Il primo istante che ci appartiene

di giuliapeach
(/viewuser.php?uid=854618)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fuochi di paglia ***
Capitolo 2: *** S+E ***
Capitolo 3: *** Aspettami ***



Capitolo 1
*** Fuochi di paglia ***


Il mondo è fatto di fuochi di paglia, e alcuni sono davvero straordinari.

Ci sono persone che brillano. Puoi avvertirle entrare in una stanza, perché il loro sorriso ha un colore diverso rispetto a quello degli altri. Ti cattura. Ti trascina con sé. Ti si appiccica un po’ addosso e tutto il giorno i tuoi pensieri si scoloriscano dinnanzi a tutta quella meraviglia.
Le riconosci le persone così. Non passano inosservate. Sembra che ci sia sempre qualcuno all’affannata e disperata ricerca di una scheggia di quel sorriso, forse nell’ infantile speranza di poter brillare così un giorno, di imparare come si fa. Come mosche impazzite si agitano intorno a quella piccola scintilla. 

Al massimo qualcuno riesce a risplendere per qualche istante di luce riflessa, un attimo prima di bruciarsi con la miccia dell’invidia ed essere inghiottito di nuovo dal buio, dall’anonimato.

Si accresce quest’aurea che le circonda, si alimenta di ogni amicizia in più sui social network, album di fotografie piene di sigarette e vestiti colorati e giornate di primavera con strani cappelli e commenti pieni di affetto e “ Ci sentiamo presto” e ancora “ Come è stato bello conoscerti”. Ogni cosa che toccano queste persone diventa una forma d’arte, un altro modo per esprimere la loro unicità, il loro eccezionale modo di essere diversi, al di sopra della banalità, delle futilità.
Ma sono fuochi di paglia.
Si perché, non te ne accorgi subito, devi guardare bene, e a lungo. Devi per un attimo sollevare il tappeto ed esaminare la polvere con attenzione. La popolarità ha il suo prezzo. E stare sempre al centro dell’attenzione può sfiancarti fino a consumare ogni più piccola espressione di spontaneità.

Le amicizie tanto pubblicamente celebrate si riducono ad un vestito nuovo, una festa a cui bere insieme per non sentirsi il vuoto addosso, un viso particolare da fotografare, un commento in più in bacheca, una notifica per urlarti che sei speciale.
Ma prima o poi quegli album si scoloriscono, perchè le persone se ne vanno, se ne vanno sempre. Le vecchie amicizie si rimpiazzano con quelle nuove, come i vestiti al cambio di stagione. Via quelli fuori moda, dentro quelli che hanno un nuovo profumo e un nuovo particolare da catturare, un nuovo complimento da ricevere, una nuova conferma da conquistare.
E allora la giostra impazzita della popolarità perde un po’ di quel fascino che inizialmente ti aveva incuriosito. Perché nonostante le migliori intenzioni finisci per camminare non solo sopra la banalità, ma perfino sopra te stesso, e niente e nessuno riesce più a raggiungerti.

Così arrivo quasi a provare tristezza per tutte quelle amicizie che nascono e muoiono come mode frivole, che all’inizio ti entusiasmano, ma che inevitabilmente finiscono per andarti a noia.
E quelle persone, con quel sorriso così unico e speciale, mi ricordano solo i pagliacci del circo, governati dall’imperativo crudele della felicità, dal dovere di essere sempre allegri e straordinari per strappare un applauso dal pubblico.

Io non sono di certo straordinaria. Ma almeno non sono un fuoco di paglia. 

In ogni piega del mio maglione e in ogni ombra del mio viso, in ogni ruga delle mie espressioni, riposa la banalità. Non è qualcosa che legato al mio aspetto, ma un particolare tra gli occhi e le labbra che lascia indifferenti gli sguardi dei passanti. A volte è piacevole non dover fare i conti con la curiosità della folla. Ma se entro in una stanza nessuno si gira, nessuno se ne accorge. Nemmeno tu. Io sono invisibile. Questa sensazione a volte si fa certezza, così che mi trovo a camminare tra la folla cercando il mio riflesso in una vetrina, terrorizzata. 

