Marked - The guardians of the Night.

di OfeliaMontgomery
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mezzanotte: Buon compleanno Avis! (R) ***
Capitolo 2: *** Buon risveglio guardiana della Terra (R) ***
Capitolo 3: *** Mia sorella Amanda (R) ***
Capitolo 4: *** A scuola pt.1: Un incubo alquanto spaventoso (R) ***
Capitolo 5: *** A scuola pt.2: I poteri da guardiana della Terra (R) ***
Capitolo 6: *** Il marchio dei cacciatori (R) ***
Capitolo 7: *** Ti racconto una storia (R) ***
Capitolo 8: *** Allarme cacciatori: Casa sotto sopra (R) ***
Capitolo 9: *** L'inizio del viaggio (R) ***
Capitolo 10: *** Alla ricerca del guardiano dell’Acqua (R) ***
Capitolo 11: *** Il guardiano dell’Acqua e la sua protettrice (R) ***
Capitolo 12: *** Il racconto di Sophie (R) ***
Capitolo 13: *** Problemi (R) ***
Capitolo 14: *** L'arrivo dei soccorsi (R) ***
Capitolo 15: *** Qualche aneddoto del passato (R) ***
Capitolo 16: *** L’inizio degli allenamenti e l’evocazione dei demoni di Avis (R) ***
Capitolo 17: *** Arrivano in soccorso la guardiana del Fuoco e la sua protettrice (R) ***
Capitolo 18: *** Ritrovarsi con Amanda (R) ***
Capitolo 19: *** Destinazione Black Roses Academy (R) ***
Capitolo 20: *** La Black Roses Academy (R) ***
Capitolo 21: *** I guardiani dell'Aria e dello Spirito (R) ***
Capitolo 22: *** Nonna Mavis (R) ***
Capitolo 23: *** A casa di Nonna Julis – con le mie migliori amiche – (R) ***
Capitolo 24: *** Incredulità (R) ***
Capitolo 25: *** Sigillare il cerchio dei Guardiani della Notte (R) ***
Capitolo 26: *** Il circolo dei Guardiani della Notte (R) ***
Capitolo 27: *** L’inizio degli allenamenti (R) ***
Capitolo 28: *** Terra (R) ***
Capitolo 29: *** Il libro degli incantesimi di Mavis (R) ***
Capitolo 30: *** Pozione del riposo: ingrediente da incubo ***



Capitolo 1
*** Mezzanotte: Buon compleanno Avis! (R) ***


Ero lì da circa venti minuti – per colpa delle mie amiche che mi ci avevano trascinato – e già non ne potevo più. L’odore di alcool e fumo mi stavano penetrando le narici facendomi venire il voltastomaco e la musica assordante mi stava trapanando le orecchie. Avevo un forte mal di testa e avevo un dannato bisogno di prendere una boccata d’aria. Non si respirava in quella discoteca di merda! Le mie migliori amiche erano riuscite a trascinarmi in quel dannato posto solamente perché si erano giocate la carta del “mio compleanno”, dato che a mezzanotte avrei compiuto diciassette anni.
Le mie amiche erano tutte in pista a ballare mentre io era seduta al bancone e fissavo annoiata il mio bicchierino di vodka ancora pieno – che tra l’altro non avevo intenzione di bere – e pensavo a quanto sarebbe stato bello tornare a casa a dormire nel mio dolce lettino, invece che stare in quel postaccio.
«N…evi?» il barista ammiccò un sorriso dalla mia parte mentre puliva, con uno strofinaccio, un bicchiere di vetro.
Alzai un sopracciglio, «Come scusa?» chiesi confusa perché non avevo capito la sua domanda. La musica assordante mi faceva capire la metà delle parole che la gente mi diceva. Capivo si o no due sillabe in croce.
«Ho detto: Non bevi?» il barista mi rifece la domanda e questa volta capii. Scossi la testa, «No» risposi annoiata mentre fissavo il liquido trasparente e i cubetti di ghiaccio sciogliersi nel bicchiere. Mi alzai con svogliatezza dal bancone e facendomi spazio fra le persone cercai di uscire da quel inferno. La gente mi tirava gomitate, ginocchiate e spintonavano come se non ci fosse un domani. Avrei tanto voluto fulminarli tutti, ma ahimé non avevo superpoteri né tanto meno poteri magici. Arrivai davanti la mia via di fuga con le braccia indolenzite e le gambe a pezzi, ovviamente per via delle botte ricevute da quel ammasso di asini.
Appena uscii dalla discoteca una folata di aria gelida si infranse contro il mio corpo, facendomi rabbrividire dal freddo e scompigliare i capelli biondo fragola.
Mi guardai in giro; non c’era anima viva nel retro della discoteca, a parte io e una strana sagoma poco lontana da me e immersa nella nebbia. Rabbrividii e un senso di angoscia e paura mi invase. Perché se ne stava fermo lì immobile a fissarmi? Cosa voleva?
Feci un profondo respiro per calmarmi e una nuvoletta di vapore mi si formò davanti al viso. Sarà sicuramente frutto della mia immaginazione, d'altronde la musica assordante che si trovava in quella discoteca mi aveva scombussolato il cervello. Avevo le orecchie che fischiavo e quell’incessante mal di testa che continuava a martellare nella mia scatola cranica peggio di picchiarello.
Cercai di scrollarmi di dosso quella sensazione di angoscia che mi pesava sulle spalle poi estrassi il cellulare dalla mia borsa rosa confetto e scrissi un messaggio alla velocità della luce alle mie amiche.
A: Mostriciattole
- Ragazze vado a casa perché mi sto annoiando. Ci vediamo domani. Baci A.
Rimisi il cellulare in borsa poi lanciai un’ultima occhiata veloce verso il tizio nell’ombra ed infine iniziai ad incamminarmi a passo svelto verso la parte opposta alla sua.
Continuai a camminare velocemente mentre mi guardavo in giro spaurita. La strada era buia e quei pochi lampioni che c’erano, emettevano un leggero pallore giallastro che illuminava parzialmente la strada. Mi fermai un secondo per riprendere fiato perché senza rendermene conto avevo iniziato quasi a correre per tornare a casa, ero come terrorizzata da qualcosa o meglio qualcuno, e in quel momento percepii la presenza di un’altra persona alle mie spalle. Mi girai con il cuore in gola ma non vidi nessuno, però riuscii a percepire che quella persona mi stava seguendo. Mi sembrava di essere in uno di quei film horror in cui la prima ad apparire crepava sempre, ma magari io non ero la sua prima vittima e forse aveva già ucciso qualcun altro quindi io potevo ancora salvarmi. Dio, ma cosa andavo a pensare! Meglio tornare a casa e anche il più in fretta possibile.
Ricominciai a camminare, anzi a correre, anche se non riuscivo quasi nemmeno a vedermi i piedi dalla tanta nebbia che in quel momento stava circondando la città, ma soprattutto quella via. Sentivo che ad ogni mio passo, lui si avvicinava sempre di più e il mio cuore prese a pompare sempre più velocemente e il mio respiro farsi sempre più affannoso. Corsi nell'oscurità, senza vedere dove mettevo i piedi e con le lacrime a bagnarmi gli occhi. Affannata, sudata e con la vista appannata dalla lacrime mi fermai per riprendere nuovamente fiato, purtroppo non feci in tempo a ripartire che una mano enorme mi afferrò con forza il polso. Gridai dalla paura mentre cercavo di liberarmi dalla sua presa. Mi girai verso quella persona, ma non vidi altro che una sagoma scura immersa nella nebbia.
«Chi sei?» gridai spaventata mentre cercavo di divincolarmi dalla sua presa ferrea che sembrava starmi segando il polso. Lui strinse ancora più fortemente il mio polso nella sua grande mano facendomi gridare dal dolore. Sembrava volesse spezzarmelo in due con la sola forza delle mano. Sentivo le lacrime calde bagnarmi le guance arrossate e umide. Non riuscivo a smettere di piangere. E non sapevo come e cosa fare per salvarmi. Non volevo morire poche ore prima del mio diciassettesimo compleanno. No, non volevo morire in generale. Ero ancora troppo giovane per andare incontro alla morte. Che cosa avevo fatto di male per meritarmi questo?
All’improvviso nella penombra vidi scintillare qualcosa nella mano destra dell’uomo. Mi asciugai, con la manica del cappotto, i residui delle lacrime ancora incastrate nelle ciglia poi assotigliai gli occhi per mettere bene a fuoco l’immagine che mi si trovava davanti e capii che quello che teneva nella mano non era altro che un pugnale. L’uomo strinse fortemente il pugnale nella sua mano e velocemente lo mosse verso il mio petto. Gridai terrorizzata  e con tutto il fiato che avevo in gola. Non volevo morire, no.
Mancavano pochi centimetri e mi avrebbe colpita, quando sentii un rumore di uno sparo nell’aria. Le orecchie iniziarono a rimbombarmi e il mio corpo tremare dalla paura di essere stata colpita. Strinsi fortemente gli occhi poi con uno strattone abbastanza forte riuscii a liberarmi dalla presa del mio assalitore. Quando riaprii gli occhi vidi che all'altezza della spalla del mio assalitore c'era il proiettile, completamene circondato da una chiazza di sangue scarlatto.
«Corri» gridò una voce maschile alle spalle del mio assalitore. Non me lo feci ripetere due volte ed iniziai a correre, senza però una meta precisa. E come succedeva nei film horror anche io fui salvata da qualcuno (perché ovviamente non era stata io la prima vittima; non so perché ma mi sentivo sollevata da questa cosa), magari da un affascinante ragazzo in motocicletta che alla fine della fiera muore per salvarmi nuovamente. Speriamo di no!
Correvo velocemente, correre più veloce che potevo e senza mai guardarmi indietro. Sentivo i muscoli delle gambe bruciare, i piedi pulsare di dolore dentro a quei tacchi alti, il respiro farsi sempre più affannoso e irregolare e il cuore pompare all’impazzata nel mio petto come se da un momento all’altro sarebbe scoppiato.
In pochi minuti una moto rosso fiammeggiante mi raggiunse e mi si piazzò davanti, lasciandomi senza via di fuga.
«Forza, sali!» gridò quello che doveva essere il mio salvatore. Un po’ titubante salii sulla moto poi strinsi le braccia intorno al suo petto, ricoperto solamente da una leggera maglietta scura ed infine partimmo. So che avevo fatto un’enorme cazzata a salire sulla moto di quello sconosciuto, ma che altro avrei potuto fare? E se non mi avesse lasciata andare se prima non fossi andata con lui? Poi tra l’altro avevo anche predetto che il mio salvatore aveva la moto, quindi forse potevo fidarmi?
L'aria fresca mi scompigliava i capelli e mi penetrava attraverso il mio vestito facendomi rabbrividire dal freddo. La nebbia era fitta, quasi tangibile e avvolgeva le case del paese rendendole quasi invisibili alla vista, ma il mio salvatore sembrava sapesse esattamente dove andare.
Arrivammo davanti ad un edificio abbandonato. La nebbia ci aveva abbandonati, ma il freddo no, quello c’era. Scesi dalla moto e i miei boccoli color biondo fragola si adagiarono in modo scomposto sulle mie spalle. Sospirai rumorosamente e una nuvoletta di vapore mi si formò davanti alla bocca.
Infine anche il mio salvatore scese dalla moto e si tolse il casco, mostrandomi due sottili occhi verdi accesi dallo sguardo giudicatorio e una folta e spettinata chioma bruna.
«Grazie» mormorai timidamente mentre mi guardavo in giro in cerca di qualche indizio, anche uno piccolissimo per poter capire dove ci trovavamo. Ma non trovai nulla che potesse aiutarmi. Dove diamine ci trovavamo? E se questo era stato tutto un piano per uccidermi? Magari lui e quel tipo lavoravano insieme ed io c’ero cascata come una pera cotta, però nei film horror gli unici che complottavano con gli assassini erano i poliziotti e lui non sembrava esserlo, anche perché non indossava nessuna divisa, ma forse l’aveva lasciata a casa per fregarmi. Mi passai le mani tra i capelli nervosa poi feci un profondo respiro per calmarmi, sentendo l’aria gelida di ottobre entrarmi nei polmoni.
Dopo essermi calmata vidi il ragazzo incominciare ad avvicinarsi a me con passi lunghi e decisi, la bocca in una linea dritta, senza alcuna traccia di un sorriso e gli occhi seri che mi fissavano con un’espressione dura. «Stammi lontano!» strillai terrorizzata, puntando le mani in avanti per tenermelo lontano e indietreggiando di qualche passo. Cazzo, era un fottuto poliziotto! Lavorava sicuramente per quell’assassino ed io ci ero pure cascata! Che cretina!
Il ragazzo emise una risata divertita mentre scuoteva la testa poi senza darmi tempo di reagire, fece uno scatto in avanti e lo vidi sparire dietro alle mie spalle per poi sentire le sue mani affermarmi saldatamene i fianchi e stringermi contro il suo petto caldo. Mi sentii immediatamente accaldata e le guance si imporporarono facendo sembrare il mio viso un enorme peperone.
«Tranquilla, non voglio farti del male» mi sussurrò con voce calda all’orecchio, provocandomi brividi lungo tutta la spina dorsale.
«Allora staccati da me» mormorai con voce flebile e tremolante. Lo sentii ridacchiare vicino al mio viso poi staccò le sue mani dai miei fianchi e mi lasciò andare. Emisi un sospiro di sollievo, forse avevo scampato la morte, ma dovevo stare in allerta perchè non si sa mai a quale gioco giocano gli assassini.
«Grazie. Ora se vuoi scusarmi, devo cercare un modo per tornare a casa» dissi con tono freddo e distaccato poi imboccai un sentiero sterrato che andava ad immergersi in un bosco dall’aria tetra e spaventosa. Sentii il ragazzo alle mie spalle sbuffare seccamente poi borbottare qualcosa che non riuscii a capire né tanto meno a percepire.
Di colpo si sentirono i rintocchi delle campane echeggiare nel bosco. I rintocchi delle campane della chiesa di Saint Marie segnarono la mezzanotte. Esattamente dodici rintocchi forti e acuti. Era ufficialmente il mio diciassettesimo compleanno e non sapevo nemmeno se sarei sopravvissuta a quella notte.
Improvvisamente sentii una fortissima e dolorosa scossa percorrermi tutta la spina dorsale quasi come se fossi stata centrata in pieno da un dannato fulmine o magari il tizio alle mie spalle mi aveva scagliato contro un coltello o sparato, però non avevo sentito nessuno sparo quindi la prima opzione era quella più sensata. Riuscii a stento a trattenere un urlo. Sentivo che le forze lentamente mi stavano abbandonando come prosciugate da qualcosa. Le gambe cedettero ed io mi accasciai al suolo, ritrovandomi con una guancia fredda e arrossata a contatto con il terreno umido del bosco. Sarei morta in quel dannato bosco proprio il giorno del mio diciassettesimo compleanno. Che fine di merda!
L'ultima cosa che sentii prima di svenire fu il ragazzo dagli occhi color smeraldo che mi chiamava allarmato e i suoi passi pesanti correre verso la mia direzione poi venni avvolta dal buio e non percepii più nulla, nemmeno il mio corpo.

 

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Capitolo 2
*** Buon risveglio guardiana della Terra (R) ***


Sollevai con un battito le folte ciglia. Mi sforzai di mettere a fuoco la stanza che mi circondava, ma fasce di luci bianche e accecanti mi costrinsero a richiudere gli occhi. Se quel ragazzo mi avesse portato nel suo covo e mi avesse incatenata a qualcosa?
Anche tenendo gli occhi chiusi riuscii a percepire che c’era qualcuno in quella stanza perché l’aria intorno a me si mosse velocemente. Oddio, aveva capito che mi ero svegliata! Forza Avis fingi di dormire, magari ti lascerà in pace.
«Buon compleanno bella addormentata!» sentii sussurrarmi quelle parole cariche di divertimento nell’orecchio da quello che doveva essere il ragazzo che mi aveva salvata.
Provai nuovamente ad aprire gli occhi e questa volta ci riuscii. Misi a fuoco la stanza intorno a me e capii che ci trovavamo in un magazzino abbandonato perché c’erano scatole vuote ovunque e la stanza era ricoperta di polvere. Ed io mi trovavo sdraiata sul pavimento sporco e impolverato di quel magazzino e per fortuna senza catene ai polsi e tanto meno alle caviglie.
Sbattei un paio di volte le folte ciglia poi posai il mio sguardo spaurito sul ragazzo dagli occhi verdi che mi guardò divertito.
«Come ti chiami?» domandai con voce impastata, cercando poi di alzarmi ma la testa iniziò a girare e ogni minimo movimento mi procurava un forte senso di nausea che mi costringeva a fermarmi e tornare sdraiata su quel sudicio pavimento impolverato.
«Derek. E tu devi essere Avis» rispose lui incrociando le braccia al petto e guardandomi con uno sguardo duro e freddo.
Derek aveva corti e fitti capelli castani scuro in quel momento in un disordine dannatamente sexy, piccoli occhi di un verde smeraldo dallo sguardo freddo e distaccato, il viso squadrato dalla pelle abbronzata e dal mento pronunciato e un naso aquilino con una cicatrice orizzontale a dividerlo in due.
Annuii lentamente, incapace di fare altre mosse senza sentire i conati di vomito salirmi sino alla gola, «Come fai a sapere che è il mio compleanno?» domandai con un filo di voce. Provai ad alzarmi, ma invano. Allora cercai ad alzarmi sui gomiti. Nausea, di nuovo. Mi portai una mano agli occhi, aspettando che quella fastidiosa sensazione se ne andasse. Non mi ero mai sentita così stanca e senza forze, nemmeno dopo essermi ubriacata con le mie migliore amiche al mio sedicesimo compleanno, dopo che fummo sgattaiolate fuori da casa mia e andate ad una festa super esclusiva in locale fighissimo (non fraintendetemi odio le discoteche, ma questo locale non era minimamente paragonabile a quello schifo).
«Il libro delle Lune narra che diciassette anni dopo la morte di ogni Guardiano della Notte, quest’ultimi verranno reincarnati nel corpo di cinque ragazzi che compieranno diciassette anni nel giorno di Halloween. I cinque ragazzi che verranno prescelti per la reincarnazione si ritroveranno con un marchio a forma di Luna Crescente sul dorso della mano destra nel giorno del loro compleanno e saranno i discendenti delle cinque famiglie di Guardiani stessi. Beh, come dire, sulla tua mano è apparso il marchio quindi tu sei una di loro» spiegò Derek sedendosi a terra, più precisamente vicino al mio fianco destro.
Scoppiai a ridere come una pazza anche se con una certa fatica perché mi faceva male il petto, «Oddio. Fantastico. Tu davvero pensi che io creda ad una cosa del genere?» domandai fra una risata e l’altra. Quello era pazzo, un fottuto pazzo!
Lui alzò un sopracciglio e mi fissò con espressione irritata «Sì, stupida ragazzina. Guarda la tua mano» esclamò seccato, afferrandomi il polso destro per poi mostrarmi la mia mano munita effettivamente di un marchio.
«E’ impossibile» esclamai strabuzzando gli occhi mentre sfioravo il dorso della mano con i polpastrelli. Sfiorai il marchio nero e sotto al mio tocco, sentii un leggero solco scavato nella mia pelle. Il marchio era ancora caldo e bruciava un po’, come se fossi stata marchiata con un ferro arroventato.
«Che diamine significa tutto questo? Cos’è? E’ un nuovo tipo di modo per marchiare le vostre vittime?» domandai sconvolta portandomi una mano davanti alla bocca, «Che cosa mi hai fatto?» gridai con le lacrime che mi rigavano il viso.
«Io non ti ho fatto nulla. Tu sei ed eri la prescelta per la reincarnazione della guardiana della Terra» mi rispose lui con nonchalance, «Beh, ora tu sei la guardiana della Terra» precisò Derek mentre rovistava in un zaino nero. Ne tirò fuori un dossier e me lo lanciò sulla pancia.
Mi misi seduta, cercando di non muovermi troppo velocemente e provocarmi un altro conato di vomito, poi afferrai il dossier ed infine lo aprii. Una lacrime cadde sulla prima pagina rovinando la carta ma poco mi importava.
Sgranai gli occhi quando vidi quello che si trovava al suo interno: fogli su fogli che parlavano di me. Dal mio certificato di nascita alle mie visite dal dottor Harrison. Persino le lettere che la scuola aveva scritto per le mie continue ‘assenze’ dovute al fatto che stavo tutto il giorno nella serra o sdraiata sotto ad un albero dietro all’edificio scolastico invece di seguire le lezioni.
 

COMUNE DI SAINT MARIE
___________
 
UFFICIO DELLO STATO CIVILE
________________
 
CERTIFICATO DI NASCITA
_______________
 
L’ufficio dello stato civile certifica
che: Avis Laura Darkwood
è nat a in questo comune il giorno:  Trentuno
del mese di: Ottobre
dell’ anno mille novecentonovantotto – 1998 –
da Christina
e da Oliver Darkwood
 
L’ufficiale dello Stato Civile
L’UFFICIALE DELLO STATO CIVILE
Thomas Johnson

 
«Cosa significa tutto questo?» strillai sconvolta, lanciando furiosa i fogli in aria. Una breve folata di vento li trascinò lontano da noi e mi penetrò sotto al vestito, facendomi rabbrividire dal freddo. Avevo il cuore che batteva a mille nel petto e il sangue che mi ribolliva nelle vene. Avrei tanto voluto tirargli un pugno in faccia. Chi era e cosa diamine voleva da me?
La mia mente era un turbine di emozioni: rabbia, confusione e sgomento. Tutte queste emozioni mi travolsero in pieno, tanto che mi sentii mancare per qualche istante sebbene stessi cercando di restare calma e non farmi sopraffare dai sentimenti.
«Sono stato incaricato di cercare la ragazza che sarebbe diventata la guardiana della Terra e mi hanno devo che si trovava in questo paese. Beh è stato facile trovarti. Sei l’unica ragazza di Saint Marie ad essere nata il giorno di Halloween e per di più, esattamente diciassette anni fa. Saint Marie è davvero un piccolo paesino, non è stato così difficile trovarti e non lo è stato nemmeno per i cacciatori, a quanto vedo» Derek si grattò scocciato il mento, dove stava crescendo una leggera barba castana. Okay, non sapevo se credergli o no, ma quel marchio che avevo sulla mano era così strano e il suo racconto sembrava coincidere con tutta quella storia da pazzi.
«Quindi quel tizio a cui hai sparato e che mi stava aggredendo era un cacciatore?» domandai strabuzzando gli occhi e deglutendo rumorosamente. Derek annuì serio «E non sarà il solo a cercarti. Ora sei ufficialmente la guardiana della Terra e loro vogliono ucciderti per poter prendere il tuo potere» spiegò lui poi emise un sospiro seccato.
«Se sapevo che erano già sulle tue tracce sarei venuto prima e ti avrei portata al sicuro» mormorò Derek a denti stretti, passandosi nervosamente una mano tra i capelli castani.
«Io non vado da nessuna parte. Tu mi devi portare dalla mia famiglia, ORA» esclamai irritata e incrociando le braccia sotto al mio seno prosperoso che venne messo in evidenza sotto a quella sottile stoffa che lo ricopriva.
Derek, con la sua espressione accigliata, mi prese per un braccio e mi alzò da terra. Quando diamine si era alzato lui? E perché mi stava tirando su come un sacco di patate? Lo sapevo non voleva lasciarmi andare, lavorava sicuramente con l’altro assassino e quello era tutto un piano per confondermi.
«Va bene. Ma sappi che io ti terrò d’occhio, non posso permettermi che tu venga uccisa» ribatté serio lui poi mi fece segno di seguirlo fuori dal magazzino. Emisi un sospiro di sollievo mentre cercavo di calmare il battito accelerato del mio cuore.  Aveva detto che mi avrebbe tenuta d’occhio (cosa che mi fece accapponare la pelle) però intanto me ne sarei potuta tornare a casa dalla mia famiglia.
Fuori il cielo era ancora scuro e la luna ancora alta nel cielo. Un velo di nebbia rendeva la vista meno precisa, ma questo non mi fermò dal voler ritornare a casa. Se la luna era ancora alta nel cielo quante ore erano passate dal mio svenimento? Una?Due?
Derek era scomparso quindi non avrei potuto chiederglielo. Ero rimasta da sola davanti a quel magazzino abbandonato in attesa del suo ritorno. Una nuvoletta di vapore mi si formò davanti alla bocca. Tremavo come una foglia mossa dal vento e i denti battevano fra loro come delle nacchere. Dove diamine si era cacciato quel ragazzo? Mi aveva abbandonata in quel posto?
Di colpo sentii il rumore rombante di una moto nell’aria che mi fece sospirare nuovamente di sollievo. Quando girai il capo verso sinistra vidi Derek uscire da dietro il magazzino con la sua moto rossa fiammeggiante. Okay, ero ancora salva.
«Forza, sali» mi ordinò Derek con un tono duro. Non me lo feci ripetere due volte anche perché non vedevo l’ora di tornare a casa. Salii con un po’ di fatica sulla moto (le forze non mi erano tornate del tutto) poi mi arpionai a lui, stringendo la braccia intorno al suo petto e aggrappandomi alla sua maglietta, non perché lo trovassi attraente o altro ma perché non volevo di certo morire sfracellata sull’asfalto. Poi Derek partì senza preavviso, facendomi emettere un gridolino di sorpresa che lo fece divertire assai dato che rideva animatamente poi sgommò sul terreno e corse ad un velocità assurda.
«Derek va’ più piano. Non voglio morire» gridai terrorizzata poi mi aggrappai con più forza al suo petto per non volare giù dalla moto. Lo sentii ridacchiare poi pochi attimi dopo la moto cominciò ad andare ad una velocità normale.
Dopo venti minuti di corsa, arrivammo davanti al condomino in cui abitavo. Era un edificio alto, grigio e faceva quasi venire i brividi da quanto era tetro quel posto. Mia madre mi aveva raccontato che prima della ricostruzione era stato un manicomio e che ogni tanto si sentivano dei rumori strani provenire dal piano off limits, cioè l’ultimo e unico piano che non avevano ricostruito. Il motivo del fatto che l’ultimo piano non fosse stato ricostruito non lo conosceva nessuno e nessuno faceva domande. Di sicuro io non ci mettevo becco nella faccenda “ex manicomio, aiuto fantasmi nel piano off limits”, anche perché n’ero terrorizzata.
Scesi dalla moto poi mi tolsi il casco e lo consegnai svelta a Derek. Mi pettinai i capelli boccolosi con le dita poi rimisi al suo posto il vestito che si era alzato vistosamente durante la corsa ed infine feci un piccolo e gelido sorriso a Derek che ricambiò con un’occhiataccia di fuoco che mi fece rizzare i peli delle braccia. Forse era meglio andare.
«Grazie, ciao e a mai più rivederci» dissi gentilmente la prima parte poi marcai acidamente l’ultima frase. Senza aspettare una sua risposta, presi a correre verso il condominio, lasciandomi alle spalle Derek. Pochi attimi prima di entrare nel condominio sentii il rombo della moto del ragazzo poi lo sgommare delle ruote sull’asfalto. Se n’era finalmente andato.

 

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Capitolo 3
*** Mia sorella Amanda (R) ***


Entrai nell’edificio, una struttura dalle pareti biancastre, composta da sedici appartamenti suddivisi in quattro piani. Ovviamente io abitavo all’ultimo piano. Con passo svelto mi avvicinai all’ascensore e ci entrai dentro. Pigiai il tasto numero ‘4’ e aspettai che le porte dell’ascensore si chiudessero per poi appoggiarmi contro la parete di metallo. Feci un profondo respiro poi mi passai le mani fra i capelli e li strattonai per controllare se era successo davvero o se mi ero solamente immaginata tutto. No, era successo davvero. Quell’uomo aveva davvero cercato di uccidermi, perché secondo loro ero la guardiana della Terra. Persino secondo Derek ero la guardiana e poi quel marchio che mi era apparso sulla mano, cosa stava a significare? E come avrei fatto a nasconderlo ai miei genitori? Perché una cosa così strana era proprio dovuta capitare ad una ragazza come me? Che cosa avevo fatto di male?
Arrivai al mio piano e le porte metalliche dell’ascensore si aprirono, emettendo suoni metallici. Pregai di non aver svegliato nessuno, ma non me l’ero proprio sentita di usare le scale, mi sentivo così stanca che mi sarei potuta persino addormentare sui gradini.
Appartamento 15. Presi la chiave da sotto lo zerbino che dava il benvenuto con una faccina gialla sorridente e poi aprii la porta di casa.
Entrai nell’appartamento, appoggiai la borsa sul mobiletto vicino alla porta, sulla sinistra e poi mi guardai in giro. Tutto era avvolto nel buio. Beh d'altronde era mezzanotte passata e i miei genitori dormivano già.
Mi tolsi i tacchi e poi mi diressi verso la mia camera, che si trovava nella parete di destra. Lentamente camminai nel buio, ma ovviamente con la mia fortuna andai a sbattere contro il divano. Emisi un verso sommesso poi istintivamente mi portai una mano sulla bocca per zittirmi. Qualcuno lassù doveva proprio odiarmi se voleva che i miei genitori scoprissero che ero tornata solamente ora. Aspettai qualche secondo per vedere se si era svegliato qualcuno, ma nessuno si mosse. Emisi un sospiro di sollievo; bene, via libera. Iniziai a correre velocemente verso la mia camera, trattenendo il fiato ed emettendo il minor rumore. Entrai svelta nella mia stanza poi chiusi lentamente la porta, pigiai sull’interruttore della luce e la camera dalle pareti color verde limone si illuminò.
Mi accasciai contro la porta della mia camera e ritornai a respirare normalmente. Ero fortunatamente riuscita a scamparla.
Lentamente mi rialzai da terra poi cominciai a svestirmi perché mi sentivo sporca. Lasciai scivolare il mio vestito infondo ai piedi poi lo scalciai lontano da me.
Con una lentezza che faceva invidia ad un bradipo entrai nel bagno e aprii il rubinetto della doccia, spostando la manovella verso l’acqua calda. Avevo proprio bisogno di una doccia per togliermi di dosso l’odore di fumo, alcool e polvere e di estraniarmi dal mondo per qualche minuto. Tolsi anche l’intimo poi entrai nella doccia. Un getto d’acqua fredda mi investì in pieno, facendomi rabbrividire al primo impatto. Girai in fretta e furia la manovella verso quella calda e stetti lì a godermi lo scorrere dell’acqua bollente sulla pelle. Mi isolai per qualche attimo dal resto del mondo. Purtroppo però le immagini di quella sera continuavano ad apparirmi davanti agli occhi e anche se provavo a scacciarle, quelle tornavano ancora più nitide. Sospirai rumorosamente poi mi passai esasperata le mani tra i capelli zuppi d’acqua e scossi la testa cercando di scacciare via le immagini. Strinsi fortemente gli occhi su cui scivolarono delle gocce di acqua calda ma niente, quelle dannate immagini continuavano a tornare e a farmi venire fitte al cuore per le sensazioni di terrore che avevo provato in quelle ore.
Di colpo la luce si spense, lasciandomi nella doccia completamente al buio e con il fiato sospeso per la paura. Chiusi l’acqua ed avvolgendomi in un asciugamano uscii dalla doccia poi zigzagando al buio tornai nella mia camera con i capelli che grondavano d’acqua.
Mi asciugai in fretta e furia poi indossai il mio pigiama: una maglietta bianca con su delle paperelle e dei pantaloncini rosa ed infine presi in mano la lampada che stava sul mio comodino e mi misi davanti alla porta della mia camera pronta a colpire chiunque provasse ad entrare. Probabilmente se l’assassino mi avesse vista vestita in quel modo e con in mano una lampada sarebbe scoppiato a ridermi in faccia per quanto ero patetica.
Di colpo sentii bussare alla mia porta e sobbalzai in aria spaurita, «Avis, posso entrare?» domandò Amanda, la mia sorella maggiore. Emisi un sospiro sollevato poi andai a sedermi sul mio letto però non prima di aver rimesso al suo posto la lampada.
«Certo» bisbigliai tamponandomi con l’asciugamano, che avevo usato per il corpo, i capelli perché avevo la schiena completamente bagnata.
Amanda entrò nella mia camera con indosso il suo pigiama con i maialini abbinato al mio con le paperelle e con i capelli color cioccolato fondente legati in uno chignon disordinato.
«Ehi. Buon compleanno diciassettenne!» esclamò sorridendomi radiosa. Ricambiai il sorriso poi le feci segno di venire sul mio letto. Non se lo fece ripetere due volte. Corse verso di me e mi saltò letteralmente addosso. Emisi un verso strozzato mentre quel orso di mia sorella mi schiacciava sotto al suo peso.
«Come ci si sette ad essere una diciassettenne?» mi chiese dolcemente mentre si sedeva comodamente sopra il mio bacino poi indicò i miei capelli e alzò un sopracciglio. Le mimai un «ho fatto la doccia» poi ridacchiai stranamente allegra, «Normale. E tu come ti senti ad essere una ventiduenne?» domandai, intrecciando le mie dita di entrambe le mani con quelle di Amanda. Amanda a differenza mia era nata il trenta ottobre, ma essendo che il suo compleanno lo aveva festeggiato con i suoi amici non era stata a casa con noi però ogni anno i nostri genitori ci facevano un grande party nel giorno del mio compleanno per poter festeggiare sia il mio che quello di Amanda quindi stavamo tutti insieme per un’intera giornata.
Amanda alzò le spalle, «Vecchia» rispose ridacchiando poi staccò una mano dalla mia per accarezzarmi una guancia, «Come mai se tornata a casa così presto? Pensavo saresti stata fuori a sballarti fino a non reggerti più in piedi» mi chiese premurosa ma con un tono malizioso nella voce.
Scrollai le spalle poi feci spallucce «Non mi divertivo in discoteca, ma le altre hanno voluto lo stesso andarci» spiegai scocciata roteando gli occhi.
Amanda emise un sospiro deluso, «Capisco. Beh ora ci sono qui io» esclamò allegramente poi iniziò a farmi il solletico. Iniziai a ridere come una pazza e a muovermi come un anguilla sotto al tocco e al peso di mia sorella che mi teneva ferma sotto al suo corpo.
«Shh, sennò quei due si incazzeranno» mormorò Amanda poi mi picchiettò un dito sul mio naso divertita dalla situazione. La fulminai con lo sguardo «E chissà di chi è la colpa. Una pazza mi fa il solletico a mezzanotte passata e poi mi dice di fare silenzio» replicai sorridendole furbamente.
Amanda annuì scettica e incrociando le braccia al petto «In realtà è l’una passata. Sai cosa ti dico va bene, ho capito, il regalo che ti ho fatto me lo tengo per me dato che sono una pazza» borbottò lei punzecchiandomi poi si alzò da me, lasciandomi finalmente respirare normalmente.
Io fui svelta e la afferrai per una braccio, invertendo le posizioni. Ora ero io a trovarmi sopra di lei. «Regalo? Quale regalo? Non avevi accennato a nessun regalo. Dov’è?» domandai con voce infantile e curiosa come una bambina di cinque anni che aspettava impaziente il suo regalo di compleanno.
Amanda, sotto di me, scoppiò a ridere facendo vibrare il suo petto «Sì, ti ho fatto un regalo perché ti voglio bene cretinetta» rispose lei continuando a ridacchiare. Le sorrisi affettuosamente poi la strinsi fortemente a me, alzandole di poco la schiena dal letto. Il calore dell’abbraccio di Amanda era la cosa che mi faceva stare meglio, tanto che per un attimo dimenticai quello che mi era successo qualche ora prima. Amanda mi strinse di più a sé premendo le sue mani sulla mia schiena e appoggiando la testa nell’incavo del mio collo. Affondai il viso nell’incavo del suo collo ed inspirai a pieni polmoni il suo profumo. Sentii il profumo dello suo shampoo alla fragola penetrarmi con dolcezza le narici e ciuffi di capelli castani solleticarmi il naso.
«Sei la sorella migliore del mondo. Ora però voglio il regalo» strillai estremamente allegra. Amanda sogghignò divertita, «E’ in camera mia. Vado a prenderlo» ribatté accennandomi un sorriso sghembo. Mi spostai da sopra mia sorella e lei strisciò via dal mio letto, «Arrivo subito» disse poi sparì dietro la porta della mia camera lasciandomi da sola e con il cuore in gola per l’eccitazione. Chissà cosa mi aveva regalato mia sorella.
Dopo cinque minuti, nei quali restai ferma a fissare il soffitto per calmare la mia euforia, Amanda tornò in camera mia con una busta rosa. Saltellai sul letto allegramente, facendo scricchiolare le molle.
«Dammelo. Dammelo» strillai mentre allungavo una mano verso la busta rosa come una bambina che non vedeva l’ora di ricevere il suo gelato. Mia sorella mi guardò scioccata, «Attenta che ti sta scendendo della bava» esclamò compiaciuta. La guardai di sottecchi e Amanda ricambiò lo sguardo, incrociando le braccia sotto al seno quasi inesistente poi scoccò la lingua contro al palato come per gustare al meglio il momento delle mie suppliche.
«Ti prego» la supplicai con labbro inferiore sporto in avanti, muovendo le dita verso la busta e facendole gli occhi da cerbiatto.
Amanda sbuffò stizza, «Ruffiana» borbottò infine poi mi diede ufficialmente la busta rosa contenente il mio regalo.
Saltellai sul letto mentre tiravo fuori il pacchetto con attaccato anche un piccolo fiocco rosa. 
«Buon compleanno pazza» disse dolcemente Amanda sedendosi sul bordo del mio letto in attesa del mio ringraziamento. Le scoccai un bacio sulla guancia poi mi avventai sul pacchetto come una belva che si accaniva sulla sua preda per poterla sbranare. Scartai il pacchetto alla velocità della luce ed infine alzai il coperchio della scatolina. Spalancai gli occhi e la bocca euforica. Al interno della scatolina trovai una meravigliosa collana composta da una pietra verde smerlarlo, contornata da una sottile cornice d'oro.
La presi in mano e sgranai ancor di più gli occhi sempre se era possibile. La collana era meravigliosa, davvero, davvero bellissima. Era proprio il mio genere. Amanda sapeva che adoravo i gioielli, ma soprattutto qualsiasi cosa centrasse con pietre e gemme.
«Amanda è stupenda!» esclamai meravigliata con la bocca che andava a formare una ‘O’.
Amanda mi sorrise dolcemente poi mi aiutò ad indossarla. «Questa collana ti proteggerà sempre, ricordalo. Ora va a dormire che doma- oggi sarà dura» mi scoccò un bacio sulla fronte poi mi strinse a sé con forza, più forza del normale e con fare protettivo ed infine si alzò dal mio letto per poi uscire dalla mia camera.
«Grazie sorellona» sussurrai mentre stringevo al petto il ciondolo della collana e mi lasciavo cadere con la schiena contro al morbido materasso del mio letto.
«Buon compleanno a me» sussurrai tra me e me mentre fissavo malinconicamente e senza un motivo preciso il soffitto bianco della mia stanza.
Chiusi gli occhi poi pensai a mia sorella, al suo dolce sorriso e al suo calore e dopo pochi secondi crollai stanca morta, cullata dalle braccia di Morfeo.

 

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Capitolo 4
*** A scuola pt.1: Un incubo alquanto spaventoso (R) ***


«Io vado» strillai per farmi sentire da mia madre, infilandomi in tasca il cellulare e appoggiando la mano sulla maniglia della porta di casa, pronta per un’altra fantastica giornata da schifo a scuola.
«Comportati bene a scuola» ribatté allegra mia madre mentre sorseggiava un bicchiere di caffè, seduta al tavolo della cucina.
Roteai gli occhi poi annuii, «Okaay, ciao» sventolai una mano per salutarla poi uscii di casa e corsi nell’ascensore.
Quando fui entrata nell’ascensore, mi lasciai scivolare a terra, stanca morta. Era dal giorno del mio compleanno che non dormivo, cioè esattamente da tre giorni. Le immagini di quel uomo che mi aggrediva continuavano a tormentarmi. Lui avvolto nella nebbia, il non riuscire a distinguere il suo viso ed infine il coltello scintillante che avrebbe usato contro di me se non fosse arrivato Derek a salvarmi.
L’ascensore si fermò al piano terra e le porte di ferro si aprirono in un rumore meccanico. Mi alzai da terra con una lentezza da bradipo e con mia grande sfortuna incrociai il mio sguardo nello specchio al suo interno. Il mio aspetto era davvero orribile, sembravo uno zombie appena uscito da The Walking Dead. Nemmeno con tutto il fondotinta e correttore che mi ero spalmata sul viso ero riuscita a coprire quelle vistose occhiaie blu e a dar vita alla mia pelle pallida e spenta. I miei capelli, con cui avevo trafficato per quasi mezz’ora quella mattina, erano un groviglio inestricabile, sembravano un nido di uccelli e di un biondo fragola spento che ricordavano il colore della sabbia del mare. Sembravo davvero uno zombie; mancava solo che mi mettevo ad emettere rantoli di dolore e a mordere le persone che sarei potuta entrare nel cast dell’alba del morti viventi.
Ad aspettarmi davanti al mio condominio, come ogni mattina, c’erano le mie tre migliori amiche: Sabrina, Sarah e Jessica.
Ci eravamo conosciute alle elementari. Sabrina e Jessica le avevo conosciute il primo giorno di scuola perché erano state messe in classe con me e con loro era scattata subito la scintilla, mentre Sarah, l’avevo conosciuta al secondo anno, durante un gita scolastica con entrambe le classi e anche se con un po’ di difficoltà ero riuscita ad avvicinarmi a lei. Sarah era la più timida del gruppo, mentre Sabrina era quella più rumorosa, Jessica la più intelligente ed io ero quella più scansafatiche e protettiva. Dal giorno della gita eravamo diventate inseparabili. Sempre insieme anche se purtroppo in classe distinte.
«Buongiorno mamma orsa» strillò Sabrina sventolando una mano nell’aria. Sarah mi salutò timidamente mentre Jessica senza neanche staccare gli occhi dal suo libro, mi accennò un flebile «ciao».
«Ciao ragazze!» strillai a mia volta, saltando in braccio a Sabrina. Sabrina dall’altro canto mi stritolò tra le sue braccia.
Le mie migliori amiche erano tutte di una bellezza accecante. Jessica aveva i capelli di un biondo cenere chiaro, due sottili occhi azzurri cielo, sempre contornai da un leggero strato di matita, il viso ovale con il mento leggermente a punta, la pelle rosea e le labbra ben delineate e voluminose. Sarah aveva un viso ovale e regolare, dalla pelle color porcellana, messa in risalto dal color cioccolato dei capelli, labbra carnose ricoperte quasi sempre da un lucidalabbra rosa, occhi da cerbiatta dal colore misto tra il marrone ed il verde bottiglia e due folte sopracciglia tenute sempre in un modo impeccabile. Sabrina invece aveva lunghi capelli castano scuro, che sembrano neri messi sotto una certa luce, due occhi a mandorla marroni scuro, il viso leggermente ovale dalla pelle diafana e le labbra voluminose quanto basta dalla tonalità rosea.
«Pronte per ritornare a scuola?» domandò Sabrina estremamente allegra.
«Come mai tutta questa allegria?» chiesi io roteando gli occhi scocciata di dover ritornare a scuola.
«Finalmente potrò rivedere Jeremy» esclamò lei eccitata, saltellando sul posto come un canguro. Sarah ridacchiò divertita mentre Jessica alzò un sopracciglio, «Ma se neanche ti caga!» ribatté aspramente quest’ultima chiudendo il libro e infilandolo in borsa.
Sabrina gonfiò le guance offesa poi strinse i pugni lungo i fianchi, «Cattiva!» strillò sporgendo in fuori il labbro inferiore. Alzai gli occhi al cielo , mi facevano già esasperare di prima mattina. «Andiamo che è meglio» dissi sbuffando mentre affiancavo Sarah e Jessica. Sabrina, davanti a noi, invece camminava spedita verso la scuola borbottando qualche insulto a Jessica.
 
«Non sono passate neanche due ore e tu, tu stupida di una Avis, ti sei fatta sbattere fuori dalla classe» sbraitò Jessica sedendosi al mio fianco, appoggiando la schiena contro gli armadietti malconci della nostra scuola e sospirando. Quella che dovrebbe sospirare sarei io, non lei.
Non fraintendete le parole di Jessica. Io ero davvero brava a scuola, studiavo, prendevo ottimi voti in tutte le materie, solo che odiavo stare in classe. Gli insegnanti erano tutti dei bastardi che cercavano sempre di beccarmi quando non ero attenta con delle domande difficili, ma purtroppo per loro ero sempre riuscita a rispondere giustamente ai loro quesiti. Odiavo quando gli insegnanti mi facevano quelle domande perché non frattempo facevano battutine che facevano sghignazzare la classe e incavolare me. Tutti gli occhi sempre puntati su di me con i loro ghigni stampi sul volto, neanche fossi il giullare di corte e le loro i principi e le principesse della scuola. Odiavo stare in classe. Odiavo i loro sguardi di superiorità; quando poi metà della classe non sapeva nemmeno rispondere ad una domanda senza sbagliare o fare figure di merda.
Sbuffai seccata, «Mi stavo annoiando e poi tu non dovresti essere in classe? Che ci fai qui?» domandai a voce bassa, grattandomi una guancia che stava iniziando a prudermi.
Jessica sospirò esasperata «Sono uscita a controllarti e ora, con tuo grande piacere, torno in classe» rispose lei, alzandosi da terra e spolverandosi i pantaloni.
«A dopo, stupida di una Avis» Jessica mi salutò con un sorriso spaventoso, quello che stava a significare: “Dopo facciamo i conti”, poi corse spedita verso l’aula di scienze, lasciandomi di nuovo solo nel corridoio.
Sospirai rumorosamente poi appoggiai la testa contro gli armadietti verde mela e chiusi lentamente gli occhi per potermi riposare un attimo. Volevo tornare a casa a dormire, non stare in quel posto di merda.
Quando riaprii gli occhi, non mi trovavo più a scuola, ma davanti alla porta di casa mia.
«Mamma? Papà?» domandai aprendo la porta di casa, stranamente aperta e con i battito del cuore accelerati per l’ansia di trovare qualcosa di orribile oltre la soglia.
«C’è qualcuno?» chiesi ancora con voce flebile mentre cercavo a tentoni con una mano l’interruttore della luce. Quando tirai in su l’interruttore, non mi sarei mai aspettata di trovarmi davanti ad uno scenario così spaventoso, raccapricciante e dannatamente orribile. Quando vidi i cadaveri dei miei genitori in due pozze del loro stesso sangue riuscii a stento a trattenere un urlo, con il cuore che galoppava impazzito nel petto e una lacrima solitaria a bagnarmi una guancia. L’odore metallico del loro sangue aleggiava nell’aria facendomi venire la nausea. Mio padre con la schiena contro il divano, la maglia interamente coperta di sangue e con lo sguardo perso nel vuoto e la bocca semi aperta come se prima di morire avesse provato a dire qualcosa al suo aguzzino. Mentre mia madre era accasciata con la pancia sul pavimento a qualche centimetro di distanza dalla porta della loro camera da letto. Il vestito era ricoperto di sangue e pieno di squarci sulla schiena come se il suo aguzzino si fosse divertito a trafiggerla e farle del male. La pelle era piena di lacerazioni e del sangue le macchiava anche quel bel viso che di solito era sempre sorridente mentre ora era vitreo e senza espressione. Mia madre aveva lasciato una scia di sangue alle sue spalle come se si fosse strascinata fin alla sua camera da letto per provare a mettersi in salvo, senza purtroppo riuscirci. Strinsi gli occhi per non vedere più quello ceneraio orribile e doloroso che mi stava spezzando in due il cuore, ma le immagini apparvero anche nella mia mente facendomi emettere un gemito strozzato di dolore. Le lacrime iniziarono a scendere copiose dai miei occhi, rigandomi le guance arrossate e facendomi singhiozzare come una bambina. Dopo aver preso una boccata d’aria gridai, gridai con tutto il fiato che avevo in corpo per poi lasciarmi cadere sulle ginocchia sconvolta e con il cuore a pezzi. Gridai ancora e ancora, fin quando non mi ritrovai senza fiato, debole e con il corpo scosso da forti singhiozzi. Non potevano essere morti! Era tutto un sogno! No. Non potevo accettarlo!
Poi aprii di scatto gli occhi e mi ritrovai di nuovo nella mia scuola, gli occhi bagnati dalle lacrime e tutte e tre le mie amiche che mi guardavano con delle espressioni preoccupate e sconvolte. Sentii un tonfo al cuore poi mandai giù il groppo che avevo in gola poi abbassai lo sguardo imbarazzata. Per fortuna era stato solamente un fottuto sogno.
«Avis, ti senti bene?» domandò con tono allarmato Sarah appoggiando una mano calda sulla mia spalla, dopo essersi accovacciata per arrivare al mio livello.
Annuii incerta. Perché continuavano ad accadermi cose strane? Cos’avevo fatto di male?
Mi strofinai il dorso di una mano sugli occhi per togliere le lacrime che erano rimaste incastrate nelle ciglia poi mi asciugai le guance arrossate e umide ed infine emisi un sospiro nervoso.
«Cos’è successo? Ti abbiamo sentito urlare da dentro la classe» domandò Sabrina accucciandosi al mio fianco e appoggiando la testa sulla mia spalla.
«Un incubo» risposi con voce flebile.
Alzai gli occhi dal pavimento grigiastro della scuola e mi ritrovai davanti, a non solo, gli occhi delle mie amiche, ma anche degli altri miei compagni di classe che mi guardavano sconvolti e alcuni anche divertiti dalla mia situazione imbarazzante. Prevedevo già lo scoop sul giornalino della scuola: “Avis Darkwood urla come una pazza in corridoio. Che sia stata rifiutata da qualcuno? Chi lo sa.” Probabilmente Helena, il capo del giornalino, scriverebbe qualcosa del genere pur di sputtanarmi, essendo che mi odiava dalla quarta elementare; da quando non l’avevo invitata al mio compleanno nella baita di mia nonna Julis.
«Perché non tornate in classe eh? Qui non c’è nulla da vedere» esclamò seccata Jessica, fulminando con lo sguardo tutti i presenti. Spaventati se ne tornarono in classe, ma non prima di avermi lanciato delle altre occhiate che ricambiai con una smorfia furibonda e un’occhiataccia di fuoco che li fece pentire di avermi guardata ancora.
La ringraziai dolcemente poi con l’aiuto di Sabrina mi tirai su. Mi spolverai i pantaloni poi con la scusa di essere ancora scossa, me la svignai da lì ed infine mi nascosi nell’infermeria per almeno una mezz’oretta, sperando di riuscire a dormire un po’.
Rosie, l’infermiera, mi diede l’okay per potermi riposare poi mi disse che avrebbe avvisato lei gli insegnanti, cosa che mi tranquillizzò parecchio. Non volevo beccarmi la solita ramanzina sul fatto che ero un’irresponsabile e che quelle erano tutte scuse per saltare le lezioni, cosa che in parte era vera, quindi fu un sollievo sapere che sarebbe stata lei ad avvisarli e non io. La ringraziai vivamente poi finalmente venni avvolta dalle braccia di Morfeo, senza incubi a tormentarmi il sonno.
Sbattei un paio di volte le ciglia poi svogliatamente, mi alzai dal lettino bianco dell’infermeria poi decisi di svignarmela da lì. Sbadigliai rumorosamente mentre mi dirigevo verso la porta poi stiracchiandomi le ossa uscii dall’infermeria con passo svelto.
Di tornare in classe neanche mi passava per la testa. Chi diamine aveva voglia di fare matematica!? Quindi, senza farmi vedere da nessuno decisi di uscire; di andare a cazzeggiare sul retro della scuola dove si trovava il cortile scolastico.
Con passo lento mi diressi verso la quercia, sotto cui mi mettevo sempre a riposare o diciamocela tutta: per saltare le lezioni.
L’odore della terra bagnata mi penetrò con forza le narici poi l'odore stagnante delle foglie morte, che accumulate sul terreno formando quasi un tappeto, si alzavano appena gli passavo accanto. Il vento e l’aria fredda di inizi di novembre mi penetrò fino alle ossa facendomi rabbrividire, ma non mi impedì di continuare il mio cammino. Di certo non sarei tornata in classe.
Aumentai il passo avanzando con velocità verso la quercia; mancavano pochi metri e sarei finalmente arrivata a destinazione.
«Ciao quercia, ci si rivede!» esclamai alzando le braccia in aria e sventolandole a mo’ di saluto quando fui davanti a quell’imponente e maestoso albero.
Strabuzzai gli occhi e spalancai la bocca sconvolta, «Che succede?» chiesi allarmata mentre guardavo incredula le foglie della quercia accartocciarsi e cadere al suolo, creando un impercettibile rumore e, lasciandomi senza parole.

