Tu che sei parte di Me

di FairySweet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sempre Lei ***
Capitolo 2: *** Sei tu Follia ***
Capitolo 3: *** Muro di Ghiaccio ***
Capitolo 4: *** Lacrime Trattenute ***
Capitolo 5: *** Sguardi ***
Capitolo 6: *** Era Diversa ***
Capitolo 7: *** Non la Conosci? ***
Capitolo 8: *** Al Sicuro ***
Capitolo 9: *** Sempre Perfetta ***
Capitolo 10: *** Non posso Restare ***
Capitolo 11: *** Troppo Tempo ***
Capitolo 12: *** Sangue ***
Capitolo 13: *** Solo Silenzio ***
Capitolo 14: *** Quando lei aprirà gli Occhi ***
Capitolo 15: *** Una Promessa ***
Capitolo 16: *** Questo non è un Gioco ***
Capitolo 17: *** Accanto a Te ***
Capitolo 18: *** Lei è quel Pensiero ***
Capitolo 19: *** Fallo per Lui ***
Capitolo 20: *** Parole di Ghiaccio ***
Capitolo 21: *** Non ora, non Così ***
Capitolo 22: *** Guardami ***
Capitolo 23: *** Faccia a Faccia ***



Capitolo 1
*** Sempre Lei ***


                                                      Sempre Lei 





Ci aveva messo poche ore a trovarla, l'avrebbe trovata ovunque. Sarebbe arrivato perfino in capo al mondo per lei.
Aveva scelto un'altra vita, un mondo senza senso di colpa, senza la possibilità di rivedere continuamente quella giovane ragazza mentre moriva a causa sua.
Si era lasciato tutto alle spalle e a cosa era servito? Era di nuovo lì, di nuovo in quella città, di nuovo nella sua testa.
Quante notti aveva passato sveglio? Quante notti perse nel silenzio a spiare lo schermo di un cellulare pregando il cielo per sentire di nuovo la sua voce, per vedere il suo sorriso brillare nei sogni più intimi.
Era egoista? Forse, ma non poteva farci niente.
Non era colpa sua, non era colpa di nessuno, ci aveva provato, ci aveva provato davvero.
Cambiare vita, cancellare il passato con un colpo di spugna e chiudervi tutto il dolore vissuto assieme a quel dannato senso di nausea che aveva imparato a controllare per il lavoro, per quei bambini, vittime innocenti che non meritavano tutto lo schifo di questo mondo.
Eppure, per quanti sforzi facesse, l'immagine sfocata del suo viso tornava a riempirgli i pensieri.
Liv era lì, sulla pelle, sulle labbra, nello sguardo di sua moglie che lo costringeva ogni giorno ad andare avanti.
Era bastata una telefonata, la voce preoccupata e stanca del suo vecchio capitano e quel racconto nauseante che aveva risvegliato di colpo tutti gli incubi trattenuti.
Si ritrovava per l'ennesima volta in quella città, in quella vita, in quella palestra dove qualche volta si era fermato dopo il lavoro.
Se ne stava appoggiato lì, trasparente in mezzo ai propri pensieri mentre davanti agli occhi c'era il suo sogno.
La spiava mentre prendeva a pugni il sacco appeso davanti a lei senza prestare la minima attenzione a tutto quello che le accadeva attorno.
Ne era incantato, a tratti perfino stupito, nascosta da una semplice canottiera scura e da un paio di pantaloncini non era la stessa che aveva lasciato anni addietro.
Seguiva ogni suo movimento, ogni botta violenta che scaricava contro l'attrezzo perché ad ogni scatto i muscoli si tendevano violentemente scavando nel suo corpo linee perfette.
Non riusciva a staccare lo sguardo da lei, dal movimento leggero dei suoi capelli costretti in un intreccio severo, lunghi, più lunghi di quello che ricordava ma profumati esattamente allo stesso modo.
Sorrise a quel pensiero tanto sciocco nato chissà dove, forse era colpa dei sogni che faceva, ritagli di un passato assieme, o forse, era semplicemente il bisogno di sapere che era lì, che non era sparita e che tutto quello che conosceva di lei era vero.
Dal suo sorriso, a quell'espressione buffa che le colorava le labbra quando non riusciva a capire il nesso tra i vari sospettati, al profumo dei suoi capelli.
Doveva essere la stessa perché altrimenti per cosa era tornato? Per chi? Non erano di un fantasma gli occhi che accompagnavano i suoi sogni e non era quel fantasma a massacrare il sacco inerme.
La conosceva bene, così bene da capire che in realtà stava prendendo a pugni sé stessa e la debolezza che non le aveva permesso di difendersi.
Si prendeva a pugni per non essere riuscita a capire cosa stesse accadendo e prendeva a pugni quell'uomo infame che l'aveva tenuta prigioniera per giorni.
Ma in fondo all'anima, da qualche parte lontano dalla luce del giorno, stava prendendo a pugni anche lui.
Lui che se ne era andato come un codardo, senza aver avuto il coraggio di dirle la verità, senza un motivo valido ai suoi occhi costringendola, per l'ennesima volta. ad attingere a quella forza impressionante che molte volte l'aveva salvata.
Non aveva bisogno di guardarla negli occhi per capire cosa stesse provando, così come non aveva bisogno di vedere i lividi ancora limpidi sulla sua pelle.
Tremò leggermente riportato alla realtà dal rumore violento che rimbombò per la palestra.
I due giovani sul ring si voltarono di colpo sorridendo “Uao” mormorò uno di loro avvicinandosi lentamente alle corde “Dev'essere davvero concentrata” ma lui scosse leggermente la testa sussurrando “O solo molto arrabbiata”.
Era così arrabbiata con il mondo, con se stessa, come un mare in tempesta che copriva la razionalità, un uragano violento che si prendeva gioco di lei e che la costringeva ad oltrepassare i limiti; arrivavano da lì i pugni, i calci, lo stupore dei ragazzi che aveva attorno ma a lei cosa importava? Nascosta dalla dolce sicurezza della musica che invadeva i suoi pensieri continuava ad essere sé stessa o almeno, una pallida imitazione di sé stessa.
Fece un bel respiro incamminandosi verso di lei.
Contava i passi come un condannato a morte perché sapeva bene che davanti ai suoi occhi le parole si sarebbero bloccate da qualche parte a metà tra cervello e bocca.
Un altro passo, un altro metro di terreno che riduceva sempre di più quella distanza maledetta.
Si fermò alle sue spalle, immobile, paralizzato tra due mondi, tra il passato e il presente.
Avrebbe voluto toccarla, sfiorarle la schiena, ridere mentre il suo viso si apriva in una smorfia a metà tra lo stupore e la dolcezza ma era abbastanza certo che la reazione sarebbe stata un pugno in faccia.
Si mosse leggermente di lato, la vide tremare violentemente spaventata da quella presenza improvvisa accanto a lei “Scusa” si affrettò ad aggiungere alzando leggermente le mani “Non volevo spaventarti” la vide sospirare, chiudere qualche secondo gli occhi tentando di regolarizzare di nuovo il respiro.
Si sentiva strano, preso in giro da anni di silenzio che ora d'improvviso ripiombavano tra loro.
Era terrorizzato dal poter scoprire che Liv non fosse più Liv, che se ne fosse andata divorata da quei lividi e quei tagli che scendevano fino al collo colorando la sua pelle “Che ci fai qui?” “Però” sussurrò “Devi essere davvero molto arrabbiata” “Tu credi?” ribatté ironica piantando gli occhi nei suoi “Complimenti, sei un detective niente male!” tolse le cuffiette nascondendosi dietro al sarcasmo.
Non c'era niente di Liv in quei movimenti, era lontana, distrutta, indurita da quegli anni passati a lottare.
Non aveva paura di affrontarlo, non indietreggiava, non l'aveva mai fatto ma ora in quello sguardo, c'era tutta la rabbia e la paura che non aveva mai visto in lei “Come stai?” mormorò con un filo di voce “Perché sei qui?” “La smetti di rispondere con un'altra domanda?” “E tu la smetti di apparire quando vuoi?” alzò gli occhi al cielo ridendo “Sei così …” “Stronza? Capita quando si passano brutte cose” “Perché credi che sia qui?” “Non per me” sbottò gelida “Sei impazzita?” “Non ho bisogno di te, ho già chi si prende cura di me, puoi stare tranquillo” “Davvero? È per questo che non dormi la notte?”ma lei sorrise sfilando una bottiglietta d'acqua dal mucchio di cose che le riposavano affianco e senza prestargli molta attenzione sciolse i capelli.
Il profumo arrivò fino a lui, lo stesso profumo che ricordava, lo stesso schiaffo violento in pieno viso, in pieno cuore.
“Fammi indovinare, è stato il capitano vero?” “È solo preoccupato per te tutto qui” “Già” sussurrò massaggiandosi il collo “Che ci fai ancora qui? Dovresti essere a casa a riposare” “Non ho bisogno di riposare” “No?” domandò preoccupato avvicinandosi a lei “Sei distrutta” “Sto bene” “Sei una bugiarda” “E a te cosa importa?” esclamò senza abbassare lo sguardo “Tornatene a casa detective, le bambine grandi sono capaci di affrontare la vita” non sapeva nemmeno lui con che coraggio era riuscito a muovere la mano.
Non aveva pensato, non si era fermato nemmeno un secondo a riflettere, aveva semplicemente allungato la mano stringendola attorno al suo polso.
La sentì tremare violentemente tirando indietro il braccio, un movimento secco e nervoso carico di forza “Non toccarmi!” urlò indietreggiando di colpo “Liv è solo … non volevo ...” “Allora vattene!” nei suoi occhi, nel suo sguardo, nel respiro accelerato, la rabbia era nascosta ovunque.
Non era più la sua Liv, non era la stessa meravigliosa persona che gli aveva rubato il cuore anni prima.
Avrebbe voluto stringerla tra le braccia, avrebbe voluto bloccarla lì impedendole di fuggire, l'avrebbe fatto davvero ma tutto quello che il cuore urlava era: Lasciala andare.

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Capitolo 2
*** Sei tu Follia ***


                                         Sei tu Follia





“Signore, con tutto il rispetto per …” “Non è facile nemmeno per noi” mormorò l'uomo invitandolo a sedere “Perché ha chiamato me?” “Perché la conosci” “Non sono l'unico” “No è vero ma sei l'unico di cui si fida” “Non vuole parlare con me” esclamò mentre Cragen prendeva posto davanti a lui “ Lo so. Non vuole parlare con nessuno” “La mandi in congedo forzato” “Già fatto, è rimasta a riposo per due giorni! L'ho ritrovata in ufficio sommersa da carte e fascicoli, è tornata a lavorare come se niente fosse e forse, ciò di cui più mi rimprovero è che glil'ho lasciato fare” “Scherza?” ribatté stupito ma l'altro sorrise “Ho bisogno che torni la stessa di sempre. Che sia di nuovo il detective di cui tutti si fidano” “È sempre lei, è solo un po' più arrabbiata e stanca ma da qualche parte lì dentro c'è ancora Olivia” “Non posso averla così. Non mi serve” “Signore non … non capisco cosa …” “Sai cos'ha passato, ti ho informato per telefono e …” “Non ho bisogno di sentirlo di nuovo” esclamò gelido alzandosi in piedi “Meno sento parlare di questa cosa e meglio è” “È cambiata, è diventata arrogante, irriverente. Ottiene confessioni sul filo della legalità e ha chiuso gli ultimi due casi con un ammonizione! Non parla, a malapena riposa, copre turni lunghissimi. Passa ore, giorni interi ad allenarsi in palestra, con la pistola, con …” si fermò qualche secondo riprendendo fiato “ … non può andare avanti così” “Non posso cambiarlo” “Non è vero” “Non mi ascolta signore, è arrabbiata con me più di quanto immagina. Se non ci fosse stata altra gente attorno a noi mi avrebbe spaccato la faccia in quella palestra!” “Da quando hai così paura di lei?” domandò stupito ma lui non rispose “Non ti ho chiesto di tornare per restare. Solo …” si alzò in piedi raggiungendolo, aveva negli occhi la stessa preoccupazione che da giorni si mangiava vivo ogni parte dei suoi pensieri “ … resta accanto a lei per un po'” “Come una balia? Mi ucciderà” “No” puntualizzò l'altro “Come un angelo custode” fece un bel respiro provando ad ignorare quello sguardo insistente che scorreva sul proprio volto “Che … che tipo di incarico sta seguendo?” Cragen annuì leggermente allungando verso di lui un fascicolo.
C'erano pagine e pagine di resoconti, ricerche e profili di criminali di cui conosceva a malapena il nome.
Ma quella foto la conosceva bene “Colman? Ma non era …” “No, i suoi avvocati hanno trovato una scappatoia. Fuori per mancanza di prove” “Mancanza di prove? Il suo dna era sul corpo e nel corpo di Emily. È un caso che abbiamo seguito anni fa e quando sono andato via ho seguito lo sviluppo del processo ma non arrivava mai la sentenza” “Beh, ora ne conosci il motivo” “E cosa c'entra Olivia con lui?” domandò confuso fissando Cragen “Olivia lavora sotto copertura da un mese e mezzo, da prima che quell'uomo la rapisse. È riuscita ad entrare nelle grazie di Colman. Lavora per lui nel locale più rinomato di New York” “Ed esattamente cosa …” “La ballerina” “La ballerina?” scoppiò a ridere divertito da quell'immagine che prendeva forma nella sua testa “Elliot, non so che tipo di ballerina ti sia venuta in mente ma sono sicuro che il tipo di incarico che svolge Olivia è il più lontano possibile dai tuoi pensieri” “Capo, inizio a non capirci più niente sa?” “Lavora di notte, per l'esattezza danza sul cubo” “Cosa?” esclamò cercando di non far uscire i polmoni dal torace “Olivia balla … è impazzita? Che diavolo pensava?” “Quello è il modo più veloce per arrivare a Colman. È un depravato, uno stupratore, ama le belle donne e predilige le giovani ragazze vergini ma con Olivia è stato tutto molto più veloce. Probabilmente è grazie al suo modo di entrare nella mente delle persone. È brava a capire chi ha davanti e Colman ne è rimasto affascinato” si alzò in piedi continuando a spiegare quel mistero enorme, perché quello era un mistero bello e buono.
Non aveva mai nemmeno immaginato Olivia in quella veste, non era parte di lei, non era fatta per saltare da un club all'altro lasciandosi accarezzare dagli sguardi viscidi degli uomini.
Odiava quel mondo, odiava quegli uomini ma per il suo lavoro, si era spinta oltre quella dannata linea di sicurezza dalla quale ora, non riusciva più a tornare indietro “La porta ovunque, alle cene importanti, agli incontri d'affari. Olvia è la più libera delle sue ragazze, come tutte ha l'obbligo di lavorare nel locale per sei sere alla settimana ma per lei ha fatto un'eccezione” lasciò cadere sul tavolino delle fotografie continuando a parlare “Come vedi, la sua vicinanza lo rende alquanto allegro” “E le sue mani sono sempre sul sedere di Olivia” sbottò irritato appoggiandosi allo schienale della poltrona “Abbiamo registrazioni audio e perfino video. L'ho costretta a restare costantemente in contatto con la centrale. Il suo partener lavora nel locale come buttafuori per tenerla sotto controllo e Fin è in costante contatto con lei” “Cosa dovrei fare?” “Entra nell'indagine. Avrai di nuovo il tuo distintivo per tutto il tempo che resterai qui. Rientrerai in forze alla nostra squadra e sarai il nuovo ponte tra lei e noi” “Uao” ribatté ironico “Sarà contentissima” “Sarà come decido io” “Signore, io sono in forze ad un'altra squadra, in un'altra giurisdizione” “Ho già parlato con il tuo capitano. È un mio buon amico e mi deve un favore enorme” “D'accordo” sussurrò passandosi una mano in viso “D'accordo, ma solo per qualche mese” Cragen tese la mano verso di lui sorridendo “Ben tornato detective Stabler”.




“Non ho bisogno di un baby sitter” “No?” ribattè divertito sedendosi di fronte a lei “Il capitano la pensa diversamente” “Cosa?” “Già, sarò il tuo baby sitter per tutto il tempo che riterrò necessario quindi ora, tu ed io facciamo una bella chiacchierata sul tuo incarico sotto copertura” “Scordatelo” “Andiamo Olivia, lo sai che abbiamo bisogno di tutto l'aiuto possibile” “Tu da che parte stai?” Fin sorrise sedendosi sul bordo della scrivania “Michael Francis Colman, lo so che lo conosci ma cerca comunque di fingere stupore d'accordo?” sorrise annuendo appena mentre il collega si avvicinava alla lavagna “Colman, uno dei peggiori relitti umani in circolazione. Gestisce otto club, dodici centri benessere e sei ristoranti” “E cosa c'è di strano in questo? Faceva la stessa cosa anni fa” “Beh ecco, diciamo che i suoi clienti non vanno lì per i prezzi convenienti” “L'abbiamo arrestato dodici volte e per dodici volte ci ha fatto causa vincendo” “Stai scherzando?” domandò sbalordito ma Munch scosse leggermente la testa lasciando cadere davanti al collega un fascicolo pieno di cartelle e fogli “Gestisce il più grande traffico di giovani donne dall'Europa, per lo più Ucraina e Romania ma non disdegna la Russia anche se per ora, non abbiamo fonti certe. Ama il potere, è affascinato dalle donne intelligenti e per intelligenti non intendo brave nelle parole crociate” Olivia contiunava a scrivere senza curarsi molto dei loro discorsi, la vedeva sorridere di tanto in tanto ma niente di più “Ha una discreta bravura nell'uso dei computer ma il suo vero talento sono gli affari. È una specie di re Mida, trasforma in oro tutto quello che tocca” “Peccato che tocchi solo schifezze” mormorò Elliot sfilando una foto dalle carte “Questo è lui?” i colleghi annuirono appena “Una delle foto più recenti che abbiamo di lui” “Beh, è belloccio” “Ed è anche molto bravo nel commercio della cocaina e di una nuova droga chiamata k82. È una droga sintetica che se assunta senza controllo, è in grado di bruciare il cervello in pochi minuti. La usa per le sue ragazze, per costringerle a giocare con i suoi clienti o con i suoi amici” “E Liv cosa fa?” ma lei sorrise sollevando qualche secondo lo sguardo “Sono una meravigliosa ballerina” “Classica?” “Con borchie e corpetti di pelle” “Si, si lo so che hai perso il cervello da qualche parte, probabilmente sul pavimento di uno dei suoi locali altrimenti come si spiegherebbe la tua idiozia?” “Andiamo Elliot lei è …” “Pazza? Credevo di saperlo ma ho sempre rinnegato tutto dicendomi: non farà mai sciocchezze, tiene alla sua vita” chiuse di colpo il fascicolo piantando gli occhi nei suoi “Stai scherzando?” “Questo è l'unico modo. Posso avvicinarmi a lui più di chiunque altro” “E la tua vita?” Munch e Fin si guardarono qualche secondo decidendo d'improvviso che quel discorso non era per loro.
C'era una tempesta in arrivo ed era meglio lasciare a quei due l'uragano che sarebbe scoppiato tra poco lì dentro.
Si allontanarono lentamente, quasi con il terrore di essere scoperti all'improvviso lasciandoli a discutere come due bambini “Per tre anni non ti sei mai interessato alla mia vita, perché dovresti iniziare ora?” “Stai scherzando?” ribatté allargando le braccia, rideva, sapeva di farlo ma era nervoso, arrabbiato e tremendamente preoccupato “Liv, questo non è un gioco! È pericoloso! Non stai seguendo un ladruncolo di quartiere ma un pericoloso capo del …” “Senti” si alzò in piedi sospirando “So che è pericoloso, so che è difficile e probabilmente fa paura ma è tutto quello che ci serve. Colman è attratto da me, non so nemmeno io come mai o perché accada ma è così! Mi tratta bene, molto bene e mi da libero accesso ai suoi pensieri” “Per questo è pericoloso” la mano si chiuse attorno al suo polso tirandola leggermente in avanti “Sei troppo vicina a quell'uomo e non posso proteggerti” “Non devi farlo” mormorò confusa “Non devi per forza restare qui” “Non sei tu a deciderlo” sbottò gelido lasciando andare di colpo la presa “Ripetimelo fino allo sfinimento detective Benson, puoi anche prendermi a calci o minacciarmi di morte ma non andrò via da qui fino a quando il mio capitano dirà il contrario!” non sapeva nemmeno lui che diavolo fosse successo, perché le aveva risposto in quel modo.
Aveva visto nei suoi occhi un piccolissimo raggio di speranza, un'apertura così sottile e delicata, era una crepa nel ghiccio che lasciava trasparire luce, una crepa oltre la quale riusciva a vedere Liv eppure, per quanto avesse voglia di spaccare quel muro, era riuscito a soffocare la ragione cementando quella piccolissima via di fuga con rabbia e paura.

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Capitolo 3
*** Muro di Ghiaccio ***


                                                 Muro di Ghiaccio





“Ciao dolcezza. Mi sei mancata lo sai?” “Ma davvero?” “Lui chi è?” domandò l'uomo spostando l'attenzione su Elliot.
Se ne stava appoggiato al muro alle sue spalle con lo sguardo perso su di lei, incurante del sospettato, incurante di ogni altra cosa “La mia balia” ribatté divertita sedendosi sul tavolo di fronte a lui “Da quando hai bisogno di una balia?” “Da quando il mio capitano ha deciso di non lasciarmi più da sola perché come sai, sono tenera e delicata” “Delicata? Tu? Forse il tuo capitano non ci vede molto bene” esclamò stupito “Vero? Ma questo è un nostro piccolo segreto Marvin” “Detective, lei crede che questa bellissima bambolina qui sia delicata?” “Quello che credo non importa” ma l'altro scoppiò a ridere massaggiandosi la spalla fasciata “Non importa? Dovresti vedere come mi ha preso. Mi ha letteralmente spaccato lo zigomo e lussato la spalla” “Con cosa l'hai colpito?” domandò confuso incrociando le braccia sul petto ma lei non rispose “Con un palazzo” “Un palazzo?” “Esatto, mi ha sbattuto contro un muro di cemento così tante volte da rompermi lo zigomo e da massacrare la mia povera spalla” “Ehi! Tu mi hai sparato addosso” “Avevi un giubbotto antiproiettile. È stato uno scontro impari” “La prossima volta, se non vuoi rischiare di perdere la spalla, non mi spari addosso e rispondi alle mie domande” “Non l'ho fatto forse?” “Chi è stato Marvin? Chi ha violentato Elisabeth?” “Perché dovrei saperlo?” “Perché c'era il tuo dna in quell'appartamento” si alzò in piedi avvicinandosi a lui “Abbiamo trovato il tuo dna e questo ti pone in cima alla lista dei sospetti” “Quale lista? Non avete niente!” “Io si” esclamò divertita sedendosi sul tavolo, era di fronte a lui, seduta lì con lo sguardo inchiodato al suo e un sorriso gelido sulle labbra “Ho una lista di cose da fare. Alcune belle, altre meno e tu sei una di quelle” “Bella suppongo” sorrise sollevando lentamente una gamba, Elliot trasalì mentre restava ad osservare la sua collega scendere a patti con un rifiuto.
Aveva posato il piede sulla sedia di Marvin, tra le sue gambe, immobile mentre i suoi occhi giocavano con lo sguardo dell'uomo costringendolo a sorridere, convincendo la sua mano a sfiorarle la coscia “Sei molto più sexy di quello che sembri, perché nascondi continuamente queste gambe?” “Chi ti dice che io le nasconda?” “Oh, giusto, dimenticavo la mania ossessiva compulsiva del tuo nuovo fidanzato” “Già” “E dimmi, lui lo sa che in realtà non sei la sua valchiria in pelle e frustini?” “Ecco perché resterai chiuso in isolamento fino a quando non avrò finito” ma lui scoppi a ridere “Fammi vedere queste gambe meravigliose e prometto di restarmene buono” “Dimmi cosa ci facevi lì dentro e ti prometto che le vedrai” “La cosa inizia ad essere interessante” “Tu credi?” sussurrò avvicinandosi lentamente a lui, aveva le labbra così vicine alle sue da poter sentire il respiro dell'uomo, l'eccitazione che nascondeva dietro a quello sguardo da folle “Dimmi perché eri lì, dimmi chi è stato Marvin” “Mettiamola così ..” le sfiorò il collo costringendo Elliot a scattare in avanti ma era terrorizzato perfino dal poterle parlare, come avrebbe potuto toccarla o costringerla a indietreggiare? Poteva solo restare lì, nel silenzio, nel nulla che le regalava a limitare i danni “ … non ho violentato Elisabeth, non è il mio tipo” “Non ti piacciono le ragazzine?” “Non mi piacciono bionde” “Credi davvero che questo mi convinca?” “Sono stato lì per parlare con il padre della ragazza” “Davvero?” l'altro annuì appena scendendo con la mano fino alla spalla della ragazza “Deve dei soldi al tuo ragazzo, molti soldi. Si è messo ad urlare e gli ho dato un cazzotto. Tutto qui, ma non ho toccato la ragazzina, non mi piace” “Perché non è abbastanza piccola per te?” “Punti di vista” “Sapevi che lavorava in uno dei più bei locali della città?” l'altro sorrise annuendo leggermente “Si, mi è arrivata questa voce” “Davvero?” “Davvero” “Ti piace quel locale non è vero? Ci sei stato parecchie volte” “Il proprietario è un mio buon amico. Uno dei migliori uomini del mondo” “Anche se si diverte con le ragazzine?” “Ognuno ha i suoi dolcissimi vizi no?” le labbra si aprirono in un sorriso terribilmente bello mentre con forza spinse via la sedia rovesciandolo sul pavimento “Ehi” esclamò Elliot raggiungendola “Sei … sei impazzita?” sussurrò posando una mano sulla sua spalla ma lei sorrise senza staccare gli occhi dal volto di Marvin “Ci vediamo al processo dolcezza” “Non vedo l'ora” esclamò divertito l'uomo cercando di sollevarsi da terra “Liv cosa …” “Smettila di preoccuparti, starà bene” prese il fascicolo dal tavolo e uscì dalla stanza lasciandoli soli.