Mi trovo, la solita faccia, i soliti capelli arruffati e capisco che non sono invisibile, le persone mi vedono, solo che non mi guardano, e forse questo è anche peggio. 

Tu non sai nemmeno che esisto. Ma va bene così davvero. A me va bene così. Ogni giorno ho i miei dieci minuti per guardarti, per studiarti, per mischiarmi alla tua giornata.

I pensieri risucchiati in qualche canzone, le labbra che rincorrono una melodia senza emettere alcun suono, le mani che si agitano nell’aria, suonando una batteria immaginaria.
Adoro quel tuo semplice gesto, e l’entusiasmo che ci metti. Mi sveglio e il mio pensiero si rivolge subito alle tue mani, avido di strapparti la solita dose di buon umore.
Non ti curi delle persone che ti circondano. Non ti ho mai visto guardarti intorno, preoccupato di essere osservato dalla gente che aspetta l’autobus a fianco a te.

Vorrei che lo facessi qualche volta. Che ti preoccupassi, che ti girassi e mi sorridessi. 

Sono a un passo da te, giorno dopo giorno, ma questa manciata di centimetri si dilata in anni luce di distanza che non so come annullare.

Sono a un passo da te, se ci facessi caso ti accorgeresti dei miei occhi neri puntati sulla tue mani. Basterebbe davvero poco: l’attesa mi ha reso audace e da settimane ti fisso senza poterne fare a meno. Ti stringo tutti i giorni con questi occhi; con questi occhi ti auguro buona giornata, con questi occhi ti seguo salire sul tuo autobus venire inghiotitto dalla tua routine, con questi occhi ti bacio da lontano sperando che sulla tua pelle un giorno rimanga traccia della mia impercettibile presenza.
Il coraggio di presentarmi non ce l’ho. Forse un giorno. Forse domani. Ma non oggi. Oggi ho sola voglia di guardarti suonare quella batteria che hai nel sangue e respirare il tuo stesso ossigeno ed essere, nella tua giornata, una delle centinaia di persone che sfiorerai , senza accorgertene.
Tu non sei un fuoco di paglia. Si vede dal modo in cui sorridi, con gli occhi chiusi, rapito dalla tua musica, mordendoti il labbro inferiore quando il pezzo è davvero forte.

Tu sei uno di quelli che si incontra una sola volta nella vita. La tua scintilla non si esaurisce perché si alimenta in se stessa e non ha bisogno dell’approvazione degli altri, non ha bisogno di sentirsi acclamata dalla folla, o riscaldata dal calore sintetico dell’amicizia più superficiale. Il tuo fuoco sei tu. E anche senza ossigeno non smetteresti di bruciare.

Tu non sei un fuoco di paglia. E anche se io per te non esisto, non per questo la tua luce non mi riscalda. Tu per me esisti. Sei l’essenza palpabile dei miei risvegli.
E tra i miei pensieri ti porto in giro tutto il giorno. 

Vorrei sapere che musica ascolti e scoprire se anche a me farebbe lo stesso effetto.

Vorrei avere il coraggio di prendere la mia Nikon e fotografarti per averti con me tutto il giorno e poter prolungare questi dieci minuti.

Non credo che ci faresti caso.

E’ sciocco ma io sento di conoscerti. Non so neanche come ti chiami. Non so se hai una ragazza che ti rende felice, degli amici che ti apprezzano, una famiglia che ti sostiene, un cane o un gatto che ti tengano compagnia. 

Però io sento di conoscerti. 

E quando ti guardo ho solo voglia di abbracciarti. E’ come se qualcosa di te mi chiamasse, un sordo impulso catturasse i miei sensi e mi tenesse imprigionata qui, dentro a un desiderio che è poco più di una fantasia, senza il minimo coraggio di scaraventarti dentro il mio presente, o di affacciarmi almeno fuori da questo silenzio che mi protegge.
So che prima o poi arriverà la mia occasione. La aspetto, certa che è sempre più vicino il momento in cui smetteremo di sfiorarci e ci toccheremo davvero. Prima o poi avrò il coraggio di toccarti la spalla e chiederti chi sei.
Anche se io lo so già chi sei.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** S+E ***


S+E

 

 

 

 

Oggi si muore di freddo.

