Ob Morsum

di Mue
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I. Infusi e iperico ***
Capitolo 3: *** II. Pagine strappate ***
Capitolo 4: *** III. L'arte di fare conversazione ***
Capitolo 5: *** IV. Incidente vegetale ***
Capitolo 6: *** V. Corvo e grifone ***
Capitolo 7: *** VI. Scuse inaspettate ***
Capitolo 8: *** VII. Nella notte ***
Capitolo 9: *** VIII. Vittoria e sconfitta ***
Capitolo 10: *** IX. Terrore sull'acqua ***
Capitolo 11: *** X. Un dicembre raffreddato ***
Capitolo 12: *** XI. Natale Babbano ***
Capitolo 13: *** XII. Un segreto nella solitudine ***
Capitolo 14: *** XIII. Discordia tra amici ***
Capitolo 15: *** XIV. Notte movimentata ***
Capitolo 16: *** XV. Il marchio della morte ***
Capitolo 17: *** XVI. Leggende ritrovate ***
Capitolo 18: *** XVII. Rantolando nel buio ***
Capitolo 19: *** XVIII. Seconda alternativa ***
Capitolo 20: *** XIX. L'isola ***
Capitolo 21: *** XX. Fidati di me ***
Capitolo 22: *** XXI. Il morso della spada ***
Capitolo 23: *** XXII. Magia e ragione ***
Capitolo 24: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ben trovati a tutti.
Sì, sono di nuovo io che, dopo tre anni di silenzio, torno qui.
L'introduzione che sto per fare riguarda i miei vecchi lettori dunque se siete incappati nelle mie storie per la prima volta, saltate pure a piè pari il tutto e godetevi Ob Morsum.
Ai miei veterani, se ancora ne sono rimasti: so di aver lasciato Ave, forse la storia che più amo tra quelle che ho scritto, incompiuta, ma, se ancora c'è all'appello qualcuno tanto folle da aspettare ancora di leggere il proseguimento, voglio rassicurarlo dicendo che non l'ho abbandonata. Il fatto è che da un paio di anni a questa parte sono tornata a ciò che più amo da sempre, ovvero il fantasy originale; Mue era ed è in realtà solo un'appendice del corpus di racconti, appunti e idee che gravitano nella mia testa e nelle mie carte; Mue è per la precisione la parte più spensierata, concisa e proficua, oltre che, ovviamente, Potteriana al 100%. 
Ave, come sa chi ha letto le altre mie storie, è diversa dallo standard di Mue e forse proprio perché appartiene alle sfere più serie, epiche e logorroiche del mio stile, è rimasta interrotta: vorrei finirla ma sono ora combattuta tra il restare fedele al mio amato fandom di Harry Potter con quest'ultima fatica o salutarlo definitivamente e portare Ave con me traducendola in un'originale, come alcuni mi hanno suggerito di fare.
A ogni modo, nell'attesa che mi decida, pubblico Ob Morsum. È una storia vecchia, la prima fanfiction di Harry Potter in assoluto che abbia scritto, ancora nei lontani -sigh- tempi del liceo con il titolo Hogwarts Twenty Years sotto un altro account che avevo poi rimosso dal web. 
Lo stile è forse più immaturo delle fiction più recenti ma io amo tutte le mie storie, anche quelle più sciocche e ho deciso di ripubblicarla perché per un soffio non ho rischiato di perderla per sempre quando mi è implosa l'HD esterna del computer. Meglio salva ed esposta alle critiche su Efp che eliminata per sempre. Ha in tutto ventitrè capitoli e un seguito che amo ancor più di Ob Morsum e che pubblicerò a sua volta.
Dunque buona lettura, spero di ricevere qualche vostra opinione e alla prossima.

Disclaimer: I personaggi e gli elementi creati da J.K. Rowling presenti in questa fanfiction sono suoi e solamente suoi, il resto della storia è tutto una mia invenzione. Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
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Prologo

 

Inside the labyrinth walls
There lies a tiny child who sleeps alone
For it's my thoughts that bind me here
It's this love that I most fear
And this child I would destroy
For I hold her pain most dear


My Medea, Vienna Teng

 

«Ehi, Folletto Saputello!»
Ecco, questo era l'onorevole soprannome che James Sirius Potter, il bellissimo, perfetto, nobile Grifondoro del quarto anno aveva amorevolmente affibbiato a Emily Hale. E un giovedì pomeriggio, mentre la ragazzina camminava lungo l'affollato corridoio del terzo piano di Hogwarts, ingobbita sotto il peso della borsa zeppa di libri, lui glielo gridò dietro dalla porta dell’aula di Trasfigurazione.
Tutte le teste si voltarono a vedere con chi il divino Potter stesse parlando ma inizialmente nessuno riuscì a individuare Emily, che per un attimo pensò di riuscire a raggiungere la fine del corridoio e sparire prima di essere notata. Non sarebbe stato molto difficile: bassina, smilza e senza nemmeno una curva che indicasse la sua appartenenza al genere femminile, Emily si confondeva con le pareti più facilmente di quanto potesse fare un ectoplasma; i suoi lineamenti banali, i capelli castano opaco e gli occhi troppo sbiaditi per essere neri e troppo scuri per essere grigi erano tutti un ottimo passaporto per un passaggio inosservato.
Sgusciò via tra gli altri ragazzi ed era ormai quasi all’angolo dove il corridoio svoltava quando un torace ricoperto dall’austera divisa di Hogwarts entrò nel suo campo visivo. Emily non fece in tempo a frenare e andò dritta a sbatterci contro, rovinando a terra e sparpagliando tutti i libri sul pavimento.
«Ehi, ma guarda dove vai!»
Oh no, perché lui?!, gemette Emily tra sé alzando lo sguardo sul proprietario del busto: David Steeval, l’amico intimo di Potter, il Grifondoro bello e dannato, idolo di tutte le ragazze del terzo anno.
«To', ma guarda chi c’è: il Folletto di Corvonero! Avevi il naso incastrato in uno dei tuoi libri per non vedermi, eh?»
Emily avvampò. Avrebbe tanto voluto prendere la bacchetta e piazzargli una bella Fattura Nasogrugno e trasformare il suo bel faccino nel muso di uno Snaso, di sicuro più simpatico di quel sorrisetto altezzoso che aveva stampato sulla faccia in quel momento. Avrebbe potuto farlo. Avrebbe voluto farlo. Era la migliore del suo anno e, probabilmente, anche dei due successivi; le sarebbe bastato un colpo di bacchetta e il gioco era fatto. Nulla di difficile per lei, il genietto incompreso.
Incompreso e codardo. Abbassò gli occhi, sentendo tutti gli sguardi del corridoio puntati su di lei; qualche ragazza del quinto anno stava ridacchiando.
«Scu-scusa», balbettò Emily, agognando con tutta se stessa a sparire lì, in quell’esatto momento, risucchiata dal tappeto rosso sotto di lei. Invece, come al solito, il suo desiderio non venne esaudito.
«Dai, Davie, non esagerare ora. Non vedi che è caduta, poverina?», intervenne Potter avvicinandosi e tendendo la mano. Probabilmente voleva essere gentile. O forse no. Emily, comunque, si sentì ancora peggio.
«Sto bene, grazie, non ti disturbare…», biascicò, terrorizzata da quella mano tesa. Un paio di ragazze dietro la schiena di Potter avevano smesso di ridere e la stavano guardando come se fosse qualcosa di estremamente sgradevole. Emily ebbe la brutta sensazione che se avesse osato accettare l’aiuto di Potter si sarebbe scatenata contro l’ira universale del suo intero fan club, di cui le due in questione facevano parte.
Potter si accigliò. «Non c’è bisogno di essere così asociale, sai? Non mi stupisco che tu non abbia amici.» Ritirò la mano scocciato e tornò in classe seguito pigramente da Steeval, che fece un occhiolino canzonatorio a Emily.
Grazie al cielo la campanella suonò in quel momento e gli altri studenti si affrettarono a dirigersi nelle rispettive classi. Il corridoio si svuotò rapidamente, e il chiacchiericcio lasciò posto solo a un profondo silenzio.
Emily si inginocchiò e si mise a raccogliere i suoi libri, schizzati fuori alla caduta dalla borsa straripante. Sentì all’improvviso dei passi e vide che le due ragazze di prima erano rimaste al loro posto e si stavano avvicinando con aria vagamente minacciosa.
Emily si lasciò sfuggire di mano un libro con il cuore in gola, certa che le due volessero vendicarsi, ma prima che qualcuno tra loro potesse aprire bocca, un’altra voce maschile, pacata e bassa, intervenne.
«Hai bisogno di una mano?»
Emily e le due ragazze si voltarono di scatto.
Stuart Dunneth.
Emily lo riconobbe subito: alto, capelli scuri, viso serio da secchione, era uno studente del suo anno, della sua stessa Casa, Corvonero. Guardava circospetto le due ragazze che svettavano su Emily ancora inginocchiata sul pavimento; erano molto più alte e più bionde di lei, si rese conto depressa Emily. Le due, sorprese, si ripresero quasi immediatamente, lanciarono un’occhiata sprezzante agli abiti disordinati di Stuart Dunneth e se ne andarono a passo di marcia con il naso per aria. Evidentemente non giudicavano valesse la pena punire Emily alla presenza di terzi, fossero anche degli inutili secchioni come Dunneth.
Il ragazzo in questione, senza una parola, si chinò e si mise a raccogliere i libri di Emily.
«Grazie, ma non devi…», mormorò lei cercando di prendergli i libri dalle mani. Lui glieli lasciò cadere tra le braccia senza alcuna esitazione.
«Dobbiamo muoverci, siamo già in ritardo con la professoressa Bones. Se ci becca abbiamo tutti i turni delle pulizie dell’infermeria per la prossima settimana», la spronò senza nemmeno ascoltarla.
Emily radunò tutti i libri, li infilò di nuovo a fatica nella borsa e si mise a correre dietro a Dunneth, che l’aveva preceduta alla fine del corridoio e su per le scale animate di Hogwarts.
Avrebbe voluto chiedergli perché l’aveva aiutata, ma aveva il fiato troppo corto per parlare, così si limitò a lanciargli occhiate fugaci ogni tanto durante la loro corsa. La sua corsa a dire il vero, perché lui, sebbene a passi lunghi e rapidi, camminava soltanto. Era lei che non riusciva a stargli dietro.
Stuart Dunneth.
Migliore studente del loro anno a pari merito con Emily. Doti magiche eccezionali, cervello dalla capacità mnemonica straordinaria, nascita Babbana. Come Emily. In effetti, ora che ci pensava, loro due avevano parecchio in comune. Non se n’era mai accorta prima, nonostante fossero tre anni che vivevano nello stesso dormitorio, frequentavano le stesse lezioni e pranzavano nella Sala Grande praticamente gomito a gomito.
Anche se, a dire il vero, Emily faceva fatica ad accorgersi di chiunque avesse intorno; passava troppo tempo con la testolina spettinata affondata in qualche volume antico in biblioteca per socializzare con i suoi compagni. E lui, da quel che ricordava, non era molto più espansivo; trascorreva parecchie giornate con gli altri ragazzi di Corvonero di terza, certo, ma spiccicava solo qualche parola di tanto in tanto e ogni volta che qualcuno cercava di instaurare qualche cosa di più di una fredda convivenza con lui, cadeva dalle nuvole.
Stuart Dunneth, primo della classe, riservato e distratto. Emily si sarebbe ricordata dell’aiuto che le aveva dato quel giorno.
Eccome se ne sarebbe ricordata.
 

No haven for this heart
No shelter for this child in mazes lost
Heaven keep us apart
A curse for every mile of ocean crossed.

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Capitolo 2
*** I. Infusi e iperico ***


I.
Infusi ed iperico

 

Emily correva senza fiato lungo il corridoio dei sotterranei. Non poteva arrivare in ritardo! Non di nuovo!
Fece uno scivolone davanti alla porta dell’aula di Pozioni e per poco non cadde a causa dell’enorme mole della borsa che le fece da contrappeso.
Ansimò, cercò di ricomporsi meglio che poté ed entrò nella classe. Subito il vapore e il fumo delle pozioni degli studenti la investirono, stordendola per un attimo.
«Bene, bene, ecco la signorina Hale», disse la professoressa Bones alzando gli occhi dal libro che aveva in mano. Era una donna alta, dalla lunga treccia di capelli ramati e gli occhi severi. «È la seconda volta che arrivi in ritardo alla mia lezione. Spero che non diventi un’abitudine.»
Emily si sentì avvampare mentre gli studenti presenti spostavano gli sguardi dai loro calderoni su di lei.
«No, mi spiace, non accadrà più», si scusò flebilmente Emily.
L’insegnante non sembrò far caso a quelle scuse. «Deduco che tu possa permetterti di arrivare tardi perché sai perfettamente come preparare un Infuso di Repellelfo, vero?»
«Io… sì, ecco…»
«Bene, allora vai a sederti subito e datti da fare. E ti avverto, se non vedrò la tua boccetta di Infuso qui con tutte le altre alla fine della lezione non sarai scusata dal minor tempo a tua disposizione.»
Emily annuì deglutendo. Si guardò intorno e vide che il suo solito posto, accanto alla sua compagna di classe, era occupato da Rose Weasley di Grifondoro. Ne cercò un altro libero con lo sguardo ed ebbe un tuffo al cuore: l’unica sedia rimasta vuota era tra due ragazzi; uno era Stuart Dunneth, che mescolava calmo il suo calderone, l’altro… l’altro era Albus Potter.
Emily detestava i Potter: pieni di sé, sempre circondati da amici, parenti o ammiratori, sembravano emanare un’aura d’oro che accecava tutti, compresa lei, che però lo trovava, a differenza degli altri, molto irritante. Tuttavia doveva ammettere che Albus era diverso dal fratello: molto meno spaccone e, anzi, a volte persino timido, almeno per quel poco che lo conosceva.
Quando la professoressa la fulminò con lo sguardo perché non si era ancora seduta, Emily si decise e si trascinò malvolentieri fino all’unico posto vuoto, lasciando cadere quanto più discretamente possibile la borsa sul tavolo.
Stuart nemmeno si voltò; invece Albus si girò a guardarla un attimo: era accaldato e rosso in viso e sembrava parecchio in difficoltà; Pozioni non era mai stata il suo forte.
Dieci minuti dopo Emily stava rimescolando il suo infuso, di quel perfetto colore verde menta che veniva descritto dal libro. Era ormai alla pari di tutti gli altri. Anzi, quasi tutti.
Albus, alla sua destra, stava cercando febbrilmente di far assumere alla sua pozione lo stesso colore di quella di Emily e di Stuart, invano. Di solito c’era sempre Rose Weasley accanto a lui per aiutarlo, ma quel giorno era seduta distante.
«Potter, ti sembra che questo colore somigli a un verde menta chiaro? Hai studiato come preparare questo infuso?», domandò severamente la professoressa Bones chinandosi sull’intruglio azzurro cielo del ragazzo.
Albus impallidì. «Io… non so, forse ho sbagliato qualcosa…», mormorò debolmente.
«Allora cerca di correggere il tuo errore. Se non riuscirai a finire nemmeno stavolta dovrò darti un’insufficienza, lo sai?», lo ammonì la professoressa.
Emily, lì vicino, fu l’unica a sentire quello scambio di battute ed ebbe improvvisamente un moto di simpatia verso il ragazzo mingherlino dagli occhi verdi.
«Iperico», mormorò piano quando la Bones si allontanò per esaminare i calderoni degli altri.
Albus alzò la testa e la guardò con tanto d’occhi.
«Cosa?», mormorò Albus.
«Iperico», sussurrò un po’ più forte Emily. «È il repellente universale contro tutti gli elfi.»
Albus, sbalordito, capì e fece cadere l’ingrediente nell’infuso, che sibilò e assunse quasi all’istante il colore di quello di Emily. Quasi incredulo, Albus le sorrise di nascosto. «Grazie.»
«Di… di niente», rispose Emily arrossendo. Si voltò tornando alla sua pozione e si accorse solo in quel momento che Stuart, alla sua sinistra, la stava fissando in modo strano. Emily incrociò il suo sguardo e stava per distoglierlo quando il ragazzo aprì la bocca per dire qualcosa.
«Bene, il tempo è scaduto, ognuno mi porti una boccetta del suo Infuso», risuonò forte la voce della professoressa Bones.
Stuart trasalì, distolse lo sguardo ed eseguì l’ordine, senza più badare a lei.
Emily, perplessa, si affrettò a fare altrettanto. Sigillò la sua boccetta e la depose sulla cattedra tra le altre. Le uniche che avevano assunto la tonalità giusta erano solo la sua e quella di Stuart. Solo altre due si avvicinavano di molto al loro risultato: una, ovviamente, era la boccetta di Rose Weasley. L’altra, strano ma vero, era quella di Albus Potter.
La campanella suonò e con un tramestio di vestiti scossi e sedie spostate, gli studenti uscirono a gruppetti dalla classe. Emily, mentre ripuliva il suo calderone, fu raggiunta dalla sua compagna di classe.
«Mi spiace per non averti tenuto il posto, Emy, ma pensavo che non venissi. Di solito non arrivi mai in ritardo.»
Emily sorrise. «Lo so, Drusilla, ho fatto tardi in biblioteca. Comunque non importa.»
La ragazza, passandosi una mano nei capelli nero ebano, fece una smorfia. «Insomma, piantala di chiamarmi Drusilla; sono tre anni che ti dico che mi fa schifo.»
Emily rise. «Lo so, lo so, ma a me il tuo nome piace.»
La ragazza scrollò le spalle. «Orribile, vorrei proprio vedere se diresti la stessa cosa ritrovandotelo affibbiato.»
Emily prese il suo calderone e uscì dall'aula. Drusilla Cook, che detestava il suo nome e voleva essere chiamata da tutti Drilla, era la sua più cara amica, oltre che unica. Lei ed Emily avevano fatto amicizia il primo giorno di scuola, quando, terrorizzata e troppo timida per chiedere di sedersi, Emily non era riuscita a trovare uno scompartimento vuoto sull’Espresso di Hogwarts. Era rimasta stupidamente in piedi per metà del viaggio fino a che Drusilla, o Drilla, come lei preferiva, le aveva battuto la mano su una spalla e le aveva chiesto se aveva voglia di sedersi vicino a lei. Da quel momento e, successivamente, quando erano capitate nella stessa casa, Emily aveva seguito Drilla dovunque, come un cagnolino fedele, sentendosi sperduta in quell’immenso castello magico.
Ancora adesso non capiva come avevano potuto diventare amiche; insomma, Drilla era tutto quello che Emily non sarebbe mai stata: solare, estroversa, sfacciata, coraggiosa, bravissima a giocare a Quidditch -faceva parte della squadra di Corvonero- e ammirata da un mucchio di ragazzi, cosa che sembrava seccarla molto.
«Messer Secchione-Anti-Oche non ti ha più parlato?», domandò Drilla mentre si avviavano verso la Sala Grande. Era il soprannome che aveva dato a Stuart Dunneth quando Emily le aveva raccontato del suo intervento tre giorni prima, dopo lo spiacevole scambio di battute con James Potter.
«Non chiamarlo così!», sibilò Emily guardandosi alle spalle e temendo che lui avesse sentito. Preoccupazione inutile, dato che il ragazzo in questione camminava molti metri più indietro di loro perso in chissà quali pensieri. «No… cioè, per un momento mi è parso di sì, ma…», non seppe come concludere la frase, perciò si zittì.
«Uhm… interessante. Chissà che cosa gli era capitato martedì quando ha deciso di parlarti. Di solito non parla mai nemmeno con gli altri ragazzi, figuriamoci t… figuriamoci le ragazze!», si corresse rapida.
Emily sapeva che stava per dire “figuriamoci te”; probabilmente, come al solito, aveva parlato senza riflettere, ma si era corretta per non ferirla. Precauzione superflua, dato che ormai Emily era insensibile a qualunque argomento riguardasse il tema ragazzi. Inutile anche prenderlo in considerazione: troppo timida e troppo insignificante per attirare l’attenzione di qualcuno.
«Comunque continuo a pensare che…»
«Ehi, Hale!»
Emily si girò, sorpresa, e si ritrovò davanti Albus Potter, senza fiato dopo averla seguita per tutto il corridoio. Stuart, poco più in là, si era fermato di botto e li guardava con interesse.
«Io…ti volevo ringraziare per prima», disse Albus, un po’ rosso.
Emily arrossì a sua volta. «Oh, no, non importa. È stato un piacere.»
Albus sorrise radioso. «Già, comunque grazie.»
Emily annuì e all’improvvisò calò un silenzio imbarazzante, dato che nessuno dei due sapeva più cosa dire. Ci pensò Drilla a romperlo.
«Ehi, Potter, hai presente tuo fratello James?», lo apostrofò in tono aggressivo.
Il ragazzo fece un passo indietro. «Sì, perché?»
«Be’, è il caso che dici al tuo caro fratellino», sbottò Drilla ignorando le espressioni supplichevoli di diniego di Emily, «che dovrebbe smetterla di fare lo sbruffone con tutti quelli che gli capitano a tiro, e che se la veda con qualcuno della sua taglia piuttosto!»
Albus sembrava spaesato. «Mio fratello non fa lo sbruffone con chi capita…»
Emily, allarmata, capì che Drilla stava per uscirsene con una delle sue rispostacce taglienti, così la fermò. «Lascia perdere Drilla. Sono felice di esserti stata d’aiuto», disse in fretta rivolta ad Albus. «Ora dobbiamo andare. Ciao, ci vediamo.» Prese sottobraccio Drusilla e la trascinò lontano da lì.
«Perché non mi hai lasciato finire?!», la rimproverò aspramente lei quando Emily, davanti alla porta della Sala Grande, la lasciò finalmente andare.
«Lascialo in pace, Drilla, lui non mi ha fatto niente», la pregò Emily.
«È un Potter, e tutti i Potter sono pieni di sé da far paura.»
«No, non è vero.»
«Stai cercando di difendere i Potter?», chiese stringendo gli occhi sospettosa e incredula a un tempo Drilla.
«No», arrossì Emily. «Sto cercando di dirti che non devi prendertela con tutti quelli che stanno intorno a qualcuno che non ti va giù.»
Drilla grugnì. «Oh, lasciamo perdere! Andiamo a mangiare, piuttosto; ho una fame da Grop!»
Emily sorrise a quel modo di dire ormai comune, inventato quando, ventuno anni prima, il vecchissimo guardiacaccia di Hogwarts, Hagrid, aveva portato a vivere nella Foresta Proibita un Gigante suo fratellastro.
«Sì, andiamo», disse, seguendo la sua amica, sollevata. Grazie al cielo le sfuriate di Drusilla erano tanto improvvise quanto rapide a estinguersi.


Note:
Ben ritrovati a tutti.
Come detto nel prologo, questa storia è stata scritta nel "lontano" 2008. Fresca della lettura dell'ultimo libro di Harry Potter, decisi di scrivere qualcosa su questo fandom: non avevo mai scritto fanfiction prima di allora: non mi sarei mai azzardata a prendere i sacri personaggi della Rowling e le loro vicende e maneggiarle ma quello spiraglio della nuova generazione è stato come un'esca irresistibile, un varco in cui riversare tutta la mia voglia di scrivere e creare nuove avventure in quel meraviglioso mondo magico che non volevo lasciare dopo sette libri. Perché, ancor più di Harry, Hermione, Ron e tutti gli altri, ancor più dei valori, della lotta contro Voldemort e il male, del sacrificio di Silente e di Piton e di tutto il resto, ciò che più mi aveva incatenato e mi incatena tuttora a Harry Potter è l'incredibile ricchezza di dettagli, di elementi nuovi, di angoli inesplorati in cui potevo e volevo avventurarmi tramite personaggi nuovi, secondari o alternativi.
Scrissi Ob Morsum cercando di ricalacare lo stile della Rowling, lo sviluppo di un avventura magica lunga un anno scolastico dentro le mura di Hogwarts come quelle vissute dal magico trio e se ci sono riuscita o no, dovete essere voi a dirmelo.
La protagonista, Emily, è un nuovo personaggio: ho deciso di crearla perché James, Albus, Rose e tutti gli altri avevano già troppa "celebrità" ereditata dai genitori addosso per potersi muovere come normali studenti a Hogwarts e perché, stupita dei numerosi belli e dannati, ragazze celebri e venerate, festini lascivi sostituiti alle serate di studio prima del compito difficile di Pozioni o di Trasfigurazione, volevo portare nel fandom di Harry Potter un po' dello spirito originale dei libri di J. K. Rowling. Dopotutto Harry, Hermione e Ron non sono mai stati i più belli o più bravi o altro della scuola, e se in alcuni momenti dei romanzi hanno acquisito notorietà, è quasi sempre stata indesiderata e spesso anche scomoda.
Insomma, lasciatemi un commentino piccino picciò e fatemi felice, ecco *-*
Al prossimo capitolo,
Mue

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Capitolo 3
*** II. Pagine strappate ***


II.
Pagine strappate

 

Le giornate successive Emily le trascorse in compagnia di Drusilla a studiare nella Sala Comune della torre di Corvonero. La volta di pietra della stanza e la moquette avevano assunto, in quei giorni piovosi, una tinta grigiastra, uguale a quella delle nubi gonfie di pioggia che si vedevano attraverso le vaste finestre ad arco sulle pareti circolari.
Tutto questo non contribuiva certo a migliorare l’umore dell’amica, che borbottava ogni cinque minuti inveendo contro il tempo e la stagione, che impedivano a lei a alla squadra i consueti allenamenti di Quidditch. «Non so proprio come faremo», si lagnò un pomeriggio mentre erano impegnate a terminare un tema di Trasfigurazione sugli Animagi. «Insomma, tra meno di un mese avremo la partita contro Grifondoro, ti rendi conto? E come faremo a sconfiggerli se non possiamo nemmeno levarci in volo che una scrosciata d’acqua ci inzuppa completamente facendoci pesare addosso i vestiti?»
«Non potete usare un incantesimo Evaporico?», chiese distratta Emily mentre concludeva il suo tema lungo cinquanta centimetri di pergamena.
«E cosa sarebbe?»
«”Un incantesimo applicato ad una superficie su cui l’acqua che si depositerà evaporerà immediatamente”», recitò Emily a memoria.
«E dove l’hai trovato?»
Emily arrossì. «Sul un libro.»
Drilla sorrise. «Già, e dove altrimenti? Bella idea, comunque. Magari la proporrò a Tristan appena lo rivedo.» Sospirò: Tristan Vidal era il capitano della squadra e l’unico ragazzo la cui corte Drilla avrebbe desiderato. Purtroppo, però, il ragazzo era anche notoriamente coinvolto da Rose Weasley, che Drilla detestava cordialmente –se per questo o per altri motivi, Emily non poteva dirlo-. Non c’era da stupirsi, quindi, se all’ultima lezione di Pozioni la ragazza di Grifondoro, seduta accanto a Drilla, si era ritrovata all’improvviso cosparsa di occhi di rospo in salamoia. Drilla si era dichiarata spiacentissima di esserseli fatti sfuggire di mano, ma Emily la sapeva lunga.
«Io vado», dichiarò arrotolando il suo tema concluso e riponendolo in borsa.
«Cosa? Ma come, e mi lasci qui da sola senza nemmeno un aiutino? Non lasci copiare qualcosina alla tua migliore amica?»
L’espressione di Drilla era talmente supplichevole che Emily non poté fare a meno di scoppiare a ridere. «D’accordo, tieni», le porse il suo compito. «Cerca di arrangiarti e se non capisci qualcosa cercami in biblioteca, d’accordo?»
Drilla le mandò un bacio. «Tu sì che sei un genio, Emy, grazie! A dopo! E non farti venire troppo mal di testa con tutti quei mattoni di libri!»
Emily sorrise, annuì e uscì fuori dalla pesante porta di legno dell’ingresso del dormitorio di Corvonero.
La biblioteca era il suo posto preferito, il luogo dove, fosse stato per lei, avrebbe trascorso il resto della sua vita accademica a Hogwarts. A casa sua, una villetta suburbana di Londra, non aveva mai avuto nulla di simile: scaffali di libri e libri, uno dietro l’altro, e per di più anche magici. Emily era da tre anni a Hogwarts ma non aveva ancora dato fondo nemmeno a metà di essa.
La bibliotecaria, una donna severissima e bibliofila alla follia di nome Madama Oackes –si diceva fosse la reincarnazione di quella precedente, ugualmente maniaca dei libri, a quanto pareva-, la guardò varcare la soglia del sacro luogo con un cipiglio severo. Nemmeno Emily, frequentatrice assidua di quel luogo, era soggetta a trattamenti speciali o preferenze: la legge rigorosa della biblioteca era uguale per tutti!
Depose la borsa su un tavolo accanto a una finestra, nascosta dagli occhi sgradevolmente penetranti della donna, e si mise a scorrere con un dito le copertine dei libri, in cerca di qualcosa di nuovo.
Si arrampicò su una scaletta per cercare in alto e trovò, con sua immensa gioia, un volume sulle creature metamorfiche del mondo magico, con un elenco di quelle estinte molto tempo prima e si mise a leggerlo restando appollaiata sulla scaletta. Non sapeva perché ma restare lassù, in alto, era una cosa che le piaceva moltissimo.
La pioggia batteva sul vetro accanto creando un piacevole sottofondo all’atmosfera tiepida del luogo. Emily, a differenza di Drilla, adorava la pioggia e l’autunno, ma non aveva mai osato farne cenno all’amica: sarebbe senza dubbio stato il modo migliore per finire sottoposti a condanna capitale.
Esistevano, un tempo, numerose creature metamorfiche, lesse, estremamente pericolose e ingannevoli ma oramai quasi del tutto estinte…
Proseguì la lettura affascinata, voltando le pagine antiche e crepitanti con cautela. Era così concentrata che non si accorgeva di niente di quello che le accadeva intorno.
«Ehi, Folletto!»
Emily trasalì così violentemente da perdere l’equilibrio sulla scala. Ondeggiò, si aggrappò alla prima cosa che trovò, un libro, ma quello scivolò fuori dal suo scaffale e cadde giù con lei, piombando con un tonfo sordo sul pavimento.
Emily, invece, atterrò su qualcosa di morbido, che esclamò: «Ahio!»
Alzò la testa e vide che sotto di lei era sdraiato niente meno che James Potter, il suo peggior aguzzino. Spaventata, si alzò di scatto e si scostò. Che diavolo ci faceva lì?
Il ragazzo si mise in piedi a sua volta, lentamente, con il corpo dolorante. «Bè’, sarai piccola e leggera ma quando cadi addosso a qualcuno fai male anche tu», dichiarò massaggiandosi un ginocchio.
Emily non rispose, rossa in volto e con la guardia alzata. Qualunque cosa fosse venuto a fare Potter lì, non poteva certo essere nulla di buono per lei.
Come se le avesse letto nel pensiero, lui la guardò e sghignazzò. «Sotterra l’ascia di guerra, Folletto, vengo in pace.»
«Cosa vuoi?», domandò Emily diffidente.
«Ehi, ehi, calma! Se ce l’hai con me per l’altro giorno mi dispiace, d’accordo? In effetti avrei potuto essere più gentile.» Sorrise, ma Emily non ricambiò.
«Cosa vuoi?», ripeté.
Il sorriso scivolò via dalla faccia del ragazzo come neve al sole. «Oh, insomma, dovresti essere un po’ più carina con le persone, lo sai? Avresti molti più amici se ti sforzassi di essere un po’ meno…un po’ meno scostante.»
«Io non sono scostante», lo contraddisse.
«Se lo dici tu», fece lui sghignazzò lui. «Allora, mi perdoni per l’altro giorno?»
Tese la mano e Emily gliela fissò con un brutto senso di deja vu. «Non c’è… non c’è niente da perdonare», borbottò.
«Meglio così», disse lui senza scomporsi. «Comunque preferirei stringerti la mano. O ti faccio così schifo che non vuoi neanche toccarmi?»
Emily fu spiazzata. «Non mi fai schifo», affermò prima di rendersi conto delle implicazioni che quella frase poteva avere. Quando se ne accorse arrossì, ma James non sembrò farci caso.
«Allora?» Aveva ancora la mano a mezz’aria.
Emily, riluttante, gliela strinse.
«Bene. Volevo solo ringraziarti per il favore che hai fatto a mio fratello. Sai, devi andargli davvero a genio perché non l’ho mai visto scaldarsi tanto a difendere qualcuno.»
«Avete parlato di me?», chiese Emily, troppo sbalordita per tacere.
James annuì. «A dire la verità è stato un caso: stavamo parlando di medie studentesche, David ha fatto il tuo nome e… ehm, ecco, non è stato molto carino… comunque», aggiunse in fretta, «è sempre così con tutti, quindi non dare troppa retta alle sue spacconate. Al, però, -mio fratello, intendo- ti ha difeso a spada tratta. Sei stata proprio gentile con lui.»
Emily deglutì. «Sei venuto qui per questo?»
Lui la fissò sorpreso. «E per cos’altro?»
«No, no, niente.»
Stava per dire qualcos’altro quando un urlo selvaggio e acutissimo li interruppe. Madama Oackes, gli occhiali di traverso e un’espressione furiosa, guardava sconvolta ai loro piedi. Automaticamente James ed Emily abbassarono anche loro lo sguardo e videro i due libri caduti insieme alla ragazza. Uno era quello che stava leggendo, l’altro era il grosso volume a cui aveva tentato di aggrapparsi, che ora giaceva aperto ai loro piedi e lungo l’attaccatura delle pagine si poteva benissimo vedere una lunga serie di strisce di carta strappate a cui un tempo dovevano essere attaccati dei fogli.
«Come… come… come hai osato...!» , esclamò istericamente la donna. «Il libro… le pagine…»
«Non sono stata io!», si difese Emily.
La bibliotecaria non la ascoltava. «Pagine strappate! Aspetta che lo sappia un insegnante… il capo della tua Casa… il Preside…»
Emily impallidì. «Non è colpa mia, non ho fatto niente, davvero!»
La bibliotecaria allungò le mani verso di lei come se volesse afferrarla e stritolarla, e James si mise in mezzo.
«È vero, non è stata lei!»
La donna lo guardò ostile. «Tu non osare metterti in mezzo!»
«Certo che mi metto in mezzo! Non è stata lei, l’ho vista, sono stato qui tutto il tempo! Quel libro era già così!»
La bibliotecaria sibilò ma evidentemente si rendeva conto che doveva essere come dicevano perché lì intorno non c’era traccia di pagine strappate. «Andate fuori!», gridò. «Fuori di qui SUBITO!!!»
Emily e James non se lo fecero ripetere due volte. Recuperarono le borse e schizzarono fuori dalla stanza seguiti dagli improperi della donna furibonda. Corsero lungo il corridoio e si fermarono solo quando ebbero svoltato l’angolo, con il fiatone.
«Gra…grazie», ansimò Emily.
«Di nulla; so benissimo che non sei stata tu. Insomma, tutti lo capirebbero, a parte quella vecchia pazza paranoica.»
Emily ridacchiò e si stupì lei stessa da quella reazione. Arrossì, vedendo che lui la osservava da sotto le sopracciglia scure.
«Io…», cominciò, ma si bloccò e ammutolì.
Lui sorrise e le battè una mano sulla spalla. «Non sforzarti, troverai qualcosa da dire la prossima volta. Ora devo scappare, ho lezione. Ci vediamo la prossima volta. Ciao Emily!»
«Ciao Potter.»
Lui fece una smorfia. «Puoi anche chiamarmi per nome.»
Emily arrossì. «Va bene…James.»
«Jamie, per favore. James è un nome da vecchi!»
«Jamie, allora. Ciao.»
Lui sorrise, fece un cenno con la mano e si defilò per uno dei tanti passaggi segreti di Hogwarts. Emily si avviò verso il dormitorio, incerta tra la felicità e la paura: James Potter era diventato gentile con lei e questo poteva essere un bene oppure un gran male. Potter a Hogwarts significava celebrità attenzione, due cose a cui Emily era estremamente allergica.
Quasi si pentiva ora dell'aiuto dato ad Albus. Eppure, pensando a come James l'aveva difesa in biblioteca, sorrise.
Non può andare sempre tutto storto, no? 

Note:
Rieccomi.
Avete avuto modo in questi due capitoli di conoscere Emily, Drilla, Stuart e i nostri amati Potter. Che impressione ne avete avuto?
Emily non è la classica ragazza attraente e disinvolta e la timidezza eccessiva la porta spesso a esagerare nella sua testa e somatizzare troppo le parole e i comportamenti degli altri nei suoi confronti. Chi è mai stato timido, come me, forse può capirla ma sarei curiosa di sapere cosa ne pensa invece un estroverso. Forse potrebbe trovarla irritante? O invece è mosso dalla tenerezza?
James Potter ricalca invece il più classico dei ragazzi allegri e apprezzati e somiglia più a suo nonno che al padre Harry, decisamente più riservato ai suoi tempi della scuola. Voi come ve lo immaginate? Io non ho potuto fare a meno di renderlo così, anche perché nell'epilogo del settimo libro da alcuni accenni non pare proprio uno studente modello, ma, anzi, un vero e proprio monello targato Weasley o James Potter ;)
Mue
 

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Capitolo 4
*** III. L'arte di fare conversazione ***


III.
L'arte di fare conversazione

 

«Ti ha detto proprio così?!»
«Sì. E non strillare!»
Erano sedute al tavolo di Corvonero a consumare la cena ed Emily aveva appena raccontato a Drilla il suo incontro con James – o meglio Jamie- di quel pomeriggio.
Drilla boccheggiava, il cucchiaio levato ridicolmente a mezz’aria. «Stai scherzando, vero? Insomma, mister Perfezione-Potter non può essere diventato di colpo la simpatia fatta persona, no?»
«Be’, forse non era così antipatico come credevo…»
«Ma andiamo, doveva essere sotto qualche incantesimo Confundus! Figurati se il signor Celebrità si abbassa a parlare con una insignificante... cioè, non che tu sia insignificante, Emy... voglio dire, dal suo punto di vista certamente, ma per lui sarebbe insignificante chiunque, ecco.»
Emily sorrise. «Credo di essere insignificante dal punto di vista di molte persone oltre che il suo; comunque ha solo voluto essere gentile perché ho aiutato suo fratello: sono sicura che se non fosse stato per quell'episodio non si sarebbe degnato di scendere dal podio a stringermi la mano.» Lo disse serenamente ma in cuor suo avvertì un'insolita punta di amarezza: doveva ammettere che, anche se non le era mai pesato l'anonimato, non si usciva mai incolumi da un assaggio -seppur per pochi istanti- dell'attenzione di James Potter, soprattutto quando si aveva un'autostima come quella di Emily, ovvero rasente lo zero.
Sbirciò l’altro tavolo, dove l’oggetto dei loro discorsi chiacchierava allegramente con David Steeval e Rebecca Austen, i suoi compagni di classe.
«Insomma, secondo te l'ha fatto solo perché era… riconoscente? Lui?», fece Drilla scettica.
«Non lo so», rispose Emily scuotendo la testa.
Stava ancora fissando il tavolo di Grifondoro quando una voce alla sua destra la sorprese. «Posso sedermi?»
Emily sobbalzò e alzò lo sguardo: Stuart Dunneth, dritto in piedi lì accanto, la stava guardando incerto.
«Cos…? Oh, sì certo», rispose Emily arrossendo e facendogli spazio sulla panca. Il ragazzo si sedette con un fruscio della sua divisa scolastica e cominciò a sbocconcellare dal piatto che aveva davanti distrattamente.
Drilla, all’altro lato di Emily, le sferrò una gomitata eloquente e inarcò le sopracciglia. Emily cercò di ignorarla il più possibile, ma non poté impedire che le sue guance già notevolmente rosse si infiammassero ancora di più.
«Ehm…», provò a iniziare, ma il ragazzo di fianco parve non sentirla. Scoraggiata, Emily tacque e scostò il gomito di Drilla che continuava a punzecchiarla insistente.
Stuart, ad un tratto, alzò lo sguardo e lo fissò su di loro, sorprendendole in una sorta di lotta silenziosa, Emily per liberarsi dalla sua aguzzina, Drilla per costringerla al suo volere.
Sotto il suo sguardo gelido Emily si sentì sprofondare dalla vergogna, ma Drilla non fece una piega, anzi, si sporse da dietro la spalla dell’amica e sorrise maliziosa.
«Ciao, Dunneth, come va?»
Stuart la guardò sorpreso, come se non si aspettasse che gli rivolgesse la parola. «Bene. Ciao Cook.»
«Oh-oh, che formalità! Dato che siamo in classe insieme potremmo anche chiamarci per nome, non ti pare?»
Stuart posò il cucchiaio senza fare una piega. «Veramente hai cominciato tu.»
«Molto bene, allora mi correggo subito: ciao, Stuart», e pose bene l’accento sul suo nome, «come va?»
«Bene. Ciao Drusilla», replicò immediatamente lui.
Lei fece una smorfia sentendogli dire quel nome, ma non rinunciò e tornò all’assalto. Emily, in mezzo a loro, cercava di guardare da tutte le parti tranne che verso Stuart.
«Non ci siamo proprio, dovresti essere un po’ più socievole ed espansivo, altrimenti non potremo mai costruire un dialogo come si deve», lo ammonì Drilla amabilmente.
Il ragazzo continuava a guardarla leggermente stranito. «Ah sì? Ad esempio?»
«Ma come, il miglior studente del nostro anno non riesce a trovare una frase per fare conversazione?», lo prese in giro malefica lei.
Emily le pestò un piede sotto il tavolo nel disperato tentativo di farla smettere. Drusilla, smorfia di dolore a parte, non recepì -o fece finta di non recepire- il messaggio.
Per la prima volta Stuart sorrise, sebbene con un sorrisetto di circostanza. «Credo proprio di no. Non sono geniale come mi dipingono alcuni.»
Drilla, evidentemente, si aspettava tutt’un'altra risposta, ma non si perse d’animo. «Bene, allora ho qualcosa da insegnarti», ridacchiò come una smorfiosa. «Io che insegno qualcosa al più secchione della classe! Incredibile, non l’avrei mai creduto possibile!»
Stuart incassò la frecciatina senza ribattere.
«Molto bene, allora senti: quando qualcuno ti dice “come va?”, dovresti rispondere “Bene, e tu?” Sai, giusto per far vedere che te ne frega qualcosa degli altri, non so se capisci.»
«Bene, e tu?», disse Stuart piatto.
Drilla si accigliò perdendo il suo sorrisetto maligno. Brutto segno.
«Non ripeterlo come un pappagallo!», lo rimproverò acidamente.
Stuart ignorò il tono offensivo. «Sto imparando», ribatté candidamente.
Le gote di Drilla si gonfiarono. Ecco, quello era il primo segnale della tempesta in arrivo. Aprì la bocca ma una voce dall'altra parte del tavolo la anticipò. «Drusilla!»
L’espressione di quest’ultima si appianò, le guance si sgonfiarono, la bocca si aprì in un sorriso e gli occhi scintillarono. Emily non avrebbe avuto bisogno di guardare chi aveva chiamato l'amica per capire di chi si trattasse: quelli sul viso dell’amica, lo sapeva bene, erano tutti sintomi della voce, della presenza, di qualunque cosa appartenesse a Tristan Vidal. Senza contare che era l’unico che potesse tranquillamente chiamare Drilla con il suo vero nome senza incappare in un’ira più catastrofica delle sette piaghe d’Egitto.
«Sì, Tristan?», rispose docile veleggiando tra gli studenti verso di lui, seduto all’altro capo del tavolo.
Emily avrebbe voluto fulminarla. Aveva punzecchiato fino ad un momento prima Stuart e ora lo lasciava lì con lei, soli. Si morse un labbro, non osando guardare il suo vicino di posto. Che doveva fare? Chiedergli scusa a nome dell’amica? Ignorarlo? Ma non sarebbe stato educato.
«La tua amica è una tipa un po’ strana, vero?»
Emily si girò verso Stuart, sorpresa. Lui guardava Drilla con un sopracciglio aggrottato, come se stesse giudicando qualcosa a cui doveva dare un voto.
«È in gamba», affermò fedelmente Emily, sebbene trovarsi nella posizione di dover difendere la sua amica con Stuart Dunneth non le fosse propriamente gradito.
Stuart, contro ogni previsione, sorrise. «Sei una buona amica per lei, vero?»
Emily arrossì. «Io… non saprei, credo di sì.»
«Lo sei, te lo dico io»; affermò lui con sicurezza. La studiò un attimo. «Perché l'altra volta hai aiutato quel ragazzo? Credevo che odiassi quelli della sua famiglia.»
Emily rimase sbigottita da tanto acume. «Io non odio i Potter», mentì, ma la voce le tremava. Non era mai stata brava a raccontare le bugie.
Stuart non insisté. «Come vuoi. Comunque sei stata gentile. Anche se sapevi che non te ne sarebbe venuto niente in cambio.»
Emily si accigliò. «Non bisogna essere gentili solo per ricevere qualcosa in cambio.»
«No, suppongo di no.» Lui continuava a guardarla, come se stesse ammirando uno strano animale allo zoo.
La cosa infastidì tanto Emily che alla fine non poté fare a meno di chiedere, forse un po’ troppo bruscamente: «Che c’è?»
Lui scosse il capo. «Niente, scusa se ti fisso. È che sei… strana.»
«Cosa?» Emily, allibita, non seppe se essere offesa o lusingata.
«No, scusa, non strana, particolare. Sì, insomma, mi piaci.»
Emily rimase di sasso. Piacergli? Piacere a un ragazzo lei? La stava prendendo in giro? Cosa intendeva dire?
Evidentemente si poteva leggerle tutte quelle domande in faccia perchè lui ridacchiò. «Intendo dire che sembri una compagnia piacevole e mi incuriosisci. Ti dispiace?»
«No… certo che no…», balbettò lei ancora stordita.
Stuart sorrise. «Bene. Ci vediamo, allora. Buonanotte.» Si alzò e se ne andò con quella sua andatura elegante e distratta insieme, i vestiti disordinati che frusciavano mentre camminava.
Emily depose la forchetta, ostinatamente tenuta in mano durante tutta quell’illogica conversazione, e si appoggiò con la schiena al muro retrostante. Decisamente quella era la giornata più assurda della sua vita.

