L'inizio della fine

di SweetBloodyEly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Cambiamenti ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Dimenticare ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Ricordi - Questa è la guerra ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Benvenuti all'inferno ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Il dovere della speranza ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - La guerra è iniziata PARTE 1 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - La guerra è iniziata PARTE 2 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - ...Io la chiamo morte... ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Cambiamenti ***


CAP. 1

CAMBIAMENTI

POV GINNY

Cammino con lo sguardo sulle gambe che, movendosi, fanno ondeggiare la veste.

Non so dove sto andando, so solo che ho bisogno di pensare a tutto tranne che a LUI. Sono giorni ormai che frequentemente penso a quegli occhi.

Non ne so il motivo, quello che mi sconvolge è che so a chi appartengono e continuo a sperare che mi stia sbagliando.

Senza accorgermene, poco prima del ritratto di Barnaba il Babbeo, vado a sbattere contro qualcosa che, afferrandomi, m’impedisce di cadere.

Non lo vedo in faccia finché non sposto la rossa ciocca di capelli che mi oscura la vista, ma identifico comunque la persona che mi sorregge.

“Weasley, che ci fai qui?”

Quella voce, quei capelli. Siamo vicinissimi. Vorrei scappare, correre fino a quando le gambe non mi sorreggano più. Ma la vista degli occhi del ragazzo, mi hanno paralizzato le ginocchia. È suo quel grigio tempestoso delle iridi che tanto sogno e adoro.

“non sei più capace di rispondere? Eppure di solito le chiacchiere ti si sprecano!”

Mi guarda intensamente come cercando di scoprire la risposta senza che io risponda.

Il suo volto è stanco e ingrigito ma rivela comunque un’innata eleganza e bellezza.

“non parli? Vabbè. La prossima volta guarda dove cammini o ti farai male sul serio.”

Fa per andarsene, ma la mia piccola mano lo blocca afferrando la sua. Mi avvicino fissandolo indagatoria, un po’ addolcita dal modo in cui prima mi si è rivolto, apparentemente ignara del fatto che ci teniamo per mano. Draco sembra notarlo perché ci lancia un solo sguardo ma non ritrae la sua e arrossisce un po’.

“come mai l’ hai fatto?”

Gli chiedo impaziente.

“fatto cosa?”

“come mai non hai lasciato che cadessi e perché mi hai detto di stare attenta?”

“preferiresti che non l’avessi fatto?”

“no. Ma non è da te.”

“non è da te nemmeno spronarmi ad insultarmi e a comportarmi come il solito Malfoy bastardo e arrogante.”

“se rispondi alla mia domanda saprai la mia risposta alla tua domanda.”

“mi stai minacciando?”

“forse.”

Ma qualcosa stava succedendo nel biondo che di solito odiava me e la mia famiglia.

Sembrava, se possibile, divertito dal mio comportamento.

POV DRACO

Il carattere della ragazza, molto simile al mio, mi attrae, ma non è solo quello.

Le mani della Grifondoro, minuscole all’interno delle mie. Il suo esile corpo vestito d’abiti di seconda mano ma puliti e semplici. I suoi occhi, i suoi capelli.

“senti oggi non è giornata, sono stanco. Questo è il mio motivo. Il tuo?”

“perché dovrei dirtelo?!”

Un sorriso scherzoso si stende sul volto solare della ragazza.

“Weasley! Avevi promesso.”

“davvero? Non ricordo.”

“tu sei una Grifona! Tu DEVI rispettare le promesse! Siamo noi serpi che possiamo anche fregarcene!”

“allora vorrà dire che oggi tu sei un Grifone e io una Serpe.”

Risponde prontamente Ginny facendo la linguaccia.

“Ginevra!”

Entrambi ridiamo di gusto, facendo sorprendere la rossa che non mi ha mai visto ridere.

“va bene. Ti dirò il motivo. Ero solo sorpresa del tuo comportamento. Ma mai quanto ora che ti vedo ridere con una Weasley.”

“e io allora? Che ti vedo ridere con un Malfoy?”

Ci guardiamo nuovamente negli occhi, specchiandovici a vicenda.

Poi, senza sapere cosa stia succedendo, l’uno si avvicina all’altra, tirandosi per le mani, ancora legate tra loro. Ci avviciniamo così tanto che rimaniamo uniti attraverso le labbra, l’emozione altissima, sento il calore salirmi fino al cervello. Non capisco più niente.

Poi la realtà mi blocca di colpo.

Così, come se mi fossi scottato con l’amore che stiamo provando, mi scanso violentemente, lasciando Ginny meravigliata e sbalordita. Mi appoggio al corrimano e respiro lento per riprendere fiato.

“ che cosa hai?”

Chiede la ragazza preoccupata.

“non si può.”

“cosa non si può?”

“noi. Non possiamo…non possiamo…innamorarci.”

“perché no?”

“perché sono un Malfoy e tu una Weasley.”

“questo che c’entra?”

Chiede arrabbiata incrociando le braccia sul petto e mettendo il muso.

“le nostre famiglie si odiano da secoli e…”

“ma noi non ci odiamo. Potremmo cambiare le cose.”

Lei è quasi in lacrime.

“tu ne soffriresti e anch’io.”

“soffrire di cosa?”

Non ce la faccio a vedere i suoi occhi così tristi e arrossati, allora corro via verso il mio dormitorio nei sotterranei, le parole di Ginny che m’ inseguono –soffrire di cosa?-.

Lei non sa……

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Dimenticare ***


CAP.2

DIMENTICARE

POV GINNY

Sembra diverso. Non si è mai comportato così. Non sapevo cosa pensare, non sapevo se era stato un momento di sfuggita, o se mi ha mostrato il suo vero io. Non ho avuto tempo di fermarmi a pensare. Era una cosa troppo grande. Così abbiamo lasciato che ci pensassero i nostri sentimenti e ci siamo baciati e dopo…

Si è accorto che c’eravamo spinti troppo avanti. Penserete –ma che, è solo un bacio-, non per noi. Sapevamo entrambi cosa sarebbe successo se ci fossimo innamorati.

Purtroppo l’amore è un sentimento troppo stupendo e crudele. È una di quelle cose che non puoi fermare, che quando arriva devi prendere e accettare.

Ma questo è diverso. L’ ha detto anche lui. Non possiamo, non dobbiamo! Non una Weasley e un Malfoy!

Ma uno sguardo può fare tanto. E ormai è fatta, non si può tornare indietro.

Così sto qui. Sdraiata sul letto a piangere e riflettere. Perché è scappato! Non capisce? Non possiamo evitarci e far finta che non sia successo niente. Se n’è accorto anche lui, abbiamo provato tanto insieme, troppo, nel giro di cinque soli minuti.

Anche se ci sfuggissimo per sempre, comunque penseremo incessantemente l’uno all’altra.

Dobbiamo chiarire.

Mi alzo dal letto, asciugo con la maglietta le guance bagnate ed esco dal portone del castello.

Cammino alla ricerca del ragazzo che ormai ha rubato il mio cuore, senza saperlo. In fondo ci siamo solo scambiati un bacio che forse per lui non significava niente; ma allora perché ha reagito in quel modo? Devo capirlo.

Finalmente vedo qualcosa di familiare brillare alla luce del sole. Mi avvicino al chiarore dei biondi capelli del Serpeverde.

“dobbiamo parlare.”

Lui si volta di colpo portandosi una mano al petto.

“mi hai spaventato!”

Mi guarda con intensità, e, capendo di non avere alcuna scappatoia, si alza, sospira e mi trascina in un angolo del lago dove nessuno ci può vedere.

“perché sei venuta?”

Il suo tono di voce è tornato ad essere quello acido e strafottente di una volta.

“te l’ ho detto. Mi hai abbandonata là, senza spiegazioni per un giorno intero.”

“e io te lo ripeto, DI-MEN-TI-CA-MI, credi che per me è stato importante quello che è successo?”

Quelle parole, scandite chiaramente con una calma impassibile e uno sguardo strafottente, mi sconvolgono.

“perché fai così, perché dici questo?”

“allora non mi hai sentito?”

Mi aggredisce ed io indietreggio.

“tu sei una WEASLEY ed io un MALFOY! Vuoi capirlo sì o no?”

“io capisco solo che quello dell’altra volta non era un bacetto qualunque. E tu lo sai, sentivo quello che provavi!”

Fa finta di non ascoltarmi e si guarda intorno.

“non devi innamorarti di me! Torna a sbavare per lo Sfregiato come facevi prima. Con lui starai bene.”

“sei tu quello che non vuole capire! Come puoi chiedermi di non innamorarmi di te?! Ormai è tardi. Io sono già…”

“NON DIRLO!”

Si tappa le orecchie con le mani come un bambino piccolo e scuote freneticamente la testa.

“ma io ti…”

“NO. TI PREGO, STAI ZITTA!!”

“non posso. Io ti amo.”

“NOOO!!!”

Il suo urlo risuona nelle mie orecchie. Vedo il ghiaccio nelle sue iridi sciogliersi.

Cerca di trattenere le lacrime.

“perché Ginny? Perché mi fai questo?”

Il mio sguardo è spaventato e scioccato.

“ti ho solo detto quello che provo.”

“perché vuoi rendere le nostre vite così complicate.”

“cosa c’è di complicato?”

“c’è che se solo ammettessi che ti amo sarebbe finita per noi.”

Ormai le lacrime si fanno strada sui volti di entrambi.

“cosa mi stai nascondendo?”

“non posso dirtelo. Ci staremmo troppo male.”

“voglio saperlo.”

Draco sembra impiegarci una vita intera per pensarci, poi mi si avvicina e mi prende le mani, una sua lacrima ci cade sopra, ormai siamo incapaci di controllarle.

