Take some patience

di antigone7
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo (o ZOE 1) ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** GIACOMO 1 ***
Capitolo 6: *** Capitolo IV ***
Capitolo 7: *** Capitolo V ***
Capitolo 8: *** Capitolo VI ***
Capitolo 9: *** GIACOMO 2 ***
Capitolo 10: *** Capitolo VII ***
Capitolo 11: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 12: *** Capitolo IX ***
Capitolo 13: *** Capitolo X ***
Capitolo 14: *** Capitolo XI ***
Capitolo 15: *** ZOE 2 ***
Capitolo 16: *** Capitolo XII ***
Capitolo 17: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 18: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 19: *** ZOE 3 ***
Capitolo 20: *** Capitolo XV ***
Capitolo 21: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 22: *** GIACOMO 3 ***
Capitolo 23: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 24: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 25: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 26: *** ZOE 4 ***
Capitolo 27: *** Capitolo XX ***
Capitolo 28: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 29: *** Epilogo (o ZOE 5) ***



Capitolo 1
*** Prologo (o ZOE 1) ***


Prologo (o ZOE 1)



Sono sempre, costantemente, in ritardo, e non è che sia una bella cosa. Perché un conto è essere in ritardo a un appuntamento con una tua cara amica, che al massimo – santa donna – ti guarda comprensiva quando arrivi, ché ti conosce e aveva preventivato di aspettarti quei dieci minuti buoni, un conto è sbagliare a calcolare i tempi quando devi prendere un treno.
A me capitano spesso entrambe le situazioni sopraelencate.
Nello specifico, questa mattina di inizio febbraio sto correndo per prendere un maledetto treno e – diciamocelo – non è che io sia una centometrista: sono abbastanza bassa, e pigra in maniera spropositata, quindi poco propensa all’attività fisica; oltretutto in questo esatto momento mi sto portando appresso un non-comodissimo-trolley mezzo pieno.
Corro su per le scale del sottopassaggio col trolley che mi sbatte simpaticamente sulla gamba e salgo sul treno proprio un attimo prima che si chiudano le porte e riparta in perfetto orario, cosa che accade sempre quando avresti bisogno che fosse un po’ in ritardo e che non succede mai in tutti gli altri casi esistenti.
Sorrido debolmente a una signora di mezza età che mi guarda piuttosto preoccupata mentre ansimo appoggiata al muro, fiato piano un “Stia tranquilla, se non corro non sono contenta” che la fa ridacchiare di gusto, e mi incammino per il corridoio mezzo pieno della seconda classe alla ricerca di un qualche buco per me e la mia valigia.
Mi guardo intorno e lo trovo sulla sinistra a metà vagone circa. A questo punto, soddisfatta di me per aver compiuto l’impresa anche stavolta, mi accingo ad alzare il mio trolley arancione acceso per riporlo sul portavaligie alla mia destra prima di sedermi e godermi il viaggio in tranquillità.
In effetti, come ho già detto, sono abbastanza bassa, e di solito alzare il bagaglio sopra la mia testa mi è difficile. Non impossibile però.
Forza Zò, puoi farcela!
Contando che credo proprio di aver già scontato la mia parte di figure di merda e affini per stamattina e di poter permettermi un calo di attenzione, faccio ciò che devo, sollevando quel mezzo quintale di vestiti e libri.
Errore di valutazione.
Mi accorgo tardi che ho perso leggermente l’equilibrio e indietreggio di un passetto presagendo già la catastrofe e i successivi anni della mia giovinezza spesi in carcere con l’accusa di omicidio colposo e porto d’armi (leggasi: trolley) non autorizzato.
Merda merda merda merda!
Sto per uccidere qualcuno, me lo sento. Percepisco, e sono due secondi netti, una persona che si alza dietro di me appena in tempo per impedirmi di cadere e spingere con facilità l’oggetto contundente sul ripiano soprastante mentre io, da vera principessa, esclamo un accorato “Cazzo!” a mezza voce senza mettere il filtro cervello-voce – sempre che il primo ci sia davvero, da qualche parte sotto tutti questi capelli.
Solo adesso mi rendo conto che, sì, ho appena scampato il pericolo per un pelo, tutto perché mi ha salvato l’intervento semi-divino (definirlo provvidenziale sarebbe poco) di qualcuno che sposta ora la sua santa mano – con la quale mi ha impedito di cadere con la mia grazia da ippopotamo – dalla mia schiena. Mormoro una sottospecie di ringraziamento alla persona alle mie spalle, ancora prima di avere il coraggio di girarmi e guardarla in faccia.









Ta-daaah! Eccomi nuovamente qua a rompervi! ;)
Non ho molto tempo, quindi, con vostro grande gaudio, stavolta sarò breve e magari la prossima volta darò qualche spiegazione in più.
Questa sarà una long-fic, avviso subito. Non so quanto potrà durare perchè non l'ho finita - ho scritto solo i primi capitoli - ma non ho intenzione di scrivere l'Iliade, don't worry.
Altra specificazione: è diversa dalla mia precedente storia. Il primo capitolo, per ragioni stilistiche, è scritto in prima persona presente, ma già dal prossima ci sarà un narratore neutro, esterno. Giusto perchè non crediate che mi sto ripetendo! :)
Volevo anche ringraziare di cuore tutti quelli che hanno recensito la mia prima storia e in particolare l'ultimo capitolo, visto che non sono riuscita a ringraziarvi personalmente. (Ah, grazie mille a ninasakura, se stai leggendo, per avermi fatto notare l'errore nel conteggio del gruppo... ehm... e sì che non andavo male in matematica!)

Per concludere: fatemi sapere cosa ne pensate, anche se questo è solo uno sputo di capitolo e non vi ha fatto capire nulla della continuazione o della trama. Please. Merci. (Oggi mi sento poliglotta ;P)

A presto....

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***



Capitolo I




Zoe entrò nella carrozza di seconda classe ancora leggermente ansante per la corsa che aveva dovuto fare, claudicò col suo trolley arancione per qualche metro, finché non trovò con lo sguardo un posto libero.
A quel punto si fermò, si girò di centottanta gradi per cercare un buco per il bagaglio e lo vide, ben più in alto della sua testa. Valutando forse un po’ troppo frettolosamente la situazione, la giovane non ci pensò due volte prima di sollevare la valigia, per poi trovarsi in evidente difficoltà al momento decisivo. Il povero signor Annoni si sentiva già spacciato, quando un ragazzo si alzò e con una velocità e una precisione spaventosa aiutò la malaugurata nell’impresa e salvò la testa di più di una persona nei dintorni.
“Cazzo!” esclamò Zoe tramutando i pensieri in parole senza alcun tipo di filtro. “Grazie.”
Dava ancora le spalle allo sconosciuto, vergognandosi troppo per l’ennesima figuraccia della giornata – ed erano appena le dieci del mattino! – ma, accumulando una dose non indifferente di coraggio, decise che poteva voltarsi e guardare in faccia il suo salvatore. Pensò, in uno sprazzo del pessimismo insito nel suo carattere, che se l’uomo alle sue spalle fosse stato pure bello (sul fatto che si trattasse di un individuo di genere maschile non aveva più alcun dubbio, dopo essergli caduta praticamente addosso) avrebbe anche potuto sotterrarsi all’istante, infine si girò.
E vide blu. E alzò la testa. Il volto che si trovò davanti stava ridacchiando divertito dalla situazione. Ed era un bel volto, purtroppo, dovette constatare Zoe.

A Giacomo non capitava molto spesso di soccorrere giovani donzelle in difficoltà, né tantomeno di ridere in faccia a tali donzelle. Visti però i fatti degli ultimi trenta secondi circa, il giovane non poteva fare a meno di trovare divertente quella ragazza un po’ spaesata e intimorita che gli si trovava di fronte. Così, per evitare di sembrarle maleducato, le sorrise gioviale alzando le sopracciglia, dopodiché si riaccomodò al suo posto e fece segno a lei – che non accennava a muoversi e sembrava ancora abbastanza scossa – di sedersi nel posto davanti al proprio.
Zoe si guardò intorno grattandosi la nuca, si sedette lentamente e togliendosi il cappotto, sospirò e infine si decise a parlare di nuovo.
“Scusa,” cominciò guardando un punto imprecisato della felpa (era quello il blu che aveva visto prima!) del ragazzo. “Credo di aver appena fatto una sequela di figure di merda pazzesche. Ti ringrazio, davvero, per avermi impedito di uccidere qualcuno.”
“L’hai già fatto,” rispose lui, che sembrava ogni secondo più divertito dalla situazione.
“Cosa?”
“Mi hai già ringraziato prima.”
“Ah già. Più o meno.”
“Prego, comunque,” cercò di smorzare la tensione il giovane. “In realtà, ti confesso, l’ho fatto perché non volevo sporcarmi di sangue.”
Finalmente la ragazza alzò lo sguardo sugli occhi di lui. Rimase ferma qualche secondo, dopodiché sorrise divertita e fece un cenno rapido con la mano.
“Infatti non mi spiegavo tutto questo interesse per le vite altrui. Adesso capisco…”
Lo guardò poi nuovamente con attenzione. Le sembrava di aver già visto quel tipo da qualche parte, ma dove? Era carino, non propriamente il suo tipo, ma comunque un bel ragazzo. Molto alto, capelli abbastanza corti, scuri e scompigliati, occhi ridenti color nocciola, sorriso aperto con una sfilza di denti così perfetti da far paura, un accenno di barba. Doveva avere tra i venti e i venticinque anni al massimo, ed era vestito in maniera forse un po’ anonima, sufficientemente alla moda per non piacerle granché.
Zoe sgranò gli occhi all’improvviso: ora si ricordava dove l’aveva già visto! Si stupì di non essersene accorta subito.
Giacomo si accorse del cambiamento repentino nell’espressione di lei, ma non diede a vederlo: non immaginava di essere stato riconosciuto e catalogato, gli capitava raramente, né tantomeno di aver già incontrato in precedenza la ragazza che gli si trovava davanti.
“Allora,” si informò lui, “sei un habitué dei tentati omicidi o questa era la prima volta? Giusto per sapere come comportarmi nei prossimi…” guardò l’orologio, “ottantasette minuti.”
“Un habitué,” rispose Zoe, “ma non provo mai più di una volta al giorno.”
Il sorriso del ragazzo si allargò.
“Questa è una buona notizia!” rispose vivace, dopodiché si limitò a guardarla stiracchiarsi piano. Aveva già notato l’altezza poco elevata, l’ironia pungente e la predisposizione alla sfiga della giovane; notò in quel momento i capelli castano chiaro alle spalle, folti e un po’ mossi con una frangia spettinata che copriva distrattamente la fronte, i jeans comodi e il maglione verde acceso, le scarpe da ginnastica rosse e sformate ai piedi. Tornò di nuovo su con lo sguardo fino agli occhi di lei, scurissimi e con un’espressione decisamente scettica dipinta addosso.
Zoe si sentiva un po’ troppo osservata e quindi un po’ troppo a disagio in quella situazione. “Dunque,” parlò lei per rompere il silenzio, “scendi a Mantova anche tu?”
“Come lo sai?” Ora era lui a essere stupito.
“Hai detto che starai sul treno ancora un’ora e mezza,” spiegò con un’alzata di spalle lei mentre trafficava con le mani nella borsa alla ricerca di qualcosa, “non mi servono grossi calcoli per capire dove scenderai, contando che anch’io ho il cambio nella stessa stazione… Non che mi voglia fare gli affari tuoi, eh,” specificò senza rendersi conto di parlare un po’ troppo. “Era solo per dire qualcosa, in effetti.”
Giacomo si limitò a guardarla di nuovo sorridendo.
Che tipa, pensò. Non che fosse particolarmente bella o magnetica, ma lo stava divertendo un sacco. E poi aveva qualcosa di particolare negli occhi, che parlavano senza bisogno che lei aprisse bocca. Adesso, per esempio, lo stava nuovamente fissando come se fosse un pazzo pervertito, con le sopracciglia alzate e gli occhi spalancati.
Cavolo, devo smetterla di fissarla così, o mi prende per psicopatico!, pensò.
“Certo che sei un segugio. Scendo a Mantova, sì. Ho dei parenti lì, dovrebbero venirmi a prendere in stazione. Dovrebbero…”
Lei non sembrava voler parlare: aveva finalmente trovato il cellulare nella borsa e ora la sua attenzione era catalizzata lì. Ma Giacomo non demorse, si stava troppo divertendo per finire lì la conversazione.
“Non sono proprio di qua.”
“L’ho sentito.”
“Sto a Lecce in realtà.”
“Mm.”
“Tu invece, sei mantovana?”
“Sì… No… Cioè, no. Lì vicino.”
“Non ti mangio mica eh. E non verrò neanche a trovarti a casa, tranquilla,” precisò lui. “Era solo per dire qualcosa, in effetti,” concluse citando testualmente la frase di lei di poco prima.
Zoe si sentì in colpa per aver risposto a monosillabi fino a quel momento. In effetti, magari quel ragazzo non voleva nulla di male, ma lei era diffidente con chiunque, e in quel momento avrebbe preferito chiudere la conversazione, onde evitare ulteriori brutte figure, e attaccarsi alle cuffie del suo vecchio mp3 leggendo il suo libro.
“In verità ho altri venti minuti di treno dopo Mantova,” disse la ragazza cercando un modo di essere gentile e insieme di concludere il dialogo, senza trovarlo.
Lui sorrideva ancora, ma non sapeva più cosa dire. Fu in quel momento, guardandolo per la quarta volta di numero da quando l’aveva incontrato, che Zoe pensò che effettivamente poteva benissimo abbandonare per una volta le sue abitudini da asociale e chiacchierare un po’ con quel semi-sconosciuto. Oltretutto, se avesse raccontato a sua sorella cosa le era capitato e chi aveva incontrato, quella pazza non le avrebbe mai perdonato di aver perso l’occasione.
Il silenzio fu stranamente rotto dal vicino di Giacomo – un uomo anziano evidentemente troppo impiccione per farsi gli affari suoi – che aveva seguito le ultime battute della scenetta con interesse.
“Allora giovanotto,” disse rivolgendosi proprio al suo vicino, “dì un po’, non va più di moda fare le presentazioni prima di approcciarsi a una ragazza?”
Ci fu un attimo di panico e di silenzio imbarazzato, dopodiché, in contemporanea, i due giovani scoppiarono a ridere per la situazione assurda.
“Bah, e chi vi capisce a voialtri,” continuò il signore alzandosi mentre il treno cominciava a rallentare. “Io scendo qua. Buona fortuna a tutti e due, e buon viaggio.”

Il treno era ripartito da un po’ dalla stazione e nessuno dei due aveva aperto bocca.
Zoe stava ancora ridacchiando tra sé e sé, mentre scriveva un messaggio col cellulare, quando la voce dell’altro interruppe i suoi pensieri.
“Il signore, per quanto assurdo, aveva ragione comunque,” disse col sorriso tra le parole. “Giacomo,” continuò porgendole la mano.
La ragazza alzò lo sguardo in quel momento e, vedendo la mano di lui lì davanti prese quasi paura. Fece per dargli la sua, poi la tirò indietro rendendosi conto di avere la mano destra occupata, e in tutto quel parapiglia il telefono le cadde per terra e a lei scappò un’altra imprecazione.
Giacomo rise, si chinò a prenderle il cellulare e glielo porse.
“Se non volevi farmi sapere il tuo, bastava dirlo,” esclamò con un’espressione fintamente offesa sul volto.
“Grazie,” mormorò lei prendendo il telefono. “Cacchio, mi sa che devo scusarmi di nuovo. Sono un vero disastro oggi, ne combino una dietro l’altra.”
“Figurati. Non mi hai ancora detto come ti chiami, però. Così poi ti perdono.”
“Zoe,” questa volta fu lei a porgergli la destra.
“Piacere, Giacomo,” fece lui stringendole finalmente la mano. Aveva una stretta forte, la ragazza. E quel nome, non lo si trovava tutti i giorni, eppure aveva l’impressione di conoscere già qualcuno che si chiamava così.
“Lo so,” disse Zoe. Stavolta toccava a lei sorridere.
“Ah già. Te l’ho già detto.”
“No no, non è per quello,” spiegò velocemente lei. “Cioè, sì. Ma ti conosco già… Più o meno. Voglio dire, so chi sei,” prese fiato mentre lui la guardava stupito. “Non fai parte dei Jam Session? Mia sorella vi adora. C’ho messo un po’ a capire dove ti avevo già visto, quindi ora non smontarmi tutto per favore.”
Lui rise. “No, sono io, sono io. È che mi sembra strano, non siamo molto conosciuti, soprattutto al Nord in realtà. Abbiamo pochi,” fece il segno delle virgolette con le mani, “fan, e quasi tutti delle nostre zone.”
“Eh… Internet è un potente mezzo, sai com’è…”
“Facebook?” chiese lui.
“Credo di sì. E siti vari e altra roba che non so…”
“Ehi, non disprezzare! Senza quella ‘roba che non so’ non avremmo neanche venduto quei venticinque dischi di numero che abbiamo venduto.”
“Venticinque?” scherzò lei. “Caspita, siete forti. Avrei detto ventidue così a occhio e croce…”
Il ragazzo assunse un’espressione oltraggiata. “Beh. Perché gli ultimi tre li abbiamo venduti questa settimana qua. Non potevi mica saperlo, tu.”
Zoe rise. “Dai, scherzavo… Siete piuttosto bravi, piacete anche a me. Meglio?”
“Sì. Sei gentile,” rispose sarcastico Giacomo. “Visto che ci siamo divertiti a prendere in giro me fino ad ora, vorrei sapere anche cosa fai tu nella vita.”
“Studio…”
“Banale! Di questi tempi, poi…”
“In realtà sono mantenuta dai miei genitori, ok? Sono una studentessa universitaria nullafacente.”
“Ancora più banale! E ti permetti di sfottere me?”
Il sorriso canzonatorio del ragazzo la colpì più di quanto avrebbe voluto. Non era solita lasciarsi fregare da trentadue denti smaglianti messi in fila, e non avrebbe certo cominciato adesso. Però quel tizio era senza dubbio simpatico. Raramente riusciva a essere così spontanea con uno sconosciuto, e ancora più saltuariamente le capitava di incontrare una persona e di instaurarci subito un rapporto basato sull’ironia. In genere la gente l’ironia non l’apprezzava, o non la capiva.
Di sicuro si comporta così con ogni essere umano di sesso femminile, parlò maligna una vocetta dentro la testa della ragazza.
Zoe sbuffò.
Giacomo rise. “Dai, continua.”
Lei gli lanciò un’occhiata storta che lo divertì ancora di più. “Non sono banale,” disse con il broncio. “Faccio Filosofia a Padova, ma qualche dubbio sul futuro ce l’ho anch’io. Io adoro la filosofia, ma ho paura che una laurea del genere non mi porti da nessuna parte; pensa che all’inizio volevo fare Scienze Naturali. Comunque, mi piace quello che sto studiando…” Si bloccò di colpo: perché gli stava dicendo tutte quelle cose? Neanche lo conosceva.
Fortunatamente in quel momento risuonò una musichetta nell’aria, e il ragazzo prese il cellulare in mano per poi rispondere facendole un cenno con la mano come a dire “scusa un attimo”.
Zoe si rilassò meglio sul sedile, e dopo un poco tirò fuori dalla tracolla il suo libro e cominciò a leggere, capendo in verità poco di quello che le scorreva sotto gli occhi.

Passarono una mezz’ora buona del viaggio così: Giacomo che parlava animatamente al telefono e Zoe che leggeva e si sforzava di non ascoltare quella conversazione privata.
Infine, lui salutò e riattaccò. “Scusami, un bel casino.”
“No, ma figurati,” disse lei alzando lo sguardo ma senza chiudere il libro. “Mica mi devi delle spiegazioni.”
Giacomo pensò che in fondo era lui a voler dare delle spiegazioni alla persona che gli stava di fronte, e non sapeva ancora bene il perché. “Era mia madre,” spiegò. “Ce l’ha con il mondo della musica e della discografia in Italia perché ha saputo che non c’hanno fatto il contratto con un’importante casa discografica. D’altronde se non hai buoni agganci combini poco, senza contare che noi in quest’ambiente ci muoviamo da non molto, e al momento abbiamo un’etichetta piccola e indipendente. E poi voleva sapere come sto, è da un po’ che non la vedo.”
Zoe adesso era in imbarazzo: troppe informazioni in un colpo. “Bene,” disse, rendendosi subito conto della stupidità della battuta. “Cioè, no. Mi dispiace per il contratto e… e tutto il resto.”
Lui sorrise, intenerito. “A me non più di tanto. In realtà, avrei preferito continuare a parlare con te. Adesso ci rimangono circa venti minuti di treno, poco meno…” Si fermò un attimo, indeciso, poi decise che valeva la pena di rischiare. “E non ti ho ancora chiesto il numero,” concluse abbassando la voce.
La giovane trasalì, colta di sorpresa. “Il numero?” chiese, rendendosi subito conto della stupidità della domanda.
“Sì, il numero di piede… Così a occhio e croce direi che porti un trentotto, ma non ci metterei la mano sul fuoco, sono fuori allenamento. Una volta ero campione regionale, in Puglia,” scherzò Giacomo, per smorzare l’imbarazzo.
Zoe ridacchiò, poi si accorse che il ragazzo aspettava una sua risposta, stavolta più intelligente della prima, se possibile. “Il numero,” ripeté, quasi tra sé e sé. E ora? Prese velocemente la decisione che le pareva più giusta, poi parlò piano, guardandosi le mani. “Non… non mi sembra una buona idea.”
“Il tuo ragazzo non sarebbe d’accordo?” chiese lui cercando i suoi occhi schivi.
Lei alzò lo sguardo, timido ma ridente. “È un modo carino per chiedermi se ho il ragazzo?”
“Ce l’hai?”
Zoe valutò per un attimo l’ipotesi di mentire per spiegare il suo comportamento, poi decise che non aveva senso. “No, non ce l’ho.”
“Quindi perché non ti sembra una buona idea?”
“Perché no.”
“Ti sembro un maniaco stupratore?”
Si guardarono e risero. “Direi di no.”
“C’hai pensato però.”
Lei alzò le spalle. “Non credo che ti scopriresti così se fossi un maniaco stupratore…”
“Grazie per la fiducia.”
Sorrisi. Silenzio.
“Allora,” tentò di nuovo lui, “me lo dai il numero?”
La ragazza si passò le mani sugli occhi, sospirò e decise che poteva essere sincera. “Senti, non… Non ho niente contro di te, è che… Non è mia abitudine dare il numero di telefono a un tizio appena conosciuto sul treno,” lui tentò di interromperla ma lei continuò decisa. “Contando poi che sei un… vip, un artista, un musicista, un cantante, o quello che sei, non credo veramente che tu abbia il tempo e la voglia di chiamarmi. Avrai centinaia di ragazze, in rubrica, che aspettano una tua chiamata.”
“Non mi conosci. Se sono solo queste le motivazioni, perché non rischiare?”
“Sei di Lecce, io di vicino Mantova. Non prendermi in giro, dai… Anche volendo, cosa potresti fartene del mio numero?”
“Ma se…”
“Non insistere, per favore. Sono piuttosto testarda.”
Lui sorrise, ancora. “L’ho notato. Mi dispiace però.”
“Vedrai che non è poi ‘sta gran tragedia. Domani il tuo orgoglio ferito si sarà già dimenticato di me.”
“Ehi! Non si tratta di…”
Zoe lo interruppe. “Guarda, stiamo arrivando!” disse alzandosi e cominciando a raccattare le sue cose. Si infilò il cappotto rosso, si pigiò in testa il berretto di lana, si arrotolò la sciarpa al collo, ripose il suo libro in borsa, dopodiché si voltò a guardare il ragazzo, che era rimasto immobile, seduto e con la stessa espressione di poco prima. In imbarazzo, tornò a girarsi e guardò preoccupata l’ormai famoso trolley che troneggiava comodo sul portavaligie.
Presagendo la catastrofe imminente, Giacomo si alzò alla svelta.
“Lascia, faccio io, va’…” disse tirando giù il bagaglio con facilità.
“Grazie,” mormorò lei. “Di nuovo.”
“Non c’è di che. A cosa servirebbero sennò i ragazzi alti?” rispose il giovane preparandosi per scendere dal treno. Pensò che forse aveva ragione lei, era stato più che altro il suo orgoglio maschile a rimanere ferito dal rifiuto. Raramente riceveva dei no tanto secchi, di solito gli bastava sorridere in tutto il suo splendore per combinare qualcosa. Ok, stavolta si era trovato piuttosto bene a chiacchierare, ma nulla di più.

Scesero a Mantova in un clima imbarazzato, e si salutarono nel sottopassaggio, poiché dovevano prendere due strade diverse.
“Beh, ciao allora,” cominciò Zoe. “Magari ci si vede in giro. Insomma, in futuro.”
“Sì, certo. Molto probabile,” rispose lui sarcastico.
“Non si sa mai!” protestò la ragazza.
“Ok. Se lo di-,” Giacomo si interruppe improvvisamente. “Ehi, ho un’idea! Se ci vediamo un’altra volta, più avanti, mi dai il permesso di offrirti il caffè. E poi, mi lasci il numero.”
“Che ideona fantastica! Non molli mai, tu?” disse lei con una faccia tra lo scocciato e il divertito.
“No, in effetti no. Allora? Affare fatto?”
“Frena! E se ci rivediamo tra venticinque anni? E se non avrò il tempo per il caffè?” domandò lei.
“È un patto che vale sempre e comunque. Non scioglibile. Quindi?”
Zoe, che tutto sommato se la stava spassando, decise di dargli corda.
Tanto, pensò pragmaticamente, è quasi certo che non lo rivedrò mai più in vita mia.
“Come vuoi, affare fatto,” sospirò rassegnata.
“Perfetto!” Il giovane le strinse la mano un’ultima volta, dopodiché cominciò a muoversi. “Alla prossima allora. Ciao!” esclamò sorridente camminando all’indietro.
“Contaci.” L’espressione della ragazza era piuttosto ironica. “Ciao.”
Giacomo si girò e si allontanò abbastanza soddisfatto. Certo, era probabile che non avrebbe più rivisto quella Zoe. Ma nella vita non si può mai sapere cosa succederà.








Eccomi per il primo capitolo vero - ok, ok, il precedente era solo un minuscolo assaggio.
Non ho molto da dire in realtà, infatti non siamo propriamente nel vivo della storia, ma mi piacerebbe sapere cosa ne pensate. Perchè i primi capitoli di questa fic in realtà li ho già scritti e li pubblicherò, ma non sono molto convinta della storia, quindi se non convicerà neanche voi non ha senso che continui a scriverla. Questo non per fare alcun ricatto o simili, è la verità: cioè, anche se vi fa schifo, ditemelo, che è inutile che continui a perder tempo! :) Ovviamente anche i commenti positivi sono ben accetti....
Intanto ringriazio di cuore Anthy per i complimenti sul prologo: spero continuerai a seguire e commentare!
Detto ciò, vi saluto tutti! Bye...

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***



Capitolo II






“Tu sei completamente suonata. Non c’è altra spiegazione,” disse di nuovo la ragazza bionda in piedi di fronte a Zoe. Sua sorella, per la precisione.
La solfa era la stessa da circa mezz’ora, tutto perché Zoe le aveva raccontato a grandi linee quello che le era capitato nel treno per tornare a casa. Non l’avesse mai fatto! Ora lei era comodamente seduta sul divano a sbocconcellare dei biscotti e Viola, sua sorella minore, più piccola di lei di due anni scarsi, camminava in preda all’agitazione più assoluta avanti e indietro per la stanza. Tutto ciò perché lei, povera pazza psicopatica affetta da carenza di neuroni e del tutto incapace di formulare un pensiero intelligente in autonomia – questo secondo Viola, ovviamente – si era permessa di prendere l’iniziativa e aveva osato rifiutarsi – si era rifiutata! – di dare il numero di telefono a Giacomo Pioggia, voce e chitarra dei Jam Session, il gruppo preferito della sua povera innocente sorella.
Zoe sospirò. “Ma cosa ho fatto di così tragico? Non lascio mai il numero a gente sconosciuta.”
“Gente sconosciuta?” Viola sembrava sconvolta. “Gente sconosciuta? Tu sei pazza.”
“Questo l’hai già detto. Please, go on.” In fondo, si divertiva troppo a prenderla in giro.
Giacomo Pioggia non è gente sconosciuta. Cavolo, Zoe, anche tu ascolti i Jam, ti piacciono!”
“È vero, e allora? Un conto è la loro musica, un conto è… loro come persone, come ragazzi. E, in quest’ultimo caso mi sono sconosciuti. Quello che ho incontrato sul treno è solo un ragazzo di Lecce un paio d’anni più vecchio di me, carino, ma non il mio tipo, simpatico, ma non l’amore della mia vita. Che dovevo fare, saltargli addosso perché mi piace come canta?” cercò di spiegare il suo punto di vista la maggiore, ottenendo però – a giudicare dall’espressione a metà tra il rassegnato e l’arrabbiato di sua sorella – ben poco successo.
“Beh, forse. Ma non è questo il punto, razza di traditrice! Lui ti ha chiesto il numero e tu gliel’hai rifiutato. Potevi dargli il mio se proprio avevi voglia di fare la schizzinosa!” sbraitò ancora Viola.
“Vi. Vi. Segui il mio ragionamento. A te non piace neanche quel Giacomo. A te piace l’altro chitarrista, Niccolò, no? Non serve che ti fai venire un infarto per una cosa del genere.”
Probabilmente Zoe stava per vedere la morte, ma in quel momento dalla cucina arrivò Ginevra, la terza – ed ultima – sorella, la più grande delle tre in realtà, che aveva seguito tutta la conversazione, che si era assentata due minuti per procurarsi da bere e che era tornata giusto in tempo per intervenire. Meglio, per essere chiamata a intervenire.
“Giusto, sorellona?” la interpellò infatti Zoe convinta di essere nella ragione.
“Insomma…” cominciò Ginevra guadagnandosi un’occhiata assassina da parte di Zoe, che non voleva vedersi crocifiggere ulteriormente. “Cioè, sapevi che la scema qui avrebbe reagito in ‘sta maniera, potevi almeno prendere il suo di numero, così era contenta.” Viola assunse un’espressione da gatta soddisfatta, ma Ginevra non aveva ancora finito. “D’altra parte, Viola, è inutile che te la prenda così a male. Ognuno fa quello che vuole e lei ha agito come le pareva, come tu sei libera di dare il tuo numero al più inutile degli insetti se ti va,” concluse.
“Uno qualsiasi dei Jam Session non può essere il più inutile degli insetti! Non è servito a niente neanche portarti al concerto la scorsa estate…” piagnucolò la sorella minore atteggiandosi a grande incompresa della situazione.
“Ossignore, non capisci proprio un tubo tu, eh…” disse Ginevra alzando gli occhi al cielo. “Io ci rinuncio, era più divertente guardarvi da fuori,” parlò sedendosi sul divano anche lei, un po’ in disparte per godersi lo spettacolino.
Capendo le intenzioni della sorella maggiore, Zoe protestò animatamente, decisa a interrompere all’istante quel martirio. “No-no-no-no-no! Non ho intenzione di dare spettacolo per nessuno. Storia chiusa, finita, caput.”
“Almeno,” disse Viola, “speriamo che lo rincontri. Così sei costretta a dargli il numero, suora che non sei altro!”
“Ehi! Non sono una suora!” si arrabbiò Zoe.
“Certo!” la prese in giro l’altra. “Quand’è l’ultima volta che sei uscita con uno?”
“Ho gusti difficili, e allora? E comunque,” continuò soddisfatta di poter smentire la sorella, “a proposito, ieri sera ho conosciuto un ragazzo interessante…”
Viola finse stupore per farla arrabbiare. “Non ci credo!”
“Scema!” esclamò Zoe lanciandole un cuscino addosso mentre anche la più piccola si sedeva.
“Dai, su, racconta. Che aspetti?” la incitò Ginevra rientrando nel vivo della conversazione.
“Non lo conosco granché, l’ho visto una volta in gruppo, ma è carino. E simpatico, credo. È amico della mia coinquilina.”
“Nome?” domandò una curiosissima Viola, dimentica della discussione di poco prima.
“Andrea,” disse Zoe, cominciando poi a snocciolare un altro lungo racconto, contenta perlomeno di aver distolto l’attenzione dalla storia dell’incontro in treno.

Ginevra, Zoe e Viola Molinari erano senza dubbio le tre sorelle più conosciute della loro cittadina di provincia. Avevano rispettivamente ventidue, diciannove e diciassette anni e si amavano in maniera direttamente proporzionale al loro reciproco urlarsi dietro. In altre parole: i litigi, anche per le cause più futili o banali, a casa loro non mancavano mai ed erano sempre tanto violenti e intensi quanto brevi e presto dimenticati. D’altronde erano tutte e tre talmente simili e al contempo talmente diverse da lasciare chi le conosceva, a primo acchito, del tutto spiazzato.
In comune Le Tre Grazie avevano un innato senso dell’umorismo piuttosto tendente all’ironico e puntinato da sfumature di forte sarcasmo, caratteristica che, solitamente, riusciva a renderle abbastanza inaccessibili, almeno al primo tentativo. Se qualcuno riusciva però a oltrepassare quella patina protettiva e comune che rendeva le sorelle tanto simili, poteva trovare tre caratteri completamente diversi ma tutti altrettanto bisognosi di affetto e attenzioni.
Ginevra, la primogenita di Elisabetta Grassi e Angelo Molinari, era, come si addice a una sorella maggiore, la più saggia e ponderatrice delle tre, ma anche la più fantasiosa quando si trattava di inventare una qualsiasi stupidaggine che coinvolgesse le sorelle. Sapeva dispensare consigli utili a chiunque, anche grazie al suo innato spirito di osservazione e al suo buon carattere, il quale le evitava spesso litigi inutili – tranne che con le sue sorelle, ovviamente. Era felicemente fidanzata con Marco da qualche mese, ma lo conosceva da anni e anni: erano amici da una vita, in pratica.
Zoe aveva un carattere più chiuso e impenetrabile ma, comunque, era forse la più sensibile e insicura delle tre. Aveva dei gusti difficili quasi su tutto – ragazzi compresi – ma continuava imperterrita a cercare la felicità nei posti più disparati. Aveva spesso bisogno di chiudersi in se stessa per stare un po’ sola, ma sapeva essere, se necessario, il centro della baldoria della sua compagnia di amici. Era testarda e idealista, generosa e fin troppo lunatica, era un’incorreggibile ritardataria e una pazza convinta di poter cambiare il mondo con la sua giovinezza, i suoi principi e la sua voglia di lottare.
Viola, infine, era semplicemente un vulcano sempre pronto a esplodere, in tutti i sensi. Sapeva difendersi da sola da chiunque tentasse di infastidirla, era istintiva e completamente pazza. A volte chi la conosceva rimaneva impaurito, o addirittura terrorizzato, da questa sua irruenza e vitalità e dal suo modo di difendere le proprie idee, ma, a conoscerla bene, Viola mostrava un sacco di lati del carattere sorprendenti: sapeva essere, per esempio, estremamente affettuosa e protettiva con chi amava, quindi anche con le sue sorellone.
Fisicamente le tre erano, allo stesso modo, simili e diversissime: si vedeva la somiglianza in loro, ma non era niente di specifico, più che altro un qualcosa nei sorrisi, nei modi di esprimersi e di gesticolare. Per il resto, le diversità fioccavano: Ginevra e Viola erano bionde, Zoe più castana; le due più vecchie avevano gli occhi rispettivamente nocciola e marrone scuro, la terza di un bel verde; Ginevra era più alta, Zoe più bassa, Viola più esile. Inoltre, ognuna aveva un proprio modo di vestire diverso dalle altre, ognuna aveva una propria personalità e delle proprie idee.
Le tre Molinari avevano un rapporto simbiotico e al tempo stesso conflittuale: il forte legame di sangue era inconsciamente molto sentito da tutt’e tre e per questo l’amore che le legava era incondizionato e gratuito, ma questo non impediva loro di scontrarsi spesso e volentieri, anche per le questioni più futili. Tutto sommato, infatti, erano tre caratteri piuttosto forti e tre persone piuttosto decise, mix letale per chi doveva averci a che fare.
Purtroppo le sorelle passavano molto meno tempo assieme da quando le due maggiori erano all’università in due città – Ginevra studiava a Bologna, Zoe a Padova – che permettevano loro di tornare a casa solo per i weekend, e a volte neanche tutte le settimane. Nonostante ciò il rapporto non si era affievolito e, anzi, quando avevano l’occasione di passare del tempo assieme non se la facevano sfuggire, raccontandosi aneddoti e momenti di vita, ridendo e giocando tra loro, litigando e prendendosi in giro, ritenendosi vicendevolmente sorelle, amiche e parte fondamentale l’una della vita delle altre e viceversa.


“E così ti ha lasciato ingloriosamente a bocca asciutta,” disse Niccolò parlando al telefono col suo amico in vivavoce mentre strimpellava piano una chitarra e prendeva appunti segnandosi accordi e note su un pezzetto stropicciato di carta. “Brava la biondina!” rise allegro.
“Conte! Attento a quello che dici!” lo ammonì Giacomo dall’altra parte della linea.
“Ma che sarà mai! Mica tutte possono venirti dietro come delle giovenche in calore,” continuò a sfotterlo l’altro. “Che poi l’ho sempre detto io, il tuo fascino è soltanto presunto. Mai dimostrato coi fatti. La biondina ha fatto bene, sì.”
Giacomo espirò forte per trattenersi dalla voglia di prendere a sberle quel cretino con cui stava parlando, alias Niccolò Conte, il suo migliore amico, nonché co-chitarrista e co-voce del gruppo. In ogni caso, non avrebbe potuto sfiorarlo, purtroppo, perché Niccolò si trovava a casa a Lecce, lui invece era ancora a Mantova per il compleanno di suo cugino. L’aveva chiamato solo per chiedere delle novità sui nuovi pezzi, e alla fine si era ritrovato a raccontargli lo strano incontro del treno.
“Intanto, ti ho già detto che non era bionda ma castana. In secondo luogo, smettila di strimpellare, sottospecie di mezzo chitarrista che non sei altro, che ti sto parlando. E in terzo luogo, capita a tutti prima o poi di beccare la puritana di turno. Non ha voluto lasciarmi il numero? Peggio per lei.”
“Che carino che sei quando cerchi di auto-convincerti,” rise Niccolò ignorando deliberatamente il chiaro messaggio espresso nel secondo punto del discorso dell’altro, continuando così a suonare, e a prendere in giro l’amico.
Niccolò era un bel ragazzo moro, coi capelli mossi e un po’ lunghi, spesso legati in testa, e l’abitudine di prendere poco sul serio il suo amico d’infanzia, Giacomo Pioggia. Sapevano entrambi di essere abbastanza carini da poter irretire un buon numero di ragazze e ragazzine, in particolare fan urlanti – specie piuttosto rara, in verità – ma erano anche molto diversi tra loro, sia fisicamente sia dal punto di vista caratteriale.

I due ragazzi si conoscevano dalle scuole elementari e avevano, crescendo, condiviso una grande passione per la musica, passione che li aveva poi portati a tentare il successo proprio in questo campo. Ora erano due giovani di ventun anni e si stavano accorgendo a loro spese che non bastava il talento e la voglia di vincere per fare successo: la vita vera, purtroppo, non funzionava come i film dove i buoni vincevano sempre e i cattivi finivano male. Nonostante ciò, la musica rimaneva il loro primo amore, nonché ciò che li faceva andare avanti anche nei momenti più difficili.
Giacomo e Niccolò erano due ragazzi ironici, pieni di carattere e di forza di volontà. Il primo era generoso, sempre sorridente, tenace e ottimista, inoltre Giacomo era piuttosto espansivo ma sensibile ed empatico; il secondo era più realista, coi piedi per terra, ma ugualmente sicuro di sé e combattivo. Il loro legame era forte e resistente: litigavano raramente, i loro erano più che altro battibecchi e divertenti scontri verbali, e in genere collaboravano molto bene.
Da circa due anni avevano formato un gruppo, i Jam Session, insieme a Giorgio Terrani, batterista di quattro anni più vecchio di loro e parte più ragionevole della band. Tutto sommato grazie al loro primo EP, uscito con un’etichetta indipendente, avevano riscosso un discreto successo nella loro terra d’origine e qualche fan sparso per l’Italia, ma niente di più. Al momento vivevano girando a suonare per la penisola con una specie di tour autofinanziato e intanto mettevano nero su bianco un nuovo progetto, un album interamente scritto da loro che, forse, se non fosse andato bene, sarebbe stato il loro ultimo lavoro da professionisti. Non bastava questo a scoraggiarli: erano abbastanza sotto pressione, questo sì, ma ciò non impediva loro di lavorare con impegno ed entusiasmo, continuando, al contempo, a ridere e scherzare come avevano sempre fatto.
Giacomo, che al momento era davvero poco paziente, ammonì il suo amico. “Nico, dacci un taglio che non è aria, eh…”
“Cacchio, se sei permaloso! Che c’avrà avuto ‘sta bionda di tanto speciale poi…”
“Castana,” sospirò, “e non ha niente di speciale, c’ho solo fatto due chiacchiere e mi son divertito. Punto e stop.”
“Amico,” continuò Niccolò smettendo un attimo di suonare, “tu sei solo in astinenza.”
“In astinenza! Figurati! Che coglione che sei,” lo insultò Giacomo.
“Non ho detto che ti mancano le donne, ho detto che ti manca una ragazza vera, con cui parlare e divertirti, oltre a tutto il resto. Ti manca l’Ammmore,” concluse saputo l’altro riprendendo subito a muovere le dita sulle corde della chitarra.
“Finiscila di dire minchiate, finto psicologo dei miei stivali. Maledetta quella volta che ho deciso di raccontarti ‘sta storia!”
Niccolò rise e rispose pronto. “Ehi, guarda che lo faccio per te. Cinquanta euro a seduta, perché sei un amico.”
“Certo, grazie,” lo assecondò Giacomo. “Smettila di suonare, non riesco neanche a sentirti. Ti avevo chiamato per parlare di cose serie…”
“Non lamentarti: sto lavorando per il gruppo, mentre tu ti diverti in Val Padana.”
“Dimmi che hai combinato di buono, allora,” decise di cambiare argomento Giacomo, convinto di riuscire a dimenticare presto la pericolosa ragazza del treno.







Saluti a tutti voi, sono di nuovo qui!
Questo, avrete notato, è un capitolo abbastanza breve e poco sostanzioso, eppure pieno di informazioni essenziali per la storia: sia le due sorelle di Zoe sia il bel Niccolò giocheranno dei ruoli nei capitoli a venire e sono persone molto importanti per i nostri protagonisti.
Inoltre, vorrei farvi una piccola confessione: credo di essermi ficcata in un bel casino dal momento che, nella storia, userò diverse città italiane importanti come sfondo delle vicende (ho già nominato Mantova, Padova, Lecce...) ma non conosco particolarmente bene nessuna di queste, perchè non ci abito. Quindi, spero mi perdonerete eventuali castronerie e, soprattutto, spero abbiate voglia di aiutarmi nel caso di bisogno. Io, di mio, tenterò di non sparare troppe cavolate... :)

Anthy: Cara, hai tutta la mia gratitudine, dato che al momento sei l'unica che viene a commentare questa storia, e oltretutto la commenti anche positivamente! :) Sono contenta di riuscire a farti sorridere - è uno dei miei scopi principali, lavorando su una commedia - e spero continuerai a seguirmi. Vedo che hai già inquadrato Giacomo: ti garantisco che, per come si sta delineando nella mia testa, definirlo cocciuto è anche poco... Certo però che anche Zoe non ci va piano col carattere. Grazie ancora!

Concludo chiedendovi, ancora una volta per favore, di recensire la storia perchè devo decidere che farne. So che con questo capitolo la trama fa fatica a prendere il volo e che vi ho dato ancora pochi elementi per esprimermi il vostro parere, ma è benaccetto qualsiasi tipo di consiglio!
A presto e buona settimana a todos.


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Capitolo 4
*** Capitolo III ***



Capitolo III





Zoe scese in stazione, fece qualche passo verso il sottopassaggio, dopodiché si fermò, si aprì la giacca leggera e si stiracchiò soddisfatta ricevendo occhiate divertite dalle persone attorno a lei. Aveva più di venti minuti prima che arrivasse la sua coincidenza.
Mentre estraeva dalla tracolla una bottiglietta d’acqua e beveva, constatò felice che la primavera era decisamente cominciata. Era inizio aprile e perfino in stazione a Mantova, posto solitamente grigio e confusionario, gli uccellini cantavano e il sole splendeva tiepido.
Dopo queste considerazioni sul tempo, Zoe si buttò nel sottopassaggio e si fermò davanti a un tabellone per controllare verso che binario doveva muoversi, visto che il suo treno sullo schermo delle partenze non era ancora segnalato. Una persona le si fermò accanto e lei per riflesso spontaneo si voltò a guardarla distrattamente prima di riprendere la ricerca del binario.
Ma cosa…?, pensò la ragazza voltandosi di nuovo per vedere meglio chi le stava vicino.
“Oh mio dio!” esclamò esterrefatta. “Non è possibile…”
In quel momento, richiamato dall’imprecazione, Giacomo si girò e incrociò lo sguardo più che stupito della ragazza. Per qualche secondo rimase anche lui immobile, con la bocca socchiusa dalla sorpresa e la fronte aggrottata, ma poi si riprese e sul suo volto si formò un sorriso che Zoe successivamente avrebbe definito a metà tra il soddisfatto e il manipolatore.
“Ma ciao!” disse il ragazzo con un tono fin troppo entusiasta. “Noto con piacere che ti ricordi di me…”
La ragazza sembrava aver perso parecchio colore. “E come potrei averti dimenticato…” sospirò pensando vaga che sua sorella ancora le rinfacciava il suo errore.
“Bene!” esclamò lui battendo le mani. “Allora, questo caffè?”
“Ho il treno tra un quarto d’ora,” ribatté lei mettendosi subito sulla difensiva.
Giacomo continuò a sorridere e arricciò il naso. “Quest’obiezione l’avevi già fatta… quand’era?… due mesi fa?”
“Ehm… Sì, sarà.”
“Beh, comunque non mi interessa un bel niente del tuo treno. Ce ne sarà un altro più tardi, no?” Vedendo che la ragazza non rispondeva, Giacomo decise di arrangiarsi prendendo la valigia di lei e avviandosi al binario uno per andare poi verso il bar.
Zoe rimase un attimo esterrefatta, dopodiché si decise a seguirlo, come minimo per recuperare il proprio beneamato trolley.
“Ehi aspetta!” disse raggiungendolo. “Dove credi di andare con la mia valigia?”
“Al bar,” rispose semplicemente lui.
“Perché?” domandò lei, rendendosi subito conto della stupidità della domanda.
Giacomo la guardò infatti alzando le sopracciglia e parlò come se avesse di fronte una persona un po’ tocca. “Per il caffè,” scandì, e vedendo che lei sembrava ancora titubante continuò. “Dai su, te lo pago io se vuoi.”
Il sarcasmo di Zoe, fino a quel momento nascosto da un pesante strato di sorpresa e indecisione, uscì allora tagliente. “Oh, che gentiluomo. Mi porti la valigia senza che io te lo chieda e mi paghi un euro di caffè dopo che mi obblighi a prenderlo. Grazie.”
“Non c’è di che,” rispose lui stando al gioco.
Ormai erano arrivati davanti alla porta del bar quando la ragazza lo bloccò prendendogli il braccio. “Sicuro di non avere niente di meglio da fare? Un treno che non puoi perdere, qualcuno da aspettare, una canzone da scrivere? Un mondo da salvare dalle forze del male? Perché, sai com’è, io a casa ho gente che mi aspetta…”
“Già. In effetti una cosa dovrei farla,” disse lui pensieroso. Poi mollò il trolley, tirò fuori dalla tasca il cellulare e chiamò qualcuno. La conversazione fu rapida e comprensibile anche dall’esterno, cioè da una Zoe piuttosto costernata.
“Ciao, sono io. Senti un attimo, io sono in stazione adesso, ma ho avuto un contrattempo e non riesco a prendere l’autobus per venire lì… Certo… No, nessun problema, ho solo incontrato una persona e mi fermo a bere una cosa. Prenderò un taxi dopo… Ah, più tardi puoi venire a prendermi tu? Perfetto allora… No, non so a che ora finisco. Beh, in caso ci sentiamo poi, ok? … Sì, sì, a più tardi, grazie zio,” concluse riattaccando.
La ragazza lo guardava immobile con gli occhi sgranati.
Giacomo alzò le spalle. “Io ho avvisato, ti conviene chiamare qualcuno e dire che prendi un treno dopo, no?” suggerì pragmatico.
Siccome lei sembrava paralizzata e non accennava a muoversi, Giacomo, che stranamente si sentiva in leggero imbarazzo, si grattò la nuca e parlò di nuovo. “Senti, avevamo un patto. Non che io credessi di rincontrarti davvero, ma ridendo e scherzando è andata così. A questo punto, appurato già due mesi fa che non sono un maniaco stupratore, ci prendiamo questo benedetto caffè, chiacchieriamo un po’, poi vedi tu. Se vuoi darmi il numero bene, sennò pace. Non posso certo estorcertelo con la forza, anche se a dirla tutta farebbe parte dell’accordo anche quello…”
Zoe non sapeva proprio che dire. Già il fatto di aver ritrovato quel tipo in stazione l’aveva decisamente sorpresa, ora si sentiva addirittura spiazzata. Quasi le faceva tenerezza, Giacomo, perché era chiaro il suo imbarazzo.
Sorrise, prese il telefono. “Papà? … Sì, sono in stazione a Mantova, ma non torno subito a casa. … Non so, mi fermo a prendere un caffè. … Nooo. No. È perché ho incontrato una persona che conosco. … Ma sì … Davvero? … Bene, senti, ci sentiamo comunque. … Ciao.”
Giacomo la guardava dall’alto, soddisfatto.
“Visto?” disse con tono appositamente saputo. “Non è stato poi così difficile!”
“Scemo,” lo apostrofò lei.
“Frena, cos’è tutta questa confidenza?”
“Dovremo pur cominciare con qualcosa, no?”
“Il caffè te lo paghi da sola se cominci così,” chiarì scherzoso lui aprendo la porta del bar e invitando Zoe a entrare.

Passarono un bel po’ di tempo così, semplicemente a parlare per conoscersi un po’, a ridere e scherzare, e a bere quel caffè. Capirono che tutto sommato era facile chiacchierare, fin troppo facile per due persone che non si conoscevano, come loro.
Zoe si era già accorta della facilità con cui riusciva – stranamente – a relazionarsi con quel ragazzo. Stranamente, sì, perché di solito per lei, così diffidente e un pochino ostile verso ciò che non conosceva, aveva bisogno di più tempo per aprirsi e all’inizio di un rapporto poteva risultare timida o addirittura snob, cosa che non era per niente. Con Giacomo invece era riuscita a ridere e scherzare da subito: forse grazie al sorriso di lui, così aperto e disponibile, forse perché le risultava naturale rispondere all’ironia del ragazzo con la stessa moneta, forse perché, nonostante i suoi dubbi iniziali, lei e Giacomo sembravano essere diversi sì, ma comunque compatibili.
Giacomo seppe che lei aveva due sorelle, un cane e un gatto; che studiava Filosofia a Padova ma che avrebbe voluto fare la giornalista per girare il mondo, e che comunque avrebbe voluto presto andare a studiare un anno all’estero, a Parigi magari; che le piaceva il caffè amaro, praticamente senza zucchero; che era brava a giocare a qualsiasi gioco di carte; che era disordinata e distratta; e altri particolari più o meno rilevanti.
Inoltre lei gli disse che aveva il ragazzo da qualche settimana, mise le mani avanti affermando che se aveva intenzioni romantiche nei suoi confronti poteva anche scordarsele, perché con questo Andrea stava bene. Giacomo rise dicendo che potevano essere solo amici e pensò che in fondo era meglio così, perché con tutte le ragazze che frequentava finiva male e invece era una cosa nuova per lui parlare in quel modo, senza sottintesi e luoghi comuni, con qualcuno con cui si trovava davvero a proprio agio.
Zoe scoprì che il ragazzo non era così vip come poteva sembrare a un primo sguardo, non si dava cioè molte arie, anzi, al contrario, era estremamente umile e autoironico; che in genere le canzoni per il suo gruppo le scriveva l’altro chitarrista, Niccolò Conte, ma che anche lui buttava giù qualcosa; che spesso nell’ultimo periodo passava molto tempo a Milano per questioni di lavoro, ma che amava alla follia la sua terra d’origine, il Salento e Lecce, dove viveva la sua famiglia; che al contrario di lei metteva chili di zucchero nel caffè; che a volte andava a Mantova perché lì viveva un suo cugino a cui voleva molto bene, costretto purtroppo a stare in sedia a rotelle dopo un brutto incidente; che era figlio unico ma aveva un sacco di amici…
Nessuno dei due si sbottonò troppo: Zoe in particolare era, come già detto, molto diffidente per natura, ma dovette ammettere con se stessa – si appuntò mentalmente di non ammetterlo mai e poi mai con lui – di essere stranamente contenta di aver accettato quel caffè alla fine.

Dopo un’ora e mezza passata così, Zoe guardò distrattamente l’ora sul display del cellulare, e quasi le prese un infarto.
“Oh cazzo!” imprecò dimentica di avere un ragazzo conosciuto da poco di fronte. “È tardissimo!”
Giacomo rise per l’ennesima volta quel pomeriggio.
“Sai, non c’è niente da ridere,” si imbronciò lei.
“Ridevo per il tuo linguaggio da principessa sul pisello. Sei molto dolce,” la prese visibilmente in giro il ragazzo, sottolineando in particolar modo l’ultima parola.
“Ah. Scusa.” Zoe sembrava quasi essere arrossita.
“Ma figurati! Mi ha ricordato la prima volta che ti ho vista: è stata la prima parola in assoluto che ti ho sentito pronunciare, credo.”
Zoe non disse niente, ma mise su un finto broncio che fece ridacchiare ancora di più il ragazzo.
“A che ora hai il treno?” le chiese.
“Ormai,” riguardò l’orologio, “il prossimo è tra poco più di un quarto d’ora. Ma è meglio se mi muovo intanto, sennò perdo anche quello.”
“Ok, vado a pagare il caffè e ti raggiungo fuori…” disse Giacomo alzandosi.
Zoe tentennò. “No, guarda che io…”
“Vai,” insistette lui capendo al volo, “il caffè avevamo detto che te lo pagavo io, su.”

Giacomo uscì dal bar riattaccando il telefono dopo aver chiamato nuovamente suo zio.
“Binario?” chiese a Zoe.
“Tre. Io vado…”
“No, dai. Ti accompagno così ci salutiamo bene,” sorrise lui strizzandole l’occhio.
Camminarono in silenzio fino al binario e, arrivati, Giacomo si sedette su una panchina.
Zoe, invece, ricordandosi improvvisamente di una cosa, prese dalla borsa una penna e uno scontrino e ci scribacchiò su qualcosa, poi glielo porse.
Il ragazzo lo prese, lo lesse e, dopo aver capito che si trattava del suo numero, la guardò dubbioso.
“È uno scherzo?” le domandò a metà tra l’ironico e lo scettico.
“Tenta e lo scoprirai!” esclamò Zoe aprendo teatralmente le braccia e sorridendo.
Giacomo scosse la testa e si alzò. “La prima volta che ci siamo visti sono riuscito a scucirti il nome, la seconda ti ho strappato un caffè di un’ora e qualche informazione… Pensavo di dover aspettare almeno la terza volta per avere il numero.”
“È già la terza volta,” disse lei voltandosi verso il binario e trattenendo una risata.
“No. È la seconda,” ribatté sicuro Giacomo.
“La terza,” insistette lanciandogli un’occhiata.
Allo sguardo interrogativo del ragazzo, Zoe svelò il mistero. “Mia sorella mi ha trascinato a un vostro concerto la scorsa estate, qui vicino a Mantova. Dopo ci siamo anche conosciuti.”
“Mi prendi in giro?”
La ragazza rispose solo con uno sguardo divertito.
“Perché non me l’hai detto prima?”
“Così,” disse Zoe alzando le spalle.
“Questa non è una risposta!”
“Non volevo proprio dirtelo, in realtà, dato che tu non lo ricordavi,” si fermò un attimo. “Non lo ricordi,” si corresse infine.
“Non posso ricordarmi tutte le persone che ho visto ai concerti!” esclamò lui.
“Oh, non darti troppe arie!” lo redarguì lei. “E dire che io ti ho anche insultato quella volta, e giustamente!” disse aspettando una reazione che non arrivò. “Non ricordi, eh? Dopo che ti sei avvicinato a noi e abbiamo fatto le presentazioni ti ho intimato di allontanarti perché eri...-”
Vergognosamente alto,” concluse Giacomo in un lampo di memoria. “Ma certo, adesso mi ricordo! Io ti ho detto che forse eri tu a essere vergognosamente bassa, e tu mi hai risposto dicendomi che di sicuro ero anche vergognosamente stupido visto che mi mettevo a insultare le persone che compravano il mio disco! Che cattiva!”
Giacomo ora comprendeva molte cose, come il fatto che il nome della ragazza gli era sembrato già sentito quando l’aveva incontrata in treno. Però non avrebbe mai associato quella faccia alla tipa che l’aveva insultato col sorriso sulla bocca mesi prima durante la loro unica data al Nord. Era una frana a ricordare i volti.
Zoe rideva. “Mi sono bloccata perché minacciata di morte da mia sorella, ne avrei avute altre!”
“Beh, allora il numero me lo merito sul serio,” borbottò il ragazzo infilando lo scontrino nella tasca della giacca.
“Usalo bene, però,” raccomandò Zoe distratta dal rumore del suo treno che arrivava.
Giacomo le indirizzò un sorriso che lei non avrebbe definito amichevole, ma più che altro seducente e ironico. “Puoi contarci!”
Zoe prese il trolley e salì sul treno borbottando un “avrei dovuto verificare meglio quella cosa del maniaco stupratore” che fece ridere il ragazzo.
Si salutarono così, con la vaga sensazione che i loro divertenti incontri non sarebbero terminati con quel giorno perché, ormai, qualcosa era successo.









Capitolo cortino, ma importante. Entriamo nella storia, con calma, eh!
Oh, signori e signore, posso solo chiedervi di commentare, gentilmente. Per favooooooooooooooooore!
Dai, se vi fa schifo ditemelo, giuro che non mando nessuno a casa vostra per vendicarmi.... Credo. :)
Alla prossima!

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Capitolo 5
*** GIACOMO 1 ***



GIACOMO 1




È strano, a volte, come gli incontri più assurdi possano essere tra i più importanti della nostra vita.
Una mattina ti alzi, ti vesti e prendi un treno dove incontri una ragazza: è simpatica, carina, non poi così bella, non è neanche il tuo tipo, in realtà; più che altro è divertente, facile al sarcasmo, pungente. Ci chiacchieri un po’ e pensi che potresti strapparle il numero, come hai fatto con tante altre giovani donne per misurare il tuo fascino, per sentirti importante. Ma lei  il numero non te lo dà.
Pazienza, Giacomo, stavolta non hai fatto colpo, sarà per la prossima.
E poi, cosa più impossibile che improbabile, rivedi la stessa ragazza nella stessa stazione due mesi dopo. Riesci non solo a parlarle, ma anche a offrirle un caffè e a ricevere il suo numero.
A me questa cosa è successa, ma il particolare più bizzarro di tutta la faccenda – oltre al fatto che io usi l’aggettivo ‘bizzarro’, che già è abbastanza anormale di per sé – è un altro: mi sono reso conto che non era tanto importante avere il suo numero in rubrica quanto continuare realmente ad avere contatti con lei. Perché a trovare un’altra ragazza da stendere con il mio sorriso famoso nei cinque continenti (o erano sei?) ci metto, modestamente, poco; ma a trovare un'altra persona con cui parlare in modo così spontaneo non è facile.
Oh cazzo, non sono mai stato così retorico, io.
Il fatto è che è tutto vero. E va pure a finire che c’aveva ragione quel demente di Niccolò: avevo bisogno di una ragazza “con cui parlare e divertirmi”. Solo che in Zoe non cerco “l’Ammmore” (citazione, di nuovo, di quel mentecatto che io mi ostino a definire il mio migliore amico), tutt’altro: l’occasione è da sfruttare al volo proprio perché con lei posso trovare un amicizia reale.
D’altronde, parliamoci chiaro, ragazzi e ragazze sono moooolto diversi. Io un’amica femmina con cui parlare veramente, con il cuore in mano, non l’ho mai avuta, e i discorsi che posso fare con Niccolò o Giorgio sono un’altra cosa.
Non posso negare di averci fatto un pensierino all’inizio, come ragazza intendo. Cavoli, sono un maschio e c’ho gli occhi per guardare, oltre a un numero abbastanza alto di ormoni in circolo. Quando l’ho aiutata a posare la valigia, ho pensato che potevo giocare a sedurla un po’, ma si è dimostrata una tipa intelligente e non mi ha retto il gioco. Per fortuna.
E adesso non si pensi che io sia un latin lover da strapazzo. Mi diverto a far credere agli altri che lo sia, mi diverto a vedere che effetto faccio sulle ragazze e sulle mie cosiddette fan, ma il tutto si ferma lì. Non ho una storia da almeno un anno, da quando cioè ho chiuso definitivamente con Beatrice, e in tutto questo tempo sono uscito veramente solo con un paio di giovani belle donne. Non mi va di prendere in giro la gente, le ragazze, e ultimamente sono molto impegnato col gruppo, che poi sarebbe il mio lavoro, dato che abbiamo avuto la malaugurata idea di vivere di musica.
Comunque, dicevo: due settimane dopo il secondo (o terzo, dir si voglia) incontro con Zoe sono dovuto passare per caso vicino a Padova, avevo un pomeriggio libero. Be’, l’ho chiamata.
Così ci siamo dati appuntamento per due giorni fa e, anche se pensavo seriamente che mi tirasse il bidone, ci siamo visti.
Abbiamo passato il pomeriggio assieme, abbiamo preso un gelato e abbiamo parlato di tutto, davvero di qualsiasi argomento. Ed è questa la cosa veramente strana: due sconosciuti non si capiscono in questo modo! Le possibilità sono due: o siamo stati sposati per sessant’anni in una vita precedente che non ricordiamo o siamo nati per essere amici e parlarci.
Le ho raccontato pure di Beatrice e di solito faccio fatica a parlarne anche con me stesso. È stata l’unica persona di cui mi sono innamorato, all’età di diciotto anni, ma lei è andata con un altro mentre stava con me. Ho persino detto a Zoe che credo tutt’ora che il tradimento di Beatrice sia accaduto per colpa prevalentemente mia; lei ha insistito che non è possibile. È una storia vecchia, finita e strafinita, solo che è colpa di questa disastrosa relazione se poi non sono riuscito a far durare un altro rapporto per più di un mese.
Zoe invece è stata un po’ vaga sulla sua vita amorosa. Mi ha parlato di Andrea, il ragazzo con cui sta ora, ma ha sorvolato in maniera palese sulle storie passate. D’altronde, io non le ho chiesto niente, come lei non ha chiesto nulla a me.
Ho notato che ha una fronte piuttosto alta rispetto alla media e gliel’ho detto. Lei ha riso affermando che lo sapeva benissimo. “Perché credi che tenga la frangia?” A me invece piace, gliel’ho detto, ma si è limitata a ridere di nuovo.
È assurda questa situazione. L’ho già detto? Credo di sì.
Comunque sia, mi fa piacere il fatto di aver trovato una persona che potrebbe diventare un’amica. Un’amica, sì: non c’è altra possibilità, perché sarei uno stupido a gettare alle ortiche un’occasione del genere.







Veloce e indolore, questo capitoletto, sì sì.
Ci siete rimasti male che anche il nostro pazzo Don Giovanni parli solo di amicizia? Sì? Beh, gente di poca fede. Aspettate e vedrete. Che poi, vi sembra poi così convinto? ;)
Visto che ormai è da un po' che pubblico la storia, volevo fare qualche specificazione, senza - spero - risultare pallosa.
Innanzitutto, avrete capito, dovrete avere un po' di pazienza, sia con me che con la fic.
Con me perché... ehm... non l'ho ancora scritta tutta, la storia, pur avendocela in mente in dettaglio, e al momento, purtroppo, sono abbastanza bloccata. (Piccola pubblicità progresso: magari se vedessi qualche recensioncina-ina in più sarei più, come dire, spinta a continuare, che ne dite? No, eh? Vabbè, io c'ho provato!)
Con la storia perché, si vede, la trama nei primi capitoli risulta piuttosto lenta. (Mi sto facendo una recensione negativa da sola?? Ebbene sì!) Non vorrei comunque perdere la manciata di lettori che mi sono guadagnata fin'ora, quindi vi chiedo: abbiate pietà di me e della fic, solo che avevo bisogno di entrare bene nello spirito dei personaggi prima di... ok ok, ho capito, sto zitta.
Pazienza è quindi il termine chiave: c'è anche nel titolo, patience, ma pensa te che caso! E' la stessa pazienza che il povero Giacomo dovrà avere con quella scassaballe spettacolare di Zoe. Patience in inglese vuol dire sì pazienza, sopportazione, ma anche perseveranza e costanza. Mi sembrava perfetto per la situazione di 'sti due cretini. Oltretutto è una frase di una canzone, che è...? Chi lo sa alzi la mano! :)
Comunque, avete visto, ogni tanto inserirò un capitolo scritto in prima persona da uno dei protagonisti, giusto per smuovere un po' la situazione. Questi ultimi saranno capitoletti corti (come questo qua) e con poca trama ma... mi piaceva l'idea. Se vi sembra una stupidaggine inutile, ovviamente, ditemelo. Ogni critica è benaccetta, sono qua apposta.

x_Mokona: Intanto ti devo ringraziare davvero davvero davvero di cuore per l'incoraggiamento. Sembrerà poco scrivere una recensione, anche breve, ma a me serve un saaaaaaacco. E poi... vuoi sapere del ragazzo di Zoe, eh? Sarai accontentata pienamente nel prossimo capitolo, in cui è molto molto presente. Spero ti piaccia, il caro Andrea! :)

Oui, ho finito anche stavolta. Alla prossima!

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Capitolo 6
*** Capitolo IV ***



Capitolo IV




Zoe stava guardando distrattamente l’orologio posizionato sopra al conducente dell’autobus perché era, come da copione, in ritardo per l’appuntamento con Andrea, il suo ragazzo, quando le squillò il cellulare. Lo estrasse dalla borsa, lesse il nome sul display e sorrise scuotendo la testa, infine premette il tasto per aprire la comunicazione.
“Ehi,” rispose.
“Secondo te,” esordì Giacomo all’altro capo, “è normale che mia madre in un pomeriggio di shopping sia riuscita a farmi comprare, oltre al resto, una camicia gialla oscena di cui non sentivo alcun bisogno? Quella donna sa usare l’ipnosi, te lo dico io.”
Zoe rise. “Buonasera anche a te!”
“Ah, scusa. Ciao,” replicò lui con la voce sorridente.
“È bello il giallo comunque. A me piace,” lo informò Zoe.
“Beh, a me no. Comunque,” continuò il ragazzo, “non ti ho chiamato per questo.”
“E per cosa, di grazia? Vuoi chiedermi consiglio sul colore dei calzini?” ironizzò lei.
“Ah ah. Spiritosa.”
“Dai, dimmi,” cedette Zoe mentre rischiava di far cadere una povera vecchietta investendola perché si era ricordata in ritardo che quella era proprio la sua fermata e scendendo dall’autobus.
Ormai Zoe e Giacomo potevano tranquillamente definirsi amici, per quanto i tempi della loro reciproca conoscenza erano stati davvero brevi. Dopo quel famoso caffè di inizio aprile in stazione, i due si erano dati appuntamento e rivisti solo un’altra volta, un paio di settimane dopo. Poi però avevano cominciato a sentirsi più di frequente al telefono: ogni due o tre giorni Giacomo la chiamava oppure Zoe si faceva sentire con un messaggio e parlavano un po’. Era naturale, per niente forzato, tant’è che in quel momento, una fresca sera di metà maggio circa, si ritrovavano a parlare e scherzare al telefono come se si conoscessero da anni.
“Cosa fai quest’estate?” domandò Giacomo arrivando al punto.
“Devi chiedermi davvero questo?” si informò lei dubbiosa.
“Sì… Avanti, rispondi!”
“Ma non lo so, manca ancora tanto all’estate!”
“Non manca poi così tanto,” insistette lui, “avrai delle idee. Allora?”
“Che poi, perché vuoi saperlo, scusa?” chiese Zoe cominciando a insospettirsi.
“La finisci di rispondere alle mie domande con altre domande?” sbottò il ragazzo, comunque divertito dalla situazione.
“Ti dà fastidio?” continuò provocandolo esplicitamente.
“Accidenti, Molinari, sei impossibile!” capitolò Giacomo in un accenno di risata.
Zoe rise, soddisfatta di averlo fatto sbottare anche questa volta. “Non so,” decise finalmente di rispondere, “che faccio quest’estate. Penso andrò una decina di giorni in vacanza coi miei, per stare un po’ con le mie sorelle, poi può essere che faccia una settimana in giro con delle amiche. Niente di deciso, comunque. Perché?”
“Quindi non sai se a fine luglio hai una settimana libera…”
“Te l’ho detto, no. Perché? Dai, io ti ho risposto!” Zoe finse di lagnarsi, poi imprecò mentalmente rendendosi conto di aver sbagliato strada e tornando indietro.
“Io e Niccolò avevamo preso dei biglietti a trenta euro per la Spagna per l’ultima settimana di luglio, ma mi ha tirato il pacco perché proprio in quei giorni ha impegni con la famiglia…” Giacomo si interruppe un attimo, pensando che l’avrebbe preso per pazzo per la proposta che si accingeva a farle. “Così, mi domandavo se… insomma, se non hai nulla da fare potresti venire tu. Cioè, se ti fa piacere.”
Per un po’ Zoe restò in silenzio, con mille quesiti in testa. Poi si decise a porgliene uno.
“Perché proprio io?”
“Guarda, se non hai voglia di venire basta che lo dici, chiedo a qualcun altro o disdico la prenotazione…”
“Scemo, non ho detto di no, ti ho chiesto perché hai pensato a me!”
“Ehm… Non so,” rispose sinceramente il ragazzo.
“Beh, dopo questa grande rivelazione è certo imp-”
“Senti, bella, frena il sarcasmo!” la interruppe lui anticipando le sue intenzioni. “L’ho chiesto a te perché avevo bisogno di una persona amica, non c’ho pensato tanto su. Quando ho saputo di Niccolò ho preso e ti ho chiamato. Comunque non serve che me lo dici subito, ci pensi un po’ e me lo fai sapere. Ok?”
“Ok,” rispose Zoe inspiegabilmente contenta. Era anche arrivata sul luogo dell’appuntamento, quindi di guardò intorno, individuò Andrea e gli si avvicinò.
“Per il resto come va?” buttò lì Giacomo per fare conversazione.
“Bene, dai,” rispose Zoe che nel frattempo aveva raggiunto il suo ragazzo. “Ehi, ciao, scusa il ritardo,” disse rivolgendosi a quest’ultimo che le stampò un bacio sulla guancia.
“Con chi parli?”
“Chi è al telefono?”
Andrea e Giacomo le rivolsero la stessa domanda in contemporanea.
Zoe allontanò un secondo il cellulare dall’orecchio e disse solo “Giacomo” al suo ragazzo, che rispose “ah” con voce atona.
“Sono qui con Andrea,” continuò al telefono.
“Ah, ok,” Giacomo invece sembrava tranquillo, “salutamelo!”
“Certo, contaci,” il suo tono era abbastanza sarcastico.
Giacomo rise. “Mi odia?”
“Non credo ti odi, ma non sei nella lista dei suoi migliori amici,” rispose Zoe senza farsi sentire dal diretto interessato, dopodiché si rivolse proprio ad Andrea. “Scusa un attimo, lo saluto e sono da te.”
“Qualcosa mi dice che stai cercando di liberarti di me,” scherzò il moro.
“Ti dice giusto. Vedi che quando vuoi ci arrivi?” disse Zoe che in effetti non voleva far aspettare ulteriormente il povero ragazzo, già costretto a sorbirsi i suoi infiniti ritardi.
“Ho capito. Ci sentiamo, fammi sapere per quello che ti ho chiesto.”
“Va bene. Ci penso, sfoglio la mia pienissima agenda e poi ti dico.”
“Ciao Zò, buona serata,” concluse Giacomo. “E salutami Andrea!”
“Ciao,” lo salutò lei ignorando l’ultima parte. Chiuse la comunicazione vagamente pensierosa, poiché si era accorta che era la prima volta che Giacomo la chiamava Zò: era un diminutivo che usava solo Aurora, ovvero la sua migliore amica, e talvolta le sue sorelle. D’altronde il suo era un nome corto a sufficienza da non necessitare di essere abbreviato.
Scacciò via questi pensieri tornando in sé e guardò Andrea sorridendo il più innocentemente possibile, per farsi perdonare il ritardo e tutto il resto.
“Allora, dove mi porti a mangiare?”
Il ragazzo la osservò scuotendo la testa con una risata leggera. “Vieni, è per di qua.”
Era impossibile arrabbiarsi di fronte a quegli occhi, pensò divertito.

Andrea era un ragazzo normalissimo: abbastanza carino, mediamente alto, con capelli corti di un bel biondo scuro, un po’ di barba e gli occhi marroni. Era piuttosto sveglio, studiava matematica lì a Padova, era un anno più grande di Zoe e a differenza sua faceva il pendolare tutte le mattine da un paese a dieci minuti da lì, a volte con il treno, a volte con la macchina concessa da sua madre.
I due si erano conosciuti precisamente la sera prima che Zoe incontrasse per la prima volta Giacomo in stazione a Mantova. Erano stati presentati l’uno all’altra da Sara, una delle coinquiline di Zoe, che studiava nella stessa facoltà di Andrea e aveva pensato che il ragazzo potesse interessare all’amica e viceversa. Pensiero che si era poi rivelato corretto, visto che un paio di settimane dopo il loro primo incontro, i due si erano incrociati per caso, si erano scambiati i numeri e avevano cominciato e frequentarsi, per poi decidere di provare a stare insieme ufficialmente.
Zoe si trovava a suo agio con lui anche perché avevano molto in comune: condividevano gusti simili in fatto di libri, musica, politica e curiosità nei confronti del mondo.
Andrea era simpatico e buono d’animo, forse anche troppo buono per la ragazza, che aveva invece un temperamento impulsivo e lunatico e si arrabbiava con una certa facilità. Proprio per il carattere sostanzialmente pacifico del biondo, non avevano ancora mai litigato sul serio, c’era stata solo qualche incomprensione di poco conto subito risolta dai tentativi di mediazione di lui.
Piaceva a Zoe per tutto questo e perché l’aveva colpita fin dalla prima volta che l’aveva visto, con quell’aria serena, solare e la piccola cicatrice sullo zigomo, che, le aveva spiegato poi, si era procurato da bambino andando a sbattere contro la porta di un negozio di giocattoli. Andrea inoltre le piaceva anche fisicamente, poiché era, se così si può dire, simile allo stile di ragazzo che lei definiva “il mio tipo ideale”. Sempre che esistesse, un suo tipo ideale.
Forse tra i due non c’era stato amore profondo a prima vista, ma Zoe sperava davvero di potersi innamorare di lui: non era mai stata con nessuno seriamente per più di sessanta giorni e si era pentita amaramente dell’unico ragazzo con cui fosse mai andata a letto. Brutta storia.
Zoe e Andrea stavano insieme da circa due mesi ormai e lei si accorgeva di star vivendo una storia importante, perlomeno la più lunga che avesse mai avuto.

Dopo la cena e un giro in centro in mezzo ai giovani universitari e a tutta la gente che apprezzava l’aria fresca di quelle sere tipicamente primaverili, Andrea si offrì di riaccompagnare Zoe verso l’appartamento con la sua macchina.
Durante il breve viaggio, il ragazzo – che per quanto pacifico qualche domanda se la poneva – decise di tentare e chiederle una cosa che gli ronzava per la testa da un po’.
“Allora,” cominciò tentennando, “che tipo è questo… Giacomo?”
Zoe fu presa in contropiede. “Chi??”
“Giacomo, si chiama così no? Dai, quello con cui eri al telefono prima. Il tuo amico,” insistette Andrea calcando l’ultima parola.
“Ah. Perché me lo chiedi?” La ragazza non era poi così sorpresa, si aspettava che quella domanda arrivasse prima o poi.
“Così,” tentò lui, ma vedendo la faccia poco convinta di Zoe dovette riprovare. “E’ per sapere cosa devo aspettarmi. Se devo preoccuparmi, insomma…”
Zoe scoppiò in una risata divertita. “Preoccuparti di cosa?”
Andrea parcheggiò davanti al portone del condominio di lei e si girò a guardarla eloquentemente, al che Zoe decise di tranquillizzarlo in maniera definitiva.
“Ma figurati, no!” esclamò continuando a ridacchiare divertita. “Te l’ho già detto, ci siamo conosciuti un paio di mesetti fa, ma siamo amici. Poi ci siamo visti solo una volta, lui è…”
“Di Lecce, lo so,” concluse Andrea per lei. “E che vuol dire? Magari è un… Magari è talmente bello e tu ti innamori di lui a distanza, o è il ragazzo perfetto, suona pure… Ma che ne so…”
Zoe ora lo fissava sorridendo, con qualcosa negli occhi. Tenerezza, probabilmente. Non le sembrava il caso di prendersela per la gelosia del suo ragazzo, al contrario quasi la lusingava questo suo atteggiamento. Per di più, si vedeva lontano un miglio che Andrea si era trattenuto fino a quel momento per rispettare la sua privacy ma che aveva bisogno di essere rassicurato. Questo, pensò, poteva farlo.
“Ehi, tranquillo. Non è per niente il mio tipo e non mi innamorerò di lui a distanza. È fisicamente impossibile farlo. E comunque,” continuò decisa vedendo che stava per interromperla, “non potrei innamorarmi di lui neanche se abitasse sotto casa mia.”
“Ok, ti credo,” decretò il ragazzo. “Ovvio che ti credo, solo che… ti vedo così sorridente quando parli con lui e…”
“È perché mi diverte,” esclamò Zoe sincera. “E poi, se devo dire tutta la verità, mi piace parlare con lui, è simpatico e ci capiamo abbastanza. Servono a questo gli amici, no?” concluse insistendo volutamente sulla parola ‘amici’, così da non lasciare possibilità di interpretazione sulla sua frase.
“Certo. Hai sempre ragione, tu, eh?” osservò Andrea ironico.
“Sì,” rispose categorica e con gli occhi irridenti.
Andrea le diede un buffetto sulla guancia, Zoe gli si avvicino e gli lasciò un bacio leggero sulle labbra, dopodiché appoggiò la testa sulla spalla da lui, lasciandosi accarezzare i capelli.
Non sapeva se raccontargli anche della proposta di Giacomo per l’estate: non che volesse omettere quel particolare o mentirgli, semplicemente si trovava spiazzata lei stessa dall’idea di quel pazzo, che, tutto sommato, conosceva da così poco tempo, e non aveva ancora deciso se ponderare seriamente la possibilità di andare in vacanza con lui o archiviare tutto come se fosse uno scherzo. Inoltre, c’era l’eventualità che, giustamente, Andrea se la prendesse sul serio se lei avesse deciso di andare in Spagna con un ragazzo (sottolineando le parole ragazzo maschio) che non fosse lui stesso.
Si accoccolò meglio sulla spalla di Andrea, respirando il suo profumo e facendosi stringere con delicatezza dal ragazzo, che poco dopo le alzò la testa, la guardò dolcemente negli occhi e si avvicinò fino a toccarle le labbra. Quel bacio, dato con una certa urgenza e – per la prima volta da quando avevano iniziato a frequentarsi – pieno di passione, fece dimenticare a Zoe tutti i crucci su Giacomo e non solo. La ragazza si ritrovò vagamente e suo malgrado a pensare se non fosse il caso di abbandonare ogni tipo di paura e pregiudizio legati alla precedente esperienza sessuale e di lasciarsi andare con Andrea.
Ma non riusciva a sciogliersi, lo sentiva. Per quanto le carezze e le attenzioni del suo ragazzo fossero premurose e per nulla invadenti, Zoe aveva una sorta di peso alla bocca dello stomaco che le impediva di essere completamente tranquilla. Sapeva anche il motivo, purtroppo: si chiamava Alessio, aveva folti capelli castani sempre perfetti e uno sguardo da mozzare il fiato.
Un anno e mezzo prima Zoe aveva avuto la malaugurata idea di cedere alle pressioni del ragazzo e di perdere la verginità proprio con lui – non che stessero proprio insieme, lui era un tipo piuttosto free, a dirla tutta, ma come poteva resistere a degli occhi così? Erano a scuola assieme, e Alessio, nella classe di fronte alla sua, era uno dei ragazzi più carini dell’istituto. Quando aveva iniziato a corteggiarla, Zoe aveva pensato fosse uno scherzo: come poteva lei interessare a un tipo del genere? Andarci a letto, lo capì poi, non fu comunque una grande idea: la cosa durò qualche mese, con lui che la cercava, poi scappava, andava da chissà quali e quante altre ragazze, poi tornava da lei come se nulla fosse. Inoltre, Alessio si vantava spudoratamente con i suoi amici di tutte queste cose, nessuna esclusa. Quando le voci di corridoio erano diventate troppo consistenti per essere ancora ignorate, Zoe aveva – spinta da Aurora, la sua migliore amica – finalmente scaricato Alessio prima che fosse troppo tardi. Qualche pianto se l’era pure fatto, sì, ma più che altro per la sua stupidità: per fortuna si era presto accorta di non essersi innamorata di quell’individuo e aveva ricominciato la sua vita di sempre.
Da allora, però, aveva una specie di blocco psicologico coi ragazzi: non che fosse una puritana o chissà cosa, ma si era profondamente pentita di aver perso la verginità con un tale imbecille e si era ripromessa di non essere mai più quella ragazza che si faceva fregare con tanta facilità.
Ed ecco il motivo per cui, anche con Andrea, la giovane non era completamente a suo agio.

Il bacio durò a lungo e quando Zoe si rese conto di essere praticamente senza più aria nei polmoni, si staccò da Andrea e lo guardò, indecisa sul da farsi.
“Cosa c’è?” la incitò a parlare lui, vedendo che voleva dire qualcosa.
“Vuoi che… Vorresti che t’invitassi a venire su?” chiese incerta Zoe.
“Tu vuoi invitarmi?”
“Non lo so. Ci sono le mie coinquiline e…”
“Va bene, stai tranquilla. Ho capito,” la interruppe Andrea rassicurandola, tradendo solo un pelo di amarezza dalla voce.
“No, scusa, senti…” Zoe decise in quel momento di essere sincera. “Non ti ho detto tutto, prima.”
“Prima?” Andrea sembrava piuttosto confuso e ne aveva ben donde: la ragazza aveva l’innata capacità di saltare di palo in frasca in un battibaleno, seguendo il filo, che di logico aveva ben poco, dei suoi disordinatissimi pensieri. Lo stava facendo anche ora.
“Su Giacomo, non ti ho detto tutto,” continuò lei creando ancora più casino nella testa del biondo.
“Cioè… sulla vostra amicizia? Voi non siete…”
“No, no, non su quello. È che prima, al telefono, mi ha fatto una proposta, e penso che tu dovresti sentirla, perché… beh, non è detto che ti piaccia.”
“Una proposta? Zoe, mi stai facendo preoccupare, parla.”
Zoe sorrise tentennante, guardando l’espressione aggrottata e confusa del suo ragazzo. “Mi ha chiesto se voglio andare con lui in Spagna, quest’estate, una settimana.”
“Tu, lui e…?” chiese Andrea, sperando in una risposta diversa da quella che sarebbe presto arrivata.
“E basta.”
“Ah. E tu cosa gli hai risposto?”
“Che c’avrei pensato,” concluse Zoe, sospirando poi.
Seguì qualche attimo di silenzio teso, in cui il ragazzo cercava di capire e di trovare una risposta adeguata. In realtà non era molto contento della novità, soprattutto perché Zoe aveva voluto annunciargliela in quel momento, risultando abbastanza fuori luogo. Cosa si aspettava? Lui non aveva certo intenzione di fare i salti di gioia se lei fosse andata in vacanza con un altro ragazzo, per quanto amico o asessuato.
“Dì qualcosa, sennò sono io che mi preoccupo…”
Andrea sospirò. “Che ti devo dire, eh? Sei maggiorenne, puoi fare quello che vuoi.”
Zoe pensò che fosse un altro dei momenti di ‘non reazione’ del ragazzo, quelli che di solito la mandavano in bestia, facendola ovviamente poi passare dalla parte del torto. Si sbagliava: Andrea un’idea ben precisa sulla faccenda ce l’aveva e l’avrebbe tirata fuori a breve, con grande felicità della parte più incazzosa di lei.
“Vuoi dire,” cominciò Zoe esterrefatta, “che se vado a te non fa né caldo né freddo?”
“No,” spiegò Andrea. “Voglio dire che sei tu a scegliere, non che io sarò d’accordo con ogni tua scelta. Se farai qualcosa che non mi andrà a genio, agirò di conseguenza.”
“Stai scherzando?”
“No.”
In effetti non stava scherzando, e si vedeva. Era serio, serissimo.
Zoe cominciò ad agitarsi. “Non ti sembra un po’ infantile come ragionamento? Cavolo, Andrea, siamo entrambi adulti e vaccinati; potresti semplicemente dirmi che preferisci che io non vada, non mi sembra difficile.”
“E tu potevi dirmelo subito cos’era che ti frullava per la testa dall’inizio della serata, invece di stare zitta, pensare a quel Pioggia fino adesso e poi deciderti a rendermi partecipe nell’unico momento in cui… vabbé, lascia stare.”
“Ma pensare a cosa? Adesso mi leggi anche i pensieri?”
“Se ti avessi detto,” continuò Andrea ignorandola, “che non volevo che andassi, avrei sbagliato e ti saresti arrabbiata lo stesso. Cosa dovevo fare? Dirti ‘ok, andate pure e divertitevi’? Non mi va, Zoe, di passare sempre per il santo della situazione. Va bene buono, ma non sono fesso.”
“Stai facendo tutto da solo,” cercò di interromperlo lei, alzando la voce.
“Non credo, sai. Comunque, quello che dovevo dire l’ho detto.”
“Complimenti e grazie, allora,” concluse Zoe aprendo la portiera dell’auto. “E buonanotte.”
“Dove vai?”
“Dove credi che stia andando?” chiese senza aspettare la risposta. “A dormire. E vacci anche tu, che magari ti si schiariscono le idee.”
“Cosa…? Senti, Zoe, non… non è tutta colpa mia. Io non volevo litigare, stasera.”
“Tu non vuoi mai litigare, mi pare di aver capito. E invece stasera è finita così. Sarà anche colpa mia ma è finita così, va bene?” Zoe uscì dall’auto. “Buonanotte,” sospirò infine.
“Ci sentiamo,” tentò Andrea, già più docile. Ma non sentì risposta.
Zoe aprì il portone, corse su per le scale, entrò nell’appartamento e si fiondò in camera. Fortunatamente, essendo venerdì sera, la sua compagna di stanza, Matilde, non c’era perché era tornata a casa per il weekend, mentre l’altra coinquilina, Sara, doveva essere in giro per la città a fare baldoria con il suo gruppo di amici.
Fortunatamente, sì. Perché Zoe, buttatasi a letto, scoppiò a piangere in silenzio, appoggiata al cuscino. Perché magari era suscettibile, sarcastica, un po’ diffidente e alle volte anche stronza, ma se litigava con qualcuno in quel modo, era perché ci teneva. E alla fine, lo sapeva da sé, era sempre lei a restarci male, malissimo, e il più delle volte a sentirsi in colpa per l’accaduto, per la discussione.
Senza pensarci più di tanto, prese il cellulare dalla borsa, scrisse e inviò un messaggio.
Sarai contento, che ho litigato col mio ragazzo, adesso.
Non aspettò molto, un paio di minuti, forse. Dopodiché il telefono, in modalità silenziosa, vibrò con insistenza e prendendolo in mano Zoe vide che sullo schermo lampeggiava la scritta Giacomo.









Uè, signori. Ho perso un po' d'ispirazione, purtroppo purtroppo. Questo era l'ultimo capitolo dell'allegra compagnia a essere già pronto: sto tentando di scrivere il prossimo ma sono ferma da qualche tempo... Mi date una mano?? Una recensione, un un insulto, un consiglio? Ringrazio in anticipo e nel frattempo ringrazio anche le ragazze che hanno recensito il capitolo precedente:

Blair 95: Grazie grazie per i complimenti, è per queste recensioni che voglio tirare avanti la storiella. Che poi secondo te non sarà solo amicizia, eh? :) Si vedrà.....

pirilla88: Millemila grazie per aver recensito anche questa storia... Parlo di amicizia anche qua, adesso, ma scoprirai che è molto molto diversa dalla mia precedente: già dal primo incontro c'è qualcosa che non torna, no?? Non anticipo, alla prossima spero!

Vorrei dirvi altre cose ma è tardi e sono stanca a vado a letto. Abbiate pazienza per gli aggiornamenti, temo saranno un po' lunghetti prossimamente...
Auguri (così...), al prossimo capitolo! E 'notte.

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Capitolo 7
*** Capitolo V ***



Capitolo V




Zoe non aveva veramente intenzione di parlare con nessuno: aveva ancora le lacrime agli occhi e la volontà forte di stare sola. Ma, per fortuna, stavolta la ragazza ignorò il suo istinto, si asciugò il viso e rispose al telefono.
“Pronto,” disse con voce atona.
“Zoe, come stai?”
Giacomo sembrava preoccupato. Il fatto che l’avesse accolta con un sincero ‘come stai’, invece di chiederle cos’era successo, interessandosi più alla sua persona che a tutto il resto, lasciò Zoe un poco basita: fino a un attimo prima aveva intenzione di chiedergli per che cavolo di motivo l’avesse chiamata, di dirgli che voleva essere lasciata in pace, di mandarlo al diavolo. Ora invece, qualcosa le si era sciolto nelle viscere. Non aveva in ogni caso intenzione di rendergli la vita facile: la sua indole non glielo consentiva ed era ancora triste e arrabbiata col mondo intero, quindi piuttosto scontrosa. Ma la preoccupazione e l’interesse di Giacomo l’avevano smossa: dopotutto, non aveva motivo di prendersela troppo con lui, che non c’entrava ed era anzi fin troppo premuroso.
“Così così,” rispose, sincera a metà. Piuttosto, stava di merda, ma non le andava di fare la vittima.
Ci fu un momento di silenzio, in cui Giacomo raccolse le idee per farle la domanda successiva: il ragazzo non era uno sprovveduto e stava cominciando a capire come andava presa Zoe, cioè – per la precisione – con le pinze.
“Avete litigato?” domandò piano.
“Sì, beh, questo mi sembrava di avertelo già detto,” rispose la ragazza tornando improvvisamente brusca, come a volersi chiudere di nuovo in se stessa.
E aveva intenzione di rimanere scontrosa, Zoe, se non fosse stato che Giacomo, con la domanda successiva, la stupì completamente.
“Ti va se domani vengo lì e facciamo due chiacchiere?”
“Eh?” Zoe era a dir poco basita.
“Mi sembri… cioè, si sente che sei giù di morale. Così, ti offro il mio appoggio. È quello che fanno gli amici, no?”
Zoe, spiazzata per ben due volte nel giro di due minuti scarsi, si ammutolì completamente.
“Ehi Molinari,” la chiamò Giacomo dall’altro lato della cornetta, “ci sei o sei svenuta?”
“Sono svenuta,” rispose lei, ancora indecisa sul tono da mantenere. Giacomo lo capì al volo, quel suo tentennamento, e decise di approfittarne.
“Zò, se stasera non hai voglia di parlarne lo capisco e va benissimo. Però ci vediamo domani mattina lì a Padova. Sono a Milano, vengo col primo treno.”
“È una proposta?” chiese lei, pur non avendo sentito alcun tono interrogativo nella frase dell’altro.
“No, in realtà ho già deciso,” rispose infatti Giacomo, sorridendo anche con la voce.
Zoe si lasciò sfuggire un sospiro tremulo, indecisa se essere lusingata o imbarazzata da tante attenzioni non meritate.
“Non serve che tu venga fin qua, no,” tentò di dissuaderlo, anche se già immaginava che ogni parola sarebbe stata vana e gettata al vento.
“Ho detto che ho già deciso, ragazzina.”
“Pioggia, lascia stare. Sprecheresti tempo e denaro per una conversazione che, proprio volendo, potremmo fare tranquillamente al telefono,” insistette lei, forse un po’ impaurita dalla tanta sicurezza dimostrata dal ragazzo. “E non chiamarmi ragazzina!”
“Sul ragazzina posso vedere di accontentarti – ma lo sei, eh. Per quanto riguarda il resto lascia valutare a me quanto e cosa intendo sprecare.” Giacomo restò in silenzio tre secondi contati, dopodiché continuò. “Ho valutato. E ho già deciso, quindi è inutile che insisti tanto.”
“E potrei sapere perché, di grazia, sarei una ragazzina?” domandò Zoe, che ormai era più rassegnata che arrabbiata. “Ho solo un paio d’anni meno di te, grande uomo.”
“Non è per l’età, infatti. Comunque, te lo spiego domani, quando vengo lì.”
“Giacomo…”
“Ho-già-deciso! Questione chiusa.”
“Ma non è che sei di strada come l’altra volta, io non…”
Il giovane sbuffò, cocciuto. “Qual è la parte della frase Ho già deciso che non ti è chiara? Potrei farti un disegnino esplicativo, ma mi risulterebbe complicato mostrartelo via telefono, quindi, se vuoi, al massimo devi accontentarti di una descrizione dettagliata di tale disegno.”
Zoe ridacchiò divertita per la prima volta da quando era uscita dalla macchina di Andrea. “La voglio,” lo sfidò.
“Cosa?”
“La descrizione del disegno.”
“Ah, ok,” fece lui, per niente impressionato. “Aspetta che prendo carta e penna così te lo descrivo mentre lo faccio.” Giacomo frugò un attimo in giro e Zoe pensò che poteva essere davvero tanto folle da farla, una cosa del genere. “Ecco, sono pronto.”
“Anch’io, dimmi,” lo incitò lei, mettendosi più comoda sul letto.
“Allora. Faccio il disegno, vediamo… C’è un treno che corre sulle rotaie.”
“Ma dai? Perché proprio sulle rotaie?” ironizzò Zoe.
“Taci. Volevi la spiegazione e l’avrai, però devi ascoltarmi con attenzione,” ordinò il ragazzo, fintamente serio. “Quindi, c’è un treno in stazione. Sul cartello del binario c’è scritto PADOVA.”
“Ma non stava correndo, quel treno?” lo interruppe lei.
“Ho cambiato idea, adesso è fermo.”
“Ah.”
“È fermo perché dal treno sta scendendo una persona. È stilizzata, nel disegno, ma si vede che è un uomo perché non ha la gonna e non ha i capelli lunghi.”
Zoe lo stuzzicò nuovamente. “Che cliché banali. Anche gli uomini possono avere la gonna e i capelli lunghi.”
“Nei disegni stilizzati no. Come fuori dalle porte dei bagni pubblici,” ripose pronto Giacomo stando al gioco. “E poi quel ragazzo non può avere gonna e capelli lunghi, perché sono io.”
“E io come facevo a saperlo?”
“Se stessi zitta lo sapresti. Sopra all’uomo stilizzato è comparsa una freccia con su scritto Giacomo Pioggia, cantante dei Jam Session.”
“Capito. E poi?”
“E poi sul marciapiede del binario c’è un’altra persona stilizzata che lo aspetta. È una donna, sai, ha la gonna e i capelli lunghi.”
“Non avrò la gonna,” specificò Zoe.
“Questo è da vedere. Comunque, come fai a sapere che sei tu?”
“Sto cominciando a capire, credo…”
“Oh!” esclamò Giacomo enfatico. “Adesso sì che ragioniamo! Perciò è inutile che ti dica che sopra la ragazza c’è una freccia con su scritto…”
“Zoe Molinari, immagino,” finì per lui.
“Sbagliato. C’è scritto Zoe Molinari, rompiballe e ragazzina.”
“Che scemo che sei,” rise la ragazza. “Manca una cosa.”
“Già, aspetta che la disegno… ecco. Lui ha in mano un bel mazzo di fiori e lei ha un gran sorriso stampato in faccia: è contenta.”
Zoe sorrise veramente. “Bene, ma non intendevo quello, Don Giovanni dei miei stivali. Manca la collocazione temporale della vignetta.”
Giacomo sospirò, fingendosi sfinito. “Che pignola che sei, peggio della mia prof d’italiano del liceo. Ok, ci metto la data… Toh! È la data di domani!”
“Domani, eh?”
“Sì, sì.”
“Allora mi sa che ti toccherà venire qui, domani,” capitolò Zoe.
“È la prima cosa intelligente che ti sento dire, stasera.”
“Grazie, sai. Però ti avviso: io la gonna non la metto. Potresti sempre mettertela tu, per rimescolare un po’ le carte e distruggere i cliché delle porte dei bagni pubblici.”
“Ci penserò… Intanto buonanotte,” disse il ragazzo, e la sua voce diventò incredibilmente dolce.
“Mandami un messaggio per dirmi a che ora arrivi.”
“Ok. A domani,” la salutò Giacomo, consapevole e contento di averle migliorato almeno un pelo il morale, solo con una telefonata farcita di stupidaggini.
“Ciao, ‘notte,” concluse Zoe, dopodiché riattaccò molto più serena di quando aveva preso in mano il cellulare.
Era strano, come Giacomo riuscisse a farla sentire a suo agio. Strano e forse un po’ allarmante, se avesse avuto voglia di pensarci su. Ma non ne aveva voglia: era già tutto così complicato, dalla proposta del viaggio in Spagna alla brutta litigata con Andrea. Era stanca, Zoe, di dover razionalizzare le cose dopo aver combinato i guai. Faceva sempre così: agiva a istinto, arrabbiandosi e – a volte – sputando veleno gratuito sulle persone, e dopo rimuginava sulle sue azioni, si sentiva in colpa e stava male.
Ma stavolta non aveva proprio intenzione di scervellarsi. Il danno con Andrea era fatto, ok, ma ci sarebbe stato modo di riparare. E Giacomo… beh, lui le aveva offerto una sostegno e una spalla su cui piangere, e non aveva senso declinare un regalo così allettante. Perché in quel momento Zoe aveva effettivamente bisogno di un amico vero da sommergere di parole, parole e parole inutili ma sentite.
C’era Aurora, la sua migliore amica: lei c’era sempre stata, dalle scuole medie in poi. Era una persona splendida, con cui aveva un rapporto ancora più splendido, fatto di sincerità e risate. Ma in quel momento Aurora era lontana – non più di Giacomo, a onor del vero, visto che studiava a Mantova – ed era tardi e non poteva chiamarla. L’avrebbe sentita il giorno dopo e si sarebbe sfogata con lei, magari prima di vedere Giacomo, così poi sarebbe stata anche più tranquilla.
Ma a prescindere da Aurora, da Andrea, dalle sue sorelle Ginevra e Viola, dalle sue coinquiline Sara e Matilde, – ed erano delle persone a cui voleva un sacco di bene – a prescindere da tutto e da tutti, il suo rapporto con Giacomo era spontaneo, genuino e assolutamente inaspettato. Zoe sentiva, quando parlava con lui, un’alchimia inconscia che non sapeva a cosa far risalire; e al tempo stesso sapeva, senza averglielo mai chiesto, che il ragazzo la pensava allo stesso modo su di loro.
L’amicizia tra loro due non solo era auspicabile, si diceva Zoe, era quasi necessaria.
E allo stesso tempo, la ragazza sperava che Giacomo, il giorno dopo, scendesse dal treno con addosso una gonna. O che, perlomeno, si presentasse con in mano un grosso mazzo di fiori.

