Cena delle ceneri

di Yuliya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ***



Capitolo 1
*** Prologo ***






Cena delle ceneri



Prologo
 







 
I saw the angel in the marble and carved until I set him free















 
 
Diventava sempre più buio. Sempre più buio.
Il sonno era inquieto e forse non sarebbe nemmeno sopraggiunto perché l'addio che si erano da poco scambiati continuava ad affollargli la mente, costringendolo a rigirarsi da un lato all’altro in preda ad assurde vampate di calore. Stava lentamente perdendo il controllo della sua razionalità, abbandonandosi a quanto di più simile ai sentimenti.
Spalancò di scatto gli occhi e balzò in piedi in un unico rapido movimento. Sul borsone da viaggio, di fianco al giaciglio, stava abbandonato l’origine di quei pensieri infernali: l’orologio del padre di Clarke da cui si era separata solo in seguito alla dipartita di Finn.
Troppo dolore concentrato in un solo, misero anno.
Doveva portarglielo. Bellamy era giunto a quella conclusione nello stesso momento in cui le aveva sussurrato traboccante di delusione e rancore: “May we meet again”.
In realtà l’orologio c’entrava quanto l’interesse che nutriva per Lexa –meno di zero dopo aver appreso il modo in cui si era comportata con Clarke-. Non l’avrebbe lasciata sola per il semplice motivo che non poteva, o almeno non poteva proprio adesso che si erano ricongiunti.
Mosso da una convinzione che sentiva essere talmente forte da indurlo ad abbandonare tutti i compagni di avventure compresa sua sorella, era sgusciato il più silenziosamente possibile nel magazzino, aveva raccattato armi, munizioni e provviste sufficienti per qualche mese –tutte gettate alla rinfusa nella sacca che portava-, e poi aveva rifatto il percorso a ritroso fino a voltare le spalle al campo Jaha.
Octavia e gli atri avrebbero capito, dovevano capire. Il popolo non necessitava più di loro ora che erano salvi da qualsiasi minaccia.

Era Clarke l’unica persona che da fin troppo tempo aveva un disperato bisogno di essere salvata.

 

L’aveva rintracciata piuttosto facilmente dopo circa quaranta minuti di marcia forzata e senza sosta. Con il brivido del cacciatore che sa che la preda è sua e lo attende al limitare della radura, aveva seguito le orme fresche e nemmeno tanto celate, come se Clarke volesse inconsciamente farsi raggiungere. O forse era solo una sciocca supposizione frutto della sua fervida fantasia. Anzi, ne era quasi convinto.
Sarà sempre lontana, dovessi anche trascorrere l’intera vita al suo fianco.
Non sapeva spiegarselo,  eppure era come se Clarke  gli stesse gridando aiuto e questo urlo continuo gli rimbombasse ad un ritmo alienante e straziante nel cranio. Bellamy le avrebbe donato quel perdono da cui dipendeva la sua intera esistenza perché era il minimo che potesse fare per compiacerla. Sarebbe diventato solo così un vero eroe. Non quell’eroe apprezzato da Kane che porta un trionfo che odora di sangue e scelte discutibili, ma che fa della sua vita –perché sì,  volente o meno quella biondina ostinata ne era parte integrante da un bel pezzo- una missione ben riuscita.
 
