Pandora High School

di Girasolerossofuoco
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio della fine ***
Capitolo 2: *** Sbirciare dal buco della serratura ***
Capitolo 3: *** Incomprensioni ***
Capitolo 4: *** Alice e Kevin ***
Capitolo 5: *** Nel cuore, nelle rose, nel letto. ***



Capitolo 1
*** L'inizio della fine ***


La sveglia trillò, destando il giovane Gilbert. Quella mattina sarebbe stato il suo primo giorno di scuola dell'ultimo anno. Gli sembrava strano che il tempo fosse passato così velocemente, eppure doveva ammettere che si era divertito. 

Si alzò e massaggiò un po' gli occhi, poi si diresse verso il bagno. Nel corridoio incrociò la camera di Oz. Oltre la porta, un suono fastidioso continuava incessantemente a echeggiare. "Come fa a non destarsi," pensò.

Evitò di bussare, tanto se non udiva la sveglia a pochi centimetri da lui, sicuramente non avrebbe sentito le sue nocche battere conto il legno. 

In camera regnava la calma più assoluta. Le tende, semi socchiuse, lasciavano filtrare qualche filo di luce dorata, mente nel letto enorme dormiva il suo piccolo padroncino. Si avvicinò piano, il suo viso era disteso e tranquillo. Non riuscì ad opporsi all'impulso di chinarsi e, scostandogli qualche ciocca, baciargli la fronte. Oz si accigliò un poco, ma prima che potesse aprire gli occhi, Gil era già fuori dalla stanza.

Continuava a tormentarsi le labbra, esse bruciavano come se gli avesse dato fuoco. 

Si fiondò in bagno, col cuore che ancora palpitava per il contatto con la fresca pelle del suo padroncino. Era talmente perso nei suoi pensieri da non rendersi conto che qualcuno già occupava quella stanza. 

Alice si insaponava la testa, mezza assonnata e canticchiando, con lo sguardo rivolto verso la finestra. Non si accorse dell'intrusione e continuò con la sua attività, distrattamente. Passò le dita dietro le orecchie, emettendo piccoli sospiri. 

Gilbert rimase ad osservarla come incantato. I movimenti di lei erano lenti, esasperati, come se si stesse esercitando a sedurre qualcuno. Prese un po' di bagno schiuma e posò un piede sopra il bordo della vasca. Si deterse le dita, per poi salire alla caviglia, al ginocchio, alla coscia, infine arrivò lì, proprio in quel punto. 

I gesti delicati della ragazza, gettarono il Nightray nel panico. Per l'imbarazzò, si lanciò oltre la porta, chiudendola, più o meno rumorosamente, dietro a sè. Cosa lo aveva spinto a spiarla in silenzio? Non aveva mai visto una donna nuda, probabilmente si trattava di banale curiosità. Corse dall'altra parte di palazzo Vessalius, per occupare l'altro bagno, sperando che questo fosse libero. Esultò quando scoprì di non essersi sbagliato. Si lanciò sotto la doccia e cominciò a passare la spugna su ogni centimetro del suo corpo. Aveva compiuto due azioni stupide nel giro di poche ore e la giornata era appena iniziata. 

Doveva fumare. Una sigaretta in bocca avrebbe tranquillizzato la sua mente e il suo corpo. Cosa gli stava succedendo? Lanciando un'occhiata allo specchio, notò un ragazzo rosso come un peperone. Odiava avvampare in tal modo, così non dava la possibilità di nascondere i propri sentimenti. 

In sala da pranzo, tutto era come al solito. La cameriera lo salutò con un leggero inchino.

"Buongiorno, Gilbert-kun."

Lui accennò un saluto con la testa, non voleva essere scortese, ma la voce era ancora rotta per l'imbarazzo. Ci metteva un po' prima di smettere di rimuginare sopra ogni cosa, anche la più stupida. 

Alice era china sul piatto, intenta a divorare una coscia di pollo. 

"Ehy, testa d'alga!" Questo era il modo con la quale era solita salutare il povero Gil, che per il disagio gemette, con gli occhi sbarrati.

"Ti sei bevuto il cervello? Già ne avevi poco..." La giovane si sorprese dalla mancanza di reazione del moro. Gonfiò le guance per l'irritazione, ma poi decise che sopperire ai morsi della fame fosse più urgente di infastidire quello scemo, così afferrò una nuova coscia di pollo. Anche se la cuoca cucinava quella montagna di carne solo per lei, di solito Gilbert la rimproverava quando si ingozzava senza ritegno (quindi tutte le mattine). In quel momento però lui si limitò ad osservarla con un viso paonazzo. Alice si chiese cosa frullasse nel cervello di quella testa d'alga, poi però fece spallucce e continuò a divorare il volatile. 

Gilbert sbocconcellò un uovo fritto e mandò giù, a fatica, qualche sorso di caffè. Nonostante l'appetito, il suo stomaco era in subbuglio. Si sentiva strano e imputò quel messere alla visione mattutina di quello stupido coniglio. Non credeva possibile che fosse così sensibile al nudo femminile, invece quell'immagine l'aveva scioccato; perché? Lei era sempre stata la sua nemica, colei che voleva portargli via il suo preziosissimo Oz, perché ora continuava a guardarla e provava l'istinto di asciugarle il sugo, che le fuoriusciva agl'angoli della bocca, con la sua lingua? 

Sussultò quando una mano si posò sulla sua spalla. Si girò di scatto e vide il dolcissimo sorriso del suo padroncino, pronto ad augurargli il buongiorno.

"Cia..." Al posto della bocca aveva una moquette, la saliva era del tutto assorbita. Guardò il signorino con tale disperazione da sembrare un cane bastonato.

"Tutto bene Gil? Non mi dire che hai paura del primo giorno di scuola!" 

Il moro scosse la testa e nascose la faccia tra le mani. 

"Dai, Oz, andiamo!" Alice, con il suo solito tatto, prese il biondino sottobraccio, per portarlo via dalla stanza. Sperava in questo modo di aizzare Gilbert, ma egli rimase immobile, imbambolato come se vivesse in una dimensione parallela.

"Che gli hai fatto?" Rimproverò.

"Niente!" Sbottò l'amica. "È tutta la mattina che è più strano del solito!" Cercò di trascinarlo via. Non le importava che quella testa d'alga rimanesse ipnotizzata su quella sedia per l'eternità, voleva arrivare a scuola in orario. "Sù, lasciamolo qui," propose. 

Oz però era preoccupato per il suo amico e così resistette alle pressioni della ragazza. "No, Alice, non possiamo abbandonarlo in questo stato!" 

"Sì che possiamo!" Poi sbuffò, esasperata. "Va bene, lo aiuto io. Sharon-chan mi ha spiegato come rallegrare gli uomini," riferì tronfia e, per accentuare ancor di più la soddisfazione che provava nel saper far qualcosa di così straordinario, posizionò i pugni sui fianchi e alzò il mento.

Oz era sbalordito e incuriosito, desiderava constatare se ciò che aveva appena dichiarato la ragazza fosse vero. "Va bene, prova." La esortò. 

Alice prese un gran bel respiro e si avvicinò a Gil, gli strattonò i polsi per allontanarli dal viso poi si sporse a mordergli la guancia. 

Questo, percependo il pericolo, urlò per lo spavento e cercò di sottrarsi dalla "alice-cura", ma non ebbe tempo, riuscì solamente a sbilanciarsi dalla sedia e crollare a terra, trascinandosi la ragazza dietro. Il cuore del Nightray palpitò come un treno in corsa, il peso di quello stupido coniglio lo schiacciava al pavimento, non poteva muoversi e la guancia gli doleva parecchio, sopratutto perché nella caduta non aveva mollato la presa. Gli occhi si riempirono di lacrime, cosa gli stava succedendo? Perché trovava così piacevoli le gambe semi nude della ragazza mentre gli cingeva il fianco? 

La guancia salva era spiaccicata contro il marmo del suolo. Non aveva il coraggio di voltare la testa, così vide due piedini avvicinarsi.

"Tutto bene, ragazzi?" Ada era appena entrata in sala da pranzo e osservava divertita la scena. Per lei quel mattino sarebbe stato il primo giorno all'accademia di Pandora. Era stato l'orgoglio di tutta la famiglia Vessalius avere un altro studente ammesso. 

Gilbert annuì. Poi alzò gli occhi al cielo, involontariamente la sua attenzione finì alle mutandine rosse della ragazza che si intravedevano dalla gonna a pieghe. 

Tornò nuovamente rosso come un peperone. Per fortuna lo salvò Oz, che staccò Alice dalla sua guancia. Libero di scappare, prese quasi la fuga, ma Ada lo trattenne per un braccio. "Gilbert-kun ci accompagni a scuola?"

Gli altri due urlarono un "sì" all'unisono e fu così che uscirono tutti assieme. 

"Ehy, Gil, lo sai che a me puoi dire che succede," mormorò Oz, allungando il passo e raggiungendolo.

Lui si limitò ad annuire. Era troppo a disagio per tutti gli eventi del mattino per poter spiegare cosa gli frullasse per la mente. Prima l'impulso di baciare Oz, poi la vista di Alice al bagno e infine le mutandine di Ada, tutto l'aveva sconvolto senza che potesse trovarne la ragione. Sopratutto Alice, perché non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine di lei che si insaponava? 

"Ne parlerò con Xerxes-kun, lui sa sempre tutto," meditò, guardando l'orologio. Un altro groppo gli salì alla gola: erano quasi le 8 e venti, mancavano dieci minuti e sarebbe suonata la campanella.

"Dobbiamo sbrigarci!" Esclamò. Gli altri lo imitarono e ripeterono a ruota la stessa frase, qualcuno aggiunse: "com'è tardi! Poveri noi, poveri noi, è tardi!" 

Gilbert allungò un braccio per prendere per mano il padroncino, così che lo aiutasse a correre meglio, date le sue gambe corte, ma Alice lo precedette e, issandoselo su una spalla, cominciò a correre a perdifiato. Quella ragazza aveva una forza disumana e, di solito, le conseguenze di tale dote ricadevano sul povero Gilbert. A quest'ultimo comunque non rimase altro che aiutare la piccola Ada. Lei divenne tutta rossa quando lui si apprestò ad aiutarla, ma con tanto coraggio afferrò quella mano ed insieme cercarono di raggiungere l'altra coppia. 

 

Xerxes e Sharon attraversavano la città su una carrozza di legno chiaro. La mattina Reveille era sonnolenta ma caotica allo stesso tempo. Stanco di spiare gli uomini e le donne mezze addormentati che come zombie cercavano di raggiungere il posto di lavoro, il ragazzo chiuse le tendine e appuntò lo sguardo sulla sua compagna. Era bella come al solito, anzi oggi le sembrava ancora più bella, cosa che accadeva, a dir la verità, ogni mattina.

“Siete riuscita, signorina Sharon a decidere quale sia il vostro colore di capelli?” Si riferiva alla conversazione che li aveva tenuti impegnati tutta la sera prima, lei sosteneva di aver i capelli color ocra, mentre lui aveva provato a convincerla che li avesse biondi, coi riflessi pesca. In effetti si era sempre chiesto quale fosse la vera tinta della sua principessa, sospettava che si tingesse di tanto in tanto.

“Li ho del colore della sabbia,” rispose risoluta. Poi, con estrema grazia, aprì un ventaglio di pizzo nero e cominciò a sventolarsi. Nonostante la divisa scolastica fosse un abito più confortevole, e sicuramente più fresco, di quelli che era solita portare, il caldo dentro la carrozza era al limite del sopportabile.

Break si liberò della giacca e la lanciò con poca grazia dall'altra parte del sedile, poi si sfilò quello stupido papillon che non gli permetteva di respirare bene e continuava a insudiciargli il collo di sudore. La signorina Rainsworth aveva gli occhi a forma di una perfetta 'o' e la bocca semi dischiusa.

“Ho caldo,” si giustificò. Essere osservati in quel modo da lei, gli ribolliva il sangue. Aveva passato diverso tempo a lavorare su se stesso per sopire l'attrazione che provava per lei, ormai era quasi indifferente pure alla porzione di coscia che si intravedeva tra la gonna e le calze della divisa, eppure quando lo fissava così non riusciva a controllarsi. Le mani gli tremarono un poco, si slacciò il primo bottone della camicia. L'aria divenne un po' più respirabile, nonostante sentisse addosso, come una carezza sulla pelle, lo sguardo della ragazza.

“Quest'anno ci sarà l'esame finale,” annunciò Sharon, per distendere la tensione che si era creata. “Sai già quale Chain riuscirai a controllare?”

“Se ci riuscirò,” mormorò. Alla Pandora High School, l'esame dell'ultimo anno, ovverosia il settimo, consisteva nel provare a contrattare con una Chain, cioè una di quelle creature di natura sconosciuta che di tanto in tanto attaccavano il paese. Non si era ancora capito da dove venissero, ma non erano di certo umane. Alcuni sostenevano che fossero demoni dell'inferno, altri degli extraterrestri, in ogni caso era certo che attaccavano la città e l'unico modo di combatterli era utilizzare i loro simili. Gli umani che stipulavano un contratto con queste creature si impegnavano a difendere la città e a catturarne di nuove per poi poterle consegnarle alle nuove generazioni. Chi veniva considerato meritevole dal consiglio supremo di Pandora, era ammesso all'accademia e dopo sette anni si provava a legarsi ad una Chain. Non tutti gli studenti però riuscivano nell'impresa. I requisiti per entrare alla Pandora high school erano piuttosto misteriosi.

"Onee-san," lo chiamò Sharon, per ridestarlo dai suoi pensieri. 

"Sharon-sama, in quest'anno scolastico compirete diciott'anni," asserì a denti stretti. Sulla carrozza calò un silenzio opprimete, entrambi conoscevano il vero significato di quelle parole. Una volta maggiorenne, la duchessa avrebbe cominciato a cercarle un marito e entro qualche anno si sarebbe sposata. Era sicuro che un eventuale marito non avrebbe mai accettato la presenza costante, e a certi tratti equivoca, di Xerxex. Nessuno avrebbe accolto nella sua casa un ragazzo disperatamente innamorato della propria moglie.

La Rainsworth agitò ancor di più il ventaglio, nel tentativo di levar via la tensione. "Chissà, magari incontrerò un principe azzurro," sogghignò nervosamente.

Break annuì e si lasciò andare sul sedile. Poi voltò la testa, nascondendo così, alla vista della compagna, gli occhi lucidi e allungò una mano verso la tendina. La scostò. La città, anche se aveva cambiato leggermente lo stile artistico -si stavano avvicinando al centro e i palazzi erano più riccamente decorati-, era sempre la solita: persone che camminavano a passo lento, carrozze che sfrecciavano di qua e di la, ragazzi portati sulle spalle di fanciulle... Xerxes sobbalzò. "Quello non è Oz?" Chiese divertito a Sharon, mentre si scostava un po' per permetterle di guardare pure a lei.

"Sì," affermò con un sorriso. 

Nel frattempo il biondino si dimenava, voleva essere messo giù, ma Alice non sentiva ragioni e continuava imperterrita nella sua corsa.

"Saranno in ritardo, li invitiamo a salire su?" Domandò Xerxes. Per qualche secondo i due si guardarono intensamente negli occhi, poi scoppiarono a ridere.

"No, lasciamogli fare un po' di ginnastica mattutina!" 

 

"Elliot, la pianti di tenere quel visino corrucciato?" Chiese Vincent, piantandogli una mano in faccia.

"Sono fatto così," rispose, cercando di staccare le dita del fratello. 

"Signorino Nightray, dovrebbe parlare con più garbo," lo ammonì Leo, non staccando gli occhi dal libro di matematica. 

"Sembri arrabbiato col mondo, ma il mondo è così bello, non è vero, piccola Echo?" Con la mano libera, Vincent accarezzava svogliatamente la testa della ragazza, che le era seduta sulle gambe. 

"Si, Vincent-Sama." 

"E tu dovresti tagliarti quell'orribile frangetta. Non sono mai riuscito a vederti gli occhi, ma ti rendi conto?" Elliot si rivolse a Leo, ignorando del tutto il fratello. Molte notti, era sgattaiolato in camera del suo servo per scostargli i capelli dalla fronte, ma non aveva mai avuto il coraggio di compiere quel gesto. Non che fosse utile, in fondo, non avrebbe potuto scorgere il colore delle iridi, tuttavia era sempre stato curioso di sapere quale aspetto avesse il suo viso.

