OTP: King & Queen

di Akemichan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dieci anni dopo ***
Capitolo 2: *** Ragno ***
Capitolo 3: *** Frustrata ***
Capitolo 4: *** Festival ***
Capitolo 5: *** Anime gemelle ***
Capitolo 6: *** Paura ***
Capitolo 7: *** Felicità ***



Capitolo 1
*** Dieci anni dopo ***


Dieci anni dopo


Dieci anni.
Erano passati dieci anni dall'ultima volta in cui aveva visto sua figlia, la sua bambina. Era stato quand'era venuta sulla sua tomba, a salutarla e a comunicarle che aveva deciso di diventare una pirata. Se ce l'avesse avuta sottomano all'epoca, probabilmente avrebbe cercato di infilarle un po' di buon senso in quella sua testa dura, anche se inutilmente. Come Genzo, aveva accettato da tempo che l'unica cosa importante era la sua felicità. E se essere felice significava unirsi a quella ciurma strampalata, così fosse.
Dieci anni l'avevano trasformata da ragazzina a donna, e non solo nell'aspetto fisico. Certo, era cresciuta in altezza, le forme si erano fatte più piene. I lunghi capelli rossi le ricadevano dolcemente sulle spalle, coprendo appena il tatuaggio con la girandola e la cicatrice al di sotto. Ma era nello sguardo, e nelle labbra carnose, che si vedeva veramente la donna che era diventata.
La Regina dei Pirati, la navigatrice che era riuscita a raggiungere Raftel e a condurvi l'intera ciurma con sé.
Nami si era chinata sulla sua tomba e le stava mormorando qualcosa sottovoce, ma Bellmere non riusciva davvero a percepire le parole, troppo presa dall'osservare quello che la sua bambina era diventata e di cui non poteva essere più orgogliosa. Una lacrima le scese  lentamente sulla guancia - divertente, non credeva che i fantasmi potessero piangere. Ma era stata talmente presa dal momento che, alla fine, era semplicemente naturale.
Sua figlia era felice, aveva realizzato il suo sogno, aveva trovato delle persone che amava. Tutto ciò meritava anche più di una semplice lacrima.
Non era venuta a trovarla da sola, però. C'era anche il suo Capitano, il Re dei Pirati, con il suo mantello rosso che aveva iniziato a indossare dopo essere arrivato a Raftel. Anche lui era cambiato, anche se l'aspetto da ragazzino ribelle gli era rimasto nel brillare dei suoi occhi neri e nella cicatrice a mezzaluna. I capelli erano cresciuti fino alle spalle, in maniera irregolare, il che contribuiva a dargli un aspetto per nulla regale. Era solo il leggero pizzetto sul mento che pareva segnare il passare del tempo.
Era stato tanto gentile da portare con sé una corona di fiori: l'aveva chiaramente fatta personalmente, perché la metà dei fiori aveva totalmente perso i petali e la forma era particolarmente irregolare, però Bellmere aveva apprezzato il gesto. L'aveva preparato con amore, non con abilità.
Lei capiva perché Genzo avesse delle riserve verso di lui e, allo stesso tempo, perché lo apprezzasse tanto. Aveva qualcosa che ti attirava, nonostante tutto.
«Allora...» mormorò Rufy, quando Nami si alzò e tornò in piedi al suo fianco. «Di chi è questa tomba?»
Bellmere avrebbe sputato tutto il suo fiato, se ne avesse ancora avuto uno. Non lo sapeva? Davvero?
«Dieci anni, e ancora non sai nulla su quello che è successo qui» commentò Nami, scuotendo la testa.
«Be', non me ne è mai importato nulla del passato, lo sai.»
«Allora perché hai voluto accompagnarmi?»
«Tu l'hai fatto sulla tomba di Ace» rispose Rufy, abbassando lo sguardo. «Per te era importante, per cui lo è anche per me.»
Nami annuì. «Si tratta di mia madre. È stata uccisa da Arlong.»
«Capisco» mormorò Rufy, poi chinò la testa verso la croce di legno. «Condoglianze.» Almeno, in dieci anni aveva imparato come si pronunciava.
Bellmere scosse la testa, ma poi sorrise. Incredibile immaginare quell'uomo che aveva salvato Nami ed era diventato il suo Capitano sapendo così poco di lei.
Eppure, l'unica cosa che importava a Bellmere era il sorriso che si era allargato sul volto di Nami, un sorriso che temeva di non vedere mai più, cancellato dalle lacrime di otto anni. E se, per quello, c'era voluto il Re dei Pirati per farlo tornare, a lei andava più che bene.
D'altronde, quel ragazzo stava facendo piangere dal ridere persino lei!

***

Akemichan parla senza coerenza:
Sì, scusate per il titolo poco ispirato ._. Il fatto è che di recente, tra settimane, prompt e roba varia sto scrivendo un sacco di Rufy/Nami e quindi ho deciso di radunarle tutte sotto un'unica raccolta - più o meno infinita - per cui ho messo il titolo più generico possibile. Per dargli uno pseduosenso l'ho ispirato alle tag su tumblr, ma sì, resta abbastanza noioso.
Questa settimana vi inonderò di storie dato che è la settimana Rufy/Nami e ne ho scritte parecchie, poi piano piano gli aggiornamenti si faranno sempre più radi, dipende da tempo, ispirazione e roba varia. Non so se per voi sia meglio o peggio, fatemi sapere XD
Il prompt a cui mi sono ispirata qui è "dieci anni dopo, sulla tomba di Bellmere" unito a "corona di fiori". Il POV è dal lato Bellmere perché mi piaceva rappresentare l'idea che, dopo aver avuto la benedizione del padre (Genzo) Nami e Rufy avessero anche quella della madre XD
Come al solito, mi trovate su twitter, su tumblr, su facebook, sul mio blog e su ask. Spero che la storia vi sia piaciuta e alla prossima :)

