A me basta che mi cerchi

di ron_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -1 ***
Capitolo 2: *** -2 ***



Capitolo 1
*** -1 ***


 

L’acqua scorreva limpida nel lago ai miei piedi, ed il riflesso del viso di mia sorella coloriva quella piatta distesa di acqua dolce. Rifletteva giusto il chiaro dei suoi occhi che quasi scomparivano infondo a tale limpidezza, e le sue labbra color delle ciliegie spiccavano vivacemente. Di me invece, vedevo solo un qualcosa che odiavo, niente di bello. Persino l’acqua ritraeva solo la mia goffaggine e il senso di enorme inadeguatezza che sempre mi accompagnava. Mio fratello era intento, invece, a pescare con la sua vecchia canna di legno che era stata in passato del nonno. Con la sua solita espressione spavalda, ma che solo con le sue sorelle svaniva e si trasformava in un sorrisetto sempre presente. Eravamo una bella cosa, noi tre assieme. Formavamo un giusto equilibrio. E quell’estate ne fu la prova. Era la lunga estate dei miei quasi sedici anni; Josh ne aveva diciotto e mia sorella Beca, nata dieci mesi prima di lui, ne aveva già diciannove. Difficile da pensare, ma giravamo tutti e tre insieme, in quel paesino chiuso dal mare e dalle colline. I miei genitori erano in ospedale da ormai tre interminabili mesi.

Mia mamma stava su un tram per andare al lavoro, quando una delle funi di acciaio con cui vengono trascinati i Cable Car sulle rotaie, si staccò, all’incrocio con un'altra rotaia. Il veicolo sbandò, ritrovandosi capovolto. Strusciò sul fianco per chilometri e chilometri, lungo la Market Street, la via più importante di St. Francisco. L’incidente causò all’incirca 19 morti. Il resto furono feriti, di cui altri gravi. Mamma era nella fascia dei “molto gravi”. Così descrisse il “Castro Courier”, il giornale locale del nostro quartiere. Papà stava bene invece, ma per modo di dire. In quei tre mesi non si staccò un attimo dalla caffetteria dell’ospedale, la stanza di mamma e la chiesa all’interno della clinica. Avanti e indietro. La situazione della mamma era talmente grave da entrare sveglia, seppur in stato di shock, sulla barella nell’ambulanza, fino ad arrivare in ospedale, ormai in coma. Noi la andammo a trovare molte, molte volte, ma non fu semplice. Nel periodo nero della terapia intensiva, soprattutto. Dovemmo imbacuccarci tutti: con i camici, le mascherine, le cuffiette, i guanti in lattice. Potemmo entrare solo uno alla volta per starci solamente una manciata di minuti. E quel poco tempo non ci bastava. A nessuno di noi. Potrebbe apparire come un gesto egoistico, ma un giorno, io, un guanto me lo sfilai. Volli sentire il mio tocco sulla pelle di mamma, per quanto rischioso per lei potesse essere, ne avevo bisogno. Il resto della mia famiglia ci guardava dal vetro e non disse nulla. Papà piangeva. Mamma era a pezzi, fisicamente e simbolicamente. Non avrebbe sorriso ancora per chissà quanto. E noi tutti con lei.