Il moro lo ignorò, concentrandosi ancora di più sulla lettura. Era sua intenzione continuare ad essere il primo della classe, quell'anno.

“Sarete in classe col duca Vessalius e la duchessina Rainsworth,” comunicò ai presenti Vincent. “Credo che ci sarà da divertirsi. Come sono quei due a scuola?” Chiese ad Echo, la quale era già negl'anni scorsi assieme ai ragazzi sopraccitati.

“Sono bravi, a parte Alice, lei non ha voglia di studiare.” rispose apaticamente la piccola Echo. A lei stavano simpatici e avrebbe pure voluto accettare la loro amicizia, che con tanta solerzia avevano cercato di ottenere, se non glielo avesse vietato Vincent.

“Bene, da oggi dovrai frequentarli,” ordinò il biondo.

La ragazza sussultò un poco e le brillarono gli occhi, aveva udito veramente tali parole? Lui le stava dando il permesso di stringere amicizia con Oz-sama? Oppure era tutto calcolato e vi era un qualche strano disegno dietro? Non riusciva a capire il suo padrone e sospettava che fosse affetto da qualche forma di pazzia, altrimenti non si spiegava i suoi bizzarri comportamenti. A volte era il ragazzo più dolce del mondo, la coccolava, la pettinava e le sussurrava dolci parole all'orecchio; altre invece si trasformava nel mostro che la picchiava e la violentava psicologicamente. Aveva due personalità, ad Echo piaceva enormemente la versione tenera, ma odiava con ancora più forza quella crudele.

 Quando lo aveva conosciuto, per la strada, sembrava un angelo salvatore. Si era avvicinato a lei e le aveva offerto una rosa nera. Nonostante la bizzarria del regalo, a lei era piaciuto, era il primo vero dono che aveva ricevuto in tutta la sua vita. 

"Vuoi venire con me?" Le chiese, non aggiunse altro, così lei pensò che fosse solamente uno dei tanti clienti. Invece si rivelò essere una luce in un mare di tenebre. La sfamò, la vestì, le diede un posto dove dormire e a cui appartenere; le propose una ragione di vita e lei vi si aggrappò, felice di poter cambiare la sua esistenza. Poi però aveva cominciato ad intravedere i segni della sua pazzia. Qualche mattina restava chiuso in camera e con le forbici distruggeva tutto quello che poteva tagliare. Dopodiché era arrivato il giorno in cui le aveva alzato le mani. Non ricordava per quale motivo avesse meritato quelle botte, ma le si era spezzato il cuore. Dopo averla malmenata, però si era avvicinato a lei e si era messo a piangere, urlando e chiedendo di perdonarlo. L'aveva stretta tra le braccia, dalla quale lei desiderava solo che scappare, e non la lasciò per tutto il pomeriggio. 

Non aveva mai pensato seriamente di andare via dalla casa Nightray, d'altronde non aveva alcun posto cui tornare, se non forse dal vecchio pappone, ma preferiva le botte e gli insulti saltuari di Vincent-sama, piuttosto che tornare a prostituirsi, così subiva in silenzio quella tortura, cercando di indispettirlo il meno spesso possibile. Stare al suo fianco era come camminare su un ponte traballante, sai che prima o poi poserai un piede su una tavola marcia e precipiterai giù, solo che non puoi far altro che andare avanti e cercare di non cadere.

"Onee-San! Dovresti smettere di dettar legge a Echo, lei è il tuo servitore non il tuo schiavo," lo rimproverò Elliot, puntandogli un dito contro. 

Echo sussultò, era la prima volta che Elliot-sama prendeva le sue difese, in realtà non era quasi mai capitato che venisse a conoscenza dei folli e inutili piani di suo fratello maggiore. 

Vincent sembrò divertito. Prese il mento del biondino e lo avvicinò a sé. "Tu invece, dovresti mettere una museruola a quella specie di scopino che ti porti sempre dietro (si riferiva a Leo), ha troppa libertà nel parlare e talvolta eccede i limiti imposti dal suo rango." Azzerò la distanza tra loro, posandogli le labbra sull'orecchio destro. "So che ti piacerebbe tenergli la bocca occupata con qualcosa, potrebbe essere un buon modo per fargli capire chi comanda." 

Elliot sussultò e allontanò il fratello da sé. Se avesse avuto uno specchio a portata di mano, avrebbe visto il suo viso arrossire. Come poteva, Vincent, sapere quello che provava per Leo, quando lui, in prima persona, ripudiava quei sentimenti? Lui era un uomo, l'unico vero erede dalla famiglia Nightray, non poteva essere omosessuale, non doveva.

Quando arrivarono Elliot si lanciò fuori dall'abitacolo. Non voleva più subire le provocazioni del fratello, sopratutto perché avevano un fondo di verità. Aveva passato molte notti a sognare proprio quello che Vincent gli suggeriva di imporre al suo servo. Osservando Leo, si capiva, tuttavia, che non sarebbe stato d'accordo e non voleva abusare del suo superiore rango sociale.

Poco distante, si era fermata anche la carrozza dei Rainsworth; la buona educazione costringeva il quartetto ad andare a salutare la duchessina.

“Ciao, Sharon-san,” chinò leggermente la testa e lei gli porse una mano, affinché la baciasse. Ogni volta che le sue labbra sfioravano la pelle liscia e profumata di una femmina, si chiedeva come fosse possibile che preferisse la vicinanza con un ragazzo. Le dita di Leo non sapevano di rosa o di borotalco.

Con la coda dell'occhio, notò Xerxes-kun infastidito da quel gesto. Sicuramente aveva una mente brillante, ma non era molto bravo a nascondere i sentimenti per la sua principessa. Elliot sogghignò, come era bizzarro un amore tra servo e padrona. Non sarebbe mai potuto sbocciare, nessuno avrebbe acconsentito ad una matrimonio con un uomo tanto inferiore.

“Sharon-san, i miei più sentiti omaggi.” Vincent si era intromesso, afferrando, un po' scortesemente, la mano della signorina. “E c'è anche il servitore che non sa stare al suo posto,” aggiunse, rivolgendosi al canuto. Poi gli si avvicinò e gli comunicò qualcosa sottovoce, all'orecchio. Xerxes strabuzzò gli occhi e impallidì. Il biondo esultò, compiacendosi della reazione del suo interlocutore, poi, lesto, voltò lo sguardo ad est e si allontanò, senza informare i presenti delle sue intenzioni.

Elliot avrebbe voluto chiedere al fratello cosa avesse detto a Break, ma non ne ebbe il tempo. Lo seguì con lo sguardo e comprese che si stava avvicinando ad un gruppetto di persone.

Si congedò dalla coppia e si diresse verso i nuovi arrivati. Doveva assolutamente parlare con Oz, era una questione di vita o di morte.

Vincent si lanciò tra le braccia di Gilbert, che contraccambiò il suo gesto con un decimo del suo entusiasmo.

“Nii-san,” continuava a ripetere, mentre gli accarezzava la testa. Il poveretto, oggetto delle attenzioni morbose del biondo, non riusciva a trovare un modo per staccarsi senza offenderlo.

“Ehy, tu!” Salutò Oz. Nonostante potessero definirsi amici, non aveva alcuna intenzione di comportarsi con lui come normalmente si comportano gli amici.

“Elliot-kun, Leo-kun,” li chiamò, agitando energicamente il braccio. “Che bello rivedervi, avete passato una buona estate?”

“Certamente duca,” rispose cortesemente il moro, alzando, per l'occasione, gli occhi dal libro.

Elliot prese per un braccio Oz e lo portò qualche metro più distante. “Devo parlarti,” annunciò concitato. L'altro annuì sorridendo, poi reclino la testa. Quando faceva così, voleva dire che aveva acconsentito ad ascoltarlo.

“E' morto! Hai letto che il vassallo dell'imperatore è morto?” Ecco, finalmente poteva sfogarsi con qualcuno, a nessuno era interessato questo avvenimento.

“Cosa?” Urlò con tutto il fiato che aveva in corpo. “Non è possibile, io ero certo che sarebbe sopravvissuto, ma tu come fai a saperlo?”

“L'ho letto, razza di idiota!”

“Ma se il decimo capitolo è uscito solo la settimana scorsa?”

Il viso di Elliot fu molto eloquente e Oz comprese che il suo amico gli aveva di nuovo anticipato Holy Knight.

“Non è giusto,” protestò. Poi si accucciò a terra e guardò malissimo l'amico. “Non ti parlerò mai più, sei una persona orribile.”

Il Nightray sogghignò. “La verità è che non sai leggere!”

“Piantala!”

“Ehy, come osi trattare così il mio servo!” Alice provò a tirare un pugno ad Elliot, ma questi per puro caso lo evitò.

“Ti sei fidanzato con la signorina Baskerville?” Domandò, alzando un sopracciglio. “Ti piace essere sottomesso?” Conoscendo Oz, in effetti, non si sarebbe sorpreso. Con la coda dell'occhio, vide che Gilbert stava arrivando, trascinandosi dietro il fratello.

“E' possibile che non riusciate a stare lontani da Oz nemmeno per un minuto?” Chiese, un po' indispettito. Ogni volta che parlava col suo amico doveva esserci sempre qualcuno e di solito si trattava di Alice o Gilbert. Possibile che dovesse sempre avere la corte dietro?

Il moro sembrò un po' a disagio, mentre Alice di tutta risposta gli comunicò che egli gli apparteneva ed era dunque suo compito stargli sempre vicino.

Che gabbia di matti,” pensò il Nightray, poi guardò Vincent e si rese conto che quei tre non erano gli unici ad essere fuori di testa. “Forse tutti i nobili sono così,” sentenziò infine.

Ada fu l'ultima ad apparire, si era fermata a parlare con un'amica delle medie che era stata ammessa alla Pandora. “Che succede qui?” La piccola Vessalius era curiosa, ma anche molto timida.

Vincent strabuzzò gli occhi non appena la vide, rimase a bocca aperta per qualche secondo, come se fosse stato fulminato. Anche Ada lo fissò per qualche secondo, poi distolse lo sguardo.

“Signorina Ada, questo è mio fratello minore, Vincent.” Gilbert ebbe l'accortezza di presentare i due, che sembravano a disagio.

“Piacere,” riferì la ragazza, con un grazioso inchino. Gli allungò la mano un po' tremante. Lui continuava ad avere una faccia da ebete, subito non sembrò accorgersi dell'arto teso della ragazza, poi però si ridestò e le sfioro le nocche. “Il piacere è tutto mio,” mormorò.

Prima che Oz potesse chiedere alla sorella spiegazioni circa il suo bizzarro comportamento, arrivò un ragazzo dai capelli amaranto con dei volantini in mano.

“Buongiorno ragazzi, fra una settimana si terrà la festa in maschera di inizio anno.”

“Ciao Cheshire!” Esclamò Oz, tutto felice.

Lui arrossì un po' quando vide la signorina Baskerville. “Buongiorno anche a lei, Alice-sama.” Lei gli rispose con un: “eh?” Dopodiché lo salutò con noncuranza.

“Comunque volevo solo informarmi che il tema scelto per quest'anno sarà il 'moulin rouge' e vi consiglio di sbrigarvi a invitare una ragazza,” aggiunse frettolosamente, a disagio. Scappò subito dopo. L'indifferenza della signorina Alice lo deprimeva, anche se sapeva di essere di rango inferiore al suo.

Tutti i presenti divennero paonazzi a conoscere il tema della festa, tutti tranne Vincent che si mise a ridere e, con sorpresa generale, invitò seduta stante la signorina Ada Vessalius.

“Non pensarci neanche lontanamente,” protestò Gil, ma prima che potesse dire altro la fanciulla acconsentì. Oz rimase imbambolato, incapace di comprendere per quale motivo avesse accettato.

Poi la campanella suonò e furono costretti ad entrare in aula.

 

L'uomo osservava i ragazzi entrare nella Pandora High School. Erano chiassosi ed energici come al solito. Di sicuro non sapevano cosa stesse per accadere da lì a poco. Finalmente era quasi arrivato il tempo di agire, ancora pochi mesi e lei sarebbe tornata. Doveva solo preoccuparsi che tutto fosse filato come aveva pianificato e sarebbe riuscito nel suo intento.

Quando la campanella smise di suonare, il piazzale d'ingresso era vuoto, perciò chiuse le tende. Si diresse verso la poltrona e li vi si abbandonò. A fine anno, la sua arma sarebbe stata carica, doveva solo pazientare ancora un po'. Temeva che i suoi sforzi risultassero vani, per quello avrebbe dovuto vigilare su quel ragazzo, in modo da manipolarlo il meglio possibile.

La porta si aprì lenta.

“E' permesso?” Chiese una voce gracchiante.

“Cosa ci fai qui?”

“Sono solo venuto ad osservare se tutto andasse come desiderato.”

“Sì, è come ci aspettavamo.”

Il nuovo arrivato gioì e batté le mani compiaciuto. “Finalmente, finalmente! Questa terra si coprirà di sangue, fiumi e fiumi di sangue, finché tutti non affogheranno.”

“Datti una calmata, per ora devi ancora restare nell'ombra, Cappellaio.”

 

 

Ciao a tutti! Questa è la prima storia lunga che pubblico su Pandora, spero vi sia piaciuta, nonostante l'introduzione orribile! Pian piano si scopriranno verità nascoste e dolorose, ma proverò anche a fare qualcosa di divertente. Un bacio a tutti <3

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Capitolo 2
*** Sbirciare dal buco della serratura ***


Le urla erano interrotte da qualche sporadica risata sadica.

"Mio signore," chiamò un servo appena apparso nella stanza.

L'uomo si voltò con lentezza, nello sguardo vi era dipinto il fastidio che provava per quella irruzione. 

"Cosa vuoi?" 

"Emm... Mio signore, lui ha accettato," balbettò. 

Come se fosse stato scosso dall'elettricità, trasalì. Poi proruppe in una risata fragorosa. Si portò le mani al viso, per coprirsi gli occhi che trasudavano lacrime. "Bene, bene," ripeté. "Bene, bene, bene, bene. Ottimo lavoro, dobbiamo festeggiare!" 

"Sì signore." Il servo sospirò, per fortuna aveva recato buone notizie. Sapeva fin troppo bene cosa succedeva a chi lo informava di eventi spiacevoli. 

L'uomo si mise a correre per i corridoi finché non trovò la porta che gli interessava. La aprì, spalancandola.

"Piccola mia, finalmente sta quasi arrivando il momento che aspettavamo da tanto!"

Lei lo guardò inebetita, indecisa se credergli o meno. Si alzò dal letto, tirandosi dietro le lenzuola. Afferrò un piccolo orsetto di peluche poco distante e lo strinse a sè. "Hai sentito kuronana? Fra poco usciremo da qui," bisbigliò. 

"Come? Dici che vuoi una prova?" Chiese all'orsetto. Poi alzò lo sguardo. "Dov'è la prima testa?" Chiese all'uomo.

Lui si portò un dito alla bocca, per smaltire la tensione. "Non c'è ancora, ma cadrà molto presto."

"Non mi basta!" Urlò la ragazza, lanciando per aria il pupazzetto. "Ti odio, ti odio! Dov'è la testa, dov'è!" Poi emise un grido inarticolato, disumano. 

"Piccola, calmati, è solo questione di mesi."

Lei si era accasciata al suolo e piangeva. L'uomo le si avvicinò e le accarezzò il voltò, cercando di rassicurarla.

"Me lo prometti?" Chiese, asciugandosi gli occhi e sussultando sempre meno.

Odiava vederla piangere, perché quando lacrimava le ricordava lei. Il suo volto sorridente lo tormentava, lo torturava ogni notte, mentre, durante il giorno, lo faceva sentire terribilmente solo.

Se tutto fosse andato secondo i piani, ogni cosa sarebbe tornata a posto. Proruppe in una risata, dapprima appena sussurrata, poi fragorosa e raggelante.

"È ora del tè," annunciò seria in voltò.

"É vero, iniziamo subito."

Fu così che il tea-party cominciò.

 

 

"Signorina Baskerville, vada al suo posto!" Esclamò la professoressa, piazzandosi davanti alla fanciulla. Un dito picchiettava contro il braccio, segno che la sua pazienza era al limite. 