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Capitolo 2
*** Ragno ***


Ragno
 
 
Era raro, per Nami, avere un po' di tempo libero per occuparsi delle sue mappe, ma ogni volta che il tempo glielo permetteva non perdeva occasione per mettersi alla scrivania a disegnare. Tutto ciò che aveva prodotto dall'inizio del viaggio era stato accuratamente catalogato e riposto nella libreria. Di tanto in tanto, Nami recuperava tutte le mappe e sistemava ogni isola su una pianta generale che, in futuro, avrebbe realizzato il suo sogno.
Era il suo obiettivo per la giornata, se non che la poesia le fu completamente rovinata da un piccolo ragno che le salì sul dorso della mano mentre recuperava uno dei raccoglitori. Rimase praticamente paralizzata dall'orrore, con la pelle che le pizzicava sotto quelle otto sottili zampette. E poi gridò, un urlo così forte che probabilmente venne sentito per tutta la Sunny, mentre agitava la mano per cacciare quell'essere disgustoso e, nel mentre, gettava a terra tutte le sue mappe fino a poco prima correttamente ordinate.
«Nami!» Rufy era comparso sulla soglia e aveva sbattuto con forza la porta della sua camera, col rischio di farla gridare ancora di più per lo spavento. «Che succede?»
«U-u-u-un... ragno!» riuscì ad urlare, superando il balbettio, allungando la mano per indicare quella macchietta nera che si stava muovendo velocemente sopra una delle sue mappe.
Gli occhi di Rufy si illuminarono. «Ma è uno Steatoda Triangulosa!» esclamò. «Com'è carino!» In un attimo si era gettato con le ginocchia a terra e l'aveva afferrato con le mani e ora lo ammirava mentre il ragno si spostava in fretta tra il palmo e il dorso.
«Non è affatto carino» commentò Nami, che stava strusciando con il sedere sul pavimento per allontanarsi, ma senza staccare gli occhi dal ragno per paura che le saltasse addosso da un momento all'altro. Era pronta a gridare ancora più forte, nel caso.
«Ma ha pure i disegni sul dorso!» protestò Rufy. Allungò la mano verso di lei. «Dai, guardalo bene, è adorabile. Dagli una possibilità.»
«Porta quel coso lontano da me!» Stavolta Nami accompagnò il grido con il lancio verso di lui del primo oggetto che le era capitato sottomano, ma Rufy lo evitò con facilità, proteggendo con l'altra mano il ragno ancora custodito nel palmo.
«Caratteraccio...» commentò sottovoce, con un broncio sul viso. «Vado a farlo vedere a Usop, lui sì che apprezza.» Detto ciò, uscì dalla stanza senza nemmeno chiudere la porta.
Nami rimase ferma, nel silenzio che era conseguito al suo grido, con gli occhi fissi nelle mappe sparse per tutto il pavimento, senza nemmeno vederle. Si strinse nelle spalle e rabbrividì: gli insetti le facevano impressione a priori, ma i ragni nelle carte nautiche le riportavano alla mente ricordi che pensava di aver cancellato, o almeno ben nascosto.
Quando lavorava per Arlong non aveva il tempo di dedicarsi a sistemare le mappe, si limitava ad impilarle una sull'altra perché quello che era costretta a fare era lavorare e basta. Quelle pile di fogli si riempivano di polvere e ragnatele e ogni volta che entrava nella stanza era come se sentisse tutti gli occhi di quei minuscoli esseri che la fissavano dal buio, pronti a saltarle addosso alla prima occasione.
Non era mai stata una bella sensazione.
Lentamente, si riprese e si alzò, con un grosso sospiro. Doveva rimettere comunque tutto a posto, anche col rischio che fossero presenti altri ragni all'interno dei suoi raccoglitori. Ma almeno quelle erano le sue mappe, che aveva fatto con amore. Non poteva lasciarle come aveva fatto un tempo, quando era stata sollevata nel vederle distrutte.
Prima che avesse il tempo di farlo, Rufy rientrò nella stanza e lei si mise sull'attenti. «Dov'è?»
«Con Usop» rispose Rufy, distratto. «L'avevo detto che lui l'avrebbe apprezzato.» Non aggiunse nulla, ma si chinò e iniziò a raccogliere le mappe che erano sparse sul pavimento, una alla volta, sbattendole con delicatezza per pulirle dalla polvere. Le appoggiò sulla scrivania e poi si occupò anche dei raccoglitori che erano rimasti sulla libreria, controllandoli uno ad uno.
Nami lo osservava stupefatta, ma lo lasciò fare.
Una volta che ebbe finito il lavoro, Rufy si voltò verso di lei e sorrise, il suo solito sorriso che le scaldava il cuore.
«Non devi più preoccuparti, Nami, non ci sono altri ragni!»

***

Akemichan parla senza coerenza:
Il prompt riguardava l'amore di Rufy per i ragni e l'odio di Nami per i suddetti ed è venuta fuori questa cosa. Ne sono abbastanza soddisfatta, anche se devo dire che nella mia mente suonava meglio di com'è venuta fuori XD Spero che si capisca che alla fine Rufy ha capito tutto ed è tornato per fare ammenda per il suo troppo amore per i ragni XD

 

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Capitolo 3
*** Frustrata ***