Avevo insistito per riportarla io, la canna da pesca di mio fratello a casa, anche se lui camminava proprio accanto a me. Portandola in braccio di modo che distogliesse tutta l’attenzione da me, su di lei. La usai come una sorta di scudo. Ed a rafforzare questo mio volere, c’era anche mia sorella. Slanciata e alta, allo stesso tempo con una delicatezza disarmante, si muoveva con i capelli scuri che le fluttuavano ondeggiando nell’aria e i passi leggeri dei suoi sandali. Eravamo appena arrivati nel portico della vecchia villa dei nonni, quando trovammo nostra cugina Marise che sull’amaca leggeva un buon libro, sicuramente, sorseggiando un buon bicchiere di sherry, sicuramente. “Quanto ci avete messo! Sono contenta. Avete conosciuto qualcuno?” “Non direi. Siamo appena arrivati.” Era mio fratello Josh. “Si, siamo appena arrivati, non ti preoccupare. E comunque ci inventeremo qualcosa da fare, noi tre insieme.” Ora era Beca, a cercare di recuperare il tono acido usato da Josh. Ma io sapevo che non era intenzione di mio fratello apparire scortese. Distogliendo lo sguardo da loro, sorpresi la mia cugina ventitreenne scrutarmi, da dietro le sue lenti giallognole oscurate. “Che c’è, zia?” A differenza dei miei fratelli, io la consideravo la cosa più vicina ad una zia, data la differenza di età, ma soprattutto l’atteggiamento con il quale usava comportarsi con me. "Che c’è? Che vuoi?" le domando. “No, no, niente. E’ solo che stai sempre zitta, rospetta.” Anche i miei fratelli la guardarono. “Non ti pronunci mai, su nulla.” Continuò Marise.  “No. Sei tu che sei noiosa.” Intervenne mio fratello, avvicinandosi alla sua postazione sull’ amaca appesa nell'ombra, tra i tronchi di due alberi da frutto, nel posto più fresco e pacioso del giardino. “Non è vero. Se solo usciste con me non lo pensereste.” Non fece in tempo a finire di parlare che mio fratello Josh raggiunse l’amaca, infilò le dita nel tessuto reticolato e fece per capovolgerla, fin quando a suon di urletti di mia zia, Josh smise. Dall’interno della casa provenne lo squillo di un telefono e mi apprestai a raggiungerlo. Lasciai alle mie spalle Beca che mi seguiva con lo sguardo, desiderosa quanto me di sapere chi fosse, e Josh e Marise che si punzecchiavano e scherzavano tra di loro. Trovai la fonte dello squillare ed era il cellulare della zia, così lo presi e sempre correndo glielo portai. Intanto era scesa dall’amaca ed era appoggiata a mio fratello, lui con un indecifrabile, persino per me, espressione sul viso. “Si, ah-a. Si. Capisco. Ok.” Le solite parole che rivolgeva mia sorella quando papà chiamava e ci parlava della situazione della mamma. Tutti e tre desiderosi di sapere chi fosse dall’altro lato della cornetta, aspettammo in silenzio che Marise attaccò. “E’ Greg. Tranquilli. Ha detto dove e quando ci vediamo stasera.” “Anche con noi?” chiesero i miei fratelli, con due toni diversi, come se cercassero in risposta qualcosa di opposto l’uno dall’altra. “Ma no. Io e lui. Beh, oddio, se voi volete uscire fate pure. Ma non con noi di sicuro.” Riusciva a risultare impertinente anche quando non voleva, un po’ come Josh. 

Ciao a tutti, volevo dirvi che questa storia mi sta particolarmente a cuore, dati gli argomenti di cui tratta. Tenevo anche a informarvi quanto io mi sia dedicata a questa storia per cercare di farvi immergere nei luoghi, accanto ai personaggi. Ho passato ore e ore su Google Earth cercando di rendere al massimo l'idea che avevo in mente, riportando vie e luoghi realmente esistenti, in modo da farvi percepire meglio. Sui luoghi e sui personaggi e dei posti, in questo primo capitolo ne narro in grandi linee, dato che ve ne introdurro' nei prossimi. Spero che il tutto vi piaccia e continuiate a seguirmi. Ron.

