Il filo di Arianna

di The Darkness Inside Me
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primi arrivi ***
Capitolo 3: *** Sogno o son desto? ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


“Sì, pronto? Agenzia investigativa Mouri, parla il detective Kogoro.”  Goro Mouri aveva da sempre l’abitudine di starsene stravaccato sulla lisa poltrona in pelle del suo studio, bevendo una birra ghiacciata in attesa di udire il telefono squillare. Da una parte odiava quel trillo assordante, perché effettivamente in grado di perforare il timpano di un uomo. Ma dall’altra parte era un buon segno, poiché significava una sola cosa: clienti. E nonostante la sua fama, aveva bisogno di clienti. E non solo per sfamare sé stesso e sua figlia, ma anche perché ormai quel marmocchio alto un metro e venti si era praticamente trasferito nella loro dimora e evidentemente aveva intenzione di vivere a scrocco sulle sue spalle.

Ma ormai non c’era nulla da fare; il nano era diventato suo coinquilino intoccabile secondo Ran e nonostante non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura, si era affezionato a quel marmocchio alto un metro e un chew’n gum spiaccicato.

Era un pomeriggio grigio quello, in cui il cielo tipicamente estivo di quel periodo si era oscurato dai nuvoloni grigi e carichi di pioggia, recanti con sé l’ennesimo temporale estivo della stagione. Si stava gustando la sua solita birra ghiacciata, comodamente stravaccato sulla poltrona quando, con uno squillo assordante, il telefono prese a suonare rumorosamente. Colto di sorpresa, Kogoro saltò sulla sedia  e alzando gli occhi al cielo sollevò la cornetta, portandosi il ricevitore all’orecchio con fare annoiato.

“Si? Di cosa si tratta?”
 

Conan odiava i temporali estivi. Lo rendevano inquieto, per qualche misteriosa ragione. Solitamente evitava di uscire di casa durante un acquazzone in pieno agosto, preferendo di gran lunga la compagnia di un buon libro e del suo comodo lettino, tranquillo e nel silenzio della sua stanza fanciullesca.
Ma era estate, e l’estate gli metteva sete. Conan fissò per altri due secondi le parole scritte sul libro di Sherlock che stava rileggendo per l’ennesima volta, sentendo d’un tratto una sensazione di secchezza  alla gola nel momento in cui aveva mandato giù un groppo di saliva. Con uno sbuffo poggiò il libro sul letto, mettendosi a sedere con un leggero colpo di reni per poi scendere giù dal letto. Uscì dalla stanza, partendo alla volta della cucina.

La cucina si trovava vicino all’ufficio di Kogoro. Era inevitabile non passarvici accanto, specialmente era inevitabile non origliare qualche frammento di conversazione che aveva sicuramente a che fare con un nuovo caso da risolvere. Rallentò il passo, fermandosi poi definitivamente allo stipite della porta.

“Sta dicendo sul serio?”

Conan si sporse un poco oltre la soglia della stanza, osservando curiosamente il padre di Ran discutere con qualcuno dall’altra parte del telefono. Sembrava serio, estremamente  serio.

“D’accordo, verrò. All’isola di Hidaki tra tre giorni, giusto?”
Il bambino aggrottò lo sguardo, confuso; aveva sentito nominare quell’isola, ricordava vagamente quanto fosse piccola e poco abitata, trafficata soprattutto di turisti nel periodo estivo.

“Bene, siamo d’accordo allora. Ci vediamo tra tre giorni, arrivederci.” Kogoro chiuse la chiamata con lentezza, sospirando profondamente. In un movimento involontario voltò poi il capo verso l’ingresso della stanza, scoprendo il bambino scrutarlo in silenzio dal retro delle spesse lenti degli occhiali.

“Tu! Quante volte ti ho detto che non devi origliare le mie conversazioni, brutto ficcanaso!” gridò irato contro il bambino che nel frattempo aveva messo su un piccolo sorrisino imbarazzato.

“Eheh, scusami zietto, non l’ho fatto apposta! Stavo andando in cucina e passando mi è capitato di sentire un po’ della tua conversazione …” cercò di scusarsi con un sorriso il bambino, passandosi impacciato una mano tra i capelli scuri. Kogoro lo scrutò dal’alto … o meglio, dal basso verso il basso, poco convinto.