Frustrata
 

Avrebbe dovuto esserci ormai abituata, ma ogni volta Rufy compariva con al seguito gente più strana e più assurda della volta precedente da lasciarla sempre senza parole. Certo che avere così tanti alleati era solo positivo in previsione di una futura lotta contro Kaido o Big Mom, però non poteva fare a meno da sentirsi frustrata dalla situazione.
O forse, come aveva non troppo velatamente insinuato Robin, il motivo del suo fastidio non aveva nulla a che fare con l'assurdità dei personaggi che si erano alleati con loro, ma solamente dalla reazione di uno di loro in particolare. Sì, lui, Bartolomeo il Troll, che si era gettato ai suoi piedi chiamandola cerimoniosamente "Regina dei Pirati". E, sfortunatamente per lei, il motivo di quel soprannome non era dovuto né al suo aspetto, né al fatto che un giorno sarebbe stata milionaria, ma perché Bartolomeo era convinto che lei fosse la donna del Capitano. Del futuro Re dei Pirati.
E sì, questa cosa la infastidiva.
Certo, Rufy era il suo capitano, la persona che probabilmente rispettava di più al mondo e per cui avrebbe dato la vita, ma ciò valeva per ogni membro della ciurma. Non vedeva per quale motivo un estraneo avrebbe dovuto arrivare e assumere cose diverse dalla loro relazione senza nemmeno conoscerli. Perché lei era la Regina e Robin poteva andarsene in giro ad avere schiavi? Non era giusto.
Bene, decise, avrebbe dovuto far cessare quelle chiacchiere. Magari il fanclub di Rufy avrebbe finito per ampliarsi - anzi, era certa che sarebbe successo, a giudicare dalla quantità infinita di gente radunata - ed era meglio mettere le cose in chiaro fin da subito.
Così, prese la prima occasione di beccare Bartolomeo da solo, senza che fosse impegnato a sbavare su uno dei suoi compagni, per afferrarlo per il collo e trascinarlo lontano dalla festa per parlargli in privato. Bartolomeo aveva cercato di opporsi, prima di accorgersi che si trattava di Nami, e quindi di iniziare a piangere come una fontana articolando discorsi sconnessi sul grande onore che provava ad avere un colloquio in privato con la Regina dei Pirati.
Questa cosa la fece irritare ancora di più.
«Perché devo essere proprio io la Regina dei Pirati?» sbottò, seccata. «Perché non Robin, ad esempio?» Non riusciva a capire su che base un perfetto estraneo fosse giunto alla conclusione che lei e Rufy stavano assieme. Non c'era nulla che potesse suggerire ciò, proprio nulla. Non era nemmeno l'unica donna in ciurma, appunto.
La menzione di Robin fece venire a Bartolomeo gli occhi brillanti. «Robin è una mistress... Vorrei tanto essere suo schiavo!» esclamò. «Nami-sama, sarebbe così gentile da metterci una buona parola per me...?»
L'occhiata di Nami fu più che eloquente a fargli capire che non era il momento di concentrarsi su di lui, o di essere così esaltato per la situazione. Si asciugò la faccia dal moccico con la manica della giacca e assunse un'espressione seria, che era rara a vedersi.
«Non è mai stato detto che lei e Rufy-senpai siate una coppia, è vero» affermò. «Le chiedo scusa se sono stato offensivo ad assumerlo, però...» Esitò un attimo. «Ho letto molte cose, su di voi. Vi ho seguiti da sempre, fin dai tempi di Logue Town. E come Zoro-senpai è sempre stato alla destra di Rufy-senpai, lei è sempre stata al suo fianco, un passo indietro, ma senza distogliere gli occhi da lui. Mi è venuto spontaneo considerarla la Regina, che è sempre a fianco del Re.»
Nami aveva spalancato gli occhi, durante quel discorso. Bartolomeo poteva sembrare, per la maggior parte del tempo lo era, un idiota e un esaltato, ma non si poteva negare che quello che aveva appena detto non era altro che la pura e semplice verità. Lei sarebbe stata sempre al fianco di Rufy, qualunque cosa fosse successa, per proteggerlo e aiutarlo per la realizzazione del suo sogno.
Solo in un'occasione non era stata presente, alla morte di suo fratello Ace, e il pensiero ancora la faceva star male. Aveva giurato a se stessa che non sarebbe successo mai più. Non avrebbe lasciato il fianco di Rufy, avrebbe pianto, riso e sognato con lui fino a Raftel.
Non sapeva dire se questo faceva di lei la Regina dei Pirati o solo qualcuna che amava Rufy con tutto il suo cuore, ma forse era un titolo con cui poteva convivere.
«Be', d'altronde...» affermò, con un sorriso divertito. «Senza di me non potrebbero andare da nessuna parte, quindi se c'è qualcuna che merita di essere la Regina, quella sono io.»
«Assolutamente, Mia Signora!» esclamò Bartolomeo, che era tornato in modalità fanboy. In cuor suo, tra l'altro, aveva la certezza - e la cosa lo riempiva d'orgoglio - che anche Rufy-senpai fosse d'accordo con loro.

***

Volevo assolutamente scrivere una storia con la reazione di Bartolomeo a Nami. E' un mio headcanon stupido che il motivo per cui Nami non sia a Dressrosa sia proprio questo, Oda non può permettersi di farli icontrare XD Non è venuta come speravo, doveva essere divertente e non sono sicura che la sia, e non sono nemmeno del tutto sicura che sia attinente al prompt di oggi, ma boh, alla fine questa è XD

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Capitolo 4
*** Festival ***


Festival
 

Wano si era rivelata un'isola più tranquilla di quella che si aspettavano, per lo meno nel villaggio dove Kinemon li stava ospitando, il che era una felice deviazione rispetto ai loro soliti standard, nei quali non avevano nemmeno un attimo di rilassamento. Ovvio che il karma sarebbe tornato a colpirli con la forma di una pioggia che si era abbattuta proprio al momento di iniziare il Festival della Primavera. Ciò non aveva fermato gli abitanti, troppo presi dai preparativi e dai festeggiamenti, per cui nemmeno Nami aveva deciso di rinunciarvi.
Incurante del fango che le sporcava i sandali e il bordo del suo kimono azzurro, girava per i banchetti con il suo bell'ombrello aperto, in cerca di qualcosa da comprare. I prezzi di Wano erano altissimi, probabilmente data la loro chiusura al mondo esterno, e per la stessa ragione c'erano dei pezzi rarissimi di artigianato che non avrebbe trovato altrove e a cui non voleva rinunciare. Così era costretta a discutere con i negozianti, anche se questi parevano non apprezzare.
Anche gli altri si stavano divertendo alla stessa maniera.
Sanji e Brook avevano già fatto amicizia con un gruppo di Geishe e si erano recati nel locale per assistere al loro spettacolo; Zoro era impegnato in una discussione sulle spade con un gruppo di samurai, il cui scopo era riprendersi la Shisui che apparteneva all'isola; Robin e Chopper stavano praticamente saccheggiando i banchetti che vedevano antichi libri di storia e medicina; Usopp e Franky si erano uniti agli artisti di strada e parevano riscuotere grande successo con i loro spettacoli.
C'era solo una persona non in vista: il Capitano. Il che era strano, perché considerando gli odori che si spandevano nell'aria dalle bancarelle di cibarie e che facevano venire l'acquolina in bocca anche a lei, era difficile credere che si fosse chiuso da qualche parte invece che girarsele tutte per assaggiare ogni singola specialità.
Con le borse della sua spesa ancora sottobraccio, Nami si ritrovò a cercarlo, arrivando a chiedere a chi incontrasse se l'avesse visto, temendo che si fosse cacciato in qualche guaio. Anche se gli abitanti erano amichevoli, era certo meglio non creare problemi. Wano restava comunque un posto pericoloso.
Lo trovò un po' lontano dalla via principale del Festival. Si era seduto sul bordo di un laghetto dietro la casa di Kinemon, ad osservare la pioggia che cadeva copiosa e trasformava la superficie in un quadro astratto. Pareva disinteressato a tutta l'acqua che l'aveva ormai reso un pulcino bagnato, a parte per il viso e i capelli, protetti dalla tesa gocciolante del cappello di paglia.
Nami lo coprì comunque con il suo ombrello, attirando la sua attenzione. «Ti hanno cacciato via perché hai rubato troppo cibo dal Festival?» domandò, divertita.
Fu solo quando Rufy si fu voltato verso di lei che notò che anche il viso era bagnato, ma non dalla pioggia. In un attimo, tentò di asciugarselo con il dorso della mano, col risultato di bagnarsi maggiormente.
«Cos'è successo?» Nami aveva visto piangere Rufy poche volte, ma la cosa la distruggeva. Forse perché lui era quello che le aveva restituito il sorriso, o perché le lacrime non facevano per lui, ma lo trovava innaturale. Almeno, le altre volte ne sapeva la ragione. Adesso era completamente all'oscuro e ciò la terrorizzava.
«Niente» scosse la testa lui. «Solo... Sai che Ace è stato qui, su quest'isola?»
«Oh.»
«Ho incontrato parecchie persone che lo conoscevano, e non sapevano nemmeno che...» Si interruppe e non proseguì, ma era chiaro ciò che voleva dire. «Lo adoravano tutti. E invece, fino all'ultimo, credeva che nessuno gli volesse bene. Mi è venuta un po' di tristezza.»
Nami si accomodò al suo fianco. Ora tutte le sue maledizioni sul fatto che piovesse per il festival apparivano ridicole.
«Non dirlo agli altri, ok?» continuò Rufy. «Non devono saperlo. Sono il Capitano, non posso essere debole.»
«Va bene» annuì lei. Avrebbe voluto dirgli che non doveva preoccuparsi, che erano stati loro quelli che si erano sentiti deboli e inadeguati, quando avevano letto sul giornale ciò che era successo a Marineford. Si erano, e si sentivano ancora, in colpa per non essere stati al fianco del loro Capitano quando aveva bisogno di loro.
Tutti, Nami compresa, avevano giurato che non sarebbe accaduto mai più. Per cui no, Nami non riteneva Rufy meno degno solo perché il ricordo di suo fratello lo rendeva triste. Al contrario, lo capiva benissimo e trovava che fosse un'occasione per poter essere lei a restituirgli il sorriso.
«Torniamo al Festival» propose. «Ti offro io da mangiare.»
«Davvero?» si stupì lui. «Non è che poi mi farai pagare tutto con gli interessi?» domandò preoccupato.
Lei lo colpì con un pugno sul viso. «No, cretino. Te lo offro io, quindi ti conviene approfittarne finché puoi!»
Dopotutto, il sorriso felice che lui le rivolse mentre la prendeva per mano per trascinarla di nuovo verso il Festival era una ricompensa più che sufficiente per spendere tutti i suoi Berry in cibo.

