L'inizio della fine di SweetBloodyEly (/viewuser.php?uid=26228)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Cambiamenti ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Dimenticare ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Ricordi - Questa è la guerra ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Benvenuti all'inferno ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Il dovere della speranza ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - La guerra è iniziata PARTE 1 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - La guerra è iniziata PARTE 2 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - ...Io la chiamo morte... ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 - Cambiamenti ***
CAP.
1
CAMBIAMENTI
POV GINNY
Cammino con lo
sguardo sulle gambe che, movendosi, fanno ondeggiare la veste.
Non so dove sto
andando, so solo che ho bisogno di pensare a tutto tranne che a LUI.
Sono
giorni ormai che frequentemente penso a quegli occhi.
Non ne so il
motivo, quello che mi sconvolge è che so a chi appartengono
e continuo a
sperare che mi stia sbagliando.
Senza accorgermene,
poco prima del ritratto di Barnaba il Babbeo, vado a sbattere contro
qualcosa
che, afferrandomi, m’impedisce di cadere.
Non lo vedo in
faccia finché non sposto la rossa ciocca di capelli che mi
oscura la vista, ma
identifico comunque la persona che mi sorregge.
“Weasley, che
ci
fai qui?”
Quella voce, quei
capelli. Siamo vicinissimi. Vorrei scappare, correre fino a quando le
gambe non
mi sorreggano più. Ma la vista degli occhi del ragazzo, mi
hanno paralizzato le
ginocchia. È suo quel grigio tempestoso delle iridi che
tanto sogno e adoro.
“non sei
più capace
di rispondere? Eppure di solito le chiacchiere ti si
sprecano!”
Mi guarda
intensamente come cercando di scoprire la risposta senza che io
risponda.
Il suo volto
è
stanco e ingrigito ma rivela comunque un’innata eleganza e
bellezza.
“non parli?
Vabbè.
La prossima volta guarda dove cammini o ti farai male sul
serio.”
Fa per andarsene,
ma la mia piccola mano lo blocca afferrando la sua. Mi avvicino
fissandolo
indagatoria, un po’ addolcita dal modo in cui prima mi si
è rivolto,
apparentemente ignara del fatto che ci teniamo per mano. Draco sembra
notarlo
perché ci lancia un solo sguardo ma non ritrae la sua e
arrossisce un po’.
“come mai
l’ hai
fatto?”
Gli chiedo
impaziente.
“fatto
cosa?”
“come mai non
hai
lasciato che cadessi e perché mi hai detto di stare
attenta?”
“preferiresti
che
non l’avessi fatto?”
“no. Ma non
è da
te.”
“non
è da te
nemmeno spronarmi ad insultarmi e a comportarmi come il solito Malfoy
bastardo
e arrogante.”
“se rispondi
alla
mia domanda saprai la mia risposta alla tua domanda.”
“mi stai
minacciando?”
“forse.”
Ma qualcosa stava
succedendo nel biondo che di solito odiava me e la mia famiglia.
Sembrava, se
possibile, divertito dal mio comportamento.
POV DRACO
Il carattere della
ragazza, molto simile al mio, mi attrae, ma non è solo
quello.
Le mani della
Grifondoro, minuscole all’interno delle mie. Il suo esile
corpo vestito d’abiti
di seconda mano ma puliti e semplici. I suoi occhi, i suoi capelli.
“senti
oggi non è giornata, sono stanco.
Questo è il mio motivo. Il tuo?”
“perché
dovrei
dirtelo?!”
Un sorriso
scherzoso si stende sul volto solare della ragazza.
“Weasley!
Avevi
promesso.”
“davvero? Non
ricordo.”
“tu sei una
Grifona! Tu DEVI rispettare le promesse! Siamo noi serpi che possiamo
anche
fregarcene!”
“allora
vorrà dire
che oggi tu sei un Grifone e io una Serpe.”
Risponde
prontamente Ginny facendo la linguaccia.
“Ginevra!”
Entrambi ridiamo di
gusto, facendo sorprendere la rossa che non mi ha mai visto ridere.
“va bene. Ti
dirò
il motivo. Ero solo sorpresa del tuo comportamento. Ma mai quanto ora
che ti
vedo ridere con una Weasley.”
“e io allora?
Che ti
vedo ridere con un Malfoy?”
Ci guardiamo
nuovamente negli occhi, specchiandovici a vicenda.
Poi, senza sapere
cosa stia succedendo, l’uno si avvicina all’altra,
tirandosi per le mani,
ancora legate tra loro. Ci avviciniamo così tanto che
rimaniamo uniti attraverso
le labbra, l’emozione altissima, sento il calore salirmi fino
al cervello. Non
capisco più niente.
Poi la
realtà mi
blocca di colpo.
Così, come
se mi
fossi scottato con l’amore che stiamo provando, mi scanso
violentemente,
lasciando Ginny meravigliata e sbalordita. Mi appoggio al corrimano e
respiro
lento per riprendere fiato.
“ che cosa
hai?”
Chiede la ragazza
preoccupata.
“non si
può.”
“cosa non si
può?”
“noi. Non
possiamo…non possiamo…innamorarci.”
“perché
no?”
“perché
sono un
Malfoy e tu una Weasley.”
“questo che
c’entra?”
Chiede arrabbiata
incrociando le braccia sul petto e mettendo il muso.
“le nostre
famiglie
si odiano da secoli e…”
“ma noi non
ci
odiamo. Potremmo cambiare le cose.”
Lei è quasi
in
lacrime.
“tu ne
soffriresti
e anch’io.”
“soffrire di
cosa?”
Non ce la faccio a
vedere i suoi occhi così tristi e arrossati, allora corro
via verso il mio
dormitorio nei sotterranei, le parole di Ginny che m’
inseguono –soffrire di
cosa?-.
Lei non
sa……
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 - Dimenticare ***
CAP.2
DIMENTICARE
POV GINNY
Sembra diverso. Non
si è mai comportato così. Non sapevo cosa
pensare, non sapevo se era stato un
momento di sfuggita, o se mi ha mostrato il suo vero io. Non ho avuto
tempo di
fermarmi a pensare. Era una cosa troppo grande. Così abbiamo
lasciato che ci
pensassero i nostri sentimenti e ci siamo baciati e dopo…
Si è accorto che
c’eravamo spinti
troppo avanti. Penserete –ma che, è solo un
bacio-, non per
noi. Sapevamo entrambi cosa sarebbe successo se ci fossimo innamorati.
Purtroppo
l’amore è
un sentimento troppo stupendo e crudele. È una di quelle
cose che non puoi
fermare, che quando arriva devi prendere e accettare.
Ma questo è
diverso. L’ ha detto anche lui. Non possiamo, non dobbiamo!
Non una Weasley e
un Malfoy!
Ma uno sguardo
può
fare tanto. E ormai è fatta, non si può tornare
indietro.
Così sto
qui.
Sdraiata sul letto a piangere e riflettere. Perché
è scappato! Non capisce? Non
possiamo evitarci e far finta che non sia successo niente. Se
n’è accorto anche
lui, abbiamo provato tanto insieme, troppo, nel giro di cinque soli
minuti.
Anche se ci
sfuggissimo per sempre, comunque penseremo incessantemente
l’uno all’altra.
Dobbiamo chiarire.
Mi alzo dal letto,
asciugo con la maglietta le guance bagnate ed esco dal portone del
castello.
Cammino alla
ricerca del ragazzo che ormai ha rubato il mio cuore, senza saperlo. In
fondo
ci siamo solo scambiati un bacio che forse per lui non significava
niente; ma
allora perché ha reagito in quel modo? Devo capirlo.
Finalmente vedo
qualcosa di familiare brillare alla luce del sole. Mi avvicino al
chiarore dei
biondi capelli del Serpeverde.
“dobbiamo
parlare.”
Lui si volta di
colpo portandosi una mano al petto.
“mi hai
spaventato!”
Mi guarda con
intensità, e, capendo di non avere alcuna scappatoia, si
alza, sospira e mi
trascina in un angolo del lago dove nessuno ci può vedere.
“perché
sei
venuta?”
Il suo tono di voce
è tornato ad essere quello acido e strafottente di una volta.
“te
l’ ho detto. Mi
hai abbandonata là, senza spiegazioni per un giorno
intero.”
“e io te lo
ripeto,
DI-MEN-TI-CA-MI, credi che per me è stato importante quello
che è successo?”
Quelle parole,
scandite chiaramente con una calma impassibile e uno sguardo
strafottente, mi
sconvolgono.
“perché
fai così,
perché dici questo?”
“allora non
mi hai
sentito?”
Mi aggredisce ed io
indietreggio.
“tu sei una
WEASLEY
ed io un MALFOY! Vuoi capirlo sì o no?”
“io
capisco solo che quello dell’altra volta
non era un bacetto qualunque. E tu lo sai, sentivo quello che
provavi!”
Fa finta di non
ascoltarmi e si guarda intorno.
“non devi
innamorarti di me! Torna a sbavare per lo Sfregiato come facevi prima.
Con lui
starai bene.”
“sei tu
quello che
non vuole capire! Come puoi chiedermi di non innamorarmi di te?! Ormai
è tardi.
Io sono già…”
“NON
DIRLO!”
Si tappa le
orecchie con le mani come un bambino piccolo e scuote freneticamente la
testa.
“ma io
ti…”
“NO. TI
PREGO, STAI
ZITTA!!”
“non posso.
Io ti
amo.”
“NOOO!!!”
Il suo urlo risuona
nelle mie orecchie. Vedo il ghiaccio nelle sue iridi sciogliersi.
Cerca di trattenere
le lacrime.
“perché
Ginny?
Perché mi fai questo?”
Il mio sguardo
è
spaventato e scioccato.
“ti ho solo
detto
quello che provo.”
“perché
vuoi
rendere le nostre vite così complicate.”
“cosa
c’è di
complicato?”
“c’è
che se solo
ammettessi che ti amo sarebbe finita per noi.”
Ormai le lacrime si
fanno strada sui volti di entrambi.
“cosa mi stai
nascondendo?”
“non posso
dirtelo.
Ci staremmo troppo male.”
“voglio
saperlo.”
Draco sembra
impiegarci una vita intera per pensarci, poi mi si avvicina e mi prende
le
mani, una sua lacrima ci cade sopra, ormai siamo incapaci di
controllarle.