Aveva passato ore intere a tentare di capire cosa le passasse per la testa. L'aveva seguita ovunque rispettando gli ordini del capitano ma non riusciva mai ad oltrepassare quel muro d'acciaio dietro al quele si era chiusa.
Olivia era sparita, soffocata dal peso di quegli anni, abilmente camuffata dietro a sorrisi di ghiaccio ed interrogatori che correvano sulla lama della legalità.
Camminava in bilico su un precipizio, vi restava sospesa cercando di capire cosa ci fosse nel buio lì sotto.
Cercava speranza, un giorno lontano dal sangue e dal dolore dei bambini, qualcosa di simile ad una vita “normale” ma tutto quello che riusciva a vedere, era un mare gelido fatto di lacrime, le stesse che cercava di mascherare perché non poteva piangere.
Mostrarsi debole, indifesa e insicura era un affronto, a sé stessa, al mondo intero.
Era sempre stata forte, ostinata a tratti perfino arrogante ma c'era sempre un motivo, una ragione che le dava forza ma che ragione c'era in quelle ore? Che motivo aveva per lasciarsi andare così? Non poteva sparire, non davanti a lui perché vederla in quelle condizioni era già di per sé doloroso, non le avrebbe permesso di ucciderlo
“Non hai bisogno di seguirmi ovunque” tremò leggermente riportato alla realtà dalla voce della donna.
Se ne stava di fronte a lui, gli occhi carichi di sfida e un leggero sorriso sulle labbra. Sembrava riposata, sembrava serena e tranquilla, il volto era luminoso e i capelli sciolti sulle spalle non facevano altro che accentuare la profondità del suo sguardo.
Amava quegli occhi, li aveva sempre amati, così scuri, così pieni di vita e passione. Occhi di notte che si insinuavano nei sogni scombinando ogni certezza della sua vita “Non ti sto seguendo” “No, hai ragione” rispose prendendo la giacca dalla sedia “Liv, forse dovremo … dovremo fermarci a …” “Ho un impegno” “Un impegno che riguarda la vita privata?” “Attento detective, il mio uomo non è uno che ama dividere le sue ragazze con altri” “Potresti smettere quando vuoi. So che è un incarico duro e difficile e …” “Smettila di dirmi cosa fare! Sono abbastanza grande per deciderlo da sola. Non ho bisogno di te” sorrise scuotendo leggermente la testa “Sei davvero così arrabbiata con me?” “Non sei al centro dei miei pensieri” “Tu non sei mai uscita dai miei” sussurrò avvicinandosi di colpo a lei ma la vide sospirare, cercava di trattenere una risata, qualcosa di simile al sarcasmo.
Qualcosa che l'avrebbe allontanato di nuovo perché non lo voleva lì, cercava in tutti i modi di allontanarlo, di tenerlo oltre quel confine che per tutti quegli anni aveva faticosamente costruito “Non sto scherzando Liv, non ho mai smesso di pensare a te. Mi chiedevo come stavi, se quando ti avrei rivista avrei avuto davanti la stessa meravigliosa donna che …” “Sei in ritardo” rispose inchiodando gli occhi ai suoi “Sei in ritardo Elliot” “Non è vero” sussurrò sfiorandole una spalla ma lei indietreggiò di colpo allontanandosi da quella carezza leggera che non voleva “Scusa, non volevo … non volevo turbarti” “Ti manderò i nuovi file audio domani mattina, vai a casa, non ho bisogno di nient'altro” strinse più forte la giacca tra le mani e senza più dire una parola se ne andò.

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Capitolo 4
*** Lacrime Trattenute ***


                         Lacrime Trattenute




“Oh andiamo! Tu sei uno psichiatra!” “Non è così semplice Elliot” “No? Quale parte?” sbottò ironico sedendosi di fronte al collega “Lo stress che ha subito è stato molto più forte di quanto pensassi. Conosci bene Olivia, reagisce immediatamente a questo tipo di situazioni, non è la prima volte che le capitano cose orribili ma si è sempre rialzata” “Perché ora non ci riesce?” domandò più a sé stesso che a lui “Perché non vuole” “Cosa?” “È stanca, provata. Ho sottovalutato il grado di stress post traumatico di Olivia, pensavo che ce l'avrebbe fatta, doveva riposare per due settimane e invece, beh, la conosci …” si passò una mano in viso sospirando “ … ecco perché il capitano ti ha chiamato. Un amico può aiutarla a …” “Davvero?” sbottò ironico alzandosi di scatto “Pensi davvero che sia stata una bella idea?” “Sei stato suo partner per dodici anni, la conosci meglio di chiunque altro” “Se fossimo da soli in una stanza a mangiare bistecche mi taglierebbe la gola con il coltello per la carne!” “Devi solo darle tempo. Ha bisogno di elaborare le cose” “George …” posò entrambe le mani sulla scrivania inclinandosi leggermente verso di lui “ … quella non è Olivia” “È la stessa persona con cui hai condiviso dodici anni della tua vita” “No” puntalizzò “Quella è un robot! La regina delle nevi! Non è Liv, non ha lo stesso sguardo e perfino quando sorride è … ho bisogno di sapere che tornerà la stessa, promettimi che questa buffonata avrà esito positivo, che si sveglierà una mattina sorridendo, che tornerà a …” “Segue un programma di recupero psicologico assieme al dottor Milfred tre volte a settimana. Il capitano ha ridotto le sue ore di servizio” “Ottimo, almeno potrà dormire un po' mentre nelle ore libere va a spasso con un pericoloso trafficante di minorenni” “Abbiamo attuato un piano speciale per lei. Continuerà a lavorare ma verrà comunque controllata, il suo collega è un ottimo placebo per lei” “Il suo collega?” era la seconda volta che sentiva quella strana parola, la seconda volta che costringeva il cervello a nascondere il significato di quelle stupide sette lettere.
“Lavora con un agente nuovo, in forza alla vostra unità da qualche mese” “È competente?” “L'agente Malloy è un ottimo elemento. Razionale, sempre in grado di controllare le situazioni, diciamo che è uguale a Olivia o almeno, uguale a com'era e in più, ha una laurea in psicologia” “E come mai non l'ho ancora visto?” “È stata una mia idea” rispose Huang alzandosi dalla poltrona “Pensavo che la tua vicinanza l'avrebbe destabilizzata per qualche giorno e gli ho chiesto di lasciarle tempo per capire, per ordinare le idee e i pensieri. Continua a vedere Olvia tutti i giorni durante l'incarico sotto copertura ma a quanto pare …” si fermò qualche secondo osservando l'espressione dell'amico “ … ho sbagliato” “Non voglio sconvolgerela più di quanto non sia già” “Non dovrai più …” “Cosa?” domandò confuso “Preoccuparmi per lei?” “Mi dispiace, credimi Elliot, mi dispiace davvero. So che vederla così ti fa stare male” “Sono arrabbiato amico mio, anzi, sono incazzato! Vorrei uccidere quel figlio di puttana, vorrei prenderlo a cazzotti fino a quando non smette di respirare! Ma lo sai qual'è l'inconveniente?” l'altro sospirò seguendo quei passi nervosi che lo costringevano a camminare continuamente per l'ufficio “È morto! L'ha massacrata ed è morto! Come si è permesso di morire! E ore lei è così … è così indifesa e spaventata e non … non so come aiutarla! Continua a lavorare ignorando completamente il trauma che ha dentro, come può aiutarla questo? Come diavolo ci riesce!” “Perché è ostinata” mormorò Huang avvicinandosi all'amico “Non devi per forza seguirla ovunque solo, resta dove lei ti può vedere. Le basta anche solo sapere che ci sei, che non te ne vai subito. So che è un sacrificio enorme, sei sposato e hai una famiglia” “Non è un problema” ma lo sguardo dell'uomo non lo lasciava nemmeno per un secondo “Va tutto bene?” “Ti ho detto che non è un problema. La mia famiglia sta bene, staranno bene” “D'accordo” mormorò dandogli una pacca sulla spalla “Se hai bisogno di qualsiasi cosa, puoi parlare con me” “Grazie” un debole sorriso e la consapevolezza che aveva davanti un muro di ghiaccio da sciogliere il più in fretta possibile.




“Dovresti dormire un po'” “Chris ti prego, non ti ci mettere anche tu” sbottò gelida sfilandosi i guantoni “Non ho bisogno di sentire altre raccomandazioni” “Non sono qui per questo” “Vediamo …” mormorò divertita “ … sei in una palestra alle dieci di sera. C'è il mastino di Colman là fuori per riaccompagnarmi a casa e sei riuscito ad entrare lo stesso, hai una famiglia ma resti qui a guardarmi mentre prendo a cazzotti il sacco. Che motivo potrebbe mai esserci?” “Questo” esclamò divertito sollevando un sacchetto di carta “Tè caldo e cornetto” “Perché?” domandò guardinga ma lui sorrise “Non posso essere gentile con te?” “Si ma quando lo sei c'è qualcosa sotto” “È solo un tè” prese dalle sue mani il sacchetto sedendosi sulla panca accanto a lui “Sei diventata brava lo sai? Uno di questi giorni mi aspetto di vedere quel sacco aperto in due” “Sono solo pugni e un po' di calci.Come hai fatto a …” “Ho detto a Joker che il capo mi aveva mandato a controllare come stavi. Hai lavorato molto” “Sei bravo a raccontare bugie” “Chi ti dice che sia una bugia?” sfilò dalla tasca una busta di carta, sul lato inferiore vi erano solo poche parole: al mio angelo, grazie per la bellezza che mi hai regalato stasera.
“Stai scherzando?” “Cosa gli hai fatto?” domandò divertito sorseggiando il tè “Ti ha mandato ottocento dollari. Un piccolo regalo per farti sentire meglio e ti ha regalato due giorni di riposo” “Uao, gli uomini sono davvero stupidi” mormorò alzando gli occhi al cielo “Non scherzavo prima, sei diventata davvero brava ma credo che tu stia prendendo a pugni te stessa Livy” “Chris” sbuffò ma l'altro scoppiò a ridere di colpo costringendola a fare altrettanto.
Non avrebbe mai pensato di poterlo fare, sorridere, parlare con un amico, con qualcuno che riuscisse a capirla davvero.
Chris era il collega perfetto.  Alto, elegante, con un bel paio di occhi color del mare e un sorriso sempre luminoso.
Era un uomo sposato, innamorato di sua moglie e di suo figlio, equilibrato, silenzioso, razionale, bravo con i bambini e con una spiccata empatia che lo aiutava a relazionarsi con le vittime in tempi brevissimi.
Averlo accanto significava rallentare, respirare di nuovo, costringere il cervello ad elaborare un pensiero alla volta. Forse, la sua immagine, la sua presenza costante e sicura sostituiva in qualche modo l'immagine di un padre che non aveva mai avuto.
“È tornato il tuo collega” annuì appena senza smettere di giocare con liquido ambrato nel bicchiere “Come ti è sembrato?” “Come sempre” “Davvero?” “È tanto strano?” domandò confusa voltandosi verso di lui “No, è solo che … beh ecco, sono passati quasi tre anni Livy, le persone cambiano” “Non voglio saperlo” “Non vuoi scoprirlo” mormorò cercando il suo sguardo “Hai paura di scoprire un uomo diverso, hai paura di mostrargli quello che ti passa per la testa, quello che porti dentro da un mese ormai perché se lo fai, se gli permetti di avvicinarsi allora vedrà una ragazza in lacrime, indifesa e impaurita” “Non posso piangere” “Perché?” “Non posso” “Dovresti farlo” sussurrò sfilando dal sacchetto un secondo bicchiere “Piangere aiuta, parlare con un ex collega così vicino al tuo cuore aiuta, anche se quel collega ti ha fatto del male” per qualche secondo gli occhi della ragazza si velarono, forse erano lacrime, trattenute, irriverenti, incatenate ai suoi occhi mentre tentava in tutti i modi di controllarle “Non ho bisogno di averlo attorno” “Lo so” mormorò sorseggiando il suo caffè “Ma non puoi nemmeno ignorarlo perché è qui per te” “Non gliel'ho chiesto io” “Eppure è qui” “Avevi promesso di non farlo” sussurrò abbassando di nuovo lo sguardo “Avevi promesso di non usare i tuoi poteri da psicologo con me” “Non lo faccio apposta” sentì il tocco leggero della sua mano sulla spalla e quella risata fresca a restituirle un secondo di pace “Voglio solo vederti sorridere perchè sei più bella quando lo fai” “Attento, ho imparato a dare calci piuttosto bene” “Per questo non ti bacio” “Idiota” “E se lo faccio poi chi salva me? Molly mi uccide a colpi di mazza da baseball” restarono lì a parlare, a ridere e scherzare come se d'improvviso il mondo attorno a loro fosse sparito.


 

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Capitolo 5
*** Sguardi ***



                                              Sguardi




Non si sarebbe mai aspettato niente del genere, insomma, l'aveva vista milioni di volte sotto copertura.
Gli incarichi assegnati li portavano spesso a cambiare identità, a cambiare il proprio aspetto per concludere i casi ma bella così non lo era mai stata.
Aveva i capelli sciolti sulle spalle, mossi, con dolcissime sfumature più scure che illuminavano il suo volto.
Gli occhi pieni di sorrisi e abilmente truccati in modo da rendere quello sguardo ancora più profondo.
Camminava per l'ufficio come se niente fosse, consapevole dell'effetto che provocava sulle persone, su di lui.
Quel vestitino nero era tremendamente sexy, seguiva le linee del suo corpo terminando sopra al ginocchio, non aveva spallini, lasciava le spalle completamente scoperte donandogli la vista di quella pelle meravigliosa che sembrava così invitante e fresca da togliergli il respiro.
Non riusciva a smettere di guardarla, ne osservava ogni lineamento senza mai stancarsi, la linea delicata della schiena, le gambe slanciate da quei sandali scuri così alti da imporle una femminilità diversa.
“Stai sbavando” sussurrò Fin avvicinandosi a lui “Smettila” “Perché? È bella, molto bella, è normale che tu sia attratto da lei” “Ti ho già detto di smetterla” esclamò inchiodando gli occhi ai suoi “Oh andiamo! Non preoccuparti per lei, è in grado di badare a sé stessa” ma lui non rispose, tornò a concentrarsi su di lei, su quel modo di camminare nuovo e diverso “Questo è l'unico modo che abbiamo per prenderlo” “Perché non segue questo caso un altro agente?” “Perché il capitano le ha dato il via libera” alzò gli occhi al cielo voltandosi dal lato opposto ma trattenne il respiro perché quegli occhi erano a pochi centimetri da lui “Si è spaventato detective?” mormorò allungando il fascicolo a Fin “Stai bene vestita così” “Già” sussurrò passandosi una mano tra i capelli “Liv? Va tutto bene?” “Perché non dovrebbe?” “Perché ti conosco e so che c'è qualcosa che non va” “Va tutto bene” “Non è vero” in quello sguardo, in quel contatto di pochi secondi vi erano tutti i dodici anni passati assieme.
Per la prima volta da quando l'aveva rivista, nei suoi occhi c'era Olivia, la sua Olivia, l'avrebbe abbracciata, l'avrebbe fatto davvero ma sapeva che non gliel'avrebbe permesso così, tutto quello che poteva fare, era mantenere quel contatto visivo.
“Non devi farlo per forza, ci sono altri agenti che possono sostituirti” “Non è vero e lo sai” “So solo che sei spaventata, sei stanca e arrabbiata e rivivere cose del genere non ti aiuta” “Tu non sai niente di me” sussurrò colorando lo sguardo di ironia “Non sai niente” si allontanò da lui incurante del dolore che provocavano quelle parole, incurante della sua rabbia, della voglia folle di stringerla che aveva da sempre nel cuore “Colman ha organizzato una festa all'Horizon, Hokins e Gale saranno al tavolo con lui e io gli sarò affianco tutto il tempo” “Malloy?” “All'entrata del locale, per questa sera è previsto un afflusso di gente superiore alla media” si avvicinò leggermente alla scrivania sospirando “Hai sistemato ogni cosa?” annuì leggermente giocherellando con la catenina “Liv?” “Si è … ho sistemato tutto. Il microfono è acceso e il nostro esperto informatico riesce a clonare le immgini dalle videocamere a circuito chiuso” gli sguardi si sfiorarono qualche secondo, leggeva nei suoi occhi l'incertezza, la voglia folle di chiedere aiuto, il suo aiuto perché quello sguardo lo conosceva fin troppo bene “Sarò fuori da quel locale tutto il tempo” mormorò avvicinandosi di qualche passo a lei “A distanza di sicurezza ma abbastanza vicino da poter fare irruzione. Ti basta solo una parola Liv, una sola e ti tiro fuori da lì'” annuì leggermente cercando di sorridere, cercando di mascherare tutto dietro ad un'espressione falsa e bugiarda. Un'ultimo sguardo poi solo le sue spalle.


“Devo farti i complimenti amico mio. Hai proprio una bella donna” Colman sorrise stringendo più forte Liv tra le braccia “Non è una perla? E dire che l'ho trovata per caso” “Davvero?” “È venuta da me un giorno chiedendomi un lavoro. Non aveva idea della luce che usciva dai suoi occhi” “Non gli creda. Mike è sempre troppo buono con le sue ragazze” l'altro scoppiò a ridere sollevando leggermente il calice di champagne verso di lei “Gli affari vanno bene, il tuo locale è una meraviglia” “Non si possono creare meraviglie senza perle non credi?” Liv annuì leggermente lasciandosi cullare da quell'abbraccio che odiava da morire.
Sentiva la sua mano sul fianco destro scendere sempre di più ma non poteva muoversi, non poteva fare altro che sorridere e giocare con lo sguardo degli uomini attorno a loro.
Ricordava esattemente il primo incontro con lui, un uomo alto, dal fisico scolpito e gli occhi verdi come il mare. Colman era un uomo d'affari, un uomo che amava giocare con la vita delle persone, con i loro sentimenti e con il loro futuro, aveva bisogno di attenzioni e amava da morire essere il centro dei suoi pensieri.
“I rapporti con i nostri fornitori europei sono più floridi che mai” “Ah lo vedo” esclamò l'altro guardandosi attorno.
C'erano ragazze ovunque che danzavano seguendo il ritmo di una musica nuova, creata apposta per l'occasione. Dipinti viventi che lasciavano senza fiato chiunque alzasse lo sguardo verso il cielo perché in quelle gabbie d'oro e d'argento vi erano perle preziose che avevano un unico scopo: costringere quegli uomini a pagare fior fior di denaro.
“Ho una proposta da farti amico mio” “Gli affari mi piacciono sempre Jake” “Possiamo espandere i nostri commerci fino alla Russia, vi sono possibilità immense in alcune aree di quel paese, giovani fiori che aspettano solo di essere colti” “Perché dovrei espormi così?” domandò sfiorando con le labbra il collo di Liv “Ho più fiori di quanti ne vorrei e sono affezionato ad ognuno di loro” “Ma per questi nuovi fiori avremo il venti per cento di interessi” “Ora inizia ad essere interessante” sussurrò tornando a concentrarsi sul volto dell'amico “Non dobbiamo per forza fermare la merce qui. Possiamo rivenderla guadagnando il venti per cento di interesse su ogni prezioso fiorellino. Investiremo il denaro in borsa aquistando azioni delle aziende Holfman fino ad ottenerne la maggioranza” “Un azienda governativa che commercia in armi” “Esatto” “Che ne pensi?” domandò voltandosi verso Liv “Diventando il maggior azionista della Holfman avrai un sacco di vantaggi tesoro” “Ma davvero?” Jake socchiuse gli occhi studiando il volto della ragazza “Potresti rivendere le armi ai tuoi contatti in Russia. Alimenteresti solo il dolcissimo giro di mercato che ci regala semi nuovi” “Però” esclamò stupito Jake “Sei davvero furba bambola” “Secondo te perché la tengo sempre al mio fianco?” “A questo proposito” mormorò l'altro avvicinandosi a lui di qualche passo “Che ne dici di prestarmi il tuo bellissimo angelo per qualche ora” “Ci sono meraviglie ovunque. Fai la tua scelta” “L'ho già fatta” “Forse non ci siamo capiti …” lasciò andare Liv concentrandosi improvvisamente sul volto dell'uomo “ … puoi scegliere tutte le ragazze che vuoi. Puoi perfino decidere di giocare con tre di loro assieme, non sarò di certo io a fermarti anzi, ti concedo l'uso di tutte le stanze che vuoi ma lei …” si fermò qualche secondo rafforzando il gelo di quegli occhi “ … è fuori discussione. Non è tra i fiori che puoi cogliere” “Sei davvero così geloso amico mio?” “Non tirare troppo la corda o ti infilo un coltello nel cuore” sorrise e poi, come se niente fosse, prese per mano Liv tirandola dolcemente tra le braccia “Andiamo, abbiamo cose da fare” “Davvero?” domandò divertita “Non ricordo” “Oh ricorderai” le scostò dagli occhi i capelli seguendo con un dito la linea delicata delle labbra “Sei pronta?” annuì leggermente “Ciao ciao Jake, è stato un piacere conoscerti” mormorò divertita mentre l'uomo scoppiava a ridere sorseggiando il suo champagne.


