasciata con una mazza da baseball.
-Stai scherzando!- urla, precipitandosi giù dalle scale. Lo seguo. Sono solo le nove e io sono già stanca di questa giornata.
Trovo il rosso nel bel mezzo del giardino con le mani fra i capelli, mentre impreca ad alta voce contro il 90% della popolazione mondiale. Credo che la miglior cosa da fare sia aspettare che si calmi. Una volta esaurita la scorta di offese rimane immobile in ginocchio davanti all'auto, fissando un punto nell'aria. Non so se è più preoccupato per la macchina o per se stesso. Credo che conosca abbastanza Vince da sapere meglio di tutti che questo è solo un avvertimento. Mi avvicino lentamente.
-Quando è successo?- chiede.
-Poco fa.. Facevo colazione, quando ho sentito dei rumori. Sono uscita e lui era qui che la massacrava- racconto, indicando la macchina. Lui si alza in piedi di scatto e mi guarda con gli occhi spalancati.
-Ci hai parlato?
-Si.
-Oddio, stai bene? Ti ha fatto qualcosa?
Si sta davvero preoccupando per me? O è solo sotto shock?
-Sto bene.
-Non avresti dovuto uscire. Santo cielo, guarda dalla finestra o..- si scompiglia il ciuffo arancione e serra la mascella. -Sa dove sei, sa chi sei..- sembra parlare più con se stesso che con me. -Gli hai detto che mi conosci?
-L'ha capito da solo.
-No. No, no, no, no..- continua a ripeterlo come un mantra mentre cammina nervosamente per il vialetto.
-Mi ha detto che la prossima a finire così sarà la tua faccia se-
-Se cosa?
Capisce da solo.
-Scusa, vai avanti.
-Se non la smetti di comportarti come stai facendo.. Nient'altro..
-Lo sapevo..
Continua a comportarsi come se stesse per avere una crisi di nervi, così gli propongo di tornare dentro. Si sistema su una sedia e rimane nella stessa posizione per tutto il tempo che io impiego a scaldare due fette di pane e metterci sopra abbondante nutella. Gliene porgo una, poi decido di rompere il silenzio. Tanto, ormai, mi sembra di esserci dentro fino al collo.
-Cos'hai fatto? Per farlo reagire così, intendo..
Mi studia, come se volesse capire se c'è da fidarsi o meno, poi se ne rende conto anche lui: ci sono dentro eccome. Addenta la fetta di pane.
-Ho rifiutato..- fa una pausa. -Ho rifiutato di fare del male a Walt.
Ok, questo decisamente non me lo sarei aspettato.
-Lui si è arrabbiato, parecchio. E mi ha fatto questo- sospira, poi scosta un po' la gamba dei pantaloni. Un taglio rosso di qualche centimetro si presenta ai miei occhi mentre mi copro la bocca con una mano.
-Tre punti..- ride amaramente.
-Con cosa?
-Bottiglia di birra rotta.. Efficace eh? E' stato ieri l'altro.
-Mi dispiace..- sembra non accorgersi delle mie parole.
-Pensavo gli fosse passata, invece.. Tu devi stargli lontana. Dio solo sa cosa ti potrebbe fare, ho sentito delle cose.. Non si era dimenticato di te, lui ha solo voglia di vendicarsi con la band di tuo cugino e userà ogni mezzo.
C'è una pausa di silenzio, poi alzo gli occhi e mi accorgo che mi sta guardando.
-Sei sicura che non ti abbia fatto niente?
-Mi ha detto di non dire niente a nessuno e che se lo faccessi gli dispiacerebbe rovinare il mio bel faccino.
-Un classico.. Senti, mi dispiace di averti trascinato in tutto questo.
Si sta davvero scusando? Poi mi rendo conto di una cosa: lui non ha fatto niente. Non so cosa mi prende, so solo che sento di potermi fidare. In fin dei conti,quelli nei guai siamo io e lui. Lynch e Morris devono rimanere fuori da tutta questa faccenda, servirebbe solo a mettere nei casini anche loro.
-Perché hai rifiutato?
Sa benissimo di cosa parlo. Accenna un sorriso.
-Vi ho visti al parco l'altro giorno..- confessa. -E Walt non mi ha fatto niente in generale, lo rispetto. E' un bravo ragazzo e ogni tanto a Vince qualche pugno farebbe solo bene- sorride amaramente.
-Grazie, Ed..- sorrido anche io e per la prima volta gli sono davvero riconoscente.
Ride e finisce la sua fetta di pane. Potrei lentamente decidere di riconsiderare Edward Christopher Sheeran.
 

Buongiorno gente! Buon pomeriggio in teoria ma.. ok lasciamo perdere..
Eccomi qui con un nuovo capitolo e vi devo confessare che è il mio preferito in assoluto. Iniziamo a capire che Ed non è proprio il delinquente che Cat pensava e magari riuscirà anche a farselo stare simpatico. E poi c'è la rivelazione di Lynch *parapappapaaa* ve lo aspettavate? Immagino di si ahaha comunque sia, ditemi cosa ne pensate di questa fantastica coppietta (che io adoro aw) e in generale se vi è piaciuto il capitolo, i vostri pareri sono sempre super importanti. Ringrazio le persone che seguono la storia, recensiscono e la mettono tra i seguiti/preferiti/ricordati ecc. Grazie davvero!
Ci tenevo a dirvi anche che sto pensando di cancellare
Oblivion (che è l'altra storia che sto scrivendo) perchè non ce la faccio a tenere dietro a tutte e due e rischierei di andare in esaurimento nervoso. Per chi la conoscesse, quindi, vi avviso che potreste non trovarla più anche se mi dispiace molto :(
Detto questo vi saluto, un bacio, Annie :3

 

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Capitolo 13
*** New York ***


 
        New York
 


Siamo entrambi d'accordo sul fatto che Lynch e Morris non debbano sapere niente di tutta questa faccenda, servirebbe solo a peggiorare le cose. Così lavoriamo buona parte della mattina per raccogliere i vetri rotti sparpagliati per il giardino, prima che quei due rientrino in casa.
Ed si è calmato e ha detto che porterà la macchina dal meccanico appena finiamo di sistemare, coprendo la storia con la scusa di ritiro per divieto di sosta.
Vado in cucina e prendo scopa e paletta da dietro il frigorifero, poi mi fermo a guardare la figura del rosso fuori dalla porta. La sua andatura ciondolante mi fa tornare in mentre la ferita sulla sua gamba e non posso fare a meno di sentirmi in colpa per tutto quello che sta succedendo. Non riesco più a vederlo solo come il delinquente che credevo fosse, ma rimane un interrogativo senza risposta. Cosa ci faceva Ed con gente come Vince? Posso fidarmi di lui ora?
 
Ormai è passata l'una e il mio stomaco brontola parecchio. Dei due uomini di casa ancora non c'è traccia, così io e Ed decidiamo di camminare fino al Mc Donald's più vicino per mettere qualcosa sotto i denti, dato che in frigorifero c’è solo uno yogurt scaduto e qualche barretta di cioccolato. Lasciamo sul tavolo un biglietto ricco di offese colorite riguardanti il ritardo di Lynch e Morris, poi ci incamminiamo.
L'aria è carica di umidità e un nebbiolina leggera mi picchietta la faccia di goccioline, ma si sta relativamente bene. Osservo Ed, ciuffo scompigliato e occhi persi in chissà quale angolo del mondo.
-Cosa ci facevi con gente come Vince?
Lo guardo mentre tossicchia imbarazzato e contrae la mascella.
-Niente..
-Insomma, tu non dai l'impressione di essere una persona cattiva, non come lui almeno..- insisto, mentre cerco di non inciampare sui sassi sconnessi della stradina. -Ci deve essere qualcosa che ti ha spinto ad unirti a loro.
-Tu non mi conosci- ribatte secco. Il tono amichevole di poco prima ha lasciato posto a quello sfacciato. Questa risposta dovrebbe mettermi a tacere, invece mi spinge solo a volerne sapere di più.
-Ti conosco abbastanza da sapere che sei migliore di loro.
-Chi te lo dice?
-Lo dico io.
Ridacchia nervosamente.
-Non mi conosci.. Non sono migliore di nessuno.
La sua espressione è chiara: non sta elemosinando complimenti o fingendosi umile. Lui lo pensa davvero.
-Siete diversi, Ed. Se ne renderebbe conto anche un bambino!
-Cat, smettila.
Lo sto esasperando, ne sono consapevole, ma non posso lasciare che anneghi nella sua infondata convinzione. Lui è migliore di così, non deve abbassarsi al loro livello solo perché fino a questo momento ha sempre pensato di non meritarsi niente di meglio.
-No, non la smetto. Apri gli occhi, rosso! Vince è un bastardo, ti sfrutta perché sa che può farlo.
-Vince non mi sfrutta!- sbotta lui, con un tono di voce più alto di quello che mi sarei aspettata. Una vecchietta con un foulard rosa sulle spalle borbotta qualcosa sul rispetto, mentre lancia un'occhiataccia al rosso, poi prosegue per la stradina. Un leggero venticello si alza e mi pento di aver indossato solo un paio di pantaloncini corti e una misera canottiera.
-Vince non mi sfrutta- ripete, con più calma. -E poi deve partire per New York entro Sabato per non so quali affari di famiglia. Almeno avremo un po' di pace per qualche giorno.
Sono scioccata.
-Cioè, aspetta.. Fammi capire. Tu.. Tu non vuoi reagire? Hai intenzione passare sopra a tutto?
-Sai com'è fatto Vince, non posso farci niente.
-Edward..
-Cat, basta. Lui sarà a New York e noi qui, non c'è niente di cui preoccuparsi. E nel frattempo penserò a qualcosa, ma sono affari miei..
Scuoto la testa e riprendiamo a camminare in silenzio.
-Rimani uno dei suoi burattini anche se lui è a New York. Te ne rendi conto, vero?
Io e la mia maledetta abitudine di pensare ad alta voce. Conta fino a dieci Cat, conta fino a dieci e poi parla.
Il rosso si ferma di colpo mentre un brivido mi percorre dalla punta dei piedi fino ai capelli. Siamo in un vicolo isolato, non molto lontani dal centro, ma comunque isolati. Io e lui. Nessuno nelle vicinanze. Se mi uccide ti ho voluto bene, mondo. Forse esagero, dove metterebbe il cadavere in pieno giorno?
Ed fa qualche passo verso di me mentre chiude le mani a pugno. Chiudo gli occhi, aspettandomi il peggio, quando una superficie calda mi solletica la pelle. Li riapro velocemente, appena in tempo per vedere il rosso che finisce di sistemarmi la sua calda felpa sulle spalle, per poi girarsi e riprendere a camminare. Io rimango li, incapace di muovermi, mentre mi crogiolo nel nuovo tepore che la felpa mi sta donando. Riesco a distinguere il suo profumo e mi lascio rapire dalla sua perfezione finché, finalmente, non mi viene in mente qualcosa di intelligente da dire.
Affretto il passo dietro Ed, che ormai è un paio di metri davanti a me.
-Ehm, grazie..
-Ho notato che avevi freddo.
Ridacchio imbarazzata, mentre il silenzio cala nuovamente. Il rumore dei nostri passi strascicati riecheggia per tutto il vicolo mentre il leggero venticello comincia a farsi più violento. Mi stringo nella felpa, accolta da un vortice del suo profumo. Sto perdendo la testa. Ed mi guarda e sorride.
-Mandi segnali contrastanti..
Lo guardo stupita.
-Cosa?
-Sembra che mi odi, anzi, sono più che convinto che tu mi odi. Però allo stesso tempo ti raggomitoli nella mia felpa come se fosse quella di Leonardo di Caprio. 
-Non ti odio.
Svoltiamo l'angolo e, finalmente, ci ritroviamo davanti al Mc Donald's, mentre il mio stomaco brontola in segno di approvazione.
-Io credo di si, invece.
-Ti dico di no.
Ed mi guarda, poi con un gesto improvviso mi avvicina a lui, tenendomi una mano calda sulla schiena. Siamo a pochi centimetri di distanza, i miei occhi piantati nei suoi, quasi grigi sotto la luce spenta del cielo.
-Dimostramelo- dice, con quel sorrisetto impertinente stampato sulla faccia. Sorrido a mia volta, mentre mi avvicino ulteriormente a lui. Vuole giocare? E allora giochiamo.
-Non oggi, amico- dico in un soffio, a pochi millimetri dal suo orecchio. Indugio qualche secondo sui suoi occhi e quando sento le vibrazioni del suo petto a contatto con la mia mano mentre ride, mi allontano.
 
