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di genesisandapocalypse
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontri e scontri ***
Capitolo 2: *** Indipendenza ***
Capitolo 3: *** Rabbia ***
Capitolo 4: *** La verità brucia? ***
Capitolo 5: *** Paura ***
Capitolo 6: *** Nostalgia ***
Capitolo 7: *** Dolore condiviso ***
Capitolo 8: *** Fiori ***
Capitolo 9: *** Morte ***
Capitolo 10: *** Ricordi ***
Capitolo 11: *** Disperazione ***
Capitolo 12: *** Sorpresa ***
Capitolo 13: *** Grazie ***
Capitolo 14: *** Tu sei sbagliato ***
Capitolo 15: *** Pazienza ***
Capitolo 16: *** Tu l'amavi? ***
Capitolo 17: *** Di notte ***
Capitolo 18: *** Menzogne ***
Capitolo 19: *** Ecografia ***



Capitolo 1
*** Incontri e scontri ***



 
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INCONTRI E SCONTRI.
 
“Ogni incontro è portatore di mistero.”
“Spesso è più salutare uno scontro di un silenzio.”
 
11:13
“Tornerai più?”
11:14
Da dove? Non mi sono mosso da casa.
11:14
“Lo sai che non intendo quello.”
11:15
No, non lo so, cosa intendi?
11:16
“Tornerai più a essere te?”
11:18
Non ha senso.
11:19
“Niente ha senso, da quando sei così.”
11:19
Ma così come?
11:20
“Così.. non tu!”
11:22
Sono sempre io, Eloise.
11:23
“No, non lo sei, non sei più tu..”
11:23
Non è vero!
11:24
“Non mentire a te stesso, Luke.”
La conversazione finisce lì, non risponde più, ma cosa si aspettava? Potrebbe benissimo alzarsi, rimboccarsi le maniche e andare nella camera accanto, urlandogli contro di smuovere quel culo e di darsi una svegliata. Ma non ha il coraggio, perché questo cambiamento ha un motivo e fa male anche a lei, ricordarlo.
È solo che vederlo buttare la sua vita la distrugge.
Si tratta sempre di suo fratello, no?
Sospira, lancia il telefono sul materasso accanto a sé, si porta una mano fra i capelli biondi e sente gli occhi inumidirsi, ‘ché perdersi nei propri pensieri non fa mai bene, specie se si è soli e se non si ha più un appiglio.
Luke lo era, il suo appiglio. Sempre lì, a due passi da lei a sostenerla nelle peggiori delle situazioni, a fare a pugni con il proprio migliore amico per averle spezzato il cuore, a nascondere qualunque tipo di prova che potesse metterla in punizione, a pararla ogni qual volta si ubriacava e dovevano tornare a casa, con i loro genitori ad aspettarli a braccia incrociate e cipiglio severo.
Ora però è spento, non c’è più, non è più la sua roccia, è crollato anche lui. Non c’è più quel sorriso smagliante che riusciva a illuminare le strade persino nei giorni di pioggia, non ci sono più gli occhi luccicanti che potevano ammaliare persino Angelina Jolie o Megan Fox.
Al loro posto vi sono due labbra screpolate e martoriate dai denti, mai incurvate un minimo verso l’alto, se non per un sorriso falso tanto quanto i Reality Show, e due occhi sottolineati da occhiaie e marcati dai segni dell’insonnia, che non sono più di quell’azzurro luminoso e brillante, ma sono velati, come se ci fosse del vetro, davanti. Come se si guardasse un panorama da uno specchio.
Non ha lo stesso effetto, no?
Si incammina verso l’armadio e tira fuori le Converse, infilandosele, prima di mettersi la propria giacchetta leggera, ‘ché a Ottobre non fa tanto freddo, ma nemmeno si schiatta.
Apre la porta e cammina verso l’ingresso, passa di fronte alla camera di Luke e ringrazia Dio che è chiuso dentro, senza la possibilità di vederla e di farle domande, o di arrabbiarsi come solo lui sa fare.
C’è gente, per strada. Tutti vanno e vengono, con i loro sorrisi stampati in volto e le mani infilate nelle tasche.
Eloise sospira rumorosamente, prima di iniziare a camminare senza meta, un po’ per svagare, un po’ perché chiusa in casa si annoia troppo. È quasi tentata di andare a fare due chiacchiere con Calum, o far sorridere almeno un minimo quell’apatico di Ashton, ma in entrambi i casi potrebbe incontrare l’ultima persona che vorrebbe vedere al mondo: Michael Clifford.
Con quei capelli multicolore, le giacche di jeans e i pantaloni più stretti delle sue calze, o la risata rumorosa, gli occhi così chiari da far impressione e le labbra a canotto tali e quali a quelle delle persone di colore.
Lo odia, lo odia con tutto il cuore.
«Eloise, dolcezza!» e parli del diavolo..
Si sbatte una mano sulla coscia con una smorfia di rabbia, indecisa se girarsi e fucilarlo con lo sguardo o continuare a camminare come se nulla fosse.
Ma ormai Michael Clifford le è già di fianco.
 
È mezzogiorno e lui si ritrova di fronte alla porta, pronto ad aprirla ed entrare in classe dopo una settimana che non si presenta alle lezioni.
Potrebbe dire otto giorni perché ne ha saltate due la mattina stessa, preferendo rimanere a casa a oziare. Ma Eloise, con quei messaggi del cacchio, gli ha fatto salire il nervoso e, o beveva, ma se lo beccava Ashton era fottuto, o usciva.
Alla fine ha optato per l’università, che su per giù non c’entra un cazzo con le due opzioni, ma la psicologia gli piace e, se non fosse che è diventato la pigrizia in persona, ora avrebbe il massimo dei voti a tutti gli esami che ha saltatoegregiamente.
Nessuno fa caso a lui, qualcuno si gira per un paio di secondi ma poi torna ad ascoltare il professore.
Si siede più dietro possibile, obbligato, comunque, a ritrovarsi accanto qualcuno.
E questo qualcuno – più precisamente una ragazza – non l’ha mai visto in vita sua, per questo si blocca per qualche minuto a osservarne il profilo con curiosità e sconcerto.
Chi cazzo è? Pensava di conoscere a memoria ogni studente delle sue classi.
Vuole sempre avere tutto sotto controllo, poi, per questo si infastidisce.
La continua a squadrare con la fronte aggrottata e lo sguardo curioso e indispettito e, come a sentirsi osservata –  non le si può dare torto – la ragazza si gira e ricambia l’occhiata con confusione, ridacchiando per l’imbarazzo senza nemmeno accorgersene.
«Perché mi guardi? Ho qualcosa sul viso?» presa dal panico corre all’astuccio e ne tira fuori uno specchietto, agitandolo a destra e a sinistra per vedersi ogni parte del volto.
Luke rimane in silenzio per un attimo, unendo le labbra e  aggrottando la fronte, prima di bloccarle con una mano lo specchietto e scuotere la testa.
«Uhm, no, non hai nulla,» biascica, le parole quasi rotolano fuori dalla bocca a fatica.
Non gli piace parlare con gli estranei. O meglio, non gli piace parlare e basta.
Lei si gira, lo guarda a occhi un po’ dilatati e a bocca schiusa dalla sorpresa.
«Ah no? E allora perché mi guardavi in quel modo? Sono così poco presentabile, stamattina? Beh, sai, mi sono svegliata un po’ tardi ma.. ehi!, perché non ti ho mai visto in una settimana che sono qui?» aggrotta la fronte e osserva meglio il ragazzo da vicino, che non può fare a meno di svagare con gli occhi perché, semplicemente, l’essere osservato poco gli piace.
«Hm, è perché non ti ho mai visto nemmeno io,» biascica, passandosi una mano fra i ciuffi biondi, portando lo sguardo sull’astuccio della ragazza.
«È da una settimana che vengo, sono sempre stata presente, se fossi venuto mi avresti visto,» alza un sopracciglio e gli sorride apertamente.
«Sono stato poco bene di salute,» si stringe nelle spalle, troppo larghe secondo lui, e storce le labbra.
«Capito.. ma smettila di fare il timidone, ti prego, non ti si addice proprio con l’aspetto che ti ritrovi,» ridacchia di nuovo e Luke aggrotta la fronte.
Timidone? Lui non è.. ok sì, ma che aspetto si ritrova?
«Uhm.. cioè?» mormora, finendo per guardare le mani di lei, tanto è l’imbarazzo che trova, sotto gli occhi inquisitori della ragazza.
«Oh, insomma! Sei alto e grosso, potresti mettere paura a chiunque e, poi, sembra che ti spaventa persino un moscerino,» ridacchia, scoprendo i denti bianchissimi e dritti.
«Grazie?» la sente ridacchiare di nuovo. Alza gli occhi e riesce, per un attimo, a puntarli in quelli di lei, che sorride apertamente.
«Sono Gioia, comunque,» gli dice, facendogli un occhiolino che non sa bene come interpretare.
Gioia.. non è poi così sorpreso di un nome tanto particolare.
«Luke,» e non è sicuro di aver sorriso veramente, ma almeno ci ha provato.
 
Sono giusto le quattro del pomeriggio e lei è arrivata alla propria casa da poche ore.
Butta lo scatolone, l’ultimo, ripieno di magliette e pantaloni, accanto a letto e lo fa con tanta di quella rabbia che sua madre sussulta, portandosi una mano al cuore.
«Tesoro, non trattare così le tue cose, dai!» borbotta, posandole la mano sulla spalla e massaggiandogliela leggermente, cercando di calmarla.
Ma che può dirle, alla fine? Lei stessa proverebbe tutto quell’odio e quella rabbia.
Quel Jackson… Jonathan… Joshua? Uhm, dettagli. Insomma, quello lì non le piaceva per niente!
E aveva ragione, a non farselo piacere!
Ma, alla fine, preferisce che si siano mollati ora, sebbene abbia lasciato un certosegno nella vita della figlia.
«Oh, sono solo vestiti, il massimo che si rompe è la scatola!» ringhia in risposta, camminando con furia verso l’armadio, pronta a riempirlo da cima a fondo.
Si china, poi, con uno scatto sull’ultimo scatolone portato in camera, lo tira su e lo butta sul letto.
Non l’avesse mai fatto!
«Per l’amor del Cielo, Eva, fai piano! – urla sua madre, tendendo una mano verso di lei e usando un tono preoccupato – non devi fare sforzi né movimento così bruschi, lo sai!» e la bionda sbuffa, alzando gli occhi al cielo.
Sua madre è terrificante, iperprotettiva e sarebbe persino pronta a legarla a una sedia, se servisse a farla stare ferma e immobile.
«Mamma, ti prego, non trattarmi come un’invalida!» sbraita, portandosi una mano fra i lunghi capelli biondi.
«Tesoro! – sospira la madre, portando una mano sulla fronte – qui ci pensiamo noi, dai, perché non esci? La tua macchina va riparata, no? Infondo alla strada c’è un meccanico, potrebbe fare proprio al caso tuo, non pensi? Così, appena aggiustata, potrai andare a farti un giro e magari incontri qualche vecchio amico!» propone, entusiasta, sorridendo gentilmente alla figlia.
Eva ci pensa su. Non le va granché di far fare tutto ai suoi, non sono dei giovaniarzilli, insomma, ma non sia mai che becca davvero qualche conoscenza, quando avrà l’occasione di andare verso il centro. E le toccherebbe proprio riprendere i contatti con qualcuno, se vuole sopravvivere, ora come ora.
Annuisce, sospirando rumorosamente, prima di afferrare la propria giacca marrone e stampare un enorme bacio a schiocco sulla guancia di sua madre. Poi ci pensa, si ferma e la guarda.
«E come ce la porto la macchina?» aggrotta la fronte e aspetta la risposta, che non tarda ad arrivare.
«Oh, tranquilla, è molto educato e gentile, verrà qui lui stesso per controllare – borbotta, fuggente, avvicinandosi all’armadio e aprendolo leggermente di più – ora vai, su, non metterci troppo,» aggiunge, sorridendole docilmente.
Eva esce di casa e respira l’aria tiepida di Sydney che, davvero, le è mancata da morire.
Insomma, a Cardiff ci aveva quasi creato la vita perfetta, ma il cielo costantemente grigio e i quartieri troppo silenziosi non hanno mai fatto al caso suo.
Sydney, invece, è caotica, confusionaria, soleggiata.
E, lo ammette, si sente proprio a suo agio nella sua città natale.
Cammina lentamente, prima di individuare un’officina e allungare il passo, entrandoci dentro e stringendosi nelle spalle.
Non è molto grande, ha tre macchine a riparare e due fuori, fresche di pulizia. Nota, poi, due lunghe gambe uscire da sotto un’auto grigia, mentre le orecchie vengono infastidite da un rumore di qualcosa che avvita e si ritrova ad arricciare il naso per il forte odore di olio motore.
«Ehi! – grida, senza risultati, appena di ritrova accanto al metà corpo – Scusa? Dico a te!» riprova, prima di dargli un leggero calcio sulla gamba più vicina, riuscendo nel proprio intento.
Il rumore si ferma, vede il corpo strusciare fuori e la persona – identificata come un ragazzo – la guarda di sfuggita, coprendosi dal sole con una mano, prima di alzarsi e togliersi delle cuffiette che portava alle orecchie.
Ai piedi calza due scarponi marroni, porta dei pantaloni blu scuro di minimo due taglie in più, che calano per via delle bretelle penzolanti ai fianchi, e il busto è fasciato da una canotta bianca, piuttosto sporca, che lascia scoperti i bicipiti ben evidenziati.
Cerca di far meno caso possibile al viso macchiato di nero ovunque e inchioda gli occhi verdi in quelli di lui e.. che le venisse un colpo!
«Eva? – sgrana gli occhi e osserva, nuovamente, da cima a fondo il ragazzo – Eva Palmer?» no, non ci crede, non lui.
Dopo tre anni, tre fottutissimi anni, proprio il suo famoso ragazzo del liceo?
Cos’è, uno scherzo?
«Calum?»
 
«Signorina Young, sono davvero compiaciuto di come sta portando avanti la sua carriera, non mi pento mai di averla accettata nella compagnia, ha vinto molti casi per la sua giovane età e per la sua inesperienza,» Scarlett sorride elegantemente, accennando un movimento del capo per ringraziare.
«Ho ancora molto da imparare, ma è davvero gentile da parte sua, signor Clifford,» accavalla una gamba e finge un’espressione umile.
Finge, perché Scarlett sa di essere intelligente e abile nel suo lavoro, non ha motivo di essere modesta.
Il signor Clifford la congeda con un cenno della mano, sorridendole nuovamente, e Scarlett si alza lentamente, prima di avviarsi verso la porta per uscire dall’ufficio.
«Ah, signorina Young! – esclama il suo capo, facendola voltare nuovamente – mi è arrivata voce della grande notizia, congratulazioni! E spero che alla prossima cena di lavoro, possa conoscere il futuro marito di una donna tanto in gamba,» Scarlett arrossisce, portandosi i capelli su una spalla sola con un movimento fugace della mano.
«Grazie mille, signor Clifford,» e se ne scappa dall’ufficio, ‘ché, insomma, parlare del suo matrimonio le mette sempre ansia, come se dovesse sposarsi il giorno stesso.
Esce dall’edificio con lo stomaco che brontola e una grandissima voglia di un pasticcino.
I tacchi risuonano sull’asfalto e le luci dei fari delle macchine le sfigurano l’ombra per tutto il tragitto fino alla metro, prima che un bar attiri la sua attenzione.
Non ci ha mai fatto caso, troppo presa di arrivare in tempo alla stazione per riuscire ad arrivare presto a casa, che è piuttosto lontana dal lavoro, quindi si avvicina con una certa curiosità – aggiunta alla tremenda voglia di un dolce.
Entra dentro e sussulta appena un campanello suona, accogliendola e facendola sentire, per qualche secondo, al centro dell’attenzione.
È un bar adorabile, vecchio stile, con il muro fatto di mattoni e il parquet, i tavoli e le sedie in legno, una luce brillante e la musica del momento nella radio, messa a basso volume per non disturbare.
Qua e là vi sono coppiette e gruppi di amici che mangiano, giocano a carte o chiacchierano indisturbati.
Lei si avvicina lentamente al bancone, notando che, dietro di esso, non c’è proprio nessuno. Si gira attorno per cercare un cameriere, ma nulla.
Alla fine si siede sullo sgabello e poggia il gomito sul legno, sicura che, prima o poi, qualcuno arriverà.
E aspetta per minuti interi, quasi dieci, prima che un ragazzo spunti da una porta – accanto a quella dei bagni – e si avvicini lentamente alla propria postazione.
«Dio santo, ho aspettato per ore,» il ragazzo le rivolge un’occhiata di sufficienza, prima di scoccare la lingua e poggiarsi con i gomiti sul tavolo.
«Quanto sei esagerata, principessina! – borbotta, aggrottando la fronte – vedi di sbrigarti ora, non ho nessuna voglia di starti appresso,» e Scarlett schiude le labbra, indispettita.
«L’educazione l’hai lasciata a casa? – gli dice, inviperita – diavolo, il direttore sa chi ha assunto?» borbotta, più tra sé e sé, imbrociandosi, prima di poggiare il cellulare, squillante, sul bancone, senza l’intenzione di rispondere.
«Sembrerebbe di sì – alza le spalle e la guarda con altezzosità – magari perchésono io il direttore,» e Scarlett rimane in silenzio per qualche secondo, prima di scoppiare a ridere, sconcertata.
«Non sei un po’ troppo giovane per fare il capo, tu? – alza un sopracciglio e scocca la lingua sul palato – ah, questo bar finirà allo scatafascio,» mormora tra sé e sé, facendo partire un’occhiata affilata dagli occhi d’ambra del ragazzo di fronte a sé.
«Ti ho sentito! – ringhia tra i denti, inarcando le sopracciglia verso il basso – e non credo ci sia un’età per poter aprire un bar, se uno è intelligente basta,» si rizza con la schiena e incrocia le braccia al petto.
«Ah, intelligente? Ma per favore,» ride, battendo le mani una volta.
«Dio mio, basta, mi sono rotto il cazzo – sbotta lui, colpendo il legno con il palmo – dimmi cosa vuoi e finiamola qui,» le dice, facendole arricciare il naso per la poca finezza.
«Mi è passata la fame, sai,» ribatte lei, prima di alzarsi e filare dritta verso l’uscita, sentendolo borbottare qualche insulto nella sua direzione.
Arriva alla metro e corre, traballando un po’ suo tacchi, ‘ché le sta per partire.
Ed è esattamente quando si chiudono le porte che si accorge di aver lasciato il cellulare sul bancone.

 
***
Ehilà,
eccomi con una nuova storia.
So che è strano, visto che ho appena postato l'epilogo di 
Imprevisti ma questa storia sta rimurginando da un po' nella mia testa, sebbene abbia solo un capitolo e mezzo e non ho la più pallida idea di come andrà a finire. 
Spero che vi piaccia e magari ditemi cosa ne pensate.
Allora, inizia con dei messaggi mandati fra il nostro amato Luke e sua sorella Eloise. 
Luke non è il solito allegro, pieno di vita. E' più un morto che cammina e questa cosa, ad Eloise, proprio non va giù.
Lei, invece, è una specie di maschiaccio, con un odio profondo per Michael, che da cosa deriva?
C'è l'incontro tra Luke e Gioia, che è logorroica e ha fatto un'impressione un po' strana sul nostro ragazzo. 
Ah, il suo nome dice tanto.
Eva, invece, è una vera forza della natura, con la voce squillante e la testa sulle spalle. Scappata a Cardiff per tre lunghi anni, chi è il primo che incontra quando torna a Sydney? Ovviamente il suo ragazzo famoso del liceo, Calum Hood.
Infine c'è Scarlett, che è una donna di classe e odia la maleducazione e l'arroganza, esattamente ciò che è Ashton, il direttore di quel piccolo bar in cui, lei, è costretta a tornarci.
Allora, penso di dover finire qui, perché sto scrivendo un altro dannato capitolo con 'sta cosa.

Vi lascio con le foto delle ragazze sotto!
Bye bye,
Judith. 
 

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Capitolo 2
*** Indipendenza ***



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INDIPENDENZA.
 
“Più una persona sta bene da sola, e più acquista valore la persona con cui decide di stare.”  
“Nessuno è libero se non è padrone di se stesso.”
 
Eva sbatte la porta di casa e le viene da pensare che, la sua sottospecie di passeggiata, non è stata affatto rilassante.
L’odore della carne le arriva al naso e, subito, si fionda nella cucina, a passo pesante, giusto per avvertire del suo arrivo.
Non è arrabbiata.. di più!
Sua madre sta rigirando una bistecca sulla padella, suo padre è tranquillamente seduto sulla sedia, a capo della tavola già apparecchiata, con un giornale tra le mani.
«Mamma! – grida, andandole in contro con l’indice puntato – Tu lo sapevi! Dannazione, tu lo sapevi! E non ci hai pensato due volte!» sbotta, gesticolando furiosamente sotto gli occhi annoiati del padre e quelli colpevoli, ma nondispiaciuti, della madre.
La donna più anziana si avvicina lentamente alla figlia, pulendosi le mani sui pantaloni da casa, prima di sorridere gentilmente e accarezzarle un braccio.
«Amore, l’ho fatto per te! – dice, cercando l’appoggio del marito con un’occhiata – sì, insomma, prenderci i contatti non può fare così male, no? Un vecchio amico con cui parlare, con cui stare, può solo che farti bene, specie nella tua situazione,» le tocca delicatamente la pancia, ricoperta dal vestito, prima di allargare il sorriso.
Eva si scalda, scrollando le spalle per cercare di calmarsi.
Non ci crede, sua madre la spinta tra le braccia di Calum Hood, con cui è stata per ben cinque anni.
Troppi, considerato che ci si è messa a tredici anni.
Non ha avuto modo di fare altre esperienze – e non le voleva fare, sinceramente, ma questi sono dettagli.
«Mamma, è il mio ex, dannazione! Ci sono stata insieme per tantissimo tempo e non lo sento da quando sono partita, sai cosa significa rivederlo dopo tre lunghi anni? – blatera, passandosi le mani fra i capelli biondi – non puoi davvero avermi fiondato da lui, tu lo sapevi chi fosse! È stata la cosa più imbarazzante della mia vita!» aggiunge, portandosi le mani sulle guance e sentendole scottare al ricordo.
«Oh, scommetto che trovarti di fronte il padre di tuo figlio nudo è stato decisamente peggio – scherza suo padre, ridacchiando – sai che colibrì avrà avuto lì in mezzo,» e continua a ridere, seguito poco dopo dalla moglie, mentre Eva guarda la scena a braccia incrociate e cipiglio severo.
Lancia un’occhiataccia alla madre, che si ricompone e addolcisce lo sguardo.
«Amore, Calum è un così bravo ragazzo, riprendere i contatti non sarà tanto male,» Eva sospira, perché sì, l’ammette, ora che lo ha rivisto si accorge che le era mancato come l’aria, ma sua madre non può spedirla così, di punto in bianco,impreparata, dal suo ex ragazzo.
Si sono guardati per minuti interminabili, lei con una strana sensazione allo stomaco, lui che ha puntato subito gli occhi sulla pancia rigonfia, con le labbra serrate e lo sguardo sorpreso e.. amaro.
Alla fine è stata lei a far finire il loro silenzio, facendogli una semplice domanda di cortesia. Ma nessuno dei due è riuscito ad andare oltre a qualche balbettio goffo, perché l’imbarazzo era troppo.
Insomma, ritrovarsi la persona con cui si ha condiviso tutto per cinque anni, dopo che si pensava di aver chiuso definitivamente, è strano, davvero molto strano.
Non gli ha chiesto più della macchina, sentiva le gambe molli e un’ansia oppressiva che, alla fine, l’hanno fatta scappare a casa con una scusa che poco ha retto.
Adesso che ci pensa, crede che per lui sia stato peggio.
D’altronde, è lei quella incinta.
«Sì, mamma – borbotta, passandosi una mano sul viso – non sarà tanto male, ma lo capisci che sono appena stata scaricata? Non puoi buttarmi tra le braccia di chi ti capita da un momento all’altro,» sbotta, infine, aprendo le braccia.
«Oh, ma si tratta di Calum, non di uno qualsiasi,» ridacchia sua madre, dandole una gomitata.
Eva si lascia sfuggire un ringhio di esasperazione.
 
Michael sospira, appena apre la porta del bar di Ashton, sentendo il solito campanello trillare.
Luke è già arrivato, ha la schiena curva e una birra tra le mani ancora piena che, Michael ci scommette tutto, l’ha iniziata mezz’ora prima.
È sera e qua e là vi sono gruppetti di ragazzi, i soliti, che creano un’atmosfera allegra e un po’ meno pesante.
Eloise è dietro di lui, lo spinge violentemente per passare e si incammina a passo svelto verso lo sgabello accanto a suo fratello.
Ci è stato un intero pomeriggio e non sa bene come ha fatto ad esserne uscito intero, ‘ché lei lo odia ancora e, quando ne ha la possibilità, gli tira certi ceffoni che farebbero male persino a John Cena.
 «Una Heineken, Ashton, e di corsa – dice, aggrottando la fronte e arricciando le labbra – Dio mio, che giornataccia!» aggiunge, passandosi una mano fra i capelli biondissimi. Ashton fa un lieve sorriso divertito, guardando di soppiatto l’amico, tinto di bianco, che alza le spalle e si avvicina alla ragazza, con la consapevolezza che la “giornataccia” è opera sua.
«Anche a me, Ash,» borbotta, sedendosi sullo sgabello libero accanto a lei.
«Sei stato a poltrire a casa tutto il giorno?» Eloise si gira verso il fratello, che la guarda di sfuggita e si morde il labbro inferiore, giocherellando con il piercing, prima di scuotere la testa.
«Sono andato all’università,» sbiascica, alzando e abbassando le spalle di scatto.
«Hallelujah, hai capito di star sprecando i soldi di mamma e papà, allora?» dice, con il tono ripieno di sarcasmo.
Sa di essere davvero acida, gliel’hanno sempre fatto notare tutti, ma proprio non gli va giù vedere gli sforzi dei suoi genitori che non vengono nemmeno ricambiati.
Luke si stringe nelle spalle, sa che è un disastro e che è, persino, un ingrato, ma non lo fa a posta.
Annuisce e basta, con nessuna intenzione di rispondere a Eloise che, tra loro due, è sempre stata la più forte.. e la più stronza.
Michael è già pronto a dirle di lasciare stare l’amico, ma si zittisce appena il campanello trilla, facendo girare tutti e tre e alzare gli occhi al riccio.
Sorridono, alla vista di Calum, che è un po’ l’anima del gruppo, quello che, con le sue battute, smorza la tensione e fa rilassare tutti, riuscendo a farli chiacchierare come un normale gruppo di amici, evitando sceneggiate o frecciatine.
Eppure i sorrisi si smorzano appena gli occhioni di Calum si alzano e si scontrano con quelli degli altri, comunicando confusione, rancore e un pizzico di rabbia.
Già Ashton è pronto a chiedere, ma l’amico tira su una mano e abbassa lo sguardo, scuotendo la testa.
«Una birra, prima – inizia, sedendosi sullo sgabello con le spalle ricurve verso il basso – poi vi dirò tutto quello che volete, ma ti prego, Ash, prima dammi una fottutissima birra fredda,» e Calum nemmeno beve granché, ma Ashton non replica, si avvicina solo al frigo e afferra la lattina di birra migliore che ha, passandogliela senza proferir parola.
Calum la ingurgita in fretta e in furia, come se ne dipendesse la vita, e sospira, appena la finisce, stringendola tra le proprie dita con tanta di quella forza da ammaccarla.
«Calum, tutto ok?» chiede Michael, visibilmente preoccupato.
Il moro scuote la testa nuovamente, senza aprire bocca, mentre svaga con gli occhi sul bancone.
«Calum, cazzo! Cos’è successo?» esplode Eloise, sbattendo una mano sul tavolo e facendolo sobbalzare.
Sospira di nuovo, poi ride, senza divertimento.
«Eva è tornata,» soffia tra i denti, lasciando che un silenzio tombale li avvolga.
Eva Palmer andava al liceo con loro ed era una delle più belle nella scuola. Ashton, si ricorda bene, si era sentito fiero dell’amico quando gli aveva rivelato di averla conquistata, ed era solo al primo anno. Si aspettava che si lasciassero presto, invece, fino alla sua partenza, stettero insieme e Calum ci rimase secco.
Si ricorda anche della sofferenza dell’amico, ben celata, ‘ché non gli è mai piaciuto far notare la propria vulnerabilità. Non pianse mai, Calum non è uno da pianti, è un duro, ma ci stette davvero male.
E ora è tornata, dopo tre anni, pronta a rientrare nei pensieri del moro e dargli il tormento nuovamente.
«Non dovresti esserne felice?» azzarda, poi, perché alla fine potrebbe essere un’occasione per riprovarci. Ci è stato insieme per anni, fino ai diciotto compiuti, perché mai non potrebbe provare gli stessi sentimenti di una volta?
Calum sbatte un pugno sul tavolo, tanto forte e improvviso che sobbalzano tutti, lasciandosi sfuggire un gemito di sorpresa, prima che Calum digrigni i denti e indurisca la mascella.
Poi si lascia andare in una risata arrabbiata.
«È incinta,» dice solo, ma basta a zittirli tutti.
 
«Come ti è andata la giornata?» sono entrambe sdraiate sui propri letti, con gli occhi fissi sul televisore acceso, sebbene nessuna delle due stia seguendo la telenovela, e Gioia acchiappa l’ennesimo cioccolatino dalla busta.
Paola, la sua compagnia di stanza, si gira verso di lei, sistemandosi meglio tra le coperte.
«Direi bene, come sempre – sorride Gioia, allegra come solo lei riesce ad essere – è tutto così bello, qui!» aggiunge, con lo sguardo sognante rivolto al soffitto.
Gioia si sente così libera, all’università.
È totalmente indipendente e non ha la pressione dei genitori addosso, può fare gli orari che vuole e non sentire nessun urlo arrabbiato, può uscire quando le pare e può decidere lei per sé stessa.
Casa sua, alla fine, la opprimeva. Era sempre sotto la guida dei genitori, persino dopo aver compiuto diciotto anni e aver finito il liceo.
Mai una volta che la lasciassero scegliere da sola, ha dovuto persino lottare con le unghie e con i denti per venire a Sydney e per studiare psicologia, ‘ché non voleva nemmeno avvicinarsi a giurisprudenza, come invece volevano i suoi genitori.
Paola sorride, è felice che Gioia sia capitata in camera con lei – sebbene un po’ in ritardo, che lei è lì da un po’ di più – e le sta talmente simpatica da aver preferito rimanere a oziare in stanza, che uscire con gli altri compagni.
Poi, improvvisamente, a Gioia viene in mente il viso del ragazzo con cui ha fatto conoscenza la mattina stessa, quel Luke.
Era così.. strano. 
Un ragazzo tanto bello quanto spento. Gli occhi cerulei marcati da profonde occhiaie e le labbra spaccate e con i segni dei denti sopra.
Gioia è curiosa di natura e, sì, voleva davvero chiedergli cosa lo struggesse così tanto, ma si è morsa la lingua e si è stata zitta, ‘ché, ovviamente, quando mai sarebbe andato a dirlo a lei, conosciuta da pochi minuti?
Si gira verso Paola e le rivolge uno sguardo curioso.
«Che mi sai dire di un certo Luke?» le chiede, poi, storcendo la bocca.
Paola ricambia l’occhiata, aggrottando la fronte e sorridendo divertita.
«Quale? Sai com’è, ce ne fossero pochi di Luke, a questa scuola,» e Gioia ride, non può darle torto.
Ci pensa su, mettendosi un dito sul labbro inferiore, prima di iniziare una descrizione.
«È alto, molto alto, e ha le spalle giganti, penso che potrebbe giocare a rugby tanto fa paura, ha i capelli biondissimi e gli occhi azzurri – alza le spalle e lo sa che non basta – ha lo sguardo spento e le labbra tutte screpolate e rotte, due occhiaie che gli arrivano al mento e parla davvero, davvero pochissimo,» aggiunge, punta nuovamente gli occhi castani in quelli nerissimi di Paola e affina le labbra.
Paola ci pensa su, prima di illuminarsi.
«Ah, ma intendi Hemmings?» le chiede.
«Non lo so proprio il cognome,» risponde, mordendosi il labbro inferiore.
Paola scuote la testa, si rabbuia un po’ e infine si mette seduta, a gambe incrociate, e si stringe nelle spalle, afferrando le proprie caviglie con le mani.
«Era forse la persona più allegra nell’università, all’inizio – dice, sorridendo tristemente al ricordo – uno di quei ragazzi che non passa inosservato, era davvero amato, andava benissimo nelle materie e nessuno aveva da ridire sul suo conto,» inizia, un po’ giù ‘ché alla fine lei aveva persino avuto una cotta per lui.
«E poi?» chiede Gioia, interessata al discorso e curiosa fino al midollo.
Paola si gratta il mento, prima di scuotere la testa e guardarla.
«E poi si è spento, ma se ne dicono così tante che non si è mai capito il vero motivo,» alza le spalle e Gioia annuisce.
E, diavolo, ora vuole sapere
 
È notte, ormai, e vorrebbe proprio starsene tra le proprie lenzuola, magari con davanti il computer e affianco una ciotola di pop-corn.
Un bel film sullo schermo e di sottofondo i messaggi di Andrea, il suo ragazzo.
Invece sta camminando a passo svelto, per quanto i tacchi – che le stanno facendo un male terrificante – glielo permettano, con le mani infilate nelle tasche, ‘ché la sera fa freddo, e un po’ di ansia perché, insomma, è comunque un quartiere che a un orario del genere non ha mai visto.
La fronte aggrottata, le sopracciglia inarcate verso il basso e le labbra imbronciate, perché lei, lì, non ci vuole tornare.
Il bar è a pochi metri da lei e non riesce proprio a trattenere uno sbuffo, ma è del suo cellulare che si sta parlando, non di una cosa qualsiasi.
Entra e il campanello suona nuovamente, ma ‘sta volta è preparata e non sussulta, sorridendo appena il calore del bar la riempie.
Sinceramente non sapeva che potessero restare aperti fino a tardi, ma considerata la tanta popolazione, arriva a pensare che sia stata un’idea del direttore, ovvero quel ragazzo tanto scorbutico e arrogante.
Il ragazzo in questione è comodamente seduto sul bancone, mentre sta parlando con delle persone sedute vicino a lui, che, vista la confidenza, saranno più che clienti.
Appena Scarlett si chiude la porta alle spalle, il barista alza lo sguardo verso di lei, scontrando gli occhi d’ambra con i suoi azzurri. Lo vede storcere il naso indispettito, prima che un ghigno si formi sul suo viso.
Scende dal bancone con un saltello, prima di avvicinarsi a lei lentamente, attirando gli sguardi degli amici.
«Chi si rivede!» dice, con un tono tra l’infastidito e il divertito.
Scarlett alza gli occhi al cielo, prima di incrociare le braccia e scoccare la lingua sul palato.
«Vado di fretta, quindi dammi il telefono e facciamola finita,» allunga una mano e lo guarda con un sopracciglio alzato.
Ashton si passa la lingua sui denti superiori, alzando le spalle e scuotendo la testa, con un sorrisetto furbo sulle labbra.
«Non ho nessun telefono,» le dice, il tono velenoso e l’esplicita voglia di darle fastidio.
Scarlett affina gli occhioni, poi prende un gran respiro e fa uscire l’aria dal naso di botto, indispettita.
«Smettila e dammi il mio telefono – ringhia tra i denti, prima di indicare il grosso bancone – l’ho scordato lì, non puoi non averlo tu,» e Ashton sorride beffardo, prima di leccarsi le labbra.
«Ah, dici quell’iPhone ultimo modello che solo i ricconi possono permettersi? – si posa un dito sul mento e aggrotta la fronte – ah, sì, credo di averlo venduto a un cliente poco fa,» aggiunge, ridacchiando.
Scarlett sgrana gli occhi e sente di star diventando tutta rossa, sotto lo sguardo divertito del ragazzo.
«Tu cosa? – urla, attirando gli sguardi del resto dei clienti – tu che cosa?» sente le mani prudere e, davvero, vorrebbe tirargli un pugno sul viso, tanto forte da, magari, rompergli il naso.
Ma sa che è una buona a nulla, quindi gli rifila solo una spintarella che non lo fa né spostare, né gli fa male, ma solo ridere.
La guarda inarcando un sopracciglio, con la risatina che echeggia sulle labbra e gli occhi che la deridono.
E Scarlett si sente presa così tanto in giro che, giura, se avesse una pistola, ora il tipo sarebbe morto. Incrocia le braccia, sospirando di frustrazione, prima di avvicinarsi al ragazzo, fino ad alzare leggermente il viso per guardarlo meglio negli occhi.
E gioca le sue carte, allora.
«Se tu non mi ridai il telefono entro dieci minuti, o anche la somma esatta di quanto valeva, io ti faccio causa, dolcezza, e ti faccio chiudere in quattro e quattr’otto il tuo amato bar – sorride falsamente – sembrerebbe che sia unavvocato e che non mi lasci sfottere da un ragazzino come te,» arriccia le labbra e osserva il viso di Ashton contrarsi, prima di rilassarsi e lasciare che un sorriso acido gli nasca sul volto.
«Ragazzino? Avrò persino più di te,» e Scarlett alza gli occhi al cielo.
«Dico sul serio, dammi il cellulare, ci lavoro con quello, io,» Ashton ride di nuovo, poi si infila una mano nella tasca posteriore dei jeans, fino a tirarne fuori un iPhone, porgendoglielo.
Scarlett non toglie il contatto visivo con lui nemmeno un attimo.
«A mai più,» dice lei, poi, dandogli le spalle e dirigendosi alla porta.
«Io non ci giurerei,» lo sente bisbigliare.
Non capisce cosa intende fino a che non si ritrova nella propria casa, con il carica batterie appena infilato nel telefono e uno sfondo, sullo schermo, che non è il suo.
Va sui messaggi, sulla rubrica, sulle foto, ma nulla.
Ha fatto scambio con il suo dannatissimo cellulare.
«Non ci credo,» urla, frustrata.
 
***
Ehilà,
come va?
Eccoci con il nostro secondo capitolo, cosa ne pensate?
Allora, abbiamo Eva, un po' inviperita, che attacca la madre perché lo sapeva da chi la stava mandando. 
Qui si capisce meglio il carattere di Eloise, che non è solo una forte, ma anche una abbastanza stronza.
Poi arriva Calum e la sua amarezza, perché è davvero una pezza venire a sapere che Eva è incinta così.
Gioia parla con la sua compagnia di stanza, Paola, di Luke, perché ne è rimasta incuriosita.
Infine Scarlett torna nella tana del lupo e, guarda un po'? Non sarà l'ultima volta.
Vi lascio, ora, ma spero vi sia piaciuto!
Bye bye,
Judith.

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Capitolo 3
*** Rabbia ***


  Home is wherever I am with you.

RABBIA.
 
“Tu non verrai punito per la tua rabbia, tu verrai punito dalla tua rabbia.”
 “La rabbia è solo una codarda estensione della tristezza. 
È molto più facile essere arrabbiato con qualcuno piuttosto che dirgli che sei addolorato.”
 
Luke si sveglia con una strana energia positiva che lo invade. Nulla di esagerato, non si metterà a cantare e a sorridere smagliante, ma il fatto che si sta alzando alle otto del mattino e si sta dirigendo in doccia, è una gran cosa.
Il pensiero dell’università gli ronza in testa, senza lasciargli tregua - un po’ come Eloise - e gli fa davvero strano, ma un po’ ne è contento.
Non ha voglia di oziare sul letto tutto il giorno, di guardare con sguardo vuoto l’ennesima telenovela o di muoversi per la casa senza meta, vuole fare qualcosa.
La doccia la fa durare poco, il tempo di lavarsi i capelli e il corpo, e in poco tempo è già vestito di tutto punto, i jeans stretti, le converse ai piedi e una canotta.
Tutto del medesimo colore: nero.
Esce dalla stanza con in spalla una tracolla e si avvia verso il portone di casa, pronto ad uscire.
«Dove vai? - Eloise ha le braccia incrociate e un cipiglio severo in volto - così presto, in più?» Luke si gira lentamente, scontrando gli occhi azzurri con quelli di lei, identici.
Arriccia il naso e aggrotta la fronte.
«All’università,» le risponde, stringendosi nelle spalle.
Eloise inarca le sopracciglia verso il basso, non sa bene se crederci o meno, ‘ché quante volte l’ha ritrovato in un pub, con questa scusa?
Col cazzo che lo lascia ubriacare alle otto di mattina.
«Dimmi dove vai, Luke!» ripete, velenosa.
Luke si altera, stringe le labbra tra di loro e guarda oltre di lei, poi si gratta il braccio con nervosismo.
«Ti ho detto all’università,» le ringhia contro, sistemandosi la tracolla e aprendo la porta di casa.
Eloise si avvicina, afferrandogli il polso con le dita prima di vederlo sparire, affina lo sguardo di ghiaccio e digrigna i denti.
«Non ti vengo a raccogliere in qualche cazzo di bordello, chiaro?» tuona, il viso che mano a mano si colora di rosso e una vena sul collo che inizia a pulsare.
Luke si stacca velocemente, dandole una leggera spinta per allontanarla e spalanca ancora di più la porta.
«Fanculo, Eloise,» ed esce, sbattendosi la porta alle spalle.
Cammina frettoloso, una sigaretta che subito finisce tra le labbra e le sopracciglia inarcate verso il basso per la rabbia.
Entra nei cortili della scuola che mancano cinque minuti alla prima lezione, dai dormitori escono vari studenti e tanti altri stanno al bar accanto all’università.
Scrolla le spalle e finisce la propria sigaretta con un tiro, prima di lanciarla lontana, incurante di spegnerla.
«Ehi,» si gira di scatto, la voce delicata che gli ha stuzzicato le orecchie deriva dalla ragazza di ieri, che ha appena salutato un’amica.
Gioia ha i capelli lunghi e scuri e il viso pulito, sempre sorridente.
Tiene lo sguardo fisso su di lei per un po’, tamburellando le dita sulla coscia, prima che la ragazza se ne accorga e si giri verso di lui.
Gli sorride smagliante, abbandonando le amiche con una scusa e avvicinandosi. Luke cerca di imitarla, ma non è un asso nei sorrisi.
«Luke, buongiorno - esplode lei, sedendosi al suo fianco - come stai?» arriccia leggermente il naso per l’odore di fumo, ma non smette di sorridergli nemmeno un attimo.
Luke si stringe nelle spalle, mordendosi il labbro inferiore.
«Uhm, bene, tu?» sbiascica.
«Sto una meraviglia - incrocia le proprie dita e le poggia in grembo - sicuro di star bene?» gli chiede, poi, inarcando le sopracciglia verso il basso.
Luke sbatte le palpebre più volte, incredulo che possa essersi accorta del suo nervosismo. Si stringe nelle spalle e affina le labbra, annuendo leggermente.
«Beh, in questo caso penso che ci toccherebbe entrare, stanno per iniziare - si alza e, paziente, aspetta che si alzi anche lui e che si incammini al suo fianco, come se fossero vecchi amici - dovremmo avere le stesse lezioni, no?» aggiunge, spostandosi i capelli lisci su una spalla.
Luke annuisce solamente, giocherellando con il proprio piercing e rivolgendole una lunga occhiata.
E la curiosità di Gioia cresce sempre di più.
 