La mattina successiva Zoe si alzò, stranamente per i suoi standard, abbastanza di buonora, e decise di mettere in atto subito, durante la colazione, i propositi della sera prima. Così, mentre imbeveva i biscotti nel cappuccino, prese in mano il telefono per chiamare Aurora, sapendo che, pur essendo sabato, l’avrebbe trovata sveglia e attiva, mattiniera com’era.
Quella chiamata, in un mare di pro, quali sentire una voce amica e potersi sfogare un po’, aveva un solo, minuscolo contro: avrebbe dovuto raccontare ad Aurora anche la telefonata con Giacomo e quindi il suo imminente arrivo. Non che le seccasse dirlo alla sua migliore amica, solo che già sapeva come quella avrebbe reagito: cioè, insinuando chissà che cosa. Era ciò che facevano tutti – Ginevra, Viola, Aurora – da quando lei si sentiva con Giacomo: insinuare, insinuare e insinuare. Ma cosa poi? A Zoe non sembrava difficile capire: la loro era solo un’amicizia, nulla più.
Come chiamato da telepatia, il suo cellulare squillò avvisando Zoe dell’arrivo di un messaggio: era Giacomo. Lo lesse subito:
Buondì! Arrivo alle undici e trentacinque. Ora rimane solo da vedere chi di noi due avrà la gonna…: )  A dopo!
Zoe sorrise e rispose velocemente, dopodiché sfogliò la rubrica e, arrivata al nome giusto, premette il tasto verde: stava chiamando Aurora.
Dopo due squilli, la raggiunse la voce felice dell’amica, a dimostrazione del fatto che non stava sicuramente dormendo.
“Ehilà, bignè alla crema!”
“Rora, non parlarmi di bignè alla crema. Sto facendo colazione con dei biscotti che sembrano fatti di cartone, maledizione a Sara e le sue manie salutiste!”
“Non chiamarmi così, lo odio!” la ammonì l’altra. “Ti perdono solo perché, al solito, mi sembri di buonumore… Ma se è una così bella giornata, oggi!”
“Sì, gli uccellini cinguettano, il sole splende e bla bla bla. Vorrei ricordati, però che non sono neanche le nove di mattina: praticamente, è l’alba. Io non guardo nemmeno fuori dalla finestra, a quest’ora: non ho ancora le forze per farlo.”
Evidentemente, tra le due, quella ottimista e affettuosa non era Zoe. In effetti Aurora era il suo esatto opposto… e per questo era la perfetta migliore amica, per lei. Solare, dolce, comprensiva e ragionevole: tutti gli aggettivi utilizzabili per descrivere Aurora Vesti erano invece lontani anni luce dal modo di essere di Zoe. Ma andava benissimo così: le due, inseparabili dal primo giorno di scuola media, sembravano completarsi, proprio perché vedevano il mondo da due prospettive antitetiche e distanti. Niente di meglio, per consigliarsi, correggersi e appoggiarsi a vicenda in anni e anni di amicizia. Amicizia che non si era affievolita nemmeno con l’inizio degli studi universitari, cioè da quando vivevano a decine e decine di chilometri di distanza.
Aurora sbuffò, pur mantenendo un tono allegro. “E non sai cosa ti perdi, musona. Ch’è successo?”
“Le solite cose, sai… Ieri sono andata a lezione, ho studiato un po’, ho fatto qualche ritardo qua e là, poi, la sera, ho litigato con Andrea, me ne sono tornata a casa per piangere sul mio lettino, mi ha chiamata Giacomo e tra qualche ora il pazzo scenderà da un treno in stazione a Padova.”
“No, aspetta… mi sono persa dei passaggi,” disse Aurora, confusa. “Litigato perché e Giacomo cosa?”
“Pensavo mi chiedessi chiarimenti sulle lezioni.”
“Sì, come no. Non svincolare, che non ci casco. Che è successo con Andrea?”
“Abbiamo litigato, ieri sera,” sillabò a malincuore Zoe, ricordando il motivo della discussione.
“Tesoro, non obbligarmi a tirarti fuori le parole con le pinze. Racconta, su,” la incitò l’amica.
E Zoe raccontò. Le disse della proposta di Giacomo per l’estate (“che carino a pensare proprio a te!”), della serata con Andrea (“perché non gliel’hai detto subito?”, “ehi, ma tu da che parte stai?”), del conseguente litigio (“lui avrà reagito male, ma anche tu, tesoro, non sei facile da trattare”, “…”, “ok, ok, sono dalla tua parte, ovvio!”), del disastroso viaggio verso il letto (“potevi chiamarmi!”, “era tardi, magari dormivi…”) e della telefonata finale, di nuovo con Giacomo (“quel ragazzo è davvero un santo!”).
“…e così sta arrivando qui. Non capisco cosa glielo faccia fare,” concluse con un sospiro.
“È perché ha voglia di vederti, scema,” la informò Aurora, tranquilla. “Gli piaci.”
“Gli piaccio come amica,” specificò Zoe.
“Sì, certo, gli piaci come amica,” la assecondò l’altra, lasciandosi però sfuggire una nota di sarcasmo, colta al volo da Zoe, che non volle farci caso.
“Cosa devo fare con Andrea?” chiese invece, bisognosa di rassicurazioni.
“Da quando in qua vuoi che ti dia cosa fare? Hai la testa dura come il marmo, scommetto che sai già come comportarti…”
“Sì, ma… Non so, stavolta è diverso.” Zoe non voleva ammettere ad alta voce che ci teneva ad Andrea: era la sua prima storia veramente importante e non aveva intenzione di farla finire per una stupida discussione. Nonostante ciò, il suo istinto le diceva di…
“Tu che vuoi fare?” le domandò Aurora, dimostrando ancora una volta di saperle leggere nel pensiero anche da chilometri di distanza, solo sentendo la sua voce.
“Vorrei che fosse lui a cercarmi,” ammise. Come al solito, Zoe aveva bisogno di certezze: si proclamava autosufficiente e capace di arrangiarsi, ma senza l’appoggio incondizionato di chi la amava, stava davvero, davvero male. Se Andrea l’avesse chiamata, sarebbe stata la conferma del fatto che a lei ci teneva e che, quindi, la loro storia poteva continuare. Ma se lui non l’avesse chiamata… beh, a quel punto forse non valeva neanche la pena di pensarci troppo su, o di stare male.
Aurora interruppe il flusso dei suoi pensieri. “Zò, tesoro, se ci tieni puoi chiamarlo anche tu.”
“Preferirei che fosse lui a farlo.”
Aurora sospirò, sapendo benissimo cosa passava in quel momento per la testolina bacata dell’amica.
“Non rischiare di perdere una persona solo per l’orgoglio, o per il bisogno di certezze. Le conferme possono arrivare più avanti, Zò, adesso hai solo bisogno di capire se ti piace.”
“Mi piace,” confermò lei, ben sapendo che quelle due parole potevano avere mille significati diversi, dal più frivolo al più profondo.
“Allora se non ti chiama lui, fallo tu.” Aurora voleva davvero il meglio per lei, questo Zoe lo sapeva molto bene. Era stata la sua migliore amica, più di un anno prima, a convincerla a chiudere con Alessio, accorgendosi che lui la stava solo prendendo in giro. Ed era sempre lei a spronarla, incoraggiarla e consolarla, sempre, quando ne aveva più bisogno.
“Ci penserò, promesso,” capitolò Zoe, senza convinzione.
“Beeeeene.” Aurora cambiò allora tono di voce, in un modo che non faceva presagire nulla di buono. “Chiuso il primo capitolo. Ora raccontami del salentino.”
“Ti ho già detto tutto, impicciona.”
“Oh no, cara. Mi sono appuntata un po’ di domande da farti… Dunque…”
Zoe rise, più leggera. “Ma te le sei appuntata veramente le domande?”
“Tutte regolarmente segnate nel cervello. Non servono mica i pezzi di carta, a me, per ricordarmi le cose che mi interessano.”
“Allora, signorina,” disse Zoe passando a un tono più professionale e, per la precisione, cimentandosi nell’imitazione collaudata e perfetta del loro professore di latino del liceo, imitazione che fece ridacchiare l’amica, “può espormi i suoi dubbi. La avviso che non ho molto tempo, però, la mia prossima intervista è tra un quarto d’ora…”
“Perché ti ha proposto il viaggio in Spagna?” cominciò Aurora, senza indugi.
“Ha già comprato i biglietti, solo che il suo amico gli ha tirato il bidone, se ho ben capito. Comunque… ha detto che aveva bisogno di qualcuno con cui andare e gli sono venuta in mente io.”
“E quindi, ieri sera ti ha chiamato: perché?”
“Perché… gli avevo scritto un messaggio, tornata a casa. Gli ho detto che ho litigato con Andrea e lui mi ha chiamata.”
Aurora finse sdegno. “Cioè, hai avvisato lui e non me?? Questa sì che me la lego al dito!”
“Eddai!” rise Zoe, mentre sparecchiava la tavola della colazione, intenzionata a gettarsi sul divano per mettersi più comoda. “Gliel’ho scritto per ripicca, mi sembrava che fosse colpevole del litigio – cazzata colossale, tra l’altro. A mente fredda non l’avrei mai fatto.”
“Tu e la tua mente calda, maledizione a voi!” esclamò l’amica. “Sai, no, che così finirai per farlo innamorare di te?”
“Aurora, non dire scemenze. L’ho ripetuto migliaia di volte: Non. È. Innamorato. Di. Me,” scandì bene, per rendere il concetto comprensibile. Era stufa marcia di tutte quelle illazioni sul presunto – e inesistente – amore o sulla celata attrazione che Giacomo provava per lei.
“Non ho detto che è innamorato di te, testa calda. Ho detto che, avanti così ancora un po’, lo farai innamorare di te.”
Zoe sbuffò, più annoiata che arrabbiata. “Certo, come no. Infatti è risaputo: li faccio innamorare tutti di me, io. C’ho la coda di ragazzi fuori da casa mia, cosa credi. Tutti innamorati e successivamente abbandonati dalla sottoscritta.”
Aurora sapeva che l’argomento toccava in modo particolare la sua amica: il fatto di non aver mai vissuto una storia per bene, di non aver mai potuto innamorarsi sul serio né di essere ricambiata, pesava parecchio a Zoe e le faceva pensare di essere fredda e difficile. Non era vero: l’affetto e l’amore che sapeva dare erano immensi, ma in pochi lo conoscevano.
“Io scommetto che s’innamorerà di te, col tempo.”
“E io scommetto che se non chiudi quella boccaccia impicciona finisci male, Rora.”
“Dieci euro.”
“Aurora…” la rimproverò ancora Zoe, senza grandi risultati.
“Facciamo venticinque euro e chiudiamola qui, tesoro,” concluse, da sola, l’altra. “Ho finito l’intervista, anche se non mi è ancora molto chiaro il motivo della sua visita di oggi.”
“Non l’avevo capito neanch’io, all’inizio.” Zoe sospirò, stando zitta un attimo. “Poi però… cioè, siamo amici, lo stiamo diventando, insomma. Anche a me fa piacere vederlo e chiacchierare con lui, ogni tanto. L’ultima volta era quasi un mese fa. So che ci conosciamo da poco e che è strano, ma è così, credimi.”
“Lo so che è così,” confermò Aurora.
“Allora smettila di insinuare fesserie!”
“Vedremo dopo il viaggio in Spagna, ok?”
Zoe aggrottò la fronte e l’altra sapeva alla perfezione che faccia stava facendo, pur non potendo vederla. “Non ho ancora deciso se andare, in realtà.”
“Secondo me dovresti andarci,” le consigliò Aurora. “È la Prova, con la p maiuscola.”
“Vabbè, vedremo. Ora le domande sono finite davvero?”
“Guarda che dico sul serio!”
“Ho capito, sciocca. Solo che vorrei andare a farmi una doccia…”
“Oh, certo. Non ti impedirei mai di farti la doccia prima di passare…”
Zoe l’interruppe, minacciosa. “Rora.”
L’interpellata rise. “Sto scherzando, dai! Buona giornata, invece.”
“Anche a te.”
“A te di più!” ribadì Aurora con enfasi. “Ci sentiamo prossimamente. E chiama Andrea.”
“Ciao Dawn.”
“Ciao Life.”
Era un gioco iniziato da bambine, quello di chiamarsi coi loro nomi tradotti nelle varie lingue che conoscevano – non molte, in realtà. Avevano sì e no undici anni quando avevano iniziato a farlo, per scherzo: durante una lezione di inglese, la prof aveva insegnato loro che il termine dawn, tra le altre cose, significava alba, aurora, e così era nato il tutto. Per Zoe la faccenda era stata un po’ meno immediata, ma sapendo che il suo nome in greco antico stava a indicare la vita, le due amiche erano arrivate presto alla conclusione: life in inglese, e via dicendo per le altri lingue. Era divertente, di tanto in tanto, trovare una nuova lingua per tradurre i propri nomi.

Un paio d’ore dopo la fine della chiamata, Zoe stava uscendo di casa, diretta in stazione. Si era lavata, asciugata, vestita, aveva guardato qualche programma idiota in tv, sfogliato un giornale e un libro. Poi, aveva lasciato un biglietto alla sua coinquilina, Sara, che alle undici ancora dormiva indisturbata – e Zoe la invidiava moltissimo per questo, abituata anche lei a svegliarsi, quando poteva, dopo lo scoccare dell’undicesimo tocco delle campane – per avvisarla che quel giorno, con ogni probabilità, non si sarebbero viste fino a sera. Infine aveva preso borsa e chiavi ed era uscita, serena e smagliante. Ovviamente, come promesso, non indossava una gonna, bensì i soliti jeans, ben più comodi. Ma una sorpresa per Giacomo, ad ogni modo, l’aveva in serbo.











Ok, adesso mi ammazzerete, probabilmente. Non solo ho aggiornato abbastanza tardi, ma ho anche inserito un capitolo che può tranquillamente essere considerato idiota e inutile. Ovviamente non lo è! :) Cioè... se non mi avete preso per deficiente leggendo la prima parte, quella della conversazione con Giacomo, penso che potrete sopravvivere a tutto da adesso in poi: man mano la storia comincerà a farsi più interessante e ricca di sorprese, I promise.
Intanto, chiedo umilmente perdono per la demenza dimostrata in questo capitolo: ne avevo bisogno. E spero vogliate graziarmi dicendomi cosa ne pensate, insulti compresi.

Anthy: Sono contenta che tu non mi abbia abbandonata, cara! :) E meno male che la pensi come me: cioè, il povero Andrea aveva le sue ragioni per reagire così nello scorso capitolo... Voglio vedere chiunque a scoprire che la/il propria/o ragazza/o se ne va in giro a divertirsi per l'Europa con un altro/a bel/bella tipo/a! Il viaggio in Spagna, eh? Vedremo... ;)

Blair 95: Spero che tu abbia dormito queste notti, senza mangiarti il fegato per la telefonata di Giacomo... D'altronde, ora che hai visto tutte le stronzate che si sono detti, forse vorrai uccidermi... o no? ^^ Povero Andrea, a me non sta antipatico: è solo uscito un po' male, fin'ora! Ma d'altronde la sua ragazza è importunata da quel mentecatto di Giacomo, cosa dovrebbe fare? :)

voltage: Grazie per i complimenti, spero che tu voglia continuare a seguire la storia anche dopo questo capitolo... è un po' la prova del nove: chi sopravvive a questo può vedere le parti migliori... :P Più che fredda, Zoe la definirei diffidente (fa fatica ad aprirsi, ma poi di fatto non è che sia cattiva), ma credo che il concetto che vogliamo esprimere sia lo stesso, a onor del vero...

Ringrazio ancora le recensioni, le preferite, i seguiti. E vi aspetto alla prossima!


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Capitolo 8
*** Capitolo VI ***



Capitolo VI




“I fiori dove sono?”
Giacomo le si avvicinò, ridendo solare. “Hai sempre da lamentarti, tu eh?”
“Beh: niente fiori tu, niente sorriso smagliante io. Era il disegno che lo diceva, no?”
Quando il ragazzo la raggiunse, scuotendo la testa rassegnato, Zoe tentò di mantenere un’espressione seriosa e impettita, ma un sorriso sincero le si scorgeva negli occhi, tradendo il suo reale stato d’animo.
Lui se ne accorse. “Guarda che lo so che sei contenta di vedermi, ragazzina.”
“E cosa te lo fa pensare?”
“Hai gli occhi che ridono,” rispose Giacomo, facendola finalmente sorridere. “Posso abbracciarti?”
Zoe, che da sempre temeva e tentava di evitare il contatto fisico, soprattutto con chi non conosceva bene, alzò un sopracciglio sospettosa. “Mi sembra che ti stai prendendo un po’ troppo confidenza, sai, Pioggia.”
“Ho capito,” sospirò, rinunciando al suo intento che, per la ragazza, pareva essere troppo affettuoso. Nonostante ciò, per salutarla le si avvicinò veloce, stampandole un bacio sulla guancia.
Lei rimase immobile, vagamente imbarazzata, e subito dopo spostò la sua attenzione su altro. “Cos’è quella?”
“Cosa?”
“Quella lì, quella borsa,” continuò Zoe, indicando il borsone da viaggio semivuoto che Giacomo teneva in mano.
“L’hai detto tu, è una borsa.”
“Sì, ok, ma a che ti serve?”
“Due cose per dormire fuori stanotte,” rispose Giacomo, che poi, vedendo che lei non capiva, continuò. “Non torno a Milano stasera, pensavo di andare a Mantova da mio cugino.”
“Ah. Capito.”
“A proposito, volevo chiederti se possiamo lasciarlo a casa tua, magari. Non ho voglia di portarmelo dietro a mo’ di zavorra tutto il giorno.”
Zoe mosse una mano per aria, come risposta. “No, non andiamo a casa mia.”
“Perché no?” chiese il ragazzo spiazzato da tanta sicurezza.
“Abbiamo altri programmi, oggi.”
“Ehi, non vale, hai deciso tutto tu! Io pensavo già che saremmo andati a casa tua e ci saremmo chiusi in camera da letto tutto il giorno e…”
La giovane lo interruppe, mezza seccata mezza divertita. “Ok, frena, non vorrei doverti denunciare,” disse incamminandosi verso un cartellone con su segnati i treni.
“Denunciare?”
“Sì, perché importuni una minorenne con discorsi fuori luogo e facilmente fraintendibili.”
Giacomo protestò. “Tu non sei minoren-”
“Sono una ragazzina, giusto? Credo di avere sui dodici anni, circa,” fece lei alzando le spalle, mentre controllava i treni in partenza. E poi, vedendo l’occhiata costernata di Giacomo, si giustificò. “L’hai detto tu!”
Il ragazzo scoppiò a ridere. “Te la sei un po’ presa, eh?”
“Beh, finché non mi spieghi cosa volevi dire, ho il diritto di fartela pagare. E ti conviene trovare una spiegazione convincente, Giacomo Pioggia cantante dei Jam Session.”
“Lo sapevo. Intanto che trovo una spiegazione convincente saresti così gentile da dirmi dove lascio la borsa? E perché corri?” insistette nuovamente Giacomo, seguendola mentre lei camminava a velocità sostenuta verso l’uscita.
“Un mio amico abita qui vicino alla stazione, gliela lasciamo a casa sua e poi torniamo qua velocemente.”
“Perché?” domandò ancora lui rischiando di investire una signora mentre tentava di stare dietro a una velocissima Zoe. “Mi scusi,” tentò di  dirle, continuando però a correre per non perdere di vista l’amica.
“Abbiamo un treno tra ventitré minuti e dobbiamo ancora fare i biglietti. Anzi,” si fermò di colpo e Giacomo non le andò contro per un soffio, “tu stai qua e fai i biglietti, io porto la tua borsa da Fabrizio.”
“Ma mi spieghi cosa ti passa per quella testolina? Non so neanche per che destinazione devo farli, questi santi biglietti.”
Zoe si batté una mano sulla fronte. “Giusto. Hai qui il disegno di ieri sera?”
“Ah sì,” sorrise lui, ricordandosene. “Volevo dartelo, è tuo.” Lo estrasse da una tasca del borsone e glielo porse.
Lei lo prese e lo guardò. “Hai anche una penna?”
“Eh?” Giacomo ci capiva sempre meno: era impossibile seguirla.
“Una penna,” spiegò Zoe. “C’è una cosa sbagliata, nel disegno.”
“Lo so, lo so, non ho i fiori e chiedo umilmente perdono e…” cominciò lui, ma fu nuovamente interrotto.
“Non è quello. Il cartello è sbagliato,” disse mentre frugava nella propria borsa ricolma. Trovato finalmente un pennarello, si mise a scarabocchiare sul foglietto, decisa, dopodiché lo porse a un Giacomo sempre più costernato. “Ecco qua.”
Lui esaminò la correzione e sgranò gli occhi. “Ma cosa…?”
“Oggi ti porto a Venezia, Pioggia.”

Giacomo non era mai stato a Venezia: era un’eresia bella e buona, perché lui desiderava davvero visitare quella città, ma purtroppo era vero. Sapeva che si trattava di uno dei posti più belli d’Italia e del mondo, ci era spesso passato non lontano, ma non era mai riuscito a visitarla, per mancanza di tempo o di possibilità.
Ricordava, qualche tempo prima, di averlo riferito a Zoe; le aveva detto di non aver mai visto Venezia, la Serenissima, la città dei ponti, delle calli, la città sospesa sulla laguna, appoggiata sul mare (*), una città con neanche centomila abitanti ma con un flusso di nove milioni di turisti l’anno. Zoe si era scandalizzata: “Non è possibile, devi averla vista, è Venezia!”, lei che da brava figlia di una veneziana espiantata – sua madre era nata lì e ci aveva passato l’infanzia – conosceva bene ponti e calli di quel luogo incantato e pensava che Venezia, di tutti e di nessuno, un po’ appartenesse anche a lei.
Così, alla prima occasione, aveva voluto portare Giacomo a Venezia: era per fargli vedere un’altra parte di sé, quel cinquanta percento di dna veneziano, e per fargli una sorpresa, mostrandogli un posto che voleva visitare, perché se lo meritava. La sera prima era stato davvero comprensivo e lei, in qualche modo, voleva ricambiare il favore, se di favore si poteva parlare. E poi era da un po’ che non andava a Venezia e ora aveva semplicemente voglia di farlo: c’erano dei momenti in cui, obbligata ad andarci per motivi familiari o scolastici, aveva quasi odiato quella città sempre così caotica e che non esitava a mettersi in vendita alla prima bancarella; ma a volte sentiva di volerle davvero bene, come se il suo sangue veneziano in qualche modo si risvegliasse. Era naturale, per Zoe, sentire ogni tanto la mancanza di Venezia.
Ed era naturale, come ora, sentirsi felici nel vedere Giacomo sorridere mentre si guardava intorno sorpreso e quasi spaesato, dalla gradinata appena fuori dalla stazione dei treni.
“Allora è vero che galleggia sull’acqua!” esclamò osservando divertito il Canal Grande, proprio di fronte a loro.
“Cos’è, non ci credevi?” chiese Zoe con tono canzonatorio.
“Mica tanto…”
“Ah, e poi sarei io la ragazzina, vero?”
“Oh, che lagna!” si lamentò lui seguendola e incamminandosi verso il Ponte degli Scalzi (img 1). “Ti è rimasta proprio lì questa storia, che dici? La tiri fuori ogni due secondi…”
“Non ho detto niente per tutto il viaggio in treno, mi pare più che sufficiente!”
“Sai che sforzo, saremo stati in treno sì e no venti minuti…”
Zoe sbuffò. “Dettagli,” puntualizzò sicura. “E tu stai cercando di sviare la questione…”
“Non la sto sviando,” disse Giacomo mentre, arrivato in cima al ponte, si appoggiava alla balaustra bevendo avidamente con gli occhi ogni particolare del paesaggio veneziano. “Sto solo aspettando il momento propizio per parlarne.”
Zoe, sorpresa, si fermò accanto a lui, appoggiandosi anch’essa al parapetto. “Propizio? Pioggia, dì la verità, avrai mica paura di me?”
Il ragazzo sorrise, incerto. “Un po’. Non voglio morire sbranato alla tenera età di ventidue anni ancora da compiere.”
“Allora, se hai paura di spiegarmelo, era veramente un insulto!” esclamò Zoe, sospettosa.
“No, figurati. È che se ho capito un po’ come sei fatta, tu lo prenderai come tale.”
Lei alzò le spalle. “Beh, tu prova, no?” lo intimò a continuare. “Prometto che non morirai oggi, non per mano mia, almeno.”
“Questo è consolante, grazie!”
“Prego. Quindi?” lo spronò lei, nuovamente.
Giacomo sospirò melodrammaticamente, col solo intento di tenerla sulle spine, poi si decise a parlare, con un vago sorriso. “Sei una bella persona, Zoe.”
Lei lo interruppe subito, imbarazzata e decisa a nasconderlo. “Non cominciare facendo il lecchino, perché ti avviso che non servirà a nulla, con me.”
Il giovane sbuffò, divertito. Si aspettava una reazione di quel tipo: se l’aveva capita un poco, era allergica ai complimenti e alle belle parole, per non parlare delle dimostrazioni d’affetto fisiche e non, dalle quali si teneva il più possibile alla larga. “Non sono lecchino, lo penso sul serio, sciocca.”
Stranamente, Zoe non rispose, si limitò a continuare a guardare la laguna di fronte a loro e a grattarsi la fronte con un’espressione vagamente scettica dipinta sul volto.
“Ok, senti,” continuò allora Giacomo, “so già che mi odierai a morte per quello che sto per dirti, perché sono cose che ti metteranno in imbarazzo e tu odi essere messa in imbarazzo, ma…”
Tutti,” lo interruppe lei puntigliosa, “odiano sentirsi in imbarazzo, sei tu che non conosci pudore.”
Giacomo la ignorò. “…ma,” ripeté, “voglio dirtele perché le penso e non per farti una sviolinata inutile e banale. Ti ho avvisato dell’imbarazzo solo per non coglierti di sorpresa.”
“Magnanimo che sei.”
“Lo so. Pronta?”
“Sapevo che era un errore insistere su quel punto!” esclamò nascondendo il volto fra le mani.
“Te la sei un po’ cercata, in effetti… Vado?”
“Se proprio devi,” cedette la ragazza, senza scoprire il viso.
“Dicevo,” Giacomo ridacchiò, un po’ sadicamente, poi ricominciò il discorso. “Sei una bella persona, Zò, e non lo dico tanto per dire, lo penso sul serio. Sono contento di averti conosciuta.”
La ragazza lo interruppe di nuovo, vagamente nervosa, con un colpo di tosse. Giacomo, però, non le permise di parlare e continuò. “No, ascolta. Lasciami finire.”
“Sì, ma smettila con questa storia della bella persona, sennò penso davvero che hai qualcosa da farti perdonare! Il punto era un altro…” puntualizzò lei, sempre senza guardarlo.
“Ma il punto è anche questo, Molinari. Tu non vuoi far vedere agli altri quanto sei splendida, perché hai paura che se ne accorgano e te lo dicano, come sto facendo adesso io. E poi ti imbarazzi e bla bla bla…”
Lasciò che lei assimilasse le sue parole, per consentirle di ribattere. “E tu ti diverti a mettermi in imbarazzo, eh?” chiese soltanto Zoe, con una mano poggiata sugli occhi.
“Un po’,” ghignò lui. “Ma hai ragione, tu mi hai chiesto un’altra cosa.”
“Ma va’?”
“Non è l’età anagrafica che conta; che poi tu hai solo due anni meno di me, sai che roba. Sei una ragazzina perché hai paura del buio,” spiegò finalmente, anche se con poca chiarezza, Giacomo.
Zoe, di contro, scoppiò a ridere, sorpresa. “Ma figurati!”
Lui la guardò, scuotendo la testa. “Signorina, io parlo per metafore e lei nemmeno si premura di seguirmi. Male.”
“Mi scusi, Magnifico Rettore.”
“Generalmente preferisco essere chiamato Grande Artista, in verità.”
“Prego, Grande Artista, o Mister Rain per gli amici, continui pure,” lo incitò lei storpiando, per la prima di molte volte, anche il suo nome.
“Non è male Mister Rain. Potrei usarlo.”
La ragazza roteò gli occhi. “Ora, vuoi illuminarmi sul significato della tua splendente metafora, oh sommo poeta, o per farti continuare devo rivolgermi al tuo agente?”
“La seconda,” rispose lui ironico dandole corda.
“Dai,” fece Zoe, affibbiandogli un pugno fiacco sul braccio.
“Zò,” continuò allora Giacomo, tornando serio, “io ho l’impressione che… – poi magari mi sbaglio, eh, sia mai ,– ma penso che tu abbia paura di ciò che non conosci, e che per questo lo eviti. Detta chiaramente, l’esempio è semplice: se io non avessi insistito fino allo sfinimento, la prima volta, in treno, e dopo, in stazione a Mantova, di certo ora non saremmo qui a parlare. E sarebbe un peccato.”
“Sicuro?”
“Guarda che lo so che in realtà mi vuoi bene,” azzardò lui, scompigliandole piano i capelli.
“Ti stai allargando, Pioggia,” lo ammonì, seppur col sorriso che le si formava sulle labbra.
“Lo vedi? Sei diffidente da far paura!” esclamò Giacomo, allargando le braccia come per evidenziare l’ovvio. “Ma tranquilla, io non mi lascio intimorire così facilmente…”
Zoe sospirò enfaticamente. “Purtroppo l’avevo intuito,” gli rispose. Dopodiché lo prese per la manica della giacca, portandolo a scendere i primi gradini del ponte sul quale erano fermi da ormai più di qualche minuto. “Andiamo, che ci sarà da camminare parecchio.”
“Lo sapevo io che ti saresti vendicata!” si lamentò il giovane lasciandosi trascinare.
Lei assunse un piglio severo. “Non lagnarti e cammina con le tue gambe,” ordinò. Poi si girò a guardarlo con un mezzo sorriso, che per Giacomo valse più di mille parole: c’era un grazie nei suoi occhi scuri, anche se era ben nascosto. “Te la sei voluta tu,” aggiunse Zoe.
In effetti, era vero.

Qualche ora più tardi, dopo un giro nei posti più significativi di Venezia e dopo aver scalato un numero non quantificabile di gradini, Giacomo e Zoe ridevano complici, seduti a un bar di Campo Santa Margherita (img 2). Avevano parlato tutto il giorno, seriamente o meno, avevano scherzato con ironia, sarcasmo, linguacce, brutte figure in giro per la città, avevano discusso riguardo quell’estate – in particolare per la Questione Spagnola, così rinominata da Giacomo.
“Certo,” le aveva detto il ragazzo, comprensivo ma sincero, “se pensi che questa storia della Spagna possa comprometterti i rapporti con Andrea devi valutare seriamente cosa vuoi fare prima di decidere. Però credo che il vostro sia stato più che altro un fraintendimento, dovreste parlarvi…”
“Sì,” aveva risposto a testa bassa Zoe, che aveva già sentito quelle parole da Aurora, “lo so.”
“Beh, ma allora dove sta il problema? Parlane con lui: se gli sta bene, vieni e ci divertiamo un casino; se non ne vuole sapere, lo mandi a cagare e vieni lo stesso. No?”
Zoe gli aveva lanciato un’occhiata storta delle sue. “In ogni caso, anche secondo il tuo ragionamento del cavolo, prima ne devo parlare con lui.”
“Ma il risultato è lo stesso: andiamos in España.”
La ragazza aveva scosso la testa, ridendo. “Credo si dica vamos, campione.”
“Ti sto convincendo, eh?”
“Prima ne parlo con il mio tutore… pardon, il mio ragazzo.”
“Vuoi che ci parli io? Ti firmo la giustificazione per l’assenza?”
Zoe aveva commentato ironica. “Se vuoi andare in Spagna su una sedia a rotelle sarebbe una bella idea, sì.”
“Come sei violenta, ragazzina…”
“Oh, non io,” aveva specificato lei, con una smorfia, “ma se ieri sera non eri nella lista dei migliori amici di Andrea, ora sei decisamente nella sua lista nera. Ti do un consiglio da amica: fossi in te non mi presenterei a casa sua per discutere amabilmente di me e la Spagna.”
Giacomo aveva insistito, cocciuto. “Però ti sto convincendo!”
“Certo, sono convintissima, non vedi?” aveva ribattuto lei sarcastica.
“Dai, non farmi buttare via quei biglietti!” l’aveva pregata il giovane con un broncio da premio Oscar sul bel viso.
In realtà, Zoe era davvero quasi convinta. Il ragionamento di Giacomo, seppur fatto alla carlona, aveva un suo perché: se ad Andrea non andava bene che lei prendesse delle decisioni da sola, forse non valeva la pena di stargli dietro più di tanto. Un po’ si sentiva in colpa a pensarla così: era convinta che se fosse stata veramente innamorata di Andrea, non avrebbe fatto caso più di tanto a ciò che era successo la sera prima e l’avrebbe perdonato. Ma il problema era sempre lo stesso: sapeva di non essere innamorata di Andrea, non ancora, almeno. Certo, gli voleva un gran bene, stava da dio con lui, ma non si sentiva pronta a dire di essere innamorata.
Pensava questo Zoe, seduta a quel bar, mentre Giacomo si era misteriosamente alzato con una scusa. A proposito, dov’era finito quel pazzo? Lo cercò con lo sguardo e lo trovò che si avvicinava a lei con un braccio dietro la schiena: stava nascondendo qualcosa, certo.
“Dov’eri andato?” gli chiese non appena lui si fece abbastanza vicino.
“A prendere questi, ovviamente…” fece Giacomo con un sorriso enorme, mentre gli porgeva un mazzo di tulipani rossi, rosa e arancioni. “Te li avevo promessi!”
Zoe, inspiegabilmente, arrossì tutta d’un colpo, accorgendosi che dei passanti li guardavano curiosi.
“Tu sei fuori di testa!” esclamò senza muoversi.
Giacomo le porse i fiori con fare eloquente. “Su, prendili! Sono tuoi.” Si era accorto del rossore della ragazza e, come sempre, si divertiva a punzecchiarla.
Zoe quasi ringhiò, prendendo i fiori con un gesto secco, che tradiva il suo imbarazzo. “Non riesci proprio a mettere da parte la tua indole da gran Casanova, eh?”
Il ragazzo non poté impedirsi di ghignare. “In effetti no.”
Anche il cameriere, uscito in quel momento per portare dei tramezzini al tavolo accanto, pensò bene di non farsi i fatti suoi, intromettendosi per dare il suo consiglio a Zoe, ovviamente parlando con un forte accento veneziano. “Ma sì, perdonalo il tuo moroso, che me par un bravo fiòl (**), su.”
Zoe lo fulminò con il suo peggiore sguardo infuocato, della serie “non sono fatti suoi”, senza neanche preoccuparsi di correggerlo riguardo l’appellativo ‘moroso’. Era talmente evidente: Giacomo non era il suo ragazzo e nemmeno qualcosa che gli si avvicinasse. Punto.
“Eddai, ti lamenti sempre!” la apostrofò Giacomo, alzandosi e scompigliandole affettuosamente i capelli. “Andiamo, ho già pagato il conto.”
Lei sbuffò, seccata, pur sapendo bene che non le avrebbe mai permesso di pagare: lei era una studentessa mantenuta dai suoi genitori, mentre lui – anche se non era poi molto – guadagnava già qualche soldo per conto suo. “Non dovevi farlo.”
“Sì, invece. Andiamo,” rispose infatti Giacomo, senza darle diritto di replica.

La giornata stava giungendo al termine e i due giovani s’incamminarono verso la stazione. Dall’esterno sembravano sempre più affiatati e legati: Zoe si stupì di quanto fosse naturale il loro rapporto anche per lei, generalmente scorbutica e chiusa alle nuove conoscenze. Certo, si vergognava un sacco a girare con quell’enorme mazzo di fiori in mano, le sembrava di avere un’insegna luminosa a forma di freccia sopra la testa, ma poteva perdonarlo per questo, dato che si era comportato da buon amico e le aveva fatto dimenticare i suoi problemi.
Si fermarono su un ponte per farsi fare una foto dal primo passante perché, come disse Zoe, “non abbiamo neanche una foto insieme e mia sorella Viola non ci crede che ti conosco, pensa che me lo sia inventato per farmi invidiare da lei”; e poi dritti al treno e a Padova. Addirittura, non senza un po’ di sano imbarazzo, Zoe gli chiese se volesse restare a dormire da lei, per evitarsi di andare fino a Mantova; lui rispose che gli avrebbe fatto piacere, ma che aveva promesso a suo cugino di andare a trovarlo e che quindi sarebbe stato per la prossima volta.
“Perché ci sarà una prossima volta, lo sai, vero?”
“Sì, lo so,” disse semplicemente Zoe senza, stranamente, aggiungerci una battuta cattiva o un ‘purtroppo’.
Giacomo si limitò a sorridere e, senza alcun preavviso, la abbracciò per qualche secondo, sentendo per la prima volta da vicino il profumo dei suoi capelli. Dal canto suo, Zoe lo lasciò fare, anche se s’irrigidì un poco e perse un battito in maniera piuttosto evidente.
Solo per la sorpresa, è ovvio, pensò, e perché non sono abituata a queste dimostrazioni d’affetto coi miei amici e perché non lo conosco così bene. Solo per questo, ecco.
“Grazie della bella giornata,” le sussurrò Giacomo prima di staccarsi da lei, darle un buffetto sulla guancia e salutarla mentre si dirigeva verso il proprio binario. Solamente quando ormai era troppo lontano, Zoe si accorse si essere stata un po’ stronza, al solito: ché avrebbe dovuto lei ringraziare Giacomo per la bella giornata, visto il suo intervento per tirarle su il morale, non viceversa. Ma non sapeva che il ragazzo le era davvero grato e che, comunque, si era già accorto che quando stava in compagnia di Zoe il mondo girava al contrario. E ne era contento.




Note per una migliore comprensione:
(*) Venezia appoggiata sul mare: Purtroppo non è un appellattivo uscito dalla mia mente malata, bensì un verso della canzone "Venezia" dell'illustre, geniale maestro Francesco Guccini. Lo trovo splendido e ho voluto usarlo. Ovviamente, consiglio a tutti questa canzone, che poi è una poesia musicata, e tutte le altre di Guccini che, si sarà capito, io adoro.
(**) Fiòl: Termine veneziano e, più ampiamente, veneto. Letteralmente sarebbe figlio, ma è più traducibile con ragazzo. La frase, quindi, significa "mi sembra un bravo ragazzo". Per quanto riguarda, invece, il termine moroso, ho controllato, e nel dizionario d'italiano c'è; non lo so, ma comunque è probabile che derivi dal dialetto o che sia usato in determinate zone d'Italia (non ne ho idea, ditemelo voi!): significa fidanzato, ragazzo.







Ok, comincio facendo mea culpa, dicendo che sono una grandissima imbecille e scusandomi per il ritardo semi-colossale: non avevo mai aspettato così tanto tra un capitolo e l’altro e spero mi perdonerete e continuerete a seguire e commentare. Ho avuto un calo spaventoso della voglia di scrivere e ho immenso bisogno di voi, dei vostri commenti ma anche, specialmente, dei vostri consigli e aiuti: la storia nella mia testa c’è già ma – considerata la mancanza d’ispirazione – non è detto che non possiate aiutarmi a migliorarla e modificarla. Ci conto.
Mi scuso per l'Ode a Venezia, spero che non abbia annoiato o infastidito nessuno, ma volevo troppo farla. Con questa città ho un assurdo rapporto di odi et amo e le devo molto, anche se a volte la bistratto o non ho voglia di metterci piede (consiglio, a questo proposito, la sopracitata canzone gucciniana, ecco).
Aggiungo due foto dei luoghi di Venezia che ho citato, così potete immaginarvi meglio le scene (perchè Piazza San Marco e Rialto li conoscono tutti, visto che il TG ultimamente ce li propina sempre inondati e pieni d'acqua, ma per il resto non so...) :

Immagine 1: Ponte degli Scalzi (= il ponte di fronte alla stazione sul quale Giacomo e Zoe si fermano a parlare).

Immagine 2: Campo Santa Margherita (= dove i due si fermano al bar, nonchè dove Giacomo porta i fiori a Zoe. Un campo, a Venezia, è una piazza).

Detto questo, avrei voluto fare qualche precisazione su trama e personaggi ma non me la sento di tediarvi proprio sotto le feste, quindi stavolta vi risparmio e passo direttamente alle risposte personali. (Contenti, eh, di esservi salvati? Niente paura, vi assillerò la prossima volta, tempo permettendo!)

HopeToSave: Beh, ovviamente grazie e grazie. Sono contenta in particolare che ti piaccia la caratterizzazione dei personaggi, perché è proprio in quella che ho sempre paura di commettere castronerie e contraddizioni, pur tenendoci tantissimo. E per il paragone con Piccole Donne, l’ho letto secoli fa e non credo di essermi ispirata apertamente a quello: se l’ho fatto è stata tutto frutto del mio inconscio! Però in effetti potresti aver ragione su Viola e Amy: andrò a rivedermelo, chissà che non mi dia qualche spunto, visto la mancanza d’ispirazione che mi ha colta ultimamente! :) Spero, nonostante il ritardo clamoroso, che continuerai a seguire la storia…

Blair 95: Intanto grazie di nuovo per i complimenti: pensavo che il capitolo scorso fosse un po’ troppo stupido ma se ti è piaciuto son contenta! Aurora è una bell’amica, ma non è uscita ancora del tutto come ce l’ho in mente: tornerà nei prossimi capitoli, con qualche sfaccettatura in più. Per il viaggio in Spagna, io ti avviso, perché non vorrei restassi troppo delusa: sarà una bella prova, sì, ma per far svegliare quei due ci vorrà ancora del tempo, soprattutto per quella scemotta di Zoe. Non vorrei creare troppe aspettative… comunque ne parlerò già nel prossimo capitolo, e spero ti piacerà lo stesso!

pirilla88: No, non sei rincoglionita! La rincoglionita semmai sono io che vi ho fatto aspettare così tanto per aggiornare! :) Ooops… Comunque, anticipo: sì, in Spagna ci andranno e da dopo il viaggio cominceranno a succedere più cose interessanti… Per adesso devi accontentarti di questo capitolo “amichevole”… Dimmi che ne pensi.

Alla prossima! Spero intanto vogliate essere magnanimi e lasciarmi un commentino-ino-ino nonostante vi abbia fatto aspettare un mese e mezzo (anche se credo che nessuno si sia strappato i capelli nel frattempo!). Bye.


NB (aggiunto il giorno dopo, visto che da brava demente me n'ero dimenticata!) : Ovviamente, BUONE FESTE A TUTTI e, in particolare, BUON INIZIO 2010!! , dato che poi parto e non aggiornerò prima dell'anno nuovo... Auguri! ;)

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Capitolo 9
*** GIACOMO 2 ***



GIACOMO 2




Ebbene sì: siamo stati in Spagna e ci siamo divertiti un sacco, tanto che adesso che siamo tornati non so più se voglio stare sempre, costantemente attaccato a Zoe o se ho bisogno di starle il più lontano possibile per evitare problemi seri.
Perché è vero, ho sempre detto che siamo solo amici ed è ancora così. In Spagna non è successo niente che possa essere travisato e nulla di così imbarazzante – a parte quella volta che a Barcellona avevamo bevuto qualche bicchierino di troppo e le sono finito praticamente addosso trovandomi più vicino a lei di quanto non fosse necessario, ma vabbè.
Dicevo, l’amicizia è indiscutibile, ma ho il sospetto che se all'inizio ne avessi avuto la possibilità, ecco… non mi sarei tirato indietro. Cioè, devo essere sincero perlomeno con me stesso: quando l’ho conosciuta ho cercato subito di scucirle il numero di telefono, e non era certo solo perché sapevo che saremmo diventati amici. Mi interessava, mi incuriosiva, mi attirava, all’inizio, su quel treno. Poi ho – abbiamo – deciso che saremmo stati solo amici ed è quello che voglio ancora adesso. Ma ogni tanto, ogni tanto, ho quasi paura di avvicinarmi troppo a lei, paura di fare cose di cui poi mi potrei anche pentire. Non so nemmeno io bene di cosa sto parlando, ma tant’è.

Ma partiamo dall’inizio: la Spagna. È stato un bel viaggio, nonostante i tentennamenti iniziali di Zoe. Con Andrea infatti, se ho capito bene, la situazione è rimasta irrisolta: cioè, hanno parlato ma sono tornati al punto di partenza e quindi hanno deciso di stare in pausa e aspettare che Zoe tornasse dalla Spagna per – eventualmente – rivedersi e chiarire. Io non l’ho mai visto questo ragazzo, ma è evidente che a Zoe piace almeno un po’, sennò non gli avrebbe lasciato neanche uno spiraglio di porta aperta, come ha invece fatto.
E a proposito di questo, il problema di quella ragazza è che si sottovaluta veramente troppo. Già lo sospettavo ma ne ho avuto la totale conferma una mattina, mentre chiacchieravamo aspettando uno dei tanti autobus che abbiamo preso. Stavamo appunto parlando di Andrea e del loro rapporto e lei mi ha confessato di non essersi mai realmente innamorata. E fin qui va bene. Cioè, è un po’ strano dato che tutti noi abbiamo avuto un amore adolescenziale, una persona che ci ha fatto battere il cuore per la prima volta, in quel modo ingenuo e goffo, senza capire bene cosa ci stesse succedendo. Per me è stata Beatrice, ma la nostra relazione non ha mai superato quella fase un po’ infantile, trasformandosi così in qualcosa che, se fosse continuato, ci avrebbe fatto solo del male, portandola a tradirmi. Ma, a prescindere da questo, non è la fine del mondo che Zoe non si sia mai innamorata. Cavolo, ha vent’anni ancora da compiere, non ottantadue, è sempre in tempo per vivere appieno la sua vita, amori appassionanti compresi. Eppure – a parte l’imbarazzo, naturale, di farmi certe confessioni – lei sembrava alquanto abbattuta da ciò. Dopo un po’, ho capito il motivo.
“No, io sono troppo fredda, non m’innamorerò mai,” ha detto a un certo punto, nascondendo la paura con un sorriso ironico, fingendo di prendersi in giro per sdrammatizzare.
Sono rimasto di stucco. “Ma che stai dicendo?” le ho chiesto.
Lei ha sorriso amara. “Dai, Mister Rain, chi vuoi che si innamori di una come me?”
Se non mi fossi accorto che in realtà, purtroppo, era seria, sarei scoppiato a ridere. L’altro impulso, ben meno pacifico, era quello di prenderla a sberle per toglierle dalla testa quelle idee malsane.
“Non puoi pensarlo veramente…”
Zoe si è limitata ad abbassare la testa e a quel punto non ho più saputo tacere. “Zò, chiunque potrebbe innamorarsi di te, sempre.” Non sembrava convinta, così ho continuato, tentando appositamente di farla reagire. “Io mi innamorerei di te, ragazzina.”
E a quel punto, come previsto, la scema ha alzato la testa e si è ripresa. “Oh, non dirlo neanche per scherzo, Pioggia!”
Le ho fatto l’occhiolino, ben sapendo come la pensa sull’argomento: amicizia, amicizia e amicizia. E siamo d’accordo, almeno su questo. “Quando cambi idea, sono qua…”
Poi è arrivato il bus e non abbiamo più affrontato l’argomento. Sta di fatto che mi dispiace. Mi fa tristezza pensare che Zoe ritenga di non potersi innamorare, solo perché finora non ha trovato la persona adatta a lei. Potrebbe fare strage di cuori, se lo volesse. Non so, magari esagero; ma io stavo per cascarci, decisamente.

Ad ogni modo, ho perso di nuovo il punto centrale, cioè il viaggio. L’itinerario non era ben definito, sapevo solo che all’andata saremmo arrivati a Valencia e che al ritorno avremmo dovuto prendere l’aereo a Barcellona. Ovviamente non l’ho detto a Zoe finché non sono stato certo che avrebbe accettato di venire. Quando l’ho avvisata di tanto disorganizzazione pensavo si arrabbiasse, invece sembrava contenta di avere campo libero: avremo passato ore al telefono per decidere assieme l’itinerario e i particolari. Al telefono, sì, perché dopo quella giornata a Venezia non abbiamo più avuto modi di vederci di persona. Io stavo a Lecce dai miei – dato che ultimamente li vedo molto poco – e lei era a Padova a studiare per gli esami della sessione estiva.
Ci siamo rivisti solo il giorno della partenza, a Milano Malpensa. Anche lì mi ha stupito: l’ho vista appollaiata su una sedia ad aspettarmi e appena mi ha notato ha sorriso ed è corsa ad abbracciarmi. Cioè, ad abbracciarmi! Ok che erano due mesi che non ci vedevamo, ma una tale dimostrazione d’affetto da lei non me la sarei aspettata.
Da quel momento è stato tutto in discesa. La complicità istintiva che – vai a capire perché – ci ha sempre unito è stata la parte più fantastica della vacanza, come un filo resistente e sottile che ci teneva – e ci tiene – legati inspiegabilmente. Con Zoe trovo facile fare qualsiasi cosa: ridere, confidarmi, esagerare, scherzare, mettermi a nudo – in senso figurato, cosa andate a pensare!
Il viaggio, ovviamente, è stato itinerante, contando che tra le due città ci sono più di trecento chilometri. Ogni giorno ci spostavamo, visitavamo un paese diverso sulla costa, facevamo un po’ di mare, ci stabilivamo in un B&B o in un ostello e poi la sera uscivamo per qualche baldoria. Onestamente pensavo che Zoe fosse più rigida di così, invece si è dimostrata un’ottima compagnia anche quando c’era da lasciarsi andare, bere un po’ e fare cazzate.
Anche se la cazzata del secolo, per la cronaca, l’ho fatta proprio io, com’è ovvio. Ma non è tutta colpa mia! Era l’ultima sera, ci trovavamo a Barcellona e forse avevamo alzato un po’ troppo il gomito, girando e spostandoci da un posto all’altro. D’un tratto, in un locale pieno di gente, un tizio grosso come un armadio – almeno, io me lo ricordo così, ma forse i miei sensi erano un tantino alterati dall’alcol – mi ha urtato e io, instabile com’ero, sono finito addosso a Zoe, facendoci crollare entrambi. Per fortuna siamo precipitati su un divanetto, sennò almeno uno di noi due si sarebbe rotto l’osso del collo: le sono caduto praticamente addosso, a Zoe. E qui viene il bello – o il brutto, dipende dai punti di vista. Mi sembrava di essere in una di quelle banali commedie romantiche americane in cui i due giovani protagonisti si trovano soli e spalmati l’uno all’altra per un caso fortuito e si baciano appassionatamente, dichiarandosi una volta per tutte il loro amore. Le differenze erano due e sostanziali: uno, non eravamo soli ma in mezzo a decine di altre persone; due, nessuno di noi aveva intenzione né di baciare né tantomeno di dichiararsi all’altro. Va da sé, io ero un po’ brillo e, dopo aver ridacchiato di gusto, mi sono ritrovato a fissarla troppo, forse; ma comunque non avevo intenzione di baciarla, giuro! Non ricordo bene cos’è successo poi, credo che il momento lovecomedy sia stato interrotto dalla tipa a cui eravamo caduti addosso che, vedendoci immobili, ha perso la pazienza e ci ha insultato in non so che lingua, così ci siamo rialzati e abbiamo deciso di tornare in ostello per dormire qualche ora prima di prendere l’aereo per tornare in Italia.
Dopo questa situazione, comunque, ho pensato che forse era il caso di allontanarsi da Zoe per qualche tempo, per la disintossicazione. L’ho pensato davvero! Non è colpa mia se poi…
E va bene. Forse invitarla a stare a Lecce fino al mio compleanno, il 5 di agosto, è stata una mia idea, e me ne prendo l’intera responsabilità. Ma il biglietto aereo di ritorno era un Barcellona-Brindisi e poi mi è venuto spontaneo invitarla e mi fa piacere passare del tempo con lei e… No, non mi sto cacciando in un guaio. Credo.










Et voilà il viaggio in Spagna!
Prima di passare alla mia lapidazione vorrei perlomeno spiegare perché la scelta di raccontare la Spagna in uno dei capitoli brevi. All'inizio doveva essere un capitolo normale, ma non mi veniva l'ispirazione per scriverlo e poi - penso - sarebbe stato un po' complesso e forse anche noioso. Così ho optato per Giacomo. Beh, l'avete visto, ogni tanto ho deciso di inserire queste narrazioni in prima persona presente dei protagonisti, e Giacomo mi sembrava perfetto per descrivere il viaggio come me l'ero immaginato. Dato che è una visione ristretta potete immaginarvi voi il resto (mare, viaggi, Giacomo che fa figure da stupido con lo spagnolo...); e dato che è una visione soggettiva alcune cose restano oscure, è ovvio.
Però volevo specificare che Zoe non è una depressa o una vittimista cronica, solo ha un piccolo problema di autostima. Giacomo non capisce del tutto a cosa sia dovuto questo accanirsi contro se stessa, perché lui è in una fase di semi-adorazione per lei e inoltre è piuttosto sicuro di sé, quindi impossibilitato a cogliere certi problemi. Dico ciò non perché voglio difendere Zoe a spada tratta, anzi. Lei è un concentrato di difetti colossali e uno di questi è proprio l'eccessiva sfiducia in sè, data anche dalle sue precedenti relazioni - una con uno stronzo, Alessio, l'altra, con Andrea, che non riesce a decollare. Ditemi che ne pensate e se vi sembra un ragionamento forzato o stupido.
E per la cronaca: ho controllato e non dovrebbero esserci aerei sulla tratta Barcellona-Brindisi. Però, che volete farci, avevo bisogno che i due atterrassero in Salento, perciò concedetemi questa piccola licenza! ;)
Non mi piace farvi aspettare per gli aggiornamenti ma purtroppo, lo sapete, all'università è periodo d'esami e il tempo scarseggia, quindi avviso fin d'ora che il prossimo capitolo - in cui avremo illustri ritorni, anticipo - non arriverà troppo presto. Comunque, farò il possibile...
Ora tiratemi pure tutti gli anatemi mentali che volete ma - vi prego vi prego vi prego! - scrivetemeli anche, che fa sempre piacere ricevere recensioni, belle o brutte che siano!

Passo alle risposte personali poi vi saluto:

Anthy: E' vero, i due sono molto in sintonia per il momento (li invidio anch'io ^^), ma si sono appena conosciuti e devono ancora avere occasione di litigare e scontrarsi veramente. Succederà anche questo, perché nella vita reale le incomprensioni non mancano mai...
[So cosa intendi quando parli di acqua alta a Venezia! E' molto pittoresca solo se si è lì come turisti giapponesi... :) ]

pirilla88: Il viaggio in Spagna è andato, sì, ora bisogna vedere che succederà però! Grazie per l'offerta di aiuto: i consigli sono sempre benaccetti e se tu continui a scrivermi che ne pensi o come vorresti che continuasse, mi farebbe piacere...

Elinashine: Ma figurati, sono io che devo ringraziare te, mica viceversa! Son contenta che riesci a immedesimarti in Zoe, ma occhio che non è un tipo semplice la ragazza, eh... :) Si è già capito ma prossimamente sarà ancora più chiaro!

Blair 95: Ti dirò, a volte verrebbe voglia anche a me di aprire gli occhi a Zoe... ma poi non sarebbe più divertente! ;) Così preferisco continuare a farle vedere solo ciò che vuole, prima o poi dovrà sbattere contro la realtà! O no?

Ringrazio infine tutte le pazienti anime che si sono imbarcate in questa follia e mi appoggiano inserendo la storia tra le preferite o le seguite.
Muchas gracias e alla prossima... Adios!

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Capitolo 10
*** Capitolo VII ***



Capitolo VII




“Nic, lei è Zoe. Zoe, Niccolò.”
Giacomo sbrigò alla svelta le presentazioni, sperando che il suo amico non se ne uscisse con qualche pessima battuta delle sue o, peggio ancora, con un’insinuazione poco velata.
“Zoe, ho sentito tanto parlare di te: non vedevo l’ora di conoscerti! Sei più carina di quanto lui volesse farmi credere… Di’ la verità, Pioggia, volevi tenerla tutta per te, eh?”
Per l’appunto. Le aveva fatte entrambe.
Giacomo sospirò mentre l’altro gli dava una gomitata e gli strizzava l’occhio, raggiante. Si appuntò poi mentalmente di uccidere l’amico appena ne avesse avuto occasione: ci doveva pur essere un motivo se erano anni che meditava di farlo.
Poi si ricordò che Niccolò era stato l’unico a proporsi spontaneamente per andare a prendere lui e Zoe all’aeroporto. In effetti, ci doveva pur essere un motivo se, nonostante tutto, quello scemo era ancora vivo a dispetto dei suoi permanenti propositi omicidi.
“Nico, quanto mi sei mancato, dio lo sa…” sospirò Giacomo pesantemente sarcastico.
“Un grazie basterebbe, Pioggia,” gli rispose pronto l’amico mentre, da vero gentiluomo, prendeva la valigia di Zoe e si dirigeva verso il parcheggio dell’aeroporto. La quale Zoe, nel frattempo, ridacchiava neanche troppo celatamente, in primo luogo perché quel Niccolò le ispirava davvero ilarità, in secondo luogo perché nel frattempo le era venuta in mente Viola, la sua cara sorellina, che avrebbe venduto l’anima al diavolo per essere al suo posto in quel momento.
“Allora, com’è andata in Spagna?” domandò cordiale il moro, quando tutt’e tre erano saliti in macchina – Giacomo era stato relegato sul sedile posteriore dal suo amico – e avevano cominciato a muoversi verso Lecce.
“Bene,” rispose lapidario Giacomo, sporgendosi in avanti per girarsi a guardare Zoe con aria sospetta. “E tu che hai da ridere?”
“Niente.”
“Dai, dimmi,” insistette il ragazzo sbuffando.
Zoe non si fece pregare più di tanto. “È che pensavo a mia sorella,” confessò, “è persa di te,” continuò guardando Niccolò.
“E non è l’unica,” si vantò lui sistemandosi i capelli e poi scoppiando a ridere.
“Oddio, quando scoprirà che sono qui con te morirà d’invidia!”
“Sarebbe un peccato, se morisse.”
Giacomo si intromise, sentendosi escluso. “Conte non può permettersi di perdere una fan.”
“Già,” lo assecondò l’altro, “posso fare qualcosa perché ciò non accada?”

Meno di tre quarti d’ora dopo Giacomo e Zoe si erano momentaneamente liberati di Niccolò – si sarebbero visti il giorno successivo, perché il moro voleva fare da guida turistica alla ragazza e oltretutto le aveva promesso di parlare al telefono con Viola per farle venire un infarto – e si accingevano a entrare in casa Pioggia.
“Sono tornato!” urlò Giacomo aprendo la porta e guardandosi intorno.
In risposta, echeggiò il silenzio più assoluto.
“C’è qualcuno?” ritentò il ragazzo, spostandosi in cucina, senza successo. “Mamma, papà?”
“Magari sono usciti…” si intromise Zoe, che fino a quel momento lo aveva seguito in disparte, presa a guardarsi intorno per scorgere attimi dell’infanzia di Giacomo: foto, oggetti, mobili. Quella casa parlava di lui almeno quanto casa sua parlava di lei e le sue sorelle e dei loro momenti migliori.
“Sapevano che sarei tornato oggi, però,” si lamentò infine Giacomo, rassegnandosi e buttandosi a sedere sul divano.
“Che viziato figlio unico che sei!” Zoe lo prese in giro, mettendosi accanto a lui.
“Sì, va beh, prendi pure in giro, tu. Ma è da un anno che i miei li vedo davvero poco…”
“Lo so.”
Giacomo sospirò, stanco per il viaggio, e appoggiò la testa sulla spalla dell’amica, che prese a scompigliargli delicatamente i capelli. Grazie a quella settimana trascorsa insieme i due avevano cominciato a conoscersi meglio ed erano più frequenti le manifestazioni d’affetto o i contatti tra loro. Ovviamente era sempre il ragazzo a cominciare, con un abbraccio, un bacio sulla guancia o un complimento detto per farla arrossire: Zoe si era sciolta, sì, ma restava comunque più chiusa e meno espansiva di lui.
Fu proprio lei a parlare per prima, poco abituata a tutto quel silenzio quand’era in compagnia di Giacomo, sempre allegro e rumoroso.
“Allora, non fai gli onori di casa?”
“Sì, tra un po’,” rispose lui accoccolandosi per stare più comodo.
“Dai, fammi vedere almeno dove posso mettere la mia roba e fare una doccia…” insistette lei.
Giacomo sbuffò, disturbato, e si alzò non prima di averle stampato un bel bacio sulla guancia. “Che rompiballe che sei. Non si può neanche stare un attimo in pace…”
“Senti chi parla: l’Uragano James.”
“L’Uragano Jack.”
“James.”
Le vecchie abitudini, si sa, sono dure a morire e così Zoe, cominciando in Spagna il gioco che faceva solitamente con Aurora, aveva tradotto anche il nome di Giacomo, prendendo a chiamarlo in inglese. Per il cognome era stato facile, Pioggia è Rain, niente discussioni; il nome di battesimo, però, aveva creato qualche problema in più. Lui sosteneva che il corrispettivo inglese di Giacomo fosse Jack, lei invece voleva chiamarlo a ogni costo James. Alla fine, ovviamente, aveva vinto Zoe, decidendo senza dare diritto di replica all’amico.
“Questa è la stanza.”
Nel frattempo i due erano giunti al piano superiore e Giacomo aveva aperto la prima porta a destra del corridoio, mostrandogliela. Zoe si guardò intorno, perplessa.
“Sì,” rispose dopo qualche secondo di scandagliamento del luogo, “questa è la tua stanza.”
La ragazza aveva infatti notato i poster musicali alle pareti, la scrivania ricolma di spartiti e foglietti scribacchiati e le due custodie di chitarra ordinatamente riposte sull’angolo a sinistra. Ergo: quella era senza alcun dubbio la camera di un musicista, o presunto tale, quindi di Giacomo.
“Beh, sì, ma tu dormirai qua. Io mi arrangio col divano-letto in cameretta, di là.”
“In cameretta?” si informò meglio la ragazza, ancora dubbiosa.
“È una specie di camera di riserva, tipo stanza degli ospiti.”
Zoe sospirò, dandosi una piccola pacca sulla fronte. “Ospiti, Pioggia, ti dice qualcosa? Ci dormo io, in cameretta sul divano-letto!”
“Non esiste proprio,” replicò un tranquillissimo Giacomo. “Tu dormi qua. Quel divano è troppo scomodo, non permetterei a nessun ospite di appoggiarci la schiena.”
“Certo! E allora ci dormi tu!”
“Questa è l’idea, sì,” sorrise il ragazzo.
“Ma neanche per sogno! Io sono l’ospite, io creo disturbo, io mi becco il divano scomodo. Tu dormi qua in camera tua perché… beh, sei il padrone di casa.”
Tecnicamente,” la corresse lui, “il padrone è mio padre, perché la casa è intestata a lui. E se tu chiedessi a mio papà, lui ti direbbe che io devo dormire sul divano e tu sul materasso vero. Fine della discussione.”
“Senti…”
“Ho detto fine. Vuoi o no vedere il bagno? Sennò la doccia me la faccio prima io, eh, alla faccia della cavalleria.”
“Giacomooo…” insistette Zoe, come una bambina capricciosa.
Ma il ragazzo, avendo ormai capito come sbrigarsela con lei, la ignorò bellamente e le indicò il bagno, spiegandole dove poteva trovare tutto il necessario. Dopodiché, aspettando che lei finisse, tornò al piano di sotto e chiamò i suoi genitori, i quali lo informarono che erano dispiaciuti ma sarebbero stati fuori città, a casa degli zii, fino al pomeriggio successivo. Infine si gettò nuovamente sul divano, più stanco di prima e, chiudendo gli occhi, si addormentò sfinito in pochi minuti.

La doccia, per Zoe, fu una vera manna dal cielo.
Odiava i viaggi in aereo; non che avesse paura dell’altezza o altro, semplicemente la stancavano all’inverosimile e preferiva di gran lunga i treni. Tutti, quando lei esponeva il suo pensiero al riguardo, le dicevano che era pazza: i treni erano più stancanti, erano lenti, sempre in ritardo e puzzavano. Così la pensava la gente. Ma lei, nonostante i matematici ritardi di Trenitalia, la sporcizia e i controllori schizzati, continuava a preferire i treni. Le davano un senso di sicurezza e amava il paesaggio che scorreva tranquillo fuori dal finestrino. E poi, in treno, aveva anche conosciuto Giacomo.
Pensava questo mentre, ormai fuori dalla doccia e infagottata nell’accappatoio, si frizionava i capelli con un asciugamano e poi usciva dal bagno, tornando in camera.
“Pioggia, io ho finito!” urlò sporgendosi dalle scale prima di chiudersi in camera, senza aspettare di aver ricevuto alcuna risposta.
Giacomo. Era stata una fortuna averlo incontrato su quel treno? Tutto sommato, Zoe pensava di sì.
All’inizio lo considerava una vera e propria seccatura: le sembrava assurdo che lui volesse ad ogni costo conoscerla, proprio lei che teneva a distanza tutti. Però poi… poi in quelle settimane, in quei mesi qualcosa era cambiato e, alla fine, poteva essere solo contenta di avere un amico come Giacomo. Lui era sincero e solare, sapeva ascoltarla come poche altre persone, nonostante i tempi di conoscenza relativamente brevi, nonostante il tempo passato assieme – prima di quella settimana in Spagna – non fosse poi molto.
Giacomo era una di quelle persone per cui era facile perdere la testa. Sebbene all’inizio fosse scettica, ora Zoe capiva perfettamente il motivo per il quale così tante ragazze, ragazzine, ma anche donne più mature, fossero perse di lui: piaceva a tutti, era gentile e aveva quel modo di fare spigliato e quel sorriso seducente che avrebbe fatto sciogliere persino un sasso. Eppure, lui non stava cercando una donna e questa era stata la fortuna del loro rapporto: Giacomo, al momento, era troppo impegnato con il gruppo per permettersi una relazione stabile, perciò Zoe aveva potuto conoscerlo senza doppi fini e far nascere quell’amicizia. Se, all’inizio, Giacomo ci avesse provato con lei, probabilmente non sarebbero mai diventati amici.
Mentre aveva la testa piena di simili considerazioni, Zoe finì di asciugarsi alla meglio i capelli e poi si vestì, scegliendo, intanto, solo pantaloncini e maglietta per stare in casa, e prese le scale per tornare al piano inferiore. Si soffermò solo un attimo a guardare una foto incorniciata del piccolo Pioggia appesa in corridoio, sorridendo.
Quando arrivò in soggiorno, però, vide una cosa che la fece fermare sull’uscio, sorpresa. Giacomo era ancora sul divano, semidisteso e addormentato. Zoe gli si avvicinò, sorridendo ancora, e si sedette accanto a lui.
Doveva essere molto stanco, povero; evidentemente non era solo lei a soffrire dei viaggi in aereo. E sì che lui avrebbe dovuto esserci abituato, a viaggiare: passava continuamente da Lecce – dove vivevano i suoi parenti e amici – a Milano – dove lavorava e aveva un appartamento col resto della band – a varie città sparse in tutta Italia, per i concerti del gruppo. Doveva amarla proprio tanto, la musica, per accettare una vita tanto nomade pur di continuare a suonare, cantare, scrivere.
Zoe carezzò piano i capelli del ragazzo, un po’ più lunghi e scompigliati rispetto a quando lo aveva conosciuto.
Si ritrovò a ridacchiare da sola, pensando che lei e Giacomo erano davvero tanto, tanto diversi. A partire dalle apparenze, in effetti. Ok, lei si rendeva conto di essere una vera rompicoglioni al riguardo, ma gli faceva sempre notare quando si vestiva in modi che a lei non piacevano, o simili. E, in verità, anche lui la prendeva spesso in giro, le diceva che doveva essere più femminile, si offriva di farle da stylist. Tutte cose inutili, non avrebbero mai trovato un punto d’incontro in proposito. Zoe lo voleva più “stilisticamente anticonformista”, lui tentava di convincerla a truccarsi di più; lei gli suggeriva di farsi crescere un po’ i capelli, e Giacomo gli consigliava dei vestitini assurdamente corti o succinti; lei gli diceva che stava meglio con la barba di qualche giorno e lui rispondeva che non se l’era fatta solo perché era troppo pigro. Normalissimi battibecchi quotidiani, insomma.
Sì, normalissimi per due piccioncini in viaggio di nozze, tesoro…” le suggerì la voce di Aurora nella sua testa. Zoe sbuffò, le illazioni della sua amica la tormentavano anche quando lei non c’era… o forse era solo molto stanca, considerò poi.
Nel frattempo non si era resa conto di essere rimasta lì ferma, accanto a Giacomo, con la mano destra appoggiata alla sua testa per accarezzarlo piano e scompigliargli i capelli, folti e scuri. Se se ne fosse resa conto, probabilmente si sarebbe spostata in fretta, anche perché – altra cosa a cui, persa nei suoi pensieri, non aveva fatto caso – il suddetto Giacomo stava dando dei segni di vita, mentre si risvegliava e tornava, piano, dal mondo dei sogni.
“Che c’è, Molinari, siamo diventati sentimentali?” la redarguì scherzoso con la voce ancora vagamente impastata dal sonno, non appena prese coscienza di cosa stesse succedendo ai suoi capelli.
Zoe fece per spostarsi, spaventandosi e riscuotendosi all’improvviso, e nel farlo, forse troppo di scatto, tirò un po’ i capelli di Giacomo, ancora incastrati e attorcigliati tra le due dita.
“Ahio!” si lamentò il giovane, risvegliandosi allora del tutto. “Che grazia!”
Zoe si sentiva in imbarazzo per essere stata beccata in atteggiamenti che potavano compromettere la sua reputazione da Glaciale Signora dei Non-Sentimenti, ma tentò di nasconderlo con abbastanza disinvoltura.
“Toh! Mister Rain pare essere tornato tra noi. Strano, dal suo russare sembrava che Lei fosse piuttosto, come dire, addormentato.”
Giacomo, ancora mezzo disteso sul divano, si limitò a scoccarle un’occhiataccia dal basso, mentre continuava a massaggiarsi la nuca con una mano.
“Quante storie, Pioggia!” lo rimproverò ancora lei. “Neanche ti fosse caduta in testa un’incudine… Sei proprio una donnicciola…”
Ma Giacomo non la fece andare oltre. Mentre la ragazza tentava di alzarsi per allontanarsi da lì, lui la prese svelto per un fianco, facendola caracollare sul divano, dopodiché si posizionò di sbieco sopra di lei, per bloccarla – senza toccarla troppo, sennò avrebbe rischiato la morte, mica era scemo – e guardarla negli occhi con fare spavaldo.
Lei tentò di trucidarlo con lo sguardo, senza scomporsi più di tanto. “Che cavolo fai?” domandò allora, seccata.
“No, tu che fai?”
“Prego?” Zoe alzò un sopracciglio, sospettosa.
“Che stavi facendo prima sui miei capelli?”
“Niente. Lasciami andare,” rispose lei secca, mettendosi sulla difensiva.
Giacomo ridacchiò, saputo. “Certo. Guarda che adesso che ti ho beccato in atteggiamenti affettuosi con il sottoscritto posso ricattarti a vita…”
“Macché! È a te che manca la mamma, volevo solo riempire questo buco d’affetto materno, tutto qua. Contento?”
“No,” rispose lui, continuando a tenerle i polsi e guardandola dritta negli occhi.
Zoe non si lasciò intimidire troppo e tenne botta. “Pioggia, lasciami.”
Ma lui ancora non si spostò, continuando a fissarla intensamente, di un’intensità che però la ragazza non riusciva a tradurre e comprendere.
“Oh, spostati, ho detto!” insistette lei, tenace. “Io mi sono fatta la doccia e tu no, potresti evitare di spalmarti addosso a me almeno per questo… Vorrei restare pulita e profumata ancora per un po’.”
Una fetta di verità c’era nell’ultima frase che aveva pronunciato. Cioè, no, Giacomo non puzzava davvero, al contrario; ma Zoe sentiva il suo odore salirle intensamente alla testa. E non si trattava solo del profumo del suo dopobarba, era proprio l’odore della sua pelle, un aroma che ancora non sapeva ben definire, ma che sicuramente non aveva mai sentito così forte e inevitabilmente vicino.
Non fece nemmeno in tempo ad accorgersi di cosa stava pensando, che una suoneria familiare risuonò nell’aria. A quel punto il ragazzo lasciò la presa, lei si rialzò velocemente, tirò fuori il cellulare dalla tasca delle braghette che aveva addosso e si diresse in cucina, rispondendo senza controllare nel display chi fosse. Lasciò sul divano un Giacomo costernato e infastidito con sé stesso per quello che aveva appena fatto – o che avrebbe potuto, ma non avrebbe dovuto, fare.
Infine, si alzò anche lui, borbottò un “idiota” rivolto a sé medesimo e si diresse a sua volta verso il bagno per la tanto agognata doccia.

“Pronto?”
Quando rispose al telefono, il cuore di Zoe batteva già velocemente nel suo petto a causa della scenetta imbarazzante messa su dal suo amico. Il colpo di grazia glielo diede la voce che sentì dall’altra parte del ricevitore, che era, per la precisione, l’ultima voce che avrebbe mai immaginato di udire in quel momento.
“Ciao.”
“A-andrea?” balbettò malamente la ragazza, riconoscendolo all’istante nonostante fosse da qualche settimana che non si sentivano, ormai.
“Sì, beh… Chi altri potrebbe chiamarti dal mio numero?”
“Oh, già. È che non avevo guardato chi era,” rispose Zoe tentando di calmarsi e sedendosi su di una sedia in sala da pranzo.
“Capisco. Come stai?” Anche lui doveva essere in imbarazzo, a giudicare dalla sua voce.
“Tutto ok, tu?”
“Bene anch’io, dai.”
A Zoe infastidivano i convenevoli, ma non sapeva come uscire da quella situazione delicata. In verità, messo da parte lo stupore iniziale, adesso era contenta di risentire la voce di Andrea. Le era mancata.
“Ti ho chiamato per un motivo, in realtà…” Era stato di nuovo lui a parlare, tentennando un po’.
“Dimmi.”
“È che… Non è un motivo preciso preciso ma… Mi sei mancata e volevo chiederti se ti andava di vederci uno di questi giorni dato che…” si interruppe un momento, ricordandosi qualcosa. “Sei tornata dalla Spagna, vero? Non ricordo bene se avevi l’aereo oggi o ieri, ma magari mi sono sbagliato e sei ancora là e…”
“E in quel caso staresti spendendo una barca di soldi per questa chiamata,” concluse Zoe sorridendo, travolta dalle parole timide e sconclusionate di lui.
“Giusto.” Andrea ridacchiò. “Quindi?”
“Sono in Italia, sì.”
“Oh beh, è già un bel sollievo per me.”
“Mi fa piacere.”
“Perciò possiamo vederci?” chiese il ragazzo, con la speranza che trapelava lieve dalla voce.
Zoe sospirò, abbattuta. Sapeva che doveva dirgli la verità e sperava con tutto il cuore che Andrea non ci restasse troppo male o che non si contrariasse. “Temo di no…”
“Ah, scusa. Se non ti va non è un problema, solo vorrei…”
“Andrea,” lo chiamò lei, intenerita. “Non è che non mi va, anzi, mi farebbe piacere.”
“E quindi perché no?”
“Al momento sono a Lecce.”
Andrea tacque qualche attimo. “Lecce?” chiese infine, con un filo di voce.
“Sì, io…”
“Sempre con quel… Giacomo?”
“Andrea, ascolta…”
“State insieme?” Più che sconsolato, il ragazzo sembrava davvero scoraggiato.
“No! No… Tra qualche giorno è il compleanno di Giacomo e siccome avevamo l’aereo che arrivava a Brindisi… Insomma, mi ha chiesto se volevo stare qua qualche giorno.”
Andrea non era ancora del tutto convinto. “Ma state insieme?”
“Ma no, cavoli, sennò te l’avrei già detto, che ne pensi?”
“Ok, va bene. Senti… Uff, non so cosa dire, Zoe. Non pensavo fossi ancora con lui, è strano.”
“Non serve che ti dica che…”
“Siete solo amici, lo so,” concluse Andrea per lei. “Io posso anche crederti e ti credo. Ma è difficile stare qua tranquillo e sicuro quando…” Zoe lo sentì sospirare nella cornetta e poi continuare. “Forse è meglio se ne parliamo quando torni.”
“Stavo per dirlo anch’io,” convenne lei, giochicchiando con un ciuffo di capelli ancora un poco umidi dopo la doccia.
“Sì, beh, siamo d’accordo allora.”
“Certo,” confermò Zoe, “siamo d’accordo. Andrea, anch’io voglio rivederti.”
“Allora fammi sapere quando torni in zona, ok?”
“Ok.”
“Ciao Zoe. A presto… spero.”
La ragazza riattaccò, col cuore ancora leggermente più veloce della media, e si accasciò sulla sedia, preparandosi alla prossima telefonata, che con ogni probabilità sarebbe stata di sua madre o, peggio, della sua migliore amica impicciona.

La serata, poi, fu serena, a base di gelato e film d’azione. Zoe, dopo aver – come previsto – parlato anche con sua madre e con Aurora, raccontò a grandi linee a Giacomo della telefonata con Andrea e lui evitò di commentare, più che altro perché non avrebbe saputo bene cosa dire.
La stessa tranquillità non poté dirsi del giorno successivo, che fu invece scoppiettante e pieno di risate. Come promesso, Niccolò tornò a prenderli in tarda mattinata, per portarli a visitare Lecce. Portarla, anzi, dato che Giacomo c’aveva vissuto per più di vent’anni in quella città e non aveva certo bisogno di una guida turistica.
Si divertirono molto, Niccolò a Zoe stava simpatico. Questo, per motivi che a lei rimanevano oscuri, sembrava infastidire Giacomo, che ogni qualvolta il suo migliore amico si avvicinava a Zoe, si adombrava o tentava di intervenire nella loro conversazione, come un bimbo in cerca di attenzioni.
Il momento migliore della giornata fu, comunque, quello in cui Niccolò telefonò a Viola, ovviamente in vivavoce. Alla più giovane delle sorelle Molinari quasi prese un infarto quando sentì la voce del suo cantante preferito, ma alla fine riuscì a riprendersi e, addirittura, a strappare a Niccolò la promessa che prima o poi sarebbe passato da quelle parti e sarebbe andato a trovarla.
“Ha una certa sfacciataggine, eh, tua sorella,” commentò lui accorto, dopo aver riattaccato.
Zoe rise. “Non sai quanto! Affari tuoi, comunque, adesso…”

Ma gli avvenimenti della giornata non erano finiti lì.
Una volta rientrati a casa, infatti, trovarono ad aspettarli proprio mamma e papà Pioggia, appena rientrati dal weekend familiare a casa della sorella di lei.
I genitori di Giacomo erano esattamente come Zoe se li era immaginati da ancor prima di entrare in casa e vedere alcune loro foto sparse qua e là. Entrambi avevano superato i cinquanta ed erano abbastanza alti, – come il figlio, d’altronde – tanto che la ragazza si sentiva davvero molto molto bassa a stare lì tra loro. Accolsero Zoe come se fosse un’altra figlia, pur non avendola mai vista prima, con baci e abbracci a non finire.
In particolare la signora Antonella – una donna normalissima, coi capelli rossi e mossi e il sorriso sempre stampato sul volto – era un uragano di parole e gesti affettuosi. Zoe se ne accorse presto a sue spese e convenne tra sé che, dunque, i modi di fare di Giacomo dovevano essere proprio insiti nel suo dna.
Maurizio Pioggia era invece un uomo molto affascinante e evidentemente pieno di carisma, anche se più riservato della moglie. Era molto alto, coi capelli, che un tempo dovevano essere stati scuri come quelli del figlio, brizzolati, e gli occhi, castani, identici a quelli di Giacomo. Probabilmente, pensò Zoe, da giovane doveva essere un rubacuori. Inoltre era molto bravo a cucinare, tanto che la cena, quella sera, la preparò lui.
Mentre mangiavano, poi, la madre di Giacomo dispensò qualche battuta maliziosa su Zoe e suo figlio, ma la ragazza ormai c’era talmente abituata da lasciarsele passare addosso come acqua tiepida, ridendo. Giacomo invece sembrava, stranamente, essere più infastidito dalle allusioni della donna e le rispondeva seccato, dando così ancora maggior adito all’immaginazione di sua madre.
Nel complesso, la serata terminò senza grossi problemi, così come passarono anche i due giorni successivi – quelli prima del compleanno di Giacomo – tra gite al mare e serate in compagnia di Niccolò o qualche altro amico.

Il 5 agosto, ovvero il giorno X, era un mercoledì caldo e soleggiato. Per festeggiare i ventidue anni del suo amico d’infanzia, Niccolò aveva organizzato per quella sera un festa a casa propria, per l’occasione libera dai genitori, invitando un po’ di amici e conoscenti vari.
“Niente di trascendentale,” aveva garantito il folle, ma non si poteva essere mai sapere cosa aspettarsi da lui.
Prima però, nel pomeriggio, Giacomo dovette sorbirsi un’allegra riunione familiare con zie, zii, cugini, nonni e quant’altro. Zoe piacque a tutti, in particolare fece amicizia con nonno Nicola, che l’aveva presa in simpatia fin dal primo sguardo.
“Ah, ragazza mia,” le disse a un certo punto, con aria confidenziale, “non so come tu faccia a sopportare Giacomo, è un vero scapestrato mio nipote! Però la passione per la musica l’ha presa da me, lo sai? La prima chitarra gliela regalai quando fece sette anni, anche se all’epoca non avrei mai pensato che fosse così folle da tentare di guadagnarsi da vivere, suonando…”
Nonostante le parole fossero di rimprovero, Zoe poteva percepire come l’anziano signore fosse molto fiero di suo nipote; era lampante, glielo si leggeva negli occhi quando parlava di lui.
La ragazza stette lì ad ascoltare nonno Nicola, rapita, finché lui non le chiese da quanto fossero fidanzati lei e Giacomo.
“Non siamo fidanzati, signore,” rispose pazientemente Zoe. “Siamo amici, ci siamo conosciuti qualche mese fa in treno.”
“Ah sì? Devo essere proprio rimbambito allora, una volta ci azzeccavo sempre su certe questioni. Eppure mi sembrava che ti guardasse…”
Zoe lo interruppe prima che dicesse qualcosa di sconveniente. “Invece non è così, mi spiace.”
“Se lo dici tu…” concordò il nonno, ma non sembrava del tutto convinto.
Mezz’ora dopo anche i parenti se ne andarono e a Giacomo e Zoe non restava che prepararsi per la serata di festa.
“Speriamo bene,” mormorò Giacomo mentre chiudeva la porta dietro a zia Adelina, l’ultima a uscire. Niccolò era capace di qualsiasi cosa.














Mi vergogno molto per questo ritardo sconsiderato e spero che nessuno di voi voglia uccidermi...
No? Tutto apposto?? Posso continuare a vivere? Grazie, siete troppo buoni!! :)
No, a parte gli scherzi... Scusate, sul serio. Tra esami all'università e blocco della creatività c'ho messo tantissimo a decidere come continuare questo capitolo. Ma eccolo qui!! Yuppy! (ok, sembro pazza, la smetto)
Posso promettere che tenterò di non ritardare mai più così tanto. Non è una garanzia, ma è la mia parola, mi sa che dovrete accontentarvi!
Nello scorso capitolo sono scarseggiate le recensioni, spero che questo vi piaccia di più, anche se è molto narrativo e ben poco d'azione. Comunque già nel prossimo succederà qualcosa di più e... non posso dire altro, non per cattiveria, ma non l'ho ancora scritto tutto! :) Non si sa mai che poi cambi idea...

Detto ciò, ringrazio tantissimo pirilla88, che ha avuto il buon cuore di recensire il capitolo scorso, e le rispondo:
Ehilà, continui a seguirmi, grazie! Hai ragione, Giacomo è sicuramente più vicino di Zoe alla consapevolezza, anche se tenterà in tutti i modi di evitarla. Zoe invece è sicuramente una testa dura, c'è poco da fare. Hai visto anche tu, no? Io cerco di lanciarle dei segnali - come in questo capitolo - ma lei non ci arriva proprio! :D Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo, dimmi se l'hai trovato noioso...

Un'ultima domanda: secondo voi dovrei mettere dei titoli ai capitoli? Perché volendo potrebbero anche starci, solo che all'inizio ho deciso di lasciarli così e poi non ho più cambiato... Fatemi sapere che ne pensate, pendo dalla vostra bocca! ;)

Ora scappo, sono già in ritardo... Alla prossima - spero più presto, stavolta... besos!



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Capitolo 11
*** Capitolo VIII ***



Capitolo VIII




I presagi di Giacomo non erano, effettivamente, infondati. Le feste organizzate da Niccolò – specialmente quelle in onore proprio del suo amico d’infanzia – avevano la fama di essere, nel migliore dei casi, piuttosto confusionarie. Altre volte, invece, era andata peggio, e alcune Nico-feste si erano trasformate in disastri totali.
Quando Giacomo aveva compiuto quindici anni, ad esempio, Niccolò aveva avuto la brillante idea di organizzare un party in spiaggia con molti dei loro amici: la polizia li aveva trovati alle due di notte ubriachi fradici anche se nessuno di loro era abbastanza adulto per bere alcolici. Risultato: non erano potuti uscire per i successivi due mesi, a causa di una punizione giustamente inflitta loro dai rispettivi genitori.
Per i diciotto anni non era andata poi tanto meglio: la festa era degenerata e un loro amico era quasi finito in coma etilico, mentre a un altro erano andati a fuoco i capelli.
Infine, c’era stata la festa dei diplomati, sempre organizzata da Niccolò a casa sua. Quella, in realtà, non era andata nemmeno tanto male, anzi, a detta di tutti era stata una gran festa. Peccato che Giacomo se la sarebbe ricordata per sempre come la serata in cui Beatrice gli aveva rivelato di avergli messo le corna, per poi lasciarlo, carinamente, proprio lì di fronte a tutti i loro amici.
Insomma, magari questi episodi non bastavano a mettere una croce sopra a tutti gli eventi mondani organizzati da Niccolò Conte, comunque, per sicurezza, Giacomo preferiva stare all’erta e non fidarsi più di tanto di quel folgorato del suo amico.
In ogni caso era in buona fede e completamente predisposto a divertirsi quando, quella sera d’agosto, entrò con Zoe nella casa prescelta come luogo dello spasso. D’altronde, pensava, erano passati tre anni dal party del diploma e le successive serate organizzate da Niccolò non erano andate così male.

Quando Zoe e Giacomo arrivarono a casa di Niccolò, trovarono che era già presente qualche amico leccese dei due chitarristi. Giacomo sorrise, ricambiò i saluti, ringraziò per gli auguri e i regali e presentò Zoe a tutti.
“Zoe, lui è Giorgio, il batterista del gruppo.”
“Daniele, Zoe.”
“Anita, lei è Zoe, la mia amica di Mantova.”
“Piacere, io sono Antonio, un vecchio amico di Giacomo.”
“Zoe Molinari, ho sentito tanto parlare di te!”
“Pioggia! È da un po’ che non ti si vede in giro… Chi è questa bella fanciulla?”
“Pedro, Teresa, Annamaria: erano a scuola con me.”
“Zoe, piacere mio.”
Apparentemente, la ragazza sembrava essere a proprio agio, chiacchierava con i presenti e rideva alle battute di chi le stava attorno. In realtà però Zoe era abbastanza timida e riservata e faceva fatica ad aprirsi al primo incontro: certo, la buona educazione ricevuta e un pizzico di buonsenso le impedivano di rintanarsi in un angolo del soggiorno e isolarsi, ma inizialmente tendeva a essere piuttosto formale e distaccata, sempre. Finché non cominciava a bere.
Reggeva l’alcol sufficientemente bene e le era successo solo una volta nella vita di bere tanto da star male, ma già dopo un paio di bicchieri Zoe si scioglieva un po’, diventando più amichevole. Se n’era accorto Giacomo in Spagna, nelle serate di particolare baldoria, e se ne stavano accorgendo quella sera in molti, vedendola diventare più spigliata e disinvolta col passare del tempo… e dei bicchieri.
Giacomo, mentre parlava con la gente che man mano arrivava e riempiva la stanza – Niccolò, alla fine, non aveva lesinato gli inviti – la teneva discretamente d’occhio. E più la guardava ridere e scherzare con altre persone – in particolare col proprietario della casa – più si sentiva nervoso e vagamente irritato. Cavolo, sapeva che non c’era assolutamente motivo d’infastidirsi, ma non poteva fare a meno di cercarla con lo sguardo e sentirsi come tradito dal suo atteggiamento solare e vivace.
Tradito. Non aveva assolutamente senso, Giacomo lo sapeva. Zoe e Niccolò erano entrambi suoi cari amici, che importanza aveva se parlavano e ridevano insieme l’uno vicino all’altra? Forse erano solo un po’ troppo vicini, questo sì.
Giacomo a quel punto, senza rendersi conto di quel che faceva, mollò il suo bicchiere sul tavolo più vicino e si diresse verso i due protagonisti dei suoi ultimi pensieri.
Li avvicinò con un sorriso metà forzato e metà dovuto all’ultimo bicchiere di spumante. “Conte, Molinari!”
Niccolò lo accolse festoso, con una pacca sulla spalla che lo fece traballare. “Ehilà festeggiato! Come procede la serata?”
“Oh, a me piuttosto bene, ho rincontrato volti che non vedevo da anni e altri che non ricordo neanche di aver mai conosciuto… Ti sei sprecato con gli inviti, eh?”
L’altro rise. “Diciamo che era da tempo che non avevo tanta gente in casa e ho approfittato dell’occasione!”
“Mi fa piacere,” rispose Giacomo, girandosi poi a guardare la terza presente. “Zoe?”
“Cosa?” domandò lei, confusa.
“È dall’inizio della festa che non riesco ad avvicinarmi a te. Hai fatto un bel po’ di public relations, o sbaglio?”
Zoe non si accorse subito del tono risentito del ragazzo e gli rispose con un sorriso. “Eh sì, qua è così pieno di gente, sono tutti tanto gentili…”
“Mi fa piacere,” la interruppe Giacomo secco, prendendola per un polso. “Ora vieni, ti devo presentare delle persone.” Voleva solo portarla via da Niccolò, che continuava a starle troppo vicino per i suoi gusti.
Ma Zoe lo strattonò, riprendendosi la mano. “Stavo parlando con lui, se non te ne fossi accorto.”
“Me ne sono accorto, sì,” ribatté Giacomo deciso, guardandola incrociare le braccia e fissarlo perplessa. Restarono così qualche secondo, in silenzio.
“Che hai?” chiese Zoe, che non capiva se doveva dimostrarsi arrabbiata o confusa.
“Io niente. Tu?” Giacomo, dal canto suo, sembrava tranquillissimo.
Lei non rispose, si limitò a corrugare la fronte.
Niccolò, anche se capiva di essere in mezzo a quella situazione che con lui c’entrava ben poco, decise di intervenire per salvare il salvabile prima che fosse troppo tardi. Tossì forte, dopodiché parlò. “Va bene, dai, Zoe, puoi andare con Giacomo, non è un problema…”
Ma Zoe non demorse. “No, invece stavo parlando con te, non vedo perché lui dovrebbe arrivare così all’improvviso, prendermi e portarmi via. Non sono una sua proprietà.”
Giacomo prese fiato per risponderle a tono, ma all’ultimo momento cambiò idea. “Va bene,” disse, con tono distaccato, “fa’ come vuoi.” Scrollò le spalle e si allontanò, cercando altre compagnie.
Era la sua festa, diamine, non poteva farsela rovinare così da… una sensazione? Non sapeva neanche lui cos’era quella cosa che sentiva alla bocca dello stomaco, sentiva però che stava crescendo e che forse lo avrebbe portato, prima o poi, a scoppiare.

Infatti, un’ora dopo la situazione non era migliorata. Anzi, se possibile, si era aggravata ulteriormente. Dopo l’intervento di Giacomo, Zoe era rimasta imbronciata e pensierosa per qualche minuto, ma aveva presto deciso di non crucciarsi e di continuare a divertirsi. Certo, Giacomo non si era mai comportato in maniera tanto strana, ma non era il caso di preoccuparsi solo per un paio di frasi dette in mezzo a tutta quella confusione.
Il suddetto Pioggia, invece, era sempre più cupo e adombrato. Rispondeva monosillabi a chi gli rivolgeva la parola, continuava a guardare Zoe e a infastidirsi per il suo atteggiamento. Ogni tanto cercava anche di simulare una risata, parlando con qualcuno, ma non gli riusciva granché bene.
Niccolò aveva tentato di stare distante da Zoe, perché aveva intuito quale fosse il problema del suo amico, ma la ragazza continuava a cercarlo tra la gente per pregarlo di non lasciarla sola in mezzo a quei pazzi salentini. In un qualsiasi altro momento, forse, avrebbe cercato Giacomo, ma quella sera lui non sembrava essere molto di compagnia, e Zoe aveva bisogno di una faccia amica per non sentirsi sperduta in mezzo a un mare di sconosciuti. Così, a intervalli regolari andava a scambiare due chiacchiere con Niccolò, che tra l’altro le stava anche simpatico.
Anche Giorgio, il batterista dei Jam Session, sembrava essere un ragazzo apposto. Stava proprio parlando con lui quando un ragazzo dai lunghi capelli biondi non meglio identificato le mise in mano un bicchiere pieno di un alcolico, anch’esso non meglio identificato.
“Prova questo, è buono.”
Lei non ci pensò più di tanto e fece come le aveva detto il tipo. Fu il bicchiere che le fece perdere l’ultima briciola di introversione che le era rimasta. Poco più tardi, ridendo a una battuta di Giorgio, si ritrovò ad abbracciarlo amichevolmente, cosa che da sobria non avrebbe certamente mai fatto. Non era ancora ubriaca persa, ma era decisamente troppo allegra. Se ne accorse anche lei quando, staccandosi da quell’abbraccio col batterista, notò Giacomo, poco più in là, che li fissava allibito. Si pentì subito del suo gesto, ma ormai era troppo tardi per rimediare.
Giacomo le si avvicinò, fingendosi tranquillo. Non era facile: qualcosa di forte gli ribolliva dentro, all’altezza della pancia, qualcosa che poteva essere rabbia, delusione, o forse semplicemente gelosia – ma una gelosia che lui non era ancora pronto a considerare, forse.
Appena le fu vicino, Giacomo sorrise. “Ti stai divertendo molto, vedo.”
A Zoe stavolta non sfuggì il tono amaro delle sue parole. “Che vuoi dire?”
“Niente, solo che è evidente che ti stai divertendo, visto come elargisci risate, affetto e abbracci.”
Il tono eccessivamente distaccato di Giacomo, assieme al suo sorriso freddo, colpì la ragazza. “Era solo… Ho abbracciato Giorgio ma, cioè, non so perché l’ho fatto… Io…” Zoe si interruppe un attimo, spaesata. “Insomma, non devo mica giustificarmi con te,” concluse, secca.
“Infatti.”
“Allora non venire qua a farmi la morale, Pioggia.”
Giacomo fece spallucce. “Non sto facendo la morale a nessuno, Molinari.”
“Dal tuo tono non si direbbe.”
“Oh beh, non era mia intenzione,” si scusò lui, ostentando la solita sicurezza e tranquillità. “Ora, dato che evidentemente la mia presenza stasera ti disturba, è meglio che mi allontani. Quando hai intenzione di tornare a casa, però, vienimi a cercare, ché le chiavi ce le ho io. Sempre se hai intenzione di tornare.”
Zoe assottigliò lo sguardo, come faceva sempre quando assumeva il suo tipico atteggiamento di difesa. “Cos’hai detto?”
“Hai sentito cos’ho detto,” la provocò Giacomo, forse senza neanche sapere bene cosa stava facendo e che reazione avrebbe scatenato.
Zoe contò fino a cinque prima di rispondere, ma non poté comunque evitarsi di alzare appena il volume della voce.“Ho sentito, ma spero di aver capito male.”
La risposta non tardò ad arrivare. “Credo tu abbia capito benissimo, invece. Se stanotte preferisci restare qua,” dicendolo, Giacomo si voltò a guardare Niccolò e Giorgio, i quali fissavano la scena allibiti, “fai pure. Volevo solo avvisarti che Giorgio, ma solo lui, ha la ragazza.”
“Fottiti, Pioggia.” La voce della ragazza tremava, anche se lei tentò di nasconderlo. Prese la borsa e si catapultò fuori dalla porta, passando tra le persone che, fino a quel momento, aveva assistito alla scena incuriosite.
Fu lì che Giacomo si sentì veramente in colpa. Non era mai stato tanto stronzo in vita sua con qualcuno; proprio lui, sempre così sorridente e allegro con tutti, sempre pronto a difendere gli altri, mai ad attaccarli. Cosa diavolo gli era successo?
Non ci pensò due volte e seguì Zoe fuori, nel giardino, dove si teneva ancora parte della festa, e poi in strada. La vide che si allontanava da sola, senza neanche sapere dove stava andando, e la rincorse, raggiungendola e prendendole un braccio.
“Zoe…”
“Vaffanculo.” Si liberò della sua presa con uno strattone e continuò a camminare.
“Zoe, ascolta…”
“Non sono stata chiara, Pioggia? Ho detto: vai-a-fan…”
“Ho capito. Scusa. Scusami, ok? Hai ragione su tutto, ma scusami.”
“Non me ne faccio niente delle tue scuse.” Zoe, a differenza dell’altro, era invece piuttosto abituata a essere cattiva e tagliente con le parole. Eccome se lo era.
Lui non demorse e continuò a seguirla. “Ascoltami però, per favore.”
Zoe si fermò di colpo e Giacomo per poco non le finì addosso. “Perché dovrei? Anche tu sei stato piuttosto chiaro, là dentro. Anzi, oserei dire che hai parlato abbastanza, per quanto mi riguarda.”
Il ragazzo la superò, per esserle davanti e guardarla in faccia. Era seria e risoluta: definirla arrabbiata sarebbe stato un leggerissimo eufemismo. “Perché mi dispiace,” rispose allora lui, in un mormorio sommesso.
“Beh, potevi pensarci prima di darmi della puttana di fronte a tutti.”
“Non ho detto così!” Giacomo tentò debolmente di lamentarsi, ma lei ormai aveva preso il via.
“È esattamente quello che hai detto, invece.”
Lui scosse la testa. “No, senti… Mi dispiace, mi dispiace davvero,” ripeté.
Zoe lo guardò e lesse la sincerità nei suoi occhi. Non era ancora però pronta a perdonarlo, quello che aveva detto le aveva fatto troppo male e da lui non se lo sarebbe mai aspettato. Voltò lo sguardo, prima di parlare di nuovo, ancora arrabbiata. “Pensi che io vada col primo che incontro? Porca miseria, Giacomo, con tutte le cose che sai su di me, con tutte le cose che ti ho detto, tu vai a toccarmi proprio su un tasto del genere. Ti sembra giusto?”
Lui sospirò. “No. Però con me hai serie difficoltà a essere così affettuosa e…”
“E allora? Non vuol dire che…”
“Lo so,” la interruppe lui, e Zoe si limitò, allora, a stare in silenzio. Aveva voglia di avvicinarsi e abbracciarla, non gli piaceva litigare, figurarsi poi con Zoe. Voleva tornasse tutto alla normalità, voleva tornasse tutto come prima.
Ma c’era ancora una cosa che gli premeva sapere. Così, quando lei aprì la bocca per parlare, Giacomo la precedette, chiedendogliela.
“Ti piace Niccolò, vero?”
Lei rimase di stucco. “Cosa?”
“L’ho capito e… non lo so, forse pensavo che stasera saresti stata con me. Ma evidentemente lui ti piace e allora hai fatto bene a stare più vicina a lui… Solo che, ecco, ci sono rimasto un po’ male, credo.”
“Giacomo,” lo chiamò lei, basita, “non mi piace Niccolò.”
“Guarda che puoi dirmelo, non me la prendo…”
“E ci mancherebbe altro! Mi sembra di essere tornata all’asilo, con questi discorsi!” Improvvisamente, il pensiero che lui potesse essere geloso, che fino a quel momento non aveva neanche sfiorato Zoe, la colpì pienamente. “Pioggia, ma ti sei comportato così per questo? Perché pensi che mi piaccia?”
“Sì, no… Ma non è che lo penso, lui ti piace!” insistette Giacomo.
“No, non è così! A parte che non avrei problemi a dirtelo, ma no. È simpatico, lo trovo una buona compagnia, niente di più.”
Giacomo sembrava ancora poco convinto, così Zoe si infastidì di nuovo. “Dio, sei assurdo!” esclamò, aprendo le braccia sfinita. “Pensa quello che vuoi, ma io ho altri problemi per la testa al momento. C’è Andrea, senza contare che mia sorella mi ucciderebbe se mi passasse per l’anticamera del cervello di farmi piacere Niccolò Conte. E poi ci sei tu che…” si interruppe, scuotendo la testa. “Vabbè, lascia perdere.”
“Ci sono io che faccio cosa?” la incalzò lui.
“Niente, non importa, Giacomo, sul serio, non stasera,” Zoe liquidò il discorso, massaggiandosi la fronte, esausta. “Vorrei andare a casa, ora, scusa ma sono stanca. Se tu vuoi restare capisco, è la tua festa…”
“No, vengo con te.”
Zoe sapeva che sarebbe stato comunque inutile cercare di convincerlo a rimanere alla festa, quindi annuì con un cenno del capo, lo aspettò mentre andava a salutare e ringraziare gli ultimi amici, e infine tornarono a casa insieme.
In tutto il tragitto regnò il silenzio più assoluto. Lei era ancora arrabbiata, lui sbattuto, ed entrambi erano molto confusi. La loro amicizia non era mai stata normalissima, ok, ma non erano mai arrivati a un punto simile. Cioè, avevano appena litigato e non sapevano neanche loro bene il perché.
Non parlarono neanche rientrando. Le uniche sillabe che volarono furono quelle di Giacomo, appena prima che Zoe si chiudesse alle spalle la porta della camera.
“Notte.”

Il mattino seguente, Giacomo si svegliò con un pesantissimo senso di colpa che gli gravava sulle spalle. Non voleva che Zoe se ne tornasse a casa arrabbiata con lui: ci aveva messo tanto di quel tempo a conquistare la sua fiducia, ora non aveva intenzione di perderla in modo tanto stupido.
Era strano, ma non avevano ancora mai discusso seriamente prima di quella sera: lui era sempre riuscito, nonostante il carattere facilmente infiammabile di Zoe, a capire cosa poteva e cosa non poteva dire. Ma la sera prima aveva oltrepassato il limite e – lui lo sapeva bene – c’erano due motivi. Innanzitutto aveva bevuto un po’ troppo e gli si era sciolta la lingua, sennò non si sarebbe mai permesso di dire determinate cose. Tuttavia c’era anche dell’altro: c’aveva pensato praticamente tutta la notte e ammetterlo gli costava uno sforzo immenso, ma forse un po’ geloso lo era. Si trattava di una gelosia strana e lui per primo sapeva di non doverla provare ma… la sera prima non era riuscito a trattenerla. Era come se si fosse sentito tradito dal fatto che Zoe, che lui aveva conosciuto e lui aveva portato a Lecce, parlasse e si divertisse proprio con Niccolò, il suo migliore amico.
Non era riuscito a capire molto altro. Sapeva solo che Zoe quel pomeriggio avrebbe preso un treno per tornare a casa sua e lui doveva in qualche modo ricucire il tutto prima di allora. Quindi si alzò abbastanza presto e, anche se temeva di svegliarla, andò a bussare alla porta di camera propria, dove lei dormiva. Quando questa si aprì, quello che gli si parò davanti lo stupì non poco. Non solo Zoe era già sveglia, ma era anche vestita, con tanto di scarpe e borsa.
“Buongiorno.” Zoe lo salutò, ma la sua voce era abbastanza fredda.
Giacomo aggrottò la fronte, sorpreso. “Vai da qualche parte?”
“In realtà sì, ho il treno tra un’ora e qualcosa e devo ancora fare il biglietto.”
“E uscivi così senza salutarmi?”
“Stavo per venire a svegliarti. I tuoi genitori li ho già salutati stamattina, si sono alzati molto presto e ho fatto colazione con loro. Comunque ringraziali ancora da parte mia. Mi accompagni in stazione? Sennò posso prendere l’autobus…”
Giacomo era amareggiato e ancora scombussolato. “Ma non dovevi partire oggi pomeriggio?”
Zoe lo superò, dato che era ancora fermo sulla soglia della camera come un baccalà, e scese le scale raggiungendo il soggiorno. “Ho anticipato la partenza, così non arrivo a casa a notte fonda.”
Il ragazzo notò che la valigia di lei era già lì, vicino all’ingresso, pronta a partire. In quel momento aveva voglia di prendersi a pugni da solo per la sua stupidità della sera precedente. “Zoe, sei ancora arrabbiata con me.” Era un’affermazione, non una domanda, e lei non rispose. “Scusa,” continuò Giacomo, contrito, “scusa, mi dispiace per ieri sera. Ma, cavolo, pensavo restassi ancora un poco, per chiarire e…”
“Non c’è nulla da chiarire, Giacomo. Ma se vuoi che parliamo, ok, ascolta.”
Si sedettero entrambi sul divano, un po’ distanti, un po’ rigidi, due persone diverse rispetto a quelle che erano solo qualche giorno prima.
“Senti,” cominciò Zoe, che sapeva già benissimo cosa voleva dire, “ieri sera mi hai ferita, sì, ma non sono state le tue parole il problema principale. Le parole a volte ci escono senza che ce ne rendiamo conto e in quel momento non stava bene nessuno di noi due. Ma il punto è un altro, Pioggia, e riguarda quello che con quelle parole volevi veramente dirmi…” Sospirò, evitando sempre di guardarlo, perché gli occhi di lui avevano il potere di farla sentire scoperta e vulnerabile, mentre in quel momento aveva bisogno di essere convinta e convincente al cento percento. “A volte sono un po’ tarda, magari, ma non sono stupida. Tu non dovresti essere geloso di me, Giacomo, perché quando ci siamo conosciuti ti ho detto…”
“Mi ricordo bene cosa mi hai detto.”
“Perfetto. Forse ultimamente abbiamo passato troppo tempo assieme, sai. Abbiamo bisogno di una piccola pausa, se così si può dire, perché la Spagna e tutto il resto ci ha… scombussolati.”
Giacomo annaspò, per paura di perderla. “No, io sono sicuro. Voglio essere tuo amico. Ieri ero geloso, sì, ma era una gelosia da amico, come… fratello e sorella.”
“Ti credo, ma abbiamo comunque bisogno di stare un po’ lontani,” concluse lei, sicura.
“Ma…”
“Non sei solo tu, Pioggia, anch’io sono confusa. C’è Andrea a Padova e… vorrei parlare pure con lui.” Zoe evitò di dire tutta la verità, che comunque continuava a tenere nascosta anche a se stessa. La sua confusione non c’entrava solo con Andrea o, magari, con Niccolò; c’entrava con il modo in cui Giacomo la capiva quasi completamente, ad esempio, o con quell’episodio, quando l’aveva visto addormentato sul divano e si era ritrovata ad accarezzargli i capelli; c’entrava col fatto che se si era arrabbiata così tanto, la sera prima, era perché quelle parole gliele aveva dette proprio Giacomo e non un’altra persona qualsiasi; la sua confusione c’entrava col modo in cui lui la stava guardando proprio in quel momento, coi suoi occhi nocciola un po’ più scuri del solito e attraversati da una scia ben visibile di tristezza.
“Ok…” Giacomo acconsentì, di malavoglia: ma il fatto che lei avesse nominato Andrea sembrava effettivamente chiudere ogni spiraglio. “Lascia che ti accompagni in stazione, però.”

Il viaggio in macchina fino alla stazione fu silenzioso quanto quello della sera precedente, segnato soltanto dalla musica che usciva pigra dalla radio.
Poi, Giacomo aspettò che lei prendesse il biglietto e la accompagnò al binario, per salutarla. Si limitò a scompigliarle piano i capelli e darle un buffetto sulla guancia, affettuoso ma senza esagerare.
“Mandami un messaggio se arrivi sana e salva, c’hai un bel viaggio da fare…”
“Tranquillo.”
Zoe avrebbe voluto abbracciarlo, ma le sembrava che qualcosa glielo impedisse. Così lo ringraziò per l’ennesima volta e, salendo sul treno, si girò per sorridergli e salutarlo con la mano, come a dirgli che no, non era più arrabbiata con lui.
Quando il treno partì, Giacomo si sentì come in uno stupido film. Stava respirando troppo pesantemente e aveva la brutta sensazione di aver appena rovinato un’amicizia. Non era successo niente di che, ma temeva che il rapporto con Zoe fosse ancora troppo fragile per resistere a uno scossone, seppur molto debole.
La speranza che non tutto fosse perduto si riaccese però quando, tornato a casa, trovò un pacchetto regalo e un bigliettino sul suo letto.