“Ginevra. Promettimi che lo terrai per te.”

Vorrei aspettare per rispondergli, ma non sarebbe giusto per lui.

“va bene.”

Scopre titubante le maniche della maglietta e mi lascio sfuggire un urlo e altre lacrime.

Mi scanso velocemente dal Serpeverde e mi avvicino ad un albero. Respiro forte, singhiozzo e mi lascio scivolare a terra.

“perché Draco?”

“posso spiegarti…”

“ALLONTANATI. Non avvicinarti.”

Stringo le gambe a me per proteggermi e forse è questo che spinge il ragazzo a sedersi davanti a me e a parlarmi.

“volevi spiegazioni, no?sei così spaventata…non avrei dovuto fartelo vedere…Per me è difficile.”

“difficile…cosa, Draco?…dirmi che sei un Mangiamorte e che io, come una…s-stupida mi sono innamorata di te?”

“ascoltami ti prego.”

Io sapevo a cosa andavo in contro avendo Lucius come padre.”

Lo degno solo di uno sguardo ma lui non mi sta più guardando. Osserva il lago e, mentre continua a piangere, mi parla dolcemente ma con una tristezza nella voce, inimmaginabile.

“quando ero piccolo mio padre mi lanciava ogni giorno una Cruciatus, senza motivo, subito dopo mi chiudeva per tutto il giorno in una stanza piccola buia e sporca di cui ricordo ancora l’odore nauseabondo di cadaveri.

Io continuavo a ripetermi come un matto che ero perfido, che dovevo aver fatto per forza qualcosa d’orrendo, di atroce per meritarmi una punizione del genere e ricevere tanto dolore.

Così piangevo senza farmi vedere. Osservavo le stelle per avere delle riposte a quelle grandi domande che mi ponevo già a tre anni.

Tante volte ho pregato il cielo chiedendo che una di quelle maledizioni mi uccidesse. Ma chissà perché, continuava a tenermi in vita e a vedermi piangere e pregare inutilmente.

Ogni tanto, dopo giorni passati lì dentro, urlavo perdono. Ti rendi conto? Chiedevo il perdono di mio padre per qualcosa che non ho mai fatto. Ma lui diventava sempre più crudele ogni volta che lo invocavo, così imparai a non chiedere mai niente a nessuno, a sopportare e a cavarmela da solo.

Crescendo mi disse che quello era il mio ‘addestramento’ per abituarmi ad una vita di sofferenze. Mi disse che amare era l’errore più grande che un essere umano possa fare. Mi disse che amare è per i deboli e che porta solo alla distruzione. Mi disse che le persone amano per avere dei pensieri sereni con cui dimenticare le proprie sofferenze. Allora gli dissi che tutti avrebbero dovuto amare, perché tutti provano dolore. Dopo mi beccai una frustata, perché secondo lui, chi vive interamente nella sofferenza, non ha bisogno d’amare perché si abitua.

Gli chiesi, sempre da piccolo, se ero nato dall’amore di lui e mia madre e mi beccai un’altra frustata.”

Ride stizzito tanto è abituato a ripetersi la sua infanzia. Quelle sue parole narrate con dolcezza e sofferenza. Io ne sono nauseata, cerco di non credere a quello che mi dice.

“mi insegnò ad essere crudele, a non innamorarmi mai e che, ad essere spietati, ci si guadagna e basta.”

Per un po’ rimaniamo zitti poi gli rivolgo una domanda tanto stupida che mi vergogno ad averla formulata.

“ti rendi conto che siamo nemici?”

“per questo ti chiedo di dimenticarmi. Sarà tutto più semplice se lo fai. Disprezza quello che sono.”

“ho…ho bisogno di riflettere. Potresti lasciarmi un po’ sola?”

Mi ostino a guardare il prato. Non voglio vedere i suoi occhi per poi rimanerne imprigionata. So che non vedrei al loro interno un Mangiamorte, perché non voglio credere di aver visto seriamente il Marchio Nero. Cerco di convincermi di non aver visto il teschio con la lingua di serpente.

“Ginevra. Ti prego guardami un’ultima volta.”

Poso, di malavoglia, il mio sguardo sul suo ed è come pensavo. Non vedo il Mangiamorte in lui e questo mi distrugge ancora di più.

“qualunque cosa succeda, promettimi che rimarrai in vita per quando ci rincontreremo.”

Non rispondo subito alle sue parole. Continuo a guardarlo senza avere la forza di aprir bocca.

“ti prego. Promettimelo.”

“lo-lo prometto.”

Ci baciamo per quella che potrebbe essere l’ultima volta.

Sento la nostra voglia di non staccarci, di rimanere così per l’eternità.

Sento la nostra disperata ricerca l’uno dell’altra.

Sento il suo e il mio piangere entrare in me.

Permane nelle ossa, come una voragine incolmabile.

Poi il Serpeverde di volta e si allontana portando con sé il mio amore e dolore ed io il suo.

Una promessa silenziosa.

Una promessa che ci costerà la felicità che, per questo, non otterremmo mai.

Non so per quanto tempo rimango qua, a fissare il punto dove Draco si è allontanato per poi sparire.

Quello che continuo a ripetermi è che, d’ora in poi, fingerò di averti dimenticato e tu farai lo stesso con me.

Perché in fondo, da quando ci siamo guardati negli occhi, per la prima volta, sapevamo che sarebbe cominciata una recita devastante.

Sapevamo che il nostro era un amore impossibile.

Sapevamo tutto, ma abbiamo voluto comunque non privarcene.

Abbiamo intessuto una trama troppo grande per noi.

Per non rimanerne uccisi, fino a che non c’inchineremo sul palco per poi svanire, continueremo a recitare, a fingere.

Perché sappiamo che siamo già morti dentro.

Che non si può fare altro che piangere, e ancora piangere, finché non uscirà, insieme alle lacrime, anche quello che resta della nostra anima.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Ricordi - Questa è la guerra ***


CAP.3

RICORDI

Vedendolo di sfuggita, si potrebbe pensare che quello sia solo un ragazzetto. Magro, cresciuto molto in poco tempo, ma osservando, si vede un uomo dietro quegli occhiali, attraverso il verde intenso dei suoi occhi.

Solitamente bisogna scavare a fondo per vedere la tristezza di Harry Potter, abituato a nascondere quei sentimenti presenti maggiormente in lui. Ora, seduto davanti alle tombe dei suoi genitori, si riesce a percepire quello che prova.

Poco distante dal cimitero, i resti della casa dei suoi genitori, coperta da piante rampicanti di cui nessuno si è occupato, consumata da incantesimi e dal tempo. Tante volte si era ripromesso di andare a Godric’s Hollow e finalmente c’è riuscito.

Strappa prepotentemente dei fili d’erba sopra le tombe dei suoi genitori, cresciuta con il passare degli anni. Nessuno è mai tornato a salutarli dopo quella notte di diciassette anni fa. Sono accadute troppe cose, così perfide e tristi che i Potter hanno quasi avuto fortuna per essere morti prime di vederle.

Lui sa che un giorno potrebbe trovarsi disteso lì accanto, senza vita, e un po’ lo spera. Non ha mai conosciuto i suoi genitori……

Alcune foto li raffigurano insieme al neonato che era.

Ricordi repressi, nascosti in un angolo remoto del suo cuore, riaffiorati grazie ai Dissennatori. Ricordi che non sapeva neanche lui di avere. Forse, nel profondo della notte, da piccolo, rivisitava quei luoghi inesistenti in cui sua madre e suo padre gli stanno ancora accanto e gli sorridono. Ora non li sogna più. È troppo martoriato a vedere quello che ha passato e quello che gli succederà.

Ricordi di un uomo col mantello, che a distanza di tempo, gli sa ancora di putrefazione, come il corpo fittizio del suo nemico.

Ricordi della paura.

Ricordi di morte.

Ricordi di suo padre che urlava alla moglie di prendere il figlio e scappare.

Ricordi della luce verde dell’Avada Kedavra, di James a terra, morto da eroe.

Ricordi delle suppliche di Lily, una madre che preferì la propria morte a quella di Harry.

Ricordi di un altro colpo mortale che la uccise.

Ricordi di una risata glaciale che non si può dimenticare.

Ricordi di lei stesa al suolo e della maledizione mancata che salvò la vita e lasciò una cicatrice.

Una cicatrice che lo rese famoso, amato, odiato, fortunato e sfortunato.

Una cicatrice che gli salvò la vita e ne distrusse molte altre.

Deteriorando il suo cuore, stanco di vedere volti spengersi, di vedere le loro lacrime e i loro ultimi sorrisi, destinati proprio a quel ragazzo.

Altre lacrime.

Le sue.

Lacrime che avrebbero voluto uscire in tanti momenti della sua esistenza tormentata, ma che non l’ hanno mai potuto fare.

Doveva essere forte, resistere, per continuare ad andare avanti.

Diciassette anni. Diciassette anni, passati a chiedersi come sarebbe stata la sua vita se i suoi fossero sopravvissuti, o almeno uno di loro. Passati a chiedersi come sarebbe stata la sua vita senza che quella profezia fosse stata detta. Passati a chiedersi perché, delle persone che ama, ha solo ricordi. Perché nessuna è al suo fianco. Perché tutte sono state così coraggiose e altruiste da salvare la sua vita a scapito della loro.

Si chiede se questo sia giusto.

Ma c’ ha pensato proprio quel quasi diciottenne a vendicare i suoi cari. Quello stesso Voldemort che infestava i suoi incubi ora non esiste più. Gli è costato tanto dolore ma adesso sta un po’ meglio. Ha liberato un po’ il suo cuore uccidendolo. Eppure non si può mai stare tranquilli. I seguaci del Signore Oscuro sono ancora in libertà, sempre più crudeli e in questa guerra dicono ci sia un nuovo Mangiamorte, secondo in bravura solo al suo padrone, manovrato dai Mangiamorte più esperti.