È uscita di casa tanto presto che non le sembra vero, solo per un dannato telefono che, quel tipo, ha deciso di scambiare.
Per grazia divina, il bar dove si sta dirigendo non è poi così lontano dal suo lavoro. Sbuffa, poi sbadiglia assonnata e infine si lecca i denti per assicurarsi di non ritrovarci qualche traccia del rossetto rosso che indossa.
Non ha nemmeno fatto colazione e ora sente lo stomaco ritorcersi, gridando per ottenere del cibo.
Arriva a destinazione e si accorge che la porta è ancora chiusa, segno che il proprietario deve ancora arrivare. Stanca, frustrata e affamata, si poggia al muro e incrocia le braccia, sbuffando quando si accorge che non può ammazzare il tempo ascoltando la propria musica o giocherellando con il telefono.
«Ma guarda un po’ chi si vede,» sente dire una voce, facendole girare il viso verso sinistra. Il ragazzo, che lei ha imparato a odiare in meno di un giorno, si sta avvicinando a lei con un ghigno sul volto spigoloso e barbuto.
Scarlett si rizza in piedi e controlla orario, sospirando quando si accorge che ha ancora quarantacinque minuti per andare al lavoro.
Quarantacinque minuti per prendere il suo telefono.
«Cosa ci fai qui?» le chiede lui, fintamente sorpreso, mentre fa girare le chiavi del bar sull’indice. Apre la porta velocemente, entrando dentro e non accertandosi minimamente che lei gli stia dietro o meno.
«E me lo chiedi pure? - sbrocca Scarlett, ‘ché di prima mattina già le girano di suo, se ci si mette pure il tipo - qualcuno ha avuto la splendida idea di scambiare il proprio telefono con il mio!» ulula, inferocita, tirando fuori l’iPhone del ragazzo di fronte a lei e rigirandoglielo sotto il naso.
Lui ride, si avvicina al bancone e si poggia su di esso con i gomiti, sorridendo beffardo alla ragazza.
«Ieri ha chiamato un certo Andrea, sai? - inizia, ignorando la frase di lei - cercava una certa Scarlett e non sembrava molto felice di sentire la mia voce,» affina le labbra e alza le spalle, reprimendo una risata all’espressione sconcertata di Scarlett, che si porta le mani sulle guance.
«Io ti uccido!» soffia, prima di sedersi sullo sgabello e affinare lo sguardo.
Poi un rumore sospetto invade le quattro mura quasi vuote del locale, facendola arrossire imbarazzata e facendo ridacchiare il ragazzo.
«Hai fame?» le chiede, prima di avvicinarsi alla vetrata e afferrare un cornetto al cioccolato, ponendoglielo sotto il naso.
«No, io no-»
«Mangia!» le ordina, indicandoglielo, prima di iniziare a preparare un cappuccino, dandole la schiena.
Scarlett lo giura, vorrebbe ribattere e tirarglielo in faccia quel cornetto, piuttosto, ma lo stomaco grida aiuto e no, proprio non può rifiutare. Si fionda su di esso e inizia a mangiarlo, lasciandosi sfuggire un sospiro di felicità appena ne addenta il primo pezzo.
Il ragazzo sorride divertito, prima di girarsi per posare il cappuccino sul bancone.
Rimangono in silenzio qualche minuto, lui poggiato con il bacino sullo scaffale al di là del tavolo e Scarlett che mangia disturbata solo dallo sguardo insistente del barista.
Si pulisce le labbra con il fazzoletto, attenta a non togliere ulteriormente il rossetto, e infine alza gli occhi azzurri sul viso di lui.
«Bene, quanto ti devo?» gli chiede, afferrando la borsa e tirando fuori il portafoglio.
«Niente.»
«Come niente?»
«Offre la casa,» non sorride nemmeno, si stringe nelle spalle e Scarlett aggrotta la fronte, incredula. Come può quel ragazzo passare dall’essere la persona più odiosa sulla faccia della terra a quella più gentile?
Annuisce, poi ringrazia flebilmente e infine poggia l’iPhone di lui sul bancone, ridacchiando.
«Solo i ricconi possono permetterselo, quindi?» gli chiede, alzando un sopracciglio e sorridendo sarcastica.
«Chi ha mai detto che io non lo sia?» ribatte lui, afferrandolo, prima di tirar fuori quello di lei e porgerglielo.
Scarlett l’afferra, poi l’accende e controlla da cima a fondo che si tratti del proprio telefono. Infine, alza gli occhi su di lui e fa un cenno con il capo per ringraziare, ancora un po’ insicura, si gira e si avvia alla porta.
La apre e, giusto prima di uscire, il ragazzo parla.
«Ci si vede, Scarlett,» dice, marcando il suo nome e facendola sussultare.
Come fa a sapere il suo nome? Ah, giusto, la chiamata di Andrea.
Lei si gira, lo squadra da cima a fondo e fa un cenno con il capo.
«Spero di no..»
«Ashton.»
«Bene - incrocia le braccia e sorride falsamente - spero proprio di no, Ashton,» e, con lo stomaco pieno e il proprio cellulare in mano, si avvia verso il lavoro.
 
Eva è sdraiata sul letto, una foto nelle mani e gli occhi leggermente lucidi.
Ha già pianto abbastanza e non ha intenzione di rifarlo, ma fa davvero male.
Jonathan le aveva promesso amore, aveva deciso di andare a vivere con lei e le aveva fatto conoscere persino i suoi genitori.
Poi è bastata la notizia a distruggere tutto.
Un bambino.
Un bambino che li ha fatti dividere.
E gliel’ha detto, la sua decisione avrebbe dovuta prendere lì. Se solo avesse detto che non avrebbe voluto avere a che fare con il bambino, sarebbe stato per sempre.
E così è stato, Eva non ci ha pensato due volte a fare le valigie, tornando dalla propria famiglia. Suo figlio non sarebbe cresciuto con una mamma single e basta, ma con tutto l’amore possibile, sebbene non con quello del padre.
Si asciuga una lacrima che è sfuggita al suo controllo appena qualcuno bussa alla sua porta. Si alza lentamente e butta la foto sul letto, prima di posare la mano sulla maniglia e tirarla giù.
Sua madre, con un sorrisino emozionato in volto, la sta guardando con occhi felice.
«Amore, c’è una persona per te!» le dice, battendo le mani più volte.
Eva sbatte le palpebre più volte, poi sospira e affina gli occhioni verdi.
«Se si tratta di Calum, mamma, non ti rivolgo la parola per giorni interi,» sibilla, già nervosa di suo. Ma la madre scuote la testa, afferrandola da un braccio e precipitandosi nel salotto.
«No, niente Calum - le dice, sorridente - penso che questa ti faccia davvero piacere!» aggiunge, poi corre verso il divano, dove un ragazzo ci sta scompostamente seduto sopra.
Ci mette poco a riconoscerlo.
Pelle diafana, capelli sparati in aria e colorati, piercing al sopracciglio e occhi di un verde così chiaro da sembrare acqua cristallina.
Non è cambiato di una virgola, in tre anni.
«Michael?» sgrana gli occhi e sente il cuore andarle un poco più veloce del solito, mentre la madre decide di andarsene in cucina e lasciare i due da soli.
Il ragazzo alza lo sguardo su di lei, illuminandosi, prima di correre ad abbracciarla come se fosse tutto ok, come se lei avesse continuato a farsi sentire, come se non fosse sparita dalla circolazione per sua volontà, scordandosi di ognuno di loro.
«Dio mio, Eva! - dice, esaltato, stringendola tra le braccia - come stai?» si allontana un minimo per poterla guardare negli occhi, sorridendo smagliante e accarezzandole un braccio.
Eva si emoziona, da quant’è che non lo vede? È stato il suo migliore amico per anni, il primo a cui ha rivelato la sua intenzione di partire, l’unico che, sebbene con tristezza, abbia accettato la sua scelta.
«Benissimo e tu? Dio mio, quante volte ti sarai tinto in questi anni?» gli passa una mano fra i capelli, tremante, mentre sbatte le palpebre più volte per evitare agli occhi di inumidirsi più di quanto già non siano.
«Oh, non ti immagini nemmeno! - ride lui - mi sei mancata tantissimo,» le rivela, addolcendo lo sguardo.
Eva sorride ancora di più, afferrandolo da un braccio e portandolo verso la propria camera, così per stare più scomodi.
«Anche tu, Mich - dice, usando persino il vecchio soprannome, una volta seduti sul letto - e mi dispiace così tanto di non essermi fatta sentire, davvero, non so come ho potuto farvi questo,» aggrotta la fronte e si stringe nelle spalle, sentendosi in colpa come poche volte nella vita.
«Tranquilla, Eva, non ce l’ho con te - le dice, accarezzandole la schiena - ti ho già perdonata da tempo,» aggiunge, e potrebbe dirle che è l’unico del loro gruppo ad averlo fatto, ma non vuole rovinare il momento.
È solo che la capisce, lui stesso avrebbe dimenticato tutto e tutti, di fronte a una nuova vita, non può mentire.
Poi si illumina, ricordando ciò che Calum ha detto la sera prima e fa cadere gli occhioni sullo stomaco rigonfio.
«Uhm, allora sei incinta, eh?» e Eva quasi si strozza con la propria saliva.
 
Calum sta pulendo con precisione impeccabile il vetro che, giusto il giorno dopo, assemblerà sulla macchina che gli hanno portato una settimana prima, totalmente distrutta.
Ha faticato come pochi a rimetterla in sesto, ma adesso è un gioiellino, forse migliore di prima, e ne è davvero felice.
La testa continua a vagare sulla scena del giorno prima, in cui gli occhi verdi e lucenti di Eva Palmer, la sua ex ragazza, si sono scontrati con i suoi.
Non l’aveva riconosciuta fino a quel momento, probabilmente perché era più alta di come la ricordasse, aveva i capelli più lunghi e lisci e la pancia gonfia di chi porta una vita in grembo.
Però, nel momento in cui l’aveva guardata negli occhi aveva sentito il fiato mozzarsi, perché quelle iridi le aveva viste da vicino così tante volte che, in qualunque modo, l’avrebbe riconosciute.
Sente la rabbia montargli in corpo, anche se non avrebbe poi tutte queste motivazioni. Sì, insomma, ce l’ha a morte con lei per averlo totalmente abbandonato, per non averci nemmeno provato, in quella relazione a distanza. Gliel’ha detto una settimana prima di partire, del resto, e gli ha spezzato il cuore, così fragile a soli diciotto anni.
E in più, è tornata, dopo tre fottuti anni, incinta.
Incinta di chissà chi.
Grugnisce, poggia il vetro sul pavimento, ‘ché potrebbe buttarlo a terra in un momento di ira e romperlo, e addio lavoraccio.
Si passa le mani sul viso e fra i capelli, prima di poggiarsi sul cofano della macchiane e inarcare le sopracciglia scure e folte verso il basso, con i denti che stringono forte il labbro e incrociare le braccia sul petto.
Ce l’ha con lei perché ha visto con i proprio occhi che si è rifatta una vita, lontana da Sydney e da lui, mentre Calum non ha fatto nulla.
Ah, e lei non ha avuto scrupoli a farsi un altro.
Sente un forte rombo e vede con la coda dell’occhio una Harley Davidson rossa frenare sul marciapiede.
«Ehi, Cal!» alza gli occhi scuri e li scontra con quelli trasparenti di Michael.
«Michael? Che ci fai qui?» aggrotta la fronte e si rizza in piedi, stringendosi nelle spalle, confuso poiché l’amico abita piuttosto lontano dall’officina ed è strano trovarselo tra i piedi.
«Ero da.. uhm, Eva.»
Il silenzio li avvolge.
Calum lo guarda dall’alto al basso, con occhi inferociti, mentre Michael si stringe nelle spalle, leggermente in ansia per la reazione dell’amico.
Che può farci? Lui non ce l’ha con Eva.
«A fare cosa?» gli ringhia contro, avvicinandosi.
«A trovarla.. farci una chiacchierata, insomma,» stringe le labbra tra loro e guarda l’amico.
Calum ride, sarcastico, prima di dargli le spalle e camminare verso gli scaffali dell’officina.
«Dopo che non si fa sentire per tre cazzo di anni, vai persino a trovarla? - stringe i pugni - non vedi? Si è fatta una vita, probabilmente ti avrà sostituito con un altro migliore amico, Michael, apri gli occhi,» ringhia, cattivo.
Michael si avvicina, indispettito, e gli punta un dito contro.
«Solo perché tu sei così coglione che non è riuscito ad andare avanti e non ha fatto un cazzo della sua fottutissima e inutile vita, non puoi prendertela con lei,» sputa, furioso.
Calum si gira verso l’amico e lo guarda a occhi sgranati e sconcertati.
Non ci crede - non vuole crederci - che Michael gli abbia appena detto parole così cattive.
«Cosa?»
«Mi hai sentito, porca troia - fa lui, dando una botta alla scrivania a pochi centimetri - ti piangi addosso da tre anni e non riesci ad accettare che Eva sia andata avanti senza di te, ma che ti aspettavi? Che il vostro amore durasse in eterno? Che una volta tornata fosse tutto come prima? - ride, cattivo - amico, apri gli occhi tu!» aggiunge, camminando all’indietro per uscire da lì.
Calum lo segue, slacciandosi la camicia che porta legata alla vita e buttandola a terra con forza.
«Sei uno stronzo!» gli grida contro.
«Non sei il primo a dirmelo, Calum - ribatte, un sorrisino storto sul volto arrossato dalla rabbia - e vedi di farti un esame di coscienza, non puoi odiare una persona solo perché non ti ama più,» questa volta si gira sul serio, prima di salire in groppa alla propria moto e scapparsene verso casa.
Calum si stringe nelle braccia, ferito e incazzato.

 
***
Ehilà,
come va?
Eccoci con un nuovo capitolo, arrivato piuttosto presto.
Che ne pensate? Vi piace?
Allora, abbiamo Luke che ha una strana voglia di andare all'università, bisticcia di prima mattina con Eloise - che non si fida - e incontra Gioia.
Poi c'è Scarlett che fa una bella sorpresa ad Ashton e lo aspetta al bar, per riprendersi il proprio telefono. Lui si accorge che ha fame e le offre una bella colazione.
C'è Michael che va a trovare Eva, emozionandola da morire.
E infine un bel bisticcio tra Calum e il tinto. Forse Michael è stato proprio stronzo, ma è l'unico tra tutti che ha il coraggio di dire le cose in faccia a tutti.
Bene, vi lascio qui!
Bye bye,
Judith.

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Capitolo 4
*** La verità brucia? ***



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LA VERITÀ BRUCIA?

"La verità è come il cauterio del chirurgo: brucia, ma risana."
"La verità ai più non piace, come lo specchio alle persone brutte."
 
 Il “Nirvana” non è cambiato di una virgola fuori, si ricorda che la prima volta che ci entrò aveva diciassette anni e Ashton solo diciannove, ma aveva lasciato la scuola due anni prima e aveva faticato per aprirlo, sotto l’aiuto dello zio, che gestiva un ristorante.
Era emozionatissima di inaugurare il nuovissimo bar dove, da quel giorno, ci avrebbe passato intere giornate dentro.
«Lo terrò aperto fino a sera tarda e avrò le birre, perché sennò non ha senso,» aveva detto, con le braccia aperte e quel sorriso genuino in volto.
Ed è diventato un successone, tra i giovani del quartiere.
In poco tempo il Nirvana si è popolato e ha guadagnato tanto, per essere solo agli inizi.
Si stringe nelle spalle, poi si avvicina alla porta e la apre. Si guarda intorno, notando come tutto è perfettamente identico a prima, giusto i tavoli sono disposti diversamente.
Porta gli occhi al bancone, poi, e scontra quelli cangianti di Ashton, suo vecchio amico, che la sta guardando con incredulità, la bocca spalancata e le sopracciglia inarcate verso il basso.
Sorride, prima di avvicinarsi e sedersi su uno sgabello, incrociando le dita e poggiandosi il mento sopra.
«E-Eva?» balbetta Ashton, indietreggiando di un passo.
«Proprio io - risponde lei, sorridendo, prima di buttare un occhio sulle paste dietro la vetrata - allora, li fai ancora quei muffin al cioccolato troppo buoni?» chiede, poi, per cercare di togliere un po’ di tensione e di imbarazzo.
Ashton sta immobile per qualche secondo, incapace di muoversi e non sapendo se urlarle contro, abbracciarla come se non ci fosse un domani o offrirle il muffin.
Alla fine opta per l’ultima, aggrottando la fronte e arricciando le labbra.
Eva lo azzanna con voracità, già prima ci si strafogava, ora che è incinta ha anche la scusa. Si lascia sfuggire un sospiro di piacere, poi alza gli occhi sull’ - ex? - amico.
«Buoni più di prima - esclama, ammiccando - tu sì che sei bravo, Ash,» aggiunge, vedendolo stringersi nelle spalle.
Ashton la trucida con lo sguardo, è arrabbiato ed Eva lo sa bene. Puntare sullo scherzo non basta, è venuta apposta per parlarci.
Del resto, lo conosce. Ashton è quello che potrebbe fare il caos, l’unico in grado di spaccare vetri e facce.
Sospira, poggia il muffin quasi finito e si stringe nelle spalle.
«Hai tutte le ragioni di questo mondo ad avercela con me, Ash - inizia - d’altronde, me ne sono andata e chi si è visto, si è visto, hm? - ridacchia, abbassa gli occhi per qualche secondo - ma mi dispiace da morire per essere sparita e so che sembra quasi insensato dirvelo ora che sono tornata, solo che ero così presa dalla mia nuova vita da non accorgermi di quanto sia stata stupida,» aggiunge, e guarda l’amico, decisa.
Si pente di tutto, ha lasciato tutti loro per un futuro diverso e incerto e si è trovata fregata.
Ashton la guarda, è incazzato come pochi e non sarà un “mi dispiace” a farlo calmare.
«Te ne sei andata e ci hai mollati tutti - dice, velenoso, affinando lo sguardo - in questi tre anni avremmo avuto bisogno di te, ne sono successe così tante e tu non c’eri, troppo impegnata a spassartela con chissà chi per pensarci e farti viva - ringhia, puntandole un dito contro - non ci hai nemmeno risposto alle chiamate,» lei lo guarda colpevole, si morde il labbro inferiore e annuisce.
«Lo so, sono stata una cogliona, ma avevo diciotto anni e tanta voglia di indipendenza.»
«E ovviamente chi vuole indipendenza si scorda degli amici, vero?» le rifila lui, cattivo.
Eva affina le labbra, socchiude gli occhi e lo guarda nuovamente.
«Avevo paura di non riuscire ad andare avanti, se vi avessi risentito - ammette, portando le mani sul bancone - mi siete mancati anche voi, che ti pensi?» aggiunge.
Ashton ride, sarcastico.
«Immagino,» si lascia sfuggire soltanto.
Eva sospira, poi si alza.
«Mi dispiace, Ashton, più di questo non posso dirti,» lui la guarda, incrocia le braccia e sospira.
«Sono tutti arrabbiati.»
«Michael no.»
«Michael è un coglione.»
«Non lo è,» risponde lei, indispettita.
«Vi siete sempre difesi a vicenda,» risponde, prima di sorridere leggermente.
«Ci siamo sempre voluti bene, qualunque cosa succedesse,» e Ashton sa che cosa intende.
Quel giorno è scolpito nella mente di tutti, lei è stata l’unica a stargli accanto, fregandosene se avesse torto o ragione.
Rimangono in silenzio, poi Eva si gira e si avvicina alla porta.
«Mi sei mancata  anche a me, Eva - mormora Ashton, poco prima che esca - ma dammi tempo, non posso evitare di avercela con te,» e lei sorride leggermente, prima di aprire la porta ed uscire soddisfatta.
Alla fine, Ashton non si è scordato del bene che le ha voluto.
 
«Non ci vediamo da due settimane, quando finisce il tuo cavolo di viaggio?» Scarlett è davvero frustrata, Andrea non lo sente quasi mai e sta in India, troppo impegnato con il suo diavolo di lavoro.
È un imprenditore di successo, non si lamenta affatto perché ciò che guadagna lui finisce in buona parte nel suo shopping, ma è comunque il suo fidanzato e ogni tanto, starci insieme, non nuoce alla salute.
«Amore, lo sai, devi starci un altro po’, è una grande opportunità,» Scarlett si morde il labbro, poi annuisce, comprensiva.
«Sì, lo so, è solo che mi manchi,» dice, sospirando e lasciandosi andare sulla sedia.
Lo sente ridacchiare dietro il telefono, poi sospira anche lui di riflesso.
«Anche tu, tantissimo,» bisbiglia.
Scarlett vorrebbe davvero essere lì con lui, baciarlo più volte e magari passarci la notte insieme, ma non può.
Sa già che vita aspettarsi, una volta sposati non cambierà nulla. Lui continuerà i suoi viaggi e lei continuerà a lavorare lì, con il telefono sempre all’orecchio per ascoltare la voce di lui e la nostalgia ad avvolgerla.
«Devo andare, ci sentiamo presto - dice lui, dopo qualche secondo - ti amo,» aggiunge e Scarlett è convinta di sentirlo sorridere.
«Ti amo anch’io,» risponde, poco prima che il telefono venga attaccato.
Sospira nuovamente, poi lo poggia sul tavolo e si passa una mano fra i capelli castani, tornando con gli occhi sul pc acceso e sulle varie scartoffie sul tavolo.
Ha dei casi su cui lavorare e tanto vale che non si lasci andare in sentimentalismi.
Non fa in tempo a prendere il mouse in mano, che bussano alla porta.
«Avanti,» esclama, a voce forte, prima che la maniglia si abbassi ed entri una figura alta e snella.
Il signor Clifford le sorride, avvicinandosi con calma alla scrivania e facendole segno con una mano di restare al suo posto.
«Buongiorno, signorina Young, come sta?» chiede gentilmente, com’è solito fare con i suoi dipendenti.
«Oh, bene, e lei?» risponde Scarlett, sorridendo leggermente, prima di passarsi la mano fra i capelli.
L’uomo fa un cenno del capo per rispondere, poi si infila una mano in tasca.
«So che non dovrei, ma potrei chiederti un piccolo favore?» fa l’uomo e lei annuisce, tranquilla.
«Sono davvero molto stanco oggi e ho tanto lavoro da fare, potresti andarmi a prendere un espresso? Joanne non è venuta a lavoro per malattia,» chiede, tirando fuori il proprio portafoglio.
«Certo, nessun problema,» Scarlett si alza e fa il giro della scrivania, arrivando di fronte al capo, che le offre qualche dollaro - anche di troppo.
«Grazie mille, davvero! - le dice, poi la accompagna alla porta - qui vicino dovrebbe esserci il Nirvana, è un bar niente male,» lei sorride, prima di scapparsene di fuori.
Alla fine, prendere un caffè anche per lei non sarebbe una cattiva idea.
In pochi minuti si ritrova di fronte al bar detto dal capo e sospira quando, riconoscendo il luogo, si ritrova ad aprire la porta di quel luogo a cui voleva proprio girare alla larga.
Entra, il campanello suona e nota con piacere che c’è gente e, soprattutto, qualche altro dipendente oltre che al proprietario.
Del resto, un bar gestito solo da una persona è un po’ impossibile.
Si avvicina al bancone e subito un ragazzo con il viso gentile l’accoglie, chiedendole poi cosa vuole prendere, e lei sospira, ‘ché di avere a che fare con il direttore proprio non le andava.
Scarlett è già pronta a dirgli le ordinazioni, prima che una voce li blocchi.
«A lei ci penso io,» Ashton arriva, da una pacca sulla spalla del dipendente e offre un’occhiata distratta a Scarlett, che alza gli occhi al cielo.
«Cosa vuoi?» le chiede, con un tocco di arroganza. Lei storce le labbra, odia l’arroganza, l’ha già detto.
Soprattutto di chi una volta si dimostra gentile e l’altra no.
«Non ho mai sentito qualcuno morire di cortesia, sai? - dice, piccata, prima di afferrare i soldi - e comunque due espresso, una donut al cioccolato e una bottiglia d’acqua, grazie,» risponde, ricalcando l’ultima parola.
Ashton grugnisce, poi prepara e caffè e infine infila in una bustina la ciambella e le porge l’acqua.
«Non è giornata, cara,» ribatte lui, prima che gli occhi della ragazza si scontrino nei suoi.
«Non lo avevo capito,» si lascia sfuggire, sarcasticamente, prima di afferrare il tutto e infilarselo in borsa, prendendo i due bicchieri di plastica che le sta porgendo il ragazzo, mettendolo uno sopra l’altro.
Lo guarda per un attimo, scorgendone i tratti nervosi, prima di sospirare rumorosamente, mettendo i soldi sul bancone.
«Beh, può sempre migliorare - gli dici, prima di avvinarsi all’uscita - e tieni il resto.»
 
È la pausa pranzo, il bar nell’università è pieno zeppo di persone, ma Gioia è riuscita, bene o male, ad arrivare abbastanza presto e ha appena ordinato due tramezzini e una bottiglia d’acqua.
I suoi compagni di corso sono seduti a una panca che sono riusciti ad accaparrarsi, nel giardino principale dell’edificio, mentre varie persone stazionano persino sull’erba, sotto gli alberi o, i più disperati, direttamente sul cemento della vietta che porta all’entrata principale.
Gioia guarda i suoi amici seduti, sorridono e scherzano come dei bimbi, ogni tanto si lanciano chissà quali schifezze e lei non può che ridacchiare, felice come lo si è a Natale, perché ha fatto amicizia in fretta e, soprattutto, con le persone giuste.
Paola è lì, sta guardando con sguardo ammirato William Armstrong, un ragazzo dall’aria da duro, il sorriso sbarazzino e un cuore enorme.
Gioia si sta incamminando verso di loro quando, gli occhi scuri e brillanti, si posano con distrazione sulla figura solitaria di nient’altro che Luke Hemmings, intento a fumarsi una sigaretta e in compagnia soltanto di una tracolla, buttata fra le sue gambe, con la schiena ricurva di chi non ha la forza di stare retto.
Nessuno ha avuto la briga di sedersi accanto a lui, sul muretto vicino al cancello, e lui non sembra farci più di tanto caso, gioca al telefono.
La ragazza lo guarda per qualche minuto, ci pensa un attimo, prima di posare gli occhioni sulla sua combriccola.
Del resto, loro sono insieme, perché preoccuparsene? Sospira, guarda il secondo tramezzino nella sua mano e, con un sorriso, si avvicina al ragazzo a passo svelto, già sapendo che tornerà a lezioni con un leggero di odore di sigaretta addosso, sebbene lei non fumi e nemmeno si azzarda.
Luke alza lo sguardo di scatto quando, al posto del telefono, si ritrova a osservare un tramezzino fumante e dall’aria invitante.
Ammette, ha fame, ma di fare la fila per minuti interi al bar proprio non gli andava ed è talmente abituato a digiunare che, per lui, un giorno in meno o un giorno in più poco conto.
Il viso sorridente di Gioia fa capolinea di fronte a lui.
La ragazza ha gli occhi scuri luminosi, un sorriso che le stende le labbra e le mostra la fila bianca e perfetta dei denti, il naso arricciato e le guance leggermente arrossate.
«Credo di averne comprato uno di troppo, non sono molto affamata, vuoi favorire?» gli chiede, continuando a offrirgli il tramezzino.
Luke sbatte le palpebre più volte, prima di infilarsi il telefono in tasca e afferrarlo, sorridendo timidamente.
Ha troppa fame per ribattere.
«Grazie,» sussurra, prima di spostarsi leggermente e far intendere a Gioia di sedersi.
Lei allarga, se possibile, il sorriso, prima di affiancarlo e azzannare il suo tramezzino, affamata come poche e felice più del solito.
Luke butta la sigaretta a terra, a metà, non interessato più a spendere tempo appresso a quella, prima di assaggiare ciò che ha in mano, ritrovandosi a finirlo in meno di cinque minuti.
«Perché sei venuta da me?» chiede, poi, girandosi verso di lei.
«Ti ho visto solo e mi sono chiesta se avessi fame,» alza le spalle e scontra i suoi occhi con quelli di lui, ma il contatto dura un attimo, ‘ché Luke li abbassa, imbarazzato.
«E non hai pensato che magari ho già mangiato prima?»
«L’hai già fatto?»
«No.»
«E allora!» alza nuovamente le spalle e si lascia andare in un risolino, prima di infilarsi tra le labbra l’ultimo pezzo, leccandosele per togliere ogni residuo di salsa.
Luke rimane quasi colpito dalla tranquillità di Gioia, che prende tutto come se fosse meraviglioso o divertente.
«E comunque grazie,» ripete, dopo qualche secondo di silenzio, abbassando lo sguardo e arrossendo leggermente.
Non sono tutti così gentili con lui, da quando è diventato un po’ più.. riservato.
«Mi hai già ringraziato,» ridacchia lei, muovendosi in modo che i capelli lisci le cadano sul viso.
«Lo so,» risponde solamente, il viso che si chiazza leggermente più di rosso e le mani che si stringono attorno alle cosce.
Gioia sorride e l’ha ben capito che, il ragazzo, ha solo bisogno di qualcuno che gli stia accanto.
 
Eloise sbuffa, si lega i capelli biondi in una treccia disordinata e infine esce dal bagno del Nirvana, posando lo sguardo sul nuovo arrivato, Calum.
Ha un sorriso sul viso, segno che l’incazzatura è almeno sbollita, e chiede subito una birra, quindi non ci mette tanto a capire che non vuole altro che bere, magari farsi qualche risata e lasciare da parte il pensiero che lo tormenta da qualche giorno a questa parte.
Eva.
Si siede accanto a lui, gli da un bacio sulla guancia e sorride, prima di portare gli occhi chiarissimi sul profilo di suo fratello, oltre Calum, intento a giocherellare con il cellulare, la birra ancora a metà di fronte a lui e probabilmente tiepida.
Eloise sbuffa nuovamente, odia che Luke sia sempre così perso nel suo mondo, senza interagire con i suoi amici di una vita, in modo tale da liberarsi di pesi troppo opprimenti.
Ashton si sta passando una mano fra i capelli - troppo lunghi, ma che lui non ha nessuna intenzione di tagliare - e ogni tanto lancia occhiatine alla porta, assicurandosi che qualcuno entri o meno.
La giornata non è migliorata, per lui, e già sa che il sorriso di Calum è falso, sa che Luke non parlerà come fa solitamente, perso chissà dove con i pensieri, sa che Eloise si farà sfuggire qualche cattiveria velenosa - perché è così, lei - e sa che Michael, appena arriverà, non farà che aumentare il nervosismo.
Ha parlato con Eva solo la mattina e, se non fosse che è lei uno dei tanti problemi in quel gruppo di amici ormai disgregato, ne parlerebbe volentieri.
La porta si apre, il campanello suona e la testa tinta di bianco con qualche spruzzata di azzurro fa capolinea.
Michael gli sorride - o ghigna, ancora non l’ha ben capito - prima di lasciarsi scappare un occhiolino, infine si avvicina a passo strascicato verso di loro.
Quando Calum lo nota, il suo sorriso svanisce e gli occhi diventano due lame affilate.
«Buonasera, gente!» esclama l’amico, sedendosi comodamente accanto alla ragazza e sorridendole bonario.
Eloise alza gli occhi al cielo, non degnandolo nemmeno di un sorriso e lasciandosi sfuggire uno sbuffo irritato, che fa ridacchiare Michael.
«Come va?» il silenzio l’accoglie, nessuno parla e l’unico che potrebbe rispondergli decentemente è troppo impegnato a girovagare su Facebook.
«Bene, direi, - commenta, alzando le sopracciglia e arricciando le labbra - Ash, una Tennent’s, grazie,» alza l’indice e sorride all’amico, che l’afferra al volo e gliela lancia.
«Come mai questo silenzio? Preferisco quando mi insultate, a essere sincero,» aggiunge, poco dopo, accorgendosi mentalmente di star facendo un monologo.
Eloise si gira di scatto verso di lui, inarcando le sopracciglia verso il basso.
«Se vuoi ti accontento,» dice, affilata.
Michael la guarda, si lecca un labbro e poi lo morde.
«Amo quando fai l’aggressiva, dolcezza,» ammicca, accarezzandole una guancia con un dito, prima che la ragazza lo tolga con stizza e ringhi.
«Coglione, tieni le mani a posto, odio essere toccata da te,» commenta, afferrando la birra del ragazzo e prendendone un lungo sorso, sotto gli occhi trasparenti di Michael, che si lascia sfuggire un ghigno.
«Una volta non la pensavi così,» ribatte, prima che lei quasi si strozzi con il liquido.
Eloise lo guarda male, digrigna i denti e infine gli sbatte una mano sul braccio.
«Testa di cazzo!» gli urla contro, non attirando nessuna attenzione.
Ormai tutti i clienti sono abituati alle loro scenette.
Michael ride, prima di finire la propria birra e guardare verso un punto indefinito oltre Ashton, che sbuffa innervosito.
«La verità brucia?» la stuzzica ancora.
«L’unica cosa che brucerà sarà il tuo culo tra qualche minuto, se non la smetti di dire stronzate!» ruggisce, sporgendosi leggermente verso di lui, che le ridacchia in faccia.
«Pensavo fossi te la passiva, una volta - è che Michael sa sempre cosa dire - non dicevi ti piacesse?» ed Eloise davvero vorrebbe ucciderlo.
Ashton alza gli occhi al cielo e rivolge un’occhiata anche agli altri due, persi tra chissà quali pensieri.
Sa che sarà una delle solite serate.
 
***
Ehilà,
come va?
Scusate davvero per il ritardo, ma ho avuto un vuoto e non sapevo cosa scrivere, è uscito tutto ora.
Allora, iniziamo con Eva che va a trovare Ashton, suo vecchio amico. Si scusa, dice la sua e fa intendere di essersi pentita, ma lui non è uno che passa sopra facilmente. Gli passerà, dite?
A Scarlett manca Andrea e intanto il capo la manda nella tana del lupo, a subirsi un Ashton a cui rode un poco, forse perché ha avuto modo di parlare con Eva.
Gioia va a far compagnia al biondo e gli offre persino un panino. 
E infine, Michael ed Eloise che si scannano. Qui si capisce un po’ di più del loro passato.
Scappo, comunque, e spero vivamente che vi sia piaciuto.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Bye bye,

Judith. 

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Capitolo 5
*** Paura ***



Home is wherever I am with you.

PAURA.
 
"Per chi ha paura, tutto fruscia."
"O è il male ciò di cui abbiamo paura, o il male è che abbiamo paura."
 
Eva sbuffa, cerca di far partire la macchina ma niente.
Davvero, non ha nessuna voglia di andare all’officina e chiedere di riparla, ha semplicemente pregato tutta la notte affinché funzionasse magicamente.
Ma, ovviamente, i miracoli non accadono per sciocchezze del genere.
Grida frustrata, i genitori l’hanno avvertita che avrebbe dovuto portarla a riparare e che loro non avrebbero mosso un dito. Ora, tocca che si prende le sueresponsabilità, a partire dalla sua dannatissima macchina e dall’unico meccanico in città che si è rivelato il suo ex ragazzo.
Afferra la propria borsa, se la issa sulla spalla e infine scende dall’auto, sbattendo la portiera con forza e rabbia, prima di incamminarsi a passo lento verso l’officina, l’ansia crescente e il cuore che palpita per l’agitazione.
Arriva là davanti che tutte le sue buone intenzioni sono svanite nel nulla, ma da quand’è che Eva si fa intimorire così tanto?
Sospira, cerca di rilassare i muscoli e infine si tocca la pancia.
La tensione non fa bene al bambino, dice sempre sua madre.  
Fa un altro passo, ma sente il terrore invaderla.
Sospira nuovamente, è già pronta ad andarsene.
Cosa le importa della macchina? Esistono i mezzi pubblici, o la moto di Michael,no? 
Può farne a meno, tanti al giorno d’oggi nemmeno hanno la patente.
Potrebbe persino comprarne una nuova, no? Mettersi un po’ di soldi da parte e vendere i pezzi della sua.
Ha trovato abbastanza soluzioni per farne a meno, quindi si gira, già pronta ad andarsene.
«Che ci fai qui?» ti pareva, pensa, mentre sospira per l’ennesima volta in qualche minuto e si gira lentamente, scontrando gli occhi scuri e indispettiti di Calum.
Imita un sorriso, poi alza le spalle e si avvicina.
Ormai è fatta, tanto vale dirgli della macchina e poi non ci penserà più, no?
«Ciao,» lo saluta, incrociando le braccia sotto il seno - che diventa man mano più prosperoso - e mordendosi il labbro inferiore.
Calum arriccia il naso, non ha gran voglia di rispondere, si pulisce le mani sporche di grasso sui pantaloni e infine alza le sopracciglia.
«Ciao,» risponde, a fatica, abbassando lo sguardo sul corpo florido di lei, prima di tornare a scontrare i loro occhi.
«Io, uhm, come stai?» riprova Eva, avvicinandosi di qualche altro passo e non togliendo il contatto visivo per nessun motivo.
È così strano guardare una persona dopo tre anni, con cui si ha condiviso tutto, come se fosse un’estranea.
«Dimmi per cosa sei venuta qui e facciamola finita, con questa scenetta, Eva,» dice, duro, facendola sussultare.
La voce di Calum si è abbassata, divenendo una specie di ringhio gutturale. Sente la rabbia, trapela da ogni lettera pronunciata.
E un po’ si offende, che va bene, lo sa, ha sbagliato e lo ripeterà all’infinito, ma sperava in un comportamento leggermente più gentile.
Solo Michael è stato carino con lei, ma lui è sempre stato l’unico a capirla.
«La mia macchina non funziona, mi chiedevo se potevi venire a controllarla,» si passa una mano fra i capelli lunghi e biondi, poi si stringe nelle spalle, nel mentre che Calum la osserva.
Da quand’è che si sente così a disagio sotto uno sguardo?
Le è successo solo un’altra volta nella vita, aveva quattordici anni, ed era per la prima volta nuda di fronte a un ragazzo, lo stesso che ora le è davanti, con lo sguardo di fuoco e le mani infilate nelle tasche della divisa da meccanico.
«D’accordo, dammi un attimo,» si avvicina al garage e lo chiude con una mossa, mettendo in evidenza i bicipiti.
Eva distoglie immediatamente lo sguardo dalla sua schiena, gli ormoni sballano facilmente e di bagnarsi per un semplice corpo delineato proprio non le va.
Che poi le tocca ricordarsi che quello è anche il suo ex.
Calum si avvicina nuovamente, non la guarda questa volta, tiene gli occhi scuri - enon solo di colore - sulla strada.
«Andiamo,» le dice soltanto, sorpassandola.
Eva scuote le spalle, solitamente non si lascia trattare così, odia le persone fredde, ma non può biasimarlo e nemmeno ribattere. Annuisce, sebbene lui non possa vederla, e lo affianca con difficoltà, dato il passo veloce per ragazzo.
E vorrebbe dirgli che gli dispiace, che è tutta colpa sua e se avesse saputo cosa fosse successo, sarebbe rimasta a Sydney, tra le sue braccia.
Perché lo sa che come l’ha amata Calum, Jonathan non l’ha mai fatto.
 
Deve fare la spesa e non ha la più pallida idea di cosa comprare, Luke è rimasto a casa e nemmeno le ha detto cosa vuole o no ed Eloise ne è sicura che, una volta tornata, le chiederà se ha preso quello e quell’altro.
Cosa che, ovviamente, Eloise non ha preso.
Afferra un carrello e ci infila dentro due filoni di pane, poi cammina verso i dolciumi, afferra alcuni pacchi di cereali e biscotti, due barrette di cioccolata e per finire un pacco di merendine, che quando ha il ciclo sono la migliore cura.
Va alla verdura, che non possono vivere di schifezze, e prende tutto ciò che manca a casa.
Sospira, mentre acchiappa la busta di zucchine che ha appena pesato e la butta nel carrello.
Poi lo vede, su uno scaffale in alto - troppo in alto - quel barattolo di paté alle olive che piace tanto a Luke, sebbene non gliel’abbia chiesto.
Ma lei glielo vuole fare, un piacere, ogni tanto.
Si allunga, ma non ci arriva, che può farci? Non ha ereditato l’altezza di cui dispone Luke, invece.
Sente una mano afferrarle il fianco, passando piano sulla pancia fino a circondarla del tutto, mentre un respiro le sbatte sui capelli e un braccio si allunga per afferrare il barattolo, passandoglielo.
Il profumo aspro che le arriva al naso la fa innervosire, così come il tocco che le sta bruciando la pelle, oltre la maglia.
«Staccati, Michael,» ringhia, cercando di girarsi, sentendo la presa stringersi e le labbra di lui accostarsi al suo orecchio, mentre miriadi di brividi le corrono per la schiena.
«So che non lo vuoi sul serio,» accosta ancora di più il suo corpo a lei, mentre scende con la bocca sul collo e le lascia due baci.
Eloise si sente andare a fuoco e non capisce se è per rabbia o eccitazione.
Del resto, lei non vuole averci più niente a che fare con lui, ma il suo corpo nonsembra pensarla allo stesso modo.
Socchiude gli occhi e sospira, prima di sentirlo ridere sulla sua pelle.
«Ti voglio,» le dice, poi, facendola risvegliare.
Eloise si scosta, prendendolo alla sprovvista e spingendolo all’indietro. Posa il paté di olive nel carrello e, con il viso chiazzato di rosso per la rabbia - e altro, ma non lo ammetterà mai - si incammina verso la cassa, sicura di aver preso tutto.
Michael le sta dietro, ride e non può fare a meno di notare le guance di lei di un color cremisi che la rendono ancora più adorabile.
Eloise paga nel silenzio più assoluto, poi afferra le due buste e cerca di non far notare lo sforzo, essendo entrambe belle piene.
Si maledice per non aver preso la macchina.
Tanto è vicino, aveva pensato, e ora si vorrebbe prendere a schiaffi, mentre Michael le sta dietro e tutto ciò che doveva comprare è finito nel dimenticatoio.
«Dammi le buste, ti aiuto.»
«No.»
«Ah, orgogliosa che non sei altro - sghignazza, poi le afferra le buste a forza e le prende - lascia fare a me e smettila di fare la tosta, non ti riesce,» aggiunge, sorridendole beffardo.
Eloise ringhia qualcosa, ma lo lascia fare. Di faticare non le va affatto.
Arrivano di fronte alla casa nel silenzio più assoluto ed Eloise apre la porta, strappando dalle mani del ragazzo le buste e piantandosi di fronte all’ingresso per non farlo entrare.
Michael la guarda, sorride - forse un po’ amaro - infine si passa una mano fra i capelli tinti.
«Mi odio proprio, hm? - inizia, borbottando - non mi perdonerai mai? Sono tre anni, alla fine.»
«Vattene.»
«I miei sentimenti non sono cambiati, però, Eloise, e tu lo sai,» ed è vero, Eloise lo sa, e non dovrebbe nemmeno sentire il cuore che palpita e gli occhi che si inumidiscono.
Abbassa il viso, le viene da piangere.
«Ma i miei sì - mente, ma questo lo sa solo lei - vattene, Michael!» aggiunge, infine entra in casa e chiude la porta.
Respira lentamente, va in cucina e inizia a mettere il cibo a posto.
Non vuole pensarci più.
 
Luke la guarda di sottecchi, mentre mette a posto la spesa con gli occhi lucidi e il respiro pesante.
Li ha visti dalla finestra e ne è sicuro che si sono detti qualcosa, perché solo luiriesce a destabilizzare sua sorella a tal punto, con le sue parole e le sue continue dichiarazioni.
Si poggia allo stipite della porta con le braccia incrociate e si morde un labbro, giocherellando con il piercing, aspettando che Eloise si accorga di lui.
Alla fine lei si ferma, di fronte alla dispensa aperta, e si porta le mani sul viso, sospirando rumorosamente. Lo sa che sta per crollare, la conosce come le sue tasche.
«Eloise,» la richiama, poi, facendola sussultare di scatto.
Lei saltella, alza il viso e lo guarda, gli occhi lucidi che si obbliga a non far straripare e le guance rosse.
«Che ci fai qui?» chiede lei, il tono sorpreso.
Luke non esce quasi mai dalla sua stanza, se non per mangiare, andare in bagno o uscire direttamente di casa, quindi non può che esserne sconcertata.
«Vi ho visti,» le dice, alzando le spalle e sospirando, rizzandosi e avvicinandosi di qualche passo verso di lei.
Eloise abbassa lo sguardo, si stringe le braccia attorno al corpo e annuisce, sa già che lui ha capito tutto, sa che è lì perché sta male.
È suo fratello ed è l’unico a capirla, a conoscerla.
Ha in testa le parole di Michael, lui ancora prova qualcosa per lei, lo sa, glielo dice sempre e non può fare a meno di dimostrarglielo, se con frecciatine bastarde, dette di fronte agli altri, che con parole sdolcinate, dette quando sono soli.
Ma non riesce a perdonarlo, non vuole farlo.
È orgogliosa, e questo è un enorme problema.
Lo sa, è stupido, del resto sono passati tre fottutissimi anni, che le costa fare uno sforzo? Eloise può mentire a tutti, del resto - a parte Luke - ma lo sa bene che gli sta ancora sotto, che quando lo vede sente lo stomaco ribaltarsi e che tutte le cattiverie che gli lancia contro non sono altro che rabbia, ‘ché lei non le pensa sul serio.
Si porta le mani al viso, sente il cuore pesarle nel petto e non dovrebbe crollare di fronte a Luke, perché lui ha problemi maggiori, ma non ce la fa.
«Vieni qui, amore mio,» Luke allarga le braccia, le sorride debolmente e lei non resiste.
Ci si fionda dentro e si aggrappa alla sua maglia, iniziando a bagnarla di qualche lacrima. Trattiene i singhiozzi e davvero, si da della stupida, perché ha vent’anni e non dovrebbe stare così per un ragazzo, ma che può farci?
Luke la stringe, le afferra le gambe e la costringe ad aggrapparsi a lui, fino ad essergli in braccio, infine la porta sul divano e si lascia cadere sopra di esso, cullando la sorella e accarezzandole i capelli.
«Io lo odio,» si lascia sfuggire lei, con un singhiozzo.
«Lo so, Eloise, lo so,» le bacia la fronte, si chiede come può il suo migliore amico essere stato talmente coglione da spezzare il cuore a sua sorella.
«Perché mi fa quest’effetto? Lui non lo merita,» singhiozza di nuovo.
Da quand’è che si lascia così andare? Dovrebbe riprendere il contegno, ma si sente troppo giù per farlo.
«Ssh, Eloise, passerà tutto,» le accarezza la schiena e la stringe a sé.
«Sono anni che va avanti, non passerà più,» sussurra sul suo petto, mentre gli circonda meglio il collo.
Sente del leggero sollievo quando le labbra del ragazzo le baciano la fronte, mentre le sue mani continuano a coccolarla.
Ogni tanto ci vogliono queste dimostrazioni d’affetto.
E si ricorda del periodo in cui era normale, per Luke, fare tutto ciò. Starle accanto nelle difficoltà, essere il suo supporto.
«Devi solo trovare una persona che ti merita sul serio, che ti farà scordare di tutto questo dolore - le risponde, dopo poco - perché è così, tu meriti di meglio, meriti qualcuno che ti ami davvero e che te lo dimostri ogni giorno, Eloise,» le dice, allora.
«Ti voglio davvero bene, Luke,» commenta lei, qualche minuto di silenzio dopo - rotto solo dai suoi singhiozzi.
«Anch’io, tesoro,» e sorride un poco.
 