Un clacson improvviso che suona esattamente alle nostre spalle mi fa sobbalzare.
-Ehi voi due!
Mi giro e la testa bionda di Morris sbuca dal finestrino.
-Cosa ci fate qui?
Sto pregando con tutte le mie forze che non abbiano assistito all'imbarazzante scenetta di poco fa.
-Abbiamo pensato di venire a mangiare qualcosa al Mc Donald's, dato che voi non vi facevate più vivi- dice scocciato Ed, ma Lynch e Morris sembrano assorti in un loro mondo separato.
-Sono felice per voi- ci liquida Lynch, con un tono di voce squillante e allegro, cosa abbastanza rara per mio cugino. Mi giro a guardare Ed, che però ha la mia stessa espressione confusa.
-Cosa..-
-Veloci, Ed prendi la macchina e raggiungeteci a casa. Abbiamo una grandiosa notizia!- mi interrompe Morris, sventolando il cappello rosso fuori dal finestrino mentre Lynch riparte sgommando.
-Ma..
-Noi non abbiamo una macchina..- conclude Ed al posto mio.
 
Dopo un'altro quarto d'ora abbondante di camminata, finalmente arriviamo a casa, esausti e ancora a digiuno. Non appena apro la porta un insieme di voci mi invade la testa.
-Chica mia, quanto tempo!- urla Mars, non appena metto piede in salotto. Nel giro di pochi secondi mi trovo strizzata tra le sue braccia.
-Andiamo, lasciala viva che è ancora giovane- sospira Mike mentre si alza dal divano per venirmi in contro.
-Mi siete mancati!- dico ridendo, mentre mi stacco da Mars e mi siedo su un divanetto, seguita da Ed.
-Ma non vi odiavate voi due?- sbuffa Lynch, indicandomi. Solo ora mi rendo conto di avere ancora addosso la felpa del rosso. Merda.
-E lo facciamo tutt'ora- ridacchia Ed, facendomi l'occhiolino mentre mi circonda con un braccio. Esiste un modo per scomparire dalla faccia della terra? Perché vorrei conoscerlo proprio ora.
-Mh vabhe. Allora, la grande notizia- riprende noncurante mio cugino.
-Abbiamo parlato con alcuni organizzatori, ci hanno detto che apprezzano quello che stiamo facendo e che ci hanno sentito suonare al Red Lion, sono rimasti molto impressionati e..
-I RED LIONS VANNO A NEW YORK!- urla Morris, facendo sobbalzare tutti i presenti. Mio cugino gli lancia un'occhiataccia.
-Non mi tenevo più- si scusa il biondo, ridendo.
L'esplosione di gioia invade la stanza, mentre io già mi immagino la nostra band di sbandati per le strade di New York, finché non mi accorgo dello sguardo preoccupato di Ed puntato nei miei occhi. E’ li che collego.
Stiamo andando da Vince.
      -Be’, io credo che andrò in camera mia, sono.. molto stanco- indugia Ed, guardandomi preoccupato.
Una volta uscito, tutti gli sguardi sono puntati su di me.
-Ehm..
-Non posso lasciarvi soli un minuto eh?- scherza mio cugino. Rido imbarazzata, perché non avrei comunque niente di meglio da rispondere.
-Credo che lo seguirò, sono molto stanca anche io- dico, sottolineando il tutto con uno sbadiglio mal riuscito. So di non aver convinto nessuno, ma sgattaiolo comunque fuori dalla sala, cogliendo all’ultimo le parole di Morris: “certo che sono strani quei due” seguite da uno shh generale.
Non faccio in tempo a svoltare l’angolo che Ed mi afferra per un braccio, dicendomi di fare silenzio mentre mi fa uscire dalla porta sul retro della cucina.
-Questo è un bel problema! Questo è un gran bel problema..-sussurra.
-New York è grande, Ed. Non lo incontreremo.
-Lui lo sa.
-Sa cosa?
-Lo verrà a sapere di sicuro. Non saremo noi a incontrare lui, sarà lui a cercare noi.
Quelle ultime parole mi fanno venire i brividi. Infilo le mani nelle tasche della felpa di Ed, mentre mi mordo un labbro. Immagino che mantenere la calma sia la cosa migliore da fare, anche perché non vedo molte alternative. Ed è già abbastanza agitato per tutti e due.
-Non devi dire niente a nessuno, non lo verrà a sapere.
-Ti ho cacciato io in questo casino- dice, guardando verso il basso. Non voglio che si senta in colpa per cose che non ha fatto. Alza la testa e i nostri occhi si incontrano, mentre io abbozzo un sorriso.
-Non è colpa tua- lo rassicuro, appoggiandogli una mano sul braccio.
Lui sorride a sua volta.
-Ti sta dannatamente bene il verde- dice, mentre sulla mia faccia si dipinge un sorriso idiota.
Cosa mi sta succedendo?

 
Chiedo umilmente scusa per questo mega iper ritardo. Molte di voi probabilmente mi avranno data per dispersa, uccisa dagli orsi polari, insomma, mi dispiace davvero tantissimo. Questo capitolo è stato un vero e proprio parto. Prima non avevo idee, poi quando mi sono venute non mi piaceva mai quello che scrivevo, poi ci si è messa anche la scuola che occupa la maggior parte del mio tempo. Insomma, sono un disastro. La prossima volta che ci metto così tanto ad aggiornare siete autorizzate a scrivermi messaggi minatori nella casella postale, così magari mi sveglio. 
Ringrazio tutti quelli che avevano riposto un minimo delle loro speranze in me, credendo al mio ritorno, davvero vi adoro! 
Come dicevo prima è un capitolo insipido, ma spero che il prossimo vi ripaghi :) 
Detto questo mi dileguo, e come sempre dico che mi farebbe molto piacere un vostro parere dalle recensioni. 
A presto, un bacio, Annie :)

 

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Capitolo 14
*** Autumn Leaves ***


 
Autumn leaves

 
Gli avvenimenti della giornata continuano a sfilare inarrestabili nella mia mente mentre cerco di prendere sonno. La macchina di Ed, la ferita di Ed, la felpa di Ed, le mani di Ed sulla mia schiena. Ed, Ed, Ed.. Cat smettila. Scuoto la testa. Come posso fare una cosa simile a Walt? Aspetta, ma io non ho ancora fatto niente.
Lancio un'occhiata alla sveglia sul comodino e mi rendo conto che sono sdraiata nella stessa posizione a guardare il soffitto da più di un'ora. Rimango li, incapace di fare nulla, finché un'idea non mi balena nella mente. Con un gesto rapido afferro il telefono e digito un messaggio.
 
Non riesco a dormire..
 
Invio e subito blocco lo schermo, prima di avere il tempo di pentirmene. Anzi, forse me ne sono già pentita. Stringo il cellulare tra le mani mentre spero che il messaggio si sia autodistrutto o qualcosa del genere. Invece, dopo poco, vibra.
 
Mi sono perso il passaggio in cui hai deciso che sarei diventato il tuo analista.
 
Già, che stupida. Cosa mi aspettavo? Mandare un messaggio a Ed nel cuore della notte non avrebbe risolto i miei problemi. Dovrei andare a lezioni di vita da qualcuno meno stupido di me.
Riappoggio il cellulare sul comodino, ma in quell'istante vibra di nuovo.
 
Neanche io dormo, comunque. Cos'hai voglia di fare?
 
Un sorriso ebete mi si stampa sulla faccia mentre scatto in piedi e mi infilo un paio di jeans, una maglia e una bella felpona pesante. Tre minuti dopo sono fuori dalla porta e sto scendendo le scale insieme a Ed, nel modo più silenzioso possibile.
-Non sapevo che portassi gli occhiali- noto, non appena usciamo di casa.
-Se è per questo, non sapevo nemmeno io che anche tu li avessi.
-E' per mascherare le occhiaie e il fatto che sono struccata.
-Lasciami dire che non funziona più di tanto.
Scuoto la testa e gli tiro una gomitata, al che lui scoppia a ridere. Ne avevo bisogno, non so per quale motivo, ma è una cosa di cui sono sicura. Forse l'unica.
-Allora, dove stiamo andando?- chiedo, notando la custodia nera della chitarra di Ed caricata sulla sua spalla.
-Hyde park.
Tiro fuori il cellulare e guardo l'ora. Sono le due e quindici, ma non ho ancora un briciolo di sonno.
-Quello lo dai a me.
-Cosa?
-Il cellulare, staccati dal mondo per una volta. Ti farebbe bene.
-Ma potrebbe- non faccio in tempo a finire che, con un gesto veloce, Ed si appropria del mio cellulare, lo spegne e se lo infila in tasca.
-Staccati.dal.mondo- sillaba, con un sorrisetto stampato in faccia.
Annuisco.
-Ok, hai ragione.. Hai ragione- ridacchio.
 
Il resto del tragitto è silenzioso. Arriviamo al parco in quindici minuti buoni di camminata, e quando Ed stende la coperta che si è portato dietro, mi ci butto sopra senza pensarci due volte. Il rosso si siede di fianco a me e tira fuori due bottiglie di birra, le stappa e me ne offre una.
Nell'aria c'è un leggero profumo di erba tagliata e il cielo è talmente limpido che le stelle si distinguono come se fossero disegnate su un cartoncino nero. In quel momento Ed tira fuori la chitarra dalla custodia e inizia a cantare.
 
I wanna be drunk when I wake up
on the right side of the wrong bad.
 
Scuoto la testa e rido, mentre alzo in aria la bottiglia di birra come per brindare.
 
And every excuse I made up
tell you the truth I hate
What didn't kill me
it never made me stronger at all.
 
Lo guardo, i muscoli del braccio destro tesi mentre muove il plettro. Gli occhi bassi, concentrati. Le mani precise che suonano la chitarra come se fossero nate per questo. Due ciuffi di capelli rossi si appoggiano sulla sua fronte, ma Ed non sembra accorgersene.
 
I'm sat here, whishing I was sober
I know I'll never hold you like I used to.
 
Un brivido mi percorre la schiena mentre ricordo l'abbraccio di stamattina.
 
Oh cold days Coldplay's out like the band's name
You know I can't heal thing with a handshake
 
Questa canzone è così sua.
 
You know I can change, as I began saying
You cut me wide open like a landscape
Open bottles of beer but never champagne..
 