“Ginevra.
Promettimi che lo terrai per te.”
Vorrei aspettare
per rispondergli, ma non sarebbe giusto per lui.
“va
bene.”
Scopre titubante le
maniche della maglietta e mi lascio sfuggire un urlo e altre lacrime.
Mi scanso
velocemente dal Serpeverde e mi avvicino ad un albero. Respiro forte,
singhiozzo e mi lascio scivolare a terra.
“perché
Draco?”
“posso
spiegarti…”
“ALLONTANATI.
Non
avvicinarti.”
Stringo le gambe a
me per proteggermi e forse è questo che spinge il ragazzo a
sedersi davanti a
me e a parlarmi.
“volevi
spiegazioni, no?sei così spaventata…non avrei
dovuto fartelo vedere…Per me è
difficile.”
“difficile…cosa,
Draco?…dirmi che sei un Mangiamorte e che io, come
una…s-stupida mi sono innamorata
di te?”
“ascoltami ti
prego.”
Io sapevo a cosa
andavo in contro avendo Lucius come padre.”
Lo degno solo di
uno sguardo ma lui non mi sta più guardando. Osserva il lago
e, mentre continua
a piangere, mi parla dolcemente ma con una tristezza nella voce,
inimmaginabile.
“quando ero
piccolo
mio padre mi lanciava ogni giorno una Cruciatus, senza motivo, subito
dopo mi
chiudeva per tutto il giorno in una stanza piccola buia e sporca di cui
ricordo
ancora l’odore nauseabondo di cadaveri.
Io continuavo a
ripetermi
come un matto che ero perfido, che dovevo aver fatto per forza qualcosa
d’orrendo, di atroce per meritarmi una punizione del genere e
ricevere tanto
dolore.
Così
piangevo senza
farmi vedere. Osservavo le stelle per avere delle riposte a quelle
grandi
domande che mi ponevo già a tre anni.
Tante volte ho
pregato il cielo chiedendo che una di quelle maledizioni mi uccidesse.
Ma
chissà perché, continuava a tenermi in vita e a
vedermi piangere e pregare
inutilmente.
Ogni tanto, dopo
giorni passati lì dentro, urlavo perdono. Ti rendi conto?
Chiedevo il perdono
di mio padre per qualcosa che non ho mai fatto. Ma lui diventava sempre
più
crudele ogni volta che lo invocavo, così imparai a non
chiedere mai niente a
nessuno, a sopportare e a cavarmela da solo.
Crescendo mi disse
che quello era il mio ‘addestramento’ per abituarmi
ad una vita di sofferenze.
Mi disse che amare era l’errore più grande che un
essere umano possa fare. Mi
disse che amare è per i deboli e che porta solo alla
distruzione. Mi disse che le
persone amano per avere dei pensieri sereni con cui dimenticare le
proprie
sofferenze. Allora gli dissi che tutti avrebbero dovuto amare,
perché tutti
provano dolore. Dopo mi beccai una frustata, perché secondo
lui, chi vive
interamente nella sofferenza, non ha bisogno d’amare
perché si abitua.
Gli
chiesi, sempre da piccolo, se ero nato
dall’amore di lui e mia madre e mi beccai un’altra
frustata.”
Ride stizzito tanto
è abituato a ripetersi la sua infanzia. Quelle sue parole
narrate con dolcezza
e sofferenza. Io ne sono nauseata, cerco di non credere a quello che mi
dice.
“mi
insegnò ad
essere crudele, a non innamorarmi mai e che, ad essere spietati, ci si
guadagna
e basta.”
Per un po’
rimaniamo zitti poi gli rivolgo una domanda tanto stupida che mi
vergogno ad
averla formulata.
“ti rendi
conto che
siamo nemici?”
“per questo
ti
chiedo di dimenticarmi. Sarà tutto più semplice
se lo fai. Disprezza quello che
sono.”
“ho…ho
bisogno di
riflettere. Potresti lasciarmi un po’ sola?”
Mi ostino a
guardare il prato. Non voglio vedere i suoi occhi per poi rimanerne
imprigionata. So che non vedrei al loro interno un Mangiamorte,
perché non
voglio credere di aver visto seriamente il Marchio Nero. Cerco di
convincermi
di non aver visto il teschio con la lingua di serpente.
“Ginevra. Ti
prego
guardami un’ultima volta.”
Poso, di
malavoglia, il mio sguardo sul suo ed è come pensavo. Non
vedo il Mangiamorte
in lui e questo mi distrugge ancora di più.
“qualunque
cosa
succeda, promettimi che rimarrai in vita per quando ci
rincontreremo.”
Non rispondo subito
alle sue parole. Continuo a guardarlo senza avere la forza di aprir
bocca.
“ti prego.
Promettimelo.”
“lo-lo
prometto.”
Ci baciamo per
quella che potrebbe essere l’ultima volta.
Sento la nostra
voglia di non staccarci, di rimanere così per
l’eternità.
Sento la nostra
disperata ricerca l’uno dell’altra.
Sento il suo e il
mio piangere entrare in me.
Permane nelle ossa,
come una voragine incolmabile.
Poi il Serpeverde
di volta e si allontana portando con sé il mio amore e
dolore ed io il suo.
Una promessa
silenziosa.
Una promessa che ci
costerà la felicità che, per questo, non
otterremmo mai.
Non so per quanto
tempo rimango qua, a fissare il punto dove Draco si è
allontanato per poi
sparire.
Quello che continuo
a ripetermi è che, d’ora in poi,
fingerò di averti dimenticato e tu farai lo
stesso con me.
Perché in
fondo, da
quando ci siamo guardati negli occhi, per la prima volta, sapevamo che
sarebbe
cominciata una recita devastante.
Sapevamo che il
nostro era un amore impossibile.
Sapevamo tutto, ma
abbiamo voluto comunque non privarcene.
Abbiamo intessuto
una trama troppo grande per noi.
Per non rimanerne
uccisi, fino a che non c’inchineremo sul palco per poi
svanire, continueremo a
recitare, a fingere.
Perché
sappiamo che
siamo già morti dentro.
Che non si
può fare
altro che piangere, e ancora piangere, finché non
uscirà, insieme alle lacrime,
anche quello che resta della nostra anima.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 - Ricordi - Questa è la guerra ***
CAP.3
RICORDI
Vedendolo di
sfuggita, si potrebbe pensare che quello sia solo un ragazzetto. Magro,
cresciuto molto in poco tempo, ma osservando, si vede un uomo dietro
quegli
occhiali, attraverso il verde intenso dei suoi occhi.
Solitamente bisogna scavare a
fondo per vedere
la tristezza di Harry Potter, abituato a nascondere quei sentimenti
presenti
maggiormente in lui. Ora, seduto davanti alle tombe dei suoi genitori,
si
riesce a percepire quello che prova.
Poco distante dal
cimitero, i resti della casa dei suoi genitori, coperta da piante
rampicanti di
cui nessuno si è occupato, consumata da incantesimi e dal
tempo. Tante volte si
era ripromesso di andare a Godric’s Hollow e finalmente
c’è riuscito.
Strappa
prepotentemente dei fili d’erba sopra le tombe dei suoi
genitori, cresciuta con
il passare degli anni. Nessuno è mai tornato a salutarli
dopo quella notte di
diciassette anni fa. Sono accadute troppe cose, così perfide
e tristi che i
Potter hanno quasi avuto fortuna per essere morti prime di vederle.
Lui sa che un
giorno potrebbe trovarsi disteso lì accanto, senza vita, e
un po’ lo spera. Non
ha mai conosciuto i suoi genitori……
Alcune foto li
raffigurano insieme al neonato che era.
Ricordi repressi,
nascosti in un angolo remoto del suo cuore, riaffiorati grazie ai
Dissennatori.
Ricordi che non sapeva neanche lui di avere. Forse, nel profondo della
notte,
da piccolo, rivisitava quei luoghi inesistenti in cui sua madre e suo
padre gli
stanno ancora accanto e gli sorridono. Ora non li sogna più.
È troppo
martoriato a vedere quello che ha passato e quello che gli
succederà.
Ricordi di un uomo
col mantello, che a distanza di tempo, gli sa ancora di putrefazione,
come il
corpo fittizio del suo nemico.
Ricordi della
paura.
Ricordi di morte.
Ricordi di suo
padre che urlava alla moglie di prendere il figlio e scappare.
Ricordi della luce
verde dell’Avada Kedavra, di James a terra, morto da eroe.
Ricordi delle
suppliche di Lily, una madre che preferì la propria morte a
quella di Harry.
Ricordi di un altro
colpo mortale che la uccise.
Ricordi di una
risata glaciale che non si può dimenticare.
Ricordi di lei
stesa al suolo e della maledizione mancata che salvò la vita
e lasciò una
cicatrice.
Una cicatrice che
lo rese famoso, amato, odiato, fortunato e sfortunato.
Una cicatrice che
gli salvò la vita e ne distrusse molte altre.
Deteriorando il suo
cuore, stanco di vedere volti spengersi, di vedere le loro lacrime e i
loro
ultimi sorrisi, destinati proprio a quel ragazzo.
Altre lacrime.
Le sue.
Lacrime
che avrebbero voluto uscire in tanti
momenti della sua esistenza tormentata, ma che non l’ hanno
mai potuto fare.
Doveva essere
forte, resistere, per continuare ad andare avanti.
Diciassette anni.
Diciassette anni, passati a chiedersi come sarebbe stata la sua vita se
i suoi
fossero sopravvissuti, o almeno uno di loro. Passati a chiedersi come
sarebbe
stata la sua vita senza che quella profezia fosse stata detta. Passati
a
chiedersi perché, delle persone che ama, ha solo ricordi.
Perché nessuna è al
suo fianco. Perché tutte sono state così
coraggiose e altruiste da salvare la
sua vita a scapito della loro.
Si chiede se questo
sia giusto.
Ma c’ ha
pensato
proprio quel quasi diciottenne a vendicare i suoi cari. Quello stesso
Voldemort
che infestava i suoi incubi ora non esiste più. Gli
è costato tanto dolore ma
adesso sta un po’ meglio. Ha liberato un po’ il suo
cuore uccidendolo. Eppure
non si può mai stare tranquilli. I seguaci del Signore
Oscuro sono ancora in
libertà, sempre più crudeli e in questa guerra
dicono ci sia un nuovo
Mangiamorte, secondo in bravura solo al suo padrone, manovrato dai
Mangiamorte
più esperti.