 

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Capitolo 6
*** Era Diversa ***



                                         Era Diversa




Non sapeva nemmeno perché fosse lì, cosa l'avesse spinto a prendere la macchina e guidare fino a casa sua.
Era sbagliato, era sbagliato e lo sapeva ma era così maledettamente preoccupato per lei da convincere mente e cuore a fare una tregua.
Un dannato patto che andava oltre la semplice amnistia, oltre gli errori e le parole non dette.
Aveva semplicemente bisogno di vederla, di guardarla negli occhi e parlare con lei.
Strinse più forte le chiavi nella mano continuando a camminare lungo il corridoio ma quella sottilissima scia di luce sul muro alla sua destra attirò di colpo la sua attenzione.
Venivano dall'appartamento di Olivia, da quella porta socchiusa che bastava ad accendere un campanello d'allarme nei pensieri.
Si avvicinò guardingo alla porta posando una mano sul legno fresco e lentamente, senza fretta alcuna la spinse leggermente in avanti “Liv?” ma dal silenzio non arrivò nessuna risposta.
Era tutto normale, ogni cosa al proprio posto, non c'era niente di strano, niente che potesse convincerlo a chiamare la centrale di colpo “Ehi, sei qui?” sentì qualcosa sulla spalla, un tocco leggero, si voltò di colpo incontrando un paio di occhi color del cielo “Porca …” “Scusi” si affrettò ad aggiungere l'altro alzando leggermente le mani davanti al volto “Mi dispiace, non volevo spaventarla ma ho sentito dei rumori e così …” si fermò qualche secondo riprendendo fiato “ … lei che ci fa qui?” “Cercavo tua sorella” “Non è qui” “Ma davvero?” ribatté ironico passandosi una mano in viso “Doveva chiamarmi! Le avevo chiesto di farlo non appena fosse stata libera di parlare!” “Beh, chiedere le cose a Liv è stupido” esclamò l'altro “Ha finito il suo lavoro dieci minuti fa” “Che diavolo ci fai qui?” “La spesa” esclamò divertito Simon invitandolo a respirare “Olivia si scorda perfino di respirare. È così concentrata sul lavoro da non ricordare che l'essere umano ha bisogno di cibo” “Lo sai che hai lasciato la porta aperta?” “No” puntualizzò l'altro avviandosi verso l'entrata “È stata mia sorella. È uscita di corsa, l'ho incontrata sul marciapiede” sorrise chiudendo la porta “Ehi ciao! Scusa ma sono di fretta, ci vediamo tra dieci minuti, puoi chiudere la porta di casa per me?” ripeté divertito tornando verso di lui “C'era una scia di vestiti lungo il corridoio e anche un incantevole tanga rosso fuoco sul divano” lo invitò a sedere sullo sgabello in cucina mentre sistemava i sacchetti della spesa riponendo tutto accuratamente negli scaffali “Sono al corrente del suo incarico sotto copertura e immaginare vecchietti bavosi che guardano mia sorella ballare su un cubo beh, è uno schifo” “Già” “E non mi piace nemmeno questa casa, le ho detto mille volte che non fa per lei insomma, è enorme e silenziosa. Troppo grande per Olivia” slacciò il giubbotto anti proiettile rilassando per qualche secondo ogni dannato muscolo “Posso offrile un po' di caffè?” annuì appena continuanado ad ascoltare Simon “Non credo sia pronta per queste cose insomma, è la mia sorellina no?” “È diventata grande” “E questo cosa c'entra? È sempre mia sorella” “Credevo fossi ...” “Già” sussurrò posando davanti a lui una tazza fumante “Stavo per partire, a dire il vero ero già in aeroporto ma Liv ha … mi ha chiamato in lacrime. Credevo scherzasse insomma, perché avrebbe dovuto farlo? Non si fidava di me, non al punto da chiamarmi piangendo, non si fida mai di nessuno” “Lo so” “Piangeva come una bambina, sono scappato via dall'aeroporto, ho perso il mio volo e la possibilità di avere un buon lavoro altrove ma ne è valsa la pena” “Perché? Cos'hai concluso?” domandò sfinito sorseggiando il suo caffè “Ho avuto mia sorella” un bel sorriso colorò il volto del ragazzo, lo stesso sorriso che tante volte aveva visto in lei.
Quella somiglianza leggera che negli anni trascorsi aveva sempre cercato in loro adesso era lì, era in quel sorriso, in quel movimento leggero delle spalle, nel modo che aveva di osservare le cose.
Liv e Simon si assomigliavano, erano figli dello stesso padre ma gli anni passati a conoscersi, li avevano resi in qualche modo una famiglia.
“Mi ha chiamato in lacrime perché ero la sua famiglia, suo fratello, l'unica persona che le era rimasta” “Perché non ha …” “Perché aveva paura. Non ti avrebbe mai chiamato detective. Aveva il terrore di sentire di nuovo la tua voce perché sapeva che sentirla singhiozzare come una bambina ti avrebbe costretto a correre da lei” scosse leggermente la testa sospirando “Quando l'ho vista è stato come se qualcuno mi avesse sparato in pieno petto. Aveva lividi ovunque, sulle spalle, sul volto. Ricordo che non riusciva a muovere il braccio destro, aveva un taglio sulla fronte e sui polsi i segni dei lacci, le labbra arrossate e gli occhi così …” si fermò qualche secondo ricacciando indietro quell'ondata di emozione che non faceva bene a nessuno dei due “ … non era più lei. Non parlava, non si muoveva, restava immobile a fissare il niente. Tremava come una foglia, era sotto shock e non sapevo cosa fare, cosa dirle per aiutarla. Mi ha guardato negli occhi e poi d'improvviso si è alzata e mi ha abbracciato” faceva male, faceva un male atroce perché ascoltare quei ricordi era più di quanto potesse sopportare.
Olivia aveva ragione, se l'avesse chiamato sarebbe corso da lei perché per dodici anni era stata la sua migliore amica, il suo più grande affetto, la persona che riusciva a capirlo senza nemmeno dire una parola.
Quante volte l'aveva aiutato a districare i pensieri, quante volte l'aveva spinto di nuovo tra le braccia di sua moglie per il bene dei bambini, per il suo bene, quante volte era stato così vicino a lei, tanto da permettere pensieri inappropriati, tanto da costringere il cuore a battere più forte.
Quante volte si era fatta strada attraverso i suoi silenzi, attraverso il riserbo naturale del suo carattere e ogni volta, era riuscita ad arrivare al cuore.
L'aveva fatto con dolcezza, con quel dannato sorriso che non sarebbe mai uscito dagli occhi “Mi dispiace” sussurrò ma il ragazzo sorrise posando entrambe le mani sul ripiano lucido “Piangeva” “Cosa?” “Ogni notte per una settimana intera. Piangeva lontano da me, nel buio di questa stanza. La sentivo, la vedevo ma non ho mai avuto il coraggio di toccarla o di abbracciarla perché non era pronta a niente del genere” “Aveva bisogno di quelle attenzioni!” “Senti” mormorò inchiodando gli occhi ai suoi “Lo so che io non ti piaccio. Non ti sono mai piaciuto” “Hai quasi rovinato la sua carriera!” “È vero ma è mia sorella! La mia bellissima sorellina che è stata rapita, picchiata e costretta ad ore interminabili di sofferenza! Sono passati tre anni da quando te ne sei andato e per tutto questo tempo ci siamo presi cura l'uno dell'altra, non che ne avesse bisogno, Olivia è indipendente e forte. Teoria dimostrata dal fatto che ha fracassato la testa di quell'uomo con una spranga di ferro” “Simon questo è …” “Però vedi, nonostante la forza, nonostante la sua meravigliosa voglia di vivere si è rotto qualcosa …” si portò una mano al petto sospirando “ … si è rotto qualcosa qui dentro detective. Non è la stessa che hai conosciuto per dodici anni. Non è la stessa che è venuta a cercarmi per la prima volta con determinazine e paura. La mia sorellina è cambiata. Dopo mesi interi per la prima volta la vedo sorridere di nuovo, sta uscendo lentamente da quel recinto di ghiaccio dentro il quale si è rifugiata perciò ti prego, lasciala in pace perché non ha bisogno di altra sofferenza” “Non è mia intenzione farle del male” “Le fai del male ogni volta che la guardi, che le parli o che le fai gli agguati in palestra” “Come … tu come …” “Mi ha scritto. Senti, io so che dovete lavorare assieme e ne sono felice, insomma, ha qualcuno che la conosce e che può difenderla meglio di chiunque altro ma tutto quello che riguarda il passato, voi due o … beh, deve rimanere fuori dalla sua nuova vita” “Devo chiederti una cosa. So che è una cosa delicata, è difficile parlarne e voglio che tu sappia che io so che è difficile” “Mi spaventi detective” sussurrò l'altro studiando il suo viso “Liv è … Quell'uomo l'ha …” “No” sentì di nuovo l'aria entrare nei polmoni e il cuore battere regolarmente.
Era terrorizzato da quella risposta, dalle conseguenze che avrebbe avuto si di lui, sui suoi sogni, sul modo che avrebbe avuto di guardarla negli occhi ma sapeva che stava bene, che nessuno l'aveva violata, che in qualche modo, per qualche motivo gli era stato concesso di starle accanto di nuovo.
Il silenzio avvolse quei lunghissimi minuto d'imbarazzo costringendo entrambi a guardare altrove, a cercare in ogni cosa lì dentro un ottimo diversivo.
Così d'improvviso, la rivista posata sul tavolo era diventata la cosa più importante del mondo “Vuoi cenare con noi?” “Cosa?” balbettò confuso tornando a guardare Simon “Sarà a casa tra poco, vuoi cenare con noi?” “No, no non credo sia la cosa giusta da fare” “Ah detective, non sei bravo a mascherare le emozioni, dovresti imparare da mia sorella, lei è molto più brava di te” sorrise annuendo leggermente “Coraggio, è solo una cena” “Ti ringrazio ma credo che sia meglio lascirvi soli” strinse più forte le chiavi dell'auto tra le dita alzandosi “Perché se resto qui la prendo a cazzotti. Ha disobbedito, si è presa gioco di me e non voglio confonderla ulteriormente” ma Simon ridacchiò accompagnandolo alla porta “Credo sia tardi, più confusa di così non lo sarà mai e credimi, non sarà di certo una cena a farle cambiare idea” “Non voglio rischiare” “Giusto, come si può resistere quando mia sorella è a pochi centimetri da te?” ribatté l'altro ridacchiando “Ti auguro buona serata detective” “Grazie” un ultimo sorriso e poi solo la porta chiusa, solo quella porta e nient'altro.


“Perché sei ancora qui?” sorrise senza muoversi di un centimetro. L'aveva davanti, seduta su quella panchina con lo sguardo perso chissà dove e un caffè stretto tra le mani e perfino di spalle era riuscita a riconoscerlo “Non lo sai?” “È la ragione sbagliata” “Non è vero” la raggiunse lentamente cercando di riordinare i pensieri, cercando di trovare le parole giuste ma come avrebbe fatto? Cosa le avrebbe detto per costringerla a sorridere? Per vedere di nuovo quell'espressione divertita sul suo viso? Fece un bel respiro sedendosi a pochi centimetri da lei, silenziosa e lontana, troppo lontana “Dovresti essere a casa dalla tua famiglia” “La mia famiglia sta bene” “Sto bene, non ho bisogno di te” “Ti ho sempre detto che non potevi nascondermi le cose e nonostante tutto ci provi ancora, questo è un errore sai?” ma lei non rispose, si limitò a sorseggiare il caffè senza dargli modo di capire se quelle parole, quel tentativo di aprire un varco nei suoi pensieri fosse andato a segno o meno “Avevi smesso di bere caffè” di nuovo silenzio “Sai, la settimana scorsa stavo pulendo il garage e ho trovato una collanina d'argento. Era nascosta tra le cose dell'ufficio, vecchie cose che avevo tenuto per ricordare questo posto, le persone, gli amici …” si fermò qualche secondo perdendosi sul volo di una farfalla a pochi passi da loro “ … quando l'ho sollevata davanti alla luce mi sono ricordato improvvisamente a chi appartenesse” si voltò verso di lei sorridendole “Credevi di averla persa, hai passato giorni a rivoltare ogni cassetto della tua scrivania, eri così arrabbiata. Ripetevi continuamente che era colpa tua, che eri disordinata ma che di solito nel tuo disordine avevi il tuo ordine e invece, quella volta il tuo disordine era solo disordine. Ho riso così tanto. Credevo scherzassi, credevo fossi arrabbiata perché quella era la tua catenina preferita, la prima che avevi comprato” la vide sorridere appena, un sorriso leggero, mascherato dal bicchiere del caffè ma pur sempre un sorriso “L'ho trovata nel mio porta penne. Non so dirti come ci fosse arrivata ma era lì, attorcigliata attorno alla mia biro preferita. L'ho presa e l'ho messa in tasca, te l'avrei data dopo il lavoro ma sei scappata via subito, così l'ho tenuta con me. Ogni giorno mi svegliavo ripetendomi che dovevo restituirti quella collanina e ogni giorno la lasciavo nel cassetto del mio comodino” “Perché?” mormorò sfinita cercando il suo sguardo “Non lo so. La tenevo lì dentro, ogni sera quando aprivo il cassetto e la vedevo sorridevo, forse mi tornavi in mente con il volto arrossato mentre la cercavi tra le carte della tua scrivania o forse, mi ero semplicemente abituato alla sua presenza poi ho iniziato a portarla con me. La portavo ovunque, sempre al sicuro nel mio portafoglio quasi come fosse un porta fortuna” quel contatto leggero tra i loro sguardi riportava a galla ricordi passati, stralci di quel film che tutti e due avevano visto e rivisto milioni di volte “L'ho chiusa a chiave nel passato, tra le carte e le foto che avevo sulla scrivania e l'ho abbandonata in garage per tutti questi anni. Ero arrabbiato con me stesso per averti lasciata senza nemmeno una spiegazione, ero arrabbiato con te perché tornavi continuamente in ogni mio pensiero e ci ho provato Liv, ho provato a vivere la mia vita. Per qualche anno ci sono riuscito, avevo i miei figli, mia moglie e quelle giornate meravigliose ma tu eri sempre lì, eri sempre una costante dei miei pensieri” “Non sono più da nessuna parte” abbassò lo sguardo tornando a concentrarsi sul proprio caffè “Non sono più qui” “Sei spaventata” le sfiorò una spalla sospirando e quel tremito leggero che correva lungo la sua pelle non la costringeva ad andarsene, ad allontanarsi da lui perché forse, aveva semplicemente bisogno di sentirlo vicino, di sapere che c'era, che era lì per lei “Sei solo tanto spaventata ed è giusto così” “Questo è tutto sbagliato” mormorò posando il caffè sulla panchina tra loro “Non dovresti essere qui, io non devo … non devo parlare con te, non posso restare qui mentre sei …” “Cosa? Mentre sono preoccupato per te?” “Smettila” “Di fare cosa? Non mi permetti niente Liv! Ti nascondi contiuamente dietro a quel dannato sorriso e lo so che è falso” esclamò ridendo, una risata nervosa, confusa, qualcosa che nemmeno lui riusciva a capire “So che stai allontanando il mondo intero! Credi che mi senta bene? Che vederti così mi faccia stare bene?” “Tu non …” “Non è così!” esclamò piantando gli occhi nei suoi “Non sto bene Liv, non sto bene perché sei così diversa” “Sono sempre la stessa” “No!” strinse le mani attorno alle sue spalle voltandola di colpo verso di lui “Non sei la mia Liv” “Non lo sono mai stata” “Che stai …” “Non sono mai stata la tua Liv, mai. È giusto così, sarebbe strano il contrario. Sono stata la tua collega per dodici lunghissimi anni e ho imparato a conoscerti ma non sono mai stata …” “Smettila” sussurrò stringendola più forte, l'aveva a pochi centimetri, sentiva il suo respiro, la confusione che le passava per i pensieri mentre faceva uno sforzo enorme a rimanere lì “Non parlare, ti prego smettila” “Perché sei venuto qui?” “Lo sai” “Io sì, sei tu a non saperlo” “Cosa?” “Il capitano ti ha trascinato qui perché è preoccupato per me, non ci vuole molto a capirlo. So perché sei qui ma sei tu a non saperlo” le mani tremarono leggermente scivolando via dalle sue spalle “Sei stato portato qui perché ti hanno costretto Elliot, non ci avresti mai pensato, non saresti mai tornato qui, non sai perché sei qui” “Stai scherzando? Olivia sei tu il motivo per cui sono qui” ma lei sorrise scuotende leggermente la testa “Quando parti?” “Quando inizierai a sorridere di nuovo” “Sto sorridendo” “Stai fingendo” annuì leggermente voltandosi verso di lui “Sei ancora un bravo detective” “Liv …” “Devo andare, gli orari del club oggi sono diversi” lasciò il bicchiere di caffè tra le sue mani allontanandosi lentamente lungo il viale “Sei sempre lì” sorrise appena bevendo quel caffè ancora caldo che sapeva di dolcezza.


 

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Capitolo 7
*** Non la Conosci? ***



                                                    Non la Conosci?





“Non sei mai stato così tanto nel mio ufficio” “Non ho voglia di scherzare” “E chi scherza? Vedo più te che Olivia” esclamò divertito chiudendo il fascicolo che aveva davanti “C'è qualcosa che non va?” “Sono io” “Tu?” domandò confuso “Io sono il problema” “Elliot, vuoi sederti un secondo e dirmi cosa c'è che non va?” “Sa di psicologico” ribatté ironico tirando la sedia leggermente indietro“Sei nello studio di un dottore, cosa ti aspettavi?” “Ti ho già detto che non ho voglia di scherzare?” “Perché dovresti essere un problema?” inspirò a fondo cercando di riodinare i pensieri “Non posso restare qui” “È successo qualcosa?” “No, non è successo niente ma non posso restare qui” “D'accordo” mormorò sospirando “Non posso starle vicino, non così tanto. Non riesco più a distinguere il passato e il presente” “Di cosa hai paura?” “Delle sue labbra” l'altro sorrise appena annuendo “Ho paura di averla vicino, ho paura di non controllare più la mia dannata mente! L'ho avuta vicino per dodici anni. Dodici anni, neanche un matrimonio dura così tanto. Ho imparato a conoscerla, a capirla, a guardarla negli occhi traducendo ogni suo pensiero. L'avevo rimossa dottore, avevo rimosso ogni cosa per evitare di svegliarmi di notte per colpa sua e ora …” si fermò qualche secondo riprendendo fiato “ … ora ce l'ho davanti agli occhi tutto il giorno per colpa vostra!” “Non è colpa di nessuno Elliot, i sentimenti che provi nei suoi confronti li portavi dentro da molto tempo, ti serviva solo una valvola di sfogo per lasciarli uscire” “Non voglio lasciarli uscire” “Non puoi evitarlo” “Posso provarci” ma l'altro sorrise “Proveresti a negarle un sorriso? A evitare di preoccuparti per lei quando la sera torna dal suo incarico troppo tardi? Non riesci ad evitarlo perché sei legato a lei, lo sei sempre stato. Il sentimento che vi unisce è nato lentamente e si è trasformato a poco a poco in qualcosa di diverso. È stato sbagliato permettervi di lavorare così tanto assieme; spesso il sentimento che unisce due agenti di polizia si trasforma in qualcosa di diverso, in quei casi, è bene allentare o addiruttura separare il rapporto lavorativo ma nel vostro caso è stato diverso” “È stato un errore” “Vero, è stato un errore ma separarvi voleva dire perdere due dei migliori agenti che l'unità speciale avesse mai avuto. Il vostro capitano non poteva permettersi di perdere due elementi come voi. Vi abbiamo lasciato assieme ignorando completamente i rischi del caso” “Perché?” “Perché pensavo che la razionalità, il buon senso e il fatto che siate adulti e tu sposato, potesse aiutarvi a restare oltre quella linea sottile” “Non ha funzionato” “Ma nonostante tutto, sei felice per questo” si bloccò qualche secondo paralizzandosi al suono di quelle parole che mai prima d'ora aveva mai nemmeno immaginato “Sei felice di poter avere la possibilità di dire: lei è mia, lei mi conosce” “Mia moglie mi conosce, lei è la donna che ho affianco” “Ma non è quella che vuoi. Non lo era già molti anni fa, i vostri figli, loro si che sono un ancora sicura con tua moglie” “Stai dicendo che amo i miei figli e odio mia moglie?” domandò confuso ma l'altro sorrise “Sto dicendo che ami tua moglie perché ti ha regalato una famiglia, ami i tuoi figli perché sono la cosa più bella che hai ma c'è quest'altro sentimento che è chiuso nel tuo cuore già da molto tempo. Un sentimento che ti lega a Olivia, che ti costringe a preoccuparti per lei quando il tuo vecchio capitano ti chiama nel cuore della notte, un sentimento che ha sostituito e scombinato le priorità dell'amore” “Non posso restare qui” sussurrò stringendosi la testa tra le mani “Sono troppo vicino a lei” “Sei solo confuso” “Ho oltrepassato quella linea sottile dottore!” “Avete …” “Per chi mi hai preso? No!” esclamò tornando a concentrarsi su di lui “Non so nemmeno io perché sono qui. Pensavo che la mia vicinanza l'avrebbe aiutata ad andare avanti, pensavo di aiutarla ma in realtà volevo aiutare me stesso. Non so perché l'ho fatto” “Te l'ha detto Oliva non è così?” “Per caso hai i super poteri?” “Vi conosco entrambi. Meglio di quanto immaginiate e so per certo, che mezz'ora dopo che avrai lasciato il mio ufficio, quel telefono suonerà, io risponderò e lei sarà arrabbiata, molto arrabbiata, sarà in ritardo e io finirò con il mangiare di nuovo un'insalata mista qui dentro mentre l'aspetto” “Uao” “Già, voi due siete stati i casi più complicati che abbia mai avuto. Oh certo, non avete alcun tipo di problema, non di quelli che vedo di solito ma il rapporto che avete è un gioco” “Oh ti ringrazio” “Dal punto di vista psicologico siete un interessante scambio di opinioni e sentimenti” “In pratica delle cavie” “Più o meno” risero assieme cancellando per qualche secondo il silenzio gelido che copriva ogni suo pensiero.
“Conosci bene Olivia” “Credevo di conoscerla” “Io scommetto che è ancora così. La conosci meglio di quanto possa farlo suo fratello, ti propongo un gioco” “Un gioco?” “Beh, un gioco è un atto puerile che solitamente ...” “Si, lo so cos'è un gioco” esclamò irritato “Scusa, deformazione professionale” “D'accordo” “Io ti farò sette domande e tu mi risponderai” “Beh, è semplice” “Dovrai rispondere ad ogni domanda come risponderebbe Olivia e poi, dovrai darmi la tua opinione al riguardo” prese il taqquino e la penna ridendo dell'espressione confusa sul viso di Elliot “La mia opinione sulle risposte ipotetiche che darebbe lei?” “Ti sembra tanto complicato?” “Mi sembra inutile” “Sei pronto?” “Non ne vedo l'utilità, tu si?” “Puoi rispondere senza fare altre domande?” “D'accordo” “Preferisci tè o caffé?” “Che domanda è?” “Cosa ti ho detto?” fece un bel respiro cercando di trattenere altre domande.
“Té” “E tu cosa ne pensi?” “Una volta beveva caffè, litri e litri di caffè e a volte mi chiedevo come facesse a non impazzire. Mi sono abituato a quel piccolo piacere quotidiano e poi da quello stupido incarico sotto copertura ha iniziato a bere tè. È una cosa stupida! Come puoi cambiare così?” “Parliamo di famiglia. Cosa ne pensi dei bambini?” “Li adoro” “Vero, li adora, e tu cosa ne pensi?” scosse leggermente la testa sorridendo “Che sarebbe una madre stupenda. Adora i bambini, li ama da morire e quando lavoravamo su casi che coninvolgevano minori beh, le serviva sempre qualche ora per riordinare i pensieri. Non ha mai voluto parlarne, ogni volta che provavo ad introdurre l'argomento maternità con lei cambiava discorso, diceva che non avrebbe affrontato quella conversazione ora” Huang ridacchiò divertito continuando a scrivere “Ti piace il gelato?” “Alla vaniglia” “Davvero?” “Già, sai quante volte ho provato a convincerla che cioccolato, fragola, panna, fossero gusti altrettanto buoni? Ho mangiato gelato alla vaniglia in ogni pausa di lavoro che passavamo affianco ad una gelateria!” “Che rapporto avevi con tua madre?” si fermò qualche secondo trovando le parole giuste per esprimere quel pensiero delicato “Non era la peggiore delle madri. Aveva i suoi problemi, beveva, nascondeva le cose e mentiva riguardo al suo passato ma non era la peggiore delle madri perché mi ha tenuta, mi ha permesso di vedere la luce” sospirò passandosi una mano in viso “Conosco bene il vuoto che ha dentro. Pensa di passare inosservata, si perde in pensieri lontani ma la vedo, me ne accorgo quando il passato torna a farle visita” “Sul serio?” annuì appena sospirando “Vedi lei, lei si mette seduta con la mano così ...” posò il gomito sul tavolino posando il palmo sotto al mento “ … resta così per minuti interi fissando il vuoto. Capita a tutti è vero ma Oliva ha qualcosa di diverso dagli altri” “E cosa?” “Socchiude gli occhi e muove ritmicamente le dita della mano libera mentre il respiro accelera leggermente. Ogni volta che perde contatto con la realtà la costringo a tornare indietro: Liv, torna sul pianeta dei comuni mortali” “Divertente” mormorò l'altro continuando a scrivere sul foglio “Già” “Vorresti mai avere un cucciolo?” “Un cucciolo?” “Un piccolo animale a quattro zampe con gli occhioni dolci e il pelo tutto arruffato” “Morirebbe di fame” esclamò ridendo “Olivia si scorda perfino di mangiare figurati se ricorda che un cucciolo la aspetta per mangiare, passeggiare e fare pipì” “Mare o montagna?” “Mare. Decisamente mare. È testarda, ostinata, un uragano in piena, può stare solo al mare con quel caratterino” “Quale delle quattro stagione prefeisci?” “Primavera” sussurrò “In primavera tutto rinasce. I colori diventano più accesi, allegri, diversi dal livore delle giornate invernali. Liv crede di poter cambiare il mondo intero e la primavera è sinonimo di cambiamento. Per qualche mese tutto sa di buono, di fresco e tutti i crimini e le schifezze che vediamo ogni giorno sembrano svanire” si fermò qualche secondo perdendosi sul panorama oltre le finestre “Per qualche giorno tutto sembra nuovo” Huang sorrise chiudendo il suo taqquino.
“Abbiamo finito” “Davvero?” annuì appena “E io che pensavo fosse più difficile “Non lo è stato?” “No, no a dire il vero è stato semplice” “Scommettiamo che Olivia dirà esattamente le stesse cose?” ma l'altro sbuffò alzando gli occhi al cielo “Questo piccolo giochino mi ha permesso di capire molte cose, farlo di nuovo a lei vuol dire semplicemente confermare quanto già so” “Perché ho la strana impressione di sentirmi preso in giro?” si alzò dal divano sfilando le chiavi dell'auto dalla tasca “Tu sapevi di Simon?” “Sì, ho parlato a lungo con lui” “E cosa ne pensi?” “È suo fratello” “Già” un leggero cenno della testa come saluto e poi niente di più.

