Demons of light and darkness

di Ella Rogers
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incubo ***
Capitolo 2: *** Sogno ad occhi aperti ***
Capitolo 3: *** Follia ***
Capitolo 4: *** Il Ponte Sospeso ***
Capitolo 5: *** Tradimento ***
Capitolo 6: *** Blu ***
Capitolo 7: *** Fiducia ***
Capitolo 8: *** Lato Oscuro ***
Capitolo 9: *** Thanatos ***
Capitolo 10: *** Svolta Improvvisa ***
Capitolo 11: *** Loki ***
Capitolo 12: *** Fratture ***
Capitolo 13: *** Sotto Attacco ***
Capitolo 14: *** Ultimatum ***
Capitolo 15: *** Legami ***
Capitolo 16: *** Oneiro ***
Capitolo 17: *** L'inizio della fine ***
Capitolo 18: *** Lacrime ***
Capitolo 19: *** Promesse ***



Capitolo 1
*** Incubo ***


Incubo
 
Era in un corridoio.
Piccole luci al neon fissate al soffitto illuminavano il pavimento coperto da lucide piastrelle bianche e le candide pareti. Su entrambi i lati c’erano porte di acciaio.
Provò ad aprirne qualcuna, ma erano tutte bloccate.
Il silenzio era assordante.
Riusciva a sentire il suo cuore palpitare. La fronte era imperlata di sudore e respirare era faticoso.
Un’ondata di brividi prese a scuotergli il corpo e percepì lo stomaco contorcersi.
Aveva paura. Era terrorizzato. Sentiva il bisogno di gridare.
Si portò le mani tra i capelli e strinse forte gli occhi per cacciare via le lacrime. Inspirò ed espirò profondamente, sperando di riuscire a calmare il cuore impazzito.
 
“Basta.”
 
Un sussurro gli risuonò nelle orecchie. Alzò il capo e con gli occhi sbarrati si guardò più volte intorno, confuso.
Non c’era niente. Era solo. Nessuno poteva aiutarlo.
Non si spiegava il perché, ma il desiderio di chiamare aiuto gli stava mordendo il cuore, il cui battito aumentava istante dopo istante.
Deglutì, sentendo la gola secca.
 
“Vi prego. Basta.”
 
Ancora un sussurro.
Avanzò titubante di qualche metro, verso la luce abbagliante che proveniva dalla fine del corridoio. Alle sue spalle c’era solo il buio, che lo seguiva ad ogni passo.
 
“Lasciatemi stare. Fermi.”
 
Adesso la voce era più chiara. Era la voce di una donna, ne era certo.
Aumentò il passo, facendo profondi respiri. Piccole gocce di sudore gli solcavano la schiena. Le mani tremavano appena.
 
“Vi scongiuro! Basta!”
 
La donna gridava. Gridava forte.
Iniziò a correre, mentre il battito del cuore accelerava ulteriormente, stordendolo.
La luce abbagliante si dissolse e al suo posto comparve una porta d’acciaio più grande delle altre. Pose la mano sulla maniglia e la spinse verso il basso.
La porta si aprì silenziosamente.
Tutto era dannatamente silenzioso. Ed era un silenzio irreale.
 
Si ritrovò in una piccola stanza completamente bianca, il cui odore di disinfettante gli pungeva le narici.
Quattro uomini con indosso camici bianchi erano radunati intorno a quella che pareva una lastra di metallo, sospesa a un metro da terra. I loro volti erano coperti da mascherine candide ed impugnavano siringhe e bisturi come fossero coltelli.
Rimase immobile per qualche secondo, prima di muovere qualche passo verso di loro, che parevano non averlo minimamente notato.
 
“Basta. Fermi.”
 
La voce proveniva dalla lastra metallica ed era carica di disperazione e paura. Ascoltarla supplicare gli provocava un forte dolore al cuore.
Non riusciva a vedere a chi appartenessero quelle preghiere, poiché le figure austere dei dottori gli coprivano completamente la visuale.
Ma prima che potesse anche solo avvicinarsi per guardare il volto della donna, sentì un stilettata di dolore alla testa e poi ci fu il buio.
 
Quando riaprì gli occhi, si ritrovò sulla stessa lastra da cui proveniva la voce.
Era completamente nudo, ad eccezione di un telo bianco che gli copriva l’inguine e che cadeva morbido sui fianchi. Rabbrividì, percependo il freddo metallo sulla pelle. Le tempie pulsavano e il fischio nelle orecchie lo costringeva a scuotere la testa violentemente. I polsi e le caviglie erano bloccati da anelli di acciaio. Cercò di liberarsi con degli strattoni, ma ottenne il solo risultato di ritrovarsi polsi e caviglie sanguinanti.
I quattro uomini entrarono nel suo campo visivo e gli mancò il fiato alla vista delle orbite vuote sui loro volti. Uno di essi avvicinò il bisturi al suo petto nudo e gli squarciò la pelle. Gli altri si avventarono sull’addome, sulle gambe e sul viso.
Gridò forte.
Il sangue usciva copioso da ogni parte del suo corpo martoriato.
Gridò ancora e ancora, fino a perdere la voce.
Le lacrime gli rigarono il volto, sfigurato dal dolore. La vista era offuscata dalle lacrime e dal sangue, mentre il fischio nelle orecchie cresceva d’intensità, inducendolo a tenere gli occhi serrati.
 
“Basta. Fermi.”
Il suo fu un laconico grido strozzato. La bocca era pervasa dal sapore ferroso del sangue. Conati di vomito gli risalivano lungo la gola, bloccandogli il respiro.
Continuava a piangere e violenti singhiozzi gli scuotevano il corpo, mentre i dottori, orribili carnefici privi di identità, infierivano sadicamente su di lui.
Voleva morire.
Perché non moriva? Perché rimaneva cosciente?
 
“Vi prego. Basta” sussurrò.
 
Poi l’oscurità lo avvolse.
 
 
 
                                                       ***
 
 
 
Steve sbarrò gli occhi e si mise a sedere.
Ansimava, mentre il cuore pareva volergli uscire dal petto. Era fradicio di sudore e la testa gli doleva talmente tanto, da impedirgli di tenere gli occhi aperti. Le lenzuola erano attorcigliate disordinatamente al suo corpo e si rese conto di stringerle con forza tra le mani.
Un incubo. Solo e soltanto un incubo.
In bocca percepì uno strano sapore salato.
Aveva pianto. Era la prima volta che gli accadeva. Aveva incubi tutte le notti, ma mai nessuno di essi lo aveva stravolto così. Gli era sembrato maledettamente reale ed ancora riusciva a percepire il terrore scorrergli nelle vene.
 
E quella voce …
 
Scosse la testa, ma se ne pentì all’istante, quando un capogiro lo fece ricadere disteso sul letto bagnato dal suo stesso sudore. Lanciò un’occhiata alla piccola sveglia digitale posta sul comodino di fianco al letto: mancavano pochi minuti alle tre.
Doveva farsi una doccia e cambiare le lenzuola, così poi avrebbe potuto - o almeno ci avrebbe provato - dormire un po’.
Prese un respiro profondo e si alzò dal letto, evitando movimenti troppo bruschi. Una volta in piedi, si diresse verso la porta della camera e spinse l’interruttore alla sua destra. La luce che si propagò nella stanza lo intontì per qualche secondo, accecandolo. Si portò le mani al viso e si stropicciò gli occhi, che pizzicavano a causa delle lacrime versate. Abituatosi alla luce, con movimenti stanchi e lenti, tolse le lenzuola e la fodera del cuscino bagnate e le sostituì con quelle fresche di bucato.
Si trascinò poi in bagno, dove incontrò il proprio riflesso nello specchio sopra il lavandino. I capelli biondi erano arruffati ed alcune ciocche erano appiccicate alla fronte sudata. Gli occhi azzurri erano gonfi, quasi come se qualcuno li avesse presi a pugni, e talmente arrossati da bruciare.
Steve sospirò e si passò una mano tra i capelli. Velocemente si svestì e per alcuni attimi guardò il proprio corpo, come per assicurarsi che fosse tutto a posto e che non ci fosse alcuno squarcio sulla pelle chiara.
Entrò nella doccia e lasciò che un fiotto d’acqua fredda lo colpisse in pieno. Il getto lo fece rabbrividire, ma donò un po’ di sollievo al corpo accaldato. Rimase immobile sotto l’acqua, finché non cominciò ad avere freddo.
Terminata la doccia, indossò solo un paio di boxer e si diresse verso la porta per spegnere la luce. Quando allungò la mano per premere l’interruttore, si accorse che essa tremava visibilmente. Osservò le dita tremanti schiacciare il piccolo rettangolino nero e poi tutto divenne buio.
Si lasciò cadere sul letto non appena lo raggiunse e si costrinse a chiudere gli occhi, cercando di ignorare il tremito costante delle mani.
 
‘Era solo un incubo’ si ripeté mentalmente, facendo respiri profondi.
 
“Aiutami. Ti prego.”
 
Tutti i muscoli del corpo si tesero, quando quel sussurro gli rimbombò nella testa. Spalancò gli occhi e cominciò ad iperventilare.
Era lei. La voce dell’incubo.
 
“Aiutami, Steve.”
 
Smise di respirare. No, era impossibile.
Piantò le unghie nei palmi delle mani e sentì dolore quando questi si sporcarono di sangue.
Era sveglio. Non stava sognando.
 
“Steve! Steve aiutami!”
 
Ora la voce stava gridando.
Premette con forza le mani sulle orecchie.
“Smettila” sussurrò appena, respirando freneticamente.
“Esci dalla mia testa.”
Si alzò con uno scatto e, sforzandosi di rimanere in piedi dopo che violenti capogiri avevano attaccato la sua stabilità, infilò una tuta e una maglietta, per poi uscire dalla stanza. Attraversò l’ampio soggiorno ed entrò nell’ascensore illuminato da una tenue luce arancione.
La palestra che Stark gli aveva messo a disposizione si trovava qualche piano della Tower più in basso e Steve non vedeva l’ora di prendere a pugni qualche sacco rinforzato e inerme.
L’idea di dormire l’aveva scartata definitivamente.
 
 
 
 
 
 
Note
Ciao :)
Grazie per aver letto questo primo capitolo della mia storia.
Spero vi sia piaciuto e che vi abbia incuriosito almeno un pochino ;)
Questa è la prima storia che scrivo e non ho idea di ciò che ne verrà fuori, dato che non sono un asso (faccio pena) con le trame premeditate.
Qualunque cosa non vada e se ci sono errori, io sono qui, pronta ad ascoltare ogni suggerimento per poter migliorare.
Grazie e arrivederci al prossimo capitolo!
 
Ella

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Capitolo 2
*** Sogno ad occhi aperti ***


Sogno ad occhi aperti

Settembre 2012
 
Nel momento in cui varcò la soglia della Sala Comune dei Vendicatori, fu accolto dall’odore di uova strapazzate e bacon.
Da quando vivevano tutti sotto lo stesso tetto - quello della Stark Tower -, gli eroi più potenti della Terra erano soliti consumare i pasti assieme - in realtà era stata un’idea di Pepper, per rendere il gruppo più affiatato e ciò pareva funzionare almeno un pochino.
Steve aveva una voragine nello stomaco ed il profumo invitante gli fece venire l’acquolina in bocca. Aveva passato un’intera notte a malmenare sacchi rinforzati e aveva tirato pugni talmente forti da sentire dolore alle mani, le quali avevano smesso di tremare solamente quando il Sole aveva cominciato a sorgere pigramente. Si diede dello stupido, ripensando alla sua reazione così eccessiva per un semplice incubo, anche se in cuor suo sentiva ancora che qualcosa non andava.
 
La Sala Comune era illuminata dai raggi del Sole provenienti dalla parete a vetri che dava su New York. Stranamente, non c’era tutta la confusione che ogni mattina la riempiva.
Si diresse nell’angolo dedicato alla cucina, alla destra della porta d’ingresso, dove c’era un lungo tavolo di legno scuro. Dalla parte opposta c’era il bancone-bar e l’intero arsenale degli alcolici di Stark. Nel centro della stanza stanziava una grande televisione piatta e davanti ad essa erano sistemati due divani e quattro poltrone in pelle bianca.

“Dormito male?”

Steve alzò lo sguardo, incontrando gli occhi verdi di Natasha, che lo osservava con curiosità e un sorriso leggero le piegava le labbra carnose. La donna dava le spalle alla padella sui fornelli, in cui sfrigolava il bacon assieme alle uova. Indossava una canottiera nera e dei pantaloncini del medesimo colore, mentre i piedi era nudi sul parquet marrone chiaro.
“Buongiorno Natasha” salutò Steve, occupando una delle sedie intorno al tavolo.
“Cosa ti fa pensare che non abbia dormito bene?” continuò poi, sollevando le sopracciglia con fare perplesso.
La Vedova aggrottò la fronte e scosse la testa, sospirando appena.
“Deduco che non ti sia guardato allo specchio questa mattina, giusto Capitano?”
Steve arrossì appena. Aveva fatto una veloce doccia in palestra ed era salito in camera solo per prendere una maglia pulita. No, effettivamente lo specchio quella mattina lo aveva trascurato, anche se a pensarci bene non era tipo che ne usufruiva parecchio.
Era Tony il patito degli specchi.
Si passò una mano tra i capelli biondi, che qualche giorno prima aveva fatto tagliare.
Clint lo aveva tartassato fino allo sfinimento, dicendogli che era ora si adeguasse al mondo moderno e che quel ciuffo così lungo, oltre che orribile, era anche un impiccio, visto che se non indossava la maschera, gli andava continuamente a finire davanti gli occhi. Steve all’inizio aveva fatto l’offeso, ma poi aveva effettivamente deciso di dare un taglio sia ai suoi capelli sia al suo attaccamento agli anni ‘40. Aveva anche comprato indumenti degni di essere indossati nel ventunesimo secolo. Ciò aveva sconvolto non poco Stark, che ancora chiedeva a Barton quale metodo di tortura avesse usato per convincerlo a liberarsi delle orrende camicie a quadri.

“Ehi Capsicle, hai fatto a pugni con Hulk recentemente?”
Il miliardario fece il suo ingresso nella sala, con la solita faccia da schiaffi ed uno dei suoi famosi sorrisetti ‘ti sto prendendo per il culo e ci godo da morire’. Indossava una canotta nera e una tuta grigia e si stava ripulendo le mani con un panno bianco, segno che era stato in laboratorio a trafficare con le sue invenzioni fino a qualche minuto prima.
Steve storse il naso e gli lanciò un’occhiataccia.
“Buongiorno anche a te, Stark. No, non ho fatto a pugni con Hulk. Non sono io quello che infastidisce Banner continuamente.”
Tony allargò il sorriso, mostrando i denti perfetti.
“Allora deduco che qualche bella signorina ti abbia intrattenuto piacevolmente tutta la notte, dal momento che hai delle occhiaie talmente scure, che nemmeno quintali del trucco della Romanoff potrebbero coprire. Cosa diavolo hai fatto Capsicle?”
Steve avvampò e strinse le labbra in una linea sottile. Stark sapeva mandarlo letteralmente in escandescenza. Provò l’irrefrenabile istinto di prenderlo a pugni, ma si limitò a fulminarlo con lo sguardo, mentre Natasha faticava a trattenere il risolino che le premeva sulle labbra.

Qualche minuto dopo, tutti i Vendicatori erano seduti a tavola per la colazione.
Tony e Clint continuavano a sogghignare in direzione del Capitano, lanciandosi sguardi di intesa di tanto in tanto. Thor era impegnato a strafogarsi con uova, bacon e pancake. Bruce sorseggiava della camomilla e ogni tanto guardava con compassione Steve, poiché sapeva che sarebbe stato il bersaglio delle frecciatine del miliardario e l’arciere per il resto della giornata - o della settimana.
Per qualche istante l’unico suono nella stanza fu quello di cucchiai e forchette che battevano contro piatti o tazze e Steve si godè quegli attimi di pace, riempiendo lo stomaco con uova e una tazza di latte con cereali.
Fu quando Thor mandò in frantumi il bicchiere da cui aveva appena bevuto del succo di frutta - il dio lo aveva fatto senza pensare e aveva sgranato gli occhi non appena si era ricordato di non essere ad Asgard, anche se ormai era alla Tower da quasi un mese -, che la piacevole atmosfera rilassante si ruppe definitivamente.
Thor scoppiò a ridere, grattandosi la nuca, mentre Tony lo informava che se avesse continuato così, sarebbero rimasti senza bicchieri.
“Dai Stark! Con tutti i soldi che hai potresti comprarti un intero camion di bicchieri di cristallo!” aveva commentato Clint, sorridendo.
“Barton, se parli ancora in difesa del biondone tutto muscoli e zero cervello, giuro che ti nascondo l’arco e le frecce!”
Tony fece la linguaccia, come un bambino offeso, e poi attaccò a parlare con Bruce sul fatto che i muscoli troppo pompati incidessero fortemente sull’intelligenza umana.
Thor nel frattempo aveva dato inizio ad uno dei suoi sermoni sulla vita e le abitudini degli asgardiani, ignorando il fatto che nessuno lo stesse ascoltando.
Le due spie, invece, avevano battuto in ritirata, piazzandosi su un divano davanti al televisore, che la rossa si premurò di accendere.

Questa era la routine e in fondo a Steve piaceva.
Da quando viveva con i suoi compagni, il vuoto di solitudine che si era portato dentro dal suo risveglio si era rimarginato a poco a poco, fino a diventare solo un piccolo puntino di nostalgia, che comunque non lo avrebbe mai abbandonato.
Non poteva cancellare i ricordi. Non poteva far finta di non avere mai vissuto negli anni ‘40. Non ci riusciva. Non riusciva a liberarsi dei demoni del passato, che nella notte si palesavano nei suoi incubi.
Scosse il capo, come per scacciare via i brutti pensieri, e si accorse che qualcosa non andava. I suoni giungevano ovattati alle sue orecchie. La stanza aveva cominciato a vorticare.
Le voci dei suoi compagni che discutevano - soprattutto il tono possente di Thor - e il volume alto della televisione divennero mormorii e poi sussurri, fino a scomparire del tutto. Fino a trasformarsi in silenzio.
Steve si sforzò di mantenere la calma, mentre sentiva lo stomaco contorcersi e la fronte imperlarsi di sudore freddo. La paura e l’ansia cominciarono a scorrergli nelle vene.
Sbatté le palpebre e la Sala Comune svanì.
I suoi compagni non c’erano più.
 
 
 
                                                         ***
 
 
 
Poche cose erano capaci di zittire Tony Stark, soprattutto mentre parlava di tecnologia o scienza.
Stava spiegando al dottor Banner la sua teoria secondo la quale il cuore, costretto a inviare quantità eccesive di sangue a muscoli troppo pompati, ne facesse arrivare troppo poco al cervello, causandone il malfunzionamento e quella da lui denominata Sindrome della Stupidità.
Bruce annuiva di tanto in tanto, tenendo le mani intrecciate sotto il mento ed i gomiti appoggiati sul tavolo, e faceva vagare il suo sguardo per la stanza in cerca di una scappatoia - quando Tony ci si metteva, poteva essere più stressante di Thor - e notò che c’era qualcosa che non andava. Si aggiustò meglio gli occhiali sul naso e strinse le labbra.

“Il Capitano Rogers.”

“Si Bruce, Cap è affetto da questa sindrome e non credo che esistano delle cure per aiutarlo. Lui è un caso disperato e-”

“Stark” lo interruppe Banner, alzando un po’ troppo il tono della voce, così da guadagnarsi l’attenzione di tutti.
“Steve è …”
Gli occhi di tutti si posarono sul posto occupato dal Capitano.
“Crollato” terminò Clint.

Steve aveva la fronte poggiata sul tavolo e le braccia penzoloni lungo i fianchi.
Tony scoppiò a ridere e gli altri lo seguirono a ruota, ma Bruce rimase serio, poiché aveva notato che il Capitano tremava appena.
Natasha, che aveva visto il dottore rimanere teso, scivolò al suo fianco.
“Bruce, tutto okay?” gli chiese, ma Banner non rispose, limitandosi a raggiungere Steve.
 
Bruce poggiò le mani sulle spalle del Capitano, sentendone i muscoli tesi e contratti. Lo scosse con delicatezza.
Tutt’intorno era tornato il silenzio e Clint aveva addirittura spento la televisione, avendo capito che qualsiasi cosa fosse successa, non era per niente buona.
Tony affiancò Bruce e notò anche lui la schiena tesa del soldato e i tremiti che gli scuotevano il corpo. Non stava dormendo e non poteva nemmeno essere svenuto, perché in quei casi i muscoli del corpo si sarebbero rilassati completamente.
Bruce, intanto, aveva preso a scuoterlo più forte, ma Steve non reagiva. Fu quando iniziò ad ansimare e a gemere, che il dottore gli fece riversare il capo all’indietro con un violento strattone.
I Vendicatori rimasero impietriti.
Steve teneva gli occhi sbarrati ed erano completamente bianchi.

“In laboratorio. Adesso.”
Tony aveva assunto un’espressione imperscrutabile e il suo suonò come un ordine, che nessuno osò contestare.
Thor sollevò Steve, mettendoselo in spalla e tutti seguirono il miliardario alla volta del laboratorio.
Intanto, Steve aveva cominciato a gridare sempre più forte.
 
 
 
                                                     ***
 
 
 
Era in un bosco.
La vegetazione era fitta e gli alti alberi impedivano alla luce di penetrare all’interno, immergendo tutto nella penombra.
Steve si guardò intorno più volte, cercando di capire dove diavolo si trovasse, ma ci rinunciò quasi subito.
Un fruscio lo fece voltare di scatto. Niente. Forse era stato il vento.
Da lontano provenivano dei suoni indistinti. Rimase immobile, ascoltandoli divenire sempre più chiari, fino a quando si trasformarono in voci.
Voci che gridavano. Voci sempre più vicine.
 
“Da questa parte!”
“Non lasciatela scappare!”
“Ricordate che la vogliono viva!”

Si stavano avvicinando velocemente e Steve non sapeva se andare loro incontro o correre il più lontano possibile.

“Devo scappare o loro mi rinchiuderanno di nuovo in gabbia.”
Il biondo percepì qualcosa sfiorargli la mano e quando si voltò, le sue iridi azzurre incontrarono due occhi grandi e luminosi. Bellissimi.
“Loro mi fanno del male. Vieni a prendermi, Steve.”
Un battito di ciglia e lei non c’era più. Andata. Sparita.

Il Capitano cominciò a correre, lontano da chi si stava inesorabilmente avvicinando, anche se ignorava il motivo per cui stava scappando.
Il suo corpo era scattato e non riusciva a fermarlo. Correva e basta.
Gemeva ogni qual volta cespugli spinosi e rovi gli graffiavano la pelle. La testa gli pulsava e i muscoli delle gambe bruciavano. Correva senza meta e gli sembrava di sentire gli inseguitori sempre più vicini.
Uno sparo e cadde a terra, gridando per il forte dolore alla gamba.
Una decina di uomini con indosso divise nere gli furono subito addosso. Scalciò e si dimenò con tutta la forza che aveva, mentre veniva picchiato a sangue con una brutalità inaudita. Gridò per il dolore e la frustrazione.
Poi gli uomini si fermarono, lasciandolo a terra, steso sulla schiena e stordito. Il labbro inferiore spaccato gli bruciava.
Un uomo possente, con il viso coperto da una maschera nera avente solo due fessure per gli occhi, si sedette sul suo torace e Steve gridò quando una fitta alle costole gli fece vedere le stelle.
L’uomo lo prese per i capelli e avvicinò i loro visi, fino quasi a farli sfiorare.
“Non ti azzardare mai più a fare una cosa del genere o la prossima pallottola si conficcherà direttamente nel tuo cranio, mia cara.”
L’uomo gli sbatté violentemente la testa contro il suolo e l’ultima cosa che Steve vide fu una piccola spilla rossa raffigurante un diavolo dalle lunga corna e dai denti aguzzi, che spiccava sulla sua divisa nera.
Poi gli occhi si chiusero, ma rimase cosciente. Si sentì sollevare. Qualcuno se lo mise in spalla e cominciò a muoversi.
 
“Aiutami, ti prego. Vieni a prendermi. Vieni da me.”

Nella testa risuonava quella voce e ancora una volta lo pregava di aiutarla.

“Tu hai visto cosa mi fanno. Tu hai sentito.”
 
“Rilassati Steve. Ti sei addormentato e tutto questo è solo un sognoSolo e soltanto un sogno. Un sogno.
Se lo ripeteva come fosse un mantra, ma qualcosa dentro gli impediva di crederci davvero.
 
 
 
 
 
 
Note
Ciao!
Ecco il secondo capitolo. Spero sia di vostro gradimento.
Siamo nel periodo post-Avengers e, come avrete intuito dal testo, Fury ha costretto i Vendicatori a vivere insieme nella Tower.
Steve si è tagliato i capelli proprio come li porta nel film “The Winter Soldier”, film a cui la storia dovrebbe ricongiungersi, se tutto va bene.
Questo forse è un capitolo un poco noioso, ma dal prossimo capitolo mi impegnerò a rendere la storia più avvincente, o almeno, spero di riuscirci.
Saluti a tutti e grazie mille a chi legge questa storia <3

Ella

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Capitolo 3
*** Follia ***


Follia
 
La luce delle lampade al neon incastonate sul soffitto lo accecò per diversi secondi.
Le palpebre erano pesanti e faceva fatica a tenere gli occhi aperti. Riusciva a vedere solo sagome nere torreggiare sopra di lui. Percepì il freddo metallo a contatto con la schiena nuda e il panico lo assalì, mentre le immagini dei dottori che squarciavano la sua pelle gli scorrevano nitide davanti gli occhi.
Iniziò a respirare sempre più velocemente, provocandosi dolorose fitte al torace. I polmoni bruciavano e il battito del cuore gli rimbombava nelle orecchie.

“Sta andando in iperventilazione! Cazzo, Rogers! Riprenditi!”

Delle mani calarono sulle sue spalle e cominciarono a scuoterlo sempre più violentemente.

“Stark stai esagerando!”

Stark?

Batté le palpebre e cercò di mettere a fuoco.
La prima cosa che vide fu la faccia incazzata e preoccupata di Tony, che chiamava il suo nome. Mai fu più felice di vederlo come in quel momento.
Il panico scemò e Steve percepì i muscoli sciogliersi e la testa pulsare. Fece qualche respiro profondo e lentamente si mise seduto su quello che riconobbe come il tavolo di metallo del laboratorio di Tony.
I suoi compagni lo stavano osservando in silenzio e sui loro volti scorse il sollievo.
L’unico suono era quello emesso dall’elettrocardiogramma, posizionato su uno sgabello affianco al tavolo.
Steve notò che gli erano stati applicati gli elettrodi del macchinario sui polsi, sulle caviglie e sul torace. Gli avevano tolto la maglia, ma indossava ancora i pantaloni grigi della tuta.
Adesso il silenzio lo stava soffocando, perciò decise di romperlo definitivamente. Aveva bisogno di risposte.
“Perché sono qui? Cosa mi è successo?”
Tony, che era al suo fianco, parve riscuotersi.
“Sei tu quello che ci dovrebbe dire cosa ti è preso” disse, conficcando le sue iridi ambrate in quelle color cielo di Steve.
Quest’ultimo abbassò lo sguardo e scosse piano il capo.
“Un’allucinazione, credo.”
“Sai, Rogers? Vorrei tanto sapere che diavolo di allucinazione fosse, perché gridavi come un dannato e il battito del tuo cuore ha raggiunto picchi talmente elevati, da farmi credere che scoppiasse da un momento all’altro e poi, di punto in bianco, è calato e la linea lì sopra è diventata piatta per alcuni secondi!” sbottò il miliardario, indicando l’elettrocardiogramma.
Bruce pose una mano sulla spalla di Tony per cercare di calmarlo, ma quello continuava a fissare Steve in attesa di risposte.
“Io … non lo so” mormorò il super soldato.
Tony rimase per un istante a bocca aperta, poi scosse il capo.
“Bene. Quando avrai intenzione di parlarne, fammelo sapere. Fino a quel momento prega di non avere altri attacchi simili, perché non abbiamo idea di come diavolo fermarli.”
Dopo quest’ultimo scatto d’ira, il miliardario si voltò, uscì dalla porta a vetri ed entrò in ascensore.

Steve era rimasto scioccato da quella reazione. Strinse le labbra e lentamente si tolse uno ad uno gli elettrodi.

“Non prendertela, Capitano. Era solo scosso, come in fondo lo siamo tutti.”
Bruce cercò di rassicurarlo e accennò un sorriso.

“Sai com’è Stark. Reagisce sempre in maniera esagerata. Mi suona strano dirlo, ma era davvero preoccupato per te Steve …”
Natasha fece un profondo respiro e continuò.
“ … stavi morendo.”

Clint, che fino a quel momento era rimasto in disparte, affiancò Rogers e gli mise una mano sulla spalla.
“Ci hai fatto prendere un colpo” disse sorridendo, cercando di allentare la tensione calata nella stanza.
“Il valente Capitano è forte. Ha resistito alla forza oscura che turba il suo animo.”
Thor gli mise un braccio intorno alle spalle e poi lo aiutò a rimettersi in piedi.
Steve barcollò appena, ma poi ritrovò la stabilità, anche se dentro di sé di stabile non c’era niente.
La sua mente continuava a focalizzarsi su una cosa soltanto.
Occhi grandi e luminosi. Bellissimi.
 
 

                                                        ***
 
 
 
Lasciò la moto nel parcheggio sotterraneo della Stark Tower e si trascinò fino alle porte chiuse dell’ascensore.
Spinse un pulsante alla sua destra e attese. Si concentrò sul sibilo della grande cassa di metallo che scivolava sui cavi d’acciaio.
Un ding annunciò l’arrivo dell’ascensore e subito dopo le porte si aprirono, scorrendo verso l’esterno.
Entrò e premette il pulsante relativo al piano che Stark gli aveva assegnato, quando Fury aveva costretto i Vendicatori a vivere insieme.
Nella calda luce arancione che illuminava l’interno dell’ascensore, Steve scorse il suo riflesso nello specchio di fronte alle porte.
Aveva i capelli in disordine, il viso era pallido e sporco di sudore, terra e sangue rappreso. Occhiaie scure spiccavano sotto un paio di occhi che non brillavano del solito azzurro, ma erano spenti e sembravano quasi grigi, come il cielo durante una tempesta.
La divisa nera dello SHIELD era stropicciata e strappata in diversi punti e lo scudo in vibranio sulle spalle pesava più del solito.
Sette giorni. Erano passati solo sette giorni da quando era quasi morto.
Ma a Steve sembrava trascorsa un’eternità.
 
 

La sera stessa di quel maledetto giorno aveva raccontato a tutti i suoi compagni dell’incubo in cui dei dottori lo avevano massacrato ed anche di ciò che aveva visto nell’allucinazione che lo aveva quasi ucciso.
Tony, sbollita la rabbia e la frustrazione per l’incidente della mattina, aveva cominciato ad elaborare alcune ipotesi per avere chiare le cause e trovare al più presto una soluzione. Assieme a Bruce, si era rintanato nel proprio laboratorio e ne era uscito qualche ora dopo, con in mano alcuni barattolini di plastica contenenti pillole rosse.
Steve era rimasto sveglio ad aspettarli nella Sala Comune, mentre gli altri erano tornati nelle loro stanze, una volta passata la mezzanotte.

“L’incubo dei dottori può ricollegarsi con il dolore che hai provato il giorno in cui ti è stato iniettato il siero del super soldato. Il tuo subconscio rielabora quel dolore e crea situazioni simili, che ti inducono a provare il dolore e la paura di quel giorno. L’allucinazione del bosco funziona allo stesso modo, solo che deriva dall’ansia e dalla paura provate durante la guerra. Il tuo cervello ha creato una situazione simile, tu nascosto tra i boschi, i soldati nemici alle calcagna e tutto il resto insomma.”
Mentre parlava, Tony aveva evitato di guardarlo negli occhi e Steve aveva capito che non c’era sicurezza nelle sue parole. Ciò lo avevano confermato anche lo sguardo costantemente attaccato al pavimento di Bruce e le sue spalle curve.
Erano ipotesi, le più plausibili, ma non c’era certezza.

Steve aveva poi sentito nascere dentro di sé il senso di colpa per avere taciuto alcuni particolari: non aveva parlato di lei, della voce nella testa.
Non sapeva perché, ma qualcosa lo aveva bloccato.
 
Tony alla fine gli aveva consegnato le pillole rosse.
“Sono potenti sonniferi. Bastano due pillole dopo cena. Riescono a stordire il cervello. Dormirai notti senza sogni e senza incubi” gli aveva detto prima di congedarsi con un “Buonanotte, Cap”.
Bruce lo aveva salutato con un cenno del capo ed un sorriso tirato ed era tornato nella sua stanza.
 
Le pillole erano state la sua rovina. Il sonnifero lo aveva intrappolato in un sonno pieno di incubi e lui non aveva potuto svegliarsi, per sfuggire alla paura e al dolore che quelle visioni gli provocavano.
In una sola notte, di nuovo i dottori lo avevano massacrato, era affogato in una teca di vetro piena d’acqua - che non era riuscito a spaccare nonostante tutti i suoi sforzi - e,
alla fine, di nuovo steso sulla lastra di metallo, con elettrodi attaccati al torace e alla testa, aveva ricevuto scariche elettriche talmente forti da fargli sanguinare il naso e le orecchie.
Aveva gridato.
Aveva supplicato di smettere.
Aveva versato nuove lacrime.
Aveva costantemente sentito quella voce nella testa.
“Guarda cosa mi fanno. Sentilo” gli ripeteva, gridando.

Si era svegliato fradicio di sudore, con la gola che gli bruciava, segno che aveva gridato fino a far infiammare le corde vocali.
Per fortuna le stanze erano insonorizzate. Nessuno aveva potuto sentirlo.
Aveva gettato le pillole nel cesso e, in quell’esatto momento, aveva deciso di accettare qualunque missione Fury gli avesse assegnato. Certo, le sue non erano missioni da spia - non era addestrato per quello -, ma missioni che richiedevano forza bruta e capacità eccelse nell’arte dello sfondamento.
 
 

Quando le porte dell’ascensore si aprirono, Steve tornò alla realtà e scivolò fuori, zoppicando appena. Solo qualche ora prima, nell’infermeria dello SHIELD, gli avevano estratto un proiettile dal quadricipite destro.

“Bentornato Rogers. Come è andata la missione?”

Steve sussultò e puntò lo sguardo sul divano del salottino, che si trovava subito dopo il piccolo corridoio dell’ingresso.
Stark era comodamente seduto e, appoggiata al davanzale della finestra alle sue spalle, c’era Natasha.

“Cosa diavolo ci fate voi qui?” sbottò Steve.
“La mancanza di sonno ti inacidisce, Rogers.”
Tony, accigliato, si era alzato in piedi e stava guardando il Capitano.
“Che ci fate voi due nel mio salotto?” chiese di nuovo Steve, cercando di addolcire il tono, anche se fallì miseramente.
“Veramente saremmo venuti tutti ma, come sai, Thor è partito per Asgard tre giorni fa, perché il Padre degli Dei lo ha convocato per non so cosa. Clint è in Marocco da due giorni per una missione e Bruce è meglio non farlo agitare.”
Stark stava usando un tono sarcastico. Guardò Steve per qualche istante, poi continuò.
“Ah no scusa, dimenticavo che è una settimana che non ti fai vedere, quindi non potevi sapere di Thor e Clint, ma forse di Bruce ancora ti ricordi.”
Steve gli lanciò un’occhiataccia e fece qualche passo verso di lui, fronteggiandolo. Tutti i muscoli erano tesi.
“Non sono in vena di giochetti, Stark. Arriva al punto.”
Tony scosse il capo e poi guardò Steve negli occhi.
“Possibile che non capisci che fare il duro ti servirà a poco. Crollerai, Rogers, e presto anche, se continui in questo modo.”
“Sto benissimo, grazie per l’interessamento.”
“Sono sette giorni che svolgi ininterrottamente missioni per lo SHIELD e sono sette giorni che non dormi. Non parli con nessuno, lo fai solo per dare ordini agli agenti che ti affiancano in missione.”
Tony gli aveva puntato l’indice destro sul petto, mentre continuava a parlare con un tono di voce che saliva ad ogni parola.
“Dovremmo essere una squadra e il fatto che sia proprio io a ricordarlo a te mi sconvolge non poco, Capitano. Stai fuggendo dai problemi, ma prima o poi dovrai affrontarli. Cosa farai se altri stupidi alieni ci attaccassero?”
Steve si levò di dosso il dito di Tony con un gesto veloce della mano. Soffiò di rabbia e gli occhi si ridussero a due fessure.
Se lo sguardo avesse potuto uccidere, Stark sarebbe morto.
“Non fuggo dai problemi. Li sto affrontando ed evito che diventino un peso per la squadra. Sono pronto a tutto, Stark.”
Il miliardario scoppiò a ridere istericamente.
“Pensi di essere altruista, se tieni tutti i tuoi problemi per te? No, Rogers, tu sei un dannato egoistaNon ti fidi di noi!
Tony stava gridando, ma Steve continuò a sostenere il suo sguardo.
“L’ultima volta che l’ho fatto, ho passato la notte peggiore della mia esistenza” sputò fuori, ma subito si pentì di quelle parole, anche se non lo diede a vedere.

Un pugno si schiantò sulla sua guancia sinistra e Steve barcollò. Poi Tony lo afferrò per il colletto della divisa nera e con uno strattone avvicinò il viso del soldato al suo.
“Stavamo cerando di aiutarti. Dio, ma chi sei tu?” sibilò e subito dopo mollò la presa sul Capitano, lo superò e a grandi passi raggiunse l’ascensore, deciso ad andare via di lì prima di spaccare qualcosa.
Steve rimase con lo sguardo incollato al pavimento. La guancia colpita da Stark pulsava appena.

“Undici proiettili in una settimana. Tutti penetrati in punti non vitali.”
Natasha, con movimenti fluidi ed eleganti, era arrivata a un passo da lui.
Steve guardò l’espressione fredda della donna, che in ogni situazione cercava di mantenere sotto chiave le emozioni. Lesse però in quei due occhi verde smeraldo un misto di delusione, tristezza e rabbia. Lasciò che continuasse a parlare, sapendo bene dove volesse andare a parare.
“Combatti gli incubi, rimanendo sveglio. Le allucinazioni, invece, le combatti con il dolore. Ti spari quando le senti arrivare.”
La sua voce era piatta, priva di qualunque inclinazione emotiva.
Steve rimase in silenzio. Non poteva negare, perché le parole della Vedova Nera erano la pura e semplice verità.
“Combatti il dolore con altro dolore. Non puoi andare avanti così, perché anche se nelle tue vene scorre il siero del super soldato, tu rimani pur sempre un essere umano, Steve.”
Natasha si portò una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio, sospirando appena. Rivolse al biondo uno sguardo accusatorio, prima di dirigersi verso l’ascensore. Vi entrò.
“Stark ha ragione. Non sei Steve. Lui non si comporterebbe mai così. Lui si fiderebbe dei propri compagni” disse, prima che le porte si chiudessero alle sue spalle.
 
 
Steve era rimasto immobile. Lo sguardo perso nel vuoto e le mani tremanti di rabbia.
Era arrabbiato, ma non con Natasha e tantomeno con Tony.
Era arrabbiato con sé stesso.
Ma che diavolo stava facendo? Era impazzito?
Le parole dei suoi compagni avevano fatto muovere qualcosa dentro di lui e lo avevano costretto ad affrontare la realtà, da cui cercava di fuggire da ben sette dannatissimi giorni.
Era riuscito ad evitare incubi ed allucinazioni, ma al loro posto ora c’era un tumulto di emozioni contrastanti. Tra di esse era la rabbia a dominare, anche se Steve continuava a chiedersi da che cosa scaturisse.
Era certo di non avercela con Tony e Bruce per le pillole, nonostante la pesante accusa che aveva rivolto al miliardario poco prima.
Istintivamente si morse la lingua, ripensando alle parole che aveva pronunciato: Hulk lo avrebbe preso a pugni e se lo sarebbe meritato.
Ma allora perché? Perché diavolo provava una rabbia così intensa?
Si lasciò cadere sul divanetto e si coprì il volto con le mani.
La cosa peggiore era un’altra però. Era qualcosa che lo opprimeva da quando aveva visto quegli occhi ed era diventata sempre più forte negli ultimi giorni.
Non riusciva a fidarsi di nessuno.
Aveva addirittura chiesto a Fury di poter lavorare da solo, ma il direttore continuava comunque ad affiancargli un manipolo di agenti.
Lo distruggeva il fatto di non avere più fiducia nemmeno nei Vendicatori, con i quali aveva combattuto contro un esercito alieno, per la salvezza della Terra. Loro non erano più solo compagni di squadra. Per Steve, erano diventati una vera e propria famiglia ed ora li stava ripudiando di punto in bianco, senza che ci fosse una reale motivazione.
 
“Perché mi stai facendo questo?”
Le parole gli erano scivolate fuori dalle labbra.
Sapeva di essere da solo in quella stanza, ma non nella sua testa.
Aveva lottato per tenerla lontana ed aveva eretto intorno alla sua mente una barriera costituita con il dolore fisico che si autoinfliggeva.
Ma cosa ci aveva guadagnato? Altro dolore.

Stai combattendo il dolore con altro doloreNon puoi andare avanti così” gli aveva detto Natasha ed aveva pienamente ragione.
Tu rimani pur sempre un essere umano, Steve.”
Un essere umano che stava camminando sull’orlo del baratro della follia.
Sì, perché Steve era sicuro che sarebbe diventato pazzo molto presto. Lo avrebbero rinchiuso in un manicomio e lasciato morire lì.
Gli occhi divennero lucidi e provò l’irrefrenabile voglia di piangere.
Oltre che pazzo, stava diventando anche debole.
Se lo avesse visto Bucky in quel momento, non lo avrebbe riconosciuto, così come non lo avevano fatto Natasha e Tony.
 
“Mi dispiace. Perdonami.”
Era lei. Era triste. Era nella sua testa.
Steve fece scivolare le mani dal volto e prese a fissare un punto indefinito del soffitto.
La stanza si oscurava sempre di più, man mano che il Sole spariva all’orizzonte.
“Mi stai rovinando la vita. Cosa vuoi da me?”
Parlava come se ci fosse davvero qualcuno con lui.
“Mi dispiace” ripeté lei “ma tu sei speciale. Tu puoi aiutarmi.”
Steve sospirò. Speciale. Lo era davvero? No.
“Cosa ti fa pensare che possa aiutarti. Non so nemmeno chi sei.”
“Io non voglio vivere in questo modo! Tu hai sentito cosa si prova!”
Lei stava gridando.
Un scintilla illuminò le iridi celesti del Capitano. Strinse le labbra.
“Tu sei solo un’illusione. Un frutto della mia mente malata” sussurrò, più per convincere se stesso che per altro.
“Non ci credi nemmeno tu, perché sai che non è così.”
La sua voce ora era dolce.
Steve sorrise appena, constatando di star discutendo con la propria testa.
“Dammene una prova” disse, sentendo la voce tremare.

Silenzio.
Ancora silenzio.

Steve chiuse gli occhi e li vide.
Occhi grandi e luminosiBellissimi.

“Base dello SHIELD. Canada. Distretto Nord di Vancouver. Colombia Britannica.”

Silenzio.

“Ti aspetto.”

Steve riprese fiato, dopo essersi accorto che stava trattenendo il respiro.
La stanza ormai era buia, segno che il Sole aveva lasciato posto alla Luna, la cui luce era oscurata da piccole nuvole trascinate dal vento.
Capitan America si alzò dal divano con fatica e si diresse verso l’ascensore. Schiacciò il tasto di chiamata e attese. Poco dopo le porte si aprirono e Steve indugiò.
Stava davvero facendo quello che stava per fare?
Stava davvero dando ascolto alla voce nella sua testa?
Sì, era un folle.
Un folle che si sarebbe aggrappato anche a un filo di seta, pur di non cadere in un baratro oscuro, ricolmo di incubi ed illusioni.
Un folle che con tutto se stesso credeva in quella follia.
Fece qualche passo avanti e le porte si chiusero alle sue spalle.
L’ascensore si mosse verso il basso, fermandosi nei parcheggi sotterranei.
Steve salì in sella alla sua moto e diede gas.
 
 
Nuova missione.
Canada.
Distretto Nord di Vancouver.
Colombia Britannica.
Base dello SHIELD.
 
 
 
 
 

Note
Ciao :D
Ecco il terzo capitolo della storia! Spero vi sia piaciuto ;)
Alla prossima allora!
Grazie per aver letto <3

Ella

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Capitolo 4
*** Il Ponte Sospeso ***


Il Ponte Sospeso
 

Un paio di jeans scuri, una felpa azzurra che faceva risaltare le iridi color del cielo, scarpe da ginnastica e un berretto da baseball blu a celare il viso stanco e teso.
Agli occhi di tutti appariva come una normalissima persona che camminava per l’aeroporto di Vancouver, diretta all’uscita.
Nessuno faceva caso a lui.
I suoi passi erano veloci e pareva quasi che stesse scappando da qualcosa. Teneva le mani nelle tasche della felpa e lo sguardo basso. Era teso come una corda di violino e gli occhi saettavano a destra e sinistra, stando attenti ad individuare movimenti sospetti.
Forse era paranoico, ma una strana sensazione lo costringeva a rimanere vigile e a guardarsi di tanto in tanto alle spalle.
L’aeroporto pullulava di gente e Steve si sentiva soffocare.
Era stanco e cominciava a sentire le palpebre pesanti, ma non poteva concedersi pause proprio in quel momento.
Ormai era vicino a scoprire la verità. Non poteva mollare.
 

Dopo aver preso la moto ed aver lasciato la Stark Tower, Steve si era diretto ad una delle basi dello SHIELD a New York.
Il fatto di essere Capitan America era davvero un enorme vantaggio.
Lo scudo in vibranio su cui spiccava la stella argentata era un ottimo lascia passare, per cui non aveva avuto alcun tipo di problema ad accedere prima alla base e poi alla sala computer.
Per fortuna Fury era in Europa per affari, perciò non sarebbe venuto a sapere - almeno non subito - del suo accesso al database dello SHIELD per scoprire dove fosse collocata esattamente la base in Canada. Steve non avrebbe potuto spiegare al direttore il motivo per cui aveva bisogno di tali informazioni e sicuramente dire “Sto solo dando retta ad una voce nella mia testa” non era assolutamente una buona idea, se non voleva davvero essere rinchiuso in un manicomio.
Pur con qualche difficoltà - la tecnologia non era il suo forte e mai lo sarebbe stata -, alla fine aveva trovato le informazioni di cui necessitava e si era addirittura prenotato un biglietto aereo per Vancouver, sotto il nome di Steve Rogers, che agli occhi del mondo era un normale ragazzo americano di ventisette anni.
Il volo partiva alle 21:55.
Era tornato alla Tower per sostituire la divisa nera con abiti comuni ed era stato costretto a lasciare lì lo scudo.
Non avrebbe potuto in alcun modo passare il controllo prima dell’imbarco se lo avesse portato con sé e aveva cercato di convincersi che non ne avrebbe avuto bisogno.
Stava pur sempre andando in una base SHIELD e lui faceva parte dell’agenzia, no?
Il viaggio era durato quasi sei ore e Steve aveva lottato per tutto il tempo contro gli attacchi della stanchezza e del sonno, per evitare di addormentarsi e cadere in una delle sue crisi da incubo.
Non poteva permettersi di dare spettacolo di sé su un aereo che ospitava ad occhio e croce duecento persone, a più o meno diecimila metri di altezza.
Appena l’aereo era atterrato, aveva preso dallo scomparto per i bagagli sopra la sua testa lo zaino nero che aveva riempito in fretta e furia alla Tower con diverse cose - non ricordava nemmeno cosa in realtà ci avesse infilato - ed era schizzato fuori, ricevendo anche parecchie occhiatacce per il modo brusco con cui si era fatto spazio tra i passeggeri.
 

Le grandi porte a vetri erano spalancate, così da permettere all’elevato numero di persone di entrare e uscire senza problemi.
Steve le varcò e sospirò sollevato, sentendo sulla pelle l’aria fredda della notte. Prese profondi respiri e si diede leggere pacche sulle guance.
Lì, considerando le tre ore indietro rispetto a New York, era quasi l’una ed essendo Settembre, la temperatura scendeva sotto lo zero.
La città era illuminata da centinaia di luci che si riflettevano sulla superficie scura dell’oceano, creando un caleidoscopio di colori luminosi e scintillanti. Vancouver dilagava sul Pacifico, che ne abbracciava le terre, quasi circondandola completamente. I grattacieli si stagliavano nel cielo in tutta la loro magnificenza e le strade, nonostante la bassa temperatura, pullulavano di gente.
Steve si strinse nella felpa, mentre il freddo pungente gli arrossava le guance e la punta del naso. Mai come in quel momento si sentì solo e completamente perso, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.
 
“Sei vicino, lo sento. Non ti fermare. Io sono con te.”
La voce risuonò melodiosa nella sua testa e Steve si lasciò scappare un lieve sorriso.

“Non sono completamente solo allora” sussurrò, rivolgendo lo sguardo verso il cielo blu come gli abissi.
Incassò la testa nelle spalle e riprese a camminare, ringraziando il freddo pungente che lo aiutava a tenere gli occhi bene aperti e la mente attiva.
Il passo successivo sarebbe stato noleggiare un’auto per poter raggiungere la base SHIELD che Lei gli aveva indicato.
 
 
 
                                                         ***
 
 

Lanciò un’occhiata all’orologio allacciato al polso destro. Segnava le tre e qualche minuto.
Raffiche di vento gli sferzavano il viso ed era costretto a tenere una mano sul berretto per evitare che volasse via.
Si trovava a settanta metri di altezza, sul famoso ponte sospeso lungo centoquaranta metri che attraversa il fiume Capilano, immerso in una delle più grandi foreste pluviali del Canada. La struttura oscillava leggermente sotto l’azione delle masse d’aria in movimento e Steve riusciva a sentire il fragore dell’acqua sotto di sé.
La luna piena era come un faro che rischiarava le alte punte delle conifere, senza però riuscire a penetrare la fitta vegetazione.
Gli unici suoni, oltre l’ululare del vento, erano i richiami degli uccelli notturni che abitavano la foresta e altri versi animali.
Il Capitano era certo di essere l’unico nel raggio di qualche chilometro, perché nessuno sano di mente si sarebbe inoltrato in una foresta nel cuore della notte.
La base dello SHIELD si trovava tredici chilometri a ovest del ponte, nascosta dove la vegetazione era più fitta.
Doveva percorrere l’intera lunghezza della struttura sospesa e scendere dalle apposite scalette, così da arrivare a terra, inoltrarsi nella foresta e raggiungere la base a piedi.
Facile, no?
Era quasi a metà strada, quando di colpo una potente ondata d’aria fece oscillare pericolosamente il ponte. Artigliò con entrambe le mani il corrimano di metallo alla sua destra, rimanendo in piedi per miracolo.
Il vento riprese a soffiare con meno forza e Steve ricominciò a muoversi con passi incerti, tenendosi vicino al corrimano di destra.
Piccole gocce di sudore gli imperlavano la fronte e le tempie.
Aveva percorso sì e no un’altra decina di metri, quando raffiche di vento dalla forza spaventosa trasformarono il ponte sospeso in un’altalena della morte.
Steve perse l’equilibrio, cadde e rotolò di lato, andando a sbattere alla rete di sicurezza in ferro, che dalla superficie del ponte arrivava fino al corrimano, raggiungendo lo scarso metro di altezza.
Quando il ponte oscillava verso destra, Rogers veniva scagliato sulla rete metallica di sinistra, per poi essere scaraventato su quella di destra non appena la struttura si lanciava verso sinistra. Batté violentemente e diverse volte la testa. Cercò disperatamente un appiglio, ma continuò a ruzzolare e sbattere come una pallina del flipper.
“Dannazione” si lasciò scappare.
La forza del vento aumentava in maniera anormale e in preda alle sue raffiche, il ponte sembrava fatto di carta.
Un sobbalzo e Steve sentì il vuoto sotto di sé. Stese le mani in avanti e afferrò il corrimano, rimanendo con forza aggrappato ad esso, al di fuori della rete di protezione.
Il vento si placò di colpo e Rogers si tirò su, lasciandosi cadere sulla superficie di legno del ponte. Respirava in modo frenetico ed il cuore batteva a mille. Dalla tempia destra scendeva un rivolo di sangue, ma Steve non sentiva alcun tipo di dolore, poiché era ancora pervaso dall’adrenalina scatenatasi nel momento di pericolo.
Si concesse alcuni minuti prima di rimettersi in piedi, usando il corrimano come sostegno. Sentiva lo stomaco sotto sopra e le gambe molli.
Strano.
Innaturale.
Così definì ciò che era appena accaduto.
Scosse il capo e si passò una mano tra i capelli, accorgendosi di non avere più il berretto. Sbuffò quando si rese conto di aver perso anche lo zaino.
Perfetto. Non poteva andare peggio, pensò.
Peccato che fu costretto a ricredersi subito dopo.
Accadde tutto velocemente e Steve si ritrovò a terra, con lo zigomo sinistro pressato sulla superficie lignea e le braccia bloccate dietro la schiena. Strinse i denti e per alcuni secondi vide nero.
Qualcuno era a cavalcioni sui suoi dorsali ad armeggiava con una catena per legargli i polsi e li strinse talmente tanto da procurargli gemiti di dolore. Provò a dimenarsi, ma l’aggressore lo prese per i capelli e con uno strattone gli fece sbattere la fronte a terra, intontendolo.

“Non mi andava di sporcarmi le mani, ma l’espediente di prima non ha funzionato. Beh, pazienza.”

Si capiva che la voce, anche se distorta, appartenesse ad un uomo, così come la corporatura possente che Rogers percepiva sopra di sé.
Non poteva guardarlo in volto a causa della posizione in cui era costretto e per la scarsa visibilità dovuta alla luce troppo flebile della luna.
Steve rilassò tutti i muscoli e chiuse gli occhi, come per arrendersi.
“Bravo. Così mi piaci” disse l’uomo, allentando un poco la presa.
Rogers sorrise e con un poderoso colpo di reni fece balzare all’indietro l’aggressore. Si rigirò sulla schiena, portò le gambe verso il petto e poi le slanciò in avanti, balzando in piedi. Fece forza sulle catene e le mandò in frantumi, liberando i polsi dolenti.
“Mai abbassare la guardia” disse, rivolto all’uomo che intanto si era rialzato.

Lo sconosciuto indossava una divisa nera come la maschera che gli copriva il volto, di cui erano visibili solo gli occhi di ghiaccio che spiccavano nelle tenebre. Non era massiccio come aveva immaginato sentendone la forza con cui lo aveva bloccato a terra. Era snello, ma avevano più o meno la stessa altezza.

“Forse ora riesco a comprendere la sua scelta.”

Steve non capì di cosa stesse parlando e rimase perplesso.
Non sapeva chi fosse quell’uomo, ma certamente non aveva buone intenzioni e la stanchezza non lo avrebbe aiutato a uscire indenne da quello spiacevole incontro.

“Puoi possedere una forza superiore, ma rimani pur sempre uno schifoso e debole umano.”

Un battito di ciglia e Steve si ritrovò due occhi di ghiaccio a pochi centimetri dai suoi color del cielo. Sussultò e per poco non cadde all’indietro.
Non l’aveva visto arrivare. Era stato troppo veloce.
Sentì uno strano calore al fianco destro ed abbassò meccanicamente lo sguardo. Sbarrò gli occhi e un gemito gli scappò dalle labbra socchiuse.
Un coltello.
Gli aveva conficcato un coltello appena sotto la gabbia toracica.
“Hai commesso un grave errore ribellandoti. Volevo concederti una morte veloce e indolore, ma tu hai voluto fare di testa tua.”
Gli rigirò il coltello nella carne, fissandolo gelido.
Il biondo strinse i denti e, ripresosi dallo smarrimento iniziale, scattò all’indietro, sfilandosi dalla lama affilata.
“Cosa vuoi da me?” chiese, ansimando per la fatica e il dolore.
L’uomo scoppiò a ridere istericamente e poi smise di colpo, riportando lo sguardo sulla sua preda. Ghignò dietro la maschera.
“La tua vita. Ecco cosa voglio.”
Rogers fece qualche passo indietro, mentre cercava di trovare una soluzione per uscirne vivo.
Era disarmato. Lo scudo era alla Tower.
Era solo.
L’uomo scattò in avanti, pronto a colpire di nuovo, ma questa volta Steve riuscì ad evitare che la lama lo trafiggesse e rispose con un potente calcio dritto al fianco destro. Gli assestò un pugno in pieno stomaco ed uno in viso, incrinando la superficie della maschera.
L’aggressore barcollò e indietreggiò, evitando un ulteriore pugno.
Il Capitano gli andò contro e con un calcio lo disarmò del coltello, che volò giù dal ponte. Caricò il gancio destro, ma un improvviso colpo d’aria lo colpì, come un pugno nello stomaco. Si piegò in avanti è tossì, annaspando in cerca di aria. Inspirò ed espirò profondamente, sentendo male alle costole.
“Ma che diavolo …”
Non riuscì a finire la frase, a causa di una gomitata sulla schiena che gli tolse il fiato e lo ridusse in ginocchio.
“Complimenti. Sei riuscito ad allungarti la vita di qualche minuto.”
L’uomo lo prese per i capelli e lo costrinse ad alzarsi. Lo spinse contro la rete di metallo e Steve percepì il corrimano premergli sulla parte bassa della colonna vertebrale. Sussultò quando la canna di una pistola gli venne puntata in mezzo agli occhi e digrignò i denti.
La maschera rise sadica e aumentò la presa sui suoi capelli.
Rogers gemette, ma cercò di mantenere la calma per rimanere lucido.
Era spacciato. Non poteva fare niente.
“Mi hai fatto arrabbiare, ragazzino” sibilò l’uomo.
“Ora ne pagherai le conseguenze.”
Sparò.
Steve gridò per il dolore lancinante alla spalla destra.
Di nuovo uno sparo e di nuovo un grido di dolore, quando anche la spalla sinistra fu trapassata da un proiettile.
“Fa male, vero?”
L’uomo puntò la pistola verso il basso.
Due colpi.
Steve urlò con tutta il fiato che aveva in corpo. Gli aveva sparato ad entrambe le gambe. Il dolore gli oscurava la vista e faceva fatica a rimanere cosciente. Avrebbe preferito un proiettile in testa, almeno sarebbe morto senza nemmeno accorgersene.

“Addio, ragazzino.”

L’uomo lo spinse indietro e Steve precipitò nel vuoto.
 
 

                                                       ***
 
 

“Canada?”

Natasha annuì, puntando le iridi verdi in quelle ambra di Stark.
“Fury ne è all’oscuro.”
Tony alzò le sopracciglia, scettico.
“Cosa ci è andato a fare?”
La donna sbuffò seccata.
“Non lo so. Ho solo trovato nel database dello SHIELD la prenotazione di un biglietto aereo per Vancouver a nome di Steve Rogers.”
Il miliardario, appoggiato al tavolo di metallo del suo laboratorio, si portò una mano al mento con fare pensoso.
“Forse aveva bisogno di una vacanza. Staccare un po’ dal lavoro gli farebbe un gran bene.”
“Stark, non è il momento di scherzare.”
Natasha incrociò le braccia sotto i seni e assunse uno sguardo accusatorio.
Tony alzò le mani in segno di resa.
“Scusa” borbottò, ma subito dopo indurì lo sguardo e abbassò le braccia.
“Anzi no, sai che ti dico? Non mi importa niente di quello che fa Rogers. Lui ha deciso di tagliare i ponti con noi e non sarò di certo io a ripararli. Può anche non tornare più, per quanto mi interessa, e non capisco come tu possa ancora preoccuparti per lui, dal momento che ci sta evitando tutti come se avessimo la peste” soffiò di rabbia e continuò “un perfetto idiota, ecco cos’è. Il suo unico neurone deve essere morto! Riesce solo a pensare a sè stesso e se ne frega di chi gli sta intorno!”

La rossa strinse le labbra, raggiunse Stark con passi veloci e lo afferrò per il colletto della camicia bianca.
“Sta’ zitto” gli intimò e l’uomo obbedì senza discutere, raggelato dallo sguardo minaccioso della spia russa.
“Sai bene che quello che hai detto non è vero. Steve ci è sempre stato, quando avevamo bisogno di un aiuto. In questi cinque mesi di convivenza, ha cercato testardamente di creare più coesione nella squadra. È lui a farsi avanti per primo, quando incomprensioni rischiano di degenerare in scazzottate. È per mantenere un equilibrio tra di noi, se fin’ora il Capitano ha evitato di farti un occhio nero, nonostante tu ti diverta parecchio ad istigarlo.”
Natasha lasciò andare Tony e gli diede le spalle. Sospirò e si passò una mano tra i capelli rossi.
“Adesso Steve non sembra più lui, è vero. Ma deve essergli successo qualcosa che lo ha sconvolto, ne sono certa, perciò tocca a noi aiutarlo” concluse la donna, tornando a guardare il miliardario negli occhi.

Tony abbassò lo sguardo e scosse il capo.
“Non si è mai confidato con nessuno di noi su quali fossero i suoi problemi. Si è sempre tenuto tutto dentro. Dannato altruista.”
 
Stark non poté fare a meno di ripensare a quei momenti di debolezza, in cui l’alcol era stato l’unico palliativo al dolore che lo tormentava. Beveva per intorpidire i sensi, per sentire il cuore più leggero e per svuotare la mente da ogni pensiero.
Fuggiva dal mondo reale, per rifugiarsi in quello che l’alcol creava per lui.
Dopo New York era stato soggetto ad attacchi di panico ed alcune volte aveva bevuto talmente tanto da rischiare il coma etilico.
Poi i Vendicatori erano stati costretti a vivere assieme nella sua Tower e, anche se non lo avrebbe mai ammesso, era felice di avere vicino quelle persone con cui condivideva la responsabilità di essere a protezione della Terra.

Ma Steve …
Era lui che gli nascondeva gli alcolici. Era lui che cercava di farlo uscire da quello stato di torpore in cui era scivolato.
Era lì ad ascoltarlo, mentre parlava come un logorroico di prima categoria - naturalmente non sobrio - e sputava fuori tutto ciò che gli passava per la testa.
Litigavano in continuazione e Tony non riusciva ad evitare di stuzzicarlo con battute e frecciatine per farlo arrabbiare o, ancor meglio, per metterlo in imbarazzo - era uno dei suoi passatempi preferiti mettere in imbarazzo Steve Rogers.
Durante la battaglia di New York erano stati un duo perfetto, si erano coperti le spalle a vicenda, così come adesso facevano nella vita di tutti i giorni, anche se ad occhi esterni poteva sembrare che non sopportassero l’uno la vista dell’altro.
Avevano un rapporto speciale e Tony in quel momento detestava Steve, per averlo mandato a benedire quel rapporto.
Stark era un tipo abbastanza rancoroso e non gli andava giù il fatto che il Capitano non si fosse fidato di lui abbastanza da confessargli cosa c’era che non andava. Aveva preferito rinchiudersi nel suo guscio, Steve, così come faceva sempre quando aveva un qualsiasi tipo di problema.
Aiutava, ma non si lasciava aiutare. Pretendeva di sapere i problemi altrui, quando i suoi li teneva rinchiusi in una cassaforte.
Altruismo? Timidezza? No, non erano questa le motivazioni.
Steve non voleva sentirsi debole e rivelare a qualcuno che aveva delle paure, lo avrebbe fatto sentire il ragazzino rachitico e asmatico che era stato prima di diventare Capitan America. Teneva tutti i suoi timori sotto chiave, così da sentirsi più forte e degno del dono che aveva ricevuto da Abraham Erskine.
Rogers era completamente succube delle sue insicurezze e Tony lo sapeva, perché in fondo non erano poi così diversi.
 
“Natasha ha ragione, Tony.”
Bruce era appoggiato allo stipite della porta a vetri. Era rimasto lì per tutto il tempo, in silenzio.
“Adesso Steve ha bisogno di noi, anche se non vuole darlo a vedere. Se fossero qui, Thor e Clint la penserebbero allo stesso modo. Dobbiamo trovare un modo per aiutarlo.”

Tony sorrise freddamente.
“Buona fortuna, allora. Se riuscite a far rinsavire Rogers fatemi un fischio e sarò lieto di ricevere le sue scuse.”
Natasha gli lanciò un’occhiataccia.
“Sei sempre il solito, Stark. Riesci a negare i tuoi veri sentimenti, anche quando sono così evidenti.”
La Romanoff aveva alzato considerevolmente il tono di voce.
“Quello che è evidente è che non voglio avere a che fare con Rogers” ribatté Tony.
“Fai come vuoi” sibilò allora la rossa, prima di raggiungere un Bruce notevolmente teso e lasciare il laboratorio assieme a lui.
 
Stark afferrò la prima cosa che gli capitò sotto mano - un povero cacciavite indifeso - e la lanciò con rabbia contro la parete alla sua destra.
Dannato Rogers e la sua innata capacità di essere così Rogers!


“JARVIS accedi al database dello SHIELD. Devo controllare una cosa.”
“Sì, Signore.”


 
 
 


Note
Ciao :)
Spero non sia venuto una schifezza e che vi sia piaciuto ;)
Ringrazio tutti quelli che leggono :D
Alla prossima!

Ella

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Capitolo 5
*** Tradimento ***


Tradimento

La superficie del fiume gli sembrò fatta di cemento, quando la colpì con la schiena.
L’impatto violento gli fece mancare il respiro e la colonna vertebrale fu sul punto di spezzarsi come un ramoscello secco.
L’acqua fredda lo avvolse, la corrente lo travolse come un treno in corsa e il suo corpo cominciò a scendere verso il fondo sabbioso.
Non sentiva dolore. Non sentiva sulla pelle il gelo pungente dell’acqua.
Non sentiva niente.
Era paralizzato e completamente insensibile.
Però era lucido e l’unico pensiero che vorticava nella sua testa era che stava per morire.
L’acqua gli penetrò prepotentemente nel naso e nella bocca e raggiunse presto i polmoni.
Steve percepì un forte bruciore al petto, accompagnato da una paradossale sensazione di calma e tranquillità.
Capì che avrebbe perso conoscenza da un momento all’altro, poi avrebbe avuto un arresto cardiaco seguito dalla morte celebrale.
Morto per annegamento, ecco cosa sarebbe stato tra qualche istante.
Gli balenò in mente il pensiero che nessuno sarebbe venuto al suo funerale, se mai avessero ritrovato il suo cadavere.
Gli unici amici li aveva perduti per la paura di mostrarsi loro debole.
Doveva loro delle scuse. Enormi scuse.
Ma era arrivato al capolinea e non li avrebbe più rivisti.
Chiuse gli occhi, cullato dal battito sempre più debole del suo cuore.
 
“No!”

I muscoli cominciarono a irrigidirsi.

“Reagisci!”

Un calore sempre più forte gli invase il petto, sostituendo il fastidioso bruciore. Una scarica di elettricità percorse ogni muscolo ed il corpo si mosse da solo, senza l’ausilio del cervello.
Steve si ritrovò a nuotare con tutte le sue forze verso un argine del fiume, alimentato da una forza sconosciuta che invadeva ogni fibra del suo essere.
Affondò le mani nella fanghiglia che costituiva il bordo del fiume e si trascinò fuori dall’acqua, sull’erba fresca.
Mentre era in ginocchio, con i palmi poggiati a terra e la testa china, violenti colpi di tosse gli scossero il corpo, facendogli lacrimare gli occhi per lo sforzo nel ricacciare tutta l’acqua ingerita. Vomitò diverse volte e le tempie presero a pulsare sempre più fastidiosamente.
Quando i polmoni si furono svuotati completamente, si accasciò a terra stremato e tremante per il freddo ed il dolore.
Perdeva sangue nei punti dove erano conficcati i proiettili e la pelle sulla schiena bruciava a causa dell’impatto con la superficie del fiume.
Doveva fare qualcosa o sarebbe morto dissanguato.
Gattonò fino ai piedi di un albero altissimo, la cui corteccia ruvida era ricoperta di muschio verde smeraldo. Si sorresse al tronco per rimettersi in piedi e se ne staccò barcollando. Mosse qualche passo per recuperare una certa stabilità, ignorando le fitte di dolore provenienti dalle ferite alle gambe causate dai proiettili.

La luce pallida della luna si tuffava nel fiume, facendo brillare l’acqua limpida, e una lieve brezza accarezzava la vegetazione tutt’intorno.

Steve notò a qualche passo da sé una sagoma nera di quello che pareva un sasso, ma più si avvicinava e più l’oggetto si mostrava per quello che era davvero.
Sospirò sollevato, pensando che forse la Dea Bendata, impietosita dalla sua condizione, gli aveva concesso un piccolo aiuto. Lo zaino che aveva portato con sé era a meno di un metro dai suoi piedi e Steve lo afferrò trepidante, rovistando al suo interno. Ringraziò la sua eccessiva meticolosità nel prendere precauzioni, quando trovò all’interno del piccolo bagaglio una ricetrasmittente, un cellulare - sfortunatamente andato in mille pezzi dopo la caduta - e, cosa più importante, una piccola cassettina del pronto soccorso.
Tornò all’alto albero e si mise seduto, appoggiandosi con la schiena al suo possente tronco.
Esaminò il contenuto della cassettina e ne tirò fuori un paio di pinze sterili, che avrebbe usato per estrarre i proiettili. Le infilò nella ferita della spalla sinistra e si fece spazio tra la carne lacerata, fino ad arrivare nel punto in cui incontrava la superficie dura del proiettile. L’operazione di estrazione fu estenuante e dolorosa, ma fu portata a termine con successo per tutte e quattro le ferite.
Steve si tolse la felpa e la maglia, rabbrividendo appena per l’aria gelida. Prese poi delle garze sterili e le avvolse intorno alle cosce e alle spalle, stringendole per fermare il liquido vermiglio che continuava a scivolare fuori dal suo corpo, rendendolo pallido e debole. Infine fasciò l’addome, laddove aveva la profonda ferita causatagli dal coltello del suo aggressore.
Si rivestì, facendo attenzione a non forzare le spalle ferite.
Ripose ogni cosa nello zaino, ma si soffermò con lo sguardo sulla piccola ed ultratecnologica ricetrasmittente.
Avrebbe potuto contattare lo SHIELD per un veloce recupero. Oppure avrebbe anche potuto mettersi in contatto con i suoi compagni.
Poteva scegliere, ma alla fine scartò entrambe le ipotesi.
La missione non era terminata e Capitan America non aveva intenzione di battere in ritirata proprio ad un passo dalla verità.
Inoltre, aveva appena scoperto che c’era qualcuno che lo voleva morto per motivi che ignorava, ma che era certo avessero a che fare con Lei.
Sperava di essere aiutato dagli agenti della base immersa in quella fitta foresta, anche se qualcosa gli diceva che avrebbe fatto meglio a rimanere all’erta e a procurarsi un’arma il prima possibile.
Si era sempre affidato all’istinto e fino a quel momento non aveva mai sbagliato, così decise che anche quella volta lo avrebbe seguito ad occhi chiusi.
 
 

                                                        ***
 
 

Bruce Banner aveva guardato e riguardato quei dati centinaia di volte in soli sette giorni ed ora si trovava di nuovo nel suo piccolo laboratorio - quello che Tony gli aveva gentilmente offerto -, seduto su una sedia girevole di plastica nera, ad osservare gli ologrammi che galleggiavano nell’aria e su cui era riprodotta l’immagine perfetta di un cervello.
Il cervello di Steve Rogers.
Bruce aveva registrato il comportamento del sistema nervoso del Capitano, quando il giovane aveva avuto la visione che, per qualche istante, aveva fermato il suo cuore, e ancora c’era qualcosa che non gli tornava nei dati che ne aveva ricavato.
C’era stata una iperattivazione del centro emozionale, l’amigdala. Ma l’amigdala, allo stesso tempo, doveva essere coinvolta nell’attivazione di collegamenti tra le tracce mnemoniche e le reazioni emotive che si erano verificate nel momento in cui quell’incubo ad occhi aperti era cominciato.
Che cos’erano infatti gli incubi, se non una specie di rivisitazione angosciante di fatti accaduti e conservati nella memoria?
Ma allora, perché non era avvenuto il logico e naturale collegamento tra l’amigdala e l’ippocampo, responsabile della memoria stessa?
Bruce aveva già dato una risposta a questa domanda. L’incubo non si basava sui ricordi di Steve, come invece aveva presupposto Stark all’inizio.
Il fatto più sconcertante, però, era un altro: la corteccia celebrale aveva ricevuto stimolazioni sensoriali dalla vista, dall’udito, dal tatto.
Steve aveva visto, imprimendo le immagini nella propria retina.
Aveva sentito.
Aveva provato dolore sulla sua pelle.

Banner si passò una mano tra i ricci castani e sospirò.
Con un gesto di stizza fece sparire gli ologrammi e si massaggiò il collo indolenzito. Non riusciva a smettere di pensare a quella strana anomalia.
La prima volta che aveva visto quei dati non era riuscito a credere ai suoi occhi, ma poi si era dovuto convincere che erano reali e in quel momento pensò che probabilmente non sarebbe mai venuto a capo di quell’assurdità.
Bruce credeva fermamente nella scienza, era la sua fede. Ma la scienza non aveva risposte per tutto ed ancora una volta si ritrovò davanti a questa ineluttabile verità.
Le leggi dell’universo erano troppo complicate - a volte incomprensibili -, anche per un genio come lui.
Forse era proprio per questo motivo che le persone continuavano a credere in un’entità superiore ed onnisciente, che donava loro una sicurezza illusoria, ma pur sempre una sicurezza.
Bruce però preferiva galleggiare nell’ignoto piuttosto che dire ‘Ciò è così perché qualcuno là in alto vuole sia così’, o frasi del tipo ‘Era destino’.
Bruce aveva l’esigenza di dare spiegazioni a tutto ciò che accadeva e non riuscire a farlo lo innervosiva parecchio.

Per l’Altro era molto più semplice invece, perché non si faceva domande. Distruggeva e basta, senza alcuna logica.
E Banner per un momento avrebbe voluto essere l’Altro e spegnere il cervello per qualche minuto.

“Ci vuole una camomilla” sussurrò, prima di lasciare il laboratorio a grandi passi.
 
 

                                                      ***
 
 

Il sole sorgeva pigramente, schiarendo il cielo con la luce pallida dei suoi raggi, che si facevano largo tra le nubi grigie.
Steve schiuse gli occhi ed inspirò l’aria fresca, impregnata dell’odore di terra umida.
L’erba, bagnata dalla brina, era di un verde brillante e il dolce suono dello scrosciare dell’acqua riempiva la placida atmosfera dell’alba di un nuovo giorno.
Aveva dormito qualche ora ai piedi dell’alto albero, per riposare e recuperare le forze. Non nascondeva di aver esitato prima di lasciarsi cullare dalle braccia di Morfeo, temendo di rivivere gli incubi che lo avevano tenuto sveglio per più di centosessantotto ore. Alla fine però aveva ceduto, troppo stanco e debole anche solo per tenere le palpebre sollevate.
Sorprendentemente, nessun orribile sogno era giunto a torturarlo.
Aveva dormito profondamente fino al momento in cui la fievole luce dell’alba aveva bussato gentilmente sulle sue palpebre, invitandolo a destarsi da quel sonno tranquillo.
 
Steve si rimise in piedi e ringraziò la velocità con la quale il suo organismo risanava il corpo dalle ferite. Infatti, era sopravvissuto solo un fievole fastidio alle ferite causate dalla pistola e un dolore poco più pronunciato all’addome. Aveva qualche acciacco, ma le ore di riposo, anche se poche, avevano avuto un effetto rigenerante sul fisico e sulla mente.
Si mise lo zaino in spalla e, orientandosi attraverso il ponte sopra di sé, si incamminò verso la base SHIELD.
La foresta si stava svegliando, animandosi dei suoni appartenenti agli animali che la abitavano da sempre.
Steve aveva la mente affollata dai pensieri, ma quello che più lo lasciava perplesso riguardava Lei.
Provava un certo rancore per quell’entità sconosciuta, che lo aveva infilato in un casino talmente incasinato da rendergli la vita impossibile. Ora c’era anche un pazzoide che lo voleva morto e che riteneva gli umani “schifosi e deboli”, come se lui non fosse uno di loro e forse non lo era davvero.
Rogers era consapevole anche di un’altra cosa: lui era vivo grazie a Lei.
Lei gli aveva dato la forza, quando stava per annegare. Lei gli aveva salvato la vita.

“Io sono con te” gli aveva detto ed era stata di parola.

Fino al giorno prima, pensava di essere impazzito, mentre ora sapeva che la presenza che abitava nella sua testa da una settimana era tutt’altro che un frutto della sua mente.
Certo, c’erano ancora tante cose che non gli erano chiare, ma decise che, al momento, le avrebbe accantonate in un angolo remoto del suo cervello confuso.
La sua priorità era una adesso: salvarla.

Non seppe per quanto tempo camminò, facendosi spazio tra la fitta vegetazione, e non poté nemmeno affidarsi alla posizione del Sole, visto che la nana gialla era completamente nascosta dietro nuvoloni grigi che preannunciavano un temporale imminente.
L’interno della foresta, già normalmente immerso nella penombra a causa delle folte chiome degli alberi che ostacolavano il passaggio della luce, era talmente scuro che pareva fosse notte.
Steve riuscì comunque a scorgere da lontano la piccola cupola di acciaio che avrebbe dato la stessa impressione di un squalo in un bosco: completamente fuori posto.
 
La cupola era alta poco più di due metri ed aveva una lieve rientranza di forma rettangolare, che il giovane identificò come la porta di ingresso. La vera e propria base si ramificava sotto terra.
Era stata costruita durante la seconda guerra mondiale, come uno dei disparati rifugi per le personalità di spicco degli Stati Uniti. Era poi caduta in disuso al termine della guerra e lo SHIELD, alcuni anni dopo, ne aveva preso il possesso per farne uno dei laboratori di ricerca più avanzati.
Tra quelle pareti venivano studiate e create armi chimiche che avrebbero potuto provocare un vero e proprio sterminio. Quel continuo processo di produzione di armamenti sempre più devastanti per la razza umana stessa, era in una inarrestabile evoluzione e nessuno tra coloro che lo finanziavano riusciva a vedere ciò che veramente si stava creando. La fine del mondo non era un’idea così lontana e rarefatta,
ma diveniva più tangibile, ogni volta che menti brillanti, menti che avrebbero potuto fare davvero qualcosa per il bene e la sopravvivenza dell’umanità, usavano il proprio genio per la realizzazione di quello che si poteva definire veleno a cui non c’era antidoto.

Steve si acquattò dietro un largo tronco ed esaminò i dintorni della base con circospezione, non rilevando la presenza di soldati di guardia.
Accanto alla porta, a destra, vi era un pannello con un tastierino - serviva quindi un codice d’accesso - e uno scanner della retina.
Non poteva eludere nessuno dei due sistemi di sicurezza e non poteva sfondare una porta fatta da tonnellate di acciaio.
Ma poteva semplicemente bussare e chiedere permesso.
Anche se qualcosa gli diceva che non sarebbe stato il benvenuto, era quasi certo che comunque non avrebbero potuto fare mosse azzardate, poiché la base era controllata dallo SHIELD, di cui lui stesso faceva parte.
Uscì dal suo nascondiglio e percorse la breve distanza che lo separava dalla base, rimuginando sul fatto di stare agendo come uno sconsiderato. Come Stark, anzi, e ciò era anche peggio.
Quando gli passò per l’anticamera del cervello che forse la sua non era una tattica abbastanza sicura, era già davanti al panello a spingere pulsanti a caso.
Il raggio rosso dello scanner entrò improvvisamente in funzione e subito dopo una voce metallica femminile riecheggiò nell’aria.

“Identificazione completata. Steven Grant Rogers aka Capitan America. Accesso non consentito.”

Steve rimase alquanto sconcertato e si avvicinò maggiormente al pannello da cui era scaturita la voce.
“Sono stato mandato dal direttore Fury per un controllo. Richiedo l’accesso immediato alla base.”
Silenzio.
Forse non potevano sentirlo o non si erano bevuti la balla del controllo.
Non era molto bravo a mentire.
Un suono strano attirò la sua attenzione. Proveniva dall’interno della cupola e pareva il rumore di cavi d’acciaio che venivano riavvolti.
Poco dopo la porta si aprì, scivolando di lato e rivelando la presenza di tre uomini. Due di essi vestivano divise nere ed erano armati di pistole.
L’altro era un signore di età avanzata dalla folta chioma bianca e dagli occhi piccoli e scuri, con indosso un camice bianco.
Steve rimase immobile. I muscoli tesi, pronti a scattare in caso di pericolo.

“Sono il Dottor Adam Lewis, responsabile di questa base. È un piacere conoscerla, Capitano Rogers.”
L’uomo allungò una mano e Steve la strinse, esitando appena.
“Il direttore Fury deve aver dimenticato di fornirle il codice di accesso.”
Rogers rimase qualche istante imbambolato, prima di capire il significato di ciò che il dottore aveva appena detto.
“Ah sì. Deve averlo dimenticato.”
Si grattò la nuca, imbarazzato, rimproverandosi per la sua incapacità di inventare giustificazioni credibili.
Adam continuò a sorridergli cortesemente, mentre gli uomini dietro di lui avevano rinfoderato le pistole.
“La guiderò io stesso, affinché lei possa eseguire un accurato controllo dell’intera base. Ma mi dica, cos’è che deve controllare esattamente?”

Uno.
Due.
Tre.

Dieci.


“Io … cioè Fury vuole che … che controlli il vostro lavoro. Vuole sapere come procede.”
Adam corrugò la fronte e Steve si irrigidì.
“Devo dedurre che i rapporti che spediamo mensilmente non siano di suo gradimento.”
Rogers fece un sorriso complice, cercando di rilassarsi.
“Sa com’è il direttore. Un po’ paranoico e troppo esigente.”
Il dottore rise divertito.
“Non la contraddico, Capitano. Prego da questa parte.”

Entrarono tutti all’interno della cupola e si ritrovarono circondati da quattro pareti di metallo, quando la porta si chiuse alle loro spalle.
Erano in un ascensore.
Adam schiacciò un pulsante rosso e cominciarono a scendere, inoltrandosi sempre più in profondità, sotto terra.

Il dottor Lewis condusse Steve in diversi laboratori e gli spiegò che tipo di lavoro veniva svolto in ognuno di essi.
Armi, armi e ancora armi.
Rogers cercava di sembrare il più professionale possibile, anche se non riusciva a capire nemmeno una parola delle lunghe e dettagliate spiegazioni del dottore.
Il controllo durò ore, a causa dell’elevato numero di dipartimenti che componevano la base sotterranea.
Poi, svoltarono in un corridoio.

Piccole luci al neon fissate al soffitto illuminavano il pavimento coperto da lucide piastrelle bianche e le candide pareti. Su entrambi i lati c’erano porte di acciaio.

Quel corridoio.

“Cosa fanno qui?” chiese il super soldato a bruciapelo.
“Sperimentazioni su cadaveri.”

Steve percepì lo stomaco contorcersi e arricciò il naso, nauseato.
Il dottore doveva aver notato la sua reazione - difficile non farlo, visto che mancava solo vomitasse - e si sentì in dovere di precisare.
“La sperimentazione su soggetti vivi è assolutamente vietata. Questa è una regola entrata in vigore da quando Nick Fury ha preso il comando dello SHIELD. Infrangerla significherebbe essere confinati a vita nelle prigioni dell’organizzazione stessa e, lascia che glielo dica, è peggio di morire.”
Adam fece una smorfia e Steve poté scorgere del rancore attraversargli le iridi scure.
“Non sembra molto felice di questa imposizione.”
“No, non lo sono.”

“Lei giocherebbe con la vita umana?”
Il biondo gli lanciò uno sguardo di fuoco.

“Non si tratta di giocare, Capitano, ma di trovare ed analizzare quelli che sono i punti più deboli dell’uomo, quelli che lo rendono fragile, per poi trasformarli in punti di forza. Si tratta di rendere l’uomo più forte e resistente di fronte all’universo intero. Invincibile.”

“È un’utopia. Nemmeno un dio come Thor è invincibile. Vi servireste di centinaia di vite per realizzare l’irrealizzabile.”
Rogers aveva alzato sensibilmente la voce ed alcuni soldati erano accorsi.

Adam rise.
“Lei stesso è la prova vivente che l’uomo può essere perfezionato e non è l’unica che possediamo, mi creda. Riusciremo a raggiungere l’obietto che ci siamo posti, con o senza lo SHIELD.”

Quando Steve realizzò il significato di quelle parole, era già troppo tardi.
I soldati lo avevano circondato e gli puntavano contro le pistole.

“Mi dispiace Capitano, ma questa è un’occasione più unica che rara e non posso perderla. Finalmente ho l’occasione di scoprire tutti i segreti di ciò che Erskine ha creato.”
Adam sorrise sadico.
“Non può trattenermi qui. Fury-”
Steve non riuscì a terminare la frase.
“Fury non sa che lei è qui e non esiste nessun controllo. Mi credeva così stupido? Vorrei tanto sapere cosa è venuto a fare in questo posto.”
“Lei è un traditore e verrà condotto sotto il giudizio della Corte Marziale.”
Il dottore gli diede le spalle e si allontanò, non conferendo peso a quelle parole di minaccia.
“Portatelo nella Stanza 137.”
Due uomini affiancarono il Capitano e lo presero per le braccia, mentre un altro gli puntava una pistola alla nuca, intimandogli di camminare.

Steve decise momentaneamente di non opporre resistenza.
Avrebbe aspettato il momento giusto per agire.

I tre soldati lo condussero lungo il corridoio, fino ad una grande porta di acciaio.
Quella porta.
La varcarono e si ritrovarono in una piccola stanza completamente bianca.
Quella stanza.
Il giovane sentì di nuovo l’odore forte di disinfettante bruciargli le narici. Il cuore cominciò a palpitare più velocemente alla vista della lastra di metallo, dove una settimana prima si era visto martoriare da quattro uomini.
Forse quell’incubo era una premonizione ed adesso stava prendendo forma nella realtà.
Doveva agire. Ora o mai più.

Il soldato che gli puntava la pistola alla nuca si allontanò di qualche passo, per permettere agli altri due che lo tenevano e che avevano rifoderato le armi di posizionarlo sulla fredda lastra.
Fu un attimo.
Steve prese la pistola all’uomo alla sua destra, si voltò velocissimo e sparò a quello alle sue spalle. Sparò poi al soldato alla sua sinistra, prima che quello riuscisse anche solo a toccare la pistola. Alla fine, puntò l’arma sull’uomo che aveva disarmato, lanciandogli uno sguardo intimidatorio.

“In questa base ci sono uomini o donne che usate come cavie da laboratorio?”
Il soldato rimase muto e Rogers fu costretto ad usare le maniere forti. Gli premette la pistola sulla fronte.
“Ti concedo tre secondi. Poi ti faccio saltare il cervello.”
No, non lo avrebbe fatto, ma confidò nell’istinto di autoconservazione di quell’uomo.

“Uno … due …”

“Aspetta! Una sola! Una solo cavia è ancora viva.”
“Dove si trova?”
“Non lo so con esattezza, ma dovrebbe essere in una delle stanze del corridoio che abbiamo appena percorso.”
“Bene.”
Steve colpì in testa il soldato con il calcio della pistola, facendogli perdere i sensi. Uscì a grandi passi dalla stanza bianca e percorse a ritroso il corridoio, aprendo tutte le porte che incontrava e sperando al tempo stesso di non imbattersi in nessuno.
Molte delle stanze in cui entrò contenevano solo attrezzi da laboratorio, tre erano vuote ed alcune parevano delle sale operatorie.
Non incontrò anima viva e ringraziò lo scarso livello di sicurezza della base.
Aprì un’altra porta e si ritrovò in un obitorio. Al centro della stanza c’era un tavolo di metallo, con sopra appoggiata una cartellina. Rogers la aprì e vi trovò un registro dei morti durante gli esperimenti. Su ogni pagina vi era la foto della persona che era stata usata come cavia, la descrizione dell’esperimento a cui era stata sottoposta e, alla fine, la data e la causa della morte.
Sfogliò le pagine e notò che molte foto ritraevano ragazzi e ragazze molto giovani.
Arresto cardiaco. Emorragia interna. Allergia al farmaco testato. Morte celebrale. Sconosciuta.
Sentì la rabbia accendersi, pensando che quei farabutti avevano ucciso tutte quelle persone, senza venire scoperti.
Ripose il registro sul tavolo e abbandonò l’obitorio, ricominciando a cercare.

Ormai aveva abbandonato le speranze, quando arrivò all’ultima porta.
La aprì e si trovò faccia a faccia con Adam Lewis, che sgranò gli occhi vedendolo e subito dopo infilò le mani nelle tasche del camice bianco.
“Che uomini incapaci. Dovevo aspettarmelo” soffiò seccato.
Steve parve non sentirlo, troppo preso ad osservare la figura distesa su un tavolo d’acciaio alle spalle del dottore.

Adam sorrise, notando l’interesse sul viso del biondo.
“Ha buon occhio Capitano” esordì, scivolando dietro il tavolo, così da permettere a Rogers di ammirare quel corpo esile ed inerme.
Per prendere tempo.
Poi continuò.
“Questo è il motivo principale per cui conduco i miei studi ed è la prova schiacciante che l’uomo può essere migliorato.”

Steve sentì dei passi appena fuori la stanza e si affrettò a bloccare la porta d’acciaio con le serrature annesse.
“È in trappola. Non può scappare” disse il dottore, tirando fuori dalla tasca un piccolo telecomando, con il quale aveva dato l’allarme.
Rogers strinse i denti e soffiò di rabbia. Sollevò la pistola e sparò, colpendo alla spalla destra Adam, che gridò e si accasciò al suolo.
Corse verso il tavolo, soffermandosi a contemplare quel viso dai lineamenti dolci, il naso piccolo e leggermente all’insù, le labbra rosee, i lunghissimi capelli ondulati color miele. Sembrava dormire.
Il corpo pallido era coperto da un semplice camice da ospedale bianco.

I forti colpi sulla porta riportarono alla realtà Steve, che si affrettò a liberare i polsi e le caviglie sottili della ragazza da anelli di metallo. Li forzò fino a romperli, poi le fece passare un braccio sotto le spalle e uno sotto le gambe e la sollevò con delicatezza, quasi credesse di poterla spezzare.
 
Adam si allarmò all’istante.
“Capitano, si fermi! Non può portarla fuori di qui! Non si rende conto di-”
 
“Dica ai suoi uomini di lasciarci uscire o giuro che questa volta la uccido” lo interruppe Steve, guardandolo con disprezzo.
 
                                                            *
 
Non appena mise piede fuori dalla cupola, l’aria fresca lo inebriò e la pioggia battente lo investì, infradiciandolo.
Corse velocissimo tra la fitta vegetazione, zigzagando tra le alte conifere e prendendo direzioni a caso, così da confondere le tracce.
Se Adam gli aveva concesso la possibilità di uscire da lì - come aveva immaginato il dottor Lewis non aveva voluto rinunciare a vivere, troppo spaventato dal dolore e dalla morte stessa -, non significava che non lo avrebbe fatto braccare dai suoi uomini.
Infatti, già sentiva le grida dei soldati dietro di sé.
Non si voltò nemmeno una volta, continuando a correre come un forsennato e stringendo tra le braccia il corpo privo di sensi della giovane con la quale condivideva la mente da più di una settimana.
 
 

                                                      ***
 
 

“Signore, c’è una comunicazione urgente da parte del Capitano Rogers.”

La voce atona di JARVIS riempì la stanza e Tony, che era intento a prepararsi un cocktail al suo bancone-bar nella Sala Comune, rimase per un attimo sconcertato.

“Spero che si tratti di un messaggio di scuse.”

“Mi spiace deluderla, signore, ma il Capitano non le ha mandato delle scuse.”

Stark scosse il capo, appoggiandosi con le mani al bancone.
“Fammi ascoltare la comunicazione.”

L’ A.I. ubbidì.
 
“Stark, sono Rogers. Ho bisogno di un recupero immediato. Siamo inseguiti da uomini disertori dello SHIELD. Segui il segnale della mia ricetrasmittente e vieni a prenderci. Ti prego.
 
Siamo? Prenderci?
Chi era con lui?

“JARVIS rintraccia Rogers.”
Poco dopo apparve un ologramma su cui lampeggiava un puntino rosso.

“Non vedo l’ora di rinfacciargli a vita il fatto che mi abbia pregato come un disperato.”
Stark sorrise e bevve tutto d’un fiato il cocktail che aveva preparato.
 
“È ora di indossare l’armatura.”







Note
Ciao!
Mi scuso per il ritardo e spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Steve si ritrova in quei luoghi che già aveva visto nel suo primo incubo.
Premonizioni? O è altro?
Ringrazio chi sta seguendo la mia storia :D
Alla prossima!
Un abbraccio :)
Ella

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Capitolo 6
*** Blu ***


Blu
 
Blu.
Blu come il cielo nelle notti più buie.
Blu come gli abissi più profondi dell’oceano.

Steve rimase ad osservare incantato quei due grandi occhi blu screziati da riflessi dorati, che parevano fasci di luce nell’oscurità.
Occhi magnetici, attraenti come le sorgenti luminose per le falene.
Occhi che lo scrutavano attenti e con curiosità, che gli leggevano l’anima.
 
Rogers aveva corso come un forsennato per ore, prendendo le direzioni più disparate, ma allo stesso tempo puntando ad un sola meta, ovvero la stradina sterrata dove aveva lasciato l’auto noleggiata.
Si era fermato solo alcuni minuti per inviare una richiesta di aiuto a Stark e poi era ripartito come un fulmine, con la ragazza priva di sensi stretta tra le braccia.
Le voci dei soldati, dapprima forti e chiare, erano divenute un’eco lontana e poi erano scomparse del tutto.
L’alba era ormai agli sgoccioli ed aveva smesso di piovere, quando il corpo esile della giovane aveva cominciato a muoversi, come a voler scivolare via da quella stretta protettiva. Ed allora Steve si era fermato di nuovo ed aveva abbassato lo sguardo su di lei, incontrando per la seconda volta quegli occhi grandi e luminosi, ancor più belli nella realtà.
 
Tutto era reale.

Lei esisteva davvero e forse era proprio per convincersi che non stava sognando, che continuava a stringerla come se potesse sparire da un momento all’altro.