 

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Capitolo 5
*** A scuola pt.2: I poteri da guardiana della Terra (R) ***


La quercia mostrava strane e piccole macchiette sulle nervature maggiori e i giovani rami erano diventati secchi e rovinati. Le macchie si stavano estendono finendo per confluire, fino a ricoprire tutta la superficie delle foglie. Le zone colpite necrotizzavano e si dissecavano, e il lembo fogliare si accartocciava e si lacerava, per poi finire al suolo.
«Oh no» esclamai sconvolta, avvicinandomi all’albero con passi lenti e tremolanti.
Cosa stava succedendo alla quercia? Non aveva mai avuto problemi prima d’ora, quindi perché proprio adesso? Era situata in quella scuola da quasi duecento anni, da quando in quel luogo non c’era altro che un piccolo ospedale per rifugiati. Mi si spezzò il cuore vederla in quello stato. Quella quercia era il simbolo della scuola da sempre e sapere che lentamente stava morendo, soffrendo in silenzio, mi distruggeva.
Appena appoggiai una mano sulla corteccia dell’albero mi sentii folgorare, come se un fulmine mi avesse colpita in pieno e una strana visione si parò dinnanzi a me facendomi provare un dolore martellante alle tempie. Emisi un rantolio di dolore mentre la visione si insinuò nella mia mente. Vidi un uomo e una donna, con indosso delle tuniche marroni e con i visi coperti da dei cappucci, che svuotavano il contenuto color Magenta di una boccetta intorno alla quercia e sussurravano parole in qualche lingua strana; non appena videro le prime foglie ricoprirsi di strane macchie, capirono di aver adempiuto  al loro lavoro quindi scapparono via, lasciandosi indietro l’albero secolare. Nella visione vidi le foglie e i nuovi rami della quercia iniziare a riempirsi di quelle strane macchie per poi accartocciarsi e cadere al suolo in un tonfo silenzioso, proprio come stava succedendo ora.
Staccai sconvolta la mano dalla corteccia dell’albero poi mi fissai il palmo, dove adesso c’era marchiato sulla mia pelle uno strano ricciolo con al centro una linea obliqua.
Che diamine significa? E perché quei due tizi strani avevano avvelenato la quercia? Che cosa guadagnavano da tutto ciò?
Pensa Avis. Pensa. Se Derek aveva detto la verità ed io era la guardiana della Terra, significava che avrei potuto salvare la quercia. Ma come? Cosa potevo fare per salvare la quercia?
Sospirai scuotendo la testa disperata poi mi passai una mano tra i capelli per cercare di calmarmi almeno un po’ e pensare a cosa avrei potuto fare.
Feci un profondo respiro poi chiusi gli occhi e mi concentrai al meglio. Sentii l’energia del Terra scorrermi nelle vene. La sentivo scorrere ovunque, nelle vene, nel sangue, nelle ossa e persino nella mia testa come corrente elettrica che scorreva nei fili della luce. Mi sentivo strana ma al contempo elettrizzata di sapere che possedevo davvero la magia e che scorreva all’interno del mio corpo. Mi sentivo un’altra persona, più forte e magica.
Pensai a qualcosa tipo una sfera magica. Poteva funzionare, no?
Quando aprii gli occhi una piccola sfera verdognola brillava nei miei palmi. Ne sentivo il calore e l’energia che traspariva dalle punte delle mie dita e dai palmi delle mie mani. La guardai attentamente. Era bellissima. Di un verde acceso, con qualche sfumature più scure nella parte in basso, quella verso i palmi delle mie mani e di un giallo pallido verso la parte più in alta. Bene, poteva funzionare. Chiusi nuovamente gli occhi, stringendoli fortemente mentre sentivo le mie forze canalizzarsi tutte nelle mie mani, nella sfera di terra, poi la lasciai scivolare verso il tronco della quercia, sperando che la mia magia andasse a buon fine – anche se ancora non riuscivo a credere di possederla sul serio –.
La sfera venne assorbita dalla quercia che iniziò ad emettere dei leggeri bagliori da ogni foglia colpita da quel veleno che gli era stato dato da quei bastardi.
Il bagliore si fece sempre più luminoso e questo, mi costrinse a chiudere gli occhi.  Dovetti coprirmi persino con un braccio talmente l’intensità della luce diventava più luminosa e accecante. E se qualcuno stesse assistendo alla scena e avvisasse qualcuno? Oppure mi stesse filmando per poi mettere il video su You Tube facendomi diventare un fenomeno da baraccone? Oddio non voglio pensarci. Deglutii rumorosamente, cercando di calmarmi e di non pensare ai commenti che verrebbero scritti sotto al mio possibile video su you tube.
Quando riaprii gli occhi, il bagliore era scomparso e la quercia non dava più segni di malattia. Le foglie si stavano pian piano distendendo e i rami si stavano sgranchendo dalla loro tortura. Sospirai sollevata mentre sorridevo armoniosa all’imponente quercia in fase di guarigione davanti ai miei occhi.
«Avis Darkwood, lei è in guai seri» la voce della vicepreside mi fece sobbalzare dallo spavento e poi congelare sul posto. Oh sì, ero davvero in guai seri.
L’ufficio della preside era sempre ordinato e pulito. Con tutte le volte che ci ero stata ormai avevo imparato che la preside Ferriera teneva in una libreria i fascicoli di ogni ragazzo, messi in ordine di sospensioni o richiami o note. Io, beh io, ero la prima. Venivo richiamata in continuazione, solamente perché saltavo le lezioni, ammettiamolo davvero noiose. La preside Ferriera teneva sempre una pianta, ben curata, sulla sua cattedra e quando era davvero arrabbiata sbatacchiava la targhetta di legno con il suo nome contro la scrivania o sui fogli che aveva a portata di mano.
La vice preside, giovane donna dai capelli rossi e dalle svariate lentiggini, mi guardava di sottecchi con le braccia conserte sotto al quasi inesistente seno. La vice preside voleva incutermi paura con i suoi sguardi accusatori, in realtà non faceva altro che farmi divertire perché provava in ogni modo a rendermi nervosa, ma non ci riusciva mai. L’anziana preside, invece, se ne stava rigida sulla sua poltrona e mi fissava con i suoi piccoli occhietti grigiastri indignati.
«Signorina Darkwood, non riesce proprio a stare lontana dai guai, vero?» si sistemò gli occhiali rotondi sul naso poi si schiarì la voce «Solamente questa mattina è stata mandata fuori dalla classe perché al posto di seguire la lezione ascoltava della musica sul suo lettore musicale» continuò la vecchiaccia. Sorrisi sghemba, «Era una lezione noiosa e la Moore è una scassa palle e si lamenta per ogni cosa» schernii la professoressa, incrociando le gambe su quelle sedia vecchia quanto la preside.
La vice preside sbatté una mano contro la cattedra della vecchiaccia facendola sobbalzare, mentre io non mi mossi di un millimetro, l’unica cosa che feci fu sbattere le ciglia seccata, «Ma come si permette! La signora Moore è una sua insegnante, porti rispetto per le persone più grandi di lei» sbraitò la rossa, facendomi ridacchiare.
La guardai impassibile, «Portare rispetto? Ma se nemmeno lei mi porta rispetto, perché dovrei iniziare io?» domandai alzando un sopracciglio e giocherellando con una ciocca di capelli color fragola. La vice preside sospirò rassegnata, «Lei è un caso perso» concluse tornandosene nel suo ufficio che si trovava al fianco di quello della vecchiaccia.
«Signorina Darkwood, cosa dovrei fare con lei? Ha ottimi voti, ma la sua condotta è assai pessima» mormorò la preside, spulciando il mio fascicolo.
«Nulla. Mi lasci andare. Non do fastidio a nessuno. Studio quanto basta, faccio i test e prendo ottimi voti. Seguire o meno la lezione non mi interessa» borbottai seccata, appoggiando la schiena con svogliatezza contro lo schienale della sedia.
La preside sistemò i fogli dentro al mio fascicolo poi mi guardò attentamente, «Lei alle lezioni deve partecipare, sennò verrà bocciata, con o senza ottimi voti. Quindi è meglio per lei che alle lezioni ci sia perché verrò, sicuramente, a sapere se avrà partecipato o no e in quel momento potrà dire addio al suo diploma» mi avvertì la vecchiaccia accennandomi un sorriso tirato e mostrandomi dei denti giallastri.
Sbuffai scocciata poi mi alzai dalla sedia centenaria. «Ho capito» sussurrai seccata, prendendo il mio zaino nero e facendo qualche passo verso la via della fuga. Dovevo uscire da quel posto prima di spaccare qualcosa. Perché mi obbligavano a seguire ogni lezione? Mi annoiavo a morte a stare in classe e in più con dei trogloditi e delle oche senza cervello come compagni – senza contare le mie migliori amiche –.
«Bene. Ne sono felice. Spero di non rivederla qui per molto tempo signorina Darkwood» proclamò contenta la vecchiaccia, togliendosi gli occhiali e appoggiandoli sulla cattedra per poi intrecciare le mani sopra al mio fascicolo e sorridermi felice.
«Lo spero anche io» bofonchiai seccata poi finalmente uscii da lì, «Vecchiaccia» sussurrai infine demoralizzata non appena fui fuori da quella dannata presidenza.
Alzai gli occhi al cielo poi con passo lento, molto lento, mi diressi verso l’aula di chimica per un entusiasmante lezione con la professoressa – o meglio la scimmia – White.
 
Finalmente quella giornata di merda era finita. Non ne potevo più di ascoltare la voce nasale del professor Kinney. Ora volevo solamente tornare a casa e farmi un bel bagno caldo, ascoltare della musica rilassante e poi strafogarmi di cibo spazzatura.
«Ci vediamo domani» Sarah mi salutò con un bacio sulla guancia poi si diresse verso la macchina del suo fidanzato, cui stava da quasi due anni e mezzo.
Jessica era uscita da scuola un’ora prima perché doveva fare degli esami del sangue e quindi ora ero sola e dovevo aspettare quella pazzoide di Sabrina.
Alzai lo sguardo da terra e incrociai i miei occhi verdi mela con quelli verdi smeraldo di Derek.
Iniziai a correre verso di lui con il cuore che mi martellava in gola e con le guance in tinta con i miei capelli. Quando mi fui fermata dinanzi lui gli diedi un pugno sulla spalla, senza riuscire a muoverlo nemmeno di un millimetro.
«C-che ci fai qui?» balbettai scioccata e diventando rossa come un peperone.
«Dobbiamo parlare» sibilò lui prendendomi per un polso e trascinandomi verso l’uscita della scuola oltre il cancello di ferro.
«Avis, che succede?» domandò gridando Sabrina sulla soglia della porta della scuola.
Girai il capo verso di lei e solo in quel momento mi resi conto che Derek si era fermato e che ora mi stava stringendo la mano. Sobbalzai imbarazzata poi mossi la mano libera verso la mia migliore amica, «Niente. Domani ti spiego» gridai a mia volta, con le gote arrossate.
«Okay, ho capito» persino da qui riuscii a captare il suo tono malizioso e il fatto che sicuramente mi aveva fatto l’occhiolino. Ah, ma che diamine avevi capito? Stupida.
«Andiamo» Derek mi strattonò nuovamente e mi trascinò fino alla sua moto.
«Che succede?» domandai esasperata, alzando gli occhi al cielo, stranamente sereno, e liberandomi dalla presa ferrea di Derek.
«I cacciatori ti hanno marchiata. Hanno usato degli stregoni che stanno dalla loro parte» rispose con voce e tono serio mentre mi riafferrava il polso e stringeva di più la presa, facendomi emettere un verso di dolore.
«Come è stato possibile?» domandai strabuzzando gli occhi poi mi guardai in giro, girando su me stessa come una pazza e liberandomi nuovamente dalla presa del ragazzo.
Come avevano fatto a trovarmi? Centrava qualcosa con la visione che avevo avuto dopo aver toccato la quercia? E il marchio che era apparso sulla mia pelle? Quindi i tizi incappucciati erano degli stregoni al servizio dei cacciatori e avevano usato come esca la quercia per potermi trovare ed io, ovviamente, ci ero cascata come una pera cotta. Complimenti Avis. 1 a 0 per i cacciatori.

 

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Capitolo 6
*** Il marchio dei cacciatori (R) ***


«E’ successo qualcosa di strano durante la tua giornata scolastica?» mi domandò Derek, lanciando occhiatacce ai ragazzi che ci passavano accanto e che lo guardavano con curiosità.
«L-la quercia» balbettai spalancando gli occhi e poi puntandoli sul palmo della mia mano dove c’era quello strano marchio che probabilmente mi era stato inflitto proprio dagli stregoni dalla parte dei cacciatori.
«Cosa?» chiese preoccupato Derek.
«L-la q-quercia stava male» balbettai ancora poi puntai lo sguardo verso la scuola che pian piano si stava svuotando da tutti gli alunni. Pensai di tornare alla quercia con Derek, ma poi mi ricordai che la preside e la vice preside andavano via sempre tardissimo quindi ci avrebbe visti sicuramente e noi non potevamo prenderci il lusso di essere scoperti.
«Non riesco a capire che cazzo centra la quercia con quello che ti ho chiesto. Spiegati, cazzo» sbraitò Derek con tono alterato, passandosi nervosamente una mano fra i capelli.
Sobbalzai sul posto intimorita, cosa che non mi era mai successa con nessuno, ma che con lui sembrava essere una cosa normale, «E-ecco, la quercia stava male, così mi sono avvicinata e quando l’ho toccata mi sono sentita folgorare e poi, è apparso questo marchio sulla mia mano» gli mostrai lo strano marchio che mi si era formato sul palmo della mano. Derek mi afferrò con violenza la mano, la guardò con attenzione poi sbarrò gli occhi, «Quando è successo questo?» domandò con voce incrinata.
«Un paio di ore fa, perché?» risposi a voce bassa poi ritrai la mano dalla sua presa e la infilai nella tasca del cappotto rosa confetto che indossavo.
«Perché quello è un localizzatore. I cacciatori e le streghe dalla loro parte ti potranno trovare ovunque. Dobbiamo sbrigarci a toglierlo» mi spiegò Derek mentre prendeva un casco e me lo passava.
«Sali» sibilò dopo essere salito sulla sua moto fiammeggiante e guardandomi con insistenza. Feci quello che mi aveva ordinato con un po’ di riluttanza e poi partimmo a tutta velocità.
Derek mi aveva portato al magazzino della prima volta, quella in cui mi aveva salvato il culo e raccontato dei guardiani della notte. Ora che c’era luce, si potevano vedere le finestre in frantumi, una miriade di fogli sparsi ovunque e scatoloni in ogni angolo e tanta ma tanta polvere. Quando presi una boccata d’aria sentii la polvere entrarmi nei polmoni facendomi tossire violentemente. Mi strofinai il naso infastidita da tutta quella sporcizia poi guardai di sottecchi Derek che stava al mio fianco e nel frattempo controllava il perimetro con lo sguardo come per essere sicuro che lì non ci fossero intrusi.
«Cosa ci facciamo qui?» domandai spaventata mentre davo un’occhiata in giro. Quel posto non era per nulla rassicurante. E se cadesse in pezzi mentre noi eravamo al suo interno? Derek sarebbe riuscito a salvarci con la sua magia? Io sarei riuscita a metterci in salvo con la magia che mi scorreva nelle vene?
Sentii l’aria al mio fianco muoversi velocemente e dei fogli alzarsi da terra. Quando mi girai da quella parte e vidi Derek, posizionato in un angolo vicino ad una finestra mezza rotta, creare un pentacolo con della strana sabbia nera, lasciai cadere la mia borsa scolastica per terra in un tonfo secco e spalancai la bocca per dire qualcosa, ma non uscii nemmeno un suono. Ero così confusa che non sapevo nemmeno cosa domandagli.
«Entraci dentro» mi strillò contro Derek mentre completava il cerchio che iniziò a brillare di una luce bianca e intensa.
«Perché?» domandai allarmata e con il fiato corto mentre fissavo il pentacolo farsi sempre più luminoso.
«E’ una fottuta barriera. SALTA ORA» sbraitò Derek fulminandomi con lo sguardo. Tremai di paura sentendo il mio corpo irrigidirsi poi con grande sforzo – dato che il mio corpo non voleva sapere di muoversi – saltai nel pentacolo con un unico balzo e sperai di non rimanere folgorata e bruciata viva da quella luce bianca. Una forte luce mi accecò facendomi chiudere istintivamente gli occhi, come quando accendevi lo schermo del tuo cellulare a notte fonda e ti abbagliava facendoti vedere a macchie.  Mi portai un braccio davanti al viso per proteggermi dalla luce e per paura che potesse rendermi cieca. Quando riaprii gli occhi vidi Derek dall’altra parte che mi sorrideva compiaciuto. La barriera biancastra che si era formata intorno a me, distorceva l’immagine al di fuori del pentacolo poi vidi che pian piano iniziò a dissolversi e tutto si fece più nitido.  
«Cos’è successo?» chiesi confusa a Derek che teneva in mano un libro massiccio e dalla copertina di pelle marrone.
«Tranquilla, la barriera c’è. E’ solo scomparsa dalla vista» mi rispose lui, accennando un sorriso divertito.
«Ora concentrati perché dovrai fare una cosa davvero dolorosa per te e per la tua mano» quelle parole mi allarmarono alquanto, tanto che il cuore iniziò a battermi velocemente nella gabbia toracica e il fiato mi spezzò in gola.
«C-cosa?» balbettai spaventata sentendomi la gambe tremolare e molli come un budino.
«Devi toglierti il marchio» ribatté serio Derek, «Vicino ai tuoi piedi c’è un pugnale. Lo devi far diventare incandescente e poi passarlo sul marchio e sussurrare: “il tuo localizzatore è stato spezzo e così anche il tuo effetto su di me” e quei dannati cacciatori non riusciranno più a trovarti o in casi estremi usarti» spiegò digrignando i denti per l’ultima frase detta poi si sedette a terra, esattamente davanti al pentacolo e incrociò le gambe.
Abbassai intimorita lo sguardo e vidi il pugnale scintillare vicino al mio piede destro. Lo raccolsi e poi lo guardai con estrema attenzione. Era un pugnale con la lama storta e leggermente scheggiata, l’impugnatura era realizzata in osso con l’elsa a disco in metallo ottonato e con il pomolo sferico realizzato con lo stesso materiale.
«E ora cosa dovrei fare?» domandai rigirandomi il pugnale nelle mani tremolanti. Sentii Derek sospirare, «Devi far diventare la lama incandescente e poi posarla sul tuo marchio e recitare le parole che ti ho detto prima» rispose con un tono di voce duro.
Deglutii rumorosamente, «Farà male, vero?» domandai piagnucolando «E poi come faccio a farla diventare incandescente, se il mio potere è quello della Terra» esclamai agitata. Come diamine avrei fatto a far diventare incandescente qualcosa se il mio potere era quello della Terra? Non ero ancora nemmeno capace di usare quel potere e già scoprivo di possederne altri?
«Ogni strega o guardiana ha la possibilità di usare tutti i poteri, solo che sono molti limitati. Ovviamente sono tutti limitati, tranne il potere prescelto e nel caso vostro quello di guardiano» spiegò Derek giocherellando con un coltellino che aveva nel frattempo estratto dal taschino della sua giacchetta di pelle.
«Oh, o-okay» strinsi fortemente l’impugnatura del pugnale poi chiusi gli occhi e mi concentrai sul potere del Fuoco.
Sentii le mani diventarmi bollenti, quasi scottanti poi pian piano il fuoco iniziò a trasparire da sotto la mia pelle, illuminandola di un tenue color salmone e facendo sfavillare delle minuscole fiammelle dalle punta delle dita.
«Brava continua così. Ora, tocca la lama e rendila incandescente» sentii la voce di Derek arrivarmi alle orecchie come un eco. Ero così concentrata su quella magia bruciante che tutto intorno a me sembrava così lontano, quasi inesistente. Nella mia mente c’eravamo solamente io e la mia magia dentro a quel pentacolo.
Strinsi dolorosamente fra le mani la lama del pugnale e sentii il sangue colarmi giù dal palmo marchiato. Il fuoco avvolse completamente la mia mano e la lama del pugnale. Stava già iniziando a sentire le mie forze farsi sempre meno. Le gambe iniziarono a tremolare e la vista iniziò ad appannarsi, facendomi vedere a macchie.
«Avis, resisti!» sentii Derek gridare con un tono di voce alto e con quelle parole cercai di farmi forza per continuare con il piano del ragazzo.
La lama si stava surriscaldando e pian piano che il fuoco si ingigantiva, essa cominciava a diventare incandescente. Vidi Derek sorridermi orgoglioso poi gridarmi che era pronta e che potevo usarla per togliere il marchio.
L’afferrai nuovamente dall’impugnatura poi la passai sul palmo della mano e questa volta fece maledettamente male. Un male così forte che mi fece cadere sulle ginocchia e urlare di dolore. Stavo provando un dolore così acuto che temetti di svenire prima di toglierlo del tutto. La pelle bruciava da morire e sentivo le mani perdere sensibilità insieme alla mia forza che mi stava lentamente abbandonando. Del sangue mi colò giù dalle mani e delle piccole gocce scarlatte caddero sul pavimento in un tonfo sordo. Spinsi con più forza la lama contro al marchio mentre vistose lacrime mi stavano rigando il viso e inzuppando le guance arrossate.
«Avis! Dì la formula» gridò nuovamente Derek. Annuii debolmente mentre cercavo di fermare le lacrime che scendeva copiose dai miei occhi. La prima volta che provai a dire la formula la mia voce uscii così tremolante che non si capì nemmeno la metà delle parole che avevo detto.
Feci un profondo respiro continuando a fare pressione sul palmo della mia mano, poi alzai il mio sguardo devastato e lo puntai in quel serio di Derek che mi fece un cenno di supporto con il capo, cosa che mi diede un po’ di forza e che mi fece nuovamente gridare la formula per liberarmi da quel maledetto marchio.
«Il tuo localizzatore è stato spezzo e così anche il tuo effetto su di me» gridai con tutto il fiato che avevo in corpo poi mi lasciai scivolare a terra senza più forze, però non prima di aver sussurrato amaramente un bel «vaffanculo cacciatori di ‘sto cazzo». Picchiai dolorosamente la testa contro al pavimento freddo di quel magazzino poi iniziare a vedere delle macchie nere ed infine venni avvolta dal buio perdendo definitivamente i sensi, troppo sopraffatta da tutto quel dolore.
 
Quando riaprii gli occhi mi ritrovai sdraiata, nuovamente, su quel pavimento lurido, coperta da un plaid a quadri rossi e con la mano sinistra fasciata. Di Derek nessuna traccia.
Mi alzai lentamente da quel pavimento sporco, con la testa che mi girava vorticosamente e un dolore acuto alla mano sinistra. Con una lentezza stile bradipo mi spolverai i vestiti poi emisi un sospiro fioco e dolorante. Poco lontano da me c’era ancora disegnato a terra il pentacolo, con una parte distrutta da quella che sembrava un’impronta di piedi e con anche qualche goccia del mio sangue al suo interno.
«Ti sei svegliata. Come ti senti?» sobbalzai dallo spavento poi lentamente e con le guance arrossate mi girai verso quella voce. Derek era davanti a me con in mano un sacchetto con su il logo del McDonald's.
Appena i miei occhi incontrarono il tanto amato sacchetto, la mia adorabile pancia iniziò a brontolare affamata. Le mie guance diventarono ancora più rosse, facendomi quasi diventare un peperone vivente.
«Fame, eh? Ho pensato che dopo tutto lo sforzo che avevi fatto, appena ti saresti svegliata avresti sicuramente avuto fame» spiegò compiaciuto Derek andandosi poi a sedere sul pavimento, vicino a dov’ero stata accampata poco fa io.
«In effetti» borbottai imbarazzata, accarezzandomi la pancia che non la smetteva di brontolare.
«Allora vieni qui e mangiamo» disse Derek, facendomi segno di sedermi al suo fianco.
Gli feci un timido sorriso poi mi sedetti al suo fianco. Non appena mi porse un Big Mac lo afferrai brutalmente e in pochi bocconi lo finii completamente. Stavo letteralmente morendo di fame. Erano giorni che non mangiavo bene e tutto per colpa di quella storia delle streghe, stregoni e guardiani della notte.
«Ce n’è ancora?» domandai con la bocca ancora piena di quel appagante big mac. Derek scoppiò a ridere, ma proprio di gusto, portandosi anche una mano sullo stomaco.
Alzai un sopracciglio confusa, «Che c’è?» chiesi infastidita, sbattendo un piede per terra con fare insistente. Lui scosse la testa poi scrollò le spalle con nonchalance , «Niente, niente. Tieni un altro panino e vacci piano» mi lanciò un altro Big Mac poi tornò a mangiare il suo. Sembrava essere sul punto di scoppiare a ridere di nuovo. Ero così tanto buffa? Che cosa avevo fatto per essere così tanto buffa? Non aveva mai visto una ragazza avere una fame da lupo o mangiare come un porco? Beh, aveva poca importanza. Io mi stavo gustando il secondo panino ed era così buono che non l’avrei diviso con nessuno quindi poteva pure guardarmi e ridere sotto ai baffi che non mi sarebbe importato.
Comunque tanto per ricordare: 1 a 1 per AVIS!

 

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Capitolo 7
*** Ti racconto una storia (R) ***


Avevamo da poco finito di mangiare e tra di noi era calato un silenzio di tomba, quasi imbarazzante. Eravamo ancora seduti sul pavimento impolverato di quel magazzino, con le schiene rivolte verso le finestre mezze distrutte dell’edificio da cui entravano dei spifferi gelati, anzi delle vere e proprie raffiche di vento che mi avevano letteralmente congelato la schiena, sembravo quasi un ghiacciolo.
Ero stanca di stare in silenzio, anche perché la mia testa stava scoppiando per tutte le domande che mi stavano balenando nella mente, quindi decisi di dare sfogo alla mia curiosità.
Presi un profondo e lungo respiro poi mi schiarii la voce, facendo voltare il ragazzo al mio fianco verso di me ed infine feci un timido sorriso, pronta per bombardarlo di domande.
«Derek, posso chiederti una cosa?» domandai a bassa voce, lasciando trasparire dal mio tono una punta di vera e propria curiosità, giocando nervosamente con la cannuccia rossa della mia bibita.
Derek emise un sospiro rassegnato, «Spara» rispose poi con un tono di voce seccato, appoggiando una mano sotto al metto e il gomito contro la coscia per sorreggersi e guardarmi di sottecchi.
Distolsi lo sguardo dal suo freddo ed enigmatico poi feci spallucce ed infine iniziai con le domande. «Tu hai detto che sono cinque i ragazzi che diventeranno i guardiani della notte. Io sono la guardiana della Terra. Gli altri sono: Fuoco, Acqua, Aria e..?» chiesi grattandomi timidamente una guancia. Perché diamine diventavo timida davanti a Derek? Come se non avessi mai avuto un ragazzo o un amico di sesso maschile!
Non riuscivo a capire quale fosse il quinto elemento. Cosa poteva essere? Il potere di controllare gli agenti atmosferici? No, improbabile. Il potere di viaggiare nel tempo? Quello si che sarebbe figo, ma anche quello era da scartare. Quindi cos’altro poteva essere?
«Terra, Fuoco, Acqua, Aria e Spirito» Derek parlò con voce dura continuando a scrutarmi, come se volesse capire quello che stavo pensando dalle mie espressioni, «Lo Spirito è sicuramente il più forte fra tutti, ma è anche il più difficile da controllare ed è molto pericoloso sotto certi aspetti» digrignò i denti poi distolse lo sguardo dal mio, come se non volesse farmi capire cosa gli stesse passando per la testa in quel momento.
«Spirito? E in cosa consiste?» spostai la testa d’un lato, distogliendo lo sguardo dalla sua figura e qualche ciocca di capelli color fragola mi scivolò davanti al viso. Le scostai dietro all’orecchio e poi tornai a guardare il ragazzo al mio fianco che teneva lo sguardo fisso davanti a sé, perso in chissà quale ricordo.
«Lo Spirito consiste nel poter controllare tutti i poteri – terra, acqua, fuoco e terra – al massimo della forza. Il vero e principale potere dello spirito è quello di guarire le persone e riportarle in vita» spiegò Derek con voce incrinata, scalciando poi con nervosissimo un sassolino con un piede e scaraventandolo lontano da noi.
«Riportale in vita? Che figata!» esclamai elettrizzata, sorridendo a trentadue denti, ma lo sguardo gelido di Derek mi fece ammutolire immediatamente e dei brividi di paura mi percorsero la schiena, come se quello che stesse per dirmi mi avrebbe fatta stare male.
«Per riportare indietro una vita ne devi spezzare un’altra. Devi togliere la vita ad un’altra persona» ribatté Derek con tono duro e gelido, stringendo fortemente i pugni sulle cosce e conficcandosi le unghie nei palmi.
«E la persona a cui viene portata via la vita è quella a cui più tieni, come è successo con mio padre» Derek digrignò i denti poi prese a fissare il pavimento con lo sguardo perso nel vuoto e a fare lunghi respiri per cercare di calmarsi.
Vederlo soffrire in quel modo mi fece battere velocemente il cuore nella gabbia toracica e preoccupare tantissimo. Sentii il cuore farsi pesante e un groppo fastidioso e soffocante mi si formò in gola. Che cosa dovrei fare? Abbracciarlo? E se mi respingesse? Consolarlo? E come? Non sapevo che cosa fare! Dannazione! Mi sentivo così inutile in quel momento. Non mi era mai capitato di dover consolare un ragazzo, quindi non sapevo bene come fare e in che modo farlo.
«D-derek…mi dispiace. I-io non so cosa dire» mormorai balbettando e con voce flebile, poi appoggiai una mia mano gelida sulla sua ruvida e calda, ancora chiusa a pugno per cercare di dargli un po’ di conforto.
«Mio padre era il protettore della guardiana dello Spirito. Mio padre, appena venne assegnato a lei se ne innamorò immediatamente. Beh, mia madre – già mia madre – l’ho ricambiò subito. Dopo un anno nacqui io. Tutto andava per il verso giusto, fino a diciassette anni fa quando dei cacciatori attaccarono e uccisero i guardiani della Notte. Io a quel tempo avevo sei anni. Mia madre riuscì a scappare insieme a me e a mio padre, ma i cacciatori di streghe ci trovarono quasi subito e mi catturarono per fermare i miei genitori. Uno di quei bastardi mi agguantò e mi tenne fra le sue forzute braccia per impedirmi di scappare e come se non bastasse mi puntò un coltello alla gola. Ricordo ancora adesso la sensazione soffocante di essere tenuto fermo da delle braccia forzute ed enormi e di paura perché avevo la lama gelida di un coltello puntata alla gola ed io, troppo piccolo per poter reagire. Quel bastardo continuò a stritolarmi con forza tra le sue braccia, impedendomi di respirare mentre gridava ai miei genitori di arrendersi. Ricordo ancora le grida di dolore di mia madre mentre mi guardava con occhi spalancati e colmi di lacrime poi il suo gridare, con tutto il fiato che aveva in corpo, di lasciarmi andare perché io non c’entravo nulla e mio padre che cercava di combattere nonostante le innumerevoli ferite che riportava sul corpo. Gli ultimi ricordi che ho di quel giorno sono la sensazione di stare per precipitare nel vuoto, il vedere del sangue scarlatto colare dal mio collo, il sentirmi soffocare e il venir scaraventato con forza e il più lontano possibile dai miei genitori. L’ultima cosa che vidi fu mia madre in lacrime poi il buio mi avvolse e mi condusse nelle tenebre» Derek prese in profondo respiro poi distese le mani e da delle mezze lune rossastre e incavate nella pelle scivolarono dei rivoli di sangue che caddero al suolo in un tonfo sordo. Appoggiai con delicatezza la mia mano sulla sua e feci intrecciare le nostre dita.
Per tutto il tempo del suo racconto avevo trattenuto il respiro ed ero riuscita a trattenere a sento le lacrime che ora scivolarono silenziose lungo le mie guance pallide che si arrossarono quasi subito. Feci un profondo respiro, riuscendo a stento a trattenere un singhiozzo che andai a soffocare con una mano, portandola davanti alla bocca.
Mi sentivo così male per il suo passato. Come avevano potuto uccidere un bambino di appena sei anni? Che mostri erano quei cacciatori di streghe? Sicuramente raccontavano a loro stessi che i mostri eravamo noi streghe, quando in realtà i veri mostri non era altro che loro.
«Mia madre uccise i cacciatori, tutti tranne uno che riuscì a scappare anche se aveva perso un occhio. Mia madre usò il potere dello Spirito su di me, anche se ancora non era a conoscenza del vero potere della resurrezione, essendo che non lo aveva mai usato su nessuno. Così, io tornai in vita e a mio padre, invece, venne strappata via con violenza. Io ero vivo mentre mio padre era morto per via della contraddizione della magia dello Spirito: “Per riportare indietro qualcuno devi strappare la vita ad una persona a te cara”. E tutto questo per colpa di quei maledetti cacciatori di streghe. Ricordo lo sguardo perso di mia madre, il sorriso finto e tirato che mi rivolse e il caldo abbraccio in cui mi cullò per alcuni minuti poi dopo avermi sussurrato parole rassicuranti come: “Vedrai, andrà tutto bene” e “Ti voglio bene Derek” si tolse la vita per poter raggiungere mio padre» concluse Derek con gli occhi lucidi e voce tremolante.
«Derek, mi dispiace così tanto. Dev’essere stato orribile» sussurrai rattristata appoggiando la testa sulla sua spalla e stringendo con maggior forza la mia mano nella sua, per fargli capire che aveva tutto il mio supporto.
Lo sentii sospirare tristemente poi annuì, «Ho visto morire la mia famiglia a sei anni ed è stata tutta colpa di quei maledetti cacciatori e delle loro leggi di merda» sputò acidamente.
«Shh» mormorai a bassa voce per tranquillizzarlo. Iniziai ad accarezzarli lentamente la mano intrecciata alla mia, chiudendo gli occhi e stando ad ascoltare il respiro di Derek cominciare a calmarsi.
Dopo quasi quindici minuti in quella posizione, Derek decise di alzarsi staccandosi da me per poi mormorarmi che andava a fumarsi una sigaretta e poi sarebbe tornato per rispondere ad altre mie domande.
Quando vidi scomparire del tutto la sua figura oltre la soglia dell’entrata del magazzino mi lasciai andare un lungo e profondo respiro. Essere guardiani della Notte significava rischiare la vita ogni giorno e mettere in pericolo quella delle persone a cui si teneva? Se solo non ci fossero i cacciatori di streghe. Non voglio che accada qualcosa di brutto ai miei genitori, non voglio che per colpa mia muoiano; poi c’era quel incubo sui miei genitori che stava tormentando la mia mente e se significasse qualcosa? I miei genitori potrebbero essere in pericolo? O cosa peggiore già morti?
Scossi violentemente la testa poi mi passai ansiosa una mano tra la chioma boccolosa e soffocai con forza un urlo che voleva uscire a tutti i costi dai miei polmoni. Mi sentivo triste e arrabbiata. Sì, arrabbiata per quello che i cacciatori avevano fatto a Derek e alla sua famiglia e per quello che potranno fare a tutte le streghe, guardiani e non. Triste per tutto quello che Derek aveva visto e subito durante la sua tenera età e, non riuscivo a capire come i cacciatori avevano potuto fare una cosa del genere, soprattutto perché era solamente un piccolo bambino.
Quando sentii la porta sbattere con violenza, contro al muro di quel magazzino, sobbalzai per lo spavento. Girai velocemente il capo verso i rumori appena sentiti e vidi Derek rientrare con passo pesante e uno sguardo serio e distaccato. Si sedette nuovamente al mio fianco e mi disse che potevo pure continuare a fargli domande, dato che si era calmato.
Deglutii rumorosamente poi accennai un timido sorriso. Mi portai le mani sulle cosce lasciate scoperte dal vestito, lanciando poi un fugace sguardo a Derek che aspettava quasi con impazienza che iniziassi a parlare.
Mi schiarii la voce, «C’è una cosa che non ho capito…i guardiani della Notte vengono reincarnati dopo diciassette anni alla loro morte? Perché non prima?» chiesi emettendo un profondo respiro e grattandomi la nuca imbarazzata.
«Sì, dopo diciassette anni. La prima guardiana a nascere fu Sybil, la prima guardiana dello Spirito. La donna desiderava così arduamente di avere compagni con cui passare la sua eternità, perché non voleva rimanere sola in quel castello circondato dal nulla, solo da una muraglia verdeggiante, che chiese alla Dea dei Guardiani di donagli dei compagni. Sybil dopo esattamente diciassette anni ricevette la risposta dalla Dea che acconsentì a donagli dei compagni, ma ad una condizione: dovevano proteggere il mondo umano da quello magico. La Dea le donò il primo guardiano della Notte – ovviamente dopo lei – esattamente nell’anno in cui accettò la condizione. Successivamente ogni diciassette anni la Dea le donò i restanti guardiani della Notte e Sybil poté finalmente avere i suoi compagni con cui passare l’eternità e creare il Circolo dei Protettori della Terra. I guardiani che muoiono vengono reincarnati dopo diciassette perché è il lasso di tempo che Sybil ha dovuto aspettare per avere i suoi compagni» spiegò Derek accennando un sorriso.
«Oh, wow. E’ una cosa molto tenera perché alla fine Sybil aveva desiderato solamente avere dei compagni con cui passare la sua eternità e invece insieme a quella che poi deve essere diventata la sua famiglia ha protetto il mondo umano e sono diventati i primi Guardiani della Notte» mormorai a bassa voce e sorridendo a Derek che annuì alla mia risposta.
Di colpo, come se un fulmine mi avesse colpita, mi venne in mente che prima Derek aveva creato la barriera e che quindi aveva poteri magici, sicuramente ereditati dalla madre, «Aspetta, se tua madre era la guardiana dello Spirito, vuol dire che anche tu hai dei poteri! Ecco perché sei riuscito a creare il pentacolo e creare la barriera!» esclamai puntandogli contro un dito. Derek sbuffò seccato e scrollando le spalle «Brava. Vedo che hai fatto i compiti» mi rimbeccò acidamente «E poi tutti i protettori dei guardiani sono streghe e stregoni. Anche mio padre era uno stregone, quindi in ogni caso avrei eredito la magia» concluse infine, schioccando le dita e facendo apparire una piccola fiammella dai toni caldi che danzò sul palmo della sua mano e mi lasciò senza parole.
Fece sparire la fiammella e mi guardò con una scintilla di divertimento negli occhi. Gonfiai le guance poi gli lanciai uno sguardo di fuoco, «Cattivo!» borbottai incrociando le braccia sotto al seno e spostando lo sguardo di lato fingendomi offesa.
«Allora tu evita di evidenziare l’ovvio» ribatté seccato lui, passandosi esasperato una mano tra la folta chioma scura.
«Derek?»
«Mmh?» mugugnò lui in risposta.
«Mi accompagni a casa?».
 
Derek borbottò qualcosa che non riuscii a capire mentre entravamo nell’unico ascensore funzionante poi si lasciò andare contro alla parete di ferro. Mi appoggiai anche io, però nell’altra parete libera poi chiusi gli occhi e nella mia mente ritornò l’incubo avuto quella mattina a scuola che mi fece mancare il fiato per alcuni secondi. Tornai a sentirmi nervosa poi guardai allarmata Derek che mi fissò con un sopracciglio alzato. I miei genitori stavano bene, vero?
«Derek, oggi a scuola ho fatto uno strano sogno. Trovavo i miei genitori in due pozze di sangue in casa nostra. Cosa significa?» domandai con un groppo in gola mentre mi guardavo nello specchio dentro l’ascensore. Avevo un aspetto orribile. I capelli erano tutti arruffati e il trucco era colato, sembravo ancora di più uno zombie. Più di quella stessa mattina. Ero pronta per fare il casting per qualche film sugli zombie talmente facevo schifo. Non capisco come Derek abbia fatto a guardarmi per tutto quel tempo, non gli era venuta voglia di ridermi in faccia o almeno farmi notare quanto facesse schifo il mio aspetto? No, ovvio che no.
«Può essere stata un visione o una premonizione. Voi guardiani potete averle attraverso i sogni o disegni che voi stessi disegnate» rispose lui, grattandosi pensieroso il mento.
Trasalii per la paura, il fiato mi si spezzò in gola e sentii i muscoli irrigidirsi. Visioni? Premonizioni? Quindi i miei genitori verranno uccisi?
«Oddio! Dobbiamo sbrigarci e fare qualcosa, tipo una barriera intorno alla casa o che ne so. Aiutami Derek!» mormorai piagnucolando e tirandolo per un braccio come una bambina piccola che voleva tornare a casa per provare i nuovi giocattoli appena acquistati.
Non potevo lasciar che la visione si avverasse. I miei genitori dovevano vivere. Non dovevano morire per una cosa che nemmeno io sapevo come gestire. Non potevano morire perché io era la guardiana della Terra.
Il cuore iniziò a battermi velocemente, sembrava essere sul punto di esplodere nella gabbia toracica. Respiravo a fatica e sentivo la testa girare vorticosamente. So per certo che fra poco mi ritroverò sul pavimento gelido dell’ascensore e farò un’altra bellissima figura di merda in stile Avis.
«Avis! Calmati! Ti aiuterò, ma tu devi stare sveglia e soprattutto lucida» esclamò Derek, afferrandomi dalle spalle e strattonandomi per riportarmi alla normalità.
«Ti ringrazio» gridai lanciandomi fra le sue braccia con le guance arrossate e zuppe di lacrime che senza rendermene conto erano uscite senza il mio permesso. Derek mi afferrò al volo e un po’ titubante strinse le sue braccia intorno ai miei fianchi e appoggiò le mani sulla mia schiena per stringermi di più a lui.
Mi diede due leggere carezze sulla testa poi lo sentii sorridere tra i miei capelli pronto per dirmi qualcosa che mi avrebbe tirato su il morale.
«Mocciosa ora vedi di staccarti che non voglio essere scambiato per il tuo orso da abbracciare» sibilò lui con tono leggermente divertito mentre mi staccava con delicatezza dal suo corpo.
Lo guardai negli occhi. Verde mela con qualche sfumatura di marrone chiaro intorno all’iride contro verde smeraldo così brillante da illuminare un’intera stanza.
Tirai su con il naso e con le guance arrossate e bagnate dalle lacrime gli sorrisi dolcemente poi annuii senza sapere cos’altro dire. L’unica cosa che mi venne in mente di dire in quel momento fu “Ti ringrazio Derek”, ma non dissi nulla perché mi sentivo in imbarazzo. Quindi lo pensai e basta.
Ti ringrazio Derek.

 

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Capitolo 8
*** Allarme cacciatori: Casa sotto sopra (R) ***


Per tutto il tempo trascorso nell’ascensore il mio cuore non smise un attimo di battere, come se fosse sul punto di esplodermi e il mio respiro si fece sempre più affannoso, come se la bolla d’ansia che mi circondava mi stesse soffocando e togliendo il fiato.
Quando le porte metalliche dell’ascensore si aprirono in un sono rumore meccanico, corsi più veloce che potevo per arrivare il prima possibile a casa mia. Derek mi seguì senza proferire parola e, quando fummo arrivati davanti alla porta di casa mia ci entrammo di corsa, senza contare a quali pericoli potevamo andare incontro. Le luci erano tutte accese e la casa era completamente sotto sopra. Ogni mobile era rovesciato, rovinato o distrutto. Il tavolino di vetro, in mezzo ai divani, era letteralmente distrutto e giaceva a pezzi sul tappeto egiziano che mamma amava tanto.
Dalla camera di mia sorella si sentirono provenire dei strani rumori che mi fecero tremare di paura e stritolare il braccio di Derek che era rigido come un palo. Il fiato mi si mozzò in gola e le gambe diventarono molli come un budino. Derek, dopo essersi staccato da me, fece comparire dal nulla una spada dalla lama scura e poi si piazzò davanti a me per proteggermi.
E se ci fosse qualche cacciatore che teneva in ostaggio la mia famiglia? Cosa potrei fare per salvarli? Sarei riuscita a creare qualcosa con la mia magia oppure no?
Sentii i muscoli irrigidirsi quando percepimmo altri rumori sospetti arrivare dalla camera di mia sorella poi all’improvviso Amanda sbucò da essa con un enorme ferita sul braccio, il viso sudato, i capelli in disordine e fra le mani teneva impugnata un enorme falce dalla lama grande e dal colore della pece. Quando la vidi spalancai gli occhi scioccata e al contempo felice di saperla in vita. Fui sul punto correrle incontro quando Amanda puntò una mano verso di me e mi ordinò di andarmene.
Scossi la testa contraria al suo ordine, «No! Voglio aiutarti anche se non so cosa sta succedendo» sbraitai stringendo le mani a pugno lungo i fianchi e guardandola furiosamente.
«Avis, vattene!» gridò mia sorella con tono gelido, prima di venir attaccata da un uomo coperto dalla stessa tunica che avevo visto dopo aver toccato la quercia. Mia sorella schivò il colpo e ne sferrò uno lei al suo avversario, andandogli a ferire un braccio che iniziò gocciolare di un rosso acceso. Piccole gocce scarlatte scivolarono sul pavimento in un tonfo sordo, macchiandolo di rosso e mischiandosi a quello di Amanda.
«Amanda!» gridai con voce tremolante, allungando una braccio verso mia sorella, ma venni fermata da Derek che mi afferrò per una spalla e mi tirò indietro.
«Vattene da qui!» sbraitò lei mentre schivava un altro colpo da parte del cacciatore. Mia sorella saltò sul divano, stando in equilibrio sul bordo dello schienale, poi fece roteare la sua falce ed infine la puntò contro alla gola del cacciatore.
Derek mi trascinò con violenza fuori dalla mia casa, sotto alle mie proteste e al mio provare a divincolarmi da lui. Volevo aiutare mia sorella, volevo salvarla. Non potevo abbandonarla.
«Mia sorella!» strillai con le lacrime agli occhi, dopo essere stata scaraventata con forza da Derek nel ascensore.
«Aspettami di sotto, torno con tua sorella» sibilò lui con uno sguardo gelido e distaccato che mi fece trasalire. Annuii rassegnati e demoralizzata poi tirai su con il naso e mi accasciai al suolo stremata.
 