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Capitolo 8
*** Al Sicuro ***



                                               Al Sicuro




“Hai visto come ti guardava quel porco in prima fila?” ridacchiò divertita lasciando sulla sedia il coprispalle di pizzo “Stava sbavando Candy” aveva sempre odiato quel nome.
Candy suonava dolce, come una caramella, come uno zuccherino da dare a luridi esseri umani affamati di giovani donne e quasi come fosse uno stupido scherzo, Huang aveva costruito per lei una falsa identità sdolcinata e odiosa.
Sorrise fermandosi qualche secondo davanti allo specchio. Aveva davanti una donna tremendamente sexy, con il corpo fasciato da un tubino colr oro e i capelli dolcemente intrecciati di lato.
Non era lei, non lo era più da molto tempo ormai ma quell'immagine falsa e costruita rispecchiava lo stato d'animo che la stava massacrando.
“Che c'è? Sei nervosa?” “No, no stavo pensando a una cosa” “Problemi con il tuo ragazzo?” “Cosa?” il viso della giovane si colorò di allegria e quegli occhi color del mare si piegarono in un dolcissimo sorriso “Andiamo, lo so che hai qualcuno. Sei troppo diversa da noi” “Non prendermi in giro Sofy. Una madre alcolizzata, un padre che mi picchiava continuamente, storie sbagliate, violenze, cosa c'è nella mia vita di diverso dalla tua?” “Forse hai ragione. Ma c'è qualcosa nei tuoi occhi, qualcosa che urla: amore mio ti prego vieni a salvarmi” “Ok, d'accordo” esclamò divertita prendendo i trucchi dal cassetto “Ho un tipo e sto bene con lui, mi fa stare bene” “E il capo lo sa?” annuì leggermente sospirando “E cosa ne pensa?” “Si è arrabbiato. Molto arrabbiato ma alla fine ha detto: Sei solo mia, non dimenticarlo” “Quindi ti ha dato il permesso di divertirti. Uao, se lo faccio io mi spara in fronte” rispose Sofy ridacchiando “Aspetta ...” sussurrò avvicinandosi a lei “ … devi usare il bronzo. Sulla tua pelle è fantastico” prese tra le mani l'ombretto costringendola a sedere sullo sgabellino accanto a lei “Ferma tesoro, devi restare ferma altrimenti ti coloro tutta la faccia” “Ehi, che fine ha fatto Joy?” “Non ne ho idea, doveva lavorare stasera ma non si è fatta vedere” “E tu sai perché?” “No, ma le ho detto milioni di volte che frequentare Mark è pericoloso” “Credevo stesse con un giovane dell'Alabama. Una persona giusta per lei, un bravo ragazzo” “Già ma sai com'è Joy. La dipendenza da eroina è una cosa orribile e poi c'è il capo, ora chiudi gli occhi” “Ma Joy non è ...” “Se continui a muoverti diventerai un Picasso, come la vedi la cosa mentre vado dal capo a dirgli che Candy picasso ha deciso di rovinare questo bel faccino?” le sorrise soffiando dolcemente sul suo viso “Ora sei perfetta tesoro” “Grazie” “Non capisco come faccia il tuo ragazzo a dividerti con altri” “Non mi divide. Chiude gli occhi e finge che il mio lavoro sia qualcosa di normale” “Allora, abbiamo finito il turno, ci hanno appena pagato, che ne dici di andare a bere qualcosa?” “D'accordo” prese la borsetta passando un braccio attorno alle spalle della giovane “Ma stavolta offro io”.
Se qualcuno le avesse detto che un giorno sarebbe stata un cubista, probabilmente sarebbe scoppiata a ridergli in faccia.
Aveva accettato quell'incarico sotto copertura per distrarre i pensieri, per costringere se stessa a reagire.
Si era affezionata a Sofy, una giovane ragazza dallo sguardo pieno di vita. Era bella e estroversa, con i capelli color dell'oro e la pelle candida e delicata.
Il loro incontro fu strano, diverso, in qualche modo perfino pazzo. Doveva smascherare un traffico di esseri umani, giovani donne che venivano portate nel locale e iniziate alla prostituzione o allo spaccio.
Ricordava bene i discorsi di Fin: è pericoloso. Sai cosa succede se Newman si accorge di te. Sei più grande di quelle ragazze.
Tutte quelle ore in palestra avevano scolpito il suo corpo donandole sensualità, dolcezza, le stesse cose che gli uomini cercavano assiduamente, più di una droga, più di qualunque altro vizio.
Aveva imparato a cambiare se stessa, a mascherarsi dietro a trucchi e magie che la rendevano un'altra.
“Allora? Che ti va?” “Che ne dici di mangiare qualcosa? Ho una fame assurda Candy” ridacchiò divertita incamminandosi verso l'auto ma quella voce profonda apparsa dal nulla la costrinse a tremare leggermente “Ti aspetto da un'ora amore mio” “Che … che ci fai qui?” domandò confusa ma Elliot sorrise tirandola dolcemente tra le braccia “Che diavolo ci fai qui?” sussurrò ma lui non rispose continuando a stringerla “Così sei tu l'amore della sua vita” esclamò divertita Sofy stringendosi nelle spalle “Sei davvero carino lo sai? Candy ha fatto centro” “Hai sentito Candy?” ripeté staccandola leggermente da sé “Mi considera carino” “Tu sei …” “Molto carino perché ti ho aspettato per ore intere” “Ehi, stavamo per andare a cenare assieme, che ne dici di unirti a noi?” “Questa è una bella idea, ragazzina?” “Oh, che sbadata” strinse la mano tesa verso di lei mascherandosi dietro ad un sorriso enorme “Sofy, sono una collega di Candy, beh, sempre se si può definire lavoro. Allora? Andiamo?” “Andiamo” “Prendiamo la mia macchina” esclamò allegra la giovane scappando via lungo il marciapiede.
Respirare, continuare a respirare, sembrava facile ma la presenza di quell'uomo accanto a lei non la aiutava a restare calma “Che cavolo ci fai qui!” “Il capitano mi ha autorizzato ad entrare in copertura nel tuo caso” “Perché? Posso cavarmela da sola!” “Si, e mentre tu continui a ripeterlo ad alta voce, io resterò qui ad assicurarmi di non trovare il tuo corpo in qualche cassonetto” "Oh andiamo!" “Non ti lascio qui da sola Liv! Non ti lascio nelle mani degli sconosciuti chiaro?” “L'hai fatto per tre anni e mezzo!” esclamò gelida tentando di sfilare la mano dalla sua ma la presa si rafforzò di colpo costringendola a restare immobile “Continua pure ad urlarmelo in faccia, puoi anche prendermi a cazzotti se ti va ma non mi muovo da qui e non lo fai nemmeno tu. Resterò qui, accanto a te e mi assicurerò che tutte le sere fino alla fine del tuo incarico rientrerai a casa sana e salva!” il rumore del clacson, la risata fresca e allegra della ragazza e la consapevolezza di non poter fuggire da quella nuova realtà che non aveva scelto lei.



“Così sei un avvocato” “Esatto” “Uao, un avvocato Candy! Come diavolo hai fatto?” esclamò divertita abbracciandola “Non sei geloso di lei Rik? Voglio dire, questo è un buon lavoro, la paga è alta e si incontrano tante persone ma, insomma, Candy è molto bella, come puoi dividerla con altri?” “Chiudo gli occhi e fingo che sia una fioraia” Olivia tossicchiò leggermente perdendosi sul suo drink “E funziona?” “No mai, però va bene così. A lei piace il suo lavoro, la diverte, è felice, chi sono io per cambiare le cose?” “Uao, sei davvero da sposare” “Hai sentito Candy?” ribatté ironico voltandosi leggermente verso di lei “Come?” “Dovresti sposarmi” “E la mia più segreta aspirazione è diventare suora” “Cosa c'è che non va?” domandò confusa Sofy sfiorandole il polso “Dovresti essere felice, il tuo ragazzo è qui con te, la serata è andata alla grande e domani sei di riposo. Mi spieghi perché hai quel faccino imbronciato tesoro?” “Pensavo” “Lo sai, la tua ragazza è brava con le bugie” ridacchiò divertita controllando l'orologio “Accidenti com'è tardi! Vi riaccompagno al club?” “No, no tranquilla. La mia macchina è a pochi isolati da qui” “Sicuri?” Elliot annuì appena convincendola a scappare via “Che ne dici Candy? Torniamo a casa?” “Se mi chiami di nuovo così giuro che ti do una coltellata” afferrò la borsetta dalla sedia e senza aggiungere una parola se ne andò via costringendolo a correrle dietro.
L'aria era fresca e c'era profumo di pioggia, una nota lieve e delicata che scendeva dal cielo invadendo i polmoni “Hai freddo?” “No” “Bugiarda” sfilò la giacca e sorridendo, la posò lentamente sulle sue spalle coprendola.
Un abbraccio delicato, tenero, profumato di sicurezza, la stessa che da troppe notti sognava e basta “Sei … sei davvero molto bella questa sera” “Già” “Non sto scherzando Candy” ma lo sguardo della ragazza bastò a farlo sorridere “Tu odiavi quel nome, come hai fatto a …” “Huang” “Oh, è tutto chiaro ora” “Gli avevo chiesto un'identità solida, non una stupida, inutile, sciocca …” “Ok, ok … respira” “Candy! Come fai a chiamarti così? Insomma, ho la faccia da Candy?” “Liv” “C'è un motivo se il mio nome è diverso. Dio, avrei ucciso mia madre se mi avesse chiamato così!” “Liv!” si bloccò di colpo, gli occhi incatenati ai suoi mentre restava immobile con le sue mani strette attorno alle spalle “Va tutto bene, è solo un nome” “Perché succede?” “Beh, probabilmente il suono del nome è …” “No” mormorò abbassando qualche secondo lo sguardo “Perché non riesco a … perché ogni cosa che faccio, ogni cosa che dico è così dannatamente difficile da controllare. Prima riuscivo a distinguere cosa era giusto e cosa sbagliato, vedevo quella linea di confine da lontano e sapevo esattamente quando fermarmi e ora invece … ora è così …” “Ehi, va tutto bene” le sfiorò il viso cancellando quella lacrima insolente che era riuscita ad oltrepassare il muro di ghiaccio che si era costruita attorno “Liv, è tutto ok. Hai passato l'inferno, è normale sentirsi così. Perché credi sia qui?” sorrise continuando a cercare i suoi occhi, il suo sguardo così carico di stanchezza e paura.
Per la prima volta da giorni, Olvia era tornata in superfice, la sua Olivia, quella che amava da impazzire e che non riusciva a tenere lontano dai pensieri “Lo sai cos'è successo quando ho risposto a telefono quella notte? Sono scoppiato a ridere. Stupido vero? Beh, è quello che è successo. Mi sono detto: andiamo, dev'essere uno scherzo perché nessuno può fermare Liv. Ma è accaduto qualcosa, forse era quella leggerissima nota di preoccupazione nella voce del capitano o semplicemente, un tremito leggero che saliva lungo la schiena. Non so cosa fosse ma avevi bisogno di me” “Leggi nei pensieri?” sussurrò posando la mano sulla sua.
Quel contatto improvviso lo costrinse a tremare, la pelle morbida e profumata, quelle labbra così dannatamente invitanti da fargli male “Forse sì, forse leggo nei tuoi pensieri, forse è per questo che non riesco a staccarmi da te” “Stai sbagliando” “Non è vero” posò la fronte sulla sua, i respiri fusi assieme mentre pochi centimetri separavano le loro bocche “Hai una moglie, una famiglia. Io sono incasinata e arrabbiata e non … non puoi tornare indietro di nuovo. Non così, non ora perché è … è sbagliato” chiuse gli occhi mascherando la folle voglia di baciarla dietro ad un leggero sospiro “Puoi solo … resta qui” la teneva ancorata a sé, imprigionata nel suo abbraccio, stretta a lui, a quel passato che tanto amava, lo stesso passato che lo costringeva a vivere giorno dopo giorno.
Sentì il suo respiro accelerare leggermente, inspirò a fondo stringendo dolcemente il suo volto tra le mani, respirava il suo profumo, viveva di quel battito che la costringeva a tremare, ad aggrapparsi a lui nel tentativo folle di non cadere.
L'avrebbe baciata, l'avrebbe stretta così forte da farle male e non si sarebbe fermato perché averla tra le braccia er il più intimo dei suoi desideri.
Sentì la mano di Liv scendere dolcemente lasciando solo aria gelida sulla pelle “Devo andare a casa ora, Simon mi sta aspettando” “Liv …” scivolò via dalle sue braccia indietreggiando velocemente, un ultimo sguardo ad incatenare per l'ennesima volta il suo volto al cuore prima di vederla scappare.
L'avrebbe seguita, l'avrebbe rincorsa e costretta a tornare al sicuro tra le sue braccia ma tutto quello che riusciva a fare, era restare immobile, paralizzato nel buio della notte mentre quell' angelo svaniva velocemente.


 

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Capitolo 9
*** Sempre Perfetta ***



                                   Sempre Perfetta





Aveva passato talmente tante ore in quello studio da ricordare ogni più piccolo particolare.
L'ordine esatto dei libri negli scaffali, le statuine sulla scrivania e quel disordine ordinato di fogli e cartelle “Resterai ancora molto a fissare il vuoto?” “Perché sono ancora qui?” “Ricordi il patto vero? Due ore di terapia ogni giorno senza proteste” “Si, ma sono stata qui questa mattina ed è il mio giorno libero. Perché sono ancora qui?” “Per fare un gioco” quelle parole bastarono a convincere ogni muscolo, si alzò in piedi stringendo la giacca tra le mani “Ciao George, ci vediamo domani” “Ehi, dai prometto che sarà rapido e veloce” “Perché?” “Perché ho fatto lo stesso gioco con Elliot” “Non è un buon motivo per giocare con me” “Tu hai il terrore di poter scoprire che provi dei setimenti verso di lui e che quei sentimenti sono ancora vivi. Hai passato una cosa orribile, sei stata rapita, picchiata, insultata e …” “Non ho bisogno di sentirlo di nuovo!” “Vedi come scatti? Basta parlarne appena per farti arrabbiare. Devi sbloccare questa cosa Olivia e la vicinanza del tuo collega può aiutarti” “Non credo sia la cosa migliore” “È preoccupato per te. Ha paura di poterti perdere perché ti stai spegnendo lentamente” restarono in silenzio qualche secondo con lo sguardo perso l'uno nell'altra.
“Perché?” “Perché voglio mostrarti che quei sentimenti sono giusti Olivia, che quei dodici anni passati assieme non sono stati uno spreco” “D'accordo, d'accordo facciamo questo stupido gioco” esclamò tornando a sedere sul divanetto.
L'espressione sul volto dell'amico cambiò di colpo, sembrava un bambino a cui i genitori avevano compravo chili e chili di caramelle, un bambino irriverente e dispettoso che si divertiva con i pensieri altrui “Ti farò sette domande. Dovrai semplicemente rispondermi” “Non è difficile” “Esatto! Ma dovrai anche spiegarmi il pensiero di Elliot, cosa direbbe nella stessa situazione riguardo alle tue risposte “Uao, non vedo l'ora” “Meno sarcasmo e più concretezza. Tè o caffè?” “Tè. Prima bevevo caffè, molto caffè. Mi aiutava a restare concentrata, passano così tante schifezze in quell'ufficio” “Elliot? Cosa ne pensava?” “Credeva fossi diventata matta. Dopo l'incarico sotto copertura ho iniziato a bere il tè. Lui odia il tè” “Ti piacciono i bambini?” “Li adoro” sussurrò giocherellando con i capelli “Sono così piccoli e puri. Non mi sono mai fermata a pensare, a chiedermi se un figlio poteva cambiarmi la vita o meno. Credevo di non essere pronta, non sono mai pronta a cambiamenti del genere” “Ne parlavi con il tuo collega?” “Lui ne parlava, io fingevo che la conversazione fosse fuori luogo o inconcludente” “E tua madre?” “Cosa?” domandò confusa “Parlami di tua madre Olivia” “Ancora? Ormai la conosci meglio di me” ma lo sguardo sul volto di Huang la costrinse a continuare “Non è stata una cattiva madre, non era sempre presente o preoccupata per la mia infanzia come ogni madre normale ma non è stata una cattiva madre. Aveva i suoi problemi, tanti problemi …” si fermò qualche secondo spiando i movimenti dell'uomo di fronte a sé.
Continuava a leggere sul suo quaderno evitando di guardarla, era certa che la sua attenzione fosse attratta da quelle linee scure che risultavano più interessanti dell'ennesimo racconto su sua madre “ … era un alcolista, si ubriacava ogni volta che ne aveva l'occasione. Ogni volta che facevo domande sul passato lei cambiava, diventava un'altra, mi nascondeva le cose lasciandomi sospesa in qualcosa che non mi apparteneva. A volte mi capitava di pensare a lei, spesso accadeva in ufficio, nelle ore di pausa lei tornava tra i miei pensieri ma infondo, non è stata una cattiva madre, ero legata a lei, molto legata e perderla è stato doloroso” sorrise divertita da quel ricordo che ora sembrava innocuo, perfino tenero “Era la mia mamma, la donna che aveva avuto il coraggio di tenermi nonostante … beh, lo sai no? Elliot passava minuti interi a fissarmi. Credeva di essere al sicuro oltre la scrivania. Era convinto che non me ne sarei mai accorta” “E invece te ne accorgevi?” “Liv, torna sul pianeta dei comuni mortali” Huang sollevò lo sguardo dai fogli cercando i suoi occhi “Puoi ripetere?” “Era l'unica cosa che mi aiutava a non pensare. Una frase come tante ma Elliot la pronunciava al momento giusto. Non so nemmeno io come fosse possibile” “Ti piace il gelato?” “Alla vaniglia” rispose confusa da quel cambio improvviso di discorso “L'ho costretto a mangiare gelato alla vaniglia durante ogni pausa” “Ti piacerebbe avere un cucciolo?” “Un cucciolo?” l'altro sbuffò alzando gli occhi al cielo “Perché nessuno sa cos'è un cucciolo?” “No, so cos'è un cucciolo ma con me morirebbe di fame George” “Perché lo pensi?” “Perché mi scordo perfino di cenare, credi davvero che un cucciolo possa aspettarmi tutte le sere per mangiare, giocare e fare una passeggiata?” “Abbiamo quasi finito” “Meno male” sospirò appoggiandosi allo schienale.
“Mare o montagna?” “Mare” “Qual è la tua stagione preferita?” ci pensò qualche secondo perdendosi in pensieri lontani e poi, con un filo di voce sussurrò “Primavera” “Perché?” “Tutto rinasce, tutto e profumato e pieno di colori. È come se d'improvviso il mondo fosse rinato e allora penso che per tutti quei bambini violati e distrutti possa esserci una nuova rinascita. Lui adora l'inverno, il freddo e quella sensazione strana che provocano le giornate di pioggia” “Abbiamo finito detective” “Ora posso sapere a cosa …” ma l'uomo scosse leggermente la testa “Oh andiamo!” “Fuori di qui, vai a goderti il tuo giorno libero” “Ti sto odiando” “Lo so” un altro sorriso, l'ennesimo carico di ironia e sarcasmo.




“Ha chiamato?” Fin scosse leggermente la testa lasciandosi cadere mollemente sulla sedia “Doveva chiamare mezz'ora fa” “Diamole altro tempo” sussurrò Munch “Era un incontro importante” “Che diavolo ci faceva lei assieme a Colman?” “Ha chiesto delle ragazze per la sua festa speciale. Belle, eleganti, rigorosamente castane e con occhi scuri e profondi” Cragen entrò nella sala reggendo un cellulare nella mano sinistra e un caffè nella destra “Come mai non parlo ancora con il mio agente sotto copertura?” “Mezz'ora di ritardo signore, è normale in casi come questo” “Fin ha ragione, possiamo solo aspettare” ma Elliot scosse leggermente la testa passeggiando nervosamente attorno alla scrivania poi d'improvviso quel suono leggero.
Si alzarono all'unisono avvicinandosi al telefono “Olivia?” “Da quando hai poteri mentali?” Munch sorrise ricadendo sulla sedia “Dove diavolo sei sparita?” “Mi scusi signore, Colman ha prolungato il suo festino. Mosman e Collister erano entrambi presenti. Sono rimasti quaranta minuti chiusi nell'ufficio di Colman” “Malloy?” “Mi ha seguito fino al locale di Colman ed è rimasto di guardia tutta la notte. Ho consegnato al nostro contatto la registrazione del mio microfono e alcuni nastri recuperati due giorni fa” “Tu stai bene?” “Si signore. Sono solo un po' stanca ma tutto sommato sto bene” “Bene, perché ora ti ammazzo!” esclamò Elliot avvicinandosi all'altoparlante “Ti uccido Liv, lo faccio davvero!” Fin e Munch sorrisero divertiti da quel siparietto che per qualche giorno, sembrava averli trasportati indietro di anni “E tu che ci fai ancora lì?” “Stai scherzando?” ma la risata della ragazza non faceva altro che spingere la rabbia e il sarcasmo in superficie “Ricordi quando ti dicevo che giocare con la mia pazienza era pericoloso? Che sarei scoppiato travolgendo tutti e tutto? Sei a buon punto detective, continua a tirare un altro po' la corda e vedrai le stelle!” Cragen sbuffò avvicinandosi alla scrivnia di Munch “Mettetevi in contatto con Malloy, lavorate sulle registrazioni e studiate i nastri che vi consegna” “Chiamo Mandy ai crimini informatici. Magari riusciamo ad estrarre dal computer che ci ha consegnato Olivia qualcosa di utile” l'altro annuì appena lasciando l'ufficio “Come diavolo ti è venuto in mente di chiamare in ritardo?” “Hai sentito cos'ho detto? Ho appena finito!” “Questa non è una scusa” ma dall'altro lato arrivò solo silenzio “L'hai fatta arrabbiare cowboy” “Pensava che scherzassi?” il collega ridacchiò divertito afferrando la cornetta del telefono “Sai amico mio, secondo me dovresti andare a casa sua e legarcela perché se pensi che Olivia ti dia retta sei un illuso” “Grazie Munch. È sempre bello parlare con te” “Figurati” afferrò la giacca e senza aggiungere una parola corse fuori dall'ufficio.


“Mi hai attaccato il telefono in faccia” “Non riesci a lasciarmi in pace per qualche minuto?” domandò sfinita appoggiandosi allo stipite della porta “Mi hai attaccato il telefono in faccia!” oltrepassò la ragazza costringendola ad arrendersi, si chiuse la porta alle spalle seguendolo fino alla sala “Hai la vaga idea delle ore che ho passato in centrale?” ma lei non rispose, si limitò ad annuire sedendosi sul divano.
Le gambe dolcemente sollevate e una coperta morbida e dall'aspetto invitante che si avvolgeva attorno a lei coprendo ogni più piccolo sprazzo di pelle.
Non si era nemmeno accorto di quanto fosse bella, con i capelli dolcemente arruffati e gli occhi così pieni di sonno da sembrare una bambina “Aspettavo la tua chiamata oggi pomeriggio e immagina la mia sorpresa quando Fin mi ha contattato dicendomi: abbiamo un problema, Olivia ha mancato il contatto di tre ore” “Mi dispiace” sussurrò stringendosi più forte nella coperta “Ma non ho avuto tempo. Colman non mi ha mai lasciato sola” “Ha detto qualcosa?” “No” “Ti ha dato fastidio in qualche modo?” “Cosa vuoi sapere? Se le sue mani erano tutto il tempo sul mio …” “Ok, basta così” esclamò ironico voltandosi verso la finestra “Non voglio sapere altro” “Non dovresti chiederlo allora” “Non sei divertente” ridacchiò divertita nascondendo il volto sul cuscino “Ero preoccupato per te, non sapevo dove fossi” inspirò a fondo seguendo con lo sguardo le luci della strada lì sotto “Ti ho detto tante volte che non hai il dirittto di farmi preoccupare così. Non puoi metterti in situazioni pericolose perché non posso proteggerti, non più e so che è colpa mia, lo so. Ma se non posso proteggerti allora devi farlo tu, devi restare al sicuro perché non sopporterei di perderti” si voltò verso di lei e un sorriso nacque spontaneo sulle labbra.
Quella bambina così bella si era addormentata, a lei non importava niente delle sue parole, della sua preoccupazione.
Aveva chiuso gli occhi perdendosi nel respiro delicato della notte. Si avvicinò al divano inginocchiandosi davanti a lei.
Sembrava così serena, così tranquilla, il suo respiro era regolare, il battito del suo cuore seguiva i sogni restituendogli dolcezza.
Le sfiorò le labbra con le dita seguendone il contorno, era così bella, così dannatamente bella e perfetta, la perfezione che cercava in ogni donna, la sua perfezione che non era mai sbagliata.
Di giorno, di notte, in qualsiasi periodo dell'anno era perfetta, con i suoi difetti e con i suoi pregi, con quegli occhi meravigliosi che erano in grado di leggere nell'anima.
Restò ancora qualche secondo a studiare ogni più piccolo particolare di quel volto giocando con i suoi linemaneti, cercando di imprimersi a fuoco nella memoria la dolcezza di quella ciocca castana che gli scorreva tra le dita poi d'improvviso una scossa elettrica salì dal braccio fino al cervello.
Ritrasse la mano di colpo, quasi come se ne fosse stato scottato. Si rialzò e tornò sui propri passi chiudendosi velocemente la porta alle spalle.
Quella casa sconosciuta era il suo rifugio sicuro, la casa che il suo nuovo personaggio sotto copertura aveva ereditato da suo padre, era un luogo sicuro per permetterle di riposare convincendo quel mondo sporco e infame a fidarsi di lei.
Non riusciva mai ad allontanarsi da quella porta, ogni volta che usciva da casa sua era come perdere un pezzo di cuore perché non poteva controllarla, non poteva proteggerla come aveva sempre fatto.