"Questo è il mio posto!" Rispose Alice, gonfiando le guance. Odiava essere rimproverata, sopratutto quando era dalla parte della ragione. Incrociò le braccia dietro la testa e mise i piedi sul tavolo. Grazie al cielo era in prima fila, altrimenti tutti avrebbero potuto conoscere il colore di biancheria che indossava. "Io, da qui, non mi muovo," affermò calma. 

Spinse leggermente indietro lo schienale e cominciò a dondolarsi lentamente con la sedia. Perché tutto il mondo ce l'aveva con lei? 

"Alicechan, perché... Emm... Perché non ti sposti vicino a Sharon?" Domandò titubante Oz, che le era seduto al fianco. Alle volte era proprio testarda, inoltre aveva un'indole troppo selvaggia per essere una nobile. A lui stava simpatica, perché conosceva le sue sofferenze e aveva compreso, dopo tutto quel tempo passato assieme, la sua bontà d'animo, tuttavia non poteva amare quella sua testardaggine. Talvolta assomigliava ad un mulo ed era impossibile farle cambiare idea, proprio come stava accadendo ora.

"Questo è il mio posto," protestò con veemenza. 

"Signorina, non lo vede che è in mezzo al banco? Essi sono stati costruiti per due persone, non per tre!" La professoressa di matematica era quasi al limite della sopportazione. È vero che Alice e Oz erano sempre stati compagni di banco, ma non poteva bloccare le lezioni solo perché il signorino aveva deciso di stare con un'altra persona.

"Io...io... Posso andare in un altro posto," mormorò Echo, stingendo i pugni in grembo. Si sentiva terribilmente dispiaciuta. Per colpa sua i due ragazzi stavano litigando.

"No, Echochan, sono stato io a chiederti di sederti qui, è Alice che deve spostarsi." Era stato il duca Vessalius a proporre alla piccola signorina dai capelli bianchi di stare vicini, per quell'anno. Era rimasto parecchio sorpreso quando Echo gli si era avvicinata e aveva cominciato a parlare, come se finalmente avesse accettato l'amicizia che gli avevano porto. Di solito si limitava a fissarli o a rispondergli monosillabi, invece ora sembrava contenta di stargli vicino, quindi doveva approfittare di questa situazione per stabilire un rapporto più intenso. Le aveva letto negl'occhi un'incredibile sofferenza e aveva tutta l'intenzione di renderla più serena. In effetti vivere con Vincent-Sama deve essere parecchio dura per una persona normale.

"Ecco, vai," asserì Alice. "Lascia stare il mio servo."

"Ma Oz-kun non è il tuo servo," rimbeccò la ragazza. Non aveva mai capito il motivo di tale soprannome.

"Sì che lo è," annuì. Molti anni prima aveva perso una scommessa e da quel giorno era diventato il suo servitore.

"Signorina, torni al suo posto." Questa volta, nella voce della professoressa, era scomparsa ogni traccia di pazienza. 

Alice guardò Oz, che le sussurrò di non prendersela troppo; le ricordò che erano anni che speravano che Echo si aprisse con loro, non poteva rompere questo magico momento. Fu grazie alle parole del biondo che si alzò, sbuffando, e si mise in cerca di un altro compagno di banco. Tutti i suoi amici la guardavano con un sorriso sulla faccia, credevano che fosse gelosa del suo "servo", in realtà non sapeva neanche lei perché aveva agito in quel modo così infantile. 

"Alicechan, siediti pure qui," la invitò Sharon, che aveva lasciato un posto libero proprio in previsione che sarebbe stato occupato dalla Baskerville. 

"Grazie."

Si lasciò scivolare sulla sedia, poi posò il mento sul freddo tavolo di legno. La professoressa iniziò a parlare, ma lei non capiva quel che stava dicendo. 

"Psss, Sharon," la chiamò bisbigliando. "Perché ridi?"

"Non sto ridendo, sto solo sorridendo," rispose tronfia. Non riusciva a trattenersi per la scenetta di prima, era stata abbastanza comica, sopratutto perché, secondo lei, quello era l'indice dell'amore che Alice provava nei confronti di Oz. 

A lei piacevano così tanto le storie d'amore, quindi aveva tutta l'intenzione di seguirne lo sviluppo. Inoltre quella sera ne avrebbe parlato con Xerx-niisan e si sarebbero confrontati su quale fossero i veri sentimenti della Baskerville. Un argomento piuttosto interessante di conversazione.

"Non te la prendere, Oz kun può star con te tutto il giorno," osservò la Rainsworth. "Stare qualche ora separati non farà altro che rinvigorire la vostra passione." Ghignò malignamente, sapeva che l'avrebbe messa in imbarazzo, ma qualcuno doveva pur farle capire i suoi sentimenti.

"Non è così, non amo Oz kun!" Urlò la mora, proprio in un momento di silenzio totale. Tutti si voltarono a guardarla, increduli e divertiti.

"Bene signorina Baskerville, ora che lo ha reso noto, posso continuare la lezione?"

Annuì. Si sentiva terribilmente in imbarazzo, se avesse potuto si sarebbe lanciata dalla finestra. Anche Oz si era voltato, ma in lui vi affiorò solo il solito dolce e innocente sorriso. 

Si voltò verso la finestra. Nel cortile una classe aveva l'ora di ginnastica. "Che sfiga avere quella lezione al lunedì mattina," osservò.

Il gruppo di persone in pantaloncini corti chiari si mise a correre in cerchio, vicino al campo di basket. Una persona la colpì in particolare: si trattava di testa d'alga-kun. Teneva lo sguardo fisso a terra ed era in testa alla fila. Poco dopo venne raggiunto da pagliaccio-kun.

Pagliaccio-kun cinse le spalle di testa d'alga-kun non appena smisero di muoversi. La professoressa parlava ma quei due parevano non darle il minimo ascolto, anzi erano impegnati in una conversazione o, meglio ancora, il canuto stava cucciando un lecca lecca mentre proferiva qualche parola, mentre l'altro si teneva la bocca coperta da una mano e si limitava ad annuire o scuotere la testa. Poco dopo Gil alzò lo sguardo e per caso incrociò quello della ragazza. Rimase qualche secondo paralizzato con la bocca semi-aperta e le guance che diventavano secondo dopo secondo sempre più rosse. 

Alice si sentì turbata da ciò che vide; per la prima volta, notò la perfezione del viso di Gilbert. Non ci aveva mai fatto caso, ma il suo naso era piccolo e delicato, gli zigomi alti, gli occhi erano luminosi e quel colore così insolito li rendeva magnetici, inoltre i capelli sembravano così morbidi. Chissà, forse avrebbe potuto scoprirlo, se solo li avesse potuti accarezzare. Alzò una mano e lo salutò, lui però abbassò subito lo sguardo. Xerxes, invece, credendo che stesse salutando tutti e due si inchinò leggermente in avanti, toccando un immaginario cappello. 

L'amico trovò il coraggio di rialzare il mento, ma la magia si era rotta ed Alice pensò bene di fargli la linguaccia.

"Signorina, la pianta di comunicare con l'esterno? Devo sbatterla fuori dall'aula?" Chiese incattivita la professoressa.

"No!" Urlò Alice. Cosa le stava succedendo? 

Non ebbe molto tempo per chiederselo che la porta si aprì ed entrò, lanciato da chissà chi, un coniglietto di peluches senza testa. Il contenuto morbido e bianco si sparse un poco sul pavimento, mentre il corpo giacque sulla cattedra. 

La professoressa, esaurito l'ultimo goccio di pazienza, spezzò una matita. "Alice," gridò. "Vada a recuperare Vincent Nightray e lo porti dal preside, tanto non serve a nulla la scuola per persone come voi."

La signorina Baskerville fu molto offesa nel sentirsi paragonata a quel maniaco dei conigli, però non rispose, per lo meno avrebbe passato la giornata a scorrazzare per i corridoi. 

Prima di uscire osservò Sharon che le sorrise malignamente (e la cosa la preoccupò un po' visto che temeva sempre i pensieri della duchessa), Oz invece scosse la testa per il biasimo, mentre Echo stava ancora troppo vicina al suo servo.

Nei corridoi regnava il più assoluto silenzio, rotto solamente dai passi cadenzati di qualcuno poco distante. Seguì quel suono fino a quando non udì più nulla. Davanti alla prima A, Vincent stava immobile, come assorto in contemplazione.

Alice si nascose dietro l'angolo e lo osservò per qualche minuto. Egli spiava dal buco della serratura e ridacchiava. Di cosa ci fosse così divertente proprio non lo capiva. Stava quasi per andargli incontro e dirgli di recarsi dal preside, quando lui estrasse la testa del coniglio mozzata e infilò le orecchie nel buco, incastrandole dentro, di modo che rimanesse a penzolare.

La signorina Baskerville era alquanto inorridita da quei gesti sconclusionati, tuttavia, prima ancora di avere il tempo di tirargli un calcio sul capo, venne richiamata dalla professoressa di inglese. 

"Signorina, visto che è qua in giro, può portare questo" - le mollò un documento- "alla professoressa Dasty? Grazie." Non attese neanche la risposta e sparì dietro l'angolo.

Alice diede un'occhiata al foglio che si era ritrovata tra le mani, era un'inutile circolare, di quelle che nessuno legge, ma firmano tutti.

Si guardò intorno, indecisa se seguire Vincent o andare giù in palestra, dalla professoressa di ginnastica. Optò per la seconda scelta, così per lo meno il maniaco dei conigli avrebbe ricevuto una doppia punizione.

 

La palestra era situata in un edificio adiacente alla scuola. Di solito i ragazzi si cambiavano lì poi, a seconda dei casi, ci si trasferiva al chiuso o all'aperto. Ad Alice stava molto simpatica la prof Dasty, le dava sempre buoni voti e di tanto in tanto qualche regalo. Non che fosse raccomandata, solamente sapeva che era orfana e quindi cercava di donarle qualche premura in più. 

Il sole era piuttosto caldo a quell'ora, così fu un sollievo quando si rintanò al fresco dell'aria condizionata dell'ingresso della palestra. Nel corridoio un gruppo di ragazzi del settimo anno si fermarono a salutarla, riferendole che quella mattina la lezione era finita prima, in quanto una ragazza si era sentita poco bene. 

Entrò nel campo di pallavolo e basket, dove appunto sedeva la professoressa. Aveva una piccola cattedra che usava per controllare il registro. 

"Professoressa Dasty, ho questo foglio da farle firmare!" Esclamò Alice saltellando e sventolando il pezzo di carta. 

"Oh, grazie. Vieni, vieni," la invitò. Siglò il documento senza neanche degnarlo di uno sguardo, dopodiché chiese alla fanciulla se avesse già il cibo per il pranzo. Scosse la testa, nella confusione se lo era dimenticato, e con orrore si rassegnò a dover mangiare alla mensa.

"Ecco," le porse un piccolo sacchettino, con all'interno una scatoletta di alluminio rettangolare. "Sono dei totani fritti e delle patate arrosto, li ho presi in rosticceria, ma è sempre meglio della mensa."

Ad Alice le si illuminarono gli occhi. "Grazie mille!" 

La professoressa annuì sorridente, poi la congedò. 

Tornando indietro si fermò un attimo davanti agli spogliatoi maschili. Era vero quello che dicevano circa l'ordine e la pulizia di quel luogo? Una volta, Sandra le aveva confidato che si nascondeva il fantasma dell'ordine e del profumo, ammazzato anni or sono dai ragazzi. Si avvicinò titubante, poi si chinò ad osservare lo spogliatoio dal buco della serratura. Prima di entrare in territorio nemico doveva assicurarsi che non fosse una discarica. 

Dentro regnava il più tranquillo silenzio. Le panche erano vuote e il pavimento sgombro. Forse Sandra si era sbagliata...

Una macchia bianca offuscò la sua visuale. La signorina trasalì e si tirò un po' indietro per massaggiarsi gli occhi. Quello era il manto del fantasma? Quando tornò ad osservare dentro, la situazione era come prima. Silenzio rotto solo dallo sbattere di una finestra poco lontano.

Alice posò la mano sulla maniglia, pronta a spalancare la porta, quando dal buco della serratura tutto divenne bianco, poi rosa, rosso ed infine nero. Spaventata mollò la presa e fece qualche passo indietro. Lanciò un'occhiata alla palestra, ma la professoressa sembrava scomparsa. Attorno non c'era nessuno, non si sentiva nulla eccettuato lo sbattere della finestra. 

La maniglia si girò lentamente. Il cigolio era fastidioso e terribile, sembrava di essere stati catapultati in un film dell'orrore. 

Spuntò un manto candido.

Alice era pronta a colpirlo con un destro, quando apparve una faccia.

"Alice-San, da quand'è che ti diletti a spiare i maschi?" Chiese ridendo il fantasma.

"Scemo di un pagliaccio! Mi hai spaventato!" Gridò la fanciulla.

"Ohi, ohi," sussurrò. "Non è nulla." Enfatizzò le sue parole con un gesto della mano, come se volesse scacciare via la paura di Alice. Poi lanciò uno sguardo al sacchettino odorante di pesce. "Le mie scuse signorina." Accennò ad un inchino. "Stavate solamente cercando un posto dove ingozzarvi. Devo informarvi che lo spogliatoio maschile non è il luogo più adatto dove consumare un pasto." La schernì. Uscì definitivamente dalla stanza e spalancò la porta, invitandola a varcare la soglia. 

"No!" Protestò la piccola Alice. Non intendeva mangiare seduta nelle panche, dove magari i suoi compagni posavano i gioielli sudati. Incrociò le braccia e distolse lo sguardo. "Pensi male Pagliaccio-kun, io non ho..."

Una spinta la catapultò dentro lo spogliatoio, subito dopo sentì chiudersi la porta alle spalle.

No, quello era un incubo. Non poteva veramente averla chiusa là dentro. 

Si osservo intorno. Tutto era a posto, proprio come aveva potuto spiare prima. L'odore era gradevole, anche se molto lontano dal profumo che emanava lo spogliatoio femminile.

 La finestra continuava a sbattere. Doveva essere nella stanza delle docce, lì affianco. Lì si diresse e in effetti la finestra era aperta. Il bagno era composto da una decina di stanzine per la doccia e altrettante coi water. Sorprendentemente, anche lì era tutto in ordine. 

Appena si avvicinò un po', l'acqua di una doccia cominciò a scorrere. Che fosse il fantasma? 

Corse indietro. Nelle panche non c'era alcun indumento, quindi Xerxes era stato l'ultimo ad andarsene. Udì l'acqua spegnersi. Che cosa stava succedendo? 

Tornò alle docce. Quello che vide la sconvolse profondamente: Gilbert era appena uscito. Grondava d'acqua ed era avvolto in un piccolo e sottile accappatoio, che gli copriva i fianchi e le cosce. Notò l'intensificarsi dei peli mentre seguiva la linea del busto. Chissà quanto era peloso... Cosa si stava chiedendo? Perché doveva pensare al suo...

Gilbert tentava di asciugare i capelli con un asciugamano rosa. La scena era piuttosto tenera, sopratutto perché teneva gli occhi chiusi mentre compiva questa attività.

Alice cercò di nascondersi dietro il muro, per non fargli capire che lo stava spiando, ma proprio in quel momento la notò. 

Urlò e qualche istante dopo anche lei si unì alle sue grida. Si puntarono il dito contro e si chiesero a vicenda cosa ci facessero in quel luogo. Dato che Gilbert aveva palesemente un motivo per essere lì, mentre Alice era manifestamente un'imbucata, ella pensò di risolvere la questione a pugni. Per lo meno lo avrebbe potuto tramortire, così che non ricordasse nulla. 

Gli si lanciò contro per tirargli un destro (la sinistra era ancora occupata a tenere il sacchetto coi totani), ma poco prima di arrivare a segno lui la fermò, bloccandole a mezz'aria il braccio.

"Sei impazzita, stupido coniglio?" Le chiese Gilbert, cercando di non pensare che fosse quasi nudo. Lei lo aveva spiato mentre faceva la doccia come aveva fatto lui quella mattina? Arrossì al ricordo. Era una creatura meravigliosa, con l'acqua e il sapone che le scivolavano addosso. Ora invece assomigliava più ad un demone.