Il moro non
invidierebbe mai l’esistenza del novizio, costretto, o forse
no, a torturare e
uccidere solo perché così gli è stato
ordinato.
Un ghigno.
La solita luce.
Verdi occhi
sgranati.
Lui sa che un
giorno potrebbe trovarsi disteso lì accanto, senza vita, e
un po’ lo spera. Non
ha mai conosciuto i suoi genitori.
Un tonfo.
Il corpo di Harry
Potter, finalmente, giace accanto a quello di sua madre e suo padre.
* * *
QUESTA
è LA GUERRA
Da dietro un
albero, un ragazzo avanza lentamente verso il corpo del coetaneo.
Ogni passo che lo
avvicina a lui, sembra allontanarlo da quella voce dentro al suo cuore.
Quella
voce, ormai lontana, che cerca disperatamente di farsi sentire,
di urlargli che
quello che ha fatto non è giusto.
Si accovaccia,
raddrizza gli occhiali del moro.
Una solo goccia
accarezza la sua guancia lattea, nascosta dalle labbra rosee che si
dischiudono:
“non avrei
voluto…Harry. Ora posso chiamarti così, non
c’è nessuno qui, se non noi due e
il mio rancore.
Non avrei voluto.
Tu mi credi, vero? Tu riesci a vedere quando le persone sono sincere,
senza
dover ricorrere alla Legilimanzia, quindi mi crederai.”
Ti sfila la
bacchetta dalla tasca posteriore dei jeans e te la mette in mano.
“così
sembrerà che
hai combattuto fino alla morte e tutti continueranno a chiamarti eroe,
credendo
che sei morto in quel modo. Non ti sei accorto di niente. E come
avresti
potuto? Chiamami codardo, ma ho dovuto
farlo…perdonami…
Vedi, questa
è la
guerra. L’importante non è vincere o perdere.
L’importante è il modo in cui lo
si fa. Tutti gli stratagemmi sono possibili e concessi, anche le
vigliaccherie,
perché questo era…
Se ti avessi
sfidato alla luce del sole, so che avresti vinto e io non ce
l’avrei fatta perché
devo ammettere che eri davvero bravo. Se non lo fossi stato non avresti
battuto
il Signore Oscuro.
Per chi lotta,
è
essenziale il traguardo che si raggiunge, anche la morte va bene, basta
avere
uno scopo che ti aiuti a continuare a combattere, altrimenti
è inutile.
Per gli altri
è
importante avere qualcuno in più da ricordare. Qualcuno che
li accomuni nel
loro dolore.”
Guarda le foto
della madre e del padre che l’altro non ha mai conosciuto,
che oggi ricordava,
che i suoi genitori hanno sempre presentato come rifiuti della
società che
hanno meritato quella fine.
Vedendo i loro
sorrisi della foto, non crede a quello che gli hanno insegnato, ma
è tardi per
farsi un esame di coscienza.
“tutti hanno
ragione. Sei proprio il ritratto dei tuoi…eri anche tu un
grande eroe…
ma in fondo ti ho
fatto un favore. Tutti sanno che eri pieno di sensi di colpa per le
morti
dentro il tuo cuore.”
Un fruscio e si
Smaterializza con un ghigno che, nonostante tutto, non cessa di
aprirsi, quella
voce dentro al suo cuore ormai sotterrata, dimenticata.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 - Benvenuti all'inferno ***
CAP.4
BENVENUTI
ALL’INFERNO
POV DRACO
Un anno ci separa
dal nostro ultimo incontro.
Dopo quel bacio,
desiderato come acqua nel deserto, non ci siamo più parlati.
Tu non esisti per
me ed io non esisto per te, ma sappiamo entrambi che ingannarci,
nonostante non
serva a niente, è l’unico modo che abbiamo di
campare in questo mondo.
Me ne sono accorto
quella sera in cui avrei dovuto uccidere Silente.
§§§
Mi
credevo un‘icona della malefica e bramosa
casa dei Serpeverde e, in effetti, era così. Ero perfido,
orgoglioso di essere
un ricco e nobile purosangue pieno d’arie.
Mi credevo capace,
pensavo fin dall’inizio che non avrei vacillato neanche per
un secondo. Poi
vidi il preside in trappola, io un sedicenne, ero riuscito a disarmarlo
quando
nessuno c’era mai riuscito. Lo vidi indifeso ma sempre fiero
e coraggioso.
Ero esaltato da
quello che ero riuscito a fare, mi vedevo grandioso, poi mi ricordai di
quel
momento in cui ci “conoscemmo” la prima volta,
perché inizialmente non ci comprendevamo.
Mi ricordai della tua risata e dei tuoi profondi occhi azzurri e di
quello che
costruimmo senza sapere che era una presa in giro di noi stessi.
Mi ricordai del
nostro, forse, ultimo bacio, di come ti maledissi perché eri
riuscita a
cambiarmi con un solo sorriso. Stavo per abbassare la bacchetta, quando
arrivò
Piton e vidi il vecchio e saggio Silente implorarlo inutilmente per poi
morire.
Quasi senza
accorgermene il professore mi tirò su da terra per il
colletto della camicia,
mi afferrò il polso, come una volta avevi fatto tu per farmi
voltare, e forse
fu proprio quel gesto a farmi risvegliare da quella mia fase di torpore.
Scappammo dalla
Torre d’Astronomia.
Sotto era il caos
più totale.
Maledizioni da
tutte le parti. Mangiamorte contro Ordine della Fenice.
Poi una chioma
rossa attirò la mia attenzione. Ti vidi scansare con
abilità una Maledizione
Senza Perdono dopo l’altra. Eri lì come un angelo
che sa che potrebbe morire,
ma combatte e si mette in gioco anche per gli altri, per proteggerli e
confortarli.
Sei sempre stata
troppo dolce e gentile per macchiarti le mani col sangue dei nemici,
così ti
limiti a schiantarli e a pietrificarli per lasciar fare gli altri, non
come una
vigliacca ma come farebbe una persona pur di non uccidere.
Avevi appena
bloccato un Mangiamorte quando, come se avessi sentito
l’affanno del mio
respiro stanco e spaventato provenire dal lato opposto della sala, ti
volti e
mi guardi.
Solo uno sguardo,
un fulmineo battito di ciglia in cui tu vidi il mio addio impresso nel
mio
volto sudato e triste e mi risposi con una sola lacrima che, colandoti
andò a
mischiarsi col sangue della guerra cominciata solo quella notte.
Sapevamo che quello
era forse l’ultimo momento in cui ci saremmo potuti vedere ma
in fondo
continuavo a sperare in un altro attimo, avevamo promesso.
Scappai con Piton
alle calcagna che m’incitava a correre sempre di
più, anche se avrei voluto
tornare da te, a proteggerti e tenerti con me perché mi
faceva male vederti
rischiare la vita, dimenticandomi che sei una Grifona coraggiosa.
Vidi solo la luce
della luna illuminare il giardino da cui provenivano le urla di Hagrid,
vidi la
figura del preside, scaraventata a terra dalla Torre
d’Astronomia, poi mi
smaterializzai con Piton e non ti vidi più.
§§§
Più cerco di
non
pensare a te, più la tua immagine piena di lentiggini
diventa sfocata nella mia
mente che cerca disperatamente di celare al sicuro questo segreto, di
tenerlo
solo per sé.
Eppure posso
vagamente immaginarti mentre cerchi di scoprire dove ci nascondiamo
magari
seduta al tavolo del Quartier Generale dell’Ordine.
Ma no, non ce la
faresti a stare con le mani in mano, senza far niente.
La guerra è
cominciata da più di un anno ed è sempre
più cruenta e insaziabile di vittime.
Nessun posto è sicuro.
Fuori è
l’inferno o
anche peggio, in fondo all’inferno non t’importa
più di tanto di quello che ti
succederà perché sei già morto, no?
Qui invece cerchi
disperatamente di aggrapparti alla vita, a quei pochi tormentati minuti
in cui
cerchi di sorridere ai tuoi demoni interiori, alle tue paure, in cui
passi in
rassegna tutti i ricordi di quello che hai fatto e avresti voluto fare,
in cui
cerchi di superare te stesso ancora una volta perché sai che
sarà l’ultima in
cui potrai dimostrare il tuo coraggio.
Le strade sono
piene di corpi esanimi, inermi, di feriti gravemente che chiedono aiuto
o il
colpo mortale.
Piene di donne che
escono dai loro rifugi. Disinteressate di guardarsi intorno per vedere
se ci
sono Mangiamorte che le potrebbero uccidere.
L’unica cosa
che
possono fare è urlare di dolore. Correre senza fiato dal
marito o dal figlio o
entrambi, abbandonati sulla neve, rossa del loro sangue, che le
guardano con
gli occhi che chiedono pietà e protezione, che chiedono
invano un aiuto,
svuotati completamente come solo il dolore sa fare, possono solo
abbracciarli e
pregare.
Le loro vite
distrutte, perché è meglio la propria morte a
quella dei cari.
Rimangono là
per
giorni e giorni urlano e piangono senza stancarsi mai, come se per loro
non
esista altro che dolore, fino a che non esauriscono le lacrime,
perché è così.
Perciò restano al fianco dei loro amati, stringendoli per
cercare di sentire se
al loro interno è rimasto un po’ di calore, per
sentire quelle parole di
conforto che forse immaginano e basta. Non c’è
niente con cui alleviare il
bruciore che sentono.
Urlano. Urlano di
riaverli, sanno che è inutile, così gridano di
poterli raggiungere, continuando
a piangere e pregare.
E chi siamo noi per
non rispettare le loro volontà?!
Non siamo maligni,
siamo angeli oscuri, di morte, ma che a modo nostro cercano comunque di
fare
dei favori a quelle persone annientate dalla sofferenza.
Io lo so bene. Ogni
giorno accadono cose del genere, proprio come ora.
Cammino col
cappuccio del mantello abbassato.
Non ho paura di
camminare tra queste vie disseminate di cadaveri.