Finisce la canzone, poi appoggia la chitarra di fianco a lui e si sdraia. Mi sdraio anche io.
-Sei davvero bravissimo.
-Avevi dubbi?
-Non sai quanti.
Il rosso mi guarda e mette il broncio, così scoppio a ridere.
-Allora Cat- beve un sorso di birra. -Mi vuoi spiegare il significato di quello strano ma bellissimo ciondolo che ti vedo sempre al collo?
Lo guardo, stupita dalla sua domanda.
-Cosa c'è?- ridacchia.
-Lo tengo sempre abbastanza nascosto.. Quando l'hai visto?
-Ti penzolava sulla spalla quando ti ho beccata a dormire sul divano. Mi incuriosisce molto, è di quelli che si aprono, vero?
Annuisco e lo tiro fuori da sotto la felpa, dove lo tengo di solito.
-L’ho comprato per i miei sedici anni.
Con un click delicato, il ciondolo si divide e rivela il suo contenuto. Ha la forma di un piccolo gufo, e si apre proprio al centro, facendo scattare in avanti una delle due ali. La pancia è cava e ha due spazi fatti apposta per contenere due piccole foto. Ma nel mio gufo non ho foto, ho solo una viola appassita.
-Un fiore?- Ed mi guarda stupito.
-Un fiore- confermo.
-Cosa dovrebbe rappresentare?- chiede, scettico.
-A te non deve rappresentare proprio nulla, tranquillo- gli dico in tono di sfida.
-Antipatica.
Gli mando un bacio arricciando le labbra ed entrambi scoppiamo a ridere.
Alzo la testa e mi metto a guardare le stelle. Non sono mai stata così tanto in pace con me stessa fino a questo momento.
-Pensi ancora che io sia un criminale spietato?
Mi giro e gli sorrido.
-Lo sai quello che penso.
-Ah già, da "criminale spietato" a "burattino di un criminale spietato" in quattro semplici mosse, potrei scrivere un libro e tramandare la mia storia di generazione in generazione.
-Quanto sei stupido- rido. -Gli aveva solo rigato la macchina? Il ragazzo a terra nel vicolo..
-Si.
-E ti sembra giusto che..-
-No.
Il suo tono è completamente cambiato e i muscoli della sua mascella sono contratti.
-Non puoi continuare così..
Bevo l'ultimo sorso di birra e ammetto che la testa comincia a girarmi. Non reggi nulla, che femminuccia. Oh, zitta coscienza!
-Cat, non discutere con me dei valori morali delle azioni di Vince.
La sua voce fin troppo alta mi fa capire che è meglio smettere di fare domande. Ho rovinato tutto?
Meglio tornare in terreno amico.
-Fammi sentire la canzone che hai suonato per il provino.
Gli si illuminano gli occhi.
-Non te l'ho mai fatta sentire?
Scuoto la testa e mi rimetto a sedere, mentre lui afferra la chitarra e si schiarisce la voce.
 
Another day, another life
passes by just like mine.
It's not complicated
 
La sua voce delicata si disperde accompagnata dal vento.
 
Another mind, another soul
another body to grow old.
It's not complicated.
 
It's not complicated..
Ed pianta i suoi occhi chiari nei miei.
 
Do you ever wonder if the stars shine out for you?
 
Non riesco a pensare ad altro che a Ed in questo momento. I suoi occhi azzurri piantati nei miei. Io e lui nella nostra piccola bolla, lontani da tutto.
 
Float down, like autumn leaves
Hush now, close your eyes before the sleep.
And you're miles away,
but yesterday
you were here with me.
 
Le dita pizzicano le corde.
 
Another tear, another cry
another place for us to die.
It's not complicated
 
La voce si alza.
 
Another life that's gone to waste
another light lost from your face.
It's complicated.
 
It's complicated..
 
Ooh how I miss you
my symphony play the song that carries you out.
Ooh how I miss you
I miss you and I wish you'd stay.
 
Il ritmo rallenta, la musica più dolce, la voce un sussurro.
 
Touch down,
like a seven for seven.
Stay out and we'll live forever now.
 
La canzone finisce. I nostri occhi ancora incastonati gli uni negli altri. Ed si avvicina, pian piano. Il vento si ferma, siamo solo noi.
-Ed..- sussurro.
-Shh..- i suoi occhi sorridono.
Le nostre bocche a qualche millimetro di distanza.
Che cosa sto facendo? Sento il profumo di Ed che mi invade, una doccia fredda.
Mano su mano.
I suoi occhi.
La sua bocca..
 
Non posso.
-Ed, fermati..- lo spingo delicatamente indietro mentre sento la testa che sta per esplodere. Non so cosa fare, cosa dire, so solo che mi sarei voluta perdere molto volentieri in quel bacio. Ma non posso fare una cosa del genere a Walt. Con che coraggio? Walt non è qui, mi ricorda la mia coscienza. Speravo di averla zittita dopo una bottiglia di birra.
Ed mi guarda, un misto tra il divertito e il deluso.
-Walt è fortunato..- si schiarisce la voce.
Rido, perché non so cos'altro fare e la testa mi gira veramente tanto.
Sono sempre li, quei due occhi azzurri che si piantano nei miei e mi disarmano come nient'altro al mondo.
Il silenzio cala, ma stavolta è un silenzio pesante, carico di parole non dette. Guardo l'erba. Le parole escono veloci. Non ci devo neanche pensare più di tanto. E' tutto così naturale.
-Sai, quando eravamo sul balcone? Un po' di tempo fa..
Annuisce. Faccio un respiro profondo, e questo lo porta a prestarmi più attenzione. Appoggia la chitarra sull'erba e incrocia le gambe.
-Stai per rivelarmi il tuo segreto?
Stringo le labbra.
-Mi sembra di capire che ci vorrà questa- e tira fuori dallo zaino una bottiglia trasparente: vodka liscia.
-Wow, hai un assortimento infinito li dentro.
perché io l'alcol lo reggo molto bene.
Lo zittisco e gli faccio segno di passarmi la bottiglia.
Un respiro profondo.
-Sono passati quattro anni..

Buonasera! Non sto a perdere tempo scusandomi per il ritardo perchè davvero, sono una causa persa. Comunque se c'è ancora qualche buon'anima che segue la storia, davvero grazie. Con la scuola non riesco veramente a starci dietro, vorrei scrivere in ogni momento della mia giornata ma non posso. Mi dispiace :( Comunque come al solito un parere è sempre gradito, anche se sono offese perchè aggiorno tardissimo. 
In questo capitolo non ho messo la canzone all'inizio perchè c'è ne sono ben due all'interno.
Spero che vi sia piaciuto, un bacione Annie :)

 

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Capitolo 15
*** Unforgettable ***




Unforgettable
So open your eyes and see
The way our horizons meet
And all of the lights will lead
Into the night with me
And I know these scars will bleed
As both of our hearts bleed
All of these stars will guide us home.
-Ed Sheeran, All of the stars.

 

Sono forte, lo posso fare.
Faccio un respiro profondo e fisso l'erba umida davanti a me.
–Quattro anni fa c'è stato un incidente. Un grave incidente. Era buio, pioveva a dirotto, talmente tanto che il muro d'acqua impediva di vedere la strada. Furono coinvolte due macchine, una andò fuori strada e sbatté contro ad un albero. Il conducente morì sul colpo– mi schiarisco la voce, che sta cominciando a tremare. Evito lo sguardo di Ed, ma so che è fisso su di me.
–Mia nonna era la conducente..– scuoto la testa mentre la vista comincia ad essere offuscata dalle lacrime. –Lei stava venendo da me. Ero sola in casa e non avevo nessuna voglia di cucinarmi la cena, così era corsa da me per farmi da mangiare. Una buona a nulla, una stupida bambina viziata, ecco cosa sono!– sbotto. La rabbia che provo nei miei confronti ripensando a quei momenti è infinita. Non riesco più a parlare, così mi copro il viso con le mani e scoppio in un pianto incontrollato. Sapevo che sarebbe successo. Rimango nella mia posizione finché due mani calde mi avvolgono in un abbraccio, in cui mi perdo molto volentieri. Mi aggrappo a Ed come se fosse la mia ancora di salvezza in un mare in tempesta. Lascio che il suo profumo mi riempia la mente e assaporo quella sensazione di protezione che la sua stretta riesce a regalarmi.
–E' tutta colpa mia, capisci?– riesco a dire, tra un singhiozzo e l'altro.
–Shh– si limita a dire il rosso, stringendomi un po' più forte mentre mi accarezza i capelli con la mano.
Rimaniamo in quella posizione, immobili e abbracciati, finché non riesco a calmarmi. Mi bruciano gli occhi e mi fa male la testa, in più comincio a sentire l'effetto della stanchezza e della Vodka. Decido comunque di continuare. Cerco di staccarmi dalla presa di Ed, ma lui non sembra voler lasciarmi andare, e a me non dispiace avere una spalla su cui piangere. Mi siedo più comoda di fianco a lui, appoggio la testa sulla sua spalla mentre lui giocherella con i cordoni della mia felpa.
–Non sono riuscita a superare lo shock della notizia. Mi sono chiusa in me stessa. Ho smesso di parlare, non mangiavo, non andavo a scuola.. Me ne stavo chiusa in camera mia, al buio. Non volevo vedere nessuno. Mi sentivo un mostro, come se tutte le colpe del mondo fossero ricadute su di me nel giro di pochi secondi. Non riuscivo a pensare ad altro, ma non piangevo. Era come se fossi lo spettatore della mia vita. Sentivo il dolore, ma non lo provavo davvero. Solo un senso di costante vuoto. Avevo deciso di lasciarmi andare– faccio un sospiro.
–Fu allora che i medici decisero che era arrivato il momento di ricoverarmi. Mi portarono in ospedale. Pesavo pochissimo, così mi costrinsero a mangiare e per un breve periodo sembrava che tutto si stesse sistemando. Poco dopo però, le cose ricominciarono ad andare da sole, a ruzzolare per il dirupo dimenticandosi di puntare i freni.  Così, in un soleggiato pomeriggio di Gennaio, mi portarono in un centro di recupero, dove ero seguita da psicologi esperti in traumi e cose del genere. Ti risparmio i dettagli– una pausa, respiro, chiudo gli occhi, li riapro, –quattro mesi dopo ero fuori. Fu difficile, molto difficile. Nessuno mi aveva mai dato la colpa di nulla, il mio unico nemico ero io– guardo Ed. –Il dolore non può essere cancellato, ma può essere vissuto.
Cala il silenzio. Negli occhi di Ed leggo l'insicurezza più totale, la paura di dire la cosa sbagliata al momento sbagliato.
–Io non..– sussurra.
Annuisco.
Il rosso si limita ad abbracciarmi, mentre ci stendiamo sulla coperta e ricominciamo a guardare le stelle.
–Sai che giorno è oggi?– mi chiede, dopo un po’.
–Uhm.. 8 Luglio?
–Il 7– mi guarda e sorride. –Sai cosa succede il sette Luglio?
Scuoto la testa, mentre mi accoccolo un po’ di più sulla sua spalla.
–Anticamente, sulle sponde della via Lattea, viveva il sovrano di tutti gli dei e imperatore del Cielo, la cui figlia, Vega, passava le giornate a tessere e cucire stoffe e vestiti per le divinità. Lavorava talmente tanto che non aveva neppure il tempo di pensare a se stessa e ai propri interessi. Giunta all’età adulta però, il padre mosso da pietà, poiché alla figlia non era mai stato concesso altro che lavorare il fuso, le scelse un marito: era un giovane mandriano, di nome Altair, la cui attività consisteva nel far pascolare buoi e fare attraversare loro le sponde del Fiume Celeste. Anche lui era un grande lavoratore e non pensava ad altro che a svolgere il suo lavoro.
Essendo un matrimonio combinato, i due si conobbero solo il giorno delle nozze, ma immediatamente si innamorarono follemente l’uno dell’altra.
Furono talmente presi dal loro amore che dimenticarono completamente i loro doveri e il loro lavoro. La loro unica ragione di vita sembrava essere diventata l’amore e la passione. Così la mandria di buoi finì per essere abbandonata a se stessa e agli dei cominciarono a mancare gli abiti fino ad ora confezionati. Il sovrano decise quindi di punirli: i due avrebbero dovuto vivere le loro vite separatamente. Per evitare che si potessero incontrare, l’Imperatore del Cielo creò due sponde separate dal fiume Via Lattea, che fu reso impetuoso e privo di ponti.
Il risultato non fu però quello sperato: il mandriano non faceva altro che sognare la sua amata e continuava a non seguire i suoi animali. La fanciulla pensava solo al suo amore, trascurando gli abiti per gli dei. Il sovrano allora, disperato e mosso da pietà,  promise alla coppia di dargli il permesso di vedersi una volta all’anno, a patto che ricominciassero ad occuparsi dei loro incarichi. A queste parole, i due giovani innamorati, animati dalla speranza di potersi di nuovo incontrare, anche solo per una notte all’anno, ripresero a lavorare.
Da quel momento in poi, dopo un anno di lavoro e fatica, ogni 7 Luglio, Vega e Altair attraversano il Fiume Celeste e si incontrano nel cielo stellato- Ed punta un dito verso l’alto e indica due punti luminosi, uno di fianco all’altro.
–E’ molto bella– guardo gli occhi del rosso, che brillano sotto la luce soffusa della luna.
–Me la raccontava mia madre– e a quelle parole noto una leggera inclinazione nella sua voce.
–Va tutto bene?
Ed mi guarda, accenna un sorriso, poi torna a guardare verso il cielo.
 