***

Akemichan parla senza coerenza:
L'idea mi è venuta da una serie di headcanon letti su tumblr, che si basano sul fatto che Ace sia arrivato a Wano. Trattandosi di un'isola così chiusa e sconosciuta, è interessante vedere come c'è arrivato e se magari è stata per amicizia o altro e se Rufy incontrerà qualcuno che l'aveva incontrato in passato (anche se il mio headcanon è che sia stato perché Izou viene da quell'isola). Certo, Nami che consola Rufy dopo la morte di Ace è stato qualcosa di già visto in parecchie storie, ma qui speravo di essere riuscita a dargli quel tocco di originalità nuovo. Il 'prompt' festival per il giorno di oggi mi ha dato la spinta giusta, ho subito pensato a Wano!

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Capitolo 5
*** Anime gemelle ***


Anime gemelle
 
 
«Ma che è successo?!»
Fu in questo modo che Nojiko accolse in casa sua sorella Nami, che ostentava un labbro gonfio e sanguinante e un livido che le si stava ampliando sotto l'occhio sinistro. Lei agitò la mano come se non fosse nulla, ma si accasciò sulla sedia della piccola cucina-salotto dell'appartamento e accolse con piacere la borsa del ghiaccio che la sorella le porse.
«Nulla di che» rispose, infine. «Arlong ogni tanto perde la pazienza, lo sai.»
Nojiko le riservò un'occhiata poco convinta. Non le faceva piacere a prescindere che Nami considerasse essere picchiata la normalità, ma in quel caso c'era qualcosa di diverso. Arlong era un pezzo di merda, uguale a qualsiasi altro magnaccia del mondo, però sapeva che il viso era una parte importante per vendere una prostituta. Anche quando le colpiva, cercava di non lasciare mai segni visibili.
Nami resse il suo sguardo indagatore, poi abbassò lentamente la testa e decise di parlare. Nojiko era l'unica a cui potesse dire tutto, l'unica che conoscesse la realtà della sua decisione di diventare una puttana, al solo scopo di non far perdere la casa a tutte le persone che vivevano in quel condominio e che erano indebitate con gli strozzini della malavita locale.
Lentamente, allungò la mano destra sul tavolo. Ogni persona aveva, al centro del dorso, un piccolo ovale. Una volta raggiunta la maggior età, in quell'ovale appariva, come marchiato a fuoco, il nome della propria anima gemella, della persona a cui si era destinati. Nami, però, non l'avrebbe mai saputo: quando era andata a lavorare per Arlong il nome non era ancora apparso e lui l'aveva marchiata con il suo simbolo proprio in quel punto, in modo da impedire definitivamente che apparisse.
«Pensava che fosse una buona idea» rise amaramente Nami. «Non sapere a chi sono destinata avrebbe evitato che fuggissi, o che qualcuno pensasse di essere obbligato a salvarmi.» Il sorriso che fece non era felice. «Invece gli si è rivoltato contro. I clienti non vanno con una prostituta di cui non sanno l'anima gemella, hanno paura che potrebbero essere la loro.»
«Ti ha picchiata per una stronzata che ha fatto lui?» esclamò Nojiko. Nami alzò le spalle: non era forse ovvio?
«Questo è troppo.» Genzo aveva pronunciato la frase in maniera lenta, ma tutti i suoi muscoli tremavano per la rabbia.
Nami balzò in piedi. Non l'aveva visto entrare nell'appartamento, anche se, come portiere dello stabile, aveva le chiavi di tutti. Non era previsto che ascoltasse, avrebbe dovuto continuarla a considerarla solo una puttana da cui stare lontano, per la sua stessa sicurezza.
«Adesso basta» continuò Genzo.
«Sono d'accordo» affermò Nojiko, con un breve cenno del capo, prima di seguire Genzo.
«Che cosa fate? Che cosa volete fare?»
«Quello che avremo dovuto fare anni fa» rispose Genzo, «invece di lasciarti nelle mani di quell'uomo.» E poi, allo sguardo sconvolto di Nami, aggiunse: «Sì, abbiamo sempre saputo che lo stavi facendo per noi e abbiamo cercato di trattarti male affinché smettessi. Non ha funzionato, quindi adesso è il nostro momento di fare qualcosa per te.»
«No!» gridò Nami. «Vi ucciderà. Io ce la posso fare! Mi manca ancora poco...» Ma le sue suppliche caddero nel vuoto, perché Genzo e Nojiko avevano già lasciato l'appartamento, con lo scopo di chiamare tutti gli altri condomini e recarsi della base di Arlong, un vecchio bar malfamato nei sotterranei di un palazzo abbandonato.
Nami tornò ad accasciarsi sulla sedia, distrutta. La sua vita non era felice, certo. Odiava che i clienti la toccassero, odiava i loro pensieri viscidi e la loro misoginia, odiava anche Alorng e i suoi, che oltre ad essere dei criminali erano anche gli assassini di sua madre. Però tutta quella sofferenza aveva sempre avuto uno scopo, che era quello di salvare tutte le altre persone che amava. Se ora si fossero messi contro Arlong, lui li avrebbe uccisi e sarebbe stato tutto inutile.
Il suo sguardo corse sul dorso della sua mano destra, dove il marchio di Arlong spiccava chiaro a coprire l'ovale dell'anima gemella. Non che a Nami importasse molto scoprire quel nome, ma odiava vedere che Arlong le aveva tolto, piano piano, qualsiasi possibilità di essere felice, con sua madre, con la sua famiglia, con una futura anima gemella.
Di scatto, afferrò il coltello che Nojiko aveva lasciato poggiato sulla tavola e si pugnalò il dorso, con le lacrime che iniziavano a scenderle sulle guance. Quasi non sentiva il dolore, accecata dall'odio che sentiva, e comunque non avrebbe fatto gran danno, il nome dell'anima gemella era già perduto.
E poi qualcuno le fermò la mano prima che potesse pugnalarsi ancora. Alzò lo sguardo e vide Rufy, il ragazzo che gestiva uno scalcinato bar a tema piratesco dall'altra parte della strada, che la fissava con sguardo serio.
«Cosa vuoi? Che cazzo vuoi?!» Nami lo apprezzava, perché era sempre sorridente e, in fondo, una brava persona oltre il suo comportamento da idiota. Ma in quel momento lo odiava anche perché cercava sempre di intromettersi nei suoi affari. Era stata anche colpa sua se Arlong era diventato più aggressivo, perché temeva che ci fosse qualcosa di strano nel loro rapporto.
«Che è successo?» domandò Rufy, senza scomporsi o muoversi.
«Non sono cazzi tuoi!» ribatté Nami, aggressiva, ma Rufy non fece una piega e continuò ad aspettare che lei gli desse una spiegazione. Alla fine, lei alzò le spalle. «Ho perso tutto» affermò. «Mia sorella e gli altri sono andati da Arlong. Probabilmente li ucciderà. Rimarrò da sola in questa vita di merda.»