Corpi rannicchiati
contro il muro della strada. I loro volti terrorizzati e corpi coperti
di
sangue, squarciati dagli Inferi che vagano per le vie alla ricerca di
quel
sangue che alla loro morte hanno perso e cercano di sottrarre alle
persone, non
guardano in faccia a nessuno perché sono vuoti.
Tengo le mani in
tasca, impassibile al gelido vento e a quella pioggia che, nonostante
si
sforzi, non riesce a lavare il sangue, il dolore e il tempo, che sembra
essersi
fermato.
Tutti i giorni sono
uguali, monotoni, la speranza dei sopravvissuti viene sempre meno a
mano a mano
che crollano in battaglia amici e parenti.
Solo quella
promessa che ci saremmo rivisti mi spinge a proseguire tra queste
strade
innevate. C’incontreremo a breve, me lo sento.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 - Il dovere della speranza ***
CAP 5
IL
DOVERE DELLA SPERANZA
POV GINNY
Seduta sulla sedia
della cucina, sorseggio il tè preparato per calmarmi.
Lo sguardo fisso
sulla pioggia che cade senza posa dal cielo. Quell’acqua che
tenta
disperatamente di cancellare la crudeltà del mondo, che
tenta invano di lavare
le strade dal rosso che le imprime. Ma le gocce non possono riuscire
dove
neanche la miriade di lacrime versate ha potuto farcela.
Aspetto due dei
migliori tra i membri dell’Ordine della Fenice.
Sono in ritardo, le
mie unghie divorate dal nervoso, eppure non dovrei preoccuparmi, loro
sanno
badare a se stessi.
Lancio
un’occhiata
a quello che ora è il nuovo Quartier Generale: una piccola
costruzione ricavata
sotto le fogne di Londra. È un luogo buio e umido, ma sicuro
dalla massa di
Mangiamorte che “pattuglia” la città.
Non si riesce a
credere a come ci si è ridotti dopo la dipartita di Harry.
Voldemort è morto, è
vero, ma la guerra non è finita e non cesserà
finché non vinceremo contro i
Mangiamorte, sempre più numerosi e spietati.
E pensare che forse
potevamo avere una speranza in più se Harry fosse rimasto in
vita. Dopo la sua
morte, Hermione e Ron informarono l’Ordine della sua missione
ordinatagli da
Silente, degli Horcrux, della profezia, di come fosse veramente il
prescelto
anche se lo sapevamo già…sentire quelle parole ci
sconvolse tutti ma in fondo
ce l’aspettavamo.
Ucciso…l’uomo
più
giovane e coraggioso del mondo magico…ucciso da un nuovo
Mangiamorte che, glielo
prometto, ammazzerò personalmente,
perché non credo sia riuscito ad
abbatterlo in combattimento.
Sarò io ad
togliergli la vita, perché ora non sono più la
piccola Ginny di una volta, di
cui tutti si dovevano prendere cura perché, come una bambola
di cristallo, non
andava scalfita, incrinata o sarebbe andata distrutta.
Ora
sono fredda, distante, spietata quasi o
quanto i seguaci del Signore Oscuro.
Non ne risparmio
nemmeno uno. Non ascolto le loro suppliche o le loro parole imploranti.
Non do
retta ai loro sguardi terrorizzati. Sono diventata cieca di fronte a
quel
sentimento che fu la causa della morte di Silente, la fiducia.
È anche per
questo
che non si è aggiunto alcun nuovo membro
all’Ordine. Non ci si può fidare di
nessuno, per poi rischiare di rimanere vittime delle spie.
Ora uccido con
lucidità e calma. Devo ammetterlo, con gioia selvaggia, nel
vedere i loro
ultimi spasimi incontrollati mentre tentano di trattenermi la caviglia
e
impietosirmi, il sangue scuro e vischioso fuoriuscire lento ed
inesorabili
dalle loro carni divorate dalla mia bacchetta, gli ultimi respiri di
quegli
infami malcapitati che vollero diventare miei nemici. Rimangono
terrorizzati
dalla loro uscita di scena perché finalmente si accorgono di
quello che provano
le loro vittime ma soprattutto dai miei occhi glaciali, esultanti e
pieni di
ripugnanza.
Offuscati, sbiaditi
d’odio e tristezza. Odio, odio per quel bastardo che uccise
Harry. Tristezza,
quella stessa tristezza che da un anno non ho ancora superato.
È anche con
quella che vado avanti, perché non dimenticherò
mai le parole che mi dissi:
“qualunque
cosa
succeda, promettimi che rimarrai in vita per quando ci
rincontreremo.”
E così
faccio,
rimango in vita, lotto, per te, per un uomo che non so neanche morto o
vivo ma
che ha giurato con me. Perché come mi ricordasti quella
volta di troppo tempo
fa, io sono una Grifona, e le Grifondoro devono mantenere le promesse.
Questo è
forse
l’unico dei pochi aspetti del Grifondoro che mi sono rimasti.
Gli altri caratteri
della mia Casa apprezzati da molti, sono morti con me quel giorno che
mi
lasciasti per seguire tuo padre, Voldemort e diventare uno di loro, un
altro
condannato a quell’esistenza. Lacrime bollenti, che scottano
le guance e le
labbra, scivolano dagli angoli degli occhi che non si sono commossi mai
se non
dopo la notizia della morte di Harry e mi spaventa un po’
l’essere diventata
una statua di ghiaccio. Le gocce di pianto fanno fatica ad uscire ma
poi si
bloccano come per ricordarmi che non è da me piangere, la
nuova Ginny non
piange. La nuove Ginny uccide a sangue freddo e ne gode. Crudele. Quasi
disumana. Una fantastica e terribile vendicatrice del bene. Sa che per
difenderlo dovrà fare del male ma non le importa
perché ha imparato che non c’è
guerra senza morti e ha imparato che non c’è pace
senza la guerra.
Ora nella mente
solo un desiderio morboso e intenso……
FAR FUORI LO
STR***O CHE UCCISE HARRY. Che ci condannò alla disperazione
e alla paura ancora
una volta. Che influisce sulla strage che si vede giorno dopo giorno
tra le
strade sanguinanti e colme di cadaveri che i Mangiamorte lasciano
scrupolosamente sotto gli occhi di tutti.
Bambini
che vedono le madri straziate con
occhi spalancati, si avvicinano piangendo per scuotergli i vestiti e
farle
alzare, senza sapere che stando lì, avranno la stessa
sorte……
Altri, che
vorrebbero correre dalla madre esanime vengono trattenuti dal padre
lacerato
dal dolore per la moglie, l’uomo sa che però deve
pensare al figlio, deve
proteggerlo anche a costo della vita. Molti però non si
trattengono, non
riescono a sopportare la vista della moglie abbandonata, non si
perdonano
d’averla lasciata uscire di casa. Così le
raggiungono e vengono colpiti. Il
tempo di voltarsi per donare un sorriso amorevole al figlio, gli
è fatale.
Questi bambini
vengono considerati, da molti, fortunati perché ancora in
vita. Loro, invece,
sono massacrati, distrutti perché giorno e notte stanno
rannicchiati alla
finestra e vedono i loro genitori.
Vorrebbero i loro
abbracci, i loro baci prima di dormire, vorrebbero stragli accanto
oppure
scappare perché tutto, della casa glieli ricorda.
Improvvisamente, si
accorgono di aver perso la loro innocenza, in quell’attimo in
cui uno
sconosciuto gli ha scaraventato in faccia la realtà. Quella
realtà per cui
tutti vorrebbero tornare ad essere ingenui come bambini, ma che
è impossibile
da riconquistare, perché non ci sono più bambini
coccolati dalle braccia dei
genitori.
Questa vista ci
distrugge perché si è impotenti di fronte allo
scempio.
La guerra deve
finire.
§§§
Un rumore
proveniente dall’entrata del rifugio mi sveglia da
quell’intorpidimento in cui
ero caduta immersa nei miei pensieri. Arraffo velocemente la bacchetta
facendo
cadere sul tavolo la tazza cui contenuto, rovesciandosi, macchia la
tovaglia
logora di cui però non mi preoccupo.
Mi dirigo
silenziosa verso l’origine di quel suono. Vedo la porta
aprirsi lentamente
cigolando.
Neanche il tempo di
vedere chi sia, subito lancio uno Schiantesimo che viene bloccato da un
alto
ragazzo rosso e lentigginoso che protegge con la propria schiena una
ragazza
dai capelli castani e cespugliosi.
Ripongo la
bacchetta con un sospiro di sollievo.
“ehi! Volevi
ammazzarci?”
“no. Scusa
Ron,
scusa Hermione. Ero solo nervoso e non sapevo che eravate
voi.”
“non
preoccuparti.”
Hermione si sposta
da dietro il suo ragazzo e mi si avvicina per farmi sedere.
“bevi
qualcosa. Sei
talmente tesa…”
“grazie
Hermione.”
La riccia appoggia
ad una sedia il lungo cappotto nero e si mette a preparare del
tè.
Intanto Ron si
lascia cadere pesantemente su un’altra seggiola di fronte a
me, la testa tra le
mani.
Non alza lo sguardo
dalle sue ginocchia e comincia a parlare con una grande stanchezza,
quella
fiacchezza che ormai siamo abituati a sentire nella sua voce.
“abbiamo
trovato un
bambino morto. Ucciso, di sicuro da Greyback visti i morsi e la
quantità di
sangue che lo copriva. Avrà avuto sì e no sei
anni. Era uscito allo scoperto
per raggiungere la madre morta anche lei.”
Hermione mi porge
una tazza colma di tè. Sospira e chiude gli occhi colmi di
lacrime e continua.
“Non abbiamo
potuto
fare niente. Era troppo grave, aveva già perso troppo
sangue. Neanche il tempo
di portarlo al San Mungo. L’abbiamo perso tra le nostre
mani…”
“perché
c’ avete
messo così tanto tempo?”
La mia migliore
amica si avvicina piangendo al suo fidanzato abbracciandogli dolcemente
la
testa come fosse un bambino da consolare.
“Stavamo
tornando
quando un Mangiamorte mi si para davanti e mi punta la bacchetta
addosso ma Ron
lo disarma. Siamo solo riusciti a scoprire che domani avrebbero fatto
irruzione
al Ministero o al San Mungo, forse per tendere una trappola e riuscire
rovesciare Scrimgeur, poi si è Smaterializzato.”