Non sono riuscita a dartelo ieri, ma è il mio regalo e ci tenevo che l’avessi.
Sei vecchio, ormai, rassegnati (ben 22!).
E ascolta i consigli di questa ragazzina,
che comunque può ancora stupirti (apri e capirai).
Auguri, Uragano Jam.
Zoe
PS: Salutami tanto nonno Nicola! : )

Dentro il pacchetto c’erano due cose. La prima era una maglietta bordeaux che avevano visto assieme in un negozio a Barcellona e che Zoe voleva che lui comprasse. Non l’aveva presa perché lei il giorno prima si era rifiutata di provare un vestito da lui consigliato, ed ora eccola qua.
La seconda, effettivamente, lo stupì. Era la foto di loro due a Venezia, dentro a una cornice fatta a mano. Nonostante l’avesse scattata un passante frettoloso era venuta piuttosto bene: lui rideva, lo sguardo puntato sulla ragazza e il braccio che le cingeva le spalle, mentre si abbassava un po’ – obbligato da lei – per farla sentire meno bassa; lei aveva il mazzo di fiori regalatole da lui in mano, aveva i capelli scompigliati dal vento della laguna e fissava l’obbiettivo fingendosi imbronciata, anche se un sorriso le spuntava sulle labbra e sugli occhi; sullo sfondo, al di là della balaustra del ponte, c’erano il Canal Grande e i mille colori di Venezia.
Mentre la guardava, Giacomo sorrise, ricordandosi quella conversazione di qualche tempo prima, proprio con Zoe.
“Non mi sembri,” le aveva detto lui, “il tipo di persona che fa regali stucchevoli e sentimentali come, chessò, una foto o una collana della serie “ricordati  per sempre di me”.”
“Beh, che vuoi dire?”
“Sembri più terra terra, non so, sembri l’amica che ti fa sempre i regali utili, perché sa sempre cosa ti serve in quel momento. Non so se mi spiego…”
“Mai dire mai, Pioggia... Potrei sempre stupirti!”
E ricordando quelle parole, adesso, mentre guardava fisso la foto senza riuscire a spostare lo sguardo, Giacomo non poteva far altro che sperare. Una pausa l’uno dall’altra e viceversa avrebbe fatto bene a entrambi, magari. Ma forse – forse – il rapporto non era ancora così compromesso.
D’altronde, Zoe gli aveva appena dimostrato di poterlo stupire, eccome.












Eccomi con l'ormai consuetissimo ritardo! Scusateeeeeeeeeeeeeeee......... Mi secca aggiornare sì e no una volta al mese, ma non ci sto proprio con la testa ultimamente, non riesco a scriverla sta storiaaaaa!! :(
Veniamo al capitolo: mi odiate per quello che ho fatto succedere, eh? Eheh, lo so, sono malvagia!! ^^ Beh, ma dai, questi due dovevano litigare prima o poi, sennò la faccenda non era credibile! Cioè, Zoe si arrabbia con tutti e non con Giacomo? E poi credo che spesso le litigate, quelle vere, servano a conoscersi meglio, e quindi a rafforzare un rapporto.
Quindi se volete continuare a seguire questa pazzia di Zoe/Giacomo, ne vedremo delle belle. Ma, ma... prima c'è il prossimo capitolo e sarà un capitolo in cui i nostri due dovranno riflettere un po'... E vabbè...
Ritento con la domanda dell'altra volta: preferireste mettessi dei titoli ai capitoli? Oh, se anche stavolta nessuno mi risponde ci sono due possibilità: o non ve ne può fregare di meno (e avreste le vostre ragioni) o nessuno legge le note e fine capitolo (e avreste le vostre ragioni :P)!
Ordunque, ora rispondo alle recensioni personali e poi vado a nanna, gente, perché è molto tardi... Magari pubblico domattina. Cooomunque:

pirilla88: Tardona! :D Mi pare un termine adatto per descrivere quella furba di Zoe, sìsì! Chissà, magari prima o poi si sveglierà anche lei, no? ...Abbi fede! (come no..... :P) L'alcol alla festa c'è stato, solo che - come hai visto - evidentemente non ha dato i risultati che tutti speravamo, ma esattamente quelli opposti, per il momento... Però sì, Giacomo è molto più consapevole di Zoe, su questo c'hai visto giusto... E anche nonno Nicola c'ha visto giusto, anche se io non pensavo riscuotesse tanto successo come personaggio! ^^ Se vi piace lo riproporrò, magari: anch'io sono convinta che gli anziani abbiano l'occhio lungo su certe cose! Alla prossima, baci!

lunadArgento: Ogni volta che trovo una recensione si qualcuno di nuovo mi si scalda il cuore, davvero! E' bello che tu dica che è facile affezionarsi ai miei personaggi, per me è importante. Perché questi individui in qualche modo sono miei, in quanto inventati da me, ed è normale che io mi ci affezioni, ma se riesco a far voler loro bene anche ai miei lettori, vuol dire che riesco in buona parte del mio intento. Quindi grazie, non potevi farmi complimento migliore. Per il resto, Zoe forse qualcosa l'ha capito, ma non le piace ciò che ha visto. O è spaventata... Spero continuerai a seguirmi, per capirlo con me! ;)

Maka27: Grazie! Anche per te vale quello che ho scritto qua sopra, nel senso che mi fa sempre piacerissimo ricevere recensioni da gente nuova, soprattutto dal momento che mi hai detto di essere riuscita a leggere tutti i capitoli in mezza giornata: brava, sei il mio mito ora!! ;) La festa di Giacomo è andata, ora tocca vedere cosa succederà poi, no? Continua a seguirmi, a presto!

Ho finitooooooo (il capitolo!) ... Alla prossima, signori e signore!!

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Capitolo 12
*** Capitolo IX ***



Capitolo IX





Venerdì 7 agosto 2009, mattina, casa Molinari

Zoe dormiva e avrebbe voluto farlo ancora per un po’ di tempo. Ovviamente, i suoi desideri non avevano possibilità di essere esauditi, dal momento che la povera ragazza aveva due sorelle curiose e una delle due era malauguratamente anche piuttosto invadente. Le suddette sorelle già la sera precedente avevano tentato di circuirla per farsi raccontare i particolari del viaggio in Spagna e del soggiorno a Lecce, ma avevano ricevuto una secca e definitiva risposta, purtroppo per loro, negativa.
“Sono stanca e vado a dormire, non rompete fino a domani.”
Domani era arrivato in fretta e Viola ormai non stava più nella pelle per la curiosità. A onor del vero, anche la maggiore, Ginevra, era piuttosto interessata all’argomento, ma comunque era abbastanza assennata da capire che Zoe si sarebbe infuriata con un risveglio tanto brusco. Ad ogni modo, riuscì a frenare la sorella minore solo fino alle dieci circa, dopodiché Viola entrò zampettando in camera della Bella Addormentata e la svegliò con la sua soave voce.
“Sorelloooooooonaaaaaaaaa… Zoe bella, svegliati!”
Zoe mugugnò qualcosa di indefinibile sul cuscino e si girò dall’altra parte, ancora semiaddormentata; ma Viola, incurante del pericolo, non demorse e aprì i balconi, canticchiando un pezzo, guarda caso, dei Jam Session, storpiandone le parole come al suo solito.
“Non vorrai mica scappare, tu sai cosa devi faaaaare… Na na na na na naaaa…”
“Viola, che cazzo fai?” la apostrofò Zoe, acciambellandosi meglio sotto le lenzuola per impedire alla luce di arrivarle agli occhi.
“Canto e apro le finestre, così ti svegli!”
Ginevra osservava preoccupata la scena dall’uscio della camera, aspettandosi lo scoppio della sorella mezzana.
“Ma che ora è?” farfugliò la povera ragazza, senza uscire dalla sua tana.
“È ora di raccontare che hai combinato queste due settimane in compagnia di quel pezzo di ragazzo di Giacomo Pioggia.”
“Mi hai svegliato per questo?” La voce di Zoe sotto il lenzuolo tornò a essere da lamentosa a minacciosa.
Oh-oh. Ginevra immaginò che il momento dell’apocalisse stesse per arrivare. Sperò solo che i vicini non stessero dormendo, anche se effettivamente i poveretti erano abituati a urla e schiamazzi.
“Beh, certo,” rispose Viola, tranquilla. “Hai detto di non rompere fino a domani e adesso è domani. Per la precisione, sono le dieci e quattro minuti di domani. Perciò…”
Ginevra si poggiò una mano sugli occhi, rassegnata. Tre, due, uno…
Silenzio. Zoe era ancora nascosta dal lenzuolo e non aveva emesso suono. Che si fosse riaddormentata? Qualcosa si mosse, piano. No, era sveglia e, probabilmente, pronta a uccidere Viola, che nel frattempo si era avvicinata al letto con piccoli passetti silenziosi.
A quel punto, Ginevra decise di intervenire, per placare le acque o perlomeno per tentare di salvare se stessa dalla furia omicida della sorella. “Zò, io ho provato a fermarla, ma…”
“Va bene,” sbottò Zoe riemergendo dalle coperte e mettendosi a sedere.
“Come?” Viola e Ginevra parlarono all’unisono, sorprese.
“Ho detto va bene, ok, sono pronta all’interrogatorio. Tanto lo sapevo che prima o poi mi sarebbe toccato, a questo punto è meglio non rimandarlo…”
Zoe si accorse che Ginevra aveva la bocca spalancata. “Che hai da guardarmi così?”
La maggiore si riprese in un attimo. “Cioè, non sei arrabbiata?”
Zoe sospirò, stranamente remissiva. Non aveva voglia di urlare e infuriarsi, non dopo i problemi con Giacomo. “Un po’,” concesse, per non smentirsi, “ma non troppo. E sbrigatevi, che potrei sempre cambiare idea…” le minacciò facendo spazio sul letto per far sì che riuscissero a sedercisi tutt’e tre. Non erano più così piccole da starci larghe e comode, ma incastrandosi per bene era ancora possibile trovare lo spazio per tutte.
Viola batté le mani, contenta. “Oh, che bello! Solo qualche giorno con Giacomo e già sei diventata meno incazzosa! Lo sapevo che quel ragazzo non poteva che farti bene…”
“Vì, piantala o butto te e il tuo sederino rachitico fuori dalla finestra che hai gentilmente aperto per svegliarmi dal mio dolce sonno…”
“Come non detto…” borbottò la biondina offesa, facendo scoppiare a ridere le altre due.
E Zoe raccontò, ridendo e facendo divertire le sue sorelle, anche se un retrogusto amaro le impediva di essere completamente serena. Parlò loro di quando Giacomo, a Valencia, aveva detto “signorina, non c’è motivo di essere imbarazzata!” a una bella spagnola che si era appena definita “embarazada”, cioè incinta; raccontò della serata a Oropesa, in cui avevano bevuto litri e litri di una fantastica sangria. Glissò sul resto, ma la mancanza non passò inosservata alle orecchie attente delle due sue consanguinee.
“E a Lecce?” chiese allora Ginevra.
Zoe alzò le spalle, fingendo indifferenza. “Non è successo niente di che…”
“Neanche al suo compleanno?”
Viola si intromise, senza sapere di fare un favore alla maggiore. “Oh, gli hai fatto gli auguri anche da parte mia come ti avevo detto, vero?”
“Certo, idiota. Me l’avrai ripetuto centomila volte.”
“E poi?”
“E poi basta, ho finito. Anzi, mi pare di aver parlato abbastanza,” tentò di chiudere l’argomento Zoe, facendo per cacciare Viola fuori dal suo letto.
“Tu ci nascondi qualcosa…” La minore capì finalmente quello che già Ginevra aveva odorato da un pezzo: Zoe tentava di evitare un argomento e di chiudere al più presto la conversazione.
“Come siete rimasti tu e Giacomo?” chiese la maggiore, dunque.
La diretta interessata non rispose, si limitò ad alzare nuovamente le spalle, sentendosi colta in fallo.
Viola, ovviamente, fraintese. “OMMIODDIO! Vi siete messi insieme, vero??”
“MA SEI FUORI DI TESTA?! NO!!”
“Beh, scusa, ma tu fai tutta la misteriosa e…”
Zoe la interruppe, secca. “Abbiamo discusso poco prima che andassi via.”
Viola spalancò gli occhi, incredula, mentre Ginevra scuoteva piano la testa. “Come discusso?” chiese la più piccola. “Zò, sei sempre la solita rompipalle!”
“Ma come fai a dire che è colpa mia? Non sai neanche cos’è successo!” si difese lei.
“Beh, diccelo allora!” la incitò Viola.
“Non mi va.”
“Ma…”
“Ho detto di no.”
Zoe fu irremovibile. Non che non si fidasse delle sue sorelle, solo che trovava molto difficile confidarsi del tutto con loro. Magari ne avrebbe parlato con Aurora, chissà. Non sapeva ancora se voleva parlarne con qualcuno o tenersi quella storia per sé. Alla fine dovette, come sempre, intervenire Ginevra, per convincere Viola a lasciare stare l’argomento.
Quella ferita, per Zoe, era ancora troppo aperta.


Sabato 8 agosto 2009, ore 21.45 circa, casa Pioggia

“Allora, come mai Zoe se n’è andata con tanta fretta? Che hai combinato?”
“Mamma! Non ho combinato niente, che dici?!”
Per poco a Giacomo non cascò di mano la pentola che aveva appena finito di asciugare, per la sorpresa. Dopo cena si era diligentemente messo ad aiutare sua madre in cucina – quelle poche volte era a casa ci teneva a dimostrarsi un figlio modello, anche se non l’avrebbe mai ammesso – e ora quell’ingrata lo ripagava con una domanda a tradimento su Zoe… Parenti serpenti, si dice!
“Avanti,” lo redarguì la sua genitrice, “lei mi è sembrata una così brava ragazza… Devi per forza essere stato tu a farla scappare…”
Giacomo sospirò, scontento. “Anche se fosse, mammina, tu dovresti stare dalla mia parte, sai.”
“E no! Io devo educarti e insegnarti a non farti scappare un bel bocconcino come quello, figlioletto mio adorato.”
“Boccon… Mamma!!” boccheggiò lui.
“Oh, non fare la sceneggiata, tesoro… Se ne sono accorti tutti in famiglia dell’affinità tra te e quella ragazza…”
“Siamo solo amici!” insistette Giacomo, convinto.
“Sicuro che non t’interessi neanche un po’? Poco poco?”
No, non ne era sicuro, non più. Però avrebbe voluto esserlo, si auto convinceva di esserlo, ecco.
“Sì, mamma, sono sicuro.”
“Peccato… Sta di fatto che l’hai fatta scappare…”
“Ma non è vero!” continuò a difendersi il ragazzo. “Abbiamo discusso, ok, ma per litigare bisogna essere in due e…”
“Di cos’avete discusso?”
“Ma’, non sono affari tuoi. Senza offesa.”
La donna scosse la testa, sorridendo saputa, senza farsi notare da suo figlio.
Antonella Benedetti in Pioggia era una donna accogliente, impicciona e paziente. Ma era anche, soprattutto, molto attenta alle sfumature e piuttosto perspicace. Aveva notato l’umore nero di suo figlio negli ultimi giorni e immaginava che fosse collegato a quella ragazza timida e spiritosa che aveva passato una settimana lì. Avrebbe voluto aiutarlo, ma Giacomo era un testone e sapeva che c’avrebbe messo molto, molto tempo a capire quello che lei, e non solo, aveva già intuito.
Dopotutto, era sufficientemente grande per cavarsela da solo, ormai.


Giovedì 13 agosto 2009, sera, Padova

Zoe aveva appena finito di parlare, parlare, parlare tantissimo. E ora, quasi senza sapere come, aveva le labbra di Andrea premute sulle proprie e il battito del cuore accelerato, per la sorpresa e per l’emozione.
Si staccò piano, frastornata, per guardarlo. “Non dici niente?”
“Io… È questa la mia risposta,” rispose lui, gli occhi marroni pieni di un’insolita dolcezza e anche di un po’ di paura. “Zoe, mi sei mancata, sai.”
“Va bene così?” domandò ancora lei.
“Sì, se a te va bene. Penso che possiamo darci un’altra possibilità…”
Lei sorrise, contenta. “Sì, lo penso anch’io.”
Il ragazzo la baciò di nuovo e stavolta lei si lasciò andare.
Andrea le credeva, la capiva, la perdonava. E anche se lei non era – non ancora, almeno – innamorata di lui, credeva che potessero provarci. Perché un ragazzo del genere capitava raramente di incontrarlo. E Zoe voleva innamorarsi, davvero.


Mercoledì 16 settembre 2009, pomeriggio, Milano

Giacomo stava uscendo di fretta da una tabaccheria, dov’era andato a comprarsi una ricarica telefonica, quando sentì una voce femminile che lo chiamava alle sue spalle.
“Scusa.”
Ormai fuori dal negozio, il ragazzo si girò per vedere se cercavano lui, e vide uscire dalla porta una ragazza bassa e castana, con cinque euro in mano.
“Hai lasciato il resto sul bancone,” disse lei, porgendoglieli.
Giacomo rimase qualche secondo imbambolato, a fissarla. Per un attimo aveva creduto si trattasse di Zoe e il suo cuore aveva fatto una mezza capriola indietro. Era da più di un mese che non la vedeva e in quel periodo c’erano stati solo un paio di messaggi, più che altro di cortesia: i soliti come va, tutto bene, buona giornata, ciao. Forse le mancava più del dovuto, ma da lì ad avere le allucinazioni…
Sono proprio preso male… si disse tra sé e sé scuotendo appena la testa.
“Ehm… Scusa?”
Giacomo si riscosse, ricordandosi dov’era. Ops…
La ragazza di prima era ancora davanti a lui e lo fissava, ora un po’ perplessa.
“Sì, grazie,” rispose allora, riprendendosi del tutto e recuperando i soldi che lei aveva in mano, “è che ero di fretta e li ho dimenticati… Grazie.”
Che andava di fretta era effettivamente vero: doveva essere agli studi di registrazione entro dieci minuti, sennò i suoi colleghi l’avrebbero probabilmente ucciso.
“Non c’è di che,” rispose lei, ancora confusa.
“Beh, allora ciao.”
Giacomo fece per andarsene, ma la voce della ragazza lo fermò di nuovo, stavolta più sicura.
“Scusa ma… è possibile che ti abbia già visto da qualche parte?”
Era tentato dal dirle di no, che non era possibile, che non cantava in alcun gruppo, che era una persona assolutamente anonima. Girandosi per guardarla in faccia, però, cambiò idea. In fin dei conti quando l’aveva vista aveva provato qualcosa, magari era la volta buona. Tralasciò il particolare che ciò che aveva sentito era dovuto alla somiglianza della ragazza con Zoe. Meglio non pensarci.
Quindi le rivolse un sorriso di quelli che ammaliavano chiunque e le rispose. “Sì, può essere… Canto in un gruppo, i…”
“I Jam!” lo anticipò lei. “Ma certo, che sciocca! Come ho fatto a non pensarci prima?”
“Sì, beh…”
“Ho ascoltato in macchina di una mia amica il vostro ultimo EP, mi è piaciuto un sacco, davvero…”
“Mi fa piacere,” rispose lui, cortese.
“Oh, ma scusa, io ti sto facendo perdere tempo. Avevi detto di aver fretta…” si ricordò all’improvviso la ragazza.
Lui allargò il suo sorriso, facendola arrossire appena. “No, ma figurati. Possono aspettarmi,” le disse, cordiale. “Come ti chiami?”
“Romina.”
“Piacere, Giacomo.”
La stretta di mano di lei era forte. Ma Giacomo cercò di evitare i paragoni stupidi.


Lunedì 19 ottobre 2009, pomeriggio, Mantova

“Oh, Life, ma è fantastico! Andrea è un ragazzo così… dolce. E carino. E ti adora, davvero. E poi per la prima volta ti vedo più, non so, partecipe.”
Zoe sospirò, frugando tra i maglioni della nuova collezione. Si era fatta convincere da Aurora ad andare con lei per una seduta di shopping e chiacchiere. L’estate ormai era finita, le giornate si accorciavano visibilmente e le lezioni universitarie stavano per ricominciare per entrambe. Meglio approfittarne subito e passare un po’ di tempo assieme, dopodiché, purtroppo, le due ragazze avrebbero potuto vedersi e sentirsi di meno, dato che studiavano in due città diverse.
“Partecipe, non so…” rispose Zoe, alzando le spalle. “Non sono sicura di esserne innamorata…”
Aurora scosse la testa, mostrandole una gonna viola che Zoe guardò schifata. “No, non ne sei innamorata, tesoro, sennò lo sapresti…”
“Infatti,” sospirò l’altra, abbattuta. Stava seriamente cominciando a pensare di non essere programmata per innamorarsi… Possibile? A breve avrebbe compiuto vent’anni, cavolo!
La sua amica, al solito, intuì cosa stesse pensando. “Zoe, non vuol dire che non lo sarai mai! Voglio dire, Andrea ti piace, magari hai solo bisogno di un po’ più di tempo per conoscerlo… Ti piace questa?” le chiese sventolandole sotto il naso una maglietta.
“Carina,” annuì Zoe.
“Comunque,” continuò Aurora, decisa, “non abbatterti come al solito. Insomma, già il fatto che ci sei andata a letto significherà qualcosa…”
“Certo, che mi piace. Mi riempie di mille attenzioni, è simpatico, intelligente, carino, dolce e…”
“E bravo a letto?” la interruppe l’amica, con sguardo ammiccante.
“Sapevo che me l’avresti chiesto!”
“Allora rispondimi!”
Zoe rise. “Rora! Siamo in un luogo pubblico, non mi pare il caso di…”
“Non ti ho mica chiesto i particolari, sai, dolcezza!” Aurora la guardò, con sguardo supplichevole. “Avanti, non mi hai ancora raccontato niente e non l’avete fatto certo una volta sola!”
“Però poi la smetti di rompere, eh!” la ammonì Zoe, notando poco più in là un signore che le guardava non proprio magnanimamente.
“Sarò impeccabile, giuro!”
“Ok. È bravo.”
Aurora la guardò, attendendo che continuasse. “E poi?”
“Un ‘è bravo’ mi pare più che sufficiente.”
“Eeeh? Tutto qua?” si lamentò l’amica impicciona. “Almeno se…”
“Avevi detto niente particolari, mi pare di aver rispettato i patti.”
“Sei una maledetta, schifosa…”
“E quante storie, Aurora, non ho molto da dirti! Lo sai che i miei metri di paragone sono piuttosto scarsi, quantitativamente parlando.”
“Se ti riferisci ad Alessio, sarà pure stato un emerito pezzo di merda ma, da quello che si diceva in giro di lui, a letto doveva essere piuttosto…”
Zoe la fermò, mettendole una mano davanti alla bocca. “Ok ok, basta. Direi che si è capito abbastanza quello che volevi dire, grazie!”
“E Giacomo?”
A Zoe per poco non venne un mezzo infarto. “Cosa? Che cavolo c’entra adesso, scusa??”
Aurora alzò le spalle. “Niente, solo che mi è venuto in mente. È ancora latitante?”
“Penso di sì,” rispose la ragazza, guardandosi distrattamente le mani e facendo così sorridere la sua amica, che capì il suo imbarazzo e colse l’amarezza nella sua voce. “Ci sentiamo davvero di rado.”
“Peccato, tutto per una stupida discussione di mesi fa.”
“Lo so… Senti, magari se ho voglia prossimamente lo chiamo.”
Aurora la guardò scettica: da come la conosceva lei, non avrebbe mai rinunciato al suo orgoglio, purtroppo. “Figurati, sei troppo cocciuta, tu.”
Zoe si limitò a scrollare le spalle, per chiudere l’argomento. In realtà era da un po’ che pensava di chiamare Giacomo, ma ogni volta si bloccava. Un po’ per testardaggine sua, era vero, ma un po’ anche perché si ricordava che l’ultima volta che aveva litigato con Andrea era proprio a causa del salentino, e non sapeva se fosse il caso di ricominciare tutto da capo…
Fu Aurora a interrompere questi suoi pensieri. “E va bene, in questo negozio non c’è niente di decente per me… Posso andare a cercare i pantaloni della mia vita da un’altra parte, che dici?”


Domenica 25 ottobre 2009, tardo pomeriggio, Milano

“No no no no, Giacomo! Tu dovevi fare un altro giro di fa!”
“Già, scusate, ho sbagliato di nuovo…”
Niccolò sbuffò: era da un paio di giorni che il suo amico si comportava in modo strano – beh, più del solito, almeno – e lui l’aveva notato.
Fu Giorgio che, alzandosi dalla sua postazione dietro la batteria e stiracchiandosi, decise per tutti. “Beh, ragazzi, dato che oggi non ne caviamo un ragno dal buco, direi che possiamo anche finirla qua… Riprendiamo domani, ok? Sennò non ne usciamo vivi… Ed è pure domenica.”
Giacomo e Niccolò lo salutarono mentre usciva: il primo era sconsolato perché capiva di essere la causa principale di quei problemi, il secondo invece era pensieroso e indeciso se chiedere o meno al suo amico il motivo di quella nuvola grigia che gli girava attorno da un po’. Lui e Giacomo si conoscevano da moltissimi anni, praticamente da sempre, ma era capitato rare volte che si confidassero l’un l’altro i proprio segreti. Erano ragazzi, il più delle volte preferivano bere una birra insieme e divertirsi, non fare discorsi da femminucce. Ma il momento sembrava richiedere una bella chiacchierata tra uomini e se il suo amico aveva bisogno di un consiglio, beh, lui gliel’avrebbe dato.
“Allora,” cominciò Niccolò, mentre sistemavano gli strumenti, “dove hai la testa ultimamente, Pioggia?”
“Altrove, credo,” rispose l’altro, vago.
“Questo l’avevano capito anche i muri, bello. Chiedevo se c’è qualcosa che non va…”
Giacomo lo guardò stranito. “E da quando tu mi chiedi certe cose?”
“Da quando i tuoi umori da donnetta con le mestruazioni ostacolano la mia brillante e sfolgorante carriera, Giacomino. Io sono destinato a diventare famoso, lo sai, ma negli ultimi giorni tu suoni talmente da schifo che…”
“Ok ok, ho capito,” lo frenò Giacomo, che comunque era ancora restio a parlare.
“Senza offesa, eh.”
“Nessuna offesa, figurati. Mi hai solo detto che suono da schifo.”
“Non c’è di che. Allora, questi pensieri hanno nome e cognome?” insistette Niccolò. “È una femmina, vero?”
Giacomo sorrise, ammettendo a se stesso che il suo amico lo conosceva meglio di quanto pensasse. C’aveva azzeccato sulla femmina, ma sicuramente non aveva idea di come stessero realmente le cose. “Sì.”
“Ah, Pioggia, come te lo devo dire? Non puoi ridurti così per una donna, è contro natura!”
L’interpellato si limitò a scrollare le spalle, così Niccolò tornò all’attacco. “E chi sarebbe, dunque? Quella Romina? Mi pare sia da un po’ che vi frequentate ormai…”
“No, no, con lei va tutto a meraviglia, ci troviamo bene insieme. Abbastanza, insomma. Cioè… non ero più abituato a uscire assiduamente con la stessa ragazza.”
“E allora a chi pensi sempre?”
“Zoe,” ammise candidamente Giacomo.
“Ancora?! Ma sei un caso disperato!”
“Non è come credi tu, comunque,” si difese il ragazzo.
“E com’è?”
“Tra poco è il suo compleanno e vorrei vederla.”
“E dove sta il dilemma?” chiede pragmatico Niccolò. “Vai a trovarla. Non mi pare tu ti sia mai fatto troppi problemi per rompere alla gente.”
“Dall’ultima volta che abbiamo discusso, ancora quest’estate a Lecce, non so più come siamo rimasti. Ci sentiamo a volte, ma non è più come prima.”
“Chiamala e chiediglielo,” consigliò l’amico, che continuava a non vedere dove fosse il problema.
“Non è così semplice, temo. Mi manca, Nico, oramai era una presenza costante nella mia vita, mi ero abituato ad averla intorno. E lo so che sono passati diversi mesi ma… è così. E ti garantisco che sto parlando di amicizia, non di quello che pensi tu.”
“In ogni caso, non vedo il motivo di tutte queste paranoie. Chiamala,” ripeté risoluto Niccolò.
Giacomo sospirò, frustato. In effetti una volta non si sarebbe fatto tutti quei problemi idioti. “Forse hai ragione tu.”
“Certo,” convenne il moro. “Io ho sempre ragione, fidati.”
“Massì, dai. Magari uno di questi giorni la chiamo.”
Uouò! Forza Pioggia, faccio il tifo per te!” lo canzonò Niccolò, simulando una voce da fan impazzita.
“E smettila, cretino!”


Martedì 3 novembre 2009, sera

Il telefono di Zoe squillò proprio quando aveva appena finito di cenare con le sue coinquiline. Guardò lo schermo e per poco non prese un colpo: probabilmente, pensò, si trattava di un’allucinazione. Non era possibile… Proprio quella mattina aveva preso per l’ennesima volta il cellulare in mano per chiamarlo e ora…
La voce di Matilde, la sua compagna di stanza, la riscosse. “Che fai, non rispondi?”
“Sì, sì… Scusate,” disse mentre si spostava verso la camera.
“Pronto?” rispose titubante, senza sapere bene cosa aspettarsi.
“Zoe?” La ragazza riconobbe subito la voce dall’altra parte del filo e, al contrario delle sue previsioni, immediatamente si rilassò, tornando se stessa.
“No, la Fata Madrina.”
Giacomo ridacchiò, finalmente sereno anche lui. “Ah bene, allora non ho sbagliato numero. Sai, fata, la tua voce somiglia terribilmente a quella di una mia vecchia amica…”
“Una vecchia amica, eh?”
“Sì. È da una settimana che provo a chiamarla, ma non trovo mai il coraggio per farlo,” ammise il ragazzo con una sincerità disarmante.
Zoe ne rimase colpita: succedeva lo stesso anche a lei negli ultimi giorni, ma Giacomo era sicuramente più schietto di lei se riusciva ad ammetterlo così spontaneamente.
“Fifone,” lo apostrofò, senza pensarlo davvero. “La tua amica è qua con me ora, vuoi che te la passi?”
“Ma sì, dai. Se a lei va di parlarmi, chiaro.”
Zoe, sorridendo, si passò il telefono dall’orecchio destro al sinistro. “Pioggia, mi cercavi?”
“Direi di sì… Che ci fai con la mia Fata Madrina?”
“Non sono affari tuoi,” rise Zoe. “Qual buon vento?”
“Volevo sentirti e poi… volevo anche chiederti una cosa.”
La ragazza si rattristò: l’aveva chiamata per questo? Voleva che lei le facesse un favore? “Dimmi.”
“Vengo a trovarti per il tuo compleanno, posso?”
Zoe non si accorse di aver trattenuto il respiro finché non espirò: non aveva bisogno di un favore, no, voleva semplicemente vederla.  “Da quando chiedi il permesso?”
“Hai ragione. Allora cambio: vengo a trovarti per il tuo compleanno. Punto.”
“Ecco, ora ti riconosco, Pioggia!”
“Non sono cambiato poi così tanto in questo tempo…”
“Peccato,” lo schernì lei.
“Oh, lo so che in realtà mi ami così come sono.”
“Ehi, neanch’io sono cambiata poi molto in questo periodo di latitanza del rapporto…”
“Che?”
“Non ti direi mai che ti amo come sei, sennò sarei diventata tutto d’un tratto Miss Tenerezza!” specificò Zoe. Era ancora così semplice parlare con lui, nonostante tutto. Era vero: nessuno dei due era cambiato. Perché diavolo erano stati così stupidi e avevano fatto passare tanti mesi?
“Hai ragione, Molinari. Quando mi dirai una cosa del genere il mondo comincerà a girare all’incontrario.”
“Già.”
Ci fu qualche attimo di silenzio, poi Zoe parlò di nuovo. “Io odio il mio compleanno.”
“Avrei dovuto sospettarlo,” convenne Giacomo, “tu sei tutta strana…”
“Ehi!”
“Come se non te l’avessi mai detto…”
“Non sei un gentiluomo, sai?”
“Ma mi ami così come sono.”
Zoe sbuffò sonoramente. “Allora, quando hai intenzione di venire qua a rompere?”
“Beh, il tuo compleanno è sabato, potrei venire lì venerdì e stare per il finesettimana… Se a te va bene.”
Continuarono così per un po’ a parlare, prendersi in giro e mettersi d’accordo per l’imminente arrivo di Giacomo. Con una certezza in più: le cose non erano cambiate, potevano ancora essere messe apposto, in fondo.






Eccomi!! Sono quasi circa puntuale (rispetto a cosa poi??)…
Il capitolo come avete visto è abbastanza lungo, ma – direte, giustamente – di poca sostanza. Molti dialoghi e struttura decisamente diversa da quelli precedenti, spero non vi siate annoiate… A me è piaciuto scriverlo, così botta e risposta… In particolare la parte Giacomo-Niccolò: si capisce un po’ meglio il loro rapporto credo: sono amici, sì, ma ho sempre ritenuto che le amicizie maschili siano molto diverse da quelle fra donne, quindi li ho dipinti così.
Mi spiace se siete rimaste deluse dalle poche parti Zoe-Giacomo, ma avevo/avevano bisogno di questo momento di transizione… Ma hanno fatto la pace, cari! Ora sarà tutto più facile?? No, col cavolo, ovviamente! :)))) Anche perché se avete notato non hanno ancora chiarito niente… Vabbè. Comunque comincerà qualche colpo di scena in più, questo sì… E finalmente!
Intanto cominciamo con una ragazza per Giacomo (mi odierete per questo, lo so!) e con un nuovo compleanno (e che palle, sempre compleanni eh!^^) che comunque sarà mooolto diverso da quello dello scorso capitolo. Diciamo che sarà più che altro un bel modo per far conoscere Giacomo in famiglia… e che famiglia! Vi lascio immaginare… E rispondo alle recensioni:

lunadArgento: Ciao! Mi ha fatto molto piacere sapere che hai trovato la scelta di Zoe coerente col suo carattere, è una delle cose più importanti per me creare dei personaggi verosimili… ma non è sempre semplice! ^^ A volte temo di farli comportare incoerentemente… Beh, se dovesse succedere fammelo pure notare, mi faresti un favore! A presto (spero…)

pirilla88: Ti è piaciuto Giacomo geloso, eh? In effetti lui è sempre così allegro che era un po’ strana la situazione nello scorso capitolo… ma posso anticipare che non sarà l’ultima volta che lo vedremo ingelosirsi! ;) Per quanto riguarda la separazione… come hai visto è durata un po’, in effetti, ma non ha prodotto effetti negativi, anzi. I due saranno ancora più uniti da ora… In amicizia, ovviamente… :P Non dico nient’altro, solo grazie perché continui sempre a recensirmi! Alla prossima!

Maka27: Effettivamente Giacomo era abbastanza arrabbiato l’altra volta, ma non penso avrebbe detto determinate cose se non avesse bevuto. Comunque… a riappacificarsi ce l’hanno fatta (più o meno) ed è stata una cosa meno sofferta del presto… Ora bisogna vedere cosa succederà poi… :) Grazie per i complimenti, alla prossima!

angeleyes: Oh ma che bello, un’altra nuova lettrice! La polizia addirittura?? Naaah, non voglio problemi con la legge, io! :) Continua a seguirmi, spero di non deluderti… A presto!

bimbic (dal Prologo): Ma figurati, sono io che devo ringraziare te, sai! Il fatto che tu abbia trovato il tempo e la voglia di recensire la mia storia nonostante tutto mi riempie di gioia, sul serio! E sì, il tuo giudizio è fondamentale in realtà, come quello di tutti: senza le recensioni non andrei proprio avanti! :) Spero continuerai a seguirmi...


Per quanto riguarda i titoli dei capitoli, non sono ancora convinta (grazie a tutte per avermi risposto, a proposito!)… Sto provando a metterli, se mi piaceranno li metterò, ma può essere che rimangano semplicemente così, come ha suggerito la maggior parte di voi…
Beh, ora ho finito! Stavolta sono fiera di me: ci ho messo ben meno di un mese! :) E volevo tranquillizzarvi, se ce ne fosse bisogno – cosa che dubito – , adesso vado un po’ a rilento con la storia (tra poco è anche periodo d’esami, mi spiace), ma i prossimi capitoli sono già più definiti nella testa, soprattutto alcune parti… Certi li ho addirittura già scritti.
Detto ciò, vi saluto gente! Alla prossima!! Bye…

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Capitolo 13
*** Capitolo X ***



Capitolo X




A volte recuperare un rapporto è più difficile che cominciarlo dall’inizio. Bisogna riacquistare la fiducia nell’altro, perdonare i suoi errori, riavvicinarsi a lui con calma, passare sopra ai suoi difetti che però, ormai, conosciamo bene.
Zoe pensava che funzionasse così anche con Giacomo, ma non aveva calcolato che con lui non c’era mai niente di ordinario. Se ne sarebbe accorta col tempo, pian piano, che era molto difficile restare arrabbiati con una persona come Giacomo Pioggia, anche per lei, che generalmente preferiva discutere e chiarire piuttosto che far finta di nulla. Ma no, invece lui arrivava, sorrideva con quell’aria da impunito e Zoe non poteva far altro che adeguarsi, perché a tirare fuori argomenti tanto vecchi le pareva solo di fare la stronza della situazione.
Andò così anche quella volta. Lei lo aspettava in stazione, pensierosa, cercando di decidere come doveva comportarsi quando l’avrebbe visto; ma quando lui arrivò, con quel sorriso solare e l’aria felice, fu travolta. Travolta in parte dal sentimento d’affetto che aveva dimenticato di provare così forte nei suoi confronti, in parte proprio da Giacomo, fisicamente.
“Zoooe!” Lanciò il borsone per terra e l’abbracciò stretta. “Dio, che bello rivederti, ragazzina!” constatò, sincero, prima di lasciarle un bacio a schiocco sulla guancia.
Zoe capì in quel momento il significato della frase “un fulmine a ciel sereno”. Lui era così: inaspettato anche quando lo si stava aspettando, improvviso e forte come un terremoto, e smagliante tanto da riuscire a illuminare l’ambiente circostante solo con la sua chiassosa apparizione. Vista sotto questa luce, la semi-scenata che le aveva fatto quella sera d’agosto a casa di Niccolò sarebbe dovuta apparire ancora più anomala, dato che Giacomo di solito si comportava esattamente all’opposto di così, ma Zoe in quell’istante non ci pensò nemmeno, risucchiata com’era dalle attenzioni del salentino.
“Oh ma mi porti davvero a casa tua, allora?”
“Certo che no! Ti avevo detto di prenotare l’hotel… Se non l’hai fatto mi toccherà metterti a dormire di nascosto nello sgabuzzino.”
“Dai, sciocca. Dimmi invece come sono i tuoi genitori. Tua madre?” chiese lui mentre la seguiva alla macchina.
“È troppo vecchia per te, e poi è sposata con mio padre, quindi mi dispiace ma non puoi provarci.”
“Ehilà! Noto che in questo periodo l’ironia non ti ha abbandonata!” commentò sedendosi al posto del passeggero e scoccandole un altro bacio sulla guancia, che le fece roteare gli occhi al cielo. “Mi mancavi, ragazzina.”
“Tu per niente…”
“Sì, certo.” Ovviamente Giacomo non le credette neanche per un secondo. “Allora, i tuoi?”
“I miei cosa?”
“Genitori.”
“Ma che è tutto sto interesse per i miei?”
Giacomo sorrise. “Voglio fare bella figura!”
“Sì, vabbè, tu piaci a tutti, figurati che problemi.”
“Piaccio anche a te, quindi!”
Zoe gli lanciò un’occhiata storta mentre guidava, evitando di rispondere. “In effetti un paio di cose sulla mia famiglia è meglio che te le anticipi, per prepararti. Sennò ci prendi per pazzi, mi sa…”

Quando arrivarono davanti alla porta di casa Molinari-Grassi, Zoe stava ancora dando le ultime informazioni e/o raccomandazioni al povero Giacomo. Gli aveva spiegato che a casa sua non c’era una stanza degli ospiti e che quindi quella sera avrebbero dormito insieme nella stanza sua e di Viola, che era stata sfrattata in camera di Ginevra, mentre il giorno dopo, siccome la minore delle sorelle avrebbe dormito da un’amica, Giacomo avrebbe avuto la stanza tutta per sé. Gli aveva raccontato a grandi linee gli equilibri familiari e, in particolare, l’aveva messo in guardia da Viola. L’aveva messo molto in guardia da Viola.
“E, ripeto, non dare troppa confidenza a Viola, che quella se le porgi un dito ti prende tutto il braccio, e forse anche una gamba,” disse la ragazza indicandogli la porta davanti alla quale fermarsi.
“Ho capito, ho capito! Mi stai facendo seriamente paura con questa storia di tua sorella, sai?”
“È esattamente quello che intendo fare, così starai attento.”
“E sant’iddio, non può essere così male, è pure una nostra fan!”
“Appunto,” concluse Zoe, suonando il campanello di casa propria.
“Ma hai anche un cane?” s’informò Giacomo, sentendo abbaiare dall’interno.
“Sì, Penny, è una femmina anche lei.”
“Da lei non mi hai messo in guardia.”
“Perché è la più normale di tutta la famiglia, forse,” spiegò la ragazza, mentre la porta si apriva.
Per fortuna la prima ad aprire fu Ginevra che, tra tutti i componenti della famiglia, almeno a primo acchito sembrava essere quello con più senno.
“Vi aspettavamo… Ciao Giacomo.”
“Ciao… Tu devi essere…”
“Ginevra, la primogenita. E lei è Penny,” aggiunse indicando la cagnolina marrone e nera di piccola statura che annusava minuziosamente le scarpe e i jeans di Giacomo. A un certo punto Penny dovette decidere che le piaceva abbastanza, perché smise di controllarlo e alzò la testa, scodinzolando allegra.
Lui l’accarezzò sulla testa. “Ciao piccola.”
“Senti,” riprese Ginevra, parlando velocemente, “mi dispiace per quello che sta per succedere. Io ho provato a calmarla, ma con Viola è impossibile, capirai presto. Comunque, sta arrivando.”
E infatti Viola arrivò quasi correndo nell’ingresso. “Eccolo!” urlò, lanciandosi poi su Giacomo per dargli due baci sulle guance e stringergli contemporaneamente la mano. “Io sono Viola.”
“Ciao eh,” si palesò Zoe, restando del tutto ignorata.
La sorellina si scostò per farli entrare e continuò l’assalto al cantante del suo gruppo preferito.
“Oh lo sai, vero, che io vi adoro? Voi, i Jam Session, intendo… Ho tutti i vostri dischi, siete fantastici! Ma magari mia sorella te l’avrà detto…”
“Me l’ha accennato, sì,” scherzò lui, con il suo solito sorriso ammalia-tutti. “Ti piace Niccolò, vero?”
Viola ridacchiò. “Che discorsi, vi amo tutti. Però purtroppo ho un debole per quelli come lui, sai, moro, capello un po’ lungo... Dio, non posso credere che tu sia qui davvero!”
“Invece eccomi qua.”
“Sì, infatti, cavolo! Vieni pure, vuoi qualcosa da bere? Comunque, dicevo… Cosa dicevo? Ah sì, Niccolò… Caro, come sta?”
Sembrava parlasse di un suo caro amico e Giacomo ne fu colpito: si era reso presto conto, nel suo lavoro, che avere dei fan, anche se non molti, implicava il ricevere ogni giorno una massiccia dose di affetto e amore incondizionati, che a lui – a loro – non sembrava mai di poter ricambiare. Se ne stupiva ogni volta.
“Bene, bene… Anzi, ha detto di salutarti e che la prossima volta cercherà di venire anche lui.”
“Lo credo bene!” esclamò Viola. “Me l’ha promesso!”

La seguente ora e mezza circa sarebbe stata, se qualcuno avesse potuto vederla dall’esterno, esilarante più di una commedia teatrale. L’entusiasmo di Viola per avere a portata di mano uno dei suoi idoli musicali non scemò e Giacomo, durante il pranzo consumato con le tre sorelle, si trovò sommerso di domande, complimenti, risate e anche qualche manifestazione d’affetto.
Zoe, d’altronde, l’aveva avvisato dell’esuberanza di sua sorella. In ogni caso, lui ci sguazzava felicemente nell’ammirazione che la biondina gli riversava addosso e, inoltre, non aveva certo paura delle persone espansive, dato che lui stesso faceva parte di quest’ultima categoria. Si ambientò quindi bene con le sorelle: trovò Viola simpatica e divertente e scoprì, durante il pasto, di avere dei gusti musicali molto simili a quelli di Ginevra.
Dopo pranzo ci fu il tempo per un giretto nel paese dove viveva Zoe. Essendo una frazione di soli cinquemila abitanti, Giacomo si accorse presto di quanto le sorelle Molinari fossero conosciute dalla gente.
“Siete piuttosto famose qua, eh?”
Zoe rispose pungente. “Probabilmente più di te, signor cantante.”
“Nooo, non è vero!” Viola ovviamente difese subito il suo beniamino.
“È che non sono abituati a vederci tutte insieme in giro,” spiegò Ginevra, più pratica. “Metà di queste persone ci saluta solo perché siamo figlie di Angelo Molinari, che lavora in all’anagrafe e alla biblioteca comunale… Ma quando siamo divise neanche ci riconoscono.”
A conferma delle sue parole, la fruttivendola uscì dal suo negozio, sorridendo. “Oh! Le Molinari!”
Le tre la salutarono diligentemente, senza però fermarsi, temendo di restare ferme un’ora per sentire tutti gli ultimi pettegolezzi della zona.
“Di chi è il fidanzato quel bel giovanotto?” domandò la signora, curiosa come non mai.
Zoe stava per rispondere ma, per sua sfortuna, Viola la anticipò prima che riuscisse ad aprire bocca. “Della Zoe, signora Mariella! È venuto a trovarla da Lecce.”
Quattro metri più avanti, Zoe cominciò a urlarle dietro. “Ma sei scema? Lo sai che quella ha la lingua più lunga dell’intera regione, prima di sera tutto il paese saprà che sono fidanzata con un ragazzo leccese!”
“Dai, era per ridere un po’…” si difese Viola.
Giacomo, effettivamente, stava ridendo di gusto, cercando, senza troppi risultati, di non farsi vedere da Zoe, per paura di essere rimproverato anche lui. Come infatti accadde.
“E tu non ridere!” lo riprese, affibbiandogli pure una gomitata sulle costole. “Se lo scopre Andrea sono fritta.”
“Non lo scoprirà mai, non credo conosca anche lui la signora Mariella,” appurò Viola, chiudendo l’argomento.
Zoe fu costretta a tacere, non senza sbuffare e incrociare le braccia, per mostrare il suo disappunto. Giacomo, ancora piuttosto gaio, le passò un braccio sulle spalle e le schioccò un bacio sulla testa.
“Io non rido,” le disse, piano, “tu non tenere il muso, però, ragazzina.”
Lei sbuffò ancora, con un’ombra di sorriso sul volto. “E tu, Rain, stammi lontano,” gli intimò, spingendolo via, “non mi pare il caso di alimentare i pettegolezzi su noi due!”

I pettegolezzi, in effetti, non fecero fatica a svilupparsi: in una piccola cittadina le indiscrezioni volano e anche se questa non era una notizia-gossip di primo livello, la signora Mariella, nota chiacchierona, non poteva certo tenersela per sé.
Così, nel pomeriggio, quando la signora Elisabetta Grassi, ovvero la madre delle sorelle, fece ritorno a casa dal lavoro e Zoe le presentò Giacomo, lei esordì con un: “E così tu saresti il fidanzato leccese della mia figlia mezzana…”
“Mamma!” la riprese Zoe, per poi correggersi e rimproverare la sorella. “Viola, ti uccido!”
“Me l’ha detto l’Anna all’alimentari, non me lo sono inventato,” spiegò la madre. “La notizia deve averla presa dalla Mariella dell’ortofrutta… Io pensavo che questo Giacomo fosse un tuo amico, a onor del vero.”
“Infatti è così, mamma, è colpa di Viola!”
“Io non ho fatto niente!”
Mentre Zoe minacciava la sorellina tentando di costringerla a smentire pubblicamente la notizia, un sorridentissimo Giacomo spiegò a loro madre il malinteso, la quale madre reagì con una scrollata di spalle.
“Mi sembrava troppo bello per essere vero: mia figlia non ha mai portato un uomo in casa.”
“Forse perché non avevo nessuno da portare!” intervenne Zoe, sincera.
“Lui è un bel ragazzo,” osservò Elisabetta indicando il salentino.
“Ma non è il mio ragazzo, mamma. Argomento chiuso.”
Gli equivoci, quando c’era di mezzo Giacomo, non erano mai finiti.

A cena, finalmente, la famiglia Molinari si riunì al gran completo, con tanto di capostipite, papà Angelo, che dopo un lungo interrogatorio al giovane musicista leccese durante l’aperitivo, poté ritenersi soddisfatto e sedersi a tavola per il pasto. Zoe, a quel punto, fece un gran sospiro di sollievo: esame superato. Durante il viaggio dalla stazione aveva avvisato Giacomo dell’abitudine di suo padre di squadrare da capo a piedi qualunque essere di sesso maschile – amico, compagno di classe, fidanzato – fosse capitato nei paraggi delle sue amatissime figlie e il ragazzo, ad ogni modo, se l’era cavata piuttosto bene.
In effetti Giacomo, neanche a dirlo, piacque a tutta la famiglia, genitori compresi. Zoe a volte quasi lo invidiava per quest’innata capacità di comunicare e di farsi amare, lei che nelle relazioni era l’esatto opposto: schiva, riservata e spesso anche un po’ scontrosa. Le colossali differenze che c’erano tra lei e il cantante leccese le conosceva già, ma ogni volta si stupiva: come diavolo era successo che fossero diventati amici? A volte se ne dimenticava.
Poi guardava Giacomo mentre chiacchierava con i suoi genitori e scherzava con le sue sorelle – certo, Viola lo idolatrava già da prima di conoscerlo, in realtà – e capiva: quel maledetto ruffiano si faceva sempre adorare da tutti e lei era caduta nell’incanto, né più né meno.
E anche se erano passati dei mesi dall’ultima volta che si erano visti, Zoe non poteva fare a meno di essere stupidamente felice quando sentiva la voce allegra di Giacomo o vedeva il suo sorriso aperto, perché in fondo – anche se avrebbe fatto fatica ad ammetterlo in pubblico – le era mancato.
Mentre pensava a questo e ai mesi passati senza di lui, Giacomo, che nel frattempo era impegnato in una conversazione sul mare della Puglia con Angelo, si girò e le gettò un’occhiata serena e sorridente. Zoe, stupidamente e senza sapere il perché, si ritrovò ad arrossire, come se pensasse che il salentino potesse leggerle nel pensiero, scoprendo che stava pensando proprio a lui. Giacomo tornò a guardarla, interrogativo.
“Tutto ok, Zò?”
Cavolo, se n’era accorto. Ma come faceva a essere così attento, sempre?
Zoe annuì, ricomponendosi. “Sì.”
“Hai caldo?”
Ok, aveva visto che era diventata rossa, ma era il caso di dirlo a tutti? Zoe lo maledisse mentalmente.
“No, no, stavo solo pensando ad altro, mi sono distratta.”
Lui sorrise canzonatorio, come a prenderla in giro e Zoe si ritrovò costretta ad abbassare lo sguardo, senza sapere bene il perché. Intervenne suo padre a salvarla, pur inconsapevolmente.
“Chiedevo,” fece papà Molinari, “a Giacomo com’è Lecce adesso… Io ci sono stato trent’anni fa ma so che la Puglia ha raggiunto livelli di turismo molto alti da quella volta…”
Chiacchierarono così ancora un po’, finché Zoe, accorgendosi dell’ora, non si alzò da tavola. “Giacomo, sono le nove e dieci. Ti avevo detto che ci saremmo incontrati con Aurora alle nove e mezza in centro, ricordi?”
“Ah, già. Siamo in ritardo?”
“No, figurati, ci mettiamo poco ad andare in piazza a piedi, ma è meglio se ci muoviamo. Conoscendo l’Aurora sarà anche in anticipo… Data l’impazienza.”
Giacomo ammiccò. “Impaziente di conoscermi?”
“Ovviamente,” confermò Zoe rassegnata. “Come tutti.”
Sperava di non doversi preoccupare, più che altro. Ma Aurora era la sua migliore amica, non le avrebbe fatto fare brutte figure… Giusto?

Aurora, effettivamente, si comportò bene per tutta la serata: non fece più di un paio di battutine maliziose e restò piuttosto imparziale.
Raggiunsero il bar centrale del paese, il quale, essendo uno dei due locali aperti la sera, era frequentato sia da vecchi giocatori di briscola, sia da giovani e studenti nei loro ritrovi serali. Giacomo, che era abituato a città ben più grandi – Lecce e, nell’ultimo anno, addirittura Milano – viveva ogni cosa come nuova, ma il bar, familiare e abbastanza piccolo, gli piacque.
Allo stesso modo, com’era logico, lui piacque ad Aurora. Il solito sorriso smagliante e la solita amabile estroversione mieterono un’altra vittima e Zoe capì che probabilmente era più facile trovare un ago in un pagliaio piuttosto che conoscere una persona a cui il cantante salentino non facesse un’ottima impressione sin dal primo acchito.
Così, dopo la serata passata a chiacchiere e qualche birra, arrivò la mezzanotte e, con questa, il ventesimo compleanno della ragazza. Giacomo, che se ne accorse per primo, si alzò e intonò un vivace “Tanti auguri a te”, subito seguito a ruota da Aurora e dagli altri frequentatori del bar, i quali, chi ubriaco, chi divertito dalla situazione, diedero man forte al coretto, facendo in modo che un’imbarazzatissima Zoe si portasse la sciarpa fin sopra la testa per coprirsi. Fu riportata nel mondo reale da Giacomo che, con un sorriso innocente stampato in faccia, le tolse la sciarpa, la trascinò in piedi e la strinse a sé, quasi soffocandola.
“Auguri ragazzina. Stai crescendo!”
Lei rise, per quanto le fosse permesso dalla stretta letale del ragazzo.
“Ok, il messaggio è chiaro… Ora potresti lasciarmi respirare?”
Lui le diede un bacio sulla fronte e la lasciò nelle mani di un’Aurora piuttosto divertita, dopodiché uscirono dal bar, fra gli ultimi auguri e le pacche sulle spalle di chi riconosceva Zoe come la festeggiata.
Con Aurora si salutarono poco dopo, sapendo di rivedersi il giorno successivo per festeggiare il compleanno con degli amici. Zoe e Giacomo invece andarono a casa, stanchi e pronti a dormire. Non era la prima volta che dormivano nella stessa stanza: durante il viaggio in Spagna erano stati in vari ostelli e B&B, ma quasi sempre condividendo le camere con altre persone sconosciute. Comunque, nessuno dei due era preoccupato, al contrario, Giacomo era felice di poter finalmente passare del tempo da solo con lei, almeno per dirsi un po’ di quelle cose che si erano taciuti durante i mesi di lontananza.

Appena stesi a letto, infatti, Giacomo le chiese come andassero le cose con Andrea. Zoe, che con lui riusciva sempre ad aprirsi senza troppi problemi, gli raccontò gli ultimi sviluppi, di come si fossero avvicinati molto col passare del tempo, del fatto che ora riuscissero a gestire le litigate che, visto il caratteraccio di lei, continuavano a esserci.
“Lo conoscerò domani?” domandò allora Giacomo.
“Domani?”
“Per il tuo compleanno. Non viene?”
“Ah, no. A parte che non farò poi questa gran festa, andremo solo a bere una roba con qualche mio amico… Comunque Andrea non c’è, lo vedo domenica sera, quando torno a Padova.”
“Perché non viene?”
“Ho già te da controllare. E poi il mio compleanno non è così importante, te l’ho detto…”
Zoe tentò di scansare l’argomento, senza risultati: Giacomo, per qualche strano motivo, riusciva sempre a interpretarla e anche stavolta intuì il trucchetto.
“Avanti, dimmi tutto.”
“Non sono sicura di volerlo presentare ai miei genitori,” capitolò Zoe.
“Perché? Hai detto che ormai è una cosa ufficiale, lo sanno tutti…”
“È così ma… Giaco, lo sai, sono la solita idiota. Non riesco a lasciarmi andare del tutto. Io… cioè, voglio un sacco di bene ad Andrea ma non credo di essere innamorata di lui. E mi sento uno schifo per questo.”
“Non è colpa tua, ragazzina.”
“E se lo fosse, invece?” pigolò, incerta, Zoe.
“Cosa?”
“Colpa mia.”
“Non dire fesserie! Tu sei una ragazza normalissima, devi solo incontrare la persona giusta,” la rassicurò Giacomo, protettivo. “E parlarne con Andrea,” aggiunse.
“Su questo hai ragione ma… Lo so che sono egoista, ma non voglio che ci lasciamo, sto bene con lui.”
“Basta che le cose tra voi siano ben chiare. Non è mai bello quando rimane qualcosa di non detto.”
Ci fu qualche attimo di silenzio, dopodiché Zoe sospirò, si ricompose e ripresa la parola, ironizzando come al suo solito, per stemperare l’aria.
“E questa da dove l’hai pescata?”
Giacomo Pioggia. Aforismi, Volume Primo.
“Ma va’?”
“Sono un cantautore, devo cercare di essere poetico in ogni occasione…”
“Ma se le vostre canzoni le scrive Niccolò!”
“Mica tutte! Io collaboro sempre,” si difese prontamente lui.
“Sì sì… Ora dormiamo, su, che è tardi.”
Giacomo si mosse sul letto, aprì la bocca per dire qualcos’altro, ma poi ci ripensò. “Buonanotte ragazzina.”
“Notte,” sussurrò lei, quasi inudibile, dopo aver spento l’abat-jour sul comodino.

“Zoe?”
“Sì?”
“A me mi hai presentato ai tuoi genitori, però.”
“Stupido.”

La mattina dopo, Zoe si svegliò con Giacomo, già in piedi da un po’, che scalpitava seduto sul proprio letto, attendendo che lei si svegliasse. Insistette fino allo sfinimento perché aprisse i due regali che le aveva portato e alla fine lei dovette cedere: il giovane ammise che amava guardare qualcun altro che apriva pacchetti, gli piaceva fare regali quasi più che riceverli. Zoe ridacchiò intenerita da questa candida confessione, che confermava la propensione del ragazzo all’altruismo, nonostante a uno sguardo distratto potesse sembrare il contrario.
Il primo regalo era un mobile porta cd in legno, molto colorato: Giacomo, sempre attento, si era ricordato che ne aveva bisogno e se l’era fatto costruire apposta da un amico di famiglia, un vecchio falegname di Lecce. Il secondo pacchetto, decisamente meno vistoso, conteneva due cd da inserire nel mobile: una compilation di brani scelti da lui e, a sorpresa, un demo dell’ultima canzone scritta dai Jam Session.
“Questo è un regalo che dovresti fare tu a me, Zò,” le spiegò cauto Giacomo. “Di quella canzone ho scritto quasi tutta la musica, Nico e Gio si sono occupati delle parole.”
“E io che c’entro?” lo interrogò lei confusa.
“Dovresti ascoltarla e dirmi sinceramente che ne pensi, ci tengo davvero tanto alla tua opinione. E so che non mi mentiresti.”
Zoe rimase così colpita dalla stima che l’amico aveva in lei, che non riuscì nemmeno a trovare una battuta con cui rispondere.
“Vuoi che l’ascolti subito?”
“No, no, preferisco che tu lo faccia quando me ne sarò andato.”
“Come vuoi.”

Il resto della giornata trascorse come un compleanno tipo: qualche telefonata, regali dai parenti e un po’ di pubbliche relazioni. A pranzo toccò alla torta con genitori e sorelle, mentre per la serata era prevista un’uscita verso Giali, la cittadina di circa quarantamila abitanti dove le Molinari avevano frequentato le scuole, che era anche il comune più importante nelle vicinanze.
Zoe e Giacomo si trovarono dopo le nove con Aurora e insieme andarono a Giali. Là si incontrarono con degli altri amici, perlopiù ex compagni di classe che Zoe aveva voglia di rivedere, ed entrarono in un locale in centro. Il posto era un pub abbastanza grande e abbastanza frequentato, e Giacomo lo trovò decisamente meno folkloristico di quello della sera prima, nonché meno familiare, ma senza dubbio più adatto a festeggiare.
Dopo le solite presentazioni di rito, la serata andò liscia come l’olio, tra drink, – alcolici o meno –  sorrisi, regali e musica sempre più alta, finché non successe una cosa che movimentò un po’ le acque.
Giacomo stava chiacchierando in tranquillità con Aurora e Giulia, una vecchia compagna di classe della festeggiata. Erano seduti ad un tavolino e con loro c’era anche Zoe, la quale, però, essendo ormai stanca, si limitava a seguire la conversazione dall’esterno e a intervenire, ogni tanto, solo se si sentiva chiamata in causa per qualche motivo.
In quel momento, per la precisione, Aurora stava scherzando con Giacomo su un episodio accaduto pochi minuti prima: una donna, che a occhio e croce doveva avere più di quarant’anni, aveva adescato il ragazzo leccese con una scusa mentre andava a prendere da bere e c’aveva provato spudoratamente con lui. Il giovane, che non s’imbarazzava praticamente mai, all’inizio era stato al gioco, divertito, dopodiché, vedendo la situazione degenerare, le aveva fatto capire di dover tornare dalla sua ragazza ed era fuggito ridendo.
“Che posso farci,” si vantò Giacomo, scherzoso, “se faccio quest’effetto alle donne!”
“Uh, quanto sei modesto!” esclamò Giulia, prendendolo in giro.
“No, ma è vero, eh… Anche se in realtà una persona che è rimasta immune al mio fascino c’è, ed è qui tra noi,” ammise lui, lanciando un’occhiata a Zoe, che alzò gli occhi al cielo, anche se non era davvero infastidita. Giacomo continuò, ridendo. “All’inizio c’ho provato con lei, lo ammetto, ma mi ha dato picche da subito, la signorina Molinari!”
Non l’aveva mai detto ad alta voce, anche se era una di quelle cose che chiunque poteva sapere, comunque le reazioni alla battuta furono svariate: Zoe si mise una mano sulla fronte, ridacchiando e vergognandosi un po’, Aurora scoppiò a ridere di gusto e poi disse la sua, giuliva.
“Io l’avevo detto alla Zoe: guarda che un buon partito così non devi fartelo scappare!” dichiarò, in linea coi suoi pensieri: aveva riempito Giacomo di belle parole fin da subito, anche prima di conoscerlo, ma senza interesse personale, dal momento che era fidanzata e felicissima.
Zoe sbuffò, sempre sorridendo, per mostrare il suo totale disappunto.
“È vero, tesoro,” la redarguì Aurora, “non fare quella faccia! Dovevi prendertelo quando avevi l’occasione: è bello, simpatico e single… Cosa vuoi di più dalla vita?”
“Un lucano,” borbottò Zoe sarcastica, scuotendo la testa rassegnata.
Giacomo la ignorò e rispose all’altra. “Grazie per i complimenti, cara, ma single al momento non lo sono più molto… credo.”
“Noooooo!” fece Aurora, sgranando gli occhi plateale. “Questa non la sapevo, racconta!”
“Mi frequento da qualche tempo con una ragazza che ho conosciuto a Milano,” spiegò Giacomo, senza accorgersi subito di quello che accadeva alla sua sinistra. Zoe, appena sentite le parole del ragazzo, aveva corrucciato la fronte, stupita, e si era sporta in avanti con un’aria confusa, come se ci fosse qualcosa che non gli tornava del tutto.
“Ma…” Aurora cominciò a chiedergli qualcosa, ma fu subito interrotta proprio da Zoe, che parlò lentamente, con voce piatta.
“Non me l’avevi detto,” appurò semplicemente, atona.
Giacomo alzò le spalle, senza guardarla, forse immaginandosi la sua espressione. “Tu non me l’avevi chiesto. Ed è da mesi che praticamente non ci sentiamo,” tentò a mo’ di scusa.
“Che c’entra?”
“Niente, solo che… non ho avuto l’occasione per dirtelo.”
L’espressione che si formò allora sul volto di Zoe era talmente scettica che anche un cieco l’avrebbe percepita come tale. “Che cretinata! E ieri sera, tutte quelle scene per farmi parlare di Andrea? Se avevi qualcosa da dirmi non potevi farlo lì, scusa?”
“Sì, ma…”
Lei non lo fece finire. “Certo, no, tanto comunque la figura di quella distaccata e scostante la faccio io, mentre tu, col tuo tono confidenziale del cavolo, sei sempre il buono, il bravo ragazzo perfetto. Figurati.” Il suo tono era duro, ma si sentiva che in realtà si sentiva colpita: perché non gliel’aveva detto? si chiedeva, abbattuta e infastidita. Non era forse degna della sua fiducia, o cosa?
“Vieni un attimo,” le intimò Giacomo alzandosi con l’intenzione di uscire dal locale per evitare di dare spettacolo. Giulia e Aurora, infatti, avevano assistito a tutta la scena fino a quel momento; la prima imbarazzata perché si trovava in una situazione in cui non c’entrava, la seconda seguendo invece avidamente ogni battuta, pur senza riuscire a comprendere tutti i sottintesi presenti nelle parole dette dai due.
Zoe, comunque, non si mosse dal suo posto, ignorando la richiesta di parlare in privato. Oltretutto l’ultima cosa che voleva fare quella sera era arrabbiarsi, e per mantenere questo proposito, ormai distrutto per metà, era il caso di non andare a discutere con Giacomo, già che sapeva l’avrebbe fatta innervosire ancora di più.
“Usciamo un secondo,” insistette lui, porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi.
Lei scosse la testa, seccata. “Ne parliamo a casa,” concluse asciutta, senza dargli diritto di replica.

Un’ora dopo erano a casa, silenziosi come non mai, ed era evidente che Zoe non aveva nessunissima intenzione di parlarne. Nel locale, alla fine, aveva evitato di tenere il muso per non rovinare – e rovinarsi – la festa, ma era anche stata ben attenta a non rivolgere la parola a Giacomo, per mostrargli il suo disappunto. Non era veramente arrabbiata, più che altro ci era rimasta male: anche se magari poteva sembrare una stupidaggine per lei contava. La considerava una questione di fiducia, senza la quale un’amicizia non poteva certo reggersi in piedi.
Giacomo, dal canto suo, aveva capito l’antifona e s’immaginava perfettamente il motivo per cui l’amica si comportava in quel modo. Inoltre aveva davvero delle motivazioni, che lui riteneva valide, a suo favore, perciò non aveva alcuna intenzione di dargliela vinta, anzi, se fosse stato necessario l’avrebbe costretta ad ascoltarlo.
“Zoe,” cominciò, deciso, “dobbiamo parlare.”
“Non adesso, sono stanca.”
“Senti…”
“Non mi va, Pioggia. Ora dormiamo, tu in camera mia, io in camera di Ginevra, tanto non c’è neanche lei stasera, mi ha scritto che dorme da Marco, quindi stiamo tutt’e due tranquilli. Contento?”
Giacomo nemmeno si sforzò di contraddirla: semplicemente, quand’erano entrambi pronti per andare a letto, entrò nella stanza di Ginevra e aspettò che Zoe tornasse dal bagno, già in pigiama. La ragazza, quando lo vide seduto sul letto, alzò gli occhi al cielo, esasperata.
“Sei duro di comprendonio? Ti ho detto che tu dormi in camera mia e di Viola.”
“Ho capito benissimo, ma io sto dove stai tu, così parliamo,” rispose lui, tranquillissimo.
Lei comprese che era una partita persa in partenza: era testarda, sì, ma quando Giacomo si metteva in testa una cosa era impossibile dissuaderlo, l’aveva imparato a proprie spese.
“Muovi il didietro di là, allora,” gli ordinò, perentoria. “Tanto vale stare nella mia stanza.”
Giunti a destinazione, Zoe lo guardò a braccia conserte. “Quindi?” gli chiese con un tono che sembrava dire ‘vediamo che t’inventi adesso’.
Giacomo si trattenne dal sorridere, ben sapendo che se l’avesse fatto avrebbe rischiato la vita, ma non poté evitare di scuotere la testa passandosi una mano fra i capelli, prima di parlare. Alle volte Zoe si comportava davvero da ragazzina, maledizione, ma le voleva bene anche per questo.
Si sedette sul letto e la guardò dal basso, dato che lei se ne stava ancora nella sua posizione indispettita di poco prima, in piedi.
“Molinari,” cominciò, “se non ti ho raccontato di Romina è perché mi è passato di testa.”
Era la verità pura e semplice ma Zoe, chiaramente, restò scettica e lo guardò con un sopracciglio alzato. “Cos’è,” gli domandò, “soffri di Alzheimer?”
“No, è che da quando sono qui ho altro a cui pensare,” rispose lui, pratico. Non aggiunse che era da diversi giorni, in verità, che pensava solamente a lei e al loro incontro, come se non ci fosse altro di più importante al mondo che rivedere quella sciocca ragazzina che non gli parlava da mesi.
“Perché mi suona tanto da scusa? Melensa, peraltro,” lo contestò la giovane, non contenta.
“Non lo è, fidati.”
Zoe sbottò. “Certo, io mi fido, mi fido anche troppo evidentemente. Qua invece c’è qualcun altro che fa tanto il lecchino e poi…”
Giacomo la interruppe, capendo dove stava andando a parare. “Sei una delle persone di cui mi fido di più al mondo, Zò, e non so neanche bene il perché. Non te l’ho dimostrato? Ti ho dato la demo da ascoltare e ci tengo talmente tanto al tuo giudizio che ho persino paura di quello che dirai, perché so che sarà vero. E,” aggiunse in fretta vedendo che lei voleva parlare, “se non ti ho parlato della ragazza con cui esco è perché forse non la ritengo così importante. Sono uno stronzo egoista? Può darsi. Ma da quando sono arrivato qui a casa tua non c’ho mai nemmeno pensato di striscio a lei, perché ero attento a guardare te, a chiederti di Andrea.” Stette zitto un attimo, poi concluse. “Per me tu sei più importante: sei una mia amica e ci tengo, mentre Romina è solo una ragazza con cui mi frequento – neanche tanto seriamente, e lei lo sa, – da un po’ di tempo.”
Zoe rimase muta per un paio di minuti, poi deglutì il groppo in gola che le si era formato.
“Riesci sempre a trovare le parole giuste per farti perdonare tu, eh?”
“Sempre,” confermò lui, con un sorriso, finalmente.
Ci fu qualche altro attimo di silenzio, poi Giacomo disse quello che pensava. “Sai, credo che sia rimasto qualcosa in sospeso tra noi, da sempre. Ci siamo conosciuti molto velocemente e ci siamo capiti quasi al volo. Però ci è mancato qualche passaggio ed è anche colpa del fatto che viviamo così lontani.”
“Non credo di seguirti,” ammise Zoe, confusa.
“Con quante altre persone hai un rapporto come il nostro? Quanti dei tuoi amici ti si sono avvicinati nello stesso modo in cui ci siamo conosciuti io e te?” le chiese il ragazzo.
“Nessuno,” valutò lei, pensierosa.
Giacomo alzò le spalle, con ovvietà. “Siamo strani,” spiegò, serio ma contento di questa ammissione. “Pensiamo di conoscerci alla perfezione, perché la maggior parte delle volte ci capiamo l’un l’altro, ma abbiamo perso dei passaggi della nostra conoscenza per strada e non siamo mai riusciti a recuperarli.” Si fermò un attimo a riflettere. “Per esempio,” continuò, ispirato, “io so di Andrea e del tuo presente, ma non mi hai mai detto qual è il tuo colore preferito o quale materia odiavi di più alle scuole medie.”
Zoe ridacchiò. “Il blu e l’educazione tecnica.”
“Ecco, so due cose in più.” Sorrise anche lui. “Magari sembrano stupidaggini ma…”
“Ma possono aiutare a capire meglio una persona. È vero,” concluse lei, anticipandolo. Non ci aveva mai pensato ma loro due si erano effettivamente avvicinati in un modo accelerato, quasi innaturale. Di solito non ci faceva caso, perché lui il più delle volte la capiva talmente bene da far pensare che la conoscesse da una vita, ma non era così.
“Mi stai dando ragione?” la prese in giro Giacomo, invitandola a sedersi sul letto accanto a sé. Lei lo fece, con una smorfia.
“No, sto dicendo che per una volta potresti aver detto una cosa vagamente intelligente, ma penso sia solo un caso…”
Lui rise: si aspettava una risposta del genere. Poi all’improvviso sembrò ricordarsi qualcosa e si diede un colpo sulla fronte. “Mi sono dimenticato di darti una cosa!” esclamò.
Zoe guardò l’orologio. “Troppo tardi, non è più il mio compleanno, grazie al cielo.”
“Beh, io te la do lo stesso: posso farti regali quando mi pare e piace, ragazzina.” Mentre lo diceva si slacciò un bracciale in cuoio scuro, semplice, che aveva sempre sul polso sinistro, e le prese la mano.
“Che fai?”
“Ti regalo il mio braccialetto,” illustrò pacato.
“Ma è tuo!” si lamentò lei. “Ci tieni, te l’ho sempre visto addosso.”
“E tu ti lamenti sempre, eh?” Glielo legò al polso. “Voglio che lo tenga tu, Zoe,” disse mentre le lasciava una carezza lieve sulla mano.
Lei rimase immobile, non trovò neanche il coraggio di guardarlo. “Perché?” sussurrò.
“Perché sì.”
Non c’era altro da spiegare, la giovane lo capì e ammutolì di nuovo. Era contenta, sì. Nonostante tutti i problemi e la lontananza, il rapporto fra loro, contro ogni pronostico, sembrava rafforzarsi, non senza impegno.
“Hai le mani fredde,” constatò Giacomo, che aveva ancora la mano di lei sulla propria.
Zoe alzò le spalle. “Quasi sempre.”
“Mani fredde, cuore caldo.” Ridacchiò all’espressione scettica di lei. “È vero!” insistette, senza convincerla. “Vabbè, so una cosa in più, ora tocca a te chiedere.”
“Per fare cosa?”
“Recuperiamo le parti mancanti della nostra amicizia.”
Lei annuì. “Ok. Raccontami come hai cominciato a suonare dopo che tuo nonno ti ha regalato la chitarra.”
“E tu come sai della mia prima chitarra?” domandò lui, stupito.
“Ho i miei informatori,” fece Zoe, misteriosa, mentre ricordava con un sorriso nonno Nicola: quell’uomo le era rimasto nel cuore e non era cosa da tutti.
Giacomo la guardò sospettoso, poi scrollò le spalle e cominciò a raccontare.
Passarono delle ore così, seduti sul letto a parlare a bassa voce per non svegliare i genitori di Zoe, finché, ormai esausti, non decisero di dormire. Dopotutto, anche se quella sera si erano avvicinati di molto, il giorno dopo entrambi avrebbero dovuto prendere un treno e andare in direzioni opposte.














Con che coraggio ricompaio? Sì, me lo sto domandando anch’io, tranquilli… … … …
Ehm… Facciamo un patto, vi va? Facciamo finta che io abbia semplicemente preso una luuuuunga vacanza estiva e che adesso ricominciamo di buona lena! Odio essere così tanto in ritardo, giuro, ma abbiate pazienza, siate clementi (e chi più ne ha, più ne metta!).
Spero di aver espiato almeno in parte la mia colpa con questo capitolo: è il più lungo che io abbia mai scritto finora. Oddio, magari è anche il più palloso, ma spero di no! Praticamente è stato un parto!
Che altro dire? Sì, Zoe è la solita rompicoglioni, e sì, Giacomo qui è più paziente e tenero che mai. Comunque sia, spero di essere riuscita a rendere i personaggi credibili anche se era da un po’ che non li prendevo in mano… Fatemi sapere cosa ne pensate e avrete un omaggio… tutta la mia gratitudine posso dirlo? :) D’altronde non posso mica indire un concorso a premi per farvi recensire, posso solo dirvi che ci terrei davvero tanto tanto tanto tanto e che le vostre recensioni sono l’unica cosa che mi fa andare avanti con la storia, really.

Altre precisazioni veloci:
- So che la storia di Giacomo e tale Romina sembra una cazzata detta così, ma fatemela passare per ora, prossimamente dovrebbe capirsi qualcosina di più. Presto.
- Giali, il paese che cito vicino al quale vivono le Molinari, me lo sono inventato di sana pianta. Non so neanche se in Italia o nel mondo esista un posto chiamato in questo modo, ma non credo. Semplicemente, non avevo voglia di mettermi a fare ulteriori ricerche su una cittadina da inserire nella storia, così ho usato la fantasia, niente di più.
Siccome ho già rotto abbastanza non sto a tediarvi ancora molto, volevo solo rendervi partecipi del fatto che un po’ di tempo fa ero in macchina ed è partita ‘Patiente’ dei Guns N’ Roses, che poi è la canzone da cui prende il titolo questa storia e ho deciso che era un segno e che dovevo darmi una mossa! Bello, eh? Ok, non ve ne può fregar di meno! :)
Dunque, nei prossimi due capitoli succederà qualcosa di importante per lo sviluppo della storia e, anche se non mi crederete (giustamente), prometto di cercare di pubblicare il primo entro due settimane circa. Ho anche gli esami, nel frattempo, ma mi sento talmente uno schifo per avervi fatto aspettare così tanto che prometto di mettercela tutta.
Risposte personali, a voi.


pirilla88: Credo proprio di dovermi scusare per l’immenso ritardo soprattutto con te, sai: intanto perché le tue recensioni mi riempiono sempre di allegria e spesso mi fanno ridere e mi portano una ventata d'aria fresca, poi perché in pratica sei l’unica che mi segue sempre con tanta devozione e non credo di meritarmelo! :) Sul serio, grazie di cuore.
Sono contenta che ti sia piaciuto anche lo scorso capitolo (anche se ormai ti sarai dimenticata di cosa sto parlando, visto quanto tempo ho fatto passare… -__-‘ ops), perché era di transizione e non ero sicura fosse gradevole. Il fatto che ti siano piaciuti i personaggi che ho inserito mi fa tanto piacere, perché erano tanti e mi sono trovata un po’ incasinata anch’io a gestirli… Furba, eh?
L’unica cosa che mi dispiace è che Andrea ti stia così sulle palle, ma è comprensibile XD … Oltretutto lo odiano tutti… tranne me, povera stella! Spero di riuscire a redimerlo presto, vedrai che in fondo è un bravo ragazzo… ;) E non aggiungo altro…
Se continui a seguirmi anche dopo quest’assenza secolare ti meriti una medaglia al valore, davvero! Comunque spero di vedere presto una tua recensione… Ciau, baci.

freeze: Uau! Cioè, non solo ti definisci (cito testualmente) “perdutamente innamorata” della mia storia, ma hai anche azzeccato tutto quello che hai scritto nella recensione, quindi vuol dire che la mia fic l’hai seguita bene e che ti piace sul serio… È possibile? O_o
A parte gli scherzi, hai fatto un’ottima, ottimissima (ok, non è italiano, passamelo per buono!) analisi di Zoe, di Giacomo, di Zoe e Giacomo insieme. Hai ragione: Zoe spesso ha un caratteraccio mica da poco e il povero Pioggia deve patire le pene dell’inferno per starle dietro (è evidentissimo in quest’ultimo capitolo). L’ha guardata a fondo da subito, come hai detto tu, senza fermarsi alle apparenze… Non so neanche se esiste davvero una persona come Giacomo, perché spesso nella realtà siamo tutti più superficiali di così.
E ti do pienamente ragione anche quando dici: “quest'amicizia è così bella che mi piacerebbe fosse per sempre”. C’ho pensato anch’io, sul serio, sai? Intendo, ho pensato se vale la pena di farli mettere insieme solo per “esigenze di copione”, diciamo così, quando si vede che si trovano bene come amici. Però in realtà, e credo volessi dirlo anche tu, l’amore ha bisogno anche dell’amicizia – e quindi della fiducia, dell’empatia, dell’intesa – almeno in parte. Mi chiedo anch’io, come te, se l’affetto che si prova per un amico sia effettivamente più blando di quello per la persona amata. Probabilmente no, solo che nell’amore, forse, c’è qualcosina in più: l’attrazione fisica, ovviamente, e un’altra parte, un qualcosa che scatta solo quando si è innamorati o ci si sta innamorando.
Non so bene spiegarlo a parole (sempre che ci sia una risposta giusta a queste domande), ma spero di riuscire a descriverlo nella mia storia, pian piano. Spero di riuscire a spiegare come e perché si può passare da una cosa all’altra, senza che il tutto risulti innaturale.
Ti ringrazio per le bellissime parole e spero di sentirti ancora commentare! Anche perché, come vedi, non ho mollato… E comunque se fossi venuta a cercarmi a Padova per tagliarmi le manine… non mi avresti trovata! Ahah! :) Non ho mai abitato a Padova! Alla prossima!

Carrie_brennan: Purtroppo non ho postato affatto presto… e me ne vergogno… :( Ma spero leggerai lo stesso! Oltretutto ti ringrazio davvero della recensione perché hai notato delle cose di cui nessun altro aveva mai parlato (la dimensione “spazio-temporale”): Zoe e Giacomo si vedono sempre in luoghi diversi (poi spesso tornano 
e torneranno  posti che hanno a che fare con i mezzi di trasporto: treni, stazioni, aeroporti…) e non riescono a incontrarsi tutti i giorni… Proprio per questo il loro rapporto è ancora più particolare, credo… e proprio per questo non è facile che evolva velocemente! ;)
Grazie ancora, continua a seguirmi se ti va…


Finito anche questo. Grazie mille a chi ha letto e a chi leggerà, un milione di grazie a chi recensirà (trallallero trallallà)!
Alla prossima… Besos!

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Capitolo 14
*** Capitolo XI ***



Capitolo XI




Zoe percorreva con grandi falcate il corridoio del suo appartamento di Padova.
Avanti, indietro, avanti, indietro, avanti e indietro.
Ogni tanto si fermava qualche secondo, si passava una mano sugli occhi o sulla fronte, dimostrando una certa agitazione, controllava il cellulare e sospirava frustrata. Possibile che Aurora fosse scomparsa proprio ora che aveva estremamente bisogno di lei? Era tutta la mattina che cercava di contattarla, dove diavolo era finita? Ok, era mercoledì: probabile che fosse a lezione… Ma dove aveva lasciato il telefono, maledizione?
Oltretutto anche le sue coinquiline erano fuori, ovviamente. E Zoe non sapeva nemmeno se fosse il caso di parlare con loro di quella cosa. No, aveva decisamente bisogno di parlarne con Aurora: lei la conosceva meglio, avrebbe saputo come tranquillizzarla…
Tranquillizzarsi, ecco. Doveva tranquillizzarsi. La ragazza si sedette sul divano e respirò a fondo. Alla fin fine, non era ancora successo nulla di irrisolvibile. Sapeva che se ne avesse parlato con qualcuno la questione sarebbe probabilmente sfumata: era solo lei che si faceva troppi problemi…
Giacomo. Il nome del suo amico leccese le venne in mente d’istinto, ma lei tentò di ricacciarlo indietro. Era giusto chiamare lui, renderlo partecipe di una faccenda con la quale non c’entrava?
Forse no, era meglio lasciarlo in pace. E poi l’avrebbe disturbato per niente, sapeva anche lei che si trattava di una sciocchezza.
Sospirò nuovamente. Sì, era una sciocchezza, ma lei sentiva il bisogno di parlarne con qualcuno. E dato che Aurora era irrintracciabile – e non l’avrebbe passata liscia per questo, diamine! – l’unica altra persona che potesse ascoltarla era, forse, proprio il salentino.
Dopo qualche altro minuto di riflessione, Zoe si decise e, non senza residue titubanze, cercò in rubrica il nome che le serviva.
D’altra parte, com’era quel detto? I veri amici si vedono nel momento del bisogno?

Giacomo, in quegli stessi minuti, si trovava nel proprio alloggio di Milano e si stava preparando per uscire. Il suo cellulare squillò mentre prendeva le chiavi della macchina – un mezzo rottame che si dividevano lui, Niccolò e Giorgio quand’erano nel capoluogo lombardo – e si dirigeva verso l’uscio del modesto appartamento.
“Zoe?” rispose dopo aver visto il nome sullo schermo, mentre si chiudeva la porta alle spalle. “Come stai?”
Erano passate poco più di due settimane dal compleanno della ragazza e, da dopo quella data, i loro rapporti erano diventati decisamente più allegri e distesi: si sentivano spesso e volentieri, anche solo per raccontarsi a vicenda qualche aneddoto stupido o prendersi in giro l’un l’altra, come facevano prima della loro “rottura” estiva.
“Ehm… bene, credo,” rispose lei titubante. “Hai cinque minuti o ti disturbo?”
“No, non disturbi. È tutto apposto?” Giacomo, ovviamente, aveva colto l’incertezza nella voce di lei e voleva comprenderne il motivo.
“Più o meno,” fece Zoe, piano. Poi prese il coraggio a due mani e continuò. “Ho un ritardo.”
Giacomo, intento a raccogliere le chiavi dell’auto che gli erano cadute proprio quando era arrivato di fronte a essa e, intanto, a tenere il telefono attaccato all’orecchio, percepì solo una parte del messaggio dell’amica. Così, rispose tranquillamente, alzando le spalle.
“Sai che novità…”
La ragazza fece un silenzio di qualche secondo.
“Zò?” la chiamò lui, mentre si sedeva in macchina, senza però partire.
“Giacomo, penso che tu non abbia colto bene quello che ti ho appena detto. Ho un ritardo, non sono in ritardo,” ritentò lei, ora più chiaramente.
Lui rimase di stucco, immobile nell’auto. “Cioè… nel senso che sei…” Non sapeva neanche come concludere la frase.
Zoe sbuffò. “Sì, nel senso che non mi è venuto il ciclo. Ti serve un disegnino, per caso?” Non riusciva a evitare il sarcasmo nemmeno in una situazione come quella, nonostante la preoccupazione che la attanagliava.
“No, cioè…” Giacomo si grattò la fronte, perplesso: sentiva una strana sensazione di vuoto allo stomaco e non capiva cosa gli stesse succedendo. “Ma tu e Andrea vi… Voglio dire, voi andate a letto insieme?”
Capì di essere stato inopportuno – e forse anche eccessivamente stupido – prima che la risposta di Zoe gli arrivasse forte e chiara.
“Secondo te?” esplose infatti la ragazza. “Ti sembrano domande da fare? Io e Andrea stiamo insieme da mesi, ormai… Pensi che giochiamo tutto il tempo a ramino?”
“Non me l’avevi detto. E comunque credevo che non fossi innamorata di lui.”
“Che c’entra? Non sono mica una suora di clausura!”
“A quanto pare…” borbottò Giacomo, atono.
“E con questo cosa vorresti dire?” Zoe, invece, cominciava a essere piuttosto nervosa.
Il ragazzo, allora, tentò di calmare la sensazione di fastidio – per cosa, poi? – che percepiva dentro e di risultare più accomodante.
“Niente, senti… Di quant’è questo ritardo?” chiese, sperando per il meglio.
“Oggi è il trentesimo giorno.”
“Trenta giorni di ritardo?” Giacomo si sentì usare una voce lievemente isterica.
“No,” sbuffò lei, “oggi è il trentesimo giorno dallo scorso ciclo.”
“Ah,” espirò il ragazzo, decisamente sollevato, “allora sono solo un paio di giorni, puoi stare tranquilla…”
“Per quanto mi sembri assurdo parlare con te di questo genere cose, purtroppo devo farlo,” confessò Zoe, la cui voce sembrava quella di una persona sull’orlo di una crisi di nervi. “Quindi ascoltami bene, perché non lo ripeterò un’altra volta: il mio ciclo è sempre di ventiquattro o al massimo venticinque giorni, mai di più. Questo ritardo è consistente, per me.”
“Ah,” ripeté il ragazzo, con un’intonazione ben diversa da quella precedente. Come faceva a rassicurare lei se neanche lui stesso si sentiva del tutto calmo e sereno? Tentò comunque di risultare pacato. “Dai, Molinari, sono sicuro che non è nulla… Immagino che sarete sempre stati attenti, coi contraccettivi e tutto il resto, non puoi di certo essere incinta…”
Il silenzio che gli arrivò dalla cornetta fu espressivo più di mille parole: Giacomo ebbe l’impressione che gli avessero appena lanciato addosso un enorme secchiata d’acqua gelida. A quel punto non riuscì più a trattenersi.
“Stai scherzando, spero,” sbottò quindi, secco.
“È successo una volta sola, dopo il mio compleanno,” pigolò Zoe, con la voce tremante.
Giacomo però non riuscì nemmeno a sentirsi in pena per lei: era infastidito e non riusciva a celarlo.
“Lo sai, sì, che basta una volta per mettere su famiglia?”
“Ma…”
Lui la interruppe, con un’ultima minuscola speranza. “Non prendi neanche la pillola?”
“Non l’ho mai presa.”
“Fossi in te comincerei dopo quest’esperienza, sempre che non sia troppo tardi.” Non sapeva neanche da dove gli usciva, tutta quell’amarezza. “Cioè… non ci posso credere che voi… che non…”
Stavolta fu lei a bloccarlo. “Non è che sia proprio successo… Una sera avevamo bevuto un po’ ma… In teoria non dovrei poter essere incinta, io…” balbettò, incerta.
In teoria?” sbraitò Giacomo, praticamente fuori di sé. “Zoe, ma ti rendi conto di quello che dici?”
Lei cercò di spiegarsi, ma era imbarazzata, triste e turbata. “Non è stato un rapporto che… Nel senso, sì, ma…”
“Non mi interessa che cavolo avete fatto, Molinari, certi metodi contraccettivi fanno acqua da tutte le parti e, se non lo sapessi, non si usano più!” Ispirò forte, ma non riusciva a essere lucido. “Porca vacca, poi pretendi che ti si tratti da adulta ma… Dio santo, Zoe, sei un’irresponsabile, sei! Adesso cosa credi di fare?”
“Non lo so,” disse la ragazza, sincera, dopodiché il suo tono trovò nuovamente il piglio deciso di sempre, come se si fosse resa conto di star subendo un torto da chi non avrebbe dovuto farglielo. “In realtà, Pioggia, cercavo solo un po’ di comprensione, ma è evidente che ho sbagliato persona.”
“Cosa speravi che ti dicessi?” continuò lui, quasi urlando nel telefono che stringeva ormai convulsamente tra le mani. “Che lo zio Giacomo ci sarà per il vostro figlioletto adorato? O che l’amico salentino ti accompagnerà ad abortire alla clinica?”
“No,” urlava anche lei, ora, “speravo solo che mi capissi, ecco cosa. Invece grazie a te sto peggio di prima, fanculo!” inveì più contro se stessa che contro l’amico.
“Beh, se cerchi un appoggio per tutte le cazzate che fai, non sarò certo io a dartelo.”
“Grazie, sai. A mai più.”
Zoe gli riattaccò il telefono in faccia e Giacomo scagliò con forza il cellulare sul sedile del passeggero. Che andasse al diavolo anche lei e la sua mania di non ammettere mai quando sbagliava.
Inserì le chiavi nel quadro, accese il motore e, manovrando volante e cambio con una rabbia per lui inconsueta, uscì dal parcheggio con gli occhi che mandavano scintille in ogni direzione e la testa ancora da un’altra parte.

Dopo aver finito la conversazione con Giacomo – che era presto salita in vetta alla classifica delle telefonate peggiori della sua vita – Zoe era sconvolta, stanca e, ovviamente, nera di rabbia. Si lasciò ricadere nuovamente sul divano, dal quale si era alzata prima, mentre sbraitava contro il demente che aveva avuto la pessima idea di chiamare.
Decisamente una pessima idea, sì, pensò sospirando e passandosi una mano sugli occhi, spossata. Non si sarebbe mai aspettata una reazione di quel tipo: era eccessiva per Giacomo ed era eccessiva per una qualunque persona sana di mente sulla faccia della terra.
Senza contare che loro due – si era già visto – non erano capaci di litigare senza conseguenze semi-disastrose: l’ultima volta non si erano praticamente parlati per dei mesi. Sarebbe successo di nuovo? Zoe, in quel momento, pensava che, per quanto la riguardava, Giacomo potesse benissimo andare al diavolo. Di certo, quindi, non aveva intenzione di sentirlo tanto presto: aveva esagerato e ne avrebbe pagato le conseguenze. Doveva strisciare da lei per scusarsi se voleva che lo perdonasse, e che diamine.
Poco dopo, il telefono di Zoe squillò. La ragazza fece un sospiro di sollievo appena lesse sul display che a chiamarla non era di nuovo l’idiota, ma Aurora. Anche lei, comunque, aveva qualcosa da farsi perdonare e Zoe si premurò di farglielo notare non appena rispose.
“Dove diavolo eri finita? Ti ho cercato fino a cinque minuti fa!”
“Ehi ehi calma!” le intimò Aurora, sentendola più agitata del normale. “Ero a lezione, ho guardato il telefono solo adesso… Ma è successo qualcosa?”
“Sì,” grugnì l’altra, ancora furiosa, “ho litigato con quell’imbecille di Pioggia.”
“E mi chiamavi per questo?”
“No, ti chiamavo perché volevo evitare di telefonare a lui e dovevo parlare con qualcuno. Poi, sai com’è, se la mia migliore amica risulta scomparsa, dovrò pur trovare una soluzione… Ma tale soluzione si è dimostrata peggiore del problema.”
“Spiegati meglio, tesoro, non ho capito un’acca.”
“Ho un ritardo.” Zoe andò subito al punto, con tono secco.
Cosa?!” urlò Aurora, stupita: a differenza di Giacomo, aveva capito immediatamente di cosa stesse parlando l’amica. “Ma è possibile…?” chiese, lasciando il resto della domanda in sospeso.
“Sì, è possibile,” annuì l’altra, mogia, “purtroppo lo è.”
Aurora, a quel punto, comprese che era il caso di rassicurarla. “Vedrai che non è nulla, Life, sono sicura. Voglio dire, può capitare a chiunque di avere un ritardo di qualche giorno sulla tabella di marcia, a me capita spessissimo. Poi se sei agitata è ancora peggio, sai…”
“Sì, lo so. Se fossi tranquilla probabilmente mi sarebbe già venuto.”
“Infatti,” annuì l’altra, quasi materna. Dopodiché, le sovvenne un particolare che aveva dimenticato. “E che c’entra Giacomo in tutto questo, scusa? È lui il probabile padre e non mi hai detto niente?”
“Non dire cretinate, va’ là, che non sono in vena. L’ho chiamato perché non ti trovavo e lui invece di aiutarmi mi ha praticamente urlato dietro, ecco che c’entra.”
“Urlato dietro?”
Zoe raccontò all’amica la discussione appena avuto col salentino quasi per filo e per segno, ancora arrabbiata per quello che le aveva detto. Alla fine, Aurora poté commentare solo con una parola.
“Però.”
Però un cavolo! È un idiota di prima categoria… E io che pensavo di potermi fidare di lui!”
“Tu ti fidi già di lui, sennò non l’avresti mai chiamato per dirgli una cosa del genere.”
Mi fidavo,” la corresse Zoe, “ora ho capito che non ne vale la pena.”
“Ma che cavolate dici? Lo sai anche tu che non è vero.”
“Beh, si è comportato male…” insistette, convinta. “Ma ti rendi conto? Mi ha detto che sono immatura e irresponsabile solo per… per una cosa che può succedere a chiunque! Se vuole che lo perdoni deve sparare i fuochi d’artificio questa volta.”
“Life, magari era solo un po’ geloso… Sai che è sempre stato abbastanza protettivo nei tuoi confronti…” tentò di convincerla l’amica.
“Macché geloso e protettivo! Ogni volta con questa scusa può permettersi di dirmi tutto quello che gli passa per la testa senza aspettarsi delle conseguenze?”
“No, però…”
“Comunque,” la troncò subito Zoe, “il mio problema principale non è certo quel cretino, adesso. Lui mi ha solo fatto innervosire più di quanto non lo fossi già.”
“Il ritardo secondo me non è un problema, vedrai che qualunque cosa sia la risolveremo. La reazione di Giacomo, però devi ammetterlo, è perlomeno sospetta…”
“Ma chi se ne frega della reazione di Pioggia!”
Aurora la assecondò. “Va bene, chi se ne frega. In effetti secondo me la domanda fondamentale è un’altra, tesoro.”
“Quale?”
“Hai detto ad Andrea del ritardo?”
Zoe ammutolì, colpita. “No, aspettavo che…”
“E perché quando non mi hai trovata il primo nome che ti è venuto in mente è stato proprio quello di Giacomo e non hai pensato al tuo ragazzo?”

Pochi minuti dopo, Zoe stava riflettendo sulle domande dell’amica, domande a cui lei non aveva saputo rispondere, casa che la innervosiva ancora di più. In quel momento, il suo cellulare squillò allegramente un’altra volta.
Ancora? pensò lei, ormai stufa di tenere l’apparecchio attaccato all’orecchio. Se è l’idiota si può anche scordare che gli risponda.
Comunque, spinta dalla curiosità, guardò lo schermo per capire chi la stesse cercando e si stupì non poco di quello che vi lesse. Niccolò.
Che Pioggia avesse convinto il suo amico a intercedere per lui e tentare di rabbonirla? Non gli sembrava il tipo di persona che facesse cose del genere e, in ogni caso, era quantomeno strano che Giacomo si fosse già calmato e pentito delle sue parole. Il modo migliore per svelare l’arcano era, ad ogni modo, rispondere alla telefonata e così Zoe, seppur di malavoglia, lo fece.
“Pronto.” Le uscì più come una seccata affermazione che come una domanda e il ragazzo, accorgendosene, tentennò.
“Zoe?”
“Niccolò,” rispose lei, riconoscendo la voce all’istante. Incredibilmente, per un attimo, aveva quasi sperato che fosse Giacomo a chiamarla – per scusarsi, ovvio – e che lo facesse dal numero del suo amico per indurla a rispondere.
“Sì, sono io…” Il tono del ragazzo era strano e Zoe lo percepì da subito, ma non cambiò atteggiamento.
“Che c’è?” chiese infatti, con un’inflessione un po’ sgarbata.
“Sei a casa?”
La giovane sbuffò. “Sì, a Padova. Mi cerchi per un motivo in particolare?” domandò sbrigativa. Immaginava che Giacomo in qualche modo c’entrasse con quella chiamata e non aveva intenzione di perdere ulteriore tempo con le sue idiozie, qualsiasi esse fossero.
“Sì… È per Giacomo.”
Zoe sbuffò di nuovo, scocciata. “Dimmi.”
“Lui è…” Niccolò deglutì e prese fiato, evidentemente in difficoltà, poi continuò, tutto d’un colpo. “Ha appena fatto un incidente in macchina, lo stanno portando in ospedale.”
A Zoe, improvvisamente, mancò il respiro e si gelò il sangue nelle vene. Niccolò, non sentendola più, la chiamò, incerto.
“Ci sei?”
“Dove?” chiese lei, con un filo di voce.
“Come dici?”
“Dov’è? In che ospedale lo portano?”
Niccolò le diede velocemente le informazioni necessarie e lei le annotò nel cervello.
“Arrivo prima che posso,” disse solo, alla fine.
Il ragazzo tentò di fermarla. “Zoe, non penso sia una buona idea, non credo sia niente di troppo grave sennò lo saprei, immagino. Cioè, spero… Ma se ci sono novità importanti te le faccio sapere, ok? … Zoe?”
Ma si accorse subito di aver sprecato fiato inutilmente perché lei aveva interrotto la comunicazione già da qualche secondo e, senza riuscire a pensare a niente, era uscita di casa veloce come un fulmine.














Incredibile ma vero, sono qui!! :D
Gente di poca fede, tzè! Avevo promesso di pubblicare entro le due settimane e sono passati dodici giorni, quindi sono in perfetto orario! Non ci speravate, eh? ;) Un po’ avevate ragione, a dirla tutta… Ultimamente sono una frana…
Lo so, lo so che questo capitolo è ben più corto di quello precedente, ma era già previsto che fosse strutturato in questo modo. E vi dirò di più! Il prossimo dovrebbe arrivare anch’esso in tempi relativamente brevi, perché è uno di quelli in prima persona, quindi…
Non sto a rompervi tanto, non è un bel momento e comunque ci sentiremo presto, spero… Volevo dirvi due o tre cose sui personaggi – se a qualcuno interessano – ma sarà per la prossima volta.
Passo directly alle risposte personali, va’, che è meglio (direbbe Puffo Quattrocchi).

freeze: Se dicendo che non ricordavi più la storia tentavi di farmi sentire in colpa per il ritardo, beh… ci sei riuscita! -.- … :) No sul serio, capisco che vuoi dire, anche a me capita con altri autori che seguo e non è bello… Infatti non mi piace farvi aspettare e sto tentando di darmi una regolata… Si vede? ;)
Poi… Sì, è riduttivo dire che la differenza tra amore e amicizia è l’attrazione fisica: infatti non mi pare di aver detto così. Credo. Cioè, potrei essermi spiegata male (mooolto facile), quindi ora ci ritento e speriamo bene! Dunque, dicevo: nell’amicizia c’è un affetto molto forte ma l’amore è qualcosa si diverso. C’è l’attrazione fisica, ovviamente, ma c’è anche qualcos’altro: è una sensazione difficile da spiegare a parole, la si sente è basta, credo. Ha a che fare con il modo in cui ti si annodano le viscere quando sei innamorato e pensi alla persona che ti piace… Ed è come dici tu: se un amico è solo un amico lo sai da subito, sai che non potresti andare oltre al semplice rapporto di amicizia con lui e non solo per l’attrazione fisica: puoi essere attratta fisicamente da un tuo amico ma questo non vuol dire che provi qualcosa per lui…
C’è solo una cosa che non condivido della tua visione, ma magari sbaglio io. A volte non è facile ammettere con noi stessi determinati sentimenti o sensazioni. Certo, spesso chi dice “non so cosa provo” o simili è ipocrita, ma lo è in primis con se stesso. I meccanismi di rimozione dell’essere umano sono infidi e complicati: ci sono delle volte in cui ci risulta semplice accettare quello che proviamo senza tanti problemi, altre volte invece ci facciamo troppi problemi per il nulla e rendiamo difficili delle cose che in realtà sarebbero semplicissime…
Zoe e Giacomo adesso sono amici, sì, ma lui a volte ha delle reazioni inconsulte con lei, quindi magari qualcosa di strano c’è… I conti li lascio fare a voi, ti posso solo dire che uno dei motivi per cui Zoe non ne vuole sapere di una relazione con Giacomo, oltre al fatto che non vuole rovinare una bella amicizia, è la distanza, anche fisica, che li separa. A qualcuno potrà sembrare stupido, ma io credo che ci penserei prima di buttarmi in rapporto del genere…
E hai indovinato: sono sadica! Eheheh! :) E lo sarò sempre di più: altro che compleanni, rovinerò loro tutte le feste!! ^_^ No, sto scherzando… In realtà il fatto dei compleanni non è casuale: se ci pensi i due piccioncini vivono piuttosto lontani e non è scontato che si vedano spesso… Per questo è normale (credo) che le cose accadano sempre nei momenti “festivi” più importanti, cioè quando hanno la possibilità di vedersi. Anche in futuro potrebbe essere così…
Basta, ho detto abbastanza! XD Viola ringrazia per il tuo amore e ti dà appuntamento ai prossimi capitoli… Bye!

machi: Holitas a te! Noto sempre i nuovi lettori/commentatori, specialmente se mi riempiono di complimenti come te! ;) Grazie, sul serio, non penso di meritarmeli tutti. Sono contenta soprattutto che trovi coerente il mio modo di delineare i personaggi perché ogni tanto ho paura di esagerare o modificarli o che ne so, e sapere che risultano bene ai lettori è bellissimo! Se hai anche delle critiche da farmi sappi che saranno sempre benaccette, davvero… Anche per sapere cosa sbaglio, cosa potrei migliorare: so di non essere per niente perfetta, quindi…!
Per le recensioni… Non sto sempre lì a contarle: ovvio che mi fa stra-piacere quando sono tante: faccio i salti di gioia sulla sedia, vado in giro con un sorriso da un orecchio all’altro, eccetera eccetera… Soprattutto, come dici tu, vorrei sapere l’opinione di chi legge, anche se è negativa, ma, ahimè, so che non tutti possono o vogliono farlo, quindi sono già contenta di vedere che c’è qualcuno che vuole sprecare cinque minuti del suo tempo per recensire! D’altra parte finché ci sarà anche un solo lettore continuerò a scrivere la storia, come minimo per rispetto nei suoi confronti…
Che altro dire? Ancora mille grazie per i complimenti e in bocca al lupo per l’università!!
Alla prossima (spero!).