“Lasciami” sussurrò la ragazza, irrigidendo il corpo per sottrarsi al contatto con il super soldato.
Steve percepì un brivido nel sentire la sua voce, così familiare e allo stesso tempo così nuova. Una voce dolce, bassa, intrisa di ansia.
Allentò la presa e le permise di scivolare fuori dalle sue braccia.
La giovane rabbrividì, quando i suoi piedi nudi entrarono in contatto con l’erba fresca e bagnata dalla pioggia. Si strinse le braccia intorno al corpo e mosse qualche passo indietro per mettere più distanza tra sé e quel ragazzo sconosciuto, che continuava a fissarla con insistenza.
Poi in quegli occhi blu passò una scintilla e lei socchiuse le labbra in un Oh di sorpresa e sollievo.
“Steve?” domandò incerta, sollevando le sopracciglia.
Rogers si riscosse e annuì, non interrompendo il contatto visivo.
“Tu devi essere la Voce, suppongo.”

Lei abbassò il capo e alcune ciocche color miele le scivolarono davanti il viso, oscurandole lo sguardo.
“Anthea.”
Sputò fuori quel nome come se fosse qualcosa di ripugnante e poi cominciò a stuzzicare il labbro inferiore con i denti, continuando a fissare il terreno erboso.

Steve la osservò lottare contro i brividi che le facevano tremare il corpo infreddolito e coperto solo dal leggero camice da ospedale, ormai completamente fradicio.
Istintivamente si tolse la felpa che, pur essendo bagnata all’esterno, era solo leggermente umida all’interno e abbastanza calda da proteggerla da una possibile ipotermia. Lui poteva resistere al freddo anche solo con la semplice maglietta bianca di cotone.
Fece alcuni passi verso la ragazza, porgendole l’indumento, ma lei sbarrò gli occhi e indietreggiò per mantenere la distanza.
Rogers rimase stupito e allo stesso tempo deluso da quella reazione, che interpretò come un gesto di sfiducia nei suoi confronti.
Eppure le aveva appena salvato la vita.

Piccole gocce d’acqua percorrevano i corpi di entrambi ed i loro capelli erano coperti di brina luccicante.

“Scusami, ma io non posso.”
Anthea si portò le mani tra i capelli e gli occhi divennero vitrei.
“Non ci riesco” ripeteva tra sé e sé, come un mantra.
Steve rimase immobile di fronte alla crisi della ragazza. Non capiva.
“Non riesci a fare cosa?” chiese il biondo con voce dolce, cercando di rassicurarla.
La ragazza alzò il viso e lo guardò spaesata, con gli occhi lucidi.
Non toccarmi. Va bene?”
Rogers socchiuse la bocca per dire qualcosa, ma non uscì nemmeno una parola. Si limitò quindi ad annuire, confuso.
“Scusami” ripeté lei, di nuovo.
“Giuro che non ti sfiorerò nemmeno con un dito, ma prendi questa.”
Le porse ancora la felpa azzurra e questa volta la ragazza la afferrò.

Sotto lo sguardo attonito di Steve, Anthea si spogliò della stoffa bianca e bagnata, mostrando l’intimo nero, ed infilò la felpa troppo grande per il suo corpo minuto. L’indumento le arrivava fino a metà coscia e le mani rimanevano nascoste nelle maniche lunghissime per le sue braccia.
Il Capitano sentiva la faccia in fiamme e ringraziò il cielo per la scarsa luminosità, che nascondeva il rossore provocato dall’imbarazzo.

Si guardarono per alcuni istanti, poi Steve riportò la concentrazione su ciò che in quel momento aveva la priorità: andarsene da lì, il prima possibile.
“Dobbiamo muoverci. I soldati potrebbero raggiungerci se ci fermiamo troppo.”
Anthea annuì e lo affiancò, mantenendo però una distanza tale da evitare anche solo di sfiorarlo.

Iniziarono a camminare rimanendo ognuno immerso nel proprio silenzio.
 
 

                                                      ***
 
 

I raggi pallidi del sole facevano scintillare l’armatura rossa e dorata che solcava i cieli, lasciando dietro di sé una scia bianca. Iron Man volava ad altissima velocità, guidato dal segnale della ricetrasmittente di Rogers.

Tony guardava il puntino rosso lampeggiare davanti ai suoi occhi.
Steve si stava muovendo, ma la sua velocità di percorrenza era parecchio diminuita rispetto a quella di qualche ora prima.
Chiunque lo stesse inseguendo, doveva aver perso le sue tracce, dal momento che il Capitano aveva fatto anche una piccola sosta.

Stark era entrato in territorio Canadese ed era diretto verso Vancouver.
Sperava che Capitan Follia - così lo aveva soprannominato da quando aveva cominciato a dare di matto - riuscisse a tenersi fuori dai guai almeno fino al suo arrivo, cosa di cui dubitava, visto la capacità di quello di infilarsi in mezzo ai casini più incasinati.
Orami non era lontano e a confermarglielo fu la voce di JARVIS.
“Signore, tra meno di un ora raggiungeremo il Capitano Rogers.”
Tony si prese il lusso di tirare un sospiro di sollievo, appena prima di rimanere a bocca aperta e con gli occhi fuori dalle orbite.

“Merda” imprecò, fissando il punto in cui prima lampeggiava la lucina rossa.
“Merda” ripeté, arrestando il volo bruscamente.
Rimase sospeso nel cielo limpido, digrignando i denti.
“JARVIS?” domandò implicitamente, con tono duro.

“Qualcuno ha rintracciato il segnale e lo ha soppresso, signore. Non c’è modo di ristabilire un contatto con il Capitano Rogers.”

Stark soffiò di rabbia e giurò di farla pagare cara a chiunque aveva osato fargli un simile scherzetto.
“Dammi le coordinate dell’ultima posizione registrata di Rogers.”

L’A.I. ubbidì e poco dopo Iron Man era già ripartito, azionando i propulsori alla massima potenza.
 
 

                                                         ***
 
 

Un bip preoccupante mandò in frantumi il silenzio pesante e teso che si era creato tra di loro.
Steve prese la ricetrasmittente dalla tasca posteriore dei jeans e notò che la luce verde si era spenta, segno che aveva appena perso il contatto con Stark. Provò a inviare un nuovo messaggio, ma qualcosa isolava il segnale, impedendogli di mettersi in contatto con chiunque.
Sbuffò frustrato e ripose la ricetrasmittente nella tasca.
La vegetazione si stava diradando man mano che avanzavano e già si poteva scorgere la stradina sterrata dove il biondo aveva lasciato l’auto.

Rogers si bloccò di colpo, sotto lo sguardo interrogativo di Anthea.
Insidiosi punti di domanda gli affollarono la testa.
Possibile che era stato così semplice far perdere le tracce ai soldati? E se li stavano tenendo d’occhio da quando avevano lasciato la base?
Era sicuramente colpa di quei traditori, se la ricetrasmittente aveva smesso di funzionare. Ma se avevano trovato il segnale, significava che sapevano dove fossero ed anche in che direzione stessero procedendo.
Forse non era più sicuro arrivare all’auto. Forse dovevano prendere un’altra strada, ma se li stavano monitorando sarebbe stato inutile, come lo sarebbe stato rimanere fermi ad attendere un soccorso che probabilmente non sarebbe mai arrivato.

“Perché ci siamo fermati?”
La ragazza lo guardava preoccupata e visibilmente tesa.
“Non sono sicuro, ma ho il presentimento che ci abbiano preparato un agguato. È sospetta la facilità con cui siamo riusciti ad arrivare fino qui.”
Il Capitano incrociò le braccia al petto, accigliandosi.
“Steve” lo richiamò lei.
“Cosa c’è?”
Anthea sollevò il polso, mostrando un bracciale nero lucente.
“Devi toglierlo o non potrò aiutarti. Mi blocca.”
Quella ragazza riusciva a confonderlo come nessun altro.
“Cosa significa che ti blocca? E poi non vuoi che ti sfiori.”
“Resisterò.”
Era pallida in viso e Steve temette di vederla crollare a terra, per il modo in cui le tremavano le gambe.
Mi rende debole. Devi toglierlo.”
“Va bene.”

Rogers fece qualche passo verso di lei e scorse nei suoi occhi una scintilla di paura.
Quando a separarli furono solo pochi centimetri, sentì il cuore di lei tamburellare forte, quasi volesse uscirle dal petto.
Anthea gli porse la mano tremante e Steve osservò le sue labbra sbiancare, quando le afferrò il polso sottile. Decise di concentrarsi sul bracciale, per distogliere l’attenzione da quel volto terrorizzato, a causa di quel semplice contatto.
 
Cosa aveva dovuto subire quella ragazza, se il semplice sfiorarla le faceva male quanto una pugnalata?

Il cerchietto nero non aveva aperture ed era troppo stretto per tentare di sfilarlo via dalla mano. Steve lo prese tra le dita e cominciò a forzalo, nel tentativo di spezzare il metallo, che si dimostrò sorprendentemente resistente.
“Andiamo” sussurrò, percependo il braccialetto piegarsi.
Le unghie delle dita gli erano divenute bianche per la pressione esercitata sul piccolo gioiello, il quale si stava arrendendo sotto l’azione della sua forza.
Ancoro un po’ e il metallo si sarebbe spezzato.
Digrignò i denti per lo sforzo. C’era quasi, ma qualcosa attirò la sua attenzione.
Gli occhi azzurri saettarono su un punto del terreno, a qualche metro da lui, e si spalancarono, increduli e spaventati.
 
Granata!
 
L’esplosione li investì, senza che potessero reagire in qualche modo. Furono scaraventati violentemente verso la stradina sterrata, dove della vegetazione rimaneva solo qualche piccolo albero e cespuglio.
Erano completamente scoperti, adesso, privi di difese.
 
 

                                                      ***
 
 

Iron Man sorvolava la foresta, in cerca di segni vitali appartenenti ad esseri umani.
Fino a quel momento, aveva intercettato solo animali - due orsi, una volpe, troppi castori e qualche lepre - e aveva cominciato a perdere la pazienza.
Aveva da sempre sospettato che Rogers fosse un boy scout e la gita improvvisata nella grande foresta canadese non aveva fatto altro che confermare le sue supposizioni.

Oddio, cosa gli avrebbe fatto nel momento in cui lo avrebbe trovato - sempre se fosse riuscito a trovarlo, perché cercare una persona in quella distesa infinita di alberi non era facile nemmeno per un genio come lui.
Un bel pugno su quel viso da bravo ragazzo non glielo avrebbe tolto nessuno.
 
Gli ologrammi davanti ai suoi occhi ambrati continuavano a mostrare stupidi animali e Tony fu tentato di radere al suolo quella maledetta foresta a colpi di raggi laser.

“Cazzo!”
Stark osservò una nuvola di fumo innalzarsi qualche chilometro di distanza da lui, dopo aver sentito un boato.

“Spero che tu non sia morto Rogers o giuro che trovo il modo di raggiungerti vivo all’altro mondo, per prenderti a calci.”
La voce traballante tradiva il suo sforzo di rimanere calmo.
“Resisti!” gridò per scaricare la tensione, puntando dritto verso il punto in cui c’era stata l’esplosione.
 
 

                                                   ***
 
 

L’impatto con la terra dura fu violento e rotolò ancora per qualche metro, dopo il volo iniziale.
Un rivolo di sangue gli colò dalla fronte. Il ronzio nelle orecchie era insopportabile.
Si rimise in piedi, ignorando le fitte di dolore in diversi punti del corpo, e si guardò intorno, in cerca della figura esile di Anthea.
La ragazza giaceva immobile sulla strada sterrata, a una ventina di metri da lui.
“No, ti prego.”

Rogers si precipitò verso di lei, ma alcuni soldati gli sbarrarono la strada, puntandogli addosso fucili a canna liscia, perfetti per il combattimento ravvicinato.
Sulle loro divise nere spiccava una spilla rossa raffigurante un diavolo dalle lunghe corna e dai denti aguzzi.
Quella spilla.
Erano loro. Erano i soldati dell’incubo.

“La corsa finisce qui, Capitano.”
Ricordava la voce di quell’uomo.
“Non ti azzardare mai più a fare una cosa del genere o la prossima pallottola si conficcherà direttamente nel tuo cranio, mia cara” aveva detto la prima volta che lo aveva incontrato, durante l’incubo del bosco.
Mia cara.
Forse non si stava riferendo a lui quella volta, ma a Lei.
 
“Come ci avete trovato?” chiese Steve, cercando di prendere tempo.
L’uomo, il cui viso era celato dietro una maschera nera allo stesso modo degli altri soldati, fece qualche passo avanti, avvicinandosi pericolosamente al Capitano.
“Non importa come. Importa che l’abbiamo fatto” decretò e poi aggiunse “Sai, soldato, stai facendo parecchio irritare il nostro Padrone e non è opportuno farlo arrabbiare.”
“Adam Lewis?” azzardò Steve.
Dalla maschera scaturì una risata distorta.
“Il caro dottor Lewis è solo un’altra delle nostre pedine. Tu non puoi neanche lontanamente immaginare quanto sia potente il Padrone.”
Rogers strinse i pugni, fino a farsi sbiancare le nocche.
“Cosa volete da lei?”
Accennò con lo sguardo alla ragazza riversa a terra.
“Troppe domande per uno che sta per morire.”
Rogers sgranò gli occhi, quando l’uomo sollevò il fucile, pronto a premere il grilletto.
 
La pallottola non partì.
Un raggio di energia investì il soldato, scagliandolo a terra.
Gli altri uomini in nero ruppero le file, nel tentativo di evitare i laser azzurrini che avevano iniziato a piovere dal cielo.

“Ehi Rogers! Piaciuta l’entrata a effetto?”

La voce robotica di Iron Man risuonò proprio sopra di lui e Steve, per la prima volta, fu davvero felice di sentirla.
“Tony, senti … io-”
Il super soldato fu interrotto dall’arrivo di rinforzi nemici sopra grandi jeep nere, che li circondarono completamente.
“A dopo i convenevoli, Cap. Adesso pensiamo a salvarci il culo.”

Stark tese le braccia in avanti, ma non fece in tempo a sparare, che un razzo lo colpì alle spalle. Poi ancora un altro razzo a destra, poi a sinistra e infine su tutti i fronti.
“Lanciarazzi!” gridò Steve, gettandosi a terra per evitare che un razzo lo colpisse in pieno.
Iron Man precipitò rovinosamente, formando un piccolo cratere nel suolo.
I soldati cessarono il fuoco, scesero dalle jeep e dilagarono verso i due Vendicatori, imbracciando fucili di un nero scintillante.

Steve lanciò un’occhiata all’armatura di Iron Man stesa sulla schiena, immobile, poco distante da lui.
Perché non si muoveva? Possibile che erano bastati dei semplici razzi per abbatterlo?
“Stark” chiamò, strisciando sui gomiti verso di lui.
“L’armatura non risponde. Non capisco perché.”
Tony era intrappolato dentro tonnellate di metallo che non volevano saperne di muoversi.

I soldati li avevano raggiunti e puntavano le armi su di loro.
“Erik, cosa dobbiamo farne di questi due?” chiese un soldato.
“Sparate al ragazzo e fate saltare in aria l’armatura con le nuove bombe ad idrogeno.
Faranno un bel buco per terra e quello sarà la loro tomba.”

Erik. Così si chiamava l’uomo di cui aveva riconosciuto la voce, quindi.
Doveva essere il capo dei soldati traditori.
Steve si sentì sollevare brutalmente e prese ferree gli bloccarono le spalle e le braccia dietro la schiena.
Davanti a lui, un anonimo soldato gli puntò addosso il fucile.
A Rogers parve un deja vu.
Era stufo che la gente gli puntasse armi di ogni genere addosso, come se fosse un bersaglio vivente.
Se avesse portato con sé lo scudo.
Se tutto ciò che aveva intorno avesse smesso di vorticare in quel modo così nauseante.
Se fosse rimasto alla Tower, invece di buttarsi a capo fitto in quella missione suicida.
Beh quello che era fatto era fatto, ormai.

“No Rogers! Fermi bastardi!” gridò Stark, nel panico.

Il soldato sparò, spronato dalle urla euforiche dei compagni, e d’istinto Steve chiuse gli occhi.
 
Niente dolore.
Niente più grida.
Silenzio.

Morire non era stato poi così brutto.

“Dannazione.”
La voce di Erik.

Non poteva crederci.
La Signora in Nero, forse, non voleva accoglierlo tra le sue braccia, visto che continuava a non morire, anche quando la situazione era disperata.
Se fosse tornato sano e salvo a New York, sarebbe andato in Chiesa a ringraziare il Signore, che pareva avere un occhio di riguardo per lui.
 
Steve aprì lentamente gli occhi, scoprendo nel proprio campo visivo un puntino nero.
Poi realizzò quello che stava accadendo. Spalancò gli occhi, sorpreso e incredulo.
A pochi centimetri dalla sua fronte macchiata di sangue, il proiettile del fucile era immobile, sospeso in aria.
Tutti i soldati stavano guardando attoniti il cilindretto di piombo, mentre Erik aveva gli occhi castani rivolti ad un punto oltre le spalle del Capitano.
Rogers si voltò completamente, approfittando dello smarrimento degli uomini che lo tenevano fermo.
Trattenne il respiro trovandosi dinanzi a quegli occhi blu, che avevano assunto un taglio più duro e davano vita ad uno sguardo di una tale intensità, da spezzare anche gli animi più freddi.

Anthea era in piedi ed i capelli color miele le ricadevano in onde leggere dietro le spalle.
Aveva il braccio destro teso in avanti e dalla lunga e ampia manica della felpa spuntava la mano aperta, con il palmo rivolto verso Rogers e il gruppo di soldati. Le labbra rosee erano appena socchiuse e la fronte corrugata per la concentrazione.
Ai suoi piedi brillava il bracciale nero, spezzato in due.
 
Gli istanti che seguirono, Steve non li avrebbe mai dimenticati.
 
Tutti i fucili scivolarono dalle prese dei soldati, volteggiarono nell’aria e si bloccarono con la canna rivolta ognuno verso il proprio proprietario.
Uno sparo dopo l’altro, gli uomini in nero caddero a terra privi di vita, con un foro sulla maschera, all’altezza della fronte, da cui fuoriuscirono fiotti di sangue.
Alcuni soldati riuscirono a sfuggire al proiettile a loro indirizzato e tra di essi lo stesso Erik, che batté in ritirata, correndo verso una delle jeep nere.
Quando gli spari cessarono, decine di uomini erano riversi a terra privi di vita, mentre i pochi fortunati sopravvissuti correvano verso i fuoristrada o verso la foresta.
 
“Tu non sai cosa hai liberato. Ti pentirai di averla salvata dalla prigionia. Lei non è quello che sembra” affermò Erik, rivolgendosi al Capitano, prima di mettere in moto il veicolo e partire sgommando, alla massima velocità, seguito a ruota da altre jeep.
 
 
Steve non si accorse della mano metallica di Iron Man che si posava sulla sua spalla.
Era troppo scosso e confuso da ciò a cui aveva appena assistito.
Fu la voce di Stark, che aveva sollevato la visiera dell’armatura, a riportarlo alla realtà.
 
“Nat sta venendo a recuperarci con un jet. Sarà qui a momenti.”
Steve si voltò a guardare il compagno.
“L’armatura ha ripreso a funzionare?”
Osservò l’espressione di Tony divenire tesa.
“Sì, ha ripreso a funzionare. Ma non capisco in che modo siano riusciti a bloccarla.”
“Io non capisco molte altre cose, invece” sussurrò flebilmente Rogers, ma il miliardario lo sentì lo stesso.

“Chi diavolo è lei?”
Le iridi color ambra di Stark si posarono sulla ragazza davanti a loro, distante una decina di metri.
Anthea se ne stava ferma, con lo sguardo basso e le braccia incrociate sotto i seni. Dondolava sui piedi nudi, i lunghissimi capelli le erano scivolati davanti le spalle e qualche ciuffo le oscurava i grandi occhi.

“Lei è il motivo per cui sono venuto fin qui.”
“La conosci?” domando Tony, scettico.
“No.”
“E allora-”
Steve frenò il compagno con un gesto della mano.
“Non ho voglia di parlarne.”
Stark indurì lo sguardo e puntò un dito metallico sul petto del Capitano.
“Se intendi tenermi fuori da questa storia, non ci riuscirai mio caro. Ormai ci sono dentro fino al collo e non mi tirerò indietro, nemmeno se fossi costretto a cavarti le parole di bocca.”
“Stark”
“Me la devi la verità, Rogers. Cosa è successo?”

Steve guardò Anthea, che alzò improvvisamente il capo, come se avesse percepito quello sguardo sul suo corpo.
Quando le iridi cerulee si specchiarono in quelle blu dai riflessi dorati della ragazza, Steve sentì dei brividi percorrergli la schiena.

“Lei è Anthea. Sentivo la sua voce nella mia testa ed è stata lei a chiedermi di venire qui, così io-”
“Aspetta!” esclamò Tony, alzando le mani con i palmi rivolti in avanti.
“Sentivi la sua voce nella tua testa?”
Stark credeva - sperava - di aver sentito male.
“Sì.”

Il super soldato si sentì improvvisamente debole.
Ormai l’adrenalina era scemata del tutto e cominciava a sentire il dolore assalirlo. Si portò istintivamente una mano al fianco destro e percepì nel palmo della mano uno spuntone di metallo. Con un gesto veloce tirò fuori il corpo estraneo e la vista gli si offuscò, mentre una macchia rossa si allargava sulla maglia bianca, strappata e bruciacchiata.
Le gambe gli divennero molli e non si schiantò sulla terra dura, solo grazie alla presa ferrea di Iron Man, che gli passò un braccio attorno alla vita per sorreggerlo.
“Rogers, accidenti a te e al tuo spirito suicida. Resisti. Natasha sarà qui a momenti.”
La voce di Tony divenne presto un’eco lontana.
Le palpebre erano troppo pesanti e Steve si lasciò andare contro l’armatura del compagno, sfinito.
Aveva freddo ed il calore del flusso di sangue che fuoriusciva dalla ferita al fianco era quasi piacevole.
Si sentì scuotere, ma ignorò gli scossoni.
Prima di sprofondare nell’oblio, vide due occhi blu spalancati dal terrore.
 
 

                                                         ***
 
 

I passi risuonavano nel corridoio buio, mentre lo percorreva spedito.
La paura gli attanagliava lo stomaco.
La grande porta nera si spalancò, emettendo un cigolio sinistro.
Come sempre, la stanza era immersa nell’oscurità.
Una candela era posta al centro e pareva galleggiasse nel vuoto. La debole fiammella lottava contro le tenebre, rischiarando appena il luogo angusto e sciogliendo la cera rossa che colava come sangue lungo il piccolo lume.
La porta si richiuse alle sue spalle e la fiammella vibrò appena.
Si inchinò, poggiando il ginocchio destro sul pavimento freddo e abbassando il capo, in segno di sottomissione.

“Mio Padrone” esordì.
“Sono qui per informarla che la ragazza è scappata. I Vendicatori l’hanno aiutata a fuggire e i miei uomini non sono riusciti a fermarli.”
Poiché il silenzio si protrasse troppo a lungo, l’uomo continuò.
“Mi dispiace, Padrone. Troverò il modo di rimediare, lo giuro.”

“Erik.”
Una voce possente scaturì dall’oscurità.

Erik sollevò il capo e tremò alla vista di due occhi rossi come il sangue che lo guardavano dal fondo della stanza.
La fiammella oscillò, come se tremasse anch’essa, e subito dopo si espanse fino a schiarire tutto l’ambiente circostante.
La creatura dagli occhi vermigli aveva il volto nascosto da una maschera di metallo nero, che rifletteva la luce della candela. Sedeva su un trono di cemento, ricoperto da drappi di seta rossa.

“Sai che non apprezzo coloro che falliscono.”

Erik deglutì a fatica, sentendo la gola secca.
“Ne sono consapevole, Padrone. La prego, lasci che mi redima per l’oltraggio commesso al suo onore.”

La creatura si alzò dal trono e si avvicinò al soldato, camminando con estrema eleganza e leggerezza.
“Mio caro Erik, dovresti anche sapere anche che non concedo una seconda possibilità.”

Il soldato sudò freddo e alcune lacrime gli solcarono le guance coperte dalla maschera.
“Vi prego, risparmiatemi. Vi scongiuro” supplicò con voce tremante.
“Io le prometto che-” le parole gli si bloccarono in gola, assieme al respiro, quando la lama di una spada trapassò il suo cuore.
Erik cadde a terra esamine, ed una pozza di sangue si allargò sotto il suo corpo. Gli occhi erano spalancati dal terrore.

Il Padrone, con la spada stretta in un pugno, guardò l’uomo, sorridendo sadico sotto la maschera.
“Schifosi e deboli umani” sibilò.
La fiamma della candela si affievolì di colpo e l’oscurità tornò sovrana.

“Adesso tocca a voi, cari Vendicatori.”
 
Il suono di una risata demoniaca risuonò forte tra le pareti della stanza.
 
 
 
 
 

Note
Eccoci arrivati alla fine del sesto capitolo.
Sono accadute diverse cose che definirei piuttosto anomale, ma siamo solo all’inizio!
Anthea è un nome greco e significa “fiore”.
Allora che ne pensate? Sta venendo fuori qualcosa di decente?

Ringrazio DalamarF16 per aver recensito la storia <3

Grazie anche a tutti quelli che la seguono e anche a chi legge solamente :D

Alla prossima ;)
Ella

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Capitolo 7
*** Fiducia ***


Fiducia
 
Il jet si fermò sopra le loro teste, investendoli con un turbine d’aria che fece oscillare le folte chiome delle conifere circostanti.
Il fastidioso rumore dei propulsori le riempì le orecchie, perforandole il timpano con prepotenza.
Anthea osservò l’uomo con l’armatura caricarsi il corpo privo di sensi di Steve su una spalla, per poi dirigersi a passo spedito verso di lei.
La ragazza rimase immobile, non sapendo cosa aspettarsi da quello sconosciuto piovuto dal cielo qualche ora prima.
Non fece nemmeno in tempo a replicare quando la mano di metallo si serrò attorno al suo braccio, che sentì il suolo venirle a mancare sotto i piedi nudi e una sensazione di vuoto allo stomaco.
Il ventre del velivolo li inghiottì e il portellone si richiuse con un sibilo metallico.
Stark lasciò andare il braccio di Anthea ed appoggiò delicatamente il Capitano contro la parete di metallo alla sua destra.
L’interno del jet era quasi completamente immerso nel buio, rischiarato appena dalle luci gialle, verdi e rosse provenienti dal posto di comando, dove sedeva un uomo dai capelli biondo cenere, affiancato da una donna dalla chioma rossa.

“Ehi Nat, non mi avevi detto che Legolas era tornato dal Marocco.”

L’armatura di Iron Man parve accartocciarsi su sé stessa, mentre tornava ad assumere la forma di un’innocua valigetta, lasciando il miliardario vestito da un paio di jeans scuri e una canotta nera.

“Non me lo hai chiesto” rispose semplicemente la rossa, lasciando la sua postazione e dirigendosi verso Stark, con uno sguardo corrucciato che parlava da sé.
La Vedova voleva spiegazioni e non intendeva attendere un minuto di più.
 
Anthea osservò quella donna dalle forme sensuali, messe ancor più in risalto dall’attillata divisa in pelle nera, e rimase affascinata dai suoi occhi verdi e penetranti, che adesso la stavano studiando attentamente e con una certa diffidenza. Le labbra piene erano arricciate in una smorfia di disappunto e le braccia intrecciate sotto i seni con stizza facevano intendere che la rossa non apprezzava la sua presenza.
“Chi è lei?” chiese infatti, non cercando affatto di nascondere la nota di fredda
impressa nella voce.

Tony si voltò a guardare la ragazzina per un istante, pressando le labbra come se non volesse che le parole gli uscissero dalla bocca.
Poi gli occhi ambrati andarono a riflettersi in quelli verdi di Natasha, in una muta richiesta di estrema cautela.
“Steve ha detto che sentiva la sua voce nella testa” spiegò il miliardario, tamburellando con un indice sulla propria tempia.
“E mi ha detto che si chiama Anthea” aggiunse poi, voltandosi nuovamente verso l’intrusa e sospirando grevemente.

La Romanoff sciolse le braccia e lasciò che le ricadessero lungo i fianchi, sbuffando stancamente.
“Che cosa avete combinato questa volta, Stark?”
Tony alzò le mani davanti a sé, con i palmi rivolti verso la donna, in segno di difesa contro accuse che, per una volta tanto, non meritava.
“Ha fatto tutto il soldato complessato. Io non c’entro. Gli ho solo salvato il culo, evitando che una pallottola gli si conficcasse in quella testa bacata e probabilmente vuota. Non posso essere accusato di cose che non ho fatto e se fossi in te smetterei di lanciare sguardi fulminanti a quella ragazzina là, perché sembra tanto indifesa ma non lo è e io non ho voglia di passare altri guai che poi sarebbero sempre da attribuire a Capsicle, che continua a fare cazzate …”
“Stark.”
“Andava tutto alla stragrande e adesso invece ci ritroveremo nuovamente in un dannato casino del cazzo, me lo sento …”
“Stark!” gridò Natasha, spazientita dallo sproloquio del compagno, che aveva accompagnato le parole gesticolando come uno squilibrato.

“Brutto segno questo” asserì Barton, che non si era lascito sfuggire una sillaba del discorso tra il miliardario e la rossa.
“Non sei stato interpellato tu” ribatté a tono Stark, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Natasha, che era tornata ad intrecciare le braccia sotto i seni - brutto segno anche questo.
“Clint ha ragione. Diventi logorroico quando qualcosa ti preoccupa davvero e io vorrei tanto sapere che cosa è successo da renderti così insopportabile.”

Tony gonfiò le guance, come una bambino indispettito, poi d’istinto si voltò per l’ennesima volta verso quella che era la sorgente delle sue preoccupazioni.
Soldati traditori o congegni in grado di mettere fuori uso la sua armatura non erano nulla in confronto a ciò a cui aveva assistito.
Li aveva uccisi senza muovere un dito.
Forse aveva solo immaginato tutto. No, era accaduto realmente.
Sapeva ciò che aveva visto e ne era certo, anche se voleva cocciutamente convincersi del contrario.
Si sentiva minacciato dalla presenza di quella ragazzina, che assolutamente non era normale.
 
Natasha aveva notato una scintilla di ansia illuminare le iridi ambrate di Stark, ogni qual volta che quelle si posavano sulla figura esile della giovane, rimasta immobile dal momento in cui aveva messo piede sul jet. Le ritornò allora alla mente una frase tra il fiume di parole uscite, senza controllo, dalla bocca del compagno.
 
“… se fossi in te smetterei di lanciare sguardi fulminanti a quella ragazzina là, perché sembra tanto indifesa ma non lo è …”
 
“Che cosa ha fatto?”

A quella domanda gli occhi di Anthea si spalancarono talmente tanto da apparire vitrei e il volto le divenne pallido, mentre gocce di sudore freddo le imperlavano la fronte.

Tony guardò quella ragazza che sembrava - sì, sembrava, perché non lo era affatto - così fragile e indifesa.
Era come una rosa bellissima e apparentemente innocua, ma che ti lacerava la pelle delle mani con le sue spine, non appena cercavi di reciderle il gambo in cui passava la linfa vitale.
Stark indugiò ancora, sotto lo sguardo penetrante della rossa.
 
“Dillo” sussurrò pianissimo Anthea, attirando su di sé l’attenzione dei due Vendicatori, fermi a pochi passi da lei.

Clint si voltò appena, specchiandosi nei grandi occhi della ragazzina e rimanendone affascinato. Poi tornò a concentrarsi sulla guida del velivolo, attendendo risposte.

“Dillo” ripeté convinta Anthea, affondando con lo sguardo negli occhi ambrati di Stark, che la guardava alquanto scioccato.
Il miliardario deglutì e lasciò che un sospiro abbandonasse le sue labbra.
“Lei non è … non è normale.”
“E questo cosa significa?” chiese Natasha, al limite della pazienza.
“Non lo so! So solo che ha ucciso più di venti uomini senza muovere un solo maledetto dito!”
Tony percepì un peso abbandonargli il petto.
La Romanoff, istintivamente, si voltò verso Steve, percorrendone il corpo con lo sguardo. Era ferito, pallido, sporco di sangue e ancora incosciente.
 
“Ci ha salvati, Nat” ammise Tony.
“Se non fosse stato per lei, io e Rogers saremmo all’altro mondo adesso.”

Anthea percepì il cuore battere più velocemente e una sensazione di benessere la invase, sciogliendo un poco l’ansia che aveva preso possesso del suo corpo, irrigidendolo tutto.
La sua mente era un turbinio continuo di pensieri e soprattutto di emozioni, che faticava a gestire.
Il sollievo di essere uscita dal luogo di tortura dove l’avevano tenuta segregata per troppo tempo.
La paura dell’ignoto che si prospettava da ora in avanti.
La rabbia e la voglia di vendetta verso i suoi aguzzini.
Il senso di colpa per aver coinvolto altre persone in qualcosa di troppo grande e pericoloso.
L’eccitazione di sentirsi finalmente se stessa.
Il terrore di sentirsi, dopo anni, veramente se stessa.
Temeva di essere rinchiusa di nuovo in qualche luogo angusto, isolata dal mondo esterno, a causa del suo essere.
Capiva la diffidenza di quelle persone. C’erano tante, troppe ragioni per starle lontano.
Ma a lei non dispiaceva stare sola, poiché ormai ci aveva fatto l’abitudine. La solitudine era diventata la sua più grande amica e confidente già da parecchi anni.
Quel “Grazie” non detto, ma sottinteso, da parte di Stark aveva avuto su di lei lo stesso effetto di una dolce carezza mai ricevuta.
 
Un silenzio teso, intriso di mute domande, invase l’interno del velivolo.
Gli occhi di ogni presente, eccetto quelli addormentati del Capitano, vagavano nel vuoto, evitando di incrociarsi tra loro.
 
“Che cosa facciamo?”
Barton mise a nudo l’interrogativo che richiedeva una certa urgenza.
Stark fece suo il fardello di rispondere.
“Andiamo alla Tower. Una volta arrivati ci occuperemo prima di tutto di Rogers. Dopo che Cap si sarà ripreso cercheremo di srotolare almeno in parte i fili di questo ingarbugliato casino.”
“Cosa facciamo con Fury e lo SHIELD?” chiese Natasha, sollevando un sopracciglio, perplessa.
“Sarà meglio che Fury non venga a sapere nulla di questa storia, almeno per ora. Finché non abbiamo chiare le cose evitiamo di mettere in mezzo lo SHIELD, che ci ronzerebbe attorno come una mosca fastidiosa. E in più c’è lei.”
Clint si voltò di nuovo e con un cenno del capo indicò Anthea.
“So per certo che non la lascerebbero a piede libero se sapessero.”
Non serviva specificare.
Alcune volte le parole erano solo di troppo e si poteva evitare di farne uso, se le persone a cui ti rivolgevi capivano perfettamente il sottinteso. E tutti loro avevano compreso.

“Lo SHIELD è fissato col paranormale, che poi gira nelle sue basi indisturbato” borbottò Tony.
Natasha scosse il capo, sopprimendo un sorrisetto ironico.
“Non dirmi che ce l’hai ancora con Phil per-”
“Per aver finto di essere morto? Sì, ovviamente. Odio essere preso per i fondelli” asserì deciso il miliardario.
“Ammettilo, per una buona volta, che sei felice che Phil sia vivo” replicò la rossa, questa volta sorridendo.
Stark fece però finta di non aver sentito, troppo orgoglioso per ammettere che , era stato felice di sapere che Phil non fosse morto davvero.


Anthea ancora non accennava a muoversi.
Dritta come un palo, con le braccia che le ricadevano mollemente lungo i fianchi e coperta da quella felpa enorme che le lasciava nude le lunghe gambe, continuava ad osservare, una ad una, quelle persone che emanavano un’aura calda, piacevole.
In quel momento fu indotta a credere che tutto sarebbe andato bene.
Si sentiva in debito con quegli sconosciuti, soprattutto con la persona che l’aveva tirata fuori da un mondo composto solo da torture e dolore.
D’un tratto si mosse e percorse i pochi passi che la separavano da Steve, percependo sulla sua schiena il peso di tre paia di occhi.
Non si fidavano. E come dargli torto?
“Non farò del male a nessuno di voi, se è questo che vi preoccupa.”
Anthea si piegò sulle ginocchia e il suo viso arrivò alla stessa altezza di quello di Steve.
“A dirla tutta non controllo veramente il mio potere - è lui che controlla me - viene fuori solo quando sono in pericolo o quando le emozioni sono troppo travolgenti.”
Pose delicatamente le mani dalle dita affusolate sulle guance del soldato e poi le lasciò scivolare lungo quel corpo forte e caldo. Dal viso al collo. Dal collo alle spalle larghe.
Si fermò solo quando percepì il battito del cuore di Steve sotto i palmi.

Nessuno osava interrompere la ragazza. E non c’entrava la fiducia o il fatto di credere che lei non avrebbe torto un capello a nessuno di loro.
C’era qualcosa di invisibile ma tangibile, che quella giovane sopravvissuta emanava. Qualcosa di estremamente affascinante e allo stesso tempo dirompente.
Erano soggiogati da lei e non potevano evitare di esserlo.
 
Anthea chiuse gli occhi, sprofondando nell’oscurità.
Tum  Tum 
Una luce pallida lampeggiò tra le tenebre.
Tum … Tum …
Lampeggiava a ritmo del cuore del biondo.
La ragazza si concentrò affondo, isolandosi da tutto ciò che la circondava.
Percepì un forte calore confluire nei palmi delle sue mani, che premettero sul petto del Capitano con più forza.
Tum Tum …
Il battito acquistò vigore e la luce divenne più luminosa.
Le mani cominciarono a bruciare e Anthea strinse i denti.
Tum Tum … Tum Tum … Tum Tum …
La luce si trasformò in un bagliore talmente accecante da costringere la ragazza ad aprire gli occhi, che si specchiarono nel cielo racchiuso nelle iridi del Capitano.

Steve rimase di nuovo incantato ad osservare gli occhi grandi di Anthea.
Il blu oltremare era svanito, ricoperto dal colore della luce. Le ametiste brillanti erano state sostituite da oro fuso.
Un battito di ciglia e la notte si riappropriò delle iridi della ragazza, che si scostò da lui, ritirando indietro le mani come se fosse stata scottata.
Anthea fece qualche passo indietro, permettendo a Steve di notare la presenza dei suoi compagni, che lo guardavano con occhi spalancati. Lo stesso Clint si era distratto alla guida.

Rogers si mise in piedi senza alcuna difficoltà. Si sentiva davvero bene.
“Ho qualcosa in faccia?” chiese, sarcastico.
Tony parve riscuotersi e un ghigno prese forma sul suo volto.
“Ehi Cap, devi avere qualche trauma cranico. Sbaglio, o quello che è uscito dalla tua bocca era umorismo?”
“È sempre un piacere rivederti, Stark.”
Natasha scosse il capo e si portò le mani ai fianchi, fulminando Capitan America e Iron Man con lo sguardo - soprattutto quest’ultimo.
“Continuate a battibeccare e giuro che vi butto entrambi giù da questo jet. Chiaro?”
“Sì, signora” risposero i due interpellati, all’unisono.
Barton non riuscì a trattenere una risata ed Anthea rimase stupita dal modo in cui la rossa era riuscita a intimidire quelle che parevano a tutti gli effetti due teste calde.
 
“Cambio di programma” annunciò Stark.
“Dal momento che Cap sembra stare meglio di tutti noi messi insieme, appena arriveremo alla Tower organizzeremo una riunione super segretissima degli Avengers per occuparci del casino che ha combinato il qui presente biondino. Non cambia la decisione di tenere fuori da tutto questo lo SHIELD.”

“Che casino avrei combinato, scusa?” domandò Steve, perplesso.
Stark si avvicinò al Capitano e gli diede una pacca sulla spalla destra.
“Oh nulla di che, Capsicle. Hai solo fatto incazzare un esercito di soldati traditori, sottraendogli un’arma micidiale, che sicuramente hanno intenzione di riprendersi. E se non hai compreso, per arma micidiale intendo la ragazzina paranormale per cui hai rischiato la vita.”
Rogers sbuffò, affranto.
“Ho combinato un disastro, vero?”
“Già” fece Stark, ghignando.
“Meglio non dire nulla a Fury, allora” confessò il Capitano, con un certo rammarico.
“Giusto” replicarono gli altri tre Vendicatori.
 
 

                                                        ***
 
 

Le alte fiaccole lungo i margini del corridoio presero fuoco al suo passaggio, rischiarando le tenebre che avvolgevano incontrastate la sua dimora.
La creatura dagli occhi scarlatti avanzava a grandi passi, seguita da alcuni uomini sulle cui divise nere spiccava la spilla rossa raffigurante un diavolo.
L’eco dei loro passi si infrangeva lungo le alti pareti. Sopra le loro teste non si riusciva a scorgere il soffitto.
La creatura si bloccò dinanzi ad una porta dalle dimensioni colossali. La possente struttura era costituita da un materiale sconosciuto sulla Terra: una lega indistruttibile, viva, che emanava una forza oscura e pericolosa, e di un nero lucido, che rifletteva le fiamme danzanti sulle sommità delle fiaccole. Quella lega - la stessa del bracciale di Anthea - era capace di incatenare poteri enormi, quando entrava in contatto con il portatore di tali forze.
La porta celava qualcosa di terribilmente potente e bestiale.
Il Padrone vi appoggiò sopra una mano e da essa defluirono in tutte le direzioni venature rosse come il sangue.
La porta emise inquietanti sibili e lentamente le ante si mossero vero l’interno, formando tra di esse uno spazio scuro.
Un verso mostruoso venne fuori dalla fessura che diveniva sempre più ampia e il Padrone sorrise soddisfatto.
I soldati, ignari del loro imminente destino, si scambiarono sguardi terrorizzati e d’istinto fecero alcuni passi indietro.

“Non abbiate paura. Sarà tutto veloce e indolore.”

“Che cosa significa?” chiese un uomo, che inconsapevolmente aveva fatto da portavoce a quel gruppo di sciagurati.

Thanatos è rinchiuso da troppo tempo. Ha fame.
 
La consapevolezza si insinuò dolorosamente nelle menti dei soldati, che il panico fece suoi schiavi.
Le ante della porta si aprirono completamente e un ruggito mostruoso lacerò loro i timpani.
Nell’oscurità scintillarono due sfere scarlatte. Gli occhi del mostro.

I soldati presero a correre lungo il corridoio, dando le spalle al varco oscuro da cui continuavano a provenire versi bestiali.

“Sono tutti tuoi” sussurrò il Padrone.

Le povere vittime sacrificali vennero fatte brutalmente a pezzi.
Il loro sangue schizzò sulle pareti del lungo corridoio e si raccolse in dense pozze sul pavimento di dura e fredda pietra.
 
Thanatos era stato risvegliato.
 
 

                                                          ***
 
 

“Allora ricapitoliamo.”
Tony accavallò le gambe e sprofondò ancora di più nella poltrona color crema.
“Più o meno dieci giorni fa, Rogers inizia a fare incubi orrendi e una voce prende a parlargli nella testa. Cap diventa sempre più irritabile, peggio di Natasha quando ha le sue cose, perché non riesce a dormire. Ci esclude tutti dalla sua vita e passa le giornate a lavorare per il buon vecchio Fury.”
Stark fece una pausa per riprendere fiato.
“Poi un bel giorno la voce gli dice di andare in una base SHIELD in Canada perché ha bisogno di aiuto. Cap parte senza dire niente a nessuno e raggiunge il luogo indicato, dove scopre che ci sono agenti traditori guidati da un certo dottor Adam Lewis, il quale esegue esperimenti su soggetti vivi perché vuole rendere l’uomo invincibile, cosa a mio parere impossibile, ma andiamo avanti.”
Altra breve pausa.
“Rogers riesce a scappare dopo aver trovato la ragazzina paranormale, invia una richiesta d’aiuto al sottoscritto e poi viene assaltato dai soldati al limitare della foresta. Io gli salvo il culo e la ragazzina lo salva a entrambi, sfoderando la sua forza segreta. I traditori si ritirano, con la muta minaccia di farsi vivi di nuovo, e dopo qualche ora veniamo recuperati da Natasha e Clint, che ci riportano alla Tower. E adesso eccoci qui.”
 
Il jet aveva raggiunto la Tower al tramonto.
Stark aveva riunito tutti i Vendicatori nella Sala Comune - per fortuna Thor era tornato da Asgard quel giorno stesso - e aveva riferito a coloro ancora ignari di tutto il trambusto provocato da Steve che c’era un problema abbastanza urgente da risolvere.
Rogers aveva raccontato a sommi capi ciò che era accaduto dal momento in cui era partito da New York, spinto dalla voce nella sua testa, fino a quando era arrivato Iron Man, che gli aveva evitato di prendere una pallottola alla testa.
Poi Stark aveva parlato del resto, ovvero della decisioni prese durante il viaggio di ritorno e di quello che era il vero problema, ovvero la ragazzina totalmente fuori dal comune a cui apparteneva la voce che aveva indotto Steve a credere di stare impazzendo.
 
Thor e Steve occupavano il grande divano color crema.
Bruce e Tony erano di fronte a loro, sprofondati nelle comode poltrone del medesimo colore.
Tra divano e poltrone c’era un piccolo tavolino in vetro, con sopra appoggiati svariati bicchieri riempiti per lo più di acqua, mentre un paio contenevano alcolici.
Natasha era a cavallo di una sedia, con il petto schiacciato contro lo schienale, sulla cui sommità erano intrecciate le braccia, che facevano da appoggio al mento leggermente a punta.
Clint se ne stava in piedi, pensieroso, appoggiato al davanzale della grande finestra che dava su una New York illuminata da una miriade di luci.

“Perché non hai detto nulla?”
Barton rimase con lo sguardo fisso nel vuoto e non pronunciò il nome dell’interpellato, ma tutti sapevano perfettamente a chi fosse rivolta quella domanda spinosa.
Ed infatti Steve abbassò lo sguardo, percependo crescere il senso di colpa, che gli attanagliò lo stomaco.
“Io non lo so. Non capisco cosa mi sia preso. Ero sconvolto, credevo stessi impazzendo e non riuscivo a fidarmi di nessuno.”

Thor regalò al Capitano un’accondiscendente pacca sulla spalla e il giovane gli rivolse un sorriso tirato, ma grato.
Se l’asgardiano era passato sopra al comportamento da stronzo - a detta di Stark - di Steve, per gli altri non sarebbe stato altrettanto facile concedere il proprio perdono e ricominciare a fidarsi completamente del ragazzo.
 
C’erano due diversi tipi di fiducia.
C’era la fiducia anziana, indistruttibile, temprata da anni e anni di prove superate, coperta di cicatrici che ricordavano che si poteva affidare anche la propria vita alla persona con la quale si condivideva questo forte e radicato sentimento.
Poi c’era la fiducia neonata, quella concessa ma non ancora donata, quella morbida e liscia come la pelle di un bambino e totalmente indifesa. E nel momento in cui vi erano le prime ferite, questa fiducia sanguinava e provocava un forte dolore, difficile da sopprimere e da sopportare.
Se alla fine la lacerazione si cicatrizzava, allora la fiducia neonata cominciava a crescere e maturare, rafforzandosi e diventando sempre più solida.
Un solido appiglio a cui appoggiarsi per non cadere.
Era la fiducia neonata che univa i Vendicatori, persone straordinarie nel loro essere, forzate a convivere sotto lo stesso tetto e condividenti il greve fardello di salvaguardia dell’umanità.
Non era facile fidarsi completamente di persone che conoscevi da troppo poco tempo e che non si sforzavano di creare legami con chi gli era accanto, perché cercavano sempre di rimanere confinate nel proprio universo.
Steve rimaneva ancorato al suo passato.
Tony era un universo a sé stante.
Bruce cercava istintivamente l’isolamento.
Clint e Natasha avevano precedenti che li avevano marchiati e che provavano invano a lasciarsi alle spalle.
Paradossalmente, l’unico che cercava di legare era Thor, non appartenente nemmeno a quel mondo che però aveva scelto di proteggere.
Era difficile. Troppo complicato.
Erano un gruppo di sconclusionati e alle prime difficoltà non riguardanti un nemico esterno, ma interno, gli equilibri già precari divenivano instabili e la molle fiducia che c’era tra di loro barcollava pericolosamente, minacciando di cadere e non rialzarsi.
 
“Mi dispiace davvero tanto” sussurrò Steve, affranto.

Nessuno osava parlare e la stanza si riempì di tensione.
Rogers guardò ad uno ad uno i suoi compagni.
Erano combattuti da sentimenti contrastanti e lo stesso Stark, ora, emanava serietà da tutti i pori.
Non c’era spazio per scherzare.
Era come assistere ad un processo in tribunale, nel quale l’imputato era solo davanti a cinque giudici.
Colpevole o Innocente?
Escluso o Riaccolto?
Condannato o Perdonato?
 
“È colpa mia.”
Anthea era sulla soglia dell’ingresso alla Sala Comune.
Indossava un paio di pantaloncini di felpa blu e una t-shirt di morbido cotone giallo pallido.
I capelli lunghissimi le ricadevano in morbide onde sulla schiena ed erano di un luminoso color miele, mischiato al caramello.
 
 
 
Dopo essere arrivati alla Tower, Tony l’aveva affidata a Pepper, che non aveva fatto domande, ma aveva lanciato al compagno un sguardo che diceva chiaramente “Mi devi delle spiegazioni”.
Anthea era rimasta affascinata da quella donna bella e soprattutto dolce. Gli occhi chiari, contornati da piccole lentiggini, l’avevano osservata con premura.
Pepper l’aveva accompagnata nella stanza da bagno, dove Anthea aveva potuto fare un doccia calda e rigenerante, usufruendo di prodotti delicati e profumati per il corpo e per i capelli.
La ragazzina aveva osservato con disgusto l’acqua nera che si raccoglieva ai suoi piedi, sul piano bianco della doccia. Aveva strofinato la pelle con una piccola spugna, fino a farla arrossare.
Era uscita dalla spaziosa cabina solo quando si era sentita davvero pulita - fuori almeno, perché dentro non lo era affatto.
Quando era uscita dal bagno, seguita da una nuvola di vapore e coperta da un morbido asciugamano bianco stretto sopra i seni, aveva trovato ad accoglierla il dolce sorriso di Pepper, che l’aveva accompagnata in una stanza da letto enorme e le aveva dato dei vestiti puliti ed emananti un fresco odore di lavanda.
Virginia non l’aveva mai nemmeno sfiorata, come se le avesse letto dentro che non apprezzava - non voleva - contatti con persona alcuna.
Anthea aveva apprezzato quel riguardo nei suoi confronti. Pochi trattavano una sconosciuta con quella dolcezza e premura.
Prima di lasciare Pepper, la ragazza le aveva rivolto un sorriso fievole ma sincero. Un sorriso che da troppo tempo non le piegava le labbra e che era fiorito con una naturalezza ed una facilità incredibili, per lei.
 
 
 
“Da quanto tempo sei lì?” chiese Stark, sorpreso.
Anthea si fece avanti, camminando sul liscio parquet a piedi nudi, e raggiunse il gruppo di Vendicatori, fermandosi accanto al divano.
Accanto a Steve.
“Più o meno da ‘Allora ricapitoliamo’ e intendevo rimanere da parte, se non fosse stato per il fatto che ci sono delle cose nella ricapitolazione da chiarire.”
Steve non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.
“Prima di tutto quelli che ha fatto Steve non erano incubi, ma lui vedeva semplicemente ciò che accadeva a me. Non so come io sia riuscita a instaurare un legame tra le nostre menti, ma sono stata spinta dal fatto che lui è speciale, perciò avrebbe retto la connessione spirituale, senza soccombere.”
 
“Soccombere?” fece Clint.

“La connessione può portare alla morte se non si è abbastanza forti. Una persona normale non ce la farebbe, ma da quello che ho captato Steve non è propriamente una persona normale, giusto?”
Era più una constatazione che una domanda, ma i Vendicatori annuirono lo stesso.
“La connessione permetteva a Steve di vedere e sentire ciò che accadeva a me. In più potevo parlargli, attraverso il legame tra le nostre menti.”
 
“ … e posso ancora farlo.”
 
“Davvero?”
Gli occhi di tutti si spostarono su Steve, perplessi da quella reazione.
“Mi ha parlato qui dentro” si giustificò il Capitano, toccandosi con un dito la fronte fasciata da una benda candida.

“Davvero?” ripeté Bruce, che con la spiegazione della ragazza aveva potuto finalmente capire ciò che non avrebbe mai potuto ricavare da quei dati anormali che aveva studiato per giorni e giorni.

Anthea annuì.
“Una volta instaurata, la connessione non può essere distrutta, a meno che …”
La ragazza si morse il labbro inferiore, con fare nervoso.
“A meno che?” la spronò Tony.
“Uno di noi due muoia.”

Silenzio e sguardi sfuggenti dominarono la stanza per qualche istante.
“Perché prima hai detto che era colpa tua?” chiese Clint, guardandola negli occhi.
“Perché con la connessione i miei sentimenti hanno influenzato Steve talmente tanto, da fargli provare la forte repulsione che sento verso gli altri essere umani e la completa sfiducia in loro.”
Misantropia” sussurrò Natasha, rivolgendo uno sguardo di compassione a quella ragazza senza più fiducia nel genere umano.
Chissà cosa aveva passato 
“Chi sono quegli uomini? Cosa vogliono davvero da te? Cosa sei? Un loro esperimento ben riuscito? Cosa ti hanno fatto? Perché-”
“Stark.”
Steve lanciò un’occhiataccia a Tony, invitandolo a tacere.
Anthea si torceva le mani in grembo e il labbro inferiore veniva torturato dai denti, quasi con ferocia.

“Bisogna sapere, Rogers, se vogliamo risolvere la situazione.”
“Non è questo il momento.”
“Quale sarebbe il momento, allora?”
“Diamole un po’ di tempo.”
“Potremmo non averne.”
“Stark, non fare il melodrammatico adesso” fece Natasha.
“Forse però ha ragione” si intromise Clint.
“Ho sempre ragione” affermò Stark, gonfiando il petto.
“Non fare il cretino.”
“E tu non fare l’idiota, Rogers.”
“Sto solo dicendo che è troppo sconvolta per parlare ora.”
“Potremmo parlare delle cose delicate domani” suggerì Bruce.
“Perché la date sempre vinta a Rogers?”
“Sei ubriaco, Stark?”
“No incazzato.”
“Smettetela.”
“Tu non rompere, Legolas.”
“Stark, non provocarmi.”
“Clint, non ti ci mettere anche tu.”
“Oh sì che mi ci metto, Nat.”
“Ragazzi, basta. Non ho ancora preso la mia camomilla.”
“Forse Hulk ci potrebbe parlare con la paranormale.”
“Stai delirando, Stark.”

Thor saettava con gli occhi da un compagno all’altro, indeciso se intervenire o restarsene in disparte.
Nessuno si accorse che Anthea stava tremando.
La luce del lampadario iniziò a lampeggiare.
Dai bicchieri sul tavolino in vetro, i liquidi vennero fuori, salendo verso i soffitto e rimanendo sospesi nel vuoto. Il vetro dei bicchieri si incrinò e allo stesso modo quello del tavolino.
E Anthea continuava a tremare, con le mani pressate sulle orecchie e lo sguardo perso nel vuoto.
 
“Cristo” sussurrò Tony, scioccato.
“Puoi dirlo forte” lo appoggiò Clint, guardando quello spettacolo a bocca aperta.
Steve si alzò con uno scatto e si avvicinò alla ragazza. Tese un braccio per toccarla, ma poi ritrasse la mano, conscio di averle giurato di non sfiorarla nemmeno.
“Ehi” la chiamò, dolcemente.
Anthea non lo sentì.
Steve si concentrò, guardandola negli occhi bui.
“Va tutto bene.”
Questa volta, le labbra del Capitano non si mossero, ma la ragazza si riscosse.
La voce di Steve era risuonata forte e chiara nella sua testa.
“Scusatemi.”
Anthea abbassò lo sguardo.
La luce smise di lampeggiare, i liquidi tornarono nei bicchieri, ma il vetro rimase incrinato.

“Direi che sarebbe meglio continuare a parlare domani, che ne dite?”
Steve si voltò a guardare i compagni, che annuirono solamente, ancora troppo sconvolti per dire qualsiasi cosa.
 
 

                                                          ***
 
 

Ognuno aveva raggiunto il piano della Tower, dove vi era il proprio appartamento.
Steve aveva deciso di portare Anthea con sé e nessuno aveva obbiettato.

Il super soldato la guidò nella stanza da letto.
“Tu dormirai qui. Per qualunque cosa, io sono in salotto. Il divano non è poi così scomodo.”
Anthea osservò quegli occhi ceruli, bellissimi.
Steve emanava un’aura rassicurante, un’aura che la faceva sentire bene.
“Grazie” gli sussurrò.
“E scusami.”
Il biondo rimase perplesso.
“Per cosa?”
“Per averti fatto provare un dolore che non ti apparteneva. Per averti costretto a rischiare la vita per me. Per aver fatto sì che i tuoi amici perdessero la fiducia in te. Per averti complicato la vita.”
Steve le sorrise. Un sorriso bellissimo e caldo.
“Scuse accettate.”
Anthea non poteva credere che l’avesse detto.
Era davvero così facile perdonare?
“Ma-”
Il biondo la interruppe.
“Ti hanno fatto davvero quello che ho visto?”
La ragazza si morse il labbro, timorosa.
“Sì.”
Non aggiunse altro e Steve non chiese oltre.

“La pagheranno” disse solo il Capitano, rivolgendole uno sguardo intenso prima di lasciarla sola.
 
Anthea si infilò sotto le coperte fresche di bucato e affondò il viso nel morbido cuscino, aspirando l’odore di Steve.
“Sì, la pagheranno. La pagheranno cara” sussurrò, prima di chiudere gli occhi e sprofondare in un sonno fatto di incubi e paure.
Non si accorse della figura incappucciata che la osservava da fuori la grande finestra, sospesa nel vuoto, a metri e metri di altezza da terra.
 
“Molto presto tornerai ad essere mia e coloro che ti hanno portata via da me verranno uccisi, senza alcuna pietà.”
Due occhi rosso sangue brillarono nell’oscurità, prima di sparire.

Thanatos era pronto a fare a pezzi i nemici del suo Padrone.
 
 
 
 
 
 
Note
Ecco il settimo capitolo ;)
Spero vi piaccia e che continuerete a seguirmi :D
Alla prossima <3
Ella

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Capitolo 8
*** Lato Oscuro ***


Lato Oscuro
 
Intorno a lei regnava l’oscurità assoluta e un silenzio surreale.
Lo sguardo le cadde verso il basso, su una striscia rossa, che dai suoi piedi si allungava in avanti, verso il nulla.
Si piegò sulle ginocchia e toccò la sostanza vermiglia, sentendola densa e calda contro le dita.
L’orrore si tinse sul suo viso pallido e scattò indietro, rizzandosi in piedi. Tremante, portò la mano intrisa di sangue davanti agli occhi sbarrati, sentendo la nausea attanagliarle lo stomaco. Strofinò forte il palmo sulla maglia gialla, imbrattandola, ma il sangue continuava a impregnarle le dita, fresco e gocciolante.
Un verso bestiale alle sue spalle mandò in frantumi il silenzio e risuonò nell‘oscurità come un’eco lontana. Ne seguirono altri, sempre più forti e spaventosi, sempre più vicini.
Cominciò a correre al margine della striscia di sangue, seguendola e stando attenta a non affondarci i piedi.
Corse a perdifiato, fino a quando i ruggiti smisero di arrivarle alle orecchie e il silenzio tornò a regnare sovrano.
Ansimante e madida di sudore, si voltò indietro, ma vi erano solo le tenebre alle sue spalle.
Tornò a guardare avanti e sussultò quando scorse una figura a pochi metri da lei, laddove la linea di sangue terminava in una pozza scura.
Prima non c’era nulla.
Si avvicinò, mentre il battito del cuore le rimbombava violentemente nelle orecchie. Trattenne il respiro e passo dopo passo si avvicinò alla sagoma scura, che prendeva una forma sempre più definita.
Riconobbe un uomo, ma il terrore la invase quando riconobbe lui.
Steve.
Il ragazzo giaceva nella pozza di sangue, con il viso immerso nel liquido denso, il corpo in una posizione innaturale ed i vestiti lacerati.
“Steve” sussurrò, con voce tremante.
Lui non rispose.
Gli andò accanto, immergendo i piedi nudi nella pozza vermiglia e rabbrividendo al contatto con la sostanza viscida e appiccicosa.
Allungò una mano ed affondò le dita in quei capelli incrostati di sangue, non più soffici e di un biondo luminoso.
“Steve” chiamò ancora, alzando un poco la voce.
Lo afferrò per una spalla e lo rivoltò.
Un grido di puro terrore le scappò dalle labbra e fu costretta a reprimere un conato di vomito, che le assaltò la gola con forza.
Un enorme squarcio si apriva nell’addome del ragazzo, rendendo visibili le interiora maciullate. Il modo in cui adesso giaceva il capo, troppo piegato su una spalla, era l’evidente segno che l’osso del collo era spezzato.
Gli occhi erano sbarrati e totalmente bianchi. Non vi era più il bellissimo cielo, che si illuminava ogni volta che sorrideva.

“No” balbettò, azzardando qualche precario passo indietro sulle gambe tremanti.
“No!” gridò, portandosi le mani ai capelli.
Le gambe cedettero e cadde sulle ginocchia.
“No! Ti prego!”
Scosse la testa violentemente, gridando di dolore.
“È colpa mia. È solo colpa mia. Sono un’assassina.”
In preda alla rabbia si graffiò il viso con le unghie, segnandolo con strisce rosse e sanguinanti.
 
Poi qualcosa la bloccò.
Un respiro pesante e caldo, accompagnato da un ringhiare rabbioso e sommesso, le pizzicò la base del collo, facendole ondeggiare i lunghi capelli.
Si voltò, in preda al panico, ritrovandosi di fronte il suo stesso viso pallido e terrorizzato, riflesso in due sfere rosse e luminose.
Da seduta, si spinse indietro con i palmi ed i talloni, strusciando il fondoschiena a terra. Si scontrò con il corpo morto di Steve e cadde nella pozza di sangue, inzuppandosi completamente.
Il mostro davanti a lei scoprì le zanne affilate, gocciolanti di sangue e incrostate di pezzi di carne umana e stracci di stoffa.

“Sei stato tu” sibilò, sentendo un misto di paura ed ira inondarle il cuore.

La bestia ruggì e con una violenta ferocia si abbatté su di lei.
 
 

                                                         ***
 
 

Steve se ne stava steso sul divano troppo corto per lui, ma comunque più comodo del pavimento.
Il sofà era ricoperto da una fresca fodera di cotone blu ed era talmente morbido, che ci si affondava quasi fosse gommapiuma.
Aveva la testa appoggiata ad uno dei braccioli imbottiti, mentre l’altro era occupato dai polpacci, e le braccia erano incrociate sul petto.
Gli occhi cerulei erano rivolti ad un punto indefinito del soffitto bianco, visibile appena nel buio della notte.
Sapeva che non sarebbe riuscito a prendere sonno, anche se questa volta la causa non erano gli incubi, ma solo il cervello pieno zeppo di pensieri preoccupanti, che gli increspavano la fronte.
Anthea.
Quello era il pensiero che continuava a rimbalzargli tra i neuroni e che lo rendeva …
Nervoso? Arrabbiato? Sorpreso? Preoccupato?
Non lo sapeva e non riusciva a venirne a capo.

Quando si concentrava riusciva a percepire nella sua testa una presenza estranea, che fino a dieci giorni fa aveva ignorato.
Era come se una parte della sua mente, prima vuota, fosse stata riempita con qualcosa di vivo, che sentiva muoversi, mutare, respirare dentro di sé e che invadeva a poco a poco il suo essere.
Prima, nella Sala Comune, aveva sentito forte e chiara la paura della ragazza di fronte alle domande di Tony e per un momento si era sentito spaventato e perso anche lui.
Allora era vero che veniva fortemente influenzato da lei, dalle sue emozioni più travolgenti.
 
Misantropia.
Quella parola risuonava ancora come un’eco lontana nelle sue orecchie.
Sapeva bene cosa significasse, perché quando era ancora un ragazzetto rachitico e asmatico, quando tutti lo deridevano e ne facevano oggetto di scherzi pesanti, lui aveva cominciato ad ammalarsi di una lieve ma tangibile misantropia.
Avversione verso la società, che si manifesta nella ricerca della solitudine e nel rifiuto di ogni forma di socialità: è un atteggiamento dovuto sia a disprezzo e odio verso l’umanità nel suo complesso, sia a incapacità di prendere parte attiva alla vita, e in taluni casi può essere espressione di certe affezioni psichiche.
Poi per fortuna era arrivato Bucky e Steve era guarito.
Ma lui non aveva comunque mai provato una repulsione tale, da evitare anche i più normali e semplici contatti umani.
Anthea non voleva che la sfiorassero.
Si era rinchiusa in una teca di vetro invisibile, costruendo così una barriera tra sé e tutto quello che c’era fuori.
Ma il vetro, prima o poi, si sarebbe infranto, lasciandola senza difese.
Se la ragazza aveva davvero ricevuto le torture che aveva subito lui stesso durante gli incubi, allora non c’era da stupirsi che provasse repulsione per gli essere umani e che ai suoi occhi apparissero come creature portatrici di male e dolore.
Forse lui poteva aiutarla.
Poteva rimuovere quel vetro con estrema cautela, senza ridurlo in mille schegge che l’avrebbero sicuramente ferita.
Poteva fare breccia nelle sue difese usando calma e delicatezza.
Poteva donarle qualche spiraglio di luce.
Ma era davvero possibile tirarla fuori dall’oscurità in cui giaceva? Non poteva dirlo, se non ci provava.
E Steve si ripromise che ci avrebbe provato.
 
Un grido acuto raggiunse le sue orecchie, ridestandolo dall’intrico complesso dei suoi pensieri.
Per la sorpresa, cadde dal divano, atterrando su un fianco ed imprecando a denti stretti.
Un nuovo grido, più forte, lo spronò a darsi una mossa. Saltò in piedi e scattò verso la propria stanza, dove aveva lasciato Anthea solo qualche ora prima.
Spalancò la porta e, alla luce della luna, osservò allarmato la ragazza contorcersi tra le lenzuola, come in preda a un forte dolore.
 
Eppure lui non percepiva niente.
Perché non sentiva la sua sofferenza adesso?

 
Gridava, Anthea.
Gridava in maniera spaventosa.
Steve rimase immobile per attimi che parvero lunghissimi, non sapendo minimamente cosa diavolo fare.
Improvvisamente la porta di legno massello si richiuse con forza alle sue spalle, spingendolo all’interno della stanza.
D’istinto si precipitò sulla maniglia d’ottone e provò a forzarla, ma era bloccata e nemmeno con la sua forza riuscì a smuoverla.
Ci rinunciò e cercò di mantenere la calma, regolando la respirazione.
Le urla agghiaccianti della ragazza gli penetravano la testa come lamine affilate, straziandolo e costringendolo a premere le mani sulle orecchie.
La ragazza continuava a contorcersi in preda a convulsioni e Steve si aspettò di vedere quel corpo gracile spezzarsi come un ramoscello.
Si fece forza e, barcollando appena, raggiunse lo spazioso letto.
“Anthea!” la chiamò, cercando di sovrastare le grida atroci.
Lei non lo udì.
“Anthea! Va tutto bene! Sono Steve!”
Lei non reagì.
Steve provò a chiamarla sfruttando il legame tra le loro menti, proprio come aveva fatto nella Sala Comune.
Se ne pentì immediatamente, quando un fischio acuto gli trafisse i timpani e lo fece rannicchiare su se stesso, accovacciato sulle ginocchia piegate.
Serrò con forza gli occhi e digrignò i denti, premendo con esagerata foga le mani sulle orecchie.
Quando credé che la testa gli sarebbe scoppiata come un palloncino troppo gonfio d’aria, il fischio venne sostituito da un ronzio sommesso.
Si raddrizzò lentamente, facendo ricadere le braccia lungo i fianchi. Venne pervaso dalla nausea, accompagnata da un senso di vertigine. Era pallido come un cencio e madido di sudore freddo.
Non si accorse subito che le grida erano cessate, sostituite da gemiti di sofferenza, che lasciavano le labbra della ragazza in rantoli rochi.
Anthea aveva anche smesso di contorcersi ed ora era distesa supina, con i capelli sparsi sul cuscino e le lenzuola avvolte disordinatamente attorno al corpo provato.
Steve rimase ad osservare il petto della ragazza sollevarsi e abbassarsi velocemente, allo stesso modo del suo.
Un rumore attirò la sua attenzione.
All’inizio non capì esattamente da dove provenisse e da cosa fosse scaturito, ma poi quel suono familiare tornò a ripetersi.
 
Vetro.
Vetro che si incrina.

 
Gli occhi cerulei saettarono verso l’ampia finestra, dalla quale penetravano fasci di luce lunare.
Sulle ante trasparenti brillavano le incrinature del vetro, che continuavano a espandersi, formando quella che dava l’idea di un’intricata ragnatela.
Quello che ne conseguì fu il fragore del vetro che andava in pezzi, ma le schegge non raggiunsero il pavimento.
Rimasero sospese, scintillando alla luce pallida della luna.
Steve trattenne il respiro, quando i frammenti di vetro rivolsero le punte taglienti verso di lui, minacciando di trafiggerlo come lame di coltelli.
“Anthea. Fermati” sussurrò, non distogliendo lo sguardo dalle schegge letali, che parevano attendere solo il permesso di scagliarsi su di lui.
La ragazza non lo udì nemmeno questa volta e Steve, guidato dalla parte irrazionale del suo cervello, tese un braccio e le sfiorò con le dita il braccio nudo, sentendone irrigidirsi i muscoli.
 
Non seppe come, ma si ritrovò scaraventato contro la parete alle sue spalle, a pochi centimetri dalla porta bloccata.
Le schegge di vetro schizzarono verso di lui e Steve si lanciò di lato, cercando di evitarle, ma ci riuscì solo in parte, poiché percepì chiaramente un dolore lancinante diffondersi lungo il braccio e la gamba destra.
“Dannazione” imprecò, mentre cercava di estrarre alcuni frammenti dalla coscia, inginocchiato vicino la scrivania d’ebano, su cui giaceva il suo prezioso e indistruttibile scudo in vibranio.
Teneva lo sguardo fisso sul pavimento, quando la sua visuale fu invasa da due piedi nudi.
Alzò appena gli occhi, osservando le lunghe gambe della ragazza piegarsi, affinché i loro visi potessero essere alla stessa altezza.
Anthea gli sorrise dolcemente, accovacciata sulle ginocchia.
Steve rimase imbambolato a fissarla, dimentico che proprio lei aveva rischiato di ucciderlo qualche istante prima.
 
Non sembrava nemmeno lei.
 
“Sei vivo” decretò lei dopo qualche … Secondo? Minuto? Ora?
Annuì soltanto, Rogers.
“Eri morto.”
Il sorriso era sparito da quelle labbra piene e gli occhi della ragazza apparivano talmente bui, che la pupilla si confondeva con l’iride, formando due abissi, sul cui fondo giacevano i segreti più oscuri.
“Eri morto” ripeté ancora lei, fissando il biondo come in attesa di una spiegazione che non esisteva.
“No, non lo sono.”
“Ti ho visto. Non mentire.”
“Non sto mentendo. Non sono morto.”
“Sì, lui ti ha ucciso.”
Steve le rivolse uno sguardo perplesso.
“Lui chi?”
“La Bestia” rispose lei, con un alzata di spalle.
“Era solo un incubo.”
Quella constatazione fece tornare il sorriso alla ragazza, che infilò le dita affusolate tra i capelli del soldato, emettendo un debole sospiro.
“Sono belli” affermò.
Rogers arrossì appena.
 
Il tempo in quel momento pareva essersi dilatato all’infinito.
 
“Non posso fermarlo” confessò Anthea, abbassando lo sguardo.
“Che cosa?” chiese Steve, in un flebile sussurro.
La ragazza scosse il capo, continuando ad accarezzargli i capelli.
“Ormai è già qui.”
“Che cosa?” riprovò lui.
Non ottenne una risposta nemmeno questa volta, ma solo una leggera alzata di spalle, come se la sua fosse una domanda ovvia.
Steve stava per parlare di nuovo, ma le parole gli rimasero bloccate in gola, quando un’espressione furiosa si dipinse sul volto di lei.
Anthea strinse la mano sui capelli del soldato, che non riuscì a trattenere un gemito di dolore.
“Tu volevi farmi del male, vero?”
Rogers non afferrò la domanda.
“Sei come loro. Anche tu vuoi farmi male” soffiò con rabbia.
“Non è così” si difese lui.
Un sorriso distorto, agghiacciante, piegò le labbra della ragazza.
“Meriteresti di morire” gli sussurrò in un orecchio e Steve rabbrividì percependo il suo fiato caldo sul collo.
 
Era in suo potere e lei avrebbe potuto fare di lui quel che voleva.

“Ma morirai tu, se non ti allontani immediatamente da lui.”
Una voce dal tono profondo infranse l’incantesimo, facendo sussultare entrambi.
 
Clint Barton, sull’uscio della porta ora spalancata, impugnava il suo fedele arco con una freccia rivolta in direzione di Anthea.
Lo sguardo dell’arciere era truce, mentre tendeva con forza la corda.
“Sapevo che non potevamo fidarci. Allora vuoi dirci chi diavolo sei davvero o preferisci che ti ammazzi all’istante?”
La ragazza allentò la presa sui capelli di Steve e ritrasse la mano lentamente. Poi, con tutta calma, come se non avesse puntata in testa una freccia che avrebbe potuto trapassarle il cranio come niente fosse, si rimise dritta e si voltò verso il nuovo arrivato, ghignando.
“Vuoi sapere cosa sono? Io non lo vorrei.”
“Evita i giochetti con me. Limitati a rispondere.”
Anthea dondolò avanti e indietro sui piedi.
“Altrimenti?”
“Muori” fu la risposta secca di Barton.
 
Steve intanto si era rialzato ed era fermo alle spalle di Anthea.
Lanciò a Clint sguardi che intimavano chiaramente di fare attenzione, ma l’arciere pareva non badare a lui, troppo occupato a tenere sotto tiro quella che riteneva una potenziale minaccia per i suoi compagni in primis e per il mondo dopo.
 
“Allora hai deciso?” la incalzò Occhio di Falco.
“Sei troppo impaziente” sbuffò lei, seccata.
“E anche di parola. Addio.”

Barton lasciò andare la corda e scagliò la freccia.
 
 

                                                        ***
 
 

“Signore, mi scuso per averla disturbata, ma devo informarla che è stata rilevata la presenza di un intruso nel parcheggio sotterraneo della Tower e che gli agenti di sicurezza stanno andando a controllare.”
 
Tony, svegliato dalla voce di JARVIS, si mise a sedere sul grande letto matrimoniale, imitato da una Pepper abbastanza stravolta sia per le cose che il compagno le aveva raccontato a proposito di Anthea qualche ora prima, sia per essere stata strappata bruscamente dal meritato riposo.
Stark batté più volte le palpebre per scacciare l’alone che gli impediva di mettere a fuoco l’ambiente circostante.
“Come è entrato?” chiese, strascicando le parole.

La voce dell’A.I. risuonò di nuovo nella stanza.
“Non lo so, signore. È rimasto invisibile al mio sistema fino a qualche minuto fa.”

“Che cosa? Impossibile!”
“Tony non urlare, per favore.”
“Ma tesoro, sei diventata sorda? Hai sentito quello che ha detto?”
“Non sono sorda e proprio per questo preferirei abbassassi la voce.”
“Ma il mio sistema di sicurezza non può essere illuso!”
“Forse c’è una falla nel sistema.”
Virginia si passò una mano tra i capelli scompigliati, riassestandoli un poco.
“Non può essere” ribatté il miliardario.
“Oh Tony, sei davvero impossibile!”
“Ora sei tu che gridi.”
Pepper lo colpì con una gomitata sullo sterno, seccata.
“Ahi! Che aggressività!”
“Vada a controllare, signor Stark” gli disse la donna, con tono perentorio.
Tony sbuffò, ghignando.
“Come desidera, signorina Potts.”
 
Stark lasciò controvoglia il rassicurante tepore del letto, filando a indossare una delle armature, conscio che chiunque avesse trovato là sotto, nei sotterranei, non sarebbe stato affatto amichevole e neppure da sottovalutare.

Nessuno la faceva a Tony Stark.
 
 

                                                           ***
 
 

“Mai uno normale ce ne capita, dannazione!”
Clint sbuffò di rabbia mista a esasperazione, mentre continuava a fissare la freccia sospesa ed immobile, a pochi centimetri dalla fronte della ragazza paranormale.

Steve boccheggiava, guardando la stessa identica e preoccupante scena. Sapeva cosa sarebbe successo adesso, perché aveva già assistito una volta allo spettacolo raccapricciante messo in scena dai poteri oscuri della giovane sopravvissuta.
Come da copione, la freccia ruotò e la punta acuminata prese a indicare la fronte corrugata di Barton, che sbarrò gli occhi incredulo.
 
Le iridi di Anthea erano state completamente inghiottite dall’oscurità ed ora i suoi occhi erano neri, se si escludeva la sclera bianca, che dava vita a un contrasto forte e netto, come quello tra luce e ombra. Sorrideva sadicamente all’arciere, sapendo di avere stretta tra le mani la sua preziosa vita. Le sarebbe bastato stringere un poco le dita per strangolarla e decretarne così la fine.
Tutti gli uomini meritavano di morire, nessuno escluso.
Erano tutti dei mostri assassini.
E lei non si stava comportando come loro adesso?
No, avevano cominciato loro. Se l’erano voluta.

La freccia vibrò, ma non si mosse ancora.
La ragazza osservò compiaciuta il corpo della sua vittima tendersi e ne percepì chiaramente il battito veloce del cuore.
Clint strinse forte la mano destra attorno al sua arco, trattenendo il fiato e preparandosi all’inevitabile.
 
L’inevitabile fu evitato.

Steve si lanciò sulla ragazza e la bloccò con la schiena pressata sul liscio parquet. Le si mise a cavalcioni e le bloccò le mani sopra la testa, esercitando sui suoi polsi esili una stretta ferrea.
La freccia cadde a terra, come se qualcuno avesse appena tranciato il filo invisibile che la teneva sospesa.
“Smettila!” gridò Rogers, con il volto rosso di rabbia.
“Ti abbiamo salvata dalle torture che ti venivano inferte in quella maledetta base. Ti abbiamo portata in casa nostra per tenerti al sicuro.”
Il biondo prese un respiro profondo.
“Ti ho concesso il mio perdono, perché mi fido, o meglio, mi fidavo di te” ringhiò tra i denti, rammaricato.
“Cosa ti abbiamo fatto per meritare di essere uccisi?”
Anthea fuggì dallo sguardo accusatore di Steve, sentendo crescere nel cuore un peso sempre più doloroso.
Senso di colpa.
Le iridi tornarono ad essere blu cobalto e del sorriso agghiacciante non rimase traccia alcuna.
“Niente.”
Trattenne le lacrime ed i singhiozzi, perché lei non avrebbe mai pianto. Mai.
“Niente” ripeté, più a sé stessa che al ragazzo sopra di lei.
“E allora perché hai agito così?” insisté Rogers.
Lei non disse nulla per un tempo che parve lunghissimo, poi si decise a parlare, soppesando ogni singola parola.

“A volte è la Parte Oscura a prendere il controllo e Lei vuole vendetta, contro l’intera razza umana.”
 
“Sono stufo di sentire queste assurdità” sbottò Clint.
“Questa ragazzina è instabile e forse addirittura più pericolosa di quel megalomane di Loki. Dovremo neutralizzarla, Steve. Thor potrebbe rinchiuderla nelle prigioni di Asgard, così la terremo lontana dalla Terra.”
Il Capitano annuì, distrattamente.
 
“Forse il tuo amico ha ragione, Steve. Sono pericolosa e instabile.”
Ma non è tutta colpa tua. Ti hanno reso così.”
“E non posso cambiare. Devo essere neutralizzata
.”
“Potresti imparare a controllare il tuo potere.”
“Chi me lo insegnerebbe?”
“Non lo so.”
“Non capisco perché ti preoccupi per me. Ho cercato di ucciderti e poi ho quasi ammazzato il tuo amico.”
“Ma mi hai anche salvato quando stavo per annegare, quando mi hanno sparato addosso e quando stavo perdendo parecchio sangue sul jet. Sono in debito con te e so per certo che tu puoi riuscire a controllarti.”

“Non merito una seconda possibilità.”
“Tutti la meritiamo.”

 
Nel silenzio, Steve e Anthea comunicarono tramite le loro menti, guardandosi costantemente negli occhi.
Il Capitano lasciò andare la ragazza e si rimise in piedi, voltandosi verso Barton, che gli scoccò un’occhiata di rimprovero, come se avesse sentito anche lui il discorso celato.
Ma Clint era solo maledettamente intuitivo e sapeva bene che il cuore troppo - davvero troppo - grande di Steve si sarebbe opposto alla richiesta di neutralizzare la probabile nuova minaccia.
 
“Clint, senti-”
 
Lo squillo spacca timpani dell’allarme installato nel sistema di sicurezza della Tower si diffuse in ogni piano e in ogni stanza del grattacielo.
La voce di JARVIS, paradossalmente atona, comunicò che tutti i Vendicatori dovevano recarsi con urgenza nei parcheggi sotterranei, dove già si trovava Iron Man.
Steve e Clint si guardarono negli occhi per alcuni secondi, prima di muoversi velocemente.
Rogers indossò la divisa nera dello SHIELD e afferrò lo scudo sulla scrivania, ma prima di raggiungere Occhio di Falco nell’ascensore in salotto, si voltò a guardare Anthea un’ultima volta.
“Rimani qui. Non uscire per alcun motivo.”

“Ma Steve”
Capitan America era già andato via, prima che lei riuscisse ad aggiungere altro.

“No” sussurrò debolmente, mentre la paura si faceva spazio nel suo petto.
 
 

                                                        ***
 
 

Natasha era già sveglia, quando l’allarme aveva preso a suonare, simile a una donna dalla voce stridula che urla per lo spavento.
La Romanoff non era riuscita a prendere sonno, troppo scossa da ciò che era accaduto nella Sala Comune.
Doveva ammettere che dalle parole di Stark non aveva compreso fino in fondo di cosa fosse realmente capace la ragazzina.
Telecinesi?
No, non poteva liquidare ciò che aveva visto in quel modo, perché sapeva bene che non era semplice telecinesi quella esercitata dalla giovane paranormale.
Il pensiero di poter essere uccisa con un semplice gesto e senza che se ne accorgesse, le attanagliava lo stomaco, impedendole di cedere al sonno.
Svelta, si sfilò la maglia di cotone bianca, divenuta il suo pigiama, ed infilò la comoda ed elastica divisa in pelle nera. Prese da sotto il cuscino le sue pistole - nasconderle lì era un’abitudine che mai avrebbe perso - e si assicurò un paio di coltelli nelle fondine sulle cosce.
Con passi veloci e silenziosi raggiunse l’ascensore, ma invece di scendere verso il basso, salì di un singolo piano.
 
La Sala Comune, divenuta ormai il Quartier Generale dei Vendicatori, si trovava al piano più elevato della Tower.
Appena sotto c’era l’enorme appartamento di Stark e che, da un po’ di tempo a questa parte, era divenuto anche di Pepper.
Scendendo verso il basso, in appartamenti più modesti - ma parliamo sempre di Tony Stark, quindi la parola modesto non doveva essere presa letteralmente - c’erano:
Steve.
Bruce.
Natasha.
Clint.
E Thor per ultimo.
Il miliardario aveva assicurato che l’ordinamento era puramente casuale e la Vedova Nera non aveva voluto approfondire la faccenda.
 
Salendo di un piano, si sarebbe ritrovata nell’appartamento del dottor Banner, che sicuramente avrebbe trovato con i nervi a fior di pelle - ti prego, non verde.
Non capiva bene il perché, ma a Bruce ci teneva, ci teneva davvero e l’affetto che provava per lui era diverso da quello che sentiva nei confronti degli altri Vendicatori, Clint soprattutto.
Banner era sempre così dolce quando le parlava e Natasha aveva iniziato ad amare quella sua voce calda e rassicurante, dal tono basso, già da … da quando non riusciva a ricordarlo. Era successo e basta.
Doveva assicurasi che stesse bene e soprattutto che rimanesse calmo.
Hulk entrava in azione solo se la situazione era disperata e questa decisione era stata presa unanimemente da tutti i Vendicatori, che ben sapevano quanto a Bruce costasse lasciare il posto al mostro verde.
Trovò il dottore seduto su una delle sedie attorno al tavolo della piccola ma pratica cucina. Stringeva tra le mani una tazza azzurrina, da cui fuoriuscivano nuvolette di vapore ed aveva tutti i capelli scompigliati, segno che era stato destato dal sonno bruscamente.
Quando Bruce la notò, sul suo viso nacque un’espressione di pura sorpresa seguita da un timido sorriso, che Natasha ricambiò all’istante.
“Carino il pigiama” scherzò la Romanoff, lanciando un’occhiata fugace al camicione e ai pantaloni verde pisello, spiegazzati e abbondanti.
“Oh” fece Bruce, infilandosi una mano tra i capelli e passandosi la lingua sul labbro inferiore - lo faceva sempre quando era teso o imbarazzato.
La rossa si lasciò scappare un sorrisetto, di fronte a quell’espressione da cucciolo bastonato e soppresse la voglia di abbracciarlo.
 
Ma a cosa stai pensando? Abbracciarlo. Andiamo, fai la seria.
 
La Vedova sospirò e piantò le iridi verdi in quelle color cioccolato di Bruce. Rimasero alcuni istanti immobili e in silenzio, ognuno intento a leggere negli occhi dell’altro anche la più fievole emozione.
“Hai messo in funzione la ricetrasmittente?”
Banner cadde dalle nuvole.
“Ehm, sì è qui” rispose, indicando il piccolo oggetto al centro del tavolo.
“Bene. Tieniti pronto a qualsiasi evenienza.”

Natasha gli diede le spalle e si mosse sinuosa verso l’ascensore, che pareva al momento occupato a scendere verso il basso.
Le toccava attendere qualche minuto.
 
“Grazie.”

La Romanoff sussultò e voltandosi vide che Bruce era a pochi passi da lei, con quell’aria scarmigliata che lo rendeva davvero tenero e buffo ai suoi occhi.

“Per cosa?” chiese la rossa, perplessa.
“Per esserti preoccupata per me.”
Natasha boccheggiò, incerta su cosa dire.
L’arrivo dell’ascensore la salvò dalla situazione imbarazzante.
“A dopo” sussurrò.
 
Bruce si passò la lingua sul labbro inferiore, sospirando.
Natasha era appena sparita dietro le ante scorrevoli dell’ascensore, lasciandolo solo.
 
“Spero che non vi debba raggiungere.”

Ci voleva proprio un’altra camomilla e questa volta ci avrebbe aggiunto anche qualche cucchiaino di miele, giusto per rendere la situazione meno amara.
 
 

                                                       ***
 
 

L’ascensore scese di quattro piani prima di fermarsi.
Le porte si aprirono e rivelarono la figura possente del dio norreno, con tanto di mantello svolazzante e martello stretto in pugno.
Thor entrò nel vano illuminato da una suffusa luce arancione e con un cenno del capo salutò gli altri due Vendicatori.

“Ma ci dormi con quella addosso? Come diavolo fai a metterla in così poco tempo?”
Clint, con sguardo accigliato, indicò l’armatura scintillante del biondone, che si limitò a sorridere orgoglioso.
“Amici miei, chi è che disturba la quiete della notte?”
Steve strinse le cinghie di cuoio marrone, che tenevano saldamente lo scudo sulle sue spalle, e sbuffò.
“Spero niente di troppo terribile.”
“Già. Ne ho viste già abbastanza di cose terribili.”
Barton lanciò un’occhiata torva al Capitano, che abbassò il capo per evitare quello sguardo troppo pesante da sostenere.

“La giovane midgardiana dai poteri magici è al sicuro?”
Thor era certo che la sua fosse stata un domanda innocente, ma la reazione dei compagni lo fece ricredere.
Clint si strozzò con la sua stessa saliva e cominciò a tossire in modo convulso, mentre Rogers arrossiva e balbettava cose che il dio norreno non riuscì a comprendere.

L’ascensore arrivò finalmente a destinazione e i tre Vendicatori, dopo esserne usciti, lo guardarono risalire in fretta ai piani alti.
Se Iron Man era già lì, escludendo loro tre e Bruce, doveva essere stata Natasha a richiamare indietro la cabina d’acciaio.

Steve si mise in testa al gruppo, avanzando nell’oscurità dei sotterranei, che parevano un intricato labirinto scavato nella pietra. Adesso teneva lo scudo davanti a sé, stretto nel pugno sinistro.
Un fetore nauseante gli penetrò le narici.
 
Cadaveri. Sangue. Morte. Putrefazione.
 
“Cristo Santo! Sto per vomitare!”
Clint si coprì il naso con una mano, ricacciando indietro un conato.
Steve continuò ad avanzare, mentre il fetore diveniva sempre più pungente.
La puzza della morte.
Incespicò su qualcosa e per poco non cadde a faccia avanti.
Fece ancora qualche passo per recuperare l’equilibrio e gli stivali neri produssero un sonoro splash.
Steve rimase immobile, con il cuore in gola.
 
“Che diavolo è stato?” domandò Barton, alle spalle del Capitano.

Di colpo, le lunghe lampade al neon ancorate al soffitto si accesero, illuminando l’enorme parcheggio sotterraneo in cemento grigio e quasi completamente vuoto - durante il giorno era occupato per intero dalle auto dei dipendenti che lavoravano alla Tower.

Rogers batté più volte le palpebre per abituarsi alla luce forte ed improvvisa, poi lo sguardo gli cadde verso il basso, verso la pozza scura in cui aveva affondato i piedi.
“Oh mio Dio” sussurrò, percependo il sudore freddo imperlargli la fronte.
Thor lo affiancò e digrignò i denti con rabbia.
“Quale Bestia può compiere uno scempio del genere?”
Steve scosse il capo, sconvolto.
Qualsiasi cosa fosse, doveva essere affamata.
“Dannazione! Mai nulla di normale!” sbottò l’arciere, distogliendo lo sguardo dalla scena raccapricciante.
 
Cadaveri. Sangue. Morte. Putrefazione. Bestia.
 
Un rumore acuto si diffuse nell’enorme parcheggio sotterraneo, rimbombando tra le grigie mura.
Acciaio che veniva dilaniato.

“Stark”
Steve scattò in avanti, seguito a ruota da Thor e Clint. Svoltarono a destra, immergendosi nell’ala ovest completamente deserta dei parcheggi. Le loro ombre si allungavano sul pavimento cementificato e i loro passi risuonavano nel vuoto, producendo deboli eco.
Trovarono Iron Man che con fatica cercava di rimettersi in piedi, mentre muoveva con scatti il capo a destra e sinistra, come in cerca di qualcosa.
“Uomo di metallo!” chiamò Thor, attirando così l’attenzione del miliardario, che si voltò completamente verso di loro, facendo scattare verso l’alto la parte dell’elmetto che gli copriva il viso.
Tony era pallido e respirava con un certo affanno, ma Steve non ne rimase sorpreso visto lo squarcio che si apriva sul torace dell’armatura.
Un millimetro in più e la carne sarebbe stata dilaniata.
“Che cos’è?” chiese Barton, appena raggiunto il miliardario.
Tony scosse il capo, sbuffando fuori la paura di vedersi la morte in faccia.
“Non ne ho idea. Si muoveva nel buio quando sono arrivato e si è volatilizzato appena JARVIS ha attivato l’impianto di illuminazione. Anche gli agenti della sicurezza sembrano essere spariti.”
“Li abbiamo trovati noi.”
Rogers abbassò il capo e con esso lo sguardo, serrando con forza le labbra, e Stark capì, perché in fondo già lo sapeva, anche se aveva evitato di pensare al peggio.
Erano morti altri innocenti.
“La pagherà cara, lo giuro.”
L’elmetto si abbassò, nascondendo il volto incupito di Tony.
 
“Ti ha preso proprio in pieno, Stark. Sicuro di stare bene?”
Clint lanciò un’occhiata perplessa allo squarcio aperto nell’armatura, dal quali si intravedeva la canotta nera del miliardario.
La voce metallica di Iron Man suonò beffarda e un poco isterica.
“Sto benone, solo un po’ ammaccato. Ma in realtà mi ha preso di striscio, perché se mi avesse preso in pieno mi avrebbe spezzato a metà, credo.”

Nella mente di Steve scorrevano veloci le immagini della scena raccapricciante di poco prima e non mise in dubbio nemmeno per un millesimo di secondo le parole di Tony.
Avevano a che fare con qualcosa di assai pericoloso e sicuramente aliena.
Molto probabilmente Hulk sarebbe stato indispensabile, questa volta.
 
Un ringhiare sommesso attirò l’attenzione dei quattro Vendicatori.

“Merda! Siamo nella merda!” urlò Clint.
“Preferivo le Balene Volanti, erano meno disgustose” affermò Stark, che diede di gomito al Capitano.
“Come lo affrontiamo, Cap?”
Rogers sollevò lo scudo davanti a sé, tendendo ogni fibra muscolare, pronto ad attaccare.
“Stiamogli il più lontano possibile. Attacchiamo da lontano, così eviteremo di finire in brandelli.”

“Perfetto, è la mia specialità.”
Barton incoccò una freccia esplosiva e la scagliò.

Il Mjolnir partì velocissimo subito dopo.
 
 

                                                        ***
 
 

Natasha era immobilizzata e senza fiato.
Davanti ai suoi piedi c’era un lago di sangue, nel quale galleggiavano brandelli di quello che rimaneva degli uomini della sicurezza.
La Vedova Nera aveva intravisto un braccio, qualche gamba e pezzi di interiora maciullate. Ma la cosa più raccapricciante era la testa, tranciata di netto alla base del collo, che la guardava con occhi simili a due biglie bianche, facendola rabbrividire appena.
Che massacro.
Il fetore nauseabondo le faceva girare la testa.
“Bruce mi dispiace, ma la situazione mi pare proprio disperata.”
Parlò tra sé e sé, ancora con lo sguardo rivolto alla pozza scura e densa.
Un boato fece tremare le pareti.
Un latrato bestiale rimbombò con forza tra le mura di cemento.
Natasha si precipitò in direzione dei compagni, senza pensarci due volte.
 
 

                                                         ***
 
 

“Dannazione! È solo colpa mia!”

Anthea fece schiantare le nocche sulla parete, su cui si disegnarono piccole crepe.
Era davanti il vano dell’ascensore, da cui proveniva la fioca luce arancione che le illuminava il viso pallido e provato.
 
Agire o rimanere in disparte?
 
La ragazza non voleva che morissero le uniche persone che si erano dimostrate generose con lei.
Non poteva sopportare il pensiero di perdere Steve, perché lui le aveva concesso una seconda possibilità per riscattarsi.
Lei l’aveva sempre bramata una seconda possibilità.
Voleva cambiare e imparare a vivere come una persona normale.
Voleva l’affetto che le era sempre stato negato.
Voleva potersi fidare di chi le era accanto, senza doversi guardare le spalle ogni istante, con la paura di soffrire.
 