“Sicuramente
non
era un Mangiamorte di quelli importanti o non avrebbe cantato.
O forse vuole
trascinarci sia al Ministero che all’Ospedale dividendoci per
indebolirci.”
“Già,
ma potrebbero
attaccare veramente uno dei due posti o entrambi. Così
facendo riuscirebbero a
rovesciare il Ministro e allo stesso tempo a finire i ricoverati.
In entrambi i casi
ci metterebbero con le spalle al muro…”
“…se
non
interveniamo prima. A questo punto dovremmo avvertire il resto
dell’Ordine.
Dobbiamo organizzarci comunque e informare in tempo il Ministero. Prima
ci
riusciamo, meglio sarà per noi.”
§§§
Due ore dopo
l’Ordine è riunito attorno al tavolo della cucina.
È a questi
incontri
sempre più frequenti, a volte inutili, che ci si accorge del
vasto numero di
perdite che abbiamo subito.
Siamo rimasti solo
io, Ron, Hermione, Tonks, Lupin, Kingsley, Moody, mia madre, mio padre,
Fred,
George, Charlie, Luna, Neville e Fleur, con in braccio la sua piccola
Gabrielle
Molly Weasley.
Lacrime aspre,
acute, insite irrevocabilmente in noi perché ricordano nella
mente avvenimenti
che vorremmo rimuovere o cambiare.
La professoressa
McGranitt, severa e austera con la sua inseparabile crocchia di capelli
in
testa.
Morta. Morta nella
sua vera casa. Morta in quella sua scuola vuota di studenti e
insegnanti
fuorché lei, perché chiusa dal Ministero. Morta
ad Hogwarts, per Hogwarts
assalita dai Mangiamorte che volevano distruggerla.
La difese fino
all’ultimo estenuante colpo di bacchetta, fiera di scagliarli
perché era tra
quelle mura che viveva Silente, ed era in quelle mura che viveva il suo
cuore,
il cuore di quella leonessa attaccata fatalmente alle spalle.
Lei che ci ha
insegnato tanto, che ci ha punito, caricato di compiti, ma era gentile,
sempre
disponibile e c’esentava dallo studio se incombeva una
partita di Quidditch
contro Serpeverde.
Hagrid, dolce con
il suo linguaggio “particolare”, con il suo amore
per Thor, per le creature
pericolose e terrificanti a cui lui regalava orsacchiotti, per cui si
batteva e
commoveva.
Con il suo amore per Harry, quel ragazzo che gli voleva bene, che lo
difendeva
e in cui lui vedeva un po’ di sé. Quel ragazzo di
cui non accettò la scomparsa
e che andò a cercare a Godric’s Hollow
perché non voleva perderlo, non doveva
perché lo considerava un ultimo compito affidatogli da
Silente.
Hagrid il difensore
di Silente.
Hagrid il
mezzogigante.
Hagrid, immune a
schiantesimi e a molti incanti, ma che non ha vinto contro tredici
Avada
Kedavra in pieno petto, quel petto in cui giace un cuore da eroe.
Hagrid che, prima
di combattere i Mangiamorte ci affidò Thor.
Hagrid, i cui occhi
color pece lacrimarono un’ultima volta per se stesso e per
noi, ragazzi rubati
all’adolescenza e alle sue fantasie e scaraventati
impudentemente in questa
guerra.
Bill. Bill il
Prefetto. Bill il Caposcuola. Bill lo spezzaincantesimi della Gringott.
Bill, con i suoi
lunghi capelli rossi legati stretti in un codino.
Bill con
l’orecchino a forma di zanna.
Bill il
“fricchettone coi capelli lunghi” secondo la
Skeeter.
Semplicemente:
Bill, mio fratello.
Sposato con la
balla Fleur Delacour, che tutta la famiglia ha imparato a conoscere.
Finalmente
diventato padre di quella bambina bellissima come la madre, rossa come
i
capelli del padre che non conoscerà mai.
Avrebbe voluto
passare più tempo con la moglie che tanto amava.
Avrebbe voluto
vedere ogni attimo di vita della sua Gabrielle.
Avrebbe voluto
vederla crescere.
Avrebbe voluto
contarle le lentiggini ogni mattina per vedere se sarebbero aumentate
con
l’età.
Avrebbe voluto
vederla corteggiata dai ragazzi perché è anche
lei una Mezza-Veela.
Ma non ha potuto
vedere molto di ciò che voleva.
Stava tornando a
casa prima del solito orario della fine del suo turno di lavoro.
Voleva fare una
sorpresa alle sue due donne preferite.
Aveva comprato un
fazzoletto bianco di stoffa e, tra una pausa e l’altra alla
banca, era riuscito
in un solo giorno a ricamare da solo, con lettere storte la frase:
“ Ti amo Gabrielle
Il Tuo Papà”
Non aveva trovato
niente con cui incartarlo e non voleva usare la magia, desiderava che
la figlia
apprezzasse la semplicità senza dover ricorrere sempre agli
incantesimi, così
lo tenne in mano.
Non appena ebbe
svoltato l’angolo, venne assalito alle spalle da una figura
ammantata che lo
aveva inseguito.
Greyback
affondò
denti e artigli nel corpo urlante e indifeso di Bill.
Troppo sangue venne
sparso, dopo neanche un minuto, il volto di mio fratello giaceva
riverso a
terra, su un lago di sangue.
Il fazzoletto, un
tempo immacolato, s’impregnava ogni secondo di
più, di quel sangue che
continuava a pulsare e fuoriuscire dalla massa di carne che fu mio
fratello…irriconoscibile…i ricami ormai rossi.
Quando trovarono il
corpo, Fleur rimase al suo fianco per ore. Chiedendosi
perché. Urlando contro
nessuno o forse contro se stessa. Contro l’amore che lui
provava per lei e che
lo portò a tornare a casa senza protezioni,
perché voleva fare un’
improvvisata.
Rimase ore a
fissare il volto insanguinato e lacrimante del marito. Ucciso da un
lupo
mannaro che voleva finire il lavoro lasciato in sospeso, mordendolo,
anni
prima.
Poi la donna si
accorse del fazzoletto per Gabrielle e le sue lacrime uscirono ancora
più
copiose.
La dolcezza con cui
era scritto distrussero la Mezza-Veela.
Oggi, a distanza di
anni quel fazzoletto è rimasto lo stesso di quando lo
trovarono.
Fleur lo
conservò e
fu la prima cosa che fece vedere alla figlia che ormai ha quattro anni.
Le insegnò
ad amare
suo padre. Tante volte le ha fatto vedere quel brandello ricamato.
Eppure, è la
piccola Gabrielle a consolare la madre.
È vero, ha
imparato
ad amare il papà di cui possiede solo foto e
racconti…ma non capisce perché la
madre si ostina a tenere sporco quel bel pezzo di stoffa
originariamente
bianco… non capisce perché la madre si ostina a
baciarlo.
Ma Fleur non se la
sente di lavare dalla sua vita e dai suoi pensieri quel rosso scuro di
cui sono
saturi la stoffa e il suo animo.
Non lo tiene come
un macabro ricordo, ma semplicemente non se la sente di togliere
l’unica cosa
viva di Bill, non se la sente di eliminare quel sangue su cui continua
a
versare lacrime.
E Fleur non se la
sente di raccontare come è morto il marito alla
figlia…vuole che resti ancora
pura e ingenua per un po’, nonostante è
impossibile con questa guerra.
Tonks stringe la
mano di Lupin. Le loro fedi risplendono alla luce delle candele sul
tavolo.
Dovrebbero essere
felici per quello che tra poco succederà. Eppure si
disperano perché non riescono
a non sentirsi colpevoli nei confronti del loro figlio che
nascerà in questo
mondo di disgraziati. Si sentono egoisti a farlo nascere tra morti,
torture e
tanto dolore.
Mio padre e mia
madre stanchi dal continuo pianto. Per Bill, il figlio semi-lupo
mannaro, per
Percy che non si fa vedere per orgoglio.
Per Harry che per loro era un figlio.
Fred e George
riescono ancora a far sorridere la gente grazie agli scherzi de
“i Tiri Vispi
Weasley”, ma che sorridono per mascherare le lacrime, che
scherzano e divertono
tutti ma che non riescono a far ridere e divertire loro stessi.
Luna, si è
unita
all’Ordine appena finita la scuola, che l’ ha fatto
per suo padre, per chi la
crede Lunatica, per dare onore a quel cognome che tutti prendevano in
giro a
scuola perché il padre è il direttore del
Cavillo. Tutti tranne pochi, tra cui
Harry. Lei lo ripete in continuazione, tra le lacrime, che deve tutto a
Harry.
Perché se da un lato sa che questa lotta la
porterà quasi sicuramente alla
morte, dall’altro la fa sentire utile, importante, e le
ricorda le riunioni
dell’ES in cui sognava una vita diversa tra amici, quella
vita immaginaria di
cui è riuscita ad impossessarsi. Perché Harry era
riuscito a vederla per quello
che è, non Lunatica, solo Luna. La stramba con gli orecchini
a forma di
rapanello e le collane di tappi di Burrobirra, che però era
corsa in suo aiuto
per salvare il suo padrino.
Neville, arruolato
nell’ Ordine insieme a Luna, si sono fidanzati un anno dopo
la fine della
scuola.
Intenzionato fino
alla fine a battersi contro Bellatrix Lestrange e ucciderla. Vuole
vendicare i
propri genitori, morti in quello stesso reparto riservato per
lungodegenti che
tanti anni prima visitammo. Per la prima volta venimmo a sapere degli
Auror
Frank e Alice Paciock, torturati fino alla pazzia da Bellatrix, il
marito
Rodolphus e Barty Crouch Jr per ricevere informazione sul
“domicilio” di
Voldemort.
Sono morti dietro
quelle tendine a fiori, le cure non sono servite a niente se non a
prolungar
loro quell’agonia silenziosa ma insopportabile tipica dei
malati mentali gravi.
Morti, al loro
funerale solo Neville, sua nonna e noi dell’Ordine. Gli altri
parenti non erano
presenti, avevano troppa vergogna verso quelle due persone una volta
famose poi
decadute.