Con una matita sottolineo il libro di storia, maledicendomi per essermi addormentata ieri sera e non aver finito di leggere il capitolo per la giornata. Ho l’impressione che le mie dita, ormai del tutto congelate fra poco si staccheranno dalla mano.

Tuttavia mi piace questo freddo. Il fiato mi esce dalla bocca in una nuvola di vapore. 

Mi piace poter guardare i miei respiri. Mi sembra quasi di fumare. Stringo la matita fra le dita, la avvicino alla bocca, faccio finta di aspirare, chiudo gli occhi e butto il fiato fuori.
Le sigarette che fumi mentre aspetti l’autobus sono le migliori. Soprattutto la mattina. Sono cariche di aspettative e riflessioni e pensieri confusi.
Dio come mi manca fumare. Ho deciso di smettere quando ho chiuso con l’ultimo ragazzo che ho frequentato. Era per lui che avevo iniziato. Una delle tante forme in cui avevo deciso di farmi del male. Mi è sembrata una splendida idea suggellare la mia rinnovata salute sentimentale con la rinuncia alle mie Wistone Blu.
Ma da certe dipendenze non sei mai fuori del tutto.
Oggi sei diverso dal solito. Non hai gli auricolari alle orecchie. Non sorridi. Respiri appena. Il tuo fiato ti si stacca dalle labbra e si dissolve quando è appena a qualche centimetro da me.

Sullo zaino qualcuno ha scritto con un pennarello S+E con un cuore a fianco. Non mi sembri il tipo che fa certe cose, ma quando si è innamorati siamo tutti un po’ scemi. Mi chiedo quale sia la tua iniziale tra le due. Non so perché ma opto per la prima. Lascio che la mia lingua mi accarezzi il palato più volte mentre pronuncio fra me e me “Esssse”. Ecco se ora ti girassi e mi guardassi penseresti che sono una pazza.
Non che mi consideri una persona del tutto a posto, però mi spiacerebbe iniziare subito con il piede sbagliato.

Fantastico sul tuo nome. Stefano, Simone, Samuele...Mi piace immaginarteli addosso. Hai i capelli neri e folti, la barba appena accennata. Vorrei passare le mani tra quei capelli per strapparti questo pensiero triste che oggi non ti fa suonare, non ti fa ridere come ieri e come tutte le altre mattine.

“ Santiago”.
Ti starebbe benissimo. Hai qualcosa di latino incastonato dentro il profilo netto, il mento appuntito, le labbra rosse e carnose.

Non ho mai immaginato come sarebbe baciarti. Mi hanno insegnato che lavorare troppo di fantasia può essere dannoso. Anche se ho la certezza assoluta che sarebbe un’emozione che mi resterebbe dentro sempre. Preferisco tenerti ancorato a quest’immagine.
Le spalle un po’ incurvate sotto il peso di uno zaino quasi vuoto, o di una delusione che ti è piombata addosso senza avvisarti. Gli occhi nocciola ancorati all’asfalto, lo sguardo leggermente contratto nel tentativo di non lasciarsi andare ad un sospiro violento, le mani nelle tasche di un paio di jeans consumati. I pollici fuori, rossi per il freddo. Ad un certo punto nascondi il viso dentro a una sciarpa. Posso vederti solo gli occhi.
Che occhi grandi che hai. E quanta malinconia ristagna in fondo alle pupille.
Sento ancora più freddo. Devo distogliere lo sguardo perché troppo a fondo mi colpisce la tua tristezza. 

Non ti conosco. Ma posso sentirti.
Non sai neanche che esisto. Ma posso sentirti. 