Note:
Man mano che pubblico questa storia la rileggo insieme a voi a distanza di anni e sebbene abbia i suoi difetti e le sue imperfezioni sono contenta di riproporvela. Conoscete quella sensazione confortevole e calda che vi evocano i ricordi più lontani e teneri? Ecco, Ob Morsum mi fa quest'effetto *-*
Siamo al terzo capitolo e finora gli avvenimenti sono stati pochi, quel tanto che basta ad annoiar... ehm, a introdurre i personaggi che dal prossimo capitolo in poi passeranno -o saranno costretti a passare- alla vera e propria azione.
Dovrei riuscire a pubblicare il quarto capitolo in serata. Voi intanto, mi raccomando, fate un obolo alla vostra adorabile autrice e commentate. Come direbbero i Lepricani: un galeone ogni recensione ;)
Intanto buona lettura!
Mue  

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Capitolo 5
*** IV. Incidente vegetale ***


IV.
Incidente vegetale

 

Il giovedì mattina, subito dopo colazione, Emily e Drilla si avviarono con il resto della classe verso le Serre per le consuete due ore di Erbologia.
Drilla fischiettava più allegra che mai ed Emily non faceva fatica a capire a cosa, o meglio, a chi stesse pensando l’amica in quel momento: la sera prima non aveva fatto altro che parlare ininterrottamente di quanto fosse meraviglioso, stupendo, inimitabile Tristan Vidal, e se le loro compagne di stanza non avessero protestato quando ormai era mezzanotte inoltrata, probabilmente Drilla avrebbe continuato per tutta la notte.
Stavano camminando in silenzio una a fianco all’altra quando Stuart le superò e si voltò lanciando un sorriso fugace in direzione di Emily. Lei arrossì violentemente, ma prima che si decidesse a salutarlo, il ragazzo si era già voltato e aveva raggiunto il suo compagno di dormitorio, Lancelot Niven.
Emily li guardò per qualche momento e quando si voltò vide che Drilla la stava fissando con la bocca spalancata in una lunga, silenziosa “O”.
«Emily», disse debolmente, «c’è forse qualcosa che ti sei casualmente dimenticata di dirmi?»
Emily colse la nota minacciosa dietro la voce dell’amica. Fortunatamente non poté risponderle perché in quel momento il professor Paciock aprì la porta della serra e li fece entrare.
«Entrate, ragazzi, entrate. Oggi faremo qualcosa di molto interessante!», li accolse affabile e rubicondo come sempre.
Emily, rimasta indietro, entrò per ultima dopo Drilla e si posizionò con lei accanto a un grosso vaso dall’aria vagamente inquietante: non c’era niente dentro a parte uno spesso strato di terra nera.
«Bene, bene», disse il professore prima che Drilla potesse di nuovo andare all’assalto di Emily. «Allora, c’è qualcuno che sa dirmi cosa potrebbe esserci in questi vasi? Nessuno? Emily?», fece speranzoso rivolto nella sua direzione.
«Ehm…a giudicare dal colore della terra e dalla grandezza del vaso potrebbero essere Fungiliane?», provò lei.
«Esattamente!»; esclamò Paciock radioso. «Dieci punti a Corvonero. E qualcuno sa anche dirmi le proprietà di questa pianta? Stuart?»
Ovvio, quando un professore chiamava uno dei due migliori della classe doveva chiamare anche l’altro.
«Mescolato con elleboro forma una pozione molto potente contro i veleni magici», rispose atono Stuart, nel posto vicino a quello di Emily dove si era posizionato insieme a Lancelot.
«Giusto! Altri dieci punti a Corvonero. Bene, e ora vi devo pregare di infilare i guanti protettivi e di fare molta attenzione perché le Fungiliane sono un po’ aggressive e…sì, Lorcan?»
Uno dei due gemelli Scamandro guardava il vaso con gli occhi spalancati. «Scusi, professore, ma cosa intende esattamente con un po’ aggressivi?»
«Emily», mormorò Drilla nel suo orecchio. «Stuart ti sta fissando. Mi spieghi che cosa significa?»
Emily arrossì violentemente cogliendo con la coda dell’occhio Stuart che guardava dalla loro parte. «Non lo so…»
«Niente di cui preoccuparsi», stava rispondendo il professore a Lorcan. «Bisogna solo stare attenti a…»
«Emily?»
«Posso spiegartelo dopo?», sibilò lei in fretta. Perchè doveva parlare così ad alta voce, perchè? Le avrebbe sentite, era a pochi passi da loro!
«No», ribatté Drilla imperterrita. «Immediatamente.»
«Oh, per favore Drilla!», la implorò Emily sussurrando mentre si infilavano i guanti. Il professor Paciock aveva già messo la mascherina protettiva e stava mostrando uno spillo di ferro e spiegandone la funzione.
«Che cosa vi siete detti ieri sera quando sono andata via?», insisté Drilla.
«Se fossi rimasta l’avresti saputo», ribatté Emily imbronciata.
Drilla sorrise dispettosa e la punzecchiò ad un fianco. «Dai, per favore, dimmelo…»
Emily ridacchiò mentre la ragazza le faceva il solletico. «No, lasciami, davvero Drilla, non… attent…!»
Non poté finire la frase, perché Drilla l’aveva involontariamente spinta verso il vaso, che Emily urtò con un gomito. Si voltò appena in tempo per vedere una raggiera di grosse liane verdi animate che uscivano improvvisamente dalla terra nera e la afferravano da tutte le parti, chiudendola in una morsa di ferro.
Emily tossì, si portò le mani alle liane che le avevano circondato il collo e tentò di divincolarsi inutilmente.
La stavano soffocando.
Gli occhi le rotearono e il mondo iniziò a vorticare intorno a lei.
«EMILY!», gridò Drilla.
«ATTENZIONE!», gridò il professore pallido in volto mentre altre liane uscivano dal vaso e si dimenavano cercando di raggiungere gli altri studenti.
Poi ci fu un lampo di luce azzurra e le liane attorno al collo di Emily si allentarono in un istante, ritirandosi tremanti nella terra.
Emily cadde a terra tossendo.
«Oddio, Emily, come stai?», strillò Drilla agitata, chinandosi di fianco a lei.
«Bene», rispose Emily, ma quello che le uscì fu più un rantolo strozzato che una voce umana.
Poi vide lo sguardo nauseato di Drilla e alzò gli occhi sugli altri compagni. Tutti, tranne Stuart in piedi lì accanto con la bacchetta in mano ancora alzata dopo aver sferrato l'incantesimo che l'aveva salvata, la guardavano terrorizzati. Emily non capiva che stava succedendo.
«Ehm, sì, la linfa grezza delle Fungiliane può fare questo effetto», disse il professor Paciock avvicinandosi. «Emily, è meglio che tu vada in infermeria; la signorina Hartland ti metterà a posto, credo… spero. Qualcuno vuole accompagnarla…?»
Tutti fecero un passo indietro. Drilla, rimasta al fianco di Emily tutto il tempo, fece per offrirsi coraggiosamente ma Stuart la precedette. «Io, professore. Tanto non avrò problemi a recuperare la lezione.»
Il professore lo guardò grato. «Grazie, Stuart. Sì, non dubito che sia così. Comunque ora potete andare…»
Mentre gli altri studenti restavano a guardare con gli occhi spalancati, Stuart tese la mano ed Emily accettò il suo aiuto per rialzarsi, avvampando per tutta quell’attenzione sgradita dai suoi compagni. Tirò un sospiro di sollievo solo quando lei e Stuart si chiusero la porta della serra alle spalle.
«Che cos’ha la mia faccia? Cos’è successo?», gli chiese subito quando si ritrovarono soli. Qualunque cosa avesse, dubitava di poter attraversare senza essere notata metà castello fino all’infermeria. Si sentiva male al pensiero di tutti gli sguardi che avrebbe attirato.
Stuart sorrise. «In realtà non è niente di sconvolgente…»
«Che cos’è?», insisté Emily disperata.
«Vuoi proprio vedere?», chiese lui. Sembrava stesse... sghignazzando?
Emily arrossì fino alla radice dei capelli ma non cedette. «Sì.»
Stuart non obbiettò altro, puntò la bacchetta sull’erba al loro fianco e mormorò qualcosa: uno specchio incorniciato d’oro apparve dal nulla.
Emily guardò Stuart ammirata. «È un incantesimo di Evocazione!»
«Già.»
«Come l'hai imparato?», domandò lei stupita.«E' un livello M.A.G.O.!»
Lui alzò le spalle, incurante. «Pratica. Allora, vuoi vedere o no?»
Emily deglutì, si avvicinò allo specchio con gli occhi chiusi e contò fino a dieci prima di osare aprirli per vedere. Per poco non cacciò un grido; la sua faccia era striata come quella di una zebra da profonde strisce di roba verde e morbida: sembrava che le fosse cresciuto del muschio lungo tutte le guance.
«Oh, no!», si lagnò debolmente tastandosi.
Stuart le prese la mani e gliele scostò con decisione dal viso. «Non toccare o ti attaccherà anche le mani», la ammonì.
«Che cosa?», esclamò lei spaventata.
«Andiamo, coraggio, la signorina Hartland saprà cosa fare», cercò di consolarla facendo svanire in uno sbuffo lo specchio.
Fece quattro passi verso il castello, si voltò a controllare e la vide ancora ferma nello stesso punto di prima, immobile. «Che fai?»
Emily scosse la testa ma non rispose. Non sarebbe entrata nel castello pieno di studenti nemmeno se fosse stata inseguita da tre draghi affamati.
«Coraggio, vieni», la incoraggiò lui e la prese per un braccio.
Emily avvampò e cercò di ritrarsi. «No, per favore, non voglio…»
«Non essere sciocca!», la rimproverò lui aspro. Con uno strattone la sradicò dalla sua posizione e la trascinò verso il grosso portone di quercia dell’ingresso. «Non vorrai restare così per sempre, no?»
«No, ti prego, ti prego, lasciami andare…»
Lui sbuffò e non le diede retta. Arrivati ai piedi della scalinata d’accesso al castello, si fermò e si girò a guardarla. «Ti assicuro che se mi costringerai a trascinarti darai molto più nell’occhio di quanto tu non faccia già.»
«Ma io…», balbettò Emily con uno sguardo così implorante che qualcosa nella rigida imperturbabilità di Stuart sembrò smuoversi.
La studiò per qualche secondo, come riflettendo rapidamente, poi sospirò. «Senti…», si bloccò un attimo, come indeciso, quindi proseguì, «conosco un passaggio segreto… niente di che, ma porta al corridoio dell’infermeria senza bisogno di passare davanti alle aule. Vuoi…?»
Emily non se lo fece ripetere due volte. «Davvero? Dici sul serio?»
Stuart annuì, sorrise davanti all'ingenua felicità che traspariva dal viso di Emily a quella notizia e si voltò, guidandola senza altri commenti di nuovo nel prato e poi fuori dalla zona delle mura del castello, verso la sponda del lago.
Emily lo seguì lanciando occhiate furtive alla serra, da cui temeva di veder spuntare da un momento all’altro il volto tondeggiante del professore che l’avrebbe costretta ad entrare dalla Sala d’Ingresso. Fortunatamente né lui, né nessun altro studente si fecero vedere nel tempo che impiegarono a raggiungere il pezzo di muro meridionale che costeggiava il lago e dov’erano ancorate le barche usate dal guardiacaccia per trasportare ogni anno quelli del primo anno.
Stuart tirò fuori la bacchetta, si avvicinò a tre grossi macigni alla base delle mura, ricoperti di rampicanti spogli. Picchiò su un mattone con la bacchetta e disse: «Acquea Stirps.»
Uno dei macigni si ritirò verso l'interno del muro e si scostò con un rumore cupo, rivelando un cunicolo scuro.
Stuart si insinuò in esso senza alcuna paura e invitò Emily a fare altrettanto. «Lumos», disse poi, e la luce della sua bacchetta illuminò le pareti di macigni e terra. Il macigno-porta si chiuse alle loro spalle non appena Emily ebbe raggiunto il ragazzo.
«Come hai fatto a scoprire questo posto?», chiese, tremante per il freddo. C’era una brutta temperatura, lì sotto, talmente umida che sentiva l'acqua fermarsi sulla sua pelle, o almeno sulle striscie di pelle che le rimanevano.
Stuart scrollò le spalle. «È stato un caso.» Emily si aspettava che aggiungesse altro ma lui non lo fece. Non si fidava abbastanza di lei?
«Andiamo», la spronò, incamminandosi lungo il cunicolo. Emily lo seguì da vicino, guardandosi attorno inquieta.
C’era freddo e silenzio, laggiù, e un eco lontano di una goccia che cadeva più e più volte, eternamente, rendeva tutto più inquietante. Ad un tratto, mentre Stuart svoltava con sicurezza lungo una curva, a Emily parve di vedere una biforcazione alla sua sinistra, un cunicolo che portava altrove, in basso.
«Che cosa c’è laggiù?», chiese, e si accorse solo in quel momento che la voce le tremava.
«Nell’altro cunicolo? Acqua. Credo che finisca dentro il lago», rispose lui tranquillamente. Doveva essere passato spesso di là se quell’atmosfera minacciosa non lo toccava minimamente.
Dopo quella che parve un’eternità si imbatterono in alcuni gradini e cominciarono a salirli lungo quella che Emily comprese essere una scala a chiocciola apparentemente senza fine. Aveva il fiatone quando finalmente si fermarono su un pianerottolo cieco, senza nesuna via d'uscita.
«Siamo arrivati», annunciò Stuart. Picchiò con la sua bacchetta su uno dei mattoni del muro senza uscite e quello si aprì silenziosamente, rivelando un corridoio illuminato dalla luce del sole e percorso da un lungo tappeto rosso. Emily lo riconobbe subito: era quello che portava dritto all’infermeria.
Stuart la precedette, si guardò intorno per vedere se ci fosse qualcuno e sorrise. «Via libera, muschiata», annunciò in tono scherzoso.
Emily arrossì, immensamente riconoscente. «Grazie mille!», balbettò.
Lui alzò le spalle. «È stato un piacere aiutarti.» Esitò un istante, poi aggiunge cauto, come se fosse una domanda più che un'affermazione: «Tra amici si fa così, no?»
Emily sorrise, e stavolta invece che sentire la consueta vampata di imbarazzo provò qualcosa di piacevole a quell'affermazione, quasi... tenerezza. Lo ringraziò ancora e quando lo vide allontanarsi tranquillo per il corridoio, di ritorno alle serre, si dileguò attraverso la porta dell’infermeria.
Le lunghe file di lettini erano inframezzate ogni tanto da un paravento che doveva servire a proteggere la privacy dei malati. Non c'era nessuno.
Emily si chiuse la porta alle spalle e stava per fare un passo in avanti quando una voce orribilmente familiare la bloccò a metà del movimento.
«Ehi, ma guarda chi c'è!»
Emily si voltò con il cuore in gola. Seduto su una sedia proprio accanto alla porta con le gambe accavallate, c'era David Steeval che la guardava ghignando. «E da quando in qua sui folletti cresce il muschio?»
Emily strinse i denti. Oh no, no, no! Perchè lui?



Note:
Rieccomi qui.
Riappare il nostro amato David Steeval in questo capitolo, simpatico come una carezza del Platano Picchiatore. Povera Emily, a volte è davvero sfortunata!
Questo capitolo comincia a dare una svolta alla vicenda, che da qui in poi si farà più movimentata (o così si spera). Che ve ne pare? Mi raccomando, fatemi sapere e grazie intanto a tutti coloro che seguono la storia o l'hanno messa tra le preferite e seguite.
Mue

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Capitolo 6
*** V. Corvo e grifone ***


V.
Corvo e grifone

 

La notizia si diffuse più veloce di un’epidemia di vaiolo di drago.
“Emily il Folletto Saputello” diventò da un giorno all’altro “Emily il Muschio Sapiente” su gentile inventiva di David Steeval e di tutta la sua compagnia - anche se il muschio era scomparso subito con un colpo di bacchetta della signorina Hartland.-
Se Jamie fosse coinvolto o no in quella nuova moda, Emily non lo sapeva e non voleva saperlo: lo evitava ogni volta che lo scorgeva profilarsi in lontananza con la sua classe, e aveva un sussulto tutte le volte che con la coda dell’occhio intravedeva il rosso e l’oro delle divise di Grifondoro.
Vuoi per la sua dote mimetica straordinaria, vuoi per l’abitudine a sforzarsi di passare ovunque inosservata, vuoi perché Jamie fosse davvero coinvolto e non volesse più avere niente a che fare con lo zimbello della scuola, ma il fatto era che lui ed Emily per tutte le settimane successive non ebbero occasione di incontrarsi nemmeno una volta.
Drilla non parlava dell’argomento, sia per non ferire l’amica sia perché aveva davvero la testa da tutt’altra parte: in effetti di lì a poco tempo si sarebbe disputata la prima partita della stagione di Quidditch, Grifondoro contro Corvonero, e tutti i membri della squadra sembravano irrequieti come non mai, divino Tristan Vidal compreso.
Emily, depressa, cercava di fingersi il più eccitata possibile per quell’evento, ma a dire il vero non gliene importava assolutamente nulla. L'unico fatto positivo che vi scorgeva era che una volta entrati nel pieno del fermento pre e dopo partita, tutti si sarebbero dimenticati di lei. O almeno così sperava.
Il tempo continuava a imperversare malevolo, portando piogge e diluvi come se ne erano visti pochi nella storia di Hogwarts.
Emily, bloccata all’interno del castello e senza più nemmeno la biblioteca dove rifugiarsi, passava gran parte del tempo nella Guferia, insieme alla sua civetta scura, Eco, o nella Sala Comune a giocare a scacchi magici insieme a Stuart.
Già, Stuart. Se non fosse stato per lui Emily sarebbe stata completamente isolata. Drilla era sempre agli allenamenti, tornava irritata a causa della pioggia e passava il resto del tempo a fare –o copiare- i compiti.
Stuart si era dimostrato un amico vero: dopo il giorno in cui l’aveva accompagnata lungo il passaggio segreto aveva cominciato a frequentare lei e Drilla sempre di più, sedendosi accanto a loro durante i pasti e condividendo il tavolo nelle lezioni.
Drilla, inizialmente perplessa, aveva alla fine accettato la sua silenziosa, schiva presenza, felice del fatto che finalmente Emily avesse trovato qualche altro amico oltre a lei.
Quanto alle lezioni di Pozioni e di Cura delle Creature Magiche, Emily aveva evitato Albus Potter almeno quanto il fratello maggiore, sebbene più volte le fosse sembrato – e non solo a lei, perché Drilla ogni volta le aveva tirato un’allusiva quanto dolorosa gomitata nel fianco- che volesse cercare di avvicinarla timidamente. Non ci era mai riuscito, ed Emily non sapeva bene se esserne sollevata o dispiaciuta .
«Cavallo in C3. Scacco», affermò Emily in uno dei tanti pomeriggi piovosi nella torre di Corvonero.
Stuart sorrise. «Ma non matto.»
Emily scrollò le spalle e scrutò una ad una le pedine nere dell’avversario disposte sulla scacchiera. Erano ad un punto morto, e nessuno dei due si fidava abbastanza da rompere la difesa ed andare all’attacco dell’altro.
«Vedremo», lo sfidò sorridendo. «Tocca a te.»
«Alfiere in D6», annunciò lui.
Emily fece un gesto di stizza. La sua torre era in trappola. Stava studiando la sua mossa successiva quando la porta del dormitorio si aprì ed entrò la squadra di Quidditch di Corvonero al gran completo, schizzata di pioggia e di fango da cima a fondo.
Drilla lasciò cadere da una parte la sua Comet Seicento e si abbandonò su una poltrona di velluto azzurro accanto a loro, imbrattandola ben bene di fango. «Sono distrutta! Se pioverà così anche il giorno della partita non so come faremo anche solo a vedere la Pluffa. Insomma, oggi non ci vedevo a un palmo dal mio naso, vi rendete conto?», si lagnò tutto d’un fiato.
«Avete provato con un incantesimo di Acquavista?», chiese in tono casuale Stuart.
«Non so cosa sia e non me ne può importare di meno in questo momento. Tutto quello che voglio è una doccia quanto più calda possibile e che nessuno mi chieda di alzare un dito per il resto della giornata o lo sbrano!» E, detto questo, scattò in piedi stizzita e afferrò malamente la sua scopa dirigendosi a passi pesanti verso la porta del dormitorio femminile.
A metà strada, però  la fermò un’alta, slanciata figura indistinguibile sotto il fango che ricopriva tutta la divisa blu. «Drusilla, potresti andare dal professor Ravenscar a portargli questo da parte mia?»
«Ma certo, Tristan!», cinguettò Drilla, e scomparve quasi levitando con i piedi staccati dal terreno.
Emily e Stuart si guardarono e scoppiarono a ridere all’unisono.

Il giorno dopo, tuttavia, Emily era molto meno allegra. Quando giunsero alla capanna del guardiacaccia per la lezione di Cura delle Creature Magiche, si ritrovarono davanti ad una lunga serie di gabbie di ottone molto grandi e dal pavimento cosparso di rovi e rose canine. In ciascuna di esse stava, nascosto tra i rovi o addormentato su un trespolo poco più in alto, un uccello dal piumaggio nero e sfumato di verde sulle ali.
«Che cosa sono?», chiese Drilla guardandoli ammirata. Erano molto belli.
«Augurey», rispose automaticamente Emily. «Gli uccelli della pioggia.»
«Esattamente, Emily», assentì il professore che usciva in quel momento dalla capanna. Era un uomo robusto, abbronzato e pieno di cicatrici sulle braccia, con i capelli rosso carota tipici della sua famiglia. Charlie Weasley, l’insegnante di Cura delle Creature Magiche da quando Hagrid era andato in pensione, due anni prima.
L’uomo si rimboccò le maniche e fece disporre gli studenti in cerchio attorno alle gabbie. Un grande tendone innalzato sullo spazio dove si teneva la lezione impediva agli studenti di bagnarsi. Tutti si strinsero sotto di esso. Emily si spostò di lato e si ritrovò spalla a spalla con Al Potter. Incrociarono per un attimo lo sguardo, ma Emily lo distolse subito arrossendo.
«Ora, mettetevi a coppie ciascuno con un esemplare. Sì, voi due andate di là… Lorcan, qui non c’è nessuno; Emily, Al, laggiù c’è una gabbia vuota.»
Emily e Al si guardarono. Erano rimasti da soli. Emily si morse il labbro e andò alla gabbia indicata dall’insegnante con il capo chino. In quel momento avrebbe preferito avere come compagno una Fungiliana.
Il professor Weasley si mise a spiegare le proprietà e le caratteristiche dell’animale.
Emily lo ascoltava annoiata: le sapeva già a memoria, aveva letto un intero libro su tutte le specie di volatili del mondo magico. Al, invece, prendeva appunti concentratissimo, o così parve a Emily finché, ad un tratto, non alzò lo sguardo e incrociò il suo. Subito riabbassò la testa sui fogli, imbarazzato.
«Gli Augurey mangiano soprattutto fate, ma dato che non ne abbiamo, useremo dei semplici insetti, che vanno bene lo stesso. Qui ce ne sono abbastanza per ogni gruppo: sono ghiotti soprattutto di libellule, attenti che non vi becchino le mani quanto gliele porgete: hanno il becco avvelenato.»
Al recuperò una manciata di insetti e ne porse un po’ a Emily senza guardarla.
«Grazie», fece Emily atona, porgendoli a sua volta al volatile, che allungò la testolina piumata curiosa e prese a beccare con appetito.
Passarono il resto dell'ora a studiare il comportamento di quegli animali insoliti e ad imparare come volassero solo in caso di pioggia o cantassero in previsione di un temporale.
Emily pensava di essere ormai al sicuro quando, verso la fine della lezione, Al alzò la testa verso di lei.
«Emily», esclamò, prendendola alla sprovvista.
Emily sussultò e si voltò verso di lui. «Sì?»
Al la guardava con le sopracciglia aggrottate. «Senti ma…ce l’hai con me, per caso?»
Emily, sorpresa da quella domanda, per poco non si lasciò sfuggire la manciata di insetti che tratteneva nel pugno. «Io? No, per niente!»
«E allora perché mi eviti?»
«Io non…», stava per dire io non ti evito, ma era una bugia, così si morse il labbro, rossa in viso e si zittì.
«Allora?», insisté Al.
Emily deglutì. «Ecco, io…», che doveva fare, essere sincera? «Io non vorrei evitarti ma…»
«Ma?»
Come faceva a spiegarglielo? Come? «Insomma, tu mi sei simpatico, Al, ma vedi, io te non possiamo, ecco… non possiamo essere amici.»
«E perché?», domandò lui stupito.
Emily arrossì e scosse il capo senza parlare.
«È per mio fratello?», chiese lui con insolita perspicacia. «È per lui, non è vero? Mi ricordo quello che stava per dirmi la tua amica su di lui, ma poi, quando gli ho parlato, Jamie mi ha detto che gli sei simpatica… pensavo che andaste d’accordo.»
Simpatica… parola grossa, pensò Emily, per uno che le aveva parlato una volta sola. «In realtà lui è stato gentile con me», ammise.
«Allora perché?»
La pena di rispondere fu risparmiata ad Emily dalla fine della lezione. Charlie Weasley raccolse gli insetti rimasti e rispedì gli studenti nel castello lasciando come compito quello di indagare il genere di fate di cui andavano più ghiotti gli Augurey.
Emily raggiunse in fretta Stuart e Drilla, mettendosi così in salvo dall’interessamento imbarazzante di Al Potter. Risalirono la strada per il castello, Al a pochi passi da loro, meditabondo. Emily non lo guardava, facendo finta di interessarsi alle chiacchiere sul tempo di Drilla. Pioveva e dovettero accelerare il passo per non venire completamente lavati.
Arrivarono nell’ingresso gocciolanti e zuppi, mentre i primi studenti scendevano dalle aule del piano di sopra per raggiungere quella dell’ora successiva. Drilla schizzò subito in un corridoio laterale per non arrivare tardi a Divinazione. Emily e Stuart, invece, che avevano l’ora di Aritmanzia, si diressero lenti attraverso l’atrio.
Fu in quel momento che una voce squillante -e sgradevolissima per Emily- risuonò per tutta l’immensa stanza.
«Ehi, guarda chi c’è, il Muschio Sapiente.»
Emily, Al e Stuart alzarono contemporaneamente lo sguardo sulla cima della scalinata e videro scenderne David Steeval seguito dal consueto codazzo di ragazze adoranti. «Ma come, con tutta questa umidità non te n’è cresciuto un altro po’?», aggiunse quando approdò alla fine delle scale. Le ragazze alle sue spalle scoppiarono in una risatina acutissima.
Emily avvampò, raggiungendo lo stadio cromatico di un pomodoro maturo. Stuart, al suo fianco, rimase immobile, fissando David con uno sguardo indecifrabile.
«Piantala, David.» Tutti ebbero un moto di sorpresa, persino David Steeval: la voce che aveva appena parlato era quella acuta ma decisa di Albus Potter.
«Ah, sei tu, Al», lo salutò cordiale David. «Ho appena lasciato tuo fratello alla sua lezione di Babbanologia, sai? Gli stavo giusto dicendo ieri…»
«Piantala», ripeté più forte Al. Era rosso in viso. «E chiedi scusa a Emily», aggiunse, sebbene l’effetto della frase fu rovinato un po’ dalla voce che gli tremava.
David strabuzzò gli occhi, come se non potesse credere a quello che aveva appena sentito. Guardò Al immobile per qualche secondo, poi la sua espressione di stupore si piegò in un sorrisetto e poi in un sogghigno. «Sei molto divertente, Al, anche se hai un senso dell’umorismo strano.»
Al sbiancò. Evidentemente non si aspettava di non venire creduto.
David continuò a sogghignare. «Comunque, riprendendo il discorso da dove l'ho lasciato, Piccolo Muschio, è davvero un peccato che tu sia tornata come prima. Sai, ti donava quel verde così…»
Non riuscì a terminare la frase nemmeno stavolta. Un lampo, blu, intenso e improvviso, gli passo a un soffio dalla guancia destra, infrangendosi con un rumore violento sulla scalinata di marmo senza tuttavia lasciarvi alcun tipo di danno.
Emily si voltò con un moto di sorpresa, come tutti i presenti, e rimase sbalordita. Perché chi aveva alzato la bacchetta e guardava David con un cipiglio duro non era altri che Stuart Dunneth, il secchione distratto di Corvonero.
David, sbalordito almeno al pari di Emily, se non di più, ci mise diversi secondi ad assimilare quello che era appena avvenuto. L’espressione sul suo viso passò dall’incredulità al dubbio, poi alla consapevolezza e infine alla rabbia.
«Come… hai… osato?», disse a fatica, livido.
Stuart rimase immobile e continuò a fissarlo come se fosse qualcosa di estremamente ripugnante capitatogli tra i piedi.
«TU, SECCHIONE INSIGNIFICANTE…!», David afferrò la bacchetta mentre insultava Stuart e la alzò.
«Ti consiglio di abbassarla se non vuoi guai», replicò Stuart con la massima calma.
David ruggì di rabbia e lanciò un attacco. «Dirupi!»
«Saucio!», gridò a sua volta Stuart.
Il lampo dorato di David si infranse contro quello rosso di Stuart, che però rimase integrò e colpì il braccio destro dell'avversario facendogli volare via la bacchetta.
David gridò di dolore e si portò la mano al braccio, su cui si era aperto un grosso squarcio. Sangue scuro prese a zampillare da esso, imbrattandogli i vestiti.
Alcune ragazze strillarono, altre corsero via terrorizzate, ma la maggior parte dei presenti rimase immobile al suo posto, sbalordita: un Corvonero spettinato, disordinato e insignificante del terzo anno aveva appena battuto uno dei più celebri e sbruffoni studenti di Hogwarts. Da non credere!
«Che cosa sta succedendo?», tuonò all’improvviso una voce. Tutti alzarono lo sguardo improvvisamente terrorizzati.
Dante Quebec, temibile, oscuro professore di Aritmanzia e direttore della casa di Serpeverde, era appena comparso in cima alle scale, e guardava la scena con un cipiglio che non prometteva nulla di buono.


Note:
Ma come mi piace Corvonero contro Grifondoro! La Casa di Priscilla è forse quella meno conosciuta di Hogwarts: fandom a parte, nei libri gli studenti che compaiono di meno e svolgono meno ruoli decisivi appartengono a questa Casa e l'unica di una certa importanza, Luna, non sembra nemmeno rispecchiare, perlomeno in apparenza, le doti principali di essa, ovvero l'intelletto e l'arguzia.
Però, a ben vedere, altre caratteristiche della Casa sono anche la creatività e l'individualità, e potremmo definirla quindi a ragion veduta anche la Casa degli artisti, tra cui Luna. Vi immaginate che meraviglia dev'essere il dormitorio? Potrebbe essere una specie di atelier oppure un salotto culturale *-* O magari solo una noiosa sala di lettura.
Comunque ho sempre immaginato che i suoi componenti tendano a fare meno "gruppetto" delle altre Case, essendo degli individualisti e degli estrosi, e non è così strano che Emily (e Stuart) abbiano legato poco con i compagni di Casa.
Tornando al capitolo, Stuart il secchione è emerso dal suo secchio-scudo niente di meno che per fronteggiare signor gnoccaggine-Steeval. Uno a zero per lui.
Ora la palla torna al centro, però. Per chi tifate? Mue

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Capitolo 7
*** VI. Scuse inaspettate ***


VI.
Scuse inaspettate



«Allora?», tuonò Quebec con gli occhi neri fissi sui due contendenti, David con un braccio ormai completamente inzuppato di sangue, Stuart con la bacchetta ancora levata a mezz’aria. Nessuno dei presenti osò spiccicare parola.
Quebec, lo sguardo che mandava lampi, discese lentamente la scala, il lungo mantello scuro che gli svolazzava intorno ai calcagni. Si arrestò di fianco a David e lo trapassò con un’occhiata gelida.
«Steeval», disse, come se quel nome fosse già di per sé una condanna. Quebec detestava gli alunni di Grifondoro, era un fatto risaputo.
Il ragazzo, per nulla impaurito, mantenne lo sguardo fisso sull’uomo scuro di fronte a lui. «Stavamo solo discutendo, professore», dichiarò con un sorrisetto arrogante che gli costò una certa fatica, considerando il dolore che gli procurava il braccio.
«Ma davvero?», commentò Quebec scandagliando il suo arto sanguinante, una visione da far invidia ai migliori film horror. «Stranamente ho come la sensazione che le tue discussioni, Steeval, non portino mai a nulla di buono, non è così? Dieci punti in meno a Grifondoro per il tuo tono arrogante. E se non mi spiegherai all’istante l’accaduto te ne toglierò altri dieci.»
Il volto di David si aprì in un sogghigno strafottente. «Ah sì? E allora?»
Le sopracciglia di Quebec si unirono in un’espressione che preannunciava una delle sue sfuriate leggendarie, di quelle che facevano pentire persino allo studente più testardo e coraggioso il giorno in cui era nato.
Emily detestava David con tutto il suo cuore: avrebbe voluto vederlo appeso urlante al Platano Picchiatore o agonizzare di paura in mezzo alla Foresta Proibita, o avvinto tra le spire di una Fungiliana… lo avrebbe voluto con tutta sé stessa. E allora perché, perché si mise in mezzo?
«Professore, è stato un incidente.»
Emily tremò mentre la testa dai capelli color rosso cupo dell’insegnante si voltava piano, quasi al rallentatore nella sua direzione.
«Prego, Hale?», fece Quebec gelido. Evidentemente non poteva credere davvero di essere stato interrotto dalla sua studentessa più remissiva e diligente.
Il cuore le balzò in gola ma Emily, con tutto il coraggio che riuscì a raccogliere , parlò di nuovo. «Dico sul serio, è stato solo un incidente.»
Quebec lanciò un’occhiata sarcastica al braccio di Steeval. «Solo un incidente, dici, Hale?»
Emily lanciò un’occhiata a Stuart in cerca di aiuto, ma il ragazzo, dopo aver abbassato la bacchetta, la stava guardando attonito, come se faticasse a credere alle proprie orecchie.
«Sì, io…», disse Emily alla ricerca febbrile di una scusa credibile. «Io… io ho chiesto a Stuart di farmi vedere un incantesimo, e lui per sbaglio ha colpito Steeval.»
Quebec la trafisse da cima a fondo con gli occhi: evidentemente non credeva a una sola delle sue parole. Si girò dunque verso Stuart, lì accanto e lo scrutò con attenzione. «È vero, Dunneth?»
Stuart non rispose: guardava ancora Emily, e nel suo sguardo si poteva leggere un’incredulità pari quasi a quella del professore. Dopo un tempo che parve infinito, il ragazzo annuì con il capo.
«Sì, è vero», mentì con voce ferma.
Quebec passò gli occhi di fuoco da lui a Emily e viceversa, più volte. Poi, siccome si rese conto che non poteva dubitare della parola dei suoi studenti più brillanti, riluttante si raddrizzò. «Quand’è così», affermò ad alta voce, «dieci punti in meno anche a Corvonero.» Né Emily né Stuart fecero una piega. «E una bella punizione a te, Dunneth. È vietato fare magie nei corridoi.»
Emily fece per protestare, bianca in volto ma un’occhiata in tralice di Stuart la bloccò.
«Sta scherzando, vero?», esclamò ad alta voce David Steeval. Emily trasalì: si era quasi dimenticata di lui.
Quebec fece un sorrisetto maligno. «Già, dimenticavo: una anche a te, Steeval. Nel mio ufficio, tutti e due, la prossima settimana. E ora filate tutti nelle vostre aule. E tu, Steeval, vai in infermeria immediatamente: ti servirà parecchia energia per svolgere bene il compito che ti assegnerò.»
E su quella nota vagamente minacciosa si concluse la mattinata.