Il moro non invidierebbe mai l’esistenza del novizio, costretto, o forse no, a torturare e uccidere solo perché così gli è stato ordinato.

Un ghigno.

La solita luce.

Verdi occhi sgranati.

Lui sa che un giorno potrebbe trovarsi disteso lì accanto, senza vita, e un po’ lo spera. Non ha mai conosciuto i suoi genitori.

Un tonfo.

Il corpo di Harry Potter, finalmente, giace accanto a quello di sua madre e suo padre.

* * *

QUESTA è LA GUERRA


Da dietro un albero, un ragazzo avanza lentamente verso il corpo del coetaneo.

Ogni passo che lo avvicina a lui, sembra allontanarlo da quella voce dentro al suo cuore. Quella voce, ormai lontana, che cerca disperatamente di farsi sentire, di urlargli che quello che ha fatto non è giusto.

Si accovaccia, raddrizza gli occhiali del moro.

Una solo goccia accarezza la sua guancia lattea, nascosta dalle labbra rosee che si dischiudono:

“non avrei voluto…Harry. Ora posso chiamarti così, non c’è nessuno qui, se non noi due e il mio rancore.

Non avrei voluto. Tu mi credi, vero? Tu riesci a vedere quando le persone sono sincere, senza dover ricorrere alla Legilimanzia, quindi mi crederai.”

Ti sfila la bacchetta dalla tasca posteriore dei jeans e te la mette in mano.

“così sembrerà che hai combattuto fino alla morte e tutti continueranno a chiamarti eroe, credendo che sei morto in quel modo. Non ti sei accorto di niente. E come avresti potuto? Chiamami codardo, ma ho dovuto farlo…perdonami…

Vedi, questa è la guerra. L’importante non è vincere o perdere. L’importante è il modo in cui lo si fa. Tutti gli stratagemmi sono possibili e concessi, anche le vigliaccherie, perché questo era…

Se ti avessi sfidato alla luce del sole, so che avresti vinto e io non ce l’avrei fatta perché devo ammettere che eri davvero bravo. Se non lo fossi stato non avresti battuto il Signore Oscuro.

Per chi lotta, è essenziale il traguardo che si raggiunge, anche la morte va bene, basta avere uno scopo che ti aiuti a continuare a combattere, altrimenti è inutile.

Per gli altri è importante avere qualcuno in più da ricordare. Qualcuno che li accomuni nel loro dolore.”

Guarda le foto della madre e del padre che l’altro non ha mai conosciuto, che oggi ricordava, che i suoi genitori hanno sempre presentato come rifiuti della società che hanno meritato quella fine.

Vedendo i loro sorrisi della foto, non crede a quello che gli hanno insegnato, ma è tardi per farsi un esame di coscienza.

“tutti hanno ragione. Sei proprio il ritratto dei tuoi…eri anche tu un grande eroe…

ma in fondo ti ho fatto un favore. Tutti sanno che eri pieno di sensi di colpa per le morti dentro il tuo cuore.”

Un fruscio e si Smaterializza con un ghigno che, nonostante tutto, non cessa di aprirsi, quella voce dentro al suo cuore ormai sotterrata, dimenticata.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Benvenuti all'inferno ***


CAP.4

BENVENUTI ALL’INFERNO

POV DRACO

Un anno ci separa dal nostro ultimo incontro.

Dopo quel bacio, desiderato come acqua nel deserto, non ci siamo più parlati. Tu non esisti per me ed io non esisto per te, ma sappiamo entrambi che ingannarci, nonostante non serva a niente, è l’unico modo che abbiamo di campare in questo mondo.

Me ne sono accorto quella sera in cui avrei dovuto uccidere Silente.

§§§

Mi credevo un‘icona della malefica e bramosa casa dei Serpeverde e, in effetti, era così. Ero perfido, orgoglioso di essere un ricco e nobile purosangue pieno d’arie.

Mi credevo capace, pensavo fin dall’inizio che non avrei vacillato neanche per un secondo. Poi vidi il preside in trappola, io un sedicenne, ero riuscito a disarmarlo quando nessuno c’era mai riuscito. Lo vidi indifeso ma sempre fiero e coraggioso.

Ero esaltato da quello che ero riuscito a fare, mi vedevo grandioso, poi mi ricordai di quel momento in cui ci “conoscemmo” la prima volta, perché inizialmente non ci comprendevamo. Mi ricordai della tua risata e dei tuoi profondi occhi azzurri e di quello che costruimmo senza sapere che era una presa in giro di noi stessi.

Mi ricordai del nostro, forse, ultimo bacio, di come ti maledissi perché eri riuscita a cambiarmi con un solo sorriso. Stavo per abbassare la bacchetta, quando arrivò Piton e vidi il vecchio e saggio Silente implorarlo inutilmente per poi morire.

Quasi senza accorgermene il professore mi tirò su da terra per il colletto della camicia, mi afferrò il polso, come una volta avevi fatto tu per farmi voltare, e forse fu proprio quel gesto a farmi risvegliare da quella mia fase di torpore.

Scappammo dalla Torre d’Astronomia.

Sotto era il caos più totale.

Maledizioni da tutte le parti. Mangiamorte contro Ordine della Fenice.

Poi una chioma rossa attirò la mia attenzione. Ti vidi scansare con abilità una Maledizione Senza Perdono dopo l’altra. Eri lì come un angelo che sa che potrebbe morire, ma combatte e si mette in gioco anche per gli altri, per proteggerli e confortarli.

Sei sempre stata troppo dolce e gentile per macchiarti le mani col sangue dei nemici, così ti limiti a schiantarli e a pietrificarli per lasciar fare gli altri, non come una vigliacca ma come farebbe una persona pur di non uccidere.

Avevi appena bloccato un Mangiamorte quando, come se avessi sentito l’affanno del mio respiro stanco e spaventato provenire dal lato opposto della sala, ti volti e mi guardi.

Solo uno sguardo, un fulmineo battito di ciglia in cui tu vidi il mio addio impresso nel mio volto sudato e triste e mi risposi con una sola lacrima che, colandoti andò a mischiarsi col sangue della guerra cominciata solo quella notte.

Sapevamo che quello era forse l’ultimo momento in cui ci saremmo potuti vedere ma in fondo continuavo a sperare in un altro attimo, avevamo promesso.

Scappai con Piton alle calcagna che m’incitava a correre sempre di più, anche se avrei voluto tornare da te, a proteggerti e tenerti con me perché mi faceva male vederti rischiare la vita, dimenticandomi che sei una Grifona coraggiosa.

Vidi solo la luce della luna illuminare il giardino da cui provenivano le urla di Hagrid, vidi la figura del preside, scaraventata a terra dalla Torre d’Astronomia, poi mi smaterializzai con Piton e non ti vidi più.

§§§

Più cerco di non pensare a te, più la tua immagine piena di lentiggini diventa sfocata nella mia mente che cerca disperatamente di celare al sicuro questo segreto, di tenerlo solo per sé.

Eppure posso vagamente immaginarti mentre cerchi di scoprire dove ci nascondiamo magari seduta al tavolo del Quartier Generale dell’Ordine.

Ma no, non ce la faresti a stare con le mani in mano, senza far niente.

La guerra è cominciata da più di un anno ed è sempre più cruenta e insaziabile di vittime. Nessun posto è sicuro.

Fuori è l’inferno o anche peggio, in fondo all’inferno non t’importa più di tanto di quello che ti succederà perché sei già morto, no?

Qui invece cerchi disperatamente di aggrapparti alla vita, a quei pochi tormentati minuti in cui cerchi di sorridere ai tuoi demoni interiori, alle tue paure, in cui passi in rassegna tutti i ricordi di quello che hai fatto e avresti voluto fare, in cui cerchi di superare te stesso ancora una volta perché sai che sarà l’ultima in cui potrai dimostrare il tuo coraggio.

Le strade sono piene di corpi esanimi, inermi, di feriti gravemente che chiedono aiuto o il colpo mortale.

Piene di donne che escono dai loro rifugi. Disinteressate di guardarsi intorno per vedere se ci sono Mangiamorte che le potrebbero uccidere.

L’unica cosa che possono fare è urlare di dolore. Correre senza fiato dal marito o dal figlio o entrambi, abbandonati sulla neve, rossa del loro sangue, che le guardano con gli occhi che chiedono pietà e protezione, che chiedono invano un aiuto, svuotati completamente come solo il dolore sa fare, possono solo abbracciarli e pregare.

Le loro vite distrutte, perché è meglio la propria morte a quella dei cari.

Rimangono là per giorni e giorni urlano e piangono senza stancarsi mai, come se per loro non esista altro che dolore, fino a che non esauriscono le lacrime, perché è così. Perciò restano al fianco dei loro amati, stringendoli per cercare di sentire se al loro interno è rimasto un po’ di calore, per sentire quelle parole di conforto che forse immaginano e basta. Non c’è niente con cui alleviare il bruciore che sentono.

Urlano. Urlano di riaverli, sanno che è inutile, così gridano di poterli raggiungere, continuando a piangere e pregare.

E chi siamo noi per non rispettare le loro volontà?!

Non siamo maligni, siamo angeli oscuri, di morte, ma che a modo nostro cercano comunque di fare dei favori a quelle persone annientate dalla sofferenza.

Io lo so bene. Ogni giorno accadono cose del genere, proprio come ora.

Cammino col cappuccio del mantello abbassato.

Non ho paura di camminare tra queste vie disseminate di cadaveri.