- Amanda
 
«Bastardo» gridai furiosa, guardando il cacciatore che rideva malignamente mentre si asciugava il sudore dalla fronte. Feci roteare la mia falce per poi sferrare un colpo al petto del cacciatore che emise un forte grido di dolore e altro sangue si sparse sul pavimento e schizzò sui miei vestiti macchiandoli di rosso.
Avevo il respiro corto, il battito cardiaco che galoppava alla velocità della luce e il fatto che fossi ferita e che stavo perdendo sangue mi stava rendendo debole e facile da colpire.
«Ti ammazzo» gridai lanciandomi contro di lui con la mia falce.  Lui alzò all’ultimo secondo la spada e il colpo della mia falce andò a schiantarsi su di essa con un sonoro clangore. Lo guardai in cagnesco e digrignai i denti infastidita dal suo voler continuare a combattere nonostante fosse messo male.
«Prima devi sopravvivere» sibilò amaramente lui, conficcandomi un coltello nello stomaco.
Emisi un verso strozzato e pieno di dolore poi portai una mano sulla ferita da cui stava già uscendo una buona quantità di sangue. Avvertii nella mia bocca il retrogusto di ferroso del sangue poi lo sentii colarmi giù dal mento, caldo e denso.
Lui emise una risata macabra, pronto per sferrarmi un altro colpo, ma il suo corpo venne trafitto da una lama nera. Spalancai gli occhi scioccata poi stremata caddi inginocchio sul pavimento freddo di casa mia. La lama fuoriuscì dal suo stomaco dopo essere passata dalla schiena poi lentamente venne estratta e il cacciatore si accasciò al suolo in un pozza di sangue. Dietro di lui c’era quel ragazzo che prima era insieme a mia sorella. Anche lui era un guardiano dei tesori sacri? O era un protettore?
Abbassai lo sguardo e vidi che il cacciatore stava strisciando verso la porta di ingresso. Con fatica mi alzai da terra impugnando con forza la mia falce che mi fece da sostegno e facendomi diventare anche le nocche bianche poi con un colpo netto gli tranciai la testa, scaraventandola lontana dal corpo come se non fosse altro che spazzatura.
Stremata e ferita mi accasciai nuovamente al suolo. Feci un profondo respiro che venne però mozzato da un colpo di tosse munito di sangue. Il mio sangue schizzò sul pavimento e mi sporcò una mano che avevo portato alla bocca per trattenere la tosse che non cessava.
«D-dov’è mia sorella?» cercai di alzarmi, ma un altro colpo di tosse mi costrinse a stare ferma sul pavimento insanguinato, con il corpo debole e privo di forze.
«E’ di sotto. Ora ti devo curare» il ragazzo si avvicinò a me con passo lento, «Sono il figlio della guardiana dello spirito, Miriel. Posso aiutarti» continuò a parlarmi mentre le sue mani iniziarono a brillare di luce bianca e pura.
Lui era il primogenito della guardiana dello Spirito, quindi poteva benissimo essere il protettore di mia sorella essendo che avevamo la stessa età. Emisi un sospiro di sollievo poi annuii al ragazzo di fronte a me che mi guardava con attenzione le ferite.
«Devi stare sveglia, capito?» avvicinò la sua mano alla mia ferita nello stomaco. Annuii emettendo un altro colpo di tosse insanguinato. Il ragazzo lasciò scivolare una sfera bianca nella mia profonda ferita, che incominciò a bruciare leggermente. Emisi un rantolio soffocato, portandomi una mano sullo stomaco poi iniziai a sentire la pelle intorno alla ferita diventare gelida ed infine incominciò a formicolarmi l’intero corpo, come se stessi provando freddo. Percepivo il caldo all’interno della ferita e il gelo a circondarla. Sentivo la sfera curativa scorrere all’interno del mio corpo mentre curava le mie ferite, da quelle più superficiali a quelle più profonde. La ferita che avevo sul braccio iniziò pian piano a richiudersi, per poi sparire completamente, senza lasciar alcuna cicatrice. Strabuzzai gli occhi scioccata poi con una mano andai a sfiorare la pelle del braccio senza percepire nemmeno un sottile rilievo di cicatrice.
«La lama del coltello che ha usato per colpiti era avvelenata, ecco perché senti la pelle bruciare» mi spiegò il ragazzo dagli occhi color smeraldo, accennandomi un sorriso sghembo.
Il dolore bruciante e allo stesso tempo gelido che avevo all’addome sparì del tutto, con anche l’enorme e profonda ferita che avevo allo stomaco.
«Sei guarita» esclamò il ragazzo alzandosi da terra. Mi allungò un mano ed io l’afferrai debolmente. Il ragazzo mi aiutò a tirarmi su. Un po’ traballante mossi un passo e se non fosse stato per lui sarei caduta al suolo come una pera cotta. Le forze mi avevano abbandonata quasi del tutto, ero molto debole e stanca morta.
«Grazie per avermi aiutata e guarita» mormorai con voce flebile, tenendomi in piedi con l’aiuto della mia falce. Lui annuì poi senza il mio permesso mi prese in braccio, strappandomi un urletto di sorpresa e mi portò fuori da casa mia, lasciando tutto esattamente com’era in quel momento.
«Lasciamo andare. Ce la faccio a camminare» borbottai imbarazzata tirandogli un pugno sulla spalla. Lui sbuffò seccato, «Tu e tua sorella siete veramente uguali eh» sbraitò lasciandomi andare, solamente dopo essere entrati nell’ascensore.
Da quanto tempo conosceva mia sorella? Avis era a conoscenza della verità? Sapeva di essere una guardiana della Terra? Oh santo cielo, l’avevano già attaccata in qualche modo?
«Comunque, sono Amanda» bofonchiai, sedendomi sul pavimento metallico dell’ascensore.
«Derek».
 
- Avis
 
Ero seduta su un gradino fuori dal condominio e stavo tremando sia dal freddo che per la preoccupazione. Mia sorella e Derek non erano ancora arrivati ed io ero molto preoccupata. C’era una parte di me che voleva alzarsi e correre a vedere cosa stava succedendo mentre un’altra parte che mi bloccava, più precisamente: le mie gambe, che erano diventate di marmo e non riuscivo a muovere neanche un passo.
Emisi uno sbuffo e una nuvoletta di vapore si formò davanti al mio viso. Strofinai le mani fra loro, tenendole strette in mezzo alle mie gambe per riscaldarle.
Stavo cercando in tutti i modi di combattere le lacrime che stavano cercando prepotentemente di uscire dai miei occhi. Chiusi fortemente gli occhi poi scossi la testa per ricacciarle indietro. Loro stavano bene. Loro erano salvi e stavano per arrivare. Iniziai a dondolare con il corpo scosso da brividi di freddo e con il labbro tremolante per l’ansia e perché sentivo che le lacrime sarebbero uscite da lì a poco.
«Avis!» la voce allarmata di mia sorella mi arrivò ovattata alle orecchie. Girai in fretta il capo e in quel momento scoppiai a piangere con il cuore a mille. Mia sorella stava camminando lentamente, stando al fianco di Derek e si teneva in equilibrio con la sua falce. Il viso segnato dal combattimento appena avuto con il cacciatore. Le ferite che le erano state inflitte erano sparite, solo un impercettibile e leggera cicatrice si intravedeva sullo stomaco, precedentemente ferito dal cacciatore.
Mi alzai in fretta e furia, finalmente le mie gambe avevano deciso di rifunzionare, e le corsi incontro, stringendola tra le mie braccia e bagnandole la spalla con le mie lacrime.
«Amanda!» strillai con le lacrime agli occhi mentre la stringevo fortemente fra le mie braccia e conficcavo la mia testa nell’incavo del suo collo. Sentii mia sorella appoggiare la sua testa sulla mia spalla poi portò le sue braccia intorno alla mia vita e si strinse di più a me.
«Sto bene. Il tuo amico mi ha salvata» mormorò lei, staccandosi dal mio abbraccio e asciugandomi con i pollici le lacrime che stavano solcando le mie guance arrossate.
Mi asciugai con un braccio le lacrime rimaste incastrate nelle ciglia poi feci un timido sorriso a Derek, «Grazie per averla salvata».
«Dovere di protettore» ribatté lui con voce seria, incrociando le braccia al petto e guardandomi con freddezza, anche se nei suoi occhi di smeraldo intravidi un bagliore rassicurante.
«Quindi sei tu il suo protettore? Ho sempre sperato che avrebbero chiesto a me di proteggerla, ma a me è stato dato l’incarico di guardiana dei tesori Sacri» borbottò Amanda alzando gli occhi al cielo e facendo il labbrino da cucciola.
Eh? Guardiana dei tesori Sacri? Quindi mia sorella sapeva di me? L’ha sempre saputo?
«Non fare quella faccia!» esclamò infastidita mia sorella, dandomi un leggero pugno sulla spalla che mi fece strabuzzare gli occhi confusa.
«Ah, beh, grazie tante eh» ribattei incavolata gonfiando le guance, «Tu hai sempre saputo di me?» domandai ansiosa e guardandola di sottecchi.
«Discendiamo da una stirpe di streghe, quindi sì. Sei nata il giorno di Halloween, di diciassette anni fa ed è in quel giorno che i guardiani della Notte vengono reincarnati in altre streghe, quindi sì Avis, ho sempre saputo di te.» spiegò seria Amanda, facendo roteare la sua falce per poi farla scomparire in una nube nera, perché stavano passando per di lì una coppia di anziani e beh il suo arnese avrebbe spaventato le persone.
«Mamma e papà lo sanno?» domandai spaventata. Amanda scosse la testa, «No, è stata tolta loro la memoria su ogni cosa riguardante le streghe» mi rispose con tono ponderato.
«Cos’è una guardiana dei tesori sacri?» domandai sempre più sconvolta da queste rivelazioni.
«Sono persone come me, che custodiscono i tesori delle streghe defunte e non. La collana che ti ho regolato per il tuo compleanno è il cimelio della guardiana della Terra. Più avanti scoprirai a cosa serve» rispose Amanda accarezzandomi un guancia poi di colpo abbassò lo sguardo, «Ora dovete andare via. Derek portala fuori Saint Marie. Dovete trovare gli altri guardiani prima dei cacciatori, ma vi prego, state attenti» disse con voce rattristata, cercando anche di non incrociare il mio sguardo distrutto.
«Andate! Ora!» gridò spingendo Derek verso di me. La guardai con occhi spalancati e colmi nuovamente di lacrime, «No, devi venire con noi. Non puoi stare qui, è pericoloso» strillai allarmata e singhiozzando mentre muovevo le braccia in aria, stretta tra quelle possenti di Derek.
Amanda emisi un suono, simile ad una risata bassa e distrutta, «Io devo stare qui, Avis. Mamma e papà devono essere protetti. Tu hai Derek al tuo fianco. Ora, ti prego, vai» disse con voce preoccupata e rattristata allo stesso tempo. Incrociai il suo sguardo abbattuto e nei suoi occhi scuri e lucidi vidi una scintilla di malinconia e, sulle sue labbra comparve l’accenno di un piccolo sorriso che durò ben poco, incurvandosi poi verso il basso in una smorfia di tristezza.
«A mamma e a papà dirò che dei ladri ci hanno aggredite e che per proteggerti ti ho mandata da nonna, capito? Ora vai Avis» disse ancora Amanda, lasciandomi un bacio sulla testa per poi correre nuovamente dentro al condominio.
«Avis, andiamo» Derek mi strattonò con forza per schiodarmi da quei gradini in cui avevo lasciato la mia vecchia vita da normale liceale e avevo detto addio per chissà quanto tempo alla mia famiglia. Le lacrime ormai non volevano più smettere di uscire, scorrevamo come un fiume in piena lungo le mie guance arrossate e umide. Ad ogni passo che mi portava lontana da mia sorella il fiato mi si spezza in gola e, un senso di malinconia si formò intorno a me soffocandomi nella sua bolla oscura. Le gambe non smettevano più di tremare, rendendole molli e deboli e le lacrime di bagnarmi le guance che ormai facevano a pendant con i miei capelli.
Con l’aiuto di Derek salii sulla sua moto ed infine partimmo a mio malincuore. Lanciai un’ultima occhiata al condominio e un’altra lacrima scivolò lungo la mia guancia, per poi scendere verso il collo ed infine venir assorbita dalla stoffa della mia maglietta. Chissà quando potrò tornare a casa e rivedere la mia famiglia e le mie migliori amiche.

 

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Capitolo 9
*** L'inizio del viaggio (R) ***


Derek ed io, dopo essere partiti da Saint Marie per chissà quale luogo, alla ricerca degli altri guardiani, ci eravamo fermati per la notte in un motel un po’ malconcio.
Le camere erano mal curate, con l’arredamento un po’ vecchiotto e rovinato e dei sottile strati di polvere sparsi ovunque. Volevo farmi un bella doccia per schiarirmi le idee, ma mancava la tendina e col cazzo che me le facevo così. Mancava solo che Derek entrava in bagno e mi vedeva nuda. Sì, la porta del bagno era scassata e non si chiudeva bene. Per non parlare del fatto che non c’era nemmeno un phon. Ma in che posto eravamo capitati?
L’odore di chiuso dominava nella camera da letto e nel bagno e persino all'interno della reception e negli asciugamani grigiastri che penso una volta fossero stati bianchi.
Uscii dal bagno con un espressione seccata dipinta sul viso e andai a sedermi sul bordo di quel letto malconcio che scricchiolò sotto il mio peso. Sbuffai seccata e annoiata, passandomi disperata le mani tra i capelli dai boccoli afflosciati.
Che dovevo fare? Se salterò un altro giorno di scuola la vecchiaccia mi boccerà, ma non potevo tornare a casa, non dopo quello che era successo ad Amanda e in più lei mi voleva al sicuro con Derek. Che diamine dovevo fare?
«Tieni, ho preso un pacchetto di patatine e due coche» Derek entrò nella camera con aria stanca poi mi consegnò la cena dopodichè si tolse il giubbotto di pelle e lo lanciò svogliatamente sul letto. Dovevamo dormire nello stesso letto perché quella era l’unica stanza libera e Derek aveva insistito per non dividerci, cosa molto sensata perché non volevo farmi ammazzare da qualche cacciatore che magari entrava nella mia camera mentre io ero nei mondi dei sogni o meglio incubi.
«Grazie» bofonchiai, aprendo il sacchetto di patatine e infilandoci dentro la mano per poi prenderne una e portarmela alla bocca per gustarmela al meglio, anche se di certo quella non era proprio una cena, ma più uno spuntino.
«Vuoi?» domandai masticando la patatina e avvicinando il sacchetto al viso di Derek, seduto sul bordo del letto al mio fianco.
Derek infilò, senza dire una parola, la mano nel sacchetto ed estrasse una buona quantità di patatine poi se le portò tutte alla bocca, facendo cadere una miriade di briciole sul pavimento a mattonelle marroni della stanza. Iniziò a masticare, tenendo la mano davanti alla bocca. Scoppiai a ridere di gusto. Era buffo con le guance gonfie e piene di patatine.
«Domani andiamo a mangiare qualcosa da McDonald’s. Ora gustiamoci questa enorme cena e poi andiamo a dormire che domani sarà lunga» dissi sbadigliando e sbattendo più volte le ciglia per tenere gli occhi aperti.
Bevvi un sorso di coca-cola poi tornai a sgranocchiare le patatine. Derek annuì, poi prese altre patatine e nuovamente, se le portò tutte alla bocca.
Ancora non riuscivo a credere di essere partita con un ragazzo che conoscevo appena e che diceva di essere il mio protettore, per andare alla ricerca degli altri Guardiani della Notte. Sentivo già la mancanza della mia famiglia. Vorrei tanto sapere se a casa era tutto a posto e se mamma e papà stavano davvero bene e al sicuro, ma da parte di Amanda non avevo ancora ricevuto nessuna risposta, nonostante i miei incessabili messaggi che le avevo inviato, quindi mi sentivo un po’ nervosa e in ansia. Stavano bene? Sì, ovviamente. Amanda mi aveva promesso che gli avrebbe protetti, quindi potevo mettermi il cuore in pace e rilassarmi per qualche minuto.
«Come faremo a trovare gli altri guardiani? Sei in contatto con altri protettori?» domandai curiosa mentre alzandomi dal letto andai a buttare la lattina di coca-cola nel cestino, vicino alla porta del bagno.
«No, non sono in contatto con altri protettori. Per trovare gli altri guardiani ci servirà un cartina e la nostra magia» rispose atono Derek, lasciandosi cadere di schiena sul letto che scricchiolò sotto al suo peso. Si portò una mano sugli occhi ed emise un forte sospiro, «Sarà un lungo viaggio» borbottò fra sé e sé, facendomi alzare un sopracciglio turbata.
Scossi la testa stancamente poi emisi un forte sospiro ed infine mi lasciai cadere anche io sul letto. Stando sdraiata sul bordo del letto – ovviamente per non sfiorarmi con Derek perché la cosa potrebbe diventare imbarazzante –, appoggiai la testa sul cuscino, portando un mano sotto ad esso e l’altra sulla pancia poi chiusi gli occhi per cercare di dormire. Cullata dal respiro calmo di Derek – segno che si era già addormentato –, mi addormentai anche io, venendo poi avvolta dalle braccia di Morfeo.
Erano circa le sei del mattino ed io ero già in piedi. Non ero riuscita a riaddormentarmi dopo il trambusto che avevo sentito provenire dalla camera di fianco alla nostra. Si era messi ad urlare, penso in francese, e le loro urla mi avevano svegliato, mentre Derek non aveva mosso un muscolo. Lui dormiva beato.
Per noia mi ero messa a guardare la strada davanti al motel e le macchine che sfrecciavano veloci sull’asfalto. Il cielo era di un azzurro pallido, poi pian piano la linea dell'orizzonte iniziò, dando vita all’alba, a tingersi di colori pastello: un tenue violetto e un delicato rosa pesca, per poi passare ai colori più caldi: un arancione acceso ed infine man mano che il sole lentamente si svegliava, sfumava in un giallo luminoso.
Sbuffai annoiata poi spostai gli occhi dalla strada a Derek e vidi che stava dormendo beatamente su quel letto malconcio. Le labbra rosee socchiuse, le folte e lunghe ciglia marroni e le muscolose braccia lasciate scoperte dalla maglietta, strette intorno al cuscino, come se stesse abbracciando un peluche. Era adorabile.
Mugugnò qualcosa nel sonno poi si girò dall’altra parte e si tirò la coperta fin sopra la testa. Ribadisco: era adorabile.
Sospirai scuotendo la testa. Cosa potevo fare per ammazzare il tempo? Mi stavo davvero annoiando e non volevo svegliare Derek per una cosa così banale.
Dopo essermi scervellata per almeno dieci minuti buoni mi venne la brillante idea di chiamare quella troglodita di mia sorella che ancora non mi aveva aggiornata sugli eventi di casa.
Presi il mio cellulare dalla mia borsa e composi velocemente il numero di mia sorella, d'altronde lo sapevo a memoria. Dopo circa cinque squilli, la voce impastata, probabilmente dal sonno, di Amanda mi rallegrò la mattinata.
‹Avis, come è andato il viaggio?› domandò Amanda dopo aver emesso un sbadiglio.
‹Bene. Siamo rimasti a dormire in un motel fuori Saint Marie. La mamma e il papà?› bisbigliai, chiudendomi la porta alle mie spalle per non svegliare Derek.
‹Erano molto preoccupati, ma sono riuscita a tranquillizzarli. In caso dovesse partiti una telefonata da parte di mamma o papà, devi dire di essere dalla nonna› la voce di Amanda era dura e dal tono serio dall’altra parte del telefono, ‹Quando mamma o papà chiameranno la nonna, la chiamata arriverà a te, così non scopriranno che ho mentito e che tu non sei lì…capito?›.
Annuii poi mi diedi uno schiaffo sulla fronte e scossi la testa. Amanda non poteva vedermi. ‹Sì, grazie. E il cacciatore?› domandai camminando avanti e indietro davanti alla porta della nostra camera mentre giocherellavo con una ciocca di capelli afflosciata.
‹B-beh…e-ecco…› balbettò lei imbarazzata, quasi come se avesse il timore di riferirmelo ‹Gli ho dato fuoco› concluse infine in un sussurrò quasi impercettibile.
‹Ah› replicai incapace di formulare una qualsiasi altra frase. Non potevo di certo aspettarmi che mi dicesse che avrebbe chiamato la polizia per riferire che ci aveva aggredite, ma addirittura bruciare il suo cadavere? Forse l’aveva fatto per cancellare le sue e nostre tracce? Come per nascondere il fatto che ci avessero trovate e che io ero in fuga con il belloccio che adesso dormiva beatamente nel letto di quel hotel malconcio.
‹E per la scuola? La preside Ferriera ha detto che se non parteciperò alle lezioni mi boccerà. Come faccio?› domandai allarmata, passandomi una mano tra i capelli per poi spostare una ciocca dietro ad un orecchio. Mi fermai di colpo appoggiando la mano libera sulla ringhiera dalla vernice scrostata che divideva il motel dal parcheggio e alzai gli occhi verso il cielo che si stava annuvolando e ingrigendo. Fantastico, mancava solo la pioggia.
‹Tranquilla. Mamma ha chiamato la scuola e ha detto che io e te siamo state attaccate da dei ladri e che ti hanno mandato dalla nonna e che per un po’ non ci sarai a lezione, ma che farai comunque i compiti che ti verranno inviati attraverso delle e-mail› mi rispose lei emettendo una leggera risata.
Alzai gli occhi cielo seccata, immaginandomi poi il sorriso beffardo che in quel momento Amanda avrà sicuramente stampato sul viso, ‹Che palle!› borbottai gonfiando infine le guance, non mi andava di fare i compiti durante quella fuga/ricerca degli altri guardiani. Avevo altro da pensare, non avevo tempo per risolvere e studiare quelle dannate materie.
‹Senti…lo so…beh che tutto questo per te è strano. Ho sempre sperato che non toccasse a te, ma purtroppo noi discendiamo da una delle cinque famiglie di Guardiani.  Tu, Avis, sei nata esattamente nell’anno in cui i precedente Guardiani sono stati uccisi e proprio il giorno di Halloween› emise un sospiro snervato che mi arrivò ovattato alle orecchie.
‹Capisco. Tranquilla Amy, sto bene. Ora torno dentro che il cielo è pronto a far scoppiare un temporale e io non ho voglia di lavarmi› dissi ridacchiando e scuotendo il capo a destra e a sinistra facendo balzellare i boccoli afflosciati nell’aria fresca di quella sera. Sentii Amanda ridere con enfasi dall’altra parte del cellulare e questo mi rese più tranquilla e felice, facendomi anche capire che stava bene.
‹Ci sentiamo più tardi. Ciao Avis.›
‹Sì, ciao sorellona!› chiusi la chiamata poi lanciai un ultima occhiata al cielo che ora era ricoperto da grossi nuvoloni scuri.
Sospirai nuovamente poi entrai in camera, facendomi il più piano possibile. Mi chiusi la porta alle spalle poi mi tolsi le scarpe ed infine mi infilai nuovamente sotto alle coperte, riscaldate dal calore di Derek.
Il tempo di appoggiare la testa sul cuscino ed iniziò a piovere. Il suono delle gocce di pioggia che si infrangevano sulla superficie liscia del vetro della finestra erano l'unico suono a distruggere il silenzio di quella stanza.
Qualche istante dopo, il suono cupo e sonoro di un tuono fece spalancare gli occhi verdi smeraldo di Derek che si posarono su di me. Un fascio di luce bianca dei lampi filtrò dalla finestra, facendoci chiudere istintivamente gli occhi. Riaprii gli occhi e poi gli sorrisi timidamente. Lui in cambiò borbottò un «temporale del cazzo» poi si coprì fortemente la testa con il cuscino girando tutto il corpo verso di me. Capivo che era scazzato, dall’altronde era stato svegliato dalle luci bianche dei lampi e dal cupo suono dei tuoni, ma almeno un sorriso poteva farmelo.
Mi sentivo così stanca, ma non riuscivo ad addormentarmi. Il cuore che mi batteva con violenza nel petto per via del nervosismo e i fortissimi tuoni al di fuori della camera da letto mi impedivano di dormire e rilassarmi. Ero nervosa, molto nervosa. D'altronde era la prima volta che dormivo con un ragazzo, ma era anche la prima volta che “scappavo” di casa. Moltissime volte avevo dormito a casa dalle mie migliori amiche o ero andata con loro in vacanza durante l’estate, ma questa volta era diverso perché non sapevo se avrei mai fatto ritorno a casa. Non sapevo se sarei riuscita a sopravvivere nel mondo che mi apparteneva sin dalla nascita, ma che non conoscevo minimamente e avevo paura di non essere all’altezza delle aspettative che avevano su di me, sulla nuova guardiana della Terra.
Iniziai involontariamente a mangiucchiarmi le unghie per l’ansia mentre spostavo lo sguardo dal ragazzo al mio fianco alla finestra da cui intravedevo la pioggia cadere incessantemente da un paio di ore. Emisi un flebile sospiro stanco e mi passai le mani tra i capelli disperata, perché cazzo non riuscivo ad addormentarmi? Avevo un sonno pazzesco eppure i miei occhi non volevano rimanere chiusi. All’improvviso un braccio muscoloso mi cinse debolmente la vita e una testa dalla chioma castana si appoggiò con delicatezza sul mio ventre piatto per poi continuare a russare come un ghiro, lasciandomi completamente spiazzata e con il cuore in gola. Accennai un timido sorriso con le guance imporporate poi cominciai ad accarezzarli la folta chioma castana, giocherellando anche con dei ciuffi più scuri; dopo un paio di minuti in quel modo incominciai a sentire i miei occhi farsi pesanti ed infine venni finalmente avvolta dalle braccia di morfeo che mi portarono nel mondo dei sogni.

 

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Capitolo 10
*** Alla ricerca del guardiano dell’Acqua (R) ***


Da: Mostriciattole
- Sabrina: Oddiooo! Tua madre ci ha chiamato per dirci quello che ti è successo. Come stai piccolina?
- Sarah: Avis, come stai? Ti prego, chiamami xx
- Jessica: Stupida di una Avis, mi stai facendo preoccupare tantissimo! Rispondi alle chiamate o almeno ai messaggi!!
 
Spalancai gli occhi mentre leggevo la caterva di messaggi che mi avevano inviato le mie migliori amiche. Mi ero svegliata da circa dieci minuti e non appena avevo acceso il cellulare, quest’ultimo aveva incominciato a suonare a ripetizione perché i messaggi che mi avevano inviato non finivano più.
«Tutto okay?» mi domandò con un sopracciglio inarcato Derek mentre svoltava verso sinistra su una strada desolata. Non passava anima viva, per fortuna.
Derek per il viaggio aveva deciso di comprare un auto perché aveva detto che sarebbe stata dura viaggiare su una moto per chissà quanto tempo e con questo freddo. Beh aveva ragione, in quell’auto si stava da Dio, soprattutto perché c’era il riscaldamento acceso e la macchina era calda.
«Le mie amiche mi hanno tartassato di messaggi. Ora le chiamo, quindi non parlare» risposi agitata, componendo poi il numero di Sarah.
Derek sbuffò seccato, continuando a guardare attentamente la strada e a guidare ad una velocità moderata, anche perché da quando eravamo partiti l’avevo sgridato innumerevoli volte per la sua guida spericolata.
Dopo appena due squilli la mia migliore amica rispose alla chiamata. ‹Avis!› la voce timida di Sarah fece capolino dall’altra parte del cellulare.
‹Sarah! Come stai?› domandai serena e con un accenno di sorriso sulle labbra.
Sentii dei rumori strani dall’altra parte del cellulare che mi fecero preoccupare, tanto che il cuore iniziò a pomparmi velocemente nel petto. Che cosa stava succedendo? I cacciatori le avevano attaccate?  No, non può essere.
‹Come sto? Come stai tu, stupida di una Avis!› la voce incazzata di Jessica mi fece accapponare la pelle e anche emettere un sospiro di sollievo. Stavano bene e i rumori che avevano sentito prima erano sicuramente loro che litigavano per il cellulare.
‹J-jessica, ciao. S-sto bene, un po’ scossa, ma sto bene› balbettai intimidita, portandomi una mano fra i capelli per postarli indietro nervosamente.
‹Sai quanto siamo state preoccupate per te! E in più non rispondevi alle chiamate!› sbraitò la bionda furiosamente, immaginandomela rossa di rabbia. Tremai impaurita perché era davvero arrabbiata con la sottoscritta, ma ieri ero così scossa che mi ero letteralmente dimenticata di avvisare le mie migliori amiche quindi la potevo capire, anche io mi incavolerei se una di loro sparisse e poi non rispondesse alle mie innumerevoli chiamate e messaggi.
‹Lo so, mi dispiace. Ieri ero così scossa che mi sono dimenticata di avvisarvi e poi avevo il cellulare spento per riposare e comunque vi avrei sicuramente chiamate io quest’oggi› chiarii. Mi immaginai Jessica scuotere la testa indispettita dall’altra parte della cornetta mentre ascoltava quello che avevo da dirle.
La sentii sospirare bruscamente dall’altra parte, ‹Ti passo Sabrina› replicò atona Jessica, segno che era ancora arrabbiata con me e che non aveva molta voglia di parlare.
‹Okay› mormorai ferita.
‹Aviiissssssss!› sibilò con voce acuta Sabrina dopo aver preso possesso del cellulare.
‹Sabrina, ciao. Sto bene. Come vedi sono viva›, feci segno a Derek di fermarsi in un piazzola di sosta sulla destra.
‹Menomale, eravamo così preoccupate. Con chi sei andata da tua nonna? Ci sei andata con quel bel ragazzo che l’altra volta è venuto a prenderti a scuola?› mi chiese maliziosa la castana.
Arrossii violentemente, spostando la testa verso il finestrino per evitare lo sguardo di Derek, ‹C-cosa? N-no, cioè, sì. Mi sta portando lui, ma non c’è niente tra me e lui› risposi balbettando imbarazzata. Perché diamine mi aveva fatto proprio ora quella domanda?!
Lanciai un’occhiata fugace a Derek e lo vidi sogghignare al mio fianco. Gli lanciai uno sguardo di fuoco poi mimai un «dopo ti ammazzo» ed infine tornai a parlare con Sabrina.
‹Ahhh! Non ci credo! Sareste una coppia fantastica. Vi siete già baciati? O siete già andati oltre?› mi tartassò, con voce maliziosa, di domande alquanto imbarazzanti.
‹Sabrina!› sbraitai con le guance color porpora mentre dall’altra parte del telefono la sentii ridacchiare divertita.
Alzai gli occhi al cielo esasperata, ‹O-ora devo andare. Saluta le altre. C-ciao› balbettai poi imbarazzata. Chiusi velocemente la chiamata poi lanciai il cellulare sui sedili posteriori ed infine mi lasciai andare in un sospiro di sollievo. Per ora niente più domande imbarazzanti su Derek.
«Derek, tu quanti anni hai?» domandai senza pensarci e solo dopo mi maledii per non aver collegato cervello e bocca.
«Ventidue» rispose lui sorridendomi malizioso.
Gli lanciai uno sguardo di fuoco poi presi la cartina e la penna che avevamo comprato al motel ed uscii dall’auto. Derek mi seguì a ruota.
Ma chi si credeva di essere? Gli avevo semplicemente chiesto quanti anni aveva, mica di sposarlo! Era Sabrina che aveva equivocato ogni cosa. Lui era il mio protettore, io la Guardiana della Terra. Tra di noi non c’era nulla e se non il suo incarico di proteggermi.
Appoggiai sul cofano la cartina, mettendo sugli angoli degli oggetti che la tenessero ferma poi aspettai che Derek iniziasse a spiegare cosa dovevamo fare. Minuti di silenzio che mi fecero incavolare. Era lui che aveva detto che ci serviva la cartina, quindi era meglio che si muoveva a parlare, anche perché non avevo voglia di gelarmi il culo qui fuori.
«Beh? Inizia a spiegare» sputai acidamente, incrociando le braccia al petto e guardandolo di sottecchi.
Derek mi guardò con aria di sfida poi sbuffò e picchiettò un dito sulla cartina, «Qui c’è Saint Marie» indicò il piccolo paese in cui vivevo io.
«Saint Marie è sudovest. Adesso dobbiamo fare un incantesimo sulla cartina per poter trovare le restanti città in cui sono risorti gli altri guardiani» disse lui facendo un piccolo cerchio intorno al nome Saint Marie.
Si tolse la collana con appeso un anello che portava al collo e la posizionò al centro della cartina.
«Nord, la città del guardiano dello Spirito; Est la città del guardiano del Fuoco; Ovest la città del guardiano del Aria; Sudest la città del guardiano dell’Acqua ed infine Sudovest la città del guardiano della Terra» sussurrò con voce calma, con gli occhi chiusi e con il viso rilassato.
«Usa la tua collana e ripeti quello che ho detto io» mi disse serio senza aprire gli occhi e tenendo la sua collana appoggiata al centro della cartina da cui partirono delle scintille di luce bianca.
Mi tolsi la collana che mia sorella mi aveva regalato e tenendola stretta dalla catenella, appoggiai il ciondolo di smeraldo al centro della cartina, insieme a quella di Derek.
Sussurrai le parole che aveva detto precedentemente Derek poi chiusi gli occhi e aspettai che succedesse qualcosa.
Improvvisamente sentii che la catenella della collana si stava riscaldando. La strinsi con più forza nella mia mano cercando di canalizzare la mia magia nella collana stessa poi aspettai che Derek mi desse ordini.
«Avis, apri gli occhi» sussurrò Derek al mio orecchio, facendomi venire i brividi lungo tutta la spina dorsale. Spalancai gli occhi, sbattendo più volte le palpebre poi li puntai sulla cartina. Non potevo crederci, ora su di essa c’erano segnate le restanti città o paesi. E se le si guardava attentamente formavano una stella a cinque punte.
«Trovati» esclamò Derek mentre cerchiava le città. Nord: River City; Est: Greenwood; Ovest: Wayward Town; Sudest: Raven Town.
«Da dove cominciamo?» mi chiese Derek appoggiando i gomiti sul cofano della macchina mentre girava e rigirava la penna fra le dita con fare pensoso.
«Raven Town è quella più vicina, quindi direi di iniziare da lì» bofonchiai controllando per bene la cartina poi scrollai le spalle con nonchalance.
«Bene, allora ripartiamo» Derek piegò per bene la cartina poi entrò di corsa in macchina. Lo seguii velocemente. Per prima cosa presi il cellulare dai sedili posteriori, per controllare se avevo qualche messaggio – non ne avevo ricevuto nemmeno uno – poi mi accomodai al meglio su quello davanti ed infine appoggiai la testa contro il finestrino mentre Derek fece partire la macchina che sgommò a tutta velocità sull’asflato.
Il sole risplendeva alto nel cielo, anche se a volte veniva coperto da qualche nuvola passeggera. Per ora non dava segno di pioggia. Anche perché aveva piovuto per tutta la notte, ed ora l’aria era abbastanza fredda.
Derek ieri notte mi aveva presa per un cuscino, aveva dormito quasi sempre con la testa appoggiata sulla mia pancia e le braccia intorno alla mia vita. Avevo fatto un bel po’ di fatica ad addormentarmi perché il mio cuore non la smetteva di battermi come se fosse sul punto di scoppiarmi e le mie guance non avevano smesso un attimo di bruciarmi. Ovviamente, non ne avevo fatto parola con il brontolone al mio fianco perché sennò avrebbe usato la cosa a suo vantaggio.
Accesi la radio e una canzone che non conoscevo iniziò a farsi sentire in tutta l’auto. Con la testa ancora appoggiata al finestrino, iniziai a scrutare il cielo alla ricerca di qualche nuvola dalla forma particolare. Ma dopo pochi minuti iniziai a sentire le palpebre farsi pesanti, tanto che le chiusi definitivamente e mi addormentai con la testa appoggiata al finestrino gelido e duro.
 
«Bella addormentata siamo arrivati» Derek mi scosse lentamente. Aprii pian piano gli occhi poi sbadigliai rumorosamente.
«Adesso che facciamo?» domandai stiracchiandomi le ossa e con la voce impastata dal sonno. Avevo un male assurdo al collo. Pessima idea addormentarsi con la testa contro il finestrino.
«Pranziamo. E’ l’una ed io ho una fame pazzesca, non so te» Derek aveva fermato la macchina dentro al parcheggio di un McDonald’s.
I miei occhi si illuminarono quando vidi l’insegna del McDonald’s e la mia pancia iniziò a brontolare, facendomi sprofondare nel sedile dalla vergogna. Mi ricomposi, anche perché stavo morendo di fame poi presi la mia borsa da sotto ai miei piedi; cercai di sistemarmi al meglio i capelli, ma poi decisi di legarli in uno chignon disordinato perché facevano altamente schifo ed infine uscii dalla macchina. Una folata di vento mi colpì in pieno viso facendomi rabbrividire dal freddo. Mi strinsi di più nel mio cappotto rosa poi aspettai Derek all’entrata del Mc.
Dopo che ebbe chiuso la macchina e mi ebbe raggiunta, entrammo. L’aria calda mi risollevò l’animo. Ora si che si stava bene.
«Se dovessi sentire qualcosa di strano, dimmelo» mi sussurrò con voce calda all’orecchio, dopo avermi circondato la vita con un braccio e trascinata verso il bancone per ordinare.
«Uh?»
«Quando incontrerai un altro guardiano, inizierai a sentire i suoi pensieri e viceversa, e quando vi toccherete per la prima volta sentirete una forte scossa e vedrete qualcosa, che ovviamente io non conosco perché non sono come voi» spiegò lui dopo essersi fermato davanti al bancone. Ordinò due big mac, due coca-cole e in più le patatine.
Ci andammo a sedere ad un piccolo tavolino appartato. Appoggiai la borsa al mio fianco e poi estrassi il cellulare per chiamare mia sorella.
−  Basta non ne posso più! Ancora un’ora, un’ora e poi finalmente potrò tornare a casa.
«Avis! Avis! Il cellulare» sbraitò Derek, attirando l’attenzione di altri clienti. Sbattei un paio di volte le ciglia poi mi guardai in giro con le guance accaldate. Solo io l’avevo sentito? Il guardiano era qui?
«A-ah! Oh!» balbettai mezza imbambolata. Presi il cellulare e lo portai all’orecchio ‹Avis, ti senti bene?› la voce di Amanda mi fece ricordare che ero stata io a chiamarla.
‹Sì, tutto bene. Stiamo per pranzare e tu? Il lavoro?› domandai calma, grattandomi la nuca in leggero imbarazzo.
‹Tutto bene. Ho finito la pausa pranzo. Ti chiamo appena finisco di lavorare. Ciao tesoro›
‹Ciao sorellona› chiusi la chiamata poi appoggiai la testa sul tavolino freddo e sospirai rumorosamente.
− Non puoi farlo tu eh! Quanto ti detesto Sophie!
«Che hai Avis?» domandò preoccupato Derek, appoggiando una sua grande mano sulla mia più piccola da cui partirono delle leggere scosse che mi fecero fremere.
«E’ qui. Sento la sua voce nella mia testa» borbottai, continuando a tenere la testa appoggiata sul tavolo. Derek strinse delicatamente la sua mano nella mia. La sua mano era calda, callosa e ruvida a causa della spada che usava per combattere.
«Rilassati e vedrai che cesseranno» sussurrò dolcemente «Tira su la testa, arriva il nostro pranzo» disse infine, dandomi un colpetto sulla testa.
Alzai in fretta la testa, mi tirai su appoggiando la schiena contro lo schienale ed infine mi stiracchiai. Un ragazzo dai capelli castani e ricci, occhi nocciola, nascosti da degli occhiali rettangolari con una montatura nera che gli davano un aria da intellettuale, si stava avvicinando a noi con le nostre ordinazioni.
«Ecco a voi le vostre ordinazioni» dissi con gentilezza il ragazzo, appoggiando i vassoi in mezzo al tavolo.
− Speriamo l’ultima
La voce borbottante del guardiano dell’Acqua rimbombò nelle mie orecchie e in quel momento capii che era la stessa del ragazzo davanti a noi. Quindi il guardiano dell’Acqua era lui.
Il ragazzo era sul punto di allontanarsi quando gli gridai di aspettare e lo afferrai per un braccio, tirandolo verso di me e in quel esatto momento una fortissima scossa mi colpì in pieno. Emisi un gemito di dolore. Mi sentivo le ossa andare a fuoco e la testa bruciare. E lo stesso era anche per il ragazzo di fronte a me che si era piegato con il capo in avanti e teneva una mano tremolante sullo stomaco.
La mia mano ancora stretta intorno al polso del ragazzo iniziò ad emettere un bagliore verdastro mentre quella di lui emise un bagliore azzurrino che andò a connettersi alla mia.
Il ragazzo si divincolò dalla mia presa, liberandosi definitivamente e raddrizzandosi. Ritornai a fatica in posizione eretta e la mia schiena emise un forte scricchio che mi fece scappare un sospiro di sollievo. Il riccioluto si aggiustò gli occhiali poi dopo aver fatto spuntare un piccolo sorriso sulle labbra ed essersi avvicinato a me, mi sussurrò all’orecchio: «Salve, guardiana della Terra» con voce calma e allo stesso tempo gentile.

 

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Capitolo 11
*** Il guardiano dell’Acqua e la sua protettrice (R) ***


«E’ lui! E’ lui!» gridai attirando tutta l’attenzione su di noi. Derek borbottò un «vedi di fare silenzio» per poi alzarsi e guardare con attenzione il guardiano.
L’unica cosa vidi dopo che Derek si fu alzato e piazzato davanti a me fu la sua schiena tonica coperta da una sottile maglia nera e la sua chioma castana spettinata con delle ciocche leggermente arricciate lungo la nuca.
«Potresti spostarti? Ho il tuo fiato sul collo!» borbottò infastidito il ragazzo spingendo indietro Derek che finì con forza con la sua schiena contro al mio viso, facendomi un male cane al naso che andai immediatamente a massaggiare.
Mi allontanai da Derek con una mano a conca sul mio naso dolorante e con le guance arrossate per il dolore mentre lui continuava a scrutare il ragazzo davanti a noi.
«Ehi! Che succede qui?» esordì con tono arrabbiato una ragazza dai lunghi capelli biondi, dietro alle spalle del guardiano dell’Acqua.
«Sophie, tranquilla. E’ la guardiana della Terra e il suo protettore» rispose il guardiano dell’Acqua indicando prima me e poi Derek. La bionda scrollò le spalle poi si mise a fissare Derek con aria furiosa. Che si conoscessero?
La tipa che da quello che avevo capito si chiamava Sophie, mi lanciò un’occhiataccia che mi fece salire il crimine poi sogghignò come se la mia figura la facesse ridere ed infine tornò a guardare il mio protettore con un sorriso malizioso dipinto sulle labbra. Ma chi diamine si credeva di essere quella bionda ossigenata?
Strinsi i pungi lungo i fianchi poi feci un sorriso finto ed estremamente forzato, cercando di non far trasparire il mio istinto omicida che era appena nato nei confronti della bionda.
Vidi il riccio passare il suo sguardo incuriosito da me alla sua protettrice poi si grattò la nuca imbarazzato, come se avesse appena percepito la tensione che si era creata tra me e la bionda ed infine si schiarì la voce per attirare l’attenzione su di sé.
«Comunque non mi sono ancora presentato: sono Simon Law, guardiano dell’Acqua» Simon fece un inchino verso la sottoscritta poi raddrizzò la schiena ed infine mi fece un piccolo sorriso che cercai di ricambiare, tentando di non sembrare finta e furiosa.
Giocherellai con una ciocca di capelli della mia coda cercando di sembrare il più cordiale possibile, «Io mi chiamo Avis Darkwood  e sono la guardiana della Terra» gli porsi la mano che lui si affrettò a ricambiare. Dal contatto tra le nostre mani, fuoriuscirono un piccolo fiorellino bianco circondato da un bagliore verdastro e delle gocce di acqua cristallina dal bagliore azzurro. Terra e Acqua.
«Io sono Sophie Stewart e sono la protettrice di Simon» parlò la bionda con aria scazzata, dopo aver appoggiato un braccio sulla spalla sinistra di Simon.
«Derek Bluewater, il suo protettore» bofonchiò annoiato Derek, appoggiando con svogliatezza una mano sulla mia testa come a replicare le stesse mosse della bionda, facendomela piegare in avanti e facendomi alterare nuovamente. Scostai con violenza la sua mano dalla mia testa poi incrociai le braccia al petto e gonfiai le guance incavolata.
«Bluewater, hai detto?» domandò Sophie con un tono di voce mieloso e guardando con curiosità il mio protettore, portandosi poi una mano al mento con fare pensoso.  All’improvviso i suoi occhi si illuminarono come se avesse appena svelato il mistero del secolo poi puntò un dito contro Derek, «Bingo! Tuo fratello è il guardiano dello Spirito, vero? Perché non ti hanno assegnato a lui? Ma a questo mocciosa?» mi indicò con un cenno poi mi guardò con disprezzo. Le lanciai un occhiataccia di fuoco che non degnò nemmeno di uno sguardo poi tornò a guardare maliziosamente Derek che non aveva cambiato nemmeno per un secondo la sua espressione seccata.
Derek si passò una mano tra i capelli ed emise un sospiro stizzito. «Hai un fratello?» domandai con voce sorpresa, spalancando la bocca e strabuzzando gli occhi scioccata. Lui mi liquidò con un occhiataccia e una scrollata di spalle. Wow, i protettori erano sempre così socievoli? Per modo di dire ovviamente!
Derek puntò i suoi occhi di smeraldo sulla figura minuta della bionda che aspettava con impazienza la risposta alla sua dannata domanda. «Non mi va di parlane» borbottò infine lui con un tono freddo e distaccato.
La bionda fece un sorriso perfido verso di me poi mi guardò di sottecchi come se le dessi fastidio, come se la mia sola presenza la infastidisse, «Dato che lui non vuole rispondere alla tua domanda, lo farò io. Sì, ha un fratello ed ha la vostra età. Era scontato che diventasse lui il guardiano dello Spirito. D’altronde Derek e suo fratello discendono dalla stirpe dei Arveldis, era ovvio che accadesse» spiegò con presunzione, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli biondissimi.
«Oh…» ero senza parole, non sapevo che dire. Sophie nel vedere la mia espressione smarrita sorrise trionfante, come se il fatto che fosse a conoscenza di qualcosa al quale io non lo ero la rendesse migliore, poi alzò le spalle e tornò a guardare Derek, il quale aveva mutato la sua in pura ira verso la bionda.
Io di Derek non sapevo nulla, mentre lui di me sapeva tutto. D’altronde aveva fatto ricerche su ricerche. Persino Sophie sapeva più cose di me. Ma poi io in realtà cosa sapevo di lui? Solamente quello che era accaduto ai suoi genitori - non mi aveva nemmeno accennato al fatto che avesse un fratello – e poi cos’altro? Nulla, non conoscevo nient’altro di Derek Bluewater.
«Fra una mezz’oretta finiamo il turno. Vi va di venire da noi?» chiese Simon con voce educata e bassa, spezzando quel silenzio snervante che era calato su noi quattro.
Lo ringraziai mentalmente. C’era talmente tanta tensione in quel momento tra Derek e Sophie che la si poteva tagliare con un coltello, ed era alquanto snervante e imbarazzante allo stesso tempo. Non sapevo come uscirne, ma grazie all’intervento di Simon, la bolla di tensione che li circondava si era dissolta e finalmente si poteva respirare normalmente.
«S-sì, va bene» balbettai con le guance arrossate mentre guardavo il riccioluto rimettersi a posto gli occhiali. Simon mi sorrise dolcemente, mostrando una fossetta sulla guancia destra poi afferrò Sophie per il grembiule rosso e la portò via da noi, sotto alle sue proteste e insulti.
Io e Derek mangiammo il nostro pranzo in silenzio. Non sapevo come spezzare quell’odioso silenzio e imbarazzo – da parte mia – che si era creato fra di noi.
Mi schiarii la voce dopo aver inghiotto l’ultimo sorso di coca cola, «S-senti…» non mi lasciò neanche finire di parlare che mi ammutolì con un glaciale «no».
«Non sai nemmeno cosa voglio chiederti» borbottai arrabbiata e stringendo i pungi sul tavolo bianco e freddo del Mc.
«Volevi chiedermi di mio fratello, vero? Lui non ha nessun ricordo dei nostri genitori perchè è nato un mese prima dell’uccisione dei guardiani, ma era inevitabile che lo diventasse lui. Basta, ora non ti dirò più nulla. Non mi va di parlarne, quindi non chiedere» ribatté lui acidamente poi afferrò con forza una patatina e la divorò in un sol boccone.
«In verità volevo chiederti i cognomi delle cinque famiglie di Guardiani» bofonchiai seccata roteando gli occhi poi andai a coprirmi il viso per evitare che il ragazzo davanti a me decifrasse la mia espressione. In realtà era una bugia perchè volevo realmente chiedergli del fratello, prima di sapere i cognomi delle cinque famiglie. Derek emise un forte sospiro poi si passò una mano fra i capelli, «Arveldis Spirito; Golthel Fuoco; Cedweril Aria; Aithes Acqua ed infine Baradien Terra» rispose infine con nonchalance.
«Mia mamma e mia zia si chiamano Baradien di cognome!» esclamai spalancando gli occhi. Quindi mia madre e mia zia discendevano dalla stirpe del guardiano della Terra.
Derek non disse una parola anzi continuò a mangiare le sue patatine con fare indifferente. Che diamine aveva ora? Era per la tipa bionda? Si conoscevano? O era per il fatto di suo fratello? Perché non aveva chiesto di diventare il suo protettore? Perché aveva scelto di proteggere qualcun altro?
«Derek…» lo chiamai con gentilezza poi gonfiai le guance quando notai che il brontolone non mi aveva degnata nemmeno di uno sguardo, anzi aveva preso il cellulare e aveva cominciato a massaggiare, con chi non si sapeva, «Derek…» mormorai ancora. In risposta ricevetti solamente un’occhiataccia gelida che mi fece sospirare bruscamente, poi decisi che era meglio non chiedergli niente e lasciargli sbollire l’arrabbiatura.
«Avis!» la voce squillante di Simon mi fece alzare di scatto la testa che precedentemente avevo abbassato verso il mio cartone di patatine vuoto, dato che Derek non voleva degnarmi di nemmeno uno sguardo. Stava sventolando una mano sulla soglia dell’entrata del Mc mentre gridava di seguirli.
Buttammo velocemente nel cestino la spazzatura, poi seguimmo Simon e Sophie fuori dal Mc.
«Avete la macchina?» domandò Simon dopo essersi messo al mio fianco. Annuii e indicai una vecchia macchina nera davanti a noi.
«Bene, allora vi facciamo strada» mi disse cordialmente per poi entrare nell’auto al fianco della nostra. Una macchina anni ‘60 azzurra.
Salimmo tutti e quattro nelle nostre rispettive auto e poi partimmo. Derek seguiva Sophie senza fare storie e se ne stava in silenzio. Mentre io litigavo con la radio per trovare una canzone decente. Decisi di lasciar perdere con la radio ed iniziai a inviare messaggi alle mie amiche, che tra l’altro mi mancavano molto. Sarebbe stato bellissimo fare una vacanza del genere, viaggiare per le città, dormire in motel e girare posti con loro. Ma non penso che potrà mai accadere.
Vidi Sophie fermarsi in un piccolo parcheggio al centro di Raven Town. Derek fece lo stesso e parcheggiò la macchina nel parcheggio al fianco di quella di Sophie.
Uscimmo dalla macchina e una folta di vento si infranse contro il mio viso facendomi tremare appena e svolazzare la coda di cavallo nell’aria.
Sul marciapiede adiacente il parcheggio c’era molta gente che passeggiava, chiacchierava fermi davanti a qualche auto o mangiava insieme agli amici un gelato acquistato nel bar di fronte. C’erano molti alberi che coloravano tutto il parcheggio dei vari colori caldi dell’autunno.
«Lasciamo le macchine qui perché stanno facendo delle restaurazioni nel cortile di casa nostra e quindi è impossibile parcheggiare lì» spiegò velocemente Simon mentre apriva il baule dell’auto e ne tirava fuori un borsone scuro.
«Forza andiamo» concluse dopo aver chiuso il baule ed essersi messo al fianco di Sophie. Li seguimmo a ruota per la strada principale  di Raven Town.
C’era un discreto numero di auto che circolavano per la strada principale e meno nelle vie più piccole. Nella strada principale c’erano molti negozi, anche se alcuni chiusi per fallimento. Ci eravamo fermati un attimo davanti ad un gelataio che aveva interrotto la nostra camminata verso la casa di Simon per chiedere alla bionda come stava sua madre in ospedale. Derek mi spiegò che la donna in questione era solamente una copertura per poter seguire con facilità Simon.
Dopo svariati minuti in cui il vecchio gelataio non finiva più di fare domande a Sophie, riuscimmo a svignarcela da lì con la scusa del avere ospiti, ovvero io e Derek.
«Siamo quasi arrivati» esclamò Simon allegro. Diede un occhiata alla strada, controllò che non arrivassero macchine poi l’attraversò e si mise a camminare sul destro. Facemmo anche noi la stessa cosa e stando in fila per uno raggiungemmo il portone, sempre aperto, in cui c’era anche la casa di Simon. Il cortile era pieno di operai che smantellavano una fontana al centro di esso. Era rettangolare e come ci aveva spiegato Simon, in quel cortile abitavano quattro famiglie.
«Di qua» gridò Simon facendoci segno di seguirlo su per le scale che si trovavano nelle mura di fronte a noi.  Dopo due rampe di scale arrivammo di fronte alla porta di casa sua.
«Perdonate il nostro disordine, ma non aspettavamo ospiti» esordì Simon prima di aprire la porta di casa sua.
«Tu abiti con Sophie?» domandai strabuzzando gli occhi, indicando prima lui poi la bionda che mi guardò infastidita. Viveva davvero con Sophie? Quindi potrebbe accadere lo stesso tra me e Derek? Potrebbe succedere che io debba andare a vivere da lui per poter stare al sicuro? Ma esattamente dove abitava Derek? L’unico posto in cui ero stata con lui era il magazzino, non avevo mai visto casa sua. Ecco un’altra cosa che non sapevo di lui.
«Sì, perché?».

