Oscilloscope.

di northernlight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** i. Do I wanna know? ***
Capitolo 2: *** ii. R U mine? ***



Capitolo 1
*** i. Do I wanna know? ***



                Oscilloscope.



 
i. Do I Wanna Know? 
 
Arrivò davanti al negozio di chitarre, spense a malincuore la sigaretta a metà accesa troppo tardi ed entrò. Al trillo del campanellino della porta, il solito saluto del proprietario non giunse alle orecchie di Alex quella mattina. Si guardò attorno, l’odore del legno e del lucido per le chitarre lo accolse come un caldo abbraccio in un giorno molto freddo.

“Heilà? C’è nessuno?”
Il negozio sembrava vuoto fatta eccezione per le decine di bellissime chitarre appese sui sostegni a muro. Alex aveva scoperto quel posto semi sperduto una delle prime volte che aveva messo piede a Los Angeles con la band, anni prima: era in giro da solo ad esplorare la città e aveva bisogno di un po’ di corde nuove per la sua acustica personale e si era imbattuto per caso nel negozio. Il proprietario del negozio si era mostrato sempre molto gentile e disponibile con Alex e ogni volta era sempre un piacere discutere di musica con lui. Quella mattina era lì più o meno per lo stesso motivo: doveva ritirare una chitarra nuova che non riusciva a reperire in Europa e aveva bisogno di un paio di corde nuove, quelle che aveva sistemato mesi prima le aveva rotte una sera che era tornato a casa incazzato e non molto lucido e si era sfogato suonando. Si riscosse, fu attratto da un movimento repentino alla sua destra, proprio accanto ad una parete piena di Manson. Accigliato, notò una ragazza dai lunghi capelli che puliva delicatamente le preziose chitarre mentre ballava in punta di piedi su un paio di Converse nere alte. La sua pessima abitudine di squadrare la gente da capo a piedi, gli permise di notare subito la t-shirt bianca e la salopette che indossava.

Se non avesse i capelli così chiari potrebbe essere l’unica altra persona al mondo a risultare così aggraziata con addosso delle Converse ed una salopette’ pensò. Scacciò via i ricordi scuotendo la testa e schiarendosi la gola nel tentativo di richiamare l’attenzione della ragazza. Provò a salutare ancora, ma non ricevette risposta. Non voleva essere maleducato e nemmeno spaventarla però aveva proprio bisogno di quelle corde quella mattina. A qualche passo da lei, Alex si allungò per toccarle lievemente una spalla. La ragazza si voltò di scatto, un urlo soffocato, la mano alzata pronta a dare uno schiaffo in pieno viso al suo aggressore. Alex indietreggiò, le mani avanti in segno di resa e difesa.

“Oddio!”
Le sottili dita della ragazza sfiorarono appena il naso di Alex per poi andare a strappare con forza gli auricolari che aveva alle proprie orecchie.

“Ferma! Ferma! Non voglio farti del male!”
Solo in quel momento la ragazza realizzò che nessuno stava cercando di ucciderla e lasciò cadere il panno che teneva nella mano che non aveva usato per provare a picchiare Alex. Imbarazzata si portò le mani alla bocca.

“Oddio!”

“Sì, questa l’ho già sentita…” disse Alex sorridendo toccandosi il naso.

“Oddio… ehm, scusami! Avevo la musica troppo alta e non ti ho sentito” si giustificò lei “s-stai bene? Non ti ho colpito, credo…”

“Sto bene, tranquilla. Tu? Eri così concentrata a pulire che pensavo ti venisse un infarto, ma non sapevo come fare per chiam-…
Alex la seguì con lo sguardo mentre raccattava le cose che stava usando per portarle dietro ad un bancone di vetro pieno di accessori per chitarre. Le mani nelle tasche dei jeans, non molto sicuro sul da farsi.