Corpi rannicchiati contro il muro della strada. I loro volti terrorizzati e corpi coperti di sangue, squarciati dagli Inferi che vagano per le vie alla ricerca di quel sangue che alla loro morte hanno perso e cercano di sottrarre alle persone, non guardano in faccia a nessuno perché sono vuoti.

Tengo le mani in tasca, impassibile al gelido vento e a quella pioggia che, nonostante si sforzi, non riesce a lavare il sangue, il dolore e il tempo, che sembra essersi fermato.

Tutti i giorni sono uguali, monotoni, la speranza dei sopravvissuti viene sempre meno a mano a mano che crollano in battaglia amici e parenti.

Solo quella promessa che ci saremmo rivisti mi spinge a proseguire tra queste strade innevate. C’incontreremo a breve, me lo sento.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Il dovere della speranza ***


CAP 5

IL DOVERE DELLA SPERANZA

POV GINNY

Seduta sulla sedia della cucina, sorseggio il tè preparato per calmarmi.

Lo sguardo fisso sulla pioggia che cade senza posa dal cielo. Quell’acqua che tenta disperatamente di cancellare la crudeltà del mondo, che tenta invano di lavare le strade dal rosso che le imprime. Ma le gocce non possono riuscire dove neanche la miriade di lacrime versate ha potuto farcela.

Aspetto due dei migliori tra i membri dell’Ordine della Fenice.

Sono in ritardo, le mie unghie divorate dal nervoso, eppure non dovrei preoccuparmi, loro sanno badare a se stessi.

Lancio un’occhiata a quello che ora è il nuovo Quartier Generale: una piccola costruzione ricavata sotto le fogne di Londra. È un luogo buio e umido, ma sicuro dalla massa di Mangiamorte che “pattuglia” la città.

Non si riesce a credere a come ci si è ridotti dopo la dipartita di Harry. Voldemort è morto, è vero, ma la guerra non è finita e non cesserà finché non vinceremo contro i Mangiamorte, sempre più numerosi e spietati.

E pensare che forse potevamo avere una speranza in più se Harry fosse rimasto in vita. Dopo la sua morte, Hermione e Ron informarono l’Ordine della sua missione ordinatagli da Silente, degli Horcrux, della profezia, di come fosse veramente il prescelto anche se lo sapevamo già…sentire quelle parole ci sconvolse tutti ma in fondo ce l’aspettavamo.

Ucciso…l’uomo più giovane e coraggioso del mondo magico…ucciso da un nuovo Mangiamorte che, glielo prometto, ammazzerò personalmente, perché non credo sia riuscito ad abbatterlo in combattimento.

Sarò io ad togliergli la vita, perché ora non sono più la piccola Ginny di una volta, di cui tutti si dovevano prendere cura perché, come una bambola di cristallo, non andava scalfita, incrinata o sarebbe andata distrutta.

Ora sono fredda, distante, spietata quasi o quanto i seguaci del Signore Oscuro.

Non ne risparmio nemmeno uno. Non ascolto le loro suppliche o le loro parole imploranti. Non do retta ai loro sguardi terrorizzati. Sono diventata cieca di fronte a quel sentimento che fu la causa della morte di Silente, la fiducia.

È anche per questo che non si è aggiunto alcun nuovo membro all’Ordine. Non ci si può fidare di nessuno, per poi rischiare di rimanere vittime delle spie.

Ora uccido con lucidità e calma. Devo ammetterlo, con gioia selvaggia, nel vedere i loro ultimi spasimi incontrollati mentre tentano di trattenermi la caviglia e impietosirmi, il sangue scuro e vischioso fuoriuscire lento ed inesorabili dalle loro carni divorate dalla mia bacchetta, gli ultimi respiri di quegli infami malcapitati che vollero diventare miei nemici. Rimangono terrorizzati dalla loro uscita di scena perché finalmente si accorgono di quello che provano le loro vittime ma soprattutto dai miei occhi glaciali, esultanti e pieni di ripugnanza.

Offuscati, sbiaditi d’odio e tristezza. Odio, odio per quel bastardo che uccise Harry. Tristezza, quella stessa tristezza che da un anno non ho ancora superato. È anche con quella che vado avanti, perché non dimenticherò mai le parole che mi dissi:

“qualunque cosa succeda, promettimi che rimarrai in vita per quando ci rincontreremo.”

E così faccio, rimango in vita, lotto, per te, per un uomo che non so neanche morto o vivo ma che ha giurato con me. Perché come mi ricordasti quella volta di troppo tempo fa, io sono una Grifona, e le Grifondoro devono mantenere le promesse.

Questo è forse l’unico dei pochi aspetti del Grifondoro che mi sono rimasti.

Gli altri caratteri della mia Casa apprezzati da molti, sono morti con me quel giorno che mi lasciasti per seguire tuo padre, Voldemort e diventare uno di loro, un altro condannato a quell’esistenza. Lacrime bollenti, che scottano le guance e le labbra, scivolano dagli angoli degli occhi che non si sono commossi mai se non dopo la notizia della morte di Harry e mi spaventa un po’ l’essere diventata una statua di ghiaccio. Le gocce di pianto fanno fatica ad uscire ma poi si bloccano come per ricordarmi che non è da me piangere, la nuova Ginny non piange. La nuove Ginny uccide a sangue freddo e ne gode. Crudele. Quasi disumana. Una fantastica e terribile vendicatrice del bene. Sa che per difenderlo dovrà fare del male ma non le importa perché ha imparato che non c’è guerra senza morti e ha imparato che non c’è pace senza la guerra.

Ora nella mente solo un desiderio morboso e intenso……

FAR FUORI LO STR***O CHE UCCISE HARRY. Che ci condannò alla disperazione e alla paura ancora una volta. Che influisce sulla strage che si vede giorno dopo giorno tra le strade sanguinanti e colme di cadaveri che i Mangiamorte lasciano scrupolosamente sotto gli occhi di tutti.

Bambini che vedono le madri straziate con occhi spalancati, si avvicinano piangendo per scuotergli i vestiti e farle alzare, senza sapere che stando lì, avranno la stessa sorte……

Altri, che vorrebbero correre dalla madre esanime vengono trattenuti dal padre lacerato dal dolore per la moglie, l’uomo sa che però deve pensare al figlio, deve proteggerlo anche a costo della vita. Molti però non si trattengono, non riescono a sopportare la vista della moglie abbandonata, non si perdonano d’averla lasciata uscire di casa. Così le raggiungono e vengono colpiti. Il tempo di voltarsi per donare un sorriso amorevole al figlio, gli è fatale.

Questi bambini vengono considerati, da molti, fortunati perché ancora in vita. Loro, invece, sono massacrati, distrutti perché giorno e notte stanno rannicchiati alla finestra e vedono i loro genitori.

Vorrebbero i loro abbracci, i loro baci prima di dormire, vorrebbero stragli accanto oppure scappare perché tutto, della casa glieli ricorda.

Improvvisamente, si accorgono di aver perso la loro innocenza, in quell’attimo in cui uno sconosciuto gli ha scaraventato in faccia la realtà. Quella realtà per cui tutti vorrebbero tornare ad essere ingenui come bambini, ma che è impossibile da riconquistare, perché non ci sono più bambini coccolati dalle braccia dei genitori.

Questa vista ci distrugge perché si è impotenti di fronte allo scempio.

La guerra deve finire.

§§§

Un rumore proveniente dall’entrata del rifugio mi sveglia da quell’intorpidimento in cui ero caduta immersa nei miei pensieri. Arraffo velocemente la bacchetta facendo cadere sul tavolo la tazza cui contenuto, rovesciandosi, macchia la tovaglia logora di cui però non mi preoccupo.

Mi dirigo silenziosa verso l’origine di quel suono. Vedo la porta aprirsi lentamente cigolando.

Neanche il tempo di vedere chi sia, subito lancio uno Schiantesimo che viene bloccato da un alto ragazzo rosso e lentigginoso che protegge con la propria schiena una ragazza dai capelli castani e cespugliosi.

Ripongo la bacchetta con un sospiro di sollievo.

“ehi! Volevi ammazzarci?”

“no. Scusa Ron, scusa Hermione. Ero solo nervoso e non sapevo che eravate voi.”

“non preoccuparti.”

Hermione si sposta da dietro il suo ragazzo e mi si avvicina per farmi sedere.

“bevi qualcosa. Sei talmente tesa…”

“grazie Hermione.”

La riccia appoggia ad una sedia il lungo cappotto nero e si mette a preparare del tè.

Intanto Ron si lascia cadere pesantemente su un’altra seggiola di fronte a me, la testa tra le mani.

Non alza lo sguardo dalle sue ginocchia e comincia a parlare con una grande stanchezza, quella fiacchezza che ormai siamo abituati a sentire nella sua voce.

“abbiamo trovato un bambino morto. Ucciso, di sicuro da Greyback visti i morsi e la quantità di sangue che lo copriva. Avrà avuto sì e no sei anni. Era uscito allo scoperto per raggiungere la madre morta anche lei.”

Hermione mi porge una tazza colma di tè. Sospira e chiude gli occhi colmi di lacrime e continua.

“Non abbiamo potuto fare niente. Era troppo grave, aveva già perso troppo sangue. Neanche il tempo di portarlo al San Mungo. L’abbiamo perso tra le nostre mani…”

“perché c’ avete messo così tanto tempo?”

La mia migliore amica si avvicina piangendo al suo fidanzato abbracciandogli dolcemente la testa come fosse un bambino da consolare.

“Stavamo tornando quando un Mangiamorte mi si para davanti e mi punta la bacchetta addosso ma Ron lo disarma. Siamo solo riusciti a scoprire che domani avrebbero fatto irruzione al Ministero o al San Mungo, forse per tendere una trappola e riuscire rovesciare Scrimgeur, poi si è Smaterializzato.”