“Tsk, ma tu guarda un po’ che tipo!” esclamò stizzito, borbottando tra sé e sé. Conan lo osservò, sorridendo piano; inutile, non sarebbe cambiato mai. Ripensò poi alle parole udite poco prima, chiedendosi cosa volessero dire; perché dovevano andare ad Hidaki?

“Ehm, ti ho sentito nominare l’isola di Hidaki … stiamo andando in vacanza là?” chiese con finta ingenuità, sondando il terreno alla ricerca implicita di informazioni.
Kogoro gli lanciò un’occhiata stizzita, incrociando le braccia al petto.

“Uno, la cosa non ti riguarda affatto.” Fece osservandolo con fastidio.

“E due … sì, dobbiamo andare all’isola, ma non per una vacanza.” Esclamò voltando il capo, abbassando la voce.

“Mi hanno chiamato per risolvere uno strano caso che sta avvenendo da diverso tempo sull’isola.” Fece in tono serio. Conan lo osservò curioso; un nuovo caso?

“U - un caso? E di che si tratta?”

“Non mi hanno spiegato molto bene, ma sembra riguardi degli strani avvenimenti che sono avvenuti ai turisti dell’isola e ...” si bloccò di colpo, rendendosi conto del fatto di star per rivelare tutto ad un marmocchio impiccione.

“In ogni caso non ti riguarda! Ma guarda tu se devo discutere con un bambino delle elementari …” bofonchiò tra sé. Conan lo osservò serio, riflettendo sulle poche informazioni ricevute.
Strani avvenimenti tra i turisti dell’isola …

“Kogoro ma verremo anche io e Ran – nechan, vero?” chiese speranzoso, riassumendo un tono infantile. Kogoro sembrò riflettere diversi attimi, prima di sbuffare esasperato, alzando gli occhi al cielo.

“Credo che non avrò altra scelta … ma solo perché Ran vorrà di certo venire. Sono anni che blatera di quanto volesse visitare quest’isoletta sperduta, perciò non credo rifiuterà l’idea.” Esclamò sconsolato, prima di lasciarsi cadere nuovamente sulla poltrona. Conan sorrise leggermente tra sé, tornando poi serio.

Un altro caso, l’ennesimo ormai. Sarebbe stato sicuramente un caso come tanti altri, infondo.
Eppure, dentro di sé, sentiva che quella volta sarebbe stato tutto diverso.
Terribilmente diverso.


Pioveva di fuori.
La poggia precipitava dal cielo plumbeo e finiva sui tetti delle case e dei grattacieli,sull’asfalto,sui giardini,trasformando il terreno in fango.
Gli piaceva la pioggia,lo rilassava. Mille volte se n’era rimasto fuori sotto di essa,solo con una maglia leggera e dei jeans addosso;gettava indietro la testa e chiudeva gli occhi,lasciando che le gocce gli accarezzassero il viso,scivolando giù,lungo il collo,provocando piccoli brividi di freddo. Le numerosissime e appuntite punte dei suoi capelli si imperlavano sempre di quelle goccioline simili a cristalli,così scintillanti,così pure.

Questa volta,però,osservava il diluvio da dentro la stanza dell’albergo,a pochi centimetri dalla finestra. Il vetro rifletteva leggermente il suo riflesso,tanto da poter vedere i penetranti occhi neri,spalancati,quasi vitrei. Scrutavano la città fuori dalla finestra che sembrava più grigia che mai.
 Attraverso la pioggia si potevano scorgere i luccichii delle cime dei grattacieli,che splendevano di tre colori diversi:rosso acceso,blu elettrico e giallo brillante. Assomigliavano a splendide stelle multicolori,l’unico sprazzo di colore fra la grigia coltre di pioggia.

In quel momento non stava pensando a niente in particolare,stava solo fissando la pioggia battente di fuori. Appoggiò un dito sul vetro,dove il calore della stanza aveva creato una patina di acqua condensata. Tracciò un segno tra le goccioline,seguendo il contorno degli edifici davanti a lui. Il piano del palazzo in cui si trovava era talmente alto da raggiungere la cima degli altri grattacieli,così da poter vedere la vita che trascorreva nei piani paralleli al suo;lavoratori d’ufficio,famiglie,giovani coppie. La maggior parte delle volte tutte le tende delle finestre erano chiuse,ma quando erano aperte,ogni tanto,buttava un occhio sulla loro vita,che trascorreva lenta e pigra.