–Sei ancora sveglia?
–Mhmh..– mugugno, in uno stato non ben definito tra il sonno e la veglia.
–Hai la Canon?
–Cosa?– stringo gli occhi e mi alzo a sedere. Non vorrà..
–La Canon, ce l'hai? Facciamo una foto.
Lo guardo confusa.
–Ora?
–Ora!
–No no, neanche per sogno. Sono struccata, ho le occhiaie e siamo mezzi ubriachi e..
–Cat, tira fuori la Canon.
Serro le labbra e lo guardo, ma sembra molto convinto, così cedo e mi allungo per prendere la custodia della macchina.
–E' buio, verranno uno schifo– borbotto. Imposto l'autoscatto poi mi giro verso di lui, che si è sdraiato a pancia in giù sulla coperta.
–Se la metti qui veniamo bene?– chiede.
Annuisco, mentre appoggio la macchina sullo zaino e cerco di farla stare il più dritta possibile, poi accendo il display e premo il pulsante di scatto. La lucina arancione comincia a lampeggiare.
–Ahh– mi lascio scappare un urletto non ben motivato mentre saltello verso Ed, che mi sta dicendo non troppo gentilmente di muovermi.
–Ci sono, ci sono– rido, e mi lancio su di lui senza tanti complimenti. Lui si lamenta ma lo zittisco subito, mentre inforco il mio sorriso migliore, un po' ubriaco e sbilenco, e mi abbasso per attorcigliargli le mani sotto al collo.
Bip.
Bip.
Click.
 **
 
 Un dolore lancinante alla testa mi sveglia. Apro gli occhi, ma la luce accecante che proviene dalle finestre mi costringe a richiuderli. Ogni singola fibra del mio essere è indolenzita, ma cerco comunque di puntarmi sui gomiti per tirarmi su. In quel momento un mugugno sommesso attira la mia attenzione e mi ritrovo a rotolare in terra senza neanche avere il tempo di rendermi conto di chi o cosa fosse sotto di me.
–Ahia!– sbotto.
–Mi hai perforato la gabbia toracica con il tuo gomito– il rosso sbatte gli occhi e cerca di mettermi a fuoco. E' spettinato fino all'inverosimile e mi rendo conto solo ora che la sua maglietta giace dispersa in un angolo insieme.. –rabbrividisco– insieme alla mia.
No aspetta, no aspetta..
Lo guardo terrorizzata, poi mi alzo in piedi di scatto, procurandomi un'altra simpatica fitta alla testa, che mi costringe a chiudere gli occhi e rimanere immobile per qualche secondo. Ed intanto si è messo a sedere e si massaggia le tempie.
–Perché non hai la maglietta? E io?! Perché non siamo al parco? Cos'è successo? Dov'è Lynch? Cosa..– mi arriva un cuscino in faccia e la mia raffica di domande viene interrotta.
–Ti prego, ti prego stai zitta– brontola lui. Ce l'ha con me? Perché ce l'ha con me? Oh no, no, no, no..
–Vado a farmi una doccia.
–Ma..
Mi zittisce con uno sguardo, poi si avvia su per le scale con passo ciondolante e sparisce in bagno, lasciandomi sola con i miei interrogativi.
Mi butto all'indietro sul divano e appoggio un braccio sugli occhi per cercare di alleviare il bruciore dovuto alla luce. Che ore saranno?
Ok, cerca di concentrarti Cat. L'ultima cosa che ricordi qual è? Eravamo al parco, io ho raccontato quello che dovevo raccontare, poi Ed ha suonato di nuovo.. Poi..poi.. I ricordi cominciano a diventare un po' più frammentari mentre visualizzo un'immagine distorta di me stessa che trangugio qualche sorso dalla bottiglia di Vodka. La vodka, ma certo! La bottiglia è appoggiata sul tavolino, completamente vuota. Quel ragazzo farà meglio a muoversi, ho bisogno di risposte.
In quel momento un colpo alla porta d'ingresso mi fa sobbalzare. Mi lamento, mentre lentamente mi alzo dal divano e mi avvicino per guardare dallo spioncino. Metto a fuoco una figura in piedi sulla soglia: jeans scuri, maglia a mezze maniche, RayBan neri. Vorrei sbagliarmi..
Apro la porta di scatto.
Un tuffo al cuore.
–Walt!

Salve gente! Mi sono impegnata un sacco per aggiornare il prima possibile e spero veramente che questo capitolo vi piaccia come a me è piaciuto scriverlo :)
Dunque, innanzitutto vorrei dire che la leggenda delle stelle non l'ho inventata io, ma l'ho trovata un paio di anni fa mentre facevo una ricerca sul giappone (infatti è una leggenda giapponese), l'altro giorno rovistavo tra gli scatoloni del garage e l'ho ritrovata, così ho pensato "perchè no?" ed eccola qui. 
Poi. tadaaaan, ben ben due colpi di scena. Prima Cat che rifiuta il bacio di Ed, e poi Walt che si presenta a casa di Lynch. Il momento è critico, perchè Cat non si ricorda minimamente di come si sia conclusa la serata. In più abbiamo scoperto più cose sul passato di Cat. Cosa ne pensate? Vi lascio col dubbio e con la promessa di aggiornare al più presto. 
Grazie mille a tutte le persone che hanno recensito i capitoli precedenti, non so come farei senza di voi! 
Un bacio, Annie :)

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Capitolo 16
*** Lost ***



ATTENZIONE: Linguaggio esplicito in alcuni punti

Lost.
 

It's too cold outside
for angels
to fly.
 
 
 
 
-Walt!
-Sorpresa!- esordisce lui, buttando in terra la valigia e gettandomi le braccia al collo. Io sono immobile, senza maglia - il che è abbastanza imbarazzante- e ho perso le parole. Gli picchietto un paio di volte la mano sulla spalla, poi ci stacchiamo. Mi lascia un bacio leggero sulle labbra, recupera la valigia ed entra in casa senza tanti complimenti. Io continuo a fissarlo, scioccata.
-Spero di non averti svegliata- si gira, sorridendomi.
Scuoto la testa e sbatto gli occhi, come se fossi tornata nel mondo reale solo in questo momento.
-Oh, no no ero..sveglissima- balbetto, mentre mi lancio in sala a recuperare la maglia. Lui mi segue e noto che fa una smorfia quando vede una maglia maschile accartocciata di fianco alla mia.
-Sei sola?
-Come?- la mia voce esce stridula e lascia trasparire il panico. Non è successo niente, non è successo niente, ripeto dentro di me.
-Non è sola, è con me- Ed spunta in cima alle scale con un sorriso carico di entusiasmo e le braccia allargate, poi si butta addosso a Walt, che mi guarda di sfuggita. Uno sguardo che non riesco e non voglio interpretare. Il rosso indossa soltanto un asciugamano allacciato in vita e ha i capelli ancora gocciolanti.
-Cosa ci fai qui, Walt?
-Lynch mi ha detto che i Red Lion vanno a New York, non potevo mancare- dice, raggiungendomi e appoggiandomi una mano sulla schiena.
-E poi- continua -a New York non corro nessun pericolo per quanto riguarda la questione Vince- e mi guarda, sorridendo.
Ed da qualche colpo di tosse mentre io mi sento mancare un battito al cuore.
-Bene, se non vi dispiace io vado a fare la doccia- dico, senza prendere respiro tra una parola e l'altra, poi mi precipito su per le scale e chiudo la porta del bagno.
Rivoglio indietro la mia vita monotona.
 
Dopo una doccia lunga una vita giungo alla conclusione di essere molto brava a scappare dai problemi, ma che questo non è il momento per farlo. Così mi asciugo frettolosamente, mi vesto e mi dirigo verso il piano terra. Poco prima di entrare in soggiorno, scorgo un frammento della conversazione tra Ed e Walt, così mi acquatto dietro la porta e rimango in silenzio.
-Credo che a questo punto sia meglio smetterla con questa messa in scena..- dice Walt, con voce abbattuta. Messa in scena?
-Mi dispiace molto..- risponde il rosso.
-No!- ora la voce di Walt è molto più alta. –Non dire che ti dispiace se in realtà non è così. Sono stato stupido io a fidarmi.
-Walt..
Cala il silenzio, c’è un respiro un po’ forzato ma non riesco a capire chi sia stato, poi sento dei passi. Faccio per allontanarmi, ma Walt mi precede e si avvia verso la porta. Lo guardo piena di domande. Lui si ferma. Mi fissa, uno sguardo vuoto e sprezzante. Cosa sta succedendo?
-Cosa..- provo a dire.
-Lascia stare- Si gira, afferra la valigia e se ne va.
Mi giro verso Ed, appoggiato allo stipite della porta del soggiorno. Muovo la bocca come per dire qualcosa, ma lui alza una mano e la pianta davanti alla mia faccia.
-Lascia stare- poi si avvia su per le scale e si chiude in camera sbattendo la porta.
Ah.
 