Quando Clarke aveva udito il rumore continuo di passi risuonare in un eco spezzato per la foresta, di chi rincorre senza tregua qualcosa di irraggiungibile, non si era nascosta o rifugiata dietro qualche cespuglio di rovi come le aveva suggerito la stratega, la Clarke che era riuscita ad espugnare senza troppe difficoltà Mount Weather, ma anzi si era esposta maggiormente, divaricando appena le gambe e impugnando senza un briciolo di compassione la pistola nella destra. Con sguardo che non mostrava nemmeno una breccia scalfibile di emozione, lo aveva accolto.
“Non dovevi seguirmi.”
Sapeva che si trattava di Bellamy sebbene non sapesse motivare quella strana sensazione al centro del petto che, alla stregua di una vocina, le aveva suggerito che solo lui si sarebbe preoccupato di rintracciarla. Lo sapeva ancora prima di incontrare un paio di scarponi sporchi di fango e le ombre delle fronde delle piante che gettavano ghirigori raccapriccianti sul suo viso provato.
Le sorrise appena. “Allora non mi conosci.”
Clarke indurì lo sguardo. I polpastrelli non accennavano a rilassare la presa. “Devo stare da sola, Bellamy. Ho bisogno dei miei spazi per riflettere. Torna indietro, gli altri staranno cercando il loro leader” disse, scandendo parola per parola affinché raggiungessero con solennità le orecchie del suo interlocutore.
“Quel posto non è più casa mia né tua. Non lo è più stata da quando ci ha raggiunto l’Arca” mormorò, avanzando a passi misurati verso di lei.
 “Hanno bisogno di te.”
Clarke esitò per un istante nel ribattere, e quel tentennamento fu abbastanza. “Se la caveranno” aggiunse quindi Bellamy, con tono innaturalmente controllato.
Ti prego, lasciami la speranza. Anche se futile.
La mascella della giovane vibrò visibilmente, seguita dalla presa sull’arma. “Non costringermi a sparare.”
“Non lo faresti.”
Un sorriso amaro si distese sul suo viso scultoreo. “Sono capace di tutto, ormai” sibilò con maggiore fermezza. “Dovresti saperlo.”
Bellamy avanzò ancora, tranquillo. Non lo ingannava il suo mostrarsi dura, aveva compreso da tempo che esibisse una facciata per non cadere da un momento all’altro in un mare di pezzi. Anche se in quel loro scontro verbale sembrava perfettamente padrona delle proprie azioni, si intravedeva nei suoi occhi cerulei -che avevano assistito a troppo male per una così giovane età- una richiesta implicita di aiuto. Un lampo di cui non si era ancora resa conto, probabilmente, abituata com’era ad affrontare ogni ostacolo da sola. Bellamy però quando si trattava di Clarke riusciva ad interpretare ogni più piccola screziatura. Anche la più insignificante. E su quella avrebbe fatto leva, perché come lei lo aveva sottratto a morte certa pochi mesi prima, allo stesso modo -in questo frangente di necessità- avrebbe colto l’occasione per restituirle il favore.
Tu ci hai salvati, mi hai salvato.
Dunque continuò ad andarle incontro, osservando il contegno di Clarke scemare piano piano e la bocca spalancarsi appena senza che emettesse alcun suono, finché non restarono scarsi metri a dividerli, la pistola ancora puntata in direzione del cuore.
“Non mettermi alla prova” tentò ancora la bionda con voce supplicante in un ultimo patetico sforzo di allontanarlo, nel momento in cui Bellamy appoggiò con calma la mano sulla sua per abbassare l’arma. Anche se una parte di lei continuava a urlare qualcosa che assomigliava a: “Indurisci il tuo cuore, devi indurirlo” alla fine cedette e ripose la revolver nella cintola.
Bellamy la studio per qualche istante dalla sua notevole altezza, per poi spostare l’attenzione sui tronchi centenari che li circondavano. “Andiamo.”
 “Non tornerò al campo.”
“Non intendevo al campo, andremo dove vuoi” affermò con decisione, osservandola in attesa.
Per un attimo la sorpresa prese il sopravvento sulla stoica facciata di Clarke, eppure la nascose il più velocemente possibile. “Voglio la pace” decretò infine voltandosi e rimettendosi in marcia, presto raggiunta dalla lunghe falcate del ragazzo.
E la vendetta, perché Lexa la pagherà cara.
Ma questo sadico particolare lo tenne per sé.
Bellamy ricambiò con ambigua intensità lo sguardo che gli aveva appena rivolto. “La troveremo, è una promessa.”
 
 
 
 
Angolo Autrice:

questo è il prologo della mia prima long Bellarke, ma very Bellarke, ed è la terza stagione secondo il mio punto di vista. Perché secondo me quel trollone di Jason vuole solo farci soffrire, Bellamy non può davvero permettere a Clarke di andare a fare un campeggio per i boschi. Ma scherziamo? E poi da sola?
Ha voluto solo creare maggiore tensione e un finale coi fiocchi fidatevi di me ahaha.
Comunque è chiaro che non ce la facevo ad attendere fino ad ottobre, e dunque eccomi qua con questa long. Sinceramente non so ancora da quanti capitoli sarà composta, ma non ha alte pretese. Devo solo sfogare la mia voglia di Bellarke perché non soffrivo una ship così tanto dai tempi della Delena. Cattivo Jason.
Non ho altro da dire, boh, spero che vi abbia incuriosito e non faccia troppo schifo.
Senza neanche immaginarlo, tempo fa avevo postato la mia unica os Bellarke 
I dreamed a dream   in cui Clarke abbandonava il campo per scappare. No, ma io sono Nostradamus ahaha.
Mi dileguo prima di sparare altre cavolate di cui a nessuno interessa lontanamente. Magari fatemi sapere come lo trovate.