“È che non mi hanno detto che c’erano consegne in programma stamattina e allora ne ho approfittato per ascoltare un po’ di musica e sistemare qualcosa” lo interruppe lei. Alex la osservò tendersi, di spalle, verso uno scaffale molto alto per prendere un cellulare. Lo controllò rapidamente e lo infilò nella tasca destra della salopette. Solo allora Alex notò che la misteriosa ragazza indossava una maglia con un logo a lui molto noto, quello degli Strokes. La guardò e lei lo guardava di rimando, sorridendo.

“Ehm… bella maglia. Cosa ascoltavi prima?” disse Alex tamburellando con le dita sul bancone.

“Oh, ehm… non vuoi saperlo davvero” rispose la ragazza con una risatina isterica di sottofondo.

“Mettimi alla prova!”
Alex fece spallucce, aspettando la risposta.

“Beh, era Rihanna…” riferì imbarazzata. Alex rise sommessamente, divertito più dall’imbarazzo di lei – figlia di uno che di musica ne sapeva una più del diavolo – che per ciò che stava ascoltando.

“Sai, tempo fa ho fatto una sua specie di cover con la mia band, quindi non essere imbarazzata” la rassicurò Alex ripensando a quella giornata di prove finita a puttane, come sempre. Non vedeva l’ora di tornare in studio e passare da giorni super produttivi a giorni in cui giocavano a lanciarsi Smarties in bocca da un lato all’altro del divano.

“Hai una band?” chiese lei, apparentemente impegnata a digitare qualcosa al pc.

“Sì, ma non è importante. Comunque, lavori da poco qui? Non ti ho mai vista, eppure ci vengo spesso!”

“No, sono la figlia del proprietario, vengo qui quando ha dei pezzi importanti da ritirare di persona. Sono Arielle, in ogni caso” si presentò la ragazza con un sorriso enorme, alzando lo sguardo dal pc e porgendogli la mano.

Arielle...’
Alex si rigirò mentalmente il nome di quella curiosa ragazza.

“Arielle come…?”

“Come la fottuta Sirenetta? Sì, come lei.”
Alex le sorrise, osservò le lentiggini danzare assieme alla smorfia che le spuntò sul viso.

“Perché ridi?” chiese Arielle sinceramente.

“Perché sono abituato a sentire quel ‘fottuto’ con un accento molto diverso da quello americano.”

“Non sei di qui?” chiese incuriosita, non era riuscita a capirlo dall’accento.

“Sono un invasore del vecchio continente, sono solo bravo a simulare cose non mie” rispose il cantante facendo spallucce. Uno strano silenzio cadde tra loro, sembravano due felini che si osservavano da lontano: si fendevano a vicenda con lo sguardo, imperturbabili. Marrone contro verde, castano contro biondo, mascella affilata contro zigomi degni di una scultura di marmo. Alex si accorse di stare tamburellando ancora sul bancone, perciò si fermò e distolse lo sguardo ma lei fu più rapida di lui nel tirarsi fuori da quel pantano di silenzi.

“Comunque, cosa posso fare per te?” chiese risoluta.

“Ho una chitarra da ritirare ma se tu sei qui presumo che il signor Vandenberg sia a recuperare proprio la mia.”

“Posso controllare, se vuoi. Cognome?” chiese Arielle tornando al pc.

“Turner” disse Alex.

“Mmh…” mugugnò scrollando lo schermo, leggendo nomi e dati probabilmente “Alexander David?”

“Alex. Solo Alex. Però sì, sono io.”

“Sì, è andato a prendere la tua chitarra un po’ lontano da qui perciò prima delle cinque di oggi pomeriggio non sarà di ritorno, mi dispiace” rispose lei, pratica e risoluta, tornando a guardarlo dritto negli occhi.

“Oh, perfetto.”
Arielle notò che Alex si rabbuiò e si perse un attimo tra i suoi pensieri.

“Beh, se più tardi o domani non puoi passare a ritirarla, sono sicura che qualcuno può portartela a casa…”

“Sono in hotel.”