Fare il detective era un lavoro duro,ed essere il miglior detective del mondo,anzi i tre più grandi del mondo,lo era ancora di più. In parole povere,la tua vita oscillava da un caso all’altro;nessuno sa chi sei,nessuno conosce il tuo aspetto,il tuo carattere. L’unica cosa che sapevano è che si chiamava L e che era intelligente. Basta.
Ma a lui stava bene così. Non aveva mai amato essere sotto i riflettori,e anche se era il detective più famoso al mondo,nessuno in realtà lo conosceva sul serio. Quindi,alla fine,era meglio così.
Un lampo catturò la sua attenzione,facendolo smettere di tracciare il profilo delle case sul vetro Si sentì un tuono dopo due o tre secondi. Era abbastanza forte,ciò significava che il temporale era vicino.
Subito dopo che il tuono finì di rimbombare,sentì uno scricchiolio alle sue spalle. Si girò con calma,sapendo perfettamente che era stato un uomo coi capelli bianchi e con gli occhiali ad aprire la porta.
Watari era l’unica persona di cui si fidava completamente. Lui lo aveva accolto alla Wammy’s House. D’altronde,lo aveva fondato proprio lui l’orfanotrofio. Senza Watari,probabilmente ora vagherebbe per una strada,chiedendo l’elemosina ai passanti. Era come un padre per lui,e se fosse morto,beh,allora sarebbe valsa la pena di morire poco dopo di lui.

“Watari.” Disse L,squadrandolo; la familiare figura del vecchio era in ombra per via della luce in corridoio.
Notò che aveva in mano un telefono.

“E’ il caso di cui tutti parlano.” Disse Watari. “Quello dei dodici sacrifici.”

“Già.” Commentò quello davanti alla finestra. Abbassò lo sguardo, fissando il tappeto sotto i suoi piedi scalzi.

“Alla fine hanno deciso di chiamarti.” Continuò Watari.

“Chi?”

“Uno strano tipo, dice di provenire dall’isola di Hidaki.”
L si avviò verso il vecchio, sfilando la mano dalla tasca solo quando passò vicino alla ciotola piena di cioccolatini sopra il tavolo. Ne prese uno a caso e iniziò a scartarlo con le lunghe e sottili dita bianche.


“E’ lui al telefono?” domandò biascicando, ficcandosi il cioccolatino in bocca.

“Sì.” Rispose il vecchio annuendo. Guardò male il ragazzo che gettò la carta sul pavimento e poi gli passò il telefono.

L lo scrutò per un attimo: era uno di quegli apparecchi con cui la voce poteva essere modificata. Lo usava sempre per poter parlare con altri detective o con la polizia. Si immaginò la sua L nera in un corsivo sul monitor di questo tizio.
Una L nera in campo bianco.

Allungò una mano, e quando prese il telefono con due dita un lampo inondò la stanza scura di luce biancastra.
Si avvicinò il telefono all’orecchio, mentre un tono riecheggiava con il suo verso potente. Sembrava che anche il cielo fosse stupito da quella specie di alleanza non ancora compiuta tra un detective solitario e uno che collaborava con molti.
Appena terminato il rombo del tuono, il detective solitario aprì bocca, esclamando;

“Piacere,Io sono L.  A sua disposizione.”