“Sicuramente non era un Mangiamorte di quelli importanti o non avrebbe cantato.

O forse vuole trascinarci sia al Ministero che all’Ospedale dividendoci per indebolirci.”

“Già, ma potrebbero attaccare veramente uno dei due posti o entrambi. Così facendo riuscirebbero a rovesciare il Ministro e allo stesso tempo a finire i ricoverati.

In entrambi i casi ci metterebbero con le spalle al muro…”

“…se non interveniamo prima. A questo punto dovremmo avvertire il resto dell’Ordine. Dobbiamo organizzarci comunque e informare in tempo il Ministero. Prima ci riusciamo, meglio sarà per noi.”

§§§

Due ore dopo l’Ordine è riunito attorno al tavolo della cucina.

È a questi incontri sempre più frequenti, a volte inutili, che ci si accorge del vasto numero di perdite che abbiamo subito.

Siamo rimasti solo io, Ron, Hermione, Tonks, Lupin, Kingsley, Moody, mia madre, mio padre, Fred, George, Charlie, Luna, Neville e Fleur, con in braccio la sua piccola Gabrielle Molly Weasley.

Lacrime aspre, acute, insite irrevocabilmente in noi perché ricordano nella mente avvenimenti che vorremmo rimuovere o cambiare.

La professoressa McGranitt, severa e austera con la sua inseparabile crocchia di capelli in testa.

Morta. Morta nella sua vera casa. Morta in quella sua scuola vuota di studenti e insegnanti fuorché lei, perché chiusa dal Ministero. Morta ad Hogwarts, per Hogwarts assalita dai Mangiamorte che volevano distruggerla.

La difese fino all’ultimo estenuante colpo di bacchetta, fiera di scagliarli perché era tra quelle mura che viveva Silente, ed era in quelle mura che viveva il suo cuore, il cuore di quella leonessa attaccata fatalmente alle spalle.

Lei che ci ha insegnato tanto, che ci ha punito, caricato di compiti, ma era gentile, sempre disponibile e c’esentava dallo studio se incombeva una partita di Quidditch contro Serpeverde.

Hagrid, dolce con il suo linguaggio “particolare”, con il suo amore per Thor, per le creature pericolose e terrificanti a cui lui regalava orsacchiotti, per cui si batteva e commoveva.
Con il suo amore per Harry, quel ragazzo che gli voleva bene, che lo difendeva e in cui lui vedeva un po’ di sé. Quel ragazzo di cui non accettò la scomparsa e che andò a cercare a Godric’s Hollow perché non voleva perderlo, non doveva perché lo considerava un ultimo compito affidatogli da Silente.

Hagrid il difensore di Silente.

Hagrid il mezzogigante.

Hagrid, immune a schiantesimi e a molti incanti, ma che non ha vinto contro tredici Avada Kedavra in pieno petto, quel petto in cui giace un cuore da eroe.

Hagrid che, prima di combattere i Mangiamorte ci affidò Thor.

Hagrid, i cui occhi color pece lacrimarono un’ultima volta per se stesso e per noi, ragazzi rubati all’adolescenza e alle sue fantasie e scaraventati impudentemente in questa guerra.

Bill. Bill il Prefetto. Bill il Caposcuola. Bill lo spezzaincantesimi della Gringott.

Bill, con i suoi lunghi capelli rossi legati stretti in un codino.

Bill con l’orecchino a forma di zanna.

Bill il “fricchettone coi capelli lunghi” secondo la Skeeter.

Semplicemente: Bill, mio fratello.

Sposato con la balla Fleur Delacour, che tutta la famiglia ha imparato a conoscere.

Finalmente diventato padre di quella bambina bellissima come la madre, rossa come i capelli del padre che non conoscerà mai.

Avrebbe voluto passare più tempo con la moglie che tanto amava.

Avrebbe voluto vedere ogni attimo di vita della sua Gabrielle.

Avrebbe voluto vederla crescere.

Avrebbe voluto contarle le lentiggini ogni mattina per vedere se sarebbero aumentate con l’età.

Avrebbe voluto vederla corteggiata dai ragazzi perché è anche lei una Mezza-Veela.

Ma non ha potuto vedere molto di ciò che voleva.

Stava tornando a casa prima del solito orario della fine del suo turno di lavoro.

Voleva fare una sorpresa alle sue due donne preferite.

Aveva comprato un fazzoletto bianco di stoffa e, tra una pausa e l’altra alla banca, era riuscito in un solo giorno a ricamare da solo, con lettere storte la frase:

Ti amo Gabrielle

Il Tuo Papà

Non aveva trovato niente con cui incartarlo e non voleva usare la magia, desiderava che la figlia apprezzasse la semplicità senza dover ricorrere sempre agli incantesimi, così lo tenne in mano.

Non appena ebbe svoltato l’angolo, venne assalito alle spalle da una figura ammantata che lo aveva inseguito.

Greyback affondò denti e artigli nel corpo urlante e indifeso di Bill.

Troppo sangue venne sparso, dopo neanche un minuto, il volto di mio fratello giaceva riverso a terra, su un lago di sangue.

Il fazzoletto, un tempo immacolato, s’impregnava ogni secondo di più, di quel sangue che continuava a pulsare e fuoriuscire dalla massa di carne che fu mio fratello…irriconoscibile…i ricami ormai rossi.

Quando trovarono il corpo, Fleur rimase al suo fianco per ore. Chiedendosi perché. Urlando contro nessuno o forse contro se stessa. Contro l’amore che lui provava per lei e che lo portò a tornare a casa senza protezioni, perché voleva fare un’ improvvisata.

Rimase ore a fissare il volto insanguinato e lacrimante del marito. Ucciso da un lupo mannaro che voleva finire il lavoro lasciato in sospeso, mordendolo, anni prima.

Poi la donna si accorse del fazzoletto per Gabrielle e le sue lacrime uscirono ancora più copiose.

La dolcezza con cui era scritto distrussero la Mezza-Veela.

Oggi, a distanza di anni quel fazzoletto è rimasto lo stesso di quando lo trovarono.

Fleur lo conservò e fu la prima cosa che fece vedere alla figlia che ormai ha quattro anni.

Le insegnò ad amare suo padre. Tante volte le ha fatto vedere quel brandello ricamato.

Eppure, è la piccola Gabrielle a consolare la madre.

È vero, ha imparato ad amare il papà di cui possiede solo foto e racconti…ma non capisce perché la madre si ostina a tenere sporco quel bel pezzo di stoffa originariamente bianco… non capisce perché la madre si ostina a baciarlo.

Ma Fleur non se la sente di lavare dalla sua vita e dai suoi pensieri quel rosso scuro di cui sono saturi la stoffa e il suo animo.

Non lo tiene come un macabro ricordo, ma semplicemente non se la sente di togliere l’unica cosa viva di Bill, non se la sente di eliminare quel sangue su cui continua a versare lacrime.

E Fleur non se la sente di raccontare come è morto il marito alla figlia…vuole che resti ancora pura e ingenua per un po’, nonostante è impossibile con questa guerra.

Tonks stringe la mano di Lupin. Le loro fedi risplendono alla luce delle candele sul tavolo.

Dovrebbero essere felici per quello che tra poco succederà. Eppure si disperano perché non riescono a non sentirsi colpevoli nei confronti del loro figlio che nascerà in questo mondo di disgraziati. Si sentono egoisti a farlo nascere tra morti, torture e tanto dolore.

Mio padre e mia madre stanchi dal continuo pianto. Per Bill, il figlio semi-lupo mannaro, per Percy che non si fa vedere per orgoglio. Per Harry che per loro era un figlio.

Fred e George riescono ancora a far sorridere la gente grazie agli scherzi de “i Tiri Vispi Weasley”, ma che sorridono per mascherare le lacrime, che scherzano e divertono tutti ma che non riescono a far ridere e divertire loro stessi.

Luna, si è unita all’Ordine appena finita la scuola, che l’ ha fatto per suo padre, per chi la crede Lunatica, per dare onore a quel cognome che tutti prendevano in giro a scuola perché il padre è il direttore del Cavillo. Tutti tranne pochi, tra cui Harry. Lei lo ripete in continuazione, tra le lacrime, che deve tutto a Harry. Perché se da un lato sa che questa lotta la porterà quasi sicuramente alla morte, dall’altro la fa sentire utile, importante, e le ricorda le riunioni dell’ES in cui sognava una vita diversa tra amici, quella vita immaginaria di cui è riuscita ad impossessarsi. Perché Harry era riuscito a vederla per quello che è, non Lunatica, solo Luna. La stramba con gli orecchini a forma di rapanello e le collane di tappi di Burrobirra, che però era corsa in suo aiuto per salvare il suo padrino.

Neville, arruolato nell’ Ordine insieme a Luna, si sono fidanzati un anno dopo la fine della scuola.

Intenzionato fino alla fine a battersi contro Bellatrix Lestrange e ucciderla. Vuole vendicare i propri genitori, morti in quello stesso reparto riservato per lungodegenti che tanti anni prima visitammo. Per la prima volta venimmo a sapere degli Auror Frank e Alice Paciock, torturati fino alla pazzia da Bellatrix, il marito Rodolphus e Barty Crouch Jr per ricevere informazione sul “domicilio” di Voldemort.

Sono morti dietro quelle tendine a fiori, le cure non sono servite a niente se non a prolungar loro quell’agonia silenziosa ma insopportabile tipica dei malati mentali gravi.

Morti, al loro funerale solo Neville, sua nonna e noi dell’Ordine. Gli altri parenti non erano presenti, avevano troppa vergogna verso quelle due persone una volta famose poi decadute.

Perché tra tutte le morti in questa Terra, niente è più triste della morte dei tuoi genitori, incapaci di riconoscerti, che non ti hanno mai parlato da quando hai memoria. Genitori che ti guardano in volto senza vederti veramente.