«Io lo uccido, lo tagli a pezzetti e li do tutti in pasto ai corvi, lo…»
«Drilla!», sibilò Emily.
Erano nella Sala Comune di Corvonero, sprofondate in un grande divano azzurro cielo, ed Emily aveva appena raccontato all’amica quello che era successo nella Sala d’Ingresso.
«Quel viscido verme di David Steeval…»; continuò a ringhiare Drilla aggressiva.
Emily dovette affrontarla in un duro corpo a corpo per calmarla e costringerla di nuovo a sedersi composta sul divano. «Lo so, hai ragione, si è meritato la punizione di Quebec.»
«Se l’è meritata? Si meriterebbe anche di peggio! Se ci fossi stata io l’avrei fatto a pezzi, non mi sarei limitata a un graffietto sul braccio. Quel lurido bamboccio! Si crede tanto bello solo perché un esercito di ragazzine gli sbava dietro, ma gliela farei vedere io a quel suo faccino da angelo…!»
«Anche Tristan ha un mucchio di ragazze che gli sbavano dietro», osservò casualmente Emily.
«Almeno quelle hanno buon gusto, non come quelle bagasce che corrono dietro a Steeval. Da non crederci! Ma alla partita vedrai se non lo butto giù dalla scopa…» E si mise a snocciolare vari piani uno più truculento dell’altro per portare a compimento quel progetto.
Emily non la ascoltava. Aveva visto la porta di pesante legno di quercia aprirsi ed entrarne Stuart, disordinato e assente come sempre. Fece per alzarsi e andargli incontro, ma quando lui incrociò il suo sguardo, si voltò e se ne andò, scomparendo oltre la porta del dormitorio maschile.
Emily ci restò di sasso: sentì un nodo stringerle spasmodico la gola e corse su nel dormitorio femminile prima di sentirsi male lì, in mezzo alla Sala Comune. Si lasciò cadere sul letto e si coprì gli occhi con un braccio.
Ecco, aveva sbagliato tutto. Come al solito, del resto. Stuart non le avrebbe più parlato, non dopo che per colpa sua era stato punito. Ma come, come le era venuto in mente di proteggere quell’idiota di David Steeval? Che cosa ci aveva guadagnato? Solo l’inimicizia dell’unica persona di quella torre, oltre a Drilla, che le aveva dimostrato un po’ di attenzione. Stupida, stupida, stupida!
Sentì la porta aprirsi e si rizzò su a sedere imbarazzata, temendo che qualcuno avrebbe potuto pensare chissà cosa vedendola in quello stato. Non serviva: era Drilla. Si avvicinò, si sedette sul letto e le cinse le spalle con un braccio con un sorriso comprensivo. Aveva visto tutta la scena.
«È proprio uno stupido. E tu più di lui.»
Emily, non riuscì mai a capire come, scoppiò a ridere e piangere insieme.

Stuart ed Emily non si parlarono più nei giorni seguenti. Drilla non vedeva l'ora di andare all'attacco e dargli, come diceva lei, una raddrizzata, ma Emily glielo impediva. Il ragazzo si sedeva lontano da loro e nonostante non sembrasse arrabbiato, ma solo vago e distante come sempre, non tentò mai di riappacificarsi con Emily.
David Steeval non si era visto in giro per due giorni interi; poi, il terzo, era ricomparso dal nulla con il braccio tornato perfettamente funzionale e l’aria arrogante di sempre.
Emily aveva avuto la sfortuna di imbattersi con lui in un corridoio, circondato dai suoi amici, tra cui anche Jamie, ma era riuscita a dileguarsi prima che il ragazzo potesse bloccarla. Non aveva nessuna intenzione di trovarsi faccia a faccia con lui, soprattutto ora che per colpa sua aveva litigato con Stuart.
Aveva ripreso a frequentare la biblioteca, sebbene Madama Oackes fosse molto più acida di prima nei suoi confronti. Emily non vi badò: tutto pur di tornare ad affondare nei suoi libri amati, dimenticandosi di quella vita orribile.
Un pomeriggio, dopo le lezioni, si era rifugiata nel suo solito posto, vicino alla finestra, al riparo dagli occhi della bibliotecaria, quando sentì qualcosa toccarle gentilmente una spalla.
Alzò lo sguardo sorpresa e per poco non gridò dallo spavento. Jamie Potter, alto, moro e sorridente, stava in piedi lì accanto e la guardava con i suoi occhi scintillanti.
«Ah, sei tu…», mormorò Emily con il cuore che batteva a mille per l’agitazione. Di tutte le persone che non voleva incontrare, lui era proprio il primo della lista.
Jamie fece una smorfia. «Scusa, da quando in qua sono diventato “tu”? Jamie, non ricordi?»
Emily chiuse il libro in cui era stata immersa fino ad un attimo prima con le mani tremanti. E se ne pentì subito: se l’avesse tenuto aperto avrebbe potuto benissimo di fari finta di essere troppo interessata alla lettura per aver voglia di parlare con lui. E invece niente. Maledizione.
«Che cosa fai qui?», chiese dopo un po’, imbarazzata perché lui non parlava e continuava a fissarla.
«Oh, già!», esclamò Jamie, battendosi una mano sulla fronte. «Vedendoti me n’ero scordato, scusa! Be’, sono qui per conto di David.»
Emily spalancò gli occhi enormi. «Co… cosa?», balbettò.
«Non preoccuparti, non è niente di cattivo. Vuole ringraziarti, ma dato che sembra che tu non voglia parlargli ha chiesto a me di farlo.»
Emily era incredula. «Mi stai prendendo in giro, vero?»
Jamie si accigliò. «No, per niente. Dico sul serio.»
«Non è possibile», irruppe in tono acuto Emily. David che ringraziava lei? Ma che stava succedendo, il mondo si era capovolto improvvisamente? «E di che cosa dovrebbe ringraziarmi?», chiese perplessa poi.
Jamie scoppiò a ridere. «Di’ un po’, fai così tanti favori in un giorno da non ricordartene più uno come quello che hai fatto a lui?»
Emily non rispose.
«È per l’altro giorno, quando hai mentito a Quebec per toglierlo dai guai», spiegò Jamie, poi arricciò il naso seccato. «È stato davvero stupido a rispondergli così, lo sa com’è fatto quel tiranno, ma non riesce mai a ragionare prima di parlare.»
Emily rimase un attimo senza parole, poi si ricordò che per colpa di quel giorno non parlava più con Stuart e si irritò. «Non mi interessano i suoi ringraziamenti», mormorò amara.
Jamie diventò improvvisamente serio. «Lo so che ti ha offeso. Sono qui anche per questo: David vuole scusarsi per come ti ha trattato dopo che… insomma, dopo l’incidente alle serre.»
Emily lo fissò sbalordita per controllare che non la stesse prendendo in giro, ma lui era serissimo. «Non può essere vero.»
Jamie fece di nuovo una smorfia. «Oh, sì che è vero, te l’assicuro. E se non ti basta, te lo assicurano anche i miei lividi: abbiamo avuto una discussione molto animata in proposito ma mi ha dato ragione», concluse orgoglioso.
«Cosa? Vi siete… vi siete azzuffati?», farfugliò Emily sbiancando. «Per… per colpa mia?»
Jamie sogghignò. «Adesso non esageriamo, azzuffati è una parola grossa. Diciamo che David è un emerito idiota, a volte, e bisogna rimetterlo in riga quando serve. Comunque è mio amico, e ti assicuro che non è cattivo come sembra. Allora, lo scusi?»
Emily era ammutolita. Che cosa doveva dire?
Jamie la guardò serio. «Senti, so quello che stai pensando: dovrebbe venire lui a scusarsi qui, è vero, ma non sai quanta fatica mi è costata costringerlo anche solo a mandare me. Ma se proprio vuoi che venga lui, dovrò obbligarlo, e non so quanto dovrò andarci pesante …»
Emily, pallidissima, boccheggiò. «No, non devi! È scusato , ma non…»
Lui scoppiò a ridere. «Per essere una delle più brave della scuola, sei proprio ingenua!», la prese in giro battendole una nocca sulla fronte. «Stavo scherzando, non voglio azzuffarmi di nuovo con lui.»
Emily si massaggiò la fronte. «Ma… vi siete davvero picchiati, allora?»
Jamie scrollò le spalle. «Ogni tanto capita tra amici di avere divergenze d’opinioni. Allora, è scusato o no?»
Emily abbassò lo sguardo arrossendo. «Sì.»
Il volto del ragazzo si aprì in un gran sorriso felice. «Per fortuna. Per un attimo ho pensato davvero di dover fare un’altra rissa con lui, e non è una cosa molto piacevole. Grazie!»
«Di… di niente», rispose Emily imbarazzata.
In quel momento l’antico orologio a pendolo della biblioteca batté le sette, l’ora di cena.
«È meglio scendere», affermò Jamie.
Emily annuì e uscì dalla biblioteca insieme a lui.
«Senti, posso chiederti un’altra cosa? Perché eviti mio fratello?»
Emily arrossì. «Mi dispiace, non volevo evitarlo, è stato... un malinteso», si scusò.
Jamie la guardava perplesso, ma poiché lei non voleva parlarne alzò le spalle. «Come vuoi. Ma può tornare a parlarti, adesso?»
«Ma certo che può!», lo rassicurò calorosamente lei.
«Fantastico. E un’ultima cosa…»
Emily alzò lo sguardo sul suo viso, interrogativa.
«Le Fungiliane possono essere letali? Perché io a David pensavamo di farne levitare un vaso sul comodino di Quebec mentre dormiva e speravamo…»



Note:
Ben ritrovati.
James torna ad apparire nella storia e stavolta riesce anche a fare bella figura. Che dopotutto non sia così odioso come Emily credeva? Che lei riesca alla fine ad abituarsi a quell'aura dorata che lo circonda e che finora l'ha solo abbagliata fastidiosamente? Magari troverà l'interruttore per spegnerla? ;) Grazie ancora a chi legge, a presto!
Mue

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Capitolo 8
*** VII. Nella notte ***


VII.
Nella notte

 

Emily era sdraiata nel suo letto, le coperte tirate su fino al mento.
Sentiva distintamente il respiro pesante e cadenzato delle sue compagne addormentate e il ticchettio dell’orologio sul comodino. Soprattutto il ticchettio.
Provò a chiudere gli occhi ed addormentarsi per la centesima volta quella notte ma non ci riuscì. Alla fine, irritata, scostò le coperte, raggiunse l’orologio e la bacchetta e mormorò pianissimo: «Lumos!»
La punta della bacchetta sfavillò e rivelò il letto sfatto circondato dalle pesanti tende di velluto blu scuro. Emily la avvicinò al quadrante dell’orologio: mezzanotte passata.
Sospirò e si mise in ginocchio, pensando.
Quella sera, dopo cena, Stuart e David si erano alzati dai rispettivi tavoli ed erano usciti fianco a fianco dalla Sala Grande senza rivolgersi la parola. Emily aveva cercato per tutta la cena un’occasione per riappacificarsi con Stuart, per spiegargli, parlargli almeno, ma non era riuscita nemmeno ad avvicinarsi. Drilla, che sarebbe stata utilissima in quell’occasione, era agli allenamenti ed era tornata fradicia e di malumore solo quando i due ragazzi erano già andati via.
Emily scrutò assente per qualche attimo l’orologio. Poi sospirò e si decise.
Scese lentamente dal letto a baldacchino, si guardò intorno per controllare di non aver svegliato nessuna delle altre, si infilò più velocemente che poté un paio di vestiti a caso e sgusciò fuori. Stava per fare una cosa molto stupida, la più temeraria della sua vita, ma per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare un altro modo per parlare a Stuart a tu per tu che quello di farlo quella notte. Doveva scusarsi, doveva farlo subito.
Pensando a quello che stava per fare, tremò.
Scivolò fuori dalla porta della Sala Comune, chiudendosela alle spalle più piano che poté e scese le scale a chiocciola rapida e silenziosa.
Una volta arrivata nel corridoio, si guardò intorno per controllare che non ci fosse nessuno e scivolò lungo di esso incamminandosi verso l’ufficio dell’insegnante di Aritmanzia, al secondo piano. Prese un paio di passaggi segreti, ringraziando mentalmente Drilla che le aveva insegnato la posizione di quelli più utili, e arrivò al corridoio dove si affacciava l’ufficio in questione.
Una luce tenue emanava da sotto la porta di esso. Emily rimase un attimo nell’ombra, indecisa su cosa fosse meglio fare. Provare ad aprire la porta era fuori questione: se ci fosse stato dentro Quebec l’avrebbe colta in flagrante, e il minimo che Emily si sarebbe beccata sarebbe stata una punizione di un mese.
Così si accucciò dietro una statua, sperando di essere il meno visibile possibile, si portò le ginocchia al petto e attese.
I rumori della scuola di notte erano inquietanti, nulla a che vedere con il caos diurno che regnava in quelle stanze. Le scale animate, sebbene distanti, emettevano gemiti e scricchiolii inquietanti, spostandosi da un pianerottolo all’altro. Le armature ogni tanto si muovevano sgranchendosi le giunture metalliche. I ritratti russavano e respiravano piano, e talvolta mandavano una leggera imprecazione nel sonno; ogni volta che Emily sentiva uno di questi rumori sobbalzava. Aveva paura.
Le venne in mente solo in quel momento che avrebbe potuto aspettarlo nella Sala Comune. Che stupida, perchè non ci aveva pensato? Ma ormai era lì, e aver girovagato per la scuola per poi tornare al dormitorio le pareva ancor più rischioso che restare immobile dov'era.
Pian piano, mentre il tempo passava, si abituò un po’ ai rumori, smise di tremare e cominciò a sentire il sonno che la cingeva tra le sue spire. Una o due volte sbatté gli occhi violentemente, rendendosi di essere sul punto di addormentarsi. La terza volta che accadde non fece in tempo: cadde in un sonno profondo.

«Pssst, ehi!»
Emily fece per gridare quando il sibilo fastidioso le soffiò nell’orecchio, ma una mano le tappò la bocca e glielo impedì.
Alzò gli occhi e si ritrovò davanti la faccia divertita di David Steeval. Arrossì, cercò di divincolarsi, ma lui la immobilizzò con una mano e la trascinò in piedi.
«Ehi, calmati, vuoi farti scoprire?», le mormorò scocciato. Senza che Emily potesse impedirglielo la trascinò nel passaggio segreto più vicino, dietro ad un arazzo e finalmente le tolse la mano dalla bocca.
«Ma dico, sei impazzita? Pensa se Quebec ti sentiva!»
Emily respirò a fondo; con la sua mano sulla bocca era quasi andata in apnea. «Perché mi hai tappato la bocca?», balbettò rossa in volto. Per fortuna che erano al buio e non poteva vederla.
«Perché stavi per urlare, stupida! Sei proprio impressionabile! Che cosa facevi lì a dormire dietro una statua? Non ce l’hai un letto? Te l’ha rubato qualcuno?» Stava sghignazzando.
Emily sentì le sue guance infiammarsi ancor di più; innervosita, fece per sgusciare fuori dall’arazzo, ma il ragazzo sembrò intuire quello che voleva fare, perché la afferrò per un braccio e la trascinò indietro.
«Dove vai? Guarda che c'è Quebec in giro», le sibilò.
«Non… non sono affari tuoi», replicò Emily con la voce tremante.
David rimase zitto un attimo. «Già, in effetti è vero. Fai come vuoi, ma non farti beccare! Io torno in dormitorio» La lasciò andare e uscì fuori dall’arazzo, lasciandola sola.
Emily rimase un attimo immobile poi, maledicendosi, uscì fuori e lo inseguì. «Aspetta per favore!», lo chiamò sottovoce guardandosi nervosamente intorno.
David si fermò e si voltò, ed Emily per poco non gli andò addosso. Non riusciva a vedere niente con tutto quel buio.
«Che c’è?», chiese lui in tono seccato.
«Io…», balbettò Emily. «Sai… sai dov’è Stuart?»
Sentì David sogghignare nel buio. «Ah, è il tuo cavaliere difensore che cerchi? Dovevo immaginarlo.»
Emily si impose di non scappare via da quel ragazzo odioso prima di aver scoperto quello che le interessava sapere: sa Stuart non era più lì aveva corso un rischio inutilmente. Perché, perché si era addormentata?
«Dov’è?», insisté flebilmente.
David scrollò le spalle. «Perché dovrei dirtelo? Non sono affari miei, no?»
Emily strinse i denti. «Per favore», lo supplicò.
David sogghignò: sembrava molto felice di tenerla così sulle spine. «Ci tieni davvero tanto a saperlo, eh?»
«Sì», rispose tra i denti. Quanto lo odiava!
Emily non capì come, con tutto il buio che c’era, ma lui dovette leggerle in faccia quello che pensava. «Mi detesti proprio, eh?» Chissà perché, ma sembrava perversamente compiaciuto di farsi odiare così da qualcuno.
«Ho capito. Grazie lo stesso. Buonanotte.» Emily girò i tacchi e aveva fatto solo tre passi quando il ragazzo la richiamò indietro.
«Aspetta, stavo solo scherzando! Certo che non hai proprio il senso dell’umorismo! Ma d’altronde che c’è da aspettarsi da una secchiona? Non capisco proprio come fai a essere simpatica a Jamie.» La squadrò da cima a fondo. «Comunque, se cerchi il tuo amichetto permaloso, è andato via cinque minuti fa, su per quella scala.»
Emily riuscì a vederlo nell’oscurità indicare una direzione.
«Ma io non andrei a cercarlo, se fossi in te. Vi caccereste entrambi nei guai.»
Emily non replicò. «Buonanotte.» E guizzò nella direzione che David le aveva indicato senza più dargli retta. Meno parlava con David Steeval, meno probabilità aveva di farsi venire un attacco isterico: quel ragazzo era davvero insostenibile, checché ne dicesse Jamie Potter.
Sulla cima degli scalini arrivò ad un corridoio su cui si affacciavano diverse finestre. La luce della luna penetrava attraverso i vetri, gettando ombre cupe sul tappeto rosso disteso sul pavimento. Emily riconobbe subito il posto: era il corridoio che portava all’infermeria.
Scorse un’ombra muoversi all’altra estremità. Il cuore le balzò in gola. Stuart? O qualcos’altro? Indecisa, restò immobile nel buio, temendo di aver fatto rumore nel salire le scale. E se fosse stato un insegnante? Indietreggiò di nuovo nella direzione da cui era venuta.
Qualcosa si mosse di nuovo in fondo al corridoio, facendole andare il battito del cuore a mille. Poi sentì una voce, un mormorio.
«Emily?»
Stuart emerse dalle tenebre, pallido e indefinito nel cono di luce gettato dalle finestre.
«Stuart!», esclamò Emily immensamente sollevata.
Il ragazzo si avvicinò a passi lenti e silenziosi. «Cosa fai qui?»
Emily, rendendosi conto solo in quel momento dell’assurdità della situazione, deglutì sonoramente. «Io… ero venuta… per parlare con te», confessò.
Stuart ebbe un moto di sorpresa. «Davvero? Perché?»
«Perché… perché altrimenti non riesco mai a farlo.»
Stuart sorrise scuotendo la testa. «Ah no? Di giorno siamo seduti a quattro posti di distanza quando mangiamo, e anche a lezione. Non potevi farlo in quel momento?»
Emily si accigliò. «Certo che l’avrei fatto, ma tu mi evitavi!»
Stuart ammutolì. «Cosa vuoi?», domandò brusco.
Lei impallidì. «Volevo… chiederti scusa.»
«Chiedermi… scusa?», ripeté lui senza capire.
Emily abbassò lo sguardo in attesa.
«Perché?»
«Ma come perché? Per colpa mia Quebec ti ha punito! Mi dispiace tanto, Stuart! Non credevo che lo avrebbe fatto, altrimenti non avrei mai difeso David Steeval.»
Stuart ebbe un attimo di esitazione. «Credevo l’avessi fatto per liberarti di me», confessò poi riluttante.
Emily aprì la bocca, sbalordita. «Liberarmi di te? E perché avrei dovuto liberami di te?»
Stuart la guardò corrucciato. «Non lo so. Forse perché…», impallidì e non terminò la frase.
«Perché…?», lo incoraggiò Emily.
«No, niente», tagliò corto lui. «Davvero non è… per quello? Ma allora perché hai difeso Steeval? Pensavo lo odiassi.»
Emily avvampò di rabbia. «Certo che lo odio. Non ho la più pallida idea di quello che mi è saltato in mente in quel momento!» Alzò lo sguardo e lo fissò negli occhi. «Mi dispiace molto di quello che è successo.»
Stuart sorrise comprensivo. «A me no.»
Emily strabuzzò gli occhi.
«Almeno così non se la prenderà più con te, no?», chiarì lui.
Emily sorrise pensando a poco prima. «Credo che da questo siamo ancora distanti anni luce.»
«Ti ha detto qualcos’altro?», sbottò Stuart improvvisamente aggressivo.
«No, no!», rispose in fretta lei. «Ma non credo che abbasserà la cresta per così poco. Comunque grazie mille per… per avermi difeso.» Arrossì violentemente.
«Di nulla…», cominciò lui.
«CHI C’È LÌ?», urlò una voce bassa e minacciosa.
Sobbalzarono tutti e due, come se si fossero appena presi una scossa elettrica: Quebec.
Emily rimase paralizzata, ma Stuart fu più pronto di lei: la afferrò per un braccio e la trascinò nell’oscurità, raggiungendo il muro dall’altra parte del corridoio. Poi prese la bacchetta e la batté su di esso mormorando qualcosa.
Dei passi pesanti risuonarono lungo le scale e una luce rossa improvvisa illuminò il buio. Il muro si spalancò inghiottendoli un attimo prima che Quebec comparisse sul pianerottolo, avvolto in un lungo mantello nero come sempre, una fiamma sfavillante che lo seguiva levitando a mezz’aria.
«SO CHE SIETE QUI! USCITE FUORI SUBITO!»
Emily trattenne il fiato riconoscendo subito il passaggio dove si erano nascosti: era lo stesso che avevano preso il giorno dell’incidente alle serre.
Rimasero lì, immobili, per un tempo che parve un’eternità, poi udirono i passi dell’insegnante allontanarsi dal corridoio e scendere di nuovo le scale. Se n’era andato.
Emily si rese finalmente conto di essersi stretta a Stuart per la paura, e lo mollò, scostandosi, rossa in volto. Stuart non fece una piega e ascoltò ancora un attimo, per essere certo che Quebec se ne fosse andato.
In quel breve attimo di silenzio totale a Emily parve di sentire qualcosa: la goccia che cadeva nel cunicolo sottostante e… una voce? Tese l’orecchio, ma non avvertì nulla. Doveva essersi sbagliata.
Tuttavia, guardando in basso, man mano che i suoi occhi si abituavano all’oscurità, riuscì a intravedere un alone verde-azzurro provenire dal fondo delle scale. Rabbrividì.
«Stuart…», mormorò impaurita avvicinandosi al ragazzo.
«Che c’è?», fece lui teso.
«Laggiù c’è… una luce», disse, indicando le scale che scendevano in basso tortuose. «Non la vedi?»
Stuart si accigliò. «Non vedo nessuna luce», ribatté brusco. «Quebec se n’è andato. Coraggio, dobbiamo tornare in dormitorio.»
Emily esitò. «Ma…», obbiettò fissando l’alone debole ma distinto che vibrava nel buio.
«Andiamo!», sbottò Stuart prendendola per una manica con violenza e trascinandola attraverso il varco nel muro che aveva aperto di nuovo.
Emily ci rimase così male che non osò opporsi e si lasciò guidare docile lungo i passaggi segreti e i corridoi bui di Hogwarts, fino al dormitorio. Quando infine ci arrivarono e Stuart rispondeva all’indovinello per entrare, lasciandola finalmente andare, Emily lo fissò con gli occhi spalancati.
L’aveva vista, ne era sicura, aveva visto anche lui quella luce. E allora perché aveva mentito? Che cosa stava nascondendo?

Note:
Bentornati.
Già, che cosa sta nascondendo Stuart? Emily forse avrebbe fatto meglio a starsene sotto le coperte in dormitorio ma anche i più timorosi e razionali possono avere dei momenti di follia e stavolta è toccate a lei.
Che cosa le porterà la sua improvvisa temerarietà? Restate sintonizzati e lo saprete!
Aspetto vostri commenti,
Mue
 

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Capitolo 9
*** VIII. Vittoria e sconfitta ***


VIII.
Vittoria e sconfitta


Stuart, nei giorni seguenti, tornò distratto e amichevole come sempre e ricominciò a frequentare i posti accanto ad Emily e Drilla durante i pasti e le lezioni.
Emily non parlò più dell’alone di luce sinistra che aveva veduto nel passaggio segreto, ma non poteva fare a meno di sospettare che Stuart stesse nascondendo qualcosa.
Drilla, dal canto suo, avrebbe volentieri fatto la ramanzina a Stuart per il suo comportamento stupido, ma era troppo agitata per un altro evento: la partita di Quidditch.
Il giorno fatidico dell’incontro tra Corvonero e Grifondoro arrivò perfino troppo presto e, contrariamente a tutte le giornate che si erano susseguite fino ad allora, un timido sole fece capolino tra le nubi, pallido, certo, ma abbastanza per risollevare d’umore Drilla e tutti gli appassionati che avrebbero seguito la partita.
Emily, ovviamente, anche se non poteva annoverarsi tra gli appassionati, avrebbe assistito lealmente tifando, per quanto avrebbe potuto con la sua vocina timida, Drilla e gli altri della sua squadra. Stuart, indeciso, alla fine scelse di accompagnare Emily, terrorizzata all’idea di restare sola in mezzo ad una folla scalmanata di tifosi.
La mattina fatale Tristan Vidal si presentò più fiero e affascinante che mai alla tavola di Corvonero, mandando per un attimo in tilt le funzioni cerebrali di Drilla. E, con grande gioia di quest’ultima, si sedette proprio accanto al gruppetto dei tre amici. Il ragazzo scambiò un cenno del capo con Stuart, quindi fece un sorriso amichevole a Emily e si rivolse a Drilla.
«Pronta per la grande prova?», chiese eccitato.
Drilla annuì. «Dovessero mandare in campo un drago, li batteremo!», dichiarò entusiasticamente.
Tristan sorrise. «Quanto al drago, non saprei, ma c’è Potter. Sinceramente non ho molte speranze sul fatto che Ellen riuscirà a soffiargli il Boccino. Dovremo contare soprattutto sui Cacciatori.» E qui guardò compiaciuto Drilla, che ricopriva appunto quel ruolo e che andò in brodo di giuggiole.
«Fidati di me, Tristan. Tu, piuttosto, non farne passare nemmeno una, di Pluffa!»
Tristan annuì. «Li farò sudare per guadagnarsi qualche punto: ma dobbiamo stare molto attenti comunque.»
Emily, che durante quel discorso aveva fatto vagare lo sguardo sulla sala, lo posò quasi inconsapevolmente sul tavolo di Grifondoro. Jamie Potter e David Steeval, entrambi membri della squadra di Quidditch della loro Casa, ridevano e scherzavano tra loro, apparentemente rilassati. Emily provò per un solo, fuggevole istante il desiderio di poter ascoltare i loro discorsi o, meglio, quelli di Jamie: non sapeva perché ma da qualche tempo -da quando si erano incontrati per la seconda volta in biblioteca- incontrare Jamie nei corridoi e intercettare i suoi sorrisi era diventato insolitamente gradevole. 
Non essere stupida, Emily: non farti incantare anche tu da mister Celebrità, non è proprio il caso. 
Sospirò e tornò ai suoi due vicini, che ora discutevano animatamente della strategia da adottare in campo.
Alla fine della colazione si diressero tutti verso il grande stadio che sorgeva poco lontano dal castello, attraversando il grande prato verde che lo divideva da esso. Drilla era allegra e fischiettava, Stuart ed Emily erano silenziosi.
«Sei davvero sicura che vincerete?», chiese ad un tratto Emily a Drilla.
Il suo fischio si incrinò un attimo e le sue sopracciglia si aggrottarono. «No, la squadra di Potter è molto forte. Sarà dura sconfiggerli.»
«Ma stamattina…»
«Oh, andiamo Emy, non potevo mica dire a Tristan che avevo paura, no? Ma davvero sarà difficile che Ellen riesca a sconfiggere Potter, e se non riusciamo a superarli nel punteggio di centocinquanta punti…»
Le sue elucubrazioni scemarono in un silenzio pensieroso. Evidentemente stava riflettendo sulle possibilità che si sarebbero profilate per Corvonero se fossero stati battuti.
Arrivati agli spogliatoi, Emily e Stuart lasciarono Drilla ai suoi compagni e salirono sugli spalti. Ci volle parecchio tempo per trovare dei posti liberi, ma alla fine riuscirono a trovare due sedie vuote accanto ad Al Potter e Rose Weasley.
Quando Emily si sedette esitante accanto ad Al, questo si girò e le fece un gran sorriso. «Ciao Emily.»
«Ciao Al», rispose lei timidamente. Non sapeva ancora come comportarsi con lui: lo aveva evitato per un sacco di tempo e non gli aveva nemmeno spiegato perché. Doveva farlo ora?
«Mio fratello mi ha detto che ha parlato con te. Era colpa di David, allora, vero?», chiese lui senza mezzi termini.
Emily arrossì. «No, non è colpa di nessuno…», cercò di schermirsi.
Al scrollò le spalle. «Non preoccuparti, David non piace nemmeno a me. È troppo pieno di sé.» Si sporse per guardare oltre di lei. «Ciao Stuart.»
Stuart si voltò, sorpreso. «Ciao Albus», rispose incerto.
Al sorrise anche a lui. «Gran bell’attacco contro David. Complimenti.»
Stuart, stupito, non rispose; evidentemente non sapeva come reagire a quel trattamento amichevole. Emily sorrise tra sé allo smarrimento dell’amico. Ma nessuno poté dire più nulla perché in quel momento Oscar Lotus, professore di Volo, uscì in campo seguito dalle due file ordinate di giocatori, rispettivamente in divisa rosso fuoco e blu oceano.
«Datevi le mani», intimò allegramente Lotus, eccitato almeno quanto i giocatori.
Tristan e Jamie si fecero avanti e si strinsero le mani; Jamie sogghignava ma Tristan, serissimo, non batté ciglio, mantenendo un’espressione concentrata.
I giocatori si disposero.
«In sella alle scope», scandì Lotus, ed entrambe le squadre obbedirono simultaneamente. Emily poté vedere Drilla, feroce nella sua divisa, fronteggiare David Steeval, che sorrideva pigramente, quasi come ritenesse di aver già vinto la partita.
Poi Lotus fischiò e la partita ebbe inizio.
Quattordici figure colorate sfrecciarono nel cielo, talmente veloci da apparire quasi indistinte.
Ellen Galway, Cercatrice di Corvonero e Jamie iniziarono a descrivere ampi e rapidi cerchi e spirali attorno al campo, in cerca del Boccino.
Al si alzò in piedi e incitò il fratello maggiore, che passò a un soffio da loro e mandò un sorriso ad Al e, quando la vide, a Emily.
Intanto il gioco tra i Cacciatori aveva perso le lente fasi iniziali e si era fatto violento. La Pluffa saettava da un giocatore all’altro, quasi invisibile.
Drilla volava molto bene. Evitò con uno scarto agile Austen di Grifondoro e segnò il primo goal nella porta, spiazzando il portiere, Jeffrey. Fece un giro intero del campo con il pugno alzato per festeggiare.
I Cacciatori di Corvonero riuscirono a segnare altri tre goal prima che Steeval, venendo fuori dal nulla, rubasse la palla a Drilla e segnasse dieci punti per Grifondoro. L’ala scarlatta dello stadio scoppiò in un boato di gioia.
Drilla, infuriata per essersi fatta giocare da un elemento come Steeval, ripartì all’attacco. La partita si fece rapida e brutale. I Battitori delle due squadre colpivano i Bolidi senza pietà, non risparmiando nessun giocatore. Quando uno particolarmente violento colpì in pieno volto Derek Wyler di Corvonero, Lotus assegnò un rigore alla sua squadra, che fu messo in rete senza difficoltà.
I Corvonero esultavano. Emily, frastornata da tutto quel caos, guardò il punteggio: centosettanta per Corvonero, quaranta per Grifondoro. Ricordò quello che avevano detto Drilla e Tristan quel mattino. Se segnano ancora tre goal potranno vincere anche se Jamie prende il Boccino, si rese conto.
Stuart, al suo fianco, guardava il gioco, immobile. «Perderanno», disse ad un tratto.
«Perderà chi?», chiese Emily urlando per farsi sentire in mezzo alle urla.
«I nostri», rispose lui nel suo orecchio. «Potter prenderà il Boccino prima, non vedi?»
Emily si voltò a guardare Jamie, ma nel campo non lo vide. Lo cercò con gli occhi e finalmente lo individuò. Era in alto, molto in alto, e stava filando a tutta velocità verso…
«Il Boccino d’Oro», esclamò trattenendo il fiato Al.
Emily guardò il campo. Ellen si era resa conto solo in quel momento di quello che stava succedendo; si era appiattita sulla scopa e stava filando a tutta velocità tallonando Jamie.
«Non ce la farà mai», commentò asciutto Stuart. Ed Emily non poté fare a meno di trovarsi d’accordo con lui. Aveva perso troppo terreno rispetto a Jamie, che sulla sua Firebolt Galaxy saettava velocissimo. Ormai era vicino.
Poi accadde qualcosa.
«NO!», gridarono Rose a Al all’unisono.
Emily trattenne il fiato e si aggrappò a Stuart, a cui si era a sua volta mozzato il respiro.
L’intero pubblico proruppe in un grido soffocato.
York, il possente Battitore di Corvonero, aveva colpito un Bolide un secondo prima che Jamie arrivasse al Boccino. E nel momento stesso in cui Jamie allungò il braccio per prendere la sfera dorata, il Bolide gli arrivò dritto in pieno addome, facendo fare tre giri della morte alla scopa che iniziò a precipitare.
Emily urlò, Rose pure, Al ammutolì. Stuart era immobilizzato al suo posto.
Jamie precipitava, precipitava, precipitava…poi, all’ultimo istante, la scopa si raddrizzò e con una picchiata da brivido Jamie atterrò nel campo erboso con un sorriso misto a una smorfia di dolore, un braccio attorno alla pancia dolorante. Scese a fatica dalla scopa, si guardò intorno per un attimo, poi alzò il pugno, in cui tutti poterono distinguere un bagliore dorato che sfavillò nel sole pallido di quella giornata.
Il silenzio che fino ad un attimo prima aveva avvolto in una cappa lo stadio, si ruppe, e i tifosi di Grifondoro scoppiarono in un boato assordante.
Avevano vinto, centonovanta a centosettanta.
I giocatori in divisa rossa scesero sul prato e quasi saltarono addosso a Jamie. La squadra di Corvonero atterrò a sua volta, lentamente, con la calma dei vinti.
«Coraggio, scendiamo. Drilla avrà bisogno di te», mormorò Stuart a Emily. Lei annuì, dispiaciuta per l’amica, e salutò con un cenno della mano il festante Al.
Raggiunsero Drilla e gli altri nel campo, poco lontano dai Grifondoro che festeggiavano dandosi calorose pacche sulle spalle gli uni gli altri. Tristan sorrideva triste, ma sembrava rassegnato. Drilla, invece, stava dritta con la scopa in mano e guardava disgustata gli avversari esultanti.
Emily le si avvicinò. «Coraggio, Drilla, vincerete la prossima…»
Drilla scostò la mano di Emily, irritata. «Da non credere. Battuta da un essere inferiore come Steeval.»
Quest’ultimo, purtroppo, la sentì, perché si scostò dal gruppo dei suoi compagni e si avvicinò. «Bada a come parli, Corvaccio. Se vuoi dire qualcosa alle persone diglielo in faccia», ingiunse in tono insolente.
Drilla non se lo fece ripetere due volte. «Non ho nessun problema a dirti, Steeval, che sei un testa di Troll e per quanto tu ti sforzerai di migliorarti, rimarrai tale per il resto della tua vita.»
Steeval fece una smorfia strana, mostrando i denti. «Invidiosa, eh? Io resterò un emerito imbecille a vita, ma tu, ragazzetta, resterai una stupida civetta zitella a vita!»
Forse, se Tristan non fosse stato dietro di lei e avesse sentito tutto, se David avesse chiesto scusa subito dopo quelle parole, se Drilla fosse stata di buon umore gliel’avrebbe perdonata. Ma nessuna di queste tre felici circostanze si verificò in quel momento: Tristan sentì tutto, Steeval non chiese scusa ma sogghignò arrogante e Drilla era di pessimo umore.
Perciò risultò piuttosto logico che estraesse la bacchetta dai vestiti di Quidditch e la puntasse feroce contro David. E, ovviamente, fu ugualmente logico che David estraesse a sua volta la sua e la puntasse contro Drilla.
«Ritira quello che hai detto e chiedi scusa in ginocchio!», intimò iraconda Drilla.
«Abbassa quella bacchetta o ti trasformerò in quello che già sei, una stupida cornacchia», ribatté acido David.
Quello fu troppo.
Drilla si dimenticò persino della bacchetta, lanciandola di lato, e si avventò contro David a testa bassa. Evidentemente era l’ultima cosa che il ragazzo si aspettava, perché non fu abbastanza rapido e vacillò, colpito da un pugno dritto alla mascella. Furente, afferrò per il polso Drilla, che cominciò a divincolarsi e calciarlo negli stinchi, facendogli perdere l’equilibrio. Ne seguì una zuffa come mai Emily ne aveva veduta una.
«David, piantala!», urlò Jamie intervenendo nella mischia e prendendosi come ricompensa un colpo in pieno volto.
«Smettila, per favore!», Emily implorò Drilla cercando di trattenerla, ma lei, infinitamente più forte, ebbe facilmente la meglio su di lei e si preparò a ripartire all’attacco.
«COSA DIAVOLO STATE FACENDO?!»
Quebec era apparso tra gli studenti, e li stava fulminando dall’alto della sua statura, minaccioso. Tutti e quattro i ragazzi si staccarono gli uni dagli altri.
«Professore…», iniziò Jamie raddrizzandosi.
«Ti ho interpellato, Potter? NO, e allora taci!» Passò gli occhi dardeggianti sulla scena che gli si presentava davanti e ringhiò. «Ma bene, una rissa in campo! E, guarda guarda, i partecipanti non sono altro che due, e dico due Grifondoro, tra cui tu, Steeval. Stavi discutendo anche stavolta?»
Steeval fece un sorrisetto irrispettoso. «Proprio così.»
Quebec strinse i denti. «Bene, vedo che la scorsa punizione non ti ha fatto passare la voglia di fare il furbo. Vorrà dire che te ne darò un’altra, per vedere se ti passeranno i bollenti spiriti.» Fece girare lo sguardo agli altri tre. «E lo stesso vale per voi. E sarà memorabile!»
Emily e Jamie si scambiarono un’occhiata sconsolata: ecco, ora erano tutti nei guai. Grossi guai.