Dalle risate che provengono dal corridoio capisco che Lynch e Morris sono tornati.
-Ehi gente di casa!- esordisce mio cugino. Scendo le scale due a due e li raggiungo.
-Ed è sparito.
-Sembri sconvolta honey- borbotta Morris.
-Oh, puoi stare certo che lo sono.
-Sparito in che senso?- Lynch è allarmato.
-Sparito nel senso che dopo che Walt se n’è andato, Ed ha preso uno zaino e la chitarra, poi è uscito da quella dannatissima porta senza darmi uno straccio di motivazione!- sbotto.
-Aspetta.. Walt?
Annuisco. -Walt.
-Ma Walt è..
-No, Walt non è al lago. Walt ha bussato a quella dannatissima porta con la sua valigia perché voleva partire per New York con noi. Fin qui tutto bene, se non se ne fosse andato dieci minuti dopo essere arrivato.
-Fin qui ho capito solo che quella è una dannatissima porta.
Guardo Morris talmente male che decide di andare in cortile a scaricare le ultime cose dalla macchina.
-Ok Cat, ora calmati e esaminiamo le cose con calma. Ed?
-Sparito.
-Walt?
-Sparito.
-E tra tre giorni dobbiamo partire..- si passa nervosamente una mano tra i capelli.
-Hai provato a chiamarlo?- mi chiede.
Annuisco, facendogli dondolare davanti agli occhi il cellulare spento del rosso.
-Questo potrebbe essere un problema- conclude Lynch.
-Lo è.
Mio cugino mi guarda preoccupato mentre si siede sul divano e si prende la testa tra le mani. Rimaniamo nel più completo silenzio finchè non sentiamo i passi di Morris, che scende le scale trotterellando. Entra nella stanza e guarda Lynch con aria interrogativa, poi gli si avvicina scuotendo la testa.
-E' in meditazione?- mi chiede, guadagnandosi una gomitata dal moro.
Ridacchio.
-Dai Lì, torneranno. Ed ha lasciato qui tutte le sue cose, ho appena guardato in camera sua. Non può stare fuori per molto, non ha nemmeno il portafoglio..- annuncia trionfante, lanciando una busta di plastica trasparente sul tavolino. Al suo interno un paio di banconote, la patente di Ed e un buono sconto per il Mc Donald's. E' proprio da lui.
Mio cugino sembra un po' più sollevato e guarda Morris mentre borbotta un affettuoso grazie.
-Poteva almeno avvertirmi..- mormoro. C'è una pausa di silenzio, poi Lynch sembra riprendersi.
-Ok, prendiamo in mano la situazione- sbotta, e riconosco nel suo sguardo quel guizzo da leader che si appropria dei suoi occhi ogni volta che la situazione lo richiede. Che sia una partita di nascondino tra bimbi di sette anni o la ricerca di un amico scomparso, Lynch sa come muoversi e io mi fido ciecamente di lui.
-Cat, trova il mio cavetto e carica il telefono di Ed, se c'è un codice ci penseremo dopo. Poi torna qui che devi chiarirmi un paio di cose.
-Agli ordini, capitano!- lo prendo in giro, portandomi una mano alla fronte mentre mimo un saluto militare. Salgo velocemente le scale, mentre ripenso agli ultimi avvenimenti e mi sento esplodere la testa. Cosa può aver fatto reagire così male entrambi i ragazzi? Mi torna in mentre lo squarcio di conversazione che ho sentito, e mi chiedo se dovrei parlarne con Lynch. Non credo sia una buona idea perchè a) non ho sentito tutta la conversazione, quindi potrei aver interpretato male e b) preferisco saperne di più prima di allarmare mio cugino per una cosa che potrebbe rivelarsi un semplice equivoco.  
Quando torno in soggiorno con il cavetto sento Morris parlare a raffica con quelli che immagino siano tutti gli amici di Walt. Mi siedo vicino a mio cugino e attacco il cellulare alla corrente. Rimango a fissare lo schermo nero sperando che Ed non sia stato così furbo da mettere il codice, finchè non appare la mela morsicata della Apple e poco dopo la schermata d'accesso. E' bloccato.
Sbuffo, mentre lascio il cellulare sul tavolino e mi accascio sullo schienale del divano.
-Ha il codice?- chiede Lynch. Annuisco e lui sbuffa.
-Nessuna idea?
Guardo il vuoto e scuoto la testa.
-Allora puoi cominciare con lo spiegarmi perchè stamattina vi ho trovati addormentati sul divano, in un groviglio di maglie e gomitate.
Arrossisco violentemente mentre distolgo lo sguardo. Vorrei saperlo anche io. Mi schiarisco la voce, imbarazzata.
-Ehm, credo di avere bevuto un po' ieri sera.
Mio cugino mi guarda divertito, mentre con la mano fa segno di continuare. So che si segnerà questa storia parola per parola e la tirerà fuori in occasioni pessime, come il suo potenziale discorso nel giorno del mio matrimonio. Decido di cambiare un po' i fatti.
-Ieri sera non riuscivo a dormire, così mi sono alzata e ci siamo incontrati in cucina.. Nessuno dei due dormiva, così..
-Così?
-Beh abbiamo pensato di andare al parco.
-Certo, ottima soluzione per l'insonnia.
Lo fulmino.
-Beh Ed aveva portato con se un paio di birre..
-..e questa- conclude lui, sollevando la bottiglia di Vodka.
Mi fingo innocente, alzando le mani aperte davanti a me.
Lynch ride, mentre scuote la testa.
-Almeno alla fine ti sei addormentata- ammette, ridendo.
-Esatto!- rido anche io.
-Quindi ieri sera ti sembrava tutto a posto?
-Si, anzi non era mai stato così..gentile- ammetto. -E poi..
Mio cugino mi guarda, incuriosito. -E poi?
-Gli ho raccontato della nonna
-Davvero?- è sinceramente stupito. -Wow.. E come stai?
Allargo le braccia e sbuffo. -Bene, immagino..
Ripenso a quella notte, a quanto mi sono sentita libera, finalmente.
Lynch mi sorride e si alza. -Vado a sentire se Morris ha novità.
Annuisco. Improvvisamente mi torna in mente la leggenda giapponese che mi ha raccontato Ed, quella che gli ricordava sua madre. 
La notte di Vega e Altair.
Sette Luglio.
Mi fiondo verso il tavolino e afferro il cellulare. Digito  velocemente quattro numeri: 0707.
Errato.
-Merda!- sbotto.
-Cat?- urla mio cugino dall'altra stanza.
-Tutto bene, tutto bene- farfuglio.
Torno a fissare lo schermo e i suoi dieci numeri. Pensa Cat, pensa.
-Lynch, quanti anni ha Ed?- urlo, per farmi sentire. La risposta arriva dopo una pausa di silenzio.
-Ventiquattro. 
Faccio due rapidi calcoli, poi digito.
7791.
Lo schermo si sblocca sulla schermata della home. Il mio dito corre veloce verso la cartella dei messaggi e subito la mia attenzione è attirata dall'ultimo ricevuto. Il numero è privato.
 
Ci vediamo al Red Lion.
Solito posto, solita ora.
Vieni solo.
Vince
 
Sento il sangue raggelarsi nelle vene mentre di istinto spengo il cellulare e mi precipito in camera mia. Afferro una felpa con cappuccio e un paio di jeans, poi mi lego i capelli in una coda e butto dentro uno zaino il cellulare, le chiavi di casa, occhiali da sole e dei soldi per l'autobus. Scendo le scale e vedo le chiavi della macchina di Lynch appoggiate sullo scaffale dell'ingresso. Ho bisogno che lui e Morris stiano il più lontano possibile da tutto ciò che riguarda Vince, così le faccio scivolare dentro la tasca dello zaino. Mi farà guadagnare tempo, spero. Affacciandomi in cucina, inforco il sorriso più innocente che io possa simulare in questo momento e farfuglio la prima scusa che mi viene in mente. Lynch annuisce distrattamente e io mi fiondo fuori dalla porta. Qualunque cosa volesse Vince, potrei già essere in ritardo.
 
Arrivo al Red Lion in dieci minuti di autobus. Sono tesa come le corde di una chitarra e il mio sesto senso per le disgrazie di sta attivando paurosamente. Inforco gli occhiali, voglio evitare di essere riconosciuta, almeno non a prima vista, poi attraverso la strada e mi trovo davanti al Red Lion.
E' chiuso.
Chiudo gli occhi e mi ripeto di stare calma, mentre comincio a pensare a quale potesse essere la "solita ora". Esploro tutte le possibilità, mentre passeggio freneticamente per il marciapiede, attraverso la strada, percorro tutto il marciapiede di fronte al locale e poi attraverso di nuovo. Di certo non sto facendo in modo di non dare nell'occhio.
Noto una panchina esattamente di fronte a me, così decido di stabilirmi lì ed aspettare che accada qualcosa. Ma cosa? Potrebbero essersi dati appuntamento per stasera. Ed potrebbe aver deciso di scappare, invece che presentarsi all'incontro.
I miei neuroni stanno per suicidarsi quando, venti minuti dopo, non è ancora successo niente. Forse è inutile rimanere qui. Ripenso alla prima volta in cui ho visto quel locale, il giorno del mio arrivo. Chi se lo aspettava che le cose si sarebbero messe così? Improvvisamente l'immagine del ragazzo steso per terra  nel vicolo si fa largo nella mia mente. Mentre cerco di scacciarla, però, mi illumino.
Il vicolo, il solito posto non è il Red Lion, ma il vicolo.
Scatto in piedi, afferro il cellulare e me lo metto nella tasca, in caso di bisogno. Poi alzo il cappuccio e ripercorro la strada al contrario, cercando di ricordarmi dove svoltare. Dopo un paio di curve sbagliate, mi ritrovo nella stessa strada, dietro allo stesso cassonetto, accucciata allo stesso modo. Loro sono lì, sento le loro voci, ma non ho ancora avuto il coraggio di sporgermi per vedere se sono proprio loro. Faccio un respiro profondo e mi sporgo lentamente. Senza tacchi è tutto molto più facile, anche se sto molto attenta a non scivolare, perchè questa volta non sarebbe così semplice uscirne sana e salva.
Sono in quattro, ma non riesco a vedere i loro volti, coperti dall'ombra del cappuccio tirato rigorosamente sulla testa. Mi manca il fiato quando appoggio gli occhi su una sagoma maschile accasciata a terra, immobile. Emette solo un lieve lamento e si contorce ad ogni nuovo colpo. Lo riconosco subito, la chitarra buttata ad un lato della strada e i quattro che ridono, sputando insulti contro di lui.
Oh Ed, cosa ti è saltato in testa?
Mi nascondo di nuovo, mentre cerco di pensare al da farsi, ma ogni colpo sordo che sento mi fa salire ancora di più il senso di nausea a panico. Sento di stare per scoppiare a piangere, ma devo essere forte. Questa volta non si tratta solo di me.
Di tornare indietro a chiamare aiuto non se ne parla, ci metterei troppo tempo. Non posso telefonare alla polizia perchè mi sentirebbero. Fisso il vuoto. Avrei dovuto chiamarla prima la polizia. Finalmente mi viene in mente l'idea più stupida e rischiosa che io abbia mai avuto in tutta la mia vita. Estraggo il telefono dalla tasca, poi invio un SMS al 118 insieme alla mia posizione, nel caso il piano non dovesse funzionare. Con la mano che trema clicco sull'icona dell'applicazione più stupida che potessi mai scaricare, una collezione di suoni che in teoria dovrebbero servire per fare scherzi.
Un respiro.
Sirene della polizia.
Non funzionerà mai, non funzionerà mai, mi ripeto, mentre la sirena parte.
Tendo l'orecchio.
-Cazzo!
-Vai vai vai!
Sono le uniche cose che sento, insieme al rumore di passi che man mano si allontanano lungo il vialetto.
Non ci posso credere, non può essere vero. Mi viene quasi da piangere, mentre aspetto qualche secondo prima di sbucare fuori dal mio nascondiglio.
Mi pento immediatamente.
Uno dei quattro è esattamente davanti a me e scoppia in una gran risata non appena mi vede. Corro velocemente con lo sguardo verso Ed, a terra, che cerca di girarsi verso di noi.
-Cat..- sussurra.
Non ce la faccio a vederlo così. Torno con gli occhi sul ragazzo davanti a me, che intanto ha cominciato a battere le mani.
-Wow, ti pensavo molto più intelligente dolcezza, davvero.
Riconosco immediatamente la voce e rimango immobile, come pietrificata. Non poteva essere altrimenti.
Vince.
-Cosa gli avete fatto?
-Oh che dolce, sei venuta a salvarlo?- ridacchia. -Il tuo amico era stato avvisato- la sua voce è molto più dura. -E' quello che si merita.
Sento una profonda rabbia ribollire dentro di me mentre Vince abbassa il cappuccio e rivela i suoi occhi spenti.
-Davvero pensavi di poter risolvere le cose con questo giochetto?- chiede sarcastico, mentre mi prende il cellulare dalle mani e lo lancia in un angolo del vicolo.
Ci penso su, poi scuoto la testa.
-No..
Intravedo Ed con la coda dell'occhio, sta cercando di alzarsi. Decido di prendere tempo, almeno per permettergli di mettersi seduto o in piedi, o scappare.. Non so veramente cosa fare, così improvviso.
-Mi avevate già visto?
-Certo, ma volevo divertirmi un po'. E' stato bello credere di aver salvato questo idiota?- e così dicendo tira un calcio a Ed, rispedendolo in terra. Resisto all'impulso di aggredirlo. E' troppo vicino e non riuscirei di certo a metterlo fuori combattimento. Non ci guadagnerei nulla, devo farlo allontanare da Ed.
-Si, molto bello- sorrido, più verso il rosso che verso il ragazzo di fronte a me. Gli occhi di Ed incrociano i miei, ma distolgo immediatamente lo sguardo. Rimani concentrata.
In quel momento Vince si passa una mano sul labbro spaccato, da cui esce una strisciolina di sangue. Probabilmente Ed ha cercato di difendersi. Il ragazzo nota che ho visto la sua ferita e sorride. Fa un passo in avanti, io ne faccio uno indietro automaticamente, ed è lì che mi viene l'idea.
-Forse un bacio guarisce- suggerisce lui, malizioso.
Ti farei baciare l'asfalto.
-Oh povera stella, ti chiamo un'ambulanza?- chiedo in tono ironico, mentre spero che i soccorsi arrivino davvero.
Lui sorride in un modo che mi fa venire i brividi e fa un altro passo verso di me. Io indietreggio. Forza, ancora un po'.
-Quattro contro uno, giochi sporco- Oddio, ora mi uccide.
-Tecnicamente, sono uno a cui piace vincere- sussurra, mentre si avvicina ancora. Un passo indietro.. Un altro.. Sono quasi arrivata al muro. Saremmo abbastanza lontani da Ed. Posso farlo.
-Certo, vincere.. Oppure la tua è solo paura?- sbotto. Non so dove sto trovando tutto questo coraggio.
-Cat attenta..- si lamenta Ed da terra, cercando di convincermi a smettere di stuzzicarlo.
Vince scoppia a ridere.
-Hai del coraggio, ragazza. Se solo l'avessi voluto tu saresti già in terra a implorare pietà, lo sai questo, vero?- dice, mentre si avvicina ulteriormente. Deglutisco a fatica e molto probabilmente ho anche smesso di respirare. Sono terrorizzata, ma cerco di non lasciarlo trasparire, mentre faccio un paio di passi in più, il che lo spinge a raggiungermi. Finalmente tocco il muro con la mano. Ora o mai più.
-E come mai non l'hai fatto?
-Perchè sarebbe uno spreco rovinare questo bel faccino- conclude, sfiorandomi la guancia con la mano insanguinata. Sto per vomitare. Ormai siamo vicinissimi, i nostri nasi a pochi centimetri. Alza una mano e mi abbassa la zip della felpa. Lo sapevo.
-Non la toccare- sbotta Ed, mentre cerca di alzarsi. Vince si gira a guardarlo e scoppia a ridere, e io capisco che questo è il momento giusto. Raccolgo tutta la mia rabbia e il disprezzo che provo per la sua persona e li scarico nella potente ginocchiata che ha come destinazione la zona x. Sorrido soddisfatta mentre una smorfia di dolore gli si forma sul volto, mentre con la mano raggiunge i suoi preziosi gioielli e cerca di limitare il dolore. Cerca di bloccarmi con la mano libera, ma faccio in tempo a scivolare velocemente via dalla sua presa e liberarmi. Non appena si gira, gli assesto una gomitata sotto le costole. Si piega in due per il male, mentre io ne approfitto e gli tiro un'altro colpo alla schiena. Riesco a guadagnare tempo, così gli vado dietro e con il calcio migliore della mia vita lo spedisco contro il muro. La sua testa colpisce il cemento con un sordo tonf e lui si accascia a terra. So di averlo solo stordito, così non perdo tempo e corro verso Ed, ma una mano mi afferra la caviglia e finisco stesa a terra, dando una facciata paurosa al cemento.
-Ma tu non muori mai?- sbotto, voltandomi verso Vince ancora a terra dietro di me. Cerco di scalciare per liberare la mia gamba dalla sua stretta, ma lui non ha intenzione di cedere. Provo anche ad assestargli una bella piedata su quella faccia di merda che si ritrova, ma lui è più veloce.
-E' stato tutto molto dolce- mi prende in giro.
-Sono felice- gli sorrido, sprezzante. Non so più che cosa inventarmi per uscirne salva, sto giocando la carta dell'ironia per andarmene in modo eroico: almeno sui giornali mi ricorderanno come una con le palle. In più la testa mi fa parecchio male grazie alla caduta e probabilmente ho qualcosa che sanguina, dato che la mia mano è piena di liquido appiccicaticcio. Inorridisco.
In quel momento una sirena in lontananza attira la mia attenzione e anche quella di Vince, che finalmente molla la presa. Leggo la sconfitta nei suoi occhi, mentre si alza velocemente in piedi e mi guarda con disprezzo.
-Puttana- ringhia, correndo via.
-E' stato un piacere- urlo, mentre mi godo la vista di Vince ciondolante che si affretta verso la parte opposta del vicolo. L'ho reso io così ciondolante.
Le sirene si avvicinano sempre di più mentre io lascio andare la testa all'indietro, accasciandomi sul cemento e ricominciando a respirare forse per la prima volta da quando ho lasciato casa.
L'ambulanza non ci troverà mai immersi nell'oscurità di questa strada. Devo per forza far alzare Ed, così vado lentamente verso di lui mentre cerco di controllare la mia testa, che minaccia di farmi crollare a terra da un momento all'altro.
Il rosso è ridotto veramente male. Ha uno spacco molto profondo sul labbro e un taglio sulla fronte. Rivoletti di sangue si sono seccati sotto il naso e al lato della bocca, mentre le braccia sono segnate da innumerevoli lividi e graffi. Immagino che però il dolore più forte sia provocato dai calci che ha ricevuto sulla schiena e sulle costole.
-Cosa ti è saltato in testa? Doveva essere a New York!- urlo, liberando tutta la mia frustrazione, ma subito mi pento e mi abbasso al livello di Ed.
-Oh, Ed..- mi avvicino, e gli passo delicatamente una mano sulla guancia. -Stai bene?- farfuglia.
-Meglio di te- dico, dolcemente. Il rosso ride, ma immediatamente è costretto a girarsi e tossire.
-Vuoi alzarti? Ho chiamato l'ambulanza..
Annuisce debolmente.
-Non dovevi venire..- mormora. Lo aiuto ad alzarsi, poi ci incamminiamo malamente verso l'ucita del vicolo, dove finalmente siamo accolti dai medici.
Siamo salvi.