“Cos’hai?”, “Chi ti ha fatto stare male?”. Un odio violento mi prende per questa sciocca e stupida “E”, che oggi ha spezzato i tuoi gesti e risucchiato la tua energia. Se è lei che ti ha spinto il sorriso dagli occhi, io la odio.
Io non ti farei mai del male.

So che non è così. Chi ti ama ti fa piangere e più una persona ti è vicina più è certo che la ferita sarà bruciante. Ma farei qualsiasi cosa per prendermi cura di te. Perché io ti conosco.  Conosco il tuo senso di solitudine e il tuo amore per la vita, come possa fare male questa contraddizione, come sia doloroso essere unici quando tutti ti spingono nella direzione contraria, come dentro il buco di una serratura che non sai aprire. Vorrei urlarti nelle orecchie che io ci sono, che ti vedo, che ti sento, che mi preoccupo per te, e che ho bisogno di vederti sorridere come al solito. Sono sola anche io. Come tutti. Ma ne sono consapevole e l’ho accettato col tempo.
L’unicità crea solitudini.
Ma quando ti vedo, questa sensazione si annulla. E muoio dalla voglia di abbracciarti.
Vorrei prenderti il viso tra le mie piccole mani e scaldarlo con il calore del mio corpo.
Ok penseresti che sono pazza. Ma non mi importa.
Io sono qui e ti sento e se stai male tu, sto male io. Non sarà sensato, non sarà razionale, ma sto tremando e so che non è solo perché è Dicembre e ho scordato i guanti a casa.
Sto tremando perché siamo vicini, anche senza toccarci.
Vengo presa da un moto di coraggio. Rovisto nello zaino alla ricerca di un pacchetto di caramelle. Te ne offrirò una e poi ti chiederò come ti chiami, facendo finta di essermi appena accorta di te, facendo finta di non averti pensato per tanto tempo e di essere una di quelle persone spigliate e interessanti, non la ragazza invisibile di cui non ti accorgeresti mai. 

E non mi importa se penserai che sono strana, non mi importa se domani andrai ad aspettare il tuo autobus da un’altra parte. Io so che non avrai più quegli occhi tristi, almeno per qualche minuto, almeno per un secondo. E che sarà merito mio.
Trovo un pacchetto di Mentos accartocciato sotto il libro di greco. Chiudo gli occhi, prendo un respiro profondo.
Quando li riapro non ci sei più.
Dannazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Aspettami ***


Aspettami

 

 

 

 

Per qualche giorno non ti sei più fatto vedere.
Mi sono preoccupata. Pensavo ti fosse successo qualcosa. Un giorno ho fatto anche tardi a scuola per aspettarti, ma niente, non ti sei fatto vedere.

Avevo la sensazione che dovunque fossi avessi bisogno di aiuto, avessi bisogno di me. Non sono state mattine piacevoli. 

La tua assenza era palpabile. Sembrava tutto grigio.

Mi mancava il tuo odore che impregna l’aria e i miei pensieri. Mi mancava l’ombra delle tue spalle grandi sull’asfalto. Mi mancava la tua musica e il suono delle Vans che si muovono avanti e indietro davanti alla fermata.

L’altro giorno mio papà è tornato a casa da un viaggio di lavoro. Sembrava molto stanco e preoccupato per qualcosa.
Lui e mia madre si sono salutati appena. Ma poi ha visto sul tavolo la versione di latino. L’avevo messa lì apposta sperando che ci facesse caso. Ho preso 8 e mezzo. Non è il massimo, ma ce l’ho messo tutta. Mi ha sorriso e mi ha fatto i complimenti. 

Ero così felice che non riuscivo ad addormentarmi, avrei voluto tanto raccontartelo. 

Magari avrebbe fatto sorridere anche te.
Io non sono esattamente una studentessa brillante. Mi impegno molto, come una brava scolara, ma nel complesso sono nella media, un numero tra altri numeri. Mi prendo le mie soddisfazioni, ma a volte è un po’ snervante non sentirsi mai davvero eccezionali.