Maka27: Grazie per la comprensione sul ritardo… ^_^ Spero in compenso di essere migliorata stavolta, ma mi pare decisamente di sì (con i tempi almeno)!
Tu dici che Zoe è gelosa? Mah, in parte sì… Forse un pizzico di gelosia c’è ed è normale… Ma per il momento è ancora una cosa più complicata di così… La ragazza non è mica tanto normale, eh! Più che altro si è sentita messa da parte, presa in giro, e non le è piaciuto… Comunque è giusto che ogni lettore dia la sua interpretazione e io trovo fantastico che ognuna di voi veda le cose in maniera un po’ diversa! Quindi, chissà, potresti anche aver ragione tu… ;) Si vedrà!

pirilla88: Sei una grande, sul serio! :D Mi fai sbellicare ogni volta con le tue recensioni, l’ho già detto?? Mamma mia, quanto hai ragione: Zoe e Giacomo sono la regina e il re del Paese dei Rincoglioniti! Ma che ci posso io?? Se sono stupidi, sono stupidi, mica è colpa mia!!
E Giacomo e Romina? Come mai non ti piacciono?! :P Ti posso rassicurare sul fatto che non durerà ancora molto, anche perché lui in effetti non è che sia chissà che interessato… Questo piacere (eliminare Romina) credo di potertelo fare, sì! :)
Per Zoe, con Andrea, invece è diverso: non ne è innamorata ma ci tiene davvero a lui, sta bene in sua compagnia, eccetera… Ma anche qua le cose sono destinate a trovare rapidamente il giusto equilibrio, vedrai… Zoe comunque ha bisogno di qualcuno che le faccia battere davvero il cuore (e spero non mi ucciderai per questo): chi sarà?
Cosa ne pensi di questo capitolo, invece? Che bello, sono riuscita a farli litigare di nuovo!! Sono cattivissima, lo so, è più forte di me! Dimmi se mi odi per questo!
Ciao ciao e a presto!
PS: La svolta che vuoi tu… se ho ben capito… beh, diciamo che nel giro di due o tre capitoli dovrebbe arrivare. Lo so che sembra tanto ma la pazienza è la virtù dei forti! Coraggio! :)

Finito. See you soon. Bye bye. ;)

NB: Ovviamente ogni recensione è più che benaccetta! Anche perché questo capitolo non l’ho ricontrollato milioni di volte come al solito, quindi se avete errori, cavolate o incongruenze da farmi notare ve ne sarei grata. O come volete, insomma! Grazie ancora a chi recensisce…

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Capitolo 15
*** ZOE 2 ***



ZOE 2




Non riesco a pensare a molto mentre sto correndo, guardando a malapena chi mi passa accanto. Ma stavolta non è per uno stupido ritardo né per il mio stupido ritardo, no.
Se penso che abbiamo litigato, di nuovo, per una cretinata così grande, e che poi lui… che Giacomo poi si è messo al volante, arrabbiato con me, forse poco lucido per colpa di quello che ci eravamo appena detti.
E non posso fare a meno di pensare che magari è anche colpa mia. Non mi piace credermi al centro dell’universo, ma noi avevamo litigato da pochi minuti, quand’è successo, e se lui era scosso almeno la metà di quanto lo ero io, beh, era meglio che non si mettesse a guidare.
Quel coglione. Non doveva dirmi quelle cose, non doveva portarmi a litigare con lui, non doveva guidare subito dopo la nostra discussione.
Ecco. Riesco a essere arrabbiata con lui anche dopo una cosa del genere, quand’è ovvio che dovrei prendermela solo con me stessa. E in effetti sono incazzata nera con me stessa.
Perché non potrei mai perdonarmi se gli fosse successo qualcosa. Non potrei mai perdonarmi, perché non gli ho mai fatto capire quanto effettivamente ci tengo a lui, anche se a volte non sembra. Non potrei perdonarmelo.
E non riesco a pensare ad altro mentre entro quasi correndo in quest’enorme ospedale – e spero sia quello giusto, perché non ho potuto sentire di nuovo Niccolò, dato che il mio cellulare aveva la batteria scarica e mi ha abbandonato, spegnendosi, poco dopo la mia partenza in fretta e furia.
Non riesco a pensare ad altro, solo che voglio vederlo di nuovo, sentire la sua voce, sapere che sta bene.

Sono dentro all’ospedale e mi guardo intorno, spaesata. Mi rendo conto di non sapere da che parte muovermi, in effetti. All’improvviso mi compare nel raggio visivo una faccia conosciuta.
“Niccolò!”
Prima di prendere il treno e prima che il mio cellulare si spegnesse definitivamente gli ho mandato un messaggio con scritto l’orario in cui sarei arrivata a Milano, quindi è probabile che mi stesse aspettando apposta qui all’entrata.
“Zoe!” Il suo volto sembra preoccupato e ciò non è positivo. “Come mai non hai risposto ai messaggi? Mi hai fatt-”
“Dov’è?” lo interrompo senza troppi convenevoli, dirigendomi con passo svelto verso gli ascensori. La sua espressione allarmata mi ha turbata ancora di più. Cazzo.
“Su, al settimo piano.”
“Ok.”
Perché questo diavolo di affare non arriva seduta stante? Schiaccio a ripetizione il pulsante per la chiamata dell’ascensore, nervosa come un animale un gabbia.
“Vado a prendere un caffè,” mi avvisa Niccolò. “Lo vuoi?”
Gli rispondo con una scrollata di spalle, dopodiché mi fiondo nel primo ascensore che arriva e premo il tasto del piano sette.
Niccolò mi guarda spaesato, mentre le porte si chiudono davanti a me. “Zoe, ma non hai letto i miei messaggi? Guarda che…”
Ma non fa in tempo a finire perché l’ascensore intanto parte e l’ultimo pezzo della sua frase mi resta inudibile.
Chissà cosa voleva dirmi. Guarda che Giacomo è sotto ai ferri chirurgici, è inutile che corri di sopra? Guarda che è in coma? Merda, meglio non pensarci.
Sta bene. Stabenestabenestabenestabene.
Speriamo, cavolo. La mia natura catastrofista e pessimista, purtroppo, mi suggerisce tutt’altro. E sarebbe colpa mia. E non me lo perdonerei mai.
Esco dall’ascensore e imbocco il primo corridoio che mi capita, sperando di azzeccare. No, qua sono tutti anziani e col catetere, credo proprio di aver sbagliato; torno indietro ed entro in un altro reparto, dimenticandomi nuovamente di leggere l’insegna all’ingresso.
Pioggia, dove diavolo sei?
Mi sale l’ansia e guardo spasmodicamente dentro ogni stanza, beccandomi anche qualche occhiataccia di rimando. Sto per decidermi a chiedere informazioni a un’infermiera o a chiunque mi capiti sotto tiro quando, finalmente, sento la sua voce sorpresa che proviene da un punto imprecisato alla mia sinistra.
“Molinari!”
E il mio cuore fa un balzo.
















Lo so che può sembrare incredibile ai più, eppure here I am!
Capitolo breve: beh, vi avevo già avvisato… o no? Mi pareva di avervi avvisato! :) Comunque siccome era da un po’ che non arrivava, dovevate aspettarvelo! E siccome sto (quasi) diventando diligente, ho anche già scritto una parte del prossimo capitolo, onde evitare di pubblicarlo tra sei mesi, magari. Eddai, non fate quelle facce, in realtà mi sento abbastanza ispirata… Abbastanza…

Coooomunque, sapete che giorno è oggi? Ok, immagino che a voi non ve ne possa fregare di meno, ma ve lo dico lo stesso: esattamente un anno fa ho cominciato a pubblicare questa pappardella di storia infinita. Tanti auguri a te! :D E rassicuro: spero proprio di non metterci un altro anno intero a finirla, anche perché proprio ora stanno cominciando i primi colpi di scena (si fa per dire) e spero che il tutto diventi più interessante anche per me, oltre che per voi, ovviamente…

Piccola considerazione: la nostra carissima Zoe è piena di difetti, è vero, e sono la prima a dirlo, ma non prendetela per una pazza sconsiderata per la storia del ritardo. Giacomo ha i suoi buoni motivi per sgridarla, anche se è un uomo e non le capisce del tutto queste cose, infatti Aurora reagisce in modo totalmente diverso. Comunque, quello che intendevo dire è: sono cose che succedono. Un ritardo può essere normalissimo per una ragazza di quell’età, soprattutto se è agitata o molto preoccupata per un qualsiasi motivo e, come dice anche Aurora (santa donna!), forse se Zoe non fosse così in ansia le sarebbe già venuto il ciclo… O no?? XD Lo scopriremo nel prossimo capitolo!

Inserisco inoltre qui una piccola richiesta di elemosina recensioni, specialmente mi rivolgo a chi ha messo la mia storia tra i preferiti o le seguite e non ha il coraggio/la voglia di scrivere due righe di commento. Una recensione può fare tanto, davvero, anche se non sembra! Più che altro sennò non mi spiego tutte le seguite: vuol dire che mi seguite con la mazza chiodata in mano sperando di raggiungermi e uccidermi perché la storia fa schifo? Fa niente, ditemelo lo stesso! ;)

Passo alle risposte personali ringraziando specialmente chi ha avuto l’ardore di seguirmi da un anno intero, cioè da quando ho iniziato la storia, e mi seguirà fino alla fine… del mondo?!


machi: Ma scherzi?? Guarda che due settimane per un aggiornamento per i miei standard sono anche pochi!! Mi dispiace che tu debba scoprirlo in maniera tanto brutale (!), ma ti avviso che non sono un’autrice modello che pubblica ogni due giorni… anche se mi piacerebbe avere il tempo per farlo! ;) Spero continuerai a seguirmi lo stesso, io giuro che tenterò di migliorare nel frattempo!
Per il resto… Se questo è amore sicuramente è molto litigarello come puoi vedere! E lo sarà anche in futuro (e qui mi tappo la bocca onde evitare spoiler peggiori)… Quindi se è litigarello è anche molto bello? XD Ahah, speriamo! Scusa per le cavolate che scrivo, oggi sono fusa!
Sul dialogo tra Zoe e Niccolò ti devo dare ragione: neanch’io lo trovo convincente al cento percento, ma a me convince sempre molto poco di quello che scrivo, quindi… Se capisci cos’ha che non ti convince fammelo pure sapere così magari lo capisco anch’io… e non sarebbe male! :)
Spero che il capitolo corto non ti abbia deluso, fammi comunque sapere che ne pensi, anche gli insulti mi raccomando! :) Alla prossima…

mary whitlock: Che bello! Certo che considero un onore il fatto che non ha mai fatto una recensione così lunga! E non è un mattone, anzi: più lunghe sono le recensioni più mi piace leggerle, perché vuol dire che ho lasciato davvero qualcosa da commentare al lettore e credo sia positivo.
I tuoi complimenti, poi, sono i migliori che potessi ricevere, davvero. Lo dico sempre: la cosa più bella che mi si possa dire è che i personaggi sono ben delineati, perché è una delle parti che mi sforzo di più a creare… quindi grazie mille! E poi hai detto che la tua parte preferita è quella della telefonata tra Giacomo e Zoe: ecco, ti confesso che – nonostante io sia raramente soddisfatta di quello che scrivo – quella parte è anche una delle mie preferite. Mi sono divertita un sacco a scriverla: oltretutto mi ricordo di averla anche scritta prima a mano, su un foglio all’università. Ed ero consapevole della demenza della conversazione, ma mi piaceva per quello!! :D Hai indovinato, amo usare l’ironia, penso che il mondo sarebbe molto meno colorato senza… e la ficco dove posso…!
Meno male che c’è qualcuno a cui Andrea non sta antipatico! Io lo adoro! Sarà perché nella storia l’ho descritto poco, mentre invece me lo sono ben immaginato in testa… e mi piace! Comunque… se non è lui… ma chi sarà mai questo ragazzo giusto per Zoe?? XD Ahah, sono sadica, lo so! ;) Ma i colpi di scena non sono finiti…
Infine volevo avvisarti che, sì, la tragedia mi piace moderatamente (soprattutto la tragedia greca, lo ammetto) ma che avrai notato che questa storia ha come genere “Commedia” quindi… anche se con questo capitolo non ho risolto del tutto la situazione… beh, diciamo che puoi dormire sonni tranquilli e che nessuno morirà, perlomeno! ;)
Fatti sentire ancora! A presto…

pirilla88: Eh sì, go go go Giacomo go, ma in realtà quel ragazzo è ben più addormentato di quanto possa sembrare finora! Che si sveglino un po’, tutti e due! (Mi sto criticando da sola? Ebbene sì!)
Lo dico anche a te, non crocifiggere Zoe per la storia del ritardo: voglio dire, è una cosa che può succedere e se Giacomo ha reagito così di certo non è solo perché ha paura di diventare zio prematuramente! ;) Mi sa che c'è qualcosa sotto

Le altre cose le hai azzeccate, circa. Il fatto che Zoe non abbia minimamente pensato di contattare Andrea è significativo, e nel prossimo capitolo ci rifletterà anche lei stessa… e dovrà trovare una soluzione. E anche la reazione all’incidente non è proprio casuale: Zoe si rende finalmente conto di tenerci davvero a quell’altro zuccone? Sì, come hai detto anche tu, magari il criceto sta iniziando a correre a una velocità superiore ai 2 km/h… O no? Chissà… ;)
E siccome l’altra volta ti ho commossa (sigh) per la rapidità dell’aggiornamento, stavolta sbanco tutto e aggiorno in una settimana! Yeah! Ok, ok, è un capitolo del cavolo… prometto che la prossima volta arriverà qualcosina di un po’ più sostanzioso… e la volta dopo ancora la sostanza sarà anche di più! :)
Un bacione!


Ave a tutti voi (recensite!).
See you soon.

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Capitolo 16
*** Capitolo XII ***



Capitolo XII




“Molinari!”
Zoe si voltò di soprassalto, quasi spaventata da quello che avrebbe potuto vedere. Per un attimo credette pure di aver avuto un’allucinazione uditiva, temette di aver desiderato talmente tanto di sentire la voce di Giacomo, da udirla davvero, alla fine, ma solo nella sua testa, immaginandola.
Poi lo vide, in mezzo al corridoio, anche lui con un’espressione stupita sul volto, come se stesse guardando un fantasma o qualcuno che non avrebbe mai immaginato di vedere in quel momento. Ma il ragazzo, nonostante la sorpresa evidente che trapelava dal suo viso, parlò per primo.
“Cosa ci fai qui?”
E a quel punto Zoe notò alcune cose che, nell’assurdità di quel momento, non aveva ancora visto: Giacomo era intatto, più o meno, a parte un vistoso collare e un cerotto sulla tempia; non era in fin di vita, non era in coma, non era in sedia a rotelle, non stava subendo una durissima operazione chirurgica, era in piedi e camminava da solo. E si ricordava di lei, quindi non aveva nemmeno perso la memoria, a rigor di logica.
Quindi, muovendosi istintivamente, corse verso di lui e gli si gettò addosso senza troppa grazia. Sembrava schizofrenica: prima lo abbracciò per qualche secondo per controllare che fosse vero, poi si staccò e verificò – con lo sguardo e con le mani – che tutte le parti del suo corpo fossero al loro posto.
“Stai bene?” gli chiese, ansiosa.
Infine, quando lui annuì confuso dalle sue attenzioni, cominciò a colpirlo convulsamente sul petto, con dei pugni neanche troppo controllati.
“Idiota!” lo insultava nel frattempo, sentendo la preoccupazione trasformarsi in rabbia e sollievo contemporaneamente. “Mi hai fatto prendere un colpo, hai idea? Prima mi urli dietro per telefono, poi vai in giro a fare il coglione con la macchina… Ma ti pare il caso?! Sei un cretino!”
“Ahio!” si lamentò Giacomo, quando subì un colpo particolarmente forte.
“Oddio, scusa, ti ho fatto male?” Lei tornò all’improvviso affettuosa e piena di premure, tanto che Giacomo pensò per un secondo che ad aver preso un brutto colpo in testa fosse la ragazza e non lui stesso.
“Ti fa male qui?” gli chiese lei, toccandogli una spalla.
“Un poco.”
Lei sembrò valutare la questione, dopodiché sbottò di nuovo. “Beh, un po’ te lo sei meritato e se… se non fosse che…”
Zoe sentì la propria voce spezzarsi e i propri occhi inumidirsi, e Giacomo, che non l’aveva mai vista così indifesa e non l’aveva mai, mai vista piangere prima, non ragionò due volte sul da farsi: la prese e la strinse a sé, vincendo le sue iniziali e deboli resistenze.
“Scusami,” mormorò il ragazzo, tirandola forte a sé. “Scusa,” ripeté più forte.
Zoe avrebbe voluto ripetergli che era un idiota, perché era lei che doveva della scuse a lui, non viceversa; avrebbe voluto confessargli che le dispiaceva per tutte le parole cattive che gli aveva sputato contro; avrebbe voluto dirgli che aveva ragione, che era un’irresponsabile bella e buona e che meritava le sue urla, non i suoi abbracci. Ma non lo fece. Non riuscì a farlo perché in quell’abbraccio – che pure Zoe riteneva di non meritare – stava bene come non le succedeva da tempo e perché quando aprì la bocca per parlare le uscì un singhiozzo, non richiesto, dalle labbra.
Tutta la tensione, che fino a quel momento si era accumulata nello stomaco, nel sangue, nelle tempie della ragazza, si sfogò così, dagli occhi, senza che lei lo volesse. Le lacrime arrivarono come un’onda improvvisa e involontaria: e Zoe non piangeva tanto facilmente, non in pubblico almeno. Si ritrovò ad aggrapparsi in un modo quasi febbrile alle felpa di lui, come se avesse paura di cadere, come se avesse bisogno di un appiglio sicuro.
E Giacomo, semplicemente, la tenne stretta: con la mano destra la spinse ad appoggiare la testa sulla sua spalla mentre con la sinistra le accarezzava la schiena con ampi circoli, quasi cullandola. La sentiva, contro di sé, scossa dai singhiozzi ma capiva che, al tempo stesso, la ragazza stava cercando di trattenersi, per vergogna o, magari, solo per abitudine: piangeva in silenzio, sottovoce, e nascondeva il volto con le mani strette a pugno sul suo petto.
Pian piano, l’onda passò, si ritirò di nuovo nella calma del mare aperto, e Zoe, prima di tornare completamente in sé, riuscì a parlare.
“No, devo chiederti io scusa.”
“Zoe, ti ho detto delle cose che non dovevo, non è colpa tua…”
“Ma dai, Giacomo, hai capito benissimo cosa intendo dire. Non farmi insistere con le scuse, che non è nel mio stile.”
Giacomo ridacchiò, accorgendosi che la giovane stava tornando del tutto se stessa, dopo quel momento di debolezza improvvisa. Le passò di nuovo la mano sulla schiena, sentendo che lei non aveva intenzione di spostarsi, poi la scostò un poco per lasciarle un bacio sulla guancia, dolce e leggero.
Fu proprio nel momento in cui Zoe alzò gli occhi per andare a incontrare lo sguardo caldo e rassicurante di lui, quello sguardo tenero e ironico che per delle lunghe ore aveva temuto di perdere, fu in quel momento che la ragazza capì di fidarsi completamente di lui come non si era mai fidata di nessun altro prima, forse. Per quello lo aveva chiamato, quella mattina, pur sapendo in cuor suo che il salentino non fosse la persona più adatta a risolverle il problema del ritardo; per quello lo cercava sempre, quando aveva bisogno di qualcosa. Giacomo ci era arrivato prima di lei, quando le aveva regalato il demo da ascoltare e quando poi, dopo che lei gli aveva detto cosa le piaceva e cosa non la convinceva della canzone, aveva seguito avidamente tutti i suoi consigli, come se la musicista fosse lei.
Ma il punto era che Zoe non avrebbe mai pianto sulla sua spalla se non si fosse fidata completamente di lui, e questo Giacomo lo capì in quell’esatto momento, quasi in contemporanea a lei che, guardandolo negli occhi con la consapevolezza che avrebbe potuto perderlo, sentì il proprio cuore mancare un battito in maniera distinta.
E in quello, ovviamente, arrivò Niccolò.
“Eccovi qua!” esclamò notandoli mentre scioglievano l’abbraccio. “Ho interrotto qualcosa?” chiese dubbioso, alzando un sopracciglio.
“No, figurati.” Zoe fu la più veloce a rispondere: aveva riacquistato in pochi attimi il suo tono e sperava, inutilmente, di non avere gli occhi arrossati dalle lacrime. “Adesso però vorrei sapere cos’è successo a questo mentecatto dato che mi sono fatta venire un mezzo infarto per nulla, a quanto pare.”
Niccolò rise. “Guarda che io ti avevo scritto che stava bene!”
“In treno mi si è spento il cellulare,” spiegò lei, “e la prima volta che mi hai chiamato non è che avessi un tono proprio rasserenante.”
“Avevano appena chiamato anche me dall’ospedale, ero agitato! Non mi avevano spiegato cos’era successo… Dovevo avvisare qualcuno, ma se avessi chiamato subito sua madre le sarebbe venuto un colpo.”
“Così hai pensato di farlo venire a me, il colpo.”
“Beh, sì.”
Zoe si accorse che Giacomo la fissava, un po’ sorpreso. “Che hai?”
“Eri davvero preoccupata per me?” La sua voce era a metà tra lo stupito e il gongolante, per cui Zoe si affrettò a incrociare le braccia al petto imbronciandosi, senza rispondere.
Lo fece Niccolò per lei. “Certo che lo era, sennò non sarebbe corsa qui come una furia!”
Il sorrisino di Giacomo si allargò, compiaciuto. “È perché mi vuoi tanto tanto tanto bene?”
“Ovvio che sì,” intervenne, di nuovo, il moro.
“Grazie Conte,” gli si rivolse Zoe, sarcastica. Poi si voltò verso l’altro, che non la smetteva di ghignare. “Tu hai preso davvero un brutto colpo alla testa, eh?”
“No, no. Più che altro al collo, col contraccolpo.”
“Alla testa, alla testa, te lo dico io…”

Mezz’ora più tardi, ovvero dopo aver dato e ricevuto le complete spiegazioni su quanto accaduto, i tre si stavano accingendo a uscire dall’ospedale, dal momento che Giacomo, dopo le visite necessarie, era stato dimesso con la sola raccomandazione di tenere il collare per una settimana e di stare a riposo quanto possibile. Quando furono nel grande parcheggio, videro avvicinarsi loro una ragazza con un sorriso vagamente timido.
“Hai chiamato anche lei?” domandò Giacomo all’amico, stupito.
“È la tua ragazza!” esclamò Niccolò, come a difendersi.
“Non proprio…” borbottò di rimando l’altro prima di sorridere gioviale e sporgersi verso Romina, che ormai li aveva raggiunti, per lasciarsi dare un bacio a stampo sulle labbra.
“Ciao!” salutò lei. “Niccolò mi ha chiamato qualche ora fa e mi ha detto dell’incidente ma mi ha anche fatto sapere che stavi bene… Insomma, più o meno, a parte il collare lì. Comunque sapendo che non era niente di grave sono arrivata ora che ho finito la lezione di Sociologia.”
“Con me il caro Conte non ha avuto quest’accortezza…” mugugnò Zoe, mettendo su il solito finto broncio.
Giacomo ridacchiò, Niccolò le dette una leggera spinta a cui lei reagì con un pugno scherzoso sul braccio. E Romina, vedendo quest’intesa fra i tre, rimase un po’ interdetta, dato che lei la ragazza castana – Zoe – nemmeno la conosceva. Giacomo se ne accorse e tentò di rimediare.
“Romina, lei è Zoe, una mia cara amica.”
Zoe notò, nell’ordine, tre cose: in primis il fatto che Giacomo l’aveva definita una cara amica, come se si conoscessero da un sacco di anni, cosa che effettivamente non era, ma dall’esterno poteva anche sembrare; in secondo luogo che il salentino aveva preferito non accostare al nome dell’altra alcuna etichetta – allora davvero non la considerava la sua ragazza? – né ulteriori dettagli; infine vide che Romina, mentre le stringeva la mano, la guardava leggermente stupita.
“Non mi hai mai parlato di lei, però…” disse infatti subito dopo a Giacomo.
“Credo di sì, invece,” rispose lui, “magari non ho mai detto il suo nome, ecco.”
“Vi conoscete da tanto tempo?”
Zoe scosse la testa sorridendo: come immaginava. “No,” rispose per lui, “da qualche mese.”
“Ma sei di Milano?” le chiese allora, direttamente, l’altra.
“Di vicino Mantova, ma studio a Padova.”
“Ah.” Romina sembrava decisamente confusa e Zoe provò a immaginare cosa si stesse chiedendo: come potevano conoscersi, dal momento che Giacomo era un leccese trapiantato a Milano?
“Ci siamo conosciuti in treno,” puntualizzò allora, ma decise di non andare oltre: se non sapeva niente di lei, probabilmente significava che Pioggia non le avesse detto niente, quindi non stava a lei informarla riguardo la loro amicizia.
Romina le sorrise amichevolmente e cominciò quindi a fare domande a raffica a Giacomo sull’incidente. Sembrava una ragazza cordiale, gentile e amorevole, fin troppo per essere una che aveva appena conosciuto un’amica femmina del suo quasi-ragazzo. Zoe la ammirò per la sua reazione pacata e per il sorriso caloroso che le aveva rivolto poco prima. Aveva capito che il rapporto tra i due non era proprio serio e ufficiale, ma questo non cambiava le cose: se lei fosse stata al suo posto avrebbe come minimo fulminato con lo sguardo la cara amica di cui non sapeva niente. O forse no… Dopotutto non c’era niente di cui preoccuparsi, per Romina.

“Cos’hai intenzione di fare tu adesso?”
Erano passati solo tre quarti d’ora, ma Zoe era già stanca: non che qualcosa in particolare la disturbasse, solo aveva sonno e non vedeva l’ora di riposarsi. Ok: forse dopo la buona impressione iniziale Romina si era rivelata un po’ più vuota e, purtroppo, logorroica di come se l’era immaginata, ma non era neanche quello. Lì, seduta al tavolino di un bar milanese con gli altri tre, si era ricordata improvvisamente di tutto: il ritardo, Andrea, la litigata – risolta? – con Giacomo… e le era tornato il cattivo umore, di botto. Così, aveva aperto la bocca per parlare e le era uscita quella domanda un po’ brusca ma prima o poi avrebbe dovuto chiederlo comunque, quindi…
“In che senso?” Giacomo la guardò confuso.
“Hai il collo comunque mezzo bloccato… Pensi di stare qui a Milano a fare il Grande Artista o di riposarti un po’?”
“Che carina, si preoccupa per la tua salute!” intervenne Niccolò, subito linciato da un’occhiataccia di lei.
“Tu sta’ zitto, hai già creato abbastanza scompensi per oggi…” lo redarguì subito, pungente.
L’altro ridacchiò, dopodiché rispose alla sua domanda. “Pensavo di tornare a casa per un poco… Sono due mesi che non vedo mia madre.”
“Ah,” si inserì nuovamente Niccolò, “non te l’ho neanche detto: prima ho fatto una chiamata per controllare i voli: puoi prenotare il più presto per il 28.”
Giacomo fece una smorfia. “Sabato? Ma oggi è mercoledì, cavoli, son tre giorni!”
“Mi spiace, non ci sono altre soluzioni.”
Zoe sospirò, sperando con tutto il cuore di non pentirsi di quello che stava per dire: in realtà si sentiva ancora in parte colpevole dell’incidente dell’amico e voleva aiutarlo in qualche modo, perciò… “Se vuoi nel frattempo puoi venire un paio di giorni da me.”
“Da te? A Padova?” Il ragazzo sembrava stupito e gli altri due – Romina e Niccolò – ancora di più.
“No, intendo a casa dei miei. Saresti servito e riverito, lo sai, e potresti riposarti mentre aspetti il volo per tornare a Lecce.”
“Sei sicura?”
“No, quindi ti conviene accettare subito.”
Lui rise del suo sarcasmo e la guardò coi soliti occhi irridenti e gioiosi. “Così mi tenti…”
Zoe alzò le spalle: sapeva di averlo già convinto, ormai aveva imparato a leggere i suoi comportamenti, purtroppo e per fortuna.
Niccolò, invece, diede un pizzicotto al braccio dell’amico. “Dai, vai, così non ti ho tra i piedi io qui… Festa!” disse ridendo.
“Scusa, Giacomo, posso parlarti un attimo?” A intervenire era stata Romina, fino a quel momento stranamente silenziosa – e prima aveva parlato davvero, davvero molto. Giacomo annuì, serio, i due si alzarono e si spostarono qualche metro più in là, dove iniziarono a parlare. Anzi, a discutere.
Zoe a quel punto si sentì nuovamente in colpa; sospirò e guardò Niccolò, seduto accanto a lei. “Non avrei dovuto chiederglielo, vero?”
Quello alzò le spalle. “Naah, tu hai fatto bene. È lui che si sta comportando in maniera non proprio trasparente con quella povera ragazza.”
“Ma a me ha detto che non stanno insieme ufficialmente e che entrambi sono consapevoli della natura ‘free’ della loro storia… Sono la prima ad attribuire a Giacomo un mucchio di difetti, ma mi sembra una persona piuttosto sincera e corretta.”
“Lo è con le persone a cui tiene veramente. Con me, con te,” precisò Niccolò. “Non sto dicendo che ha mentito a Romina, eh. Aveva messo in chiaro dall’inizio che non ci teneva ad avere una storia seria, questo sì. Ma ultimamente si è accorto che lei cominciava ad attaccarglisi un po’ di più del lecito e non ha fatto niente per disilluderla: in questo ha sbagliato.”
“Beh, tu lo conosci sicuramente meglio di me,” concesse Zoe.
“Non te l’aveva detto?”
“Non mi ha parlato molto di Romina, in effetti.”
Niccolò rise, saputo. “E a lei non ha parlato molto di te, come hai visto.”
Zoe, stranamente, lo difese. “L’ha conosciuta in un periodo in cui non ci sentivamo per nulla.”
“Sì,” spiegò lui, “ma quand’è venuto a casa tua per il compleanno non le ha detto niente. Ora, se due persone non stanno davvero insieme le cose possono funzionare così, ma me n’ero accorto persino io che lei ultimamente pretendeva qualcosa di più… E Giacomo di solito è più sveglio di me su queste cose. Ma a lui non lo dirò mai!” concluse con un sorriso.
“Magari ci tiene veramente anche lui a Romina…”
“Non più di tanto… Anche se si è sicuramente affezionato a lei, certo.”
Zoe sospirò, passandosi una mano sulla fronte. “Ogni volta che penso di averlo capito, esce un lato nuovo della sua personalità.”
“Guarda, i comportamenti di Giacomino sono assolutamente normali, in realtà. Ha preferito far finta di non accorgersi che Romina si stava innamorando di lui. Fa parte dei meccanismi di rimozione dell’essere umano…” illustrò, con aria quasi professionale, Niccolò. “A proposito, ti sei accorta che ti assomiglia?”
A queste parole Zoe, che stava sorseggiando distrattamente il suo gingerino, a momenti non si soffocò: la bevanda le andò di traverso e cominciò a tossire. “Ma chi, Romina?” chiese non appena riuscì a parlare, anche se con una certa difficoltà.
L’altro annuì, divertito dallo spettacolino.
“Ma tu sei fuori di testa! Assolutamente no!” negò allora lei, sconvolta, gesticolando ampiamente con mani e braccia.
“Invece è vero, guardala: i capelli, l’altezza… Le scarpe poi sono uguali!”
“Ma no!” insistette Zoe, cocciuta. Poi si guardò le scarpe e trattenne un’imprecazione: erano uguali. Tuttavia, non demorse. “I suoi capelli sono più lunghi e più pettinati dei miei. E comunque che c’entrano i capelli e le scarpe?”
“Poco e niente, infatti, non è questo il punto. Studia Lettere e ha un modo di parlare simile al tuo.”
“Punto numero uno, io non faccio Lettere, ma Filosofia,” precisò lei, mentre Niccolò sventolava la mano come per dire che quello era un dettaglio irrilevante. “E poi non parlo così tanto! Quella è logorroica, dai!”
Il ragazzo continuava a ridere della reazione di lei. “Questo è vero, ma io dicevo del modo di parlare, non della quantità di parole.”
“A parte che non è vero,” specificò Zoe, convinta. “Ma poniamo per assurdo che tu abbia ragione, mi spieghi cosa diavolo vorresti insinuare?”
Lui scrollò le spalle, compiaciuto. “Parlavamo dei meccanismi di rimozione…”
La ragazza capì al volo, suo malgrado, e stava per rispondergli per le rime, quando Giacomo tornò mogiamente al tavolo.
“Non credo la rivedrò più tanto facilmente…”
Niccolò gli dette un pugno sul braccio. “E io non credo ti strapperai i capelli per questo.”
“La smettete di picchiarmi tutti oggi?” si lamentò l’altro, massaggiandosi la parte lesa. “Ho appena fatto un incidente, sapete.”
Conte lo ignorò. “Allora,” fece gaio guardando alternativamente Zoe e poi Giacomo, “quand’è che partite voi piccioncini?”

Due giorni e qualche ora più tardi, venerdì sera, ovvero l’ultima sera che Giacomo si accingeva a passare a casa Molinari, lui e Zoe avrebbero dovuto dormire insieme nella stanza di Ginevra.
I giorni passati lì erano stati, tutto sommato, abbastanza tranquilli. Ovviamente Giacomo era stato accolto dalla famiglia Molinari con grande gaudio – soprattutto di Viola, a cui non pareva vero di averlo di nuovo in casa nel giro di venti giorni. Poi, come promesso, era stato viziato e coccolato a dovere, quasi come se fosse effettivamente a casa propria. Si era annoiato un po’ solo la mattina, dal momento che Viola era a scuola, i signori Molinari al lavoro e Zoe approfittava della calma e del silenzio per studiare in tranquillità. Lui non glielo impediva né tentava troppo di disturbarla: Zoe aveva saltato più di un giorno di lezione all’università per stargli accanto e il minimo che potesse fare lui era lasciarla studiare in pace.
Giovedì mattina, mentre erano appunto a casa da soli, c’era stato però un momento più caotico del previsto. Zoe era uscita dal bagno saltellando e chiamandolo a squarciagola, troppo felice per trattenersi: le era venuto il ciclo e tutta la paura accumulata fino a quel momento era scomparsa all’improvviso, tanto che la ragazza si sentiva anche un poco sciocca per aver pensato di essere incinta. Aveva raggiunto Giacomo in soggiorno e l’aveva abbracciato con l’enorme sollievo – di entrambi – che aleggiava allegramente lì intorno.
Subito dopo Zoe aveva telefonato ad Andrea, informandolo che appena fosse tornata a Padova, avrebbero dovuto parlare. Ci aveva riflettuto e aveva capito che non era giusto, in effetti, prendersi in giro a vicenda: doveva essere sincera con lui e dirgli che quello che provava non era, probabilmente, abbastanza forte. Comunque, tutte queste cose  voleva dirgliele faccia a faccia, non al telefono, perché Andrea era un ragazzo corretto e si meritava altrettanto. Poi avrebbero deciso insieme come procedere, ma era inutile continuare a far finta di niente.
Venerdì, infine, era tornata Ginevra dopo la settimana a Bologna, città in cui studiava, e quindi Giacomo non aveva più la stanza tutta per sé: Zoe si era spostata a dormire con lui, come durante il weekend del suo compleanno.
Quella sera Zoe, entrando in camera, trovò che il ragazzo si era tolto il collare e tentava di spalmarsi una pomata su spalle e collo da solo, assumendo posizioni da contorsionista che bene di certo non potevano fargli.
“Che stai facendo?” gli chiese, stupita.
“Mi devo mettere questa crema tutte le sere, me l’hanno data in ospedale.”
“Mi vuoi dire che fino a oggi te la sei spalmata da solo?”
“Ieri sì, mercoledì mi sono dimenticato.”
Zoe sospirò e si sedette sul letto accanto a lui. “Così non guarirai mai, scemo. Da’ qua, faccio io.”
Giacomo le passò il tubetto. “Grazie,” mormorò.
Ci fu qualche attimo di silenzio, in cui Zoe si posizionò meglio dietro le sue spalle e, infine, si immobilizzò.
“Che c’è?” chiese lui.
“Beh, non riesco a spalmarti questa roba se stai con la maglietta addosso.”
“Devi metterla qua sul collo, non serve che…”
Zoe lo interruppe, sbuffando. “Avanti, Rain, togliti ‘sta maglia e non rompere, ti faccio un massaggio che mi ha insegnato mio padre.”
Lui obbedì. “Potevi dirlo subito che volevi vedermi nudo…”
“Forse ti stai dimenticando di un particolare, caro: la scorsa estate siamo andati in vacanza assieme e ti ho visto in costume più di una volta. Senza mai svenire,” gli rispose ironica, mentre cominciava a toccargli il collo con movimenti delicati, dopo averci messo la giusta dose di pomata.
“Ma vuoi mettere la differenza? Qui sul letto, con tutta questa intimità, noi due soli…”
Il tono malizioso di lui era appositamente studiato per farla imbarazzare, ma Zoe finse di non sentirlo. “Stai fermo,” gli ordinò invece, prendendogli il collo tra entrambe le mani per fare in modo che stesse dritto.
Giacomo, in effetti, sembrava piuttosto insofferente, cioè non riusciva a stare buono e fermo. Non l’avrebbe mai detto ad alta voce, ma quel massaggio, che nell’idea iniziale doveva essere totalmente innocente e tranquillo, gli stava creando qualche problema di autocontrollo: Zoe ci sapeva fare con le mani sul suo collo e sulla sua schiena, e lui doveva respirare a fondo per non lasciarsi prendere troppo dalla situazione che, se vissuta con un’altra ragazza, sarebbe stata perlomeno calda. Decise quindi di tentare un argomento qualsiasi per distrarsi.
“Mi dici cos’hai deciso di fare con Andrea?”
Aveva evitato di chiederglielo fino a quel momento, ma Giacomo immaginava che forse a lei avrebbe fatto piacere parlarne.
“Gli dico la verità e basta.”
“E cioè?”
“Che non è il caso di continuare a stare assieme perché non sono innamorata di lui, purtroppo. E gli racconto della presunta gravidanza, mi sembra giusto.”
Il ragazzo si stupì. “Non sapeva niente?” domandò, riaprendo gli occhi. Ma quando li aveva chiusi?
“No, tu sei la prima persona a cui ne ho parlato. Ma se avessi previsto la tua reazione non l’avrei fatto, immagino.”
“Ho esagerato.”
“Mi hai già chiesto scusa e io pure, direi che può bastare,” terminò Zoe, ancora in imbarazzo per il pianto liberatorio che aveva sfogato sulla sua spalla in ospedale. “Adesso raccontami di Romina.”
“Te l’ho detto, è finita.”
“Perché?”
“Una serie di cose,” spiegò Giacomo, controvoglia. “Comunque mercoledì non voleva che venissi qui da te, l’avrai capito… E stava cominciando ad avanzare troppe pretese.”
Zoe tentennò sul da farsi, poi decise di tentare. “Secondo Niccolò tu hai fatto finta di non accorgertene, ma funzionava così da un po’ di tempo.”
“Nico dovrebbe imparare a farsi di più gli affari suoi,” troncò lì il discorso, Giacomo, sperando che il suo amico non avesse sparato altre delle sue teorie idiote a Zoe, contando anche che molte la riguardavano da vicino. “Invece, a capodanno vieni da noi? C’è una festa di un nostro amico a Lecce…”
Lei smise di massaggiarlo, permettendogli di girarsi – senza muovere il collo – e guardarla, mentre si rimetteva la maglietta e il collare, con un poca di fretta.
“Non è presto per parlarne?”
“Manca un mese, circa.”
“Non so. Dipende anche da cosa fa Aurora e le altre mie amiche… Anche se immagino che lei voglia stare con il suo ragazzo, ultimamente è molto presa.”
Giacomo notò il tono malinconico delle sue parole. “Vi state allontanando?”
Zoe scrollò le spalle. “Non poi molto. Comunque penso sia normale.”
Il ragazzo stese le labbra nel suo solito sorriso furbo e un brivido le attraversò la schiena.
“Dai, vieni a Lecce, ci divertiamo! E poi le persone con cui stai a capodanno ti restano accanto tutto l’anno!”
“Appunto.”
“Potrai rivedere nonno Nicola.”
“Ecco, questo è un buon motivo per accettare, devo ammetterlo.”
Lui s’imbronciò. “Tu vuoi più bene a mio nonno che a me!”
“Può darsi. E ora dormi che domattina devi prendere un aereo,” gli ricordò Zoe.
Prima che si alzasse per andare sul suo letto, Giacomo gli posò un bacio sulla guancia, l’ennesimo ormai. “Ok. Grazie del massaggio, ragazzina, sei bravissima.”
Lei rise. “Buonanotte Jam.”





















Bonjour a tout le monde! Come va? Io bene, grazie… ^_^ Ok, finisco coi convenevoli.
Sono tornata! Volevo riuscire ad aggiornare anche prima ma non è mai semplice: i corsi sono ricominciati e il tempo per fare tutto scarseggia sempre. Lo so a cosa pensate: “Se non è colpa dei corsi è colpa degli esami e se non sono gli esami sono le vacanze estive… Questa ne ha sempre una!” È vero! XD A mia difesa posso dire che – come potete vedere – mi sto davvero impegnando e che cerco (finora ci sono anche miracolosamente riuscita) di non farvi attendere più di un paio di settimane tra un capitolo e l’altro. Quindi abbiate pazienza (e ridagli con ‘sta pazienza!) e apprezzate lo sforzo: io apprezzo moltissimo il vostro, perché continuare a seguirmi dev’essere un’impresa!
Detto ciò, mi tocca fare un’osservazione: immagino voi mi abbiate (giustamente!) odiato per il capitolo dell’altra volta, cortissimo e finito sul più bello, ma… Nonostante ciò è stato uno dei capitoli di questa storia con più recensioni! Non l’avrei mai detto! Devo dedurre che in realtà la mia crudeltà nel lasciarvi in sospeso vi piaccia?? :P Scherzo, dai, era solo per introdurre le risposte personali con un ringraziamento, come sempre: dedico questo capitolo – e soprattutto il prossimo ;) – a quelle lettrici e recensitrici (?) che affettuosamente e puntualmente mi seguono a ogni capitolo, chi da più e chi da meno tempo… Spero di non deludervi mai! :)
… Ops, ho detto qualcosa sul prossimo capitolo?! … (sono cattivissima, lo so!)



mary whitlock: No, giuro che non ti voglio morta: andrebbe anche contro i miei interessi! :) Però è giusto che faccia anche quei capitoli in cui vi lascio un po’ in sospeso, sennò che gusto ci sarebbe per me?! Avevi indovinato, comunque: Giacomo ha fatto venire l’ansia per niente, ma non a mezzo mondo, solo alla povera Zoe… Ancora peggio, mi sa! XD
E per quanto riguarda Romina e Andrea, beh… in questo capitolo credo di averti parzialmente accontentata. Però neanch’io vorrei far soffrire Andrea, povero caro! :( A te lo posso dire perché sei l’unica che non lo odia!!
See you soon! ;)
 
pirilla88: Cattivaaaaaaaaa! Andrea non è inutile! :) Cioè… Ok, forse nell’economia della storia un po’ lo è, in effetti… Vabbè. Ah, Romina è sicuramente più inutile di lui, comunque! ^_^
Il buon Pioggia (ahimè) sta sì bene, fisicamente: i problemi mentali (per entrambi) purtroppo continuano a persistere come si può vedere… Ho creato due mostri, non so più gestirli! :P
Stavolta non sono stata un’autrice-scheggia ma spero di non averti deluso comunque! Sto facendo del mio meglio!! Un abbraccio.

freeze: No, non ho istinti suicidi, ma un po’ sadica – ammetto – lo sono: mi sono ribaltata dalle risate a leggere le vostre recensioni indignate per la fine assurda del capitolo stavolta! XD
Consegna numero 1: Rispettata. Pioggia non si è fatto niente, proprio come avevi chiesto.
Consegna numero 2: Non pervenuta. Un bacio? Forse non manca poi così tanto… Uuuh, ok, poco, manca poco… Ma avviso eh: dopo prevedo odio ancora maggiore nei miei confronti. Palate di odio. Ma posso resistere! XD

ninasakura: Io mi ricordo di te! Tu nell’altra fic mi hai fatto notare le mie evidenti lacune matematiche: avevo contato male i personaggi, ahahah! XD
Ok, a prescindere da queste baggianate, sono contenta che tu segua anche questa storia e, soprattutto, che ti piaccia. Capisco perfettamente la tua disabitudine a lasciare recensioni: anch’io delle volte  sono pigra e non lo faccio e dovrei sforzarmi un po’ di più (ci sto provando!)… L’altra volta ho fatto quell’appello solo per spronare i poco coraggiosi, ma in realtà mi fa piacere sapere che la gente segue la storia anche se non recensisce tutti i santissimi capitoli. Mi basta un segnale ogni tanto, ecco tutto, e mi fa piacere che tu abbia risposto al mio appello proprio per questo… Grazie, sul serio! :)
Come vedi, poi, non sono stata un lampo ma non ho neanche aspettato un altro anno per aggiornare… In effetti con me non si sa mai! Spero di sentirti ancora presto! ;) Ciau.

Maka27: Sììììì che posso lasciarvi così inveceeeee! Sono i pregi di essere io l’autrice… Ahah! :P
Per fortuna Giacomo e Zoe, hai visto, stanno entrambi bene e sono più vicini che mai… Circa.
La curiosità sul resto spero che ti sia rimasta, invece, così continuerai a leggere! Alla prossima…


Aaaah, dimenticavo… Oltre a tutto il resto, ovviamente, avete notato Niccolò in modalità finto psicologo? :D Non è la prima volta che si atteggia a conoscitore della psiche umana, se ricordate… Però è sempre divertente fargli dire certe cose, sembra quasi che parli con cognizione di causa! Bravo Conte, sì! ;) Fatemi sapere che ne pensate…
Alla prossima, gente!


PS: Mi dispiace se trovate errori o simili ma non sono riuscita a rileggere per bene questa volta, per pubblicare il prima possibile. Anzi, se vedete qualcosa che non va nella sintassi o altro fatemi sapere, grazie!

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Capitolo 17
*** Capitolo XIII ***



Capitolo XIII




Inutile dire che dicembre i due amici lo passarono separati dal primo all’ultimo giorno.
Giacomo, dopo l’incidente, prese una settimana di vacanza in Salento, coccolato dall’intera sua famiglia allargata, zii, cugini e nonni compresi; poi tornò a Milano, dove i lavori per l’ormai prossima uscita del cd del gruppo toglievano a lui, Niccolò e Giorgio anche il tempo per respirare; infine rientrò in Puglia per le vacanze di Natale. Zoe, invece, si barcamenava, come al solito, tra lo studio, a Padova, e i momenti familiari che riusciva a concedersi quando tornava a casa, in Lombardia.
Alcuni avvenimenti importanti, comunque, accaddero anche in quell’ultima parte dell’anno.
In primo luogo, Zoe fece una lunga chiacchierata con Andrea, alla fine della quale decisero, di comune accordo, di smettere di frequentarsi almeno per un po’ di tempo. Il ragazzo si dimostrò piuttosto maturo e ragionevole e, anzi, quasi si ritrovò a ringraziare Zoe per essere stata così corretta e sincera con lui, prima che fosse troppo tardi per tornare indietro. Questo atteggiamento adulto da parte di entrambi fece in modo che la storia finisse tranquillamente, senza strappi o rotture forzate: in fondo, anche Andrea – seppur a malincuore – si era accorto che loro due erano troppo simili per stare assieme e preferiva, forse, continuare a vedere Zoe solamente come un’amica. Cosa che successe, nelle settimane seguenti: quando si incontravano in giro per Padova, i due ex fidanzati sembravano essere più degli amici di vecchia data per come si salutavano e si fermavano a chiacchierare insieme del più e del meno.
La stessa tranquillità non poté invece dirsi per Giacomo e Romina. Pochi giorni dopo essere tornato da Lecce, il ragazzo la trovò appostata fuori dal proprio condominio di Milano, serena e fiduciosa di poter ricominciare il rapporto da dove l’avevano lasciato. Perciò, quando Giacomo le spiegò – senza troppa delicatezza, a onor del vero – che era davvero finita e che doveva mettersi l’anima in pace, lei ci rimase talmente male che per poco non ebbe una crisi isterica. Alla fine, optò per l’insultarlo pubblicamente e andarsene con aria oltraggiata, forse convinta in cuor suo che lui l’avrebbe cercata a breve. Cosa che, ovviamente, non accadde.
A metà dicembre, poi, Zoe passò un brutto momento causato da alcune incomprensioni sorte con Aurora. Come aveva già pronosticato, il loro rapporto si diradò un po’, per la precisione in modo inversamente proporzionale all’intensificarsi della relazione di Aurora con Federico, il suo ragazzo. Fin qui niente di trascendentale, entrambe sapevano che poteva essere normale, ma il caos scoppiò quando, forse dopo una giornata pesante per entrambe, le due amiche discussero al telefono per una sciocchezza – e loro non litigavano quasi mai.
Pure in questa occasione fu Giacomo a stare vicino – anche se non fisicamente – a Zoe, la quale, presa dallo sconforto, si trovò a domandargli se magari, visti anche gli scarsi successi avuti fino in quel momento in campo sentimentale, non fosse lei a essere incapace di mantenere dei legami affettivi duraturi e saldi. Lui negò con decisione quest’ipotesi, continuando a ripeterle che era una bella persona, che chi la conosceva veramente era fortunato e che i problemi con Aurora erano di certo solo passeggeri e si sarebbero risolti presto.
Il giorno seguente, infatti, le due avevano già fatto pace. Quel leggero allontanamento fisiologico, comunque, persistette e, alla fine, Zoe decise di andare a passare il capodanno a Lecce, come le aveva proposto Giacomo.

La sera del 31 dicembre Zoe, Giacomo e Niccolò la trascorsero in un’enorme casa vicino Lecce, affittata appositamente per la festa da alcuni ragazzi – amici di amici di Niccolò, per la precisione.
Giacomo aveva tutta l’intenzione di trascorrere una serata tranquilla e senza problemi: ricordava ancora i casini sorti alla festa del suo compleanno e perciò evitò accuratamente l’alcol, concedendosi solo un paio di bicchieri di spumante, anche se per il ritorno avevano il passaggio di un loro vecchio amico. Zoe si lasciò andare un po’ di più, ma senza esagerare, volendo evitare brutte figure in mezzo a tutta quella gente che non conosceva. Quello che svuotò più di qualche bicchiere, invece, fu Niccolò, per il quale un capodanno senza una balla degna di essere chiamata tale non era un capodanno. In poche parole: nel giro di un paio d’ore era già bello ebbro e andava in giro a importunare le persone – amici, conoscenti, ma anche gente a caso – rallegrando l’atmosfera con simpatici siparietti. Zoe era divertita dal suo comportamento, Giacomo sembrava essere un po’ più scocciato, ma non tentò di limitarlo: affari suoi, pensava.
Così a mezzanotte, mentre gli invitati si scambiavano felicemente gli auguri, Niccolò sbaciucchiò tutti coloro che gli capitavano a tiro. Quando arrivò dai due amici – che si erano appena stretti in un lungo abbraccio durante il quale Zoe aveva avvertito una debole ma dolorosa stretta allo stomaco – baciò affettuosamente anche loro sulle guance, poi chiese a Giacomo se si fosse baciati.
Il ragazzo s’insospettì. “Sì, per gli auguri.”
Il moro fece un sorriso da un orecchio all’altro. “Un bacio vero?”
Giacomo non poté fare a meno di pensare che da ubriaco il suo amico sembrava davvero un bambino ritardato. “Due baci sulle guance, come fanno tutti gli amici.”
“Ah, peccato,” fece Niccolò, tornando serio. “E io che vi avevo lasciati soli apposta,” disse mogio, allontanandosi.
L’altro si ritrovò a sperare che non facesse cazzate: la serata era ancora lunga.

Verso l’una e mezza, Niccolò ebbe un’idea che lui stesso giudicò geniale. Contento come una pasqua cominciò a saltellare in giro per la villa, cercando ciò che gli serviva per mettere in atto il suo piano: del vischio. Quando lo trovò, si diresse canticchiando verso gli altri due, che stavano chiacchierando in un angolo del grande salone stracolmo di gente, isolati. Li raggiunse e, senza indugiare, si mise a sventolare il ramo di vischio sulla testa del suo amico, che non capì subito cosa stesse succedendo e lo guardò come se fosse pazzo.
“Oh, guardate! C’è il vischio!” esclamò allora, fingendo un’incredulità totalmente irreale, dal momento che era proprio lui ad avere il rametto in mano e a muoverlo allegramente sopra le teste dei due prescelti.
Zoe scoppiò a ridere senza contegno, Giacomo alzò la testa e – una volta compresi i pensieri dell’amico – sbottò, infastidito.
“Dai, idiota, falla finita!”
Ma Niccolò non demorse, troppo fiero della sua idea per abbandonarla tanto presto. “Eh no, cari,” spiegò, sussiegoso, “dovete baciarvi…”
Giacomo alzò gli occhi al cielo. “Nico, tirami via ‘sta pianta dai capelli e vai a importunare qualcun altro! Sei ubriaco fradicio.”
“Volete che vi lasci soli soletti?” chiese lui, con un sorrisino malizioso.
Intervenne Zoe, che ancora non aveva smesso del tutto di ridere. “Ma no, dai, sta’ qua. Sei divertente da bevuto, sai?”
“Uh, divertentissimo, direi…” borbottò Giacomo.
Lei lo guardò con un sorriso talmente luminoso da annullare tutto il resto. “Guarda che hai bevuto anche tu questa sera, Jam,” gli fece notare, puntigliosa.
“E anche tu,” rispose lui, “ma non quanto questo scemo.”
“E smettila!” lo riprese Zoe, dandogli un pizzicotto amichevole sul braccio.
Giacomo si imbronciò, più per scherzo che per reale fastidio. “Uffa, tu lo difendi sempre!”
“Per contraddire te,” ribatté la ragazza, facendo un passo verso di lui, come a sfidarlo, ma senza smettere di sorridere. Erano vicini, ora, Zoe lo guardava dal basso con un’espressione serena e Giacomo si accorse di non sapere più cosa dire: gli bastava guardare le sue iridi nere per andare in una tale confusione, per essere felice? Era anche questo l’amicizia? O c’era dell’altro?
Smack smack?” intervenne Niccolò, speranzoso. I due si voltarono di scatto a guardare il moro, che fino ad allora aveva seguito la scenetta dall’esterno, come se fosse a teatro; vedendoli così vicini, però, non era riuscito a trattenersi e aveva tentato di spingerli di più l’uno verso l’altra, ottenendo però il risultato opposto.
Giacomo si allontanò velocemente dalla giovane e sbuffò rivolto all’amico. “Eccolo che ricomincia! Se vuoi vedere un bel bacio va’ a noleggiarti un film.”
“No, io voglio che tu baci Zoe!” si lamentò Niccolò, incrociando le braccia al petto: sembrava proprio un bambino intento a fare i capricci e, in quel momento, lo era.
“Certo che sei un bel voyeur eh! Va bene, eccoti accontentato,” sbottò infine l’altro, sfiancato. Si avvicinò a Zoe, la quale, immaginando le intenzioni del ragazzo perse un battito ma non si spostò, nemmeno quando lui le appoggiò una mano sulla nuca. Giacomo, comunque, si limitò a lasciarle un bacio a schiocco sulla guancia, stupendola e al tempo stesso facendola sospirare di sollievo.
“Ehi, ma così non vale!” esclamò Niccolò deluso, che pensava finalmente di aver vinto.
“Chi l’ha detto?” chiese Giacomo, con nonchalance.
“Io!”
Zoe si inserì nel discorso. “E cosa volevi, che ci mettessimo a limonare qua di fronte a tutti? Quello lo facciamo solo in privato, caro.”
Niccolò sgranò gli occhi, stupefatto. “Davvero?”
Gli altri due si guardarono complici, dopodiché scoppiarono a ridere in sincrono.
“Ok, ok, brava, ci ero quasi cascato. Comunque, lasciate che vi spieghi la mia teoria, va bene?”
Giacomo smise di ridere, allarmato. “No.”
“Quale teoria?” chiese invece Zoe, curiosa.
“Non lo so,” fece lui, “ma non la voglio sentire. Le sue teorie sono sempre deleterie, in qualche modo,” mormorò, ricordandosi delle volte di cui aveva parlato di Zoe con il suo amico. Se si fosse messo a dire lì ad alta voce le cazzate che esponeva a lui in privato non sarebbe stato molto bello.
“Lo dici solo perché di solito ho ragione,” si vantò Niccolò, scrollando i capelli.
“Certo, come no…”
Zoe lo zittì, insospettita dal suo atteggiamento. “Io voglio sentirla questa teoria, Conte. Parliamone,” lo incitò, convinta.
“Certo!” si illuminò lui. Giacomo si limitò ad alzare gli occhi al cielo, sconfitto. “Allora, secondo me…” Niccolò fece una pausa, cercando di creare della suspense, “…dovreste baciarvi!” concluse, fiero di sé.
“E questo l’avevano capito anche i muri,” sdrammatizzò Giacomo, ancora scettico.
“No, ma sul serio. Ascoltatemi…” Niccolò tentò di riordinare le idee, per spiegarsi al meglio. “Voi siete amici, giusto?” Zoe annuì, assecondandolo. “Però non vi conoscete da tanto tempo… Cioè, non siete mica cresciuti insieme, non siete come due fratelli.”
“E quindi?”
“E quindi… No, mi sto incasinando. Maledetto spumante e tutti i suoi amici!”
Giacomo prese la palla al balzo per tentare di fermarlo. “Perfetto, non sai spiegarti, direi che può bastare così.”
“No no no no no!” si lamentò l’altro. “Lasciami finire, bello. Dicevo… Ah, sì. Il mio consiglio sarebbe di provare ad andare a letto assieme, ad essere sincero, perché se superate quella prova senza drammi siete davvero amici. Ma so che se vi proponessi una cosa del genere vi scandalizzereste, perfettini come siete. Quindi, dico io, almeno un bacio! Cosa vuoi che sia un bacio per un’amicizia vera? Niente! Niente di niente!” concluse con enfasi.
Giacomo negò. “Se è niente non è necessario, idiota.”
“No, invece… Serve! Serve a capire se vi piacete. E idiota sarai tu!”
“Non credo proprio!”
Zoe intervenne, un po’ per chiedere spiegazioni, un po’ per interrompere il litigio imminente. “Fammi capire…” disse, rivolgendosi a Niccolò. “Tu baci tutte le persone che conosci, così, per sport?”
“Solo quelle per cui provo una forte attrazione fisica.”
Giacomo ridacchiò, ma continuava a sembrare nervoso. “Beh, allora problema risolto. Io e Zoe non proviamo niente di tutto ciò.”
“Seeeh, a chi vuoi darla a bere?” A quel punto era la volta di Niccolò di ridere. “Tu la tocchi ogni volta che puoi e lei, appena non te ne accorgi, ti guarda come se fossi un bignè al cioccolato.”
“Ehi!” Zoe si lamentò mentre Giacomo, rimasto senza parole, se ne stava fermo con gli occhi spalancati. Che poi, in fondo, lo sapeva che Niccolò era bravo a notare certe cose: anzi, forse era proprio quello a turbarlo di più. Cioè… Bignè al cioccolato…?
“Bella, è vero,” continuò Niccolò. “So riconoscere quegli sguardi, io. E poi devi ammettere che il nostro Pioggia, qua, è un bel pezzo di manzo, insomma. Non quanto me, ma non si può sempre avere tutto…”
“Ma cosa…?”
“Perché, scusa, Giacomino non è un bel ragazzo?”
“Sì, ma che c’entra?”
“E non ti piace?”
“Non è che non mi piace… Non è il mio tipo,” si giustificò lei, arrossendo appena.
“Che adorabile bugiarda che sei,” la rimproverò soavemente Niccolò, mentre a Giacomo cominciavano a fumare le orecchie dalla rabbia.
“Conte, sparisci,” lo avvisò, quindi, tentando di calmarsi.
“Come vuoi!” Niccolò non aveva perso la sua allegria e si allontanò quasi saltellando, per poi girarsi di nuovo verso di loro tentando un’uscita in grande stile. “No, ma sul serio, Zoe, pensaci. Voglio dire: un bacio, non ti ho mica consigliato di avere un bambino con lui. Cioè… io non lo farei mai un bambino con Pioggia, poi vedi tu… Ciao ciao, a dopo!” salutò, giulivo: non era abbastanza ubriaco da non notare l’occhiata assassina di Giacomo.

Dopo un paio di minuti di silenzio imbarazzato e pensieroso, Giacomo finalmente parlò.
“Scusa… Niccolò sa essere ingombrante quando si mette d’impegno.”
Zoe alzò le spalle. Non era più divertita come poco prima, qualcosa nelle parole di Niccolò l’aveva smossa, ma non sapeva cosa, non sapeva come.
“Secondo te erano tutte fesserie, quindi?” si decise infine di chiedere all’amico, che la guardava preoccupato.
“Boh, immagino di sì. Di solito non sto neanche ad ascoltare più di tanto le minchiate di Conte. Specialmente se è ubriaco.”
“Mh,” annuì lei, pensosa. Continuava a guardare un punto imprecisato davanti a sé e intanto si mangiava sovrappensiero l’interno di una guancia. Quando si voltò puntandogli gli occhi scuri addosso, Giacomo notò che era seria e intimorita. “Pensavo… Magari su un paio di cose potrebbe aver ragione. Siamo adulti, ci facciamo troppi problemi.”
“Tu sei una ragazzina,” cercò di sdrammatizzare lui, colto di sorpresa.
“Certo. E tu un idiota. Dicevo… Vabbè, è inutile.”
Giacomo sospirò, incerto. In realtà aveva paura che lei in quell’eventuale bacio sentisse da parte sua qualcosa che non era ancora in grado di ammettere a se stesso e che decidesse di scappare da ciò. Sapeva che un contatto di quel tipo avrebbe facilmente riaperto una porta che ormai riteneva chiusa da tempo e non pensava di essere pronto ad affrontarne le conseguenze.
Si riscosse e la guardò. Zoe si era girata e stava osservando un soprammobile con troppo interesse per essere veramente concentrata.
Ma di che conseguenze parlo?, si ritrovò a pensare, confuso. Dopotutto, si trattava solo di un bacio, un innocente, stupidissimo bacio. Aveva baciato moltissime ragazze e con diverse di loro era anche andato oltre, senza farsi mai troppi problemi. Lo strano rapporto con Zoe non poteva averlo fatto diventare uno smidollato tutto d’un tratto, diamine.
Così si avvicinò alla giovane e la fece voltare nuovamente verso di lui, che nel frattempo era tornato a sorridere spavaldo.
“Se volevi un bacio dal sottoscritto bastava dirlo, sai.”
Zoe arrossì, imbarazzata nel vederselo all’improvviso tanto vicino. “Non ho detto che voglio un bacio!”
Lo sguardo di Giacomo si fece malizioso, tanto che lei immaginò le sue parole prima che le dicesse. “Ah, no? E cosa vorresti, allora?” La stava prendendo in giro ma intanto le si era accostato ancora, mentre con il dorso di un dito le accarezzava una guancia, dolcemente.
Lei si stupì: non si aspettava un cambiamento d’umore tanto repentino, in effetti. Certo, stava giocando, lo capiva dal suo sguardo ridente, ma questo non toglieva il fatto che le era decisamente troppo vicino.
“Cretino…” borbottò, girando la testa dall’altra parte.
Giacomo sentì come una fitta allo stomaco nel vedere che lei lo aveva scansato, ma non insistette. La lasciò andare, quasi sollevato. Meglio così.

Il 2 gennaio era un sabato tranquillo, da passarsi in famiglia. Il giorno prima, dopo aver riaccompagnato un distrutto Niccolò – che ancora balbettava qualcosa a proposito di un bacio – verso le quattro del mattino, Zoe e Giacomo erano rientrati in casa Pioggia e avevano dormito pressoché tutto il giorno. La sera avevano cenato e guardato un film assieme ai genitori di Giacomo, che erano tornati dal loro capodanno passato con degli amici, ed erano andati a dormire presto, sfiniti.
Ma per il sabato la giornata si preannunciava più allegra: Giacomo, come promesso, aveva deciso di andare a trovare suo nonno Nicola assieme a Zoe, la quale, nonostante l’avesse visto solo una volta prima di allora, adorava quell’uomo. Così andarono a casa del famoso nonno che dimostrò subito di ricordarsi alla perfezione del precedente incontro con Zoe, anche se era avvenuto diversi mesi prima, durante l’estate.
Lui accolse con grande gaudio quella visita a sorpresa: viveva da solo, dal momento che sua moglie era mancata qualche anno prima, ma in quel momento nell’abitazione c’era anche zia Adelina, sua sorella, che Zoe aveva già conosciuto al compleanno di Giacomo. La signora era abbastanza anziana ma piuttosto arzilla e chiacchierona, anche se ci sentiva veramente poco: per parlare con lei senza essere fraintesi bisognava praticamente urlare e tutto ciò delle volte creava delle vere e proprie situazioni da film comico.
Nonno Nicola approfittò dell’occasione per parlare da solo con Zoe, che aveva da sempre in simpatia. Sbolognò al povero Giacomo il compito di gestirsi da solo sua sorella e nel frattempo si sedette sul divano accanto alla ragazza, curioso e pronto a farle qualche domanda.
“Allora, signorina, si sta comportando bene mio nipote con te?”
Zoe ridacchiò. “Direi di sì. La maggior parte delle volte, almeno.”
“È davvero impossibile quel ragazzo a volte, no?”
“A volte, ma anch’io lo sono, gliel’assicuro.”
Il vecchio rise, scuotendo la testa. “Non credo. L’importante comunque è che vi siate decisi.”
“Decisi?” Zoe assunse un’espressione confusa, senza capire.
“Decisi a fidanzarvi, no?”
Ecco l’ennesimo malinteso. Lei scosse la testa, convinta. “Si sta sbagliando, sa. Io e Giacomo non stiamo assieme.”
“Come no? Eppure lui mi aveva detto che…”
Zoe sgranò gli occhi. “Cioè… Giacomo le ha detto che siamo fidanzati?”
Nonno Nicola ci rifletté un attimo. “No, in effetti. Ma qualche settimana fa mi raccontò che avevate litigato ma che poi avevate fatto nuovamente pace. Mi sembrava così felice… Devo aver travisato un’altra volta, a quanto pare.”
Lei alzò le spalle, ormai arresa a quella situazione. “Si figuri, ci sono abituata.”
“Bambina, spero di essere ancora vivo quando capirete che è il caso di darsi una mossa. Con la velocità che avete… Mio nipote è veramente lento, delle volte.”
“Lento?”
“Sì… Nel senso che arriva sempre tardi alle cose. Ma prima o poi ci arriva, stai tranquilla…”
Zoe era letteralmente esterrefatta e non sapeva nemmeno come ribattere. Ci pensò Giacomo a inserirsi nel discorso ma, avendo sentito solo l’ultima parte della conversazione, non poté fare altro che chiedere delucidazioni.
“Si può sapere sulla base di quali prove mi stai dando del tardone, nonno?”
Zia Adelina sussultò, sorpresa. “Nicola! Hai detto che tuo nipote è un terrone?”
Zoe si trattenne dal ridere per un pelo mentre Giacomo tranquillizzava la vecchia. “No, zia, non ha detto così, ha detto che sono tardo, però.”
Sardo?” La poveretta sembrava sempre più confusa
“Tardo, zia, TARDO,” urlò lui, sfinito. Poi ci rinunciò e si girò di nuovo verso gli altri due. “Nonno?”
“Certo che sei tardo, Giacomo, se non ci hai ancora provato con questa ragazza.”
“E chi ti ha detto che non ci ho provato?”
La tranquillità con cui fece quella domanda a suo nonno fece sussultare Zoe per lo sbigottimento.
Nicola, invece, non si lasciò scalfire da tanta finta sicurezza: conosceva il pollo e sapeva quando stava bluffando alla grande. “Non credo, signorino. Se le avessi fatto la corte, avresti sicuramente ottenuto qualcosa, cocciuto come sei… Sei un Pioggia, ti conosco.”
“Guarda che anche Zoe non ci va piano quanto a testardaggine. Stamattina mi ha obbligato a guardare due puntate de La signora in giallo contro la mia volontà,” disse, per confermare la sua tesi.
Zoe, che fino a quel momento aveva seguito la scambio dall’esterno accorgendosi che parlavano di lei come se non fosse lì presente, decise che era giunto il momento di intervenire. “Pioggia, non toccarmi la Fletcher, che è un mio mito da sempre.”
Ovviamente ricominciarono a battibeccare come al solito con zia Adelina che, capito l’argomento della discussione, cominciò subito a dare manforte a Zoe.
Nonno Nicola, invece, li osservò sorridendo, con una nuova consapevolezza: aveva ragione anche questa volta, poco ma sicuro. Doveva pur aver vissuto tutti quegli anni per un motivo, dopotutto…

“Uff, che nausea… Di nuovo l’aeroporto. Ormai vivo una vita nomade…” si lamentò Zoe, massaggiandosi il collo con una mano.
Era la mattina del 3 gennaio ed era arrivato il momento per lei di tornare a casa. Le dispiaceva, era stata bene in quei giorni con Giacomo che, come al solito, le aveva fatto dimenticare i suoi problemi e tutto il resto. Ma non poteva trattenersi oltre, doveva studiare per gli esami e cominciare quel 2010 una volta per tutte, buttandocisi a capofitto e sperando di cavarsela.
“Mai nomade quanto la mia, per tua fortuna.” Giacomo ovviamente l’aveva accompagnata all’aeroporto, posto che lei odiava con tutto il suo cuore per quanto era caotico e confusionario.
“Può darsi, ma non ne sarei così sicura,” gli rispose, dopodiché sbuffò e si lasciò cadere su una sedia. “È tutta colpa tua, comunque.”
“Figurarsi, per te ogni scusa è buona per darmi la colpa. Di cosa, stavolta?”
“Della mia vita nomade. Mantova, Lecce, Padova, Milano… Quando mi sposto di molto è per venire a trovare te.”
“È vero,” rise lui, guardandola dall’alto. “Non riesci a stare senza di me.”
“Certo.”
Ci fu un minuto di silenzio pensoso: Zoe osservava un punto imprecisato del proprio ginocchio con le sopracciglia lievemente aggrottate e Giacomo poteva quasi sentire il rumore degli ingranaggi del suo cervellino in azione.
“Cos’hai?” le chiese, ma lei non alzò lo sguardo.
“Stavo pensando…”
“A…?” insistette Giacomo, accucciandosi sulle ginocchia per guardarla negli occhi, dal momento che lei aveva ancora la testa abbassata.
“Al discorso di Niccolò dell’altra sera.”
“Nico quando è ubriaco dà il meglio di sé. E anche il peggio.”
“Mh.” Zoe annuì con una scrollata di spalle neutra e Giacomo già sapeva che per farla parlare avrebbe dovuto usare le tenaglie. Poco male, sapeva farlo.
“Mi dici che ti passa per la testolina?”
“Niente, è che… Mi sono chiesta: e se in parte avesse ragione?”
Sentendo quelle parole, il ragazzo si pentì immediatamente di aver insistito: quello era un discorso che avrebbe preferito evitare. Così, tentò di sdrammatizzare. “La parte in cui tu mi guardi come un bignè al cioccolato? Sì, può essere.”
“Scemo. Sto cercando di fare un discorso serio.”
Giacomo capitolò. “Spiegati, allora.”
“Boh, dico… Magari dovremmo davvero provare a… Cioè, capisci?” fece lei, gesticolando agitata.
“No,” mentì lui, ridendo. Si divertiva un mondo a vederla così in difficoltà. Non per cattiveria, ma era spassoso osservarla mentre tentava di spiegare cose per lei scomode: arrossiva, si ingarbugliava e ricominciava da capo, sconfitta. Lui però aveva già intuito dove stesse andando a parare.
“Cazzo, è imbarazzante parlare con te di certe cose, non mi dai per niente una mano,” lo rimproverò lei, alzandosi dalla sedia.
Giacomo ridacchiò e scoprì le sue carte. “Lo so.”
“Lo stai facendo apposta!” esclamò lei, capendo il suo gioco e arrabbiandosi.
“È che temo di avere delle allucinazioni uditive, Molinari,” spiegò allora lui, alzandosi per tornarle davanti. “Stai cercando di dire che dovremmo baciarci?”
“Sì, beh… più o meno. Solo per provare, insomma,” spiegò Zoe, arrossendo e stritolandosi le mani fra di loro, agitata.
“Provare? Tipo ‘soddisfatti o rimborsati’?” scherzò ancora.
“Pioggia, non farmi perdere la pazienza…”
“Visto che di solito ne hai molta.”
Era più forte di lui, proprio non ci riusciva a evitare di stuzzicarla e prenderla in giro, anche se sapeva come avrebbe reagito: come immaginava, infatti, Zoe gli lanciò un’occhiataccia piuttosto eloquente.
“Ok, ok, sto zitto,” promise allora, ma non riuscì a evitare che un sorrisino divertito gli spuntasse sulle labbra, vedendola così.
La ragazza, sentendosi derisa, si voltò dall’altra parte incrociando le braccia al petto. “No, mi sono rotta, non dico più niente.”
E Giacomo cedette per la seconda volta, assecondandola: le avrebbe detto come la pensava sull’argomento, anche se fino a quel momento aveva fatto di tutto per evitarlo. “Guarda che ho capito perfettamente cosa stai cercando di dire, nonostante le tue evidenti difficoltà comunicative quando si tratta di parlare di cose del genere.”
“Perfettamente, eh?”
Le si avvicinò alle spalle, lento, e parlò piano, soppesando ogni parola con attenzione. “Sì,” le ripose. “Siamo due amici, di sesso opposto, giovani, eterosessuali. Se non dovessimo mai baciarci ci rimarrebbe per sempre il dubbio e continueremo a chiederci se, magari, all’inizio avrebbe potuto nascere qualcos’altro. È così?”
“Circa.”
Giacomo sospirò, sorridendo, ma evitò di dirle che, forse, lui avrebbe preferito tenersi quel dubbio, dal momento che immaginava come avrebbe potuto reagire a un contatto ravvicinato con lei, purtroppo. Ma alla fine lui lo voleva, e da un sacco di tempo, per la precisione da quando l’aveva notata la prima volta sul treno.
Lei continuò, quasi a giustificarsi. “E poi vorrei tagliare via la parte della nostra amicizia in cui io ho paura della fisicità.” Non gli confessò che trovava anormale il fatto che ogni volta che lui le si avvicinava o la abbracciava, lei trasaliva, senza capire il perché. “Ci sono amici,” disse invece, “che si baciano continuamente, senza crearsi troppi problemi.”
“E così vuoi che ti baci.”
Zoe avvampò, accorgendosi della vicinanza eccessiva del ragazzo nel momento in cui si girò e se lo trovò di fronte. E ora?
Quando Giacomo le guardò le labbra, però, si rese conto di volerlo a sua volta, quel bacio.
Solo per curiosità, pensò. Sono grande, posso baciare chi mi pare, per sfizio. Non c’è bisogno di andare in iperventilazione, Zò, non devi sentirti in colpa.
Stava parlando da sola, in pratica, cosa che le capitava quand’era molto nervosa. E in iperventilazione c’era davvero ma non era, come continuava a pensare, per i sensi di colpa.
Ma Giacomo la stupì: sospirò, guardò in alto come in cerca di un’idea, si grattò la nuca e, quando tornò a puntare lo sguardo su di lei, Zoe pensò che fosse di nuovo tutto un scherzo e che non l’avrebbe mai baciata. Perciò non capì quello che le disse.
“Va bene, ragazzina, prendilo come un saluto.”
“Un saluto?”
“Sì, i baci d’addio che si danno all’aeroporto nei film strappalacrime, insomma. O d’arrivederci, nel nostro caso,” spiegò pratico lui, senza però farsi comprendere.
“Baci d’addio? Ma che diavolo stai…?”
Zoe non riuscì a finire la domanda, anche perché quando, dopo aver sentito il sospiro frustato di Giacomo, si ritrovò le labbra del ragazzo sulle proprie, capì immediatamente cosa stesse cercando di dirle poco prima. Un bacio all’aeroporto, come nei film.
Ma la protagonista questa volta era lei e immaginava non se lo sarebbe scordato facilmente. Non perché Giacomo fosse bravo – ok, sì, lo era, ed era anche dolce e sapeva decisamente come muoversi – ma per le sensazioni che stava provando.
Sentì il cuore che le batteva all’impazzata nel petto, lo stomaco le si contrasse talmente forte che per un attimo le fece quasi male, le gambe le cedettero per qualche secondo. Zoe dette la colpa di tutto ciò alla sorpresa, all’imbarazzo, all’agitazione, alle cose che lei e Giacomo si erano precedentemente detti, a Niccolò, ad Aurora, alle sue sorelle, a nonno Nicola, all'aeroporto.
Poi, senza neanche rendersene conto, smise di pensare in modo convulso a una colpa e a un colpevole e si lasciò andare. Giacomo delicatamente le aveva preso il viso tra le mani e altrettanto delicatamente aveva appoggiato le labbra sulle sue, come aspettandosi una reazione contrariata da parte sua. Ma Zoe, dopo un primo attimo di rigidità e stupore, si sciolse, appoggiò le mani sulle spalle di lui e lo baciò a sua volta, senza, per una volta, pensare alle conseguenze.
Giacomo sorrise sulle sue labbra, incerto, e la baciò ancora e ancora e Zoe pensò che forse attendeva che fosse lei a fermarlo e se da un lato avrebbe voluto farlo, staccarsi, dirgli “Ok, l’esperimento è finito”, dall’altro c’era qualcosa che le impediva di muoversi da lì. Anzi, si alzò anche sulle punte dei piedi, d’istinto, e si premette di più contro il ragazzo, quando percepì, confusamente, la mano di lui che le accarezzava piano il viso.
Alla fine, fu Giacomo a lasciarla andare. Zoe non sapeva quanto tempo fosse passato – pochi attimi, immaginava, ma a lei erano sembrati molti di più – quando, sempre con la stessa delicatezza di prima, lui si allontanò dalle sue labbra e le lasciò un ultimo bacio sull’angolo della bocca, per poi mollarla del tutto e fare mezzo passo indietro. Lei si ritrovò senz’appiglio e frastornata per qualche secondo, finché non sentì la voce di lui salutarla.
“Ci si vede, allora. Stammi bene.”
Fece in tempo a registrare a malapena il suo sorriso tirato, infine Giacomo si girò e, facendole ancora un cenno con la mano, si diresse all’uscita dell’aeroporto.
“Ciao,” gli rispose lei, troppo piano per farsi veramente sentire.
Lo guardò andare via, domandandosi perché era stata tanto stupida da volere a tutti i costi quel bacio. In fondo aveva imparato a sue spese che ogni volta che succedeva qualcosa di nuovo tra lei e Giacomo subito dopo veniva fuori il finimondo. E il finimondo lei non lo voleva, non ora che aveva trovato quell’equilibrio che, con il ragazzo leccese, la faceva stare bene.
Perciò, era sicura solo di questo: certe cose, in fondo, è meglio dimenticarle. O, nell’impossibilità di farlo, almeno ignorarle.























Questo capitolo è stato un parto. E mi fa veramente schifo.
Detto ciò (dovevo sfogarmi), ciao a tutti! :)
Sono in piena crisi post-parto (del capitolo, ovviamente… peggio di un plurigemellare) e ho bisogno delle vostre opinioni sincere su ciò che avete appena letto. Io vi darò la mia: trovo carina la parte in cui c’è Niccolò ubriaco, mi è piaciuto riutilizzare – anche se male – il personaggio di nonno Nicola, e sul resto non riesco a capacitarmi di come ho fatto a scrivere una tale schifezza. Non lo dico solo per lamentarmi, ho fatto davvero fatica, e se non fosse stato per le vostre fantastiche recensioni della volta scorsa, probabilmente sarei ancora dietro a scriverlo, questo capitolo.
Anyway, non mi piace piangermi addosso. Ormai quel che è fatto è fatto e sappiate che se ho deciso di pubblicarlo subito è solo perché pensavo non meritaste di aspettare ancora. Sul serio, siete sempre più meravigliose!

Quindi… Che ne pensate del bacio? Era quello che aspettavate o no? Non so, io immagino che la soddisfazione da parte vostra non sia massima. Il bacio c’è stato ma… cos’ha risolto? Uuuh, lo so, continuo a essere cattiva, è più forte di me. ^__^ Non uccidetemi. In realtà saprete nelle prossime puntate cosa pensano entrambi di ciò che è successo… E non penso sia così scontato.
Oltretutto, era prevista anche un’altra parte alla fine, un dialogo tra Giacomo e Niccolò già scritto per metà. Poi ho pensato che il capitolo poteva essere considerato già abbastanza pregno così e ho lasciato perdere… Sarà per la prossima volta.

Vado a rispondere alle recensioni, sennò non pubblico più, va’ (e sarei tentata!).


mary whitlock: Hai visto, Andrea alla fine non l’ho neanche fatto soffrire più di tanto… Mi sono venuti i sensi di colpa per averlo trattato male! ;P Quindi per il momento i problemi Andrea e Romina sono risolti, sì, ma questo non vuol dire che non ce ne saranno degli altri: mi diverto a far in modo che i miei personaggi s’incasinino la vita da soli, si nota??
Ah, a proposito di problemi: tu chiedi lumi riguardo la gravidanza, ma quella questione l’ho già risolto nello scorso capitolo, non era chiaro? Magari avrei dovuto spenderci due righe in più…
Poi, ti chiedi cosa succederà… Beh, la porta a Giacomo non è che si sia proprio spalancata, diciamo che per il momento c’è uno spiraglio… Ed è già qualcosa, conoscendo la cara Zoe! ^__^
Niccolò piace anche a me! Ma è un po’ un farfallone, non te lo consiglierei… Comunque per il momento sei la prima ad averlo prenotato, perciò… Se non cambi idea dopo questo capitolo… ;)

snail: Oh-mio-dio. Mi hai fatto così tanti complimenti che lì per lì quasi mi montavo la testa… Sono pericolosi, eh! Poi ho visto come mi è uscito quest’ultimo capitolo e ho capito che in effetti non me li meritavo… -_- …
No, vabbè, a parte gli scherzi, grazie di cuore. Sul serio non credo di meritare tante lodi, ma è chiaro dalle tue recensioni che la storia l’hai letta davvero attentamente e questo non può che farmi un immenso piacere… Ancora di più visto che ti definisci pignolissima! ;)
E, a proposito di questo, ti ringrazio anche per avermi segnalato quell’errore nel Capitolo VI: io cerco di stare attenta ma è ovvio che qualcosa mi sfugge e, hai ragione, quella è proprio una castroneria lessicale e grammaticale. Sono corsa ai ripari, comunque, e trasformato quel “neanche niente” in un “nemmeno qualcosa”, penso sia meglio… Ah, ovviamente se trovi altri errori o anche solo cose che non ti tornano non esitare a dirmelo, anzi!
Sulla caratterizzazione dei personaggi, poi, ho sempre paura di sbagliare: ad esempio in questo capitolo ho scritto tutto un dialogo lunghissimo alla festa di capodanno, poi mi sono accorta che Giacomo non c’entrava un tubo col personaggio solito e ho cancellato tutto in tronco. Non è semplice renderli coerenti con se stessi… Anzi, ultimamente faccio davvero una faticaccia e non sono neanche sicura di riuscirci del tutto, quindi la tua conferma anche in questo ambito è graditissima.
Infine, ti devo ringraziare (ancora!) per aver segnalato “Take some patience” per l’inserimento tra le storie scelte… Non me l’aspettavo! Cioè, è meraviglioso che tu pensi sia degna di finire lì, davvero. :) Non credo c’andrà, anche perché ci sono storie decisamente più meritevoli, ma grazie comunque.
Attendo altre tue recensioni e ti invito, se hai qualche critica, a non crearti problemi a farmela… Alla prossima, ciao!

freeze: Ooook, tu sei sempre quella delle richieste da rispettare, vedo! :) Vediamo se ce l’ho fatta stavolta, dunque…
1. Ho soppresso il ‘quasi non più fidanzati’ di Zoe, yeah! Siamo passati a ‘circa amici’ con Andrea… Va bene? ;)
2. Niccolò a tempo pieno: dai, in questo capitolo ci siamo, no? È fondamentale!
3. Il bacio sotto il vischio a capodanno non c’è stato… Però qui ti devo ringraziare tantissimo, perché mi hai dato l’idea di Niccolò col vischio in mano e mi sono divertita un sacco a scrivere quella parte! La scena era già impostata così ma l’escamotage del vischio ce l’hai messo tu, praticamente… Grande! [Mi chiedevo… io posso rubare le idee dalle recensioni, vero? Spero non sia contro qualche legge… :P]
4. Non posso far mettere Niccolò con Zoe, sei fuori?!! Qui qualcuno mi ucciderebbe davvero, e Viola ucciderebbe Zoe nella storia… Poi se rimango senza protagonista come la mettiamo?? :D
Per quanto riguarda l’odio a palate, un po’ me l’aspetto, faccio bene? Pazienza, sopravvivrò!
Alla prossima, e non smettere di fare le tue ipotesi, mi divertono un casino e mi sono pure utili! ;) Ciao ciao…

gufetta_95: Ciao, che bello avere sempre nuove lettrici!
Ti ringrazio moltissimo per i complimenti e ti faccio io i complimenti per essere riuscita a leggere tutti i capitoli in una mattina… Però, che coraggio! :)
Per gli aggiornamenti… La storia non è ancora scritta, quindi dipende molto dai miei impegni e dall’ispirazione. Non sono veloce, ti avverto, ma tento di stare nelle 2 (massimo 3) settimane… Non garantisco nulla, comunque, ma appena ho un capitolo nuovo lo pubblico.
Spero continuerai a seguirmi comunque! ;) Ciau.

Carrie_brennan: Addirittura un sospiro di sollievo?! Stai tranquillissima che la storia è una commedia quindi vedrai che tutti i drammi si risolveranno prima o dopo (più facile la seconda, conoscendomi)! I due, come hai detto tu, si stanno effettivamente avvicinando, ma vanno molto a rilento… Più che altro il loro problema è che ogni volta che fanno un passo in avanti poi ne fanno mezzo indietro… Quanta pazienza! ;)
Son contenta che continui a seguirmi anche se nascostamente… Va benissimo! Comunque a me fa sempre piacere se quando hai qualcosa da farmi notare batti un colpo… Grazie! :)

Alebluerose91: Buondì nuova lettrice! Uuuh, che bello che hai notato pregi e difetti dei miei personaggi… Io amo soprattutto i loro difetti, in realtà, perché, come dici anche tu, sono quelli che li fanno sembrare più simili a delle persone vere… Poi sarebbe bellissimo creare dei personaggi sempre perfetti e splendenti in ogni occasione, ma purtroppo nella vita le persone non sono così. Quindi Zoe e Giacomo sono agglomerati di difetti, che vuoi farci… :)
In questo capitolo un passetto avanti l’hanno fatto, che dici? So che magari vorreste qualcosa di più ma ormai i tempi di questa storia sono quelli che sono. Poi i due abitano anche distanti, magari se si vedessero tutti i giorni sarebbe un’altra minestra… Ma non sarebbe “Take some patience”! ;)
Quindi non mi resta che invitarti a continuare a leggere per scoprire eventuali progressi futuri che, sì, ci saranno! ^_^
I ritardi negli aggiornamenti purtroppo a volte mi scappano, mi dispiace di lasciarti (e lasciarvi) in sospeso, ma cerco di incastrare il tutto con i miei impegni. Spero continui lo stesso a seguire!
Grazie mille per i complimenti e alla prossima (spero presto)!

pirilla88: Eccolaaaaaaaaaaaa! Tranquilla, sapevo che non potevi mancare, poi ‘sta novità della recensione verde mi piace!
Hai visto cos’hanno combinato i due ritardati? Certo che se non ci fosse Niccolò, mamma mia! Direi che il caro Conte merita uno dei tuoi olèèèèèèè in piena regola, ci sta tutto! :D
Poi l’aeroporto ha fatto il resto… Chissà se Zoe odierà ancora gli aeroporti dopo quello che è successo qui? Mah… per il momento credo che saranno le lettrici a odiare me, perché questo bacio non ha risolto proprio un fico secco… Ops. :P Vabbè, almeno tu non abbandonarmi!!
Tu ti diverti a insultare Andrea, sei cattiva! :) Potrei prendermi l’obbiettivo di farti cambiare idea su di lui e quindi reinserirlo come protagonista nella trama, che dici? Mi uccidi se lo faccio, eh?? Eheh, scherzo… Nel frattempo l’inutile ringrazia per la considerazione e va a nascondersi attendendo tempi migliori!
Un bacio dall’autrice-non-più-scheggia… ;)


Uhm… Altro? Non mi pare. Ah, per il prossimo capitolo sono decisamente in altro mare anche con le idee… Poco male, mi inventerò qualcosa, come al solito! Spero di non farvi attendere, comunque…
Alla prossima e tante belle cose a voi! Au revoir.

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Capitolo 18
*** Capitolo XIV ***



Capitolo XIV




“Allora, si può sapere che vi siete detti tu e Zoe prima che lei partisse?”
“Non sono affari tuoi.”
“Lo sono, invece. Io sono Nico-Nico, il tuo bell’amichetto d’infanzia, ricordi?”
Giacomo sbuffò, sull’orlo di un esaurimento nervoso. Era un bel po’ che andavano avanti così e, anche se era abituato a essere paziente con il suo amico, stava decisamente cominciando a stufarsi di tutte quelle domande.
Erano a casa sua, a Lecce, da due ore e stavano cercando di mettere apposto le parole dell’ultima canzone scritta da Niccolò. Giorgio era ancora in vacanza con la sua fidanzata – beato lui – ma i due più giovani del gruppo avevano deciso di rimboccarsi le maniche con anticipo, prima del ritorno a Milano previsto intorno al 10 di gennaio.
Fino a quel momento era andato tutto così bene: seduti uno alla scrivania e l’altro sul letto, avevano lavorato di buona lena, senza interruzioni. Ma poi, all’improvviso, Niccolò aveva cominciato a fare domande indiscrete su Zoe e sul suo ritorno a casa e su cosa si fossero detti e su troppe cose, insomma. Neanche sospettasse qualcosa.
La verità era che Giacomo non voleva raccontare a Niccolò cos’era successo con Zoe, non voleva dirgli del bacio all’aeroporto e non voleva spiegargli cosa aveva provato. Le avvertiva come cose pienamente sue, personali, private. Ed era strano che proprio lui si sentisse così: di solito non aveva problemi a raccontare tutto almeno a Nico, ma stavolta era diverso, era… suo. E non voleva dare spiegazioni a nessuno, non voleva essere preso in giro dal suo amico, non voleva sentirsi dire “te l’avevo detto”.
D’altronde, se l’era detto anche lui di non farlo, ma non aveva funzionato. E ora era piuttosto confuso, tutto lì. Quindi, preferiva evitare inutili discorsi con Conte.
“Pensa alle cagate che hai detto tu la sera di capodanno, invece,” sviò il discorso, pragmatico.
“Mah… Non me ne pento, sai.”
“Tu sei senza ritegno! Non ti vergogni neanche un po’, incredibile…”
“Ho fatto il coglione tutta la sera,” ammise Niccolò con un’alzata di spalle, “ci sono ben altre cose di cui dovrei vergognarmi del mio capodanno.”
“Almeno lo ammetti…” sbuffò Giacomo, buttandosi all’indietro per stendersi sul letto supino.
“Ma certo,” confermò l’altro, “comunque non mi vergogno di un bel niente, eh,” precisò dopo, per evitare di dare ragione al suo amico. “Quello che intendevo dire è che, sì, ero ubriaco, ma le cose che ho detto a te e Zoe erano giuste e le ripeterei. Se almeno fosse servito veramente a farvi baciare, ma…”
La frase di Niccolò si fermò su quei puntini di sospensione, per lasciare all’altro la possibilità di ribattere con uno dei suoi soliti insulti. Che non arrivò. Anzi: calò, per qualche secondo, il silenzio più assoluto, carico di sottintesi.
“Che, scherzi? Vi siete baciati?
Niccolò gli era saltato su talmente velocemente e talmente convinto di aver interpretato bene il suo silenzio, che per un attimo Giacomo si sentì spacciato e reagì d’istinto.
“Ma cosa dici!” si difese con enfasi, tornando seduto di scatto.
Niccolò alzò eloquentemente le sopracciglia. “Hai fatto una faccia…”
Quale faccia? Lui non aveva fatto nessuna faccia. Anche se, doveva ammetterlo, tanto intuito da parte del suo amico non se l’aspettava, l’aveva stupito.
“Non è vero,” ribatté velocemente.
“Se fai così minimo minimo m’insospettisco, però. È successo qualcosa?”
“Ma così come?” fece Giacomo, incrociando spossato le braccia al petto e ignorando la sua ultima domanda. “Io e Zoe siamo amici, ve lo mettete in testa tutti quanti?”
Non gli andava tanto di mentire a Niccolò, ma non gli andava neanche di dirgli la verità, quindi non gli restava che omettere quel piccolo particolare sperando che le cose si riaggiustassero presto.
“Va bene, va bene!” Nico alzò le mani in segno di resa, ma, alla fine, gli lanciò un ultimo inquietante avvertimento. “Spero che tu mi non stia nascondendo niente, Pioggia, o te ne pentirai.”

Anche Zoe aveva deciso, autonomamente, di tenersi per sé tutto quello che era successo con Giacomo. Aveva risposto al solito tartassante interrogatorio di sua sorella Viola con frasi decise – se avesse dimostrato il minimo tentennamento sarebbe stata la sua fine – ed evitando con nonchalance ogni tema scottante.
Capodanno tutto ok, festa divertente, Niccolò un po’ ubriaco, ritorno a casa tranquillo, eccetera.
La politica dell’omissione, dunque, aveva funzionato bene anche per lei e il problema, per ora, rimaneva solo con se stessa. Non riusciva a spiegarsi le proprie reazioni al bacio con Giacomo e, cercando di evitare ancora una volta di porsi domande scomode, si era rifugiata nello studio per gli esami della sessione invernale.
La filosofia, in fondo, le era sempre piaciuta anche per quel motivo: studiandola, arrivava a porsi quesiti fondamentali sul mondo, il linguaggio, la politica, la morale, la scienza, la storia, la vita. Studiava la vita in ogni sua sfaccettatura, senza però pensare, nello specifico, alla propria vita, che in quel momento era incasinatissima.
Forse era una tecnica un po’ da vigliacchi, sì, ma col tempo funzionò. Buttandosi a capofitto su Hegel e Socrate, su Spinoza e Wittgenstein, su Epicuro e Nietzsche, riuscì a evitare di ragionare su ciò che era successo quella mattina all’aeroporto.
Non si dimenticò del bacio, quello era impossibile. Ma si sa che, col tempo, le sensazioni perdono di consistenza, sfumano i contorni dei ricordi. E accadde così: dopo venti giorni, due esami dati e un terzo da preparare, Zoe riuscì ad autoconvincersi che, tutto sommato, quello con Giacomo era stato un bacio normalissimo e che non aveva provato niente di particolare quando le labbra del salentino avevano toccato le sue. Se le sue gambe avevano ceduto, era per la sorpresa; se il suo cuore aveva accelerato, era perché non si aspettava quel bacio; se si era lasciata andare, era perché, questo poteva ammetterlo, Giacomo se la cavava bene – chissà con quante ragazze era stato, non gliel’aveva mai chiesto.
Nel frattempo, i contatti col leccese si erano in parte diradati. Non avevano raggiunto il livello dei minimi storici, come quella volta dopo l’estate, quando avevano litigato al compleanno di lui, ma erano discretamente diminuiti. Zoe aveva una spiegazione logica anche per questo: Giacomo stava lavorando tantissimo per la preparazione del nuovo album che sarebbe uscito nel giro di pochi mesi e lei, invece, studiava senza sosta per gli esami. Niente di strano, quindi.
Anzi, meglio così: Zoe aveva già notato come il loro rapporto migliorasse dopo i periodi di “pausa”; mentre, quando vivevano a stretto contatto per un lasso di tempo più o meno lungo, finivano sempre per combinare un casino. Come dopo il viaggio in Spagna, come dopo capodanno.
In compenso, Giacomo sembrava essere d’accordo con lei almeno su una questione: evitare accuratamente l’argomento ‘bacio all’aeroporto’. Quando si erano sentiti al telefono, difatti, nessuno dei due aveva minimamente sfiorato l’argomento e avevano parlato di tutt’altro, accorgendosi con facilità che il metodo funzionava. Per il momento.
Poi arrivò Davide.

Zoe incontrò Davide il primo giovedì di febbraio, dopo aver dato l’esame di Filosofia Morale.
Passato l’esame – l’ultimo della stagione, da non crederci – era corsa nel suo appartamento per prendere il borsone e si era catapultata in stazione, pronta a tornare a casa il più presto possibile. Ora, fatto il biglietto, aspettava con impazienza il treno per Mantova, sperando che quei venti minuti passassero in fretta.
Persa nei suoi pensieri, quando un ragazzo le si avvicinò e la salutò cordiale, prese quasi paura. Si girò a guardarlo sospettosa: no, non lo conosceva. Però era carino, cavolo.
“Scusa, ti ho spaventata?”
“No, no, figurati.” Era sempre di poche parole con gli sconosciuti.
“Hai cinque minuti?”
Zoe si limitò a fissarlo costernata: che poteva volere da lei?
“Ci conosciamo?” gli domandò infine, scettica, pur sapendo già la risposta. No, quel ragazzo non l’aveva mai visto prima.
“No, scusa, dovrei spiegarti in effetti. Sono un operatore delle Ferrovie dello Stato, vorrei proporti un test sui servizi di Trenitalia per…”
Zoe si diede mentalmente della stupida: ma certo, i questionari valutativi, aveva anche sentito l’annuncio all’altoparlante poco prima. E lei che credeva che… insomma, che quel tipo stesse tentando di abbordarla. Idiota.
Nel frattempo, lui continuava a spiegarle. “…quindi, dicevo, se hai cinque minuti di tempo, se ti va, potresti compilare uno di questi test, insomma.”
Lei guardò l’orologio. “Sì, dovrei avere ancora una ventina di minuti…” iniziò, tentennante, e il ragazzo subito partì in quarta, lasciandole tra le mani un foglio e una penna.
“Perfetto!” esclamò felice. “Allora, se non ti dispiace prima dovrei farti qualche domanda, niente di personale, eh, solo per capire a che campione di clientela appartieni, quanto spesso viaggi in treno e queste cose qui. Poi puoi compilare quel questionario che ti ho dato, è una cosa veloce, vedrai che non ti porterà via più di un paio di minuti… Va bene?”
Zoe annuì, frastornata.
“Bene, dunque… Fascia d’età?” Prima che lei rispondesse, il tizio la stava già guardando con un sorriso. “Posso provare a indovinare?”
Lei rimase stordita dai suoi occhi, azzurri e bellissimi. Senza capire cosa le stesse succedendo, il suo cuore cominciò ad accelerare. “C-certo,” balbettò.
“La fascia è sicuramente quella 18-24, direi. Hai… diciannove anni?”
“Venti,” precisò lei. Era normale che le dessero sempre un po’ meno dei suoi anni, anche perché le ragazze della sua età di solito si tiravano molto di più e lei, beh, al loro confronto a volte sembrava davvero una ragazzina. Almeno c’era andato vicino al primo colpo.
“Come me, allora,” fece lui, spuntando una casella su un foglio che aveva in mano, per poi guardarla di sottecchi.
“Studentessa?”
“Sì.”
“Pendolare?”
“No.”
“Mh. Che studi?”
Zoe rimase zitta qualche secondo.
“Oh,” riprese lui, “non è per il test. Questa è una mia curiosità personale, se non ti dispiace…”
“Ah, no, figurati. Faccio Filosofia.”
“Qui a Padova?”
“Sì.”
“Ma dai? Assurdo, io faccio Lettere, sai, non mi pare di averti mai vista.”
“C’è tanta gente in facoltà.”
“Sì, ma se avessi visto una ragazza carina come te sicuramente me la ricorderei…” commentò lui, puntandole addosso i suoi occhi azzurrissimi.
Zoe si sentì avvampare, e abbassò lo sguardo. Cacchio, già quel tipo era figo, in più se si metteva pure a farle certi complimenti, se lo sarebbe anche sognato di notte!
Lui dovette accorgersi della sua reazione, perché si scusò. “Ehi, non volevo metterti in imbarazzo, sul serio. Continuiamo. Quante volte al mese prendi un treno, in media?”
“Ehm… Di solito due volte a settimana, per tornare a casa nel weekend.”
“Quindi immagino tu usi soprattutto treni regionali.”
“Esatto.”
Lui finì di scrivere qualcosa sul foglio che aveva in mano. “Bene,” disse poi, “io avrei finito con le domande. Ora dovresti compilare quel questionario valutativo, si tratta semplicemente di mettere dei voti numerici ai servizi indicati, e cose così. Dopo giuro che ti lascerò in pace.”
“Tranquillo, nessun disturbo,” rispose lei.
Diede una rapida occhiata alle domande sul foglio: accessibilità orari, eventuali ritardi, pulizia sedili, pulizia corridoi, pulizia servizi igienici, personale Trenitalia… Non riuscì a trattenersi.
“Volete davvero che la gente risponda a queste domande, che dia dei voti?” le uscì detto prima di riuscire a tapparsi la bocca.
Il ragazzo scoppiò a ridere divertito.
“Scusa,” tentò di rimediare Zoe, “non volevo essere maleducata ma, insomma, i servizi di Trenitalia sono… sono…” Non sapeva come finire la frase senza risultare nuovamente sgarbata.
“So cosa vuoi dire,” la tranquillizzò lui, togliendola dall’impiccio. “Fanno schifo, semplicemente. Sono d’accordo con te, io sono qui solo perché mi pagano per far compilare alla gente questi stupidi questionari, come se non fosse ovvio che il servizio ferroviario italiano è davvero indegno.”
Zoe sorrise, spiazzata dal modo di fare di quel tipo. “Va bene, compilo questo foglio e non ti trattengo oltre.”
“Figurati,” ammiccò lui. “È un piacere parlare con te.”
Lei abbassò di nuovo lo sguardo sul questionario, imbarazzata. Quando l’ebbe finito, porse i fogli al ragazzo, evitando comunque i suoi occhi, che la destabilizzavano.
Lui la ringraziò, poi le diede in mano una penna, dicendole che era un gadget che le Ferrovie dello Stato offrivano “a chi si presta gentilmente a questo stupido test”. Zoe sorrise guardando la penna, poi notò un foglietto piegato, incastrato sotto il tappo. Fece per prenderlo, ma il ragazzo la fermò sfiorandole un polso.
“Non adesso, sennò mi imbarazzo.”
Zoe dubitava che quel tipo potesse imbarazzarsi per alcunché, ma lasciò correre. “Cos’è?” si limitò a chiedergli, ignara.
“Il mio numero di telefono,” spiegò lui con una tranquillità disarmante. “Usalo, se ti va.”
La ragazza arrossì e per poco non si soffocò con la sua stessa saliva. “E-eh?” tartagliò, sentendosi incredibilmente stupida.
Lui sorrise, facendola avvampare ancora. “Ora vai, sennò perdi il treno, no?”
“Sì, sì… Giusto, ora vado, sì.”
Fece per allontanarsi, scossa, quando lui la chiamò di nuovo. “Scusa!” urlò, facendola girare. “Non mi hai detto il tuo nome.”
“Zoe,” mormorò lei.
Pensò che sicuramente non l’aveva sentita, invece il tizio sorrise. “È un bellissimo nome,” commentò, ammiccando nella sua direzione. “Spero di rivederti presto, Zoe.”
E se ne andò prima ancora che lei riuscisse a pensare che il suo nome, invece, non lo sapeva. Che situazione assurda.
Quando salì in treno, però, aprì con mani tremanti il biglietto e, mentre il suo cuore accelerava in maniera decisamente anormale, lo lesse.
Davide, c’era scritto, seguito da un numero di cellulare.
Zoe non credeva nei colpi di fulmine né nel destino. Ma, quasi quasi, sperava di dover cambiare idea.