 

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Capitolo 12
*** Il racconto di Sophie (R) ***


Scossi la testa e sventolai le mani davanti al mio viso, «N-nulla, nulla» balbettai imbarazzata.
Simon scrollò le spalle poi entrò in casa, seguito da Sophie, me e Derek. Come aveva detto lui, la casa era in disordine. I vestiti erano sparsi ovunque, così come un paio di scatoloni che erano desiderosi di essere svuotati abbandonati in un angolo del salotto.
Le tende del salotto erano ancora chiuse; il lavandino era pieno di piatti, posate e bicchieri e, i cuscini dei divani erano accasciati sul pavimento. Sicuramente più in ordine della mia camera dopo che l’uragano “migliori amiche” passava per di lì e metteva tutto sottosopra.
«Accomodatevi» Simon andò ad aprire le tende facendo entrare un po’ di luce che illuminò quella stanza apparentemente buia e cupa, ma che in realtà era molto luminosa e spaziosa – se si toglievano tutti gli scatoloni –, mentre Sophie rimise al loro posto i cuscini dei divani, batticchiandoli con le mani per farli tornare alla forma originale.
Accennai un sorriso al riccioluto poi andai a sedermi su una poltrona di pelle nera, disposta vicino al divano più lungo. Derek e Simon si sedettero sul divano più lungo, continuando a fissarsi in cagnesco, sembravano due cani che litigavano per il loro territorio. Sophie invece si trovava in cucina a tribolare con la macchina del caffè che aveva deciso di non funzionare, proprio ora che voleva tanto un caffè.
«Allora, Avis, come hai scoperto di essere la guardiana della Terra?» domandò Simon aggiustandosi gli occhiali sul naso e sorridendomi, mostrando la sua adorabile fossetta.
Spostai lo sguardo da Sophie al ragazzo poi su Derek che mi guardò con indifferenza, «B-beh, sono stata aggredita da un cacciatore e Derek mi ha salvato e mi spiegato chi ero diventata. Anche se all’inizio non ci credevo. Ancora ora faccio fatica a crederci» spiegai, stringendo le mani a pugno intorno alla stoffa della mia gonna e tenendo gli occhi puntati sulle mie cosce scoperte.
Simon emise un mugugno di dissenso, «Cacciatori? L’avevano già trovata?» domandò, però questa volta a Derek che lo guardò con uno sguardo così gelido che ti poteva congelare sul posto.
«Purtroppo sì. Saint Marie è un piccolo paesino, persino per loro è stato facile trovarla» Derek emise un sospiro frustato, passandomi una mano tra i capelli per poi posare il suo sguardo duro su di me. Gli accennai un sorriso imbarazzato che ovviamente non ricambiò poi tornò a guardare il riccioluto che sospirò, forse capendo la mia situazione, d'altronde anche Raven Town era un piccolo paesino come Saint Marie.
«Ragazzina puzzi e i tuoi capelli fanno abbastanza cagare» mi schernì Sophie da dietro alle mie spalle, tenendo tra le dita delle ciocche dei mie capelli e facendomi sobbalzare dalla paura che poi si trasformò in vera rabbia verso di lei. Ma come si permetteva quella bionda ossigenata di dirmi certe cose! Nemmeno sapeva quello che avevo passato dal giorno del mio compleanno! Non sapeva nulla di me.
«Sophie» sbraitò con voce grossa Simon lanciandole poi un’occhiataccia. La bionda fece spallucce e tornò in cucina con passo felino.
«Avis, se vuoi puoi farti una doccia e usare i vestiti di Sophie» mi fece sapere Simon con accompagnato un gran sorriso, dopo di ché la bionda lo guardò malissimo poi emise un verso di disgusto. Quanti anni aveva, due?
«Tranquilla non ti attacco nessuna malattia, forse sono io che devo stare attenta a non infettarmi con la tua stupidità» la schernii sventolando una mano nell’aria, poi con un colpo di anche mi alzai dalla poltrona e seguendo le istruzioni di Simon entrai in bagno. Appena mi chiusi la porta alle spalle, sentii la bionda insultarmi e schernirmi mentre Simon prendere le mie difese. Derek, sicuramente, si guardava la scena divertito. Quello stronzo!
Emisi un forte sospiro poi mi lasciai andare contro alla porta di legno scuro del bagno. Mi portai le mani fra i capelli. E se i cacciatori di streghe ci avessero seguiti fin qui? Praticamente gli avevamo servito su un piatto d’argento anche il guardiano dell’Acqua. No, impossibile. Derek non lo avrebbe mai permesso e penso anche Sophie. Si vede che tiene a quel riccioluto di Simon.
Scossi la testa per scacciare via certi brutti pensieri poi pian piano mi alzai da lì. Iniziai lentamente a spogliarmi poi entrai nella doccia. Girai la manovella e un forte getto di acqua calda mi colpì in pieno. Sentivo l’acqua calda scivolarmi lungo tutto il mio esile corpo e i miei nervi sciogliersi sotto a quel caldo tepore. La pelle iniziò ad arrossarsi sulle spalle e sui dorsi delle mani e, il calore sembrò quasi bruciarmela. Spostai la manovella di poco, così da renderla meno bollente poi lasciandomi cullare dal caldo tepore dell’acqua calda sulla mia pelle, chiusi gli occhi e le immagini della mia famiglia, nel giorno del mio compleanno, mi balenarono davanti agli occhi. Mia sorella Amanda che mi sorrideva dolcemente, mio padre che mi diceva di fare un grande sorriso per la foto con la torta e mia madre che mi abbracciava felice. Le loro risate mi rimbombavano nelle orecchie come una melodia felice, ma che ben presto diventò malinconica. Mi mancavano terribilmente. E non sapere quando potrò ritornare a casa mi riempiva il cuore di dolore e tristezza.
Non mi accorsi nemmeno di aver iniziato a piangere finché non mi accorsi di star singhiozzando con le mani a coprirmi la bocca, come per soffocarne il suono devastato. Le mie lacrime calde si erano mischiate con l’acqua e ne rendevano impossibile la distinzione, ma le sentivo scivolare lungo le mie guance arrossate, come se in ogni singola goccia ci fosse un frammento della mia sofferenza, della sofferenza che provavo nel star lontana dalla mia famiglia.
Poi le immagini cambiarono. Ora c’erano le mie amiche che mi avevano fatto una sorpresa e si erano presentate, davanti alla porta di casa, con un enorme regalo. La risata allegra di Sabrina mentre mi consegnava l’enorme regalo rimbombò nelle mie orecchie come melodia. La voce bassa e dolce di Sarah che mi diceva che se il regalo non mi fosse piaciuto l’avrei potuto cambiare. Ed infine Jessica, che con il suo tono serio misto al divertito mi diceva di farmi piacere il regalo perché non aveva intenzione di cambiarmelo e, poi percepii il calore del loro abbraccio che sembrò circondarmi persino ora all’interno della doccia, come a tranquillizzarmi nonostante fossimo così lontane. Anche loro, anche loro mi mancavano come l’ossigeno. Avevo bisogno di loro, avevo bisogno delle mie sorelle.
Delle grida, che arrivavano da fuori, mi risvegliarono dal mio trance a base di ricordi malinconici poi una forte risata – presumo di Simon – mi tranquillizzò. Per fortuna non era successo niente. Nessun cacciatore ad attaccarci, anche perché sarebbe imbarazzante se entrasse in bagno e mi trovasse nuda nella doccia. Non so come potrei reagire, probabilmente lo ammazzerei a suon di phon.
Mi sciacquai alla svelta il viso, per rimuovere il residuo delle mie lacrime, poi iniziai a lavarmi sul serio e cercai in ogni modo di non pensare a nulla. Quando uscii dalla doccia, avvolta in un accappatoio verde mela e da un nube di vapore, mi sentii come rinata. Ora non puzzavo più e finalmente potevo acconciarmi i capelli come si deve.
Mi asciugai i capelli con il phon, rendendoli boccolosi con la spazzola. Con ancora l’accappatoio indosso uscii dal bagno – stranamente nessuno fece caso a me – e sgattaiolai velocemente dentro alla camera di Sophie.
Presi le prime cose che mi capitarono e le indossai. Una maglietta nera e un paio di skinny jeans. Poteva anche andare, d'altronde era meglio stare comode essendo che dovevamo combattere contro a dei cacciatori matti da legare.
«Ora si che sto bene» esordii ritornando in salotto. Sophie mi guardò con aria disgustata seduta di fronte a Derek. Simon mi sorrise calorosamente, mentre il brontolone mi guardò con la sua solita espressione fredda e dura.
«Derek ci ha raccontato quello che è successo fino ad ora. Avete scoperto dove si trovano gli altri guardiani, ma non sapete chi sono. Beh, si dal caso che io e Sophie, un paio di giorni fa, abbiamo scoperto che la guardiana del Fuoco lavora in un Luna Park a Greenwood» raccontò Simon con un gran sorriso stampato sulle labbra.
Passai il mio sguardo da Derek a Simon poi scrollai le spalle, «Oh okay. Allora dobbiamo andare a Greenwood» affermai sedendomi nuovamente sulla poltrona. Simon annuì con decisione mentre Sophie emise un verso frustato continuando a limarsi le sue unghie rosa shocking.
«Voi protettori siete sempre così scorbutici?» domandai retoricamente, beccandomi occhiatacce da entrambi i protettori. Roteai gli occhi poi gonfiai le guance, «Direi di sì» lo confermai a me stessa.
«Me lo domandavo anche io» Simon emise un risata, beccandosi un ponderoso calcio agli stinchi da parte di Sophie. L’espressione di Simon mutò in puro dolore e dalle sue labbra scappò un mezzo grido dolorante che sembrò mandare in allarme la bionda, poi andò a massaggiarsi la parte colpita senza degnarla di uno sguardo. Sophie gli chiese immediatamente scusa poi tornò a guardami con un’indifferenza abbastanza seccante.
«Come hai fatto a capire che era lui il guardiano dell’Acqua?» chiesi a Sophie anche se con un po’ di riluttanza, essendo che non sapevo se mi avrebbe risposto seriamente oppure avrebbe inventato qualche cretinata.
La bionda scrollò le spalle con nonchalance poi si schiarì la voce ed iniziò a parlare. «I Grandi Capi mi avevano assegnato al guardiano dell’Acqua e mi avevano esplicitamente detto che si trovava a Raven Town. Così mi sono fiondata qui e ho iniziato a fare ricerche. Sono andata in ospedale a controllare le nascite nell’anno 1998 e poi ho cercato il giorno trentuno e mi sono usciti solamente cinque ragazzi. Due femmine e tre maschi. Ho iniziato a pedinare il primo ragazzo della lista, ma non era altro che un bambino viziato, così ho lasciato stare. Il secondo era un ragazzino con il terrore dell’acqua, quindi era impossibile che fosse lui. Così mi rimase l’ultimo: Simon. Iniziai a pedinarlo. Vedevo che andava sempre al mare, stava anche delle ore fermo sulla spiaggia a contemplare l’oceano. Un giorno, come sempre, l’avevo seguito fino alla spiaggia. Ricordo che si tolse le scarpe e il giubbotto, ti parlo di settembre, ed entrò in acqua. Andò sotto acqua e per quasi dieci minuti non riemerse. Ero così preoccupata che mi ero già preparata per lanciarmi in acqua, ma lui riemerse pochi secondi dopo, come se non fosse successo nulla. Simon può respirare sott’acqua, ecco perché non riuscivo a capire il motivo per il quale non risalisse in superficie. Pochi giorni dopo i suoi genitori morirono in un incidente – noi pensiamo che siano stati i cacciatori – e lui affisse un volantino dove diceva che aveva una stanza libera e che gli serviva un coinquilino. Nello giorno stesso in cui trovai il volantino mi presentai a casa sua e lui dopo un paio di domande mi scelse come coinquilina. Aspettai il giorno del suo compleanno poi gli spiegai ogni cosa, anche se lui qualche domanda se l’era già fatta» fece una pausa per riprendere fiato «Simon mi fece moltissime domande ed io gli raccontai tutto. La prese abbastanza bene sin da subito, d’altronde amava l’acqua e da quando aveva scoperto di avere quei poteri non faceva altro che usarli, anche se a volte faceva solo danni. Ecco tutto» la ragazza accennò un sorriso maligno e in risposta Simon la guardò in cagnesco, soprattutto per l’ultima frase che aveva detto.
«Tu invece, hai già usato i tuoi poteri?» mi domandò la bionda con aria stranamente interessata.
«Solo una volta. Ho usato la mia maga per guarire una quercia avvelenata» risposi pensierosa, «Sì, solo quella volta» ripetei, questa volta più convinta. Già e in quella volta i cacciatori di streghe erano riusciti a marchiarmi con un localizzatore, usando come proposito la quercia. Se non fosse stato per Derek, a quest’ora sarei già morta e sepolta.
«Derek, sul serio, come mai non ti hanno assegnato tuo fratello?» Sophie distolse lo sguardo da me e lo posò sul ragazzo davanti a sé. Derek la guardò con un sopracciglio inarcato e le labbra tese in una linea retta.
«Sono stato io a non volerlo» lo disse con così tanta freddezza che mi lasciò senza parole, poi scrollò le spalle ed infine emise uno sbuffo seccato.
«E perché mai? E’ la tua famigl-»
«Appunto per quello. Non voglio essere coinvolto emotivamente» la interruppe acidamente lui, ammutolendola all'istante. Sobbalzai sulla poltrona per il tono acido e allo stesso tempo duro che quest’ultimo aveva usato poi lo guardai accigliata.
«Però sei emotivamente coinvolto da Avis» azzardò Simon con un sorriso furbo dipinto sulle labbra. Non feci nemmeno in tempo a dire una parola che il povero ragazzo si beccò un pugno in pieno volto da Derek. Balzai in piedi e saltai su Derek per impedirgli di sferrare altri colpi che avrebbero potuto ferire maggiormente Simon. Perché si era alterato così tanto? Lo aveva semplicemente detto per scherzare. Forse Simon voleva semplicemente cambiare discorso e invece si era ritrovato un pugno in pieno viso e per di più senza un vero e valido motivo. Derek avrebbe potuto semplicemente ammutolirlo con una parola o con il suo sguardo gelido, senza passare alle mani. Stupido di un brontolone, ma che ti prende?!
«Derek!» gridai allarmata mentre cercavo disperata di tenergli ferme le mani anche se con molta difficoltà. Lui era il triplo di me ed era nettamente più forte di me. Non sarei riuscita a tenerlo fermo ancora per molto.
«Simon!» strillò scioccata Sophie precipitandosi poi verso il suo protetto con aria estremamente preoccupata.

 

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Capitolo 13
*** Problemi (R) ***


«Derek, ma sei impazzito!» strillai sconcertata, tirandogli un pugno sulla spalla. Simon fra le braccia di Sophie si massaggiava la guancia colpita.
Derek mi scansò da lui, facendomi cadere con forza sul divano e sbattere violentemente la schiena contro al bracciolo, mozzandomi il fiato per alcuni secondi, poi si alzò da esso per uscire sul balcone a fumarsi una sigaretta.
«Ma che stronzo!» borbottai indispettita mentre mi rimettevo a sedere e mi massaggiavo la schiena dolorante. Incrociai le gambe in stile indiano poi mi coprii il viso con le mani, passandomi dopodichè le dita tra i capelli per cercare di calmarmi, essendo che vorrei prendere a pugni quel brontolone ed infine emisi un forte sospiro.
«Tranquille ragazze, sto bene. Non avrei dovuto dire quella cosa» bofonchiò Simon aggiustandosi gli occhiali, adesso leggermente storti, sul naso.
Storsi il naso poi scossi la testa. No, non avrebbe dovuto reagire in quel modo, soprattutto per una stupidata del genere. «E lui non avrebbe dovuto reagire così» esclamai stringendo nervosamente i pugni lungo i fianchi. Vedere l’ematoma violaceo che si stava già formando sullo zigomo di Simon mi fece sentire in colpa perché alla fine era partito tutto per aver pronunciato il mio nome e le parole “emotivamente coinvolto” nella stessa frase.
«Avis, stai tranquilla. Adesso ci pensa Sophie a rimettermi in sesto» Simon mi rassicurò con un sorriso, accompagnato dalla sua adorabile fossetta e dai suoi occhi color nocciola che mi guardavano con gentilezza. In tutto questo, Sophie, dopo aver controllato per l’ennesima volta Simon, si era alzata ed era andata in bagno a prendere la cassetta del pronto soccorso, borbottando qualche insulto verso il brontolone.
«Vado a parlargli» replicai sospirando poi mi alzai dal divano e mi diressi verso il balcone.
Dovevo assolutamente chiarire con Derek, perché era stata solamente una stupida battuta, nulla di più e nulla di meno. Il suo comportamento era stato inappropriato e assai violento.
Mi fermai davanti alla finestra scorrevole e lo guardai, cercando di tranquillizzare il mio respiro e il mio battito cardiaco che sembrava essere impazzito e non so per quale motivo, dovevo solamente chiarire un equivoco con lui, quindi perché mi sentivo così agitata e con lo stomaco sottosopra?
Derek stava fumando nervosamente una sigaretta con il viso rivolto verso il cielo, mentre picchiettava le dita sulla ringhiera come se facendo così riuscisse a sbollire l’arrabbiatura.
«Posso?» domandai a bassa voce, aprendo poi la finestra scorrevole. Derek scrollò le spalle senza staccare gli occhi dal cielo. Sbuffai seccata e alla fine decisi di uscire lo stesso. Dovevo parlargli e vaffanculo lui e il suo essere arrabbiato.
L’aria era davvero fredda e pungente e, con gli abiti che avevo addosso stavo letteralmente congelando. Il cielo era scuro e ricoperto da un manto di nuvole grigie che promettevano pioggia e rendevano più cupa tutta la città. Davanti a noi si stagliava l’appartamento di qualcuno che abitava nello stesso condominio di Simon; le luci erano quasi tutte accese e, riuscii persino a vedere una giovane donna preparare il pranzo per due piccoli bambini che correvano come pazzi per il salotto. Emisi una bassa risata poi scossi la testa e tornai alla realtà, ricordandomi per quale motivo ero uscita con quel freddo. Derek, ecco il motivo.
Presi un profondo respiro poi mi decisi a parlare. «Si può sapere che ti è preso? Stava solamente scherzando. Tutti noi abbiamo capito che non vuoi stare con tuo fratello perché sennò soffriresti il doppio se dovesse accadergli qualcosa sotto alla tua protezione» parlai a bassa voce mentre con piccoli passi incerti mi avvicinavo a lui.
Derek emise un forte sospiro poi lanciò, oltre il balcone, il mozzicone della sigaretta e dopo una paio di secondi di silenzio, sussurrò un «mi dispiace» con tono dispiaciuto.
Senza pensarci appoggiai una mano sulla sua, ancora stretta intorno alla ringhiera, poi appoggiai la testa contro il suo braccio ed infine ridacchiai. Mi aveva chiesto scusa, anche se la persona con cui doveva scusarsi era Simon, ma mi aveva comunque resa felice. Le guance mi si tinsero di rosso, nonostante fossi stata io a fare la prima mossa, e in più se non ci fosse stata la ringhiera, a quest’ora sarei crollata al suolo perché le gambe mi erano diventate molli come un budino. Mi sentivo così nervosa e non riuscivo a capirne il motivo. Diamine, avevamo dormito nello stesso letto il giorno prima e in quel caso non mi ero sentita così, come se avessi degli elefanti nello stomaco, quindi perché ora?
«Che c’è?» domandò irritato Derek, passandomi una mano tra i capelli e guardandomi di sottecchi.
Scrollai le spalle. «Niente, è solo che mi piace stare con te anche se sei scorbutico, brontolone e impulsivo, ma in fin dei conti sei anche molto protettivo e un bravo combattente» bofonchiai con le guance dello stesso colore dei miei capelli poi sorrisi al cielo nuvoloso.
Lo sentii soffocare una risata, ma il suo petto vibrò comunque e la cosa fece si che il mio sorriso si allargasse ancora di più. «Mi dispiace, ma devi accettare tutto il pacchetto, non solamente i miei meravigliosi pregi» mi prese in girò Derek, scompigliandomi i capelli con la mano libera.
Mi risistemai i capelli con la mano libera, cercando di renderli meno “nido di uccelli” per colpa del brontolone. «Sbruffone» lo punzecchiai, facendogli la linguaccia.
«Rompiballe» ribatté lui, picchiettandomi un dito sul naso. Ci guardammo negli occhi e poi scoppiammo a ridere. Era bello stare con lui. Mi faceva sclerare, ma in fin dei conti, mi stavo abituando alla sua presenza e so che quando tornerò a casa, mi mancherà sicuramente, sempre se farò ritorno a casa.
«Ehi, grandissimo stronzo, perché non ti scusi con Simon?» sbraitò Sophie alle nostre spalle. Sobbalzai per lo spavento e il mio cuore iniziò a pompare con più velocità nella mia gabbia toracica, per poi regolarizzarsi una volta tornati in casa.
Derek si avvicinò a passo spedito verso Simon e dopo una stretta di mano e una spallata – tipico saluto dei ragazzi –, il più grande gli chiese scusa.
«Bene, ora che è tutto risolto perché non ci prepariamo per la nostra missione? Voi ragazze andate a comprare un po’ di provviste e abiti. Mentre Derek ed io, andremo alla ricerca di armi» disse trionfante Simon tenendo un dito puntato in aria.
«Perché abiti?» domandò seccata Sophie mentre guardava con cura la sua manicure rosa.
«Perché creeremo i nostri costumi» disse eccitato Simon, stringendo i pugni davanti al suo petto come un bambino quando vedeva i suoi cartoni animati preferiti. Vidi una scintilla brillare nei suoi occhi color nocciola che mi fece sorridere.
«Come Arrow e The Flash» esclamai esaltata, stringendo una mano a pugno per poi puntarlo verso il soffitto.
«Esatto» ribatté Simon con un grande sorriso sul viso. Sia Derek che Sophie scossero la testa e borbottarono un «perché a me» seccato.
«Bene. Hai già in mente come farlo? Cappuccio? O senza? Colore della stoffa? Tasche per le armi?» lo bombardai di domande perché era troppo figa come idea quella di avere un costume.
Simon picchiettò un dito sul mento con fare pensoso, «Con il cappuccio. La stoffa blu scuro e ovviamente ci dovranno essere delle tasche per i miei coltelli» mi rispose convinto di quello che diceva.
«Bene, allora a dopo. Bye bye» salutai i due ragazzi con la mano poi svogliatamente, presi per un braccio Sophie e la trascinai fuori dalla casa.
Il mio costume doveva essere verde. Pantaloni di pelle verdi militare, un top dello stesso colore, magari con un fiore sul seno sinistro e una giacchetta con cappuccio. E per non dimenticare, un bel paio di stivali alti marroni scuro.
 
Eravamo al centro commerciale di Raven Town da circa due ore e per tutto il tempo Sophie si era lamentata come una bambina capricciosa. «Ho finito con le provviste» esclamò stanca morta Sophie dopo aver finito riempito due carrelli di ogni tipo di mangiare, bibite e altro.
«Bene, ora dobbiamo trovare gli abiti» dissi allegramente mentre mi dirigevo verso un piccolo negozio nel centro commerciale di Raven Town.
Mi girai verso Sophie che mi guardava in cagnesco, «Ci pensi tu a quello, vero?» domandai indicando i due carrelli. Sophie grugnì un «sì» incavolato poi si diresse verso una cassa, con una fila assurda di persone. Così imparava a lamentarsi di continuo. Almeno adesso potevo cercare quello che desideravo senza sentire i suoi commenti sui miei gusti “infantili e stupidi”.
Entrai saltellando nel negozietto, felice come una pasqua e iniziai a fare le mie ricerche. Mi avvicinai ad una pila di magliette, dove trovai quella che volevo, poi controllai se ci fosse la mia taglia e dopo aver constatato che ci fosse – tra l’altro l’ultima –, la presi con una mano. Ma nello stesso istante che la presi io, la agguantò anche una donna dai capelli rigorosamente biondi.
Digrignai i denti. No, quella maglietta doveva essere mia. «Mi scusi, ma l’avevo vista prima io» dissi fulminandola con lo sguardo mentre la tiravo verso di me.
«E allora? Voglio questa maglietta» ribatté la donna tirando la maglietta verso di sé e sorridendo beffarda. E no cara. Se vuoi la guerra e guerra sia.
Strattonai la maglietta, tirandola nuovamente verso di me. «Se ne trovi un’altra, questa è mia» esclamai indispettita, scoccando la lingua contro il palato e esibendo il sorriso più perfido che potessi avere.
La donna mi guardò male, ma non lasciò la presa sulla maglietta. Questa vuole morire o cosa?Dio Thor dammi la tua forza per disintegrare ‘sta stronza!
«Senta, non è un po’ troppo vecchia per una maglia del genere?» domandai acidamente sotto allo sguardo allibito della commessa. Cazzo, la maglietta o meglio top crop doveva essere mia. Era essenziale per il mio costuma da guardiana della Terra e in più quella era troppo vecchia per indossarla. Avrà come minimo quaranta e passa anni.
La donna mosse con una mano i suoi capelli boccolosi e così biondi da farla sembrare una lampadina, «No, mia cara. Piuttosto tu non dovresti essere a scuola a fare la brava bambina?» ribatté lei aspramente. La commessa spalancò, se si poteva, ancora di più la sua bocca ricoperta di lipgloss e gli occhi color caramello.
Scoppiai in una fragorosa risata, muovendo una mano davanti al mio viso per cercare di mandar via la cazzata appena detta. «Ma mi faccia il piacere. Quale brava bambina…Senta ma perché non se ne cerca una di un’altra taglia e se ne va a fanculo?!» domandai retoricamente, strappando definitivamente la maglietta dalle grinfie di quella stronza che mi guardò scioccata.
«Maleducata» strillò incavolata poi prese la sua borsa di Prada che avrebbe potuto sfamare tutti i barboni che c’erano davanti al centro commerciale e se ne andò dal negozio.
Feci un profondo respiro poi sorrisi vittoriosa, guardando con orgoglio la maglietta che tenevo tra le mani. Era stato amore a prima vista e poi era perfetta per me. Esibii un finto sorriso alla commessa poi tornai alla cacciai dei vestiti mancanti. Per prima cosa trovai tutto quello che serviva per il mio costume, compresi gli stivali. Del costume di Simon scelsi: un paio di pantaloni neri con un paio di tasche, una normalissima maglietta azzurra e una giacca di pelle blu con il suo cappuccio di un blu più chiaro.
Pagai tutto e poi uscii dal negozietto con due borse pesantissime. Sophie era ancora bloccata nella fila per la cassa e il suo viso era divento rosso dalla rabbia. Mi mimò un «dopo me la paghi» poi mosse i carrelli in avanti, essendo che la signora che aveva appena finito di pagare aveva spostato il suo di lato. Mentre che aspettavo la bionda, mi andai a sedere su una panchina davanti alla sua cassa ed estrassi il cellulare per scrivere un messaggio a mia sorella.
Neanche il tempo di bloccare lo schermo, che mia sorella mi stava già chiamando. Il potere delle sorelle.
‹Ciao sorellina› strillò Amanda dall’altra parte del cellulare.
‹Ciao Amy. Come va con il lavoro? Sai noi siamo in missione. Mi sono creata il mio costume da ‘guardiana della Terra’ e non vedo l’ora di indossarlo› raccontai allegramente la faccenda a mia sorella.
‹Mmmh…Avis, questo non è un gioco!› borbottò contrariata mia sorella.
Emisi un sospiro, ‹Lo so. Infatti è stato Simon, il guardiano dell’acqua, ad avere questa idea e poi anche a me piace› risposi, giocherellando con un ciocca di capelli in attesa dell’arrivo di Sophie, la quale stava appoggiando tutta la spessa sul rullo.
‹Va bene, va bene. Fa’ come credi, ma stai attenta› dall’altro capo del telefono si sentirono delle interferenze, ‹Amanda, tutto okay?› domandai allarmata e con i battiti accelerati.
‹Sì, non prende molto il cellulare qui. Ci sentiamo più tardi. Ora torno a lavoro. E tu sta’ attenta› mi disse con tono severo l’ultima parte.
Alzai gli occhi al cielo poi accennai un piccolo sorriso; le sorelle maggiori sempre così protettive. ‹Sì, tranquilla. Ciao e buon lavoro› chiusi la chiamata poi ritirai il cellulare in borsa e aspettai annoiata che Sophie finisse di spostare la roba sul rullo. Certo che ne avevamo presa di roba. Un po’ mi dispiaceva che doveva fare tutto lei, no, scherzo, se lo meritava per avermi insultata sin da subito.
Sophie mi chiamò e mi chiese se gentilmente potevo aiutarla, ma il suo tono era fuorché gentile, mi era sembrato acido, non sicuramente gentile. Sophie pagò la spesa e io nel frattempo misi tutto in sacchetti di carta. Con due carrelli pieni di sacchetti della spesa e i due con dentro gli abiti, ci dirigemmo verso il catorcio di Sophie.
 
Stavamo viaggiando da circa quindici minuti e ne mancavano altri dieci per arrivare alla casa di Simon. Avevo un forte bisogno di dormire e di mangiare un bel piatto di pasta al ragù. Ah, mia madre me la preparava ogni volta che mi sentivo giù.
Appoggiai la testa contro lo schienale del sedile poi mi misi a guardare fuori e con la coda dell’occhio vidi, attraverso lo specchio retrovisore esterno, che c’era una macchina nera, dai finestrini oscurati, che ci seguiva da quando eravamo partiti. O forse era solo una mia impressione? O semplicemente con la storia dei cacciatori mi stavo suggestionando un po’ troppo?
«Sono cacciatori» sibilò Sophie facendo una curva e accelerando un po’ troppo.
Nonostante la cintura di sicurezza venni scaraventata verso di lei e poi nuovamente contro il finestrino, facendomi strizzare gli occhi per la sorpresa e per il lieve dolore che avevo provato alla spalla destra. «Sophie rallenta» strillai agitata quando prese tutta velocità in una curva. Con la grande sfiga che mi perseguitava i cacciatori ci avevano già raggiunto. Era proprio sfiga.
Sentivo il battito del mio cuore rimbombare nelle orecchie. Il respiro accorciarsi, i muscoli irrigidirsi e la paura impossessarsi del mio corpo. Non volevo morire, né per mano di Sophie, né per mano dei cacciatori.
Sophie accelerò ancora, e la macchina non riuscì a tenere una curva ed iniziò a slittare sull'asfalto bagnato. Gridai come una pazza, stringendo fortemente la mano, facendomi diventare le nocche bianche, intorno alla maniglia di sicurezza e tutto per cercare di non venir sballottata più del dovuto nella macchina. Sophie cercò di frenare, ma la macchina era, ormai, senza controllo e finimmo giù per un burrone.
Sentivo le cinture schiacciarmi prepotentemente contro al sedile, togliendomi il fiato mentre precipitavamo al suolo. Sophie picchiò la testa contro al volante, ferendosi la fronte, mentre io la picchiai contro al finestrino dell’auto, facendomi un male assurdo. Il respiro mi si mozzò in gola e le lacrime iniziarono a bagnarmi le guance, poi chiusi fortemente gli occhi mentre aspettavo inevitabilmente la mia morte, ma la macchina non si schiantò al suolo, anzi rimase a mezz’aria. Aprii gli occhi, sbattendo le ciglia un paio di volte poi vidi che Sophie giaceva svenuta contro il volante dell’auto, con un profondo taglio sulla fronte, mentre la macchina era sostenuta da un enorme ragnatela di rami. Ero stata io a fare tutto ciò? Il mio potere ci aveva salvati?
«Sophie! Ehi, Sophie! Svegliati» gridai spaurita, allungando una mano verso la bionda ed iniziando a scuoterla per provare a svegliarla.
Sophie mugugnò di dolore poi lentamente, molto lentamente, aprii gli occhi e si portò una mano alla fronte, dove vide del sangue uscirle dal profondo taglio che si era procurata durante al quasi schianto – non avvenuto, grazie alle mia magia –.
«Non siamo morte?» domandò tra lo sconvolto e il rallegrato, tornando con la schiena contro il sedile e cercando alla cieca dei fazzoletti sui sedili posteriori.
«No, il mio potere ci ha salvate» risposi elettrizzata poi mi lasciai andare stremata contro al sedile dell’auto.
«Sophie! Avis!» le voci preoccupate di Simon e Derek si propagandarono nell’ambiente e ci fecero scattare verso il finestrino dalla mia parte per poter vedere da dove arrivavano le voci.
«Siamo qui sotto» urlammo noi con tutto il fiato che avevamo in corpo, prima di svenire stremate contro ai sedili dell’auto.

 

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Capitolo 14
*** L'arrivo dei soccorsi (R) ***


- Derek
 
Simon ed io eravamo ancora nel negozio di armi. Simon mi sembrava una ragazza quando faceva shopping. Due ore e mezza per scegliere dei pugnali e dei coltelli. Ed io stavo lì ad aspettarlo senza fare nulla. Mi stavo annoiando a morte e per di più Avis non mi rispondeva ai messaggi, sicuramente anche lei troppo occupata con lo shopping.
«Che ne dici di questa?» spuntò Simon alle mie spalle con in mano un kriss lungo 70 centimetri.
Scrollai le spalle, «Per me è indifferente. Vedi di muoverti che voglio tornarmene a casa» dissi con voce annoiata e roteando gli occhi irritato. Perché diamine Avis non rispondeva ai miei cazzo di messaggi? Almeno avrei fatto qualcosa oltre a stare fermo come uno stoccafisso ad aspettare che l’occhialuto scegliesse le sue armi.
Simon emise uno sbuffo seccato, «Va bene. Prendo anche questa e poi ce ne andiamo. Okay?» disse prima di sparire fra li scafali grigi del negozio.
Finalmente dopo quasi tre ore lì dentro eravamo usciti. Grazie a Dio perché davvero non ne potevo più. Io usavo la mia spada magica, e l’arsenale magico che l’accademia ci permetteva di adoperare, quindi non avevo bisogno di semplici armi come Simon che sembrava elettrizzato nel poter usare le sue nove lame.
Simon stava al telefono, probabilmente per contattare Sophie. «Dai Sophie rispondi» borbottò deluso, facendo oscillare in avanti e indietro il sacchetto di plastica.
«Prova a chiamare Avis, Sophie non risponde» disse con un sottile velo di preoccupazione nella voce.
Presi il cellulare dalla tasca del giubbotto e composi il numero di Avis. Uno, due, tre, quattro squilli e poi partì la segreteria telefonica.
«Non risponde. Parte la segreteria telefonica» chiusi la chiamata e aspettai qualche secondo, poi riprovai a chiamarla. Niente, non rispondeva.
Bene, mi stavo preoccpuando. Perché nessuna della due rispondeva al cellulare? Era successo qualcosa? Sophie l’avrà protetta?
Mi passai una mano fra i capelli disperato. Dovevamo trovarle immediatamente. Guardai Simon con la coda dell’occhio e anche lui, si vedeva chiaramente, che era preoccupato.
«Dobbiamo trovarle» dissi digrignando i denti «Al più presto possibile», strinsi fortemente il cellulare nella mia mano poi lo ficcai in tasca e insieme iniziammo a correre verso la mia auto.
«Riesco a percepire Avis» disse Simon dopo essersi seduto sul sedile del passeggero. Si mise la cintura e dopo avermi dato indicazioni su dove le potevamo trovare, accesi la macchina e partii a tutta velocità, sgommando e lasciando il segno delle gomme sull’asfalto.
«Riesci a comunicare con lei?» domandai nervoso, mentre svoltavo a destra in una piccola via. Grazia a Dio esisteva la connessione tra Guardiani. Noi protettori non potevamo localizzarli senza prima aver fatto un contratto magico con loro.
«No, riesco solo a sentire i suoi pensieri e non sono molto tranquilli anzi sono pieni di panico» sussurrò Simon poi prese il suo cellulare e provò a chiamare nuovamente Sophie, senza però alcun successo.
«Oddio, sono finite in un burrone! E ora non percepisco più i suoi pensieri!» esclamò sconvolto, passandomi le mani fra i capelli ricci, mentre scuoteva la testa disperato.
Accelerai ancora di più e dopo quasi dieci minuti, arrivammo a destinazione. Con nostra grande sorpresa, trovammo due cacciatori che stavano puntando le pistole verso il vuoto nel burrone.
Uscii velocemente e silenziosamente dalla macchina e dal nulla, feci comparire la mia spada dalla lama nera. «Ehi, teste di cazzo! Fatevi sotto» gridai correndo incontro ai cacciatori che si girarono quasi roboticamente verso di noi.
Simon dietro alle mie spalle, lanciò un piccolo pugnale verso il cacciatore sulla destra e lo colpì su un braccio. L’uomo grugnì e si scagliò contro di lui. Mentre l’altro con in mano la pistola si parò davanti a me.
Sparò un primo colpo e riuscii a scansarlo. Un secondo e mi parai con la spada. E un terzo che per sua sfortuna, venne sparato in aria, perché mi ero scaraventato con violenza contro di lui. Lo colpii in pieno viso con un pugno, rompendogli lo zigomo destro poi ringhiai, colpendo ancora e ancora.
Simon al mio fianco, combatteva con un pugnale nella mano destra e uno più piccolo in quella sinistra. Il cacciatore anche se colpito più volte, riusciva a schivare i colpi del guardiano dell’Acqua. Simon si beccò un pugno in pieno stomaco che lo fece accasciare al suolo.
Sferrai un altro paio di colpi sul viso del cacciatore sotto di me, poi estrassi dalla mia cintura un pugnale e glielo conficcai nel cuore. Mi alzai dal ormai cadavere e mi scaraventai contro l’atro cacciatore.
Quel bastardo riuscì a schivare il mio colpo, incassandomene uno lui nello stomaco. Mi si mozzò in fiato in gola e crollai in ginocchio sul asfalto. Mi portai una mano sulla pancia, cercando di riprendere fiato.
Il cacciatore, con andatura barcollante, si avvicinò a Simon poi estrasse la pistola dal suo cappotto e gliela puntò alla testa. Io cercai di alzarmi, ma il bastardo mi tirò in calcio in pieno viso, spaccandomi il naso e il labbro superiore, che iniziarono a sanguinare poi mi accasciai nuovamente al suolo.
«E’ la tua fine» sibilò rabbioso il cacciatore togliendo la sicura dalla pistola.
Simon sdraiato sul asfalto con il viso sporco di sangue, si sollevò lentamente sui gomiti poi fulminò con lo sguardo il cacciatore.
«No, è la tua fine» gridò furioso Simon. Gli occhi gli divennero neri e profondi come due pozzi e una forte aura azzurra lo circondò completamente. Puntò una mano verso il cacciatore che indietreggiò spaventato. Poi di colpo, il cacciatore iniziò a tossire acqua. Si portò una mano alla gola, mentre cercava inutilmente di prendere fiato. Simon lo stava soffocando con l’acqua e non aveva intenzione di fermarsi. Solamente dopo che il corpo del cacciatore si accasciò al suolo, senza vita, smise di usare il suo potere. I suoi occhi tornarono color nocciola e la fortissima aura azzurrò si dissolse nell’aria. Che cazzo era appena successo? Era quello il vero potere di guardiani della Notte? Il preside Cross non aveva mai accennato ad occhi neri e aura potentissima.
«Tutto okay?» mi domandò Simon aggiustandosi gli occhiali sul naso, come se quello che ero successo pochi secondi prima non lo avesse scosso minimanente.
Annuii incerto, rialzandomi da terra. Le ferite pian piano si stava rimarginando e anche la mia forza stava ritornando. E tutto per via del sangue di guardiana dello spirito di mia madre che in casi come questi era utilissimo perché la mia forza si ripristinava quasi subito.
Un po’ barcollante mi avvicinai a Simon e gli porsi una mano. Lui con la sua, macchiata di sangue, la allungò verso la mia e la strinse fortemente. Lo aiutai a rimettersi in piedi poi girai il capo verso il burrone e sperai con tutto il mio cuore che Avis e Sophie fossero ancora vive.
Simon con piccole falcate, si avviò  verso il burrone ed io lo seguii a ruota. Prendemmo un profondo respiro poi urlammo: «Sophie! Avis!» con tutto il fiato che avevamo in corpo.
Dopo pochi secondi sentimmo arrivare la loro risposta: «Siamo qui sotto» e noi iniziammo, anche se molto stanchi, a correre verso il burrone. Loro stavano bene e questo mi poteva bastare. Avis stava bene. La mia Avis.
 
 
- Avis
 
Aprii lentamente gli occhi e vidi che eravamo ancora nella macchina, sostenuta dalla grande ragnatela di rami. Mi ritornò in mente ogni cosa. I cacciatori che ci inseguivano, l’aumentare di velocità di Sophie, la macchina che slittava e finiva nel burrone e poi la ragnatale di rami creata dalla mia magia che ci sosteneva a mezz’aria.
«Sophie, svegliati» iniziai a scuoterla, fin quando non aprì gli occhi e mi mandò letteralmente a fanculo.
«Dobbiamo uscire dall’auto» dissi seria, aprendo la portiera e slacciandomi la cintura di sicurezza. Sophie fece lo stesso, e con mosse lente, veramente lente, uscimmo dall’auto.
Avevo male ad ogni parte del corpo, soprattutto il collo e la schiena. Mi massaggiai una spalla poi puntai gli occhi verso l’alto e vidi Derek e Simon. Sventolai una mano nell’aria. Nel frattempo Sophie cercava buffamente di non finire nei buchi della ragnatela di rami.
«Ce la fate a risalire?» gridò Simon, portando le mani a conca davanti alla bocca per farsi sentire meglio.
«Ho una mezza di idea di come fare» gridai a mia volta io. Mi avvicinai a Sophie e la presi per un fianco. Lei mi fulminò con lo sguardo, ma non si scansò da me.
«Al mio tre salta nel vuoto» dissi convinta e con un tono di voce serio, beccandomi un altro sguardo di fuoco da parte di Sophie. Scrollai le spalle con nonchalance poi iniziai a contare: uno, due e tre. Al tre, saltai nel vuoto, trascinandomi dietro Sophie che iniziò ad urlare come un matta. Mi stava letteralmente distruggendo un timpano.
Guardai verso il basso. Un piccolo praticello ricoperto di foglie dai colori caldi, enormi sassi sparsi in giro e alberi dai rami acuminati e spogli, si stavano avvicinando ad una velocità inaudita.
Puntai la mano libera verso un albero poi chiusi lentamente gli occhi ed infine presi un profondo respiro. Quando li riaprii, le mie dita iniziarono a brillare di luce verde e dall’albero iniziarono ad estendersi lunghissimi rami che si incastrarono perfettamente nel muro di roccia del burrone. Sotto ai nostri piedi iniziò a formarsi una nuova ragnatela di rami. Dopo aver appoggiato i piedi su un grosso ramo robusto, Sophie si staccò malamente da me e cadde dolorosamente sulla ragnatela vegetale, piegando in malo modo il polso destro.
«Tu sei pazza! Potevamo morire!» gridò indignata, puntandomi un dito contro poi si massaggiò il polso che doveva dolerle molto.
«Ha! Guarda che è per colpa tua se siamo finite nel burrone! Se non andavi così velocemente, non avresti perso il controllo della macchina e non saremmo quasi morte» sbraitai nervosa, muovendo le braccia nell’aria esasperata e indispettita. Sophie aprì bocca, ma poi la richiuse e non disse più nulla.
«Vieni. Aggrappati a me che ce ne torniamo di sopra» allungai una mano verso la bionda che con malavoglia l’accettò.
Si strinse fortemente a me, abbracciandomi la vita. Le cinsi la vita con il braccio destro e la strinsi di più a me, ritrovandomi i suoi capelli biondi in bocca, poi puntai la mano libera verso il praticello da cui spuntò un enorme ramo, da sotto quel ammasso di foglie, e si attorcigliò al centro della ragnatela in cui ci trovavamo noi. Strinsi la mano a pugno e il ramo che era spuntato dal terreno, iniziò a ritirarsi e a tirare verso il basso la ragnatela. Quando decisi che poteva bastare per fare da catapulta, aprii di scatto la mano e il ramo iniziò a srotolarsi dalla ragnatela, e noi venimmo catapultate in aria.
Saltai in avanti, trascinando con me Sophie, e finimmo in ginocchio sulla strada da cui eravamo precipitate. Emisi un verso di dolore perché avevo picchiato in malo modo le ginocchia mentre Sophie gridò fortemente perché aveva storto di nuovo il polso destro.
Derek e Simon gridarono i nostri nomi poi si fiondarono verso di noi. Derek mi strinse fra le sue braccia, togliendomi il respiro.
«Derek…non respiro» mormorai a corto di fiato e con il cuore che batteva all’impazzata nel petto. Derek allentò la presa, ma mi tenne lo stesso fra le sue braccia.
«Menomale, stai bene» mi sussurrò dolcemente all’orecchio poi iniziò ad accarezzarmi la testa. La appoggiai sulla sua spalla poi chiusi gli occhi e mi lasciai cullare dalle sue carezze. Profumava di dopobarba e acqua di colonia. Il cuore mi batteva all’impazzata e non sapevo se era per le cose appena accadute o per il fatto che Derek mi stava accarezzando i capelli e stringendo a sé.
«Portiamole a casa» disse Simon, prendendo in braccio Sophie che non smetteva di piangere per la paura e per il dolore al polso.
«La macchina» sussurrai flebilmente. Non potevo di certo lasciare la macchina là sotto dopo tutta la fatica che avevamo fatto per comprare tutta quella roba.
«Cos-?» Derek non fece in tempo a finire di parlare, che la macchina di Sophie venne depositata da un paio di rami, dietro alle spalle del mio protettore che sobbalzò in aria.
«Ma che cazzo!» esclamò con gli occhi spalancati, portandosi una mano davanti al cuore.
«Si, direi che è ora di andare» ribadì Simon, adagiando delicatamente Sophie sui sedili posteriori della loro macchina. Annuii stanca, aggrappandomi poi al petto di Derek e chiudendo gli occhi per riposarmi un po’, avvolta dal calore di quest’ultimo.