Perché tra
tutte le
morti in questa Terra, niente è più triste della
morte dei tuoi genitori,
incapaci di riconoscerti, che non ti hanno mai parlato da quando hai
memoria.
Genitori che ti guardano in volto senza vederti veramente.
Che sembrano morti
ma li vedi camminare e mangiare.
E non sei mai
riuscito a strappargli un sorriso, a vedere i loro volti brillare di
felicità e
amore per te.
Niente è
più
struggente di questo, e forse lo è molto di più
vedere le lacrime di Neville,
pesanti, interminabili, mentre ricorda con orrore che
l’ultima cosa che i suoi
genitori hanno visto sono state quelle tendine fiorite tanto odiate o
l’infermiera che passava. L’ultimo odore che hanno
sentito è quello dei malati.
L’odore della prigionia in quel carcere di medicine, lettini
e cure. E forse,
tra le tue lacrime, c’è anche felicità
per la fortuna che i due hanno raggiunto
finalmente.
Ron e Hermione,
sanno del tempo sprecato in litigate e che hanno sottratto al loro
amore, sanno
che non potranno riappropriarsene, perché sarà un
miracolo se qualcuno si salverà
a questa guerra. Combattono per loro stessi, per cercare di continuare
a
costruire quel futuro cui aspiravano da anni.
Combattono per
Harry, il loro migliore amico con cui hanno condiviso tutto, con cui
sono
cresciuti, che li ha sopportati durante le loro continue sfuriate, con
cui
hanno rischiato la vita e con cui si sono divertiti.
Tante cose univano
il trio, così scontate che sono impossibili da dire
perché non faremmo altro
che tracciare i tratti dei tre amici.
Sarebbe inutile
dire quante lacrime hanno pianto per il
moro…troppe…sicuramente, più di quelle
che possono versare.
“Abbiamo
indetto
questa riunione per organizzarci.”
La mia voce
è ferma
mentre passo la parola a Hermione.
“Tornando al
Quartier Generale, Ron e io ci siamo imbattuti in un Mangiamorte di
poco conto.
È riuscito a smaterializzarsi, ma siamo riusciti a sapere
che i Mangiamorte
avrebbero attaccato o il Ministero o il San Mungo o entrambi domani.
Ovviamente non
dobbiamo dividerci essendo già in pochi. Io propongo di
avvertire il Ministro,
racimolare tutti gli Auror e qualche dipendente volontario, il
più presto
possibile.
Loro saranno a
guardia del Ministero e ci avviseranno non appena vedranno arrivare i
Mangiamorte.
Noi saremo al San
Mungo, chiederemo aiuto a tutti gli infermieri e capi
reparto.”
“è
il miglior piano
che possiamo avere” dice Lupin.
“sì,
ma dobbiamo
sbrigarci. Charlie, Moody, Signora e Signor Weasley, voi andate subito
al San
Mungo.
Io, Ron, Ginny,
Neville, Luna e Lupin andiamo al Ministero.
Gli altri
rimarranno qua con Gabrielle.
DOBBIAMO VINCERLA
QUESTA GUERRA. E SE IL CIELO VORRà SARà
L’ULTIMA!”
§§§
Accosto la sciarpa
al viso per difenderlo dal freddo pungente che intorpidisce e gela le
ossa.
Hermione Ron
conducono a passo svelto la fila diretta al Ministero, le schiene
incurvate dal
vento.
Entriamo nella sede
Governo e ci dirigiamo a passo svelto verso l’ufficio di
Scrimgeur.
Bussiamo e, appena
sentiamo la voce del segretario dirci “Avanti”,
entriamo.
“dobbiamo
parlare
immediatamente col Ministro. È una questione
importante.”
La voce di Hermione
è forte e decisa.
“Senza un
appuntamento? Temo sia impossibile.”
Nonostante
l’uomo
abbia parlato dolcemente, c’è un che di
canzonatoria nelle sue parole e sembra
averlo notato anche la ragazza.
Ma la mora è
determinata perciò continua avvicinandoglisi appena:
“forse non mi
ha
capito bene. È importante. Abbiamo
bisogno adesso di parlargli.”
“e io le
ripeto
Signorina, che senza appuntamento non si può chiedere un
colloquio con il
Ministro della Magia.”
Hermione sembra non
averlo sentito, si muove a grandi falcate verso la porta di legno scuro
alle
spalle dell’aiutante, con incisa su di una targhetta dorata
la scritta Ministro
della Magia.
“Insomma! Lei
non
può venire qua e spadroneggiare! Non mi costringa ad usare
la bacchetta!”
Scuotendo una
ciocca di capelli ricci, bussa alla porta del Ministro ed entra senza
aspettare
una risposta.
La seguiamo
all’interno della grande stanza rotonda.
Le pareti sono in
legno così come il pavimento d’ebano.
Al centro della
stanza ci sono due soffici poltrone di pelle disposte di fronte al
tavolo del
Ministro che, attirato dalla baraonda e dall’entrata
improvvisa di Hermione,
alza la testa fulva dalla pila d’incartamenti.
“Cos’è
tutto questo
baccano? Mi meraviglio di lei, Signor Merice. Non dovrebbero entrare
solo
persone che abbiano preso appuntamento?”
Il Signor Merice
abbassa il capo, mortificato.
Hermione e Ron
avanzano verso Scrimgeur, ignorando i gemiti di disappunto del
segretario.
Stavolta è
mio
fratello ad avviare il discorso.
“Signor
Ministro,
siamo venuti qua per la questione delicata di Voldemort o, per meglio
dire, dei
Mangiamorte e della guerra.”
Il Ministro
sussulta un po’ e si sfrega le mani l’una con
l’altra.
Ron invece non ha
più paura di pronunciare quel nome, non più dalla
perdita del suo migliore
amico, per lui ha vinto questa sua fobia.
Anche Lupin avanza
ma non sembra aver l’intenzione di parlare subito.
“abbiamo
scoperto
che molto probabilmente tenderanno un agguato o al Ministero, o al San
Mungo o
in entrambi i luoghi.”
Non dà il
tempo a
Scrimgeur di intervenire ma continua spedito.
“Ci serve che
lei
prepari tutti i suoi Auror e anche impiegati volontari, per difendere
il
Ministero.”
“Ragazzo! Io
non
prendo ordini da nessuno.”
“è
vero, ma se lei
non fa qualcosa qualcuno deve pur farlo e non rimarrò con le
mani in mani, a
vedere morire innocenti, solo perché lei è troppo
orgoglioso per dar retta a
qualcuno che non sia superiore alla poltrona che occupa.”
Improvvisamente
Scrimgeur s’incupisce, colpito dalle parole del rosso di cui
tutti siamo un po’
sorpresi.
“d’accordo.
Dividerò i miei uomini e cercherò alcuni
volontari. Ma non aspettatevi grandi
cose. Non sono in molti i pazzi coraggiosi come voi che
combattono.”
“qualcuno che
vuole
difendere la propria famiglia ci sarà sicuramente. Cerchi di
convincerne il più
possibile.”
“anche gli
auror
sono esigui. La maggior parte è già stata
sterminata.”
“non importa.
Basta
ci sia qualcuno il più velocemente possibile.”
Così dicendo
ci
affrettiamo ad uscire dall’ufficio.
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 - La guerra è iniziata PARTE 1 ***
CAP 6
“La guerra
è iniziata” PARTE 1
POV DRACO
Un
vero
massacro. Bellatrix, Piton e Lucius, nuovi “capi”
dei Mangiamorte, hanno
portato centinaia di persone alla distruzione, in poco più
di un due ore.
Due
ore in cui tante vite si sono spente, di cui nessuna meritava un
trattamento
simile.
Dovrei
astenermi dal pensare una cosa simile.
In
fondo chi sono io per decretare cosa sia giusto e cosa no? Ho provato,
anni fa,
a fare la mia scelta, a decidere da solo, e qual è stato il
risultato? Sono
dovuto scappare, ho messo in pericolo (più di quanto
già non fossero) le vite
mia, di Piton di mia madre e mio padre, un’impresa davvero
notevole per un
ragazzo di sedici anni.
Beh, la
cosa migliore che avessi potuto fare è stata decidere di
seguire gli ordini di
altri.
Come
farebbe un fedele cane con il proprio padrone, come l’ultimo
dei più
miserabili, patetico.
Abbiamo
attaccato il San Mungo, distrutto tutto, in pochi sono riusciti a
tenerci
testa, tra questi alcuni appartenenti all’Ordine.
E
mentre duellavo, ti cercavo tra le macerie, tra le rovine e tra i corpi
dilaniati di guaritori, malati e civili, ma non ti trovavo.
Poi
vediamo che tra i nemici sono pochi quelli rimasti in piedi, allora ci
materializziamo al Ministero, come previsto dal piano, raggiunti dal
resto dei
Mangiamorte rimasto indietro.
Rigiro
la bacchetta nella mano con indifferenza. Non sono agitato
né impaurito
all’idea della battaglia che oggi si concluderà.
Mio
padre e gli altri mi hanno insegnato a diventare un assassino. Non
avevo mai pensato
di associare me, Draco Lucius Malfoy, alla parola assassino.
Sì, so uccidere
senza ripensamenti, rimpianti o sensi di colpa, ma stranamente non mi
sento un
assassino. Troppo abituato ad uccidere, per me l’esserlo
diventato è ormai un
guscio. Difficile, quasi impossibile, da intaccare, come un organismo a
sé, un
parassita che sfrutta il mio corpo, parte di me che predomina sul resto
dei
miei sentimenti.
Proseguo
dritto, tra le grida di incantesimi, di maledizioni, di nemici che si
combattono per ideali diversi. Le sento, emozioni che mi circondano,
opprimenti, la voglia, il desiderio, l’eccitazione, la paura,
la follia, tutto
urlato disperatamente in quei colpi di distruzione, difesa, attacco ,
morte,
lanciati da Mangiamorte, Ordine e Ministero.
Scivolo
silenzioso, come un’ombra. tra corpi urlanti, trucidati,
uccisi in tutti i modi
possibili, lasciati a terra, come monito, come a ricordare di cosa
è capace
l’uomo.
La
bacchetta sulla mano destra, lasciata inerme lungo il braccio, come un
serpente, lo stesso di quel marchio nero e splendente a contrasto col
candore
della pelle, che potrebbe attaccare da un momento all’altro.