“Allora in hotel. Nessun problema! Dovresti solo lasciarmi un numero di cellulare, se non è già nel databas-… ah no, eccolo qui” disse lei consultando ancora il pc.

“Ahem, mi servirebbe per domani pomeriggio” comunicò il ragazzo, la mano a grattare un punto imprecisato del collo, gli occhi imploranti.

“Domani mattina alle 10 sarà al tuo hotel” confermò la ragazza.

Speravo in un saremo’ formulò Alex nella sua mente, senza un motivo ben preciso, ma si guardò dal esprimere quel pensiero ad alta voce.

“Ottimo! Allora ti ringrazio per tutto, Arielle…”
Alex, sollevato, fece per andarsene.

“Alex?” lo chiamò la ragazza proprio mentre le voltava le spalle.

Voglio davvero sapere cosa deve dirmi?

“Sì?” rispose lui in tono eccessivamente speranzoso di non sapeva ancora cosa, effettivamente.

“Se vuoi la chitarra però dovresti dirmi dov’è il tuo albergo.”

Coglione’ aggiunse lui, come a voler completare la frase di Arielle. Alex si diede del ridicolo, dell’idiota e del cretino. E anche altro se non avesse paura dei suoi stessi pensieri in quel momento. Notò un sorriso affiorare sul volto della ragazza, le andò nuovamente incontro.

“Uhm, hai perfettamente ragione. Che sbadato. Sono allo Chateau Marmont, comunque.”
Vide Arielle sgranare appena gli occhi, probabilmente adesso stava pensando alla band dove poteva aver visto Alex e che doveva anche essere parecchio famoso per alloggiare su Sunset Boulevard. Ma lei non fece una piega, prese un appunto su un post-it azzurro e gli sorrise.

“Grazie, Alex.”

“A te” rispose lui avviandosi di nuovo verso l’uscita. Fece appello a tutte le sue forze per non voltarsi a guardarla un’ultima volta, conscio del fatto che sentiva gli occhi di lei piantati nella schiena come lunghi artigli affilati. Appena fuori dal negozio si accese una sigaretta, ringraziando il fatto che fosse intera. Ne aveva bisogno. Fatto qualche metro verso la sua moto si accorse di una cosa: alla fine aveva dimenticato di comprare le corde per la chitarra. Ma non osò rimettere piede in quel negozio. O magari, per quel giorno, l’incazzatura era passata. 

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Capitolo 2
*** ii. R U mine? ***


ii. R U mine? 


“Caffè?”

“Mmh, sì, dai. Però prendo anche un pezzo di torta di carote. O forse quattro. Tra due giorni sarò di nuovo in America dove questa meravigliosa delizia non esiste.”
Alex rise pensando a dove potessero andare per quell’ultima mattinata insieme a Londra. Arielle l’aveva raggiunto non appena lui aveva finito con i concerti della band, due settimane prima. Alex aveva davanti a sé quasi un mese e mezzo di libertà, fino alla seconda settimana di dicembre. Poi sarebbe dovuto tornare a Sheffield – e Arielle a Los Angeles – per le vacanze natalizie e, successivamente, sarebbe ripartito alla volta dell’Australia per una serie di concerti assurdi che arrivavano fino a metà gennaio. Questo significava niente capodanno e niente compleanno con i suoi amici, Miles escluso poiché era in tour con loro come supporter dei Monkeys. Quindi lui e Arielle ne avevano approfittato, anche perché lei non era mai stata a Londra per un periodo così lungo, e ad Alex tornava utile passare del tempo con lei. Erano passati diversi mesi dal loro primo incontro nel negozio del signor Vandenberg. Non era uno che teneva il conto per questo genere di cose, ma era abbastanza sicuro che fossero passati circa tre mesi dal loro primo bacio e, di conseguenza, da una frequentazione più o meno serrata dipendente dagli impegni di entrambi. Non era esattamente una persona che il cantante avrebbe immaginato accanto a sé però stava davvero bene e gli bastava. Alex si guardò attorno provando a fare mente locale di dove si trovavano: Oxford Street.