Nota autrici:
Salve a tutti! Siamo Letizia (The Writer Of the Stars) e Martina (the darkness inside me). Conoscerete sicuramente già Letizia (sì è quella che vi assilla con le sue storie) ma Martina è la new entry, perciò eccola qui! Bene Martina, spazio a te.
Salve, sono Martina e questa è la prima storia che pubblico su Efp. In quanto fan di Death Note e Detective Conan (come Letizia) abbiamo pensato ad una collaborazione in cui poter unire questi due mondi. Dopo aver fangirlato e immaginato per mesi questa storia, oggi, all’alba del 9/06/ 2015, ci siamo finalmente decise a partorire la nostra creatura e a mettere per iscritto la nostra idea. Perciò eccola qua. Io e Letizia abbiamo deciso di pubblicarla nel mio account, perciò possiamo considerarla una “Darkness inside me” ft. “The Writer Of The Stars.” XD
Non abbiamo date precise per aggiornamenti dato che scriveremo i capitoli insieme o alternandoci.
Essendo fan impazzite di L, abbiamo voluto instaurare una collaborazione tra il nanetto e il nostro amato dolciomane (?)
Intervento di Letizia: buonsalve. Alle fan di Heiji: don’t worry Heizuha shippers, ci sono io a prendermi cura dei nostri amati tonni di Osaka. ;)
Ah, one thing! Il nostro L stavolta non resterà asessuato (forever alone on mode). Stiamo infatti creando un nuovo personaggio apposta per il misterioso detective … vi anticipiamo solo che avrà i capelli rossi e sarà una tipa alquanto … bizzarra.(non diciamo altro perché in realtà non abbiamo nemmeno noi idea di cosa verrà fuori … è ancora una senza nome.)
Bene, dovremmo aver detto tutto. Speriamo che la nostra pazzia (non solo la storia, anche la nostra infermità mentale) (ma no dai, siamo simpatiche! ndMartina) vi possa piacere. Ci piacerebbe sapere la vostra opinione e se vi va di recensire … beh, fatelo (fateloooooo!!!)
Ehm ehm, noi abbiamo finito. Ce ne andiamo. Adiòs amigos!
Alla prossima!
Leti e Marti

 

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Capitolo 2
*** Primi arrivi ***



“Idiota! Vuoi stare ferma per un minuto?!”

“Heiji, smettila, è un momento delicato!” Il detective di Osaka sbuffò sonoramente, alzando gli occhi al cielo con esasperazione.

“Senti, non è di certo colpa mia se soffri di mal di mare!” esclamò scocciato in direzione della propria migliore amica. Kazuha non rispose, limitandosi a serrare gli occhi e a stringere maggiormente il braccio dell’amico. Heiji le lanciò uno sguardo colmo di preoccupazione, sorreggendola con delicatezza.

“Hey, va tutto bene, piccola?” Le chiese rivelando una certa ansia. Heiji squadrò il volto della ragazza, scoprendolo tremendamente pallido. Kazuha serrò gli occhi, ingoiando un grosso groppo di saliva e annuendo piano con la testa.

“Sto bene,non preoccuparti. Sono solo queste maledette onde …” rispose con un sorriso stanco, aprendo gli occhi arrossati. Heiji la guardò senza parlare, mordendosi le labbra agitato; da quando erano saliti su quella nave diretta all’isola di Hidaki, Kazuha aveva vomitato almeno due volte e non aveva affatto una bella cera. Heiji lo sapeva che la ragazza soffrisse terribilmente il mal di mare e perciò le aveva consigliato di restare a casa, trattandosi solo di un ennesimo caso da risolvere, ma Kazuha, come suo solito, non aveva voluto sentire ragioni e così quella mattina era salita con lui sulla nave deserta diretta in quella località sperduta. Lo avevano chiamato due giorni prima dall’unico albergo presente in tutta l’isola, famosa per il suo paesaggio paradisiaco, chiedendogli di raggiungere al più presto l’isola per la risoluzione di un caso alquanto complicato e intrigante.

“Io comunque te l’avevo detto di non venir …”

“Heiji, guarda laggiù!” lo interruppe subito la ragazza, sembrando riacquistare la solita vitalità, indicando un punto oltre il parapetto della nave. Heiji aguzzò la vista, seguendo con gli occhi il punto indicato da Kazuha. Dinanzi a loro, a pochi metri di distanza, svettava un’isola piccola e completamente ricoperta di boschi, mare e spiaggia dall’aspetto paradisiaco.

Heiji sorrise piano, anche se avvertì dentro di sé un certo nervosismo alla bocca dello stomaco.

“Già, l’isola di Hidaki …” sussurrò tra sé, sentendo Kazuha sorridere al suo fianco. D’un tratto però percepì la ragazza muoversi con velocità e spostando lo sguardo verso di lei notò che si era portata una mano alla bocca ed era sbiancata improvvisamente.

“Torno subito!” biascicò velocemente, prima di prendere a correre all’interno della nave, diretta verso il bagno.