 

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Capitolo 15
*** Qualche aneddoto del passato (R) ***


Non riuscivo a prendere sonno. Dormire in camera con Sophie era alquanto strano, anche perché avevo paura che da un momento mi avrebbe uccisa nel sonno. Derek aveva deciso di dormire in salotto e in quel momento, non so per quale strano motivo, desideravo tanto andare da lui.
Senza accorgermene, le mie gambe si erano mosse da sole in direzione della sala. Con il fiato in gola e le spalle rigide aprii la porta della camera di Sophie e un flebile bagliore, dovuto ai lampioni al di fuori dell’appartamento, penetrava dalle tende e filtrava la sua luce in tutto il salotto. Uscii definitivamente dalla stanza di Sophie, chiudendomi con lentezza la porta alle spalle perché non volevo svegliare la bionda. Poi camminando di soppiatto e silenziosamente, mi avvicinai al divano dove dormiva beatamente Derek.
Derek dormiva abbracciato al cuscino, coperto solamente da una leggera coperta azzurrina. Mi sedetti sul tavolino di fronte al divano e mi soffermai a guardarlo. Le labbra fini e socchiuse mi fecero venire voglia di baciarle per sapere se erano davvero morbide come sembravano, i capelli arruffati nei quali vorrei affondare le mani per sentirne la sofficità e il petto che si alzava e abbassava rilassato su cui vorrei appoggiare la testa per sentire il suo battito cardiaco. Scossi nervosamente la testa poi mi passai una mano fra i capelli ed emisi un sospiro stanco. Ma che diamine andavo a pensare?! Okay, Derek era davvero un ragazzo stupendo, ma no, non potrebbe mai piacermi in quel senso…lui non era il mio tipo. Bugia, grande bugia. Era il mio tipo eccome, ma non volevo che andasse a finire come con i suoi genitori che entrambi morivano e abbandonavano i loro due figli.
«Ti stai divertendo a guardarmi? So di essere irresistibile!» parlò Derek con un tono di voce malizioso, tenendo comunque gli occhi chiusi e facendomi perdere un battito. Sciolse l’abbraccio con il cuscino per poi girarsi su un fianco e aprire finalmente quegli occhi meravigliosi, puntandoli magnetici nei miei spalancati per la sorpresa. Fantastico, il mio cervello era andato. Riprenditi Avis!
Scoccai la lingua contro il palato, cercando di mantenere la calma. «Non essere così modesto, potrebbe diventare la tua rovina» sputai acidamente, incrociando le braccia al petto e guardandolo con un sopracciglio inarcato.
Derek emisi una risata sommessa poi si portò una mano sulla fronte e scosse la testa, «Ah, Avis, sei un caso perso. Ti ostini a non ammettere che sei attratta da me» replicò con voce maliziosa e guardandomi con una tale intensità da farmi venire la pelle d’oca. Perché i suoi occhi erano così magnetici e dannatamente belli? Di un verde smeraldo luminoso con delle pagliuzze marroni intorno all’iride.
Feci spallucce con le guance accaldate poi cambiai discorso. «Pensi che potrò usare il loro portatile? Devo ancora fare quei dannati compiti» borbottai stizzita, storcendo il naso al solo pensiero della caterva di compiti che mi aspettavano nella mia casella e-mail.
«Brava, cambia discorso. Comunque puoi far apparire il tuo, d’altronde sei una strega» ribatté lui alzandosi sui gomiti, guardandomi divertito perché aveva intuito che volevo sviare il discorso sulla sua bellezza, poi emise un forte sbadiglio.
Assottigliai gli occhi, «Non è uno scherzo, vero? Cioè posso davvero far comparire il mio portatile qui?» domandai per esserne sicura. Lui mi lanciò un’occhiataccia, «Ovviamente! Basta che lo immagini e pensi di averlo fra le mani» replicò con tono malizioso, probabilmente per l’ultima parte della frase. Quanto poteva essere stupido?...E bello?
Alzai gli occhi al cielo poi gli tirai una ponderosa manata sul petto, facendomi un gran male alla mano che divenne immediatamente rossa. Feci del male anche a lui perché emise un gemito di dolore. «Stronza» sibilò massaggiandosi la parte colpita.
«Pervertito» ribattei acidamente poi mi alzai dal tavolino e andai a sedermi sulla poltrona, sia per stare più comoda, ma anche per allentarmi da lui. Chiusi gli occhi e immaginai il mio portatile rosa con appiccicati un po’ ovunque degli stickers a forma di teschi e fiori. Strinsi gli occhi con maggior forza e continuai a ripetere mentalmente di volere il mio portatile sulle mie gambe. Dopo un paio di secondi sentii un grande peso su di esse e quando aprii gli occhi, il mio portatile era lì in tutto la sua bellezza.
Esultai di gioia, poi aprii il portatile e lo accesi. Vidi Derek guardarmi con la coda dell’occhio mentre giocava con un giochino sul suo cellulare.
Entrai nella mia posta e vidi che non avevo una sola e-mail da parte della scuola, ma ben due. Storsi il naso emettendo un fortissimo sospiro angosciato.
«Bene, domani mi toccherà fare i compiti e allenarmi con i miei poteri» spensi il portatile perché non avevo intenzioni di fare i compiti in quel momento poi appoggiai la testa sul bracciolo della poltrona e pensai al fatto che se non fossi diventata la guardiana della Terra a quest’ora sarei in classe a subirmi le battutacce degli insegnati e quelle dei miei compagni e la caterva di compiti che mi avrebbero affibbiato per ripicca.
«Avis?»
«Mh?»
«Quella volta al McDonald’s mi avevi detto che tua madre e tua zia fanno di cognome Baradien, giusto?» domandò curioso, staccando gli occhi dal suo cellulare e guardandomi in attesa di una risposta.
Annuii, «Sì, è così, perché?» chiesi a mia volta. Quindi quella volta mi aveva ascoltata, nonostante non mi avesse cagata di striscio.
«Tua nonna era la precedente guardiana della Terra» rispose lui accennandomi un sorriso che ricambiai con degli elefanti che ballavano allegramente nel mio stomaco.
«Io non l’ho conosciuta perché è morta nello stesso anno in cui sono nata io. Ma se mia nonna era la guardiana della Terra, com’è possibile che sia invecchiata? Ho visto delle foto con mia nonna vecchia. Non siamo immortali?» chiesi con la mente in uno stato di confusione totale.
«Era un incantesimo che la rendeva anziana agli occhi umani e nelle fotografie, ovviamente. Tua nonna non è mai invecchiata, è sempre stata la ventenne di un tempo» mi spiegò Derek poi si tirò su con la schiena e si sedette comodamente sul divano, con il viso rivolto verso di me.
Aggrottai le sopracciglia confusa. «Venti?» Non diciassette?
«Puoi scegliere tu a che età fermati, tua nonna aveva scelto di fermarsi a vent’anni. Mia madre invece a venticinque» Derek fece un piccolo sorriso, «Ricordo che tua nonna veniva sempre a trovarci, soprattutto quando mia madre era incinta di mio fratello» raccontò infine, spiazzandomi. Derek aveva conosciuto mia nonna, mentre io non l’avevo nemmeno mai vista perché era morta due mesi prima della mia nascita.
«Ma mia nonna non avrebbe la stessa età di tua madre, nel senso nel mondo umano e non magico? Non dovrebbe avere tipo, che ne so, quaranta anni? Come può aver messo alla luce mia madre e mia zia?» domandai, portandomi una mano sotto al mento e cercando di capirci qualcosa.
«La guardiana della Terra, tua nonna, non è morta con gli altri guardiani con cui aveva vissuto la sua prima reincarnazione, ovvero diciassette anni prima di quella con mia madre. Tua nonna ha vissuto più anni come guardiana. Tua nonna era la guardiana della Terra che era riuscita a scappare all’assassinio da parte dei cacciatori. Tua nonna entrò a fare parte della cerchia di guardiani in cui c’era anche mia madre. Tua nonna era l’unica con età diversa e con molti anni di esperienza come guardiana» Derek si alzò dal divano e andò a prendersi un bicchiere d’acqua poi tornò a sedersi, nuovamente, di fronte a me.
«Vuoi sapere altro?» mi chiese dopo aver bevuto un bel sorso d’acqua.
Volevo chiedergli del potere dello Spirito. D’altronde dopo essere tornati a casa dall’attacco dei cacciatori, Derek si era messo subito a guarire le ferite di tutti noi per poi crollare, stanco morto, sul divano.
«Sì. Noi guardiani, senza comprendere lo Spirito, non possiamo guarire le persone, vero?»
Lui scosse la testa, «Il potere di guarigione, solamente chi discende dagli Arveldis può usarlo e averlo. Chi discende dai guardiani dello Spirito può guarire ma non può resuscitare le persone. Solamente il vero e proprio guardiano dello Spirito può fare resuscitare le persone. Spero vivamente che non dovrà mai accadere perché non voglio che mio fratello soffri inutilmente» mi spiegò Derek con un velo di tristezza nella voce. I suoi occhi si spensero al pensiero che suo fratello potesse usare il potere della resurrezione e, questa cosa mi fece stringere il cuore in una morsa dolorosa. Mi alzai dalla poltrona e sedendomi nuovamente sul tavolino, portai una mia piccola mano sulla sua più grande. La sua era calda in confronto alla mia più fredda. Sfoggiai un piccolo sorriso triste poi strinsi le mie dita intorno al palmo della sua mano e glielo accarezzai con il pollice. Volevo dargli un po’ di conforto.
«Andrà tutto bene. Vedrai che tuo fratello non farà mai uso di tale potere» sussurrai dolcemente, stringendo di più la presa intorno alla sua mano.
«Grazie, Avis» Derek si sporse in avanti e senza neanche che me ne accorgersi, aveva depositato un leggero bacio sulla mia guancia sinistra.
Divenni rossa come un peperone bello maturo e il mio cuore iniziò a martellare violentemente nel mio petto. Il viso di Derek ancora vicino al mio. Lo guardai attentamente e per poco non mi venne un infarto. Gli occhi color smeraldo di Derek erano magnetici. Il mio sguardo non si voleva staccare dal suo. E questo aiutò a far diventare ancora più rosso il mio viso. Sentivo le guance accaldate e il battito del mio cuore accelerare. Derek mi fece un sorriso dolcissimo che mi lasciò senza fiato, mostrandomi dei denti bianchissimi, poi appoggiò la sua fronte alla mia e portò le sue mani calde sulle mie guance bollenti e me le accarezzò con i suoi polpastrelli ruvidi.
«Disturbo?» la voce squillante di Sophie mi fece tornare alla realtà. Scattai indietro sbigottita e tirando un calcio involontario – lanciato nel momento di panico – allontanai da me Derek che tornò alla sua postazione sul divano con una gambe dolorante. Sophie fece un sorriso sghembo poi con nonchalance se ne tornò in camera sua. Brutta stronza!
Emisi un forte sospiro di sollievo poi tornai alla poltrona e ci profondai dentro. «Scusa per il calcio» bofonchiai dopo aver visto che Derek non la smetteva di massaggiarsi la gambe.
«Potevi andarci piano, piccola iena» mi rimbeccò lui, sorridendomi sghembo poi si alzò dal divano e piazzandosi davanti a me, portò la sua enorme mano sulla mia testa e mi scompigliò i capelli, «Vado in bagno. Tu va a dormire che domani sarà lunga. Buonanotte Avis» disse infine per poi sparire dietro la porta del bagno.
Scossi la testa frastornata e con ancora le guance accaldate me ne tornai a letto, cercando di addormentarmi, senza fare sogni su degli occhi verde smeraldo e magnetici come calamite. Dopo quasi un’ora di continui spostamenti da pancia in sopra a pancia in sotto e viceversa perché ero troppo nervosa e quello che era successo in salotto con Derek continuava a ritornare nella mia mente, riuscii ad addormentarmi, venendo cullata dalle braccia di morfeo.

 

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Capitolo 16
*** L’inizio degli allenamenti e l’evocazione dei demoni di Avis (R) ***


- Derek
 
«Ragazze è ora di iniziare gli allentamenti» esordii uscendo dal bagno e passandomi l’asciugamano sui capelli bagnati.
Avis e Sophie erano sedute sul divano con il viso incollato allo schermo della televisione e con delle lacrime a solcare loro il viso.
Strabuzzai gli occhi, «Che succede?» domandai allarmato. Che diamine stava succedendo a quelle due?
Allungai il collo verso la televisione e vidi che stavano vedendo un qualche film romantico e piagnucoloso.
«E-e’ morto» balbettò Avis, infilandosi in bocca un enorme cucchiaio colmo di gelato al cioccolato.
Alzai un sopracciglio e guardai stralunato le due ragazze che sembravano andare d’accordo, almeno in quel momento. Avis aveva persino passato il suo barattolo di gelato al cioccolato a Sophie.
«Basta! E’ ora degli allenamenti» sbraitai leggermente incavolato. Simon che era comparso dal nulla, mi sorpassò per poi andare a spegnere la televisione, sotto alle minacce delle ragazze.
Le due ragazze iniziarono a protestare e a gridare come delle pazze. Sophie gli aveva persino lanciato contro il barattolo di gelato e lo prese anche in pieno viso, lasciandoli un bel segno rosso.
«Stronzo! Gus è morto e tu hai anche il coraggio di spegnere la televisione» strillò Sophie alzandosi dal divano per poi mettersi a rincorrere Simon con in mano l’altro barattolo di gelato.
Avis mise su il broncio poi con sfacciataggine si alzò dal divano, mi diede uno spintone che mi mosse di pochi millimetri, ma che mi fece girare le palle ed infine si rintanò nella camera di Sophie con lei appresso.
«Ma che diamine è appena successo?» domandai strabuzzando gli occhi e grattandomi la nuca in capace di capire il comportamento di quelle due pazze.
Simon alzò le spalle, «Boh. Valle a capire quelle due!» borbottò seccato mentre roteava gli occhi.
 
«Ho già fatto tutti i compiti e li ho spediti alla scuola!» sbraitò Avis scagliandosi contro di me con la sua spada.
Per gli allenamenti avevamo deciso di andare nel bosco. Avevamo trovato un vasto prato verdeggiante, circondato da altissimi alberi che andavano a formare un cerchio intorno ad esso e nascondevano ogni cosa. Per i nostri allenamenti era perfetto come posto.
Feci comparire la mia spada e la puntai contro Avis. Avis si scagliò contro di me, sferrando un colpo con la sua spada. Io feci lo stesso, portando la spada davanti al mio corpo. Il clangore delle due lame che si scontrarono vibrò nell’aria.
«Brava bambina» la schernii sferrando un altro colpo che riuscì a schivare per un pelo. Avis fece una ruota all'indietro poi si portò la spada davanti al petto, tenendola con la lama in orizzontale. La rossa mi fulminò con lo sguardo poi partì a tutta velocità e corse verso di me, con la lama della spada che puntava nella mia direzione.
Ruotai su me stesso, facendo danzare la mia spada poi andai a colpire con forza la sua, che le sfuggì di mano e balzò a qualche metro di distanza da noi.
«Ho vinto. Comunque complimenti guardiana della terra, sei davvero brava con la spada» mi complimentai con lei. Avis mi accennò un piccolo sorriso. Aveva il viso arrossato per via dell’allentamento, i capelli in disordine, alcuni ciuffi scappati alla coda che si era fatta e i suoi meravigliosi ed enormemente grossi occhi verdi mela erano luminosi e stranamente allegri. Il suo petto che saliva e scendeva velocemente, a ritmo del suo respiro irregolare. Non so perché ma pensai che nonostante fosse sudata, stanca e tutto il resto, era comunque bellissima.
«Avis, vieni che ci alleniamo con i nostri poteri» gridò Simon dall’altra parte del campo. Sophie seduta su un sasso si limava con nonchalance le unghie, come se quello che c’era intorno non le importava affatto, ma in realtà non faceva altro che lanciare occhiate a Simon per controllare quello che faceva. Alzai gli occhi al cielo poi con lunghe falcate raggiunsi la bionda che non appena mi vidi arrivare, fece spallucce per poi continuare a limarsi le unghie. Scrollai le spalle poi roteai gli occhi. Chi capiva le ragazze era un genio.
Avis con in mano una bottiglietta di acqua iniziò a correre verso il riccio. Si posizionarono uno davanti all’altro poi Simon fece la prima mossa, scagliando una sfera di acqua contro ad Avis. Avis portò entrambe le mani davanti al viso e nell’esatto momento in cui lo fece, un enorme barriera di rami verdi si creò dinanzi a lei, proteggendola dalla sfera d’acqua.
Simon ridacchiò, «Brava Avis, ma io posso togliere l’acqua da essi e farli rinsecchire e poi morire. Posso togliere l’acqua da qualsiasi cosa o essere che la contiene» la rimbeccò il riccio sorridendo compiaciuto.
Vidi Avis sogghignare e sfregarsi le mani tra loro. «Non penso che tu ci riusciresti. Un mio ramo appuntito ti trafiggerebbe il cuore ancora prima che tu possa fare una mossa» replicò lei perfidamente, indicando un ramo appuntito, pronto a trafiggerlo, oltre le spalle del riccio.
Simon deglutì poi si mise apposto gli occhiali sul naso ed infine batté le mani fra loro, «Complimenti, degno della guardiana della Terra» esclamò sbalordito lui.
Avis fece spallucce, ma accennò comunque un sorriso imbarazzato, «Continuiamo ad allenarci» replicò poi lei stizzita. Simon accennò un sorriso imbarazzato poi tornarono ad allenarsi.
Presi una bottiglietta dal frigo box poi tornai a guardare il loro combattimento. Con la coda dell’occhio vidi che anche la bionda stava guardando assorta l’allentamento tra Simon e Avis.
«Se la cavano bene» bofonchiai contento poi bevvi un bel sorso d’acqua gelida che mi rinfrescò la gola.
Sophie fece spallucce, «Quella se la tira troppo. Se avrebbe fatto del male a Simon, l’avrei ammazzata con le mie mani» replicò lei incavolata, stringendo fortemente fra le mani la lima.
Scoppiai in una fragorosa risata, «Prima dovrai passare sul mio cadavere. Tu Avis non la tocchi» le lanciai uno sguardo adirato che fece finta di ignorare, ma che aveva visto chiaramente perché abbassò lo sguardo.
«E’ sicuro che domani partiremo?»
«Sì, perché? E’ già tutto pronto, devono solo fare qualche altro allenamento e poi saranno pronti per difendersi quando noi non saremo con loro» risposi grattandomi il mento mentre guardavo interessato gli allentamenti dei due guardiani.
Sophie mise il broncio poi iniziò a trafficare nella sua borsa e non mi diede più corda. Beh, ovviamente, la ignorai anche io.
«Avis, perché non provi ad evocare dei demoni? I guardiani possono evocare dei demoni che saranno per sempre loro servitori» gridai a gran voce per farmi sentire dall’altra parte del campo. Quei due a furia di scagliarsi uno contro l’altro, si erano allontanati di un bel pezzo da noi.
Avis girò di scatto la testa verso di noi poi prese a correre nella nostra direzione con Simon alle calcagna.
«Davvero??» gridò rumorosamente lei, poi quando fu abbastanza vicina a noi si sedette sul prato ed iniziò a strappare dei fili d’erba.
«Sì, devi disegnare, con il tuo stesso sangue, un pentacolo con la punta rivolta verso il basso sul palmo della mano e poi sussurrare: ‘invoco i miei demoni’» le spiegai cosa doveva fare. Avis d’altro canto mi guardava con un sorriso raggiante sul viso.
«Pensi che sia una cosa facile? Beh non lo è. Ti farà stare male. Sappi che se vuoi rompere il legame con loro, non dovrai fare altro che spezzare il pentacolo» Avis annuì sicura di sé, poi con uno dei pugnali di Simon si punse il dito indice ed infine tracciò il pentacolo sull’altra mano.
«Invoco i miei demoni» sussurrò armoniosamente quelle parole, tenendo gli occhi chiusi. Fece un profondo respiro. Si vedeva che aveva paura anche se cercava di non darlo a vedere. Gli afferrai la mano libera e intrecciai le mie dita con le sue ossute. Sembrò calmarsi perché fece un piccolo sorriso ad occhi chiusi.
Il pentacolo sulla mano iniziò a brillare di una luce rossa e Avis emise un verso di dolore.
«Brucia» mugugnò in preda al dolore, mentre stringeva i denti e gli occhi.
«Resisti» dissi dolcemente, stringendo di più la presa intorno alle sue dita. Avis annuì poi fece un altro respiro e il pentacolo si spense.
Intorno a noi si creò un miasma dai colori violacei e da un fortissimo fetore, che mi fece venire il voltastomaco. Il cielo si era oscurato e tutto intorno a noi sembrava essere sul punto di morire. Alberi rinsecchiti e malati, piante appassite, l’erba del prato bruciata e un fortissimo odore di morte si percepiva nell’aria.
«Padrona, ci avete chiamati?» delle voci lugubri echeggiarono nell’aria. Avis, che aveva riaperto gli occhi, gridò un «sì» spaventato.
Il miasma iniziò a dissolversi, così come il fetore. Tutto tornò come prima: le piante, gli alberi, l’erba erano ritornati normali. Il cielo era nuovamente sereno con qualche nuvola passeggera e nell’aria l’odore di morte era scomparso.
Le uniche cose diverse erano i due demoni dalle sembianze umane, dietro alle spalle di Avis. Una bambina dai capelli rossicci, le guance arrossate e gli occhi completamenti neri. Indossava un vestitino bianco con un enorme fiocco rosa intorno alla vita che la faceva sembrare una bambola di porcellana. E l’altro demone aveva le sembianze di Avis, cambiavano solamente i capelli che, sì, erano biondo fragola, ma con delle ciocche nere a fare contrasto. Indossava un paio di pantaloni in pelle nera che le fasciavano perfettamente le gambe e un top rosso fuoco che le lasciava scoperta la pancia piatta e minuta di piercing all’ombelico. Gli occhi neri erano contornati da una moltitudine di trucco, così come le labbra che erano ricoperte da un pesante strato di rossetto rosso.
«Così anche la guardiana della terra ha avuto un passato da teppistella» Sophie punzecchiò Avis che teneva la testa girata per metà verso i due demoni e la mano ancora intrecciata alla mia. Gli occhi e la bocca spalancati per lo stupore. Nei suoi occhi vidi la tristezza e il rammarico per qualcosa che aveva fatto quando aveva avuto quelle sembianze.
«Sophie!» esclamò indignato Simon lanciandole uno sguardo di fuoco. Lei fece spallucce poi sbuffò e tornò a giocare con il suo cellulare.
«S-sono io da piccola e io due anni fa» balbettò Avis con una lacrima a rigarle la guancia destra.
«Perché i demoni hanno preso questa forma?» mi domandò Avis con un espressione triste sul volto.
«Loro sono i tuoi demoni» le accarezzai un guancia poi si tirò indietro e tornò a guardare i due demoni.
«Avevo all'incirca sei anni e dovevo fare il saggio di danza, ma mia madre aveva dimenticato a casa le scarpette. Mia madre, per non tornare nuovamente a casa e per non lasciarmi sola, chiamò mio padre dicendogli se poteva portarci lui le scarpette, nonostante fosse ancora in ufficio, accettò. Tornò a casa a prenderle e poi a tutta velocità si diresse verso la mia scuola di danza. Ma durante il tragitto una macchina passò con il rosso e mio padre fece un incidente stradale. Mio padre finì in ospedale e anche mia sorella Amanda, che per tutto il viaggio si era nascosta sui sedili posteriori. Non mi perdonerò mai per quello che è accaduto quel giorno. Per delle stupide scarpette stavano per perdere la vita mia sorella e mio padre» raccontò Avis con voce flebile e angosciata.
Fece un profondo respiro poi indicò l’altra se stessa ed infine ricominciò a raccontare. «Avevo quindici anni e mi conciavo così perché volevo distinguermi dalla massa e sentirmi diversa. Mi piaceva sentirmi diversa ed essere guardata da tutti. Facevo la dura e chiunque si metteva sul mio cammino, lo prendevo a pugni o al calci. E’ buffo perché non so nemmeno come avevo fatto a trasformarmi in una persona del genere» bofonchiò allibita.
«Un giorno vidi il mio fidanzato insieme ad una mia compagna di scuola che l’aveva data a mezzo mondo e non ci vidi più. Mi scaraventai contro di lei e iniziai a prenderla a pugni e a calci. Per poco non la uccidevo. Finì in ospedale con un bel paio di costole rotte, una gambe fratturata, un emorragia interna e un occhio nero» storse il naso e abbassò lo sguardo rattristata, «Ero impazzita dalla gelosia e dalla rabbia. Ovviamente lui mi lasciò, dicendo che non voleva stare con una pazza. Beh, un po’ me l’ero meritato, d’altronde avevo quasi ucciso una mia compagna di scuola e per cosa? Per un ragazzo che non faceva altro che deridermi con i suoi amici e nonostante lo sapessi, ci stavo insieme» alla fine emise una risata amara e forzata.
«Avis…» ero senza parole, avrei tanto voluto abbracciarla, ma c’erano due persone di troppo vicino a noi.
«Non dire nulla. Lo so, potranno sembrare delle cose stupide, ma per me sono state due cose che mi sono rimaste impresse indelebilmente nella mia mente e nel mio cuore» disse a bassa voce poi si inumidì un dito con la saliva ed infine stroncò il collegamento con i demoni. Spezzando il pentacolo di sangue sulla mano.
Avis, si mise in ginocchio sull’erba poi si buttò tra le mie braccia e scoppiò a piangere, bagnandomi la stoffa della maglietta. Le dita delle sue piccole mani si strinsero intorno alla stoffa della maglietta e si aggrappò alla mia schiena.
«Shhh…va tutto bene» le sussurrai dolcemente all’orecchio, mentre le accarezzavo la testa con una mano e con l’altra la stringevo di più a me. Era anche un po’ colpa mia perché ero stato io a suggerire ad Avis di evocare i demoni. Però non mi sarei mai aspettato che i demoni di Avis fossero dei suoi ricordi così brutti, pensavo più a qualcosa come una piccola Avis felice o una Avis sfacciata, ma dal cuore d’oro. Non in sembianze di ricordi che avrebbe, certamente, voluto cancellare dalla sua mente. 
Di colpo qualcuno si schiarì la voce, «Disturbiamo per caso?» una voce maschile dal tono malvagio arrivò dalla nostra destra. Quando girai la testa verso la voce, vidi che erano due fottuti cacciatori del cazzo. Mai un attimo di pace, eh?!

 

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Capitolo 17
*** Arrivano in soccorso la guardiana del Fuoco e la sua protettrice (R) ***


Digrignai i denti e strinsi i pugni contro la schiena di Derek, facendomi diventare le nocche bianche e conficcandomi le unghie nei palmi delle mani, lasciandomi sfuggire anche un verso di frustrazione. I cacciatori fecero una battuta sul fatto che ci avrebbero uccisi subito perché eravamo ancora deboli e poi scoppiarono a ridere, facendomi conficcare nervosamente e ancor di più le unghie nella mia pelle, già segnati dei piccoli solchi a mezzaluna rossi.
Mi staccai da Derek e afferrai al volo la spada che avevo alle mie spalle ed infine mi scaraventai contro ai due cacciatori, senza pensarci due volte. Voleva farli fuori il prima possibile. Erano loro che avevano attaccato mia sorella e se ci fossero stati a casa i miei genitori avrebbero cercato, o meglio avrebbero ucciso anche loro. Gridai con odio e frustrazione che mi ribollivano dentro, correndo il più veloce possibile per raggiungere quei bastardi il prima possibile, con la mia spada ben salda tra le mie mani.
Sentii alle mie spalle gli altri urlare di fermarmi, ma non lo feci. Non potevo. Dovevo ucciderli perché sennò loro avrebbero ucciso noi. Mi posizionai davanti al cacciatore, sulla destra, con la spada in mano e gli feci un finto e tirato sorriso, guardandolo con uno sguardo carico di odio e disgusto perché non erano altro che mostri.
Corsi verso di lui con la spada nella mano sinistra e con un balzo, facendomi leva sulla gamba destra, sferrai il primo colpo e la lama andò a conficcarsi nella spalla del mio avversario che iniziò a gridare dal dolore. Il suo sangue aveva macchiato la lama della mia spada e stava anche formando un enorme chiazza sulla stoffa della sua maglietta, intorno alla ferita. Sorrisi compiaciuta da me stessa poi rivolsi un ghigno al mio avversario che mi guardava con i denti digrignati per il nervoso di essere stato colpito per primo. Il cacciatore cercò di colpirmi con la sua spada, ma riuscii a schivarla piegandomi sulle ginocchia e abbassando di poco la testa. Feci una mezza giravolta e andai a colpirlo sulla coscia, aprendogli un grande squarcio, con la lama sporca del suo sangue. Feci una seconda giravolta, tirandomi su e lo andai a colpire al busto, creandogli una profonda ferita che iniziò a sanguinare copiosamente.
Il cacciatore rimase un paio di secondi con lo sguardo fisso nel vuoto, prima che le sue ginocchia cedessero, facendolo finire a terra in un sonoro schianto. Sorrisi vittoriosa poi con un unico fendete andai a trapassargli il cuore; il cacciatore esalò l’ultimo respiro poi smise di muoversi e sotto di lui si formò un’enorme pozza rossa.
Stavo sudando. Sentivo il sudore colarmi dalla tempie e dalla schiena. Avevo le mani umide e sentivo che se non stringevo per bene l’impugnatura della spada, questa mi sarebbe scappata dalle dita. Il cuore sembrava essere sul punto di scoppiare e il respiro si faceva sempre più affannoso. Il mio petto che si muoveva velocemente mentre facevo dei profondi respiro per riprendere fiato. Ero riuscita ad uccidere il primo cacciatore e senza l’intervento di qualcun altro. Ancora stentavo a crederci, ma poi guardavo il cadavere sotto di me e mi rendevo conto che era tutto vero. Io lo avevo ucciso. Avevo ucciso qualcuno. Un essere vivente. E stranamente mi sentivo bene, forse perché se non mi fossi difesa, lui avrebbe ucciso me.
Derek aveva appena finito di uccidere l’altro cacciatore, ma non fece nemmeno in tempo a riprendere fiato che dai boschi intorno a noi iniziarono ad uscirne altri. Erano più o meno una dozzina e ci avevano circondati. Digrignai i denti, facendo roteare la mia spada per poi prepararmi a combattere nuovamente. Non mi importava che fossero umani, loro volevano ucciderci e noi per sopravvivere dovevamo difenderci. Uccidere per non essere ucciso, giusto?
«Cazzo» esclamarono in coro Sophie e Derek digrignando i denti.
Simon dietro alle spalle di Sophie aveva già estratto due dei sui pugnali, mentre Sophie fece comparire dal nulla un enorme martello dalla testa in acciaio nero e il manico dello stesso materiale, sembrava dello stesso materiale della spada di Derek e della falce di mia sorella.
«Noi ci occupiamo di questi da qua, voi occupatevi degli altri» gridò a denti stretti Sophie, facendo scontrare la sua schiena contro quella di Simon.
Derek si avventò su un cacciatore dall’aria giovane e dai capelli biondicci che teneva una pistola in una mano e la puntava verso di noi.
«Derek, attento!» gridai allungando una mano verso Derek. Il cacciatore fece un ghignò malvagio poi puntò la sua pistola contro Derek.
Stava per sparare contro Derek. Non seppi perché lo feci, ma iniziai a gridare con tutto il fiato che avevo in corpo e da sotto il terreno iniziarono a fuoriuscire rami appuntiti e acuminati che si andarono a conficcare nei corpi dei cacciatori che emisero dei flebili rantoli. Quello con la pistola non fece in tempo a sparare che Derek gli aveva già trafitto il cuore con la sua spada. La sfilò dal suo corpo ancora caldo che si accasciò al suolo inerme e senza vita.
Derek mi guardò con uno sguardo indecifrabile, dall’espressione gelida e forse un po’ orgogliosa di me, e mi fece un cenno di gratitudine poi iniziò a correre nella parte opposta alla mia per aiutare Sophie e Simon.
Feci un profondo respiro per poi riprendere fiato. Mi piegai sulle ginocchia, sorreggendomi con le mani su di esse poi riaddrizai la schiena ed infine puntai la mia spada verso il basso, tenendola al mio fianco.
«Ragazzina, tu devi venire con noi» una voce profonda e dal tono malvagio mi arrivò forte e chiara alle orecchie. Girai appena la testa e con la coda dell’occhio vidi un cacciatore con enorme sfregiò sul viso che teneva tra le mani una corda abbastanza resistente. Lui mi sorrise malignamente poi prendendomi per un braccio, mi scaraventò con ad un albero.
La botta contro l’albero mi mozzò il fiato in gola. Emisi un rantolo di dolore, mentre cadevo al suolo, picchiando nuovamente la schiena e il fianco. Sembrava che mi fossero passati sopra con uno schiacciasassi e che si fosse anche divertiti a farlo. Sentivo la schiena e il fianco destro pulsare e ad ogni mia piccola mossa, delle fortissime fitte mi spezzavano il fiato e mi impedivano di scappare. Dio, non potevo farmi sopraffare da un po’ di dolore, dovevo combattere per sopravvivere. Cercai nuovamente di alzarmi, ma un’altra fitta mi fece piegare in due dal dolore e stringere i denti per non gridare.
«E’ stato più facile di quello che credessi» esclamò il cacciatore divertito, sorridendo poi compiaciuto con le braccia conserte mentre con una mano faceva dondolare la corda che avrebbe usato su di me.
Lo guardai in cagnesco poi feci spallucce, cercando di fargli capire che non avevo paura di lui. Il cacciatore sogghignò poi mi tirò un calcio nello stomaco che mi fece gridare dal dolore e mancare il fiato per alcuni minuti. Allungai una mano verso la direzione di Derek che stava combattendo contro a due cacciatori, e cercai di formulare il suo nome, ma la mia voce non aveva intenzione di uscire. La mia voce non voleva uscire, così come il fiato faceva fatica ad entrare nei miei polmoni.
- Cazzo, siamo arrivate in ritardo! Una voce agitata e femminile si insinuò nella mia mente, facendomi capire che un altro guardiano della Notte si trovava qui.
Strizzai gli occhi poi cercai di alzarmi, ma una fortissima fitta al fianco mi fece piegare in due dal dolore e mozzare nuovamente il fiato. Ero davvero messa male.
Improvvisamente intorno a me si creò un cerchio di fuoco che pian piano iniziò ad alzarsi, formando quasi una barriera protettiva. Sentivo il calore del fuoco riscaldarmi la pelle e il dolce tepore che emanava quella barriera infuocata mi teneva bloccata al suolo. Non riuscivo a muovermi, era come se quella barriera oltre a proteggermi dal cacciatore, mi impediva di uscire e fuggire per mettermi al sicuro.
«Mi sa che ti sei sbagliato, stupido pagliaccio» una voce femminile e aggressiva risuonò nell’aria.
Sentii il cacciatore fece spallucce, «Stupida ragazzina, sai almeno contro chi ti sei messa?» domandò acidamente, puntando contro alla ragazza – che non riuscivo a vedere per via delle fiamme che mi offuscavano la vista – una pistola.
La ragazza emise una risata roca e fortemente finta, «Contro ad un uomo morto» rispose lei spavaldamente.
Vidi sfocatamente la mano, smaltata di nero, della ragazza creare una palla infuocata che usò per lanciarla contro al cacciatore. L’uomo iniziò a gridare mentre si rotolava sul prato per provare a spegnere le fiamme. Poi così com’era apparsa dal nulla quella ragazza, ne comparve un’altra davanti a me e uccise il cacciatore con coltello che andò a conficcarlo nel suo cuore.
«Amber, stai bene?» domandò l’altra ragazza con un filo di preoccupazione nella voce.
Nessuno si preoccupava per me? Derek stava bene? Sophie e Simon? Perché diamine non riuscivo a muovere nessun muscolo del mio corpo?
«Sì» borbottò aspra la prima ragazza. Mosse una mano davanti alla barriera di fuoco e questa incominciò a dissolversi e i miei muscoli a muoversi.
«Scusa se ti ho intrappolata dentro a quella barriera, ma eri più al sicuro lì» la ragazza, che finalmente riuscii a guardare per bene, mi porse una mano per aiutarmi ad alzarmi. Gliela afferrai e poi con il suo aiuto e con molta difficoltà mi misi in piedi, essendo che avevo il fianco dolorante e la schiena a pezzi. Così com’era successo con Simon anche con lei sentii una fortissima scossa colpirmi in pieno, facendomi emettere un gemito di dolore. Anche la ragazza riuscii a stento a trattenere un verso di dolore mentre si piegava in due per le fitte che stavamo provando in quel momento.
La mia mano ancora stretta nella sua, iniziò ad emettere quel bagliore verdastro che indicava che ero la guardiana della Terra, mentre quella di lei emise un bagliore rossastro, segno che lei non era altro che la guardiana del Fuoco, che andò a connettersi alla mia, quasi ad unificarci. I fortissimi dolori che pochi attimi prima avevamo provato, ora scomparvero del tutto. La guardiana del Fuoco lasciò la mia mano poi borbottò qualcosa che non riuscii a capire.
Un po’ barcollante mossi i primi passi ed uscii dalla ormai svanita barriera, ma che aveva lasciato un cerchio di erba bruciata intorno a dove poco prima c’era il mio corpo.
La ragazza che mi aveva salvata, aveva dei lunghi capelli color cioccolato fondente tenuti in morbidi boccoli, piccoli e semplici occhi marroni, truccati di nero e muniti di lunghissime ciglia XXL, e la bocca carnosa, ricoperta da un strato di rossetto fucsia.
«Stai bene?» mi domandò apprensiva, appoggiando una mano dalle dita affusolate sulla mia spalla sinistra.
«S-sì, grazie» balbettai poi distolsi lo sguardo dalla ragazza e vidi che anche tutti gli altri cacciatori giacevano inermi sul terreno. Derek, Sophie e Simon stavano riprendendo fiato. Emisi un sospiro di sollievo nel vedere che anche gli altri stava bene ed erano al sicuro.
«Io sono Amber Golthel, guardiana del Fuoco» si presentò la ragazza dai capelli color cioccolato, accennando infine un piccolo sorriso.
«Avis Darkwood, guardiana della Terra» mi presentai a mia volta, passandomi una mano fra i capelli, imbarazzata.
Dietro alle mie spalle si sentì un sonoro sbuffo, Amber sogghignò «Lei è Crystal Fox, la mia protettrice» la presentò. Mi girai verso Crystal e le sorrisi gentilmente. Crystal aveva grandi occhi a palla misti tra il verde e l’azzurro, capelli lunghissimi biondo platino naturale e una pelle pallida che sembrava essere di porcellana. Praticamente le caratteristiche della bambola in carne e ossa. Si vedeva che era più grande di tutti noi. Avrà sicuramente – almeno – ventisei anni.
«Avis!» la voce sonora di Derek mi arrivò ovattata alle orecchie. Stava correndo dalla nostra parte con un enorme taglio sul braccio sinistro, i capelli sudati e la maglietta appiccicata al petto che lasciava intravedere i muscoli ben definiti dell'addome.
«Avis, non sei ferita vero?» mi si precipitò di fronte senza neanche accennare uno sguardo a Amber o a Crystal. Con lo sguardo iniziò a controllare se avessi qualche ferita, anche se continuavo a ripetergli che avevo solamente male alla schiena e al fianco e un forte mal di testa.
«Amber e Crystal mi hanno salvate» mormorai indicando la guardiana del fuoco al mio fianco. Amber teneva le braccia conserte e guardava con attenzione Derek il quale in risposta alzò entrambe le sopracciglia e la guardò con la sua solita freddezza.
«Grazie per averla salvata» bofonchiò con tono distaccato Derek, accennando un sguardo ad Amber per poi tornare con sui occhi verdi smeraldo su di me.
Anche Simon e Sophie si avvicinarono a noi e per poco le due bionde si scannarono. Sophie e Crystal si conoscevano perché la più grande era stata l’insegnante e compagna di stanza della più piccola. Avevano studiato alla Black Roses Academy, cioè la scuola per formare i protettori o le protettrici dei guardiani delle streghe e delle streghe stesse. Ci potevano andare anche le streghe e i guardiani della Notte per imparare a padroneggiare i loro poteri. Derek me ne aveva parlato, poco prima di iniziare gli allentamenti.
«Non ci posso credere, con tutte le persone proprio te dovevo incontrare!» sbraitò Sophie roteando gli occhi nervosamente.
La più grande fece spallucce, «Sono stata assegnata alla guardiana del Fuoco. Di te mi interessa ben poco» replicò l’altra acidamente, alzando gli occhi al cielo.
Derek passò lo sguardo dalle due bionde, a me per poi fermarsi su Amber, «Tu sei la guardiana del Fuoco?» domandò infine. La bruna sorrise divertita poi annuì, «Abbiamo sentito da dei cacciatori (che erano sulle mie tracce) che il guardiano dell’acqua e quella della terra si erano riuniti per mettersi alla ricerca dei restanti guardiani. Vi abbiamo semplicemente risparmiato strada e fatica venendo qua» spiegò altezzosamente poi scrollò le spalle ed infine chiamò a gran voce Crystal che si fermò dal battibeccarsi con Sophie e si mise al suo fianco.
«Andiamo a mangiare qualcosa? Io e Crystal non mangiamo da ieri a mezzogiorno» Amber si massaggiò la pancia con una mano che aveva preso a brontolare affamata ed infine sorrise divertita.
«Va bene» risposi educatamente, beccandomi occhiatacce da parte di Sophie che si vedeva chiaramente che non voleva tra le scatole Crystal e due consensi da parte di Simon e Derek.
«Evviva, si mangia!» esclamò allegramente Amber, prendendo a braccetto la sua protettrice che non oppose resistenza, anche se si vedeva chiaramente che era scazzata dal suo comportamento e dal fatto che dovesse stare ancora per molto tempo in compagnia di Sophie, oltre che di tutti noi.

 

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Capitolo 18
*** Ritrovarsi con Amanda (R) ***


- Avis
 
«Ahhh, sono piena» Amber si massaggiò la pancia con le mani, mentre Sophie fissava in cagnesco Crystal che stava mangiando una patatina fritta.
Era da quando avevamo varcato l’ingresso del McDonald’s che Sophie non faceva altro che punzecchiare Crystal, lei ovviamente ricambiava. Mi sembravano due bambine a cui piaceva lo stesso bambino e che continuavano a punzecchiarsi per vedere chi se lo sarebbe aggiudicato, senza rendersi conto che si rendevano solo ridicole e dannatamente infantili.
«Spero per voi che i soldi li abbiate perché io non intenzione di pagarvi il pranzo» sputò Sophie acidamente, portando una mano sotto al mento per sorreggere la testa e continuando a guardare in cagnesco la bambolina.
Crystal fece spallucce e scrollò lo spalle con nonchalance. «Tranquilla. Non voglio essere in debito con te» replicò lei stizzita, scoccando la lingua contro al palato e ricambiando lo sguardo di fuoco con cui Sophie la stava guardando.
«Okay, basta! Non ne posso più dei vostri battibecchi. Non avete cinque anni, ne avete molti di più. Comportatevi da adulte e mangiate stando zitte» sbottò Derek, picchiando i pugni sul tavolo e facendomi sobbalzare per lo spavento. Sentii Simon sospirare di sollievo quindi anche lui come me e Derek era all’estremo dei nervi.
Sia Sophie che Crystal strabuzzarono gli occhi poi senza fiatare, tornarono a mangiare e per almeno una buona mezz’oretta non volò una mosca. Amber mi raccontò che prima di andare a lavorare al Luna Park di Greenwood, aveva fatto da mangiafuoco in un piccolo circo nel paesino accanto, ma che dopo aver scoperto di essere la guardiana del Fuoco e che dei cacciatori erano sulle sue tracce, lo aveva lasciato per cercare di tenerseli lontani, anche se inutilmente.
Tornammo a casa dopo quasi un’ora e mezza, ed io mi infialai immediatamente in bagno. Avevo bisogno di una doccia e di depilarmi le gambe.
 
 
- Derek
 
«Derek, giusto?» mi domandò Crystal, guardandomi con i suoi enormi occhi che in quel momento sembravano verdi.
«Sì. Cosa vuoi?» domandai scocciato, mentre me ne stavo stravaccato sul divano con in mano il telecomando in cerca di qualcosa di decente in televisione.
«Prima di venire qui ho sentito al telefono i protettori del guardiano dell’aria e di tuo fratello. Mi hanno avvisato che loro si trovano già alla Black Roses Academy e di raggiungerli al più presto» rispose lei con tono serio. Mio fratello quindi era già al sicuro, menomale.
«Bene» risposi sollevato, accennando ad un sorriso all’aria. Fra poco avrei potuto rivedere mio fratello e controllarlo almeno un po’. Non volevo che si cacciasse in qualche guaio.
Sophie uscì dalla sua camera con le cuffie nelle orecchie, canticchiando qualcosa, poi si girò verso di noi e ne tolse una, guardandomi con un sopracciglio inarcato e con uno sguardo furbo. «Vedo che avete già fatto comunella. Povera Avis» sputò acidamente per poi andare a prendersi una bibita in frigo.
Sbuffai seccato, roteando gli occhi. «Finiscila Sophie, mi ha semplicemente detto che gli altri due guardiani solo già al sicuro all’accademia» replicai snervato. Avis non mi piaceva. Dovevo semplicemente proteggerla perché mi era stata affidata dal preside Cross. Non provavo di certo qualcosa per lei e, se dovesse succedere, cercherei in ogni modo di opprimere quei sentimenti fastidiosi e pericolosi, sia per me che per lei.
Sophie scoccò la lingua contro il palato indispettita, «Okay, allora avvisa Avis che io avviso Simon» dopo aver preso la bibita, si diresse verso la camera di Simon ed infine ci entrò dentro.
«Io vado da Amber» esordì Crystal alzandosi dal tavolino per poi uscire sul balcone, dove si trovava Amber intenta a fumarsi una sigaretta.
Mi alzai svogliatamente dal divano poi senza neanche bussare, entrai in bagno e trovai Avis con un asciugamano avvolto intorno a quel corpo così perfetto, dalla pelle pallida e lucida, mentre teneva una gamba immersa nell’acqua della vasca e in una mano un rasoio.
Avis iniziò a gridare stringendosi con più forza l’asciugamano intorno al corpo, mettendo ancor di più in risalto il seno. «Esci pervertito!» sbraitò furibonda lei lanciandomi una bottiglietta che schivai all’ultimo secondo.
Strabuzzai gli occhi scioccato. «Non vorrai farti del male, vero?» indicai con un dito il rasoio che teneva in mano. Lei mi guardò in cagnesco, «No, imbecille. Mi sto depilando le gambe perché non voglio diventare una scimmia e quella dannata macchinetta» indicò una macchinetta bianca dal coperchio rosa a terra «Si è rotta e non ho potuto usare la cera» sbuffò incavolata.
«Oh..» ridacchiai, alzando gli occhi al cielo. Mi trattenni dal scoppiarle a ridere in faccia. Era così buffa, con la faccia rossa per la rabbia o forse per la vergogna e i capelli scompigliati che le davano un’aria da appena scappata di casa.
«Beh? Te ne vai o vuoi che i miei rami facciano quello che dovrebbero fare le tue gambine?» dal tubo del lavandino si sentirono dei rumori strani e metallici poi dal buco, fuoriuscirono un paio di rami che si scaraventarono contro di me.
«Esco» gridai fingendomi spaurito, uscendo poi di corsa dal bagno. Dal interno del bagno si sentì un «bravo» susseguito da una risata divertita. Bastarda! Non le avevo nemmeno detto la notizia. Avevo rischiato di venir infilzato da quei maledetti rami, ma che altro potevo aspettarmi? Ero entrato senza bussare e di certo lei non se ne sarebbe stata buona a fissarmi senza dire o fare qualcosa.
«Non ci credo! Sei entrato in bagno senza bussare?» domandò divertita Sophie che se ne stava in cucina a prepararsi un panino.
La fulminai con lo sguardo poi annuii demoralizzato. Lei mi fece un sorriso sghembo, «Tieni. Mangia qualcosa, dato che prima non hai mangiato niente» mi consegnò il suo panino poi tornò a farsene uno per sé stessa.
«Grazie» borbottai, senza capire il perché di quella gentilezza, poi azzannai il panino e me lo gustai al meglio. Salame e maionese. Il mio preferito.
Di colpo si sentì la porta del bagno aprirsi e, Avis uscì con la testa tra le nuvole e con l’asciugamano avvolto intorno al suo colpo perfetto mentre si pettinava quella criniera ribelle. Appena posò il suo sguardo su di me arrossì vistosamente e, la trovai adorabile. Ma non appena si rese conto di essere ancora nuda con indosso solamente l’asciugamano e che la continuavo a scrutare da capo a piedi, il suo sguardo mutò in rabbia e mi guardò in cagnesco poi voltò il viso di lato e fece spallucce.
«Avis, Derek deve dirti una cosa» bofonchiò Sophie prima di portarsi alla bocca il panino e darne un morso enorme.
Avis alzò un sopracciglio, «Cosa?» domandò acidamente mentre si aggiustava l’asciugamano intorno al seno. Distolsi immediatamente lo sguardo, rendendomi conto su dove si era soffermato poi mi schiarii la voce.
«Il guardiano dell’acqua e quello dello spirito sono già alla Black Roses Academy e aspettano solo noi» risposi con le braccia incrociate al petto e con lo sguardo rivolto verso il balcone, volevo evitare di ritrovarmi nuovamente a fissare il suo corpo da capo giro.
«Gliela detto la biondona là fuori» proferì Sophie indicando Crystal insieme ad Amber, poi sorrise malignamente.
Avis storse la bocca, probabilmente non apprezzando il fatto che me l’avesse raccontato Crystal. «Okay, io vado a vestirmi. Ne parliamo dopo. Voglio almeno indossare qualcosa, dato che non mi sembra il caso di stare mezza nuda» annunciò lei atona, poi dandomi le spalle, entrò nella camera di Sophie.
 