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Capitolo 10
*** Non posso Restare ***



                                        Non posso Restare 





“Questo incarico mi sta distruggendo, come fai a mangiare?” domandò confuso guardandola ma lei non sembrava molto sconvolta.
Se ne stava lì, seduta di fronte a lui con un maglioncino nero che copriva quel vestitino smeraldo, una seconda pelle che tutta la notte era stato il suo muro di ghiaccio.
Una linea oltre la quale nessuno poteva avventurarsi “Liv? Mi ascolti?” “Questo incarico ti distrugge, sei stanco, come faccio a mangiare” esclamò divertita addentando una ciambella “Ti ascolto, vedi? So fare due cose assieme” “Sei un mostro” ribatté sfinito “Un mostro che non dorme mai e che può restare sveglio per un tempo quasi infinito” “Sei cambiato” “Cosa?” sorrise continuando a studiare la sua ciambella “Sei diventato diverso. Forse la famiglia cambia le persone” “Beh, non sono l'unico ad essere cambiato” “Io ho una scusa valida” “Ma davvero?” “Mi hanno rapito divertendosi a terrorizzarmi, tu che scusa hai?” si portò una mano alle labbra evitando di sputacchiare caffè ovunque.
Quella era la prima volta che si apriva con lui, l'aveva fatto con una semplicità disarmante, con una tenerezza quasi anormale.
Sorrideva, era tranquilla e serena, sfiorava con le dita lo zucchero sul suo dolce divertendosi a disegnare complicate linee invisibili e d'improvviso, quelle semplici parole erano piombate nella sicurezza di quella saletta rovesciando di colpo ogni certezza “Non esserne sconvolto, sto abbastanza bene da parlarne liberamente” “Sei sicura? Perché se hai bisogno di più tempo per …” “Sembri Huang” sussurrò alzando leggermente gli occhi al cielo “Scusa, ero solo …” si fermò qualche secondo riprendendo fiato “ … beh, ero sconvolto. Hai tirato fuori questa cosa d'improvviso e non ho nemmeno avuto il tempo di preparare una risposta decente” “Non è un quiz Elliot. Non devi sempre cercare risposte o preoccuparti per me” “Non lo faccio” “Si invece. Studi continuamente ogni parola perché pensi che una frase sbagliata possa farmi scappare via” gli occhi sfiorarono per qualche secondo i suoi costringendolo a sorridere “Non scappo da nessuna parte” “No certo, hai un incarico che ti succhia via la vita dal corpo” “È una battuta? Perché non fa ridere” sussurrò ironica “Battuta? Oh andiamo, non potrei essere più serio di così. Il tuo incarico sotto copertura ti offre una via di fuga perfetta Liv. Ti da modo di occupare i pensieri e quello che ti è successo passa in secondo piano” “Sono passati tre mesi e mezzo, possiamo semplicemente riderci sopra?” “Ridere?” gli occhi della ragazza si sollevarono per qualche secondo dal caffè incontrando il suo sguardo “Vuoi davvero … non posso crederci. Liv, non voglio più parlare di questa cosa è chiaro?” “Allora smettila di tirarla fuori ogni volta!” “Sei stata tu! Io mi stavo lamentando dei turni lunghi e della tua sfacciataggine e te ne sei uscita con questa storia. Non mi aiuta immaginarti continuamente in quella situazione!” “D'accordo” esclamò lasciando andare la ciambella, lo zucchero cadde sul tavolino spargendosi sul ripiano lucido mentre due sguardi di fuoco si sfidavano senza sosta “Andiamo, ti accompagno a casa” “Scordatelo!” “Vuoi farmi arrabbiare? Sei stata tutta la notte con quel pervertito. Hai bisogno di fare una doccia, di dormire e di un pasto decente” sfilò le chiavi dalla tasca alzandosi ma lei non si mosse di un centimetro “Oh andiamo! Hai voglia di scherzare?” “Ti sembro una bambina?” “Liv se non ti alzi da lì giuro che …” “Attento” rispose incrociando dolcemente le braccia sul petto “Ho una guardia del corpo a pochi metri da me. Vuoi davvero farmi saltare la copertura?” inspirò a fondo cercando di ricacciare indietro la voglia folle di darle uno schiaffo.
Perché diavolo doveva essere sempre così maledettamente testarda? Conosceva bene quell'uomo appoggiato alla macchina che li osservava da ore. Li spiava oltre il vetro della caffetteria sorridendo di tanto in tanto mentre parlava al cellulare.
Era John D, il mastino che Colman aveva assoldato per tenerla al sicuro. La seguiva ovunque, ne spiava i movimenti, l'accompagnava ogni volta che gli veniva chiesto e di certo, se quello schiaffo fosse arrivato a destinazione, era certo che un proiettile si sarebbe piantato dritto in mezzo al cuore.
Strinse più forte le chiavi dell'auto sorridendole “Sto per darti uno schiaffo Liv” “Lo so” esclamò divertita alzandosi “Lo sai? Che … cosa stai …” “Quando cerchi di nascondere gli impulsi di rabbia sei meraviglioso” lo prese per mano ridendo “Andiamo? Se non usciamo da qui entro dieci minuti Johnny là fuori mi accompagnerà di persona a casa” “Respira Elliot, continua a respirare” mormorò ironico ma la risata della ragazza era in grado di cancellare ogni briciolo di rabbia lasciando solo un dolcissimo tepore dentro l'anima.




“Perché sei ancora qui?” “Perché sono venuto a salutarla capitano” l'altro sospirò invitandolo a sedere di fronte a sé “Non posso più restare qui. La mia famiglia ha bisogno di me” “Eh già, come si può resistere ad un angelo dagli occhi di notte” “Credo che lei abbia bevuto un po' troppo caffè signore” “Oh andiamo!” esclamò Cragen “Ho passato dodici anni a tentare di capire come smorzare l'attrazione che c'era tra voi. Per quanto provassi a capire il meccanismo della vostra relazione lavorativa, c'era sempre qualcosa che sfuggiva alla mia attenzione. Vi ho separato più di una volta e vi ho rimesso assieme perché sembravate non funzionare l'uno senza l'altra. E dopo tutto questo, vieni qui a dirmi che la tua famiglia ha bisogno di te?” “Non ci crede?” “Al contrario, ma vedi …” accavallò le gambe rilassando le spalle e la schiena “ … quando venivi da me a chiedere il permesso di uscire prima per un colloquio con gli insegnanti o per aiutare tua moglie avevi un modo diverso di fare domande. Diverso da quello che avevi quando mi chiedevi dov'era il detective Benson” Elliot sbuffò alzando gli occhi al cielo “Adesso hai di nuovo quella voce, quella che riservavi alla tua collega” “È complicato signore” “Non ti ho chiesto di rientrare in servizio. Non fai più parte di questa squadra né di questa giurisdizione. Ho semplicemente chiesto il permesso ai miei superiori per averti in aiuto alla nostra indagine” “Si beh, è proprio questo il problema” lo sguardo di Cragen divenne più profondo “Olivia è in grado di badare a se stessa. Non vuole l'aiuto di nessuno e sta facendo un lavoro meraviglioso. Se continua così, in meno di due settimane avrete chiuso quest'indagine” “E allora che diavolo ti spinge a …” “Sarò sempre preoccupato per lei” sorrise stupito da quelle parole che d'improvviso erano uscite così naturali e pure “Mi preoccupo per lei se non telefona negli orari stabiliti, se il suo incarico la trascina per ore intere nel buio. Perfino se non cena la sera mi preoccupo per lei! Sa meglio di me che una cosa del genere è pericolosa” inspirò a fondo ricacciando indietro quel mare di parole che non gli davano tregua “Può mandare all'aria tutto il vostro lavoro, può confonderla e indebolire la sua copertura e questo è l'ultima cosa che voglio” “D'accordo” “D'accordo?” ripeté stupito “Mi hai chiesto di tornare a casa, puoi andare” “No” mormorò ironico “In dodici anni mai e dico mai una mia domanda ha avuto esito positivo così in fretta” “Capisco il tuo stato d'animo. Olivia sarà al sicuro” “Me lo promette?” un debole sorriso sulle labbra “Signore me lo deve promettere perché se esco di qui e …” “Elliot non posso fare promesse. Non le ho mai fatte lo sai. Mi conosci da tanto, non sono tipo da lasciare le cose a metà. Olivia se la caverà alla grande” “D'accordo” “Fai buon viaggio e salutami i tuoi bambini” strinse la mano tesa verso di lui permettendo all'aria di entrare di nuovo nei polmoni.

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Capitolo 11
*** Troppo Tempo ***



                                  Troppo Tempo




“Quante ragazze?” “Dodici, appena arrivate dall'Europa. Le tiene in un'appartamento sulla settantesima” “Sai dove?” scosse leggermente la testa prendendo dalle mani di Fin il caffè “L'organizzazione della sua attività tutto sommato è semplice. Colman è il capo indiscusso. A lui vanno i soldi, il potere, Lexus e macchine di lusso e la scelta delle ragazze più belle. Ha contatti in tutta Europa, per lo più in Ucraina ma la Russia gli sta regalando un sacco di soddisfazioni. Convince le ragazze a lasciare il proprio paese promettendogli una nuova vita, molti più soldi. Sono minorenni, indifese, per lo più provenienti da famiglie povere o disagiate …” voltò il fascicolo verso Cragen permettendogli di leggerne i segreti “ … ma ci sono otto uomini che lui chiama “I miei custodi” che hanno il compito di proteggere i suoi affari. Collister è uno di quegli uomini. Si occupa per lo più del trasferimento dei fondi e dei conti bancari di Colman” “Facciamo un controllo incrociato sui movimenti bancari del vivaista di giovani donne” esclamò gelido Munch concentrandosi sul computer di fronte a sé “Ha ottimi contabili, riesce sempre a trovare un cavillo per scappare dai guai. Io punterei su Alvin” “Il portiere?” domandò confuso Cragen “Non è solo il portiere del Dolly Moon, è un tutto fare, Colman lo usa per ripulire. È arrogante, competitivo, ama il potere e prova un piacere quasi folle nel torturare le persone. Più che altro usa una sorta di tortura psicologica per annullare l'identità dell'individuo” “D'accordo, Finn e Logan andate a controllare il nostro Alvin” un giovane dall'aria riposata si avvicinò al collega sorridendo “Uao, il mio primo incarico” “Consegnami la pistola, non vorrei finire in ospedale con un foro sulla spalla” “Smettetela” mormorò il capitano “Vi voglio incollati al suo culo. Voglio sapere dove va, cosa mangia, quante volte va a pisciare” “Come fatto captano” “Munch, tu ti occuperai di Collister, cerca nei suoi conti bancari, fatti aiutare da Bullard” “Signore …” si voltò di colpo incontrando lo sguardo di Malloy, reggeva tra e mani una pila di fogli ordinatamente impilati uno sull'altro “Qui ci sono i precedenti degli otto custodi di Colman” “Hai controllato famiglie e …” “Due di loro sono sposati, gli altri divorziati o con ordimi di restrizione nei confronti delle loro donne. Collister ha due figli, sono stato in appostamento tutta la mattina davanti alla loro scuola ma del padre nesuna traccia” “Odio gli idioti” sbottò Cragen afferrando il cellulare “Come stai?” “Non male” “Bugiarda” “Sto bene Chris, davvero” “Si, ti credo” esclamò divertito sfiorandole una spalla “Non vuoi parlare della partenza di Stabler” ma gli bastò uno sguardo per ridere come un matto “D'accordo, stavo scherzando. Dovresti andare a riposare” “Hai ragione” mormorò sfinita “Ci vediamo tra qualche giorno” “Non costringermi a buttare giù la porta di casa per parlarti chiaro?” ma lei non lo ascoltava nemmeno più, camminava tranquillamente lungo il corridoio incurante delle sue raccomandazioni e delle sue risate.


Il vento fresco che entrava dalle finestre regalava un dolcissimo profumo di pioggia. Amava la pioggia, lavava via tutto lo schifo di quella città, del loro mondo spesso troppo buio lasciando solo un piacevole profumo di nuovo.
Buttò nella valigia un'altra maglietta sorseggiando la birra, mettere ordinatamente i vestiti lì dentro? Troppo complicato, sua moglie avrebbe fatto un ottimo lavoro ma non aveva voglia di seguire quella solita routine.
Un fulmine spaccò a metà il cielo illuminando la camera, il rombo del tuono arrivò puntuale coprendo il suono della televisione e scatenando un leggerissimo sorriso sulle labbra ma quel suono diverso, quel continuo rumore ad intervalli regolari lo convinsero ad abbassare il volume.
Si avvicinò alla porta aprendola lentamente “Che ci fai qui?” domandò confuso ma lei non rispose, si limitò a sorridere oltrepassando la soglia senza dire una parola “Liv? Va tutto bene?” “Vuoi scappare senza salutarmi?” “Che diavolo hai fatto?” domandò confuso posando la bottiglia sul tavolino “Stai bene? Sei fradicia” aveva i capelli completamente inzuppati d'acqua e il vestito incollato addosso, si stringeva nelle spalle cercando di nascondere il tremito leggero che i brividi creavano dal nulla “Hai freddo” “No, no sto bene” “Ti ho già detto che sei una bugiarda?” sfilò dalla valigia aperta la sua felpa preferita avvolgendola dolcemente attorno alla ragazza “Pensavo fossi all'Horizon” “Ho appena finito” “E non potevi andare a casa? Lo sai che non mi piace vederti scorrazzare per la città da sola” “Johnny è di sotto” “Ora è tutto chiaro” sussurrò divertito scostandole dagli occhi una ciocca di capelli “Hai disobbedito alle regole del capo?” “No, lui sa esattamente dove sono, altrimenti non mi avrebbe mai permesso di uscire dal club” “Vuoi qualcosa di caldo?” scosse leggermente la testa sedendosi sul letto a pochi centimetri dalla valigia aperta “Liv?” domandò preoccupato inginocchiandosi di fronte a lei “Va tutto bene?” “Stavo solo … stavo pensando” “A qualcosa di brutto?” “Mi lasci sola, di nuovo” sospirò abbassando qualche secondo lo sguardo “Lo sai perché lo faccio, non è vero?” le sfiorò il volto costringendola ad alzare lo sguardo “Non è vero?” un debolissimo sorriso colorò quel volto di perla.
Era così bella, con il volto leggermente arrossato e i capelli che disegnavano dolcissime linee sul suo viso, sul collo, amava quell'espressione a metà tra l'insicurezza e la dolcezza.
Appariva di rado, a volte nemmeno se ne accorgeva, era troppo concentrata sul suo mondo, sul suo lavoro da rendersene conto ma per lui era diventato ormai così naturale decifrarne i sentimenti, da non aver più nemmeno bisogno di chiederle le cose “Perché?” “Liv è … è una cosa …” “No” sorrise dolcemente posando la mano sulla sua “Perché hai aspettato così tanto?” “Volevo essere sicuro che stessi bene, che non ti accadesse niente di male. Sei forte, lo sei sempre stata, passerà tutto vedrai. Starai bene di nuovo, so che sarà così. Non potevo partire, non senza prima averti salutato e …” “Hai aspettato troppo” “Cosa?” “Mi hai dato il tempo di accetarti nella mia nuova vita. Mi hai permesso di appoggiarmi alla tua presenza e ora te ne vai e io sono … sono confusa e sola e vorrei solo … vorrei urlare, vorrei arrabbiarmi e maledire il cielo per essere così dannatamente debole!” “Ehi” strinse le mani attorno alle sue spalle bloccando quel discorso insensato “Va tutto bene, hai tutto il diritto di sentirti così. È colpa mia, è colpa mia e ti chiedo scusa. Non volevo confonderti né farti del male, volevo solo ...” posò la fronte contro la sua cercando di ignorare quel respiro accelerato rotto da singhiozzi e lacrime “ … volevo vederti. Avevo bisogno di vederti. Mi sei mancata, mi sei mancata da morire e sarei un'ipocrita a negarlo. Sei importante per me e lo sarai sempre. Non potevo lasciarti da sola, non potevo ignorare quella telefonata” “Mi dispiace” “E per cosa?” sussurrò sfiorandole il collo con le dita “Per avermi costretto ad affrontare di nuovo il passato? Mi hai salvato tante di quelle volte da perderne il conto. Volevo solo restituirti un po' di quella forza che per tutti gli anni passati assieme mi hai regalato” la staccò dolcemente da sé perdendosi nel suo sguardo, nella corsa delle lacrime che solcavano la pelle e in quelle labbra così pericolosamente vicine da confondere i pensieri.
Sfiorò con le dita il suo viso cancellando per qualche secondo quelle piccole perle trasparenti ma la dolcezza di quella pelle era tremendamente invitante.
Continuava a toccarla, a sfiorarla seguendo il contorno delicato delle sue labbra, del mento scendendo fino al collo.
La sentì sospirare, chiuse gli occhi qualche secondo cercando di riprendere il controllo “Posso restare” sussurrò perdendosi nel suo respiro “Posso restare Liv, se è quello di cui hai bisogno posso restare” ma lei scosse dolcemente la testa allontanandosi di quelche centimetro da lui “Ma non è quello di cui hai bisogno tu” mormorò tra i singhiozzi “Hai una famiglia, una moglie e dei figli e io sono solo … io sono un passato incasinato e senza senso” “Stai scherzando?” domandò confuso ma lei non rispose, si alzò dal letto cercando di nascondere quel pianto disperato che non le permetteva nemmeno di respirare “Aspetta” la mano si chiuse attorno al suo polso costringendola a tremare “Liv ti prego, non andartene” “Non posso … non posso restare” la mano scivolò dolcemente tra le sue dita lasciando solo un gelo violento nell'anima “Grazie per essere stato importante” “Liv …” si voltò dolcemente verso di lui, un sorriso leggero in quel mare di lacrime e poi solo gelo, gelo violento che gli tolse di colpo il respiro.

 

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Capitolo 12
*** Sangue ***


                                           Sangue 




“Che ore sono?” Fin sospirò guardando l'orologio “Le sette e dieci” “Diventeremo matti qui dentro” sussurrò Munch passandogli una tazza di caffè “Bevi, devi essere abbastanza sveglio da rispondere al capitano” “Non arriverà prima di due ore, è andato via poco fa” “Chi resta in centrale tutta la notte per poi fare colazione con ciambelle secche?” socchiuse gli occhi cercando di capire se quella ragazza alle spalle del collega fosse reale o solo frutto della sua immaginazione “La vedi anche tu vero?” “Cosa?” posò la tazza sulla scrivania avvicinandosi alla giovane.
“Va tutto bene?” domandò sfiorandole la spalla, la sentì tremare, lo sguardo spaurito e i vestiti e la pelle inzuppati di sangue “Finn?” l'altro sollevò lo sguardo dai fogli stupito da quella scena alquanto irreale “Tu sei … dove siamo?” tremava, era sotto shock, aveva bisogno di rassicuazioni ma non era mai stato bravo a rassicurare le giovani ragazze terorrizzate “Sei alla centrale di polizia” “La polizia” mormorò ridendo “Era qui che dovevo venire, le avevo promesso che sarei venuta qui” Finn si avvicinò a loro cercando di capirci qualcosa “Vuoi sederti un minuto? Sei sconvolta” le sfiorò una spalla ma il tremito violento di quel giovane corpo lo costrinse a ritrarre la mano “Vuoi dirmi cosa ti è successo?” posò davanti alla giovane un bicchiere d'acqua mentre Munch era già attaccato al telefono “Lo sapevo che sarebbe stato pericoloso … è sempre preicoloso ma ha passato tutto il tempo a dirmi che non c'era pericolo e che sarei dovuta venire qui e parlare con un polizziotto e invece …” "Di chi parliamo?” scoppiò a piangere stringendosi nelle spalle “ … le avevo promesso che sarei corsa qui, che non l'avrei cercata ma credevo di fare la cosa giusta” “Cos'è successo?” la strinse per le spalle costringendola ad alzare lo sguardo “Devi dirmi cos'è successo altrimenti non posso …” “Sono andata a casa sua, passo sempre da lei al mattino e c'era … c'era la porta aperta e so che è sbagliato perché lei chiude sempre a chiave!” “Chiama il capitano!” “Già fatto, sta arrivando” “Come ti chiami tesoro?” “Sono … sono stata da lei e … Sofy, mi chiamo Sofy” gli occhi dell'uomo si colorarono di terrore, strinse più forte le mani attorno alle spalle della ragazza sospirando “Era in casa? L'hai vista?” ma lei era talmente sconvolta da non riuscire nemmeno a respirare “Era pieno di sangue e lei era così … sembrava addormentata e ho … ho chiamato l'ambulanza ma lei non rispondeva” momorò tra i singhiozzi “C'era sangue ovunque … lei era … mi ha detto di venire qui, di correre senza pensare a niente e ho ... l'ho fatto" "Sei stata brava" esclamò Finn stringendo la giovane tra le braccia  “Chiama Malloy, Tesy e tutti gli altri” un giovane dall'aria confusa annuì appena attaccandosi al telefono “Il Mercy General ci ha confermato tutto, è lì” esclamò Munch sfilando la pistola dal cassetto "Porca puttana" “Vado là, il capitano va direttamente in ospedale” "Sistemo la ragazza e ti raggiungo" "D'accordo" uno sguardo leggero tra i due, uno sguardo solo pieno di paura, di rabbia e impotenza, uno sguardo e niente di più.

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Capitolo 13
*** Solo Silenzio ***


                                 Solo Silenzio





“Dov'è!” “No, ehi, non puoi entrare” “Me ne frego Fin, voglio sapere che diavolo è successo!” ma le mani del collega lo bloccarono saldamente contro il muro impedendogli di oltrepassare la porta della terapia intensiva “Stavo tornando a casa, ero quasi arrivato e ricevo una chiamata da uno sbarbatello in divisa che mi chiede di tornare indietro perché la mia collega è in ospedale” l'altro sospirò passandosi una mano in viso “Idiota” “Voglio sapere che diavolo è successo!” “Elliot forse è meglio se …” “No! No chiaro? Voglio sapere quale diavolo di motivo ha per farmi tornare indietro perché sono certo che questo sia solo un gioco. Uno stupido gioco per costringermi a restare inchiodato a lei ancora e ancora!” “Sei qui” “Hai una spiegazione?” domandò irritato avvicinandosi a Huang “Agente Fin, può concederci qualche minuto?” “Raggiungo il mio collega sulla scena del crimine” un lieve cenno d'assenso e poi solo il silenzio, solo quello stupido silenzio e niente di più.
“Allora?” esclamò sfinito seguendo il dottore lungo il corridoio “Vuoi spiegarmi cos'è successo? Perché avevo trovato il coraggio di lasciarla andare. Le ho persino scritto su tua raccomandazione tra l'altro, e ora sono …” “Siediti” “Cosa?” “Siediti un minuto con me” “Andiamo George, così mi preoccupi” “Ho bisogno di dirti una cosa Elliot e so che sarà difficile” socchiuse gli occhi studiando il volto del collega.
Era stanco, pallido, con due leggerissime occhiaie che sembravano lì da giorni e non da qualche ora “Questa mattina è arrivata in centrale una ragazza. Una giovane donna spaventata e coperta di sangue” “Una vittima di violenza?” “Era sotto shock, non riusciva a capire dove fosse o con chi stesse parlando” “E io che c'entro?” domandò confuso “Il nome Sofy ti dice qualcosa?” il cuore si bloccò di colpo “Era … era una delle ragazze che lavorava al locale di Colman” “Esatto” “Dov'è Olivia?” Huang sospirò passandosi una mano in viso “Quando Sofy ha finito il turno è passata a casa di Olivia. Le aveva portato il caffè, lo faceva tutte le mattine. Si è accorta che la porta di casa era rimasta aperta. È entrata, l'ha chiamata un paio di volte e alla fine è …” si fermò qualche secondo cercando le parole giuste ma non c'erano parole giuste per farlo. Doveva semplicemente dire tutto nel modo più veloce possibile “ … è entrata in camera da letto e la prima cosa che ha fatto è stato chiamare un'ambulanza” “Per quale motivo?” “L'esatta dinamica dei fatti ci è ancora sconosciuta. Munch è nel suo appartamento assieme al vostro capitano” “Devo vederla” esclamò alzandosi di scatto ma le mani di Huang lo afferrarono di colpo “Non puoi” “Devo vederla!” “Non puoi entrare, nessuno può entrare lì dentro” “È viva?” domandò tremante “Ti ho chiesto se è viva!” urlava, sapeva di farlo ma non riusciva ad impedirlo.
Voleva oltrepassare quella porta, voleva prendere a pugni ogni muro lì dentro, arrabbiarsi con il mondo, piangere, aveva bisogno di vederla, di poterla toccare e di sentire di nuovo il suono delicato del suo respiro altrimenti sarebbe impazzito “È viva” sussurrò l'altro “Ma non sappiamo nient'altro” sentiva le lacrime bruciare violentemente, le sentiva spingere contro la razionalità ma non avrebbe pianto, non ora, non così vicino a quella porta.