È sera, non avrebbe dovuto prolungarsi a tal punto a lavoro, ma aveva tantissime cose da fare e non le andava di aggiungerle agli altri giorni.
Si stringe nelle spalle e si guarda attorno, sente l’ansia crescere perché la strada è totalmente deserta e lei è totalmente da sola.
È buio, i lampioni mandano una luce talmente pallida che illumina a malapena lei, appena ci passa sotto, e la metro dista ancora qualche minuto.
Si lascia sfuggire un singulto, quando sente dei passi dietro di lei e prega semplicemente che sia un passante con nessuna cattiva intenzione, perché di rimanerci secca, giovane com’è, non le va.
Allunga il passo, ma un fischio la fa gelare sul posto.
«Ehi, bambolina,» trema, poi, perché è l’unica ragazza presente e i passi si avvicinano, sempre più veloci, e lei ha dei fottutissimi tacchi che saranno la sua morte, sicuro.
Inizia a correre, per quanto le è possibile, mentre già gli occhi si inumidiscono e la paura prende il possesso del suo corpo. Gira di poco il viso, notando che non è nemmeno una persona, ma ben due, e che sono più vicine di quanto pensava.
«Dove corri, vieni qui! - dice l’altro, ridendo - tanto non andrai così lontano,» si maledice, perché ha dovuto restare a lavorare?
O meglio, perché non si fa la patente, al posto di andarsene con i mezzi a destra  e a manca?
Li sente vicini, gira un vicolo e si da della scema, perché in tutti i film che vede, quelle che lo fanno, finiscono sempre male. Le luci, lì, nemmeno ci sono, e lei non vede dove va, terrorizzata dalla possibilità di cadere e lasciarsi acchiappare così.
È giovane, tra poco si sposa, non vuole di certo che la sua fine avvenga in un vicolo minuscolo e in maniera tanto brutta.
Sono vicini, li sente urlare qualche altra cosa e non sa proprio più dove andare, mentre sbuca in un’altra strada, un poco più illuminata ma comunque vuota, senza nessuno. I tacchi non le permettono di correre più di quanto sta facendo e le lacrime le segnano il viso, offuscandole la vista.
È un attimo, si sente acchiappare dalle spalle e urla qualcosa.
«Bambolina, pensavi di sfuggirci?» il cuore le sbatte sul petto a una velocità disumana, singhiozza, mentre la mano di uno si posa sulla sua bocca e la trattiene, il suo corpo viene premuto su un altro.
L’altro ragazzo le arriva di fronte, sorridendole malizioso, e le carezza un fianco, mentre l’amico inizia a muovere il bacino in modo osceno sul suo fondoschiena.
«Sei proprio un bel bocconcino, sai?» le soffia in faccia e sente perfettamente l’odore di alcol.
Piange di più, singhiozzando anche con la bocca coperta da una mano, e ha davvero molta paura, mentre si sente trasportare verso il vicolo buio. Si dimena, cerca di andarsene ma in compenso la stretta si stringe e i due ridono.
«Dai, solo una ripassata e poi ti lasciamo andare, hm?» dice uno di loro.
E l’ha capito che non ha senso cercare di combattere, si ammoscia tra le braccia del ragazzo e piange disperata, impaurita come non le era mai successo prima.
«Ecco, brava,» le dicono, sghignazzando.
Sono quasi all’interno del vicolo, quando una voce blocca i ragazzi.
«Ehi, voi due! - grida qualcuno, che non riesce a vedere, incastrata tra loro - lasciatela immediatamente, stronzi!» aggiunge, i passi che si fanno sempre più vicini e veloci.
«Sennò che ci fai? Sei uno, noi due,» lo sente grugnire, poi due colpi la fanno sussultare e pochi secondi dopo viene strappata letteralmente dalla stretta del ragazzo.
Vede uno dei due a terra, mentre l’altro guarda male chiunque sia il suo salvatore.
«Se vuoi ti faccio finire così anche a te, coglione,» ma lui sembra desistere e si abbassa verso l’amico, non degnandolo di uno sguardo.
«Sa anche ragionare, allora,» borbotta, poi afferra la ragazza con delicatezza e si allontana velocemente, sentendola singhiozzare rumorosamente.
«Calma, è tutto finito!» le sussurra, docilmente.
Camminano per qualche secondo, fino a essere abbastanza distanti dai due, allora lui la gira verso di sé, sorridendole leggermente e scacciandole le lacrime con le nocche.
«È tutto ok, Scarlett,» e lei singhiozza nuovamente, lo osserva e per poco non si strozza, ritrovandosi di fronte l’ultima persona che si aspettava potesse salvarla:Ashton.
E va bene che non sono niente più che due semplici conoscenti, che le poche volte che si sono visti non hanno fatto altro che ringhiarsi contro, ma Scarlett è talmente sollevata e felice di vederlo che, con le gambe che tremano e per poco non cedono, si fionda tra le sue braccia.
 
***
Ehilà,
come va?
Eccomi con un nuovo capitolo, tutto per voi, cosa ne pensate? 
Mi ‘spiace che non c’è Gioia.
Allora, iniziamo con Eva e Calum. Lei deve per forza riparare le macchina e, ovviamente, Calum è l’unico a poterlo fare, nella sua città.
Lui, però, non sembra tanto contento di vederla.
Poi ci sono Eloise e Michael, un po’ destabilizzanti, lo so, ma devo far capire meglio sia uno che l’altra.
Michael le rompe un po’, infine le dice le solite cose ed Eloise crolla, perché anche se non sembra, è delicata.
Per fortuna che c’è il suo amato fratello, Luke, che si prende cura di lei come se fosse una cosa preziosa, ricambiando il favore, perché Eloise c’è sempre per lui.
Infine, la povera Scarlett per poco non ci rimane secca, ha voluto finire tutto il lavoro e si è trovata a percorrere la strada di sera tarda, con un paio di stronzi appresso.
Per fortuna che c’è Ashton.
Vi lascio, ora, spero vivamente che vi sia piaciuto!
Bye bye,

Judith. 
 

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Capitolo 6
*** Nostalgia ***



Home is wherever I am with you.

NOSTALGIA.
 
"Il peggior modo di sentire la mancanza di qualcuno è esserci seduto accanto e sapere che non l'avrai mai."
"Dolore e nostalgia sono pagine di un libro scritto a due mani e riletto da soli."
 
«Mi odia,» esclama, posando la tazza nel lavandino e fulminando sua madre con lo sguardo.
«Oh, tesoro, non è vero - ribatte, addolcendo gli occhioni e accarezzandole la schiena - è solo arrabbiato, è normale, ma passerà,» aggiunge, il tono amorevole di chi non ha perso le speranze.
«No, invece, mi odia, non hai visto? Non mi ha fatto nemmeno parlare, ieri, ha detto che per sistemare la macchina aveva bisogno di concentrazione e preferiva stare da solo, io lo so che voleva semplicemente che me ne andassi!» sbotta, passandosi una mano fra i capelli biondi e lunghi.
«Amore, non ti odia, stai tranquilla! - le ripete sua madre, sorridendole - è solo troppo confuso, ora, per capire bene cosa prova, sei tornata da pochi giorni, del resto, no?» le dice, passandole una mano sulla spina dorsale.
Eva sospira, è convinta che Calum la odi, ma non le va di discuterne per ore con sua madre.
«E comunque, dovresti andare a pagarlo,» aggiunge sua madre, un sorrisino sghembo sul viso e tutta l’aria di chi si sta divertendo come pochi.
Eva sgrana gli occhi, poi scuote la testa.
«No, ti prego, puoi andarci tu? Ti scongiuro, laverò i piatti per una settimana intera!» congiunge le mani in segno di preghiera e guarda la mamma a occhi disperati, ma lei scuote la testa e ridacchia.
«Assolutamente no, su, cammina, non vorrai passare per una ladra,» le dice, dirigendosi velocemente verso il bagno, facendo finta di non ascoltare le urla disperate e arrabbiate della figlia, che le corre dietro.
«Non puoi farmi questo!» Eva sbatte un pugno sul legno bianco, infine sbuffa e alza gli occhi al cielo, chiedendosi per quale dannato motivo tra tutte le madri del mondo, proprio dalla sua doveva nascere.
Afferra la borsa con stizza, inarca le sopracciglia verso il basso e non ci vuole proprio andare lì, a sentire gli occhi furiosi del ragazzo su di lei come se fosse una bastarda assassina.
Esce di casa e sbatte la porta, giusto per far intendere il suo estremo nervosismo.
E lo becca proprio mentre sta aprendo la saracinesca del garage, la canotta che lascia scoperte le braccia tatuate e definite, la schiena che si contrae nel movimento e la fronte aggrottata per il sole che gli sbatte sul viso.
Si avvicina a passo lento, fino ad arrivargli dietro, e lo vede bloccarsi al rumore dei suoi passi.
«Che ci fai qui?» le dice, senza girarsi.
Eva sbatte le palpebre più volte, incredula. Come ha fatto a capire che è lei?
«Come diavolo hai fatto?» si acciglia, mettendosi le mani sui fianchi e aggrottando la fronte.
Calum si gira lentamente, fino a scontrare gli occhi scuri con quelli di lei, e alza le spalle.
«Hai lo stesso profumo da anni,» dichiara, lasciandola interdetta.
Eva rimane in silenzio, lo osserva con un’espressione stupita, prima di abbassare lo sguardo e stringersi nelle spalle, toccata da tali parole.
Come fa a ricordarsi del suo profumo? Come fa a riconoscerla solo per quello?
Cerca di ricomporsi e alza gli occhi verso di lui.
«Sono venuta qui per pagarti,» dice, poco dopo, tirando fuori dalla borsa i dollari precisi, che lui guarda per qualche secondo, senza decidersi a prenderli.
«Non li voglio,» le risponde, portando nuovamente lo sguardo su di lei e scuotendo il capo.
«Perché?»
«Non li voglio e basta.»
«Non me ne vado da qui finché non li avrai presi, Calum,» dice, decisa, inarcando le sopracciglia verso il basso e facendogli intendere che non la smuoverà facilmente.
«Ma sei sorda o cosa? Non li voglio!»
«E mi hai riparato la macchia gratis? Per favore, smettila e prendili, sono tuoi,» gliele porge ancora di più, mettendoglieli sotto il naso e alzando le sopracciglia di scatto.
«Dio mio, sei così testarda,» esclama, afferrando i dollari e scontrando la mano con le dita di lei, che le ritira, come scottata.
Si lascia sfuggire una risatina, poi, prima di allontanarsi di un passo.
«Dovresti saperlo,» commenta.
«Non ricordavo lo fossi a tal punto.»
Eva sorride, alza le spalle e abbassa lo sguardo.
«Magari lo sono più di prima.»
«Oh, sicuramente, prima lo sapevi accettare un no,» risponde lui, sorridendo, prima di accorgersi di quanta confidenza stia dando alla stessa ragazza che è sparita per ben tre anni.
Torna serio, ricomponendosi, e raffredda lo sguardo.
Eva si accorge del cambiamento, sospira, ci aveva quasi sperato, poi si morde un labbro e infine gli sorride leggermente.
«Beh, immagino che tu debba lavorare - dice, sistemandosi la borsa sulla spalla - allora ti lascio, grazie ancora per la macchina,» gli dà le spalle e se ne va.
Intanto, Calum si morde l’interno guancia, senza distogliere gli occhi dallo stesso corpo che per anni ha assaggiato tra le lenzuola del suo letto.
 
Scarlett apre gli occhi lentamente, sente la schiena intorpidita e la testa le gira un poco.
Si alza, scostandosi le coperte di dosso, e nota subito che la stanza in cui si trova non è affatto la sua e che porta ancora i vestiti del giorno prima, a parte i tacchi, buttati ad un angolo.
In un attimo, varie immagini della sera prima le scorrono per la testa, facendole ricordare perfettamente ogni avvenimento.
I due ragazzi, la notte buia, la sua paura, il suo pianto isterico, Ashton.
Ashton.
È a casa di lui, probabilmente, ma non si ricorda nient’altro che un suo abbraccio.
Cammina verso la porta, aprendola e uscendo, ritrovandosi a poggiare i piedi nudi sul parquet in legno e osservando attentamente il corridoio, ricoperto di foto e quadri.
Sente il rumore di pentole e passi a una stanza lontana, oltre il corridoio, e si avvia piano, cercando di essere il più delicata e silenziosa possibile.
Entra nella cucina e lo trova lì, intento a sciogliere del cioccolato a bagno-maria, con la fronte aggrottata e una canotta a scoprirgli le braccia e le spalle, un paio di pantaloni che gli staranno trenta volte e i piedi totalmente nudi.
Lui si gira di scatto, appena lo scricchiolio del parquet la tradisce, e le sorride smagliante, lasciando per un attimo la cucchiarella e il pentolino, avvicinandosi a lei.
«Ehi, bella addormentata, come stai?» ride, le porta una sedia lontana dal tavolo e la invita a sedersi. Su di esso, vi è una ciotola ripiena di fragole e due tazze, ancora vuote.
Scarlett si siede, si sente in imbarazzo e non può negarlo, le guance le si colorano di rosa e lo sguardo corre verso il marmo del tavolo, dove poggia le dita e le picchietta.
«Sto, hm, bene, credo,» non lo è davvero sicura, alla fine ciò che è successo la sera prima l’ha scossa sul serio e si sente tremendamente intontita, per non pensare che avrà il viso impiastricciato per il trucco che non si è tolta e dei capelli scombinatissimi.
Un mostro, in pratica.
Ashton mette il cioccolato fuso all’interno di un’altra ciotola, per poi posarla sul tavolo e sedersi anche lui al suo fianco, sorridendole con una gentilezza che, Scarlett, non gli aveva mai visto.
«Mangia, credo che tu sia affamata, dopo ieri sera,» le dice, porgendole le fragole.
Titubante, ne afferra una e la immerge interamente nel liquido scuro, prima di portarselo alle labbra e assaggiarlo con gusto.
In poco tempo, ne spolvera la metà, sotto gli occhi divertiti del ragazzo, che la osserva di sottecchi, incurante dell’aspetto poco curato.
Scarlett allontana la ciotola, poi, sazia e piena, si gira verso Ashton, che le sorride, prima di passarsi la lingua sulle labbra, per togliere ogni residuo di cioccolato.
«Aspetta - Scarlett salta sulla sedia, sgranando gli occhi - ma che ore sono?»
«Le dieci e mezza.»
«Oh mio Dio! Ma io dovrei essere a lavoro,» ed è già pronta a scattare, prima che il polso venga circondato dalle dita affusolate di lui, che scuote la testa e ridacchia.
«Tranquilla, hanno già chiamato e io mi sono permesso di rispondere, dicendogli che sei malata,» e sa, Scarlett, che non è buona educazione rispondere al telefono di altri, soprattutto se non si ha tanta confidenza, ma non può che essergli grata, ‘ché dopo la serata di ieri, di andare a lavoro proprio non ne ha voglia.
«Grazie - mormora, tornando seduta e sorridendogli flebilmente - e tu, non hai il bar?» aggiunge, sbattendo le palpebre più volte, al che lui annuisce.
«Ho detto agli altri di aprire senza di me, hanno tutti le chiavi, non potevo di certo lasciarti sola, dopo ieri,» risponde, nascondendo il proprio viso dietro la tazza.
Scarlett rimane per qualche secondo stupita, poi sorride, grata.
Non si immaginava tanto interesse da parte sua, del resto.
«Grazie di nuovo, allora,» si lascia sfuggire, stringendosi nelle spalle e osservandolo attentamente, con occhi ancora un po’ offuscati dal sonno.
Ashton sorride e basta.
E le basta.
 
Non ci pensa più di tanto, mentre cammina a passo svelto nella sua direzione, con i capelli sconvolti dal vento e lo sguardo deciso.
Ai suoi amici ha raccontato una balla, ‘ché l’unica volta che l’hanno vista parlare con lui le hanno fatto  troppe domande, per poi scuotere il capo e dirle che non c’è da fidarsi, di uno che non ride mai.
Ma Gioia se ne frega di ciò che dice la gente, sa quel che fa e sa che Luke non fa nulla di male, non ha nulla di male, e il suo comportamento deriva sicuramente da qualcosa che è successo, tempo addietro.
Si ricorda le parole di Paola, una volta lui era amatissimo, circondato da tanta gente, cosa mai è successo che l’ha reso così? Chiuso, spento, triste.
Scuote la testa, non è il momento per pensarci, alla fine si ferma di fronte a lui.
Luke è poggiato al muro, un foglio in mano e la fronte aggrottata, lo sguardo concentrato nel leggere le righe nere sul bianco.
Si schiarisce la voce, allora, per attirare la sua attenzione, e lo vede alzare gli occhi cerulei verso di lei, prima di ricomporsi e rizzarsi con la schiena, infilandosi il foglio nella tasca.
«Oh, Gioia,» borbotta, a mo di saluto.
«Ehi, Luke, come va?» sorride smagliante, illuminando maggiormente lo sguardo e scoprendo i denti perfettamente bianchi e dritti.
«Hm, va bene, sì, e a te?» le chiede lui, di rimando, passandosi una mano sulla nuca, visibilmente in soggezione.
Gioia riesce a intimidirlo con poco, è così solare e piena di vita che non lo sa proprio come mai, ogni tanto, ci spende del tempo per chiacchierarci, con uno come lui.
«Una meraviglia, sì - ridacchia, lo fa sempre, poi addolcisce il sorriso - hai programmi per pranzo?» chiede, poi, sperando vivamente che le dica di no, che ha l’ora libera.
Ha voglia di passare del tempo con lui, conoscerlo, magari rubargli qualche sorriso.
Luke sbatte le palpebre più volte, poi sembra pensarci per qualche secondo, infine scuote la testa.
«No, sono libero, perché?» è quasi ingenua, come domanda, ma ha come paura che non sia quella la richiesta. Perché dovrebbe spendere altro tempo con lui?
«Mi chiedevo se volessi venire a mangiare con me - si stringe nelle spalle e svaga lo sguardo - sì, insomma, io sono totalmente sola,» e poi non è vero, ma buttarla lì aiuta sempre.
Luke la guarda, poi si lecca il labbro inferiore e si gratta la nuca nuovamente.
«Sì, è ok.. insomma, mi va bene,» cerca di sorriderle, è felice della richiesta e non aveva proprio voglia di starsene da solo per un’ora intera.
Gioia sorride smagliante.
«Perfetto, c’è qualche posto in particolare dove ti piacerebbe andare?» gli chiede, incrociando le braccia.
Luke sembra pensarci su, svaga con lo sguardo a destra e a sinistra, aggrottando leggermente la fronte, poi si illumina, facendo brillare per qualche secondo quegli occhi un po’ troppo spenti.
«Andiamo a prendere un paio di panini, poi so io dove andare,» le dice, iniziando a camminare verso il bar.
Fanno una fila di sette minuti, ripiena di sbuffi e sorrisini divertiti dalla situazione, poi Luke paga per entrambi, sotto le proteste di Gioia.
«Tu mi hai offerto un tramezzino, l’altro giorno, ho solo ricambiato il favore,» e lei sospira, perché non può dirgli nulla.
Luke, poi, inizia a incamminarsi a passo svelto all’interno dell’università, facendo lo slalom tra gli studenti e accertandosi che lei gli sia dietro.
Gioia sorride, vede il ragazzo mostrare segni di vita - vita vera, intende - e, sebbene ora abbia appena iniziato una rampa di scale che sembra non finire più e lei sente già i polmoni esplodere, non può evitare di rimanere in silenzio, non vuole rovinare il momento.
Alla fine, Luke apre una porticina di metallo, arrugginita, che porta alle terrazze e la lascia passare, e sebbene Gioia pensa sia finito, Luke le afferra un braccio e la costringe a seguirlo, fino ad arrivare in un punto preciso.
È un angolo, nascosto dalle mura della sporgenza dell’entrata, totalmente coperte di edera, e nessuno riuscirebbe a vederli, lì dietro.
Luke si siede, lascia penzolare le gambe e la invita a fare lo stesso e, sebbene Gioia di solito avrebbe paura, lo segue senza obiezioni, notando che sotto di lei non c’è altro che un tettuccio a proteggere eventuali cadute.
Quando alza lo sguardo, poi, rimane senza fiato.
Tutta Sydney è prostrata ai suoi piedi.
«Come hai trovato questo posto?» gli chiede, spalancando le labbra e sgranando gli occhi.
Luke sorride, si stringe nelle spalle e non la guarda.
«Quando si cerca la solitudine, si trovano sempre bei posti.»
 
Michael si sdraia sul letto e incastra le mani dietro la nuca, mentre guarda ridacchiando Eva, intenta a osservarsi allo specchio.
«Dio mio, sto diventando una balena - piagnucola, guardandolo il labbro inferiore all’ingiù - sono orribile,» aggiunge, prima di sedersi delicatamente al lato del ragazzo, che è venuto a trovarla all’improvviso.
Le è mancata, e ora che c’è non vuole far altro che starle spiccicato.
«Smettila, non sei affatto una balena, sembra che ti sei nascosta un palloncino sotto il vestito, al massimo - risponde lui, ridendo e alzando gli occhi al cielo - e sei splendida,» sorride, è sempre stato un amore con lei, facendola sentire bella più di quel che già è.
Eva non è mai stata una ragazza poco curata, aveva sempre gli occhi di tutti addosso - poi, perché tra tanti bei ragazzi, lei abbia scelto proprio Calum, questo ancora è unmistero - ma non è mai stata una che si vanta, di come appare.
Non lo sa nemmeno, in realtà, di possedere una bellezza al di fuori del normale.
«Dici così solo perché siamo amici,» ribatte, incrociando le braccia sotto il seno e aggrottando la fronte.
«Sai meglio di me che non dico bugie, Eva, costi quel che costi,» alza un sopracciglio e ride, dandole una manata sul braccio.
«Già, quante volte ti è costata cara?» gli da una gomitata e aspetta che risponde, sa che Michael, con la lingua biforcuta che si ritrova, per quanto dicesse solo verità, ha dato più problemi di quel che ci si aspetta.
«Parecchie - ride, scuotendo la testa - ma odio i bugiardi,» aggiunge, stringendosi nelle spalle.
 Eva si sistema sul letto, incrocia le gambe e lo guarda, con lo sguardo divertito.
Ecco perché lo adora, sa che non le mentirebbe mai e questo è ciò che chiede, Eva:verità.
Bussano alla porta, ed Eva grida un “avanti” a chiunque sia, mentre Michael sbadiglia sonoramente e con un occhio chiuso, ritrovandosi di fronte la figura della madre della ragazza, con in mano un enorme scatolone.
«Guarda un po’ che ho trovato in cantina - dice, con un entusiasmo esagerato, buttando la scatola sul letto, prima di girarsi verso il ragazzo - oh, ciao tesoro, come stai?» gli sorride dolcemente.
«Una pacchia, signora Palmer, e lei?» si sistema fino a sedersi anche lui, stendendo le labbra in un sorriso gentile ed educato.
Ha sempre amato la madre di Eva, così amorevole con tutti.
«Sto bene, sto bene - poi guarda la figlia, sorridendo - hai capito cosa sono?» congiunge le mani e intreccia le dita, con gli occhi luminosi e divertiti.
Eva scuote la testa, poi apre la scatola e, appena capisce, sgrana gli occhi e la bocca.
«Oh mio Dio, ma sono tutte le foto che ho lasciato qui!» mormora, sprofondando la mano all’interno e tirandone fuori alcune, sotto lo sguardo curioso di Michael.
La donna annuisce, poi esce dalla stanza e li lascia soli, sicura che avranno tanto da dirsi.
Eva svuota l’intero scatolone sul letto e osserva attentamente foto per foto.
Michael ne afferra una e gliela mostra, con un sorriso.
«Guarda quanto eravamo piccoli, io non mi ero ancora tinto - ride, indicandosi nella foto, dove sono solo loro due, seduti sul divano e con una smorfia buffa in viso - quanti anni avevamo? Tredici? Quattordici?»
«Non ne ho la più pallida idea, ma probabilmente avevamo appena fatto amicizia,» ride, mentre si gira tra le mani tutte le foto che trova, soffermandosi a guardare quelle del loro gruppo, che man mano maturano di aspetto.
E lei, in tutte, è stretta a Calum, con gli occhi che brillano di una felicità che per tre anni si era scordata esistesse.
Alla fine ne prende una, dove dietro ci sono scritte delle frasi, con la scrittura confusionaria di Calum.
Raffigura loro due, le labbra a contatto, ostacolate dal sorriso di entrambi. Eva ha le mani affondate nei capelli di lui e Calum la stringe a sé, dai fianchi.
Sono sporchi da cima a fondo di pittura, un misto di colori che rende la foto speciale.
Avevano diciassette anni, si ricorda di quel giorno. Eva ha sempre avuto la fissa del disegno e lui le aveva comprato le tempere, eppure non erano mai finite su una tela.
Quella foto è sicuramente la più bella, tra tutte le loro.
La gira e legge attentamente ciò che c’è scritto.
And so kiss me, kiss me, kiss me
And tell me that I’ll see you again
‘Cause I don’t know,
If I can let you go

Un sorriso nostalgico.
 
***
Ehilà,
come va?
Eccoci con un nuovo capitolo, che ne dite?
Abbiamo Eva che è costretta ad andare a pagare Calum, che per un attimo si scorda della sua rabbia verso di lei.
Scarlett si risveglia a casa di Ashton e per una volta riesce a scambiarsi quattro parole con lui senza scannarcisi.
Poi Gioia che cerca un approccio con Luke, chiedendogli di andare a mangiare insieme, e lui la porta nel suo posto, che ha trovato in cerca di solitudine e ora si ritrova a spartire con lei.
E infine Eva e Michael se ne stanno a casa della ragazza, a chiacchierare tra loro, e la signora Palmer se ne esce con uno scatolone di foto, dove Eva ritrova quella con Calum, fatta molti anni prima.
Beh, non ho granché da dire, se non che spero vivamente vi sia piaciuto!
Bye bye,

Judith.

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Capitolo 7
*** Dolore condiviso ***



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DOLORE CONDIVISO.
 
"Il ricordo della felicità non è più felicità, il ricordo del dolore è ancora dolore."
"Un dolore condiviso è un dolore dimezzato."
 
Eloise lega i capelli biondi in una coda disordinata. È stanca, ha dormito poco e Lukenon è tornato, la notte. Sono solo le sei del mattino, quando la porta si apre e lei sospira, le occhiaie sotto gli occhi chiari che sembrano emergere più del solito.
Si incammina a passo svelto verso l’ingresso, ritrovandolo a camminare con passo infermo e gli occhi leggermente arrossati.
«Dove sei stato?» gli ringhia contro, appena questo la nota e si blocca, barcollando.
È ubriaco e, cazzo, sono le sei del mattino. Eloise sbuffa, si mette le mani sui fianchi e respira rumorosamente per calmarsi. È davvero troppo presto per essere ubriachi, secondo lei, ma sicuro che lo è dopo aver bevuto come una spugna per tutta la notte.
«Dove sei stato?» ripete, questa volta il tono è più alto e deciso, ha il potere di fargli portare una mano alla fronte.
«Non urlare - sbiascica lui, chiudendo gli occhi - sono stato in giro,» aggiunge, mentre la nausea lo colpisce forte e lui avrebbe solo voglia di vomitare tutto ciò che ha ingurgitato le ore precedenti, ma sa che per farlo gli tocca, prima, affrontare sua sorella visibilmente arrabbiata.
«In giro? In giro? Porca puttana, Luke, ti accorgi di che colpo mi hai fatto prendere? Non sei tornato, ‘sta notte, e nemmeno mi hai lasciato qualche messaggio, e ora arrivi che sei ubriaco fradicio! - sbraita lei, facendogli strizzare gli occhi per il fastidio della voce, sembra perforargli il cranio - sei un coglione, io non so proprio che fare con te!» e dovrebbe continuare ad ascoltarla, o almeno far finta di farlo, ma sente l’alcol risalire su di scatto.
Si porta una mano alla bocca, prima di precipitarsi nel bagno, ignorando le urla assatanate di Eloise.
E pochi secondi dopo sta vomitando nella tazza, il corpo che trema per la fatica, la fronte imperlata di sudore e continui dolori addominali a ogni coniato. Eloise è dietro di lui, non ci ha pensato due volte a chinarsi e ad accarezzargli la schiena, scostando i ciuffi biondi dalla fronte.
«Sei un coglione,» ripete, sussurrando, mentre lo stringe a sé e aspetta pazientemente che si svuoti totalmente.
Quando Luke finisce, lo aiuta ad alzarsi e a piazzarsi davanti al lavandino, poi apre l’acqua fredda e gli bagna delicatamente il viso, togliendogli ogni residuo di sporco.
Lo accompagna fino alla sua stanza, facendolo adagiare al materasso e togliendogli le scarpe e la cintura. Sente gli occhi pizzicare, ma fa finta di nulla e rimane al suo fianco, portando all’indietro i suoi capelli e accarezzandogli il viso di tanto in tanto.
E Luke piange, lo fa ogni volta che torna a casa ubriaco, sia davanti a Eloise che non.
Perché tutto viene a galla, con le lacrime.
«Mi dispiace,» singhiozza piano, ancora intontito dall’alcol e stremato, tanto da non riuscire a muovere un muscolo.
Eloise gli sorride, di avercela con lui proprio non le va, sa le sue ragioni e crede solo che dovrebbe essere più forte, ma Luke non è mai stato come gli altri. Luke è sempre crollato facilmente, perché è fragile.
Si sdraia al suo fianco, prima di circondargli un fianco con le braccia e continuare ad accarezzargli il viso, mentre lui cantilena scuse su scuse.
«Stai calmo e dormi, Luke,» gli dice, baciandolo sulla tempia con delicatezza e stringendoselo contro.
Hanno sonno entrambi, avendo passato una nottata insonne, chi per un motivo, chi per un altro, e ora entrambi hanno bisogno di ristorarsi, riprendersi.
Luke annuisce, chiude gli occhi e non ci vuole molto che si addormenti, con il corpo stanco e le emozioni a mille.
Eloise lo segue poco dopo, appena finisce di piangere in solitudine, ‘ché il dolore del fratello è anche il suo. 
 
Gioia si gira intorno, ma di Luke non c’è nemmeno l’ombra. Oggi non è venuto, e non può fare a meno di storcere le labbra, dispiaciuta.
Avrebbe voluto passare del tempo con lui, chiacchierarci un po’, magari finire in quel posto del giorno prima, a guardare tutta Sydney alla luce del giorno. Nemmeno riesce ad immaginarsi che meraviglia sarebbe la notte, con le luci delle case e dei lampioni accese, a illuminare il manto scuro che avvolge la città.
Cammina a passo lento per il giardino, un mela in mano e gli occhi che vagano per il luogo senza soffermarsi su nulla, con disattenzione. Vede il suo solito gruppo di amici e, alla fine, si incammina lì, verso di loro, con un sorriso leggero sul viso.
«Ehi, Gioia, ci onori della tua presenza, finalmente?» Manuel la guarda, le manda un occhiolino dopo la battuta giocosa, a cui lei risponde con una risatina e un’alzata di spalle.
«Oggi sono caritatevole,» e il gruppo ride, mentre lei si accomoda alla sinistra di Frederick.
Azzanna nuovamente la mela, guardandosi attorno, perché sebbene si sia arresa al fatto che Luke non c’è, non riesce a mettersi l’anima in pace.
«Da quando stai appresso a quel Hemmings non ci fili più di pezza, tesoro - le dice Claire, poco dopo, dandole una manata sulla spalla - non dirmi che ti sei presa una cotta per quello,» e Gioia fa finta di non vedere la smorfia schifata dell’amica, arricciando il naso e scuotendo la testa.
«No, che dici? È solo piacevole la sua compagnia, più di quanto si pensi,» e si stringe nelle spalle, sorridendo lievemente e abbassando gli occhi scuri sulle proprie scarpe.
«Non ci credo, quello è la depressione in persona, a mala pena saprà fare una battuta,» commenta Manuel, storcendo le labbra e guardandola contrariato.
«Niente affatto, siete voi che giudicate troppo dall’aspetto - Gioia si acciglia, aggrottando la fronte - e poi è gentilissimo, è un ragazzo che ha solo bisogno di compagnia,» aggiunge, a voce un po’ più bassa, ma decisa, cercando di imprimere in tutti il suo pensiero.
«Pff, quello ha la compagnia dell’alcol, immagino gli basti, o adesso si troverebbe qui,» Manuel ride, dandole una gomitata, mentre Gioia si gira e lo guarda, la fronte aggrottata ancora di più per la confusione.
«Che vorresti dire?» chiede, con voce affilata.
«Come, non te l’ha detto? Eppure siete così tanto amici - quello ride, mandandole una frecciatina persino con lo sguardo trasparente - sono più le volte che si ubriaca che quelle che respira, giusto ieri sera l’ho beccato al pub qui vicino che si stava scolando tutto ciò che gli capitava di mano,» aggiunge.
Gioia lo guarda qualche secondo, indecisa se crederci o meno, ma alla fine scocca la lingua sul palato.
«Se anche fosse, non vedo dove sia il problema - risponde, accorgendosi come ha perso la sua solita allegria per difendere Luke - si nota lontano un miglio che ha problemi, sarà la sua valvola di sfogo. E sicuro non l’avrebbe, se qualcuno si premurasse di aiutarlo,» continua, il tono affilato e velenoso.
Porta gli occhi scuri in quelli dell’amico, che ride.
«Come fai? Fossi in te l’avrei già mollato, dopo aver saputo che è un ubriacone,» dà man forte Holly, che se ne è stata in silenzio tutto il tempo. Claire annuisce e le dà ragione.
«Non giudico una persona da ciò che fa, ma da ciò che è! - dice Gioia, alzando le spalle e mordendo nuovamente la mela - e Luke è tutto, tranne che cattivo.»
«Quello non ha niente di buono, Gioia - se ne esce Frederick, aggrottando la fronte - perché non cerchi un’altra persona da aiutare? Magari con un aspetto più rassicurante, o allegro, insomma…»
«Perché non ho scelto Luke, ci ho fatto amicizia e Dio ha voluto che fosse una persona bisognosa - si stringe nelle spalle e li guarda - siete davvero così superficiali da bloccarvi a ciò che mostra? Nessuno si è mai chiesto cosa si nasconde, dietro la sua tristezza?» e nessuno di loro parla, perché no, la briga di pensarci non ce l’hanno mai avuta.
A che pro, poi?
Gioia sbuffa, alza gli occhi al cielo e infine si rizza in piedi, scuotendo la testa.
«Non andrete da nessuna parte, messi così - ride, sarcastica, poi butta quel che resta della mela a terra, sull’erba - e meno male che studiate psicologia, hm?» e come è arrivata, se ne va.
Con un diavolo per capello, però.
 
«Andrà tutto bene,» Michael l’assicura per l’ennesima volta, passandole una mano sulla schiena e sorridendole, cercando di nascondere una risatina allo sguardo terrorizzato di Eva.
Michael avanza, poi suona il campanello e le sorride nuovamente, cercando di tranquillizzarla.
Eva sa a cosa va incontro, per questo si torce le dita delle mani, ansiosa.
Sentono dei passi all’interno dell’abitazione, prima che la porta venga aperta. Di fronte a lei, con due occhiaie marcate e l’espressione stanca, c’è Eloise.
Tre anni che non la vede, ed è bella più di prima.
La ragazza ci mette poco a capire la situazione, prima si scambia uno sguardo arcigno con Michael, poi guarda lei, l’espressione tra il sorpreso e il furioso. La nota contrarre la mascella, inarcare le sopracciglia verso il basso e affinare gli occhi azzurri, facendo trapelare la sua rabbia.
Eva rabbrividisce, boccheggia più volte, ma non sa cosa dire.
«Cosa ci fai qui?» le ringhia contro Eloise, il tono furioso.
Eva si stringe nelle spalle e abbozza un sorrisino di scuse.
«Sono tornata a Sydney e ho ben pensato di passarvi a trovare,» risponde, Michael le passa una mano sulla schiena nuovamente, sotto gli occhi inferociti della bionda di fronte a loro.
«Hai mal pensato, vorrai dire! - ribatte lei, affinando ancora di più lo sguardo - non sei la benvenuta, non so perché tu sia qui, vuoi cercare di elemosinare perdoni?» aggiunge, acida.
Michael la guarda male, Eva abbassa lo sguardo, il sorriso si allarga.
Non è sorpresa dalle frasi di Eloise, è sempre stata così.
«Sono venuta qui per chiederti scusa, Eloise, non per elemosinare - alza gli occhi e li scontra con quelli dell’amica - e mi dispiace davvero tanto se tu non l’accetti, ma non ci tengo a pregarti, ho una dignità,» continua, alza il mento e inarca un sopracciglio verso l’alto.
E le viene da ridere, al pensiero che lei ed Eloise si sono sempre scannate in quella maniera. In torto o ragione, nessuna delle due si sarebbe fatta mettere i piedi in testa.
Eloise si acciglia, incrocia le braccia sul petto e schiude le labbra.
«Benissimo! - ulula - allora tu, il tuo cazzo d’amico e la tua stupida dignità potete pure andarvene a fanculo, nessuno vi trattien-»
«Eva!» un urlo la blocca, facendo sussultare tutti e tre.
Eloise si gira, scocciata, quando incontra lo sguardo del fratello, le labbra spalancate e lo sguardo sorpreso.
Luke sorride, inaspettatamente, avvicinandosi alla porta con passi lunghi.
«Eva - ripete, spalancando la porta e scostando Eloise - mio Dio, Eva! Come stai? Sei bellissima!» aggiunge, afferrandole le mani e guardandola da cima a fondo.
Eva sbatte le palpebre più volte, sorpresa da tale approccio, un secondo dopo che la sorella le stava urlando contro, e non può fare a meno di sorridere, perché Luke è sempre stato così.
Perdona, lo fa così facilmente che nemmeno si ricorda di essersi arrabbiato.
Eloise lo guarda sorridere, stupita, perché gli occhi brillano un po’ di più di prima. Poi grugnisce e gli tira una sberla sul braccio.
«Cazzo fai?»  gli grida contro.
Luke la guarda, poi aggrotta la fronte.
«La saluto, cosa c’è di strano?» ed Eloise si acciglia più di prima, scoccando la lingua sul palato.
«Nulla, se non fosse la stessa che ci ha mollato per tre anni, Luke.»
«È comunque una delle mie più grandi amiche, Eloise.»
«È stata una delle tue più grandi amiche.»
«Parla per te!»
«Sei un coglione!»
«Smettila, Eloise - Michael le si para davanti, afferrandole un braccio - sei davvero una stronza, se non hai voglia di vedere Eva, entratene in casa,» le ringhia contro, arrabbiato.
Luke, intanto, sorride nuovamente ad Eva, come a scusarsi dell’avvenuto.
 «Fanculo, Clifford, sei entrato nel mio territorio e mi dici anche cosa fare?»
«Fanculo tu! Non stanno tutti ai tuoi comodi, tuo fratello sta salutando un’amica, se non ti va di vedere la scena, puoi anche entrare!»
«Non sono cambiati di una virgola, hm?» mormora Eva a Luke, ridacchiando, mentre le urla continuano.
Luke scuote la testa.
«Per niente! - ridacchia e si gira a guardarli - Va bene, ora basta! - grida, poi, dividendo i due già intenti a picchiarsi, una per difendere il suo onore, l’altro per difendere la sua amica - Eloise, per favore, entra in casa e calmati,» aggiunge, spingendola all’interno.
Sa che dopo ci farà i conti, ma meglio non pensarci.
La sente urlare dall’interno qualche insulto, ma fa finta di niente e si gira a guardare Eva, un sorrisino sulle labbra a segnare il suo divertimento.
«È la solita stronza - ride - pensavo si fosse addolcita in questi anni,» e Michael scuote la testa, sgranando gli occhioni.
«Pff, quella nemmeno immersa nel miele si addolcisce,» e Luke annuisce, non può che dargli ragione.
Eloise è terrificante.
 
Scarlett si passa una mano fra i capelli castani, gli occhi stanchi e uno sbadiglio sulle labbra.
Non ha dormito granché, avendo passato la sera a parlare con Andrea, fino alle due di notte.
 Le manca e non può farci nulla, del resto è il suo fidanzato, manca poco che si sposano. Andrea le ha raccontato dell’entrate e le uscite della sua impresa, ha raccontato di aver incontrato uomini di un certo livello e di come, una volta sposati, un bel viaggio se lo meriterebbero proprio. Poi le ha chiesto di lei, di come vanno le sue giornate, di come va il lavoro e se è successo qualcosa, in quei giorni, ma lei ha semplicemente raccontato ciò che serviva.
Di certo, dirgli della sera particolarmente traumatizzante l’avrebbe solo agitato.
Poi avrebbe dovuto aggiungere di aver dormito a casa di Ashton e non è l’ideale.
Ashton, già.
La mattinata a casa sua è stata un toccasana.
Scarlett si lascia sfuggire un sorrisino, prima di premere le dita sulla tastiera del computer e finire un lavoro iniziato la mattina stessa.
Arriva alle otto di sera che ormai ha finito tutto, afferra la borsa e, con un sorriso sulle labbra, soddisfatto, esce dall’ufficio, pronta ad andarsi a rilassare tra le pareti del suo appartamento dall’altra parte di Sydney.
Saluta il signor Clifford con un cenno della mano e un sorriso, prima di scendere le scale dell’ufficio e dirigersi alla metro, una strana voglia di andarsene a prendere qualcosa da mangiare che reprime con forza, perché non è il momento.
Il sole ancora non è tramontato, per questo si sente tranquilla a camminare per le vie del luogo. C’è tanta gente e la luce illumina persino i vicoli, nessuno potrebbe farle del male.
Prende la metro per un soffio e in ventidue minuti è finalmente di fronte a casa sua. Sale le scale della palazzina e si cerca le chiavi della propria porta, quando una strana musica affiora de dentro, facendole aggrottare la fronte.
Afferra le chiavi e apre la porta, lentamente, la musica diventa più forte e nitida quando si ritrova all’interno. È una delle canzoni del momento, che lei ha persino imparato a memoria. “Thinking Out Loud” di Ed Sheeran, probabilmente di un romanticismoillimitato.
Abbassa gli occhi verso il pavimento e diversi petali di rose rosse lo decorano, facendole sbattere le palpebre più volte. Posa la borsa e si chiude la porta alle spalle, dirigendosi a passi lenti verso il salotto, da dove proviene la melodia.
Quando arriva all’interno della stanza, Andrea le rivolge un sorriso smagliante, che fa ben notare i denti bianchissimi e dritti, mentre tiene stretto tra le mani un mazzo di rose rosse, tanto grande che potrebbe superare una ruota di una bicicletta.
Scarlett si porta le mani sulle labbra, sorpresa da tutto e dal fatto che il suo ragazzo le aveva detto che non sarebbe tornato a Sydney prima di un altro mese, e invece..
«Andrea! - grida, esaltata, correndogli incontro e stringendolo stretto a sé - cosa ci fai qui? Pensavo tornassi tra un mese,» aggiunge, accarezzandogli una guancia.
«Ho preso qualche giorno di permesso - le dà un bacio appassionato e sorride nuovamente - mi sei mancata così tanto,» aggiunge, sospirando.
«Anche tu - Scarlett gli lascia un altro bacio, prima di staccarsi - ma come mai così tanto esagerato? - e indica le rose, ridacchiando - il semplice fatto che sei qui mi basta,» aggiunge e Andrea si lascia sfuggire un sorriso, prendendole la mano e facendola accomodare sul divano, passandole il bouquet.
«Vedi, Scarlett, noi abbiamo già deciso di sposarci, no? - le sorride e lei annuisce, al pensiero - ma tu non meriti parole, meriti fatti, ed è per questo che sono qui,» si passa le mani sulle gambe, fasciate da un paio di jeans, e infine si inginocchia di fronte a lei.
Dalla tasca tira fuori una scatolina di velluto bordeaux, che, appena aperta, lascia uscire un anello di argento puro - che a lei l’oro non piace - con un solitario di grandezza smisurata in mezzo.
Scarlett si posa le mani sulle labbra, gli occhi diventano man mano più lucidi e no, non ci crede, sta davvero accadendo?
«Scarlett Young, vuoi passare il resto della tua vita con me? - le fa la proposta, con la voce tremante - le parole non bastavano, ho sempre sognato di organizzare un matrimonio dopo questa “genere” di proposta,» e ridacchia, prima che Scarlett lo segua, una lacrima ha iniziato il percorso sulla sua guancia.
«Certo che lo voglio!» e gli butta le braccia al collo, il cuore che batte forte.
Entrambi ridono, già emozionati al pensiero di una vita insieme.
 
***
Ehilà,
come va?
Eccoci con un nuovo capitolo, che ne pensate? Vi piace?
Abbiamo un momenti tra i fratelli Hemmings, che fa capire meglio Luke. Non vi aspettate che ora che c’è Gioia è tutto rosa e fiori, un dolore non passa facilmente. Eloise si incazza e come darle torto? Alle sei del mattino è ubriaco fradicio. 
Gioia si fa una chiacchierata con gli amici, che non approvano Luke, e di certo non le sta bene ciò che dicono.
C’è Eva che va a trovare gli Hemmings ed Eloise che le sbrocca. Ma per fortuna c’è Luke che “calma” le acque.
Infine, Scarlett si trova una bella sorpresina a casa. Andrea le fa la vera proposta, con tanto di anello. 
Bene, vi lascio, ora. Spero davvero che vi sia piaciuto.
Bye bye,

Judith. 

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Capitolo 8
*** Fiori ***



Home is wherever I am with you.


FIORI.
 
"Prendi l'aspetto del fiore innocente, ma sii il serpente sotto di esso."
"L’uomo che porta un fiore o sente di pazzo o sente d’amore."
 