A dimostrazione del fatto che la vita, la maggior parte della volte, è davvero ironica, il giorno successivo anche Giacomo fece un incontro alquanto inaspettato.
Era primo pomeriggio e il ragazzo si trovava in una stazione della metropolitana di Milano quando, improvvisamente, sentì una voce che gli pareva di conoscere.
“No, ascolti lei: ho fatto quell’ordine tre settimane fa, non mi pare possibile che… Cosa?! Ma sta capendo quello che le dico? … No, no. … Senta, non sto chiedendo la luna, mi pare, ma solo che venga rispettato un… Come dice? … Sì, ho capito, ma…”
Giacomo sussultò e si girò di scatto verso il punto da dove proveniva la voce per avere la conferma di ciò che pensava. E l’ebbe: poco distante da lui, in piedi con sguardo furente e l’orecchio attaccato a un telefono cellulare, c’era Beatrice. Quella Beatrice: la ragazza di cui si era innamorato quando non aveva nemmeno diciott’anni; ovvero la ragazza che, dopo più di dodici mesi d’amore intenso e travagliato, l’aveva tradito, umiliato, lasciato di fronte a tutti i suoi amici. Lei era lì.
Beatrice non l’aveva ancora notato, se avesse voluto avrebbe potuto prendere e fuggire passando inosservato, ma, per motivi a lui oscuri, preferì non farlo. Si limitò invece a guardarla sbraitare al telefono finché lei, forse sentendosi osservata, si girò verso di lui e spalancò gli occhi, sorpresa.
“Giacomo…” mormorò stranita. Poi si riscosse e parlò di nuovo al telefono. “Ora devo andare, la richiamo io, va bene? … Sì, certo. Arrivederci.” Riattaccò e si avvicinò a Giacomo continuando a guardarlo negli occhi, decisa.
“Giacomo Pioggia!” fece, alzandosi in punta di piedi per buttargli le braccia al collo e abbracciarlo. E lui, stupidamente, pensò a Zoe; pensò a quando prima di partire per la Spagna, in aeroporto, lei l’aveva abbracciato di slancio, sorprendendolo. In aeroporto, maledizione.
Beatrice si staccò e lo guardò negli occhi. “Tu sei… sei sempre più bello, Gia’. Cavoli, sarà almeno un anno che non ci vediamo.”
“Sì,” rispose lui, aprendo la bocca per la prima volta. “Anche tu stai bene.”
Era vero: Beatrice era sempre stata una bella ragazza, ma era cresciuta e migliorata dall’ultima volta che l’aveva vista. I capelli scuri le ricadevano lisci sulle spalle, più corti rispetto a qualche anno prima, e gli occhi erano sicuri di sé e consapevoli; sembrava anche più alta, possibile? Giacomo la guardò meglio e notò che portava delle scarpe col tacco, cosa che una volta non avrebbe mai fatto.
Mentre stavano lì, semplicemente a guardarsi e riconoscersi, arrivò il treno che entrambi dovevano prendere.
“Prendi questo?”
Lui annuì, ancora perso fra i suoi pensieri.
“A che fermata scendi?” chiese Beatrice mentre entrambi salivano.
“La quarta, abito da quelle parti. Tu dove vai?”
Lei guardò l’orologio prima di rispondere. “Dovrei scendere più avanti per andare all’università, ma posso rimandare per stare un po’ con te, se ti va. Possiamo scendere vicino a casa tua, così mi porti a bere qualcosa in un bar. Che dici? Abbiamo così tante cose da raccontarci…”
Giacomo accettò, sorridendo leggermente teso. Stare accanto a Beatrice in quella situazione lo imbarazzava più del dovuto; anzi, se ben ricordava, quand’era con lei si trovava sempre a essere vagamente agitato, come se non fosse del tutto a suo agio nel suo corpo. Ad ogni modo, non gli dispiaceva di averla incontrata e sarebbe stato felice di fare due chiacchiere con lei, sapere come se la cavava, descriverle i propri impegni artistici e musicali.
Così fecero: avevano più di un anno in arretrato da raccontarsi a vicenda, così, seduti in un piccolo bar poco distante dall’appartamento condiviso dai tre Jam, parlarono per parecchio tempo. Non andarono troppo a fondo, in verità, più che altro si narrarono quello che stavano facendo in quel periodo a livello lavorativo o, nel caso di Beatrice, universitario. Giacomo infatti scoprì che, dopo la laurea triennale in Economia a Lecce, aveva deciso di spostarsi a Milano per frequentare i corsi della specialistica e poi, eventualmente, tentare di entrare nel mondo del lavoro.
Gli disse anche che in quei mesi di lontananza aveva pensato spesso a lui e che si era sempre tenuta informata – tramite amici in comune, parenti e a volte qualche giornale – sulla sua vita, la sua musica, il suo prossimo successo. In quel primo periodo a Milano, raccontò, aveva riflettuto diverse volte se fosse il caso di chiamarlo o meno, per poi decidere che, se non si erano sentiti per così tanto tempo, forse lui non aveva voglia di vederla e che, quindi, con ogni probabilità era meglio lasciarlo in pace.
“Ma ho fatto una cazzata,” ammise, guardandolo intensamente. “Ora che ti ho qui davanti mi rendo conto che avrei dovuto chiamarti prima. Sei così… mi sei mancato, Gia’.”
Beatrice era sempre stata una ragazza tenace, fiera e sicura di sé, che non si faceva problemi a prendersi ciò che riteneva fosse suo di diritto. Giacomo lo vide dal suo sguardo, dal suo modo di muoversi, che non era cambiata; anzi, sembrava aver acquisito anche maggiore fiducia in se stessa in quei mesi e – lui se ne accorse benissimo – non si limitò a trattarlo come un vecchio amico, ma giocò a flirtare con lui con occhiate ammiccanti, carezze languide sulla sua mano poggiata sul tavolino, sorrisi maliziosi e pieni di doppi sensi.
Si maledisse mentalmente quando, senza sapere perché, si trovò di nuovo ad azzardare, dentro di sé, un paragone tra Zoe e Beatrice. Si disse che non era il caso di fare certi parallelismi, dal momento che le due avevano veramente poco o nulla in comune. Tanto Beatrice era aperta, sicura di sé, allusiva, quanto Zoe era schiva, insicura, ingenua, difficile da avvicinare. Ma se si andava oltre le apparenze, Giacomo lo sapeva bene, Zoe sapeva donarsi in un modo sincero e schietto, era affidabile e, a tratti, anche dolce; al contrario, la sua ex ragazza era inattendibile e con lui, anni prima, si era comportata in un modo totalmente meschino.
Nonostante ciò, Giacomo non riusciva a non essere in qualche modo attratto da Beatrice, dai suoi modi di fare appariscenti e decisi. Tanto che, alla fine, quando dovettero salutarsi, le indicò dove si trovasse precisamente il suo appartamento e si ritrovò a sperare che lei andasse a trovarlo.
Quando furono fuori dal bar, pronti a dividersi, lei all’improvviso gli si avvicinò, abbracciandolo di nuovo con trasporto.
“Mi ha fatto davvero piacere rivederti, Giacomo,” gli sussurrò.
“Anche a me,” si limitò a rispondere lui.
Beatrice allora lo guardò dritto negli occhi e gli lasciò un bacio a fior di labbra, per poi sorridergli.
“Bene. Ci vediamo prossimamente allora…” concluse lei, prima di voltarsi e salutarsi con la mano. “Ciao bel cantautore.”
E Giacomo seppe in quel momento che, sì, Beatrice sarebbe andata a trovarlo presto.

Infatti dovette attendere solo tre giorni prima di rivederla.
Era metà pomeriggio, stavolta, e Giacomo era da solo nell’appartamento: Niccolò era appena uscito in macchina ma lui aveva preferito restare a casa, distrutto dagli impegni della giornata. Quella mattina avevano fatto il servizio fotografico per l’album e, subito dopo, avevano litigato col grafico che sembrava non voler scendere a compromessi riguardo la copertina.
Così, quando suonò il citofono, si alzò di malavoglia dal divano e aprì direttamente, pensando che fosse Niccolò che, come al solito, aveva dimenticato qualcosa. Le chiavi, per esempio.
Ma si sbagliava. Quando trillò anche il campanello della porta e andò ad aprire, si trovò davanti una sorridente Beatrice e si stupì non poco. Pensava che almeno l’avrebbe avvisato prima di passare a trovarlo e in quei giorni, invece, non si erano mai sentiti.
“Ehi,” lo salutò Beatrice, aprendo le braccia. “Come vedi sono venuta, alla fine.”
Giacomo era troppo sorpreso per dire qualcosa di intelligente. “Infatti…”
Lei ridacchiò e guardò oltre la sua spalla. “C’è qualcuno in casa? Non mi fai entrare?”
Mentre si spostava per lasciarla passare, lui ringraziò mentalmente il cielo per la mancata presenza di Niccolò in quel momento: non gli aveva ancora detto nulla dell’incontro con Beatrice e, oltretutto, lui non sopportava la sua ex ragazza, non l’aveva mai tollerata.
“Sei a casa da solo?” chiese di nuovo lei.
“Sì, gli altri dovrebbero tornare verso sera.”
Beatrice non se lo fece ripetere due volte e gli si avvicinò. “Meglio,” sussurrò. “Non pensavo di essere così fortunata.”
Lui si diresse verso la cucina, allontanandosi da lei che, comunque, lo seguì. “Vuoi qualcosa da bere? Cosa posso offrirti?”
Lei lo fermò, prendendolo per un braccio e costringendolo a girarsi. “Non far finta di non capire, Gia’, ormai ci conosciamo da tanto tempo. Io… tu mi sei mancato, in tutti i sensi. Non ho bisogno di niente, voglio solo te.”
Giacomo boccheggiò, indeciso. Come doveva comportarsi? Avrebbe mentito se avesse detto che lei gli era indifferente: non era vero, anche lui aveva provato qualcosa nel rivederla, qualche giorno prima, e nel trovarsela in quel momento fuori dalla porta di casa. Ma al tempo stesso sentiva che c’era alcunché di strano, di sbagliato in quella cosa. Non riusciva a focalizzare il punto, non riusciva a capire che cosa effettivamente fosse fuori posto; non riusciva, in fondo, a trovare una ragione per dire di no a Beatrice. Voglio solo te.
Così reagì d’istinto – un istinto piuttosto basso, forse, ma comunque presente in lui – e le si avvicinò ancora, baciandola senza troppe cerimonie. Beatrice, ovviamente, non si fece pregare e rispose al suo bacio con intensità, portandogli le mani sul viso, fra i capelli, dappertutto.
Mentre la trascinava verso la propria camera da letto, Giacomo pensò un’ultima volta a Zoe, stupidamente. Eppure, convenne fra sé con l’immagine di Zoe che gli passava davanti, ancora non riusciva a capire cosa fosse che non quadrava in tutta quella faccenda.

Quando Niccolò, a ora di cena, rientrò, non si aspettava certo di trovare ospiti. Quindi sbatté la porta con poca grazia e, mentre appoggiava le chiavi sull’apposito ripiano, si mise a urlare per parlare col suo amico che immaginava fosse in cucina, vista la luce che proveniva da quella stanza.
“Giacomo,” fece, senza minimamente preoccuparsi del tono di voce, “non puoi nemmeno immaginare chi ho visto oggi, proprio qua nel nostro quartiere. Ero appena uscito con la macchina e ho visto a passeggio quella va…” Il moro, però, non riuscì a terminare la frase – che sarebbe stata poco carina nei confronti di Beatrice – perché, entrando in salotto, si trovò davanti la diretta interessata delle sue parole, in piedi accanto al suo amico.
“Ciao Niccolò.”
Lui sgranò gli occhi, esterrefatto, poi si rivolse a Giacomo. “E lei cosa ci fa qua?” gli chiese ad alta voce, senza preoccuparsi di non farsi sentire.
Lei ha un nome e lo sai benissimo,” lo ammonì l’altro. “E sei piuttosto scortese.”
Niccolò si stampò in faccia un falsissimo sorriso di circostanza. “Ciao Beatrice. Tutto bene?”
“Sì, grazie, tu?”
“Anch’io,” la liquidò lui, con un gesto della mano, prima di voltarsi di nuovo verso Giacomo. “E adesso mi dici che ci fa qua?”
“Nico, smettila.”
Lui scrollò le spalle, insofferente: non sopportava Beatrice e lei ne era perfettamente consapevole, come anche Giacomo, non vedeva quindi il motivo di tutti quei convenevoli. “Bene,” disse quindi, “fa’ un po’ come ti pare, sono affari tuoi.” Poi si girò verso Beatrice. “Resti ancora molto? Sennò vado fuori a cena, insomma.”
Giacomo quasi ringhiò. “Conte…”
“No,” intervenne Beatrice, “me ne vado io, me ne sarei andata comunque adesso.”
Dopo che fu uscita, Giacomo rivolse al suo amico uno sguardo a metà tra il furente e il disperato.
“Che c’è?” fece Niccolò, noncurante. “Sai che quella non mi è mai piaciuta, neanche quando stavate insieme. Come mai era qui?”
Giacomo non rispose e distolse lo sguardo, eloquentemente.
“Te la sei portata a letto?”
Lui tentennò, ma poi annuì, sentendosi come un imputato colpevole di fronte al giudice, ma senza capirne il perché: non aveva fatto niente di male, in fondo.
“E da quanto va avanti questa storia, si può sapere?”
“Da oggi. Era la prima volta che veniva qua,” rispose Giacomo.
“Mi vuoi dire che oggi l’hai incontrata per la prima volta a Milano e poi te le sei portata a casa per fartela?” Niccolò sembrava scettico.
“No, l’avevo già vista qualche giorno fa.”
“Ah,” commentò Nico, metabolizzando la notizia. “Ok, senti, Pioggia, lo so che non sono affari miei, ma sono tua amico e ultimamente, devo dirtelo, ti vedo strano. Più del solito, intendo. Ora, non è che sono una femminuccia e voglio che mi racconti tutti i tuoi segreti, però mi sono accorto che mi stai nascondendo delle cose, come questa faccenda di Beatrice.”
“Nico, mi dis…”
L’altro non lo fece finire. “Lascia perdere.” Il suo tono non era arrabbiato, in realtà, solo leggermente preoccupato. “Sei grande e vaccinato, sono fatti tuoi quello che vuoi fare. Cerca solo di non combinare casini, ok? E sai a cosa mi riferisco…”
Giacomo assunse un’aria piuttosto perplessa. “No, non lo so.”
“Beh…” Niccolò sorrise, dandogli una pacca sulla spalla. “Sei sempre stato poco sveglio, amico. Ma se ci rifletti, sono sicuro che in fondo lo sai.”
Detto questo, il ragazzo si diresse verso il frigo e lo aprì. “Allora, cosa c’è per cena?”
Giacomo sbuffò, scuotendo la testa. Conosceva Niccolò da più di quindici anni, ma ogni tanto i processi mentali del suo amico gli rimanevano comunque incomprensibili. Era paradossale, ma vero.

Il vero paradosso, però, fu che tutti questi avvenimenti, invece di dividere ulteriormente Giacomo e Zoe, fecero in modo che i due si riunissero. Giacomo, infatti, dopo essere stato con Beatrice, sentì il bisogno tangibile, quasi fisico, di rivedere Zoe. Era uno sensazione strana e difficile da descrivere a parole, sapeva solo che gli mancava tantissimo e non gli bastava più sentire la sua voce attraverso il telefono.
La chiamava tutte le settimane, ma tra loro aleggiava qualcosa di irrisolto, come se l’alone del bacio post-capodanno non fosse scomparso del tutto, nonostante i loro tentativi di ignorarlo. Cioè, lui si sentiva così; non sapeva se fosse un bene, ma aveva il coraggio di ammetterlo almeno a se stesso.
Gli impegni per il disco in prossima uscita, però, continuavano a moltiplicarsi e Giacomo sapeva che quella volta non sarebbe riuscita a svignarsela come al solito, ad abbandonare per un paio di giorni baracca e burattini e a prendere un treno che lo portasse da Zoe.
L’occasione che aspettava, comunque, gli capitò sotto mano quasi all’improvviso.
Il loro agente, che lavorava per i Jam Session tramite la casa discografica, li informò che erano stati invitati a presenziare a un evento per giovani talenti emergenti che si teneva tutti gli anni a Mantova. Antonio Fabiani, ovvero il suddetto agente, gli sconsigliava di accettare l’invito. I problemi erano molteplici: in primis il fatto che quest’invito, inatteso, era arrivato davvero in ritardo, dato che il concerto era previsto per il primo sabato di marzo, ossia dopo appena tre settimane dall’avviso; poi, diceva giustamente, non sarebbe stata l’occasione giusta per farsi pubblicità dal momento che partecipavano un sacco di cantanti e gruppi e ognuno avrebbe potuto cantare al massimo due o tre canzoni proprie; infine, e non era un problema da sottovalutare, il cd dei Jam sarebbe uscito giusto il giorno precedente, venerdì 5 marzo, seguendo di una settimana il lancio nelle radio del singolo, e si era previsto di cominciare la promozione dalle loro terre, la Puglia e il Salento, dunque in quel periodo sarebbero dovuti essere a Lecce, non in Lombardia.
Ma nonostante tutto questo lunghissimo discorso dell’agente, razionale e sensato a dire il vero, il cervello di Giacomo si era inceppato alla prima frase, a una parola in particolare della prima frase: Mantova. L’evento si teneva lì, dunque era l’occasione perfetta per conciliare lavoro e piacere: Zoe ci metteva meno di mezz’ora ad andare fino a Mantova e lui stava cercando da giorni un momento per rivederla.
Se ne fregava del resto: il poco tempo per organizzare tutto, la scarsa pubblicità e i bassi profitti per loro, il disco in uscita quello stesso weekend… Dettagli; voleva vedere Zoe. Insistette così tanto e in modo così veemente per raggiungere il suo scopo, che Fabiani alla fine dovette cedere, stremato, pur senza capire da dove uscisse tutta quella voglia di esibirsi a Mantova.
Niccolò, invece, lo sapeva benissimo – ma evitò di farlo notare ad alta voce, per fortuna – e anche Giorgio subodorava il vero motivo di tanto entusiasmo. Comunque, nessuno dei due fece qualcosa per impedirgli di convincere l’agente. Anzi, quando Fabiani li interpellò per sapere la loro opinione, Giorgio si limitò a scrollare le spalle e Niccolò disse che era d’accordo con Giacomo. Poi guardò l’interessato come a dirgli: “Mi devi delle spiegazioni. E un piacere.
Giacomo sorrise e lo ringraziò con gli occhi. Non c’era niente da spiegare: lui voleva vedere Zoe.

La sera stessa la chiamò, in fibrillazione.
“Pronto?”
“Indovina un po’?” fece allegro Giacomo, senza nemmeno salutarla.
“Ciao anche a te, Pioggia…”
“Risposta sbagliata! Hai ancora due tentativi.”
Zoe sbuffò, sorpresa. “Ma se non so neanche di cosa stai parlando!”
“Ovvio! Sennò sarebbe troppo facile da indovinare, ragazzina!”
Lei tentennò, ma poi si decise a dargli corda. “Un aiutino…?”
“Si tratta di una cosa che succederà fra tre settimane.”
“Facile. Esce il vostro disco, no?”
“Risposta sbagliata di nuovo. Sei troppo frettolosa!” esclamò Giacomo, che si stava divertendo un sacco: parlare al telefono con Zoe lo metteva di buonumore sempre e comunque.
“Beh, ma scusa, fra tre settimane succede quello, no?”
“Ti do un altro indizio, allora: tua sorella ne sarà molto contenta.”
Sentì che Zoe sbuffava nuovamente. “Questo non mi è molto d’aiuto, Viola si entusiasma per qualsiasi cazzata voi facciate…”
Lui la ammonì. “Attenta con le parole, ragazzina… Noi non facciamo mai cazzate!”
“Dunque… Cosa può essere… Ci sono! Mettete su un’asta per vendere quello scemo di Conte!”
Giacomo rise. “Ma che dici!”
“Beh, mia sorella ne sarebbe contenta… Potrebbe comprarlo.”
“In effetti non sarebbe una cattiva idea per sbarazzarcene… Comunque no, hai sbagliato per la terza volta, ragazzina, che delusione!”
“Avanti, allora. Quale sarebbe questo grande avvenimento?” le chiese lei: si fingeva noncurante ma Giacomo sentì comunque la curiosità nella sua voce.
Avrebbe voluto tenerla ancora un po’ sulle spine, ma era talmente contento che non riuscì a trattenersi dal dirglielo. “Sabato 6 siamo a Mantova per un concerto!”
“Il 6? Dici sul serio?” Zoe sembrava sinceramente stupita.
“Certo! Non ti fa piacere?”
“Sì, ma non capisco… Come mai lo sapete solo adesso?”
Lui le spiegò velocemente. “Non è un concerto nostro, è un evento, e ci hanno invitato all’ultimo.” Si fermò, poi decise di dirle tutta la verità. “Ho insistito tanto per esserci, Zò, mi manchi, ho voglia di vederti.”
Dopo qualche istante di silenzio, Zoe sospirò, colpita dalla sua franchezza. “Toccherà venire a sentirvi, allora…”
Giacomo sentì una lieve fitta all’altezza dello stomaco. Sapeva perfettamente che stava scherzando, ma avrebbe voluto vedere la sua espressione per tradurre i suoi reali pensieri: gli dava quasi un fastidio fisico sentire la sua voce attutita attraverso la cornetta del telefono senza vederla, senza poter decifrare i suoi occhi neri.
“Direi di sì.”
La voce di Zoe si fece più indecisa. “Giaco… Lo sai che scherzo, vero?”
“Sì che lo so. E tu lo sai che sono serio quando dico che mi manchi?”
Lei ridacchiò. “Ma se ci sentiamo quasi tutti i giorni!”
“Mi manca vederti.”
Il tono di Giacomo era così sincero da spiazzare, e Zoe alla fine decise di accontentarlo. “Ok… Lo sai, il massimo che posso dirti è che fa piacere anche a me sapere di rivederti fra tre settimane.”
“Sul serio? Ti manco anch’io?” domandò lui, a mo’ di bambino viziato.
“Non lo ripeterò, Pioggia.”
Lui sorrise, sentendo che anche lei stava facendo altrettanto. “Me lo farò bastare.”




















Ave! So che speravate in un aggiornamento più rapido ma vi avevo avvisato che le idee per il capitolo erano scarse… Comunque, here I am!
Se qualcuno vuole uccidermi non lo faccia subito ma aspetti almeno la fine delle note: nel frattempo cercherò di fargli cambiare idea. Immagino già anche i motivi del vostro odio nei miei confronti, motivi che ora mi premurerò di spiegare:

 1. Il bacio: dimenticato? No, nessuno dei due si è dimenticato il bacio, spero che questo sia chiaro. So che alcune di voi avrebbero voluto vedere la resa dei conti già in questo capitolo, ma, capiamoci, era impossibile: sarebbe prematuro da parte di entrambi, ma soprattutto per Zoe. Non se l’è dimenticato nemmeno lei quel bacio, ma cerca comunque di sminuirne la portata e – per il momento – ce la fa. Giacomo, invece, è più sulla buona strada: non per fare spoiler, ma è già cotto a puntino… Si capisce, no? Ha solo bisogno di una spintarella per comprenderlo anche lui, ma ogni cosa a suo tempo… :)

 2. Beatrice e Davide. E qui, sì, avete ragione a odiarmi. Ma, ovviamente, c’è un motivo per ogni cosa.
Per Beatrice, ve lo posso già dire, non preoccupatevi troppo (almeno vi tolgo un mezzo peso!); avrà un suo ruolo ma, come ho già detto, il buon Pioggia ha altro per la testa. Per chi non si ricordasse chi è Beatrice, dovrei averne parlato in GIACOMO 1, GIACOMO 2 e all’inizio del Capitolo VIII. Comunque, in breve, Beatrice può essere definita l’ex ragazza “storica” di Giacomo: una storia durata un annetto quando i due hanno circa 18-19 anni. Poi lei tradisce Giacomo e glielo riferisce davanti a tutti, a una festa post-diploma, mollandolo. Beatrice è il suo primo amore e Giacomo resta segnato da questa storia come dalla rottura brusca, tanto che dopo non riesce più a instaurare storie serie né ad innamorarsi, ma preferisce buttarsi nella musica e continuare a divertirsi con le donne. Ho fatto questo riassunto per chi non avesse voglia, giustamente, di mettersi a spulciare tutta la storia per ritrovare i riferimenti di cui vi ho parlato, comunque non ho aggiunto nulla a quanto già detto. Spero possa esservi utile.
Per quanto riguarda questo Davide invece… Beh, diciamocelo: Giacomo finora non ha avuto rivali veri e propri. Andrea all’inizio gli ha impedito di provarci con Zoe, ma lei non ne è mai stata davvero innamorata, mentre per Davide sente qualcosa fin dal primo momento, anche se non riesce a capire di cosa si tratti… Zoe è la solita casinista, gente, non c’è niente da fare. E Davide, sì, avrà una parte importante e problematica, e questo, sì, è un buon motivo per maledirmi! Vedremo… Per adesso a nessuna piace? Neanche un pochino? È affascinante, dai! ;) Vabbè…

3. Aurora. Diverse di voi mi hanno espresso perplessità sull’allontanamento tra Zoe e Aurora. Forse avete ragione, comunque io ho una spiegazione anche per questo. Dal punto di vista letterario, ovviamente, mi serve per far avvicinare di più Zoe a Giacomo, ma non si tratta solo di questo. Le due amiche vivono in due città diverse e, beh, penso sia normale che quando una delle due comincia una storia seria (Aurora) ci sia un lieve distaccamento. Non sono riuscita a descriverlo bene, comunque vedrete che non è niente di traumatico o strano, semplicemente si sentono meno di una volta, per il momento. A voi non è mai successo? A me sì! Anyway, le cose si sistemeranno… Volevo inserire Aurora già in questo capitolo, ma non sono riuscita… Spero di poterla far comparire presto.

Cooomunque. Io vi avviso: da adesso ne succederanno delle belle. Perciò, preparatevi. Se mi odiate adesso nei prossimi capitoli mi detesterete, ma spero, alla fine, di riscattarmi! Ihih… ;)
Invece: so di non essere puntuale con questo capitolo, ma conto di tornare un’autrice-scheggia al più presto. Ebbene sì: in queste settimane ho modificato la trama e lo schema di Take some patience e ho scritto diverse parti dei capitoli successivi! Incredibile ma vero, mi sono portata avanti col lavoro, yu-huu! Questo mi permette di lavorare ai prossimi capitoli con più tranquillità e – forse – potrete stare più tranquilli anche voi. Bello, eh? Spero di non farvi più aspettare troppo, quindi, davvero.

Ho già rotto abbastanza con queste chiacchiere! Perciò vi faccio un’ultima richiesta, prima di ritirarmi: lo staff di Efp ci ha messo a disposizione il fantastico strumento della risposta diretta alle recensioni. Ora, per abitudine io adesso risponderò qui nelle note e poi con un copia-incolla metterò le risposte anche direttamente nelle recensioni.
Però, volevo chiedervi: preferite che continui a mettere le risposte sia qua che là – per i primi tempi, magari – o va bene se rispondo solo col nuovissimo e utilissimo metodo?
Comunque sia:


snail: Ooooh, no, non piangere! :) Non posso che dire grazie, al solito… (sì, sono noiosa!)
E devo anche darti ragione al cento percento sulla faccenda del dialogo col nonno: è vero, è poco verosimile che un signore anziano – che sia leccese, fiorentino, milanese – parli perfettamente un italiano comprensibile a una ragazza che viene dall’altro capo d’Italia… Prendilo per buono, come hai fatto. Devo ammettere che mi hai letto nel pensiero, quello dei dialetti è un problema che mi sono posta fin dal primo momento in cui ho cominciato a scrivere la storia ed era inevitabile (sono pignolissima su queste cavolate!), avendo inserito un salentino e una lombarda come protagonisti… e non essendo io nessuna delle due cose! Ovvio che tra di loro Giacomo e Zoe devono parlare italiano, sennò non ne uscirebbero però… mi sono posta il dubbio, come te: so che ci sono comunque differenze di cadenze, di vocabolari, di modi di parlare tra Nord e Sud Italia. Alla fine, per non diventare pazza, ho deciso di lasciar perdere e di far parlare ai personaggi un normalissimo corrente italiano (anche quando sarebbe più giusto far parlare dialetto fra loro almeno Giacomo e Niccolò, ma purtroppo non ho ha disposizione un traduttore italiano-leccese), sigh. Forse la storia perde in verosimiglianza, ma per il resto ho fatto tutto quello che potevo! Comunque ti ringrazio per aver sollevato la questione, dato che ci tenevo anch’io.
Ancora grazie grazie grazie per i complimenti sul bacio e tutto il resto, sono contenta che sia risultata una scena credibile! E alla prossima!

gufetta_95: Grazie davvero di essere riuscita a recensire anche se eri di fretta… Lo scorso capitolo, l’ho già detto, è stato un po’ faticoso per me e ricevere delle recensioni e degli apprezzamenti è sempre importante! Scusa il ritardo e spero ti piaccia anche quest’ultimo capitolo…

mary whitlock: Uhm… Niccolò è disposto a conoscerti, però ti avviso che è poco propenso alle storie serie, ahimè! :P Nonno Nicola invece ha la testa più sulle spalle però, dai, non so quanti anni hai, ma credo sia un po’ troppo anziano per te! :D Eheh…
A parte queste cavolate, purtroppo, hai visto, non ho aggiornato presto: da me non sapete mai cosa aspettarvi e che tempi dovrete attendere, ma faccio ciò che posso!
Quindi, grazie mille per i complimenti sullo scorso capitolo, grazie grazie! È vero: i due sono abbastanza tordi e continuano imperterriti a esserlo (e continueranno, purtroppo), ma le cose attorno a loro, volenti o nolenti, si stanno muovendo… E io non darò loro alcuna tranquillità, no no! :)
In compenso, come hai visto, il dialogo con Niccolò sobrio qua c’è stato, e il fatto che Giacomo gli nasconda del bacio è piuttosto significativo, dato che di solito gli racconta più o meno tutto… Cosa vorrà dire?!
Che ne pensi dei nuovi personaggi? Sono curiosa di vedere le vostre reazioni… ;) A presto.

freeze: Sempre dritta al punto e precisa, hai azzeccato praticamente tutto!
Giacomo, sì, è un misto tra l’uomo perfetto e un totale cretino: da un lato è dolce e comprensivo, dall’altro a volte se ne esce con frasi a sproposito o gesti inconsulti… Che vuoi farci, nessuno è perfetto! In compenso, Niccolò e il nonno di Giacomo ti ringraziano per i complimenti…
Hai ragione quando dici che Zoe è sicuramente più reticente di Giacomo per quello che riguarda un possibile avvicinamento in senso romantico. In effetti, l’hai visto, Giacomo all’inizio del rapporto c’avrebbe anche provato con Zoe, ma lei è stata da subito categorica: amicizia o niente e a lui, tutto sommato, finora è andata bene così.
Come ho già detto nelle note: no, i due non si sono dimenticati del bacio all’aeroporto. Dopotutto, è impossibile dimenticare certe cose, soprattutto dal momento che entrambi hanno provato determinate sensazioni. Ma quando una sensazione è scomoda, trovo sia normale cercare di seppellirla il più a lungo possibile. Ecco, questo è quello che fa Zoe. Per quanto riguarda Giacomo – ma si capirà meglio più avanti, spero – , lui ha semplicemente una gran paura di perdere la Molinari e sa – perché ormai la conosce – che se gli si avvicina troppo rischia di farla scappare a gambe levate. Lo sa e quindi, inconsciamente, sa che per starle accanto, al momento, non può far altro che comportarsi da buon amico: ma Zoe, si è visto, ha bisogno di una certa “violenza psicologica” (come hai detto tu) per smuoversi un po’, sennò se ne sta tranquilla nel suo limbo…
Dunque sì, i nodi verranno al pettine, solo non immediatamente. Ho letto proprio ultimamente un articolo interessante sulla procrastinazione (ovvero, il rimandare il più possibile gli impegni o le cose da fare, tergiversando) e pare che un po’ tutto il genere umano ne sia affetto. Ecco: Zoe e Giacomo tentano di rimandare la “resa dei conti”… Ma non tutto si può rimandare per sempre! … Giusto? :)
Per quanto riguarda Aurora, ho risposto nelle note generali, più o meno. Comunque sì, avevo già accennato nel capitolo precedente del loro leggero allontanamento, per questo non pensavo che creasse tanto scalpore. In realtà, non è niente di strano, credo: ogni tanto capita un periodo ics in cui ci si sente meno, soprattutto se ci si vede poco e si trovano altre persone con cui stare. Spero non sembri forzato, casomai fammi sapere.
Aspettando che i due si convincano ad affrontare la realtà, ti saluto anch’io… Besos! ^_^

ninasakura: Anch’io adoro tantissimo Niccolò ubriaco! Mi è piaciuto un casino fargli dire certe cose e farlo andare in giro a sventolare il vischio, davvero… :) Però, temo di non poterlo fare ubriacare di nuovo, sennò poi passa per alcolizzato, povero!
Ti ringrazio mille mila volte per i complimenti sulla scena dell’aeroporto… Continuo a pensare che non mi sia venuta granché, ma sapere che è piaciuta a voi (a te), mi fa felice, perché alla fine la storia la scrivo anche per quello… Però sei di parte se ami gli aeroporti! ;) No, sul serio, anche a me piacciono, ma non a Zoe: d’altronde, si sarà capito, non ama molto stare in mezzo alla gente. È strana, oh.
Le conseguenze del bacio, che aspettavi, per il momento… Sono abbastanza nulle! Diciamo che i due hanno bisogno di un po’ di tifo da stadio per svegliarsi, comunque prima o poi succederà. In realtà, devo dire, delle conseguenze ci sono, ma per il momento sono invisibili, cioè… più che altro restano nascoste… Ma nei prossimi capitoli si capirà qualcosina di più, credo.
Aurora: dico anche a te che troverai le spiegazioni del caso nelle note generali. Non è che le due amiche abbiano proprio discusso, diciamo che si sono solo un attimino staccate causa forze maggiori. Anche me è capitato di sentire meno una mia amica nel momento in cui una delle due si è trovata un ragazzo fisso, ma penso sia abbastanza normale. Perciò… don’t worry!
Fammi sapere che pensi del capitolo… E al prossimo! :)

Alebluerose91: Sono contenta che ti sia piaciuto lo scorso capitolo e che tu abbia inquadrato così bene i due protagonisti. Come avevi pronosticato, infatti, Zoe per il momento sta cercando di ignorare il bacio. Giacomo invece… beh, non ha ancora avuto la conferma definitiva di ciò che prova. Ma ogni cosa  suo tempo!
Rimando ai prossimi capitoli per nuove sorprese… Ciau!

lunadArgento: Mi piace essere sgridata perché ho insultato un capitolo scritto da me stessa, è istruttivo e divertente! :D Grazie, sul serio. Riuscire a far provare delle emozioni con ciò che scrivo a chi legge le mie storie è bellissimo, e il fatto che tu abbia trovato il tempo e la voglia di recensire per dirmi che ti ho fatto “ridere, preoccupare, ricordare” mi fa pensare che forse lo scorso capitolo non era poi così una schifezza. Quindi grazie, di nuovo.
E se tu adori Zoe, beh, anche lei adora te: visto che quasi tutti nelle recensioni la insultano (anche giustamente, in effetti) ! Ti saluta (e anch’io)! :P

pirilla88: Ritardo o non ritardo, le tue recensioni mi fanno sempre sbaccanare dalle risateeee!
Anche perché posso immaginare una tua reazione all’arrivo di Davide e Beatrice, dal momento che ci eravamo appena liberati definitivamente degli altri due “inutili”! :D Non odiarmi!!
Poi, potrei passare il resto della risposta alla recensione parlando del mito che abbiamo in comune io, te, Zoe e zia Adelina: la signora Fletcher! Ma forse sarebbe un tantino fuori luogo, mh? XD Che ci posso fare, io adoro quella donna!
Quindi, evitando queste cretinate, posso solo appurare che, sì, i due tardoni sono ancora e rimarranno due tardoni, visto che al momento nessuno sembra in grado di darsi una mossa… O forse sì? :) Mah… Dovrò pure continuare la storia in qualche modo!
La saga continua, più o meno problematicamente… Purtroppo non sono stata un’autrice-scheggia ma spero di ritornare a esserlo prossimamente! Un bacio…


Uuuuh, ho scritto tantissimo in questi ultimi giorni, spero apprezzerete lo sforzo… Aspetto con ansia i vostri giudizi (siate cattive, mi raccomando).
Ora, finalmente, vi lascio in pace… Un saluto e un abbraccio a tutte!


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Capitolo 19
*** ZOE 3 ***



ZOE 3




Non sono mai stata una persona fatalista, credo piuttosto che il mondo sia guidato dal semplice caso e dalle singole volontà. Ma, devo ammettere, a volte capitano delle coincidenze davvero… particolari. Il mio incontro con Davide, ad esempio.
Dove sta la stranezza? Beh, io e Davide frequentiamo due corsi di laurea all’interno della stessa facoltà universitaria a Padova, abbiamo la stessa età, avremmo potuto vederci centinaia di volte: eppure ci siamo incontrati e parlati la prima volta due settimane fa in stazione.
Ripeto, non credo nel destino, ma c’è una cosa in tutta questa vicenda che ho notato: esattamente un anno fa, a febbraio, ho incontrato Giacomo in treno. Non avrei mai e poi mai pensato di diventare amica di quel disgraziato, invece… Beh, non posso negarlo a me stessa, Pioggia è diventato praticamente il mio migliore amico – anche se io odio queste etichette.
È ovvio, lui non è Aurora: lei comunque mi conosce da anni ed è ancora la prima persona a cui penso quando ho bisogno di sfogarmi. Ma subito dopo mi viene in mente Giacomo e, sì, i primi tempi la cosa mi scombussolava alquanto, ma adesso ho capito che è normale: è un ottimo confidente, empatico, sensibile, pacato, dolce (a parte quella volta del ritardo, non ho mai capito il suo sfogo). Sa ascoltarmi, sopportare le mie lune, consolarmi, farmi ridere; la sua è diventata una presenza necessaria e insostituibile per me. E ovviamente queste sono cose che a lui non dirò neanche sotto tortura. Non so come, ma quest’anno accanto a lui mi ha fatto capire più cose di me stessa di quante non ne conoscessi già, e ha fatto crollare molti muri che mi ero costruita attorno.
Non per niente, sono passati circa dieci mesi da quando abbiamo deciso di cominciare a conoscerci, da quando, in stazione, abbiamo preso quel caffè assieme e gli ho lasciato il mio numero di telefono. Eppure sono consapevole del fatto che Giacomo in dieci mesi mi ha capita e conosciuta meglio di quanto non abbiano fatto tante persone in dieci anni.
Detta così sembra tutta rose e fiori, ma non lo è; con me non può mai esserlo, lo so. C’è stato il litigio al suo compleanno, quell’altro quando credevo di essere incinta e, maledizione a me, c’è stato quel bacio all’aeroporto che ho insistito tanto per avere. Forse sono stata stupida, ma dopo quel bacio ho creduto davvero che le cose sarebbero potute cambiare, ero scombussolata e solo ragionando a mente fredda ho capito. Se ho provato determinate sensazioni dev’essere per un altro motivo, non ho alcun intento romantico nei suoi confronti, è troppo diverso da me, è troppo diverso da un mio possibile “ragazzo ideale”, siamo troppo lontani, in tutti i sensi. Ora lo so e posso tirare un sospiro di sollievo.
E anche Giacomo dev’essere d’accordo con me, visto che nessuno dei due ha mai fatto riferimento a ciò che è successo, in questi due mesi. Oppure, più probabilmente, lui l’ha preso davvero come un gioco, d’altronde all’inizio avevamo detto così, circa.

Ma torniamo a Davide. Se l’avessi conosciuto un anno fa probabilmente le cose sarebbero andate in tutt’altro modo: ero più chiusa, impenetrabile, diffidente. Certo, non ho perso queste caratteristiche, ma per entrare in contatto con Giacomo e il suo mondo ho dovuto smussare gli angoli del mio carattere, e ciò mi ha fatto bene. A febbraio dell’anno scorso l’ho conosciuto su quel treno e adesso, un anno dopo, incontro questo Davide in stazione. Sembra quasi il chiudersi di un cerchio, di un percorso durato un anno, e l’inizio di una nuova vita per Zoe. Non so nemmeno io se crederci, ma staremo a vedere cosa succederà poi.
Intanto, ho avuto il coraggio di usare il numero lasciatomi da Davide – anche se c’ho messo un po’ – e, conoscendomi, è un buon passo avanti.
È andata così: non sapendo come comportarmi e cosa fare con quel numero, ho chiamato Aurora per un consiglio. È vero che ultimamente siamo – forse – meno unite di una volta, ma Rora resta una delle persone più importanti della mia vita e resterà tale per molto tempo. Comunque, visto che entrambe avevamo finito gli esami ed eravamo a casa, abbiamo indetto una riunione straordinaria del Life Dawn Club – composto solo da me e lei, si capisce – per discutere dell’accaduto e non solo. Aurora mi era mancata troppo: da lì ci siamo viste praticamente tutti i giorni per quella settimana di “vacanza”. Alla fine, la pazza mi ha talmente stordita con le sue chiacchiere che mi ha convinta – sarebbe più corretto dire costretta, in realtà – a scrivere a Davide.
Un pomeriggio, stesa con Aurora sulla trapunta del suo letto, ho preso il cellulare e gli ho scritto un messaggio, aspettando poi la sua risposta, col cuore in gola per l’ansia e chissà cos’altro. Sembravo una ragazzina. La risposta non si è fatta attendere troppo, fortunatamente: qualche minuto dopo mi è arrivato il messaggio di un entusiasta Davide che diceva di ricordarsi molto bene di me.
Ero convinto che avresti cestinato il mio numero già sul treno, mi ha scritto, ma sono davvero contento di sentirti, Zoe.
Ci siamo mandati qualche sms di rito – sempre sotto lo sguardo attento di Aurora – finché, inaspettatamente, ho letto sul monitor delle parole che mi hanno lasciata a bocca aperta.
Ti chiederei anche subito di uscire, ma domani parto per Londra con dei miei amici per festeggiare la fine degli esami…
“Vedi?” ho detto ad Aurora. “Appena trovo uno che mi interessa sul serio, questo scappa in un altro stato. Sono una sfigata.”
“Guarda il lato positivo: è come se ti avesse chiesto di uscire,” mi ha consolato lei, col suo solito ottimismo. Stavolta, però, aveva ragione, e il messaggio successivo me l’ha confermato.
Sto via due settimane… Mi aspetti? ; )
Mi sono trattenuta dal rispondergli “Anche due mesi” solo per mantenere un briciolo di dignità.
Ma l’ho aspettato e, quand’è tornato a Padova, siamo usciti assieme. Non posso definirlo un vero e proprio appuntamento, ad essere sincera è stato un semi-disastro, purtroppo… Ma per ragioni che non sono dipese da noi.
È andata così: Davide mi ha chiesto di uscire il giorno dopo del suo ritorno dall’Inghilterra; tempo di tornare in tutta fretta a Padova ed ero pronta… Un po’ agitata, ma pronta. Solo che quel sabato – era l’ultimo weekend di febbraio – lui era stato invitato a una festa, perciò mi ha chiesto se avevo voglia di accompagnarlo e io, non senza titubanze, ho accettato.
Per farla breve: la festa era nell’appartamento di alcuni suoi amici che però non avevano lesinato gli inviti; ergo, era strapieno di gente. Era piuttosto difficile riuscire a parlare e a conoscersi in un ambiente del genere: Davide si stava già scusando con me dicendomi che avrebbe preferito vedermi in un posto più tranquillo, eccetera… quando, all’improvviso, è arrivata la polizia, chiamata dai vicini a causa del gran baccano non autorizzato. C’è stato qualche tafferuglio, la gente se n’è andata, ma noi siamo dovuti rimanere perché i proprietari dell’appartamento erano completamente ubriachi e Davide, che invece era sobrio, si è sentito in dovere di restare per spiegare ai poliziotti la situazione e aiutare quei mentecatti dei suoi amici. Quando siamo riusciti ad andarcene era già molto tardi e lui mi ha riaccompagnato a casa scusandosi in tutte le lingue possibili e immaginabili.
È stato molto carino, però. Mentre mi coricavo, quella stessa sera, stavo imprecando mentalmente contro la mia maledetta sfortuna, e in quello mi è arrivato un suo messaggio.
Non so più come scusarmi per la serata schifosa, giuro. Mi piaci, vorrei conoscerti: se vorrai uscire di nuovo con me, giuro che saremo solo noi due, non una persona in più… Fammi sapere, buonanotte.
Mi sono letteralmente sciolta. Non mi aspettavo una dichiarazione tanto diretta e se ce l’avessi avuto a portata di mano, avrei dovuto trattenermi per non saltargli addosso.
Ora, non so ancora quando ci vedremo di nuovo: questa settimana nessuno di noi due è a Padova, dato che i corsi iniziano lunedì prossimo, e sabato sera vado al concerto dei Jam a Mantova.
Però, una cosa è certa: Davide finora si è dimostrato il mio ragazzo ideale… Sarà meglio che non me lo faccia scappare.

















Avevo già pensato cosa scrivere nelle note e mi sono dimenticata tutto, così ascolto i Pink Floyd sperando che mi torni in mente… Erano anche cose intelligenti mi pare. Sono un disastro! Vabbè, pazienza, vorrà dire che vi tedierò per poco, stavolta.
Mi sento in colpa, perché la volta scorsa mi sono dimenticata di avvisarvi che questo sarebbe stato un capitolo breve… Beh, sorpresa! XD Lo so, state pensando che le mie non sono mai belle sorprese… ma vi tocca tenermi così come sono!
Comunque, sono stata a lungo indecisa se inserire o meno questo capitolo, ma avevo bisogno di calarmi (e farvi calare) un po’ nei panni di Zoe, che è sempre così incomprensibilmente incomprensibile, a volte anche per me che l’ho creata. Non lasciatevi ingannare, però: Zoe tende ad autoconvincersi delle cose, e parla di conseguenza. Per il resto, come al solito, rimando ai capitoli successivi per sperare che si capisca qualcosa di più e si risolva qualche nodo.
E sì, nel prossimo capitolo ci sarà l’atteso incontro Zoe-Giacomo che voi – giustamente – vi aspettavate già qua, ma che la mia malvagia mente ha voluto posticipare. Quindi, accorrete numerosi! :P
Cosa vi aspettate dal concertoe post-concerto? Ditemi, ditemi… Mi piace sentire le vostre opinioni e/o predizioni! :)


gufetta_95: Lo so perfettamente che la situazione è già abbastanza incasinata senza un nuovo pretendente… Ma io adoro rendere le cose più complicate del lecito, sennò la storia sarebbe già finita da un bel pezzo! :D E hai ragione anche quando dici che la scema di Zoe ci metterà un sacco ad ammettere la verità… Ci sono persone che devono andare a sbatterci contro, alla verità, prima di capirla, e lei è un po’ così.
Beatrice incinta che pretende di farsi sposare? Mmmh… Non ci avevo ancora pensato… ;)
Oddio, non voglio essere la responsabile della tua mancata lettura dei Promessi Sposi! Ok, devo ammettere che, se fosse per me, l’avrebbero già abolito dai programmi scolastici… (ops, non dovevo dirlo!) … No, vabbè… Studia! :P XD (Ma quando riesci recensisci comunque!)
Un bacio!

mary whitlock: Nooooooooo, giuro che non odio te né nessuna di voi! Giuro giuro giuro! :) Soprattutto ora che hai detto che adori me e la mia storia!
Beatrice e Davide: lo so che risultano la prima odiosa e il secondo carino ma d’intralcio alla storia, ma riserveranno delle sorprese. Cioè… spero resteranno delle sorprese, perché se mi smascherate subito, vuol dire che sono proprio incapace…
Giacomo, anche se è stato trattato male da Beatrice, la accoglie perché comunque ne è stato innamorato per molto tempo, penso sia normale provi qualcosa per lei. Zoe invece… no, su di lei hai ragione: è ritardata. Urlale pure dietro.
Quando ho visto che avevi citato quella frase di Niccolò (“Resti ancora molto? Sennò vado fuori a cena, insomma.”) ho riso da sola: pensa che l’ho aggiunta tipo 5 minuti prima di pubblicare il capitolo, al volo, perché mi pareva ci fosse un vuoto. Cioè, l’ho buttata giù un po’ a caso, ecco. E sapere che ti ha colpito mi fa pensare che… è inutile tutto il lavoro di perfezionamento che faccio, tanto alla fine le prime cagate che mi vengono in mente sono le migliori. XD Ahah, no, scherzo… Però dovrei rifletterci forse! :D
Fammi sapere che pensi del capitolo…

vero15star: Buongiorno! Lo so che non è bello da dire – soprattutto a una nuova carinissima lettrice… mi prenderai per pazza – ma vorrei ammalarmi anch’io e avere un po’ di tempo per leggere! :D È da un po’ che non ci riesco…
Sul serio, sono contenta che non consideri tempo sprecato quello usato per leggere la mia storia! E ti ringrazio tantissimo per tutti i complimenti sui personaggi, lo stile… e spero continuerai a leggere e farmi sapere che ne pensi…
Alla prossima, ciau!

snail: Sono di nuovo quiiiii! Sono morta dalle risate al tuo “Davide… Che vuole questo??!” :D Semplice ed efficace… Credo che riassuma perfettamente la situazione, sì! ;) Vedremo…
Comunque sono contenta tu abbia preso alla lettera il mio invito a essere cattiva! Anzi, continua pure a farlo, mi piace tantissimo! Oh… Anche perché a quanto pare Beatrice in particolare ha risvegliato nei lettori degli istinti omicidi che mi divertono abbastanza (ma io so già come continuerà la storia, non vale!).
Ah, altra cosa che mi fa piacere: il fatto che ti aspettassi il comportamento di Giacomo e Zoe nel capitolo scorso: vuol dire che è coerente, yuhuu!
Recensisci pure col mezzo che preferisci: cellulare, computer, piccioni viaggiatori, segnali di fumo… Mi fa comunque piacere. :) Bye.

lunadArgento: Ok, wow, la pensi esattamente come me sui personaggi. Zoe non è uguale a me, ma mi somiglia per alcuni aspetti (sostanzialmente i peggiori XD)… Però anch’io invidio un po’ Giacomo per la sua capacità – non comune – di esprimere in ogni momento (o quasi) i suoi sentimenti e/o stati d’animo. Purtroppo non sarà sempre così: tra qualche capitolo avrà un piccolo stravolgimento, ma sì, si riprenderà in fretta… Vedrai… :)
Boh, forse ho fatto un po’ di spoiler, ma non mi pare di aver detto troppo! ;)
Grazie e continua a farmi sapere che ne pensi…

laura88: Ciao! È sempre fantastico vedere che, nonostante la storia sia ormai a un grado avanzato, c’è ancora chi ha voglia di cominciare a leggerla! Quindi grazie mille per i complimenti, davvero. E la scenetta del disegnino al telefono è pure la mia preferita! Se non altro perché mi ricordo di quando l’ho scritta… e mi sono divertita un sacco! :)
Per il resto, hai fatto un’analisi molto sincera e corretta dei miei personaggi e della storia – e anche questo mi fa piacere, perché vuol dire che sono riuscita a trasmettere più o meno quello che avevo in mente – e perciò si nota che sei riuscita a immedesimarti nel racconto. Bene!
Sì, Giacomo l’hai descritto molto bene: non è facile assecondare Zoe, ma lui ci riesce quasi sempre e ormai ha capito come prenderla. Ma al tempo stesso ha paura di fare qualcosa che possa allontanarla da lui, si è accorto anche lui che ogni volta che si avvicinano di qualche passo, poi Zoe ha la controtendenza ad allontanarsi un po’, per sicurezza. Comunque, tra qualche capitolo sarà lampante l’atteggiamento di Giacomo, il suo tentare di stare vicino a Zoe perché, semplicemente, ci tiene moltissimo a lei.
I nuovi personaggi faranno ostruzionismo? Si vedrà… ;) Mi fa piacere sapere che stanno così sulle balle a te e a tutte voi… :P
Spero tu abbia voglia di continuare a seguirmi! Grazie ancora e ciao!

Alebluerose91: Ciao! Sono davvero molto contenta che tu abbia deciso di farmi notare le incongruenze che hai visto nel capitolo, è quello che vorrei facessero tutti, davvero. Anche perché questo mi dà la possibilità di spiegare come la penso io o di correggere il tiro e migliorare la storia successivamente, e non fa mai male.
Perciò, ti dico: capisco il tuo punto di vista e sono d’accordo con te quando dici che l’incontro con Davide è un po’ irreale, forse: lui è molto strano, ammiccante e giocoso da subito. Però, boh, di persone strane ne esistono a badilate al mondo, quindi spero che non risulti troppo assurdo e che chiudiate un occhio per capire dove intendo andare a parare! :)
Per quanto riguarda Zoe non sono del tutto d’accordo con te. Non dico che si possa essere innamorati di più persone contemporaneamente – questo non lo so – ma non penso che se si prova qualcosa per qualcuno automaticamente tutti gli altri diventano invisibili… A volte proviamo dei sentimenti che contrastano fra di loro in maniera totale!
Con questo non intendo dire che Zoe è innamorata sia di Giacomo sia di Davide: Zoe è confusa e credo sia lecito, tutto qui. Prova qualcosa per Giacomo che non sa cosa sia, tenta di nasconderlo anche a se stessa; poi però arriva questo Davide, che lei stessa definisce il suo “ragazzo ideale” (noi donne perdiamo un sacco di tempo dietro a questo tizio immaginario che dovrebbe essere adatto a noi, purtroppo) e quindi si lascia prendere dalla situazione… Ha voglia di innamorarsi e ha un po’ i paraocchi su quello che le accade attorno, ecco.
Questa è la mia opinione, comunque non è detto che sia quella giusta, anzi! Di solito evito di scrivere queste cose nelle note perché mi piace che ognuno interpreti la storia come preferisce – anche se la scrivo io. D’altronde su certi argomenti è tutto molto soggettivo… e la lettura è molto soggettiva, perciò… ;)
Su Beatrice e Giacomo, invece, hai perfettamente ragione: sono stati insieme tanto tempo ed è normale che lui senta ancora un po’ d’attrazione per lei. Ma è piuttosto scisso al riguardo…
Non mi annoi mai, sul serio! Soprattutto se poni delle critiche costruttive e intelligenti come queste… Lo so che sono strana, ma le ho apprezzate moltissimo! :)
Un bacio!

pirilla88: Uh, hai vinto, stavolta non sei l’ultima, cara! ;)
Ovviamente ti perdono i francesismi che hai usato su Davide e Beatrice perché, come al solito, sono più che mai appropriati… E sono contenta che non ti sia fatta ingannare dagli occhioni azzurri di Davide: scommetto che con l’arrivo di questo ti sarai pentita di aver odiato tanto Andrea… Poverino, lui era fin innocuo, a confronto sembrava un agnellino! :D Beatrice invece… sì, è una battona. Ma stavolta non potrai chiamarli “inutili”, vedrai: purtroppo o per fortuna questi personaggi saranno utilissimi ai fini della storia… Hihi, sono perfida! :)
A Zoe non danno solo un anno in meno di solito! Infatti con Davide è contenta perché almeno lui ci va vicino… Però non è che avesse molte possibilità lui: immaginando che fosse una studentessa universitaria non poteva darle meno di diciannove anni, per quello azzecca! (Per la cronaca, so cosa vuol dire quanto te: anche a me mi scambiano sempre per minorenne… o_o’ Vabbè, poco male: spero continuino a farlo anche fra vent’anni… :P)
…Rimane la tua domanda: quanto i due tardoni faranno i tardoni a Mantova? Mah… ;)
Aspetto sempre con ansia i tuoi commenti, un bacione!

ninasakura: Sì sì, meglio tardi che mai! Anche perché la tua è stata la nona recensione del capitolo e non ho mai ricevuto nove recensioni in un solo capitolo e quindi sono stata molto contenta e… ok, prendo fiato. Grazie! ^__^
Poi sei l’unica che dice di apprezzare la piega della storia: tutti qui odiano Davide, Beatrice e me per averli inseriti! Eheh… capisco il perché. Mi spiace che non hai potuto leggere già in questo capitolo le reazioni dei due scemi nel rivedersi, per il momento ho preferito far parlare Zoe, ma… Hai ragione, la questione bacio è ancora decisamente aperta, apertissima… Per qualcuno (?) anche troppo aperta! Per questo spero tanto di non deludere col prossimo capitolo…
Oddio, dipendenza?!! Spero sia una cosa buona! ;D
Grazie ancora e alla prossima, ciao!


E con ciò vi lascio… Buon ponte a tutti (per chi sta facendo ponte… io no!) e alla prossima!

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Capitolo 20
*** Capitolo XV ***



Capitolo XV




“Dio, come sono emozionata! No, cavoli, sono euforica, sono… sono… entusiasta!”
“Ce ne siamo accorti, Viola.”
“Sì, ma… Tu sei un robot, madonna santissima… Non sei emozionata?”
Zoe scosse la testa, negando. Non era del tutto sincera: un po’ era agitata all’idea di rivedere Giacomo per la prima volta dopo capodanno, ma… era anche felice. Sì, doveva essere per la contentezza.
Viola alzò gli occhi al cielo. “Non so mica se crederti del tutto, sorellona. È la prima volta che andiamo a un concerto dei Jam da quando tu hai conosciuto Giacomo, dai! Non puoi essere del tutto tranquilla…”
Zoe non ne poteva più dell’esaltazione di sua sorella minore, che cresceva senza tregua oramai da qualche giorno. Si massaggiò le tempie ed evitò di risponderle, tanto sapeva che avrebbe continuato a ciarlare ancora a lungo, purtroppo. Come al solito, intervenne Ginevra, dalla sua postazione sul sedile anteriore dell’auto su cui viaggiavano.
“Ma hai capito cosa ti ha detto tua sorella, scema? Evita di farci fare figuracce, invece, sennò saremo costrette a coprirti la bocca con un bavaglio.”
Viola sbuffò. “Sì, sì, ho capito… Non ne comprendo il senso, onestamente, di tutta questa segretezza, ma farò come mi avete detto, contente?”
Zoe ci aveva pensato a lungo ed era giunta alla conclusione che, almeno durante il concerto, lei e Giacomo avrebbero finto di non conoscersi. Ciò era incluso nel piano che, ovviamente, anche le sue sorelle, Aurora e Marco – il ragazzo di Ginevra che si era aggregato alla spedizione – avrebbero dovuto seguire, evitando di dimostrarsi amici di uno qualsiasi dei Jam Session.
Quando aveva comunicato a Viola la sua decisione, quella aveva dato in escandescenze… e c’era da aspettarselo. La pazza, infatti, non vedeva l’ora di farsi bella dell’amicizia con il cantante e, soprattutto, non stava nella pelle all’idea di vedere finalmente Niccolò Conte per la prima volta da quando sua sorella l’aveva conosciuto. Ma insistere era stato inutile: Zoe aveva deciso e Viola sapeva che avrebbe dovuto rispettare il suo volere, se non altro perché sennò non le avrebbe presentato Niccolò dopo il concerto. Era un ricatto bello e buono, questo, ma era servito a convincere la sorellina definitivamente.
C’erano dei motivi per questa follia, comunque; motivi che Zoe aveva telefonicamente spiegato anche a Giacomo che, seppur perplesso, aveva dovuto promettere di attenersi alle regole: niente saluti, manifestazioni d’affetto o altro, finché non fossero stati soli – per “soli” s’intendeva lui, lei, Niccolò, Giorgio, Viola, Ginevra, Marco e Aurora – dopo la fine del concerto. Il motivo principale, per farla breve, era che a Zoe non andava di vantarsi con le altre fan del gruppo della sua amicizia con Giacomo and company. Le ragazze che seguivano i Jam in quelle date ‘nordiche’ erano poche e si conoscevano tutte e se poi la voce si fosse sparsa sarebbero nate invidie nei suoi confronti o, peggio ancora, qualcuna di loro le si sarebbe falsamente avvicinata solo per avere la possibilità di farsi presentare a Giacomo.
Zoe, insomma, voleva molto semplicemente godersi il concerto in santa pace e poi, quando quelle scalmanate delle fan si fossero disperse, passare il resto della serata in compagnia: lei, le sue sorelle, Aurora, i Jam, delle pizze e qualche sana chiacchiera, stop.
Perciò, quando Ginevra fece per rispondere a Viola, Zoe la interruppe, prendendo la parola. “Te lo spiego in modo a te comprensibile, allora. Opzione uno: arriviamo a Mantova, se Marco non si stanca prima e ci scarica qui nel mezzo dell’autostrada…”
“Non lo farei mai,” precisò il guidatore: quel ragazzo aveva una pazienza infinita, effettivamente.
Zoe continuò. “Dicevamo, opzione uno: prima dell’inizio del concerto ci si avvicinano Irene e Valeria – te le ricordi? quelle ragazze simpatiche di Verona che abbiamo conosciuto l’altra volta – e ci salutano. Raccontiamo loro che, grazie a una serie di coincidenze abbiamo conosciuto Giacomo, che i Jam sono nostri amici. A questo punto, quelle come minimo si autoinvitano alla nostra cena post-concerto; come minimo, ripeto. Perché loro sono solamente in due e sono ragazze apposto, non sarebbe una tragedia… Ma se ci va male invitano anche le loro amiche, hai presente? Elena, Daniela, Jessica e quell’altra anoressica, là… Ivana mi pare; poi ci sono Tamara e sua sorella, per non parlare di quella psicopatica coi capelli blu di cui non ricordo il nome, che l’altra volta era venuta accompagnata da mamma e due zie. Non guardarmi così, Viola, non mi sto inventando nulla e potrei anche continuare la lista: lo scorso concerto ci hai obbligate a passare la serata con questo branco di matte e sono rimasta traumatizzata, quindi preferirei evitare di ripetere l’esperienza. Per questo io ho scelto l’opzione due… Devo rispiegartela?”
Viola scrollò la testa, sconfitta, ammettendo che il ragionamento di sua sorella aveva un certo senso.
“Io! Io! Io!” si prenotò Aurora, sventolando solerte una mano per aria. “La spiego io: facciamo finta di non conoscerli! Giusto?”
“Brava Rora, hai studiato…”
“Voglio un premio!”
Zoe sospirò, lasciando trapelare une certa preoccupazione. “Solo dopo che la serata sarà andata come dico io.”

Le cose, almeno all’inizio, andarono circa come preventivato. Quando, a mezz’ora dall’inizio della musica, giunsero sul luogo del concerto, infatti, trovarono già lì appostate Irene e Valeria, le due ragazze conosciute durante il precedente tour, che si erano piazzate sotto il palco ben tre ore prima.
“Tre ore fa?!” Zoe era sconvolta: ok, la piazzetta in cui si teneva l’evento non era molto grande, forse, ma la gente normale stava comunque arrivando proprio in quel momento. Le – poche – persone già presenti erano perlopiù fan agguerrite dei vari gruppi e cantanti che si sarebbero esibiti, ma siccome nessuno dei performers era poi così famoso da attirare folle sconfinate, il numero delle suddette ‘groopie’ si riduceva a qualche decina di giovani – specialmente donne, a dirla tutta.
“Sì, più o meno,” rispose Valeria, orgogliosa. “Siamo arrivate prima per vedere anche il soundcheck, ma siccome stasera suonano parecchi gruppi, i nostri ragazzi hanno fatto solo una veloce prova dei microfoni un’oretta fa, purtroppo.”
“Uh, quindi li avete già visti, che fortuna!” Questa era Viola, ovviamente. “Come sono?”
“Bellissimi e bravissimi, come sempre!” rispose Irene stavolta, ma sempre con enfasi. “Giacomo è uno spettacolo, l’aveste visto… No, vabbè, non c’è un modo per descriverlo, è sempre più bello.”
Zoe – che a quelle parole e a quel nome aveva sentito uno strano formicolio alla base dello stomaco e si era scoperta troppo agitata – beccò Ginevra che le lanciava un’occhiata indagatrice e mise su la faccia più neutra che riuscisse a fare.
“Beh, sì,” commentava intanto Viola, ridacchiando, “posso immaginare. Ma sai che io ho sempre avuto un debole per Conte, maledizione a lui!”
“Oh, anch’io!” esclamò Valeria, con gli occhi che quasi le brillavano. “Ma voi avete ascoltato il cd uscito ieri?”
“No, cavoli, ho sentito solo le anteprime di iTunes! Al nostro paese deva ancora arrivare, abbiamo dovuto ordinarlo, che pacco!” sbuffò Viola. “È bello?”
“Certo! Un po’ diverso dal lavoro precedente, ma a me piace moltissimo…”
Zoe, senza riflettere, s’infilò nel discorso. “Secondo me si sente semplicemente che sono cresciuti, maturati. I testi sono molto più curati, seri e consapevoli, per niente banali; alcune sonorità si avvicinano più al rock che al pop e…”
Si zittì, accorgendosi che sei paia di occhi la stavano fissando, insistenti e stupiti. Si diede mentalmente della stupida, dopodiché tentò di rimediare. “Ma è ovvio che io posso dare solo un parere parziale, dato che ho ascoltato a malapena qualche spezzone nelle anteprime, insomma!” concluse ridendo.
Irene e Valeria annuirono convinte, Viola le lanciò un’occhiataccia eloquente e Aurora ridacchiò, nascondendosi con una mano. Pericolo scampato, comunque: le ragazze non potevano sapere che lei aveva ascoltato anticipo alcuni demo dei pezzi – anche se non tutti e non nelle versioni definitive – ed era vitale che quel segreto restasse tale.

Nel frattempo, Giacomo camminava agitato avanti e indietro per il backstage, mentre i suoi colleghi, nonché amici, tentavano invano di calmarlo.
“Basta,” esclamò prendendo il cellulare in mano. “Ora la chiamo e le chiedo se è arrivata, da che parte del palco è, se posso andare a salutarla…”
Niccolò sbuffò esasperato. “Smettila, Pioggia, sei irritante. Se ti ha chiesto di far finta di non conoscerla per mezza serata, che ti costa accontentarla? Poi sai com’è fatta quella: se non stai alle sue regole come minimo ti strangola a mani nude.”
Giacomo non sembrava in vena di scherzare. “Sì, ma sono regole assurde, dai! Ho insistito per venire a Mantova apposta e… No, ma a voi sembra normale che dobbiamo trattarci come degli sconosciuti? È folle! Siamo amici, non facciamo niente di male e…”
Sssè, amici. E perché sei così su di giri, allora?”
“Per il concerto, ovvio!” si giustificò Giacomo, quasi offeso dall’illazione. “Possibile che io sia l’unico a sentire l’adrenalina pre-palco? È la nostra prima apparizione dopo l’uscita del disco, è una grande occasione per farci sentire anche da persone che non ci conoscono!”
Niccolò lo assecondò con un cenno del capo, stufo di discutere con uno con la testa tanto dura, ma per fortuna, arrivò Giorgio a salvare la situazione.
“Romeo, placati. Facciamo solo tre pezzi, di cui uno non è neanche nostro, siamo secondi in scaletta, tra un’oretta avremo già suonato e tu potrai andare dalla tua bella. Ora però vedi di non agitare anche il nostro bel ricciolone qua…” disse, indicando Niccolò. “Fumati questa e take it easy,” concluse mettendogli una sigaretta già accesa in mano: Giacomo fumava di rado, solo quando aveva bisogno di scaricare la tensione o di avere le mani occupate e in quel momento accettò di buon grado l’idea dell’amico.
Dopo i primi due tiri, però, sembrò ricordarsi di qualcosa e si rivolse a Giorgio. “Come mi hai chiamato, scusa?”
Niccolò, che aveva l’aria di trattenersi da quando il batterista aveva cominciato a parlare, scoppiò sonoramente a ridere. “Oddio, ROMEO! Ah ah ah ah, l’ho sempre detto che sei il migliore, Gio!”

E poi, dopotutto, ci fu il concerto. Nonostante l’adrenalina di Viola, il nervosismo di Giacomo, la finta tranquillità di Zoe, l’esasperazione di Niccolò, nonostante tutto ciò, i Jam Session salirono sul palcoscenico alle ventuno e trentasette e meno di venti minuti dopo stavano già scendendo, tra i forti applausi dei loro fan.
Avevano cantato solo tre pezzi: una cover, il loro ultimo singolo e un’altra canzone contenuta nell’album appena uscito, eppure Giacomo aveva avuto il tempo di fare ciò a cui più teneva. Cercò Zoe con lo sguardo, non appena salì sul palco, e la individuò un attimo prima che si accendessero su di loro delle luci troppo forti per provare a distinguere le facce tra il pubblico. A dire il vero, per prima vide Viola, che si sbracciava allegramente e senza ritegno nella loro direzione, poi, col cuore sempre più veloce, cercò la sorella che più gli interessava, lì accanto: la vide, le sorrise raggiante per un millesimo di secondo, infine fu quasi accecato dai fari che partirono a tradimento, e Zoe scomparve dalla sua visuale.
Ma lei l’aveva notato, quel mezzo sorriso, e sapeva perfettamente cosa voleva dire. Significava “Sei qui” e “Finalmente” e “Mi mancavi” e anche, semplicemente, “Scusa ma sorrido perché non posso farne a meno”. Fu distratta dalla voce di una delle ragazze vicino a lei.
“Avete visto?” esclamò infatti Valeria. “Giacomo ha sorriso nella nostra direzione o sbaglio?”
Irene già saltava, contenta. “No no, ha guardato proprio qua! Oh, cavoli, sembrava che sorridesse a me, che bello!”
Aurora diede una spintarella a Zoe, che evitò persino di girarsi a guardarla, immaginando la sua espressione sorniona. Poi iniziò la musica e il resto sparì, per un po’.
Al terzo e ultimo pezzo, Zoe ebbe, di nuovo, un tuffo al cuore sentendo quelle parole.
Mi han detto che gli eroi veri non sono mai ascoltati, mi han detto che chi salva il mondo è sempre silenzioso. Così mi han detto e pensa, pensa che a me basterebbe salvare silenziosamente te”.
Sorrise, vedendo che Giacomo, dopo aver cantato quella parte, si era voltato di nuovo nella sua direzione, cercandola con lo sguardo senza però trovarla, a causa della confusione che regnava sotto il palco e delle luci troppo forti che gli arrivavano dritte negli occhi. Sorrise perché sapeva il motivo per cui Giacomo la cercava, sapeva che lui voleva vedere la sua espressione in quel momento: quella canzone Zoe l’aveva già sentita un paio di mesi prima – ne aveva sentito una prima versione, in realtà – ed era sicura che le frasi in questione fossero state aggiunte dopo. Alcune di quelle parole, infatti,  le aveva dette proprio lei, un giorno al telefono, commentando con Giacomo quel pezzo. E il fatto che lui poi le avesse inserite nel testo, assieme al fatto che, doveva ammetterlo, le aveva messe lì davvero a pennello, la faceva sentire un po’ importante, la faceva sentire bene, le faceva venire voglia di sorridere.
Così sorrise come un’ebete, Zoe, fino al termine del concerto.

“Guarda, sono là! Andiamo!”
Zoe si sentì afferrare per la giacca e tirare da sua sorella minore che correva a velocità stratosferica.
“Fa’ piano, Vi, so camminare da sola, eh,” si lamentò.
“Sbrigati, mi devi presentare Niccolò!”
“Puoi presentartelo anche da sola, a questo punto, o no? Vi siete visti dieci minuti fa!”
“Ma hai promesso che…”
“Oh, e smettila di tirarmi!” Zoe si fermò in mezzo al marciapiedi e si sistemò la giacca, tutta spostata da un lato. Viola la guardò in cagnesco e lei indicò i ragazzi che si avvicinavano loro. “Eccoli, c’hanno visto, contenta? Stanno venendo verso di noi.”
Infatti, in fondo alla strada c’erano Giacomo, Niccolò e Giorgio che, avendole notate, gli si avvicinavano. Giacomo aveva un passo leggermente più sostenuto degli altri e sorrideva; sembrava raggiante. Zoe ignorò la leggera agitazione che sentiva premerle nel petto e si voltò a controllare che anche gli altri li stessero raggiungendo: Ginevra, Aurora e Marco, infatti, erano rimasti un po’ indietro nel momento in cui Viola era scattata meglio di una centometrista alle Olimpiadi, tirandosi dietro sua sorella con malagrazia. I tre, comunque, erano poco lontano da loro.
È il momento, quindi, pensò Zoe, solo lievemente crucciata. Non la preoccupava tanto il fatto di rivedere Giacomo dopo due mesi, quanto quello di non poter stare tranquilla e sola con lui. Era tanto strano? Probabilmente sì, dall’esterno lo era. Ma il suo rapporto con il salentino era sempre stato, fin dall’inizio, abbastanza intimo, a tu per tu. Ora, era evidente dallo sguardo che si erano lanciati prima che lui iniziasse a cantare, ma soprattutto dall’occhiata che li aveva uniti dopo, nel post-concerto, che entrambi sentivano il bisogno di stare un po’ da soli, solo loro due a ridere, scherzare, chiacchierare, confidarsi in santa pace, come una volta.
Dopo il concerto, infatti, tutte le fan si erano riunite nella strada parallela alla piazzetta per aspettare ognuna i propri idoli, pronte all’agguato. Viola, nonostante le lamentele di quasi tutti tranne Aurora, che le dava allegramente corda, aveva trascinato anche la loro combriccola a partecipare all’evento: voleva vedere subito i Jam, voleva vedere subito Niccolò, anche se sapeva benissimo che si erano dati appuntamento per mezz’ora dopo in modo da andare a cenare assieme.
Comunque, Zoe non si era avvicinata troppo alla calca, ma aveva osservato la scena da lontano: aveva visto Viola avvicinarsi contenta a Niccolò e presentarglisi mentre lui, capendo chi era, le aveva fatto l’occhiolino. Poi, sempre da lontano, Zoe aveva notato Giacomo: lui, letteralmente assediato da una decina di fan accanite, l’aveva vista e le aveva sorriso raggiante, con uno dei suoi soliti sorrisi che riuscivano a illuminare tutto l’ambiente circostante.
E adesso Giacomo era lì, le aveva raggiunte in pochi secondi, e come prima cosa tentava di abbracciare Zoe.
“Voglio i diritti d’autore,” bisbigliò lei al suo orecchio, sapendo che lui avrebbe capito il riferimento, prima di allontanarlo malamente. “C’è troppa gente qui! Poi ci lamentiamo che ci pigliano per il culo…”
Lui sbuffò. “Sei una piaga, ragazzina! Ma purtroppo mi sei mancata lo stesso…” le sussurrò prima di allontanarsi.
Zoe conosceva gli abbracci di Giacomo e sapeva che erano troppo affettuosi per passare inosservati agli occhi vigili e maliziosi dei ficcanaso lì attorno, in particolare Niccolò e Aurora, senza però sottovalutare Viola.
Viola che, in quel momento, per fortuna, era troppo impegnata a saltellare intorno a Niccolò per rendersi conto della situazione.
“Niccolò Conte! Era da così tanto che volevo conoscerti, ma mia sorella ti teneva nascosto e…”
Giacomo guardò Zoe con un sopracciglio alzato. “Lo tenevi nascosto, eh?”
La ragazza scosse la testa, alzando gli occhi al cielo e sorridendo.
“Oh, tranquillo Pioggia,” intervenne Aurora, che li aveva appena raggiunti. “Lei tiene comunque di più a te, non serve essere geloso…”
Zoe guardò l’orologio: erano quasi le undici di sera. Sarebbe stata una lunga cena…

La cena fu chiassosissima, come preventivato, ma comunque molto divertente. Si divertì anche il povero Niccolò, nonostante fosse praticamente in ostaggio a Viola, che l’aveva monopolizzato dal primo momento. In compenso risero tutti un sacco quando Giorgio si cimentò nell’imitazione di ‘Pioggia-agitato-prima-del-concerto’ e persino il diretto interessato dovette ammettere che fosse abbastanza verosimile.
Poi Giacomo invitò candidamente Zoe a passare la notte lì a Mantova, nell’albergo già pagato dall’organizzazione dell’evento, e sulla tavolata scese il silenzio più limpido e curioso che potesse esistere. Lei strabuzzò gli occhi e rispose subito di no, guardandolo come se fosse pazzo. Giacomo, che si aspettava quella reazione, non ci rimase male e, anzi, continuò imperterrito a insistere. Ma a Zoe quell’idea continuava a sembrare folle.
“Ma se abito a mezz’ora di macchina da qui!” resistette lei, sempre mento convinta.
“Che c’entra, è per stare un po’ assieme, è da tanto che non ci vediamo!”
“Ma Giorgio e Niccolò che fanno?”
Rispose il secondo interpellato. “Noi torniamo a Milano stasera, in auto, perché Gio ha degli impegni domani. Anzi, mi sa che tra poco ci conviene partire, se non vogliamo arrivare troppo tardi…”
“E perché tu resti a Mantova?”
Giacomo sbuffò alla cocciutaggine della ragazza. “Per te, sciocchina. Se non resti con me vado anch’io a Milano, sennò prendo un treno domani.”
Zoe ammutolì per un attimo.
“Ma sì dai, Zò, resta!”  la spinse Aurora, vedendo la sua titubanza.
Ma lei tentennava ancora. “E se invece venissi… se ti fermassi a dormire a casa mia?”
A quel punto intervenne anche Ginevra, neanche fosse un affare di stato. “Veramente stanotte da noi si ferma già Marco… Non abbiamo una reggia e…”
“Ok, ok, ho capito,” capitolò Zoe, mentre Marco le lanciava una mezza occhiata di scuse.
“Allora?” la stuzzicò Giacomo, con un sorriso fiducioso.
Zoe si accorse di avere sette paia d’occhi puntati addosso e sospirò, seccata: non le piaceva essere al centro dell’attenzione, ma ormai la frittata era fatta. Chissà cosa si aspettavano tutti, poi, neanche che dalla sua risposta dipendessero gli esiti delle loro vite.
“Va bene,” cedette infine, mormorando quelle due parole talmente piano da rischiare di non esser sentita.
Il sorriso di Giacomo si allargò e a Niccolò sfuggì un fischio d’approvazione. “Oh, meno male… Nemmeno per il finale di un film sto così in ansia!”
Scoppiarono tutti a ridere e trascorsero gli ultimi minuti così in allegria, prima di alzarsi – era passata la mezzanotte, in fondo – e dirigersi fuori dalla pizzeria per i saluti.

“Non ti sei fatto la barba.”
Erano passati venti minuti e i due erano finalmente soli: Zoe, Giacomo, e due mesi di silenzi e sottintesi di cui parlare. O forse no.
Giacomo sorrise, colto in fallo, e si passò una mano sulla guancia e sul mento, dove effettivamente spuntava una barba di qualche giorno. “Non ne ho avuto il tempo…”
“Ah no?”
“Ok, l’ho fatto per te: so che ti piaccio quando faccio l’uomo trasandato,” confessò, un po’ serio un po’ scherzoso. “Adesso posso abbracciarti o potrebbe ancora esserci qualche agente della CIA che ci controlla?”
Zoe alzò un sopracciglio. “A tuo rischio e pericolo.”
Giacomo non la lasciò neanche finire di parlare: la strinse a sé forte, fortissimo, affondando il viso fra i suoi capelli, sospirando d’istinto senza neanche sapere perché. Dopo solo pochi secondi Zoe tossì rumorosamente, per fargli capire che di lì a poco sarebbe soffocata; Giacomo ridacchiò e si staccò da lei, lasciandole un’ultima carezza sulla schiena.
“Pioggia, non ridere,” lo richiamò la ragazza, massaggiandosi una spalla. “I tuoi non sono abbracci, sono morse letali… Vuoi uccidermi, forse?”
Lui le diede un pizzicotto amichevole sulla guancia. “Prima o poi riuscirò a farti essere più affettuosa con me, è una questione di principio.”
“Io sono affettuosa!”
“Come un pesce rosso.”
Lei lo guardò dubbiosa. “Cos’ha il povero pesce che non va?”
“Non mi fai mai le feste!” si lagnò Giacomo, tirando fuori il solito tono da bambinetto.
“Comprati un cane, Rain,” ribatté Zoe, tirando fuori a sua volta il solito tono sarcastico.
Lui rise e le passò un braccio sulle spalle cominciando a passeggiare. “È bello vedere che certe cose non cambiano mai.”
“Mh,” annuì lei, diventando improvvisamente seria.
Giacomo si accorse all’istante del suo cambiamento d’espressione. “Che c’è?”
Zoe non se lo fece domandare un’altra volta e confessò subito il pensiero che la tormentava da qualche tempo. “Trovi che io sia sempre uguale, statica? Perché a me pare di essere cambiata negli ultimi mesi… Non moltissimo magari, ma credo di essere più aperta, come. No?”
Lui le diede un buffetto sulla testa. “Una volta avrei dovuto insistere mezza serata prima di capire cos’avevi in mente,” le disse, rispondendole indirettamente ma con una sincerità totale.
Lei gli sorrise riconoscente e Giacomo ne fu fiero, come ogni volta che la vedeva felice grazie a un proprio intervento o una sua frase: decisamente gli piaceva farla sorridere.
“Comunque,” continuò poi lui, “se ti senti cambiata tu dall’interno, non dovresti chiederne conferma ad altri, dovrebbe bastarti.”
“In realtà non penso di essermi stravolta, è che…” Zoe non voleva dargli esplicitamente la soddisfazione di dirgli che era merito suo, ma decise di farglielo capire. “In quest’ultimo anno sono successe delle cose, ho incontrato delle persone, che mi hanno aiutato a essere più sicura… e questa è già una piccola conquista per me.” Vedendo che lui già gongolava, decise di cambiare argomento, per evitare ulteriori imbarazzi. “Ah, ho conosciuto un ragazzo.”
Giacomo alzò entrambe le sopracciglia. “Un ragazzo?”
“Ho detto un ragazzo? Intendevo un extraterrestre, ho conosciuto un alieno. Abbiamo chiacchierato un po’ del suo mondo e…”
“Ma come siamo spiritosi!” la interruppe lui, ironico.
“A domanda stupida…”
Lui sbuffò. “Sarebbe una domanda stupida anche se ti chiedessi di parlarmi di questo tipo?”

Passeggiarono, parlarono, risero fino alle due e mezza di notte, come una volta, come se fossero rimasti fermi a quella giornata di maggio passata a Venezia. Ma non erano fermi lì e Zoe lo sapeva; sentiva ogni volta che lui la sfiorava, anche solo per sbaglio, che era rimasto qualcosa di non detto tra di loro dall’ultimo incontro all’aeroporto. L’intimità e l’empatia verbale era sempre la stessa, per fortuna, ma dal punto di vista fisico l’equilibrio che erano riusciti a costruire nei mesi precedenti a capodanno era cambiato, anche se impercettibilmente: era come se a Zoe fosse rimasta una memoria tattile di quel bacio, tanto che ora una parte di lei voleva avvicinarsi a Giacomo mentre un’altra parte si sentiva stupidamente in imbarazzo anche solo all’idea di abbracciarlo. D’altro canto lui, come al solito, sembrava invece non farsi troppi problemi a essere affettuoso con lei, il che convinse Zoe che le sue fossero solo paranoie e che non fosse necessario parlarne.
Invece, gli raccontò di Davide, di come avesse percepito una vibrazione positiva in lui fin dal primo momento, di quanto le piacesse – e lei era così diffidente, doveva pur esserci un motivo. E gli confessò altre paranoie (se ne faceva sempre a bizzeffe, lei): il timore di non piacergli, la paura di non essere abbastanza carina e…
“Ma se sei bellissima!” la interruppe accorato Giacomo, spalancando gli occhi.
La ragazza roteò gli occhi, quasi divertita dalla veemenza con cui lui aveva voluto dire la sua. “Sì, Giaco,” l’assecondò, condiscendente. “Dicevamo, io ho…”
Ma lui non la lasciò continuare, di nuovo. “Ma sei seria? Cioè, tu credi di essere brutta?”
“A una donna non andrà mai del tutto bene il suo aspetto fisico, Pioggia, devi ancora capirlo?”
Giacomo la scrutò, semiserio. “Quindi la tua è tutta la solita tattica femminile per farti dire il contrario?”
“Quindi il tuo è solo un modo per compiacermi dicendomi quello che vorrei sentirmi dire?” gli girò la domanda lei.
Lui scrollò la testa. “No, lo penso veramente: sei bella.”
La semplicità con cui lo disse fece mancare a Zoe un battito cardiaco. “Guarda che so di non essere Miss Italia. Mi mancano un bel po’ di centimetri in altezza, centimetri che in compenso dovrei perdere sul girovita. Ma oltre al fisico, che tutto sommato è normale, i miei lineamenti non sono niente di che: ho la fronte troppo ampia, dei banalissimi occhi marroni e non mi piace la mia bocca. Infine, non mi vesto mai provocante e mi trucco pochissimo, quindi non sono né particolare né appariscente e...”
“A me piacciono i tuoi occhi,” constatò Giacomo serio, neanche avessero offeso lui. “Non li ho mai trovati banali, sono scuri, quasi neri e sono i più espressivi che io abbia mai visto. È stata una delle prime cose che ho notato di te: eravamo sul treno e avevo attaccato bottone e tu mi guardavi con la tua espressione tra l’educato e il diffidente… e io ho pensato ‘questa ragazza parla con gli occhi’. Sul serio.”
Zoe, che aveva appena recuperato un po’ di fiato, tentò di parlare. “Ma…”
“Lasciami finire, ragazzina. Sulla fronte ti ho già detto che mi piace,” continuò lui, dandogli un colpetto con le dita sulla frangia. “Ma sei scema davvero se hai qualcosa da ridire anche sulla tua bocca. Io amo quando ridi, hai un bellissimo sorriso, e ti si forma una fossetta sola, giusto qui,” disse, toccandole con un dito la guancia sinistra. “E poi adoro le tue orecchie, hai delle orecchie stupende… ma questa è una fissazione mia.” Le sorrise e Zoe lo guardò con le sopracciglia leggermente inarcate, senza dire nulla, così continuò lui. “Adesso, per esempio, il tuo sguardo sta dicendo che non mi credi. E che sembro pazzo.”
“Non lo sembri, lo sei,” precisò lei, alzando le spalle. “E non ti credo.”
“Credi quello che vuoi, Zò, tanto sono tutte cose che penso veramente. Lo so che hai un problema di autostima, carina.”
“Se sono così bella,” Zoe fece una smorfia sarcastica, “mi spieghi come fai a rimanere mio amico?”
Giacomo mise su una faccia pensierosa. “In effetti è una bella domanda. Va bene, adesso ti salto addosso, dai.”
Fece un passo verso di lei aprendo le braccia e Zoe si allontanò allarmata.
Lui ridacchiò, continuando a tenere le braccia aperte. “Su, vieni qui, voglio solo abbracciarti!”
“Promesso?” si assicurò lei sorridendo e arricciando il naso.
Il ragazzo alzò le spalle. “Tenterò di controllarmi,” garantì, stringendola a sé. “Tutte queste smancerie e devo anche faticare per un abbraccio…” finse di lamentarsi.
“Lo sapevo, sei un lecchino opportunista!”
“E siccome non faccio mai niente per niente, voglio un complimento anch’io.”
Zoe rise, contenta, continuando a farsi abbracciare. “Hai un bel collo,” le uscì, senza ragionare.
“Collo?” Giacomo si allontanò di poco, perplesso, per guardarla.
“Che c’è di strano? Io guardo spesso il collo negli uomini, ok? Mi piace.”
“E poi ti permetti di prendere in giro me per la storia delle orecchie…”
“Quella era una fesseria, dai!”
“Senti, ognuno ha le sue fissazioni,” si difese lui. “Poi non capisco come mai non vuoi credermi quando sai benissimo che la prima volta che ci siamo visti ci ho provato con te…”
“Per le mie orecchie?”
“Perché mi piacevi.”
“Appunto, verbo al passato. Poi non ci hai più provato, tutto qui.”
“Questo non significa che io abbia smesso di trovarti bella,” confessò, fissandola.
Zoe sapeva di non essere bellissima, ma il modo in cui lui glielo disse, le fece pensare per la prima volta in vita sua di esserlo. Era serio, era ancora molto vicino e poteva sentire il suo respiro sul viso. Distolse lo sguardo e Giacomo sospirò, indeciso.
“Comunque,” disse lui qualche secondo dopo, cambiando tono, “visto che ti piace tanto il mio collo, se ti va puoi mordicchiarlo, se poi mi lasci fare lo stesso con le tue or…”
“Pioggia, silenzio,” ordinò lei, ridacchiando e riprendendo a camminare, anche per nascondere il rossore che si era diffuso sulle sue guance. “Secondo me straparli ormai, sei troppo stanco… È il caso di andare in albergo, sai?”

Zoe uscì dal bagno fissando il pavimento, leggermente imbarazzata. Indossava una felpa e dei pantaloncini che Giacomo le aveva prestato, dal momento che lei, non avendo previsto di fermarsi, non era munita di pigiama. Il ragazzo invece si era fatto bastare una sua maglietta a maniche corte e i boxer, poiché le braghe che usava a mo’ di pigiama le aveva cedute a lei tentando di farla sentire meno a disagio. Abbastanza inutilmente, in realtà: Zoe continuò a non guardarlo anche mentre si sedeva sulla parte libera del letto – lui aveva già occupato l’altra – e s’infilava sotto le lenzuola.
“Se stai lì sul bordo, finirai per cadere durante la notte,” la avvertì Giacomo con tono canzonatorio.
Lei si voltò finalmente a guardarlo, alla luce della sola abat-jour. “Hai ragione.” Alzò le spalle, sorridendo per nascondere quel po’ di tensione. “Si vede che non sono più abituata a dormire con te,” spiegò, mettendosi comoda e stendendosi, per poi portarsi la coperta fino al mento.
“Non abbiamo mai dormito nello stesso letto, ragazzina… Paura?”
“Di cosa, di te?” fece lei, sarcastica, voltandosi su un fianco e alzando un po’ la testa per guardarlo meglio. O fulminarlo meglio.
Lui le lanciò un’occhiata maliziosa. “Di non riuscire a starmi lontana. Sai com’è… Con un collo così…”
Zoe si allungò per dargli un pugno sul braccio. “Spegni la luce, scemo. Dormiamo.”
Suonava tanto come un ordine e Giacomo, che pure sarebbe rimasto ancora a lungo a guardarla ridere e a scherzare con lei, obbedì e si distese a sua volta.
“Notte.”
“Buonanotte Zò,” rispose lui tentando di convincersi a dormire.
Ma non resistette più di un paio di minuti, non era tranquillo. “Zoe?”
“Dimmi.”
Giacomo prese fiato, indeciso, strofinandosi una mano sulla fronte. “No, niente,” desistette alla fine.
Cercò una posizione più comoda, di lato, ma con poca soddisfazione. Si girò di nuovo, si mise a pancia in giù; vi rimase per circa trenta secondi, sospirò scoraggiato e tornò a stendersi supino, con un braccio sotto la testa. Ma era scomodo anche così, sospirò di nuovo e mosse il braccio e…
“La smetti di dimenarti come una lucertola?” lo rimproverò Zoe che negli ultimi minuti aveva avvertito ogni suo minimo spostamento senza poter prendere sonno.
“Nh,” mugugnò Giacomo, frustrato.
Il tono di voce di lei si addolcì inconsapevolmente. “Non riesci a dormire?”
“No, mamma,” rispose lui.
Dopo, Zoe sentì solo il fruscio delicato delle lenzuola e, senza riuscire a vederlo a causa del buio totale, percepì il corpo di Giacomo vicinissimo al suo.
“Che fai?” chiese, con un tono un po’ troppo ansioso.
“Niente,” disse lui. Poi, silenziosamente, si spostò ancora fino ad appoggiare la testa tra il collo e la spalla della ragazza. Lei sussultò, sorpresa e vagamente agitata, ma non fece nulla per ritrarsi.
“Giacomo?” lo chiamò invece, sottovoce. “Cosa c’è?”
Lui simulò una voce da bambino capriccioso che gli riuscì benissimo. “Sono solo in carenza di coccole,” si lamentò, sospirando sul suo collo.
Zoe ignorò il brivido che le percorreva la nuca, ridacchiò e posò la mano sui capelli di lui, cominciando ad accarezzargli la testa e tentando di tornare a respirare con un ritmo normale. “Cosa sei, un cane?”
Giacomo si lasciò carezzare, contento, avvicinandosi ancora un po’ a lei e appoggiandole una mano sul fianco. Rimasero così ancora per un po’, finché lui non ruppe il silenzio.
“Sono andato a letto con Beatrice.”
“Alla faccia della carenza di coccole!” fece Zoe, ironica, ma non smise di passargli la mano fra i capelli.
“Beh, che c’entra… Sono comunque in carenza, fidati.”
“Beatrice? Quella Beatrice di cui mi parlavi?” s’informò Zoe con tono il più neutro possibile.
Lui annuì muovendo la testa sulla sua spalla.
“Quindi siete tornati insieme?”
“No.”
“Sei ancora innamorato di lei?”
“No. È proprio questo il punto! Io credevo di avere una sorta di Beatrice-dipendenza, ma non è più così, Zò, non l’amo più.”
Lei sorrise. “Meglio così, no? Lei ti ha fatto soffrire un sacco, mi pare.”
“Sì, sì, meglio così da un lato. D’altro canto però non ci capisco più niente, mi sento… strano,” confessò lui, svuotandosi di parte dei suoi pensieri.
Il silenziò echeggiò per i secondi successivi.
“Zoe?” mormorò poi Giacomo, intenzionato a togliersi anche un altro peso.
“Dimmi.”
“Quel… Davide, giusto? È più bello di me?”
La ragazza ridacchiò, credendo che stesse scherzando. “Sei ubriaco? Con me non hai bevuto…”
“No, sono sobrissimo, sono solo un po’ stanco.”
“Dormiamo,” suggerì lei, passandogli la mano sul collo.
Lui rabbrividì e mosse appena la testa, per mettersi comodo. “Tu rispondimi. È più bello di me?” chiese di nuovo, ma non sentendo alcuna risposta insistette. “Dai, sto giocando!”
“Allora ok. Sì, certo, è un milione di volte più bello di te, ovviamente,” scherzò Zoe.
Giacomo, dopo aver perseverato così tanto, si aspettava una risposta del genere, comunque si lamentò. “Uuuuh, questo è un colpo basso, ragazzina. Vi siete già baciati?”
“No.”
Zoe avvertì un altro spostamento del ragazzo: lo sentì tirare la testa indietro e avvicinare tutto il corpo al suo, fino a far sfiorare le loro gambe.
“Con me sì, però,” disse Giacomo in un sussurro quasi impercettibile.
Ciò che Zoe percepì, invece, fu la leggera e breve pressione delle labbra di lui sulle proprie. Si spostò subito, senza però riuscire ad allontanarsi più di tanto, poiché la mano di Giacomo si era mossa dal suo fianco alla schiena, e così le impediva la fuga.
“Pioggia, che fai?” Non riuscì neanche a rimproverarlo a dovere: la voce le uscì più che altro strozzata e indecisa, sorpresa e quasi supplicante.
“Ci sono amici che si baciano in continuazione, senza alcun tipo di problema. L’hai detto tu,” le ricordò lui, ripetendo quasi pedissequamente le parole di Zoe a capodanno.
Lei, comunque, – forse per il tono scherzoso e dimesso del ragazzo, forse perché la presenza di Giacomo non risultava invadente, ma dolce e  tranquilla, quasi innocua – non se la sentì di arrabbiarsi. Anzi, le uscirono, involontari, uno sbuffo e una risata sottovoce, i quali diedero definitivamente a lui il tacito consenso che aspettava. Le si avvicinò di più e, respirando a un soffio dalle sue labbra, si rese conto con un tuffo al cuore che lei non aveva intenzione di spostarsi; quindi, la baciò di nuovo.
Uno, due, tre baci a fior di labbra, delicati e impauriti, timidi. Non se la sentì di osare di più, Giacomo, non volle rischiare, col timore di vederla sparire dalle sue braccia, dove invece era indispensabile. Si limitò a quello, quindi, e a sfiorarle la schiena con le dita, ad accarezzarle il naso col proprio, dolcemente. Non sapeva neanche lui perché lo stava facendo, sapeva solo che ne aveva bisogno, come aveva bisogno della mano di lei tra i capelli, in quel momento.
Giacomo era conscio del fatto che in un’altra qualsiasi occasione Zoe non si sarebbe mai comportata così. Era il buio ad aiutare la vicinanza, a farle accettare quello che stava accadendo. Grazie al fatto che non potevano vedersi, era diventato lecito toccarsi – sfiorarsi, in realtà – e se in quel momento avessero avuto la possibilità di guardarsi negli occhi, probabilmente sarebbe svanita tutta la magia, sotterrata dai sensi di colpa e dall’imbarazzo.
Era così, era quello il famoso ‘baciarsi tra amici’? Uno sfioramento timido e quasi impacciato, che non chiede di più? Non poteva essere nulla di diverso, tra di loro, vero?
Giacomo aveva il cuore in gola e paura di provare a rispondersi. Diede un ultimo bacio a Zoe prima di augurarle sottovoce la buonanotte. Lei non rispose, non si spostò e seguitò ad accarezzargli piano i capelli sulla nuca. Quest’ultimo particolare, notato da Giacomo, provocò uno strano sussulto al suo stomaco: per cercare di mantenere un minimo di salute mentale si allontanò un po’ da lei, appoggiò la testa sul cuscino e prese la mano di Zoe fra le sue; infine, tentò davvero di dormire.

L’imbarazzo, ovviamente, arrivò puntuale la mattina seguente, con la luce del sole.
Quando Giacomo si svegliò, Zoe aveva già abbandonato la sua parte di letto. Il ragazzo, notando questa mancanza, si mise a sedere di scatto, ancora mezzo intontito dal sonno, che pure era stato breve e piuttosto agitato. Poi sentì dei rumori provenire dal bagno e capì che Zoe doveva essere lì, quindi si tranquillizzò. Si stiracchiò, si alzò e andò a scostare le tende per illuminare la stanza.
Sapeva benissimo che avrebbe dovuto, a breve, sostenere una non facile conversazione con lei, ma tutto sommato era pronto. Zoe probabilmente si era fatta prendere dal panico, lui l’avrebbe calmata; più problematico sarebbe stato trovarsi davanti a una Molinari arrabbiata, ma ne dubitava.
La serratura scattò e Zoe si bloccò ancora prima di uscire dal bagno. “Oh,” mormorò, ferma sulla soglia, “ti sei svegliato.”
“Buongiorno, tesoro. Tentavi la fuga senza salutarmi?”
Lei sospirò pesantemente. “Giacomo, forse è il caso che parliamo,” disse, guardando un punto imprecisato del pavimento.
Lui annuì e si sedette sul letto. “Ascolta, Molinari, possiamo saltare tutto il tuo lungo discorso pieno di sensi di colpa e interrogativi, e venire subito alla parte in cui io ti dico che prendi la faccenda troppo seriamente?”
“Io… Cosa?”
“Io ti voglio bene, Zoe, sul serio.” Si zittì un secondo, accorgendosi che era la prima volta che le diceva di volerle bene, assurdamente. Poi sorrise, più a se stesso che a lei, ancora immobile in attesa del seguito, e continuò. “Ti voglio bene e so come sei fatta, potresti fare una tragedia per una cosa del genere. Non voglio vederti sparire dalla mia vita per un paio di baci – innocui, tra l’altro – che non hanno…”
“Stai prendendo un granchio, Pioggia.”
Lui la guardò stranito, il discorso interrotto a metà. “In che senso?”
Zoe si sedette sul letto accanto a lui, attenta a non andargli troppo vicino, ma neanche distante come si sarebbe aspettato da lei. “Non ho intenzione di fare nessunissima tragedia.”
“Davvero?”
Lei sorrise all’espressione realmente stupita del ragazzo. “Sì, scemo.”
“Ah. Meglio così…”
“Ok, c’ho pensato. Di fare la tragedia, dico. Stamattina mi sono svegliata ben prima di te e all’inizio stavo per andare nel panico ma poi… Cioè, in fondo, cos’è successo? Non abbiamo fatto male a nessuno. E se siamo d’accordo su questo punto, possiamo anche tirare una linea e andare avanti tranquillamente.”
“Adesso mi fai paura…” fece lui.
“Perché?”
“Sei fin troppo pacata.”
Zoe alzò le spalle. “Te lo dicevo che sono cambiata.”
Rimasero qualche secondo in silenzio.
“Quindi?” si arrese infine Giacomo, che non capiva dove volesse arrivare lei, ma in fondo non sapeva neanche dove volesse vederla arrivare.
“Quindi niente. Ci siamo baciati, non è la fine del mondo. Non abbiamo tredici anni, siamo maturi, e sappiamo che i bambini non si fanno con i baci. A me piace un ragazzo per la prima volta dopo molto tempo, tu hai di nuovo questa storia con Beatrice… Ieri sera è stato un… momento.”
“Un… momento?”
“Già.”
“Un momento.”
“Devo sillabartelo? O scrivertelo su un foglio?”
Giacomo alzò la testa: Zoe lo fissava col suo sguardo tipicamente scettico, sopracciglia inarcate comprese. Lui rise, poi sbuffò, scuotendo piano la testa.
La verità era che lei aveva ragione, aveva razionalmente e dannatamente ragione. Lui non avrebbe saputo rassicurarla meglio: le avrebbe detto proprio quelle parole, se le era anche pensate, prima che Zoe uscisse dal bagno. “Siamo adulti; erano solo dei baci; è stato un momento.
Ma c’era dell’altro, purtroppo, a preoccuparlo. Quando lei gli si era seduta accanto, l’aveva guardata e aveva pensato che quel momento, forse, per lui non era finito. L’avrebbe baciata di nuovo, anche subito. Ma non poteva.



















Mi vergogno profondamente per il ritardo immenso. Non ho scuse – o meglio, un po’ le avrei (solo un po’!), ma non voglio stare ad annoiarvi con i miei problemi delle ultime settimane – quindi semplicemente mi prostro ai vostri piedi e spero nella vostra magnanimità.
Torno a tranquillizzarvi sul fatto che la storia sarà finita. Lo faccio perché so che – nonostante tutto – c’è ancora qualcuno a cui interessa. E mi sento in colpa per chi sta aspettando il capitolo da mesi, davvero!
Non credo sia il caso di rispondere alle recensioni dell’ultimo capitolo personalmente, anche perché è passato tanto di quel tempo che vi sarete giustamente dimenticate non solo le recensioni ma anche la storia nel complesso… Perciò vi stresso ancora con qualche precisazione di ordine generale e poi mi dileguo… Cercando di tornare, se non puntuale, perlomeno a un livello di ritardo accettabile la prossima volta! :)

Che ci crediate o no, la parte più difficile del capitolo è stata quella dell’ultimo paragrafo, quel dialogo l’avrò scritto almeno tre volte, e ancora non mi convince. Spero che Zoe non sia troppo fuori dal personaggio, ma mi pare abbastanza coerente con gli ultimi sviluppi (vedi capitolo precedente e storie varie sull’autoconvincimento…), comunque se vi sembra di no fatemelo sapere, accetto qualsiasi critica! [Accetto anche gli insulti, dato il ritardo… Giuro. ^^]
Per il resto… Spero di non aver deluso con questo nuovo incontro dei due, so che molte lo attendevano. All’inizio c’è un po’ di confusione, è vero, ma poi riescono a stare soli, dai… Anche troppo… ;)
A proposito di questo, so che il rapporto “fisico” tra Zoe e Giacomo può sembrare un po’ infantile, mi rendo conto che in questo capitolo si comportano più come quattordicenni che come due ventenni che – almeno un po’ – si attraggono, ma tenete conto che: uno, non ci è ancora dato sapere quanto e come questi due sono attratti l’uno dall’altra e viceversa
; due, sono entrambi frenati, Zoe da se stessa e la storia dell’amicizia e blablabla, Giacomo da… beh, da Zoe, credo. Quella ragazza è una piaga, sì. :) Non odiatela, tenete gli insulti per le prossime volte (e per me, soprattutto) che ce ne sarà più bisogno!
E sulla sviolinata di Giacomo a Zoe della serie “sei bellissima” eccetera eccetera, solo una precisazione: Zoe non è bellissima, o almeno io non la immagino tale. Mi aspetto che ognuno di voi si immagini i personaggi come più gli aggrada, in realtà… Quello che intendo dire è che Zoe è una ragazza normale, non una fotomodella o quant’altro; il fatto che Giacomo la veda bellissima ha a che fare con i suoi sentimenti per lei. Forse non serviva specificarlo, di solito non sono così pedante nelle note… Vabbè, ormai.