 

Note:
Se ve lo state chiedendo, sì, Quebec è lo spirito di Piton reincarnato in un uomo più alto, scuro e minaccioso di lui, quindi un malvagio dittatore a pieno titolo.
So di aver creato io stessa David Steeval ma a volte è così irritante che non ho saputo resistere alla tentazione di farlo picchiare da Drilla. Dite che ho esagerato? Ma no!
Aggiorno velocemente perché voglio postare presto anche il seguito ma voi leggete pure con calma e, mi raccomando, lasciatemi tanti bei commenti *-*
Mue

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Capitolo 10
*** IX. Terrore sull'acqua ***



IX.
Terrore sull’acqua

 

Se solo due mesi prima qualcuno avesse detto a Emily che sarebbe finita in punizione insieme a James Potter per essersi impicciata in una rissa tra la sua migliore amica e David Steeval, probabilmente Emily gli avrebbe riso in faccia.
Invece non era altro che l’orribile verità. E, ancora peggio, Quebec aveva deciso di mandare una lettera ai genitori di ciascuno di loro. Jamie e David non avevano problemi, combinavano talmente tanti guai da non avere più da secoli lo spauracchio della lettera di casa. Drilla idem, senza contare che aveva altri quattro fratelli più piccoli e i suoi genitori avevano ben altro da fare che preoccuparsi delle zuffe della figlia.
Emily, invece, era figlia unica, oltre che unica strega di una famiglia che da generazioni, forse secoli e secoli non vedeva nel suo codice genetico altro che Babbani su Babbani.
Ricordava ancora quando aveva ricevuto la lettera da Hogwarts: i suoi genitori erano rimasti allucinati, pensavano che fosse uno scherzo. Poi, però, ne erano arrivate altre due e la famiglia aveva deciso di scoprire finalmente cosa ci stava dietro. E l’aveva scoperto: un mondo magico che nemmeno nei sogni più assurdi di ciascuno di loro avrebbe potuto essere concepito.
Così Emily era andata a Hogwarts, e i suoi genitori, sebbene fossero all’inizio un po’ dubbiosi, avevano cominciato ad andare fieri del successo accademico della figlia alla sua strana scuola. Che cosa avrebbero detto, ora, ricevendo una lettera da Eco non con la sua firma, ma con quella di Quebec che annunciava nel modo più crudele e dispregiativo possibile che la loro figlia si era fatta coinvolgere in una rissa in mezzo allo stadio di Quidditch?
Emily si sentiva male solo a pensarlo. Così cercava di distrarsi il più possibile studiando e impegnandosi, almeno per compensare quello che aveva appena combinato.
Se c’era una nota positiva in tutta la faccenda, era che Emily e Jamie, ora, erano diventati parecchio familiari: passavano diverso tempo in biblioteca, consacrata ormai a luogo dei loro incontri, anche se Jamie non apprezzava molto la cosa.
«Tutti questi libri vecchi puzzano di muffa o marciume lontano un miglio», disse un pomeriggio mentre Emily leggeva affascinata un trattato sulla storia dei Goblin e dei Maghi del periodo medioevale. «Come fai a resisterci con il naso dentro per ore e ore?»
Emily alzò le spalle. «A me questo odore piace.»
Jamie fece una smorfia disgustata. «Non ti capirò mai! Somiglia a mia zia Herm: anche lei non fa altro che leggere e leggere appena ha un minuto libero. Chissà perché mio zio l’ha sposata.»
Emily arrossì e tenne lo sguardo basso sulle pagine ingiallite. «Se vuoi puoi andare, non ti costringo a rimanere con me.»
Con un tonfo secco Jamie smise di dondolarsi e riportò tutte e quattro le gambe della sedia al livello del terreno. «Non volevo dire questo!», replicò indignato. «Tu non sei come mia zia! Sei molto più…molto più…» Si concentrò passandosi una mano tra i capelli alle ricerca di un termine adatto.
«Scostante?», suggerì Emily tristemente.
Jamie scosse la testa e sorrise in segno di scusa. «Te l’ho detto davvero? Mi dispiace, non avrei dovuto. Accidenti, chissà quante cose sono sfuggite dalla mia boccaccia! Me le rinfaccerai per tutta la vita!»
«Non saprei, non ricordo», lo rassicurò Emily timidamente.
Jamie sogghignò.
La sera della punizione arrivò fin troppo presto. Emily non aveva ancora ricevuto una risposta dai genitori, ed era molto preoccupata. Tuttavia si sforzò di restare il più calma possibile mentre, dopo cena, lei, Drilla, Jamie e David si alzavano dai loro posti e uscivano dalla Sala Grande, seguiti da un discreto numero di sguardi che non contribuirono certo a tranquillizzare Emily.
David sbuffò intrecciando le mani dietro la testa. «Maledizione, un’altra serata buttata via! E pensare che Owen organizzava una megapartita di Sparaschiocco!»
Drilla fece un verso strano, come quello di un gatto infastidito. «Già, e di chi sarà la colpa per cui siamo qui?», lo attaccò a denti stretti.
David sghignazzò. «Ehi, sei tu che mi sei saltata addosso alla partita! Comunque non ne avevi bisogno; se ti piaccio tanto bastava dirlo e trovavo un angolo dove restare soli così…»
Drilla ruggì, e se in quel momento non fosse arrivato Quebec, probabilmente gli sarebbe saltata al collo.
«Cook, Steeval, se non vi date una calmata vi farò passare in punizione il resto dei vostri anni a Hogwarts!», intimò vedendoli in posizione di attacco.
Passò lo sguardo su ciascuno di loro, ed Emily si sentì perforare. «Avevo in mente una bella punizione per tutti, ma Hagrid mi ha appena detto che ha bisogno di un aiuto fuori, perciò…», fece una pausa, contrariato. «Potter, e tu, Hale, andrete con lui.»
Emily sentì un tuffo al cuore. Aveva una paura folle del guardiacaccia mezzogigante, lo temeva fin dal primo giorno di scuola, quando era emerso alla stazione di Hogsmeade selvatico e immenso. Jamie, invece, sembrava felicissimo di quella prospettiva e sorrise a Emily allegramente. Lei non ricambiò: avrebbe preferito cento volte affrontare la punizione di Quebec.
Steeval, invece, non la pensava così. «Ehi, perché loro possono andare con Hagrid e noi no?», domandò indignato.
Quebec lo inchiodò al pavimento con uno sguardo di fuoco. «Non voglio nemmeno pensare a quello che tu, Steeval, e la signorina Cook sareste capace di fare senza qualcuno che vi controlli.»
David sbuffò e Drilla grugnì disgustata. «Fantastico, una serata sola in compagnia di Quebec il tiranno rosso e quell’imbecille di Steeval», borbottò a Emily.
«Allora, professore, ce li avete i due che mi avete detto?», tuonò una voce cavernosa.
Emily sentì il cuore balzarle in gola: sul portone della Sala d’Ingresso era comparso il vecchio Guardiacaccia, avvolto nel suo pastrano scuro e peloso. I suoi due occhi scuri scintillavano da sopra la barba grigia e incolta.
«Ciao, Hagrid, come va?», lo salutò amichevolmente Jamie.
Hagrid posò lo sguardo su di lui e sorrise. «Ah, sei ancora tu, canaglia! Chissà che faccia fa tuo padre quando ci dirò che sei di nuovo in punizione con me!»
«Te li affido, Hagrid, e ricordati che sono in punizione, non a fare una gita», gli ricordò seccamente Quebec. «E ora, Cook, Steeval, con me!» Girò i tacchi e i due ragazzi lo seguirono ostili, guardandosi in cagnesco.
Hagrid li guardò andare via ridacchiando, poi tornò a Jamie ed Emily. «Bene, cominciamo? Che è, c’hai freddo?», chiese guardando Emily, che tremava.
Jamie fece altrettanto, preoccupato. «Emily?»
Emily scosse la testa. «No, tutto bene. An…andiamo.»
Cercò di farsi coraggio mentre seguiva fuori dalla Sala d’Ingresso illuminata gli altri due. Quella sera non pioveva ma una nebbia fittissima si era posata su tutto il parco e il lago, talmente fitta che Emily faticava persino a vedere dove metteva i piedi.
Più volte il Guardiacaccia si mise ad aspettare lei e Jamie, che faticavano a stare alla pari con le sue falcate. Emily non capì dove erano diretti finché Hagrid non si fermò all’improvviso, una scura sagoma nella nebbia, e Jamie fece altrettanto. Nel silenzio Emily udì distintamente uno sciabordio d’acqua: erano arrivati alla sponda del lago.
«Eccoci qui», dichiarò il gigante.
«Che facciamo qui al lago?», chiese perplesso Jamie.
«Vedi lì?»
Jamie guardò, ed Emily fece altrettanto: videro una specie di porto o di baia formata da un angolo delle mura che circondava un tratto d’acqua.
«Io non vedo niente», rispose Jamie.
«Appunto! Le barche non ci sono. Ogni tanto ci capita, che qualche Avvincino dispettoso venga su a rompere gli ormeggi, e ora chissà dove sono finite. Perciò noi dobbiamo andare a cercarle.»
Jamie si accigliò. «Stai scherzando? Con questo freddo dobbiamo nuotare nel lago?»
Hagrid sorrise. «Ma va’, nemmeno per sogno. Ci sono rimaste due, di barche, perciò io ne prendo una, voi l’altra e andiamo a recuperare le altre», spiegò conciso.
«Sarà divertente», fece Jamie, eccitato all’idea di una gita in barca con quel tempo spettrale. «Che ne dici, Emily?»
Emily rabbrividì e non rispose. Perché doveva capitare lei lì? Perché non Drilla, che si sarebbe divertita alla follia con una punizione così? Detestava l’acqua, detestava il lago, non aveva osato farci il bagno nemmeno una volta, neanche quando era la fine dell’anno e gli altri studenti facevano tutti a gara a chi entrava per primo. Aveva paura dell’acqua profonda e torbida, delle bestie che avrebbero potuto viverci e tirarla giù e, soprattutto, della piovra gigante. Ebbe un’improvvisa visione di lei e Jamie su una barca traballante ed un gigantesco tentacolo che usciva dall’acqua nella nebbia dietro di loro e li afferrava per annegarli. Si sentì sbiancare.
«Emily, sicura di stare bene?»
Emily alzò gli occhi: Jamie la guardava perplesso. Annuì, senza riuscire a parlare.
«Bene, allora, ci conviene andare a voi due. Per guidare basta che dici alla barca avanti o destra o sinistra e quella obbedisce, d’accordo?»
E, detto questo, Hagrid salì sulla barca più vicina, che si abbassò notevolmente, scricchiolando sotto il suo peso, e scomparve quasi immediatamente, inghiottito dalla nebbia.
Jamie ed Emily rimasero soli. «Be’, vieni? Se non vuoi faccio da solo, non farò la spia», propose galantemente.
Emily scosse la testa. «No, andiamo.» Non l’avrebbe abbandonato nel momento della difficoltà.
Salirono sulla seconda barca, che oscillò pericolosamente, ed Emily si sedette malamente sul fondo, incapace di mantenere l’equilibrio un istante di più. Jamie, invece, rimase temerariamente in piedi.
«Avanti!», disse alla barca, che si mosse e si addentrò nella nebbia e nell’oscurità della sera. «Abbiamo avuto fortuna, avrebbe potuto capitarci di peggio, invece Quebec ci ha assegnato la punizione più bella del mondo», disse entusiasta mentre la chiglia avanzava silenziosa sulla superficie immobile del lago.
Emily annuì, ma il dubbio le si doveva leggere in faccia, perché Jamie scoppiò a ridere. «Non sei molto brava a recitare, sai? Allora, perché non ti piace stare qui?»
Emily esitò un attimo, ma decise che era meglio essere sincera. «Ho…ho paura», confessò imbarazzata.
L’espressione sul volto di Jamie era così sbalordita da sembrare quasi comica. «Paura? E di che cosa? Non sai nuotare?»
«No, non è per quello.» Le guance di Emily si infiammarono. «Ho paura della piovra gigante.»
Jamie scoppiò a ridere. «Ma se è gentilissima! L’anno scorso ho fatto il bagno e se non fosse stato per lei uno stupido Avvicinino mi avrebbe tirato giù sul fondo e mi avrebbe annegato!»
Chissà perché, Emily non si sentì per nulla rassicurata da quella parole.
Jamie avvicinò il suo volto a quello di Emily. «Ok, allora facciamo così: se la piovra gigante o qualcos’altro cerca di annegarti, prometto di fare tutto quello che potrò per salvarti, anche a costo della vita. Va bene così?»
Emily si ritrasse. «No, non devi. Io…non preoccuparti, me la caverò da sola. Scusa.»
Jamie stava per dire qualcos’altro quando sentirono un tonfo e la barca beccheggiò. Emily afferrò allarmata con entrambe le mani il bordo di legno. Jamie, invece, si guardò intorno e sorrise.
«Ehi, ne abbiamo trovata una!»
Emily guardò nella direzione che le stava indicando. In effetti poco lontano si scorgeva la forma indefinita ma inconfondibile di una delle barche di Hogwarts: il tonfo con la loro barca l'aveva spinta via e si stava allontanando nella nebbia.
«Come facciamo a recuperarla?»
Jamie imprecò. «Dannazione, ecco cosa Hagrid si è dimenticato di dirci.» Esaminò rapido la barca e trovò un pezzo di corda.
Emily vide la sagoma dell’altra barca scomparire nella nebbia. «Si sta allontanando!», lo avvertì.
Jamie raccolse la corda, tirò fuori la bacchetta e pronunciò: «Aquam Gressus
Detto questo scavalcò il bordo della barca e si mise a camminare tranquillamente sulla superficie dell’acqua, lasciando lievi increspature ad ogni passo.
«Non ti conveniva usarlo fin dall’inizio? O fare un incantesimo di Appello?», osservò Emily restando saldamente aggrappata al legno.
Jamie sogghignò. «Questa magia non dura abbastanza. E poi così è più divertente.»
Emily lo vide incamminarsi nella nebbia e provò l’irresistibile impulso di chiamarlo indietro: non voleva restare sola. Ma lui non si girò, non le vide l’espressione terrorizzata sul volto e la lasciò lì, in mezzo alla nebbia.
Emily attese, tremante. I minuti passarono, lenti, ma il ragazzo non tornava. Intorno la nebbia si fece più fitta. Non si riusciva a vedere nulla. Dopo che passò un’infinità di tempo Emily cominciò a sobbalzare ad ogni lieve rumore che sentiva. Dov’era andato Jamie?
Iniziò a guardarsi intorno, cercando di vedere oltre il buio e la nebbia, ma non c’era nulla, nemmeno un rumore che indicasse la presenza del ragazzo. Possibile che si fosse allontanato tanto? O forse era lì vicino e le stava facendo uno scherzo.
Emily deglutì più volte, poi sussurrò: «Jamie?»
Nessuna risposta. O ci stava andando pesante o non c’era davvero. E, nel secondo caso, che doveva fare Emily? Guardò la prua della nave, che ondeggiava impercettibilmente, e non seppe decidersi se provare a guidarla. Ma dove? Non ci vedeva niente. Forse doveva usare un incantesimo di Orientamento.
Tirò fuori la bacchetta, sempre più angosciata, e si alzò cautamente in piedi, allargando le braccia per mantenere l’equilibrio. Si guardò intorno, per vedere dove lanciarlo.
Poi la vide; all’inizio sembrava confondersi con l’oscurità, ma ora si stava facendo più intensa via via che il tempo passava: una luce, impercettibile, evanescente, ma che andava intensificandosi; aveva un colore strano, inquietante, verde-azzurro.
A Emily si mozzò il respiro. C’era qualcosa che non andava, lo sentiva. Qualcosa di strano, di… magico?
Indietreggiò, barcollando mentre la barca oscillava sotto di lei. La luce, là davanti, si stava facendo sempre più vicina. Emily indietreggiò ancora, picchiò con il tallone contro la poppa della barca e perse l’equilibrio.
Non si rese nemmeno conto di cadere finché non sentì l’ondata di acqua gelida investirla e le orecchie tapparsi.
Si scosse, i movimenti resi lenti dall’acqua, cercò di nuotare in superficie, ma dov’era la superficie? Laggiù era tutto nero. Si fece prendere dal panico, si divincolò, cercò di andare prima da una parte, poi dall’altra, e l’aria iniziò a mancarle. I polmoni ebbero uno spasmo di protesta. Dove doveva andare? Da che parte era l’aria? Aprì gli occhi e li richiuse, terrorizzata.
Poi qualcosa le circondò un polso e la tirò. Atterrita, Emily si divincolò con le poche energie che le rimanevano: fu tutto inutile, la cosa che l’aveva afferrata la trascinava verso il buio, inesorabilmente. Emily si sentì mancare, ogni sforzo vano.
Poi emerse, e i polmoni ripresero a riempirsi d’aria. Tossì e sputò acqua, sentendo la gola bruciare. Strinse la palpebre, poi aprì gli occhi appannati.
«SANTO CIELO, SEI IMPAZZITA?!», gridò una voce.
Emily cercò di schiarirsi la vista. Il volto di Jamie, a due centimetri dal suo, la stava guardando furioso.
«Jamie», esclamò Emily, immensamente sollevata.
«JAMIE UN CORNO! TI RENDI CONTO CHE MI SONO DOVUTO TUFFARE PER SALVARTI?! COME DIAVOLO HAI FATTO A CADERE?»
Emily ammutolì e vide solo allora che erano sulla barca, inzuppati da cima a fondo, Jamie con i capelli spettinati che gli ricadevano fradici sul volto irritato.
«MA COSA CREDEVI, EH?»
Emily aprì la bocca per rispondere… e scoppiò a piangere.
Jamie, spiazzato, cambiò subito tono. «Oh, no, Emily, scusa! Non volevo urlare, non intendevo… non piangere!»
Non servì a nulla: per quanto Emily desiderasse smettere, non riusciva a fermarsi. Piangeva disperata.
«Scu… scusa, mi dispiace tanto!», singhiozzò.
Jamie rimase lì fradicio a guardarla imbarazzato: probabilmente era la prima volta che gli capitava di finire in una situazione nel genere, e non aveva la più pallida idea di cosa fare.
Quando alla fine Emily si calmò un po’ e cercò di sopprimere gli ultimi singhiozzi, il ragazzo guidò la barca attraverso l’acqua, finché non la sentirono toccare qualcosa di morbido: la sponda fangosa del lago.
Emily alzò lo sguardo e vide torreggiare su di loro la sagoma scura delle mura del porticciolo di Hogwarts. Le barche erano quasi tutte ricomparse, e lì accanto li attendeva la gigantesca figura del guardiacaccia. «Ehi, ce n’avete messo di tempo! Vi siete divertiti, almeno? Alla fine le barche le ho trovate tutte quante io… ma cos’è successo?»
Jamie ed Emily, ancora bagnati dalla testa ai piedi, tremavano per il freddo.
«Emily è caduta in acqua e l’ho ripescata», spiegò Jamie rapido. «Senti, Hagrid, noi torniamo al castello, stiamo morendo di freddo. Tanto non hai più bisogno di noi, no?»
Hagrid annuì. «Sì, è meglio che voi andate, così conciati vi beccate un brutto raffreddore.»
«Grazia, Hag!», fece Jamie con un sorriso.
Lui ed Emily si diressero verso il castello, camminando silenziosi e malsicuri nella nebbia. Quando alla fine trovarono il portone d’ingresso, fu un sollievo per entrambi. Era mezzanotte passata, e ormai tutti gli studenti erano a dormire nei loro letti a baldacchino.
Jamie tirò su con il naso, intirizzito, e abbassò gli occhi su Emily.
«Emily?»
Lei mantenne lo sguardo basso, esausta.
«Emily, stai bene? Ce la fai ad arrivare al dormitorio da sola?»
Lei fece di sì con la testa, senza guardarlo.
Jamie esitò un attimo, poi si chinò e arrivò con il viso all’altezza del suo, guardandola negli occhi. «Ehi, gran bel tuffo, comunque!» E sorrise.
Emily non poté fare a meno di scoppiare a ridere. Ma come aveva potuto, un tempo, crederlo un moccioso arrogante e antipatico?

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Capitolo 11
*** X. Un dicembre raffreddato ***


X.
Un dicembre raffreddato


«Etciù!» Emily irruppe in uno starnuto così violento che metà della classe si girò a guardarla spaventata.
Emily arrossì e seppellì il volto scarlatto in un fazzoletto.
Ecco cosa si era guadagnata dalla gita in barca e il suo primo bagno nel lago di Hogwarts: un bel raffreddore. D’altronde non poteva pretendere molto di più considerato che era la fine di novembre e che appena quattro giorni dopo l’evento era nevicato.
Emily guardò fuori dalle finestre dell’aula: il parco di Hogwarts era scomparso, sepolto sotto un manto spesso molti pollici di neve bianca e farinosa. Il lago, in cui solo una settimana e mezza prima era caduta, era completamente ghiacciato, una superficie argentata dove i ragazzi si divertivano a pattinare nelle ore libere.
Emily li invidiava: se nuotare nel lago non era propriamente in cima alla lista dei suoi desideri, pattinarci era una cosa che faceva fin dal primo anno. Amava il ghiaccio, il freddo, l’atmosfera natalizia e il caldo del focolare; amava il mese di dicembre. Forse un po’ anche perché ci era nata.
Già, il giorno dopo sarebbe stato il suo compleanno, l’aveva quasi dimenticato. Di solito non teneva in gran conto l’evento: a parte i suoi genitori, che le mandavano ogni volta montagne di regali, non aveva mai avuto nessuno con cui festeggiare lì a scuola. Eccetto, ovviamente, Drilla.
E quell’anno? Forse avrebbe festeggiato anche con Stuart. E magari Al le avrebbe fatto gli auguri, era sempre così gentile. E Jamie…
Di Jamie non riusciva a immaginare nulla.
Dopo l’incidente del lago si erano visti poco: i ragazzo aveva interrotto persino le sue visite in biblioteca. Emily era un po’ amareggiata, ma non poteva dargli tutti i torti: sarebbe stato strano, piuttosto, se Jamie avesse continuato a trattarla amichevolmente. Insomma, dopotutto gli era scoppiata a piangere davanti, e di sicuro non ne era stato molto piacevole per lui. Ancora adesso, ripensandoci, non riusciva a capire cosa le era preso.
«Paura, immagino», le rispose Drilla quando uscirono insieme dall’aula di Trasfigurazione. Stuart, accanto a loro, era una presenza costante e un po’ inquietante.
«La tensione gioca strani scherzi», aggiunse saggiamente Drilla. «Non sai quante volte è capitato che Ellen o Ashley scoppiassero a piangere dopo una partita, anche se avevamo vinto. È l’ansia che quando va via ti libera e ti devi mettere a piangere.»
Emily annuì, anche se la cosa le sembrava ancora un po’ assurda.
«Comunque beata te che hai avuto un po’ di emozioni durante la tua punizione», disse in tono risentito Drilla mentre si sedevano al tavolo di Corvonero e nei piatti apparivano le consuete successioni di pietanze gustose.
«Perché, che cosa avete fatto tu e David?», chiese Emily servendosi di un pezzo di pasticcio al formaggio.
Drilla spiaccicò una porzione di sformato nel suo piatto con violenza, mandando schizzi di cibo tutto intorno a sé. «David!», ripeté, come se fosse un insulto, poi si riscosse dai suoi pensieri che, a giudicare dalla sua faccia, dovevano essere stati di natura lievemente macabra. «Io e David», e di nuovo pronunciò quella parola come se fosse un termine molto volgare, «abbiamo dovuto riordinare uno ad uno tutti, e dico tutti i vecchi schedari dell’archivio che c’è nei sotterranei; erano tutti pieni di muffa, uova d’insetto, ragnatele, larve…»
«Ho capito, ho capito», la bloccò Emily che stava masticando il suo pasticcio ed ebbe improvvisamente voglia di sputarlo.
«Be’, puoi immaginarti che orrore. E lui!», e qui ringhiò. «Prima o poi gli tenderò un agguato e lo trasformerò in un’iguana…»
«Calmati, Drilla, sei stata appena punita perché lo hai picchiato»; cercò di farla ragionare Emily.
Drilla grugnì. «Già, è molto meglio che parli di qualcos’altro. I tuoi hanno ricevuto la lettera della punizione?», si ricordò alla fine, e la guardò colpevole.
«Sì, mi hanno mandato una risposta. Hanno detto che non ha importanza, basta che non mi cacci nei guai e non corra rischi. Erano un po’ preoccupati, ma ho mandato loro una lettera per dire che è tutto a posto.»
«Hai parlato con loro della tua incredibile performance del tuffo nel lago?», chiese ridacchiando Drilla.
«Nemmeno per sogno, non voglio farli morire di ansia per me.»
Drilla sogghignò, finì in fretta il cibo nel suo piatto e si gettò sulla spalla la borsa. «Vado.»
Emily alzò le sopracciglia, sorpresa.
«Allenamenti di Quidditch», spiegò lei impaziente, e sparì oltre la porta della Sala Grande.
«Buona fortuna», le gridò dietro Emily con la sua voce esile. Dubitava che l’avesse sentita; credeva di aver indovinato a cosa, anzi, a chi stesse pensando la sua amica. Sorrise e tornò al suo piatto.
Stuart, accanto a lei, sembrava pensare la stessa cosa. «Vidal?», chiese a bassa voce.
Emily annuì. «Ci puoi scommettere.» E starnutì di nuovo.

La mattina dopo si svegliò come tutte le mattine della sua vita a Hogwarts, nel suo letto a baldacchino. Ma, a differenza delle altre mattine, non si alzò dal letto.
«Santo cielo, Emy, hai un aspetto orribile!»
Emily si girò dall’altra parte. Non era propriamente quella la prima cosa che la sera prima si era aspettata che Drilla le avesse detto. Ma a giudicare da come si sentiva quella mattina l'affermazione non la stupiva affatto.
Non si sentiva per niente bene. Anzi, proprio malissimo. Sudava sepolta sotto tre strati di coperte, eppure aveva freddo. Si sentiva la pelle scottare e la sola idea di mettersi in piedi le faceva girare la testa.
«Oh, no, proprio oggi che dovevo fare la ricerca per il tema di Quebec sulle proprietà magiche dei numeri primi», sussurrò, la voce rauca.
Drilla scoppiò a ridere. «Santo cielo, stai malissimo, c’è il sole che brilla fuori ed è domenica, è il tuo compleanno e di tutte le ragioni per cui lamentarti di esserti ammalata proprio oggi la prima che ti viene in mente è che non puoi fare una ricerca?»
Emily sorrise debolmente. «Sono una secchiona, ricordi?»
Drilla scosse la testa senza smettere di ridere e le fece cadere un grosso pacco sulle lenzuola. «Auguri, Emy! Scendo nella Sala Grande a prendere un po’ di cibo per festeggiare e torno subito, ok? Intanto prenditi una Pastiglia Sfebbrante, dovresti trovarne una nel mio comodino.»
Emily annuì. «Grazie.»
«Oh, dopo il mio pacco lì ne hai un’altra sfilza da aprire, ma non provare a farlo prima che ritorni, sono troppo curiosa!», annunciò l’amica con una nota enigmatica prima di sparire giù per la scala a chiocciola.
Emily, incredula, con un grosso sforzo si tirò su a sedere e vide ammucchiati ai piedi del letto una manciata di scatole ben confezionate e infiocchettate. Sentì un nodo alla gola: chi le aveva mandato tutti quei regali?
Drilla ci mise un secolo a tornare, e quando si chiuse la porta alle spalle aveva un’aria strana, come se le fosse capitato qualcosa di bello e qualcosa di brutto insieme.
«Che c’è? È successo qualcosa?», chiese Emily, che dopo aver preso la pastiglia si sentiva meglio e si era vestita.
Drilla scrollò le spalle. «Nulla di speciale.» Fece un sorriso che andava da un orecchio all’altro. «Ho incontrato Tristan giù nella Sala Comune.»
Posò il vassoio di cibo che teneva in mano sul letto di Emily. «Bene, e ora possiamo festeggiare. Allora, apriamo i regali?»
Emily guardò i pacchi. «Drilla, sei sicura che siano miei? Potrebbe essere un errore…»
«Ma che errore ed errore! Mancano ancora diciassette giorni a Natale e non mi sembra che ci sia nessun altro in questo dormitorio che compia gli anni oggi, perciò scarta e non fare tante storie.» Le porse il primo pacco.
Emily se lo rigirò tra le mani, ma non trovò quello che cercava. «Non c’è il biglietto.»
Drilla scrollò le spalle e restò in attesa trepidante. Emily, con un sospiro, si rassegnò e tolse piano la carta dall’involucro.
Il primo regalo era una splendida penna enorme di uno strano color bordeaux con il pennino cesellato d’oro. Emily non aveva mai visto una cosa simile.
«È bellissima. Ma…»
«Apri gli altri, su!», la incoraggiò Drilla, impaziente.
Emily obbedì: in un pacco molto grosso c’era un bellissimo modellino del sistema solare con i pianetini che fluttuavano pigramente attorno al sole, una fiammella luminosa levitante. Poi c’erano una manciata di libri, tra cui Emily apprezzò in particolare un volume molto pesante che Drilla le aveva lanciato e che era atterrato sul suo ginocchio facendole un grosso livido: si chiamavaCreature Elfiche Incantate dal 1000 a.C. ai giorni nostri; poi un’intera scatola di Cioccorane, un vestito elegantissimo da parte dell'amica che Emily arrossì al solo vedere e decise subito che non avrebbe mai messo, un bel maglione di uno strano materiale che individuarono come lana di Keller e un paio di pattini affilatissimi da ghiaccio, di marca evidentemente Babbana.
«Stuart», spiegò Drilla allegra quando Emily li ebbe rimirati da tutte le parti.
«È… è stato gentilissimo», balbettò Emily sopraffatta.
«Già, e le sorprese non sono finite qui», disse misteriosamente Drilla, alzandosi.
«Cosa?», fece Emily, confusa.
Drilla fece un gran sorriso, si diresse a passi solenni verso al porta e la aprì come se fosse il sipario di un palcoscenico.
Emily rimase sbalordita quando dalla porta vide entrare prima Stuart, poi Al e Jamie e, infine, David, con l’aria di essere lì per caso.
«Auguri», disse Stuart avvicinandosi, e il suo esempio fu seguito dagli altri. Al le fece un gran sorriso, Jamie tossì mentre le stringeva una mano solennemente, facendo il buffone.
«Accidenti, quel bagno fuori stagione ci è costato caro, eh?», disse in tono complice; anche lui aveva un po' di raucedine.
David, da dietro il suo amico sorrise, appoggiato con una spalla alla colonna del letto. «Hai proprio un aspetto schifoso, peggio di quando ti è cresciuto tutto quel muschio sulla faccia», ghignò.
Drilla lo punzecchiò ad un fianco con la bacchetta. «Ehi, io non ti avrei mai nemmeno fatto salire se Al non mi avesse assicurato che ti saresti comportato bene, perciò taci e fai il bravo o passerai guai molto seri.»
«Ah sì? E chi me li farebbe passare, sentiamo. Tu, per caso?»
Passarono quasi tutta la giornata che seguì a beccarsi, ma nessuno degli altri ci fece caso. I regali senza biglietto si rivelarono quasi tutti dei tre ragazzi, soprattutto i Potter che avevano una famiglia parecchio benestante. Le Cioccorane, invece, erano di David.
«Se non metti su un po’ di curve nessuno capirà mai che sei una ragazza», dichiarò spudorato, e si prese una bella cuscinata da Drilla.
Passarono la giornata festeggiando e chiacchierando allegramente, e presto si unirono a loro anche le altre compagne di stanza di Emily e Drilla, Eva e Virginia, attratte dalla compagnia maschile.
I frutti della giornata furono ben visibili quella sera, quando i ragazzi se ne andarono; la stanza era un caos: c’erano incarti vuoti di Cioccorane sparsi dappertutto e piume in ogni angolo -non era rimasto integro nemmeno un cuscino-. Senza contare la carta da regalo strappata e buttata all'aria.
«I poveri Elfi domestici avranno un bel da fare stanotte», osservò Stuart, rimasto solo con Drilla ed Emily.
Emily si guardò intorno dispiaciuta. «Accidenti, mi dispiace, hanno già tanto lavoro…»
«Be’, ma loro più lavoro hanno meglio stanno, no?», replicò Drilla scrollando le spalle.
«Come avete fatto a salire nel dormitorio femminile? I ragazzi non possono farlo, no?», chiese Emily a Stuart.
Lui sorrise. «No, ma con il permesso di una ragazza si può, e Drilla è una ragazza.»
Emily si volse verso di lei. «Avevi organizzato tutto fin dall’inizio?»
Drilla sogghignò. «Già. Te l’ho proprio fatta, vero? Anche se non avrei mai fatto venire quell'imbecille di Steeval, ma dato che anche lui mi ha consegnato un regalo per te ho dovuto dargli il permesso. Ora devo scappare, Tristan mi aspetta per gli allenamenti. Ci vediamo più tardi!»
Quando rimasero soli Stuart stette per qualche minuto in silenzio, pensieroso. Emily lo guardava incuriosita: sembrava in preda a uno strano conflitto interiore. Poi, alla fine, alzò gli occhi e la fissò.
«Senti, volevo chiederti una cosa…»
Emily attese.
«Ti… ti va se durante le vacanze vengo a trovarti? Solo se vuoi, però, non sei obbligata»; chiarì in fretta.
Non ce ne fu bisogno: il volto di Emily si illuminò di gioia. «Verresti a trovarmi durante le vacanze? Davvero? Ma la tua famiglia ti lascerà?»
Stuart annuì. «Non faranno problemi, credimi, saranno in vacanza a Monaco. Allora, ti va? Altrimenti dovrei passare le vacanze da solo…»
Emily annuì con vigore. «Ma certo che mi va! Mi piacerebbe tantissimo…ma, come facciamo? Se abiti lontano…»
Stuart alzò le spalle. «È presto detto. Dove abiti?»
«Erith, a Londra. E tu?»
Stuart sorrise. «I pressi di Hyde Park.»
Molto, molto vicino, quindi. Emily sentì un fiotto di gioia invaderla: non aveva cugini o fratelli, e nemmeno amici a Londra, perciò era sempre rimasta da sola con i suoi genitori durante le vacanze. Che Stuart venisse a trovarla le sembrava un sogno.
«Ci sarai davvero?», chiese, ancora incredula.
«Il giorno dopo Natale, ok? Vengo in metro», promise lui.
Emily annuì. Era talmente bello che non si sarebbe permessa di crederci finché non l’avesse visto con i suoi occhi alla porta del numero venti di Golding Street.

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Capitolo 12
*** XI. Natale Babbano ***


XI.
Natale Babbano

 

Emily era seduta nel calore confortante della sua stanza, la testa appoggiata alle braccia incrociate. Guardava oltre i vetri appannati, la neve che scendeva lenta e candida su tutto il viale di Golding Street. Aveva un libro accanto a sé, ma lo aveva abbandonato quando l’attesa aveva cominciato a farsi noiosa.
Aspettava Stuart.
«Emily?»
Emily si voltò di scatto. Sua madre, sulla porta, la guardava sorridendo. «È inutile che te ne stai lì ad aspettare, sai? Vedrai che arriverà. Che ne dici, invece, di andare a soccorrere la povera vecchia radio del nonno? Tuo padre la sta smontando del tutto…», alzò gli occhi al cielo sospirando e indicò con un cenno le scale che salivano al solaio, da cui provenivano sordi tonfi inquietanti. Sua madre sembrava completamente a suo agio, nel suo grembiule pieno di farina, intenta a cucinare una torta, ma Emily sapeva che era eccitata: in effetti era la prima volta che un’esponente della comunità magica, a parte lei stessa, metteva piede in quella casa.
Emily annuì, rassegnata, e salì le scalette che portavano alla soffitta. Era una stanza ordinata, un po’ ingombra ma pulita, con due grossi lucernari che la illuminavano, ma che quel giorno erano totalmente ostruiti dalla neve. Suo padre era chino su un banco da lavoro su cui erano sparsi un mucchio di ingranaggi arrugginiti.
«Oh, Emily!», esclamò quando la vide. «Il tuo amico non è ancora arrivato?»
«No», rispose lei avvicinandosi. «Papà, che stai combinando?»
«Sto aggiustando la vecchia radio del nonno. Mi dispiacerebbe buttarla via, volevo vedere se si poteva fare qualcosa per farla funzionare di nuovo.»
Emily aggrottò le sopracciglia. «Ma non era meglio portarla da un riparatore?»
«Figurati, posso benissimo aggiustarla anch’io», ribatté l’uomo con un gesto incurante della mano.
A giudicare dallo stato in cui l’aveva ridotta, Emily ne dubitava fortemente. Tuttavia le dispiaceva che facesse una così brutta fine, così, dopo una breve ricerca tra i libri di cui la casa pullulava –i suoi genitori erano i proprietari di un negozio di libri, ovviamente non magici, a Londra- riuscì a trovarne uno sulle radio vintage e lo passò al padre.
Lui, un po’ sorpreso, sorrise e abbandonò il banco da lavoro. «Grazie! Non ne avevo bisogno, ma sarà comunque utile, magari posso migliorarla!» E, ottimista come sempre, scese di sotto con il naso infilato del libro.
Emily sospirò scuotendo la testa; la passione per i libri e la goffaggine nelle faccende pratiche erano decisamente scritte nel codice genetico della famiglia, inutile sperare di scamparci.
Si inginocchiò per terra e si mise a raccogliere le viti e i bulloni che il padre, distratto, aveva sparso in giro smontando il vecchio arnese. Detestava non poter usare la magia a casa; avrebbe potuto riparare la radio con un solo colpo di bacchetta, e invece doveva assistere impotente al suo scempio.
«Hai dimenticato questa.»
Il cuore di Emily fece un sussulto talmente brusco che per un attimo sembrò quasi che avesse smesso di battere. Conosceva quella voce. Alzò gli occhi e si ritrovò davanti il sorriso scintillante di Jamie Potter.
«Ehi, calma, non sono la Piovra Gigante e non ho intenzioni omicide», la canzonò mettendole una vite nella mano. Emily arrossì al contatto con la pelle calda del ragazzo.
«Ja… Jamie! Che ci fai qui?»
Lui fece una smorfia, imbronciato. «Wow, che accoglienza! E io che mi aspettavo qualcosa come sono “felice di rivederti”, “ciao Jamie”, “come stai, tutto bene? E, a proposito, buon Natale” Ma almeno non sei prevedibile», si consolò alla fine.
«No, mi dispiace, non volevo dire questo… cioè, sono felice di rivederti. Ma non pensavo che venissi, ecco.»
Jamie sorrise. «Sai che siamo quasi vicini di casa?»
«Davvero?», fece lei incredula.
«Abito a due chilometri da qui: Grimmauld Place, numero dodici», spiegò.
Emily era sbalordita.
«E comunque mi sembra strano che tu sia tanto sorpresa», aggiunse lui. «Appena sono arrivato e ho detto a tuo padre di essere un tuo amico di scuola, mi ha detto che mi aspettavate. Per caso hai dei veggenti in famiglia?»
Emily sorrise. «No, niente affatto. È che stavo aspettando un altro amico, un mio compagno di scuola.»
Jamie ammiccò. «Ah sì? Bene, così saremo in buona compagnia. E chi è?»
«Si chiama Stuart», rispose Emily. «E…»
«Stuart?», la interruppe lui. «Oh, certo, il tipo ombroso, l’ho incontrato al tuo compleanno.»
«Non è ombroso!», protestò Emily fedele all’amico. «È un mio caro amico ed è molto gentile.»
Jamie si batté una mano sulla fronte. «Ehi, aspetta, so chi è! Ha perforato il braccio a David quando ti ha preso in giro, vero? Al me lo ha raccontato.»
Emily annuì. «È stato uno scontro alla pari…», obbiettò.
«Stai scherzando? È stato un genio: quella testa di Troll di David ogni tanto ha bisogno di qualche ripassata», replicò allegramente Jamie dandole una pacca lieve sulla spalla.
Emily si sentì arrossire ancora: ma perché il suo viso doveva essere così cromaticamente variabile? Accidenti! «Sì, è stato gentilissimo... non potrei mai ringraziarlo abbastanza per...», balbettò e, rendendosi conto di aver perso il controllo tra cervello e ciò che diceva, finì in un borbottio imbarazzato.
Jamie la guardava e il sorriso cominciò lentamente a scendergli dalle labbra, mentre le sue sopracciglia si alzavano interrogative. «Ehi, aspetta un attimo…» Si interruppe, rrimase in silenzio a guardarla per qualche momento: sembrava che fosse riluttante a parlare ma che non potesse farne a meno. «Non mi dirai che…»
In quel momento suonò il campanello, ed Emily si ricordò che effettivamente lei aveva aspettato fino ad un momento una persona diversa da Jamie.
«Dev’essere Stuart», disse in fretta. «Ti dispiace se…?»
«Prego, è casa tua», replicò Jamie, con una faccia distratta, come se stesse pensando ad altro.
Emily scese rapida le scale e raggiunse in pochi secondi l’ingresso, dove aprì la porta e si trovò davanti a Stuart, dritto e un po’ infreddolito sul gradino innevato dell’entrata. Non appena la vide, le sorrise.
«Ciao, Emily!», disse con il suo consueto tono calmo.
«Ciao! Allora sei venuto!», lo salutò lei felice.
Stuart alzò lo sguardo e fissò le sue spalle, dove era appena apparso Jamie che camminava soprappensiero.
«Ehi, Dunneth!», fece quest’ultimo salutandolo con un ghigno
«Ciao Potter», lo salutò cordiale Stuart, ma prima che potessero dirsi altro la voce della madre di Emily li interruppe.
«Emily, ho sentito…», la donna comparve dalla cucina, e guardò i due ragazzi accanto alla figlia perplessa.
«Mamma, questo è Stuart Dunneth», si affrettò a fare le presentazioni Emily.
La madre guardò il ragazzo che le aveva indicato, sorrise amichevole ma poi lanciò un’occhiata confusa a Jamie.
Lui sorrise. «Mi chiamo James Potter, signora, sono anch’io un amico di vostra figlia. Passavo di qua, così ho voluto fare una sorpresa ad Emily.»
«Oh, davvero?», fece la madre di Emily, a cui finalmente la situazione apparve in una luce un po’ più chiara. «Mi fa piacere, è molto carino da parte tua. Perché non venite tutti a mangiare una fetta di torta di là?»
Nessuno se lo fece ripetere due volte, così andarono tutti in cucina e si accomodarono attorno al tavolo.
Passarono il resto del giorno a chiacchierare in camera di Emily. Jamie sembrava allegro come sempre, eppure più volte, quando Emily lo guardava di sfuggita, le sembrava sempre che la stesse fissando in modo strano.
«Perché Al non è venuto?», chiese ad un certo punto Emily, a disagio sotto il suo sguardo indagatore.
Jamie si riscosse. «Al? Ah, già. È andato con i miei genitori a trovare il cugino di mio padre, un Babbano.»
«E perché non sei andato anche tu?»
Jamie scrollò le spalle. «Detesto il cugino di mio padre. È un tipo veramente noioso, non capisco come mai dobbiamo rimanere in buoni rapporti con lui. Al è troppo gentile, così va anche lui ogni volta. Che sciocco!»
Emily si irritò. «Io credo che andare a trovare una persona, anche se è noiosa, non si affatto sciocco. È una buona azione»; dichiarò. In realtà si reputava lei stessa una persona noiosa, così si sentiva in dovere di proteggere il povero Babbano.
Jamie scrollò le spalle incurante, anche se sembrava sorpreso dalla sua reazione. «Pensa quello che vuoi, tanto non è affar mio.»
Quando l’orologio suonò le sei, però, Jamie dovette andarsene: aveva una partita di Quidditch da vedere in programma, e a casa di Emily non c’erano schermi magici che la proiettassero.
«Ci vediamo a scuola, ragazzi. Buon anno!», li salutò allegramente.
Emily e Stuart, rimasti soli, passarono una mezz’ora a giocare a scacchi normali, sebbene la cosa non fosse nemmeno lontanamente divertente quanto quelli magici.
Poi Emily si accovacciò al caldo tra i cuscini sopra il letto e Stuart si mise a ispezionare la sua stanza, attratto dai libri. Anche a lui piaceva molto leggere.
«Fino a che ora puoi rimanere?», gli chiese Emily.
Stuart scrollò le spalle. «Fino a quando voglio. A casa mia non ci sono i miei genitori.»
«Ah già. Sono all'estero, vero?»
Stuart annuì. «A Monaco in vacanza, ma la prossima settimana andranno a Parigi.»
Emily si accigliò. «Viaggiano così tanto?»
Il ragazzo annuì. «Mio padre guadagna molto, così appena possono vanno a fare vacanza da qualche parte. È un industriale», aggiunse, indovinando la domanda silenziosa di Emily.
«E non ha nessuno che ti faccia compagnia? Sorelle, fratelli?»
«Un fratello più piccolo. Ora è a casa con la baby-sitter.»
«Ed è…?»
«Un mago? Sì, lo è. L’anno scorso ha fatto galleggiare in aria il gatto di mia madre per un’ora, portandoselo dietro per tutta la cucina.»
Emily rise e stava per chiedergli qualcos’altro quando colse l’espressione di Stuart e ammutolì. Si era fermato a metà del movimento per afferrare un libro, quello che stava leggendo quella mattina, e aveva gli occhi sgranati.
«Che c’è?»
Stuart non rispose e continuò a fissare il libro. Emily si rizzò per vedere l’oggetto: era esattamente come l’aveva lasciato, aperto su una pagina a caso con una figura elfica che si muoveva sinuosa. Niente di anormale, o almeno non per loro che studiavano a Hogwarts ed erano pieni di libri con figure animate.
Emily guardò perplessa Stuart. Forse non era il libro, forse era lui che si sentiva male o che si era ricordato improvvisamente qualcosa.
«Stuart? Stai bene?»
Il ragazzo sussultò, come se l’avesse spaventato. «Ah, sì, sto bene», rispose, scuotendosi, e i suoi occhi tornarono presenti e si fissarono sul libro. «Ah, bel libro, chi te lo ha regalato?» Aveva un tono leggero, come se stesse cercando di cambiare argomento.
Emily era preoccupata. «Jamie e Al quando ho compiuto gli anni, ricordi?»
Stuart annuì, vago. «Già, è vero. Bene. Ora, però devo andare.»
Emily si alzò e gli si avvicinò. «Stuart, sicuro di stare bene?»
Stuart annuì. «Sicurissimo. È che mi sono appena ricordato una cosa importante. Devo andare, davvero. Comunque magari vengo a trovarti un’altra volta durante le vacanze, ok?»
Emily annuì, perplessa e lo accompagnò all’ingresso. Lui mantenne un tono innaturalmente spensierato e, salutandola frettolosamente, se ne andò. Emily lo seguì con lo sguardo finché non svoltò l’angolo in fondo alla strada.
Poi si chiuse la porta alle spalle e sospirò. Stuart stava decisamente nascondendo qualcosa.
 