Come si chiamava quella caffetteria dove sono stato con Miles tempo fa?
Provò a ricordare il nome ma non ci riuscì, era una frana in questo genere di cose. Era uno di quelli che si ricordava di un evento solo perché sentiva quel formicolio invisibile di quando si dimentica qualcosa di importante e, per qualche strana congiunzione astrale, puntualmente gli tornava tutto in mente. In quel momento ricordava solo la strada per arrivarci.

“Mmh, conosco un posto qui vicino, a Soho, o almeno dovrei ricordare come arrivarci. Ci sono stato una volta con Miles tempo fa” propose alla sua ragazza.

“Come si chiama? Possiamo provare a cercarlo su internet!”
Alex si fermò di punto in bianco, si voltò a guardarla.

“A parte il mio non ricordare il nome del posto… tu che provi ad orientarti da qualche parte?”
Arielle sbuffò guardandolo di traverso.

“Non fare lo stronzo, Al…” rispose la ragazza mettendo il broncio e incrociando le braccia sul petto.
 
“Beh, cos’è stato? Un paio di mesi fa a New York per quell’audizione? Hai fatto il giro di un isolato intero e invece avevi parcheggiato esattamente lì davanti?”
Arielle finse di ignorarlo pur sapendo che aveva ragione. Non era molto pratica della Grande Mela, a differenza di Alex che ci aveva vissuto e che si era anche offerto di accompagnarla. Lei aveva rifiutato, perché avrebbe dovuto guidare lei in ogni caso dato l’assurdo ostinarsi del suo ragazzo a non voler guidare altri mezzi all’infuori della sua moto. E si era persa, e da allora Alex non perdeva occasione per rinfacciarglielo tra una risata e l’altra. Alex le piaceva molto anche per quello: in contrasto con l’immagine pubblica che dava di sé, rideva e sorrideva spesso soprattutto quando era a sui agio e rilassato. All’inizio era stato difficile scindere le due personalità che quel ragazzo sembrava alternare quasi inconsciamente ormai; se c’era una cosa che Alex Turner sapeva fare bene era confondere le persone. Poi però, pian piano, aveva imparato che il suo Alex era quello che la prendeva in giro, che non si irrigidiva al suo fianco se lei tirava fuori il cellulare per fermare un momento in una foto, che parlava bene e scandiva ogni parola senza quel fare misterioso che – a suo parere – lo faceva sembrare più un ritardato che altro. Il suo Alex non doveva fare colpo su nessuno, non doveva impressionare nessun media, e ad entrambi andava bene così. Il suo Alex faceva sentire Arielle minuscola – nonostante la sua inesistente altezza da gigante – come in quel momento: il ragazzo l’avvolse in un abbraccio riparatore, stretto e caldo in mezzo a tutto quel freddo a cui lei non era abituata. La risata di Alex invase lo spazio vitale della ragazza che, dopo essersi dimenata quel po’ giusto per fare scena, si arrese alle braccia del cantante.

“Sono ancora arrabbiata” mugugnò Arielle contro il collo di Alex.

“Mh-mh. Dai, andiamo.”
Le scoccò un bacio sulla guancia, la prese per mano e si avviarono in direzione Tottenham Court Road. Alex alzò gli occhi verso l’alto, verso le luminarie natalizie in quel momento spento. Sorrise pensando ad Arielle senza fiato la prima volta che le aveva viste, qualche sera prima: le luci variopinte si riflettevano nei suoi occhi sgranati, nel chiaro sfumato dei suoi capelli che terminavano impigliati in una morbida sciarpa bordeaux.