 
- Avis
 
Dopo essermi vestita, avevo ascoltato tutto quello che Crystal aveva da dire, con qualche intervento anche da parte di Amber. Gli altri due guardiani erano arrivati all’accademia da un paio di giorni e il preside stava aspettando con ansia anche tutti noi. Volevano completare al più presto il cerchio per darci pieni poteri.
Di colpo il mio cellulare iniziò a squillare e vidi sullo schermo che era mia sorella. Dissi agli altri di continuare pure a parlare poi mi infilai nella camera di Sophie e risposi alla chiamata di mia sorella.
‹Pronto?›
‹Avis, ciao tesoro!› la voce di Amanda risuonò tranquilla dall’altra parte del telefono, quindi non era successo nulla di preoccupante.
‹Ehi, come mai questa chiamata? E’ successo qualcosa?› chiesi, giocherellando con una ciocca di capelli.
‹Beh in verità ci dovremmo incontrare perché devo darti delle cose importanti› sentii la sua voce abbassarsi di un tono dall’altra parte del cellulare.
Alzai un sopracciglio, ‹Incontrarci? Come? Sei a Raven Town?› domandai allargandomi in un sorriso. Avrei finalmente rivisto mia sorella.
La sentii ridacchiare, ‹No. Sono a casa. Devi venire qua. Ti ricordi che ti avevo detto che la collana ti sarebbe stata utile più avanti?› chiese infine, probabilmente giocherellando anche lei con una ciocca di capelli. Era una nostra abitudine quando parlavamo al cellulare.
‹Sì› risposi svelta, andandomi a sedere sul bordo del letto di Sophie.
‹Beh, ti serve ora. È come un teletrasporto. Devi stringerla in una mano e poi sussurrare il mio nome. Questa ti porterà diretta da me› mi spiegò Amanda con voce calma.
‹Posso portare con me Derek?› domandai con il cuore che batteva velocemente nel petto. Mi sentivo già in ansia perché se non dovesse funzionare chissà dove potrei venir trasportata. Se Derek potesse venire con me, sicuramente starei molto più calma.
‹Sì, certo. Ci vediamo dopo. Ti aspetto tra mezz’ora. Ciao piccola› Amanda chiuse la chiamata senza neanche darmi il tempo di salutarla.
Misi il cellulare in tasca poi chiamai Derek e gli spiegai tutto quello che mi aveva detto mia sorella. Lui, ovviamente, acconsentì nel venir con me, anche perché aveva esplicitamente detto che non mi avrebbe lasciata andare da sola essendo che era il mio protettore.
Così Derek ed io dopo la chiamata di mia sorella, ci eravamo nascosti nella camera da letto di Sophie. Agli altri, Derek aveva detto che non stavo molto bene e che volevo rimanere da sola con lui.
Mia sorella mi aveva spiegato di stringere in una mano il ciondolo e poi sussurrare il suo nome per poter andare da lei. Stavo tremando come una foglia in una giornata di vento. Le mani mi sudavano e i battiti del mio cuore stava già incominciando ad accelerare. E l’ansia stava iniziando a farsi sentire, come una bolla di negatività.
«Facciamolo» disse serio Derek, afferrando la mia mano libera per poi intrecciare le mie dita ossute con le sue affusolate. Arrossii, diventando rossa come un peperone poi presi un profondo respiro. Annuii spaventata poi chiusi gli occhi per concentrarmi e strinsi fortemente nella mano il ciondolo verde della collana. Iniziai a sentire un leggero tepore provenire da essa poi il calore aumentò e sembrava come se stessi toccando qualcosa di incandescente, ma che mi procurava solo un lieve dolore bruciante.
«Avis, ci sei riuscita» esclamò Derek dopo aver lasciato la mia mano per poi appoggiarle sulle mie spalle e scuotermi appena. Aprii lentamente gli occhi e cercai di mettere a fuoco la stanza, ma era buia e si vedeva ben poco. Provai a cercare l’interruttore, strisciando contro alla parete da cui iniziò a scrostarsi l’intonaco. Dove diamine eravamo finiti? E dov’era Amanda?
Solamente un leggero bagliore di luce filtrava da un finestra rotta, infondo a quel corridoio buio.
Iniziai a fare qualche passo in avanti, quando qualcosa mi passò in mezzo ai piedi e mi sfiorò con una cosa liscia e lunga, le caviglie. Iniziai a gridare e saltare in aria spaventata. Nel attimo in cui smisi di urlare per riprendere fiato, dalla mia mano sinistra iniziò a crearsi una sfera di fuoco che illuminò parzialmente la stanza. Come diamine avevo creato quella sfera di fuoco? Derek mi aveva spiegato che potevamo usare anche gli altri poteri, ma io non aveva pensato a nulla di simile, non avevo minimamente pensato ad una sfera di fuoco per poter illuminare la stanza, anzi io mi aspettavo che facesse qualcosa il brontolone. Non c’era nulla, solamente quel lungo corridoio e lungo le pareti, dal intonaco scrostato, porte di legno bianche e scassate o rovinate dalla termiti.
«Avis, era un topo» borbottò stizzito Derek, indicando l’animaletto dal pelo marrone di fronte a me. Il topo iniziò a squittire poi scappò a gambe levate. E fai bene a scappare, se non vuoi trovarti abbrustolito.
Emisi un sospirò di sollievo poi tenendo in mano la sfera, tornammo a camminare nell’interminabile corridoio.
Mi fermai davanti ad una porta mezza scassata – le mancava il pomello e la parte inferiore era stata distrutta a suon di calci – e lessi sulla targa d'ottone: ‘Dottor A. Bellamy’ e in quel momento capii che ci trovavamo nel piano off limits del condominio, quello non ricostruito. Il piano non ricostruito del manicomio.
«Fantastico, mia sorella ci ha fatto venire nel piano off limits, il piano maledetto» borbottai infastidita, cercando di non far tremare la mia voce essendo che avevo un po’ di paura di stare in quel piano, schiodandomi da davanti la porta per continuare il nostro cammino.
«Hai paura?» domandò divertito Derek, «Se vuoi, ti puoi stringere a me» concluse maliziosamente. Scoccai la lingua contro al palato, «No e no» replicai drastica dandogli le spalle. Non volevo dargliela vinta, anche se gli sarei saltata volentieri addosso.
Continuammo a camminare fino ad arrivare ad un bivio. Destra o sinistra? Dove si troverà mia sorella?
«Amanda» gridai e la mia voce echeggiò nei corridoi. La voce ovattata di mia sorella, che gridava a sua volta il mio nome, arrivò immediatamente e proveniva da destra.
Svoltammo a destra al bivio e dopo un interminabile camminata, arrivammo davanti a quella che doveva essere la sala dove i pazienti potevano rilassarsi o dare di matto. Amanda era seduta sull’unico tavolo, mezzo sbilenco tra l’altro, della stanza. Sulle cosce teneva un sacchetto di stoffa marrone, chiuso da uno spago dorato.
«Amanda» gridai felice di rincontrala. Amanda mi sorrise affettuosamente poi balzò giù dal tavolo e mi corse incontro per abbracciarmi. Mi strinse fra le sue braccia e il suo profumo alla fragole mi invase le narici e in quel momento mi sentii a casa. Appoggiai la testa sulla sua spalla destra ed iniziai a piangere, felice di poterla rivedere e abbracciare.
«Mi sei mancata così tanto» mormorai a voce bassa, con le lacrime a solcarmi il viso.
Lei mi accarezzò dolcemente i capelli e poi mi sussurrò all’orecchio: «Anche tu mi sei mancata» ed infine mi diede un soffice bacio sulla guancia bagnata dalle lacrime.
Sentii Derek, dietro alle mie spalle, schiarirsi la voce come per dire: ‘ci sono anche io’. Amanda si staccò lentamente da me poi con due falcate arrivò davanti a Derek e gli porse una mano.
«Grazie per aver protetto Avis e grazie perché la stai proteggendo tutt’ora» disse sollevata Amanda.
Derek afferrò stizzito la mano di mia sorella e ostentò un sorriso, «E’ un dovere» replicò serio. E in quel momento sentii qualcosa dentro di me spezzarsi. Vero, io per lui non ero altro che qualcuno da proteggere perché lui era un protettore ed io una guardiana. E quello era il compito dei protettori, proteggere il loro guardiano. A che andavo a pensare? Era ovvio che tra di noi non ci fosse nulla. Lui sembrava non sopportarmi mentre io sopportavo lui e il suo sguardo gelido e duro ogni giorno perché mi stavo affezionando a lui.
«Comunque vi ho fatti venire qui per darvi questi» Amanda mi consegnò nelle mani quel sacchetto di stoffa marrone che avevo notato prima.
«Sono gli anelli dei guardiani. Per tutto questo tempo li ho custoditi in attesa della rinascita dei guardiani» spiegò lei, accennando un sorriso ad entrambi.
Aprii il sacchetto e vidi gli anelli scintillare nella poca luce che c’era in quella stanza. Ogni anello aveva una pietra di colori diversi. Viola, bianca, rossa, blu e verde.
Presi l’anello dalla pietra verde, uno smeraldo ovale e lo guardai attentamente. Era stupendo, tanto quanto la collana. I gioielli dei guardiani erano tutti così meravigliosamente luminosi e brillanti?
Volevo provarlo. Così mi misi in tasca il sacchetto e portai l’anello al dito, ma Amanda con fortissimo e altissimo «NO» mi fermò e mi fece sobbalzare per lo spavento. Il cuore mi pompò velocemente nel petto e il respiro dopo essere stato mozzato dallo spavento, ricominciò ad essere regolare.
«Non puoi indossarlo ora. Dovete indossarlo tutti nello stesso momento dentro al pentacolo, con cinque candele delle stesso colore degli anelli e nelle posizioni esatte» spiegò a gran voce Amanda con una mano sul cuore. Aveva il viso leggermente arrossato e gli occhi spalancati, «Non provar mai ad indossarlo senza di loro, ti toglierebbe i poteri e potrebbe persino ucciderti» ribadì prendendomi le mani fra le sue e stringendole appena, «Capito?» annuii poi lei mi lasciò andare ed io ritirai a malincuore l’anello. Ma ahimé non volevo morire prima del dovuto e non per un anello. Avrei aspettato il momento giusto per indossarlo.
«Bene. Ora andate, ci rivedremo ancora e molto presto» mi sorrise dolcemente poi scomparve avvolta da una nube nera.
Mi girai verso Derek e gli feci un timido sorriso poi scoppiai a piangere di nuovo, questa volta fra le sue braccia e con il corpo scosso da forti singhiozzi.

 

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Capitolo 19
*** Destinazione Black Roses Academy (R) ***


Mi stavo cambiando in bagno, dopo essermi fatta l’ennesima doccia del giorno, indossando il mio costume da guardiana. Per prima cosa mi misi il top verde militare con il fiore sul seno sinistro, che mi lasciava scoperta la pancia piatta poi i pantaloni del medesimo colore, che mi fasciavano alla perfezione le gambe magre e lunghe. Indossai gli stivali marroni con un bel po’ di tacco che mi rendeva più alta, dato che ero una tappa. Ed infine indossai la giacchetta di pelle verde.
Mi feci una treccia di lato e la lasciai ricadere sulla mia spalla destra. Mi contornai gli occhi con la matita nera, passai il pennellino sulle palpebre e le colorai di un tenue rosa pastello poi mi ricoprii le labbra con uno strato di lucidalabbra, ed infine uscii dal bagno.
«Io sono pronta» esclamai allegra, alzando le braccia in aria e sventolandole. Tutti si girarono dalla mia parte. Derek mi accennò un sorriso sghembo, Simon affermò che ero stupenda, Sophie sbuffò seccata, Crystal mi fissava ma non proferiva parola ed infine Amber mi disse che stavo bene vestita così.
«Abbiamo caricato già tutto in macchina» disse Derek, alzandosi dal divano per mettersi davanti a me. La differenza di alta si vedeva chiaramente, anche se portavo i tacchi. Mi sentivo così piccola di fronte a lui che era un gigante. «Ovviamente mentre tu pensavi a farti bella» mi picchiettò un dito sul naso poi mi fece un sorriso sghembo, «Comunque sei bellissima» sussurrò infine facendomi arrossire e sentire le farfalle nello stomaco, poi insieme a Simon uscirono dalla casa.
Le gote mi si tinsero di un bel rosso scarlatto e diventarono calde. Mi portai le mani sulle guance poi cercai di calmarmi, scuotendo velocemente la testa. Infine uscii seguita delle altre ragazze. Sophie chiuse a chiave la porta poi scese di corsa le scale. Alla fine l’ultima a scendere le scale fui io, grazie all’aiuto dei miei tacchi vertiginosi.
Simon e Sophie salirono sul macinino di quest’ultima. Derek ed io sulla nostra macchina. Ed infine Amber e Crystal sulla loro di un rosso acceso.
Partimmo tutti nello stesso momento. Seguimmo la macchina di Sophie, che pian piano si stava allontanando dal paese per immergersi nella natura.
 
Ci eravamo fermati con la macchina – dopo quasi un’ora – davanti a quella che un tempo doveva essere stata una stazione ferroviaria. L’unica cosa rimasta era una panchina mezza scassata, ovviamente piena di dediche stupide, e un pezzo di muro, di quello che era stata una volta la stazione, anche esso pieno di graffiti. Beh come il resto d’altronde. C’erano graffiti persino sui binari e sui muretti adiacenti ad essi.
In quel punto abbandonato da tutti, l’aria era calda e afosa. Era così afosa che sembrava di respirare acqua e tra l’altro mi faceva sudare tantissimo. Diamine eravamo in autunno, non in estate!  Mi passai una mano sulla fronte poi continuai a scrutare l’ambiente.
L’erba intorno alla panchina e al pezzo di muro della stazione, era altissima. Dal pavimento autobloccante, color grigio topo, sbucavano dei piccoli ciuffetti di erba mischiati a qualche margherita e in certi punti sembrava persino bruciata.
Sentivo il sudore colarmi giù dalla schiena e il caldo intorno a me diventare sempre più denso e afoso. Poi di colpo una ventata d’aria gelida mi investì in pieno. I miei capelli iniziarono svolazzare nell’aria e le mie guance diventarono rosse e accaldate per via del freddo improvviso. Sentivo il freddo pungente penetrarmi fin dentro alle ossa. Eravamo passati dal caldo estivo al freddo invernale in un secondo. Ghiacciolo sciolto per colpa del caldo a ghiacciolo rigenerato grazie al freddo. Sì, il ghiacciolo ero io.
«Perché siamo qui?» domandai battendo i denti e guardandomi in giro, per capire meglio il motivo per cui ci eravamo fermati in quel posto.
«Stiamo aspettando il treno» rispose seccata Sophie, mentre si metteva a posto i capelli che erano stati scompigliati dal vento.
Alzai un sopracciglio. «Eh? Quale treno?» strabuzzai gli occhi scioccata, «Qui non ci viene anima viva dai tempi della guerra. Andiamo, non prendetemi in giro!» borbottai stizzita e indicando prima i binari poi tutto il resto.
Sentii Amber ridacchiare dietro alle mie spalle, «Non ti hanno spiegato molto, vero?» mi domandò retoricamente. Mi girai verso di lei e la guardai con un sopracciglio alzato poi con una mano la intimai a continuare.
«Questo è il passaggio per la Black Roses Academy. Ecco il motivo del cambiamento improvviso del tempo. Intorno a questa vecchia stazione c’è una barriera che ci protegge dai cacciatori di streghe» spiegò Amber con aria da saputella poi scrollò le spalle con nonchalance.
Gonfiai le guance poi annuii «Oh, capito».
Mi girai verso Derek che giocherellava per l’ennesima volta con il giochino sul suo cellulare e velocemente lo raggiunsi. Mi misi al suo fianco e poi mi attaccai al suo braccio destro, appoggiando la testa contro esso per cercare di riscaldarmi.
«Quanto ci metterà ad arrivare? Sto congelando» chiesi allarmata battendo freneticamente i denti tra loro e stringendomi di più a Derek che emanava un fortissimo calore.
«Quando sentirai suonare una campanella, il treno si materializzerà davanti a noi» rispose Derek accarezzandomi la testa con la mano libera. «Vacci piano, mi stai stritolando il braccio» esclamò poi infine ridacchiando facendomi sprofondare dalla vergogna. Mi staccai immediatamente da lui con le gote arrossate e mormorai un «scusa» poi mi misi al fianco di Simon ed iniziai a parlare con lui.
«Sai, non vedo l’ora di entrare nell’accademia» esclamò elettrizzato Simon, facendomi l’occhiolino e sorridendomi, mettendo in mostra la sua adorabile fossetta.
«Sì, anche io» replicai, stringendomi nel maglione che avevo indossato sopra al top del mio costume da guardiana della Terra. Il giubbotto di pelle lo avevo infilato con gran forza dentro al mio zainetto e, gli anelli che mi aveva dato mia sorella li avevo nascosti per bene al suo interno.
Anche Simon indossava il suo costume di guardiano dell’Acqua e gli stava davvero bene. Soprattutto i pantaloni che gli fasciavano le gambe sottili ma muscolose.
«Crystal rendi invisibili le auto» esclamò Derek lanciandole un’occhiata. La bionda fece una bolla con la chewingum poi annuì.
«Invisibilus» sussurrò con il viso e una mano rivolta contro alla macchina, da cui fuoriuscirono delle scintille bianche, poi pian piano le macchine iniziarono a scomparire alla vista umana. Tornò al fianco della sua guardiana poi lanciò uno sguardo divertito a Derek che ricambiò con un sorriso sghembo. Scoccai la lingua contro al palato infastidita. “Crystal sei un po’ troppo grande per Derek, quindi vedi di non provarci con lui, se non vuoi che ti infilzo con i miei rami” era questo quello che avrei voluto dirle, ma mi trattenni e tornai a guardare i binari davanti a me. Il cielo si stava incupendo e riempiendo di nuvole, assumendo una sfumatura grigio scuro e nell'aria si manifestò una leggera nebbiolina.
All’improvviso si sentì rimbombare nell’aria il rumore assordante di una campanella, come quelle della scuola che mi fece tappare le orecchie con le mani perché era davvero acuto e fastidioso. Davanti a noi, sul primo binario, l’aria iniziò a muoversi poi pian piano cominciò a comparire il treno che ci avrebbe portati all’accademia.
Il treno aveva due vagoni ed era abbastanza lungo. Il treno di un rosso acceso, portava sulle pareti di fronte a noi lo stemma dell’accademia. Una B dorata, una R dorata e una rosa nera con sfumature più chiare sotto alle due lettere.
Le porte del treno si aprirono e una voce metallica ci disse di salire. Fecero salire per prima noi ragazze. L’ultimo a salire fu Derek che chiuse dietro di sé le porte metalliche.
Ci andammo a sedere; noi quattro ragazze insieme mentre i due ragazzi nei sedili adiacenti ai nostri.
Io avevo di fronte Sophie e al mio fianco c’era Amber. Amber aveva di fronte Crystal e lei era al fianco di Sophie. Infatti non facevano altro che tirarsi gomitate per decidere chi delle due doveva appoggiare il braccio sul bracciolo, come due bambine.
Roteai gli occhi poi emisi un sospiro rassegnato. Sarà un lungo, lunghissimo viaggio.
«Avis, se guardi fuori dal finestrino vedrai il treno scomparire sotto terra» esclamò Derek indicando il suo finestrino. Mi alzai dal mio sedile e corsi verso il mio protettore e guardai fuori dal finestrino leggermente incrostato, appoggiando un ginocchio sulle cosce fasciate dai jeans neri di Derek e l’altro sul bracciolo.
Stavamo ancora viaggiando sui binari, ma il treno si stava lentamente incurvando verso il basso. All’improvviso sentimmo un fortissimo scossone che mi fece perdere l’equilibro e mi ritrovai spiaccicata contro a Derek. Le guance si tinsero nuovamente di rosso e il battito del mio cuore iniziò ad accelerare e gli elefanti tornarono a ballare nel mio stomaco. Mi staccai in fretta e furia da lui, che ridacchiò, poi gli chiesi timidamente scusa ed infine tornai a guardare fuori dal finestrino.
Non si vedeva nulla, se non il terreno che ci avvolgeva. Vedevo delle radici venir spezzate dalla velocità del treno e la terra schizzare violentemente contro ai finestrini.
Poi sentimmo nuovamente uno scossone e il treno fermò per un attimo la sua corsa. Guardai ancora fuori dal finestrino. Ora ci trovavamo su un binario sotterraneo e penso inesistente per le persone comuni.
Strabuzzai gli occhi e spalancai la bocca. «Figo!» esclamai elettrizzata, avvicinando di più il viso al finestrino e appoggiando entrambe le ginocchia su quelle di Derek, il quale appoggiò le sue mani sui miei fianchi da cui partirono delle scosse che mi fecero fremere poi mi sussurrò «lo faccio solo per non farti cadere» ed infine mi diede una sculacciata, facendomi sfuggire un gridolino di sorpresa. Girai il viso completamente rosso verso di lui, «Pervertito!» strillai imbarazzata poi mi alzai velocemente dalle sue ginocchia e tornai al mio posto con il broncio.
«Ancora due ore di viaggio e poi finalmente arriveremo all’accademia» esclamò Sophie quasi esaltata, lasciandosi andare con la schiena contro allo schienale del sedile e sfuggire un sospiro di sollievo.
«Bene, svegliatemi quando arriviamo» esordì Amber sfoggiando un sorriso, poi appoggiò la testa contro il finestrino ed infine chiuse gli occhi, riuscendo immediatamente ad addormentarsi. Forse dovrei riposarmi anche io. Almeno un po’.
Chiusi anche io gli occhi e pochi minuti dopo, venni cullata dalle braccia di morfeo e mi addormentai contro allo schienale scomodo del sedile.

 

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Capitolo 20
*** La Black Roses Academy (R) ***


Il fischio acuto del treno mi risvegliò bruscamente dal mio sonno. Quando frenò la sua corsa venni scaraventata in avanti e finii con la testa contro qualcosa di morbido e soffice che poi constatai con una palpata di mani fossero i seni di Sophie, la quale mi stava guardando con uno sguardo furibondo che mi fece sobbalzare indietro e picchiare in malo modo la schiena con il sedile. Con le guance color porpora mi guardai intorno, stropicciando gli occhi e sbadigliando con poca grazia ed infine mi ricordai dove ero. Ero sul treno diretto alla Black Roses Academy.
«Siamo arrivati» esordì Derek stiracchiandosi le ossa poi si alzò dal suo sedile e si rimise la giacca di pelle che gli dava un’aria da bad boy.
Crystal svegliò con grazia Amber, che borbottò frasi senza senso, prima di aprire gli occhi color cioccolato e sbadigliare rumorosamente.
«Dobbiamo scendere» le disse Crystal con gentilezza, alzandosi poi anche lei dal sedile del treno. Sophie era già scesa insieme a Simon. Derek, invece, mi stava aspettando con aria impaziente. Scocciata dalla sua odiosa impazienza, presi in fretta e furia il mio, me lo portai in spalle poi mi affrettai a raggiungere Derek che mi borbottò «alla buonora» e dopo essermi messa al suo fianco scendemmo dal treno.
Una folata di vento gelido ci investì in pieno, facendomi immediatamente arrossare le guance e svolazzare i ciuffi ribelli usciti dalla treccia nell’aria. Iniziai a tremare come una foglia. Si stava nettamente meglio nel treno.
Quando mi girai per vedere se anche le altre due erano uscite, notai che il treno era scomparso e che Crystal ed Amber erano a pochi centimetri da noi e parlavano fitte fitte tra loro.
Tornai a guardare davanti a me e notai che c’era un cartello, sul ciglio della strada, fatto di legno bianco, che indicava la strada per la Black Roses Academy.
Sbarrai gli occhi ed iniziai a boccheggiare, quando vidi che l’unica via per arrivare all’Accademia era una piccola stradina che portava ad un muro di roccia sui cui ci doveva si arrampicare con delle corde, che erano appese sulla cima della salita e che scendevano sino ai nostri piedi.
«Non dobbiamo passare per di lì, vero?» domandai allarmata, puntando un dito contro alla salita poco lontana da noi. Non ero mai stata brava con l’attività fisica, soprattutto con la corda, quindi iniziai ad andare nel panico. Cominciai a guardarmi in giro spaesata, in cerca di una seconda via, una più facile e che non implicasse la forza fisica, però quando capii che non esisteva, il mio cuore prese a battere velocemente nel petto, il respiro iniziò ad accorciarsi e i muscoli ad irrigidirsi per la paura. Ci avrei messo una vita a risalire quel muro di roccia. Aiuto.
I tre protettori si erano messi tutti sul lato destro della stradina, mentre noi guardiani rimanemmo sull’altro, poi annuirono tutti e tre insieme, facendomi andare ancora di più nel panico. Ero fottuta. Aspetta, potrei usare la mia magia della Terra per salire, no?
«Forza, cominciate» ci incitò Crystal sogghignando e battendo freneticamente le mani fra loro. Amber le lanciò uno sguardo di fuoco poi borbottò un «questa me la paghi» ed infine, si avviò con passi da elefante verso il muro di roccia.
«Andate anche voi. Ci sono tre corde e voi siete in tre» disse Derek con aria superiore, guardandoci con il suo sguardo gelido che mi fece venir voglia di prenderlo a pugni.
Emisi un forte sospiro disperato, poi con poche falcate arrivai davanti al immenso muro di roccia ed iniziai a tremare come una foglia. Che dovrei fare? Non sono mai stata brava ad arrampicarmi. A scuola non facevo che picchiare il culo sul pavimento. Le mani non facevano altro che scivolarmi e non avevo tutta quella forza per reggermi senza l’aiuto delle gambe.
«Forza, Avis! Let’s go» Simon si mise al mio fianco, si sistemò gli occhiali sul naso poi sfregò le mani fra loro ed infine, prese la rincorsa e si lanciò verso la corda sulla sinistra, aggrappandosi a qualche centimetro di distanza dal terreno.
Scoppiai a in una fragorosa risata, «Bravo Simon! Ci sei riuscito» esclamai portandomi una mano sullo stomaco per le troppe risa. Amber che era in quella di mezzo e già a metà strada, girò la testa verso di noi e anche lei scoppiò a ridere, «Forza guardiano dell’acqua, vedrai che ce la farai» gridò a gran voce, mentre continuava a salire, quasi con facilità, la corda.
Mancavo solo io. Ma ovviamente io avevo un piano. Avrei usato il mio potere per farmi trasportare fin sopra. Chiusi gli occhi, rilassai i muscoli poi feci un profondo respiro ed infine mossi le mani sotto ai miei piedi. La terra iniziò a tremare ed io aprii gli occhi. Il terreno sotto ai miei piedi brillava di una luce verde e brillante poi da sotto esso, iniziarono a fuoriuscire dei rami verdognoli, che si attorcigliarono intorno alle mie gambe e alla mie braccia. I rami si strinsero delicatamente intorno ai miei arti; emettevano un leggero tepore mentre si avvolgevano a me. Era una sensazione strana, ma allo stesso tempo bella perché ero io a controllarli. I rami iniziarono ad innalzarsi verso l’alto e ad allungarsi verso la cima della salita. Riuscivo a stare in equilibrio solamente grazie ad essi, che mi stringevano con più decisione le braccia e le gambe, sennò a quest’ora mi sarei già schiantata al suolo. I rami si srotolarono da me, solamente dopo che io ebbi appoggiato i piedi sul terreno verdeggiante e fossi saldamente ferma.
Simon era ancora a metà strada, mentre Amber era quasi arrivata. Quando entrambi mi videro, spalancarono gli occhi e imprecarono contro di me.
«Tu lurida stronza! Questo è barare!» sbraitò Amber dopo essere arrivata sulla cima e dopo aver ripreso fiato. Era sdraiata con la schiena sul terreno erboso, con una mano sulla pancia e una sulla fronte mentre riprendeva fiato. I capelli scompigliati sul terreno e il sudore a colarle dalla tempie.
«Avis, potresti aiutarmi?» la voce sommessa di Simon mi fece voltare dalla sua parte. Gli allungai una mano e lui l’afferrò immediatamente, stringendola fortemente nella mia. Mi feci aiutare dai miei rami e insieme ad essi, riuscii a tirare su Simon, senza fare tanto sforzo. Quando arrivò sulla cima, scivolò a terra e fece scontrare una guancia contro al terreno erboso, e intanto riprendeva fiato, con lunghi e profondi respiri.
«Complimenti, ce l’avete fatta» esclamarono i nostri protettori comparendo alle nostre spalle. Sobbalzai in aria per lo spavento, il cuore che batteva velocemente nel petto, poi con lentezza mi girai verso di loro e li guardai con occhi sbarrati. «Come avete fatto ad arrivare qui prima di noi?» domandai stizzita puntandogli contro un dito.
Sophie ridacchiò poi fece scoccare la lingua contro al palato, «Al fianco del muro roccioso, nascoste da degli alti arbusti c’erano le scale» alzò le spalle divertita mentre lo spiegava. Avremmo evitato di fare fatica se solo ce lo avessero detto, cioè loro due, ma anche io avevo usato il mio potere quindi avevo fatto un po’ di sforzo pure io.
«Che stronzi! Tutta ‘sta fatica per niente!» esclamò indignata Amber, incaricando le braccia al petto dopo essersi alzata da terra. I tre protettori scoppiarono a ridere, sotto ai nostri sguardi incavolati. Simon si rimise in piedi e si misi al mio fianco, mentre Amber se ne stava in disparte, dietro alle nostre spalle.
«Comunque siamo arrivati» Crystal schioccò le dita e il terreno incominciò a tremare, facendoci traballare sul posto. Da sotto il terreno, iniziarono a fuoriuscire dei rampicanti che andarono a formare un muro altissimo, a qualche metro di distanza da noi. Il cielo incominciò a incupirsi e grandi nuvoloni grigi lo ricoprirono del tutto. L’aria si fece ancora più fredda, tanto che i denti cominciarono a battere fra loro. Un tuono risuonò nel cielo e strisce di fulmini violacei spaccarono in due il cielo nuvoloso. Un fulmine violaceo ed enorme si scaraventò contro al muro di rampicanti, spaccandolo in due. Il muro era rimasto intatto, tranne per quella spaccatura al centro che pian piano iniziò ad aprirsi verso l’interno. Un bagliore accecante ci costrinse a chiudere gli occhi e a ripararci con le braccia. Quando tutto tornò cupo e buio, riaprii gli occhi e sbattei più volte le ciglia per mettere a fuoco la vista.
Un'imponente scuola in stile gotico, dalle vetrate colorate e dalle pareti scure, alte e slanciate verso il cielo cupo, risaltava sul paesaggio contornato da alberi e arbusti. I cornicioni erano ornati da statue di streghe in varie pose, come se fossero state create nell’esatto momento in cui avevano compiuto quelle mosse.
Era un accademia maestosa e allo stesso tempo cupa. Mi sembrava di essere in qualche film basato sui vampiri, in cui vivevano in castelli dall’aria cupa e sempre coperti da nuvoloni scuri che promettevano temporali.
«Benvenuti alla Black Roses Academy» una donna anziana dai capelli bianchi e rigorosamente curati, sbucata fuori dal nulla, ci diede il benvenuto. Ricevemmo anche un inchino poi lanciò delle occhiatacce ai protettori che la guardavano imbarazzati. Che stava succedendo qui?
«Seguitemi. Il preside Cross vi sta aspettando, desideroso di conoscervi» la donna ci fece un secondo inchino poi oltrepassò il muro di rampicanti, che avevamo capito si trattava del cancello dell’accademia.
La seguimmo a passo lento all’interno dell’accademia, con i protettori alle nostre spalle. Non volava una mosca. C’era un silenzio abbastanza imbarazzante.
Con la coda dell’occhio vidi che anche Amber e Simon erano tesi come le corde di un violino, tanto quanto me. Feci un profondo respiro poi mi guardai intorno, in quel interminabile corridoio. Le pareti erano ricoperte da una carta da parati color ocra e dalle greche floreali. Il pavimento di legno scuro, era coperto da un lungo tappeto di velluto rosso. Su ogni parete, a distanza di qualche metro, si trovavano delle lampade da parete a forma di lanterne che si accendevano ogni qualvolta noi avanzavamo, mentre quelle alle nostre spalle si spegnevano dopo averle superate.
Ci fermammo solamente quando arrivammo davanti ad un portone con incise sulle due porte: una B su quella di sinistra e una R su quella di destra, dentro a due cerchi perfettamente rotondi e scavati nel legno, mentre le due lettere erano in rilievo.
La signora anziana bussò e dall’interno di quella che doveva essere la presidenza, si sentì un voce maschile che ci dava il permesso di entrare.
«Potete entrare» disse l’anziana, accennandoci un sorriso sincero poi scomparve in una nube grigia e ci lasciò soli, davanti a quel portone imponente.
Deglutii rumorosamente. Le gambe mi tremavano ed erano diventate molli come budini, il sudore mi colava lentamente dalle tempie e sentivo il cuore battermi all’impazzata nel petto, come se fosse sul punto di esplodermi fuori dalla gabbia toracica. Calmati Avis! Calmati, dannazione!
Feci un profondo respiro e cercai di calmare i battiti del mio cuore. Per calmarmi pensai a qualcosa come: le mie amiche che se ne stavano a scuola a subirsi quegli insegnanti dementi. Riuscii a calmarmi almeno un po’, d'altronde pensare alla scuola mi faceva sempre venire il prurito ovunque e una gran voglia di darle fuoco, ma questo particolare era meglio tralasciarlo.
Derek si fece spazio tra di noi, si piazzò davanti all’imponente portone poi la spalancò, spingendo in avanti le due porte con entrambe le mani ed infine la varcò per primo, seguito a ruota poi da tutto noi.

 

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Capitolo 21
*** I guardiani dell'Aria e dello Spirito (R) ***


Dopo aver varcato la porta, la prima cosa che notai era che non eravamo soli. C'erano due ragazzi seduti su un divanetto di pelle marrone, sulla parete di destra, che chiacchieravano amabilmente fra di loro, ma non appena ci notarono smisero di parlare; una ragazza seduta su una sedia imbottita, davanti alla scrivania del preside dell'accademia, non si mosse di un millimetro continuando a fare quello che stava facendo ed infine un'altra ragazza, appoggiata al muro vicino alla finestra della stanza, intenta a leggere un libro.
«Derek» il ragazzo dai capelli mori e dagli occhi di un blu profondo, si alzò in fretta dal divanetto e corse incontro a Derek. Derek lo strinse fra le braccia in un abbraccio fraterno. Sorrisi nel vedere quella scena. Anche io da poco avevo abbracciato mia sorella, e potevo capire Derek, potevo capire la sofferenza che provava nel stare lontano da suo fratello per troppo tempo. Quindi quel loro abbraccio mi scaldò il cuore.
«Mi sei mancato» sussurrò Derek a suo fratello che si strinse ancora di più nel suo abbraccio.  Se non mi sbagliavo suo fratello si chiamava Luke, e ovviamente aveva la mia età.
La ragazza dai tratti orientali, appoggiata al muro di un pallido rosa, chiuse di scatto il suo libro per poi posare il suo sguardo dagli occhi a mandorla su di noi, «Salve. Piacere di conoscervi. Io mi chiamo Nanami Okamura e sono la guardiana dell’Aria» si presentò sorridendoci gentilmente.
Luke si staccò da Derek e lo presentò al suo posto, «Lui è Derek, mio fratello, ovvero protettore della guardiana della Terra…Chi di voi è la discendete dei Baradien?» domandò rivolgendo lo sguardo verso di noi.
Alzai una mano un po’ imbarazzata perché ora avevo gli occhi di tutti puntati addosso, «Sono io, Avis Darkwood. Mia nonna era la precedente guardiana della Terra: Mavis Baradien» replicai con le gote arrossate. Che vergogna venir presentata in quel modo dal fratello di Derek. Mi sentivo le guance bollenti e il cuore pompare velocemente, rimbombando violentemente nelle mie orecchie. Ero davvero tanto imbarazzata, neanche stessi incontrando i genitori di un mio presunto fidanzato. Dannazione!
«Mavis, eh? Da quanto non sentivo nominare quel nome» parlò per la prima volta il preside, accarezzandosi la lunga barba e guardandomi dritta negli occhi.
Con i suoi occhi grigi puntati addosso mi sentivo in soggezione, tanto che sentii dei brividi percorrermi la spina dorsale, «Sei uguale a tua nonna, stessi occhi e stesso colore di capelli» disse ancora, mentre si aggiustava gli occhiali sul naso. Conosceva mia nonna Mavis?
«Io non l’ho mai conosciuta, purtroppo» dissi sospirando e abbassando lo sguardo rattristata, torturando le pellicine delle dita.
«Era una gran donna» disse serio poi spostò lo sguardo verso il resto del gruppo, «Vorreste presentavi a tutti noi? Ovviamente conosco già tutti i vostri nomi, ma penso sia giusta un’adeguata presentazione» si accarezzò la barba bianca in attesa delle presentazioni di tutti.
Simon, con le guance arrossate, si passò una tra i ricci poi si fece avanti, «I-il m-mio nome è Simon Law, guardiano dell’Acqua e discendo dalla stirpe degli Aithes» rispose balbettando visibilmente imbarazzato.
Sophie ridacchiò poi si scaraventò su Simon e gli andò a spettinare i ricci ribelli, «Io sono Sophie Stewart, la sua protettrice. Si ricorda di me preside Cross? I Grandi Capi mi avevano assegnato la ricerca del guardiano dell’acqua non molto tempo fa» esordì allegramente, facendo un enorme sorriso verso il preside Cross che ricambiò, annuendo alla sua domanda.
«Certamente mi ricordo di lei, signorina Stewart. La più casinista della sua classe, ma anche una delle mie più forti e maggiormente addestrate» le rispose con un tono orgoglioso, continuando ad accarezzare la sua barba e guardandola con un accenno di divertimento nello sguardo.
Amber si schiarì la voce per attirare l’attenzione su di lei. «Io sono Amber Golthel, guardiana del Fuoco, come già si può capire dal mio cognome» si presentò lei giocherellando con una ciocca color cioccolato, «Lei è Crystal Fox, la mia protettrice che ovviamente conoscerà bene» tirò verso di lei la sua protettrice per poi strizzarle le guance. La bambola si divincolò dalla presa della guardiana per poi ricomporsi e fare un inchino verso il preside.
«E’ un piacere rivederla preside Cross» parlò con voce impostata dopo aver raddrizzato la schiena ed essersi lisciata la sua camicetta bianca.
Il preside Cross si allargò in un sorriso poi portò entrambe le mani sulla cattedra e si schiarì la voce. «Luke Bluewater è il guardiano dello Spirito e Nanami che si è gia presentata è la guardiana dell’Aria» disse il preside Cross poi fece segno alla ragazza seduta sulla sedia di alzarsi, dato che ancora non l’avevamo vista in faccia e poi la presentò.
«Lei è Seline Hale ed è la protettrice di Luke» la ragazza, dallo sguardo quasi annoiato, fece un cenno con la testa poi fece scoppiare la bolla formata dal chewingum ed infine tornò a sedersi, facendo sventolare i capelli neri nell’aria.
Il preside Cross emise un sospiro quasi rassegnato poi scosse la testa, «Il ragazzo seduto sul divanetto si chiama James Anderson e come avrete capito tutti è il protettore della guardiana dell’Aria» il ragazzo dai capelli a spazzola ci salutò con un caloroso sorriso e con le guance arrossate. Sembrava così giovane, probabilmente aveva un anno in più di noi guardiani. Aveva un piccolo naso alla francese e due normalissimi occhi color nocciola.
«P-piacere di conoscervi» balbettò abbassando lo sguardo imbarazzato. Gli sorrisi teneramente, salutandolo con una mano.
«Io sono il preside Christopher Cross» disse sbrigativo il preside con un sorrise accogliente stampato sulle labbra. «Bene, ci siamo presentati tutti. Ora ragazzi potete pur andare nelle vostre nuovissime stanze, mentre tu, Avis, potresti rimanere ancora un po’? Ah, ragazzi…ci vediamo a cena!» il preside Cross piegò la testa di lato poi salutò tutti con la mani ed infine fece segno agli altri di uscire.
Uscirono tutti, tranne ovviamente me. Prima che Crystal fu uscita del tutto la sentii sussurrare un «buona fortuna e vedi di non svenire» e questa cosa mi aveva fatto andare in iperventilazione. Che diamine significa? Che cosa doveva dirmi il preside Cross che potrebbe farmi svenire? Oh santo cielo! Era successo qualcosa alla mia famiglia?
«Avis, siediti pure» disse con voce ferma, facendomi segno di accomodarmi sulla sedia. Feci quello che mi aveva detto anche se mi sentivo davvero nervosa e avevo il cuore che sembrava essere impazzito. Era pronto per esplodermi dal petto. Iniziai a mangiucchiarmi nervosa le pellicine intorno alle dita mentre attendendo che incominciasse a parlare.
Il preside Cross mi fece un sorriso rassicurante, mostrandomi un paio di denti ingialliti ma ben messi, poi prese a giocherellare con i lunghi baffi che si arricciavano verso l’alto. «Avis, Avis oh…quanto sono felice di conoscerti, finalmente. Mavis me lo aveva detto che saresti diventata una ragazza meravigliosa, nessuno potrebbe dire che non sei sua nipote. Stessi occhi, stesso colore di capelli e stessa determinazione» cominciò a parlare, guardandomi con curiosità e ammirazione, «Come stanno Christine e Sharon? Spero bene. Un po’ mi dispiace aver dovuto cancellare loro ogni ricordo della magia e togliere loro i poteri, ma non avevamo altra scelta».
«Come conosce mia madre e mia zia? E di cosa sta parlando? Tolto loro i poteri? Perché?» partii con la mia raffica di domande perché la curiosità mi stava distruggendo e perché volevo conoscere di più mia nonna e ora, anche mia madre e mia zia.
Lui emise una bassa risata, accarezzandosi la lunga barba bianca, «Sono tuo nonno, mia cara Avis. Mavis era mia moglie e Christine e Sharon sono le mie adorate figlie. Ho tolto loro i poteri per poter dare loro una vita normale e perché tua nonna voleva tenerle all’oscuro di ogni cosa, magia soprattutto» rispose crudo quello che avevo appena scoperto fosse mio nonno.
Spalancai gli occhi e strinsi le mani intorno ai braccioli della sedia fino a far divenire le nocche bianche. Era impossibile. No, era assurdo. Come? Oddio, cosa?
Mi passai sconvolta le mani nei capelli, distruggendo la treccia che mi ero fatta poi puntai i miei occhi spalancati sulla figura di mia nonno.
«I-impossibile! Mio nonno è a casa! Lui, tu..ah, impossibile!» gridai scioccata e incapace di pensare ad una frase sensata da dire. Era impossibile. Mio nonno era a casa. Nonno Chris era a casa ed era vivo e vegeto. Era impossibile che quel uomo fosse mio nonno!
«Avis, è la pura verità. Quella persona con cui aveva vissuto tua nonna era uno spettro di me stesso, anche se leggermente alterato. Ecco perché non riesci a riconoscermi. Quello con cui hai vissuto è il mio spettro che avevo creato per tenerti d’occhio o meglio tener d’occhio la mia famiglia» spiegò lui, alzandosi dalla sua imponente poltrona di pelle nera per poi andare a prendere un libro in una delle tante scaffalature che c’erano nella stanza.
Lo vidi lanciarmi un’occhiata fugace per poi tornare a guardare l’infinità di libri che aveva davanti a sé. «Ero il protettore di tua nonna Mavis. E come tua nonna, anche io sono immortale . Ancora stento a credere che la mia lady sia morta» continuò parlando con voce assenta, immergendosi probabilmente nei suoi ricordi e avvicinandosi con passo lento a me, con un libro stretto in una mano.
«Era il diario di tua nonna. Se non mi credi, leggi pure questo. Ora va’ Avis; torna nella tua stanza» lo appoggiò sulla cattedra, sorridendomi malinconicamente poi tornò a sedersi sulla sua poltrona, emettendo un forte sospiro rattristato.
Annuii sconvolta. Che altro potevo fare? Se quello era davvero il diario di mia nonna Mavis, significava che tutto quello che mi aveva raccontato era la pura verità, e che doveva fidarmi di lui. «Va bene, lo leggerò. Buona giornata preside Cross» detto questo anche se con un po’ di stizza, presi il libro da sopra la cattedra e in fretta e furia uscii da quella stanza diventata troppo opprimente e mi lasciai sfuggire una lacrima solitaria, ma solamente dopo aver chiuso la porta ed essermi lasciata alle mie spalle mio nonno Chris.
Dopo esser finalmente entrata nella mia nuova stanza, mi ritrovai con un’enorme groppo in gola che sembrava soffocarmi, il cuore che pompava violentemente nel mio petto e le lacrime a bagnarmi le guance arrossate e umide, e tutto quello che feci, perché ero troppo sconvolta e stanca, fu lasciarmi andare contro alla porta e scivolare lentamente sul pavimento di quella camera, come se avessi un macigno che mi stava schiacciando al suolo e mi opprimeva, lasciandomi senza via di fuga.
Nonna, nonna Mavis perché?

 

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Capitolo 22
*** Nonna Mavis (R) ***


“Mie care nipoti,
se state leggendo questa lettera significa che sono andata incontro alla morte. Probabilmente se state leggendo questa lettera significa che una di voi due è diventata la nuova guardiana della Terra. Non disperare tesoro mio. Sarà un compito molto difficile per una ragazzina di diciassette anni, ma io so che riuscirai a percorrere la strada giusta. Vostro nonno vi avrà sicuramente detto che gli ho fatto togliere i poteri a vostra madre e a vostra zia, l’ho fatto perché pensavo che estirpando dalle radici il potere magico, voi tutte sareste state salve, ma se state leggendo questa lettera la mia missione non è andata a buon fine. Spero che a casa stiano tutti bene. Avrei voluto che almeno una delle mie figlie ereditasse i poteri, ma avevo paura del futuro a cui sarebbero andate incontro. Non avevo pensato e calcolato che i poteri magici estirpati da vostra madre e da vostra zia sarebbero stati trasferiti in voi, l’ho scoperto soltanto dopo la nascita di Amanda. E durante la seconda gravidanza di Christina. Un enorme potere magico vi aveva sempre circondate sin dalla nascita di Amanda e anche durante la seconda gravidanza di Chris. Eravate così potenti, che anche per me fu difficile provare a togliervi i poteri. So che ora penserete che io sia una stronza, ma più avanti capirete che ho provato a farlo per il vostro bene. Tranquille, il vostro potere magico risiede tutto in voi. Neanche una goccia del vostro potere è stato cancellato. Siete molto più forti e potenti di quanto pensassi, quindi so per certo che una di voi due sarà in grado di essere una bravissima guardiana della Terra. L’altra potrà diventarne la protettrice o una guardiana dei Tesori Sacri, quindi non disperate.
Avis, probabilmente sei diventata tu la guardiana della Terra perchè Amanda è nata il giorno prima di Halloween quindi voglio solo dirti che sono fiera di te e che da lassù ti proteggerò, vi proteggerò entrambe.
Vostro nonno è un brav’uomo quindi cercate di credere alle sue parole anche se vi sembreranno strane all’inizio.
Vi voglio bene piccole mie. Vi proteggerò sempre.”
Nonna Mavis x
 
Con le lacrime agli occhi e un groppo in gola sempre più fastidioso e soffocante, lasciai scivolare dalle mie mani la lettera che avevo trovato nella prima pagina che cadde al suolo in muto silenzio. Tirai su con il naso poi girai pagina e la calligrafia elaborata e fine di mia nonna rifece la sua comparsa. La prima pagina era datata primo novembre millenovecento.
 
“Data: 1/11/1900
Christopher, il mio protettore, mi ha fatta nascondere in una grotta per potermi proteggere dai cacciatori che ci stavano dando la caccia. Vicino al fuoco, che Chris aveva acceso con la sua magia, mi sto riscaldando e con il bagliore che emanava la lanterna scrivo questa mia prima pagina di diario.
Ho paura. Ho davvero paura. La mia vita è cambiata nell’esatto momento in cui ho compiuto diciassette anni il 31 ottobre. Christopher che da sempre era stato il mio migliore mi spiegò ogni cosa, persino che lui mi aveva sempre protetta perché era anche il mio protettore. Ovvero una persona che darebbe la vita per proteggere quella della guardiana. Io sono la guardiana della Terra. Me lo sarei dovuta aspettare. Sin da bambina amavo la natura. Passavo ore a curare le rose che la mia famiglia teneva nel cortile di casa. Ma la cosa che più mi fa paura è che questi cacciatori mi vogliono per qualcosa di losco. Chris sta cercando di scoprirlo, ma ho paura che avvicinandosi troppo ai cacciatori potrebbe morire e questo non me lo perdonerei mai. Io amo Christopher. E’ l’unica persona che io abbia mai amato ma a cui non ho mai confessato i miei sentimenti e adesso trovandomi, trovandoci in questa situazione voglio farlo. Voglio confessarmi, voglio confessare il mio amore per lui, non importa se rifiuterà. Voglio solo essere sincera con i miei sentimenti almeno una volta nella vita. Voglio che lui lo sappia prima che io morirò per mano dei cacciatori.
Christopher non è ancora tornato e io mi sto davvero preoccupando. Ho la mano che trema per l’ansia e le lacrime che cercano prepotentemente di uscire dai miei occhi. Chris, ti prego torna in fretta.”
 