“Elliot?” si voltò di scatto attratto dalla voce del capitano “Signore” scattò in piedi cercando di assomigliare il più possibile allo stesso uomo di tanti anni prima ma riusciva ad esserne solo una pallida imitazione perché ora, fuori da quella porta non aveva nemmeno voglia di respirare “Avete scoperto qualcosa?” l'altro annuì appena mentre i poliziotti alle sue spalle prendevano posto davanti all'entrata dei blocchi operatori “Abbiamo ricostruito l'esatta sequenza dei fatti, la scientifica sta catalogando il dna trovato in casa di Olivia e …” “Mi aveva fatto una promessa!” esclamò gelido avvicinandosi di un passo “Mi aveva promesso che sarebbe stata al sicuro! Che non le sarebbe accaduto niente e invece è chiusa qui dentro e non so come sta!” “Ora calmati” posò una mano sulla sua spalla ma l'altro sorrise allontanandosi di colpo da quel leggero conforto che non voleva “So che è difficile, so cosa ti lega a lei ma devi restare calmo” “E per cosa? Per rassicurare me stesso? Per aiutarmi a razionalizzare? Perché non funziona signore!” “Per lei!” esclamò Cragen piantando gli occhi nei suoi “Perché è terrorizzata, è sedata ma probabilmente terrorizzata! Non ha bisogno di rabbia né di urla chiaro?” “Lei sa cos'è successo non è vero?” “Si, e non ho intenzione di dirti quello che so perché ti conosco e non voglio dover assistere al processo che ti condannerà a morte!” Elliot sorrise passandosi una mano in viso “Non è giusto signore, né per lei né per me” “Lo so” “Non posso … ho bisogno di sapere, devo sapere cosa le hanno fatto, ho bisogno di vederla, di sentirla respirare perché altrimenti divento matto” “Non puoi restare qui” “La prego non mi allontani da qui, non mi porti via da lei” Cregen sospirò soffermandosi qualche secondo sul suo viso “Rientri al mio servizio da subito. Fai parte della mia squadra e sei autorizzato a svolgere ogni tipo di indagine. Voglio vedere quel figlio di puttana marcire in galera” quelle parole arrivarono come un macigno sul cuore.
Poteva rileggere in quell'esclamazione ogni secondo di quella maledetta notte, poteva perfino sentire la paura di Olivia attraverso la voce del suo capitano.
Quell'uomo forte e ligio al dovere che più volte aveva messo a repentaglio la carriera per coprirli ora sembrava un bambino indifeso.
Era arrabbiato, spaventato e pieno di sensi di colpa, lasciar cadere quelle parole nel vuoto gli dava un punto di partenza.
Erano uno sparo nel silenzio che d'improvviso lo liberava dai blocchi costringendolo a correre “Io le giuro che non la passeranno liscia, dovessi inseguirli fino in capo al mondo la pagheranno” “Lo so” mormorò l'altro abbozzando un leggerissimo sorriso “Signore, so che … ho capito perché lo fa ma ho bisogno di sapere cosa le è accaduto perché …” “Verrai a saperlo Elliot, verrai a saperlo nel peggiore dei modi e fino ad allora, vorrei evitarti ogni altro dolore. Olivia è ancora in sala operatoria, suo fratello è stato avvertito e sarà qui a momenti” annuì appena costringendosi a respirare mentre, quasi senza accorgersene, tornava a sedere sulla poltroncina, Cragen al suo fianco e gli occhi persi da qualche parte nel vuoto, lo stesso vuoto che da ore gli massacrava i pensieri.




 

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Capitolo 14
*** Quando lei aprirà gli Occhi ***


                         Quando lei aprirà gli Occhi






Era rimasto lì fuori per otto ore, otto lunghissime ore senza dormire, senza mangiare, senza fare nient'altro che pensare a lei.
Vedeva le persone andare e venire, bambini, anziani, persone comuni, persone ignare dei mali del mondo.
Fece un bel respiro abbandonandosi contro lo schienale della sedia “Pensavo fossi andato via” annuì leggermente senza muovere un muscolo.
Conosceva quella voce, perché avrebbe dovuto sollevare lo sguardo dal pavimento? L'aria si mosse leggermente mentre l'uomo si sedeva affianco a lui “Hai dormito un po'?” scosse leggermente la testa “Già, io ho dimenticato come si dorme” sentiva la commozione nella sua voce, nel tremito di quelle parole che non riuscivano a nascondere la paura “Come sta?” Simon sorrise passandosi una mano tra i capelli “Hanno massacrato la mia sorellina” la voce tremò leggermente costringendolo a sollevare lo sguardo “L'hanno picchiata così forte da romperle le costole, il braccio sinistro, è piena di lividi e tagli ed è così … è così bella anche piena di tubi e …” si fermò qualche secondo asciugando le lacrime che scorrevano indisturbate sul suo viso.
Non riusciva a respirare, non voleva farlo. Sentiva solo un vuoto enorme dentro al petto mentre le parole dell'uomo si insinuavano in lui come lame affilate “Hanno massacrato la mia sorellina fino a ridurla in fin di vita” “Simon io …” sentì la voce tremare, tossicchiò leggermente inspirando a fondo “ … io ti giuro che li prenderò uno per uno” ma il ragazzo sorrise, un sorriso forzato tra le lacrime che faceva più male che altro “Vuoi … vuoi vederla?” non sapeva cosa fare.
Lasciare quella sedia voleva dire addentrarsi in un incubo, un sogno orrendo che ora sembrava talmente vivo da paralizzarlo.
Era terrorizzato, massacrato da quell'indecisione violenta ma alla fine, un leggerissimo si uscì dalle sue labbra costringendo l'altro ad annuire.
Ogni passo sembrava pesante quanto un macigno, un metro, un altro ancora fino a quella porta di vetro che segnava il limite della normalità.
Si portò una mano alle labbra nascondendo la voglia folle di scoppiare a piangere. Lei era lì, davanti a lui, il volto pieno di tagli e le labbra livide dolcemente schiuse per accogliere quel tubo che in qualche modo, la costringeva a respirare.
“È addormentata, i dottori hanno fatto tutto il possibile per aiutarla ma hanno scelto il coma farmacologico” mormorò Simon avvicinandosi a lui “Cosa dicono i medici?” il silenzio improvviso lo costrinse a cercare lo sguardo del giovane “Simon?” “Fino a quando non sarà in grado di respirare da sola resterà addormentata” “Mi scusi?” “Dottore” mormorò tremante “Non volevo interrompervi ma ho degli aggiornamenti su sua sorella e ho ritenuto opportuno informala” l'altro annuì appena stringendosi nelle spalle “Le emoraggie interne sono tutte sotto controllo, quello che ci preoccupa è il trauma cranico. Il colpo ricevuto alla testa è stato così rompere il cranio. Un pezzo d'osso si è piantato nel lobo temporale. Date le delicate condizioni della ragazza abbiamo operato il più velocemente possibile eliminando il riversamento di sangue ” “Si sveglierà?” domandò sfinito Elliot ma il medico scosse leggermente la testa “Non ora, non in queste condizioni. Il cuore ha subito uno sforzo non indifferente. L'abbiamo sottoposta ad una prima serie di esami, i valori dei fluidi sono tutti sballati, la pressione pericolosamente bassa. Possiamo controllare pressione, liquidi e infezioni ma dobbiamo essere cauti. I traumi all'addome e al torace sono sotto controllo e lo stesso per le fratture e le ferite” Simon si allontanò da loro cercando di allontanare da sé stesso quelle parole ma il volto del medico lo conosceva bene.
Avevano lavorato assieme molte volte, molte volte era stato la prima persona a parlare con loro dopo aver passato ore a salvare i bambini e le donne vittime di stupri o sevizie “Mi dispiace davvero credimi” “Già” “Questa era l'utlima cosa che mi sarei mai aspettato. Conosco bene Olivia e conosco te. Se può rassicurati beh, sarò io a prendermi cura di lei, dalle operazioni alla somministrazione dei farmaci” “Operazioni?” domandò distratto ma la mano dell'uomo posata sulla sua spalla lo costrinse a voltarsi distogliendo lo sguardo da quel volto pallido e addormentato “Scusa … scusa è solo … ho bisogno di un po' di tempo “Puoi entrare” “Cosa?” “Puoi entrare, non sarò di certo io ad impedirtelo. Suo fratello ti ha autorizzato ad entrare nella sua stanza” cercò qualche secondo Simon, se ne stava appoggiato al muro a fissare il vuoto mentre torturava con le mani un pezzetto di carta “Nessuno entra o esce senza autorizzazione. So che siete molto legati e non … non voglio allontanarla da te” gli diede una pacca sulla spalla sorridendo appena “Ora vai a riposare un po'. Hai bisogno di dormire” “Dormirò quando lei aprirà gli occhi Gordon, allora riposerò”.

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Capitolo 15
*** Una Promessa ***


                                  Una Promessa





Freddo, c'era solo freddo e niente di più. Stringeva la sua mano con il terrore di farle male, come se fosse una bambola di cristallo.
Fragile, delicata, un ninnolo prezioso pronto a rompersi in mille pezzi cadendo sul pavimento.
Il suo angelo testardo che ora sembrava così indifeso, così tenero e delicato. Sorrise appena stringendo più forte la mano attorno alla sua, gli occhi vagavano sul braccio pieno di lividi, su quelle ferite attorno ai polsi, sul suo volto così maledettamente rigato dal dolore “Ti chiedo scusa Liv” sussurrò “Ti ho lasciato sola mentre avevi bisogno di me” si inclinò leggermente in avanti sfiorandole la fronte con le labbra. Sentiva le lacrime scorrere sul volto senza più alcun freno ma che altro poteva fare? Non le avrebbe fermate, non ne aveva la forza “Li prenderò uno per uno, non importa quanto ci vorrà, non importa se per farlo devo andare fino in capo al mondo. Li prenderò, te lo giuro Liv, chi ti ha fatto questo la pagherà” aspettava una risposta, quel dolcissimo sorriso che tante volte aveva riservato a lui, qualunque cosa, anche un semplice tremito per restituirgli calma, tranquillità e invece, da quel volto massacrato dai lividi non arrivava nessuna risposta.
La porta si aprì lentamente lasciando intravedere la figura del capitano “Elliot, puoi seguirmi?” annuì appena coprendola meglio con il lenzuolo, le lacrime sparirono di colpo lasciando un paio di occhi lucidi a tradire i sentimenti “Allora?” domandò confuso lasciando la stanza “Che novità ci sono?” “Collister è stato appena portato in centrale. Munch ha trovato discrepanze nei suoi movimenti bancari, ci sono dieci milioni di dollari sbucati fuori dal nulla. Sono stati spostati questa mattina alle otto su un conto diverso” “A che ora è stata aggredita Olivia?” “Alle sette e un quarto. Sofy l'ha trovata dieci minuti dopo” “E se l'avessero scoperta?” l'altro annuì pensieroso “Questa è l'unico sospetto. Non c'erano motivi per assalirla in quel modo, non dopo tutto quello che ha fatto per ottenere la fiducia di Colman. Non l'avrebbe mai ridotta così, era la sua favorita ma qualcosa dev'essere andato storto. Fin ci sta lavorando” “Dobbiamo ricostruire ogni movimento di Olivia, ogni ora degli ultimi dodici giorni almeno” “Malloy è chiuso in centrale da ieri. Sta lavorando sulle registrazioni audio e sui video che abbiamo archiviato. Non sarà difficile ricostruire gli spostamenti perchè è sempre stata monitorata. Ogni suo passo è registrato” “C'è qualcosa che mi sfugge” si voltò qualche secondo sorridendo a quella ragazza addormentata “Che diavolo è successo? La sua copertura è sempre stata solida. Non ci siamo mai incontrati in centrale, ero entrato nella sua indagine come fidanzato e Colman ha preso bene la cosa, tanto da regalarci una cena per due al Castle Diomonds, una cena da duemila dollari. Niente conti in banca, niente cellulari non autorizzati, ha creato il suo profilo con Huang. Una ragazza di origine povera, arrestata con l'accusa di spaccio e con l'obbligo di presentarsi in centrale ogni cinque giorni. Tre anni di carcere, vari contratti di lavoro con locali e poi il salto assieme al boss del lusso Henry. Come diavolo è possibile?” “Non lo so ma è per questo che nessuno di noi va a casa, non fino a quando non ci sarà una spiegazione logica per quello che le è accaduto. Ora andiamo, ho bisogno di una confessione” annuì appena prendendo la giacca dalla sedia, ora aveva un unico pensiero in testa, un solo obbiettivo che sarebbe stato la sua unica ragione di vita.

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Capitolo 16
*** Questo non è un Gioco ***


                                     Questo non è un Gioco





“Che onore, un detective di un altro distretto qui per me. Dove ti ho già visto?” “Risparmiami le tue puttanate. Sai perché sei qui” ma l'altro scoppiò a ridere accomodandosi meglio sulla sedia “Dovrei?” “Ci sono dieci milioni di ragioni per esserne a conoscenza” “Mi state spiando?” “Sto solo svolgendo idagini su di te e su quel verme che ti paga” un sorrisetto ironico prese vita sulle labbra di Collister “Saprete allora che non dirò niente senza i miei avvocati vero? Che questa farsa montata a puntino non poterà a nulla. Il tuo collega mi ha tenuto qui dentro per due ore e cos'ha concluso? Tu farai lo stesso?” “Ascoltami bene …” tirò la sedia fino a lui chiudendo di colpo il fascicolo, era così vicino da poter sentire il suo respiro sul volto “ … a me non importa del tuo nome, di tutti gli avvocati che puoi permetterti o di altre stronzate del genere. La mia partner è ricoverata nel reparto di terapia intensiva! È stata massacrata di botte fino a ridurla in fin di vita e giuro su quanto ho di più caro al mondo, che fino a quando non vedrò il tuo culo al fresco ti resterò con il fiato sul collo” “Dovrei avere paura? Di cosa sono accusato?” ribatté ironico “Avete formalizzato l'arresto? Perché fino a quando non vedo un paio di manette e non sento i miei diritti pronunciati ad alta voce, posso permettermi di restare qui ad aspettare”.
La reazione fu immediata, scattò in avanti afferrandolo per la maglia “Hai voglia di scherzare?” urlò sbattendolo contro il muro “Se lei muore in quell'ospedale giuro che ti ammazzo!” “Non puoi accusarmi di niente detective! Non vali niente e non ricaverai niente da questa storia” “Guarda che non scherzo! Se lei muore io ti uccido” sentì la mano del proprio capitano sulla spalla, lasciò la presa tornando a respirare di colpo.


“Niente risultati sui conti all'estero” “I suoi otto angeli custodi hanno una sfilza di precedenti penali da far impallidire Hannibal” Munch scoppiò a ridere nascondendo per qualche secondo il volto evitando di sputacchiare caffè ovunque “Michael Francis Colman” sussurrò Elliot sollevando la foto dell'uomo “Come diavolo è possibile che non esista niente su di lui?” “Non stiamo parlando del ladruncolo di strada che ti ruba le caramelle. Qui parliamo di un mago della truffa con insane passioni per belle donne che puntualmente, diventano il suo gioco perverso” controllò qualche secondo il cellulare continuando ad ascoltare Fin “Le tortura, le costringe a giochi orribili e la maggior parte delle volte finiamo con il ritrovarle morte. Sappiamo che è lui il mandante, l'assassino, ma ogni volta che proviamo ad incastrarlo, riesce a scivolarci via dalle mani con una semplicità impressionante” “Fin ha ragione, ha un esercito di avvocati senza scrupoli in grado di tenerlo al sicuro” “Avrà pure un punto debole!” “Olivia” “Cosa?” domandò confuso ma l'altro scosse leggermente la testa “Era Olivia il suo punto debole. Ha passato tutti questi mesi sotto copertura infiltrandosi così perfettamente da farlo innamorare. Colman è innamorato di Olivia” “Ma va?” ribatté gelido tornando a fissare la fotografia. Munch sospirò avvicinandosi alla lavagna, c'era la foto di Colman seguita da linee colorate e scritte che fino ad ora non aveva nemmeno sfiorato con lo sguardo “Nelle utlime dodici settimane le ha fatto regali da milioni di dollari. Collane, anelli, vestiti di seta. L'ha portata a cena nei locali più esclusivi e la presentava a tutti come: La mia dolcissima Candy” “Quando ha iniziato a seguire questo caso eravamo preoccupati. A Colman sono sempre piaciute giovani, innocenti. Quando Olivia è entrata nel suo locale ne è rimasto folgorato” posò sulla scrivania di Elliot un paio di fotografie, sorrise seguendo con le dita i contorni di quel viso sorridente “La portava ovunque, la costringeva a lunghissime notti di lavoro ma non l'ha mai divisa con nessuno. Cosa che faceva abitualmente con le altre. Credo sia perché Olivia ha un cervello che funziona alla grande ed unito ad un bel corpo, beh, è perfetta” “L'ha mai toccata?” Munch strabuzzò gli occhi cercando aiuto nello sguardo dell'amico “Voglio dire, l'hai mai portata a …” “Vuoi sapere se hanno consumato?” domandò titubante Fin “Esatto” “Non lo sappiamo, non sappiamo come funzionasse tra loro, il motivo per cui Colman le concedeva tutto quello che voleva è chiaro. Ma sappiamo che non l'ha mai divisa con nessun altro. Altra cosa strana considerando il fatto che si porta a letto tutte le ragazze e poi le regala per notti da sogno ai suoi colleghi. Una sorta di giro gratis con il padrone ma con Olivia è diverso. Pensiamo volesse tenerla come un gioiellino” “Ecco perché tra qualche giorno sarebbe uscita da quel buco. Non potevamo rischiare. Aspettare troppo vuol dire rafforzare nella mente di Colman il desiderio di possederla” “Non potevate rischiare? È in ospedale!” esclamò gelido picchiando un pugno sul tavolo “Non possono svegliarla, è talmente debole da non riuscire a respirare!” i colleghi sospirarono annuendo leggermente “Giuro che lo tirerò fuori da quella gabbia dorata nella quale si è rinchiuso e lo trascinerò fino a qui. Lo giuro!” “Ehi, credimi, so cosa provi” “Davvero? Per caso Munch è in coma con lividi e lacerazioni che non …” si fermò qualche secondo cercando di riprendere fiato, sentì la mano del collega sulla spalla, le sue parole calde e rassicuranti che non sembravano sortire alcun effetto “Troveremo un modo per fargliela pagare, siamo tutti qui a lavorarci. Le vogliamo bene” ma lui non rispose, si limitò ad annuire lasciando quell'ufficio dove non riusciva più nemmeno a respirare.


 

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Capitolo 17
*** Accanto a Te ***


                                 Accanto a Te




Era strana la vita, persone perfide e senza scrupoli scorrazzavano per il mondo mentre anime innocenti che avevano tutto il diritto di avere una vita, venivano uccise, violentate e distrutte.
Conosceva bene quell'ingiustizia, l'aveva vista ogni giorno per dodici lunghissimi anni, non era pronto a niente del genere, non di nuovo eppure, passava le ore a correre tra la centrale e l'ospedale.
Correva come un pazzo ogni volta che il cellulare non suonava, ogni volta che non sentiva la voce del medico o di Simon per più di venti minuti.
Doveva essere lì, doveva essere con lei, a pochi passi o a miglia di distanza lui doveva essere lì perché se si fosse svegliata, se avesse aperto gli occhi senza di lui non se lo sarebbe mai perdonato.
“Allora?” “Cosa ci fa ancora qui?” domandò confuso il medico “Avevo detto ogni ora. Come mai non ho messaggi sul mio telefono?” “Perché avevo cose da fare” “Tipo?” “Salvare vite” ribatté ironico chiudendo la cartella clinica “Voglio solo … devo essere sicuro che stia bene, che continui a respirare” “Vieni con me” annuì appena seguendolo lungo il corridoio gremito di gente.
Odiava gli ospedali, non gli erano mai piaciuti ma ora, quello sembrava il posto più bello del mondo “Abbiamo eseguito una seconda betteria di esami questa notte. Ero preoccupato per il trauma cranico e per il continuo calo di pressione” “Sta meglio?” ma l'espressione sul volto del dottore era già di per sé una risposta “Non c'è alcun miglioramento. L'abbiamo operata” “Perché io non ne so niente?” sbottò irritato ma l'altro sorrise evitando di raccogliere quella chiarissima sfida “Il cuore ha accelerato di colpo, a volte capita, è normale con traumi del genere” “Normale?” “Era troppo debole per affrontarla ma abbiamo rischiato altrimenti sarebbe morta in terapia intensiva. L'abbiamo sottoposta ad uno sforzo enorme dal quale fatica a riprendersi e abbiamo bisogno di svegliarla per controllare le funzioni neurologiche perché durante l'operazione il suo cuore non ha retto e si è fermato due volte prima di darci il permesso di continuare” “E tu vuoi svegliarla? Sei impazzito per caso?” “La sveglieremo solo per qualche minuto, sarà collegata ad una macchina speciale in grado di darci risultati in tempo reale e poi la riporteremo allo stato di coma farmacologico per evitarle altro stress” “Altro stress?” ripeté confuso “Due giorni fa l'hanno ritrovata in un mare di sangue. Ha lividi e ferite multiple, le hanno piantato un coltello sulla coscia destra disegnando sul suo ventre un fiore con il sangue! Hanno fatto gli esami con il kit antistupro e non … non voglio sapere i risultati perché non saprei come dirglielo! Credi davvero che le serva altro stress?” “Mi dispiace, credimi, mi dispiace davvero” quel cambio improvviso nella sua voce, nelle sue parole, bastò a frenare quel mare di pensieri “So che siete molto legati e che lei è importante per te” “Non immagini nemmeno quanto dottore e non voglio costringerla a soffrire” “Sta già soffrendo! È sedata, piena di morfina ma sono abbastanza sicuro che sia terrorizzata a morte! È stata drogata, picchiata e …” “Non voglio saperlo!” urlò picchiando con forza il pugno contro il muro, il vetro si incrinò lasciando una lucida scia di sangue sulle crepe sottili “Sai perché sto parlando con te? Perché ti dico tutte queste cose? Suo fratello le vuole bene, molto bene e tu sei uno delle poche persone che ha autorizzato a visitare quella stanza” inspirò a fondo passandosi la mano in viso “Ho bisogno che tu sia lì, accanto a lei perché sarà spaventata e proverà ad alzarsi da quel letto. Mi serve che tu sia lì per impedirglielo” “Non … non posso farlo, non posso restare lì mentre piange o mi chiede aiuto o …” "Non devi fare niente di diverso dal restarle accanto” “Dov'è Simon?” domandò confuso guardandosi attorno “Con Olivia” “D'accordo” si strinse leggermente nelle spalle cercando di calmare i battiti del cuore “D'accordo andiamo” “Prima devi sistemare quella mano perché non voglio che la prima cosa che veda sia il sangue”.