Buona sera gente! Eccomi di nuovo qui con un capitolo tutto per voi. E' stato davvero mooooolto difficile da scrivere perchè ogni volta non mi piaceva e mettevo qualche modifica qua e là, quindi ci ho veramente messo un sacco di tempo. Alla fine sono abbastanza soddisfatta, però dovete dirmi voi. Cosa ne pensate? Povero Ed mi sento quasi in colpa.. No in realtà no. 
E' un capitolo abbastanza lungo, forse il più lungo. Avrei voluto spezzarlo da qualche parte ma poi mi sembrava di perdere l'atmosfera che forse forse forse ero riuscita a creare e trasmettere. Spero davvero di esserci riuscita. 
Come sempre ringrazio le anime buone che continuano a seguirmi, senza di voi non sarei nulla!
Ci sentiamo spero presto, un bacio, Annie :)
Ah, buona Pasqua, anche se non un po' in anticipo :)

 Ps. Ho avuto dei problemi con il pc quindi il banner potrebbe essere un po' sranato, scusate

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Capitolo 17
*** Secrets ***



Secrets

 
Nei capitoli precedenti:
La band è stata ingaggiata per un tour di concerti a New York.
Secondo alcune fonti, anche Vince è a New York, ma solo Ed e Cat lo sanno.
Walt è tornato, intenzionato a seguire la band nel tour, ma dopo aver parlato con Ed è sparito.
Ed e Cat hanno passato la notte al parco, si sono ubriacati.
Cat non ricorda cosa sia successo.
Ed e Vince hanno una rissa in un vicolo.
Cat interviene e riesce a salvare Ed.

 
 
 Entro nella stanza di Ed con un the freddo in mano e mi siedo silenziosamente sulla sedia di fianco al suo letto. Sta dormendo, i ciuffetti rossi gli ricadono sulla fronte e la sua espressione è rilassata.
 
Non è ridotto così male come pensavo. Un paio di punti sotto il mento e sulla fronte. Dovrà tenere un tutore al polso per qualche giorno, ma il resto sono solo un sacco di lividi. Hanno deciso di ricoverarlo per accertarsi che la sua caviglia non sia rotta, ma presto sarà dimesso.
Io me la sono cavata abbastanza bene: impacchi ghiacciati in testa e qualche bernoccolo. Ho le mani e le ginocchia maciullate dall'asfalto, ma sono bastati un paio di cerottoni e qualche garza.
Mi preoccupa molto di più la reazione che avranno Lynch e Morris non appena arriveranno all'ospedale. I medici hanno insistito per chiamarli, e io sono nei guai fino al collo. In più non ho più un telefono, perché Vince ha pensato di lanciarlo amorevolmente in terra. Mi fa rabbrividire anche solo pensare a quell'essere.
In quel momento Ed si scuote e apre lentamente gli occhi.
-Buongiorno- mormora.
-Tecnicamente sono le undici di sera.
-Sempre dolce e delicata- mi prende in giro.
-Come stai?
-Ho avuto periodi migliori.
Gli sorrido e gli allungo il bicchiere di plastica con dentro il the.
-Al limone- lo informo, mentre mi avvicino con la sedia.
Lui sorride di rimando.
-Non riesci proprio a starmi lontana?- chiede dopo un po'.
-Tranquillo, puoi anche non ringraziarmi, intaccherebbe la tua virilità- lo prendo in giro.
Lui aggrotta la fronte e si finge accigliato.
-La mia virilità è già stata intaccata nel momento in cui sono stato salvato da una ragazza.
-Se fosse stato per me, ti avrei lasciato per terra agonizzante.
-Allora per chi l'hai fatto?- chiede, ridendo. Esito un attimo. Che risposta si aspetta? Che risposta mi aspetto io da me stessa? Alzo le spalle con noncuranza.
-L'ho fatto per te, immagino.
-Ho fatto breccia nel tuo cuore di pietra, non avevo dubbi che sarebbe successo. Lo so, faccio questo effetto ma che ci vuoi fare?
Alzo gli occhi al cielo.
-Lo so, lo so. Non ti preoccupare, è normale- continua. -Mi chiedo come sia possibile che tu abbia resistito fino a questo momento.
-Oddio, infermiera?!- urlo. -Magari ha un sedativo per metterti fuori combattimento- scherzo, mentre mi alzo in piedi.
-No no fermati!- mi afferra il braccio e cominciamo a ridere.
Improvvisamente Ed si fa serio.
-A proposito, come hai fatto a trovarmi?
-Ho letto il messaggio di Vince sul tuo telefono e sono stata aiutata da una buona dose di fortuna..- ammetto. -E a te cosa è saltato in mente? Ti presenti là da solo, senza avvisare nessuno. Non voglio neanche pensare a cosa avrebbero potuto farti.
Lo sguardo di Ed si rabbuia.
-Volevo chiudere con Vince, definitivamente, prima che partisse per New York.
-Io pensavo che fosse già là..
-Si beh- esista. -Diciamo che ho preferito alterare un piccolo particolare della realtà per farti stare calma.
-Quindi mi hai detto una gran balla?
-La mia definizione era più poetica..- scherza.
-Ti riempirei di botte- scuoto la testa, poi ci mettiamo a ridere.
-Non saresti dovuta venire, poteva andarti molto peggio. Credo che Lynch mi ucciderà per averti cacciato in questo casino.
-Nei casini mi ci caccio da sola, ma ora sono qui e sto bene. Stiamo bene.
-Se ti avesse fatto qualcosa..
-Sto bene, Ed- lo rassicuro di nuovo.
Gli sorrido e lui sorride di rimando.
Sto bene.
 