Che sembrano morti ma li vedi camminare e mangiare.

E non sei mai riuscito a strappargli un sorriso, a vedere i loro volti brillare di felicità e amore per te.

Niente è più struggente di questo, e forse lo è molto di più vedere le lacrime di Neville, pesanti, interminabili, mentre ricorda con orrore che l’ultima cosa che i suoi genitori hanno visto sono state quelle tendine fiorite tanto odiate o l’infermiera che passava. L’ultimo odore che hanno sentito è quello dei malati. L’odore della prigionia in quel carcere di medicine, lettini e cure. E forse, tra le tue lacrime, c’è anche felicità per la fortuna che i due hanno raggiunto finalmente.

Ron e Hermione, sanno del tempo sprecato in litigate e che hanno sottratto al loro amore, sanno che non potranno riappropriarsene, perché sarà un miracolo se qualcuno si salverà a questa guerra. Combattono per loro stessi, per cercare di continuare a costruire quel futuro cui aspiravano da anni.

Combattono per Harry, il loro migliore amico con cui hanno condiviso tutto, con cui sono cresciuti, che li ha sopportati durante le loro continue sfuriate, con cui hanno rischiato la vita e con cui si sono divertiti.

Tante cose univano il trio, così scontate che sono impossibili da dire perché non faremmo altro che tracciare i tratti dei tre amici.

Sarebbe inutile dire quante lacrime hanno pianto per il moro…troppe…sicuramente, più di quelle che possono versare.

“Abbiamo indetto questa riunione per organizzarci.”

La mia voce è ferma mentre passo la parola a Hermione.

“Tornando al Quartier Generale, Ron e io ci siamo imbattuti in un Mangiamorte di poco conto. È riuscito a smaterializzarsi, ma siamo riusciti a sapere che i Mangiamorte avrebbero attaccato o il Ministero o il San Mungo o entrambi domani.

Ovviamente non dobbiamo dividerci essendo già in pochi. Io propongo di avvertire il Ministro, racimolare tutti gli Auror e qualche dipendente volontario, il più presto possibile.

Loro saranno a guardia del Ministero e ci avviseranno non appena vedranno arrivare i Mangiamorte.

Noi saremo al San Mungo, chiederemo aiuto a tutti gli infermieri e capi reparto.”

“è il miglior piano che possiamo avere” dice Lupin.

“sì, ma dobbiamo sbrigarci. Charlie, Moody, Signora e Signor Weasley, voi andate subito al San Mungo.

Io, Ron, Ginny, Neville, Luna e Lupin andiamo al Ministero.

Gli altri rimarranno qua con Gabrielle.

DOBBIAMO VINCERLA QUESTA GUERRA. E SE IL CIELO VORRà SARà L’ULTIMA!”

§§§

Accosto la sciarpa al viso per difenderlo dal freddo pungente che intorpidisce e gela le ossa.

Hermione Ron conducono a passo svelto la fila diretta al Ministero, le schiene incurvate dal vento.

Entriamo nella sede Governo e ci dirigiamo a passo svelto verso l’ufficio di Scrimgeur.

Bussiamo e, appena sentiamo la voce del segretario dirci “Avanti”, entriamo.

“dobbiamo parlare immediatamente col Ministro. È una questione importante.”

La voce di Hermione è forte e decisa.

“Senza un appuntamento? Temo sia impossibile.”

Nonostante l’uomo abbia parlato dolcemente, c’è un che di canzonatoria nelle sue parole e sembra averlo notato anche la ragazza.

Ma la mora è determinata perciò continua avvicinandoglisi appena:

“forse non mi ha capito bene. È importante. Abbiamo bisogno adesso di parlargli.”

“e io le ripeto Signorina, che senza appuntamento non si può chiedere un colloquio con il Ministro della Magia.”

Hermione sembra non averlo sentito, si muove a grandi falcate verso la porta di legno scuro alle spalle dell’aiutante, con incisa su di una targhetta dorata la scritta Ministro della Magia.

“Insomma! Lei non può venire qua e spadroneggiare! Non mi costringa ad usare la bacchetta!”

Scuotendo una ciocca di capelli ricci, bussa alla porta del Ministro ed entra senza aspettare una risposta.

La seguiamo all’interno della grande stanza rotonda.

Le pareti sono in legno così come il pavimento d’ebano.

Al centro della stanza ci sono due soffici poltrone di pelle disposte di fronte al tavolo del Ministro che, attirato dalla baraonda e dall’entrata improvvisa di Hermione, alza la testa fulva dalla pila d’incartamenti.

“Cos’è tutto questo baccano? Mi meraviglio di lei, Signor Merice. Non dovrebbero entrare solo persone che abbiano preso appuntamento?”

Il Signor Merice abbassa il capo, mortificato.

Hermione e Ron avanzano verso Scrimgeur, ignorando i gemiti di disappunto del segretario.

Stavolta è mio fratello ad avviare il discorso.

“Signor Ministro, siamo venuti qua per la questione delicata di Voldemort o, per meglio dire, dei Mangiamorte e della guerra.”

Il Ministro sussulta un po’ e si sfrega le mani l’una con l’altra.

Ron invece non ha più paura di pronunciare quel nome, non più dalla perdita del suo migliore amico, per lui ha vinto questa sua fobia.

Anche Lupin avanza ma non sembra aver l’intenzione di parlare subito.

“abbiamo scoperto che molto probabilmente tenderanno un agguato o al Ministero, o al San Mungo o in entrambi i luoghi.”

Non dà il tempo a Scrimgeur di intervenire ma continua spedito.

“Ci serve che lei prepari tutti i suoi Auror e anche impiegati volontari, per difendere il Ministero.”

“Ragazzo! Io non prendo ordini da nessuno.”

“è vero, ma se lei non fa qualcosa qualcuno deve pur farlo e non rimarrò con le mani in mani, a vedere morire innocenti, solo perché lei è troppo orgoglioso per dar retta a qualcuno che non sia superiore alla poltrona che occupa.”

Improvvisamente Scrimgeur s’incupisce, colpito dalle parole del rosso di cui tutti siamo un po’ sorpresi.

“d’accordo. Dividerò i miei uomini e cercherò alcuni volontari. Ma non aspettatevi grandi cose. Non sono in molti i pazzi coraggiosi come voi che combattono.”

“qualcuno che vuole difendere la propria famiglia ci sarà sicuramente. Cerchi di convincerne il più possibile.”

“anche gli auror sono esigui. La maggior parte è già stata sterminata.”

“non importa. Basta ci sia qualcuno il più velocemente possibile.”

Così dicendo ci affrettiamo ad uscire dall’ufficio.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - La guerra è iniziata PARTE 1 ***


CAP 6
“La guerra è iniziata” PARTE 1

POV DRACO

Un vero massacro. Bellatrix, Piton e Lucius, nuovi “capi” dei Mangiamorte, hanno portato centinaia di persone alla distruzione, in poco più di un due ore. Due ore in cui tante vite si sono spente, di cui nessuna meritava un trattamento simile.

Dovrei astenermi dal pensare una cosa simile.

In fondo chi sono io per decretare cosa sia giusto e cosa no? Ho provato, anni fa, a fare la mia scelta, a decidere da solo, e qual è stato il risultato? Sono dovuto scappare, ho messo in pericolo (più di quanto già non fossero) le vite mia, di Piton di mia madre e mio padre, un’impresa davvero notevole per un ragazzo di sedici anni.

Beh, la cosa migliore che avessi potuto fare è stata decidere di seguire gli ordini di altri.

Come farebbe un fedele cane con il proprio padrone, come l’ultimo dei più miserabili, patetico.

Abbiamo attaccato il San Mungo, distrutto tutto, in pochi sono riusciti a tenerci testa, tra questi alcuni appartenenti all’Ordine.

E mentre duellavo, ti cercavo tra le macerie, tra le rovine e tra i corpi dilaniati di guaritori, malati e civili, ma non ti trovavo.

Poi vediamo che tra i nemici sono pochi quelli rimasti in piedi, allora ci materializziamo al Ministero, come previsto dal piano, raggiunti dal resto dei Mangiamorte rimasto indietro.

Rigiro la bacchetta nella mano con indifferenza. Non sono agitato né impaurito all’idea della battaglia che oggi si concluderà.

Mio padre e gli altri mi hanno insegnato a diventare un assassino. Non avevo mai pensato di associare me, Draco Lucius Malfoy, alla parola assassino. Sì, so uccidere senza ripensamenti, rimpianti o sensi di colpa, ma stranamente non mi sento un assassino. Troppo abituato ad uccidere, per me l’esserlo diventato è ormai un guscio. Difficile, quasi impossibile, da intaccare, come un organismo a sé, un parassita che sfrutta il mio corpo, parte di me che predomina sul resto dei miei sentimenti.

Proseguo dritto, tra le grida di incantesimi, di maledizioni, di nemici che si combattono per ideali diversi. Le sento, emozioni che mi circondano, opprimenti, la voglia, il desiderio, l’eccitazione, la paura, la follia, tutto urlato disperatamente in quei colpi di distruzione, difesa, attacco , morte, lanciati da Mangiamorte, Ordine e Ministero.

Scivolo silenzioso, come un’ombra. tra corpi urlanti, trucidati, uccisi in tutti i modi possibili, lasciati a terra, come monito, come a ricordare di cosa è capace l’uomo.

La bacchetta sulla mano destra, lasciata inerme lungo il braccio, come un serpente, lo stesso di quel marchio nero e splendente a contrasto col candore della pelle, che potrebbe attaccare da un momento all’altro.