Cambiare o rimanere ciò che era?
 
Sono in debito con te e so per certo che tu puoi riuscire a controllarti.”

Oh Steve.

E tutto, improvvisamente, le sembrò estremamente chiaro e semplice.
 
Agire. Cambiare. Combattere.
 
 
 
 
 

Note
Ciao a tutti!
Eccoci con il nuovo capitolo, che spero con tutto il cuore vi soddisfi :D
Grazie alle persone che seguono questa storia, o meglio, questa roba contorta uscita dalla mia mente malata xD
Grazie a DalamarF16 e a Siria_Ilias per aver recensito <3
Alla prossima (incomincia l’azione) ;)

Ella

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Capitolo 9
*** Thanatos ***


Thanatos
 
In futuro, probabilmente, ci avrebbero riso sopra. Tony avrebbe ideato nuove esilaranti quanto geniali - sì, geniali, perché parliamo di Tony Stark - battute, che avrebbe seminato qua e là nel corso delle giornate, facendo ridere o arrabbiare - Rogers - qualcuno.
Poi il tempo sarebbe passato e i ricordi sarebbero sbiaditi, ma non dimenticati.
Forse da vecchi, seduti attorno allo stesso grande tavolo, mentre con rumori osceni succhiavano una calda zuppa dal cucchiaio, avrebbero tirato fuori quella storia in cui una Bestia mostruosa aveva rischiato di farli a brandelli, ma alla fine i Vendicatori avevano trionfato grazie al coraggio, alla forza, alla determinazione e …
 
Ma non diciamo cazzate.
 
Stark si accorse di star delirando, mentre osservava, attonito, l’enorme massa nera ringhiante che avanzava con passi felini verso di loro, scrutandoli con due sfere rosse e brillanti.
Quella cosa era appena uscita incolume da un bombardamento di dardi esplosivi e il Mjolnir pareva non averla scalfita minimamente.
Altro che futuro e vecchiaia!
Sarebbero stati fatti a pezzi, così che i loro corpi non avrebbero nemmeno potuto avere una degna e meritata sepoltura.
 
La Bestia pareva un enorme cane ed era alta almeno tre metri. Non era ricoperta da una morbida pelliccia, bensì da pelle squamosa, simile a quella di un serpente, di un nero lucido e impenetrabile, forse più resistente dello stesso vibranio. Il muso affusolato era digrignato a mostrare le zanne affilate e bianche, incrostate di sangue e residui di carne umana. Le zampe erano armate di lunghi artigli argentei, anch’essi macchiati della colpa di aver ucciso e dilaniato senza pietà poveri innocenti.
Il ringhio che abbandonava quelle fauci letali era profondo, gutturale e provocava nelle sue prede brividi lungo la schiena.
La Bestia si fermò a circa cinque metri dai Vendicatori, piegando e contraendo gli arti, pronta a scagliarsi sulle nuove vittime.
 
“Rompete le righe!”
L’ordine di Capitan America fu seguito all’istante e i quattro Vendicatori si dispersero, scattando come fulmini in direzioni diverse.
La Bestia latrò e le pareti tremarono, come se fossero spaventate da tanta ferocia.
 
Iniziava la caccia.
 
Steve arrestò la corsa e si voltò, rendendosi conto che il mostro si dirigeva nella direzione opposta alla sua.
Stava puntando Clint, che si accingeva ad usare una delle sue frecce cavo, per raggiungere una delle travi d’acciaio percorrenti il soffitto, da cui avrebbe potuto avere una migliore visuale per colpire.
Rogers lanciò con forza lo scudo, che fendette l’aria e colpì l’incavo di uno degli arti inferiori della Bestia, che uggiolò appena e, accecata dalla rabbia, caricò come un toro furioso colui che aveva osato sfidarla.
“Dannazione” imprecò Capitan America, afferrando al volo lo scudo, che fedelmente era tornato indietro.
Il mostro balzò e lo stridio degli artigli contro il cerchio in vibranio, risuonò nell’aria satura di tensione.
Steve strinse i denti, cercando di sostenere l’enorme zampa che premeva con forza sullo scudo. I muscoli delle braccia gridarono pietà e le gambe rischiarono di cedere sotto quella forza bestiale.
Poi il peso divenuto insopportabile da sostenere svanì di colpo.
Thor, con Mjolnir teso davanti a sé, si era scagliato sulla mascella della creatura, investendola come un treno in corsa e sbattendola con violenza contro una delle pareti di cemento armato, che rischiò di sbriciolarsi come terra cotta.
La bestia latrò di rabbia mista a dolore e scosse la testa per riprendersi dall’impatto, ma il dio del tuono non le concesse tregua e la folgorò con un fulmine, che fece vibrare la terra.
 
“Thor, allontanati!”
Appena l’asgardiano fu abbastanza distante, Iron Man diede fondo all’artiglieria pesante, bombardando il mostro con missili potentissimi e distruggendo buona parte della parete che divideva due scompartimenti del parcheggio sotterraneo.
La Bestia ora giaceva seppellita sotto quintali di cemento, immobile.
 
Un silenzio surreale calò come un velo invisibile su di loro.
Steve sentiva chiaramente il cuore martellargli nel petto.
Clint, appollaiato su una delle travi d’acciaio, tendeva ancora la corda dell’arco, pronto a scagliare un nuova freccia esplosiva.
Stark scoppiò a ridere, ma la sua era una risata isterica, perfetta per far scemare parte della tensione accumulata. Il reattore ARC brillava appena sopra lo squarcio dell’armatura, proiettando sul metallo deboli riflessi azzurrini.
“Ti sta bene Snoopy! Vai a farti fottere stupida bestia puzzolente e bavosa!”
Stark atterrò vicino al dio norreno e gli diede un’energica pacca sulla schiena.
“Ottimo lavoro, Point Break.”
Thor ricambiò il gesto e per poco Iron Man non capitolò a terra, travolto da quella mossa di genuino e distruttivo affetto.

“Vi lascio soli un attimo e combinate tutto questo casino. Devo prendere in considerazione l’idea di assumere una baby-sitter.”
Natasha aveva raggiunto i bambinoni troppo cresciuti e si era fermata proprio sotto l’arciere, che abbassò l’arma e ghignò alle parole della rossa.
“Ehi Nat, sei arrivata tardi. La festa è finita da un pezzo, ma puoi sempre occuparti delle pulizie, se ti va.”
La Vedova incrociò le braccia al petto e con uno sbuffo scansò una ciocca di capelli che le era finita davanti agli occhi, ora ridotti a due fessure.
“Chi rompe paga e i cocci sono i suoi, Stark, quindi a te l’onore di rimediare a questo macello.”
 
Clint non riuscì a soffocare la risata.
“Adoro quella donna” disse tra sé e sé, lanciando un’occhiata al fondoschiena tondo e sodo, messo in risalto dalla divisa troppo attillata, della rossa focosa.
Natasha aveva un corpo da favola e Clint ne era pienamente consapevole, perché un tempo l’aveva percorso con le sue mani, pelle contro pelle, e aveva impresso nella sua mente ogni particolare di lei.
Ma quell’atmosfera calda e colma di passione che si era creata tra di loro era scemata pian piano, raffreddandosi giorno dopo giorno.
Nessuno dei due era riuscito a comprendere perché fosse accaduto, ma rimaneva il fatto che si erano allontanati, soprattutto dopo Loki.
Sì, erano ancora legati dalla profonda amicizia che li aveva uniti dal momento in cui lui l’aveva salvata da se stessa, concedendole la fatidica seconda possibilità per fuggire da un passato oscuro e tormentato.
Ma a Clint quell’amicizia non sarebbe mai bastata.
 
“Come siamo permalose.”
La voce di Stark riportò l’arciere alla realtà.
La tensione nell’aria pareva essere svanita, sostituita dal sollievo di poter vivere un nuovo domani.
 
Mai cantar vittoria troppo presto, perché si può rimanere davvero molto, troppo delusi.
 
“Stark, fa’ attenzione!”
Il dardo esplosivo di Occhio di Falco arrivò troppo tardi e non poté impedire alla Bestia di aprire uno squarcio sul dorso dell’armatura di Iron Man, che cadde al suolo con un tonfo sordo.
L’esplosione intontì il mostro e Thor ne approfittò per afferrare il compagno ferito e allontanarsi il più possibile dalla portata di quegli artigli fatali.
 
Steve si morse l’interno della guancia e assaporò il sapore metallico del sangue.
Si erano distratti, come pivellini alle prime armi.
La distrazione poteva essere fatale e forse lo era stata, perché il liquido denso e vermiglio che si allargava a macchia d’olio sulla schiena ora scoperta di Tony, non era affatto un buon segno.
“Maledizione” sussurrò a denti stretti, osservando la Bestia tendere i muscoli, pronta ad attaccare ancora.
 
Ma il mostro rimase fermo, spalancò le fauci e ad un latrato spacca timpani seguì un’onda d’urto potentissima, che come un uragano investì i Vendicatori, facendoli volare via come foglie al vento.
La terra vibrò e sulle pareti di cemento si disegnarono profonde crepe.
Clint cadde dalla trave, compiendo un volo di almeno cinque metri e atterrando su una spalla, che emise un preoccupante suono di ossa che si frantumano. Barton lanciò un grido di dolore e lottò per non svenire, mentre con lo sguardo tentava di individuare i suoi compagni.
E avrebbe preferito non vedere, quando li trovò, uno dopo l’altro, stesi al suolo, tra polveri e detriti.
 
Steve si era schiantato contro una delle grigie pareti e l’impatto gli aveva tolto il fiato.
Tossì in modo spasmodico e sputò fuori grumi di sangue che gli avevano riempito la bocca e che minacciavano di soffocarlo.
Si mise carponi e si portò una mano alla fronte, ancora fasciata da bende su cui ora si allargava una macchia rossa, segno che la ferita si era riaperta. La testa gli doleva e il respiro era affannoso.
Un ringhio gli giunse alle orecchie, spingendolo ad alzare lo sguardo.
Due sfere rosse lo fissavano a meno di un passo di distanza. L’alito caldo della Bestia gli sferzava il viso e l’odore di morte che emanava gli penetrava con forza le narici, provocandogli conati di vomito.
 
“Dov’è?”
Parve che a parlare fossero state decine di voci all’unisono, voci profonde, cavernose, demoniache.

Steve si rialzò con fatica, sostenuto a malapena dalle gambe malferme. Deglutì, sentendo la gola secca, e immerse le iridi cerulee nelle due sfere rosse, come a voler sfidare il mostro con lo sguardo.
Se doveva morire, lo avrebbe fatto a testa alta.
 
“Dov’è?” ripeterono con rabbia le voci provenienti dalle fauci della Bestia.
“Cosa?”
Ma Steve sapeva bene cosa, o meglio, chi.
La creatura mostruosa ringhiò e fece un passo in avanti, torreggiando su Capitan America, che istintivamente arretrò fino a ritrovarsi con le spalle al muro e senza alcuna difesa, dal momento che aveva perduto lo scudo durante il volo allucinante.
“Dov’è?”
“Non lo so” affermò, sicuro.
“Menti.”
“No.”
“Menti.”
Quelle voci gli rimbombavano nella testa, stordendolo.
La Bestia sollevò una zampa e la scagliò sul ragazzo, che guidato dal mero istinto di sopravvivenza si gettò in avanti, sotto il ventre del mostro.
Rogers riuscì a evitare di essere schiacciato e corse velocemente verso l’ala est del parcheggio sotterraneo, con l’intento di allontanare il più possibile quella creatura dai suoi compagni.
Voleva lui? Che lo venisse a prendere, allora.
 
“Steve Rogers.”
Qualcuno lo stava chiamando e seppe per certo che questa volta non era stata la Bestia a parlare.
La voce era fioca, un debole sussurro insinuatosi nelle sue orecchie.
Si voltò a guardare indietro e se ne pentì, quando scoprì che il mostro gli era alle calcagna e che, per quanto si sforzasse, non riusciva a distanziarlo abbastanza da ritenersi fuori dalla portata dei letali artigli.
“Steve Rogers.”
Di nuovo quella voce, ma più dura e profonda.
La Bestia balzò e Steve percepì un dolore lancinante diffondersi sulla schiena. Cadde carponi e avanzò gattonando, anche se era consapevole che non sarebbe servito a nulla.
“Steve Rogers!”
La voce era divenuta imperiosa e gridava il suo nome, facendogli pulsare la testa e oscurandogli la vista.
Era stufo che chiunque si prendesse la briga di invadere la sua mente, che pareva diventata un oratorio.
“Basta” sussurrò Steve, battendo la fronte contro il pavimento asfaltato.
 
E tutto tacque.
 

 
                                                   ***
 
 

“Voglio tre squadre alla Stark Tower, immediatamente!”

Nick Fury batté con forza le mani sulla scrivania in acciaio, che arredava il suo ufficio nell’Helicarrier, lasciandosi poi cadere con un tonfo sulla sedia girevole dotata di una morbida imbottitura in pelle nera.
Portò l’indice e il pollice della mano destra a stringere il ponte del naso, in un gesto che esprimeva frustrazione ed un imminente esaurimento nervoso.
“Mi domando cosa abbia fatto di male.”
Sbuffò e puntò quell’unico occhio intimidatorio sulla figura in piedi di fronte a sé.
“Cosa ho fatto di male, Coulson?”

L’Agente tossicchiò appena, per schiarirsi la voce.
“Signore, ha semplicemente messo troppo esplosivo nello stesso posto ed ora rischia che una semplice scintilla rada al suolo una città intera.”
Fury scosse il capo, rassegnato.
“Ho solo cercato di rendere più collaborativo un gruppo di persone straordinariamente capaci, oltre che a salvare il mondo, a creare casini inimmaginabili. Ed io che pensavo che tenendoli insieme, avrei potuto evitare fastidiose grane. A quanto pare mi sbagliavo.”
“Forse forzare una coesione non è stata la scelta più giusta, signore. So bene che pensava di poterli controllare meglio, in questo modo.”
Il Direttore si alzò in piedi ed intrecciò le mani dietro la schiena, mentre aggirava la scrivania per dirigersi fuori dall’ufficio. Ma prima si fermò qualche istante al fianco di Coulson.
“La storia del controllo non deve uscire da qui” sibilò nell’orecchio dell’agente, che sospirò e annuì.
“Non dirò niente, ma signore, dovrebbe smetterla di avere dei segreti con i Vendicatori, perché sanno essere molto, diciamo, vendicativi. Lei sa meglio di me che a quei soggetti, ad alcuni in particolare, non piace essere controllati.”
Fury rimase impassibile.
“Ne sono consapevole” disse soltanto, prima di lasciare solo l’agente, che non poté fare a meno di sospirare ancora.

“Questa storia finirà male, me lo sento.”
Anche Phil lasciò l’ufficio, pronto a salire su uno dei jet diretti a New York, che da qualche ora era scossa da fievoli ma percepibili terremoti, aventi come epicentro proprio la zona dove affondava le fondamenta la Stark Tower.
 
 

                                                     ***
 
 

Bruce voleva - o almeno ci provava - rimanere tranquillo.
Ma come diavolo poteva riuscirci, se ogni istante era costretto ad artigliare con forza i braccioli della poltroncina in pelle bianca, a causa degli scossoni che facevano tremare l’altissimo grattacielo?
Rilassò i muscoli, quando l’ennesima vibrazione cessò di colpo.
Continuava ad immaginarsi la Tower accartocciarsi su se stessa, mentre ogni piano schiacciava quello sottostante in una specie di contorto e raccapricciante domino in verticale.
Sprofondò nella poltrona con un lungo sospiro e lanciò un’occhiata alla ricetrasmittente che gli giaceva in grembo, silenziosa.
Si aspettava di sentirla suonare da un momento all’altro e più volte se lo era immaginato, ma quando l’aveva portata all’orecchio, aveva percepito solo un ronzio sommesso.
Ogni volta che i Vendicatori entravano in azione, lui attendeva dietro le quinte, pronto ad entrare in scena se il pubblico - mostri e alieni vari - l’avesse richiesto, così da poter allietarlo a suon di pugni.
Era stato lui stesso a chiedere di essere coinvolto nelle battaglie, solo nel caso in cui la situazione lo avesse richiesto.
Ma era stata la decisione più giusta?
Nell’attesa, l’ansia lo logorava e gli stringeva il cuore in una morsa dolorosa. Diventava difficile perfino respirare.
Ma lo strazio non era provocato dal timore di dover prendere parte al combattimento e ciò lo aveva capito già da un po’.
Aveva il terrore di poter perdere uno dei suoi compagni, mentre lui se ne stava comodo in poltrona, al sicuro nel suo appartamento.
Non se lo sarebbe mai perdonato, perché lui aveva la forza per impedire che ciò accadesse.
Ormai erano anni che conviveva con l’Altro e in parte aveva accettato quell’inquilino poco raccomandabile, anche se la sensazione di essere completamente annullato da un’altra entità non era mai piacevole.
Ma, in fondo, Hulk era cambiato, combatteva per ciò che era giusto e al diavolo il fatto che facesse qualche danno di troppo.
Egoista.
Sì, era un egoista, perché aveva anteposto sé stesso alla sicurezza dei compagni e del mondo. Per lui, poi, il mondo era rappresentato da quei stessi compagni dalle personalità più diverse e strabilianti.
La sua famiglia.
Con loro poteva essere sé stesso, senza doversi preoccupare di essere giudicato o emarginato a causa dell’Altro.

E poi, a Hulk piacevano.
 
La ricetrasmittente era ancora silenziosa.
Doveva andare lo stesso?
Doveva assicurasi che i Vendicatori stessero bene?
Sì, doveva.
Ma non si sarebbe mosso di lì.
Si prese il volto tra le mani, emettendo deboli singhiozzi.

“Perdonatemi, ma non ce la faccio. Non ce la faccio, davvero.”

La ricetrasmittente continuava a rimanere in silenzio.
 
 

                                                ***
 
 

Era convinto di essere diventato sordo.
Nessun suono giungeva alle sue orecchie e non sentiva più né il battito del suo cuore, né il respiro affannoso che gli abbandonava le labbra rosse di sangue.
Era come essere in un film muto. Un horror da Premio Nobel.
Era ancora carponi, con la schiena che bruciava come se vi avessero pressato sopra carboni ardenti.
Percepì un movimento d’aria sulla destra e si ritrovò disteso sulla schiena, la divisa nera lacera e fiotti di sangue che sgusciavano fuori dal fianco appena leso dagli artigli affilati del mostro.
La Bestia aveva le zampe anteriori ai lati del suo corpo e dal muso arricciato e le zanne scoperte, Steve capì che stava ringhiando, anche se l’unica cosa che sentiva era il silenzio.
Non tentò di muoversi, troppo stordito dal dolore lancinante alla schiena e al fianco, che non osava guardare per non appurarsi della gravità della ferita.
Il sangue stava formando una pozza scura e densa sotto di lui.
La creatura calò sul suo corpo provato una zampa e Steve percepì le costole incrinarsi sotto la pressione impetuosa.
Quella momentanea sordità gli impedì di sentire il raccapricciante suono che emisero le costole, quando cedettero e si spezzarono.
Capitan America aprì la bocca per gridare, ma dalle sue labbra uscì solo un suono strozzato, che comunque non udì.
 
 

                                                   ***
 
 

Thor riemerse dalla montagna di cemento che l’aveva sommerso.
Il viso era sporco di polvere e sangue ed il mantello strappato in più punti.
Si guardò intorno spaesato e notò una mano di metallo spuntare da un cumulo di detriti.
Tirò fuori Iron Man dalle macerie e staccò con forza la maschera di metallo che gli proteggeva il volto, colto da una vaga sensazione di deja vu.
Tony respirava, debolmente, ma respirava. Per fortuna era ancora vivo, anche se la quantità di sangue che aveva perso e continuava a perdere dallo squarcio sulla schiena era davvero preoccupante.
Il ringhiare sommesso della Bestia gli giunse alle orecchie e lo sguardo di Thor divenne duro.
Il dio allungò il braccio destro avanti a sé e Mjolnir si scagliò nella sua mano, vibrando della sua stessa rabbia.
Roteò il martello e volò in direzione del mostro, ritrovandosi davanti agli occhi una scena agghiacciante.
Il Capitano.
Thor urlò furioso e fece schiantare la sua micidiale arma contro il fianco della creatura, che latrò e rotolò a terra, balzando in piedi subito dopo.
La Bestia si scagliò velocissima sull’asgardiano e lo colpì in pieno con una zampata, sbattendolo sul pavimento asfaltato con violenza.
Thor si rialzò, digrignando i denti, ma non fece in tempo a contrattaccare, che la coda lunga e viscida della creatura si strinse attorno al suo collo, mozzandogli il respiro e costringendolo ad annaspare in cerca di aria.
Il dio del tuono vide una moltitudine di lucine davanti agli occhi e sentì la mente sfocarsi e infine spegnersi. Cessò ogni resistenza.
La Bestia ululò e con un colpo di frusta della coda, lanciò lontano il corpo inerte dell’asgardiano.
 
Risolto il contrattempo, il mostro tornò ad occuparsi della preda primaria.
Il Padrone voleva che quell’umano morisse prima di tutti gli altri, ma non doveva concedergli una morte veloce e indolore.
Gioca con lui. Fa che soffra, quell’insulso umano che ha osato sfidarmi.”
Quelle erano state le parole del Padrone e la Bestia non avrebbe mai osato disubbidire al Padrone, perché il Padrone non andava fatto arrabbiare.
Ed ecco che tornava a torreggiare sul ragazzo che aveva scatenato le ire del Padrone.
Avrebbe scavato nella sua carne e maciullato tutto quello che vi era sotto, facendo attenzione a non danneggiargli il cuore, che avrebbe portato in dono al suo Padrone.
 
 

                                                          ***
 
 
 
Il ragazzo giaceva nella pozza di sangue, con il viso immerso nel liquido denso, il corpo in una posizione innaturale ed i vestiti lacerati.
 
Quell’immagine dell’incubo le apparve chiara davanti agli occhi, mentre i suoi passi risuonavano tra le pareti grigie del parcheggio sotterraneo semidistrutto.
Evitò di guardare qualsiasi cosa, al di fuori del punto più lontano davanti a sé, correndo veloce verso la fievole aura emanata da Steve.
Si stava spegnendo, come la fiammella di una candela posta sotto una campana di vetro e che ha consumato ormai tutto l’ossigeno a sua disposizione.
Percepiva chiaramente il legame tra di loro affievolirsi.
La catena si arrugginiva secondo dopo secondo e presto si sarebbe spazzata, dividendo per sempre l’uno dall’altra.
Si morse il labbro inferiore, che pianse piccole gocce di sangue.
 
Resisti. Sono qui. Tieni duro.
 
Si bloccò, con gli occhi sbarrati. Sbiancò e sentì le gambe minacciare di cedere e la forza abbandonarla.
Il cuore perse un battito.
“No, ti prego.”
Steve giaceva in una pozza di sangue e sopra il suo corpo immobile torreggiava la Bastia ringhiante.
 
Il ragazzo giaceva nella pozza di sangue, con il viso immerso nel liquido denso, il corpo in una posizione innaturale ed i vestiti lacerati.
 
Anthea chiuse gli occhi per un istante e lo sentì, quel debole ma pulsante segnale che proveniva dal cuore di Steve.
Non era troppo tardi.
Percepiva ancora la fievole fiammella, la piccola scintilla di vita.
 
“Thanatos!” gridò, con tutto il fiato che aveva in corpo.
La Bestia si voltò e ammutolì.
Silenzio.
Si studiarono con lo sguardo, immobili.
Iridi cobalto specchiate nelle due sfere rosse e luminose.
Preda e cacciatore.
Chi la preda ora? E chi il cacciatore?
La tensione era palpabile e le pesava sulle spalle come un enorme macigno.
L’odore di sangue impregnava l’aria e le penetrava le narici, si insinuava nella faringe, percorreva la laringe, infettava i bronchi, bruciava i polmoni e infine veniva fuori di nuovo, lasciandole un sapore amaro ed acido in bocca.
E il ciclo ricominciava, si ripeteva ad ogni respiro.
Anthea, però, non ci badava.
Lei era abituata a quell’odore pungente. Lei aveva vissuto nel sangue e nella morte.

Sei una cavia da laboratorio.
Uno scherzo della natura.
Un mostro, non diverso da quello che hai di fronte.
Assassina.

La vocina cattiva nella sua testa non mancava mai di farle ricordare, di richiamarla a quell’oscura realtà da cui non poteva fuggire.
Mostro.
Assassina.
Pensi davvero di meritare di vedere la luce?

Assassina.
Guarda cosa hai fatto a quelle persone!
Le hai uccise.

No!
Oh sì.
Le hai uccise, come tutte quelle che ti sono venute troppo vicino.
Assassina!
Demonio!


Anthea tremò. Vide quella minuscola prospettiva di riscatto frantumarsi e ricadde in quell’oblio che da sempre la cullava.
Thanatos si mosse verso di lei, ringhiando, ma la ragazza non lo vedeva e non lo sentiva, persa nel suo baratro oscuro.
 
“S … ppa …”
Una parola sconnessa sussurrata da una voce troppo lontana per essere udita.
“Scappa!”
Come un raggio di luce, quella voce penetrò l’oscurità ed Anthea si aggrappò ad essa, come un naufrago che afferra un qualsiasi sostegno per non affogare nell’immenso e freddo oceano.
Tornò ad essere nel parcheggio sotterraneo e i suoi occhi finalmente si accorsero del pericolo imminente.
Steve le gridava di scappare, dando fondo alle sue ultime energie e ignorando le proteste accese delle costole fratturate.
 
Non scapperò. Non questa volta.
 
Anthea scattò in avanti, correndo incontro alla Bestia, ma prima di scontrarsi con la sua enorme mole, contrasse i muscoli delle gambe e spiccò un salto impressionante.
Atterrò a cavalcioni sul dorso del mostro e gli afferrò con forza le orecchie a punta, strattonandole violentemente.
Thanatos uggiolò e cominciò a dibattersi, per levarsi di dosso la ragazzina, che rimaneva appiccicata come una ventosa sopra di lui. Si mise in piedi sulle zampe posteriori e si lasciò cadere sulla schiena.
Anthea mollò la presa ed abbandonò la groppa della creatura, per evitare di essere schiacciata. Rotolò a terra e si rimise velocemente in piedi, ma non fu abbastanza svelta e il mostro la investì con la sua colossale massa, sbattendola sul freddo pavimento.
Anthea vide nero quando la testa incontrò il duro asfalto.
Strinse i denti e costrinse gli occhi a mettere a fuoco.
Rotolò di lato per evitare che un artiglio le infilzasse lo stomaco e si rialzò in piedi, correndo lontano dal mostro, che si accingeva a saltarle addosso ancora una volta.
Thanatos si bloccò di colpo, il suo corpo tremò appena, aprì le fauci e scatenò un’altra onda d’urto, che fece vibrare l’intero grattacielo.
La ragazza percepì un’immane pressione sulla schiena e subito dopo venne spazzata via, come polvere al vento. Il suo volo venne bloccato da una delle grigie pareti, che crollò come una castello di sabbia, seppellendola sotto quintali di cemento.
 
“Fammi uscire. Lascia che ci pensi io.”

La vocina cattiva era tornata.

“Tu sei troppo debole. Lascia che ci pensi io.”

Anthea la ignorò e con uno sforzo disumano riemerse dalle macerie.
Il viso era segnato da piccoli graffi rossi ed anche il resto del corpo era cosparso di ferite superficiali.
Tossì e i polmoni si svuotarono delle polveri inspirate.
Thanatos, con passi sinuosi, si avvicinò a lei e pareva che le sue fauci fossero arricciate a formare un ghigno agghiacciante.
Anthea ansimò ed ignorò il tremito delle gambe.
Il mostro si lanciò su di lei, spalancando la bocca e mostrando le enormi zanne acuminate.
L’avrebbe sbranata.
 
“Fermati!”
La ragazza gridò e un’energia invisibile abbandonò il suo corpo, abbattendosi sulla Bestia, che venne sbalzata indietro di alcuni metri e cadde su un lato, uggiolando.
Anthea osservò le proprie mani, stupita da ciò che era riuscita a fare.
Che cosa aveva fatto esattamente?
Non ebbe il tempo di pensare altro, che il mostro era di nuovo su di lei.
Era stato velocissimo e animato da una cieca furia si scagliò contro la ragazza, che spalancò gli occhi, colmi di terrore.
Distrazione equivale a morte in una battaglia.
Una potente zampata la colpì, senza che potesse far nulla per evitarlo, ed Anthea percepì la pelle dell’addome lacerarsi.
Gridò di dolore e cadde a terra, intrecciando le braccia sul ventre sanguinante. Si raggomitolò in posizione fetale e serrò gli occhi. Dalle labbra fuoriuscivano rantoli strozzati alternati a gemiti acuti.
 
“Fammi uscire se non vuoi morire.”

Ancora Lei. La vocina cattiva.

Tu non hai la forza. Lascia che ci pensi io.”

Anthea sapeva di essere debole, lo era sempre stata a differenza dell’Altra, che era pienamente consapevole dell’enorme potere che le scorreva nel corpo e lo dominava con estrema facilità.
L’Altra era forte, invincibile e spietata.
Ma non poteva permettersi di lasciarla uscire, anche se la sentiva dibattersi come un’ossessa dentro di sé, perché Lei era cattiva.
Lei era portatrice di morte e distruzione.
Poche volte era sfuggita del tutto al suo controllo, quando era ancora una bambina spaventata e inconsapevole.
Tutto intorno a lei era divenuto cremisi.
 
Tu sei come me. Tu sei me.”
Eccola di nuovo, quella vocina cattiva e dannatamente persuasiva.
“Ammetti che ti piace sentirti invincibile e solo io posso renderti tale.”

Anthea venne scossa da un fremito al sentire quelle parole.
Era vero che le piaceva percepire tutto quel potere oscuro scorrergli nelle vene.
Era vero che quando era Lei a prendere il controllo, anche solo in parte, si crogiolava in quell’esplosione di potere, sentendosi protetta da tutto e da tutti.
Ma Lei era cattiva.
Aveva quasi ucciso Steve e Steve era buono.
 
“Perché esiti? Perché non mi lasci venire fuori? È per questi umani? Ricorda cosa ti hanno fatto gli umani. Loro ti temono.”

Anthea ricordava bene il momento in cui tutto il suo potere era stato sigillato a causa del maledetto bracciale nero.
Gli umani avevano avuto paura di lei, o meglio, dell’Altra.
Si era sentiva vulnerabile, senza il suo potere, ed era diventata morbida creta, che quegli sporchi umani si erano divertiti a modellare a loro piacimento.
Quante torture. Quanto dolore.

“Ed ora stai combattendo per loro.”

La ragazza si lasciò scappare un ennesimo gemito sofferente, mentre la confusione imperversava nella sua testa, come una tempesta.
Odiava gli uomini ed ora stava lottando e perfino morendo per loro.

Tutti coloro che hai incontrato sul tuo cammino ti hanno fatto del male! Ti temono e ai loro occhi sarai sempre e solo un mostro!”
“Ti prego, smettila.”
Fammi uscire e avrai la vendetta che meriti.”
E Anthea la voleva quella vendetta. Voleva vedere negli occhi dei suoi aguzzini lo stesso terrore che aveva invaso i suoi.
 
Sono in debito con te e so per certo che tu puoi riuscire a controllarti.”
 
Steve … si stava spegnendo.
Steve credeva in lei, anche se aveva visto il mostro che si portava dentro.
E Steve le bastava per sperare di poter diventare migliore.
Non tutti gli uomini erano cattivi.

“Io non sarò mai più un mostro!” gridò con determinazione.
La vocina cattiva tacque.
 
Thanatos sollevò una zampa e gli artigli scintillarono, pronti a recidere la sua vita.
Io vincerò e lo farò con le mie sole forze.
L’arto della Bestia calò su di lei come un ghigliottina.
Avanti muoviti o morirai.
 
Anthea era di nuovo in piedi e teneva con una sola mano uno degli artigli acuminati.
Thanatos tentò di liberarsi da quella presa ferrea, esercitata dalle sole dita affusolate di quella piccola e candida mano, ma il suo dibattersi fu vano.
“Mi hai fatto arrabbiare” sibilò la ragazzina, con gli occhi invasi da una rinnovata scintilla di determinazione mescolata a rabbia.
La pressione sull’artiglio si intensificò.
“La pagherai cara per quello che hai fatto.”
Il mostro ululò di dolore, quando l’artiglio si spezzò come un sottile grissino e finì a terra con un tonfo.
Anthea saltò, sfiorando il soffitto con il capo, caricò un pugno e lo abbatté sul muso della Bestia. Nel momento dell’impatto, dal suo braccio scaturì una scarica elettrica, che rombò come un tuono.
Thanatos venne folgorato ed emise un nuovo latrato di dolore, mentre dalle fauci fuoriuscivano fiotti di liquido violaceo. La pelle squamosa si sciolse come cera calda ed anch’essa venne ricoperta dallo stesso liquido denso e viscido.
Un pungente odore di putrefazione impregnò l’aria.
Anthea osservò il mostro, ridotto ad una poltiglia informe, e poi spostò lo sguardo sulla sua mano, ancora percorsa da piccole scintille.

Alcune volte riusciva a fare cose che nemmeno immaginava.
Quando combatteva era guidata dall’istinto e dalle emozioni e lei si lasciava trasportare senza opporre resistenza.
Era come una macchina programmata.
Il suo corpo agiva prima della sua mente.
 
Thanatos continuava a gemere di dolore. La rabbia di Anthea, però, non si era ancora placata.
La ragazza lanciò un’occhiata all’artiglio acuminato che giaceva inerte a terra, tranciato di netto.
L’artiglio si sollevò in aria.
Era pesante.
La punta acuminata prese ad indicare la Bestia, come un giudice che punta il dito contro l’assassino.
Le tempie pulsavano. Strinse i denti.
L’artiglio si scagliò sul mostro, centrando una delle sfere rosse.
Thanatos latrò, sofferente, e scosse il muso con violenza fino a far saltare fuori l’artiglio dal suo occhio, divenuto di un grigio opaco.
Non era ancora soddisfatta.
 
Un medico sarebbe rimasto sgomento se avesse avuto l’opportunità di osservare ciò che accadeva al corpo della ragazza in quell’istante.
Telecinesi la chiamavano.
Le tempie pulsavano appena quando doveva sollevare qualcosa di davvero pesante. La respirazione diveniva un fievole sospiro. La pressione sanguigna e il battito cardiaco toccavano picchi elevatissimi. La temperatura corporea si abbassava di due o tre gradi.
 
La Bestia venne sollevata da terra, mentre si dimenava per sfuggire a quel potere invisibile.
Anthea ansimava e il sudore solcava il suo corpo provato.
Il sangue scorreva sul suo addome, squarciato da lunghi e profondi tagli orizzontali.
Si concentrò ancora, chiudendo gli occhi e ignorando il martellio nella testa.
Visualizzò lo scheletro del mostro, sotto la pelle squamosa.
“Va’ all’inferno” sibilò tra i denti.
La spina dorsale di Thanatos si spaccò in due, come un ramoscello secco che viene calpestato.
Il corpo floscio della Bestia cadde a terra, creando un piccolo cratere sul pavimento.
Anthea si accasciò al suolo, spossata e ansimante.
Strinse i denti quando percepì le ferite cicatrizzarsi velocemente. La temperatura del suo corpo saliva e la ragazza si sentiva bruciare. Gridò, fino a quando il forte dolore venne sostituito da un fievole formicolio.
Tremava come una foglia, mentre cercava di regolarizzare il respiro.
Osservò la pelle bianca del ventre, macchiata di sangue rappreso e coperta da quello che ne era rimasto della maglia gialla di Pepper.
Nessuna ferita.
Nessuna cicatrice.
Nessun segno.
Era guarita, come sempre quando veniva ferita.
Dal suo corpo era svanito ogni singolo graffio.
Quel rapido quanto doloroso processo di guarigione le riportò alla mente le torture subite, impresse a fuoco nella sua mente.
Rivedeva quelle figure coperte da camici bianchi infierire sul suo corpo con oggetti taglienti ed appuntiti. Le laceravano la carne e si divertivano a veder sgorgare dalla sua pelle lattea il sangue caldo e denso.
Anthea gridava - ma chi poteva sentire le sue urla? -, pregava - ma Dio l’aveva abbandonata -, ma non piangeva.
Tenendosi dentro le lacrime aveva la sensazione di sigillare in sé almeno parte di quella dignità che loro le avevano strappato, riducendola a carne da macello.
Poi di colpo gli uomini si fermavano, lasciandola mezza morta su quella fredda lastra di metallo.
Lei avrebbe voluto morire, avrebbe voluto porre fine a tutta quella sofferenza, ma il suo corpo la tradiva ogni volta.
I suoi aguzzini la osservavano compiaciuti, mentre si contorceva come un’ossessa. Si sentiva bruciare ed il dolore era quasi peggiore di quello provato durante il massacro della sua carne.
Poi ogni ferita spariva e sul corpo non rimaneva mai alcuna cicatrice.
Ma le cicatrici Anthea le percepiva perfettamente, su ogni singolo lembo di pelle e soprattutto nel cuore.
Mai avrebbe potuto dimenticare, perché se quei ricordi non erano segnati sul suo corpo, lo erano nella mente e nel cuore e nessuno poteva cancellarli o anche solo sbiadirli.

La ragazza posò lo sguardo sul corpo immobile di Thanatos, quando questo venne avvolto improvvisamente da una nube nera e densa, che si dissolse subito dopo, senza lasciare alcuna traccia del suo passaggio.
La Bestia era sparita.
 
Non è finita” sibilò una voce senza corpo.
Anthea venne scossa da una serie di brividi che le risalirono la schiena.
Ignorò il momentaneo attacco di panico. Si fece forza e si rialzò, barcollando.
Doveva aiutare Steve ed anche i suoi compagni.
Incespicò dopo pochi passi e cadde stesa a terra.
Era troppo debole. Aveva dato fondo alle sue energie, soprattutto a causa dell’involontario processo rigenerativo.
L’Altra aveva energie infinite.
Scacciò subito quel pensiero e tentò di rimettersi in piedi, quando si sentì sollevare come una bambola di pezza.
Percepì due forti braccia sostenerla per le spalle e alzò lo sguardo, incontrando due occhi chiari e luminosi, sopra un grande sorriso caloroso.

“Tu hai la forza e la bellezza di una valchiria, midgardiana.”

Anthea arrossì e scivolò lontano dal calore di quel corpo, sforzandosi di piegare le labbra in un surrogato di un sorriso.
“Grazie” sussurrò, imbarazzata.
 
“Anthea, devi aiutarli. So che puoi farlo.”
Alle spalle di Thor, comparve la Romanoff, che le rivolse uno sguardo carico di emozioni divergenti.
La donna aveva il viso coperto di polvere e graffi superficiali. Da una tempia scendeva un rivolo di sangue, segno che in quel punto aveva una ferita più profonda. Aveva un’espressione dura, ma gli occhi verdi scintillavano di preoccupazione e ansia.
La Vedova Nera le stava affidando la vita dei suoi compagni e Anthea decise che non l’avrebbe delusa.
La ragazza sentì divampare una nuova energia dentro di sé e un piacevole calore si diffuse in ogni fibra del suo essere.
“E lo farò” affermò, animata da una rinnovata determinazione.
 
Sarebbe cambiata. Sarebbe diventata migliore.
 
 
 
 
 

Note
Ciao a tutti!
Ed ecco il nuovo capitolo, che spero davvero vi piaccia!
È la prima volta che mi cimento a scrivere qualcosa in cui figura molta azione, dettata soprattutto dallo scontro con Thanatos, e quindi mi chiedo se sono riuscita a rendere l’idea di ciò che accade, almeno in parte xD
Speriamo bene!
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia nelle seguite, nelle preferite e nelle ricordate.
Grazie a DalamarF16, a Ragdoll_Cat e a Siria_Ilias che hanno recensito la storia, facendomi davvero tanto tanto felice *.*
Alla prossima allora (cercherò di non superare mai i 15 giorni per aggiornare, ora che mi devo mettere sotto a studiare)!
Un abbraccio <3
Ella

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Capitolo 10
*** Svolta Improvvisa ***


Svolta Improvvisa
 
Steve riemerse lentamente dagli abissi dell’incoscienza.
Sentiva delle voci lontane. Voci familiari, conosciute.
Si sforzò di aprire gli occhi e la luce che lo accolse gli fece male.
Un lieve formicolio gli invadeva ogni singola fibra del corpo e si stupì di non sentire il dolore artigliarlo con violenza.
Eppure quel mostro lo aveva …
 
“Steve.”

Qualcuno lo stava chiamando e questa volta la voce era arrivata limpida alle sue orecchie, che avevano ricominciato a captare e catturare ogni singolo suono intorno a lui.
Cercò di mettere a fuoco la figura sfocata davanti a sé e quando ci riuscì, la prima cosa che vide furono due grandi occhi blu, luminosi e bellissimi.
Fu immediatamente consapevole che lei l’aveva salvato ancora.
La leggera nebbiolina che ancora permaneva davanti agli occhi cerulei si dissolse. I colori tornarono ad essere vividi e tutto ciò che lo circondava smise di oscillare in modo nauseante, perciò azzardò a mettersi seduto. Fece vagare lo sguardo lungo le pareti semidistrutte del parcheggio sotterraneo, soffermandosi sulle eventuali macchie rosse che davano l’idea di murales raccapriccianti.
Si sentiva ancora parecchio intontito e il formicolio che percepiva sul corpo non sembrava volersi placare, ma non era poi così male. Sempre meglio del dolore.
Tornò ad affondare in quelle iridi buie, che non avevano smesso di osservarlo nemmeno un istante e che ora parevano brillare di una luce nuova, bellissima e calda.
Steve realizzò, però, che qualcosa non andava.
Il viso di Anthea era bianco come la neve e le labbra tremanti avevano assunto un colorito bluastro.
La ragazza era inginocchiata al suo fianco e cercava in tutti modi di nascondere il tremito che le scuoteva il corpo.
Il ventre nudo, le gambe, le braccia e le mani erano macchiati di sangue. I lunghi capelli le ricadevano in morbide onde sulla schiena, ma alcune ciocche le si erano appiccicate alla fronte gocciolante di sudore.
La giovane si rimise in piedi e lui la imitò, sorridendo del fatto che entrambi si erano sforzati di non barcollare troppo.
Tremava come una foglia e Steve dovette sopprimere l’istinto di stringerla tra le braccia, consapevole del fatto che lei non avrebbe apprezzato quel gesto di semplice affetto.
Sembrava così fragile, così bisognosa di protezione.

Tentò di azionare il cervello per dire qualcosa di sensato, ma tutti i suoi neuroni andarono in tilt, assordati dal battito velocissimo del cuore impazzito improvvisamente.
Anthea gli stava cingendo i fianchi con le braccia esili ed aveva affondato il visetto nel suo petto.
Steve sussultò quando lei lo strinse più forte e dovette di nuovo combattere contro l’istinto di abbracciarla, spaventato dall’eventualità di poterla indurre ad innalzare di nuovo quella barriera invisibile, che lei aveva appena rimosso solo per lui.
“Stringimi, ti prego” sussurrò la ragazza, supplichevole.
E lui non se lo fece ripetere.
Le cinse le spalle e la sentì sospirare contro il suo petto, come se quel semplice contatto le avesse strappato via dal corpo un insopportabile dolore che l’aveva fatta stare troppo male per troppo tempo.
“Sei gelida” sussurrò Steve, rendendosi conto che Anthea continuava a tremare tra le sue braccia come un cucciolo infreddolito.
“Lo so” bisbigliò lei.
“Grazie.”
“No, Steve. Sono io che devo ringraziare te.”
 
“Ehi piccioncini, potremmo rimandare a dopo le effusioni amorose, visto che forse, ma dico forse, ci sono cose un tantino più importanti a cui pensare, adesso.”

Anthea si staccò da Steve e dal piacevole calore che emanava il suo corpo, frastornata e traballante.
Quel contatto così intenso con un altro essere umano aveva avuto lo stesso effetto di una dose di ecstasy e sapeva di esserne divenuta dipendente, visto il modo in cui stava già bramando la pelle del ragazzo.
L’intensità delle percezioni sensoriali la stava stordendo a tal punto da minacciare la sua precaria stabilità mentale.
 
Si voltarono entrambi, rossi in viso, rendendosi conto di avere puntati addosso ben quattro paia di occhi.
Stark, che aveva appena mandato in frantumi l’intimità che si era creata tra di loro, aveva stampato in faccia un ghigno che la diceva lunga.
Rogers si passò una mano tra i capelli, sospirando stancamente.
“Ti vedo bene, Stark” disse, cercando di nascondere il sollievo di vederlo ancora vivo e vegeto - troppo vegeto -, dopo che quel mostro gli aveva letteralmente scartavetrato la schiena.
Tony, svestito della sua armatura, diede le spalle al Capitano ed indicò lo strappo nella canotta nera che lasciava intravedere quasi tutta la schiena, la quale era completamente illesa.
“Tralasciando l’esercito di formiche che continua a marciare sulla mia schiena, sto una favola” affermò sorridendo, ma poi si fece improvvisamente serio.
“Se sono vivo, o meglio, se siamo vivi lo dobbiamo a lei. Forse non sei poi così male, Scricciolo.”

Anthea arrossì ancora una volta e sorrise debolmente.
Natasha rivolse alla ragazza uno sguardo colmo di gratitudine.
La Vedova Nera l’aveva osservata guarire tutti i suoi compagni, uno dopo l’atro e con estrema dedizione.
Anthea non si era fermata nemmeno quando le energie erano arrivate al limite e le gambe avevano cominciato a tremarle, minacciando di farla capitolare a terra. Aveva fatto sparire le lacerazioni sulla schiena di Tony e guarito la spalla rotta di Clint, tenendo le mani poggiate sulle parti lese e costringendo la sua energia a migrare nei loro corpi.
La ragazza si era occupata di Steve solo alla fine, anche se i suoi pensieri era sempre stati rivolti verso di lui.
“Per salvarlo dovrò dar fondo alle mie forze” aveva detto semplicemente.
Anthea si era gettata in ginocchio nella pozza di sangue e aveva pressato le mani sul petto quasi immobile del Capitano, svuotandosi lentamente di tutta l’energia che le era rimasta.
Natasha l’aveva sentita sussurrare deboli “Ti prego” e l’aveva vista ricacciare testardamente indietro le lacrime, che avevano minacciato di sgorgarle fuori dagli occhi spenti e stanchi, mentre il volto cadaverico di Steve tornava a colorarsi di un pallido rosa.
La pozza di sangue era evaporata per il calore sprigionato dal corpo tremante della ragazza, le cui labbra erano diventate bluastre a causa del repentino abbassamento della temperatura corporea.
Poi Steve aveva ripreso vita ed Anthea si era voltata a guardarla, madida di sudore, ansimante, ma sorridente.
Le iridi dorate avevano brillato intensamente, prima di tornare ad essere di un profondo blu notte.
Natasha, istintivamente, aveva ricambiato il sorriso di Anthea.
Poco dopo erano state raggiunte da un Tony frastornato e sorretto dall’energica presa di Thor attorno alle spalle.
Dietro di loro era sopraggiunto Clint, che aveva continuato a far ruotare la spalla, ancora incredulo del fatto che fosse completamente apposto.
Stark aveva detto giusto.
La ragazza non era poi così male.
 
“Cosa facciamo adesso?” chiese Barton, consapevole che il peggio doveva ancora venire.
 
“Non farete proprio niente.”

I Vendicatori sussultarono sotto lo sguardo confuso di Anthea.
“Oh merda” si lasciò scappare Tony.

Nick Fury, seguito da un gran numero di agenti dello SHIELD, fece la sua comparsa nel parcheggio sotterraneo, con indosso la sua espressione più truce.
“Preferivo il mostro nero” borbottò Stark, certo che quella del direttore non era una visita di cortesia.
Erano nei guai. Brutti e grossi guai.
Al fianco di Fury camminavano Phil Coulson e Maria Hill, come sempre imperscrutabili.
“Allora, qualcuno ha la decenza di spiegarmi cosa diavolo è successo qui?”
Fury scrutò uno ad uno i Vendicatori, ma poi si accorse che qualcosa nel gruppo stonava.
“Lei deve essere la causa del problema.”

Anthea avrebbe tanto voluto nascondersi da quello sguardo penetrante, che la faceva sentire nuda ed indifesa.
Steve le rivolse un’occhiata, ma la ragazza non riuscì a coglierne il significato e sbuffò frustrata.

“Qualcuno di voi si decide a parlare, prima che io perda la pazienza? Vi avviso che sto per incazzarmi davvero.”
“Beh è complicata da spiegare” esordì Stark, dando di gomito a Capitan America, che se ne stava immobile al suo fianco, senza alcuna intenzione di proferire parola.
Sì, era decisamente troppo difficile da spiegare.
 
“Signore, potremo tornare all’Helicarrier e rimandare la discussione a quando saremo lì” suggerì Coulson, conscio che in quel momento non avrebbero ottenuto nulla dai Vendicatori, fuorché un silenzio imbarazzante e teso.
Anche Tony pareva restio a parlare e il miliardario con le parole ci sapeva fare - eccome se ci sapeva fare.
Fury ringhiò come un grosso animale inferocito e poi si rivolse agli agenti dietro di lui.
“Scortate la ragazzina a bordo del primo jet.”

Anthea, chiamata in causa, sussultò e si voltò a guardare Steve, supplicandolo con gli occhi di fare qualsiasi cosa.
Intanto due agenti si fecero avanti, avvicinandosi a lei, pronti ad allontanarla dalle uniche persone che la facevano sentire al sicuro.
Fece istintivamente qualche passo indietro, ma una leggera pressione sulla schiena la fece arrestare. La mano di Steve bruciava piacevolmente sulla sua pelle, provocandole dolci ed intensi brividi.
“Andrà tutto bene. Va’ con loro e mantieni la calma. Non ti verrà torto un solo capello. Mantieni la calma, okay? Qualsiasi cosa accada non farti prendere dal panico. Ti raggiungerò presto.”
Anthea guardò il Capitano con occhi spalancati e spaventati, ma si limitò ad annuire, decisa a non deluderlo.
Avrebbe fatto come le era stato detto. Avrebbe mantenuto il sangue freddo e tutto sarebbe andato a finire nel migliore dei modi.
I due agenti la affiancarono e la scortarono lontano dai Vendicatori, fuori dai parcheggi sotterranei ed infine in uno dei jet che si stagliavano contro la luce soffusa dell’alba.
 
Poco dopo anche il resto degli agenti dello SHIELD raggiunse i velivoli, seguiti a distanza dai Vendicatori.

“Siamo nella merda” constatò Barton e Natasha annuì, sospirando.
“Sarebbe meglio essere nella merda, credetemi” ribatté Tony, impegnato a progettare nella sua testa un intricato schema di spiegazioni credibili da rifilare a Fury, senza dover scendere nei dettagli.
Lo SHIELD poteva essere davvero fastidioso e Stark odiava tutto ciò che era noioso e seccante.
“Bisogna evitare che sappiano del suo potere. Che sappiano di lei.”
La voce di Steve era atona, priva di qualsiasi nota emozionale.
“O non la lasceranno di certo a piede libero” aggiunse la Romanoff, lanciando un’occhiata interdetta al Capitano, che in quel momento aveva tutta l’aria di uno morto che cammina. La luce ancora fredda del Sole metteva in risalto il pallore del suo volto, segnato da profonde occhiaie violacee.
Steve era giunto al limite delle proprie forze.
Quegli ultimi giorni lo avevano spossato ed ora faticava anche a respirare. Doveva concentrarsi per continuare a porre un piede davanti l’altro, nel tentativo di stare al passo con gli altri. Il corpo lo stava implorando di fermarsi, di smettere di abusare di lui in quel modo assurdo, ma Capitan America fingeva di non sentire quelle suppliche, ignorando la nausea e i forti capogiri.
Era stanco. Ma non poteva permettersi di cedere proprio in quel momento.
Una mano si posò sulla sua spalla e Steve si voltò incontrando gli occhi chiari di Thor.
“Non permetterò che le facciano del male.”
Lo sguardo del dio era serio, determinato, fiero e rassicurante.

Bruce li attendeva ai piedi di uno dei jet, con la camicia azzurrina spiegazzata e in parte fuori dai jeans chiari.
I velivoli azionarono i propulsori, creando ondate di aria calda e producendo un rumore assordante. Si alzarono nel cielo colorato dalle sfumature rosee dell’alba e sparirono all’orizzonte, lasciandosi indietro una New York destata bruscamente dal sonno e coperta da un velo di paura e preoccupazione, tessuto dai ricordi ancora vividi dell’invasione aliena di appena un anno prima.
 
 

                                                             ***
 
 

Camminava per i corridoi in acciaio dell’Helicarrier e l’eco metallica dei suoi passi si confondeva con quella dei due agenti poco più avanti di lei.
Non aveva idea di dove la stessero conducendo, ma aveva la netta sensazione che non l’avrebbero riportata da Steve.
 
Mantieni la calma. Sangue freddo.
 
Svoltarono a destra, poi a sinistra.
I corridoi erano tutti uguali ed Anthea ebbe l’impressione di essere confinata in un intricato labirinto senza via d’uscita.
Le mancava l’aria.
Arrivarono davanti ad una porta di grigio metallo lucido, la quale si aprì, scorrendo verso sinistra. Varcarono la soglia e la ragazza percepì lo stomaco contorcersi.
 
Mantieni la calma. Sangue freddo.
 
La stanza era piccola e bianca, intrisa dell’odore acre di disinfettante.
Nell’angolo a destra c’era un piccolo lettino di metallo, ricoperto da un lenzuolo candido. Dalla parte opposta, appoggiato alla parete, c’era uno scaffale in alluminio, pieno di attrezzi medici.
Il sudore freddo le bagnò la fronte ed il collo, mentre l’aria faticava ad entrare ed uscire dai polmoni.
 
Mantieni la calma. Sangue freddo.
 
“Allora, diamo una controllata alle ferite?”
Anthea si voltò e sgranò gli occhi, terrorizzata.
Un uomo in camice bianco era appena entrato nella piccola infermeria.
La ragazza tremò.
 
Le figure austere coperte da camici bianchi infierivano sul suo corpo con oggetti taglienti ed appuntiti. Le laceravano la carne e si divertivano a veder sgorgare dalla sua pelle lattea il sangue caldo e denso.
 
“Non devi avere paura. Da quello che vedo non dovresti avere nessuna lacerazione grave.”
Il dottore si infilò un paio di guanti in lattice azzurri e sistemò la mascherina sulla bocca.
Si avvicinò allo scaffale e prese del disinfettante, alcune garze sterili e una siringa contenente del liquido giallino.
Anthea osservò una goccia della sostanza percorrere l’ago scintillante, quando l’uomo premette appena lo stantuffo, tenendo la siringa davanti agli occhi.
 
Mantieni la calma. Sangue freddo.
 
Il medico le si avvicinò e nello stesso momento i due agenti lasciarono la stanzetta.
“Stenditi.”
Le fece cenno di raggiungere il lettino.
Anthea non riusciva a muoversi, bloccata dalle immagini raccapriccianti e nitide che le passavano davanti agli occhi.
 
Uomini in camice bianco.
Dolore.
Sangue.

 
“Stai lontano da me” sussurrò la ragazza.
“Avanti, dobbiamo disinfettare quelle ferite.”
L’uomo era ad un passo da lei. L’ago della siringa nella sua mano brillava minaccioso.
Anthea indietreggiò ancora, finendo con le spalle al muro, vicino il grande scaffale.
Il dottore la fissò interdetto.
“Avanti, sentirai solo un leggero pizzico, niente di più.”
La ragazza si pressò contro la parete e pregò che la terra la inghiottisse all’istante. Nel suo personale vocabolario, siringa era sinonimo di dolore.
Quante volte le erano stati iniettati miscugli di sostanze altamente tossiche, con l’unico intento di testare la resistenza del suo corpo a quelle letali armi chimiche. Soffriva per giorni e giorni, a causa di un dolore che divampava implacabile dentro di lei e che si nutriva del suo spirito vitale.
La tenevano legata ad un tavolo di laboratorio, i bastardi, per impedirle di togliersi la vita, che mai come in quei momenti detestava con tutta sé stessa.
L’agonia giungeva al termine solo quando era vicina alla morte tanto bramata, ma costantemente negata. Il corpo reagiva ed estingueva ogni singola goccia di veleno che scorreva nel suo sangue, strappandola dalla piacevole illusione di essere finalmente morta.
Ora i ricordi si mescolavano confusamente con l’immagine di quel medico ignaro, il quale continuava a ripeterle che quella semplice puntura non le avrebbe fatto alcun male.
Purtroppo, i ricordi tendevano a prendere il sopravvento nella sua mente instabile e in lei scattava quel naturale quanto artificiale, poiché creato dalla malvagità dei suoi aguzzini, meccanismo di autodifesa.
Adesso aveva paura, ma non del medico o della siringa.
Aveva paura di sé stessa e di ciò che l’avrebbe costretta a fare quel momento di panico.
Cercò di pensare all’unico punto fermo che possedeva.
Steve.
Mantieni la calma.
Ma il sangue, pompato con forza dal cuore, le ribolliva nelle vene, mandandole in tilt il cervello.
L’istinto animalesco sostituì la razionalità umana.
Il medico allungò una mano verso di lei ed Anthea identificò quel gesto come una minaccia, come il preludio di nuova sofferenza.
La paura e la rabbia le accecarono i sensi.
 
La calma si trasformò rovinosamente in tempesta.
 
 

                                                   ***
 
 

Sedevano tutti intorno ad un grande e rotondo tavolo nero lucido, accasciati sulle morbide sedie girevoli.

“E tu pensi che possa credere che lo sfacelo nei sotterranei sia opera di un gruppo di pazzi armati di lanciamissili che volevano far crollare la Tower solo per far dispetto a te, Stark? Credi davvero che sia così stupido da credere che un branco di terroristi avrebbe potuto far tremare New York e mettere in difficoltà i Vendicatori, tra cui un dio?”
“Sì?” fece Tony, con un sorriso tirato stampato in faccia.
Fury lo incenerì con lo sguardo.
Il direttore si mise in piedi e prese a camminare per la stanza, tenendo le mani dietro la schiena.
“Io so molto più di quanto pensiate e sappiate che è inutile provare a rifilarmi una qualunque cazzata.”
Se la tensione in quella stanza avesse potuto essere convertita in energia, avrebbe illuminato da sola l’intera New York.
“Rogers” - il modo in cui lo pronunciò fece accapponare la pelle del sottoscritto - “si è infiltrato nella base SHIELD che tenevamo d’occhio da diverso tempo, poiché sospettavamo che al suo interno stesse crescendo un organizzazione pericolosa, che è sfuggita al nostro controllo. Si fanno chiamare Demoni della notte.”
“Squilibrati suppongo.”
Stark roteò gli occhi, stanco di aver a che fare con le manie di grandezza di idioti fuori di senno.
Fury continuò, ignorando l’intervento del miliardario.
“Da quello che sappiamo, venerano un certo Padrone. Non siamo certi se questa entità esista o se sia una semplice astrazione, un simbolo adottato dall’organizzazione stessa. Non siamo nemmeno riusciti a capire quale sia il loro obbiettivo. Sono davvero bravi a confondere le acque.”
“Eseguono esperimenti sugli esseri umani. Adam Lewis ha affermato che il loro fine è quello di rendere l’uomo invincibile.”
I presenti rivolsero la loro attenzione verso Rogers, che fissava la superficie lucida del tavolo come se fosse qualcosa di estremamente interessante.
“L’organizzazione ha convinto Lewis a lavorare per lei, rifilandogli la cazzata di voler rendere l’uomo migliore, ma in realtà sta lavorando su qualcosa di più complesso e che fatichiamo a comprendere. Non abbiamo assaltato subito la base compromessa, poiché speravamo di ricavare delle informazioni che ci avrebbero permesso di capire meglio a cosa mirano i Demoni della notte.”
“Sapevate degli esperimenti sugli esseri umani e non siete intervenuti per mettere fine a quelle torture? Ho visto un fascicolo contenete le foto e le informazioni sulle cavie. Erano tutti ragazzi giovani e voi avete permesso a dei pazzi di giocare con le loro vite.”
Steve era indignato e guardava Fury con aperta ostilità, stringendo con forza i pugni appoggiati sul tavolo.
 
Cristo, tutte quelle vite violentemente e prematuramente tranciate.
 
“Non abbiamo avuto scelta. Avevamo bisogno di informazioni per bloccare ed estinguere l’organizzazione.”
Il direttore si piazzò proprio alle spalle del Capitano ed appoggiò le mani sullo schienale della sua sedia.
“A causa delle tue azioni sconsiderate, l’organizzazione ha attivato l’autodistruzione e della base non è rimasto che un cumulo di macerie, sotto le quali sono rimaste definitivamente seppellite le verità che cercavamo da tempo.”
Steve non parlò. Né diede segno di voler in qualche modo replicare.
Fu Bruce a prendere la parola.
“Quindi abbiamo a che fare con un’organizzazione nata proprio sotto il naso dello SHIELD e che da diverso tempo porta avanti esperimenti sugli esseri umani per un motivo a noi sconosciuto.”

“Secondo me abbiamo troppe informazioni.”
Barton nascose la risata sotto colpetti di tosse, guadagnandosi un’occhiata di rimprovero da Natasha.

“Stark, non mi sembra il caso di scherzare. Se il Capitano Rogers-”
Fury venne interrotto, prima che potesse di nuovo accusare Capitan America per le sue azioni sconsiderate.
“Non sarebbe cambiato nulla, Nick, perché quelli vi stanno prendendo per il culo da chissà quanto. Loro sanno tutto di voi e credo anche che sapessero benissimo di essere tenuti sott’occhio. L’azione azzardata di Cap deve averli spiazzati parecchio, visto che li ha spinti a distruggere la base. Non se lo aspettavano e adesso saranno costretti a venire fuori se vogliono recuperare la-”
Stark si bloccò di colpo, mordendosi la lingua.
Cazzo!
“Cosa?” lo incalzò Fury.

Nessuno parlò.

“Cosa è successo nei sotterranei, signor Stark?”

I Vendicatori erano consapevoli che il direttore non li avrebbe lasciati andare, se non avesse ottenuto risposte decenti.
Era difficile però rispondere, omettendo il soggetto della frase.
Bisognava tenere Anthea fuori da quella discussione o la ragazza avrebbe potuto dire addio alla possibilità di vivere libera.
Loro le dovevano la vita e certamente non avrebbero tradito la fiducia della giovane paranormale, solo per sottrarsi a quello snervante ed infinito interrogatorio.

“Volete costringermi a ricorrere alle telecamere della Tower per ricostruire gli eventi di questa notte o vi decidete ad aprire quelle bocche?”
 
Sguardi incerti e perplessi vagarono nella stanza in cerca di un’illuminazione che sfortunatamente non arrivò.
Fury ringhiò e con un gesto brusco fece girare su sé stessa la sedia su cui era appoggiato, così da poter guardare in viso Steve, che rimase impassibile a quello scatto d’ira.
“Allora, Capitano Rogers?”
I loro visi erano ad un palmo di distanza e Steve dovette reprimere l’istinto di sottrarsi a quell’unico occhio scuro, che pareva leggergli l’anima.
 
“Direttore Fury, abbiamo un problema.”
Maria Hill fece capolino dalla porta della stanza e i suoi occhi riflettevano una certa agitazione.
Fury si allontanò dal Capitano, che si accorse solo in quel momento di aver trattenuto il respiro.

“Cosa diavolo è successo ora?”
“La ragazza.”
 
‘Guai grossi’ fu il pensiero unanime dei Vendicatori.
 
 

                                                      ***
 
 

Anthea era sparita.
Il medico che doveva occuparsi di lei, era stato ritrovato privo di vita nell’infermeria. L’osso del collo era stato spezzato con violenta brutalità.

L’Helicarrier era in piena agitazione e tutti gli agenti erano impegnati nelle ricerche della ragazza, che doveva trovarsi ancora nella base sospesa nel cielo.
Gli stessi Vendicatori stavano partecipando alle ricerche, consci del fatto che Anthea era appena entrata a far parte della lista nera di Fury.
 
Steve era preoccupato e sconvolto allo stesso tempo.
Anthea non era riuscita a controllarsi, di nuovo.
Ma per quanto ci provasse, non riusciva ad essere arrabbiato con lei.
Non poteva essere arrabbiato con lei. Non ne aveva il diritto.
Forse sentiva una punta di delusione pizzicare nel petto, ma niente di più.
Sperava di riuscire a trovarla prima di Fury, o era certo ci sarebbero stati altri morti.
Non riusciva a raggiungerla tramite il legame tra le loro menti, poiché Anthea aveva eretto una sottile ma impenetrabile barriera, facendogli capire che non voleva essere trovata nemmeno da lui.
Controllò una stanza dopo l’altra ma di lei non c’era traccia.

“Ti prego, dimmi dove sei. Parlami.”

Ma lei continuò ad ignorarlo.
 
 

                                                       ***
 
 

Bruce stava percorrendo un corridoio poco illuminato e deserto, su cui si affacciavano le porte di stanzette vuote e sgabuzzini poco usati.
Se lui avesse voluto nascondersi, avrebbe scelto proprio una di quelle stanze buie, silenziose ed inutilizzate.
L’isolamento era il suo forte, dopotutto.
La sua attenzione venne catturata da un battere sommesso e il dottor Banner tese l’orecchio, per cercare di capire da dove provenisse.
Arrivò davanti ad una porta di metallo scuro appena socchiusa. La aprì ed entrò senza esitare, ritrovandosi all’interno di un’ampia stanza vuota e buia. Dovette aspettare alcuni minuti per abituare gli occhi all’oscurità e quando riuscì a mettere a fuoco ciò che lo circondava, camminò spedito verso la fonte del rumore, che rimbombava nel vuoto.
 
Anthea era seduta in un angoletto, con la schiena appoggiata alla parete, e muoveva la testa aventi e indietro, facendo sbattere continuamente la nuca contro il metallo freddo.
 
“Se continui così, bucherai la parete.”
Bruce non riusciva a vedere chiaramente il viso della ragazza, ma era certo di avere la sua attenzione da quando aveva messo piede lì dentro.

“Speravo che fosse la parete a bucare la testa.”
La voce di Anthea tramava appena.
“Improbabile.”
La sentì sospirare.
“Ti stanno cercando tutti.”
Banner, invece, aveva una voce bassa e morbida.
“Ho ucciso. Di nuovo.”
“Non dovevamo lasciarti sola.”
“Sono un’assassina. Ho perso il controllo.”
“Ne so qualcosa.”

Bruce le si avvicinò e si sedette proprio al suo fianco. Anthea smise di far scontrare la testa contro la parete e strinse le gambe al petto.
“Non hai paura di me?”
“No e so cosa significa non controllare una parte di sé stessi.”
“Ti riferisci all’Altro?”
Il dottore rimase interdetto.
“Come lo sai?”
“Lo sento ed è molto forte, ma anche alquanto infantile. Vorrei conoscerlo un giorno.”
La voce di Anthea aveva smesso di tremare, così come tutto il suo corpo.
Bruce rise, davvero divertito.

“Come hai imparato a controllarlo?”

Il silenzio si protrasse per qualche secondo.

“Ci è voluto tanto tempo e davvero tanta forza di volontà. All’inizio credevo fosse una cosa impossibile e la voglia di mandare tutto al diavolo era forte. Ma volevo davvero continuare a vivere spaventato da me stesso e da ciò che avrei potuto fare se avessi perso il senno? No.”
Breve pausa per riprendere fiato.
“Ho lottato e non mi sono mai arreso. Alla fine ho in un certo senso vinto ed ho addirittura creato una specie di collaborazione con l’Altro.”
“Ma ancora lo temi.”
“Non ti si può nascondere niente, vero?”
Anthea scosse il capo, sorridendo appena.
“Quello che è dentro di me è davvero pericoloso. Ne sono consapevole perché ho sempre dovuto subire io le conseguenze delle sue azioni. Sono così dannatamente debole e così …”
“Sola.”
La ragazza si voltò verso di lui e Banner rimase ad ammirare quegli occhi profondi, che brillavano di luce propria.
“Avrei detto spaventata, ma sola non stona affatto.”
“Ma adesso ci siamo noi. E fidati se ti dico che passare il tempo con un egocentrico come Tony o convivere con le manie di comando di Steve sarà un’ottima terapia. Con me ha funzionato, almeno. E per una terapia d’urto, basta passare una sola giornata con Thor e il suo interesse per la tecnologia terrestre. Se riesci a non perdere la pazienza con lui, allora stai sicura che riuscirai a controllare qualunque cosa ti tormenti nel profondo del cuore.”

Anthea scoppiò in una risata cristallina e quello scoppiò di ilarità la aiutò a scacciare un parte dei rinnovati sensi di colpa.
Aveva ucciso un altro uomo, ma era inutile piangersi addosso. Chiunque avrebbe potuto giudicare quel suo comportamento quasi sadico - chi mette da parte un assassinio così facilmente se non un malato di mente o un seguace di satana? -, ma non poteva farci nulla, se per lei uccidere e veder uccidere era una cosa talmente normale, da apparire naturale.
Certo, si sentiva un essere ignobile e schifoso ogni volta che spezzava una vita, ma pian piano aveva fatto il callo anche ai sensi di colpa che puntualmente le attanagliavano le viscere.
Forse non sarebbe riuscita a voltare pagina, ma quel forse le bastava a non arrendersi e a perseguire la lotta contro sé stessa e il mondo.
 
“Andiamo.”
“Dove?” chiese Bruce, perplesso.
“Devo prendermi le mie responsabilità. Voglio smettere di scappare e di nascondermi. Accetterò le conseguenze delle mie azioni."
“Sei coraggiosa.”
“No. Sono solo disperata.”

Si alzarono e percorsero la stanza, diretti alla porta ancora socchiusa.
Prima di uscire, Bruce le rivolse un’ultima domanda.
“Perché lo hai ucciso?”
“Ho avuto paura.”
La ragazza non aggiunse altro e Banner si accontentò di quelle parole.
 
 

                                                      ***
 
 

Sguardi allibiti si posarono su di lei e Anthea percepì il loro peso sulle spalle esili.
La ragazza era sporca di sangue rappreso e la maglia gialla in brandelli le copriva a malapena il torace.
Bruce camminava al suo fianco, paradossalmente tranquillo, mentre ogni cosa si agitava tutt’intorno.

“Bruce!”
Steve corse loro incontro e si bloccò ad un passo da Anthea, rivolgendole un’occhiata talmente intensa da costringerla a distogliere lo sguardo.
“Che cosa è successo?”
La ragazza non riusciva a guardarlo in viso e percepiva chiaramente una nota di delusione nella sua voce.
“Mi dispiace tanto” confessò lei.
 
“Le scuse non ti salveranno da un’immediata reclusione.”
Fury sopraggiunse alle spalle di Anthea, come una minacciosa ombra oscura, carica di vibrazioni negative.
“Scortatela nelle segrete. La interrogherò più tardi. Adesso fatela sparire dalla mia vista.”

La ragazza si irrigidì, mentre il corpo si preparava a reagire contro qualsiasi possibile minaccia. Alcuni agenti le si avvicinarono, mettendo mano alle pistole.

“Vi prego non vi avvicinate, non voglio fare del male a qualcun altro.”
Le sue suppliche vennero ignorate.
“Stai tranquilla. Tra qualche istante non nuocerai più a nessuno.”
Steve si parò davanti alla ragazza. Le sue spalle larghe divennero per Anthea un ancora di salvezza e un appiglio per non affondare nell’oscurità.
“Capitano, si faccia da parte” ordinò Fury.
Steve non si mosse.
“Se lascerà che la ragazza rimanga con me, sarò disposto a darle le risposte che cerca.”
“Ha appena ammazzato un uomo.”
“Lo so e so anche che non era sua intenzione. Non è cattiva. Ha salvato tutti noi questa notte.”
Il direttore scoppiò a ridere sguaiatamente.
“Sei impazzito, Rogers?”
 
“Questa non è una novità.”
Stark, seguito dal resto dei Vendicatori, si fece spazio tra il gruppo di agenti formatosi nel corridoio e raggiunse Fury, che stava per avere un esaurimento nervoso.

“Ci lasci spiegare. A questo punto, è inutile continuare a nascondere la verità. Solo, lasci a noi il compito di occuparci di lei.”
Natasha si era fatta avanti ed i suoi occhi brillavano di una luce intensa.

Fury esitò qualche istante, ma consapevole che non sarebbe riuscito né a smuovere Rogers da lì e né a far prevalere il suo comando sulla testardaggine dei Vendicatori, decise di accettare la proposta.
“Le risposte dovranno essere esaurienti o giuro che vi rinchiudo tutti dentro una cella a prova di Hulk e getto la chiave.”
 
 

                                                       ***
 
 

Per la seconda volta si ritrovarono seduti attorno al grande tavolo.
Anthea si era piazzata tra Steve e Clint e giocherellava con una ciocca dei lunghi capelli color miele.
Natasha si era presa la briga di raccontare per filo e per segno gli avvenimenti degli ultimi giorni, basandosi sulla ricostruzione dei fatti che il giorno prima avevano fatto nella Sala Comune.
Fury ascoltò ogni parola, senza mai interrompere la rossa.

“Questo è tutto” concluse la Vedova.

I secondi successivi parvero infiniti ed il silenzio regnò incontrastato.
 
“Quanto tempo hai passato in quella base?”

Anthea aveva temuto quel momento da quando si era svegliata tra le braccia di Steve, nel bel mezzo di una foresta immensa.
Ma non aveva scelta, questa volta.
Era stata risparmiata dal dovere di rispondere a domande insidiose e dolorose la sera prima, nell’altissimo grattacielo che torreggiava su New York, ma adesso non poteva tirarsi indietro.
Si contorceva le mani in grembo, mentre cercava di scacciare i demoni e i fantasmi che vorticavano nella sua testa, urlandole contro accuse che meritava.
Tutti aspettavano una qualsiasi sua reazione ed Anthea decise che non avrebbe prolungato ancora quell’attesa snervante.
Rivolse un ultimo ed inteso sguardo a Steve, poi parlò.

“In quella base solo pochi mesi. Mi spostavano spesso da un continente all’altro, anche se alcune volte nemmeno me ne accorgevo.”
“Da quanto eri nelle loro mani?”
Era Fury a dirigere l’interrogatorio, mentre i Vendicatori si limitavano ad ascoltare. La Hill scribacchiava qualcosa su un’agendina e Phil stava seduto dritto e in allerta alla destra del direttore.

“Più o meno dieci anni.”

Stark rischiò di strozzarsi con il caffè che stava sorseggiando.
“Quanti anni hai?” chiese il miliardario, sconvolto.

Sul viso di Anthea si dipinse un sorriso triste, malinconico e freddo.
“Diciotto, se non vado errato.”

“Avevi solo otto anni?”
Quella consapevolezza gli fece male e Steve dovette trattene la voglia di imprecare contro l’Entità Onnisciente che governava l’universo e che permetteva quelle atrocità.
Quei bastardi.
Avevano abusato di una bambina di soli otto anni.
Steve immaginò quella creaturina dagli occhi grandi e blu che piangeva e gridava nella stanza piccola e buia dove l’avevano rinchiusa.
 
“No. Non ho mai pianto.”

La voce di Anthea risuonò dolcemente nella sua mente e il Capitano si accorse che la barriera tra di loro era sparita.
Erano di nuovo collegati e i loro pensieri, assieme alle emozioni, si mischiavano gli uni negli altri.
 
“Che cosa ti hanno fatto? È per i loro esperimenti che possiedi una forza fuori dal comune e dei poteri paranormali?”
Fury aveva ripreso in mano le redini dell’interrogatorio.
Natasha gli aveva parlato delle capacità di Anthea, ma non aveva detto nulla sulla parte oscura che la ragazza si portava dentro, poiché la Vedova non è era a conoscenza.
Steve e Clint, dopo gli eventi avvenuti nella camera del primo, sapevano dell’Altra, ma tramite un muto accordo avevano deciso di custodire quell’informazione, almeno per il momento. Lo stesso valeva per Bruce, intenzionato a tenere per sé il segreto.
 
“Sapete, non ne sono sicura nemmeno io. Ero troppo piccola per capire fino in fondo ciò che stava accadendo. Ma sono quasi certa che, qualsiasi esperimento abbiano eseguito su di me, non abbia influito su ciò che sono.”

Fury si sporse sulla superficie del tavolo, aggrottando la fronte.
“Stai dicendo che tu sei nata così ?”
“Quello che sono adesso è ciò che sono sempre stata.”
“E cosa sei?”
 
Anthea si morse il labbro inferiore ed abbassò lo sguardo.
Che cosa sono?
La domanda risuonò chiara anche nella testa di Steve, che riuscì ad intuire la risposta prima che lei la pronunciasse.
Non lo sa.
 
“Non lo so.”

Fury scosse il capo, sbuffando.
“Sei comunque instabile e per questo motivo non posso permetterti di lasciare questa base. Sei un pericolo per l’umanità.”
Anthea si sentì punta nell’orgoglio.
“L’umanità ha abusato di me. Se mai, sono gli uomini a rappresentare un pericolo per me e non il contrario.”
La sua voce aveva toccato toni elevati e il corpo le tremava di rabbia.

“Hai dei genitori o dei parenti ancora in vita?”
Coulson alleggerì un poco la tensione sopraggiunta nella stanza.
“Io non ho mai avuto nessuno. Mai.”
 
Silenzio.
 
“Potremmo fare in modo che impari a controllare il suo potere” intervenne Steve, preoccupato per la reazione astiosa della ragazza.
“Sei per caso un mago, Capsicle? Perché qui nessuno di noi sa usare la magia o qualsiasi cosa sia ciò che la ragazza utilizza.”
Rogers assottigliò gli occhi, che si specchiarono in quelli ambrati di Tony.
“Dobbiamo almeno tentare.”
 
Lo schianto di una sedia sul pavimento fece sobbalzare tutti i presenti.
Thor si era appena alzato in piedi con uno scatto, facendo uso della sua grazia da elefante.
“Magia” sussurrò e il suo sguardo fissava il vuoto avanti a sé.
Tony sbiancò all’istante.
“No.”
“No cosa, Stark?”
Steve era perplesso e alquanto sconcertato dalla reazione del miliardario.
“Se si tratta di magia” continuò il dio del tuono.
Anche il volto di Clint perse improvvisamente colore.
“Qualcuno mi spiega?” chiese Natasha, irritata.
Banner si limitava a spostare lo sguardo da un compagno all’altro.
“Point Break non dirlo nemmeno, hai capito?”
“Che cosa non dovrebbe dire, Stark?”
“Sta’ zitto, Rogers. C’è in gioco la salvezza della Terra.”
“Thor, spero che tu non stia pensando quello che penso.”
“Clint mi spieghi di cosa stai parlando?”
“Nat, ti prego non ti ci mettere anche tu.”
“Ma a fare cosa?”
 
“Ho capito!”
La Romanoff si voltò verso Bruce, che pareva decisamente su di giri.
E poi, come un fulmine a ciel sereno, l’illuminazione arrivò e la consapevolezza della nuova scoperta la fece rabbrividire.
“Ci sta pensando davvero?”
“A che cosa?”
Steve ancora non capiva ed il fatto che nessuno volesse dargli delle spiegazioni, lo rendeva davvero nervoso.

Fury, Maria e Phil rimanevano in attesa della bomba che l’asgardiano avrebbe sganciato di lì a poco.
 
“La soluzione è una sola, miei compagni.”
E a nulla servirono le minacce di sfratto da parte di Tony e le suppliche di pietà da parte di Clint.

Anthea non aveva mai distolto lo sguardo dal dio e trepidava nell’attesa di una delucidazione, visto che nella mente di Steve aveva trovato solo una gran confusione.
 
Una sola parola. Quattro lettere.

Tony si accasciò sulla superficie del tavolo.
Clint si lasciò scivolare dalla sedia e finì per terra.
Natasha arricciò la bocca in segno di diniego.
Bruce aveva gli occhi spalancati e gli occhiali che pendevano da un orecchio.
Fury si era strozzato con la sua stessa saliva e tossiva in modo convulso.
Phil e Maria avevano perduto la maschera e i loro volti era segnati da pura e sconvolgente incredulità.
Steve era immobile e nemmeno respirava.

L’eco di quel nome risuonava nelle sue orecchie, come una cantilena agghiacciante.
Passarono interi minuti durante i quali nessuno osò fiatare.
Poi Anthea sbuffò irritata e puntò i grandi occhi sul volto pallido e stanco del Capitano.
 
“Chi diavolo è Loki?”
 
 
 
 
 
 
Note
Eccoci al decimo capitolo!
E adesso cosa succederà? Che ne sarà di Anthea? Per saperlo non vi resta che continuare a seguirmi e vi prometto che mi impegnerò a rendere piacevole il tempo che dedicherete a leggere questa storia.
Ringrazio ancora tutti coloro che hanno inserito la storia nelle seguite, nelle preferite e nelle ricordate.
Grazie sempre a DalamarF16, a Ragdoll_Cat, a Siria_Ilias e a Mina damn stars per le recensioni <3
Alla prossima!
Ella

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Capitolo 11
*** Loki ***


Loki
 
“Chi diavolo è Loki?”
 
Una nota isterica dipinse il tono della sua voce, che risuonò nel silenzio tombale sopraggiunto a quelle quattro lettere messe insieme.
Ma quel silenzio era solo il preludio di una tempesta che ben presto avrebbe invaso l’interno di quella stanza, diventata improvvisamente stretta e soffocante.
Anthea pensò che, se solo il suo nome era riuscito a provocare un temporaneo mutismo, allora quel tizio doveva essere davvero potente. Era curiosa di sapere chi fosse Loki, ma dalle vibrazioni negative che riusciva a percepire intorno a sé, dedusse che c’era dell’odio e della rabbia nei confronti di quell’entità, il cui solo ricordo alleggiava sui presenti come una nube oscura e opprimente.
 
La ragazza si mosse a disagio sulla sedia, mentre cercava con lo sguardo gli occhi chiari di Steve, che sembrava essere sul punto di perdere conoscenza, talmente era pallido. Era normale che il ragazzo fosse in quelle condizioni pietose, visto che poche ore prima lo aveva strappato dalle braccia della morte, donandogli parte della propria forza vitale.
Tornare indietro, verso la vita, era un’esperienza fortemente destabilizzante sia a livello spirituale, sia e soprattutto a livello fisico.
Anthea ne era pienamente consapevole. Aveva percorso quel sentiero, che dal buio conduceva di nuovo alla luce, troppe volte e sapeva quale intenso dolore si era costretti a sopportare. Ma per lei era diverso, perché era il suo stesso corpo a infliggerle quella sofferenza, costringendola a raggiungere una meta indesiderata.
Avrebbe preferito morire, poiché la vita era diventata per lei un pesante fardello, un alternarsi di dolore, sangue, sofferenza e rabbia verso l’umanità, che l’aveva trasformata in una cavia da laboratorio, rendendole l’esistenza un inferno ed un incubo da cui non poteva fuggire.
Un impeto di rabbia le infiammò il corpo ed affondò le unghie nei palmi, graffiandoli e facendoli sanguinare, per frenare l’istinto di colpire e distruggere la prima cosa che le fosse capitata a tiro.
Sbuffò fuori l’aria che le comprimeva il petto, tornando a focalizzare la sua attenzione su Steve e sussultando quando incontrò quegli occhi chiari, che le mettevano a nudo l’anima, svestendola di quel telo scuro che nascondeva il marciume che la ricopriva.
Anthea si abbracciò il ventre, come per cercare di coprire quella momentanea nudità interiore.
L’espressione del Capitano era seria e tesa ed il suo viso pallido era segnato dalla stanchezza e da una certa agitazione.

“Loki è …”
Steve tentava di trovare le parole appropriate per descriverlo, ma fu preceduto da Stark, ripresosi dal momentaneo sbigottimento.

“Loki è un folle megalomane, portatore di caos e distruzione, causa di sventura per l’umanità o per qualunque cosa incontri sulla sua strada. Nessuno come lui è capace di farmi venire esaurimenti nervosi, che non sono un bene per il mio cervello. Il mio cervello è prezioso, quindi non posso metterlo a rischio. Loki è un problema per la mia salute mentale e Point Break, molto probabilmente, sta tramando la rovina del sottoscritto per motivazioni ignote.”

“Stark è partito” borbottò Natasha, sporgendo il capo all’indietro e rilasciando un profondo sospiro.
 
Thor aveva la fronte aggrottata, in parte per il modo il cui l’uomo di metallo aveva parlato di suo fratello, ed in parte perché non era riuscito a seguire il fiume di parole fuoriuscito dalla bocca del miliardario.
Batté con vigore una mano sul tavolo, che rischiò di venire spezzato in due come se fosse stato una morbida tavoletta di creta.
Gli sguardi dei presenti saettarono sull’asgardiano.
“Miei amici, se la giovane midgardiana ha bisogno di un conoscitore di magia, allora che mio fratello sia condotto qui per istruirla. So che voi dubitate di Loki, ma abbiate fiducia in me. Posso garantirvi che saprò badare a lui e alla sua indole oscura.”
 
Clint scosse il capo, affatto convinto dalle parole incoraggianti di Thor.
“Loki fa rima con guai e noi di guai ne abbiamo già fin troppi.”

“Non sarebbe conveniente mettere nello stesso posto due soggetti mentalmente instabili e arrabbiati con l’umanità, senza offesa piccola. Sarebbe come segnare con le nostre mani la fine del mondo” convenne Tony, sperando con tutto sé stesso che gli altri fossero d’accordo con lui.
 
Anthea si strinse nelle spalle e un lucido pensiero le affiorò alla mente, ridestandola dall’intorpidimento che aveva avvolto il suo corpo.
Parlò senza guardare nessuno, ma tenendo lo sguardo fisso sui palmi macchiati di sangue fresco.
“Per favore, se questo Loki può aiutarmi, concedetemi una possibilità. Thor ha detto che non gli permetterà di causare problemi. Allora proviamo, vi prego. Lo so che non avrei nemmeno il diritto di parlare, soprattutto perché non ho fatto altro che causare problemi da quando vi ho incontrati, ma se non riesco a controllarmi vi garantisco che non basterà nemmeno una prigione ultratecnologica a fermarmi ed io sono stufa di essere sempre e solo un impiccio. Vorrei aiutarvi a combattere contro i Demoni della notte, anche perché devo dirne quattro a quei bastardi. Quindi, per favore, concedetemi una sola possibilità ed io cercherò di non deludervi.”
 
“Premettendo che Thor non è mai lucido quando si tratta di suo fratello, resto dell’opinione che questa sia una vera e propria follia e quel tuo cercherò non è affatto rassicurante, ragazzina” ribatté Stark, con tono duro.

Il dio, abbastanza infastidito, fulminò - per fortuna metaforicamente - con lo sguardo il miliardario, ma prima che potesse aprir bocca per dire la sua, qualcuno lo precedette.
“Osserviamo i Pro e i Contro. Se la ragazzina non impara a controllare il suo potere, diventerà un serio problema per l’umanità, forse al pari di Loki stesso. Ma se riesce ad imparare a gestire quel potere, potrebbe diventare una sicurezza stabile per la Terra.”
Fury analizzò con cura le sue stesse parole, conscio che quello era un vero e proprio azzardo, un azzardo che avrebbe potuto condannare tutti loro e l’intero pianeta Terra. Ma Nick era consapevole del fatto che avere dalla propria parte le straordinarie capacità di Anthea - almeno da ciò che gli era stato raccontato dalla Romanoff poteva desumere che la ragazza fosse davvero speciale -, sarebbe stato un estremo vantaggio contro eventuali e molto probabili attacchi alieni.
“Allora Thor, cosa ti fa pensare che una volta libero, Loki non tenterà di ammazzarci tutti? Sappiamo che ne sarebbe capace.”
Il dio norreno assunse uno sguardo fiero e deciso.
“Non ne sono certo. Ma sento che potremo in qualche modo convincere Loki a collaborare, poiché pur di uscire dall’eterna prigionia a cui è stato condannato, metterebbe da parte il suo odio e la sua sete di potere.”
 
“Oh, fermi un secondo. State pensando davvero di portare Loki qui? E Thor servirebbero più certezze, no astrazioni basate su ciò che senti.”
Clint incrociò le braccia al petto e i lineamenti del suo viso si indurirono di colpo, riflettendo un certo nervosismo.
 
Ciò che stava accadendo poteva sembrare surreale e chi non si era ancora pronunciato a favore o contro quell’assurda proposta, se ne rimaneva in silenzio a riflettere sulle eventualità di quella decisione spinosa.
Bruce capiva Anthea, perché loro erano più simili di quanto sembrasse, e voleva aiutarla, anche se ciò avrebbe significato accettare la presenza di Loki.
 
“In fondo abbiamo sconfitto Loki già una volta e in quell’occasione aveva un esercito. Adesso sarebbe da solo contro tutti noi. Possiamo gestirlo. E ricordate che dopotutto dobbiamo ad Anthea le nostre vite, perciò penso che sia giusto offrirle quest’occasione, pur correndo dei rischi.”
La decisa affermazione di Steve creò un momento di smarrimento ed incredulità.
Capitan America si era schierato dalla parte proLoki.
 
“Conosco un bravo psicologo, Cap. Vuoi che ti prenoti una seduta?”
Stark incrociò le braccia al petto e storse il naso.
La piega che stava prendendo la situazione non gli piaceva affatto.
“Non avrai paura di Loki, Stark.”
Colpito nel punto dolente. L’orgoglio.
“Non ho paura di quello psicopatico. Vorrei solo evitare ulteriori problemi, ma fate come vi pare. Non vi lamentate se qualcosa andrà sicuramente storta.”
 
Steve si alzò dalla sedia e osservò, uno ad uno, i presenti.
“Allora è deciso. Loki verrà sulla Terra per insegnare ad Anthea a gestire il suo potere.”
Rogers fece una breve pausa e riprese fiato.
“Allo stesso tempo, cercheremo di scoprire qualcosa in più riguardo i Demoni della notte.”
 
Nessuno cercò di ribattere.
Solo Fury storse appena il naso per il modo in cui Capitan America gli aveva sottratto il comando, ponendo fine alla discussione.
 
La decisione era stata presa.
Avrebbero rincontrato Loki.
 
 

                                                      ***
 
 

L’acqua scorreva sul suo corpo perfettamente scolpito, arrossando ogni lembo di pelle e facendo scivolare via terra, polvere, sangue e stanchezza.
Il forte getto caldo scioglieva, poco a poco, quell’orribile sensazione di morte che ancora permaneva su di lui.
I capelli biondo cenere erano schiacciati sulla fronte, dove era ben visibile un taglio abbastanza profondo e ancora fresco.
Il vapore aveva invaso l’intero bagno e Steve si rese conto di essere rimasto nella doccia per troppo tempo. A confermarlo era la pelle raggrinzita delle mani.
Sospirò, abbandonando controvoglia il getto caldo e rilassante dell’acqua.
Quando venne fuori dal bagno, era coperto solo da un candido asciugamano avvolto attorno ai fianchi stretti.
Raggiunse il letto a due piazze e si lasciò cadere sulle lenzuola fresche di bucato. Chiuse gli occhi, affondando il viso nel cuscino e pensando che i letti delle camere dello SHIELD non erano mai stati tanto morbidi e comodi, quasi al pari di quello che aveva alla Tower.
La stanza era abbastanza piccola e l’arredamento essenziale. C’era un letto affiancato da un piccolo comodino, un armadio contenente alcuni vestiti e un cassettone quasi completamente vuoto. Il Capitano utilizzava quella camera soprattutto quando doveva svolgere per lo SHIELD missioni che duravano più giorni.
Si poteva dire che l’Helicarrier fosse la sua seconda casa, dopo la Stark Tower.
Prima o poi, però, aveva intenzione di prendere un appartamento a Brooklyn, la sua città natale. Sì, gli sarebbe davvero piaciuto tornare dove tutte era cominciato e forse proprio lì avrebbe potuto ricominciare.
 
Gli sembrava passata un’eternità da quando quell’assurda storia era cominciata, ovvero dal momento in cui Anthea era entrata in lui, costruendo un legame tra le loro menti, senza chiedergli il permesso.
Steve non riusciva a ricordare l’ultima volta che si era fermato a riposare o anche solo a riflettere sul casino che in parte lui stesso aveva creato.
Non dormiva davvero da una decina di giorni, ormai.
La schiena nuda venne percorsa da numerosi brividi e cominciò a sentire freddo, mentre un conato di vomito gli risaliva la gola. Scattò in piedi e si precipitò ai piedi del water, in cui riversò anche l’anima.
Per fortuna in ogni stanza c’era un piccolo bagno e Steve fu davvero sollevato del fatto che, in quel momento, nessuno potesse vederlo.
Tremante, con le mani strette attorno alla tavoletta del wc e inginocchiato sulle piastrelle bianche, ebbe la sensazione di essere tornato all’epoca in cui era un ragazzetto rachitico, asmatico ed estremamente debole.
Odiava sentirsi così, anche se non riusciva a capirne il perché. Forse, semplicemente, non voleva più sentirsi inutile, invisibile e fragile.
Si fece forza, costringendo le gambe a sostenerlo di nuovo e a condurlo davanti il lavandino. Aprì l’acqua, si sciacquò il viso e la bocca per far sparire il saporaccio che ancora vi alleggiava.
Stava davvero male e ciò lo preoccupava non poco, visto che una nuova missione stava per iniziare: stanare e rendere innocui i Demoni della notte.
Ed in più ci sarebbe stato Loki.
 
Thor era partito qualche ora prima, attivando il Bifrost.
Dovevano solo attendere, adesso, e prepararsi al peggio.
Il dio, prima di lasciarli, aveva anche confessato che molto probabilmente Odino si sarebbe opposto alla decisione di portare Loki sulla Terra.
Non avrebbe tollerato nemmeno vederlo fuori dalla sua cella, figuriamoci a piede libero su Midgard. Ma Thor aveva assicurato loro che avrebbe convinto il Padre degli Dei, illustrandogli le giuste cause che richiedevano quell’azione sconsiderata.
E Steve si fidava di Thor. Ciecamente.
 
Si era appena infilato i pantaloni di cotone grigio che solitamente usava per andare a correre e una maglietta bianca, quando un violento capogiro rischiò di farlo capitolare a terra.
Ringhiò frustrato e amareggiato dalle sue pessime condizioni fisiche.
Non capiva per quale motivo il suo organismo tardava a recuperare.

“Non devi preoccuparti.”