E’ triste avere così tanto da esprimere, ma dover ammettere di non avere nessun talento particolare. Se fossi eccezionale tu ti volteresti e mi sorrideresti. Qualcosa dei miei capelli lunghi e del mio viso ovale catturerebbe la tua attenzione e allora mi vedresti davvero.

Ieri pensavo che lo stessi facendo. Che mi stessi guardando. Di scatto, come se fossi stato punto da qualcosa, hai alzato lo sguardo e hai guardato nella mia direzione. 

Avevi un’aria preoccupata, leggermente accigliata.
Mi sono guardata intorno. Mi sono annusata dentro al giubbino. Non mi sembrava di emanare strani odori. Ma tu mi guardavi come se stessi andando a fuoco.
Ti sei avvicinato e ho iniziato a sudare freddo. Mi sentivo il cuore dentro le orecchie ed ero sicura che potessi sentirmi.

Poi ho capito. Fissavi il cartello appeso alla pensilina della fermata.
C’era scritto che la linea 11 aveva subito una deviazione a causa di una qualche maratona. Ti ho sentito esclamare fra te e te “Merda”.
La tua voce mi ha paralizzato il respiro. E ho sorriso da sola, di niente, come una sciocca. Perfino “Merda” tra le tue labbra ha un sapore dolce. Dovevo proprio avere un’aria stupida, paralizzata dentro a un sorriso che ti rivolgevo come un frutto fuori stagione acerbo e prematuro, ma così vero, che un po’ mi ha ferito il fatto che ancora una volta mi hai ignorata. Ma ti perdono. Non deve essere stato un periodo facile. L’amore quando se ne va lascia tutto in disordine, e non ci si riprende mai del tutto.
Devi essere rimasto a casa per una settimana. Ti immagino rintanato sotto le coperte o dentro a un sogno. 

Come sottofondo la vostra canzone, e forse il tuo pianto di rabbia, come uno schianto di tenerezza che non ti fa dormire. La delusione più amara al risveglio, quando ti dimentichi come si fa a respirare e ti ricordi di colpo di non avere un vero motivo per alzarti.

Ne ho passati anche io di momenti così. 

E forse sulla pelle ho ancora mille invisibili cicatrici che mai lasceranno la mia sagoma romantica.
Ma posso giurarti che passerà. E che amerai ancora. Anche se oggi ti sembra impossibile, anche se daresti del folle a chiunque ti intimasse di guardare avanti, passerà. E un giorno ricorderai solo le vacanze riuscite e ai baci inaspettati con una malinconia distaccata e dolce, simile al rimpianto, o alla nostalgia, ma svuotato dal dolore e ricco solo di quello che lei ti ha lasciato.

Dopo qualche secondo, hai corrugato la fronte. Eri adorabile con quel broncio, e so con certezza che il mio sorriso si è fatto più luminoso.

Hai dato un’occhiata al cellulare.
Mi è sembrato molto da te il fatto che non portassi l’orologio.

Io lo porto sempre, costantemente tirato in avanti di 15 minuti, per non arrivare mai tardi, per non dover mai fare aspettare nessuno. Sono convinta che il giorno in cui arriverò tardi, chiunque doveva aspettare se ne sarà andato. E’ una sensazione sciocca, come la maggior parte delle sensazioni, ma preferisco non tentare la fortuna.

Tu aspettami se puoi, fino al momento in cui troverò il coraggio. Aspettami ti prego, non svanire come tutti, come ogni cosa.
Di tanto in tanto penso, che se domani non ti ritrovassi qui, ti avrei preso. E la cosa mi terrorizza. Dovrei potrei venire a cercare quelle labbra perfette? Dove potrei ritrovare quelle mani piene di vita e di musica? 

Mentre imprecavi in modo tenero e sommesso ti ho sorriso ancora, impercettibilmente. Ti ho mandato un impercettibile bacio. Ti ho sfiorato il braccio con un’impercettibile carezza. Tu non te ne sei accorto. Hai fatto mezzo giro su te stesso e te ne sei tornato da dove sei venuto.

Portandoti dietro un impercettibile sogno, in cui ho racchiuso tutta la mia giornata.

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3158694