Scarlett si rigira tra le lenzuola, il corpo totalmente privo di vestiario e sudaticcio, dopo la nottata insonne con Andrea, che sta beatamente dormendo al suo fianco.
Osserva con occhi luccicanti l’anello al proprio dito, sorridendo come una bimba alla prima cotta. Si sta per sposare, è da mesi che hanno preso questa decisione, ma l’anello non se lo aspettava ed è stata una grande sorpresa, che l’ha fatta emozionare. Insomma, un gesto così romantico non succede spesso, specie perché Andrea passa il suo tempo all’estero e il massimo che possono fare è dirsi un “ti amo” per telefono.
È felice della nottata. Hanno fatto l’amore per ore, sussurrandosi a vicenda parole dolci e dandosi carezze smielate e languide. Scarlett si è sentita bene, perché è così che la fa sentire Andrea. Sospira, dovrebbe chiamare i suoi genitori e farglielo vedere. O forse dovrebbe proprio andarli a trovare, da quant’è che non torna a casa? Più di due mesi sicuro, le mancano un po’ tutti.
Specie Tequila, la sua cagnolina.
Sente Andrea smuoversi nel letto, prima di girarsi verso di lei, con gli occhi ancora chiusi. Lo guarda mentre si stiracchia, lasciando in bella vista i muscoli delle braccia e i pettorali delineati, poi le ciglia tremano e pian piano apre gli occhi, sbattendoli più volte.
L’azzurro luminoso si scontra con quello di Scarlett, del medesimo colore, facendole allargare il sorriso. Andrea sorride a sua volta, lasciandosi ricadere sul letto e allungando una mano nella direzione della ragazza, accarezzandole il volto.
«Buongiorno,» dice lui, prima di darle un bacio.
«’Giorno a te, amore mio,» sussurra sulle sue labbra. Poi si alza, guardando l’orologio, e sebbene voglia restarsene a letto per tutto il giorno, tra le braccia sicure di Andrea, non può. Ha del lavoro da fare.
«Devo andare a lavoro - dice poco dopo, con una smorfia sul viso - ci vediamo ‘sta sera, hm?» aggiunge, dandogli una carezza, mentre lui annuisce.
«Sì, tranquilla, passerò dai miei a fare un saluto, d’accordo?» le risponde lui e Scarlett sorride, dandogli un altro bacio appassionato.
«Certo!» dice, mentre si veste con la giusta eleganza. Indossa i tacchi, infine, e lo guarda di nuovo, salutandolo con un bacio volante.
Sorride per tutto il viaggio in treno e arriva con ben venti minuti di anticipo rispetto al solito, alla fermata dove scende. Ha fame, non ha fatto colazione, si è saziata di altro ma ora lo stomaco le brontola.
Sa già cosa fare, Ashton c’è sempre e magari fare un salto da lui non fa male. Potrebbe dirgli del fidanzamento.. o magari no, perché dovrebbe? Beh, se dovesse chiederglielo potrebbe farlo, ma solo se è lui a iniziare il discorso.
Arriva là davanti che sente lo stomaco ribaltarsi dalla fame, eppure si blocca per qualche secondo, osservando l’insegna. La scritta “Nirvana” spicca sul muro bianco, con quel colore blu acceso.
Non sa cosa la porta ad afferrare l’anello, facendolo scivolare lungo il dito fino a toglierlo. Lo guarda per qualche secondo, il diamante brilla per la luce del sole che lo colpisce, poi lo fa scivolare all’interno della tasca, attenta a incastrarlo all’angolo per non perderlo.
Aggrotta la fronte, chiedendosi per quale motivo lo stia facendo, ma non si azzarda a riacchiapparlo, quindi entra, il campanello trilla e le stuzzica le orecchie. Guarda al bancone dove, come al solito, c’è Ashton, intento a pulirlo con uno straccio.
È solo, ma la mattina è sempre così.
Alza il viso verso di lei, appena sente i tacchi colpire il parquet, e si apre in un sorriso, bloccando il suo movimento.
«Scarlett, ciao!» butta il panno a un lato e corre subito a preparare un cappuccino, afferrando un cornetto al cioccolato e posandolo su un fazzoletto, di fronte a lei.
«Buongiorno,» sorride smagliante, poi si siede sullo sgabello. La felicità che non se ne va dalla sera prima continua ad avvolgerla, facendole quasi venire un dolore agli zigomi, e Ashton se ne accorge.
«Allora, come va? Ti vedo felice, è successo qualcosa di bello?» le chiede, afferrando il cappuccino e porgendoglielo.
Scarlett lo guarda per qualche secondo, perdendosi nei riflessi chiari dei suoi occhi. Si morde un labbro carnoso e dipinto di rosso, giocherella con le proprie dita e sente subito l’assenza dell’anello su di uno.
Poi sorride nuovamente, abbassando lo sguardo sulla propria colazione, che nemmeno è stata richiesta ma subito offerta.
«No, nulla,» risponde, e non lo sa proprio perché.
 
«Gioia! - sente urlare dietro di lei una voce familiare, ma continua a camminare - Gioia, porca puttana, fermati!» sbuffa, eppure si ferma, continuando a dare la schiena all’amico, che la raggiunge, mettendosi le mani sulle ginocchia e cercando di riprendere il respiro.
Si rizza in piedi pochi secondi dopo, con ancora il fiatone, e la guarda.
«Cosa c’è, Manuel?» chiede lei, incrociando le braccia e lanciandogli uno sguardo arrabbiato.
Poche volte le è successo di arrabbiarsi così tanto, di smettere di sorridere di fronte ai propri amici, ma si ricorda la discussione del giorno precedente e non ha intenzione di fargliela passare liscia.
«Mi dici che ti prende? Perché non stai con noi? - dice lui, aprendo le braccia - non dirmi che è per ieri,» aggiunge, lasciando che un risolino scappi dalle sue labbra.
«Ma va! Che ti credi, che mi sia piaciuto il vostro ragionamento? Non ho nessuna intenzione di starmene appresso a persone tanto superficiali,» risponde, scoccando la lingua sul palato.
Manuel si imbroncia, incrociando le braccia a sua volta e aggrottando la fronte.
«Superficiali? Gioia, noi ti abbiamo messo di fronte alla realtà, pensi davvero che Hemmings possa avere qualcosa di buono? Ma per favore, è un ubriacone! È tutto mogio, ma come ti va di passare del tempo con quello?» esasperato, porta gli occhi al cielo.
«Smettila, non sai nulla di lui,» gli grida contro.
«Oh, perché tu sai tanto, vero?» Manuel ride, sarcastico, mentre Gioia sospira, arrabbiata.
«So certamente più di te!» ribatte lei, mettendosi le mani sui fianchi.
«Sì, quello che ti pare - fa lui, un movimento della mano a far intendere che non gli interessa - ma sei davvero disposta a lasciar perdere i tuoi amici per quello lì? È uno psicopatico!» aggiunge, il tono inacidito e agitato.
«Sì, Manuel, sono disposta a lasciarvi perdere, se è così che pensate - sbotta Gioia, lo sguardo deluso - Luke è molto di più di ciò che credete, e puoi anche andartene, ora,» gli indica il corridoio, lo sguardo fermo e deciso, non ha intenzione certamente di cedere.
I suoi amici pensano ciò di Luke, perché dovrebbe stare con gente del genere? Lei non giudica dall’aspetto, solo perché Luke sembra depresso, non vuol dire che non possa migliorare.
Manuel la guarda deluso, scuote la testa, poi se ne va, lasciandola sola nel corridoio, ogni tanto qualche studente le passa accanto.
«Dovresti ascoltarlo,» una voce la fa sussultare e si gira di scatto verso la porta del bagno, leggermente aperta, da cui sbuca un viso conosciuto.
Luke è lì, lo sguardo amareggiato e il sorrisino spento, mentre con due passi l’affianca.
«Dio mio, Luke - salta lei, portandosi le mani sulle guance - quanto hai sentito?» chiede, posandogli subito dopo una mano sulla spalla.
«Tutto - si lascia sfuggire, sospirando - non dovresti lasciare perdere i tuoi amici per me, Gioia, non sono poi così speciale,» le dice, guardandola con gentilezza.
«Non dirlo nemmeno, Luke - dice lei, scuotendo la testa, i capelli scuri che ricadono sulle spalle - sei più speciale di quel che pensi,» gli sorride, dandogli una carezza sul braccio.
«Non è vero, non merito questo trattamento, vai da loro, sono migliori di me,» ribatte lui, mordendosi il labbro inferiore.
«Smettila, non tornerò da loro, perché non sono affatto migliori di te - dice lei, inarcando le sopracciglia verso il basso - Luke, devi capire che non hai niente di meno degli altri,» aggiunge, imbronciandosi. Possibile che pensa ciò di sé stesso? È un ragazzo splendido.
Lui la guarda per qualche secondo, indeciso se crederle o meno, ma Gioia non è una da bugie o da prese in giro. Gli sta dicendo ciò che pensa e a lui viene da sorridere, sul seriosi intende, perché qualcuno sta scegliendo lui, ad un altro visibilmente migliore.
«Grazie,» le sussurra, abbassando gli occhi cerulei al pavimento.
Gioia sorride in risposta, non si pente della sua scelta.
 
Eloise si sistema i capelli biondi su una spalla, ogni tanto si infervora al ricordo del giorno prima, dove Luke ha accolto Eva a braccia aperte, chiudendola dentro casa per evitare che interrompesse il loro momento di riconcilio.
Com’è possibile che sia Luke che Michael abbiano accettato il suo ritorno senza problemi? Era la loro più grande amica e se ne è andata, senza dare motivazioni, senza chiamare o scrivere per tre lunghi anni. Come possono perdonare un affronto del genere?
Sì, lo ammette, le è mancata come l’aria. D’altronde, è stata una sua grandissima amica e le ha voluto un bene enorme, ma l’ha fatta stare così male, con la sua lontananza, che non se la sente proprio di venirle incontro. Che poi, non è nemmeno l’unica ad aver sofferto, non si accorge nemmeno, Eva, di quanto ha distrutto Calum? Eloise l’ha visto in più fasi, quella della depressione, quella del mutismo, quella della speranza di un ritorno, quella della disperazione e infine quella della rabbia, che ancora dura.
E come dargli torto? L’ha amata così tanto, le ha dato tutto sé stesso e ha rinunciato a tantissime cose per lei, ma non è stato ricambiato.
Sbuffa, quando il campanello suona, e si avvia a passo svelto verso l’ingresso, spalancandolo.
Sussulta, appena di fronte a lei appare la figura alta e possente di Michael, la solita giacca di jeans a coprirlo e un sorriso delicato sul volto pallido, una mano dietro la schiena.
«Cosa ci fai qui?» gli ringhia contro, stringendo la mano sulla maniglia d’ottone e aggrottando la fronte. Michael alza le spalle, fa un passo e allarga il sorriso, prima di porgerle due fiori, diversissimi tra loro.
Eloise sgrana gli occhi, li guarda, ne rimane incantata: uno è un giacinto color porpora, l’altro è un anemone bianco. Li afferra, titubante, portandoseli al petto, stupita da tale gesto. Torna a guardare Michael con gli occhi chiari, sbattendo più volte le palpebre.
«Sai i significati?» chiede lui, mettendosi le mani in tasca.
Eloise scuote la testa in risposta.
«Il giacinto significa “perdonami” - la vede stringere le labbra in una linea stretta - l’anemone “torna da me”,» ed Eloise fa un passo indietro.
Sente il cuore batterle nel petto a grande velocità, il respiro mozzarsi e affaticarsi, mentre abbassa gli occhi sulle sue scarpe.
«Lo sai come la penso, Michael,» bisbiglia lei, tornando a guardarlo, lo sguardoaddolorato.
Lui si passa le mani fra i capelli tinti, guarda per terra e sospira, poi scontra gli occhi con quelli di lei.
«Ma io ti amo,» e lei sente gli occhi inumidirsi, ma trattiene le lacrime e si morde il labbro inferiore, la difficoltà nel rispondere per la gola che brucia.
«Mi amavi anche prima, no? Eppure non ti sei fatto scrupoli,» ride amara, stringendo le mani attorno ai gambi dei due fiori.
«Cazzo, quante altre volte dovrò dirti che mi dispiace? Eloise, mi pento giorno per giorno di ciò che ho fatto, ma sono passati tre anni, perdonami - le dice, il tono disperato - io ti amo davvero!» ma lei scuote la testa.
Entra in casa e si dirige in cucina, posando i due fiori su un tavolo, poi si avvicina al lavandino, ha bisogno di acqua.
Due braccia le circondano il busto e sente il respiro di Michael scontrarsi con il suo collo, il viso di lui totalmente immerso tra i suoi capelli.
Si gira, trovandosi di fronte alle due pozze d’acqua limpida che sono gli occhi di Michael, e il respiro si blocca, lui la guarda come è solito fare. E preferisce di gran lunga quando spendono il loro tempo a insultarsi a vicenda, a tirarsi contro imprecazioni e magari volano pure schiaffi, preferisce tutto ciò, a questo. Ai loro sguardi incrociati e i cuori che esplodono nel petto.
E quando Michael poggia le sue labbra su quelle di lei, è sicura che potrebbe scoppiare a piangere da un momento all’altro. Gli stringe i capelli tra le dita, continuando a baciarlo con rabbia e mancanza - perché sì, le sue labbra gli erano mancate - le ciglia inumidite dalle lacrime che sono pronte a cadere sulle sue guance.
È un attimo, poi. Si stacca, sbattendo la schiena sul lavello, e lo guarda a occhi sbarrati.
«Vattene!» gli urla contro.
«Eloise, asp-»
«No, vattene da qui, immediatamente,» urla di nuovo, furiosa, spingendolo verso l’uscita.
E Michael se ne va, sconfitto.
 
Cammina per la propria strada con gli occhi persi per il cielo, mentre una mano accarezza la pancia che man mano si gonfia sempre di più. Sorride, ha appena fatto un’ecografia e ha visto il suo piccolino, ancora minuscolo e quasi senza forma, ma per lei così importante.
È così felice di lui, o lei, ancora non lo sa, ma è sempre una gran sofferenza ricordarsi del padre, che l’ha mollata, senza volersi prendere le sue responsabilità. Lo odia, non può farci nulla, e se solo prova a tornare, chiedendole di poter fare qualcosa per il bambino, lei gli urlerà contro che non ci deve nemmeno provare.
Gli ha dato una possibilità, lui non l’ha colta al volo, perché vuole divertirsi, almeno così le ha detto. Quindi la loro relazione non è significata nulla, due anni insieme, tanti, no?
Beh, per lei nemmeno troppi, ha passato cinque anni insieme allo stesso ragazzo nella sua intera adolescenza, figurarsi se due anni sono tanti.
Sospira, appena si ritrova di fronte all’officina di Calum. Non era sua intenzione finirci, ma i suoi piedi si sono mossi da soli, con la propria volontà. Guarda con circospezione il posto, c’è solo una macchina, che sembra già aggiustata, e forse è per questo che trova Calum seduto su un muretto - che poi, non ha una sedia in quell’officina? - con una sigaretta che pende dalle labbra.
Eva aggrotta la fronte, confusa. Da quand’è che fuma? Certo, Calum è sempre stato un po’ ribelle, un adolescente che ha provato di tutto, ma non è mai diventato dipendente da qualcosa, e invece da come si porta la cicca alle labbra, sembra fumare da anni.
Si avvicina, sa che lui l’ha già notata, è stata in piedi sul marciapiede per qualche minuto intero. Gli arriva di fronte che lui non fa una piega, continua a guardare un punto indefinito della strada, aspirando e buttando fuori il fumo a ritmi regolari.
Lei aspetta pazientemente che la finisca, perché non fa bene al feto se aspira il fumo, poi appena lo vede buttarla lontano, si avvicina ancora di più, l’agitazione che sembra sovrastarla.
«Ciao,» lo saluta, sorride flebilmente.
Calum porta gli occhi scuri su di lei, studiandone i tratti del viso, come se non li conoscesse già a memoria.
«Che ci fai qui? - le chiede, senza troppa cattiveria nella voce - c’è qualche altro problema nella macchina?» aggiunge, prima che Eva scuoti la testa, passandosi una mano fra i capelli biondi.
«Hm, no, la macchina va bene - si morde un labbro - passavo di qui e, beh, ti ho visto tutto solo così ho pensato di venirti a fare un saluto,» ammette, grattandosi la punta del naso e posandosi la mano sulla pancia. Calum segue il movimento, bloccando gli occhi a mandorla sullo stomaco rigonfio e sentendo il sangue scaldarsi, ma sospira.
Vorrebbe dirle che non la vuole la sua compagnia, il suo saluto o quel che sia, ma rimane in silenzio, perché non ha il coraggio di mandarla via, ora. La invita a sedersi accanto a lui con un movimento della mano ed Eva non ribatte, felice che non le abbia risposto male.
Sorride senza nemmeno accorgersene, girandosi a guardarlo, ricambiando l’occhiata che il ragazzo le sta offrendo, ma lui rimane in silenzio, piegato su sé stesso, con la schiena ricurva e la spina dorsale che spunta sotto la canotta.
«Allora, hm, come va con l’officina?» chiede Eva, pochi secondi dopo, continuando a guardarlo dritto negli occhi.
 Calum si stringe nelle spalle, poi sospira.
«Bene, sono l’unico qui in zona, quindi guadagno più del desiderato,» sorride leggermente, probabilmente felice della sua situazione.
«Suoni  ancora il basso?» chiede ancora, giocherellando con le proprie dita. Adorava sentirlo suonare, intonando qualche canzoncina con la propria voce. Cantava per lei, maggior parte delle volte, specie dopo aver fatto l’amore. Eva ha sempre amato sentirlo cantare, era - è? - così bravo.
«Hm, è da un po’ che non lo suono,» risponde, senza guardarla.
«Perché?»
«Non lo so, non mi va e basta - le dice, alzandosi in piedi, scurito tutto di un tratto - devo lavorare, ora,» aggiunge, il tono più duro di prima e le speranze di Eva di farci una vera chiacchierata svaniscono.
L’ha notato il cambiamento repentino, quindi si alza anche lei, lisciandosi il vestitino bianco, prima di guardarlo e accennare un sorriso debole.
«D’accordo, allora vado, ci vediamo,» rimane ferma per qualche secondo, contemplandolo in tutta la sua bellezza.
Poi, con un sospiro, se ne va, dispiaciuta.
E Calum aspetta di vederla sparire, prima di accendersi un’altra sigaretta. Non deve affatto lavorare, ma stava sentendo qualcosa di familiare.
 
***
Ehilà,
come va?
Eccomi qui con un nuovo capitolo, fresco fresco per voi, vi piace?
Allora, abbiamo Scarlett che si sveglia dopo una nottata romantica con Andrea, che se ne va al solito bar ma non dice nulla ad Ashton del suo fidanzamento,arrivando a nascondere l’anello.
Gioia ha un altro scontro con Manuel e decide di lasciar perdere gli amici, perché ha preso a cuore Luke, che ha sentito tutto.
Michael porta due fiori ad Eloise, con dei precisi significati, ed ecco che scoppia la lite, ma ci scappa anche un bacio.
Infine, Eva va da Calum, senza nemmeno accorgersene, e si ferma a parlare con lui. Sperava proprio di riuscire a starci un po’ di più, ma Calum si è incupito tutto un tratto e l’ha cacciata.
Bene, vi lascio ora!
Bye bye,

Judith.

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Capitolo 9
*** Morte ***



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MORTE.
 
"Nessuno ha ancora capito se la morte sia un punto o una virgola."
"La morte è scrutata solo da occhi viventi."
 
È mattina presto e lui ha appena aperto il proprio bar. Non c’è tanto da fare la mattina, dopo che si è fermato a pulire la sera stessa, se non togliere di mezzo due piatti mollati dai propri amici. Sciacqua qualche bicchiere con all’interno ancora qualche rimasuglio di birra o coca-cola, che a Eloise non piace bere più di tanto, sarà per via di Luke e la suapassione spropositata per l’alcol.
 Sospira, guarda l’orologio e capisce che mancano ancora ben cinquantasette minuti all’arrivo del resto dei dipendenti e dei primi clienti.
Si poggia al bancone con un gomito e trattiene la propria testa con una mano, mentre osserva a sguardo perso la porta. Da essa, come dovrebbe essere, non entra luce, se non un bagliore grigio e triste, perché Sydney, quella mattina, è ricoperta da nuvoloni pesanti e pronti ad esplodere, arrivando probabilmente a bagnare i vestiti che ha lasciato ad asciugare alla finestra, dopo averli lavati.
Sbuffa, dovrà lasciarli lì fuori per un altro paio di giorni, ma ha una gran scorta nel proprio armadio. Perché Ashton continui a indossare sempre la stessa roba, nessuno se lo spiega.
Il campanello suona e i suoi occhi cangianti, sorpresi, si scontrano con la stessa figura che da qualche giorno a quella parte continua a gironzolargli attorno, persino quandonon c’è fisicamente.
«Scarlett - sorride smagliante, lasciando intravedere i denti bianchi e dritti - buongiorno!» la saluta, afferra il solito cornetto al cioccolato e aspetta che si siede di fronte a lui, prima di girarsi per prepararle il cappuccino.
«Buongiorno a te, Ashton!» lo saluta lei, stringendosi nelle spalle e osservando come la maglia rossa definisca le sue spalle.
Quando Ashton si rigira, offrendole il cappuccino, lei gli sorride candidamente e si stringe nelle spalle, prendendone un sorso.
«Oggi non è una bella giornata, hm?» Scarlett si gira a guardare le vetrate, da cui c’è la bella vista del cielo scuro, mentre Ashton annuisce e sbuffa.
«Purtroppo no, ma ogni tanto qualche pioggerella non guasta - poi si gira verso di lei, la studia per un attimo - come mai qui a quest’ora?» le chiede, appoggiandosi sul bancone con i gomiti e ghignando beffardo alle guance della ragazza che pian piano si colorano di rosa.
«La colazione a casa non mi stuzzica più da quando ho assaggiato i tuoi fantastici cornetti,» ridacchia, lasciando intravedere le fossette ai lati delle guance.
Ashton ride, imitando una smorfia soddisfatta, poi la osserva mentre finisce il cappuccino.
La schiuma si raggruppa sul principio del labbro inferiore, facendolo sorridere intenerito.
«Ferma, sei sporca, hm, qui - le sfiora la bocca, poi prende un fazzoletto e le toglie la schiuma - ecco fatto,» scontra gli occhi di lei, velati di imbarazzo, che vengono subito abbassati verso il bancone, un sorriso lieve e il rossore sulle guance più forte di prima.
«Grazie,» borbotta, stringendosi nelle spalle, prima di prendere un morso del proprio cornetto.
Ashton sorride, si sofferma a guardarla con precisione, si accorge di quanto possa essere bella nella camicetta bianca e attillata, messa all’interno della gonna alta e stretta. Ha i capelli castani che ricadono lisci sulle spalle e gli occhi azzurri segnati da poco trucco, mentre le labbra sono tinte di un rosso brillante che le rende i denti più smaglianti e bianchi.
«Perché mi guardi così? Ho altro in faccia?» chiede Scarlett, in soggezione sotto gli occhi cangianti del ragazzo, mentre si pulisce le dita sul fazzoletto, dopo aver finito il cornetto.
Ashton scuote la testa e sorride.
«No, non hai nulla, mi ero solo incantato,» risponde, prendendo la tazza e posandola nel lavello, mentre la guarda ridacchiare e alzare le sopracciglia di scatto, un’espressione maliziosa in viso.
«Eh, lo so, una bellezza come me può solo che far incantare!» si scosta i capelli e ridacchia, seguita da Ashton, che di dirle che la trova bella non ha il coraggio.
Scarlett poi si alza, prende il portafoglio ma Ashton le posa la mano sulla sua.
«Lascia perdere, offre la casa.»
«Non può sempre pagare la casa, Ashton - inizia, scuotendo la testa - non ho mai pagato, qui,» aggiunge, aggrottando la fronte.
Lui alza le spalle e sorride nuovamente, spingendole il portafoglio verso la borsa.
«Non importa, vai ora o arrivi in ritardo,» guarda l’orologio e poi nuovamente lei, che sbuffa ma gli sorride.
«D’accordo - afferra la borsa e scontra gli occhi chiari con quelli di lui - ma la prossima volta pago!» dice, decisa, prima di girarsi e avvicinarsi alla porta.
Si sorridono un’ultima volta.
 
È presto, ma lei è già di fronte all’università, uno sbadiglio sulle labbra e la stanchezza visibile a causa delle poche ore di dormita.
Ha lasciato il dormitorio con fretta, che di rimanere a sentire Paola e la sua ansia pre-esame proprio non le andava, ed eccola seduta su una panchina, ben lontana da quelli che dovrebbe chiamare amici, con le cuffiette nelle orecchie, dove i Marianas Trench stanno intonando Fallout, una delle sue canzoni preferite.
Vorrebbe solo starsene sdraiata sul letto, vista la sua stanchezza, ma non si azzarda a saltare un giorno di scuola senza un valido motivo, perché le è costato caro venirci ed è l’unica sua salvezza. I genitori non la chiamano da ben tredici ore e questo è un risultato enorme, perché Gioia, di stare appresso a genitori iperprotettivi e asfissianti non ne ha voglia. Del resto, è venuta all’università in città solo per questo: levarseli di torno.
Tanto, nel suo quartiere, aveva sì e no cinque amici, con cui non è mai potuta uscire, perché “c’è brutta gente in giro” le dicevano sempre.
Ora ha vent’anni da compiere, da lì a qualche mese, e un infinito senso di libertà.
La panchina viene occupata da qualcun altro, oltre lei, e subito si gira a capire chi è, perché la mattina non sopporta quando la sua solitudine viene intralciata da studenti vogliosi di chiacchierare o di ripetere qualche materia.
Ma ecco che i suoi occhi si illuminano. Sorride smagliante, prima di togliersi le cuffiette.
«Luke!» lo saluta, arrossendo leggermente appena il ragazzo le sorride. Si accorge di come, da qualche giorno, sembra più felice, di come riesce a farle un sorriso decente - sebbene sia sempre pallido e lieve.
«Ciao Gioia - le dice lui, infilandosi il telefono in tasca, prima di tirar fuori le sigarette - ti dispiace se fumo?» e non è un maleducato, se a Gioia dovesse dare fastidio, resisterà fino alla ricreazione, ma questa scuote la testa e socchiude gli occhi.
Sì, in realtà l’odore non è tra i suoi preferiti, ma non gli eviterà di fare una cosa che, magari, sebbene sia a suo discapito, lo faccia star meglio.
«Fai pure, tranquillo,» lo rassicura, posandogli una mano sulla spalla.
«Come mai sei qui sola?» le chiede lui, appena accesa la sigaretta, girandosi nuovamente a guardarla.
Gioia si stringe nelle spalle e tira fuori un sorrisino delicato, scontrando gli occhi scuri con quelli di lui, chiari quanto il cielo d’Australia in un bel giorno.
Non questo, comunque, perché ci sono certi nuvoloni che fanno passare la voglia di uscire di casa.
«Beh, con i miei amici ho chiuso i ponti,» ammette, socchiudendo gli occhi e ricordandogli del giorno prima, dove lui l’ha beccata a litigare con Manuel.
«Non dovresti, non per me,» Luke scuote la testa, si avvicina un poco di più a lei e si morde il labbro inferiore, prima di prendere un altro tiro della sigaretta.
«Non potevo far finta di nulla, Luke - Gioia si acciglia, aggrottando la fronte - tu seiimportante, più di quanto pensano loro, e non mi importa se gli altri non vedono ciò che vedo io. Sto bene con te e certamente non ti lascio perdere per dei cretini che ti insultano senza conoscerti,» gli dice, il tono deciso che non ammette repliche.
Luke rimane in silenzio, prende nuovamente del fumo dalla propria sigaretta, prima di lasciarsi sfuggire un sorrisino.
«Grazie Gioia,» le sussurra, senza nemmeno guardarla, scontrando appositamente una mano con il suo ginocchio.
Rimangono in silenzio per un po’, il tempo che ha Luke per buttare a terra la sigaretta, lei con un sorriso sul volto e lui con un gran senso di gratitudine.
«Ti piace la pizza?» chiede lui, poco dopo, grattandosi la punta del naso, al che Gioia si gira a guardarlo, ridacchiando.
«Certo,» risponde.
«Quindi, se tipo un giorno, ne avessi voglia, ci verresti con me a prenderne un pezzo?» si gratta la nuca con imbarazzo e la sente ridacchiare nuovamente, intenerita da Luke e il suo impaccio.
«Sì, Luke, ci verrei volentieri - ammette, posandogli una mano sulla coscia - tipo domani ne avrò voglia, tu che dici?» aggiunge, le sopracciglia inarcate verso l’alto e un ghigno sul viso.
Luke si illumina, sorridendo e annuendo.
«Vada per domani, allora!» dice, prima di alzarsi.
È ora di lezione, ma lui lo sa che non ascolterà nemmeno una parola, troppo impegnato a escogitare qualcosa per il giorno dopo.
 
Eva sta camminando a passo svelto, un sorriso sulle labbra rosee e gli occhi luccicanti di emozione. Le manca solo lei e le tocca sbrigarsi, perché è pomeriggio tardo e non può mica entrarle in casa nell’ora di cena.
Il cellullare le squilla nella tasca, lei lo afferra e allarga il sorriso, quando il nome di Michael lampeggia sullo schermo.
«Ehi, Mich!» lo saluta, la voce allegra e forte.
«Eva, come va?» lui ridacchia dall’altra parte.
«Benissimo, e te?» guarda a destra e a sinistra e poi attraversa la strada, tenendo il telefono all’orecchio.
«Una pacchia - le dice, Eva se lo immagina sdraiato sul letto, le mani incrociate dietro la nuca e un sorriso sornione sulle labbra - che stai facendo?» le chiede, in un sospiro.
Eva sorride, si morde il labbro inferiore e infine ridacchia.
«Sto andando a trovare una persona,» dice, sul vago, entrando nella strada della casa.
«Chi?» Michael, confuso, aggrotta la fronte.
«Indovina!» esulta Eva, emozionata e felice.
«Luke? Ashton?» tenta Michael, mentre Eva scuote la testa.
«No.»
«Eloise?»
«Nemmeno!»
«E’ rimasto solo Calum!»
«No, nemmeno lui.»
«Dio mio, ma chi è? Dimmelo, mi arrendo,» le dice esasperato, intanto che Eva si è posizionata di fronte alla porta di legno scuro, il cuore che batte all’impazzata.
«Zoe,» gli dice.
A Michael si blocca il respiro, sgrana gli occhi e si mette ritto a sedere, scuotendo la testa, disperato.
«No, Eva, non ci provare nemmeno - inizia, non sapendo che fare - no, non mi sembra il caso,» Eva si acciglia, aggrotta la fronte ma non ha voglia di ascoltarlo, ormai è arrivata.
Che poi, perché tutta questa agitazione?
«Ormai sono qui, quindi vado. Ciao, ciao, Mich.»
«No, ferm-» lo sente urlare, prima che chiude la chiamata.
Guarda la porta e prende un profondo respiro, le mani stanno sudando dall’ansia e sente le gambe tremare. Quanti anni che non vede quella porta? Che non vede il viso di Zoe? Il suo sorriso, i suoi occhi chiari e i capelli scuri?
Porta il dito sul campanello, respirando profondamente un’altra volta, prima di premerlo e sentirlo risuonare tra le mura all’interno. Non deve aspettare tanto, prima che dei passi si avvicinino alla porta. Quest’ultima si spalanca.
Eva sorride, alla vista della signora Murphy, un enorme senso di nostalgia la travolge.
«Salve signora Murphy, si ricorda di me?» le chiede, gli occhi della donna, velati di quel pizzico di vecchiaia, si illuminano, splendendo, mentre un sorriso sulle labbra secche le viene rivolto.
«Eva? Sei davvero tu? - la guarda, allarga le braccia e si avvicina - mio Dio, come sei cresciuta! - le guarda il ventre gonfio, a cui nessun sguardo sfugge - sbaglio o hai qualcosina lì dentro?» l’abbraccia stretta, perché le è mancata persino a lei, una donna di sessant’anni che si sentono e si vedono.
Era come una seconda figlia, del resto.
«Sì,» Eva ridacchia, prima che la donna la inviti all’interno, facendola accomodare sul divano.
«Allora, cosa vuoi che ti preparo? Un the? Una cioccolata?» la signora Murphy le sorride, in piedi vicino alla cucina.
«Oh, non si preoccupi, ho appena mangiato qualcosa a un bar,» le dice, prima di invitarla a sedersi accanto a lei.
«Allora, Eva, come mai sei tornata?» Eva si stringe nelle spalle e sorride, un pizzico di amarezza nello sguardo, prima di passarsi una mano sulla pancia.
«In situazioni del genere, si ha bisogno della propria famiglia accanto,» le dice, ridacchiando, al che la donna annuisce.
«Sono felice, davvero - le carezza una spalla - come mai sei passata per qua?» chiede ancora.
«Oh, sono venuta a trovare Zoe, è in casa?» vede la donna gelarsi, lo sguardo velarsi e una smorfia di dolore sul viso. Scuote la testa, sorridendo amara alla domanda ingenua della ragazza, mentre le accarezza una guancia.
«Non te l’hanno detto, tesoro?»
«Detto cosa?»
«E’ successo tempo fa, tu eri già andata via - sospira, il petto squarciato dal dolore - c’è chi è riuscito a superare tutto, chi no, ma vedi..»
«Vada al punto, la prego.»
«Tesoro, Zoe se n’è andata.»
«Andata dove?» ed Eva, davvero, non vuole capire. Sorride nervosamente e la guarda, gli occhi sgranati.
«Zoe è morta, Eva,» e il mondo si ferma,  così come il suo cuore.
Eva ride, si alza di scatto e fa finta di non sentire il corpo tremare.
«Cos’è, uno scherzo?»
«No, mi dis-»
«No, non è vero! - urla, iniziando a incamminarsi verso la stanza dell’amica - Zoe! Non è vero, è una cazzata! Zoe, cazzo, esci!» apre la porta di scatto, facendola sbattere sul muro. La rabbia e la paura che l’hanno avvolta.
E quando nota la stanza totalmente vuota, sente il cuore sgretolarsi.
 
Eloise, finalmente, esce dal bagno, dopo esserci stata per venti minuti buoni, osservando con occhi affilati il resto del gruppo. Al bar non c’è nessun’altro, sarà per il brutto tempo, dove tutti preferiscono rimanere a casa sotto le coperte.
Non fa in tempo a sedersi che la porta si apre velocemente, il campanello si scuote e risuona per qualche secondo di troppo.
Si girano a guardare chi ha causato tanto scompiglio, ritrovandosi di fronte Eva, fradicia da capo a fondo, un cipiglio arrabbiato sul volto e gli occhi arrossati e furiosi.
«Siete tutti dei pezzi di merda! - urla, sbattendo a terra la sua borsa, il pianto che risale e le annacqua la vista - non me l’avete detto! Per quanto avreste voluto tenermelo nascosto? Lei era la mia fottuta migliore amica, stronzi!» sclera, lasciando tutti a occhi sgranati.
«Eva, asp-» Michael prova a calmarla, scende dallo sgabello e porta le mani avanti, lo sguardo preoccupato ma comprensivo.
«Sta zitto tu! Perché non me l’hai detto? - si rivolge a lui, prima di tornare a guardare tutti gli altri - e che cazzo mi guardate così? Voi, che ce l’avete tanto con me, vi siete divertiti a tenermi nascosta una cosa del genere?» nessuno risponde, c’è chi abbassa lo sguardo e chi si morde le labbra.
«Eva, non capisci ch-»
«Che è cosa? Difficile da dire? Cazzo, avreste dovuto dirmelo, era mio diritto saperlo. E come lo sono venuta a sapere? Da sua madre, quando sono andata a trovarla! Era la mia migliore amica!» e poi scoppia a piangere, perché fa male realizzare una cosa del genere.
Zoe se n’è andata, la sua migliore amica non c’è più e chissà per quale motivo. E lei non c’era, nei suoi ultimi giorni. Avrebbe potuto godersi i suoi ultimi momenti, starle vicino, e invece no.
Si porta una mano di fronte alle labbra, vorrebbe urlare il suo dolore, mentre i sensi di colpa la impossessano.
Calum stringe tra le mani la lattina, osserva il dolore di Eva - che è un po’ quello di tutti - e, davvero, non dovrebbe, non vorrebbe, la sua testa sta combattendo ciò che gli dice l’istinto, ma quest’ultimo è più forte.
Si alza, un “fanculo” sussurrato, e in qualche falcata la raggiunge, stringendola a sé e accogliendo il suo pianto tra le braccia, incurante dei vestiti bagnati e del trucco che probabilmente andrà a rovinargli la maglia grigia.
Delicatamente la spinge verso il retro del bar, verso gli stanzini, mentre sente le mani di lei acchiappare i lembi della sua maglietta, il corpo che si scuote per i singhiozzi disperati, parole sussurrate e senza senso. Si chiude la porta alle spalle, prima di poggiarsi al muro, continuando a cullarla con gentilezza, una mano che passa per i capelli biondi e profumati di lei.
«Calmati,» le sussurra, stringendola più forte.
«Io non c’ero! Lei aveva bisogno di me e io non c’ero!»
«Non è colpa tua!»
«Ma non c’ero, capisci? Non ci sono stata a sui ultimi momenti - piange più forte, incastrando il viso nel suo collo - sono una cogliona, sono solo una cogliona!» Calum le circonda la schiena e se la tiene stretta, il cuore gli batte nel petto velocemente e sente lo stomaco attorcigliarsi, ma fa finta di nulla, reprimendo ogni pensiero strano.
«Non sei una cogliona - la sente calmarsi pian piano mentre una mano passa sulla spina dorsale, l’unico modo per farla calmare, da quel che ricorda - e non è colpa tua, è successo e non puoi farci nulla, né ora né prima,» Eva arriva a respirare più lentamente, i singhiozzi finiscono, ma le lacrime continuano a scendere per qualche minuto.
Le braccia di Calum la stringono con forza e la fanno sentire rassicurata. Il profumo maschile le stuzzica le narici ed Eva chiude gli occhi, aspirandolo meglio, prima di staccarsi a mala voglia e asciugarsi i residui del pianto da sotto gli occhi.
«Grazie - sussurra, cerca di sorridere ma proprio non ci riesce - forse mi conviene andare,» aggiunge, la voce ridotta a un tremolio sforzato.
«Diluvia fuori, ti accompagno.»
«Non c’è bis-»
«Ti accompagno e basta, vieni,» apre la porta e la guarda, non può non trovarla bella persino in condizioni disastrose come ora, con i vestiti e i capelli bagnati e il volto segnato dalla disperazione.
Non avverte gli altri, capiranno da sé.
Eva cammina dritta, non guarda nessuno ed esce fuori, Calum alle calcagna che la copre dalla pioggia con il proprio ombrello.
E ok, è forse la giornata più triste della sua vita, sente il cuore a pezzi e si tocca la pancia per provare un minimo di forza, ma non può non scapparle un sorrisino quando si siede sui sedili in pelle della macchina e vede Calum fare lo stesso.
Non può evitare di sorridere nemmeno quando, girandosi a guardarlo, lo becca a fare lo stesso con lei.
 
***
Ehilà,
come va?
Eccomi qui con un nuovo capitolo, che spero vi piaccia. 
Allora, abbiamo un primo momento tra Scarlett e Ashton, nulla di significativo, ma pian piano i due si stanno affezionando l’uno all’altra.
Poi ci sono Luke e Gioia e il nostro ragazzo che, a modo suo, le chiede di uscire. 
Eva, purtroppo, scopre che la sua migliore amica è morta. Nessuno di loro ha avuto la decenza di dirglielo e lei lo è venuta a sapere a sorpresa, probabilmente riportando pure la mamma a vecchi ricordi.
Infine, la bionda sbrocca agli amici - come biasimarla? - ed ecco che il nostro Calum non resiste e l’abbraccia. Questo momento fluff tra loro due mi ha intenerito troppo.
Alla prossima, mie care lettrici!
Bye bye,

Judith. 
 

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Capitolo 10
*** Ricordi ***


Home is wherever I am with you.
 RICORDI.

"Bisogna stare attenti a tuffarsi nei ricordi, spesso, ci si fa male cadendo di cuore."
"Non c’è nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria."
 
Gioia è uscita presto, quella mattina. Sarà per dei messaggi strani che le ha mandato Luke, la notte stessa, sarà per il fatto che non è riuscita a dormire, o sarà per uno strano presentimento che l’ha avvolta per ore.
Arriva di fronte a un pub poco rassicurante e, sebbene lei cerchi sempre di starci alla larga da posti del genere, ingoia il groppo preoccupato che ha alla gola ed entra. All’interno c’è una gran puzza di alcol, poche persone, maggiormente mezze sdraiate nelle proprie sedie, ubriache lerce o addormentate, e un barista che pulisce il bancone con una smorfia schifata sul viso. D’altronde, come biasimarlo, se il costo del suo lavoro è ritrovarsi con gente del genere ogni mattina, dopo chissà quanto alcol venduto nella notte?
Scruta con gli occhi il posto, cercando di non sentire i commenti apprezzanti e maliziosi su di lei, e alla fine lo vede, seduto a darle la schiena, la testa sul bancone e le braccia che penzolano nel vuoto. Si incammina verso di lui e gli scuote una spalla.
«Luke, svegliati - borbotta, accarezzandogli la schiena. Cos’è che porta una persona aridursi in quel modo? Respira e sente il cuore stringersi, a quella vista - Luke, dannazione, svegliati!» lo scuote nuovamente e finalmente quello sembra svegliarsi, sbattendo le palpebre più volte e rivolgendole uno sguardo confuso.
Gli occhi, rossi, sono socchiusi.
«Gioia?» lui aggrotta la fronte, si muove a penzoloni, come se dovesse cadere da un momento all’altro, ma lei lo sorregge e annuisce.
«Proprio io, non credi sia ora di andare? Dai, ti accompagno a casa,» e lui fa un cenno d’assenso con la testa, sebbene riesca a stare in piedi a fatica, reggendosi dal bancone. Il barista gli dedica uno sguardo rattristato. Un ragazzo così giovane che ha già tanti problemi.
Gioia lo sorregge a fatica, ma non lo vuole abbandonare, e lo porta fuori, il sole che sorge piano e Luke che le dice dove andare, con la voce strascicata e un dondolio che le fa venire il mal di mare.
Quando arrivano di fronte a una casetta, lui tira fuori le chiavi, senza riuscire a infilarle nella serratura.
«Dai a me,» dice lei, afferrandole, prima di aprire la porta ed entrare.
«Sei arrabbiata con me, Gioia?» chiede lui, la voce ridotta a un singhiozzo, mentre sente la nausea prendere il sopravvento.
«No, Luke, non sono arrabbiata con te,» risponde lei, cercando di sorridergli delicatamente.
«Mi dispiace Gioia, non volevo,» sbiascica lui, quasi cadendole addosso, al suo urletto sente dei passi pensati che si avvicinano alla porta e una ragazza bionda appare, l’espressione preoccupata sul volto che subito si trasforma in una inferocita.
«Luke, porca puttana! - urla, afferrandolo dal braccio - come diamine ti sei ridotto? Sei incorreggibile, quando la smetterai? - si gira verso di lei, guardandola con occhi dispiaciuti e grati - l’hai portato tu a casa? Grazie mille,» la ringrazia, prima di vedere il ragazzo scappare verso il bagno.
Non gli corre dietro, sospira e guarda la ragazza.
«Scusami, avrai faticato molto a portarlo qui, ti prego, permettimi di offrirti qualcosa,» la prega Eloise, afferrandole una mano, mentre i primi coniati arrivano dal bagno.
«Perché lo fa?» è l’unica domanda che le porge Gioia, lo sguardo addolorato.
«È una storia lunga, ma siediti in salone, torno fra poco,» e sparisce all’interno del bagno, mentre Gioia rimane con le mani in mano. Si incammina al divano e si siede sopra, gli occhi lucidi perché ciò che ha visto ha fatto male quasi più a lei.
Perché si riduce in quel modo? Cos’è successo da renderlo così disperato?
Lo sente piangere rumorosamente tra le braccia della ragazza che ha incontrato, borbottare parole senza senso e impregnate di dolore, poi non sente più nulla.
Passano venti minuti, prima che la ragazza torni, e Gioia si prende un attimo per osservarla. Le occhiaie marcate sotto gli occhi azzurri, identici a quelli di Luke, e i capelli biondi e sfibrati legati in una crocchia.
Arriva da lei con una tazza fra le mani, che le offre. Gioia sorride nel ritrovarsi sotto il naso un po’ di the caldo.
«Ti tremano le mani.»
«Voglio bene a Luke, vederlo in queste condizioni mi destabilizza.»
«Lo so, ti capisco - la bionda la guarda, poi sorride pallida - sono Eloise, sua sorella, comunque.»
«Gioia, una sua compagna di corso.»
«Grazie, Gioia, puoi rimanere qui se vuoi, sarà felice di vederti quando si sveglierà.»
Gioia ci pensa su per un attimo, poi accetta, che l’avrà pure visto da ubriaco, che ha capito che ciò che le veniva detto era vero, ma non può lasciarlo solo.
Non ci riesce. 
 