Steve sussultò, voltandosi in direzione dell’ingresso della stanza.
Anthea era appoggiata con la schiena alla porta chiusa e lo fissava con un certo interesse.
Si sorprese di non averla minimamente sentita entrare.
“Da quanto sei lì?” chiese, non riuscendo a nascondere del tutto la nota di agitazione nella voce.
La ragazza fece qualche passo verso il centro della stanza.
La piccola sfera che pendeva dal soffitto irradiava una luce pallida, che andava a riflettersi sulle pareti di un grigio metallo opaco.
“Da un po’ di tempo” rispose enigmatica, non staccando mai gli occhi dalla figura del Capitano.
 
Un paio di pantaloncini neri ed attillati lasciavano scoperte le lunghe gambe snelle ed evidenziavano i glutei tondi e sodi. Una canotta nera, anch’essa aderente - i vestiti dovevano essere un prestito della Vedova Nera -, le fasciava e le metteva in risalto le curve sinuose dei fianchi e dei seni. Le braccia e le spalle possedevano muscoli tonici ed elastici.
Chiunque avrebbe potuto affermare che aveva davvero un bel corpo, armonioso e adeguatamente muscolato.
Nessuno avrebbe mai pensato che quel corpo era anche una macchina assassina.
Steve, però, continuava ad ammirare il volto della ragazza.
Il naso piccolo e leggermente all’insù, le labbra rosee e i lunghissimi capelli ondulati color miele, erano la perfetta cornice per quei grandi occhi blu dall’enorme potere magnetico.
Lo attiravano come calamite e lui si lasciava affondare in quell’oceano apparentemente calmo, luminoso ed infinito.
 
La distanza tra di loro si era improvvisamente ridotta ad un passo.
Anthea era costretta a tenere la testa leggermente inclinata indietro per poterlo guardare in viso, dato che gli arrivava all’altezza del petto.
“Quella non ti dona affatto. Meglio farla sparire” disse lei, mordendosi il labbro inferiore per sopprimere una voglia indefinita, che come un fuoco le ardeva dentro.
“Che cosa-”
Steve ammutolì, quando la ragazza si sollevò sulle punte dei piedi e gli prese il volto tra le mani.
Le dita esili percorsero i lineamenti marcati del suo viso e si soffermarono sulla fronte spaziosa.
Percepì un calore diffondersi dal punto in cui lei premeva i polpastrelli e dopo attimi che parvero infiniti, Anthea si fece indietro, lasciandolo intontito e perplesso.
“Così va molto meglio” affermò la ragazza, con convinzione.
Steve, come un automa, si portò le dita alla fronte e la percepì liscia e calda.
Poi l’illuminazione.
Il profondo taglio era sparito.
Balbettò un grazie, arrossendo appena.
Anthea scoppiò a ridere e la sua era una risata cristallina e melodiosa.
Rogers mise il broncio, conscio che quello scoppio di ilarità era stato causato dalla propria goffaggine.

“Sei così buffo. Ti immaginavo diverso.”
La ragazza smise di ridere e un triste sorriso gli incurvò le labbra.
Si allontanò da lui per raggiungere i piedi del letto. Un lieve cigolio infranse il silenzio, quando il materasso si piegò appena sotto il peso del suo corpo.
Anthea, con un cenno del capo, invitò Steve a sedersi al proprio fianco e il ragazzo la raggiunse senza esitare.
I loro corpi erano separati da un solo palmo di distanza, uno spazio tanto piccolo quanto difficile da riempire.
 
“Sai” esordì lei “ti avevo visto arrivare già da bambina. Nelle notti in cui la disperazione diventava insopportabile, ti sognavo. Sognavo un giovane soldato che accorreva in mio aiuto, che mi strappava dalle mani del dolore e mi portava con sé, sussurrandomi che era tutto finito. Ti ho aspettato, Steve, perché credevo che prima o poi saresti venuto a prendermi e alla fine sei arrivato. Per tutti questi anni non ho fatto altro che aggrapparmi con forza alla tua immagine, che potevo ammirare solo nei sogni.”
 
Steve non sapeva cosa dire e perciò decise di rimanere in silenzio.
Anthea si stava aprendo con lui e con lui stava condividendo il proprio dolore e le proprie speranze.
 
“Solo qualche mese fa ti ho sentito davvero. Ho sentito il tuo spirito, la tua forza, il tuo calore. L’immagine del soldato ha preso improvvisamente consistenza.”
 
 

                                                        ***
 
 

Diversi mesi prima

“Per oggi abbiamo finito. Riportatela nella sua stanza.”

Un uomo grande e grosso serrò una mano attorno al suo polso esile e prese a trascinarla per i corridoi grigi e spogli della base.
La spessa porta di metallo si aprì e si chiuse con un suono stridente ed Anthea si ritrovò nuovamente rinchiusa in quella stanzetta di acciaio, riempita solo da un piccolo letto.
Sospirò e si appoggiò con la schiena alla porta sbarrata, lasciandosi scivolare fino a terra. Avvolse le braccia attorno alle ginocchia e se le strinse al petto, lasciando il capo ciondolare da un lato.
Aveva la mente svuotata e ormai non provava più nemmeno la rabbia e la disperazione che l’avevano assalita ogni volta, dopo essere stata sottoposta a nuovi test ed esperimenti.
Un vuoto simile ad un’enorme voragine si apriva in lei, rendendola un fragile guscio, un corpo privo di anima.

Poi tutto cambiò in un battito di ciglia.

Nell’istante di un respiro, si sentì riempire, mentre il battito furioso di un cuore appena risvegliato le rimbombava nella testa, stordendola e facendola sentire viva allo stesso tempo.
Un calore piacevole le esplose nel petto e improvvisamente cominciò ad ansimare, come se si fosse lanciata in una corsa sfrenata.
Vide automobili, persone, insegne luminose, sfrecciarle accanto, mentre la mente correva in una città che non aveva mai visto.
Centinaia di voci creavano nella sua testa una sconvolgente cacofonia.
Infine sopraggiunse il silenzio, seguito da una voce chiara e calda.
 
Avevo un appuntamento.”
 
In quel momento Anthea lo vide davvero per la prima volta.
Bellissimo, così come bellissimi erano i suoi occhi azzurrissimi.
Si inebriò della sua forza vitale, tremando a causa dell’ondata di emozioni che la investirono con una violenza inaudita.
Poteva ricominciare a sperare, sicura che lui sarebbe arrivato.
Lui l’avrebbe salvata.
Quella notte, rannicchiata nel suo letto, sussurrò all’infinito quell’unica parola come fosse una preghiera.
 
Steve.
 
 

                                                         ***
 
 

“Alla fine sei arrivato davvero.”
“Mi dispiace.”
Anthea rimase palesemente stupita.
“E per cosa?”
“Per il clamoroso ritardo.”
La ragazza sorrise, intenerita dall’espressione di rammarico nata sul viso di Capitan America.
“Meglio tardi che mai, no?” scherzò, ma subito dopo si fece seria, preoccupando non poco il ragazzo.
“Sei puro, Steve, ed io rischio di macchiare questa tua purezza con l’oscurità che mi porto dentro.”
 
Si morse nuovamente il labbro inferiore, ma questa volta non riuscì a reprimere la forte voglia, che le stava infiammando piacevolmente ogni fibra del corpo.
Prese il volto di Steve fra le mani e lo avvicinò al proprio, tanto da poter sentire il suo respiro caldo sulle guance.
Con foga si impossessò delle labbra morbide del Capitano, baciandole e mordendole. Le sentì gonfiarsi, mentre continuava a torturarle e ne assaggiava il sapore.
Sapevano di buono.
Steve rimase immobile, completamente spiazzato da quel gesto improvviso. Percepiva le dita affusolate della ragazza affondare nei suoi capelli e scendere lentamente sul collo, provocandogli intensi brividi.
Gemette di dolore, quando i denti di lei affondarono con troppa violenza nella morbida carne delle sue labbra, facendole sanguinare.
Anthea si tirò indietro di colpo, tremante. Aveva gli occhi lucidi e spalancati, come se si fosse appena resa conto del proprio gesto. Il sapore ferroso del sangue di Steve le impregnava la lingua ed il palato.
 
“Io non intendevo, scusami!”
La ragazza si era coperta il viso con le mani, con l’intento di nascondere il rossore che sentiva ardere sulle guance.
Che diavolo le era saltato in testa?
 
Steve le afferrò i polsi e la costrinse a scoprire il volto, così da poterla guardare direttamente negli occhi, ora brillanti come zaffiri.
“Ehi, andiamo, è tutto okay.”
Ma la voce roca e tremula del Capitano parlava da sé.
Era abbastanza sconvolto e scioccato e incredulo. Non riusciva ancora a metabolizzare ciò che era appena accaduto.
 
Passarono attimi infiniti di silenzioso imbarazzo.
 
“Senti” ricominciò Steve, ma fu interrotto dalla porta che veniva spalancata con esagerato impeto.
La figura di Clint Barton si materializzò sull’uscio, assieme a quell’espressione tipica di chi aveva già capito tutto.
Rogers sperò di non essere arrossito troppo e scattò in piedi, come un soldato al passaggio del comandante.
 
“Thor è tornato. Mi dispiace aver disturbato, ma il direttore richiede la presenza di tutti i Vendicatore e naturalmente della ragazza.”
Clint ghignò e Steve lo maledì mentalmente, prima di tornare a concentrarsi su ciò che in quel momento era più importante.
“Loki è …”
“Qui” terminò Occhio di Falco, facendosi di colpo serio.
Rogers annuì solamente, per poi precipitarsi ad indossare una delle divise dello SHIELD appese nell’armadio.
Infilò una di quelle nere, sulla quale spiccava una stella argentea all’altezza del petto.

“Andiamo, allora” disse, passandosi una mano tra i capelli ancora umidi.
Si incamminarono tutti e tre nella sezione dell’Helicarrier dedicata alle palestre, perfettamente attrezzate per l’addestramento delle reclute e abbastanza spaziose per poter combattere senza intralci, in caso il pazzo megalomane avesse deciso di giocare uno dei suoi tiri mancini.
 
Anthea si teneva a qualche passo di distanza, dietro i due Vendicatori.
Un unico pensiero le occupava l’intero cervello, in quel momento.
Steve sapeva di buono.
 
 

                                                  ***
 
 

Prima.
Asgard.
 
Quando Thor era arrivato su Asgard, aveva respirato a pieni polmoni l’aria di casa.
Heimdall lo aveva salutato con quel solito stereotipo di sorriso, ma il dio del tuono, ogni volta, sapeva leggere l’affetto che vi si celava dietro.
Aveva raggiunto l’enorme palazzo dorato in pochi secondi, trasportato dal fedele Mjolnir.
Frigga lo aveva accolto con un caloroso abbraccio, mentre Odino, seduto sul proprio trono, si era limitato a un cenno del capo e Thor si era subito accorto dell’ombra scura che alleggiava sul volto del Padre degli Dei.
 
Odino già sapeva.
 
“Allora, figlio mio,”  esordì il re “cosa ti conduce ad Asgard? Ci sono problemi su Midgard?”
Thor assunse lo sguardo fiero e deciso, tipico del guerriero che era.
“Padre, nuovi nemici minacciano la stabilità di Midgard e noi Vendicatori siamo giunti alla conclusione che c’è un unico modo per evitare un’ennesima guerra, che porterebbe soltanto altra morte e distruzione.”
Il principe asgardiano si concesse una pausa, prima sganciare la bomba.
“Loki deve essere condotto su Midgard, per addestrare una giovane donna dalle grandi potenzialità. Lui conosce ogni sorta di magia e perciò è l’unico adatto a svolgere questo delicato e fondamentale compito.”
 
A sentir nominare Loki, Odino si alzò dal trono e raggiunse il figlio, a cui rivolse uno sguardo indecifrabile e che non prometteva niente di buono.
“Sei consapevole dell’entità della tua richiesta, figlio? Vuoi condurre Loki nel mondo che ha cercato di conquistare e che lo ha condotto alla rovina, aspettandoti che collabori per salvarlo? Questa è follia.”

“Ma è l’unico modo, padre. Io mi farò carico di ogni responsabilità. Prometto di badare a Loki per tutto il tempo che rimarrà su Midgard.”

Il Padre degli Dei esitava. Aveva fiducia in Thor, ma Loki era pur sempre Loki.

“Quel folle riesce a raggirarti troppo facilmente, figlio mio. Non negarlo.”

Thor incassò il colpo in silenzio, perché suo padre aveva detto il vero.
 
“Mio re, lascia che Loki ripaghi le vite che ha preso su Midgard, aiutando gli umani a combattere la nuova minaccia. Thor e i suoi valorosi compagni non gli permetteranno di scatenare di nuovo il caos.”
Le parole di Frigga attirarono l’attenzione del re e Thor sfruttò quel momento propizio.
“Padre, capisco la vostra ostilità nei confronti di colui che una volta chiamavate figlio, ma Midgard potrebbe ricadere nel caos se non agisco in fretta. Abbiamo bisogno delle capacità di Loki e confesso che abbiamo a lungo discusso, prima di prendere questa delicata decisione. Ma è l’unico modo, non abbiamo altra scelta. Quindi concedici questa possibilità.”
 
Odino guardò il figlio intensamente, prima di sospirare con fare stanco.
“Non appena Loki avrà portato a termine il suo compito, dovrai riportarlo ad Asgard. Sono stato chiaro?”

“Si padre” rispose Thor, sorridendo.
 
 

                                                       ***
 
 

Non era cambiato affatto.
La faccia da stronzo era sempre la stessa e a Tony prudevano parecchio le mani, in quel momento.
Quanto avrebbe voluto cancellare quel ghigno strafottente con un bel pugno, ma era costretto a trattenersi, così come stavano facendo tutti gli altri.
 
La palestra era davvero grande. Le pareti in acciaio stonavano abbastanza con il parquet del pavimento, ma se si metteva da parte l’estetica, bisognava ammettere che quella era davvero una struttura con i fiocchi.
Vi erano tutti i possibili ed immaginabili attrezzi per il perfetto ed accurato addestramento, a cui venivano sottoposte le new entry dello SHIELD. L’impianto possedeva una postazione con bersagli per imparare ad utilizzare pistole, fucili e qualunque arma a proiettili, poi c’era una postazione per il lancio dei coltelli e per il tiro con l’arco ed un’altra era occupata da un enorme scaffale di metallo contenente ogni sorta di gingillo utile per il combattimento corpo a corpo.
Nel mezzo stazionava un ring, dove gli agenti solevano darsele di santa ragione.
Dall’alto soffitto pendevano funi annodate attorno a spesse travi d’acciaio e lunghe lampade irradiavano una luce decisamente troppo accesa e che dava l’impressione di trovarsi all’aperto, durante un pomeriggio assolato.
 
Thor era tornato e aveva portato compagnia.
La figura alta e slanciata di Loki si stagliava al suo fianco, attirando come una calamita gli sguardi dei presenti.
Il dio del caos aveva i polsi bloccati da due cilindri di un grigio lucente, uniti tra loro. L’espressione accattivante ed il ghigno strafottente stonavano abbastanza, se si pensava che era lui quello in catene. I capelli nerissimi oscillavano appena più in basso delle spalle e creavano un forte contrasto con il pallore del volto.
Indossava le solite vesti asgardiane, identiche a quelle con cui si era presentato sulla Terra la prima volta.
Le tensione era palpabile, ma Loki pareva tranquillo e completamente a suo agio, anche se circondato da quelli che erano i nemici colpevoli di averlo mandato in rovina.
 
“Attendiamo qualcuno?”

Il tono tagliente e sarcastico fece corrugare più di qualche fronte.
Ma più che una domanda, quella del dio era una constatazione.
Loki sapeva bene che la squadra non era al completo e quali erano i componenti che mancavano all’appello.
Come dimenticarsi dell’Uomo senza tempo e di quella che era stata la sua migliore marionetta, quando aveva dato avvio al piano di invasione di Midgard.
Non era presente nemmeno il mostro, ma Loki dubitava sarebbe arrivato.
Ed eccoli infine, Barton e Rogers, varcare l’entrata della palestra e venire dritti verso di lui, con in faccia stampato il piacere di rivederlo.
 
“Ehi, vi eravate persi per caso?”
Clint lanciò un’occhiata di fuoco a Stark, facendogli capire chiaramente di non rompere le palle, perché in quel momento avrebbe volentieri preso a pugni qualcuno per placare il fastidioso prurito, provocato dalla presenza di quel bastardo manipolatore.
Steve si limitò a incrociare le braccia al petto, attendendo che Fury prendesse la parola.
 
“Thor ti avrà sicuramente spiegato il motivo per il quale ora ti trovi qui e non a marcire nella tua prigione, così come dovrebbe essere. Ti avverto Loki …”
 
“Sapere il motivo non implica il fatto che abbia deciso di collaborare. Thor si è limitato a trascinarmi qui, anche se io non ho nessuna intenzione di aiutare voi. Perché dovrei farlo? E poi quale assurdità è mai questa! Insegnare ad un debole umano l’arte della magia è come cercare di insegnare ad un asino ad essere cavallo. Impossibile, signori miei.”
Loki incurvò le labbra in un sadico sorriso e gli occhi chiari brillarono.

“Non sta a te decidere cosa è o non è possibile. E non mi importa niente di quali siano le tue intenzioni. Collaborerai, che tu lo voglia o no, Loki.”
Steve avanzò verso il dio del caos, con gli occhi ridotti a due fessure.
“Credi di intimorirmi, soldato? Sei solo un povero sciocco se pensi di riuscire a piegare la mia volontà. Tutti voi siete degli idioti, per il semplice fatto di aver creduto che io avrei collaborato. Poveri illusi, mi fate pena. Dovete essere davvero disperati.”
 
“Un’altra parola e giuro che ti trapasso il cranio con una freccia.”
Barton aveva messo mano all’arco, ma Loki non parve minimamente turbato dalla minaccia, anzi scoppiò a ridere, infuocando gli animi dei presenti.
 
“Non c’era bisogno di tutte quelle storie per dire che sei incapace ad insegnare le arti magiche, Loki. Da quello che ho visto durante la battaglia contro i Chitauri, non sei un asso con la magia. Abbiamo sbagliato a rivolgerci a te, perché anche se avessi collaborato, saresti stato del tutto inutile. Stark potrebbe fare di meglio.”
Natasha si voltò in direzione di Tony, sorridendo enigmatica e subito dopo tornò a rivolgere la propria attenzione a Loki, che aveva smesso di ridere dal momento in cui la rossa aveva preso la parola.
“Sai sono d’accordo con te, Romanoff. Penso che il mio genio possa trovare una soluzione e a quel punto nemmeno la magia sarà più un segreto per me.”
Loki ringhiò, mentre la vena sul collo acquistava un certo spessore.
“Voi non avete la minima idea di cosa significhi avere a che fare con forze che vanno al di là della ragione. E tu, donna, nemmeno immagini la portata del mio potere e della mia conoscenza.”
Natasha ancheggiò verso il dio e si fermò a meno di un passo da lui.
“Io so solo quel che vedo. Le tue sono solo chiacchiere inutili. Non ci sono azioni concrete che dimostrino ciò che dici.”
Soffiò quelle parole ad un palmo dal suo naso.
Di colpo, Loki scattò in avanti, gettandosi di peso sulla Romanoff, che capitolò a terra, impreparata a quella reazione violenta.
Il dio era su di lei e con le ginocchia le bloccava i polsi sul pavimento. Ma prima che potesse fare anche solo un’altra mossa, Thor lo afferrò per la collottola e lo tirò indietro con forza, liberando Natasha.

Loki non ebbe il tempo di rimettersi in piedi che era già piegato in due, a causa del poderoso pugno nello stomaco infertogli da Barton.
“Fallo di nuovo e ti uccido” lo minacciò l’arciere, con voce tremante di rabbia.
Poi Clint raggiunse Natasha e le offrì una mano, che lei afferrò subito per rimettersi in piedi, ancora abbastanza scossa.
“Tutto okay, Nat?” le sussurrò Occhio di Falco.
Lei si limitò ad annuire e strinse con forza la mano dell’uomo, prima di lasciarla andare.
 
Loki digrignò i denti, mentre riacquistava la posizione eretta.
Sotto lo sguardo allucinato dei Vendicatori, le manette scomparvero in un brillio verde.
L’attimo dopo, si ritrovarono tutti scaraventati a terra dalla potente magia del dio, che attraverso una forza invisibile, ora, li teneva pressati sul pavimento, impedendo loro ogni movimento.
“Voi, luridi vermi, avete osato insultarmi. Pensavate di potermi controllare, invece sono io che possiedo il controllo su di voi. È stato un grosso errore il vostro e vi ringrazio di avermi reso la libertà.”
Loki si lasciò andare ad una risata sguaiata.
“Ora è tempo di vendetta, cari Vendicatori. Da chi cominciamo? Vediamo, mio fratello avrà l’onore di essere l’ultimo a lasciare questo mondo, mentre il primo-”
 
“Non ci sarà né un primo né tantomeno un ultimo.”

Il dio del caos si ritrovò a specchiarsi in due pozzi scuri ma brillanti. Percepì le viscere contrarsi e un brivido attraversargli la schiena, mentre una ragazzina che mai aveva visto - perché avrebbe sicuramente ricordato quello sguardo magnetico, se lo avesse visto in precedenza - si avvicinava a lui, emanando un forza spirituale talmente intensa da intontirgli i sensi.
Loki, completamente spiazzato da quella presenza che prima non aveva minimamente notato, fece qualche passo indietro per allontanarsi dall’influsso di quel potere così particolare.
“E tu chi diavolo saresti?”
La voce del dio tradiva una certa agitazione.
La ragazza sorrise beffarda, continuando ad avanzare verso di lui.
“Io sono l’asino che vuole diventare cavallo.”
 
Passò qualche secondo di silenzio, prima che Loki tornasse ad assumere quello che era l’atteggiamento che lo caratterizzava. Il sorriso sadico tornò incurvargli le labbra, mentre con disinvoltura andava incontro alla giovane midgardiana.
Entrambi si fermarono, quando la distanza tra i loro corpi fu ridotta a pochi ed insignificanti centimetri.
 
Steve guardava la scena allarmato, mentre provava e riprovava a combattere quella forza oscura che lo teneva ancorato al pavimento.
Ma i suoi sforzi erano vani. Riusciva a malapena a muovere le dita delle mani.
Ti prego fa’ attenzione.
Quelle erano le parole che si ripeteva nella testa, sperando che lei le sentisse.
 
“Loki non fare pazzie e liberaci da questo incantesimo, o giuro che-”
“Non sei nella posizione che ti consente di fare minacce, fratello” affermò il dio del caos, usando un tono assai velenoso e tagliente.
Ma gli occhi chiari del dio non si erano mai spostati da quelli bui di Anthea, che continuava a fronteggiarlo senza mostrare alcuna paura.
Loki decise in quel momento che la ragazza gli piaceva. Stuzzicava parecchio il suo interesse.
Avrebbe ucciso prima quegli scocchi terrestri, poi suo fratello e infine avrebbe pensato a cosa farne di lei.
 
“Liberali.”
“Non dovresti darmi ordini, ragazzina. Potresti fare una brutta fine” sibilò il dio, soffiandole in faccia ogni parola.
Anthea lo guardò contrariata, mentre il sorriso beffardo di poco prima lasciava il posto ad una linea dura.
“Lasciali andare, ora.”
Loki rise.
“Sai, sono riuscito a sviluppare oltremisura le mie capacità, mentre ero confinato nelle segrete di Asgard. Potrei dartene una dimostrazione che non scorderesti molto facilmente.”
 
“Allontanati da quel pazzo!” gridò Tony a fatica.
“Scappa prima che sia troppo tardi per farlo!” aggiunse Clint, ansimando.
 
Anthea si voltò a guardarli, commettendo un grosso errore.
Approfittando di quell’attimo di distrazione, Loki le afferrò il viso tra le mani e la avvicinò a sé.
“Vediamo cosa nascondi.”
La ragazza cercò di divincolarsi, ma le forze vennero a mancarle improvvisamente, mentre scariche di dolore le riempivano la testa.
Chiuse gli occhi, gemendo forte.
“Non … entrerai … nella … mia mente.”
Faticava a parlare o anche solo a respirare.
“E chi me lo impedirà? Tu? Oppure loro?”
Anthea lanciò un grido acuto, percependo l’essenza di Loki entrare con forza in lei, distruggendo ogni sua difesa.
Ma qualcosa fece esitare il dio, che rivolse uno sguardo sorpreso oltre le spalle della ragazza.

“Hai condiviso?”
La sua era più una constatazione che una domanda.
L’attenzione di Loki era ferma sulla figura di Steve.
Il soldato aveva chiuso gli occhi con forza e digrignava i denti a causa del forte dolore che stava provando. Se avesse avuto la possibilità di muoversi, avrebbe cominciato a battere la testa sul pavimento, nel tentativo di sopprimere quelle fitte intense al cervello.
 
“Condividi con un debole ed insignificante umano la tua essenza. Per quale assurdo motivo? In questo modo il tuo vero potere viene ridotto, lo sai questo?”
“Sì” gemette la ragazza.
“Quindi se uccido lui, libero tutto il tuo potere, giusto?”
Gli occhi di Loki brillarono pericolosamente.
“Non-”
 
Loki stramazzò al suolo, fulminato.
Thor era finalmente in piedi e stringeva nella mano destra il suo fedele martello.
L’influsso del dio del caos svanì, senza lasciare alcuna traccia di sé.
Il resto dei Vendicatori e Fury furono di nuovo liberi di muoversi.
 
“Lo hai ammazzato?” chiese Stark, avvicinandosi al corpo di Loki.
“Solo stordito” rispose Thor.
“Peccato” fu il commento sarcastico del miliardario.
 
“Va tutto bene?”
Natasha raggiunse Anthea e le poggiò le mani sulle spalle esili.
La ragazza annuì soltanto, mentre osservava, oltre le spalle della rossa, Steve rialzarsi con fatica e raggiungere il gruppo formatosi intorno a Loki.
 
“Io ve lo avevo detto che qualcosa sarebbe andata storta.”
“Stark, non è il momento.”
Steve si passò una mano tra i capelli, sospirando.
“Cosa facciamo adesso?” chiese Barton, trattenendo la voglia di prendere a calci Loki in quell’esatto momento.
“Non lo so. Non lo so più” ammise il Capitano.
 
“Loki insegnerà a Lady Anthea appena avrà ripreso conoscenza. Così era stato deciso e così sarà. Lo costringerò con la forza, se ce ne sarà bisogno.”
Questa volta era stato Thor a dissipare quasi ogni dubbio e Nick pensò che avrebbe dovuto fare qualcosa per evitare queste continue prese di comando da parte dei Vendicatori.
 
 

                                                     ***
 
 

Loki era stato rinchiuso in un delle celle anti-Hulk.
Ormai era calata la notte, perciò si era deciso di rimandare ogni cosa all’indomani mattina.
Non erano passate nemmeno ventiquattro ore dall’attacco di Thanatos, eppure sembrava essere trascorsa un’eternità.
Erano tornati tutti nelle camere che lo SHIELD aveva messo a loro disposizione sull’Helicarrier, ad eccezione di Anthea.
La ragazza condivideva la sua stanza con Natasha - Fury doveva pur tenerla sotto controllo in qualche modo e fra tutti la Romanoff era la più affidabile -, ma aveva deciso di dare un’occhiata a Steve prima di raggiungere la sua nuova coinquilina.
 
Arrivata davanti la porta della stanza del Capitano, ebbe un istante di esitazione, spaventata dall’idea di poter essere guardata diversamente da quegli occhi limpidi, a causa di ciò che lei, in preda a quella smisurata voglia, aveva fatto.
Lo aveva baciato, senza sapere se lui lo volesse davvero quel bacio.
Con la mano ferma a mezz’aria, attese ancora qualche secondo prima di bussare. Questa volta avrebbe evitato di intrufolarsi come una ladra all’interno della camera.
Le nocche picchiarono sulla superficie della porta, ma non vi fu alcuna risposta proveniente dall’interno.
Provò ancora, ma a risponderle fu solo il silenzio.
 
E se gli fosse successo qualcosa?
 
Con il cuore in gola, aprì la porta ed entrò nella stanza.
Anthea percepì nascere un leggero sorriso sulle proprie labbra, mentre osservava la scena che le si era presentata davanti.
Abbandonata a terra, c’era la divisa nera, che ora appariva una massa scomposta di tessuto scuro.
Steve dormiva placidamente tra le lenzuola, con indosso solo un paio di boxer azzurri e una maglietta bianca. Era disteso prono, aveva il braccio sinistro sotto il cuscino, mentre l’altro era abbandonato lungo il fianco.
Il viso era rivolto verso destra, perciò Anthea riusciva a contemplarlo anche rimanendo vicino la porta.
Dalla bocca schiusa venivano fuori profondi respiri ed il volto completamente rilassato lo faceva sembrare un ragazzino appena maggiorenne.
 
Era bello Steve e sapeva di buono.
 
Lentamente e senza fare il minimo rumore, si avvicinò a lui e quando fu abbastanza vicina, si chinò in avanti e sfiorò con le labbra la tempia destra del ragazzo, il cui profumo la inebriava oltremisura.
 
“Mi dispiace, Steve. Per tutto” bisbigliò pianissimo e subito dopo tornò sui propri passi.
Spense la luce che il Capitano aveva dimenticato accesa, prima di lasciare la camera e raggiungere la propria.
 
 

                                                        ***
 
 

“Padrone, le Ombre sono pronte. Quando-”
 
“Presto. Agiremo al tramonto del nuovo giorno. Non possiamo permettere che lei apprenda o non riusciremo a fermarla.”
 
“Ai suoi ordini, Padrone.”
 
 
 
 
 

Note
Prima di tutto SCUSATE l’enorme ritardo, ma questo è stato davvero un periodo di fuoco.
Ho dimenticato cosa significa il verbo dormire ultimamente!
Ma da oggi tornerà tutto regolare, salvo imprevisti :D
Spero che il nuovo capitolo vi piaccia e che continuerete a seguirmi, anche se vi ho fatto aspettare davvero parecchio.
Grazie sempre a coloro che continuano a recensire questa storia e a chi l’ha inserita in una della liste speciali.

Un abbraccio <3
Ella

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Capitolo 12
*** Fratture ***


Fratture

Anni prima
Località sconosciuta.
 
La neve stava imbiancando ogni cosa.
Osservava con stupore i piccoli batuffoli bianchi scendere dal cielo plumbeo e dare vita ad una morbida coperta sul terreno.
Era la prima volta che vedeva la neve.
Era bella la neve.
Candida, bianca, pura.
 
Lei non era come la neve. No, non lo era.
 
Peccato che le signore non le permettevano di uscire, perché avrebbe tanto voluto toccarla. Sembrava così soffice a vedersi.
Gli altri bambini erano tutti in giardino a giocare, mentre lei si trovava dietro lo spesso vetro della finestra del dormitorio a guardarli.
Le signore erano cattive con lei da quel giorno.
Non le permettevano mai di uscire a giocare, perché affermavano che lei era cattiva, che era figlia del diavolo.
 
Non sapeva chi fossero i suoi genitori, perché era stata abbandonata appena nata e costretta a vivere in quel monastero grande e buio, dove c’erano solo signore vestire di nero con veli neri sui capelli.
Le insegnavano a leggere, a scrivere e a comportarsi nel modo giusto.
Quando sbagliava, veniva picchiata e se piangeva le percosse aumentavano.
Aveva imparato a non piangere già dalla seconda volta, quando aveva per sbaglio fatto cadere un forchetta a terra durante il pranzo.
Da quello che aveva capito, quell’enorme casa era solo per i bambini particolari, quei bambini che non erano come tutti gli altri.
Ad esempio c’era quel ragazzino, Eric, che cercava sempre di buttarsi dalle finestre con la convinzione di saper volare.
Lei, che aveva solo otto anni, sapeva per certo che le persone non potevano volare.
Le signore picchiavano Eric con delle cinte di cuoio, che per fortuna la sua pelle non aveva ancora assaggiato.
E poi c’era anche quella ragazzina, Denise, che era fissata con il sangue e andava alla ricerca di oggetti appuntiti per tagliarsi. Denise era furba e le signore non la scoprivano quasi mai.
In quello strano istituto, lei era una delle più piccole.
All’inizio le signore l’avevano trattata bene. Tutto, però, era cambiato il giorno in cui l’avevano sorpresa in giardino a disegnare.
Il vero problema non era stato l’essere in giardino o il disegnare, ma le signore si erano allarmate quando si erano rese conto che i pastelli si stavano muovendo da soli sul foglio, tracciando linee confuse e senza senso.
Ricordava bene che l’avevano picchiata a sangue, ignorando il suo pianto disperato e accusandola di appartenere alla prole di Satana.
Quella era stata l’ultima volta che aveva permesso alle lacrime di sgorgarle dagli occhi e rigarle le guance.
 
Infagottata nel suo maglioncino di lana rosso, troppo grande ma abbastanza caldo, se ne stava in piedi su una sedia scricchiolante ad osservare il mondo oltre quelle spesse lastre di vetro, con occhi vispi e lucidi.
Ogni tanto tirava su con il naso, la cui punta si era arrossata visibilmente. Anche le guance le erano divenute rosse a causa del freddo pungente e la sensibilità alle dita delle mani era diminuita drasticamente.
Ma lei pareva non farci caso, mentre continuava ad ammirare i fiocchi di neve formare piccoli mulinelli e volteggiare leggeri nell’aria gelida.
Sì, era davvero bella la neve.
 
Il suono regolare di passi in avvicinamento le raggiunse le orecchie, facendole spalancare gli occhi bui.
Saltò giù dalla sedia e si precipitò sul suo letto a baldacchino. Prese il libro che giaceva sulle lenzuola e lo aprì ad una pagina a caso, concentrandosi nella lettura della prima frase che le saltò all’occhio.
La porta del dormitorio venne spalancata con impeto e una suora dall’aspetto austero raggiunse i piedi del suo letto, piantandole addosso uno sguardo gelido e colmo di odio.

“Andiamo, c’è qualcuno che vuole conoscerti” ordinò la donna.
La bambina obbedì senza fiatare.
 
Chi avrebbe mai voluto conoscere una come lei? Chi avrebbe anche solo mai voluto avvicinarsi a lei?
La curiosità cominciò a roderle fastidiosamente lo stomaco e un barlume di speranza le brillò negli occhi.
Forse l’avrebbero portata fuori da quel posto orribile.
Seguì la donna con lo sguardo basso, mentre strofinava le manine sulla lana della maglia per riscaldarle un poco. Camminarono lungo un corridoio in pietra, illuminato dalla pallida luce proveniente dalle finestre, le quali si susseguivano a un paio di metri di distanza l’una dall’altra.
Arrivate in fondo al corridoio, entrarono in una grande stanza, riempita da numerosi scaffali in legno d’ebano contenenti libri di ogni sorta.
Al centro della stanza vi era un tavolo circolare in legno chiaro, circondato da sedie fatte del medesimo materiale.
Tre uomini erano seduti proprio lì ed uno di essi aveva tra le mani una tazza fumante, da cui proveniva un forte odore di caffè.
Appena lo sconosciuto ebbe posato lo sguardo sulla piccola, abbandonò la bevanda calda sulla superficie liscia del tavolo e sorrise cordiale.
Indossava un completo grigio ed ogni suo movimento era elegante e calcolato. I capelli neri brizzolati indicavano che per lui era ormai lontano il fiore della giovinezza, così come le rughe visibili sul suo volto allungato e dai tratti marcati.

“Tu devi essere Anthea, dico bene?”
La voce dell’uomo era profonda ed intrisa di calma.

La bambina si limitò ad annuire, mentre la suora che l’aveva accompagnata lasciava la stanza, richiudendosi la grande porta alle spalle.
L’uomo le fece segno di avvicinarsi e lei obbedì, prendendo poi posto sulla sedia di fronte a lui.
Anthea lanciò un’occhiata agli altri due uomini vestiti di nero e con gli sguardi celati da occhiali scuri, ma subito dopo tornò a concentrarsi sul più anziano, i cui occhi piccoli e scuri continuavano a studiarla con grande interesse ed attenzione.
La bambina non riuscì a trattenersi oltre e, nascosta dietro una facciata di apparente indifferenza, si rivolse all’uomo brizzolato.
“Cosa vuole lei da me? Chi è lei?”
Quel tono duro e il modo di parlare senza incertezze, fluidamente, non si addicevano certo ad una bambina così piccola, ma niente in lei rispettava gli standard della società che abitava il mondo.
 
Ma esistono davvero parametri per definire se qualcosa è o non è normale?
Perché lei doveva per forza venire guardata come fosse un mostro, oppure come fosse una rarità da tenere in una teca di vetro?
Perché lei non poteva essere normale? Chi lo aveva stabilito?
 
L’uomo sorrise ed Anthea percepì sulla pelle un disagio pungente.
‘Non ti fidare di lui’ era ciò che il suo cuoricino le gridava.
 
“Io sono Adam Lewis e gestisco un’associazione che dà ai bambini particolari come te ciò che maritano davvero. Tu sei speciale, perché dovresti passare il resto della tua vita confinata in questo posto dimenticato da Dio?”
 
Dio ha dimenticato anche me, avrebbe voluto rispondere lei, ma ricacciò in gola le parole, sostituendole con altre altrettanto taglienti.
“Perché dovrei fidarmi di lei?”
Adam intrecciò le mani sotto il mento e ancora una volta sfoggiò quel maledetto falso sorriso, che le metteva i brividi.
“Perché io voglio solo il meglio per te. Sei speciale e-”
“Se sono così speciale come dice, allora mi spiega perché i miei genitori mi hanno abbandonata non appena sono venuta alla luce.”
La bambina era in piedi sulla sedia, teneva le manine poggiate sul tavolo ed il busto era inclinato verso l’uomo.
Adam rimase in silenzio per qualche attimo, completamente spiazzato dalla reazione della piccola.
“La gente comune porta con sé determinati pregiudizi, mia cara. E molto probabilmente i tuo genitori non hanno minimamente afferrato l’entità del tuo essere.”
Stava cominciando ad utilizzare un linguaggio più ostico per lei, ma ciò non la scoraggiò affatto.
“Quale sarebbe l’entità del mio essere, allora?”
“Oh, questo è ciò che bisogna scoprire.”
 
Lewis fece un cenno con la mano ad uno degli uomini seduti al suo fianco.
Quello si alzò in piedi, infilò una mano nella giacca e tirò fuori una pistola di un nero lucente.
Anthea sgranò gli occhi e percepì il respiro bloccarsi nella gola, mentre il sudore freddo le imperlava la schiena.
Non ebbe nemmeno il tempo di muoversi, che l’uomo aveva già premuto il grilletto.
Ma il proiettile non la raggiunse.
Si fermò a pochi centimetri dalla sua fronte e rimase sospeso nell’aria.
Adam scorse qualcosa di indefinito cambiare nei grandi occhi blu della bambina, prima che quelli si chiudessero.
Anthea cadde a terra, priva di sensi, mentre il proiettile si schiantava sulla superficie lignea del tavolo.
Sul viso di Lewis si disegnò un sorriso agghiacciante, sadico quasi.

“L’abbiamo trovata, finalmente. Il Padrone aveva ragione.”

Quando Anthea riaprì gli occhi, ad accoglierla non ci furono più le pareti del grande monastero, ma solo dolore, sofferenza e sangue.
 
 
 
                                                      ***
 
 
 
Presente
 
Se aveva deciso di aiutarla era solo e soltanto perché quella ragazzina era estremamente interessante.
La notte era passata velocemente ed il sole era già alto nel cielo.
Si trovavano di nuovo nella palestra e Loki osservava Anthea muovere un numero elevatissimo di oggetti contemporaneamente. Tutto nella grande sala era animato dalla forza invisibile esercitata dalla mente della ragazza.
Il dio lanciò un’occhiata alle pistole sospese a mezz’aria che sparavano contro i bersagli, poi spostò lo sguardo sugli innumerevoli coltelli che volteggiavano intorno a loro ed infine tornò a concentrarsi su di lei.
 
“Basta così.”

In pochi secondi tutto tornò ad essere inanimato ed immobile.
Anthea aprì lentamente gli occhi, interrompendo il momentaneo stato di distacco dal mondo esterno.
“Allora?”
Loki ghignò davanti all’espressione corrucciata della ragazza.
“Non male, ma sei tremendamente instabile quando eserciti il tuo potere. Basta un alito di vento per farti barcollare e poi crollare.”
Anthea sbuffò frustrata e si passò una mano tra i capelli, scostandoli dalla fronte sudata.
“Ne sono consapevole, Loki. Tu dovresti dirmi come stabilizzare quello che ho dentro, no affermare ciò che è ovvio.”
 
La risata profonda di Thor giunse alle orecchie di entrambi e Loki si voltò per fulminarlo con lo sguardo.
Il biondone era appoggiato alla parete lì vicino ed aveva il compito di controllare il fratello, in modo da evitare altri guai, e Clint, appollaiato su una delle travi d’acciaio che percorrevano il soffitto, era una maggiore precauzione contro il dio dell’inganno.
Degli altri Vendicato non c’era traccia, ancora.
 
“Se desideri così ardentemente delle risposte, mia cara, devi lasciarmi penetrare qui dentro.”
Loki poggiò l’indice destro sulla fronte della ragazza, che si ritrasse come scottata.
“E ancora devi spiegarmi perché hai condiviso il tuo potere. Se sei consapevole che in questo modo sei più debole, allora cosa ti ha indotto a prendere una decisione tanto svantaggiosa?”
Anthea abbassò lo sguardo, per sfuggire agli occhi di ghiaccio del dio.
“Non c’è altro modo per risolvere il problema?”
“Mmmh, potrebbe anche esserci, ma in questo momento la mia memoria non funziona come dovrebbe.”
“Sei un bastardo, lo sai questo?”
La risposta fu un ennesimo ghigno accattivante.
Loki era troppo vicino ed Anthea percepì il desiderio di scappare via, lontano dall’aura penetrante ed oscura emanata dal dio. Si morse il labbro inferiore e strinse i pugni.
“Avanti allora. Hai libero accesso.”
La ragazza sospirò stancamente ed aprì la mente, abbassando ogni barriera e rendendosi completamente vulnerabile.
Perché lo stava facendo? Voleva cambiare. Voleva essere migliore.
Stava mettendo in gioco tutta sé stessa.
 
Loki, sorpreso da quell’inaspettata concessione, poggiò entrambe le mani sulle tempie della ragazza e chiuse gli occhi, preparandosi ad invadere la sua essenza.
 
“Non andare fino in fondo, Loki. Prendi ciò di cui hai bisogno, ma non scavare oltre il necessario. Ti chiedo solo questo.”
Era una supplica.
Il dio non rispose, ma Anthea era certa che avesse ascoltato le sue parole e sperò vivamente che accettasse quel vincolo, rappresentante il confine tra luce ed oscurità.
Un’oscurità cremisi.
 
Thor e Clint, che non riuscivano a capire cosa i due stessero confabulando, rimasero alquanto interdetti nel vederli così vicini.
“Che diavolo combinano?” sbottò l’arciere, arricciando il naso.
Il principe asgardiano fece spallucce.
“Non saprei, amico mio.”
 
Intanto, Loki aveva iniziato a farsi largo nello spirito della ragazza.
Non avrebbe visto le sue memorie e non avrebbe letto i suoi pensieri, poiché penetrare in un altro essere non significava accedere ai segreti custoditi nella mente, ma aveva come unico fine quello di scoprire come fosse e da cosa fosse costituita l’essenza elementare.
Era come cercare di capire di quale materiale fosse un oggetto, con gli occhi bendati, solamente tastandolo.
L’essenza del dio possedeva il ruolo delle mani: sarebbe entrata nel corpo di Anthea e ne avrebbe percepito, tastato l’essenza elementare, per scoprirne la composizione e di conseguenza le capacità, anche quelle più occulte.
Loki era consapevole che la ragazza lo aveva implorato di non osare troppo, di non andare fino in fondo, ma la curiosità gli stava rodendo lo stomaco da quando aveva visto quella piccola midgardiana per la prima volta.
Nel momento in cui i loro sguardi si erano incrociati, il dio aveva letto in quegli occhi simili ad abissi oscuri qualcosa di estremamente evidente, ma sfuggente al tempo stesso. Come quando si ha una parola sulla punta della lingua che continua a sfuggire, oppure come quando si ha qualcosa proprio davanti agli occhi, ma non la si riesce a mettere perfettamente a fuoco. Per Loki era lo stesso.
Gli sfuggiva quel particolare che avrebbe completato il puzzle, che già aveva in parte assemblato nella propria testa.
E poi c’era ancora una cosa che non gli era chiara e che la giovane umana era decisa a tenere segreta.
Anthea aveva deliberatamente spostato una parte del suo potere nel corpo del super soldato, che era diventato a sua insaputa un portatore passivo.
Il Capitano non aveva accesso a quel potere ed il suo corpo stava svolgendo il compito di semplice contenitore.
In questo modo, la ragazza non aveva a disposizione tutte le sue forze, perciò risultava essere molto più debole di quanto in realtà non fosse.
Ecco, Loki voleva risposte e le avrebbe trovate lui stesso, anche contro il volere di quella piccola midgardiana.
Midgardiana davvero?
Un ultimo sforzo e la invase completamente.
 
 

                                                       ***
 
 

Non ricordava molto bene dove si trovasse in quel momento e molto probabilmente nemmeno cosa ci stesse facendo lì - dovunque fosse -, ma almeno il suo nome lo ricordava.
Concesse al cervello intorpidito qualche minuto per ricominciare a funzionare doverosamente e quando i neuroni finalmente si risvegliarono e le sinapsi ripresero il loro ritmo naturale, Steve ricordò perfettamente ogni cosa.
Ti ha baciato.
Okay, forse quella cosa la ricordava meglio delle altre e decise che per il momento avrebbe fatto meglio ad accantonare per un po’ ciò che era accaduto la sera precedente.
Con movimenti degni di un vecchietto novantenne scese dal letto, ma rimase palesemente sorpreso quando si accorse che stare in piedi non era più così complicato, come lo era stato gli ultimi giorni ed in particolare quello prima. Si sentiva in perfetta forma, se non contava qualche acciacco dovuto all’ultima missione suicida in Canada.
Si stiracchiò e le ossa scricchiolarono, mentre i muscoli si tendevano.
Lo sguardo gli cadde sulla piccola sveglia digitale poggiata sul comodino di fianco il letto. Spalancò gli occhi, quando scoprì che mancava poco più di un’ora a mezzogiorno e lui era ancora in mutande.
Quando diavolo aveva dormito!
Loki!
Incespicò nella divisa nera che aveva abbandonato a terra la sera prima e subito dopo l’afferrò per indossarla.
Corse nel piccolo bagno, ma passando davanti lo specchio appeso sopra il lavello notò un particolare fuori posto.
Tornò a specchiarsi e rimase abbastanza perplesso nel rendersi conto di avere attaccato sulla fronte un post-it giallo fosforescente.
Lo prese e iniziò a leggerne il contenuto.
 
Quando leggerai questo messaggio sarai appena sveglio, quindi …
Buongiorno Capsicle!
Mentre recitavi il ruolo della Bella Addormentata - Nat ha detto che sembravi più un morto, ma sorvoliamo -, noi altri abbiamo sgobbato e alla fine siamo riusciti a portare Loki sulla retta via.
In questo momento - se non è ancora mezzogiorno - il dio complessato e la tua ragazza - Clint ha parlato - sono nella palestra a darsi da fare - tranquillo non in quel senso - perciò datti una mossa e raggiungi Point Break e Legolas che stanno facendo il turno di guardia.

Io volo a prendere alcune cose alla Tower, quindi se vorrai urlarmi in faccia o prendermi a pugni dovrai aspettare mezzogiorno, ora del pranzo strategico - sarebbe una specie di riunione -, perciò cerca di sbollire la rabbia prima dell’incontro.
A dopo, Rogers!
Con tanto affetto,

                                                       Il tuo amatissimo Stark

 
 
Era sempre il solito quell’idiota.
Era meglio poi tralasciare il fatto che si fossero intrufolati nella sua stanza, neanche fossero ladri.
Steve sbuffò, ma le labbra si piegarono in un leggero sorriso.
Attaccò il post-it al vetro dello specchio, si infilò la divisa nera e cercò di rendersi presentabile, anche se i capelli non volevano saperne di tornare al loro posto.
Qualche minuto dopo lasciò la stanza, diretto alla palestra.
Fu mentre percorreva i diversi corridoi, che percepì lo stomaco contrarsi tanto dolorosamente, da costringerlo a piegarsi in avanti.
Ebbe l’assurda sensazione che qualcosa si stesse muovendo violentemente dentro il suo corpo.
Cercò di fare respiri profondi e di mantenere la calma, ma non era affatto facile, dato che credeva di sentir esplodere le proprie interiora da un momento all’altro.
 
“Ehi Steve, ti senti bene?”
La mano di Bruce si poggiò delicatamente sulla sua schiena.
“Aiutami a raggiungere la palestra.”
Banner annuì e Steve si appoggiò a lui.

Qualunque cosa gli stesse accadendo, la risposta era un ragazza dai grandi occhi blu.
 
 
 
                                                          ***
 
 
 
Tutto era accaduto troppo velocemente e Clint non aveva minimamente capito cosa fosse successo, così come Thor, che adesso stava aiutando Loki a rimettersi in piedi.
Il dio dell’inganno era stato sbalzato all’indietro di colpo ed aveva fatto un bel volo, prima schiantarsi sul pavimento.
 
Anthea respirava con fatica e stringeva i denti, come se stesse facendo uno sforzo al di fuori delle sue possibilità.
“Accidenti” sfiatò, cadendo in ginocchio.
“Ti avevo avvertito, Loki, ma tu non mi hai dato ascolto e adesso …”
La ragazza non riuscì a terminare la frase, poiché le parole vennero sostituite da un grido di dolore.
 
Loki, al fianco di Thor, guardava la scena immobile, con sguardo vacuo.
Ciò che aveva visto lo aveva sconvolto abbastanza da ammutolirlo.
Cremisi, erano cremisi.
Appartenevano ad un demone.
Erano simili ai suoi, quando assumeva le fattezze di Gigante di ghiaccio.

 
Anthea gemeva, sofferente.
“Non dovevi disturbalo, dannazione!” gridò con rabbia.
Non poteva permettere di lasciarsi andare o sarebbe stata la fine.
Doveva tenersi tutto dentro, niente poteva venire fuori.
Si morse con forza il labbro inferiore, che pianse gocce di sangue.
Gridò ancora.
Stava per raggiungere il limite, quando un tocco caldo e delicato le accarezzò la schiena tremante.
“Dimmi come posso aiutarti.”
La voce di Steve ebbe lo stesso effetto di un calmante, anche se distorta appena dal dolore che stava provando anche lui.
Mai come in quel momento, la ragazza si maledì per aver creato quel legame tra di loro, perché Steve sarebbe stato costretto a provare dolore ogni volta che il suo spirito fosse stato scosso, proprio come stava accadendo in quel momento.
“Tranquillo, è quasi passato.”
E fu così.
Il dolore si tramutò in un debole formicolio e sia Anthea che Steve poterono tirare un sospiro di sollievo.
 
“Tutto okay, Capitano Rogers?”
“Sì, grazie Bruce.”
Il dottore si aggiustò gli occhiali sul naso e annuì in direzione di Thor, per confermargli che la crisi era passata.

Rogers avvolse un braccio attorno alla vita della ragazza, per sostenerla, dato che faticava a reggersi in piedi.
Nessuno in quel momento riusciva a spiccicare parola.
Le stranezze non facevano altro che aumentare.

“Ehi ragazzi, shawarma per tutti!”
Tony Stark fece il suo ingresso nella sala, con in mano diverse buste contenenti la pietanza di carne mediorientale.
“Cosa sono quelle facce da funerale? Mi sono perso qualcosa?”
Lo sguardo del miliardario cadde su Rogers, o meglio, sul suo braccio stretto attorno i fianchi di Anthea.
“Stark, togliti quell’espressione dalla faccia o giuro che ci penso io a farla sparire.”
“Oh come siamo permalosi, Capsicle.”
 
Quel semplice botta e risposta ebbe un effetto quasi miracoloso sull’atmosfera opprimente che si era venuta a creare.
I volti dei presenti si distesero visibilmente, tranne quello di Loki, l’unico ancora profondamente turbato a causa di cose che tutti gli altri ignoravano.
 
“Che ne dite di andare a mangiare adesso? Si ragiona meglio a pancia piena, no?”
“L’uomo di metallo ha perfettamente ragione.”
“Io ho sempre ragione, Point Break.”
 
 
 
                                                      ***
 
 
 
L’ufficio di Nick Fury era stato momentaneamente trasformato in una mensa, nella quale alleggiava l’odore di shawarma, di cui non era rimasta nemmeno una briciola.
Perfino Loki si era adattato a mangiare quello che per lui non era cibo degno per un dio, mentre ad Anthea la pietanza era parsa la cosa più buona del mondo, dato che era qualche giorno che non mangiava.
Si erano ancora una volta riuniti intorno al grande tavolo circolare per mettere a punto una strategia d’azione.
Ma la domanda che adesso tutti si ponevano era un’altra e riguardava il mutismo di Loki, il quale continuava a lanciare sguardi taglienti in direzione della ragazza paranormale.
 
Fury, l’unico che aveva rifiutato il cibo offertogli da Stark, sbuffò frustrato.
“Allora, volete spiegarmi cosa è successo? Dico a te, Loki.”

Loki rivolse all’uomo uno sguardo agghiacciante, seguito da un ghigno strafottente.
Volevano sapere? Avrebbero saputo, ma solo ciò che Loki avrebbe deciso di rivelare.
 
“Voi umani siete talmente ingenui da farmi quasi pena. La giovane midgardiana è davvero brava a recitare la parte della povera vittima sfruttata. Si sta prendendo gioco di voi, non ve ne accorgete?”
 
Era stato come scagliare una pietra in uno specchio d’acqua all’inizio apparentemente calmo, ma che a causa di quel piccolo corpo estraneo, ora era divenuto agitato e coperto di increspature. Ecco, le parole di Loki avevano sortito lo stesso effetto sulle menti dei Vendicatori, che adesso faticavano a formulare pensieri coerenti.
Ed il fatto che Anthea non parlasse, peggiorava non poco la situazione di pura tensione che si era venuta a creare.
 
“Smettila con i tuoi stupidi giochetti Loki. Lei non sta mentendo.”
Steve si trattenne a stento da saltargli addosso, limitandosi a rivolgergli uno sguardo tagliente ed intenso.

“Parli proprio tu in sua difesa, Capitano? Non ti accorgi che lei ti sta usando? Rispondi a questa domanda. Tu sei consapevole di ciò che adesso si nasconde nel tuo corpo?

Rogers rimase palesemente perplesso, e con la coda dell’occhio cercò il volto di Anthea, che era seduta proprio al suo fianco.
Lo sguardo della ragazza era imperscrutabile.

“Di che cosa stai parlando, piccolo cervo?”
La voce di Stark tradiva un certo nervosismo, nonostante il tono sarcastico.

“La giovane midgardiana afferma di non saper controllare il proprio potere, quando invece riesce a gestirlo perfettamente. Lei ha spostato parte della sua forza nel tuo corpo, soldato.”
Loki fissò lo sguardo negli occhi azzurri di Steve e vi trovò incertezza, poi ghignò, soddisfatto del proprio operato.
 
“Perché l’avrebbe fatto?”
Bruce portò una mano al mento, assumendo un’espressione pensierosa.
Loki si umettò le labbra e gli occhi di ghiaccio brillarono pericolosamente.
“Per lei era impossibile gestire tutto il potere che aveva in corpo, ecco perché lo ha fatto. E adesso, caro il mio soldato, sei costretto a condividere un dolore che non ti appartiene, perché lei è troppo debole per sopportarlo da sola. Ti sta usando perché sei l’unico umano capace di sopportare un tale fardello senza soccombere. Non le importa niente di te e quando sarà pronta, riprenderà ciò che è suo e tu morirai.”
Quelle parole, sostenute da un tono orgoglioso, erano state rivolte a Rogers, che boccheggiò come per trovare una lucidità appena smarrita.
 
“Questo non è vero.”
Anthea si era alzata in piedi e la sedia era caduta all’indietro con un tonfo sordo.
Rivolse a Loki uno sguardo duro ed ostile, mentre i muscoli delle braccia scoperte si tendevano e le mani tremavano di rabbia.

“Cosa esattamente non è vero?” s’intromise Barton, incrociando le braccia al petto e rivolgendo alla ragazza uno sguardo talmente intenso da farle attorcigliare lo stomaco.

Anthea abbassò gli occhi e la rabbia venne sostituita da un forte senso di impotenza, perché Loki non aveva tutti i torti.
Cos’altro aveva visto Loki? Cosa avrebbe potuto usare contro di lei ancora?
“Io ho passato una parte del mio potere a Steve, perché non riuscivo a controllarlo da sola. Ho dovuto, ma-”

“Quindi lo stai usando?”
L’ostilità di Natasha le fece male, tanto quanto gli sguardi diffidenti che sentì appiccicarsi sulla pelle.
Era così facile perdere la fiducia di una persona?
“Io …”
Le parole non venivano fuori, rimanevano intrappolate nella gola.

“Tu cosa?” la incalzò Stark.

Le labbra si dischiusero, ma ancora una volta nessun suono venne fuori.
 
Lo stridio di una sedia contro il pavimento.
Passi veloci e decisi.
La porta che sbatteva con violenza.
Silenzio.
Steve aveva appena abbandonato la stanza.
 
Loki ghignò, pienamente soddisfatto dei risvolti, ma il respiro gli si spezzò, quando una stretta ferrea si chiuse attorno alla sua gola e fu spinto a terra con violenza.
A pochi centimetri dal suo viso c’era quello di Anthea, che riusciva a tenerlo bloccato con il peso piuma del suo corpo, mentre entrambe le mani erano impegnate a strangolarlo.
Gli occhi della ragazza erano diventati talmente scuri da apparire quasi neri e il dio sentì quello sguardo perforargli l’anima.

“Bastardo! Sei un lurido verme!”

La ragazza era accecata dalla rabbia, che continuava a crescere a dismisura, annebbiandole la mente.
Quattro mani le presero le braccia e la staccarono dal collo di Loki, che prese a tossire quando finalmente l’ossigeno tornò ad inondargli i polmoni.
Thor e Clint cercarono di tenere ferma la ragazza, che continuava a scalciare come una disperata, gridando insulti contro il dio che era riuscito a portare il caos in una situazione che fino al giorno prima pareva essersi stabilizzata.
 
“Portatela nella cella anti-Hulk. La terremo lì finché la situazione non sarà chiarita.”
Era stato Fury a parlare.
Barton volse il capo verso Thor, che annuì grevemente.
 
 
Arrivarono davanti una cella identica a quella che aveva ospitato Loki durante il suo primo soggiorno sulla Terra. Era stata ricostruita dopo che era precipitata nel vuoto con all’interno un Thor beffato ed arrabbiato.
Anthea si bloccò ad un passo dall’ingresso di quella grande teca di vetro. Una volta uscita dall’ufficio di Fury, si era lasciata condurre da Thor e Clint fino lì, senza opporre resistenza.
Si voltò a guardare i due Vendicatori.
“A me importa di lui. Mi importa davvero.”
“Mi dispiace giovane midgardiana, ma la difficile situazione ci costringe ad essere cauti. Ma sappi che io non dubito del tutto di te.”

“Dovresti farlo Thor.”
Gli occhi chiari di Clint la studiarono per qualche secondo, poi la ragazza venne fatta entrare nella cella e la porta fu sigillata.
 
Quando rimase sola, Anthea si lasciò cadere in ginocchio. Si prese il viso tra le mani e un singhiozzo le sfuggì dalle labbra.
Ma non pianse.
Imbrigliò le emozioni per non rischiare di perdere il controllo.
“Mi dispiace.”
Sperò che Steve l’avesse udita, ma non ottenne risposta.
 
 
 
                                                     ***
 
 

Le ore erano trascorse tra discussioni, imprecazioni, sfuriate e Stark aveva abbandonato l’ufficio di Fury, prima che la situazione degenerasse completamente, seguendo l’esempio di Bruce, che li aveva salutati già tempo prima.

Ormai era il tramonto.
Lo trovò in uno dei tanti corridoi che percorrevano l’Helicarrier, seduto a terra e con la schiena appoggiata alla parete. Le gambe piegate e leggermente divaricate, i gomiti poggiati sulle ginocchia ed il viso nascosto tra le mani.
Lo raggiunse, sedendosi al suo fianco.
Steve non si mosse e arrivò a pensare che nemmeno lo avesse sentito.
 
“Riguardo Loki, non dirò te lo avevo detto. Dato che sei già abbastanza distrutto, non mi sembra il caso di infierire ulteriormente.”
Fece una pausa e si preoccupò non sentendo arrivare alcun tipo di risposta da parte dell’altro, dopo quella piccola provocazione.
Ma non si diede per vinto.
“Andiamo Rogers, sappiamo tutti che Loki gode nel guardarci mentre ci scanniamo. Non possiamo prendere per vero quello che ha detto.”

“Lei non ha risposto.”
La voce di Steve era ovattata, poiché teneva ancora il viso nelle mani.

“È un bel casino, vero?”
Rogers, finalmente alzò il capo e si voltò a guardarlo.
“Sì, Stark, lo è. Io non so più cosa pensare.”
Tony gli diede una pacca sulla spalla.
“Non pensare. Agisci.”
Steve scosse il capo, sospirando appena.
“E cosa dovrei fare, secondo te?”
“Prima di tutto alzare il tuo patriottico sedere, perché sembri uno sfollato a cui hanno appena confiscato la casa.”
“Questa non faceva ridere.”
“A te non fa ridere niente, mio caro Capitan TiPregoStarkVieniASalvarmi America.”
Steve alzò un sopracciglio, perplesso.
“Io non ho mai pregato il tuo aiuto, Stark.”
“Sicuro? Ho un messaggio registrato.”
Tony ghignò e Rogers spalancò gli occhi, quando il ricordo si fece nitido nella sua memoria.
“Era un’emergenza.”
“Oh sì, lo era.”
Il miliardario gli fece l’occhiolino e poi si rimise in piedi.
Steve lo imitò, ma quando tornò a guardare il compagno, rimase spiazzato dall’espressione allarmata sulla sua faccia.
Tony stava guardando un punto alle sue spalle, perciò si voltò per scoprire cosa lo avesse turbato.

“Stark, non c’è niente.”

“L’ombra.”

Steve corrugò la fronte.
“Cos’ha che non va la mia ombra?”

Stark deglutì.
“Non è la tua ombra, Cap. Le nostre sono sul pavimento.”
 
Steve constatò la verità di quell’affermazione, guardando in basso.
“Maledizione.”
Quando si voltò nuovamente verso la stranezza, non fece in tempo nemmeno ad accorgersi che la massa nera si era mossa.
Una mano nera come le tenebre si strinse intorno alla sua gola, bloccandogli il respiro.
 
 
 
 
 
 
Note
Ciao a tutti!
Ecco il nuovo capitolo, che precede l’azione dei prossimi.
Spero vi sia piaciuto e se qualcosa non vi è chiaro non dovete far altro che chiedere!
Ringrazio tutti coloro che continuano a seguirmi.
E grazie a chi continua a recensire questa storia <3
Un abbraccio e alla prossima!

Ella

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Capitolo 13
*** Sotto Attacco ***


Sotto Attacco

Se si prestava la giusta attenzione e si tendeva bene l’orecchio, si potevano percepire le sinapsi di diversi cervelli che lavoravano assiduamente alla ricerca di uno stereotipo di soluzione per quella situazione che continuava a sfuggire loro di mano, rendendoli dannatamente vulnerabili.
Il ticchettio delle unghie di Natasha che battevano ritmicamente sulla superficie metallica del tavolo, scandiva il passare dei secondi come la lancetta di un orologio.
Le ipotesi più svariate venivano formulate e scartate subito dopo, poiché ritenute inefficienti. Questo processo non faceva altro che accrescere un senso di inquietudine e di nervosismo, dovuto alla consapevolezza di essere in completo svantaggio rispetto al nemico.
Se i Demoni della Notte sapevano ogni cosa dello SHIELD, lo SHIELD non sapeva nulla di questa congregazione fantasma, nata e sviluppatasi al suo interno, come un cancro che a lungo andare avrebbe portato alla distruzione del corpo in cui aveva messo radici.

La vena sul collo di Nick Fury era ancora gonfia, segno che la rabbia e la tensione non erano ancora state del tutto sbollite dopo le ore trascorse tra imprecazioni, insulti e risse mancate per un soffio.
Era stato Stark a placare la tempesta nata dal momento in cui Loki aveva deciso di mettere loro la pulce nell’orecchio.
Il miliardario aveva abbandonato la stanza, divenuta all’improvviso una specie di tribunale, affermando che era inutile continuare a discutere quando ci si basava su considerazioni personali e non su fatti concreti.
Chi fosse, o meglio, cosa fosse Anthea non potevano saperlo ed era inutile tirare ad indovinare. Non aveva senso nemmeno addossare alla ragazza il ruolo del cattivo di turno, basandosi solo sulla lingua velenosa di Loki, che si ostinava a rimanere in silenzio e con un fastidioso ghigno stampato in faccia.

“Continuiamo a farci gli sgambetti tra di noi. Praticamente ci affondiamo da soli, senza l’aiuto di fattori esterni. Come possiamo anche solamente pensare di combattere contro qualsiasi nemico, se prima non esorcizziamo i demoni che ci sono all’interno del nostro gruppo. Sono consapevole di essere la persona meno indicata per sostenere un discorso sul lavoro di squadra, ma accidenti! Siate ragionevoli e smettetela di puntare il dito, dato che non abbiamo alcuna prova sulla colpevolezza della ragazza.”
Pronunciate queste parole, Stark si era dileguato, lasciando dietro di sé un silenzio tombale e l’invito a riflettere attentamente su tutto quello che era accaduto e stava accadendo.

Ma nonostante tutto, ognuno dei Vendicatori si domandava se fosse stata una mossa opportuna portare Anthea con loro.
La ragazza era un fantasma apparso dal nulla.
Poteva essere chiunque e qualunque cosa.
Natasha sapeva perfettamente quanto fosse facile fingere essere qualcun altro, vestire i panni di una persona diversa e nascondere chi si era davvero. Lei lo faceva ogni giorno e non solo per quello che era il suo lavoro, ma soprattutto perché fingere era divenuta una delle sue migliori difese contro il mondo esterno, fin da bambina.
Era stata fino in fondo se stessa qualche volta? Sì.
Il suo sguardo si spostò sulla figura dell’uomo di fronte a lei e come sempre vi trovò l’amata sensazione di sicurezza.
Gli occhi chiari di Clint erano un appiglio saldo a cui aggrapparsi in ogni situazione, in ogni luogo e in ogni tempo.
Quelle iridi aveva creduto di non rivederle più qualche tempo prima, ovvero quando erano state celate dal potere alieno del Tesseract. La patina blu elettrico, appiccicata come una lente agli occhi del compagno, le aveva portato via l’unica sicurezza e l’unico appoggio esterno su cui avrebbe sempre potuto contare e di cui mai avrebbe potuto fare a meno.
Forse era proprio per questo che dopo l’attacco dei Chitauri si era allontanata progressivamente da Clint.
Aveva assaggiato la perdita di una persona amata ed era nata in lei la consapevolezza di non essere pronta ad affrontare un tale dolore.
L’unica soluzione per evitare una tanto grande sofferenza, era quella che escludeva ogni tipo di legame profondo. Ma per la Romanoff non era facile nemmeno evitare di legare, dato che da quando conviveva con i Vendicatori non poteva non ammettere di sentirsi finalmente a casa.

Clint doveva essersi accorto del suo sguardo insistente, perché alzò il capo e Natasha si ritrovò a guardare i suoi stessi occhi verdi specchiati in quelli chiari dell’uomo.
Barton le regalò un fievole sorriso.
Lei socchiuse le belle labbra carnose, ma le richiuse subito dopo, consapevole che no, non era il momento di lasciarsi andare.

“Ci sono proposte?”
La voce di Fury richiamò tutti i presenti alla realtà.

Il silenzio che seguì la domanda non fu affatto confortante.



                                                      ***



L’ombra possedeva in tutto e per tutto tratti umani.
Era alta e possente. Si potevano scorgere i muscoli delle braccia gonfiarsi, mentre erano impegnati a strangolare la vittima intrappolata in quella morsa fatale.

Steve fissava con occhi sgranati il volto nero come le tenebre a un palmo dal suo naso, non trovandovi alcuna espressione.
Non aveva occhi e non aveva bocca, solo la curva di quello che doveva essere un naso.
Con entrambe le mani afferrò il polso dell’ombra e tentò di staccare quelle dita lunghe e fredde dal proprio collo, consapevole che la mancanza d’aria gli stava facendo perdere lucidità secondo dopo secondo.
Il mostro pareva essere fatto di pietra e nonostante gli sforzi, Steve non riuscì a smuoverlo nemmeno di un millimetro.
Dischiuse le labbra in cerca di aria.
Le tempie avevano cominciato a pulsare dolorosamente, le forze vennero meno e la vista divenne sfocata. Chiuse gli occhi.
Le braccia ricaddero mollemente lungo i fianchi e le gambe cedettero.

L’ombra sollevò il Capitano di qualche centimetro da terra e strinse maggiormente la presa sulla sua gola.

Un fischio venne seguito da un luce azzurrina.
L’ombra mollò la presa sulla sua vittima e indietreggiò sotto l’attacco dei fasci di energia, provenienti dai guanti dell’armatura di Iron Man.
Tony Stark, al fianco del suo gioiello tecnologico, osservò l’ombra sciogliersi e trasformarsi in una macchia nera sul pavimento.
L’armatura cessò l’attacco e Tony raggiunse Rogers, che goffamente tentava di rimettersi in piedi.

“Ehi Cap, tutto okay?”
“Sì, sto bene.”
La voce di Steve era rauca.
Stark osservò il viso del soldato riacquistare un po’ di colore, mentre sul collo diventavano sempre più evidenti le ecchimosi dovute al tentato strangolamento.
Per fortuna, quella stessa mattina, il miliardario era tornato alla Tower per prendere e trasportare sull’Helicarrier un paio delle sue armature, tra cui quella che adesso era immobile alle sue spalle, la quale era attivata dai braccialetti che portava ai polsi e, in mancanza del pilota, veniva controllata da JARVIS.

“Che cos’era?”
“Non ne ho la minima idea, Rogers.”

I due Vendicatori rimasero ad osservare la pozza scura ai loro piedi, simile ad una macchia d’inchiostro.
“Dovrò prenderne un campione per analizzarlo.”
“Aveva una forza impressionante ed era dura come il marmo.”
Tony si voltò a guardare il compagno e lesse in quegli occhi azzurri la stessa agitazione che lui stesso sentiva muoversi nello stomaco.
“Stai pensando la stessa cosa, vero?” indagò Stark, tornando a concentrarsi su ciò che era rimasto dell’ombra.
“Ce ne sono altri.”
Tony annuì solamente.

Un’esplosione fece vibrare l’intera struttura sospesa nel cielo.
Il suono acuto dell’allarme generale raggiunse ogni angolo dell’Helicarrier e dopo qualche minuto si interruppe bruscamente.

Steve e Tony si scambiarono uno sguardo d’intesa.
Erano sotto attacco.
Naturalmente, il nemico si era premurato di eliminare ogni possibilità di comunicazione a distanza, visto che le ricetrasmittenti non davano segni di vita.

“Dividiamoci.”

Stark sollevò un sopracciglio, perplesso.
“Aspetta un attimo. Dove vuoi andare?”

Rogers si passò una mano sul collo, sentendo il dolore riaccendersi al tocco delle dita.
“Raggiungerò Anthea, mentre tu correrai dagli altri per informarli dell’entità del nemico, se ancora non hanno avuto la sfortuna di incontrare uno di questi.”
Con un cenno del capo indicò la macchia nera.

Tony spostò il peso da un piede all’altro, sospirando.
Si fidava di Capitan America e gli avrebbe affidato la vita, ma in quel momento era consapevole di non poter contare su un lucido Steve Rogers, che nonostante tutto non riusciva a rimanere obbiettivo di fronte alla ragazza paranormale.
Per quello che ne sapevano, Anthea avrebbe potuto controllare il Capitano o avrebbe potuto ucciderlo nel tentativo di riprendere il potere che aveva nascosto all’interno del suo corpo.
Lasciarlo andare era un rischio e Stark - uno che attaccava prima di pensare - non se la sentiva di correrlo, poiché la posta in gioca era troppo alta.
Non poteva - non voleva - stare a guardare Rogers camminare tra le braccia della morte, per l’ennesima volta.
Tre giorni, tre miseri giorni e Capitan America aveva rischiato la pelle troppe volte.
Stark - non lo avrebbe mai ammesso naturalmente - sentiva una piccola ma affilata puntina di senso di colpa raschiargli lo stomaco, perché aveva lasciato che Rogers combattesse da solo contro il nuovo nemico, spuntato all’improvviso come uno schifosissimo e fastidiosissimo brufolo. Certo, Capsicle era stato più freddo che mai nei suoi confronti, ma lui avrebbe dovuto dubitare maggiormente, avrebbe dovuto capire che c’era qualcosa che non andava e che quel qualcosa non aveva a che vedere con il caratterino del patriottico soldato.

Steve era ancora lì, di fronte a lui, in attesa di parole che faticavano ad arrivare. L’azzurro dei suoi occhi fremeva, riflettendo l’impazienza di muoversi, di raggiungere quella che era divenuta la causa dei loro problemi.
Una ragazza pericolosa quanto straordinaria, oscura quanto luminosa.
E Stark capì che, qualunque cosa avesse detto o fatto, non sarebbe riuscito a fermare il Capitano.

“Lo scudo, Rogers. Vai a prenderlo.”
Steve sorrise leggermente e poi diede le spalle al compagno.
“Sì, Stark, farò attenzione” disse, prima di scattare, lasciando il miliardario con la bocca aperta e le parole incollate sulla lingua.
Non gli poteva nascondere più nulla. Rogers gli leggeva dentro come pochi sapevano fare, era quasi ai livelli di Pepper.

“Fa’ attenzione o giuro che ti prendo a calci” sussurrò, con lo sguardo fisso nel punto in cui Steve aveva svoltato l’angolo.

Tony allargò le braccia e sorrise, percependo l’adrenalina inondargli le vene.
“JARVIS, l’armatura.”
Pochi istanti e Iron Man era pronto all’azione.

Nessuno si accorse, però, che la macchia nera era strisciata via, seguendo i passi di Rogers.



                                                         ***



Seduta con le spalle poggiate alla parete di vetro, fissava da un tempo indefinito il vuoto davanti a sé.
Cercava di ignorare la vocina cantilenante nella sua testa, la quale continuava a farle notare che si trovava nuovamente rinchiusa in una gabbia a causa degli umani.
La credevano un mostro e forse non sbagliavano più di tanto e lei aveva cominciato a credere che fosse vero.
Sentiva un vuoto nel petto e nello stomaco dall’istante in cui Steve le aveva rivolto quello sguardo, prima di abbandonare la stanza.
Gli occhi azzurri le erano apparsi un mare in tempesta e lei si era sentita affogare, l’aria era venuta a mancare e lo stomaco si era attorcigliato su sé stesso, facendole male.
Rabbia, delusione e … paura? Era ciò che aveva scorto nel cuore del ragazzo e che di riflesso lei stessa aveva provato a causa del legame, legame adesso profondamente danneggiato, tanto che non riusciva più a percepire l’altro. Buio totale.

Sì, aveva passato parte del suo potere a Steve, ma lo aveva fatto perché era l’unica persona al mondo di cui si fidava, anche se non lo conosceva affatto e nonostante appartenesse al genere umano.
Le ispirava protezione e calma, la faceva sentire al sicuro e lei seguiva la scia di quelle bellissime sensazioni, inebriandosi del loro effetto miracoloso.
Dal momento in cui aveva condiviso il proprio potere, si era sentita più leggera e soprattutto padrona di sé stessa.
Condividere quell’enorme fardello che portava dentro dalla nascita, le aveva dato la possibilità di assaporare uno stereotipo di libertà, poiché le catene oscure intorno alla propria anima erano divenute meno spesse.

Il materializzarsi di una presenza distrusse quello stato di alienazione in cui era precipitata, riportandola alla realtà.
Il cerchio dorato attorno la pupilla brillò, creando un intenso contrasto con l’iride blu notte e riflettendo l’eterna lotta tra luce e buio consumata nel proprio animo.
Fece leva sulle braccia e si rialzò, fronteggiando il nuovo arrivato.

“Tu” soffiò, astiosa.
“Capisco che avresti preferito qualcun altro, ma dovrai accontentarti.”
“Sei un bastardo, Loki.”

Sul viso del dio si dipinse un sorriso agghiacciante, ma Anthea non ne fu minimamente turbata, data la rabbia che le offuscava i sensi in quel momento.
Avrebbe voluto prenderlo a pugni, ma sarebbe stato inutile, dato che quello davanti a lei non era altro che una specie di ologramma creato dal dio e arrivato a lei all’insaputa di tutti.
Anthea sbuffò esasperata.
“Perché lo hai fatto? Cosa ci hai guadagnato?”
“Io sono il Dio del Caos, mia cara.”
“Quindi agisci in virtù di un titolo che ti è stato affibbiato. Ti credevo più intelligente, ma a quanto pare non sei altro che un folle esaltato.”
Il sorriso di Loki si spense, lasciando spazio a un’espressione furente.
“Non permetterti di giudicare le mie azioni, piccola sfrontata.”
“Tu hai giudicato le mie, facendomi apparire agli occhi di tutti una sporca traditrice.”

Ci fu un momento di silenzio, teso e tagliente.

“Osservare quegli idioti litigare è divertente.”
Loki ghignò, ma i suoi occhi di ghiaccio trasmettevano insicurezza, derivata dalle parole della ragazza.
“Che cosa hai visto?”
“E questo cambio repentino di discorso a cosa lo devo?”
Anthea scosse il capo, sorridendo amaramente.
“Perché devi per forza comportarti da stronzo, perché per una volta non provi a …”
Le parole le rimasero impigliate alla lingua.
“A fare cosa? Collaborare? Essere buono e giusto?” sputò il dio, dandole le spalle e allacciando le dita dietro la schiena.
“A seguire le tue emozioni, fregandotene di quello che pensa chi ti sta intorno. Tu non odi Thor, come non odi i suoi compagni. Sei arrabbiato con te stesso e rifiuti ogni mano tesa verso la tua persona, perché pensi di non esserne degno, perché vuoi affogare da solo nel dolore, nascosto dagli occhi di tutti. E adesso celi le tue debolezze dietro una maschera fatta di tagliente sarcasmo e cattivo agire. Ti stai aggrappando a questo titolo, Dio del Caos, perché non riesci a trovare il vero te stesso e-”

“Basta così! Smettila! Le tue sono parole vuote.”
Loki si voltò a guardarla, rivolgendole un’occhiata carica di rabbia ed impotenza, perché lei lo aveva smascherato, lo aveva messo a nudo.

“Sei entrato dentro di me. Dovresti essere a conoscenza delle mie capacità.”

Tutto, fuori e dentro di lui, crollò come un castello di carte e Loki si ritrovò a sospirare stancamente, privo della voglia di cercare nuove parole cattive e taglienti da rivolgere a quella ragazza, che era riuscita ad ammutolirlo schiaffandogli in faccia una realtà che credeva ben nascosta dietro il suo sguardo di ghiaccio e i suoi sorrisi accattivanti.

Lei ti leggeva l’anima. A lei non potevi nascondere nulla.

Loki, però, poteva ripagarla con la stessa moneta.
Una verità altrettanto dura e scioccante.
La guardò negli occhi, mentre riduceva la distanza tra di loro a un singolo e insignificante passo.
“Cosa ho visto? Ho visto un demonio muoversi nelle tue viscere. Ho sentito sangue e morte, mischiati a dolore e paura. Ho percepito un potere talmente grande da incutere terrore. Saresti degna del tuo popolo, il quale, sfortunatamente, non verrà mai a conoscenza del gioiello che ha partorito su questo pianeta.”

Anthea smise di respirare.
Il cuore prese a batterle forsennatamente contro il petto.
Gli occhi si spalancarono e le iridi divennero vitree.
“Il mio popolo” balbettò, con voce bassissima.

L’espressione di Loki rimase imperscrutabile davanti alla reazione della giovane, che si stringeva nelle spalle nella speranza di poter sparire.
Era così piccola ed indifesa adesso.
Eppure, il dio non provò né piacere né soddisfazione, consapevole di ciò che si provava quando si veniva a conoscenza di non essere quello che si credeva.
Lui aveva creduto di essere un asgardiano, quando invece era uno jotun.

Una violenta vibrazione scosse l’Helicarrier ed Anthea dovette appoggiarsi alla parete di vetro per non cadere.
L’ologramma di Loki vibrò.
L’allarme generale risuonò con forza e poi si interruppe bruscamente.

“Abbiamo visite a quanto pare.”
“Sono qui per me” sussurrò la ragazza.
“Dovresti trovare un modo per …”

Anthea poggiò l’indice destro sulla parete della cella e da quel punto crebbe un’intricata ragnatela di incrinature.
Pezzi di vetro si staccarono dalla struttura madre, librandosi in aria, all’esterno della prigione. Frammento dopo frammento, venne a crearsi una falla e la ragazza fu libera dalla prigionia.
Una volta uscita, i pezzi di vetro rimasti sospesi in aria tornarono al loro posto e richiusero l’apertura.
L’immagine di Loki all’interno della teca trasparente le rivolse un cenno di saluto e poi scomparve.

Si sarebbe riscattata.



                                                  ***



Con lo scudo sulle spalle percorreva i corridoi di grigio metallo, andando completamente controcorrente all’afflusso di soldati che si dirigevano verso la sala di comando, dove molto probabilmente i nemici erano riusciti ad infiltrarsi.
Anche lui si sarebbe buttato nella mischia, ma solo dopo aver raggiunto Anthea, per controllare che fosse ancora nella cella.
Per essere sicuro che lei fosse innocente.

Spari e grida di dolore riecheggiarono appena più avanti, dietro l’angolo che formava il corridoio nello svoltare a sinistra.
Steve rallentò il passo e afferrò la scudo, portandoselo avanti, all’altezza del petto, mentre si accostava con le spalle alla parete di sinistra. Si fermò nel punto in cui la parete formava l’angolo retto e sporse il viso quel poco che bastava per buttare l’occhio nel punto da cui provenivano le grida.
Il sangue gli si gelò nelle vene, quando si trovò ad osservare l’ombra che affondava le sue lunghe dita nello stomaco di un agente, il quale stringeva in mano una pistola ancora fumante.
L’uomo si accasciò al suolo e spirò, andando ad aggiungersi agli altri sei agenti che già giacevano a terra senza vita.

Rogers venne accecato dalla rabbia e si lanciò a capofitto contro l’ombra, colpendola al volto con un gancio destro spacca mandibola, mentre stringeva lo scudo nell’altra mano. 
Era come colpire la pietra e per un uomo normale sarebbe stato impossibile anche solo scalfirla, ma Capitan America aveva una forza straordinaria e questa volta non avrebbe lasciato che quel mostro lo predesse alla sprovvista.
Si tirò indietro, ma solo per caricare un destro diretto all’addome dell’ombra, che emise un rantolo soffocato.
Steve ignorò il dolore alle nocche e piazzò un altro pugno nel punto in cui un uomo possiede lo stomaco.
La creatura si piegò su sé stessa e camminò all’indietro per sfuggire all’ennesimo colpo del Capitano.

Rogers osservò compiaciuto le crepe aperte sull’addome dell’ombra.
Lanciò di lato lo scudo, scattò in avanti e con un balzo si ritrovò sulle spalle del mostro oscuro, il quale era ancora incredulo ed intontito dall’attacco ricevuto.
Gli passò un braccio sotto il collo e l’altro dietro la nuca, per poi iniziare a torcergli il collo.
L’ombra reagì conficcando le unghie appuntite come coltelli nei quadricipiti del super soldato, mentre si dibatteva tra una parete e l’altra del corridoio per levarselo di dosso.
Steve cacciò un grido di dolore nel percepire quelle dita fredde affondargli nella carne, ma non mollò la presa. Torse con tutta la forza che possedeva il collo della creatura, ignorando anche i continui urti contro il muro.
Il suono della pietra che si sgretola, si frantuma, si spezza e la testa fu separata dal resto del corpo.
Steve si lanciò all’indietro con un’agile capriola e atterrò perfettamente in piedi. Una piccola smorfia gli increspò le labbra a causa del dolore alle gambe ferite.
Osservò il corpo dell’ombra giacente a terra, immobile. Esso cominciò a liquefarsi e allo stesso modo la testa. Pochi attimi dopo, Steve si ritrovò a fissare una pozza densa e nera a un passo da sé.
Non si concesse il privilegio di sospirare, conscio che non poteva essere finita così facilmente. Ed infatti, la macchia prese a gorgogliare e poi il liquido schizzò in alto, ricreando il corpo alto e possente dell’ombra, che riacquistò velocemente la consistenza del marmo.

Steve lanciò un’occhiata alla sua destra, dove giaceva lo scudo lanciato poco prima, poi tornò a concentrarsi sul nemico.
Era pronto per un nuovo assalto, ma qualcosa d’improvviso sconvolse i suoi piani.
Due braccia oscure lo avevano circondato da dietro, bloccandogli ogni possibile movimento.
Steve strinse i denti nel momento in cui quell’abbraccio imprevisto prese a stritolarlo con violenza.
Quella alle sue spalle, era l’ombra che aveva cercato di strangolarlo.

Purtroppo i suoi sospetti e quelli di Tony erano fondati.
Ce n’erano altre. Ma quante?

L’altra ombra, intanto, gli stava venendo incontro e Rogers osservò con orrore le lunghe dita prendere la forma di punte acuminate, pronte a dilaniargli la carne.
Spinto dall’adrenalina e dallo spirito di sopravvivenza, tentò di liberarsi dalla stretta opprimente, spingendo le proprie braccia verso l’esterno, contro la forza esercitata da quelle della creatura.
L’ombra precedentemente decapitata era ormai a un passo da lui e si preparava ad infilzarlo con brutalità.
Steve osservò la mano armata lanciarsi verso il suo addome, ma nell’ultimo istante fece forza sulle gambe e rivoltò la situazione, facendo sì che le dita acuminate si piantassero nella schiena dell’ombra che lo teneva da dietro, la quale emise un verso stridulo e lo lasciò andare.

Rogers fu velocissimo.
Afferrò lo scudo e si lanciò verso uno dei corpi degli agenti uccisi, da cui prese una granata che lanciò contro le due creature oscure.

L’esplosione gli regalò un bel volo, terminato contro una parete.



                                                    ***



“Devo portarti fuori da qui.”

Natasha lo afferrò per un braccio e se lo trascinò dietro.

“Potreste avere bisogno di-”
“Andiamo, Bruce. Non possiamo rischiare di colare a picco.”
Banner rise tristemente.
“Quanta fiducia.”

Quelle parole bloccarono la Vedova a pochi passi dal jet che li avrebbe condotti fuori dall’Helicarrier.
Gli rivolse uno sguardo carico di emozioni contrastanti ed intense, ma non trovò le parole adatte, perciò si limitò a boccheggiare.
Bruce le mise le mani sulle spalle e scosse piano il capo.
Intorno a loro decine di agenti correvano veloci da tutte le parti, alcuni jet si preparavano al decollo ed altri erano già partiti per combattere le forze nemiche nel cielo.
I jet dei Demoni della Notte stavano volando intorno l’Helicarrier come avvoltoi, pronti a lanciarsi sulla preda.

“Andiamo” disse il dottore, staccandosi da lei e dirigendosi verso il velivolo che li attendeva.
Natasha fece per seguirlo, ma un enorme sagoma oscura le impedì di proseguire, piazzandosi proprio davanti a lei.
La donna sgranò gli occhi nel contemplare quella figura fuoriuscita dalle favole che venivano raccontate ai bambini sull’uomo nero nascosto sotto i letti o nell’armadio. Mise mano alla pistola, ma la creatura fu più veloce e la colpì con un pugno nello stomaco, costringendola in ginocchio.
La Vedova tossì, sconvolta da quel colpo duro quanto la pietra.
L’ombra torreggiava ora su di lei, pronta a infliggerle nuovo dolore. Le piazzò un calcio sul fianco, bloccandole nuovamente il respiro e facendola crollare completamente a terra.

La Romanoff sentì la paura invaderle lo stomaco.
Come quella volta. Quando lui si era trasformato.

Il ruggito mostruoso di Hulk fece vibrare l’intera struttura volante.



                                                    ***



Le orecchie fischiavano ancora, ma i suoni, seppur attutiti, raggiungevano i suoi timpani provati.
Correva a perdifiato per i corridoi ormai deserti, gettandosi ogni tanto qualche occhiata alle spalle per essere certo che le ombre non lo stessero seguendo.
Non sapeva se l’esplosione le avesse uccise definitivamente, ma aveva preferito non rimanere a controllare.
Era quasi arrivato, mancava poco.

Quando raggiunse la prigione di vetro percepì il respiro bloccarsi.
Lei non c’era.
La cella era completamente intatta.

E se Loki avesse avuto ragione? Se Anthea avesse mentito per tutto il tempo, fingendo di essere dalla loro parte, quando invece non aveva aspettato altro che il momento per pugnalarli alle spalle?
Non poteva, non voleva crederci.

Lasciò cadere lo scudo ai suoi piedi, esausto.
“E adesso?” sussurrò, come sperando che qualcuno gli rispondesse.

Il rumore di passi pesanti richiamò la sua attenzione.
“No, ancora no.”
A quanto pareva, l’esplosione non le aveva ammazzate.
Le due ombre erano perfettamente intatte e pronte ad avventarsi su di lui con brutalità.
Una della due scattò velocissima e lo colpì in pieno petto con un pugno.
Steve parò il secondo affondo con gli avambracci e tentò di contrattaccare, ma anche l’altra ombra prese parte allo scontro, afferrandolo per un braccio e lanciandolo contro la teca di vetro.
Rogers cercò di alzarsi il più velocemente possibile, ma non lo fu abbastanza per evitare che le ombre gli fossero già addosso.
Le creature cominciarono a tempestarlo di calci, impedendogli di reagire.
I colpi si susseguivano rapidi, precisi e violenti.
I tentativi del Capitano di sfuggire a quella tortura furono vani e alla fine si arrese, incassando i colpi senza opporre resistenza.
Stava per perdere conoscenza, quando una luce arancione seguita da un tenue calore sembrò bloccare l’assalto delle ombre.
Steve si tirò su, digrignando i denti e facendo forza sulle gambe malferme ma ancora in grado di sostenerlo.

E lei era lì, come un provvidenziale angelo custode.

Anthea aveva trapassato con l’intero braccio la schiena di un’ombra. Il pugno chiuso, fuoriuscito dall’addome della creatura, era avvolto da piccole fiamme danzanti.
La ragazza tirò il braccio indietro, osservando compiaciuta il buco che sfigurava il corpo dell’ombra, la quale stava tremando visibilmente.
L’altra, intanto, aveva sfruttato l’occasione per attaccare la nuova arrivata, che tuttavia non si fece prendere alla sprovvista.
La giovane parò con una mano il pugno del mostro oscuro, mentre l’altra veniva avvolta da lingue infuocate e scattava verso il petto del nemico, che venne trapassato da parte a parte.
Poi Anthea diede libero sfogo alla rabbia, colpendo le creature con una forza tale da frantumare i loro corpi di pietra.

Steve osservò il corpo della ragazza muoversi con eleganza, precisione e potenza e ne rimase ammaliato, poiché fino ad allora mai avrebbe immaginato di incontrare una donna superiore alla Vedova Nera.
Ma a differenza della spia, la quale combatteva con calcolata freddezza, la giovane si lasciava facilmente trasportare dalle emozioni e ciò, prima o poi, le sarebbe stato fatale.
Combattere con la mente offuscata era come combattere da ciechi.

Anthea si bloccò ad osservare il proprio operato.
Un’ombra era in ginocchio, priva di una gamba e di una mano, mentre l’altra era ancora in piedi, ma era stata privata delle braccia. Entrambe erano ricoperte di crepe e tremavano.
La ragazza avvicinò le mani davanti al proprio petto e tra di esse iniziò a prendere forma una sfera di fuoco, che diveniva tanto più grande quanto i palmi venivano allontanati tra loro.
Quando le braccia furono parallele, Anthea rivolse i palmi in avanti e la sfera infuocata prese la forma di un’onda che investì le creature oscure, avvolgendole completamente.
Le ombre emisero versi acuti e si trasformarono in polvere.

Steve, rialzatosi, rimase immobile a fissare la ragazza, spiazzato da ciò che si era consumato davanti ai suoi occhi.
“Come? Cosa?” balbettò, senza tuttavia riuscire a formulare un pensiero completo e sensato.
Anthea si mosse verso di lui, ma si bloccò mantenendo una certa distanza tra i loro corpi, spaventata dall’evenienza di essere respinta.
“Sono le anime di coloro che in vita si macchiarono di gravi peccati, richiamate dalla magia oscura. Sono di pietra, come di pietra furono i loro cuori e sono fredde poiché furono incapaci di provare compassione, amore e tutti quei sentimenti che donano calore agli uomini. Possono essere distrutte solo se avvolte dalle fiamme. Non chiedermi come faccio a saperlo, perché non ne ho idea. Lo so e basta.”
L’Altra lo sapeva e da lei lo aveva inconsciamente appreso.

Rogers metabolizzò con fatica quelle informazioni e deglutì un groppo amaro formatosi nella gola.
“Come fai a-”
Questa volta fu lei a bloccarlo con un lieve gesto della mano.
“Posso fare cose che nemmeno immagini, Steve. Controllare gli elementi è un’altra delle capacità che anni fa ho scoperto di possedere.”

La ragazza azzardò qualche altro passo verso di lui, titubante.
Steve notò che non riusciva a staccare gli occhi dal suo collo, ricoperto da segni lividi.
“Non voglio chiederti di fidarti di me, ma almeno lascia che lotti al tuo fianco, lascia che rimedi a questo disastro. Loro non si fermeranno, Steve.”
Il Capitano guardò Anthea intensamente, cercando di trovare in quegli occhi bui segni di menzogna ed inganno, ma vi trovò solo determinazione e una scintilla di rabbia.
“È vero quello che ha detto Loki? Stai usando il mio corpo e poi-”
“No!” lo interruppe bruscamente lei.
La ragazza distrusse completamente la distanza tra di loro e pose la mano destra sul petto del soldato, nel punto in cui il cuore stava battendo freneticamente.
“In te c’è una parte di me, è vero. Ma mai tenterò di farti del male e giuro che avrai le spiegazioni che meriti. Adesso dobbiamo raggiungere gli altri, prima che le ombre facciano loro del male.”
Per Rogers, era come ricevere secchiate d’acqua gelata una dietro l’altra, senza avere mai il tempo di riprendersi.

Inaspettatamente, Anthea allungò una mano e con le dita sfiorò le ecchimosi sul collo del super soldato.
“Cosa ti hanno fatto quegli esseri.”
Nella voce c’era rabbia e negli occhi sete di vendetta.