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Capitolo 13
*** XII. Un segreto nella solitudine ***


Ben ritrovati!
Volevo ringraziare ancora tutti quelli che leggono, che inseriscono la storia tra le preferite e tra le seguite. Un grazie speciale a Sheilin per i commenti che mi lascia.
Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento.
Buona lettura!

 

XII.
Un segreto nella solitudine


Il rientro a scuola fu smorzato dal cattivo tempo: pioggia torrenziale che scendeva giù, infangando i cortili e lavando via la neve che si era depositata durante le vacanze. Un tempo spettrale.
I corridoi bui di Hogwarts erano più freddi e lugubri del solito, e persino i fantasmi sembravano risentire della cosa, tutti di un insolito colore grigio tempesta.
Emily aveva ripreso a frequentare le lezioni insieme a Drilla e Stuart. Quest’ultimo, dopo il loro ritorno a scuola sembrava tornato quello di sempre, sebbene Emily lo tenesse costantemente d’occhio. Ormai era certa che ci fosse qualcosa che non le voleva rivelare, e che, qualunque cosa fosse, non doveva essere molto gradevole.
Nonostante i dubbi che la attanagliavano, però, Emily non osò fargli domande, un po’ per timidezza, un po’ perché temeva che si sarebbe offeso. In fondo se non voleva parlarne doveva esserci qualche motivo, no?
Così gli lanciava occhiate furtive ogni volta che lui guardava da un’altra parte, ai pasti, a lezione, nei corridoi, dovunque. Solo ora si rendeva conto di quanto fosse distratto, distante, lontano; non da lei un particolare, certo, ma un po' da tutti, dalla scuola, dal resto del mondo.
Provò a parlarne a Drilla una domenica mattina in cui il cielo aveva clementemente smesso di gettare giù valanghe d’acqua, mentre la accompagnava all'allenamento di Quidditch.
«Distante? Ma certo che sì! Lo è sempre stato, se è per quello, sei tu l’unica che non se n’è mai accorta.»
Emily abbassò gli occhi. «Credo che ci sia qualcosa che non va e… non voglia dircelo.»
«E allora? Sono affari suoi, no?»
«Ma siamo sue amiche!», protestò senza tanta convinzione Emily.
Drilla scrollò la spalle. «Sì, ma questo non giustifica il volersi impicciare nella sua vita. Quando vorrà, ce ne parlerà, punto. Non farti tutti queste paranoie mentali e pensa un po’ di più a te stessa. Hai idea di quanto gli sei rimasta appiccicata dalla fine delle vacanze? Cominciano a girare voci su voi due…»
«Cosa?» Emily si era bloccata a metà di un passo e si era voltata stupefatta.
Drilla ridacchiò. «Non riesco ancora a capire come fai, con un cervello come il tuo, a capire sempre per ultima quello che ti sta succedendo intorno.»
«In… in che senso, scusa, girano voci su me e Stuart?», chiese Emily rossa dalla radice dei capelli alla punta dei piedi.
«In quel senso. Perciò, se non vuoi che continuino, è meglio che ti scolli da lui. Sempre che non ti piaccia davvero…», la guardò preoccupata. «Stuart non ti piace, vero Emy?»
Emily scosse la testa, imbarazzata. «Niente affatto!», rispose, forse troppo in fretta. «Andiamo, Drilla, quando mai mi sono innamorata di qualcuno?», aggiunse quando l’amica strinse gli occhi dubbiosa.
«Non essere così sicura di te stessa, prima o poi ti capiterà, e allora vedrai.» Sghignazzò a quella prospettiva e la lasciò all’entrata dello stadio per raggiungere il resto della squadra.
Emily tornò a disagio nel castello, guardandosi attorno. Dopo quello che aveva detto Drilla, aveva la sgradevole impressione di avere puntati su di sé tutti gli occhi della gente che passava quando era voltata da un’altra parte e che tutti i sussurri fossero malignità su lei e Stuart.
Si rifugiò nella Sala Comune, dimenticandosi che era lì che si trovava Stuart. Quando quest’ultimo la vide entrare dal portone di quercia le sorrise, svagato come sempre. «Ciao. Drilla è agli allenamenti?»
Emily non sapeva cosa fare: a quanto sembrava anche Stuart, come lei fino a pochi minuti prima, ignorava completamente le voci che circolavano. Alla fine, mordendosi un labbro, decise di far finta di niente e si sedette accanto a lui.
«Sì», rispose. «Che stai facendo?», domandò, vedendo la pergamena tanto lunga da arrivare ai piedi della scrivania e che aveva riempito per una buona metà con la sua grafia nitida e sinuosa.
«La ricerca per Difesa Contro le Arti Oscure sulle maledizioni antiche.»
Emily ebbe un sobbalzo. «L’avevo dimenticata! E adesso come farò? Accidenti, devo andare in biblioteca a cercare qualcosa!»
Senza nemmeno lasciargli il tempo di rispondere, scattò in piedi e si precipitò fuori e raggiunse il locale in fretta. Qui, chino su tre grossi volumi spalancati, trovò Al.
«Oh, ciao Emily», la salutò quando la vide. «Tutto bene a Natale?»
Emily annuì. «Sì. E tu? Come sta il tuo parente Babbano?»
Al sembrò sorpreso. «Bene, grazie. Scusa, ma chi te ne ha parlato?»
Emily restò ancora più sorpresa di lui. «Be’… Jamie, naturalmente.»
«Davvero? Sei riuscita a vederlo ultimamente, intercettandolo tra un allenamento e l'altro? Io non lo vedo da almeno tre giorni», disse lui sorridendo.
«No, non ultimamente; me ne ha parlato quando è… ma non lo sai?», si interruppe, colta da un sospetto.
«Che cosa?»
«Che… be’, che è venuto a trovarmi durante le vacanze…»
Al scoppiò a ridere. «Ah, ecco dove se l’è svignata per non andare a trovare lo zio Dudley. Mi aveva detto che aveva intenzione di fare una visita a qualcuno che conoscevamo, ma non pensavo…beh, non importa. Spero che non abbia fatto il solito guastafeste.»
«No, assolutamente, mi ha fatto molto piacere che sia venuto!», lo rassicurò lei in fretta.
«Grazie al cielo. Jamie ha il brutto vizio di capitare a sproposito dove non dovrebbe», commentò Al. «Avrebbe anche potuto dirmelo, però», aggiunse poi, un po’ seccato. «Sarei venuto volentieri anch’io.»
«Già, sarebbe stato bello. C’era anche Stuart.»
«Davvero? L’hai invitato a casa tua?»
Emily annuì.
Al sorrise. «Mi fa piacere. Sai, mi sta molto simpatico, Stuart, però è sempre così solo.»
Emily aprì la bocca, sbalordita. Era la stessa cosa che aveva pensato lei. In effetti a differenza di Emily che, anche prima di conoscere Al, Jamie, o anche David, aveva sempre avuto Drilla, Stuart… Stuart era sempre stato isolato. Come se ci fosse una barriera invisibile a separarlo dagli altri.
«Io… sono preoccupata per lui», confessò esitante.
Al annuì. «Anch’io. Credo che ci sia qualcosa che non va. L’altro giorno ho provato a invitarlo a venire con i miei amici a fare una partita a Gobbiglie giù nell’aula di Difesa Contro le Arti Oscure, ma non ha voluto. Eppure sono convinto che gli sarebbe piaciuto. Non riesco proprio a capire perché rifiuti di stare con gli altri. Non è timido come…», si interruppe.
Emily sorrise impacciata. «Come me, intendi? Sì, è vero. Io sono diventata sua amica perché mi ha avvicinata lui. Non so nemmeno perché lo abbia fatto. A volte sembra che desideri stare in compagnia, altre che… non so…»
«Che qualcosa lo spinga a distanziare gli altri, vero?», completò Al. Scosse il capo. «Non so, è strano, ma senza chiederglielo direttamente non potremo mai capirlo. Potrei…»
«No!», esclamò Emily, anticipando al sua proposta. «Cioè, non è giusto impicciarci degli affari suoi. Magari non è davvero niente. Magari se aspettiamo ce ne parlerà…»
Al scrollò le spalle. «Forse.»
Cadde un silenzio pensieroso tra loro.
«A proposito», disse improvvisamente Al tornando alla realtà. «Cosa sei venuta a fare in biblioteca?»
Emily si riscosse di colpo, guardò l’orologio: aveva già perso mezz’ora. Con un verso di disperazione, si lasciò cadere su una sedia e iniziò a darsi da fare.

«Sembri l’incrocio tra un fantasma e un Inferius», commentò il giorno dopo Drusilla quando vide la sua faccia.
Emily fece una smorfia stanca ma non rispose: era pallida per la stanchezza, gli occhi circondati da macchie scure, come se le avessero tirato due pugni; aveva passato tutta la notte in bianco a finire la ricerca, e ora riusciva a malapena a stare in piedi.
La prima lezione era Difesa Contro le Arti Oscure, e il professor Ravenscar li attendeva come al solito nella sua aula, in piedi in mezzo alla classe.
«Vuoi un cuscino?», sussurrò Drilla sorridendo alla sua sinistra mentre si sedevano.
Emily scosse la testa senza parlare, troppo stanca per darle retta, e cercò di concentrarsi sull’insegnante, che aveva già cominciato a parlare.
«…dato che per oggi dovevate fare una ricerca sulla Maledizioni di Alleanza, ossia le maledizioni che si creano a causa della magia naturale delle creature non umane. Ora, qualcuno sa dirmi perché queste maledizioni sono quasi infrangibili, a differenza di quelle dei maghi?»
Emily, troppo assonnata per cercare nella mente la risposta, sperò con tutto il cuore che Stuart, alla sua destra, alzasse la mano e rispondesse alla domanda al posto suo, ma non lo fece. Rimase immobile, le mani sulle ginocchia, lo sguardo assente.
Ti prego, chiedi a lui, chiedi a qualcun altro, non a me!, implorò Emily mentalmente, ma la sua preghiera era destinata a non venire esaudita.
Ravenscar fece vagare lo sguardo sulla classe e lo fissò su di lei. «Emily?»
Emily cercò di raddrizzarsi e di ricordare quello che aveva studiato quella notte. «Ehm… perché l’entità che crea la maledizione è… è sottoposta a leggi naturali e inscindibili dalla sua stessa magia, quindi non potrà mai mutare il corso della maledizione perché si baserà solo su… su queste leggi», rispose cercando di trattenere uno sbadiglio.
«Ottima risposta. E chi sa dirmi…?»
Proseguì con le domande, e tutti risposero più o meno bene alla propria. Tutti tranne Stuart, che rimase muto, i muscoli tesi, lo sguardo appannato.
«Stuart?», riprovò l’insegnante, perplesso.
Stuart ebbe un moto strano, come per scuotersi, ma poi tornò immobile. «Non lo so.»
La classe cadde nel gelo. Stuart Dunneth che non sapeva rispondere ad una domanda?
Ravenscar era sorpreso quanto gli altri, ma preferì non infierire e andò avanti come se niente fosse. Emily fissò l’amico sbalordita, ma lui non si girò verso di lei né diede alcun cenno di rendersi conto di essere lì tra loro. Sembrava completamente assente, con la testa da tutt’altra parte.
Emily lo fissò a lungo, poi si accorse che gli altri li guardavano e abbassò gli occhi imbarazzata.
Ravenscar, a metà dell’ora, sembrò soddisfatto delle risposte che gli erano state date e perciò aveva deciso di tenere, per premiarli, una lezione pratica.
«Vi allenerete negli incantesimi di difesa immediata. Ciascuno di voi cercherà di colpire il compagno con una Fattura semplice e il suo avversario dovrà difendersi con qualsiasi incantesimo gli sembrerà utile. Vediamo cosa sapete fare.»
Emily, ovviamente, finì in coppia con Stuart, ma dopo tre volte che ciascuno di loro respinse perfettamente l’attacco dell’altro, il professore sembrò soddisfatto e concesse loro di sedersi in disparte a guardare gli altri. Emily sospirò sollevata. Temeva di crollare dal sonno prima della fine della lezione. Si voltò verso l’amico e per poco non sobbalzò: era bianco come un lenzuolo.
«Stuart?»
Il ragazzo si girò lentamente e la fissò.
«Ti… ti senti bene?»
Stuart aprì la bocca per parlare, ma la richiuse in fretta: probabilmente altrimenti avrebbe vomitato.
Emily balzò in piedi e raggiunse Ravenscar. «Professore, Stuart non sta bene, non potrei…?»
Ravenscar si voltò verso Stuart e notò il suo colorito. «Portalo in infermeria», acconsentì subito.
Emily obbedì e, aiutando Stuart ad alzarsi in piedi, lo trascinò fuori dalla classe e lungo il corridoio. Lui non disse niente: si appoggiava sempre di più a lei, e ormai non era più nemmeno in grado di camminare.
«Stuart, ti prego, resisti…», pregò ansimando dalla fatica Emily.
«Ehi, che succede?»
Emily si voltò a quella voce familiare e vide Al venire dalla parte opposta del corridoio.
«Al!», esclamò sollevata. «Stuart sta male, devo portarlo in infermeria, ma non ce la faccio.»
«Lascia fare a me», si offrì lui, e, preso Stuart da sotto un'ascella, lo trasportò a forza fino all’infermeria.
La signorina Hartland corse loro incontro e non appena vide la cera di Stuart ordinò ad Al di metterlo su un letto e lasciare che se ne occupasse lei.
Al obbedì ma lui ed Emily esitarono prima di andare via.
«Stuart», provò ancora a chiamarlo lei.
Il ragazzo aprì debolmente gli occhi.
«Stuart, come ti senti? Che cos'hai?»
Stuart scosse il capo e non rispose, voltandosi dall’altra parte. Il suo respiro si fece lento e regolare. Forse si era addormentato.
Emily ed Al si scambiarono un’occhiata intimorita e quando la signorina Hartland li cacciò gentilmente fuori se ne andarono impotenti.
«Cosa gli è successo?», domandò Al nervoso.
«Non lo so…mi sono girata verso di lui a Difesa Contro le Arti Oscure ed era bianchissimo. Credevo che stesse per svenire…»
Al si accigliò e restò in silenzio.
Nessuno di loro immaginava che Stuart non si sarebbe più rialzato.

 

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Capitolo 14
*** XIII. Discordia tra amici ***


XIII.
Discordia tra amici

 

Stuart non si alzò il giorno dopo, né quello dopo ancora. Non si alzò più.
Con il tempo, invece che migliorare, peggiorava. Sembrava sempre più stanco e debilitato, come se tutte le sue energie scemassero lentamente ma inesorabilmente.
Emily ed Al andavano a trovarlo spesso, e lui sorrideva e parlava rauco insieme a loro ogni volta, ma questo non li tranquillizzò. Stuart aveva qualcosa che non andava, era evidente.
Alla fine, dopo molte ore passate a discutere tra loro, decisero entrambi di provare a chiedergli come stessero le cose.
«Stuart?», tentò Emily un pomeriggio piovoso di febbraio.
Stuart alzò la testa dalla scacchiera su cui stavano disputando una partita all’ultimo sangue, ed Emily trattenne il fiato. Era ancora più bianco del solito, con ombre scure sotto gli occhi.
«Stuart», disse debolmente, con la voce che le tremava. «Come ti senti?»
Lui scrollò le spalle. «Sono un po’ stanco, tutto qui. Allora, tocca a te, che fai?»
Emily guardò la scacchiera, ma non riuscì a concentrarsi sulla disposizione delle pedine, così fece una mossa a caso. Una mossa stupida, perché la pedina di Stuart con una sciabolata tranciò di netto la regina di Emily.
«Che razza di mossa era?», disse lui, stupito dalla sua sbadataggine.
Emily si morse il labbro e cercò di concentrarsi. Inutilmente. In quattro turni Stuart le fece scacco matto. Iniziarono un’altra partita, ma Emily cominciò a fare errori talmente banali che alla fine Stuart sbuffò e alzò gli occhi dalla scacchiera puntandoli su di lei.
«Si può sapere che cos’hai? Non giochi mai così!», si lamentò.
Emily rimase in silenzio, cercando di farsi coraggio e parlare. «Ecco, a dire al verità…», si bloccò, indecisa.
Stuart rimase in attesa, silenzioso.
«Stuart», riprese poi, con la voce sottile. «Che cos’hai? Perché stai male?»
Lui fece un cenno noncurante con la mano. «Che vuoi che ne sappia? Nemmeno la signorina Hartland, che è una guaritrice, capisce che cosa sia, figurati io!»
Emily non gli credeva, ma non insisté. «Stuart, tu… non vuoi parlarmi di qualcosa?»
Lui spalancò gli occhi, colto di sorpresa. «Di che cosa dovrei parlarti?»
Emily, tesa, dovette impiegare tutto il suo coraggio per rispondere. «Be’, di… insomma, tu stai nascondendo qualcosa, vero?»
Stuart si accigliò all’improvviso e la scrutò all’erta. «Che cosa vuoi dire?»
Emily avrebbe voluto scappare dai suoi occhi penetranti, ma lui era suo amico, e lei doveva aiutarlo, così rimase inchiodata lì. «In-intendo dire che c’è qualcosa che ti preoccupa, e se magari vuoi parlarne con me, forse posso aiutarti…»
«Tu non puoi aiutarmi», dichiarò lui bruscamente.
Emily, sorpresa, perse per qualche istante l’uso della parola. Si aspettava che negasse, che le dicesse di farsi gli affari suoi, aveva sperato che le rivelasse tutto, ma quell’affermazione, detta con quel tono così amareggiato l’aveva lasciata di stucco.
«Ma magari posso… non so, posso darti un consiglio, posso starti vicino. Magari posso aiutarti anche se non ti sembra possibile!», tentò. «Se solo tu me ne parlassi…»
«Tu non puoi aiutarmi», sibilò lui irritato, scandendo le parole.
Emily, impaurita dalla sua reazione, cercò di farlo ragionare. «Ma come puoi esserne sicuro? E se…»
«HO DETTO CHE NON PUOI!», gridò lui raddrizzandosi. Era pallido come sempre, ma aveva le guance arrossate dalla rabbia. «NESSUNO PUÒ FARLO!»
Emily ammutolì. Non avrebbe mai potuto credere che il pacato, distratto Stuart potesse gridare in quel modo contro di lei.
«Scusa, volevo solo…»
«AIUTARMI! HO CAPITO! MA NESSUNO PUÒ AIUTARMI!», ribatté lui furioso. «E NESSUNO DEVE PROVARE A FARLO! È CHIARO?!»
Emily indietreggiò. «Sì, scusa. Mi dispiace tanto», balbettò, con le lacrime agli occhi. «Non dirò più niente… Stuart, io…»
«Vattene!», sibilò lui, senza più guardarla.
«Co-cosa?»
«VATTENE!», gridò.
Emily prese la borsa e gli lanciò un’ultima occhiata ferita, ma lui teneva gli occhi dritti davanti a sé. Soffocando un singhiozzò, Emily corse fuori dall’infermeria. E continuò a correre, lungo il corridoio, su per le scale, senza sapere bene dove stava andando.
Si scontrò con qualcuno un paio di volte, ma non riuscì a riconoscerlo oltre il velo di lacrime che strabordava dagli occhi, e, alla fine, quasi inconsapevolmente, raggiunse la biblioteca e, ringraziando il cielo che non ci fosse nessuno, si rifugiò nel suo angolo nascosto e incrociando le braccia sul tavolo vi affondò il volto, cercando di soffocare il pianto che la scuoteva.
Dopo un po', quando si fu calmata, udì dei passi e alzò il viso di colpo. Poteva essere...?
Un Serpeverde del secondo anno spuntò da dietro gli scaffali, le lanciò un'occhiata con la coda dell'occhio e proseguì, sparendo dalla vista di Emily. Lei chinò di nuovo il capo appoggiandolo sulle braccia: per un fuggevole istante aveva creduto fosse Jamie. No, non creduto: aveva voluto che fosse lui.
Emily, che ti prende? È molto meglio che Jamie non ti trovi a frignare di nuovo: non ti consolerà di certo, anzi, non vorrà avere più a che fare con te.
Chissà perché, quel pensiero la depresse ancora di più e il pianto le risalì ancora agli occhi.
Quando tornò in Sala Comune, un’ora dopo, aveva un’espressione così stravolta che persino Drilla non riuscì a trovare una parola per confortarla. Le rimase accanto per tutta la serata, e si offrì di portarle da mangiare per non farla scendere in quello stato in Sala Grande.
Emily rifiutò, anche se le era grata per quell’offerta, e si sedette coraggiosamente al tavolo di Corvonero con lo sguardo basso.
«Emily?», la chiamò qualcuno mentre piluccava assente il dolce, alla fine della cena.
Emily alzò lo sguardo. Al era lì, in piedi accanto a lei, e la guardava tristemente. «Non ha funzionato, vero?»
Emily scosse il capo, e lui si sedette nel posto vuoto accanto cercando di consolarla.
«Coraggio, non può essere stato così terribile.»
«Mi ha gridato di andarmene», raccontò con voce atona Emily cercando di restare impassibile. «Credo che non voglia più parlarmi.»
Al le mise una mano sulla spalla. «Mi dispiace, avrei dovuto parlarci io.»
Emily scosse la testa. «Non avrebbe fatto differenza.»
Al si accigliò. «Domani andrò a trovarlo e lo farò ragionare, te lo prometto.»
Emily non si sentì molto consolata da quella promessa: dopo la reazione di Stuart, aveva la sensazione che nemmeno Al con tutto il suo buon senso sarebbe riuscito a far tornare le cose al loro posto. E aveva ragione.

La mattina seguente Al arrivò a lezione di Pozioni con un volto che non aveva bisogno di parole per esprimere l’accaduto.
«Sono andato in infermeria.»
Emily annuì, ma non gli chiese niente. Poteva immaginare cos’era successo.
Al sembrava scoraggiato. «Non ha voluto parlarmi. Ho cercato di fargli delle domande e di convincerlo, ma lui non mi ha nemmeno guardato. Sembrava che avesse la testa da un’altra parte. Solo quando mi sono arrabbiato e gli ho detto di smetterla mi ha gridato di andarmene.»
Emily si sedette al suo stesso banco per continuare a parlare durante la lezione, con Drilla dall’altra parte che sbuffava. «Secondo me il modo migliore di farlo rinsavire sarebbe una bella lavata di capo. Se volete me ne occupo io.»
Emily e Al la guardarono male.
«Il fatto è che Stuart nasconde davvero qualcosa. Lo ha ammesso», mormorò Emily.
Al le lanciò un’occhiata strana, come impietosita. «Mi dispiace per tutto questo, Emily.»
Emily sorrise tristemente. «Non preoccuparti. In fondo siamo nella stessa situazione, no?»
Al sembrò preso alla sprovvista. «Sì, certo, ma io non…», arrossì e non terminò al frase.
Emily, perplessa, gli rivolse un’occhiata interrogativa.
Al, rosso, sospirò e proseguì. «Ma sì, me lo ha detto Jamie. Intendo dire che io sono solo suo amico mentre tu…»
«Potter! Hale! Avete intenzione di passare tutta la mia lezione chiacchierando?», lo interruppe la squillante voce della professoressa Bones.
Emily e Al si nascosero imbarazzati dietro i loro calderoni mentre metà della classe si girava a guardarli e si affrettarono a cominciare la pozione che l'insegnante aveva assegnato quel giorno.
Alla fine della lezione, grazie all’aiuto di Emily, Al consegnò fiero la sua boccetta di Distillato di Tremore, e uscì dalla classe insieme all’amica e a Drilla.
«Che stavi dicendo prima?», gli chiese Emily mentre si avviavano per il corridoio.
«Prima quando?», fece Al, smemorato.
«Quando le professoressa ci ha interrotti.»
«Ah, già!», Al arrossì di nuovo. «Be’, insomma, lo sanno tutti che tu e Stuart stavate insieme», spiegò alla fine riluttante.
Un tonfo fragoroso segnò la caduta della borsa zeppa di libri di Emily. «Cosa?!»
Drilla, lì vicino, prese un'aria risaputa. «Te l’ho detto, Emily, che le voci giravano!»
«Ma non è vero!», dichiarò imbarazzatissima Emily, mentre raccoglieva i libri. «Chi te lo ha detto?»
Al sembrava sorpreso. «Dici sul serio? Ma se eravate sempre insieme…»
«Solo perché ero preoccupata per lui!», ribatté Emily molto rossa.
Al era sbalordito. «Vuoi dire che tu e Stuart non siete mai stati insieme?»
«No!», sbottò Emily.
«E che non ti piace?»
Emily aprì la bocca per rispondere, ma quella giornata era decisamente destino che nessuno di loro riuscisse a terminare un discorso.
«Al!»
Si voltarono tutti e tre. David, dall’altra parte del corridoio, chiamava Al con un braccio alzato. «Tuo fratello ti sta cercando. Ehi, guarda chi c’è, la ragazzina muschiata e la Cornacchia!» Sogghignò.
Drilla gonfiò le guance. «Prova a dirlo un’altra volta e giuro che io…»
«Drilla!», la ammonì Emily, prendendola per un gomito. Dovette trascinarla con tutte le forze in suo possesso lontano da lì, altrimenti avrebbe attaccato David in men che non si dica.
«Ci vediamo dopo», disse ad Al in fretta.
Lui annuì. «Okay.»
Per tutta l’ora successiva Emily dovette subire le arringhe di Drilla contro David e la sua convinzione che quel ragazzo non sarebbe certo spirato di morte naturale. Fu un sollievo quando scesero all’ora di pranzo nella Sala Grande e Drilla fu finalmente distratta dalla presenza di Tristan Vidal. Quest’ultimo, non appena le vide entrare, fece un cenno a Drilla, invitandola a sedersi vicino a lui.
Drilla era fuori di sé dalla gioia. «Ti dispiace, Emily?»
Emily scosse il capo. «No, affatto», rispose rassegnata, e andò a sedersi come al solito nei posti vuoti all’angolo più nascosto della tavola.
Mangiò in silenzio, pensando a cosa avrebbe potuto fare per risolvere la situazione di Stuart, quando sentì qualcuno bussarle sulla testa.
Infastidita, si girò massaggiandosela e vide Jamie che la osservava divertito. «Ehi, come va?»
Emily si sforzò di sorridergli. «Bene», mentì, mentre lui si stravaccava rilassato nel posto accanto al suo.
«Dalla tua faccia non si direbbe», ghignò Jamie stiracchiandosi.
Emily scrollò le spalle desolata e non rispose.
Jamie corrugò le sopracciglia. «Sei proprio giù, eh?» Fece una pausa, come se stesse pensando a qualcosa. «Senti», disse poi in tono pratico, «domani sera ho intenzione di fare un giro per la Foresta con i miei amici. Hai voglia di venire? Ti distrarresti un po'.»
Emily spalancò gli occhi. «Nella Foresta? Nella Foresta Proibita, intendi? Ma è…»
«Proibito», concluse lui con un sorriso complice. «Ma altrimenti non sarebbe divertente, no? Perché non fai venire anche la tua amica, com’è che si chiama? Mandrilla?»
«Drilla», lo corresse con una smorfia Emily. «Ma non si dovrebbe fare, è pericoloso…»
«Il pericolo è il sale della vita», filosofeggiò Jamie saggio. «Dai, vieni, non ci saranno piovre giganti, te l’assicuro.»
Emily si morse il labbro. «Non lo so, Jamie…» Era ancora preoccupata per Stuart, andare a cercare guai nella foresta le sembrava un tradimento nei suoi confronti.
«Ti prego», implorò Jamie con un’espressione così supplichevole che Emily non riuscì a non ridere. E quello decise la questione.

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Capitolo 15
*** XIV. Notte movimentata ***


Bentrovati!
Chiedo umilmente perdono per aver mancato all'aggiornamento ieri ma ho lavorato fino a tardi e oggi ho smesso solo poco fa. Spero che non me ne vorrete e interrompo subito qui i preamboli per lasciarvi al capitolo.
Grazie a tutti coloro che leggono e in particolar modo a chi mi lascerà un commento.
E buon sabato sera :)
 

XIV.
Notte movimentata


La sera del giorno dopo Emily e Drilla scesero quatte quatte dal dormitorio alle undici in punto.
Drilla era eccitata, adorava il rischio, e quando Emily le aveva parlato dell’offerta di Jamie, aveva accettato al volo. Così si erano preparate e si erano inoltrate nei corridoi bui della scuola, silenziose.
Emily era nervosa: non le erano mai piaciute quel genere di esperienze, non era un’amante del brivido. Continuava a chiedersi perché mai avesse acconsentito. Se n’era pentita molto in fretta. Prima di tutto perché era una cosa proibita, ed Emily aveva una paura folle di infrangere le regole. Poi perché aveva paura. Non lo aveva ammesso con Drilla, ma si stava sforzando con tutta se stessa di non tremare.
Raggiunsero la Sala d’Ingresso, si guardarono intorno, Emily nervosamente, Drilla impaziente, e sgusciarono fuori dal grosso portone.
Il luogo dell’appuntamento era vicino al Platano Picchiatore. Quando Emily a Drilla ci arrivarono, si guardarono intorno e non scorsero nessuno. Poi dal buio emersero delle figure scure. Emily, che tremava come una foglia, non poté trattenere un sospiro di sollievo quando li riconobbe. Uno era Jamie, e l’altro era David Steeval.
Drilla, quando lo notò, fece un’espressione disgustata. «E tu che ci fai qui?»
David sogghignò. «Che c’è, hai visto da qualche parte un cartello che dice che il parco di notte è riservato alle cornacchie? No, e allora ci posso camminare come mi pare!»
Emily e Jamie dovettero metterci tutta la loro capacità di persuasione per convincerli di stare calmi almeno per quella notte.
«Non hai portato nessun altro?», chiese Emily a Jamie quando finalmente Drilla si fu calmata.
«No, ma siamo già in buona compagnia, non ti sembra?», replicò lui, divertito.
Emily non ne era così sicura. Guardò incerta David e Jamie che tiravano fuori le bacchette e li seguì riluttante mentre si dirigevano verso il margine scuro della foresta. Gli alberi, colpiti dalla luce della luna, sembravano più spettrali e inquietanti del solito.
I suoi tre compagni varcarono la soglia scura del bosco e si inoltrarono piano tra i cespugli, facendo quello che a Emily sembrò un gran frastuono. Li seguì, timorosa di restare sola, e si tenne quanto più vicina possibile a Jamie, lanciandosi attorno occhiate ansiose.
«Dove stiamo andando?», mormorò a Jamie impercettibilmente. Lui si voltò e sorrise malizioso.
«E chi lo sa?»
Quando vide la faccia spaurita che fece lei dovette mettersi una mano sulla bocca per non scoppiare a ridere. «Sto scherzando. Aspetta e vedrai.»
Proseguirono e più volte degli strani fruscii intorno a loro fecero balzare il cuore in gola a Emily. Stava morendo di paura. Si guardò indietro per vedere quanta strada avevano fatto: il castello e il parco non si vedevano più, inghiottiti dalla notte.
Emily deglutì, si voltò a vedere dove fossero gli altri e per poco urlò quando vide che c’era qualcosa proprio davanti alla sua faccia. Era solo la mano tesa di Jamie.
Emily lo guardò interrogativa.
«Dammi la mano: almeno smetterai di tremare», spiegò lui sorridendo.
Emily arrossì violentemente e bofonchiò qualcosa ma lui le afferrò la sua e la trascinò con sé avanti dove gli altri due si erano fermati ad aspettarli.
«Grazie», mormorò Emily che, nonostante il suo scarso orgoglio si risentisse di quel gesto, era veramente grata. E, le sussurrò una vocina nella testa, pure compiaciuta. Emily la soffocò immediatamente.
Dopo mezz’ora –ma che a Emily era parso molto, molto più tempo- gli alberi si spalancarono improvvisamente e arrivarono tutti in mezzo a una radura.
«Che posto è?», chiese Drilla incuriosita, facendo un passo avanti per entrarci.
«No!», sibilarono Jamie e David all’unisono.
«Perché?», fece Drilla sorpresa, indietreggiando.
«Li vedi quei fiori?», domandò David indicando qualcosa sul terreno.
«E allora?», replicò Drilla scocciata. Evidentemente non vedeva come dei banali fiori dovessero impedirle di entrare in quel posto.
«Sono Campanule della Morte», disse Emily, sorprendendo persino se stessa.
Jamie la osservò stupito. «Come lo sai?»
«Le ho…»
«… viste su un libro, ci scommetto!», la interruppe David ridacchiando.
Jamie lo mise a tacere con un’occhiataccia. «Probabile. E sai anche dove crescono?», chiese eccitato a Emily.
Lei si morse il labbro ed esitò prima di rispondere. «Sui tumuli antichi e sulle tombe maledette.»
Un silenzio denso di significato seguì quell’affermazione.
«Vuoi dire che qui c’è una tomba maledetta?», domandò alla fine Drilla con la voce un po’ acuta. Adesso aveva paura anche lei.
«Non solo qui», replicò Jamie serio. «La Foresta Proibita è piena di questi fiori. Non sapete la leggenda?»
Emily e Drilla scuoterono il capo.
«Giù a Hogsmeade la usano per spaventare i bambini, ma il vecchio Aberforth, quello della Testa di Porco, dice che è vera. Prima che Hogwarts fosse fondata», e qui il suo tono si fece sognante e lontano; evidentemente gli piaceva tenere così in sospeso l’attenzione delle due ragazze, «qui abitava una tribù di streghe potentissime e corrotte. Si dice che attirassero i Babbani nei loro tranelli e ne succhiassero via la vita. Queste con i fiori sopra sono le loro tombe» Fece un pausa d’effetto.
«In che senso succhiare via la vita?», fece Drilla perplessa. «Come facevano?»
«È questo il bello: non si sa. Però una cosa è certa: i Babbani dovevano essere d’accordo, altrimenti le streghe non potevano farlo.»
Drilla rise. «Andiamo, nemmeno il Babbano più stupido del mondo potrebbe dirsi d’accordo se qualcuno volesse succhiargli via la vita.»
«Ma se la strega lo avesse ammaliato o gli avesse promesso qualcosa?», insinuò Jamie.
Emily e Drilla si guardarono a disagio.
«Perciò quella tribù di streghe oscure visse qui a lungo. Ma, un giorno, arrivò Godric Grifondoro con un grosso esercito di Maghi.»
Drilla fece uno sbuffo. «Ma andiamo, non farmi ridere, questa è una gran scemenza!»
«In effetti Godric Grifondoro era famoso per aver combattuto molte battaglie coraggiosamente e di averne vinta una proprio sul luogo dove sorse Hogwarts», la contraddisse Emily ricordando alcune pagine quasi illeggibili di Storia di Hogwarts della biblioteca.
Jamie annuì. «Infatti. E quella battaglia fu proprio contro queste streghe. Vedete, il parco di Hogwarts una volta non esisteva. Era tutta foresta, un mucchio d’alberi avvizziti e malsani. Gli alberi crescevano persino sulle sponde del lago, fino alle montagne. La strega più potente viveva dove ora c’è il castello. Proprio sotto. E si dice che sia l’unica che Godric non si mai riuscito a sconfiggere perché è riuscita a fuggire appena in tempo. E alcuni dicono», e la sua voce si abbassò tanto che Emily e Drilla dovettero protendersi verso di lui per sentire, «che vaghi ancora inquieta da qualche parte nelle viscere della scuola e che…ASPETTI!», gridò, e le due ragazze fecero un sobbalzo talmente improvviso che David, alle loro spalle, scoppiò a ridere selvaggiamente.
«Che fifone!», le derise tenendosi la pancia per il gran ridere.
Jamie, davanti a loro sorrideva: era riuscito nel suo intento, cioè spaventarle a morte.
Drilla ringhiò e si scaraventò contro David, che con un balzo fu fuori dalla sua portata. Le fece una smorfia e sparì dietro un albero. Drilla lo rincorse e ben presto entrambi scomparvero dalla vista.
«Attenti a dove andate!», gridò loro dietro Jamie con un ghigno.
«Non è pericoloso girare da soli qui?», domandò allarmata Emily.
Jamie scrollò le spalle. «Niente affatto. Io e David abbiamo incrociato un paio di volte dei Trow, ma ce la siamo cavata senza problemi. Le cose più pericolose che ci sono in giro sono le Acromantule, ma vivono molto più all’interno della foresta, perciò basta non andare troppo avanti e non si corrono rischi.
Emily non ne era molto sicura. Aveva ancora il cuore in gola dopo che Jamie l’aveva spaventata. «È vera la tua storia?», domandò incerta.
Jamie abbassò gli occhi su di lei e sorrise. «Non lo so. Me l’ha raccontata il vecchio Aberforth, te l’ho detto, e lui ci crede. Ma Aberforth crede a un sacco di scemenze.»
«Ne sei proprio sicuro?»
Jamie alzò le spalle, come a dire che non gli importava, si inoltrò di pochi passi nella radura e si sedette tra i fiori blu elettrico.
«Ti conviene sederti, prima che quei due tornino ci vorranno secoli», le disse sbadigliando.
Emily, dopo un attimo di esitazione, seguì il consiglio e si rannicchiò insicura accanto a lui, esplorando con lo sguardo il prato. Era nervosa.
«Tranquilla, anche se ci fosse una tomba qui sotto, non credo che nessun morto che cammina ne salterebbe fuori a sgozzarti», la rassicurò allegramente Jamie.
Emily deglutì e sospirò, cercando di darsi una calmata. Restò in silenzio per un po’ e Jamie, lì vicino, stranamente fece altrettanto, pensieroso.
«Al mi ha raccontato di Stuart», disse lui poi con uno strano tono di voce. «Mi dispiace. Si è ripreso?»
Emily scosse il capo. «No.» Voleva aggiungere qualcos’altro ma poi chiuse la bocca, sconsolata.
Jamie la trapassò con gli occhi scuri. «Non si sa che cos’abbia?»
«Lui… non vuole dirlo», confessò Emily.
Jamie si accigliò. «In che senso non vuole dirlo, scusa?»
«Solo lui sa che cos’ha. È una cosa che nasconde, l’ha ammesso. Ma non vuole rivelarlo.»
«Nemmeno a te?», chiese lui perspicace.
Emily scosse il capo con un nodo alla gola.
«Avete litigato?», domandò Jamie di punto in bianco.
«Sì», assentì lei amareggiata.
«Ma ti piace ancora», disse lui in tono strascicato.
Emily si riscosse dal torpore. «Cosa?!»
Jamie, che stava guardando i fiori, si voltò a fissarla inarcando un sopracciglio. «Andiamo, hai sentito benissimo.»
Emily arrossì e si irritò. Perché anche lui lo pensava? «A me non piace Stuart», protestò vivacemente. «Cioè, come amico sì, ma nient’altro.»
Jamie sembrava sbalordito. «Dici sul serio? Ma se a Natale eri felicissima che fosse venuto!»
Emily si infiammò. «Solo perché non mi viene mai a trovare nessuno. Era la prima volta che avevo un amico che veniva a casa mia!»
Jamie fece una faccia imbronciata. «Non sembravi molto felice di vedere me, però…»
«Non è vero. È solo perché non me l’aspettavo, tutto qua! Sono felice che sia venuto anche tu quel giorno!», dichiarò impacciata.
«Dici sul serio?» Jamie aveva una faccia strana.
Emily annuì. «Sì.»
«Non ti è mai piaciuto Stuart?»
«Non in quel senso.»
«E ti piace qualcun altro?»
Emily non si aspettava quella domanda. Teneva lo sguardo rivolto a terra ed era già pronta a negare quando lui con una mano la costrinse ad alzare il mento e fissarlo negli occhi.
«Io ti piaccio?»
Emily ammutolì e spalancò gli occhi. Jamie la guardava serio, il viso vicinissimo al suo.
La vocina dentro la sua testa sembrò tornare prepotentemente: . Ma Emily cercò di nuovo di ricacciarla indietro mentre si sentiva andare a fuoco tutta la faccia, mentre i suoi occhi cercavano di guardare da qualsiasi altra parte tranne che Jamie.
La sua lotta interiore era ancora in atto quando Jamie, impaziente, la attirò con violenza a sé e la baciò.
Emily, immobilizzata dallo stupore, dall'indecisione e forse anche dalla gioia -no, Emily, no!, si disse disperatamente-, sentì esplodere dentro di sé una ridda di emozioni incontrollabili. Era stordita e il suo cervello sembrava funzionare al rallentatore. Sentì l’impulso di rispondergli, di abbracciarlo come stava facendo lui con lei, ma non osava farlo. Prima che potesse decidersi, però, lui si scostò di poco e la fissò negli occhi.
«Tu mi piaci, Emily.»
Emily, l’espressione frastornata, non riusciva a parlare.
«Dimmi che ti piaccio... Ti prego…», implorò lui metà sorridendo e metà interrogando, avvicinandosi di nuovo pericolosamente.
Le loro labbra si sfiorarono, ma prima che Emily potesse trovare la forza di rispondere al suo bacio, sentì un fruscio poco più in là e, imbarazzata, lo spinse via di colpo, temendo che David e Drilla fossero di ritorno. Non voleva che li vedessero così.
Jamie, fraintendendo il gesto, ci rimase malissimo. Le rivolse uno sguardo deluso e irritato. «Bastava un no», sibilò a denti stretti, amareggiato.
I fruscii si fecero più vicini, ma lui non sembrava essersene accorto. Emily, quando capì che stava pensando che lo stesse respingendo, scosse la testa con forza. «Jamie, non volevo…»
Jamie si alzò con una smorfia irritata, allontanandosi da lei. «Non preoccuparti, non devi spiegarmi nulla. In fondo sono l’odioso Potter che ti ha fatto da aguzzino fin dal primo giorno in cui hai messo piede a scuola, no?»
Emily sbiancò. «No, non è vero, non ho mai detto una cosa del genere!», protestò.
«Ah no?», disse lui con un sorriso amaro.
«Io… sì, l’ho detto, ma quando non ti conoscevo bene, davvero! Ora io…», cercò di spiagarsi disperatamente Emily.
Non riuscì a finire la frase. David e Drilla emersero dal bosco, piuttosto scarmigliati e malridotti. Evidentemente Drilla era riuscita a raggiungerlo, perché lui aveva un occhio pesto. Ma furono le loro facce spaventate a colpire Emily e Jamie.
«Jamie», disse agitato David. «C’è un’Acromantula qui in giro.»
«Cosa?!», sbottò Jamie.
Come a confermare la verità delle parole di David, un fruscio violento scosse degli alberi poco lontani. I ragazzi rimasero per un attimo al loro posto immobilizzati dal terrore. Poi…
«CORRETE!», gridò Jamie, e tutti scattarono tra gli alberi, percorrendo all'inverso la strada da cui erano venuti. Dietro di loro il fruscio cominciò a crescere, e per un solo, orribile istante, Emily, voltandosi, vide qualcosa di grande e peloso emergere dagli alberi: un ragno gigante.
Corsero fino a non avere più fiato, e stavano ormai per credersi spacciati quando da lontano videro emergere tra gli alberi la figura familiare del castello.
Siamo salvi!, fu il pensiero immediato di ognuno di loro.
Sfrecciarono senza fiato per il parco, voltandosi indietro: il ragno non aveva osato uscire fuori dagli alberi. Sollevati, salirono a due a due i gradini di pietra dell’ingresso ed entrarono dal portone chiudendoselo alle spalle fragorosamente. Ansimanti, si guardarono gli uni gli altri nel buio e, dopo un istante di silenzio, scoppiarono a ridere come se fossero ubriachi.
«Potrei sapere perché siete così allegri, signori?»
I quattro si raddrizzarono, atterriti. In piedi nel vano della porta che portava alle aule del pianterreno c’era Quebec con una lanterna accesa in una mano e la bacchetta nell’altra.
Emily tremò: altra punizione in vista, e probabilmente stavolta molto più severa della precedente.
Invece, contrariamente a quanto si era aspettata, Quebec alzò la lanterna, li guardò in faccia e il suo sguardo si fermò con uno scintillio nervoso su di lei.
«Tornate tutti ai vostri dormitori», ordinò brusco. «Hale, ti dispiace seguirmi?»
«Perché?», chiese Emily sbigottita. Perché solo lei? Che cos’aveva fatto più degli altri.
«Non è una punizione», chiarì Quebec senza abbandonare l’espressione ansiosa. «È il tuo amico, Dunneth. Non riusciamo più a svegliarlo.»