Eva è sdraiata sul letto, tra le mani una foto che raffigura lei e Zoe, cinque anni prima. Sono giovani, sorridenti e felici, abbracciate l’una all’altra come poche volte hanno fatto, che alla mora le dimostrazioni d’affetto piacevano poco e niente.
Si asciuga l’ennesima lacrima, mentre afferra un pezzo di torta che sua madre, quella mattina, ha preparato con cura, dopo averla accolta tra le proprie braccia e aver ascoltato ciò che è successo.
E ancora non ci crede, Eva, che Zoe se n’è davvero andata. Che l’ha lasciata sola, davvero intende. Non solo fisicamente, ma anche mentalmente. Non sentirà più la sua voce, la sua risata, non la vedrà più sorridere, piangere. Non ha potuto nemmeno sentire una delle sue tipiche sbraitate, che si aspettava al loro incontro.
Zoe se n’è andata e non c’è nulla da fare, perché la morte non torna indietro.
Singhiozza, portandosi una mano sulle labbra, poi butta la foto all’interno della stanza e si alza, perché rimanere a piangere non la aiuterà. Si incammina verso il bagno e si sciacqua la faccia, appena in tempo per andare ad aprire la porta, dopo che il campanello ha risuonato per l’intera abitazione.
Si stira il vestitino bianco che indossa e, spalancata la porta, si ritrova di fronte il viso di Ashton, un sorriso leggero sul volto spigoloso.
«Ciao,» la saluta lui, leccandosi il labbro inferiore e provando a sorridere un poco di più.
«Che ci fai qui?» chiede lei, senza cattiveria. È semplicemente sorpresa, Ashton non era molto propenso ad accoglierla a braccia aperte.
Lui si stringe nelle spalle, poi le porge la borsa.
«L’hai dimenticata al bar, ieri, sai, dopo che.. hm, insomma, hai capito,» Eva annuisce, poi la prende lentamente e rimane a guardarlo per qualche secondo.
«Grazie - borbotta, mordendosi l’interno guancia - vuoi entrare?» aggiunge, che un po’ di compagnia non le farebbe male.
Ashton la guarda, gli occhi cangianti gli si illuminano e subito annuisce.
Eva apre di più la porta, permettendogli di entrare, e la richiude alle sue spalle. Poi si incammina verso la propria stanza, sicura che lui la stia seguendo.
«Questa casa non è cambiata di una virgola,» ridacchia lui, guardandosi attorno.
«I miei non amano molto i cambiamenti,» dice lei, alzando le spalle e sedendosi sul proprio letto, appena entrata nella propria stanza. Ashton si guarda attorno, si perde nell’osservare tutte le foto attaccate alla parete sopra il letto. Si avvicina con passo titubante, gli occhi fissati su tutte quelle che raffigurano loro anni prima, nel suo stesso bar.
«Non pensavo le avessi ancora,» borbotta lui, un sorriso sulle labbra e gli occhi che luccicano, tra il sorpreso e l’ammirato.
«Sono ricordi, perché avrei dovuto buttarle? - ribatte Eva, stringendosi nelle spalle - è bello, a volte, pensare ai vecchi tempi,» aggiunge, prima che Ashton si blocchi, portando gli occhi cangianti per terra, dove ha appena calpestato qualcosa.
Si piega e tira su una foto, quella stessa che stava guardando Eva poco prima. Sorride mesto, lo stomaco si stringe in una morsa.
«Ci manca terribilmente,» mormora, mentre Eva si morde il labbro inferiore e annuisce, cerca di sviare i pensieri su altro, ma non ci riesce.
«Com’è successo?» chiede, facendogli alzare il viso verso di lei. Ashton si avvicina, sospira, poi si siede.
«Un incidente - risponde, passandosi una mano fra i ricci scatenati - due anni fa, non aveva la cintura, è volata fuori dal finestrino - si morde il labbro inferiore e si dà forza, più per l’amica che per altro - è morta sul colpo, ha sbattuto forte la testa a terra,» aggiunge, stringendosi nelle spalle e chiudendo gli occhi al ricordo.
È così doloroso ed è ancora vivido.
Eva sente gli occhi inumidirsi nuovamente, ma si blocca e tira su con il naso, toccando la mano di Ashton, perso nei propri ricordi.
«Mi dispiace per ieri, non volevo urlarvi contro così,» cambia discorso, o si ritroverebbero a piangere l’uno nelle braccia dell’altra. Ashton sorride di risposta, scuotendo la testa.
«È comprensibile, Eva, non devi scusarti - poi si alza, dondolando sui talloni - mi conviene andare, mi sa, il Nirvana non si gestisce da solo,» Eva lo segue, poi lo accompagna all’uscita e gli sorride un’ultima volta.
«Grazie, Ashton,» sbiascica, incrociando le braccia al petto, al che lui si porta le mani nelle tasche.
«Mi sei mancata, Eva,» e sorride, dandole una veloce carezza sulla guancia, prima di sparire nella via.
Ed Eva sorride, sebbene abbia il cuore distrutto e gli occhi rossi di pianto.
Sorride perché le è mancato anche a lei, Ashton. 
 
Aspira dalla sigaretta, buttando fuori il fumo a sbuffi, prima che un rombo di una moto non gli stuzzichi l’udito, facendogli alzare di scatto il viso, perché lui sa a chi appartiene. una moto rossa fiammante si accosta al marciapiede di fronte a lui e, da sopra, ne scende Michael, i capelli tinti di nero da poco e la giacca in jeans che a lui sta dannatamente bene.
Michael lo guarda, posa il casco sul sellino e infine si avvicina lentamente, accennando un sorriso all’amico, con cui non parla da un po’ di giorni, precisamente da quando ci ha litigato.
«Ehi, Cal!» fa un cenno con la mano e si siede al suo fianco, sebbene il moro sbuffi e aspiri per l’ennesima volta dalla sigaretta, fino ad arrivare quasi a metà, tanto è il fastidio. Non gli risponde, ce l’ha ancora con lui. Ciò che gli ha detto non è stato affatto carino, specie perché si tratta di Michael, suo amico.
Quest’ultimo sospira, i sensi di colpa che l’hanno preso da un po’ di giorni gli fanno passare una mano tra i ciuffi scuri.
«Senti, Cal, lo so che ce l’hai con me per l’altra volta, ok? Ma sono venuto qui per scusarmi, non avrei dovuto dirti quelle cose,» e va bene, non è uno che si scusa facilmente, ma per le persone che ama è capace di schiacciare la propria dignità con i propri piedi.
«Lo stai facendo solo perché ieri ho consolato Eva,» borbotta il moro, indispettito.
«No, lo sto facendo perché ammetto di essere stato troppo cattivo.. e sei il mio migliore amico, Calum, non mi piace saperti che ce l’hai con me,» dichiara lui, scuotendo la testa e stringendo le labbra carnose in un’unica linea.
Calum rimane in silenzio, non sa cosa dire. Ci è rimasto male per ciò che gli ha detto, ma avercela con lui non aiuterà le cose.
Si gira a guardarlo, allora, e lo trova con un sorriso candido sul viso delicato.
«Mi hai fatto sentire una merda, Michael,» commenta, imbronciato, al che l’amico annuisce.
«Sì, lo so, e mi dispiace tantissimo Calum, io non le penso quelle cose, ma lo sai che quando mi agito tendo a dire cose false,» dice, sicuro, il tono supplicante. È che non vuole perdere anche lui, uno dei suoi più grandi amici.
Calum allora si morde il labbro inferiore e lo sa, che è così, ma sa anche che Michael quelle cose le pensava davvero. Dargli torto? No, Calum sa persino che ha ragione. Si stringe nelle spalle e annuisce, allora, perché nemmeno lui vuole perdere un amico come Michael, sebbene le sue parole continuano a rimbombargli nelle orecchie.
Allora stanno in silenzio, Michael che non ha ben capito se è stato perdonato o meno ma non ha voglia di indagare.
«Tu la ami ancora, vero?» chiede, titubante, al che Calum alza il viso e lo fulmina.
«Cosa?»
«Tu la ami, si vede - Michael sorride delicato - non hai mai smesso di farlo, non è così? Ciò che hai fatto ieri.. se l’avessi davvero odiata, l’avresti lasciata a piangere miseramente,» e Calum scuote la testa, punto sul vivo. No, assolutamente, lui non la ama più.. vero?
«Era disperata, come potevo lasciarla in quelle condizioni?»
«Oh, ti prego, ti conosco meglio di me stesso, Hood! - commenta Michael, ridendo - tu la ami ancora, è così palese, e vederla a pezzi ti distrugge
«Stai dicendo un mucchio di stronzate,» ringhia lui, infuriato.
«No, sto dicendo la verità, solo che tu non vuoi starci - Michael si stringe nelle spalle - non vuoi ammettere che la ami ancora, dopo tutto il dolore che ti ha procurato, ma è così Cal, non mentire a te stesso,» gli tocca la spalla e lo vede stringersi su sé stesso, la sigaretta ormai a terra e finita.
«Smettila - sbiascica, portandosi le mani fra i capelli - io la odio,» aggiunge, scuotendo la testa. Michael si alza, sospira, sa che non lo ammetterà facilmente, e come biasimarlo? Eva l’ha fatto soffrire così tanto, ma Calum non ha mai smesso di amarla, ne è sicuro.
Perché tutte le volte che, in tre anni, l’ha visto perso nei suoi pensieri, è sicuro che pensava a lei. Perché tutte le volte che sorrideva mesto al vuoto, è sicuro che ricordava i loro momenti. Perché tutte le volte che ha cacciato una bella ragazza che ci provava, è sicuro che lo faceva perché nessuna riusciva il confronto con Eva.
«Credila come vuoi, Calum - sbuffa l’altro, dandogli una pacca sulla spalla - ma i tuoi occhi parlano chiaro: brillano, in sua presenza,» e lo lascia così, sale sulla moto e parte.
E Calum vorrebbe che non fosse così, ma sa che Michael ha ragione.
La ama di nuovo.
O non ha mai smesso di farlo?
 
Gioia è seduta su una seggiola che le ha dato Eloise, è di fronte a un letto scombinato e un Luke addormentato, la bocca schiusa e dei segni sulle guance, segno che i singhiozzi di prima non sono finiti nemmeno nei sogni.
Osserva con attenzione il viso angelico, il principio di barba bionda che gli circonda il mento e le guance, i capelli biondi e spettinati che ricadono sul cuscino e sulla sua fronte, infine le palpebre chiuse, a celare la bellezza di due pozze d’acqua limpida.
Porta con delicatezza la mano sul viso di lui, accarezzandone la fronte e scostandogli i ciuffi chiari, prima di farla scendere giù fino alla guancia. Le palpebre di lui tremano, prima di alzarsi lentamente, sbattendo più volte per far abituare la vista alla luce.
Sorride candida al ragazzo, appena incrocia i suoi occhi.
«Ben svegliato, Luke,» bisbiglia, ‘ché ha quasi paura di disturbarlo, se parlasse ad alta voce.
«Gioia - gracchia, sbattendo nuovamente le palpebre - sei rimasta,» aggiunge, prima di sospirare e sorride leggermente, grato che non se ne sia scappata alla vista di un lui ubriaco.
«Certo che no, come potevo?» dice lei, scuotendo la testa, con le dita segue i contorni della sua mascella e fa movimenti circolari, con il potere di farlo rilassare ulteriormente.
Luke rimane in silenzio qualche secondo, prima di posare la propria mano su quella della ragazza, fermandone il movimento. Gli occhi si socchiudono leggermente, si velano di vergogna e paura, la guardano a fatica e con timore.
«Gioia, io... io ti faccio schifo?» chiede lui, in un borbottio strozzato e sofferente. La ragazza, in risposta, sussulta e sgrana gli occhi.
E questo ciò che pensa? Che solo perché l’ha beccato ubriaco, ora le fa schifo? Non ne sa le motivazioni, come fa a provare disgusto per lui solo per uno sbaglio? Quanti ne avrà fatti lei.
«No, Luke, non mi fai schifo,» ride tristemente, gli occhi tremolanti e la mano che ricomincia i movimenti circolari, con quella di lui sopra, che la stringe leggermente alla risposta.
 Luke sospira, scontra i loro occhi e si morde il labbro inferiore.
«Mi dispiace.. sì, beh, per ciò che è successo - soffia, dispiaciuto realmente - e per averti, probabilmente, svegliata questa notte, non avrei dovuto,» e Gioia scuote la testa, sorridendo delicatamente.
«Hai fatto bene, Luke! E non dispiacerti, non sono arrabbiata con te,» gli risponde.
Rimangono in silenzio per qualche secondo, l’uno toccato dalla gentilezza della ragazza, l’altra che lo guarda con ammirazione, non curante di ciò che fa. Perché lei lo crede, Luke è buono, migliore di ciò che pensa lui stesso. Tutti sbagliano, nessuno escluso.
«Posso.. hm, posso però chiederti perché lo fai?» chiede allora lei, mordendosi il labbro inferiore. Non è solo curiosa, lei. Vuole anche aiutarlo, e per aiutare qualcuno, bisogna saperle le cose.
Luke sorride mesto, abbassa lo sguardo sulle gambe di Gioia, coperte da dei semplici jeans chiari, e stringe le dita sulla mano di lei.
«I ricordi fanno male,» risponde, in un sospiro strozzato e tremolante. Gioia lo accarezza più delicatamente e annuisce, prima di slanciarsi leggermente verso di lui, fino a baciarlo in mezzo agli occhi, facendogli chiudere quest’ultimi. Luke respira prepotentemente, sentendo il profumo della ragazza solleticargli le narici.
Gioia si stacca poco dopo, sorridendogli candida, e soffoca una risata alle guance rosee di Luke.
«Per quella pizza ci stai ancora?» borbotta poco dopo lui, in imbarazzo, al che Gioia ridacchia, ma annuisce prontamente.
«Assolutamente sì! - dichiara, con la voce intrisa di decisione e felicità - ma magari facciamo domani, che ne dici? Posso resistere un altro giorno,» al che lui annuisce, perché gli sembra la cosa più giusta.
«Ora credo di dover andare, è ora di pranzo,» ed è pronta ad alzarsi, quando la mano di lui la stringe. Luke scuote la testa.
«Rimani qui a mangiare.»
«Ma no, non mi sembra il caso, Luke.»
«Rimani qui, te lo devo - le stringe la mano più forte - ti prego,» aggiunge, subito dopo.
E Gioia non ha proprio voglia di negare nuovamente.
Stare un po’ di più con lui non può che farla star bene.
 
***
Ehilà,
come va?
Eccomi con un nuovo capitolo, in anticipo. Siete contente?
Allora, qui manca la nostra carissima Scarlett, e mi dispiace parecchio, ma ho dovuto lasciare più spazio a Gioia e a Luke.
Luke ubriaco e Gioia che lo riporta a casa, incontrando Eloise - incazzata come sempre.
C’è Eva in lacrime e Ashton che le riporta la borsa, poi rimane a raccontarle ciò che è successo a Zoe.
Michael e Calum si parlano, quest’ultimo viene a patti con sé stesso.
Infine, nuovamente Gioia e Luke, in un momento super fluff, dove lei tranquillizza Luke e gli assicura l’uscita per andarsi a prendere una pizza.
Devo scappare, ma spero vivamente che vi sia piaciuto. Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate.
Bye bye,

Judith. 
 

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Capitolo 11
*** Disperazione ***



Home is wherever I am with you.

DISPERAZIONE.
 
"Gradi della disperazione: non ricordarsi di nulla, ricordare qualcosa, ricordare tutto."
"Con la disperazione, come con la visione notturna, gli occhi si abituano presto alle tenebre."
 
È sabato, Scarlett non dovrebbe lavorare. Sbadiglia, mentre cammina per la strada, riconoscendo il palazzo dove si trova il proprio ufficio; non ha nessuna intenzione di andarci, ovvio, la sua direzione è un’altra.
Andrea è andato a trovare i propri genitori e lei si annoiava a tal punto da essere uscita.
Non sa cos’è, precisamente, che ogni volta la spinge verso quel bar, ma sa che lasensazione piacevole che le nasce in petto ogni volta che sta con Ashton la fa stare bene per tutta la giornata.
Entra nel Nirvana con un sorriso sulle labbra, il viso truccato, anche se non deve lavorare.
Ashton sta chiacchierando con qualche cliente, il Nirvana è ben popolato, ci sono coppiette, gruppi d’amici o semplicemente persone in compagnia del proprio portatile.
Si sistema i capelli castani su una spalla e sospira, prima di lasciare che la porta si chiuda alle sue spalle. Cammina, il rumore dei tacchi che sbattono sul parquet risuona per le pareti, e finalmente Ashton alza gli occhi cangianti, scontrandoli con i suoi. Scarlett gli sorride, lascia che le fossette segnino le guance, il rossetto che la rende una dea agli occhi di Ashton.
«Buongiorno, Ashton,» lo saluta, sedendosi sul solito sgabello. Lui ancora non ha riferito parola, alla fine si lascia sfuggire un enorme respiro e sorride anche lui, mettendosi di fronte alla ragazza.
«Ciao, Scarlett,» dice, in un sospiro.
Poi si gira, come sempre, iniziando a preparare un cappuccino e dandole un cornetto al cioccolato, come se fosse una regola.
Scarlett inizia a mangiare con calma, mentre Ashton le dà il cappuccino e si poggia sul bancone di fronte a lei, il sorriso persistente sulle labbra fine e gli occhi cangianti che la osservano.
«Dio mio, così mi metti in soggezione,» arrossisce Scarlett, posandosi una mano sulla guancia e abbassando lo sguardo, imbarazzata, al che Ashton ride e si mette ritto di schiena.
«Scusa, non ci ho fatto caso - si passa una mano fra i ricci - fai colazione così spesso qui che ormai non mi fa né caldo né freddo vederti mangiare,» si stringe nelle spalle e si avvicina a un altro cliente, chiedendo l’ordine, sotto gli occhi di Scarlett.
È bello, Ashton, con il fisico massiccio e muscoloso, i capelli ricci e lunghi e la barbetta incolta che gli danno l’aria sbarazzina.
Finisce il cornetto e il cappuccino senza staccargli lo sguardo di dosso, mentre Ashton ride e serve le persone, aiutato dai colleghi.
Torna da lei qualche minuto più tardi, sospirando e lasciandosi andare in un sorriso luminoso.
«Scusami, oggi è abbastanza pieno,» le dice, lasciando che i clienti vengano serviti da qualcun altro. Scarlett annuisce, sorride, poi tira fuori il portafoglio.
Ashton la blocca da subito, afferrandole la mano e scuotendo la testa.
«Eh no, l’ultima volta ho detto che avrei pagato, Ashton,» dice Scarlett, con uno sbuffo, facendo ridacchiare il ragazzo, che scuote la testa nuovamente.
«No, lo sai, offre la casa,» ribatte il riccio, cercando di far tornare la mano piccola e delicata di Scarlett al suo posto.
«Ashton, non è possibile che ogni volta che vengo qui non pago, avevo promesso di pagare e oggi lo faccio, che tu voglia o meno,» il tono è fermo e deciso, Scarlett non vuole continuare a farsi offrire qualcosa e a non ricambiare.
Vede il ragazzo tentennare e mordersi il labbro inferiore con sguardo pensieroso.
«Beh, potresti pagarmi in un altro modo,» ammicca, alzando un sopracciglio castano. Scarlett si fa sull’attenti, portandolo a continuare con un gesto della mano.
«Potresti uscire con me, un giorno di questi,» fa, stringendosi nelle spalle.
«Uscire con te varrebbe come pagamento?» Scarlett è perplessa, sbatte le palpebre più volte e inarca entrambe le sopracciglia, un sorrisino divertito sul volto, al che Ashton annuisce.
«Lo preferisco ai soldi - dice - quindi, ci stai?»
No, «sì, ci sto!» esclama, scendendo dallo sgabello e sistemandosi la borsa. Si avvia lentamente verso la porta, girandosi a guardarlo un’ultima volta.
Gli lancia un sorriso ammiccante, poi esce.
E solo fuori dal Nirvana, capisce che ha sbagliato, ma di disdire proprio non ha voglia.
 
Michael si passa una mano fra i capelli da poco tinti di nero, poi sbuffa, mentre osserva la porta in legno massiccio di fronte a sé e si chiede se stia facendo la cosa giusta. Che poi, certo che sì, la sta facendo, la deve fare, ha fatto la cazzata di starsene zitto e ora ne paga le conseguenze.
Avrebbe dovuto dirglielo, era compito suo tenerla tra le braccia mentre assimilava la notizia, non avrebbe dovuto farglielo scoprire così. È che non voleva vederla soffrire, sperava un po’ che si fosse scordata, magari, ma come ci si può scordare della propria migliore amica?
Che stupido che è stato.
Sospira, preme il campanello e pochi secondi dopo la porta gli viene aperta dalla signora Palmer, che gli sorride candidamente.
«Oh, ciao tesoro, come va?» lo invita ad entrare, con un cenno della mano, al che Michael si gratta la nuca e sorride lievemente, facendo qualche passo all’interno dell’abitazione.
«Bene, è tutto ok - rimane per qualche secondo in silenzio - sì, insomma, c’è Eva?» balbetta, vedendo la donna sospirare e annuire.
«Non è nelle sue condizioni migliori, immagino tu sappia il perché - si passa una mano sul viso - su, vai, un po’ di compagnia non può che farle bene,» e se ne torna in cucina, lasciando Michael a dondolarsi sui talloni per qualche minuto, indeciso sul da farsi.
Che dirle? Ovviamente si scuserà per essere stato tanto stronzo da non dirle nulla, ma, davvero, non voleva darle tutto quel dolore, che alla fine ha ricevuto lo stesso. Sarebbe dovuto essere lui a dirglielo e sarebbe dovuto essere lui a consolarla, a rialzarla dalla sofferenza che, una notizia del genere, dà sempre.
Si avvia alla porta e bussa, dopo qualche secondo viene aperta e la figura di Eva,sconvolta di dolore, l’accoglie. Ha le occhiaie marcate sotto gli occhi verdi e i capelli legati in una crocchia, una felpa che, la riconosce subito, le ha regalato Zoe al suo sedicesimo compleanno e ora le sta un po’ stretta.
«Che ci fai qui?» gli ringhia contro, facendo un passo all’indietro, al che Michael con uno slancio entra all’interno della stanza, chiudendo la porta dietro di sé.
«Sono venuto a vedere come stessi - si gratta la nuca nuovamente, guardandola negli occhi chiari e mordendosi l’interno guancia - e a scusarmi, ovviamente,» aggiunge, i sensi di colpa che lo avvolgono.
Eva è la sua migliore amica, vederla in certe condizioni non può che fargli male.
«Non voglio sentire le tue scuse - sbiascica lei, gli occhi lucidi - avresti dovuto dirmelo, Michael, perché me l’hai tenuto nascosto? Avevo il diritto di saperlo!» aggiunge, questa volta la voce è più alta, ma incrinata.
«Sì, scusami, lo so! Ma non volevo vederti soffrire, non volevo essere io a procurarti tutto questo dolore!» dice, afferrandole le mani fredde e stringendole.
«Beh, sei contento? Ne hai procurato il doppio, così!» sbraita, vorrebbe staccarsi dalla presa ma Michael è sempre stato più forte di lei.
La tiene stretta, poi la strattona fino a circondarla con le proprie braccia, stringendosela al petto. La sente aggrapparsi alla propria maglietta, un tremolio che la scuote e, ne è sicuro, da lì a qualche secondo lacrime salate e dolorose gli bagneranno il petto.
«Mi dispiace, mi dispiace, avrei dovuto dirtelo, lo so! - borbotta, dandole un bacio sulle tempia - ma ora, ti prego, non lasciarmi fuori dal tuo dolore, non sono stato io a dirtelo, fammi almeno essere il tuo supporto,» la sente tentennare, ma in pochi secondi un singhiozzo scuote le pareti.
Michael la culla, l’ha sempre fatto e sempre lo farà, sebbene per tre anni non ci sia stata, sa che può contare su di lui.
Le accarezza la schiena con delicatezza e, davvero, vorrebbe piangere pure lui, ma si sta parlando di Michael Clifford, e lui non piange mai.
 
Luke è nervoso, e chi non lo sarebbe al suo posto? Sta per uscire con Gioia Rogers, sua compagna di corso a psicologia, l’unica persona che gli è venuta incontro al posto di emarginarlo, guardando solo ciò che c’è all’esterno.
Gioia gli sta dando tanto, è sempre presente e, sì, l’ha capito che ci tiene a lui, perché sta mollando tutto solo per stargli vicino e di questo le è così grato. Con quale coraggiopreferisce lui ai suoi amici? A quei ragazzi che Luke ha osservato di nascosto, trovandoli belli e simpatici, altro che uno come lui.
Luke beve, fuma, non sorride quasi mai, eppure lei l’ha scelto.
E Luke ne è così felice, perché, davvero, Gioia gli è entrata dentro velocemente, trafiggendogli il cuore come una freccia e, giorno per giorno, ritirandolo su dalla propria tristezza.
Ora sta di fronte alla pizzeria, si dondola sui talloni e sente il nervosismo avvolgerlo, ma si mette su un sorriso imbarazzato e candido appena, a qualche metro di distanza, vede la figura di Gioia avvicinarsi, muovendo i fianchi senza malizia, sebbene a lui provochi un certo effetto.
Il suo sorriso lo illumina, il rossetto rosso rende i denti ancora più bianchi di quel che già sono.
«Ciao, Luke,» lo saluta, arrivandogli di fronte, e lui constata che, sui tacchi, gli arriva al mento. Si china a baciarle una guancia, aspirando il profumo fresco che lo invade e gli fa chiudere gli occhi cerulei.
«Gioia, sei bellissima,» sussurra, una volta tornato dritto, portando gli occhi al marciapiede perché, sì, è imbarazzato da morire. E forse un po’ non si sente all’altezza, perché Gioia è davvero splendida, fasciata nel suo vestito bianco e con quel rossetto a colorarle le labbra, i capelli lisci e scuri che le circondano il visino e gli occhi poco truccati, e quel sorriso che non l’abbandona mai, che l’ha rapito sin dal principio.
«Grazie,» borbotta lei, prima di seguirlo all’interno del locale, dove si accomodano in un tavolo appartato. La prima a parlare è lei, intavola qualche discorso qua e là per smorzare la tensione, e Luke l’ascolta ammaliato, non sa se per ciò che gli dice, che trova interessante, o per la voce angelica che gli stuzzica l’orecchio e gli scalda il cuore.
Alla fine arriva il cameriere e, poco dopo aver preso le ordinazioni, torna con due pizze tonde e invitanti.
«Era da un po’ che non mi gustavo una Margherita fatta per bene,» ridacchia lei, azzannando una fetta sotto gli occhi curiosi e inteneriti del ragazzo.
«Anch’io, sinceramente non ricordo l’ultima volta in cui ho mangiato della pizza,» dice Luke, stringendo lo sguardo e infilandosi tra le labbra un pezzo di quest’ultima.
Gioia sorride, quando lo vede sporcarsi, ma si sente andare a fuoco appena la lingua di lui ripulisce le labbra. Abbassa gli occhi, imbarazzata, e intavola l’ennesimo discorso, perché sennò si perderebbe nella bellezza del ragazzo, nascosta agli occhi di tutti tranne che quelli di lei.
Si perdono in chiacchiere per ore, Luke si lascia sfuggire qualche battuta e qualche risata che fanno arrossire Gioia, poi si alzano e, dopo che il ragazzo ha pagato, sotto le lamentele di lei, si ritrovano seduti su una panchina poco lontana dai dormitori, a guardare le stelle.
Luke sente il respiro lento della ragazza, la sua gamba cozza con quella di lei continuamente e, alla fine, mosso dall’istinto, le circonda le spalle con un braccio.
«Sono stato bene, questa sera,» borbotta, girandosi a guardarla, seguito subito da lei, che fa scontrare i loro occhi con pudore.
«Anch’io, tantissimo,» sussurra, senza rovinare il gioco di sguardi.
Si avvicinano di più e Luke, tolti l’imbarazzo e la timidezza, muove una mano fino a sfiorarle la guancia, accarezzandola con il pollice e godendo della morbidezza della gota, che man mano si colora sempre di più.
Alla fine è un attimo e le loro labbra si uniscono, delicate, timide.
Ma non hanno nemmeno il tempo di muoversi le une sulle altre, che Luke si scosta di scatto, lo sguardo sconvolto. Si alza in piedi, Gioia nota che trema visibilmente, mentre scuote la testa.
«Cosa ho fatto - sussurra, si porta le mani fra i capelli - io, io non dovevo, mi dispiace!» aggiunge.
Poi scappa.
 
Eloise sospira, è mezzanotte e vorrebbe andarsene a letto, perché le palpebre continuano a calarle sul viso, eppure non riesce a staccare gli occhi cerulei dalle foto che tiene in mano. Raffigurano il loro gruppo, ciò che erano anni prima, quando Eva non era partita e Zoe era ancora viva.
Calum aveva gli occhi che illuminavano il mondo, sebbene siano scuri, e Luke era la persona più solare che conoscesse. Michael, poi, non c’era una foto in cui non stesse spiccicato a lei, il braccio ancorato al suo fianco e le labbra sempre in un sorriso o sulla sua bocca.
Le mancano, i vecchi tempi, quelli dove erano felici, quelli dove lei era felice. Li guarda e sorride nostalgica, ogni tanto si trova tra le mani una foto di lei con Eva e Zoe, strette in qualche abbraccio o con una smorfia buffa in viso, perché non si pensavano fotogeniche, allora vai che cercavano di rovinare ancora di più la fotografia.
Alcune sono sue e di Michael, che si baciano, che si abbracciano, che ridono. Michael la faceva sempre ridere, “perché sei così bella quando lo fai” le diceva. Le stringeva i fianchi tra le dita e socchiudeva gli occhi, le labbra a pochi centimetri e le faceva patirela distanza delle loro bocche, allontanandosi e ridendo ogni qual volta Eloise si avvicinasse, perché è sempre stata quella meno paziente tra i due.
E se solo non fosse così ferita, se solo non sentisse il cuore spezzarsi al ricordo, tornerebbe da lui a braccia aperte, perché Michael è stato l’unico e il solo.
Ma ora lo odia.
Sente dei rumori sordi arrivare dall’ingresso e si precipita a vedere, ritrovandosi un Luke disperato, le guance rigate da delle lacrime e un tremolio a scuotergli il corpo.
«Luke? Cosa cazzo è successo?» si spaventa, si avvicina a lui e gli afferra un braccio. Sapeva che stesse andando a mangiare una pizza con Gioia, niente più.
Luke non risponde, continua a piangere e si incammina a passo lento verso il divano, fino a crollarci sopra, stringendosi a sé e scuotendo la testa.
«Luke? Oh mio Dio, parla, cos’è successo?» Eloise è spaventata, si siede al suo fianco e lo costringe a guardarla.
«Io… ho.. ci siamo baciati - dice, il tono sconvolto di dolore e colpa - io l’ho tradita, Eloise, l’ho tradita! Con quale coraggio?» si porta le mani sul viso, sotto lo sguardo stupefatto della bionda, che scuote la testa, incredula.
«Non puoi pensarla davvero così, Luke, non puoi! - grida, togliendogli le mani dal volto - non l’hai tradita, Luke, non l’hai fatto!» continua, mentre lo osserva piangere, il senso di colpa che strabocca con le lacrime, come se avesse compiuto un reato.
«Sì, invece, sono un bastardo! Come ho potuto farlo? Ho baciato Gioia, non avrei dovuto!» ribatte, singhiozza. È come se fosse ubriaco, peccato non abbia bevuto nulla.
È solo intontito dalla disperazione.
«Non è vero, smettila di pensarla così, Luke! - Eloise lo scuote, gridandogli contro - ma non capisci? Gioia ti sta riportando alla vita, ti sta facendo sorridere nuovamente e ti sta liberando dalle catene che ti ancorano ai ricordi, non lasciare che questi ti portino giù ora che stai finalmente risalendo, Luke! Non l’hai tradita, capisci? Gioia ti stasalvando,» gli dice, accarezzandogli una guancia bagnata.
«No, io l’ho tradita, come ho potuto?» biascica di nuovo lui, il tono quasi apatico, mentre osserva con occhi persi quelli della sorella, tremolanti.
Eloise non ci crede che la pensa così, non ci crede che è ancora così perso nei suoi ricordi, che non riconosce più cos’è la realtà. Non ci crede che si è pentito di aver baciato Gioia, l’unica persona in grado di farlo sorridere dopo anni di apatia e tristezza, l’unica persona in grado di suscitargli un’emozione felice dopo tanto dolore.
Allora si alza in piedi, scuote la testa.
«Tu non hai fatto nulla di sbagliato, Luke, hai fatto bene a baciarla, non capisci?»
«No, Eloise, io non avrei dovuto! L’ho tradita, Eloise,» cantilena, portandosi le mani fra i capelli e stringendo delle ciocche.
«Cazzo, Luke, non puoi averla tradita, ok? Perché lei non c’è più, d’accordo? E tu non puoi farci niente, devi andare avanti, Luke, devi guardare al futuro e non al passato! Smettila di lasciarti andare così, Zoe non tornerà in vita!» e sa di avergli fatto più male del previsto, ma non può vederlo mentre si distrugge per il passato.
Sente i singhiozzi del ragazzo diventare più forti e prepotenti, allora si china e lo abbraccia, stretto.
E sì, sa che la amava con tutto sé stesso, ma Gioia lo rende felice ed Eloise combatteràper far sì che Luke lo capisca.
 
***
Ehilà,
come va?
Scusatemi davvero per il mega ritardo super mondiale che ho fatto, ma ho avuto un blocco enorme e questo capitolo è stato un parto. Aggiungiamo che è stato un periodaccio e non avevo la forza di scrivere, ma spero che vi piaccia, anche se non ne sono molto convinta.
Allora, iniziamo con Scarlett che, come al solito, finisce al Nirvana, ed ecco che Ashton le chiede di uscire. E lei accetta, senza pensarci due volte, poi quasi si pente… quasi.
C’è Michael che va a chiedere scusa ad Eva e la consola. Lui ci vuole essere per Eva, in qualunque situazione, specie in una così complicata.
Infine, ecco che abbiamo la pizza tra Gioia e Luke, qualche discorso intavolato dalla ragazza e un bacio finale, lieve, perché il biondo scappa, lasciandola di stucco.
Eloise che accoglie un Luke disperato, cercando di portarlo alla realtà, di fargli capire le cose come stanno. Ebbene, gente, il nostro Luke stava con la bella Zoe, ed ecco la sua apatia da dove proviene.
Zoe se n’è andata, ma lui l’amava così tanto.
Ed Eloise vuole combattere, per far sì che Luke si accorga che Gioia l’ha fatto ricominciare a vivere.
Bene, penso che sia tutto, spero davvero che vi piaccia, sebbene non mi convinta.
Bye bye,

Judith. 
 

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Capitolo 12
*** Sorpresa ***




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SORPRESA.
 
“Un momento di gioia ci prende sempre di sorpresa. Non siamo noi ad afferrarlo, ma è lui ad afferrare noi.”
“Le chiamo sorprese eppure non aspettavo altro.”
 
 Gioia si sfrega le mani, si morde l’interno guancia, infine preme il dito sul campanello.
Sono le undici e due di mattina, è domenica e avrebbe preferito dormire fino a mezzogiorno. Invece si è alzata alle dieci; o meglio, si è alzata dal letto alle dieci, perché ha passato una notte insonne, a cercare di capire dove ha sbagliato.
Lo sguardo colpevole e terrorizzato allo stesso tempo di Luke le rientra in testa, colpendola  con forza, facendole sbattere le palpebre più volte.
Non è ancora capace di comprendere gli sbagli fatti, o i pensieri di Luke.
Ad aprirle la porta è Eloise, le occhiaie ben coperte dal correttore e gli occhi che si spalancano un minimo alla sua vista.
«Oh, ciao Gioia,» la saluta, il tono quasi sorpreso, ma può immaginare il perché della visita.
Chissà cosa avrà pensato, quando suo fratello è corso via, le lacrime agli occhi e il corpo sconvolto dal tremore.
«Buongiorno,» imita un sorrisino gentile, ma negli occhi è segnata tutta la preoccupazione del mondo, la stessa che aveva Eloise la sera prima, quando si è ritrovata un Luke piangente all’ingresso, parole disconnesse che gli uscivano dalla bocca mangiucchiata.
Rimangono in silenzio qualche secondo, a studiarsi, a pensare. Nessuna delle due sembra invogliata a parlare, persino Gioia, con la sua parlantina facile, non sa che dire.
Chiede di Luke? Eloise sa qualcosa, che sia della serata o di ciò che è successo al fratello?
Boccheggia, prima che la bionda si guardi alle spalle.
«Penso che tu abbia bisogno di risposte, Gioia - bisbiglia, poi apre di più la porta e la invita a entrare - e dovrò essere io a dartele, perché Luke non ne ha la forza,» aggiunge, insieme si dirigono verso il salotto.
Eloise si guarda attorno, spera solo che Luke non si muovi dalla propria camera, da cui arriva una musica soffocata ma potente. Probabilmente i Fall Out Boy, uno dei suoi gruppi preferiti.
«Chiedi tutto ciò che vuoi,» fa, allora, la piccola Hemmings, sorridendo gentilmente alla mora, che sospira rumorosamente, prima di portare gli occhioni neri in quelli della bionda.
«Ieri sera.. ci siamo, hm, ci siamo baciati.. ma lui è scappato, sembrava disperato, come se avesse fatto qualcosa di grave - si passa una mano fra i capelli lisci - ti prego, Eloise, devo sapere cos’è successo, se ho fatto qualcosa di sbaglia..»
«Tu non hai fatto nulla, Gioia - la blocca, alzando una mano - ma Luke non sta bene, i ricordi continuano a travolgerlo, a volte vive a metà tra la realtà e la memoria - si blocca, respira profondamente - ed è ciò che è successo ieri, si è scordato della realtà e si è fatto investire dai ricordi,» si passa le mani sulle gambe, più volte.
«Quali ricordi?» chiede, titubante, la ragazza.
Ha quasi paura di saperlo, ha paura delle risponde.
Luke è ancorato ai ricordi, e quando è così, c’è un motivo orribile dietro.
Eloise rimane in silenzio per tempo interminabile, sbatte le palpebre più volte e sembra trattenere a fatica le lacrime. Poi fa un sorriso mesto e si stringe nelle spalle.
«Era fidanzato, pochi anni fa, con una ragazza che amava tanto, sai? - una mezza risatina, che a Gioia sembra più un singhiozzo, sfugge dalle labbra della bionda - poi è successo il disastro. Era il compleanno di Luke, stava tornando dalla scuola serale, voleva passare la notte con mio fratello, ma non ci è mai arrivata - una lacrima viene scacciata prontamente - un incidente; non aveva la cintura, è volata fuori dal finestrino ed è morta sul colpo. Da quel giorno lui non vive più, a volte arriva persino ad incolparsi, come se il fatto che stesse venendo da lui significasse qualcosa.»
Gioia rimane in silenzio, sente il cuore stracciarsi e si chiede come si possa sopportare un dolore del genere.
«Stava tornando a sorridere, con te, sai? - Eloise ora piange, non resiste - lo stai rendendo di nuovo felice, ma al vostro bacio ha iniziato a credere di averla tradita.»
Gioia la guarda, ora capisce tutto. Le viene da piangere anche a lei, ma trattiene tutto e accarezza gentilmente la schiena di Eloise.
Non può capire il loro dolore, ma lo sente anche lei, sebbene in minima parte.
Il dolore nel pensare a Luke disperato, distrutto, perso, a metà.
«Ti prego, Gioia - la voce strozzata di Eloise le arriva all’orecchio - stava tornando a sorridere, ti prego, non abbandonarlo. Combatti per lui,» sussurra, Gioia sussulta a quelle parole.
Combattere per lui.
Combattere affinché gli torni il sorriso, la luce negli occhi, combattere affinché i ricordi non facciano più così tanto male, combattere affinché possa amare di nuovo.
Lo farà?
Sì.
 
Michael sente il citofono trillare, si alza con uno sbuffo e, con la lattina di birra in mano, si avvicina verso la porta.
È l’una, lui dovrebbe mangiare, ma non ne ha voglia. Di domenica, diventa più pigro del solito. Non cucina, non esce, non si lava, non fa nulla, se non mangiare qualunque cosa che non abbia bisogno di cuocersi. Solitamente punta ai cereali al cioccolato, o alle patatine, dipende se vuole il dolce o il salato.
Comunque, non sa proprio chi è che, all’una del pomeriggio, di una domenica alquanto noiosa, possa avere la fantomatica idea di andarlo a trovare, risvegliandolo dal proprio letargo.
E si aspettava chiunque, a dirla tutta, persino Obama, ma non lei; non Eloise.
«Eloise?» balbetta, sgranando gli occhioni chiarissimi e guardandola stralunato. Non può vederlo nemmeno per sbaglio, come mai le è venuto in mente di andarlo a trovare? Che sia successo qualcosa?
Dagli occhi rossi e i denti digrignati potrebbe dedurre di sì, ma perché da lui?
La ragazza lo spinge all’interno della casa, si chiude la porta alle spalle e si incammina con furia verso di lui, ancheggiando prepotentemente e facendolo indietreggiare, tanta è la sorpresa.
«Eloise? Cosa stai facendo?» le chiede, una volta che le mani di lei si poggiano sul petto del ragazzo, gli occhi impregnati di una furia a lui sconosciuta.
Eloise ringhia qualcosa tra i denti, lo afferra dai lembi della maglia e lo sbatte sul muro, come se fosse la più forte tra i due. Michael, del resto, è preso di sorpresa, lascia che un gemito strozzato gli esca dalle labbra quando cozza la schiena contro la parete.
Lei si aggrappa alle sue spalle, spalmandosi sul suo corpo, e Michael non riesce a capire nulla, mentre le mette le mani sui fianchi e, per un attimo, si sente felice.
Poi ritorna lo stordimento, perché lui ancora non ha capito cosa ci fa Eloise a casa sua, appiccicata al suo busto, lo sguardo di fuoco.
«Eloise, ma che ti prende?» non che la situazione gli dispiaccia, ma Eloise non si è mai comportata così.. o almeno non da quando è accaduto il disastro.
«Scopami come non hai mai fatto, Clifford,» gli dice, il tono tra il lussurioso e il violento.
Michael sgrana gli occhi, se possibile, più di prima, sente il cuore sbattergli nel petto mentre le mani di Eloise accarezzano maliziose il suo petto, ma sa che c’è qualcosa sotto, perché Eloise non verrebbe mai da lui per fare sesso.
Specie, non è mai stata tanto volgare in un contesto del genere.
Le afferra i polsi e la allontana di poco, giusto per fermare le carezza lascive che gli stanno facendo crescere una dannata erezione.
«Che cazzo ti prende? Hai fumato, forse?» fa lui, quasi urla.
Eloise lo guarda, scuote la testa, ringhia e cerca di riavvicinarsi.
«Cazzo, scopami, non era ciò che volevi?» Michael la trattiene nuovamente. È ovviamente ciò che voleva, ma prima vuole capirci qualcosa.
«Dimmi cosa succede, Eloise, tu non sei una da queste cose,» ribatte, affinando gli occhioni e puntandoli dritti nelle iridi celesti della ragazza.
Questa sospira rumorosamente.
«Ho bisogno di sfogarmi, d’accordo? Ho bisogno di non pensare, poi faremo finta di nulla,» dice, il tono arrabbiato, come se lui le stesse negando qualcosa di essenziale.
«Poi faremo finta di n-? Senti, Eloise, che cazzo ti passa per la testa? Vieni qui per sfogarti, vuoi farti scopare come una puttana e poi credi che sia possibile fare finta di nulla?» è arrabbiato anche lui, ora, per le parole che gli ha appena detto.
«Certo, cosa pensavi? Che volessi fare sesso per altro? Clifford, hai la testa fusa.»
«Tu hai la testa fusa, porca puttana! Che sono, un gigolò? Non ho nessuna intenzione di fare sesso con te e poi fingere che non sia successo nulla.»
«Prima mi vuoi tanto e ora no? Sei un cazzo di incoerente.»
«Tu sei l’incoerente! E ti voglio, cazzo se ti voglio, ma non così, non con te che fai la stronza e mi usi a tuo piacimento, solo perché sai le mie debolezze,» Eloise lo guarda, è arrabbiata.
Allora si scosta, lei voleva solo scopare ed ecco che lui, per una delle prime volte in vita sua, si mette a fare il bravo ragazzo.
«‘Fanculo, Clifford,» fa, gli dà le spalle e se ne va.
Michael, del resto, è ancora incredulo.
Ma che cazzo è successo?
 