«Tu non sei sola, Nami» replicò Rufy, serio. Quindi lasciò il minuscolo appartamento senza aggiungere altro.
Nami guardò la sua schiena che scompariva oltre la soglia, stupita per la frase che le aveva detto, ma anche chiedendosi che cosa aveva in mente. Non sarebbe andato anche lui da Arlong, vero? Erano praticamente estranei, non avrebbe dovuto fare una cosa simile per lei!
Oltre il dolore al palmo era diventato davvero fastidioso, quindi Nami prese la scatola dei medicinali, sempre fornita visto il lavoro che faceva, e si disinfettò la ferita e la fasciò accuratamente affinché smettesse di sanguinare. Nei minuti che le servirono per quell'operazione prese la sua decisione: doveva andare da Arlong. Era ora di finirla e, in qualche modo, sarebbe finita. Forse sarebbe semplicemente morta con tutti gli altri, ma almeno sarebbe stata una liberazione.
Nojiko aveva preso la loro auto mezza distrutta, per cui Nami chiamò un taxi, dando fondo alle sue poche riserve di monete, considerando anche che l'autista aveva voluto avere un extra per recarsi in quella zona pericolosa. Non che importasse: quei soldi non le sarebbero serviti, se gli altri fossero morti. Quando arrivò, trovò due volanti della polizia davanti all'ingresso dell'Arlong Park. La cosa non la stupì particolarmente, era a conoscenza del fatto che Arlong avesse amicizie nei piedipiatti. Come minimo li aveva chiamati per coprire i suoi omicidi.
Ciò che la sconvolse fu invece la presenza di ambulanze. Non credeva che nessuno dei condomini fosse in grado di ferire Arlong o i suoi uomini, né che Arlong fosse così gentile da chiamare i soccorsi dopo averli riempiti di botte. In fretta, evitò alcuni poliziotti che cercavano di fermarla e sgusciò all'interno del bar.
Nojiko, Genzo e gli altri erano in un angolo, spaventati ma salvi. Nami abbracciò la sorella sollevata.
«Che è successo?» domandò. Tremava ancora, per il sollievo di averli trovati ancora vivi.
«Non lo so dire» ammise Genzo. «Arlong e i suoi ci avrebbero massacrati, ma poi è arrivato un gruppo di motociclisti che li ha fatti a pezzi.»
«Sono la banda dei 'Cappello di Paglia'.» A parlare era stato il Capitano Smoker. Non era uno di quelli affiliati con Arlong, anzi, era conosciuto come poliziotto inflessibile che non si fermava davanti a nulla. «È un gruppetto di malviventi emergente. Non so perché abbiano deciso di attaccare la banda di Arlong in questo modo, ma questo di certo farà aumentare la loro reputazione.» Si accese un sigaro, noncurante. «Prima o poi arresterò pure loro.»
«Però ci hanno salvato» affermò Nojiko, meritandosi un'occhiataccia da Smoker. Eppure era vero: se i Cappello di Paglia non fossero arrivati, Arlong li avrebbe uccisi tutti.
«Tu sei Nami?» A fare la domanda era stata Tashigi, il sergente che accompagnava Smoker ovunque andasse. «Tua sorella mi ha parlato di te.» Allungò le mani per stringere le sue. «Vieni in centrale per una deposizione. Con la tua testimonianza, potremo finalmente arrestare Arlong e i suoi. Per ora le accuse sono solo percosse, ma tu potresti davvero fare la differenza.» Aveva un tono protettivo, mentre parlava, che le ricordava sua madre. Anche Bellmere era stata una poliziotta, una volta.
«Potrò avere protezione?» mormorò Nami, con lo sguardo che scorreva tra Nojiko, Genzo e gli altri, che annuivano, per incoraggiarla.
«Ma certo!»
«Va bene. Ne ho di cose da raccontare.» E le avrebbe raccontate tutte, otto anni di sofferenza che le avevano quasi strappato il cuore dal petto. Parlarne le avrebbe fatto bene e avrebbe fatto del bene anche al mondo, se finalmente sarebbe riuscita a sbattere Arlong fuori dalla sua vita.
C'era però una cosa che Nami non avrebbe raccontato a Tashigi, nonostante l'ammirazione che provava per lei. Ed era la vera identità della banda dei Capello di Paglia: non appena Smoker gli aveva fatto quel nome, non aveva potuto fare altro che associarlo a Rufy, che lo indossava praticamente costantemente. L'aveva sconvolta sapere che era arrivato a picchiare Arlong per lei, nonostante fossero due estranei, e di certo non l'avrebbe denunciato.
Però doveva almeno avere un ringraziamento, per cui, dopo aver atteso una settimana per far cessare la confusione che si era creata attorno all'arresto della banda di Arlong, si recò all'One Piece, il bar che gestiva assieme ad un gruppo di amici e che aveva l'aspetto a metà fra una bettola e un magazzino di roba recuperata nei cassonetti.
Rufy era a rovistare sotto il bancone, ma quando la vide si alzò e le rivolse un grande sorriso. Nami si ritrovò a ricambiare senza nemmeno rendersene conto.
«Grazie» gli disse. «Non dovevi farlo.»
Lui capì perfettamente a cosa si stava indicando. «Perché no? Noi siamo amici.»
Nami stava per aprire bocca e replicare che non era esattamente così, si erano solo scambiati qualche parola per strada, ma venne anticipata da Zoro, uno dei migliori amici di Rufy, che passò dietro di lui con una grande cassa di alcolici sulla spalla.
«Lascia perdere» commentò, quasi distrattamente. «Ormai ha deciso così e quindi sei fregata.»
Stranamente, a Nami non dispiaceva nemmeno così tanto. Rufy indicò a Zoro dove depositare la cassa, cosa che ovviamente Zoro non comprese, recandosi in una direzione totalmente diversa, e poi tornò a pulire il bancone con uno straccio che non vedeva dell'acqua da anni.
Solo in quel momento Nami notò che anche sul dorso della mano di Rufy non era presente il nome della sua anima gemella: l'ovale che avrebbe dovuto contenerla era completamente attraversato da una cicatrice a forma di mezzaluna, che avrebbe impedito la sua comparsa. Rufy notò il suo sguardo e alzò le spalle.
«Me la sono fatta da solo» affermò con noncuranza. «Non trovi che sarebbe davvero noioso sapere già dall'inizio chi è la tua anima gemella? Non mi piacciono gli spoiler!» E rise.
Nami lo fissò sbattendo le palpebre. La maggior parte delle persone che conoscevano erano entusiaste di conoscere la propria anima gemella, perché sapevano che sarebbero stati felici senza sbagliare. Altri, semplicemente, lo accettavano. Per la prima volta incontrava qualcuno che, volontariamente, voleva farne a meno.
«Allora, Nami» affermò Rufy, con un grande sorriso in volto. «Sei una di noi?»
Ed era una domanda retorica. Lui aveva scelto da solo la sua anima gemella. E in quel momento, Nami seppe che Rufy aveva ragione. Era ben possibile trovare l'anima gemella oltre il suggerimento del proprio palmo. 