Un ronzio si intrufolò nell’orecchio di Steve, mandando in frantumi il silenzio venutosi a creare.
La ricetrasmittente aveva appena ricominciato a funzionare e c’era solo una persona in grado di compiere simili miracoli tecnologici.
 
 
“Vendicatori, qui parla Iron Man. Le comunicazioni tra di noi sono funzionanti, quindi vediamo di darci da fare per prendere a calci il nemico. Ci vediamo al centro di controllo della base. Passo e chiudo.”

“Qui Rogers. Messaggio ricevuto. Arriviamo.”

“Da quell’arriviamo devo dedurre che ti trovi in dolce compagnia, Cap.”

“Non fare il cretino Stark.”

“Ragazzi abbiamo un problema. Uno grosso e verde. Mi trovo al centro di decollo dei jet.”
La voce della Vedova Nera risuonò affaticata e velata da una leggera ironia, perfetta per cercare di sdrammatizzare la grave situazione.

“Oh no, non dirlo” piagnucolò Tony.

“Qui Barton. Nat sto arrivando, sono vicino. C’è anche Thor con me. E Loki.”


Steve raccolse lo scudo e se lo mise in spalla.
“Andiamo, allora.”
Anthea sorrise.
“Sono pronta.”



                                                  ***



Il centro di controllo godeva di una visione panoramica del cielo, grazie alla presenza della parete trasparente che dava sulla prua della base volante.
La sala era piena di computer, tutti fra loro collegati e in grado di controllare ogni singolo elemento della struttura.

Nessuno sapeva come fossero riusciti ad infiltrarsi o da dove fossero entrati. L’unica cosa certa era che decine di soldati erano dilagate all’interno dell’Helicarrier, creando uno stato di assoluto disordine.
I loro volti erano celati da maschere nere, dotate solo di due fessure per gli occhi. Sulla divisa scura spiccava la spilla rosso sangue di un diavolo dalle lunghe corna e dai denti aguzzi.
Il vero problema, però, erano quei mostri oscuri che stavano compiendo una vera e propria strage, uccidendo uno dopo l’altro gli agenti dello SHIELD, i quali non avevano nemmeno la possibilità di reagire di fronte la violenza distruttiva delle creature d’ombra.
Come ciliegina sulla torta, poi, c’erano i jet nemici che non smettevano di bombardare la base al fine di farla colare a picco.

Quella poteva essere catalogata decisamente come situazione di merda.
Era ciò che pensava Clint, mentre correva a perdifiato per raggiungere la Vedova Nera, nella speranza di ritrovarla intera.
Thor era al suo fianco e Loki subito dietro di loro.
Barton non riusciva a credere che il Dio del Caos non avesse ancora fatto nulla, niente di niente, per peggiorare la situazione già grave. Li seguiva con un cagnolino, facendo uso del suo potere per stendere qualche soldato nemico e per rallentare le ombre.
L’arciere, dopo aver affrontato Thanatos, non si era poi tanto sorpreso nel vedere quelle creature venute fuori da chissà dove. La cosa che lo turbava era il fatto che sembrassero essere immortali.
Thor le aveva colpite con Mjolnir, mandandole letteralmente in frantumi, ma quelle si trasformavano in pozze scure e poi risorgevano, non mostrando nemmeno una minuscola ammaccatura.
Lo stesso effetto avevano ottenuto le sue frecce esplosive.

E gli esiti non cambiavano nemmeno per Hulk.
Barton bloccò la corsa non appena avvistato il mostro verde, il quale stava distruggendo una dopo l’altra le ombre, che tuttavia tornavano come nuove dopo pochi istanti.
Hulk, accerchiato adesso da quattro creature oscure, era visibilmente in difficoltà, dato che nemmeno le sue forze erano infinite.
Clint fece vagare lo sguardo e tra i resti di quelli che dovevano essere jet, scorse la piccola figura di Natasha, che tentava di difendersi dai nemici con grande difficoltà.
Era ferita.

“Thor aiuta Hulk. Io raggiungo Natasha.”
Il dio annuì, fece roteare il martello e si scagliò sull’ombra intenta ad attaccare Banner alle spalle.
“Tu vieni con me e-”
“Prova solo a danneggiarci e io blablabla
Clint roteò gli occhi e cominciò a correre verso la compagna, uccidendo tutti i soldati che incrociava sulla strada con il suo fedele arco.
Fece fuori quelli che circondavano la Vedova, la quale non poté far altro che tirare un sospiro di sollievo, seguito da una smorfia di dolore.
Barton le fu subito vicino e la fece appoggiare a sé, scrutandola con preoccupazione.
“Uno di quei mostri deve avermi rotto qualche costola. Ma sto bene, posso continuare a prendere a calci questi bastardi.”
Clint scosse il capo, consapevole della testardaggine della rossa.
Quella donna non avrebbe abbandonato il campo nemmeno se l’avesse pregata in ginocchio.
Altri soldati nemici erano in arrivo. Il tempo stringeva.
Cosa doveva fare? Lasciarla combattere?

“Posso occultare il dolore, se lo desideri.”
Loki sorrise serafico, osservando gli occhi della donna accendersi d’interesse mescolato a diffidenza.
“Perché vorresti aiutarmi?”
Il dio fece spallucce.
“Perché ne ho voglia. Ma sappi che la magia dura solo alcune ore, dopo le quali proverai un dolore talmente intenso, che potrebbe danneggiare le tue facoltà celebrali, oppure potrebbe non farlo.”
“Scordatelo Loki, lei-”
Natasha non permise a Clint di continuare.
“Accetto.”
Barton la prese per le spalle e la strinse con esagerata forza, ma la donna non sembrò risentirne, data l’espressione imperscrutabile.
“Sei impazzita? Hai sentito cosa ha detto?”
“È l’unico modo che possiedo per aiutarvi. Nello stato in cui mi trovo, ci sono altissime possibilità che io venga uccisa e-”
“Io non lo permetterei.”
“No, non lo permetteresti, ma rischieresti di morire a causa mia ed io non me lo perdonerei mai.”
Quelle parole lo colpirono più di quanto avrebbero dovuto.
Natasha tornò a rivolgersi a Loki.
“Procedi.”

Ed intanto i nemici li avevano raggiunti.



                                                    ***



“Finalmente Cap, pensavo ti fossi perso, ma d’altronde sei un vecchietto e i vecchietti non sono molto scattanti.”

L’accoglienza di Iron Man per Rogers, appena giunto alla sala di comando, stonava nel mezzo di quella che era una situazione quasi disperata.
Il nemico stava, a poco a poco, prendendo il controllo dell’Helicarrier.
Steve alzò gli occhi al cielo e allo sguardo interrogativo di Anthea rispose con un alzata di spalle seguita da uno “Stark” pronunciato con evidente rassegnazione.
Parlavano grazie alle ricetrasmittenti, dato che nel bel mezzo della baraonda sarebbe stato impossibile scambiare qualche parola.

Iron Man svolazzava da una parta all’altra del centro di controllo, abbattendo una gran quantità di nemici alla volta grazie ai raggi di energia emessi dai guanti dell’armatura.
“Dobbiamo evitare che prendano il controllo della base, Cap. Gli altri sono al centro di decollo, quindi tocca a noi fare piazza pulita qui. Ah, Rogers dimenticavo. Le ombre si-”

“Si rigenerano, lo so. Bisogna avvolgerle con il fuoco per ucciderle.”

Steve si era appena lanciato nella mischia, seguito da Anthea.
La ragazza puntava le creature oscure, consapevole di essere superiore a loro.

Stark si bloccò un istante per osservare rapito le fiamme che scaturivano dalle mani della giovane paranormale. Esse avvolgevano le ombre e le trasformavano in polvere.

“Come diavolo fa?”
“Non chiederlo a me” fu la risposta di Steve, risuonata all’interno dell’elmetto dell’armatura.


Il Capitano stese con un pugno l’ennesimo soldato. Si voltò appena in tempo per parare una coltellata con lo scudo, con il quale colpì in viso l’assalitore.
Lanciò il disco in vibranio e colpì un paio di nemici davanti a sé, assestò un calcio ad un uomo che aveva tentato di assalirlo alle spalle e scattò in avanti, per riappropriarsi della propria arma, la quale giaceva a terra qualche metro più avanti.
Con colpi precisi e potenti, si assicurò di rendere inoffensivi i soldati che gli si paravano davanti e il rumore di ossa che si rompevano contro le sue nocche gli riempiva le orecchie.
Si lanciò sullo scudo e con un’agile capovolta si rimise in piedi, stringendo l’arma nella mano sinistra.
Con la coda dell’occhio individuò Anthea parecchio distante, alla sua destra. La ragazza sembrava cavarsela egregiamente.
Tornò a concentrarsi sui nemici, che continuarono a cadere sovrastati dalla sua forza. Percepì un forte bruciore al braccio sinistro e con una veloce gomitata ruppe il naso all’uomo che gli aveva appena affondato un coltello nella carne.
I nemici erano in molti e bisognava trovare una soluzione al più presto, prima che le forze avessero cominciato a venire meno.

Improvvisamente, Rogers si sentì afferrare per la collottola della divisa. Venne strattonato con forza all’indietro e sbattuto a terra con violenza. Fitte acute partirono dalla nuca e affondarono nel cervello.
Senza dargli tregua, lo sconosciuto lo artigliò per il collo, lo tirò su e lo sbatté contro la parete di metallo alle sue spalle.
Le dita premevano sui lividi causati dal tentato strangolamento dell’ombra e Steve gemette sofferente.

“Chi non muore si rivede, eh ragazzino?”

Quella voce.

Quando la nebbia si diradò e la vista tornò a funzionare come doveva, Rogers spalancò gli occhi alla vista dell’uomo che lo teneva per la gola e con le spalle al muro.

Due occhi di ghiaccio lo fissavano con interesse.
Questa volta non indossava la maschera.
Il viso apparteneva ad un uomo che non poteva possedere più di trent’anni. I capelli nerissimi erano abbastanza lunghi da arrivare a sfiorargli la base del collo e alcuni ciuffi ricadevano morbidamente sulla fronte pallida.

“Tu” balbettò Steve.

L’uomo sorrise, sadico.
“Questa volta non mi scappi, ragazzino.”

Era l’uomo che aveva tentato di ucciderlo sul ponte sospeso.



 
 


Note
Ciao a tutti!
Finalmente, dopo giorni di straziante attesa, ho di nuovo il mio computer.
Non so come, ma da un momento all’altro è andato in tilt ed ogni volta che lo accendevo si bloccava, perciò l’ho dovuto portare dal tecnico.
Spero che perdoniate questo enorme ritardo e che il capitolo sia valso l’attesa.

Voglio ringraziare Ragdoll_Cat, che mi sostiene con le sue recensioni e ringrazio anche tutti coloro che continuano a seguire questa storia.

Buon Natale!
Un abbraccio <3
Ella

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Capitolo 14
*** Ultimatum ***


Ultimatum

Anni prima

Era tutto così buio, così freddo, così silenzioso.
Non ricordava.
Possedeva un doloroso squarcio apertosi nella memoria, distorta da frammenti fugaci e incomprensibili che affioravano un istante, prima di inabissarsi di nuovo nell’oscurità dell’incoscienza.
L’ultimo ricordo nitido che possedeva era quello di un uomo che le applicava piccole ventose sulla fronte e le sussurrava parole vuote, schifosamente false e dannatamente inutili.




“Sentirai una piccola scossa, non farà male” le ripeteva il medico, sforzandosi di mantenere sul volto un sorriso simile ad una smorfia agghiacciante.
Era la prima volta che veniva sottoposta a quel tipo di test.
Era passato già un anno dal giorno in cui aveva disgraziatamente incontrato Adam Lewis e, da allora, la sua vita era stata un susseguirsi di esami su esami.
Prelievi giornalieri del sangue, test per stabilire la soglia del dolore, patimento della fame e della sete per osservare le reazioni del suo particolare organismo.
I più perseguiti erano gli studi sul cervello, sottoposto a ripetuti esercizi di telecinesi.

Ma quel giorno, seduta su una sedia di grigio metallo troppo grande per il suo corpo minuto, era consapevole che i suoi aguzzini avevano in serbo per lei ben altro. 
E aveva paura.
Mai come in quel momento si era sentita tanto terrorizzata.
Tutto in lei si agitava con ostentata frenesia.
“Siamo pronti” affermò l’uomo dal sorriso falso, allontanandosi da lei e prendendo posto vicino i computer di monitoraggio.
Un leva venne abbassata e l’elettricità le colpì il cervello come un pugnale, spedendola in uno stato di shock.
Tutto era diventato nero, poi bianco ed infine era sopraggiunto quel colore intenso e bellissimo. Tutto era divenuto cremisi.
Blackout.





Adesso era lì, rannicchiata in un angolino buio, da qualche parte nella base.
Stringeva con forza le gambe al petto e teneva la testolina china, poiché non aveva il coraggio di guardare.
L’odore del sangue era talmente intenso da farle venire la nausea. Il liquido denso e viscido le si era appiccicato ad ogni lembo di pelle lasciato scoperto dal leggero camice bianco, anch’esso ricoperto di scure macchie rosse.
Ma non era il suo sangue. Nemmeno una goccia le apparteneva.
Il vero problema non era il fatto che non ricordasse.
Anthea non voleva ricordare, perciò era lei stessa a ricacciare indietro ogni frammento di ricordo che tentava di affiorare.
Ma fu inutile, perché la consapevolezza delle sue azioni la raggiunse ugualmente, straziandole il cuoricino ancora impreparato a ricevere simili colpi.

Assassina.

Una bambina così piccola non dovrebbe nemmeno conoscere il significato di tale parola, eppure lei sapeva perfettamente cosa significasse e cosa implicasse.
Singhiozzò, evitando al contempo di versare lacrime inutili.

Lei non piangeva e mai avrebbe pianto. Per nessuno, neppure per sé stessa.

Con movimenti goffi si rialzò. Mosse qualche passo in avanti e i piedini nudi affondarono in pozze calde, appiccicose e viscide.
Le lampade al neon del corridoio lampeggiavano e l’oscurità si alternava sistematicamente alla luce. 
Nell’istante in cui tutto si illuminava, sulla retina oculare le si imprimevano immagini orrende, spaventose e rivoltanti.
Volti cinerei ed inespressivi. Occhi spalancati, da cui era fuggita la scintilla di vita, tranciata da una violenza tale da divellere ossa con facilità mostruosa.
Era lei il colpevole. Era lei l’assassina.
Si trascinò per i corridoi della base, divenuta una tomba silenziosa in poche terribili ore.
Nessuno era stato risparmiato.

“Non potranno più nuocerti, adesso.”

Quella era stata la prima volta in cui aveva sentito la sua voce, la voce della bestia mostruosa che albergava nel suo corpo e controllava la sua vita, più di quanto facesse lei.
Provava per quella parte oscura del suo essere sentimenti contrastanti.
Essa pareva volesse proteggerla e, al tempo stesso sembrava, volesse prendere il controllo, annullandola completamente.
Cosa le impediva ancora di acquisire il comando definitivamente? E perché si era presentata solo adesso?

Le lampade tornarono improvvisamente a funzionare e Anthea si ritrovò a contemplare le conseguenze dovute alla momentanea libertà del mostro.
Una strage che non contava sopravvissuti.
Il pavimento era cosparso di cadaveri e sangue, il quale disegnava orribili murales sulle pareti di metallo.
In ogni angolo della base si poteva assistere allo stesso macabro spettacolo.
Cadaveri e sangue. Morte.
Anthea rimaneva immobile. Lo sguardo perso e la mente riempita da una sola agghiacciante parola.
Assassina.
Le urla si erano cristallizzate nella gola, mentre dalle iridi cobalto traspariva l’orrore nella sua essenza più pura.

Un tocco freddo le carezzò la schiena con delicatezza.
La bambina si voltò di scatto, ritrovandosi di fronte ad una creatura la cui sola presenza provocava brividi lungo la schiena, gelava il sangue nelle vene, accelerava il battito cardiaco, bloccava il respiro.
Era alta e possente, coperta da una lunga mantella nera dotata di un largo cappuccio calato sul capo, in modo da oscurare il volto alieno.
Anthea si perse nel contemplare gli occhi rossi come il sangue della creatura, che la osservava con estrema cura e dedizione.
La bambina fece qualche passo indietro, impaurita.

“Hai superato ogni mia aspettativa. Ma sei ancora un’acerba crisalide.”
La voce della creatura era profonda, morbida ed armoniosa. La bambina si sentì improvvisamente attratta da quell’essere comparso dal nulla.
“Quando ti trasformerai in una splendida farfalla, io e te diventeremo una cosa sola. Questo è il tuo destino, ricordalo.”
Il demone le sfiorò il visetto incrostato di sangue.
“Siamo molto più simili di quanto mi aspettassi” le sussurrò prima di darle le spalle e raggiungere due uomini che aspettavano qualche metro più in là e che Anthea non aveva minimamente notato. Era stata ipnotizzata da quegli occhi color del sangue, i quali avevano completamente assorbito la sua attenzione.

La bambina riconobbe Adam e al suo fianco si stagliava la figura di un ragazzo dagli occhi di ghiaccio e i capelli nerissimi.
“Padrone, non ci sono sopravvissuti” disse il moro, rivolto alla creatura, che si limitò ad annuire.
“Occupati di lei. Dottor Lewis, dobbiamo parlare.”
Adam era visibilmente agitato e piegò il capo con ostentata sottomissione.
Il Padrone ed il dottore lasciarono la base poco dopo.

Il ragazzo moro la raggiunse.
Indossava una divisa nera, abbastanza attillata da mettere in risalto il suo fisico slanciato e muscolato alla perfezione.
Il giovane si accovacciò, così da poter guardare direttamente negli occhi la bambina.
“Ehi piccola, hai combinato un bel casino eh?”
La sua voce era dolce e chiara.
“Non sono stata io” sussurrò lei, suscitando una scoppio di ilarità nel moro.
Anthea gonfiò le guanciotte, offesa. Perché lei non mentiva, ne era ancora incapace.
“Non è divertente” affermò con rabbia.
Il ragazzo le scompigliò i capelli color miele con una mano e le sorrise, facendola arrossire imbarazzata.
Aveva un sorriso dolce e luminoso.
“Io sarò il tuo maestro da oggi. Adesso, perché non ce ne andiamo da qui? C’è un tale fetore da far rivoltare lo stomaco.”
Anthea si lasciò prendere in braccio e nascose il visetto nell’incavo del collo del moro, aspirandone l’intenso odore di menta e crogiolandosi nel calore emanato dal suo corpo.

“Non mi hai detto qual è il tuo nome.”
“Nemmeno tu.”
“Anthea.”
Lo sentì ridacchiare.
“Io sono Wade. È un piacere conoscerti Anthea.”

E mentre si dirigevano fuori da quella che ormai poteva considerarsi una tomba, la bambina, cullata dai passi cadenzati di Wade, si assopì, stremata da tutto ciò che si stavano appena lasciando alle spalle.



                                                                 ***



Alcuni anni dopo

Evitò un dritto scostandosi appena di lato. Parò un gancio destro con l’avambraccio e approfittò dell’errore commesso dall’avversario, colpendolo con un calcio sul fianco sinistro rimasto scoperto.
L’uomo strinse i denti ed si riprese appena in tempo per bloccare un calcio rotante, afferrando la caviglia della ragazza, che si spinse in avanti per colpirlo con una testata sul naso.
L’uomo mollò la presa, mentre dal naso colava un rivolo di sangue.
Ma la giovane non gli lasciò tregua, colpendolo con un pugno all’addome, seguito da uno sul fianco destro.
L’uomo reagì, fiondandosi su di lei e prendendola per la vita sottile. La spinse a terra, si mise a cavalcioni su di lei e le bloccò i polsi ai lati del viso arrossato.

“Hai perso, ancora.”
“Sei odioso, Wade. E comunque hai rischiato di rimetterci il naso.”
L’uomo sorrise.
“Sarei rimasto ugualmente attraente.”
“Fottiti.”
“Ehi, hai solo sedici anni! Rispetta gli adulti, ragazzina!”
Wade la lasciò andare, non prima di averle stampato un bacio sulla fronte, facendola arrossire d’imbarazzo.

“Vorrei che il tempo dell’addestramento durasse di più” disse di punto in bianco la ragazza, mentre si sistemava la larga maglietta nera che le arrivava a metà coscia, coprendole del tutto gli attillati pantaloncini del medesimo colore.
“Mi dispiace, Anthea, ma sai bene che abbiamo solo una settimana al mese, non di più. Gli ordini del Padrone non si discutono.”
Wade, stretto nella sua solita divisa nera, la osservò liberare i lunghi capelli color miele dall’elastico che li teneva legati in una coda alta.
La tristezza della giovane era palpabile, così come la rassegnazione.
“Lo so” sussurrò solamente, scoccandogli un sorrisetto tirato.

Nella settimana dedicata all’addestramento venivano sospesi gli esperimenti e i test, la maggior parte dei quali causavano solo dolore e sofferenza.
Inoltre, Anthea poteva passare del tempo con il suo maestro, l’unico con cui possedeva un rapporto umano, un rapporto che sembrava diventare sempre più profondo.
Peccato che quei sette giorni volassero e l’orrore di quelli successivi venisse ad accoglierla troppo presto.

“Hai fatto enormi progressi. Diventi sempre più forte. Il Padrone ne sarà felice.”
“Perché sei così legato a lui?”
Wade la raggiunse e le posò le mani sulle spalle.
“Lui è il futuro, Anthea. E tu sei il diamante che gli permetterà di risplendere, ricordalo.”
“Io voglio che tutto questo finisca. Sono stufa di essere controllata.”
L’uomo l’ammonì con un solo sguardo.
“Lo hai sognato di nuovo, non è vero?”
Anthea arrossì, consapevole di essere stata scoperta.
“Come lo sai?”
“Diventi dannatamente ribelle quando lo sogni ed io potrei anche diventare geloso.”
La ragazza sbuffò, sottraendosi al suo tocco.
“È un gran bel biondo, ma rimane pur sempre un sogno, anche se …
“Cosa?”
“Nulla. Stanno arrivando i soldati.”
Wade alzò entrambe le sopracciglia, mostrando la propria perplessità, ma poi si limitò ad un alzata di spalle, consapevole di non poterla convincere a parlare contro la sua volontà.
Era testarda. Molto.

“Allora al prossimo mese, ragazzina. Vedi di comportarti bene.”

Anthea sbuffò, ma il respiro le si mozzò in gola quando Wade la strinse in un abbraccio, sussurrandole di tenere duro.
Poi se ne andò, come ogni volta, lasciandole addosso il suo odore di menta e nel cuore un doloroso gelo.

Non sarebbe più tornato dopo quel giorno.



                                                      ***



Presente

Era complicato. Troppo complicato.
Il nemico era anni luce davanti a loro e inesorabilmente possedeva il coltello dalla parte del manico. Poteva ferire, dilaniare, uccidere e nessuno sarebbe riuscito a bloccare l’inarrestabile avanzata verso lo scopo disegnato.
Opporsi diveniva sinonimo di suicidarsi.
I Demoni della Notte erano rimasti nell’ombra, indisturbati. Ma poi qualcuno aveva osato mettere in subbuglio i piani costruiti con calcolata perfezione, costringendoli a venire alla luce, animati da una ferocia degna delle bestie più pericolose.
Quel qualcuno l’avrebbe pagata.
L’avrebbe pagata soprattutto per aver sottratto loro il più bello e prezioso gioiello tenuto nascosto per anni al mondo.


Steve cacciò un grido strozzato, quando la lama fredda di un coltello gli dilaniò la carne, conficcandosi brutalmente nel fianco destro.
L’uomo del ponte teneva il Capitano bloccato con le spalle al muro, stringendogli la gola livida con la mano destra, mentre la sinistra, armata di pugnale, era impegnata a disegnare squarci sulla sua pelle.
“Fa male, non è vero?”
Rogers strinse i denti e chiuse con forza le palpebre, sentendo il pugnale rigirarsi nella carne.
Quello sconosciuto aveva una forza fuori dal comune.
“Sai, sapevo che prima o poi l’avresti condotta sulla cattiva strada. Eri entrato nella sua testa e l’hai allontanata da me, giorno dopo giorno. Non è forse così, ragazzino?”
Da quegli occhi di ghiaccio traspariva rancore e voglia di vendetta.
Steve si fece forza, cercando di tenere gli occhi aperti e ignorando il dolore straziante al fianco leso.
“Non so di cosa stai parlando” si sforzò di dire con tono duro, ma il suo parve piuttosto un lamento.
Oltretutto, quella risposta gli costò un ulteriore affondo del coltello, proprio sopra il taglio appena aperto.
Gridò, sotto lo sguardo compiaciuto dello sconosciuto.
“Non prenderti gioco di me.”
I freddi occhi di ghiaccio dell’uomo si piantarono in quelli caldi e color del cielo del Capitano, intimandogli di confessare una verità che non esisteva.

Rogers era di nuovo succube di quell’uomo, le cui intenzioni erano trasparenti.
Lo voleva morto.
Anche se quell’accanimento contro di lui e la voglia di vederlo soffrire non riusciva a spiegarseli. Forse aveva solamente a che fare con un sadico e fanatico del sangue.
Ma, chiunque fosse, se pensava che si sarebbe lasciato torturare come una ragazzino indifeso, si sbagliava di grosso, perché Capitan America sarebbe morto solo lottando e sarebbe caduto solo quando le forze lo avrebbero abbandonato completamente, impedendogli di rimanere in piedi.
Finché anche solo un briciolo di energia fosse rimasta nel suo petto, avrebbe combattuto il nemico a testa alta.

Steve sussurrò qualcosa di incomprensibile, costringendo l’uomo ad avvicinare il volto al suo.
“Cosa vai blaterando, ragazzino? Stai delirando per la mancanza di ossigeno, non è così?” lo prese in giro il moro.
Rogers sorrise lievemente.
“Attento alla testa.”
L’uomo del ponte alzò le sopracciglia con ostentata perplessità e il Capitano gli rispose con una testata micidiale sulla fronte, stordendolo per alcuni secondi, sufficienti per spingerlo via e colpirlo con un pugno in pieno viso.
L’avversario si portò le mani al volto, ringhiando inferocito.
Rogers approfittò della momentanea tregua per riappropriarsi dello scudo giacente a terra, alla sua sinistra.

“Piccolo bastardo, giuro che ti ammazzo, seduta stante.”

Il moro si scagliò su di lui con violenza, brandendo il coltello, il quale incontrò il vibranio dello scudo di Capitan America, emettendo un fastidioso stridio.
Steve si accorse che alcuni soldati nemici lo stavano accerchiando, pronti a saltargli alla gola appena ne avessero avuta l’occasione.

“Non vi azzardate. Lui è mio.”

L’uomo del ponte bloccò l’iniziativa dei suoi alleati, i quali, senza protestare, si dileguarono immediatamente.
Lo sconosciuto doveva appartenere agli alti ranghi dell’organizzazione ed infatti emanava la sicurezza e la fierezza di un capo.
Lo scontro riprese e la violenza dei colpi scambiati dai due uomini era tale da attirare l’attenzione di diversi sguardi, anche nel bel mezzo di quella baraonda.



“E quello chi diavolo è?”
Iron Man si perse un attimo ad osservare Rogers combattere con estrema difficoltà contro quello sconosciuto uscito da chissà dove, evidentemente superiore a tutti i soldati nemici presenti nell’enorme sala di controllo.
Si apprestò a raggiungere il compagno, ma le ombre oscure, come se avessero captato le sue intenzioni, si accanirono contro di lui, afferrandolo per le caviglie e tirandolo giù con forza, a terra.
Stark azionò i propulsori alla massima potenza, scivolando di schiena sul pavimento ed evitando che le dita acuminate delle creature gli dilaniassero l’armatura.
Cercò, attraverso l’elmetto, la figura di Anthea, ma la trovò impegnata a tenere a bada quattro ombre tutte assieme.
La ragazza appariva affaticata, forse perché creare il fuoco le costava un alto dispendio di energia ed infatti era già da un po’ che si limitava al combattimento corpo a corpo, evitando il controllo dell’elemento.
Il miliardario attivò la comunicazione a distanza, mentre teneva lontane le ombre grazie ai fasci di energia emessi dai suoi guanti.

“Nick, mi ricevi?”
Dovette attendere qualche secondo, ma la risposta non venne a mancare.
“Ti ricevo Stark. Cosa succede?”
“Sei nella sezione armamenti, giusto?”
Altri secondi di attesa.
“Affermativo.Vai al punto Stark.”

I nemici avevano assaltato il centro di controllo, quello di decollo ed infine la sezione armamenti, rendendo palese quello che era il loro scopo, ovvero assumere il comando dell’Helicarrier, sottraendo allo SHIELD la possibilità di collegarsi con le basi di terra e quella di combattere, attraverso la distruzione dei jet e di tutte le armi detenute all’interno della struttura.

“Sempre il solito scorbutico. Devi dire ai tuoi uomini di armarsi di lanciafiamme, perché solo il fuoco può distruggere le ombre. Sono anche lì, vero?”
“Sì e non vogliono morire. Farò come dici.”
“Appena avrai messo mano alle armi, cerca di spedire i tuoi uomini anche al centro di controllo. Abbiamo bisogno di un piccolo aiuto.”
“Tenete duro, cercheremo di arrivare il prima possibile.”
La comunicazione si chiuse subito dopo.

Iron Man azionò i piccoli missili nascosti nelle spalle dell’armatura e disintegrò le ombre che stavano tentando di sopraffarlo.
“Datti una mossa Nick o qui finisce male.”
Stark lanciò un’occhiata in direzione del Capitano, preoccupato.
Rogers le stava prendendo, ma ancora rimaneva in piedi. Era testardo il ragazzo.
Le creature, intanto, si erano già rigenerate ed erano pronte ad attaccarlo di nuovo e non gli avrebbero dato tregua, fino a quando non lo avessero distrutto completamente e definitivamente.



                                                           ***



Natasha combatteva come una furia, dotata però di estrema eleganza. I soldati nemici cadevano ai suoi piedi, uno dopo l’altro.

Clint continuava a tenerla d’occhio, cercando di nascondere la preoccupazione che gli stava ritorcendo lo stomaco.
Quanto tempo era passato dal momento in cui Loki le aveva occultato il dolore, permettendole di tornare a combattere? Mezz’ora? Un’ora? Un giorno?
Barton non lo sapeva, la cognizione del tempo gli era sfuggita di mano già dall’inizio di quel casino.
I Demoni della Notte stavano mettendo sottosopra l’Helicarrier, anche se il vero problema erano quelle creature oscure, praticamente immortali.
Non proprio immortali, dato che Stark gli aveva appena comunicato che potevano farle fuori arrostendole con il fuoco. Ma gli agenti dello SHIELD muniti di lanciafiamme ancora non si vedevano, perciò a tenere a bada quei mostri erano Thor e Hulk, i quali paradossalmente parevano divertirsi. I loro cervelli dovevano viaggiare sullo stesso binario.
Sfortunatamente, Occhio di Falco non aveva trovato un luogo abbastanza elevato da possedere una panoramica completa del centro di decollo, così si vedeva costretto a combattere a terra, alternando l’uso dell’arco al puro e semplice corpo a corpo.

La Romanoff gli scivolò di fianco, dopo aver steso un paio di nemici contemporaneamente.
“Clint concentrati. Sei distratto” lo rimproverò, prima saltare sulle spalle di un omone simile ad un armadio e stenderlo grazie ai morsi della Vedova.

Barton, con lo sguardo fisso sulla donna, scagliò una freccia alla sua sinistra, colpendo in pieno un soldato. Le sorrise malizioso.
“Mai stato più concentrato, come puoi vedere.”

Natasha gli scoccò un’occhiataccia che diceva chiaramente “smettila di fare lo scemo o vengo lì e ti prendo a pugni”.
Clint sembrò recepire il messaggio e mimò con la bocca un “Okay, la smetto”.
Se solo la rossa avesse saputo che la sua unica distrazione era lei e nient’altro che lei.
Barton non credeva in Dio, ma lo avrebbe pregato in ginocchio per evitare che le succedesse qualcosa di irreparabile. Loki aveva parlato chiaramente e le sue parole risuonavano come un cantilena agghiacciante nella sua testa.

“Ma sappi che la magia dura solo alcune ore, dopo le quali proverai un dolore talmente intenso, che potrebbe danneggiare le tue facoltà celebrali, oppure potrebbe non farlo.”

Quel maledetto ma era stato un chiaro avvertimento da parte di Loki, eppure Natasha aveva accettato lo stesso quella condizione che avrebbe potuto condurla alla rovina.

Barton rotolò di lato, sfuggendo alla carica di un nemico, poi balzò in piedi e cominciò a liberare la strada per raggiungere il dio dell’inganno, intento ad affrontare una delle ombre.
Quando lo raggiunse, Loki aveva appena congelato la creatura oscura, divenuta una raccapricciante statua di ghiaccio.
“Vengono uccise solo dal fuoco” gli fece presente Occhio di Falco.
“Lo so, sono anime di peccatori richiamate da qualche potente magia oscura. Sfortunatamente non sono un tipo molto caloroso, ma in questo modo rimarranno bloccate per un po’.”
Clint assimilò velocemente l’informazione riguardante l’entità delle ombre, archiviandola poi da qualche parte nel suo cervello. Ci avrebbe riflettuto dopo, se ci sarebbe stato un dopo.
“Quanto le manca?”
Il tono della voce era impregnato dell’ansia che si agitava nel suo stomaco e nel suo cuore.
“Non c’è un tempo prestabilito” gli rispose tranquillamente Loki, guardandolo negli occhi.
Barton scagliò tre frecce, due a destra e una a sinistra, ringhiando.
“Sapevi che lei avrebbe accettato.”
Gli occhi del dio brillarono, ma non sorrise. Si limitò a scuotere lievemente il capo, facendo oscillare i lunghi capelli nerissimi.
“Sarebbe un vero peccato se non sopravvivesse. È una donna interessante, ma dopotutto è stata lei ad accettare.”

Un boato fece tremare il pavimento.
Clint osservò Loki alzare gli occhi al cielo e mormorare un “solito esibizionista” diretto a Thor.
Il biondo aveva appena sfoderato l’artiglieria pesante, richiamando il potere del tuono grazie al Mjolnir.

“Che cosa ti trattiene dal rivoltarti contro di noi? L’occasione è quella giusta.”
Clint Barton aveva ancora una ferita aperta, sanguinante, causatagli proprio da quel dio desideroso di possedere un trono.
Ricordava il suo corpo muoversi contro la propria volontà e compiere il gesto che ancora animava i suoi incubi peggiori. Aveva cercato di uccidere Natasha, la sua Natalia.
Sognava di piantarle una freccia del petto, di vederla crollare a terra morta, con gli occhi verdi spalancati e nella gola una parola rimasta cristallizzata.
Perché?
Occhio di Falco scacciò via quell’orrenda immagine, tornando a concentrarsi su Loki, che decise di concedergli una risposta.
“Devo terminare una conversazione con una persona e lei è schierata dalla vostra parte.”
Anthea.
Barton doveva forse rivalutare quella ragazza.



Hulk afferrò due ombre e le fece scontrare, mandando in frantumi le loro teste. Ruggiva infuriato, ogni volta che vedeva le creature rigenerarsi.
Non era fuori controllo, perché sapeva bene chi era il nemico e quali, invece, erano i suoi amici.
La rabbia era stata scatenata proprio nel momento in cui quelle creature oscure avevano osato far del male a uno dei suoi compagni.
Il gigante verde era violento, brutale, un nervo scoperto di pura rabbia, ma incapace di tradire e capace di distinguere il Bene dal Male con una facilità disarmante. Hulk non era poi così diverso da Banner, solo più grosso, verde e non spiccava per il suo genio, ma nel petto batteva un cuore, un cuore buono, lo stesso cuore di Bruce.
Hulk era leale come pochi, si sarebbe sacrificato per coloro che lo avevano accettato e capito, senza pensarci un attimo.
Forse l’unica persona di quel gruppo di persone straordinarie che faticava ad accettare la sua presenza era proprio Bruce Banner, ma avrebbe cambiato idea, doveva solo togliere i paraocchi e rendersi conto di quella che era la verità.
Hulk è buono e verde, il colore della speranza.

Un altro fulmine fece vibrare ogni millimetro della base.
Thor roteava il martello, rimanendo sospeso a mezz’aria. Sorrideva e gli occhi azzurri brillavano di luce propria, animati dall’esaltazione per la battaglia. Nelle vene percepiva scorrere il potere del Mjolnir, estensione del suo braccio e fulcro di un potere accessibile solo ai degni.
“Questi mostri non conoscono la morte” ringhiò, osservando un’ombra risorgere dalla pozza scura che era divenuta quando l’aveva colpita con il fulmine.
Le forze non erano infinite nemmeno per Thor e sembravano scemare anche troppo velocemente. La sua attenzione era divisa su due fronti: combattere le creature oscure e controllare Loki, che sorprendentemente li stava aiutando nello scontro e non sembrava voler approfittare della situazione propizia. Ciò rendeva Thor fiducioso di poter un giorno riavere indietro il fratello amato.
Non gli importava un accidente se era uno jotun, il suo affetto era rimasto immutato, anche se provato dai tradimenti che il dio dell’inganno gli aveva inferto.
Roteò ancora il martello, che venne circondato da scariche elettriche di un blu scintillante.
Poco dopo il rombo del tuono risuonò come un mostruoso ruggito.



                                                 ***



Okay, non stava andando poi così male. Riusciva più o meno a tenerlo a bada, anche se continuava ad indietreggiare, spinto dai poderosi colpi del nemico.
Parò l’ennesimo affondo del pugnale con lo scudo e rispose con gancio destro, che sfortunatamente venne intercettato e schivato.
L’uomo del ponte lo disarmò del cerchio in vibranio con un calcio e subito dopo ne assestò un altro dritto allo stomaco. Steve si piegò in avanti, tossendo, prima di essere afferrato per i capelli e trascinato fino alla collisione contro lo schermo di un computer, che emise tante piccole scintille. Barcollò intontito, tentando di rimanere in piedi, ma un calcio in pieno petto dotato di una forza poderosa lo spinse indietro, facendolo cadere sulla schiena e scivolare lungo il pavimento per alcuni metri.
Rogers si mise gattoni e scosse la testa per far sparire le lucine che continuava a vedere ogni qual volta cercasse di mettere a fuoco. A tentoni cercò un appoggio e le mani trovarono una superficie liscia e vetrosa. Quando gli fu concesso di riavere le proprie facoltà visive, si accorse di trovarsi davanti l’enorme vetrata, la quale offriva l’incantevole vista di un tramonto rosso come il fuoco.

Il Capitano sussultò quando il suo stesso scudo si piantò nello spesso vetro, a pochi centimetri dalla testa.

“Mancato.”

Il moro era alle sue spalle e gli assestò un calcio sul fianco leso, facendolo gemere.
Steve si tirò su e si appoggiò con la schiena all’enorme vetrata, usandola come sostegno.

“Devi sapere che il Padrone concede poteri straordinari a chi ritiene meritevole.”

Un ondata d’aria lo investì con la stessa potenza di un treno in corsa, facendogli mancare il respiro. Rogers si coprì il volto con le braccia ed un suono particolare catturò la sua attenzione.
Il vetro alle sue spalle si stava incrinando e, da un momento all’altro, avrebbe ceduto sotto la pressione di quel vento creatosi dal nulla.
Il moro, però, si bloccò prima che fosse troppo tardi.

“Sei sopravvissuto alla caduta dal ponte sospeso. Chissà se riuscirai a cavartela anche questa volta.”

Steve spalancò gli occhi, azzardando un tentativo di reazione, ma ogni movimento gli venne bloccato dalle mani del moro, che gli afferrò le braccia e prese a sbatterlo ripetutamente contro la porzione di vetro alle sue spalle, la quale ad ogni colpo si intesseva di nuove e più articolate incrinature, emettendo suoni davvero preoccupanti.
A nulla servì l’opposizione del Capitano. I troppi colpi in testa lo stavano praticamente annullando e se fosse sopravvissuto, sperava di ricordare almeno il proprio nome.
Una sferzata di aria gelida gli carezzò il volto, segno che il vetro aveva ceduto in qualche punto e che mancava poco che si infrangesse completamente, lasciandolo cadere nel vuoto.

“Wade! No!”

Steve osservò l’uomo sbiancare e perdere lucidità, nel momento in cui quella voce ormai familiare arrivò alle loro orecchie, superando il caos dilagato nel centro di controllo.
Approfittò della distrazione del nemico per liberarsi dalla sua presa e colpirlo con un pugno in pieno stomaco, scivolando poi lontano dalla vetrata.
Il moro si riprese velocemente e con la manica della divisa si pulì il rivolo di sangue colatogli da un angolo della bocca.
Subito dopo, il suo sguardo si fissò su un punto alle spalle del Capitano, che non ebbe la necessità di voltarsi, dato che sapeva perfettamente chi avesse attirato l’attenzione dell’uomo.

“Sono passati solo un paio d’anni dall’ultima volta che ci siamo visti, eppure sei cresciuta parecchio.”

Anthea raggiunse Rogers e rimase al suo fianco, mantenendo lo sguardo fisso sull’uomo dagli occhi di ghiaccio.
“Tu sei sempre lo stesso, invece. Non è così, Wade?”

Il moro rise, scuotendo il capo.
“Sai che tornerai con noi alla fine, è solo questione di tempo.”
La giovane contrasse la mascella e strinse i pugni.
“Io non voglio” affermò decisa, ignorando il sudore freddo lungo la schiena, dovuto a quell’incontro inaspettato e non desiderato.
“Peccato che tu non abbia il privilegio di imporre la tua volontà. Il tuo destino è uno ed uno soltanto, non possiedi altre strade.”
Anthea percepì un forte dolore nel petto, perché quelle parole facevano male, soprattutto quando ti erano state inculcate nella testa come una verità assoluta ed imprescindibile, al di fuori della quale esisteva il nulla.

“Siamo noi a creare il nostro destino. Lei avrà la vita che merita, con o senza la vostra approvazione.”
Steve le poggiò una mano sulla spalla. A quel tocco, Anthea sembrò riprendersi e finalmente cercò con lo sguardo quei bellissimi occhi chiari, in grado di placare le tempeste che si scatenavano nel suo animo fragile.

Steve Rogers trasmetteva sicurezza, fiducia e calore e pochi possedevano tale capacità.
Non era qualcosa che si poteva imparare o insegnare, ma era una qualità innata, preziosa e rara, la quale, coltivata nel modo giusto, avrebbe condotto alla grandezza d’animo.

Wade ringhiò inferocito alla vista dell’intesa creatasi tra i due e stese le mani in avanti, spostando un enorme massa d’aria e creando una potente tromba d’aria che interessò chiunque si trovasse nella sala di controllo.

Steve si sentì tirare indietro dalla presa delicata di Anthea sul suo braccio. Corsero veloci per evitare di essere risucchiati dal vortice, che iniziò a crescere, inghiottendo al suo interno qualunque cosa o chiunque fosse troppo vicino, sia alleati sia nemici.

“Via di qui” gridò Capitan America, rivolto ai diversi agenti dello SHIELD, che obbedirono all’istante, dirigendosi verso l’uscita del centro.
Sfortunatamente, alcune ombre si piazzarono lì davanti e si fusero assieme, creando un muro impenetrabile.
Rogers prese a colpirlo con forza, ignorando il dolore alle nocche, ma riuscì solo a scalfirlo appena. Ciò non lo indusse a fermarsi. Continuò ad accanirsi contro di esso, usando anche gomiti e ginocchia.
“Dannazione!” gridò con rabbia, poggiando la fronte sulla parete fredda ed oscura. Respirava affannosamente, a causa dello sforzo risultato vano.
La tromba d’aria diveniva sempre più grande e come un magnete attira a sé il metallo, essa risucchiava persone e oggetti, spezzandoli con inaudita violenza.

“Stark!” chiamò il Capitano, tramite la ricetrasmittente.
Ma Iron Man non poteva rispondere in quel momento, troppo occupato a evitare di essere ucciso dal resto delle ombre e a tenersi lontano dal potente vortice.
Rogers si voltò a guardare Anthea, sperando nel suo aiuto, ma lo sguardo di lei non prometteva nulla di buono.
“Non ho energia a sufficienza, Steve. Mi dispiace.”
Non era esattamente la verità, ma non poteva toccare quel potere oscuro tanto grande quanto pericoloso, perché non era capace di gestirlo, non ancora, e non voleva rischiare di …

… strage.

Capitan America strinse i pugni, indietreggiò di qualche passo e caricò il muro, colpendolo con una spallata. Lo fece ancora, ancora e ancora.
La parete oscura vibrava ad ogni colpo e profonde crepe andavano segnando la sua superficie levigata.
Rogers si fermò un istante per riprendere fiato, poi riprese l’assalto. Il vento gli sferzava il viso con forza, segno che la potenza del vortice cresceva, facendosi più vicina. Strinse i denti quando la spalla prese a dolergli ad ogni impatto, ma non poteva fermarsi, c’erano delle vite in gioco.

“Capitano Rogers, la aiutiamo noi.”

Steve si bloccò e trovò al suo fianco un giovane soldato dello SHIELD insieme ad altri tre, visibilmente più maturi.

“Okay. Insieme.”

All’unisono colpirono la parete, mantenendo un ritmo elevato, e finalmente il muro cedette, crollando su se stesso e liquefacendosi subito dopo.

“Avanti, uscite prima che si rigeneri.”
Il Capitano avrebbe sempre posto davanti i suoi soldati ed il giovane che lo aveva aiutato gli rivolse uno sguardo colmo di rispetto e gratitudine.

“Tu non vai da nessuna parte!”
Il grido di Wade arrivò a Steve, superando l’ululato del vento.
“No, infatti.”
Rogers corse verso di lui e verso la tromba d’aria. Con tutta la forza che possedeva, il super soldato si oppose al vortice e vi passò nel mezzo, ignorando quella forza invisibile che tentava di spazzarlo via. Si lanciò sul moro, lo afferrò per la vita e lo gettò a terra, approfittando della sua incredulità. Si mise a cavalcioni su di lui e lo colpì ripetutamente in viso, guidato dalla rabbia.

La tromba d’aria, intanto, era sparita.

Wade era spiazzato e non riusciva a sottrarsi a quell’attacco dotato di una potenza mostruosa. Non capiva da dove il soldato tirasse fuori quella forza, dato che qualche minuto prima avrebbe potuto ucciderlo con estrema facilità.

Rogers lo afferrò per un braccio e lo scagliò contro la vetrata, che andò in frantumi, permettendo a un’ondata di aria fredda di entrare nella struttura.
Wade aveva rischiato di fare un bel volo, ma era riuscito ad aggrapparsi ai bordi della parete di vetro, ferendosi le mani e tirandosi dentro.
“Tu non puoi battermi” soffiò, mentre riprendeva fiato.
“A quanto pare posso” fu la risposta del Capitano, i cui occhi azzurri brillavano di una rinnovata luce.
Steve Rogers non era pienamente consapevole della propria forza e non ne conosceva i limiti. Questa forza, però, non tardava a venire fuori, di fronte a tali uomini spregevoli.

Wade tirò fuori una pistola, ma non fece nemmeno in tempo a puntarla sul ragazzo, che un fascio di energia azzurra lo colpì in petto, facendolo stramazzare a terra, privo di sensi.

Ehilà Cap” salutò Iron Man, facendo ciao ciao con la mano e atterrando al fianco del super soldato.
Steve sorrise.
“Tu non eri occupato, Stark?”
“Sono arrivati i rinforzi.”
La mano metallica dell’armatura batté una pacca sulla schiena del Capitano, facendolo gemere.
“Ops! Scusa, vecchio rottame.”
L’occhiata omicida di Rogers intimò a Stark di smettere di dire cretinate, ma la pace sarebbe durata troppo poco, come sempre.

Gli agenti dello SHIELD erano arrivati, armati di lanciafiamme. Le ombre lanciavano grida acute e stridule, mentre il fuoco le avvolgeva, trasformandole in cenere.

“Sezione armamenti in sicurezza.”
La voce di Fury risuonò nelle ricetrasmittenti dei Vendicatori.

La situazione si stava finalmente ribaltando e lo SHIELD stava prendendo il sopravvento sul nemico.
Gli Avengers avevano reso inoffensiva la maggior parte dei soldati appartenenti ai Demoni della Notte ed erano riusciti a tenere a bada le ombre, permettendo a Fury di organizzare una controffensiva, grazie anche alla preziosa informazione fornita da Anthea riguardante il punto debole delle creature oscure.
Insieme, anche disorganizzati o presi di sorpresa, i Vendicatori erano in grado di affrontare le situazioni più disperate e, aiutati dalla Buona Stella che pareva brillare dalla loro parte, riuscivano ad uscirne non proprio sani ma salvi, almeno.

Sfortunatamente, non era ancora finita. Era troppo presto per cantare vittoria.

“Centro di controllo in sicurezza” comunicò Rogers, mentre osservava alcuni agenti SHIELD ammanettare e portare via Wade, ancora privo di sensi.

“Capitano” era la voce di Clint e pareva piuttosto agitata.
Brutto segno.
“Ti ricevo, Barton.”
“Raggiungeteci al centro di decollo, adesso. C’è qualcosa che dovete vedere. Assolutamente.”
“Arriviamo.”

Steve lanciò uno sguardo d’intesa a Tony, che aveva ascoltato la comunicazione attraverso l’elmetto dell’armatura.
I due Vendicatori si diressero all’uscita del centro di controllo, per immettersi poi nell’intricato labirinto di corridoi tanto odiato da Rogers e già perfettamente scannerizzato da Stark, grazie all’aiuto di JARVIS.

Anthea si costrinse a distogliere lo sguardo dal corpo inerme di Wade, trascinato malamente da alcuni agenti. Era passato tanto tempo dall’ultima volta che lo aveva visto.
Lui l’aveva tradita, si era preso gioco di lei.
Lo avrebbero torturato per carpire informazioni sui Demoni della Notte e lui non avrebbe parlato, nemmeno se minacciato di morte.
Non avrebbe mai tradito il Padrone.
La ragazza si apprestò a seguire Steve, mentre si faceva largo in lei un senso di oppressione e agitazione. Aveva i brividi lungo tutto il corpo e sentiva freddo e caldo allo stesso tempo.
C’era solo un’entità che possedeva la capacità di farla sentire tanto scombussolata e vulnerabile.
Il Padrone.



                                                 ***



Anche tutte le ombre del centro di decollo erano state tramutate in polvere.
Natasha e Clint avevano steso gli ultimi nemici, mentre Thor ancora cercava di capire come del semplice fuoco avesse ucciso le creature oscure e Hulk, placata la rabbia, tornava ad assumere le sembianze del gentile dottor Banner, coperto solo da un paio di pantaloni stracciati e ormai da buttare.
Occhio di Falco stava per comunicare il buon esito dello scontro, quando qualcosa di incredibile e altrettanto spaventoso aveva monopolizzato l’attenzione di tutti coloro abbastanza vicini da poter assistere ad una scena tanto inquietante.
Un uomo morto aveva ripreso vita improvvisamente e adesso era sospeso a mezz’aria, con la testa penzolante sulla destra a causa del collo spezzato.
Blaterava parole incomprensibili, attraverso una voce demoniaca, profonda e brutale, dal tono alto e possente.
Barton teneva una freccia puntata su di lui, pronto a qualunque evenienza.
Ma come si uccideva un uomo già morto?

Steve e Tony, appena arrivati, ci misero qualche istante prima di metabolizzare ciò che si erano ritrovati ad osservare, rapiti ed increduli.

“Okay, questo è peggio dell’Esorcista.”
Stark rise all’occhiata interrogativa del Capitano.
“Giusto, tu non l’hai visto. Ma rimedieremo Rogers, tranquillo.”

Natasha li raggiunse, non nascondendo il nervosismo per quello strano fenomeno, preludio di altri guai.
“Che ne pensi, Capitano?”
Steve si grattò la nuca, sbuffando esasperato e cercando di afferrare il senso del monologo dell’uomo sospeso, senza risultati.
“Avviciniamoci. Raggiungiamo Barton.”
Si mossero tra la folla di agenti e a loro si aggregarono Thor, Bruce e Loki.
Anche il dio dell’inganno pareva essere stato rapito da quell’evento, degno dell’azione di un demonio.

“Non è una lingua appartenente a questo mondo” constatò Banner, incrociando le braccia sul petto nudo.
“Vero” confermò Tony.
Intanto l’uomo, a due metri da terra, continuava il proprio monologo, simile ad una cantilena agghiacciante senza capo né coda.

“È un richiamo.”
Tutti gli occhi saettarono sulla figura di Loki, che non si dilungò in spiegazioni, dato che non ne aveva voglia, senza contare che lei era arrivata.

Anthea camminò dritta, verso colui che richiedeva la sua presenza attraverso il guscio vuoto di un uomo senza vita.
La mano di Steve le strinse un braccio, nel tentativo di fermarla, ma lei si limitò a sorridergli e a scuotere il capo, invitandolo a lasciarla andare.
Steve mollò la presa, titubante, e Anthea tornò a rivolgere l’attenzione all’uomo sospeso.

“Sono qui.”

Il fantoccio spalancò gli occhi, tenuti chiusi fino a quel momento, rivelando il loro colore rosso come il sangue.
La ragazza tremò, consapevole di trovarsi davanti a Lui, o almeno al suo spirito. Se si manifestava in quel modo, significava che la situazione stava degenerando e che il tempo stringeva.

“Ti concedo tre giorni, dopo i quali verrò a prenderti io stesso.”

Quello era un ultimatum, il quale, non rispettato, avrebbe condotto tutti alla morte.
Dalla bocca del cadavere continuò a venire fuori la voce del Padrone, voce che Anthea conosceva fin troppo bene.

“Se ti opporrai ancora al mio volere, farò in modo che tu soffra come mai prima. Ti distruggerò dentro.”

La ragazza, che aveva patito le pene dell’inferno per anni, non riuscì nemmeno ad immaginare quale dolore avrebbe potuto infliggerle affinché soffrisse oltre ogni limite. Non capiva, inoltre, il significato delle ultime parole del demone.
Come una persona poteva essere distrutta dentro? C’era dolore peggiore di quello causato dalle torture che aveva subito?
E poi l’illuminazione.
Il pensiero si rivolse ad un determinato momento, vissuto nemmeno due giorni prima e ancora dannatamente nitido nella sua mente.
Steve che moriva a causa delle ferite infertegli dalla Bestia.

Le mani tremanti che premevano sul petto del ragazzo, nel tentativo di dare forza al suo cuore.
Le preghiere sussurrate affinché non la lasciasse.
L’isteria trattenuta a stento.
E il dolore lancinante a mangiarla dentro, a farle mancare il respiro, a farle desiderare di morire se solo non fosse riuscita a salvarlo.


Anthea allora capì che cosa il Padrone intendesse fare e ne ebbe paura.
Si chiuse nel suo guscio fatto di mutismo, ignorando gli sguardi di tutte le persone che la circondavano, ma percependo il peso degli occhi azzurri di colui che era inevitabilmente divenuto il suo punto più debole.

Intanto, l’uomo posseduto, caduto a terra con un tonfo, era tornato ad essere un freddo cadavere.
Un vortice oscuro, simile ad un buco nero, prese forma nel mezzo del centro di controllo e i Demoni della Notte vi saltarono dentro, battendo in ritirata.
Ecco spiegato come erano entrati nell’Helicarrier indisturbati.

“Quello deve essere una specie di portale” asserì Tony, avvicinandosi.
A pochi passi dal vortice venne respinto indietro da una forza invisibile e cadde a terra.
“E ci vuole anche un pass speciale per attraversarlo” affermò convinto Barton, osservando Iron Man rimettersi faticosamente in piedi.

Lasciarono che i nemici scappassero, dato che avevano già messo sotto chiave l’uomo più importante e forse l’unico che avrebbe potuto dare loro informazioni essenziali.
Gli altri erano tutti pesci piccoli e molto probabilmente non sapevano nulla dei reali piani del Padrone.
Quando il portale si richiuse, lo SHIELD poté finalmente tirare un sospiro di sollievo, poiché la battaglia era stata vinta.

Ma non la guerra.

I minuti successivi furono governati da un via vai di agenti, intenti a riprendere le postazioni e a rimediare ai danni causati dal nemico.
A coordinare le azioni era la Hill, mentre Coulson si occupava di scortare nelle celle il prigioniero per eccellenza.
Wade, stranamente, non sembrava opporre alcuna resistenza e si limitava a camminare a testa bassa, lasciando che lunghi ciuffi mori gli nascondessero lo sguardo di ghiaccio.

“Che ne dite di tornare alla Tower?”
La domanda del tutto inaspettata richiamò all’attenzione i Vendicatori, ancora fermi intorno al cadavere che era stato posseduto dal Padrone.
Stark inarcò il sopracciglio destro, nell’attesa che qualcuno dicesse qualcosa, qualsiasi cosa.
Gli ultimi avvenimenti erano stati sconvolgenti, tanto da far passare in secondo piano la stessa presenza di Loki.

Tony stava per parlare ancora, quando un grido agghiacciante costrinse tutti a voltarsi verso Natasha.
La donna si teneva la testa tra le mani, gli occhi erano serrati con forza e violenti tremiti le scuotevano il corpo.
Clint fu subito da lei e la sorresse, evitando di farla crollare a terra.
“Nat cosa succede?”
La Romanoff non riusciva a trattenere le urla di dolore e ai lati degli occhi si affacciavano piccole lacrime.
“Loki, dimmi come si ferma tutto questo.”
Quello di Barton era un ordine e se non fosse stato impegnato a tenere tra le braccia il corpo tremante della compagna, avrebbe minacciato il dio, puntandogli una freccia in testa.
“L’avevo avvertita” si limitò a rispondere il diretto interessato.
“Di cosa state parlando?”
Non arrivò risposta alla domanda di Bruce ed intanto Natasha si contorceva, dilaniata dalla sofferenza.
“Portiamola in infermeria, veloci” fu l’ordine di Rogers.
“Non servirà a nulla. Il processo non può essere fermato.”
“Di cosa parli, piccolo cervo?”
“Quale oscura magia le hai inferto, fratello?”
“Lei ha accettato.”
“Loki, fai immediatamente qualcosa, o una freccia nel bulbo oculare non te la toglie nessuno questa volta.”

Tra le grida della rossa e l’agitazione dei Vendicatori, Anthea si fece avanti e raggiunse l’arciere.
“Lascia fare a me. Stendila a terra.”
Calò il silenzio e l’attenzione confluì sulla giovane.
Barton obbedì senza fiatare, ponendo il corpo della Romanoff sul pavimento.
Avrebbe fatto di tutto per stappare Natasha da quella tortura atroce, anche concedere a quella ragazzina una possibilità.

Anthea si inginocchiò al fianco di Natasha e le prese il viso tra le mani, mentre Clint cercava di tenerla ferma.
Gli occhi della ragazza assunsero il colore dell’oro e brillarono intensamente, mentre il corpo esile si tendeva all’inverosimile.
La Vedova Nera smise di contorcersi e le grida vennero sostituite da gemiti bassi e rauchi, i quali cessarono quando perse i sensi, stremata.

“Deve riposare. Sarà meglio che la portiate nella sua camera.”

Barton non se lo fece ripetere. Prese la donna in braccio e si incamminò verso i dormitori, seguito dagli altri.

Steve, però, rimase ad osservare Anthea, ancora in ginocchio.
La ragazza respirava a fatica, il viso era pallido e il corpo le tremava visibilmente, nonostante cercasse di nasconderlo.
“Ehi, è tutto okay?”
Rogers le tese la mano e lei l’afferrò, tirandosi su con uno sforzo esagerato e stringendo i denti, per ricacciare indietro le grida che le premevano sulla gola. Strinse forte la mano calda del Capitano, che istintivamente l’attirò a sé, facendole poggiare la fronte sul suo petto.

Steve ignorò il dolore di tutte le ferite che gli erano state inferte durante la battaglia. Doveva essere forte per lei, adesso, perché lei aveva bisogno di un capo saldo a cui aggrapparsi.

“Anthea, cos’hai? Rispondi, ti prego.”
La ragazza si accostò di più a lui, stringendolo per i fianchi.
“Scusami” balbettò incerta.
Voleva il suo perdono, voleva sentire di nuovo il legame tra loro, voleva spiegargli tutto, voleva che sapesse la verità.
Ma Steve non disse nulla. Si limitò a carezzarle i lunghi capelli color miele, ascoltando i tremori che le percorrevano il corpo.
“Mi dici cosa ti succede?” riprovò.

“Nulla si crea e nulla si distrugge, Steve Rogers.”
Loki, fermo sulla soglia dell’uscita del centro di decollo, osservava la scena con un certo divertimento.
Nonostante ciò, Steve non pensò nemmeno un istante di allontanare la ragazza.
“Cosa significa?”
“Non ci arrivi da solo? Lei non fa sì che il dolore svanisca, ma lo incorpora e soffre al posto della vittima che soccorre.”

Rogers spalancò gli occhi e la consapevolezza lo colpì come un getto di acqua gelata.
Tutte le volte che l’aveva guarito, Anthea aveva sofferto al posto suo, ospitando in sé il dolore che gli apparteneva.

“Tu ed io dobbiamo parlare.”
Era un ordine, ma Steve aveva pronunciato quelle parole con una certa dolcezza.

“Sì” sussurrò lei e lo strinse ancora.







Note
Eccoci arrivati alla fine di questo capitolo!
Grazie a tutti coloro che leggono e seguono questa storia, a cui mi affeziono sempre di più, capitolo dopo capitolo.
Cosa ne pensate, allora?
Anthea vi piace?
Spero di ritrovarvi anche ai prossimi capitoli.
Un abbraccio e alla prossima <3

Ella

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Capitolo 15
*** Legami ***


Legami

“Sei certo della decisione presa, Capitano?”

Steve si addossò alla parete del corridoio, alleggerendo alle gambe il fardello di sostenere il peso del corpo provato dalla battaglia conclusasi appena qualche ora prima.
L’adrenalina era scemata del tutto, mentre la stanchezza e il dolore delle ferite si erano riaccesi, rendendogli difficile rimanere lucido e vigile.
Sospirò, incrociando la braccia al petto.
Le tempie pulsavano dolorosamente e ciuffi di capelli biondi si erano appiccicati alla fronte cosparsa di tagli rossi e freschi.

“Stark ha insistito perché ci spostassimo e sono d’accordo con lui. È inutile nascondersi, ci troverebbero comunque.”

Il cipiglio severo disegnato sul volto di Fury si sciolse, trasformandosi in un’espressione di rassegnazione e arrendevolezza.
Il direttore non poteva avere ragione sui Vendicatori e doveva accettare tale verità, perché non c’era possibilità di combatterla.

“Vi scorteremo noi, assieme al prigioniero.”

Rogers si limitò ad annuire, anche se il movimento parve più un abbandonare il capo in avanti.
Costrinse il corpo a muoversi e diede le spalle a Fury, incamminandosi.

“Fate attenzione, Rogers.”

Il Capitano alzò la mano destra, senza voltarsi, in segno di saluto.
Poi voltò l’angolo, sparendo dalla vista dell’uomo dall’impermeabile nero.




Raggiunse i dormitori e poi la stanza che gli era stata assegnata.
Il peso dello scudo sulle spalle gravava più del normale, perciò se ne liberò subito, abbandonandolo a terra malamente.
La partenza era prevista per l’alba. I Vendicatori avrebbero raggiunto la Stark Tower l’indomani, consapevoli di avere poco tempo a disposizione per poter organizzare un piano adatto a sconfiggere il nemico.
Si chiese se ce l’avrebbero fatta anche questa volta, ma scacciò immediatamente il pensiero, dandosi dello stupido. Era lui quello che avrebbe dovuto incoraggiare e sostenere i suoi compagni, da buon Capitano, ma la parte più umana di sé pretendeva di dubitare, di avere paura, di sentirsi debole.
Sfilò la divisa sbrindellata dalle spalle, con movimenti lenti ed attenti. La tirò verso il basso, ma si bloccò una volta giunto all’altezza dei fianchi.
Nel punto in cui Wade aveva affondato il coltello, il tessuto si era appiccicato alla ferita, a causa del sangue ormai rappreso.

“Questo farà male” sussurrò tra i denti.

Con uno strappo deciso abbassò ancora la divisa, lasciando che un gemito di dolore gli vibrasse in gola. Osservò disgustato lo strato di pelle rimasto attaccato alla stoffa e il sangue che riprendeva a scorrere dal taglio riaperto. Vi premette sopra la mano, che si tinse immediatamente di rosso.

“Te ne starai lì ancora per molto, aspettando di morire dissanguato?”

Steve sussultò, voltandosi verso la porta d’ingresso.
“Dovresti imparare a bussare.”
Nella sua voce non c’era traccia di rimprovero e le labbra si piegarono in un fievole e dolce sorriso, arma perfetta per arrivare dritto al cuore della ragazza, che percepì le ginocchia divenire tremule.
Ma Steve questo non poteva immaginarlo, troppo ingenuo e inconsapevole dell’effetto che aveva sulle persone, soprattutto se queste appartenevano al gentil sesso.
Anthea sorrise a sua volta, sussurrando un “Mi dispiace” a fior di labbra.

“Come sta?”
“Si sveglierà a momenti.”
La ragazza era passata a controllare le condizioni di Natasha, prima di raggiungere Rogers.
La rossa era immersa nell’oscurità dell’incoscienza, ma si stava riprendendo velocemente sotto il meticoloso controllo di Bruce e la costante vigilanza di Clint, il quale - Anthea non aveva potuto ignorarlo - stava affogando in un mare di ansia malcelata.
La giovane capiva l’arciere, poiché le bastava immaginare Steve sul quel letto per sentire lo stomaco rivoltarsi.

Ti distruggerò dentro.

Ecco riaccendersi il pungente dolore nel petto.
Aveva improvvisamente voglia di urlare, ma riacciuffò la stabilità per tornare coi piedi per terra e rendersi conto che Steve stava bene, nonostante le diverse ferite riportate dallo scontro.
Un baluginio si accese nelle iridi buie della giovane, nel momento in cui ella prese a studiare la figura del Capitano.
I corti capelli biondi erano scompigliati, il viso cosparso di tagli, il labbro inferiore spaccato, la gola contornata da lividi violacei.
Gli occhi cobalto scesero più in basso, sull’addome nudo e scolpito, scivolando poi sulla ferita al fianco, sotto la quale era arrotolata la parte superiore della divisa.
Le labbra di Anthea fremettero.
Si avvicinò a lui con cautela, guardandolo negli occhi azzurrissimi.
Gli occhi più belli che avesse mai visto.
Le dita affusolate toccarono incerte la pelle calda del torace e Steve ebbe un tremito, nel sentirle scendere in basso e percorrere la linea degli addominali, lentamente e delicatamente.
Ma quando la mano della ragazza giunse in prossimità della ferita, Rogers le afferrò prontamente il polso e la costrinse ad alzare gli occhi per guardarla in viso.
La giovane aveva la bocca leggermente aperta e i grandi occhi sbarrati, mentre cercava di riprendersi dalla brusca interruzione da parte del ragazzo.

“Non pensarci nemmeno.”

La osservò mordersi il labbro inferiore, colpevole.

“Voglio solo guarire le tue ferite e-”
“Prendere il mio dolore? Non posso permettere che tu faccia una cosa del genere.”
Lo hai già fatto troppe volte.
Adesso nella voce del super soldato c’era rimprovero, così come nella sua espressione corrucciata.

Steve non riusciva a capire come la ragazza avesse potuto inglobare tutto quel dolore, subito dopo l’attacco di Thanatos.
Aveva guarito la spalla rotta di Clint, la schiena squarciata di Tony ed infine, come se non bastasse, aveva strappato lui dall’abbraccio della morte.
Aveva fatto finta di stare bene, mentre aveva cercato dentro di sé la forza per gestire e far tacere tutta la sofferenza estratta dai loro corpi.
E poi aveva salvato Natasha.

Anthea sbuffò e scosse il capo.
“Tu non capisci. Quando ti guardo e vedo queste” la ragazza si liberò dalla presa sul polso, fattasi più morbida, e gli accarezzò il viso, seguendo la linea della mascella contratta e arrivando a tastare i segni scuri sulla gola, punto in cui si fermò, lasciando che un’ombra le oscurasse le iridi “io sto male. Provo una tale rabbia da-”

“Dovrai farci l’abitudine, Anthea. Sono un soldato, dopotutto.”

La giovane rimase immobile, le braccia crollate lungo i fianchi e lo sguardo perso.
Quante verità e implicazioni in quelle poche parole.
Forse nemmeno Steve aveva colto il reale senso della frase da lui stesso pronunciata, ma Anthea non poteva ignorare quel dovrai farci l’abitudine.
Significava quindi che lei sarebbe rimasta con quel ragazzo che le aveva stravolto l’esistenza?
Un sogno, ecco cos’era. Qualcosa di irrealizzabile.
Il Padrone incombeva su di loro e la sua presenza era quasi tangibile.
Ma la sola idea di poter vivere impregnata della presenza di Steve Rogers le fece palpitare il cuore talmente forte, da farle temere che sarebbe esploso a momenti.

Gli posò una mano dietro il collo e, aiutata dalla forza fuori dal comune che possedeva, lo costrinse a curvare la schiena, permettendo alle loro labbra di toccarsi e unirsi in un bacio dettato dall’urgenza che lei aveva di sentirlo più vicino, più intimamente.
Steve le afferrò i fianchi, tirandola contro di sé, e schiuse la bocca permettendole di approfondire il bacio. Si assaggiarono con febbrile bramosia, arrendendosi al desiderio di colmare ogni più piccolo spazio tra i loro corpi.
Il sapore ferroso del sangue si insinuò tra le loro lingue, ma lo ignorarono.
Anthea gli infilò le dita nei corti capelli biondi, sollevandosi sulla punta dei piedi, mentre il giovane soldato le carezzava la schiena, provocandole piacevoli brividi.
Si staccarono solo quando la richiesta di ossigeno divenne insopportabile. Le guance arrossate, gli occhi liquidi, le labbra gonfie, il respiro affannoso e l’assurda voglia di sentirsi pelle contro pelle.

Anthea scivolò via dalla delicata stretta di Steve e mosse qualche passo indietro, ristabilendo le distanze di sicurezza.
Non poteva lasciarsi andare o non avrebbe avuto la forza di fermarsi.
E Steve non era lucido in quel momento.

“Fai una doccia e disinfetta le ferite. Io andrò a togliermi di dosso l’odore del sangue e poi mi metterò alla ricerca di un cambio da indossare.”
Il ragazzo non accennò nemmeno a dire qualcosa, così lei sorrise teneramente.
“Fa’ il bravo, Steve.”

La giovane uscì dalla stanza, lasciando Rogers ancora confuso ed intontito.

“Okay” balbettò lui, con lo sguardo ancora perso chissà dove e il sapore di Anthea sulla lingua.



                                                         ***



La fievole luce le ferì gli occhi, che si richiusero con uno scatto.
Si mosse nervosa, percependo la costrizione delle lenzuola che le avvolgevano il corpo privato della divisa e coperto solo dall’intimo nero.

“Piano.”

La voce dolce di Bruce pareva un’eco giunta da lontano.
Si fece forza e permise alle iridi verdi di venire alla luce, adesso non più così fastidiosa.
Alla destra del letto, accasciato su una sedia pieghevole di plastica nera, Banner la osservava. Aveva i riccioli scuri completamente in disordine, gli occhi stanchi, indossava una maglia bianca troppo grande per lui - sicuramente un prestito di Rogers - e i pantaloni sbrindellati che Hulk aveva reso inutilizzabili. Il dottore aiutò la rossa a mettersi seduta, sistemando il cuscino tra la testata del letto e la sua schiena nuda. Natasha tirò su il lenzuolo e lo bloccò sotto le ascelle, lasciando scoperte le spalle nude.
“Cosa è successo?”
La voce le venne fuori roca, grattandole la gola secca.
Bruce le accarezzò i capelli, gesto che alla donna parve quasi paterno.
“Per fortuna niente di irrimediabile, ma lascerò a qualcun’altro il dovere di aggiornarti.”
Il dottore le scoccò un sorrisetto complice e poi le diede le spalle, con l’intento di uscire.

“Grazie, Bruce.”
Gli occhi di Natasha saettarono sulla figura rimasta all’ombra, nascosta nell’angolo della stanza vicino la porta. Banner scosse il capo e sorrise ancora.
“Non serve, Clint. Ora va’ da lei.”
E lasciò li lasciò soli.

Barton prese posto sulla sedia scadente raccattata chissà dove da Fury.
Natasha era lì, davanti a lui, viva. Era ancora pallida e le labbra rosse come le fragole, ora erano rosee. Aveva le mani raccolte in grembo e lo osservava da sotto le lunghe ciglia, mentre le spalle candide come la neve si alzavano ed abbassavano ad ogni respiro.
Bellissima, sempre e comunque, fu il pensiero dell’arciere.

Stettero in silenzio, a guardarsi negli occhi, come per cercare di leggere l’una i pensieri dell’altro.

“Allora?”
La voce tremula di Natasha era intaccata da un groppo formatosi improvvisamente nella gola.

“Ti avevo detto di non farlo.”
“Clint, non ho bisogno della paternale. Ho fatto una scelta, accettandone i rischi.”
“Hai rischiato di morire, lo sai questo?”
“Non è una novità per quelli come noi.”

La risata di Clint risuonò cristallina, ma alterata da una lieve nota d'isterismo.
“Hai dannatamente ragione. Sono sempre stato abituato a questa idea, almeno prima di incontrare te.”

Perché se Clint Barton un giorno di tanti anni prima non aveva rispettato l’ordine ricevuto, risparmiando una creatura tanto bella quanto letale, l’aveva fatto solo per un motivo che all’inizio aveva faticato a comprendere, ma poi tutto era divenuto talmente chiaro da far paura.
Quel fatidico giorno, il cuore aveva vinto sulla ragione.
Poi il senno l’aveva perso completamente nella stanza del suo appartamento a New York, quando Natasha, per la prima volta, si era donata a lui, ricambiandolo. Barton non avrebbe mai dimenticato quella notte, i sospiri e i gemiti di lei, i baci roventi, le curve armoniose di quel corpo caldo e morbido. Da lì era cominciato un esplorarsi a vicenda, un conoscersi sempre più in profondità, un raggiungere assieme l’apice del piacere, contro il dolore del passato e del presente.
Clint aveva imparato a distinguere l’amore dal sesso, anche se la loro non poteva definirsi una vera e propria relazione, dato il lavoro che facevano e le personalità inadatte a un qualcosa che li avrebbe resi dipendenti l’uno all’altra. Le cose, infatti, erano poi degenerate, provocando un continuo allontanamento.

Non sapevano cosa fosse davvero un legame, ma erano consapevoli che il suo spezzarsi avrebbe portato un dolore inguaribile.
Ed erano pronti ad affrontarlo?

“Clint, ti prego non …”

L’uomo le afferrò una mano, stringendola tra le sue.
“Non posso fare a meno di te, Nat, lo capisci questo?”
La osservò mordersi il labbro inferiore.
“Lo capisco fin troppo bene. È per questo che dovremmo tenerci a distanza. Per evitare di rimanere distrutti in caso …”
Non riuscì a continuare.
“Natasha, guardami.”
Le iridi verdi si tuffarono in quelle chiare dell’uomo, in cerca di un appiglio e di certezze.

“Stare con te e amarti varrebbe la pena di ogni singola goccia di dolore che proverei nel perderti.”

Successe tutto troppo in fretta.
Clint avvertì le labbra di Natasha sulle sue e schiuse la bocca per accoglierla. Il bacio si trasformò in una danza rovente di lingue, che si cercano, si stuzzicano, si riassaporano dopo troppo tempo, tempo passato ad evitarsi per non dover soffrire, quando invece il dolore della distanza li aveva comunque distrutti.
Si separarono con il fiato corto e gli occhi liquidi.

“Allora amami.”

Clint si premurò di bloccare la porta, cosicché nessuno avrebbe potuto interroperli. Tornò da lei. Il lenzuolo le era scivolato via e Barton prese ad ammirare la curve del seno sorretto da pizzo nero e quelle sinuose dei fianchi, mentre il sangue andava ad animare il basso ventre. Si liberò dei vestiti, rimanendo in boxer, e la Vedova si umettò le labbra a quella vista.

Poi Clint fu su di lei e dentro di lei, amandola.



                                                ***



La nebbiolina si stava diradando, scoprendo la città che aveva celato nel suo abbraccio umido durante la notte.
Il sole sorgeva placidamente e da esso la pallida luce si irradiava in cielo e sulla terra, inaugurando l’alba di un nuovo giorno.
Una leggera e fresca brezza le accarezzò il viso, arrossandole le guance. Si strinse nelle spalle, ma nonostante sentisse freddo, rimase immobile ad osservare quello spettacolo mozzafiato.
La luce che trionfava sulle tenebre.
La rinascita del mondo, rimasto assopito per lunghe ore.

Rinascita.

Per alcuni istanti, ogni cosa intorno a lei scomparve. Le iridi buie brillarono della luce emanata dalla Stella nascente e le pupille si contrassero, diventando puntini neri immersi in un mare abissale.

Rinascere.

Un tocco, una voce.
Il vetro intorno a lei si infranse e la realtà tornò a pungerle la pelle.
Si voltò, incontrando gli occhi chiari di Thor, la cui mano sicura stringeva ancora delicatamente la sua spalla.
“Cos’è che rende assente il tuo sguardo?”
“I pensieri. Sono troppi e ognuno di essi reclama la mia attenzione. Non riesco a gestirli.”
Il dio le sorrise. Un sorriso sincero, che sapeva di sicurezza.
“Concentrati sul presente, prima che diventi passato, o ti volterai indietro esternando rimpianto. Lascia scivolare via questi tuoi pensieri ostici e vivi.”

Anthea sbatté ripetutamente le palpebre, confusa, ma subito dopo lasciò che quelle parole le sgombrassero la mente e in un impeto di gioia abbracciò Thor, sussurrandogli un “Grazie” carico di luminosi sentimenti.
L’asgardiano le regalò una pacca sulla schiena e raggiunse i compagni, i quali erano intenti a scortare Wade fuori dal jet, atterrato qualche tempo prima sul tetto della Stark Tower.

Tony aveva asserito di possedere una cella di detenzione ai piani alti della Torre. Sul motivo nessuno aveva posto domande e lui non si era prolungato in spiegazioni, stranamente.
La ragazza osservò il moro scendere dal velivolo, affiancato da Iron Man e Occhio di Falco. Quest’ultimo emanava una luce nuova ed il sorriso gli piegava le labbra con estrema facilità.
Natasha possedeva gli stessi sintomi, anche se cercava di celarli dietro una facciata di professionalità e noncuranza.
Anthea aveva la straordinaria capacità di leggerti dentro, superando qualsiasi barriera costruita a scopo di difendere l’intimità delle emozioni, perciò sorrise, quando comprese cosa facesse risplendere le due spie.
Amore.

Thor raggiunse la rossa, seguita da un Loki tranquillo e completamente a suo agio tra coloro che avevano mandato a benedire i suoi piani di conquista.
I polsi non erano costretti da catene. Era libero.
Sembrava avesse stretto un muto accordo con i Vendicatori: niente colpi di testa in cambio di uno stereotipo di libertà. E la cosa funzionava, o almeno pareva funzionare.

Si mossero tutti verso l’accesso a vetri del piano più alto, ma Anthea si trattenne, in attesa di vedere il Capitano scendere dal jet.
Ed eccolo, scudo in spalla e solita divisa messa a disposizione dallo SHIELD.
Dietro di lui, il velivolo si sollevò, roteò lentamente su sé stesso e, azionati i propulsori, ripartì, sorvolando New York e sparendo all’orizzonte.
Rogers la raggiunse con passi ampi e cadenzati.

“Ti congelerai” fu il dolce ammonimento del biondo.
Anthea si mosse a disagio, sistemando il bordo della maglia prestatale da Clint, in modo che coprisse meglio le cosce fasciate dai pantaloncini neri.
“Ho sopportato di peggio.”
Steve sentì il cuore accartocciarsi, a causa dell’ineluttabile verità di quelle parole pronunciate con falsa noncuranza.
“Sai cosa ti aspetta, adesso?”
Si incamminarono in direzione dell’ingresso alla Torre.
“Avrei dovuto farlo fin dall’inizio, Steve.”
Ma avrebbe voluto evitarlo per sempre.
Avrebbe dovuto tirare fuori tutti quei segreti che teneva gelosamente nascosti nel suo cuore.





La Sala Comune era diverse cose assieme.
Luogo dove trovare tranquillità e compagnia. Stanza per le maratone notturne di film horror - espediente perfetto, secondo Stark, per osservare le espressioni di orrore di Rogers e quelle confuse di Thor - e per mangiare tutti seduti intorno allo stesso tavolo, ridendo tra un battuta e l’altra. Essa diveniva però, in caso di emergenza, centro per le riunioni strategiche.
Adesso stava svolgendo proprio quest’ultima funzione, anche se i Vendicatori non sembravano molto propensi ad intavolare un discorso basato sulla loro possibile disfatta.
Tony e Clint fecero il loro ingresso nell’esatto momento in cui Bruce decise di passare in camera per indossare qualcosa di decente, ma sfortunatamente fu costretto a rinunciare, sbuffando afflitto.

“Allora?”
“Lo abbiamo rinchiuso nella cella super tecnologica - costruita per chissà quali scopi, Capitano.”
Barton mimò un saluto militare, beccandosi un paio di occhiatacce.

“Ci sono proposte?”
Tony alzò la mano e prese la parola, senza attendere alcun permesso.
“Mangiamo qualcosa?”
“Stark, la mia era una domanda seria.”
“E la mia era una proposta altrettanto seria, Capsicle. Ho fame.”
“Io ho sonno” si intromise Clint.
“Insulsi mortali. Non posso credere che mi abbiano battuto.”
“Nessuno ha chiesto il tuo parere, piccolo cervo.”
“Cerchiamo di mantenere la calma” fu l’ammonimento della Vedova.
“Dobbiamo progettare una strategia. Non c’è tempo per lagnarsi come bambini petulanti."
“E dai Rogie. Abbiamo tre giorni. Rimandiamo a più tardi, quando tutti saremo abbastanza lucidi da avanzare proposte sensate. Siamo appena usciti vivi da un inferno, dopotutto.”

Erano spossati, confusi, sporchi e affamati.
Erano eroi sì, ma pur sempre umani.

“Okay. Ci rivediamo qui tra qualche ora, dopo che ci saremo dati una sistemata.”

Sospiri di sollievo.

Ognuno raggiunse il proprio appartamento, situato ad uno specifico piano della Torre. Natasha invitò Anthea a seguirla e la ragazza accettò senza pensarci due volte, mentre Loki veniva trascinato via da un Thor raggiante.

Alla fine era passata più di qualche ora ed infatti, su invito di JARVIS, i Vendicatori si erano ritrovati nella Sala Comune soltanto a mezzodì, con indosso abiti puliti ed appartenenti al guardaroba della normalità, niente divise, costumi o armature.
Tony aveva avuto la premura di ordinare qualcosa al takeaway, perciò erano tutti seduti intorno all’ampia tavola di legno scuro posta nell’angolo dedicato alla piccola cucina, intenti a riempirsi lo stomaco.
Ad Anthea, seduta tra Natasha e Loki, era bastato qualche boccone per sentirsi sazia ed appagata, dato che era stata abituata a vivere con pochissimo.

La luce calda e accecante del Sole penetrava l’ampia vetrata che offriva una vista spettacolare su New York ed illuminava l’intera stanza, rendendo più vivido ogni colore. Il chiacchiericcio vivace, decorato da sorrisi sorprendentemente naturali e sguardi rilassati, non rispecchiava affatto la situazione di pericolo in cui erano ormai affondati fino al collo.
Era tutto così ... bello.
Anthea faticava a dare un nome alle emozioni che avevano preso a danzarle dentro per la prima volta. Le labbra si piegavano troppo facilmente a formare sorrisi, i quali coinvolgevano gli occhi stessi.
Il blu oscuro pareva essere più limpido e meno profondo, come se l’anima stesse riemergendo dagli abissi per mostrarsi nella sua interezza, rimasta celata per lunghissimo tempo da un pesante velo tessuto con la paura, la tristezza, la vergogna e la sfiducia.
Un giorno le sarebbe piaciuto chiamare casa un qualsiasi posto dove avesse trovato la felicità.
Eppure, in fondo, possedeva già la sensazione di trovarsi nel luogo giusto. Non era tanto importante il dove fosse esattamente, ma con chi fosse.
Era circondata da persone specialmente uniche e ciò la faceva sentire euforica a tal punto da renderla dimentica di questioni prioritarie.
Come poteva anche solo pensare a un qualcosa che fosse diverso dal ragazzo che le stava proprio di fronte?
Quegli occhi così dannatamente azzurri avevano colorato i suoi sogni durante la lunga prigionia e avevano evitato di farla impazzire del tutto.

“Hai intenzione di dirglielo?”
Un languido sussurrò la costrinse a voltarsi in direzione di Loki, che la osservava con un certo interesse.
“Cosa?”
Anche Anthea parlò piano, in modo da non attirare l’attenzione degli altri, intenti a discutere su chi fosse il più degno - secondo la filosofia di Thor per ogni piccola stupida cosa bisognava essere degni - che avrebbe dovuto mangiare l’ultima disgraziata ala di pollo inerte al centro del tavolo.

“Parlo del fatto che non sei umana, o almeno non del tutto.”
Anthea ebbe l’impressione che tutto intorno a lei vorticasse e che la spina conficcata nel petto solo un giorno prima da Loki, stesse adesso penetrando più a fondo, puntando dritta al cuore.
Non era umana.
Cos’era allora?
Chi era?
E cosa voleva essere?

Le mani, poggiate sulle gambe, si erano serrate a formare due pugni e le nocche erano diventate pallide, tanto quanto il volto.
Mantieni la calma.
“Allora?” la incalzò Loki.
Anthea affondò i denti nel labbro inferiore, abbassando lo sguardo e concentrando l’attenzione su una piccola venatura della superficie lignea del tavolo.
Mantieni la calma.
Era panico ciò che sentiva arrovellarsi nelle viscere, a causa della fredda e pungente paura di veder scomparire quel piccolo spiraglio di felicità, nato da troppo poco per venire stroncato così prematuramente.
Ringraziò l’arringa di Stark - stava esponendo le motivazioni per le quali si sarebbe aggiudicato la famosa ala di pollo -, che aveva monopolizzato l’attenzione.

“Sta’ zitto” sibilò astiosa, ma il tono divenne più flebile e incerto nel pronunciare le parole successive.
“Parlerò loro, ma prima tu dovrai essere più chiaro con me. Devo sapere, ti prego.”
Era arrivata a supplicarlo, alla fine, mostrandosi in tutta la sua debolezza e vulnerabilità.
“Come vuoi.”
La giovane sbatté ripetutamente le palpebre, confusa, e rivolse lo sguardo verso Loki.
“Davvero?”
Scorse un sinistro luccichio negli occhi chiari del dio, che guardava davanti a sé, sorridendo appena.
I jeans scuri e la maglietta verde a mezze maniche non scalfivano minimamente il suo essere superiore e l’eleganza che possedeva.
Il dio stava mettendo da parte il freddo cinismo e Anthea riusciva adesso a sentire più chiaramente le sue emozioni, le quali gravano su un cuore indurito da anni trascorsi nell’odio e nella disperazione.
“Grazie” soffiò appena, ma a Loki non sfuggì quella dolce e calda parola, pronunciata con una sincerità disarmante.
“Sentimentale” sbuffò il moro, ma negli occhi si era impressa una scintilla stranamente luminosa.

Alla fine, l’ala di pollo era finita nelle mani di Clint, furbo ad approfittare della distrazione degli altri, intenti ad insultarsi a vicenda.
Bruce non aveva partecipato alla competizione insulta e sarai insultato, ma aveva goduto nell’ascoltare quante idiozie al secondo Stark sapesse tirare fuori con una facilità mostruosa.

“Potremmo parlare di cose serie, adesso?”
“Sei sempre il solito guastafeste, Rogers” borbottò Tony.

“Steve ha ragione. Abbiamo meno di tre giorni per escogitare un piano decente e sfortunatamente possediamo informazioni pari a zero sul nemico. Quindi, a lavoro.”
Natasha regalò qualche occhiataccia ai presenti, in modo da sopprimere qualsiasi intento non idoneo alla situazione che doveva essere trattata con i guanti.
“Punto uno. Raccogliere quante più informazioni possibili sul Padrone. Chi è, o meglio, che cos’è e quali sono i suoi reali scopi. Anthea?”

Appena la Romanoff pronunciò il suo nome, la ragazza sobbalzò, per poi rendersi conto di avere puntati addosso gli sguardi di tutti i presenti.
Si costrinse a parlare, anche se consapevole di non possedere dettagli sufficienti a far luce sull’identità del nemico.
“L’ho visto poche volte ed ha sempre indossato una mantella nera che gli celava il corpo ed il volto. È umano? Non saprei e non ho idea di quali siano i suoi scopi. Wade mi ha sempre ripetuto che lui è il futuro ed ha bisogno di me per realizzare i suoi piani. Ma ha dovuto aspettare che maturassi, affinché tutto potesse essere perfetto. Il momento era ormai giunto, credo, perché l’ultima volta che il Padrone è venuto da me risale a quattro giorni prima che Steve mi trovasse.”

Il silenzio divenne soffocante dopo pochi secondi.

“Siamo finiti” si lasciò scappare Barton.
“Abbiamo sempre questo Wade da interrogare, no?”
Stark cercò di rinvigorire gli animi.
“Sarà difficile farlo parlare.”
“Tranquillo Rogers, quel tipo non conosce la nostra Vedova Nera. Piccolo cervo qui, ne sa qualcosa.”

Il fatto che Loki non rispondesse ad una provocazione preoccupò non poco i Vendicatori, tanto che tutti si voltarono nella sua direzione per controllare che fosse ancora lì.
Il dio c’era, ma pareva totalmente immerso nei suoi pensieri.
Poi parlò, ignorando la confusione negli occhi di quegli insulsi mortali.
“Il Padrone, eh? Non mi è nuovo tale nome. Ho percepito in parte il suo potere durante la possessione del cadavere, perciò posso affermare con sicurezza che non appartiene alla razza umana. Ma quel nome, ricordo di averlo letto o sentito ad Asgard, secoli fa.”

“Forse non siamo poi tanto finiti” si corresse Clint.

Steve si alzò in piedi con uno scatto e la sedia stridette contro il pavimento. Sapeva essere autoritario anche indossando un semplice paio di jeans chiari e una comoda felpa blu.
“Thor, tu tornerai ad Asgard per trovare anche la più esigua informazione su questo Padrone. Natasha e Clint penseranno a Wade.”
“E Loki, Capitano?”
“Loki resterà qui, Thor, per portare a termine il compito che gli era stato assegnato.”
Adesso tutti guardavano Steve, piuttosto confusi.
Il super soldato si apprestò a chiarire le ragioni di quella decisione.
“Anthea potrebbe essere l’unica in grado di fronteggiare il Padrone, perciò dobbiamo metterla in condizione di poter sfruttare appieno il suo potere.”

“Potrebbe essere rischioso.”
Clint non poteva rimuovere dalla memoria la notte in cui la ragazza aveva rischiato di uccidere Rogers e lui stesso. L’immagine di quegli occhi completamente neri, privi di qualsiasi sentimento, era ancora nitida nei suoi pensieri.
Nonostante li avesse salvati più volte, non riusciva a fidarsi completamente della giovane paranormale.

“Bisogna tentare.”
Il Capitano sorrise in direzione di Anthea, che ancora faticava a credere alle sue orecchie.
Steve stava riponendo in lei tutta la sua fiducia.
E non l’avrebbe deluso.

“Ehi Cap, noi cosa facciamo?”
“Avremo bisogno di parecchio fuoco, credo.”
“Capito. Ci pensiamo noi, giusto Bruce?”
Banner annuì in direzione di Tony.
Le ombre erano un gran problema, perciò i due geni avrebbero avuto il loro bel da fare per trovare il modo giusto di contrastarle.

“Okay, muoviamoci allora.”

“Ehi! Frena, Cap! Qual è il piano?”
Stark incrociò le braccia al petto, fissando il suddetto Capitano.

Steve si grattò la nuca e prese a fissare un punto indistinto sul pavimento.
“Ecco, questa è una parte. Appena sapremo di più, provvederemo a rattoppare i buchi.”

Nell’aria alleggiava l’odore della perplessità.

“Ce la siamo vista contro un esercito di alieni, mentre adesso ne dobbiamo affrontare uno solo. Possiamo farcela, anche senza un piano decente. L’ispirazione ci verrà al momento.”
Stark si voltò a guardare il compagno alla sua destra con occhi sbarrati.
“Bruce, ti senti bene?”
Il dottore sorrise e fece spallucce.

“Banner ha ragione, in fondo.”
Natasha si alzò in piedi, osservando i suoi compagni con orgoglio.
“Siamo un gruppo di sconclusionati, ma nonostante ciò siamo riusciti a gestire un’invasione aliena. Muovete il sedere e datevi da fare, signorine.”

Dovevano solo crederci.

Ed ecco che quelli che erano pezzi separati di uno stesso puzzle andavano ad incastrarsi perfettamente tra di loro, creando un’esplosiva combinazione di coraggio, forza, audacia ed anche un bel po’ di incoscienza.

“Mi dispiace. È solo colpa mia se vi trovate in questa situazione.”
Anthea si prese la testa tra le mani, impotente.
Cosa poteva fare per evitare che il Padrone facesse loro del male?
Era troppo debole in confronto a lui e ne era pienamente consapevole, purtroppo.
Steve le fu subito affianco e le poggiò una mano sulla spalla, affinché lei potesse sentire la sua presenza.

Dopotutto anche lei era diventata un pezzo del loro puzzle.

“Se non ti fossi messa in contatto con me, lo SHIELD non sarebbe mai venuto a conoscenza di un’organizzazione di traditori al suo interno e il Padrone avrebbe avuto tutto il tempo per portare a compimento i suoi piani, i quali sicuramente non porterebbero nulla di buono alla Terra. Quindi reagisci e comincia a combattere per ciò che vuoi.”

La ragazza sbatté ripetutamente le palpebre, frastornata da quelle parole così travolgenti.
Combattere per ciò che voleva. Cosa voleva?

“Sono d’accordo con lui, stranamente” affermò Tony, sorridendo.

Anthea sorrise a sua volta, mentre immaginava una vita migliore, vicino a quelle persone che erano divenute tanto importanti in così poco tempo.
“Grazie” disse solo.
Era inutile usare tante parole, quando a parlare sarebbero state le azioni. Avrebbe fatto qualunque cosa fosse stata in suo potere per proteggerli.

“Okay. Diamo inizio ai giochi.”
All’esortazione di Steve, tutti si mossero per adempiere ai propri compiti.



                                                   ***



Due giorni allo scontro.