Non ci crede che lo sta facendo.
Calum si passa la mano libera fra i capelli mossi e scuri, non è assolutamente sicuro di ciò che sta facendo, ma ormai è di fronte alla porta, che senso ha tornarsene indietro? In più, è abbastanza sicuro che la signora Palmer, al di là della porta, lo abbia già visto, ma stia aspettando una sua mossa.
È che è preoccupato, lo deve ammettere. L’ha mollata che era in preda alla disperazione, come può non accertarsi che stia meglio? Che abbia superato, almeno in minima parte, la notizia? Lei e Zoe erano così unite, si conoscevano da anni e si volevamo un gran bene. Sapeva che ogni volta litigassero, Eva correva tra le braccia della ragazza, così come faceva Zoe ogni volta che litigava con Luke.
Sbuffa, da quand’è che è diventato così disponibile nei confronti altrui?
Vorrebbe proprio girarsi e andarsene, ma alla fine il suo dito finisce nel campanello. Non ha nemmeno il tempo di pentirsi, che la porta si apre e la signora Palmer gli rivolge un enorme sorriso.
«Calum, tesoro, che bello vederti!» ha una borsa in spalla, è vestita di tutto punto, ma Calum ci fa poco caso.
«Oh, sì, salve!» si stringe nelle spalle e si dondola sui talloni, prima che la donna lo acchiappi da un braccio e lo faccia entrare.
«Io devo proprio uscire, Eva è di sopra, siete soli, quindi evitate di distruggermi casa,» dice, prima di uscire, il tono malizioso di chi si aspetta ben altro che due chiacchiere.
Calum arrossisce, si gratta la nuca, poi sale le scale, ormai solo nella casa.
Bussa alla porta di Eva con un po’ d’ansia, e aspetta il suo permesso per uscire.
Si infila all’interno velocemente, alzando gli occhi verso la ragazza, seduta sul letto, la schiena appoggiata al muro e la bocca schiusa dalla sorpresa alla sua vista.
«Ehi,» Calum sfoggia un sorrisino imbarazzato, abbassa lo sguardo e poi lo rialza, Eva è piuttosto stupita.
«Ciao,» sussurra, rimane immobile, mentre il ragazzo si avvicina di qualche passo.
«Sono venuto a vedere come stessi,» ed Eva si sente quasi lusingata, a pensare che è la terza volta che sente quella frase, solo che non si immaginava che potesse venire pronunciata da lui.
«Sto, hm, sto bene, ora,» borbotta, si porta le gambe al petto e tiene gli occhi sulla figura di Calum, slanciata e stretta nei propri vestiti.
«Ho portato anche.. - si schiarisce la gola, fa vedere due dvd nella mano - anche due film, uno è Crazy, Stupid, Love e l’altro è Una Settimana Da Dio. Erano i tuoi film preferiti, spero lo siano ancora,» si gratta nuovamente la nuca con la mano libera, lasciando i dvd vicino ai piedi nudi di lei.
Eva guarda i due film, poi sorride apertamente.
«Lo sono ancora - dice, prima di afferrare uno dei due telecomandi sul comodino e accendere la tv - vada per Crazy, Stupid, Love, lo metti tu?» Calum annuisce, afferra il dvd e lo fa partire.
Non sa che fare, non sa dove mettersi, manca poco che si dirige verso la sedia alla scrivania, ma Eva lo guarda e gli fa segno di accomodarsi accanto a lei.
Calum lo fa, si siede e appoggia la schiena al muro, si gira a guardarla leggermente, intanto che partono varie pubblicità che ci sono sempre prima del menù.
«Grazie,» sussurra lei, fa scontrare i loro occhi e Calum può vedere quanto quelli di lei siano rossi, contornati da delle occhiaie scure.
Le sorride. Poi, spinto da non sa bene cosa, la circonda con un braccio e la avvicina a sé, stringendola nel momento stesso in cui questa preme play.
Eva sente il cuore scoppiarle, mentre il braccio di Calum le stringe la vita. Poggia delicatamente la testa sulla spalla di lui e si gode il momento; uno dei suoi film preferiti, l’odore leggero di Calum, la mano di lui che le sfiora la pelle, per via della maglietta che le lascia scoperto un fianco, la semplice vicinanza del ragazzo che le provoca un’immensa felicità.
E spera che possa durare per sempre, lui che non mostra la sua ira nei suoi confronti e lei senza i pensieri che la tormentano.
Solo loro due.
 
Sono le otto di sera quando Scarlett è di fronte al Nirvana. Ha detto ad Andrea che aveva un appuntamento con un’amica già fissato da settimane, che non poteva disdire, e lui non ha obbiettato.
Andrea è sempre stato disponibile, gentile, non è mai stato appiccicoso, né asfissiante, né geloso - almeno non più del normale.
E forse per questo che è il suo ragazzo?
Entra nel bar che è vuoto, le è stato detto da Ashton stesso che la domenica chiude alle otto, lui lo sta tenendo aperto solo per aspettarla al caldo, ‘ché comunque la sera un po’ di venticello c’è.
Ed eccolo lì, seduto sul bancone, in mano il proprio cellulare con cui armeggia, sul viso un’espressione concentrata, la fronte aggrottata e le labbra arricciate fanno sorridere Scarlett, che si schiarisce la gola e gli fa notare la propria presenza.
Ashton scende giù dal bancone velocemente, si infila nella tasca il telefono e sorride apertamente, prima di avvicinarsi a lei e piegarsi per darle un lungo bacio sulla guancia, che ha il potere di farle tremare lo stomaco.
«Sei venuta,» bisbiglia al suo orecchio, prima di tornare dritto e scontrare gli occhi castani con quelli chiari e luminosi di lei.
«Dubitavi?» alza entrambe le sopracciglia e ghigna, tira fuori il caratterino che ad Ashton fa decisamente impazzire, sin dal loro primo - e disastroso - incontro.
«Ammetto che sì, per un attimo ho pensato non venissi,» si stringe nelle spalle, prima di mordersi il labbro inferiore, sotto lo sguardo di Scarlett.
«Non sono una ladra, te lo dovevo il pagamento, no?» scherza lei, sorride fino a mostrare la fila di denti bianchi e perfetti.
Ashton ride, poi le circonda un fianco con il braccio e la trasporta con delicatezza fuori dal bar. Si accorge che non porta i tacchi, ma delle semplici ballerine, e che gli arriva poco più giù delle spalle.
Chiude velocemente la saracinesca, poi si gira a guardare Scarlett, stretta nel vestitino rosso che a lei sta di incanto.
«Dove andiamo?» chiede lei, allora, le guance in fiamme dopo che lui l’ha toccata, sebbene somigliasse più a uno sfioramento.
«In spiaggia - alza le spalle e si avvicina a lei nuovamente, ripetendo il gesto di prima - adoro il mare di notte,» aggiunge, le stringe la vita con il braccio muscoloso e si avvicina a una macchina grigia.
Passano il viaggio in silenzio, scambiandosi sguardi e sorrisi che valgono più delle parole, prima di scendere. Scarlett guarda di fronte a sé, dove un mare blu si muove calmo, andando in contro alla sabbia.
Non c’è nessuno, sono solo loro, il vento che scompiglia i capelli alla ragazza e la mano di Ashton che le stringe la vita.
Scarlett sente le ballerine che, pian piano, si riempiono di sabbia, ma non ci fa caso. Sorride, ride alle battute del ragazzo, si scorda di tutto il resto, perché sta troppo bene per pensare ad altro che non sia Ashton, il suo senso dell’umorismo e la sua indiscutibile bellezza.
Le fa strano pensare che lo stesso ragazzo con cui sta passeggiando sulla sabbia, che la sta tenendo dalla vita accanto a lui, in modo così mascolino che le fa tremare le gambe, è lo stesso con cui per giorni si è insultata.
Ed è lo stesso che l’ha salvata da un paio di maniaci.
Passano le ore assieme, si siedono sulle sabbia e Scarlett finisce per parlare del proprio lavoro, della propria famiglia, ma di nient’altro.
A mezza notte Ashton la costringe a essere riaccompagnata e Scarlett, titubante, accetta.
«Sono stata benissimo, Ash,» borbotta lei, appena si fermano di fronte alla palazzina.
«Anch’io,» Ashton le sorride, allunga una mano posandola su quella di lei e accarezzandone le nocche.
Si guardano per qualche minuto, alla fine Scarlett si china a dargli un leggero bacio sulla guancia, nulla di più.
Non si gira a guardarlo mentre apre il portone, né mentre sale le scale. Aspetta di essere di fronte alla propria porta per infilarsi l’anello al dito.
E quando entra in casa, ritrovandosi di fronte Andrea, che l’accoglie con un sorriso candido e ignaro sul volto, un po’ si sente in colpa.
Ma non ha fatto nulla, no?
 
***
Ehilà,
come va?
Eccomi con un nuovo capitolo, cosa ne pensate?
Abbiamo Gioia che vuole capire cos’è successo ed Eloise che le racconta tutto.
Eloise ha un moto di tristezza che la porta a volersi sfogare, e da chi va? Da Michael, che però non ha tanta intenzione di farsi “usare”.
Calum fa una sorpresa a Eva, le porta due film e, sebbene provi ancora tanta rabbia nei suoi confronti, vuole assicurarsi che stia bene.
Infine, Scarlett e Ashton escono. Non succede nulla, solo una grandissima sensazione di benessere, eppure Scarlett, al ritorno a casa, si sente leggermente in colpa.
Scappo, ora, spero vi sia piaciuto.
Bye bye,

Judith. 

 

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Capitolo 13
*** Grazie ***



Home is wherever I am with you.

GRAZIE.
 
“Dobbiamo essere grati alle persone che ci rendono felici, sono gli affascinanti giardinieri che rendono la nostra anima un fiore.”
“Dicendo “grazie” tu crei amore.”
 
È lunedì e, sebbene non aveva nessuna voglia di alzarsi dal letto, Gioia è comodamente - per modo di dire - seduta sul muretto graffiante del cortile dell’università, mentre tiene gli occhi castani sulle figure lontane degli amici, che ridono e scherzano.
Li odia, un po’. Sarà per la mente chiusa o per averla portata a decidere tra loro e Luke, sapendo benissimo che, con il suo senso da crocerossina, avrebbe scelto solo e soltanto quest’ultimo, visibilmente bisognoso di affetto.
Sbuffa, si passa una mano fra i capelli mori e si guarda attorno, fino a che non scontra lo sguardo con una figura alta e snella, che le sta venendo in contro a passo svelto. Man mano che diventa più nitida, Gioia riconosce il viso di Luke, lo sguardo rivolto verso di lei e la bocca schiusa da cui esce il fiato, probabilmente affaticato dalla piccola corsa che sta facendo.
Si alza velocemente, passandosi le mani sui jeans scuri, come se se li fosse sporcati, e muovendosi con agitazione sul posto. Non lo vede da due giorni, e l’ultimo saluto non è stato dei migliori.
«Gioia!» grida questo, a pochi passi da lei, come a voler assicurare che si sta avvicinando a lei e a nessun’altro.
Gioia ammicca un sorriso, si stringe nelle spalle fine e aspetta che il ragazzo gli arrivi di fronte, il fiato pesante e lo sguardo fisso su di lei.
«Ehi, Luke,» fa un cenno con la mano e vede quest’ultimo accennare un sorriso, mentre si passa una mano tra i capelli, partendo dalla nuca.
«Tu, uhm, come stai?» le chiede, il tono esitante e gli occhi che girano per il cortile, guardando tutto tranne lei. Si morde il labbro inferiore e aspetta paziente la risposta.
È che, una volta realizzato ciò che ha fatto, si è sentito davvero male. L’ha lasciata sola su una panchina, dopo un bacio - se così si più chiamare - e non l’ha chiamata il giorno dopo, spiegandole l’accaduto.
Già è strano che lei gli stia parlando, senza evitarlo, urlargli contro o qualcosa del genere.
«Tutto bene, grazie, e tu?» anche lei è titubante, ha paura delle possibili reazioni del ragazzo è spera solo che sia migliorato, dall’altra sera. Ora che sa la storia è ancora più decisa di prima ad aiutarlo.
«Bene,» risponde secco, prima di schiarirsi la gola. Si gratta la nuca, poi porta gli occhi su di lei e sospira, socchiudendo le palpebre.
«Senti, io volevo chiederti scusa per l’altra sera, ho fatto un casino e..»
«Non devi scusarti - Gioia fa un passo avanti, posandogli un dito sulle labbra e bloccando il discorso che stava per uscirne - io, sì, insomma, so tutto. Eloise mi ha raccontato e non hai nulla di che scusarti, devi solo stare tranquillo,» sorride, osservando il ragazzo rabbrividire sotto il suo tocco e ritirando la mano.
«Eloise ti ha..? Uhm, invece sì, devo scusarmi. Non sarei dovuto scappare così, ho rovinato tutto.»
«Non hai rovinato assolutamente nulla, Luke - la ragazza scuote la testa, decisa - è stata normale come reazione, eri sconvolto, posso solo immaginare i pensieri che hai avuto per la testa. Davvero, Luke, non scusarti, è tutto ok.»
«Sì, ma sono stato io a invitarti, io a baciar.. uhm, insomma.»
«Fa niente, davvero - Gioia alza le spalle, sorride al rossore delle guance di Luke all’ultima frase - ci andremo piano, d’accordo? E non succederà nulla fino a che non sarai pronto,» gli accarezza una guancia con delicatezza.
«Vorresti dire che..»
«Non ti abbandono, esatto.»
È lì che Luke la prende di sorpresa, slanciandosi fino a circondarla con le braccia, stringendola a sé con forza quasi soffocante. Nasconde il viso nell’incavo del suo collo, mentre la ragazza ricambia, a metà tra lo stupito e il felice.
«Grazie.»
 
Eloise è comodamente seduta sul proprio divano, la televisione accesa sulla seconda stagione di Misfits, una delle sue serie TV, e il cellulare al suo fianco. Gioia - con cui si è scambiata il numero giusto il giorno prima - le ha scritto, dicendole che ha parlato con suo fratello e che va tutto bene.
È così felice, Eloise, di come Gioia si stia prendendo cura di Luke. Non ha mai da ribattere, sebbene le sue stranezze, ed è stata più che disponibile a venire a chiedere spiegazioni, dopo che è stata mollata senza motivazione.
Non si è lasciata prendere dalla rabbia, o dall’umiliazione. Ha semplicemente capito che qualcosa non andava, scorgendo negli occhi chiari del ragazzo quel tormento disperato.
È questo che le piace di lei, non giudica all’apparenza. E poi è evidente che si è presa una cotta per suo fratello, sebbene lui ancora non le abbia mostrato il meglio di sé stesso; però ricambia anche lui, lo vede dagli sguardi che le lanciava, qualche giorno prima, quando l’ha fermata per pranzo.
Suonano al campanello e, sebbene la puntata sia troppo bella, lei è costretta ad alzarsi e ad andare ad aprire, proprio perché è sola in casa.
Apre la porta e rimane bloccata sul posto, appena gli occhi di giada di Michael si scontrano con i suoi. La scena del giorno prima le torna in mente, così come una sola ed unica parola: patetica.
È stata davvero patetica, ad andare da lui a chiedere del sesso, per sfogo.
«Ciao,» borbotta, imbarazzata, mentre sente le sue guance colorarsi di rosso. Solitamente gli ringhia contro, trasmettendogli tutta la rabbia nei suoi confronti, ma dopo la scenata del giorno prima poco ne ha voglia, risulterebbe ancora più ridicola.
«Ehi, come stai?» Michael sorride, sebbene sia visibilmente colpito dalla strana carineria della ragazza. Tiene la mano ben dietro la schiena, mentre l’altra è infilata all’interno della tasca della giacca di jeans.
«Bene,» risponde, secca, e ok che si sente in dovere di mostrarsi più docile, ma non fino al punto di chiedergli a sua volta se stia bene o meno.
Michael si morde il labbro inferiore, mossa ben seguita dallo sguardo gelido della ragazza, poi porta in avanti la mano che stava nascosta dal suo corpo e le porge una scatola di cioccolati, sorridendo candidamente.
È davvero strano il modo in cui Michael cambia a seconda dei momenti, quand’è con lei. Una volta spavaldo, l’altra gentile, l’altra ancora arrogante.
Eloise li prende, sussultando leggermente sul posto appena capisce che sono gli stessi che le comprava ogni qual volta stesse giù di morale, quando stavano insieme.
«Ho pensato che non deve essere un bel periodo per te - si stringe nelle spalle e le accarezza il viso con lo sguardo - quindi, beh, ricordo ti piacevano, no?» chiede, si infila entrambi le mani in tasca e si dondola sui talloni.
Eloise annuisce, senza la voglia di dire nulla.
È toccata dal gesto del ragazzo. Non il primo, certo, sono anni che le porta regali in ogni dove e in ogni quando, ma dopo il giorno prima pensava la volesse evitare ancora per un po’, invece ha capito quanto stesse male e le ha portato dei dannati cioccolatini.
«Non devi per forza ringraziare, so quanto sia dura per te,» si lascia sfuggire una risatina, stringendo di poco gli occhi chiari. Ed è così, infatti, lui sa quanto è dura per Eloise ringraziarlo.
Non ringraziare in generale, non è poi così orgogliosa, ma ringraziare lui.
«Quindi, beh, io vado,» ed è pronto ad andarsene, le dà le spalle, ma non fa in tempo a scendere lo scalino che una mano gli circonda il polso, bloccandolo.
«Io, uhm.. - Eloise si schiarisce la gola - mi alzava il morale il fatto che mi stessi vicino, non che mi dessi i cioccolatini, Michael,» dice, in un sussurro.
Il ragazzo si gira, gli occhi sgranati e una strana sensazione allo stomaco.
«Cosa stai tentando di dirmi?»
«Che, uhm, magari potresti rimanere a farmi compagnia,» alza le spalle e dice ogni parola senza guardarlo, poi ammicca un sorriso, subito ricambiato dal tinto.
Michael si avvicina a lei e annuisce. Sente il cuore corrergli nel petto e una strana felicità. Lo sta davvero invitando a stare un po’ con lei? Gli è difficile crederci, ma appena la ragazza entra in casa e lascia la porta aperta, Michael si accorge che sì, lo sta lasciando entrare.
E no, non solo in casa.
 
Lo trova piegato sulla macchina, intento a ispezionare il motore, probabilmente per capire il problema. La fronte aggrottata per la concentrazione e del leggero sudore posato su di essa brilla alla luce del sole.
Si schiarisce la voce per attirare la sua attenzione. Gli occhi scuri di Calum si fiondano su di lei, un guizzo di sorpresa li trapassa.
«Ciao.»
«Che ci fai qui?» il tono freddo e scorbutico ha il potere di farla indietreggiare di qualche centimetro.
«Sono venuta a trovarti, sempre se non ti disturba,» borbotta, osservando gli occhi scuri del ragazzo, e non solo di colore, abbassarsi sul proprio lavoro. Uno sbuffo esce dalle labbra piene di Calum e, Eva, capisce di non essere desiderata.
«Come vedi, sto lavorando, quindi sì, mi disturba,» le soffia contro, non degnandola nemmeno di uno sguardo. Eva annuisce, decisamente delusa, e ammicca un sorriso di circostanza, prima di girarsi per andarsene.
È che, davvero, lei pensava che stesse migliorando, qualunque cosa ci fosse tra loro due. Quel pomeriggio è stata solo una presa in giro? Era solo impietosito? Era così sicura che fosse passato il momento di scazzo, e invece..
Ci sperava davvero.
Che cazzo stai facendo?, si dice, appena a un passo dal marciapiede. Aggrotta la fronte, un’innata rabbia la avvolge e, di colpo, chiude le mani a pugno. Nemmeno ha il tempo di capire cosa sta per fare, che si ritrova a dare uno spintone a Calum, che preso alla sprovvista indietreggia e sbatte sulla macchina.
«Ma che caz-?»
«Mi dici che ti prende? Sei bipolare per caso? Prima sei tanto carino e poi ridiventi freddo e scorbutico? - gli grida contro, dandogli un’altra spinta - Cristo, Calum, mettiti d’accordo con te stesso, perché così incasini gli altri!» è davvero arrabbiata.
Non è una che la fa passare liscia facilmente e ora si sente presa tremendamente in giro.
«Ma sei fuori? Dannazione, ti pare il caso?» urla Calum di conseguenza, mettendosi dritto e riprendendo il controllo della situazione.
«Io sono fuori? Ma ti senti? Sembri un cazzo di bipolare. Deciditi, Calum, prima sei tutto buono e carino e poi torni stronzo! Mi dici che ti prende?» Eva cerca di dargli un’altra spinta, ma Calum gli blocca prontamente i polsi, avvicinandosi a lei fino a sfiorarle il naso con il proprio.
«A me che mi prende? E tu? Come osi venire qui a trovarmi, eh?»
Eva si infervora, le guance si arrossiscono dalla rabbia, si spinge più contro il ragazzo.
«Pensavo che ti fosse passato il momento di scazzo, diamine!»
«Non mi passerà mai! Che cazzo ti credi? Sei tornata qui dopo tre fottutissimi anni, dove non ti sei fatta né sentire, né vedere - è arrabbiata, la vena sul collo inizia a pulsare - niente di niente, sei sparita, tornando con un cazzo di ragazzino in pancia, che ti pensi? Che ero qui, pronto ad accoglierti a braccia aperte?» sbraita, Eva ha quasi paura che qualcuno si affacci per tirargli una secchiata fredda addosso.
«Ancora con questa storia? Pensavo l’avessi superato. E Calum, cazzo, ci eravamo lasciati, potevi ricostruirti una vita anche tu!» cerca di dimenarsi dalla sua presa che, però, aumenta soltanto.
«No che non potevo!»
«E cosa cazzo te lo proibiva, eh?»
«Il fatto che ti amassi ancora, stronza!» urla, prima di rendersi conto di ciò che ha detto. La lascia, gli occhi spalancati che cadono al pavimento. Indietreggia di qualche centimetro, sotto lo sguardo stupefatto della ragazza.
«Cosa?»
«Niente.»
«Tu mi hai continuato ad amare?» e lei?
«È diversa la situazione.»
«A me sembra che tu abbia detto così.»
«Senti, sta zitta, non puoi capire,» si gira, prima che Eva gli acchiappi un braccio, facendolo girare di scatto.
«Vaffanculo, Calum, dimmi che cazzo intendevi e non scappare come un idiota.»
«Non è ciò che hai fatto te?»
«Smettila con questa storia, dannazione!»
«E come faccio? La tua fottuta assenza mi ha tormentato per tre anni!» grida, fuori di sé.
«Ti ho già detto che mi dispiace, che altro posso fare?»
«Niente, non puoi fare niente.»
«Mi vuoi spiegare che intendevi, ora?»
«No, te ne vai? Devo lavorare!»
«Finiscila di cacciarmi, non me ne vado da qui fino a che non mi dici che cosa intendevi!» e Calum decide, allora, che se non riesce a dirglielo, almeno glielo fa capire.
Si slancia, afferrandola dal viso, e unisce le loro labbra in un bacio disperato, voluto per forse troppo tempo. Eva spalanca gli occhi, presa alla sprovvista, mentre sente tremare il ventre. Si lascia andare al momento, una strana agitazione che la colpisce.
Da quant’è che non assaggia quelle labbra? Sono state sue per cinque anni e ora, dopo altri tre, ne risente il sapore. È così distruttiva, come cosa.
Trema da cima a fondo, si spinge verso il suo corpo ma, appena gli tocca le spalle, lui si ritrae, fino ad allontanarsi di qualche metro.
«Ecco, ora puoi andartene.»
«Stai dicendo sul serio?»
«Sì, vattene Eva.»
«Ma-»
«Ho detto che te ne devi andare!»
«Vaffanculo, Calum, io l’ho detto che sei bipolare.»
È così che lo lascia da solo, ma ad essere confusi sono entrambi.
 
Scarlett guarda Andrea con occhi tristi, mentre gli stringe le mani.
«Mi mancherai,» sussurra, sebbene il vociare della gente presente in aeroporto non la aiuti. Andrea, comunque, sorride, avvicinandosi a lei e facendo scontrare i loro nasi.
«Sì, anche tu mi mancherai, tantissimo,» borbotta, dandole un bacio a stampo. Insomma, non si vedranno per un paio di mesi, giusto per prepararsi al matrimonio, e Andrea non sa se è pronto a lasciarla nuovamente per lavoro.
Non avrebbe mai pensato che per assicurare un futuro a entrambi avrebbe dovuto fare un sacrificio così grande. La distanza non è affatto uno scherzo, l’assenza si Scarlett, ogni sera, gli divora l’anima.
«Ti amo,» le sussurra, prima di baciarla nuovamente, questa volta con più ardore.
«Anch’io,» dice lei, staccandosi.
Si guardano un’ultima volta, prima che il ragazzo si giri, pronto a tornarsene a lavoro.
Scarlett lo guarda mentre cammina verso il check-in, si morde il labbro inferiore e aggrotta la fronte, perché dovrebbe essere triste, probabilmente in lacrime, non lo rivedrà per tanto tempo, eppure non sente nulla.
Forse una piccola stretta al petto, ma niente di più.
Sospira, si gira e, velocemente, se ne va dall’aeroporto. È ancora presto, sono giusto le otto e mezza di sera e la notte è giovane, no? Forse è per questo che, come di routine, il Nirvana appare di fronte ai suoi occhi qualche minuto di camminata dopo.
Quasi si sente in colpa, ha appena lasciato il suo ragazzo in partenza per andarsene da Ashton, ma scaccia via ogni pensiero ed entra, aspirando il solito odore di paste che invade il locale. Il ragazzo, del resto, le sorride. Non c’è più traccia di stupore nel suo sguardo, come se si aspettasse già una sua visita; ma alla fine passa più tempo con lui che a casa propria.
«Scarlett,» la saluta, uscendo dal bancone e attirando persino l’attenzione dei suoi amici, seduti sugli sgabelli di fronte a lui. La guardano attenti, ma lei ci fa poco caso, troppo impegnata a sorridere ad Ashton, che la stringe in un abbraccio caloroso.
«Dio, come stai?» le chiede, la mano che è finita sul fianco di lei e non sembra intenzionata a togliersi. Scarlett si stringe nelle spalle, poi allarga il sorriso e scontra i loro occhi.
«Sì, è tutto ok, e te?» Ashton le accarezza il fianco e si soffia via un riccio da davanti gli occhi, ma senza risultati, al che la mano di Scarlett scatta come con volontà propria, tirando via quel ciuffo e facendolo sorridere.
«Ora decisamente meglio,» ammicca, sghignazza al rossore sulle guance di Scarlett, facendole arricciare il naso piccolino.
«Dai, vieni, ti posso offrire qualcosa?» le circonda la vita con il braccio, osserva i clienti al lavoro, che è davvero poco, e la fa accomodare a un tavolino, sedendosi a sua volta.
«Offrire magari no, vendere sì. Una bella cioccolata calda non fa mai male, no?» alza un sopracciglio, guardandolo alzarsi di scatto, annuendo e sghignazzando.
«Tanto lo sai che non ti faccio sganciare un soldo,» le dà le spalle, ridendo allo sbuffo irritato della ragazza.
«Potrei essere definita una ladra, per colpa tua, Ashton!» il nominato fa finta di non sentire, ridacchia nuovamente sotto gli occhi degli amici mentre, con più amore del normale, prepara la cioccolata, aggiungendoci della panna.
Scarlett sorride per un attimo, prima di abbassare i propri occhi sulle mani e sussultare, appena nota che porta ancora l’anello. Si guarda attorno, prima di sfilarselo e infilarlo nella borsa,  sperando vivamente che nessuno abbia visto.
«Tutta per te,» le dice Ashton, posandole la cioccolata di fronte al viso.
«Anche la panna?»
«Ovviamente.»
«Così mi farai ingrassare,» scherza, prima di prenderne un enorme sorso, chiudendo gli occhi per assaporarla meglio.
«Dio, sei così bella,» sussurra Ashton, facendole sgranare gli occhi. Scarlett quasi si strozza, posa la tazza sul tavolino in legno e lo guarda; il ragazzo si lascia sfuggire una risatina divertita.
«Cosa?»
«Sei tutta sporca - la grassa risata del ragazza inonda il locale, prima che Scarlett, imbarazzata, si porta il fazzoletto alle labbra - dà qua, faccio io,» e prima che possa dire qualcosa, glielo strappa dalle mani e, con cura,  glielo posa sul viso. Scarlett arrossisce, è più forte di lei. Insomma, le dita di Ashton le sfiorano il viso, mentre lui è così vicino da metterla in imbarazzo.
«Adesso mi dici cos’hai detto?» chiede, appena posa il tovagliolo.
Ashton si schiarisce la voce, poi punta gli occhi decisi e ammiccanti nei suoi.
«Ho detto che sei bella,» ripete, poggiando le braccia sul tavolino.
«Oh, io, hm, grazie, anche tu non sei male.»
«Bene, se io ti trovo carina e tu mi trovi carino, possiamo uscire di nuovo, tu che dici?» ride, Scarlett si sente andare a fuoco.
«Oh, io, hm, non.. - borbotta, titubante; poi ci ripensa - sì, ci sto!» si stringe nelle spalle, poi gli sorride calorosamente.
Perché le piace così tanto sentirsi in colpa?
 
***
Ehilà,
come va?
Scusatemi, come sempre, del ritardo così assoluto, ma è davvero complicato trovare un momento per scrivere, tra studio e uscite.
Comunque, eccoci con Luke e Gioia, lui che le chiede praticamente scusa e lei che non lo lascia solo.
Abbiamo Michael che va a trovare Eloise, regalandole dei cioccolatini ed ecco che la ragazza mette una tregua. Durerà?
C’è un bel bacio tra Calum ed Eva, dopo una furiosa lite che, ovviamente, non è finita. Che sia bipolare sul serio?
Infine, Andrea parte ma Scarlett non è poi così triste e, come da routine, finisce al Nirvana. Ashton parte subito all’attacco, chiedendole di uscire, e lei accetta.
Scusate, ora scappo, ma spero vi piaccia.
Bye bye,

Judith. 

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Capitolo 14
*** Tu sei sbagliato ***




Home is wherever I am with you.

TU SEI SBAGLIATO.
 
“Solo perché commettete degli errori non significa che ne siete uno.”
“Un errore non deve governare l’intera vita di una persona.”
 
Ribollisce di rabbia.
Ha dormito poco, nella notte, presa dalla confusione e dai ricordi, presa dal fastidio di essere stata cacciata via dopo quel bacio così voluto, sentito, disperato. Sì, dannazione, è piaciuto da morire anche a lei; sentiva la terra tremarle sotto i piedi e le mani bisognose di un contatto con Calum, qualunque.
E no, ok, non si sarebbe mai aspettata di ritrovarsi a baciarlo di nuovo, non dopo tre anni senza vedersi. Probabilmente non si aspettava nemmeno di rivederlo, lei era tornata a Sydney per la propria famiglia, per scappare da Jonathan e dal suo abbandono, non per ricongiungersi a Calum.
Ma si dice che il primo amore non si scorda mai, e che sia così?
Magari è solo presa dal momento, dalla situazione, o chissà da cosa.
Qualunque sia, ora si sta dirigendo nuovamente all’officina, il viso imbronciato e le mani strette in pugni, perché no, non le è piaciuto affatto il comportamento del giorno prima. Sì, lo ripete continuamente, lei ha sbagliato e non gli dà nessun torto, quando dice di avercela con lei, ma non può comportarsi prima in un modo e poi in un altro, o lei non capirà mai cosa fare per migliorare la situazione.
Lo trova seduto sul muretto, come poco tempo prima, una sigaretta a pendergli dalle labbra e lo sguardo cupo al cemento.
«Ehi!» grida, facendogli alzare il viso di scatto.
Calum aggrotta la fronte, dando vita a un’espressione confusa, ma non si muove, rimane fermo. Sputa fuori il fumo e stringe la sigaretta tra le dita, mentre la guarda avvicinarsi come una furia.
«Che vuoi?» le chiede, quando è abbastanza vicina da fargli sentire il suo profumo.
Cannella.
Eva gli arriva di fronte, così vicina che le loro gambe si toccano.
«Parlare di ciò che è successo ieri, ovviamente,» dichiara, incrociando le braccia sotto il seno, mettendolo in evidenza e facendo cadere l’occhio al ragazzo, che scuote la testa infastidito.
«Non credo ce ne sia bisogno,» risponde Calum, prendendo un altro tiro e buttando fuori il fumo in piccoli cerchi.
«Io direi di sì, mi hai baciata,» ribatte lei, alzando un sopracciglia biondo e scottando la lingua sul palato.
Calum, in risposta, si lascia andare in una risatina amara.
«Beh, puoi stare tranquilla, ero solo stato preso dal momento, non mi hai fatto nessun effetto,» si stringe nelle spalle e scontra gli occhi scuri con quelli di Eva, assottigliati.
«Nessun effetto?»
«No, nessuno,» Calum ghigna, poi si alza e butta la cicca a terra, schiacciandola con lo scarpone. La sorpassa e va verso il garage.
Non è nemmeno a metà strada, quando si sente prendere da un braccio. Si gira di scatto, indietreggiando appena il corpo di Eva cozza con il suo, abbastanza ferocemente da fargli sentire la pancia più gonfia di quanto dovrebbe essere.
Eva è a pochi centimetri dal suo viso, le mani ben strette sulle sue guance e gli occhi in fiamme.
«Sì, ora vediamo,» ringhia.
È sempre stata orgogliosa, non quel tipo di orgoglio che rovina i rapporti, ma quello che non si fa mettere i piedi in testa e non accetta nessun tipo di rifiuto.
Si preme ancora di più sul corpo del ragazzo, che preso alla sprovvista inchioda le mani sui fianchi burrosi della bionda, prima di attaccare le loro labbra in un bacio furioso.
E non c’è nessun ma e nessun se, ‘ché se prima era per orgoglio, Eva si lascia trasportare sempre di più, con Calum al seguito.
Sente le sue dita premere nella carne, stringendola più stretta. Calum, poi, la spinge verso il garage con il proprio corpo.
«Chi era che non ti faceva nessun effetto?» Eva si stacca leggermente, ride, sente il cuore scoppiarle nel petto e le guance andare a fuoco.
E sembra che tutte le sensazioni la devastino, dopo non averle sentite per anni. E non si ricorda nemmeno se fossero davvero così forti, se sentisse le farfalle svolazzare nel suo stomaco e una voglia di ridere per quanta sia la felicità, ma sa che ora non capisce più nulla, che tra le sue braccia ci sta così bene.
E perché diavolo non l’ha capito prima? Perché solo ora, che tutto è un casino?
«Oh, sta zitta!» borbotta lui, allungandosi per afferrare la saracinesca e chiuderla di botto, prima di spingerle il viso contro il suo, premendo nuovamente le loro labbra insieme.
Eva sorride, non sa resistere, mentre sente la sua schiena cozzare con il cofano della macchina.
 
Scarlett sospira, ha staccato dal lavoro decisamente prima, chiedendo solo la mattina, semplicemente per fare questa maledetta uscita, che aspetta con tutta sé stessa dalla sera prima.
Non lo sa, proprio non riesce a capire, che effetto le fa Ashton, con quel sorriso che illumina costantemente il mondo, le fossette ai lati a cui a lei viene voglia di sprofondarci le dita, il fisico possente e i capelli sbarazzini che ricadono costantemente sugli occhi cangianti, un giorno di un colore e il giorno dopo di un altro.
Andrea l’ha chiamata proprio qualche minuto fa, eppure non ha risposto.
Ora si sta sfilando l’anello, si perde un attimo a guardarlo, così brillante, così prezioso, eppure lei lo nasconde. Perché?
Scuote la testa, prima di entrare all’interno del Nirvana, individuando immediatamente la figura di Ashton, vestito con un paio di jeans neri e una felpa grigia, che sta parlando con un suo collega, come a dargli ordini. Ha un po’ di roba in mano, come chiavi, portafoglio e telefono, e Scarlett ha ben capito che sta proprio per andarsene, così da potersi vedere con lei.
Ashton dà una pacca sulla spalla all’amico, prima di girarsi verso la porta, scorgendola davanti a essa, con le mani incrociate e i capelli castani a circondarle il viso. Le sorride, come suo solito, in maniera così smagliante che, il sole, potrebbe invidiarlo.
«Ehi,» la saluta, a un passo da lei, chinandosi per darle un bacio sulla fronte. Scarlett arrossisce, al contatto con le labbra soffici del ragazzo, e gli sorride di conseguenza, lasciandosi stringere dalle braccia possenti.
«Ciao, Ashton,» poggia le mani sulle sue spalle, mentre si stacca leggermente per poterlo guardare negli occhi.
«Sei pronta?» le afferra una mano, uscendo prontamente dal locale, guardandola arrossire ancora di più con sguardo divertito.
«Direi di sì, dove mi porti?» gli chiede. Lui scrolla le spalle, apre la porta della macchina e la invita a sedersi, prima di metterla in moto.
«Oh, è un posto semplice,» le sorride, birichino, perché gli è sempre piaciuto far rodere le persone dalla curiosità.
Scarlett sbuffa, ma ormai lo sa che è inutile provarci, ‘ché Ashton non le dirà niente fino all’arrivo.
Scendono dall’auto qualche minuto dopo e Ashton le porge la mano, sorridendo appena Scarlett sbatte le palpebre, sicura di aver già visto quella palazzina. Salgono lentamente le scale, fino a che Ashton non infila un paio di chiavi in una serratura.
«Aspetta un attimo,» borbotta lei, grattandosi il naso, confusa, mentre la porta viene aperta.
«Sì?»
«Siamo a casa tua?»
«Sei piuttosto perspicace, lo devo ammettere - scherza, dirigendosi verso il divano e afferrando due DVD che stavano su di esso - film, cioccolata calda e un bagno a pochi metri di distanza, cosa chiedi di meglio?» si stringe nelle spalle, facendola ridere.
«E io che pensavo volessi fare sesso,» scherza, buttando la borsa a terra.
Ashton sgrana gli occhi e la bocca, prima di scoppiare a ridere. Butta i DVD sul divano nuovamente, poi si fionda verso di lei, inchiodandola alla porta.
«Perché, ci saresti stata? Siamo ancora in tempo per cambiare programma,» sussurra, le mani ben piantate ai lati della sua testa.
Scarlett ha il respiro tremolante, gli occhi azzurri puntati in quelli di lui e sente i loro corpi cozzare con gentilezza. Ashton continua a ghignare, il viso troppo vicino rispetto al solito.
E Scarlett dovrebbe allontanarlo e, soprattutto, non dovrebbe sentire niente, eppure non può fare a meno di pensare ai loro corpi che combaciano, al fiato del ragazzo che le sbatte sul viso e alla sua voglia quasi infrenabile di toccarlo.
«Io.. io.. cosa?»
Ashton rimane qualche secondo in silenzio, sul viso aleggia ancora il ghigno.
«Quindi, Alice In The Wonderland… o Amici Di Letto?» marca l’ultimo titolo con forza, come se stesse mandando una frecciatina, al che Scarlett deglutisce, la vicinanza sembra aumentare.
«Vada per Alice,» soffia, la voce quasi strozzata.
Ashton la guarda per qualche secondo, prima di sorridere apertamente.
«D’accordo, lo preferivo anch’io!» dice, staccandosi di scatto e correndo verso il televisore.
Scarlett rimane interdetta per un attimo, lo guarda con confusione, poi si dice che Ashton è semplicemente Ashton, con le sue stranezze.
E a lei sta bene così.
 
Gioia lo guarda da lontano, mentre sta tranquillamente parlando al telefono, forse con Eloise, o con qualche suo amico, vallo a sapere, e non può fare a meno di pensare a quanto sia bello, stretto nei suoi vestiti scuri, persino con le occhiaie sotto gli occhi azzurri, spenti, a differenza degli anni precedenti, da come ha potuto notare nelle foto a casa sua.
Si sfiora le labbra delicatamente, al ricordo del loro bacio - o quel che era - e, ok, magari non è stato che un tocco tanto leggero da non essere sentito, ma lei non può fare a meno di ricordarsi il loro sapore di tabacco e la morbidezza. Non può fare a meno di ricordarsi il viso vicino del ragazzo e il profumo di dopobarba che l’ha invasa, inebriandola.
E ok, deve aspettare, deve fare le cose con calma, perché si tratta di Luke e ne ha passate tante, ma quanto vorrebbe andare da lui e baciarlo, così, seduta stante, senza dargli nemmeno il tempo per capire.
Scuote la testa ferocemente, da quand’è che fa pensieri del genere? Poi sospira, iniziando a dirigersi verso il ragazzo a passo lento, mentre lo vede sorridere verso il nulla, il telefono ancora premuto sull’orecchio.
La vede, allarga il sorriso, la invita ad avvicinarsi, mentre cerca di liquidare chiunque sia dall’altro capo del cellulare.
«Sì, sì, d’accordo.. possiamo parlarne questa sera? Davvero, ora sarei impegnato. Senti, Calum, ti chiamo più tardi,» poi chiude, probabilmente senza dare il tempo di rispondere all’amico, e si gira verso di lei.
«Ciao, Gioia,» la saluta, avvicinandosi un poco di più per circondarle il busto fino con le braccia, affondando il viso  nel collo, sentendo il naso solleticato dai capelli mori.
«Ciao, Luke, come va?» gli sussurra all’orecchio, incastrando le braccia attorno al busto di lui.
«Bene, adesso, e a te?» si staccano, Luke le afferra una mano, poi la costringe a seguirlo, in direzione di una panchina. Gioia sente già un formicolio passarle per la schiena, alle loro dita incrociate.
«Bene, adesso,» ripete il suo gioco, quando si siede al suo fianco, con un sorriso sulle labbra piene e le guance più rosee del solito.
Luke ridacchia, poi si gira a guardarla, cercando di imprimersi in testa ogni tratto del viso. Gioia ha le sopracciglia spesse, delle lentiggini leggere sul naso e gli occhi scuri, ma di un taglio allungato e grande. Ha i capelli lisci che le ricadono attorno al volto, a volte li tiene dietro le orecchie per non farli cadere sugli occhi, e ha il sorriso più luminoso e bello che abbia mai visto.
Persino migliore di quello di Ashton.
«Perché mi guardi così?» borbotta lei, arrossendo maggiormente, portandosi, come suo solito, le ciocche dietro le orecchie.
«Oh, io, uhm, scusa, non volevo metterti in imbarazzo,» Luke si passa una mano fra i capelli biondi, poi ride, abbassando lo sguardo verso il terreno.
«Tranquillo,» si lascia sfuggire lei, stringendosi nelle spalle fine e scoprendo i denti bianchi.
Luke si schiarisce la gola, si guarda un po’ attorno, poi si gira nuovamente verso di lei.
«Io, sì, insomma… questa sera vado al Nirvana, è un bar poco distante da qui, di un mio amico, vuoi venire? Ti presento i miei amici.. e c’è anche Eloise,» balbetta, torturando le proprie dita.
Gioia sgrana gli occhi, decisamente stupita. La sta invitando a conoscere i suoi amici? Ad entrare ancora di più all’interno della sua vita?
Certo, sarebbe davvero imbarazzante, ma a lei che le costa? Poi ci sta anche Eloise.
E Luke.
 A lei basta lui.
«Oh, va bene, direi,» dice, sorridendo e alzando le spalle.
Luke si illumina, sorride apertamente, poi la stringe a sé, come fa ogni volta che lei si rende disponibile nei suoi confronti.
«Grazie mille, verrò a prenderti alle otto, va bene?»
«Va benissimo, Luke.»
 
Il Nirvana è poco popolato, sarà che è un giorno settimanale e non di certo un sabato, ma a loro va bene così, che tanto gli interessa solo di starsene insieme, con una birra in mano.
Ashton continua a sorridere da minuti interminabili, sotto gli occhi confusi e curiosi di Michael, che ha le sopracciglia aggrottate e una birra in mano.
Certo, Ashton sorride sempre, ma non così.. tanto.
«Amico, ti sei fatto di qualcosa?» chiede, dopo pochi minuti. Sono solo loro due, stanno aspettando gli altri, e Michael coglie l’occasione per farlo parlare, ‘ché magari di fronte agli altri non avrebbe detto nulla.
Ashton lo guarda, non riesce a smettere di sorridere nemmeno volendolo, quindi si stringe nelle spalle.
«Una ragazza,» borbotta, così piano che quasi non riesce a sentirlo, Michael.
«Quella Scarlett che ogni tanto appare qui? Beh, fattelo dire, è una grande gnocca,» dice, ridacchiando.
«Oggi abbiamo passato il pomeriggio a casa mia.»
«Oh mio Dio! Te la sei già fatta?» Michael sgrana gli occhi, si allunga di più sul bancone, lasciando interdetto Ashton.
«No, certo che no, idiota! Non ci siamo nemmeno baciati, voglio andarci piano, lo sai che non mi fido,» si incupisce per un attimo, i ricordi lo infastidiscono.
«Ashton, non tutte sono come quella troia, e prima o poi arriverà qualcuna che ti non ti ferirà,» Michael gli sorride rassicurante e Ashton non ha il tempo di rispondere, che la porta si apre, rivelando Eloise e Calum. Si limita a un sorriso verso l’amico, allora, come a ringraziarlo.
«Oh, dolcezza,» sghignazza il tinto, appena Eloise si accomoda al suo fianco.
«Non iniziare, coglione,» grugnisce, afferrando la birra offerta da Ashton e prendendone subito un lungo sorso.
Michael aggrotta la fronte, giusto il giorno prima hanno passato un tranquillo pomeriggio assieme, e ora ecco che è tornata come prima. Cos’ha fatto di sbagliato?
«Cos’hai?» sussurra nella sua direzione, serio.
«Nulla, perché?»
«Mi stai trattando nuovamente male, ho fatto qualcosa di sbagliato?»
«Tu sei sbagliato - dice, ridendo amara - e quando mai non ti ho trattato male? Ieri era un momento di debolezza, avevo bisogno di qualcuno, e tu eri a mia disposizione,» aggiunge, cattiva.
Certo, Eloise è sempre stata stronza, ma mai così tanto.
Mai così tanto da ferirlo.
«Quindi mi hai praticamente usato?» chiede lui, le mani che si stringono attorno alla bottiglia di vetro.
«Sì, immagino di sì,» alza le spalle, prende un altro sorso, sotto lo sguardo ferito del ragazzo.
Michael si alza, la sedia struscia, poi sbatte la bottiglia sul tavolo, abbastanza forte da romperla, prima di dirigersi velocemente verso i bagni, lasciando tutti interdetti.
A parte Eloise, impassibile.
«Che è successo?» la voce arriva alle spalle e lei si gira, ritrovandosi lo sguardo confuso di Luke, che tiene la mano a Gioia, subito al suo fianco.
«Nulla - borbotta, fingendo un sorriso - ehi, Gioia, sono felice di vederti,» fa un cenno di saluto con la mano.
Gioia sorride di conseguenza, sebbene non abbia ancora capito la situazione.
«A me non sembra affatto nulla, Eloise, che cosa gli hai detto?» il tono di Ashton è quasi un rimprovero, la guarda male, mentre Luke si avvicina e porta con sé Gioia, facendola sedere al suo fianco.
Eloise rimane in silenzio, abbassa gli occhi azzurri verso il bancone, scuote la testa e sorride mesta.
«Nulla,» vocifera strozzata.
«Eloise!» Ashton sbatte un pugno sul tavolo, appena pulito dai pezzi di vetro e la birra.
«Senti, dovevo, ok?» sbraita lei, gli occhi lucidi.
Luke si passa una mano fra i capelli. E lui che voleva passare una serata tranquilla, facendo conoscere a Gioia i suoi più cari amici.
«Dovevi? Cosa, dovevi? Ferirlo? Non so cosa gli hai detto ma non credo siano stati complimenti.»
«D’accordo, ora basta - Calum si unisce, mette a tacere i due, poi si gira verso Eloise - dicci solo perché,» e lei scontra i suoi occhi con quelli scuri dell’amico, li trova più lucenti del solito, ma non ci fa granché caso.
«Non posso permetterglielo, d’accordo? - sussurra, passandosi le mani fra i capelli biondi - non posso permettergli di farmi innamorare di nuovo.»
«Il fatto è che tu non hai mai smesso,» Calum, che è l’unico a poterla davvero capire, le accarezza una mano.
Luke, del resto, si lascia sfuggire un sospiro, guardando con dolcezza la propria sorella, sotto lo sguardo candido dell’amica.
«D’accordo, passiamo ad altro - Ashton sbatte le mani tra di loro e si gira verso la mora, sorridendo - tu devi essere Gioia, Luke non fa altro che parlare di te.»
Gioia non può fare altro che arrossire violentemente, mentre afferra la mano che le porta il ragazzo.
E subito aver conosciuto i due presenti - il terzo le manca - capisce che quel gruppo ha bisogno di una sola cosa: aiuto.
 