Non riusciva a respirare, si sentiva male, fuori posto. Era come se tutta l'aria fosse stata risucchiava via da quella stanza lasciando solo freddo e niente di più.
“La sveglieremo per poco. Abbiamo bisogno di una risposta neurologica, sarà sveglia per un minuto. So che un minuto non è niente ma per lei sembrerà una vita intera.” Simon annuì passandosi una mano in viso “Cosa possiamo fare?” “ Le devi parlare, costringila a pensare a qualcosa di diverso dal dolore che prova” “Mi prendi in giro dottore?” ma l'altro sorrise avvicinandosi al letto “Siete pronti?” l'ago entrò lentamente nel tubicino della flebo, pochi secondi, pochi lunghissimi secondi poi quel battito di ciglia “Olivia?” sussurrò Simon stringendole una mano “Andiamo sorellina, apri gli occhi” “Continuate a parlare” mormorò il medico controllando i monitor “Olivia?” il battito schizzò d'improvviso facendo impazzire i macchinari “Parlatele, continuate a parlare” esclamò il medico mentre attorno a loro un mare di infermiere si muoveva all'unisono “Liv?” ma trattenne il fiato quando quegli occhi terrorizzati si piantarono nei suoi.
Piangeva, perfino così poteva vedere le lacrime e la paura che custodiva e quello sguardo non sarebbe mai uscito dalla mente “Ciao” sussurrò avvicinandosi leggermente a lei “Non puoi parlare ora” Simon annuì continuando a stringerle la mano “Lo so che sei terrorizzata ma sono qui con te, sono qui e tuo fratello è qui. Andrà tutto bene vedrai” le sfiorò la fronte con la mano cercando di sorridere ma quell'urlo soffocato massacrava il cuore “Per quanto ancora deve soffrire così!” urlò voltandosi verso il dottore “Manca poco ormai” chiuse gli occhi cercando di calmare i battiti violenti del cuore.
Non sapeva cosa fare, cosa dirle o come calmarla perché riusciva a malapena a calmare sé stesso “Passa subito, passerà subito vedrai e ti prometto che chi ti ha fatto questo la pagherà. Te lo giuro Liv, te lo prometto” sollevò lo sguardo seguendo la lancetta dell'orologio a muro.
Si muoveva lentamente, sembrava un film, un maledetto film dell'orrore dove i minuti sembravano lunghi secoli “Mi hai sentito?” sussurò tornando a concentrarsi sui suoi occhi “Gliela farò pagare, non importa quanto ci vuole, passerò mesi, anni interi se questo serve a qualcosa ma non ti lascio da sola” “Perfetto, datele la morfina, riportate i parametri ai livelli iniziali e sedatela, ora!” “Subito dottore” “Chiamate di sopra, ci serve una sala attrezzata e il dottor Killon” l'infermiera corse fuori dalla stanza mentre le mani di Simon scivolavano via dalla sorella.
La vedeva tremare, il collo reclinato all'indietro mentre le lacrime non smettevano di scorrerle sulle guance “Sala operatoria?” mormorò confuso “Che vuol dire? Dottore che diavolo vuol dire!” “Tua sorella ha un infarto in atto. Dobbiamo stabilizzarla e inoltre … ” posò l'ecografo sul ventre di Olivia piantando gli occhi sullo schermo del computer “ … c'è un versamento nel quadrante superiore, i punti sono saltati. Ha un'emoraggia interna” le mani degli infermieri si muovevano agili attorno al letto impedendo ad Elliot qualsiasi movimento “Veloci!” urlò il dottore “Sedativi in circolo” gli occhi della ragazza si chiusero lentamente lasciando solo una scia di lacrime a rigarle il volto “Il dottor Killon si sta lavando signore” “Andiamo!” tirarono il letto costringendo Elliot a scattare in avanti “Dove state …” “No” mormorò il medico trattenendolo, Simon seguì la sorella lasciando la stanza senza prestare molta attenzinoe a quel battibecco inutile e senza senso.
“Dobbiamo riaprirla d'urgenza. I punti sono saltati, a volte succede Elliot e quei tremiti hanno costretto gli organi interni a lavoro extra” “Avevi detto che sarebbe andato bene, che sarebbero bastati pochi secondi per …” si passò una mano in viso cercando di riordinare le idee mentre il cellulare squillava senza sosta “ … ho bisogno di sapere che sarà in quella stanza ad aspettarmi. Perché ho del lavoro da fare, devo trovare quei figli di puttana che l'hanno ridotta così e ho bisogno che lei sia qui, che continui a respirare” “Mi prenderò cura di lei detective” “Me lo giuri?” l'altro sorrise appena annuendo “Devi dirlo, devo sentirlo dalle tue labbra perché non …” “Ti prometto che mi prenderò cura di lei, che farò tutto il possibile per aiutarla” “Non è tranquillizzante” “Questa è l'unica promessa che posso farti” fece un bel respiro liberando di colpo la mente “Vai, ha del lavoro da fare” “Ci puoi scommettere” strinse più forte i pugni e senza più pensare a niente corse via, lontano da lei, lontano da quegli occhi che facevano un male terrificante. 

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Capitolo 18
*** Lei è quel Pensiero ***


                    Lei è quel Pensiero 





Non avevano niente, niente di niente. Olvia era sempre più debole, le ferite e i tagli sul suo corpo si rimarginavano lentamente richiedendo sempre più energia, energia che non aveva e che non poteva sprecare.
Chiuse gli occhi cercando di stirare ogni muscolo della schiena, era chiuso lì dentro da ore ormai e non riusciva a trovare un solo fottuto modo per inchiodarlo sebbene avesse tutti gli elementi per farlo perché in quella fottuta città, come in tutto il mondo, se hai i soldi hai il potere.
“Ti ho portato del caffè” “Dovresti riposare” “Da che pulpito” prese il bicchiere fumante dalle mani di Malloy sospirando “Che ci fai ancora qui?” “La mia partener è stata massacrata di botte. Non me ne vado da qui fino a quando non inchiodo quel figlio di puttana” “La cosa folle è che non riusciamo a trovare un modo per sbatterlo dentro! Come diavolo è possibile? Voglio dire, me lo sono sognato? Olivia è solo un incubo?” l'altro sorrise appena versando un po' di latte nella tazza “Non capisco, c'è qualcosa che mi sfugge. Come diavolo ha fatto a capirlo? Non c'erano crepe nella sua copertura, niente spie, niente talpe, non è così?” ma Malloy non rispose “Non è così?” “Scusa, stavo pensando” “A cosa?” “Beh, pensavo che forse abbiamo saltato qualcosa, qualche passaggio. I casi di Olivia sono tutti chiusi, i pervertiti che ha spedito in prigione ci sono ancora, nessuno di loro è fuori …” fece un bel respiro massaggiandosi le tempie “ … non lo so, forse ho scordato qualcosa” “Non posso crederci” mormorò ridendo “Non posso crederci! Come diavolo è possibile?” “Elliot …” “Non mi è mai capitato niene del genere, dico davvero sai insomma, ho lavorato con lei dodici anni e quando le accadeva qualcosa, quando me la portavano via riuscivo sempre a ritrovarla o a tirarla fuori dai casini in poche ore al massimo e ora, ora sembra tutto un'incubo!” “Sei molto legato a lei” “Chris, senti io …” “Non volevo essere irrispettoso. È solo … sono il suo collega da tre anni e mezzo e mi sento in qualche modo legato a lei, non dal punto di vista sentimentale si intende, ok, forse anche da quello ma non nel senso …” “Non capisco più niente” mormorò Elliot “Olivia è importante per me, è come un pezzo della mia famiglia e voglio solo cercare di capire cosa c'è tra voi perché vedi, ogni volta che torni nei nostri discorsi lei va in confusione e tocca a me rimettere insieme i pezzi” “Mi dispiace” sussurrò giocherellando con il cucchiaino “Mi dispiace davvero, il fatto è che quello che provo per lei, quello che sento è lì da anni. Non so bene come sia possibile o cosa c'è che non va ma è così” “Sai cosa provi, l'hai sempre saputo” “Già” sussurrò sfinito “Sono sposato, ho una moglie e cinque figli e amo i miei bambini. Non voglio che soffrano perché loro padre è così debole” “Il fatto di essere sposato non conta niente. L'amore va e viene, a volte nemmeno te ne accorgi ma cambia qualcosa, a volte è un cambiamento leggero, il più delle volte passa ma altre …” si fermò qualche secondo sorridendo “ … altre resta lì, per anni e per quanto provi a combatterci quel sentimento diventa più forte. Olivia è quel sentimento e si nasconde da qualche parte dentro di te” “Uao, mi aveva detto che eri bravo, molto bravo” ridacchiò divertito dall'espressione sul volto del collega “Aspetta …” si fermò qualche secondo fissando i fogli davanti a sé “ … hai detto che i suoi casi sono tutti chiusi e i bastardi in prigione” “Esatto” “E che ne dici di quelli in attesa di giudizio?” “In attesa … porca puttana!” prese il cellulare alzandosi di scatto “Capitano, forse abbiamo una pista, esatto ma abbiamo bisogno di aiuto” “Chiedi il permesso di interferire con l'indagine dei federali” “Aspetta” quella era la prima vera traccia che erano riusciti a trovare.
Non era molto ma era sempre qualcosa, prese chiavi e distintivo agganciando la pistola nella fondina “No signore, ne abbiamo bisogno ora” “Andiamo?” Malloy annuì appena seguendolo.

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Capitolo 19
*** Fallo per Lui ***


                                  Fallo per Lui




“Dovrei smettere di bere caffè” mormorò sorseggiando la bevanda bollente “Sono già abbastanza nervoso così, come posso rilassarmi se continuo a berne così tanto?” fece un bel respiro posando il bicchiere sul tavolino lì accanto “Non porta a niente” sussurrò sfinito “Ogni passo in avanti verso Colman è un passo indietro da te” sfiorò la mano della ragazza sospirando.
Aveva promesso al suo capitano che avrebbe riposato, che si sarebbe allontanato almeno per qualche ora da tutto il caos che avevano attorno eppure era ancora lì. Era in quella stanza, con la stessa ragazza che per tutto quel tempo era rimasta saldamente ancorata ad ogni suo pensiero.
“Non ci capisco più niente Liv” mormorò sfinito “Colman è protetto da qualcuno di molto potente o da qualche bastardo figlio di puttana che fa il doppio gioco. Abbiamo rintracciato gli utlimi movimenti bancari di Collister, stiamo seguendo Hopkins notte e giorno e Gale ...” un debolissimo sorriso gli sfiorò le labbra “ … Gale sta per essere portato in centrale dove probabilmente lo prenderò a cazzotti” si fermò qualche secondo cercando di respirare “Scusa, scusami, non dovrei nemmeno parlarne” il silenzio invase i pensieri mentre quel volto d'angelo massacrato dai lividi restava immobile.
I macchinari la costringevano a respirare e poco importava cosa accadesse fuori da quella stanza, fino a quando quel suono costante avesse riempito il silenzio tutto sarebbe andato bene.
Le sfiorò il volto sedendosi sul letto accanto a lei, i tagli si rimarginavano lentamente e i lividi regalavano dolorse sfumature che non poteva cancellare, era debole, così debole da non riuscire a respirare da sola, così debole da scivolare velocemente via da lui ma non gliel'avrebbe permesso, non di nuovo.
“Liv” si avvicinò a lei sospirando “Ehi, lo so che mi senti, so che sei qui con me” le dita si intrecciarono alle sue mentre con le labbra sfiorava la pelle delicata del collo dove i segni di quelle maledette mani ne massacravano la dolcezza “Non ti permetto di volare via da me, non puoi farlo chiaro? Ho bisogno che resti qui con me, che continui a respirare. Ho bisogno di sentire il tuo cuore che batte perché altrimenti impazzisco e in questo momento ...” sollevò lo sguardo seguendo la linea costante del monitor “ … ho bisogno di tutta la razionalità che riesco a trovare. Non farmi arrabbiare detective e non voglio brutti scherzi, devi continuare a lottare chiaro?” “Elliot?” si voltò di colpo spaventato da quella voce apparsa dal nulla “Scusa, non volevo spaventarti” “Va tutto bene?” domandò preoccupato alzandosi “I ragazzi stanno bene?” “Non preoccuparti, non c'è niente che non va” “Scusa” “Per cosa?” domandò avvicinandosi di qualche passo “Non hai fatto niente di male, perché chiedi scusa?” “Avrei dovuto telefonare” “Avresti dovuto farlo molte volte in passato e non l'hai fatto. Mi sono arrabbiata con te, così tanto da non ricordare nemmeno più le notti insonne passate ad insultarti. Sapevo con chi le passavi, sapevo che era lavoro ma in quel lavoro nasceva qualcosa di più” Elliot sorrise tornando a concentrarsi sul monitor “Lei come sta?” “L'ultimo intervento è stato … il cuore si è fermato” sentì la mano della donna stringersi con forza attorno al suo polso “Il suo cuore ha smesso di battere” “Ma continua a respirare, è sempre stata molto forte Elliot” “Si sta lasciando andare” “Non accadrà” “La sento Kathy, sta scivolando via da noi e non posso fare niente per tenerla qui” “Puoi parlarle” “Tu non ...” “Ehi” lo sguardo tornò sul volto di sua moglie e un debole sorriso le sfiorò le labbra “Credi che non sappia cosa stai provando? Ormai sono anni che questa cosa ti sconvolge, che ci sconvolge Elliot” “Non dovrei nemmeno parlarne, non così, non ora che stiamo bene” “Staremo sempre bene, i ragazzi ti vogliono bene e non te ne vorranno di meno solo perché hai scelto con il cuore” si lasciò stringere tra le braccia senza opporre alcuna resistenza.
Il respiro lento e regolare di Kathy lo cullava dolcemente allontanandolo dall'incubo orrendo dove da giorni ormai viveva.
Strinse le braccia attorno a lei posando la fronte sulla sua spalla, gli occhi chiusi, il cuore che lentamente riprendeva la sua corsa regolare “Dovresti dormire un po'” “Non posso” “Non puoi nemmeno continuare così Elliot” gli sfiorò la schiena con le mani sorridendo “Hai bisogno di riposare” ma lui sospirò sciogliendosi leggermente da quell'abbraccio caldo “Devo tornare in centrale, ho del lavoro da fare” si avvicinò al letto sfiorando la fronte della ragazza con le labbra “Ricordi cosa ti ho detto? Continua a respirare Liv, io torno subito” “Vai” sussurrò Kathy “Resto io assieme a lei” ma lo sguardo sul volto dell'uomo la fece sorridere “Giuro di chiamarti qualsiasi cosa accada, ora fuori di qui” prese la giacca e la pistola cercando di cacciare il più lontano possibile il desiderio folle di restare lì dentro “Grazie” annuì leggermente sedendosi accanto al letto, il rumore leggero della porta e di nuovo silenzio “Siamo rimaste sole” mormorò studiando per qualche secondo il volto della ragazza “Siamo sempre state sole non è vero? Mi dispiace, credimi, mi dispiace davvero” posò la mano sulla sua sospirando “Ti ho odiata così tanto, per le scelte che faceva Elliot, per la gioia che gli colorava lo sguardo ogni volta che parlava con te. Ora invece, in qualche modo ti sono grata per quella gioia perché l'hai reso un uomo migliore, gli hai regalato quello che ormai tra di noi non c'è più” le sorrise perdendosi nello schermo scuro del monitor con lo sguardo “Siamo stati sposati così tanto, lo conosco bene, meglio di quanto lui immagini e credimi, l'amicizia che prova per te non c'è più” strinse più forte la mano della ragazza “Non c'è più perché ha cambiato nome Olivia, capisci quindi che non puoi andartene, non puoi fargli del male perché non ne uscirà mai più. Se ora scegli di allontanarti dal mondo non se lo perdonerà mai” si avvicinò leggermente a lei, lo sguardo addolcito da qualcosa che forse, era chiuso dentro di lei da anni o forse, si nascondeva sotto il nome di empatia e amicizia “Devi restare qui Olivia, devi restare qui e aprire gli occhi per sorridergli di nuovo”.

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Capitolo 20
*** Parole di Ghiaccio ***


                              Parole di Ghiaccio





“Dottore ti prego dimmi che sta bene” “Sei uscito di qui due sei ore fa, lo sai bene come ...” “Si? Beh non importa. Ti ho detto che sarei diventato il tuo incubo peggiore?” “È debole, la pressione è bassa ...” sospirò passadosi una mano in volto
“ … l'intervento l'ha indebolita e il cuore ne ha sofferto ma questo lo sai già” “E cosa non so?” “ C'è un'infezione in atto che la debilità” “Respira?” “Elliot …” “Devi dirmi se respira perché dietro a questa porta c'è un figlio di puttana che saluterà la sua misera vita se lei smette di respirare quindi ti prego, dimmi che respira” “Respira e ti prometto che continuerà a farlo” chiuse gli occhi lasciando che le parole del medico gli entrassero dentro poi il silenzio e la consapevolezza che doveva mantenere la calma.
Fece un bel respiro e poi un altro ancora, spinse la porta e lo sguardo di quell'uomo lo colpì violentemente in volto “Detective” “Marvin” esclamò avvicinandosi al tavolo, Munch si alzò richiudendo pesantemente la porta “Marvin Gale, l'uomo dai mille nomi” “Oh non sia scortese” “Senti ...” tirò la sedia fino a lui sospirando “ … non ho né il tempo né la voglia di restare qui a farmi prendere per il culo da te” “E allora perché è venuto?” ribatté divertito ma Elliot picchiò con forza il pugno sul tavolo costringendolo a sobbalzare “Sei il galoppino di Colman?” “No, e non sono nemmeno così ingenuo da parlare con te, non senza il mio avvocato” “Ascoltami bene” lo tirò in avanti, il volto a pochi centimetri dal suo “Conosco bene i giochetti tra te e quello stronzo del tuo capo” “Colman non è ...” “Se fossi in te smetterei di giocare con il fuoco” mormorò Munch posando la mano sulla spalla del collega “Se lo lascio andare come pensi che finirà la tua faccia?” “Coraggio lo lasci, e poi dovrete spiegare al mio legale i lividi sul mio volto” Elliot sorrise rafforzando la presa “Calmati, non così, non è così che otterrai le informazioni che cerchi” “Non così?” ribatté stremato “Olivia è in ospedale per colpa di questo stronzo” “Lo so, ma questo non è il modo giusto di aiutarla” le mani scivolarono lentamente nel vuoto lasciando Marvin libero di respirare.
“Allora ...” riprese Munch “ … dimmi come ci sei riuscito, come hai fatto ad avvicinarti a Colman?” “Non ho idea di chi sia questo tizio” “E proprio perché non ne hai idea, abbiamo trovato sei milioni di dollari che passano continuamente da un conto all'altro” Marvin non rispose, restò immobile con lo sguardo piantato sul volto di Elliot e un sorriso carico di sfida sulle labbra “Sei milioni di dollari intestati ad un certo Oliver Malmon, alias Eric Finch alias John Callun alias … un sacco di alias Marvin. Come mai portano tutti a te?” “Forse sono solo molto simpatico” “Forse questo non è il tuo giorno fortunato” ribatté divertito Munch sedendosi di fronte a lui “Se ora ci racconti come sei riuscito a comunicare con lui, come hai fatto a parlargli ti prometto che metterò una buona parola con il giudice” “Puttanate!” “Dici? Io credo che i tuoi nuovi compagni di merenda in carcere saranno molto felici di poterti avere tutto per loro” “Non mi fai paura” “Ehi!” esclamò Elliot afferrandolo per un polso “Vuoi giocare a fare il duro? D'accordo allora, ma sappi che ti starò appiccicato come un francobollo Marivin, quando mangi, quando dormi perfino quando vai a pisciare!” “Non riesci ancora a spaventarmi” “Guarda che a me non me ne frega niente della tua vita. Vuoi giocare? Va bene, ma giuro su Dio che se lei smette di respirare ti metto un cappio attorno al collo” “Oh” sussurrò l'altro tirando indietro il braccio “E questo dovrebbe assomigliare ad una minaccia? Non mi fai paura, nessuno di voi è in grado di spavantarmi. Tu, tu parli di Colman ...” si voltò verso Munch ridendo “ … parli di lui come di un qualsiasi ristoratore per bene e non … tu non hai la minima idea di dove state andando a cacciarvi” “Allora dimmelo” mormorò il detective “Dimmi cosa c'è che non va, dimmi come ha fatto ad arrivare a lei perché vedi, tu sei l'unico che finirà con il culo al fresco per il resto della vita” “Cosa?” Elliot sospirò alzandosi “Invecchierai in prigione Marvin, resterai lì dentro fino a quando la vita diventerà troppo impegnativa per essere vissuta e allora pregherai per la morte” “La morte? Che ne sai tu della morte?” ribatté gelido “Credi sia una punizione? No, no detective, la morte è una liberazione” “Se non mi racconti com'è andata ti trascinerò davanti alla corte suprema e resterò seduto in prima fila quando friggeranno il tuo culo sulla sedia elettrica” “Non esiste in questo stato” “Non pensi di conoscere la legge meno di me?” “Penso che ti stai arrampicando sugli specchi per trovare un modo di spiegare le cose, beh, vuoi conoscere il mio segreto?” socchiuse gli occhi studiando il volto dell'uomo “Non esiste la legge, non esiste la giustizia, non c'è pace per le anime di quelle ragazze e non ci sarà pace nemmeno per lei” Munch scattò in piedi bloccando in tempo Elliot, le mani si strinsero con forza attorno alle sue spalle costringendolo a restare inchiodato al muro “Non importa quanto tempo ci vorrà Marvin! Ti giuro che fino a quando il tuo cuore non smetterà di battere, resterò qui e ti seguirò come un'ombra, non avrai più una vita Marvin, non avrai libertà di muoverti né di pensare perché se sarà necessario, ricorrerò anche all'elettroshock per renderti un vegetale umano” “Verresti incriminato, un tutore della legge condannato per omicidio, è davvero questo che vuoi?” “Credi che mi importi?” ribatté gelido “Qui abbiamo un piccolo problema di comunicazione Marvin” mormorò Munch “Vai fuori di qui Elliot, di lui mi occupo io” “Ciao ciao Elliot, salutami la mia bambolina preferita” “Ehi!” gli occhi si inchiodarono al volto del collega “Non ci pensare, vai fuori di qui” annuì leggermente cercando di respirare e senza aggiungere una sola parola uscì dalla stanza sbattendosi la porta alle spalle.