Nessuno,
però, tranne i Mangiamorte, conosce la mia
identità, la maschera argentata che
porto al volto la cela ottimamente dagli occhi indiscreti e pericolosi
dei
non-marchiati.
Ogni
tanto mi fermo, sollevo il braccio, poche parole, sibilate tra i denti,
qualche
lampo di luce, qualche strillo, poi proseguo il mio cammino,
lasciandomi alle
spalle alcuni tonfi. Solo rumore, poco importa sapere che appartiene a
corpi
che si accasciano a terra.
Io,
impassibile, distaccato, sento però che questo pezzo di
legno, vivo, ha bisogno
ancora di sfamarsi, vuole ancora vite, altre anime, altro sangue,
finché non
avremo vinto.
Ed il
mio corpo è come manovrato, schiavo della mia stessa arma,
burattino manipolato
da essa, allora risollevo il braccio, sibilo nuovamente qualche parola
di cui è
inutile farne sapere la natura, altri lampi di luce, altre grida, altri
occhi
vacui, altri tonfi… poi… silenzio, solo silenzio
E la
mia lignea padrona che vuole saziarsi ancora una volta, e ancora
un’altra, fino
a che non rimanga solo mutismo, ed io, quale schiavo obbediente, non
posso far
altro che cercarle cibo fino a che non sarà sazia.
E
intanto il pavimento di legno scuro, inizialmente splendente,
è ora opaco,
sporco di detriti, polvere, sangue e corpi morti, da cui
sarà impossibile
depurarne l’aria e i ricordi di cui ora è satura
dove ne rimarranno
intrappolati.
Ma, a
questo punto, sono scarse le persone rimaste in vita, in entrambe le
fazioni.
Poi la vedo, i jeans e la camicia
bianca rovinati e
schizzati di sangue, l’aspetto fiero e determinato, lo
sguardo inespressivo di
chi ha perso tutto ma non cede o non sene rende conto, di chi sembra
vada
avanti per inerzia. Questo sguardo di cui non ho memoria.
Bellissima
e terribile come sempre, come sempre l’ ho amata e come
sempre l’avrei
dovuta odiare.
POV
GINNY
Passo
- struscio - passo – struscio…
La
gamba ferita viene trascinata velocemente, senza che io me ne curi,
senza
degnare di uno sguardo il sangue che dal ginocchio sporca i vestiti,
mentre
inesorabile continua ad uscire.
Cammino
spedita tra corpi grida e maledizioni sussurrate o urlate con ferocia.
E tutti
quei suoni sono così forti che non li sento.
Nessun
rumore arriva al mio orecchio se non quello del continuo spezzarsi
delle ossa
della gamba.
Continuo
a camminare mentre ogni passo è un nervo che si tende per
poi spezzarsi
facendomi lacrimare gli occhi e sfocare la viste in mille sprazzi di
luce
bianca.
Mi
faccio strada parando e colpendo, senza pietà, senza
riguardi, senza
obbiettivi.
Solo
una cosa importante: difendersi, attaccare e raggiungere la figura che
si sta
avvicinando. Non faccio più caso a parenti, amici, alle loro
sorti o ai loro
continui richiami –Ginny stai attenta-
Proseguo
verso la figura nera e silenziosa, il resto del mondo non esiste.
Meno di
due metri ci separano.
Alzo la
bacchetta.
Un
incantesimo.
Schivato.
Un
altro.
Respinto.
Un
altro ancora.
Parato.
“sei
tu
che hai attaccato alle spalle Harry Potter?”nessun tremolio
nella voce.
La
figura annuisce.
Un
fiotto di rabbia prende vita in me.
Altri
incanti, altre fatture. Così, colpo su colpo, riesco d
attaccare la maschera
che porta in volto.
Un
riflesso di ghiaccio. Un biancore lunare…
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 - La guerra è iniziata PARTE 2 ***
CAP. 7
“La guerra è
iniziata”PARTE 2
POV GINNY
Un
riflesso di ghiaccio. Un biancore lunare….
Ricordi nascosti dal tempo,
lontani, riemergono bloccando
ogni movimento, ogni pensiero.
In
pezzo di maschera cade a terra tintinnando e ruotando sul posto. I miei
occhi
vengono come attratti da quell’oggetto e mi fisso a guardarlo.
I
disegni e le scritte arcane incise su di esse si mescolano tra loro a
formare
una chiazza di colore e sfumature.
Continuo
ad osservarla fino a che il suo ritmo non cessa.
Lentamente
riporto lo sguardo alla persona che mi sta di fronte e che, come me,
non ha
fato altro se non osservare la maschera.
Una
ciocca di capelli ricade sulla sua fronte e su parte
dell’occhio, tuttavia non
riesce a nasconderne l’iride.
Il
biondo e il grigio sembrano invadermi, atrofizzandomi la mente e la
gola,
incapace di formulare anche solo un rantolo soffocato.
Mi
irrigidisco. La bacchetta sfugge alla mia presa, cadendo a terra e
bagnandosi
del mio stesso sangue.
Sono
completamente indifesa al Mangiamorte che, però, non muove
un muscolo. Continua
a fissarmi fino a che non mi sorride, di un sorriso triste, carico di
rimpianti, scuse e dolore.
“Perché?
Perché proprio tu?”
non
aggiungo altro, non riesco quasi a spiccicare una parola, ma so
benissimo che
lui capirà l’allusione ad Harry.
“ho
dovuto farlo.”
“non
hai avuto la forza di uccidere Silente…non pensavo odiassi
tanto Harry da
riuscirci.”
“tutte
le persone cambiano. Io pure. Mi hanno insegnato…senza
pentimento, senza mezze
misure, senza sfumature. Non ho paura, né sensi di
colpa…
semplicemente
uccido.”
Semplicemente,
già. Persino nelle parole, così semplici e
dirette che scoccate da quell’arco
rosa pallido di carne che sono le sue labbra, hanno raggiunto il mio
cuore.
…semplicemente
uccido…
come una freccia, un colpo preciso
e ben assestato.
…semplicemente
uccido…
distruggono quelle mura innalzate
negli anni per
proteggermi.
“Anche
tu Ginevra sei cambiata. Anche per te non esistono più
sfumature.”
“hai
ragione. La guerra ha cambiato molte cose. Non vedo altro che nero, a
partire
dal tuo braccio.”
Tristemente,
quasi con timore, gli arrotolo la manica sinistra della veste.
Il
Marchio risplende spettrale alla luce dei lampi degli incantesimi.
“perché
non ce ne andiamo e basta?! Una volta lo volevamo entrambi
Draco!”
“è
troppo tardi” mi dice con una rassegnazione camuffata
malamente.
“ma
Voldemort è morto, e anche Harry…che la facciamo
gli altri questa guerra!”
“ma
ora
ne siamo noi i protagonisti. Non è uno scontro tra bene e
male, perché sarebbe
solo una chimera, o durerebbe fino alla fine del mondo. È
una lotta tra
governi, poter, politiche diverse e, soprattutto, famiglie e stirpi
nemiche.
Siamo noi i protagonisti, non potremmo e non riusciremmo mai a voltare
le
spalle a quello che è il nostro presente e futuro.”
Già…non
possiamo scappare…ne siamo i protagonisti…perenni
rivali.
“qualunque
cosa succeda ricorda che ti amo!”
“anche
io Draco!”
una
patina di lacrime riesce a rompersi, lasciando libere quelle gocce
fuggitive.
Lacrime amare, come quei giorni felici che non raggiungeremo mai.
Mi
afferra una mano. Con l’altra mi asciuga le lacrime e sento
il calore del
tatuaggio che mi attraversa, con la consapevolezza che dovrei duellare
con la
stessa persona che mi sta toccando dolcemente, che amo più
della mia stessa
vita.
“Ginevra…”
mi
risveglia da quel torpore
“uccidimi.”
Lo dice
delicatamente, tenero e crudele come non mai, e il mio cuore va in
pezzi.
“come
puoi chiedermi una cosa del genere?” il tono di voce mi si
alza leggermente,
sconvolta.
“sai
che potrebbe succedere a uno dei due. Preferisco andarmene io, e
preferisco che
lo faccia tu”
“perché??
Non voglio! Non posso farlo! Non puoi chiedermelo!”
“devi
farlo. Non voglio che tu muoia. Guardati intorno: l’ordine
è in vantaggio
numerico, ma Bellatrix è spietata, così come mio
padre. Se mi uccidi potrai
aiutare i tuoi a vincere. Darai la forza agli altri se ucciderai
l’assassino di
Harry Potter! Uccidimi Ginevra!”
mi
guardo intorno come a rallentatore, per osservare i danni subiti.
Sono
rimasti solo Neville, Hermione, Ron, Lupin ed io, dei Mangiamorte:
Draco,
Bellatrix, Lucius e Piton.
Poi un
urlo squarcia il silenzio dei cadaveri spettatori silenziosi. Una
risata
sguaiata.
Bellatrix
è piegata in due dal ridere, più folle che mai.
Lucius è morto, ucciso da
Hermione e da Lupin.
Neville
è a terra, ha vendicato la sua Lunatica uccidendo Piton.
Ma ora
un altro corpo fa compagnia agli altri. Non morto, solo scosso da
singhiozzi,
mentre stringe freneticamente a sé un ammasso rosso e
indefinito di stracci.
Le urla
di un pianto disperato invadono la sala.
Bellatrix
si allontana saltellando fuori di sé dalla gioia, forse alla
ricerca di nuove
vittime.
Hermione
piange disperata su quello che scopro essere il corpo irriconoscibile
dell’ultimo dei miei fratelli.
Poi una
luce verde…lontana la vedo pochissimo nonostante
è vicina.
Il mio
sguardo è ancora fisso su Ron e Hermione.
Poi…solo
dolore.
I
polmoni invocano ossigeno, ma non arriva.
Il
sapore ferroso del sangue sale fino alla bocca. Un conato di vomito mi
prende e
sputo sangue e anima.
Abbasso
lo sguardo al mio stomaco. La vista si annebbia. Le gambe non riescono
più a
sostenere il peso del corpo.
“Dra-…”
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 - ...Io la chiamo morte... ***
CAP 8 de "l'inizio della fine"
CAP 8
…IO LA CHIAMO
MORTE…(titolo provvisorio)
POV DRACO
Ti volti, staccando
i tuoi occhi dal mio volto.