***
Ehilà,
come va?
Allora, inizio dicendo che parto proprio questo pomeriggio e tornerò tra una decina di giorni e non avendo il prossimo capitolo pronto, ci metterò un po’ prima di aggiornare.
Iniziamo con il secondo bacio tra Eva e Calum, ‘sti due sono la mia morte.
Abbiamo Scarlett e Ashton, un momento un po’ più intimo del solito.
Poi ovviamente la coppia dell’anno, Gioia e Luke, lui che la invita al Nirvana.
Infine, Eloise ferisce appositamente Michael, per allontanarlo nuovamente, che è davvero spaventata dai sentimenti che prova verso il ragazzo. Ma forse l’ha ferito davvero.
Vi lascio.
Bye bye,

Judith. 

 

 

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Capitolo 15
*** Pazienza ***



 
Home is wherever I am with you.
PAZIENZA.
 
“Perdere la pazienza significa perdere la battaglia.”
“Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.”
 
10.53
“Vieni all’officina”
Questo è tutto ciò che le scrive Calum, eppure Eva non riesce a nascondere un sorriso luminoso, quasi accecante.
Si alza dal letto con troppo velocità, tanto che per poco perde l’equilibrio. Ha fatto colazione da poco, ma è ancora in pigiama. Del resto, sperava di potersene stare sdraiata ancora un po’, ma quello che sta per fare è decisamente meglio di una mattinata passata a oziare.
In meno di dieci minuti è totalmente vestita di bianco - il suo colore - e truccata leggermente, giusto per apparire al meglio. Si lega i capelli in una treccia poco ordinata, forse per la fretta, e senza nemmeno salutare la madre corre di fuori, diretta all’officina.
Non riesce a reprimere il sorriso che le incornicia il viso, né riesce a rallentare il passo veloce, sebbene i sandali che porta ai piedi non siano dei più comodi. Quasi si maledice, per aver scelto quelli al posto di altri.
Quando arriva, Calum è in piedi di fronte al garage, le braccia incrociate e lo sguardo perso tra l’asfalto. I tratti orientali ben delineati e la pelle ambrata sporcata dal grasso delle macchine, eppure a Eva non può che apparire più.. uomo.
Infondo, l’aveva lasciato un ragazzo, ancora non si è abituata alla nuova visione.
Gli arriva di fronte che ha un po’ di fiatone, tanto si è sbrigata.
Calum alza gli occhi scuri e li scontra con quelli di lei, risvegliandosi da chissà quali pensieri, prima di sorridere e spingersi con bisogno verso di lei, afferrandole il viso con le mani e imprigionando le labbra piene e rosee della ragazza con le proprie.
Eva, presa alla sprovvista, sgrana gli occhi chiari, prima di lasciarsi andare e stringere a sé il ragazzo.
«Così di fretta?» sussurra, una volta che si sono staccati per riprendere fiato.
«Ho aspettato tre anni per baciarti di nuovo, permetti?» risponde lui, alzando entrambe le sopracciglia e leccandosi il labbro inferiore, portando gli occhioni scuri dalla bocca di lei allo sguardo chiaro.
Eva ride, continuando a tenere le mani tra i capelli mossi e scuri del ragazzo, che si morde il labbro inferiore quasi fino a sanguinare.
«Dio, mi eri mancata,» sussurra Calum, accarezzandole lentamente una guancia con un dito, vedendola arrossire violentemente sotto il tuo tocco.
Eva non ci crede che giusto fino a due giorni prima si insultavano tranquillamente e ora sono uno nelle braccia dell’altra.
«Anche tu,» ed è vero, sebbene abbia cercato di negarlo a sé stessa ogni qual volta gli veniva nella mente il viso scolpito di Calum.
Calum sospira, poi si stacca e le afferra una mano, costringendola ad entrare nell’officina e a sedersi su uno sgabello.
«Non ho mica fatto la maratona,» protesta a un suo “sarai stanca”, imbrociandosi.
«Ma sei incinta, ogni passo per te ne saranno cento,» ribatte lui, guardando distrattamente il pancione gonfio.
«Oh, come sei esagerato,» sbuffa lei, alzando gli occhi al cielo, mentre il ragazzo ridacchia divertito.
Calum si passa uno strofinaccio attorno al viso, pulendo un minimo i segni neri sulla pelle, prima di avvicinarsi alla scrivania.
«Fai un salto da Michael, dopo,» le dice, senza girarsi a guardarla, afferrando la borraccia d’acqua e riempiendo un bicchiere di plastica.
«E per quale motivo?» Calum si avvicina a lei, le porge l’acqua fresca e si stringe nelle spalle.
«È di cattivo umore, qualcuno che lo ascolti non fa mai male, e te sei l’unica che non lo giudicherebbe mai, qualunque cosa succeda,» le sorride, le scioglie i capelli dalla treccia, lasciandoli ricadere sulle spalle, e le afferra il bicchiere, posandolo a terra.
«Come potrei giudicarlo?»
«Beh, ne ha fatte di cazzate.»
«E anche io, lui è rimasto comunque. Siamo anime gemelle,» ridacchia, soprattutto all’espressione disgustata del ragazzo di fronte a lei, che porta le mani callose sulle sue guance.
«Ora non esagerare,» borbotta, scuotendo la testa per eliminare chissà quale immagine dalla propria mente.
Eva ride, si alza in piedi e lo guarda, mentre sente le mani di lui scorrere sui fianchi carnosi.
«Sei così morbida,» mormora tra i denti, mentre le stringe la carne tra le dita, un luccichio di eccitazione nello sguardo.
«Sono una botola, ecco perché,» si lamenta lei, che con quel pancione si sente così.. gigante.
«No, sei bellissima, dannazione - le sfiora le curve - mi piace stringere qualcosa, nei momenti intimi,» ammicca, facendola ridere.
«Sei un pervertito.»
«Può darsi.»
 
Michael sospira, mentre si avvicina all’ingresso della propria casa. È dalla sera prima che non sorride, nemmeno ha conosciuto Gioia, la tanto acclamata amica - ragazza? - di Luke, che se ne è scappato appena uscito dal bagno.
Certo, sa che il biondo non ci è rimasto poi così bene, era così entusiasta all’idea di integrare Gioia nel loro gruppo, ma chissà se vorrà ancora starci, dopo aver visto come sono?
Amici sbandati e senza più quella scintilla di felicità che li rappresentava, ecco cosa sono, ecco cosa appare agli altri. C’è il depresso cronico, la stronza, quello che soffre di rabbia repressa e un tipo strambo che cerca sempre di migliorare la situazione con una birra.. e poi ovviamente c’è lui, un coglione.
Scuote la testa violentemente, inutile starsene a pensare a ciò che sono diventati, soprattutto mentre il campanello suona con impazienza da ben cinque minuti. Apre la porta di scatto, già visibilmente scocciato dall’intrusione di chissà chi.
«Finalmente, mi stavo per arrendere,» Eva sbuffa, spingendolo un poco all’indietro per potersi accomodare all’interno dell’abitazione, disordinata. Si guarda attorno, storce il naso e fa una smorfia con la bocca, descrivendo perfettamente ciò che pensa.
«Preferivo lo facessi,» brontola il tinto, incrociando le braccia e avvicinandosi al proprio divano nel salotto, scostando con disinteresse le varie scatole di pizza, vuote, sopra. Eva ridacchia, poi si accomoda accanto a lui, cercando di non curarsi del proprio vestito.
Non sia mai sia rimasta qualche chiazza di sugo, Michael si sbrodola facilmente.
«Mi avevano avvertito del tuo malumore,» commenta, alzando entrambe le sopracciglia bionde e osservando di sottecchi il broncio sul viso del proprio migliore amico, che si gira verso di lei, affinando gli occhioni di giada.
«Chi?» le chiede, prendendola di sorpresa. Eva arrossisce, poi fa una mossa di svago con la mano.
«Non ha importanza - borbotta, prima di puntare gli occhi in quelli del ragazzo - vuoi dirmi, invece, cos’hai? Non ti si vede facilmente così imbronciato,» aggiunge, affinando le labbra piene.
Michael sbuffa, si stringe ancora di più nelle spalle e porta gli occhi sul muro di fronte a sé, senza l’intenzione di rispondere.
«Michael?» sussurra Eva, avvicinandosi leggermente di più.
«È che non so più che fare, d’accordo? - sbotta, aprendo di scatto le braccia e facendo sussultare Eva - ogni mio passo avanti sono dieci indietro per lei. Ci sto provando con tutto me stesso a riconquistarla, ma lei non fa altro che.. che.. insultarmi e allontanarmi - si passa le mani tra i capelli fino a farle strisciare con forza sul proprio viso, arrossandolo - e ieri - fa una risatina amara - io ci speravo che non si comportasse come al solito, e invece ecco che tira fuori uno dei suoi insulti. Mi sono sentito.. ferito.»
Eva sbatte le palpebre, ha perfettamente capito di chi parla. Eloise, del resto, è la sua unica e vera debolezza.
Gli passa una mano sulla schiena, avvicinandosi delicatamente e sorridendo appena.
«So che è dura, Mich, lo posso immaginare, ma non ti devi arrendere. Lei fa la mantenuta perché non si riesce a fidare di te, ma si vede lontano un miglio che prova ancora qualcosa - sospira, mordendosi il labbro inferiore - è solo ancora arrabbiata.»
«È arrabbiata da tre anni.»
«L’hai ferita, cosa ti aspettavi? Che dopo una settimana stavate di nuovo insieme?»
«Beh, ci speravo.»
Eva scuote il capo, ridacchia leggermente. Michael, a volte, nemmeno si accorge degli errori che fa.
«Sono sicura che le cose si risolveranno, Mich,» mormora, prima che il ragazzo accenni un sorriso. Annuisce leggermente, alla fine ne è sicuro anche lui.
Ok, forse non proprio sicuro, ma ci spera.
«Adesso mi dici chi ti ha detto del mio malumore?» chiede, visibilmente confuso, alzando entrambe le sopracciglia.
Eva trasale, prima di alzarsi in piedi e sistemarsi il vestito.
«Si è fatto tardi, devo proprio and-»
«Tu non te ne vai finché non mi hai detto chi è stato. Cosa nascondi, Palmer?»
«Uhm, nulla,» Eva si gira, scappa verso la porta.
«Eva, dimmelo!»
«No.»
«Eva, dai, di cosa hai paura?» delle tue mille reazioni, dopo.
Si schiarisce la gola, alla fine, e apre la porta.
«Calum,» sussurra, prima di sparire all’esterno della casa. Lo sente ancora urlare qualcosa come “cosa? Oh mio Dio! Eva torna qui, voglio delle spiegazioni”, ma lei è già lontana.
 
«I tuoi amici non sono male,» Gioia si stringe nelle spalle, mentre tiene con le dita il proprio frappé e si porta la cannuccia alle labbra. Il cioccolato le invade il palato, facendole socchiudere gli occhi per il piacere. È il suo gusto preferito, non c’è niente da fare, lo ama da impazzire.
Luke la guarda per qualche secondo, poi abbassa gli occhi cerulei verso l’asfalto, incrociando le caviglie e ammiccando un sorrisino apatico.
«Ma non sono granché,» commenta, guardandola di soppiatto.
Gioia ricambia l’occhiata, scuote la testa e si avvicina a lui di poco, giusto per toccargli la mano con la propria, incrociando le dita con quelle del ragazzo.
«So che è successo qualcosa, non eravate così, nessun gruppo d’amici lo è. Probabilmente dovete solo tornare a vedere il meglio delle cose, al posto di aggrapparvi al peggio, o al passato,» mormora, sicura di sé. L’ha visto negli occhi di ognuno di loro che non c’è traccia di futuro, a malapena del presente, ma solo del passato. Li invade come se non avessero altro a cui aggrapparsi.
«Non è facile scordarsi del passato, tanti di noi ci trovano conforto,» Luke si stringe nelle spalle, ammicca nuovamente un sorrisino mesto, scontra gli occhi glaciali con quelli di lei, che man mano si addolciscono.
«Ma altri ci trovano ferite, dolore, rabbia, o sbaglio?» ed è tentata di aggiungere il nome di Eloise, giusto per fargli aprire un minimo gli occhi.
Lo sa che Eloise si aggrappa a un passato doloroso, probabilmente che ha a che fare con quel tipo che non è riuscita a conoscere. Vede come cerca di aiutare il fratello, scordandosi di aiutare sé stessa.
«No, hai ragione,» borbotta lui, sospirando.
Avrebbe voluto che li avesse conosciuti in altre circostanze, magari con un vero sorriso che aleggiava sulle labbra ormai vuote da un po’; invece l’ha portata nella loro tana, le ha mostrato il loro vero essere. Nessuno tra loro è felice, nessuno tra loro si sente bene.
Si chiede solo come ha fatto Gioia a resistere quelle due ore, a guardarli in viso scorgendo quei tratti duri e freddi mal celati da un sorriso di circostanza. Come ha fatto ad assistere allo sguardo perso di Eloise e a far finta di nulla quando la ragazza non segui va i suoi discorsi?
«Sei così.. paziente,» dice Luke, stringendole di poco la mano con la propria e sorridendo.
Non ha termine migliore con cui giudicarla.
Gioia è una persona paziente. Aspetta e aiuta lentamente, senza mettere fretta a nessuno.
Lui compreso.
«Beh, trovo sia giusto che ognuno si prenda i suoi tempi,» Gioia si lascia sfuggire un sorriso luminoso, si stringe di poco addosso a Luke, che non può fare a meno di assaporarne il contatto.
«Ma come fai a resistere?» lui, del resto, è sempre stato uno frettoloso.
A parte in questo caso, si intende.
«So che ne vale la pena, di aspettare,» si stringe nelle spalle nuovamente, si morde il labbro inferiore e alza gli occhi castani in quelli del ragazzo, incastrandoli. Luke rimane in silenzio.
Ne vale la pena?
Non riesce a comprendere per cosa, ma non ha voglia di chiederglielo.
Se Gioia dice che aspettare è buono, lui non può che esserne felice. Lei gli sta dando del tempo, senza però lasciarlo solo; gli sta accanto come mai nessun altro è riuscito a fare.
«Grazie,» le bisbiglia, l’altra mano che si posa sulla coscia di lei.
«E per cosa?»
Luke guarda dritto di fronte a sé, sorride leggero e alza le spalle.
C’è un vero e proprio motivo per ringraziarla?
Beh, in effetti sì: la sua sola esistenza.
«Per tutto,» si limita a dire, dandole un veloce bacio sulla tempia.
E vorrebbe di più, ma non ora.
 
«Ho la giornata libera,» Ashton sorride, si lascia andare sulla propria sedia girevole, di fronte a sé ha il computer acceso, una pagina su cui aveva scritto qualche bozza aperta.
«Uhm, beh, ogni tanto ci vuole, no?» Scarlett, dall’altro lato del telefono, si lascia sfuggire una risatina. Il semplice fatto che Ashton non l’ha nemmeno salutata, ma è subito partito con quella frase, l’ha lasciata basita.
Sì, insomma, solitamente la gente saluta, fa qualche domandina di cortesia. Ma ovviamente si sta parlando di Ashton Irwin e lui non rientra nei canoni della norma.
Anzi.
«Sì, direi di sì, specie se ho intenzione di passarla con la più bella donna su questa terra,» quasi arrossisce, a dire queste parole. Non è certamente uno che si vergogna, ma sono comunque parole di un certo calibro e lui non è più abituato a fare la corte a una ragazza.
«Tua mamma?» scherza Scarlett, sentendolo ridacchiare con voce leggermente più metallica.
«Beh, non hai tutti i torti ma no, non è mia madre la donna più bella su questa terra, al momento,» si stringe nelle spalle, si morde il labbro inferiore e aspetta solo che Scarlett chieda, sebbene lei sappia quale sia la risposta.
«E chi sarebbe mai?»
«Ovviamente tu, dolcezza,» cerca di dare un tocco di lussuria al tono, sente del silenzio dall’altro lato e sorride, perché, quando si tratta di Scarlett, il silenzio non è mai una brutta cosa.
«Così mi lusinghi,» soffia lei, la voce quasi strozzata.
Non che non se lo aspettasse, sapeva che Ashton si stesse riferendo a lei, ma sentirselo dire fa tutt’altro effetto. Insomma, è sempre un certo tipo di complimento, uno di quelli quasi ingestibili, così come il tremolio che ha invaso le sue mani.
Si schiarisce la gola, cerca di riprendersi un minimo, e sorride.
«Passo da te?» chiede lui, si rigira un ricciolo tra le dita, mentre guarda di fronte a sé con impazienza.
«No, passo io, casa mia è troppo confusionaria.. e la tua ha un certo fascino,» sorride, si tocca le guance rosse e bollenti, mentre già si sta infilando un paio di tacchi.
«Almeno vengo a prenderti, non mi va che ti fai la strada da sola,» Ashton, del resto, ha già le chiavi della macchina in mano, se le sta rigirando tra le dita.
«D’accordo, sì, mi faresti un gran favore.»
Ci vuole poco e lei è già sul sedile dell’auto del ragazzo, che le sorride smagliante.
«Speravo accettassi,» le dice, allunga una mano per posarla su quella della ragazza, le accarezza le nocche delicatamente.
«Come posso perdermi una splendida serata di film, pizza e-»
«Sesso sfrenato? Già, chi mai farebbe una cazzata simile?» Scarlett arrossisce, gli tira una sberla sul braccio, mentre lo sente ridere apertamente.
«Idiota, che pensieri fai?» ride anche lei, ancora un po’ sconcertata all’idea di loro due a.. beh, a fare quello. Ma poi, come gli salta in mente?
«Scusa, mi vengono spontanei.. anzi, un po’ ci spero, sai come mi potrei vantare con i miei amici? L’hanno detto che sei una gnocca,» Scarlett arrossisce nuovamente, poi ride.
«E quindi sarei solo un trofeo, hm?» alza entrambe le sopracciglia, incrocia le braccia e sorride, mentre Ashton annuisce falsamente.
«Sì, direi di sì. Cosa credevi? Che fossi il mio vero amore? Tesoro, quelle cose esistono nelle favole - ride, poi si gira a guardarla, mentre lei sorride sotto i baffi e sta al gioco - io sono un tipo da sveltine,» aggiunge.
E magari fosse così, perché più i giorni passano, più il suo viso fa capolinea nella sua testa giorno e notte. Non riesce più a levarsela dai pensieri e questo lo spaventa, ma lo esalta allo stesso tempo.
«Io credo nelle favole, sai? Tipo La Bella e La Bestia - ribatte lei - io sono la bella e tu, ovviamente, la bestia, per quanto peloso sei,» Ashton si guarda le braccia, fingendosi offeso.
«Ehi, non sono poi così peloso,» ride, le dà una leggera spinta con la mano.
 «No, giusto quanto a un orso grizzly, tranquillo.»
«Che stronzetta!»
 
***
Ehilà,
come va?
Scusatemi, scusatemi davvero infinitamente per l’enorme ritardo che ho fatto, ma dopo essere tornata da dieci giorni senza internet ho avuto un vuoto e non sapevo assolutamente cosa scrivere.
Mi sono un po’ sforzata per far uscire questo capitolo, ma quest’estate non è libera come speravo. Ho tantissime cose da fare, troppe, quindi credo che il ritmo lo riprenderò a settembre direttamente, anche se cercherò di aggiornare il più possibile, non posso farvi patire ogni volta.
Comunque, Calum ed Eva si sono riappacificati per bene.
Eva va a parlare con Michael che, povero, è giù di morale.
Un bel momento tra Gioia e Luke.
Infine Scarlett e Ashton che non possono mai mancare.
Bye bye,

Judith. 

 

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Capitolo 16
*** Tu l'amavi? ***



 
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TU L’AMAVI?
 
“La grande tragedia della vita non è che gli uomini muoiano, ma che cessino di amare.”
“È una sventura non essere amati; ma è un affronto non esserlo più.”
 
Sono le sei e mezza del pomeriggio e, finalmente, si è decisa a fare ciò che le sta dicendo la testa dalla stessa mattina. Non era molto felice di farlo, insomma, non è che poi è così pronta, ma le tocca, inutile continuare a fare finta di niente quando sente il cuore stritolarsi alla sola idea che, beh, non c’è più.
È corsa da un fioraio da poco, ha comprato uno splendido mazzo di Peonie rosa, ovvero le preferite di Zoe, almeno da quel che si ricorda lei.
Arriva davanti al cancello di ferro che ancora non ci crede, di aver avuto un’idea del genere. Del resto, non è mai nemmeno venuta a trovare sua nonna, al cimitero. Le sembra una perdita di tempo, chi è morto non sta di certo sotto terra, lì ci hai giusto lasciato il corpo, o almeno questo è ciò che ha sempre pensato Eva, sin da quando era una bimba che aveva appena scoperto cosa fosse la morte e ne aveva il terrore.
Ne ha ancora adesso, ma chi non lo ha?
La morte, alla fine, è sconosciuta a tutti.
Non si ha mai certezza di dove porti, se a una vera fine o a un nuovo inizio, ma solo supposizioni.
Forse è per questo che Eva crede, preferisce pensare a qualcosa di bello, dall’altra parte, che al niente.
Entra lentamente all’interno del luogo, una distesa verde e grigia, piena di lapidi che fuoriescono dall’erba e rendono il luogo lugubre e triste. Ma alla fine è un cimitero, come dovrebbe sembrare?
Si avvicina lentamente alle lapidi, iniziando a leggerne tutti i nomi. E chi lo sa dove sta la sua Zoe?
Quasi spera di non trovarcela, lì in mezzo, perché allora sarebbe tutta realtà, tutto ciò che le è venuto detto.
Dei brividi le corrono lungo il corpo, facendola bloccare sul posto per qualche secondo.
Sospira, prima la trova, prima lascia i fiori e prima se ne va, no? Come se fosse solo un sogno e che Zoe sia semplicemente partita.
Continua a cercare con gli occhi, ma sta ancora alla prima fila, è solo quando li alza che si blocca di colpo.
Riconosce quella schiena, le spalle larghe e i capelli biondi tirati su in un ciuffo scombinato.
Aggrotta la fronte, ma è più che sicura che lui stia lì per la stessa persona di lei. Si avvicina titubante, cercando di fare il meno rumore possibile, fino a che non se lo ritrova davanti.
Lui non sembra aver notato la sua presenza, singhiozza rumorosamente e senza vergogna, stringendosi le ginocchia al petto e affondandoci il viso. Eva è quasi tentata di abbracciarlo silenziosamente, ma rimane ferma alle sue parole.
«Mi sembra di tradirti, sai? Io.. io.. è da così tanto che te ne sei andata, eppure io continuo ad amarti, o almeno lo penso. Che sia solo il riflesso di ciò che provavo a suo tempo? Dio, io… sei stata la mia vita e io.. mi sento così in colpa - Eva sgrana gli occhi, ascolta attentamente ogni parola - Gioia è così.. ti sarebbe piaciuta, ne sono sicuro, e a me piace così tanto, ma mi sembra di lasciarti andare ogni volta un poco di più, così… come posso? Come posso lasciarti andare con tutto l’amore che ho provato per te?»
«Tu l’amavi?» il sussurro di Eva risulta rumoroso, nel silenzio del cimitero.
Luke si gira di scatto, la guarda tra il sorpreso e il colpevole, ma rimane il silenzio, mentre sente le lacrime continuare a uscire.
Eva porta gli occhi sulla lapide, legge attentamente il nome della sua migliore amica e realizza, piano, che non è affatto uno scherzo. Si accascia accanto a Luke, si porta una mano sulle labbra e soffoca il pianto isterico, mentre le braccia dell’amico la stringono.
Insieme, sfogano il loro dolore.
 
Suonano al campanello, facendola risvegliare dal suo stato di trance.
Sbuffa, non ha poi così tanta voglia di compagnia, preferisce di sicuro la solitudine, sarà che si è svegliata male. L’idea di dover parlare e magari rispondere pure educatamente - cosa che le riesce difficile persino nei suoi giorni migliori - le fanno uscire un grugnito di fastidio dalle labbra piccole e rosee.
Si lascia scappare uno sbadiglio, prima di spalancare la porta in legno, sgranando gli occhi cerulei appena lo sguardo furioso di Michael centra il suo. Ha la mascella contratta, le mani incastrate nelle tasche della giacca di jeans e il mento reclinato verso il basso.
«Cosa ci fai qui?» balbetta.
Solitamente mostra più decisione, ma la rabbia dentro gli occhi di giada del ragazzo la fanno ritirare lentamente in un guscio di timore e insicurezza.
Michael si lascia sfuggire un risolino in uno sbuffo, facendo un passo avanti e tirando di poco su il viso, senza abbandonare gli occhi chiari della ragazza.
«Dobbiamo parlare, tu non credi?» alza le sopracciglia folte con uno scatto, mentre si passa la lingua sui denti inferiori, osservando attentamente il tentennamento di Eloise, sorpresa da tale richiesta e intimorita dal comportamento del tinto.
«Io, uhm - si schiarisce la gola, poi raffredda lo sguardo - no, non direi, io non ho nulla da dirti,» ringhia, tirando fuori il solito carattere feroce e facendo un passo indietro, già pronta a chiudere la porta in faccia a Michael, che, pronto, tira avanti una mano e blocca il movimento, infilandosi all’interno della abitazione con furia.
«Vorrà dire che ascolterai,» sbraita, chiudendo la porta alle sue spalle con un tonfo, nello sguardo si è accesa una scintilla di fuoco, così calda da far deglutire Eloise.
Scuote la testa, incrocia le braccia fine e sospira, prima di ammiccare un sorriso falso.
«Bene, allora parla, non ho certamente tutto il giorno,» ringhia, poggiandosi al mobiletto nell’ingresso e guardando con acidità il ragazzo di fronte a lei.
Michael rimane in silenzio qualche secondo, la osserva come se fosse una preda, le punta il dito contro.
«Sei proprio una stronza, lo sai? - le dice, infuriato - più cerco di fare qualcosa per rimediare, più tu rovini tutto, insultandomi come se fossi la peggiore feccia della terra,» aggiunge, il tono più alto di prima.
«Che pretendi? Sei stato stronzo per primo - sbraita lei, avvicinandosi al ragazzo - è inutile che ci provi, sono ancora incazzata con te - lo blocca, prima che possa parlare - sì, sono ancora incazzata con te sebbene siano passati tre anni, che a te stia bene o meno!» aggiunge, urlando.
«Porca puttana, Eloise, io ci sto mettendo tutto me stesso per rimediare, perché non vuoi cercare di fare un passo verso di me? Smettila di pensare al passato, ho sbagliato e mi sono scusato, cosa vuoi di più?»
«Ma non capisci? Non l’hai fatto una volta, Michael, ma hai continuato per un anno! Un anno, dannazione! - è lì, che si tocca il culmine. Eloise si avvicina, lo spinge leggermente, ha già gli occhi lucidi per la rabbia - mi hai tradita con quella troia di Mila per un fottutissimo anno, come se niente fosse, e osi pure dire che mi ami? Forse sarei riuscita a passarci una volta, cazzo, sei umano e tutti sbagliano, ma tu per un anno ci sei andato a letto - si porta le mani al viso, sente già un principio di pianto sulle orbite - un cazzo di anno!» urla a squarciagola, colpendolo al petto con uno schiaffo, senza però scalfirlo sul serio.
«Eloise, ero un ragazzino, dannazione! E mi dispiace, scusa, hai ragione, ma sono passati tre anni, come fai a non capire che sono maturato, che non rifarei uno sbaglio del genere? Io ti amo, ti amo davvero, non potrei immaginarmi con qualcun’altra, cazzo!»
«Un ragazzino? A diciotto anni si è grandi e vaccinati abbastanza per essere coscienti di ciò che si fa. E come faccio a sapere che sei maturato sul serio? Io non mi fido più di te! - grida, entrambi sono arrabbiati, i visi sono arrossati - e non dirmi che mi ami, non dirlo, cazzo! Mi fa schifo sentirtelo dire!»
«È la fottuta verità! - Michael si altera, le prende il braccio e la spinge verso il muro - non so dire le cazzate e tu lo sai bene! Io ti amo e te lo dico, che a te stia bene o meno!»
Eloise lo guarda, i visi a pochi centimetri di distanza.
«Io, però, ti odio
«Pff, cazzata.»
«Ho detto che ti odio.»
«Ma non è così, tu mi ami, esattamente come io amo te.»
«Non è-» ma non finisce la frase, la voce si strozza.
Perché l’amore fa così male? E perché questo bacio disperato è ancora peggio?
 
La sta aspettando in macchina, ha lasciato nuovamente il Nirvana nelle mani dei suoi dipendenti ed eccolo sotto casa di Scarlett, il telefono in mano con cui giocherella nell’attesa e Sam Smith che intona la sua ultima canzone alla radio.
I capelli sono legati in un codino che gli permette di vederci perfettamente, senza dover stare ogni trenta seconda a sistemarsi il ciuffi di fronte agli occhi. È così a suo agio nei suoi capelli lunghi, sebbene più gente gli abbia detto di correre dal parrucchiere.
Eppure, Scarlett non si è lamentata. L’altra sera, del resto, ha passato le mani fra di essi per tutta la durata del film, immersa tra i personaggi che si muovevano e parlavano, non notando di essere osservata da Ashton con tanta di quell’attenzione da poterla ricordare per tutta la vita.
Sospira, scuote la testa. È possibile che quella ragazza gli stia fottendo il cervello in questo modo? Si ricorda di come ci era rimasto male, al tradimento di Danielle, così come a quello di Zara. Si era ripromesso di non fidarsi più delle donne, che tanto chissà chi l’avrebbe amato sul serio da scegliere lui e basta, senza altri; e invece eccolo a fare la corte a una ragazza incontrata per caso.
Sente la portiera della macchina che viene aperta, ed ecco che il soggetto dei suoi pensieri appare dopo ben tredici minuti ad aspettare.
«Hallelujah, volevi farmi morire qui, per caso?» scherza, mettendo da subito in moto, mentre Scarlett gli regala un sorriso luminoso.
«Scusa, non trovavo le chiavi - si stringe nelle spalle, guarda per un attimo la strada, poi capisce che non c’è panorama migliore del profilo di Ashton - cosa c’è in programma, questa sera?» chiede, curiosa, ‘ché Ashton è giusto apparso sotto casa sua, senza un ma e senza un se, dicendole che una bella serata in compagnia non nuoce alla salute.
«Ho ordinato del cinese, è già a casa, e ci vedremo Rapunzel, tu che dici?»
«Rapunzel, sul serio? - ridacchia, non che non le piaccia, ma mai si sarebbe aspettata che piacesse a uno come Ashton - sei tutto una sorpresa,» aggiunge, scuotendo la testa divertita.
«Ehi, che ha di male quel cartone? È bellissimo,» ribatte il ragazzo, fulminandola con un’occhiataccia.
«Oh, sì, non ho detto il contrario, solo che-»
«Non ti aspettavi che potesse piacermi? Ho una sorella di tredici anni, sono arrivato a farmi piacere persino Il Mondo Di Patty, figuriamoci uno tra i migliori cartoni della storia,» ride anche lui, seguito subito da Scarlett, che gli passa una mano lungo il braccio più vicino.
«Ripeto: sei tutto una sorpresa,» mormora, mentre Ashton parcheggia sotto la propria palazzina. Scendono entrambi dalla macchina, catapultandosi per le scale e, in pochi secondi, ritrovandosi all’ingresso dell’abitazione.
«C’è odore di Involtini,» borbotta Scarlett, sorridendo leggermente.
«Te l’ho detto, ho ordinato cinese,» ripete lui, prendendole la borsa e posandola sul comodino accanto alla porta. Le sorride, poi, avvicinandosi nuovamente.
Scarlett lo osserva attentamente, si fa scappare gli occhi sulle braccia scoperte per via della canotta.
«Beh, sei stato bravo, mi piace il cinese,» mormora, stringendosi nelle spalle, mentre Ashton lentamente  le arriva di fronte.
Gli occhi verdi sono addolciti, mentre si scontrano in quelli di lei.
«Lo speravo,» risponde lui, le passa le mani sulle braccia lentamente, sente la pelle liscia della ragazza a contatto con i polpastrelli e vorrebbe solo toccarla di più, toccarla più a fondo.
Scarlett rimane in silenzio, non ha intenzione di muoversi né di far smettere il gioco di sguardi.
«Sei bella, te l’ho mai detto?»
Scarlett sorride e Ashton perde un battito.
«Sì, parecchie volte - allunga una mano, la lega attorno al polso del ragazzo - ma ogni volta è come se fosse la prima,» ammette, accarezza con un dito le nocche ossute di Ashton, che finisce per avvicinarsi un poco di più.
I loro petti vanno a contatto, ma non ha intenzione di scostarsi. Scarlett passa la mano per tutto il braccio, esattamente come aveva fatto lui, fino a posarla sulla nuca, libera dai capelli poiché legati.
«Te lo ripeterò spesso, comunque - Ashton si stringe nelle spalle, abbassa di poco il viso - meriti di sapere la verità,» aggiunge con un risolino sulle labbra, seguito da Scarlett, con le guance un po’ più rosse per il complimento.
E non ha il tempo di rispondergli, che Ashton è calato su di lei. Le loro labbra si sfiorano, senza toccarsi, frementi. I respiri si scontrano tra loro e Scarlett sente di poter svenire, appena il ragazzo allunga di poco la bocca per toccarla con un poco più di forza.
Ed è come se il mondo sparisse. Lei si aggrappa alla sua schiena, si spinge verso di lui, chiudendo gli occhi e premendo le loro labbra con decisione. Sebbene le baleni in un angolo il viso di Andrea e l’idea che dovrebbe allontanarsi immediatamente, non ce la fa.
Finisce solo per stringerlo maggiormente a sé, mentre le mani di Ashton vagano sul suo corpo con gentilezza e bisogno.
Da quant’è che aspettavano l’uno le labbra dell’altra?
 
«Non sapevo ne fossi innamorato,» borbotta Eva, mentre si stringe nelle spalle e socchiude gli occhi quando il venticello fresco le sbatte sul viso.
«I primi tempi mi piaceva, nulla di speciale, poi te ne sei andata e lei stava così giù - Eva affina le labbra, sospira colpevole - e io passavo sempre più tempo con lei, ho conosciuto ogni piccola sfaccettatura, ogni dettaglio e non ho potuto fare a meno di cascarci in pieno - sorride leggermente, ricorda perfettamente come si meravigliava a una scoperta nuova ogni giorno - Zoe era così.. così bella, semplice, era tutto ciò che desideravo,» abbassa gli occhi cerulei alla mano, tre le dita stringe una sigaretta ormai a metà, ne osserva il fumo che esce o la carta che brucia lentamente.
«Ci siamo fidanzati dopo che le avrò fatto tre mesi di corte, lo sai com’era fatta, voleva essere sicura che non la prendessi in giro - ride, al ricordo di quanto ha combattuto per averla - e andava tutto a meraviglia, fino a quel giorno..» Eva gli afferra una mano, sente il dolore che traspare dalle parole, lo vede nello sguardo perso e nel sorriso mesto.
«Era il mio cazzo di compleanno - lo dice tra i denti, rabbioso - lei stava venendo da me, volevamo passare la notte insieme e invece.. - si porta un pugno alle labbra, stringe la mascella - la gente dice che io non c’entro nulla, ma come posso non pensarlo? Era il mio fottutissimo compleanno, se lei non stesse venendo da me ora starebbe bene, ora sarebbe viva!» grida, sbatte una mano sul legno della panchina, vorrebbe così tanto farsi del male.
«Luke, non dire così! Tu non c’entri nulla per davvero, cosa ne potevi sapere? Smettila di incolparti!» Eva lo guarda, gli stringe la mano e si avvicina di poco a lui.
Possibile che crede di essere colpevole? Di cosa, poi? Non guidava lui la macchina.
«E come posso non pensarlo? Poi.. poi c’è Gioia e io, io mi sento così in colpa - sospira, si passa la mano libera sul viso - mi sembra di tradire Zoe, ma al cuor non si comanda, no? E Gioia mi piace così tanto,» Eva, intenerita da tali parole, si avvicina leggermente di più, lo circonda in un abbraccio e gli lascia un bacio sulla tempia.
«Se c’è una cosa che so, è che Zoe non ti avrebbe mai voluto in queste condizioni. La conoscevamo entrambi, lei voleva solo la felicità altrui, specie delle persone che amava; allora perché non la rendi felice, trovando a tua volta la felicità? E se lo è Gioia, allora acchiappala ora che la hai! - cerca di incastrare i loro sguardi, sa che la sta ascoltando ma non le basta, vuole che capisca - non stai tradendo Zoe, Luke, lei non c’è più - fa male anche a lei dirlo - e, certamente, preferisce vederti affianco a Gioia che da solo, a ricordare i vostri vecchi momenti,» aggiunge, appena scontra i loro occhi.
«E come fai a saperlo?» chiede lui, in un sussurro strozzato.
«La conoscevo benissimo ed era così tanto altruista da preferire gli altri a sé, Luke; e poi, questa Gioia sembra una ragazza per bene, ed è l’unica cosa che le importa - sorride leggermente, accarezzandogli una guancia - vorrebbe solo il meglio per te, Luke, ma devi convincertene te.»
«Ma mi sento come se la stessi lasciando andare, come se la stessi scordando,» dice, stringendosi nelle spalle.
«Luke, non potrai mai scordarla, come non potrà farlo mai nessuno di noi, e solo perché stai provando qualcosa per un’altra ragazza non vuol dire che la scorderai, solo che cercherai di superare la sua perdita, com’è giusto che sia, come lei stessa vorrebbe,» lo sente sospirare, lo stringe un po’ più forte e aspira il suo profumo.
Ma quanto gli è mancato, il suo adorabile amico?
«Hai ragione,» sussurra lui, lasciandosi andare a un sorriso leggero, ricambiando l’abbraccio con tenerezza.
«Ah, io ho sempre ragione,» ridacchia, alzando entrambe le sopracciglia.
«Ma smettila, smorfiosetta - Luke ride a sua volta, scuote la testa, poi la guarda dritta negli occhi - grazie, Eva, avevo bisogno di parlare con qualcuno - la guarda sorridere apertamente - mi sei mancata così tanto!» aggiunge, perché era la sua amica del cuore, l’ha sempre adorata, e la sua assenza ha fatto male anche a lui.
Ma ora è qui e l’ha aiutato come faceva un tempo, ascoltandolo senza permettergli di abbattersi.
«Grazie a te, che l’hai resa felice nella mia assenza,» sorridono entrambi, si stringono un po’ di più in quell’abbraccio amichevole.
E Zoe è presente, anche senza farsi vedere.
 
***
Ehilà,
come va?
Sono stata puntuale, finalmente! Ed ecco un nuovo capitolo, cosa ve ne pare?
C’è Eva che va al cimitero e trova Luke.
Poi c’è un momento tra Michael ed Eloise ed ecco che si scopre qual è il loro problemino.
Abbiamo il primo magnifico bacio tra Scarlett ed Ashton, in quanti aspettavano questo momento?
Infine, nuovamente Eva e Luke, lui che si sfoga e lei che è pronta a tirarlo su di morale, ad aiutarlo in un momento così buio.
Bene, vi lascio, ma spero che vi sia piaciuto.
Bye bye,
Judith.
 

 
 
 

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Capitolo 17
*** Di notte ***



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DI NOTTE.
 
“Penso spesso che la notte è più viva e intensamente colorata del giorno.”
“La notte ha la forma di quello che ti manca.”
 
Sta guardando il soffitto con sguardo vacuo. Non sa bene cosa sente, dentro di sé. Il cuore le batte ancora a mille, sebbene cerchi in tutti i modi di non darlo a vedere, e sente lo stomaco ribaltarsi e agitarsi, facendole quasi male, di un dolore piacevole, però, di quel dolore che tutti vorrebbero sentire.
Ha le guance imporporate, le labbra schiuse da cui esce velocemente il fiato.
Da quant’è che non lo faceva? Decisamente troppo, questo è sicuro.
Sente mille pensieri nella testa, non riesce a capire se è felice o arrabbiata. Forse più l’ultima. No, forse più la prima. Come ha fatto a cascarci? Insomma, ha tenuto duro per tre anni, e dopo una litigata del cavolo si è lasciata andare così? Gira gli occhi chiari verso la figura al suo fianco.
Michael ha i lineamenti rilassati, mentre dorme dopo due ore di fuoco. Ha ancora la fronte imperlata di sudore, ma il respiro regolare e leggero. Un braccio spunta da fuori il cuscino, lasciando intravedere alcuni dei suoi tatuaggio, ed Eloise proprio non resiste. Passa una mano su di essi, sebbene nella sua testa nulla riesce a mettersi in accordo.
È stata a letto con il suo dannatissimo ex, dopo che in tre anni a mala pena si sono dati cinque baci, sempre voluti da lui, e sempre alla sprovvista. È stata a letto con Michael dopo essersi promessa che non l’avrebbe perdonato, perché l’ha ferita.
Eppure è stata così bene, tra le sue braccia. Le veniva quasi da piangere, nella loro danza d’amore.
Sente il muscolo di Michael tendersi, avrà percepito il suo tocco delicato, e gli occhi di giada si scontrano con i suoi, ancora velati per il sonno, durato poco più di mezz’ora. Michael sorride sincero, lui sente solo una cosa: gioia.
Ha aspettato così tanto questo momento.
«Ehi,» sussurra, stiracchiandosi lentamente, prima di circondarle la vita con un braccio. Se la avvicina di colpo, accarezzandole la schiena nuda. Gli è mancata così tanto.
Eloise sospira, segue con lo sguardo ogni tratto del suo viso, e non sa cosa dire.
«Io..»
«No, ti prego - Michael chiude gli occhi di scatto, quasi li strizza, il terrore delle parole che potrebbero uscire dalla bocca di Eloise lo impanica - ti prego, non dire nulla, fai finta di niente, almeno fino a domani. Poi potrai dire ciò che ti pare, potrai insultarmi, maledirmi, offendermi, ma non ora… ti prego,» supplica, la voce strozzata e tremolante.
È che vuole ricordarsi di questo momento almeno finché Eloise non tornerà la solita stronza, vuole godersela così, nuda, sdraiata accanto a lui, nel pieno delle sue emozioni.
«D’accordo,» borbotta lei, sorridendo leggera, sul viso ancora stremato per il movimento.
«Grazie,» sorride Michael, allungandosi per darle un tenero bacio sulle labbra rosee, in sporgenza già di loro, come se non aspettassero altro.
«Ma non ne faremo parola con nessuno,» aggiunge poco dopo Eloise, appena finisce il bacio, più passionale di quel che si aspettasse. Michael incrocia i loro occhi, nello sguardo un pizzico di delusione, mascherata da finta decisione.
Annuisce leggermente, è già tanto che è ancora nello stesso letto con lei, a casa della ragazza, per giunta. Non può pretendere di non tenere nascosta questa scappatella.
Forse però…
«Nemmeno con Eva,» come non detto, non lo dirà ad anima viva.
L’ultima cosa che vuole è farla arrabbiare, non sia mai che sia riuscito ad addolcirla un minimo.
Però, potrebbe sfruttare la richiesta a suo favore.
«Va bene, non lo dirò a nessuno - poi ghigna, beffardo - ma a una condizione,» e la sua frase ha il potere di far alzare gli occhi al cielo ad Eloise.
«Cioè?»
«Un secondo round, dolcezza.»
Eloise sbuffa, eppure si lascia sfuggire un sorriso, alzando un sopracciglio biondo.
«Che secondo round sia.»
 