“Kazuha!” le gridò dietro Heiji preoccupato, sperando con tutto se stesso che una volta approdati sull’isola, Kazuha si sarebbe sentita meglio. Odiava vederla soffrire.
 
-- 

Heiji scese dalla nave, inspirando una boccata d’aria fresca. Ah, l’aria di mare!

“Kazuha, tutto bene?” chiese con una leggera ironia nella voce, percependo la ragazza raggiungerlo a passi pesanti dietro di lui.

“Mi prendi in giro, vero?” borbottò Kazuha tenendo lo sguardo basso, sentendosi comunque meglio nel rimettere piede in terra. Heiji sorrise tra sé, sentendosi comunque sollevato nel sapere la ragazza in condizioni di salute più accettabili.

Kazuha intanto, procedeva dietro di lui con passi strascinati, sentendo la testa girare. A testa bassa, arrancò fino a quello che doveva essere l’ingresso dell’hotel, quando ad un tratto, un ulteriore capogiro la costrinse ad accasciarsi verso il suolo, esausta.

“Heiji …” sussurrò in tono supplichevole, prima di sentire le forze venirle meno. Ma l’impatto col terreno non fu poi così violento, forse perché col terreno non si era schiantata.

Non appena Heiji si voltò alla ricerca della propria migliore amica, rimase immobile, come pietrificato. Kazuha stava placidamente abbandonata contro il petto di un ragazzo dalla maglietta bianca e i jeans scuri, leggermente stropicciati. I capelli neri ribelli e scompigliati, simili a un riccio, e gli occhi, neri come la pece e contornati da due profonde occhiaie erano spalancati e fissavano Kazuha come se fosse un fantasma.

Il detective dell’Ovest sentì la rabbia montargli dentro. Con sguardo irritato, abbandonò in terra la propria valigia e si fiondò, a passi lunghi e nervosi, verso lo sconosciuto che teneva inconsciamente fra le braccia Kazuha, evidentemente cadutagli sopra nel collasso.

“Senti.” Esclamò in direzione del povero ragazzo, evidentemente sconvolto.

“Lei è mia, se permetti me la riprendo.” Fece geloso, sottraendo Kazuha dalla stretta involontaria del ragazzo e prendendola in braccio, allontanandosi verso la hall dell’albergo, subito dopo aver lanciato un’occhiata intimidatoria al povero giovane dalle profonde occhiaie, che nel tutto era rimasto inerme, a fissare sconvolto la ragazza che gli era caduta sopra all’improvviso.

“Watari.” Fece pochi secondi dopo, percependo la presenza dell’anziano alle sue spalle, evidentemente dopo aver recuperato i loro bagagli.

“Sì, L?” L osservò scettico e ancora sconvolto il ragazzo dalla carnagione olivastra e la ragazza senza sensi allontanarsi insieme, diretti verso l’ingresso dell’albergo. Si rivolse poi nuovamente a Watari, chiedendo ciò che più gli premeva.

“Chi erano quei due individui?”
 


Nota autrici:
Buonsalve gente! Siamo tornate eh,tranquilli! (Guarda che non gli siamo mancati. Nd Leti.) (Sì, invece. U.U nd Marti.)
Siamo riuscite a scrivere questo capitolo oggi per miracolo, perché dopo aver visto tutti gli episodi di “Corpse Party” insieme (FEELS.ç_ç) l’ispirazione era proprio morta, ma dato che Leti domenica se ne va in England e per due settimane potete dirle addio su Efp (ma guarda che poi torno, eh! E lo so che ti mancherò.) dovevamo scrivere per forza oggi. Ci vediamo direttamente a metà luglio per gli aggiornamenti. Intanto beccatevi questo capitolo di passaggio, utile solo all’introduzione dei due tonni di Osaka ma ahimè necessario, perciò … fateci sapere se secondo voi Kazuha è ancora viva o no e in che modo la sveglierà Heiji in una recensione (e.e).

A presto!
Marti e Leti

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Capitolo 3
*** Sogno o son desto? ***


Si guardavano tutti intorno, rapiti dalla bellezza della hall dell’albergo:dai grandi finestroni ai lati della stanza entrava la luce crepuscolare del tramonto,che si rifletteva
sull’enorme lampadario di cristallo sopra di loro, inondando i presenti di accecanti bagliori colorati.