Sfogliai un bel po’ di pagine, fin quando notai il nome di mia madre e mi fermai, pronta a leggere quella pagina di diario.
 
“Data: 28/12/1968
Tre giorni fa la mia piccola Christina Louise è nata. Ancora non ci credo. Sono così felice di poter tenere tra le mie braccia quella piccola e bellissima creatura che io e Chris abbiamo donato al mondo. E grazie a Dio, la fortuna ha girato dalla mia parte, dato che la mia bambina non è nata il 31 ottobre e quindi non potrà essere lei la futura Guardiana della Terra.
Io e Chris ci siamo trasferiti in una casa nel mondo umano per cercare di tenerci lontani dalla vita magica – per me e Chris ovviamente sarà impossibile – e dai cacciatori, così da poter donare una vita normale alla nostra bambina.
Ho già riferito a Chris che alla nostra bambina dovrà estirparle i poteri magici così da non essere presa di mira dai cacciatori di Streghe e dalla Streghe stesse e per poter crearsi poi in futuro una famiglia senza avere problemi con la magia, anche se questa cosa un po’ mi rattrista perché non potrò insegnarle ad usare la magia e a creare incantesimi.
La mia piccola Christina ha un unico ciuffetto rossastro sulla fronte, due grandi e brillanti occhi azzurri e adorabili guanciotte morbide che mi fanno venir voglia di mordergliele. Ha una pelle morbida e vellutata ed è così profumata. Sa di pesca e vaniglia. E’ il mio piccolo amore.
Non avrei mai pensato che avere un figlio sarebbe stato così emozionante. I primi due giorni non avevo fatto altro che piangere dalla gioia, persino durante l’allattamento della mia bambina.
Christopher da quando è nata la bambina ha un sorriso così raggiante che ha contagiato un po’ tutti, ovvero il resto del clan dei Guardiani.
Dorothea Golthel, la guardiana del Fuoco, dopo la nascita di Christina mi ha regalato un vestitino color panna così bello ed elegante e munito di fiocco rosso da legare sulla testa che non vedo l’ora di farlo indossare alla mia bambina.
La piccola sta piangendo quindi ora devo scappare, continuerò a scrivere più tardi. Ciao ciao.”
 
Sfogliai altre pagine, riuscendo comunque a cogliere altri ricordi di mia nonna alle prese con mia mamma da piccola, fino a soffermarmi sul giorno dopo la nascita di mia zia Sharon e incominciai a leggere quella pagina di diario.
 
“30 Novembre 1975
Con grande gioia, mio caro diario, ti annuncio che la mia dolcissima Sharon Victoria è nata. È nata esattamente ieri ed è veramente bellissima. È in ottima salute. Mangia e dorme e piange molto. Penso sia normale. Anche Christina piangeva molto durante i primi mesi. A proposito di Christina, è stata proprio lei ha scegliere il nome di Sharon. La sorellona più grande è molto felice di avere una sorellina da coccolare. Siamo tutti così felici che ancora stento a crederci. Sharon, come Christopher, ha una testolina piena di capelli biondo cenere e due piccoli occhi grigi. Christopher pensa che la bambina quando crescerà prendere anche lei il mio stesso colore di capelli. Un po’ ci spero. Sarebbe bello vedere entrambe le mie figlie con una chioma rossa, proprio come la mamma.
La mia Sharon è nata nello stesso anno della figlia di Lydia Arveldis – pace all’anima sua. L’adorabile Miriel è nata il 31 ottobre ed è identica alla madre. Ha i sui grandi occhioni verdi e i capelli di un biondo così chiaro da sembrare quasi bianchi. Purtroppo i cacciatori di Streghe sono riusciti ad uccidere sia lei e che John – anzi hanno ucciso tutti i guardiani, tranne me – e, la piccola Miriel è stata affidata all’accademia Black Roses di cui il padre di Christopher ne è a capo. La nuova guardiana dello Spirito sarà Miriel ed io non posso fare altro che vegliare su di lei, d'altronde sono la sua madrina, oltre che migliore amica di sua madre.
Mi mancano. Mi mancano tutti. Sono l’unica ad essere riuscita a sopravvivere dei guardiani della Notte e solo ed esclusivamente grazie a Christopher che ha rischiato di perdere completamente i poter pur di salvarmi. Mi manca quella pazzoide di Lydia, mi manca ogni cosa di lei e, ancora non posso crederci che sia stata uccisa. La sua piccola Miriel dovrà crescere senza genitori e, al solo pensiero che sarebbe potuto succedere anche a me, delle lacrime calde scivolano lungo le mie guance.
Mi manca la mia adorabile Dorothea che ha dato alla luce due splendidi maschietti: Julian e Robert, di cui uno porterà avanti la discendenza di guardiano del Fuoco. Il forte Frank Cedweril, il quale ha donato ad Annie – fortunatamente ancora viva – due figli stupendi: un maschietto, Loris e una femminuccia, Louise, la quale porterà avanti la discendenza di guardiana dell’Aria. E la timida Demetria Aithes che non ha potuto nemmeno dire addio alla sua piccola bambina dai capelli nerissimi, Anastasia, la quale porterà avanti la discendenza di guardiana dell’Acqua. Di protettori rimasti vivi ci sono solamente: il mio Chris, Annie e Ian, marito di Demetria. Tutti gli altri purtroppo sono morti insieme ai guardiani della Notte.”
 
 
All’improvviso la suoneria del mio cellulare mi fece sobbalzare dallo spavento e battere il cuore freneticamente nel petto. Scagliai involontariamente e spaurita il diario dietro alle mie spalle, che andò a colpire il muro retrostante per poi scivolare sul cuscino del mio letto in un tonfo sordo.
Presi alla svelta il mio zainetto e individuai il cellulare che con lo schermo illuminato e la suoneria a tutto volume segnava il nome di Sabrina.
‹Pronto?› risposi schiarendomi la voce dopo aver trascinato la cornetta verde verso destra.
‹Avis dove diamine sei?! Siamo da tua nonna Julis, ma di te nessuna traccia. Tua nonna non sapeva nemmeno che dovevi andare da lei! Sono davvero incazzata! Dove cazzo sei finita? Sei sparita da quasi tre settimane e non ti sei più fatta sentire! Eravamo così preoccupate per te. Sei per caso scappata con quel ragazzo che si era presentato davanti a scuola? Oddio, Avis non fare cazzate e torna a casa! Se ne sei davvero innamorata allora scappare non è la soluzione. Puoi parlarne civilmente con i tuoi genitori, spiegare la situazione ovvero che ami uno più grande di te e vedere come andrà› la voce di Sabrina era un misto tra la preoccupazione e rabbia. Era davvero arrabbiata e il tono di voce che aveva usato nella sua sfuriata, mi aveva fatto accapponare la pelle dalla paura. Fantastico, ci mancavano solamente le mie migliori amiche. E adesso che diamine dovevo fare?
‹S-sabrina non è come pensi› balbettai a corto di parole e con il cuore in gola per il nervosissimo. Cosa potevo raccontarle? La verità? Una grande, grandissima bugia? Oddio, ero nel panico più assoluto!
‹Oh davvero?› domandò sarcasticamente dall’altra parte della cornetta.

 

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Capitolo 23
*** A casa di Nonna Julis – con le mie migliori amiche – (R) ***


E ora che cosa facevo? Come potevo spiegare alle mie migliori amiche quello che mi stava accadendo? Probabilmente se dicessi loro la verità, neanche mi crederebbero, anzi mi darebbero della pazza. Oddio stavo andando nel panico!
Forza Avis respira, respira e calmati. Facciamo un riassunto di quello che stava succedendo: Sabrina e le altre erano a casa di mia nonna; mia nonna non sapeva che dovessi andare da lei – ovviamente – e io non sapevo come spiegare loro la questione.
Feci profondi e lunghi respiri mentre cercavo di calmarmi e pensavo a qualcosa come ad un discorso da raccontare alle mie migliori amiche o ad un piano. Mi potrei teletrasportare a casa di mia nonna Julis e spiegare, con calma, ogni cosa alle mie amiche e al diavolo se non mi avrebbero creduto. Mal che vada mi darebbero della pazza e poi scoppierebbero a ridere e, io ovviamente mostrerei loro i miei poteri per metterle a tacere.
Feci un altro profondo respiro poi chiusi gli occhi e strinsi fortemente nella mano il ciondolo verde della collana. Come l’altra volta iniziai a percepire un leggero tepore provenire dalla collana stessa, poi il calore aumentò diventando quasi incandescente ma sembrava non scottarmi più di tanto, sentivo solamente un bruciore leggero e una forte aura circondami con il suo tepore.
«Nonna Julis» sussurrai con voce decisa, poi strinsi con maggior forza il ciondolo nella mano e aspettai che il mio corpo venisse telestrasportato da mia nonna.
Quando riaprii gli occhi, mi ritrovai nel giardino sul retro della casa color canarino di mia nonna. L’altalena, in cui da piccola avevo passato ore a dondolarmici sopra, era ancora nel suo posto. Lo scivolo al suo fianco era ormai rovinato e sporco di terra e ricoperto di foglie dai colori caldi, ma nonostante quello mi ritornarono in mente tutti voli che io e mia sorella avevamo fatto quando avevamo cercato di risalirlo al contrario.
Quanti ricordi che quel posto stava rievocando nella mia mente, come il mio primo bagnetto nella piscina nuova di zecca che aveva comprato nonna - quelle di gomma che usavano i bambini - e il momento in cui Amanda si era lanciata verso di me, facendo uscire quasi del tutto l’acqua al suo interno; i nostri voli dallo scivolo, in cui io mi ero fratturata un braccio e Amanda aveva picchiato con forza il mento, scheggiandosi i denti e le litigate che avevamo fatto io e mia sorella per accaparrarci il posto sull’altalena. Ricordo che nonna cercava sempre di comprarci gli stessi giochi e vestiti per non farci litigare tra di noi. Ricordo che all’età di tre anni mia madre mi aveva acconciato i capelli in una treccia complicata e che Amanda aveva pianto per tutto il tragitto fino alla casa della nonna perché anche lei voleva farsela fare, ma essendo che aveva dovuto tagliare i capelli per via dei pidocchi erano molto corti e quindi impossibili da acconciare. La nonna vedendo Amanda piangere le era andata a comprare una parrucca viola che aveva acconciato esattamente come i miei capelli e poi l’aveva messa in testa a mia sorella, facendole indossare anche un vestito da fata che tenne su per l’intera giornata da lei. La nonna cercava in ogni modo di accontentarci, anche se la più viziata era stata sicuramente Amanda. Amanda aveva ricevuto qualsiasi cosa lei avesse desiderato, anche giocattoli che dopo una settimana aveva messo da parte, ma che erano costati una caterva di soldi. Io invece chiedevo pochi giocattoli ma con cui aveva giocato fino alla loro rottura. Beh, eravamo state bambine anche noi, ma soprattutto, come quasi ogni bambino, viziate dai nonni.
Di soppiatto aggirai la casa di mia nonna e vidi le ragazze parlare davanti al cancelletto di ferro che divideva il giardinetto sul davanti dal marciapiede e la strada.
Sbucai fuori poi con il cuore in gola e con l’ansia a mille mi avvicinai a loro, che appena notarono la mia presenza mi saltarono in braccio.
«Oddio Avis!» esclamarono in coro stritolandomi nel loro abbraccio da orso.
«Ragazze non resp-» annaspai aria mentre cercavo di divincolarmi dalla loro presa ferrea.
Le ragazze si staccarono lentamente da me e notai che avevano tutte e tre gli occhi arrossati e gonfi, avevano pianto per me. Ma quanto potevo essere stata stronza? Non mi ero più fatta sentire e loro si erano solamente preoccupate per me.
«Stai bene» constatò Jessica accarezzandomi lentamente una guancia, come per controllare se ero realmente io ed se ero per davvero davanti ai loro occhi.
Annuii solamente poi presi un profondo respiro. Okay, ero pronta per dire loro tutta la verità. Non mi importava cosa sarebbero successo dopo. Mi importava essere solamente sincera con loro. «Lo so che ho molte cose da raccontarvi. E sì Sabri quel ragazzo c’entra, ma non nel senso che pensate voi. Lui è il mio protettore, so che potrà sembrarvi una cosa assurda e insurreale, ma io sono la guardiana della Terra e posseggo dei poteri magici. Mia nonna Mavis, mio nonno Chris e Amanda sono come me: streghe. Lo sarebbero dovute essere anche mia madre e mia zia, ma mia nonna Mavis ha voluto fargli togliere i poteri che poi si sono trasferiti in me e in Amanda» spiegai, parlando a raffica e tremando come una foglia. Avevo paura della loro reazione, se mi avrebbero presa per pazza? So che avevo detto che non mi sarebbe importato, ma non volevo che le mie migliori amiche si allontanassero da me o peggio ancora mi odiassero.
Vidi Sarah strabuzzare gli occhi scioccata, mentre Sabrina scoppiò a ridere e Jessica si congelò sul posto come se fosse stata colpita da un fulmine. Abbassai lo sguardo rattristata sull’asfalto del marciapiede e sospirai rassegnata. Non mi avevano creduto, beh chi lo farebbe? ‘Ciao, sono una strega, piacere di conoscervi’ chi crederebbe ad una cosa del genere? Dai!
«Hai assunto delle droghe per caso?» domandò Sabrina sbellicandosi dalla risate.
Scossi la testa con il labbro inferiore tremolante. Stavo cercando di non piangere. Stavo cercando di farmi forza per non farmi vedere debole davanti a loro. «E’ la verità. Nulla di quello che vi ho detto è una finzione. Sono seguita da dei cacciatori che vogliono uccidermi, quindi con i restanti guardiani e protettori mi sono rifugiata in un’accademia per noi streghe e stregoni» continuai a spiegare, ma Sabrina sembrava non credere minimamente a quello che stava raccontando perché continuò a ridere, dandomi una forte pacca sulla schiena che mi fece barcollare in avanti.
«Dio, sei andata ragazza mia!» esclamò Sabrina piegandosi in due dalle risate mentre Jessica scosse la testa, «E’ la realtà Avis?» mi chiese lei portandosi una ciocca di capelli bionda dietro all’orecchio.
Annuii, strofinandomi gli occhi con la manica del giubbotto. «Sì, è tutto vero. Anche io all’inizio ne sono rimasta sconvolta e non volevo crederci, ma quando hanno provato ad uccidermi, più di una volta in realtà e quando ho iniziato ad usare i miei poteri, ho capito che era tutto vero e che ero destinata ad essere la guardiana della Terra» le risposi, mostrandole il marchio a forma di luna sul dorso della mano.
Le vidi spalancare occhi e bocche mentre boccheggiavano sconvolte, «Non può essere!» commentarono in coro. Sospirai annuendo, «Sono una strega».
«Quello che Avis vi sta raccontando è la pura verità» la voce armoniosa di Amanda irruppe nella nostra conversazione e mi fece comparire un sorriso sulle labbra. Era sempre pronta a difendermi.
Mi girai verso il punto da cui era arrivata la sua voce e la vidi in tutta la sua bellezza. Indossava un top nero, dei pantaloni di pelle del medesimo colore e un cappotto lungo fino ai piedi di una tonalità sul grigio scuro e in una mano impugnava il manico della sua falce, tenendolo appoggiato obliquamente nell’incavo del collo e con la lama enorme e ricurva che si intravedeva da dietro la sua testa.
«Sorellona!» esclamai contenta di rivederla. Amanda arricciò il naso poi mi salutò con un affettuoso sorriso.
«Vado un attimo ad alterare la memoria della nonna, cancellando dalla sua mente la traccia delle tue amiche e facendole credere che tu sia lì poi torno da voi» ci oltrepassò con passo da felino poi scoccò uno sguardo alle mie amiche che rimasero congelate sul posto per lo spavento. Trattenni a stento una risata. Amanda sapeva davvero mettere paura, con il suo sguardo gelido e fulminante.
«Quindi è davvero tutto vero!» esclamò spaurita Sarah che fino a quel momento non aveva accennato nemmeno ad una parola, portandosi una mano tremolante davanti alla bocca mezza spalancata.
«Esatto. Ma noi guardiani della Notte siamo buoni, mentre i cacciatori di streghe sono persone malvagie che non si fanno scrupoli nel fare male a qualsiasi persona, quindi per la vostra sicurezza dovrete venire con me. Ve ne prego» chiarii ponderata, deglutendo dopo aver visto i loro sguardi spauriti e persi.
«Siete troppo importanti per me, non voglio che vi accada qualcosa di male, ma purtroppo essendo mie amiche potreste venir prese di mira dai cacciatori» afferrai una mano di Sarah e me la portai al viso, strusciandoci contro una guancia, «Vi voglio troppo bene per perdervi» sussurrai afflitta infine.
«Allora perché non ti sei più fatta sentire?! Avrebbero potuto ferirci o rapirci in quel lasso di tempo e tu non l’avresti nemmeno saputo!» mi rimproverò arrabbiata e con le lacrime agli occhi Sabrina.
Sobbalzai per il tono freddo con cui mi aveva parlato poi abbassai la testa demoralizzata. Sabrina aveva ragione. Quanto ero stata stupida ad abbandonarle senza dare loro nessuna spiegazione e protezione!
«Mi dispiace, sono davvero desolata. Non ci avevo pensato e sto davvero male per non avervi raccontato ogni cosa ed essere arrivata a questa situazione» mormorai distrutta e con due lacrime a solcarmi le guance.
«Mentre Avis era in viaggio per cercare il resto dei guardiani, alla vostra protezione ci ho pensato io e altri protettori che mi dovevano dei favori» le rimbeccò Amanda con voce sostenuta dopo essere uscita dalla casa della nonna e averci raggiunte. Le altre si ammutolirono sul posto poi mormorarono un «grazie» con le guance arrossate.
Sorrisi alle mie migliori amiche poi le abbracciai tutte e tre, stringendole fortemente nelle mie braccia, come per far capire loro che non le avrei più lasciate e che mi erano mancate davvero tanto.
Sciolsi l’abbraccio con Sarah, poi mi avvicinai con piccoli saltelli ad Amanda e mi aprii in un grande sorriso che ricambiò con una tiepida carezza. «Ti ringrazio» le sussurrai poi, appoggiando la testa sulla sua spalla e chiudendo gli occhi, sospirando sollevata.
Mi sentivo così sollevata nel sapere che Amanda aveva pensato alla protezione delle mie amiche. Mi sentivo così felice di averle qui, di avere qui Amanda e le mie migliori amiche. Finalmente insieme.
Amanda mi pizzicò una guancia, lasciandomi sfuggire un versetto di dissenso che la fece ridacchiare.
«E ora? Le nostre famiglie potrebbero venir prese in ostaggio?» chiese con il cuore in gola Sarah e con gli occhi, in quel momento verde scuro, lucidi.
Mia sorella fece scoccare seccata la lingua contro al palato poi scosse la testa, «La vostra famiglia non verrà presa di mira. Potevate essere voi i loro bersagli per fare uscire allo scoperto Avis, ma vi abbiamo sempre tenute d’occhio, quindi non si sono mai fatti vedere. Non siamo così stupidi da non riuscire a proteggervi!» spiegò infine con tono infastidito, come se la domanda di Sarah le avesse dato fastidio, dato che sembrava quasi che loro pensassero che lei fosse un incompetente incapace di adempiere ai suoi doveri. Emisi una finta e bassa risata, grattandomi la nuca a disagio. Come aveva già detto: mia sorella metteva davvero paura, ma poteva anche essere davvero stronza.
Passarono minuti di silenzio abbastanza strani, prima che Amanda con un brusco sospiro lo spezzò, facendoci ripiombare al presente. Guardai le mie migliori amiche e accennai loro un sorriso tirato poi diedi una gomitata a mia sorella per farle dire qualcosa.
Mi pizzicò nuovamente una guancia, facendomi roteare gli occhi infastidita poi parlò. «Bene, è ora di ritornare all’accademia e voi verrete con noi» disse Amanda compiaciuta e guardandomi con uno sguardo da furbetta poi posò i suoi occhi color cioccolato sulle mie amiche. Vidi le mie tre migliori amiche tremolare, non tanto per il fatto che dovevano venire in un accademia che per le persona normali non esisteva, bensì per lo sguardo che mia sorella aveva riservato per loro: freddo e indecifrabile, poi annuire appena.
Mi forzai di sorridere, ma più che un sorriso quello che comparve sul mio viso fu una smorfia tirata e quasi spaventosa. Mi sentivo a disagio per le mie amiche. Perché Amanda si stava comportando così? Capisco che Sarah aveva, forse, offeso il suo orgoglio da guardiana dei Tesori Sacri o meglio ancora: “da possibile protettrice”, ma comportarsi con tale freddezza era molto infantile. Loro non sapevano nulla sulle streghe e su come agivano per proteggere e salvare il mondo umano, quindi poteva solo biasimarle. Io riuscivo capire tutta la confusione che in quel momento avevano nella loro testa perché anche per me all’inizio era stato davvero strano e difficile da accettare, e di certo mia sorella non le aiutava a smorzare tale caos, anzi forse glielo amplificava.
«Forza sorellina, ora tocca a te. Riportarci alla Black Roses Academy» mi sussurrò con tono macchinatore e perfido all’orecchio, facendomi rabbrividire per la paura.
Io? Dovevo riportare tutti all’accademia? Con la mia collana? Non poteva essere…Aiutatemi!

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Capitolo 24
*** Incredulità (R) ***


Riuscii a riportare tutte quante all’accademia senza fare troppa fatica. Dopo aver scongiurata Amanda per farla restare, ci eravamo dirette a passo svelto verso la mia camera da letto. Per fortuna per i corridoi non avevamo incontrato nessuno. Le mie migliori amiche per tutto il tragitto non dissero niente, scrutarono solamente e con molta attenzione tutta l’accademia e i corridoi che avevamo e stavamo percorrendo.
Dopo essere entrate nella mia camera, le mie amiche iniziarono a sclerare come delle matte. Mi riempirono di domande alle quali non facevo nemmeno in tempo a rispondere che ne arrivarono subito delle altre. Non le avevo mai viste così agitate e un po’ mi dispiaceva per loro. Se solo avessi detto loro la verità subito, forse tutto questo non sarebbe successo. Mi guardavano con uno sguardo perso, confuso, come se non riuscissero a riconoscermi e questo mi spezzò il cuore. Loro erano troppo importanti per me e forse per questo avevo cercato di tenerle il più lontano possibile dal mio nuovo mondo pieno di magia e cacciatori che non si facevano scrupoli nel rapire, uccidere le loro vittime. Avevo voluto cercare di proteggerle tenendole lontane da me, ma alla fine non era servito a nulla perché ora erano qui che scleravano, cercando di capire se erano state drogate o tutto quello che avevano visto era la verità.
«Non può essere!» commentò per l’ennesima volta Sabrina camminando avanti e indietro per la mia stanza; se continuava così mi avrebbe consumato il pavimento e scavato un buco bello profondo.
Alzai gli occhi al cielo poi sospirai esasperata per la sua incomprensione della realtà dei fatti. Le avevo teletrasportate qui all’accademia e ancora non riuscivano a credermi. Mi sentivo così stanca, come se non dormissi da un mese intero e ora tutto la stanchezza che avevo accumulato si stesse facendo sentire tutta, rendendomi debole e fiacca.
«Vi ha teletrasportate qui e ancora credete che stia mentendo. Siamo in un’accademia che si trova in un mondo parallelo a quello umano, vi ha mostrato quello che sa fare, almeno un accenno e voi non ci credete. Ah, siete assurde!» replicò infastidita Amanda con un sopracciglio alzato, poi mi diede una pacca sulla spalla, «Vado dal nonno, buona fortuna con loro!».
Quando la vidi sparire oltre la porta della mia camera andai nel panico perché non sapevo bene come gestire questa situazione. Come potevano non credermi dopo che le avevo portate con me all’accademia?
«Avis se quello che dici-» cominciò a parlare Sabrina in mezzo a Sarah e a Jessica che si guardavano in giro incredule.
«E’ la verità» la corressi puntigliosa.
Sabrina mi lanciò un’occhiata di fuoco che mi fece accapponare la pelle poi continuò a parlare: «Quindi tu sei davvero una strega e una guardiana, giusto? Com’è possibile che non te ne sia accorta prima?»
«E’ complicata come storia, diciamo solo che dopo la morte di mia nonna Mavis il titolo e poteri di guardiana sono passati a me. Ogni volta che una guardiana muore si devono aspettare diciassette anni per la prossima reincarnazione e mia nonna Mavis è morta esattamente diciassette anni fa quindi i suoi poteri si sono trasferiti in me e ho preso il titolo di guardiana della Terra. Ma solo le streghe o stregoni nati il trentuno ottobre possono diventarlo a loro volta, ovviamente solo se la guardiana precedente è morta nell’anno in cui tu sei nato e se discendi da una delle cinque famiglie di Guardiani» spiegai cercando di essere più chiara possibile anche se dalle loro espressioni sembrava tutto il contrario.
«Forse ci ho capito qualcosa» biascicò Jessica portandosi una mano sotto al mento pensierosa. Pregai che fosse così perché non sarei riuscita a spiegarlo in modo più semplice e sintetico.
«Sentite io ho bisogno di v-»
«Avis è appena arrivata tua-» Derek entrò nella mia camera e quando vide le mie migliori amiche spalancò gli occhi e boccheggiò scioccato.
«Derek, lascia che ti spieghi» biascicai paralizzata dal suo sguardo inceneritore.
Iniziai a tremare freddo con gli occhi e la bocca spalancati poi cominciai a boccheggiare in cerca di aria. Non riuscivo a proferire parola, ero rimasta paralizzata dal suo sguardo inceneritore che ancora adesso teneva puntato su di me e la sua vena sul collo pulsare più del solito, segno che era doppiamente arrabbiato.
«L-loro s-sono le mie migliore amiche» balbettai intimidita senza riuscire ad alzare lo sguardo dal pavimento che in quel momento sembrò più interessante di quello terrificante di Derek.
«Lo avevo capito, ma perché sono qui?» scandì per bene le parole che mi arrivarono alle orecchie come una minaccia.
Iniziai a gesticolare con il cuore che mi batteva prepotentemente nel petto e con la gola secca, «Avevo paura che se le avessi lasciate nel mondo umano sarebbero state attaccate dai cacciatori di streghe, così le ho portate qui. Ho spiegato loro ogni cosa, anche se ancora non ci credono del tutto. Anche Amanda era d’accordo sul fatto di portarle qui» spiegai con voce esile e tremolante.
Lo sentii sospirare. Alzai lo sguardo e lo vidi passarsi una mano tra i capelli con fare pensoso, «Potevi anche avvisarmi prima di fare ‘ste stronzate, ti avrei sicuramente aiutata senza metterti nel mirino dei cacciatori!» esclamò con un tono di voce alterato poi sospiro ancora, «Comunque io non dirò nulla al preside Cross però dovrai farlo tu» rispose infine serio.
Annuii imbarazzata. «Te ne sono grata! Stai tranquillo, gliene parlerò io» replicai svelta poi gli accennai un sorriso che ovviamente non ricambiò.
Fece spallucce. «Me ne vado. Ci vediamo più tardi a cena, ciao» disse freddamente poi uscii dalla mia stanza senza accanarmi nemmeno uno sguardo.
«Derek asp-» non feci in tempo a finire la frase che la porta si chiuse alle sua spalle e rimasi in camera da sola con le mie migliori amiche che mi guardavano stralunate. Sospirai tristemente poi mi lasciai cadere sul letto stanca di ogni cosa.
«E’ lui il ragazzo che quel giorno ti è venuta a prendere a scuola, vero? Anche lui è uno stregone?» domandò di punto in bianco Sabrina. Annuii, portandomi un braccio sugli occhi dove le lacrime stava cercando di uscire prepotentemente. Derek era arrabbiato con me, non perché avevo portato le mie migliori amiche all’accademia, ma bensì per il fatto di non averlo interpellato in quel piano che se fosse andato storto i cacciatori mi avrebbero potuto pure catturare e la colpa sarebbe ricaduta su di lui.
«Derek è il mio protettore» bisbigliai con un nodo fermo in gola. Sentii le molle cigolare sotto al peso di una delle mie migliori amiche che dalla quantità abbondate di profumo capii che si trattava di Sabrina.
Mi spostò il braccio da davanti al viso e mi scostò una ciocca di capelli dietro ad un orecchio, «E anche il ragazzo che ti piace, a quanto sembra» mi sfiorò con un polpastrello una guancia, dove una lacrima solitaria mi era sfuggita e mi mostrò il dito bagnato poi mi sorrise tristemente.
Annuii rattristata poi scoppiai a piangere con le mani a coprirmi imbarazzata il viso. Era la prima volta che piangevo per un ragazzo. In passato ero stata fidanzata, ma ero sempre stata io a mollarli dopo un paio di mesi, quindi non avevo mai sofferto. A parte il fatto che io e Derek non stavamo insieme e nemmeno gliene avevo parlato e poi era tutta un’altra storia. Non glielo dirò mai. Me ne vergogno troppo.
Sabrina si sdraiò al mio fianco poi con un po’ di fatica mi abbracciò, appoggiando la testa sulla mia spalla sinistra e accarezzandomi con il braccio libero una guancia inzuppata dalle lacrime.
«Avis!» sentii mormorare il mio nome dalle mie migliori amiche poi le molle del letto cigolare ed infine un gran peso su di me. Sarah e Jessica si erano letteralmente sdraiate su di me per potermi abbracciare.
«Mi dispiace» mormorai a corto di fiato e con la vista appannata dalle lacrime.
Vidi una chioma color cioccolato strusciarsi sul mio petto poi sospirare abbattuta «E’ t-tutto okay» balbettò timidamente Sarah poi alzò il viso e mi sorrise appena, mettendo un risalto le grandi labbra carnose.
«Esatto. Però ora voglio vedere qualche incantesimo!» esclamò entusiasta Jessica che balzò in aria, sedendosi sul letto e alzando le braccia in aria allegra. Sentii le ragazze ridacchiare, cosa che mi rallegrò il cuore poi annuii sorridente.
Scesi dal letto dopo aver sciolto l’abbraccio delle ragazze ed essermi asciugata gli occhi e tolta i residui delle lacrime poi feci un profondo respiro e mi concentrai sulla piantina che si trovava sulla scrivania sul lato sinistro della stanza.
Sentii la magia scorrermi fulminea nelle vene poi con una concentrazione quasi maniacale continuai a fissare la piantina e puntai una mano verso di essa, da cui partirono delle scoppiettanti scintille verdi che andarono poi a depositarsi sulle foglie verdognole e scivolarono nel terreno all’interno del vaso di creta. Strinsi la mano a pugno e l’intera piantina iniziò a brillare di verde poi i rami iniziarono a crescere, le foglie si ingigantirono e il fusto si allungò e ingrossò, facendola diventare quasi simile ad un enorme albero verdeggiante. I rami iniziarono a intrecciarsi e a strusciare sulle pareti e sul pavimento, circondando le gambe delle mie migliori amiche che guardavano il tutto con la bocca spalancata e gli occhi che sembravano essere sul punto di schizzar fuori.
Schioccai le dita e dei boccioli di rose si formarono lungo i rami, sbocciando qualche secondo dopo, al seguito di un altro mio schiocco.
«Wow…» esclamarono elettrizzate e a corto di parole.
Sorrisi eccitata, incrociando le braccia al petto «Che ve ne pare? Ora ci credete?» domandai compiaciuta. Annuirono senza proferire parola e con uno sguardo misto tra il scioccato all’elettrizzato.
«Che gran figata!» esclamò Jessica battendo le mani e sorridendomi entusiasta. Le sorrisi contenta poi con uno schiocco delle dita feci ritornare la piantina al suo stato originale, ovvero piccola piccola sulla mia scrivania.
«Fanne un altro!» gridò Sabrina eccitata balzandomi davanti e scuotendomi dalle spalle, «Dai!» mi strillò davanti al viso. Le sorrisi maliziosamente poi scoccai la lingua contro al palato, «Forse…» biascicai compiaciuta. Ora si mi credevano.

 

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Capitolo 25
*** Sigillare il cerchio dei Guardiani della Notte (R) ***


Mi ero divertita parecchio con le mie migliori amiche. Quanto mi era mancato farlo. Le loro risate, le loro facce buffe e i loro commenti maliziosi e divertiti. Tutto di loro mi era mancato.
Poi di punto in bianco mi ritornano in mente le parole di Derek: Comunque io non dirò nulla al preside Cross però dovrai farlo tu. Derek aveva ragione, dovevo parlare con mio nonno prima che lo scopra da solo. Non volevo beccarmi una strigliata anche da lui.
Dissi alle mie amiche che dovevo sbrigare al più presto la faccenda e le lasciai in camera mia da sole, però non prima di essermi fatta promettere che non sarebbero uscite da lì.
Dopo aver parlato al nonno delle mie migliori amiche e aver patteggiato sul fatto di poterle fare stare qui per qualche giorno - il nonno aveva precisato che le ragazze per poter restare all’accademia non si sarebbero dovute immischiare negli affari di altre streghe e stregoni ospiti e che avrebbe fatto preparare delle stanze per loro - mi diressi verso la mia camera da letto da cui si sentirono dei gridolini divertiti che mi fecero aumentare il passo. Quando varcai la soglia della mia camera strabuzzai gli occhi e spalancai la bocca scioccata. Amber era sdraiata sul mio letto e rideva animatamente con le mie migliori amiche.
«Che cazzo sta succedendo qui? Vi avevo detto di non uscire dalla camera e non aprire a nessuno!» sbottai stringendo i pugni lunghi i fianchi e lanciando un’occhiataccia a Amber che mi sorrise maliziosamente. La guardiana del Fuoco fece svolazzare i capelli color cioccolato nell’aria poi si alzò dal mio letto e mi passò accanto, sfiorandomi una spalla che mi sembrò andare a fuoco sotto al suo tocco.
«Tranquilla, non le mangio. Preferisco i ragazzi» mi fece l’occhiolino poi uscì dalla mia stanza, lasciandomi immobile in mezzo alla camera come un pesce lesso.
«E’ simpatica!» commentò Jessica scrollando le spalle poi si lasciò cadere sulla poltrona di pelle nera e ci sprofondò dentro.
Scoccai la lingua contro al palato poi sospirai, «Mio non-, cioè il preside della scuola ha detto che potete rimanere qui per qualche giorno. Vi sta facendo preparare le camere» riferii infine, andandomi a sedere sul bordo del letto.
«Fantastico!» strillò Sabrina saltellando sul letto allegramente. Roteai gli occhi, «Ha anche precisato che non dovete per nessun motivo immischiarvi negli affari delle altre streghe e stregoni» precisai, guardandole con una sguardo serio. Sabrina alzò le mani in aria in segno resa poi si lasciò andare con la schiena contro al materasso del letto.
«Va beneee!» strillò Sabrina ridacchiando e puntellandomi i piedi nella schiena.
Glieli scansai via con una mano poi presi a farle in solletico sui fianchi, proprio dove lo soffriva di più.
«Dobbiamo avviarci verso la sala da pranzo che la cena è quasi pronta!» Derek bussò fuori dalla porta della mia camera e ci avvisò dell’imminente cena. La mia pancia al solo pensiero che finalmente poteva fare un pasto decente iniziò a brontolare.
«Arriviamo!» strillai a gran voce, balzando in piedi e afferrando da una gamba Sabrina per poi trascinarla giù dal letto.
Uscimmo tutti e quattro dalla mia camera e seguendo la schiena tonica di Derek arrivammo alla sala da pranzo in pochi minuti. Tutti i presente posarono i loro occhi curiosi sulle mie migliori amiche che con tutti quegli sguardi addosso si sentirono in imbarazzato, tanto che Sarah si nascose dietro alle mie spalle balbettando un «p-perché ci guardano tutti?».
Amanda spezzò quel silenzio presentandole come le mie migliori amiche e che per un paio di giorni sarebbero state all’accademia, almeno fin quando non fossero stati certi che non rischiavano di venir prese in ostaggio o attaccate dai cacciatori di streghe.
Dopo che il nonno fu arrivato, ci sedemmo tutti a tavola – il nonno, noi guardiani, i protettori, mia sorella e le mie migliori amiche – ed incominciammo a cenare.
 
[…Il giorno dopo…]
 
Quella mattina fui svegliata dalle mie migliori amiche. Diciamo che il risveglio non fu uno dei migliori per il semplice fatto che mi svegliarono con una secchiata d’acqua gelida. In quel momento avrei tanto voluto ucciderle.
Dopo essermi cambiata e asciugata, mi ero messa sul letto con le altre e avevamo iniziato a spettegolare su due dei nostri compagni di scuola, i quali erano stati beccati dalla preside mentre si facevano nello spogliatoio maschile. Parlammo degli insegnanti che continuavano a domandare loro dove fossi finita e, di come i nostri compagni spettegolavano malignamene su di me, dicendo che ero finita in riabilitazione oppure che ero rimasta incinta e quindi per la vergogna avevo abbandonato la scuola. Quei luridi bastardi! Non sapevano un cazzo di me, ma questo non li fermava dal prendermi per il culo. Quale riabilitazione! Quale incinta! Ma vaffanculo!
«Tranquilla che Jessica li ha messi tutti a tacere. Ha tirato uno schiaffone in pieno viso a quella troietta di Allison che aveva messo in giro le prime voci e tutti gli altri hanno smesso» sghignazzò Sabrina, probabilmente al solo ricordo della faccia di Allison. Ah, quanto avrei voluto vederla anche io. Annuii, allargandomi in un sorriso sghembo.
Dopo quella magnifica mattina passata a chiacchierare, venimmo chiamate per il pranzo che fu tutto a base di carne. Pasta al ragù, pollo fritto e insalata di wurstel e peperoni. Dio che bontà.
Tornate in camera, Jessica mi aiutò a finire di fare i compiti che avrei dovuto consegnare entro domani alla preside, ovviamente per via e-mail, mentre le altre due sbirciarono un po’ in giro, facendomi poi scoprire che il grande armadio che troneggiava nella camera era piena zeppa di vestiti fighissimi, che indosserò sicuramente durante la mia permanenza all’accademia.
«Qui hai sbagliato un passaggio» mi corresse per l’ennesima volta. Si vedeva che mi ero arrugginita, poche settimane senza studiare e mi ritrovavo a sbagliare di continuo o, semplicemente avevo la testa da tutt’altra parte e quindi non davo molto corda ai compiti che dovevo eseguire. Mugugnai un «sì» poi corressi svogliatamente il passaggio che avevo sbagliato.
All’improvviso sentimmo bussare alla porta. Con svogliatezza mi alzai dal letto ed andai ad aprire, ritrovandomi davanti una sentinella dell’accademia con indosso un’armatura medioevale. Trattenni a stento le risate poi gli chiesi cosa volesse.
«Il preside Cross desidera la vostra presenza nella sala degli allenamenti e ha precisato di portare con sé gli anelli dei Guardiani» parlò con voce metallica, sembrava quasi un robot medievale.
«Certamente!» replicai pacata poi andai a prendere il mio zainetto ed infine lanciai un’occhiata alle mie amiche «Voi non vi muovete da qui, chiaro?» marcai bene le parole. Dopo aver ricevuto la loro risposta ovvero un «sì» uscii dalla stanza e mi feci accompagnare fino alla sala degli allenamenti dalla sentinella perché non ne conoscevo la strada.
I corridoi erano tutti uguali. Avevano tutte le stesse pareti che aveva visto nel primo corridoio che aveva percorso per arrivare davanti alla presidenza quella mattina. Il pavimento di legno scuro era sempre coperto da quel lungo tappeto di velluto rosso che dava l’impressione di essere un fiume di sangue. E su ogni parete, a distanza di qualche metro, si trovavano quelle lampade da parete a forma di lanterne che si accendevano ogni qualvolta che avanzavo e quelle alle mie spalle si spegnevano dopo averle superate.
«Gli altri guardiani sono già dentro?» domandai ansiosa, dopo essermi piazzata davanti alla porta che mi divideva dalla sala.
«Sì, signorina Darkwood» rispose meccanicamente poi mi lasciò sola davanti a quella porta. Fantastico ero l’ultima! Ecco come fare la figura della ritardataria!
Deglutii nervosamente poi feci un profondo respiro ed infine varcai la porta e venni quasi accecata delle forti luci che si trovavano al suo interno.
«Alla buonora!» commentò Sophie lanciandomi un’occhiata divertita. Feci spallucce poi andai a mettermi vicino a Derek che ovviamente aveva fatto finta che non esistessi, cosa che mi fece venire una fitta al cuore. Non volevo che mi odiasse, ma non sapevo come farmi perdonare.
«Salve guardiani della Notte. Vi ho voluto riunire qui perché è giusto il momento di sigillare il cerchio dei guardiani. Gli anelli che la vostra guardiana della Terra possiede serviranno per unirvi, come se foste una sola persona, ma non fraintendetemi: i vostri poteri saranno unicamente vostri, verranno solamente amplificati essendo che unirete le vostre forze» spiegò mio nonno tenendo la mani intrecciata sul panciotto e in quel momento notai che alle sua spalle c’era mia sorella che ci sorrideva fiera.
Amanda si schiarì la voce poi mi si mise al fianco di nostro nonno. Che stava succedendo? Perché Amanda era lì? Era un’insegnante all’accademia e non me lo aveva detto?
«Salve a tutti. Il mio nome è Amanda Darkwood, sono la sorella maggiore di Avis e guardiana dei Tesori Sacri» Amanda scioccò le dita e il sacchetto contente gli anelli si materializzò nella sua mano che teneva aperta davanti al petto.
«Questi anelli sono i cimeli dei guardiani della Notte che vengono tramandati di reincarnazione in reincarnazione. Ora è il vostro turno di indossali» ne estrasse uno. Un anello d’oro dalla pietra viola, un zaffiro porpora che scintillò colpito dalle luci all’interno della stanza, «Questo è l’anello del guardiano dello Spirito» spiegò Amanda mostrandolo a tutti noi poi lo feci comparire in mano a Luke.
«L’anello dalla pietra bianca, più precisamente un zircone bianco è della guardiana dell’Aria» lo estrasse e lo fece comparire in mano a Nanami.
«Pietra rossa. Rubino. Guardiana del Fuoco» comparve nelle mani di Amber che lo guardò meravigliata.
«Pietra blu. Cianite. Guardiano dell’Acqua» Simon sorrise appena quando vide l’anello comparire nelle sue mani.
«Ed infine pietra verde. Smeraldo. Guardiana della Terra» Amanda mi sorrise dolcemente poi me lo consegnò di persona, «Sono fiera di te» mi sussurrò all’orecchio facendomi scoppiare il cuore di gioia. La ringraziai con un gran sorriso poi guardai con orgoglio l’anello che scintillava nel palmo della mia mano.
Amanda tornò al suo posto, vicino al nonno, poi si schiarì la voce per attirare nuovamente l’attenzione su di sé, «Non provate ad indossarlo. Dovete indossarlo tutti nello stesso momento dentro al pentacolo, con cinque candele delle stesso colore degli anelli e nelle posizioni esatte ovvero in corrispondenza delle punte della stella. Nord, Est, Ovest, Sud Est e Sud Ovest» spiegò a gran voce Amanda. «Non provate mai ad indossarlo senza che ci siano anche gli altri perché vi toglierebbe i poteri e in casi peggiori vi potrebbe persino uccidere» precisò infine puntando un dito verso l’alto e dicendoci le stesse parole che aveva detto a me poco tempo fa.
Vidi tutti gli altri annuire concentrati mentre continuavano ansiosi a girarsi e rigirarsi l’anello nella mano. Io invece mi sentivo molto nervosa, ma allo stesso tempo eccitata perché i miei poteri aumenteranno a dismisura dopo aver sigillato il cerchio.
«Protettori dei guardiani ora tocca a voi. Preparate il cerchio e posizionate le candele» parlò ancora mia sorella al posto del nonno che sorrideva fiero mentre la guardava con ammirazione.
Sentii Derek sfiorarmi delicatamente con i polpastrelli una guancia poi mi lasciò lì paralizzata dalla vergogna e con le gote in fiamme. Derek si diresse insieme agli altri protettori a preparare il cerchio magico e a prendere le candele per unire i nostri poteri magici.
Iniziarono a tracciare con una sabbia nera il cerchio poi al suo interno il pentacolo ed infine posizionarono le candele in corrispondenza delle punte della stella come aveva spiegato Amanda e poi le accesero con la magia. Piccole fiammelle si accaserò una dopo l’altra e scoppiettarono sullo stoppino di cotone bianco, illuminando il pentacolo all’interno del cerchio che brillò di una luce biancastra.
«E’ ora di iniziare» esclamò esaltato il nonno accarezzandosi la folta barba bianca e guardandoci con orgoglio.