Com’è possibile respirare l’aria natalizia con più di un mese di anticipo?
Alex amava quella particolarità di Londra anche se quell’anno avrebbe odiato Natale come poche cose nella sua vita. Alex amava quella particolarità di Londra sebbene la città fosse piena il doppio di gente, di turisti che affollavano le strade rendendo impossibile un normalissimo percorso di dieci minuti a piedi. Grazie al cielo, Arielle ignorò – sebbene con gran fatica – l’enorme Top Shop davanti al quale Alex si era sfortunatamente fermato per accendersi una sigaretta: assurdamente sarebbe tornata nella Città degli Angeli con due valigie in più rispetto alla sua partenza, ed è tutto dire visto che – in quel periodo dell’anno – tra Londra e Los Angeles c’erano circa 20° di differenza. Alex si rifiutò categoricamente di sapere cosa la sua ragazza avesse comprato, però poteva giustificarla perché in California non aveva maglioni e l’abbigliamento giusto per non morire di freddo nel vecchio continente. Riportò alla mente il ricordo del suo primo giorno a Londra: le aveva prestato una sua maglia e un maglione nero che non riusciva a riempire del tutto e aveva chiamato Katie perché l’accompagnasse un po’ in giro visto che lui doveva terminare di completare delle scartoffie con Miles. Ai suoi amici Arielle sembrava piacere, a chi più e a chi meno, ma in linea di massima tutti sembravano contenti e tranquilli vista la burrascosa vita e conseguente fine della sua relazione precedente. Non l’aveva ancora presentata ai suoi genitori, soprattutto a sua madre che era ancora molto legata ad Alexa e sperava ancora che le cose potessero sistemarsi in qualche modo.

“Devi proprio tornare a Los Angeles?” chiese Alex di getto. Accanto a lui, Arielle sospirò e si strinse nel cappotto.

“Sì, salterò il Ringraziamento con la mia famiglia, mi dispiacerebbe saltare anche Natale. Perché?”

“Pensavo di poterti presentare ai miei” rispose Alex buttando fuori il fumo della sigaretta ormai finita. Lasciò la mano della ragazza per avvicinarsi ad una pattumiera e spegnerla. Si scaldò le mani sfregandole tra di loro e guardò Arielle negli occhi. Sembrava tesa.

“Pensi sia una buona idea?” chiese la ragazza. Alex scrollò le spalle e si incamminò nuovamente svoltando a destra in una strada e facendo attenzione a non scontrarsi con nessuno. All’improvviso il contatto fisico tra lui e la ragazza sembrava troppo e Arielle sapeva che era per il fantasma di Alexa non ancora evaporato del tutto.

“Io non penso sia una buona idea” proseguì lei raggiungendolo.

“Perché?”

“Perché non… perché non voglio affrettare le cose e sono sicura che avremo tutto il tempo del mondo, no?”
Camminarono ancora un po’.

“Che c’è?” chiese Arielle preoccupata. Alex si fermò e la guardò sorridendo.

“Niente” rispose lui.

“È che vorrei che le acque si siano calmate, prima di irrompere nella tua famiglia. Vorrei presentarmi ai tuoi in un clima normale e sereno perché voglio davvero conoscerli e stare bene e… e… perché sorridi?”

“Niente, siamo arrivati.”
Alex scoppiò a ridere, genuinamente meravigliato da quello che Arielle stava cercando di dirgli. L’aveva colto di sorpresa perciò non voleva interromperla, ma non era stato in grado di trattenere il sorriso enorme che aveva ancora stampato sul viso.

“Oh.”
Arielle sembrava sorpresa e leggermente imbarazzata.

“Ho sentito quello che hai detto, Arielle, e penso tu abbia ragione per questo non ho aggiunto altro. Se vuoi possiamo continuare il discorso ma preferirei farlo dentro perché mi sto gelando il culo e dico letteralmente, visto che questi jeans hanno uno strappo esattamente lì.”
Mentre Alex parlava, Arielle si guardò attorno: si erano fermati davanti ad una piccola vetrina incastonata in una cornice di legno e muratura dipinti di grigio che non avrebbe nulla di particolarmente speciale se non fosse per il numero civico, 193, dipinto di bianco a caratteri cubitali e una bicicletta con la scritta coffee appesa sull’ingresso che dava su una strada non molto trafficata.

“Dove siamo?”