La tristezza, la
rassegnazione e quella bellezza rubata dal tempo e dalla fatica, fanno
mostra
di sé in quelle iridi di cui il blu, pezzi di cielo sereno,
è sbiadito.
Ti guardi intorno,
critica e distaccata perfino alla vista della morte di tuo fratello.
Vedo in
te, però, la voglia di urlare, disperarti come la
mezzosangue sta ora facendo,
ma non ci riesci, bellissima statua di ghiaccio.
Non
è colpa tua. Ed
io avrei voglia di abbracciarti, consolarti ma l’addio
sarebbe
troppo doloroso,
preferisco contemplarti in silenzio, a distanza. Cercando inutilmente
di convincere me stesso che non provo niente nei tuoi confronti.
Poi una luce verde
arriva di poco vicino alla rossa e il mio cuore fa un salto.
Una voce lontana,
non ricordo a chi appartiene. Eppure non m’importa. Mi sembra
solo di essere
svuotato da tutto, ogni emozione, per la prima volta dopo tanto tempo.
La voce si
avvicina, di più, sempre di più, fino ad essere
completamente nitida in me…
NO!
Mi sta dicendo
qualcosa, non capisco bene, ma so che non voglio…eppure,
sono troppo in balia
di lei, come un meraviglioso canto delle Sirene che attirava ignari i
marinai…trasportato
anch’io da una corrente lontana. La mia mente, il mio
corpo... a mala pena mi rendo conto di avere un'esistenza.
Una seconda voce si
somma all’ingannevole e attraente melodia. Eppure questa, per
quanto grossolana
mi sembri, ha un qualcosa di familiare, di amato!
La coscienza
riemerge identificando il canto melodioso come un accordo sgraziato di
note e
parole. Ma ormai è tardi...ma tardi per cosa?
La seconda voce sembra
essere ormai un lontano ricordo.
Una debole
invocazione al mio nome, sussurrato come per paura di profanarlo, il
peso di
qualcosa grava improvvisamente sul mio braccio sinistro,
l’altro stranamente
occupato, ancora indipendente ai miei comandi. Ma poi vedo quello che
mi era
ancora nascosto alla vista, sento ciò a cui ero sordo anche
se ancora è tutto
ovattato, i sensi ancora intorpiditi.
Avverto qualcosa di
caldo scorrere lento, inesorabile lungo la mano, passa tra le dita, non
dimenticandone alcuna, bacia in modo vellutato ogni piega
della pelle, come un lieve soffio.
Abbasso gli occhi
all’altezza del mio petto, dei fili ramati vi sono sparsi.
E finalmente
realizzo che è Ginny ad essere saldamente aggrappata al mio
braccio sinistro,
stringendo possessivamente il mantello, come se avesse paura che le
scivoli
via. Stringe spasmodicamente, non mi guarda, il volto fisso a terra,
come
farebbe un peccatore al cospetto di un Santo a cui chiedere perdono.
Vorrei
alzarle il viso per guardarla e perdermi nei suoi occhi, ma
poi… mi rendo conto
del motivo per cui l’altra mia mano è impegnata,
del perché quel qualcosa che
mi baciava le dita non mi dava istintivamente piacere.
La mia mano destra
è stretta al corto ed elaborato pugnale di famiglia, lo
stemma dei Malfoy quasi
irriconoscibile, oscenamente sporcato. Velocemente lo estraggo dalla
carne in
cui è piantato.
La
appoggio
delicatamente a terra, su quel tappeto cremisi che le sporca le vesti,
ma non importa, la cosa importante è non screziare o rompere
questa bellissima bambola.
La
guardo. I suoi occhi aperti mi fissano senza vedermi. Pieni
d'amore, espressivi anche se vitrei. Un dolce sorriso increspa
le belle labbra.
Finalmente
riesco ad
aprire bocca per dire qualcosa. Mi ostino a parlarle, la imploro, la
scuoto, l’accarezzo. Ma la mia bellissima bambola si ostina a
sorridermi e basta, con quei suoi occhi vuoti.
Perché
non mi rispondi? Piuttosto smettila di
sorridermi come se volessi dirmi a tutti i costi ”Ti
amo”,
smettila! Feriscimi,
uccidimi così come io ho fatto con te!
Crudele…non fai
niente di tutto
ciò…preferisci guardarmi
amorevolmente… come se
insieme ad amarmi ancora, volessi compatirmi uccidendomi
nell’anima.
Un'improvvisa ed isterica risata
rimbomba nella sala, interrompendo momentaneamente i miei pensieri e
sensi di colpa.
"Povero, povero piccolo Draco!
Dì alla zietta cosa ti turba!"
La donna torna a ridere e la sua
follia torna a riempirmi la testa. E' una sensazione già
provata.
Ora capisco.
Circondo la vita del cadavere con il
braccio,
stringendo il prezioso fantoccio a me. Prendo la bacchetta e me la
rigiro tra le mani, osservandola.
Un sospiro, poco più di un
sussurro e un
altro corpo giace supino sul pavimento...e Bellatrix Lestrange fa
compagnia a nemici e alleati stesi al suolo, le braccia e le gambe
piegate stranamente, la sua follia ancora impressa nel suo bellissimo e
pazzo volto.
Finalmente mi guardo intorno.
Sono l'unico vivo eppure l'unico vero
cadavere.
Non sopporto questo caldo sospiro che
mi
attraversa denti e labbra, che sa di "vita" mentre questa parola mi
è così estranea.
Troppo silenzio attorno a me. Sento
il vuoto ronzarmi nelle orecchie fino ad opprimermi il cervello.
Una voce scavalca questo ronzio,
forse la mia
coscienza, o il mio rimorso o entrambi. Mi sforzo a respingerla, la
infosso, ma quella riemerge, dispettosa. E già so che non mi
abbandonerà mai.
"Sei stato tu"
-non è vero!-
"L'hai uccisa"
-zitto!-
"Povero Draco, eri così
preso all'idea di fare l'eroe
per salvare la tua donzella... per la prima volta nella tua vita hai
voluto fare la figura dell'altruista che si sacrifica per gli altri"
-è
così??-
"Tutta
scena. Era solo superbia la tua. Come sempre."
E' inutile che mi metta a contaddirmi
da solo. Ho
voluto fare la parte del Principe Azzurro. Con belle parole le dicevo
di uccidermi senza fare veramente qualcosa. Lucidavo per bene la mia
brillante armatura, per non far vedere agli altri che non era dorata ma
solo bellamente colorata. Fingevo. Recitavo la parte del Grifondoro
coraggioso mentre sono e sempre sarò una serpe. E rido. Non
posso farne a meno. Non vedete come è buffa e divertente la
situazione?
Fisso le mie mani sporche del sangue
della mia
Ginevra. Impossibile pulirle. Per quanto le sfreghi quel colore
rimarrà lì, impregnato in me, vivido e indelebile.
Uno scalpiccio lontano. Passi veloci,
uno dopo l'altro, si avvicinano. Non vi presto attenzione.
Continuo a ridere come se ne valesse
della mia
vita, sentendo i crampi allo stomaco che mi fanno piegare in due. Rido
perchè il mio cuore, che sanguina dolorosamente, non vuole
lasciarmi sfogare, forse una lacrima o due, ma la maggior parte del
dolore rimane lì. A far contrarre spasmodicamente quel
muscolo.
Chissà...forse dalla troppa sofferenza si
romperà...
E ora la mia bacchetta mi
sfiora la tempia,
ma non per estrarne un ricordo. Trema appena la mia mano, ma non riesco
a far cessare le risa.
I passi si avvicinano, scalpitanti e
rimbombanti nelle stanze adiacenti.
Le parole della Maledizione mi
rimbombano in mente. Maledettamente perfette, adatte alla mia vita, una
vita di sbagli.
Un ultimo sguardo alla bella Ginevra
che sorride ancora.
Un'ultima risata.
Un lampo.
Uno schianto sul pavimento polveroso
e poi...
...solo il vuoto.
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Capitolo 9 *** Epilogo ***
EPILOGO di "L'inizio della Fine"
EPILOGO
Bene, questa storia è
proprio terminata, con
il finale adatto. Perfettamente sconvolgente e perfidamente comico.
Per coloro che pensino che Draco si
sia ucciso, in realtà sbagliano.
Altri Auror arrivarono quando ormai
non ce n'era
più bisogno, schiantando l'unico superstite, condannandolo
alla
reclusione, senza ucciderlo.
Fu il peggior castigo che il ragazzo
potesse ricevere.
Smise di mangiare, smise di
dormire...
semplicemente smise di "vivere". Passava gli interminabili giorni
dondolandosi e tenendosi la testa con le mani, le ginocchia
al
petto, rintanato nell'angolo della sua cella, lamentandosi e
singhiozzando parole incomprensibili.
Nessuno riuscì mai a
cavargli di bocca qualcosa su quella notte che segnò
l'inizio della fine, neanche
sotto Veritaserum. Come se avesse rimosso tutto.
Morì una fredda notte in
quella cella umida
di Azkaban, mentre il cielo piangeva per lui quelle lacrime che non gli
rigarono mai il volto.
Le sue ultime parole furono una
stentata supplica per un perdono inutile. Forse era vero che il suo
cuore alla fine si era
rotto dal dolore. Non se lo chiese mai neanche Draco stesso, dimentico
di tutto finchè il suo cuore fu
solo un lontano ricordo di battiti lenti e stentati.
Nessuno seppe mai a chi fuorono
rivolte quelle
preghiere. Nessuno capì mai perchè il biondo
tentò
di uccidersi quel giorno.
Abbandonò il suo inferno
di rimpianti
stretto tra le forti braccia dell'accogliente Morte, cercando il
perdono dell'unica che l'aveva amato.
Chi visitò in seguito
quelle carceri,
giurò di aver sentito qualcosa lamentarsi e un nome di donna
trasportato dal vento e dagli aliti di morte; attraverso la cella
dell'unico Mangiamorte che sopravvisse agli occhi di tutti tranne ai
propri.
Salve a tutti! Voglio ringraziare tutti coloro che hanno letto.
Soprattutto ringrazio Debby! Se non ci fossi tu non riuscirei proprio a
fare niente! Grazie di tutto : P
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