 

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Capitolo 26
*** Il circolo dei Guardiani della Notte (R) ***


Okay, stavo letteralmente andando nel panico. Avevo il cuore che mi batteva talmente forte nel petto che sembrava essere sul punto di scoppiare, le mani così sudate che sembrava che le avessi immerse nell’acqua e il respiro affannoso come se avessi appena finito di correre una maratona. Un groppo in gola mi si formò quando mio nonno mi chiamò. Essere chiamata quasi per ultima o ultima penso che sia la cosa più snervante che ci possa essere, perché vedevi tutti passarti davanti e tu eri lì a torturati le unghie e le pellicine in attesa del tuo turno che sembrava non arrivare mai. Quasi tutti erano già nella loro postazioni sulle punte delle stelle – tranne me e Nanami che aspettava tranquilla il suo turno –, davanti alla loro candele con gli stessi colori dei nostri anelli mentre io ero immobile, non riuscivo a muovere nemmeno un passo come se una entità mi tenesse ferma a qualche metro di distanza da loro. Il cerchio magico era stato tracciato in mezzo a quella stanza circolare e davvero troppo luminosa. Ero agitatissima perché avevo paura di fallire. Non mi era mai capitato di sentirmi in ansia per qualcosa, di solito facevo le cose senza sentirmi così impaurita e agitata, ma questa volta era diverso: qui c’era in gioco le nostre vite quindi era molto più pericoloso.
Con passo da bradipo dove sentivo i battiti del mio cuore rimbombare nella mia testa offuscando i miei pensieri preoccupati e il respiro irregolare farsi sempre più pronunciato, mi avvicinai a loro e al cerchio magico.
Quando fu davanti alla punta della stella che mi apparteneva, quella a Sud Ovest, ci appoggiai sopra un piede e le linee tracciate per crearla brillarono di una luce verde. Guardando con attenzione il resto del gruppo notai che ogni di loro aveva le punte delle stelle illuminate dal colore che gli apparteneva, quindi emisi un sospiro di sollievo. Non avevo combinato nessun guaio.
«Forza Avis, entra nel cerchio magico» mi intimò mio nonno con voce potente ma al contempo bassa.
Deglutii rumorosamente poi appoggiai anche l’altro piede sulla punta della stella ed infine entrai nel cerchio magico con il respiro trattenuto che rilasciai non appena capii che non mi sarebbe successo nulla, almeno per ora.
Mio nonno mi sorrise felice poi chiamò Nanami che entrò nel cerchio con una tranquillità quasi snervante. Come faceva ad essere così calma? Io stavo tremando dalla paura.
«Ragazzi ora pronunciate la formula che è appena apparsa al centro del cerchio magico» ordinò impassibile mio nonno, puntando un dito verso il centro del cerchio dove era veramente apparsa la formula da leggere.
Ci guardammo tutti e cinque negli occhi in cui intravidi lampi di preoccupazione e ansia, ma anche eccitazione poi insieme iniziammo a leggerla, ovviamente ad alta voce.
«Noi guardiani della Notte siamo riuniti qui per unire i nostri poteri magici.
Spirito, Fuoco, Acqua, Terra e Aria. I cinque elementi invocano il nome di Dio.
Il circolo dei Guardiani è pronto a unirsi, a diventare una sola cosa quindi Dio ascolta la nostra preghiera e dacci la tua benedizione. Qui e ora» gridammo a gran voce.
Luke passò una mano attraverso una sfera che Seline le aveva passato, senza però entrare nel cerchio magico poi pronunciò l’incantesimo che era appena apparso al centro, sostituendo quello precedente.
«Io Luke Bluewater, discendente degli Arveldis giuro di proteggere il mondo umano da quello magico con i poteri dello Spirito» dopo che ebbe finito di pronunciarlo venne avvolto da una luce violacea che lo costrinse a chiudere gli occhi per alcuni secondi.
Ora era il turno di Amber. Dopo che Crystal le ebbe passato una candela rossa, passò una mano sulla fiamma e pronunciò l’incantesimo del Fuoco che era apparso al centro del cerchio dopo quello di Luke.
«Io Amber Golthel, discendete dei Golthel giuro di proteggere il mondo umano da quello magico con i poteri del Fuoco» venne subito avvolta da una luce, ma a differenza di Luke era di un rosso acceso e sembrava quasi che le stesse accarezzando la pelle perché ridacchiava felice.
Sophie passò una scodella piena d’acqua a Simon. Il ragazzo ci infilò dentro le mani poi pronunciò la formula dell’Acqua.
«Io Simon Law, discendete degli Aithes giuro di proteggere il mondo umano da quello magico con i poteri dell’Acqua» una luce dalle sfumature azzurre e bluastre lo avvolse completamente, facendogli emettere gridolini di paura poco virili.
Iniziai a sentire caldo perché ora era il mio turno. Il cuore era sul punto di esplodere e un groppo mi si era formato in gola per la paura di fallire. Inizia a tremare come una foglia mossa dal vento quando Derek mi chiamò, facendomi voltare verso di lui. Tra le mani teneva una manciata di terra che lasciò poi scivolare nelle mie messe a conca, «Buona fortuna» sussurrò con voce calda, prima di allontanarsi da me e tornare con gli altri protettori.
Mi girai nuovamente verso i restati guardiani e deglutii impaurita poi feci un profondo respiro ed infine chiusi gli occhi per concentrarmi al meglio.
«Io Avis Darkwood, discendente dei Baradien giuro di proteggere il mondo umano da quello magico con i poteri della Terra» pronunciai l’incantesimo con il corpo scossa da tremolii poi lasciai scivolare la terra ai miei piedi e pochi secondi dopo venni avvolta da una luce che mi riscaldò la pelle come un leggero tepore. Quando aprii gli occhi vidi che la luce era di un verde accesso e che lentamente mi stava alzando da terra, così come anche il resto del gruppo.
L’ultima a completare l’incantesimo fu Nanami che passò le mani attraverso al fumo di un incenso che il protettore le aveva passato pochi attimi prima.
«Io Nanami Okamura, discendete dei Cedweril giuro di proteggere il mondo umano da quello magico con i poteri dell’Aria» pronunciò l’incantesimo poi venne avvolta da una luce bianca e anche lei si alzò da terra, levitando nell’aria.
Quando fummo tutti e cinque in aria mio nonno ci ordinò di indossare l’anello, stando attenti ad infilarlo tutti nello stesso momento.
Con le mani tremolati e con gli occhi fissi sugli altri infilai l’anello nell’anulare destro, ovviamente in contemporanea con il resto del circolo e un forte calore mi bruciò la pelle intorno ad esso, facendomi emettere dei bassi rantoli di dolore.
Improvvisamente le luci che ci avvolgevano iniziarono a venir risucchiate dal centro del cerchio magico, dove poi sparirono senza lasciare tracce nell’aria. Sentii le mie forze abbandonarmi, come se anche i miei poteri magici stessero venendo risucchiati all’interno del centro del cerchio. Mi sentivo così debole che caddi al suolo, picchiando le ginocchia contro al pavimento freddo della stanza e facendomi emettere versi di dolore. Provai dei dolori acuti in tutto il corpo come se qualcuno mi stesse dando delle forti e potenti martellate mentre il mio potere scivolava via da me. Con la poca forza che aveva alzai la testa e vidi che anche gli altri erano nella mia situazione. Che qualcosa era andato storto? Forse uno di noi lo aveva indossato un secondo dopo? Oppure avevo sbagliato io?
All’improvviso un colpo di vento spense tutte le candele e  le lampade scoppiarono una dopo l’altra, facendo piombare la stanza nel buio più totale poi il pentacolo cominciò ad illuminare di una luce bianca e il pavimento iniziò a tremare come se ci fosse il terremoto, facendomi gridare impaurita. C-che diamine stava succedendo? Moriremo tutti?
Intorno al cerchio magico si alzò una barriera di luce bianca e di aria gelida che vorticò velocemente e ci tenne schiacciati al suolo. Dopo pochi secondi dal centro del cerchio magico fuoriuscirono le luci che prima ci avevano avvolti e che capii fossero i nostri poteri. Tutti e cinque i nostri poteri magici si alzarono verso l’alto, torreggiando sopra ai nostri corpi schiacciati contro al suolo poi caddero in picchiata come dei meteoriti e rientrarono dentro di noi con una potenza che ci lasciò senza fiato, che mi lasciò senza fiato per alcuni secondi. Sentii il mio potere magico scorrermi nuovamente nelle vene come lava incandescente. Il mio potere era così potente e grande che riuscivo a stento a credere che potesse stare tutto all’interno del mio corpo. Il mio potere e penso anche quello degli altri si era duplicato, triplicato, quadruplicato. Era diventato così grande che era impossibile descrivere la sensazione che stavo provando in quel momento. Mi sentivo invincibile; potente e in grado di fare qualsiasi cosa. Quindi l’incantesimo per sigillare i nostri poteri nel circolo dei guardiani della notte era andato a buon fine?
«Complimenti ragazzi. Ora siete finalmente un vero circolo. Il circolo dei guardiani della Notte» sentii mio nonno gridare orgoglioso poi il battere frenetico delle sua mani.
Due braccia mi avvolsero da dietro e mi rimisero in piedi, «Complimenti Avis!» la voce di Derek era calda contro al mio orecchio, da cui poi partirono lunghi brividi che percorsero tutta la mia schiena facendomi tremare di piacere.
Con grande lentezza mi girai verso di lui poi lo abbracciai, aggrappandomi con le mani alla sua maglia ed infine appoggiai la testa sul suo petto duro e sussurrai stancamente e con le gote arrossate «grazie» poi crollai contro al suo corpo stremata. Prima di crollare del tutto percepii la voce di Derek chiamarmi allarmato poi il nulla, solo il buio ad avvolgermi.

 

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Capitolo 27
*** L’inizio degli allenamenti (R) ***


Lentamente aprii gli occhi e venni accecata da una luce bianchissima poi sentii la voce di Derek annunciare che mi stavo svegliando. Mi guardai in giro e notai che mi avevano riportato nella mia camera dopo che ero svenuta contro al petto di Derek. A quel pensiero arrossii imbarazzata, poi sospirai portandomi la mano destra davanti al viso e fissando con orgoglio l’anello della guardiana della terra brillare sul mio anulare. All’improvviso sentii dei gridolini femminili poi un enorme peso sullo stomaco come se mi ci avessero appoggiato sopra un macigno di una tonnellata.
«Avis!...Avis come ti senti?» domandò Sarah entrando nella mia visuale con un piccolo sorriso sulle labbra. Capii immediatamente che il peso che avevo sullo stomaco non erano altro che loro, le mie migliori amiche che mi stavano spappolando gli organi con i loro dannati gomiti.
«Starei meglio se vi spostaste da sopra di me, pesate» biascicai in risposta poi con la coda dell’occhio notai Derek avvicinarsi al mio letto con al suo seguito Sophie che mi guardava quasi con preoccupazione.
Le mie amiche si spostarono da me e finalmente ripresi a respirare normalmente poi mi tirai su, appoggiando la schiena contro alla testiera del mio letto.
«Ci siete riusciti. Siete ufficialmente i guardiani della Notte e il vostro circolo è stato sigillato» Derek scocco un’occhiataccia alle mie migliori che abbassarono lo sguardo poi con una scusa banale come ‘noi adesso andiamo a vedere come sono le nostre camere, a dopo’ scapparono quasi terrorizzate dal mio protettore. Sophie ridacchiò passandosi una mano tra la folta chioma bionda poi si sedette sulla poltrona e posò il suo sguardo su di me, «Ti senti bene? Simon sta ancora dormendo» domandò infine la protettrice del guardiano dell’acqua.
Annuii poi sbadigliai portandomi una mano davanti alla bocca, «E gli altri? Stanno tutti bene?» chiesi curiosa di sapere come le passavano gli altri guardiani.
Derek si sedette sul mio letto poi mi guardò con attenzione, facendomi venire i brividi lungo tutta la schiena, «Sono tutti nelle loro stanze a riposare. Il rituale per unire il circolo porta via molto le forze quindi sono tutti un po’ stanchi» mi rispose serio.
Sophie ridacchiò malignamente mentre giocherellava con una ciocca di capelli biondissima, «Da domani sarà ancora peggio perché inizieranno i vostri veri allentamenti» balzò in aria e con passo da felino si avvicinò al mio letto e con un dito mi diede un colpetto sulla fronte.
«Riposati che domani sarà davvero dura» sospirò nervosa «Il preside Cross è molto severo sul fatto degli allenamenti quindi da domani sarete seguiti da noi protettori ma anche da lui» mi riferì infine seria.
«Signorino Bluewater il preside richiede la vostra presenza» la stessa guardia di prima entrò nella mia camera accompagnato dal rumore metallico della sua armatura e guardò attento il mio protettore.
Derek sbuffò seccato poi si alzò dal mio letto e puntò il suo sguardo seccato il quello annoiato di Sophie «Puoi stare qui fin quando Avis non si addormenta?» chiese alla bionda che annuì quasi subito.
Il mio protettore uscì dalla mia camera dopo avermi lanciato un’occhiata come per controllarmi un’altra volta poi si chiuse la porta alle spalle e mi lasciò da sola con la bionda che si buttò letteralmente sul mio letto e si lasciò scappare un sospiro.
«Da domani sarà davvero dura chissà se Simon riuscirà a sopportare tutto questo» mormorò la bionda pensierosa.
«Perché non dovrebbe riuscirci? Simon è forte!» replicai portando le braccia al petto e ricevendomi come riposta un’occhiata di fuoco e uno scocco di lingua da parte della bionda.
«Lo so anche io che Simon è forte, solo che sono preoccupata. Ci tengo a lui. È la mia sola famiglia» ribatté con un tono di voce carico di tristezza e preoccupazione.
«Non hai nessun altro?» domandai curiosa e solo dopo aver pronunciato la domanda mi resi conto di essere stata indelicata.
Sophie abbassò lo sguardo rattristato poi prese a giocare con delle ciocche di capelli, «I miei genitori sono morti. Sono stati uccisi da dei cacciatori di streghe e sì, non ho nessun altro. Sono sola» biascicò con la voce tremolante.
«Scusa, non avrei dovuto chiedere» mormorai addolorata poi mi passai una mano tra i capelli e pensai a quanto fossi stata stupida a chiederglielo.
Sophie alzò lo sguardo poi scosse la testa «Tranquilla» replicò atona, strofinandosi poi con una manica gli occhi.
«Quasi tutti qui hanno perso qualcuno per colpa dei cacciatori di streghe. Voi guardiani avete perso una nonna o un nonno o tutti e due per colpa loro e delle loro fottute leggi» sbraitò nervosa, battendo i pugni sul materasso.
«Già» sussurrai malinconica. Avrei tanto voluto passare del tempo con mia nonna, ma quei bastardi mi aveva tolto qualsiasi possibilità di conoscerla.
Sophie balzò giù dal mio letto e si avvicinò alla mia scrivania dove notai solamente ora che c’era appoggiata una caraffa e un bicchiere. La bionda versò dentro al bicchiere quello che sembrava thè poi me lo diede da bere, suggerendomi anche di riposarmi perché domani mattina ci sarebbe toccato svegliarci prestissimo. Ne bevvi un sorso poi dopo averlo appoggiato sul comodino mi rimisi comoda sotto alle coperte e provai a fare quello che Sophie mi aveva suggerito, ovvero riposarmi.
«Buon riposo Avis» sentii Sophie sussurrare quelle parole poi la porta aprirsi e chiudersi. Rimasi da sola in quella camera che era piombata nel buio, segno che Sophie doveva aver spento le luci per lasciarmi riposare.
 

[…Il giorno degli Allenamenti…]


Svegliarmi alle cinque del mattino fu già di per sé un trauma, ma farlo con mia sorella che cercava di tirarmi dai piedi per farmi uscire da sotto alle coperte calde che mi avvolgevano nel loro abbraccio, fu ancora più traumatico.
«Avis vuoi muoverti!» sbraitò Amanda dopo avermi spinto fuori dalla mia camera a suon di calci. Sbadigliai rumorosamente mentre con gli occhi ancora impastati dal sonno seguivo mia sorella lungo quei corridoi infiniti e tutti uguali. Viva l’originalità. Secondo me li avevano fatto in quel modo per confondere le persone e farle diventare pazze.
«Vuoi vedere che per colpa tua saremo le ultime! Derek te lo farà penare questo ritardo, sappilo» disse Amanda incazzata.
Sbuffai seccata con le braccia conserte sotto al seno, «Sono stanca. Voglio dormire, dannazione» mi lamentai picchiando con forza i piedi sul tappeto rosso del corridoio.
«Finiscila!» sbraitò ancora Amanda, facendomi zittire e abbassare lo sguardo. Dannazione io volevo dormire ancora qualche ora. Non penso che durerò tutta la giornata, mi toccherà per forza dormire di pomeriggio per potermi rimettere in forze.
Dopo aver varcato la porta che portava alla sala degli allentamenti strabuzzai gli occhi perché la stanza era completamente diversa da ieri. Non era più circolare ma bensì rettangolare e piena di pugnali e spade e altri oggetti di cui non sapevo nemmeno i nomi, e infondo alla stanza si trovava anche un ring per combattere. Ma la cosa che mi lasciò più esterrefatta furono le zone suddivise per ogni elemento. Una enorme e lunga piscina si trovava lungo quasi tutta la parete di fronte a me; oltre ad un muro di vetro alla mia sinistra si trovavano dei manichini mezzi bruciacchiati e capii che si trattava della zona per la guardiana del Fuoco, sembrava essere una stanza creata a parte proprio per poter controllare e contenere quel potere molto pericoloso, soprattutto se si veniva colpiti. Alla mia sinistra invece si trovava, dentro ad una cupola di vetro, una fitta boscaglia che mi lasciò esterrefatta dalla bellezza e dalla maestosità di quella luogo verdeggiante e perfetto per me. Quel bosco era tutto per me. Sentii delle scintille di eccitazione scoppiettare nelle mie mani. Avrei tanto voluto entrarci e godermi la natura, ma sapevo che prima avrei dovuto aspettare gli ordini del nonno e probabilmente il consenso di Derek.
La zona d’Aria si trovava nella parete in cui mi trovavo io. La zona d’aria non era altro che un mobile contenente un sacco di oggetti che partivano dai più leggeri come una piuma ai più pesanti come delle palle di metallo che arrivavano a pesare anche una tonnellata, difatti erano davvero enormi.
La zona dello Spirito non riuscii a capire quale e dove fosse perché non sapevo in cosa consisteva quel potere, a parte curare e far tornare le persone in vita, anche se con un prezzo da pagare.
Vidi gli altri guardiani con i loro protettori al loro seguito sbucare da dietro ad una porta vicino alla piscina, con indosso delle tute dal colore del loro potere.
Derek sbucò qualche attimo dopo e mi lanciò un’occhiataccia che mi fece accapponare la pelle.
«Vai immediatamente a cambiarti e vedi di muoverti» sbraitò furioso, facendo voltare il resto del gruppo verso di me che sorrisero divertiti. Sorrisi imbarazzata poi con la coda tra le gambe corsi a cambiarmi. Fantastico era nuovamente arrabbiato con me. La giornata stava davvero procedendo di merda, meraviglioso.
Dopo essermi cambiata ed essermi beccata la ramanzina da parte di Derek ed essere riuscita ad avere il consenso del nonno, entrai nella zona della Terra. Non appena misi piede all’interno di quella cupola emisi un sospiro di sollievo. Mi sentivo così bene immersa nella natura. Presi una boccata d’aria e il profumo tipico dei pini e della resina mi penetrarono le narici. Sentii il forte odore di foglie umide che sotto ai miei piedi creavano quasi un tappeto scivoloso, quello penetrante dei funghi e quello pungente della terra bagnata, sembrava quasi che avesse appena smesso di piovere nonostante mi trovassi dentro ad una cupola all’interno di una stanza.
Andai a sedermi su un enorme sasso poi mi legai in una coda i capelli che in quel momento ricordavano la criniera di un leone, dato che mia sorella non mi aveva lasciato nemmeno il tempo di pettinarmi ed infine toccando il terreno bagnato provai a far nascere e crescere dei fiori.
«Avis perché non provi a controllare con più intensità i rami e le radici degli alberi?» la voce profonda di Derek mi deconcentrò e mi mandò a puttane l’esercizio. Gli scoccai un’occhiata di fuoco poi annuii stizzita.
«Va bene, ci provo».

 

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Capitolo 28
*** Terra (R) ***


Dopo una quindicina di volte riuscii finalmente a controllare con maggior intensità, anche se per pochi minuti, i rami di una quercia che si andarono ad attorcigliare intorno alle gambe di Derek che mi imprecava contro di liberarlo. Risi divertita dalla sua espressione incazzata; le sopracciglia aggrottate, la bocca che si storse in una smorfia di rabbia e i suoi occhi carichi di ira che si assottigliarono e mi guardarono furiosi.
«Liberami ora!» sbraitò Derek cercando di divincolarsi dalla presa dei rami che lo stritolavano, ma che poi lentamente si snodarono dalle sue gambe senza che io potessi fare qualcosa. Non li stavo più controllando. Avevo perso la concentrazione e quindi mi sarebbe toccato farlo di nuovo.
«Per colpa tua ho perso la concentrazione e adesso è andato tutto a puttane!» sbraitai come una bambina di cinque anni quando i genitori la sgridavano, battendo persino i piedi sul terreno erboso e stringendo i pugni lungo i fianchi.
Vidi Derek roteare gli occhi, «Allora vedi di non provare i tuoi incantesimi su di me. Ora prova a crearne uno con il terreno» replicò seccato lui, poi andò a sedersi sul sasso sul quale mi ero seduta in precedenza io e aspettò impaziente che iniziassi a fare qualcosa.
Misi su il broncio poi incrociai le braccia al petto e battei i piedi per terra. Si, ero proprio una bambina, ma odiavo quando mi davano degli ordini.
«Forza! Se il preside Cross dovesse vedere che non stai concludendo nulla ti farà lavorare il doppio degli altri» esclamò seccato Derek, controllando con la coda dell’occhio quello che stava succedendo al di fuori della cupola.
Sbuffai sonoramente poi raccolsi un mucchietto di terra umida che mi si conficcò, purtroppo, sotto alle unghie facendomi imprecare mentalmente ed infine chiusi gli occhi per concentrarmi, anche se in realtà non sapevo cosa fare.
Aprii gli occhi quando sentii il sospiro snervato di Derek, «Puoi creare un vortice di terra o che so un creatura o qualsiasi cosa tu voglia» provò a suggerirmi degli incantesimi da creare o evocare.
Annuii prendendo un profondo respiro poi mi accovacciai verso il terreno, tenendo in una mano la terra raccolta in precedenza e l’altra appoggiandola sul suolo fangoso ed infine mi concentrai sull’evocare una creatura.
La mia magia iniziò a scorrermi con velocità in tutto il corpo, facendomi venire i brividi lungo la schiena poi cercai di canalizzarla nelle mie mani, d'altronde ora ero molto più potente quindi dovevo concentrarmi il doppio per non fare cazzate. La sentii fluire fino alla punta delle mie dita per poi esplodere in mille scintille brillanti, dalle mille sfumature di verde, che vennero assorbite dalla terra nella mia mano e dal terreno stesso che iniziò a tremare sotto ai miei piedi.
«E ora che succede?» domandai terrorizzata, guardandomi in giro spaesata. Notai che Derek stava sorridendo verso di me poi mimò con la bocca «complimenti ci sei riuscita» e indicò un punto dietro di me.
Quando mi girai verso il punto che Derek mi aveva indicato vidi il terreno gonfiarsi come le buche che creavano le talpe poi un’enorme mano fangosa sbucare fuori. Gridai spaventata, facendo un balzo indietro per allontanarmi da lì. Non volevo morire, non per colpa di una creatura che io stessa avevo evocato.
La creatura fuoriuscì del tutto dalla buca poi emisi un grido agghiacciante che mi fece trattenere il respiro e tremare come una foglia. Ero letteralmente terrorizzata. Le gambe erano diventate molli come budini, ma sembravano anche essere diventate pesanti come macigni perché non riuscivo a muovermi da quel punto.
La creatura era grossa e altissima, arrivava a toccare il soffitto della cupola ed era fatta di terra e radici. Gli occhi erano dei sassi bianchi che quando mi notarono si illuminarono di giallo e mi fecero tremare dal terrore e, da ogni parte del corpo il fango colava e scivolava a terra come delle enormi gocce fangose che se ti beccavano ti sporcavano e addio vestiti e capelli puliti. Le mani e i piedi erano un misto tra terra e radici che andavano a formare le sue lunghe dita verdeggianti che se ti agguantavano potevano stritolarti. Quando gridò ancora, vidi il fango che gli ricopriva il viso aprirsi in una voragine e sentii il rumore fastidioso e agghiacciante uscire da quel buco che poi capii trattarsi della sua bocca.
«Ehi mostriciattolo calma, ti prego calmati» mormorai terrorizzata puntando le mani in avanti come per difendermi, ma sapevo che non serviva a nulla anche perché con una sua mano o un suo piede poteva schiacciarmi come un moscerino su una finestra.
La creatura smise di gridare poi puntò nuovamente i suoi occhi terrificanti su di me ed infine si sedette a gambe incrociate sul terreno, facendolo vibrare come se ci fosse un terremoto.
«Bravo. Io sono Avis, la guardiana della Terra. Tu chi sei?» provai a chiedere, cercando di non far trasparire dalla mia voce che ero terrorizzata, mal che vada grugniva e basta.
«Grool» rispose con voce brutale e fortemente alta che fece vibrare i vetri della cupola stessa.
«Piacere Grool» biascicai con un occhi strizzato e con una smorfia di fastidio sul viso. Adesso mi fischiavano le orecchie, bene.
«Avis, il preside Cross vuole che tu vada di là. Vedi di far sparire Grool, potrai evocarlo tutte le volte che vorrai, ma ora muoviti» parlò svelto Derek beccandosi un verso di disappunto da parte di Grool.
Emisi un sospiro snervato poi sorrisi rattristata a Grool «Ci rivedremo presto», cazzo ero finalmente riuscita a calmarlo e ora dovevo già dirgli addio.
La creatura emise un mugugno triste, abbassando poi la testa abbattuto, «Presto» mormorò infine.
«Presto» gli sussurrai in risposta poi lasciai scivolare al suolo la terra che avevo in mano e pian piano la creatura iniziò a sgretolarsi, ritornando al terreno come se il buco di prima non ci fosse mai stato.
Quando tornai di là con Derek vidi tutti gli altri all’opera. Amber che scagliava palle di fuoco contro ai manichini nella sua area, riuscendo a distruggerne alcuni che caddero al suolo in mucchietti di cenere. Riuscii a notare Simon solamente dopo che quest’ultimo ebbe tirato fuori la testa da sott’acqua. Sentii Sophie gridagli che il suo tempo in apnea era migliorato ancora, cosa che lo fece esultare molto.
Nanami che si allenava a sollevare con mulinelli l’aria gli oggetti che avevo notato prima nell’armadio. In quel momento stava sollevano due palle da bowling che poi si scagliò contro e non so come, ma riuscì a tagliarle in due con la katana che fino a pochi attimi prima si trovava legata intorno alla sua vita.
«Wow» esclamai esterrefatta.
«Nanami non puoi tagliare gli oggetti!» sbottò furioso James, il suo protettore che con fatica raccolse le parti delle palle da bowling e con un incantesimo le rimise in sesto.
Al centro della stanza vidi il fratello di Derek creare delle sfere bianche e brillanti che poi scagliò contro ai mio nonno, il quale riuscì a fermarle con lo schioccare delle dita.
«Seline prendi il mio posto. Io devo parlare con la signorina Darkwood» parlò con voce sonora e potente mio nonno verso la ragazza dalla chioma corvina che scoccò seccata la lingua contro al palato poi contro voglia prese il suo posto.
«Mia cara Avis» mi sussurrò mio nonno dopo che mi fu accanto, «Come vanno gli allentamenti? Ti trovi bene nella cupola? Sai è stata tua nonna a crearla perché prima i guardiani della Terra dovevano per forza allenarsi nei boschi ed era abbastanza scomoda come cosa» borbottò infine l’ultima frase.
«Bene. Ho evocato una creatura di Terra» replicai orgogliosa di Grool. Mio nonno accarezzandosi la barba bianca mi sorrise fiero, «Ne sono felice. Avis volevo parlarti del diario che ha scritto tua nonna, non quello che ti ho già dato, ma questo» dall’interno di una tasca della sua tunica grigia estrasse un diario dalla copertina di pelle marrone, legato con dei rami e corde di seta come per proteggerlo da estranei, «E’ un diario di incantesimi scritto da tua nonna. Voglio che tu lo legga e impari degli incantesimi che secondo te potrebbero serviti durante delle battaglie» mi consegnò il diario poi mi consigliò di ritornare nella cupola a leggerlo.
«Fammi poi sapere cosa ne pensi. Nessuno oltre a te può aprire quel diario. Solo una guardiana di Terra può» sussurrò mio nonno poi mi diede una pacca sulla spalla ed infine mi spinse in direzione della cupola.
«Va bene nonno» sussurrai più a me stessa che al nonno che ormai si era già allontanato mentre guardavo meravigliata il diario che tenevo tra le mani. Pochi secondi dopo Derek mi fu subito accanto poi insieme entrammo nella cupola. Ero carica per provare qualche incantesimo creato dalla nonna. Non vedevo l’ora.
 

 

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Capitolo 29
*** Il libro degli incantesimi di Mavis (R) ***


Dopo essere rientrata nella cupola mi andai subito a sedere su un sasso con Derek in piedi al mio fianco che mi fissava curioso, facendomi sentire in soggezione.
Appena sfiorai con i polpastrelli i rami ruvidi che circondavano il libro, questi iniziarono a tremolare poi lentamente si snodarono e rientrarono nel lucchetto d’oro da cui inizialmente erano fuoriusciti.
Lentamente e con il fiato trattenuto aprii il libro. Inizialmente le pagine del libro si mostrarono bianca e intatte, ma dopo che Derek mi ebbe suggerito di far cadere una goccia del mio sangue su di esso, cominciarono ad apparire gli incantesimi di mia nonna.
Sulla prima pagina apparve il marchio della mezza luna crescente e sotto, la elegante e fine scrittura di mia nonna che dava il benvenuto al nuovo guardiano della Terra, nel mio caso guardiana.
«Questo libro è un cimelio di tutti i guardiani della Terra precedenti a te e che negli anni anche io ho contribuito a scrivere e che tu dovrai continuare. Buona fortuna nuova guardiana della Terra» lessi ad alta voce quello che mia nonna Mavis aveva scritto e a stento riuscii a fermare le lacrime che stavano cercando prepotentemente di uscire.
Girai un’altra pagina e lessi il titolo del primo capitolo: “Incantesimi Mentali o senza pozioni magiche”.
«Gli incantesimi mentali, o comunque quelli di cui si può usufruire senza l’aiuto di pozioni magiche sono forse i più difficili, ma anche i più comodi da usare. Nel senso con le pozioni magiche ci devi stare dietro magari delle orette per preparale tutte, mentre con gli incantesimi mentali basta usare la magia al interno del tuo corpo e tanta forza fisica e mentale» lessi a bassa voce quelle poche righe poi passai al primo incantesimo.
“Il primo e forse l’unico facile è “Barriera Protettiva e Invisibile” ovvero con la magia che vi scorre nelle vene potete creare una barriera invisibile attorno a voi per proteggervi da attacchi da parte di altre streghe, stregoni o cacciatori.”
«Derek?» gli domandai ansiosa di chiedergli una cosa successa non moltissimo tempo fa, ma che dal quel giorno sembravano essere passati mesi e mesi.
«Cosa?» domandò lui a sua volta, incrociando le braccia al petto e finalmente andandosi a sedere sul sasso di fronte al mio.
«Quando venni marchiata dai cacciatori di streghe, tu mi portasti in quel magazzino per farmi togliere il marchio, ricordi? Avevi creato una barriera invisibile, vero?» chiesi, sperando che la domanda fosse positiva, così avrebbe potuto insegnarmi a crearla e controllarla.
«Sì, ho tracciato un pentacolo con della sabbia nera e poi ho creato la barriera, perché?» replicò lui confuso dalla mia domanda.
«Ah, quindi tu hai tracciato prima un pentacolo…perché sul libro di mia nonna c’è scritto che per creare una barriera invisibile basta usare il mio potere magico, senza alcuna pozione o sabbia colorata» dissi delusa poi emisi un piccolo sospiro frustrato.
Derek rise sonoramente, «Basta che tu tracci un pentacolo nell’aria con un dito al posto che con la sabbia e usi la tua magia per attivarlo e creare la barriera. Io ho usato la sabbia perché mi era più comodo in quel momento, tutto qui» spiegò tra una risata e l’altra.
Scoccai seccata la lingua contro al palato poi gli lanciai un’occhiataccia, «Perdonatemi vostra maestà se sono così stupida da non conoscere questo trucchetto» lo schermii con un tono di voce aspro.
Lui in risposta fece un sorriso sghembo, «Avis finiscila e prova a creare ‘sta benedetta barriera invisibile» mi rimbeccò infine lui con il suo solito tono duro.
Roteai gli occhi seccata poi mi alzai dal sasso, appoggiandoci sopra il libro ed infine presi un profondo respiro per concentrarmi.
Chiusi gli occhi e dopo pochi secondi l’immagine del pentacolo brillò nella mia mente; portai una mano davanti al petto ed infine lo tracciai nell’aria, seguendo perfettamente il disegno. Le punte della dita iniziarono a bruciarmi come se avessi appena toccato del fuoco e mi fossi scottata per bene. Strinsi con più forza gli occhi per cercare di dimenticare il dolore che stavo provando alla mano poi sentii la magia scorrermi fulminea nel corpo, come una scarica elettrica ed infine esplodere come una bomba ad orologeria. L’aria intorno a me iniziò a farsi fredda e pungente. Quando aprii gli occhi vidi Derek dall’altra parte che mi sorrideva compiaciuto mentre la barriera distorceva il panorama al di fuori di essa, poi pian piano iniziò a dissolversi e tutto si fece più nitido, proprio come quella volta. Solo che questa volta la barriera l’avevo creata io e non Derek.
«Visto non era poi così difficile» mi rimbeccò Derek dopo che mi fui riseduta sul sasso e aver riaperto il libro di nonna Mavis.
Feci spallucce, alzando il mento in modo altezzoso. «Il prossimo incantesimo si chiama: “Sfera di Terra” e consiste nel creare e scagliare una sfera di pura energia della Terra contro agli avversari» mentre lessi quella parte alzai un sopracciglio confusa, «Una sfera di terra in realtà l’avevo usata per curare la quercia nella mia scuola» biascicai non capendo più nulla poi i miei occhi caddero sull’incantesimo al di sotto di “Sfera di Terra” e capii che quello che avevo usato io era proprio quello ovvero: “Purificare”.
“Purificare: il guardiano della Terra può rimuovere i veleni da se stesso o da altre persone oppure da piante usando una sfera di Terra Purificatrice. Ps: Per i veleni più resistenti e forti andate a pagina 256, capitolo sugli incantesimi con pozioni magiche”
«So creare abbastanza bene una sfera di terra quindi questo incantesimo possiamo lasciarlo per ultimo» dissi seria, beccandomi un mugugno di consenso da parte del mio protettore.
«Controllo Vegetazione: il guardiano della Terra può creare e controllare un groviglio di spine, rami e radici. Può far crescere a dismisura piante, alberi e fiori e può controllare la crescita della vegetazione intorno a sé» lessi quella parte con un luccichio di felicità negli occhi «Adoro questo incantesimo!» commentai entusiasta, battendo allegramente i piedi sul terreno.
«Lo so molto bene» commentò acidamente Derek, alzando poi la gamba del pantalone fino all’altezza del ginocchio e mostrandomi i segni violacei che gli avevo lasciato con i rami che avevo controllato durante la prima parte dell’allenamento.
Ridacchiai con una mano davanti alla bocca poi scrollai le spalle con nonchalance, «Non avevo nessun altro bersaglio da usare quindi…» lasciai la frase in sospeso quando vidi il modo in cui mi stava guardando. Aveva uno sguardo di fuoco, la mascella contratta e i pugni stretti sulle cosce fasciate dalla tuta nera.
«Torna a leggere che è meglio» borbottò aspro, facendomi sentire un po’ in colpa, ma non così tanto.
«Wah, questo sembra figo!» esclamai mentre leggevo un nuovo incantesimo, «Muro di Rovi: il guardiano della Terra può creare uno muro vegetale da usare per parare i colpi degli avversari e le cui spine avvelenano chiunque provi ad attraversarlo. Voglio assolutamente provarlo» strillai eccitata. Questo mi servirà sicuramente durante battaglie contro ai cacciatori di streghe, quindi dovrò assolutamente imparare a crearlo e a controllarlo.
Vidi Derek sbiancare completamente poi boccheggiare terrorizzato, «Grazie della fiducia eh!» esclamai acidamente. Il mio protettore riprese un po’ di colore, «Sappi che io non ti farò da cavia» commentò serio e scoccandomi uno sguardo di fuoco.
Feci spallucce, «Tranquillo» borbottai seccata. Restammo in silenzio per qualche minuto, nessuno dei due voleva proferire parola. Lui era il mio protettore quindi avrebbe dovuto aiutarmi anche a costo di farmi da cavia o no?! D’altronde io dovevo pur imparare a difendermi da possibili attacchi da parte dei cacciatori.
Dato che nessuno dei due voleva parlare, sfogliai altre pagine, fino ad arrivare alle pozioni. Metà degli ingredienti erano piante, da quelle più velenose a quelle più innocue mentre l’altra metà erano spezie e parti del corpo di animali. Volevo assolutamente provare anche a fare delle pozioni. In alto, in un angolo, c’era un commento di mia nonna dove diceva di adorare le pozioni e che era bravissima nel crearle. Magari anche io ero brava a creare pozioni, proprio come lei, quindi più tardi volevo provare a crearne alcune di quelle che c’erano scritte sul libro, ovviamente le più facili e innocue.
«Ragazzi è ora di pranzare! Andate a cambiarvi» la voce profondo di mio nonno ci fece sobbalzare entrambi dallo spavento poi alla svelta uscimmo dalla cupola per andare a cambiarci. Pochi attimi prima di entrare nello spogliatoio vidi Derek emettere un sospiro di sollievo come per dire che era salvo. Ah, quanto si sbagliava! Mi dispiaceva per lui, ma quel incantesimo, il muro di rovi, volevo assolutamente provarlo con o senza il suo consenso.

 

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Capitolo 30
*** Pozione del riposo: ingrediente da incubo ***


Era passata una settimana da quando avevamo iniziato quei durissimi allenamenti che mi avevano letteralmente distrutto. Ero stanchissima.
Essendo che Derek non aveva voluto farmi da cavia durante i miei allenamenti, avevo chiesto alle mie migliori amiche di darmi una mano, ovviamente dopo aver avuto il consenso di mio nonno. Sembrava che si divertissero a farmi da cavie, soprattutto Sabrina che ogni volta era lei a dirmi di muovermi per andare ad allenarmi. Ora purtroppo erano tornate a casa e già mi mancavano moltissimo, ma mi avevano promesso che sarebbero tornate e Amanda aveva acconsentito a darlo poi loro un passaggio.
Con il controllo vegetale ero migliorata moltissimo. Ora riuscivo a controllare molti rami e radici tutti insieme e per un lasso di tempo superiore ad un’ora. Con il muro di rovi invece avevo ancora dei problemi, riuscivo a crearlo, arrivava a metà e poi si distruggeva. I rovi si spezzavano, i rami e le radici pure, cosa che mi mandava in bestia. Mio nonno aveva detto che per quel incantesimo ci voleva molto più autocontrollo e forza, alla quale ci stavo lavorando tutt’ora. Combattevo per almeno due ore al giorno con Derek, nella palestra adiacente alla stanza degli allenamenti, per mettere su muscoli ed essere preparata a difendermi anche senza la magia, oltre che a diventare più forte per poter reggere i miei stessi incantesimi.
In quel momento ero nell’aula degli incantesimi da sola e stavo tribolando nel cercare tutti gli ingredienti che mi servivano per creare la pozione del riposo. Da quanto avevo letto sul libro di nonna, la pozione del riposo serviva per rilassare i muscoli, dormire bene ed essere super attivi il giorno dopo. Proprio quello che serviva a me. In questi giorni ero davvero stanca. Mi svegliavo sempre verso le sei e fino a mezzogiorno mi allenavo con gli incantesimi nella sala degli allenamenti, poi mi riposavo per qualche ora nel pomeriggio e dopodichè riprendevo gli allenamenti e combattevo con Derek per mettere su muscoli quasi fino all’ora di cena.
«Ahhh mancano i petali di rosa» sbottai scocciata, dopo aver messo sul tavolo un barattolo di vetro contente la camomilla secca e tenendo in una mano quello vuoto che avrebbe dovuto contenere i petali delle rose. Lessi per l’ennesima volta la ricetta e finalmente notai in basso a destra, scritto in verticale, un appunto di mia nonna. “In certi casi si possono usare i petali di papavero, ma attenti potrebbero farvi avere vis-”. Purtroppo non riuscii a leggere tutto quello che c’era scritto perché l’angolo della pagina si era completamente rovinata, probabilmente qualcuno ci aveva fatto cadere sopra dell’acqua, magari la nonna.
Alzai le spalle scocciata poi gonfiai le guance essendo che non sapevo che fare, «Al diavolo. Usiamo il papavero!» borbottai, andando a prendere il barattolo di vetro contenente i petali di papavero nell’armadio di legno di quercia, sulla destra della stanza.
Riempii una pentola d’acqua fredda che andai poi a riscaldare con i poteri del fuoco e l’appoggiai sul tavolo. Presi un cucchiaino e lo portai dentro al barattolo di camomilla secca e ne presi una buona manciata poi la versai dentro alla pentola. Feci quel passaggio per altre due volte, poi infilai una mano dentro al barattolo contente i petali di papavero e ne presi un bel pugno. Li buttai nella pentola ed iniziai a mescolare con un cucchiaio di legno, poi ci aggiunsi una tazza di latte e sperai con tutto il cuore di non vomitare quella pozione.
«Spero con tutto il cuore di non vomitarla prima ancora che possa fare effetto» borbottai, storcendo il naso e la bocca in una smorfia di disgusto. Non aveva un cattivo profumo – e non volevo immaginare il gusto che avrebbe avuto – solo che con le rose sarebbe stato sicuramente più dolce e meno selvatico.
Mi tappai il naso con una mano poi contai «Uno…due…tre» e tracannai tutta la pozione in un solo sorso, cercando di assaporarla il meno possibile. Appoggiai con una botta violenta la tazza di ceramica sul tavolo, scheggiandone il bordo, e mi portai una mano davanti alla bocca per cercare di non vomitare nulla. Dio, che schifo! Che gustaccio! Latte, camomilla e papaveri, da vomito proprio.
Stetti ferma per alcuni minuti con la mano sulla bocca e con gli occhi chiusi, cercando di non pensare al bruciore di stomaco che mi era appena venuto. Chissà se quella dannata pozione aveva avuto successo…
Un paio di minuti più tardi iniziai a sentire le palpebre farsi pesanti come macigni, la testa girarmi vorticosamente e le gambe diventare deboli, tanto da non riuscire a reggere il mio peso. Che cosa stava succedendo? Mia nonna aveva scritto che la tisana, la pozione, avrebbe conciliato il sonno, ma non pensavo che sarebbe accaduto subito. Se avessi saputo che avrebbe funzionato immediatamente, l’avrei presa prima di andare a dormire e non ora.
La testa prese a pulsarmi con forza, facendomi portare involontariamente le mani su di essa e stringere gli occhi per il dolore. Quando riaprii gli occhi vidi la stanza vorticare come una girandola e un conato di vomito mi salì fino in gola.
Sentii freddo alle gambe poi iniziarono a tremarmi, come se degli spifferi gelidi me le stessero accarezzando. La vista cominciò ad appannarsi e in quel momento mi chiesi se avevo fatto la cosa giusta nel usare i petali dei papaveri.
Provai a muovermi per uscire da quella stanza, ma le gambe mi tremarono così tanto che rischiai di cadere al suolo e solamente grazie alla sedia lì vicino riuscii a salvarmi da un possibile schianto contro il pavimento a quadri grigi dell’aula. Provai anche a gridare, a chiedere aiuto, ma dalla mia bocca uscì solamente un flebile ed impercettibile suono, quasi come un basso ed inudibile lamento. Perché? Perché mi stava succedendo tutto questo? Ed io che volevo solamente riposarmi un po’. Dannazione!
Qualcuno mi aiuti! Aiuto, mi sto sentendo male! Avrei voluto gridarle quelle parole, ma dalla mia bocca non uscì nulla e, il mio cervello si stava lentamente disconnettendo dal corpo. Il mio corpo non ascoltava più i miei comandi. Se ne stava fermo a tremolare, come se sentisse freddo nonostante le finestre fossero chiuse e non rispondeva, non voleva muoversi. Volevo muovere una gamba per incominciare a dirigermi verso la porta, la mia unica salvezza, ma non si spostava dal punto in cui ero, rimaneva immobile e pesante come il marmo. Cosa mi stava succedendo? Che cos’aveva di così pericoloso il papavero?
La mia vista divenne ancora più offuscata e la testa prese a girare sempre più velocemente; provai a muovermi e questa volta il mio corpo si mosse, ma le mie gambe non ressero il mio peso e caddi al suolo picchiando dolorosamente la testa e le ginocchia contro al pavimento duro e freddo. Emisi un rantolo di dolore, ansimando in cerca d’aria e stringendo con forza i pugni, facendomi diventare persino le nocche bianche. Alzai di poco la testa, stringendo i denti per non lasciarmi sfuggire versi di dolore, e con gli occhi appannati dalle lacrime vidi delle gambe verdastre e grondanti di sangue avvicinarsi con passo zoppicante verso di me, facendomi tremare dalla paura poi il nulla. Il buio mi avvolse completamente ed io svenni picchiando nuovamente la testa sul pavimento.
Stavo correndo a piedi nudi su un manto di foglie secche che scricchiolavano sotto al mio peso, in un bosco che sembrava non avere mai fine, ferendomi le gambe e le braccia con rami duri e appuntiti come pungiglioni che spuntavano dai tronchi degli alberi. Non sapevo esattamente da cosa stessi scappando, ma le grida che sentii echeggiare tra gli alberi di quella fitta boscaglia mi fecero venire la pelle d’oca e una scossa di adrenalina mi fece correre ancora più velocemente pur di sopravvivere. Non avevo alcuna intenzione di morire in quel posto.
Avevo il fiato corto e stavo facendo una grande fatica a restare in piedi per via di tute le ferite che mi ero procurata sulle gambe. I muscoli delle gambe che mi chiedevano pietà, diventati rigidi e duri come il marmo. E i polmoni che mi bruciavano e il cuore che batteva con eccessiva velocità nel petto. Non ce la potevo fare. Mi stavo sentendo male. Faticavo a respirare e la vista cominciò ad appannarsi. Mi dovetti per forza fermare per riprendere fiato perché sennò sarei potuta svenire da un momento all’altro. Mi appoggiai con la schiena ad un tronco d’albero senza pungiglioni e ripresi con lunghi e profondi respiri il fiato. I battiti del mio cuore rallentarono e la testa smise di pulsare. Mi stavo già sentendo meglio, ma poi un senso di nausea mi invase e tornai a sentirmi nuovamente male. Cazzo!
«Avisss!» sibilò una voce raccapricciante e femminile da dietro l’albero a cui ero appoggiata, facendomi sobbalzare e gridare dalla paura con il cuore in gola e le spalle rigide dovute ad un senso di angoscia che aveva iniziato a impossessarsi di me. La cosa alle mie spalle ridacchiò, un suono basso e agghiacciante, poi sentii qualcosa di viscido appoggiarsi sulla mia spalla, lasciata scoperta dalla canotta che indossavo, facendomi venire la pelle d’oca e la nausea tornò a farsi sentire.
Balzai in avanti con un po’ di fatica e barcollando inciampai nei miei stessi piedi, cadendo poi al suolo e picchiando malamente il sedere sul terreno fangoso di quel posto.
«Chi sei?» domandai con voce tremolante, puntando lo sguardo verso quella creatura dalle fattezze umane.
La donna uscì allo scoperto e per poco non mi strozzai con la poca saliva che aveva, poi iniziai a boccheggiare in cerca d’aria con gli occhi incollati su quella figura raccapricciante e da far accapponare la pelle.
La pelle era bluastra, quasi verdognola segno che era in putrefazione, gli occhi erano completamente neri e angoscianti e, aveva il corpo completamente grondante di sangue e l’abito bianco che indossava macchiato da chiazze scarlatte. Mosse un passo barcollante verso di me, emettendo un rantolo basso e roco e facendo scivolare al suolo delle ciocche dei suoi lunghi capelli rossi come il sangue e voluminosi come la criniera di un leone che lasciarono delle chiazze vuote sulla sua testa, da cui si poteva intravedere la pelle verdognola e in decomposizione. 
«Stammi lontana!» strillai terrorizzata mentre guardavo con occhi spalancati quella donna, quel mostro avvicinarsi con lentezza a me.
«Voglio il tuo corpo. Rivoglio la mia vita» mormorò con voce roca e sofferente mentre allungava un braccio in decomposizione verso di me e cercava di afferrarmi con la sua mani rinsecchita e dalle unghie spezzate sulla carne.
«Col cazzo che ti faccio prendere il mio corpo, anche io voglio vivere» sbraitai muovendo un piede nell’aria per allontanarla da me, mentre la fissavo con sguardo tagliente. Non volevo morire. Non volevo morire per colpa di un mostro del genere. Ma poi esattamente cos’era quella creatura?
«Chi sei? Che cosa sei?» strillai ancora freddamente mentre una scossa di adrenalina pervase il corpo facendolo balzare in aria, poi senza pensarci due volte presi a correre nella direzione opposta alla sua. Volevo fuggire da lì. Ma lì dove? Non sapevo nemmeno dove mi trovavo. E non riuscivo a capire cos’era quella cosa…
«Non scappareeeee» strillò con voce acuta e piangente la donna da dietro le spalle.
All’improvviso mi sentii afferrare le caviglie da qualcosa e quando abbassai con timore lo sguardo vidi che erano delle ciocche di capelli color del sangue che si stringevano con forza intorno alla mie pelle candida.
«Non scappareee» strillò ancora con voce più bassa e tetra, poi con forza strattonò i suoi capelli e quelli allacciati alle mie caviglie si strinsero con più forza intorno alla mia pelle facendomi cadere con violenza a terra e picchiare malamente il mento e le ginocchia sul terreno cosparso di foglie secche che scricchiolarono rumorosamente sotto al mio peso. Mi lasciai sfuggire un lamento dolorante poi cercai disperatamente di aggrapparmi a qualcosa mentre la donna mi tirava con forza verso di lei. Conficcai le unghie nella terra, mi graffiai le mani e le ginocchia contro a dei sassi con i quali mi scontrai mentre quella cosa continuava a trascinarmi con violenza per riportarmi a lei.
«No! Non voglio morire!» gridai con tutto il fiato che avevo in corpo e con le lacrime calde a solcarmi le guance sporche di terra e arrossate dalle botte prese.
La donna rise macabramente quando le fui davanti con uno sguardo terrorizzato e spaurito, poi mi agguantò con un mano un ginocchio, da cui mi partirono scariche elettriche che mi fecero sfuggire dalle labbra un basso rantolio e mi tirò ancora più vicina a sé. Sentii la puzza tremenda della morte, un tanfo così forte e nauseabondo che mi fece lacrimare gli occhi e salire un conato di vomito che riuscii a trattenere a stento.
«Lasciami andare mostro!» lanciai un urlo terrorizzato quando appoggiò la sua mano rinsecchita sulla mia guancia per poi strofinare quello che una volta era stato un polpastrello, ma che ora era solamente un osso, su di essa, quasi come se volesse accarezzarmi.
«Avis!» all’improvviso sentii la voce dura, ma al contempo preoccupata di Derek e smisi di piangere, guardandomi in giro confusa. Derek era lì per salvarmi?
«Avis, svegliati!» percepii un forte calore sulle mie spalle, come se qualcuno mi avesse afferrata e ora stesse muovendo il mio corpo per svegliarmi da un terribile incubo.
La donna davanti a me mi guardò con uno sguardo sofferente, ma allo stesso tempo spaventoso poi spalancò la bocca ed emise un’agghiacciante tanto quanto acuto urlo che mi fece accapponare la pelle e tappare le orecchie con forza.
«Derek, aiutami!» biascicai con voce esile poi spalancai gli occhi ed incontrai quelli verdi e preoccupati del mio protettore.
«Sono qui» Derek mi strinse delicatamente fra le sue braccia, la mia schiena appoggiata al suo petto duro che si alzava e abbassava velocemente e la mia testa sulla sua spalla coperta solamente da una sottile maglietta nera.
Scoppiai a piangere con il corpo scosso da tremolii, non di freddo, ma di paura. Di una paura assurda. Quell’incubo mi aveva spaventata a morte. E se fosse stata un visione?
Derek mi strinse con più forza tra le sue braccia donandomi calore, poi prese a sussurrarmi parole di conforto che ebbero uno strano effetto calmante su di me. Prese ad accarezzarmi con lentezza un braccio, sfiorandomi la pelle accaldata dal suo tocco con i polpastrelli ruvidi, mentre io mi beavo del suo calore e del suo profumo mascolino. Derek riuscii a calmarmi quasi del tutto. Le lacrime avevano smesso di scendere e il cuore si stava pian piano regolarizzando, ma quel senso di angoscia con il quale mi ero risvegliata era ancora dentro di me e mi impediva di rilassarmi appieno.
«Avis, ora che ti sei calmata mi potresti spiegare che cazzo è successo qui?» borbottò preoccupato Derek, guardandomi con la coda dell’occhio, ma continuando comunque ad accarezzarmi le braccia. Chiusi gli occhi poi portai il mio viso al incavo del suo collo e inspirai a pieni polmoni il suo profumo che sapeva di acqua di colonia ed infine mormorai «sono stanca, ne parliamo dopo» e crollai stremata fra le sue braccia, questa volta senza fare alcun incubo.

 

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