 

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Capitolo 16
*** XV. Il marchio della morte ***


Buongiorno a tutti!
Lo so, sono di nuovo in ritardo ad aggiornare ma anche ieri, tra visite e lavoro, ho avuto da fare fino a sera tardi. Così per farmi perdonare oggi aggiornerò due volte.
Volevo ringraziare di cuore Sheilin (l'ultima volta non l'ho fatto, chiedo umilmente venia) e chuxie per i loro preziosi commenti. Grazie per aver letto e apprezzato finora questa storia e anche a tutti gli altri che passeranno di qui.
Buona lettura!

 

XV.
Il marchio della morte

 

Stuart stava morendo.
Nessuno ebbe il coraggio di dire quelle parole ad alta voce, ma quella realtà aleggiava nell’aria, terribile e angosciosa.
Emily e Al trascorrevano tutto il tempo che potevano in infermeria, accanto all’amico immoto. Drilla andava e veniva dal locale, con la scusa che era indaffarata per il Quidditch, ma la verità era un’altra: non riusciva a sopportare di stare lì a lungo, come loro, senza poter fare nulla. Era una persona pratica, amava l’azione; il senso di impotenza che palpitava attorno a quel letto l’avrebbe certamemte fatta impazzire se si fosse fermata più a lungo di quanto già non facesse.
Stuart aveva perso tutto quel poco di vitale che gli restava: la sua pelle era quasi diafana, talmente bianca da far sembrare le lenzuola attorno a lui grigie e sporche. Il suo volto era una maschera di stanchezza, gli occhi chiusi circondati da pesanti cerchi scuri, simili a grossi lividi. L’espressione era tirata, il respiro quasi impercettibile. Sembrava addormentato in un sonno profondissimo, che lo rendeva sempre più esausto anziché riposarlo.
Emily era totalmente abbattuta.
Stare lì, davanti a Stuart ridotto così, senza poter fare niente per aiutarlo, la stava distruggendo. Lei e Al non parlavano, aspettavano insieme e basta, cercando di non pensare al peggio. Erano entrambi troppo scossi per poter ammettere tra loro quello che stava succedendo.
Se solo avesse parlato con uno di noi!, continuava a ripetersi monotona Emily. Se solo avesse detto la verità!
La signorina Hartland si prendeva cura di lui come poteva, ma sembrava che non ci fosse nulla da fare. Nemmeno Quebec, Ravenscar o un altro dei professori trovarono un modo per fermare la rapida decadenza a cui il ragazzo era sottoposto.
Poi, un giorno, il preside stesso si occupò della faccenda. Scrutò Stuart da vicino, ne valutò il battito del cuore, ormai quasi inudibile, e scosse il capo.
«Dovremo portarlo al San Mungo. Domani o dopodomani, se non si riprenderà.»
E, con quelle poche parole, decretò lo sgomento completo di Emily e tutti gli altri: Stuart era gravissimo, e presto, troppo presto, la vita avrebbe potuto lasciarlo.
Emily affrontò quei giorni come se vivesse in una sorta di mondo parallelo, insensibile a quello che la circondava. Seguiva le lezioni, mangiava con gli altri Corvonero nella Sala Grande, camminava nei corridoi della scuola, ma non ricordava nulla di tutto quello che la accadeva intorno. Era come se il suo corpo agisse da solo, indipendente dalla sua volontà, mentre il suo pensiero era distante anni-luce da lì, diviso tra due poli. Uno era Stuart, che presto sarebbe stato portato via, l’altro… l’altro era Jamie.
Emily, sebbene cercasse di allontanare il pensiero, dicendosi che il rischio mortale che correva Stuart era molto più importante dei suoi stupidi problemi sentimentali, non riusciva a passare giorno senza pensare alla Foresta Proibita, alla radura dei fiori, a quel bacio… e ogni volta che la sua mente ci ritornava, il suo cuore si stringeva in una morsa. Perché Jamie, da quel giorno, non le aveva più rivolto la parola.
Si erano incrociati nei corridoi, lui circondato dalla solita cerchia di amici, lei sola, china sotto i libri. Erano passati a pochi centimetri l’uno dall’altra, ma lui non si era voltato, non le aveva sorriso, non le aveva nemmeno gridato dietro qualche soprannome assurdo per prenderla in giro, come faceva un tempo: Emily era diventata invisibile per lui, della stessa sostanza delle pareti sullo sfondo; e quell’indifferenza le faceva più male di qualsiasi insulto potesse mai aver ricevuto da lui.
Drilla, una mattina, a colazione, la fissò spaventata. «Emily, sei distrutta! Sei sicura di non voler tornare al dormitorio?»
Emily, il cui sguardo era calamitato inconsapevolmente dal tavolo dei Grifondoro, si riscosse e tentò di sorridere. Le uscì solo una smorfia tirata. «Sto bene», mentì.
Drilla alzò un sopracciglio, incredula.
Emily sospirò. «Ho paura… per Stuart.»
Drilla non insisté. Il tatto non era mai stata una delle sue qualità, ma persino lei poteva capire come si sentisse Emily in un momento del genere. La lasciò al suo piatto, che aveva a malapena toccato, e rimase in silenzio per tutto il resto del pasto.
Quella mattina, -era domenica e non aveva lezione- Emily finì per rifugiarsi nell’unico luogo dove era sicura di trovare pace e silenzio: la biblioteca. E se ne pentì.
Aveva appena varcato la soglia quando scorse, seduto nel suo angolo preferito, Jamie, la testa appoggiata a una mano, lo sguardo assente puntato fuori dalla finestra.
Emily si bloccò all’istante. Che cosa ci faceva lì? Jamie non si voltò. Probabilmente non si era nemmeno accorto che fosse entrata. O forse la stava ignorando come faceva ormai tutte le volte che la incontrava.
Emily era sul punto di girarsi indietro e scappare via prima che si accorgesse di lei, ma non fece in tempo. Jamie spostò gli occhi lentamente e la vide.
Si fissarono a lungo, in silenzio, Emily in piedi tra due scaffali zeppi di libri, tesa.
«Ciao», fece lui alla fine con voce atona.
Emily boccheggiò. Dovette respirare a fondo prima di riconquistare la facoltà della parola. «Ciao», mormorò pianissimo.
Jamie distolse lo sguardo e tornò a fissarlo sulla pioggia che colava lungo il vetro piombato della finestra, ignorandola.
Emily si morse il labbro, restò immobile ancora un attimo poi, dopo una violenta lotta interiore, si avvicinò piano e si sedette nella sedia vuota accanto a lui. Con quel gesto sorprese persino sè stessa, e Jamie non poté fare a meno di voltarsi verso di lei, stupito.
Emily arrossì e cercò disperatamente qualcosa da dire. Qualcosa di intelligente, possibilmente, e non che avrebbe rovinato tutto come nella foresta.
«Come sta il tuo amico?», domandò casualmente Jamie interrompendo le sue elucubrazioni e tornando a guardare da un’altra parte.
Emily deglutì, cercando di calmarsi. «Domani lo porteranno al San Mungo», rivelò con la voce che tremava.
A quelle parole Jamie si sciolse un po’ dal suo atteggiamento distaccato, e assunse un’espressione dolente. «Mi dispiace.»
Cadde un silenzio pesante. A Emily parve di sentire l’elettricità che percorreva la distanza tra loro. Fece un respiro profondo: non sapeva da che parte cominciare.
«Jamie…»
Lui continuò a tenere gli occhi fissi davanti a sé, come se non l’avesse sentita.
«Jamie, io… volevo parlarti…», tentò lei con una vocina piccola piccola.
Jamie fece un sorrisetto sprezzante. «Davvero? Con me? Tu? Strano!»
Aveva un’intonazione leggera, frivola, che colpì Emily come una pugnalata. Sentì le lacrime salirle agli occhi ma le ricacciò indietro.
«Jamie, io non volevo, nella Foresta… io…», non sapeva come spiegarsi. Come faceva a dirgli che era felice che lui l’avesse baciata?
Devi solo dirglielo, Emily!, pensò tra sé, ma le parole non le uscivano dalla bocca.
Jamie, che era rimasto pazientemente ad aspettare che concludesse la frase, sbuffò e si alzò in piedi di scatto. «Non preoccuparti. Non sono così stupido. Me l’hai già fatto capire benissimo una volta, non c’è bisogno che me lo ripeti ancora.»
Emily si alzò anche lei in piedi. «Non è come credi!», ribatté con una voce talmente acuta da essere irriconoscibile.
Lui fece un altro sorriso tirato, e fu come se le avesse rigirato il coltello nella piaga. «Lascia stare, ho capito. Mi dispiace per quello che è successo nella foresta. Non preoccuparti, non proverò più a toccarti dato che ti dà così fastidio…»
«SEI UNO STUPIDO!», urlò Emily.
Jamie accusò il colpo: spalancò gli occhi e la guardò sbalordito.
Emily non resistette un minuto di più. Sotto tutti gli sguardi degli altri studenti della biblioteca, afferrò la borsa al volo e fuggì, in lacrime.

Quel pomeriggio avrebbe voluto restarsene chiusa in camera sua senza vedere nessuno. Ma era l’ultimo giorno in cui Stuart era lì a scuola, poi l’avrebbero portato via. Così, con uno sforzo enorme, si asciugò le lacrime e cercando di ricomporsi, raggiunse l’infermeria.
Non c’era nessuno. Stuart, sempre più pallido, giaceva immobile nel suo letto. Ormai era chiaro che entro pochi giorni le forze l’avrebbero abbandonato del tutto.
Emily si sedette al suo capezzale e lo fissò assente.
Che cos’hai veramente, Stuart? Che cosa nascondi?
Emily era talmente assorta nel volto dell’amico che non si accorse di qualcuno che entrava. Sentì un tocco gentile su una spalla e si voltò di scatto, spaventata.
Al. 
Le sorrise stancamente e si sedette vicino a lei, guardando a sua volta Stuart. «Niente?»
Emily scosse il capo in silenzio. Rimasero zitti per diversi minuti, soprappensiero. Il silenzio era talmente profondo che il ticchettio l’orologio ad un angolo della stanza sembrava frastornante.
«Emily?», la chiamò all’improvviso Al.
Lei gli fece un cenno, per dirgli che lo ascoltava.
«Che cos’è successo con Jamie? Avete litigato?»
Emily sussultò. Non si aspettava quella domanda.
«Sì», rispose dopo un lungo istante con voce atona.
Al sembrava dubbioso. «Perché? Che cosa ti ha fatto? Ha detto qualcosa che non andava?»
Emily cercò di rimanere impassibile, mentre una morsa le stringeva improvvisamente il cuore. «Non voglio parlarne», mormorò debolmente.
Al non si arrese. «Perché? Credevo che foste diventati amici…»
Probabilmente se Al avesse conosciuto la reazione di Emily, non avrebbe mai pronunciato quelle parole. E invece commise l’imprudenza di farlo.
Emily strinse la mani sulle ginocchia con un sospiro. Poi scoppiò di nuovo a piangere.
«Sì, lo eravamo, ma ora non mi vuole più nemmeno come amica! Mi detesta!», singhiozzò tra le lacrime istericamente.
Al, imbarazzato, cercò di consolarla e mise la mano sulla sua spalla. «Ehm…», cominciò, a disagio. «Ma… perché ti detesta?»
Emily non avrebbe mai immaginato di poter confessare così di getto quello che era successo. E invece lo fece. «Crede che io non lo voglia! Ma non è vero, io non lo odio, a me lui piace!»
Al spalancò la bocca, sbalordito. «Oh!», fece, come chi capisce qualcosa all’improvviso. I suoi occhi si spalancarono. «Oh!», ripeté di nuovo, come se stesse assimilando la verità a pezzi. «Da-davvero?», fece, impacciato. Decisamente ricevere dichiarazioni su suo fratello non era una cosa che lo metteva molto a suo agio.
Emily cercò di arrestare il fiume di lacrime, si asciugò le guance ed annuì.
«Ehm, mi fa piacere…», disse Al. «Cioè, no, intendo che mi fa piacere che ti piaccia Jamie, non che voi due abbiate litigato.»
Emily sorrise tristemente. «Grazie.»
«Ma… perché è convinto che tu lo odi?», chiese Al perplesso.
Emily, che dopo la crisi di pianto era tornata in sé, cioè alla sua timidezza irrimediabile, arrossì violentemente. «Io… ecco, quando lui mi ha detto… che gli piacevo… ha pensato che non lo volessi. Ma non è vero…», spiegò in modo sconnesso.
La situazione non sembrava molto più chiara di prima ad Al, ma lui annuì con fare rassicurante e cercò di tirarla su di morale. «Andiamo, allora è stato solo un errore; vedrai che quando saprà che ti piace si sistemerà tutto…»
Emily, terrorizzata alla prospettiva che qualcuno dicesse a Jamie del suo sfogo, afferrò Al per una manica. «Non glielo dirai, vero?»
«No, se non vuoi no. Però, scusa, bisognerà che lo sappia o non riuscirai mai a…»
«No, non voglio!»
Al si accigliò. «Ma scusa, e allora come farai a tornare ad andare d’accordo con lui?»
Emily arrossì. «Non lo so ma, ti prego, non dirglielo! Per favore!»
Al assentì alla sua espressione implorante, ma non sembrava tanto convinto. Rifletté un istante, meditabondo, poi sorrise. «Tu e Jamie. Non posso crederci!», fece allegro.
Emily avvampò. Già, nemmeno lei l’avrebbe mai ritenuto possibile. Almeno, non fino a quando era venuto, quel giorno, a ringraziarla per Al in biblioteca. E quando poi l’aveva difesa da Madama Oackes perché aveva creduto che lei avesse strappato le pagine da quel libro e…
E fu come un flash che esplose nella sua testa.
Emily balzò in piedi di scatto. Come, come aveva fatto a non pensarci subito?
«Emily?», fece Al spaventato.
Emily lo ignorò. Il suo cervello stava lavorando febbrilmente come mai aveva fatto, raccogliendo i pezzi e inserendoli al posto giusto, come se stesse ricomponendo un puzzle di pensieri. E alla fine lo completò. Tutto coincideva.
«Emily? Che succede?», ripeté Al preoccupato.
Emily non gli badò, si avvicinò a Stuart, lo fissò un attimo e tese la mano.
«Nel nome di Merlino, che stai facendo?», sbottò Al sbigottito.
Emily sbottonò il colletto di Stuart, lo scostò e gli girò lentamente la testa, con delicatezza. E li vide. Quattro, rossi e scuri, incisi in profondità. Sorrise, trionfante.
«Emily?», ripeté per l’ennesima volta Al, con un tono che voleva dubitare della sua sanità mentale.
«Lo so, Al!», disse lei girandosi verso l’amico perplesso. «So che cos’ha Stuart.»
 

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Capitolo 17
*** XVI. Leggende ritrovate ***


XVI.
Leggende ritrovate



 

Al la guardò stralunato. «Cosa stai dicendo?»
«Lo so, Al! Ho capito perché sta morendo!», insisté Emily, infastidita dalla sua lentezza nel capire.
«Che vuoi dire? Gli hai trovato qualcosa addosso? Sintomi di una malattia?», chiese Al avvicinandosi e scostando il colletto di Stuart. «Ma che cosa…?», mormorò, vedendo i quattro segni. «Cosa sono? Fori?»
Emily annuì.
«Santo cielo, e ce li ha da così tanto tempo? Perché non perde sangue? Sembrano profondi!»
«Perché non è una ferita normale. Non è nemmeno una ferita!», gli spiegò Emily impaziente. «Andiamo, vieni con me, non abbiamo molto tempo!», aggiunse, strattonandolo per la manica.
Al si lasciò trascinare docile. «Dove stiamo andando?»
«In biblioteca», rispose lei in fretta, mettendosi a correre per il corridoio.
«In biblioteca? E a fare che cosa?», domandò perplesso.
Emily non gli rispose. Al le correva dietro ansimando. «Perché… stiamo… correndo… scusa?», esclamò affannato.
«Perché a Stuart rimane pochissimo tempo, poi morirà!», rispose Emily. Quel pensiero la terrorizzava, ma se fossero arrivati in tempo, se fossero riusciti a… a fare che cosa? Che cosa potevano fare loro due, dei ragazzini, contro quello che stava minacciando Stuart?
«Non capisco. Se non è una ferita che cosa sono quei buchi che Stuart ha sul collo?», chiese Al quando arrivarono alla biblioteca e si fermarono ansanti.
«Un Consenso», disse Emily.
«Un… cosa?»
«Un morso, insomma, però particolare», spiegò lei entrando in biblioteca e abbassando di colpo la voce.
Madama Oackes rivolse loro un’occhiata glaciale, vedendoli entrare scompigliati in quel luogo sacro. Emily si bloccò un attimo, arrossendo. Non ci voleva, l’aveva già vista una volta con quel libro strappato vicino… Ma aveva bisogno di leggerlo, a tutti i costi. Fece una serie di cenni ad Al, che, grazie al cielo, capì e sorridendo –per la verità piuttosto nervosamente- si fece avanti.
«Madama Oackes, scusi, sarei qui per una ricerca…»
La donna, di statura molto ridotta, lo guardò dal basso in alto. «Che genere di ricerca?», abbaiò.
Emily rimase ammirata dall’inventiva di Al, che subito rispose: «Be’, non saprei, il professor Rüf mi ha commissionato un’indagine sugli usi comuni del metallo di Hammerial nella popolazione Goblin del quindicesimo secolo…»
Funzionò. Madama Oackes sbatté gli occhi, confusa, e cercò di mantenere un’espressione minacciosa. «Prego?»
Albus sorrise di nuovo. Emily ringraziò il cielo che il suo amico possedesse un sorriso così rassicurante e candido, che non fece sospettare nulla alla bibliotecaria. «Sì, ha detto che magari potevo collegarlo alle famose fucine del nord della Scozia, quindi magari tra i libri che ne parlano…»
Madama Oackes si aggiustò gli occhiali sul naso. Dopo l’approvazione al Ministero della pena di morte per chiunque osasse anche solo fare le orecchie alle pagine di un libro qualsiasi, trovare uno di questi ultimi in particolare era la missione della sua vita. Scattò con un tacchettio delle scarpe verso il reparto che reputò più adatto con un feroce «Seguimi!» ad Al, che lanciò un’occhiata implorante ad Emily, come per dirle di sbrigarsi. Lei annuì e si dileguò dall’altra parte, dove si trovava lo scaffale che cercava.
Ti prego, fa’ che non l’abbiano spostato, ti prego, ti prego!, implorò mentalmente mentre scorreva con un dito i libri polverosi sullo scaffale. Niente. Passò a quello sotto e quasi le venne da gridare di gioia quando lo trovò. Lanciò una rapida occhiata intorno, per assicurarsi che la bibliotecaria fosse ancora impegnata con Al, e lo tirò fuori.
La copertina era molto, molto più consunta di quella a cui era abituata, ma il titolo era tale e quale: Creature Elfiche Incantate dal 1000 a.C. ai giorni nostri.
Emily lo aprì in fretta: non dovette cercare a lungo per trovare la parte che le interessava: le pagine strappate formavano un grosso buco verso la fine del libro, ed era in quel punto che il volume si spalancava quasi automaticamente.
Emily lanciò un’occhiata in fondo all’ultimo foglio integro prima dello strappo: scolorito e poco leggibile, c’era il numero di pagina.
1587, riuscì a decifrare dopo qualche minuto. Lo memorizzò e rimise a posto il libro appena un attimo prima che Madama Oackes spuntasse come un falco in appostamento dallo scaffale.
«Tu! Che stai facendo?»
Emily indietreggiò, intimidita. «Sto… sto solo cercando un libro», si giustificò.
La donna la guardò con cipiglio severo, quindi si voltò e marciò fino al suo posto, voltandosi e tenendola d’occhio da dietro le lenti spesse.
Emily attese un minuto lì, facendo finta di interessarsi ai libri per non farla insospettire, poi sgusciò fuori dalla biblioteca. Al la stava aspettando davanti alla porta.
«Allora? Si può sapere cosa stavi cercando?»
Emily lo prese per una manica. «Muoviti, dobbiamo andare al mio dormitorio.»
Al la seguì seccato. «Mi vuoi spiegare che cosa hai intenzione di fare?»
«Leggere le pagine che Stuart ha strappato dal libro di scuola per non farsi scoprire», rispose lei riprendendo a correre.
Al, ormai, si era rassegnato alla piega illogica che il discorso aveva preso. «Perché Stuart avrebbe dovuto strappare delle pagine da un libro? Che cosa non voleva che scoprissero?»
«Che aveva trovato l’ultima strega della tribù!»
«La strega di… Aspetta, non starai parlando di quella stupida leggenda che Aberforth va in giro a raccontare a tutti, vero?»
Emily si voltò di scatto, a metà della scala chiocciola che portava alla torre di Corvonero. «La conosci?»
Al scrollò le spalle. «Ma certo. L’ha raccontata a me, Jamie e David l’ultima volta che siamo andati a Hogsmeade. Non mi dirai che ci credi?»
«Dobbiamo crederci, Al, o altrimenti non so cos’altro si stia impossessando della vita di Stuart.»
Al spalancò la bocca. «Cioè, vuoi dire che la strega esiste davvero, che Stuart l’ha trovata e ha acconsentito a lasciarle succhiare via la vita da lui?»
Emily fece una smorfia e riprese a correre rapida per la scala a chiocciola. «Non lo so ancora, ma lo scoprirò subito.»
Arrivarono alla porta del dormitorio. Il batacchio a forma di corvo si animò. «Quante sono le stelle del cielo?», gracchiò.
«Tante quanti i fili d’erba sulla Terra», rispose istantaneamente Emily.
Il portone si aprì ed Emily lanciò un’occhiata cauta all’interno per assicurarsi che non ci fosse nessuno. Tecnicamente era proibito portare studenti di altre Case nel proprio dormitorio, ma se l’aveva fatto una volta Drilla…
«Via libera», sussurrò ad Al, che entrò riluttante.
«Non dovrei entrare...»
Emily lo ignorò e, facendo le scale del dormitorio a due a due, raggiunse la stanza, spalancò il suo baule e rovistò al suo interno. Ne riemerse quasi subito trionfante con il libro che Jamie ed Al le avevano regalato al compleanno e tornò giù dal ragazzo, che continuava a guardarsi intorno nervosamente.
Quando vide il libro spalancò gli occhi. «Ma quello è il libro…»
«Che mi avete regalato», completò Emily. «Sapevi che è un libro raro?»
Al scosse il capo. «Abbiamo chiesto a nostra zia Hermione cosa sarebbe piaciuto a un’appassionata di libri e lei ci aveva consigliato questo, anche se costava un po’… ops!», fece, tappandosi la bocca.
Emily sorrise. «Grazie ancora», disse in fretta. «Comunque questo libro è lo stesso che ha usato Stuart per trovare la strega, quindi…»
Lo spalancò sul tavolo più vicino e lo sfogliò rapidamente fino a pagina 1587. Il suo libro, a differenza di quello della biblioteca, aveva tutte le pagine, così si mise a cercare in quella seguente, scorrendo con il dito i paragrafi.
«No, questo non centra… no, no…»
Al allungava il collo da sopra la sua spalla, cercando di vedere cosa stesse guardando.
Alla fine Emily trovò quello che cercava e le si mozzò il respiro.
«Che cosa c’è? Che hai trovato?», domandò Al, irritato di non essere coinvolto nella ricerca. Emily aprì la bocca per risponderne ma in quel momento la porta del dormitorio si spalancò, facendoli trasalire.
«E lui che ci fa qui?»
Drilla, infangata e ancora nella sua divisa di Quidditch, guardava Al perplessa.
«Drilla!», esclamò Emily sollevata. «Mi hai fatto prendere un colpo!»
Drilla appoggiò la scopa di lato e si avvicinò. «Che stata combinando voi due?»
«A quanto pare Emily ha scoperto che cos’è che sta togliendo le forze a Stuart.»
Il volto di Drilla si illuminò di sollievo. «Davvero? Che cosa?», chiese impaziente.
Emily mise a tacere sia lei che Al con un’occhiataccia e lesse ad alta voce un pezzo del libro.
«…senz’alcun dubbio atroci sono le mutazione elfiche dei maghi e dei Babbani, cioè razze che hanno acquisito nel corso dell’esistenza e non alla nascita una natura magica legata alla natura…», saltò, scorrendo una lunga lista di informazioni inutili, a due pagine dopo. «… un esempio di questa corruzione dell’essere è quella offerta dall’antica tribù delle streghe di Hogaart, la cui reale ubicazione antica è tuttora sconosciuta; le appartenenti a questa tribù, con malefìci oscuri e con la degradazione delle loro menti e dei loro corpi, giunsero a combinare se stesse e la loro magia in modo da pervenire all’indipendenza materiale delle elementari necessità umane. Questo rafforzamento da un lato, tuttavia, comportò dall’altro una degenerazione intellettuale e fisica che le portò ad avvertire invece il bisogno di nutrirsi di altro…», saltò un’altra riga, «… e così esse arrivarono alla concezione della vita come unica fonte di sostentamento pura, nutrimento che le rinforza. A questo modo si tramutarono in ammaliatrici, creature avvenenti e terribili che attraevano a sé gli incauti e li convincevano a concedere loro la vita… una teoria è che agissero così in concordanza alla venerazione di cui facevano oggetto le leggi che regolavano la natura elfica delle creature a cui si erano unite e mischiate… il resto sono solo testimonianze poco attendibili su folletti e altro.»
Al era ammutolito. Drilla, invece, non capiva. «Gran bella storiella, non c’è che dire. Ma cosa c'entra tutto questo con Stuart?»
Emily chiuse il libro con un tonfo. «C'entra perché Stuart ha trovato l’ultima delle streghe in vita e si è lasciato convincere, non so come, a darle la sua vita. Una delle streghe della storia di Jamie, Drilla», aggiunse, perché lei continuava a non capire.
Drilla spalancò gli occhi. «Ma era solo una leggenda, no?»
«Forse no», disse Al. Sembrava scosso, ma anche determinato. «Io ed Emily abbiamo visto dei segni strani sul collo di Stuart. Emily, hai detto che quei segni…»
«Sono il morso della Strega. So che esistono creature magiche che lasciano un marchio simile sulle loro prede per poterle riconoscere o per poter estendere il loro potere su di loro.»
Drilla guardò dall’uno all’altra viceversa, sorridendo nervosamente. «Ma non crederete che sia vero, no? Insomma, non può essere… se una creatura del genere si aggirasse per Hogwarts l’avrebbero scoperta da tempo gli insegnati, no? Uno studente non può trovare da solo quello che è sfuggito da decine e decine di…»
«Mio padre era uno studente del secondo anno quando trovò da solo la Camera dei Segreti a Hogwarts», replicò Al.
«Sì, ma tuo padre è Harry Potter», osservò Drilla, illogica.
«E allora? È un essere umano come noi, no?», replicò Emily. «Sentite, non voglio discutere con voi, ma Stuart si indebolisce ogni minuto che passa. Dobbiamo fare qualcosa!»
«Andiamo a cercare la strega?», propose subito Al, da vero Grifondoro.
«Andiamo a dirlo a un professore?», disse invece Drilla, molto più razionale.
I due si guardarono in cagnesco. Ma nessuno fece in tempo a decidere perché, per la seconda volta, la porta si aprì e il professor Ravenscar, il direttore di Corvonero, entrò nella Sala Comune.
Li vide e si bloccò di colpo. Al deglutì mentre gli occhi dell'uomo si fermavano sorpresi su di lui.
«Posso sapere cosa ci fa un Grifondoro in un dormitorio che non è il suo?», domandò calmo.

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Capitolo 18
*** XVII. Rantolando nel buio ***


Rieccomi, a serata tarda ma ce l'ho fatta a essere puntuale oggi.
So che a questo punto della storia l'attesa può diventare snervante, se sono anche solo riuscita un po' a coinvolgervi con le avventure di Emily e compagnia, perciò non volevo farvi aspettare fino a domani.
Grazie mille ancora in particolare a chuxie e Sheilin, e naturalmente a tutti quelli che seguono questa storia.
A presto!

 

XVII.
Rantolando nel buio


Emily, Drilla ed Al si guardarono incerti.
Ravenscar, in piedi davanti alla porta, attendeva paziente una risposta. Alla fine Emily si fece avanti: ormai era chiaro quale delle due proposte degli amici dovevano intraprendere.
«Professore, Al è qui perché ha aiutato me e Drilla a scoprire una cosa», spiegò sperando con tutto il cuore che lui le credesse.
Ravenscar alzò un sopracciglio, ma oltre a questo non diede altri segni di essere sorpreso. Li scrutò penetrante e fece un cenno. «E posso sapere di cosa si tratta?»
«Noi… noi abbiamo scoperto perché Stuart Dunneth sta perdendo le forze.»
Stavolta Ravenscar parve sinceramente stupito. «E posso sapere come voi studenti siete riusciti ad arrivare dove nemmeno il preside è riuscito? Avete delle prove che sostengano la vostra teoria?»
Emily, con il cuore in gola, afferrò il suo libro e glielo tese. Ci volle diverso tempo per riuscire a spiegargli al situazione, ma Ravenscar era della Casa del Corvonero, in fondo, e aveva un cervello rapido a elaborare.
«Così voi siete convinti che l’ultimo membro di questa tribù di streghe che si è corrotta cercando di trasformare la sua natura umana in elfica, in modo da nutrirsi solo di energia vitale, abiti qui da qualche parte, sotto la scuola?» riassunse infine.
I tre annuirono vigorosamente.
Ravenscar studiò le loro espressioni ancora per un attimo, poi sospirò. «D’accordo, sono disposto a credervi. Ma come pensate di salvare il vostro amico se non sapete dove si trovi questa strega? Stuart non è decisamente in grado i parlare, e dato che nessun altro ne ha mai trovato traccia, dubito che nel poco tempo che rimane al vostro amico potremo riuscirci.
Emily deglutì e tornò alla memoria a quel passaggio segreto, a quella luce verdognola e inquietante che proveniva dal fondo, dal buio. «Io… io credo di sapere dove si trovi», mormorò.
Sia Ravenscar che Al e Drilla la fissarono sbalorditi.
«E come fai a saperlo?», chiese Drilla a bocca aperta.
«Una volta Stuart mi ha portato attraverso un passaggio segreto strano… l’ha fatto solo perché lo avevo pregato di non farmi passare per la Sala d’Ingresso, quando…», arrossì, «quando ho avuto l’incidente alle serre.»
Ravenscar annuì con un gesto della mano, come a dire che non importava. «E che cosa c’era laggiù?»
«Non lo so», ammise Emily. «So solo che nel buio ho visto una strana luce, e quando ho chiesto a Stuart cosa fosse lui ha reagito male, come se stesse tenendo nascosto qualcosa, capite…»
«Allora dobbiamo andare laggiù», stabilì Ravenscar risoluto. «Ti dispiacerebbe guidarmi, Emily?»
«Guidarla? E noi?», protestò Drilla.
Ravenscar le rivolse uno sguardo severo. «Voi siete studenti del terzo anno e l’antro di una strega mutante non è posto adatto a voi. Anzi, a dire il vero, nemmeno questo è un posto adatto a uno di voi», e guardò Al.
Lui impallidì, a disagio, ma non si mosse. «Noi vogliamo venire con lei, professore.»
Ravenscar era irremovibile. «Temo che dovrai conservare i tuoi spiriti ardenti da Grifondoro per un’altra occasione, Albus. Torna al tuo dormitorio, prima che decida di toglierti punti per averti trovato qui.»
«Ma…»
«Non voglio sentire altro! Obbedisci, e tu, Drusilla, va ad avvisare il Preside immediatamente. Non voglio che ci seguiate per nessuna ragione al mondo. E se proverete a farlo non sperate che non me ne accorga. Ora vai, Albus. Emily, fammi strada.»
Non c’era più niente da dire. Uscirono dal dormitorio, Al a testa bassa, Drilla sbuffando, e si divisero.
Emily condusse Ravenscar giù dalle scale e poi attraverso la scuola silenziosa, verso l’infermeria. Quando arrivarono in vista della porta di quest’ultimo locale, Emily si bloccò, incerta. Non era sicura di riuscire a ritrovare il mattone giusto tra tutti quelli che c’erano nel corridoio.
Ravenscar dovette capire la sua incertezza, perché tirò fuori la bacchetta e disse: «Revelo vacuus!»
La bacchetta si illuminò. Ravenscar si mise a percorrere il corridoio in tutta la sua lunghezza, lentamente, tenendo la bacchetta vicina al muro. Ad un tratto essa vibrò con un tintinnio metallico.
Ravenscar chiamò vicino a sé Emily con un cenno. «È qui?»
Emily guardò la porzione di muro: erano tante pietre squadrate una vicino all’altra, sovrapposte. Lo scrutò da cima a fondo e poi lo vide: uno stemma con due pesci molto piccolo, invisibile per chi non si fosse soffermato con attenzione a guardare.
Emily estrasse la bacchetta, ci picchiò sopra e declamò: «Acquae Stirps!»
Il muro si spalancò.
Emily guardò Ravenscar: se aveva avuto ancora qualche dubbio, ora l’aveva del tutto abbandonato. Indagò con gli occhi acuti il buio oltre l’apertura e poi guardò Emily. «Non sei obbligata a venire con me.»
Emily scosse la testa. «Più giù c’è un punto in cui il tunnel si biforca. Non potete vederlo se non sapete dov’è.»
Ravenscar meditò un attimo, quindi annuì. «Stammi vicina», le raccomandò, ed entrò nel passaggio. Emily obbedì volentieri, avvertendo una ventata di aria gelida che la investiva da là sotto.
Ravenscar fece illuminare la bacchetta con un colpetto, quindi si addentrò, assicurandosi che Emily gli stesse bene accanto.
Scesero i gradini, resi viscidi dall’umidità. La discesa fu molto peggio della salita che Emily aveva compiuto qualche mese prima, quando Stuart l’aveva accompagnata. Si poteva incappare da un momento all’altro in un tratto scivoloso e cadere giù lungo tutta la scalinata fino alla base.
Ci volle un’eternità per arrivare in fondo. Quando finalmente misero piede sull’ultimo gradino, Ravenscar alzò la bacchetta e ispezionò i dintorni. Non c’era nulla, solo le pareti rocciose coperte di spessi strati di calcare e di umidità.
«E ora?», sussurrò ad Emily.
«Sempre dritto, fino a metà di questo tunnel», mormorò lei di rimando, mentre i capelli le si rizzavano sulla nuca.
Stava tremando, ma non era il freddo. Sentiva la goccia che cadeva ancora, eternamente, da qualche parte laggiù. Ora che ci faceva caso era davvero una presenza inquietante, quel rumore così scandito e monotono. Come se stesse attendendo che giungesse qualcosa a interrompere la sua condanna ad un'eterna caduta.
Si inoltrarono nel cunicolo, lentamente, Ravenscar davanti a lei con la bacchetta alzata a fare luce. Se aveva paura, non lo dimostrava; ma dopotutto era l’insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure. Emily non si sentì mai così felice della presenza di un professore.
Era così intenta a cercare di tranquillizzarsi e convincersi che con Ravenscar lì non poteva accaderle nulla di male che quasi passarono davanti alla seconda grotta senza vederla.
«Un attimo!», esclamò Emily. Il suo sussurro echeggiò lungo tutte le pareti del tunnel. Emily si mise le mani davanti alla bocca, spaventata.
Ravenscar la guardò, interrogativo.
«Lì. C’è il secondo cunicolo», spiegò Emily, tanto a bassa voce che l’uomo faticò a udirla.
Guardò nella direzione che lei gli aveva indicato e annuì.
Un’apertura si apriva stretta sulla destra, inquietante come le fauci di un mostro pronto a divorarli.
Ravenscar si fece avanti senza esitazione, ed Emily lo seguì con il cuore che le martellava forte nelle orecchie. Ecco, da lì in poi doveva pensare lui a cosa fare, lei non poteva più dargli indicazioni. L’uomo proseguì imperterrito, finché una luce verde-azzurra, la stessa che Emily aveva veduto quella notte in cui Stuart e David erano stati puniti, rischiarò il buio.
«Nox!», borbottò Ravenscar, spegnendo la luce della bacchetta.
Emily avrebbe voluto che non lo avesse fatto. Restare così al buio, con una creatura malefica che girovagava lì attorno la terrorizzava.
I due avanzarono e man mano che si inoltravano nel cunicolo, la luce si intensificava, cambiando tonalità fino a diventare…
Rossa, pensò rabbrividendo Emily. Si fece più vicina a Ravenscar e tirò fuori la bacchetta. Lui non si diede pena di rassicurarla e proseguì. Alla fine, dopo una svolta, il tunnel si spalancò improvvisamente e si ritrovarono di colpo in una camera circolare immensa, con i soffitti altissimi e quattro grossi pilastri grezzi che sorreggevano la volta ricurva.
Non c’era niente, in quel luogo, se non un pozzo circolare, in mezzo alla stanza, che mandava barbagli di luce rossa sul soffitto e sulle pareti di roccia. Era da lì che veniva la luminescenza. Non c’erano altre uscite.
Ravenscar esaminò il posto, poi si incamminò tranquillo verso il foro circolare e guardò dentro.
Emily gli rimase vicino, atterrita. Quel posto era antico, lo sentiva nelle ossa, ed emanava qualcosa di selvatico, di malvagio.
«Un Pozzo Ancestrale», disse Ravenscar affascinato, guardando il fondo.
Emily osò sporgersi a guardare: era poco incavato, e sebbene fosse vuoto, galleggiavano ancora nelle sue irregolarità quelle che sembravano pozze di liquido rosso e limpidissimo, ma molto più denso dell’acqua, quasi della stessa consistenza dell’olio.
«Che… che cos’è?», domandò Emily con un filo di voce.
«Pozzi costruiti dagli adoratori della magia naturale», rispose Ravenscar. «Erano sette numerose, nell’antichità, ma già verso il 700 vennero dichiarate fuorilegge. Erano branchi di invasati e pericolosi sperimentatori di magia oscura e proibita. Gli ultimi scomparvero più di cinquecento anni fa, ormai.»
Si raddrizzò e si guardò intorno. Emily fece altrettanto. Ovunque c’erano ragnatele, frammenti di roccia franata e segni di decadimento e rovina.
«Questo posto dev’essere abbandonato da moltissimi anni», commentò Ravenscar. «Interessante. Questo prova che le streghe di Hogaart sono effettivamente esistite e Godric Grifondoro le ha davvero sconfitte, ma…», il suo sguardo si abbassò su Emily, «non c’è nessuna ultima strega. Probabilmente è vero che sono morte tutte allora.»
Emily aveva la bocca riarsa. «Ma… ma Stuart…»
«Stuart non è vittima di una maledizione di una strega della tribù, Emily. Tu e i tuoi amici avete lavorato troppo di fantasia.»
«Ma lui ha un morso sul collo, l’ho visto! Chieda ad Al, provi a controllare…»
Ravenscar scosse il capo. «Ho già perso troppo tempo con queste sciocchezze, Emily. Non nego che tu, Drusilla e Al abbiate fatto una scoperta sensazionale, ma riguardo a Stuart vi siete sbagliati. Non sono solo le streghe mutanti a lasciare morsi sulle vittime. Al San Mungo sapranno individuare la creatura che gliel’ha causato.»
Emily lo fissò, delusa. «Però…», tentò un’ultima volta.
«Non voglio più sentire altro, Emily. Lascia perdere, questa non è una faccenda per te.»
Emily abbassò il capo, sconfitta. Sapeva che il ragionamento di Ravenscar era perfettamente legittimo, così logico da non fare una piega. Ma lei, in fondo al cuore, sentiva che, almeno per quella volta, non era la razionalità di Corvonero a possedere la risposta giusta.