***

E' la prima volta che scrivo una soulbound!AU e ne ho lette pochissime, per cui non ho approfondito più di tanto l'argomento, mi piaceva solo riportarlo all'interno di un "Arlong Park" moderno. Anche perché non riesco a credere che a Rufy piaccia l'idea di sapere in anticipo la questione XD Non ho voluto specificare se, alla fine, Rufy e Nami sono davvero anime gemelle oppure no: come loro, nemmeno noi lo sapremo mai. Ma, in fondo, per loro non ha alcuna importanza.

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Capitolo 6
*** Paura ***


Paura
 

Nami non vedeva altro che rosso. Rosso sul petto, rosso sulle mani, rosso sul suo volto quando aveva cercato di pulirsi dalle lacrime che le oscuravano la vista. Rosso soprattutto sull'addome di Rufy, il sangue che gorgogliava uscendo dall'ampia ferita che Shiryu gli aveva fatto, a tradimento, mentre combatteva contro Barbanera.
«Chopper! Fa' qualcosa!» Era la paura, tremenda, angosciante, che la faceva essere così aggressiva, oltre il solito. Non poteva perdere Rufy, non in quel momento in cui erano così vicini alla realizzazione del suo sogno.
Chopper era, come lei, al suo capezzale e cercava di suturare la ferita con le zampe che gli tremavano in maniera insoluta.
«Non ce la faccio... Non ce la faccio...»
«Devi farcela!»
Nami era davvero terrorizzata, con le mani che premevano sull'addome di Rufy per cercare di fermare l'emorragia, al punto da avvertire il battito che pian piano di faceva sempre più debole. Non avrebbe resistito a vederlo scomparire sotto la sua presa.
Era arrivata spesso a temere per la sorte di Rufy, dato che rischiavano la vita ogni singolo minuto, però aveva anche avuto una fiducia incrollabile nella sua forza e nella sua fortuna. Non era mai andata così vicina a vederlo morire sul serio, ad essere al suo fianco mentre succedeva e non sapeva cosa fare. La paura la bloccava, le impediva persino di gridare per chiamare gli altri in soccorso, che stavano ancora combattendo contro la ciurma di Barbanera.
«Posso salvarlo io.»
Nami alzò lo sguardo: Trafalgar Law troneggiava sopra di lei, con la sua spada appoggiata sulla spalla e una tranquillità che pareva strana in una battaglia di quel genere. Lo sguardo in cui stava fissando lei e le mani ancora sulla ferita di Rufy era penetrante, ma c'era anche una dolcezza intrinseca.
«C'è solo una cosa da fare» continuò Law, chinandosi al suo fianco. «L'Operazione Definitiva, quella per la vita eterna.»
«Non è quella per cui dovresti sacrificare la tua?» domandò Nami, con voce tremante. Law fece un cenno, così impercettibile che le parve di non averlo visto.
Il suo sguardo tornò su Rufy, immobile sotto di lei, il sangue che continuava ad uscire sgusciando fra le due dita, il volto pallido con gli occhi chiusi. Chopper aveva smesso di provarci e singhiozzava semplicemente al suo fianco. Era un medico anche lui, capiva quando ormai non era rimasto altro che affidarsi ad un Frutto del Diavolo.
Nami deglutì. Law le piaceva, le ricordava spesso Rufy in certi suoi atteggiamenti, e in generale apprezzava il rapporto che aveva con loro e con la sua ciurma, oltre al comportamento che aveva tenuto durante la loro alleanza. Ciò che aveva passato da bambino, poi, aveva fatto crescere la sua stima verso di lui. Sapeva bene che Rufy provava, nei confronti di Law, le stesse sensazioni. Forse erano anche amplificate dal fatto che Law gli avesse salvato la vita in altre occasioni.
Per Rufy, Law era un compagno a tutti gli effetti. E ora doveva decidere se lasciarlo morire per salvarlo. Chiuse gli occhi: ne era certa, Rufy non sarebbe mai stato d'accordo con la scelta proposta da Law. Mai avrebbe preferito sacrificare un amico per salvarsi. Non se lo sarebbe mai perdonato.
Però Rufy era svenuto, e la decisione spettava a lei. Sarebbe stata disposta a sacrificare Law, a farsi odiare da Rufy per quella scelta, pur di vederlo sopravvivere? Law le strinse appena il braccio: era chiaro che anche nella sua mente si stavano scatenando gli stessi pensieri. E allora Nami si disse che sì, era disposta a farlo. Disposta a preferire la salvezza di Rufy a qualsiasi cosa, e disposta ad accettare il sacrificio che Law era pronto a fare.
«Sì» annuì, decisa. La paura parlava per lei, ma la sua voce era ferma. «Salvalo. Muori per lui.» L'avrebbe fatto lei stessa, se solo avesse potuto.