Thor era andato via e ancora non era tornato.
Tony e Bruce avevano lavorato fino a tardi, poi avevano battuto in ritirata di fronte all’ondata di sonno annunciata dagli incessanti sbadigli.
Natasha e Clint non erano riusciti a convincere Wade con le buone, perciò erano stati costretti ad usare le maniere forti, nonostante le quali avevano ottenuto ben poco. Avevano trovato, però, la conferma alle loro supposizioni: il Padrone avrebbe portato il caos sulla Terra.
Steve era rimasto con Loki ed Anthea. Quest’ultima era riuscita a stabilizzare maggiormente il suo potere e si era esercitata sull’utilizzo del fuoco, arma principale da usare contro le ombre.

Ed intanto il Sole aveva lasciato posto alla Luna, ponendo fine all’ennesimo giorno e accorciando ancora il tempo a loro disposizione.

Camminava con la stessa furtività ed eleganza di un felino, sforzandosi di guardare oltre l’oscurità nei corridoi deserti.
Il pavimento era freddo a contatto con i piedi nudi e la larga felpa blu presa in prestito da Steve le copriva il corpo fino a metà coscia.
Arrivò davanti ad una spessa porta grigia, sulla quale era incastonato un tastierino di sicurezza.
Non sapeva quale fosse il codice di accesso, ma non le importava, poiché non avrebbe avuto problemi nel superare quella lastra di acciaio.
Bastava che si concentrasse ed immaginasse ciò che voleva accadesse. Così la porta iniziò a scorrere verso sinistra, nascondendosi nel muro.
La ragazza esitò sull’uscio, sentendo il senso di colpa invaderle il petto. Fino a qualche minuto prima si trovava nell’appartamento di Natasha, rintanata sotto le calde coperte del divano letto. Poi, come guidata da un forte istinto, era sgattaiolata via, diretta dalla persona che poteva far luce sul totale caos che le governava la testa. Aveva bisogno di spiegazioni e lui soltanto possedeva le risposte che cercava disperatamente, o almeno una parte di esse.
La porta si richiuse silenziosamente alle sue spalle e la figura di Wade le apparve davanti agli occhi, alta ed immobile.

“Ti stavo aspettando. Mi chiedevo quanto ancora ci avresti messo a raggiungermi.”

Anthea alzò lo sguardo, puntandolo sulle lampade a led appese al soffitto. Esse si accesero di colpo, illuminando lo spazio racchiuso da quattro pareti di cemento armato.
Wade era ad un passo da lei.
I loro corpi erano separati da una spessa lastra di vetro infrangibile.
Tanto vicini quanto lontani.
Il moro portava addosso i segni della battaglia e della tortura che gli era stata inferta dalle due spie. La divisa era sporca e strappata in più punti, il viso coperto di piccoli tagli, il labbro spaccato e uno zigomo era gonfio e violaceo. Ma nonostante tutto, l’uomo non aveva perso la sua aria fiera ed orgogliosa.

“Saprai quello che voglio, allora.”
La ragazza non era riuscita a mantenere ferma la voce. Essere di fronte a lui dopo tanto tempo, la sconvolgeva abbastanza da renderla nervosa, ansiosa e forse anche terrorizzata.
Wade se ne rimaneva in silenzio, a scrutarla con quei suoi occhi di ghiaccio, come se volesse imprimersi nella mente ogni tratto del corpo di quella ragazza così diversa da ogni essere umano esistente sulla Terra.
“Perché?”
Due anni.
Erano passati due maledettissimi anni dall’ultima volta che si erano visti e lei non aveva mai dimenticato il fresco odore di menta del suo maestro.
Wade le diede le spalle, incrociando le mani dietro la schiena.
“Ho dovuto seguire gli ordini. Il Padrone non voleva che ci incontrassimo ancora.”
Anthea strinse i pugni talmente forte da conficcarsi le unghie nei palmi.
“Sei solo un burattino che quell’essere si diverte a manovrare, lo sai questo?”
La nota di rabbia nella sua voce costrinse il moro a voltarsi, così si ritrovarono ancora faccia a faccia.
“Tu non capisci” iniziò lui, ma fu interrotto bruscamente.
“Capisco bene, invece. Tu mi hai tradita, mi hai abbandonata, quando io mi fidavo di te. Eri il mio unico amico in quell’inferno, il mio unico sostegno.”
Era così arrabbiata, così delusa ed amareggiata, da sentire male allo stomaco.

“Hai fatto in fretta a sostituirmi, dopotutto.”

“Non osare metterlo in mezzo. Lui-”
 
Questa volta fu Wade a costringerla a tacere.

“Lui ti ha portata sulla strada sbagliata, Anthea. Sei cambiata per colpa di quel bastardo.”
C’erano note di ira nella voce dell’uomo.

“Sai che ti dico? Sono felice di essere sulla strada sbagliata e di camminare al fianco di Steve Rogers.”
Wade colpì la parete di vetro con entrambe le mani, ringhiando come una bestia inferocita.
“Pagherà per ciò che ha fatto e sarà il Padrone stesso a infliggergli la punizione che merita.”
Anthea, rimasta impassibile di fronte la reazione dell’uomo, si avvicinò ancor di più alla lastra vitrea, tanto da sfiorarla con la punta del naso.
“Io lo proteggerò, a costo della vita.”

Il silenzio che seguì a quelle parole venne impregnato da una fortissima carica di tensione.
Si guardarono negli occhi, cercando di decifrarsi.

“L’ultima volta” cominciò Wade, parlando piano “ti sei interrotta con quell’ anche se. Cosa non mi hai detto?”
“Questo cosa c’entra, adesso?”
“Rispondi e basta.”
“Perché dovrei?”
Lo ragazza lo stava sfidando.

“Il Padrone non voleva che ci incontrassimo a causa del rapporto che si era venuto a creare tra di noi. Sapeva che avevo cominciato a provare qualcosa nei tuoi confronti, perciò avrei potuto rischiare di compromettere la tua preparazione per il grande giorno. Non dovevi possedere alcun tipo di legame o niente avrebbe funzionato. Inizialmente, il Padrone voleva uccidermi per spezzare il legame, ma poi si è reso conto che io per te ero solo un diversivo per evadere dal dolore che ti veniva inflitto giorno dopo giorno.”
Anthea spalancò gli occhi, mentre le mani avevano preso a tremarle.
Wade continuò, imperterrito.
“In realtà c’era un legame che stavi inconsapevolmente intessendo con una persona, ma il Padrone non è mai riuscito a risalire alla sua identità. Poi un giovane soldato si è presentato in Canada e ti ha portata via e tutto è diventato estremamente chiaro. Il ragazzo dei tuoi sogni non era solo un’astratta figura creata dalla tua mente, ma era reale e tu lo sapevi, non è così? È questo che stavi per dirmi quel giorno?”

La ragazza abbassò il capo, chiudendo gli occhi e lasciando che i lunghi capelli color miele le scivolassero sul viso.
È un gran bel biondo, ma rimane pur sempre un sogno, anche se alcune volte riesco a sentirlo davvero. Percepisco la sua presenza ogni giorno più intensamente. Ecco ciò che ti avrei detto, ma l’istinto mi ha fermata e credo fosse proprio per proteggere il legame che si stava inevitabilmente creando con lui. Mi sono aggrappata con forza alla figura di Steve, per non crollare e rimanere lucida. E lui non mi ha delusa, alla fine. Non mi ha abbandonata come hai fatto tu.”

Wade scosse il capo, affranto.
“Il Padrone dovrà ucciderlo per spezzare il legame. Aveva mandato me, la prima volta, ma il ragazzo è riuscito sorprendentemente a sopravvivere ad una caduta da un altissimo ponte sospeso, anche dopo che gli avevo sparato.”

“Finché ci sarò io, non permetterò che gli venga fatto del male.”

“È per proteggerlo che hai spostato una parte del tuo potere nel suo corpo, non è vero?”
Anthea sorrise lievemente, annuendo.

“Ti ho voluto bene, Wade, e per me non eri un semplice diversivo. Una volta ho addirittura pensato che tu fossi il padre che non ho mai avuto.”

Il moro sbatté ripetutamente le palpebre, confuso.

“Adesso devo andare.”
Anthea gli diede le spalle incamminandosi verso la porta, la quale si aprì sibilando, mentre i led si spegnevano simultaneamente.
Ma prima che la ragazza sparisse oltre la porta, Wade trovò la forza di parlare ancora, ponendola di fronte a quella maledetta, dannata, cruda verità.

“Puoi proteggerlo dagli altri, Anthea, ma chi lo salverà da te?”

Volti cinerei ed inespressivi. Occhi spalancati, da cui era fuggita la scintilla di vita, tranciata da una violenza tale da divellere ossa con facilità mostruosa.
Assassina.


Le immagini di quel giorno, quando per la prima volta aveva perso il controllo, si riaccesero con violenza nella sua mente.
Si voltò indietro, per cercare gli occhi di ghiaccio del suo maestro, ma si trovò davanti la superficie liscia della porta ormai chiusa.

Corse via, ignorando il terrore che aveva preso a torcerle le viscere.






Note
Ciao!
Prima di tutto scusate per il clamoroso ritardo, ma scrivere questo capitolo mi è risultato estremamente complicato, tanto che del risultato non sono ancora convinta.
La storia sta giungendo verso il suo culmine e ogni domanda lasciata aperta richiederà una risposta.
Tanti sono i buchi che ho lasciato sparsi qua e là, forse anche troppi. Perciò se qualcosa non vi torna non dovete far altro che chiedere.
Spero di avervi fatto provare qualche emozione nella lettura del capitolo.
Grazie a tutti coloro che continuano a seguire la storia!

Grazie a Rag­doll_Cat (che mi ha dato tantissimi consigli per la storia *.*), a Mumma e a Viola Banner che continuano a recensire, rendendomi tanto felice :D

Alla prossima!
Un abbraccio <3
Ell

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Capitolo 16
*** Oneiro ***


Oneiro

Qualche spiraglio di luce pallida fece capolino da dietro la linea infinita dell’orizzonte. L’oscurità, schiarendosi, si stava tramutando lentamente in sottile penombra, un velo che il Sole avrebbe sollevato presto, scoprendo i nitidi e luminosi colori del mondo finalmente risvegliato.

Era la seconda volta che si trovava ad assistere incantata a quello spettacolo tanto simbolico quanto necessario per l’ordine deterministico dell’universo. Non riusciva a distogliere lo sguardo da quel progressivo avanzare della luce, il cui passaggio dissolveva le tenebre indifese.
Quanto avrebbe voluto che quel processo fosse avvenuto dentro di lei, purificandola dall’oscurità che albergava nel suo corpo troppo debole per controllarla.
Quel concentrato di male puro attendeva paziente il momento in cui lei avrebbe abbassato le difese e, al tempo stesso, non smetteva di ricordarle che era lì, stringendole il cuore in una morsa tanto delicata quanto dolorosa.
Conviveva con un demone a causa di un macabro scherzo del destino.

L’estesa vetrata della Sala Comune, illuminata dalla stella nascente, rifletteva ora la sua figura rannicchiata su una poltroncina color panna.
La pelle candida come la neve rispecchiava una fallace delicatezza. I lunghissimi capelli color miele ricadevano in morbide onde sulla schiena e sulle spalle, brillando di riflessi dorati. Il viso possedeva lineamenti dolci e armoniosi.
Si strinse nella larga felpa azzurra, da cui spuntavano le lunghe gambe rannicchiate contro il petto e fasciate da corti pantaloncini blu.
Spostò l’attenzione su quei grandi occhi così innaturali, magnetici, oscuri, custodi di un mondo fatto di dolore e paura.
Nascose il volto nelle mani, impedendosi di contemplare ancora il suo stesso riflesso. Aveva il terrore di scorgere il mostro che sapeva di essere, quel mostro che doveva evitare venisse alla luce.
Aveva solo bisogno di controllare le emozioni, impedendo loro di strapparle la lucidità necessaria a tenere imprigionata l’oscurità dentro di sé, e tutto sarebbe andato bene.
Era così assorta e distratta dai suoi pensieri, che sussultò nel percepire una delicata pressione sulla spalla destra. Si voltò e trovò ad attenderla due occhi cerulei e limpidi, riflesso di un’anima pura.

Non era degna di lui, non aveva il diritto di infettarlo con l’orrore che si portava dentro.

Scese dalla poltroncina e si posizionò di fronte al giovane Capitano, che era vestito con una semplice tuta grigia e una maglietta bianca abbastanza attillata, da mettere in risalto l’addome scolpito.
Si fissarono in silenzio per alcuni secondi, poi lei gli gettò le braccia al collo, sollevandosi sulla punta dei piedi. Lo strinse forte a sé, nascondendo il viso nell’incavo della sua spalla.
Non riusciva a stare lontana da lui, nonostante ci provasse.

“Steve” sussurrò, con voce tremante.
“Sono qui. Va tutto bene.”

Rogers era stato svegliato da uno strano dolore accesosi improvvisamente nel petto. Non aveva fatto molta fatica a capire che quell’ansia e quel senso esagerato di inadeguatezza appartenevano ad Anthea, perciò l’aveva raggiunta, lasciandosi guidare da quello strano magnetismo che li legava.
Sembrava così fragile e piccola fra le sue braccia e forse, in fondo, lo era davvero.

Perché? Perché a me?”
La ragazza lo guardò furente, in attesa di spiegazioni inesistenti.
“Sai bene che nessuno potrà mai rispondere a questa domanda. Devi smettere di rinnegare te stessa.”
Anthea scosse il capo, mentre una risata isterica prese a scuoterle le spalle.
“Tu non capisci. Quello che vedi” allargò le braccia, accennando con gli occhi al suo corpo “è solo un maledettissimo guscio che ammalia, confonde i sensi e nasconde ciò che sono davvero. Io sono un mostro.”
Steve, sconcertato da quella reazione tanto aggressiva, impiegò qualche attimo prima di replicare.
“Tu non sei un mostro. Da quando sei entrata a far parte delle nostre vite, non hai fatto altro che proteggerci, rischiando la vita, anche se in fondo per te noi siamo degli estranei a cui non devi nulla.”
“Vi devo più di quanto credi.”

La ragazza chiuse gli occhi e sospirò stancamente.
“Sono andata da lui, stanotte” confessò.
Steve spalancò gli occhi non appena comprese a chi si riferisse quel lui. Fece per dire qualcosa, ma Anthea lo anticipò.
“Avevo bisogno di sapere. Mi dispiace di aver agito alle vostre spalle, ma era una questione personale.”
Adesso non riusciva a guardarlo in viso, a causa del senso di colpa che le pungeva il petto.

La voce profonda e dolce di Rogers ruppe il silenzio imbarazzante, durato alcuni infiniti minuti.
“Come può una come te essere un mostro?”

Anthea alzò lo sguardo, battendo ripetutamente le palpebre, confusa.
Il giovane soldato sorrise, avvicinandosi a lei e afferrandola saldamente per le spalle, come se volesse evitare che scappasse via, ancora.
“Sei una ragazza eccezionale. Nonostante la sofferenza e il dolore, hai continuato a lottare aggrappandoti alla speranza di un futuro migliore. Provi sfiducia nei confronti del genere umano per ciò che ti è stato fatto, eppure non hai esitato a seguire me e i miei compagni. Hai preso il nostro dolore e avresti potuto non farlo. Io ti devo la vita. Dimmi allora, come può una come te essere un mostro?”
Era la seconda volta che le poneva quella domanda, nella speranza di spingerla a riflettere e ad andare oltre la sua insicurezza.

Anthea però, in quel momento, non lasciava trasparire alcuna emozione.
Come poteva dire a Steve che era ancora ossessionata dalla vendetta, che uccidere la rendeva euforica e che, nel profondo del suo essere, bramava dare sfogo al potere immenso che sentiva agitarsi sotto la pelle.
Come avrebbe potuto rivelargli di aver compiuto stragi ancora vivide nei suoi incubi.
Come?
E poi non era nemmeno umana.


Steve la sentì tremare sotto le proprie dita.
Rafforzò la presa sulle spalle esili della ragazza, contemplando l’oscurità dei suoi occhi, adesso persi nel vuoto, ad inseguire chissà quali pensieri.
“Ehi” le sussurrò, conducendola fuori dal labirinto intricato della sua mente, custode di un potere innaturale.
Anthea si limitò ad abbassare il capo.
Steve sospirò, sorridendo appena. Le prese il volto tra le mani, costringendola a guardarlo negli occhi. Poi, inaspettatamente, si chinò per raggiungere quelle morbide labbra rosee, intrappolandole in un bacio sentito e desiderato.
La giovane spalancò gli occhi, profondamente sorpresa.
Il Capitano, fino a quel momento, non aveva mai preso una simile iniziativa ed era sempre stata lei ad avventarsi, famelica, su di lui.

Assaporarono l’uno il sapore dell’altra, mentre piccole scintille scoppiettavano all’interno dei loro corpi, preannunciando quel fuoco di passione che li avrebbe soggiogati a momenti.
Steve fece scivolare le dita sui fianchi armoniosi della ragazza, attirandola a sé con urgenza e continuando a baciarla dolcemente.

Fermati!

Come scottata, Anthea si scostò da lui, respirando con un certo affanno.
Rogers si sforzò di non mostrare il disappunto per quella brusca interruzione e si passò una mano tra i capelli, riassestandoli un po’. Non capiva proprio come comportarsi con lei, dato che qualunque cosa facesse rischiava di mandare in frantumi il precario equilibrio su cui entrambi erano sospesi.

“Steve, io … Cosa ci fai tu qui?”

Il Capitano rimase interdetto e si limitò a seguire lo sguardo della ragazza, voltandosi verso l’ingresso della Sala Comune.
Loki era lì, appoggiato allo stipite destro della porta, con in volto un sorriso tra il beffardo ed il compiaciuto.

“Allora?”
Anthea lo stava incenerendo con lo sguardo, ma il dio ignorò quella rabbia, avvicinandosi ai due con le mani calate nelle tasche dei jeans scuri.
“Tutti mattinieri, eh?”
“Perché sei qui, Loki?”
“Potrei farti la stessa domanda, Capitano, ma in realtà ho bisogno di parlare con la ragazzina.”
Loki assottigliò lo sguardo in direzione di Anthea, sperando che lei ne cogliesse l’implicazione.
“Che ne dici di andare nella palestra?” fu la proposta della ragazza, che con un cenno del capo lo invitò ad andare avanti.
Loki sbuffò, ma cominciò comunque ad avviarsi verso l’ascensore, per scendere fino al piano dedicato alla palestra.

“Che cosa significa questo?”
L’alterazione nella voce di Steve la rese nervosa.
“Saprai tutto al momento opportuno, promesso.”
“Ancora segreti, eh?”
Anthea scorse in quegli occhi limpidi un velo di delusione e percepì un forte dolore al petto. Si fece coraggio, aprendo un poco il suo cuore indurito dal dolore.
“Steve, abbi fiducia in me, come hai sempre fatto. A tempo debito, tutto ti sarà chiaro e solo allora potrai decidere se volere o meno che io rimanga al tuo fianco. Devi solo avere pazienza.”

Non attese una risposta.
Lo lasciò lì, perso tra mille pensieri contrastanti, e seguì i passi di Loki, decisa a parlare con lui al più presto.
Sperò - pregò - che Steve continuasse a credere in lei, ora più che mai.



                                                   ***



“Finalmente sei arrivata. Pensavo ti fossi persa.”

La palestra era illuminata dalla luce pallida proveniente dall’ampia vetrata che ne ornava l’ala ovest.
L’eco debole dei suoi passi la accompagnò fino al ring, posizionato al centro della grande sala. Loki era lì sopra, appoggiato con la schiena alla corde che delimitavano la bianca superficie rialzata di un metro da terra.
Anthea, con un salto agile ed elegante, si ritrovò di fronte al dio, il cui sguardo era abbastanza serio da metterla in agitazione.

“Sei pronta?”
“Sì” fu la risposta sicura di lei.
Loki sorrise, scuotendo il capo.
“Come vuoi, ma sappi che non sarà facile accettare la verità.”
“Non mentire. Con me non puoi farlo, lo sai.
“Non lo farò.”

Ci fu un ultimo scambio di sguardi intensi, prima che il dio cominciasse a parlare, andando oltre il punto di non ritorno.

“Asgard, terra degli dei e mondo dove sono cresciuto, possiede il compito di mantenere la pace nei Nove Regni interconnessi tramite il mitico albero Yggdrasill. In precedenza, però, i regni non erano nove, bensì dieci. Gli abitanti del decimo regno, Oneiro, avevano lineamenti simili agli umani, ma ciò che li contraddistingueva erano la pelle color perla e gli occhi grandi e scuri, bui come la notte. Ricordo bene la prima volta che mi trovai al cospetto del re di Oneiro, invitato da Odino, padre degli dei, a partecipare ad un incontro tra i sovrani dei Dieci Regni. Ero giovane, ma consapevole di avere di fronte un essere dal potere immenso, un potere temuto dallo stesso re di Asgard.”

Anthea ascoltava incantata le parole di Loki, desiderosa di conoscere la verità tanto attesa.

“Gli oneiriani erano pacifici e mai avevano chiesto l’aiuto di Asgard per risolvere problemi interni. Heimdall non poteva vederli, a causa della barriera che il re aveva innalzato attorno al proprio mondo, per proteggere quel segreto tramandato di generazione in generazione.”

“Quale segreto?”
Questa volta non era riuscita a trattenersi, ma Loki non parve dare peso alla sua impazienza.

“Gli abitanti di Oneiro, fin dalla nascita, venivano temprati nello spirito, affinché quella parte inconscia costitutiva del loro cervello divenisse un’arma di difesa e di attacco. Gli umani possiedono un cervello simile agli oneiriani, ma la differenza che crea un abisso tra i due popoli sta nella capacità di controllare la parte più oscura della mente. Su Oneiro, tale controllo differiva da individuo ad individuo, ma la classe regnate era composta unicamente da coloro il cui dominio sull’inconscio andava ben oltre ogni immaginazione, tanto da creare un vero e proprio legame tra spirito e materia.”

Loki si interruppe nel momento in cui si accorse che la ragazza lo osservava con una certa perplessità.

“Cosa c’è che non va?” le chiese.
“Come si fa a dominare l’inconscio?”
L’arte del dominare l’inconscio era il segreto che gli oneiriani custodivano gelosamente, poiché essa, nelle mani sbagliate, avrebbe potuto generare irrimediabili catastrofi. Tutte le informazioni che possiedo su Oneiro provengono dalla sezione proibita dell’archivio reale di Asgard. Sai, non sono mai stato molto attento alle regole. Gli scritti dicevano anche dell’altro, ovvero che il re di Oneiro avesse scavato così a fondo nell’inconscio da risvegliare la parte più oscura della mente, un mostro figlio degli istinti più deteriori, un concentrato di odio, vendetta, rabbia, sadismo, brama di potere e di tutte quelle emozioni che solitamente sono tenute a bada dalla morale, garante dell’ordine sociale di un popolo.”

Loki fece una piccola pausa per riprendere fiato, poi ricominciò il monologo.

“Quella parte oscura era anche la fonte di un potere tanto immenso quanto distruttivo, un potere che, non controllato, avrebbe potuto compiere innumerevoli stragi. Tuttavia, il giovane re era riuscito ad imbrigliare l’oscurità, trasformandola nel suo punto di maggior forza. Era temuto per questo dai sovrani degli altri regni, ma mai aveva anche solo mostrato l’ambizione di conquista. Poi accadde qualcosa che distrusse l’equilibrio dell’universo. Oneiro scomparve, esplodendo inspiegabilmente. Nessuno degli abitanti, secondo gli archivi, sopravvisse alla distruzione del pianeta. Si era verificata l’estinzione di una razza in pochi istanti e le cause sono rimaste sconosciute, dato che come ti ho detto, nemmeno Heimdall poteva oltrepassare la barriera oneiriana.”

Il silenzio che si protrasse per gli attimi seguenti fu carico di una tensione palpabile.
Loki pareva riflettere, ancora appoggiato alle corde del ring.
Anthea, seduta a gambe incrociate sulla liscia superficie bianca, osservava il dio davanti a sé, cercando al contempo di nascondere il tremore delle mani e sperando che il palpitare del suo cuore impazzito non fosse udibile al di fuori del proprio corpo.

“Perché mi hai raccontato la storia di un popolo estinto?”

Loki le rivolse uno sguardo intenso e Anthea spalancò gli occhi, come se avesse letto i pensieri dello Jotun.

Qualcuno è sopravvissuto” sussurrò la giovane, ma subito dopo si riscosse.
“Aspetta! Cosa ti fa pensare che io-”
Fu interrotta prontamente dal dio.
“Il tuo spirito è così simile al suo. Nel momento in cui sono penetrato nella tua essenza, ho percepito quel particolare tipo di energia che emanava lo stesso re di Oneiro, un’energia impossibile da dimenticare, dato che rende quasi difficile respirare per alcuni istanti, nel momento in cui si entra a contatto con essa.”

Anthea si prese la testa tra le mani, tremando visibilmente sotto gli occhi di ghiaccio di Loki.
Non sapeva cosa pensare e una parte di lei avrebbe solo voluto scappare il più lontano possibile da quella verità cercata per anni.
Era troppo per lei, troppo da sopportare. La sua mente tendeva ad evadere dalla realtà, che adesso si andava a confondere con il sogno.
Era persa in un limbo costruito dall’incredulità, dalla confusione e dalla paura di conoscere di più.

“Lui potrebbe essere sopravvissuto grazie all’enorme potere che possedeva. Potrebbe essere arrivato sulla Terra e-”
“Basta così, per favore.”

La ragazza scattò in piedi e diede le spalle al dio, nascondendogli così il volto sconvolto.
Respirò profondamente, percependo uno strano pizzicore agli occhi.

No!

Represse le sue emozioni, schiacciandole sul fondo dello stomaco. Si morse il labbro inferiore, che prese a sanguinare copiosamente.
Il flebile dolore le annebbiò la mente, aiutandola a recuperare un poco la stabilità venuta meno.
Si passò il dorso della mano sulla bocca, pulendo il sangue fuoriuscito dal labbro spaccato. Respirò ancora, chiudendo gli occhi, ed infine si costrinse a voltarsi per incontrare lo sguardo di Loki, che era rimasto impassibile nonostante quella reazione violenta.

“Cosa c’è ragazzina? Ti tiri indietro sul più bello?”

Anthea non rispose ed inaspettatamente piegò le labbra in un sorriso storto, enigmatico, diverso.

“Le tue sono stupide supposizioni. Astrazioni create dalla tua mente malata.”
La voce della ragazza aveva assunto una nota isterica, mentre gli occhi erano diventati improvvisamente più oscuri.
Loki aggrottò le sopracciglia e si mise sull’attenti, nel momento in cui lei si fece più vicina, muovendo passi silenziosi ed eleganti.
“Quando avrai anche una sola prova a favore di ciò che dici, allora sarò lieta di ascoltarti.”
I loro volti erano a pochi centimetri e il dio non poté fare a meno di sentirsi a disagio, schiacciato dall’aggressività di uno spirito oscuro e potente.

“Ora voglio stare da sola.”

Anthea corse fuori dalla palestra, si inoltrò nell’ascensore, schiacciò freneticamente il pulsante del piano terra e pregò che la discesa fosse veloce.
Le porte si riaprirono una volta raggiunta la destinazione, lasciando uscire la ragazza, che schizzò fuori, diretta verso l’uscita della Torre.
Il suono della suola delle scarpe contro il lucido pavimento di marmo della hall fece voltare i pochi dipendenti presenti, sui cui volti fiorì un’espressione di stupore.
Anthea non se ne curò, non fermandosi nemmeno quando l’aria fresca del mattino le carezzò le guance e le scompigliò i capelli.
Corse, mischiandosi nella folla e nel traffico di New York, attirando lo sguardo dei passanti.

Corse senza avere una meta, ma consapevole di star fuggendo da una realtà piombatale addosso con troppa violenza.



                                                         ***



“Penso ancora che sia sbagliato.”
“Sei stressante, Rogers.”

Gli Avengers si erano riuniti nel laboratorio di Stark, per un meeting di emergenza indetto dal miliardario stesso.
All’appello mancavano Natasha, impegnata nel duro lavoro di costringere Wade a parlare, e Thor, ancora non tornato da Asgard.
Tony era seduto davanti ad un ampio schermo, mentre gli altri Vendicatori erano in piedi alle sue spalle, con gli sguardi totalmente catturati dalle immagini trasmesse dalle telecamere.

“Questo potrebbe spiegare molte cose” asserì Barton, attirando lo sguardo abbastanza sconvolto del Capitano.

Steve sapeva che quello che stavano facendo dimostrava una mancanza di fiducia nei confronti della ragazza paranormale che aveva sconvolto le loro vite, ma era anche assolutamente consapevole che i Vendicatori avevano sulle spalle un’enorme responsabilità.
Dovevano proteggere la Terra a qualunque costo, utilizzando ogni mezzo a loro disposizione.

Tony Stark era un uomo fermamente razionale, capace di mantenersi obiettivo di fronte alle situazioni più intricate, riuscendo a valutarne con esattezza vantaggi e svantaggi. Non per questo riusciva a mantenere in piedi, su basi solide, un impero economico vasto e potente.
Il miliardario aveva quindi ritenuto necessario tenere sotto controllo la ragazza, dato il suo comportamento di chiusura nei confronti del mondo intero e l’istinto di proteggere i suoi segreti più oscuri.
Tony sapeva dell’incontro tra Anthea e Wade, aveva ascoltato i loro discorsi e non poteva fare a meno di ripensare ad una frase pronunciata dall’uomo del ponte.

“Puoi proteggerlo dagli altri, Anthea, ma chi lo salverà da te?”

Aveva sempre pensato che nella ragazza ci fosse qualcosa che non andava, qualcosa di potente e malvagio.
Adesso, ascoltando la conversazione ripresa dalle telecamere tra Loki e la paranormale, non poteva far altro che credere più fermamente alla teoria elaborata dalla sua mente attenta.
Anthea era un pericolo per l’umanità e perciò doveva essere tenuta sotto controllo.
Al diavolo la correttezza in questi casi!

“Potrebbe non essere umana, allora, o addirittura un incrocio.”
Bruce, con gli occhiali sul naso e la solita camicia stropicciata, se ne stava al fianco di Stark, soppesando le parole del dio dell’inganno ed elaborando probabili teorie, utili a sciogliere almeno in parte i complicati fili che avvolgevano la figura di Anthea.

“Basta così, per favore.”

Le immagini seguenti sconvolsero i Vendicatori, i quali faticarono a credere ai loro occhi.
Avevano osservato una ragazza sconvolta, sul punto di scoppiare a piangere, trasformarsi in un’entità aggressiva e violenta, in pochi secondi.

“Sembra soffrire del disturbo di personalità multipla. Quando è stimolata da forti emozioni, il suo comportamento si trasforma completamente” osservò il dottor Banner.

“Ora voglio stare da sola.”

“L’abbiamo persa” sbuffò Stark, osservando sullo schermo la ragazza uscire fuori dalla hall della Torre.

“Vado io. La ritroverò.”
Steve si precipitò verso l’ascensore, deciso a riportare Anthea indietro.
Le porte della cabina di metallo si aprirono prima che il Capitano vi arrivasse, rivelando la figura di Natasha all’interno.
La rossa si limitò a lasciare il posto a Rogers, sussurrandogli un “fa’ attenzione” mentre gli passava accanto.

Quando il super soldato scomparve oltre le porte scorrevoli, Natasha raggiunse gli altri, con in viso un’espressione corrucciata.
“Cosa avete combinato?”
Tony, sentendosi chiamato in causa, alzò le mani in segno di innocenza.
“Nulla. Sono solo accadute alcune cose abbastanza spiacevoli.”
La donna si passò una mano tra i capelli, sospirando stancamente.

“Wade ha parlato.”



                                               ***




Steve raggiunse il suo appartamento e si cambiò velocemente, indossando un paio di jeans e una giacca sportiva blu sulla maglia bianca.
Allacciò i lacci delle scarpe e afferrò il cappello blu da baseball, calandoselo sugli occhi.
Raggiunse i parcheggi esterni alla Tower - quelli sotterranei erano momentaneamente inagibili - e, trovata la sua moto nera metallizzata, vi saltò in sella.
Accese il motore, accartocciò il capello nella tasca interna della giacca e poi partì, accelerando gradualmente e immergendosi nel traffico.

“Dove sei? Lasciati trovare, per favore.”

Rogers provò a raggiungere la mente di Anthea, ma incontrò un muro insormontabile.
Imprecò a denti stretti, cercando tra la folla l’esile figura della ragazza.
Non riusciva a sentirla e sperava non fosse andata lontano e che stesse bene.
In quel momento, Anthea era come una bomba ad orologeria pronta ad esplodere per un nonnulla.
Gli venne da ridere, quando un pensiero gli attraversò la testa, lasciandosi dietro una scia indelebile.
Non sapeva come era potuto accadere, ma mai - escludendo Bucky - la volontà di proteggere qualcuno aveva bruciato così forte nel suo animo.
Quando lei era lontana, non poteva evitare di preoccuparsi.
Doveva saperla al sicuro.
 
L’avrebbe trovata e l’avrebbe riportata indietro, a qualunque costo.



Ed intanto il tempo scorreva inesorabilmente.



                                             ***




Le strade erano troppo affollate. Le persone, ignare, le passavano dannatamente vicino, sfiorandola di tanto in tanto.
Si infilò in un vicolo isolato, percorrendolo fino al suo termine, costituito da un’alta parete grigia ricoperta da piccole crepe e imbrattata di scritte stravaganti.
Batté i pugni contro quello spesso muro, creando sulla superficie nuove crepe, così simili a quelle che le dilaniavano l’anima.

“E io che mi illudevo di trovare finalmente la pace” sussurrò tristemente.

Un rumore la fece voltare di scatto e la figura di un uomo entrò nel suo campo visivo.
“Ehi piccola, ti sei persa?”
Parlava con la bocca impastata dall’alcol, il cui odore penetrante raggiunse la ragazza non appena lo sconosciuto si fece più vicino.
Era grosso, aveva il volto gonfio ed arrossato, i capelli neri, spettinati e lucidi di sporco. I vestiti erano ricoperti di macchie scure ed appiccicose.
Un sorriso storto e grottesco gli piegava le labbra.

Anthea sentì il battito del cuore aumentare, mentre perle di sudore freddo percorrevano la schiena nuda sotto la larga felpa.
Indietreggiò, ma dovette bloccarsi presto, poiché le spalle incontrarono l’alta parete grigia.

“Vieni qui, avanti. Ti faccio divertire.”
L’uomo, ormai ad un passo da lei, allungò le mani e la afferrò per le braccia, spingendola bruscamente contro il muro.
“Lasciami.”
“Come dici?” la beffeggiò lo sconosciuto, ridendo.

Anthea manteneva lo sguardo basso ed alcune ciocche di capelli le erano finite davanti agli occhi, nascondendoli.
Le mani di quella feccia si erano spostate sui suoi fianchi e la stringevano con foga animale, provocandole conati di vomito.
Si morse il labbro inferiore, facendolo sanguinare ancora, nella speranza che il dolore le impedisse di perdere il controllo.

“Uccidilo! Uccidilo! Uccidilo! Fallo a pezzi!”

L’uomo grugnì come un lurido porco, nel momento in cui infilò le dita sotto la felpa azzurra e prese a toccare la pelle candida della giovane, insozzandola con il proprio sudiciume.

“Sgozzalo e guardalo morire!”

Anthea sussultò nel percepire qualcosa di duro strusciare contro il suo bacino e, appena capì di cosa davvero si trattasse, dovette mordersi la lingua per non gridare, mentre la nausea le faceva contorcere lo stomaco.

“Guardati! Piegata da un infimo umano! Sei patetica!”

Anthea rimaneva immobile, ignorando la voce che le urlava nella testa.
Non riusciva a muoversi.
Non riusciva a reagire.
Eppure avrebbe potuto liberarsi di quel lurido uomo facilmente.
Avrebbe potuto rompergli l’osso del collo con la sola forza del pensiero.
Avrebbe potuto mozzargli le mani, per poi osservarlo urlare e dimenarsi.

Avrebbe potuto, ma non l’avrebbe fatto.

Il porco, intanto, aveva preso a stringerle le natiche, grugnendo e strusciandosi contro di lei con foga.

“Sei debole e patetica! Come puoi sottometterti a questo verme!”

Nessuna reazione.
Le braccia di Anthea rimanevano inerti lungo il corpo, mentre gli occhi osservavano un punto indefinito sull’asfalto della strada.
“Me lo merito” sussurrò pianissimo, quasi volesse rispondere all’entità che si agitava violentemente dentro di lei.

Si stava punendo.

L’uomo, preso dall’eccitazione, la costrinse a voltarsi e, afferrandole i capelli, le pressò la guancia sinistra contro il freddo cemento della parete.
“Adesso ti prendo da dietro.”
Anthea, chiuse gli occhi, mentre i movimenti dell’uomo che armeggiava con la cinta e apriva la cerniera dei pantaloni giunsero alle sue orecchie sottoforma di suoni ovattati.

Meritava tutto quello.

Ma non accadde nulla.
Percepì il peso dell’uomo pressato su di lei scomparire all’improvviso.
Il suono di ossa che si spezzano risuonò chiaro e grida di dolore si dispersero nell’aria.
Un altro colpo seguito da un tonfo.

Silenzio.

Pochi attimi dopo si ritrovò stretta da due braccia forti, schiacciata contro un corpo il cui profumo e calore avrebbe riconosciuto tra mille.
Rimase in silenzio e tenne gli occhi chiusi, lasciandosi cullare dal battito cadenzato proveniente da quel petto scolpito nel marmo.
“Steve” bisbigliò, inebriandosi del suono dolce del suo nome.
Rogers la strinse più forte e non disse nulla.

Un grugnito sconnesso attirò l’attenzione di entrambi e Anthea si ritrovò ad osservare quell’uomo orrendo strisciare sull’asfalto, proprio come il verme che era. Il viso era imbrattato del sangue fuoriuscito dal naso, il cui setto era visibilmente deviato.
Rogers doveva averlo colpito con eccessiva forza, con l’intenzione di fargli male davvero.
La ragazza cercò gli occhi cerulei del giovane soldato e vi lesse una rabbia quasi cieca, mischiata al rammarico per ciò che era accaduto.
Anthea voleva rassicurarlo, dicendogli che lei stava bene, che non era successo nulla di grave, ma avrebbe mentito spudoratamente, poiché stava provando un dolore indescrivibile proprio nel petto.
Improvvisamente, fu costretta a piegarsi in avanti a causa di una forte fitta alla stomaco.
Steve, prontamente, le scostò i capelli dal viso con una mano, osservandola poi mentre rigettava sulla strada anche l’anima.
La aiutò a stare in piedi e la condusse verso la moto che aveva lasciato all’inizio del vicolo cieco.
Anthea tramava come una foglia, ma si fece forza quando, saliti entrambi sul veicolo, il Capitano le chiese di stringersi saldamente a lui per evitare di cadere. Lei gli circondò la vita con le braccia e appoggiò la fronte sulla sua ampia schiena.

La moto partì, diretta verso un posto tranquillo, dove avrebbero potuto stare soli per un po’.



                                                    ***



“Mi stavo giusto chiedendo quanto ci avreste messo a raggiungermi.”

Dopo che Anthea era andata via, Loki aveva raggiunto la Sala Comune, prendendo possesso di una delle poltrone color panna, in attesa dell’arrivo della parte della squadra rimasta alla Tower.
Natasha gli si piazzò davanti, con le braccia incrociate sotto i seni e in viso un’espressione omicida, non avente però alcun effetto sul dio.

“Ciò che ho detto era la pura e semplice verità” affermò Loki con convinzione, ridendo poi dello stupore nato sui volti dei Vendicatori.

“Come diavolo fai a sapere che vi stavamo controllando?”

“Oh Stark, come potevo non saperlo? E ne era a conoscenza anche la ragazzina. Nonostante ciò ha voluto che parlassimo ugualmente.”

“Io non ci capisco più niente” sbottò Clint.

Loki si alzò e raggiunse l’ampia vetrata, sotto gli sguardi attenti dei presenti.
Nessuno fu in grado di dire anche solo una parola, poiché tutti furono anticipati dallo Jotun.
“Tessere le lodi di qualcuno non è da me, ma devo ammettere che quella ragazzina suscita parecchio il mio interesse. Potrebbe distruggere questo pianeta se solo lo volesse e avrebbe tutte le ragioni per farlo, dopo quello che ha dovuto subire a causa degli umani, ma paradossalmente ha deciso di proteggere la Terra e si è affezionata a voi, nonostante cerchiate di mantenerla ad una certa distanza. È disposta perfino a morire per voi, chissà per quale assurdo motivo.”

“L’abbiamo pur sempre salvata, no?” fece Tony.

Loki rise, scuotendo il capo.
“Non avete capito davvero nulla, allora. È lei che si è fatta trovare da voi, ed è sempre lei che ha deciso di schierarsi dalla vostra parte. Lo ha fatto perché sapeva che-”

“Il Padrone l’avrebbe usata per dominare la Terra.”
Tutti gli sguardi saettarono sulla Romanoff, nella cui mente sembrava ricomporsi il puzzle di quella storia complessa.
La rossa decise di sfruttare l’occasione per mettere i compagni a conoscenza di ciò che Wade le aveva detto.
“Wade ha affermato che Anthea era in qualche modo venuta a conoscenza delle intenzioni del Padrone e perciò era diventata ingestibile, tanto che doveva essere tenuta sedata durante i diversi test a cui veniva sottoposta.”
“Aspetta Nat, la ragazza ci aveva detto di non essere a conoscenza dei piani del Padrone.”
Barton non era mai stato più confuso.
“Ci ha mentito” affermò la donna.

“Invece no.”

Tony ebbe improvvisamente voglia di gridare e prendere a calci qualcosa.
“Spiegati, piccolo cervo. Niente giri di parole.”

Loki rise.
“Non è facile come credi, Stark. La mente di Anthea è qualcosa di indecifrabile e mutevole. Lei non sa cosa il Padrone stesse progettando, ma forse l’Altra ne è venuta a conoscenza e l’ha spinta a ribellarsi.”

“Vuoi dire che l’Altra vuole proteggere il pianeta?”

“No, dottor Banner. L’Altra vuole proteggere sé stessa.”

“E questo cosa dovrebbe significare?”
“Stark, mantieni la calma.”
Bruce poggiò una mano sulla spalla del miliardario, cercando di fargli recuperare l’equilibrio mentale.
Quella storia diventava sempre più complicata. Quando riuscivano a districarne qualche filo, ecco che incontravano nuovi e spessi nodi.
Ma arrendersi significava consegnare la Terra nelle mani del Padrone e i Vendicatori non potevano permettere che ciò accadesse.

“Wade ha affermato che l’obiettivo del Padrone è prendere possesso della Terra e molti umani, negli anni, sono passati dalla sua parte, soggiogati dalle promesse di gloria e da un potere che credono li protegga, quando invece porterà loro solo dolore e morte. Il Padrone si serve delle persone e ha su di loro un influsso particolare. Non so cosa significhi, poiché Wade non mi ha dato spiegazioni dettagliate riguardo tale potere.”
“Perché questo tipo lavora per quel mostro?” chiese Clint.
Natasha scosse il capo.
“Non ha detto nulla su di sé. Non riesco nemmeno a capire cosa lo abbia spinto a parlare.”

Stark, a differenza di tutti, poteva immaginare il motivo per cui Wade avesse deciso di aiutarli, ma decise che non era essenziale condividere questa informazione con gli altri.
Lo avrebbe fatto, forse, ma in un altro momento.

“Infine mi ha avvertita. Se Anthea finisse nelle mani del Padrone tutto sarebbe perduto.

Silenzio.

“Quindi riassumendo. La ragazzina potrebbe essere un incrocio tra un oneiriano e un umano, ha una specie di doppia personalità e vuole proteggere sia la Terra sia sé stessa da un altro alieno pazzoide, il cui piano è di utilizzare la suddetta ragazzina per dominare il pianeta.”
“Grazie Stark, adesso si capisce meglio, anche se credo manchi qualcosa” constatò Barton, sorridendo serafico.
Tony fece finta di pensarci su.
“Forse.”

Loki scosse il capo, soffiando una risata.
“Quindi pensate che la ragazza sia un incrocio. Questo potrebbe spiegare diverse cose, in fondo, ma rimane pur sempre una semplice supposizione.”

Questa volta fu Banner a inserirsi nel discorso.
“Se il re di Oneiro era davvero potente come hai affermato, potrebbe davvero essersi salvato dall’esplosione ed aver raggiunto la Terra. E forse il Padrone è collegato con la scomparsa di Oneiro.”

“Niente è da escludere, dottore” ribatté Loki.

Il suono di una campanella che trilla fece voltare i presenti verso Stark, il quale estrasse dalla tasca dei jeans il cellulare e visualizzò il messaggio appena ricevuto.
“Bene. Rogers l’ha trovata, ma ha detto che tornerà alla Tower solo questa sera, poiché deve prima risolvere alcuni problemi. E bravo, Capsicle.”
“Stark” lo riprese la Vedova, incenerendolo con lo sguardo.

“L’amore. Che cosa stupida. Gli oneiriani amavano una sola persona durante tutta la loro vita e per essa erano disposti a morire.”
Loki rise delle sue stesse parole.

A Tony, invece, tornò in mente una frase che Anthea aveva rivolto a Wade quella notte.
“Io lo proteggerò a costo della vita.”
Sospirò e sperò che quella fosse la verità.
Se la ragazza paranormale avesse fatto del male a Rogers, avrebbe dovuto affrontare la furia di Anthony Edward Stark.

“A questo punto non ci resta che aspettare Th-”

Il rombo di un tuono risuonò in lontananza.

“Okay, non serve aspettare” si corresse Barton, ghignando.
L’arciere, notando che gli sguardi di tutti erano rivolti al cielo, allungò una mano per afferrare quella piccola di Natasha e ne carezzò il dorso, ricevendo un sorriso sincero da parte della donna.
Poi, come se nulla fosse accaduto, si staccarono con la muta promessa di vedersi più tardi, da soli.

“Ragazzi, incrociamo le dita” consigliò Stark, sperando che Thor portasse loro buone notizie.



                                                       ***



Parcheggiò la moto nelle vicinanze di un alto palazzo color panna ed invitò Anthea a seguirlo, prendendola per mano.

“Siamo a Brooklyn. È qui che sono nato, anche se ai miei tempi era un po’ diverso.”

La ragazza, ancora concentrata sulle loro dita intrecciate, impiegò qualche secondo prima di ricollegarsi con la realtà.
“Perché siamo in questo posto?”
Steve le sorrise.
“Sai, ho preso un appartamento proprio qui. Sei la prima a cui lo dico.”
Lo sguardo sinceramente confuso della giovane lo fece ridacchiare.
“Perché rimani alla Tower, allora?”
“Ordini di Fury. Per una maggior coesione all’interno della squadra. Ma non sarà così per sempre, non che mi dispiaccia, in fondo.”

Giunsero davanti l’ingresso del palazzo bianco panna e Steve schiacciò il tasto del citofono riferito ad una certa Margaret Anderson, la cui voce risuonò metallica pochi secondo dopo.
“Chi è?”
“Steve Rogers. Appartamento dell’ultimo piano.”
Con uno schiocco secco, la serratura si sbloccò, permettendo al Capitano di aprire il portone e accedere all’ampio atrio, sul cui fondo, a destra, partiva la prima rampa di scale in legno, in perfetta armonia con il pavimento in parquet brillante e le mura bianche.

Dall’alto della rampa di scale, un’anziana signora li salutò con enfasi e, appena raggiunti, strinse loro la mano, sorridendo amorevolmente.
“Ecco il mio bel giovanotto e in dolce compagnia, questa volta.”
Steve sorrise.
“È un piacere rivederti, Margaret. Lei è Anthea.”

Margaret Anderson era di bassa statura e corporatura esile. I capelli, completamente bianchi, erano raccolti in una crocchia composta. Indossava un lungo ed ampio cardigan panna in lana, sotto il quale si intravedeva quella che pareva una leggera vestaglia da notte rosa, mentre ai piedi, tenuti al caldo da comodi calzettoni, aveva un paio di morbide ciabatte grigie.
Margaret studiò i volti dei due ragazzi con i suoi grandi occhi verdi, mantenendo in viso un sorriso sincero.
“State compiendo il grande passo?” domandò l’anziana signora, con voce dolce.
Steve e Anthea si scambiarono uno sguardo, spiazzati e confusi, perciò Margaret si sentì in dovere di precisare.
“Siete una coppia, non è così? Verrete a vivere insieme?”
Rogers arrossì e Anthea dovette sopprimere la voglia di saltargli addosso in quello stesso momento, limitandosi a sorridere gentilmente all’anziana signora.
“A lei non si può nascondere nulla, signora Anderson. Ha indovinato appieno.”
“Oh, ti prego dammi del tu e chiamami Margaret, Anthea. Hai davvero un nome particolare. Bocciolo. È questo il suo significato.”

Steve ancora faceva fatica a riprendersi, dopo il colpo al cuore che Anthea gli aveva regalato con la risposta data alla signora Anderson.
Eppure, quella piccola bugia, non lo disturbava affatto.

“Allora, vogliamo andare?” suggerì Margaret.
Salirono ben sei rampe di scale, fino ad arrivare all’ultimo piano.
Margaret consegnò le chiavi dell’appartamento a Steve.
“Tienila stretta. Non lasciartela scappare” sussurrò al giovane, facendolo arrossire ancora.
Poi salutò entrambi e li lasciò soli.

L’interno dell’appartamento era quasi vuoto, provvisto solo delle cose essenziali. Vi era una cucina, un bagno, un salottino e una camera contenente un letto a due piazze.
Le mura bianchissime e le ampie finestre rendevano l’ambiente luminoso, anche se il Sole in quel momento era coperto da nuvole grigiastre, che preannunciavano l’arrivo di un temporale.

“Steve, ho bisogno di fare una doccia.”

Il ragazzo si limitò ad annuire, consapevole delle implicazioni contenute in quella frase.
 
Anthea sentiva addosso la sporca presenza delle mani luride del maniaco e ancora non riusciva a credere a quello che era successo. Aveva lasciato che quell’uomo la usasse, sicura che quella sarebbe stata una giusta punizione per i suoi crimini.
Poi era arrivato Steve e tutto le era sembrato assurdo. Aveva sentito la rabbia e l’odio provati dal giovane soldato nei confronti dello sconosciuto e ne aveva avuto quasi paura.

Lei avrebbe ucciso per Steve.
Steve avrebbe ucciso per lei?



Dopo una lunga mezz’ora, la giovane raggiunse Rogers in camera da letto, coperta solo da un morbido e lungo asciugamano bianco stretto sopra i seni.
Lo trovò steso sulle lenzuola immacolate, con lo sguardo rivolto al soffitto, perso in chissà quali congetture mentali.
Non si era ancora accorto di lei.

Era così bello, Steve.
Poteva meritare davvero uno come lui?


“Concentrati sul presente, prima che diventi passato, o ti volterai indietro esternando rimpianto. Lascia scivolare via questi tuoi pensieri ostici e vivi.”
Le parole di Thor risuonarono nella sua mente come un’eco lontana.

Vivere.
Vivere ogni attimo intensamente, come se fosse l’ultimo.
Vivere senza rimpianti.


Successe tutto troppo in fretta.
Rogers spalancò gli occhi e un mugolio di piacere gli vibrò in gola.
Anthea era sopra di lui, coperta solo da un telo di spugna, e lo stava baciando quasi con violenza.
La ragazza lo privò della giacca, che venne gettata sul pavimento e fu raggiunta, poco dopo, dalla maglia e dai jeans.
Il giovane Capitano provò a dire qualcosa, ma venne ripetutamente zittito da baci roventi, ai quali non mancava di rispondere.
Anthea prese a baciargli il collo, facendolo rabbrividire, mentre con le esili dita giocava con quei corti capelli biondi, che tanto la facevano impazzire.
Rogers, profondamente soggiogato, non riusciva a muovere un dito, perciò la lasciò fare, fidandosi completamente.

Improvvisamente il tempo si congelò.

Anthea si era bloccata con il viso vicinissimo a quello arrossato di lui.
La ragazza si perse nell’osservare l’espressione confusa e bellissima nata sul volto di Steve, i cui occhi erano talmente liquidi, da apparire un placido mare luminoso.
Contemplò quel corpo caldo e perfetto sotto di lei, desiderosa di possederlo e di farlo suo.
Mai nella vita aveva voluto così fortemente qualcosa.
Voleva Steve Rogers con tutta sé stessa, ma non avrebbe più alzato un dito sul suo corpo, se lui non fosse stato d’accordo.

Doveva volerlo anche lui.

“Fermami, Steve.”
Rogers scosse il capo.
“Non voglio farlo.”
Bastarono queste parole.
Anthea si liberò dell’asciugamano, mostrandosi in tutta la sua nudità e Steve la imitò, liberandosi dell’intimo.
Si contemplarono, estasiati.

Adesso erano pelle contro pelle. Non c’erano impedimenti fra loro.
Esplorarono l’una il corpo dell’altro, muovendosi in perfetta armonia, e lasciarono che l’istinto li dominasse.

Steve ribaltò le posizioni con un colpo di reni e le baciò ogni lembo di pelle, assaporandone il sapore.
Quando entrò dentro di lei, seppe con certezza che non c’era niente di sbagliato in quello che stavano facendo.

Tra spinte, sospiri, gemiti e baci, consumarono la verginità, sentendosi l’uno parte dell’altra, due entità distinte ma complementari.
Il vuoto insito nei loro cuori venne colmato nel momento in cui raggiunsero assieme l’apice dell’amplesso.

Si infilarono sotto le lenzuola ed Anthea si accoccolò sul petto di Steve, schiacciandosi contro il suo corpo caldo.
I giovani si abbandonarono presto al dolce invito del sonno, cullati dal suono ritmico della pioggia battente.



                                                      ***



La grande porta nera si spalancò, emettendo un cigolio sinistro.
Come sempre la stanza era immersa nell’oscurità.
Una candela era posta al centro e pareva galleggiasse nel vuoto. La debole fiammella lottava contro le tenebre, rischiarando appena il luogo angusto e sciogliendo la cera rossa che colava come sangue lungo il piccolo lume.
La porta si richiuse alle sue spalle e la fiammella vibrò appena.*


Adam si inginocchiò al cospetto della creatura.
“Mio Padrone, come posso servirla?”
La creatura si fece più vicina e i suoi occhi scarlatti brillarono alla luce della candela.
“Ci muoveremo domani stesso. Non posso attendere oltre. Prepara il necessario.”
“Non rispetteremo i tre giorni concessi, allora?”
La domanda era venuta fuori spontanea e il dottor Lewis percepì il sangue gelarsi nelle vene.
Pregò che la creatura lo risparmiasse per quella sua mancanza di rispetto.
Gli ordini non andavano discussi.

“La ragazza ha permesso ad un umano di violarla. Devo ucciderlo, prima che il legame mi impedisca di prenderle il potere di cui ho bisogno. Va’, adesso.”

Adam annuì, si rimise in piedi e lasciò la stanza, riprendendo a respirare solo una volta uscito.


Il Padrone prese posto sul trono di marmo.
La fiamma della candela si espanse improvvisamente, ruggendo.
 
“È tempo che tu muoia, Steve Rogers.”






Note
Sono tornata, finalmente!
Comincio con il dirvi che Oneiro è frutto della mia mente contorta.
Il nome del pianeta deriva dall’omonimo termine greco “oneiro”, il sui significato è “sogno”.
Come sempre, vi invito a porgermi qualsiasi domanda, se non vi è chiaro qualcosa.

Stiamo per avviarci verso la battaglia, nella quale finalmente vedremo il Padrone in azione.
I nemici agiranno in anticipo. I Vendicatori riusciranno comunque a cavarsela?
Thor avrà scoperto qualcosa riguardo il Padrone?
Cosa ve ne pare delle probabili origini di Anthea?

Parte ripresa dal Capitolo 6.

Grazie a tutti coloro che continuano a seguirmi, nonostante i ritardi nella pubblicazione.
Grazie a chi recensisce sempre e comunque, facendomi tanto felice <3
Vi adoro!
Un abbraccio <3
Ella

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Capitolo 17
*** L'inizio della fine ***


L’inizio della fine

Il suono della pioggia battente le riempiva le orecchie. Tante piccole gocce si schiantavano sui vetri della finestra della camera da letto, percorrendo la superficie vitrea come tristi lacrime.
Era quasi giunta la sera, ormai.
Il Sole era nascosto dietro una cortina di nubi grigie ed il cielo plumbeo discorreva sopra la città di Manhattan, abbracciata da una chiara penombra e carezzata dal costante soffiare del vento.
Per la prima volta nella sua vita, il temporale che osservava scatenarsi fuori dalla finestra non rispecchiava lo stato della sua anima, la quale si stava crogiolando in un calore e in una calma a lei estranee.
Posò lo sguardo sul corpo disteso al suo fianco, percependo un piacevole vuoto alla stomaco, un vuoto pieno però.
Sorrise per quell’assurdo pensiero, ma in fondo le piaceva.
Un vuoto pieno.
Aveva passato diciassette anni rinchiusa in una teca di vetro, completamente isolata dal mondo esterno. Poi Steve, con decisa gentilezza, aveva rimosso quella barriera, smontandola pezzo per pezzo, raggiungendola e facendole capire che non era più sola, ormai.
Il gelo della solitudine aveva finalmente lasciato posto al calore dell’amicizia e dell’amore. L’inverno era terminato e già cominciavano a spuntare i primi germogli primaverili, rappresentanti l’inizio di una nuova vita, lontana dal dolore e dalla sofferenza.
Forse stava sognando. E se fosse stato così, avrebbe fatto di tutto per non svegliarsi.

Steve dormiva placidamente, supino, con un braccio poggiato sul ventre e l’altro disteso lungo il corpo. Il torace si alzava ed abbassava lentamente e ritmicamente. Le lunghe ciglia bionde vibravano leggermente ad ogni respiro e i lineamenti rilassati del volto lo facevano apparire ancor più giovane di quel che era - il ragazzo aveva pur sempre ventisette anni.

Anthea era completamente ammaliata da lui. Puntellò il gomito destro sul materasso ed appoggiò la guancia sul palmo aperto della mano, così da poter osservare meglio il suo … amante?
Con la mano libera prese a carezzargli il volto, poi le dita scesero verso il collo ed infine si fermarono sul petto, nel punto in cui era possibile percepire il battito vivo di un cuore temprato.
Si mosse in silenzio, portando l’orecchio destro a contatto con la pelle calda del Capitano, ascoltando le rassicuranti contrazioni degli atri e dei ventricoli più forti di quelli di un normale umano, ma pur sempre dannatamente vulnerabili.

“Mi assicurerò che continui a battere, te lo prometto, a qualsiasi costo.”
Chiuse gli occhi, cullata da quel dolce tamburellare.
“Forse, se voglio che resti vivo, è anche per egoismo. Perché non potrei vivere senza di te. Sono una vigliacca, ti parlo quando non puoi sentirmi.”

Era stata una mattinata davvero lunga, estenuante ed assurda, ma la conclusione le sarebbe rimasta impressa per sempre nel cuore e nella mente.
Le ore precedenti erano state le più belle della sua intera ed infame vita, vita che sarebbe stata stravolta ancora una volta, troppo presto.

Il tempo concesso dal Padrone stava per scadere.

Un flebile mugolio abbandonò le labbra di Steve. Il giovane si stiracchiò ed aprì gli occhi lentamente.
“Ehi” lo salutò la ragazza, scostandosi dal suo petto per permettergli di mettersi seduto.
“Ehi” biascicò Rogers, ancora parecchio assonnato.

Per il giovane Capitano svegliarsi con qualcuno al proprio fianco era un’esperienza totalmente nuova.
Era bello sollevare le palpebre e scoprire di non essere più solo.
Era bello trovare ad attenderlo quegli occhi così luminosamente bui, intrisi di desiderio, aspettativa e dolcezza.
Adesso che aveva lei, era certo che gli era sempre mancato qualcosa prima di incontrarla.
Rischiava, però, di perderla prima ancora di essersi abituato all’idea di averla. Il Padrone avrebbe distrutto quel piccolo idillio appena conquistato ed atteso da tempo. La notte trascorsa aveva risvegliato in lui una parte rimasta assopita per lunghi anni. La sua virilità era affiorata in superficie, rendendolo un uomo.
Non un ragazzino rachitico, non un soldato, non un Capitano, ma semplicemente un uomo forte dei suoi istinti.
Per la prima volta, aveva lasciato che forze umanamente irrazionali dominassero il suo corpo e abbagliassero la sua mente, dimenticandosi del resto.

Ma, sfortunatamente, quel resto pretendeva già un’attenzione che non poteva essergli negata.

“Dovremmo muoverci.”
Anthea rise leggermente e si accoccolò meglio sul petto del ragazzo.
“Come vuoi.”
Anche Steve sbuffò una risata, mentre la mano destra era impegnata a saggiare la morbida consistenza dei lunghissimi capelli della giovane. Erano davvero meravigliosi, il colore del miele e del caramello si mescolavano tra loro, dando vita a luminosi riflessi che seguivano l’ondeggiare delle ciocche, che arrivavano a sfiorarle il fondoschiena.

“Sei bellissima.”
Scontato, quasi stupido forse, ma il modo in cui Anthea lo stava guardando mandò per un attimo in tilt i suoi neuroni.
“Grazie.”
La ragazza lo strinse forte, probabilmente troppo, dato che Rogers emise un flebile gemito di dolore, misto a sorpresa.
“Scusa.”
Il giovane Capitano avrebbe fatto fatica ad abituarsi alla forza sovraumana della sua compagna. Le baciò il capo, sorridendole dolcemente.
“Non è niente. Forza, muoviamoci ora.”

Lo squillo audace e fastidioso di un cellulare fece sobbalzare entrambi, rompendo definitivamente l’ampolla d’intimità in cui si erano rifugiati.
Steve allungò un braccio oltre il bordo del letto, afferrò la giacca malamente abbandonata sul pavimento e tirò fuori l’aggeggio infernale da una delle tasche dell’indumento.
Sullo schermo illuminato si stagliavano a caratteri cubitali due parole gonfie di egocentrismo: Tony Stark.
Steve, nell’accettare la chiamata, roteò gli occhi, preparandosi al sarcasmo che il miliardario gli avrebbe lanciato contro, gratuitamente e senza alcuna pietà.

“Stark?”
“Rogers, allora sei vivo!”

Il Capitano ignorò la frase ad effetto, limitandosi ad uno sbuffo spazientito.
Era la routine, dopotutto.
Tony Stark e Steve Rogers non avrebbero potuto rapportarsi diversamente, poiché ad entrambi stava bene così. Era un modo particolare di comunicare, un codice incomprensibile per gli estranei.
Ad occhi esterni potevano apparire come due ragazzini troppo cresciuti che si punzecchiavano in continuazione, cercando di prevaricare l’uno sull’altro.
Ma questa era solo un’ingannevole apparenza.
Pur possedendo personalità agli antipodi, l’una non tentava di annullare l’altra. C’era un profondo rispetto tra di loro, un rispetto che aveva preso la forma di un’amicizia inimitabile e indistruttibile, la quale superava ogni divergenza di pensiero ed azione.
Tutto era partito da Capitan America e Iron Man e dal loro naturale collaborale durante la battaglia, fino ad arrivare a Steve Rogers e Tony Stark e al loro naturale sostenersi nella vita di tutti i giorni.
A loro bastavano semplici sguardi per intendersi, poche parole e tanti fatti.
Era anche vero che i loro ideali correvano su due binari distinti e forse, un giorno, questa divergenza li avrebbe portati a scontrarsi l’uno contro l’altro - come già era accaduto -, ma alla fine si sarebbero chiariti, come ogni volta, dopotutto.

Non avrebbero dato vita ad un guerra, no?

“Cosa c’è, Cap? Ho scelto un momento poco opportuno per chiamarti?”
Steve ebbe la certezza che Tony stesse ghignando in quel momento.
“Tu sei sempre poco opportuno, Stark. Cosa vuoi?”
“Frigido” masticò tra i denti il miliardario.
“Ti ho sentito.”
“Petulante.”
“Stark!”
“E va bene, la smetto! Non ti alterare, Rogie, o la pressione ti arriva alle stelle. Sai, superata una certa età è pericoloso …”

Steve riuscì perfettamente a sentire in sottofondo l’ammonimento scurrile gridato dalla Romanoff e si lasciò sfuggire una fievole risata nell’immaginare la scena.

“Non c’è nulla per cui ridere, Rogers. Qui rischio la vita.”
“Non ho dubbi al riguardo. Non contare sul mio aiuto.”
“Vecchietto cattivo! Comunque, come sta lei?”
Steve si voltò a guardare Anthea per un attimo, sorridendo.
“Bene. Stavamo giusto tornado alla Tower.”
Sentì Tony sospirare. Un lungo, lunghissimo sospiro.
“Bene, perché ho appena indetto l’ennesima riunione super segretissima. Sai, Thor è appena tornato e se te lo stai chiedendo, no, il temporale non è opera sua.”
“Non me lo chiedevo, comunque grazie per l’informazione. Arriviamo.”
“Okay, Cap. Guida con prudenza.”
Steve sbuffò, divertito.
“Lo farò.”

“Avete finito di amoreggiare al telefono?”
La voce di Barton risuonò fin troppo chiara e la chiamata si chiuse dopo alcune imprecazioni da parte di Stark.

Steve scosse il capo, riponendo il cellulare nella giacca. Non riusciva ad evitare di sorridere. I suoi compagni non avrebbero mai smesso di stupirlo.
Una risata cristallina spezzò il filo dei pensieri del Capitano, il quale rimase imbambolato ad osservare Anthea contorcersi dalle risate tra le lenzuola sfatte.
Era la prima volta che la vedeva sciogliersi e lasciarsi andare in quel modo. Sentì il cuore contorcersi e sprizzare gioia davanti quella visione tanto rara.

Quando la giovane riuscì a riacciuffare un po’ di contegno, le parole fluirono dolci dalla sua bocca.
“Scusa, ma con il mio udito ho sentito tutto. Penso che siate la squadra più strana del mondo. Siete unici. Vi stimo troppo, davvero.”
Rogers ridacchiò.
“Non riferirò a nessuno quello che hai appena detto, o si monteranno la testa, soprattutto Stark e Barton. Anche Thor, a dirla tutta. Ma grazie per le tue parole.”
La ragazza annuì lievemente. Poi, con uno slancio veloce, lasciò un tenero bacio a stampo sulle labbra di Steve.

“Forza soldato, in piedi.”



                                                      ***



Stark Tower.

“Diamo ufficialmente il via alla riunione super segretissima numero … a che numero siamo JARVIS?”
La voce atona dell’ A.I. risuonò metallica nella stanza.
“Alla numero tre, signore.”

I Vendicatori si trovavano ancora una volta riuniti attorno al tavolo nell’angolo della cucina, nella Sala Comune.


Quando Steve e Anthea erano tornati alla Torre, c’era stato uno scoppio puerile di soffocante invadenza, soprattutto da parte di un certo miliardario e di un certo arciere, i quali avevano svolto il ruolo di cinquanta suocere petulanti messe assieme.
Un vero incubo!
A soccorrere Anthea ci aveva pensato Natasha, fortunatamente. Le due donne si erano ritirate nell’appartamento della rossa, la quale si era offerta di prestare dei vestiti puliti ed adeguati alla giovane paranormale, soprattutto dopo averla vista con indosso la larga felpa del Capitano.
Rogers, invece, non era riuscito ad inventare una scusa plausibile - doveva imparare a dire qualche innocua bugia, accidenti - per sfuggire alle grinfie dei suoi compagni affamati di pettegolezzo.
“Miei amici, non è buona cosa intromettersi negli affari intimi di un compagno” aveva tuonato Thor, placando Tony e Clint per … due secondi e mezzo.
Rogers avrebbe preferito mille volte di più riaffrontare nuovamente i Chitauri, invece di sorbirsi l’interrogatorio-dai ammetti di averci dato dentro-non puoi tenere all’oscuro i tuoi amici-formato Stark-Barton.
Era davvero troppo per lui, soprattutto per il fatto che non era riuscito a tornare di un colore normale - i pomodori sarebbero stati invidiosi di lui - fino al ritorno della Vedova Nera, che aveva sedato gli animi turbolenti con pochi e decisi sguardi assassini.
Anthea, al seguito della rossa, aveva finalmente indosso abiti della sua taglia - un paio di pantaloni di tuta blu attillati e lunghi fin sotto il ginocchio, una maglia a maniche lunghe bianca, la quale metteva in risalto i fianchi, e per finire un paio di scarpe da ginnastica del medesimo colore dei pantaloni. Aveva raccolto i lunghissimi capelli in una coda alta, scoprendo completamente il bel viso candido.
Steve aveva fatto uno sforzo enorme per non fissarla come un ebete e ci era riuscito abbastanza bene, dato che nessuno - Tony e Clint - aveva spiccicato parola, fortunatamente.


Il tempo di scherzare era ufficialmente terminato.
L’atmosfera cominciò a divenire tesa, mentre un’ombra oscurava gli sguardi dei presenti e il peso del fardello che ognuno di essi portava sulle spalle era in quel momento tangibile e quasi doloroso.
Rogers si concesse un ultimo sospiro, prima di dare il via alla riunione.
“Okay, partiamo. Thor?”

Il principe asgardiano annuì, pronto a snocciolare tutte le informazioni di cui era entrato in possesso. Sfortunatamente, le cattive notizie superavano di gran lunga quelle buone - ce n’erano di buone?
Sospirò e tornò con la mente a diverse ore prima, alla discussione che aveva avuto con il Padre degli Dei.
Nel silenzio, parlò.



                                                    ***




Asgard. Diverse ore prima.

Thor si inchinò al cospetto di Odino, il quale sedeva sull’alto trono dorato con eleganza ed orgoglio.
Il sovrano era stato avvisato da Heimdall dell’arrivo del figlio, perciò non fu per niente sorpreso quando le guardie reali lo annunciarono, lasciando che accedesse alla Sala del Trono.
Odino sapeva che su Midgard qualcosa non stava andando nel verso giusto, ma, qualsiasi cosa fosse, non riusciva ad identificarla. Nemmeno l’occhio del guardiano del Bifrost riusciva a vedere tale anomalia e ciò era abbastanza preoccupante.

“Cosa ti porta qui, figlio?”
Thor si erse, puntando lo sguardo in quello del Padre.
“Problemi, Padre, su Midgard.”
“È forse opera di Loki?”
Il principe scosse il capo, stringendo la presa su Mjolnir.
“Loki sta aiutando me e i miei amici. Colui che potrebbe portare Midgard alla rovina si fa chiamare Padrone.”

Il volto di Odino divenne improvvisamente teso, mentre il ricordo di un antico evento faceva capolino nella sua memoria.
Il Padrone era la risposta al perché la connessione su Midgard fosse difficoltosa, confusa e parzialmente oscurata.

“Voi sapete chi sia questo Padrone, padre?”
Il re sapeva, Thor ne era certo, perché erano poche le volte in cui egli faceva trasparire preoccupazione dal suo viso.
Il silenzio si protrasse per troppo tempo e il principe fu tentato di prendere Odino per le spalle e scuoterlo violentemente.
Quanti segreti c’erano tra di loro e il tempo stringeva.

Daskalos. È questo il suo nome.”

Thor voltò il capo verso l’ingresso della sala ed osservò Madre venirgli in contro. Negli occhi della regina, la quale aveva ascoltato ogni parola, poteva scorgere la stessa preoccupazione che aveva intravisto nell’unico occhio di Odino.
“Chi è costui?”
Frigga prese il viso di Thor tra le sue piccole mani, scuotendo leggermente il capo.
“È un pericolo per l’universo stesso, figlio mio, pericolo che il Padre degli Dei credeva di aver scongiurato tempo addietro.”

Ancora una volta il silenzio si protrasse per troppo tempo e Thor, stufo di attendere spiegazioni, sentì la rabbia ribollire nelle vene.
“Padre, avete intenzione di ignorarmi ancora per molto? Chiunque sia questo Daskalos, agirà presto. Non c’è tempo. Parlate, per il bene di Midgard.”

Odino parve riscuotersi e strinse con forza il pungo attorno il lungo stelo della sua fidata lancia. Frigga raggiunse il re, sedendo al suo fianco, come se volesse offrirgli un muto sostegno.
Thor sentì un brivido risalire lungo la spina dorsale, fino alla base della nuca. Stava per parlare ancora, ma Odino lo anticipò.

“Daskalos fu il mio più grande errore.”
Ed eccolo, quel senso di colpa pungente risvegliatosi dopo secoli. Davanti agli occhi increduli di Thor, Odino parve divenire più vecchio, stanco e vulnerabile.
“Ricordi Oneiro, figlio?”
Il principe annuì.
“Il pianeta invisibile agli occhi di Heimdall. Esplose misteriosamente e ciò provocò l’estinzione di un’intera razza.”
“La scomparsa di Oneiro fu la conseguenza dell’errore commesso dai sovrani degli altri regni. Ad eccezione di Midgard, all’oscuro dell’esistenza di ciò che si trova al di là dei suoi confini, e Hel, regno dei morti senza onore né disonore, i rimanenti otto regni usavano organizzare incontri tra i loro governanti, affinché fosse mantenuta la pace e maturasse la collaborazione tra i diversi mondi.”

Thor cercò di richiamare alla mente un giorno di diversi secoli prima, un giorno particolare rimasto accantonato tra i suoi ricordi fino ad allora.
Era ancora un ragazzino incosciente a quel tempo, ma non poteva negare di aver avuto un certo timore nel trovarsi davanti i potenti sovrani di Alfheim, Nidavellir, Muspelheim, Svartalfheim, Jotunheim e Vanaheim.
Poi era arrivato lui, il re di Oneiro, con il suo carisma, il portamento orgoglioso e quel guizzo di mistero a brillargli negli occhi.
Il dio del tuono chiuse per brevi istanti gli occhi e vide scorrere le nitide immagini di quel primo ed ultimo incontro con l’oneiriano. Il nobile sovrano gli aveva sorriso gentilmente e l’aveva osservato con attenzione, come se avesse voluto studiarlo, e poi era sparito dietro le grandi porte dorate della Sala del Trono, lasciandolo con i brividi a fior di pelle e lo sguardo perso.
Thor trattenne il respiro, quando un particolare di quel lontano giorno lo riportò bruscamente al presente. Il sovrano di Oneiro aveva gli stessi identici occhi di Anthea, due abissi oscuri celanti i più intimi segreti dell’anima.

“Quando ci riunimmo ad Asgard, durante l’incontro ricevemmo la visita di un ospite inatteso, il quale era riuscito ad aprire una breccia nelle difese di Heimdall ed era giunto alla Sala del Trono indisturbato.”

Thor ricordò l’evacuazione improvvisa dalla dimora del Padre degli Dei. Frigga aveva preso per mano lui ed il piccolo Loki e li aveva scortati fuori dal palazzo dorato, non mostrando nemmeno per un istante la preoccupazione che in realtà le stava rodendo il cuore, al fine di non spaventare i due bambini.

“Nessuno aveva anche solo immaginato che Daskalos potesse giungere a sfidare i sovrani di ben otto regni, da solo.”
Odino sospirò stancamente, prima di riprendere a parlare.
“Chi è Daskalos? Un demonio fuggito da Hel, dove secoli prima era stato imprigionato da mio padre. Daskalos possiede l’abilità innata di risucchiare il potere dei suoi nemici ed è proprio in questo modo che è divenuto sempre più pericoloso, ovvero acquisendo le abilità delle più disparate creature dell’universo. Noi sovrani avevamo sentito parlare di lui e del castigo che infliggeva a coloro che si ribellavano al suo volere. Era capace di distruggere interi pianeti, di fronte all’opposizione nei suoi confronti.”

Thor spalancò gli occhi, mentre i tasselli di un puzzle complicato andavano finalmente a formare un’immagine chiara degli eventi che avevano portato alla distruzione di uno dei Dieci Regni.

“Daskalos chiese a noi sovrani di donargli parte del nostro potere, affermando che avrebbe distrutto il regno di coloro che si fossero opposti.”
“Avete accettato tutti, ad eccezione del re di Oneiro, non è forse così padre?”
Odino, con lo sguardo perso nel vuoto, annuì sommessamente.
“Daskalos promise che non avrebbe più messo piede sui pianeti dei sovrani che gli avrebbero consegnato ciò che voleva. Sapevamo che quel demone aveva già polverizzato diversi pianeti in altri distretti dell’universo, perciò decidemmo di acconsentire alla sua richiesta. Stavamo vivendo un periodo di pace, dopo anni di guerre. Nessun pianeta era davvero preparato ad affrontare un’ennesima battaglia contro un demone pazzo e custode di un potere al di fuori di ogni nostra possibilità di fermarlo. Eppure, il giovane re oneiriano, forze per orgoglio o forse per ingenuo coraggio, si oppose con fermezza al volere di Daskalos.”

A Odino parve di sentire di nuovo le parole di sanguigna minaccia uscite dalla bocca del demone e abbattutesi contro il giovanissimo sovrano.

La paura vi ha reso ciechi, ci disse prima di lasciare la Sala del Trono, diretto al Bifrost per lasciare Asgard. Non rividi né ebbi più alcun tipo di contatto con l’oneiriano. L’unica certezza è che Oneiro venne cancellato dalla faccia dell’universo poco tempo dopo l’incontro con Daskalos.”

“Siete sicuro che sia stato Daskalos a distruggere il pianeta?”
Odino abbassò il capo, stanco.
“E chi altri, Thor?”

L’ultima domanda rimase sospesa nel silenzio e dopo aver fluttuato per alcuni istanti, cadde inesorabilmente, priva di risposta.



                                                          ***




Presente. Stark Tower.

“Padre ha affermato che, per nessuna ragione, interverrà nello scontro con Daskalos, affinché il demone rimanga lontano da Asgard.”

Si scambiarono sguardi perplessi, confusi, densi delle stesse inconfessabili emozioni. Alcuni sentimenti andavano intrappolati all’interno del corpo, così da evitare che fossero un ostacolo al raggiungimento della sperata vittoria.
Era questo il momento in cui dovevano appoggiarsi l’uno all’altro, per non essere schiacciati dal fardello di dover salvaguardare l’umanità.

“Possiamo farcela, avanti. È solo un demone che è temuto dal Padre degli Dei in persona, niente di che.”

Gli angoli delle bocche dei preseti guizzarono verso l’altro alle parole di Tony.

“Odino ci ha consigliato di fare attenzione alla sua spada il cui nome è Aima. Essa fu forgiata dai Nani di Nidavellir come pegno per tenere lontano Daskalos dal loro pianeta. Mjolnir stesso fu forgiato dai Nani, quindi possiamo immaginare il potere di cui è dotata quella spada.”
“Si va di male in peggio” borbottò Clint, mettendo a nudo il pensiero che ronzava nella testa di ognuno di loro.
“Altre buone notizie?” domandò il miliardario, scettico.

La Romanoff alzò la mano, ma non attese alcun permesso per parlare.
“Ho parlato di nuovo con Wade, questo pomeriggio.”

Steve cercò di ignorare il cambio repentino dell’espressione sul viso di Anthea e il sussultare delle spalle esili al solo sentir pronunciare il nome dell’uomo del ponte.
Chi era stato Wade per Anthea? E cosa significava per lei, adesso?
Rogers avrebbe tanto voluto avere una risposta a queste domande, ma prima che potesse perdersi tra le varie congetture mentali, la voce di Natasha lo richiamò alla realtà.

“Ha confessato che il Padrone riesce a trovarci seguendo la scia emanata dal potere di Anthea.”

Gli sguardi si posarono sul Capitano, attirati da quel suo familiare gesto di incrociare le braccia al petto e corrugare la fronte.
Steve stava costruendo pezzo per pezzo un piano, una strategia, che avrebbe potuto tirarli fuori dai guai, almeno in parte.

“Rendici partecipi o giuro che mi butto dalla finestra, ora.”
“Stark, lascialo concentrare.”
“Sono una persona troppo ansiosa, Legolas, potrei rischiare un attacco di isteria, se Capsicle non si decide a parlare.”

Bruce non riuscì a trattenere la fievole risata che contagiò tutti i presenti, sciogliendo un poco la tensione.

“Anthea, in me c’è una parte del tuo potere, giusto?”
L’interpellata alzò il capo con uno scatto, fissando lo sguardo buio in quello del giovane Capitano.
“Non te lo lascerò fare” fu la risposta secca della giovane.

“Di cosa stiamo parlando?”
La domanda di Stark cadde nel vuoto, priva di risposta.

Steve e Anthea avevano ingaggiato una lotta di sguardi talmente intensa, da far calare un silenzio tombale nella stanza.

“Tu sei il suo obiettivo. Se prende te siamo tutti morti, perciò lasciami fare e fidati di me.”
La ragazza prese a torturare il labbro inferiore, mentre percepiva aprirsi un vuoto nello stomaco.

Un brutto presentimento.

“Va bene” si sforzò di dire, andando contro l’impellente volontà di gridare che tutto ciò era una pazzia.

Non avrebbero dovuto dividersi.

“Avengers, ascoltate attentamente.”
E mentre Steve spiegava con meticolosa cura il modo in cui avrebbero agito l’indomani, Anthea si sentiva logorare da orribili sensazioni.
“ … abbiamo ancora un giorno, perciò …”
Un giorno intero prima dello scontro, prima della lotta alla sopravvivenza.
“Vi voglio tutti pronti domani alle sei in punto. Partiremo per quell’ora, così avremo tempo a sufficienza per allontanarci il più possibile da qui. Ultima cosa. Indossate l’armatura.”

Annuirono tutti, all’unisono.
Nessuno si sarebbe tirato indietro. L’abbandono non era un’azione minimamente contemplata nel loro gruppo. Avrebbero lottato, insieme, fino alla fine.
La riunione era ufficialmente giunta al termine e i Vendicatori si ritirarono nei loro appartamenti.

Natasha seguì Clint, decisa a rendere quella notte speciale. L’idea di dormire non la sfiorava nemmeno ed era certa che per il compagno fosse lo stesso. Arrivarono al letto di lui ed i loro corpi si mossero in sincronia, trepidanti.
Si amarono, infiammati dalla passione rinata dopo troppo tempo passato ad evitarsi.


Quella notte anche Tony cedette al sentimentalismo, chiamando la sua Pepper, la quale si trovava al sicuro a Malibù. Il miliardario l’aveva convinta ad allontanarsi da New York dopo l’attacco della Bestia e, a seguito di una breve discussione, Virginia aveva acconsentito alla sua richiesta.
Stark fu felice di sentire la dolce voce della propria fidanzata e, alla fine della breve ma intensa conversazione, non dimenticò di ricordarle quanto la amava.

                                                             *

Anthea e Steve si svestirono velocemente, gettando gli indumenti sulla sedia della scrivania. Si infilarono sotto le candide lenzuola del letto, schiacciandosi l’uno contro l’altra.
La ragazza strinse il giovane soldato per i fianchi, nascondendo il viso contro il suo petto caldo e forte.
“Steve.”
“Si?”
“Io credo di …”
La giovane si bloccò, spaventata dai suoi stessi pensieri, che non riuscirono a prendere la forma di parole.
Steve le avvolse le spalle, baciandole il capo dolcemente.
“Cosa?” la invitò a continuare.
“Nulla. Lascia stare. Solo, fa’ attenzione e trattieni i tuoi istinti suicidi, o giuro che non te la farò passare liscia.”
Rogers ridacchiò.
“Okay.”

Steve si addormentò presto, completamente sfinito dagli ultimi avvenimenti.
Anthea, invece, si crogiolò ancora per qualche tempo nella stretta protettiva del giovane Capitano, desiderando di rimanere imprigionata in quelle forti braccia per sempre.
Infine, si lasciò vincere dal sonno, cullata dal battito cadenzato di quel cuore che avrebbe protetto utilizzando qualsiasi mezzo.



                                                       ***



La lucente moto nera sfrecciava sull’asfalto, veloce ed agile, trasportata dal placido scorrere del traffico che animava il Brooklyn Bridge, una immensa scia di acciaio e granito con il ruolo di collante tra l’isola di Manhattan e il quartiere di Brooklyn. I cavi d’acciaio che sorreggevano l’imponente struttura disegnavano un complesso reticolato di ombre sulle corsie di percorrenza.
L’East River, gonfio a causa della tempesta scatenatasi quella notte, si agitava sotto le fredde raffiche di vento. Il Sole era ancora nascosto dietro nubi grigie e pronte a dare vita ad un’esplosione di pioggia e lampi.

Steve rabbrividì e scosse le spalle, cercando di concentrarsi unicamente sulla guida del veicolo a due ruote, nonostante le diverse ansie che imperversavano nella sua mente gli sottraessero l’attenzione necessaria a sedare quelle emozioni che minavano la sua stabilità mentale, fortemente compromessa negli ultimi infausti tempi.
Come tutti gli altri, aveva già indosso la sua armatura, una divisa blu in kevlar, tessuto resistente e allo stesso tempo abbastanza elastico da permettere movimenti agili e veloci; linee argentee la percorrevano all’altezza del petto sul cui centro si stagliava una stella del medesimo colore; a completare il completo c’erano un paio di guanti e una cintura marroni, così come gli stivali.
Lo scudo al momento non era in suo possesso, ma si trovava comunque in mani sicure.
L’indomani i Vendicatori avrebbero dovuto affrontare il Padrone e i suoi sottoposti.
Rogers sperava fortemente che il suo stratagemma funzionasse, poiché da esso poteva dipendere la vita dei suoi compagni - della sua famiglia.

“Sei dannatamente teso.”
La voce della donna dietro di lui, resa più soffusa dal casco, lo fece sobbalzare. Percepì le braccia di lei stringersi un poco attorno ai suoi fianchi, mentre la moto prendeva velocità.
“Steve, qualsiasi cosa accada domani, ti proibisco di sentirti in colpa.”

Prima che il giovane potesse ribattere, la voce metallica di Iron Man, che volava a diversi metri sopra le loro teste, si insinuò nell’orecchio destro di ogni membro della squadra, al momento divisa in due gruppi diretti verso destinazioni differenti.

“A tutti gli Avengers, ho rilevato una strana anomalia nel … dannazione! Rogers è davanti a voi!”


Davanti agli occhi esterrefatti del Capitano, nel bel mezzo del ponte, uno squarcio nel vuoto diede vita ad un varco oscuro, provocando un’onda d’urto che si propagò per chilometri.

Steve si sentì sbalzare all’indietro. Si schiantò contro il duro asfalto e rotolò per alcuni metri, ma si rialzò all’istante e tolse il casco, gettandolo a terra. Al suo fianco atterrò Iron Man, che gli porse lo scudo in vibranio, gesto che sanciva l’imminente inizio dello scontro.
“Dov’è lei?” domandò Stark, mettendo in funzione il sistema di rilevamento.
Ma Steve fu più veloce e scorse la compagna qualche metro dietro di loro, intenta a rimettersi in piedi e con ancora il casco a coprirle il volto.
Tutte le vetture sul Brooklyn Bridge giacevano immobili. Alcune si erano ribaltate ed altre si erano scontrate tra loro.
Le grida della gente vinta dal panico riempirono l’aria.
Rogers osservò i civili correre via, lontano dal varco creatosi dal nulla, mentre una rabbia crescente prese a bruciargli nel petto.
Il varco iniziò a vomitare soldati in nero, portatori della spilla del diavolo sul petto. Tra di essi emerse una figura alta ed incappucciata, una figura che poteva paragonarsi ad un mietitore di anime possedente una spada invece di una falce.

“Qui Clint Barton. Mi ricevete? Cosa sta succedendo?”

“Sono in anticipo” fu il debole sussurrò di Rogers.
Il Capitano, con lo scudo stretto nella mano destra, corse in direzione della compagna per accertarsi delle sue condizioni, dato che i nemici si stavano avvicinando velocemente.
Era a pochi passi da lei, quando la creatura lo precedette, comparendo dal nulla davanti a lui e respingendolo indietro senza nemmeno toccarlo.
Steve cadde sulla schiena ed il respiro gli si mozzò in gola.

Stark, intanto, aveva ingaggiato la lotta contro i numerosi soldati, nel tentativo di tenerli lontani dal resto della squadra.


“Finalmente ci rivediamo, mia cara.”
La donna, al cospetto del Padrone, percepì il sudore freddo imperlare la fronte nascosta sotto il casco.
Senza che potesse anche solo percepire il movimento, si ritrovò il polso destro artigliato dalla dolorosa e ferrea presa della creatura.
Passò un istante infinitamente lungo, prima che il Padrone ritirasse indietro la mano, come se fosse stato scottato.
“Non sei tu.”
Finalmente la donna riuscì a recuperare la risolutezza necessaria a sfilare il casco. Indietreggiò di qualche passo, prima di puntare gli occhi verdi sul volto completamente immerso nell’oscurità del demone.
Natasha Romanoff storse la bocca per dare vita ad un ghigno sfrontato, quasi divertito.
“Complimenti, gran bel buco nell’acqua.”

Forse il piano di Rogers non era andato del tutto a farsi friggere, nonostante il nemico non avesse rispettato il tempo stabilito. Perché se il Padrone era lì, significava che Anthea era riuscita ad eclissare il suo potere ed ora era al sicuro, lontana da quel mostro privo di senno.
Daskalos aveva seguito la scia di energia emanata da Steve e appartenente alla giovane paranormale.
Però Natasha era consapevole che, anche se erano riusciti a depistare il demone, non avrebbero avuto nessuna possibilità contro di lui ed il suo esercito, nelle loro attuali condizioni.
Steve aveva pianificato di riunire la squadra l’indomani, nel primo luogo disabitato disponibile, così da evitare spargimenti di sangue innocente.
Sfortunatamente, ora erano solo in tre sul campo di battaglia, mentre Bruce, Thor e Clint si trovavano a bordo di un jet assieme ad Anthea, Loki e Wade, diretti verso una base sicura dello SHIELD, molto lontana da New York e dove erano attesi da Phil Coulson.

“Come osi rivolgerti a me con quel tono, infima umana. Pagherai con la vita questo tuo affronto.”
Vedova Nera portò le mani alle fondine sulle cosce per mettere mano alle pistole, ma si rese conto che era già troppo tardi, poiché la mortale spada del demone stava già calando su di lei, sibilando.
Si preparò a ricevere il colpo, quando l’unica cosa che sentì fu uno stridio insopportabile che le penetrò il timpano, costringendola a serrare per un momento gli occhi.

Quando risollevò le palpebre, le larghe spalle di Capitan America furono la prima cosa che vide.



                                            ***



“Dobbiamo tornare indietro, adesso.”
Anthea avrebbe voluto urlare.
Perché non volevano capire?
Bisognava correre ad aiutare gli altri, prima che fosse troppo tardi.

“Ragazzina, ascoltami bene. Se il Padrone prende te, va tutto a puttane, perciò torneremo indietro solo dopo averti lasciato nelle mani di Coulson.”
Clint era stato categorico, nonostante avesse voluto raggiungere il resto della squadra in quello stesso momento.
Thor era già partito, trascinato nel cielo plumbeo dalla potenza di Mjolnir, ma il jet avrebbe fatto dietrofront solo dopo aver condotto Anthea al sicuro, così come aveva stabilito Rogers.

“Quando li avrete raggiunti, saranno tutti già morti.”
Clint, Bruce e lo stesso Loki, si voltarono sorpresi verso l’uomo ammanettato ed accantonato in un angolo del velivolo.
Nessuno fra loro ebbe il coraggio di controbattere, perché, in fondo, sapevano che Wade aveva fottutamente ragione.
Se la squadra al completo avesse avuto anche solo una singola possibilità di sconfiggere Daskalos, divisi, i Vendicatori erano pressoché spacciati.

Il dottor Banner e Occhio di Falco si scambiarono un’occhiata decisiva.

“Steve non me la farà passare liscia questa volta e sarà tutta colpa tua, ragazzina.”

Bruce ridacchiò e Anthea sorrise, mentre il jet si gettava a folle velocità verso il Brooklyn Bridge e verso il cuore dello scontro.

“Ti devo un favore” affermò convinta la giovane.

E Barton, nonostante tutto, pensò ancora una volta che quella ragazzina non era poi così male.



                                    ***



Rogers spinse con forza lo scudo in avanti, costringendo il Padrone ad indietreggiare.
La spada aveva sfregiato il cerchio in vibranio con un taglio obliquo che ne percorreva il diametro.

“Dove si trova?”

Steve ricordò di aver già sentito quella voce durante la battaglia contro Thanatos, nei parcheggi sotterranei della Tower.
Il demone era entrato nella sua testa quella volta, ne era certo.

“Evita domande stupide.”
Daskalos emise un suono, simile ad una risata strozzata.
“Siete voi umani ad essere tremendamente stupidi. Lei ha segnato la tua condanna nel momento in cui ha creato il legame che intercorre tra voi e tu, sciocco, proteggi una creatura che ha decretato la tua fine, una creatura le cui mani sono sporche di sangue.”
“Evita anche sermoni inutili. Le tue parole non sfonderanno le mie convinzioni, sappilo.”
Daskalos rise ancora, divertito, ergendosi in tutti i suoi due metri di altezza davanti al soldato.
“Mi accontenterò di ridurre a brandelli il tuo debole corpo, dopo averti strappato il cuore dal petto. Le porterò la tua testa, umano, così mi assicurerò che cada nella disperazione più totale.”
Steve non poté evitare di rabbrividire, ma continuò a fronteggiare il demone con una certa testardaggine.

La creatura, con un gesto elegante, si liberò della mantella scura, rivelandosi agli occhi di tutti.
Il corpo aveva fattezze umanoidi, ma la pelle era di un orribile nero violaceo ed era percorsa da quelle che sembravano numerose vene gonfie e pulsanti. Sulla sommità del capo calvo spuntavano un paio di tozze e corte corna argentee. Del medesimo colore erano gli artigli affilati delle mani dalle lunghe dita affusolate. Indossava una specie di armatura di un nero lucente, simile nella forma a quella di Thor.

Rogers, però, rimase pietrificato nello specchiarsi in occhi rossi come il sangue, privi della pupilla e della sclera bianca.

“È tempo che tu muoia, Steve Rogers.”



Dal buco nero continuavano a venir fuori cattive sorprese. Le ombre oscure - dannatamente troppe secondo il parere di Stark - dilagavano sul Brooklyn Bridge e si affrettavano a raggiungere il loro Padrone.
Un ruggito mostruoso e dannatamente familiare, preannunciò l’arrivo di un vecchio amico. Il varco si richiuse non appena Thanatos lo ebbe attraversato. La bestia fece tremare il ponte con la forza di uno spaventoso ululato, mentre i suoi possenti muscoli parevano scossi da spasmi disconnessi.
Stark diede fondo a tutto il suo arsenale di imprecazioni e bestemmie.
Questa era la volta buona che ci rimetteva la pelle.
“Rivoglio i Chitauri” piagnucolò, in preda ad un attacco di delirante isteria.