Nessuno, però, tranne i Mangiamorte, conosce la mia identità, la maschera argentata che porto al volto la cela ottimamente dagli occhi indiscreti e pericolosi dei non-marchiati.

Ogni tanto mi fermo, sollevo il braccio, poche parole, sibilate tra i denti, qualche lampo di luce, qualche strillo, poi proseguo il mio cammino, lasciandomi alle spalle alcuni tonfi. Solo rumore, poco importa sapere che appartiene a corpi che si accasciano a terra.

Io, impassibile, distaccato, sento però che questo pezzo di legno, vivo, ha bisogno ancora di sfamarsi, vuole ancora vite, altre anime, altro sangue, finché non avremo vinto.

Ed il mio corpo è come manovrato, schiavo della mia stessa arma, burattino manipolato da essa, allora risollevo il braccio, sibilo nuovamente qualche parola di cui è inutile farne sapere la natura, altri lampi di luce, altre grida, altri occhi vacui, altri tonfi… poi… silenzio, solo silenzio

E la mia lignea padrona che vuole saziarsi ancora una volta, e ancora un’altra, fino a che non rimanga solo mutismo, ed io, quale schiavo obbediente, non posso far altro che cercarle cibo fino a che non sarà sazia.

E intanto il pavimento di legno scuro, inizialmente splendente, è ora opaco, sporco di detriti, polvere, sangue e corpi morti, da cui sarà impossibile depurarne l’aria e i ricordi di cui ora è satura dove ne rimarranno intrappolati.

Ma, a questo punto, sono scarse le persone rimaste in vita, in entrambe le fazioni.

Poi la vedo, i jeans e la camicia bianca rovinati e schizzati di sangue, l’aspetto fiero e determinato, lo sguardo inespressivo di chi ha perso tutto ma non cede o non sene rende conto, di chi sembra vada avanti per inerzia. Questo sguardo di cui non ho memoria.

Bellissima e terribile come sempre, come sempre l’ ho amata e come sempre l’avrei dovuta odiare.

POV GINNY

Passo - struscio - passo – struscio…

La gamba ferita viene trascinata velocemente, senza che io me ne curi, senza degnare di uno sguardo il sangue che dal ginocchio sporca i vestiti, mentre inesorabile continua ad uscire.

Cammino spedita tra corpi grida e maledizioni sussurrate o urlate con ferocia.

E tutti quei suoni sono così forti che non li sento.

Nessun rumore arriva al mio orecchio se non quello del continuo spezzarsi delle ossa della gamba.

Continuo a camminare mentre ogni passo è un nervo che si tende per poi spezzarsi facendomi lacrimare gli occhi e sfocare la viste in mille sprazzi di luce bianca.

Mi faccio strada parando e colpendo, senza pietà, senza riguardi, senza obbiettivi.

Solo una cosa importante: difendersi, attaccare e raggiungere la figura che si sta avvicinando. Non faccio più caso a parenti, amici, alle loro sorti o ai loro continui richiami –Ginny stai attenta-

Proseguo verso la figura nera e silenziosa, il resto del mondo non esiste.

Meno di due metri ci separano.

Alzo la bacchetta.

Un incantesimo.

Schivato.

Un altro.

Respinto.

Un altro ancora.

Parato.

“sei tu che hai attaccato alle spalle Harry Potter?”nessun tremolio nella voce.

La figura annuisce.

Un fiotto di rabbia prende vita in me.

Altri incanti, altre fatture. Così, colpo su colpo, riesco d attaccare la maschera che porta in volto.

Un riflesso di ghiaccio. Un biancore lunare…

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - La guerra è iniziata PARTE 2 ***


CAP. 7

“La guerra è iniziata”PARTE 2

POV GINNY

Un riflesso di ghiaccio. Un biancore lunare….

Ricordi nascosti dal tempo, lontani, riemergono bloccando ogni movimento, ogni pensiero.

In pezzo di maschera cade a terra tintinnando e ruotando sul posto. I miei occhi vengono come attratti da quell’oggetto e mi fisso a guardarlo.

I disegni e le scritte arcane incise su di esse si mescolano tra loro a formare una chiazza di colore e sfumature.

Continuo ad osservarla fino a che il suo ritmo non cessa.

Lentamente riporto lo sguardo alla persona che mi sta di fronte e che, come me, non ha fato altro se non osservare la maschera.

Una ciocca di capelli ricade sulla sua fronte e su parte dell’occhio, tuttavia non riesce a nasconderne l’iride.

Il biondo e il grigio sembrano invadermi, atrofizzandomi la mente e la gola, incapace di formulare anche solo un rantolo soffocato.

Mi irrigidisco. La bacchetta sfugge alla mia presa, cadendo a terra e bagnandosi del mio stesso sangue.

Sono completamente indifesa al Mangiamorte che, però, non muove un muscolo. Continua a fissarmi fino a che non mi sorride, di un sorriso triste, carico di rimpianti, scuse e dolore.

“Perché? Perché proprio tu?”

non aggiungo altro, non riesco quasi a spiccicare una parola, ma so benissimo che lui capirà l’allusione ad Harry.

“ho dovuto farlo.”

“non hai avuto la forza di uccidere Silente…non pensavo odiassi tanto Harry da riuscirci.”

“tutte le persone cambiano. Io pure. Mi hanno insegnato…senza pentimento, senza mezze misure, senza sfumature. Non ho paura, né sensi di colpa…

semplicemente uccido.”

Semplicemente, già. Persino nelle parole, così semplici e dirette che scoccate da quell’arco rosa pallido di carne che sono le sue labbra, hanno raggiunto il mio cuore.

semplicemente uccido

come una freccia, un colpo preciso e ben assestato.

semplicemente uccido

distruggono quelle mura innalzate negli anni per proteggermi.

“Anche tu Ginevra sei cambiata. Anche per te non esistono più sfumature.”

“hai ragione. La guerra ha cambiato molte cose. Non vedo altro che nero, a partire dal tuo braccio.”

Tristemente, quasi con timore, gli arrotolo la manica sinistra della veste.

Il Marchio risplende spettrale alla luce dei lampi degli incantesimi.

“perché non ce ne andiamo e basta?! Una volta lo volevamo entrambi Draco!”

“è troppo tardi” mi dice con una rassegnazione camuffata malamente.

“ma Voldemort è morto, e anche Harry…che la facciamo gli altri questa guerra!”

“ma ora ne siamo noi i protagonisti. Non è uno scontro tra bene e male, perché sarebbe solo una chimera, o durerebbe fino alla fine del mondo. È una lotta tra governi, poter, politiche diverse e, soprattutto, famiglie e stirpi nemiche. Siamo noi i protagonisti, non potremmo e non riusciremmo mai a voltare le spalle a quello che è il nostro presente e futuro.”

Già…non possiamo scappare…ne siamo i protagonisti…perenni rivali.

“qualunque cosa succeda ricorda che ti amo!”

“anche io Draco!”

una patina di lacrime riesce a rompersi, lasciando libere quelle gocce fuggitive. Lacrime amare, come quei giorni felici che non raggiungeremo mai.

Mi afferra una mano. Con l’altra mi asciuga le lacrime e sento il calore del tatuaggio che mi attraversa, con la consapevolezza che dovrei duellare con la stessa persona che mi sta toccando dolcemente, che amo più della mia stessa vita.

“Ginevra…”

mi risveglia da quel torpore

“uccidimi.”

Lo dice delicatamente, tenero e crudele come non mai, e il mio cuore va in pezzi.

“come puoi chiedermi una cosa del genere?” il tono di voce mi si alza leggermente, sconvolta.

“sai che potrebbe succedere a uno dei due. Preferisco andarmene io, e preferisco che lo faccia tu”

“perché?? Non voglio! Non posso farlo! Non puoi chiedermelo!”

“devi farlo. Non voglio che tu muoia. Guardati intorno: l’ordine è in vantaggio numerico, ma Bellatrix è spietata, così come mio padre. Se mi uccidi potrai aiutare i tuoi a vincere. Darai la forza agli altri se ucciderai l’assassino di Harry Potter! Uccidimi Ginevra!”

mi guardo intorno come a rallentatore, per osservare i danni subiti.

Sono rimasti solo Neville, Hermione, Ron, Lupin ed io, dei Mangiamorte: Draco, Bellatrix, Lucius e Piton.

Poi un urlo squarcia il silenzio dei cadaveri spettatori silenziosi. Una risata sguaiata.

Bellatrix è piegata in due dal ridere, più folle che mai. Lucius è morto, ucciso da Hermione e da Lupin.

Neville è a terra, ha vendicato la sua Lunatica uccidendo Piton.

Ma ora un altro corpo fa compagnia agli altri. Non morto, solo scosso da singhiozzi, mentre stringe freneticamente a sé un ammasso rosso e indefinito di stracci.

Le urla di un pianto disperato invadono la sala.

Bellatrix si allontana saltellando fuori di sé dalla gioia, forse alla ricerca di nuove vittime.

Hermione piange disperata su quello che scopro essere il corpo irriconoscibile dell’ultimo dei miei fratelli.

Poi una luce verde…lontana la vedo pochissimo nonostante è vicina.

Il mio sguardo è ancora fisso su Ron e Hermione.

Poi…solo dolore.

I polmoni invocano ossigeno, ma non arriva.

Il sapore ferroso del sangue sale fino alla bocca. Un conato di vomito mi prende e sputo sangue e anima.

Abbasso lo sguardo al mio stomaco. La vista si annebbia. Le gambe non riescono più a sostenere il peso del corpo.

“Dra-…”

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - ...Io la chiamo morte... ***


CAP 8 de "l'inizio della fine"
CAP 8

…IO LA CHIAMO MORTE…(titolo provvisorio)

POV DRACO

Ti volti, staccando i tuoi occhi dal mio volto.