Ho finito anche stavolta gente! Prometto che alle prossime recensioni risponderò subito… Ora che ho ricominciato a entrare qua su efp non vi libererete di me tanto facilmente… (help!)
Fatemi sapere se ci siete ancora… Io – strano ma vero – sono viva!
See you soon…

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Capitolo 21
*** Capitolo XVI ***



Capitolo XVI




Zoe si guardò titubante allo specchio nell’ingresso. Si lisciò la giacca sul davanti e fece un paio di smorfie poco convinte: niente da fare, lo sapeva, non si sarebbe mai piaciuta abbastanza.
“Questo non significa che io abbia smesso di trovarti bella.”
Le parole di Giacomo le risuonarono non richieste in testa e le provocarono una leggera stretta allo stomaco. Maledetto. Doveva rompere anche adesso che non era presente fisicamente, anche adesso che stava per uscire con un altro fantastico ragazzo.
“Io vado!” avvisò aprendo la porta dell’appartamento.
Sara e Matilde, le sue coinquiline, spuntarono dalla cucina alla velocità della luce, curiose e sconvenientemente agitate.
“Fatti vedere, prima!” le intimò Sara, prendendola per un braccio e girandola per guardarla.
Matilde, che fortunatamente era un po’ meno inopportuna, ridacchiò alla sfacciataggine dell’amica. “Lasciala, dai, la fai arrivare in ritardo.”
“Perché non hai messo l’eyeliner?”
Zoe alzò gli occhi al cielo. “Non sono capace.”
“Potevi chiedere a me, ti aiutavo!”
“Posso truccarmi come mi pare?” chiese un’esasperata Zoe.
Sara non la badò nemmeno e continuò l’ispezione. “Dove ti porta di bello?”
“A cena da qualche parte, poi non so… Forse un film…”
L’altra le puntò un dito contro. “Mi raccomando, non farlo scegliere a lui, eh.”
“Ma si può sapere cos’è questo quinto grado? Non stavate cenando voi?”
Matilde intervenne di nuovo. “Dai, Saretta, lasciala…”
“Grazie, Mati. Su, andate che vi si fredda il cibo!” le incitò Zoe, impaziente di uscire.
Sara sospirò rassegnata. “Sei sempre il solito orso… Vedi di comportarti meglio con Davide.”
“Sì, tesoro, sarò uno zuccherino, promesso. Posso andare ora?”

Quando Davide si girò verso di lei, notandola e sorridendole, e i loro occhi si incontrarono, Zoe sentì il proprio cuore accelerare leggermente. Fece un respiro profondo e gli si avvicinò.
“Ciao.”
“Buonasera,” la salutò lui, con un bacio sulla guancia. “Che ne dici se stasera facciamo a meno della festa e della polizia? Avrei altri programmi…”
Lei non poté fare a meno di sorridere. “Come vuoi. Anche se un po’ mi secca fare a meno della polizia.”
Davide la guardò confuso per un attimo, poi notò il sorriso di lei. “Ah, stai scherzando…”
“Perché, mi ha preso sul serio?”
Lui si difese. “Magari ti piacciono i poliziotti, che ne so!”
S’incamminarono con naturalezza l’uno di fianco all’altra e continuarono a chiacchierare lungo il tragitto verso la pizzeria che lui aveva scelto.
Davide le aprì la porta, fingendo affettatamente di atteggiarsi a gentleman, e risero insieme di quel gesto, che in realtà Zoe trovò carino. Come tutto il resto: dagli occhi azzurri di lui al suo sorriso sfrontato, dal suo modo di stare seduto alle domande che le poneva per informarsi sulla sua vita, sui suoi interessi, per conoscerla. Tutto in quel ragazzo era estremamente carino, quasi troppo per poter essere vero, e Zoe sentì di nuovo di non essere abbastanza. E di nuovo spuntò Giacomo.
“Credi quello che vuoi, Zò, tanto sono tutte cose che penso veramente. Lo so che hai un problema di autostima, carina.”
Ora ne aveva la certezza: nascosto da qualche parte nel suo inconscio, Pioggia stava tentando di boicottarle l’appuntamento.
“Ehi Zoe, sei qui con me?”
Si accorse di essersi distratta quando sentì un’altra voce maschile, per la precisione quella del ragazzo che le sedeva davanti.
“Sì, certo, continua,” lo incitò lei, riprendendo a mangiare la propria pizza.
“Ti stavo chiedendo se hai dato l’esame di Storia Contemporanea con Giannetti… Ma mi ascoltavi?” Davide non sembrava convinto di avere la sua attenzione, giustamente. A dirla tutta, pareva anche un pochino offeso.
“Hai ragione, scusami, mi sono distratta solo un attimo.”
Lui tornò a sorridere. “Immagino che dopo un primo appuntamento come il nostro questo ti debba sembrare abbastanza noioso, in effetti.”
“No, non è così, sono… Sono contenta di essere qui.”

Dopo cena Davide la portò in un locale dove suonavano musica dal vivo, le offrì da bere e continuarono a chiacchierare finché non si fece davvero tardi.
Mentre passeggiavano per tornare a casa, parlando proprio di musica, Davide le chiese che concerto fosse andata a sentire il sabato precedente, ricordandosi che lei le aveva detto di essere a Mantova per un evento musicale.
“Ah,” rispose lei, quasi a disagio, “non credo tu li conosca. Jam Session.”
“No, non mi pare di averli mai sentiti… Bravi?”
“Sono un gruppo leccese. Mi piacciono, sì. E poi…” esitò un attimo, indecisa, infine si buttò, “li conosco personalmente. Il cantante è mio amico.”
Ecco fatto, Giacomo era riuscito anche a farsi nominare. Incredibile, quel ragazzo era come il prezzemolo. Davide comunque non sembrava interessato ad approfondire l’argomento, e lasciò cadere la questione con un cenno d’assenso.
La accompagnò fino al portone del suo palazzo e, quando le si avvicinò per salutarla, Zoe sentì il cuore balzarle timidamente in gola.
“Non mi ero mai accorto che ci fossero tutti questi centimetri di differenza tra noi due,” spezzò il silenzio lui, prendendola in giro con il suo solito sorriso.
Zoe valutò velocemente che tutto sommato Davide, nonostante la sovrastasse abbondantemente in altezza, doveva essere comunque più basso di Giacomo almeno di un po’. Poi si sentì una stupida per aver pensato a lui anche in un momento del genere, e tornò al presente e al cuore in gola.
“Che modo carino per dirmi che sono bassa.”
“Vero?” Lui si avvicinò ancora di un passo, poi le guardò le scarpe, tornando serio. “Ma l’altra volta avevi mica i tacchi?”
Lei si rese conto che non stava scherzando e si sentì un attimo offesa. Solo un attimo.
“No, sono geneticamente incapace di portarli, temo.”
“Peccato,” sospirò lui, “se fossi un po’ più alta saresti la mia donna ideale.”
E Zoe, con un tuffo al cuore, sentì per l’ennesima volta di non essere abbastanza. Finché lui non si mosse, sorprendendola.
“Ma mi piaci lo stesso,” disse un secondo prima di abbassarsi per baciarla.
E lei, spiazzata, si sentì un’idiota per aver pensato di non essere abbastanza. E dopo un momento di confusione, si alzò sulle punte dei piedi e strinse le braccia attorno al collo di Davide, baciandolo a sua volta.
“Ci sentiamo domani, ok?” disse lui quando, senza fiato, dovette staccarsi. “Buonanotte piccola,” la salutò con un altro bacio sulle labbra e poi la lasciò andare.
Zoe estrasse le chiavi dalla borsa con le mani che ancora le tremavano.

La mattina seguente, quando accese il cellulare, Zoe trovò due chiamate perse – Aurora e Giacomo – e tre messaggi – due di Aurora e uno di Giacomo, tanto per cambiare.
Sbuffò e maledisse la sua abitudine di trovarsi sempre degli amici così impiccioni. Anche la sera prima, al suo rientro, aveva dovuto subire l’interrogatorio delle coinquiline, che si erano addormentate sul divano per attenderla, come due genitori apprensivi. In realtà erano solo curiose, altroché: anche Matilde, che di solito era più introversa e pacata, aveva mostrato il proprio interesse per l’appuntamento appena conclusosi.
Che avesse stressato troppo le persone vicine, parlando loro di questo Davide? Probabile, in effetti. Ad ogni modo, rifletté sorridendo a se stessa, ne era valsa la pena; aveva avuto ragione a stressare i suoi amici. Davide le aveva fatto passare una serata splendida e immaginava – sperava, più che altro – che non fosse l’ultima.
Si sedette a fare colazione e intanto, sapendo di avere lezione solo nel pomeriggio, si imbarcò nella prima telefonata della mattinata, quella con Aurora. Ovviamente dovette rispondere a una miriade di domande sull’appuntamento con Davide, sul comportamento del ragazzo, sulle proprie sensazioni; ma ci fu anche un altro interrogativo, che invece non si aspettava e che, anzi, la lasciò esterrefatta.
“Giacomo cos’ha detto?”
Chi?” La voce le uscì più stridula del previsto.
“Non fare finta di non aver capito, cara.”
“Quello che non capisco è l’attinenza della tua domanda…”
Aurora ridacchiò. “Sei sicura che vuoi che te lo spieghi?”
“No, meglio di no, va’. Giacomo non l’ho ancora sentito.”
Evitò di dirle quanto avesse pensato a lui la sera precedente. Era imbarazzante e… sbagliato. Sì, in qualche modo era sbagliato: diamine, era uscita con un ragazzo fantastico!
“Mmh. Ma sapeva dell’appuntamento?”
“Sì, gliel’ho detto sabato a Mantova. Anzi, adesso devo chiamare anche lui, mi sa.”
“Uh, allora ti lascio! Non voglio rubargli altro tempo, povero.”
“Ma povero di cosa?”
“Lascia stare. Ci sentiamo, eh.”
Zoe non s’insospettì più di tanto solo perché era ancora felicemente distratta dai ricordi della sera prima; lasciò correre.
“Life?” la richiamò Aurora.
“Dimmi.”
“Sii delicata, mi raccomando.”
“Con Davide? Perché?”
“Con Giacomo. Ciao, salutamelo!”
“Ma cosa…?” tentò di chiedere spiegazioni, ma l’amica aveva già riattaccato.
Di fatto, poi, la telefonata con Giacomo fu molto tranquilla e leggera, al che Zoe, che si era preoccupata per le ultime sibilline frasi di Aurora, dovette ricredersi e, anzi, cominciò a pensare che la sua migliore amica fosse un tantino rimbambita. Infatti, al massimo, nella voce del salentino lesse un po’ di fretta, cosa che di solito non aveva, ma era normale ora, con tutti gli impegni per il nuovo album. Le chiese solo com’era andata la serata, senza soffermarsi in domande particolareggiate e mantenendosi su un terreno piuttosto neutro. Zoe, che quasi temeva che si accennasse a ciò che era successo a Mantova la settimana prima, fu sollevata quando notò che nemmeno lui aveva intenzione di parlarne ancora.
Insomma, tutto normale finché, una volta riattaccato il telefono, Zoe pensò che la conversazione era stata appena un po’ strana. Più fredda rispetta al solito, forse; mancava nella voce di Giacomo quel calore che vi sentiva sempre, anche attraverso la cornetta del telefono.
Poi si diede della paranoica e decise di non pensarci.

Quella stessa mattina, in effetti, Giacomo si svegliò con l’umore non alle stelle.
Proprio la sera precedente era stato nuovamente a letto con Beatrice. L’aveva chiamata appena cenato, dopo qualche convenevole si erano dati appuntamento a casa della ragazza, lui si era assicurato di sapere come raggiungerla, poi aveva riattaccato e si era vestito in tutta fretta per uscire.
Era consapevole di essere spinto a farlo per Zoe. O meglio, a causa di Zoe. Non gli piaceva nemmeno ammetterlo a se stesso, e non l’avrebbe mai detto ad alta voce, ma sapere che lei in quel momento era fuori con un ragazzo, uno che pareva piacerle davvero molto, gli procurava una certa sensazione di fastidio misto a qualcos’altro che non riusciva a catalogare. Perciò quando era uscito dall’appartamento salutando di fretta i suoi amici e si era beccato un’occhiata di rimprovero da parte di Niccolò, non aveva potuto fare a meno di sentirsi un po’ colpevole.
Il senso di colpa era durato poco: tempo di raggiungere casa di Beatrice, di vederla aprire la porta con un sorriso smagliante, di sentirsi tirare dentro e di cominciare a baciarla, e, esattamente come aveva sperato, tutti gli altri pensieri erano spariti.
Era rientrato a notte fonda nel proprio appartamento e per fortuna aveva trovato tutti già a letto. Lui però non era riuscito ad addormentarsi così facilmente e si era rigirato nel letto aspettando un messaggio post-appuntamento da parte di Zoe. Perciò, quando il cellulare si era illuminato, aveva accolto con grande delusione il nome del mittente: Beatrice, ancora.
Sei sempre il migliore, Gia’, grazie di tutto. Spero ci rivedremo presto. Buonanotte, ti voglio bene.
Giacomo, a dispetto delle paroline dolci e zuccherose contenute nel sms, l’aveva trovato quasi squallido. Lo ringraziava per la scopata? Per essersi lasciato abbindolare di nuovo?
Si era sentito nuovamente in colpa e aveva spento il telefono, deluso e arrabbiato con se stesso.
Perciò quando quella mattina, svegliandosi piuttosto presto e accendendo il cellulare, non trovò ancora nessun messaggio di Zoe, provò a chiamarla e le scrisse lui. Poi si sedette in cucina per fare colazione e fu in quel momento che entrò Niccolò.
“Buondì bel Casanova, sei già in piedi?”
“Mpfh,” mugugnò lui, l’umore nero e la bocca piena.
“Sonno, eh? Ieri hai fatto piuttosto tardi.”
Giacomo bofonchiò di nuovo qualcosa d’incomprensibile e lanciò un’occhiata al cellulare poggiato sulla tavola. A Niccolò non sfuggì.
“Aspetti una chiamata?”
“O un messaggio, non ne sono sicuro.”
“Allora sai ancora parlare!” lo prese in giro l’altro. “Chi ti deve scrivere, la sgualdrina?”
“Nico, non chiamarla così,” lo redarguì stancamente Giacomo, alzandosi per andare a lavare la propria tazza.
“Cosa preferisci, Beatrice la meretrice?” fece il moro, rubando il telefono dell’amico. Giacomo, ancora girato dall’altra parte, non se ne accorse, ed evitò di commentare la sua ultima battuta. Si riscosse solo quando sentì di nuovo la voce di Niccolò, che stavolta per la precisione leggeva il messaggio che Beatrice gli aveva mandato la sera prima.
Sei sempre il migliore, grazie di tutto? Ma per cosa ti ha preso, per il suo stallone?”
Giacomo si girò di scatto e lo vide con in mano il suo telefono. “E tu per cosa mi hai preso, per la tua fonte giornaliera di gossip?” Fece per riprendersi ciò che era suo ma l’amico allungò il braccio, impedendoglielo. “Vabbè, tienitelo, non ho nulla da nascondere,” sospirò, abituato a vedere la sua privacy distrutta.
“Nessun altro messaggino della tua amichetta di letto?”
“Finiscila,” lo ammonì continuando a lavare anche i piatti della sera prima. Se fosse stato con le mani in mano sarebbe impazzito, quella mattina non avevano impegni con la casa discografica.
“Beh, hai fatto colpo, stallone. E lei com’è?”
Giacomo nemmeno si girò, si limitò a rispondere con una scrollata di spalle.
“Non mi sembri granché soddisfatto, amico. E sì che quella dovrebbe averne fatta di esperienza in questi anni…”
Sapeva che Niccolò stava tentando di provocarlo apposta, eppure non riusciva a infastidirsi per quelle sue insinuazione su Beatrice. Non lo disturbava neanche pensare a lei con altri uomini, almeno non quanto lo seccava dover aspettare un misero messaggio di Zoe. Comunque, decise di accontentare il suo amico e di dargli una risposta a tono.
“La smetti di farmi la paternale solo perché faccio sesso con una? Non mi sembra che tu ti comporti da timorato di dio, hai molte più donne di me, e sai benissimo che era da tempo che non avevo ragazze. Non vedo il problema.”
“Primo, Beatrice non è una, ma è la tua ex ragazza traditrice. Secondo, non ti faccio la paternale, sono affari tuoi. E terzo, ma non meno importante, se non hai avuto donne ultimamente è perché…”
Niccolò fu interrotto dalla suoneria del cellulare che aveva ancora in mano e guardò l’oggetto sospettoso. “Aspetta un attimo… Zoe? Aspettavi una chiamata di Zoe?”
“Dammi qua!” Stavolta Giacomo prese il cellulare e sparì in camera sua, seguito dalla voce dell’altro.
“Sei senza speranza, Pioggia, sei proprio senza speranza…”
“Ehi,” rispose al telefono, ignorando il suo coinquilino.
“Ciao… Mi hai chiamata?”
“Beh, sì. Hai visto,” commentò lui, un po’ seccamente.
“Dimmi.”
Giacomo s’infastidì ancora di più, senza motivo. Prese un grosso respiro, consapevole di non poterle rispondere male solo perché era stanco. “Dai, non fare la finta tonta, ragazzina. Sai perché ti ho cercata, ti ho scritto anche un messaggio.”
“Eh.”
Eh cosa?”
“Tu chiedi, io rispondo.”
Lui sospirò. “Sei impossibile, Molinari. Allora, chiediamo. Com’è andata ieri sera?”
“Bene, bene. Decisamente.”
“Zoe, cara, non ho il tempo di tirarti fuori le informazioni con le pinze stavolta. Parla.”
“Davide è stato molto carino, dolce. Abbiamo mangiato una pizza e poi mi ha portato a sentire un gruppo in un locale qui a Padova, ecco tutto.” Nonostante le parole ben soppesate e pacate al massimo, Giacomo poteva sentire che era veramente felice, solo decifrando la sua voce. Di nuovo, si dispiacque di non averla lì davanti e di non poter vedere il suo viso.
“Ok, vi siete già baciati?”
Per qualche istante sperò che la risposta a quella domanda fosse la stessa dell’ultima volta che gliel’aveva posta. Ma, ovviamente, non lo era.
“Sì.” La voce di Zoe era esitante, bassa, ma non meno felice di prima. Giacomo si disse che doveva essere felice anche lui con lei.
“Bene,” esultò, risultando poco convincente anche a se stesso. “Bene!” ripeté più deciso.
“Sì, bene.”
“Sono contento per te, sai?”
“Lo so.” Zoe ridacchiò. “Cioè, è strano… Sembra l’uomo perfetto.”
“Non esiste l’uomo perfetto.”
“Già. Stai cercando di smontarmi, Pioggia?” chiese lei con voce giocosamente sospettosa.
“No, è solo… Vabbè, diciamo che è una cosa che può assomigliare all’uomo perfetto, dai.”
“Che puntiglioso, io che ho detto? Meno male che di solito dovrei essere io quella pessimista…”
“Hai ragione, sono solo… un po’ stanco. E devo andare ora, mi spiace.” Non sapeva bene il perché, ma aveva voglia di chiudere quella telefonata.
“Tranquillo. Ci sentiamo più avanti?” Zoe per fortuna non sembrò registrare anomalie nel suo tono.
“Certo, bellezza. Buona giornata allora.”
“Anche a te. Ciao Giaco.”
“Ciao.”
Chiuse il collegamento e si buttò indietro sul letto su cui si era seduto, finendo supino. Non fece neanche in tempo a sospirare che sulla porta della stanza apparve Niccolò con un’espressione maliziosa che non prometteva niente di buono.
“Non mi hai ancora detto cos’avete combinato tu e Zoe a Mantova soli soletti tutta la notte…”
“Niente, Conte, niente. Sparisci!”

Nei giorni seguenti le cose accelerarono e Zoe non ebbe neanche più il tempo di pensare alle parole di Aurora o alla strana reazione di Giacomo – se poi c’era stata, questa reazione strana.
Uscì con Davide un’altra volta, poi un’altra e un’altra ancora, e l’impressione di vivere in una bolla di fortuna di ampliò giorno dopo giorno. Ogni volta che usciva di casa per raggiungerlo, il cuore in gola e una leggera agitazione che le premeva alla bocca dello stomaco, sapeva di essere all’inizio di una relazione che finalmente per lei poteva essere importante. E ogni volta pensava sempre meno a Giacomo.
Davide era carino, dolce, premuroso, divertente; le pagava il biglietto del cinema, la prendeva teneramente in giro quando arrossiva, la baciava in un modo che le faceva sentire le farfalle nello stomaco.
“Cosa nascondi, si può sapere?” gli aveva chiesto sorridendo una volta, dopo qualche giorno che uscivano insieme.
“In che senso?”
“Devi avere dei difetti anche tu!”
Lui aveva fatto finta di pensarci su per qualche secondo. “No, non ne ho,” aveva ammesso infine.
“E sei anche modesto!”
Davide era intelligente, rispettoso, intraprendente e aveva delle mani fantastiche. Zoe lo sapeva bene, ma lui le aveva dimostrato di saper aspettare.
Una sera, dopo circa dieci giorni che si frequentavano, si erano trovati avvinghiati sul divano di casa di lui senza sapere bene come, dopo aver visto un film. Le mani di Davide – le fantastiche mani di Davide – erano finite sotto la sua maglietta già da un po’, ma Zoe, che di solito aveva dei tempi più lunghi per cominciare a fidarsi fisicamente di un ragazzo, non sembrava intenzionata a impedirgli di continuare. Si era staccato lui.
“Sarà meglio che ti riaccompagni a casa, prima che arrivino i miei coinquilini…” aveva mormorato col fiato corto, passandosi una mano fra i capelli. “E prima che mi dimentichi di essere un gentiluomo.”
Zoe era stata tentata di dirgli che non era necessario fare il gentiluomo, ma si era trattenuta. L’idea di essere beccata dai coinquilini di Davide sul loro divano non piaceva nemmeno a lei.
Davide era un po’ misterioso, certe volte sembrava criptico. Zoe si accorse di non sapere molto di lui, a parte le cose riguardanti l’università e poco altro. Pensò che fosse timido, riservato, ma capì presto che come motivazione non potesse reggere, visto come si era avvicinato a lei la prima volta, in stazione. Non se ne preoccupò troppo comunque, neanche quando lui schivò qualche sua domanda, e lo giustificò con se stessa dicendosi che tutti avevano dei difetti, dopotutto.
Così da più di un mese Zoe viveva in questa bolla e sembrava che niente potesse scalfirla. I momenti felici offuscarono il suo carattere generalmente pessimista e si dimenticò di una cosa importante, una cosa che, di solito, la costringeva a stare all’erta: le cose brutte arrivano sempre all’improvviso. E inaspettatamente.

“Che c’è, Life? Sei agitata.”
“Sì, scusa, non… C’è qualcosa che non va. È da ieri mattina che non mi risponde.”
Era domenica e Zoe, a casa per il weekend, era seduta al tavolo di un bar per pranzare con Aurora. La sua amica aveva notato ancora prima di sedersi la sua tensione, la quale aveva un motivo ben preciso: da più di ventiquattro ore stava aspettando un qualche segnale da parte di Davide, che era letteralmente scomparso dalla mattina precedente.
“Davide?”
“Sì. Ieri mattina ha risposto a un mio messaggio e poi – puff – è scomparso nel nulla.”
“Di solito vi sentite tutti i giorni?”
“Beh, da quando ci frequentiamo sì. Cioè, circa tutti i giorni,” spiegò, stritolandosi le mani.
Aurora, conoscendola, le porse un tovagliolo, che lei prese e cominciò subito a fare a pezzettini, neanche fosse un tritarifiuti. Lo faceva sempre, quand’era preoccupata o agitata per qualcosa.
“Quant’è?” domandò Aurora.
“Quant’è cosa?”
“Che uscite insieme.”
“Un mese ormai. Anche un po’ di più.”
“Ah. Ma scusa, dai, magari è senza credito nel telefono…”
Zoe si spazientì. “Senti, sai che non sono mai stata una persona apprensiva o altro, solo mi secca che Davide non mi risponda a messaggi e chiamate. Oltretutto so per certo che è vivo e vegeto.”
“Come?”
Sbuffò. “Ieri sera era in giro a Padova. L’ha visto Sara, la mia coinquilina.”
Aurora ci pensò un po’ su. “Ma avete litigato?” chiese poi, pensierosa.
“Certo che no, sennò ora non sarei qui a chiedermi cosa c’è che non va, ti pare?”
“Tesoro, non t’innervosire, su.”
Zoe cominciò a giochicchiare col tovagliolo ormai ridotto in coriandoli sul tavolino. “Hai ragione, scusa, non dovrei prendermela con te. È che non riesco proprio a capire cosa possa essere successo, non ha mai fatto così, non è da lui.”
“Beh,” cominciò l’amica, con voce cauta, “scusa se te lo dico, ma non lo conosci poi così bene…”
Si beccò un’occhiataccia. “Ma tu da che parte stai?”
“La tua, la tua. Ok, dai, tranquilla, vedrai che è solo un malinteso e tra poco ti chiamerà per scusarsi. O stasera, quando torni a Padova, si presenterà a casa tua camminando sulle ginocchia.”
“Sicura?”
“Certo.”

Non andò proprio così. Davide non diede segni di vita per tutta la domenica pomeriggio e non si fece sentire neanche i due giorni successivi, nonostante Zoe gli avesse scritto qualche messaggio e avesse provato a chiamarlo. Il suo cellulare era acceso ma lui non sembrava intenzionato a rispondere.
Alla fine, dopo più di quattro giorni di silenzio inquietante, preoccupata e con il morale sotto i tacchi, mercoledì Zoe decise di mettere da parte anche la propria dignità. Andare a cercarlo a casa era l’ultima delle soluzioni possibili, avrebbe preferito evitare di farlo; perciò, spinta e supportata anche dalle sue coinquiline, elaborò un altro piano per incontrarlo. Andò a controllare gli orari di un corso che lui frequentava e si fece trovare fuori dall’aula quel pomeriggio. Si sentiva un po’ meschina a comportarsi così, ma aveva bisogno di avere delle risposte, e se lui voleva mollarla, almeno che avesse il coraggio di dirglielo in faccia.
Lo individuò mentre usciva dall’aula chiacchierando con un ragazzo, prese un grosso respiro e gli si avvicinò, senza indugiare oltre.
“Davide.”
Lui si voltò, la vide e fece una faccia stupita, come se non si aspettasse di vederla lì.
Uno a zero per me, pensò mestamente Zoe. Ma poi Davide rimise su la sua solita espressione gioviale e amichevole, congedò il suo amico, tornò a guardarla, e lei pensò sarebbe stato molto più difficile del previsto.
“Zoe. Cosa ci fai qui?” le chiese lui, con un tono neutro.
“Lezioni,” mentì lei, abbassando lo sguardo per un attimo. “Siamo nella stessa facoltà, ricordi?”
“Sì, certo.” Non era convinto ma non sembrava nemmeno aver voglia di contraddirla. “Beh, allora…”
“Si può sapere perché sei scomparso?” lo interruppe, troppo impaziente e vagamente arrabbiata.
Davide sembrò sorpreso dal suo modo di arrivare subito al punto, ma di nuovo di ricompose in fretta. “Ho firmato un contratto in cui dichiaro che avrei sempre risposto a tutte le tue chiamate, per caso? Perché non me lo ricordo…”
Zoe stentava a riconoscere il ragazzo che le stava di fronte, eppure il suo cuore continuava a battere più forte del normale. Cercò velocemente una spiegazione logica.
“È successo qualcosa? Se è così avresti potuto dirmelo, io…”
Lui sbuffò, ma quando parlò il suo tono non era duro, solo un po’ annoiato. “No, niente. Solo, non avevo voglia di risponderti. Pensavo avresti capito da sola.”
E all’improvviso Zoe comprese cosa l’altro stesse cercando di fare e fu come ricevere un pugno in pieno stomaco. “Volevi che ti mollassi, è così? Ti sei comportato da stronzo perché così ti avrei lasciato io e tu non avresti dovuto scomodarti per farlo…”
“Lasciarti?” Davide scrollò le spalle con disinteresse. “Non sapevo nemmeno che stessimo insieme, a dirla tutta.”
“Sei veramente… Io non ho…” Non riuscì a concludere la frase, così lui la precedette, cominciando ad allontanarsi.
“Beh, Zoe, mi dispiace, devi aver frainteso le cose, hai preso il tutto troppo seriamente. Scusa.”
 Parlò con un tono che sembrava davvero dispiaciuto e lei, vedendolo andare via, tentò di fermarlo. “Ho fatto qualcosa di sbagliato? Dimmelo, posso almeno…”
Negli occhi di Davide passò un lampo di pena che, se fosse stata in sé, le avrebbe dato fastidio. La fermò con un gesto della mano. “No, senti, forse semplicemente non doveva continuare, ok? Io sono fatto così, piccola, non prendertela. Ora devo scappare, ci si vede in giro.”
Si volatilizzò nel giro di pochi secondi e Zoe rimase ferma nel corridoio con addosso una vecchia sensazione di inadeguatezza. Quando si riscosse, notò delle ragazze poco più in là che la osservavano con sguardi quasi partecipi e, in imbarazzo, corse via da quel posto.
Giunse nel proprio appartamento e incontrò Matilde, la quale non dovette nemmeno chiederle informazioni per capire cosa fosse accaduto, ma si limitò a lanciarle lunghe occhiate significative e preoccupate.
Zoe si chiuse in camera e scoppiò a piangere silenziosamente, senza riuscire a pensare a nulla. Capì di non poter reggere a lungo quella situazione quando rientrò anche Sara e, dalla camera, sentì le due parlare di lei, domandandosi cosa potessero fare. Perciò, dal momento che venerdì non aveva lezioni, decise di saltare a piè pari anche quelle di giovedì e di tornare a casa quella sera stessa.
Fu una decisione istintiva, un bisogno di protezione e silenzio. Preparò in fretta la valigia, prese il primo treno disponibile e avvisò Viola per farsi andare a prendere in stazione, senza spiegarle cosa fosse accaduto.
Una volta a casa, si chiuse in camera di Ginevra e, sempre istintivamente, telefonò all’unica persona che avesse voglia di sentire in quel momento. Almeno Giacomo non le avrebbe lanciato sguardi preoccupati. Non avrebbe potuto, attraverso il telefono.

“Ciao.”
“Ehi ragazzina, cosa c’è?”
“Niente. Avevo solo voglia di sentire la tua voce.”
Il silenzio riecheggiò per qualche secondo attraverso la cornetta del telefono, finché Zoe non decise di verificare se il suo interlocutore fosse ancora vivo.
“Giacomo?”
“Ok, facciamo una cosa: adesso butto giù, mi richiami e ripeti quello che hai detto, così intanto mi organizzo per registrare la telefonata.”
“Dai, scemo…”
“Non mi hai mai detto una cosa del genere prima, voglio immortalarla!”
Le strappò un sorriso e Zoe rifletté sul fatto che lui era l’unico in grado di farla ridere in qualsiasi momento.
“Infatti non sono stata totalmente sincera…”
“Ti pareva.”
“La verità è che ho anche bisogno di sfogarmi con qualcuno. Davide mi ha scaricata,” confessò, gli occhi che tornavano lucidi contro la sua volontà.
“Stai scherzando?”
Anche Giacomo era tornato improvvisamente serio.
“No.”
E si sfogò, gli raccontò cos’era successo, cosa Davide le avesse detto; gli disse anche che era andata a casa a metà settimana perché non sarebbe riuscita a stare a Padova un giorno di più, in quel momento. Giacomo l’ascoltò pazientemente e alla fine espresse il suo parere categorico.
“È un idiota.”
Lei sospirò. “Non credo.”
“Sì, invece,” insistette lui, convinto.
“Non lo conosci neanche!”
“Zoe, fidati. Uno che ti scarica non può essere altro che un idiota.”
“Sei carino, grazie. Ma forse alla fine non è così vero… Avrà avuto le sue ragioni anche lui,” mormorò lei.
A quel punto la voce di Giacomo si fece vagamente più spazientita. “Si può sapere perché continui a sminuirti? E perché continui a difendere quel cretino?”
“Perché… perché sì.”
“Beh, questa non è una risposta. E comunque non devi farlo, non devi sminuirti,” ripeté lui, per nulla intenzionato a cedere.
Zoe non tentennò neanche un secondo. “Non mi sminuisco.”
“Oh, sì che lo fai. Lo fai sempre.”
“È la mia storia, Pioggia! Non sono io che dico certe cose ma la mia vita, i miei rapporti. Come fai a non capire?”
La voce di lei era esasperata e sull’orlo delle lacrime, Giacomo questo poteva sentirlo; eppure le parole che diceva continuavano a innervosirlo, a farlo arrabbiare.
“Io mi chiedo come faccia tu a non capire, Zò, a non capire che stai dicendo fesserie!”
“Non riescono a stare con me, non può essere solo colpa loro…” continuò lei, con un singhiozzo. “Devo essere io.”
“Non è così, lo sai.”
“Invece sì.”
“Smettila. Stai parlando con la persona sbagliata se vuoi autocommiserarti. Non lascerò che ti butti giù o che ti convinca di certe stronzate.”
“Perché?” sussurrò lei, sfinita, senza nemmeno sapere cosa avrebbe voluto sentirsi rispondere.
“Perché te l’ho sempre detto, Zoe, che tu vai benissimo così come sei. Se ti è andata male con un paio di pivelli che non si sono accorti della fortuna che avevano, peggio per loro, non vuol dire che abbiano ragione. Dovresti solo guardarti attorno con più attenzione, senza neanche andare troppo lontano, in realtà.” Prese una pausa, sospirando profondamente. “È così facile innamorarsi di te.”
“Ah beh, certo!” Stavolta il tono di lei era pesantemente sarcastico. “Infatti sono tutti innamorati di me, no?” Il discorso era lo stesso che aveva affrontato mesi prima con Aurora e, rendendosene conto si innervosì ancora di più. “Tutti mi vedono e – tac! – si innamorano all’istante di me!”
“Zoe…” Giacomo tentò d’interromperla senza successo.
“Qual è il punto, allora? Che tu sei innamorato di me?” Lo disse un po’ per scherzo un po’ per rabbia, sapendo che la risposta sarebbe stata negativa; invece il silenzio che seguì la sua domanda la insospettì e sentì con estrema chiarezza un brivido percorrerle la spina dorsale. Fu di nuovo lei a rompere il silenzio. “Giacomo…”
“Senti, io non penso che sia… Cosa dovrei dirti, adesso?”
Zoe poté sentire la sua indecisione e si arrabbiò ancora di più, se possibile. Non doveva essere indeciso, non su quell’argomento.
“Cosa dovresti dirmi? Lo sai benissimo, lo sai! Devi dirmi che no, non provi dei sentimenti del genere per me, lo sai.”
Lui tentennò. “Non lo so. Non lo so più.”
“E da quando, si può sapere?”
“Da adesso,” bisbigliò lui, sincero.
“Cosa? Da adesso?! Ma cos’hai, sei ubriaco?”
“Sono…” Giacomo deglutì e Zoe quasi poté vederlo mentre si passava una mano fra i capelli: la faceva andare fuori dai gangheri il fatto di sapere cosa stesse facendo senza nemmeno vederlo, ma non poteva evitarlo. “Sono solo confuso, scusa.”
“Maledizione, sei il mio migliore amico! Io… io ti considero… ti consideravo il mio migliore amico… Ti ho chiamato per aver un po’ di conforto e tu mi butti addosso questa presunta grande rivelazione senza pensarci due volte? Che razza di amico sei?” Si stava trattenendo per non scoppiare a piangere, era stufa di piangere a causa delle persone che avrebbero dovuto volerle bene.
“Guarda che hai fatto tutto da sola, io non ho detto nien-”
“Smettila,” lo interruppe lei, stanca. “Non mi interessa se sei tanto annoiato da pensare di provare qualcosa per me. C’erano delle regole, Pioggia, fin dall’inizio, c’erano delle cazzo di regole, e tu le hai infrante tutte anche solo facendo finta di pensare una cosa del genere!”
“Non è così…”
Zoe era un fiume in piena, sentiva di non potersi più fidare di quello che le avrebbe detto. “Non m’interessa com’è. Sai una cosa? Non avrei mai dovuto darti il mio numero di telefono, quella volta, non avrei mai dovuto fidarmi. Dovevo seguire il mio primo istinto.”
“Zoe, non mi stai facendo spiegare. Per favore…”
La voce di lei tornò a interromperlo, stavolta però era poco più che un sussurro, era a malapena udibile, era spaventata. “Non avresti dovuto dirlo, Giacomo.”
“Per favore,” ripeté lui. Non gli importava più di doverla pregare, voleva solo avere l’opportunità di rimediare al danno, anche se non sapeva come.
Ma avvertendo di nuovo le lacrime pungere agli angoli degli occhi per uscire, Zoe sentì il bisogno di chiudere quella conversazione, di allontanarsi da Giacomo. “No, guarda, mi sono rotta di ascoltare balle colossali. Lasciami in pace, ti chiedo solo questo.”
Non sentì se e come Giacomo avesse risposto, riattaccò subito dopo l’ultima parola e subito si affrettò a spegnere il cellulare. Che restò spento per i successivi tre giorni.

Giacomo tornò particolarmente stanco da un incontro col rappresentante della casa discografica. Una volta a casa da solo – visto che i suoi due coinquilini e colleghi si erano trattenuti fuori – per prima cosa prese il cellulare e tentò di chiamare Zoe, come faceva da tre giorni. Sospirò quando sentì la voce registrata che lo informava che il telefono era ancora spento. Andò in camera, gettò con rabbia il proprio cellulare sul letto e cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza.
Probabilmente meritava di essere tagliato fuori da Zoe, ma ci stava comunque da cani. Non sapeva nemmeno perché quelle parole fossero uscite dalla sua bocca – o meglio, non uscite. In effetti, l’aveva fatta arrabbiare il fatto che lui non avesse negato di provare qualcosa per lei, e dal momento in cui era scoppiata, Giacomo non era più riuscito a spiegarsi. Era confuso. Si era accorto già a Mantova, la notte dopo il concerto, che qualcosa con Zoe non quadrava, aveva capito di essere attratto da lei più del lecito. Ma ancora non riusciva ad afferrare cosa potesse significare tutto quello, o almeno, non riusciva ad accettarlo razionalmente. Non era così semplice. Sapeva di volerle bene, sapeva di aver bisogno di lei, di non poterne più fare a meno. Ma aveva paura di andare oltre, di capire cosa volesse dire tutto ciò.
Zoe non gli rispondeva al telefono e lui era semplicemente andato fuori di testa: non era concentrato in niente, era sempre distratto, continuava a sperare che lei all’improvviso lo perdonasse e si facesse sentire. A Niccolò aveva solo detto di aver litigato con Zoe, non avevano avuto modo di approfondire l’argomento, anche se Giacomo avrebbe voluto farlo. Stavolta infatti sentiva il bisogno di parlarne con qualcuno per capirci qualcosa di più e oltretutto non gli andava più di nascondere tutte quelle cose al suo migliore amico. Ma non avevano potuto passare molto tempo chiacchierando a tu per tu e quindi non era riuscito ad avere il suo parere – anche se poteva immaginarlo, in realtà. Niccolò gliel’aveva sempre detto e lui non l’aveva ascoltato.
Al suono del citofono Giacomo trasalì, obbligato a uscire dai suoi pensieri per tornare nel mondo reale: si era quasi dimenticato di essere tornato a casa per vedere Beatrice, che gli aveva chiesto di incontrarsi. Non ne aveva assolutamente voglia, ma lei aveva insistito tanto, dicendogli che dovevano parlare, e lui non se l’era sentita di negarle almeno una chiacchierata.
Andò ad aprirle, socchiuse anche la porta dell’appartamento e si mise ad aspettarla nel salotto. In quell’ultimo periodo aveva continuato a vedere Beatrice con una certa regolarità, circa un paio di volte la settimana, e aveva continuato ad andare a letto con lei. Aveva bisogno di distrarsi e con Beatrice ci riusciva, poteva non pensare a Zoe insieme a un altro, poteva sentirsi desiderato, lo faceva comunque stare bene. Non era una vera e propria relazione e lui non aveva intenzione di farla diventare tale, ma non si era mai preoccupato di scoprire cosa pensava lei in proposito.
Niccolò non approvava il suo comportamento, gli diceva che così si sarebbe cacciato presto nei guai. Giacomo non aveva capito cosa intendesse, finora. Adesso lo sapeva: era nel suo appartamento ad aspettare Beatrice e stava pensando a Zoe; non aveva voglia di vedere la prima, sentiva il bisogno di essere perdonato dalla seconda.
Sospirò un attimo prima che Beatrice entrasse nella stanza e lo salutasse con un bacio sulle labbra.
“Ciao Gia’. Non c’è nessuno?”
“No,” rispose lui, tenendo lo sguardo basso.
“Bene. Che ne dici se ci spostiamo comunque in camera?”
Giacomo era indeciso. Di solito voleva stare con Beatrice, ma stavolta aveva un peso nello stomaco che gli impediva di lasciarsi andare con facilità. Alla fine acconsentì, pensando che poteva distrarsi un pochino e smettere di pensare grazie a lei.
Beatrice lo portò in camera, chiuse la porta dietro di loro, e cominciò a baciarlo. Giacomo non si sentiva a suo agio e quando lei tentò di togliergli la maglietta, riuscì ad allontanarla gentilmente.
“No, Bea, ascolta… No.”
“C’è qualcosa che non va?” chiese lei, confusa.
“Sì. No… Lascia stare, è un problema mio.”
Lei sembrava ferita, ma si limitò ad avvicinarglisi di nuovo e passargli la mano sul viso. “Puoi parlarmene, sai. Sono qui per te.”
Giacomo sbuffò e girò la testa. “Non è che abbiamo mai parlato molto, in realtà…”
“Beh, quando stavamo insieme…”
“Erano anni fa, Beatrice. E anche allora i problemi di comunicazione c’erano, visto che ho scoperto un po’ tardi di non essere l’unico tuo ragazzo.”
Stava riversando la sua rabbia e il suo dolore su di lei senza un motivo. Non gli importava più di quella vecchia storia, ma sentiva una serie di sentimenti contrastanti dentro di sé e non riusciva più a contenerli.
“Senti,” fece lei, che probabilmente non comprendeva il suo stato d’animo, “non possiamo solo lasciarcelo alle spalle e tentare con questo?” domandò, indicando loro due.
Giacomo capì e scosse la testa. “Non c’è questo, Bea, mi dispiace. Siamo solo andati a letto insieme qualche volta. Mi dispiace,” ripeté, mettendo le cose in chiaro.
Lei non desistette. “Lo so. Ma non ci sarebbe niente di male se volessimo qualcosa di più, no? Uscire assieme, provare ad avere una relazione, quelle cose lì.”
“No, senti… Mi spiace se hai pensato il contrario, ma io non voglio tornare con te.”
“Perché?” Beatrice era talmente sicura di sé da non riuscire ad accettare alcun tipo di rifiuto. “Se è per quella faccenda di quando avevamo diciotto anni, io penso che possiamo…”
La bloccò subito. “Non è quello, no. Ma non potresti darmi torto se non volessi fidarmi di te da allora.”
“So che ho sbagliato e…”
Giacomo scosse di nuovo la testa per spiegarsi. “No, no. Ti ho detto che non è per quello. Solo non…”
“Ascoltami,” insistette lei, prendendo fiato. “Ho sbagliato con te, e purtroppo me ne rendo conto solo ora. Tu sei stato l’unico che mi abbia mai trattato con rispetto, anche se eravamo solo dei ragazzini. Sarà perché dopo di te mi sono sempre trovata attratta da stronzi colossali, ma ora mi accorgo di quanto tu sia… diverso. E potrei innamorarmi nuovamente di te.”
Invece di essere colpito e felice, Giacomo sbuffò di nuovo, contrariato. “Non dire idiozie, Beatrice, tu non sei mai stata innamorata di me.”
“Questo è ingiusto da parte tua, Gia’, non è vero che…”
“Tu non sei mai stata innamorata di me,” ripeté lui, più forte. “Mi rifiuto di crederlo, mi hai trattato troppo di merda per essere una che mi amava.”
“Ho detto che ho sbagliato!” urlò Beatrice, che non voleva vederlo andare via. Ma Giacomo era già via.
“Quando ami una persona non vuoi vederla soffrire, soprattutto se a farla soffrire sei tu. Ti senti talmente in colpa a sapere che sta male a causa tua, che diventa difficile persino respirare, pensare, vivere. Quando ami una persona puoi anche tradirla col corpo, per errore, ma ti senti malissimo dopo averlo fatto e vorresti cancellare tutto e vorresti correre da lei a raccontarglielo e dirle che non succederà mai più, che non la farai soffrire mai più, e forse stai peggio tu che lei per quel tradimento. Perché tu ami tutto di lei, tutto. Conosci i suoi pregi e i suoi difetti, le sue manie, i suoi vizi, ogni suo lato. E dei difetti non te ne può fregare di meno perché fanno parte di lei e sai che se anche litigate spesso a causa del suo caratteraccio, non ha importanza, perché è comunque lei che vuoi accanto. Sempre, la vuoi accanto sempre. Perché quando… quando sei innamorato veramente di una persona, sai, faresti di tutto per starle vicino, anche solo come amico, anche se questo vuol dire mettere da parte i tuoi sentimenti, anche se lei non ti ama.”
Il silenzio che seguì fu così denso e pesante che Giacomo quasi si vergognò delle sue parole, capendo in quell’istante cosa significassero.
“È così, Bea,” continuò. “Io ti avevo già perdonato tanto tempo fa, all’epoca addirittura ti pregai di tenermi con te, ma tu non volesti saperne. Non… non mi amavi.”
“Tu sei innamorato di un’altra.”
Suonava come un’affermazione, non come una domanda.
Giacomo abbassò il capo. “Non ha importanza.”
“Ha importanza per me, adesso,” insistette lei. “Voglio… devo saperlo. È vero?”
“Sì.”

Nell’attimo esatto in cui rispondeva a quella domanda, che di sicuro era più importante per lui stesso che per Beatrice, Giacomo sentì il mondo crollargli addosso.
Sì.
Era innamorato di Zoe, era innamorato perso di Zoe. Lo sapeva già, in fondo, anche se aveva sprecato tanto tempo a negarlo persino a se stesso; ma doverlo ammettere di fronte a qualcuno lo squarciò.
E c’era un’altra consapevolezza, che forse lo uccideva ancora di più: non era pronto a vivere senza di lei, avrebbe fatto di tutto per starle accanto. Anche accantonare i propri sentimenti, che erano sì forti, ma ancora tanto acerbi, e che avrebbero deteriorato il loro rapporto, se fossero venuti alla luce. Non poteva distruggere tutto, aveva bisogno di lei.

“È fortunata.”
“Come?” Giacomo era talmente preso dai propri pensieri che non si era nemmeno reso conto di essersi seduto, sfinito, sul bordo del letto, e tantomeno si era accorto che Beatrice si era mossa per raggiungerlo e parlargli.
Lei lo guardò con un sorriso amaro dipinto sul volto. “È fortunata, quella ragazza.”
“Certo,” fece lui, sarcastico. “Certo, come no.”
“Sì che lo è, Gia’, perché tu sei innamorato di lei e le darai… le darai tutto quello che hai provato a dare anche a me, ma che io sono stata così stupida da rifiutare.”
Giacomo si passò una mano sugli occhi, pensando a quanto fosse ironica la vita. Aveva passato dei mesi a sperare che Beatrice si pentisse e tornasse da lui, e adesso che erano lì, insieme, lui era innamorato di un’altra, era cotto di una persona che non ricambiava i suoi sentimenti, di nuovo.
“Non è proprio così,” accennò una risposta, anche se non aveva voglia di spiegarle tutta la storia: era già abbastanza stremato per quella rivelazione interiore che gli aveva sconquassato l’intera giornata – l’intera esistenza? – ed era stufo delle chiacchiere.
Ma Beatrice lo stupì.
“Spero che se ne accorga, allora, della fortuna che ha, perché tu te lo meriti, di essere felice,” disse.
Poi gli lasciò un bacio sulla guancia, si alzò e se ne andò. Prima di uscire dalla porta, però, tornò in sé, lanciandogli un ultimo invito.
“Certo, se dovessi cambiare idea, sai dove trovarmi…” disse con un’occhiata maliziosa.
Poi uscì davvero e Giacomo si trovò solo coi suoi pensieri, di nuovo. Prese in mano il cellulare e per la quinta volta in quella giornata provò a telefonare a Zoe e per la quinta volta trovò, a rispondergli, la segreteria telefonica.
Poi le mandò un messaggio, l’ennesimo messaggio che sapeva non avrebbe avuto risposta.
Zoe, per favore, rispondi. Dobbiamo parlare.
Tentò di chiamarla un’ultima volta, senza particolari speranze. Infine, prese l’unica decisione possibile. Si alzò, prese le chiavi della macchina e il portafogli, mandò un messaggio a Niccolò per avvisarlo della sua partenza e uscì dall’appartamento.




















Sì, sì, sì, sì! È un miracolo che io sia ancora qui, eppure ci sono. :) Spero di farmi perdonare il solito ritardo con questo capitolo bello lungo e pieno di cosucce importanti.
Non ho molto da dire, se non che questo capitolo è stato veramente veramente difficile, non volevo scrivere la parte di Davide (chissà perché…). In realtà la scena finale ce l’ho pronta già da un po’ e ci tengo abbastanza, quindi sarei contenta di avere i vostri pareri. Il discorso di Giacomo - quello del "quando ami" per capirci - mi pareva troppo teatrale e melodrammatico e ho fatto un pensierino sul cancellarlo, ma alla fine mi ci ero quasi affezionata e l'avevo scritto mesi e mesi fa, quindi... Beh, siamo a un punto di svolta, Zoe è la solita testa calda che si arrabbia per niente e Giacomo è troppo preso da lei per pensare coerentemente.
Spero di essere stata abbastanza chiara nel capitolo, ci tengo che si capisca cosa pensano i personaggi, anche se a volte non condivido (e non condividete) il loro comportamento. Fatemi sapere come la pensate, ci tengo molto! So che qualcuna di voi vorrà uccidere Zoe, ma non maltrattatela troppo stavolta, che già è triste da sola, povera anima. ^^
La buona notizia è che i miei esami sono quasi finiti (mi dimentico sempre quando mi sia difficile scrivere in questo periodo, scusatemi ancora, davvero) e che – udite udite! – i prossimi due capitoletti sono praticamente pronti. Dovrò rivederli per bene perché sono tra i primi che ho scritto (ormai secoli fa) e necessitano di revisione completa,  ma non dovrebbe essere troppo difficile… Ok?
Un grazie enorme a tutte voi che siete ancora qua con me, buone vacanze a chi ha finito la scuola, in bocca al lupo a chi è sotto esame, forza e coraggio a tutti gli altri!
Un bacio, hasta la vista! ;)

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Capitolo 22
*** GIACOMO 3 ***



GIACOMO 3




Non mi vuole parlare al telefono, non ne vuole proprio sapere di me, e questo fa male, tanto.
Svuotandomi di questo maledetto peso che sento ormai da mesi, facendo intuire a Zoe che sono innamorato di lei, ho fatto in modo che mi odi. O forse, le ho fatto solo una paura tremenda. Poco importa, il risultato è lo stesso, purtroppo.
Ma lo sei davvero, innamorato di lei?
Fino a poco tempo fa, fino a prima della telefonata, ero semplicemente confuso, non lo sapevo. Ho parlato senza collegare il cervello, atterrito e preoccupato dal fatto di sentirla così giù, ma ancora non sapevo bene classificare quello che provavo.
Di fatto, tra di noi è sempre stato tutto così strano… Non sono mai riuscito bene a scindere l’affetto che provo per Zoe dall’attrazione fisica che ho verso di lei, attrazione che ultimamente mi impediva di ragionare quando ce l’avevo accanto. Da quando Zoe ha cominciato a uscire con l’idiota, poi, ho sentito chiaramente qualcosa cambiare dentro di me. Mi sono scervellato per settimane chiedendomi se avessi effettivamente oltrepassato i limiti che un’amicizia uomo-donna come la nostra poneva fin dall’inizio o se fossi solo geloso di quel tipo. Ci ho ragionato sopra per giorni e giorni ma non sono riuscito a darmi una risposta – o, forse, non ho voluto darmela. Finché non è stato troppo tardi.
Lo sapevano tutti tranne te, Pioggia.
È assurdo ma è così. L’avevano capito tutti. Niccolò lo sapeva e sono sicuro lo sapesse anche Giorgio; e poi mia mamma e mio nonno Nicola, che si aspettano ancora di vederci arrivare a Lecce con l’anello di fidanzamento da un momento all’altro. Gesù, l’ha capito persino Beatrice un attimo prima di me… Come ho fatto a essere tanto cieco? Ho voluto evitare il problema ed esso si è solo ingigantito, arrivando a un punto dal quale è impossibile pensare di tornare indietro. Infatti, non sono ancora tanto stupido da non rendermi conto che con quella maledetta telefonata ho fatto un grosso, grossissimo errore. Uno sbaglio colossale.
Eppure, anche se conosco Zoe come le mie tasche ormai, non avrei mai potuto prevedere una reazione del genere: ho provato a chiamarla più e più volte, per quasi tre giorni interi, ma non c’è stato verso di convincerla a rispondere. Credo di averle lasciato anche un paio di messaggi in segreteria, per non parlare del numero enorme di sms che le ho inviato. Probabilmente, conoscendo la sua coerenza e testardaggine, non li ha nemmeno letti.
Non sono il tipo che sta a piangersi addosso, comunque, non lo sono mai stato.
Per questo motivo ho preso la macchina e sono partito. Non sono mai stato tanto agitato all’idea di vederla, ma non posso perderla, questo no. Ho bisogno di lei, ho estremamente bisogno di sapere che fa parte della mia vita e mi fa male pensare che è arrabbiata di me. Non potevo starmene con le mani in mano, dovevo fare qualcosa.
Perciò adesso sono esattamente davanti alla porta di casa sua, che guardo il campanello. Fatico quasi a respirare, e la mia proverbiale sicurezza sta vacillando non poco: quasi vorrei tornare indietro, da bravo codardo.
So che rinunciare ora non sarebbe una buona idea. Primo, ho fatto quasi tre ore di macchina per essere qui. Secondo, voglio vederla, parlarle, spiegarmi. Fare pace. Tornare amici. Sì, amici.
Sospira forte, allunga la mano, suona il campanello.
Drin drin drin.
Ironia della sorte, la porta la apre proprio Zoe. Faccio appena in tempo a guardarla, a seguire i suoi movimenti, il suo sguardo.
È un attimo, mi si stringe il cuore in un attimo appena la intravedo.
Ha i capelli legati a nodo sulla nuca, dei pantaloni corti grigi e un enorme felpa nera con davanti una scritta, – sembra il nome di qualche band, forse, ma non faccio in tempo a capire – gli occhiali che usa per studiare e un incarnato pallido, per niente positivo. Non sta bene.
La trovi bella lo stesso, però.
Ripeto, mi si stringe il cuore. E vorrei prendermi a sberle da solo se penso che magari sta male anche per colpa mia, per quello che le ho detto.
Lei non lo merita, Giacomo, sei un mostro.
Dura tutto pochi secondi. Apre, mi vede, sgrana gli occhi, alza entrambe le sopracciglia; tre secondi in tutto. Tempo di assimilare ciò che ha visto, di comprendere; due secondi. Dopodiché il suo sguardo si fa da sorpreso a deciso in un altro secondo netto.
Dice semplicemente “No” e mi chiude la porta in faccia, senza diritto di replica.
Resto un attimo interdetto: sapevo che era arrabbiata, ma non mi aspettavo una reazione così veemente. Mi riprendo e mi appoggio con le mani alla porta, sapendo che lei è ancora dall’altra parte, ferma come me.
“Zò!” Batto il pugno sull’uscio, deciso. “Zoe, apri. Per favore.”
Sento da dentro un altro “no” secco, e poi un rumore di passi che si allontanano.
Maledizione.














Here I am! Come promesso non ho aspettato due mesi stavolta… Dai, è già qualcosa, no? :)

Parto con qualche piccola informazione annoiante ma – per me – necessaria. Allooora… Questo capitolo è tra i primi che io abbia scritto di questa storia (ormai quasi due anni fa, cavoli!). È stato recentemente modificato moltissimo, perché man mano che sono andata avanti a buttare giù la storia, la trama si è formata, delineata, particolareggiata. Anche il prossimo capitolo è scritto, ma sto aggiungendo una scena intera sul finale perché com’era prima mi sembrava incompleto. Tutto ciò per dire che è un punto focale della storia e che, sì, un po’ ci tengo. Take some patience è nata da quest’immagine: Giacomo che prende la macchina e corre da lei per farsi perdonare… Come, lo vedrete nel prossimo capitolo, ma credo si sia già capito, no? Cioè… non è che poi mi uccidete, vero? :) La volete vedere la fine??
Ah, magari non interessa a nessuno, ma c’è una canzone che io legherò sempre a questa parte della storia, forse perché nel periodo in cui l’ho scritta ce l’avevo continuamente in mente: è The blower’s daughter di Damien Rice… Ecco, detta anche questa. ^^

Detto ciò, vorrei solo dirvi che ci tengo davvero a sapere le vostre opinioni… Lo so, lo so che in questo capitolo non succede praticamente nulla… Sì, vabbè, vi ringrazio lo stesso! Comunque già vedere che, nonostante tutto, la storia continua a essere letta e riletta, mi fa un piacere immenso! In particolare devo mandare un ringraziamento enorme e un bacio a quelle che mi seguono ormai da mesi… Hihi, non lo merito… :) Merci.

Non ho altro da dire, mi rimetto al vostro giudizio… Alla prossima – il più presto possibile! Adieu!

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Capitolo 23
*** Capitolo XVII ***



Capitolo XVII




“No.”
Zoe chiuse la porta e si girò per allontanarsene il più possibile, col fiato incastrato in gola. Si trovò davanti Viola che la guardava con gli occhi sbarrati.
“Chi c’è fuori?” le chiese. “Zoe, dimmi che non è chi penso io, perché neanche a un venditore porta-a-porta sbatteresti la porta in faccia in quel modo, tu.”
“Sono affari miei,” ribatté secca la maggiore, superandola e cercando di mostrare un contegno.
“Se non mi dici che hai combinato, gli apro. Chiunque sia,” la sfidò sua sorella.
Zoe si bloccò. “Non osare.”
“Chi è?” insistette Viola.
“È Pioggia. Non aprirgli. Abbiamo litigato.”
“Questo l’avevo intuito,” sospirò la bionda. “Ma perché?”
“Non sono affari tuoi.” Zoe era veramente arrabbiata e sconvolta, ma soprattutto non era intenzionata a parlare con chicchessia, tantomeno con quell’impicciona di sua sorella. “Non aprirgli e basta,” concluse salendo le scale con la sua cagnolina che la seguiva preoccupata.

“Senti Zoe,” cominciò Ginevra fuori dalla porta del bagno, “hai intenzione di restare per sempre chiusa lì dentro?”
“Sì,” rispose testarda l’altra. “Può darsi.”
“Ok, buono a sapersi. E quel povero ragazzo lo lasciamo ad aspettare fuori per molto?”
“Per l’eternità, se è necessario,” continuò velenosa Zoe.
“Non ti sembra di esagerare un po’?” tentò di convincerla la sorella maggiore, che era stata spinta da Viola – la quale adesso si trovava dietro di lei, preoccupata e timorosa – a intervenire per smuovere la situazione.
“Non sono fatti miei quanto quell’idiota ha intenzione di restare là fuori. Prima o poi si stuferà e se ne andrà,” berciò Zoe, senza muoversi minimamente dalla propria posizione. Era distesa sul pavimento del bagno da venti minuti, con il muso di Penelope appoggiato al ventre. Il cane aveva capito che qualcosa non andava e aveva seguito fedele la padrona, per tranquillizzarla e farsi tranquillizzare.
Viola, che era stata in silenzio fino a quel momento, intervenne non riuscendo a trattenersi. “Certo. Infatti, sappiamo che dalla finestra del bagno è impossibile guardare fuori, vero?”
“Che vuoi dire?” chiese Zoe alzandosi improvvisamente. Sapeva già la risposta, in realtà.
“Sei lì apposta per controllare cosa fa Giacomo fuori…” insistette Viola saccente mentre Ginevra tentava inutilmente di zittirla. Presero entrambe non poca paura quando la porta del bagno si aprì all’improvviso, rivelando una Zoe contratta e minacciosa.
“Fatevi tutt’e due gli affari vostri,” sillabò sulla soglia una Zoe livida di rabbia, “e non disturbatemi più. Faccio quello che mi pare,” concluse scandendo bene l’ultima frase e richiudendo la porta.
“Io ci rinuncio,” sospirò sconfitta Ginevra muovendosi verso la propria camera.
Viola la seguì. “Ok, Zoe è un caso disperato,” disse piano, chiudendosi la porta della camera della sorella dietro le spalle, per non farsi sentire dall’altra. “Ma che facciamo con Giacomo? Non possiamo lasciarlo fuori, dai!”
Ginevra parve riflettere qualche secondo, poi sospirò sconfitta. “Non saprei che altro fare…”
“Gli apriamo! Lo facciamo entrare e facciamo le padrone di casa decenti!”
“Razionalmente sarebbe corretto, ma non possiamo fare una cosa del genere a Zoe, dopo che lei ci ha chiesto esplicitamente di non aprire la porta.”
La più piccola sbuffò, seccata. “Chi se ne frega di lei!” sbottò, beccandosi un’occhiataccia dell’altra.
“Viola, è tua sorella.”
“Sì, ma si sta comportando da bambina capricciosa!”
Ginevra scosse la testa. “Questo non possiamo dirlo, finché non sappiamo cos’è successo tra lei e Giacomo. Per principio dobbiamo stare dalla sua parte, lo sai.”
Viola borbottò qualcosa a bassa voce ma non la contraddisse. Anche se avrebbe voluto aprire a Giacomo e anche se era altamente probabile che Zoe si fosse arrabbiata per un nonnulla come al solito, era consapevole che la sua saggia sorella maggiore aveva ragione: dovevano rispettare la decisione della mezzana. Nonostante gli attriti, tutt’e tre conoscevano e rispettavano il patto di solidarietà tra sorelle.
Prima che uscisse dalla camera, Ginevra l’ammonì nuovamente. “Vi, vedi di non…”
“Sì, ok, ho capito. Lasciamo il mio cantante preferito a marcire fuori dalla porta. Assurdo!”

Quando la madre delle sorelle Molinari tornò a casa dal lavoro, rimase non poco stupita trovando il ragazzo leccese in piedi fuori dalla porta che guardava a terra, afflitto e appoggiato con una mano al muro dello stabile.
“Ehi giovane, che ci fai qui fuori? Non c’è nessuno in casa?” lo salutò la donna.
Giacomo, perso nei suoi pensieri, trasalì. “Salve… ehm… No- Sì, cioè.”
Elisabetta Grassi in Molinari era perplessa come poche volte in vita sua. “Sono in casa le ragazze, no?”
“Eh… Sì, credo di sì,” rispose Giacomo mentre l’altra estraeva le chiavi dalla borsa e apriva la porta invitandolo a entrare.
“Dovevi ancora provare a suonare il campanello?” domandò la donna sempre più stranita.
Il ragazzo, imbarazzatissimo, parlò grattandosi la nuca. Non voleva mentire a quella donna che ormai gli voleva bene, ma non aveva neanche intenzione di mettersi a raccontare tutto l’accaduto. “È una lunga storia…” cominciò, vago.
A smuovere la situazione fu Viola, che arrivò scalpitante dalle scale. “Oh, Giacomo, grazie a dio ti ha fatto entrare nostra madre, noi avevamo il divieto più assoluto. A proposito, scusa sai, ma la Zoe può diventare davvero cattiva e…”
“Non gli avete aperto? Sapevate che era lì e l’avete lasciato fuori consapevolmente? Che razza di figlie ho cresciuto!” esclamò Elisabetta, decidendo all’istante di non indagare ulteriormente sulla faccenda, lasciando che le figlie se la sbrigassero da sole.
Viola continuò ignorando la madre, che si allontanava lamentandosi. “È chiusa in bagno da quaranta minuti, devi assolutamente parlarle, perché non è intenzionata a muoversi da lì. Cavolo, invece, cos’è successo? Si può dire o è un segreto di stato? Lei è sconvolta ma tu non sembri messo tanto meglio… Scusa, non ti ho neanche chiesto se stai bene. Vuoi qualcosa a bere, da mangiare?” lo bombardò di domande.
“Un po’ d’acqua, grazie,” rispose con un filo Giacomo, evitando accuratamente le domande precedenti.
“Senti,” spiegò la ragazza mentre prendeva un bicchiere e gli versava dell’acqua porgendoglielo, “io sto per uscire, sono già in ritardo, anche se mi piacerebbe molto assistere alla Terza Guerra Mondiale. Ho capito che di parlarne non vi va; comunque, se hai bisogno di qualsiasi cosa, c’è Ginevra in camera sua che studia, credo. O forse sta parlando al telefono…”
“Grazie,” riuscì soltanto a biascicare Giacomo.
“Figurati. Sai dov’è il bagno, vero? Quello del primo piano, dico.” Giacomo annuì mentre lei si infilava la giacca e gli dava un’energica pacca sul braccio. “Bene, vedete di non distruggere la casa. In bocca al lupo. A più tardi, spero,” concluse la biondina trattenendo un sorriso all’espressione metà basita e metà spaventata del ragazzo.
“Crepi. Ciao,” la salutò di rimando lui mentre usciva dalla porta principale.
Fosse stata un’altra occasione Giacomo si sarebbe divertito da matti per tutta quell’attenzione e per l’atteggiamento della giovane sorella di Zoe, ma il fatto che Viola temesse seriamente per la sua incolumità lo aveva allarmato non poco. La situazione era davvero molto grave, allora. Non che lo dubitasse, dopo che si era visto sbattere la porta in faccia in quel modo.
Si accorse di essere ancora in piedi in mezzo alla stanza, con il bicchiere d’acqua in mano. Lo bevve tutto d’un fiato, lo appoggiò al tavolo e sospirò forte per calmarsi prima di passare all’azione.

Zoe era ancora seduta sul tappeto del bagno e accarezzava distrattamente la testa della cagnetta appoggiata alle proprie gambe.
Viola aveva di nuovo tentato – senza successo – di convincerla a fare qualcosa, prima di rinunciarci in maniera definitiva e uscire con dei suoi amici. Ma sua sorella neanche sapeva cos’era successo, cosa voleva da lei? Non era ancora sicura di voler parlare con lui, anche se già sentiva qualche senso di colpa a lasciarlo là fuori così. Ma che pretendeva, anche lui, che lo accogliesse in pompa magna con gli araldi e le trombe, pronta a festeggiarlo?
Qualcuno bussò di nuovo alla porta.
Questa è sicuro l’altra sorella impicciona, pensò Zoe alzandosi. Si danno il turno per venire a rompermi l’anima.
“Gin, ve l’ho già detto mille volte, fatevi i cazzi vos-…” Aprì la porta e non riuscì a concludere.
Di certo non si aspettava lui, proprio no. Rimase immobile, non sapendo bene come reagire. Si mosse per lei Penelope, che, riconoscendo il ragazzo, lo salutò con un verso scodinzolando felice.
Giacomo si abbassò e le fece una carezza. “Ehi…”
“Penny, che fai? Vieni qua,” fece Zoe richiamando il cane a tornare nelle proprie fila, per poi rivolgersi per prima a Giacomo. “Ho un dejà-vu. Pensavo di essere stata chiara prima,” gli disse.
Giacomo, per paura di vedersi richiudere la porta in faccia, fece un passo avanti e appoggiò la mano allo stipite. Zoe, di contro, vedendoselo più vicino fece un passo indietro, diffidente.
“Cosa vuoi?” chiese, tirando istintivamente fuori tutte le sue difese, dalla voce aggressiva allo sguardo velenoso.
“Solo parlare,” rispose a voce bassa ma decisa lui, che vedendola sulla difensiva aveva deciso di non avvicinarsi ulteriormente.
“Non mi va.”
A parole Zoe non sembrava intenzionata a cedere, ma il suo sguardo tentennava. Giacomo, per quanto in quel momento fosse abbastanza in confusione, se ne accorse e decise di insistere.
“Ti spiego e basta,” parlò di nuovo piano, come a non voler rompere un fragile equilibrio, “poi decidi tu che fare.”
Zoe indugiò, senza rispondere. C’era davvero una spiegazione a quello che si erano detti al telefono tre giorni prima? Poteva essere un errore, un malinteso, anche stavolta? Era furiosa e lui sapeva bene il perché: fra di loro c’era un limite che non andava oltrepassato, in questo lei era sempre stata più che chiara. Ma se invece avesse capito male? Se fosse stata troppo frettolosa nel giudicare i segnali dell’amico? Dopotutto lui non aveva negato le sue parole, ma non aveva esplicitamente ammesso di essere innamorato di lei. Magari si era sbagliata, magari la loro amicizia non era ancora del tutto perduta… Magari…
“Per favore…” sussurrò lui, cercando gli occhi della ragazza con i propri.
Zoe sentì un misto di fiducia e senso di colpa attraversarla mentre lo guardava negli occhi per la prima volta. Giacomo aveva uno sguardo triste ma speranzoso. Lei lo sapeva, poteva lasciarlo fuori di casa una vita intera, poteva tenergli il broncio anche mille anni, ma prima o poi avrebbe comunque ceduto: dentro di sé stava già cedendo a causa della sua espressione da cucciolo bastonato. Vinceva sempre lui.
Maledetto idiota, pensò ricordandosi di nuovo il motivo del loro litigio.
“Non qui,” disse soltanto, mentre lo superava cercando di non sfiorarlo con nessuna parte del corpo, usciva dal bagno e si dirigeva verso la sua camera.
Il ragazzo la seguì insieme a Penny, che si piazzò subito accanto alla sua padrona appena lei si sedette sul letto appoggiando la schiena al muro.
“Allora?” chiese lei con gli occhi che vagavano sul mantello dell’animale.
Giacomo, imbambolato in mezzo alla stanza, si rese conto in quel momento che non aveva la più pallida idea di quello che voleva dire. La verità? Una mezza bugia? Chiederle solo scusa non sarebbe bastato, ne era certo, ma era fuori discussione confessare di fronte a lei quello che aveva ammesso solo poche ore prima a se stesso e a Beatrice. Non ne era pronto e Zoe ancora meno: avrebbe avuto un buon motivo per sbatterlo definitivamente fuori dalla sua casa e dalla sua vita. Non era il caso. Quindi, che fare? Che cosa poteva dirle?
La risposta gli venne da sé. Mentre arrivava lì, l’unica cosa che riusciva a pensare era che non poteva perdere Zoe per niente al mondo: se starle vicino voleva dire evitare di fare chiarezza sui propri sentimenti e restarle amico, beh, quella era la soluzione.
Con lo sguardo a terra, cominciò a parlare, ancora insicuro. “Io… Mi dispiace per quello che ti ho detto, non avrei dovuto. Scusa.”
Zoe rimase in silenzio un po’ aspettando che lui continuasse. Poi, vedendo che il ragazzo era affetto da mutismo, parlò guardandolo con le sopracciglia inarcate. “Tutto qua? Scusa e basta?” domandò, con un tono infastidito bagnato da un briciolo di tristezza e delusione.
“No. Erano… Quello che hai sentito non era veramente ciò che volevo dirti. Ho sbagliato, tu eri giù e io invece di consolarti sono finito a parlare di cose senza senso. Scusa, io…”
Giacomo si maledisse mentalmente perché non aveva la più pallida idea di come continuare. Avrebbe dovuto prepararsi un discorso, accidenti a lui e al suo istinto! Era stato così precipitoso nel correre da lei che aveva dimenticato di farsi una scaletta mentale delle cose da dire.
Zoe era ancora visibilmente scettica. Sospirò. “Non è così semplice, Pioggia. Non puoi dire certe cose e poi pretendere di venire qua senza spiegar-…”
“Hai ragione,” la interruppe lui continuando a fissare le assi del pavimento, “è che non le ho dette davvero certe cose,” ripeté le parole di lei, evitando di dare un nome ai sentimenti che aveva tentato di esporle al telefono e che ora stava completamente negando per salvare la loro amicizia. “Lo sai anche tu che non le ho dette… e probabilmente le ho a malapena pensate.”
“Cosa vorrebbe dire?”
“Non mi sto nascondendo, Zoe,” mentì di nuovo lui, sentendo il senso di colpa che lo sovrastava, ma continuando il suo discorso in modo da essere credibile. “È vero che a volte sono stato confuso, te l’ho anche già detto in passato. Ma la mia confusione, la mia stupidità,” si corresse, con un sorriso amaro, “non cambia quello che siamo… noi siamo amici e basta. Lo so e mi va benissimo così.”
“Perché, allora?” chiese ancora la ragazza.
Giacomo capì la sua domanda e cercò in fretta una risposta accettabile, per sé e per quegli incredibili occhi neri supplicanti. “Perché… credo di avertelo detto perché non mi piace quel Davide. Ti fa soffrire, Zò, e non è giusto.”
Il cuore di Zoe perse un battito sentendo quel nome, e ne perse un altro in maniera ancora più evidente quando Giacomo la chiamò col suo diminutivo, a voce bassa e tremante. Distolse lo sguardo, sentendosi gli occhi umidi e non volendo piangere per nessuna ragione al mondo.
“Che c’entra?”
“Non meriti di stare male, Zò.” Di nuovo una stretta al cuore, la sentirono entrambi stavolta. “Né per me né per lui. Ho provato una sorta di bisogno di proteggerti, di sentirti più vicina. Forse ho scambiato questo sentimento di protezione per qualcosa di più forte, sai come sono fatto.”
“Ti faccio pena?” Più che una domanda, quella di lei sembrava una supplica.
“No. Proprio no. Forse io… Probabilmente ero solo geloso, avevo paura te ne fossi innamorata. Geloso in quanto amico, intendo, ma ho frainteso ed esagerato.”
“Sei sicuro?”
“Sì. Siamo amici.”
Fece un altro passo nella sua direzione. Ora era lui a osservarla, mentre lei non aveva il coraggio di alzare lo sguardo e si ostinava a fissare attentamente il lenzuolo: Giacomo si accorse che era perché aveva gli occhi lucidi e non voleva mostrarlo. Sorrise mesto e sentì una fitta non meglio identificata all’altezza dello stomaco.
“Molinari, non voglio perderti.” Decise di giocarsi l’ultima carta, sdrammatizzando e pronunciando le parole più sincere da quando era entrato in quella casa. “Sei la migliore ragazzina rompicoglioni e testarda che conosco. Come farei senza di te?”
“Pioggia, sei un idiota. Davvero,” decretò Zoe alzando gli occhi e trovandoselo, suo malgrado, a meno di un metro di distanza.
“Lo so. Ma se non ci sei tu non me lo ricorda nessuno,” disse lui col sorriso nelle parole, porgendole la mano destra a mo’ di segno di pace.
Zoe la strinse e sorrise appena. “Perché sei un viziato e tutti quelli che ti circondano ti adorano come se fossi un dio sceso in terra, ecco perché.”
“E chi dice che non lo sono?” scherzò ancora Giacomo senza mollarle la mano, sentendo un peso enorme volargli via dal petto grazie al sorriso, seppur timido e insicuro, di lei.
La ragazza fece una smorfia buffa. “Io.”
Detto questo prese il braccio di lui con entrambe le mani e lo tirò forte per farlo cadere sul letto, accanto a sé. Successe tanto velocemente che la povera Penelope si dovette spostare celere ed evitò per un pelo di finire schiacciata.
“Scusa Penny,” disse lui rivolgendosi al cane, “è colpa della tua padrona!”
Zoe sbuffò. “Idiota,” inveì accompagnando la parola a una sberla sulla nuca del ragazzo. “Idiota idiota idiota cretino deficiente idiota,” continuò senza smettere di picchiarlo dove capitava, un po’ per sfogarsi un po’ per ritrovare un contatto amichevole con lui.
Giacomo rise, finalmente leggero, mentre cercava di parare i colpi della ragazza. Alla fine le fermò le mani e tentò di cingerle le spalle con un braccio per stringerla a sé. Zoe fece un po’ di resistenza, come previsto, ma dovette cedere e appoggiare la testa alla spalla del ragazzo, pur non riuscendo a sciogliersi del tutto.
Giacomo la abbracciò più forte. Sentì che era un po’ rigida, ma non se ne preoccupò perché sapeva la difficoltà dell’amica a lasciarsi andare ai contatti fisici: forse, dopo quello che le aveva fatto, lei aveva bisogno di più tempo per tornare a fidarsi completamente di lui anche da quel punto di vista. Nel frattempo lui non poteva fare altro che accarezzarle piano la schiena, appoggiare la guancia sui capelli di lei, sentire – percepire, più che altro – il suo sorriso sulla propria spalla ed esserne felice anch’egli.
“Idiota,” sussurrò di nuovo Zoe, più tranquilla.
“Non sai dire altro?” ironizzò lui, senza mollarla.
Zoe mugugnò un “no” tremante e rimase lì, a calmarsi sotto le sue carezze. Il respiro di Giacomo le solleticava i capelli e l’orecchio e questo era normale, data la vicinanza. Ad essere meno normale era la percezione che lei aveva di tutto ciò: non l’aveva mai notato così tanto, se non quella notte a Mantova, forse.
“Mi sei mancata un sacco,” continuò lui con voce bassa e leggermente roca senza muoversi di un millimetro, per paura, quasi, di vederla sparire.
“Sei sempre il solito esagerato! Altre volte non ci siamo sentiti per più di due giorni di fila,” minimizzò lei cercando di allentare l’abbraccio.
Giacomo la lasciò andare, seppur a malincuore, e la guardò. “Era diverso, comunque sapevo che se ti avessi cercata tu ci saresti stata, che bastava chiamarti per sentire la tua voce.”
“Ti ho abituato troppo bene, eh?” scherzò Zoe mentre si scioglieva in un sorriso aperto e sincero.
“Non direi,” rispose a tono lui ammirando di nuovo con un certo sollievo il viso finalmente sorridente della ragazza. “È tuo dovere di amica, scritto nello Statuto.”
Lei alzò un sopracciglio, sospettosa.
“Lo Statuto dell’Amicizia,” chiarì lui, dandole un buffetto sulla guancia.
“Ma sentitelo!” disse Zoe alzandosi dal letto e porgendo una mano a lui per aiutarlo a fare altrettanto. “Te l’ho già detto che sei un idiota?”
“Non mi ricordo. Però sono un idiota che preferisce farti sorridere che piangere,” continuò Giacomo seguendola fuori dalla stanza e giù per le scale.
A Zoe non sfuggì il sottinteso, come un ‘a differenza di…’ non pronunciato, lasciato a mezz’aria, ma decise di ignorarlo per il bene della pace appena ritrovata. Sapeva che ne avrebbero parlato ancora in seguito, ma ora voleva solo godersi la sua compagnia, come sempre. “È già qualcosa. Rimani a cena?” domandò scherzosa, ben sapendo che l’amico non aveva altra scelta, data l’ora.
“Se proprio insisti…” fece Giacomo alzando le spalle.
“Certo, perché sarai pieno di inviti per stasera. Rinfrescami la memoria, dove hai intenzione di dormire?” chiese lei ironica.
“Ho amici pronti a ospitarmi in ogni angolo di mondo, io.”
“Peccato che in questo angolo di mondo la tua cosiddetta amica pronta a ospitarti sia io. Quindi vedi di non farmi arrabbiare di nuovo, se non vuoi rimanere ancora là fuori. Sai che ne sarei capace
Le cose erano decisamente tornate alla normalità. Per il momento.

“Giacomo.”
Il ragazzo fu svegliato da un bisbiglio non meglio identificato, si rigirò nel letto senza farci caso e cercò, ancora intontito dal sonno, di tornare a dormire.
“Oh dai, Pioggia, svegliati!”
La voce era bassa e poco udibile, ma vicina. Giacomo, invece di aprire gli occhi per individuare il disturbatore, mugugnò confuso. “Chi è?”
“Ma chi vuoi che sia?”
“Zoe,” biascicò, riconoscendo la voce un attimo prima di aprire gli occhi e trovarsi di fronte l’amica, con un’espressione scocciata.
“Era ora, sei impossibile da rianimare! Ma cosa usi a casa per svegliarti, le bombe?”
Lui farfugliò qualcosa stropicciandosi gli occhi e ricordandosi pian piano la situazione. La sera precedente aveva cenato a casa Molinari, poi lui e Zoe avevano guardato un film stupido in televisione e, nonostante fosse sabato, si erano coricati piuttosto presto, entrambi stremati dalla dura settimana che avevano dovuto sopportare. A lui stavolta era stata assegnata la camera di Ginevra, dal momento che la proprietaria si era fermata a dormire dal suo fidanzato. Giacomo era abituato, quando era ospite dai Molinari, a dormire sempre in stanze diverse, ma stavolta gli era sembrato che Zoe fosse sollevata di non dover dividere la camera con lui. Immaginava anche il perché, non serviva un genio per capirlo.
Tra tutte queste cose, comunque, Giacomo si ricordò pure di aver puntato la sveglia sul cellulare la sera prima e, pensando proprio a questo, lanciò un’occhiata interrogativa alla ragazza in piedi accanto al letto.
“Non mi è suonata la sveglia?” le chiese.
“Non so quando l’avevi messa, ma non credo volessi svegliarti così presto…”
“Che ora è?”
“Presto,” ripeté lei, evitando di guardarlo.
“Come presto? Che diavolo di ora…” borbottò, girandosi e cercando di sporgersi verso il comodino per acciuffare il cellulare.
Zoe lo fermò prima che arrivasse alla meta. “Sono le sei…” Fece una pausa e senza aspettare che lui afferrasse il significato delle sue parole, concluse: “…meno dieci.”
Giacomo si mise a sedere di scatto, spalancando gli occhi. “Sei meno…? Cosa?
Lei gli fece cenno di abbassare il volume. “Parla piano, dormono.”
“E ci credo, è domenica!” La guardò e alzò un sopracciglio, sospettoso. “È successo qualcosa? O ci hai solo ripensato e mi vuoi buttare di nuovo fuori di casa?”
“Non ancora,” borbottò lei, abbassando gli occhi.
Giacomo tornò a stendersi e si appoggiò un braccio sopra gli occhi semichiusi. “Allora che c’è?”
“Oh, noto che anche Mister Affabilità e Socievolezza sa essere burbero e scontroso quando vuole.”
“Alle sei meno dieci di domenica, sì.”
“Scusa, non volevo disturbarti. Cioè, sapevo che stavi dormendo, ma…” lasciò la frase in sospeso e Giacomo la osservò di nuovo mentre lei si stropicciava l’enorme maglietta del pigiama con lo sguardo fisso a terra: era sulle spine.
“Mi vuoi dire cosa c’è?” le domandò, addolcendo il tono. Sperò non fosse nulla di relativo alla telefonata o a loro due, non avrebbe saputo cos’altro inventarsi.
“Mi sono svegliata presto, di solito non mi capita… E poi non riuscivo più a riaddormentarmi e…”
“Questo l’avevo capito, adesso vieni qua e mi dici cosa c’è che non va,” la incitò lui rimettendosi seduto per farle spazio sul letto.
Zoe gli si sedette di fronte, muovendo il volto in una di quelle smorfie involontarie e incomprensibili che lo facevano impazzire. Sentendo una leggera stretta allo stomaco, Giacomo si chiese come avesse fatto a essere tanto stupido da non accorgersi che si stava innamorando di lei. La trovava perfetta anche così, assonnata e stropicciata, mentre indossava una maglietta larga, dei pantaloncini scoloriti e un’espressione tanto indifesa da risultare quasi fuori luogo sul suo viso, dato com’era risoluta di solito. Ma era comunque bella, pensava lui.
“Possiamo solo parlare un po’?” fece lei, distogliendolo dai suoi pensieri proprio mentre, senza accorgersene, era passato a guardarle le gambe scoperte.
Giacomo si schiarì la voce per concentrarsi e sperò che lei non avesse notato nulla. “Quando vuoi, ragazzina. Bastava che lo chiedessi subito, sono qua apposta.”
“Anche alle sei meno dieci di domenica?”
Lui sorrise. “Quando vuoi,” ripeté convinto.
Finalmente sul volto di lei apparve l’ombra lieve di un sorriso e Giacomo si sentì sollevato, ma durò solo un attimo. Zoe tornò subito seria e rimase in silenzio.
“Zò?” la incitò lui, tentando di non risultare invadente.
Alla fine, all’improvviso, Zoe trovò il coraggio per esprimere ciò che stava pensando.
“Secondo te cosa devo fare ora?” Non era stata molto chiara – come al solito, d’altronde – ma ciò almeno significava che stavano arrivando al punto.
“In che senso?”
“Beh… con Davide.”
“Niente. Perché, scusa, cos’è che dovresti fare?”
“Non lo so. Ho l’impressione che se non faccio niente, se spreco anche questa occasione, poi potrei pentirmene,” ammise allora lei a testa bassa.
“Che cosa…? Molinari, fidati, l’occasione qui l’ha avuta lui e l’ha bella che sprecata ormai. Quando se ne accorgerà, si mangerà le mani.”
“Ma se…” Zoe parve rifletterci qualche istante, poi sospirò. “Aurora mi ha consigliato una cosa.”
Conoscendo il soggetto, Giacomo aveva quasi paura di chiedere ulteriori spiegazioni, ma lo fece. “Avanti, sentiamo.”
“In realtà lei mi ha detto solo che Davide è un idiota e che probabilmente ha avuto paura di imbarcarsi in una storia che avrebbe potuto essere seria.”
Giacomo capì in quel momento di aver fatto esattamente la stessa cosa con tutte le ragazze che aveva frequentato negli ultimi anni e – anche se non gli capitava spesso – si sentì un po’ in colpa per il proprio comportamento. Perlomeno lui non aveva mai illuso nessuno, pensò, e alla fine ad ogni modo il karma aveva deciso di punirlo: si era innamorato dell’unica di cui non doveva innamorarsi. Tipico.
“Zoe, è vero. Gli uomini lo fanno a volte, ma non vuol dire che sia colpa tua. Magari non è pronto, è immaturo, tu non puoi farci niente.”
“Ok, però poteva anche dirmelo, invece di fare tutto quel teatrino…”
“Forse non ne è del tutto consapevole nemmeno lui. Non tutto è semplice e immediato come sembra.”
Zoe assunse un’espressione dubbiosa. “Lo stai difendendo?”
Lui scosse la testa amareggiato. No, stava difendendo se stesso, purtroppo, e nel farlo, da bravo idiota, spargeva punti in favore di quell’altro… Il colmo. “No, sto solo dicendo che aveva ragione Aurora: è un idiota e un codardo e non sa cosa si stia perdendo a lasciarti andare.”
“E se io cercassi di fargli capire cosa si sta perdendo?”
Giacomo inarcò le sopracciglia, sospettoso. “L’ha suggerito Aurora pure questo?”
“No, ho solo pensato che… Insomma, so di non essere perfetta ma stavamo bene insieme. Forse se potessi ricordarglielo…”
“Non farlo, Zò.” Si rese conto troppo tardi che, pronunciata in quel modo, la sua uscita suonava poco come un consiglio e troppo come una preghiera.
“Cosa?”
“Non umiliarti per qualcuno che non ti merita. Puoi avere di meglio.”
Lei fissò il pavimento, sconfitta. “Può essere. È che stavolta lui mi piaceva davvero.”
Improvvisamente Giacomo si ritrovò a cambiare idea sul suo pensiero iniziale: avrebbe di gran lunga preferito beccarsi un’altra paternale sulla sua telefonata, quasi. Sentirla parlare in quel modo di un altro ragazzo era terribile, era doloroso; era come se qualcuno gli stesse piantando un ago dritto nel cuore una, due, tre volte, e lui non potesse farci nulla. Era totalmente impreparato a essere innamorato di Zoe; ancora peggio, era impreparato a guardarla inerme mentre lei s’innamorava di un altro, di uno stronzo che non la calcolava nemmeno per di più. Ma cos’altro poteva fare?
“Lo so,” le rispose, cercando di risultare tranquillo, “ma, per quanto adesso possa far male, passerà in fretta. A meno che non sia troppo tardi e…” Si bloccò un attimo, terrorizzato dall’idea che l’aveva appena colpito. “Non è troppo tardi, vero?”
“Cosa…? No, non ci sono andata a letto. Ci siamo frequentati per davvero poco tempo e io…”
Anche se era enormemente sollevato dalla sua risposta, Giacomo la interruppe tentando di spiegarsi meglio. “Non intendo quello. Non sei… Insomma, sei già innamorata di lui?”
Zoe sospirò e lui si allarmò un poco. “No,” rispose infine. “No, non lo sono. Forse avrei potuto innamorarmi di Davide se… beh, se le cose fossero andate diversamente. Se le cose fossero state diverse. Non lo so, Giaco, è tutto così confuso nella mia vita di recente. Sono un gran casino,” sospirò di nuovo. “Tutto è un gran casino,” si corresse poi, voltandosi appena per guardarlo negli occhi.
Lo sguardo durò al massimo due o tre secondi, ma Giacomo ebbe la netta impressione che lei non si stesse riferendo solo a Davide. Sentendosi chiamato in causa, preferì non commentare, si limitò ad abbassare la testa e a stare in silenzio, colpevole, aspettando la sua prossima mossa.
Il silenzio durò un paio di minuti, denso ma stranamente non imbarazzante. Alla fine fu di nuovo Zoe a rompere il ghiaccio.
“Mi dispiace di aver reagito così l’altro giorno al telefono.”
“Non ti preoccupare.” Giacomo bisbigliò talmente piano che fece fatica a sentirsi persino lui.
“Sì invece, ho fatto un casino e ho rischiato di perderti.”
“È stato un malinteso,” mormorò lui. Bugiardo, pensò poi.
“Va bene, ma anche se non lo fosse stato non avrei avuto motivo di reagire così… Ero scombussolata e… No, non ho scuse. Cavoli, devo sempre esagerare, eh?”
“Beh, sei tu.”
“Eh?” fece lei, confusa.
Lui cercò le parole giuste per spiegarsi. “Salti sempre a conclusioni affrettate e qualche volta, sì, hai delle reazioni eccessive, te la prendi per un nonnulla. Ma sei così e… e vai benissimo così. Quando ti fidi di qualcuno, ti doni completamente a lui e quando ti senti tradita, poi, ti arrabbi. Io lo so, ormai ti conosco. Se fai così è perché sei vera in tutto ciò che fai, che dici.” Mentre elogiava la sua trasparenza, Giacomo si sentì ancora più in colpa per averle mentito. “Nessuno è perfetto, ma io non ti vorrei cambiare per nulla al mondo.”
“Sicuro di non essere innamorato di me, Pioggia?”
Lui gelò per un attimo, prima di accorgersi del suo tono ironico: stava scherzando, ok. Già prima della telefonata scherzava spesso sul loro rapporto… Era un buon segno il fatto che avesse ricominciato a farlo, no?
Poiché la scarsa illuminazione fortunatamente le impedì di notare il cambiamento d’umore dell’amico, Zoe continuò. “Vorrei riuscire a esprimere i miei sentimenti come fai tu.”
“Zò, tu lo fai, anche meglio di me a volte. Solo, non a parole.”
“Vorrei poterlo fare anche a parole, essere più chiara,” insistette la ragazza, stringendo le braccia attorno alle proprie ginocchia, agitata.
Giacomo intuì che qualcosa dentro di lei stava premendo per uscire, ma non voleva forzarla in alcun modo, non ora che aveva appena riacquistato un pezzetto della sua fiducia. “Non importa.”
“A me sì. Giaco…” sospirò e si tirò indietro dei capelli che le cadevano sul viso. “Non è vero che mi sono pentita di averti lasciato il mio numero.”
“Lo so, stai tranquilla, sono cose che si dicono quando si è arrabbiati.”
 Lei lo interruppe, guardandolo finalmente negli occhi. “Io sono… Sono contenta di averti conosciuto. Anche se il nostro… rapporto a volte è così confuso e… e incasinato.”
Giacomo trattenne il fiato. Zoe non aveva usato la parola “amicizia”, aveva detto “rapporto”. Aveva detto che avevano un “rapporto confuso”, lui non avrebbe potuto trovare parole migliori per descriverlo. Poteva essere solo un caso? O forse c’era ancora una minuscola speranza? Magari lei si sentiva esattamente come lui, ma non era ancora pronta ad ammetterlo in primis con se stessa.
“È il meglio che so fare, scusa,” mormorò di nuovo lei, abbassando la testa.
“È perfetto,” rispose Giacomo con sincerità. Poi aprì le braccia. “Vieni qui, ragazzina.”
Zoe stavolta si gettò senza esitazioni nel suo abbraccio e mentre le carezzava le spalle, Giacomo la sentì tremare leggermente. “Ti voglio bene,” le sussurrò, e lei tremò di nuovo.
“Anch’io.” Fu solo un bisbiglio e Giacomo si domandò se l’avesse sentito sul serio o se fosse frutto della sua immaginazione. Infine decise che non era poi così importante e continuò semplicemente a stringerla a sé, sapendo che occasioni come quelle con Zoe non capitavano troppo spesso.





















Mi cospargo il capo di cenere. Mi inginocchio. Imploro pietà.
Sul serio, lo so che ormai ogni volta faccio così e ormai vi sembrerò una psicopatica dotata di doppia personalità (un po' tipo Zoe, insomma), ma mi dispiace sempre farvi aspettare, è una cosa che detesto. Fra l'altro avevo promesso un aggiornamento veloce e son passati oltre due mesi... che schifo!
Due motivi (che non sono scuse, ben inteso!):
1- Estate. Non c'è molto da dire, sono vergognosa: appena mi metto a studiare mi viene improvvisamente voglia di rimettermi al pc a scrivere, mentre d'estate, quando ho una marea di cose divertenti da fare, mi dimentico di voi. Potete lanciarmi i pomodori, sì.
2- Ispirazione. Al solito: questa storia mi è diventata ostica, purtroppo. Il capitolo appena pubblicato l'avevo scritto ancora due anni fa, ormai, e all'epoca ne ero contenta. Ora, manco a dirlo, no. La storia nel frattempo si è evoluta, forse me la sto trascinando anche da troppo tempo, non lo so. Ho modificato l'intero capitolo e aggiunto tutta la scena finale (che è una specie di elogio a quel santo di Giacomo, se non si fosse capito), ma il risultato è quello che è. Di positivo c'è che più scrivo (e ricevo recensioni), più mi viene voglia di scrivere; quindi magari adesso - già che mancano anche pochi capitoli ormai - potrei, dovrei, devo (!) ritrovare nuovo slancio. Aiutatemi voi!
Non mi resta che dire che... l'azione è appena cominciata, anche se per il momento è ancora scarsa, sarà un climax da qui alla fine (5 o 6 capitoli belli pregni). A meno che non siate stufi anche voi e mi diciate di chiuderla veramente alla svelta senza tanti colpi di scena; a quel punto potrei pensare a un finale alternativo, anche se non saprei cosa inventarmi. Comunque dipende da voi, sul serio!
Intanto grazie grazie grazie a chi mi ha sempre seguito anche se non me lo merito. Vi adoro!
Un abbraccio grosso a tutte, aspetto feedback...
Buon weekend!

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Capitolo 24
*** Capitolo XVIII ***


Capitolo XVIII



“Amico, ti stai mettendo nei guai.”
“Grazie, già lo so.”
Niccolò si stravaccò meglio sul letto di Giacomo, portando le mani dietro la testa per stare più comodo. “Sei innamorato cotto.”
“So già anche questo, ancora grazie tante, Nico.”
“Se vai avanti a far finta di nulla in questo modo ti troverai col cuore rotto in mille pezzettini e un’amicizia rovinata. Due amicizie rovinate, contando che potrei anche smettere di parlarti se continui a comportarti da invertebrato.”
Giacomo sbuffò, prendendo una felpa dall’armadio e gettandola malamente nel borsone appoggiato sopra al letto, accanto al suo amico – o presunto tale. “A parte sottolineare l’ovvio, hai consigli utili da darmi?” domandò, vagamente scettico.
Aveva finalmente trovato il tempo e il coraggio di parlare a Niccolò di tutto il casino che aveva combinato con Zoe e lui non aveva fatto un piega, come se si aspettasse ogni virgola di ciò che gli aveva svelato. Era davvero così trasparente? Aveva pure evitato di raccontargli i dettagli, come ad esempio il bacio – i baci, in verità – che si erano scambiati a Mantova, perché gli sembrava di essere abbastanza patetico già così. Ma Niccolò aveva compreso comunque appieno la situazione e, nonostante ciò, ora se ne stava lì a borbottare banalità come “l’amore ti fa male” o “se n’erano accorti tutti un miliardo di mesi fa”.
“Vuoi un consiglio?”
“Sarebbe gradito sì,” rispose Giacomo, continuando a riempire il borsone che, oltretutto, gli serviva proprio per andare a trovare Zoe a Padova nel weekend. “Se non è una delle tue solite cagate.”
“I casi sono due, Pioggia,” cominciò Niccolò, sedendosi per assumere una posizione più seria e formale. “O la lasci perdere per un po’ aspettando che ti passi questa cotta – ma la vedo dura; oppure le dici cosa provi per lei, la baci in stile Gone With The Wind e aspetti una sua reazione. Semplice.”
“Sarà semplice per te! In entrambi i casi perderei la sua amicizia.”
“Perché, quello che stai facendo adesso è giusto, invece? Andare da lei appena schiocca le dita, continuare ad assecondarla, fare finta che la situazione non ti pesi, ascoltarla mentre ti parla dei suoi problemi con quell’altro idiota… Ma sei masochista o cosa?!”
Giacomo sapeva, in fondo, che il suo amico aveva ragione, ma non vedeva altre vie d’uscita. Sospirò, sedendosi anche lui su un angolo del letto. “Non saprei cos’altro fare.”
Niccolò gli batté due colpetti sulla spalla. “Dille quello che provi. Non può andare così male.”
“No, può andare anche peggio…”
“Questo è impossibile, dai.”
Giacomo scosse la testa, convinto. “Ma se appena ha sospettato un vago sentimento da parte mia mi ha sbattuto fuori dalla sua vita senza pensarci due volte, come pretendi che accolga bene una mia dichiarazione seria? Come minimo tenterebbe di darmi fuoco.”
“Da quand’è che sei diventato Mister Pessimismo Cosmico, eh, Giacomino? Di solito un lato positivo lo trovi sempre, ricordi?”
“C’è poco da stare allegri stavolta… Mi secca ammetterlo ma hai ragione: sono solo un masochista se penso di poter andare avanti così.”
“Infatti non puoi,” affermò il moro, e fermando con un gesto della mano le sicure lamentele dell’altro, continuò. “Lo sai anche tu che non puoi andare avanti così, su. Quella ragazza è sempre riuscita a tirare fuori la parte più irrazionale e nascosta di te; è riuscita persino a farti incazzare più di una volta. Dopo Beatrice stavi molto più attento nei tuoi rapporti con l’altro sesso, come se avessi paura di scottarti, ma con Zoe sei sempre stato te stesso, cioè istintivo, avventato e geloso. Ma sincero. Prima o poi ciò che provi per lei verrà fuori da sé, sei troppo poco furbo per evitare di dirglielo.”
“Grazie eh,” borbottò Giacomo, con un pizzico di sarcasmo. Ma in realtà sapeva che Niccolò in quel momento non era altro che la voce della sua coscienza: una coscienza rompicoglioni e che parlava terra terra, certo, ma che lo conosceva perfettamente e sapeva prevedere le sue mosse.
“Quindi? Farai come dico io?” insistette quello, speranzoso.
“Non credo. Non so.”
“E che hai intenzione di fare, in alternativa?”
Lui scrollò le spalle, incerto. “Aspetto la fine del mondo. Non dovrebbe mancare molto.”
“Dio, Pioggia, quanto sei melodrammatico!”
“Ma cosa vuoi che faccia? Vado a Padova per il weekend e le faccio compagnia, come mi ha chiesto. Mi fa comunque piacere rivederla, sai, anche se sono passate solo due settimane dall’ultima volta.”
“Qualsiasi cosa pur di starle accanto, eh?”
Giacomo gli lanciò uno sguardo a metà tra l’ironico e lo scoraggiato. “Sono un caso senza speranza.”
“Direi di sì, amico. Di buono c’è che secondo me non resisti due giorni senza esplodere, quindi probabilmente noi spettatori vedremo un’evoluzione della faccenda già nelle prossime ore.” Diede una pacca sulla spalla all’amico, un po’ per incoraggiarlo un po’ per prenderlo in giro. “Da panico,” concluse infine, sul volto dipinto il tipico sorriso di chi la sa lunga.