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Capitolo 2
*** I ***


1.



Be with me always, take any form, drive me mad!

 
















Procedevano attraverso le lande desolate, una terra tutt’altro che ricca e generosa, il passo un tempo affrettato ora reso traballante e incerto dallo sforzo continuo. Da ore oramai avevano abbandonato la fitta boscaglia, che aveva ceduto il posto a una brughiera aspra e a tratti grottesca. Ogni tanto salivano a tastoni lungo i radi lastricati che segnavano viottoli di un passato glorioso, e in quei momenti Bellamy si voltava indietro a cercare pietosamente la sorella e quando non trovava traccia del suo sorriso smaliziato, respirava affannosamente. Ma proseguiva senza fiatare, gli occhi serrati per la polvere che si levava ad ogni loro accenno di passo.
Bellamy non era certo il tipo di persona che si lamentava per la troppa fatica compiuta, bastava conoscerlo un poco per giungere alla seguente conclusione, ma sentiva i piedi dolergli a tal punto da pulsare ad un ritmo innaturale all’interno degli scarponi.
Sebbene il fisico si ribellasse implorando pietà o almeno un briciolo di meritato riposo, non emise un solo lamento né domandò alla sua compagna di viaggio perché avanzassero come se fossero inseguiti da un branco di lupi affamati. Si chiese piuttosto cosa la spingesse ad allontanarsi con maggiore vigore dal campo Jaha.
Stai scappando, Clarke.
Forse nemmeno te ne rendi conto.
Un moto interiore lo convinse ad avanzare, per la prima volta da quando si erano incamminati, la fatidica domanda. “Hai scelto una meta?”
Clarke ricambiò duramente il suo sguardo, quasi rimproverandogli con le iridi chiare di averla distolta da un progetto da cui dipendeva la sorte dell’intero pianeta. Peccato non lo condividesse con lui. “No, ma sta arrivando il buio e dobbiamo proseguire finché il sole lo permette.”
Scosse la testa quando gli ridiede le spalle per continuare lungo il percorso tortuoso. “Agli ordini.”
Da quel momento un nuovo silenzio, meno gelido per fortuna del precedente, calò tra i due. Bellamy si osservò intorno, quasi alzandosi in punta di piedi, cercando con ancora un po’ di quella speranza che caratterizzava ogni suo più piccolo gesto, anima viva. Ma erano nel bel mezzo del vuoto più totale, in lontananza non vedeva né cave né caverne in cui trascorrere la notte: avrebbero dormito all’aperto, in balia degli agenti atmosferici e di possibili attacchi di bruti?
Vuoto, vuoto, solo vuoto.
 Forse era quello stesso vuoto a rendere Clarke talmente apatica. E così dall’ambiante circostante la sua attenzione tornò a concentrarsi su di lei, non che potesse in qualche modo impegnare la mente in altri pensieri. Il futuro, Clarke e Octavia erano le uniche immagini che si alternavano sul proprio volto da quando si erano messi in moto.
La biondina dinnanzi a lui che scalava le valli, quasi disarcionando la terra che intralciava il proprio cammino, era diversa dalla ragazza che aveva iniziato a stimare all’inizio dello sbarco sulla terra. Era sempre autoritaria, determinata e dispotica per certi aspetti come l’irritante Clarke delle origini, ma ora vi erano delle sfumature in più che si addensavano come una cappa soffocante attorno alla sua figura. Chiusa in un ostinato mutismo, triste da far cadere le braccia imploranti lungo i fianchi, era quanto di più simile alla disperazione in carne ed ossa.
Noi ti abbiamo ridotto a un fantasma che si aggira senza vita?
Proprio tu, Clarke, che eri la nostra vita?
Dovevi essere la più forte del gruppo, di tutti.
Ma essere forti, non vuol dire scappare e nello stesso tempo mostrare all’apparenza che nulla ci stia turbando. Essere forti significa saper affrontare le difficoltà anche a costo di rimetterci la dignità, se questo impedisce di perdere noi stessi.
Avrebbe desiderato gridarle di piantarla con quel suo comportamento che non aveva altre conseguenze se non farla soffrire e gemere come un cane, strapparle letteralmente il cuore dal petto, stringerlo tra le falangi per sentire il sangue che pulsava, perché c’era, per poi gettarglielo insanguinato ai piedi e dirle: “Lo vedi? Lo vedi che batte anche se fingi che non sia così?”