Come fa Marvin, dimmi com'è riuscito ad arrivare a lei” lo vide annaspare, le mani strette attorno alla testa nel tentativo di respirare “Da quanto sono lì dentro?” “Sedici ore” mormorò sfinito Elliot controllando il cellulare “Sedici ore? Uao, come fa a parlare ancora?” oltre quel vetro c'era lo stesso uomo irritante e strafottente di prima ma il suo volto ora era segnato dalla stanchezza, gli occhi cerchiati, la pelle pallida e mandida di sudore “Non preoccuparti, Munch è piuttosto bravo nelle maratone, ha una resistenza impressionante” mormorò Finn ma lo sguardo dell'uomo era perso sullo schermo del cellulare “Ehi, vedrai che andrà tutto bene” “Cosa?” mormorò tremante sollevando lo sguardo “Starà bene vedrai” “Già” “Ha perso … ha perso la testa per lei” sussurrò tremante dondolandosi leggermente sulla sedia “Ha letteralmente perso la testa. Io, io … io non so cosa gli abbia fatto, non so come ci sia riuscita ...” i due poliziotti si guardarono qualche secondo mentre parola dopo parola quell'uomo crollava davanti a loro “ … la voleva solo per sé. Lei aveva tutto quello che desiderava, libertà, bei vestiti, un appartamento solo per lei e una casa che le è stata regalata dal nulla e lui … lui sapeva che veniva qui” “L'alibi” “Un passato di droga, gli arresti e l'obbligo a presentarsi. Siete stati bravi” “E tu che diavolo c'entri con lui?” Marvin rise soffermandosi qualche secondo sul volto del detective “Secondo te chi gli procura tutte quelle belle ragazzine per cui sbavano i suoi clienti?” “Sei il suo corriere” “No” esclamò l'altro puntando un dito sul tavolo “No, no io sono, io non so chi gli procura le ragazze, il mio compito è solo quello di portarle fino a lui dal confine o dall'aeroporto o da qualsiasi altro fottuto posto arrivino” era agitato, confuso, rispondeva senza esitazione e dopo pochi secondi, tornava su quelle risposte cancellando di nuovo ogni certezza “E tu non hai mai giocato con queste dolcissime ragazze non è così?” “Oh andiamo detective! L'ho già detto alla vostra collega, non mi piacciono troppo piccole” Elliot sospirò appoggiandosi al muro, restava immobile ad ascoltare cercando di trovare un senso logico a tutto quel discorso.
Io le prendo e le porto da lui. Colman vuole solo merce di qualità” “Oh, quindi esiste una merce di serie b?” “Ci puoi scommettere!” “Sono esseri umani!” “Sono pezzi di carne per lui! Le porto lì, mi paga e me ne vado” “Chi altro c'è quando le porti da Colman?” “Due dei suoi uomini” “Voglio i nomi!” ma l'altro sorrise “Non è così che funziona, mi hai promesso … mi hai promesso che parli con il giudice” Finn scoppiò a ridere appoggiandosi alla scrivania “Con che coraggio al mattino si alza dal letto?” “Non esiste dignità per lui, né per quelli come Colman” si guardarono qualche secondo tornando poi a concentrarsi sull'interrogatorio.
Dimmi come funziona e ti renderò tutto più semplice” Marvin annuì velocemente tornando a fissare il tavolo “L'unica cosa che so è che loro hanno il compito di provarle, capisci cosa intendo non è così?” Munch socchiuse gli occhi inspirando a fondo “La cosa è semplice detective, il mio compito finisce lì ma voi mi avete arrestato per una sciocca ragazzina!” “Sei accusato di violenza sessuale Marvin!” “Nemmeno l'ho toccata! Ehi andiamo, io ti racconto tutto ma devi promettermi, devi promettermi che mi terrai lontano da quell'uomo” “Raccontami come l'ha scoperto Marvin, raccontami com'è arrivato a lei” “Corruzione” “Cosa?” “Ha uomini ovunque, nella politica, nelle grandi aziende che comprano e vendono oro e diamanti, nella polizia” “Cosa stai ...” “Esatto detective! Vedete la vostra faccia? È stata la stessa che ho avuto io quando ... quando ho alzato gli occhi e ho visto uno dei suoi uomini oltre le sbarre!” “Chiama il capitano” Finn annuì lasciando velocemente la stanza.
L'hai visto in prigione?” “Già! È entrato nella mia cella e ha detto ...” si fermò qualche secondo ridendo “Cos'ha detto Marvin” “ … ha detto che il suo capo era arrabbiato, molto arrabbiato perché la sua merce non era arrivata in tempo e che avrebbe punito il suo corriere ma, visto che ero già chiuso là dentro, non c'era motivo alcuno per uccidermi” “Perché?” “Siete stati bravi sai? Le avete costruito attorno un'identità perfetta insomma, se non l'avessi vista con i miei occhi qui dentro probabilmente ora riderei di gusto davanti a questa rivelazione” “Come l'ha scoperto!” “Mi avete fermato per un controllo, una denuncia di molestie ai danni di una ragazzina e senza nemmeno un processo, mi avete spedito in isolamento. Niente incontri, niente telefonate, niente di niente! Come posso diventare d'improvviso tanto importante? Non c'era nessun motivo per trattenermi,ero un ipotetico indiziato ma non avete dato corpo a nessun processo. Mi avete tolto dalla circolazione lasciando Colman senza ragazze, senza il suo corriere preferito. Ha rivoltato mezzo mondo per riuscire a capirne il motivo” “L'ha seguita?” “Ogni giorno detective. Da quando lasciava il suo locale a quando entrava qui dentro per parlare con voi” “Tu come ...” “Come so queste cose? Le voci girano” mormorò ridacchiando “In prigione più che mai detective. Quando … quando quell'uomo è venuto da me, mi ha puntato una pistola alla tempia e mi ha raccontato una storiella, ricordo ancora acome iniziava: C'è una meravigliosa farfallina colorata che sta giocando troppo vicino al fuoco, vola e saltella tra un uomo e un altro, fa la spia e non le importa niente del suo capo, lei pensa di essere al sicuro” scoppiò a ridere stringendosi la testa tra le mani “Vuoi che ti racconti il resto?” “Sapeva tutto” “No, non tutto, la maggior parte delle cose l'ha scoperta passando tutto il tempo libero con il suo agente federale preferito” “Porca puttana” “Elliot?” si alzò dalla sedia raggiungendo il capitano, la porta chiusa alle sue spalle separava quell'uomo inutile dalla realtà, da loro.
“Capitano cosa ...” “Basta così” “È impazzito per caso?” “Il suo legale sta arrivando” “Non ha un legale!” “Michael Fosman” Finn fischiò leggermente fissando l'uomo dall'altro lato del vetro “E come se lo può permettere?” “Finn si sta occupando delle dichiarazioni appena raccolte ma nessuno ha visto entrare quell'uomo nella prigione né tanto meno, l'hanno visto uscire” “Cosa?” “Pare che sia morto Elliot” “Stai scherzando non è vero?” ma l'altro scosse la testa.
“Si è sparato un proiettile in gola, come diavolo è possibile che nessuno l'abbia visto?” l'altro sospirò stringendosi leggermente nelle spalle “Colman ha amici molto influenti” “Un agente dell'FBI capitano, questo va ben oltre il semplice complotto” il capitano sospirò passandosi una mano in volto “Quindi dobbiamo mettere a soqquadro l'FBi” “Dico solo che non è da escludere. Non c'è altro modo capitano, insomma, come fa un uomo ad entrare in un carcere di massima sicurezza senza che nessuno lo fermi, arrivare ad un detenuto in isolamento, minacciarlo, ottenere quello che voleva e poi spararsi in bocca senza che nessuno dica niente!” “Perché avrebbe dovuto farlo? Insomma, a che scopo quel colpo di pistola” “Non ne ho idea Finn, forse c'era una telecamera, forse quel figlio di puttana stava osservando l'intera scena da un salotto privato” “Perché?” “Era quello che volevo sapere prima che apriste questa dannata porta!” esclamò irritato Elliot “D'accordo, Finn, prendi Osman e vai a controllare la cella di Gale, fate domande in giro con discrezione” “Si signore” “Elliot tu dovresti ...” “Riposare? L'ho già fatto” “Non dormi da ventisei ore, hai bisogno di fermarti. Via di qui” “Non posso” “Non è una richiesta” esclamò il capitano cercando i suoi occhi “Ti sto dando un ordine e mi aspetto che tu lo esegua. Ora fuori di qui, vai a dormire, subito!” un sorriso gelido gli sfiorò il volto mentre si allontanava da quella dannata stanza.

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Capitolo 21
*** Non ora, non Così ***


                              Non ora, non Così




Dormiva, per la prima volta da giorni era riuscito a chiudere gli occhi e quel dannato cellulare, si era messo a squillare nel bel mezzo della notte.
Ricordava a malapena l'esatta sequenza dei fatti, era certo di aver picchiato la testa da qualche parte perché la fronte faceva un male tremendo, non si era nemmeno cambiato.
Correva per l'ospedale indossando solo quella stupida maglietta e i pantaloni della tuta, un completo decisamente inadatto per un detective ma cosa importava? Aveva ancora la voce del medico nelle orecchie, quelle maledette parole che gli rimbombavano dentro “Vieni subito qui Elliot, sta aprendo gli occhi”.
Una porta, un'altra ancora fino a Kathy, a quell'espressione velatamente sollevata “Come sta?” “Ehi” “Dottore come ...” “Fermati un secondo” si passò una mano in volto cercando di riprendere il controllo di sé stesso “Quanto ci hai messo? Dieci minuti?” “Ha importanza?” ma il medico sorrise “Sono abbastanza sicuro che tu abbia travolto con la macchina qualche povero disgraziato per arrivare fino qui” “Come sta?” “Cosciente, risponde bene ai farmaci ma dobbiamo essere molto cauti” “Perché?” domandò confuso “Ha superato bene l'intervento, il respiro migliora ma fino a quando non sarò certo che sia abbastanza forte, continuerà ad usare il respiratore” “Ma si risolverà vero? Voglio dire, riuscirà a respirare da sola?” “Certo che lo farà, te l'ho promesso o sbaglio?” domandò l'altro sorridendogli ma quegli occhi preoccupati erano già di per sé una risposta.
Chiuse la cartellina invitandolo a seguirlo fino a quel vetro spesso, grosso abbastanza per tenere tutto il dolore e la paura fuori quel piccolo posto sicuro.
La vedeva lottare contro qualcosa, qualcuno, forse il ricordo di quegli attimi orrendi, il volto leggermente girato verso la finestra, le mani abbandonate sul ventre.
Simon era seduto sul letto accanto a lei, le parlava, le sorrideva o tentava di farlo ma l'unica risposta che poteva ottenere era il silenzio.
“Non vuoi entrare?” scosse leggermente la testa sospirando “Sei sicuro? Puoi farlo Elliot, suo fratello ha dato il suo consenso per ...” “È arrabbiata con me” “Cosa?” “Liv è ...” si fermò qualche secondo cercando di riordinare le parole “ … se ora entro in quella stanza sarò costretto a guardarla negli occhi e non sono pronto. Non posso farlo, non ora” “Ha bisogno di te” “No, no sono io che ho bisogno di lei” l'altro sospirò passandosi una mano in viso “Ascoltami, i traumi gravi come questo hanno bisogno di tempo per passare, più tempo di ogni altro ...” “Lo so, non ho bisogno della lezioncina di vita. Ho bisogno di lei, un bisogno tremendo di vederla di nuovo sorridere, ho bisogno di lei dottore e quella ...” si fermò qualche secondo osservando la giovane oltre il vetro “ … quella non è la mia Liv, non più. Non posso sopportarlo di nuovo, non posso guardarla negli occhi e prometterle che andrà tutto bene perché l'ho già fatto una volta e siamo a questo punto perciò no, no non entrerò lì dentro per turbarla” “Se la lasci sola sceglierà di restare sola Elliot” “Non importa” “Ne sei sicuro?” sfiorò con le dita quel volto lontano sorridendo “Fammi sapere come sta d'accordo? Ogni minuto di ogni ora” “Dove stai ...” si fermò di colpo sorridendogli “Vado a prendere un figlio di puttana” il cuore schizzava a mille nel petto e le lacrime spingevano violentemente per uscire dagli occhi ma non era quello il momento del pianto, non ora, non così.




 

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Capitolo 22
*** Guardami ***


                                                                                 Guardami





Era arrabbiato da morire, arrabbiato con sé stesso, con quel figlio di puttana che l'aveva ridotta così e con lei.
Lei che lo rendeva debole, dipendente dai suoi sorrisi, dal suono della sua voce, lei che era stata l'unico sogno in quelle lunghe notti passate lontani, l'unico incubo violento di quegli ultimi anni.
Avrebbe dovuto dormire, riposare almeno un po' cacciando via quella stanchezza maledetta che offuscava il giudizio e massacrava il corpo e invece, tutto quello che riusciva a fare, era restare lì, seduto in quella poltrona con le mani mollemente abbandonate sui braccioli, la testa reclinata all'indietro e gli occhi persi sul volto di una giovane piena di dolore.
Ricordava le parole dette al medico: Non ora, non così, è troppo arrabbiata con me.
Eppure, nonostante tutto, era di nuovo lì, incapace di lasciarla, incapace di svolgere le indagini perché il suo viso tornava ancora e ancora davanti agli occhi.
Era a pochi passi da lei, abbastanza vicino per poter sentire il suo respiro, per poterla guardare negli occhi perché quella era l'unica cosa che gli avrebbe mai concesso.
Notte dopo notte passava le ore a guardarla negli occhi, a leggere in quello sguardo vuoto il dolore, la paura e la rabbia che mai sarebbe risucito a cancellare.
L'orologio scandiva lentamente il tempo, mezzanotte, un'ora creata apposta per dormire, per sognare ed evadere dal dolore violento di quel mondo sbagliato, un'ora dolce e tranquilla che non era stata creata per loro.
Loro che come anime dannate passavano i minuti a leggersi dentro, loro che non avevano chiesto quell'amore ma che ci si erano ritrovati catapultati senza alcun preavviso.
Un uomo e una donna incapaci di accettare quel sentimento, incapaci di viverlo, costretti a lottare giorno dopo giorno, a soffrire e per cosa? Per cosa avevano combattuto tutti quegli anni? Per finire in quella stanza d'ospedale a parlare da soli? Fece un bel respiro inclinando leggermente la testa di lato, non era così che immaginava il loro futuro.
Non era così che la immaginava. Lei doveva vivere, doveva sorridere e amare e magari avere dei figli e poco importa se figli suoi o di qualcun'altro, avrebbe dato la vita per vedere di nuovo nei suoi occhi la stessa passione che anno dopo anno l'aveva incatenato al battito di un cuore meraviglioso, quella stessa passione che ora lo teneva accanto a lei, seduto su quella poltrona a combattere con la stanchezza, a cacciare via il sonno per poterla guardare, per poterle restare vicino, troppo vicino forse ma che altro poteva fare? L'avrebbe abbracciata, l'avrebbe stretta così forte tra le braccia da soffocare le urla di quei demoni orrendi, l'avrebbe fatto davvero ma era certo che se si fosse azzardato anche solo ad alzarsi in piedi così vicino a lei, il suo cuore sarebbe schizzato nel petto ad una velocità impressionante costringendola a bloccare razionalità e respiro e non poteva farlo. L'aveva già vista una volta così, con le lacrime agli occhi mentre tentava di capire cosa ci facessero tutti quei medici attorno a lei, mentre soffriva da morire per delle ferite profonde di cui non aveva memoria, incapace di muoversi, incapace di parlare per colpa di un tubo di plastica che la costringeva a respirare.
Non poteva sopportarlo di nuovo, non poteva costringersi un'altra volta a guardarla negli occhi promettendole che tutto si sarebbe sistemato, che sarebbe andato bene e che nessuno l'avrebbe più toccata.
Per questo restava lì, a guardarla, a sorriderle consapevole che quella tenerezza non avrebbe mai oltrepassato il muro di ghiaccio che si era costruita attorno.
Non le avrebbe fatto promesse senza senso, non le avrebbe chiesto di resistere ancora e ancora per qualcuno che forse non meritava più quei sorrisi.
L'aveva già lasciata una volta e il mondo attorno a loro aveva preso a correre ad una velocità tremenda cancellando pezzi del loro passato, cancellando la possibilità di vivere quel sentimento violento che ora gli spezzava il petto e che forse per lei aveva cambiato nome.
Riusciva a sentirla, la sentiva urlare silenziosamente, maledire il cielo, piangere, sentiva il freddo di quello sguardo respingere con violenza ogni tentativo di tenerezza, ogni sospiro, ogni sorriso.
Non l'avrebbe lasciata di nuovo, sarebbe rimasto seduto su quella dannata poltrona tutto il tempo necessario, minuti, ore, anni, sarebbe rimasto lì, a guardarla negli occhi fino a quando ne avesse avuto la forza perché aveva bisogno di lei, un bisogno disperato quasi viscerale di sentirla respirare e ridere e parlare di nuovo e se per averla indietro avrebbe dovuto litigare con lei o costringerla a piangere, allora l'avrebbe fatto, avrebbe fatto tutto il possibile per riavere di nuovo la sua Liv.




 

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Capitolo 23
*** Faccia a Faccia ***


                                                 Faccia a Faccia







“Come sta?” “Non parla, non si muove, respira appena capitano” Cragen sospirò passandosi una mano in volto “Le ferite sulle braccia e sulle gambe sono ...” “Si è difesa signore” “Allora sulla faccia di quel figlio di puttana devono esserci ancora i segni” Elliot sollevò lo sguardo incontrando gli occhi del suo capitano “Continuare a rincorrerlo per avvocati e trappole non ha senso. Munch e Finn sono andati a prenderlo e lo porteranno qui e tu ...” si fermò a pochi passi da lui cercando i suoi occhi “ ... tu gli tirerai fuori la verità” “Lo ammazzerò signore” “Non lo farai perché resterai calmo e lo guarderai negli occhi. Fingerai di seguire i suoi folli discorsi e fingerai che le sue parole non ti diano fastidio” lo strinse per le spalle bloccando qualche secondo la rabbia “Non funzionerà capo, continuo a vedere i suoi occhi, la vedo mentre mi chiede aiuto e non posso … non posso aiutarla a stare meglio!” lo sentiva tremare, trattenere a forza una voglia feroce che ora non potevano permettersi di liberare.
“Lo porteranno qui tra dieci minuti al massimo. Ho bisogno che tu sia lucido Elliot perché se non sei in grado di entrare in quella stanza qui non mi servi” “Si signore” “Te lo chiedo una volta sola, sei in grado di sostenere questo interrogatorio?” “Si signore” Cragen sorrise annuendo leggermente “D'accordo allora, preparati” fece un bel respiro e senza aggiungere una parola uscì dalla stanza.
Si sentiva strano, come se qualcuno gli avesse risucchiato dal corpo tutta la forza, sfilò dalla tasca il cellulare aspettando nel silenzio la voce del medico “Elliot?” “Come sta?” “Come un'ora fa, quando l'hai lasciata a riposare” “Ha parlato?” “No ancora no ma è migliorata, riesce a respirare da sola ormai” “Puoi passarmela?” lo sentì sospirare poi quella voce leggera “Elliot vuole parlarti, che ne dici? Ti va?” ma arrivò solo silenzio e nulla di più “Parla pure, ti sta ascoltando” “Ehi Liv, voglio solo farti sapere che non mi sono fermato, che sto per interrogare quel figlio di puttana che ti ha fatto del male. Mi hai sentito Liv? Non mi fermo” “Elliot, è in sala due” staccò leggermente il cellulare dal volto posandolo sul petto “Con i suoi avvocati?” “No, è talmente arrogante da scegliere di poterci accontentare, tranquillo, credo sia una trappola” esclamò Fin buttando la giacca sulla scrivania lì accanto “D'accordo, arrivo subito” “Sei a telefono con lei?” annuì appena sospirando “Me la saluti?” “Certo” “Ti aspetto di là” seguì il collega con lo sguardo fino a quella porta chiusa che delimitava il mondo sicuro delle certezze.
“Ora devo andare, vengo a trovarti più tardi d'accordo?” “Non ti ascolta più detective” “Kathy è lì?” “Si, l'ho mandata a mangiare qualcosa” “Passo più tardi, trattamela bene dottore” chiuse il cellulare, sentiva il cuore battere all'impazzata nel petto ma non poteva e non doveva perdere il controllo.


“Come mai sono stato convocato come un comune ladruncolo?” Munch sorrise sfogliando la cartella aperta sul tavolo “Cosa facciamo detective? Il gioco del silenzio?” la porta si aprì costringendolo a sollevare lo sguardo “Chiedo scusa, non volevo sembrare sgarbato” esclamò gelido Elliot avvicinandosi al tavolo “Bentornato signor Colman” “Le sono mancato?” l'uomo sorrise appoggiandosi tranquillo allo schienale della sedia.
Era tutto sommato come lo ricordava, belloccio, alto e dalle spalle larghe, aveva i capelli di un bel castano chiaro e gli occhi verdi come il mare, il tipico bel fusto che tutte vorrebbero avere “Bel taglio, è per caso caduto dalle scale?” “Questo?” ribatté l'altro sfiorandosi la guancia “Solo un piccolissimo contrattempo” “Lo stesso che ti ha riempito la faccia di lividi?” gli occhi dell'uomo si piegarono in un sorriso carico di sfida “Avete un buon motivo per trattermi qui?” “Un miliardo di buoni motivi perché lei è accusato di violenza, stupro, spaccio di droga, induzione alla prostituzione, rapimento, devo continuare?” “Avete delle prove?” “La conosci?” domandò gelido Elliot sollevando una fotografia “No, ma devo ammettere che è proprio un angelo detective. È possibile per caso incontrarla?” Munch bloccò sul nascere quella sfida attirando l'attenzione dell'uomo su di sé,
“Parliamo del suo giro di prostituzione signor Colman” “Sono un uomo ricco, solo questo basta a rendermi un bersaglio” “Povero piccolo cittadino indifeso” “Potreste mai crederlo?” domandò ironico piantando gli occhi sul volto di Elliot “Uno come lei, con una carriera così importante alle spalle teme davvero attacchi così sciocchi e privi di fondamento?” “A volte capita caro detective. Mi diletto nella vita e vengo accusato ingiustamente” “Da uno dei suoi fiori?” per qualche secondo sul volto di Colman passò un'ombra strana, qualcosa che assomigliava all'esitazione ma che scomparve alla stessa velocità con cui era apparsa “Eh già, perché vede, abbiamo nome e cognome di tutti i suoi fiori preziosi a cui è tanto affezionato” esclamò Elliot posando entrambe le mani sulla scrivania “Compreso il suo raro carico di meraviglie dalla Russia. Conosciamo vita morte e miracoli dei tuoi affari Colman perché quell'angelo che hai massacrato di botte è un detective di polizia. Pensavi davvero di essere così furbo?” “E voi?” domandò ironico piantando gli occhi sul volto dell'agente “Siete davvero così furbi? Perché per come la vedo io, quella bambolina nella foto è stata aggredita, non riuscite a collegarmi al luogo dell'aggressione e lei non ha alcuna voglia di tornare a parlare” scoppiò a ridere divertito dall'espressione confusa sul volto dei detective “Sorpresa! Credete davvero di potermi nascondere le cose? Non ci sono testimoni, non attendibili almeno perché quella ragazza e il suo buttafuori non parleranno ancora per molto tempo. Avete le registrazioni audio di una ragazza che ballava per me, registrazioni ottenute con sotterfugi. Avete video e foto eppure, non riuscite a mettermi al fresco nemmeno questa volta” “Fosse l'ultima cosa che faccio nella vita Colman, ti giuro che troverò il modo di sbatterti dentro, non importa quanto ci vorrà, fino a quando avrò la forza di respirare tu diventerai la mia unica ragione di vita” “Vediamo ...” iniziò l'altro ridacchiando “ … cosa c'è di sbagliato in questo quadretto? Due detective, un povero cittadino vessato dalle istituzioni. Dove ho già visto questa scena?” “Ti farò a pezzi” esclamò Elliot “Ti farò a pezzi come tu hai fatto con lei e non mi fermerò fino a quando non ti sentirò implorare pietà” “Detective, per caso lei è sposato con quest'angelo?” “Non stiamo parlando di me” “Quindi è decisamente un no. Siete fidanzati?” “Parliamo dei suoi otto angeli custodi. Lei sa che ne abbiamo già spediti sei in prigione” ma Colman sorrise divertito da quel gioco “E siete certi che siano ancora tutti vivi?” Elliot trasalì voltandosi verso Munch “Non siete sposati, non siete fidanzati. Per caso siete amanti?” trattenne il respiro nascondendo la voglia folle di prendere a pugni quell'uomo arrogante. L'avrebbe fatto, se non ci fosse stato Munch o le telecamere probabilmente avrebbe iniziato a picchiarlo e non si sarebbe fermato fino a quando il sangue di quel porco non avesse riempito la sala degli interrogatori.
“Per assurdo che sia ...” iniziò Colman accavallando le gambe “ … ammettiamo pure che io conosca quella ragazza, ammettiamo ipoteticamente che fossi a conoscenza del fatto che è un agente di polizia. Tu che la difendi così tanto, cosa proveresti se ora io ti dicessi che a letto non è niente male?” scattò in avanti bloccato solo dalle mani del collega “Non ascoltarlo Elliot, non ci servi arrabbiato” “Eh si detective, è proprio una bella puledrina, ipoteticamente parlando ovviamente. E sono abbastanza sicuro che sappia giocare davvero molto bene sotto le lenzuola” “Lasciami andare” “Mi hai preso per un'idiota?” sbottò Munch bloccandolo contro al muro, Fin entrò nella stanza picchiando con forza i pugni sul tavolo “D'accordo, vuoi giocare? Perché non mi spieghi come hai fatto ad assomigliare ad un quadro di Picasso!” “Il mio cliente pratica la boxe regolarmente detective. Abbiamo finito con le domande stupide?” si voltarono verso l'entrata incontrando il volto rilassato dell'avvocato Malton “Che piacere rivederla detective Stabler. Sono davvero dispiaciuto per quanto accaduto alla sua collega” “Basta così” sbottò Cragen “Avvocato questo non è un gioco” “Oh lo so bene, ecco perché il mio cliente ha richiesto la mia presenza” il cellulare di Munch suonò all'improvviso costringendolo ad abbandonare la sala per qualche minuto “Ii mio cliente è in arresto?” “No, ma ha l'obbligo di non lasciare New York per nessun motivo. Il suo passaporto verrà ritirato” “Non ho in programma viaggi” ribatté Colman “Ho decisamente bisogno di riposare sa, la boxe stanca” le mani di Elliot si mossero da sole.
Lo afferrò per la camicia inchiodandolo contro al muro “Puoi fare lo stronzo finché vuoi ma per tua sfortuna sono legato a quella ragazza, molto legato a lei e giuro su Dio che ti sbatterò dentro, fosse l'ultima cosa che faccio!” “Andiamo! Vieni via!” sbottò Cragen separandoli “Signore, la invito ad andarsene” “Andiamo Super uomo” mormorò l'avvocato, Colman lasciò la stanza abbandonando nel vuoto tre uomini confusi.




 

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