Alice si dimenò. Non sapeva più cosa fare, quindi tirargli un colpo in testa era la cosa migliore. Tentò di divincolarsi, ma riuscì solo a tirare in avanti e costringendo, quindi, Gil a resistere a quella spinta. Il ragazzo era trenta buoni centimetri più alto di lei e non fu difficile non cadere, tuttavia, il pavimento era reso scivoloso dall'acqua che aveva grondato e quindi perse l'equilibrio. Cadde e, come quella mattina, la trascinò dietro, con sé, a terra. 

Lei gli cadde completamente sopra, con le gambe divaricate, attorno ai suoi fianchi. 

"Alice..." Gilbert gemette un poco quando sentì la pressione sul suo membro. Perché reagiva così velocemente al contatto con quella fanciulla? Lui la odiava, le portava via l'amore del padroncino.

La ragazza rimase di pietra. Il viso di Testa d'alga-kun era arrossato e i capelli ricci erano lucenti per l'acqua. 

"Che stai facendo?" Chiese inorridita la Baskerville, sentendo l'amichetto premere contro le sue mutandine.

"Io... Io..." Si nascose la faccia tra le mani. Non aveva il coraggio di riferirlo.

"Sei un pervertito!" Lo rimproverò. Eppure lei non riusciva a staccarsi. Stranamente quel contatto le accelerava i battiti del cuore. Alice sentì l'impulso di togliere le mani da suo viso, per osservarlo meglio. Lui non oppose resistenza, ma voltò la testa.

"Alice... Io... Devo dirti una cosa," bisbigliò. Ora il suo colorito assomigliava più a quello di un'aragosta che a quello di un uomo. Dopo poco trovò il coraggio di guardarla in viso.

La fanciulla sussultò. Era bello da mozzare il fiato. Perché non se ne era mai resa conto? Venne catturata dal liquido dorato e magnetico delle sue iridi. Qualcosa la spingeva ad avvicinarsi; fu così che si chinò su Gilbert con l'intenzione di baciarlo.

 

 

Ciao a tutti! Scusate per l'attesa, spero che questo capitolo vi piaccia! Ovviamente sono ben accetti i consigli per migliorare :D Chissà se Alice avrà il coraggio di baciare Gil, ma sopratutto che vuol dire quest'ultimo alla fanciulla? :D Alla prossima, un bacio!

Girasolerossofuoco.

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Capitolo 3
*** Incomprensioni ***


Gilbert osservava Alice intenta a mangiare i pezzi di pesce fritto, mentre stava seduto su una panca,
nel giardinetto esterno degli spogliatoi maschili. Lei era lì, a pochi centimetri da lui, come se nulla
fosse successo.
Afferrò il pacchetto di sigarette che aveva stropicciato per la tensione e l'accendino. Grazie al cielo,
Xerxes non gli aveva fatto sparire pure quelle. Cosa gli era saltato in mente di chiuderlo con Alice?
Era forse per quello che gli aveva raccontato durante la corsa? Quel demonio! Ora gli toccava star
segregato in palestra con lei per parecchie ore: non solo la settima aveva interrotto la sua lezione,
dopo, da programma, non c'era nessuna classe, almeno fino alle due. Oltretutto, cosa avrebbero
pensato i loro compagni, trovandoli insieme, trincerati dentro lo spogliatoio e con lui mezzo nudo?
Era una domanda fin troppo retorica e il povero ragazzo, sopraffatto dall'emozione che quei pensieri
gli procuravano, si mise una mano sul viso, sperando di scomparire dalla vista del mondo.
Non aveva mai conosciuto una donna, mai, quindi non sapeva cosa volesse dire, ma Xerxes l'aveva
erudito abbastanza bene coi suoi discorsi sulle sue avventure galanti. Il Nightray sospettava che se
le inventasse, dato che era sempre attaccato alla sottana di Sharon, ma era troppo una fonte di
sapere per ordinargli di smettere, così lo ascoltava, sperando di imparare qualcosa.
Alice continuava a infilare un anello di totano nell'indice, portarlo sopra la nuca, piegare la testa e
mangiarlo. Non aveva mai visto nessuna nobildonna comportarsi in tal maniera. Era completamente
selvaggia e schiava dei suoi sentimenti, ma era preferibile a quei conti e duchi snob e ipocriti che si
aggiravano per Reveille. Un sorriso spuntò spontaneo sul suo viso.
Da quando era scappato da casa Nightray, stufo dei dispetti di Vincent e dopo aver scoperto di
essere stato adottato, erano stati sempre lui e Oz. In casa Vessalius aveva passato i giorni più lieti e
spensierati. Il cuore di Gil era colmo di gratitudine per Oscar-sama e per Oz-sama, tanto che decise
di dedicare la sua vita all'erede della casata. Per lui, Oz veniva prima di tutto e fu un brutto colpo
quando il duca Baskerville bussò alla loro porta.
Era una notte buia e tempestosa, una di quelle da racconti dell'orrore e infatti era così che li colse la
nuova arrivata: in sala, con Oz intento a spaventare a morte un Gilbert lacrimante. Aveva sedici
anni, e Oz tredici, ma era ancora molto sensibile ai racconti da brividi.
Oscar-sama li chiamò e presentò loro la ragazza. In un primo momento sembrava una fanciulla
adorabile, tanto che entrambi arrossirono violentemente. Oz, coi suoi modi gentili, la invitò a
sedersi con loro, mentre Gil si limitò ad osservarla. Aveva uno sguardo penetrante, ma triste e il
ragazzo provò l'impulso di abbracciarla e consolarla. Ovviamente rimase li impalato e, per il
turbamento, dopo poco, scappò dalla stanza. Da tutti venne recepita come una scenata di gelosia e da quel giorno in poi fu bollato come "invidiosetto".
Per i primi giorni, la fanciulla continuava a tenere un comportamento sommesso. Dopo qualche
mese, però, sfiorì nella manesca e primordiale Alice: quella che picchia, urla e tratta tutti come
schiavi.
Cosa gli era saltato in mente di chiederglielo? Come aveva potuto, qualche minuto prima, quando
lei gli era a cavalcioni, domandarle se volesse ballare con lei, alla festa di inizio anno? Era ovvio
che lei l'avrebbe voluta passare con Oz-kun, l'aveva sempre preferito.
Tra di loro i rapporti non erano mai stati dei più rosei. Non sapeva esattamente per quale motivo
fossero diventati come il cane e il gatto, o meglio, faceva finta di non ricordare.
Rimembrava come se fosse ieri. Si era alzato presto, quella mattina, per poi recarsi di buon'ora dal
fiorista. Lì si era fatto confezionare un bellissimo bouquet di rose bianche e rosse, dopodiché era
tornato a casa Vessalius di corsa. Oscar-sama, suggeritore delle azioni del ragazzo, era rimasto più
che soddisfatto e lo invitò a dichiararsi.
Tremando come una foglia, si piazzò davanti alla fanciulla, che stava passeggiando in giardino, e
pronunciò quelle fatidiche parole, futura fonte di tormento. Avrebbe dovuto dirle: "mi piaci", invece
dalle sue labbra uscì solo, porgendole le rose, un: "ti piacciono?"
Lei di tutta risposta, dopo averlo osservato per qualche secondo rintontita, afferrò un fiore, lo staccò
con forza e se lo mangiò. Lo sputò subito, sentenziando che facesse schifo.
Da quel giorno in poi non riuscì più a comportarsi normalmente col genere femminile.
"Vuoi un totano?" Domandò Alice, porgendogli un anello fritto dondolante sull'indice.
Gil si limitò a scuotere la testa. Come poteva far finta di nulla? Le aveva chiesto se potevano andare
al ballo assieme, lei aveva urlato qualcosa di incomprensibile, gli aveva tirato un pugno sulla spalla
e, come una molla, si era alzata e allontanata da lui. Poi il turbamento era scomparso, così aveva
dichiarato di aver fame. Lui gli aveva suggerito di andare in giardino, dove vi era una panca, la
signorina annuì e lì si era diretta.
Vide il braccio coprirsi di brividi. Non era particolarmente fredda l'aria, ma Gil non aveva nulla
addosso, tranne quel piccolo asciugamano che gli fasciava i fianchi, dunque cominciava a patire il
vento.
Alice si infilò il pezzo di pesce, poi afferrò un anello rotto. Lo osservò per qualche secondo. “Come
lo devo mangiare, secondo te?”
Gil aggrottò la fronte. Che senso aveva quella domanda? “Con la bocca,” suggerì, incapace di dare
altre risposte.
Lei gonfiò le guance. “Questo l'avevo compreso pure io.” Scocciata, introdusse il totano tra i denti,
ma un pezzetto rimase a penzolare dalle labbra.
Il ragazzo non riuscì a trattenersi dal ridere.
“Cosa ridi?”
Lui scosse la testa, come poteva riferirle che era buffa con quel pesce che le dondolava dalla bocca?
Non capiva bene come potesse non essere già caduto, ma doveva ammettere che quella ragazza era
un portento. Carina, simpatica, manesca, non si sapeva mai come poterla definire.
Alice, offesa, si pulì le mani unte d'olio sulla faccia dal Nightray, che rimase per qualche istante
paralizzato. Poi iniziò a balbettare qualcosa del tipo: “ma come ti permetti?” Non era però riuscito a
formulare la frase in modo comprensibile, così Alice non udì una parola e continuò imperterrita ad
eliminare ogni traccia della sua merenda/pranzo.
Gil, con molto coraggio, visto che la lingua era ibernata dal freddo e dall'imbarazzo, afferrò i polsi
di Alice, per sottrarsi dall'esser usato come strofinaccio. “Ba-basta, ma...”
Gli occhi di lei, però, erano diventati due pozzi neri.

“Avete visto Alice?” Domandò Oz ai suoi compagni di classe, durante l'ora della ricreazione.
Tutti scossero la testa. Da quando l'insegnante l'aveva mandata in giro a cercare quel pazzo di
Vincent non era più tornata.
“Scusami Oz-sama, Echo non voleva disturbare la signorina Alice,” si scusò la piccola dai capelli
chiari.
Il ragazzo sorrise. “Non preoccuparti, Echo-chan, Alice è una testona, sarà da qualche parte a
sonnecchiare o a mangiare. Andiamo a cercarla assieme?” Il biondo tese una mano verso Echo. Un
gesto semplice, ma carico di significati. Oz era sempre pronto a stringere le dita di qualcuno,
credeva che desse sicurezza e conforto.
Lei annuì e partirono alla ricerca. Ovviamente non sapevano minimamente che fosse rinchiusa in
palestra con Gilbert.
Per prima cosa si diressero verso la terrazza superiore. Era affollata di studenti, ma non sembrava
esserci né Alice né Vincent. Girarono tutto intorno e ci misero parecchi minuti, visto che tanti
fermavano il duca per i soliti saluti di rito. Ognuno sembrava sorpreso di vedere quella fanciulla
mano nella mano con il Vessalius, ma nessuno proferì parola al riguardo.
“Ehy tu!” Urlò Elliot sbucando da un angolo. “Ti sfido!” Gridò a pieni polmoni. I presenti si
girarono mezzi divertiti e mezzi incuriositi.
Oz si voltò con tutta la calma del mondo. “Hai mica visto Alice?” Domandò, ignorando quello che
aveva detto il Nightray.
“Padrone, per favore,” lo esortò Leo, seguendo a ruota Elliot, con un libro in mano. “Non è un
comportamento dignitoso.” Dopo questo avvertimento affondò il naso nella lettura.
“Tu devi essere il mio padrino,” strillò Elliot al suo servo, che allegramente se ne infischiava.
“Non credi di essere un po', come dire, esagerato?” Gli domandò quello, non interrompendo la sua
attività.
“Certo che no.”
“Non hai visto Alice?” Chiese di nuovo Oz, credendo che quel “certo che no,” fosse la risposta alla
sua domanda di prima.
“Che ne so! Senti, ci sarà il ballo, no? Bene...”
“No, aspetti,” tentò di fermarlo Leo, ma ormai era troppo tardi. Elliot era a circa due passi di
distanza e non poteva tappargli la bocca in tempo, ormai non aveva più possibilità di zittirlo.
“Chi di noi avrà una dama prima vincerà.” Annunciò soddisfatto il giovane Nightray.
Oz chinò la testa leggermente di lato, sorpreso. Si era dimenticato dell'annuale ballo della Pandora.
“Va bene,” raccolse la sfida. Si voltò verso Echo e con lo stesso tono di chi va a comprare del pane
le chiese: “vuoi accompagnarmi al ballo?”
Tutti i presenti spalancarono le fauci, nessuno fiatò. Elliot divenne livido di rabbia. Quel nanerottolo gli aveva tirato un brutto scherzo. Era stato battuto in men che non si dica.
“Ve l'avevo detto,” osservò Leo, divertito dalla situazione.
Echo si guardò attorno, poi piantò gli occhi sulle scarpe. Cosa avrebbe dovuto rispondere? Vincent-sama non era lì a dirle come dovesse comportarsi, non sapeva come agire. “S-sì,” balbettò infine. Le tremava la voce e non era neanche sicura che quella parola l'avesse pronunciata veramente lei.
Aveva sempre desiderato essere invitata da qualcuno al ballo, ma nessuno gliel'aveva mai proposto,
perché quindi avrebbe dovuto rifiutare? Per la prima volta nella sua vita, si rese conto che anche lei
poteva decidere con la sua testa.
Questo scatto di indipendenza le provocò un senso di liberazione e sollievo, che fu subito dopo
convertito in paura e timore. Se a Vincent non fosse piaciuta questa sua decisione? L'avrebbe
picchiata? Le lacrime le salirono agl'occhi e corse via, fuggendo da quella situazione.
Oz notò i diversi stati d'animo dell'amica, ma non riuscì a comprendere perché si fosse data alla
fuga. Che fosse per quelle facce inebetite intorno a lei? I loro compagni non si capacitavano per
quale motivo il duca Vassalius avesse invitato la serva di quel pazzo Nightray.
Lui però, senza troppi problemi, le corse dietro.
Dopo qualche corridoio incrociò colui che era scomparso e che aveva deciso di tornare tra i presenti
proprio per scontrarsi con la sua serva. “Ottimo tempismo”, pensò con disappunto Oz. Non gli era
mai piaciuto il fratello di Gilbert, era instabile mentalmente e spesso crudele. Lo aveva capito dal
primo sguardo.
“Cara Echo, come mai corri come un cavallo imbizzarrito?” Domandò il biondo, stringendo a sé la
piccola sconvolta. Tra tutte le persone che poteva incontrare lui era proprio l'ultimo che avrebbe
desiderato incrociare.
Lei singhiozzò e lui parve cullarla. “Oz, cosa le hai fatto?” Chiese feroce, quando il Vessalius si
avvicinò.
“Niente,” si giustificò.
Vincent alzò le spalle, poi buttò la piccola serva tra le braccia del duca. “Se stanno così le cose,
tientela.” Rivolse ai due un largo sorriso sincero. “Ho una cosa importate da fare,” annunciò,
sventolando delle bellissime rose nere.
Oz prese al volo Echo, letteralmente scaraventata addosso al Vessalius. “Perdonami, Oz-sama, io
stavo inciampa....”
Lui la zittì posizionandole un dito sulle labbra. “Non ti scusare, è stato lui a lanciarti.”
Quando alzarono la testa, Vincent si era già dileguato. “Chissà quale guaio doveva combinare”,
pensò amaro. Se avesse saputo quello che gli frullava in testa, non sarebbe rimasto così tranquillo,
ma l'ignoranza certe volte è una benedizione ed essa permise al giovane di continuare la sua ricerca.
La duchessa Baskerville non si vedeva da nessuna parte, sembrava essere scomparsa. Per un
secondo Oz dubitò che Vincent le avesse regalato la pozione dell'invisibilità, dote cui il biondo
eccelleva.
In giardino incontrarono Sharon-sama assieme ad alcune amiche. Stavano placidamente
assaporando un gustoso tè e cinguettavano vivacemente. Non appena si avvicinò tutte e quattro
smisero di parlare e lo fissarono per alcuni secondi, in silenzio. Poi una iniziò a ridacchiare, seguita
a ruota dalle altre, tranne la duchessa che rimase immobile con un sorriso enigmatico stampato in
viso.
“Oz-kun ha bisogno di un consiglio d'amore? Stavamo giusto discutendo di uomini e sei apparso
tu.” Nascose il viso dietro un ventaglio, ma continuava a fissarlo dritto negl'occhi.
Oz non sapeva mai come comportarsi con la Rainsworth, pareva un demonio travestito da agnello.
Aveva uno sguardo furbo, però era anche sensibile e dolce quando si atteggiava come le ragazzine
normali.
“Avete visto Alice? E' sparita dalla circolazione.”
Sharon sogghignò. “Le hai spezzato il cuore Oz-kun?”
Il biondo comprese all'istante che per nulla al mondo avrebbe dovuto rispondere affermativamente.
Meditò un po' su la risposta da dare e nel frattempo udì un “oh, oh” provenire da sotto il tavolo.
Dopo poco spuntò la testa di Xerxes, con in bocca un lecca lecca.
“Qualcuno ha perso la fidanzata?” Lo canzonò Break, mettendosi in piedi e lisciandosi le vesti.
Tutti i presenti gridarono per la sorpresa, tranne la sua padrona, che doveva essere abituata a queste
entrate in scena del servo. Oz si chiese da quanto tempo fosse lì sotto e cosa guardasse, ma evitò di
proferirlo; proprio come per Sharon, notava in quei due un pizzico di sadismo che voleva a tutti i
costi evitare.
“La signorina Baskerville non è la mia fidanzata,” protestò. Perché tutti erano fissati con questa
storia? Non è perché erano due duchi, della stessa età, che vivevano assieme, dovevano per forza
essere anche innamorati.
“Meglio così,” aprì le braccia in segno di rassegnazione. Il canuto si sistemò sul tavolo, suscitando
l'indignazione di una delle ragazze presenti. “Eviterai brutte sorprese,” disse canticchiando.
“Quali sorprese?” Oz era confuso, come ogni volta che parlava con lui.
“Se sono sorprese che senso ha riferirtele?”
“Ho capito,” rispose rassegnato. “Tu sai dov'è Alice?”
“Forse sì, forse no.”
Sharon di schiarì la voce con deboli colpi di tosse. “Xerxes-kun, accontenta Oz, è preoccupato
perché non la trova, l'ultima volta che l'abbiamo vista stava andando dietro a Vincent-sama.”
Break si fece più serio in volto. “Non è con quel pervertito,” assicurò ai presenti. “L'ultima volta
che l'ho vista aveva una gran voglia di farsi una doccia,” sogghignò. Poi si avvicinò all'orecchio
della duchessa e le sussurrò qualcosa. Lei strabuzzò gli occhi e si avvicinò al servo, mormorando
qualcosa sotto voce. Continuarono così per un po' di tempo, fino a quando si voltarono a guardare
Oz. “Perdonatemi, devo parlare un attimo con Xerxes in privato.” Detto ciò, il servo balzò giù dal
tavolo e allungò una mano verso la padrona. Lei si aggrappò immediatamente e, dopo aver salutato i
presenti, si allontanarono verso il labirinto di siepi poco distante.
Il duca osservò la coppia camminare dapprima lentamente, poi più veloce. Un secondo prima di
sparire dietro la vegetazione, il canuto si mise un dito sulle labbra e osservò Oz, come per intimargli
di stare zitto.
“Io quei due non li capisco,” sentenziò. Si volse verso Echo. “Hai compreso dove sia Alice?”
“Io... credo... di sì,” rispose titubante la fanciulla. “Credo intendesse che l'ha vista in palestra.”
Oz osservò l'orologio. Mancavano ancora quindici minuti prima che la campanella di fine intervallo
suonasse. “Abbiamo abbastanza tempo per cercarla.”
Lei annuì, poi partirono in direzione sud est.