La tristezza, la rassegnazione e quella bellezza rubata dal tempo e dalla fatica, fanno mostra di sé in quelle iridi di cui il blu, pezzi di cielo sereno, è sbiadito.

Ti guardi intorno, critica e distaccata perfino alla vista della morte di tuo fratello. Vedo in te, però, la voglia di urlare, disperarti come la mezzosangue sta ora facendo, ma non ci riesci, bellissima statua di ghiaccio.

Non è colpa tua. Ed io avrei voglia di abbracciarti, consolarti ma l’addio sarebbe troppo doloroso, preferisco contemplarti in silenzio, a distanza. Cercando inutilmente di convincere me stesso che non provo niente nei tuoi confronti.

Poi una luce verde arriva di poco vicino alla rossa e il mio cuore fa un salto.

Una voce lontana, non ricordo a chi appartiene. Eppure non m’importa. Mi sembra solo di essere svuotato da tutto, ogni emozione, per la prima volta dopo tanto tempo.

La voce si avvicina, di più, sempre di più, fino ad essere completamente nitida in me…

NO!

Mi sta dicendo qualcosa, non capisco bene, ma so che non voglio…eppure, sono troppo in balia di lei, come un meraviglioso canto delle Sirene che attirava ignari i marinai…trasportato anch’io da una corrente lontana. La mia mente, il mio corpo... a mala pena mi rendo conto di avere un'esistenza.

Una seconda voce si somma all’ingannevole e attraente melodia. Eppure questa, per quanto grossolana mi sembri, ha un qualcosa di familiare, di amato!

La coscienza riemerge identificando il canto melodioso come un accordo sgraziato di note e parole. Ma ormai è tardi...ma tardi per cosa?

La seconda voce sembra essere ormai un lontano ricordo.

Una debole invocazione al mio nome, sussurrato come per paura di profanarlo, il peso di qualcosa grava improvvisamente sul mio braccio sinistro, l’altro stranamente occupato, ancora indipendente ai miei comandi. Ma poi vedo quello che mi era ancora nascosto alla vista, sento ciò a cui ero sordo anche se ancora è tutto ovattato, i sensi ancora intorpiditi.

Avverto qualcosa di caldo scorrere lento, inesorabile lungo la mano, passa tra le dita, non dimenticandone alcuna, bacia in modo vellutato ogni piega della pelle, come un lieve soffio.

Abbasso gli occhi all’altezza del mio petto, dei fili ramati vi sono sparsi.

E finalmente realizzo che è Ginny ad essere saldamente aggrappata al mio braccio sinistro, stringendo possessivamente il mantello, come se avesse paura che le scivoli via. Stringe spasmodicamente, non mi guarda, il volto fisso a terra, come farebbe un peccatore al cospetto di un Santo a cui chiedere perdono. Vorrei alzarle il viso per guardarla e perdermi nei suoi occhi, ma poi… mi rendo conto del motivo per cui l’altra mia mano è impegnata, del perché quel qualcosa che mi baciava le dita non mi dava istintivamente piacere.

La mia mano destra è stretta al corto ed elaborato pugnale di famiglia, lo stemma dei Malfoy quasi irriconoscibile, oscenamente sporcato. Velocemente lo estraggo dalla carne in cui è piantato.

La appoggio delicatamente a terra, su quel tappeto cremisi che le sporca le vesti, ma non importa, la cosa importante è non screziare o rompere questa bellissima bambola.

La guardo. I suoi occhi aperti mi fissano senza vedermi. Pieni d'amore, espressivi anche se vitrei. Un dolce sorriso increspa le belle labbra.

Finalmente riesco ad aprire bocca per dire qualcosa. Mi ostino a parlarle, la imploro, la scuoto, l’accarezzo. Ma la mia bellissima bambola si ostina a sorridermi e basta, con quei suoi occhi vuoti. Perché non mi rispondi? Piuttosto smettila di sorridermi come se volessi dirmi a tutti i costi ”Ti amo”, smettila! Feriscimi, uccidimi così come io ho fatto con te! Crudele…non fai niente di tutto ciò…preferisci guardarmi amorevolmente… come se insieme ad amarmi ancora, volessi compatirmi uccidendomi nell’anima.

Un'improvvisa ed isterica risata rimbomba nella sala, interrompendo momentaneamente i miei pensieri e sensi di colpa.

"Povero, povero piccolo Draco! Dì alla zietta cosa ti turba!"

La donna torna a ridere e la sua follia torna a riempirmi la testa. E' una sensazione già provata.

Ora capisco.

Circondo la vita del cadavere con il braccio, stringendo il prezioso fantoccio a me. Prendo la bacchetta e me la rigiro tra le mani, osservandola.

Un sospiro, poco più di un sussurro e un altro corpo giace supino sul pavimento...e Bellatrix Lestrange fa compagnia a nemici e alleati stesi al suolo, le braccia e le gambe piegate stranamente, la sua follia ancora impressa nel suo bellissimo e pazzo volto.

Finalmente mi guardo intorno.

Sono l'unico vivo eppure l'unico vero cadavere.

Non sopporto questo caldo sospiro che mi attraversa denti e labbra, che sa di "vita" mentre questa parola mi è così estranea.

Troppo silenzio attorno a me. Sento il vuoto ronzarmi nelle orecchie fino ad opprimermi il cervello.

Una voce scavalca questo ronzio, forse la mia coscienza, o il mio rimorso o entrambi. Mi sforzo a respingerla, la infosso, ma quella riemerge, dispettosa. E già so che non mi abbandonerà mai.

"Sei stato tu"

-non è vero!-

"L'hai uccisa"

-zitto!-

"Povero Draco, eri così preso all'idea di fare l'eroe per salvare la tua donzella... per la prima volta nella tua vita hai voluto fare la figura dell'altruista che si sacrifica per gli altri"

-è così??-

"Tutta scena. Era solo superbia la tua. Come sempre."

E' inutile che mi metta a contaddirmi da solo. Ho voluto fare la parte del Principe Azzurro. Con belle parole le dicevo di uccidermi senza fare veramente qualcosa. Lucidavo per bene la mia brillante armatura, per non far vedere agli altri che non era dorata ma solo bellamente colorata. Fingevo. Recitavo la parte del Grifondoro coraggioso mentre sono e sempre sarò una serpe. E rido. Non posso farne a meno. Non vedete come è buffa e divertente la situazione?

Fisso le mie mani sporche del sangue della mia Ginevra. Impossibile pulirle. Per quanto le sfreghi quel colore rimarrà lì, impregnato in me, vivido e indelebile.

Uno scalpiccio lontano. Passi veloci, uno dopo l'altro, si avvicinano. Non vi presto attenzione.

Continuo a ridere come se ne valesse della mia vita, sentendo i crampi allo stomaco che mi fanno piegare in due. Rido perchè il mio cuore, che sanguina dolorosamente, non vuole lasciarmi sfogare, forse una lacrima o due, ma la maggior parte del dolore rimane lì. A far contrarre spasmodicamente quel muscolo. Chissà...forse dalla troppa sofferenza si romperà...

E ora la mia bacchetta mi sfiora la tempia, ma non per estrarne un ricordo. Trema appena la mia mano, ma non riesco a far cessare le risa.

I passi si avvicinano, scalpitanti e rimbombanti nelle stanze adiacenti.

Le parole della Maledizione mi rimbombano in mente. Maledettamente perfette, adatte alla mia vita, una vita di sbagli.

Un ultimo sguardo alla bella Ginevra che sorride ancora.

Un'ultima risata.

Un lampo.

Uno schianto sul pavimento polveroso e poi...

...solo il vuoto.

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Capitolo 9
*** Epilogo ***


EPILOGO di "L'inizio della Fine" EPILOGO

Bene, questa storia è proprio terminata, con il finale adatto. Perfettamente sconvolgente e perfidamente comico.

Per coloro che pensino che Draco si sia ucciso, in realtà sbagliano.

Altri Auror arrivarono quando ormai non ce n'era più bisogno, schiantando l'unico superstite, condannandolo alla reclusione, senza ucciderlo.

Fu il peggior castigo che il ragazzo potesse ricevere.

Smise di mangiare, smise di dormire... semplicemente smise di "vivere". Passava gli interminabili giorni dondolandosi e tenendosi la testa con le mani, le ginocchia al petto, rintanato nell'angolo della sua cella, lamentandosi e singhiozzando parole incomprensibili.

Nessuno riuscì mai a cavargli di bocca qualcosa su quella notte che segnò l'inizio della fine, neanche sotto Veritaserum. Come se avesse rimosso tutto.

Morì una fredda notte in quella cella umida di Azkaban, mentre il cielo piangeva per lui quelle lacrime che non gli rigarono mai il volto.

Le sue ultime parole furono una stentata supplica per un perdono inutile. Forse era vero che il suo cuore alla fine si era rotto dal dolore. Non se lo chiese mai neanche Draco stesso, dimentico di tutto finchè il suo cuore fu solo un lontano ricordo di battiti lenti e stentati.

Nessuno seppe mai a chi fuorono rivolte quelle preghiere. Nessuno capì mai perchè il biondo tentò di uccidersi quel giorno.

Abbandonò il suo inferno di rimpianti stretto tra le forti braccia dell'accogliente Morte, cercando il perdono dell'unica che l'aveva amato.

Chi visitò in seguito quelle carceri, giurò di aver sentito qualcosa lamentarsi e un nome di donna trasportato dal vento e dagli aliti di morte; attraverso la cella dell'unico Mangiamorte che sopravvisse agli occhi di tutti tranne ai propri.

Salve a tutti! Voglio ringraziare tutti coloro che hanno letto.
Soprattutto ringrazio Debby! Se non ci fossi tu non riuscirei proprio a fare niente! Grazie di tutto : P

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