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Capitolo 2
*** -2 ***


Dopo cena disfai le valige che avevamo portato la stessa mattina, appena arrivati, prima di correre subito al lago. In quella casa desolata almeno avevo una camera tutta per me, e così anche Josh e Beca. Proprio mentre ero intenta a sistemare la biancheria negli appositi cassetti bianchi del grande armadio, entrò mia zia. “Rospetta, sto entrando.” Ma io non smisi di fare quello che stavo facendo e neanche la guardai varcare la porta. Non avendo nulla da nasconderle. “Senti io sto uscendo, ho già avvisato gli altri due. Giù c’è ancora del pollo in frigo se ti va, e la panna per le fragole che non hai voluto. Ho anche già detto loro che se volete uscire fate pure, basta che prima mi avvisiate.” Annuii senza mai distogliere l’attenzione da quello che stavo facendo. Si alzò dal bordo del letto ove era appoggiata, incamminandosi verso la porta. “Senti, rospetta?” in quella domanda c’era un’esplicita richiesta che io la guardassi. “Sì?” Feci, accontentandola. “Ti divertirai, Meggie. Ne sono sicura. Non l’hai iniziata sicuramente nel migliore dei modi, questa estate, ma sono certa che sarà bellissima, per te e per i tuoi fratelli.” Poi continuò “Ma soprattutto per te. Hai bisogno di staccare la spina e questo posto può rivelarsi la distrazione migliore.” Non smisi mai di guardarla, inusualmente rapita da ciò che mi diceva. “L’estate dei sedici è l’estate dei cambiamenti, credimi Meg.” “Per te lo è stata?”, mi sorpresi a chiederle. “Oh sì. E un giorno di questi ti racconterò.” Uscì dalla stanza ed io ero ancora con gli occhi fissi sulla porta.” Zia?” chiamai, incerta se mi avrebbe sentita o no. “Sì?” si affacciò dallo spiraglio della porta. “Ma perché rospetta?” la mia domanda le provocò un dolce sorriso. “I tuoi occhi. Grandi e verdi. Come tua mamma.” Le sorrisi e sentii sulle mie guance la sensazione di calore che si propagava. Pensai agli occhi della mamma, aperti, e non ci fu per me visione più bella e nostalgica al contempo. Per scacciare via quella sensazione di vuoto che si impossessava di me quando pensavo alla mamma, nel suo letto dell’ospedale, e agli occhi spenti di papà fissi su di lei, raggiunsi la camera di Josh e mi buttai sul letto. Beca dalla sua camera, accanto quella di nostro fratello, mi vide entrare e ci raggiunse. Era una cosa naturale, per noi. Ritrovarci ogni tanto e voler stare tutti e tre nello stesso posto senza dovercelo chiedere. Mi buttai sul letto di Josh a guardarlo, abituata del fatto che lui fumasse. Era appoggiato al parapetto in legno del balcone, e lo sorpresi a guardare la zia Marise che entrava in macchina del suo Greg. “Secondo voi è il suo ragazzo?” domandò Beca, soprattutto rivolta a Josh, con aria di sfida. “Oh sì”, le dissi io, mantenendo il gioco che aveva lanciato Beca. Era seduta sulla sedia di legno bianca, con le rotelle, ed i piedi appoggiati alla scrivania. Josh non rispose. E Beca ricevette proprio quello che voleva. “E’ troppo grande per te, Joshua.” Le disse lei, in una sorta di cantilena. “E troppo parente.” Mi aggiunsi io. Mia sorella  rise e con lei sorrisi anche io.” Ma voi siete matte. Chi ha detto niente, infatti. E poi, non che me ne freghi qualcosa, ma è cugina di lontanissimo grado, quinto, forse. O nemmeno.” Spense la sigaretta nel posacenere ricavato da una metà di noce di cocco spogliata e poi aggiunse “E poi sei tu che esageri a chiamarla zia, Meggie. Ti comporti tu da piccola, e fai risultare lei ancora più grande.” “Non sono io che mi comporto da piccola, siete voi, sono tutti, che mi ci fanno sentire.” “Be’ non lo fare più. Non ce la chiamare più e vedi come ti tratteremo da grande.” Stremata da quella intensa giornata finii col dire “Non dipende di certo dal fatto se la chiamo zia o no, se vengo trattata da piccola. Lo fate e basta.” Non volli nemmeno più continuare a discutere, tanto avrei creato un ennesimo buco nell’acqua. Mi limitai a sentire loro che raccontavano di quando da piccoli venimmo nel paesino di Santa Cruz per la prima volta. Anche allora andammo in macchina. Fu il viaggio più lungo della mia vita, anche se solo di un’ora e mezzo, dato che non vedevo l’ora di arrivare nella casa dei nonni, per la prima volta.
Guardavo i miei fratelli e nonostante tutto quello che ci stava succedendo mi sorpresi felice dell’idea che eravamo comunque tutti e tre nella stessa stanza a chiacchierare, come se fosse tutto normale, tutto come prima. Guardavo ogni movimento di mio fratello mentre faceva scorrere verso l’interno la porta finestra del balcone per socchiuderla, giusto da far entrare un po’ di aria fresca. I suoi occhi, del mio stesso colore e di quello della mamma, ma dalla forma più allungata come quelli di Beca e di nostro papà.  Raccontavano delle vicende di quando eravamo piccoli. Di tanto in tanto per fargli capire che li ascoltavo, annuivo, ma piano piano mi addormentai. Era ormai notte fonda quando sentii il motore di una macchina e una portiera chiudersi a pochi passi dalla villa. Becca non c’era più ed io ero ancora nella camera di Josh. La figura di mio fratello si stese accanto a me e finalmente, anche lui rilassato, si addormentò. Mi riaddormentai subito con un piacevole aroma nell’aria, di fumo e salsedine. Marise venne in camera mia e si allarmò quando vide il mio letto fatto e vuoto. Poi venne nella camera di Josh e trovandoci insieme sorrise. Infine arrivò in quella di Beca, per accertarsi che ci fosse anche lei, e subito dopo se ne andò a dormire nella vecchia camera dei miei nonni.


Se questa storia vi interessa o la seguite, vi prego di recensirla o in qualche modo farmelo capire, perche' altrimnti non so se la sto scrivendo per qualcuno o al buon vecchio, caro, vento. Grazie a tutti. 

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