Zoe sapeva bene che quello che stava facendo non era moralmente corretto. Si giustificava con la propria coscienza dicendosi che no, non aveva mentito a Pioggia, aveva solo omesso dei particolari che comunque lui avrebbe scoperto presto. Ma anche questa convinzione serviva a poco, perché sia Zoe che la sua coscienza in fondo sapevano che Giacomo meritava di conoscere la verità: e cioè che lei quel sabato sera meditava di farsi aiutare da lui per far ingelosire Davide.
Si sentiva meschina anche solo a pensarlo, lei generalmente non era tipo che usava così le persone, ma purtroppo quell’idea le era balenata in mente quasi all’istante, appena si era ricordata che proprio quel sabato in cui il suo amico andava a trovarla a Padova c’era una festa organizzata dalla facoltà di Lettere, evento a cui Davide sarebbe stato presente quasi di sicuro, visto che tra i gruppi che avrebbero suonato ce n’era uno che a lui piaceva molto, quello che avevano sentito la prima volta che erano usciti assieme.
Non che avesse invitato Giacomo a Padova solo per attuare i propri loschi piani, quello no. La faccenda della festa e di Davide le era venuta in mente solo dopo aver chiesto al salentino di raggiungerla per il weekend.
La verità era che, nonostante si rendesse conto che nel suo rapporto con Giacomo c’era qualcosa di strano, di irrisolto, in quel periodo sentiva più che mai il bisogno di vederlo, di averlo accanto; sentiva – e non sapeva bene il perché – il bisogno di lui. Pensava fosse un sentimento legato al fatto che Giacomo ormai era diventato un suo punto di riferimento e, dal momento che lei era un po’ giù di morale per tutta la storia con Davide, sentiva la necessità di avere al suo fianco una persona di cui si fidava e che l’aiutasse a sorridere. Ma non era solo quello: sapere che vedere Giacomo e stare in sua compagnia era una cosa che la rendeva felice di per sé, senza tutti i fronzoli e le giustificazioni mentali che lei stessa ci costruiva sopra. Ergo, si sentiva ancora più uno schifo a pensare di usarlo per giocare sporco con Davide, perché Pioggia non lo meritava.
Perciò il senso di colpa continuava a perseguitarla, tanto che resisté appena cinque o sei minuti prima di spifferare a un Giacomo appena arrivato nel suo appartamento di Padova ciò che la tormentava.
“Stasera ci sarà anche Davide,” esordì mentre lui appoggiava il borsone ai piedi del letto. “Credo.”
Giacomo, dopo aver appoggiato lo sguardo per più tempo del dovuto sul letto – era a una piazza e mezza, significava che avrebbero dormito insieme, cavolo – assimilò le parole di lei, alzò la testa e la guardò allibito. “Come?”
“Hai capito bene.”
“Spero di no.”
“Giaco…”
“Cioè,” la interruppe lui, con una voce a metà tra l’irritato e il ferito, “più che altro non capisco che c’entra adesso. Bene, ci sarà anche lo stronzo al concerto, vorrà dire che cercheremo di evitarlo, questo intendevi?”
“Sì. Cioè, no.”
Giacomo sbuffò spazientito. “Sì o no?”
“No.”
“Hai intenzione di parlargli?”
Zoe non aveva più voglia di mentire. “Sì, se lo vedo sì.”
“Hai intenzione di usarmi come burattino per fargli credere che hai un ragazzo e stai bene?”
Dannazione, ma come faceva a leggerla in quel modo impressionante? Nemmeno lei stessa riusciva a capirsi tanto bene, delle volte. “No, io…”
L’amico le lanciò un’occhiata scettica che la fece capitolare.
“L’idea era quella di fargli vedere che sono andata avanti, sì. Se sei d’accordo ovviamente, Pioggia, non vorrei mai fare una cosa tanto meschina come usarti per…”
“Vuoi che faccia finta di essere il tuo ragazzo?”
Zoe arrossì fino alla punta dei capelli al solo pensiero: quell’eventualità non l’aveva realmente presa in considerazione, le sarebbe bastato molto meno. “No, che dici? Vorrei solo fargli vedere che sono serena, che sono felice e che ho della gente attorno a me e…”
“Ah quindi non volevi farmi fare da esca per farlo ingelosire?”
“Esca non è il termine adatto…” tentennò Zoe abbassando lo sguardo fino a fissarsi intensamente i piedi. Ora che l’aveva ammesso ad alta voce si vergognava sul serio.
“Però se si ingelosisce ti fa piacere?” Giacomo sospirò, passandosi stancamente una mano fra i capelli come per riordinare le idee. “Vorresti che tornasse strisciando da te, vero?”
“Beh… Non so bene nemmeno io cosa voglio. Vorrei che mi vedesse e che, non so, pensasse che si è perso qualcosa e sì, vorrei che pensasse di tornare a corteggiarmi, forse. Mi dispiace, Giaco, mi dispiace tanto, sono una persona terribile.”
Giacomo le si avvicinò e le passò con delicatezza una mano sulla guancia. “No, non lo sei. So come ti senti, io volevo fare la stessa cosa a Beatrice, l’ho voluto per molto molto tempo. Ma non commettere il mio stesso errore, Zò, non pensare di rivolere a tutti i costi una persona che non ti merita. Lo rivorresti indietro, è così?”
“Non ne sono sicura. Mi ha fatto stare male, questo sì. Ma a volte…a volte penso che se tornasse a provarci con me ci metterei un attimo a decidere di far ripartire le cose da dove le abbiamo interrotte. Mi piaceva come mi faceva stare.”
“Quindi se lui stasera ti avvicinasse…?” le domandò Giacomo col cuore in gola.
“Non lo so, Pioggia, non ne ho idea. Forse non lo accoglierei a braccia aperte ma nemmeno lo rifiuterei, ecco. Uffa, che schifo che sono!” concluse con un broncio.
Giacomo sospirò e la guardò intensamente, ferito. Zoe aveva lo sguardo abbassato che vagava sul pavimento, ma se avesse visto gli occhi di lui avrebbe senza dubbio capito cosa celavano: malinconia, tenerezza, comprensione, ma soprattutto dolore e affetto. Un affetto e un dolore troppo grandi per essere fraintesi da chicchessia. Giacomo era spaccato in due dal dolore: la vedeva stare male, non poteva fare niente per lei e in più provava dei sentimenti fortissimi che non aveva il coraggio di confessare.
“Zoe,” disse infine, facendo in modo che lei alzasse gli occhi per guardarlo, “verrò con te stasera, ma non chiedermi di aiutarti a riconquistarlo, per favore. Ti voglio troppo bene per aiutarti a riavere una persona che già ti ha fatto del male e potrebbe fartene ancora. Troppo.”
Lei gli si avvicinò e lo abbracciò, mettendosi in punta di piedi e passandogli le braccia dietro al collo. “Grazie,” bisbigliò sincera, “ho davvero bisogno che tu stia accanto a me adesso.”
“Anch’io,” sussurrò lui di rimando, abbracciandola a sua volta col cuore in gola. “Troppo,” ripeté, più sincero che mai.

“Sei pronto, bello?”
Giacomo, seduto sul divano a fissare sovrappensiero un punto imprecisato del muro, sussultò lievemente. Zoe era in camera a prepararsi da più di un’ora ormai, obbligata dalla sua coinquilina, Sara, a sottomettersi a una “terapia intensiva di trucco, parrucco e alta moda”, così aveva detto la pazza. La stessa pazza che in quel momento di trovava davanti alla porta con aria soddisfatta e sorniona, sicuramente orgogliosa di mostrare i risultati delle sue fatiche.
“Sì…” rispose lui vago.
“Non fare quella faccia poco convinta, sai, sono sicura che invece rimarrai folgorato!”
“Immagino di sì,” la assecondò lui, evitando di specificare che erano mesi ormai che restava folgorato ogni volta che vedeva Zoe, anche senza trucchi, acconciature o vestiti. Ok, alt: Zoe senza vestiti era un pensiero che andava immediatamente rimosso se voleva mantenere un briciolo di compostezza e di sanità mentale.
“Quanto entusiasmo!” Sara sorrise e aprì la porta tirando Zoe per un braccio. “Ta-daaaaah!”
A Giacomo Zoe piaceva sempre, anche al naturale, anche quando era in pigiama pronta per andare a dormire, però doveva riconoscere che la coinquilina della sua amica aveva fatto davvero un ottimo lavoro. Indossava un vestito semplice, probabilmente tirato fuori dal proprio armadio, blu con una leggera scollatura tonda sulla schiena; i suoi capelli non erano troppo diversi dal solito, forse solo un po’ ordinati con il ferro in modo che i boccoli risultassero più definiti; e sì, era truccata abbastanza, e anche se non risultava per niente volgare, la differenza sul suo viso, di solito quasi privo di trucco, era comunque evidente. Era… bella. Era Zoe, cavolo. E non era per lui che si era truccata, vestita, pettinata e… messa i tacchi?
Giacomo si alzò in piedi e le si avvicinò, quasi per verificare di non avere le allucinazioni. E infatti no, non le aveva, Zoe era alta circa otto centimetri più del solito. Non l’aveva mai vista coi tacchi! Il suo sguardo stupefatto non sfuggì neanche alla diretta interessata, perché, imbarazzata, abbassò gli occhi e arrossì ancora più di prima.
“Beh…?” chiese, confusa.
“Hai i tacchi?”
“Che ti sembra, genio?”
Almeno quando apriva la bocca dimostrava di essere sempre lei. Giacomo sorrise. “E ci sai camminare?”
“Stronzo!” lo insultò lei sporgendosi per spingerlo e, nel farlo, ondeggiando un po’, quasi a dimostrazione del fatto che la domanda di lui non era poi così fuori luogo.
“Va bene, tranquilla, sono pronto a raccoglierti se cadi.”
“Grazie, sei carino!”
Sara interruppe il quadretto, curiosa, rivolgendosi a Giacomo. “Allora, che ne pensi?”
Lui la guardò sorpreso, come se si fosse dimenticato che nella stanza c’era una terza persona, poi riguardò Zoe da capo a piedi, la fissò con uno sguardo caldo e affamato, che diceva già tutto. Infine tornò a voltarsi verso Sara per risponderle, non sapendo di essere già stato sufficientemente chiaro.
“È bellissima,” disse soltanto, sincero. “Hai fatto un ottimo lavoro.”
Sara sorrise, saputa, e Zoe intervenne per evitare ulteriori commenti imbarazzanti.
“Perfetto, noi andiamo. Grazie mille Saretta, forse ci vediamo dopo, o forse no, dato che sicuramente uscirai pure tu… Quindi a domani!”
“Buona serata, siete proprio carini!”
“Sì, certo. Ciao ciao!” troncò Zoe mettendosi la giacca e uscendo.

L’inizio della serata fu abbastanza tranquillo, i gruppi che si alternavano sul palco erano bravi, la birra che spinavano al gazebo era buona, il clima era mite essendo una serata di maggio, tirava solo una leggera brezza primaverile. Una pacchia, insomma.
Poi tra la folla spuntò Davide, e tutto cambiò.
Innanzitutto, cambiò visibilmente l’umore di Zoe. Stava allegramente chiacchierando con Giacomo e un suo compagno di corso incontrato per caso, quando notò la testa che stava cercando da un po’ e un peso le si poggiò sullo stomaco. Improvvisamente si pentì di aver sperato che arrivasse, era stata così bene fino a quel momento, da sola con Giacomo.
Quest’ultimo notò subito il disagio di lei e capì cosa stava per succedere; si scusò con il ragazzo con il quale stavano parlando, prese Zoe per un braccio con delicatezza e la portò poco più in là.
“Tutto bene?” le chiese notando lo sguardo perso di lei.
“Sì, c’è…”
Non servì che finisse la frase. “Lo so, me lo indichi così almeno mi faccio un’idea della situazione?”
“Quello con la maglia nera dietro di me. Non fissarlo.”
Giacomo non ascoltò la raccomandazione e guardò spudoratamente l’oggetto del desiderio della sua amica. “E tutta la bellezza di cui mi parlavi dov’è?” chiese con tono noncurante e un po’ scherzoso, come a voler da un lato mascherare la gelosia e dall’altro sdrammatizzare la situazione.
“Uff, Pioggia, mi piace, ok?”
Lui sentì la solita stretta allo stomaco. “Va bene, va bene, scherzavo. Però io sono più bello!”
Zoe a quel punto riuscì a sorridere. “Certo, è ovvio.”
“Oh, un sorriso, che miracolo! Come intendiamo procedere?”
“Non ne ho la più pallida idea…”
“Ok, vuoi provare a parlargli? O hai cambiato idea?” domandò, sperando che la risposta fosse ovviamente la seconda.
“No, bu, non lo so,” ripeté lei, in confusione, prima di riprendersi un po’ e tentare un’ipotesi. “Magari continuiamo a bazzicare qui intorno finché non mi nota e poi vediamo che succede?”
“Mi sembra un’ottima idea, capo.”
“Bene. Bene. Andiamo.”
Prima di muoversi per andare più vicino al punto dove si trovava Davide, Zoe finì tutto d’un fiato il bicchiere di birra che aveva in mano e si diresse al bar per prendersi qualcosa di decisamente più forte. Un gin tonic, per iniziare, sarebbe andato benissimo.

Una buona mezz’ora più tardi, cioè solo dopo aver bevuto un gin tonic e mezzo mojito, Zoe si avvicinò un po’ a Davide, seppur fosse ancora tentennante e imbarazzata.
“Ciao,” lo salutò fingendosi sorpresa di vederlo lì e lui, che in quel momento era stranamente da solo, ricambiò la sua espressione stupita con una faccia altrettanto meravigliata.
“Zoe! Ciao!” le diede due baci sulle guance e la guardò da capo a piedi, studiandola. “Sei bellissima stasera, piccola, lasciatelo dire! Ti trovo davvero bene, mi fa piacere…”
Giacomo osservava la scenetta da poco lontano, amareggiato, pronto a intervenire a un segnale dell’amica, come avevano precedentemente concordato. Vedeva il sorriso timido e comunque bellissimo di lei e si domandava come facesse quell’idiota a non accorgersi di cosa stava rifiutando. Perché, anche se da un lato gli dispiaceva per Zoe, dal momento che avrebbe solo voluto vederla felice, quel fantoccio la stava senza dubbio rifiutando. Faceva tutto il simpatico, grandi sorrisi, buffetti sul braccio di lei, ma a una persona esterna alla situazione era evidente che era solo contento di essere corteggiato, ma che non aveva assolutamente altri interessi.
Così decise da solo di intervenire, anche senza segnale: non voleva vederla umiliata. Si avvicinò con decisione ai due e, prima di mettere una mano sulla spalla di Zoe, sentì solo uno stralcio di conversazione.
“Oh sì, certo, non sai che sollievo, pensavo fossi arrabbiata con me, non potrei mai sopportarlo…” stava dicendo lui con un’espressione fintamente contrita.
“Zoe!” lo interruppe allora Giacomo, non sopportando una parola di più. “Ti stavo cercando, eccoti finalmente!” continuò schioccandole un bacio sulla guancia.
Lei gli lanciò un’occhiata a metà tra il confuso e l’incazzato, così decise di continuare la messinscena da solo.
“Non mi presenti al tuo amico?”
“Sì, certo… Giacomo, Davide.”
“Piacere,” dissero i due ragazzi all’unisono, mentre si stringevano la mano. Zoe trovò la situazione alquanto surreale, ma non riuscì a dire nulla, così un silenzio imbarazzante con sottofondo musicale regnò nei secondi successivi, finché Davide non lo ruppe.
“Beh, scusate, ma io dovrei raggiungere…”
Non terminò la frase ma mosse la mano con un cenno vago verso la propria destra, quindi sorrise un’ultima volta, salutò e si allontanò senza ulteriori spiegazioni.
“Cosa diavolo ti è saltato in mente, si può sapere?” Zoe aggredì subito Giacomo, curiosa di sentire la sua spiegazione. “Eravamo d’accordo che ti saresti avvicinato solo dopo un  mio cenno!”
“Beh, ho cambiato idea!”
“E perché?”
“Zoe…” Giacomo sospirò prima di continuare. “Quel tipo ti sta prendendo in giro.”
“E tu che ne sai?”
“Sono un uomo e riconosco i comportamenti degli altri uomini.”
Lei pestò un piede per terra, a mo’ di capriccio. “Tu non sei un uomo, sei un bambino! Ecco cosa sei, un dannato bambino presuntuoso!”
“Ma cos’è successo di così tragico?”
“Io e Davide stavamo finalmente parlando in tranquillità e lui si è allontanato proprio quando sei arrivato tu, guarda caso!”
A quel punto anche il salentino cominciò a innervosirsi: l’aveva salvata da una possibile tragedia e lei invece di essergli grata lo accusava? Di cosa poi? Era solo un bene se quel damerino se n’era andato col suo arrivo. “Ma lui non è interessato a te!”
“Come fai a dirlo?”
“Zoe, ma perché sei così cieca? Le cose ti si parano davanti agli occhi in maniera evidente e tu fai finta di non vederle, sempre, sempre!”
Lei lo guardò confusa. In realtà neanche Giacomo in quel momento sapeva più bene cosa di cosa stava parlando, se dell’altro ragazzo o di se stesso e dei sentimenti che provava per lei.
“Come, scusa? Io sarò poco sveglia, ma non mi sembra che poco fa Davide mi stesse rifiutando.”
“Stava giocando con te! È solo lusingato dalle tue attenzioni perché è una persona vanitosa!”
“Ma senti chi parla!” sbuffò Zoe, girando la testa in un’altra direzione, infastidita. “Ascolta, io non so se tu…”
Il resto della frase le morì in gola mentre i suoi occhi puntavano una scena che non avrebbero voluto vedere. Davide con la persona che doveva raggiungere. Una ragazza mora e piuttosto carina che di sicuro non era sua sorella, a giudicare dalla loro intimità fisica.
Giacomo seguì il suo sguardò e sospirò: non sapeva se essere felice per aver avuto ragione o se essere triste per Zoe. Ok, forse era più sollevato che triste, se voleva essere sincero. Prese Zoe per un braccio e la portò verso la cassa del bar.
“Vieni, ragazzina, la serata non è ancora finita.”

Zoe scoprì presto che non faceva male come aveva pensato. Nel momento in cui aveva visto Davide che palpava il culo di quella ragazza, certo, aveva provato una certa fitta dalle parti dell’addome, ma poi, col passare dei minuti, il dolore era praticamente scomparso. Era come se le cose le fossero diventate improvvisamente chiare ed evidenti, come se la nebbia nella sua testa si fosse diradata mostrando una scritta a caratteri cubitali che in realtà era lì da sempre: Davide è un pezzo di merda, diceva la scritta, e non è lui il ragazzo per te.
No, in realtà parte della nebbia era ancora bella che presente, d’altronde non era subito pronta a tutte le rivelazioni della sua vita, lì, quella sera. E i drink che aveva bevuto, infatti, più che ad anestetizzarla – come aveva detto Giacomo, sbagliando – servivano a cancellare la restante foschia che permaneva in una certa zona del suo cervello. Forse non avrebbero funzionato, ma tentar non nuoce, si dice.
La nebbia, però, com’era ovvio, invece di sparire, cominciò a un certo punto a farsi ancora più fitta e difficile da attraversare. Le magie dell’alcol. Per fortuna c’era Giacomo a tenerla d’occhio, il suo prode cavaliere senza macchia pronto a riportarla a casa sana e salva.
“Zoe?”
“Giacomo! Che carino che sei stasera!”
Lui ridacchiò. Forse era un pelo brillo pure il suo amico, a pensarci bene.
“Che stai facendo?” le chiese, guardando con sospetto il bicchiere che lei aveva in mano.
“Oh! Simone mi ha offerto una sambuca!” rispose Zoe come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Giacomo aggrottò le sopracciglia in un’espressione buffissima, che la fece ridere. “Chi è Simone?”
“Lui!” fece Zoe, indicando il barista. “Simone! Ehi, Simone!”
Il barista, indaffarato altrove, le fece un cenno con la mano, e lei mise su un broncio un po’ offeso. “Prima era così amichevole e adesso che non sono più sola invece…” Poi improvvisamente si accorse di una cosa. “Ehi, ma che stai facendo?”
Giacomo, che la abbracciava da dietro, le braccia appoggiate al suo ventre, alzò le spalle.
“Che diavolo…? Perché mi abbracci così?” ripeté Zoe, ma senza spostarsi.
“Non voglio mica che ci provi pure con il barista, sei già abbastanza ubriaca, direi.”
“Ah per quello! No no, ma sto bene! Dai, un’ultima sambuca. Simone, due sambuche!”
Giacomo si lamentò un po’, ma poi bevve con lei senza problemi, dopodiché la portò a ballare, e infine si allontanò andando a prendere qualcos’altro da bere. Tutto in un turbine di qualche minuto, o così almeno parve a Zoe.
Poi, d’un tratto, non lo trovava più. L’aveva perso di vista solo un paio di secondi, le pareva, eppure Giacomo era sparito. Si girò tra la folla per cercarlo e si sentì afferrare da una mano decisa, che la tirò verso un corpo solido. Cominciò automaticamente a ballare con quel corpo.
“Ti stavo cercando,” gli disse docile, lasciandosi abbracciare come non aveva mai fatto prima.
“Oh, piccola, anch’io…”
Un attimo, quella non era la voce di Giacomo. Si girò veloce, per trovarsi di fronte un Davide che la guardava soddisfatto dall’alto.
“Tu non sei Giacomo,” affermò Zoe, piuttosto ovviamente.
“Dire di no,” rispose lui.
“Io però cercavo Giacomo.”
“Beh, hai trovato me, no?”
“E sai per caso dov’è Giacomo?”
Le si era decisamente incantato il disco.
Davide sbuffò, ma continuò a sorridere ammiccante e a stringerla, ballando con lei. “Ti sei messa i tacchi, sei davvero bella stasera.”
“Perché sono più alta di qualche centimetro?” chiese lei dubbiosa.
“No, beh, qualche centimetro non guasta, ma stai proprio bene.”
Ma Zoe già non lo ascoltava più e si guardava in giro, come cercando qualcosa o qualcuno.
Davide se ne accorse. “Questo Giacomo… è il tuo ragazzo per caso?”
“No!” si affrettò a rispondere lei, confusa.
“E com’è che continui a chiedere di lui, allora?”
A Zoe pareva piuttosto ovvio: era ubriaca e le si era semplicemente incantato il disco. E mentre apriva la bocca per rispondere, un’altra verità piuttosto ovvia le si affacciò in testa. Il disco! Non si era incantata in altro modo di fronte a Davide, le si era solo incantato il disco! Cercava semplicemente Giacomo, quando si era accorta che non era lui ad abbracciarla, bensì Davide, non era stata né contenta, né imbarazzata, né nient’altro, a dire il vero. Niente di niente. Nada.
Rimase qualche secondo così, con in testa questi pensieri decisamente stupidi e sconclusionati, ma anche molto veri, con la bocca ancora aperta a inghiottire aria e lo sguardo vagamente assente, poi si riprese, guardò Davide – non provando assolutamente niente, niente – e sorrise.
“Perché sono venuta qui con lui. Ora, ti dispiace dirmi se l’hai visto?”
Davide rimase parecchio basito dal suo disinteresse totale. Allora Zoe si guardò intorno e notò Giacomo, poco più in là, che la fissava con tanto d’occhi, mentre in mano aveva due bicchieri di plastica. Lei gli sorrise, cercando di essere rassicurante, e gli si avvicinò senza nemmeno salutare Davide. Mentre si allontanava, borbottò solo un “torna dalla tua amichetta, sporco viscido doppiogiochista”, e sparì senza verificare se lui l’avesse sentita o meno.
“Giacomo!”
“Zoe.”
“Ti stavo cercando!”
“Non mi pareva…”
“Ma dai, Pioggia, davvero, non fare il geloso adesso! L’ho scaricato, ok?”
Mentre lo rimproverava, Zoe raggiunse Giacomo e gli gettò le braccia al collo, alzandosi più di quanto i tacchi non facessero già, per appoggiarsi alla sua spalla e trovarsi immersa nel suo profumo. Il ragazzo allargò le braccia appena in tempo per farle spazio, ma parte del contenuto dei bicchieri si rovesciò comunque. Nessuno dei due se ne preoccupò minimamente.
“L’ho scaricato,” continuò Zoe, stringendosi a lui, “e non sono mai stata più felice, e ti stavo cercando per dirtelo, e in realtà ti stavo cercando anche da prima, te, cercavo te, non lui, ti cercavo perché eri sparito e non ti trovavo, e perché non mi interessa lui se ho te, tu sei molto più importante, molto, molto di più, davvero. Molto di più.”
Il cuore di Giacomo batteva all’impazzata. Non riusciva a rispondere. Si maledisse mentalmente per essersi fatto trovare impreparato, le mani occupate dai bicchieri che gli impedivano di stringerla a sua volta.
“Giaco, andiamo a casa?”
Le avrebbe detto di sì in ogni caso, ma quella voce, dannazione, quel sussurro nel suo orecchio… Zoe stava cercando di farlo impazzire.
“C-certo,” balbettò, confuso.
Zoe si staccò da lui. “Dammi qui.”
Prese uno dei bicchieri che aveva in mano e lo bevve d’un fiato, dopodiché lo guardò come dire “beh, che aspetti?”. Giacomo seguì il suo esempio e così facendo si riscosse un attimo. Le si avvicinò per darle un bacio sulla guancia.
“Sì, andiamo,” disse, prendendole la mano per condurla fuori dalla folla.
Zoe si lasciò trascinare, disorientata e un po’ intorpidita, ma finalmente serena. Non aveva problemi a mettersi nelle mani di Giacomo, non la disturbava farsi guidare la lui, si fidava. Anzi, in quel momento era un bene che lui fosse lì con lei, per lei, pronto a sorreggerla, ad accompagnarla mano nella mano. Anche perché a dire il vero aveva qualche problema a camminare.
“Posso togliermi le scarpe?” gli chiese una volta arrivati in una strada più defilata, fermandosi.
“Non credo sia una buona idea, potresti prendere un vetro.”
“Ma mi fanno male!” piagnucolò lei, tuttavia ricominciò comunque a camminare, controvoglia.
“Resisti ancora un po’,” la tranquillizzò Giacomo, passandole un braccio sulla schiena per sostenerla e approfittando per stamparle un altro bacio sulla testa.
Una volta varcato il portone del palazzo, Zoe lo fermò con uno strattone al braccio e, guardando preoccupata le scale che dovevano accingersi a salire, gli ripeté la domanda.
“Ora posso togliermi le scarpe?”
“Non so, Zò, sembrano piuttosto sporche, non ce la fai a resistere fino all’appartamento? Sono solo due piani.”
“Lo so quanti piani sono, ma queste scarpe mi stanno uccidendo,” fece lei, con la voce lagnosa tipica di una bambinetta. “E poi c’è una signora che viene a pulire le scale tutti i lunedì!”
“Oggi è sabato.”
In realtà a Giacomo non importava molto se si toglieva le scarpe o meno, già il fatto di essere riuscito a impedirglielo per strada era da considerarsi un miracolo, visto com’era ridotta la ragazza. Semplicemente gli piaceva guardare il visetto imbronciato di lei. Anche se, a dirla tutta, le scale non sembravano granché pulite.
“Ma dai, come sei schizzinoso, uffa, io… Ti prego… Lasciami…”
Il broncio di Zoe era sempre più divertente e carino.
“Guarda, non…”
Giacomo non riuscì a finire la frase, che si trovò la bocca della ragazza sulla propria. Non capiva come fosse successo, doveva essersi perso qualche passaggio. Poco prima Zoe era lì, a un paio di metri da lui, che si lamentava delle scarpe, un attimo dopo se la ritrovava addosso, che lo baciava. Giacomo, da sobrio, si riteneva un ragazzo abbastanza sveglio. Ora sicuramente non era sobrio, forse non era neanche al massimo delle proprie facoltà mentali, ma capiva comunque con molta chiarezza che quella era un’occasione da non perdere. Cinse la vita di Zoe con le braccia e ricambiò il suo bacio.
Era diverso dai baci che si erano scambiati in precedenza: era passionale, deciso, maturo, pieno di cose non dette, decisamente poco da amici. Era fantastico. Ed erano entrambi belli che ubriachi. Non durò molto, ma quando Zoe si staccò di qualche centimetro, guardandolo con occhi imploranti e vagamente divertiti, a Giacomo venne voglia di perdersi in quegli occhi scuri, quasi neri, di annegare in lei, di baciarla ancora e ancora, di dirle che l’amava. Si fermò per ascoltare ciò che lei aveva da dire.
“Ti prego, posso togliermi le scarpe?” Zoe gli diede un altro bacio in bocca e poi concluse, spudorata. “Per favore?”
“Sì che…” Giacomo si schiarì la gola con un colpo di tosse, ancora confuso. “Sì che puoi… Puoi tutto, se me lo chiedi così,” rispose serio.
Lei gli si avvicinò di nuovo, lasciandogli sul labbro inferiore una cosa a metà tra un bacio e un morso, dopodiché si abbassò per togliersi le scarpe e iniziò a salire i primi gradini.
Giacomo si riprese in tempo per seguirla, senza trattenersi dal ridere – era pur sempre ubriaco – e dal rimproverarla. “Sei proprio una maledetta sfacciata!”
“Perché?” chiese lei di rimando. Non si girò, e pur senza poter vedere la sua espressione, lui sapeva che la sua amica stava sorridendo.
“Si tratta così un ragazzo?”
“Così come?” insisté Zoe che nel frattempo, arrivata al pianerottolo, aveva appoggiato le scarpe a terra per cercare le chiavi nella borsa.
“Come prima! Guarda, sono proprio contento di non avere a che fare con te dal punto di vista sentimentale, se sei sempre così, è una…”
Per la seconda volta in pochi minuti, fu interrotto da un bacio, ma stavolta era più preparato. La strinse subito a sé e rispose al bacio, poi si allontanò di qualche centimetro e la sgridò. “Allora è proprio un vizio!”
Lo sguardo dolce e la voce sussurrata che usò contrastava con le sue parole di biasimo. Zoe fece una smorfia buffa, poi aprì la porta e fece cenno al ragazzo di seguirla dentro l’appartamento. A Giacomo girava la testa e, lo sapeva, non era solo per l’alcol – anche se quello contribuiva senza dubbio alla causa. Erano i baci, ma era soprattutto il fatto di sentirsi dire da Zoe che lui era importante per lei. Era il fatto che adesso, raggiunta la camera, lei gli si era nuovamente buttata tra le braccia, baciandolo, e che così, nella penombra e nel silenzio quasi assoluto della stanza, poteva sentire, oltre al battito assordante del proprio cuore che martellava cercando di uscirgli dal petto, anche quello di Zoe, che pareva andare all’unisono col suo, altrettanto forte e altrettanto veloce.
L’urgenza con cui si baciarono gli disse che forse l’amicizia di cui parlava sempre Zoe non era del tutto normale nemmeno per lei; gli confermò che c’era dell’altro dietro a quella patina di imbarazzo che permetteva loro, da sobri, di sfiorarsi a malapena prima di sentire che qualcosa non quadrava; gli fece capire – ma già lo sapeva – che avevano perso un sacco di tempo a rincorrersi e negarsi un contatto che invece sembrava essere ciò per cui erano nati: baciarsi, stringersi, respirarsi a vicenda.
Senza rendersi conto di come fosse successo, Giacomo si ritrovò sul letto, steso sopra di lei, senza maglietta. Aprì gli occhi per guardare Zoe e la trovò bellissima, perfetta, con gli occhi serrati e la bocca ancora socchiusa; lei alzò quasi subito la testa per cercare di nuovo le sue labbra, e lui non la fece attendere, la baciò ancora e ancora, senza trattenersi, per poi lasciarle una scia di baci sul mento e sulla gola e sul collo.
Gli sembrò di non aver mai voluto nient’altro in tutta la sua vita, temette che fosse tutto un sogno, per quanto era contento, e infine, all’improvviso, sentì farsi strada dentro di lui la sensazione che ci fosse qualcosa di strano, qualcosa che non andava.
“Sei ubriaca,” mugugnò confuso, tra i baci.
Zoe ridacchiò. “Lo so, anche tu.”
“Siamo… Siamo ubriachi e… Zoe, no!”
La fermò di colpo, bloccò la sua mano che lo accarezzava sul petto e stava scendendo sempre più giù, e si allontanò da lei, spostandosi lo spazio sufficiente per riuscire a respirare senza prendere l’aria dalle sue labbra.
“Che c’è?” chiese lei, divincolandosi dalla sua presa e guardandolo storto.
“Siamo tutti e due ubriachi, Zò, e parecchio. Cazzo!”
Giacomo batté la mano sul materasso, frustrato, e sospirò forte per cercare di riprendersi.
“E quindi?” Zoe sembrava non capire il punto. “Siamo adulti e, mi pare, entrambi consentie… conze… cont…”
“Dai, non riesci neanche a dire la parola ‘consenzienti’, ti prego!”
Zoe rise e rotolò fino ad arrivare più vicina a lui, appoggiando la testa sul suo petto. Giacomo non poté fare a meno di condividere quel sorriso. La testa gli scoppiava e non voleva fare altro che stringere il corpo di lei, così vicino, non lasciarlo andare più tutta la notte. Ma non poteva. Non così, non per qualche ora soltanto, trovandosi poi il giorno dopo più lontano da lei che mai. Guardando il soffitto, sospirò nuovamente, cercando le parole per spiegarsi.
“Ragazzina, io lo vorrei, lo vorrei tanto, davvero. E non solo stasera. Ti voglio sempre, sei la cosa che più mi riempie i polmoni, il cuore, il cervello. E il fegato, quando mi fai arrabbiare. Per la maggior parte della mia giornata non faccio altro che pensare a te.”
Non sapeva se fosse una bella idea farle una dichiarazione in quel momento, da ubriaco, con la possibilità di pentirsene di lì a poche ore, ma ormai che aveva cominciato non riusciva più a fermarsi. Aveva ragione Niccolò, dannazione, non sarebbe mai riuscito a trattenersi.
“Sono pazzo di te, Zò, completamente, porca puttana. E mi dispiace, perché probabilmente non dovrei ma è colpa tua, tutta colpa tua. Ma non posso venire a letto con te ora, sarebbe un errore, me ne rendo conto persino da ubriaco fradicio. Se lo facessimo domani dovremmo fare i conti con troppe cose.”
Il respiro di Zoe si era fatto più regolare. Giacomo la guardò, accarezzandole piano i capelli. Probabilmente stava dormendo o si sarebbe addormentata a breve. Magari la mattina dopo non si sarebbe nemmeno ricordata quello che le stava dicendo.
“Già così sarà un casino,” concluse lui. “Zoe?”
Lei mugugnò qualcosa di incomprensibile.
“Buonanotte, Zò.”
















Se vi domandate con che coraggio io torni dopo una cosa come tre anni di mutismo, beh, tranquilli, me lo domando anch'io. La verità è che ho passato dei momenti strani con cui non voglio assolutamente stare qui ad annoiarvi ora, né a giustificarmi. Ora non riesco più a scrivere come una volta, questo è vero. Ma lasciare una storia che avevo già cominciato a pubblicare a metà - anzi, lasciarla quando mancavano solo pochi capitoli al termine - mi dava davvero un sacco di fastidio. Senza contare che parte dei capitoli finali era già scritta. Quindi mi sono rimessa di buona lena per cercare di terminare, mi è passata anche per l'anticamera del cervello l'idea di cancellare tutto e rimettere a posto - e ci sarebbe molto da riordinare in questa storia - ma il risultato, per ora, è questo capitolo. Che avevo iniziato a scrivere ancora anni fa e che ho dovuto rattoppare e modificare ora. E credo che si veda, perché può benissimo essere che troviate poca coerenza coi capitoli precedenti. Mi dispiace. Ma se c'è ancora qualcuno che è interessato a leggere - e recensire - io ne sarei grata. Le recensioni mi hanno sempre spinta a scrivere, anche le critiche.
Sto pubblicando alla velocità della luce, perché sono di fretta ma anche perché penso che potrei pentirmene, quindi se ci sono erroracci mi scuso in anticipo.
Spero di riuscire a terminare questo casino di storia in un tempo accettabile. Grazie dell'attenzione a chi è arrivato fin qui. :)




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Capitolo 25
*** Capitolo XIX ***



Capitolo XIX




Zoe si svegliò con la sensazione di essere stata malmenata la sera precedente: aveva la testa che letteralmente le scoppiava, mal di stomaco e c’era la non troppo vaga possibilità che se si fosse alzata avrebbe vomitato direttamente sul pavimento della propria stanza. Ah no, non era stata picchiata, si era ubriacata.
Complimenti Zoe, si disse mentalmente, bella sbronza, davvero.
Si voltò dall’altra parte, scombussolata, e si accorse che il letto era stranamente vuoto. Perché non avrebbe dovuto esserlo? C’era qualcosa che le sfuggiva…
Improvvisamente il suo cervello si accese, uscì dalla fase di dormiveglia e le parò davanti a tradimento una serie di immagini della sera precedente che la costrinsero a spalancare gli occhi e ad alzarsi di colpo, mettendosi seduta sul letto.
“Cazzo!” esclamò col cuore che le andava a mille.
“Buongiorno anche a te, principessina.”
Zoe si voltò verso il luogo dal quale proveniva la voce: Giacomo la guardava con un mezzo sorriso sulle labbra, seduto sulla sedia della sua scrivania. Giacomo che la sera prima aveva… era…
“Oddio!” le uscì, mentre i fotogrammi di ciò che era successo le passavano nuovamente dietro gli occhi, impedendo così al cuore di rallentare: avanti così e le sarebbe venuto un infarto nel giro di pochi minuti.
Giacomo rise, e finalmente, in quella risata un po’ tirata, le sembrò più nervoso di quello che voleva dare a vedere, teso, quasi spaventato. Perlomeno era umano anche lui.
“La mattina post-sbronza di solito hai anche apparizioni mistiche? O ti stavi riferendo a me? Perché non hai motivo per chiamarmi in quel modo, cioè, non ho ancora fatto niente…”
Zoe fece una smorfia, massaggiandosi inutilmente la testa. “Riesci a essere spiritoso anche ora, eh?” Bloccò sul nascere una sua eventuale risposta e continuò. “Da quant’è che sei lì a fissarmi, invece? Sei inquietante. Tipo stalker.”
“Che scema. In realtà mi sono alzato solo una mezz’ora fa, ho fatto anche il caffè. Ce n’è ancora, se vuoi te lo scaldo.”
“Mpfh. Non so se ce la faccio,” mugugnò lei tornando a stendersi e accartocciandosi su se stessa.
“Se mangi qualcosa poi magari puoi prendere un’aspirina per il mal di testa.”
“Messa così, la cosa è già più allettante.”
Giacomo sospirò. “So vendermi bene, di solito.”
Calò un silenzio di qualche secondo su di loro. Zoe ebbe l’impressione che Giacomo desse per scontato che lei avrebbe rinnegato tutto ciò che era successo la sera prima. Si sbagliava. Non sapeva ancora bene come reagire, ma era sicura che stavolta non avrebbe semplicemente potuto far finta di niente. C’era troppo in ballo.
Fu lui il primo a rompere l’atmosfera tesa, alzandosi e sfoggiando un nuovo sorriso. “Vado a prenderti il caffè, dai.”
“No, sei pazzo! Posso fare da sola, tranquillo…”
Vedendo come si era messa in piedi in fretta, per poi oscillare malamente e appoggiarsi al comodino, Giacomo scoppiò finalmente in una risata sincera. “Vado io! Tu fai un salto in bagno che mi sa che ne hai bisogno…”
La ragazza fece una smorfia desolata. “Cavolo, sì, cado a pezzi, vero?” Si passò la mano sul collo, poi un’altra ipotesi le passò per la testa, immobilizzandola. “O è perché puzzo?”
Lui rise di nuovo. “Ma no, ragazzina, lo dico per te. Una doccia in questi casi fa miracoli, ti può rimettere in piedi, io l’ho già fatta.”
Zoe annuì. Non poteva sapere che Giacomo si era a malapena trattenuto dal risponderle “no, sei una meraviglia anche adesso, come sempre”.

Dopo aver fatto la doccia, Zoe dovette dare ragione a Giacomo: stava decisamente meglio ora, parte del malessere era sceso nello scarico insieme all’acqua e anche i pensieri che le giravano come un vortice nella testa si erano un po’ riordinati. Non del tutto, ma era già qualcosa. Si fermò qualche istante prima di entrare nella camera, con in mano l’asciugamano per tamponarsi i capelli ancora umidi, infine si decise, prese fiato e spinse la porta. Giacomo era lì ad aspettarla, con una tazza di caffè fumante in una mano e un pacco di biscotti nell’altra.
“Senza zucchero,” le disse, porgendole il caffè.
Dannazione, la conosceva fin troppo bene. Zoe aveva la sensazione che qualsiasi cosa fosse successa in quella stanza di lì a pochi minuti, in qualche modo la loro amicizia non sarebbe stata più la stessa, mai. E quell’idea non le piaceva.
Si sedette sull’angolo del letto e masticò un paio di biscotti, poco convinta: aveva lo stomaco chiuso e non era solo per i postumi; aveva paura.
Giacomo sospirò. “Ok, questo clima mi sta uccidendo, ma almeno una cosa devo saperla. Cos’è che ti ricordi di ieri sera?”
“Più o meno tutto, credo.”
“Più o meno?”
“Beh, non posso mica saperlo!” sbottò Zoe, appoggiando la tazza per poter gesticolare liberamente. “Se non mi ricordo qualcosa non me lo ricordo, non è che mi ricordo di non ricordarlo!”
Giacomo la guardò per qualche istante, semiserio, dopodiché scoppiò a ridere. “Hai ragione, scusa. È che non eri messa benissimo.”
“Beh, neanche tu, sai, bello,” fece lei, incrociando le braccia e imbronciandosi.
Si guardarono per qualche secondo e lui continuò a sorriderle, cercando di essere incoraggiante, infine Zoe abbassò lo sguardo, sconfitta. “Comunque mi ricordo tutto. Non ho intenzione di trovare scuse.”
“Credo che tu ti sia addormentata sul più bello, però.”
“Mi stavo addormentando, sì, ma il mio cervello ha assimilato lo stesso parte delle tue parole.”
Il ragazzo sorrise amaro, cercando il suo sguardo. “E come mai non hai ancora tentato di uccidermi allora?”
Lei alzò gli occhi al cielo. “Ok, non sono molto sveglia in queste cose, ma non pensi che anch’io andando a sbattere più volte contro lo stesso muro dopo un po’ mi possa accorgere che è lì?”
Giacomo tacque un attimo, cercando il significato delle sue parole. “Vuol dire che sapevi già quello che provavo per te, ma hai fatto finta di niente?”
“Pioggia, non sto parlando solo di questo…” Sospirò forte, massaggiandosi il collo. “Dio, ha ragione tuo nonno. A volte sei davvero più tardo di me.”
“Che diavolo c’entra ora mio…?”
Zoe lo interruppe, decisa finalmente a dire ad alta voce una cosa che le ronzava in testa da quando si era svegliata. “Non sei solo tu, Pioggia, cazzo, magari fosse così! Non ti sei accorto che le ultime volte che ci siamo visti siamo sempre… ecco… che palle.”
La ragazza si alzò dal letto, cominciando a camminare nervosamente su e giù per la stanza. Era più difficile di quello che pensava.
Giacomo la guardava, seguendo ogni suo movimento con gli occhi, seduto sulla scrivania. “Non ci siamo visti molto spesso ultimamente.”
“Tu non stai seguendo il mio ragionamento.”
Lui ridacchiò. “Direi proprio di no.”
“Giacomo! Cosa ridi?”
“Scusa ma è più forte di me, quando fai così! Sei… sei carina.”
Zoe si prese il volto tra le mani, ferma in mezzo alla stanza, ma a una distanza ragionevole dalla scrivania. “Allora… Di recente, tutte le volte che ci siamo visti ci siamo… insomma, baciati.”
Lui sembrò rifletterci qualche istante. “Due settimane fa, quando sono venuta a casa tua, non è successo.”
“Certo che no! Sei venuto appositamente per negare che eri innamorato di me!” esclamò lei, con una smorfia. “Sarebbe risultato poco credibile se poi mi avessi baciata!”
“Non fare quella faccia, ci avevi creduto!” protestò lui.
“Perché era quello a cui volevo credere, Giaco, ma… Ciò che è successo a capodanno, a Mantova e ieri… È da un po’ che va avanti così.”
“Sarà mica solo colpa mia,” borbottò il ragazzo, sentendosi punto nel vivo.
“No che non lo è, era proprio a questo che volevo arrivare, se mi lasciassi finire il ragionamento.” Prese fiato, ancora impaurita da ciò che stava per dire. “Non può dipendere solo da te, Giaco, siamo in due e queste cose si fanno in due, anzi… Se non mi avessi fermata, ieri sera, forse sarebbe… Va beh, hai capito.”
Volse gli occhi verso Giacomo, il quale ora la guardava con un sorriso, un sorriso dolce, un sorriso che aveva visto altre volte sul suo volto, ma che non era mai riuscita a capire del tutto.
“Non guardarmi così,” lo pregò, sentendo che il proprio cuore stava per spezzarsi per la paura. Non si sentiva pronta a tutto questo.
“Così come?”
“Così!” rispose Zoe, il cui tono della voce stava assumendo una nota lievemente isterica.
Giacomo si alzò e fece due passi nella sua direzione.
Lei si ritrovò costretta ad allungare il braccio per mantenere una distanza di sicurezza tra sé e il ragazzo. “E stai fermo dove sei!”
“Eh! Non posso guardarti, non posso muovermi, c’è qualcosa che posso fare?”
“Respirare.”
Lui sorrise. “Simpatica.” Fece un altro passo verso di lei e Zoe, benché guardinga, gli permise di avvicinarsi e, addirittura, di darle una lieve carezza sulla guancia. “Zò, va tutto bene.”
Il suo sussurro, invece di calmarla, ebbe l’effetto di crearle ancora più disfunzioni fisiche e mentali: voltò la testa di lato perdendo il contatto visivo.
“Non va bene, Pioggia.”
“E cosa c’è di così tragico, dimmi.”
“Non dovremmo provare niente l’uno per l’altra.”
Giacomo si passò una mano tra i capelli. Non aveva idea di come tranquillizzarla, ma doveva tentare di farlo. “Forse era inevitabile che succedesse.”
“Oh no, invece, era evitabile. Penso che siamo entrambi molto confusi adesso.”
Lui ribatté quasi offeso, guardandola dall’alto. “Io non sono confuso. So bene che vorrei…”
Zoe lo interruppe, spaventata da quello che lui avrebbe potuto dire. “Non funzionerebbe, Giaco.”
“Cosa?”
“Noi due insieme. Non funzionerebbe mai.”
Giacomo sbarrò gli occhi: in effetti gli era parso fin troppo strano che Zoe avesse accettato che tra loro ci fosse qualcosa così, senza alcun problema. E d’altronde di problemi la ragazza se ne stava facendo a bizzeffe, com’era nella sua natura. “E come fai a esserne certa, scusa?”
“Siamo… Cazzo, Pioggia, siamo troppo diversi. Il fatto di provare qualcosa, chissà cosa poi, l’uno per l’altra non risolve le complicazioni che ci sono sempre state tra noi.” Zoe gesticolava, agitata, e si incagliava nelle parole, balbettava. Non ci voleva un genio per capire che era estremamente scossa, che stava tentando di razionalizzare ciò che sentiva. “Io sono una studentessa; tu sei… sei un cantante, un artista, stai per compiere ventitré anni, andare in tour per il nuovo album, avrai un sacco di ragazze che cadono ai tuoi piedi, alcune le conosco anche personalmente. Io sono di un paese vicino Mantova, tu sei salentino…”
“Lo sai che abito quasi tutto l’anno a Milano, adesso.”
Lei sbuffò, passandosi ripetutamente la mano sul collo e sul petto, come a proteggersi. “Non è solo questo…”
Giacomo, corrucciato, fece l’ultima domanda che lei si sarebbe aspettata. “C’entra Davide?”
“Chi?” Per un attimo sembrò che Zoe non avesse veramente idea di cosa stesse parlando l’altro, aggrottò la fronte e mise su una smorfia confusa, infine sospirò. “No, che c’entra Davide ora, non ci avevo neppure pensato… Non me ne frega niente di lui, Giaco, sono stata un’idiota, te l’ho detto ieri sera.”
“Hai anche detto che io sono più  importante.”
“E lo sei,” sospirò di nuovo, sconfitta. “Lo sei, ma… Insomma, questa cosa… Questo… Cioè, siamo confusi, non sappiamo neanche bene cosa proviamo…”
Giacomo la fermò. “Smettila di dire che siamo confusi, io so benissimo di essere innamorato di te. E mi dispiace, Zò, ma non ho dubbi al riguardo.”
Zoe lo guardò con tanto d’occhi. Aveva sproloquiato a lungo, cercando di rimandare il più possibile quel momento. “Cazzo.” Si lasciò cadere sul letto, sfinita, prendendosi la testa tra le mani. “Noi siamo diversi, non funzionerebbe, non…”
Lui le si avvicinò piano, cauto. “Va bene, ma non puoi decidere a prescindere come andrà una cosa.”
“Ho vinto una borsa di studio per andare in Canada quest’estate.”
Giacomo restò immobile e per qualche istante la scena si cristallizzò così, come una fotografia: lei seduta sul letto, la testa bassa, le mani aggrovigliate, lui in piedi lì davanti, la fronte aggrottata, gli occhi puntati sulla nuca della ragazza. Poi Giacomo aprì la bocca.
“Cosa… Cos’hai vinto?” sfiatò a voce bassissima.
“L’avevo fatto mesi fa, me n’ero anche quasi dimenticata,” spiegò Zoe, tenendo lo sguardo sempre ben piantato a terra. “Ho partecipato a un concorso dell’università per una vacanza studio oltreoceano. Avevo messo il Canada come prima scelta. Ieri mi hanno detto che il ragazzo che doveva andare si è appena ritirato e che io sarei la sostituta. Devo dare conferma entro qualche giorno al massimo.”
“Vacanza studio? Quanto durerebbe?”
“Un paio di mesi, un po’ di più.”
“Quindi partiresti tra poco.”
Zoe annuì. “Tra meno di un mese, a metà giugno, e tornerei a fine agosto.”
Calò di nuovo un silenzio pesante e carico di sottintesi. Stavolta fu lei a romperlo, parlando di nuovo.
“Non funzionerebbe, Giaco, perché io tra poco partirò per il Canada per due mesi e mezzo, e non possiamo iniziare una relazione sapendo già che dobbiamo separarci a breve. Iniziare con due mesi di distanza, due diversi fusi orari, impegni continui, tu col tour, io con le lezioni e tutte le cose da fare là… Impazzirei. E anche tu.”
“Non puoi saperlo, a volte succede che…”
Zoe lo fermò. “Non sei convinto neanche tu di quello che dici. È una situazione che peserebbe a entrambi, senza contare tutti gli altri problemi, e Giacomo, quando dico che siamo incompatibili da un punto di vista romantico, lo penso veramente.”
“Non partire.”
Giacomo l’aveva detto senza pensare, di getto, quasi a mo’ di supplica. Sapeva che era sbagliato chiedere a Zoe di non partire, di non cogliere un’occasione del genere, solo per rimanere con lui, ma l’idea di allontanarsi da lei per tanto tempo lo terrorizzava e lo allarmava. In due mesi e mezzo potevano succedere una miriade di cose. Forse era un ragionamento egoista, ma lui la voleva lì.
La ragazza lo guardò stupita e infine sbuffò. “Non puoi chiedermelo.”
“Lo so. Scusa. Ma Zò, la nostra occasione è ora, non tra due o tre mesi. Non puoi continuare a scappare come hai sempre fatto.”
“Non sto scappando!”
Giacomo a quel punto sentì qualcosa di caldo e potente salirgli al petto. Sfortunatamente per Zoe, stavolta non era né amore né tenerezza, era una rabbia forte e atavica, legata alla sensazione di venire rifiutato di nuovo.
“Sì che stai scappando, Zoe, e l’hai sempre fatto da quando ti conosco!” La sua voce si era decisamente alzata, tanto che la ragazza non poté fare altro, per il momento, che rimanere zitta a guardarlo, stupita dalla sua reazione. “Scappi da me, da ciò che posso significare, dalla paura di avvicinarti troppo a qualcuno, in generale. E sono davvero stufo di questo tuo negare l’evidenza.”
A quel punto anche Zoe si riscosse, turbata. “Beh, se sei stufo di me nessuno ti obbliga a restare qui.”
“No, nessuno mi obbliga a farlo. Ma ci tengo a te e l’ho dimostrato diverse volte, mi pare. Invece tu non riesci a metterti d’accordo con te stessa su ciò che vuoi o non vuoi.”
Lei lo fissò indecisa se arrabbiarsi a sua volta o se essere mortificata dalle sue parole. Sapeva che in parte erano dettate dalla rabbia, ma leggeva anche molta verità al loro interno. “Giacomo non… Cioè, cosa dovrei fare? È vero, non mi espongo facilmente, ma non è semplice nemmeno per me. Mi fido di te come amico, ma non so se da un altro punto di vista io… noi…” Sospirò, furiosa con se stessa e incapace di completare, persino nella propria testa, quello che voleva dire. “Sei un cazzo di cantante! Andrai in tour, avrai ragazze spiaccicate addosso… È vero, ok? Non voglio rischiare. Non voglio trovarmi col cuore di nuovo calpestato, non da te, ci tengo troppo. Perderei un’occasione importante per qualcosa che non so neanche se… Io non… non voglio.”
“Quindi basta? Chiuso tutto così e amici come prima?”
La voce di Giacomo era ancora velenosa, ma era anche delusa ed estremamente rattristata. Zoe non sapeva come spiegargli che non voleva ferirlo, ma aveva paura. Non voleva più sentirsi così vulnerabile con lui, o andare in confusione a causa di quei suoi dannatissimi sguardi disperati, come l’occhiata che le stava lanciando in quel preciso momento.
“Giaco… Non possiamo solo aspettare e vedere che succede quando torno?”
“Te l’ho detto. Il nostro momento è adesso.”
Zoe sbuffò contrariata. “Chi lo dice? Cioè…”
Lui la interruppe, parlò con una voce dura e definitiva che non aveva mai sentito prima. “La verità è che tu stai rimandando di nuovo. E poi lo farai ancora, e ancora… Se non sei pronta non è un problema mio. Mi dispiace ma adesso… Non puoi dirmi di provare qualcosa per me e poi scappare, pretendendo che nel frattempo resti qui da bravo amico innamorato ad aspettarti.”
“Non ho mai detto questo!”
“Ma non potrei fare diversamente adesso! Impazzirei aspettandoti, non è giusto, non puoi farmi questo. Ho bisogno di te adesso, Zoe…”
Dicendole questo si era abbassato e guardava lei, ancora seduta sul bordo del letto, dritto negli occhi, avvicinò una mano al suo viso, lentamente, come impaurito che potesse spostarsi.
“Zoe,” ripeté, deciso, “resta con me adesso. Possiamo funzionare, io lo so.”
La ragazza chiuse gli occhi, respirando a fondo. Si godé la sensazione della sua mano che le sfiorava il viso, sospirò ancora, tremò forte, cercò di riordinare nella sua testa delle idee che fino a poco tempo prima non sapeva neanche di avere. Non gli voleva dire di no, sentiva in fondo che una parte di lei desiderava fare ciò che lui le chiedeva, ma non era pronta neppure a buttarsi tra le sue braccia, subito, rinunciando al Canada e alla propria indipendenza. Giacomo la stordiva, la disorientava, era troppo presto per decidere su due piedi una cosa tanto importante, aveva paura e non capiva nemmeno bene di cosa. Alla fine aprì gli occhi e parlò, sfuggendo accuratamente al suo sguardo, per evitare di andare ancora in confusione.
“Io… Non posso non partire, Giacomo.”
Lui accusò il colpo sbattendo solo le palpebre. “Quindi è un no?”
“È un… non so. So solo che non puoi chiedermi di non partire.”
La voce le uscì molto più dura di quanto avrebbe voluto.
“Perfetto.”
Giacomo si alzò, cominciando a sistemare le sue cose. Il borsone era già pronto in un angolo, Zoe sapeva che ci avrebbe messo poco a prendere baracca e burattini e uscire dall’appartamento. Una parte di lei voleva fermarlo, chiedergli tempo, pregarlo di non rinunciare; ma l’altra parte, quella più spaventata e confusa, le diceva era tutto un terno al lotto, che muovendosi in quel momento avrebbe fatto del male a entrambi.
“Perfetto,” ripeté lui. “Immagino significhi che la tua decisione l’hai già presa.”
Zoe fu sul punto di fermarlo almeno quattro volte. Quando, alla fine, sentì il rumore della porta d’entrata che si chiudeva con uno schiocco, percepì qualcosa rompersi all’altezza del proprio cuore. Finalmente poté stendersi a letto e piangere.

Nelle settimane successive Zoe non ebbe il coraggio di affrontare Giacomo. Sapeva che l’amico aveva il diritto di essere arrabbiato, in fondo, ma in cuor suo sperava che fosse lui a rompere il silenzio e telefonarle. A volte provava una forte rabbia nei suoi confronti, e si sentiva trattata in modo ingiusto: lei non era semplicemente pronta, era così difficile da capire? Dio, la verità era che si sentiva soprattutto furiosa con se stessa, e quando se ne rendeva conto non poteva fare altro che darsi dell’idiota. L’aveva lasciato andare via e adesso aspettava, immobile, che  lui tornasse indietro a cercarla, che la rassicurasse e le dicesse che tutto sarebbe andato bene.
Ne aveva parlato con Aurora, ovviamente, che pur essendo d’accordo con lei sul fatto che lui aveva sbagliato a chiederle di non partire, non riusciva a capacitarsi del perché Zoe non lo chiamasse buttandosi tra le sue braccia e chiedendogli di aspettarla e di spedirle in Canada tante lettere d’amore. Il succo più o meno era questo. Zoe era stata indecisa se mandarla al diavolo o se lanciare fuori dalla finestra la dignità e la paura e gettarsi davvero tra le braccia di Giacomo. In fondo era quello che voleva, poteva cercare di negarlo, ma andava sempre a sbatterci la testa contro, alla fine: era cotta di lui.
Quand’era successo? Aveva sprecato così tanto tempo a impedirsi di provare qualcosa per Giacomo che non si era nemmeno accorta che, ormai, lui le si era già infilato sottopelle, di nascosto. Come se dovesse essere per forza così, come se la loro cosiddetta amicizia non fosse altro che un semplice passaggio, un inizio di qualcosa di più. A ben pensarci – e negli ultimi giorni non aveva pensato quasi a nient’altro, con gran divertimento delle persone intorno a lei, che spesso sospiravano divertite nel trovarla completamente immersa nei suoi mondi, lo sguardo vacuo e perso – aveva sempre, fin dall’inizio, provato qualcosa di strano quand’era con Giacomo. Con lui stava bene, era quasi sempre rilassata e a proprio agio, e questo le aveva fatto credere fin da subito che tra loro non potesse esserci altro che una bella amicizia. Era come se lei pensasse, già dai tempi del liceo, che provare qualcosa di romantico per qualcuno dovesse per forza comportare un imbarazzo totale e un brutto disagio nel rapportarsi con tale persona; come se l’essere innamorati significasse in qualche modo anche stare scomodi nella propria pelle. Ma era davvero così? Zoe si era sempre sentita a disagio con Alessio, il ragazzo con il quale aveva perso la verginità, e lo stesso con Davide. Ma alla fine entrambi si erano rivelati degli stronzi completamente presi da se stessi. Con Giacomo, invece, stava bene e si sentiva tranquilla e rilassata, era vero, ma ciò non significava che non ci fossero stati degli strani segnali tra loro. C’era quel formicolio alla base dello stomaco che la prendeva quando lui le si avvicinava troppo, ad esempio, o il fastidio che aveva provato nello scoprire che l’amico aveva ricominciato a vedersi con Beatrice, qualche settimana prima. C’era il fatto che, dopo aver passato un po’ di tempo con lui sorrideva per un giorno intero come un’idiota; che sentire la sua voce la rendeva felice e la tranquillizzava qualsiasi cosa le fosse successa; che ultimamente non riusciva a fare a meno di pensare alle sue labbra sulle proprie, al suo modo di sorriderle, di abbracciarla, di dirle che era bella. Magari si era sempre sbagliata, non era necessario sentirsi a disagio per capire di provare qualcosa per qualcuno. Anzi, forse era esattamente il contrario: perché l’unica persona che voleva accanto in ogni istante, di recente, era anche il solo ragazzo con cui si fosse mai sentita completamente a proprio agio, a posto nella propria pelle, che la facesse stare bene.

Quel soleggiato giorno di giugno, Zoe camminava per Padova a caccia delle ultime cose utili alla partenza. La sera stessa sarebbe tornata a casa sua, dalla famiglia, e avrebbe cominciato a preparare le valigie per la partenza, prevista sei giorni dopo da Milano. Era, come sempre, immersa nei propri pensieri, quindi non si accorse del ragazzo che cercava di attirare la sua attenzione fino a che lui non le si avvicinò deciso e le posò una mano sulla spalla.
Zoe sobbalzò penosamente e si voltò, trovandosi di fronte il viso di Andrea.
“Ciao,” le fece lui, cordiale.
“Ehi, ciao, non ti avevo sentito arrivare, mi hai fatto prendere un colpo!”
“Oh meno male, pensavo non volessi salutarmi,” ridacchiò Andrea. “Che fai?”
Lei alzò le spalle. “Vado in giro, devo fare spese dell’ultimo minuto. Parto per il Canada tra meno di una settimana. Tu?”
“Niente, arrivo dall’università. Ma la tua storia è più interessante… Canada, eh?”
“Sì. A meno che mia sorella non mi uccida appena metto piede in casa, dal momento che ho rovinato tutta la storia con Giacomo e rimarrò zitella a vita, dice lei, e che…”
“Frena frena frena!” la interruppe lui, confuso. “Giacomo? Canada? Che cavolo stai combinando?”
“Oddio, sono proprio un disastro. Non dovrei raccontare a te certe cose…”
“Senti, io ora sono libero, ti va un gelato? Così mi spieghi per bene che succede, se vuoi, oppure mangiamo solo un gelato, che non fa mai male.”
Zoe tentennò. Andrea era un suo ex ragazzo, era vero, ma si era sempre rivelato un ascoltatore attento e, ultimamente, quelle poche volte che si erano visti, un buon amico. E lei, forse, aveva proprio bisogno di parlare con qualcuno che fosse estraneo a tutta la vicenda, che sentisse e basta ciò che lei aveva da dire, senza implicazioni o sguardi di rimprovero.
“Ok,” accettò infine, e il ragazzo le regalò un bel sorriso rassicurante.
“Bene, vieni con me allora. Conosco un posto.”

Un’ora più tardi, Zoe sospirò, esausta. Si era letteralmente svuotata, raccontando tutta la storia ad Andrea che, come previsto, l’aveva ascoltata con attenzione, intervenendo per qualche domanda e un paio di battute. La ragazza si rese in quel momento conto che, in effetti, non aveva dato tanti dettagli della vicenda a nessuno, nemmeno ad Aurora. Forse aveva anche esagerato, ecco.
“Oh, scusami, avevo solo bisogno di sfogarmi,” si giustificò subito, pentendosi di aver costretto il ragazzo in quella situazione.
“Ho notato, sì,” le rispose lui, sorridendo pacifico.
“Ti ho sovraccaricato, vero?”
“Ma figurati, mi fa piacere che riusciamo a parlare così. E poi, onestamente, ho sempre sospettato che con quel Giacomo ci fosse qualcosa di più di quello che volevi dare a vedere.”
“Non c’è mai stato niente prima di adesso! Cioè, non mentre stavamo insieme io e te, eravamo solo amici e…”
Andrea la fermò, ridacchiando. “Lo so, lo so, stai tranquilla! Ma per un’amicizia del genere, era mio dovere essere geloso.”
“Mi è dispiaciuto esserci persi di vista, sai. E anche che non abbia funzionato tra noi, tu sei l’unico ragazzo degno di fiducia che abbia frequentato.”
Lui scrollò le spalle e si sedette più comodo sulla panchina. “Nah, eravamo fin troppo simili per stare assieme.”
“Su questo forse hai ragione. L’essere umano è fatto per complicarsi la vita.”
“Tu sei maestra nel complicarti le cose, sì. Se guardi bene, c’è quasi sempre una prospettiva più semplice del previsto.” La guardò, facendole un sorriso. “Anche adesso.”
Zoe sbuffò. “Per me, dici? Io non le so vedere le cose semplici.”
“Beh, tu piaci a Giacomo e lui piace a te. Non è così difficile.”
“Oh, sì, certo,” rispose lei con un tono pesantemente sarcastico, “così tutto il resto sparisce. Come il Canada, o il suo tour, o la nostra amicizia ormai rovinata, o il piccolo insignificante dettaglio che lui non vuole più parlarmi.”
“Io capisco, Zoe, davvero, ma tu in realtà non gli hai detto cosa provi per lui. Forse la situazione in quel caso cambierebbe un tantino.”
“Ma come faccio a dirglielo? Dai!” La ragazza si prese la testa tra le mani, scoraggiata. “Ho paura di invadere i suoi spazi, di essergli d’intralcio. Non posso chiedergli di aspettarmi e non posso infilarmi nella sua vita così, qualche istante prima di partire. Sarebbe ingiusto nei suoi confronti.”
“Zoe, ma sono poco più di due mesi, non dieci anni in guerra!”
“Ma io mi conosco, farei casino! In due mesi sono capace di cambiare idea quindicimila volte e poi di tornare, non sentirmi a mio agio… Non posso fermarlo e impedirgli di viversi quest’estate di concerti e… Chissà quante cose potrebbe fare senza il peso di tutto quello che c’è e che non c’è tra noi a bloccarlo.”
“E lui cosa ne pensa?”
Zoe sospirò, provando una stretta allo stomaco nel pensare da quanto tempo non sentiva la voce di Giacomo. Le mancava da morire. “Non lo so, ti ho detto che non ci sentiamo.”
“Magari vorrebbe avere tutte le informazioni e poi decidere lui stesso, da solo, cos’è giusto nei suoi confronti. Se fossi al suo posto, io lo vorrei.”
“Che intendi?”
“Gli hai almeno fatto sapere quand’è che parti?”

Niccolò entrò nell’appartamento sbattendo la porta come al solito e salutando allegramente chiunque fosse in casa, dopodiché iniziò a fischiettare un brano dei Jam Session. Giorgio alzò gli occhi al cielo e Giacomo sbuffò: normalmente era lui stesso ottimista e solare di natura, ma di recente trovava l’allegria dell’amico quantomeno noiosa.
In realtà, Niccolò aveva tutte le ragioni per essere su di giri: il cd stava andando abbastanza bene ed era appena iniziata, per il gruppo, la fase più bella e stancante, fatta di concerti e apparizioni in giro per farsi conoscere. Di lì a poco sarebbero dovuti andare in Puglia, ma al momento stavano suonando in qualche locale a Milano e dintorni, e avevano ricevuto anche diverse richieste di collaborazioni. Insomma, stava andando tutto a meraviglia.
A parte per Giacomo, che si doveva sforzare giorno dopo giorno per non prendere il telefono e chiamare Zoe, cercando di ricordarsi perché era arrabbiato con lei, dal momento che se lo dimenticava di continuo. Ma lei non l’aveva fermato quando se n’era andato da Padova e nelle ultime settimane non l’aveva mai cercato, e il ragazzo viveva tra la voglia di vederla, la rabbia per l’essersi innamorato di una persona tanto scostante e spaventata, e l’ansia di alzarsi una mattina e scoprire che l’aveva persa definitivamente.
I suoi amici, sapendo tutta la storia, cercavano ogni giorno un modo diverso di tirarlo su di morale. Niccolò in particolare, che di solito era un ficcanaso e un chiacchierone, aveva capito quanto la faccenda fosse seria questa volta – Giacomo in realtà sospettava che ci fosse lo zampino di Giorgio, il batterista, perché normalmente il suo amico d’infanzia non si sarebbe fatto tanti scrupoli. Comunque, qualsiasi cosa avesse fatto il terzo coinquilino aveva funzionato, dal momento che Niccolò invece di tartassarlo di domande e snervarlo con i suoi soliti consigli, si era dimostrato nelle ultime settimane piuttosto discreto, limitandosi a dei commenti ogni tanto e poco più.
“Ragazzi,” esordì Niccolò, entrando in sala, “devo andare a farmi una ricarica e penso che passerò anche al supermercato, voi avete bisogno di qualcosa?”
Giorgio scrollò la testa. “Prendi il latte, che l’hai finito stamattina.”
“Già segnato. Giacomo?”
“Perché sei rientrato se dovevi fare la spesa?”
“Volevo chiedere ai miei amici di cosa avevano bisogno,” gli rispose Niccolò dandogli un buffetto sulla testa.
“Mah, sei strano.”
“Sì, certo, sarai normale tu, Mister Simpatia!”
Niccolò fece per uscire di nuovo, quando si ricordò di qualcosa e si girò di nuovo verso il tavolo della cucina, guardando gli altri due. “A proposito Gia’, mi ha chiamato Zoe questa mattina.”
Giacomo sentì il proprio cuore fare una buffa giravolta e si voltò a guardare l’amico talmente di fretta che per un attimo non fu sicuro che il suo collo avrebbe retto. “Chi?” sfiatò sorpreso.
“Zoe. Penso tu sappia chi è.” Gli lanciò uno sguardo di rimprovero prima di continuare. “Dice che parte questo sabato alle undici da Malpensa e che ci teneva a farcelo sapere. Dice che ha chiamato me perché – parole sue – non è sicura che tu voglia parlarle.” Fece una pausa, contemplando l’espressione basita dell’amico. “E non dice, ma si capisce molto chiaramente, che muore dalla voglia di vederti e che dovresti andare a trovarla. E io dico che siete due idioti.”
Giacomo sbuffò. “Fatti gli affari tuoi, Conte.”
“Che frase originale. Non commento ulteriormente solo perché tra mezz’ora mi chiude il supermercato. Idiota,” concluse chiudendosi la porta alle spalle, non prima di aver lanciato a Giorgio un’esasperata occhiata di supplica, che il terzo, per fortuna, non notò.
Giacomo si alzò in piedi, scombussolato, avviandosi verso la propria stanza. Aveva bisogno di riordinare le idee e di ricordarsi, di nuovo, cosa lo stava spingendo a stare lontano da Zoe.
Fu Giorgio a fermarlo, chiamandolo. “Gia’.”
“Sì?”
“Vieni qui, devo dirti una cosa.”
Giorgio era una persona schiva e piuttosto riservata. Sapeva essere di compagnia quando c’era da divertirsi, quello sì, ma Giacomo non l’aveva mai visto ficcanasare negli affari altrui, né parlare troppo dei propri, né tantomeno fare discorsetti paterni a lui o Niccolò, seppure fosse più grande di loro di qualche anno. Ma quando lo guardò capì perfettamente che l’amico voleva parlargli di Zoe e, anche se non era sicuro di essere pronto a confidarsi con qualcuno, una parte di lui fu sollevata: se Giorgio gli avesse fornito una soluzione, non avrebbe dovuto pensarci lui stesso. E stavolta, Giacomo era davvero in crisi.
Giorgio aspettò che l’amico si sedesse, poi parlò. “Sabato vai a salutare Zoe, vero?”
L’altro tentennò. “Non so. Non credo.”
“Beh, so che non sono affari miei. E tu mi conosci, non mi impiccerei se non fosse che ti vedo davvero uno straccio ultimamente. Ma non mi sembra che la situazione sia irrimediabile.”
“In che senso?”
Giorgio lo guardò come se fosse un po’ suonato. “Ti ha chiesto di andare a salutarla.”
“Ma se non ha nemmeno chiamato me!”
“Ha chiamato Niccolò per non essere invadente nei tuoi confronti. Sei un ragazzo sveglio, Giacomo, non smettere di ragionare proprio adesso. Io non sono Freud, ma mi pare che la ragazza sia spaventata quanto te.”
“Ha detto che siamo incompatibili.”
Giorgio sbuffò, sembrava quasi seccato di dover perdere tempo a spiegare cose tanto semplici. “Ti ricordi che quando firmammo il contratto e ci trasferimmo a Milano, io e Camilla avemmo dei problemi?”
L’altro annuì. Camilla era la ragazza di Giorgio da ormai diversi anni; Giacomo ricordava vagamente che tra loro c’era stato un momento di crisi nel periodo del trasferimento, ma, essendo l’amico così riservato, si era tenuto quasi tutto per sé e né lui né Niccolò avevano mai capito bene cosa fosse successo. Sapevano solo che dopo i due erano tornati a essere più uniti che mai, tanto che ora la ragazza si stava appunto per trasferire lei stessa a Milano, per vivere col fidanzato.
Giorgio vide il suo assenso e continuò. “Non è che lei non volesse che mi trasferissi, o che mi volesse fermare. Solo, aveva paura che ci saremmo allontanati troppo, che a distanza non avremmo funzionato. Andò totalmente in crisi, io aspettai e cercai di tranquillizzarla. A volte lo devo ancora fare, pure ora.”
Giacomo fece una smorfia poco convinta. “Non so, Gio, non credo sia solo questo. Dice che siamo incompatibili, che non possiamo stare insieme. Non penso sia solo per la distanza.”
“Non è solo per la distanza infatti. A me sembra che abbia paura di mettersi in gioco, in tutto e per tutto. Poi magari sbaglio io, ma facendo così finirà che te lo chiederai per sempre.”
Questo Giacomo lo sapeva bene: da un lato voleva che fosse Zoe a cercarlo, dall’altro però sapeva che stando immobile avrebbe avuto per sempre dei rimorsi e si sarebbe domandato se le cose avrebbero potuto andare diversamente. Scrollò di nuovo la testa, indeciso, prima di parlare per esporre il suo ultimo dubbio. “E se avesse ragione lei? E se alla fine saltasse fuori che non siamo fatti per stare insieme? Ci ho pensato sai, potrebbe anche avere senso.”
“Questo non lo puoi sapere in anticipo, è vero. Ma sei davvero disposto a lasciarla andare via senza nemmeno salutarla?”

Quel sabato mattina Zoe si era svegliata molto, molto presto, terrorizzata all’idea di arrivare in ritardo anche quella volta – e si trattava di un aereo, non certo di correre un po’ per prendere un treno o per arrivare a lezione. Aveva costretto anche le sue sorelle – le quali avevano insistito per accompagnarla in aeroporto con Marco, ragazzo di Ginevra – ad un’alzataccia; ed ora si trovavano appunto a Malpensa, dove erano arrivati con largo anticipo.
Si rendeva conto che Giacomo avrebbe dovuto essere l’ultimo dei suoi problemi in quel momento: stava per prendere un aereo per il Canada, era un viaggio, considerato anche lo scalo, di più di dieci ore. Eppure, non riusciva a smettere di pensare a lui. Aveva fatto bene a chiamare Niccolò o si era esposta troppo per una persona che, in realtà, non voleva più vederla? Oppure, al contrario, avrebbe dovuto chiamare proprio Giacomo, rischiando una batosta colossale, ma anche dimostrandogli quanto ci tenesse davvero a lui? Non sapeva darsi delle risposte. C’era solo una cosa certa: dal momento che non aveva più avuto sue notizie in quei giorni, evidentemente Giacomo era ancora arrabbiato con lei e non aveva voglia di starle dietro.
Nonostante ciò, ingenuamente, Zoe ogni tanto continuava a lanciare delle occhiate in giro, nella speranza che l’amico avesse cambiato idea all’ultimo. Quando lo faceva, Viola e Ginevra la guardavano con un misto di apprensione e condiscendenza, o almeno a lei pareva così. Si sentiva davvero una stupida: aveva rovinato una delle cose più belle della sua vita e si rendeva conto che ormai non c’era più tempo per rimediare.
Mentre Viola cercava di distrarla elogiando la bellezza dei ragazzi canadesi e parlandole in particolare di un biondo giocatore di hockey che aveva notato alle Olimpiadi Invernali, Zoe ebbe un tuffo al cuore. Alle spalle della sorella aveva visto una chioma che le pareva conosciuta, quella di Niccolò per la precisione, ma subito dopo la testa era sparita dietro un gruppo di indiani appena sbarcati che cercavano di capire da che parte fosse l’uscita.
Bene, probabilmente ho pure le allucinazioni, pensò tornando a concentrarsi su Viola, per quanto le fosse possibile. Non poteva più rimandare di molto, aveva già fatto il check-in ma di lì a mezzora avrebbe dovuto comunque muoversi e mettersi in coda per i controlli.
“Oh, guarda chi c’è!” esclamò Ginevra con un sorrisone, lo sguardo fisso su di un punto dietro le spalle della sorella minore.
Zoe si voltò di scatto, come se fosse stata morsa da un serpente velenoso, proprio mentre Viola esclamava su di giri: “Niccolò!”
“Ciao a tutti!” salutò lui, sorridente come sempre. “E buongiorno a te, bella viaggiatrice, è da un secolo che non ci vediamo,” continuò il ragazzo rivolto a Zoe, abbracciandola brevemente.
Gli occhi della ragazza, però, erano già stati calamitati da Giacomo, che era in piedi lì di fianco e, a onor del vero, sembrava piuttosto sulle spine. Zoe sentì distintamente il proprio cuore mancare un battito, nel momento in cui si rese conto era venuto a salutarla, che era lì davvero, e si accorse anche di quanto le fosse mancato.
“Guarda chi ti ho portato,” trillò festoso Niccolò, quasi a sottolineare l’ovvio, dal momento che tutti i presenti si erano già accorti di come i due ragazzi si stessero fissando da qualche istante.
A quel punto, Giacomo fece un passo avanti, abbozzando un mezzo sorriso che fece perdere un altro battito al cuore ormai malandato della povera ragazza.  “Ehi…”
Zoe rimase paralizzata. “Ciao,” riuscì a malapena a rispondergli.
Il silenzio successivo rese chiaro a tutti che i due avevano bisogno di un po’ di intimità. Anche lo stesso Giacomo se ne accorse dopo diversi secondi, perché esitò un po’ e infine parlò direttamente a lei, speranzoso. “Vieni un attimo?”
Zoe annuì. Ebbe l’impressione, non appena lo fece, di sentire almeno un paio di persone attorno a sé sospirare di sollievo, ma non ci fece caso. Seguì invece Giacomo, che nel frattempo si muoveva a zig zag tra la gente, in cerca di un posto almeno un pochino più riparato. Ovviamente non trovò niente di troppo tranquillo, così dovette accontentarsi di un angolo a caso, dove almeno era sicuro che non avrebbero intralciato nessuno.
Appena fermi, la ragazza parlò ancora prima di guardarlo, convinta che se avesse aspettato avrebbe perso il coraggio. Voleva essere sincera con lui, almeno adesso, glielo doveva. “Non pensavo saresti venuto.”
“Beh, non potevo lasciarti andare senza neanche salutarti.”
Zoe notò come lui, nel parlare, avesse alzato leggermente le spalle, portandosi una mano sulla base della nuca, e la familiarità di quel gesto le fece stringere lo stomaco per qualche secondo: lo faceva sempre quand’era agitato. Si sentì un’idiota per non averlo chiamato in quel mese. “Giacomo… Mi sei mancato.”
Lui le sistemò un ciuffo dietro un orecchio, soffermandosi un attimo a carezzarle la guancia. “Tu mi mancherai,” sussurrò, guardandola negli occhi. “Mi mancherai da morire, e credo sia peggio.”
“Pioggia…”
“No, ascolta. Avevi ragione, ok? Io e te probabilmente siamo incompatibili. Come coppia forse non funzioneremmo, a prescindere da quello che provo per te. Vorrei solo…” sospirò, passandosi una mano tra i capelli, poi riprese. “Vorrei aver passato più tempo con te in queste settimane, vorrei non averti lasciata andare così facilmente. Adesso tu parti per più di due mesi e io mi sto già pentendo di averti negato la mia presenza proprio ora che ne avevi più bisogno, e di averti tenuta a distanza in quest’ultimo periodo.”
“Avevi le tue ragioni, Giaco, io non mi sono comportata bene.”
Lui la guardò, sentendo il proprio cuore stringersi dolorosamente. Era per quel motivo che aveva avuto tanta paura di venire a salutarla: non era davvero arrabbiato con lei, né deluso, aveva solo il terrore di starci troppo male, di non riuscire a lasciarla andare.
“Io non… Siamo stati due cretini.”
“Lo so.”
“Vieni qui, ragazzina.”
La abbracciò forte, respirando finalmente il suo profumo. Si soffermò più del dovuto in quella stretta, notando che lei lo ricambiava con la stessa intensità.
“Stiamo diventando un po’ troppo sentimentali,” commentò infine, allontanandola gentilmente.
Zoe sorrise, inquieta. “Perché non sai ancora cosa sto per dirti.”
“E cosa?”
Lei sospirò, pensando alle parole giuste: aveva deciso di essere totalmente sincera con lui ed era l’ultima occasione che aveva prima di partire. Non c’era tempo per le indecisioni adesso.
“Credo di aver sbagliato, Giaco, non penso che siamo incompatibili. Ci ho pensato tanto, fin troppo e…”
“Sai che novità,” la canzonò lui, con un sorriso ironico sul volto.
“Guarda che sono seria.”
“Non farlo, Zò,” la interruppe di nuovo, deciso. “Non dire cose di cui potresti pentirti, solo perché ti sono mancato. Ci farebbe male e tu stai per partire, voglio che tu vada via tranquilla.”
“Per partire tranquilla ho bisogno di essere sincera con te almeno adesso,” ribatté lei, con un coraggio e una sicurezza che non sapeva da dove venissero fuori. “E la verità è che sono stata una codarda.”
“Ma non avevi tutti i torti. Non sappiamo come potrebbe andare. Siamo diversi.”
“L’unica vera differenza che vedo ora tra me e te è che tu almeno sei riuscito ad accettare di essere innamorato di me.”
Giacomo trattenne il fiato, sperando di aver compreso bene il significato delle parole di Zoe. “In che senso?”
“L’ho già detto, sono stata una codarda. E lo sono ancora e…”
Lui fece un passo nella sua direzione e Zoe smise di parlare. Sapeva di essere dura da capire, ma sperava con tutto il cuore che Giacomo avesse intuito ciò che voleva dirgli, perché non era ancora pronta a dire di più, non sapeva se fosse la cosa giusta, non…
Poi Giacomo la baciò e tutto il resto sparì, di nuovo. Poteva essere spaventata quanto voleva, poteva non avere le idee ben chiare, ma quando lui la baciava, sentiva che quello era l’esatto posto dove avrebbe dovuto essere. Respirò il suo respiro e gli gettò finalmente le braccia al collo. Giacomo la baciava come se sapesse se non avrebbe potuto farlo per molto tempo, stringendola a sé, tremando.
“Ti avevo detto di non dire niente,” le sussurrò con voce leggermente roca, quando si staccò da lei.
Zoe, come riposta, lo baciò di nuovo, senza prendersi il tempo per pensare. Lo baciò e lo baciò ancora e quando smise di farlo incastrò il viso sul suo collo, continuando a stringersi a lui.
“Bene. Adesso non voglio più partire,” disse sottovoce.
“Se lo dici di nuovo ti prendo di peso e ti faccio scappare da qui immediatamente.”
Zoe lo guardò con degli occhioni liquidi. “Adesso non voglio più…”
“Zò,” la fermò lui, sorridendo. “Fa’ la brava.”
Lei si mise stupidamente a ridere e si allontanò di qualche centimetro, guardandosi i piedi.
Fu di nuovo Giacomo a parlare per primo. “Mi dispiace di averti chiesto di non partire un mese fa. Non avrei dovuto farlo.”
“No, Pioggia, basta con questa storia. Ascolta una cosa. Non voglio che questo adesso cambi qualcosa, che ti freni. Se entrambi lo vorremo ancora, ne riparleremo quando tornerò.”
Giacomo aggrottò la fronte. “Non ti sto seguendo…”
“Non voglio che tu mi aspetti per tre mesi.”
“Cosa stai…?” Giacomo sembrava confuso. “Ragazzina, non mi importa quello che dici, quando tornerai sarò qui per te.”
“Questo va bene, dico solo che… Non devi perdere altre occasioni per aspettare me.”
Lui le sorrise così dolcemente che Zoe si sentì per un attimo poco stabile sulle gambe. “Questo lascialo decidere a me,” disse mentre le si avvicinava e le stringeva le braccia attorno alla vita, facendola atterrare morbidamente sul suo petto.
“No, Giaco, sentimi bene. Devi promettermelo.”
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo. “Cos’è questa, un’altra delle tue psicosi?”
“Sì, no, può essere. Giacomo, io sono un disastro, sono confusa e confusionaria, non voglio che tu passi la più bella estate della tua vita casto e puro ad aspettarmi, per poi pentirtene per sempre.”
“Come sei melodrammatica. Vale anche per te, quindi?”
Zoe fece una di quelle smorfie buffe che sapeva gli sarebbero mancate da morire. “È diverso, io non sono brava come te a conoscere persone o a… rimorchiare.”
“Questo lo dici tu, ragazzina. Attiri più sguardi di quello che pensi,” ammise lui serio. “Ma anche se mi secca dirlo, non voglio nemmeno io che tu perda delle occasioni,” mormorò a denti stretti.
Lei fece un sorriso tirato. “Promesso, dunque?”
“Prometto quello che vuoi. Vieni qui.”
Le appoggiò una mano sulla nuca e la baciò, stavolta più dolcemente.
Zoe avrebbe voluto davvero restare lì per ore, ma dopo qualche minuto fu costretta a staccarsi. “Devo andare, ora.”
Giacomo annuì e la baciò ancora, infine sciolse a malincuore l’abbraccio, il bozzolo tiepido nel quale sarebbe rimasto anche per sempre. Le prese la mano, le lasciò un bacio sul dorso, e la accompagnò al punto dove si trovavano gli altri, camminando il più lentamente possibile per rimandare di qualche istante il momento in cui avrebbero dovuto separarsi.















La fatica che ho fatto a scrivere questo capitolo è inversamente proporzionale alla soddisfazione con cui lo pubblico ora. Perché anche se, ovviamente, non sono del tutto appagata del lavoro che ho fatto, sono davvero contenta di avere qualcosa da farvi finalmente leggere. Mi ha reso felice vedere le vostre recensioni l’altra volta, davvero, non pensavo! Quindi ringrazio di cuore le stelline che hanno recensito lo scorso capitolo, quelle che hanno inserito la storia tra le preferite o le seguite, e anche tutte le persone che l’hanno apprezzata durante questi luuunghi anni.
Spero che apprezziate e che mi facciate sapere se c’è invece qualcosa che trovate poco probabile, per correggere il tiro in futuro. Spero di aver mantenuto i personaggi più o meno coerenti dall’inizio alla fine, che ormai è vicina (il prossimo sarà un capitolo corto, poi ci saranno al massimo altri due capitoli finali). Spero che qualcuno di voi voglia ancora commentare (sia in negativo che in positivo), perché è la cosa che più mi fa venire voglia di andare avanti anche quando lo trovo difficile.
Un’ultima cosa e poi chiudo: so che io conosco bene la storia e i personaggi, dal momento che sono miei. In questo capitolo, ad esempio, ho fatto brevemente ricomparire Andrea, di cui io mi ricordavo bene; ma se invece qualcuno di voi avesse bisogno di un compendio per non andare a rileggersi tutti gli sviluppi precedenti ogni volta, me lo chieda pure e io sarò più che lieta di farlo. Davvero!
Ovviamente – e purtroppo – non posso darvi alcuna certezza sul tempo che dovrete aspettare per le prossime pubblicazioni. Posso solo dire che cercherò di farcela e che spero di non deludere nessuno. E ringraziarvi ancora di cuore. :)
Un bacio e alla prossima!

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Capitolo 26
*** ZOE 4 ***



ZOE 4




Mi manca Giacomo.
Non solo lui, intendiamoci, mi mancano da morire le mie sorelle e Aurora e anche quelle pazze delle mie coinquiline. Mi mancano i miei genitori, i miei compagni di corso e tutti i miei amici di Padova e anche di Giali e Mantova. Mi manca, per quanto ci vedessimo poco, anche Niccolò. E mi manca moltissimo Penelope, la mia cagnolina. Ma Giacomo mi manca in modo diverso. Perché da un lato sento il bisogno della sua presenza e non vedo l’ora di riabbracciarlo, di farmi stringere da lui; dall’altro lato ho una paura fottuta se penso che presto lo rivedrò e dovrò affrontarlo, affrontare ciò che c’è tra noi, e quindi avrei voglia di restare qui per sempre.
Ma procediamo con ordine.
È da più di due mesi che sono a Toronto. Mi sono ambientata molto meglio di quanto mi sarei aspettata, conoscendomi. Certo, ci ho messo del tempo e all’inizio ho fatto fatica a conoscere gente nuova, ma sapendo come sono fatta e quanto sono introversa e diffidente, ho superato molto bene lo scoglio della mia iniziale ritrosia. D’altro canto la situazione mi obbligava a farlo: partivo senza conoscere nessuno. Ma allo studentato dove dormo ho incontrato subito altri studenti europei, e mi sono ritrovata, senza capire bene come, a stringere presto un bel rapporto con dei ragazzi, soprattutto spagnoli, portoghesi, e italiani: tra questi ultimi in particolare Mattia, un trentino che studia a Milano, e Gemma, una ragazza salentina che spesso, quando apre bocca, mi fa venire un tuffo cuore tanto la sua cadenza mi ricorda quella di un certo leccese di mia conoscenza.
E qui torniamo al punto. Lui mi manca. E purtroppo l’ho sentito davvero pochissimo durante queste settimane.
Immaginavo già da prima di partire che sarebbe andata così, a dire il vero: la mattina ho lezione tutti i giorni dal lunedì al venerdì, il weekend quasi sempre organizziamo delle escursioni o delle visite in altri posti del paese; e anche quelle rare volte in cui non ho niente da fare c’è spesso qualcuno che bussa alla porta della mia stanza per chiedermi se ho voglia di uscire per un picnic di gruppo o per un po’ di shopping. La maggior parte delle volte riesco ad accendere il pc e a connettermi col wi-fi solo la sera tardi, dopo aver cenato ed essermi fatta una doccia rigenerante. Ma ci sono sei ore di fuso orario che mi dividono dall’Italia e, anche se entro tutte le volte speranzosa in Skype, so perfettamente che a quel punto i miei amici oltreoceano stanno tutti dormendo da ormai diverse ore.
Ho scritto molte mail a tutti quelli che conosco, però, e qualcuna anche a Giacomo. Purtroppo lui e la tecnologia non vanno particolarmente d’accordo, ma mi ha sempre risposto, pur coi suoi tempi. È molto impegnato pure lui, perciò siamo riusciti a scambiarci una manciata di righe le prime settimane, ma dopo i contatti si sono un bel po’ diradati, in concomitanza con l’inizio del suo tour e con l’intensificarsi delle mie uscite di studio e di piacere. In più le mail a cui dovevo rispondere mi si accumulavano nella casella di posta e, per non fare un torto a nessuno, mi sono ritrovata a rallentare sempre di più i miei scambi telematici. Adesso riesco a scrivergli non più di una mail ogni dieci giorni, in base anche alla velocità con cui lui mi risponde.
Mi manca la sua voce. Nell’ultima mail che mi ha scritto, che ormai ho letto quattro giorni fa, c’erano delle frasi che mi ha fermato il cuore per qualche istante. Di solito ci limitiamo a raccontarci i rispettivi periodi pieni di impegni, restando sul vago, scherzando tra di noi come sempre. Due settimane fa gli ho raccontato di Ethan, un ragazzo canadese che fa parte del gruppo di amici con cui esco di solito. È carino, simpatico, e credo mi faccia un po’ il filo. Non ho aggiunto molti dettagli, ma alla fine della mail mi sono decisa a scrivergli un “mi manchi”, spedendola poi velocemente per non cambiare idea. Quando mi ha risposto non ha accennato a Ethan, né ha commentato ciò che gli avevo raccontato, però ha scritto delle cose che finora non mi aveva mai detto.
Mi manchi talmente tanto che vorrei prendere un aereo e venire lì solo per stringerti, per spettinarti, per respirarti un po’. Se non fossi così impegnato lo farei, ma  la mia casa discografica manderebbe qualcuno per uccidermi, temo. A volte se chiudo gli occhi sento la tua voce e l’odore della tua pelle. Mi manchi da impazzire.
Sono rimasta paralizzata davanti allo schermo per una cosa tipo dieci minuti. So che non sembra niente di che, ma io e lui non abbiamo mai avuto delle uscite molto dirette sui sentimenti che proviamo l’uno per l’altra, né abbiamo mai commentato le cose che ci siamo detti prima di partire. È come se avessimo stretto un tacito accordo: non parliamone, comportiamoci come amici almeno finché non ci rivediamo; e finora è andata così. Perciò, per me quelle righe significano molto.
Negli ultimi quattro giorni ho provato a rispondergli già due volte, ma ho scritto e cancellato un mucchio di parole insensate, senza arrivare a capo di nulla. La verità è che mi manca anche lui, ma che ho anche una paura fottuta. Di rivederlo, di scoprire che io non gli interesso più come quando sono partita, di capire che non possiamo stare insieme, di aver rovinato una bella amicizia per qualcosa di così tanto ipotetico.
Un’altra cosa che non gli ho detto è che a me Ethan piace: è un bel ragazzo, è spiritoso e dolce, e credo che se non fosse per Giacomo avrei osato qualcosa di più con lui. E tutto questo mi sembra ancora più sbagliato, perché ci siamo promessi di essere liberi, di non farci questo tipo di problemi. Invece io mi sento bloccata e non so nemmeno bene perché.
Anche Ethan dev’essersene accorto, e un paio di giorni fa, notando che non rispondevo ai suoi tentativi di avvicinamento, mi ha chiesto se in Italia ho il fidanzato. Gli ho risposto con un no poco convinto, credo, perché lui ha insistito, ribattendo che un ragazzo doveva esserci. Io ho detto solo “I don’t know”. Sono patetica.
Ma è vero. Non sono sicura di ciò che c’è tra me e Giacomo: so che è qualcosa di abbastanza forte da frenarmi con Ethan, ma non so se per Pioggia è sufficiente, non credo che lui si sia lasciato sfuggire qualche occasione. D’altronde gliel’ho chiesto io. E infatti non so ancora cosa voglio fare con Ethan, starò qui ancora una decina di giorni, e poi non lo rivedrò mai più. Non so.
Però credo che chiederò a Giacomo di venirmi a prendere all’aeroporto, al mio ritorno. Me l’ha suggerito Aurora, almeno lei sono riuscita a sentirla un paio di volte tramite Skype: mi ha detto che se Giacomo sarà la prima persona che vedrò rimettendo piede in Italia, non avrò il tempo di farmi tante paranoie o di farmi influenzare da qualcun altro prima di incontrarlo. In effetti è una buona idea: so che lui in quel periodo dovrebbe essere libero per qualche giorno e potrebbe fermarsi a Milano prima di andare a riposarsi a Lecce. In più, appena torno devo passare a Mantova a prendere Aurora, rifare i bagagli, e raggiungere le mie sorelle in Liguria, nella casa al mare di un’amica di Viola. Quindi, se non mi fermassi a Milano la sera del mio ritorno, forse potrei non avere molto tempo per vedere Giacomo, dopo.
Vorrei vederlo adesso e al tempo stesso vorrei non dover essere così incasinata.
Adesso gli scrivo quella dannata mail e gli chiedo di venirmi a prendere.
Spero tanto che dica di sì.


















Buongiorno splendori! Mi ero ripromessa (ma per fortuna non l'avevo promesso a voi) di pubblicare prima della fine di luglio... E ovviamente ho sforato... -.- Ma vabbè, alla fine sono qui, no?
Il capitolo è di quelli brevi, avete visto. In realtà all'inizio pensavo di far raccontare a Zoe un po' di cose in più del Canada ma poi mi sono resa conto che non era utile ai fini della storia e che era meglio cercare di far capire cosa sta pensando quella testolina bacata su Giacomo. So che è confusionario (e, temo, nemmeno scritto benissimo), ma è dei pensieri di quella pazza che stiamo parlando! Quindi spero vada bene lo stesso. :)
Penso che pubblicherò ancora un paio di capitoletti, poi Take some patience sarà conclusa. Non so se mi mancherà, probabilmente no, perché l'ho portata avanti per troppo tempo (pur con una considerevole pausa). Ma mi mancheranno le persone che leggono e commentano. Avete le ultime possibilità per farlo, vi chiedo di essere generose (ma non troppo buone!) e lasciarmi due parole su ciò che pensate. Siete in tantissimi che seguite la mia storia, e questa per me è già una soddisfazione.
Buone vacanze a chi le farà! (non io, argh)
Un bacione e a presto.

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Capitolo 27
*** Capitolo XX ***



Capitolo XX




Zoe attraversò l’uscita degli arrivi con il cuore che le batteva a mille. Camminava un po’ storta, trascinandosi dietro una valigia abbastanza pesante e il bagaglio a mano; finì quasi addosso a un signore in completo scuro che aveva visto all’ultimo. In verità era tanto distratta da non riuscire a vedere quello che le succedeva a un palmo dal naso: avanzava con lo sguardo puntato oltre la massa di passeggeri del suo volo, cercando, al di là delle barriere, l’unica faccia che volesse veramente vedere, quella di Giacomo.
Si fermò di colpo, onde evitare di investire un bambino che l’aveva superata per correre incontro al padre, così facendo si trovò a frenare troppo in fretta e la valigia le sbatté sulla caviglia, traditrice. Imprecò a mezza voce e riprese a camminare, leggermente zoppicante a causa della botta, maledicendosi per la propria goffaggine. Sbuffò e si guardò il piede, e quei tre secondi in cui si era distratta a causa del bimbo fecero sì che il suo cuore saltasse ancora più in alto per la sorpresa quando, alzando lo sguardo con un’aria rassegnata, incontrò senza preavviso quello castano e sorridente di Giacomo, qualche metro più avanti. Castano, sorridente e un po’ agitato – notò bloccandosi – o almeno così sembrava, ma poteva pure essere una sua impressione dettata dal fatto che lei, sì, era decisamente agitata. Si rese conto di essere di nuovo ferma in mezzo alla gente che si muoveva in ogni direzione, quindi, col cuore che le ballava la rumba più o meno all’altezza della gola, si mosse in avanti.
Quello di cui Zoe non si accorse fu che, nonostante l’emozione e l’agitazione evidenti, appena aveva visto Giacomo anche a lei si era formato un sorriso spontaneo sulle labbra, sorriso che, seppur fioco e timido, non si spense neppure quando raggiunse il ragazzo e si fermò di fronte a lui, indecisa sul da farsi.
“Ciao,” gli disse allora, restando immobile a guardarlo, con la mano che ancora impugnava saldamente il trolley.
“Ciao ragazzina. Bentornata,” rispose lui, sempre con quel mezzo sorriso appiccicato addosso.
Dopodiché, passati i primi attimi di incertezza, le si avvicinò cautamente e le lasciò un bacio leggero sulla guancia. Infine le prese la valigia più grande, che lei aveva abbandonato al proprio fianco, e si incamminò verso l’uscita.
Zoe lo seguì, confusa e leggera, frastornata anche solo dal fatto di aver finalmente visto Giacomo e dal suo innocuo bacio sulla guancia. Non sapeva cosa dire e non sapeva nemmeno se dire qualcosa; alla fine si decise ad aprire bocca, sentendosi assolutamente stupida nella sua incertezza.
“Sei venuto davvero,” fece, affiancandosi al ragazzo.
“Già. Ottimo spirito d’osservazione.”
Zoe sbuffò. “Non ne ero così certa.”
“Quasi quasi speravi che non mi presentassi, di’ la verità.”
Lei si limitò a scuotere la testa, ridacchiando.
Giacomo allora sorrise saputo. “In realtà non vedevi l’ora di vedermi.”
“Sempre il solito: insicuro e modesto.”
Lui la guardò, continuando a camminare. “No, è che per me era esattamente così,” rispose sinceramente, lasciandola spiazzata. Poi, vedendo che lei non sapeva come rispondere, continuò. “Non vedevo l’ora di venire a prenderti, negli ultimi giorni ero insopportabile. A detta di Niccolò, almeno,” aggiunse infine, alzando le spalle e ridendo.
Zoe scosse nuovamente la testa, senza parole, come solo Giacomo riusciva spesso a lasciarla. Lo seguì alla macchina e vi salì, continuando a chiacchierare del più e del meno. Verso la fine del viaggio, Giacomo cominciò a fare domande un po’ più specifiche sulla sua permanenza a Milano.
“Perciò, quanto puoi fermarti?”
“Un paio di giorni al massimo. Domani o dopodomani devo già ripartire, disfare e rifare le valigie e andare in Liguria. Pensavo di partire martedì, viene anche Aurora per qualche giorno.”
“Di chi è la casa?” si informò lui, parcheggiando vicino al proprio appartamento.
“Marta, un’amica di Viola.” Zoe tentennò, prima di porgli la domanda successiva. “Hai voglia di venire anche tu? Da quello che ho capito, lo spazio non manca.”
Giacomo, che stava scaricando i bagagli dal baule dell’auto, chiuse il portellone e si fermò a guardarla, sorridendole in modo disarmante. “Mi farebbe davvero piacere, ragazzina, ma ho pochi giorni di pausa e pensavo di tornare a Lecce, alla mia famiglia piacerebbe vedermi ogni tanto. Almeno credo.”
“Capisco,” fece lei, cercando di mascherare il briciolo di delusione non richiesta che le aveva stretto lo stomaco alla risposta dell’amico. “Anche Niccolò torna in Salento questa settimana?”
Giacomo era davanti a lei che trascinava la valigia sul pianerottolo, perciò la ragazza non riuscì a vederne l’espressione mentre rispondeva. “Conte è già a Lecce. È partito ieri mattina.”
“Quindi in casa non c’è nessuno?” realizzò, continuando a osservargli la schiena mentre lui estraeva le chiavi e apriva la porta dell’appartamento.
“Esatto,” annuì lui, e stavolta Zoe poté leggere un sorriso nascosto nella sua voce. “La cosa ti disturba in qualche modo?”
La ragazza registrò a malapena la domanda evidentemente provocatoria, concentrandosi invece su ciò che l’essere soli implicava – a parte l’ovvio. “Giacomo… Ma sei rimasto a Milano solo per me? Potresti già essere a casa a quest’ora.”
Lui abbandonò la valigia in entrata e finalmente si voltò a guardarla, le sopracciglia alzate e un’espressione che diceva già tutto.
Zoe parlò di nuovo. “Ma non dovevi! Cioè, io potevo organizzarmi in altro modo.”
“Lo so.”
“Sapendo che eri a Lecce mi sarei fatta venire a prendere da qualcun altro, o sarei andata in treno.”
“Lo so.”
“Mi spiace averti fatto saltare dei giorni di riposo, se l’avessi saputo ti avrei detto di…”
Giacomo la interruppe. “Zoe, lo so. La smetti di dire fesserie? Sono rimasto perché mi andava.”
Lei rimase interdetta per qualche secondo, dopodiché abbassò la testa. “Ok.”
Il salentino si  limitò a sventolare la mano, come per cacciare l’imbarazzo, prese i bagagli e li portò in camera, spiegandole come sistemarsi, infine le disse che dovevano decidere cosa fare quella sera.
“Immagino tu sia stanca, se vuoi possiamo stare a casa. Non abbiamo fatto molta spesa ultimamente, ma gli ingredienti per una pastasciutta posso raccattarli anche senza uscire, credo.”
Zoe alzò le spalle. “Ho dormito un po’ in aereo, mi va bene uscire, per una sera che sto qui.”
“Ma tu non eri quella che si stancava tantissimo a viaggiare in aereo? O andare in Canada ti ha fatto diventare una donna di mondo?” la prese in giro lui.
“Scemo. Sono stanca sì, ma qui sono le sei e il mio cervello invece è ancora tarato sul fuso canadese. È tipo mezzogiorno per me, quando comincerà a fare buio sarà traumatico.”
Giacomo ridacchiò. “Non ci avevo pensato. Beh dai, allora va’ a farti una doccia, ti porto fuori per l’happy hour milanese.”
“Quale onore, Pioggia.”

Zoe si stupì di quanto fosse facile riprendere da dove avevano lasciato, con Giacomo. Era talmente preoccupata di rivederlo e di trovarlo pieno di aspettative romantiche che si era praticamente dimenticata della semplicità del loro rapporto, prima di tutto quel casino. Con il ragazzo salentino le riusciva automatico ridere, scherzare, divertirsi, ma anche parlare di cose serie, confrontarsi, ascoltare e sdrammatizzare l’uno i problemi dell’altro. Ne era già a conoscenza, aveva sempre saputo che il suo rapporto con Giacomo era semplice e bello, se n’era solo dimenticata per il tempo del viaggio, in cui non aveva fatto altro che domandarsi cos’avrebbe detto quando l’avrebbe visto, come si sarebbero comportati, e cose del genere.
In realtà non c’era niente da domandarsi. Appena si furono rinfrescati entrambi, uscirono di casa e presero la metropolitana per raggiungere un posto dove poter mangiare qualcosa a poco prezzo. Parlarono a lungo sia durante il tragitto sia a cena, raccontandosi a vicenda la propria estate, scherzando e capendosi con una naturalezza che sembrava quasi strana, dopo tutto quel tempo. O forse no, dal momento che con Giacomo era da sempre stato così: spontaneo, facile, bellissimo.
Andarono a mangiare in una pizzeria, perché a Zoe mancava immensamente la pizza italiana, quella vera, non adattata agli assurdi gusti nordamericani. Dopo cena, Giacomo le propose di andare in un locale poco distante, una specie di pub dove c’era anche la possibilità di cimentarsi al karaoke.
“Karaoke?” fece Zoe, scherzosa. “Hai voglia di cantare, Pioggia? Non ti basta farlo per mestiere? Cioè, quello che è.”
Giacomo rise. “No, no, io non canto stasera. Ma il posto è carino.” Le aprì la porta del locale, lasciandola entrare per poi seguirla. “E poi chissà, magari sei tu che canterai qualcosa.”
“Questo puoi scordartelo,” affermò lei, decisa.