In quel momento una figura maschile fa irruzione nella stanza, urlando senza il minimo riguardo per gli altri pazienti.
-Honey, honey stai bene? Oddio honey ma tu sei pazza! Lynch ti ucciderà, prima te - Oh, ciao Ed, tutto bene?- e poi anche lui. Ha quasi avuto un collasso quando l'hanno chiamato i medici e ora..
-Ok, Morris calmati! Respira lentamente. Sto bene, sta bene- indico Ed- stiamo tutti bene. Chiarito questo, dov'è Ly..
-CATHERINE NICHOLSON!
-Oh.. Eccolo..
-SI ECCOMI!
-Lynch, per l'amor del cielo smettila di urlare!- si lamenta Morris.
Lynch fa un respiro molto -troppo- profondo, poi riprende a parlare.
-Spiega- intima.
-Sto bene Lynch- lo rassicuro.
-Anche io sto bene!- si intromette Ed, sorridendo a Lynch.
-TU NON EMETTERE UN SUONO!- tuona mio cugino.
Ed spalanca gli occhi, sta per aggiungere qualcosa ma Morris inizia a scuotere energicamente la testa, e il rosso decide che è meglio riprendere a sorseggiare il suo the in silenzio.
-Spiega.
Gli racconto come sono andate le cose e riesco a tranquillizzarlo quel poco che basta per evitare che si metta di nuovo ad urlare. Una volta finito il mio resoconto, arriva la pioggia di domande. C'era da aspettarselo.
-Quindi, Vince ce l'ha con te- Lynch mi indica- e anche con te- e indica Ed. Scuotiamo la testa in segno di conferma.
-Bene..- la calma prima della tempesta?
perché ce l'abbia con te mi sembra abbastanza chiaro, sei una ragazza e non ti sei ancora piegata al suo volere implorandolo di amarti..- Morris si passa una mano tra i capelli.
-Ma Ed? Tu cosa c'entri con Vince? Non mi è chiaro..
Ed, che fino a quel momento è rimasto in silenzioso isolamento, si irrigidisce e mi guarda di sfuggita.
-Io..ehm..- indugia. Non dire la verità, non dire la verità. Cosa succederebbe se Lynch e Morris venissero a sapere che Ed è strettamente collegato a Vince? Di sicuro lo caccerebbero, ma solo questo? Sto pregando con tutte le mie forze che il rosso trovi una scusa logicamente accettabile entro i prossimi quattro secondi.
-Ecco io.. Vince è..- indugia. Mio cugino e Morris si scambiano uno sguardo interrogativo, ma finalmente Ed mette insieme i pezzi e si salva sull'orlo del precipizio.
-Vince è arrabbiato con me perché ho preso il suo posto nella vostra band.
C'è un attimo di esitazione da parte dei due ragazzi, ma poi a tutti sembra una motivazione più che plausibile, per lo meno con uno come Vince.
-Ah, solo questo. Bene, allora direi che hai già scontato la tua pena- sentenzia mio cugino, indicando i vari segni del combattimento.
-E tu- continua minaccioso, indicandomi. -Sarà meglio che per i prossimi mesi io sia costantemente informato su dove vai e con chi sei, se non vuoi ritrovarti a fare l'elemosina sotto il Big Ben- e detto questo esce dalla stanza seguito da Morris, che ridacchia senza farsi vedere.
-Però..- sussurra Ed con fare complice.
-Iperprotettivo. Lo è sempre stato- lo informo, mentre mi siedo nuovamente.
-Sai, eri molto sexy mentre cercavi di atterrare Vince. Molto Lara Croft, o Cat Woman, o..-
-Ed- lo interrompo, ridendo.
-Cosa c'è? Dico sul serio! Con quel cappuccio da cattiva ragazza.
-Smettila- continuo a ridere, tirandogli un colpo amichevole sul braccio. Fa una smorfia di dolore e mi pento subito.
-Oddio, scusami!- mi alzo e mi avvicino a lui. In quel momento mi afferra per un braccio e mi trascina vicina, molto vicina. Lo fisso negli occhi mentre mi torna in mente la serata al parco e il fatto che io ancora non ho ben chiaro che cosa  sia successo nell'arco di tempo tra la bottiglia di Vodka e il mio risveglio.
-Non puoi sfuggirmi per sempre- mi sussurra all'orecchio.
-E' una sfida?
Non capisco come possa essere ancora così incredibilmente bello sdraiato su un lettino d'ospedale. Il suo sguardo incontra il mio e credo di arrossire, ma poi riesco a riprendere in mano la situazione. Mi libero dalla sua presa e mi risistemo sulla sedia.
-Prima, per un attimo, ho temuto che raccontassi tutto a Lynch- cambio argomento. -Era una scusa fantastica.
-Già, be' ecco.. Non era esattamente una scusa.
-Ce l'ha con te per quello? Davvero?- chiedo sorpresa.
-Si. Però gli brucia più il fatto che io non abbia ancora sistemato Walt.
A quelle parole mi irrigidisco un po' e Ed sembra accorgersene.
-Tranquilla, non ho intenzione di farlo. Walt è un ragazzo molto fortunato.
Gli sorrido.
-Vince ce l'ha con te per un sacco di cose- scherzo.
-Già. Era così anche da piccolo, quindi..- alza le spalle.
Lo guardo stupita.
-Da piccolo?
-Ehm..- indugia.
-Ed?
-Cazzo..
-Ed da quanto conosci Vince?
-Non posso dirtelo.
-Perché no?
-Cat lascia stare, ti prego.
-Dimmelo.
-Non posso- scuote la testa. -Ti perderei.
Mi alzo in piedi e mi avvicino a lui. Lo guardo per un attimo e mi accorgo che è molto preoccupato.
-Non me ne vado, promesso.
-No Cat, non fare promesse che sai di non poter mantenere.
In quel momento mi torna in mente la sera sul balcone di qualche tempo prima. Ci eravamo promessi un segreto per un segreto. Io gli avevo detto il mio, era il suo turno. Gli prendo la mano e lo sento irrigidirsi sotto il mio tocco.
-Un segreto per un segreto, ti ricordi?
Ed mi guarda per un attimo e trattiene il respiro, poi finalmente cede, sbuffando.
-Ti prego, non te ne andare.
-Non vado da nessuna parte- lo rassicuro, stringendogli ancora la mano. Annuisce e fa un respiro profondo.
-Mia madre è morta il sette Luglio di sedici anni fa. Avevo otto anni. Non ho mai conosciuto mio padre, così mi sono ritrovato solo di punto in bianco. Non avevo più nessuno su cui contare. Mi trasferirono in un collegio per bambini orfani, ma qualche anno dopo me ne andai. Non volevo più avere nulla a che fare con le persone e me ne stavo solo il più possibile. Vivevo dove mi capitava. Riuscii a raggiungere Londra dove conobbi il proprietario del negozio di dischi del centro. Fu lui ad aiutarmi più di tutti e fu lui a regalarmi la mia prima chitarra. Poco dopo morì, e io mi ritrovai solo di nuovo- fa una pausa.
-E hai conosciuto Vince..
-E ho conosciuto Vince- annuisce. -E gli volevo bene. Molto. Lui è stato la mia famiglia per quasi tutta la vita. Lo seguivo in tutto ciò che faceva. Tutto. Finché non mi sono reso conto che stavo sprecando la mia vita e la mia passione- sorride. -Quindi ho deciso di allontanarmi da lui, ma sembra non aver accettato la cosa.
Cerco di assimilare tutte queste informazioni sul passato di Ed Sheeran mentre lui mi fissa preoccupato. Non sono arrabbiata, non sono delusa, sapevo che aveva a che fare con Vince e sapevo che lui era molto meglio di ciò che pensava. Non vedo perché dovrei avercela con lui.
-Cat, dimmi qualcosa.
Gli sorrido e mi chino per abbracciarlo.
-Non vado da nessuna parte. 
 
 

 
**
 
Sono passati due giorni.
Hanno dovuto steccare la caviglia di Ed, ma è tornato a casa e, a parte i souvenir della rissa, sta bene.
Walt sembra essere scomparso.
Anche Vince.
Mars e Mike si sono stabiliti sul nostro divano in vista della partenza di stanotte.

 
In casa regna il panico.
 
 
Sono ancora a letto quando sento dei pesanti colpi alla porta e mio cugino che urla ripetutamente il mio nome. Lancio un'occhiata alla sveglia ed emetto un lamento quando mi rendo conto che sono solo le nove.
-Cosa c'è?- sbotto, non appena apro la porta.
-Niente, volevo solo informarti che sono arrivati i tecnici e dobbiamo provare alcune apparecchiature per portarcele via. Ti volevo avvisare nel caso ti disturbassimo..
Lo fisso per capire se mi sta solo prendendo in giro oppure è davvero così mentalmente confuso.
-Lynch, tu mi hai appena disturbato.
Si finge pensieroso, mi tira un pugno sulla spalla e se ne va.
Chiudo lentamente la porta tenendo lo sguardo fisso sul corridoio deserto mentre mi interrogo su quali possano essere le mancanze cerebrali di quel ragazzo. In quel momento un pensiero mi investe come una doccia fredda. Domani sarò a New York. Comincio a saltellare per la stanza mentre apro l'armadio e mi vesto, canticchiando una canzone che non ricordo bene quale sia.
-Buongiorno!- ridacchia Ed, sulla soglia della porta.
-Ciao Ed- lo saluto, aiutandolo a sedersi sul mio letto. E' una delle persone più imbranate che io conosca già normalmente, ma sulle stampelle è quasi un pericolo pubblico. Ricomincio a buttare vestiti a caso nella valigia che mi ha procurato mio cugino, mentre Ed mi fissa sorridendo.
-Cosa c'è?- gli chiedo, ridendo.
-Nulla- risponde sornione.
-Allora smettila.
-Di fare cosa?
-Di fissarmi.
-Non ti sto fissando.
Scuoto la testa mentre torno a concentrarmi su quali paia di scarpe portare con me.
-Ti devo parlare- mi comunica Ed. Lo guardo interrogativa.
-Certo, dimmi- sorrido.
Comincia a torturarsi le dita come fa sempre quando è teso. Mi avvicino.
-Ed, va tutto bene?
-Oh, si si certo- farfuglia.
 In quel momento sento Lynch che mi chiama dal piano di sotto. Guardo Ed e lui mi fa un cenno verso la porta.
-Non ti preoccupare, vai- sorride.
-Sicuro?
-Certo, parliamo dopo.
-Ok..
Scendo le scale e raggiungo mio cugino.
-C'è una persona per te in giardino.
-Una persona?- chiedo stupita.
Apro la porta.
-Ciao Cat- la sua voce è più dura del solito.
-Ah, ciao Walt!

 
Ciao a tutti :) Dopo una fin troppo lunga assenza eccomi tornata con i miei capitoli inutili. Mi dispiace tantissimo di non esserci stata per così tanto tempo, ma ho avuto varie situazioni problematiche tutte in una volta e non riuscivo più a starci dietro, quindi ho dovuto abbandonare qualcosa.. Comunque ora sono tornata e ho un paio di capitoli pronti da riguardare e pubblicare. Ringrazio tutti quelli che continueranno a seguirmi e che hanno avuto pazienza con me. Prometto che mi farò perdonare e spero che questo capitolo (che è stato un parto) vi piaccia. Un bacio e a presto :)
Nel caso in cui aveste qualche domanda da farmi, ho creato un profilo ask e tutte le vostre domande sono le benvenute, inoltre vi lascio anche il link del mio Twitter.

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Capitolo 18
*** I won't give up on you ***



I won’t give up on you
 
Well, I won’t give up on us,
Even if the skies get rough.
I’m giving you all my love,
And I’m still looking up.
 