Si era stufata del solito gioco, così pensò bene di gironzolare per la casa. Non era un gran intrattenimento, ma le pareti di camera sua, stracolme di giocattoli, l'avevano annoiata. Cercava qualcosa di più intenso, qualcosa che sapeva di poter sperimentare, anche se lui gliel'aveva sempre vietato.
Lungo i corridoi camminò in punta di piedi, ben attenta a non svegliare nessuno. Tutto era cheto, non si sentiva volare una mosca, era il momento giusto per salire al piano superiore. Velocemente sgattaiolò fuori dall'ingresso principale e si diresse verso il giardino.
Sulla destra vi era una piccola altalena coperta di rovi di rose nere. La osservò per qualche secondo, indecisa se issarsi sopra o lasciarla perdere, poi decise per la seconda opzione e continuò il suo cammino.
Il giardiniere dalle orecchie lunghe era sparito, adesso al suo posto era stato messo uno scoiattolo che indossava una cravatta talmente lunga da dover essere arrotolata intorno al collo. Si accucciò al di sotto del livello delle siepi per non essere notata dal roditore e proseguì.
Arrivata di fronte ad una dependance, che si collegava per un sottile corridoio alla casa principale, si bloccò.
Sentiva delle deboli urla e un pianto sommesso. Lui si trovava lì. Meglio girare i tacchi... O no? No, questa volta voleva osservare quello che lui le infliggeva, non ne ha aveva il diritto, forse?
Avanzò cautamente. Quel posto era immerso nell'oscurità, tranne per delle piccole candele che rischiaravano qua e là il grande salone centrale dal pavimento a scacchi.
Procedette nel buio fino a quando non arrivò al principio di una scalinata. Salì lenta, assaporando il freddo marmo sotto i piedi nudi.
Le voci si acuirono sempre di più fino a quando riuscì a distinguere qualche parola. Si avvicinò alla fonte di luce che intravedeva dalla cima delle scale.
Lì c'era la sua stanza. Non le era permesso accedere a quei luoghi, ma non le importava, la curiosità aveva preso il sopravvento.
Si aggrappò al cardine della porta e allungò il collo per osservare, subito le parole attirarono la sua attenzione.
"Ha accettato," asserì a voce alta, e pareva in procinto di ridere.
"No, no," mormorò lei, come in un lamento. "Non è possibile."
"Si invece! Non sei contenta?"
Lei gemette piano, come se qualcuno le avesse affondato ancora un coltello già infilzato sul cuore. "Il Cappellaio... Come?"
"Esatto, esatto piccola. Lui!"
"Non è possibile," borbottò.
"Si che lo è. L'ha fatto per te, non è tenero? Avrò un'altra sposa in cambio e niente più guastafeste!" Esclamò divertito, poi scoppiò a ridere.
"Maledetto," sussurrò la voce femminile.
“Zitta,” strillò l'altro. Poi il secco rumore di uno schiaffo fu il principio di una sequenza di violenze.
Lei, inorridita, non riuscì a distogliere lo sguardo per un bel po'. Sentiva le lacrime salirle agl'occhi e scappò via, quando, però, aveva già osservato troppo. Corse per il corridoio, non le importava più di essere rumorosa, le grida di lei sovrastavano i suoi passi, attutiti dai morbidi tappeti.
Su una mensola intagliata con decori floreali, stava un grande specchio, incorniciato d'oro. Sapeva come poteva essere utilizzato, gliel'aveva spiegato molti anni prima lui, ma non aveva mai avuto il coraggio di sperimentare. Spesso si era ritrovata ad vedere la sua immagine riflessa, tuttavia si era sempre fermata prima.
La superficie liscia specchiava una ragazza giovane e candida, con gli occhi un po' infossati per la pazzia che la divorava.
Con un dito tracciò i suoi lineamenti, poi ridacchiò. Non c'era nulla per essere felice, però aveva una voglia matta di uscire da quel buco di nulla in cui era stata gettata.
“Alice,” sussurrò. La superficie dello specchiò si scosse in piccole onde, poi apparve un'immagine. La ragazza dall'altra parte la fissò per qualche secondo. Il gioco non poteva essere più facile.

“Come puoi essere sicura che siano qui dentro?” Domandò Oz, cercando di aprire la porta. “E' chiusa a chiave.”
Echo alzò le spalle. “Oz-sama, io credo che Xerxes-kun ci abbia indicato proprio questo posto, perché mandarci fuori strada?”
“Quello è pazzo!” Protestò il Vessalius. L'avevano cercata dappertutto, pure dentro i cestini, come poteva essere dentro lo spogliatoio femminile? Sospirò, dovevano provare. “Va bene, ma come facciamo ad apr...”
Non aveva avuto neanche il tempo di finire la frase, che la piccoletta tirò fuori un coltello con una lama molto sottile e tentava di scassinare la serratura.
“Questo te la insegnato Vincent?” Domandò sbalordito.
Lei scosse la testa e continuò nel suo lavoro. Dopo poco ebbero accesso al luogo. Non c'era nulla, neanche un paio di mutande dimenticate per caso.
Per puro scrupolo provarono anche con lo spogliatoio maschile. Entrambi erano certi di non trovarla, tuttavia non volevano lasciare intentata alcuna strada. Alice era sempre stata molto sbadata, sarebbe potuta benissimo andare a fare la doccia nel bagno sbagliato. Inoltre così avrebbero potuto escludere la palestra come luogo che contenesse la duchessa.
Dentro c'era lo stesso scenario di solitudine e desolazione dello spogliatoio femminile. In bagno non c'era nessuno.
“Andiamo” Chiese Oz, senza mostrare alcun sentimento. Non si era mai aspettato di trovarla lì. Echo, però, fissava un punto oltre la finestra. “Oz-sama,” mormorò.
“Sì?”
“Che stanno facendo?”
“Chi?”
Echo indicò davanti a sé. Il biondo si sporse un pochino e poté scorgerli: in giardino, stavano distesi Alice, in intimo, e Gilbert sopra di lei, con le labbra premute sulle sue.


Ciao! Scusate per l'attesa di due mesi per un capitoletto così corto, in questo periodo non riesco bene a trovare il tempo per scrivere. Però continuerò, quindi se avrete la pazienza di seguirla, cercherò di non deludervi *^*
 Come un po' tutti i capitoli, anche questo è spezzato. Spero di non essere confusionaria, ma mi piace dividere le scene in modo (credo) da renderlo più dinamico. Questo capitolo parte con Gil e Alice in giardino. Lui le ha chiesto di ballare ma lei lo ha rifiutato, quindi Gil pensa al passato, quando ha incontrato per la prima volta la ragazza, poi alla brutta idea di invitarla al ballo. Dopo di ché succede qualcosa ad Alice. Segue il pezzo di Oz. Anche se la scena si sposta il tempo sta correndo regolarmente. Il pezzo della fanciulla dai capelli chiari invece è leggermente anteriore, ma non cambia più di tanto il senso. Infine ci sono i due impiccioni che beccato Alice e Gilbert a fare... cosa? Cosa è successo da quando le iridi di Alice diventano tutte nere sarà oggetto del prossimo capitolo, che potrebbe essere abbastanza “bollente”.
Xerxes e Sharon invece stanno congetturando qualcosa, anche se ancora non so bene cosa XD Mi piacerebbe poi dedicare un capitolo a Vincent e Xerxes, spero di riuscirci. Xerxes è parecchio difficile da caratterizzare, non trovate?
Ovviamente sono ben accetti consigli, anche critiche, sopratutto mi piacerebbe sapere se i personaggi siano IC, un bacio a tutti! ps: credo di aver dei problemi ad impaginare... sorry

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Capitolo 4
*** Alice e Kevin ***