Un’ora e un paio di birre più tardi, Zoe si stava lamentando di quasi tutti i provetti cantanti che si dilettavano sul piccolo palco del bar.
“Hai avuto tu la brillante idea di venire al karaoke, vero? Ricordami di ringraziarti come si deve, dopo.”
Giacomo ammiccò guardandola negli occhi. “Oh, non mancherò, stai tranquilla.”
Era l’ennesima battutina della serata: a quanto pareva il ragazzo si divertiva fin troppo a cercare di metterla in difficoltà, prendendola in giro o scovando doppi sensi in quasi ogni frase da lei pronunciata.
Zoe avvampò, di nuovo, e alzò gli occhi al cielo sperando di nascondere l’imbarazzo. “E finiscila! Senti questo che canta i Queen piuttosto, è un oltraggio. Dovremmo chiamare la polizia.”
Lui rise. “Ma dai, non erano tutti così pessimi!”
“Ti riferisci a quel tipo depresso che gorgheggiava Baglioni o alle due ragazzine che duettavano sulle note di Yellow Submarine? O forse era All You Need Is Love… Non saprei. Credo che non lo sapessero neanche loro, eh.”
“Sei malvagia. La ragazza che cantava Spaccacuore era brava.”
“Chi? Morticia?” rabbrividì Zoe, fingendosi disgustata. “Ti prego, era convinta che la versione originale fosse quella di Laura Pausini.”
“C’è una cover della Pausini.”
“Quella canzone non si può cantare così,” ribadì lei, definitiva. “E poi lei era zoccola.”
“La Pausini?”
“Macché. Morticia. Versione zoccola.”
“Per me era carina.”
“Zoccola.”
Giacomo rise di nuovo, scuotendo la testa. “Mi mancava questa tua misantropia acuta.”
Lei spalancò gli occhi, fintamente stupita. “Tu sai cosa significa misantropia? Hai allargato il vocabolario negli ultimi mesi, Pioggia.”
Il ragazzo allungò il braccio per prendere una mano di Zoe tra le proprie. “Dico davvero, Zò. Mi mancavi,” le disse serio, carezzandole la mano.
Lei si fermò a fissare la propria mano tra quelle di lui, poi guardò Giacomo negli occhi, sperando di non arrossire troppo vistosamente, e abbozzò un sorriso. “Devi smetterla di tentare di imbarazzarmi, Pioggia.”
“Mai,” rispose lui abbandonandole la mano per lasciarle un buffetto sulla guancia. “È troppo divertente.”
Zoe s’imbronciò. “Ah, ecco cosa ti mancava di me.” Si alzò dalla sedia. “Vado in bagno.”
Giacomo la guardò allontanarsi, sorridendo leggermente. Sapeva che fare il filo a Zoe non sarebbe stata cosa facile: d’altronde ci provava da mesi e lei non gli aveva nemmeno mai permesso di iniziare, figurarsi. Ma nell’ultimo periodo qualcosa era evidentemente cambiato, già da prima che lei partisse, e quella sera anche la ragazza sembrava essere più bendisposta. Oh, era ancora confusa, indecisa, quello sì, sennò non sarebbe stata la Zoe che conosceva; ma Giacomo sentiva che le cose che si erano detti prima dell’estate valevano tuttora per entrambi. Avevano solo bisogno di riavvicinarsi un po’.
Perso nei propri pensieri, Giacomo non si accorse delle due ragazze che si erano accostate al tavolo, una delle quali gli toccò la spalla per attirare la sua attenzione.
“Ciao!”
Lui sobbalzò leggermente, alzando la testa per guardarle. Non gli pareva di conoscerle, ma con il suo lavoro non si sapeva mai. “Ehi, ciao,” rispose cortesemente.
“Tu sei Giacomo dei Jam Session, vero?” gli chiese una delle due, mora e piccolina, stropicciandosi le mani.
Lui annuì sorridendo. Aveva immaginato bene: fan dei Jam. Erano pochi, ma ce n’erano un po’ dappertutto dopo l’uscita dell’album.
“Uau! Ti avevo detto che era lui!” esclamò l’altra ragazza, alzando la voce di qualche tono di troppo. Alcune persone nei tavoli vicini si girarono a guardare brevemente la scena, per poi tornare alle proprie occupazioni dopo aver verificato di non conoscere il ragazzo seduto.
“Sei qui per cantare, stasera?” continuò lei, sedendosi al tavolo come se fosse stata invitata. L’altra tentennò un po’, poi si decise a sedersi anche lei, titubante, sull’angolo di una sedia.
Quando Zoe tornò dal bagno, per un attimo pensò di aver confuso la posizione del tavolo dov’era seduta, poi vide Giacomo. Con due ragazze. Sospirò: se non riusciva a evitare di flirtare con altre anche quand’era al bar con lei, poteva solo immaginare cos’avesse combinato quell’estate. Con la sua benedizione, peraltro.
Giacomo percepì l’espressione perplessa di Zoe ancora prima di vederla. Alzò gli occhi su di lei e le sorrise, ignorando la sua fronte corrugata.
“Posso sedermi?” chiese lei, guardando l’unica sedia vuota rimasta al tavolo.
“Ehi Zò,” la salutò, anche se era stata via sì e no tre minuti. “Le ragazze mi hanno riconosciuto, è una cosa rara. Seguono i Jam. Mi stavo facendo dare qualche parere sul disco.”
Non aveva intenzione di giustificarsi ma, ascoltandosi, si rese conto che lo stava facendo, tanto che anche le due ragazze probabilmente si sentirono di troppo e si alzarono in contemporanea.
Zoe, che invece si stava sedendo, intervenne. “Oh no, tranquille, voi potete stare,” fece con un tono che sembrava, pur non intenzionalmente, dire tutt’altro.
“No, figurati, pensavamo fosse solo,” rispose intimorita la ragazzina mora.
La sua amica fu subito molto più diretta. “Ma siete insieme voi due?”
“In che senso?” chiese Giacomo che, non ancora del tutto abituato all’invadenza di alcuni fan, era rimasto spiazzato dalla domanda.
Ci pensò Zoe a rispondere, veloce e precisa. “Oh no, non proprio.” Fece una pausa, guardando Giacomo con una scintilla negli occhi che a lui sembrò un po’ divertita e un po’ vendicativa. “Ci frequentiamo,” concluse poi, sorridendo alla ragazza, che si beveva ogni sua parola con avidità.
“Ah,” commentò questa, “non lo sapevo! Allora puoi convincere Giacomo a cantare una canzone, visto che siamo in un karaoke e lui non ha intenzione di salire sul palco.”
“Giusto, Pioggia, perché non vai a cantarci qualcosa?” la assecondò Zoe con un sorriso maligno.
Lui rise. “Ok, stai facendo la stronza adesso, eh?” borbottò divertito, rivolgendosi all’amica. Dopodiché si voltò verso le altre due, ancora lì in piedi ad attendere una risposta. “Grazie ragazze, ma no, stasera non canto. È stato un piacere conoscervi, ci vediamo al prossimo concerto.”
Le due si allontanarono deluse e Giacomo tornò a fissare Zoe con aria interessata. “Visto che ti diverti tanto, tra poco anch’io ho una sorpresa per te.”
“A me sembrava che tu ti stessi divertendo.”
“Ooooh, sei gelosa per caso?” ammiccò lui. “Dal momento che ci frequentiamo…”
Non fece in tempo a godersi appieno l’ennesima espressione imbarazzata ed esasperata dell’amica, perché entrambi furono distratti da una voce e si girarono quindi verso il palco.
“E ora tocca a… Zoe!” stava infatti esclamando l’uomo che si improvvisava presentatore, mentre con gli occhi cercava la poveretta che avrebbe dovuto cantare di lì a poco.
Giacomo alzò una mano, indicandola. “Qui! Siamo qui!”
“Ma cosa…?” Zoe era a dir poco basita, ma immaginava a chi fosse da imputarsi quella messinscena. Si voltò verso Giacomo con sguardo assassino, fulminandolo. “Sei stato tu?”
“Quando sono andato a ordinare le birre,” confermò il ragazzo con un sorriso angelico.
“Maledetto viscido traditore…”
Zoe avrebbe anche continuato con gli insulti, ma Renzo, così si chiamava il presentatore, era già arrivato al loro tavolo e la esortava a dirigersi verso il palco. “Forza, bella ragazza, vieni pure.”
“Oh no, io non canto, c’è stato un…”
“Su su, non essere timida,” esclamò il tipo, trascinandola fin sopra il piccolo palcoscenico e piazzandole un microfono in mano. “Vediamo che canzone avevi prenotato… Oh sì, ecco.”
Zoe era indecisa se ridere o andare definitivamente nel panico; tentò senza successo di svignarsela spiegando la situazione con un: “In verità io non ho prenotato proprio niente…”
Ma il presentatore in erba, dopo aver letto il titolo del pezzo che stava per cantare, andò su di giri e cominciò a farle i complimenti. “Quindi ci canti Every Breath You Take! Bellissimo brano, adoro i Police! L’hai scelto per un motivo? C’è qualcuno in particolare a cui vuoi dedicarlo?” domandò facendosi d’un tratto sornione, neanche si trovasse sul palco di Sanremo in compagnia della più famosa cantante del momento.
A Zoe scappò da ridere. Oltre alla situazione che era ridicola già di per sé – con quel tizio invasato che aspettava tutto serio una sua risposta – sapeva perché Giacomo aveva scelto proprio quel pezzo: si ricordava di quando gli aveva detto che secondo lei quella era la canzone più fraintesa della storia.
“Parla palesemente di stalking, non d’amore,” gli aveva detto convinta, seduta in macchina con lui, quando era andata a trovarlo a Lecce, con la voce di Sting che usciva dalla radio.
Giacomo aveva riso. “Ma che dici, a me piace!”
“Anche a me, la so tutta a memoria, c’è stato un periodo della mia vita in cui la ascoltavo continuamente. Ma è inquietante, quando la capisci.”
Ora, Zoe poteva anche tenere il broncio al salentino perché l’aveva messa in quella situazione, ma in realtà la cosa la faceva ridere già adesso, sul palco con quel microfono e quel presentatore esaltato che la fissava come se fosse pazza perché ridacchiava da sola, senza un apparente motivo. Quindi lanciò a Giacomo un’occhiata divertita e stressata, poi si portò con convinzione il microfono vicino alla bocca e parlò direttamente con Renzo.
“Diciamo che mi ricorda un periodo della mia vita in cui non facevo molto caso ai testi delle canzoni che ascoltavo,” rispose ignorando l’espressione confusa del suo interlocutore. “Ti va di cantarla con me, dato che ti piace tanto?”
Renzo si illuminò improvvisamente, forse onorato dal fatto che qualcuno gli avesse chiesto di duettare. “Se proprio insisti…”
Fece un gesto con la mano al ragazzo dietro la consolle, che pigiò qualche tasto per far partire la base modificata della canzone, poi appoggiò una mano sulla spalla di Zoe e cominciò a ondeggiare a tempo di musica.
Zoe cantò tutto il pezzo con poca convinzione, imbarazzata: sapeva di essere abbastanza intonata, ma non aveva proprio la stoffa per stare sul palcoscenico. D’altra parte si era salvata domandando a quel Renzo di duettare con lei; infatti lui si era preso tutto il palco e cantava convinto, gesticolando ampiamente con la mano sinistra e tentando anche, senza successo, di coinvolgere la ragazza.
Verso la fine della canzone, Zoe smise di spostare lo sguardo dal pavimento allo schermo con su scritto il testo, e alzò la testa per vedere le persone del bar. Alcuni ridacchiavano divertiti dall’esibizione accorata di Renzo, altri si facevano palesemente i fatti propri, infischiandosene del karaoke. Una delle ragazze che prima si erano avvicinate al tavolo alternava lo sguardo tra lei e Giacomo, convinta probabilmente che gli stesse facendo una serenata. Mentre Giacomo, tranquillo e soddisfatto della sua malefatta, si limitava a fissarla sorridendo, con uno sguardo intenso e perforante, tanto che per un attimo, ma solo un attimo, a Zoe sembrò che fosse lui a cantarle quelle parole così assurde, così belle e così spaventose.

Every move you make
Every vow you break
Every smile you fake
Every claim you stake
I'll be watching you

Giacomo era lì, la guardava sereno, e Zoe sentiva che non c’era motivo di avere paura, che tutte le paranoie che si era fatta negli ultimi mesi erano, per l’esattezza, solo paranoie, e che se c’era qualcuno in tutto l’universo di cui poteva fidarsi ciecamente, senza ripensamenti, quel qualcuno era proprio il suo amico salentino. Che forse, a ben vedere, non era esattamente solo un suo amico, ma ancora non riusciva a immaginare un’altra parola per definirlo.
Zoe ricambiò il suo sorriso, continuando a guardarlo. Lasciò che Renzo cantasse da solo l’ultima parte, prendendosi l’applauso delle persone che ascoltavano divertite.
“Per gli autografi ci trovate qui fuori a fine serata,” disse alla fine, con esplicita ironia, prima di lasciare il microfono e andare di corsa da Giacomo, che si era alzato per applaudire.
Mentre lo raggiungeva vide che le due ragazze di prima si stavano avvicinando, forse intenzionate ad attaccare di nuovo bottone. Senza perdere tempo prese Giacomo per un braccio e lo trascinò fuori dal locale, continuando a camminare con passo da maratoneta anche quando ormai si erano allontanati di un bel po’, quasi volesse scappare da qualcosa. Giacomo la seguiva divertito, finché non si azzardò a farle una domanda, continuando a starle dietro.
“Sai per caso dove stai andando?”
“Assolutamente no.”
“E così ci frequentiamo?” chiese allora, fermandosi e tirando lei per la mano, così da avvicinarla terribilmente a sé.
Zoe rise imbarazzata. “Ma dai, sai perché l’ho detto.”
Lo guardava dal basso, costretta a piegare il collo indietro per la differenza di altezza tra loro, gli occhi sorridenti almeno quanto il resto del viso, in penombra ma così vicino che poteva vederne ogni particolare.
Giacomo tornò serio. “Temo di no,” disse, e un attimo dopo la baciò.
Credeva davvero che Zoe si sarebbe ritratta, ma non accadde. Al contrario, gli appoggiò una mano sulla nuca e l’altra sulla spalla, mettendosi in punta di piedi per stringersi di più a lui. Rispose al suo bacio con la stessa intensità di tre mesi prima, quando però erano entrambi ubriachi e spensierati e privi di inibizioni. Come se fosse la cosa giusta da fare, come se avesse semplicemente bisogno di lui. Fu proprio Zoe infatti, sentendo che il loro abbraccio si stava facendo troppo intimo e troppo poco attento al mondo circostante, a staccarsi di qualche centimetro.
“Andiamo a casa?” gli chiese timidamente, gli occhi nei suoi, come a volersi dimostrare convinta di quello che stava dicendo.
“Ok,” rispose solo lui, baciandola di nuovo per non dimenticarsi il suo sapore e la consistenza delle sue labbra nel tragitto fino all’appartamento.
Non l’avrebbe dimenticato comunque, perché, che stessero camminando o che fossero seduti in metro, appena poteva le si avvicinava per strapparle un bacio. Sulle labbra, sulla fronte, sul naso, non gli importava dove, voleva solo essere certo di non essersi immaginato tutto, o assicurarsi che Zoe non avesse cambiato idea in uno dei suoi momenti di crisi.
Fu in metropolitana che, giocherellando con la mano di lei tra le proprie, si ricordò una cosa che non le aveva ancora detto.
“Ti ho scritto una canzone, sai?”
“Hai scritto… cosa?” fece lei, stupita.
“Una canzone su di noi, quest’estate, mentre eri via,” rispose Giacomo.
“Davvero?”
“Sì, beh… Perché dovrei inventarmi una cosa del genere?” ridacchiò lui, guardando l’espressione di Zoe addolcirsi, passare dalla sorpresa a una malcelata felicità.
Lei sbuffò, con fare ovvio. “Per fare colpo su di me, mi pare evidente.”
“Mi sembra di esserci già riuscito…” disse Giacomo, facendo lo sbruffone per qualche istante, prima di vedere la faccia scettica e divertita di lei e correggere il tiro, “…un po’,” aggiunse in fretta. “Cioè, mi sembra un pochino, appena appena eh, tanto così, mi sembra di aver fatto un po’ colpo. Su di te, dico. Ma poco poco, eh. Magari è solo un’impressione, ecco.”
Zoe scoppiò a ridere. “Che cosa dolce,” commentò poi, arrossendo appena.
“Che?”
“Mi hai scritto una canzone.”
“Ah già. Beh, mi è venuta, non è che sono andato a cercarla,” sminuì lui, alzando le spalle.
Quando rialzò gli occhi su Zoe, lei sorrideva ancora, e Giacomo ne approfittò per avvicinarsi e stamparle un altro bacio sulle labbra.
Scesero dalla metro ridendo perché per poco non avevano mancato la fermata giusta, e fecero il resto della strada in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, lanciandosi solo qualche occhiata ogni tanto.
A Zoe pareva di camminare su una nuvola, evitava di farsi troppe domande ma aveva quasi paura che se avesse fatto troppo rumore, o cambiato andatura, o se si fosse mossa in modo appena più brusco, tutto sarebbe cambiato. In quella mezz’ora abbondante che ci misero a tornare a casa, visse semplicemente dei sorrisi di Giacomo, delle sue occhiate allusive, delle espressioni che poteva cogliere sul suo volto quelle poche volte che lui non stava ricambiando lo sguardo di lei. E gli era grata per quelle occhiate, per quelle espressioni, per quei baci, per quelle piccole attenzioni che lei riusciva a scorgere così chiaramente, gli era grata per la sincerità che leggeva in lui, per averle scritto una canzone, e per un mucchio di altre cose che non avevano nulla a che fare con la paura, sebbene non potesse affermare che quella paura fosse svanita, tutt’altro. Ma al momento non le interessava, aveva solo voglia, bisogno di lui, e basta.
Quando arrivarono davanti all’entrata dell’appartamento erano entrambi in silenzio da diversi minuti. Giacomo le lanciò un’occhiata appoggiando una mano al pomello, come per assicurarsi che fosse ancora lì con lui, dopodiché girò la chiave, tenne aperta la porta aspettando che Zoe entrasse, e la seguì, chiudendosi l’uscio alle spalle.
Una volta dentro tutta la spavalderia e il coraggio che avevano contraddistinto l’inizio del viaggio dal bar a casa sparirono completamente; i due si guardarono imbarazzati, senza sapere cosa dire o come muoversi.
Giacomo tossì. “Vuoi… bere qualcosa? O mangiare? Non so, magari un dolce o… non so.”
Mentre parlava si passò più volte una mano sulla nuca, come faceva sempre quand’era in difficoltà, e Zoe, vedendo quel gesto e riconoscendolo, sentì qualcosa di caldo, liquido e familiare scorrerle nel petto, e sorrise.
“No,” rispose, avvicinandosi a lui. “No, non serve, vieni qui.”
Alzò la testa e lo baciò, lasciandosi abbracciare. Si baciarono a lungo nella penombra dell’entrata, quasi a lasciarsi il tempo di cambiare idea o, meglio, di non cambiarla. L’ultima reticenza, in effetti, era una spia accesa nel cervello di Zoe da parecchio tempo, un pensiero che la tormentava, anche se sapeva che non avrebbe dovuto. Ma in quel momento, aggrappata a Giacomo e intenzionata a non lasciarlo andare, quel particolare le tornò in mente, e lei si sentì in dovere di fargli una domanda prima di continuare, prima di lasciarsi andare del tutto.
“Sei stato…?”
Giacomo prese a baciarle la linea della mandibola, rendendole difficile formulare la domanda, perciò lo staccò delicatamente, continuando però a stare nel suo abbraccio caldo.
Lui la guardò imbronciato, con un velo di preoccupazione nello sguardo. “Che c’è?” bisbigliò.
“Sei stato con altre quest’estate?”
Si sentì subito stupida ad averlo chiesto e non gli lasciò nemmeno il tempo di rispondere, continuò a parlare lei stessa, meno di un secondo dopo, per cercare di correggere il tiro.
“Cioè, so che non è un mio diritto chiederlo, e vorrei che tu sapessi che la risposta non cambierà niente stasera. È che… non posso fare a meno di chiedermelo, e di chiedertelo. Ho solo bisogno di sapere che c’è chiarezza tra noi.”
Il viso di Giacomo, ancora vicino al suo, si distese in un sorriso.
“Tranquilla, respira, è ok,” le sussurrò, rassicurante. “Non sono stata con altre. Anche volendo, non avrei potuto, credo. E prima che tu dica qualsiasi altra cosa, ti devo dire che a me invece non è assolutamente necessaria la tua sincerità, ora: non voglio in nessun modo sapere di quel tizio canadese né degli altri bonzi che ti sono ronzati intorno. Mi basta averti qui, adesso.”
Zoe sorrise, più tranquilla. “Va bene, ma non…”
Lui la interruppe. “Non mi importa, ok? Sto meglio così, davvero.”
“Scusa,” fece lei, abbassando la testa.
“E di cosa?”
“Di avertelo chiesto. Non avrei dovuto, lo so…”
“Ahn, Molinari, smettila di farti problemi per tutto. Hai fatto bene.”
Zoe aveva ancora gli occhi puntati a terra, quando Giacomo le alzò delicatamente il mento con un dito.
“Vieni qui,” bisbigliò sulle sue labbra, prima di baciarla di nuovo.
A quel punto non c’era più niente a cui pensare, e Zoe non pensò più. Lo seguì fino alla camera, sbatté il gomito contro lo stipite della porta, imprecò staccandosi dalle labbra di Giacomo, che la fissò preoccupato, controllando lo stato del suo braccio, finché non la sentì ridere, ancora abbracciata a lui.
Infine, senza che nemmeno loro capissero bene come, riuscirono a chiudere fuori da quella stanza tutti i condizionamenti, l’imbarazzo, le domande, i problemi, e ad essere solo loro stessi, in quel cercarsi, fisico e non solo, che in fondo era ciò che entrambi volevano da molto più tempo di quanto fossero disposti ad ammettere.
Quello che stupì Zoe, ma solo per un attimo, fu la naturalezza con cui riuscirono a spogliarsi, a baciarsi, a stringersi, a fare l’amore, nonostante i mesi di amicizia puramente platonica che credeva di aver condiviso con Giacomo. Ciò che invece l’avrebbe stupita in futuro, col passare del tempo, sarebbe stata la quantità enorme di dettagli che, di quella prima volta, le sarebbero rimasti addosso, appiccicati alla memoria con delle tonalità così vivide da risultare quasi forzate. Della prima volta con Alessio ricordava a malapena un paio di sorrisi imbarazzati, il proprio pudore e, stupidamente, il colore delle lenzuola su cui aveva perso la verginità: a quadri blu e bianchi.
Di quella prima volta con Giacomo, invece, Zoe non poteva ancora saperlo, ma avrebbe ricordato praticamente tutto. Forse solo perché provava qualcosa di nuovo e di molto forte per lui, e fino ad allora non le era sfortunatamente mai capitato di andare a letto con qualcuno di cui era innamorata. O forse perché il suo cervello era, lo sapeva, abituato a immagazzinare le informazioni e i ricordi un po’ a random, fissandosi di solito su particolari inutili come, appunto, le lenzuola del letto di Alessio. E stavolta aveva migliaia di dettagli a cui interessarsi, cose che non voleva perdersi, sensazioni a cui aggrapparsi. Giacomo che le toglieva la maglietta e poi faceva un passo indietro inciampando sul letto; il solletico che la sua barba sfatta le faceva solo quando la baciava in un punto preciso dietro l’orecchio; la sua mano che le spostava una ciocca di capelli dalla fronte; quelle stesse dita che cercavano il gancetto del reggiseno sulla sua schiena, per poi ridere insieme, accorgendosi che l’aveva aperto lei qualche istante prima; l’estrema facilità con cui lui riusciva a leggere ogni sua muta richiesta, ogni suo minimo desiderio; Giacomo che, mentre si sporgeva per prendere il preservativo da un cassetto, tentava inutilmente di reggersi su un braccio solo, finendo poi per cadere del tutto su di lei, ridere, baciarla, prenderla di peso e spostarla per avvicinarsi entrambi al comodino senza doversi staccare per troppo tempo.
Tutte queste cose e molte altre ancora, che lei lo volesse oppure no, le sarebbero rimaste addosso in maniera indelebile per sempre.

“Ho una cosa per te.”
“Cosa?”
Zoe fece per spostarsi dall’abbraccio di Giacomo, ma lui la trattenne.
“Non andare via,” le disse con un broncio adorabile a colorargli il viso.
“Pioggia, è il tuo regalo di compleanno. Se non mi lasci non posso andare a prenderlo di là, nella valigia.
“Ah, allora ok,” fece frettolosamente lui. “Vai!” le intimò dandole un colpetto su un fianco.
“Però! Ora che sai che è un regalo non vedi l’ora di spingermi fuori, eh?”
Giacomo le rispose con un sorriso angelico.
“Materialista,” borbottò Zoe alzandosi.
“E tu sei stupenda,” ribatté lui, sincero, mentre la ragazza usciva dalla stanza.
Giacomo ributtò la testa sul cuscino, sospirando. Non poteva essere più felice di così; probabilmente, a ben pensarci, non sarebbe mai stato più felice di così. Stare lì a letto con Zoe, poterla abbracciare, baciare, non doversi trattenere con lei, era una delle cose migliori che gli erano successe negli ultimi mesi – e di recente gli erano capitate diverse cose belle.
Era stato fantastico tornare in camera dopo aver fatto una doccia e trovare Zoe accoccolata sul suo letto, intenta a guardare col pc alcuni video delle esibizioni dei Jam Session negli ultimi concerti.
“Ma cos’è quel gesto con la mano che fai qui? Me lo insegni?” lo aveva preso in giro la ragazza quando lui si era steso accanto a lei.
Poi gli aveva confessato che aveva aperto spesso quei video, in Canada, quando sentiva più forte la sua mancanza e, quindi, non poteva fare altro che seguire la sua vita artistica, invidiando le ragazze che avevano la possibilità di vederlo dal vivo, di stringergli una mano, di sentire la sua voce. A Giacomo era sembrato davvero assurdo sentire Zoe che diceva certe cose, proprio lei, sempre così riservata, schiva. Ma in quel momento era sembrato tutto naturale, anche quell’inconsueto aprirsi, sussurrare quelle parole sincere e un po’ melense. Sentiva che lei era imbarazzata, questo sì, ed era impossibile che non fosse così, ma appunto per questo Giacomo stava cercando di comportarsi nel modo più normale possibile, come aveva sempre fatto, prendendola in giro per vedere le sue reazioni. E anche l’imbarazzo di Zoe stava, pian piano, svanendo, o almeno a lui sembrava così.
Zoe tornò con un pacchetto un po’ accartocciato tra le mani, e si ributtò sul letto porgendoglielo.
“Si dev’essere rovinato in valigia, scusa.”
Giacomo batté le mani. “Adoro i regali!”
“Lo so,” rispose lei sorridendo. “Ricordami chi è il bambino tra noi due, scusa?” chiese poi ridacchiando, visto l’evidente entusiasmo di lui.
“Sono un bambino bravo, però.”

Zoe si alzò dal letto quando il respiro di Giacomo cominciò a farsi regolare, annunciando che almeno lui aveva preso sonno. Lei invece non riusciva ad addormentarsi, e non era solo a causa del leggero russare di Giacomo, che comunque non la infastidiva più di tanto. Semplicemente, non aveva sonno. In parte era perché in aereo aveva dormito, infatti il suo fuso orario era ancora collegato a quello canadese, e probabilmente si sarebbe abituata al cambiamento solo con il passare di un paio di giorni: lì a Milano era tardi, quasi le tre di notte, ma a Toronto era appena ora di cena.
Uno dei motivi principali però era la sua testa che continuava a lavorare a velocità avanzata. Dopo essere stata così bene con Giacomo, ovviamente, erano iniziati i primi dubbi. E Zoe, purtroppo, non aveva mai saputo come scacciarli.
Prese un bicchiere d’acqua e si sedette sul divano, sfogliando una rivista e sperando che il sonno arrivasse da un momento all’altro. Ma, anche così, si ritrovò a non riuscire a fare a meno di rimuginare.
Con Giacomo quella sera era stato tutto stupendo, e fin lì non c’era alcun dubbio. Ma lui rimaneva una delle persone a cui voleva più bene al mondo, teneva a lui, alla sua amicizia. Amicizia che, volendolo o meno, sarebbe cambiata del tutto a causa di ciò che era successo quella sera: Giacomo non poteva più essere la prima persona che chiamava quando aveva un problema sentimentale da risolvere, perché con ogni probabilità sarebbe stato proprio lui il suo prossimo problema sentimentale.
Questo la terrorizzava. Non era mai stata una persona molto propensa ai cambiamenti, tutt’altro, soprattutto in campo affettivo. Non poteva negare che qualcosa era già cambiato da tempo, anche prima di quella sera, anche prima che andassero a letto insieme – cosa che avevano fatto entrambi molto consapevolmente, tra l’altro. Ma non poteva nemmeno controllare la propria paura, i pensieri più scuri che continuavano a emergere nella confusione della sua testa, le ansie che, purtroppo, cominciavano ad attanagliarla proprio ora che avrebbe dovuto solo rilassarsi e buttarsi a capofitto in ciò che le stava succedendo.
Si ritrovò a vagare per la casa senza uno scopo preciso, solo per evitare di stare immobile sul divano. Passando in entrata, notò il “muro delle cose da ricordare”, così ribattezzato da Niccolò: non era altro che una bacheca su cui i coinquilini appendevano bigliettini con annotazioni per la spesa, impegni vari, o amorevoli frasi piene di insulti che si scambiavano l’un l’altro. Si avvicinò, sperando di distrarsi per qualche minuto.
Lesse con poca attenzione qualche bigliettino, di cui uno divertentissimo in cui Niccolò aveva scritto in rima la lista della spesa. Stava ancora ridacchiando quando, alla fine, tra un disegno di loro tre fatto da Giorgio e un appunto con degli accordi per una nuova canzone, vide qualcosa che la lasciò di stucco. E che, probabilmente, avrebbe preferito non vedere.

“Giacomo?”
“Mh?”
“Pioggia, sono quasi le dieci. Ho preparato il caffè. Io l’ho già bevuto, è in cucina.”
Giacomo aprì un occhio e lo richiuse subito, accecato da un raggio di luce che entrava dalla finestra e lo colpiva giusto in faccia. Si spostò di qualche centimetro e ritentò. Zoe era davanti a lui, quindi probabilmente avevano passato davvero la notte insieme e non si era immaginato tutto.
“Vieni qui…” biascicò tentando di prenderla, ma riuscendo solo ad aggrapparsi alla sua maglietta.
Lei cedette, sospirò e si sedette sul bordo del letto, restando però troppo distante per i suoi gusti.
“Tutto ok?” domandò Giacomo mettendosi anch’egli seduto e stropicciandosi gli occhi con le mani.
“Sì, senti… Mi spiace, ma devo chiederti un favore.”
“Dimmi tutto.”
“Ieri hai detto che potevi accompagnarmi con la macchina a prendere il treno, no?”
Lui annuì. “Sì, hai decisamente troppi bagagli per muoverti agevolmente coi mezzi pubblici.” Si bloccò, capendo quello che lei gli stava chiedendo. “Vuoi già andare?”
“Mi sa che devo.”
“Pensavo partissi stasera o domani.”
Zoe sospirò di nuovo, senza guardarlo. “Ho sentito Aurora, abbiamo deciso di partire per il mare domani mattina. Se non vado a casa col primo treno non mi rimane il tempo per fare nulla.”
“Ah,” fece lui, cercando inutilmente di mascherare la propria delusione.
“Mi spiace. Senti… Io vado a farmi una doccia, tu intanto puoi fare colazione, ok? Ho controllato e c’è un treno tra un’ora e un altro mezz’ora dopo, e poi c’è una bella pausa. Mi conviene fare in fretta.”
Giacomo sentì qualcosa di strano nella voce di lei, nel suo modo di parlare così sicuro, quasi impersonale, ma era ancora troppo assonnato per farci troppo caso. “Certo. Sei sicura che sia tutto ok?”
“Sì, sì. È che non volevo scocciarti così…”
“Non mi scocci, Zò, mi dispiace che non possiamo passare un altro po’ di tempo assieme.”
Zoe sorrise incerta e si alzò dal letto. “Lo so. Grazie.”
Giacomo si tirò su rapidamente e riuscì a superarla entrando in bagno prima di lei.
“Devo solo fare pipì!” si giustificò vedendo l’occhiataccia che la ragazza gli stava lanciando.
Quando uscì, pochi istanti dopo, le passò di fianco lasciandole un bacio sulla guancia per vederla sussultare appena, poi si diresse in cucina. Trovò il caffè che era già quasi freddo e si chiese con un angolo del cervello da quanto tempo fosse in piedi Zoe.
Appena sveglio non ingranava troppo facilmente, ma lavarsi il viso e fare colazione di solito erano i due modi più facili per cominciare a ragionare in modo sensato, e ora che stava mettendo qualcosa nello stomaco si rese conto che il comportamento di Zoe, quella mattina, non era del tutto normale. Probabilmente era solo un po’ di imbarazzo dovuto a ciò che era successo tra di loro la sera precedente, ma, conoscendo la persona, non era da escludere l’ipotesi che fosse andata nel panico e che anche per questo stesse cercando di svignarsela. Gli pareva strano, perché la sera prima Zoe gli era sembrata molto sincera e molto consapevole; ma, se doveva essere onesto con se stesso, era più strana una Zoe sincera e consapevole rispetto a una Zoe imbarazzata e spaventata. Perciò, forse, l’anomalia per lei era stata la notte passata insieme. E magari adesso voleva ritrattare tutto. E scappare. Non poteva permetterglielo, non proprio ora che…
Giacomo fece un bel respiro. “Ok, scemo, stai andando nel panico pure tu ora,” si disse da solo, parlando a bassa voce. “Hai solo bisogno di parlarle, vedrai che è tutto apposto.”
Zoe uscì in quel momento dal bagno. “Parli da solo, Pioggia?” gli urlò dal corridoio.
Lui si sporse per guardarla e notò che entrava in camera con addosso solo l’asciugamano con cui era uscita dalla doccia. Dovette trattenersi per evitare di seguirla seduta stante.
“Prima parliamo, Giacomo, stai buono ora,” disse, di nuovo, bisbigliando a se stesso.
Finì velocemente di fare colazione, si fece una doccia e si vestì, il tutto con l’impressione sempre più evidente che Zoe cercasse di evitarlo: ogni volta che lui entrava in una stanza la ragazza trovava quasi subito qualcosa da fare da un’altra parte.
Giacomo aspettò pazientemente di arrivare in macchina, dove ovviamente lei non aveva più la possibilità di scappare. Appena saliti, ancora prima di accendere il motore, le si avvicinò e le stampò un altro bacio sulla guancia, cosa che lei gli lasciò fare senza problemi.
“Allora,” esordì Giacomo dopo un paio di minuti di silenzio. “Ora che sei in trappola, mi dici cosa c’è che non va.”
Zoe rispose un po’ troppo velocemente per essere credibile. “Niente.”
“Quindi tutto apposto con… quello che è successo ieri sera, insomma?”
Con la coda dell’occhio la vide scrollare le spalle. “Sì, cioè… Eravamo entrambi lì.”
Di norma Giacomo sarebbe stato cauto con Zoe in una situazione del genere, ma sapeva che avrebbe dovuto salutarla da lì a mezz’ora e, purtroppo, immaginava che se non l’avesse pressata sarebbero rimaste troppe cose irrisolte tra di loro. Era probabile che succedesse anche pressandola, ma non trovava altre soluzioni.
“Perché ti comporti in modo così strano, allora?”
“Non sono strana!” esclamò lei, presa alla sprovvista.
“Sì, lo sei, e lo sei anche normalmente,” rispose lui per smorzare l’atmosfera, ma continuando a rimanere serio. “Ma oggi ti comporti come se io fossi un appestato.”
“No, non è vero, io…”
“Ok, allora se è tutto apposto, direi che… Beh, insomma, dopo quello che è successo possiamo provare a darci una possibilità, no? Stare insieme?” propose lui, provocatorio.
Zoe per poco non si soffocò con la sua stessa saliva, tossì un paio di volte e poi lo guardò con gli occhi sbarrati. “Non esagerare adesso!”
“È quello che voglio,” confessò Giacomo, stavolta con sincerità.
Lei cedette. “Ok, sono spaventata, ma è normale! E poi non è solo questo, abbiamo bisogno di parlare, Giaco, e adesso non ce n’è il tempo…”
“Perché tu hai deciso di andare via prima,” puntualizzò lui, ma Zoe continuò senza fare una piega.
“…e non credo di essere ancora pronta a parlarne. Devo metabolizzare il tutto.”
Giacomo rimase in silenzio per qualche minuto. Attese di accostare la macchina nei pressi della stazione, poi si girò verso lei: poteva vedere che era in difficoltà ma non riusciva a capire per cosa, e gli sembrava improbabile che potesse scucirglielo in quei pochi minuti rimasti loro.
“Quanto tempo pensi di metterci per metabolizzare?” le domandò guardandola negli occhi.
“Non lo so. Spero poco,” rispose lei abbassando lo sguardo.
Il ragazzo sospirò, attese qualche secondo, poi ritentò. “Fatto?”
“Cosa?”
“Hai metabolizzato? È passato un po’.”
A Zoe finalmente scappò un sorriso sincero, e lui si sentì già più sollevato. Quando alzò di nuovo su di lui due occhi decisamente titubanti, Giacomo capì che c’era qualcosa che lei non gli aveva detto, e che forse non voleva dirgli in quel momento. Aspettò comunque che fosse lei a parlare.
 “Abbiamo delle cose da dirci, e troppo poco tempo per farlo. Tu non sai cosa mi è successo quest’estate e io non so cos’è successo a te.”
“È per questo?”
Zoe chiuse gli occhi, stremata. “Non lo so. Sono confusa, delusa…”
“Delusa da cosa?”
“…e spaventata,” concluse lei, senza ascoltarlo. “E in ritardo, quindi devo andare.”
“Zò, non escludermi così, adesso. Prenditi del tempo, se vuoi, ma non buttarmi fuori. Non è giusto.”
“Hai ragione, e non voglio farlo. Lasciami solo qualche giorno.”
Giacomo annuì, poi le si avvicinò piano, le spostò dei capelli dal viso con delicatezza, lasciandole il tempo di scegliere se spostarsi o meno. Lei non lo fece, perciò, con il tuffo al cuore che sentiva sempre in questi casi, la baciò lentamente, assaporando quel contatto e cercando di rassicurarla così, prima di lasciarla andare via di nuovo.















Ciao a tutti! Inizio dicendo che è stata davvero dura scrivere questo capitolo, e non pensavo. Sapevo che l’avrei pubblicato perché, come ho già detto altrove, ho deciso di finire la storia; eppure mi sedevo al pc, mi obbligavo ad aprire il file e non riuscivo a scrivere nulla. Poi mi è arrivata l’ispirazione e il pc è dovuto andare dal dottore. E infine sono riuscita a scrivere solo a momenti, per cause di forza maggiore.
Perciò mi scuso. Non per il ritardo – ormai dopo una pausa di tre anni non esiste più la parola ritardo! :P – ma per un capitolo che, temo, potrà risultare forzato e spezzettato e scritto male.
Non sono capace a scrivere scene di sesso, insomma, questo è evidente, ed è anche per questo che la storia ha mantenuto un rating basso (anche se di recente l’ho cambiato da verde a giallo, ma solo per sicurezza). Non è che non apprezzi storie con scene di sesso rappresentate graficamente, anzi, è bravo chi riesce a descriverle senza risultare pesante e ridicolo, come invece capiterebbe a me. -.- Faccio fatica anche a scrivere scene smielate, baci, ecc, mi sembra di ripetere sempre le stesse quattro parole. Spero non sia così, in caso fatemelo sapere che vedo di ritirarmi… :)

So che ci sono delle cose che ho lasciato in sospeso nel capitolo, ma ovviamente conto di chiudere tutto nel prossimo (più un eventuale capitolo breve di chiusura, ma non ne sono per niente sicura e, anzi, anche se era previsto è probabile che non ci sarà).
Zoe è una rompi coglioni, sì, ma ha qualche ragione per comportarsi in questo modo. Se notate, infatti, l'ultima parte è tutta dal punto di vita di Giacomo, quindi non capiamo cosa pensi veramente lei: può sembrare strano, ma qualcosa lo sta pensando! E comunque il tempo, finora, è stato piuttosto cattivo con i due protagonisti, che non sono mai riusciti a stare insieme per bene, senza combinare disastri.
Questo capitolo fatto di Zoe e Giacomo, questo capitolo in cui finalmente riescono a prendersi un po’ di tempo per chiudere il resto del mondo fuori dalla porta, questo capitolo lo dedico a voi, a tutte le splendide lettrici che seguono questa storia nonostante tutto (e chi la segue dall’inizio sa cosa intendo).
Non sono sicura che questi due, nella vita reale, potrebbero stare davvero insieme. Probabilmente no, forse lei è troppo angosciata e paranoica, e lui è troppo impegnato e troppo poco perspicace. Ma quel poco che ho imparato io è che a volte capitano le cose più assurde, quelle che non ti aspetti. Zoe incontra Davide e pensa sia l’uomo perfetto, e in realtà è con ogni probabilità già innamorata di Giacomo.

Per il resto, mi sembra giusto mettere i credit per le canzoni citate nella scena del karaoke, anche se credo che siano tutte abbastanza famose.
Yellow Submarine e All you need is love sono ovviamente dei Beatles. Non penso ci sia altro da aggiungere.
Spaccacuore è una canzone di Samuele Bersani di cui, come ho scritto sopra, Laura Pausini ha fatto una cover. Premettendo che io non ho niente contro la Pausini, preferisco, come Zoe, la versione originale.
Every breath you take è un pezzo dei Police del 1983. Non è la mia canzone preferita, ma ho avuto un periodo adolescenziale in cui la ascoltavo spesso…e anch’io come Zoe ero propensa all’interpretazione dello stalker! XD E poi mi sembrava un buon compromesso per un karaoke!

Buono, ho finito qui. Vi ringrazio ancora tutti di cuore e vi do appuntamento al prossimo capitolo, e alla fine di questa saga infinita. :) Au revoir!

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Capitolo 28
*** Capitolo XXI ***


Capitolo XXI




Giacomo tornò al proprio appartamento con il morale sotto i tacchi. Aveva a malapena fatto in tempo a sfiorare l’idea di iniziare un qualcosa con Zoe che, senza nemmeno rendersi conto di come e perché, aveva perso tutto nel giro di mezza mattinata. Sapeva che la sua amica era piuttosto lunatica e indecisa, ma quel comportamento era bizzarro persino per lei: doveva per forza avere un motivo se si era incupita così, all’improvviso.
Cercò di ripercorrere mentalmente tutto ciò che era accaduto a partire dal pomeriggio precedente, quando era andato a prenderla all'aeroporto, fino a quella stessa mattina, quando l'aveva riaccompagnata in stazione. Cosa poteva essere andato storto? Nei suoi ricordi tutto appariva perfetto, quasi troppo perfetto. Aveva aspettato troppo a lungo quel momento e adesso lo aveva idealizzato, non notando così i segnali negativi che magari Zoe gli aveva lanciato? Gli pareva impossibile: lei la sera prima gli era sembrata così sicura, così dolce, e allo stesso tempo così se stessa, che lui aveva quasi temuto di avere un infarto ancora prima di riuscire ad arrivare alla camera da letto. Era andato tutto magnificamente, e sapeva che Zoe aveva sentito le sue stesse cose. Cos’era accaduto, allora?
Giacomo sentì il proprio cellulare vibrare e guardò lo schermo con un tuffo al cuore. Purtroppo era Niccolò, non Zoe: sospirò deluso e andò a buttarsi sul divano, mettendosi comodo prima di rispondere.
“Pronto?”
“Ehi Casanova, come butta?” gli rispose dall’altro lato la voce allegra del suo amico.
“Beh…” fece per cominciare Giacomo, ma venne subito bloccato bruscamente.
“No, aspetta, non dirmelo! Sei ancora con Zoe, vero, furbone? Ho interrotto qualcosa?”
“Veramente no, l’ho appena accompagnata a prendere il treno,” disse atono, buttando la testa indietro sullo schienale del divano.
“Di già? È andata così male?”
Giacomo sospirò di nuovo e scosse la testa, anche se l’altro non poteva vederlo. “No, anzi, direi il contrario.”
Niccolò lanciò un fischio di approvazione. “Ce l’avete fatta, eh, finalmente? Sapevo che nemmeno Zoe poteva resistere a lungo al tuo dubbio fascino da uomo di mondo. Qualche dettaglio da raccontare?”
“Te lo scordi, vecchia comare,” ringhiò Giacomo, ritrovando un po’ di energia.
“Ma se è andata bene si può sapere perché ti sento così depresso?”
“Stamattina Zoe era strana, distaccata, è voluta andare via prima e, anche se ha detto che era per problemi organizzativi, ho paura che si sia pentita di tutto, o magari ho fatto io qualcosa di sbagliato, o che ne so,” si decise a confessare infine: tanto valeva che il suo amico sapesse ogni cosa, almeno avrebbe avuto un altro parere sulla vicenda.
Niccolò sembrò confuso. “Non capisco.”
“Nemmeno io, Nico.”
“Ma avete fatto sesso o no?”
Giacomo si spazientì appena, si alzò e cominciò a camminare a vuoto per la casa. “Ma sì, Conte, di che cavolo stiamo parlando secondo te? La tua memoria si resetta ogni cinque minuti o vuoi continuare all’infinito a fare le stesse domande?”
“Scusa, amico, non scaldarti! È che non capisco come possiate essere arrivati a farlo per poi allontanarvi di nuovo. Eravate ubriachi?”
“Assolutamente sobri. E prima che tu faccia altre domande più stupide e più invadenti, è stato fantastico, perfetto e bla bla bla: questo è tutto ciò che devi sapere.”
Niccolò fece un verso frustrato. “Quella ragazza è un vero grattacapo, non è vero?”
“Non dirlo a me.”
“Ma pensi che sia del tutto psicopatica o potrebbe avere un motivo per il suo comportamento?”
Giacomo ci rifletté nuovamente per qualche istante, a fondo. Quand’era che Zoe aveva iniziato a comportarsi in modo strano?
“Ieri notte andava ancora tutto bene,” mormorò, parlando più a se stesso che all'amico, che comunque si beveva con estrema attenzione ogni sua parola. “Cioè, anche dopo averlo fatto, siamo stati un po’ a letto, sereni. Non c’erano problemi.”
“Che carini,” commentò Niccolò allegro.
“Nico...” lo ammonì l’altro, sfinito da quel pensare senza venire a capo di nulla.
“No, ma io dico sul serio! Siete carini, vorrei davvero che andasse tutto bene tra di voi, cretino. Quando hai Zoe sei più... produttivo, direi. Perciò se hai combinato qualche cazzata e l’hai fatta scappare, beh, vedi di rimediare, che stavolta mi sa che hai beccato la ragazza giusta, razza di culoso che non sei altro.”
Nonostante la scurrilità e gli insulti con cui aveva infarcito il discorso, Giacomo non poté fare a meno di sorridere per le parole del
l’amico, il quale, a modo suo, gli aveva appena detto che gli voleva bene e che sperava di vederlo felice con la ragazza di cui era innamorato. Non era mai stato più vicino all’esserlo, tra l’altro. Con Zoe lì, tra le sue braccia.
Sospirò per l'ennesima volta, fermando la sua camminata nervosa e bloccandosi in mezzo all’entrata.
“Dunque?” lo incitò Niccolò. “Quand’è che la donna ha preso a comportarsi stranamente?”
“Stamattina. O almeno,” si corresse, “io me ne sono accorto stamattina. Ma potrebbe essere successo qualcosa stanotte, mentre dormivo. Magari ha un altro!”
“Che stupidaggine.”
“Beh, potrebbe essere, in Canada ha conosciuto uno stronzo che le faceva la corte.”
“Questo non lo metto in dubbio,” concesse l’amico. “Ma se davvero fosse in qualche modo impegnata non sarebbe venuta a letto con te, Giacomino. Non sei così irresistibile, senza offesa.”
“Forse. Comunque ieri sera mi ha chiesto se sono stato con altre ragazze, ma io non ho voluto sapere niente di lei, invece. E ho un brutto presentimento.”
“Ti ha chiesto se sei stato con altre?” si informò sospettoso Niccolò.
“Mm,” annuì l’altro, grattandosi distrattamente una guancia.
“E tu cos’hai risposto?”
“Di no.”
“Giacomo.”
“Che c’è?”
“Il muro,” disse semplicemente Niccolò.
Giacomo ruotò di centottanta gradi, trovandosi esattamente di fronte alla bacheca piena di biglietti all’entrata dell’appartamento. “Merda.”
“Eh già.”
“Non può aver pensato...”
“Invece sì.”
“Merda,” ripeté Giacomo, a corto di sinonimi.
“Complimenti Sherlock. Hai appena capito come mai la tua ragazza è scappata dopo una focosa notte d’amore. Ma consolati: almeno adesso sai che non sono state le tue scarse doti amatorie a farla fuggire.”

“Un foglio su una bacheca?”
Aurora guardò Zoe in cerca di conferme su ciò che aveva capito della storia che l’amica le aveva propinato tutta d’un fiato, e la suddetta amica annuì.
“Sì,” rispose semplicemente, seria.
“E un foglio non ti sembra un po’ poco per giungere a delle conclusioni definitive?”
Era la mattina del giorno dopo, le due amiche erano in viaggio per la Liguria, in treno, e Zoe aveva appena raccontato la sua versione della vicenda con Giacomo, ma aveva l’impressione che l’altra non avesse ancora compreso del tutto la sua posizione.
“Non era solo un foglio, Rora, era un elenco in bella mostra di tutte le conquiste di quest’estate, con tanto di tabella suddivisa in due colonne – una per Niccolò e una per Giacomo – e numerata, per poter fare il conto a settembre e decidere – cito testualmente – chi fosse il summer playboy dell’anno.”
Aurora prese fiato tentando di interromperla, ma Zoe non la lasciò nemmeno cominciare.
“Accanto a ogni nome – se c’era un nome, perché alcune erano semplicemente annoverate come ‘la bionda tettona’ o ‘la cavallerizza’, che non ho idea di cosa possa significare – comunque, accanto al nome c’era il numero di telefono, se reperito, e un voto espresso in cifre da uno a dieci sul, presumo, aspetto fisico delle ragazze in questione. Forse io salto a conclusioni affrettate, ma questa a me sembra una gara tra uomini a chi se ne fa di più. Dico, eh.”
Aurora cedette e sospirò. “Quante ragazze c’erano?”
“Sulla colonna di Giacomo sette o otto, di cui quattro con numero di telefono. Pare che abbia vinto Niccolò, comunque, se la cosa può interessarti, ma di poco.”
“Sette o otto?”
“Otto,” specificò Zoe, che odiava terribilmente il fatto di ricordarselo così bene, tanto quanto ricordava tutto il resto della dannatissima serata passata con Giacomo. “Ma se aggiunge me può arrivare a nove, direi.”
“Non dire cretinate.”
“Pensi ancora che stia dicendo cretinate?”
Aurora scosse la testa. “Hai tutto il diritto di arrabbiarti per quella tabella o per le otto ragazze, ma…”
Zoe la fermò, già sulla difensiva. “Non sono arrabbiata per quello. Non sono nemmeno arrabbiata, a dirla tutta. Sono ferita. E non per ciò che pensi tu, comunque.” Stette qualche secondo in silenzio, cercando le parole per spiegare come si sentisse. “Mi ha mentito, Rora, gli ho chiesto se era stato con altre, mi ha guardato dritta negli occhi e mi ha detto di no. Ero letteralmente nelle sue mani in quel momento.”
“Mi spiace, tesoro, ma cerca di ragionare, ora. Non puoi sapere se…”
Zoe la interruppe di nuovo, per spiegarsi definitivamente. “È come se mi avesse detto di no, che non era stato con altre ragazze, solo per venire a letto con me. Anche Alessio lo faceva, ti ricordi? Mi sono sentita allo stesso modo.”
Aurora sospirò, paziente. A volte parlare con Zoe era come avere a che fare con una bambina piccola; dal punto di vista sentimentale, almeno, era parecchio immatura, ma non era del tutto colpa sua. Zoe si era costruita attorno un muro molto spesso per proteggere la propria solitudine e indipendenza, e aveva ancora delle remore ad abbatterlo. Aurora sperava da tempo che Giacomo fosse la persona giusta per buttarlo giù.
“Zò. Giacomo non è Alessio. Non è nemmeno minimamente simile a quel verme, lo sai.”
“Sì, lo so. Ho sbagliato a reagire in quel modo.”
L’amica la scrutò a fondo: la conosceva troppo bene per non capire che non aveva detto tutto ciò che pensava.
“Ma…?” la incitò a continuare.
“Ho sbagliato a reagire così, e oltretutto lui quest’estate aveva il diritto di fare ciò che voleva, eravamo d’accordo. Ma resta il fatto che mi ha mentito.”
“Ne sei così sicura?”
“Beh, quel foglio…”
Aurora scrollò la testa decisa, interrompendola. “Lascia perdere il foglio, glielo devi chiedere! Non puoi sapere come stanno le cose, finché non ne parli con lui.”
“Avrei dovuto chiedergli delle spiegazioni subito, in quel momento?” le chiese l’altra senza aspettarsi una risposta. “Non stiamo nemmeno insieme, Rora, non ho nessun motivo di fargli scenate di gelosia o cose simili.”
“Eppure ci sei rimasta male,” le fece notare lei con ovvietà.
“Per la bugia, sì. Ma ciò non vuol dire che io sia pronta a iniziare una storia con lui, è ancora troppo complicato.”
“Cosa c’è di complicato esattamente?”
“La distanza. Le nostre differenze. Il fatto che io sono così incasinata da litigare persino con me stessa,” elencò mestamente Zoe, ma la sua amica non la fece continuare.
“O il fatto che sei innamorata di lui,” puntualizzò, guardando poi la sua reazione.
Zoe non perse nemmeno tempo a scandalizzarsi: si limitò a sospirare e passarsi una mano sugli occhi, mostrando così la propria fragilità e indecisione sull'argomento.
“Non lo so,” sospirò infine. “È troppo presto per dirlo, credo.”
Aurora la guardò amorevole e comprensiva, mettendo da parte la voglia di sgridarla per bene, anche se un po’ se lo sarebbe meritato. Ma Zoe sembrava davvero combattuta e probabilmente rischiava di fare un errore madornale se lei non l’avesse aiutata o almeno spinta nella direzione giusta.
“Tesoro,” le disse indulgente, “hai ragione, forse adesso è troppo presto. Ma se aspetti ancora potrebbe essere troppo tardi, poi.”
“È sempre così per me,” commentò malinconica Zoe. “È sempre troppo presto o troppo tardi, troppo bello o troppo strano, troppo lontano o troppo superficiale, troppo poco o troppo… troppo. Forse è meglio se capisco che sono destinata a restare zitella e basta.”
Nonostante l’evidente agitazione dell’amica e la poco chiarezza con cui aveva esposto il suo pensiero, Aurora era riuscita a capire cosa intendeva, e pensava fosse giunto il momento di darle una bella scrollata.
“Adesso stai esagerando.” Prese fiato e la guardò, seria. “L’amore è un rischio. Non sai mai, prima di provare, se finirai con tutte le ossa rotte o se comunque ne sarà valsa la pena. Tu ti sei lamentata a lungo di non esserti mai innamorata, e probabilmente è vero, in questo frangente hai avuto molta sfiga. Ma è vero anche che non ti sei mai presa il rischio di provarci, non del tutto, almeno. Guardati adesso: la prima volta che provi qualcosa di vero per qualcuno e che questo qualcuno è innamorato perso di te, tu scappi. Io capisco che tu abbia paura, davvero, ma a un certo punto devi decidere di buttarti, di rischiare il tutto e per tutto, sennò non ti innamorerai mai. E non perché non sei capace di amare, ma perché non ti apri alla possibilità di farlo, rischiando così le ossa rotte e tutto il resto, ma anche tante cose belle che meriti di vedere, di sentire.”
Zoe, gli occhi lucidi, tenne la testa bassa tutto il tempo, guardandosi le mani. Alla fine, sospirò, sorrise mestamente ad Aurora e cedette. “Parlerò con Giacomo appena torno, te lo prometto.”
L’amica la squadrò. “Cerca di parlarci anche prima, che sarà in ansia, povera anima.”
“E quando?”
“Beh, esiste un aggeggio chiamato telefono che serve proprio a questo scopo, tesoro.”
“Mpfh,” bofonchiò Zoe, incrociando le braccia. “Ti piace proprio avere sempre ragione, eh?”
Aurora rise cristallina, sporgendosi per darle una pacca sul ginocchio. “È ovvio.”

La casa al mare dell’amica di Viola più che una casa era una specie di villazza gigantesca sulla costa ligure. Trattandosi di un’eredità dei nonni – la famiglia di Marta era piuttosto facoltosa da molte generazioni – l’immobile era abbastanza vecchio, sia all’esterno che all’interno, ma ancora ben tenuto, e veniva tutte le estati messo a disposizione dei figli e dei nipoti degli anziani signori. Viola conosceva Marta da una vita, era una delle sue migliori amiche, e andava spesso a passare parte delle vacanze in quella casa. Quell’anno l’invito era stato esteso anche a Ginevra e Marco, il suo ragazzo, e a Zoe e Aurora, così le sorelle avrebbero potuto passare un po’ di tempo assieme dopo la lontananza dovuta alla vacanza-studio della mezzana; inoltre nello stesso periodo c’erano nella casa altre due amici di Viola, un ragazzo e una ragazza della sua classe, e due cugini di Marta. La villetta risultava perciò piuttosto affollata ma, a dimostrarne la grandezza, rimanevano ancora un paio di stanze inutilizzate.
“Alla faccia!” esclamò Aurora quando, dopo aver varcato il cancello e attraversato il giardino, vide da vicino l’edificio. Si tolse gli occhiali da sole e guardò alternativamente la villa e poi Zoe, come a chiederle se fossero capitate proprio nel posto giusto. Zoe alzò le spalle e sorrise.
In quel momento uscirono dalla porta principale Viola e Marta, e la prima, ovviamente, sembrava piuttosto su di giri.
“Zoe! Sei qui!” la travolse abbracciandola e buttandola quasi a terra per la veemenza che ci mise.
Ginevra, sentendo le grida, spuntò da una delle finestre al secondo piano. “Oddio, è arrivata? Marco, è arrivata la Zoe!” disse, girandosi verso l’interno. Dopodiché tornò a guardarle dal balcone. “Ferma lì, sorella, che arrivo anch’io a salutarti,” la ammonì.
“E dove vuoi che vada?” borbottò Zoe, con la voce strozzata dall’abbraccio della sorella minore, a cui presto si aggiunse anche quello della maggiore.
Aurora guardò la scena da pochi passi di distanza, sorridendo dell’affetto che le tre riuscivano a esprimere pur senza dire niente, o quasi.
Gli schiamazzi avevano fatto spuntare diverse teste dalle finestre che davano sul giardino, oltre a Marco che doveva aver sceso le scale con un po’ più di calma rispetto alla sua ragazza, per raggiungere Zoe e salutarla con un sorriso e un bacio sulla guancia.
Viola, nel frattempo, continuava a parlare a voce piuttosto alta, bombardando la sorella di domande senza lasciarle nemmeno un secondo per rispondere, com’era solita fare. Ovviamente non mancarono nemmeno le domande invadenti su Giacomo, a cui Zoe rispose con il mutismo più assoluto, finché Viola non sganciò la bomba.
“Guarda che lo so che prima di venire qui sei stata da lui, eh! Credi che sia cretina?”
Zoe lanciò un’occhiataccia ad Aurora. “Cretina forse lo sei, ma di certo sei anche ben informata.”
Viola sventolò una mano, minimizzando, mentre Ginevra alzava gli occhi al cielo ed Aurora metteva su un’espressione colpevole.
“Scusa,” pigolò l’ultima, contrita, “pensavo lo sapesse già che ti fermavi a Milano, tornando…”
“Tranquilla, tanto l’avrebbe scoperto comunque, diventa un mostro quando c’è da carpire certe informazioni.”
“Ecco, infatti!” confermò Viola. “Visto che tanto prima o poi scoprirò comunque tutto, che ne dici di facilitarmi il lavoro e dirmelo adesso tu?”
Zoe scoppiò a ridere. “Questo mai! Ti toglierei tutto il divertimento!”
Ginevra e Aurora non poterono trattenere una risata alla faccia stressata di Viola, che continuò a seguire la sorella anche quando questa prese la propria valigia ed entrò nell’enorme casa, per farsi spiegare dove andare per trovare la propria camera.

Appena sistemati i bagagli nella stanza che avrebbe diviso con Aurora, Zoe tentò di chiamare Giacomo, ma il cellulare di lui squillò a vuoto fin quando non partì la segreteria telefonica. Il cuore le batteva furiosamente nel petto e Giacomo non aveva nemmeno risposto, non era un buon segno.
Scese al piano terra per cercare Aurora e la trovò nell’enorme cucina intenta a prepararsi un toast.
“Ehi, eccoti,” la accolse l’amica. “Vuoi qualcosa da mangiare anche tu?”
Zoe si limitò a scuotere la testa, sedendosi su un ripiano della cucina.
Aurora la guardò storta. “Come no? Io ho una fame mannara, è da stamattina che non mettiamo niente nello stomaco. Sei sicura?”
Lei scrollò le spalle, disinteressata.
“Che c’è che non va?”
“Dove sono gli altri?” chiese Zoe, accorgendosi in quel momento del silenzio innaturale che regnava nella casa.
“In spiaggia. Ci stavano aspettando, ma quando siamo arrivate hanno deciso di andare giù per non perdere il pomeriggio. Ti va di raggiungerli?”
“Ok,” accettò lei, sbrigativa.
Aurora masticò il suo toast, pensierosa. “Allora, che c’è che non va?” ripeté.
“Ho chiamato Giacomo ma non ha risposto.”
“L’hai già chiamato?” fece l’amica, con un’espressione stupefatta a dipingerle il viso.
“Sì, perché?”
“Beh, tu di solito rimandi all’infinito questo genere di cose, non pensavo lo facessi subito.”
Zoe scese dal ripiano e aprì le braccia teatralmente. “Ma se mi hai detto tu di…”
“Sì, lo so cosa ti ho detto,” la interruppe Aurora, che dallo stupore aveva persino smesso di mangiare il suo toast. “Ma non so… Forse pensavo che non lo facessi subito, che ci riflettessi un po’ di più, insomma.”
“Fai uso di stupefacenti? Due ore fa mi hai detto che avrei dovuto chiamarlo al più presto!”
Aurora sospirò, roteando gli occhi. “Fai come ti pare, ok? Però adesso ti faccio un toast e mangi anche tu, tesoro. E subito dopo ci mettiamo il costume e andiamo in spiaggia, non ho fatto tutte queste ore di treno per sentire le tue lamentele. E non guardarmi così! Magari Giacomo era impegnato, stava facendo qualcos’altro, era… Beh, insomma, sono sicura che ti chiamerà lui presto. Non credi?”
Zoe assottigliò gli occhi, sospettosa. Quando la sua amica cominciava a blaterare in quel modo, di solito stava cercando disperatamente di non affrontare un argomento in particolare. “Stai parlando a macchinetta, Rora. Cosa c’è?”
“Cosa c’è cosa? In che senso? Te l’ho detto, ho solo voglia di andare a prendere un po’ di sole, adesso. E distrarti farebbe bene pure a te.”
Zoe continuò a fissarla, indecisa se crederle o meno.
“E smettila di guardarmi così, ti ho detto!” la rimproverò l’amica. “È proprio questo tuo sguardo che fa paura alle persone, sai?”
L’altra cedette e scoppiò fragorosamente a ridere, decidendo di crederle e ragionando che almeno su una cosa Aurora aveva ragione: distrarsi, in quel momento, non avrebbe potuto che farle bene.

Giacomo, quel pomeriggio, finì di sistemare l’appartamento milanese per l’estate, poiché sarebbe dovuto rimanere chiuso per un paio di settimane. Pulì la propria stanza, controllò che non ci fosse niente di deperibile nel frigorifero, lavò gli ultimi piatti rimasti, quelli su cui aveva pranzato, e preparò la propria valigia. Si ritrovò a fare tutto ciò con una certa ansia addosso e con la testa da un’altra parte, ma ci mise comunque più di quanto aveva preventivato a finire i lavoretti, anche a causa della propria distrazione, che lo portò a controllare più volte le cose che aveva da fare.
Infine, si sedette stanco sul divano, solo per qualche minuto, sospirando pesantemente. Pensò a Zoe, racimolò la sicurezza che di solito non gli mancava, ma che in quel momento era finita chissà dove, da qualche parte fagocitata dalla paura di sentirsi respinto di nuovo, prese il proprio borsone pronto nell’ingresso, la chitarra e le chiavi della macchina sul mobiletto, uscì e si chiuse la porta alle spalle.
Erano le sei passate. Ore prima, appena finito di pranzare, Giacomo aveva chiamato Aurora, rendendola complice di ciò che stava per fare: ovvero presentarsi senza invito e senza preavviso alla casa al mare dell’amica di Viola e convincere – o costringere, se necessario – Zoe a prendere una decisione su quella che sembrava essere la soap opera dell’anno, in cui entrambi erano finiti senza nemmeno accorgersene. In effetti, proprio come una soap opera, la relazione tra lui e la testona di cui aveva avuto la sfortuna di innamorarsi aveva già un pubblico discretamente folto. Giacomo aveva testato questa cosa parlando con Aurora, e si era reso conto che per diverse persone il risolvimento della loro storia era importante quasi quanto per lui stesso.
Non così tanto, ovviamente. Aurora era stata davvero carina a fargli sapere che se la sua migliore amica non avesse cominciato a ragionare, buttandosi tra le di lui braccia, ci avrebbe pensato lei a sistemarla per le feste; ma a Giacomo l’idea che Zoe lo respingesse, troppo spaventata o semplicemente non abbastanza innamorata di lui, non sembrava così assurda, e proprio per questo gli metteva addosso un’ansia tremenda. Ciò che sapeva era solo che non poteva continuare così: aveva aspettato Zoe, si era innamorato di lei senza neanche capire come, aveva tentato di nasconderle e nascondersi quei sentimenti, era rimasto suo amico fin quando non era più riuscito a sopportare quel casino, a quel punto l’aveva vista partire per il Canada e l’aveva attesa ancora, le aveva persino scritto una canzone, per dio.
L’impulsività era forse uno dei suoi maggiori difetti, e lui col tempo aveva imparato a controllarla, a reprimerla, addomesticandola e riuscendo a usare con più oculatezza il suo cervello. Ma sapeva che Niccolò aveva ragione quando gli diceva che Zoe riusciva a tirare nuovamente fuori quella parte avventata e istintiva di lui, quella parte che lui aveva messo a tacere dopo la cocente delusione con Beatrice. Con Zoe, Giacomo sragionava, ed era tutta colpa del fatto che aveva irrimediabilmente bisogno di lei.
Così, quella mattina aveva messo d’accordo la sua parte ragionevole e il suo istinto più puro, e aveva – se così si può dire – messo a punto razionalmente un’azione impulsiva e potenzialmente molto stupida. Lo stomaco gli diceva di correre da Zoe, e lui sapeva di non poter resistere ancora a lungo. Perciò aveva chiamato Aurora, facendosi dare le indicazioni per raggiungere il posto in Liguria dove stavano passando le ultime vacanze estive. Dopodiché si era seduto e, invece di prendere la macchina e partire alla velocità della luce come era solito fare, aveva deciso di riflettere sull’andare o meno in Liguria. Alla fine aveva stabilito che, per quanto potesse essere stupido, non avrebbe resistito senza spiegarsi con Zoe, senza sapere che lei l’avrebbe perdonato, che non voleva più scappare. E se invece gli avesse dato di nuovo picche, almeno avrebbe potuto dire di averci provato, perché starsene lì con le mani in mano non era proprio cosa da lui.
Aurora, ovviamente, era stata gentilissima e molto confortante, gli aveva detto che anche secondo lei dare una scrollata a Zoe poteva essere una buona idea, che sperava tanto che la cosa si risolvesse al meglio, ovvero con tanti baci, sesso, e, in futuro, tanti bambini paffuti e sani – parole testuali della pazza. Gli aveva anche assicurato che non avrebbe detto niente a Zoe, per tenere valido “l’effetto sorpresa”.
Ora, dopo tre ore di macchina e una cura della sua musica preferita per tranquillizzarsi, Giacomo era quasi arrivato a destinazione, e ricominciava a sentire la tensione stritolarlo.
Una volta entrato in paese seguì le indicazioni che gli aveva dato Aurora per raggiungere la casa ma, nonostante fosse sicuro di ricordarsele passo per passo, fu comunque stupito e un po’ dubbioso nel trovarsi davanti quel cancello enorme che si apriva su di un giardino altrettanto grande. Parcheggiò titubante, bevve un sorso d’acqua da una bottiglietta che aveva appoggiato sul sedile accanto, scese dalla macchina, si stiracchiò e si diresse a passo spedito verso la facciata dalla casa, sulla quale brillavano almeno una dozzina di finestre con la luce accesa all’interno.

Zoe aveva passato le ultime due notti dormendo quasi nulla, causa jet lag e pensieri vari su Giacomo, perciò non si stupì quando quella sera le arrivò addosso una botta di sonno spaventosa ancor prima di finire la cena. Alle nove era già nella sua stanza, stesa sul letto, che sfogliava un libro mentre tentava, con scarsi risultati, di non pensare al fatto che Giacomo non l’aveva ancora richiamata. Alle nove e mezza gli occhi le si stavano chiudendo per il sonno, stava quasi per arrendersi e spegnare la luce, quando Aurora fece capolino dalla porta.
“Come va, Life?”
“Bene, ma ho una stanchezza infinita addosso, stavo per spegnere la luce. Voi giù avete programmi?”
Aurora scrollò le spalle. “Credo che Viola e i suoi amici abbiano una mezza idea di uscire, sono in camera a prepararsi, ma sarà lunga. Marco e Ginevra sono più stanchini, guardano un film in camera loro, hanno chiesto se vogliamo unirci.”
“Sono troppo stanca, Dawn, scusa…”
L’amica mise su un’espressione abbattuta. “Sicura? Puoi sempre venire di là con noi, iniziare il film e addormentarti. E poi, se ora dormi di già, domani mattina ti sveglierai prestissimo e ti annoierai. Io ne so qualcosa, mi sveglio sempre prima di tutti, fin da piccola, che la domenica mattina non sapevo cosa fare perché…”
Zoe la interruppe. “Parli di nuovo a macchinetta.”
“Non è vero.”
“Sì, invece.”
“Ok, senti, volevo solo essere gentile! Buonanotte,” concluse Aurora con un po’ troppa fretta, prima di uscire di nuovo e allontanarsi dalla camera alla velocità della luce.
Zoe continuò a fissare sospettosa la porta, domandandosi cosa potesse avere la sua amica da nasconderle, ma alla fine decise che era troppo stanca per tentare di risolvere anche quell’enigma. Sbuffò, spense la lampada sul comodino, si mise comoda con la testa sul cuscino e chiuse finalmente gli occhi.
Nemmeno due minuti più tardi, le parve di sentire qualcuno che la chiamava in lontananza. Si rigirò nel letto, pensando che se avesse finto di dormire avrebbero desistito. Poco dopo il suo cellulare si illuminò e cominciò a vibrare con insistenza sul comodino.
“Merda, ho dimenticato di spegnerlo,” borbottò a se stessa, prendendo l’oggetto incriminato per capire chi potesse essere. Appena lesse “Giacomo” sul display si tirò a sedere come azionata da una molla invisibile, con il cuore che accelerava senza pietà, improvvisamente più sveglia che mai.
“Sì?” rispose con voce roca.
“Ehi,” la salutò Giacomo all’altro capo.
“Ce ne hai messo di tempo a richiamarmi,” lo rimproverò lei, sentendosi subito più leggera.
“Lo so. Senti…” Fece una pausa, indeciso, poi continuò. “Perché non ti affacci alla finestra, così almeno capisco qual è la tua stanza?”
A Zoe per poco non cadde il cellulare dalla mano per la sorpresa.
“Cosa?” gracchiò senza fiato.
“Dai, su, svelta.”
Non se lo fece ripetere un’altra volta: mollò il telefono, scese dal letto come un fulmine e arrivò alla portafinestra del piccolo terrazzino che dava sul cortile anteriore della casa. In quello Aurora entrò trafelata nella camera.
“Zò, sveglia!” stava sbraitando. “Penso che dovresti… Ah, lo stai già facendo,” commentò sorridente, vedendo l’amica che si scapicollava ad aprire il balcone della porta che aveva già chiuso per dormire.
“Con te faccio i conti dopo,” le disse Zoe, ritrovando un briciolo di lucidità e capendo all’istante la stranezza di Aurora durante la giornata. “So che sapevi.”
“Ops,” rise l’accusata, dileguandosi di nuovo in corridoio per andare a gustarsi la scena da una finestra libera.
Zoe uscì sul terrazzino con addosso un pigiamino estivo verde menta e, nonostante fuori ci fosse un’arietta fresca non da poco, appena vide Giacomo che la guardava da sotto in su con un sorriso per metà felice e per metà preoccupato, sentì un calore improvviso spargersi dal suo stomaco al resto del suo corpo. Non riuscì a non rispondere al sorriso di lui, anche se era ancora stranita per quell’improvvisata.
“Cosa diamine fai qui, sei matto?”
“Sono il tuo stalker personale,” ghignò Giacomo, ritrovando parte della propria sicurezza nel sorriso di lei: era evidentemente contenta di vederlo.
“Sì, beh, non è la prima volta che…”
“Oh mio dio, Pioggia, non ci credo!”
Viola era sbucata dalla finestra della propria camera e, vedendo il cantante, aveva recitato la propria battuta con fare teatrale.
“Sei venuto a farle una dichiarazione come Romeo e Giulietta! Zoe, ma perché tutte le fortune a te? Eh? È proprio vero che chi ha il pane non ha i denti…”
Nel frattempo anche le persone all’interno della casa che non conoscevano bene la situazione né i protagonisti, sentendo l’esclamazione di Viola, erano stati spinti ad affacciarsi ai vari balconi della villa, creando un siparietto piuttosto divertente con tanto di pubblico.
Zoe lanciò un’occhiataccia alla propria sorella minore, che stranamente si zittì, forse anche grazie a Ginevra che la insultava in tutte le lingue del mondo intimandole il silenzio.
Giacomo stava ridacchiando e sembrava come sempre a proprio agio, ma era in realtà ancora un bel po’ agitato: Zoe lo notò da come si passava distrattamente una mano sulla nuca, seppur sorridendo.
Parlò lei per prima. “Aspetta un attimo, mi vesto e vengo giù.”
Si stava già girando verso la camera, quando lui la richiamò. “No, aspetta!”
Zoe lo guardò con le sopracciglia inarcate e lui dovette fare un colpo di tosse per schiarirsi la voce prima di riprendere.
“Non serve che scendi, non ancora.”
“Non vuoi mica fare davvero Romeo e Giulietta? Perché, non so se te ne sei accorto, ma c’è un po’ di pubblico in più del previsto…” gli fece notare Zoe, indicando le finestre da cui spuntava una mezza dozzina di teste divertite e curiose, alcune di persone che nemmeno lei conosceva fino a quella mattina.
Giacomo scosse la testa e diventò improvvisamente più serio. “No, è che… Devo dirti delle cose e vorrei che tu stessi lì mentre ti parlo, mi è più facile così. Quando sei vicina mi distraggo, oppure sei tu che fai qualche mossa Jedi che non capisco, e finisco sempre per dirti quello che vuoi sentirti dire.”
Zoe aveva il cuore in gola, si limitò a fare un cenno con la testa per spingerlo a continuare, e Giacomo prese fiato.
“Potrei aver fatto una stronzata a venire qui, ma ne ho fatte tante nella mia vita, e quella di rinunciare a te senza fare niente sarebbe la più grande di tutte. Tu hai paura, lo capisco. Dio, ne ho anch’io, credi che non ne abbia?”
Lei fece un’espressione dubbiosa e Giacomo sorrise.
“No, invece, ho paura anch’io. Ho paura che tu mi respinga di nuovo e ho paura anche che cominciare qualcosa con te possa significare la fine della nostra amicizia. E la nostra amicizia è una delle cose più belle che mi sono capitate negli ultimi anni. Tu lo sei. Sei un casino e mi esasperi come nessun altro al mondo, eppure sono ancora sicuro che insieme staremmo bene, non solo come amici. Ne sono ancora più convinto dopo quello che è successo l’altra notte, anche se poi sei scappata.”
Si sentì chiaramente una specie di gemito stupito e frustrato, e Zoe non dovette nemmeno girarsi per sapere che proveniva da Viola. La ignorarono entrambi. 
“E adesso devo sgridarti,” continuò Giacomo, passandosi di nuovo la mano sul collo. “So cos’hai visto a casa mia, a Milano, che ti ha fatto scappare, e non è quello che pensi. Avresti dovuto chiedermelo subito, e forse adesso non sarei qui, anche se sono abbastanza sicuro che avresti trovato un altro motivo per darti alla macchia, dopo quello che era successo.”
Zoe sentì un altro verso di Viola, che evidentemente smaniava dalla voglia di intromettersi, e alzò gli occhi al cielo. Vedendola, a Giacomo sfuggì una mezza risata, abbassò la testa e poi la rialzò, guardandola negli occhi e riprendendo il filo del suo discorso.
“Tu scappi e io ti seguo, finora è andata così. Tranne quella volta in Canada, lì eri decisamente troppo lontana per pensare di seguirti. È stato un duro colpo per la mia reputazione di stalker,” ammise, aggrottando le sopracciglia, per poi tornare più serio che mai. “Ma non posso continuare così nemmeno io, Zò, posso seguirti ovunque se sei tu a chiedermelo, ma non posso stare dietro a una persona che non so nemmeno se mi vuole. È l’ultima volta che ti seguo, lo prometto, poi dipenderà solo da te.”
Zoe tirò su col naso, il fiato incastrato in gola già da un bel po’, la paura di quello che sarebbe arrivato dopo. Giacomo non si fermò.
“Ho bisogno di sapere adesso se possiamo avere una possibilità. Non ti chiedo certezze, ti chiedo solo un varco aperto, un forse. Lo so che per te è già tanto questo, e so anche che ti avevo detto che ti avrei dato del tempo, ma di tempo, onestamente, te ne ho dato già abbastanza. Ora ho bisogno io di capire. Quindi mi spiace metterti alle strette, ma se mi vuoi hai tempo solo altri dieci secondi per venire qui, io non posso resistere più di così.”
Zoe rimase immobile, con un’espressione stupita in volta, solo per un istante, dopodiché, senza dire niente né fare alcun cenno al povero Giacomo, si girò e rientrò velocemente in camera. Il ragazzo spalancò gli occhi, convinto di averla spaventata di nuovo a morte, ma non fece nemmeno in tempo a reagire né a spostare gli occhi dal balcone, che Zoe era uscita nuovamente, infilandosi una leggera felpa blu. Finita l’operazione si sporse dal lato del terrazzino, come a valutare a qualcosa, e prima che Giacomo riuscisse a dire o anche solo a pensare qualunque cosa, la ragazza aveva scavalcato con una gamba la ringhiera a sinistra e si accingeva a passare di là anche l’altra.
“ZOE!” urlò Giacomo, muovendosi più vicino alla casa, impaurito. “Cosa cazzo stai facendo?”
“Scendo,” rispose lei, come se fosse la cosa più normale del mondo. “Se prendo le scale non ce la faccio in dieci secondi.”
“Ok, senti, non importa, ti aspetto, ma non fare idiozie, non… NO!” gridò istericamente lui vedendo che Zoe, disinteressata alle sue parole, aveva superato la ringhiera e aveva fatto un piccolo salto, riuscendo ad atterrare illesa sulla tettoia che copriva la porta al piano terra.
Anche Ginevra e Aurora sbraitavano improperi di ogni tipo contro la ragazza, mentre Viola, forse per la prima volta in vita sua, sembrava aver perso l’uso della parola, e guardava la scena trattenendo il fiato.
Zoe scivolò a sedere sulle tegole della piccola tettoia, fino ad arrivare al bordo, poi guardò Giacomo, che aveva ancora gli occhi spalancati.
“Pensi di riuscire a prendermi?” gli chiese candidamente, sorridendo incerta.
Lui si riscosse e le lanciò uno sguardo in bilico tra il furioso, il preoccupato e l’innamorato, cosa che la fece sorridere ancora più apertamente.
“Appena tocchi terra ti strozzo con le mie mani,” borbottò Giacomo, alzando le braccia.
“Beh, c’ho messo un po’ di più di dieci secondi, ma era difficile scendere più velocemente,” scherzò lei, mentre si girava dandogli la schiena e calandosi giù dalla tettoia, in modo da rimanervi appesa con le mani e non schiantarsi a terra. Appena sentì la stretta sicura di Giacomo sui fianchi, mollò la presa e gli lanciò un’ultima frecciatina. “Pensi di essere l’unico che ha il diritto di fare gesti teatrali e insensati?”
Giacomo sbuffò senza riuscire a trattenere del tutto una mezza risata, appoggiò Zoe a terra, la fece girare verso di sé, e la abbracciò strettissima, quasi alzandola da terra. Lei rispose subito al suo abbraccio buttandogli le braccia al collo e lasciandosi stritolare da quelle di lui.
Dalle finestre partì un piccolo applauso e qualche parola d’incitamento e Zoe seppellì il viso nel collo di Giacomo, vergognandosi.
Lui continuò a stringerla e le parlò direttamente nell’orecchio. “Se la risposta era no bastava dirlo, non era necessario tentare il suicidio…” la prese in giro.
Zoe si scostò di qualche centimetro per guardarlo negli occhi, scettica. “Ti sembra un no?”
Il sorriso che nacque sul volto di Giacomo era talmente esplicativo e solare e spudoratamente felice che Zoe sentì il proprio cuore fermarsi per poi riprendere a correre più veloce di prima. Si guardarono negli occhi, finalmente vicini, sorridendo entrambi, e mentre Giacomo si sporgeva per baciarla, partì un nuovo e più forte fischio di approvazione da una delle finestre. Zoe spalancò gli occhi e si allontanò di un metro da lui, ricomponendosi: vedere Giacomo a pochi centimetri da lei le aveva fatto completamente dimenticare di essere sotto gli occhi di un po’ di persone.
“È colpa tua, esibizionista,” lo rimproverò, sentendo che il proprio cuore non voleva saperne di rallentare.
“Veramente sei tu che hai dato spettacolo!” ribatté lui, girandosi verso la casa e salutando con la mano in direzione delle finestre da cui sporgevano Aurora, Viola, Ginevra e Marco.
“Tu hai fatto questa messinscena alla Romeo e Giulietta, io avrei parlato in privato!”
Lui rise e la guardò di nuovo. “Non s’è mai vista Giulietta che si butta dal balcone.”
Zoe incrociò le braccia, fingendo d’imbronciarsi. “Nemmeno Romeo che le dà un ultimatum, se è per questo!”
“Siamo meglio noi, eh?” ammiccò il ragazzo, senza smettere di sorridere.
A quel punto Viola, evidentemente stufa di stare in silenzio, intervenne dalla sua postazione sopraelevata.
“Giacomo, se quella ritardata di mia sorella non si decide a baciarti, a questo punto vengo giù io, almeno ti saluto. Il bacio è a tua discrezione!”
“Non ti azzardare,” la rimproverò Zoe, prendendo Giacomo per mano e cominciando a indietreggiare verso il cancello della villa. “Noi ce ne andiamo a fare un giro in spiaggia,” annunciò: sentiva il bisogno di stare un po’ da sola con lui prima di affrontare quel ciclone di sua sorella minore e tutte le altre persone urlanti e festose.
Aurora la chiamò. “Zò, ma dove vai? Sei scalza!”
Zoe si guardò i piedi e si rese conto che l’amica aveva ragione; rialzò la testa guardandola, indecisa, e Aurora le fece cenno di stare ferma, rientrò in casa e riapparve alla finestra della loro camera.
“Tieni, scema,” le disse lanciandole giù un paio di ciabatte infradito. “E se andate in spiaggia prendi anche questo, ho idea che potrebbe servirvi,” continuò, calandole addosso un asciugamano da mare.
“Grazie mamma.”
“Fate i bravi!” li salutò Aurora, sventolando la mano nella loro direzione.
“Ciao ragazzi!” fece eco dalla sua finestra Ginevra, che era appena riuscita a trattenere una Viola piuttosto seccata perché non poteva raggiungere Giacomo in giardino. “Ci toccherà prepararvi una camera lontana dalle altre,” commentò poi la maggiore delle Molinari, parlando più a se stessa che alle due figure ormai lontane, e scatenando la risata incredula di Marco e Aurora, cui poi si aggiunse quella finalmente serena di Viola.

Qualche minuto più tardi i due stavano per raggiungere la spiaggia, dopo aver attraversato il paese in completo silenzio. Ma stavolta, lo sentivano entrambi, non era un silenzio imbarazzato, strano, era piuttosto un silenzio naturale, felice, di quelli che servono a sentire il respiro dell’altra persona, la sua presenza accanto a te, a percepire i suoi sorrisi. Non si erano ancora guardati negli occhi da quando avevano preso a camminare, Zoe sembrava avere urgenza di arrivare al mare, ma Giacomo continuava a sfiorare la sua mano con la propria, indeciso se stringerla o continuare quel gioco fatto di silenzi e vibrazioni e avvicinamenti. Perso in questa titubanza, non si accorse nemmeno di essere arrivato in spiaggia; seguì senza fiatare l’esempio di Zoe, che si toglieva le infradito per continuare a trascinare i piedi sulla sabbia, e si sfilò scarpe e calzini, per poi raggiungere la ragazza più in là, vicino alle onde che si muovevano pigre sul bagnasciuga.
Quando le arrivò accanto, finalmente Zoe si voltò verso di lui e gli sorrise, incerta e quasi timida, e Giacomo avrebbe voluto solo prenderla, baciarla e stringerla forte, in quel cliché romantico fatto di sabbia, onde e stelle, ma prima che potesse farlo notò una domanda nascosta in fondo agli occhi di lei e la capì al volo, senza nemmeno sapere come. Si avvicinò ancora, sistemandosi esattamente di fronte a Zoe e abbassandosi un po’ per guardarla dritta negli occhi.
“Non sono andato con quelle ragazze,” spiegò serio, “è solo un gioco che abbiamo fatto io e Niccolò quest’estate. Quando gli ho detto che secondo me ti eri presa una cotta per un altro, lui ha insistito che dovevo smettere di pensarci e svagarmi. Abbiamo fatto a gara, è vero, ma solo per vedere chi riceveva più numeri di telefono durante le date del tour, tutto qui.”
“Ok, senti…” Zoe tentò di interromperlo ma lui non la fece continuare.
“È tutto qui. So che forse non mi crederai, ma…”
“Sì, Giaco, sì che ti credo!” Stavolta fu lei e fermarlo, scuotendo la testa convinta. “Mi fido di te, questa cosa non cambia.”
“Grazie.”
“Non mi ringraziare,” continuò la ragazza. “Te la meriti la mia fiducia, sono stata stupida a comportarmi così. È che eravamo d’accordo che… Sì, insomma… Avevi tutto il diritto di farti chi volevi.”
“Lo so.”
“Ho sbagliato ad arrabbiarmi. Non era per la cosa in sé, è che ti avevo chiesto se eri stato con altre e mi avevi risposto di no. E poi ho visto quel bigliettino appeso alla bacheca e ho pensato…”
“Lo so,” ripeté Giacomo.
“Non dovevi aspettarmi, ti avevo detto di non farlo,” continuò lei, imperterrita, con un tono quasi spaventato.
“Lo so,” disse lui per la terza volta, e stavolta le posò delicatamente le dita davanti alla bocca, per fermare il fiume in piena delle sue parole. “Lo so, Molinari. Non ti ho aspettato perché mi sentivo in dovere di farlo, Zò, l’ho fatto perché ti amo. Non potevo fare altrimenti.”
Zoe rimase immobile alle sue parole, come pietrificata da qualcosa che Giacomo non riuscì a identificare immediatamente. Poi ripensò alle proprie parole e spalancò gli occhi.
“Oddio, non dovevo dirlo! Cazzo,” imprecò, semiserio. “Fuggirai di nuovo adesso?”
A Zoe scappò un sorriso che suonava un po’ come una risata. “No.”
“Sicura? Più lontano magari. In Australia. O direttamente su Marte,” la prese in giro lui, più sereno dopo aver visto il suo sorriso.
“No, non vado da nessuna parte.”
Giacomo sorrise ancora, stranamente indeciso sul da farsi. “Bene, perché non avrei i soldi per seguirti anche lì.”
Lei alzò le spalle, poi sembrò ricordarsi improvvisamente di qualcosa e aggrottò le sopracciglia. “Non avevo una cotta per Ethan! Non so cosa ti sei immaginato nella tua testolina bacata, ma non è successo niente con lui.”
“Beh, sembrava,” commentò il ragazzo, corrucciandosi nel ripensare al momento in cui aveva letto la mail in cui Zoe gli raccontava di quel tipo.
“Ero solo confusa,” spiegò lei. “Mi sarebbe anche piaciuto ma continuavo a pensare a te ed ero così arrabbiata per questo, perché sapevo di non essere obbligata a fare o non fare qualcosa, ma ero comunque bloccata e tu eri continuamente lì, nella mia testa, e pensavo ‘chissà cosa sta facendo Giacomo, di sicuro non ha problemi a farsi altre ragazze’ e io invece di problemi me ne facevo e… Oh, che palle,” sbottò, alzando la testa e vedendo l’espressione incerta di lui.
“Che c’è?”
Zoe sbuffò, si alzò sulle punte dei piedi e lo baciò. Lo colse talmente di sorpresa che Giacomo oscillò e fece un passetto indietro per il contraccolpo, ma si riprese subito, rispondendo al bacio.
“Io parlo troppo. Devi imparare a fermarmi,” disse Zoe, sorridendo, mentre lui la avvolgeva finalmente fra le sue braccia, portandosela ancora più vicina.
“Posso farlo? Posso fermarti quando e come voglio?”
Lei sembrò ponderare la questione. “Adesso non esageriamo.”
“Me lo meriterei questo bonus! Ho fatto tutti questi chilometri per…”
Zoe lo baciò di nuovo, zittendolo. “Anche tu parli davvero troppo a volte. Non ti è bastata la sceneggiata sotto al balcone?”
Giacomo boccheggiò, fintamente offeso. “Beh… Tu pensi troppo! Sempre!”
“Questo è vero.”
Risero, si baciarono ancora, stesero l’asciugamano a terra e vi si sedettero sopra, appoggiati l’una all’altro, a coccolarsi, chiacchierare, ridere e prendersi in giro, finché a Zoe non venne in mente una cosa che voleva chiedergli.
“Posso farti solo un’altra domanda seria?”
“Concessa,” borbottò Giacomo sporgendosi per affondare il viso tra i suoi capelli e abbracciarla.
“Mossa Jedi?” chiese Zoe, perplessa, citando il suo discorso sotto al bancone.
“E certo. Tu hai senza dubbio dei poteri mentali.”
Lei scoppiò a ridere. “E tu sei completamente pazzo.”
Giacomo sbuffò. “Se non fossi pazzo non sarei qui adesso,” commentò, poi la fece voltare e si sporse per baciarla con trasporto, fin quando Zoe non si staccò senza fiato e lo guardò con l’indecisione ben stampata negli occhi.
“Dimmi,” la incitò lui, oramai abituato a quel tipo di sguardo.
“Sono stanca, ho dormito pochissimo le ultime notti. Quando sei arrivato mi ero già messa a letto.”
“Vuoi che andiamo a dormire? Potevi dirlo subito, ragazzina.”
Zoe fissò un punto nella sabbia, imbarazzata. “Non intendevo dire questo. Stavo pensando proprio il contrario, in realtà.”
Giacomo aggrottò la fronte con aria interrogativa, aspettando che si spiegasse. Lei lo guardò di nuovo e fece una mezza smorfia, poi lo baciò di nuovo, facendolo quasi cadere all’indietro mentre si spingeva verso di lui, che la strinse ancora più forte e si allungò sull’asciugamano, con la ragazza completamente stesa sopra di sé.
“Non eri stanca?” bisbigliò Giacomo, infilandole una mano sotto la maglietta del pigiama per sfiorarle il fianco e poi la pelle calda della schiena.
“Evidentemente non così tanto,” ridacchiò lei in risposta.
Si baciarono di nuovo ridendo insieme, l’uno sulle labbra dell’altro, poi Zoe si alzò di scatto e porse una mano a Giacomo.
“Andiamo a casa.”
Raccolsero asciugamano e scarpe in fretta e furia e si avviarono verso la casa, percorrendo il tragitto a una velocità tripla rispetto al viaggio di andata.
Zoe si fermò davanti alla macchina di lui, aspettando che scaricasse il borsone che si era ottimisticamente portato via, sperando che succedesse proprio ciò che era accaduto alla fine.
“Hai anche la chitarra?” gli chiese, intravedendo la custodia scura sul sedile posteriore.
Giacomo annuì.
“Prendila allora, che dopo mi canti la canzone che hai scritto quest’estate.”
“Dopo cosa?” chiese lui, malizioso, seguendola verso la porta dell’enorme casa.
Zoe non disse niente, ma si voltò di nuovo verso di lui e si limitò a lanciargli un lungo sorriso luminoso che lo lasciò completamente stordito.





Ti ho incontrata tra un milione di persone,
ti ho trovata ed eri quella che cercavo.
L’ho capito subito, sai,
ma il sole acceca quand’è troppo forte,
o ti fa vedere cose un po’ distorte.

Sì e no, pensieri, mesi di follie,
forse, non so, risate e pianti, tanti.
Io ti ho aspettata,
io ti aspetterei, lo sai,
anche fino alla fine del mondo.

Siamo uguali, diversi,
simili, controversi…
Non fa niente, lascia stare,
voglio solo tu mi stia ad ascoltare.

I tuoi occhi, troppo facili da amare,
vorrei vederli sorridere, magari so come fare…
Prova a farmi provare,
prova a farmi provare.

Stavi male e il mio cuore sanguinava,
sorridevi e pensavo che tu fossi
la persona che cercavo da una vita,
eri lì, e volevi essermi amica.

Se sono diverso è perché so di amarti,
pensa quanto vuoi, posso ancora aspettarti.
Se sono diverso è perché so di amarti,
torna quando vuoi, sai che sto ad aspettarti.

Siamo uguali, diversi,
forse ci siamo solo persi.
Non fa niente, lascia stare,
voglio solo tu mi venga ad abbracciare.

Non fa niente, lascia stare,
prova a farmi provare,
prova a farmi provare,
prova a farti amare.















Hola! Salto di netto le scuse per il ritardo (pfff, inutili dopo quattro anni, eh?) e passo alle ultime cose che vorrei dirvi in merito a TSP. Mando già un grazie preventivo a chi leggerà tutto e un saluto comprensivo a chi salterà queste note.

La prima, doverosa precisazione è che la canzone è stata scritta da me completamente ad cazzum, nel senso che so poco di metrica, e non so niente di come la metrica funzioni in un testo di canzone, la musica non è stata pensata perché ne so ancora meno, quindi mi scuso in anticipo per eventuali castronerie e accetto critiche e proposte. Peraltro l’ho scritta davvero anni fa, mentre la storia avanzava, ma piuttosto presto diciamo (sì, sapevo già come sarebbe finito il tutto e vi ho fatto aspettare così tanto, lo so, sono un essere deprecabile), e di recente ho modificato solo un paio di parole. Prendetela così com’è.

La storia, di fatto, è finita. Se qualcuno avrà la pazienza (basta, buuu) di aspettare ancora un paio di settimane, pubblicherò anche un ultimo capitolo breve scritto in prima persona, ambientato qualche tempo dopo il finale. Ma è solo per amore della simmetria: la storia è iniziata con un prologo di Zoe e finirà con un epilogo di Zoe, che comunque non aggiungerà niente di che al racconto. Fosse per me non lo metterei, ma sono un’odiosa psicopatica perfettina solo per quanto riguarda queste puttanate e, anche se al momento odio tutte le parti in prima persona di questa storia infinita, mi sembra tuttora giusto concludere così, come ho iniziato.

Take some patience” non mi mancherà. È brutto da dire così, ma è la verità. Forse mi mancheranno un po’ i sorrisi di Giacomo e il caratteraccio di Zoe, sicuramente mi mancheranno i vostri commenti al riguardo, anche se molti me li sono giocati aspettando così tanto per mettere la parola fine. Sono quasi duecento pagine di Word e, tutto sommato, anche se ora come ora cambierei un sacco di cose, nel complesso ne vado abbastanza fiera, come vado fiera dell’essere riuscita a finirla. Ma gli ultimi capitoli mi hanno portato via più energie del previsto e siccome, come ho già detto, forse la storia non era più nelle mie corde da un po’, ho fatto fatica a scriverli. Spero, come sempre, di essere stata coerente e di essere riuscita a strapparvi un sorriso anche con questo lunghissimo capitolo finale, pieno di cliché, banalità e amore, ma tutti fatti a modo mio e dei miei personaggi.
Probabilmente avrei dovuto scriverla tutta a suo tempo, visto che a suo tempo l’avevo pensata completa, così come l’ho finita. Ma io sono cambiata, con me è cambiato il mio modo di scrivere e di vedere certi argomenti. Non a caso metà delle storie che all’epoca avevo pensato e/o cominciato a scrivere non vedranno mai la luce. Ma alcune forse sì, alcuni lavori senza pretese che sto provando a mettere apposto e concludere, perché prima di pubblicare qualsiasi cosa, in futuro, voglio aver finito, o quasi, di scriverla.

Quindi, se vi va, stay tuned. Sennò addio, e vi auguro comunque tutto il meglio. :)
Nel frattempo aspetto commenti e insulti e tutto il resto, e prometto di rispondere a tutti.
Un grazie ancora e un bacio grande a voi!






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Capitolo 29
*** Epilogo (o ZOE 5) ***


Epilogo (o ZOE 5)



Entro nel locale e vedo subito Giacomo che parla con un ragazzo, probabilmente un tecnico del suono. Lui è girato, non mi ha ancora vista. Niccolò è preso a strimpellare la chitarra e ci sono un paio di ragazze già appostate su un tavolo vicino al palco che lo guardano adoranti; Giorgio invece non si vede in giro.
So che i Jam sono piuttosto agitati, perché è la loro prima data a Milano da molto tempo, perciò non mi va di disturbarli durante il soundcheck. A malincuore vado a sedermi in fondo al locale, vicina all’entrata ma lontana dal piccolo palco allestito per l’evento: spero che a breve saranno liberi e che potrò finalmente salutare Giacomo. Stiamo insieme da quasi tre mesi, ormai, ma negli ultimi venti giorni non ci siamo mai visti, lui in Salento per gli impegni con il gruppo e io troppo presa dal vortice della vita universitaria per poterlo raggiungere.
Avevo ragione a pensare che non fosse facile vivere un rapporto a distanza con un musicista, e i dubbi sulla nostra relazione, a volte, continuano ad attanagliarmi. Poi scendo dal treno che ho preso per raggiungerlo, o apro la porta di casa sapendo di trovarlo lì, e lo vedo, e a quel punto il mio cuore comincia a fare gli straordinari e Giacomo mi sorride e basta quello a far sorridere anche me e a far sparire tutte le domande che mi sono posta fino a cinque minuti prima. Perché in quel momento capisco che è inutile, che sono irrimediabilmente innamorata di lui e che, anche se non gliel’ho ancora detto, lui lo sa già.
In più c’è mia sorella Viola che un giorno sì e un giorno no mi ripete quanto sono stupida e quanto sono fortunata, ché ho avuto per mesi un ragazzo stupendo che mi sbavava dietro e che se avessi seguito i suoi consigli avrei approfittato di lui subito, evitando di perdere tempo prezioso. Aurora è sostanzialmente d’accordo con lei e, anche se non si esprime allo stesso modo, presumo anche Ginevra. Pure io sono abbastanza d’accordo, a dire il vero.
I parenti di Giacomo invece hanno fatto un festino quando hanno saputo che stiamo insieme. Ho persino dovuto parlare al telefono con nonno Nicola per assicurargli che era tutto vero perché temeva che suo nipote si fosse inventato la storia solo per tenerlo buono. Credo di essere innamorata del nonno quasi quanto del nipote, è un uomo meraviglioso e pieno di vita, e più lo conosco più capisco da chi abbia preso Giacomo il suo sconfinato entusiasmo. Ho promesso che andrò a trovarlo a Lecce appena riesco, ma credo mi sarà possibile solo durante le vacanze di Natale.
Mentre rimugino su queste cose, due ragazze entrano nel bar. Una emette uno squittio eccitato appena individua il palco, prende la sua amica per mano e corre verso il lato dove si trova Giacomo, poi attira la sua attenzione chiamandolo e chiedendogli di fare una foto con loro. Alla faccia, meno male che io ho pensato di non disturbarlo. E io, vorrei sottolineare, sono la sua ragazza, quindi avrei tutto il diritto di disturbarlo, mentre loro sono solo…
Ok, stop. Sto ragionando da fidanzata gelosa e non è il caso. Mi fido di Giacomo, so che avrà sempre delle ragazze intorno, ma so anche che lui non ha occhi che per me. Almeno credo. Spero.
Dalla porta accanto a me entra Giorgio e mi vede subito. Gli faccio un cenno con la mano e lui mi si avvicina sorridendo.
“Ehi bella, come va? Hai già salutato Pioggia?”
Scuoto la testa e guardo Giacomo, ancora intento a chiacchierare con le due fan di prima, cordiale e sorridente come sempre.
“Perché no?”
“Aspettavo finiste il soundcheck.”
Non appena apro bocca, Giacomo, come se in qualche modo avesse sentito la mia voce anche a distanza, alza la testa, mi individua con lo sguardo e sorride in quel modo che riesce sempre a farmi dimenticare tutti i dubbi, compresi quelli di poco fa. Saluta veloce le due ragazze con un cenno della mano, scende dal palchetto e mi raggiunge in pochi passi.
“Mi sa che Romeo non è d’accordo sull’aspettare,” commenta divertito Giorgio, mentre Giacomo arriva, mi fa alzare dalla sedia su cui mi ero piazzata e mi stringe in uno dei suoi abbracci stritola-ossa.
“Zò, da quanto sei qui?” mi domanda dopo avermi dato anche un bacio svelto sulle labbra.
“Poco,” rispondo allontanandomi di un passo da lui: sento addosso gli occhi delle ragazze di prima e non so se essere imbarazzata o meno per la situazione, non sono abituata a essere squadrata così attentamente, io.
“Dovevi venire subito a salutarmi. Posso baciarti?”
“L’hai già fatto, Pioggia.”
“Quello non era un bacio vero, ragazzina. Voglio baciarti sul serio.”
Resto letteralmente a bocca aperta, poi mi rendo conto di quanto mi sia mancato stare tra le braccia di Giacomo e capisco che non ha assolutamente senso vergognarmi di farmi vedere con lui. Abbozzo una risata e mi alzo in punta di piedi appoggiandomi a lui; il bacio che arriva è breve ma è un bacio vero, che mi fa correre qualche brivido lungo la schiena.
Quando ci stacchiamo Giacomo mi prende la mano e mi trascina verso gli strumenti. “Vieni a sederti lì davanti, tra poco finiamo le prove e andiamo a mangiare qualcosa.”
Mi abbandona vicino a un tavolo e mi schiocca un bacio sulla testa prima di tornare al microfono. Le due ragazze di poco fa stanno dicendo qualcosa a Niccolò, appena mi avvicino si girano a lanciarmi un’occhiataccia, salutano il chitarrista ed escono dal locale.
Faccio una smorfia allarmata. “Giaco, mi sa che il tuo amico ti ha appena rubato due fan.”
Giacomo fa spallucce, Niccolò mi guarda ridacchiando.
“C’è abituato, sono molto più bello di lui!” commenta quest’ultimo svagato.
“Comunque stasera al concerto non voglio scenette di questo tipo,” ribadisco incrociando le braccia.
“Che scenette?” fa Giacomo oltraggiato.
“Smancerie.”
“Era solo un bacio e non ti vedo da quasi tre settimane!”
“Lo so,” rispondo combattuta. “Ma le altre ragazze poi mi odiano! Non voglio diventare un’emarginata sociale.”
Niccolò scoppia a ridere di gusto. “Ti ci dovrai abituare, Zoe cara, sei la ragazza di una rockstar adesso.”
Sto per ribattere che loro non sono esattamente già delle star, ma il mio sguardo s’imbatte di nuovo in quello di Giacomo, che mi sorride e pare promettermi mille cose senza dire una parola, e allora penso che sì, in effetti, mi ci dovrò proprio abituare.












Patience, Guns N’ Roses:
https://www.youtube.com/watch?v=ErvgV4P6Fzc
È la canzone da cui viene il titolo della storia, mi sembrava giusto dirlo almeno qui.
Aspetto i vostri ultimi commenti, sniff.
Molto probabilmente presto pubblicherò qualcos’altro, magari ci vediamo là! :)
Grazie a chi ha sempre commentato, un bacio.

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