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Capitolo 19
*** XVIII. Seconda alternativa ***


XVIII.
Seconda alternativa

 

«Non ti ha creduto?»
«Non parlare così forte!», sibilò Emily.
Erano in infermeria, Drilla ancora nella sua uniforme infangata, e bisbigliavano tra loro cercando di non farsi sentire dalla signorina Hartland. Stuart, nel suo letto, era ormai cadaverico e freddo come un pezzo di ghiaccio. Emily non riusciva a guardarlo senza sentire una morsa allo stomaco.
«Insomma, ma allora cosa diavolo ha morso Stuart secondo lui? Una zanzara?», fece sarcastica Drilla abbassando la voce.
Emily scosse la testa e sorrise triste. «Sembri molto convinta della mia teoria, ora. Ti sei messa a credere alle leggende?»
Drilla sbuffò. «Be’, andiamo, quando qualcosa è così palese non si può rifiutarsi di crederci, no?»
Emily scrollò le spalle. «Mettiti nei panni di Ravenscar: è già tanto che abbia accettato di crederci, ma non può passare tutto il tempo a caccia di streghe antiche quando uno studente sta…» Non riuscì a terminare la frase. Avrebbe fatto troppo male dirlo a voce alta. Dire che Stuart stava per morire.
«Come mai la caverna era vuota? Perché non c’era la strega?», chiese Drilla con le sopracciglia aggrottate.
«Forse mi sono sbagliata, Drilla. Dopotutto non sono infallibile, no?»
Aveva un tono così sconsolato che Drilla cercò di sdrammatizzare la situazione. «Sciocchezze. Da quando in qua la migliore secchiona della scuola e il genietto più sveglio di Corvonero sbaglia un’ipotesi? Qui si va contro le leggi della natura!»
Emily fece un sorriso tirato, più simile a una smorfia, e posò lo sguardo su Stuart. «Vorrei solo sapere cosa fare, o almeno se si può fare qualcosa…»
La porta che si aprì con violenza alle sue spalle la interruppe di colpo. Sulla soglia comparve Al, trafelato e con i capelli scompigliati.
L’infermiera lo guardò malissimo, ma lui la ignorò e si precipitò dalle due ragazze.
«Che cos’è successo? Tu e Ravenscar…?», vide Stuart, peggiorato ancora, e si bloccò.
«No», rispose Emily stancamente. «Nulla.»
Al le si sedette accanto. «Che cosa vuoi dire?»
«Abbiamo trovato una caverna… ma non c’era nessuno. Deve essere vuota da secoli, o forse ancora di più.»
«Ma… com’è possibile?»
Emily sospirò. «Probabilmente non è vero che è rimasta una delle streghe. Probabilmente sono davvero state sterminate tutte da Godric Grifondoro e dal suo esercito…»
Al era deluso. «Non posso crederci…»
«Già», si limitò a commentare Drilla. «Assurdo.»
Al scrutò il volto di Stuart. «Ma allora che cos’ha Stuart, scusa?»
Emily scosse la testa, rassegnata. Non lo sapeva. Non sapeva più nulla. Dopo che un barlume di speranza le aveva fatto credere di poter salvare Stuart ora… niente. Era stato tutto inutile.
«Vi prego, andiamo via di qui», mormorò alzandosi di scatto. Si sentiva malissimo.
Al e Drilla dovettero capire il suo stato d’animo, perché non fecero obiezioni e la seguirono mentre usciva fuori nel corridoio.
Era ormai sera. Fuori dalle finestre il buio era calato sul parco della scuola, ammantando il castello di un silenzio inquietante. Era l’ora di cena, ma nessuno di loro aveva voglia di scendere in Sala Grande.
«Emily, sei pallida. Forse è meglio che mangi qualcosa…», propose piano Al.
Emily scosse il capo. Aveva saltato il pasto ma non aveva fame. Anzi, probabilmente se avesse mangiato qualcosa in quel momento non sarebbe riuscita a trattenerlo nello stomaco.
Si incamminarono lungo i corridoi, senza meta. Nessuno di loro parlava, e nemmeno Drilla, che aveva sempre qualcosa da dire, tentò di aprir bocca.
Sapevano che stavano pensando tutti alla stessa cosa: Stuart il giorno dopo sarebbe stato portato via, al San Mungo. E forse nemmeno lì avrebbe più avuto speranze.
Alla fine Drilla non ne poté più di quell’atmosfera così tesa. Lei era fatta per agire, non per aspettare. Con una scusa a cui né Al né Emily credettero, se ne andò in Sala Grande con la testa china. Emily non l’aveva mai vista così abbattuta, nemmeno quando aveva perso la partita contro Grifondoro.
Proseguì in silenzio con Al, dirigendosi quasi automaticamente verso la biblioteca e non ricordandosi che a quell’ora era chiusa.
Quando si ritrovarono entrambi davanti alla porta sprangata, Emily sospirò e si sedette lì accanto, sul pavimento. Al seguì il suo esempio.
«Emily», fece poi lui all’improvviso.
«Sì?»
«Ti piace davvero mio fratello?»
Emily boccheggiò, presa completamente alla sprovvista da quella domanda. Abbassò lo sguardo sul pavimento e arrossì. «Sì», ammise.
«E allora perché non vuoi che glielo dica?»
Emily si torturò un lembo della maglia senza guardarlo. «Ho paura di quello che potrebbe pensare.»
«In che senso, scusa?»
Emily deglutì. «Sì, insomma… lui pensa che io l’abbia respinto. E se poi viene a sapere che a te ho detto che mi piace… non so, magari penserà che io sia solo una bambina capricciosa…», spiegò con riluttanza.
Al sorrise. «Che scemenza! Se gli piaci e saprà che anche a te lui piace sarà felicissimo e basta, senza farsi troppi problemi!»
«E tu come lo sai?»
«Sono suo fratello, so com’è fatto Jamie. Si sarà arrabbiato perché l’hai respinto. È raro che Jamie non riesca a ottenere qualcosa che desidera. Forse gli ha fatto anche bene che tu gli abbia detto di no…»
«Non gli ho detto di no!», protestò Emily.
Al scrollò le spalle. «Il discorso comunque non cambia. Jamie è troppo suscettibile.»
Emily fece per protestare, ma si rese conto che Al aveva ragione. In fondo in biblioteca non aveva nemmeno aspettato che lei finisse di parlare, no? E anche come si era comportato con lei: se l’era presa subito quando aveva pensato che lo rifiutasse, senza aspettare un solo secondo. E anche quando aveva dovuto tuffarsi per andarla a salvare nel lago quand’era caduta era infuriat…
E, per la seconda volta in un giorno, qualcosa scattò nella sua mente. E rivide distintamente la luce verde-azzurra che aveva scorto nella nebbia, mentre attraversava il lago.
«Al…», mormorò Emily.
Lui si spaventò vedendo il suo sguardo vacuo. «Che cosa c’è? Non stai bene?»
«Al, mi sono sbagliata! La strega non è nel passaggio di Stuart! Quel posto non centrava nulla! Ne conosco un altro dove ho visto la stessa luce che c’è laggiù, di quell’acqua strana…!»
Al non sembrò recepire subito il messaggio. «Di che acqua parli?»
«Quella che ho visto con Ravenscar nel pozzo, quando siamo andati a cercare la strega! Emanava una luce strana, e quella luce l’ho vista il giorno che ero in punizione con Jamie, sono sicura!»
Al saltò in piedi. «Quindi potrebbe esserci una strega della tribù?»
«C’è una strega della tribù! Stuart l’ha cercata nel passaggio ma non l’ha trovata. Perciò deve aver fatto altre ricerche e finalmente ha scoperto che era al lago. Dev’essere così!»
Al si accigliò. «Ma il lago è grande, e poi come fa una strega a vivere nel lago? Sott’acqua forse?»
«No, dev’esserci un’isola o qualcosa di simile!»
«Non ho mai visto un’isola nel lago», ribatté Al.
«Perché appare solo con la nebbia! Non hai mai letto la leggenda di re Artù e dell’isola di Avalon?»
Al spalancò gli occhi. «L’isola di che…?»
Emily fece una faccia frustrata. Aveva dimenticato che i maghi non conoscevano i miti dei Babbani. «Lascia perdere. Comunque parlo di un’isola che appare solo se c'è nebbia, perciò…»
Guardarono entrambi fuori dalla finestra. Una nebbia grigia aleggiava nell’aria, densa e umida, e non lasciava intravedere nient’altro che il buio della notte.
Al rivolse gli occhi su Emily, serio. «Quindi stai dicendo…»
«Che questa notte possiamo trovarla», completò Emily. «Dobbiamo chiamare Ravenscar e …» Si interruppe.
Al sembrò leggerle nel pensiero.
«Non ci crederà mai. Non più.»
Emily annuì. Sì, Ravenscar aveva dato loro una possibilità, e lei era stata così sciocca da gettarla al vento. Perché non ci aveva pensato prima? Stuart non era uno stupido: se il passaggio fosse stato davvero il modo per arrivare dalla strega non ce l'avrebbe mai portata!
«Dobbiamo andare noi», dichiarò Al risoluto.
Per quanto quella prospettiva la terrorizzasse, Emily dovette trovarsi d’accordo. Era l’unica possibilità che avevano per salvare Stuart; non c’era altro modo.
«Allora, che facciamo? Andiamo?», chiese Al impaziente.
Emily scosse il capo. «Tra due ore, quando tutti saranno a dormire. Tu chiama Drilla e dille quello che abbiamo scoperto. Io devo andare a fare una cosa.»
«Che cosa?», le gridò dietro Al mentre lei si metteva a correre verso il suo dormitorio.
«Se dobbiamo affrontare una strega mutante non basteranno le bacchette», rispose lei enigmatica.
 

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Capitolo 20
*** XIX. L'isola ***


Lo so, sono imperdonabile. Sono scomparsa per non so nemmeno io quanto a storia quasi conclusa abbandonadovi così, sul più bello. Dovrei fornire un bel po' di giustificazioni ma dato che sono convinta che siate ancora su queste pagine per sapere come andrà a finire la storia e non per leggere le mie disavventure, mi limito a scusarmi dal più profondo del cuore e lasciarvi al capitolo.
Spero che non vi siate dimenticati di Emily, Stuart, Drilla, Al e gli altri e che li seguirete sull'isola con almeno una parte della loro emozione.
Un grazie enorme a chi ancora mi leggerà e specialmente a chi vorrà lasciarmi una sua opinione.
 

XIX. L'isola



 

Due ore dopo Emily scivolò su per le scale, di ritorno dai sotterranei. Sperava con tutto il cuore che Al e Drilla la stessero aspettando al dormitorio di Corvonero, perché cercarli per la scuola a quell’ora era il modo più sicuro per farsi scoprire e punire da Quebec.
Quando giunse ai piedi della scala a chiocciola della torre vide che, per una volta nella vita, le sue preghiere erano state esaudite: Al e Drilla erano seduti sulle scale, nell’oscurità, palesemente irrequieti.
Non appena Drilla la vide, balzò in piedi.
«Emily! Dove diavolo sei stata?», sbottò. «Ti rendi conto che Stuart morirà da un momento all’altro se non ci sbrighiamo?»
«Sì, lo so. Tenete, presto.»
La nebbia fuori era così fitta che anche se quella sera era luna piena nessuna luce riusciva a penetrare attraverso i vetri piombati delle finestre, e Al e Drilla non riuscirono inizialmente a distinguere quello che lei aveva in mano e stava tendendo loro.
«Che cos’è?»
«Una pozione. Ce n’è abbastanza per tutti e due. Bevete un sorso, presto!», li incitò Emily.
«Ma…», obbiettò Al.
«Vi fidate di me?», chiese Emily impaziente.
Drilla e Al annuirono senza esitazione.
«Allora fate come vi dico.»
Al obbedì, svitò il tappo e mandò giù un lungo sorso. Drilla fece altrettanto, non senza trattenere una smorfia disgustata. «Ma è amarissimo!»
«Non ho avuto tempo di infilarci dentro lo zucchero», si scusò Emily. «Drilla, Al ti ha spiegato…»
«Certo che me lo ha detto! E fosse stato per me sarei già su quell’isola a sistemare quella stregaccia! Dobbiamo aspettare che Stuart tiri le cuoia o possiamo avviarci, ora che ci hai affibbiato quella schifezza, qualunque cosa fosse?»
Emily annuì seria. «Muoviamoci.» Non avrebbe mai creduto che quelle parole potessero provenire proprio dalla sua bocca, perché andare a caccia di una strega vecchia di millenni e pericolosa era proprio l’ultima cosa che desiderava. Invece il suo corpo, come mosso da una volontà propria, si avviò nel corridoio buio, affiancato da Drilla e Al.
«Cos’è che ci hai fato bere?», sussurrò Drilla mentre, prima di svoltare un angolo, Al si affacciava a controllare che non ci fosse nessuno.
Emily stava torturando un lembo della sua manica dal nervosismo. «Una cosa che potrebbe salvarci dalla strega…se ho ragione. Se ho torto…»
Si zittì mentre scendevano giù per la grande scalinata di pietra della Sala d’Ingresso e sgusciavano fuori dal portone. Il parco era invisibile, permeato da uno strato densissimo di nebbia umida che penetrò loro fino dentro le ossa. Era un tempo spettrale.
Un tempo da streghe, pensò rabbrividendo Emily.
Raggiunsero la banchina dove erano ancorate le barche della scuola.
«E adesso?», domandò Drilla nervosa. «Io non so guidare una barca.»
«Basta dirle la direzione che si vuole e si muove da sola», spiegò Emily avvicinandosi alla prima.
Dopo la sua clamorosa caduta in acqua il novembre passato, quando Jamie l’aveva salvata, aveva promesso a se stessa di non salire mai più su uno di quegli affari nemmeno se trascinata a forza. E invece adesso lo stava per fare di sua spontanea volontà.
Si sporse e con incertezza mise il piede nella barca, che oscillò subito paurosamente. Emily esitò.
Al, accanto a lei, sorrise e le tese una mano cavallerescamente. «Prego.»
«Grazie», disse Emily aggrappandosi ad essa terrorizzata.
Drilla sbuffò. «Andiamo, muovetevi, non c’è bisogno di fare tutte queste scene per salire su uno stupido pezzo di legno!»
Al sorrise affabile e tese la mano anche a lei. «Ti dà fastidio?»
Drilla, sbalordita, dopo un momento accettò l’aiuto. «Grazie», disse rigida.
Al ed Emily si scambiarono un’occhiata eloquente e sorrisero. Ecco l’unico modo per far tacere Drilla: metterla in imbarazzo con una gentilezza.
«Avanti!», ordinò Emily, e la barca si mosse attraverso al nebbia, sfiorando l’acqua dolcemente.
Rimasero in un silenzio teso per diversi minuti, ma dalla nebbia non emerse nulla, né luci strane, né sagome di isole incantate.
«Emily, sei sicura di saper ritrovare l'isola?», chiese Al dopo un po’, irrequieto.
Emily si morse il labbro, indecisa. No, non ne era per niente sicura, ma sperava… Poi, prima che potesse aprire la bocca per rispondere, vide qualcosa nell’oscurità: una luminescenza quasi invisibile che vibrava nella notte.
«Eccola», mormorò rivolta più a se stesa che agli altri due.
Al e Drilla si voltarono di scatto e la videro. Ammutolirono mentre la luce si faceva sempre più intensa. Prima che se ne rendessero conto, immersi nella nebbia com’erano, la barca scivolò sul fango della riva con un tonfo leggero. Emily si aggrappò allarmata ai bordi.
«Siamo arrivati», disse Drilla in tono asciutto. Si sentiva distintamente il nervosismo nella sua voce.
Riluttanti, scesero tutti e tre dalla barca, ora diventata un rifugio sicuro contro quell’isola minacciosa. Nessuno ebbe il bisogno di ricordare agli altri di estrarre la bacchetta: ce l’avevano già tutti in mano.
Al, il più coraggioso, si inoltrò per primo nell’entroterra. La luce si faceva via via più intensa, molto di più di quella del passaggio segreto, e cambiava lentamente colore. Emily sapeva ormai qual’era la fonte di essa. Rabbrividì ripensando alla camera sotterranea dov’era stata con Ravenscar. Quella volta era abbandonata, ma ora…
Gli alberi, attorno a loro, si stagliavano di tanto in tanto quando la nebbia diradava in alcuni punti: erano tutti foltissimi e molto scuri ed emanavano una strana aura misteriosa, che incuteva timore e ribrezzo.
Corruzione, pensò Emily. Era questo a cui si erano lasciate andare le streghe della tribù. E la più potente…
Al si bloccò all’improvviso davanti a lei. Emily per poco non andò a sbatterci contro. Lui si voltò con un’espressione che non aveva bisogno di parole per esprimersi. Emily, tremante, si alzò sulle punte e guardò oltre la sua spalla. E vide la radura.
La nebbia che c’era tutto attorno si era spalancata all’improvviso, e rivelava un incavo roccioso in mezzo agli alberi, circolare e irregolare, come un anfiteatro naturale, piatto sul fondo e molto largo. Nel centro di esso un'unica, piccola conca emanava una luce forte, rossa come il sangue. E, nella radura, c’era qualcuno.
Emily, Al e Drilla rimasero a bocca aperta. Perché ciò che videro non fu una strega orrenda e deforme, né una donna bellissima e ammaliatrice. Quella che c’era lì, intenta a fissare il pozzo, avvolta in un vestito un po’ consunto, di un blu cobalto intenso, e i capelli rossi, evidenziati ancora di più dalla luce che la circondava, era solo una ragazza. Non doveva avere più di due o tre anni più di loro tre.
Non si era accorta di loro. Continuava a guardare l’acqua con un’aria un po’ malinconica, quasi triste. Al esitò un attimo, poi si fece avanti. Emily avrebbe voluto urlargli di non farlo, ma non fece in tempo a impedirglielo. Entrò nella radura. E la ragazza sconosciuta alzò lo sguardo e lo vide.
«Oh», fece. Aveva una voce un po’ fievole, bassa. «Salve.»
Al rivolse uno sguardo perplesso a Emily e Drilla, che l’avevano seguito nella conca per un riflesso istintivo, ma nessuna delle due parlò. Così si voltò di nuovo verso la sconosciuta. «Salve.»
Lei li osservò uno ad uno, con un’espressione curiosa, in silenzio.
Poiché non si decideva a parlare lo fece Al, schiarendosi la voce. «Scusa ma…chi sei tu?»
Lei lo fissò, come se fosse sorpresa di quella domanda. «Chi sono? Io abito qui. Chi siete voi piuttosto?»
Al stava per rispondere, ma Emily lo bloccò con un calcio in uno stinco. Lui non capì l’avvertimento e fece un’espressione interrogativa.
Emily, sebbene tremasse di paura, si fece avanti e guardò negli occhi la ragazza. «Chi sei?»
Lei sorrise confusa. «Insomma, siete qui in casa mia e mi fate anche domande insistenti? Te l’ho detto, abito qui.»
«Voglio sapere il tuo nome», ribatté Emily.
L’altra assunse un’espressione spaventata. «Se me lo chiedi con quel tono così egoista non te lo dirò. Perché siete venuti qui a disturbarmi sulla mia isola? Che cosa volete?»
«Che lasci Stuart in vita», rispose subito Emily. Stava sudando freddo.
Era certa che quella ragazza era la strega. Non poteva essere altrimenti: nessun altro essere umano sarebbe vissuto su un’isola simile se non una creatura mutante.
La ragazza spalancò gli occhi grandi. «E chi è Stuart?»
«Lo sai benissimo», replicò Emily cercando di non far tremare la voce.
Al le posò una mano sulla spalla. «Emily, forse non…»
Emily girò la testa solo di pochi centimetri, continuando a guardare la ragazza con la coda dell’occhio. Non sapeva ancora cos’avrebbe fatto contro di loro.
«Al, ti fidi di me?», gli chiese mormorando per la seconda volta quella sera.
Al annuì impercettibilmente.
Emily, sollevata, tornò alla sconosciuta. «Tu sai chi è Stuart, vero?», ribadì con forza.
La ragazza inclinò il capo da una parte. «Perché mi stai chiedendo una cosa simile?»
Emily cambiò bruscamente domanda. «Quanti anni hai?»
L’altra sorrise. «E questo che cosa c'entra ora?»
«Sei umana?»
Lei scrollò le spalle. «Sono stufa di sentirmi fare così tante domande, non risponderò.»
«Sei umana?», ripeté imperterrita Emily.
L’altra non rispose, imbronciata, ed Emily sentì il sospetto che avvertiva da quando l’aveva vista rafforzarsi. «Allora?»
L’altra rise e si voltò dall’altra parte, verso il pozzo.
Così non andava: doveva trovare un modo per farla confessare. Serviva un’esca. Guardò di striscio Drilla, poi Al, e le venne in mente cosa fare. Ma sarebbe stato rischioso. Molto rischioso.
«Siamo due di Corvonero e uno di Grifondoro», disse ad alta voce.
Per la prima volta, la ragazza sembrò interessarsi a loro. Li scrutò tutti e tre e i suoi occhi si fermarono su Al. Sorrise, e stavolta nel suo viso apparve qualcosa di strano, di vagamente inquietante. Qualcosa di malvagio.
«Davvero?», domandò candidamente.
«E vogliamo fare un Patto con te.»
L’altra continuò a sorridere innocente. «Di che cosa stai parlando, scusa?»
Emily sorrise. Ora era sicura, avrebbe funzionato. «Uno di noi in cambio di Stuart.»
Al e Drilla trasalirono e la fissarono inorriditi.
«Ma che diavolo…?», cominciò Drilla.
Emily non le badò, lanciò uno sguardo implorante ad Al, che sbatté gli occhi, confuso.
Fidati di me!, pregò Emily con tutte le sue forze, desiderando di potergli comunicare quelle parole con il pensiero. «Lui è un Grifondoro. In cambio di Stuart. Una vendetta per le streghe che sono morte per mano di Godric.»
Drilla ammutolì, incredula. Al rimase zitto, un’espressione incomprensibile gli si era dipinta sul volto. Emily non si accorse di nessuno dei due. Guardava la ragazza, in attesa della sua reazione.
Quella dapprima rimase con la stessa espressione ingenua, poi, all’improvviso, cambiò e la maschera di innocenza cadde. Il suo sorriso si allargò da un orecchio all’altro, crudele, bramoso.
«Dici sul serio, ragazzina?», domandò con una voce del tutto diversa da prima, aspra e rauca.
Il tempo sembrò fermarsi, come se fosse anche lui in attesa della risposta di Emily. E lei, lentamente, sorrise a sua volta.
«Sì.»

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Capitolo 21
*** XX. Fidati di me ***



XX.
Fidati di me


Nessuno parlò.
Drilla era troppo sconvolta. Al sembrava essersi pietrificato al suo posto.
La ragazza non si mosse: scrutò Emily con uno sguardo talmente penetrante da farla sentire ferita da esso, ma lei riuscì a rimanere al suo posto.
Lentamente, con un movimento quasi pigro, la ragazza fece un passo in avanti e rovesciò la testa all’indietro, scoppiando a ridere. Era una risata acutissima, graffiante, una risata che non aveva nulla di umano.
Emily, Al e Drilla tremarono, il sangue si ghiacciò loro nelle vene.
«Credi di potermi ingannare così?», ringhiò subito dopo la strega, sibilando.
Emily dovette impiegare tutto l’autocontrollo di cui disponeva per mantenere la sua espressione neutra. Avrebbe voluto fuggire via di lì subito, all’istante, ma non poteva.
«Sto dicendo sul serio. È per questo che siamo venuti.» Si girò con deliberata lentezza e guardò Al negli occhi.
Ti prego, fidati di me!, implorava dentro di sé, cercando di trasmettergli quel messaggio con gli occhi imploranti. Ti prego, Al!
Forse comprese le sue intenzioni. Forse fu spinto dal coraggio e dallo spirito di sacrificio della sua casa. Forse fece la prima cosa che gli venne in mente di fare senza ragionarci troppo. O forse si fidò e basta.
Adagio, sotto gli occhi attoniti di Drilla ed Emily, annuì. Si voltò verso la strega e fece un passo avanti.
«Stuart è mio amico. Non gli porterai via la vita», dichiarò con voce straordinariamente calma.
La strega, sorpresa, spostò gli occhi per un momento da lui ad Emily e viceversa, smarrita; poi sogghignò: il viso levigato e disteso da ragazza si deformò, i lineamenti morbidi si tirarono in un’espressione ferina, selvaggia, bestiale.
«Mi piacerebbe sapere come me lo impedirai, ragazzo. Lui ha fatto un Patto con me. E le promesse vanno mantenute. Non è quello che pensi anche tu, Grifondoro?» Il suo volto si contrasse in una smorfia di odio quando pronunciò quel nome.
«Tu l’hai ammaliato!», la accusò Al.
«Io non ho ammaliato nessuno! Ho solo realizzato un suo desiderio, e ho ricevuto qualcosa in cambio.»
«La sua vita!», gridò Al furioso. «Ma sei stata tu a chiedergliela, lui non l’avrebbe mai offerta!»
La strega rise. «Ha importanza? Lui ha accettato, io ho realizzato il suo desiderio e ora ho il diritto di reclamare ciò che è mio!»
Al digrignò i denti. Tirò fuori la bacchetta e la puntò contro la strega. «Non lo ucciderai!»
«NO!», gridò Emily, gettandosi sul suo braccio e abbassandoglielo.
«Cosa…?», cominciò allibito Al.
Emily gli fece un cenno negativo con la testa. Poi si voltò verso la strega. «Spezza il Patto con Stuart», disse in tono piatto.
La strega continuò a sorridere in modo inquietante. «I Patti non possono essere spezzati.»
Emily strinse i denti. «Fai uno scambio.»
La strega scosse il capo. «I Patti non possono essere spezzati né cambiati. Il tuo amico ha il sigillo, e il sigillo rimarrà su di lui finché non sarà morto.» Sorrise, evidentemente soddisfatta di quella prospettiva.
Il morso! Emily si raddrizzò, improvvisamente trionfante: ora aveva la certezza di quello che aveva bisogno di sapere. «Ma si possono fare Patti nuovi.»
La strega sorrise con un’espressione dolce e terribile. «Si possono sempre fare patti nuovi.»
Emily sorrise a sua volta. «Te ne propongo uno.»
La strega la osservò con scarso interesse.
«Lui è pronto a sacrificarsi per Stuart», disse Emily indicando Al. «Potrai fargli un sigillo…a patto che il sigillo di Stuart si inverta.»
La strega sbatté gli occhi, sorpresa. «È un trucco, ragazzina?» Guardò Al, che senza più chiedere niente a Emily, fidandosi ciecamente, si fece avanti.
Emily scosse il capo. «No. Il Patto è questo: Stuart avrà restituita l’intera sua vita nel momento stesso in cui gliel’avrai assorbita tutta, e non morirà. In cambio questo ragazzo si offrirà a te perché tu gli ponga un sigillo. E il sigillo significa avere la vita di chi lo porta, non è vero?»
La strega, per la prima volta, sembrava indecisa. Guardò Al, bramosa, poi di nuovo Emily. Temeva di certo qualche trucco, era evidente, ma non riusciva a capire dove potesse essere.
Emily mise in moto il cervello per trovare qualcosa per convincerla. Non potevano aspettare ancora, Stuart non aveva più tempo.
«Non capisco perché aspetti tanto», disse cercando di sopprimere i tremiti che la scuotevano: non doveva mostrarsi impaurita. «Credevo che volessi vendicarti di Godric Grifondoro. Non è stato lui a uccidere le altre streghe della tua tribù?»
Funzionò. La strega emise un grido di rabbia che echeggiò su tutta l’isola, assordandoli. Drilla si mise le mani sulle orecchie.
«Se è stato lui?!», ruggì acuta la strega. «Io e le mie sorelle eravamo le donne più potenti del mondo, al di sopra della comune feccia di disgustosi mortali! Siamo riuscite dove nessuno era mai giunto: cambiare la nostra natura umana in qualcosa di infinitamente superiore; nella natura degli Elfi Puri, rinunciando al rozzo nutrimento della materia e nutrendoci solo della stessa essenza della vita. E lui venne e ci accusò di stregoneria oscura! Noi, che eravamo immensamente più pure, più potenti e più sapienti di quel rozzo guerriero e della sua spada incantata! E osò sfidarci qui, nei confini della nostra foresta, del nostro regno incontaminato! E con i suoi uomini corrotti ci assalì e uccise le mie sorelle! Ma io, io gli sfuggì, e da allora non aspetto che vendicarmi!»
Aveva gli occhi infuocati dalla smania di vendetta e fissava Al con desiderio. Non occorse altro per convincerla.
Al, con un coraggio uscito fuori da chissà dove, fece un passo avanti. «Accetti?»
La strega si fermò un attimo, ma la vedetta era troppo a portata di mano perché la rifiutasse. «Pronto al sacrificio come Grifondoro», sogghignò quasi istericamente. «Sarà un piacere finirti. Accetto.»
Quella parola decretò la vita per Stuart. E la morte per Al.
Drilla fece per raggiungere Al per difenderlo, ma Emily la fermò. «Fidati di me», mormorò ancora. Ormai aveva perso il conto di quante volte quella sera lo avesse ripetuto, nei pensieri e ad alta voce.
Drilla la guardò stralunata, e restò ferma, forse troppo frastornata da quello che stava accadendo per potersi opporre all’amica.
La strega sorrise e guardò Al: era in piedi, due passi avanti rispetto ad Emily e Drilla, e aspettava, calmo e pallido.
La strega gli fece un cenno strano, come un inchino sprezzante. «I coraggiosi non hanno mai saputo apprezzare il valore della vita», insinuò suadente.
Si fece avanti lentamente, i capelli rossi gettati all’indietro, lo sguardo iniettato di sangue, la luce scarlatta proveniente dal pozzo che la circondava rendendola una figura quasi irreale.
Si avvicinò, un passo, un altro, e si tese verso Al. Dischiuse piano le labbra, protese il viso verso il suo collo, pronta. Al chiuse gli occhi e strinse i pugni. I denti della strega, bianchissimi e affilati, scintillarono per un solo, orribile istante. Poi le loro estremità acuminate toccarono la pelle del ragazzo…e la strega gridò e si ritrasse.
Al sobbalzò e fece un salto all’indietro, atterrito. Drilla si tappò di nuovo le orecchie a quell’urlo insopportabile. Emily, invece, non poté trattenere un sorriso di gioia. Aveva funzionato.
La strega gridò e gridò, poi, alla fine, chiuse di nuovo la bocca e guardò con odio Al. «Iperico!»
Al all’inizio non capì, poi gli venne in mente qualcosa e si voltò verso Emily, che continuava a sorridere. Le sorrise a sua volta. Ora aveva capito anche lui cos’era la pozione che Emily aveva fatto ingurgitare a lui e Drilla prima di venire. Gli elfi detestavano l’iperico, il solo avvicinarsi ad esso era terribile per loro, una tortura micidiale. Berlo, poi, come stava per fare quella strega...
Drilla fu l’ultima a capire, e quando collegò la parola detta dalla strega alla pozione di Emily la abbracciò. «Sei un genio! Oh, Em…»
«Zitta!», la interruppe Emily in fretta. «Qualunque cosa accada non pronunciare mai il tuo o il mio nome. Non su quest’isola!»
«Perché?»
Emily non rispose e guardò la strega. «Corrompere la propria natura umana e trasformarla in quella di un elfo non porta solo potere, ma anche debolezze.»
La strega era furiosa. «Sei stata tu! Come hai potuto? Piccola, sudicia…»
Emily non fece caso agli insulti. Finché erano al sicuro dalla strega, non correvano pericolo.
«Come sapevi che non avrei sopportato l’iperico?», chiese la strega furente.
«Dalla tua natura. Quando hai fatto di tutto per non rispondere alle mie domande ho capito che dovevi esserti corrotta tanto da aver ormai perduto la natura umana in cambio di quella elfica. Gli elfi sono superiori per poteri ai Maghi, ma hanno anche numerosi limiti, e tra essi c'è il fatto che non possono mentire», spiegò poi all’occhiata perplessa di Drilla.
La strega ringhiò e sorrise maligna. «È così dunque! Sei stata astuta, ma hai dimenticato una cosa: tu mi hai promesso la vita di questo Grifondoro! E un Patto fatto a un elfo va rispettato, sempre! Non gli si può sfuggire.»
Emily sorrise a sua volta. «Niente affatto! Io ti ho detto che lui si sarebbe offerto a te perché tu gli ponga il sigillo. E Al lo ha fatto. Il morso non era contemplato nel Patto. Non hai alcuna pretesa sulla sua vita perché lui ha mantenuto la promessa.»
E questa fu la stoccata finale. La strega accusò il colpo.«Maledetta ragazzina! Mi vendicherò! Nessuno può prendersi gioco di una strega della tribù!»
Emily sorrise. «Non puoi vendicarti. Te l’ho detto, la natura elfica comprende molte debolezze. Se fossi ancora umana, potresti scagliarci addosso una maledizione, ma essendo un elfo non puoi farlo perché non conosci il nome di nessuno di noi tranne quello di Al, che ormai è immune dal tuo potere. Inoltre non puoi attaccare senza essere stata attaccata a tua volta.»
La strega la guardò esterrefatta. Poi si afflosciò, sconfitta, e la sua espressione tornò quella della ragazza candida. «E così dovrò aspettare ancora migliaia di anni per tornare libera da quest’isola, su cui sono relegata a causa della mancanza dei miei poteri», li scrutò triste. «Non ha importanza. Andatevene, e lasciatemi in pace.»
Si voltò e tornò al pozzo, senza più guardarli. Quella reazione così indifferente fece gelare il sangue a Emily, perché significava che lei aveva già trovato un modo di vendicarsi. Ma quale?
«Che cosa facciamo?», domandò Drilla avvicinandosi a lei.
«Andiamocene. Più in fretta possibile», rispose subito Emily a bassa voce.
Al annuì e si sfiorò con una mano il collo, dove i denti della strega l’avevano toccato, rabbrividendo. «Non voglio stare qui un minuto di più.»
Drilla ed Emily si trovarono completamente d’accordo e, con un’ultima occhiata inquieta alla strega, che voltava loro le spalle e si era messa a canticchiare in modo strano, si avviarono lungo la strada da dov’erano venuti. Ci volle un attimo per tornare alle barche.
Emily, Drilla e Al ci salirono senza una parola.
«Avanti!», mormorò Emily, sedendosi nello scafo di legno quasi con sollievo.
La barca si mosse e avanzò sulla liscia superficie del lago, inoltrandosi nella notte nebbiosa. Rimasero in silenzio per un bel po’, troppo scossi dalla loro avventura per parlare. Poi un tonfo soffice della barca segnò l’arrivo a terra. Drilla, impaziente, fece per saltare a terra, ma qualcosa la bloccò.
«Non… non può essere…», disse sconvolta.
Emily e Al alzarono lo sguardo: poco più in là, nell’entroterra, si stagliavano le sagome scure di alberi fitti e scuri. Gli alberi dell’isola.
«Siamo tornati indietro…», osservò Al. «Com’è possibile?»
Emily rabbrividì. No, non poteva essere… ma forse… perché non ci aveva pensato? Perché?
«Andiamo via, su», disse Drilla spiccia, facendo girare la barca e orientadola di nuovo verso l’acqua. Non servì a nulla. Pochi minuti dopo erano di nuovo approdati all’isola.
Al e Drilla si inquietarono, ma non si arresero e tentarono di nuovo. Una, due, cinque volte. Invano. Alla sesta volta che toccarono terra e si ritrovarono di nuovo davanti alla foresta dell’isola, Emily sospirò.
«Basta, è inutile.»
Al e Drilla la guardarono. «Che cosa sta succedendo? Perché torniamo sempre indietro?»
Emily si morse il labbro, abbattuta. «Perché il passaggio si forma solo quando anche a Hogwarts cala la nebbia.»
«Ma certo che c’è…aspetta, non mi dirai…che…», balbettò Drilla inorridita.
Emily annuì e strinse i denti. «Sì. A Hogwarts non c’è più nebbia.»
«Siamo intrappolati qui?», chiese Al incredulo.
Emily si strinse nella sua divisa. «Sì. E la strega lo sapeva. Non ci avrebbe mai fatto andare via con tanta facilità altrimenti.»
Drilla boccheggiò. «Ma… ma come faremo allora a tornare indietro?»
«Non possiamo», disse Emily amareggiata. «A meno che…» Rifletté rapidamente: credeva di aver calcolato tutto; credeva di essere in salvo. Invece…
«Torniamo dalla strega», stabilì.
Al e Drilla esplosero in una lunga sequela di proteste.
Emily li interruppe con uno sguardo severo. «Vi fidate ancora di me? Giurate di fare esattamente quello che vi chiederò?»
Al e Drilla annuirono.
«Allora seguitemi.»
Scese barcollando dalla barca e si avviò con passo lento verso il centro dell’isola. Sapeva cosa doveva fare. Sapeva che non c’era altra scelta. Stavolta non sarebbero bastati i trucchi, doveva essere chiara. Fino in fondo.
Avrebbe funzionato? Tremò, cercando di non pensare a quello che stava per fare. Altrimenti non ne avrebbe più trovato il coraggio.
Arrivarono alla conca in fretta. Troppo in fretta. Emily avrebbe voluto più tempo.
La strega era ancora lì, vicino al pozzo, e adesso sembrava di nuovo la quieta ragazza dai capelli rossi che avevano visto appena giunti.
Li vide entrare nell’anfiteatro naturale e sorrise. «Oh, siete di nuovo qui, allora. Avete deciso di restare a farmi compagnia?»
«Sai benissimo perché siamo qui», disse Emily con voce atona, fissando il terreno.
Al e Drilla si erano fermati un passo dietro di lei, curiosi di vedere cos’aveva architettato stavolta.
La strega sorrise. «Sì. Capita, vedete, che a Hogwarts le notti si schiariscano. Deve esserci una splendida luna oggi: io qui non posso mai vederla», sospirò triste, alzando gli occhi alla nebbia cupa che oscurava la volta celeste.
Emily annuì. Sentiva il cuore pulsare forte nel petto, e un nodo soffocante che le stringeva la gola, ma si costrinse a ignorare entrambi i fenomeni e ad apparire tranquilla. «Tu sai come creare un passaggio, vero?»
La strega sorrise. «Sì. Ma ho bisogno di molta energia, perciò di solito preferisco aspettare che la nebbia arrivi in modo naturale. Ma a volte ci vogliono dei giorni... e chissà, magari posso anche impedire che scenda sul lago.»
Emily deglutì: ecco come aveva deciso di vendicarsi, intrappolandoli a vita. Avanzò di un passo e distanziò gli amici. «Quanti Patti puoi fare in una notte?»
La strega la guardò astutamente. «Molti.»
Emily annuì. «Questo sarà l’ultimo stasera. Avrai la mia vita, se lascerai andare loro.»
Voltava le spalle ad Al e Drilla, così non poté vedere come reagissero.
La strega sorrise trionfante. «Niente trucchi?»
Emily scosse il capo. «Nessuno.»
Si voltò a guardare gli amici: Al era senza parole, Drilla aveva la bocca spalancata.
«Stai scherzando, vero?», chiese con una voce fiacca, che non sembrava nemmeno la sua.
Emily scosse il capo, sorridendo triste. «Avete giurato di fare quello che vi chiedo: ora vi ordino di non intromettervi.»
«Non puoi farlo…», continuò Drilla con la voce tremante. «Avevi detto…AVEVI DETTO DI FIDARCI DI TE!», gridò istericamente.
Al la guardava inorridito, poi il suo volto si illuminò, come se si fosse ricordato improvvisamente qualcosa. «Avevi programmato tutto fin dall’inizio, vero?», chiese debolmente.
Emily annuì. «Io non ho bevuto la pozione. Se la strega avesse sospettato e non avesse accettato te, pensavo che, almeno come ultima risorsa…», sorrise timidamente ma subito le lacrime cominciavano a scenderle sulle guance, calde. Avrebbe voluto essere coraggiosa e sorridere ma i singhiozzi cominciarono a scuoterla: singhiozzi di paura, di disperazione e di dispiacere, per sé e per loro. «Mi dispiace tanto, non volevo ingannarvi…»
«Non puoi farlo…» mormorò Drilla, ed Emily si accorse che anche lei aveva iniziato a piangere.  «Insomma», protestò con la voce roca, «tu sei una Corvonero, non uno di quegli stupidi Grifondoro pronti al sacrificio…non fare sciocchezze, dai…»
Oh, vorrei essere un Grifondoro. Vorrei essere coraggiosa, e andare contro quella strega a testa alta. Emily cercò di ricomporsi e tirando su col naso, si voltò, perché sentiva che la sua scarsa determinazione sarebbe crollata se avesse guardato un secondo di più il volto di Drilla. E quello di Al che vide, con la coda dell'occhio, scolpito in una maschera senza espressione.
La strega stava aspettando. «Accetto il patto. E tu?»
Emily annuì e per una volta nella sua vita si sentì coraggiosa, davvero coraggiosa, nonostante i singhiozzi che cercava di soffocare.
«Accetto», mormorò debolmente, asciugandosi le guance.
La strega aveva vinto. La vendetta era sua.
Si avvicinò a Emily lentamente, e ad ogni passo al sua espressione si tramutava, abbandonando tutta l’umanità che possedeva e distorcendosi in quella di una belva assetata di sangue. Di vita.
L’ultima cosa che Emily vide furono i suoi denti acuminati che saettavano verso il suo collo.