Degli occhi così neri, così scuri, non li aveva mai visti.
“Alice?” Domandò piano il Nightray, come se volesse svegliarla.
Il suo volto si trasformò in una maschera spaventosa con un ghigno malefico. “Ma che bel ragazzo!” Strillò, poi scoppiò a ridere come se fosse una cosa divertente. Si ricompose e distese le dita sulle labbra, continuando a tenere quello sguardo da pazza.
Gil rimase sbalordito. Cosa stava succedendo? Perché lei si era messa carponi sulla panca e si era sporta verso di lui? Perché gli stava accarezzando le guance?
Il suo cuore cominciò a battere forte, come quando l'aveva avuta sopra di sé. Desiderava che quelle dita continuassero a sfiorare la sua pelle così sensibile per la tensione cui era schiavo. Eppure aveva capito che qualcosa non andasse. Che fosse un po' lunatica e po' strana ne era consapevole, ma non aveva mai avuto quello sguardo perso. Pareva svuotata dall'interno.
“Che bel corpo caldo!” Esclamò, sedendosi sulla panchina. Cominciò a massaggiarsi le braccia, come per essere sicura di essere proprio lì. Lui aveva ragione, il mondo esterno era qualcosa di meraviglioso. Perché allora lei era stata costretta a stare al buio? Perché nessuno l'aveva amata quel poco da risparmiarle un esistenza così orribile?
Urlò: un grido che attendeva di essere liberato da molti anni; ora qualcuno poteva ascoltarlo. Quel giovane di fronte a lei la osservava con due occhi brillanti, lucidi. Comprese subito che di lui poteva fidarsi, era come lui, ma c'era qualcosa di diverso. Il dorato delle sue iridi risplendevano di vita e di bontà.
Lo amava. Non importava come fosse possibile, comprese di amarlo non appena lui la guardò preoccupato.
Saltò giù dalla panca, ma dopo qualche secondo le gambe non ressero e crollò a terra.
Gilbert balzò per prenderla e riuscì a non farla sbattere sul prato. La issò su, tuttavia si rese conto che gli arti non rispondevano ai suoi comandi, così si alzò pure lui e la strinse a se. “Cosa succede Alice?” Le sussurrò. Lei lo osservava con quello sguardo vacuo ma lo fissava, aveva le labbra semi dischiuse, come se fosse sul punto di parlare, ma non si udiva alcun suono. Gli sembrava quasi che una canzone risuonasse per il giardino. Non riusciva a seguire la melodia, scordava subito le note. La testa cominciò riempirsi di strane voci ed immagini. Provò l'impulso di stringersi la nuca con le mani, ma non poteva lasciare andare la fanciulla, altrimenti sarebbe crollata.
“Le senti anche tu?” Domandò incredula la ragazza.
“Cosa?” Sbottò. Non era possibile! Avevano tutti e due la mente confusa?
“Vuoi essere mio?”
La testa cominciò a dolergli e il respiro si affannò.
“Io posso aiutarti,” mormorò la fanciulla.
“Cosa...sta...succedendo?” Domandò con le lacrime che minacciavano di fuoriuscire da un momento all'altro.
Tutto divenne nero. Non era svenuto, stringeva ancora la duchessa tra le braccia e lei gli respirava piano sul petto. Si voltò, ma non vi era nulla, solo oscurità. “Alice!” Esclamò. Lei però non rispose, restò in silenzio.
Un odore metallico gli trafisse le narici. Il cervello parve esplodere dentro il cranio. Urlò per il dolore, ma non udì la sua voce. C'era troppo silenzio, troppo buio, troppo niente. Le uniche sensazioni che provava era l'alito e il corpo caldo di lei e quell'odore nauseante, che diveniva sempre più forte.
Un raggio di luce cremisi rischiarò per poco il luogo: davanti a loro vi erano una moltitudine di corpi, bagnati da un lago di sangue. Quell'immagine fu troppo per poter resistere oltre, gridò di nuovo e chiuse le palpebre, deciso a non osservare oltre.
Subito dopo il Sole lo bagnò della sua luminosità dorata e rassicurante. Era tornato in giardino e Alice gli stringeva la vita, con il viso schiacciato contro il suo petto. Il dolore era passato.
“Come ti chiami?” Domandò la fanciulla, alzando lo sguardo ad incontrare quello dell'altro. Le guance erano arrossate e rigate di lacrime.
“Ehy, stupido coniglio!” La allontanò da sé. “Sono Gilbert, non ricordi?” La scosse un po' per tentare di svegliarla, ma lei rimaneva in quello stato di catalessi ipnotica.
“Gil, ma certo,” mormorò. “Sei adatto a me,” affermò senza alcun senso logico.
“Adatto? Alice, per piacere svegliati!” Alzò la voce, sperando che arrivasse alla ragazza. Si stava davvero preoccupando per lei. Intendeva aiutarla, ma non sapeva come.
Lei gli posò le mani sul petto, poi lo spinse contro il muro. “Come si fa?” Domandò, placida.
Il duca arrossì fino alla radice dei capelli. “Co...cosa? Alice, forse adesso dovresti pen...”
La fanciulla lo zittì piantandogli una mano sulla bocca. “Se vuoi aiutare Alice non interrompermi.”
Gil strabuzzò gli occhi. “Chi sei?”
“Alice, ma non quella Alice, un'altra Alice, che risiede in lei, anche se lei non lo sa.”
“Sei impazzita? Che discorsi sono?” Il Nightray era sempre più confuso. Non si capacitava di come fosse possibile, lo stava per caso prendendo in giro?
La ragazza rise a crepapelle, contenta di aver disordinato il suo cervello. “Vuoi indietro lo 'stupido coniglio'? Domandò, con un ghignò feroce.
“Certo!” Esclamò. “Ma chi sei tu?”
“Ti ho già detto che sono Alice.” Divenne seria, come se la pazzia che l'aveva impregnata fino ad un secondo prima fosse stata lavata via con una spugna. “Davvero ti interessa sapere chi io sia?”
Lui annuì, convinto. Se fosse tornato tutto normale avrebbe dovuto parlarne con Oz, non era normale un comportamento così; che fosse schizofrenica?
Alice si allontanò un po' da lui e si chinò leggermente allargando la corta gonna che la fasciava. “Sono Alice, signora dell'Abisso e padrona del nulla.” Rise di nuovo a squarciagola, poi si avventò su Gilbert, saltandogli letteralmente addosso. Incrociò le gambe attorno ai suoi fianchi e gli cinse il collo con le braccia, poi iniziò e coprirlo di baci, dalla testa alle orecchie, per poi scendere un po' sul collo.
Il Nightray provò a scollarla di dosso, ma pareva inchidiota, inoltre più passava il tempo, più la sua mente diventava confusa per via dei baci. L'attrazione per lei si moltiplicò ed esplose quando sentì la sua umida linguetta accarezzargli il collo. “Alice, non...” Gli si strozzò la voce. Cosa voleva dirle? Che non desiderava la sua vicinanza? Non era per niente vero, da quella mattina non era ancora riuscito a togliersi l'immagine di lei mentre si insaponava. Avrebbe voluto di nuovo soffermarsi su quelle cosce sode, per poi scoprirle piano piano le sue intimità.
La ragazza afferrò il momento di titubanza di Gil per sedurlo completamente. Staccò le mani dal collo e si slacciò la camicetta. A quel punto il Nightray perse ogni legame con la realtà e si lasciò trasportare dalla passione. Non aveva mai ceduto alle lusinghe delle nobildonne che gli venivano presentate, anche se insistenti. Eppure Alice non aveva dovuto faticare più di tanto per fargli perdere il lume della ragione, perché? Perché la stava aiutando a sfilarsi la maglia e la lanciava sulla panca? Perché le sue dita afferrarono i suoi piccoli seni coperti dal reggiseno? Nemmeno il motivo a cosce di pollo cotte sull'indumento intimo riuscì a schiarirgli le idee.
“Sei meraviglioso,” sussurrò Alice, notando il suo viso arrossato e le pupille dilatate.
Lui la prese per la schiena poi la portò qualche metro più avanti, depositandola sul prato. Subito dopo si mise a carponi sopra di lei.
La duchessa sorrise, in modo dolce, senza più l'ombra di pazzia che l'aveva caratterizzata fino a poco prima. Guardandolo fisso negli occhi, sfilò la gonna rimanendo solo in intimo.
Gil cominciò ad esplorare il corpo di Alice, centimetro dopo centimetro con occhi avidi. Dopo cominciò a sfiorarla con le dita. Sorrise quando la sentì gemere sommessamente  nel momento in cui premeva un po' determinati punti.
La fanciulla gli sfilò l'asciugamano, ma non gli importò di mostrarsi nudo di fronte a lei, la sua mente era troppo annebbiata per provare imbarazzo. Lei parve apprezzare lo spettacolo e lo tirò a sé, ma proprio in quel momento spalancò le palpebre. Annaspava, come se qualcuno la stesse soffocando, infatti portò le mani alla gola.
Gil tornò lucido quasi subito e tentò di allontanarle le dita dall'esofago, ma più passava il tempo, più stringeva, fino a quando la ragazza non svenne, soffocata dalle sue stesse mani. Avvicinò l'orecchio alla sua bocca e non udì alcun respiro. “Stupido coniglio!” Esclamò. Era stato uno stupido a lasciarsi trasportare dalla libidine, avrebbe dovuto rimanere lucido. Perché era così idiota? Quel momento però non era quello buono per rimproverarsi, doveva prodigarsi a salvarle la vita.
Si chinò su di lei e iniziò le manovre di primo soccorso, che per fortuna gli avevano insegnato a scuola l'anno prima. Portò le labbra sulle sue e soffiò dentro. Il cuore batteva ancora, non sarebbe stato necessario, per ora, un massaggio cardiaco, quindi continuò a donarle ossigeno.
In quel momento sentì delle voci, parlare piano. Le ignorò e posò di nuovo le labbra su quelle morbide di lei.
“Gilbert!” Gridò Oz.
A quel richiamò il Nightray non riuscì a resistere e si voltò di scatto, per osservare il suo padroncino con gli occhi sbarrati.
“Oz,” sospirò sollevato. “Vie...” Un colpo secco alla guancia lo fece barcollare per qualche secondo.
“Che cosa pensi di fare Testa d'alga?” Urlò Alice, che nel frattempo si era svegliata.
Gil trasalì. “Io? Alice eri svenuta!” Si difese.
Lei però non volle sentir ragioni e gli si avventò contro, riempiendolo di pugni e calci. Il ragazzo la pregò più volte di fermarsi, invano. Era capace di bloccare i suoi colpi, ma aveva tanta forza che le braccia si indolenzirono dopo poco.
Alice buttò giù lo sguardo e per qualche istante rimase ammutolita, poi gridò di nuovo. “Copri quella cosa penzolante!” Gli ordinò, rossa come un peperone.
Il Nightray si accorse di essere completamente nudo e questo fu decisamente troppo per i suoi nervi provati. L'imbarazzo, la paura, la passione, la preoccupazione provata nel giro di quei pochi minuti ebbero la meglio su di lui e crollò a terra, perdendo i sensi.

“E così, Gilbert-kun è innamorato di Alice-chan?” Sharon ridacchiò. Non se lo sarebbe mai aspettata. Li aveva sempre visti come rivali, mai come possibili piccioncini. In ogni caso doveva attivarsi affinché il Nightray si comportasse come un gentiluomo. Era certa di potersi fidare di lui, ma come si dice? L'acqua cheta fa crollare i ponti, e Alice era sicuramente un ponte molto instabile.
Xerxes alzò le spalle, accompagnando il gesto con un'espressione eloquente. Non era sicuro che tra i due potesse funzionare, eppure era sempre meglio di vedere il suo amico correre dietro a quel marmocchio fastidioso.
Infilò le mani in tasca ed estrasse alcune carte di caramelle. Insoddisfatto continuò la ricerca, con terribili risultati, così dopo poco decise di ricorrere al nascondiglio segreto. In cuor suo sperava che la sua principessa non ci desse molto peso, così che potesse continuare a celare in quel luogo i dolciumi. Tirò su il cappello e lo scosse un poco, subito dopo caddero a pioggia alcune gelatine. Le raccolse e ne porse una manciata a Sharon, che lo guardò torva.
“Non dovresti, Xerx-kun, tutti questi zuccheri sono veleno,” asserì con un tono inspiegabilmente calmo.
“Sono per voi,” mentì spudoratamente. Le infilò velocemente nella tasca, tranne una. Si sporse un pochino verso di lei, posizionandole la caramella davanti agl'occhi.
Lei sorrise e l'afferrò. Accennò ad un lieve inchino col capo, poi pianto gli occhi su di lui.
Credendo di essersela scampata, prese una gelatina dalla tasca e la scarto, ma proprio quando se la stava per infilare in bocca, la fanciulla, estratto il ventaglio, cominciò a picchiarlo sulle mani.
Con un'energia che parve inesauribile, costrinse il giovane a mollare il dolciume, che cadde con un lievissimo tonfo sul prato. Xerxes guardò il piccolo dolciume abbandonato e finse di mettersi a piagnucolare per impietosire la signorina, che, ovviamente, rimase impassibile.
Dopo qualche secondo, il giovane si sedette per terra e cominciò a ridere. “Su, venite qua,” le disse, invitandola con una mano.
“Dove?” Chiese, osservando se intorno ci fosse qualcuno. Era tutto deserto.
Lui si batté le cosce con le mani, per rafforzare e chiarire la sua offerta.
La duchessa meditò qualche secondo, non era certa che potesse ancora sedersi in grembo al suo nii-chan. Non erano diventati, o meglio, non era diventata lei -visto che lui era sempre lo stesso- un po' troppo grande per essere così intimi? Con la naturale innocenza infantile, qualunque cosa era permessa. Potevano dormire nello stesso letto, abbracciarsi, scambiarsi teneri baci sulle guance, ma anno dopo anno, l'invisibile muro del decoro e delle convenienze sociali si era erto tra loro, allontanandoli sempre di più, anche se non con la mente, per lo meno fisicamente. Proprio per questo motivo, per questa barriera immaginaria, che i loro sguardi erano diventati più penetranti, più avidi e impazienti. Sharon era ancora troppo giovane per capire di star sul filo del rasoio, mentre il suo servo comprendeva benissimo quanto quel gioco fosse pericoloso.
La Rainsworth annuì e si posò in grembo a Break che continuò ad avere stampato in viso un dolce sorriso.
“Siete comoda?” Chiese, quasi divertito. Le cinse la schiena con un braccio. Il profumo di lei lo avvolse come una sciarpa di seta, morbida e lucente.
“Certamente,” rispose lei con un po' di imbarazzo.
“Potrei ricevere una caramella dalla signoria vostra?”
“No!”
Il viso di Xerx fu sfigurato da una smorfia. “Neanche quella che è incastrata tra i vostri bellissimi capelli? Se si sciogliesse potrebbe renderli appiccicosi.”
Sharon aggrottò la fronte. “Non ho...” Le parole morirono in gola quando il giovane allungò la mano e le accarezzò la nuca. Dopo qualche secondo l'allontanò e tra le dita stringeva una di quelle gelatine che erano fuoriuscite dal cappello.
Le guance della duchessa si arrossarono un poco; avrebbe preferito che quei gesti gentili non finissero così presto, e questo pensiero la turbò ancora di più.
“Va bene,” disse in un soffio. “Ve la cedo, ma solo se mi rivelate cosa agita i vostri occhi,” propose Break, vedendo l'amica così sconvolta. Era certo che lei non avrebbe mai scoperto le sue carte, nonostante i suoi sentimenti le si potessero leggere in faccia. Eppure, più di ogni cosa, desiderava udire quelle parole da quella bellissima bocca. Sapeva benissimo che dopo attimi di gioia sarebbe stato lanciato nella più cupa disperazione, ma era disposto a sopportare le pene dell'inferno, pur di assaporare quella felicità.
Lei annuì e questo lo sorprese un po'. Il cuore cominciò a battergli impetuosamente nel petto, in maniera quasi dolorosa. Deglutì e scartò la caramella con molta lentezza. Era preparato a sentir ciò che Sharon-sama avrebbe potuto dire? Certo che no! Nei suoi sogni l'aveva visto quel momento un milione di volta, ma nella realtà sarebbe stato completamente diverso. Nella realtà avrebbe dovuto pagarne le conseguenze.
Prese la gelatina tra l'indice e il pollice e la porse alla ragazza, che dischiuse le labbra quel poco che l'educazione inculcatale permetteva. La spinse dolcemente in bocca e sentì l'indice inumidirsi leggermente. Il primo pensiero di Xerx fu talmente audace che si imbarazzò solo per averlo formulato, ma era talmente seducente che non riuscì a cacciarlo via, se non dopo qualche tempo. Nel frattempo la signorina aveva già terminato il suo dolce.
“La mia ricompensa,” esigette. La voce roca, però, non rese quella frase un vero e proprio ordine, ma assomigliò di più ad un sussurro.
“Xerx, io...” si bloccò. Il suo sguardo era puntato in avanti, quasi avesse dimenticato di essere in braccio al suo servitore.
“Xeeeerx” una vocina da transessuale arrivò dritta alle orecchie dei due.
Break si voltò con l'occhio rosso, incendiato dalle fiamme dell'odio. Erano ore che non la vedeva e adesso spuntava fuori proprio in quel momento?
“Ho delle novità,” annunciò Emily.
“Emily, emily, cara,” bisbigliò alla bambola, con un tono tutt'altro che rassicurante. “Non ti sembra di capire che siamo occupati in questo momento?”
“Ohhhh,” urlò. “Allora ti stai dichiarand....” La piccoletta fu subito zittita dal padrone, che la lanciò lontana dopo qualche secondo.
“Povera Emily!” Esclamò Sharon, ridacchiando. Era felice che qualcuno avesse rotto quell'atmosfera troppo densa di emozioni.
Due passi molto più pesanti echeggiarono nel labirinto.
“Kevin, kevin,” sussurrò qualcuno alla testa di Break, che si portò le mani alle orecchie, come se quel suono fosse doloroso.
“Vieni da me, Kevin,” la voce divenne più forte. Xerx guardò la duchessa in cerca di una risposta, ma lei sembrava solo preoccupata per lui.
“Che ti succede nii-chan?” Domandò, osservando che lui non si toglieva la mano dalla testa.
“La voce! Non la sentite?”
“No, quale voce? Di che parli?”
“Kevin, kevin, vieni qui!” Ordinò, urlando.  
“Dove?” Chiese. La mente gli pulsava, piena di quel rumore che era la voce del suo sconosciuto ospite.
“Sono qui.”
“Qui dove?”
Sharon sgranò gli occhi e tentò di svegliare Xerxes da quello stato. Sembrava che gli avessero svuotato il corpo dell'anima.
“Dipende da dove mi vuoi incontrare.”
Il ragazzo si voltò e poi vide una piccola ombra passare a qualche metro di distanza. Subito si mise in piedi, spostando delicatamente la duchessa e corse dietro a quello che credeva essere l'origine della voce che sentiva in testa.
Tutto il labirinto divenne nero e liquido, come cera si stava sciogliendo. Davanti a lui c'era una piccola lepre con un solo occhio rosso. “Kevin, sei qui finalmente!”
“Chi sei?” Xerxes continuò ad osservarsi intorno, il labirinto si stava letteralmente consumando.
“Ho tanti nomi, tu puoi darmi quello che ti piace di più.”
“Che cosa sei allora?” Il cuore cominciò a palpitare più forte, se non fosse uscito da quella strana dimensione ne sarebbe rimasto incastrato. Era preparato a dover affrontare delle strane situazioni, non appena era stato ammesso alla Pandora High School aveva compreso che la sua vita non sarebbe stata ordinaria, ma quello scenario era veramente inquietante. Che fosse un assaggio del mondo misterioso delle chain?
“Ti interessa saperlo? Oppure preferiresti sapere cosa voglia da te?”
“Al diavolo! Dimmi cosa vuoi! Dove siamo?”
“Quante domande, ragazzo. Kevin, tu ami quella donna?”
“Non mi chiamo Kevin, io sono...” Perchè il suo nome ora non lo ricorda più? E di quale donna stava parlando? Un viso gli apparve davanti agl'occhi. Era il ritratto di una fanciulla dai capelli chiari e le iridi color marrone. Perché non ricordava il suo nome?
“I nomi sono importanti, Kevin,vuoi che ti dica il mio?”
Break si sedette per terra, confuso. I ricordi pian piano stavano scomparendo, sembrava che tutto si annebbiasse e venisse ingoiato dall'oscurità che l'avvolgeva. “Come ti chiami?”
“Io sono il Cappellaio. Vieni più vicino.” Siccome il ragazzo non dava segni di voler abbandonare la sua posizione, fu la lepre ad avvicinarsi. Quando furono a distanza di meno di un metro, gli porse un bicchiere di vino, molto denso e scuro.
“Dov'è l'uscita?”
“Dipende in buona parte da dove vuoi andare.* In ogni caso io so come puoi uscire.”
“Come?” Gridò, la sua mente cominciava ad essere così vuota che stava per dimenticare anche dove si trovasse.
“Bevi il vino e chiama il mio nome, sarai libero subito.”
Xerxes afferrò il calice e se lo portò al naso. Un odore nauseabondo gli arrivò alle narici. Quel liquido non era affatto vino, era... non ricordava il nome. Un'immagine gli si parò davanti agl'occhi nuovamente, come se il suo cervello cercasse di aiutarlo a rimembrare. Una scena cruenta. Un corridoio sporco di sangue e ovunque cadaveri. Lui camminava, da solo, con un lungo bastone e piangeva. Si chinò al fianco di un ragazzo che respirava debolmente. Quel ragazzo era Gilbert Nightray.
“Bevi,” lo spronò la lepre.
“Io... non so... cosa ho visto?” L'aria cominciava a scarseggiare e sentiva che il tempo stava per terminare, fra poco tutto sarebbe stato inghiottito dall'oscurità.
“Quello che succederà se tu non uscirai da questo posto.”
“Dove siamo?”
“Non è importante dove siamo, ma perché siamo qui. Bevi!” La lepre fremeva per l'impazienza.
Si portò alla bocca quel liquido che sapeva di ferro. Aveva un gusto orribile, ma bastò qualche piccolo sorso per soddisfare l'animale, che gli tolse il bicchiere dalle mani in modo sgarbato. “E ora il mio nome, Kevin. Ricorda, devi solo dire 'Cappellaio'.”
Break annuì. “Cappel...”
Un urlò ruppe il silenzio, ridestando il giovane e squarciando il buio. Una piccola luce filtrò e rivelò un prato verde e rigoglioso. Ora ricordava di chi fosse quella voce: essa apparteneva alla duchessa.
Ritornato in sé, si guardò intorno e tutto il nero si stava dissolvendo. La lepre aveva uno sguardo feroce e continuava ad urlare: no, non è possibile; Kevin, ti avrò.
Ritornato al presente, si alzò in piedi e corse verso l'origine della voce salvatrice. Perché la piccola Sharon stava urlando? Che fosse in pericolo? Oppure quel grido c'era stato solo dentro la sua testa?
Andò al centro del labirinto e comprese che la duchessa non era sola.