Invece si limitò a farle presente che stava calando il sole all’orizzonte e che dovevano prepararsi a vegliare. Clarke annuì, si guardò attorno scrutando nella semi oscurità, con una mano che grattava distrattamente il mento. Dopo essersi accertata della lunga distanza che avevano frapposto tra loro e il campo, si lasciò ricadere con un tonfo per terra. Bellamy la seguì, il fucile carico sulla spalla destra pronto ad essere impugnato al minimo movimento.
Iniziarono a mangiucchiare qualche provvista, ma si trattennero entrambi nonostante le pance brontolassero perché non erano certi dell’effettiva durata del viaggio.
Bellamy adorava il silenzio, per lui non vi era nulla di meglio che scrutare assorto la maestosità delle stelle e meditare sulla pace che avevano appena conquistato. Eppure odiava, diamine se odiava, il silenzio con Clarke. Perché non c’era mai stato tra di loro. E se era esito, era un silenzio colmo di intesa e di sguardi che comunicavano più di mille frasi gettate a caso. Il silenzio invece che li circondava era il silenzio degli sconosciuti, di chi non ha uno sputo di legame con chi gli siede accanto. Di chi non ha condiviso morte e sangue come fratelli.
No, non avrebbe tollerato un altro secondo. “Ti dobbiamo molto, più di quanto tu stessa possa concepire. E credo di doverti ringraziare, sì, perché se non fosse stato per te a quest’ora i nostri amici sarebbero sotto un cumulo di terra. Mi dispiace, anzi, di non averlo ammesso prima, ma sentivo come una barriera da parte tua” mormorò, fissandola attraverso le folte ciglia per quanto il buio glielo permettesse. Non riuscì a individuare molto dalla sua espressione se non la mascella che si contraeva in quello che gli parve puro dolore. “Credo però che dovresti gettare questa tua protezione, almeno con me. Ci conosciamo abbastanza da potercelo permettere.”
Clarke non replicò subito, e Bellamy attese con pazienza che raccogliesse il fiume in piena che le annebbiava il cervello. “Tu e gli altri non mi dovete un bel niente. Vallo dire a Jasper, alla ragazza amata che ha perduto, o a Monty che ha rovinato per una mia scelta l’amicizia di tutta una vita. Chiedi a loro di ringraziarmi, o chiedigli se piuttosto non mi punterebbero una pistola alla tempia per le mie azioni sconsiderate.”
La voce era pregna di derisione verso sé stessa.
Bellamy le afferrò le mani in un gesto che non riuscì a frenare, irrazionale e per nulla premeditato. Clarke all’inizio si dibatte per tentare di abbandonare quella stretta anomala, così calda e ruvida, totalmente e assolutamente fuori luogo ma il ragazzo quasi non se ne rese conto. Era troppo concentrato da quello che stava per urlarle una volta per tutte.
“Ascoltami bene, Clarke Griffin, perché non lo ripeterò una seconda volta e lo giuro su questo schifo di terreno su cui siedo che non lo farò. Ci hai salvati, uno per uno, e non ti sto riferendo questo mio pensiero per avere la coscienza a posto, sai benissimo che non sarei in grado di mentire a me stesso.  Devi renderti conto che da una posizione di comandante come la tua, ci si aspettano grandi responsabilità. E ogni generale che si rispetti e che scende in battaglia circondato dal suo popolo, deve capacitarsi che non riuscirà mai a rincasare con ogni singolo uomo. Dovesse spendere tutta l'energia che ha in circolo, ci sarà sempre un singolo uomo pronto a morire per salvare una decina di compagni che gli stanno cari. È una legge naturale e il tuo compito è sopportarlo, avere la forza di accettare le conseguenze delle tue azioni. Perché se vuoi comandare, devi farlo con consapevolezza.”
A quel punto ritirò le mani e si voltò. Nella notte appena discesa riecheggiò il rumore della sicura. “Controllo io che non ci attacchino. Prova, ti prego, a riflettere su quanto ti ho detto e magari riposa un poco.”
Clarke sentì sì e no quell’ultimo consiglio, ma per la prima volta da mesi non si divincolò nel sonno.
 




 
Angolo Autrice:

buonasera! Aggiorno tardi perché sì, non ho una scusa vera e propria. Tengo a questa storia e spero di essere più presente ora che la scuola è terminata.
Non ho molto da dire, ringrazio tutte le persone che hanno aggiunto la storia ai preferiti/seguite/ricordate e quelle povere anime che hanno recensito.
Spero mi lascerete un commentino pure qua.
Un bacione e a presto

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