“Ma è magnifico …”sospirò con un filo di voce Kazuha,ancora aggrappata al suo braccio. Heiji la strinse con fare protettivo temendo che potesse sentirsi male di nuovo. Girò nervosamente la testa da una parte all’altra,cercando Shinichi,Ran e Goro;avevano detto che sarebbero venuti anche loro all’isola di Hidaki,ma non li aveva ancora visti.

Non erano in molti,altri cinque o sei al massimo. Non riconobbe nessuno,solo il ragazzo dall’aria trasandata di prima e il vecchio che lo accompagnava. Non poco lontano da lui,due ragazzi della sua età parlavano fitto fitto tra di loro,una signora dall’aria altezzosa si sventolava spazientita un ventaglio davanti alla faccia e un uomo anziano seduto su una poltrona fissava un punto imprecisato dinanzi a sé, stringendo tra le mani rugose un vecchio bastone di legno. Un leggero chiacchiericcio riempiva la sfarzosa sala d’albergo.

“Wooooow! Ran nee- chan, hai visto che bello?” le teste di tutti si voltarono di scatto verso l’ingresso dell’albergo dove avevano udito provenire la vocina infantile. Heiji e Kazuha si voltarono in contemporanea, sorridendo dinanzi ai nuovi arrivati.

“Ran!” esclamò Kazuha entusiasta, divincolandosi dalla stretta di Heiji e correndo verso la ragazza.

“Kazuha! Quanto tempo, come stai?” chiese affettuosa, abbracciando l’amica. Kazuha ripensò ai fatti avvenuti pochi attimi prima, al mal di mare e al momento in cui si era svegliata tra le braccia di Heiji dopo essere evidentemente svenuta.

“Diciamo che potrei stare meglio … comunque, che mi racconti?” Ran e Kazuha presero a chiacchierare animatamente tra di loro estraniandosi dal resto dei presenti.

“Allora Shinichi, che mi dici?” sussurrò Heiji al bambino con gli occhiali, abbassandosi alla sua altezza. Conan alzò le spalle incurante.

“Mah, niente di che. Sai, sono curioso di sapere per quale motivo siamo stati chiamati qui …” osservò sospettoso, guardandosi attorno con circospezione.

“Già, vorrei tanto saperlo anche io …” convenne Heiji.

“Gentili signori, permettete che vi dia il benvenuto nella meravigliosa isola di Hidaki!” tutti si voltarono nuovamente, stavolta in direzione opposta rispetto all’ingresso, attirati da una potente voce maschile. Al centro della grande hall sostava infatti un uomo sulla cinquantina, dai capelli scuri e gli occhi luccicanti di una strana perversione. Indossava un elegante completo scuro, evidentemente doveva essere il responsabile dell’albergo.

“Benvenuti all’ hotel “Il labirinto di Dedalo!” Io sono Himura Kasagi, proprietario e gestore di questa, permettetemi di dire, magnifica reggia, l’unica in tutta l’isola, che vi ospiterà durante il vostro soggiorno qui!” esclamò trionfante, le braccia spalancate come un abile oratore greco e un sorriso mellifluo ad imbellettargli il volto. Tutti i presenti lo osservarono curiosi, annuendo fra di loro.

“E così sarebbe questo il tipo che ci ha chiamato qui …” osservò Heiji in un sussurro che solo Conan riuscì ad udire.

“Già, a quanto pare …” rispose il bambino, scrutando pensieroso il tipo che li aveva accolti. C’era qualcosa nel suo sorriso, nei suoi occhi e nei suoi gesti che lo inquietava, indubbiamente.

“Prego, seguitemi, vi mostro la sala da pranzo! Sarete di certo affamati.” Riprese l’uomo, prima di voltarsi e prendere a camminare, facendo cenno ai presenti di seguirlo.
 