«Pronto?»
«Ho voglia di vederti.»
«Luke?»
«Sì, sono io.»
«Sono le dieci di sera, non riesci ad aspettare domani?»
«No, non ci riesco. Poi sono già sotto il dormitorio.. però se ti disturbo, fa niente, me ne torno a casa.»
«No, tranquillo, dammi solo cinque minuti.»
Si siede su una delle panchine presenti nel cortile, accendendosi velocemente una sigaretta. Dopo l’incontro con Eva, al cimitero, sono andati a prendere qualcosa da bere, sorridendo come due vecchi amici, dopo che si sono liberati di quei piccoli pesi che continuavano ad affaticarli. Luke si è sentito capito come mai prima, è stato strano rivelare le proprie paure e dichiarare l’amore che provava per Zoe ad Eva, specie dopo non aver avuto nessun genere di contatto con quest’ultima per tre anni.
Alla fine, dopo aver chiacchierato e persino riso, lei l’ha spronato ad andare a trovare Gioia, pur di svagarsi un po’. L’ha capito persino Eva che, questa ragazza, non gli fa altro che bene.
Sette minuti dopo, quando ormai la sigaretta non è altro che fumo disperso, Gioia apre la porta ed esce. Ha i capelli legati in una coda alta, il viso privo di trucco ed è vestita con dei semplici jeans e una maglia larga, rigorosamente nera. Ed è bellissima come sempre.
Gli sorride candida, fino a sedersi accanto a lui, schioccandogli un veloce bacio sulla guancia.
«Buonasera,» lo saluta, poggiandogli infine una mano sulla coscia.
«Buonasera a te - sbiascica lui, sorridendo e afferrando la mano di lei, intrecciando gentilmente le dita - scusa se ti ho disturbato, ma non sarei mai riuscito ad aspettare domani,» aggiunge, stringendosi nelle spalle larghe e abbassando gli occhi cerulei al terreno.
«No, fa niente, sono felice di vederti,» ammette Gioia, imitando gli stessi gesti che poco prima ha fatto Luke. Si avvicina lentamente, cozzando la propria coscia con quella del ragazzo e stringe meglio la presa sulla mano di lui.
«Comunque, è successo qualcosa in particolare?» chiede lei, scontrando i loro occhi e mordendosi il labbro inferiore.
Luke sospira, si passa la mano libera tra i ciuffi biondi e ammicca un sorrisino mesto.
«Sono andato al.. cimitero, oggi - borbotta, sentendo Gioia farsi ancora più vicina - insomma, ho “parlato” con Zoe, poi è arrivata Eva, sai, era la migliore amica di Zoe. Abbiamo parlato, dopo aver pianto come due cretini per un’ora buona, e lei mi ha spinto a venire da te, così, per vederti - abbassa lo sguardo e poi lo rialza - crede che tu mi faccia bene,» aggiunge, sorridendole apertamente.
Gioia strabuzza gli occhi scuri, decisamente colpita da tali parole. Che fosse vero? Che lei facesse solo che bene, a Luke? Una cosa è sicura: lui fa bene a lei.
«E ha ragione?» chiede, in un sussurro, mordendosi il labbro inferiore subito dopo. Luke sospira, allarga il sorriso e schiude le labbra, abbassando lo sguardo al pavimento per l’ennesima volta in quei pochi minuti.
Poi annuisce, lentamente.
«Sì, ha ragione.»
 
Degli incessanti picchiettare non fanno altro che infastidirla da vari minuti. È china sul letto, un libro ancora a metà che ha tutta la voglia di leggere e zero concentrazione. Alla fine si alza con un grugnito, cercando di identificare da dove arrivi il rumore.
La finestra, ovviamente.
Coglie persino un movimento fulmineo, che la fa sussultare. Così si avvicina, spalancandola e buttando la testa di fuori.
«Ehi, pst!» un sussurro le fa aggrottare la fronte, fuori è talmente buio che vede poco e niente, ma ecco una sagoma scura sotto di lei, leggermente illuminata dalla luce che filtra dalla sua camera.
«Calum?» balbetta, strabuzzando gli occhi chiari, decisamente sbalordita.
«Azzeccato!» sente dire con tono divertito. Si ritrova a sorridere, felice di tale gesto, allora spalanca meglio la finestra.
«Vuoi fare come ai vecchi tempi? Quando eravamo ragazzini e tu rischiavi di spezzarti l’osso del collo ogni volta?» ridacchia, spostandosi un ciuffo biondo dal viso.
Sente una risatina uscire dalle labbra di Calum e se lo immagina con gli occhi a mezzelune e il naso arricciato.
«Perché no? Funzionava ogni volta. I tuoi non ci beccavano e io tornavo a casa illeso,» dice, stringendosi nelle spalle.
«Siamo grandi e vaccinati, penso che avresti potuto benissimo passare dalla porta,» ribatte lei, scuotendo la testa. Hanno ventun’anni, cosa avrebbero potuto dire i genitori più di tanto?
«Così mi diverto di più,» borbotta lui, alzando le spalle.
«Dio, sai che questa scena-»
«Ti dà tanto da Romeo e Giulietta? Sì, me lo dicevi sempre - ride, si avvicina all’edera da cui si arrampicava sempre, ci sono ancora i solchi fatti da lui ben visibili - allora, vuoi che salgo o me ne torno a casa?» aggiunge, imitando un sorrisino sghembo, quando vede Eva entrare dentro con un sospiro.
L’unica cosa che vuole è averlo accanto a sé.
Dopo cinque minuti di parolacce e gridolini soffocati, Calum balza all’interno della stanza con agilità, scontrandosi con la figura ammorbidita di Eva, poggiata alla porta in legno della propria camera.
«Sei tutto interno,» dice lei, avvicinandosi lentamente.
«Come al solito,» Calum sorride, con le mani le afferra le braccia, stringendosela contro e ridacchiando sulle sue labbra.
«Allora, come mai qui, a notte fonda?» chiede lei, allora, lasciandosi stringere delicatamente dalle braccia di lui.
«Mah, così, volevo vederti. Devo per forza avere un motivo?» alza un sopracciglio scuro e fa cozzare ancora di più i loro corpi, accarezzandole la schiena con una mano.
«Io credo che una motivazione ce l’hai, invece,» Eva inarca le sopracciglia verso l’alto, mordendosi il labbro inferiore, rendendolo più gonfio.
«Ah sì? - Calum ridacchia, pian piano indietreggia fino al letto - beh, sì, è possibile..» aggiunge, prima di farla stendere lentamente e con attenzione. Dentro la sua pancia c’è un’altra vita, ci vuole decisamente più dolcezza, nei movimenti.
«Me la vuoi dire, al posto di gongolare come un idiota?» borbotta lei, appena il corpo di Calum si cala sul suo, issandosi sulle braccia per non pesarle e per non schiacciare il rigonfiamento.
«Uhm, vale che avevo voglia di baciarti?» sbiascica, prima di abbassarsi fino a combaciare le sue labbra con quelle di lei.
Si staccano poco dopo, e Eva non riesce a trattenere un sorriso luminoso.
«Si, vale,» mormora, intrecciando le dita tra i cappelli mossi del ragazzo, riportandolo sulla sua bocca.
«Vuoi rimanere qui a dormire?» azzarda Eva, alcuni minuti dopo, stringendosi nelle spalle. È da tanto che non gli fa una richiesta del genere, ed è da poco che hanno iniziato di nuovo. Calum preme le proprie labbra in una linea fina, abbassa lo sguardo e poi imita un sorriso, scuotendo la testa.
«Credo che sia, hm, troppo presto,» balbetta, alzandosi lentamente da sopra di lei. Eva sospira, imitandolo. Giocherella con le proprie dita, annuendo leggermente.
Capisce perfettamente ciò che intende, è stata troppo avventata. Osserva Calum passarsi una mano fra i capelli e aprire la finestra, prima di girarsi a guardarla per un’ultima volta, ammiccando un sorriso.
Eva si avvicina, sfiorando le sue labbra in un casto bacio, prima di sorridere anche lei.
«Allora - si schiarisce la voce - allora, buonanotte,» dice, stringendosi nelle spalle e scontrando i loro occhi, l’uno il contrario dell’altro.
«‘Notte, Eva,» si china un’ultima volta, prima di catapultarsi fuori dalla finestra, cadendo perfettamente con i piedi a terra.
Eva osserva semplicemente come, nella notte, la sua sagoma scura sparisca oltre l’angolo.
 
È stato un viaggio piuttosto silenzioso. Del resto, è l’una di notte e lei è terribilmente stanca, tanto che sente gli occhi chiudersi più volte. Non ha voglia di salire le scale, non aveva nemmeno voglia di andarsene. Fosse per lei sarebbe rimasta volentieri a casa di Ashton, magari per addormentarsi tra le sue braccia e tra il suo profumo.
Invece eccola qui, la macchina si è appena fermata e a lei tocca aprire gli occhi di scatto, svegliandosi un poco per permettersi di salutare Ashton e arrivare fino al suo appartamento.
Sospira, si passa una mano sul viso e si gira a guardare il ragazzo, sorridendogli leggermente.
«Stai morendo di sonno,» dice lui, ridacchiando al viso assonnato di Scarlett, che si stringe nelle spalle e annuisce, scucendo le labbra nel sorriso.
«Si nota?» borbotta, afferrando la propria borsa e mettendosela in grembo, iniziando a cercare le chiavi per non doverlo fare direttamente alla porta.
«Parecchio,» dice lui, annuendo, senza che il sorriso gli si levi dal viso aguzzo.
«Io, hm, sono stata davvero benissimo questa sera, Ashton - dice lei, poco dopo, appena stringe tra le dita le chiavi dell’appartamento - grazie di tutto,» aggiunge, abbassando lo sguardo, mentre sente le guance riscaldarsi e, probabilmente, colorarsi di un rosso acceso.
Ashton si stringe nelle spalle, allarga il sorriso e osserva ammirato l’imbarazzo della ragazza, che ha il potere di addolcirlo ancora di più.
«Grazie a te, invece,» sussurra, facendole alzare il viso di scatto. Scarlett aggrotta la fronte, scuotendo la testa per la confusione.
«Di cosa? Io non ho fatto nulla,» borbotta.
«Mi stai rendendo felice, questo basta?» ammette lui, prima di allungare la mano per avvolgere quella di Scarlett, che gliela stringe di riflesso e sorride intenerita dalle parole del ragazzo.
«Allora, hm, ci vediamo domani?» chiede lei, dopo qualche minuto di silenziosi sguardi, schiarendosi la voce e avvicinandosi di poco ad Ashton, che annuisce.
«Se vieni a trovarmi al lavoro, certamente!»
«Beh, allora a domani!» si allunga lentamente, non sapendo bene cosa fare. Punta alla guancia, ma il ragazzo si gira velocemente e le afferra il viso con la mano libera, facendo cozzare le loro labbra in un bacio che di casto ha ben poco.
«Buonanotte, Scarlett,» mormora lui sulla bocca della ragazza, sorridendo beffardo alla smorfia di sorpresa di lei.
Si schiarisce la voce, poi gli sorride un’ultima volta ed esce dalla macchina con le gambe che le sembrano di gelatina, tanto tremano. Sì, si sono baciati
a casa di Ashton, certo, e più di una volta, ma non così… appassionatamente.
Si tocca le labbra con le dita, sorridendo a trentadue denti subito dopo. Apre la porta di casa che quasi le viene voglia di canticchiare, chiudendola a chiave subito dopo, poi si precipita in stanza, lanciando letteralmente i tacchi a un angolo e la borsa sul letto.
Si sveste che ancora ha la sensazione della bocca di Ashton sulla sua e non può fare a meno di passarsi la lingua su di esso per sentirne ancora il sapore.
Quando è finalmente in pigiama e struccata, si avvicina al comodino accanto al letto per afferrare un elastico.
Lì, lo vede.
Bello, scintillante, luminoso.. costoso.
L’anello di fidanzamento.
 
***
Ehilà,
come va?
Scusatemi, come sempre, per il ritardo. Come vi ho detto, il vero ritmo lo riprenderò a settembre, probabilmente. Scusatemi anche perché ‘sto capitolo non è il massimo, la mia immaginazione è andata a farsi fottere e io mi sono spremuta le meningi per far uscire comunque qualcosa, spero che non faccia poi così schifo.
Abbiamo Eloise e Michael che sono andati a letto insieme! Chi non vedeva l’ora?
Poi Luke che va a trovare Gioia e le dice che lei gli fa bene.
La solita scena della finestra, che non poteva mancare anche in questa storia. Calum aveva semplicemente voglia di vederla.
Infine, Ashton riporta a casa una Scarlett piuttosto felice.
Bye bye,

Judith.

 
 
 

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Capitolo 18
*** Menzogne ***




Home is wherever I am with you.

MENZOGNE.
 
“Esiste un candore nella menzogna che è il segno della buona fede in una qualche causa.”
“Mentiamo ogni giorno, agli altri o a noi stessi.”
 
Un enorme casino ha il potere di farla svegliare di soprassalto. Sente qualcosa che cade a terra, provocando un tonfo, e uno sbuffo.
La sveglia segna le sei e undici, avrebbe potuto dormire altri venti minuti, ma tanto vale andare a controllare cosa sta succedendo. Non sembra spaventarsi, di ladri non ce ne sono, nel suo quartiere, e non è la sola ad avere le chiavi del proprio appartamento.
Si stropiccia gli occhi, prima di tirarsi in piedi e infilarsi le pantofole.
Con passo calmo e la mente ancora tra i sogni, finisce in cucina dove, con sua sorpresa, Andrea si sta preparando del caffè, la faccia rilassata e la camicia slacciata ai primi bottoni.
«Andrea?» Scarlett si lascia sfuggire un mormorio sorpreso, mentre osserva l’uomo della sua vita girarsi verso di lei e sorriderle amabilmente.
«Buongiorno, amore! - la saluta lui, avvicinandosi velocemente a lei e strappandole un bacio - ho due giorni di riposo, ti dispiace?» ammicca, sapendo benissimo quale sarà la risposta.
Scarlett boccheggia per un po’, prima di sorridere - o fingere di sorridere - e grattarsi il collo.
Le dispiace? Forse un po’.
«Amore, ma io questi due giorni lavoro! In più questa sera ho una cena di lavoro,» dice, stringendosi nelle spalle e avvicinandosi al caffè, che ha finito di farsi. Prende un tazza e ce ne mette un po’, allungandolo con del latte.
«Oh, figurati, la mattina andrò a trovare i miei - risponde il ragazzo, sorridendole - e penso che al tuo capo non dispiaccia che mi aggiunga, stasera, no?» le accarezza un braccio.
Scarlett arrossisce, poi annuisce.
«Glielo chiederò, allora.»
Fanno colazione in completo silenzio, colmato solo da sguardi e sorrisi dolci. Poi Scarlett si alza, dà un bacio sulla guancia del proprio ragazzo e fila in camera, a prepararsi. Si trucca, nella testa tutto confuso e attorcigliato. Si infila le scarpe e guarda sul comodino dove, in bella vista, c’è il suo anello.
Lo infila quasi controvoglia, già sa che finirà in tasca presto.
«Ci vediamo dopo,» si avvicina ad Andrea ed è già pronta ad andarsene, senza un saluto, ma il ragazzo le afferra il viso, unendo le labbra in un bacio passionale, che Scarlett ricambia con fatica.
Perché non sente altro che fastidio?
Si stacca a forza, sorridendo per addolcirlo.
«Sarò in ritardo, sennò,» si scusa, prima di filare dritta verso la porta, lasciandosi sfuggire un sospiro appena ne è fuori.
E in venti minuti, poco più o poco meno, è di fronte al Nirvana, una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
Si infila l’anello nella tasca, poi entra e punta subito lo sguardo chiaro sulla figura longilinea di Ashton. Si sente meglio, ma per poco.
Subito, l’idea che il suo futuro marito è a casa, la colpisce di nuovo.
Lei è al Nirvana, per vedere un altro ragazzo. Come può farlo?
«Scarlett!» Ashton si avvicina e Scarlett non riesce a muovere un passo, né a sorridere come fa sempre, in sua presenza. Appena si cala sulle sue labbra, si scosta e quasi si sente male.
«Buongiorno,» mormora, con voce strozzata, ‘ché evitare un bacio di Ashton non è il modo migliore per iniziare una giornata.
«È tutto apposto?» chiede Ashton, invece, aggrottando la fronte e scontrando a forza i loro occhi.
«Io, uhm.. sì, certo! - sorride falsamente, prima di arretrare di due passi - questa sera non possiamo vederci, ho una cena di lavoro,» aggiunge, accarezzandosi  un braccio, quasi a volersi riscaldare.
«Oh, va bene, tranquilla - le risponde lui, tentennando leggermente per la stranezza della ragazza - possiamo vederci un altro giorno,» aggiunge, sorridendole.
«Beh.. io allora vado,» Scarlett arretra ancora di più e alza una mano, scuotendola leggermente in segno di saluto.
«Sì, ciao,» borbotta lui, stringendosi nelle spalle mentre la guarda sparire oltre la porta.
Cosa sta succedendo?
 
Michael entra fischiettando nel Nirvana, sul viso un’espressione serena che non sembrava vedersi da anni. Ashton lo osserva dal bancone, un sopracciglio inarcato e l’espressione confusa, ‘ché è da un po’ che non vede Michael così.
«Ehi!» urla il tinto, attirando l’attenzione di più clienti, mentre saltella sullo sgabello e poggia entrambi i gomiti sul legno, quasi a volerci fare un solco.
«Michael - borbotta Ashton, facendo un cenno del capo come saluto - come mai così allegro?» aggiunge, prima di poggiare una lattina di coca-cola di fronte all’amico, ‘ché è un po’ troppo presto per una birra.
«Mi dispiace, amico, ma è top secret,» ridacchia tra sé e sé, gli occhi brillano di luce propria e Ashton è sempre più curioso, ma sa che è inutile affogarlo di domande e insistere, Michael sa essere una tomba, se vuole.
«Va bene, non insisto!» ribatte Ashton, alzando le mani in segno di resa e scuotendo la testa, come sconsolato, se non fosse per quel sorrisino sempre più luminoso sul volto.
Michael tracanna la coca-cola in un sorso, guardandosi intorno con fare assorto, perso in chissà quali pensieri che non gli tolgono la felicità dal viso. È un attimo, che si gira verso Ashton e lo trova nelle sue stesse condizioni, solo che le sopracciglia sono unite e formano un solco confuso sugli occhi.
«E tu, amico? Cos’hai? Non ti vedo al massimo della felicità,» Ashton sembra risvegliarsi in quel momento, alza gli occhi cangianti sul tinto, di fronte a lui, e stira le labbra fra loro, quasi come a trattenere un sussulto.
«No, nulla, non ho nulla,» ammicca un sorriso che, a dirla tutta, a Michael non rassicura per niente.
«Seriamente, Ashton, vuoi farmi davvero credere che sia tutto apposto? Ti conosco da una vita,» alza un sopracciglio folto, stringendosi nelle spalle.
Il riccio gira per qualche secondo lo sguardo e, davvero, non sa cosa dire. Cos’è che lo fa stare così, alla fine? Il comportamento di Scarlett giusto poche ore prima? O i forti sentimenti che sta provando per quest’ultima e la paura di finirci male nuovamente?
Che poi, diciamola tutta, Scarlett è forse troppo perfetta per uno come lui. Bella da impazzire, capace di far girare chiunque, simpatica e solare, con un sorriso da urlo e una dolcezza invidiabile. Ancora si chiede come possa, lei, riuscire a trovare interesse verso di lui.
Non che abbia seri problemi di autostima, Ashton, ma Scarlett è fuori dalla portata di praticamente chiunque, a parte Johnny Depp.. perché sì, insomma, cosa vuoi dirgli a quell’uomo?
Alla fine sospira, e si decide a rispondere.
«C’è una ragazza: Scarlett.. sì, ve ne ho già parlato,» borbotta, passandosi una mano sulla nuca, imbarazzato nell’intrattenere il determinato discorso.
«Ah, quella strafiga? Dannazione, Ashton, non dirmi che ci esci insieme! - esclama, quasi con emozione - che se è così, giuro, potrei stimarti ancora di più,» Ashton ride, scuote la testa per l’esasperazione, ‘ché Michael è un tipo tutto strano.
«Sì, Michael, la strafiga - annuisce, ridacchiando - e sì, ci sto uscendo insieme.. ma il fatto non è questo. Andava tutto bene, poi stamattina si è comportata tutta strana.»
«Ovvero?»
«Ovvero.. che era distaccata, ha schivato il mio bacio e.. non lo so, era strana, e non so perché - si stringe nelle spalle e sospira nuovamente, vagando con gli occhi sul tavolo - e pensare che giusto ieri era tutto perfetto.»
L’amico non sa cosa dire, alza le spalle e fa una smorfia. Del resto, per lui le donne sono tutte un po’ strane, sarà solo un giramento.
«Stai tranquillo, ogni tanto succede che si straniscono - dice, sorridendo rassicurante - aspetta questa sera e sicuro che tutto si risolve, magari era nervosa per conto suo.»
«Tu dici?»
«Avresti altre spiegazioni, sennò?»
«Beh, in effetti.»
 
«Cal?» borbotta una voce flebile, dall’altro capo del telefono.
Calum tira su gli angoli della bocca, prima di alzare gli occhi scuri verso la strada, in bella vista dall’officina.
«Eva, ciao!» esclama, euforico. Del resto, la voce di quella ragazza ha il potere di renderlo felice. Strano a dirlo, è passato poco da quando è tornata in città e lui non provava che rabbia, nei suoi confronti.
«Cosa stai facendo?» chiede lei, giusto per fare conversazione, mentre  Calum si gira tra le dita un foglietto appena preso dalla scrivania nell’officina. Si guarda attorno e continua a sorridere delicatamente.
«Ho appena sistemato il motore di una macchina, nulla di che, per oggi sono totalmente libero, e tu?» sembra cercare di far ben intendere la sua libertà, con il tono di voce più che allusivo.
«Ah sì? Bene, quindi non vedo che problema ci sia se oggi mi accompagni da una parte,» Eva sembra felice, lo sente da come abbia ripreso a parlare svelta.
Calum si gratta il naso, poi lo arriccia, alzando lo sguardo sulla strada nuovamente.
«Esattamente, dove dovrei accompagnarti?» chiede, lasciandosi sfuggire l’ennesimo sorrisetto.
«Da una parte.»
«Eh, dove?»
«Non te lo dico.»
«E allora non ti accompagno.»
Eva sbuffa, ringhia tra sé e sé e si chiede perché proprio così testardo, doveva trovarselo. Calum ridacchia, gli piace farla esaurire, ma a lui le sorprese non piacciono.
E si sa.
«Devo fare un’ecografia, e non voglio farla da sola..» borbotta, con voce flebile, quasi il terrore di ritrovarsi a parlare al vuoto, ‘ché Calum potrebbe attaccarle in faccia.
Calum trattiene il fiato e, per diversi secondi, non si azzarda a parlare, mentre nella sua testa la frase si riformula più e più volte.
L’ecografia? Per vedere il bimbo di Eva? Che non è suo, poi. Perché gliel’ha chiesto? Lui non c’entra nulla con questa storia.. eppure.
Forse ha solo bisogno di un appoggio sicuro, o forse ha solo bisogno di lui. Ma non crede di essere pronto a farsi sbattere in faccia ancora di più la gravidanza di lei. Che poi, che senso ha scapparne? Comunque c’è, e ci deve stare.
«Calum?» sente dall’altro lato del telefono il suo nome, detto tremolante e quasi preoccupato.
«Io.. io.. - si schiarisce la voce e sbiascica qualche parolina dopo quasi due minuti senza parlare - io.. uhm, ok,» dice, alla fine, ‘ché tanto è inutile non andarci. Cosa pensa di rimediarci? Lì il bambino è e lì rimane.
Sente un sospiro di sollievo e sembra immaginarla sorridere.
«Grazie Cal, è davvero importante per me,» commenta Eva, prima di salutarlo velocemente con un “alle 16.00 passa da me” e chiudere la chiamata.
Calum continua a guardare la strada, dove un paio di macchine stanno passando, prima di abbassare il braccio, e con esso il telefono, e aggrottare le sopracciglia.
Continua a pensare che sia strano, ma che se l’ha chiesto a lui non deve che esserne contento. Alla fine, è una cosa importante per lei.
Che non possa diventarlo, prima o poi, anche per lui?
Alla fine è un bimbo, nulla di che.. se non fosse di qualcun altro.
Ma che ci può fare?
Tanto vale rimboccarsi le maniche e far sì che, un giorno, si sveglierà con l’idea che i figli sono di chi li cresce, più di chi li fa.
 
Scarlett non crede di voler Andrea con sé, la sera. È una cena, ma nemmeno. Sembra più una sorte di cena di gala, che il suo capo ha soldi da spendere e si sa, gli piacciono le cose sfavillanti.
Sa già che ci saranno buffet su lunghi tavoli, pieni di cibo particolare e fontane di dolci, con dei camerieri che servono tutte le portate. Si aspetta un tavolo delle bevande dove non ci sarà altro che vino rosso, di alta qualità, champagne e tutto ciò che si può ben definire costoso.
E sa già che, a una certa ora, dopo tutta la stanchezza per il sorriso forzato e tremendamente finto e i tacchi troppo alti sotto il vestito rosso e lungo, avrà voglia di fare un salto al bar di Ashton.
Ma non può.
Andrea le sorride, passandole le mani lungo i fianchi e dandole un leggero bacio sul collo.
«Sei proprio sexy, in questo vestito,» le dice, languido, e Scarlett non lo sa perché, ma quei brividi che sentiva spesso proprio non ci sono, ‘sta volta. Sorride forzatamente, e si maledice che deve iniziare a farlo già da adesso, e abbassa lo sguardo, cercando una distrazione.
E l’unica cosa a cui pensa è che non vede realmente l’ora di finire questa giornata, andarsene a dormire e non trovare Andrea accanto a sé, sebbene sa che ha ancora un giorno da passarci assieme.
Sospira, poi si allontana, mostrandogli l’ennesimo sorriso.
«Che dici di entrare? Non mi va proprio di starmene qua fuori, questo vestito è davvero leggero,» dice, toccandosi con il pollice l’anello di fidanzamento, quasi a volerselo togliere ma non ne ha proprio il coraggio.
Andrea la segue, le afferra la mano con forza, o con naturalità, Scarlett non sa dirlo con precisione.
Come ben pensava, l’interno della sala più grande dell’edificio è adornato con tavoli lunghissimi riempiti di ogni prelibatezza e bevande costosissime, quasi a voler far sentire fuori luogo chiunque non può permettersi più di uno champagne al giorno.
I suoi colleghi sono tutti elegantissimi e accompagnati da donne splendide o uomini perfetti, quasi ad averli comprati. Sa che dovrà salutare persone su persone, fingere con chi non sopporta e addirittura sorridere a gente spregevole, ma Scarlett è troppo nel personaggio per permettersi di perdere anche la sua maschera.
Già la sua vita è incasinata così com’è.
Gira per la sala scambiando saluti su saluti, senza far notare la sua noia, e presentando a tutti Andrea, accarezzandogli il braccio e cercando di fingere il più possibile, che deve far notare a tutti quanto amore prova per il suo ragazzo.
«Vado al volo al bagno,» le dice Andrea, lasciandole un bacio sulla fronte. Scarlett si lascia sfuggire un sospiro di sollievo, una volta allontanatosi, e riesce ad individuare il proprio capo, vestito elegantemente e con il solito sorriso perfetto sul volto. Si avvicina a lui e, per la prima volta nella serata, si lascia sfuggire un sorriso sincero.
«Signorina Young, che piacere vederla - esclama il signor Clifford, allungandole una mano - aspettavo di presentarle finalmente mio figlio, ha su per giù la sua età!» si gira, toccando la spalla di un ragazzo dai capelli corti e di un azzurro ormai slavato.
Il ragazzo si gira, una mano davanti alla bocca piena e gli occhi spalancati e curiosi. E a Scarlett quel viso sembra così familiare.
«Lei è Scarlett - dice, guardando prima lui e poi la ragazza - e lui è mio figlio, Michael,» e Scarlett l’ha capito chi è.
Ashton non ha fatto altro che parlarne, dei suoi amici. E di quel Michael, che cambia colore di capelli ogni mese, ci ha speso tanto tempo, facendole quasi conoscere ogni sfaccettatura.
E Scarlett lo capisce dal sorrisetto beffardo che le ha rivolto, che anche lui sa chi è lei.
«E dimmi, Scarlett, il tuo futuro marito dov’è?» deglutisce rumorosamente, il sorriso le è scomparso dal volto, così come a Michael, che ora ha un’espressione spaesata sul volto.
«Sono qui, signor Clifford - Andrea le appare da dietro, sorride apertamente e allunga una mano al capo della propria ragazza - è un piacere conoscerla,» aggiunge, mentre il signor Clifford ricambia la stretta.
Michael è lì che capisce il motivo per cui la mattina stessa Scarlett si è comportata in modo strano con Ashton.
E lei, invece, ben capisce di essere fottuta, che la rabbia negli occhi di Michael non è una finzione.
 
***
Ehilà,
come va? 
Ebbene sì, non so proprio come scusarmi per questo assurdo e lunghissimo ritardo, ma ho avuto impicci su impicci e un blocco dello scrittore che è durato pure troppo. Ora, ve lo dico da subito, non sono ben sicura che si sia sbloccato, ma sto cercando di riprendere in mano la mia vita e i miei hobby, risistemare il mio tempo libero e cercare di darmi dei tempi per fare ogni cosa.
Vi posso assicurare che questa storia, comunque, la finirò, che a me le cose incomplete non piacciono.
Ovviamente il capitolo non è bellissimo, l'ho fatto anche un po' di fretta e mi sono sforzata perché di lasciarvi per così tanto tempo senza un continuo non mi andava e visto che oggi è un giorno di nullafacenza mi sono azzardata  a scrivere.
Spero che vi piaccia comunque e che vi abbia reso felici!
Mi dispiace per i fan di Gioia, Eloise e Luke, che magari aspettavate solo loro, ma non ho avuto modo di infilarli. 
Un grosso ed enorme bacio a tutti, anche a chi è rimasto dopo così tanto tempo e mi ha aspettato.
Bye bye,

Judith. 

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Capitolo 19
*** Ecografia ***



Home is wherever I am with you. 
ECOGRAFIA.
 
“E’ la solita legge degli opposti che si attraggono. Lei era incinta, e io no.”
“Lo stereotipo emozionale, sessuale e psicologico delle femmine inizia quando il dottore dice: "È una femmina".”
 
Ha perso Andrea da ben ventitré minuti ormai, finito per piacere a tutti i suoi colleghi, qualcuno se lo sarà portato a fare baldoria. Scarlett si è seduta su una sedia imbottita, sente ancora il cuore palpitare con forza, quasi a volerle uscire dal petto, e non può evitare di posare la mano sopra di esso.
Lui l’ha vista, lì, mentre il suo futuro marito si presentava. E come può davvero credere che non dirà nulla ad Ashton? Non è pronta.
Alla fine è giusto così, però, non può continuare questa farsa.
Ma qual è tra le due?
Scarlett non ha la forza di alzarsi, sente le gambe tremarle e, davvero, vorrebbe solo tornarsene a casa. Sa che, però, minimo un’altra mezz’ora dovrà guardarsi intorno, aspettando che il suo fidanzato torni da lei, probabilmente brillo, dopo aver bevuto insieme ai suoi colleghi.
«Spero vivamente che tu abbia un’ottima scusa da dirmi,» sussulta, sgrana gli occhi e il labbro le trema. La voce di Michael le è arrivata da dietro e probabilmente preferisce che rimanga lì, ma lui sembra pensarla in modo totalmente differente.
Se lo ritrova seduto di fronte, sul viso un’espressione seria e irosa, come non ne ha mai viste prima.
«Davvero, dolcezza, sono pronto a staccarti la testa a morsi se non mi dici il perché di tutta questa merda!» ringhia, sbattendo una mano sul tavolo.
Scarlett si sente fortunata che, con il vociare delle persone, nessuno ha notato nulla.
«I-io.. - balbetta, il respiro accelerato, così come il battito - io non ho una scusa,» aggiunge, lasciando che le spalle ricadano, come se ci fosse precipitato un enorme masso.
Michael chiude gli occhi, lasciando uscire l’aria dal naso velocemente ed esprimendo al massimo la propria rabbia.
«E allora che cazzo hai intenzione di fare? Continuare a prendere per il culo il mio fottuto migliore amico?» soffia tra i denti, cercando di non rendere il  tutto plateale. Non vuole dare nell’occhio, suo padre non glielo perdonerebbe.
E in cuor suo spera ci sia una spiegazione valida.
«Io.. senti, non è mia intenzione prenderlo in giro!»
«Ma è ciò che stai facendo!»
«Lo so, io lo so! - si porta le mani fra i capelli e scuote la testa, quasi le viene da piangere - ma non era previsto, ok? Io e Andrea siamo fidanzati da tanto e lui mi aveva chiesto di sposarlo, poi è arrivato Ashton.. dal nulla, totalmente dal nulla, e lui è… lui è…» non riesce a finire la frase, si asciuga una lacrima solitaria prima ancora che questa possa toccare il labbro superiore.
Non sa che cosa è successo, né cosa l’ha portata a fare una sorta di doppia vita. Sa solo che lei non è mai stata così, non avrebbe mai tradito Andrea, né avrebbe preso una sbandata per un ragazzo qualsiasi a tal punto da non riuscire a chiudere qualunque cosa sia nata.
«Lui è cosa, Scarlett?»
«È magnifico.. lo è sul serio e io, davvero, vorrei dirglielo ma ogni volta che sto con lui non ne ho il coraggio,» sospira, non guarda Michael negli occhi, non ha voglia di vederne il riflesso della sua codardia.
«Scarlett, lo dico per te, o uno, o l’altro. Non puoi continuare così, devi dirglielo! - Michael ha addolcito il tono, sa che cosa si è capaci di fare per amore, e in più lui non è la persona migliore per giudicare un tradimento - se lo verrà a scoprire sarà ancora peggio, in più ti sposerai a breve, con Andrea, non credo sia intelligente continuare così.»
Scarlett alza gli occhi, sbatte un paio di volte le palpebre e accenna un sorriso che di felice non ha nemmeno l’ombra.
«Lo so e penso sia arrivato il momento, ma non credo di farcela.»
«Devi scegliere uno dei due.»
«Non ce la faccio!»
«Senti, dolcezza, te lo dico chiaramente: se avessi davvero amato Andrea, Ashton non lo avresti filato di striscio,» e con questo si alza, non le accenna un saluto. Sebbene si sia lasciato un po’ intenerire dalla confusione e la tristezza della ragazza, non ha intenzione di lasciare che il suo migliore amico venga preso in giro così.
Scarlett, del resto, non ha più la forza di parlare.
 
Era la cosa più piccola che abbia mai visto, Calum.
Una macchiolina nera dentro l’enorme pancione. Non sa perché si è emozionato, ma l’ha sentita un po’ sua.
Sì, è una femminuccia.
Eva scoprendolo è scoppiata in lacrime, solo Dio sa perché. Certo, l’emozione può esserci, ma non pensava potesse arrivare a tanto. Gli ha stretto la mano quasi a stritolarla e Calum si è morso il labbro, pur di non gridare, ‘ché lei aveva bisogno del suo appoggio e lui gliel’avrebbe dato a tutti i costi.
La signorina lo ha guardato con uno sguardo tremendamente dolce: “sarà un bravissimo padre”, gli ha detto e Calum, davvero, non ha avuto la forza di ribattere dicendo che, in realtà, lui il papà non lo è.
Ha annuito, sorriso e poi ha guardato Eva, mentre questa si accarezzava la pancia con una rara gentilezza, che mai le ha visto usare.
Nemmeno su di lui.
Ora sono seduti sul letto di lei, Eva ha ancora i rimasugli del pianto disastroso che si è fatta dall’ospedale alla casa e continua a toccarsi la pancia lentamente. La bocca che si muove silenziosamente, sa che starà sussurrando parole dolci alla propria bimba.
Calum si sente di stringersi a lei, vederla così strana rende strano lui.
Eva si gira verso di lui per la prima volta da quando sono arrivati nella stanza e gli ammicca un sorriso stretto, prima di posare la testa sulla spalla del ragazzo.
«Sono davvero felice che tu sia venuto con me,» sbiascica, allungando una mano ad afferrare quella di Calum, intrecciando le loro dita.
«E io sono felice di essere venuto,» commenta lui, sorprendendola. Sì, vedere l’ecografia di un bimbo non è mai una brutta cosa, ma per lui pensava fosse un’enorme fatica stare lì, appresso a lei, a guardare ciò che non è di sua proprietà.
Eva sorride sulla sua spalla, senza farsi vedere. Vorrebbe dirgli che non si sente felice così tanto da prima della sua partenza, per cui ancora si maledice. Ma chi gliel’ha fatto fare?
Non che non sia stata una bella esperienza, alla fin fine, ma ne ha portati di problemi.
«Calum?»
«Uhm?»
«Mi dispiace,» borbotta, tirando su il viso per guardarlo. Scontra lo sguardo con quello di lui e si morde un labbro, appena nota la consapevolezza all’interno dei suoi occhi.
«Lo so,» dice lui, sottovoce, quasi a non voler farsi sentire.
«Sono stata una stupida, a sparire - aggiunge lei, portando l’altra mano sul petto del ragazzo - volevo capire cosa si provava a cambiare, e invece ho solo fatto un’enorme stronzata,» ridacchia, abbassando lo sguardo.
Calum rimane in silenzio e, davvero, non sa che dire, né ha davvero voglia di parlare.
Le alza gentilmente il mento e le dedica un sorriso tenero, cercando di farle intendere che, sebbene la ferita sia ancora aperta, lui la sta perdonando, un po’ alla volta.
«Sei contenta che sia una femminuccia?» cambia radicalmente discorso, allargando il sorriso all’idea di una piccola Palmer in giro per la casa.
Eva annuisce e, Calum proprio non lo sa, in pochi secondi sta piangendo nuovamente, lasciandolo confuso.
«La chiamerò Zoe.»
 
Le prime lezioni sono state una noia mortale e Luke, ora, vorrebbe solo tornarsene a casa. Si passa una mano sul viso stanco e, a spalle basse, si avvia verso il bagno.
Sa che gli mancano ancora due ore prima di poter andarsene allegramente a sdraiarsi sul proprio letto e magari farsi una bella dormita. Non è ancora abituato ai ritmi dell’università, ora che ci va sempre.
Sospira, prima di lavarsi le mani nel lavandino. Alza lo sguardo e, dietro il proprio riflesso, appare la figura sfocata di qualcun altro.
Manuel, l’amico di Gioia, sembra guardarlo con disprezzo. Luke scrolla le spalle, quasi a volersi levare da dosso della polvere, poi si avvia verso la porta, ricambiando lo sguardo con freddezza e un pizzico di derisione.
Brucia, eh?, pensa, lasciandosi sfuggire un sorrisetto storto.
Si incammina verso il cortile, è l’ora di pranzo e sa già dove trovare la sua Gioia. Infatti, seduta sulla panchina dove si sono scambiati le prime vere parole, c’è lei, seduta e con un libro in mano.
Sul viso un’espressione concentrata, le labbra serrate e le sopracciglia quasi congiunte, per quanto vicine.
«Ehi!» le dice, una volta vicino, per attirare la sua attenzione.
Gioia alza lo sguardo e lo punta su di lui, in poco tempo sembra illuminarsi. Salta in piedi, non prima di aver mollato il libro all’interno della borsa, e gli passa le braccia attorno alla vita, abbracciandolo.
«Luke, ti aspettavo,» risponde, lasciandosi sfuggire un sospiro quando sente le mani di lui toccarle la schiena.
«Voglio portarti nel mio posto, oggi,» le dice lui, una volta staccatosi dall’abbraccio. Osserva Gioia illuminarsi un po’ di più, sorridendo.
«Allora sbrighiamoci a prendere da mangiare,» lei gli afferra la mano, come se fosse il gesto più naturale che abbia mai compiuto, poi si incammina frettolosamente verso il bar, tirandosi dietro il ragazzo.
In poco meno di dieci minuti hanno i loro panini tra le mani e, come se fossero due bambini, stanno correndo per i corridoi, al fine di arrivare il più presto possibile sulla terrazza.
Luke ride, non lo fa quasi mai.
Gioia, quando lo guarda, ha il cuore che palpita.
Si siedono esattamente dove si sono messi la prima volta che Luke l’ha portata lì e di nuovo Sydney è completamente ai loro piedi.
Gioia si sente quasi la regina del mondo, lì, a osservare la propria città e con il ragazzo più bello che abbia mai visto al suo fianco.
Mangiano in silenzio, come se non ci fosse niente da dire, ma i loro sguardi continuano a cercarsi senza tregua, bisognosi di scontrarsi.
Una volta finito i propri panini e pulite le mani, quest’ultime si intrecciano, stringendosi leggermente.
E Gioia si avvicina al corpo di lui, cercando in tutti i modi di far cozzare le loro gambe. Si lascia sfuggire un risolino quando Luke, quasi in imbarazzo, le accarezza il dorso della mano, lentamente, in un tocco gentile quanto passionale.
Il silenzio li avvolge dolcemente, senza farli sentire in imbarazzo, ‘ché in compagnia uno dell’altra non hanno per forza bisogno di parlarsi. I gesti valgono più di mille parole, no?
Luke stacca lo sguardo dal panorama e scontra i propri occhi azzurri con quelli di Gioia, persi nell’osservare con attenzione il profilo etereo del ragazzo.
È un attimo e le loro labbra si toccano armoniosamente, in quello che è un secondo primo bacio.
Questa volta non scappa nessuno, però.
 
Michael è totalmente sdraiato sul divano, a dorso scoperto, ‘ché tanto è casa sua e può fare quello che gli va. Si è appena visto School Of Rock per quella che dovrebbe essere la ventesima volta e, come a sempre, lo ha emozionato come un bambino.
Un film con i fiocchi, lo può dire forte.
Sbadiglia, anche se non è che il primo pomeriggio. Ma lui ha sempre sonno, è nato pigro, che ci può fare? Si alza dal divano con troppa fatica, a dirla tutta, poi si avvia velocemente verso la cucina.
Non fa in tempo, però, ad acchiappare la scatola del gelato che il campanello trilla, risvegliandolo. Non si premura di mettersi una maglietta, anzi, non gliene può importare nulla. Si avvicina lentamente alla porta, per poi dare un’occhiata dallo spioncino e saltella sorpreso.
Si dà una sistemata veloce ai capelli, sebbene rimangano scombinati come poco prima, e infine si mette dritto sulla schiena.
Apre la porta che Eloise si sta grattando la punta del naso e ha un occhio socchiuso.
«Ciao,» borbotta lui, leccandosi il labbro inferiore. Non sa bene come comportarsi, insomma, non si sono detti nulla quando se n’è andato da casa sua.
Incrocia le braccia, aspettando che Eloise gli dia una risposta.
«Ciao a te,» risponde lei, non ammiccando nemmeno un sorriso. Si passa una mano tra i capelli e abbassa lo sguardo, ‘ché mica lo sa come gli è venuto in mente di piombare a casa di lui.
«Tu.. sì, insomma, che ci fai qui?» balbetta il ragazzo, aprendo un poco di più la porta.
Riceve una semplice alzata di spalle, ma gli basta. Invita Eloise a entrare, senza chiederle più nulla, ma godendosi solo la sua presenza inaspettata. Non pensava di certo che sarebbe andata lei da lui, si aspettava invece che avrebbe fatto la sostenuta ancora per un po’.
Tipico suo, del resto.
«Posso offrirti qualcosa, Eloise?» si avvia verso la cucina come se si aspettasse già una risposta negativa, ma Eloise si gira a guardarlo e alza un sopracciglio.
«No, grazie, non voglio nulla - scuote le spalle e si avvicina a lui, lentamente - tu, piuttosto, perché ti stai comportando così?»
«Così come?»
«Come se non fosse successo nulla.»
Michael deglutisce a forza, sbatte le palpebre un paio di volte e aggrotta la fronte.
Esattamente, cosa sta succedendo?
È sempre stata lei a far finta di nulla, a trattarlo come se non valesse nulla e a farlo sentire più che una merda, spesso.
E ora che hanno condiviso qualcosa insieme e lui la sta trattando come pensa che lei voglia, non è così?
«Io.. pensavo che tu non volessi più parlarne, a dirla tutta.»
«Beh, sbagli!» gli ringhia quasi contro, mettendosi le mani sui fianchi.
«E io cosa ne posso sapere? Tu sei lunatica
«Grazie del complimento - si lamenta Eloise, alzando gli occhi al cielo e lasciandosi sfuggire un sospiro - e comunque non sono venuta qui per litigare, coglione,» aggiunge, arricciando il naso e avvicinandosi un po’ di più.
Michael la guarda, un po’ accigliato dalla piccola discussione di prima, poi fa anche lui qualche passo verso la ragazza, stringendosi nelle spalle, ‘ché davvero non la capisce.
«E per cosa, allora?» ribatte lui, un pizzico di veleno nella voce, ‘ché loro due se non litigano, non si rivolgono nemmeno parola.
Eloise si lascia sfuggire un sorrisino storto, prima di arrivargli totalmente di fronte, la distanza dei loro corpi colmabile con un mezzo passo. Gli attorciglia le braccia dietro il collo, sentendolo trattenere il respiro, sorpreso.
«Hai davvero bisogno del disegnino?» e Michael è solo allora che si lascia sfuggire una delle sue solite risatine.
Poi la spinge verso il divano, che il letto è troppo lontano.
 
***

Ehilà, 
come va?
Al solito, mi insulto da sola dicendo che faccio tremendamente schifo. 
Ma davvero davvero tanto schifo.
Il bello è che pensavo che con l'estate, che la sto passando nella completa nullafacenza, avrei avuto modo di scrivere un capitolo alla settimana, almeno. E invece no... 
Mi dispiace davvero tanto che vi faccia aspettare così a lungo e anche che il capitolo non è nemmeno un granché, lo devo ammettere. Ma spero comunque che un minimo vi piaccia. 
Come ho detto nel capitolo precedente, però, questa storia la finirò a tutti i costi, tranquilli!
Comunque, abbiamo un Michael arrabbiato e una Scarlett che, davvero, non sa cosa fare.
Poi ci sono Eva e Calum e, sorpresona!, è una femminuccia, cosa che commuove in modo esagerato la mamma. Ovviamente non potevo toglierle la bellezza di chiamarla Zoe.
La mattina dopo Luke ha avuto la bella idea di dare a Gioia questo dannato bacio, voluto con tutto il cuore e, no, non è corso via.
Infine abbiamo Michael ed Eloise. Che la bionda si stia lasciando tutto alle spalle?
Un enorme bacio a tutti e, davvero, PERDONATEMI!
Vi amo.
Bye bye,

Judith. 

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