***

Siamo finalmente arrivati alla fine della settimana Rufy/Nami e devo dire di essere sollevata XD Era davvero stancante cercare di pubblicare così tante storie in così poco tempo, per cui sarò felice di tornare a una modalità di pubblicazione normale.
Per quest'ultima flash ho deciso di usare uno dei miei headcanon riguardanti il potere di Law; in realtà, nella mia visione delle cose Chopper fermerà Law prima che possa eseguire l'operazione per l'immortalità e così realizzerà il suo sogno, ma per il resto l'idea di un Rufy in fin di vita e così grave che anche per Law l'unica soluzione estrema è questa corrisponde. Sono stata indecisa fino all'ultimo cosa far scegliere a Nami, per cui spero che non risulti OOC: abbiamo visto Zoro deciso a sacrificare la sua vita per Rufy, ma non a lasciare che lo facesse Sanji. In questo caso, Nami non può sacrificarsi al posto di Law, per cui non ha altra scelta che accettare la sua morte pur di salvare Rufy.
Spero che queste storie vi siano piaciute e ci vediamo prossimamente, quando mi sarò ripresa XD 

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Capitolo 7
*** Felicità ***


Felicità

 
Tutti gli esseri umani vogliono essere felici:
Per altro, per raggiungere una tale condizione bisogna cominciare col capire
che cosa si intende per felicità.
[Jean-Jacques Rousseau]

 