                                                 

L  alzò gli occhi al cielo scuro, sospirando pesantemente. Quella notte le stelle sembravano emanare una luce diversa, più intensa e magica. O forse erano stronzate. Forse il fatto era che non si era mai trovato in quella zona geografica sino ad allora e magari lì le stelle erano di più, in quella zona del Giappone vi era una maggiore concentrazione di corpi celesti. O magari si trovava in un’isola il cui unico edificio era un albergo frequentato esclusivamente pochi mesi all’anno e non essendoci le luci della città, le stelle erano più visibili. Sì, doveva essere quello il punto. Con un respiro pesante guardò il bosco che si estendeva fitto fitto davanti a sé, valutando l’idea di andare a fare una passeggiata tra gli infiniti arbusti. Quella sera avevano cenato nella grande sala da pranzo dell’albergo, ognuno nel proprio tavolo, lui solo con
Watari. Era stata una cena ottima in verità. Il cibo era fresco, cucinato alla perfezione e di ottima qualità, per non parlare poi della torta alla crema di cui aveva ingurgitato sei fette.

 Forse aveva esagerato. Ecco perché adesso, alle 3,00 della notte, era dovuto uscire dal grande edificio, tormentato dall’insonnia e dal gran caldo che regnava sull’isola. Chiuse per un attimo gli occhi, eppure il sonno non giungeva. Finalmente, dopo numerosi attimi di indecisione, il detective prese a camminare a passi lenti verso l’ingresso del bosco, illuminato debolmente dal riflesso della luna, quella notte magicamente piena. L avanzò per una decina di minuti, muovendosi senza fretta tra gli alberi tutti uguali. Era buio, eppure le stelle bastavano ad illuminare il cammino dinanzi a lui.

Ad un tratto si bloccò di scatto, paralizzato. Il suo udito sopraffino aveva udito qualcosa agitarsi nell’aria. Sprazzi di una melodia dolce, sembrava uno strumento a corde quello che risuonava flebilmente per il bosco sino a giungere alle sue orecchie. Era musica. Non sapeva cosa esattamente fosse a produrla o da dove arrivasse, ma di quello era certo; si trattava di musica. Lentamente riprese a camminare, seguendo la melodia che mano a mano si faceva più chiara e distinta, come catturato da essa.  Quando capì di essere ormai giunto alla provenienza della dolcezza di quelle note si bloccò di scatto. Dinanzi a lui si estendeva una piccola radura, circondata da tutti i lati dagli alberi che infittivano il bosco. Al centro di essa si trovava la strana rovina di quello che probabilmente in antichità era stato un altare di sacrificio agli Dei, la cui struttura in roccia e marmo era rimasta sorprendentemente intatta nonostante gli anni. Ma non era stato quello a colpirlo; non era solo. Al centro di quell’altare, ritta in piedi, vi era qualcuno. Era una giovane donna, probabilmente di poco più di vent’anni. Il corpo era esile, delicato come porcellana e illuminato solo dall’abbagliante luce azzurrognola della luna che svettava imponente sopra di lei, nel manto scuro in cui le stelle erano rimaste intrappolate per sempre. La figura dolce della giovane era avvolta da un lungo abito del colore della purezza, macchiato di sprazzi d’oro, e ripreso sulla vita e sulle spalle, degno solo di una dea greca o di una creatura mistica quale appariva. Ma fu un altro particolare a catturare la sua attenzione; come una cascata di inverno, lungi capelli color del fuoco vivo ricadevano sulla schiena della giovane, muovendosi indipendenti in onde come di mare. La dea, perché per lui altro non poteva essere, danzava libera sulle note di quella musica, proveniente chissà dove, che ricordava a tratti il flamenco spagnolo e sempre maggiormente le danze della terra dalle verdi colline, l’Irlanda che portava il rosso dei suoi capelli vivi.

 L era rimasto immobile. Svelto si era nascosto dietro ad un albero, restando incantato a fissare la figura onirica che si palesava dinanzi ai suoi occhi. Non si era mai sentito così; alla visione di quella creatura, qualcosa era scattato dentro di lui, un calore strano aveva invaso il suo petto di ghiaccio e il suo cuore, che batteva regolarmente 80 battiti al minuto, aveva preso a correre nel suo petto e a colpire la sua cassa toracica con una potenza inaudita, che L aveva temuto volesse scappare via dal proprio corpo. Non mosse un muscolo, paralizzato, temendo che se solo avesse calpestato una foglia avrebbe spezzato quel delirante sogno , perché ne era certo, quello era un sogno,che l’insonnia aveva palesato dinanzi alle sue iridi buie come il cielo sopra la propria testa. Era solo una visione, un incanto dettato dalla stanchezza e che aveva palesato dinanzi a sé la creatura onirica che stava fracassando il suo cuore. La ragazza intanto non smetteva di danzare, di muoversi leggiadra ma al tempo stesso passionale sulle note di quel brano così bello ed indicato per quel momento. La luna, sicuramente, era stata lei a conferire ancora più magia a quel momento colmo di misticismo e incanto che aveva avvolto il bosco solitario. La ragazza non si era accorta di nulla, seguitava a danzare come se da quella danza dipendesse la propria vita. Ma ad un tratto l’incantesimo si spezzò; un’inaspettata quanto piacevole raffica di vento si schiantò sul volto di L, costringendolo a serrare gli occhi per il fastidio. Li riaprì pochi secondi dopo, ma nulla era più come prima; non vi era più alcuna musica d’Irlanda a fare da colonna sonora al suo sogno e l’altare che aveva visto palcoscenico di quella magia di luna era vuoto. La ragazza era scomparsa.