“TAP Coffee, mi ci ha portato Miles un paio di volte tempo fa tipo alle sei di mattina dopo aver bevuto come delle merde. Fanno una cioccolata calda con i marshmallow che è la fine del mondo, e hanno anche la torta di carote più buona di Londra.”
Arielle lo guardò di traverso, incrociò le braccia sul petto tenendo Alex in sospeso sul da farsi. Poi sbuffò e gli diede una spintarella verso l’ingresso del locale.

“Okay, entriamo subito. Mi avevi convinta già a marshmallow!”
Alex rise e la prese per mano avviandosi verso l’interno. Il posto era piccolo e accogliente: il bancone si profilava lungo una parete piena di credenze e tazze, mentre il retro del locale era stato adibito a saletta piena di tavoli dove accomodarsi e mangiare.

“Cosa ti andre-…”
Alex, distratto com’era a guardarla, si scontrò direttamente contro un qualcuno di altrettanto distratto. Il ragazzo contro il quale cantante si era schiantato si chinò rapidamente a raccogliere il cellulare che gli era rovinosamente caduto nello scontro, motivo della sua distrazione. Rialzandosi provò a scusarsi.

“Oddio, mi scus-… Alex!”
Alex parve riconoscere il ragazzo dal volto spigoloso e androgino che, avvolto in una giacca di pelle nera che sapeva di vissuto, si spostava per permettere alla coppia di entrare nel locale e liberare l’uscio della porta.

“Matt” salutò il cantante, si avvicinò per un rapido abbraccio e una pacca sulla spalla. Ad Arielle sembrava un viso conosciuto ma non sapeva dove poteva averlo visto.

“Come stai? Che ci fai a Londra?”

“Abbiamo concluso il tour qualche settimana fa e ho approfittato per passare un po’ di tempo con… con… con la mia ragazza qui in patria.”
Arielle era divisa tra l’essere incazzata nera per la fatica con la quale Alex sembrava aver pronunciato quelle parole, oppure esserne stupita come, tra l’altro, pareva essere anche il nuovo arrivato.

“La tua…”

“Ragazza, sì.”

“Ah, n-non lo sapevo. Ho visto Alexa qualche settimana fa…”

“Acqua passata” lo liquidò Alex quasi gelido. La conversazione non aveva preso una bella piega ma Matt, sempre indeciso sul da farsi, decise di tornare in sé presentandosi ad Arielle.

“Piacere, Matt…”

Hitt, giusto?” completò inquietantemente la ragazza. Alex sembrava perplesso, si voltò a guardarla in attesa di una spiegazione.

“Oh, io… l’ho visto… t-ti ho visto qualche mese fa alla sfilata di Marc Jacobs e Los Angeles è piena di cartelloni pubblicitari Gucci di cui sei testimonial per gli occhiali da sole. Ecco perché mi sembrava di averti già visto da qualche parte. Io sono Arielle, comunque.”
Matt sembrava quasi imbarazzato, mentre le stringeva la mano, da quell’improvvisa notorietà; fortunatamente, a salvarlo, giunse lo squillo del suo cellulare miracolosamente ancora funzionante.

“Scusate, devo rispondere. È per lavoro” annunciò Matt guardando lo schermo.

“Tranquillo” rispose Alex “ci si vede in giro!”

“È stato un piacere conoscerti, Arielle.”
Matt sorrise educatamente alla ragazza, assestò una pacca sulla spalla di Alex e si avviò verso l’uscita rispondendo al cellulare. Arielle aveva paura della reazione di Alex che sospirò profondamente e sembrò tornare padrone della situazione.

“Allora, questa torta di carote?”
Uno dei sorrisi più belli che Alex le avesse visto fare da quando la conosceva, e lei sorrideva spesso, prese possesso del viso pallido di Arielle.

Va tutto bene’ pensò la ragazza prendendo saldamente la mano di Alex tra le sue e avvicinandosi al bancone per ordinare la loro ultima, felice colazione. Insieme.

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