Ci sono dei giorni in cui mi sveglio felice.
Apro gli occhi, senza nemmeno essere assonnata per la notte passata, e il mio primo pensiero è "come sono felice oggi!". Non mi succede spesso, e ogni volta è sempre una sorpresa che mi piega le labbra in un sorriso da scema, ma che non posso trattenermi. Sebbene mi sia sconosciuto il motivo di questa felicità mattutina, che mi scalda il cuore e che mi fa tremare le mani, una cosa la so di sicuro.
Ho iniziato a provarla da quando mi sono unita alla ciurma di Cappello di Paglia.
Per questo motivo il mio secondo impulso è alzarmi da letto e correre nelle stanze comuni. So che troverò Sanji in cucina, intento a preparare la colazione, e Robin seduta al tavolino a leggere il giornale. Allora mi unirò a loro, in attesa degli altri che arriveranno, ognuno a modo loro: Rufy di corsa, per essere il primo a gettarsi sul cibo; Zoro con la bocca ancora aperta in uno sbadiglio, che si trascina giusto perché ha fame; Usop e Chopper assieme, chiacchierando di qualche misteriosa avventura mai avvenuta.
E il sorriso da scema si nasconde dietro il bicchiere di aranciata, ma rimane lì, nel cuore, perché quella scena mi ricorda, ancora una volta, che in effetti ho un motivo per essere felice.
Oggi non mi è possibile assistervi, ma penso di potermi accontentare del viso addormentato del mio capitano, che di certo non appare come il pericolosissimo pirata da cinquecento milioni di Berry mentre russa con la bocca spalancata, completamente indifeso come se non avesse un nemico al mondo.
A occhi estranei apparirebbe infantile, e spesso lo è, ma ho imparato presto a mie spese che c'è sempre stato molto di più dietro. E che allo stesso modo c'è anche bisogno di guardare il mondo che ci circonda con gli occhi di un bambino, giacché lo godono e lo capiscono meglio, nella loro semplicità.
Un brivido di freddo mi attraversa il corpo e senza attenzione mi stringo le braccia con le mani, nascondendo la scollatura. Il copriletto è scomparso, caduto da qualche parte durante la notte, e la corta vestaglia non può proteggermi da sola. Muovo una gamba oltre il letto, il piede che si posa a terra con la dolcezza di una piuma. L'altro piede segue poco dopo, con coraggio, dato che anche il pavimento di legno è freddo.
Il fuoco che ieri sera ci ha scaldato è ormai spento, poche braci si intravedono ancora nella cenere scura. In punta come una ballerina, aggiro il letto per trovare il copriletto che giace a terra, da un lato. Rufy, che dorme ancora a gambe spalancate, non sembra sentire il freddo in alcun modo. Eppure lo conosco abbastanza da sapere che finirebbe per svegliarsi di scatto in preda ai brividi, per cui gli poso sopra il copriletto. Per me recupero una coperta dall'armadio e me la getto sulle spalle, e ne stringo le estremità sul davanti per tenerla.
Non so che ore siano. Sento rumori provenire dal piano inferiore e dall'esterno, ma sono soffusi, non mi permettono di capire che cosa stia succedendo. La finestra della piccola mansarda dove alloggiamo non ha persiane, ma penetra una luce strana, fioca, che non mi aiuta.
La fisso per un attimo, senza avvicinarmi, e rifletto su quanto quella finestra paia somigliare alla mia sensazione di gioia. È lì, è presente, ma allo stesso tempo non permette di toccarla né di avvicinarla. Nel caso della luce, però, mi basterebbe guardare oltre i vetri per comprendere. Mi basterebbe fare due passi e voilà, mistero risolto.
Per un poco, indugio in quel limbo d'incertezza, assaporo il silenzio della mansarda e dei miei pensieri, che mi fanno rimbombare il cuore nel petto. Poi faccio un passo in avanti, decisa, e in un attimo sono davanti alla finestra. I fiocchi di neve stanno cadendo ancora, a mucchi ordinati, come se qualcuno li guidasse nella loro danza dal cielo fino a terra. A giudicare dai tetti e dalla strada, deve aver nevicato per tutta la notte.
L'avevo previsto. Le isole del Nuovo Mondo hanno di nuovo le quattro stagioni, e Tordvalsen, dove siamo approdati in serata, era nel pieno di quella invernale. Le nuvole all'orizzonte e la temperatura facevano presagire una precipitazione del genere. Poiché avevamo deciso di alloggiare in città e il LogPose aveva bisogno di sistemarsi, non me ne ero preoccupata. Mi ero solo assicurata che tutti avessero con sé abiti pesanti.
Mi spingo con il viso in avanti, il mio fiato che disegna sottili cerchi sul vetro. La neve è fitta, scende a piccole sfere ravvicinate, ma ciò non pare scoraggiare la popolazione locale. Robin ha raccontato di una particolare tradizione locale di nome "Jul", molto sentita dagli abitanti, per cui non mi è difficile immaginare che siano tutti molto presi dai preparativi.
Guardo ancora fuori dalla finestra, ma non vedo più la fiumana di persone con i loro ombrelli o i loro cappotti, né i bambini che corrono con i pacchi regali in mano, né le bancarelle di legno che stanno spuntando agli angoli delle strade. Il tutto sfuma tra i fiocchi di neve bianca, mentre la mia mente immagina il futuro.
Rufy che corre di bancarella in bancarella, con l'intenzione di assaggiare ogni singolo piatto tipico e finendo per riempire la bocca tra dolce e salato. Sanji segue lo stesso percorso, ma si ferma a parlare, ad ascoltare le ricette e a memorizzarle per riprodurle sulla nave. E poi viene da me e Robin con una bella tazza di cioccolata fumante in mano. Zoro si siede nella locanda a bere l'alcol bollente che servono qui, e magari mi invita anche a fargli compagnia, giusto per non sbronzarsi da solo di prima mattina. Come se noi potessimo sbronzarci, tra l'altro.
Usop finisce per farsi coinvolgere nella gara locale di pupazzi di neve, o magari ce lo getto io a forza per il premio in Berry, mentre Franky si conquista tutti i bambini della zona con il suo corpo da cyborg, per quanto io ancora non ne capisca il fascino. Brook è in piazza, a suonare una canzone tipica: l'ha già imparata dai musicisti, e sento il coro che viene intonato per le strade.
Robin ha già lasciato la cioccolata calda a Chopper, troppo dolce per lei, e si limita a osservare gli eventi che le si svolgono davanti, in disparte. E poi mi racconta la leggenda di Jultomte, lo spirito domestico che realizza i desideri degli abitanti, e ci viene spontaneo chiederci se la Sunny ne abbia uno anche per noi.
Un rumore mi riporta alla realtà, al freddo del pavimento su cui ho ancora i piedi nudi. Rufy ha mugolato, strofinandosi il volto con la mano per pulirlo dalla bava, ma poi è precipitato di nuovo sul cuscino, ancora addormentato. È nel dormiveglia, quando ancora non sa che si deve svegliare e, come sospetto, sta cercando di trattenere il sogno che sta facendo.
È un momento della mattina che mi piace molto. Lo stare semplicemente al suo fianco, senza che lui noti la mia presenza, ad aspettare che si svegli e mi sorrida.
Da quando ci siamo ritrovati, dopo i due anni di separazione, sono state molte le notti che abbiamo passato assieme. Non abbiamo mai fatto niente, cosa che, per una ragazza bella come me, dovrebbe essere un insulto, ma se viene da parte di Rufy non lo è. Lui non è mai stato interessato, e questo è tutto. Rispetto il suo modo di essere e in un certo senso, per una volta, è confortante sapere che non cerca il mio corpo. Mi basta un suo sorriso per sapere che mi ama.
Guardo la mia parte del letto sfatta, come se mi stesse aspettando. Due passi, con la coperta che mi scivola dalle spalle, sono di nuovo sdraiata al suo fianco. La mia mano si allunga verso la sua, appoggiata sul copriletto, e sento la sua pelle calda in confronto alla mia, che è stata troppo vicina alla finestra.
Come al solito, Rufy non ha bisogno di spiegazioni: le dita si avvolgono attorno alle mie, la sua mano mi stringe forte, protettiva e gentile e rude allo stesso tempo. E Rufy mi sta guardando, sveglio senza che me ne fossi accorta.
"Ciao!" E il sorriso, ampio, che illumina la mansarda.
E il "come sono felice oggi!" mi sale di nuovo dal cuore e schiude anche le mie labbra in un sorriso, che non può competere con il suo, ma almeno ci prova.
E se davvero Jultomte può realizzare un desiderio, be', voglio chiedere questo, perché spero di svegliarmi così ogni mattina, sulla Sunny, con il sorriso di Rufy a illuminarmi la giornata e con la consapevolezza degli altri ad aspettarmi fuori dalla stanza.
Non ho bisogno d'altro per essere felice.

***

Akemichan  parla senza coerenza:
Era un po' che non scrivevo una Runami, ma il contest mi ha dato l'ispirazione e quindi eccomi qui :D L'idea iniziale era di imitare un po' lo stile di Banana Yoshimoto, ma più scrivevo più mi rendevo conto che sono troppo concreta e quindi dubito di essere riuscita anche solo ad avvicinarmi a lei, ma il risultato finale per una volta non mi dispiace. E' più gen che Runami, ma in fondo è così che vedo il loro rapporto, molto tranquillo e domestico. Tra l'altro, per una volta, ho voluto seguire l'headcanon molto diffuso che Rufy sia asessuale, perché volevo che questa storia avesse un sottofondo molto dolce, e anche perché trovo che questi due siano fantastici assieme, sesso o non sesso.
Spero che vi sia piaciuta! :D

 

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