L’arrivo tempestivo di Thor, Tony lo classificò come evento miracoloso.
L’asgardiano piombò sulla bestia come una meteora, colpendola sulla schiena con il potente martello.

“Lascia a me il compito di eliminare questo mostro, uomo di metallo.”

Iron Man alzò verso l’alto il pollice della mano destra, accettando volentieri la proposta, mentre dalle spalle dell’armatura fuoriuscivano quelli che erano due canali spara fuoco, aggiunti in previsione di uno scontro con le ombre.
“Iniziamo la disinfestazione.”
Stark sorvolò il numeroso gruppo di creature oscure, lasciando fuoriuscire grandi lingue di fuoco dal nuovo congegno impiantato nell’armatura e ghignando nel constatare che stava funzionando - perché la tecnologia Stark funzionava sempre, o quasi.
Le ombre vennero incenerite una dopo l’altra, mentre tentavano di afferrare la mark con le loro lunghe dita, invano.


Sull’altro fronte, Natasha era impegnata a stendere quanti più soldati possibile, sfruttando tutta l’abilità di cui era dotata.
Era consapevole che la minima distrazione sarebbe potuta essere fatale, ma non riusciva a fare a meno di lanciare sguardi preoccupati in direzione di Capitan America.

Daskalos stava temporeggiando.

La spada e lo scudo si scontravano ripetutamente, emettendo fastidiosi stridii, simili a lamenti.
Steve colpiva con calcolata forza, nel tentativo di fare breccia nella difesa impenetrabile del demone.
Sapeva che il Padrone non stava combattendo seriamente e non ne capiva il motivo, dato che solo qualche minuto prima aveva minacciato di farlo a pezzi.
Doveva aver cambiato idea. Ma perché?

“Le porterò la tua testa, umano, così mi assicurerò che cada nella disperazione più totale.”

E improvvisamente gli fu tutto chiaro.
Daskalos voleva distruggere Anthea dall’interno.
Quel mostro la stava aspettando. Voleva che assistesse.
Steve si tirò improvvisamente indietro, mettendo distanza tra sé ed il nemico.
“Non te lo lascerò fare.”
Daskalos ghignò sadicamente, assetato di guerra e sangue.
“Non hai la forza per impedirlo. Ormai è vicina, perciò posso dare il via allo spettacolo, o sarebbe meglio dire, massacro.”

Rogers era un soldato e come tale riconosceva quando era tempo di ritirarsi, poiché combattere, in certi momenti, non era segno di coraggio ma bensì di stoltezza.
Scattò indietro, dirigendosi verso il resto del gruppo, poiché uniti sarebbero stati più forti e meno vulnerabili. Incontrò per un istante lo sguardo teso di Natasha, circondata da decine di soldati, prima che il terreno venisse a mancargli sotto i piedi e perdesse la presa sullo scudo, che cadde a terra con un tonfo sordo.
Sospeso a mezzo metro dal suolo, non riusciva a muovere nemmeno un muscolo e respirare divenne difficile.

“Dove credevi di andare? Non puoi sfuggirmi.”
Rogers venne sbattuto violentemente contro il duro asfalto. Rivoli di sangue colarono dalla fronte lesa. Tentò di fare forza sulle braccia per tirarsi su, ma Daskalos non gli permise di muoversi, piantandogli un tallone tra le scapole.
Steve, immobilizzato, osservò la punta acuminata di Aima piantarsi nel cemento, a pochi centimetri dal suo volto.
Poi la spada fu risollevata.
Al giovane Capitano parve di sentire per brevi attimi il suono dei propulsori di un jet sopra di sé, prima che un dolore allucinate lo costringesse a gridare con tutto il fiato che aveva in corpo.
Aima si era conficcata brutalmente nel deltoide sinistro.
Sentì una voce urlare il suo nome, ma non riuscì a capire a chi appartenesse, poiché stava per essere inghiottito dall’oblio.
Le forze vennero meno, come se quell’arma aliena gli stesse risucchiando le energie, secondo dopo secondo.

Di colpo, Daskalos tirò fuori la spada dalla carne del ragazzo e si portò la lama alla bocca, leccandone via il sangue caldo.
“Lei è …”
Il demone non riuscì a terminare la frase, poiché fu travolto da un’incontrollata furia verde.
Steve, libero, strinse i denti e si costrinse a rimettersi in piedi. Barcollò verso il suo scudo e lo raccolse da terra. Un improvviso capogiro rischiò di farlo rovinare sull’asfalto, ma una presa decisa lo sostenne per i fianchi.

“Sei un vero disastro. Ti lascio solo un attimo e guarda come ti ritrovo.”
Anthea non riuscì a controllare il tremito nella voce. Aveva rischiato di perderlo, ancora.
“Non dovresti essere qui.”
“Il mio posto è al tuo fianco, Steve. Ora attiverò il mio potere dentro di te, così riacquisterai le forze e non rischierai di collassare.”

Rogers la lasciò fare e un immenso calore si sprigionò all’interno del suo corpo, appena la giovane spinse la mano all’altezza dell’ombelico.
La stanchezza ed il dolore diminuirono drasticamente, mentre una nuova energia andò a rianimare ogni singolo muscolo.
Capitan America era pronto a rigettarsi nella mischia.



A Hulk piaceva il Capitano e quel mostro viola aveva fatto male al Capitano, quindi Hulk spaccava il mostro viola.

Daskalos era in balia del gigante verde e, inizialmente, non riuscì ad evitare di essere colpito pesantemente dal quel rabbioso nervo scoperto.
Sfortunatamente, il demone si riprese fin troppo presto e bloccò l’assalto di Hulk con la sola forza esercitata dalla mente.
Il gigante, con ancora il pugno sospeso a mezz’aria, ringhiò inferocito e tentò di liberarsi da quell’incantesimo che non gli permetteva di muoversi nemmeno di un centimetro.
Il Padrone, che non era stato scalfito minimamente nonostante le botte prese, sorrise sornione.
“La tua forza potrebbe essere paragonata a quella di un dio, ma rispetto a me sei una nullità, folle bestia. Addio.”

Poco dopo, Tony Stark vide Hulk precipitare a folle velocità dal Brooklyn Bridge. Fece per raggiungerlo, ma la distrazione che si era concesso gli costò cara, quando un razzo proveniente da chissà dove lo colpì e lo fece precipitare a terra, come un uccello ucciso da un funesto proiettile.


Clint abbandonò il jet quasi a metà del ponte, fregandosene del fatto di lasciare incustoditi Loki e Wade al suo interno.
L’arciere si mise istintivamente in cerca di Natasha e la individuò nel bel mezzo di una calca formata da ignoranti soldati fanatici - così aveva deciso di catalogarli.
Mise mano all’arco e, nonostante fosse lontano, ogni freccia venne piantata con maniacale precisione nei punti vitali dei nemici che avevano circondato la sua donna.
La Romanoff riuscì quindi a riprendere fiato per un attimo, prima di ricominciare a combattere con la sicurezza di avere le spalle coperte.



“Va’ ad aiutare gli altri e tieniti a debita distanza da Daskalos.”
Steve non sentì il bisogno di ribattere. Annuì solamente.
“Sta’ attenta” le sussurrò, prima di correre in direzione di Stark, completamente in balia delle ombre.

Anthea inspirò ed espirò lentamente, chiudendo gli occhi ed estraniandosi dalla realtà esterna. Doveva focalizzare la sua attenzione solo sul demone.
“Sei veloce” gli concesse.
Daskalos era proprio di fronte a lei, adesso, e la ragazza non aveva bisogno di guardare per saperlo, perciò non alzò le palpebre.

Resta calma. Concentrati.

“Piccola sporca traditrice.”

Anthea si spostò leggermente a destra e percepì gli artigli del Padrone sfiorarle il viso. Tutto era successo in un millesimo di secondo.
La giovane aprì gli occhi di scatto e piazzò il pugno destro sul volto del demone, il quale evitò il secondo affondo balzando indietro.
Si muovevano velocissimi e i loro spostamenti non potevano essere seguiti da occhio umano.

Daskalos tornò alla carica, con l’obbiettivo di ferirla in modo da immobilizzarla. La voleva viva, ma amputarle qualche arto non avrebbe fatto differenza. Sguainò la spada e fendette l’aria in direzione della spalla destra dell’avversaria.
Anthea si abbassò agilmente e, spingendo con forza sulle gambe, balzò in avanti, gettandosi sul demone e buttandolo a terra.
Aima, nella caduta, scivolò dalla presa del suo possessore e si schiantò sul duro asfalto.

Daskalos non perse tempo e creò un campo di forza attorno al proprio corpo. Anthea venne catapultata in aria, ma rimase abbastanza lucida da creare e lanciare una sfera di fuoco contro il nemico, colpendolo in pieno.
La ragazza atterrò perfettamente in piedi, poco distante dal bozzolo di fumo nel quale era nascosto il Padrone. Ma quando la nube si dissolse, del demone non vi era traccia.

Percepì appena uno spostamento d’aria alle spalle e poi un tocco sulla spalla. Gridò di dolore quando una scarica di elettricità le fece tremare le membra e si ritrovò a terra, scossa da convulsioni che le facevano contorcere lo stomaco su sé stesso.

“C’era un pianeta, una volta, i cui abitanti erano in grado di controllare le cariche elettriche che compongono i corpi. È un’abilità utile, dopotutto.”

La tortura terminò dopo alcuni minuti, lasciandola completamente stordita.



                                 ***



Steve si era trasformato in una macchina da combattimento perfetta. Velocità e forza dei colpi erano calibrati con meticolosa attenzione, mentre il corpo si muoveva con eleganza nell’abbattere una dopo l’altra le ombre dalla durezza del marmo.
Il giovane Capitano aveva finalmente recuperato tutte le energie necessarie a dare man forte ai suoi compagni. Non avrebbe più avuto bisogno di essere salvato, perché adesso toccava a lui prendere in mano le redini della situazione e riportarla sotto controllo.
A forza di calci, pungi e colpi di scudo, si aprì un varco tra l’esercito di mostri, fino al momento in cui riuscì finalmente a scorgere il rosso e l’oro dell’armatura di Iron Man, costretta a terra da due ombre che le bloccavano gambe e braccia per permettere alle altre di colpirla con estrema facilità. Rogers lanciò lo scudo con potenza e decapitò uno dei mostri che bloccavano il compagno; corse in avanti e con un calcio rotante creò delle crepe profonde sul fianco dell’altra ombra, costringendola a sciogliersi in quella specie di inchiostro, così come tutte quelle che erano state danneggiate pesantemente. Senza fermarsi, afferrò il guanto d’acciaio di Stark e lo tirò su, permettendogli di attivare subito i propulsori per tirarsi fuori da quell’assedio e riprendere fiato, mentre Capitan America raggiungeva lo scudo lanciato poco prima.

Improvvisamente, ogni singola ombra presente sul campo di battaglia si trasformò in liquido denso e nero.

“Si ritirano di già?”
“Meglio così, ne ho avuto abbastanza.”
Iron Man atterrò al fianco di Rogers, dandogli una pacca sulla spalla come più sincero gesto di gratitudine. L’armatura era piena di tagli, anche abbastanza profondi, come se quei mostri avessero tentato di aprirla allo stesso modo di una scatoletta di alluminio.
“Rogers, Hulk è … che diavolo succede adesso?”
Stark si fece prendere da una specie di attacco isterico, nell’osservare tutto il fluido scuro fondersi in un’unica grande massa tremolante, la quale diede forma ad un’unica ombra dalle dimensioni titaniche, sorretta dal ponte per chissà quale miracolo.

“Questa è la versione gigante dell’uomo nero.”
“Non sei troppo grande per credere all’uomo nero, Stark?”
“Parla il fossile.”
E forse l’umorismo poteva essere l’unico palliativo alla tensione che contraeva i muscoli e spediva la mente in una dimensione surreale, sfuggente, nella quale si rischiava di perdere lucidità.

L’ombra, alta almeno quattro metri, stava per completare la trasformazione, perciò Steve chiese ai neuroni di aumentare al massimo le sinapsi per elaborare una strategia utile.
Sentì appena Iron Man gridargli di fare attenzione, che venne travolto da un qualcosa arrivata a folle velocità da chissà dove.
Fu un aggrovigliarsi di gambe e braccia e un rotolare bloccato solo dall’impatto contro il corrimano del ponte.
Steve sbatté ripetutamente le palpebre e mugolò nel sentirsi schiacciare da un peso considerevole proprio all’altezza dello stomaco.

“Thor, che ne dici di spostarti almeno un pochino? Non respiro.”
Il dio scosse il capo per riprendersi dalla botta e si rimise in piedi, porgendo poi la mano al compagno, che l’afferrò prontamente.
“Niente di rotto, Capitano?”
“No, tranquillo.”
Vennero raggiunti presto da Stark, che stava ridacchiando - o piangendo - sotto il casco dell’armatura.
“Abbiamo due grossi problemi, biondi. Uno, uomo nero gigante. Due, bestia trincia carne. Cosa si fa? I due assassini provetti non sono disponibili al momento e Hulk è disperso.”

Intanto i due mostri infernali, i quali sembravano essersi coalizzati, si stavano avvicinando al trio troppo velocemente.

“Il piano, Rogers.”
“Sto pensando.”
“Sbrigati a pensare!”
“Se urli, è difficile farlo.”
“Cap, arrivano!”

Thor prese a roteare il martello, ma prima che l’asgardiano potesse partire all’assalto, un Hulk gocciolante di acqua si abbatté sull’ombra titanica, spingendola contro la Bestia che venne travolta da quella mole esagerata.

“Grandioso. Ora ci serve solo dell’esplosivo.”
Stark guardò il Capitano, sogghignando sotto l’elmo.
“E so anche dove hai intenzione di metterlo, Cap.”

In quel momento un grido di disperazione squarciò l’aria.



                                           ***



Anthea si rimise in piedi, barcollando visibilmente. La scarica elettrica non era ancora stata del tutto smaltita dal suo corpo e le tempie pulsavano dolorosamente.

“Non puoi cambiare il tuo destino. Tu sei mia, sei il pegno che il tuo popolo non ha pagato e che io pretendo di avere. Ucciderò il tuo umano e, spezzato il legame, prenderò ciò che voglio.”

Daskalos richiamò Aima, che raggiunse la mano del suo signore in un battito di ciglia.

“Di’ addio alle tue gambe.”

La giovane non riuscì a convincere il corpo a collaborare.
Non poteva muoversi.

“Lasciami uscire, sciocca! Io sono l’unica via per la vittoria!”

Chiuse gli occhi per un attimo, stringendo i denti. Doveva recuperare la concentrazione, doveva …

Troppo tardi. La lama mortale si mosse.

Il colpo non arrivò mai. Gocce di liquido denso e caldo le schizzarono sul viso e spalancò gli occhi, rimanendo scioccata nel constatare che qualcuno aveva preso il suo posto, salvandola.

“No” sussurrò.
Il cuore perse un battito.
“Wade, no.”

L’aveva amato come un padre e l’aveva odiato per il suo tradimento.
Eppure, adesso, non poteva credere che fosse accaduto. Non avrebbe mai voluto questo, anche se la rabbia per l’uomo che era stato il suo mentore era forte.

Wade, di fronte a lei, sorrise fievolmente.
La spada gli aveva trapassato il petto all’altezza del cuore.

Anthea gridò.
Nella sua voce c’era solo disperazione.

 
 
 




Note
Ciao a tutti!
Sì, sono resuscitata, finalmente. Non so quante volte ho rivisto e cambiato questo capitolo e, dopotutto, del risultato finale non sono ancora convinta, ma lascerò a voi il giudizio finale.
Ci stiamo avvicinando alla fine. Non so precisamente quanti capitoli ci saranno ancora e sinceramente non ho ancora programmato un finale vero e proprio.
La cosa certa è che porterò a termine questo lavoro, per me e per coloro che ne seguono l’evoluzione.
Poiché, come ho già detto, stiamo arrivando al traguardo ormai, ci terrei a ringraziarvi tutti, uno per uno.
Perché? Perché non basterebbe un solo ringraziamento finale per esprimere quanto vi sono grata per avermi sostenuta, nonostante i miei clamorosi ritardi.
Cominciamo allora!
Ringrazio acatorCalliope82elis 1991Elle85Helen BlackKat_WinchesterkennerLady_VampiremartinactMumma,Portuguese D RogueSiria_IliasStevenRogersViola Banner_Alesia_, per aver inserito la storia nelle seguite.
Grazie a kenner (ancora), Kyem13_7_3Portuguese D Rogue (di nuovo) e Sofy_Candy per averla inserita tra le ricordate.
Grazie a DalamarF16fredfredinagleencesterhappyfunkenner (ancora una volta), Shaunee Black e Ragdoll_Cat per averla inserita nelle preferite!
Ringrazio i recensori : DalamarF16Siria_IliasHelen BlackMummaViola Banner e Mina damn stars.
Un ringraziamento speciale va alla mia sister Ragdoll_Cat, che è sempre presente, che mi consiglia, mi corregge e mi spinge a fare del mio meglio *.*

Grazie anche a chi legge solamente, ovviamente!

Io spero vivamente di non aver tralasciato nessuno!
Alla prossima!
Un abbraccio <3
Ella

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Capitolo 18
*** Lacrime ***


Note
Sì, questa volta le note sono all’inizio. Non mi dilungherò molto, promesso, poiché giocherò la carta della prolissità per il ringraziamento finale che vi spetta nell’ultimo capitolo, che potrebbe essere il prossimo o quello dopo.
Non ci credo. Siamo alla fine e quasi mi viene da piangere, perché ho amato scrivere questa storia e … no, avevo promesso di essere breve, quindi passo subito a ringraziare tutti voi che leggete e seguite questa storia e che ne siete il sostegno.
Grazie poi a quelle care anime che hanno recensito: le vostre parole mi hanno spinta a mettere il cuore anche in questo capitolo che spero tutti apprezzerete.
Un sentito saluto alle New Entry che hanno inserito la storia in una delle speciali liste e che mi hanno lasciato una recensione.
È sempre bello e costruttivo venire a conoscenza dei vostri giudizi.
E che dire ancora se non godetevi il capitolo? È lunghetto, vi avverto, ma spezzarlo avrebbe significato rovinarne il succo.
Un grande abbraccio <3

Ella

Ps. Attenzione agli sbalzi temporali nel capitolo, durante la battaglia. Non sempre gli eventi sono disposti cronologicamente.
Buon Viaggio!







Lacrime

Diversi anni prima.

Gli occhi piccoli e scuri di Adam Lewis erano intrisi di terrore. Le membra dell’uomo parevano essersi tramutate in molli budini tremolanti, mentre nella sua mente cercava di convincersi che quello che stava vivendo non era reale.
Aveva dato l’allarme generale attraverso il piccolo congegno sempre nascosto nella tasca del camice bianco ed ora attendeva con ansia i soccorsi.
Quanto tempo era passato? Secondi? Minuti? Ore?
Ogni cosa, intorno a lui, si era cristallizzata nel tempo. Tutto era immobile e silenzioso.
La provetta contenete il sangue della sua cavia prediletta galleggiava nel vuoto e piccole gocce di liquido vermiglio, fuoriuscite durante la caduta, si erano coagulate in perle luminose rimaste sospese a mezz’aria.

Boccheggiò in cerca d’ossigeno, scoprendo con orrore che aveva perduto la facoltà di respirare, così come quella di gridare.
Non riusciva a sentire nemmeno il battito del proprio cuore, come se anche quello si fosse congelato.
Sarebbe morto asfissiato da … cosa?

Oh, la forma della domanda era sbagliata, a pensarci bene, perché era quella piccola figlia di puttana che lo stava strangolando senza muovere un solo fottuto dito.

Tentò ancora di convincere il corpo a muoversi, ma invano.
Che morte miserabile!
Ucciso da una cavia che, ingenuamente, aveva creduto di poter controllare. Mancava così poco alla meta prestabilita e lei stava mandando in fumo un lavoro durato anni, lavoro che gli avrebbe permesso di diventare uno dei capi più autorevoli del mondo intero.
Ma quella piccola stronzetta non voleva starsene buona.
Solo che, questa volta, Adam Lewis, uomo cinico e calcolare, non aveva la minima idea di cosa le stesse accadendo. Non erano le solite grida strazianti o quelle resistenze estreme che venivano debellate a furia di anestetici e sanguinose torture. Non era nemmeno una perdita completa della razionalità, che due volte, in passato, era sfociata in una strage senza sopravvissuti. Ben due basi erano state trasformate in tombe contenenti un numero fin troppo elevato di corpi maciullati, quando lei aveva perso il senno.

Quanti dei loro soldati erano morti a causa di quel piccolo mostro?

Adesso, lei era fin troppo senziente. Aveva il pieno controllo delle sue facoltà psicofisiche e la più fredda lucidità nello sguardo.
Peccato che quegli occhi non le appartenessero.
Perché Lewis di una cosa era estremamente certo, ovvero che quella non era la sua cavia.
Il dottore sentì la coscienza abbandonarlo e una risata tagliente gli riempì le orecchie.
Ma prima che tutto divenisse buio, l’incantesimo andò in frantumi. La provetta terminò la sua caduta e piccole macchie rosse disegnarono macabre rose sul grigio pavimento.
I polmoni si riempirono bruscamente di aria, facendolo tossire.
Lewis si mise in ginocchio, prostrandosi ai piedi del suo signore e trattenendo a stento le lacrime, dovute al terrore nato nel trovarsi di fronte ad una fredda morte.

“Lasciaci soli” fu la veloce liquidazione del Padrone, comparso come dal nulla.
Adam non se lo fece ripetere due volte, poiché forte era il desiderio di allontanarsi il più possibile dalla figlia del demonio.
Lewis scivolò fuori la piccola sala di detenzione e, una volta chiusa la porta alle sue spalle, si concesse il privilegio di piangere.



Daskalos si prese alcuni attimi per osservare la sua preda, vestita con un semplice camice da ospedale e seduta su una grande e fredda sedia di metallo. I polsi erano bloccati sui braccioli da fascette di acciaio, mentre altre strisce dello stesso materiale le circondavano il busto e le gambe, impedendole ogni movimento.
Eppure lei sorrideva.
Il suo era un sorriso sadico, strafottente ed intimidatorio.
Non era affatto la debole e spaventata cavia di qualche ora prima.

“Ti aspettavo, mia cara, ed ora che finalmente sei uscita allo scoperto, potrò portare a termine ciò che cominciai fin troppi anni fa.”

La giovane rise, gettando il capo all’indietro ed arcuando la schiena.
Ignorò completamente le parole del demone.
“È così dannatamente fastidioso condividere un corpo, sai?” domandò retoricamente, con voce melliflua.
Le fascette di acciaio si deformarono e si spezzarono come ramoscelli secchi. La prigioniera ritornò in possesso della propria libertà e, muovendo passi di esplicita sensualità, raggiunse l’alta figura del demone, fronteggiandola sfrontatamente.

Tale padre, tale figlia. Peccato che il tuo sangue sia stato insozzato da quello umano.”
Il tono di Daskalos era intriso di disprezzo, misto a quella che pareva delusione. Le razze inferiori erano il cancro dell’universo, perciò lui avrebbe estirpato tutte le erbacce, ripulendo il cielo.

“L’umanità genera le catene che mi impediscono di prendere il controllo. Mio padre, il re traditore, aveva programmato ogni cosa. La sua coscienza si fuse con la mia nello stesso momento in cui mia madre mi diede alla luce. Penso di averli uccisi entrambi, ma l’altra non sa niente di tutto questo.”
La giovane lanciò un improvviso grido frustrato e gli occhi si accesero di odio e di rabbia.
“Non lo concepisco! Quella debole parte contaminata di umanità possiede il controllo di questo mortale corpo, mentre io, l’incarnazione del più oscuro potere, sono confinata nell’inconscio, nell’attesa di …”
Un nuovo grido di rabbiosa frustrazione.

“Non disperare. Io porrò fine alla tua sofferenza, svuotandoti di tutto quello che hai dentro.”
“È proprio per questo che sono qui. Ho poco tempo, purtroppo. L’altra si sveglierà a momenti. Fino ad ora, sono riuscita poche volte a strapparle con la forza il controllo. È stato esaltante togliere la vita a quegli infimi esseri, macchiatisi del peccato di avermi incontrato sul loro cammino.”
Era affascinante e, al tempo stesso, inquietante il modo in cui le emozioni si alternavano sul viso della giovane paranormale. Dalla rabbia alla tristezza, dalla frustrazione alla tranquilla loquacità.
Daskalos le prese il viso tra le dita e continuò a studiarla con meticolosa cura, come se quella fosse la gemma più rara e preziosa che esistesse.
“Cosa vorresti fare, Anthea?”
Quel nome le fece storcere il naso, mentre gli occhi si accesero di nuova rabbia.
Io non sono Anthea. E tu puoi scordarti di avere il mio potere.”

La tensione divenne palpabile e impossibile fu definire quale miracolo impedì alle due inumane creature di saltarsi alla gola.

La risata gutturale del demone riempì il silenzio, creando una debole eco tra quelle quattro sterili pareti.

“E come vorresti impedirmelo? Stai già scomparendo.”
La ragazza sbatté ripetutamente le palpebre. Le iridi erano la perfetta fusione di due colori, di due anime che lottavano per avere il controllo sullo stesso corpo.
“Mi sono già assicurata che tu non possa svuotarmi in alcun modo. Ho creato un legame.
Daskalos scattò, artigliandola per le spalle e ringhiando furioso.
“Ucciderò Wade e-”
“Non è lui.”
“Non esiste umano capace di resistere al legame. Solo Wade, che io stesso ho potenziato, può sopportare un tale fardello.”

“A quanto pare, ti sbagli.”

Il Padrone digrignò i denti e strinse la presa sulle spalle esili della giovane, la quale rimase del tutto impassibile, mentre le sue iridi riacquistavano, secondo dopo secondo, il colore originario.
“Torturerò la tua parte più debole e scoprirò l’identità di questo umano disgraziato. Lo ucciderò e poi sarai mia, per sempre.”
La ragazza sorrise e scosse il capo.
“L’altra non sa nulla. Lo percepisce vagamente, ma ignora la realtà dei fatti. Prima che tu riesca a trovare l’umano, Anthea tornerà ad essere libera e, a quel punto, io non dovrò far altro che attendere il momento propizio.”
“Non succederà niente di tutto ciò. Tu sei il pegno che mi spetta di diritto e sterminerò l’intera razza umana, se ce ne sarà bisogno. Sarai mia, che tu lo voglia o meno.”
“Mi stai annoiando con questi tuoi inutili sermoni. Sei ripetitivo.”
Si sottrasse alla morsa del demone, scivolando via da quelle lunghe e fredde dita con estrema facilità.

“Ricorda queste parole. Io non sbaglio mai e nulla di ciò che faccio è casuale. Tutto ha un prestabilito, inevitabile fine.”

Dopo quelle ultime parole, la reincarnazione della coscienza e della forza di un re decaduto venne nuovamente imprigionata nell’oscurità dell’inconscio.

Anthea si risvegliò dal sonno indotto, trovandosi di fronte ad uno sguardo di sangue ed odio.
La testa le doleva tanto da impedirle di sentire i suoi stessi pensieri.
Svenne, stremata, afflosciandosi a terra come un fiore appassito.

Daskalos rimase immobile, con lo sguardo fisso sul quel debole corpicino, contenitore di segreti, orrori e potere.

“Azael, prenderò il tuo germoglio. Non potrai impedirmelo per sempre. In fondo, sei pur sempre morto.”



                                                      ***



Presente. Cuore della battaglia.

Wade era concentrato ad ascoltare i suoni dello scontro provenienti dall’esterno del jet. Aveva le mani bloccate da manette metalliche doppie ed abbastanza strette da segare i polsi. Se ne stava seduto, in un angolo del velivolo, corroso da uno strano presentimento.
Era stanco e debilitato. Se si fosse gettato nella mischia in tali condizioni, probabilmente non sarebbe sopravvissuto più di dieci minuti.
Non era di certo la morte l’ostacolo che gli impediva di alzarsi e correre fuori. La paura di rimetterci la pelle non lo sfiorava, poiché da anni la sua vita aveva perduto ogni senso.

No! Stai mentendo a te stesso. Anthea aveva dato un nuovo senso alla tua esistenza , ma tu l’hai tradita.

Scosse il capo, come a voler liberare la testa da quei pensieri così dolorosi e veri. Dopo la disgrazia che aveva terribilmente segnato la sua gioventù, Anthea aveva rappresentato il primo punto fermo, dopo anni passati ad evitare qualsiasi contatto con la realtà del mondo esterno.
Lei era entrata nel suo cuore il giorno del loro primo incontro. Una bambina così piccola, indifesa - apparentemente - e bella come una rosa appena sbocciata: così l’aveva vista, nonostante la piccola si fosse appena macchiata del peccato di pluriomicidio.
Forse quell’istantaneo moto di affetto era stato indotto dalla particolare somiglianza che la bambina aveva con …

“Non raggiungi il tuo esercito? Non c’è nessuno che possa impedirtelo, adesso.”

Wade alzò il capo, specchiandosi in due iridi di ghiaccio, simili alle sue.
C’era dolore, in quegli occhi, ma anche desiderio di rivalsa.
L’uomo si sorprese a pensare di non essere poi così diverso da quel dio caduto che adesso lo guardava quasi stranito, in attesa di una risposta.

“Non è il mio esercito, non più.”
“Beh, penso che cambiare parte non ti convenga, dato che i Vendicatori sono nettamente inferiori al tuo Padrone.”
Wade sbuffò una risata, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del suo interlocutore.
“Tu speri che loro vincano, in fondo. E per la cronaca, ho deciso di collaborare solo per preservare l’unica cosa che per me ancora conta.”

Loki raggiunse l’uomo del ponte, accovacciandosi sulle ginocchia, proprio di fronte a lui, così da poterlo guardare negli occhi.
Ghignò, il dio dell’inganno, prima di prendere la parola.
“Sorvolando sul fatto che pensi mi importi qualcosa di quegli insulsi mortali, ti rendi conto che Daskalos la farà a pezzi? Se ci tieni tanto, perché non esci lì fuori e combatti per lei? È la paura che ti blocca, umano?”
Wade scosse il capo, interrompendo il contatto visivo con lo Jotun.
“Io sono … confuso. Il Padrone mi ha salvato da una fredda realtà e combatterlo … io non me la sento.”

Un tonfo metallico rimbombò all’interno del jet.
Wade osservò le manette giacenti ai suoi piedi e poi, ancora stupito, rivolse gli occhi al dio.
“Perché?”
Loki fece spallucce.
“Mi diverte mettere alla prova voi umani. Comunque, io esco. Qui mi sto annoiando a morte.”

Wade, istintivamente, seguì il dio fuori dal velivolo, trovandosi di fronte ad una situazione peggiore di quella che aveva immaginato.
Il Padrone aveva schierato sul campo di battaglia tutte le sue risorse, esplicando l’intento di voler vincere a tutti i costi quella guerra malsana.
Il suo sguardo di ghiaccio, però, saettò veloce in una determinata direzione.

Anthea si reggeva in piedi a malapena. Daskalos incombeva su di lei ed in viso sfoggiava un sorriso spaventosamente sadico.
Wade intercettò la traiettoria della spada del demone, la quale stava sfrecciando verso la mano tesa del suo signore.
Il corpo si mosse da solo e il moro si ritrovò a correre verso la ragazza.

Vide Aima, stretta tra le dita di Daskalos, calare su Anthea come un’orribile ghigliottina.

Fu un istante, e il cuore ebbe ragione sulla razionalità.
Si frappose tra la lama e la giovane paranormale, dando le spalle al Padrone, cosicché il bellissimo viso di Anthea potesse essere l’ultima cosa che avrebbe visto, prima di morire.
Sì, perché sarebbe morto.
E infatti Aima trapassò la sua schiena e il suo petto, lacerando la carne con mostruosa brutalità.
Wade sorrise fievolmente in direzione della ragazza, i cui occhi parevano vitrei tanto erano spalancati dal terrore.
Poi un dolore inimmaginabile gli tolse completamente le forze e il suo corpo si afflosciò a terra, sfilandosi dalla mortale lama.

Il grido di disperazione di Anthea squarciò l’aria.
 


                                                      ***
 


Steve la sentì chiaramente e la cercò con lo sguardo, individuandola ad almeno cento metri di distanza.
Percepì lo stomaco accartocciarsi su sé stesso, quando la vide cadere in ginocchio, al fianco di un corpo steso a terra.

Wade!

Lo sguardo del Capitano venne catturato dalla figura di Daskalos, in procinto di sferrare un nuovo colpo con la sua arma gocciolante di sangue.
Il suo obiettivo rimaneva Anthea, ora priva di qualsiasi difesa.
Rogers era troppo lontano. Non l’avrebbe mai raggiunta in tempo.

Tutto parve rallentare improvvisamente.

Capitan America analizzò velocemente e con maniacale attenzione la situazione che continuava ad evolversi tutt’intorno.
Natasha e Clint erano stati completamente accerchiati dagli uomini del demone e, con immane fatica, cercavano di evitare di essere uccisi, proteggendosi l’un l’altra.
Thor e Hulk erano impegnati a tenere a bada i mostri oscuri, ma questi ultimi stavano inevitabilmente avendo la meglio.
Iron Man aveva tentato di tornare al jet per prendere l’esplosivo che serviva a mettere in atto il piano elaborato qualche minuto prima, ma l’ombra titanica glielo aveva impedito ed ora lo teneva stretto in una mano, con l’intento di stritolarlo.

Steve si trovava dinanzi ad una imminente disfatta. Una disfatta totale.

“Steve, qualsiasi cosa accada domani, ti proibisco di sentirti in colpa.”
Erano state queste le parole di Natasha, ma Rogers era cosciente che se avesse permesso ad uno dei suoi compagni di morire, il senso di colpa lo avrebbe accompagnato per sempre, operando allo stesso modo di un acido corrosivo.
Aveva già lasciato morire il suo migliore amico tanto tempo prima.
Questa volta sarebbe andata diversamente.

Vide Daskalos sollevare Aima e, in quello stesso momento, agì.
“Thor!”
Una volta avuta l’attenzione del dio, sollevò lo scudo in vibranio sopra la testa, nascondendosi sotto di esso.
Il principe asgardiano non ebbe bisogno di altro. Capì immediatamente le intenzioni del compagno, nonostante non avessero mai fatto una cosa del genere, volutamente almeno. Roteò il martello e prese quota.

“Tutti giù!” fu l’ordine che Steve trasmise attraverso la ricetrasmittente inserita nel suo orecchio destro, nella speranza che ad ognuno dei Vendicatori arrivasse il messaggio e pregando che Anthea rimanesse in ginocchio.

Thor stava già scendendo in picchiata verso di lui ed il martello era circondato da molteplici scintille di elettricità.
Quando Mjolnir si schiantò contro lo scudo, Rogers sentì i muscoli tremare sotto la forza dell’impatto, mentre i denti si serravano automaticamente e la mascella si induriva.

L’onda d’urto, carica di energia statica, si riversò sull’ambiente circostante in cerchi concentrici. Il Brooklyn Bridge tremò pericolosamente, mentre un fischio spacca timpani fece crepitare l’aria.


Poi ci fu solo il silenzio.

                                                             *

Natasha spinse via il corpo inerme di un soldato che le era stramazzato addosso. Trovò la mano tesa di Clint ad attenderla e l’afferrò senza alcuna esitazione.
“Ci è mancato davvero poco.”
La rossa annuì.
Le due spie si erano abbassate appena in tempo per evitare che l’onda d’urto le colpisse in pieno e le riducesse a corpi privi di coscienza. I soldati nemici, infatti, giacevano tutti stesi sul duro asfalto, resi inoffensivi dal trauma cerebrale e fisico subito.
La Romanoff strinse forte la mano del suo compagno, lasciando che un sospiro le abbandonasse le labbra rosse di sangue.

“Giuro che non prenderò mai più in giro Rogers. Ha appena ribaltato la situazione di merda in cui versavamo.”
“Non fare promesse che non puoi mantenere, agente Barton” fu la sola replica della Vedova, che si concesse un piccolo sorriso.
Clint sbuffò una risata, colto in fallo, ma decise comunque di impegnarsi a mantenere quel piccolo giuramento.

“Raggiungiamo gli altri, Nat.”

                                                            *

“Stark, sei tutto intero?”
“Sei un pazzo, Rogers. E tu, Point Break, non dovresti assecondare questo folle.”

L’enorme ombra e Thanatos erano riversi al suolo, ma non ci avrebbero messo molto a riprendersi, perciò bisognava prepararsi per il round successivo, quello finale.
Lo stesso Daskalos era a terra e, fortunatamente, l’onda d’urto lo aveva spinto abbastanza lontano da Anthea.

Steve sentiva le tempie pulsare, ma le ignorò.
Non era finita, non ancora, non era il momento di perdere la concentrazione.

“Stark, vai a prendere quell’esplosivo. Thor, io e te dobbiamo assolutamente raggiungere Anthea prima che lo faccia Daskalos. E-”
Hulk richiamò l’attenzione del trio con un ruggito. Il gigante verde aveva usato l’ombra come scudo per proteggersi dall’onda d’urto, mostrando di saper usare il cervello oltre che i muscoli.
Il Capitano gli puntò l’indice contro, sollevando gli angoli della bocca.
“E Hulk, tieni a bada questi mostri finché Stark non sarà tornato con l’occorrente per friggerli una volta per tutte.”
Il gigante rispose con un ghigno divertito.

“Noi cosa facciamo, Capitano?”
Natasha e Clint raggiunsero il resto del gruppo proprio in quell’esatto momento, pronti a rigettarsi nella mischia.
“Fate di tutto per aiutare Banner. Quei due mostri sono troppo forti persino per lui.”
“Sarà fatto, Cap” annuì Barton, impugnando l’arco.

I Vendicatori si guardarono ed ognuno di loro trasmise qualcosa agli altri, attraverso il solo sguardo.

“Non fatevi ammazzare” furono le ultime parole di Capitan America, prima che ognuno si muovesse per far fronte al proprio compito.



                                              ***



Non sapeva esattamente cosa fosse accaduto.
C’era stato un enorme spostamento di aria satura di elettricità e poi un fischio acuto le aveva violentato i timpani per alcuni secondi, prima che tutto intorno a lei divenisse stranamente silenzioso.
Ma, in fondo, in quel momento non le importava nulla all’infuori del corpo steso a terra davanti ai suoi occhi.
Wade non era ancora morto, ma lo sarebbe stato presto.
Decise di tentare il tutto per tutto. Avrebbe usato tutta l’energia che aveva in corpo per riportarlo indietro. Posò le mani sullo squarcio che si apriva sul petto dell’uomo, ma una debole presa esercitata da dita fredde le circondò i polsi, nel tentativo di impedirle di andare avanti.
“Il mio cuore è da buttare, ormai” sussurrò il moro.
“Posso salvarti” fu la risposta secca della giovane, nei cui occhi c’era terrore e smarrimento.
Wade scosse sensibilmente il capo e cercò di raccogliere le gocce di vita ancora insite nel suo corpo. Voleva che lei sapesse.
“Ascoltami.”

E in quel momento, guardandolo negli occhi ormai vacui, Anthea si rese conto di non poter fare niente per salvarlo. Strinse le mani fredde del proprio maestro tra le sue, come a volergli dire che lei ci sarebbe stata fino alla fine.
Poi lo ascoltò, rimanendo immobile ed in silenzio.


 

                                                      ***
 


Thor e Rogers osservarono Daskalos rimettersi in piedi e richiamare la sua spada. Il demone sembrava non aver subito danni rilevanti e già stava tornando alla carica, in direzione della sua preda, ora inginocchiata a terra e ignara di ciò che le stava accadendo intorno.
Anthea, estraniatasi dalla realtà, continuava ad osservare il viso di Wade, lei cui labbra si muovevano piano.
Le stava parlando.
Steve cercò di ignorare il vuoto alla stomaco provocato dall’assistere a quella scena. Era terribilmente confuso. Non riusciva a capire cosa fosse accaduto.

Perché Wade era lì? Perché Anthea non reagiva, lasciando al Padrone la possibilità di farle del male?

Per un attimo, la voglia di gridare fu impellente, ma si ricompose non appena Daskalos prese a correre verso la ragazza.
Rogers scattò, mentre Thor, rimasto fermo dietro di lui, richiamava il potere del tuono con il suo martello.

Il demone notò i due Vendicatori e decise di cambiare tattica.
Ignorò volutamente la sua preda principale, sorpassandola.
Steve, lanciatosi ormai a folle velocità verso Anthea, fece appena in tempo a capire che l’obiettivo del Padrone era cambiato, che venne artigliato per i fianchi e sbattuto violentemente a terra.
Daskalos lo tenne fermo, sedendosi sul suo bacino e bloccandogli le braccia sopra la testa con una sola mano a stringergli entrambi i polsi, mentre l’altra impugnava la spada incrostata di sangue.
“Finiamo il lavoro” sibilò il demone a pochi centimetri dal viso del biondo, frastornato per l’impatto della nuca contro l’asfalto.

Thor imprecò nel momento in cui si accorse che la mossa del Padrone era stata perfettamente strategica. Non avrebbe potuto colpirlo con i fulmini, non senza evitare di far del male anche al Capitano, perciò abbassò il martello che aveva rivolto al cielo e cominciò a rotearlo, in modo da acquistare la giusta spinta per investire quel mostro bastardo e levarlo di dosso al suo amico.
Partì all’attacco, velocissimo, ma qualcosa andò storto, perché non riuscì a raggiungere il suo obiettivo e si ritrovò a rantolare in ginocchio, stordito da un dolore lancinante al fianco sinistro.
Pochi metri più avanti, Daskalos, seduto comodamente sul corpo di Rogers, lo osservava con quei suoi occhi rossi come il sangue e sorrideva compiaciuto.

“Thor!”
Steve, nella posizione in cui era costretto, non riusciva a vedere il dio, ma il terrore lo invase nel momento in cui si accorse che Aima non era più nella mano del suo signore.
Il giovane cercò di divincolarsi per sfuggire alla ferrea presa che lo imprigionava, ma la sua forza era nulla in confronto a quella del demone, il quale gli rivolse un sorrisetto sghembo, come a rammentargli tale ineluttabile verità.

“Thor, figlio di Odino. Perché un essere del tuo calibro si sacrifica per salvare la vita di questi inutili umani? Non ha alcun senso.”
Il principe asgardiano, ancora ginocchioni, tossì, sputando sangue. La spada del mostro era conficcata nel suo fianco sinistro, da cui fuoriuscivano copiosi fiotti di liquido vermiglio.
Nonostante ciò, Thor sentì il bisogno di rispondere all’accusa mossa dal Padrone.
“Nessuno ha il diritto di decidere della vita e della morte di un popolo, nessuno può privarlo della libertà. Nell’universo ci sarà l’armonia solo se ci sarà il rispetto anche per il pianeta più debole. Se ogni popolo pensasse di dover sterminare quelli ad esso inferiori, allora ci sarebbe la fine dell’universo stesso, che esiste proprio per le infinite peculiarità che lo compongono.”
Daskalos rise.
“La tua visione è distorta, figlio di Odino. Questa feccia” il demone strinse la presa sui polsi di Steve, strappandogli un grido di dolore “deve sparire dalla faccia dell’universo ed io stesso provvederò a fare pulizia. Non capisco cosa ci guadagni a stare dalla loro parte.”
Thor ricacciò indietro i colpi di tosse che gli stavano infiammando la gola e trovò ancora la forza di parlare.
“Amicizia. Ma a te, sfortunatamente, è estraneo il significato di tale concetto. Io sacrificherei la vita per i miei compagni, perché nel momento in cui tutto sotto di te crollerà, loro saranno il solido appiglio che ti impedirà di cadere.”

Daskalos era rimasto in silenzio e sul suo viso era sparito il ghigno strafottente, come se quelle parole lo avessero colpito nel profondo.
Fu quella l’impressione che ebbe Steve, prima che il mostro cominciasse a ridere fragorosamente.
“Sei patetico.”
Con la forza della mente, il demone sfilò via la spada dal corpo di Thor, facendolo gridare. La lama volteggiò aggraziata, prima di puntare dritta al cuore della sua vittima, ormai fortemente indebolita.

Un tronco di ghiaccio crebbe improvvisamente dal suolo, innalzandosi ed ingrandendosi fino ad avvolgere completamente Aima, che venne così resa inoffensiva.

“Solo io ho il diritto di dare del patetico a Thor.”

“Loki” soffiò il dio del tuono, spalancando gli occhi, incredulo e, al tempo stesso, felice di vedere il suo fratellino.



                                                         ***



“Ti chiedevi perché avessi deciso di dedicare la mia vita alla realizzazione degli scopi del Padrone.”

La voce di Wade era poco più di un sussurro. Anthea era concentrata su quel flebile suono ed intorno a lei si estendeva il nulla. Non riceveva più alcun tipo di segnale, né visivo né uditivo.
Era come se non esistesse niente al di fuori del suo maestro.

“Possedevo una famiglia, una volta, ma mi venne strappata via a sedici anni. In una notte di tanti anni fa, due uomini armati di pistola si introdussero nella nostra abitazione, con l’intento di derubarci. Nonostante i miei genitori non opposero alcuna resistenza, quei bastardi li uccisero, senza mostrare alcuna pietà. Due colpi alla testa.”
Wade li rivide, i volti cinerei e colmi di terrore di sua madre e suo padre. I loro corpi erano caduti a terra con un tonfo sordo e non si erano più mossi, nonostante lui li avesse chiamati più volte. Ricordò le risate sguaiate dei due assassini, le cui facce erano rese orribili dai fumi dell’alcool e della pazzia.

“Poi, toccò alla cosa più preziosa che possedessi: la mia sorellina di appena sei anni.”
Wade lasciò che le lacrime gli bagnassero le guance, mentre il dolore di quel ricordo eclissava quasi completamente la sofferenza fisica.
“Posso ancora vedere il suo visetto. Gli occhi spalancati, la bocca protesa in un grido di terrore rimastole congelato nella gola, la pelle pallida e macchiata dal sangue fuoriuscito dal foro sulla fronte.“

Ad un singhiozzo ne seguì un altro e poi un altro ancora.

“Ma la cosa peggiore fu che loro non uccisero me. Mi lasciarono con il corpo della mia sorellina tra le braccia. Piansi e gridai fino a perdere la voce. Poi, all’alba del nuovo giorno, lui venne da me, affermando di aver sentito il mio dolore e di volermi aiutare. Mi disse che avrei avuto vendetta. Mi disse che, se mi fossi unito a lui, mi avrebbe reso forte. Mi disse che la sua missione era quella di estirpare il male dal mondo. Ed io gli credetti, perché ormai avevo perso tutto e perché volevo vendetta.”

Wade ebbe uno spasmo, ma rimase attaccato alla vita con le unghie.

“Da quel giorno, Daskalos mi prese con sé e mi dotò di poteri straordinari. Ebbi la mia vendetta e non puoi nemmeno immaginare come ridussi gli assassini che mi avevano distrutto l’esistenza. Niente per me aveva più senso, comunque.”
L’uomo si sforzò di sorridere in direzione della ragazza, il cui sguardo vagava nel vuoto.
“Poi sei arrivata tu. Assomigliavi così tanto alla mia sorellina. Hai ridato senso alla mia vita nel momento in cui hai cominciato a provare affetto nei miei confronti, inducendomi a ricambiarti. Sei diventata la mia famiglia, Anthea, e non mi perdonerò mai il fatto di averti tradita.”

La giovane paranormale riacquistò di colpo abbastanza lucidità da poter parlare in modo sensato.
“E hai aspettato che fossi sul punto di morte per aprirmi il tuo cuore?”
Non c’era rabbia nella sua voce, solo una profonda tristezza.
“Mi dispiace così tanto.”
“Ti perdono.”
Wade cercò di sorridere ancora, ma fallì miseramente.
Doveva dirle un’ultima cosa.
“Ascoltami bene. Combatti per proteggere ciò che ami e non perdere mai la voglia di vivere oppure lei …”
Colpi di tosse gli impedirono di continuare e fu in quel momento che il cuore cedette definitivamente.

Anthea chiuse gli occhi e abbandonò le mani del suo maestro, ridotto a un guscio vuoto e freddo.
Era andato via, per sempre.

Non pianse. Perché le lacrime sarebbero state il segno della sua più completa disfatta interiore.

Ma, al tempo stesso, non riusciva a trovare la forza di reagire. Era la prima volta che perdeva una persona per cui aveva provato affetto.
Poi, la voce della coscienza sembrò sussurrarle qualcosa.

Ci sono ancora loro.
C’è lui.


“Steve.”
Quelle cinque lettere messe assieme producevano il suono più dolce che avesse mai ascoltato.
Qualcosa dentro di lei si mosse, andando ad intaccare il suo spirito ferito.
Questa volta, Anthea lasciò che l’altra parte di sé uscisse un poco allo scoperto.
Ne aveva bisogno. Con le sue sole forze non avrebbe avuto alcuna possibilità.
Quando risollevò le palpebre, qualcosa negli occhi era mutato. Le iridi avevano assunto il colore della pece e si erano fuse con la pupilla stessa.
Guardò per l’ultima volta il viso pallido di Wade, il suo mastro, il suo amico, la sua famiglia.
Poi, l’oscurità intorno a lei svanì, lasciando il posto a colori e suoni.

Anthea stava finalmente riemergendo dall’abisso in cui era affondata, per tornare alla realtà.



                                                  ***



“Stark, allora arriva quest’esplosivo?”

Clint rotolò di lato, evitando di essere schiacciato dal piede dell’enorme ombra. Senza rialzarsi, afferrò una freccia dalla faretra e la scagliò contro quell’abominio oscuro, osservando la detonazione innescarsi non appena quella impattò sulla gamba destra dell’obiettivo.
L’ombra barcollò appena e fu Hulk a sfruttare l’occasione, trascinandola a terra con la sola forza del suo peso.

“Trovato!”

“Finalmente, Stark!” sbuffò la Vedova, mentre tentava di tenersi a debita distanza dagli artigli di Thanatos, che aveva fatto infuriare parecchio nel momento in cui era riuscita a piantargli un coltello nell’occhio sinistro.

“Colpa del disordine. Sto arrivando.”




Iron Man uscì fuori dal ventre del velivolo, tenendo strette tra le mani ben quattro bombe dalla forma sferica e con la capacità di radere al suolo una piccola cittadina.
“Spero che tu abbia ragione, Cap, o qui saltiamo tutti in aria.”
Attivò i propulsori sotto la pianta del piede e prese il volo, ma si bloccò non appena individuò sotto di sé Thor e Rogers.

Natasha, Clint e Hulk stavano combattendo all’incirca cinquecento metri più avanti, nell’attesa del suo arrivo.
Tony sapeva che avrebbe dovuto raggiungerli al più presto o avrebbe rischiato di farli uccidere, ma i due ragazzoni biondi se la stavano vedendo davvero brutta.
Thor sembrava sul punto di perdere conoscenza, mentre il Capitano era letteralmente nelle mani del demone.
E c’era anche Loki, le cui intenzioni, Stark, non riuscì a definirle - perché Loki sarebbe rimasto sempre un mistero, persino per un genio come lui.

Cosa fare, allora? Aiutarli o tenere fede agli ordini impartiti da Capitan America?
Ma poi cosa ne sarebbe stato dei compagni che lo attendevano più avanti?
Beh, era questione di tempo, in fondo. Doveva solo sbrigarsi.


“Clint, Nat, tenete duro. Devo fare una piccola deviazione.”
Fu proprio nel momento in cui prese a scendere, che incontrò gli occhi azzurri del giovane Capitano e lesse in essi una muta preghiera, mista ad un lieve ammonimento.
Steve Rogers, immobilizzato a terra da un nemico che avrebbe potuto farlo a pezzi in quello stesso momento, scosse il capo in direzione di Tony e mimò un va’ con le labbra.
Non era un ordine, ma una supplica.
E Stark acconsentì, anche se a malincuore.
Cacciò un grido di rabbia, mentre riprendeva il volo verso quella che era la sua meta, sentendosi impotente come mai prima.



                                                           ***



“Thor, ce la fai o hai bisogno della balia?”

Il tono strafottente di Loki attirò l’interesse di Daskalos.
“Tu saresti il figlio di Laufey. Sentiamo, anche tu combatti per Midgard?”
Il dio degli inganni scosse il capo, sorridendo.
“Io combatto solo per me stesso. E se oggi sono dalla loro parte, è per evitare che tu diventi troppo potente da ridurci tutti ad un manipolo di schiavetti.”
“Bene, allora preparati a morire. Nessuno deve ostacolarmi.”

La schiena del demone, improvvisamente, si deformò, gonfiandosi innaturalmente, fino a creare un buco nell’armatura argentea. Il bozzolo uscito dal suo dorso cominciò ad acquistare la forma di una testa, poi fuoriuscirono delle braccia ed un corpo. La protuberanza si divise dal corpo originario e una copia esatta del Padrone prese vita davanti agli occhi increduli dei due asgardiani.

“Si è sdoppiato” constatò Thor, mentre si rimetteva in piedi.
Fortunatamente, la spada non aveva danneggiato organi vitali, perciò, nonostante il dolore, il dio era pronto a combattere ancora.
Ma non era finita lì.
La copia stessa di Daskalos ne generò un’altra allo stesso identico modo dell’originale. I due cloni si sdoppiarono a loro volta.

“Ce ne sono cinque, adesso.”
“So contare, Thor” sbuffò Loki, anche lui - non lo avrebbe dato a vedere e men che meno lo avrebbe ammesso - abbastanza preoccupato.

“Scusate se non vi presto le dovute attenzioni, ma devo finire un certo discorsetto con una persona.”
Gli occhi di sangue del mostro si puntarono in quelli azzurri di Steve, il quale non aveva smesso di fare resistenza nemmeno un secondo, nonostante i suoi tentativi di liberarsi fossero stati del tutto vani.
“Penseranno loro a voi due. Uccideteli” ordinò ai suoi cloni, che scattarono verso i due dei, ringhiando come orribili fiere.

Thor lanciò uno sguardo colmo di preoccupazione in direzione del Capitano. Doveva sbrigarsi ad eliminare quelle mostruose copie.
Doveva raggiungere Steve, prima che fosse troppo tardi.



“Adesso torniamo a noi due, ragazzino.”

Forse l’istinto di sopravvivenza, mescolato con una buona dose di disperazione, diede a Rogers la forza necessaria per sferrare un colpo di reni tanto potente da far sobbalzare di qualche centimetro il demone, che sfortunatamente riuscì subito a riprendere il controllo, nonostante la sorpresa iniziale.

“Piccolo stronzetto.”
La testata che gli arrivò dritta sulla fronte gli strappò un ennesimo grido di dolore. Il sangue, fuoriuscito dalla parte lesa, formò piccole lacrime che gli colarono sul viso e negli occhi.
Steve si accorse con orrore che faticava a mettere a fuoco ciò che lo circondava. Alcune lacrime involontarie gli rigarono le guance, mentre fitte acute gli pugnalavano il cervello.
“Oh, devo aver esagerato. Scusa la mia impellenza” lo prese in giro il demone, invaso dal piacere di vederlo ridotto in quello stato pietoso.
Il Capitano strinse i denti e scosse il capo. Strattonò i polsi, cercando di liberarli dalla ferrea presa del mostro.
“Lasciami.”

Daskalos non riusciva a comprendere quel ragazzino.
Tutti gli uomini con cui aveva avuto a che fare si erano piegati a lui, senza nemmeno opporre resistenza. Si erano resi conto dell’immensa superiorità del nemico ed erano scappati con la coda tra le gambe, implorando al contempo di essere risparmiati.
Il modo in cui gli umani erano attaccati alla vita era quasi ridicolo. Erano disposti a rinnegare ogni loro ideale, a leccare per terra, pur di non morire.
Invece, quel ragazzino, non demordeva, nonostante stesse patendo una sofferenza distruttiva. Non riusciva a spezzarlo ed era proprio per questo che temporeggiava, rimandando il momento in cui l’avrebbe ucciso.
Voleva piegare lo spirito di quel giovane.
Voleva vederlo pregare pietà.
Voleva che desiderasse la morte.

Non poteva esistere un umano che non si prostrasse al suo cospetto.
Senza contare il fatto che Steve Rogers aveva avuto l’esuberanza di portargli via il suo gioiello.

“Sei testardo. O forse sei solo un folle. Non capisci che nulla di quello che farai ti salverà da me? Ribellandoti, peggiori solo la tua situazione, mio caro ragazzo.”

Steve respirava a fatica. Era esausto.
La voglia di chiudere gli occhi e abbandonarsi al destino era quasi allettante in quel momento.
Se solo la testa avesse smesso di provare ad esplodere.
Daskalos ruppe la linea incerta dei suoi pensieri, richiamando l’attenzione su di lui con una stretta eccessiva sui polsi, le cui ossa scricchiolarono pericolosamente.
Rogers non poté impedirsi di rabbrividire nell’osservare i canini del demone allungarsi ed affilarsi, fino a fuoriuscire dalla bocca incapace di contenerli.

“No” si lasciò scappare, quando scorse negli occhi del nemico un luccichio sinistro.
Il Padrone si chinò ed affondò i denti nella sua spalla destra.

Il giovane Capitano gridò, ancora ed ancora, mentre il demone serrava la mascella sempre con più forza.

“Basta!” fu la disperata richiesta che, naturalmente, venne ignorata.



                                                ***



“Stark. È Steve.”

Le grida del loro compagno erano ben udibili, nonostante loro fossero abbastanza distanti da lui.
Natasha era abituata alle urla delle persone.
Quante volte ne era stata lei stessa la causa?
Ma Steve … non poteva sopportare che qualcuno si prendesse la briga di giocare con lui, portandolo verso un pericoloso punto di rottura.
Tony però era stato categorico. Avrebbero portato a termine il loro compito e poi sarebbero andati ad aiutare Rogers, nella speranza che resistesse abbastanza da rimanere vivo fino al loro arrivo.

“Hulk, mi serve che tu faccia spalancare le bocche di quei mostri” urlò il miliardario in direzione del gigante verde, intento a prendere a pugni Thanatos.

“Ci penso io alla bestia, Stark. Dammi l’esplosivo. Non abbiamo tempo da perdere.”
Iron Man affidò due delle quattro bombe alla Vedova, la quale fece cenno a Clint di raggiungerla.
Occhio di Falco scagliò l’ultima freccia elettrificata contro l’ombra per stordirla, così da guadagnare tempo, e poi corse in direzione della compagna.

“Mi serve una delle tue frecce-cavo.”
Velocemente, Natasha si legò alla vita l’estremità della corda dotata di freccia e spiegò a Clint il piano con poche ed essenziali parole.
“Sii puntuale” gli raccomandò.
“Fidati.”
“Mi fido.”
La rossa si precipitò verso la bestia, mentre il cavo dietro di lei si srotolava ad ogni passo.
Thanatos le venne incontro e Natasha accelerò.
Il cavo doveva tendersi completamente o sarebbe finita male.
Ad una manciata di metri dal mostro, sentì la tensione alla vita aumentare, segno che poteva agire. Saltò in avanti e la bestia aprì d’istinto le fauci. La spia russa si ritrovò tra di esse, sospesa ancora nel salto. Abbandonò di getto le bombe strette tra le braccia e, subito dopo, venne strattonata indietro dalla corda che Clint, fermo lì dove l’aveva lasciato, stava riavvolgendo tramite l’apposito congegno.
Le fauci di Thanatos si serrarono ad un centimetro dal viso della Vedova, riempiendosi di sola aria.
Natasha cadde a terra sulla schiena, ma reagì in fretta, balzando in piedi, liberandosi del cavo intorno la vita e allontanandosi velocemente dalla bestia, trasformatasi in una bomba ad orologeria.

“Corri Clint! Sta per esplodere!”
Si allontanarono il più possibile, prima che Thanatos scoppiasse come un palloncino saturo di aria.

Alcuni istanti dopo, anche la gigantesca ombra esplose, segno che Iron Man e Hulk erano riusciti a gettarle in gola le bombe.

Dei due mostri rimase solo polvere e fumo.



                                                   ***



Daskalos si staccò di colpo dalla spalla del giovane Capitano, alzando il capo per rivolgere lo sguardo laddove due colonne di fumo nero si innalzavano verso il cielo grigio e gonfio di pioggia.
Il demone ringhiò inferocito, nel momento in cui si rese conto di non sentire più la presenza vitale delle sue creature d’ombra.

“Hai … perso … qualcosa?”
Ogni parola gli costò uno sforzo immane, ma l’orgoglio che provava verso i suoi compagni gli fece sollevare gli angoli della bocca.
Sorrise, Steve, sotto lo sguardo di fuoco del Padrone, ignorando il fatto di aver perso la sensibilità al braccio destro.

“Vedremo se festeggeranno quando gli porterò il tuo corpo senza vita.”
Il Capitano continuò a sorridere e scosse piano il capo.
“Guardati le spalle, piuttosto.”

Non fece in tempo a seguire il consiglio del ragazzo. Un raggio di pura energia lo colpì sulla schiena, spingendolo via dal corpo del super soldato.
Daskalos si ritrovò tempestato da una miriade di fasci azzurrini, prima che un gigantesco pugno verde lo spedisse oltre il corrimano del ponte, dritto nelle acque dell’East River.
I cloni del demone smisero di lottare contro i due asgardiani e, come trascinati da una forza invisibile, si gettarono anch’essi nel fiume per ricongiursi all’originale.


“Ehi, ragazzo, sei tutto intero?”
Natasha si accovacciò al fianco del giovane Capitano, cercando di non mostrarsi allarmata quando si rese conto della gravità delle ferite del compagno.
La divisa era strappata all’altezza dei fianchi graffiati, laddove il Padrone l’aveva afferrato per gettarlo a terra. Sulla fronte si apriva uno spacco che avrebbe avuto bisogno di punti di sutura, ma la spalla destra era quella messa peggio: due buchi profondi laceravano la carne e la quantità di sangue che ne stava uscendo era preoccupante.
Eppure Rogers si mise a sedere e guardò la donna in viso, accennando un lieve sorriso.
“È tutto okay” mentì palesemente, quando faticava addirittura a tenere gli occhi aperti.
La Vedova lo osservò rimettersi in piedi con estrema lentezza, mentre tentava di muovere le dita della mano destra, per recuperare la sensibilità dell’arto martoriato.

Il resto della squadra, con annesso Loki, raggiunse i due.
Il rombare sommesso dei tuoni preannunciò l’esplodere del temporale. Raffiche impetuose e fredde di vento schiaffeggiarono i volti tesi e stanchi dei Vendicatori.
Quella poteva perfettamente definirsi la quiete prima della tempesta.
Erano passati diversi minuti e di Daskalos non vi era ancora traccia.

“Avete visto il mio scudo?”
Steve ruppe quel silenzio fattosi improvvisamente ingombrante, guadagnandosi occhiate abbastanza preoccupate e scettiche, cosa che lo innervosì.
“Sto bene” affermò convinto.
“E io sono un barbone analfabeta che vive sotto i ponti” fu la risposta sarcastica di Stark.
Rogers non trovò la forza di ribattere a dovere. Si rese conto che fingere con loro sarebbe stato del tutto inutile.
Si guardò intorno e individuò il cerchio in vibranio più avanti, vicino il corpo di Wade.
Fu in quel momento che realizzò che Anthea era scomparsa.
I presenti seguirono il suo sguardo allarmato, arrivando alla stessa conclusione.

Li aveva abbandonati?
Steve sentì il cuore contrarsi dolorosamente, mentre pregava che non fosse così ... perché lei sarebbe tornata … forse stava solo aspettando il momento giusto per agire.

TipregoTipregoTiprego non tradirmi adesso.

Ma prima che qualcuno dicesse anche una sola parola, la figura di Daskalos, sospesa nel vuoto, lievitò sopra il ponte, dove si posò aggraziata.
“Assorbire le mie copie ha richiesto del tempo, ma penso sia l’ora di farla finita.”
Il demone li invitò ad attaccare, sorridendo sadicamente.

Natasha attivò i morsi della Vedova attorno ai propri polsi e Clint impugnò l’arco. Gli altri li imitarono, preparandosi allo scontro vinci o muori.

Fu il gesto di Thor a prendere un po’ tutti alla sprovvista. Il dio si pose davanti a Rogers, premendogli una mano sul petto per spingerlo indietro.
“Allontanati il più possibile.”
Steve spalancò gli occhi a quelle parole, confuso.
“Non posso abbandonarvi, non adesso. Si lotta fino alla fine, insieme.”
Thor gli diede una pacca sulla spalla, scuotendo il capo.
“Non credi sarebbe profondamente ingiusto da parte nostra permetterti di combattere nelle tue condizione attuali?”
Il giovane Capitano abbassò il capo, rimanendo in silenzio, e il dio non perse quell’occasione per rincarare la dose.

Perché Steve era testardo.

“Permettere ad un compagno di uccidersi è un atto ingiurioso quanto il tradimento. Trova Anthea e allontanati da qui.”

Steve sentì il peso dell’inutilità gravargli sulle spalle e per un attimo rivide il ragazzino di Brooklyn, quello basso e gracile, quello che poteva solo essere protetto e non proteggere.
Non doveva abbandonarli. Non voleva.
“Lascia almeno che vi guardi le spalle. Posso farcela, Thor, io-”

“Tu sei già morto, ragazzino.”
La voce velenosa del demone si insinuò nella discussione, accendendo un campanello di allarme in ognuno dei Vendicatori.

“Non pensare che ti lasceremo avvicinare ancora a lui” fu la risposta tagliente di Stark, che avrebbe tanto voluto spaccare la testa a quel mostro schifoso.

“Troppo tardi.”
Daskalos rise.



                                                           ***



Ma dove diavolo era finita?

Intorno a lei c’era il nulla. Un nulla oscuro.
Il buio si estendeva all’infinito in tutte le direzioni.
Poi, d’improvviso, una tenue e candida luce si materializzò davanti ai suoi occhi e, lentamente, cominciò a modellarsi, fino ad assumere una forma conosciuta.
Quella che aveva di fronte era una donna. Una donna bellissima e nel fiore degli anni, coperta da un leggero velo bianco. I capelli argentei, simili a fili di seta, le arrivavano a carezzare le fini caviglie. Il viso candido e dai lineamenti delicati richiamava la più assoluta purezza d’animo ed era in contrasto con gli occhi sanguigni, identici a quelli di Daskalos.
Anthea, con la bocca leggermente dischiusa per l’incredulità, la osservò avvicinarsi e non mosse un dito quando quella stupenda creatura le prese le mani, stringendole delicatamente.

“Siamo in una dimensione particolare, figlia di due mondi. Io sono Aima.”
“La spada?”
“La sua anima.”

Anthea faticava a comprendere. Ricordava di essersi svegliata da quella specie di coma autoindotto, dopo aver lasciato andare Wade.
Poi si era ritrovata lì.
La creatura le sorrise, cercando di rassicurarla.

“Abbiamo poco tempo, perciò cerca di interiorizzare ciò che sto per dirti. Non rifiutare la verità, Anthea. Non servirà a nulla, perché non puoi sfuggirle per sempre.”

La giovane annuì solamente, troppo confusa per poter fare altro.

“Io fui forgiata dai Nani di Nidavellir per Azael, re di Oneiro e tuo padre.”

Allora era vero! Loki aveva ragione!
OddioOddioOddio
Sta’ calma.


“Ma prima che venissi consegnata ad Azael, i Nani furono costretti ad utilizzarmi come pegno, affinché Daskalos non distruggesse il loro pianeta. Poi Oneiro scomparve e tuo padre, unico sopravvissuto, riuscì a raggiungere la Terra dopo anni trascorsi a vagare nello spazio, da un pianeta all’altro, tenuto vivo solo grazie all’immenso potere che abitava il suo corpo. Arrivò su Midgard quasi cento anni fa e, osservando gli umani, si convinse che loro fossero i più idonei all’accettazione del suo seme, dentro il quale avrebbe impiantato la sua coscienza. Azael scelse la sua donna guidato solamente dal cuore. Evelyn, tua madre, non conobbe mai la verità celata dietro gli occhi ipnotici di tuo padre. Morì durante il parto, diciotto anni fa, troppo debole per sopportare quel potere che l’aveva logorata per mesi dall’interno. Azael, pur divorato dal senso di colpa, raggiunse lo scopo finale del suo piano: trasferì dentro il corpicino di sua figlia la propria anima, pregna di tutto il suo potere, e fu proprio questo passaggio di energia che permise a Daskalos di individuarti e raggiungerti sulla Terra. Daskalos ha costantemente bisogno di prendere forza vitale dagli altri esseri per mantenersi in vita, ma se avesse messo le mani sul potere di Azael, sarebbe divenuto immortale. Questo è il motivo per cui vuole te. Dentro di te c’è quel potere che brama da millenni e che tuo padre ha sempre cercato di proteggere, evitando la fine dell’universo. Ma Azael perse la vita nel momento in cui la sua anima si fuse completamente alla tua e fu costretto a lasciarti in balia del demone, il quale avrebbe solo dovuto attendere che tu maturassi a sufficienza per prendere ciò che lo avrebbe reso immortale ed invincibile.”

“Come sai tutte queste cose?”
Fu questa l’unica domanda che riuscì a formulare, nonostante la sua testa stesse minacciando di esplodere.

Sta’ calma.

“Io sono sempre stata collegata all’anima di Azael e, di conseguenza, sono ora collegata alla tua. Impugnami, Anthea, e io ti aiuterò ad uccidere Daskalos. Solo tu puoi spezzare le catene che mi tengono legata a quel demone, nessun altro. Ma ti avverto. Nel momento in cui le tue dita stringeranno l’elsa della spada, la coscienza di Azael verrà risvegliata ed ogni suo ricordo diverrà il tuo. Ci sono cose che non ti ho detto, cose che potrebbero farti vacillare e …”

“Non importa. La mia priorità, adesso, è aiutare i Vendicatori. Loro sono troppo importanti e non lascerò che dei ricordi, anche se dolorosi, si frappongano tra me e la loro salvezza. Quindi, sono pronta.”

Aima sorrise e lasciò andare le mani della giovane, mentre al suo fianco si materializzava la potente spada.
“La convinzione di Azael era esatta, dopotutto. È merito dell’umanità se tu sei migliore di lui, la cui fredda razionalità lo ha condotto a compiere azioni discutibili. Preparati, perché la verità sarà dura da accettare.”

Anthea respirò profondamente ed allungò la mano verso l’arma. Le dita affusolate circondarono l’elsa nera e l’oscurità intorno a lei divenne luce pura e bianchissima.
Una vita riemerse con violenza dai meandri del suo inconscio, destabilizzandola fortemente e facendole male al cuore.
Si aggrappò all’unico scoglio sicuro per far fronte a quel mare di dolore in cui stava rischiando di affogare.

SteveSteveSteveSteveSteveSteveSteve

Serrò le palpebre, cercando di bloccare quel fiume di immagini raffiguranti un’esistenza che non le apparteneva.

“Non perdere mai la voglia di vivere, Anthea, o Daskalos sarà l’ultimo dei tuoi problemi.”

Quella fu la raccomandazione sussurratale dallo spirito di Aima, prima che aprisse gli occhi, scoprendo di essere nuovamente sul Brooklyn Bridge.
Posò lo sguardo sul pungo chiuso attorno all’elsa, notando che il nero aveva ceduto il posto al bianco.
Azzerò la mente ancora sconvolta e pose l’attenzione su un unico obiettivo: distruggere Daskalos.

Purtroppo, ben presto, si rese conto di essere arrivata tardi.



                                                ***



Daskalos si era evidentemente stancato di attendere oltre.
Era giunto tra di loro in un battito di ciglia e Natasha, nonostante la capacità di tenere sotto chiave l’agitazione anche nelle situazioni peggiori, non era riuscita ad evitare di rabbrividire quando se lo era ritrovato proprio davanti, con quegli occhi rossi fissi su di lei.
Per alcuni istanti, tutto parve congelarsi.

“Maledizione.”

L’imprecazione di Barton ebbe lo stesso effetto della leggendaria frase “Scatenate l’inferno”.

Il demone colpiva ad una velocità che andava oltre ogni percezione sensoriale. Sembrava fosse ovunque nello stesso istante.

La Romanoff si ritrovò piegata in due, con il fiato spezzato ed un dolore pungente nello stomaco. Era stata colpita e non era nemmeno riuscita a capire da dove fosse arrivato l’attacco.
Sentì Clint gridarle qualcosa, poi il familiare sibilo di Mjolnir che sfreccia nell’aria ed il fischio sottile emesso dai raggi di energia sparati da Iron Man.

Il ruggito di Hulk … il sibilo appartenente ad una freccia scoccata … il fragore di propulsori … respiri affannosi … gemiti … imprecazioni … “sta’ attento!” … “alle spalle!” …

In una cacofonia infinita, la lotta all’ultimo sangue si stava consumando secondo dopo secondo e, nonostante la disperata resistenza, Daskalos pareva inarrestabile ed invincibile.

Il gigante verde stramazzò a terra a causa dell’intensa scarica di elettricità che il Padrone aveva innescato nel suo corpo, toccandolo solamente.
Stark si accorse con orrore che le dimensioni di Hulk si stavano riducendo a vista d’occhio, così lo raggiunse e se lo caricò in spalla, portandolo lontano dal cuore dello scontro ed adagiandolo contro un pezzo del corrimano del ponte sospeso.
Hulk era andato. C’era solo Banner, adesso.
Tony si accertò che il compagno respirasse, prima di tornare indietro, nella speranza di rivedere presto il gigante verde.

Quel bastardo di un demone sapeva dove colpire per indebolirli e spezzarli.
E adesso, senza Hulk, la disfatta assumeva sempre più concretezza.


Thor cadde in ginocchio poco dopo, con le mani premute sul viso.
“I miei occhi! Non vedono!”
L’orrore più puro si insinuò nel cuore dell’asgardiano, privato della preziosa vista a causa di un qualche oscuro sortilegio.
Le iridi erano scomparse assieme alla pupilla e ciò aveva reso gli occhi completamente bianchi, simili a quelli di un cadavere.
Loki imprigionò il demone in una lastra di spesso ghiaccio, prima che quello raggiungesse il fratello, reso completamente impotente e vulnerabile.

Steve - nonostante le parole di Thor, era rimasto a combattere al fianco dei suoi compagni, dopo aver recuperato lo scudo - scattò in direzione del dio del tuono, approfittando della momentanea immobilità del nemico. Tirò su il compagno e tentò di guidarlo lontano dal Padrone, che aveva già ridotto in frantumi la parte superiore della lastra ghiacciata, usando la pura forza della mente.

“Andiamo Thor, avanti” gridò il Capitano, mentre sosteneva l’amico vacillante e mentalmente distrutto.
Thor era l’altra colonna portante dei Vendicatori per la grande forza e l’incredibile resistenza di cui era dotato.
Daskalos l’aveva chiaramente capito ed aveva fatto sì che fosse escluso da quel macabro gioco di morte.
Rogers condusse il dio vicino al corpo privo di sensi di Banner.
“Si sistemerà tutto, Thor” disse, nonostante mancasse di convinzione.
L’asgardiano rimase immobile, con gli occhi vuoti spalancati.

Erano rimasti in cinque adesso e credere di avere una qualche possibilità sarebbe stato come sperare di vedere un asino prendere il volo.

La lastra di ghiaccio andò in mille pezzi e il demone fu di nuovo libero.
Loki sussultò nel momento in cui se lo ritrovò di fronte e quegli occhi di sangue lo ancorarono al terreno.
“Mi sento in dovere di ricambiare il favore, Loki di Jotunheim” lo beffeggiò il Padrone, poggiandogli un dito sul petto.
Da quel punto di contatto iniziò a diramarsi una ragnatela di ghiaccio, che presto avvolse l’intero corpo del dio, trasformandolo in una statua ghiacciata.

Meno tre.

“Avengers, rimaniamo uniti o continuerà a prenderci, uno dopo l’altro.”
Le parole di Rogers risuonarono nei ricevitori dei compagni ancora in grado di lottare, i quali si affrettarono a raggiungerlo.

Purtroppo, Daskalos intercettò Barton prima che si riunisse agli altri. Inutili furono i tentativi di resistenza dell’arciere, quando il demone gli imprigionò i polsi nella stretta ferrea delle sue lunghe dita.
Il suono del brutale spezzarsi delle ossa fu seguito da grida disperate. Clint sentì lo stomaco contrarsi nel momento in cui il dolore raggiunse il picco massimo e tutto intorno a lui divenne un ammasso di ombre sfocate.

“Clint! No, ti prego!”
Natasha lo vide accasciarsi al suolo, con i polsi spezzati e penzolanti.

Meno quattro.

“Non disperare. Tu sei la prossima.”
La Vedova corse incontro al mostro, guidata da una rabbia quasi cieca. Non sentì nemmeno i richiami disperati di Rogers.
La donna raggiunse l’obiettivo, balzò sulle sue spalle e gli spinse i morsi della Vedova contro il collo.
Tuttavia il demone non collassò a terra, né si scompose in qualche modo. Afferrò la rossa per una gamba e se la levò di dosso, sbattendola a terra.
Natasha colpì violentemente l’asfalto con la nuca e rimase immobile, stesa a terra.

Meno cinque.

Capitan America e Iron Man, lanciatisi in soccorso della compagna, si bloccarono nel momento in cui Daskalos si volatilizzò, ignorando la Romanoff, ormai resa inoffensiva.

Era il loro turno, adesso.

I due si posizionarono schiena contro schiena e scandagliarono ogni millimetro quadrato dello spazio circostante, in cerca della presenza del nemico.
Se fossero caduti anche loro, allora sarebbe stata la fine.

Dove sei, Anthea? Ti prego, non abbandonarci. Non abbandonarmi’ era la muta preghiera del super soldato.

“Sembra la classica situazione di un film horror. La coppietta felice in balia del pazzo assassino.”
Rogers venne riscosso dai suoi pensieri e si lasciò scappare una mezza risata, forse dettata dalla pressione che lo stava facendo sprofondare verso un oscuro abisso.
“Non siamo una coppietta felice, Stark.”
“Non pensavo dovessimo trovarci in una situazione di merda come questa, affinché tu ridessi alle mie battute, Rogers.”
“È davvero finita, Tony?”
“Solo quando saremo morti, Steve. Non prima.”

Il giovane Capitano strinse forte le dita della mano sinistra attorno le cinghie dello scudo, tenuto all’altezza del petto.
Come quando ci si sveglia dopo aver perso conoscenza e si riacquista la percezione del proprio corpo, così Steve cominciò a ricevere segnali provenienti dal suo corpo stremato oltre i limiti, segnali fino ad allora occultati dall’adrenalina.
Le gambe faticavano a tenerlo in piedi, le braccia erano pesanti, lo stomaco sembrava essersi attorcigliato su sé stesso e le tempie pulsavano quasi con violenza. Si accorse dal lieve battere dei denti di star tremando. Aveva tremendamente freddo, nonostante il sudore gli stesse imperlando la fronte e la schiena. Il respiro stava diventando affannoso, mentre la vista veniva meno e il mondo intorno a lui si deformava.

“Tony”

Le prime gocce di pioggia scesero delicatamente sulla terra.

“Cosa c’è?”

Il vento, però, sembrava essersi placato.

“Io non …”

Lo scudo cadde con un tonfo sordo sull’asfalto.
Stark si voltò appena in tempo per vedere Steve vacillare e accasciarsi in ginocchio.
I respiri del giovane erano brevi e veloci. Il cuore gli batteva all'impazzata.

“Rogers, cos’hai?”
Tony tentò di non cedere al panico, ma fu inevitabile.
Si accucciò di fronte al compagno e lo sostenne per le spalle.

“Lo avevo avvertito, lui era già morto da un po’, esattamente nel momento in cui i miei canini avvelenati sono penetrati nella sua carne.”
La voce suadente di Daskalos costrinse Tony a spostare lo sguardo oltre le spalle di Rogers. Il demone torreggiava su di loro, con un sorrisetto beffardo sull’orrenda faccia.

“Che tu possa bruciare all’inferno, brutto figlio di puttana.”
“Sarai tu a bruciare, umano.”

Non riuscì a capire come, ma Stark si ritrovò sospeso in aria, con le dita della mano destra del demone strette attorno la gola dell’armatura.
Rogers era qualche metro proprio sotto di lui.
Il metallo prese ad accartocciarsi sotto la pressione delle falangi e l’aria venne a mancare troppo presto.
L’armatura sarebbe divenuta la sua tomba, alla fine.
Non accadde.
Perché Daskalos mollò di colpo la presa, lasciandolo libero. Stark attivò i propulsori ed evitò di schiantarsi al suolo. Tornò immediatamente da Rogers, che era ancora in ginocchio, aveva i palmi delle mani schiacciati sull’asfalto e la testa abbandonata in avanti.
Tremava come una foglia.
Era pallido da far paura e le labbra avevano assunto un colore bluastro.

Solo in un secondo momento, Tony condusse gli occhi verso il cielo, scoprendo il volto di colei che gli aveva appena salvato la vita.

“Ehi Rogie, devi resistere okay? Lei è qui, è tornata. Andrà tutto bene, vedrai. Ma tu devi tener duro, mi hai capito?”

Steve, poco dopo, perse i sensi.



                                                   ***



Gli aveva trapassato il deltoide destro con la spada. Daskalos aveva ringhiato di dolore e si era spinto in avanti per sfilarsi dalla lama affilata.
Ora la guardava furente, mentre dalla lacerazione fuoriuscivano fiotti di sangue violaceo.

“È sleale attaccare alle spalle, ragazzina.”
“Non puoi permetterti di parlare di correttezza, mostro.”
Il demone rise nel sentirsi appellare in quel modo da lei.
“Non siamo tanto diversi, dopotutto.”
“Forse no o forse sì. Starà a me decidere.”
“Vuoi usare la mia arma contro di me?”
“Non è mai stata tua, Daskalos.”

E con quelle ultime parole, Anthea si fiondò sul demone, che rimase quasi sorpreso nel constatare che la sua avversaria era molto più forte e veloce di prima.
La risposta stava nelle iridi nere come la pece. La ragazza stava sfruttando una parte del suo potere oscuro, senza perdere il controllo.

Colpa del legame instaurato con quell’infimo umano.
Il legame creava stabilità mentale e fisica, impedendo alla parte inconscia di prendere il sopravvento.
Ma al ragazzino restava poco tempo.
Spezzato il legame, il potere dell’oneiriana sarebbe stato suo.

Daskalos diede forma ad una spada di pura energia nera, così da potersi difendere dagli affondi di Aima, che faceva vibrare l’aria ad ogni sferzata. Combattevano sospesi a metri da terra, animati da una furia bestiale.
Anthea creò una palla di fuoco nella mano sinistra e la scagliò contro il nemico. Il demone la schivò all’ultimo, distraendosi quel tanto da permettere alla giovane di affondare la spada nel centro del suo petto con un movimento fluido e velocissimo.
Daskalos percepì le energie defluire attraverso la lama, che prese a brillare di luce propria.

“So che ti serve divorare il potere altrui per sopravvivere. Speravi di avere il mio al più presto, perciò hai smesso di razziare i pianeti dell’universo e ti sei stabilito sulla Terra. Ma sei rimasto a mani vuote, perciò adesso sei vulnerabile ed io non posso non sfruttare questa occasione.”

Il Padrone tossì e precipitò al suolo.

In quello stesso momento, Thor riacquistò la vista, mentre Loki fu libero dalla sua prigione di ghiaccio.
L’elettricità smise di torturare le cellule di Banner, che cominciò a riprendere conoscenza.

Anche Anthea tornò con i piedi per terra. Con la forza della mente, la giovane sollevò il corpo del mostro e lo posizionò proprio di fronte a lei.
“Vuoi che ti spezzi prima il collo o la colonna vertebrale?”

Daskalos, bloccato da catene invisibili fatte di pura energia, ringhiò frustrato. La lacerazione nel petto continuava a vomitare liquido denso e violaceo.

“L’unica cosa che si spezzerà sarà il tuo cuore, piccolo demonio.”

La ragazza non riuscì a ribattere, perché un dolore indefinibile si accese nel suo petto, mozzandogli il respiro.

NoNoNoNoNoNoNo

Qualcosa, dentro di lei, andò in frantumi, generando un vuoto insostenibile.

Si dimenticò di Daskalos e iniziò a correre verso il suo cuore.



                                                       ***



“No! Rogers, respira! Cristo!”

Tony ordinò a JARVIS di liberarlo dell’armatura, la quale si ripiegò fino ad assumere la forma di un’innocua valigetta.
Il miliardario, spogliato della sua difesa e totalmente nel panico, controllò il polso del compagno ed imprecò sonoramente nel percepire solo un flebile battito degenerante.
“Andiamo, Steve, non puoi morire qui.”
Provò ad improvvisare un rozzo massaggio cardiaco.

Il giovane, steso sulla schiena, non accennava a riprendersi.
Il torace non possedeva più il naturale movimento oscillatorio dovuto al consueto entrare ed uscire dell’aria dai polmoni.

E sotto la superficie del bel petto statuario, non c’era altro che un mortale silenzio.

Tony batté i pugni sul duro asfalto, digrignando i denti, e non si accorse della presenza di Anthea, finché la giovane non si lasciò cadere in ginocchio al suo fianco.
La osservò sollevare Steve per le spalle, quel tanto che bastava per fargli poggiare la testa sulle sue gambe esili.

La giovane si sporse sul corpo del biondo, in modo da proteggere il suo bel viso dalla debole pioggia incessante.
“Steve, non farmi questo, ti prego.”
Gli carezzò la fronte. La pelle del ragazzo era fredda, gelida.
“Apri gli occhi, Steve, avanti” pregò con voce tramante, sotto lo sguardo indecifrabile di Stark.
Cercò di trasferire la propria forza vitale in lui, ma ormai era tardi.
“È colpa mia. È soltanto colpa mia. Se solo fossi stata più forte, invece di crollare in quel modo. Ti ho lasciato da solo, non ti ho protetto e adesso … adesso …”
Prese a scuoterlo per le spalle, disperata.
“Steve, svegliati, ti scongiuro.”
Lo baciò e le labbra erano fredde, non più calde e morbide.
Posò la fronte sul suo torace e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.

“Mi assicurerò che continui a battere, te lo prometto, a qualsiasi costo.”
Era stata la muta promessa fatta a lui e a sé stessa, dopo averlo amato, dopo aver sperimentato con lui cosa significasse essere una cosa sola sia nell’anima sia nella carne.
E lei l’aveva tradito. Perché quel cuore aveva smesso di battere.
Lo aveva ucciso.

Assassina.


Si odiava. Era disgustata da ciò che era.
Aveva ucciso Steve. Aveva ucciso l’unica persona che era riuscita persino ad amarla, nonostante la sua natura controversa.

Lo aveva ucciso.

Una dolorosa pressione le compresse il cuore.
Gli occhi divennero vacui e lucidi, mentre un lieve rossore andava a propagarsi attorno alle iridi tornate ad essere blu come gli abissi.
L’aria faticava ad uscirle fuori dai polmoni. Strinse le labbra, per impedire ai singhiozzi di lasciare la gola secca.
Le spalle tremavano e le mani erano strette a pugno, per evitare che tremassero anch’esse. Si morse con violenza il labbro inferiore, facendolo sanguinare copiosamente, nel tentativo di sopprimere quell’intenso dolore che le stava contorcendo le interiora.
Premette ancora la fronte sul petto immobile del giovane Capitano.
Era al limite.
Questa volta non avrebbe potuto resistere.
I lunghissimi capelli color miele le ricadevano disordinatamente ai lati del viso arrossato dallo sforzo nel trattenere quella parte di sé che considerava debole e che aveva sempre tenuto dentro. Ma quella, sembrava stesse stringendo il suo cuore tra le mani, minacciando di ucciderla se non l’avesse lasciata uscire, dopo anni di prigionia. Si dibatteva nel suo corpo, cercando una via di uscita, e le faceva pressione sugli occhi, offuscandole la vista.
Un gemito le fece vibrare le corde vocali, quando una piccola goccia scintillante le solcò solitaria la guancia destra.
Gridò frustrata e sconfitta nel momento in cui lacrime salate le inondarono il viso provato.
Sconfitta. Sia fuori che dentro.

La pioggia divenne più violenta e le lacrime della ragazza si confusero con essa.
Pianse, Anthea, pianse come mai aveva pianto prima.
Pianse, per la prima volta dopo lunghi anni, distrutta.
Steve era morto e lei non poteva vivere senza di lui. Sperò di bruciare all’inferno, perché non meritava nient’altro.
Si fece forza e alzò il capo. La pioggia l’aveva resa un piccolo pulcino bagnato, debole ed indifeso.
I suoi occhi cercarono quelli azzurrissimi di Steve, in un ultimo disperato tentativo di riaverlo indietro. Ma il giovane era ormai caduto in un sonno profondo e senza fine e le sue iridi erano sigillate dietro le palpebre chiuse.

“Cosa ho fatto?” sussurrò appena la ragazza.
Si sentiva stordita, confusa, persa, vuota, desiderosa di essere morta.
Serrò violentemente gli occhi, come a voler fuggire da quell’orrenda realtà.

E la sua mente venne pervasa dall’oblio.




Tony sgranò gli occhi, quando vide Daskalos dirigersi verso di loro, ma non ebbe la forza di reagire in alcun modo.
Scorse Thor correre nella sua direzione, ma poteva benissimo esserselo sognato, dato l’attuale elevato livello di infermità mentale del suo cervello.




“È finita, figlia di Azael. Sei soltanto mia, finalmente.”
Il demone allungò minacciosamente un braccio verso il suo trofeo, ma un brivido gli percorse la schiena ed una strana quanto destabilizzante sensazione gli fece bloccare la mano a pochi centimetri dal viso dell’oneiriana.

“Ricordi cosa ti dissi, Daskalos? Io non sbaglio mai e nulla di ciò che faccio è casuale. Tutto ha un prestabilito, inevitabile fine.”

La ragazza riaprì gli occhi e li piantò in quelli del demone, sorridendo serafica.


E le sue iridi erano cremisi.

Anthea non c’era più.

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Capitolo 19
*** Promesse ***


Promesse

La libertà aveva l’acre sentore del sangue, quello stesso sangue che ora le macchiava i vestiti e la pelle.
La libertà era bagnata, perché il cielo piangeva e le infradiciava le membra.
La libertà era un silenzio rotto solo dall’incessante picchiare di piccole gocce d’acqua sull’asfalto duro.

Non l’aveva di certo immaginata così la libertà, anche se, in fondo, poco le importava di come essa si fosse presentata ai suoi sensi.

Aveva finalmente raggiunto quel prestabilito, inevitabile fine.
Aveva atteso con pazienza gli sviluppi di un piano costruito minuziosamente ed ogni tassello aveva trovato posto in quel puzzle complesso che rappresentava la sua liberazione.
Niente era stato lasciato al caso.
In diciotto anni aveva progettato un orologio e, ingranaggio dopo ingranaggio, l’aveva assemblato. Quando il suo umano l’aveva liberata - perché lei l’aveva condotto lì, dopo averlo atteso per lungo tempo -, si era innescato il conto alla rovescia, ora finalmente giunto alla conclusione sperata.

Sorrise beata e liberò i lunghissimi capelli dal fastidioso elastico che li raccoglieva in una coda scomposta.
Si sentiva euforica e tremendamente piena di vita. Il cuore le batteva così violentemente nel petto che pareva volesse uscirne. Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa gli passasse per la testa da quel momento in avanti, senza dover sottostare a quegli inutili obblighi morali a cui la sua nemesi era stata tanto legata.

Niente più catene.
Niente più limiti.
Libertà.

Fece schioccare la lingua contro il palato, sollevando al contempo lo sguardo verso il cielo grigio. Quando decise che la pioggia era divenuta di troppo, ogni goccia d’acqua nel raggio di svariati chilometri bloccò la sua discesa, rimanendo in stasi, sospesa nel vuoto.
L’atmosfera divenne surreale e lei si inebriò dell’infinità del suo stesso potere.

Una pressione decisa sulla spalla destra la tirò fuori da quella specie di personale dimensione egocentrica.
Storse il naso, voltando il capo ed incontrando due iridi ambrate ricolme di emozioni travolgenti e contrastanti. Vi lesse dolore, rabbia, paura e le sembrò di intravedere anche scaglie di speranza. Si ritrasse indietro per sfuggire al tocco di quella mano, ma non distolse lo sguardo.

“Chiunque tu sia, salvalo.”

Solo in quel momento si rese conto di star stringendo tra le dita ciuffi di capelli biondi.
Abbassò gli occhi e si ritrovò ad osservare il viso pallido ed insanguinato di un giovane umano, il cui capo poggiava sulle sue gambe piegate. Pressò le labbra e la bocca divenne una linea dura, mentre la fronte si increspava lievemente. Le mani, guidate da un cieco istinto, cercarono il contatto con la pelle di quel volto e la carezzarono con eccessiva delicatezza.
Sentì un nodo formarsi nella gola e per un attimo il respiro le venne a mancare.

Il suo strumento.
Un giovane umano, unico nel suo genere.
“Devo ringraziarti, sai?”
Parlò, nonostante sapesse che il ragazzo non avrebbe potuto ascoltare.
E le sue dita furono di nuovo tra i corti capelli di lui, a giocare con i morbidi ciuffi biondi.
“È merito tuo se ora sono libera. Tu, che ti sei tanto impegnato a proteggerla, anche se di leidi me, non sapevi nulla. Sei diventato la sua ragione di vita in poco tempo, proprio come avevo previsto nel momento in cui ho creato il legame e ho guardato nella tua anima. In questo mondo, essere troppo buoni è pericoloso. Se vuoi vivere, allora devi rinunciare all'altruismo.”
La creatura sorrise serafica e prese il capo del giovane tra le mani, sollevandolo e riponendolo a terra.
“Vige la legge del più forte e quella del più scaltro. Non c’è spazio per le debolezze, per i sentimenti. Guarda cosa ti hanno fatto, i sentimenti. Che peccato - sospirò - una creatura di rara bellezza come te perduta per sempre. Quasi mi dispiace.”

La giovane si rimise in piedi, sotto lo sguardo esterrefatto di Tony, che non seppe dove riuscì a trovare la forza per parlare di nuovo.
“Tu lo hai usato, non è così?”
Ricevette in risposta un ghigno che gli fece venire i brividi.
La consapevolezza lo colpì allo stesso modo di uno schiaffo in faccia: duramente e senza avvisare.
“Ci hai usato tutti!” gridò Stark, sentendo la rabbia montargli in petto.

“Voi umani siete talmente ingenui da farmi quasi pena. La giovane midgardiana è davvero brava a recitare la parte della povera vittima sfruttata. Si sta prendendo gioco di voi, non ve ne accorgete?”
Loki non aveva mentito, quella volta. Li aveva messi in guardia.

“Cosa ti aspettavi? Sono un mostro.”
L’oneiriana pronunciò quelle parole con paradossale tranquillità.
“Come lui” aggiunse poi, voltandosi a guardare Daskalos, fermo a pochi passi da loro.

Stark pensò di star impazzendo, perché quel demone bastardo sembrava terrorizzato. Gli occhi vermigli erano spalancati all’inverosimile ed aveva il respiro accelerato.