I won’t give up, Jason Mraz.
-Ah, ciao Walt!
-Non sembri felice di vedermi- sentenzia. E' molto più serio del solito.
Sto per farfugliare un "si, certo che lo sono" ma vengo subito interrotta.
-Certo che no! Immagino tu stessi molto meglio quando io non ero tra i piedi. Tutte quelle giornate in compagnia di Edward.. Non un messaggio, non una chiamata, però io sono stupido quindi non lo capisco, vero?
-Cosa stai dicendo? Io e Ed siamo..
-Cosa? Solo amici?- scoppia a ridere. -Non mi prendere in giro.
Mi avvicino un po' e cerco di tranquillizzarlo dato che sta urlando e non voglio attirare l'attenzione di tutto il quartiere, ma ottengo il risultato contrario.
-Io..
-Non cercare di convincermi che vada tutto bene, perché non va bene per niente- mi blocca.
-Vuoi ascoltarmi?- sbotto. Mi guarda esitando per un attimo, poi alza le mani davanti a sé in segno di resa.
-Parla pure.
-Ho passato molto tempo con Ed, non lo nego, ma non abbiamo fatto niente di male. E non mi sembra di aver bisogno di un tuo permesso scritto per passare del tempo con i miei amici.
-VI SIETE BACIATI!- esplode.
Esito un attimo elaborando quello che Walt ha appena detto. Deve averlo detto solo per vedere la mia reazione, se lo sta immaginando e basta.
-Balle! Noi non..- provo a difendermi, ma poi improvvisamente capisco.
 Al parco.
Ecco cos'è successo quella notte al parco. 
Vengo improvvisamente investita dai sensi di colpa. -Walt, mi dispiace. Io ero ubriaca e lui..
Scuote la testa. -Basta. L'ho già sentita questa storia.
Comincio a chiedermi se non sia meglio raccontargli tutta la verità, tanto ormai mi odia.
Fa per andarsene, ma poi ci ripensa e si volta di nuovo verso di me.
-Me l'ha raccontato il tuo nuovo amore, comunque. A lui non interessi- ride. -Non me l'avrebbe detto altrimenti. Non esitare a prendertela con lui, per quanto me ne freghi. Quando rimarrai sola come un cane non chiamarmi però. Magari fatti chiudere in cameretta dal tuo cuginetto iperprotettivo, così forse la smetti di fare casini, dato che sembra siano l'unica cosa che sai fare. Buona vita, Cat- conclude, avviandosi verso la macchina.
Improvvisamente sento una scarica di adrenalina e di odio nei confronti di Walt, cosa che non dovrei sentire perché in realtà la colpa è mia. Purtroppo, nonostante tutte le mie buone intenzioni di pentimento, la mia bocca ha già deciso di urlargli dietro tutta la verità. E nel modo meno indolore che possa trovare.
-Non mi sei mai piaciuto!- urlo, ottenendo la sua attenzione. -Ti ho baciato solo per convincerti ad andartene. Mi facevi pena! E indovina un po', è stata un'idea del mio cuginetto iperprotettivo- continuo. Mi odio, mi odio, mi odio. -Buona vita, Walt- concludo, sentendomi una grandissima merda. Mi volto di scatto e mi inchino con strafottenza in direzione della vecchia della casa di fianco, uscita in giardino per assistere al trambusto, poi rientro in casa sbattendo la porta e salendo le scale a tre gradini alla volta.
-Tu!- sbotto, irrompendo nella mia camera e trovando Ed steso sul mio letto a giocare con una pallina di plastica che non sapevo di avere.
-Io?
-Esci.
-Cosa..
-Esci.
-Cat..
-ESCI DA QUESTA CAMERA!- tuono, afferrando la stampella di Ed e Ed in persona e trascinandoli di peso nella sua camera. Rimane fermo sulla porta a fissarmi e io anche. Lo fisso mentre mi chiedo come sia potuto succedere tutto questo in una sola mezz'ora. Mi chiedo quali siano i miei sentimenti, i suoi. Mi chiedo perché ho dovuto essere così cattiva con Walt. Mi chiedo perché Ed abbia raccontato tutto a Walt prima di dirlo a me. Le domande che mi affollano la testa sono così tante che mi sembra di esplodere.
-Cosa voleva Lynch?- mi chiede il rosso, ignaro e abbastanza confuso.
Quella è la goccia. Torno in camera mia sbattendo la porta, poi noto la pallina di plastica appoggiata sul mio letto. La afferro con un movimento brusco e torno in corridoio. Spalanco la porta di Ed, che si sta stendendo sul letto con un'espressione perplessa stampata in faccia, e gliela scaravento addosso con tutta la forza che ho.
-Chiediti piuttosto cosa volesse Walt!- e dalla sua espressione capisco che sa benissimo di cosa parlo.
Quando finalmente raggiungo il mio letto riesco solo a sdraiarmi e scoppiare a piangere.
 
**
Dopo un'oretta abbondante sono ancora stesa sul letto, fissando il soffitto sopra la mia testa e ragionando sul fatto che il lapadario sembra essere attaccato per pochi fili. In quel momento bussano alla porta. Sto in silenzio.
-Cat?- è Lynch. Immaginavo che sarebbe arrivato questo momento.
-Mh?
-Posso entrare?
-Mh mh..
Apre la porta lentamente e si affaccia dentro alla stanza.
-Ti ho portato il pranzo..
-Potrebbe staccarsi..
-Il pranzo?- mi guarda stupito.
-Il lampadario. Potrebbe staccarsi, è attaccato per così poco. Potrebbe staccarsi e poi bum sulla mia faccia. Quello farebbe male.
-Dai, mangia.
-Non ho fame.
-Ok, allora rimani li a immaginarti la tua morte causa caduta del lampadario.
Lo guardo e mi metto a sedere.
-Non ho detto che spero che cada.
Lynch sorride e scuote la testa, poi torna a sedersi sul letto di fianco a me. Addento il toast al formaggio che mi ha portato mentre entrambi fissiamo il vuoto.
-Non ho potuto fare a meno di ascoltare- dice, dopo qualche minuto.
-Come tutto il vicinato, del resto.
-Il tuo inchino alla signora Reynolds è stato magistrale.
-Mi fissava.
-Lo fa con tutti.
Annuisco e riprendo a mangiare.
-Non addossarti tutta la colpa. Lo fai sempre.
-Non vedo altre alternative.
-Se io non avessi insistito, tu probabilmente non ti saresti mai messa insieme a Walt, o non ci saresti mai uscita.
-Avevo dei dubbi, ricordi? Dei dubbi su cosa provavo per lui. Pena, ecco cosa provavo. Faccio schifo.
-Non dire balle, non provavi pena. Walt non è un ragazzo che fa pena. Tu ora mi fai un po' pena, ma quella è un'altra storia.
Sorrido. -Però Walt mi crede una stronza.
-Lo crede anche di me. Ho perso un amico, ma mi prendo le mie responsabilità. E Morris si prende le sue. Abbiamo insistito e tu ci hai ascoltati. Ed si prende le sue, perché ti ha baciata e poi l'ha raccontato a Walt.
-Ed non sa prendersi delle responsabilità.
-Ah si? E allora perché è volato fuori di casa a cercare Walt non appena l'hai aggredito a pallinate?
-A pallinate?- chiedo, divertita.
-Già, non vedo perché tu te la debba prendere con gli oggetti di arredamento della casa.
-Lynch, era una pallina non un oggetto di arredamento.
-In questa casa non si fanno distinzioni, tutto è arredamento. Anche tu sembravi un pezzo d'arredamento prima. Immobile e senza vita.
Scoppio a ridere e gli tiro un colpo sulla spalla.
-A Walt passerà, non ti preoccupare.
Annuisco.
-Grazie Lynch.
-Quando vuoi, divano del mio cuore.
Scuoto la testa e mi avvio verso il bagno per cercare di sistemare il disastro che deve essere la mia faccia in questo momento.
-Cat!-urla Ed dall'ingresso di casa. Ha deciso di rientrare dalla sua ricerca nel momento sbagliato. Non credo di essere pronta per affrontarlo, non ora, così mi rifugio nel bagno, sfruttando il fatto che sono decisamente più veloce di lui. Dopo qualche minuto sento bussare.
-Ti prego Cat, ascoltami- sbotta Ed, dall'altra parte della porta.
-Non ho niente da dirti.
-Ti ho chiesto di ascoltare infatti.
Non andrò da nessuna parte evitandolo, ma non credo di avere le forze per fare altrimenti.
-Non ti voglio neanche ascoltare.
-Non fare la bambina!
Lo sento appoggiarsi alla porta, così la apro di scatto e lui si sbilancia paurosamente in avanti. Ne approfitto per passargli di fianco e avviarmi di nuovo verso camera mia. Ho una valigia da preparare. Il rosso però non sembra arrendersi e comincia a seguirmi.
-No Ed- dico, con voce ferma.
-Ti prego.
-Lasciami in pace- e chiudo la porta della camera con un colpo secco.
Mi lascio scivolare seduta in terra con la schiena contro la porta, e proprio in quell'istante sento un fruscio dall'altra parte. Anche Ed deve essersi messo nella mia stessa posizione. Lo facciamo entrambi, nei momenti difficili.
-Cat, so che sei li dietro.
Sto in silenzio, voglio vedere dove vuole arrivare. Posso sempre inventarmi che in realtà non ho sentito nulla di quello che ha detto, se mai dovesse chiedermelo.
-Cerca di ascoltarmi senza dare di matto, sempre che tu ci sia. Dovevo parlarti prima, e non pensavo che Walt fosse più veloce di me. Ho sbagliato.. In questi giorni sbaglio tutto. Non che prima fosse diverso ma..- fa un respiro profondo. -Ci siamo baciati. E non so cosa significasse per te, non so se lo voglio sapere, specialmente non ora che mi uccideresti volentieri. So cosa significava per me. Tu sei una delle persone più impossibili sulla faccia della terra, sei fantastica prima, e il momento dopo non ti sopporto. Ma forse è solo colpa mia. Ti odio, Catherine, ti odio talmente tanto che mi piaci da impazzire. Ed è questo l'unico motivo per cui ho fatto quel che ho fatto. Non è stata la scelta migliore, e questo lo so, ma non vedevo altre possibilità. Non ho intenzione di arrendermi con te, a meno che non me lo chieda tu.
Rimango immobile e cerco di assimilare quello che ho appena ascoltato. Io piaccio a Ed Sheeran? Non è possibile. E io cosa provo per lui? Non lo so, non ne ho idea. Ho solo una gran voglia di scomparire senza affrontare tutti i problemi che affollano la mia vita.
-Dovresti dire qualcosa ora..-riprende Ed. Trattengo il fiato e mi alzo in piedi. Appoggio la mano sulla maniglia della porta, ma mi blocco. Cosa gli devo dire? Cosa gli voglio dire? Rimango li a fissare le assi di legno dello stipite, immobile e senza fiatare.
-Ok, ho capito.. Se hai bisogno..- lo sento alzarsi in piedi a fatica. -Lascia stare..- e dopo qualche secondo la porta di camera sua si chiude con un rumore sordo.
Apro la porta di scatto e corro giù dalle scale, fuori, in giardino, percorro tutto il marciapiede e non ho intenzione di fermarmi. La pioggia mi investe come una doccia fredda e mi sento molto meno in confusione di quanto non fossi tra le quattro mura della mia camera. Continuo a correre fino al parco, raggiungo lo spiazzo dove sono stata con Ed e mi siedo. Lascio che le goccioline fredde percorrano ogni centimetro della mia pelle mentre penso che neanche io ho intenzione di arrendermi.
Non con Ed.
 
Rientro in casa bagnata fradicia e passo in cucina, dove incontro Lynch, Morris e Mars seduti al tavolo. Ho un sorriso a trentadue denti stampato sulla faccia e, con tutta probabilità, ho l'aria di una che non ha tutti i neuroni al posto giusto. Infatti mi guadagno le occhiate stupite di tutti i presenti.
-Immagino di non dover fare domande- constata mio cugino.
-Ho le idee molto chiare ora.
-Tra sei ore partiamo, così giusto per ricordartelo. Sarebbe meraviglioso se trovassi il tempo di farti una doccia, fare la tua valigia e dormire, ora che hai le idee molto chiare.
-Nessun problema- dico, uscendo dalla stanza.
-Pff, italiani - mormora Mars, mentre tutti e tre scoppiano a ridere.

 

 Salve gente! Ecco come promesso il nuovo capitolo. Questa volta ho deciso di mettere come citazione iniziale una canzone che amo e che ha ispirato questo capitolo, se avete voglia e tempo andate ad ascoltarla perchè merita veramente.
Detto questo, spero che vi piaccia il capitolo e mi scuso per eventuali errori, ma sono di fretta dato che tra qualche ora sarò su un aereo diretto in Irlanda wohoo :)
Un bacio, Annie :)
Vi lascio i miei link di ask e twitter nel caso voleste contattarmi, per qualsiasi cosa mi trovate li. A presto :)

 

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