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Capitolo 22
*** XXI. Il morso della spada ***


XXI.
Il morso della spada


Emily chiuse gli occhi, in attesa.
Fu come se il tempo rallentasse. La strega scomparve dalla sua vista, la sua mente si svuotò. Aspettava la morte.
Ma la morte non venne.
«Stupeficium
«Petrificus Totalus!»
«Fulmina!»
«Territum!»
Quattro voci squarciarono l’aria, all’unisono.
Emily aprì gli occhi. La strega, a pochi centimetri da lei fino ad un istante prima, era stata catapultata a dieci metri di distanza da quattro attacchi contemporanei ed si era schiantata pesantemente a terra, vicino al pozzo.
Incredula, Emily si voltò. E li vide.
Erano lì, tutti e quattro, le bacchette alzate ancora vibranti per gli incantesimi appena lanciati. Al e Drilla. E, un passo più indietro, appena emersi dal bosco, David… e Jamie.
Emily spalancò la bocca, senza capire. Non era possibile, doveva essere già morta. Jamie e David non potevano essere lì. Non potevano sapere dell’isola, della strega... O sì?
«EMILY!», gridò Jamie e si lanciò in avanti, trascinandola per terra con sé.
La strega, che si era lanciata verso di lei dalle sue spalle, li oltrepassò passando a pochi centimetri da loro. Emily vide il suo volto e urlò: aveva perso ogni traccia di umanità, l’espressione ormai identica a quella di un cacciatore assetato del sangue della sua preda.
Quel volto da mostro guardò Emily e Jamie e ringhiò ferocemente. Fece un passo per attaccare, ma gli altri tre le erano già addosso.
«Evola!», gridò David, e un lampo verde partì dalla sua bacchetta, colpendola in pieno petto.
La strega fu spinta indietro di pochi passi, poi, come se niente fosse, si mise di nuovo a marciare minacciosa verso Emily e Jamie.
«Scappiamo!», mormorò lei terrorizzata. Erano finiti: i suoi amici avevano attaccato la strega, e ora lei aveva il diritto di fare altrettanto. Un’altra legge degli elfi. Un altro loro vantaggio perso.
Mentre gli altri tre cercavano di arrestarla in tutti i modi che conoscevano, Jamie tirò Emily in piedi a forza e se la trascinò dietro.
«Muoviti, presto!»
Emily non se lo fece ripetere due volte e gli corse dietro, mentre la strega, indifferente agli incantesimi di David, Drilla e Al, li seguiva inarrestabile, feroce.
Jamie la guidò fino al pozzo, poi si fermò, indeciso. «Dannazione! Perché non funzionano gli incantesimi?», esclamò, puntando la sua bacchetta verso la nemica.
Emily si aggrappò al suo braccio. «È un elfo. La maggior parte delle magie sono inefficaci con lei!»
Jamie imprecò. «E quali sono gli incantesimi che funzionano?»
Emily scosse la testa: non ne aveva idea.
La strega era vicinissima. Jamie le scagliò una fattura, che la colpì e la arrestò per un attimo. Lui ne approfittò subito e spinse Emily oltre il pozzo, dall’altra parte della conca rocciosa.
La strega non li seguì. Si fermò accanto al pozzo, lo sguardo iniettato di sangue, e improvvisamente il suo volto sfigurato si aprì in un crudele, orribile sorriso.
«Credete di potermi sfuggire in eterno?», domandò con una calma raggelante.
Alzò un braccio teso, fece un gesto pigro con la mano e il liquido del pozzo prese a roteare, dapprima lentamente, poi sempre più veloce.
Da esso cominciò a salire qualcosa, forse vapore, forse…
«Non è possibile!», strillò Drilla istericamente.
La strega rise acutamente. «Pensavate davvero che fosse così facile uccidere le streghe della tribù? Grifondoro ha fatto perdere loro i corpi, ma gli spiriti delle sorelle sono ancora qui, con me!»
Ciò che era uscito dall’acqua si riprodusse più e più volte: forme vagamente umane, sebbene corrotte da tratti animaleschi come corna, code e artigli presero a vorticare nell’aria, apparentemente solo figure di fumo, ma letali per qualunque mortale.
«Cosa diavolo vuole…?», cominciò Jamie, ma non riuscì a terminare.
Le figure scattarono in quell’istante in avanti, sfrecciando verso di loro, sempre più vicine. Emily, senza nemmeno pensare, alzò al sua bacchetta e gridò: «Saeptum!»
Una grande cupola luminosa di luce viola si materializzò intorno a loro, racchiudendoli in un riparo sicuro. Le figure fumose cozzarono contro di essa e si ritrassero, frustrate, continuando ad aleggiare minacciose intorno ad essa.
«Gran bel trucchetto», osservò Jamie nervosamente.
«Non durerà a lungo», rispose Emily tremando.
In effetti era vero. Già si stava sbiadendo a vista d’occhio.
«Oh-oh!», fece Jamie.
La barriera di dissolse completamente e le donne spettrali si gettarono su di loro.
«Sapetum!», ripeté una voce diversa da quella di Emily, e un’altra barriera si stagliò tra loro e le streghe evanescenti. Emily e Jamie si voltarono: Al, David e Drilla, quest'ultima con la bacchetta puntata in alto, erano arrivati vicino a loro, dentro la barriera, aggirando il pozzo e tenendosi lontani dalla strega.
«Che cosa facciamo, Emily?», domandò Drilla esasperata vedendo che anche la sua barriera cominciava a svanire in fretta.
Emily scosse la testa. Non le veniva in mente nulla per trarsi da quella situazione.
«Possibile che nessuno qui abbia un’idea?», sbottò David seccato.
«Perché non fai lavorare un po’ tu il cervello e te ne fai venire una?», ribatté istericamente Drilla.
David sbuffò. «Sono i Corvonero quelli con il cervello fino, e non mi pare di essere uno di loro!»
«Sto pensando!», li interruppe Emily. In quel momento i litigi tra i suoi amici erano l’ultima cosa che poteva servir loro per salvarsi.
«Sono... sono creature spettrali… quindi ci vorrebbe qualcosa di consistenza uguale contro di loro… magari qualcosa di opposto: sono spiriti di umani corrotti, perciò se ci fosse qualcosa di puro…»
«Un Patronus?», azzardò Drilla.
Emily annuì. «Sì, esatto!»
«Bene, ottimo! E adesso che sappiamo che ce ne serve uno, vediamo: qui qualcuno sa come si fa?», chiese sarcastico David.
Nessuno rispose. Nessuno a parte Drilla. «Sì, io sì.»
Tutti la fissarono esterrefatti.
«Tu?», chiese David attonito.
Drilla lo guardò in tono di sfida. «Sono figlia di un Auror, e sono una Corvonero. Certo che so come si fa!»
«Anch’io e Jamie siamo figli di un Auror, ma non siamo mai riusciti a impararlo, è magia avanzatissima», obbiettò Al.
«Scusate, non vorrei interrompervi, ma stanno ARRIVANDO!» David urlò l'ultima parola quando lo scudo si infranse di nuovo.
Drilla non esitò un attimo: puntò in alto la bacchetta e ruggì: «Expexto Patronum!»
Un grande, nitido falco argentato si levò in volo e si gettò contro gli spettri delle streghe, che spalancarono le bocche in urla silenziose e si dissolsero nell’aria.
La strega ancora viva gridò frustrata per il suo attacco fallito.
«Me la pagherete! Avete sconfitto loro, ma questo non significa che io sia altrettanto debole! Vi pentirete di avermi voluto affrontare di persona!»
E, detto questo, si gettò su di loro.
David e Al furono i primi a reagire, scagliandole addosso ogni fattura o incantesimo di difesa che conoscessero, ma fu tutto inutile. Sembrava che nulla potesse arrestarla.
Jamie trascinò di nuovo Emily lontano dalla scena dello scontro, portandola in disparte.
«Dannazione!», imprecò, vedendo che nemmeno uno dei colpi degli altri sembrava dare frutti. «Ci sarà qualcosa che possa avere effetto su di lei!»
Emily si concentrò. «Sì, ma… certo!» Si voltò di scatto verso di lui. «La spada di Grifondoro! È con quella che le ha uccise! Non può essere diversamente! Quella spada è il solo modo per ferirla!»
Jamie recepì al volo il messaggio. Alzò la bacchetta e gridò: «Accio spada!»
Nel momento in cui la strega si rese conto di quello che stava facendo, abbandonò i suoi tre avversari e si gettò su di lui. Jamie cadde a terra, la strega che torreggiava su di lui. Con le mani artigliate gli afferrò al gola e gliela strinse, graffiandolo in profondità con le unghie. Jamie aprì la bocca per respirare: stava soffocando. Lottò per un po’, poi, lentamente, si accasciò.
«JAMIE!», strillò Emily.
Non si accorse di qualcosa che le sfrecciò vicinissimo, a pochi centimetri dalla guancia. Al, invece, se ne rese conto, abbandonò la bacchetta e con un balzo allungò la mano e la strinse attorno all’elsa tempestata di rubini.
Senza nemmeno pensare a quello che stava facendo, afferrò saldamente con entrambe le mani la spada di Grifondoro e si scagliò verso la strega e il fratello.
Lei si voltò lentamente, quasi come se il tempo fosse rallentato, lo vide a pochi centimetri, il volto tirato in un’espressione determinata, vide le sue mani alzarsi sollevando la spada e abbassarsi di colpo, la lama che baluginava nella nebbia.
E fu la fine.
La strega si accasciò, la spada conficcata a fondo nel suo petto, il sangue che sgorgava, nero misto a rosso, natura umana mista a natura elfica. Poi, senza un suono, il suo corpo avvolto nel vestito blu si sfaldò ed svanì nell’aria in una nuvola di frammenti neri, simili a foglie secche d’autunno.
Era morta.
Al guardò sbalordito la spada, che teneva ancora stretta in pugno, incredulo di quello che aveva appena fatto. Jamie, a terra, si massaggiò la gola e lo fissò con altrettanto stupore. Poi il suo viso si allargò in un sorriso.
«Bel colpo.»
Al ricambiò lo sguardo frastornato.
Poi Drilla gridò di gioia. «Al, sei stato grande! Sei un eroe! Un mito!», strillò estasiata abbracciandolo. Al la lasciò fare inerte, ancora non del tutto cosciente del suo gesto.
David sogghignò e gli sbatté un pugno su una spalla facendogli parecchio male. «Grande prova!»
Jamie concordò con un rigoroso assentire di capo e intercettò lo sguardo di Emily, rimasta in disparte. Smise di sorridere e la raggiunse con un’espressione accigliata.
«Sei proprio una stupida!», la rimproverò aspro. «Ti rendi conto che se non arrivavamo io e David ti ammazzava?»
Emily annuì, sorrise, poi, chissà per quale motivo, scoppiò a piangere.
Jamie si irritò. «Insomma, sei salva, perché piangi ? Perché devi sempre piangere quando ci sono io?»
Emily scosse il capo. «È colpa tua!», lo accusò.
Jamie sbatté gli occhi, sorpreso. «Mia? Ma scusa, che ho fatto adesso?»
Emily non rispose e tirò su con il naso, asciugandosi le lacrime.
«Ehi, voi due, volete rimanere qui a vita? Quebec ci sta aspettando!», gridò in quel momento David.
Emily, Drilla e Al si allarmarono. «Quebec?»
Jamie sbuffò. «È una lunga storia. Chiedete al vostro amico Dunneth, lui sarà felicissimo di spiegarvela.»
Emily sussultò. «Stuart! Sta bene?»
Jamie annuì. «Sì, anche se magari ha avuto giorni migliori.»
«Non capisco», lo interruppe Drilla. «Che cosa c'entra Quebec con questa storia?»
David, che camminava accanto a lei mentre iniziarono a dirigersi alla barca, ghignò. «Pensavo che i Corvonero fossero più svegli. Insomma, credete che a noi del quarto anno insegnino come evocare la nebbia per due ore? Senza Quebec non avremmo mai potuto arrivare, e voi ora sareste spacciati tutti quanti.»
Emily sospirò, ripensando a quello che avrebbe potuto accadere. Era viva, viva! E anche Stuart! Non le era mai successo di essere tanto felice.
Non parlarono per il resto della traversata sulle due barche, forse perché erano tutti troppo esausti per farlo, forse perché in fondo non c’era nulla da dire. Il pericolo era passato, ed erano di nuovo lì, insieme. Magari Drilla rimpiangeva di non aver lasciato sull’isola David, ma, a parte questo, nessuno poteva lamentarsi di quello che era successo. Anche se Emily sperava con tutto il cuore di non dover mai, mai ripetere un’avventura simile. Le bastava e avanzava per tutta la vita.
Quando emersero dalla nebbia videro che essa era circoscritta solo al lago e che sulla riva stava dritta in piedi una figura, che li scrutava arrivare accigliata. Quebec.
«Non ha l’aria molto felice», osservò divertito David.
«Ci credo!», ribatté Jamie. «Hai presente quanto si è arrabbiato quando si è reso conto che doveva lasciar andare noi perché era lui il solo che poteva mantenere la nebbia finché non fossimo tornati?»
Sogghignarono entrambi ma smisero quando approdarono a riva e Quebec si avvicinò con il volto calmo, studiandoli uno ad uno.
«A quanto vedo siete riusciti a cavarvela. Che ci fa la spada di Grifondoro nelle tue mani, Potter?», domandò accigliato vedendo l’arma che Al teneva in mano.
«Ci è servita per uccidere la strega», spiegò Al candidamente.
Quebec inarcò un sopracciglio. «Vedo.» Poi sorrise, inquietante quasi quanto la strega. «Spero che non vi siate stancati troppo.»
David rise. «Lo farei altre dieci volte, è stato divertente!»
Quebec continuò a sorridere. «Spero che conservi le tue energie, invece, Steeval: ti serviranno. Serviranno a tutti voi, in realtà, dato che siete tutti in punizione da qui fino a giugno.»
 

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Capitolo 23
*** XXII. Magia e ragione ***


XXII.
Magia e ragione


Emily era ferma davanti alla porta, lacerata da una terribile lotta interiore.
Coraggio, Emily, apri questa porta! È l’unico modo per capire.
Ma, per quanto cercasse di convincersi di quelle parole, non riusciva ad allungare la mano verso la maniglia e abbassarla.
Era ancora preda dell’indecisione quando la porta si aprì da sola e ne emerse Stuart, pallido e stanco. La vide e si bloccò.
«Oh!», fece debolmente. Poi fece un sorriso tirato. «Emily! Da quanto sei qui?», domandò con acume.
Emily arrossì. «Da un po’», confessò. «Posso…?»
Stuart fece un’espressione sorpresa ma si scostò e la invitò ad entrare. «Certo.»
Emily varcò la soglia. Il dormitorio maschile era un po’ più grande di quello femminile, rotondo e con grandi finestre luminose. I letti a baldacchino con le tende blu erano ancora disfatti. Era una domenica mattina, e gli studenti si erano alzati tardi. A quell’ora erano tutti a colazione nella Sala Grande. Tutti tranne Emily e Stuart.
«Siediti», le disse lui, indicandole un letto, probabilmente il suo.
Emily obbedì a disagio, e tenne lo sguardo basso mentre lui faceva altrettanto, accanto a lei.
«Stai bene?», chiese Stuart, togliendole l’imbarazzo di cominciare il discorso.
Emily annuì.
«E gli altri?», proseguì atono lui.
«Stanno tutti bene. Nessuno di noi si è fatto male.»
Stuart fece un cenno, come a dire che aveva capito, ma non parlò. Rimasero tutti e due in silenzio per un bel po’, a corto di convenevoli.
Poi Emily, facendo un gran respiro, si decise. «Stuart?»
Stuart levò gli occhi dal pavimento su di lei, in attesa.
«Stuart, puoi… puoi dirmi perché…?» Non aggiunse altro. Non ce n’era bisogno, sapevano già entrambi qual’era la domanda che Emily voleva fare.
Stuart lasciò passare diversi istanti prima di rispondere. Alla fine sospirò e guardò Emily negli occhi.
«Dimmi, cos’hanno detto i tuoi genitori quando hai ricevuto la lettera per Hogwarts?», chiese all’improvviso.
Emily restò per un attimo senza parole, spiazzata dalla domanda. «Be’, loro… ecco, all’inizio non ci credevano, e nemmeno io a dire il vero, ma poi ne sono arrivate altre. Alla fine hanno deciso di vedere chi stesse dietro a quello scherzo assurdo e andammo insieme nel posto indicato per comprare le cose di scuola, Diagon Alley… e allora hanno capito che era la verità, non uno scherzo.»
«Ma cos’hanno fatto quando hanno capito che era la verità?», insisté Stuart.
Emily lo guardò interrogativa. «In che senso?»
«Sì, insomma, erano… erano felici o… o dispiaciuti?»
Emily rimase sbalordita. «Ma erano felici, ovviamente! Cioè, insomma, non è che avere una figlia che facesse magie fosse sempre stato il desiderio più grande della loro vita, non se l’erano mai nemmeno sognati, ma a loro andava bene così.»
Stuart annuì tornando a fissare il pavimento, in silenzio.
Emily non capì il perché di quella domanda apparentemente fuori luogo, poi fu presa da un sospetto. «E i tuoi, invece? Sono… ehm, sono stati felici o…?»
La smorfia dolorosa sul volto di Stuart rispose da sola alla sua domanda. «No, non lo erano.»
Emily si sentì improvvisamente a disagio. Forse doveva tacere e non chiedere altro, o magari consolarlo, ma era troppo incuriosita per trattenersi.
«Perché?», domandò piano.
Stuart scosse la testa. «I miei genitori… o, almeno, mio padre è… una persona con i piedi per terra, come si dice. Uno di quelli che crede solo nelle cose che la scienza può provare. Tutto quello che è al di fuori della… della normalità, come direbbe lui, non esiste o non è qualcosa che valga la pena prendere in considerazione. Insomma, è l’ultima persona che crederebbe nella magia, nelle streghe e cose simili. E poi gli piace programmare: avevo già un posto assicurato a Harrow per quando avrei compiuto tredici anni.»
Emily cominciava a capire. «Che cos’ha fatto quando hai ricevuto la lettera?»
Stuart deglutì. «Non gliel’ho detto. L’ho tenuta nascosta, non so bene perché. In realtà nemmeno io, allora, credevo nelle cose sovrannaturali, ma poi ne sono arrivate altre…»
Fece una pausa, e un sorriso triste gli sfiorò le labbra. «Ho fatto sempre più fatica a nasconderle. Per qualche strana ragione non volevo distruggerle, così quelle si accumulavano nella mia stanza. Erano sempre di più. Mia madre sapeva che arrivavano, ma aveva paura di quello che mio padre avrebbe potuto dirmi o farmi…» Si accigliò. «Alla fine, però, tornò a casa prima, un giorno, e ne vide una. La aprì e si infuriò, dicendo che quel genere di scherzi non era ammissibile. Mi chiese se conoscessi il mittente della lettera, o se sapessi chi poteva essere stato…»
«E…?», lo incoraggiò Emily, quando lui si interruppe e non proseguì.
«Gli disse la verità: che non lo sapevo. Ma lui si insospettì e venne in camera mia. E trovò tutte le altre.» Si interruppe di nuovo, e deglutì un’altra volta rumorosamente. «Non l’avevo mai visto così arrabbiato. Le bruciò tutte, ingiungendomi di non farmi più prendere in giro da scherzi simili. Ma il giorno dopo ne arrivarono altre, moltissime altre. Alla fine mio padre, esasperato, come i tuoi genitori, anche se magari con molta più rabbia di loro, decise di recarsi con me e mia madre a Diagon Alley. E lì…» Sorrise. «Be’, a quel punto dovette crederci. Non poteva non farlo, non so se capisci cosa intendo.»
Emily annuì con un sorriso. Nessuno, davanti alle vetrine scoppiettanti dei negozi di incantesimi, ai barili di ingredienti magici della farmacia e ai libri animati del Ghirigoro avrebbe potuto onestamente dire di non credere alla magia.
Stuart sorrise, vedendo che lo comprendeva. «Così fu deciso che sarei andato a Hogwarts. Mia madre si occupò di accompagnarmi nei negozi e comprarmi quello che mi serviva. Mio padre era troppo sconvolto per poter rendersi bene conto di quello che gli succedeva intorno. Quando tornammo a casa, quella sera, si rifugiò nel suo studio.»
La sua espressione si incupì di nuovo. «Lui… è sempre stato un uomo severo, ma anche affettuoso. Quand’ero piccolo andavamo sempre in montagna a pescare, o a fare escursioni, e quando mia madre poteva, perché qualcuno si occupava di mio fratello, veniva anche lei. Eravamo una famiglia unita…»
«E adesso?», chiese Emily con una vocina piccola piccola.
Stuart chiuse gli occhi. «Dopo quel giorno a Diagon Alley non mi parlò più. Nel senso che se doveva dirmi qualcosa, come chiedermi che ore sono, se doveva accompagnarmi in macchina da qualche parte o altre cose simili lo faceva, ma… niente di più. Era come se fossi un estraneo per lui. Credo di averlo deluso terribilmente.»
Emily sentì un nodo allo stomaco, avvertendo che la risposta alla sua domanda stava arrivando. «E quindi hai pensato…»
Stuart annuì. «Che magari, se fossi stato il migliore in ciò che facevo, se gli dimostravo di avere successo, di essere ineguagliabile come mago, forse si sarebbe sentito orgoglioso di me, forse mi avrebbe rivalutato, e avrebbe rivalutato il mondo a cui appartenevo… Ormai era un pensiero fisso: dimostrargli che valevo qualcosa, che non ero una nullità, che meritavo la sua stima... a tutti i costi.»
Emily ammutolì.
Stuart alzò gli occhi e la fissò con una smorfia amara. «Sono davvero uno stupido. Non sarei mai dovuto entrare nella Casa di Corvonero. Se avessi avuto davvero un cervello come il tuo mi sarei reso conto che sbagliavo…»
«Tu hai un gran cervello, Stuart», lo contraddisse Emily.
Lui scosse la testa. «Niente affatto. Ho scoperto dov’era la strega e non ho esitato un solo secondo a chiederle di farmi diventare brillante, un mago abilissimo, senza pensare alle conseguenze.»
Emily aprì la bocca per parlare, ma lui, ora che aveva svuotato il sacco, non riusciva più a trattenersi. «E poi, pian piano, mi sono reso conto della mostruosità che avevo fatto! La mia vita in cambio di un po’ di successo, credendo che fosse questo che mi avrebbe fatto guadagnare il rispetto di mio padre! E invece, quando l’anno scorso anche mio fratello si è rivelato un mago, mio padre si è rassegnato alla realtà e… ed è tornato quello di prima. Mi ha persino... mi ha chiesto scusa. Ma per me era troppo tardi! Sono caduto in un baratro di depressione: sapevo che la strega avrebbe chiesto in fretta quello che le avevo promesso!» Si coprì il volto dalle mani. «Mi sentivo già morto. Non riuscivo a stare con gli altri; tutto il mondo sembrava girarmi attorno pieno di vita, mentre io mi stavo spegnendo! Parlare con gli altri, mangiare con loro, quando sapevo di dover morire era insopportabile. Non so nemmeno perché ti ho avvicinata. Forse perché mi sembravi così gentile…»
Emily sorrise. «Non sono gentile. Sono solo troppo vigliacca per essere prepotente.»
Stuart scoppiò a ridere. «Probabile.»
Si guardarono.
«Stuart, io penso che tu sia un vero Corvonero. Nessuno, nemmeno un preside di Hogwarts come Silente aveva mai scoperto il nascondiglio della strega. Tu, invece, lo hai fatto. Se non fosse stato per la coincidenza della mia punizione sul lago, quando ho visto la luce del pozzo, nemmeno io avrei mai saputo riuscire a fare altrettanto. Hai un gran cervello, proprio quello di cui andrebbe fiero un padre come il tuo.»
Stuart scrollò le spalle, ma non negò.
Emily cercò qualcos’altro da dire per convincerlo di quella verità, ma la fatica le fu risparmiata dalla porta che si apriva. Sulla soglia comparvero Drilla ed Al –ancora una volta in un dormitorio che non era il suo-, che videro Stuart sveglio e più o meno in forma e sorrisero.
«Stuart, stai bene?», chiese allegramente Al.
Stuart annuì. «Sì. grazie per quello che avete fatto.» La sua espressione si rabbuiò. «Già, perché vi siete scomodati tanto per me?»
Drilla sogghignò e gli tirò un pugno su una spalla. «Idiota! A che servono gli amici, se non a salvarti la pelle tutte le volte che capita l’occasione?»
Al ed Emily concordarono con un rigoroso cenno del capo. Stuart sorrise.
«Piuttosto, come diavolo hanno fatto Jamie e quella calamità ambulante di Steeval ad arrivare sull’isola? Sembrava che sapessero proprio tutto!», osservò Drilla pensierosa.
«Quando mi sono svegliato, ero debole, ma non abbastanza da non rendermi conto di quello che doveva essere successo», disse Stuart. «Ho capito che qualcuno doveva aver cambiato il patto con la strega, perché non c’era nulla che l’avrebbe trattenuta dall’uccidermi. Perciò mi sono alzato e mi sono trascinato fino alla Sala dei Trofei.» Ridacchiò. «Indovinate chi ci ho trovato?»
«Mio fratello e David», rispose subito Al. «Che ne stavano combinando un’altra delle loro.»
Stuart annuì. «Credo che stessero facendo un agguato a Nick-Quasi-Senza-Testa per spaventarlo a morte, ma non ne sono sicuro. Comunque quando mi hanno visto si sono quasi presi un colpo. Quasi», specificò. «Ho raccontato loro tutto. David era convinto che stessi delirando. Jamie, invece, ci ha creduto subito, è corso al dormitorio, ha visto che tu, Al, non c’eri, perciò si è trascinato dietro David fino al lago. Credo che Quebec li abbia beccati mentre uscivano dal portone.»
Al annuì. «Sì, è andata così. Ed è stata una fortuna, perché senza di lui non sarebbero mai riusciti ad arrivare sull’isola.»
Drilla non sembrava così soddisfatta. «Sarà, ma chiamare Ravenscar sarebbe stato più ragionevole. Almeno non ci avrebbe messi tutti quanti in punizione. E adesso non ci ritroveremmo con il mal di schiena e le mani dolenti perché ci costringe ogni sera a pulire i sotterranei della scuola senza magia e con le spugne di ferro!»
Tutti gli altri risero, anche se sia Al che Emily si guardarono le mani piene di vesciche con un po' di rimpianto.
«Insomma, l'unico che si meritava una bella punizione eri tu, Stuart, e invece te la sei cavata. Continuerai a rimanere un genio perché il tuo patto con la strega ormai l’hai pagato, ma sei vivo perché Emily ne ha fatto un altro. Oh, e, tra l’altro, adesso che sei quasi resuscitato dalla morte e con quel pallore somigli a un vampiro un sacco di ragazze non stanno aspettando altro che tu esca da questa tua torre d’avorio per metterti le mani addosso. Auguri», concluse maliziosa.
«Dici sul serio?», chiese Stuart allarmato.
«È vero, ho sentite anch’io parlare di te ai bagni femminili l’altro giorno», disse Emily pensierosa. «Per fortuna che la storia della strega non si è diffusa.»
«Ravenscar e Quebec non volevano che altri studenti fossero incoraggiati ad andarsene alla ricerca di qualche altra strega sopravvissuta, o magari di cercare di resuscitarne una dai tumuli della foresta», spiegò Al.
Stuart non sembrava affatto felice. «State scherzando, vero? Riguardo alle ragazze intendo…»
Drilla sorrise astuta. «Per niente. Anzi, tra dieci minuti comincerà l’ultima partita dell’anno, Grifondoro contro Tassorosso. Perché non vieni con noi a guardarla così verifichi di persona?»
Stuart, sebbene riluttante, alla fine si fece convincere, e li seguì fuori dal dormitorio. Evidentemente Drilla aveva ragione perché dovunque gli sguardi femminili si voltavano a osservare il quartetto di amici.
«Se continua così ruberai tutta l’attenzione femminile a Steeval», osservò ghignando Drilla mentre uscivano dal portone e percorrevano il vialetto verso lo stadio, da cui già proveniva un forte brusio di voci.
Emily la guardò acuta. «Sembri molto soddisfatta della cosa. Gelosia?»
Drilla le tirò un pugno su un braccio, facendole molto male. «Ma quando mai? Piuttosto, spero che Tassorosso schiacci Grifondoro, oggi, perché se lo meritano!»
Emily e gli altri risero, ma nessuno disse più nulla ed entrarono insieme nel grosso stadio per godersi l’ultima partita di quell’anno scolastico.

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Capitolo 24
*** Epilogo ***


Epilogo

 

Strange how you know inside me
I measure the time and I stand amazed
Strange how I know inside you
My hand is outstretched toward the damp of the haze

 

«Che caldo asfissiante», si lamentò Jamie, lasciando cadere la testa pesantemente tra le braccia conserte.
Emily, seduta a gambe incrociate sulla sedia di fianco, con un libro appoggiato sulle ginocchia, gli rivolse un'occhiata sorridente. «È quasi estate, no?»
«Già, tra dieci giorni finisce la scuola», si ricordò improvvisamente lui. «Grazie al cielo, non ne potevo più di scervellarmi sui libri.»
Emily chiese ingenuamente: «Perché, hai studiato tanto per gli esami?»
Jamie sbuffò. «E a che mi servirebbe? Io, dopo Hogwarts, voglio fare il Cercatore di Quidditch, non l’Auror.»
«Pensavo volessi seguire l’esempio di tuo padre», disse Emily sorpresa.
Jamie alzò le spalle. «No, è Al quello che vuole cacciare Maghi Oscuri. Io non ci penso neanche: troppo impegnativo.»
Emily sorrise e con una punta di ironia che sorprese persino lei stessa commentò: «Già, non devi sforzarti troppo, altrimenti dove prenderesti le energie per giocare a Quidditch?»
Jamie fece una smorfia. «Di’ un po’, ma da quand’è che tu sei diventata così sarcastica?»
Emily arrossì, desiderando ardentemente rimangiarsi quel che aveva detto: negli ultimi tempi, a causa dell'eterna punizione di Quebec passata gomito a gomito, era arrivata quasi a rilassarsi anche in presenza di Jamie. Quasi: quando le faceva l'occhiolino o se ne usciva in qualche battuta un po' troppo maliziosa per il senso dell'umorismo di Emily, in un istante tornava rigida come uno Schiopodo e rossa come un Berretto Rosso, e non c'era più verso di farla tornare a suo agio.
«Be'? Ti hanno fatturato la lingua?» domandò Jamie.
«Ssst!», ingiunse Emily ancora rossa, guardandosi intorno.
Erano in biblioteca, accanto alla solita finestra di vetri piombati, e Madama Oackes era in appostamento e poteva abbattersi da un momento all’altro sui disturbatori della quiete di quel luogo, tra i quali, senza ombra di dubbio, spiccava Jamie, che parlava a voce terribilmente alta. Emily non ci teneva a essere scacciata un’altra volta dal suo posto preferito.
Jamie sbuffò, scocciato, ma abbassò la voce. «Si può sapere che ci trovi di tanto divertente qui? Non puoi andare a leggere fuori nel parco?»
Emily lo zittì con un gesto della mano. «C’è troppo caos.»
Era la pura verità. Persino da lì, affacciandosi alla finestra, si poteva vedere il via vai degli studenti intenti a giocare a Quidditch nel prato, fare il bagno nel lago, passeggiare o chiacchierare all’ombra degli alberi. No, troppa gente, Emily preferiva di gran lunga la tranquillità della biblioteca. Anche se pure lì, ora che erano finiti gli esami, trovava parecchia gente che girovagava tra gli scaffali annoiata o gruppetti di ragazze che aveva scelto quel posto per scambiarsi a bassa voce confidenze. O anche, e questi erano quelli che più le davano fastidio, coppiette di fidanzati che si scambiavano effusioni cercando di non farsi scoprire dalla bibliotecaria.
Jamie si mise a osservare due ragazzi appartenenti proprio a quest’ultimo gruppo, troppo occupati tra loro per accorgersi di essere oggetto dell’attenzione di qualcuno.
«Sai, mi chiedevo se…», cominciò Jamie.
Emily, accorgendosi di cosa stava osservando, arrossì e si affrettò a interromperlo. «Posso chiederti una cosa?»
Jamie la guardò sorpreso. «Certo.»
«Perché non vai a giocare a Quidditch con i tuoi amici invece che stare qui ad annoiarti?»
Jamie fece una smorfia. «Cos’è, un altro commento sarcastico?»
Emily rise involontariamente. «A dire la verità no, ma adesso che mi ci fai pensare è vero. Per quanto è che avete perso? Settanta punti?»
Jamie era imbronciato. «Novanta», ammise riluttante. «Ma solo perché, per colpa di quella stupida punizione di Quebec, io e David non abbiamo potuto allenarci.»
Emily sorrise. «Be’, il Boccino lo hai preso lo stesso, no?»
Jamie sembrò offeso. «Che importa? Abbiamo perso, come non fa che ricordarci tutte le volte che ci incontriamo la tua amica Mandirlla!»
«Drilla», lo corresse Emily. «Vi rifarete il prossimo anno.»
Jamie non sembrò molto consolato da quel fatto. «Perdere contro Tassorosso. Che vergogna!», mugugnò.
Emily si accigliò. «Guarda che i Tassorosso sono tutti simpaticissimi e molto bravi. Non dovresti sottovalutarli.»
«Bah, sono un branco di imbranati!»
«Non è vero!», ribatté Emily accalorata, mettendo da parte il libro.
Jamie la fissò attonito, poi sorrise. «Ma tu devi sempre difendere così quelli che ti fanno pena?»
«Non mi fanno pena!», disse Emily rossa. «E non li difendo. Sto solo dicendo la verità!»
Jamie ridacchiò. «Come al solito. Ma a te stessa non pensi mai?»
Emily lo guardò perplessa. «E questo cosa centra?»
«Niente», fece lui alzando le spalle. Poi, come se niente fosse, si sporse dalla sua sedia e la baciò.
Fu un attacco a sorpresa e così inaspettato che Emily non riuscì nemmeno a reagire. Sentì la bocca calda del ragazzo, il suo respiro sulle labbra e senza rendersene conto si ammorbidì a quel contatto tanto desiderato e tanto temuto.
Quando lui si scostò un secondo, Emily non si mosse di un millimetro. «Ja…Jamie... » balbettò.
Lui le prese una mano con un sorriso trionfante. «Adesso non dirmi di no! So tutto, Al non è bravo a stare zitto su queste cose: l'ho fatto spiattellare tutto.»
Emily si appuntò mentalmente di arrabbiarsi molto con Al la prossima volta che l'avrebbe visto, ma l'intenzione svanì quasi subito, perdendosi nel momento più incredibile, più bello e più inaspettato della sua vita; la mano di Jamie stringeva forte la sua e il cuore le scoppiava nelle tempie; avrebbe voluto dire qualcosa ma di colpo si sentì addosso gli sguardi di un gruppetto di ragazze sbalordite poco lontano e la vergogna la fece tornare in sé «No, è che… insomma, non adesso, per favore!»
«E quando? Ci sono sempre la tua amica rompiscatole o Al o quel Dunneth a ronzarti intorno.»
«Ma… ma… ma adesso non siamo soli…», balbettò lei debolmente.
Jamie alzò lo sguardo e vide le ragazze poco lontano che li fissavano. Sorrise diabolicamente. «Qualche problema?»
La ragazze fuggirono via, intimidite. Jamie sogghignò e tornò a Emily, che aveva tenuto stretta fino a quel momento. «Be’, adesso sì.»
Emily non era per niente d’accordo: c’erano ancora un mucchio di persone in biblioteca. «Sì, però…», cominciò.
Jamie fece un verso esasperato. «Ma insomma, non ti va mai bene niente?»
Emily sorrise per un attimo, timidamente. «No.»
Lui scoppiò a ridere. «Ah sì? Beh, sai che ti dico? Non mi interessa!» E, così dicendo, la baciò.
Emily cercò di opporsi. «Ma se arriva Madama Oackes…»
«Non importa», ribatté lui.
«M-ma se arrivassero Drilla, Al e gli altri…»
«Tanto meglio. Così non dovremo star lì a spiegargli tutto.»
«Ma…»
«Ma vuoi stare zitta?!», sbottò lui.
Emily ammutolì e si arrese. Jamie aveva vinto. E, in fondo, a lei una sconfitta di quel genere non dispiaceva per nulla. Anzi.

 

Strange how I fit into you
There's a distance erased with the greatest of ease
Strange how you fit into me
A gentle warmth filling the deepest of needs

Eric's Song, Vienna Teng

 

〜 Fine 〜
 

E siamo arrivati alla fine.
Perdonatemi se vi ho fatto aspettare, se non sono stata costante come avrei voluto e se, ma spero di no, la conclusione non è stata all'altezza delle vostre aspettative.
A mia discolpa posso solo dire che con lo studio, un doppio lavoro e una briciola di vita sociale, è dura riuscire a stare dietro alla pubblicazione di Ob Morsum.
Vi volevo avvisare che questa storia ha un seguito, anch'esso già scritto e concluso e lo pubblicherò appena troverò un attimo. Non riuscirò ad andare avanti tutti i giorni perché questo periodo per me è veramente intenso ma almeno una o due volte alla settimana cercherò di aggiornare.
Grazie a tutti coloro che hanno inserito la storia tra preferite e seguite (non vi menziono tutti perché siete più di quaranta, wow!) e a coloro che hanno recensito: Martina87, chuxie, Sheilin, Lux_Klara e Ellygattina.
Spero che mi farete sapere cosa vi è piaciuto o no di questa storia, se vi siete affezionati a qualche personaggio e che seguirete il proseguimento delle avventure dei nostri eroi.
A presto!
Mue
 

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