*frase ripresa da Alice nel paese delle meraviglie, mentre parla con lo stregatto, nel capitolo di porcellino e pepe.


Ciao! Ecco il quarto, che ne pensate? ^-^ Devo dire che Alice ha proprio un gusto pessimo in fatto di intimo. In questo capitolo ho un po' maltrattato il povero Gil, che è pure svenuto. Comunque come avete capito, era chino su Alice solo per salvarle la vita, azione super nobile... emm.... come dite? Quello che stava combinando prima? Eh.. susu questi sono particolari, è stato aggredito da Alice...mica è colpa sua! :D
Come vi sembra questo Xerx? Ho come l'impressione che Sharon e Xerxes finiranno per mettersi nei guai.
Confesso che mi ero dimenticata di Emily, e mi dispiace. Ma ora rimedio, sarà più presente.
Mi meraviglio che nella storia siano passate poche ore, mentre l'ho iniziata a scrivere un po' di mesi fa. Forse dovrei muovermi, ma farò andare anche avanti il tempo, sennò al diploma non ci arrivano più XD
Ho pensato al cappellaio come ad una lepre, perché non ricordo che sembianze avesse, ricordo solo quel grosso occhio rosso. Se sbaglio ditemelo!
Nel prossimo capitolo tornerà Vincent, Gilbert si dovrà riprendere dagli avvenimenti e...ci si prepara per il ballo?
Un bacio, grazie a tutti quelli che leggono e in particolare a chi recensisce.  :*

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Capitolo 5
*** Nel cuore, nelle rose, nel letto. ***


Sharon guardava in cerca di Xerxes, ma non lo vedeva da nessuna parte. Cosa gli era successo? Sembrava essere stato posseduto da qualche strana creatura. Parlava di una voce, ma lei non aveva udito nulla di strano. Che fosse per via del suo occhio?
Sospirò e si sedette a terra, in attesa che il suo nii-chan tornasse. Una farfalla dalle ali zaffiro le svolazzò intorno, perdeva una sottilissima polverina luccicante. Alzò un dito e l'insetto vi si posò sopra. La duchessa la osservò attentamente e si rese conto che si trattava di una farfalla dell'amore. Di loro si diceva che si avvicinassero solo ai cuori innamorati e che esserne sfiorati significava sicura e prossima felicità.
Come poteva, lei, tra tutte le donne libere del paese, avere la dea bendata dalla sua parte? Lei che era nata dal sangue più puro, nobile tra i nobili, e aveva finito per innamorarsi di un vagabondo, di un servitore?
Ricordava perfettamente il giorno in cui venne a casa loro, fu lei a trovarlo. Sembrava un gatto ferito e ferito lo era per davvero, sia nell'anima che nel corpo. Pian piano era riuscita ad avvicinarlo, ma era rimasto sempre distante. Quand'è che aveva cambiato espressione? Quando, per la prima volta, aveva visto la sua espressione addolcirsi? Non ricordava, eppure sapeva che da un momento all'altro, quella barriera che li divideva si era rotta, per non costruirsi mai più.
Da quel giorno erano stati più uniti che mai. Quando l'adolescenza investì con tutta la sua solare e irrequieta forza Xerxes, lui cercò di allontanarsi di nuovo dalla duchessa, ma ogni tentativo fu vano. Ogni giusta ribellione lo riportava con ancora più tenacia alla sua padrona; era come se fossero legati dal filo rosso del destino.
Sharon si chiese se ci fosse mai stato un ragazzo nella sua mente che per poco avesse oscurato l'immagine di Break. Era una domanda retorica: mai, nessuno aveva potuto affievolire quell'amore maledetto.
 Sospirò di nuovo, per la tristezza. Era mai possibile che tutto il mondo fosse contro di loro? Non avrebbero mai potuto sposarsi, lo sapeva benissimo, e non gli avrebbe mai riservato un posto che non fosse stato al suo fianco alla luce del sole. Una volta, sua nonna, dopo il tè delle cinque, glielo aveva spiegato senza mezzi termini. Xerxes era appena stato richiamato per un affare in città e così erano rimaste sole. Sheryl aveva posato la tazza e l'aveva guardata dritta negl'occhi. “Bada ai tuoi sentimenti, piccola mia. Non potrai sposarlo e nessun marito lo vorrà tra i piedi, prima te ne liberi, meglio è.”
“Di cosa state parlando, nonna?” Chiese la piccola Sharon, nonostante avesse compreso benissimo le parole della duchessa.
“Non vi biasimo per questo sentimento, Xerxes è un servo fedele, è devoto a te e alla famiglia, inoltre è giovane e misterioso, insomma è tutto quello che potrebbe attrarre una giovane fanciulla come te, mia cara, ma non devi cedere alle follie dell'amore. Lui non va bene per te, io sceglierò un marito adatto e lo accetterai. Cerca di capire, dal tuo matrimonio dipendono le sorti di Reveille. Sai benissimo che noi siamo i duchi più importanti del regno, dobbiamo scegliere bene chi verrà a far parte della nostra famiglia. Se dovessi sposarti con Xerxes non solo i pretendenti saranno scontenti, ma potrebbero inoltre crearsi malumori tra la nobiltà.
Sharon aprì il suo ventaglio e lo sventolò un po', cercando di essere il più naturale possibile. Il suo cuore batteva a sprono battuto, ma doveva controllarsi per non tradirsi. “Nel momento in cui sceglierete uno piuttosto che un altro, ci sarà comunque dello scontento.”
“Hai ragione, ma sapranno di aver perso una battaglia leale. Se tu dovessi sposare un servitore, si sentiranno presi in giro. Il loro orgoglio verrà ferito, perché tu –e solo su di te ricadrebbe la colpa, in quanto nessuno penserebbe che sia stata io a spingerti a tale passo- hai preferito un trovatello a un rampollo di antica stirpe. Non riconoscerebbero nel viso dei tuoi figli i segni della nobiltà e la vergogna ricadrà su tutta la famiglia. E' questo che vuoi, cara?”
Sharon si mise dritta sulla schiena. “No, nonna, ma sono teorie campate per aria, non provo assolutamente nulla per onii.”
Lì si era chiusa la discussione, ma ricordava benissimo il viso poco convinto di sua nonna. Erano passati almeno due anni da quell'avvertimento e la situazione era forse peggiorata. Prima provava per lui un tenero affetto giovanile, ma ora, ne era certa, se ne era innamorata. Con loro erano cresciuti i loro sentimenti ed era sicura che sua nonna lo sapesse, per questo cominciava già a ricevere, di nascosto, offerte per la sua mano. Desiderava che si sposasse il prima possibile e abbandonasse quell'insano e catastrofico amore.
Sharon, però, sapeva che non avrebbe mai smesso di amare Xerxs, neanche se l'avessero ammazzato o se fossero stati separati per sempre in due mondi diversi.
Udì dei passi irregolari e leggeri. Emily non era ancora tornata dal suo volo, chi poteva essere? Ormai la ricreazione era quasi finita, le conveniva cercare Break e ritornare in classe.
Una mano le tappò la bocca e un braccio le cinse la vita. Al naso arrivò un dolce profumo di vaniglia, lo riconobbe immediatamente e si rilassò. Sentì l'alito caldo del suo onii solleticarle il collo, mentre le labbra premevano la pelle sensibile e tenera. Il cuore della duchessa ricominciò a battere forte, forse la sua quasi ammissione di colpa, ovverosia la sua mezza dichiarazione, aveva prodotto i suoi frutti. Che Xerxes non cercasse altro che una conferma da parte sua? Avrebbero potuto scappare ovunque, non le importava di deludere la nonna. Beh, in realtà non sarebbe stato facile sopportare quel peso, ma l'avrebbe sostenuto volentieri se non avesse avuto altra scelta.
Le dita dalla mano scivolarono lungo il collo e lo accarezzarono un po', delicatamente. Aveva chiuso gli occhi, la sua schiena aderiva a quella del ragazzo. Avrebbe saltato volentieri la lezione successiva, se avesse potuto stare con lui in quel modo.
La mano con cui stringeva il fianco si spostò verso la camicetta, cominciò a sbottonargliela lentamente. Come mai Xerx era così audace? Proprio lui che era sempre stato prudente nel non rivelarle i suoi sentimenti. Spesso sentiva quelle sue iridi rosse addosso, ma ogni volta che alzava lo sguardo, lui faceva del suo meglio per distoglierlo.
Le dita sfiorarono quella pelle morbida dei piccoli seni, delicatamente. Cosa aveva intenzione di fare? Era giunto, dunque, il gran momento che li avrebbe legati per sempre? Era pronta a compiere quel salto senza ritorno, in un luogo del genere? No, nonostante l'amore che provava, non poteva decidere di gettare via ogni cosa per un impeto dell'istinto, doveva assolutamente fermarlo.
Gli afferrò il polso delicatamente e subito notò che era un po' meno sottile del solito.
“Ti fai sedurre facilmente, principessa,” sogghignò il ragazzo.
Quella voce inconfondibile! Urlò con tutto il fiato che aveva in corpo e tentò di divincolarsi, in vano. Lui le tappò di nuovo la bocca e la strinse a se, per non farla scappare.
“Tranquilla, non ho intenzioni ostili. Volevo solo verificare quanto ardente fosse il vostro desiderio. E' bastato spruzzare un po' del suo profumo per farti cedere immediatamente, ma meglio così, è questo che voglio. Però, te, a quel pagliaccio, non devi dire nulla, siamo intesi?”
Lei annuì e le labbra vennero liberate. “Hai paura che ti picchi?” Chiese ironica la duchessa.
Lui rise gaiamente. “No, no, per carità. Puoi tranquillamente dire che ti sei lasciata toccare da un uomo arrivato alle tue spalle; intendo per quello che ti riferirò fra poco.”
Sharon, che non aveva altra scelta, annuì. Il ragazzo allentò la presa, senza lasciarla del tutto e cominciò a bisbigliarle i suoi piani all'orecchio. Era così strano sentire tutte quelle rivelazioni con un sussurro, ma doveva ammettere che a Reveille esistevano poche persone normali.
“Staccati dalla signorina!” Gridò una voce, che interruppe il monologo del giovane. Presto sbucò dal cespuglio, coperta di foglie, la piccola Emily che addentò il colpaccio dell'assalitore.
“Emily, su, hai equivocato,” disse con un tono così pacato che la bambola non la sentì. In fondo in fondo non le dispiaceva che quel bellimbusto venisse attaccato da Emily. Ripresasi dallo spavento, riusci a ghignare pure lei.
“Signorina,” esclamò un'altra voce, molto più gradita della prima. Break si stagliò di fronte ai tre, con lo sguardo di chi ha appena visto la morte. Le sue guance, davanti a quello spettacolo, però si colorirono immediatamente. “Tu, brutto topo di fogna!” Si avventò sul ragazzo, senza aspettare alcuna risposta. Non poteva credere che fosse stato lui a far urlare Sharon. Gli salì un nodo alla gola. Perché era stato così stupido da abbandonarla per seguire quella lepre orribile? Il suo compito non era forse proteggere a qualunque costo la duchessa?
Vincent che nascondeva una buona agilità (la usava solo in casi estremi e con molta parsimonia per non rimanerne privo per sempre), si staccò in tempo dalla signorina, continuando a ridere e innervosendo, di conseguenza, ancora di più Xerxes.
“La tua padrona dovrebbe punirti per il linguaggio usato.” Vincent osservò il cielo, poi li guardò di nuovo. “Che carino, il cavaliere che corre a salvare la sua principessa, peccato solo che fra poco non sarà più sua.”
Break tremò per la frustrazione e il dolore, quelle parole lo ferirono molto più di venti lame. Aveva colto nel segno, quel maniaco conosceva i suoi punti deboli, o meglio, il suo unico punto debole: Sharon.
Sforzandosi di alzare il mento, le chiese se tutto andasse bene. La Rainsworth rispose con un quieto sì, anche se avrebbe voluto aggiungere che non si era mai trovata meglio. Xerxes, senza essersene reso conto, l'aveva abbracciata. L'apprensione e il desiderio di protezione accendevano in lui quell'iride scarlatto, trasformandolo nel colore dell'amore e non del sangue.
La accarezzò. “Cosa vi ha fatto?”
Sharon si morse la lingua, quello non era il momento adatto per la verità, anche perché -odiava doverlo ammettere- quel ragazzo poteva trasformarsi nella sua più grande fortuna. “Nii-chan, è quasi finita la ricreazione, perché non torniamo in classe?”
“Siete pallida, non posso lasciarvi andare finché non sarò sicuro che stiate bene.”
“Molto commovente!” Il Nightray interruppe la dolce conversazione, infilando il suo grugno tra i due piccioncini. “Signorina Rainsworth, quando imparerai a mettere a cuccia questo tuo servo disobbediente e impaziente di scalare le vette?”
Xerxes lo osservò per qualche secondo, poi, nonostante fosse convinto di star sbagliando a mostrarsi così davanti alla sua piccola colomba, lo prese per il bavero e si alzò.
“Non provare più ad avvicinarti a lei,” sibilò a denti stretti. Il sangue pulsava forte nelle vene e quel rilascio di ira lo faceva sentire stranamente appagato. Avrebbe voluto prenderlo a pugni, e quando sorrise la sua voglia aumentò esponenzialmente, ma alla fine Vincent capitolò.
“Non c'è bisogno di scaldarsi tanto, anche perché io ho più diritto di te a starle appiccicato.”
Allora Xerxes ricordò quelle brevi parole sussurrate alla mattina, poco prima di entrare a scuola e impallidì nuovamente. Sentì le forze venirgli meno, la tristezza prese il posto dell'ira che evaporò come un grosso fuoco soffocato dall'acqua.
“Break, lascialo andare,” ordinò la duchessa, convinta che quello scontro si fosse protratto fin troppo.
Lui, da bravo servitore, obbedì immediatamente. Restò con lo sguardo fisso verso il basso, non aveva il coraggio di affrontare il mondo, sopratutto se il suo avvenire fosse stato senza di lei. Vincent, prima di andarsene, si avvicinò alla duchessa e le regalò una piccola rosa, colta nel cespuglio lì vicino. “Pure le rose sfigurano alla tua presenza.”
“Grazie duca,” rispose educatamente. Poi gli sorrise, in fondo quel ragazzo non era così male, forse bisognava solo conoscerlo meglio.
“E' sempre un piacere scambiare due parole con te, mia cara. Salutami quel salame pietrificato,” aggiunse, indicando Break che era nella stessa posizione di prima.
La Rainsworth annuì, felice.
Il Nightray se ne andò saltellando, si fermò solo quando si accorse che Emily era ancora attaccata al suo polpaccio, così la tirò via. Abituata ad essere lanciata di qua e di là, non si offese più di tanto.
“Onii-chan, pensi di stare lì per sempre?”
Xerxes venne risvegliato da quella voce dolce e soave. Si voltò verso di lei; non esisteva al mondo niente di più candido e bello. Adesso si era ricomposta, la camicetta era abbottonata e la rosa risplendeva tra i suoi capelli.
Sorrise mentre lei gli tendeva le mani. Era talmente brillante che la sua oscurità l'avrebbe travolta e portata alla rovina, ma non gli importava più.
Aveva deciso ormai: avrebbe macchiato quel fiore puro, trascinandolo nella corruzione più bieca. L'avrebbe resa sua,
“Signorina Sharon, vorrei chiedervi una cosa.”