La creatura con le sembianze di Anthea si mosse sinuosa, in direzione del Padrone, il quale non esitò ad indietreggiare, consapevole di non avere speranze contro di lei.
Forse, uccidere il ragazzino non era stata una buona idea.
Gli occhi cremisi di lei brillavano di una luce intesa, nuova e, al tempo stesso, conosciuta. Daskalos, per alcuni attimi, rivide Azael in quelle iridi e rivide quella che era stata la parte più oscura dell’anima del re caduto.

“Adesso sai ogni cosa, vero?” si azzardò a chiedere il demone.
L’oneiriana si bloccò a un passo da lui, piegando la testa di lato e guardandolo con finta innocenza.
“Sì” soffiò e le pupille rotearono, come a sottolineare quanto trovasse noioso discorrere su questioni appartenenti al passato.
Sapere che Azael avesse sacrificato sé stesso per il suo popolo non la toccava minimamente. L’universo non sarebbe mai venuto a conoscenza della verità orbitante intorno la scomparsa di Oneiro. Quella verità era privilegio di pochissimi e nemmeno Daskalos sapeva tutto.
Alla giovane, però, bastava essere a conoscenza di una singola cosa: erano stati i sentimenti a condurre Azael all’autodistruzione. Il re si erano lasciato dominare dalle passioni del cuore, che lo avevano privato della fredda razionalità e del senso di autoconservazione, conducendolo inevitabilmente ad una morte indegna.

Volse appena il capo e, con la coda dell’occhio, tornò ad osservare il corpo dell’umano - Steve, si chiama Steve -, non riuscendo a non pensare a quanto egli fosse simile a quello che era stato suo padre. Il senso di giustizia e l’altruismo li avevano condotti entrambi al capolinea, attraverso un percorso fatto di dolore ed autolesionismo.

Distolse di colpo lo sguardo dal giovane, quando si rese conto che qualcosa di indefinito si era mosso dentro di lei, dandole l’impressione di avere uno strano peso sul petto.
Si stava annoiando, forse. Sì, doveva essere la noia.

“Sei pronto a giocare, Daskalos?”

Le spalle dell’interpellato presero a tremare, mentre una risata isterica gli faceva vibrare le corde vocali.
“Non pensavo che sarei stato costretto a ricorrere alla forma definitiva. Mi condurrà alla morte, ma avrò il piacere di ucciderti, prima. Ucciderò tutti.”


E improvvisamente il cielo divenne scuro, tanto da apparire quasi nero. Una spessa penombra calò sulla superficie del pianeta Terra e ogni singolo umano, in quel momento, si ritrovò con il naso rivolto verso l’alto, a fissare con timorosa curiosità quello strano e inspiegabile fenomeno.


Le gocce di pioggia ancora in stasi vennero vaporizzate all’estendersi di un anormale campo magnetico, il cui fulcro era Daskalos.
L’oneiriana rimase impassibile di fronte al corso degli eventi, anche quando il corpo del demone cominciò a deformarsi orribilmente, fino ad assumere fattezze mostruose, raggiungendo il limite di quel potere che aveva accumulato, razziando i più svariati pianeti abitanti l’universo.

Sembrava stesse giungendo l’Apocalisse.



                                                        ***



“Mio. Dio.”
Natasha si tirò su con estrema fatica, mettendosi in ginocchio. La nuca le lanciava fitte acute di dolore e poteva sentire ancora il calore del sangue su di essa.
La Romanoff, per la prima volta, fu grata all’addestramento ricevuto in Russia, perché se era ancora viva e riusciva a muoversi e ragionare nonostante le gravi ferite, era solo per merito di quell’addestramento devoto al sadismo.
Distolse lo sguardo dal corpo del demone, il quale sembrava essere in una fase di mutazione profonda. L’aria tutt’intorno era divenuta pesante e respirare richiedeva uno sforzo eccessivo.
Vagò con lo sguardo in cerca dei suoi compagni e individuò per primi Tony e Steve, fin troppo vicini al demone.

Perché Stark non indossava l’armatura?
E poi Rogers era così … immobile?
C’era anche Anthea con loro, intenta a fronteggiare il mostro.
Ma cosa diavolo stava succedendo?

“Natasha!”
Quella era la voce di Bruce.
La Vedova si voltò indietro e quasi sorrise nell’osservare il resto della squadra - con annesso Loki - venire verso di lei.
Thor, a cui era tornata la vista, stava portando un Clint privo di sensi sulle spalle. La rossa cercò di non soffermarsi troppo sulla posizione innaturale dei polsi dell’arciere.
Barton era vivo e ciò le bastava. Le ossa sarebbero guarite e, sicuramente, Nick avrebbe fatto tutto il necessario per farle tornare come nuove, utilizzando i migliori medici e scienziati dello SHIELD.

Dovevano solo riuscire a tornare a casa, vivi.

“Raggiungiamo Stark e Rogers” fu la proposta di Banner, che tese una mano a Natasha per aiutarla a rimettersi in piedi.
La Vedova si lasciò sostenere da Bruce e cominciò a camminare, utilizzando la spalla destra del dottore come appoggio.
Il gruppo si mosse velocemente - o almeno tanto veloce quanto i loro corpi malmessi concedevano - e, evitando di soffermarsi toppo a guardare l’orrenda mutazione di Daskalos, arrivò alle spalle di Tony, il quale, inizialmente, sembrò non accorgersi della presenza dei compagni.
Bruce fece per chiamare il collega, ma ogni suono gli morì in gola quando Stark pronunciò due singole maledette parole.

“È morto.”

Il miliardario, come a conferma di quella confessione, si scostò un poco, trascinandosi sulle ginocchia e lasciando agli altri la possibilità di vedere con i loro stessi occhi, i quali saettarono tutti contemporaneamente sul volto pallidissimo del Capitano.

Banner si lasciò cadere in ginocchio, mentre costringeva una mano tremante a poggiarsi sulla gola del giovane super soldato.
Come se quel gesto fosse davvero servito a qualcosa. Come se lo sguardo vacuo e lucido di pianto di Tony non fosse abbastanza.
Perché il dottore sapeva già, prima ancora di toccare quella pelle gelida, che le sue dita non avrebbero captato alcun battito.
Forse era stato un riflesso incondizionato, utile solo ad accettare l’inevitabile.
Natasha si accucciò al suo fianco e si trascinò Steve - Steve che non c’era più - in grembo, guidata da un moto incontrollabile di affetto.

“Sei uno stupido Idiota. Non fatevi ammazzare, avevi detto. Valeva anche per te, dannazione!”
E se qualcuno a cui era nota la sua fama l’avesse vista in quel momento, mai avrebbe creduto che quella era la fredda e crudele assassina, portatrice del nome di uno degli esseri più mortali esistenti sulla Terra.
La maschera della Vedova Nera andò del tutto in frantumi, non appena Natasha lasciò che calde lacrime le rigassero le guance.

Thor, al contrario, era invece rimasto immobile, in piedi a sovrastare i compagni accucciati a terra. Gli occhi fissavano il vuoto e le mani, impegnate a sorreggere il corpo dell’arciere, gli tremavano sensibilmente.
Aveva sempre visto in Steve Rogers un esempio da seguire e aveva sempre serbato per lui il massimo rispetto. Sul campo di battaglia, lo avrebbe seguito ovunque, ad occhi chiusi. Pochi erano coloro a cui dava tanta fiducia, pochi erano quelli per cui nutriva un affetto ed una stima profonda.
Avrebbe voluto portare Steve ad Asgard, un giorno. Gli aveva anche avanzato la proposta, una volta.




“Che ne dici?”
“Io, ad Asgard? Ma lì vivono gli dei, io sono solo …”
Steve si era grattato la nuca, imbarazzato, e Thor aveva sorriso per quella sua ostentata umiltà.
“Credi alle mie parole, Capitano. In te c’è grandezza, una grandezza paragonabile o anche superiore a quella di un dio. L’invito rimarrà sempre valido.”
Rogers gli aveva poggiato una mano sulla spalla, serio.
“Grazie.”





“Non può finire così” sussurrò l’asgardiano, afflitto.

“Ho chiamato Fury all’inizio dello scontro, dicendogli di rimanerne fuori e di pensare solo a sgomberare l’area per evitare che venissero coinvolti i civili. Ma, a questo punto, potremmo anche chiedere supporto, cosa ne dite?”
Tony accennò alla presenza del mostro - dei mostri -, intuendo che la mutazione stava per giungere al termine, dato che si erano quasi del tutto delineate le fattezze di quello che pareva un corpo nuovo, diverso, più pericoloso.
Nessuno, comunque, rispose.

Fu Loki il solo a farsi avanti, fino a raggiungere Stark, il più lucido tra gli altri.
“Quel corpo è fatto di pura energia, Stark. Tempo un’ora, forse di meno, e imploderà e Midgard si accartoccerà su sé stesso, prima di scomparire per sempre. Rimarrà solo il vuoto.”
“Come lo fermiamo?”
Loki scosse il capo.
“Non possiamo.”
Tony si prese la testa tra le mani, sconvolto.
“No! No, dannazione! Non può finire così!”

Fu a quel punto che la voce di Thor tuonò con potenza, attirando l’attenzione dei compagni.
“Miei amici, rimettete assieme i pezzi dei vostri animi. Non è finita, non ancora. Non rendiamo vano il sacrificio di Steve Rogers. Insieme possiamo vincere.”
Il dio del tuono rivolse a Steve uno sguardo di triste consapevolezza.
Insieme, giusto Capitano?”



                                           ***



Il corpo di Daskalos era divenuto di un bianco quasi accecante. Pareva un ammasso di energia luminosa tenuta insieme da un invisibile magnete. Ad essere distinguibili erano i soli occhi, rimasti rossi come il sangue.
L’oneiriana aveva in viso un’espressione imperscrutabile. Non sembrava minimamente scossa da quanto accaduto davanti ai suoi occhi, nonostante sapesse anche quale sarebbe stato il fine ultimo di quel nuovo corpo.
Ma il demone era davvero un illuso, se sperava di ucciderla implodendo. Il suo potere sarebbe stato sufficiente a proteggerla, anche se per il pianeta non ci sarebbe stata alcuna speranza.
Naturalmente della Terra non le importava, così come non aveva alcun interesse per i suoi deboli abitanti.

Hai permesso ad un umano di violarti.

La giovane creatura scosse il capo, scacciando via quel pensiero e con esso l’ennesimo nodo formatosi in gola.
Ma cosa diavolo le prendeva?
Doveva essere colpa della sua parte umana, forse non del tutto estinta come credeva.

Richiamò la spada ed Aima raggiunse il suo palmo in un battito di ciglia. Scattò in avanti e, mantenendo la lama in orizzontale, tagliò di netto il demone, all’altezza dei fianchi.
Le due metà del corpo, però, si risaldarono immediatamente. Daskalos infatti era divenuto pura energia e non c’era niente di materiale nel suo nuovo essere, perciò la spada non avrebbe potuto ferirlo davvero.
La giovane allora la piantò nell’asfalto, abbandonandola.

“Pensi ancora di essere invincibile?” la beffeggiò il mostro.

Come risposta, due immensi muri d’acqua si innalzarono ai lati del Brooklyn Bridge e si abbatterono su di esso. Alcuni cavi d’acciaio si spezzarono a causa dell’impatto e il ponte si inclinò sensibilmente verso sinistra. L’acqua defluì in quella direzione, tornando nel letto dell’East River.
Il Padrone era riverso a terra e, sotto di lui, l’asfalto era ricoperto da profonde crepe.
L’oneiriana sorrise a quella vista, ma il nemico non la fece attendere molto, poiché si rialzò poco dopo, pronto a ribattere a dovere.




                                                    ***



“JARVIS, ti ho già detto che ti adoro?”
“Diverse volte, signore.”
L’AI, come sempre, era stato provvidenziale. L’armatura era tornata a rivestire il corpo di Tony in pochi secondi, prima che lo tsunami si abbattesse sul ponte.
Ora, Iron Man era a metri e metri da terra e le sue braccia reggevano da una parte Bruce e dall’altra il corpo di Steve. Thor era al suo fianco e stava roteando il martello per mantenere quota. Clint era ancora sulle spalle del dio, mentre Natasha e Loki erano aggrappati ai suoi bicipiti.
“Non è molto sicuro rimanere vicino ai quei due” constatò la Vedova.

In realtà, il problema che tutti si stavano ponendo era un altro: dovevano intervenire ed aiutare Anthea - che Anthea non era più, a detta di Tony -, o rimanere in disparte?

Inconsapevolmente, Thor diede una risposta all’insidiosa domanda.
“Quelli di noi che ancora sono in grado di combattere dovranno cercare di limitare i danni che potrebbero mettere in pericolo i midgardiani.”

“Comincio con il dire al buon vecchio Nick di prepararsi al peggio. Farò sì che faccia evacuare quante più persone possibili da Brooklyn e dintorni” affermò Stark.

“Stark, hai informato Fury riguardo …”
“No, Romanoff.”
Non servì dire altro.

Tornarono con i piedi per terra, questa volta a debita distanza dal cuore dello scontro.
Thor prese con sé il Capitano e lo trasportò, assieme all’incosciente Barton, fino al jet, miracolosamente rimasto illeso, se non si contavano le piccole pozze d’acqua al suo interno.
Il dio percepì Clint muoversi sulle sue spalle, segno che stava rinvenendo. Si chinò per poggiare il corpo di Steve sul pavimento metallico del velivolo e poi fece scivolare Occhio di Falco giù per la schiena.

“Thor?” la voce era poco più di un sussurro, ma il dio fu comunque lieto di sentirla, perché significava che l’arciere stava bene.
Lo guidò verso una delle pareti del jet e Clint si mise seduto, appoggiato ad essa con la schiena.
Un rantolo di dolore abbandonò le labbra dell’arciere, nel momento in cui, istintivamente, provò a muovere le mani. Il ricordo di quel che era successo lo fece ringhiare frustrato.
“Dove sono gli altri?”
“Stanno bene. Solo …”
Thor lanciò uno sguardo fugace al giovane super soldato e Clint lo intercettò.

E non servirono altre parole. Non servì niente di niente.

Barton nascose il capo tra le ginocchia piegate e ricacciò indietro la voglia di urlare, mentre il respiro diventava pesante ed irregolare.

“Non è finita” furono le ultime parole che l’arciere sentì pronunciare dall’asgardiano, prima di essere lasciato solo.



                                                         ***



Il braccio dell’oneiriana trapassò il petto luminoso di Daskalos, che rise divertito.
“Ritenta.”
La giovane ritrasse indietro la mano e la puzza di carne bruciata - la sua carne - le riempì il naso. Ma la pelle dell’arto, in pochi istanti, tornò ad essere perfettamente liscia ed elastica, priva di qualsiasi segno.

Colpire direttamente un tale concentrato di energia non era stata una buona idea, ma, in fondo, il dolore fisico causato dall’ustione non aveva fatto altro che darle la sensazione di essere più viva che mai. Testare le proprie capacità e spingersi al limite di quelle che erano le proprie possibilità era come droga per lei e non poteva farne a meno.
Se stava ancora combattendo contro il Padrone, era solo per dimostrare la sua indiscussa superiorità a quel mostro suicida, il quale, pur di non ammettere di aver perso, era disposto a farsi saltare in aria.

“Rendiamo l’atmosfera più elettrizzante, ti va?”
La creatura dagli occhi cremisi puntò l’indice ed il medio della mano destra verso il cielo e, con uno scatto, calò poi il braccio verso il basso.
Al movimento seguì la discesa impetuosa di un fulmine, che colpì in pieno Daskalos, facendolo urlare.

                                                            *

JARVIS aveva appena effettuato un’analisi accurata e completa dell’ammasso di energia che costituiva il corpo del mostro.
C’era ancora della materia nel demone, seppur a livello microscopico, ed era proprio essa ad impedire l’imminente implosione, che si sarebbe attuata solo quando ogni singola particella corpuscolare si fosse autodisintegrata.

Era solo questione di tempo, poi sarebbe rimasta solo polvere.
Tony si diresse a massima velocità verso i due alieni. Doveva fermare Anthea - o chiunque fosse -, prima che cancellasse ogni traccia di materia ancora presente in Daskalos.
I fulmini avrebbero solo velocizzato il conto alla rovescia e i Vendicatori avevano più che mai bisogno di tempo per escogitare qualcosa.
Era terribilmente doloroso andare avanti, facendo quasi finta che Rogers non fosse morto. Non sentire la voce di Capitan America risuonare nell’elmetto dell’armatura faceva uno strano effetto, creava un vuoto incolmabile nel cervello e nel cuore.
Ma Tony doveva continuare a lottare, anche per Steve.

Travolse letteralmente la ragazza - di cui si era ingenuamente fidato -, prendendola alle spalle e sbattendola a terra.
Come previsto, la vide rimettersi in piedi troppo velocemente, perciò si preparò a subire le conseguenze della propria avventatezza.
Era ancora ginocchioni quando lei lo raggiunse, armata di uno sguardo assassino. Stark lasciò emergere il suo scarso spirito di conservazione ed alzò le mani, mentre riacquistava la posizione eretta.
“Ho dovuto. Avresti indotto l’implosione del corpo del mostro in quel modo.”

L’oneiriana lanciò un fugace sguardo a Daskalos, in posizione fetale ed agonizzante, poi tornò a rivolgere l’attenzione all’uomo nell’armatura.
“Succederà comunque” asserì, sorridendo.

Tony scoppiò a ridere, preso da uno dei suoi personali attacchi di isteria.
“Credevo che stare a stretto contatto con Rogers ti avesse fatto disimparare il significato della parola arrendersi, ma a quanto pare mi sbagliavo. Aspetta, ti ricordi di Rogers, vero? Alto, fisico prestante, biondo, occhi azzurri. Oh, per capirci meglio, è quello che ha passato l’inferno per te e che è morto per te, credendo in te. Ricordi? - le parole erano intrise di amarezza - Sembrava ci tenessi tanto, oppure era tutta una schifosa farsa? Ma la cosa che mi fa davvero incazzare è che tu abbia approfittato della sua ingenua bontà, trattandolo alla stregua di uno straccio usa e getta. Non meritava di morire così, non lo meritava, hai capito? Sai, credo di odiarti. E non mi importa un fico secco se adesso io possa sembrarti una donnetta isterica nel pieno del suo ciclo mestruale. Non me ne starò zitto e buono solo perché mi metti i brividi. Perché? Perché ci hai tradititi? Perché-”

“Smettila! Sta’ zitto!”

Gli occhi di lei avevano assunto un luccichio sinistro e il viso si era contorto in un’espressione disgustata. Con due ampie falcate coprì la distanza che la separava da Iron Man, il quale alzò di scatto la mano sinistra per colpirla con un fascio di energia.
Ma la giovane fu nettamente più veloce, perché afferrò il polso di quella stessa mano e con uno strattone strappò l’intero braccio metallico.

“Merda!”

Stark si fece indietro, ma fu ancora una volta troppo lento.
Osservò impotente la mano dell’oneiriana affondare nel pettorale sinistro dell’armatura, a pochissimi centimetri dal reattore ARC, percepì le sue dita premere contro il tessuto della maglia nera ed infine raggiungere la nuda pelle.
Bruciavano quelle dita, bruciavano dannatamente, e per di più pareva volessero aprirsi un varco nella carne.
Avrebbe potuto scansarsi, ma il corpo non rispondeva più ai suoi comandi. Strinse i denti, mentre inspirava ed espirava dal naso con crescente affanno.

“Potrei raggiungere il tuo cuore e strappartelo via dal petto, per un tale affronto.”

Tony si fece coraggio e spinse lo sguardo in quegli occhi cremisi. Vi scorse qualcosa di inaspettato all’interno e sorrise, scuotendo lievemente il capo nascosto sotto l’elmo.

“Ma non lo farai, non è forse così?”

L’esitazione della giovane e il guizzo delle sue sopracciglia verso l’alto incoraggiarono il miliardario a spingersi oltre il limite consentito da quella linea che indicava la probabile sopravvivenza.

“No, tu non lo farai. Il motivo è semplice ed ha un nome proprio. Anthea. Lei è lì dentro da qualche parte, ne sono certo.”

La reazione seguente fu quasi prevedibile, perché venne spinto via con violenza, ma il cuore rimase al proprio posto.

“Illuso” sputò fuori la ragazza, dandogli le spalle.
“Torno a concludere ciò che avevo iniziato, prima che tu mi interrompessi. Ritieniti fortunato. Sono di buon umore.”
Fece per andarsene, ma Stark parlò di nuovo, trattenendola.
“Farò finta di credere alla scusa del buon umore, ma adesso devi starmi a sentire. Abbiamo bisogno di tempo per escogitare qualcosa che salvi il pianeta, quindi ti chiedo solo di evitare di friggere quel mostro prima del tempo.”
La sentì ridere.

“Per favore.”

“Umani. La stupidità deve appartenere al vostro patrimonio genetico.”

L’oneiriana lo abbandonò lì, dirigendosi a passo di marcia verso il demone.



                                                    ***




“Li ho messi al sicuro.”
Thor aveva appena raggiunto i compagni, dopo aver lasciato Steve e Clint al jet.
Poco dopo, anche Stark tornò da loro.

“Ci aiuterà?”
Natasha incrociò le braccia sotto i seni, alzando un sopracciglio con fare scettico.
“Forse.”
“Dal mancato braccio dell’armatura e lo squarciò nel petto, direi che quel forse è più un no” constatò Banner.
“Bene. Diamoci da fare, allora.”

Si guardarono, impacciati. Stavano istintivamente aspettando di sentire la sua voce.

“Non posso credere di essere stato sconfitto da un branco di idioti sentimentalisti. Se davvero tenevate a lui, dovreste smetterla di piangervi addosso e cominciare a muovervi, sul serio.”

Le parole di Loki furono una doccia fredda, ma non per gli aggettivi poco carini che aveva rivolto loro.
Esse avevano appena reso più vivido un incubo dal quale ognuno dei Vendicatori cercava di estraniarsi. Era difficile da accettare, ma avrebbero dovuto farlo e presto anche.
 


Essere eroi significava anche questo: mettere da parte sé stessi, la propria vita ed i propri sentimenti, per poter assolvere al compito conferito da qualcuno che sicuramente stava al di sopra di loro e che fosse il Governo Mondiale o Dio stesso non aveva importanza.
Proteggere era l’unica cosa che contava, nel momento in cui si scendeva sul campo di battaglia. Ma proteggere gli altri cozzava fastidiosamente con il proteggere sé stessi.
Si poteva scegliere una sola delle due alternative e gli Avengers, anche se per motivi differenti e discordanti a volte, avevano scelto la prima opzione.
Tornare indietro? Difficile, se non impossibile.
Ecco quindi come l’eroe diveniva martire: si sacrificava per un bene superiore, un bene associato all’umanità e che si traduceva in male a livello puramente individuale.
L’eroe pativa non solo dolore fisico, ma soffriva psicologicamente ed intimamente ogni giorno, torturato dagli incubi di battaglie sanguinose e violente. E poi c’era quella pressione insopportabilmente soffocante e distruttiva sul piano psichico, quella responsabilità troppo grande per un singolo uomo, una responsabilità che, a lungo andare, portava alla solitudine e ad una impenetrabile chiusura a riccio, perché gli eroi non potevano commettere errori, non potevano fidarsi di tutti - solo di pochi - e non potevano avere una vita normale, un’esistenza tranquilla e sana.
Dovevano essere sempre vigili, pronti a buttarsi anche tra le fiamme dell’inferno. Dovevano evitare legami, i quali si sarebbero trasformati, prima o poi, in punti dove poterli colpire e distruggere.
L’unica che sempre sarebbe rimasta al loro fianco era la Signora in Nero. Potevano sentirne il respiro sul collo e le fredde dita attorno alla gola. Era lì, costantemente.
L’eroe doveva possedere una vena di follia o sarebbe crollato all’istante, di fronte alla prospettiva di una vita all’insegna del sacrificio e in cui ogni momento poteva essere l’ultimo.
Doveva avere nell’anima un lato oscuro, perché la luce non bastava a tenere salda la mente. Senza una parvenza di intima oscurità, non si potevano combattere le ombre esterne. Diversamente da quel che pensavano quei tristi idealisti, l’oscurità avvolgeva il mondo e soffocava, istante dopo istante, la luce.
La lotta struggente tra luce ed ombra, combattuta nell’intimità dell’anima, marchiava a fuoco la personalità dell’eroe e lo spingeva tra le braccia della Follia, la quale offuscava la mente e con essa il dolore.
In fondo, per salvare una cosa, bisognava distruggere qualcos’altro.
Preservare e distruggere erano due facce della stessa medaglia.
Essere un eroe è davvero così facile, allora?
Eppure nessuno poteva capirli davvero, gli eroi, se non loro stessi.

E gli Avengers capivano fin troppo bene.
Se Steve sorrideva anche quando era ricoperto di sangue, lo faceva per rammentare che tutto sarebbe andato per il verso giusto, bastava solo rimanere uniti.
Se Natasha a volte era dura con i compagni, era perché loro ne avevano bisogno.
Se Tony mandava la serietà a farsi fottere nelle situazioni peggiori, era per tenere tutti lontano dall’impazzire.
Se Clint dubitava di ogni piccola cosa, era per la loro sicurezza.
Se Thor perdonava troppo facilmente, era perché sapeva quanto fosse facile commettere errori e prendere la via sbagliata.
Se Bruce si sentiva bene doveva ringraziare il fatto di vivere con persone che capivano cosa significasse essere diversi ed il dolore che ciò comportava.
Se Hulk non torceva un capello ai membri della squadra, il motivo era semplice: il gigante verde sentiva finalmente di essere stato accettato, dopo anni passati a subire crude rinnegazioni.
Così erano andati avanti, sostenendosi l’un l’altro, condividendo la sofferenza ed il fardello di essere stati eletti al ruolo di guardiani dell’umanità.
Erano una catena formata da anelli opachi e solidi, incastrati tra loro dalle mani del Destino.
E adesso la catena si era spezzata.
Risaldarla sarebbe stato difficile e avrebbe richiesto tempo.
Ma, adesso, di tempo non ne avevano.

“Okay, l’idea è questa. Potremmo creare uno spazio privo di pressione, così da impedire l’implosione. La pressione esterna, infatti, non deve superare quella interna al corpo ormai quasi vuoto del mostro ed io ho degli strumenti che permettono questa magia, ma ci serve un recipiente prima di tutto. Suggerimenti?”
“La cella anti-Hulk sull’Helicarrier, Stark, possiamo utilizzare quella.”
“Ottimo, Banner.”
Thor alzò la mano.
“Amici, credo di non comprendere i vostri discorsi.”
“Lascia stare, Point Break, tu pensa a tener d’occhio la ragazzina paranormale. Evita che colpisca troppo forte Daskalos, intesi?”
Il dio annuì grevemente.
“E, piccolo cervo, tu vai con tuo fratello. Quello che sto per dire suonerà incredibile, ma mi fido di più del tuo cervello che dei suoi muscoli, vista la situazione fin troppo delicata.”

Il sorrisetto compiaciuto che nacque spontaneo sul viso di Loki colpì fortemente Thor.
Vedere il fratellino così a suo agio, quasi rilassato - avrebbe azzardato anche felice, se non si fossero trovati nel mezzo dell’Apocalisse - lo riempiva della speranza di riavere indietro il loro rapporto fatto di reciproca stima ed affetto.
Doveva ringraziare i suoi straordinari compagni per questo, poiché loro avevano permesso a Loki di riscattarsi, in un certo senso, lasciandogli la libertà di scegliere.
E Loki aveva scelto gli Avengers, quando avrebbe potuto schierarsi dalla parte del demone e avere più possibilità di sopravvivere.

“Ricapitolando. Io farò un salto alla Tower a prendere il pressurizzatore e nel mentre dirò a Fury di portare l’Helicarrier sopra il Brooklyn Bridge. Thor e Loki terranno a bada i due alieni fuori di testa. Banner, non fare niente finché non sarò tornato e Nat, tieni d’occhio questi idioti e aggiornami su eventuali sviluppi.”
Stark fece scattare verso l’alto la maschera dorata, così da poter guardare la squadra a viso scoperto.
“Per Rogers.”

E tutti annuirono, all’unisono.

“Quando tornerò, giuro che saranno guai per chi troverò morto, perciò impegnatevi a restare vivi.”

Ci fu qualche sorrisetto forzato, ma rassicurante.
Potevano farcela.

“Muoviamoci” incitò Iron Man, prima di partire come un razzo verso il cielo, nonostante sapesse che il volo sarebbe stato più complicato del previsto senza il propulsore della mano sinistra, strappatogli dall’oneiriana.

Ma non avrebbe tardato.



                                   ***



“Sto impazzendo.”

Clint non riusciva a credere ai suoi occhi, nonostante di cose strane ne avesse viste.
Era entrata dal portellone del velivolo, camminando con una grazia ed una leggerezza paragonabili solo al volo di una farfalla.
Quella che stava osservando camminare nella sua direzione era una donna. Una donna inumanamente bellissima, coperta da un leggero velo bianco che poco lasciava all’immaginazione. I capelli argentei, simili a fili di seta, arrivavano a carezzarle le fini caviglie. La candidità di quel volto delicato metteva in risalto il colore sanguigno degli occhi grandi ed intensi.
Se la donna era la signora Morte, allora passare a miglior vita non sarebbe stato poi tanto male.
Clint, però, era ancora troppo lucido per lasciarsi andare a simili fantasie, perciò si preparò al peggio, consapevole che difendersi sarebbe stata un’impresa ardua ora come ora. Senza contare il fatto che ignorava chi avesse davvero di fronte, anche se aveva da poco imparato a diffidare degli esseri dagli occhi rossi. 

“Sei qui per uccidermi?”

Domanda davvero stupida, Barton. Alcune volte faresti meglio a tenere la bocca chiusa, dannazione.

Osservò la creatura accovacciarsi davanti al suo naso e, per qualche strano ed indefinibile motivo, non si preoccupò di quella vicinanza.
“Vorresti morire?”
Quella era la voce più soave che le sue orecchie avessero mai sentito.
“Alcune volte lo vorrei, ma non oggi, grazie. Darei di tutto per poter tornare lì fuori e combattere ancora.”
Non capiva perché stesse confessando sentimenti tanto personali ad un’entità estranea sotto ogni punto di vista. Eppure, sapeva che era la cosa giusta da fare.
“E sia” fu la semplice risposta della donna, la quale avvolse con le piccole mani i polsi rotti dell’arciere.

Clint percepì un intenso calore propagarsi lungo le braccia, poi il dolore fu talmente forte da oscurargli la vista per lunghi ed interminabili secondi.
Quando si riprese abbastanza da distinguere i colori e le figure tutt’intorno, si rese conto di riuscire a muovere di nuovo i polsi.
Rimase con la bocca leggermente aperta e lo sguardo piantato sulle mani, che si muovevano compiendo piccole circonduzioni.

“Grazie.”

Al diavolo come avesse fatto a guarirlo completamente. La sola cosa importante era che avrebbe potuto tornare a combattere.

Ma prima …

“Non è che per caso sai anche resuscitare i morti?”
L’arciere posò lo sguardo sul corpo del Capitano e lo stomaco si contorse immediatamente, mentre gli occhi tornarono a pizzicargli.

Santo cielo, Barton, ti sei rammollito.

Ignorò la sterile battuta della sua coscienza, tornando a concentrarsi sulla creatura, la quale aveva riacquistato la posizione eretta.

“Veramente, io sono qui proprio per lui.”

Clint scattò in piedi, nonostante il dolore provato poco prima rischiò di farlo capitolare a terra, e afferrò per le spalle la donna, guidato da un impeto troppo intenso di emozioni travolgenti.
La creatura non si mosse e sorrise lievemente di fronte a una reazione tanto umana ed istintiva.

“Spiegati meglio, ti prego.”

Lei annuì.

“Non posso riportare in vita i morti.”
“Cosa vuoi fargli, allora?”
“Lui non è ancora morto.”
Clint scosse il capo, sentendo le sue speranze vanificarsi.
“Mi dispiace contraddirti, ma il cuore ha smesso di battere. È finita.”

La donna si scostò, scivolando via dalla presa dell’arciere ed avvicinandosi al corpo del giovane soldato. Si inginocchiò al suo fianco e con una mano andò a scostargli ciuffi di capelli biondi dalla fronte con estrema dolcezza.
Quel ragazzo risvegliava in lei il ricordo di Azael. L’aveva guardato lottare, cadere e rialzarsi innumerevoli volte, da quando Anthea era entrata in contatto con lui.


Chi era Aima, veramente?
Aima era stata l’amante del re di Oneiro e sarebbe divenuta regina, se il destino non avesse deciso di recidere la sua vita troppo presto.
Il corpo era morto a causa di una malattia incurabile, ma Azael non aveva voluto rinunciare a lei, perciò aveva chiesto ai Nani di porre l’anima dell’amata nella spada che avrebbero forgiato per lui.
In quel modo sarebbero rimasti comunque insieme, fianco a fianco.
Daskalos, però, aveva rovinato tutto, perché essendo a conoscenza della verità rinchiusa nel pregiato metallo della spada, non aveva esitato a rubarla per far soffrire Azael, dopo che il re aveva rifiutato di sottomettersi al suo volere.
Poi, quel demone schifoso, l’aveva forzatamente legata a sé.


Steve Rogers era così simile ad Azael. Entrambi sprezzanti della morte ed estranei a subdoli compromessi, pronti a tutto - anche a sacrificare sé stessi -, pur di fare la cosa giusta.
Aveva percepito sulla sua stessa pelle la morte del suo re ed aveva desiderato morire anche lei. L’unica cosa che l’aveva tenuta lontano dall’impazzire era stata Anthea, nella cui essenza poteva ancora sentire la presenza dell’amato, perché l’anima di Azael era rinchiusa in quel corpicino esile, partorito da quella donna di cui aveva desiderato prendere il posto.

E se non aveva potuto fare niente per salvare Azael, avrebbe fatto di tutto per evitare che Steve Rogers scomparisse per sempre.

“Il concetto di morte per voi umani è limitato. Si muore veramente solo quando l’anima si separa in modo definitivo dal corpo e il tempo affinché ciò avvenga dipende dalla volontà stessa del morente. Lui sta lottando per riemergere dall’oblio in cui Daskalos l’ha spinto e la sua anima non intende lasciare il proprio corpo, anche se, presto o tardi, sarà costretta a farlo.”
“Temo di non capire” sussurrò Clint, osservando la donna carezzare il volto del compagno caduto.
“Non te ne preoccupare. Ciò che ti serve sapere è che io sono in grado di aiutare l’anima del ragazzo a ricongiursi al corpo, prima che se ne separi per sempre. Ma ci sono dei rischi.”
“Quali?”
Era tutto così surreale.
“Durante il processo, il giovane patirà un dolore umanamente non sopportabile ed arriverà a desiderare la morte. Se non dovesse resistere fino alla fine, l’anima brucerà e di Steve Rogers non rimarrà nemmeno il ricordo. Allora, sei pronto ad affrontare questo rischio, Clint Barton?”

L’arciere boccheggiò con sguardo smarrito.
Poteva lui prendere una decisione tanto importante? Poteva decidere per Steve, rischiando di perderlo davvero per sempre?
I Vendicatori non avrebbero nemmeno potuto piangere la sua morte, se l’anima fosse bruciata.
Sarebbe stato come se Rogers non fosse mai esistito e ciò non poteva accettarlo.

“Il tempo scorre, Vendicatore. L’anima del ragazzo non potrà resistere ancora a lungo e devi sapere che solo lui sarà in grado di fermare Anthea. L’essere dagli occhi cremisi che ha preso possesso del corpo della giovane è costituito da istinti oscuri e bestiali, privi di ogni controllo morale e assetati di sangue. Ucciderà tutti coloro che abitano questo pianeta, per poi raggiungere altre popolazioni nell’universo. Non si fermerà, fino a quando non avrà estinto la vita nella sua interezza.”

Azael aveva scelto di donare il proprio seme alla razza umana, perché convinto che i sentimenti e l’innata morale dei midgardiani fossero catene sufficientemente robuste da imprigionare il mostro nascosto nell’inconscio che lui aveva liberato, perché aveva osato spingersi oltre ogni limite, durante quel viaggio che ogni oneiriano compiva nella propria psiche.
Alla sua creaturina, non solo aveva lasciato un tale oscuro fardello, ma anche un compito che, al momento giusto, si sarebbe a lei palesato.

“Avanti. Scegli.”
“Riportalo indietro.”

Due parole che avrebbero cambiato il corso degli eventi, indistintamente da come sarebbe andata a finire.
O avrebbero riavuto Steve, o l’avrebbero perso per sempre, assieme al suo ricordo.
Barton non si sentiva degno di prendere una tale decisione, ma l’infame corso degli eventi aveva voluto che fosse proprio lui a farsi carico di una tale responsabilità.
Se Clint aveva deciso di rischiare, però, c’era una sola ed unica motivazione, una motivazione che non aveva niente a che fare con mostri, stragi o versamenti di sangue.

Clint Barton aveva scelto di rischiare perché si fidava completamente, intimamente e ciecamente di Steve Rogers e Steve Rogers sarebbe tornato da loro.

“Così sia, giovane umano.”



                                                         ***



La terra stava tremando.
Daskalos non era più convito di poter fermare quella Furia in qualche modo. Forse nemmeno ridurre quel misero pianeta in polvere sarebbe servito, ma ormai non poteva tornare indietro.
La Furia rideva, rideva forte e sguaiatamente, perché si sentiva onnipotente.
Poteva controllare ogni cosa e dare sfogo ad un potere rimasto assopito per troppo tempo.

La terra tremava ancora e i due asgardiani non sapevano cosa doversi aspettare. Erano a più o meno dieci metri dai due alieni, pronti ad intervenire se ce ne fosse stato bisogno, cosa altamente probabile.
Ed infatti si ritrovarono a trattenere in respiro, di fronte all’impetuoso materializzarsi di un’immensa colonna di magma proveniente dalle viscere della terra. Essa aveva perforato il ponte, a pochi passi dall’impassibile oneiriana, e possedeva le sembianze di un gigantesco zampillo incandescente i cui spruzzi scioglievano qualunque cosa toccassero.
Il ponte sarebbe crollato in poco tempo e tutti coloro che si trovavano lì sopra sarebbero caduti nella pozza di magma sottostante.
Se Daskalos cadeva nel fluido incandescente, addio materia che impediva l’implosione.

“Coprimi le spalle.”
“Loki, cosa-”
“Non c’è tempo. Fallo e basta.”

La pelle di Loki mutò improvvisamente, assumendo sfumature bluastre sempre più intese, mentre gli occhi diventavano di un rosso brillante.
Lo Jotun lasciò che la sua vera natura emergesse in tutta la sua maestosità e percepì scorrere nelle vene un potere tanto nuovo quanto familiare.
Il gigante di ghiaccio scattò verso la colonna di magma e non poté fare a meno di pensare che in quella forma si sentiva più forte.
Con la coda dell’occhio, osservò Thor scagliarsi contro la piccola Furia. Da quel momento sapeva di avere poco tempo, prima di veder crollare il ponte e il fratello.
Arrivò ai piedi dell’incandescente zampillo e pose le mani a terra, poco lontano dall’inizio del fusto di magma. I palmi gli bruciavano, ma ignorò il dolore e si concentrò, iniziando a dare vita ad un letto di ghiaccio che presto risalì lungo la colonna bollente.
La temperatura delle lastre ghiacciate sfiorava lo zero assoluto - non che Loki sapesse qualcosa sulla scala delle Temperature Assolute, ma non era tanto stupido da pensare che del semplice ghiaccio potesse fermare il magma.

Daskalos, intanto, sembrava non volersi muovere. Da causa della battaglia che si stava combattendo, era divenuto adesso semplice spettatore.
Aveva deciso semplicemente di attendere la fine, stufo di lottare per la realizzazione di un sogno ormai andato in frantumi.

Il fragore di tuoni infranse l’aria e la terra tremò ancora.
Il ghiaccio si arrampicò sulla colonna e, allo stesso tempo, scese verso il punto da cui essa era fuoriuscita, solidificando anche il magma sparso nell’East River.
Finita l’opera, Loki osservò compiaciuto la grottesca torre rossastra che si innalzava imperiosa verso il cielo.

Sfortunatamente, il momento di gloria durò poco, perché la Furia non prese molto bene il fatto di essere stata interrotta, di nuovo.
Thor fu travolto dalla rabbia dell’oneiriana, la quale fece ricorso all’arma più pericolosa che possedesse, la mente.
Nessuno poteva sfuggire al suo volere, nessuno poteva opporsi a quella forza invisibile che si insinuava silenziosamente sotto la pelle della vittima, trasformandola in una bambola indifesa.

Il dio del tuono percepì i muscoli bloccarsi improvvisamente, mentre il respiro si faceva pesante ed affannoso.
La Furia si avvicinò a lui con passo spedito ed in volto aveva un sorriso storto, sadico.
Provò e riprovò a rompere quel sortilegio, ma il corpo non rispondeva ai suoi comandi. Le gambe vennero costrette a piegarsi in avanti, così Thor si ritrovò in ginocchio, con lo sguardo rivolto ai piedi della creatura dagli occhi cremisi.

“Sono stufa di avervi intorno. E tu, credevi davvero di potermi sorprendere così facilmente?”

La seconda domanda l’aveva rivolta a Loki, che si trovava dietro di lei ed aveva stretto in mano uno spuntone di ghiaccio. Anche lo Jotun aveva perso la capacità di controllare il proprio corpo e ringhiò sommessamente nell’osservare l’acuminata punta di ghiaccio immobile a pochi centimetri dalla schiena della ragazzina. Per quanto ci stesse provando, non riusciva comunque a completare l’affondo.

Il controllo psichico della piccola Furia era indistruttibile.

“Tu sarai il primo.”
Sorrise serafica, notando il volto del dio biondo perdere colore.
Un istante dopo, Thor stava soffocando, strangolato da mani invisibili.

“Fermati subito!”
“Non temere, sarai il prossimo.”

La disperazione attanagliò lo stomaco di Loki, mentre osservava impotente la fine di Thor.


Thor le sorrise. Un sorriso sincero, che sapeva di sicurezza.
“Concentrati sul presente, prima che diventi passato, o ti volterai indietro esternando rimpianto. Lascia scivolare via questi tuoi pensieri ostici e vivi.”
Anthea sbatté ripetutamente le palpebre, confusa, ma subito dopo lasciò che quelle parole le sgombrassero la mente e in un impeto di gioia abbracciò Thor, sussurrandogli un “Grazie” carico di luminosi sentimenti.



“Non posso” fu il lieve sussurro che lasciò le labbra dell’oneiriana, scossa da un ricordo che pareva distante anni luce.
Thor sentì l’aria invadergli i polmoni con violenza e tossì ripetutamente.
“Non può essere. Lei doveva annullarsi.”
C’era panico in quegli occhi cremisi, ora leggermente vacui.
Possibile che la parte umana fosse sopravvissuta al trauma? Possibile che stesse lottando per riemergere?
La Furia gridò forte, generando un’onda d’urto dal proprio corpo.

I due asgardiani vennero spazzati via.
Bruce e Natasha, nonostante si trovassero parecchio distanti, dovettero afferrare il corrimano del ponte per rimanere con i piedi per terra.

Infine, l’oneiriana rimase immobile, con lo sguardo perso, impegnata a reprimere quella malattia che era l’umanità.



                                           ***



“Preferivo il terremoto a questo silenzio.”
Clint non aveva idea di cosa stesse accadendo al di fuori del jet. Non aveva trovato la forza di lasciare Rogers da solo con la donna.
Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio.
La bellissima creatura era ancora in ginocchio, al fianco del Capitano, e stava premendo con forza le mani sul suo petto nudo e freddo.
Barton era quasi sicuro di aver visto la pelle di Steve riacquistare un po’ di colore.
Improvvisamente la donna si voltò a guardarlo.
“Prima che vada avanti, ho bisogno di qualcosa per tenerlo fermo. Se le mie mani si staccassero dalla sua pelle, il processo si interromperebbe e dovrei ricominciare, rischiando di indebolire la sua anima ulteriormente.”

L’arciere evitò di sputare fuori il fatto che i morti non potevano muoversi, limitandosi ad annuire.
“Non sarà facile. È molto forte.”
Clint si guardò intorno e infine il suo sguardo cadde su un paio di manette abbandonate a terra. Le riconobbe: erano quelle che avevano usato per Wade e ricordò che Stark, prima che partissero quella stessa mattina, gli aveva assicurato che erano a prova di super soldato e che quindi il prigioniero non avrebbe potuto liberarsi in alcun modo. I due anelli erano estremamente robusti e direttamente collegati tra loro tramite un pezzo rettangolare doppio almeno dieci centimetri e con sopra un pulsante verde.

“Hanno anche un sistema magnetico e per attivarlo basta che premi questo pulsante. Sono un genio, Legolas.”

Le raccolse da terra e andò a chiuderle intorno ai polsi di Rogers. Schiacciò il pulsante e le manette si ancorarono letteralmente al pavimento metallico del velivolo, sopra la testa del biondo.
Provò più volte a tirarle su, ma dovette rinunciarci presto, dato che non riusciva a smuoverle nemmeno di un millimetro.
La donna si sedette a cavalcioni sul bacino del giovane, mantenendo le mani attaccate al suo petto.
Barton, intanto, aveva preso una delle sue frecce-cavo dalla faretra ancora sulla schiena e l’aveva usata per legare le gambe del soldato, all’altezza delle ginocchia. Andò a raccattare l’arco che Thor aveva gentilmente gettato in un angolo quando l’aveva portato lì, incoccò la freccia-cavo e la fece piantare nella parete alle spalle della creatura, parallelamente ai piedi di Rogers.
Il cavo - abbastanza resistente secondo le sue previsioni, dato che sosteneva il suo peso quando si lanciava da grattacieli in procinto di crollare - si tese abbastanza da impedire al Capitano movimenti troppo ampi e bruschi con le gambe ed il bacino.
Per precauzione, l’arciere si posizionò dietro la donna, seduto sulle gambe del biondo.

“Possiamo cominciare.”

Quando la creatura prese a sussurrare parole incomprensibili, Clint percepì i quadricipiti del super soldato tendersi di colpo.
“Cristo, non posso crederci.”
Sentì chiaramente Steve gemere sommessamente, ma presto quei gemiti si trasformarono in grida spaventosamente atroci, accompagnate da scosse sempre più violente di un corpo in cui il sangue stava riprendendo a scorrere.

“Andiamo, Steve, puoi farcela. Abbiamo bisogno di te, mi hai capito? Non mollarci adesso, ragazzino.”

Gli occhi di Rogers si spalancarono ed erano dannatamente vitrei. Il suo corpo si stava contorcendo all’inverosimile e lottava contro le restrizioni dei polsi e delle gambe, desideroso di sottrarsi a quella tortura.
La donna continuò il rito, imperterrita, ignorando l’inarcarsi disperato del bacino del ragazzo.

E il tempo scorreva. E Steve non era ancora tornato.



                                        ***



Qualcosa lo stava strappando via dal grigio limbo in cui si era ritrovato.
Metà del corpo era affondato in una pozza oscura, nata improvvisamente sotto i suoi piedi e decisa a trascinarlo nel fondo di chissà cosa.
Non sentiva freddo o caldo, non sentiva né sofferenza né piacere, era insensibile ed apatico.
La consapevolezza di essere morto era quindi diventata quasi totale, ma poi quel qualcosa aveva sfumato tale cognizione e lo stava tirando verso una sorgente luminosa che non aveva minimamente notato.
O forse quella luce non c’era mai stata, prima.
Come la potenza di un uragano, le sensazioni lo investirono e subito dopo si accorse di percepire di nuovo il proprio corpo.

Forse non è finita.

Si pentì di aver formulato un tale pensiero, quando arrivò il Dolore.
Mai, fino a quel momento, aveva provato qualcosa di anche lontanamente simile.
Immagini sfocate e prive di connotazione spaziale e temporale si alternarono davanti ai suoi occhi, mentre il corpo sembrava andare in fiamme.
Si accorse con orrore di essere bloccato. Non poteva muoversi.
Le grida vennero fuori spontanee e lacrime involontarie gli rigarono le guance.

Gli parve di vedere il volto di una donna dagli occhi vermigli e di sentire una voce lontana pronunciare il suo nome, ma pensare o riflettere non era possibile.

Faceva male. Troppo male.
Qualcuno doveva avergli conficcato tanti aghi nel petto, fino a raggiungere il cuore.
Faceva male. Troppo male.
Stava bruciando, dentro e fuori. Poteva sentire il sangue scorrere nelle arterie e nelle vene.

Faceva male. Voleva che la smettessero di fargli tanto male.

E la mente urlava BastaBastaBasta.
E il corpo urlava BastaBastaBasta.
E la voce gridava BastaBastaBasta.


“Andiamo, Steve, puoi farcela. Abbiamo bisogno di te, mi hai capito? Non mollarci adesso, ragazzino.”


Clint! Ragazzi! Aiutatemi, ve ne prego!
BastaBastaBasta!



Ma il cuore sussurrava Combatti.



                                     ***



“Si sta arrendendo! Lo perderò!”

La donna sembrava essere nel panico, mentre pigiava con intensità i palmi nel punto in cui era percepibile un lieve battito.
Steve aveva smesso di gridare e gli occhi erano tornati a nascondersi sotto le palpebre.
Si contorceva ancora, ma debolmente.

Barton scattò in piedi e si accovacciò vicino le spalle del giovane Capitano. Prese quel volto pallido tra le mani e lo sollevò un poco da terra.

“Dannazione, Rogers, torna indietro. Vecchio Idiota Testardo vedi di tornare tra i vivi o prenderò seri provvedimenti!”

Niente.

“Capitano!”

“Rogers!”

“Steve.”



“Farò finta di non aver sentito il Vecchio Idiota Testardo, Barton.”

Clint rimase per un attimo a bocca aperta, con gli occhi fissi in quelli cerulei di uno Steve Rogers pallido ed appena resuscitato.

“Sei in ritardo, Idiota.”
“Scusa. Mi ero perso.”

La voce del biondo era rauca e debole.
L’arciere decise di non entrare nell’argomento morte e resurrezione.
Forse ci avrebbero riso su, un giorno, se mai fossero sopravvissuti.

“Pronto a ricominciare, Rogers?”
“Volevi farti un pisolino?”

Barton sorrise e si rialzò in piedi, notando solo allora che la misteriosa donna era scomparsa.

“Clint.”
“Sì?”
“Potresti gentilmente liberarmi?”



                                                 ***



“Stark, mi ricevi? Quel mostro sta brillando in modo preoccupante.”

“Sto tornando, Romanoff. Scusa, ma ho avuto bisogno di cambiare l’armatura.”

“Fortunatamente i due mostri si sono presi una pausa. Forse il pianeta non esploderà in questo stesso momento, ma tu cerca di sbrigarti. Sai, la prevedibilità è andata a farsi fottere da un bel po’, ormai.”


Non molto tempo dopo, Natasha e Bruce avvistarono Iron Man volare velocissimo nella loro direzione. L’armatura atterrò davanti ai loro occhi, lucente ed illesa.
“Papà Fury in arrivo.”

Perfettamente udibile era il fragore degli enormi motori dell’Helicarrier, un puntino sopra le loro teste.

Tony si mise in contatto con Fury.
“Nick, sgancia il carico.”
La voce imperiosa del direttore non si fece attendere nemmeno per un secondo.
“Sei forse impazzito, Stark? Se la cella si schiantasse al suolo da questa altezza, andrebbe in pezzi.”
“Non agitarti. Abbiamo un buon ricevitore che prenderà al volo il contenitore. Sgancia.”
Tony immaginò Nick Fury lanciare maledizioni a destra e manca e sbuffare frustrato.
“Dieci secondi al lancio, Stark. E mettimi in contatto con il Capitano Rogers.”

Stark interruppe la comunicazione.

“Banner, arriva il carico. Sveglia il ragazzone.”

Non servì dire altro che Hulk era già lì, con i muscoli pulsanti e tesi. Il gigante si proiettò nel cielo con un salto, andando in contro alla cella di vetro in caduta libera. Una volta raggiunto il carico, pose le grandi mani sotto di esso.
Poi la gravità fece il resto, riportandolo con i piedi sul ponte. Nel punto di atterraggio si creò un piccolo cratere.
Hulk teneva la cella sollevata sopra la testa come se niente fosse e riuscì anche a poggiarla a terra delicatamente - per i suoi standard, si intende.

Iron Man applicò sulla superficie vitrea del contenitore lo speciale pressurizzatore.
“Pronto. Bisogna solo prendere il demone e sbatterlo qui dentro. Volontari?”
Natasha scosse il capo, in segno di pura rassegnazione.
“Muovi il culo, Stark. Più saremo e più possibilità avremo. Dovresti prendere esempio dal ragazzone verde.”
La donna indicò un punto molto più avanti, rispetto alla loro effettiva posizione.

Hulk si era già messo all’opera.



                                               ***



“Loki, qualcosa di rotto?”
Thor aiutò il moro a rimettersi in piedi, constatando che fortunatamente aveva solo ferite superficiali.
La pelle di uno Jotun era davvero dura, oltre che fredda.

L’onda d’urto generata dalla piccola Furia aveva regalato ai due asgardiani un volo di almeno cinquecento metri, terminato contro il duro asfalto del Brooklyn Bridge.

“Smettila di preoccuparti per me e preoccupati per ciò che accadrà se non fermiamo quella pazza maniaca della distruzione. Fortunatamente, sembra essere crollata in una specie di sonno ad occhi aperti.”
La pelle di Loki stava tornando ad assumere il solito pallore. Aveva usato troppa energia per bloccare il magma, perciò non poteva permettersi di mantenere la forma da gigante di ghiaccio.
A sua discolpa, poteva affermare che Thor non era messo meglio di lui, anzi, sembrava davvero sfinito, nonostante cercasse di nasconderlo.

“Dimenticavo di dirti che l’idiota di metallo si sta destreggiando in una specie di malsana danza per attirare la nostra attenzione.”

Il dio del tuono individuò l’Uomo di Metallo, sorridendo nel vederlo sbracciarsi e chiedendosi per quale motivo non li avesse semplicemente raggiunti, data la velocità di cui era dotata l’armatura.

Stranezze.

“Raggiungiamolo” asserì il biondo, prendendo un bel respiro profondo.



                                               ***



“Siamo tutti riuniti qui oggi per-”
“Dacci un taglio, Stark.”

Tony sbuffò dietro la facciata dell’armatura, sorridendo suo malgrado per essere stato rimproverato dalla Romanoff già troppe volte.

“Okay, questo è il piano. Approfittiamo del momentaneo coma dei due alieni, prendiamo il demone, mettiamolo nella cella e poi pensiamo alla ragazza paranormale.”
“Questo è davvero un piano di merda, Stark. Dal tuo genio mi aspettavo qualcosa di più.”
Il miliardario alzò le mani.
“Romanoff, dovresti sapere che il mio piano di attacco è attacco. Quello bravo nelle strategie complicate è … era ... dannazione! Muoviamoci.”

E nessuno aggiunse altro.
Nemmeno Hulk.



Sfortunatamente, nonostante l’oneiriana non mosse nemmeno un muscolo - ancora persa nell’oscurità del suo subconscio -, Daskalos decise di opporre un’irremovibile resistenza, così i Vendicatori si ritrovarono a dover dar fondo a tutte le risorse in loro possesso per sbattere quel bastardo in gattabuia.

La difficoltà stava nel fatto di non poter colpire l’avversario con qualsiasi cosa avesse accelerato il processo di implosione. Niente laser, fulmini o esplosivi vari.
Dovevano limitarsi a trascinarlo nella cella, ma per ironia della sorte non potevano toccarlo, poiché quel corpo, essendo fatto di pura energia, avrebbe sciolto loro la pelle o, nel peggiore dei casi, li avrebbe polverizzati, soprattutto adesso che luccicava come un albero di Natale, segno che aveva raggiunto la massima intensità e concentrazione di potere.
Dal corpo di Daskalos cominciarono a fuoriuscire raggi luminosi, che vennero sparati in tutte le direzioni.
I Vendicatori li evitarono, muovendosi con disorganizzata sincronia. Riuscirono ad accerchiare il Padrone, il quale reagì intensificando la pioggia di raggi.
Uno di essi si abbatté contro il largo petto di Hulk e gli bruciò la pelle a sangue. Il gigante emise un verso addolorato, ma continuò a muoversi ostinatamente in direzione del nemico.

Il diametro del cerchio che la squadra stava formando intorno al Padrone contava adesso una ventina di metri.

“Ascoltatemi!”
La voce metallica di Iron Man, fortemente amplificata da qualche aggeggio nell’armatura, fece tendere le orecchie ai combattenti.

“Ho un’idea che ci permetterà di toccare il mostro, ma avremo circa dieci secondi di immunità. Loki, avrò bisogno della bassa temperatura, mentre Thor e Hulk, voi porterete il bastardo nella cella, chiaro?”

La domanda era puramente retorica, perché Tony non aspettò alcuna risposta per dare il via all’operazione.
“JARVIS, sai cosa fare.”
L’armatura si separò dal corpo di Stark e colse il demone del tutto impreparato, quando lo imprigionò al suo interno.
Loki raggiunse Daskalos e, con le poche energie a disposizione, congelò l’armatura, che aveva già cominciato a sciogliersi come gelato al sole.

Dieci secondi.

Hulk prese il demone con entrambe le mani e lo lanciò verso il contenitore in vetro.
Thor roteò Mjolnir e partì come un razzo, intercettando ed afferrando il pacco al volo a pochi metri dalla cella, lasciata preventivamente aperta dalla Romanoff.
Il dio spinse il demone - momentaneamente immobilizzato - all’interno del contenitore, che si chiuse automaticamente - modifica veloce firmata Stark.

Tre secondi dopo, dell’armatura nuova di Tony non rimase altro che cenere.

La squadra si riunì davanti la cella, pronta per qualsiasi evenienza.
Avevano smesso da tempo, ormai, di dare tutto per scontato e la stessa evidenza era considerata probabile portatrice di inganni e menzogne.
Hulk era tornato Banner e Stark si ritrovava privo di difese.

“Pensate che reggerà?” domandò la Vedova, osservando il demone battere violentemente i pugni sulla superficie vitrea.
Loki accennò un sorrisetto, scuotendo il capo.
“Puoi tranquillizzarti, donna. Daskalos ha perduto molta della sua forza a causa della nuova forma assunta dal corpo. Non riuscirà ad uscire.”

“Vi ucciderò tutti e ridurrò questo maledetto pianeta in polvere, è una promessa” minacciava il Padrone, furioso per essere stato giocato in quel modo da esseri inferiori.


Il rumore di tanti passi coordinati fece sbuffare stancamente Stark.
“Arriva la cavalleria.”
Un manipolo di agenti SHIELD, guidato dallo stesso Fury, raggiunse la squadra a passo di carica.

“Bisogna neutralizzare anche l’altra minaccia, adesso che è vulnerabile.”
“Nick, lascia finire a noi il lavoro.”
Gli occhi di Natasha si piantarono in quelli del direttore, con assoluta fermezza.
“Penso di avervi lasciato già abbastanza spazio per agire. Sapete, Coulson sta ancora aspettando l’arrivo della ragazzina alla base sicura e voi, miei cari, avete rischiato di far saltare in aria il pianeta. Credevate di poterla controllare?”

“Credevamo di poterla proteggere, come lei ha protetto noi.”
Tutti gli sguardi saettarono sulla figura possente di Thor, i cui muscoli tesi evidenziavano l’adrenalina che ancora gli scorreva nelle vene.

Fury, però, non si scompose e delineò in modo chiaro e preciso quelli che erano gli ordini di enti che sedevano ad un scrivania più importante della sua.
“Vogliono vederla morta e, questa volta, sono d’accordo anche io.”
Fece segno ai suoi uomini di mettere la parola fine a quel circolo di morte e distruzione e quelli obbedirono, dirigendosi verso l’inerme obiettivo.
“Aspetta!” ringhiò Tony.
Thor avrebbe attaccato gli agenti, se la Romanoff non l’avesse afferrato per un polso, sussurrandogli di stare calmo.
“Non questa volta, Stark. E vorrei gentilmente sapere dove diavolo sono finiti Barton e Rogers.”
“Dove diavolo sono Barton e Rogers, dici? - la rabbia traspariva da ogni parola che il miliardario pronunciava - Il primo è momentaneamente fuori uso, mentre il super soldato che lo SHIELD si diverte ad usare come straccio per pulire lo schifo in cui si ritrova ad affondare, beh lui è …”



Grida atroci reclamarono disperatamente l’attenzione.
Terribile fu ascoltare la macabra sinfonia delle ossa che si spezzano e si frantumano, mentre uno ad uno, gli agenti si afflosciavano a terra, morti.
La Furia era ancora immobile.
L’ultimo sopravvissuto stava piangendo e pregando, ma lei non conosceva la pietà o la compassione.
Sorrise serafica e, un istante dopo, l’uomo era piegato in due, con la nuca a toccare i talloni. La colonna vertebrale si era appena spezzata come un ramoscello secco.

La creatura dagli occhi cremisi prese a camminare in direzione dei Vendicatori e il ghigno sadico sul suo viso era una condanna a morte.

“Penso che tu l’abbia fatta incazzare, Nick” asserì Stark, sentendo le ginocchia tremare ed il sangue gelare nelle vene.

Natasha si fece avanti, caparbia ma palesemente tesa.
“Anthea, non farlo, ti prego.”


“Penso che siate la squadra più strana del mondo. Siete unici. Vi stimo troppo, davvero.”
Rogers ridacchiò.
“Non riferirò a nessuno quello che hai appena detto, o si monteranno la testa, soprattutto Stark e Barton. Anche Thor, a dirla tutta. Ma grazie per le tue parole.”



“Smettetela di entrarmi nella testa” ringhiò la Furia, a un passo dalla Vedova.
Thor affiancò la rossa e fronteggiò l’oneiriana a testa alta.
“Ascolta il tuo cuore, giovane guerriera, non rinnegare quello che senti. Avrai il nostro aiuto, è una promessa, ma torna ad essere te stessa.”

La Furia abbassò il capo e le spalle presero a tremarle.
Rise, rise istericamente, perché quegli esseri erano pazzi e senza speranza se credevano avesse bisogno del loro aiuto.
Alzò lo sguardo ed osservò una ad una le sue prossime vittime, godendo della paura perfettamente visibile suoi loro volti sporchi e stanchi.

“Chi vuole essere il primo?”

Negli occhi della creatura c’era Follia.
La Sete di Sangue annebbiava la sua mente e sopprimeva le urla di un cuore in agonia.

Tutto era silenzio.

“Bene, sceglierò io.”
Sollevò l’indice destro e lo portò davanti al volto, assumendo un’aria pensierosa.

Fury percepì il sudore freddo imperlargli la fronte.
Loki decise di rassegnarsi all’idea di dover morire proprio quel giorno, intimamente felice di aver combattuto fino all’apice delle proprie possibilità.
I Vendicatori, invece, sembravano essersi del tutto esauriti, come se il male provato in quegli ultimi giorni stesse riscuotendo il conto dovuto.
Non avevano la forza di combattere ancora e nonostante la morte non fosse la prospettiva a cui auspicavano - soprattutto dopo aver lottato così tanto per rimanere vivi -, decisero di accettarla, consapevoli, però, di aver dato tutto ciò che possedevano nel corpo e nella mente, nella speranza di salvare e proteggere.
Ma, evidentemente, non erano abbastanza.

L’indice della Furia calò allo stesso modo di una mortale ghigliottina e Tony Stark provò l’irrefrenabile voglia di piangere.
In quel momento, avrebbe dato di tutto per rivedere anche solo per l’ultima volta il bellissimo viso di Pepper.
Scusami tesoro, ma non tornerò per cena.

“Non lo farai!” gridò Thor, stringendo forte l’impugnatura di Mjolnir.
“E chi mi fermerà, se nessuno potrà muoversi?”
Ancora una volta, il potere psichico assunse il controllo dei corpi delle vittime, immobilizzandole.

Tony sentì il terreno venirgli a mancare sotto i piedi, mentre una forza invisibile lo strascinava verso la Furia e verso la morte.
Si ritrovò a fissarla negli occhi, pregando che facesse in fretta: una cosa veloce e indolore.
“Vuoi che ti spezzi il collo, oppure preferisci che chiuda tutte le vie respiratorie? Mi sento estremamente buona, quindi ti offrirò una terza opzione.”
“Mi lasci vivere?”
Lei rise, divertita.
“No, ti strappo il cuore dal petto.”
“Posso pensarci un attimo? Sai, non è una scelta molto facile.”

“Ti prego, fermati!”
A Bruce tremava la voce. Hulk era bloccato, ma lo sentiva ruggire disperatamente dentro di sé.

La Furia ignorò tutte le suppliche che le vennero rivolte.
“Andiamo, umano, non ho tempo da perdere. Scegli.”
“Non farlo, Anthea” furono le parole di Tony, i cui occhi erano divenuti lucidi.
“Non sono Anthea!” sbottò la creatura e l’aria intorno a lei vibrò pericolosamente.

“Non vuoi darmi una risposta? Bene, sceglierò io come ucciderti, allora.”

Stark la vide avvicinare una mano al suo petto, verso il cuore.
Chiuse gli occhi.


Un oggetto circolare stranamente familiare colpì l’oneiriana su una tempia e la fece crollare a terra.
Forse la potenza impressa in quel colpo, unita al suo inaspettato arrivo, avevano avuto l’effetto desiderato, ovvero stordire la Furia per un po’ - ad un uomo normale, un colpo del genere gli avrebbe disintegrato il cranio.

Tony cadde a terra, sulle ginocchia, e dovette fare appello a tutta la forza di volontà rimastagli in corpo per ricacciare indietro i conati di vomito dovuti al terrore provato.
Lo sguardo gli cadde sull’oggetto che gli aveva appena salvato la vita ed il respiro gli venne a mancare.

Era proprio quello Scudo.

Le braccia forti di Thor lo sollevarono e lo sostennero per le spalle.
Tutti stavano guardando nella stessa identica direzione, con in viso un’espressione sconcertata, incredula e chissà cos’altro - tranne Fury, all’oscuro di ciò che era accaduto veramente.
Poco dopo, anche Tony ebbe il coraggio di guardare.



“Rogers, figlio di puttana.”
“Anche io sono felice di rivederti, Stark.”

Steve Rogers era lì, era vivo e sorrideva.

E c’era anche Clint - in quasi perfetta forma -, che si premurò di bloccare l’entusiasmo, perché non era ancora finita.
“Non per fare il guastafeste, ma la ragazzina si sta riprendendo e sarà molto incazzata.”

“Lasciate fare a me e non intervenite, per favore.”
“Scordatelo! Non ti lasceremo suicidarti, adesso che sei …”
La Romanoff afferrò Rogers per le spalle, guardandolo con occhi di fuoco.
“Andrà bene, Nat, fidati di me.”
Il giovane barcollò sensibilmente, ma ciò non sfuggì allo sguardo attento della rossa.
“Non ti reggi nemmeno in piedi, Steve.”

Barton si affiancò alla Vedova e le poggiò una mano sulla spalla. Le sorrise dolcemente.
“Lascialo andare. Lui è l’unico che può fermare Anthea, adesso.”
Quelle erano state le parole della donna misteriosa e Clint ci credeva fermamente, soprattutto dopo che quella aveva riportato il Capitano nel mondo dei vivi.



“Chi ha osato?”

Ogni possibilità di discussione o negoziazione andò a farsi fottere, quando Capitan Sono-un-genio-nel-farmi-ammazzare America gridò a gran voce che era stato lui, ad osare.

E la Furia, in un battito di ciglia, era già da lui, con una mano stretta attorno alla sua gola.
“Fermi” riuscì a dire Rogers.

I Vendicatori si bloccarono all’unisono.
Forse, si fidavano davvero troppo di quell’Idiota.
Loki li imitò, meravigliandosi nel constatare che lo stesso Thor, nonostante fosse palesemente contrario, avesse deciso di dare ascolto al giovane Capitano.

Adesso, c’erano solo Steve e Anthea.



                                       ***




Le sarebbe bastato esercitare più pressione sul quel debole collo, per vederlo soffocare una volta per tutte.
Eppure non ci riusciva, non riusciva ad ucciderlo.
Nemmeno il sangue che le stava fuoriuscendo dalla tempia lesa era un motivo sufficientemente valido per porre fine alla vita che stava stringendo in una singola mano.
Le dita lasciavano che un filo di aria arrivasse ai polmoni e l’umano respirava piano, senza agitarsi o cercare di scappare.
Quegli occhi chiarissimi sembravano leggerle l’anima e ciò la innervosiva, ma non riusciva a smettere di pensare che quelli fossero gli occhi più belli che avesse visto.
Era pallido e poteva ancora avvertire il gelo della morte giacente su di lui.

Il mio strumento. O era qualcosa di più?

La Follia aveva sbiadito i ricordi umani, rafforzando quegli istinti oscuri che ora le controllavano la mente ed il corpo.

“Sei bellissima” riuscì a sussurrare il giovane, non distogliendo mai lo sguardo dagli occhi di lei.


Adesso erano pelle contro pelle. Non c’erano impedimenti fra loro.
Esplorarono l’una il corpo dell’altro, muovendosi in perfetta armonia, e lasciarono che l’istinto li dominasse.



Quelle immagini la fecero vacillare, tanto da indurla a lasciar andare il ragazzo, il quale poté tornare a respirare normalmente.

Steve mise le mani sulle spalle della giovane e la costrinse a guardarlo in viso.
“Torna da me, Anthea, ti prego.”
L’abbracciò d’istinto, sentendola irrigidirsi.

Era così caldo.
Desiderò rimanere imprigionata in quelle forti braccia per sempre.



No!


Lo spinse via con violenza, sbattendolo a terra. Si posizionò su di lui e poggiò il ginocchio destro sul suo plesso solare, in modo da bloccarlo al suolo.
Una mano si insinuò nei corti capelli biondi e li strinse con forza, facendolo gemere sommessamente.

“Anthea, so che sei lì, da qualche parte. Mi dispiace averti abbandonata, prima. Ma adesso sono qui e ti prometto che non ti lascerò più sola. Supereremo tutto questo, insieme.”

La osservò spalancare gli occhi e la presa sui suoi capelli si ammorbidì appena.

“Io devo ucciderti. Stai manipolando la mia mente, vuoi distruggermi.”
“Voglio salvarti.”
“Stai mentendo.”

E le dita affusolate della Furia tornarono a premere contro il collo di un Rogers sfinito, ma non disposto ad arrendersi.

“Il mio posto è al tuo fianco, Anthea” sussurrò con voce spezzata.


“Sei un vero disastro. Ti lascio solo un attimo e guarda come ti ritrovo.”
“Non dovresti essere qui.”
“Il mio posto è al tuo fianco, Steve.”



“Smettila!”
La testa sembrava volerle scoppiare.
L’oneiriana si portò le mani alle tempie, gridando a causa delle fitte al cervello.


Steve!
“Io lo proteggerò a costo della vita.”
“Puoi proteggerlo dagli altri, Anthea, ma chi lo salverà da te?”



Troppe parole bisbigliavano nelle sue orecchie, pretendendo di essere ascoltate.
Troppe immagini le offuscavano la vista.
La mente ed il corpo le ordinavano di ucciderlo.
Il cuore la pregava di ricordare chi fosse davvero.


“Steve.”
“Si?”
“Io credo di …”



“Amarti.”


Fu un lieve sussurro, ma Steve lo sentì perfettamente.

Il cremisi che aveva preso possesso delle iridi si dissolse.
Rogers contemplò quegli occhi grandi e bui, che aveva imparato a conoscere e ad amare.

“Anthea?”
La ragazza sorrise ed il suo era un sorriso bellissimo.
“Sei un vero disastro. Ti lascio solo un attimo e guarda come ti ritrovo.”
Lo aiutò a rimettersi in piedi e lo sostenne, circondandogli la vita con un braccio.



Gli occhi dei presenti erano tutti puntati su di loro e Anthea si sentì a disagio, soprattutto dopo ciò che aveva fatto.

Fu Tony, come al solito, a rompere il ghiaccio.
“La gemella cattiva?”
“Lei è di nuovo rinchiusa nel mio inconscio. Ma è giusto che sappiate che io non sono più quella di prima.”
“Cosa intendi?” chiese Steve, rivolgendole uno sguardo preoccupato.
Lei sorrise per rassicurarlo.

“Adesso so chi sono. Conosco ciò che accadde al mio popolo e quale fu il destino dei miei genitori. L’anima di mio padre si è fusa con la mia e sono finalmente completa, nonostante l’Altra proverà ancora a prendere il controllo.”
Fece una piccola pausa.
“Mi dispiace di avervi ferito. Se deciderete di rinchiudermi da qualche parte o vorrete uccidermi, io lo capirò ed accetterò la decisione che prenderete. Ma prima …”

Anthea allungò la mano libera e, un istante dopo, Aima era nel suo palmo.
Sussurrò un grazie alla donna amata da Azael, perché sapeva che era merito suo se Steve era vivo, e strinse con orgoglio l’elsa di quella candida spada.

“Devo concludere ciò che avevo iniziato.”

Affidò Rogers a Thor, che le lanciò un sorriso confortante.
“Tienilo stretto, Thor.”




Gli avvenimenti successivi accaddero troppo velocemente e nessuno fu davvero consapevole di quello che si ritrovò a vivere.

Prima che qualcuno potesse dire anche una sola parola, Anthea aveva squarciato la cella di vetro con la spada, che poi aveva abbandonato a terra.

Il corpo di Daskalos riprese a brillare pericolosamente.
L’oneiriana affondò le mani nel petto del demone, sentendole bruciare, ma sapendo che sarebbe guarita velocemente.




Poi ci fu una luce accecante, seguita da una potente onda d’urto.



                                           ***



“Ben svegliato, Rogie!”

“Ti prego, Stark, non urlare. Mi sembra di avere delle campane dentro la testa.”

Steve afferrò il cuscino e se lo spiaccicò in faccia, mugugnando parole insensate e disconnesse.
“Ehi, mi stai insultando per caso?”
Tony cercò di portargli via il suddetto cuscino, ma il super soldato non voleva mollare la presa.
“Non capisco come Anthea faccia a sopportarti.”

Anthea!
I suoi compagni!
Daskalos, la luce, l’onda d’urto!
Poi? Il vuoto.


Steve si mise a sedere improvvisamente e Stark, investito da quel brusco movimento, si ritrovò con il sedere per terra e il povero cuscino maltrattato stretto tra le braccia.

“Sei per caso diventato matto? Avresti potuto uccidermi.”
Non ricevere un’adeguata risposta a quell’ennesima idiozia che si era lasciato sfuggire per puro caso - Tony Stark amava stuzzicare Steve Rogers -, lo fece preoccupare.
Si rimise in piedi, lisciandosi la felpa grigia che indossava, e notò lo sguardo perso del biondo, improvvisamente divenuto più pallido.
Stark si sedette sul bordo del letto e poggiò delicatamente una mano sulla spalla nuda del ragazzo, attirando il suo sguardo su di sé.

“Tranquillo, stanno tutti benissimo. Io ancora non ci credo, ma ti assicuro che siamo sopravvissuti. Siamo vivi, tutti.”

Gli occhi cerulei di Steve tornarono ad illuminarsi.
“Cos’è successo?” chiese, incontrando gli occhi ambrati del compagno.

“La ragazzina ha assorbito tutta l’energia del demone, rinchiudendola nel suo corpo, e ciò ha provocato un’onda d’urto abbastanza forte da regalarci un volo di alcune decine di metri, ma ci avevamo fatto l’abitudine, quindi non è stato molto traumatizzante.”

Steve sorrise, constatando di aver fatto parecchi voli indesiderati negli ultimi giorni.

“Ci siamo ripresi abbastanza velocemente, anche tu a dire il vero. Fury ha fatto inviare dei jet dall’Helicarrier per il nostro recupero e intanto ci siamo riuniti ad Anthea. Lei stava meglio di noi tutti messi assieme, paradossalmente.”
“Non credo di ricordare oltre la luce accecante ed il volo, sinceramente.”
Tony si portò una mano sotto il mento, con fare pensoso.
“Effettivamente non eri molto in te. Comunque la ragazzina ti è corsa in contro e ti ha baciato appassionatamente. Scena davvero interessante, se non contiamo il fatto che dopo il bacio tu abbia detto ‘Okay, adesso posso svenire’ e sei svenuto davvero!”

Steve sentì il viso andare a fuoco.

“Non devi vergognarti, Rogie. In fondo, eri appena tornato in vita. Mi raccomando, però, non dire a Fury di essere morto, perché non lo sa ancora e non credo ci sia bisogno di metterlo al corrente di una cosa, a mio parere, poco importante.”
Stark strizzò un occhio, dando al biondo piccole pacche dietro le spalle, poi continuò.
“Abbiamo passato tutti un giorno in una specie di ospedale SHIELD per controlli vari e quando dico tutti, intendo davvero tutti. Loki con il camicione da ospedale è qualcosa di incredibilmente divertente. Ho fatto delle foto che ti farò vedere, a patto che tu non dica niente allo psicopatico. Il giorno dopo, cioè ieri, ci hanno dimesso. A dir la verità, Fury voleva tenerti in quel postaccio, perché non ti eri ancora svegliato, ma il sottoscritto lo ha convinto a riportarti alla Tower. Contento?”

Steve incrociò le braccia al petto e sollevò un sopracciglio, con fare scettico.

“Okay, diciamo che ti ho rapito e portato qui, inizialmente all’insaputa dello SHIELD, ma poi ho messo le cose a posto. Saperti qui ci ha fatto stare più tranquilli. I tuoi parametri vitali erano buoni. Il tuo fisico aveva solo bisogno di recuperare, hai una certa età, in fondo. E adesso eccoci qui. Sono le tre del pomeriggio, è una bella giornata e facciamo in tempo ad organizzarci per fare bisboccia stasera. Che ne dici, ce la fai, nonnetto?”

“Assolutamente sì” affermò il biondo, divertito.

“E prima che tu me lo chieda, Anthea sta benone. Per la squadra la ragazza è okay, soprattutto dopo ciò che ha fatto per il pianeta. Sì, ci ha picchiati e ci ha minacciati di morte, ma non si è spinta oltre, fortunatamente. Ovvio che Fury avrebbe voluto rinchiuderla ad Alcatraz, ma alla fine ha deciso di accettare il fatto che sarebbe venuta anche lei con noi, in cambio di un piccolo aiuto.”
“Che tipo di aiuto?”
“Porre definitivamente fine ai Demoni della Notte. Con i poteri che possiede, è stata una passeggiata per lei rintracciare e distruggere le ultime basi compromesse, affiancata dallo SHIELD. Dovrebbe tornare a momenti. Questa mattina hanno catturato Adam Lewis, l’ultimo rimasto dell’organizzazione e destinato ad essere spremuto per bene da Fury.”
“Se lo merita.”
“Dove è andato a finire San Rogers?”

Steve rise talmente forte che si formarono piccole lacrime agli angoli degli occhi.
Tony, guardandolo, non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere allo stesso modo.

Poi Stark tornò serio.
“C’è una cosa che devi sapere, Steve. Tu mi sei morto letteralmente tra le braccia e, in quel momento, ho capito davvero quanto per me, tu e gli altri siate importanti. Perciò ho intenzione di dare il via ad un grande progetto, con il fine di realizzare una barriera intorno al mondo, capace di proteggere voi e la Terra da minacce come quella che abbiamo appena affrontato.”

Steve non capì fino in fondo a cosa Tony si riferisse con  barriera intorno al modo, ma le sue parole lo colpirono profondamente.
“Grazie” disse solamente, sfoggiando il più bello e sincero dei sorrisi che possedesse.

“Non abituarti a tutta questa sdolcinatezza, Rogers. Hai appena potuto intravedere uno sprazzo del cuore di Tony Stark, dovresti esserne onorato.”

Il biondo scoppiò a ridere, di nuovo, felice di essere vivo e di essere proprio lì dov’era.
Finalmente, il rimpianto per la passata vita perduta venne completamente oscurato da una felicità nuova, diversa, ma bellissima.




“Vi avevo detto che questi due ci nascondevano qualcosa. Da quanto va avanti questa relazione, eh?”
Natasha cercò di non ridere alla vista delle facce sconvolte dei due, mentre entrava nella stanza, seguita dal resto della squadra, con annesso un Loki trascinato dal fratello.

“Oh no! Ci hanno scoperto, Rogie” cantilenò Tony, muovendo le mani in modo tragicomico.

Ci furono altre risate. Perfino Loki non riuscì a trattenersi.

Natasha raggiunse il letto ed abbracciò Steve con trasporto, appoggiando il mento sulla spalla del giovane.
“Non farlo mai più” gli sussurrò nell’orecchio, prima di lasciarlo andare, dopo svariato tempo.

“Romanoff, so che stai approfittando del fatto che Rogers sia in mutande, ma almeno evita di farlo davanti a Barton.”
Stark si beccò uno scappellotto poco gentile sulla nuca.

Bruce strinse la mano del Capitano e poi gli circondò le spalle con le braccia.
“Anche l’Altro è molto contento di saperti fuori pericolo” gli confessò il dottore, sorridendo gentilmente.

Clint si lasciò andare ed abbracciò il biondo, ricordandogli che gli doveva da bere per la paura che gli aveva fatto prendere.

Thor, invece, fu Thor.
Steve lanciò un gridolino sorpreso, nel momento in cui il dio lo prese per i fianchi e lo sollevò dal letto, in un impeto di pura gioia.

Super Abbraccio di gruppo!” urlò Stark, saltando a sua volta sopra le spalle di Thor, che perse l’equilibrio e cadde sul letto, schiacciando il Capitano sotto di sé.
Clint prese la rincorsa e saltò su Tony. Il letto emise cigolii preoccupanti, ma fortunatamente non collassò.

Super Panino” precisò Barton.

“Che Idioti.”
Natasha scosse il capo, sorridendo alle parole di un Loki stranamente divertito.
“Questa cosa del Super Panino è parecchio inquietante” constatò la donna.
“Già” asserì Banner, ma gli fu difficile non ridere.

“Ragazzi, non respiro.”
Steve - da ricordare che era in mutande - si trovava schiacciato tra il letto ed il petto di Thor, sulle cui spalle c’era Tony, sulla cui schiena c’era Clint.
Probabilmente, in un film, quella sarebbe stata una scena vietata almeno ai minori di diciotto anni.



“Perché diavolo state violentando il mio ragazzo?”

Tutti riconobbero quella voce, senza nemmeno doversi voltare per guardarne la fonte.
Steve sentì il cuore accelerare di colpo.

Bambinoni si ricomposero, demolendo il Panino e salutando uno ad uno la nuova arrivata.
Tony e Clint si misero in ginocchio, sotto lo sguardo divertito di Thor e quello sconvolto di Steve, mentre Loki, Natasha e Bruce scuotevano il capo all’unisono con rassegnazione.
“Non ucciderci, ti prego, non lo faremo più” piagnucolarono Iron Man e Occhio di Falco.
“Ci penserò. Ed ora fuori di qui!”
“Sì, signora.”

Tony e Clint corsero fuori dalla stanza, salutando Rogers con la mano.
Loki si avviò dietro di loro, dopo aver rivolto un cenno con il capo al Capitano.

“Alle sette nella Sala Comune. Siate puntuali” avvertì la Vedova, prima di trascinare un ancora euforico Thor fuori dalla stanza, aiutata da Bruce.




Steve e Anthea si ritrovarono soli.
La ragazza aveva i lunghissimi capelli sciolti e le ricadevano in boccoli sulle spalle e dietro la schiena. Indossava un paio di jeans, abbinati ad una canotta blu.
Era più bella di quanto il biondo ricordasse.

“Vedo che ti trovi davvero bene con gli altri. Sono contento che ti abbiano perdonata.”
“Merito tuo, che non hai mai smesso di credere in me.”

Anthea scivolò sul letto e si posizionò a cavalcioni sul bacino del ragazzo, sorridendo nel vederlo arrossire.
“Sei bellissimo.”
Sì, anche con i capelli arruffati, gli occhi lucidi e le gote arrossate, Steve Rogers era bellissimo.
Il giovane Capitano prese a balbettare qualcosa di insensato e la ragazza gli tappò la bocca con le proprie labbra, baciandolo con passione.

Presto i vestiti vennero abbandonati sul pavimento e i due giovani furono, ancora una volta, pelle contro pelle.
Fecero l’amore, instancabilmente per ore, forti della loro resistenza fuori dal comune.

                                                                *

“Steve.”
Erano distesi l’una di fianco all’altro e Anthea aveva poggiato l’orecchio sul bel petto di lui, godendo del dolce suono del suo cuore.
“Si?”
“Credo di amarti.”
Il ragazzo si tirò suoi gomiti, per guardarla meglio.
“Anthea, io-”
“Aspetta. Devi ascoltarmi, prima di dire qualsiasi cosa.”
Il biondo annuì.
Si misero seduti, coperti solo dal leggero lenzuolo bianco.

“Ho saputo che Thor vi ha parlato di Oneiro e di Daskalos, il demone scappato da Hel. Io sono la figlia di Azael, ultimo re di Oneiro. Quando ho preso la spada di Daskalos, sono entrata in possesso della verità.”
Anthea prese un respiro profondo.
“Non è stato il demone a distruggere il pianeta, ma mio padre.”
Steve percepì il sangue gelarsi nelle vene.
“Azael lo fece per proteggere il suo popolo, Steve. Sapeva che non avrebbe potuto evitare la condanna che Daskalos aveva dato al pianeta. Quel demone era troppo forte a quel tempo e lui troppo inesperto, nonostante fosse in possesso di uno dei poteri più grandi presenti nell’universo. Prima che Daskalos giungesse sul pianeta, Azael trasportò segretamente gli oneiriani in altri regni, disperdendoli, con la promessa che un giorno sarebbe tornato a riprenderli, per costruire insieme a loro una nuova casa. Quando tutti gli abitanti furono al sicuro, Azael lasciò che il suo immenso potere distruggesse Oneiro. In quel modo, Daskalos, ignaro di tutto, non avrebbe potuto fare del male agli oneiriani creduti morti. Dopo secoli passati a vagare nello spazio, spostandosi da pianeta a pianeta, mio padre raggiunse la Terra e ritenne la razza umana degna del suo seme. I sentimenti, le emozioni, la morale, l’amore, avrebbero incatenato il mostro dell’inconscio che lui aveva liberato, superando i limiti stabiliti. Così nacqui io. Mia madre morì durante il parto e mio padre perse la vita nel donarmi la sua anima, espediente necessario per tramandarmi la conoscenza della storia di un popolo creduto scomparso. Azael, però, mi donò qualcosa di più importante della sola conoscenza. Egli si riteneva ormai debole per mantenere fede alla promessa fatta agli oneiriani, perciò ha passato a me il compito di cercarli, riunirli e costruire con loro una nuova casa.”

Ci furono lunghi istanti di silenzio.

“Adesso che conosco la verità, non posso ignorarla, Steve. Devo accettare il mio destino e mantenere la promessa che mio padre fece agli oneiriani.”

Steve abbassò il capo.
“Andrai via?”
“Sì.”
La ragazza lo strinse forte a sé.
“Ma tornerò, per te, se mi aspetterai.”
Il biondo le prese il volto tra le mani e la baciò.
“Sempre.”
La baciò ancora, ancora e ancora.
“Ti aspetterò sempre.”





Quella sera, i Vendicatori festeggiarono la loro vittoria tra brindisi alla vita e risate sincere.


Due giorni dopo, Thor e Loki tornarono ad Asgard.
Anthea andò con loro, pronta a cominciare un viaggio che avrebbe richiesto tempo e fatica.
Il dio del tuono le aveva promesso che avrebbe avuto il suo aiuto e quello di un certo Heimdall per ritrovare gli oneiriani scomparsi, mentre il Bifrost avrebbe reso più facili gli spostamenti da un pianeta all’altro.
Questa prospettiva l’aveva resa più ottimista, senza contare che ancora non sapeva che Odino le avrebbe offerto un posto nel suo Regno, per poter dare asilo al popolo di Oneiro.

Il giorno della partenza, ci furono solo “Arrivederci”, nessun “Addio”.

Sarebbe tornata, come promesso.
E Steve l’avrebbe aspettata, come promesso.
 


“Sta’ lontano dai guai, Steve.”






                                                       ***






Epilogo

Due anni dopo.

Steve faticò a salire ogni singolo gradino che portava al suo posto sicuro.
Arrivò davanti la porta dell’appartamento e inserì la chiave nella toppa, ascoltando il suono dei piccoli usuali scatti.
La porta si aprì e Rogers respirò l’aria di casa.
Avrebbe voluto trasferirsi lì dopo la partenza di Anthea, ma su ordine di Fury era stato costretto a spostarsi a Washington, dove, quasi due anni prima, aveva iniziato a lavorare per lo SHIELD.

Poi lo SHIELD era stato compromesso, aveva scoperto di essere morto vanamente perché l’Hydra non era morta con Teschio Rosso, come non era morto Bucky, il suo migliore amico.
Aveva anche creduto che Fury fosse morto, prima di ritrovarselo di fronte, vivo, anche se non del tutto vegeto.

Cosa era successo dopo?
Aveva distrutto lo SHIELD, ecco cos’era successo, e il Governo lo odiava parecchio adesso.
E non ce l’avrebbe mai fatta a uscirne vivo senza Natasha e Sam, quello stesso Sam che, d’ora in avanti, lo avrebbe aiutato a cercare Bucky.
Morale della favola?
Steve Rogers era mentalmente distrutto e anche fisicamente in realtà, dato che lo avevano dimesso dall’ospedale quello stesso giorno.

Così aveva sentito l’irrefrenabile voglia di tornare a casa.
Scappare per un po’ dalla nuova realtà in cui si era ritrovato a sguazzare, lo avrebbe aiutato a mantenere i nervi saldi.

Poggiò lo scudo sul tavolino del salotto e si diresse in camera da letto.
Fuori era buio, ma la luce della luna era abbastanza intensa da permettergli di distinguere vagamente i diversi mobili ed oggetti tutt’intorno.

Notò troppo tardi la finestra aperta.

Venne sbattuto contro la parete, vicino la testata del letto, e un gemito di dolore abbandonò le sue labbra nell’impatto.
Due mani piccole gli inchiodarono la schiena al muro, premendo sulle sue spalle, e, nonostante ce l’avesse di fronte, non riuscì ad identificare l’aggressore a causa dell’oscurità.
Cercò di divincolarsi, inutilmente.
Fece per dire qualcosa - un insulto forse -, ma la bocca gli venne tappata.

Erano labbra quelle che premevano con forza sulle sue.
Rogers smise di opporre resistenza.

“Ti avevo detto di stare lontano dai guai, Steve, non di cercarli.”
“Sono loro che trovano me, veramente.”

Un altro bacio, questa volta più profondo.

“Sei davvero tu?”
Perché Steve non poteva crederci.
L’aveva aspettata tanto.

“Guarda con i tuoi occhi.”

La luce della stanza si accese, senza che nessuno avesse toccato l’interruttore.
Sì, era lei, decisamente.
Dopo due anni, Steve poté di nuovo affondare in quei grandi occhi bui.
Anthea era lì, schiacciata contro di lui. Bellissima.

“Mi sei mancato, Idiota.”

Anthea lo strinse forte, circondandogli il collo con le braccia. Immerse le dita in quei corti capelli biondi che tanto le erano mancati.
Lo baciò ripetutamente, gustandosi il suo tanto amato sapore.
Affondò il naso nell’incavo della sua spalla e inspirò forte, beandosi del buon odore di Steve Rogers.
E quanto le era mancato il suo calore, invece? Troppo.

“Anche tu mi sei mancata, tanto.”
Steve la strinse di più, facendo aderire al massimo i loro corpi.

“Sono tornata. Per sempre.”
Per sempre” ripeté lui.

“Steve.”
“Sì?”
“Ti amo.”
“Anch’io, Anthea.”



Fine





 

Note
Sto piangendo e non riesco a smettere.
Non ci credo di aver scritto la parola Fine proprio qui sopra.
È passato quasi un anno dalla pubblicazione del primo capitolo. All’inizio l’avevo pensata come una storia di massimo un decina di capitoli, con una trama abbastanza semplice. Poi invece si è complicato tutto. Oneiro, Azael, Aima, Daskalos, Anthea, sono cresciuti giorno dopo giorno nella mia mente insana e hanno deciso di stravolgere ogni cosa. Quindi è colpa loro se vi siete ritrovati a leggere questo capitolo infinito.
Sinceramente, queste ultime pagine sono state davvero un parto, soprattutto perché non sapevo nemmeno io quale sarebbe stata effettivamente la Fine.
Forse un po’ sdolcinata, lo ammetto, ma dopo tutto quello che Steve e Anthea hanno passato, si meritavano un po’ di tranquillità, no?
Spero davvero che le vostre aspettative non siano state deluse.
Adesso voglio ringraziarvi, ve lo devo, perché questa storia ci ha tenuti virtualmente uniti per un anno, ci pensate? Che cosa fantastica!

Grazie a:
acator
Calliope82
crazyapple
Elle85
giuly_dramione
jamiesmile
Kat_Winchester
kenner
martinact
Mumma
Portuguese D Rogue
Siria_Ilias
queensan
StevenRogers
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Shaunee Black
Ragdoll_Cat


Per aver seguito, ricordato o preferito (o anche più cose insieme *.*) la storia.

Mi avete sostenuto per tutto questo tempo e non so davvero cosa dire.
Solo voi potete dirmi se è valsa la pena leggere questa storia fino alla fine ed io ho maledettamente bisogno di sapere cosa ne pensate, voi che ci siete sempre stati.

Grazie a coloro che hanno recensitoSiria_Ilias, Helen Black, Mumma, Viola Banner, Mina damn stars, _Alesia_ , winterlover97 (che negli ultimi capitoli è sempre stata presente e che ci era tanto rimasta male per la morte di Steve. Hai visto? È vivo!), DalamarF16 (sai, ricordo ancora che la tua è stata la primissima recensione, e le ultime che mi hai lasciato erano davvero poemi troppo dolci *.*).

Adesso voglio assolutamente ringraziare Ragdoll_Cat.
Accidenti, tu c’eri ad ogni capitolosemplicemente sempre. Mi hai dato idee quando ne ero a corto, mi hai corretto quando ho sbagliato, mi hai coperto di commoventi, divertenti e dolcissimi complimenti quando l’ho meritato. È anche grazie a te se sono arrivata alla fine di questo lungo percorso.
Quindi semplicemente grazie.

Che dire ancora?
Godetevi ogni istante della vostra vita e passate una buona estate.

Mi rifarò viva, questo è certo, perché non sono ancora stanca di scrivere sugli Avengers, li amo troppo.
E Steve lo amo troppissimo.

Quindi questo è un arrivederci, niente addii *.*
Lieta di aver giovato alcune delle vostre giornate, anche solo per qualche minuto.
Un abbraccio immenso <3

La Vostra Ella

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