L sospirò tra sé, passandosi una mano sul volto stanco e marcato dalle occhiaie, tornando il ragazzo dall’aria fredda e impassibile di sempre. Era stato solo un sogno, ne era certo. Uno strano, ma meraviglioso sogno.
 


“Watari, vado un attimo in bagno. Torno subito.” L’anziano annuì senza alzare minimamente gli occhi dalla tazza del suo caffè. L si alzò dal tavolo dove stavano consumando la colazione, lanciando un’occhiata agli altri presenti, ognuno impegnato a consumare il proprio pasto nei loro tavoli riccamente apparecchiati in quella calda mattina di luglio. L si allontanò dalla sala da pranzo, sentendo mano a mano il chiacchiericcio della sala svanire dietro di sé. I bagni erano dall’altra parte della hall, ma abbastanza distanti perché potessero concedere lui un po’ di silenzio. Stava camminando per la sfarzosa hall, ripensando per la milionesima volta allo strano “sogno” che lo aveva colpito la sera precedente e scoprendo, suo malgrado, di non essere in grado di dimenticare quella ragazza dai capelli rossi che lo aveva stregato.

“Ma che diavolo …” imprecò all’improvviso.

 D’un tratto infatti, avvertì qualcosa venirgli addosso, come un peso sulle spalle. Sorpreso si voltò di scatto, cercando colui o colei che gli era involontariamente finito addosso. I suoi occhi bui si spalancarono di scatto, scontrandosi con due iridi verdi come le colline di quell’Irlanda che era tornata alla mente ieri sera. Un volto candido e spruzzato di lentiggini sulle gote sostava dinanzi a lui curioso mentre una cascata di capelli color del fuoco ricadevano indomabili sulle spalle della giovane davanti a lui.

“O mio Dio, scusami, ti sono venuta addosso! Perdonami, non l’ho fatto apposta …” si scusò subito la ragazza, arrossendo visibilmente. L rimase immobile dinanzi a lei. Non era possibile, quella lì non era davvero  …

“Ehm ehm …” tossicchiò la giovane, cercando di attirare la sua attenzione. L continuò a fissarla inebetito con gli occhi sbarrati, rendendosi conto che sì, quella ragazza era lei. Allora non era stato un sogno …

“Comunque, piacere, io mi chiamo Shannon!”
 

Angolo autrici:
Ragashi,siamo tornate!O meglio,Letizia è tornata! Tanti bacini londinesi, guys! Nd Leti. Coooomunque, mentre Leti progettava una nuova ff sulla Heizuha stile Nozze Rosse (fan di GoT capitemi pls), oggi ci siamo comunque messe d’impegno per scrivere il nuovo capitolo della storia, and so here we are! Che dite, vi piace Shannon? Ora sappiamo l’origine delle occhiaie di L, capito il birbantello? *if you know what I mean* Nd Leti. “Che diavolo dici?!” Nd Marti. “Ehehe …” *faccia pervy. * Bene, ci siamo!
Fateci sapere che ne pensate eh, siamo curiose! Domanda del capitolo: secondo voi,qual è l’origine delle occhiaie di L? A voi l’ardua sentenza.

A presto!

Un abbraccio, Adam.

No aspettate.

Marti e Leti

Ora va meglio.
 
Se volete farvi un'idea della musica che ha accompagnato la danza di Shannon:  https://www.youtube.com/watch?v=FMwRhSyJhDQ 


 

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