Circa due ore più tardi, nell'infermeria della Pandora High School si era creata una bella scenetta degna di nota e destinata a non essere dimenticata tanto facilmente.
Gilbert Nightray, il quale era stato portato lì, dopo essere svenuto nella palestra, dall'amico, rinunciava a tirare la testa sopra il cuscino, usato come scudo per nascondere il viso. Al suo capezzale, addormentato, vi stava il dolce fratellino, mentre i due salvatori, Oz ed Echo, tentavano di smaltire l'imbarazzo provato dal duca, che era però incommensurabile ed implacabile.
“Gil, ti credo!” Esclamò il biondino cercando di scuoterlo.
Lui bofonchiò qualcosa senza senso, ma rimase con la testa sotto il cuscino.
“Oz-sama ha ragione, non crediamo che stesse violentando Alice-sama mentre era svenuta.” Nel suo candore, la piccola aveva solo peggiorato la situazione, aveva infatti palesato i suoi sospetti che non erano neanche stati menzionati.
Non appena il duca era svenuto, Oz ed Echo avevano provato a farlo rinvenire, ma con scarso successo, avevano dunque pensato bene di rivestirlo e portarlo in infermeria. Gilbert era troppo alto e pesante perché il solo Vessalius potesse caricarselo sulle spalle, così dovette ricorrere all'aiuto di Echo, che buona e obbediente accettò. Tutti e tre, loro malgrado, non poterono non guardare il povero ragazzo anche nelle parti intime, e questo era una delle fonti del suo imbarazzo, che non gli permetteva di togliere la testa dal cuscino, anche se il motivo principale era dovuto alla sua missione di salvataggio di Alice. Aveva detto loro che era svenuta e che stava male, ma nessuno, compresa la salvata, gli aveva creduto fino in fondo. Per quale motivo la duchessa Baskerville non aveva i vestiti addosso? Gilbert non lo aveva spiegato ed Alice aveva affermato che non ricordava nulla. C'era qualcosa che il duca nascondeva, ma era evidente che non voleva rivelarlo.
“Vedrai che Alice ti perdonerà!” Aggiunse Oz, scuotendolo ancora un po'.
A sentir quel nome il Nightray trasalì e serrò la stretta al cuscino.
Dopo qualche minuto che erano in infermeria, era apparso Vincent, con un viso sorridente. “Che è successo al nii-san?” Domandò senza troppi preamboli. La curva che presero le sue labbra, però, contrastavano col tono freddo e aggressivo con il quale pronunciava le parole. Si avvicinò a lui e gli sussurrò qualcosa, ma visto che Gilbert non rispondeva -era ancora svenuto-, si era rivolto ai due con un ringhio. “Cosa gli avete fatto?”
“Niente,” assicurò Oz, che sapeva quanto instabile fosse la mente del fratello del suo migliore amico. “E' solo svenuto per il caldo.”
Vincent rise, tetro come la morte. “Gil non sviene per il caldo,” sibilò. Si avvicinò ad Oz e lo guardò dritto, poi lo accarezzò “Sei solo un marmocchio, vedi di stare al tuo posto.” Gli strinse la guancia tra le dita, forte, come se avesse intenzioni di strappargliela. “E prenditi cura della piccola Echo, siamo intensi?”
“Vince,” sussurrò una voce impastata dal sonno.
Il biondo si girò di scatto e lasciò andare il duca.
“Non tormentare Oz,” mormorò Gilbert, mettendo a fuoco la situazione.
“No, no,” assicurò. Cominciò a riempirlo di baci e affettuose carezze. “Come stai? Cosa ti è successo?”
Il maggiore dei Nightray sussultò. “Niente... il caldo.”
Vincent parve sorpreso di quella risposta, essendo stata confermata dal onii-san, doveva essere la verità- “Scusami!” Disse all'accusato. Sorrise sinceramente e liquidò immediatamente ogni rimpianto per aver aggredito il Vessalius. Si sedette al suo capezzale e scompigliò i capelli del fratello. “Mi sono preoccupato tanto, sai.”
Gilbert, nel frattempo, riacquistava ogni ricordo e l'imbarazzo lo assalì. Oz sorrideva teneramente come al solito, mentre Echo osservava la finestra.
“Oz,” lo chiamò sottovoce, poi gli gesticolò di avvicinarsi. Il biondino obbedì. “Chi mi ha vestito?” Sussurrò.
“Noi tutti,” rispose in tono sommesso. “Non riuscivo da solo,” si scusò preventivamente.
Gilbert sbarrò gli occhi. Osservò Echo, che continuava a fissare la finestra. “Ha visto qualcosa?”
Oz ridacchiò nervosamente. Doveva mentirgli? “Non credo...”
Il Nightray trasalì. “Ha visto tutto!” Era impossibile che l'avesse rivestito senza che lei guardasse quella porzione di carne. No, magari si era trattenuta, ma se fosse così perché continuava a fissare la finestra?
“Forse un po',” ammise Oz. Anche se un po' non era per niente vicino alla verità. Echo si era proprio soffermata ad osservare e poi aveva detto all'amico: “è ben dotato.” Il Vessalius era rimasto sbalordito da quella frase così audace, pronunciata con un tono così calmo che pareva stesse parlando di matematica. Oz non le chiese come potesse stabilirlo e se avesse già avuto esperienze di quel genere, tutte domande che affollarono la sua mente, ma che sigillò lì dentro. Non avevano abbastanza esperienza per poter discorrere di certi argomenti, inoltre il passato di Echo apparteneva solo a lei.
Gilbert sussultò di nuovo, poi si nascose il viso tra le mani. “Che vergogna.” Non riusciva a pensare ad altro. Come aveva potuto cedere alle lusinghe dell'amore, quando aveva notato in Alice uno strano comportamento? Al diavolo, era anche lui un essere umano e Alice pareva così in sintonia coi suoi sentimenti che non era riuscito a sottrarsi a quelle dolci attenzioni. Inoltre lo stupido coniglio mica era del tutto normale, aveva pure lei eccessi di ira, quindi non era logico che avesse un impulso del tutto naturale... con lui? No, era del tutto assurdo! Si girò sulla pancia e nascose la testa sotto il cuscino, deciso a non rivedere mai più la luce.
Vincent rise sguaiatamente. Dovette passare pure un dito sugl'occhi per asciugarli dalle lacrime. “Mon Dieu, Echo-chan ti ha visto il pisellino?” Continuò a deridere l'imbarazzo del fratello. “Tranquillo che ne ha visti molti! Oppure è di Oz che ti vergogni?”
“Sta zitto!” Gridò da sotto la federa.
Oz rimase impietrito da quella rivelazione. Era per quello che non si era scandalizzata a vedere il suo compagno nudo? Osservò Echo e si chiese con chi avesse potuto... Che fosse Vincent il colpevole? In fondo quello era un freddo manipolatore. Era determinato a sapere se venisse molestata dal suo padrone, ma quello non era il momento migliore, per prima cosa doveva riportare nel mondo Gilbert.
“Onii-chan,” il Nightray si fece serio in viso. “Come mai eri nudo in palestra?”
Gilbert si premette contro il materasso, nel vano tentativo di soffocarsi.
“Faceva la doccia!” Esclamò Oz per levarlo di impiccio.
Il duca Nightray si chinò sul fratello e l'annusò. Effettivamente sapeva di bagno schiuma, ma c'era in lui un altro odore, come di pesce fritto. “Come si può svenire nella doccia?”
“L'acqua era troppo calda,” spiegò Oz.
Vincent annuì, poco convinto. “Sei proprio strano, onii-chan!”
Oz si avvicinò ad Echo e borbottarono qualche frase. Poi il ragazzino chiese a Gilbert se per caso volesse parlare con Alice. A sentire quel nome per poco non svenne di nuovo.
“Perché deve parlare con la Baskerville?” Chiese con un mezzo sorriso. “Cosa combini Gil? Fai il bagno con le duchesse? Oppure è lei ad essere un po' troppo esigente e ti ha prosciugato di tutte le forze?”
“No!” Gilbert rischiava di collassare da un momento all'altro. Perché suo fratello doveva essere sempre così inopportuno?
“Il duca Baskerville potrebbe rallegrasi di quest'unione,” continuò il biondo, nonostante nessuno avesse l'intenzione di ascoltarlo, “se tu tornassi alla tua famiglia. Di certo non sarebbe contento di lasciare la piccola nelle mani di un uomo rifugiato dai Vessalius. Beh, in realtà anche lei è una rifugiata.” Si voltò verso Oz. “Perché tutti vanno a casa Vessalius? Posso venire anch'io?” Vincent rise. “No, scherzo, se lascio Elliot da solo sono sicuro che si metterà nei guai con Scopino.”
Nessuno comprese chi fosse Scopino, tranne Echo, che per premura nei confronti di Leo, non rivelò il suo nome. “Vado a chiamare Alice-sama?” Chiese la ragazza all'amico.
Lui scosse la testa. “E' meglio se vado io. Di solito non ascolta nessuno.” “Tranne me,” pensò.
Ci furono degli strani rumori, che d'un tratto cessarono. Da sotto il letto sbucò una testa canuta. “Ehilà signori, come state? Ho sentito che il mio piccolo scherzetto ha nociuto a qualcuno!” Xerxes si rimise in piedi, dopo essere spuntato da sotto la rete. “Oh, c'è anche il topo di fogna.”
Vincent sorrise, ma ora il suo sguardo era di nuovo freddo e vuoto. “Oh, il servo che non sa stare al suo posto. Più grandi sono le aspettative, tanto più amare sono le delusioni. Non vedo l'ora di vederti disperare,” sussurrò a Break, in modo che nessuno udisse, neppure Gilbert.
Xerxes non si lasciò scoraggiare da quelle parole. “Non so di cosa tu parli.”
“Io, invece, credo proprio di sì.” Vincent si alzò e accarezzò la schiena del fratello. “Ciao onii-chan, ci vediamo all'uscita. C'è la lezione di latino e non voglio proprio perdermela.”
Uscì, senza salutare nessun altro, con un terribile ghigno sulla faccia.
“Ehy, Gil-kun, ti vuoi muovere?” Xerxes tentò di strappare il cuscino dalle mani dell'amico, in vano. “Vuoi rimanere aggrappato per tutta la vita a questo mucchio di piume?”
Il Nightray mollò la presa di colpo, così che Break si sbilanciasse e cadesse a terra col cuscino tra le braccia. Si alzò a sedere e guardò dritto negl'occhi l'amico. “Tu!” Sibilò. “Tu!” Era arrossito violentemente e non riusciva a parlare. “Tu!”
“Si, Gilbertuccio, l'hai già detto,” disse Xerxes, aspettandosi che il Nightray gli saltasse al collo, invece si girò di nuovo con la faccia sul materasso e si mise a singhiozzare.
L'albino gesticolò agl'altri due di sloggiare. “Ho già chiamato quella persona, non preoccupatevi, risolvo tutto io! Ciao, ciao!”
Oz e Echo uscirono, indecisi se credergli o meno. “Quindi è colpa di Xerxes? Come mai?” Chiese Oz.
“Probabilmente sarà a causa di uno dei suoi scherzi.”
Il Vessalius sospirò. Insieme andarono verso la mensa, ormai era quasi ora di pranzo. Realizzò di aver perso quasi tutte le lezioni mattutine, suo zio non sarebbe stato contento. Vide Sharon avvicinarsi a loro. Era raggiante come non mai. “Oz-sama! Che piacere rivederti, e anche per te Echo-chan. Ti stavo giusto cercando.”
La ragazzina sussultò. “Sharon-sama stava cercando me?” Non riusciva a contenere la sorpresa.
“Esattamente!” Prese la ragazza sottobraccio e l'allontanò un po' dal suo accompagnatore. Bisbigliarono per alcuni minuti, con espressioni serie in volto, poi Echo accennò ad un lieve inchino. Quando si separarono, Sharon li salutò velocemente per unirsi ad un gruppo di amiche, mentre Echo tornò dal suo duca, con un dolce sorriso fra le labbra.
“Cosa ti ha detto Sharon?” Chiese Oz, incuriosito.
“Echo non può dirlo, ma è molto contenta.”
Per la prima volta, la ragazza era veramente felice.

Gilbert era ora seduto al fianco di Xerxes, avevano parlato poco, ma quello che gli aveva rivelato bastava per tenergli la mente occupata per almeno una settimana. Quello che gli era accaduto non era troppo diverso da quello che aveva vissuto lui. Entrambi erano stati inghiottiti da una dimensione oscura ed entrambi avevano visto quelle strane immagini sanguinose. Gilbert aveva udito una specie di melodia, mentre Xerxes aveva parlato con una lepre dagl'occhi rossi. Per quanto a volte, Reveille fosse misteriosa, non si potevano classificare quegli strani fenomeni come normali.
“Credo che abbiamo avuto un incontro ravvicinato con delle Chain,” disse Break ad un certo punto. Era la soluzione più logica.
“La Chain possono possedere un corpo umano?” Chiese Gilbert, poco convinto dell'intuizione dell'amico.
Lui alzò le spalle. “Non ne ho idea, ma so che era una Chain.”
“Come puoi dirlo?”
“Per ora non posso dirti ancora nulla,” affermò. Sapendo che il Nightray non si sarebbe accontentato di una risposta a metà, corse verso un armadietto. “Sta arrivando la tua innamorata, vedi di trattarla bene!” Così detto si lanciò dentro le ante e scomparve nel buio.
Il Nightray rimasto solo, si mise a pensare. Davvero stava arrivando Alice? Il suo cuore palpitò. Si sedette sul letto e mille idee gli vennero alla mente. Si sdraiò nel tentativo di cacciare via le elucubrazioni licenziose, ma non era per niente facile.
La porta si spalancò con forza.
“Testa d'alga, ti permetto di scusarti!” Gridò.
Gilbert si irrigidì e fu tentato di nascondere di nuovo il viso sotto il cuscino, ma si fece coraggio e la osservò, rosso come un pomodoro. Lei gli si avvicinò con il solito viso altezzoso. Mise un piede sulla sedia e lo sfidò con lo sguardo.
“A-alice, mi dispiace.” Quello fu il massimo che riuscì a formulare, poi abbassò il mento e rimase a fissare le mani.
La ragazza sbuffò, nonostante la felicità per aver accantonato una vittoria. “Va bene, ti perdono, solo perché è stato Oz a chiedermelo” (in realtà l'idea era stata di Xerxes, ma l'aveva fatta passare per un'idea di Oz, che tutto sommato ci aveva pure pensato).
Gil annuì, poi la sentì allontanarsi. Prima che fosse troppo tardi, però, istintivamente, le afferrò un gomito. “Alice, non ricordi nulla di cosa è successo?”
Alice trasalì a quel contatto. “No,” confermò.
Lui la trascinò un pochino più vicina. “Dicevi cose strane, ti comportavi in modo non usuale.” Aveva accantonato l'imbarazzo per avvertirla.
“Di cosa parli?” La Baskerville sentì l'inquietudine salirle in corpo.
Gilbert sospirò. Forse lei veramente non ricordava nulla. La lasciò andare.
Alice rimase a fissarlo per un po'. Poi gli si avvicinò e lo baciò sulla guancia. “Grazie per avermi salvata, Gil.”


Buonasera! Mi dispiace così tanto di non aver aggiornato per così tanto tempo! Spero di aggiornare più spesso nei prossimi mesi.
Povero Gil, lo tratto sempre peggio! Chissà se si riprenderà! Avete capito cosa ha chiesto Xerx alla sua amata? Immaginate quale piano abbia in mente Vincent?
Il prossimo capitolo penso che sarà un capitolo femminile, protagoniste: Sharon, Alice, Ada ed Echo!
Grazie a chi legge e a chi trova un po' di tempo per recensire, un bacio!

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